■^-^■: .%. •^'%.- '> ^«^^ S^-<: - <^^ 14 e V' ^^ ^ 1^^ ^8^ h fcv."^ TOMO III. X II ^0 E8ERC1TAZIOIVI SCIENTIFICHE E LETTERARIE DELL ATENEO DI VENEZIA VENEZIA DALLA TIPOGRAFIA ni FRANCESCO ANDREOL\ MDCCCXWIX. -wt? CONTINUAZIONE DE RICORDI STORICI SULL'ATENEO DI VENEZIA PRODOTTA AL VEXETO ATENEO STESSO DAL MEMBRO ORDINARIO E VIGE PRESIDENTE LUIGI CASARINI. I. An seguito ai cenni storici che in esecuzione dell'Arlicolo 4^ > del generale statuto, furono per me inseriti nel volume secondo delle nostre Esercitazioni riferibilmente al periodo dall'almo accademico 1826- 27 all'anno 1 855-56, adempio del J)ari al dovere di stenderne la continuazione, fino al termine del iSSS-Sg, cosicché in seguito diverrà melodicamente annuale un tale ragguaglio. Poco in questo a dire mi resta, dacché quel molto che dovrei dire sui risullamenti reali dell' operoso triennio, nel più desiderabile modo risulta dalle relazioni dei segretarj delle due classi , le quali (me- 110 quella da me estesa , in forza di specialissime circostanze ) con la solita ornata esattezza , fecero conoscere il merito delle Memorie lette dai soci, memorie parte delle quali o videro la pubblica luce, o si troveranno impresse in questo terzo volume. Mi resta ad osservar solamente che tutti i nostri soci rivaleggia- rono in zelo e premura per offrire il frutto de' loro studj , cosicché lunge dal mancare il lavoro alle nostre metodiche adunanze , abbondò in modo da rendere necessaria in alcuna d'esse una doppia lettura. II. Ma quello cl»e caratterizza particolarmente l' anno accademico 1838-59 *' ^ ''^ parziale riforma dello statuto, che a comune cono- scenza dei soci verrà integralmente impresso iu questo volume. Quanto può essere dannoso senza lunghe ponderazioni, uno spi- 6 rito innovatore die tenda a sbarbicare l'albero d'un abbastanza fiorente sistema , col seducente pensiero di sostituirne altro di maggiore vaghez- za , dacché si corre pericolo di perdere bene assodale radici , e di scambiare la patria in esotica pianta, non fecondabile dal clima, dalle abitudini e dall'indigena coltivazione; altrettanto può essere fatale il non recidere quei rami che annunziando una morbosa vegetazione, e minacciando uno squilibrio nella diffusione del succo vitale , possono essere il presagio funesto della lenta morte dell'albero annoso. Egli ò perciò che il Corpo Accademico ha trovato giusto ed op- portuno di estendere il voto deliberativo negli oggetti éfconomici ai soci Corrispondenti, ch'anno comuni gli oneri con quelli degli Ordinar], di render quindi eleggibili li soci stessi Corrispondenti al posto di Cassiere, e di accrescere il numero de'Soci Ordinar] che peli' Articolo 44 dello Statuto essenzialmente compongono l'Ateneo, da 36 a l^o , numero adottato da altri Corpi scientifici e letterarj, onde in tal forma raffor- zare la prima classe dei membri aitivi con l'aggregazione de' piìi di- stinti ed operosi individui , che un più ristretto numero lascierebbe per più lungo periodo ingiustamente giacenti nella classe seconda. Finalmente ha creduto l'Ateneo necessario di garantire con pre- ventivi esami e con ponderate successive deliberazioni la scella delle Memorie da stamparsi nei metodici volumi delle Accademiche Eserci- tazioni, punto del massimo interesse, mentre i Corpi scientifici e let- terarj devono giustificare la consecuzione del loro scopo con le pub- bliche sedute, con l'importanza dei loro lavori, con la pubblicazione non interrotta degli Atti, misura della vital loro energia, e con lo sviluppo continuo di un vigoroso andamento. III. Deve il Veneto Ateneo lamentare la perdita di tre illustri membri Ordinar] il dottor Alessandro Calogerà, l'Architetto signor Lorenzo Santi , e il nobii Giuseppe Bonfadini. Nestore il primo de' Veneti Medici, valente osservatore ecclettico della natura, vide tranquillo il tramonto dell'onorata sua vita, a cui una non comune longevità «on poteva accordare nuovi giorni. Il secondo, sommo teorétic©, conoscitore di tutti i multiformi stili di quell'Arte, appoggio della gloria e misura talora della civil- tà, tolto immaturamente poteva ancora per qualche lustro donar al- l' Italia dei pregiali lavori. 7 Il terzo , Archivisla e membro del Consiglio Accademico , il cui E€lo per r Institulo era maggiore d' ogni elogio. Non può del p«ri non ispargere qualche lagrima sui tumuli degli altri Ire nostri Soci Esterni l'Abate Angelo dal Mistro, il puro e sa- porito cultore dell'Itala favella , il Professore Abate Salvatore Dal Negro scopritore nella fisica di forze non bene ancor misurate , ed il dottor Ignazio Lomeni , a cui la coltura dei gelsi e de' serici bachi deve nuovi trovati ed utili procedimenti. Ma neir annunziare doverosamente la perdita di que' valenti che saranno il soggetto de' biografici elogi, devo ricordare a conforto l'ac- quisto di nuovi distintissimi soci raccolti neil' unito generale catalogo , che illustrato dagli augusti nomi di tre Serenissimi Arciduchi d'Au- stria, di molti rispettabili stranieri d'Europea rinomanza, e da quello d'ogni fiore d'Italiani e Veneti ingegni, diventa il più sicuro garante della prosperità e del decoro del nostro Instituto, non ad aJtri secon- do nel vivissimo desiderio di promuovere Jo sviluppo progressivo e possibile d'ogni utile disciplina:. STATUTO DELL'ATENEO DI VENEZIA. r.»\ir,«-v^\^4 ARTICOLO I. Dell' Ateneo. I. L'Ateneo si compone di N.° /^o Membri Ordinar] dimoranti in Venezia, cioè ]N.° 20 addetti alla classe delle scienze, e N."* 20 a quella delle lettere. a. A questi si aggiunge un numero illimitato di Soci Ordinar) £- sterni, di Soci Onorar] e di Soci Corrispondenti. 3. L'Ateneo si divide in due Classi, e sono quelle delle Scienze ed arti, e quella delle lettere e belle arti. 4. Ogni classe ha il proprio Segretario. 5. L'Ateneo ha una Presidenza, un Consiglio Accademico, un Bibliotecario, un Archivista, un Cassiere gratuiti. 6. Ha Bidelli pagati. 7. L'Ateneo comincia le sue adunanze ordinarie nel primo lunedi di dicembre, e le termina, coli' anno accademico, nell'ultimo hmedi di agosto. ARTICOLO II. Della Presidenzcu 8. La Presidenza è composta del Presidente, del Vice-Presidente e dei due Segretarj delle Classi. 9. Il primo ed il secondo si traggono dagli Ordinar), e dagli O- norarj , gli altri due dai soli Ordinar] , e dalla Classe a cui appartengono. 10. Il Presidente dura in carica pel corso di tre anni ; il Vice- Presidente per anni cinque , ed i Segretarj delle Classi pel corso di quattro. ARTICOLO ni. Del Presidente. II. 11 Presidente dell'Ateneo convoca le adunanze, le apre , le regola e le scioglie. 13. Presenta alla Società qualunque proposta, che sia propria de- gli scopi e del reggimento dell'Ateneo, e ciò in qualità di organo della Presidenza. .3. Appone la sua firma a qualunque atto, contenente delibera- zioni dell'Ateneo. 14. D'accordo cogli altri Membri della Presidenza nomina le Com- missioni per oggetti particolari. i5. Apre le adunanze pubbliche con un discorso sopra argomento di sua scelta. ARTICOLO IV. Del Fice-P residente. 16, Il Vice-Presidente fa le parti di Presidente in ogni caso, dove questi sia impedito. 17- Appone la propria sottoscrizione, dopo la firma del Presiden- te, ad ogni atto contenente deliberazioni dell'Ateneo. 18. Tiene la corrispondenza cosi interna, come esterna dell'Ate- neo; scrive la storia dello stesso; i ricordi intorno alla vita degli Ac- cademie, defunti , cui deve leggere non più tardi di due mesi dopo la toro morte; custodisce i sigilli. 19. Invigila pella conservazione di quanto concerna il luogo in cu. s. raduna l'Ateneo: provvede a" ciò , che fa d'uopo per le adun.^nze accademiche, e pel Gabinetto, e ripara ad ogni minuto bisogno della Societii. " ARTICOLO V. Dei Segretari delle Classi. ao. Li Segretari delle Classi compilano i processi verbali .Ielle 10 adunanze della Presidenza per torno annuo, e di quelle dell'Ateneo, ciascuno nella propria Classe. 21. Scrivono i rapporti accademici, e li leggono nelle adunanze pubbliche. 2 2. Hanno cura, che siano fatti li viglietti d'invito, ciascuno pel- le letture della propria Classe, le quali avranno luogo possibilmente con perfetta vicenda. 20. In caso di mancanza del Vice-Presidente, il Segretario di Clas- se, che sia il più anziano d'impiego, debbe farne le veci. ARTICOLO VI. Del Consiglio Accademico. 24. Il Consiglio Accademico è composto di sei Membri, tre della Classe per le scienze, e tre di quella per le lettere. 25. I membri del Consiglio entrano con voce e voto deliberativo in tutte le adunanze della Presidenza, dove le deliberazioni non ven- gono adottate , che con almeno due terzi del voti. 26. Debbono essere Soci Ordinar] , e durano in carica due anni. ARTICOLO VII. Del Bibliotecario. 27. Il Bibliotecario riceve dalla Presidenza, e custodisce la libreria dell' Ateneo. 28. Tiene esatto catalogo dei libri in essa contenuti, e ne forni- sce il Gabinetto di lettura e gli Accademici , a norma delle discipline stabilite dall'Ateneo. ^ 29. Propone alla Presidenza tutti gli acquisti di libri, cui creda necessarj. 30. Dura nel suo ufficio pel corso di quattr'anni , e vien tratto dai membri Ordinarj. Il ARTICOLO Vili. Dell' Archivista. 3i. L'Archivista raccoglie tutti gli atti dell'Ateneo fin dalla sua fondazione, li coordina con numero progressivo, anno per anno, e li conserva , tenendone l'indice. Sa. Ha pure il dovere di raccogliere copia d'ogni cosa letta al- l'Ateneo. 53. Non concede copia di qualsiasi atto a veruno, che dopo il permesso della Presidenza. 54. Al fine di ogni anno verifica l'esistenza integrale, e catego- rica di tutti gli atti dell' Ateneo. 35. Dura nel suo impiego per quattro anni, e debb' essere Socio Ordinario. ARTICOLO IX. Del Cassiere. 36. Il Cassiere riscuote i danari , che, per qualunque titolo , ven- gono pagati all'Ateneo. 57. Ha cura di tutta l'economia del medesimo , della sua fabbrica e delle sue masserizie. 38. Paga le spese consuete dell'Ateneo, ritirando quitanza da quelli, ai quali dà il danaro dello stesso. 39. Non fa alcun pagamento straordinario , che dopo ordine sot- toscritto dal Presidente e dal Vice-Presidente. 40. Nella prima tornata di ogni anno accademico presenta il bi- lancio di quanto fu amministrato nell' anno antecedente. Il bilancio poi viene dalla Presidenza affidato per l'esame a due membri Ordinarj. 41. L'impiego di Cassiere dura quattro anni. Il Cassiere può essere tratto tanto dalla Ci.isse dei membri Ordinarj, quanto da quella de' Soci Corrispondenti dimoranti in Venezia. 12 ARTICOLO X. Dei Membri OrdinarJ. , 42. I Membri Ordinar] dimorano nella città di Venezia^ 45. Hanno per doveri essenziali : i.° La lettura per giro stabilito di un lavoro sopra argomento di libera scelta; 2.° L'intervento alle adunanze dell'Ateneo; 5° La contribuzione deliberata dalla Società per la propria sussistenza economica. 44. Li Membri Ordinar] , essendo i soli che essenzialmente com- pongano l'Ateneo , hanno voto deliberativo, e facoltà di proporre ciò che credano convenire al sempre maggiore incremento della Società. ARTICOLO XI. Dei Membri Ordinar] Esterni. 45. I Membri Ordinar] divengono Membri Ordinar] Esterni quan- do si traslochino fuori di Venezia , e restano col solo dovere d'inviare ogni due anni alla Presidenza una produzione da leggersi alla Società. 4G. Gli Ordinar] Esterni acquistano tutti gli attributi ed i doveri degli Ordinar] di Venezia ogni volta , che ritornino a soggiornare in questa città. 47- Qualora una Classe, per la riunione di qualche Ordinario Esterno , risuki accresciuta di Accademici , non si potrà in questa Classe eleggere a Socio alcun altro, finché non rimangano posti vacanti. ARTICOLO XII. Dei Membri Onora rj. 48. I Membri Onorar] hanno tutti gli attributi accademici degli Ordinarj , e nessuno del loro doveri. i3 ARTICOLO XIII. Dei Soci Corrispondenti. 49. Li Soci Corrispondenti soggiornano tanto in Venezia , che fuori di Venezia. 50. Li Soci Corrispondenti dimoranti in Venezia hanno per do- veri essenziah: 1 fi L' intervento alle radunanze dell'Ateneo : 2.° La contribuzione stabilita dallo stesso peli' economica sua sussistenza ; 5i. Leggono all'Ateneo, dopo accordo colla Presidenza. 52. Li Soci Corri.spondenti , che non soggiornano in Venezia , intervengono alle tornate dell'Ateneo , come li Corrispondenti Vene- ziani , ogni volta che si trovino in questa città. Li Soci Corrispondenti dimoranti in Venezia hanno voto deli- berativo, e facoltà di proporre all'Ateneo quello che credono opportuno, allorché trattasi di argomenti economici. ARTICOLO XIV. Delle Adunanze Ordinarie e Straordinarie. 53. Ogni Adunanza Ordinaria comincia colla lettura dei processo verbale dell'Adunanza antecedente: a questa si fa succedere la lettura di quegli scritti accademici, pei quali l'Ateneo fu invitato a radunarsi in quel giorno: in ultimo si trattano gli affari della Società. 54. Nel processo verbale si registrano li nomi degli Accademici intervenuti in quella radunanza; si fa un breve sunto delle cose lette nella stessa; si espongono gli affari in essa discussi, e le prese deter- minazioni. 55. Nelle Adunanze Ordinarie non può entrare alcuno individuo, il quale non sia Socio dell'Ateneo , se non in compagnia di un Mem- bro Ordinario, od Onorario. 56. L'Ateneo si raccoglie in Adunanze Straordinarie ogni volta che la Presidenza il creda opportuno; ed, affinchè sieno legali, si debbono in esse osservare le medesime discipline delle Ordinarie. ARTICOLO XV. Delle Adunanze Pubbliche. 57. Ogni anno nel mese di aprile vi è un'Adunanza Pubblica. Leggerà in essa prima il Presidente, od il Vice-Presidente, dappoi il Segretario della Classe scientifica , ed in ultimo il Segretario per le lettere. 58. E libero per tutti 1' accesso alle Adunanze Pubbliche. ARTICOLO XVI. Delle Elezioni. 59. Non può farsi alcuna Elezione , se prima non sia stata an- nunciata nel viglietto d* invito per l'adunanza di quel giorno. 60. Si tiene per eletto quell'individuo , il quale abbia ottenuto due terzi dei voti degli Accademici intervenuti; e fra due concorrenti, quello che abbia, oltre i due terzi, conseguito la pluralità. 61. Accaduta la mancanza di un Membro Ordinario, il Vice-Pre- sidente partecipa l'avvenimento a tutti i Membri Ordinar] della Classe, a cui appartenne, mediante lettera circolare, e li richiede di proporre un individuo , che possa occupare il posto vacante. Tutti li proposi' sono poi messi ai Toti di un' adunanza. Ó2. L'Accademico eletto leggerà un discorso sopra argomento di sua scelta , al piili tardi due mesi dopo la seguita sua elezione , nel quale farà una ricordazione onorevole dell'Accademico a cui succeda, nel caso, che questi sia morto. 63. Il Presidente, ed il Vice-Presidente sono proposti da ogni Membro Ordinario, ed eletti poscia dall'Ateneo col metodo seguito per la elezione degli Ordinar]. 64. Li Segretari di Classe , ed i Membri del Consiglio Accade- mico, sono proposti dagli Ordinar] della propria Classe, ed eletti dall'Ateneo , conforme il metodo delle antidette elezioni. 65. I Membri Onorar] , li Soc] Corrispondenti, il Bibliotecario , i5 V Arcliivisla, ed il Cassiere sono proposti dalla Presidenza, ed clelli dall' Ateneo. G6. I Bidelli sono di anno in anno scelti tlalla Presidenza. ARTICOLO XVII. Delle Memorie dell' Ateneo. 67. L'Ateneo pubblica per la stampa i suoi lavori accademici. 68. Ogni Memoria letta all'Ateneo e consegnata in Archivio , che, aderendovi l'Autore, è contemplata per la stampa nel Volume delle Esercitazioni Accademiche, viene dalla Presidenza rimessa agli esami d'uno, o più soci, che ne fanno speciale segreto rapporto. 69. La Presidenza unita al Consiglio Accademico decide definiti- vamente, con la maggiorità almeno di due terzi dei voti a termini del § 25, se ogni Memoria meriti o no l'onore della stampa. 70. Ogni volume delle stesse contiene la storia dell'Ateneo , e quelle Memorie originali, delle quali la Società ordinò la stampa. 71. Gli autori delle Memorie sono i soli responsabili delle opi- nioni e delle dottrine in esse contenute. ARTICOLO XVIII. Disposizioni Generali. 72. Ogni Socio Ordinario o Corrispondente adempie in servigio dell'Ateneo le incumbenze letterarie, o scientifiche, che gli vengono aliìdate dalla Presidenza. 75. Un Socio Ordinario, che manchi, per due anni, di leggere alla Società, ed un Socio Ordinario o Corrispondente che per sei mesi non paghi la contribuzione stabilita , o che manchi d' intervenire per sei adunanze successive all'Ateneo, verrà, dopo discussione di esso Ateneo, cancellato dal catalogo degli Accademici. 74- La Società pronuncia le sue determinazioni a partito segreto, vinto coi due terzi dei voti di un' adunanza. i6 yS. Ogni deliberazione presa dall'Ateneo coi due terri dei voti di un'adunanza, è legale (qualunque sia il numero dei Socj intervenuti), purché l'oggetto della deliberazione sia stato annunciato nel viglìetto d' invito. 76. Ogni alto dell'Ateneo, contenente una sua deliberazione, dev'essere firmato dal Presidente, e poscia dal Vice-Presidente avanti di passare alla esecuzione. 77. Le memorie spedite dai Membri Ordinar] Esterni, dagli Ono- rar), o dai Corrispondenti stranieri sono anteposte, circa il tempo della lettura, a quelle dei Membri Ordinarj, purché gli autori ne ri- chieggano, otto giorni prima del dì della radunanza, la Presidenza. 78. Nessun Membro dell'Ateneo può essere ordinato sopra due ufficj nel medesimo tempo. 79. Ognuno, che legga all'Ateneo ha l'obbligo di consegnare, dopo un mese , la copia della sua lettura all' Archivista. 80. Non potrà essere fatta alcuna annullazione, riforma, od ag- giunta al presente statuto , se non con due terzi dei voti di un' adu- nanza dell'Ateneo, composta del numero almeno di venti votanti, e ragguagliati con ischeda della mutazione, che si tratterà di fare. ADUNANZA PUBBLICA TEISUTA NEL GIORNO VIGESIMOPRIMO DI MAGGIO DELL'ANNO MDCCCXXXVH. SOPRA UN' ANTICO CODICE DI MARINA PROLUSIOINE DEL CONTE LEONARDO MANIN PRESIDENTE DEL L' ATENEO. ì^e con generosa benignità, Eccelso sig. Conte Governatore, Ma- gistrati cospicui, soci valorosi, uditori tutti gentilissimi, se con gene- rosa benignità mi tolleraste quantunque volte in addietro mi presentai da questo luogo per soddisfare ai doveri dall'illustre nostro Ateneo appoggiatimi; nutro fiducia, che con eguali forme sarete disposti di donare un breve frastaglio di tempo, cortesemente in quest'oggi ascol- tandomi, siccome ognora faceste. Nel ricordare la gloria di questa città affatto singolare e nuova, fui sempre alieno dal denigrare ai meriti speciali di molte nazioni rimotissime, le quali possono produrre li fasti gloriosi delle proprie grandezze , rimontando a secoli e secoli addie- tro. So e conosco , che facendo parola di Venezia non si può pren- der le mosse se non dal quinto secolo dell'Era nostra, e quindi per rimota longevità non può essere paragonata la storia veneta a quell^ dell'Etruria, della Grecia, di Roma, e di tante altre nazioni esistenti da secoli e secoli prima che il nome di Venezia si udisse. Che se qual- che cosa si può asserire a gloria di questa città, non imaginate mai che sia da me calcolata a merito di quei primi abitatori, scarsi di nu- mero, privi di beni di fortuna, ignoti a tutto il mondo, e rozzi nella loro forma di vivere, che sopra questi scogli menando lor vita erano contenti di provedere colle reti e con l'amo alle loro non compre mense , ed ai loro primi ed assoluti bisogni. Intendo anzi di ricordare le lodi e le glorie dei Veronesi , dei Vicentini , dei Padovani , dei 20 Trivigiaai , degli Udinesi, degli Aquilejesi, degli Adriensi , degli Alti- nati, dei Torcellani, i quali ricchi, valorosi e dotti nell'alto di ripe- tutamente fuggire le invasioni dei barbari , che agognavano alle loro ricchezze, sprezzavano il loro valore e deridevano le loro dottrine, stanchi del vivere raminghi si dedicarono a costruirsi un'asilo, a crearsi una nuova città singolare, a dettare un sistema di governo, in somma ad edificare Venezia. Venezia adunque è creata dai cittadini delle vi- cine Provincie , e questi hanno diritto alle glorie di Venezia, che pos- sono giustamente considerare quale creazione propria di loro. Egli è quindi evidente , che se in oggi parlerò del Codice marittimo pubbli- cato dai Veneziani assai prima degli altri che si conoscono, tesserò le lodi di quelli che furono conduttori di questo loro gloriosissimo asilo. E fuor d'ogni dubbio, che la nazione nostra fino dalla sua infan- zia cioè fino dal principio del sesto secolo un commercio attivo avesse istituito. La posizione infatti di Venezia, nata appena, invitava a tale maniera di vita e di esercizio , e quasi a'suoi abitatori esibiva i mezzi opportuni, mancando essi di proprio territorio, il quale per la fertilità sua naturale, o per la diligenza ed attività di cultori, avesse potuto somministrare mezzi di sussistenza. Oltre di che erano troppo recenti le memorie delle desolazioni e degli orrori , pei quali i creatori di Ve- nezia qui rifuggiti pensarono di abbandonare que' possedimenti nei quali godevano quiete , ricca sussistenza e tranquillo dominio. Sulla base di tale necessità e di sifalti principi! si pensò all'eser- cizio del mare, come al j)iili sicuro fonte di nazionale ricchezza, offerto dalla idoneità e sicurezza del luogo. Ce ne assicura infatti con le sue lettere l'illustre Cancelliere di Teodorico, ce lo comprovano insieme i successivi trattati con gl'Imperatori d'Oriente e di Occidente , non che col progresso del tempo quelli conchiusi con le piìi lontane na- zioni dai nostri frequentate, arrecando fra noi gli aromi dell'Indie e le pelli più rare dell'Asia, ed i drappi d'oro e di seta dell'Oriente. Sono piene le istorie di tutti i popoli del concorso del veneziano com- mercio, non solo nei mari che l'Italia nostra nostra contornano, ma in quelli ancora che le altre parti dell'Europa , e dell'Asia dividono , e rinchiudono. 11 fatto provò che non si erano ingannati que' primi ricchi e giudiziosi legislatori rifuggiti in queste nostre isolelte, sug- gerendo di esclusivamente dedicarsi alle speculazioni marittime. Ma se Il ella ò così, se i nostri antenati per ogni dove il proprio commercio portarono , e le marineresche faccende a tanta estensione arrivarono di ricchezza e di gloria; se, come lo prova lo stesso chiarissimo Mura- tori, le vittorie de'Veneziani per la ricuperata Ravenna dalle mani dei Longobardi, e per avere abbattute le forze de' Saraceni presso Ravenna rimontano sino al secolo nono; se patti si conchiusero coi Re d'Ita- lia e cogli Imperatori di Oriente per ottenere privilegi ed immunità favorevoli al proprio commercio, se col principe di Antiochia si firmò À trattato che permetteva ai Veneziani di tenere aperto nel loro fou- dflco il foro, e pronunciava liberamente e tranquillamente i giudizj in base delle proprie leggi veneziane; se essi soli tanta copia di navigli possedevano da trasportare il numeroso esercito de' Crociati al ricupero del regno di Gerusalemme diretti , facendo ammontare a duecento i legni grossi, oltre a cinquanta galere, nei nostri cantieri travagliati, e dalla veneziana bandiera protetti ; egli è da evidentemente conchiu- dere , che prima d'allora e leggi e provvidenze si emanarono perchè le operazioni del commercio fossero assicurate e difese. Quindi è certo che pel buon governo della gente marittima , dalla quale la totale ric- chezza della popolazione di questa città derivava , erasi dai veneziani fino dagli antichi tempi provveduto con un corpo di leggi opportune al commercio del mare ed alla tutela de' trafficanti. Difalti il Giusti- niano parlando dei primi secoli della veneziana repubblica scrive: non esservi dubbio che si promulgarono statuti , in base dei quali giudi- care doveasi delle navali controversie. Lo prova appunto lo stesso si- lenzio dello statuto veneto che abbiamo alle stampe , nel quale non trovasi un titolo apposito sul commercio e pella navigazione , tranne nel libro sesto , ove si leggono registrate alcune giunte e correzioni sopra le discipline delle navi e naviganti al tempo del Doge France- seo Dandolo negli anni cioè 1829 in circa; quasi come appendici allo statuto proprio già preesistente per la navigazione. Fino dall'anno i255 sotto il Doge Rainero Zeno fu da lui ordinato a tre savii ed illustri uomini di emendare, notate bene, riformare e comporre gli statuti ed ordinazioni sulle navi e sui legni, e di questo appunto parla An- drea Dandolo nella sua esattissima cronaca. Serve adunque tale testi- monianza di prova , che al tempo dello Zeno non si pubblicò per la 3 2" prima volta uno statuto di marina , ma che soltanto si emendò e riformò il già esistente. Difatti fra li codici manoscritti da me posse- duti, una copia trascritta nel secolo decimosesto conservo dello sta- tuto nautico, che fu pubblicato nell'anno 1339, sotto il Doge Jacopo Tiepolo, circa trenta anni prima del Zeno , e sembra che allora for- masse parte del veneto statuto, giacché chi lo trascrisse, che fu (1) Alessandro Ingenerio all'anno i545i fa noto che queste leggi si ritro- varono in un'antico manoscritto in membrana sotto il titolo di libro sesto. E a dir vero dello statuto delle navi si fa menzione nel libro della Promissione del Malefizio all'anno i23a; ed ecco perchè al tempo del Doge Rainero Zeno si ordinò di emendare e riformare questo li- bro. Ma della correzione adunque parlando, dirò che una copia di essa era posseduta dal nobile signore Andrea Querini Stampalia, grande ap- passionato raccoglitore di libri preziosi. Questa copia accuratamente descritta da Marco Foscarlni il Doge nel suo primo libro (3) delia let- teratura veneziana avendola esaminata a suo bell'agio, ci dimostra egli questo interessantissimo manoscritto qual è veramente, cioè vergato in bel carattere verso il principio del secolo quartodecimo. E mem- branaceo in foglio grande a due colonne con margini spaziosi e ma- gnifici, con l'estremità dorate, con rubriche a cinabro, e con iniziali pure di cinabro ed azzurro, fornite di miniature figurate a lavorietli gentili. Il Padre Canciani Domenicano , dopo averne di sua mano tra- scritto una copia che conservasi nella pubblica biblioteca Marciana, lo rese pubblico con le stampe nel quarto volume della sua raccolta inti- tolata Leges Barbarorum, premessevi alcune poche illustrazioni risguar- danti il codice stesso, indicando ove ai suoi tempi esisteva. Pur troppo temevasi della sua conservazione; ma nel momento in cui mi determi- nai di scegliere a trattazione di questo giorno solenne l'attuale soggetto mi riusci di ritrovare il prezioso manoscritto conservato nella biblioteca Querini, dove custodito viene dal valente e benemerito nostro consocio signor conte Giovanni erede del genio del Cardinale Angelo e dell'avo (1) Di queits Ingenerio creato notajo veneto nel iSSg ne parla il doge Marco Foscarini nella noia 52 del libro primo della Letteratura reneta pag. 25. (1) Foscarini libro primo pag. 16. nota 29. 2$ SUO senatore Andrea, accompagnato da una lunga illuslrazione del cele- berrimo Marco Torcellini , di cui parla nella sua letteratura il socio onorario canonico Moschini (i). La eccellente singolarità del codice ben si manifesta anche ai menò conoscitori delie marinaresche faccende, e la chiarezza, brevità, sem- plicità, esattezza ed estensione con cui queste leggi sono de'ttate . appalesano chiaramente quanto i veneziani fino da que'tempi periti fossero nella navigazione, e ad un tempo quanto egregi legislatori Conaoss.achè. per quanto c'insegna ilGrozio, le leggi deggiono essere' semphc. chiare e brevi, quali appunto sogliono le discipline di un padre nella propria famiglia per non lasciar luogo ai cavilli ed alle fallacie di quelli che sottrarre se ne vorrebbono. In questo codice delle nav. fino a noi pervenuto si ricorda in più luoghi il Consolato de' Mer- canti di Venezia, magistrato antichissimo già in addietro stabilito, ma- g.strato. che- avera la incombenza ed il carico de'giudizii forensi in materia di mercatura, e sopra i patti ed i contratti fra mercadanti esclusivamente. A questo magistrato trovasi attribuito il diritto di levare le pene a que* padroni di nave, che avessero i loro legni in istato di disordine prima di toccare la meta di San Nicolò, o che non sorve- gliassero perchè nessuno dei marinai, o dei trafficanti si allontanasse dal navilio prima di ottenerne licenza dal magistrato, dovendo gli seri- vani dei natigli invigilare alla consegna delle merci e rispondere ai danni , che queste avessero risentito dal mal eseguito loro carico. Que- ste, e tante altre providenze dai legislatori contemplate, furono ema- nate pochi anni dappoi che li Veneziani in Costantinopoli accettarono le leggi Barcellonesi, già conosciute come avanzi delle Rodle, sulle quali per convenzione di tutte le nazioni, per lunga età si appoggiò il diritto comune de naviganti. Siccome però fino dal cominciare del loro governo . Veneziani erano alla necessità di framettersi cogl' interessi delle altre naz.oni, ne venne di conseguenza, che alcuni uffizii e magistrati insti- .u.re dovessero, che al buon ordine sorvegliassero, e le liti decidessero sopra le merci, i mercati, i negoziati ed i navigli. Tra i primi ma. gistrat. s. creò, come si è detto di sopra, quello de' Consoli a cui so- stanzialmente si attribuì la giudicatura sopra le cose de' mercanti e (1) Mojchini. Letteratura veneziana tom. 4. pag. ^5. ^4 delle navi. In seguito ad esso venne affidato il carico sopra li sensali de' pellegrini, il di cui capitolare, che formava parte dei manoscritti del signor Aniadeo Swajer accuratissimo raccoglitore di cose venete ^ Scritto in pecora con miniature , fu trasportato alla morte di lui fra i libri della Secreta, ed ora è fatalmente smarrito. Che poi i Consoli pei mercanti , oltre un magistrato interno isti" luiti , esistessero prima del duodecimo secolo eziandio nei luoghi ove i nostri commerciavano , lo rileviamo da questo stesso statuto Zeno, nel quale dove al Capitolo cinquantasei attribuisce ai Consoli residenti nelle terre, legni, o navi da Venezia fossero per approdare, il diritto di jH-enderne le misure, ed esaminare se caricate fossero secondo le leggi, e nell'articolo centoquattordici, non che nel capitolo sessanta- quattro , facendo parola delle merci che ne' navigli si guastassero , si appoggia loro il giudizio, casi tutti che si verificavano in Egitto, in Soria in Baruti, ed altrove. Oltre a ciò abbiamo sicuri documenti, che i nostri ottennero dai Re di Sicilia esenzioni e franchigie nei porti della Puglia e della Sicilia: che Teofilo Zeno era Bailo nelle parti di Soria che col soldano d'Egitto i nostri patteggiarono accordi : che! tennero Consoli nei porti del soldano di Tunesi , ed in appresso nuo- vamente collo stesso soldano di Egitto: che assai frequentemente tali patti si riconfermarono e rinnovarono. S' insti) uirono quindi annui ■viaggi di galere armate a protezione della navigazione e del commer- cio. Mancando però un Capitolare antico dei Consoli per incuria , e per fatale combinazione dei frequenti incendj , fu alli sei di maggio dell'anno i5o6, per mandato delli stessi signori Consoli, commesso a Bartolorameo Zamberto, uno de' più benemeriti coltivatori del veneziano diritto , uomo non solo versatissimo nelle cose della città , ma dotato ancora di non volgare letteratura il quale allora copriva il carico di notaio del magistrato, di comporne un altro, tutte raccogliendo le leggi relative alla loro giurisdizione. Ma troppo erano ristrette le leggi rela- tive alla navigazione ed al commercio , quando fu istituito il magistrato de' cinque Savii alla mercanzia, appunto nel sedicesimo secolo, affin- chè alle cose della mercatura e della navigazione presiedesse, al quale venne comandato in seguito che un nuovo Codice della mercantile ma- rina si compilasse, approfittando dei lumi e delle nozioni che dai paesi stranieri ricavare si potessero. Difalti ed il codice della marina Frati- 25 cese e le ordinanze dell'Ammiragliato Inglese, e le leggi di Livorno, di Pisa e di Raglisi formarono parte degli studii di quel Magistrato, al quale erano pur anche presenti i due statuti, e del Tiepolo 1229, e del Zeno 1255. Pertanto nell'anno 1786 fu posto alla sanzione del Se- nato il nuovo codice, nel quale tutte le leggi, regole e discipline si raccolsero, concernenti le varie classi di persone che sono nel medesimo contemplate. Riscontralo quindi l'antico statuto col nuovo, si rinvengono molti capitoli del vecchio che corrispondono al moderno. Non vuole, per esempio, l'antico statuto al paragrafo XLVI , che il capitano, o il padrone della nave possa licenziare, o cambiare li marinai prima di compiere il viaggio con la pena di pagare il doppio della mercede sta- bilita, e nel nuovo si ordina all'articolo 17.° del titolo secondo, che il capitano, o padrone che licenziasse i marinai non possa pii!i ottenere la regia patente. AUi capitoli 54 e 55 si parla della pena, che soffrir debbono li capitani o padroni, allorché la nave sia caricata più di quel- lo, che fu da' Consoli stimata, dovendo nel caso di contravvenzione pagare il doppio nolo , clie avessero ricevuto : e nel nuovo codice al paragrafo 5H del secondo titolo si prescrive che se per l'avidità di uix eccedente guadagno i padroni, o capitani caricassero il bastimento oltre la naturale sua portata , incorrano nella pena di Ducati trecento da es- ser ad essi levata dal magistrato de'cinque Savi! alla mercanzia, ed ajiplicata all'ospitale degl'invalidi marinai di questa città. Inutile sarebbe un più esteso confronto, ma il già fatto è più che sufficiente a con- chiudere, e che questi statuti antichi furono a cognizione del magi- Strato, e che anche nei primitivi tempi di questo Governo prudentissimi uomini erano incaricati di confermare e stabilire le leggi. Che se negli ultimi anni il Senato ordinò la compilazione del nuovo codice di ma- rina, ordinò un'opera necessaria, esigendolo cinquecento e ventisette bastimenti veneziani di varia portata, i quali solcavano i mari di Oriente, e di Occidente tutti capitanati con patenti venete, essendo allora il commercio assai attivo, e specialmente negli anni, nei quali, dichiaratasi dal Governo la propria neutralità, potè la veneziana bandiera approdare a tutti li porti in mezzo alle guerre accanite che dilaniavano tutta la Europa. Se non che cambiate nel 1806 le circostanze del no- stro paese, ed estenuato il movimento della veneziana bandiera, arenossi intieramente il veneto commercio , per provvedere al quale sappiamo 4 26 tutti come ed in quali forme siasi prestato il clementissimo Augusto nostro Sovrano , di sempre gloriosa memoria , non risparmiando largi- zioni e mezzi i più efficaci. Erede non solo del trono, ma eziandio dei sentimenti paterni l'attuale nostro grazioso Sovrano e Re , 1* Impe- ratore Ferdinando I. fra suoi più benefici decreti volle ordinare l' im- portante operazione della diga al porto di Malamoco, affine clie la massa delle arene non ne intercluda la via e non continui a costilniriie periglioso l'ingresso. Kè piccolo è l'onore che allo scientifico nostro Corpo deriva dal sapersi , che fra i proprj soci alcuni vi si ritrovano di si distinto merito forniti, che su questa operazione vennero consul- tati, dovendo dei proprj studj innalzare il risultamento alle superiori Autorità. Ed in mezzo alle future speranze delle quali è caduto a que- sto momento il ragionare , non si ommetta in una giornata si solenne pel nostro Ateneo, ed in mezzo agli applausi che accorderete alle pro- duzioni dell'anno spirato , non si ommetta , io diceva , di farvi palese che i primi passi per li tentativi da farsi sui pozzi Artesiani, dal nostro accademico Corpo presero già le mosse , e che accolti in special modo da S. E. il signor Marchese Amilcare Paolucci Consigliere Intimo, e Ciamberlano di S. M. I. R. e suo Vice-Ammiraglio , che io mi glorio di nominare come membro onorario di questo Ateneo , e protetti fino ai piedi del trono , fanno nascere la dolce e interessante speranza, che a questa città nata nel seno delle salse onde, si potranno abbondanti scaturigini, e fresche perenni sorgenti di acque dolci esibire a maggior comodo della popolazione, e di qualunque naviglio, che tratto dal bi- sogno di approvigionarsi, nel nostro porto verrà ad approdare. Andrà quindi glorioso il nostro Ateneo per avere contribuito utilmente co'suoi lumi ai bisogni della patria in si importante e glorioso argomento. :v' DEI LAVORI FATTI DALLA CLASSE DELLE SCIEKZE NELL' ANNO ACCADEMICO iSSy. RELAZIONE DEL VICEPRESIDENTE LUIGI CASARIIVI il elio sciogliere la trepida mia voce al cospetto d'illustri magi- strali e dignità venerande, di valorosi accademici, e di uditori coltis- simi, avrei dovere e bisogno, o Signori, di favellarvi di me, e dì giustificare l'ardimentoso mio iraprendimento. Ma dovrei per fare ciò, calcolarmi per un momento degno subbietto del vostro interesse, e quindi rivolgere ad uso ben lieve quel tempo prezioso da voi dedicato a veramente utili ed altissime occupazioni. Degg'io quindi limitarmi a farvi presente soltanto, che nell'ama- rissima perdita del dott. Gaetano Ruggieri Vice-Presidente , e cultore solerte e benemerito di questo patrio Instituto, di sempre cara ed ono- rata memoria , la benevolenza de' miei colleghi e la mia obbedienza a questo posto da lui illustrato mi trasse, che fra i doveri da esso imposti, il pie, onorevole, ma il più difficile egli è quello di portar a voi la parola , e che nel tesservi conseguentemente la storia disgiunta del pari da prolissa analisi , e da azzardati giudizj , de' nostri scienti- fici lavori , spero di ritrovare nella loro importanza al disadorno mio dire sostegno , come dal gentile animo vostro m' attendo confortante coraggio. r. Prenderò le mosse da quel viscere del bel sesso appartenenza esclusiva, prima patria dell'umanità, che fra le tenebre asconde la 28 linea impercellibile fra la vegetazione e la vita animale ., ed in cui la dotta antichità adorava la forza passiva del mondo fra i velati em- blemi dei misteri di Samotraccia e d' Eleusi. L' utero venne dal socio dott. Coen anatomicamente considerato nelle sue croniche alterazioni e quindi descritto negli ufficj e ne' can- giamenti , a cui r età e le circostanze lo assoggettano nei differenti periodi della vita , analizzandolo nelle due parti delle affezioni sue pro- prie, e di quelle delle sue pertinenze. Come seguirlo potrebbesi brevemente nei meandri moltiplici di quest' ultima, la cui alterazione sta in rapporto diretto della essenziale sensibilità? Importante è però l'udirlo nella prima parte ragionar dot- tamente dello scirro e del cancro , che ritiene affezioni tutte locali , marcare le diverse alterazioni di tessitura e di mole , e minutamente descrivere , quasi armato del ferro anatomico , i corpi fibro - celluiosi ben più frequenti dei polipi , morbosità che corredata d' un attività assorbente, tende a trasmutarsi in ossea, o in quasi lignea sostanza, eh' egli ritiene vegetazione di un viscere che cessando di avere par- ticolari funzioni , imperioso conserva però un eccessiva l'orza ripro- duttrice. Con questa bella Memoria il dotto accademico ci fa palese in ogni sua parte quel viscere dirò cosi radicale , ci svela tutte le sue affezioni morbose , le sue esigenze, i suoi farmachi, e ci porge nuovo argomento onde riconoscere anche senza scopo apparente, non mai inerte la for- za espansiva della natura. II. L'altro viscere importantissimo, che sebbene non esclusiva- mente addetto al bel sesso , riceve pure dal primo descritto un' in- fluenza diretta, prova non dubbia essere quella interessante metà dell' u- man genere per originaria destinazione chiamata a profondamente sentire , ed a palliare con isquisita sensibilità i timori d'una perigliosa missione, il cervello divenne lo scopo delle dotte investigazioni del nostro socio corrispóndente dott. /Vsson. Ei ce ne porge la descrizione , confrontando i sistemi dei Rolan- do e dei Gali nelle parli differenti dell' encefalo , femiaiulo le sue osservazioni sui processi dei fasci continuanti i cordoni sjiinali , sul particolare intrecciamento di fibre in fondo al solco anteriore del bul- bo rachitico, di cui pare non si occupassero fiaor gli anatomisti ^ e 29 sulla protuberanza annuiare che vorrebbe inlilolata nodo del cervello, stallie le sul- attinenze ai tre centri dell' encefalo , il bulbo , il cervel- lo ed il cervelletto. La tavola quasi topografica di questo tempio misterioso del pen- siero , e dell' elemento divino della seconda vita , a mezzo di anoto- niiclie preparazioni, tanto più plausibili, quanto piìi difficili , e dotta- mente tracciate , ce lo fa conoscere nella sua vera conformazione , e quindi apre 1' adito a scoprire quelle anomalie apparenti dai loro ef- fetti, che valgono ben colle, ad allontanare nosografici abbagli. 111. Ma di quanti abbagli può essere conseguenza il fallace aspetto d' una forma ingannatrice , col corredo di naolta erudizione ce lo di- mostra il sig. dott. Francesco Enrico Trois nella descrizione d' una malattia variamente giudicata dai più illustri pratici dell' Italia , resi- stente ad ogni metodo curativo , ed avente per princÌ2>ale sintonia un singlùozzo innorinale e specifico , succeduto immediatamente a un lieve attacco d' angina. Le più accurate indagini fecero al dotto clinico sospettare come un lampo , clie la causa del male risiedesse nella spina dorsale , e precisamente nelle prime vertebre del collo , dentro alle quali la flo- gosi anginosa si fosse diffusa , d' onde si formasse una lieve e su- perficiale congestione sanguigna sufficiente però a comprimere od in altro modo a turbare lo stato dei cordoni laterali nervosi , ed a produrre tutti gli svari.iti fenomeni della proteiforme malattia , e fra questi il pertinace singliiozz.0. L' aggiustatezza di questa diagnosi risultò dall'uso vantaggioso delle mignatte alla località in luogo delle precedenti larghe deplezioni san- guigne , e dall' uso d' altri antiflogistici e derivativi opportunemente impiegati , cosicché sotto questo metodo la grave e strana malattia , di' aggravava non breve tempo un' interessantissima giovanotta, fu vinta dall' instancabile professore , che vide cangiato lo spasimo nel sorriso della più fiorente salute, e fu un'altra prova non dubbia dell'influen- za possente della colonna vertebrale sulle malattie nervose, e par- ticolarmente sulle nevralgie , e sulle convulsioni isteriche di cronica i ondizione , verità già proclamata da insigni medici dei nostri tempi , ma non ancora bastantemente avvertita , e però importantissima verità the il nostro Autore in quest'occasione ha discussa distesamente, e 3o convalidala col corredo di molti f.itli che produsse , figli della taiilo riputata sua pratica. IV. Ma se la flogosi della spina dorsale può produrre delle ma- lallie apparentemente reumatiche, fa conoscere d'altronde il dott. Na- mias in un' accurata Memoria che il reumatismo riconosce talora una condizione patologica da quella diversa , derivante invece da una rin- tU7,zat:i traspirazione. Difalti r autore con la più desiderabile lucentezza espone due gravissimi casi di malattie reumatiche dipendenti da squilibrata tras- j)irazione , in uno de' quali si generò una paralisi agli arti inferiori conseguenza d' un travasamento sieroso ne' sponduli delle vertebre , e nell'altro si generò un idrope del torace da cui spostato il cuore si sentiva a palpitare in regione non sua. Dimostra con ciò il nostro Accademico che questi S[)andimenti sierosi sono stranieri alla flogosi, quantunque ne riproducano spesso i fenomeni, il che provato con abbondante corredo di erudizione, di ragionamenti e di fatti, rende pregevolissimo questo lavoro diretto ad ammonire i meno esperti , ad abbandonare in tali casi i rimedj repel- lenti , e sopr;ittutto a non impugnare il ferro anziché l'ulivo d'Igea, scella però che attender si deve esclusivamente da un illuminalo crite- rio , e da una pratica esercitata , a cui il giovine autore , ormai vec- chio per cognizioni e per esperienza , consacra le più vigili cure a costo di porre a pericolo 1' interessante sua vita. V. Quei centri dell' umane sofferenze archivj cronologici di clini- che osservazioni, quei nosocomj primamente eretti all' epoca delle Cro- ciate, ne' quali la religione s'associa alla medicina per procurare al povero di Cristo la fisica e la morale salute , scelli vennero dal doli. Pajello ad argomento speciale delle proprie osservazioni. Neil' udire la sua Memoria nella quale ci descrive la polizia me- dico-disciplinare , i sistemi curativi ed il nome dei celebri Direttori degli ospitali pubblici e privati di Parigi , ottenne 1' Ateneo un plau- sibile saggio della sua dottrina nelle mediche discipline, ma soprallullo ritrasse argomento di patria vivissima compiacenza. Ove si confronti quell'analitica e dotta descrizione conio stato reale di questo nostro Civico Ospitale sorretto dal sempre costante illuminato interessamento del Reale Governo , e praticamente dircUo 3i dal nostro socio dolt. Francesco Enrico Trois, si ottiene la confoil ante convinzione che non dobbiamo noi invidiare la sorte di siffatti esteri stabilimenti. E di vero presenta esso 1' aspetto il piìi soddisfacente nei sistemi di cura, nell'interno regime, nel materiale adattamento, nello sviluppo dei soccorsi fisici e morali , nella sua ben intesa economia , e neir applicazione costante dei principj della religione e della filoso- fia , particolarmente a sollievo di quegl' infelici, la di cui anima geme sotto la tirannia delle arcane perturbazioni mentali , infelici clie devo- no spesso attingere dal cuore sensibile dei preposti , piuttosto che dalla farmacopea , la droga riparatrice. VI. Con altra gradita memoria lo stesso dolt. Pajello trattenne l'A- teneo sulla moderna litrotripsia, scoperta che la Francia e l'Inghil- terra si contrastano alacremente. Esponendo l'autore i lavori de' francesi Amussat, e Civiale dell'in- glese Heurteuloup , e dell'americano Jacobson , rese ostensibili gli islromenti successivamente migliorati di quella interessante scoperta , ch'ove lo permetta l'età e la costruzione dei sofferenti, un corpo estraneo nella vescica, ed ove non si opponga il volume e la durezza di questo, e la sensibilità e particolare struttura degli organi che a quella conducono , con ingegnoso corrodimento , spesso indolente ed innocuo risparmia le ferite dolorose e talora fatali della litotomia. Animato però da zelo doveroso di patria, ricorda gl'ingegnosi congegni nell' argomento inventati dal defunto dott. Marchi , che può dirsi aver primo gettato i fondamenti della litrotripsia , e rivendica quindi la priorità della scoperta a quell' Italia che nel Sarpi, nel Vico, nel Macchiavelli , nel P. Lana, nel Gallileo, ed in mill' altri offri sem- pre agli stranieri i germi delle più luminose scoperte , fatto costante che dovrebbe offrire preferibile argomento di metodico lavoro a tutti i Corpi scientifici e lettérarj della Penisola. VII. Se però le chirurgiche cure operate sempre sotto l' impero dei sensi , rendono spesso dubbiosa 1' applicazione dei nuovi trovati , attesa la talor in normale umana organizzazione; a quali incertezze non deve andar soggetta l'arte medica, l'arte dell'analogia, delle conget- ture, e degli svariati avvicinamenti? Cs' èo la febbre, è un male spe- cifico , o un rimedio della natura , onde espellere con uno sforzo il 32 principio morbifero , ed equilibrare con ciò il calore eJ il moto poli flel microcosmo vivente? Avvolta la soluzione di questo , e di molti altri quesiti nelle te- nebre del mistero, ben fece il socio nostro ordinario dott.Calogerà , ad ommelterne nel suo saggio sulle febbri qualunque esame , e quindi a descriverne invece i fenomeni, a marcarne le differenze, a indagarne le cause seconde, paragonando i risultamenti della lunga sua pratica , con quelli del celeberrimo Cullen. Egli dietro a ciò travede queste cause prossime , particolarmente nell' aria saturata di effluvi mefitici , esalanti da corpi corrotti, o elaborati nell' umidità di palustri abituri, e non bene potendo decidere se la quantità , o la specifica qualità di questi germi, determini la loro influenza sull'organismo vitale, tocca neir indicazione delle opposte sensazioni del caldo e del freddo , la grave questione del calor animale , che malgrado le recenti scoperte sul fenomeno della combustione, applicato alla respirazione , deve tut- tavia annoverarsi fra gli arcani della natura. Dopo d' aver esposto con la possibile religiosa esattezza , quan- tunque non seguace d'Esculapio, questi medici pregevoli lavori, mi permetterò di riassumere i diritti del mio qualunque individuai crite- rio per osservar con piacere , che i nostri soci teneri del vero inte- resse dell' arte diretta all' effettivo sollievo dei mali dell' umanità sof- ferente , si attennero soltanto a delle analitiche e pratiche disquisizioni, abbandonando quei generali e sempre opposti sistemi, figli dell'orgogliosa sete di spiegar tutto, o del freddo scopo di farlo con poche formule adattabili , come il letto di Procuste ad ogni individuo, a costo spesso di lunghi spasimi , e dì fatalissimo fine. E di vero è d'uopo convenire che l'arte medica in mezzo a tanti sistemi opposti, slimolanti, controstimolanti, purgativi, oraiopalici , idropatici ec. deve però tratto tratto ricoverarsi sotto l'ombra del vec- chio di Coo , e nella cura ecclettica ritrovare il rimedio ai mali dell'uo- mo , osservazione che dee forse far considerare il morbo fatale che dall' Asia peregrinò fino a noi, morbo resistente ad ogni sistematica cura, e domabile solamente ne' suoi svariati sintomi, un di que' cata- clismi diretti a stabilire una qualche gran verità. YIIL Sacro ancora alla medicina il codice delle ippocratiche os- 33 servazioni , non si può negar però che quella debba posteriormente chiamarsi molto debitrice all' anotomia ed alla chimica. Ne fa pruova per quesf ultima il nostro socio ordinario sig. Antonio Galvani chimi- co-farmacista mila sua bella Memoria sui caratteri certi della strichnina veramente pura, e sulla presuntiva composizione della brucina della noce vomica. Prima d'entrare nella parte speculativa si trattenne 1' autore della pratica utilità , indicando i metodi più proficui per estrarre dalla noce vomica la maggior possibile quantità di strichnina , ridotta alla mag- gior perfezione, e discese poscia all'esame dei pareri de' varj chimici, e trovando in essi grandi discrepanze si avvisò di stabilire con rigoroso esame le reali sue propl-ietà. La serie de' più dotti ragionamenti da cui vennero diretti i cor- rispondenti ingegnosi processi che sarebbe a desiderare di poter qui far conoscere distesamente, condussero il bravo nostro chimico all' im- portantissmia convinzione che nella noce vomica non esista quella bru- cia, che gh altri chimici vi travidero, quale componente principio, scoperta che applicata alla chimica ed alla farmacopea può esser ferace di progressivi utilissimi risultamenti. IX. Se la profonda analisi della struttura della macchina umana condur dovrebbe ogni ateo (se pur di buona fede ve ne esista) alla adorazione d'un principio creatore e riparatore, che realizzi nella crea- z.one la divina archetipa idea ; Io studio poi della storia naturale ci documenta che la natura ministra d«l Creatore, si serve delle parti più esili e neglette della materia indistruttibile, per soddisfare il su- premo bisogno di riprodurre , e di formar sempre nuovi involucri alle laville di vita. Il socio ordinario dott. Nardo cene porge un saggio nella sua me- mor.n sulle alghe marine, delle quali descrive la struttura, la classi- hcazione e gh utili usi a cui possono essere rivolte. Si modellano esse in lamine, ramificazioni, filamenti primiferl . e reticelle bellissime, passano dalla mollezza della gelatina alla consi- stenza fibrosa del cuojo , si riproducono, o col mezzo di germe, o d. reale fruttificazione , e si classificano secondo il sistema di Agardli HI sei ordini, ai quali aggiunge l'Autore un suo proprio da lui chia- iiKito l.tanouleo, tutti divisi in particolari famiglie. 34 Queste vegetazioni marine ove clorme talora dopo la Jisseccazione il principio di vita per ridestarsi al ritorno alla naturale lor sede, chi- micamente analizzate dal nostro autore ne' loro elementi essenziali , dopo di aver influito sulla respirazione degli animali marini , offrir pos- sono all' uomo, come ricorda Plinio, un farmaco alla podagra , come scoperse il Maltiolli un forte antidoto antielmintico, come primo pro- pone r autore , un olio empireumatico efficacissimo nelle verminazioni congiunte ad ingorgamenti scrofolosi , ed una gelatina di cui in molti casi può utilmente valersi 1' arte salutare. Con questa diligente Memoria il laborioso autore oflTri una nuova prova dell'antico assioma che la natura non opera indarno la più mi- nima cosa, e che ogni sua produzione tiene un rispettabile posto nella progressiva catena degli esseri. X. Mentre il dott, Kardo ci offriva l'analisi dell' alghe marine, che la Taddel in questo recinto additava come il velo primo di Venere Afrodite , il socio ordinario Contarini ci mostrava nelle attinie i fiori natanti , che formar ne dovevano 1' effimera verginale ghirlanda. Questo valoroso naturalista che ha il sommo pregio di cogliere ]a natura per cosi dire sul fatto, e di trarne quasi suo malgrado i segreti piìi ascosi , continuò in una terza Memoria la descrizione di Tarie spezie di questi esseri maravigliosi , e quindi ne dipinse co' più vivaci colori la variata forma, la diversa struttura, i recessi prescelti a slabile dimora , e le singolarità che ne formano le differenze speciali. Ci addita dietro a ciò nell' actinia maculata la quasi parassita d'un murice , discopre nell'actinia diaphana non essere come vorrebbe lo Spinx i tentacoli una prolungazione della pelle , ma uno stendimento delle sue parti , causa forse di quella squisita sensibilità che supplir deve col solo tatto alle rivelazioni degli altri sensi, e nell'actinia con- centrica ravvisa la qualità ignota agli altri naturalisti d' ingojare e digerire individui dello stesso genere, indubbio effetto del ricordato supremo bisogno della natura di vegetare e produrre a qualunque costo. Le amene e dotte investigazioni del nostro autore fanno avan- zar voti per la sollecita pubblicazione di un' Opera desiderata dal naturalista , dal poeta e dal filosofo , dal primo perché offerente la storia di non ben noti viventi, dal secondo perchè pittrice brillante di nuovi gigli e giacinti delle marine convalli, dall' ultimo perchè prova 35 novella della gran verità che anche ne' suoi meno calcolati prodotti la natura serba l' impronta della Divina Mente ordinatrice del suo miste- rioso lavoro. XI. Le opere della natura periscono , ma i loro elementi indi- struttibili si convertono seinpre ed integralmente in nuove vivaci com- binazioni , le opere umane al contrario dal musco degli anni corrose segnano spesso con squallide macerie il volo funesto del tempo. A rattenere al più possibile tali inaugurate dissoluzioni diresse il socio ordinario dolt. Campilanzi ledette sue cure, e quindi con prege- vole Memoria indagò le cause del deperimento degli edifizj di Venezia, ne additò i dannosissimi effetti, e pose in veduta i mezzi opportuni ad allontanar queste cause , ed a ripararne le conseguenze. 11 soffice suolo, la necessità di rassodarlo con forti palafitte, l' am- mollimento delle fibre del legno in contatto con l'acqua, l'influenza della naturale umidità saturata di sali rodenti, producono a di lui avviso di sovente de' cedimenti, e delle spaccature che alterando l'equi- librio delle mura possono portare gradatamente lo sfasciamento degli antichi edifizj. Potendo gli effetti stessi essere prodotti dall' escavo troppo vicino di pozzi , o di nuove fondamenta , raccomanda ogni diligenza nelle nuove costruzioni , disvela le forme onde conoscere il progressivo anda- mento delle fenditure e de' cedimenti, osserva quanto l' intrecciamento avveduto delle mura e delle travi serva a consolidare i nuovi lavori, consiglia il riparo di qualunque incipiente squilibrio, e quindi con lo sviluppo conseguente di tecnici principj fruito di un criterio e d' una instituzione distinta, esaurendo l'interessante argomento, benemerito il nostro autore si rende di questa adottiva sua patria. XII. Sempre costante il nostro Ateneo per originario instituto nel cercare di rendere possibilmente utili alla società ed alla patria i proprj lavori , s'avvisò nel luglio i833, col mezzo della sua Presidenza di nominare una Commissione sotto il presidio di S. E. il sig. Co: Guido Erizzo socio onorario , fervido sempre , ove si tratti del bene del suo paese, e composta dei distinti altri soci Campilanzi, Casoni, Co: Corniani degli Algarottì , Marianini ePaleocopa, appoggiando ad essa r incarico di esaminare le particolarità geologiche del suolo di Venezia, S6 onde dedurne il mezzo più facile , e meno dispendioso per la forma- zione di un pozzo Artesiano. Queste ingegnose terebrazioni tendenti a rendere ìf. sotterranee acque , sopratterranee e fluenti , a vantaggio degli usi domestici , delle arti, e della rurale vegetazione, chiamati dai francesi Pm/Yj ^/-tef/e/JJ, potrebbero però più convenientemente essere da noi chiamati Pozzi Modenesi trivellati, dacché fin dal 1671, il celebre Cassini professore in Bologna, e poi in Parigi, fece conoscere all'Accademia delle scienze, a cui apparteneva , che in molti luoghi del Modenese si trovava ad una certa profondità uno strato di argilla, fermo e sonante, che tra- forato con grosso trivello, faceva sorgere un getto impetuoso d'acqua potabile, scorrente , libera e pura sulla superficie del suolo, scoperta che divenne poscia il tema dei dotti lavori del Ramazzini e del Valisnieri. S. E. il Presidente della Commissione comunicò all'Ateneo con lettera ig gennaro i855, .i suoi lavori particolarmente consistenti in tre dottissime Memorie de' suoi membri, Campilanzi , Casoni e Paleo- copa , Memorie che svolto l'argomento con ogni desiderabile dottrina nei tre punti geologico , tecnico e pratico , furono dal relatore Co: Corniani raccolte in diligentlssimo sunto. Che il suolo dell' antica Venezia sia il risultamento d' un anti- chissimo cataclismo , e che sovvertito quest' abbia la sua superficie, egli è un fatto certo di cui però nella mancanza di apposite e pa- zienti investigazioni non se ne possono del tutto conoscere i tuttavia rimasti risultamenti. Sembra però che si possa asserire clic il contorno delle lagune sia l'ultimo limite dei sedimenti fluviali, cosicché può nascere lusinga che a non grande profondità, rinvenir si possano quelle acque che alcuni ritengono formare la stratificazione sotterranea del nostro globo, ed anzi si ravviva per noi questa speranza nel ricordare che nel 1680 nell' escavo del Canal Regio , come riferisce il Temanza, si vide zampillare una polla d'acqua dolcissima, che nel iSio, nel gettarsi le fondamenta del Palazzo Reale sotto V antico tempio di San Giminiano surse all' improviso una sorgente rigogliosa d'acque potabili, e finalmente che all' occasione di alcuni lavori subacquei nella darsena dell'Arsenale emerse un getto d'acqua dolce vivacissimo, alto a fornir r umore a non tenue ruscello. 57 Bello sarebbe il poter qui dislcsamcnlc descrivere i lavori in que- St' argomento verificali dal Francesi , dagl'Inglesi e dagli Italiani, e bello sarebbe il poter delineare le macelline, i congegni ed il pro- cesso di queste terebrazioni , senza però lacere le anomalie che talor compariscono nella pratica esecuzione , non potendosi conoscere gli ostacoli die queste scaturigini derivanti da una supposta sotterranea zona fluviale incontrar possono ne' ciechi meati della massa terrestre. Se però le dotte ricerche dei membri della Commissione die svilupparono l'argomento nel più desiderabile modo ne' suoi rapporti tecnici , pratici e geologici , offrono tutta la lusinga della probabilità del successo , posso io d' altronde esibire la confortante certezza dell'at- tivazione sollecita di così desiderato ed utile esperimento. Difatli resi dietro alle di lui ricerche palesi i lavori della Com- missione all'I. R. Comando Superiore della Marina, dall'Aulico Con- siglio di Guerra incaricato d' informare sulla possibilità di ottenere con siffatti procedimenti dell' acqua dolce , venne invitata la nostra Com- missione ad associarsi a cpella nominata e presieduta da S. E. il Co- mandante Superiore della Marina, e queste riunite Commissioni con l'intervento del Co: Podestà, gettarono nel processo verbale 4 luglio iS56 le basi di un tentativo a spése erarijli per una terebrazione da farsi nell'interno del R. Arsenale, progetto che ottenne anche "1' ap- prova/ione dell'Eccelso I. R. Consiglio di Guerra. Date quindi le disposizioni per far qui giugnere il Fiorentino Raffaclo Luirerì esperto nella pratica esecuzione di siffatti travagli , vedremo ben presto eseguito un esperimento che ove ottenga favore- vole successo accorderà alla nostra città l'acqua potabile, di cui a grave dispendio difetta, a vantaggio dei cittadini , a sicurezza maggiore della militare fortezza , ed a nuovo ornamento di questa conchiglia lucente dell' Adriatico. Cosi anche in conseguenza di questo fausto avvenimento la nostra patria sempre dal Cielo protetta , potrà per mio avviso conveniente- mente chiamarsi il suolo della riparazione. E di vero prescindendo dalla sua storia vivente che fu un tessuto d'onorate imprese e di gloriose riparazioni, cessava Ella d'essere lo slato più longevo di tutta la terra, colla da marasmo senile , ma rico- vrava felicemente sotto 1' Austriaco scettro che rinverdiva il suo antico 38 commercio : vlolcntemcnle ne veniva distaccala per restar oppressa sotto il gigantesco sistema dti decreti di Milano e di Berlino , ma ad udir ritornava la voce paterna del suo amalo Monarca , che trofeo di sue illustri vittorie le ridonava le spoglie delle antiche Venete im- prese, ed a riparare possibilmente i mali passali, apriva il suo porto al traffico del mondo tutto , soflfria in parte ancora i danni del deviato commercio, che s'inalvea e si livella come un fiume a seconda di ogni meno sensibile fisica alterazione , ma fra non mollo mercè la Paterna volontà del Polente Monarca ch'erede dei sentimenti dell'Au- gusto Genitore la chiama pure uno de giojelli di sua corona , mercè la generosa prolezione del Serenissimo Principe che lo rappresenta , e mercè il benefico interessamento dell' Eccelso Personaggio che la governa , vedrà forzato il mare da un lato a soggiogar se medesimo j)er aprire sicuro asilo agli esteri navigatori, e vedrà dall' altro a mezzo di quell' elastico fluido , imagine un tempo della leggerezza , ed ora uno de' primi agenti della forza motrice , schiudersi nuove strade com- merciali, sparir le distanze, cessare le antipatie municipali, e ravvi- cinarsi dei popoli che avevano bisogno di ben conoscersi per amarsi e stimarsi recipi-ocamente. Si tempio della riparazione può chiamarsi la nostra Venezia , se le miti aure, e forse il melodico flusso raddolciva per Lei l'intensità di quel morbo che disertò tutt" Europa , se privala da subita fiamma d'un pregialo edifizio, non ultima comunale risorsa, il di cui mitico nome volea il destino che legittimasse un disastro , lo vede per le cure solerti del Co: Podestà e de' benemeriti suoi preposli più vago risurgere dalle sue ceneri, e se finalmente può compiere ora l'opera degli avi nostri che conquistarono sul mare questa classica terra e si fabbricarono colle lor mani una patria , fornendola di quelle acque primo bisogno della vita, che in mezzo all' acque mancavano, e che con- forto dei cittadini , e nuovo leggiadro ornamento , in nappi rinchiuse , od in ruscelli scorrenti, od in fonti vivaci salienti, assicureranno alla nostra bellissima patria l'onore di non dover più invidiare alcun pregio alle superbe e ridenti rive del Bosforo. DEI LAVORI FATTI DALLA CLASSE DELLE LETTERE ED ARTI LIBERALI NELL'ANNO ACCADEMICO 1837. RELAZIONE DELL' ABATE GIOVANNI BELLO MO SEGRETARIO DELLA CLASSE. TM:M-^M w^M\^ Mr\je\trsm X_jlla è verissima la osservazione de' saggi, che ogni «ecolo d'un paiticolar carattere portando l' impronta , per diversità di costumi, di usanze, o per qualche nuova foggia di pensare l'uno dall'altro sen vada distinto. Cosi fra le molte altre cose veggiamo la presente età nostra, fatta oggimai ne' suoi giudizj più matura, rigettare sdegnosa la Mitolo- gia degli antichi, ed insieme con essa tutti quei INumi, che il canto inspiravano de' poeti. Che se non fastidisce ancora i nomi di Pegaso, e di Elicona; egli si è unicamente, perchè i monti e i fiumi legge de- lineati sulla geografica mappa, e l'alato destriere scorge tuttavia ri- splendere nell'astronomico Cielo. Rigoroso divieto si certamente è questo, ma non ne segue da ciò, che Intenda abolire insieme quell' immaginoso linguaggio che là ne' flo- ridi giardini dell'Eden, interprete al Creatore degli ardenti trasporti di riconoscenza sono il primo sulle labbra della innocente coppia bea- ta. No, neppure oggidì mente non avvi si austera, né petto sì duro, che non altamente estimi quella poesia, che insegnò le primitive nor- 4o me alla civll società nascente, ed alla medesima ormai adulta porge il jiiù nobile e squislio diletto. Siffatta considerazione si fu quella appunto che m'incoraggi a pren- der pel presente mio Discorso le mosse da' poetici componimenti, in questo giorno stesso solenne, in cui l'Ateneo Veneziano, tutte le sue lettera- rie e scientifiche ricchezze raccolte nel giro d' un Accademico anno dispiega al cospetto d' illustri Magistrati per tanti titoli ragguardevolis- simi, di Personaggi cospicui, di dottissimi Accademici, e di Concit- tadini coltissimi, li quali tutte benevoli ci fanno all'intorno onorevol corona. Vero è, ch'escluse oggidi le mitologiche Divinità, intanto uopo, che n'ha lo scarso ingegno del dicitore, gli è tolto colla invocazione il" propizio soccorso delle suore di Pindo. Se non che terranno quanto a me luogo di Apollo, e dì Muse, Uditori Umanissimi, quelle felici disposi- zioni dell'animo vostro'gentile , le quali in ciascuno di Voi costituiscono il dilicato sentimento del bello. Su queste confidando, io concepisco fiducia che ora donar vorrete al brevissimo mio discorso il vostro be- nigno favore. I. Figlia primogenita dell'entusiasmo la lirica poesia, che tanti mandò fulgidi raggia cinger la fronte de' prodi campioni in sull'O- limpico Stadio, questa medesima tra gli Accademici nostri vantare potè de'felici cultori, che accolsero le fervide sue inspirazioni. Ce ne porge. Uditori prestantissimi, una prova luminosa il Socio Ordinario sig. Luigi Carrer, allorché col leggerci il suo Inno al Mare \ìv\a ral- legrò delle nostre adunanze. Egli volle al diritto rinunciar delia rima , preferendoli verso sciolto, die più laborioso magistero richiede: ma ben farlo ei poteva, avvezzo, com'egli «T, a sormontare qualunque difficoltà sulle rapide ali dell' estro immaginoso. Considera il mare nei suoi diversi aspetti quando pacifico , quando procelloso , indi si ferma a dipingerci i vantaggi dalia navigazione recati al viver sociale. Vero ù, che la scoperta dell' America apri un troppo funesto campo alla sanguinosa ferocia di barbari conquistatori, del che accusarsi dovrebbe un elemento, che di schiavitù si fa ministro e di stragi: ma vero è dall'altro canto, che questo elemento medesimo giovò ben anclie a pro- fughi sventurati. Esemplo tra gli antichi i Focesi, e tra i moderni de'no- stri giorni i Greci di Parga, i quali costretti ad abbandonare la patria , 4i non vollero però lasciare i sepolcri de' cari loro parenti ad esser cal- pestati dal piò schernitore del baldanzoso IVIusulmano, e quindi il Poeta nell'accesa fantasia già li vede: Affondar nel terreno i curvi acciari , 14 E delle ossa, da lunglii anni composte, « Vedovar la contrada, illustre fatto, « Magnanima rapina! Trattando del mare non poteasi da un Veneziano tacer di Venezia per lo che con molta leggiadria richiama que' tempi , quando . . . . . . . di lido in lido « Correa il Leone , e fea vela dell' ali , « E del gran nome e di vittorie empiea « La Ligure Anfitrite , e la Tirrena , « E il mar d' Abido , ove di Serse poco «t E molto d' Ero parlano le Muse , « Più dell'amor, che de' tiranni amiche». Considerando poi , che Venezia nacque e crebbe tra le onde ma- rine si trasporta a conchiudere , che quando cjueste si avessero ad ingo- jar ogni cosa, una tale rovina dovrebbe alla nostra città minor timore recare, perchè essa ha sortito in questo elemento la sua culla. 2. Intanto per ciò che appartiene a noi in particolare , facciam pur voti , perchè non ci tocchi giammai di fare l' esperimento di si luncsta catastrofe , paghi e soddisfi abbastanza di rimanerci riserbati a ricavar diletto contemplando ruine puramente poetiche. Questa spezie di diletto appunto affermare si può, che scaturisca j)ur anche dalla Can- tica che a noi lesse l'Accademico Francesco dott. Beni il quale fin dall'anno i8o5, concepi (tali sono le precise di lui espressioni): « lo spaventoso «t pensiere di chiudere nel pugno di Dio un' infocala cometa , perchè nel u suo furore contro le corrotte umane generazioni la giltasse nella im- " mensità a sconvogliere l'armonia de' corpi celesti , e ad ingojare tut- u to il creato negli ardenti bitumi dell' incommensurabile suo ventre »». Jl Poeta entro un balen della inspirala mente vide e descrisse come G 42 se fosse veramente avvenuta, questa tremenda catastrofe, ma di là" rinvenuto dipoi con immaginazione più tranquilla e serena pensò an- che alla riedificazione d' un altro mondo , appoggiandosi al detto del- l' inspirato di Patmos , iùdi coeliim iiovum et terram not'am primwn enim coelum, et prima terra abiit. Questa costruzione d'un nuovo più felice mondo forma il soggetto d'una seconda Cantica, della quale ci lesse il f^iaggio aereo da lui animosamente intrapreso per giungere al- le beate sponde di quel vergine suolo. Apre infatti la sua Cantica con questa pittoresca terzina : « Sul masso enorme , che formato avea « Dell'arso mondo la materia fusa « Solo nella natura io mi sedea. A toglierlo da questo terribile stato , un naviglio meraviglioso so- pravviene, ed é un pallone aerostatico, al quale stanno quattro aquile accoppiate , ed un ancor più meraviglioso pilota , il Profeta Elia. ii I capei , che un sottil crespo sommuove , « Pendongli bianchi dalle terga , e bianca « La barba e folta qnasi ai pie gli piove. Guidalo da un tanto duce naviga felicemente per 1' etra , sino che approda alle soglie della porta sotto la gran volta del firmamento. Ca- dono i sette catenacci , che ne intercludono l' ingresso , ed entra il Poeta a vedere gli oggetti portentosi , che forniranno in appresso ma- teria agli altri canti. Neil' aspettazione intanto noi potremo a questo ap- plicare il giudizio , che il famoso Cesarotti ebbe già a pronunciare in- torno alla Cantica della Cometa: « l'eminente sublimila dello stile a tutto compensa , e fa cadere la virgola censoria al più severo Aristarco «. 5. Comecché la poesia anche a' di nostri grande sugli animi con- servi il suo potere, nondimeno negare non puossi , che ne' primitivi tempi ancor maggiore non fosse il suo dominio , posciachè in allora non niai^ disgiunta dalla fedel sua compagna la musica, operatrice di quei gran prodigi, quali erano quelli di ammansar tigri, arrestar torrenti, attirarsi dietro le querele , e persino distaccare docili le pietre a cin- 43 gere di Tebe le mura. No , della musica In questo nostro secolo più culto non si è punto menomata la forza , poiché se lascia oggidì tran- quilli al loro sito i massi delle rupi; invece tiene il magico potere di aprire i ferrati scrigni de' ricchi, e farsi ne' suoi passi seguire da una inesausta corrente d' oro , locchè è ben altro , che il portento tanto da Orazio magnificato: Morit Amphion lapides canendo. Giova adunque di un'arte di tanta importanza a fondo conoscerne la natura e le proprietà , giova procurare che non si corrompa , e che nel diletto da essa cagionalo non ci porga alle labbra la tazza di Circe. Ad impedire si gran male lodevolmente mirò il Socio Ordinario Prof. Canal , ricercando per quali cagioni la musica piucchè le altre belle ani vada soggetta a frequenti mutazioni di gusto. La ragion fonda- mentale egli s'avvisa di ritrovarla in ciò che la musica, vie più di ogni altra fra le arti sorelle, è la espressione dello stato morale della civil società. Di qui avvenne ch'essa in sugli ultimi anni del passato secolo turbolenti e facinorosi, deposta la pacifica lira , si fece guerriera nelle musicali inspirazioni del divin Pesarese. Questa osservazione trasse l'Ac- cademico ad instituire un ingegnoso parallelo tra due conquistatori di ben diversa tempra, l'uno che rapiva co'iobusti vibrati concenti musicali, l'altro che in quegli anni medesimi scuoteva gli animi co' rapidi con- cepimenti del suo genio militare, al quale nessun altro forse ritrovare in verun tempo non si potrebbe di uguale, quando ancor esso di seme Italiano uscito non fosse. Ora appunto, egli ripiglia, perchè asseconda la musica più fedelmente i sentimenti dell'uomo, de'quali non avvi cosa alcuna più incostante, essa dee soggiacere a più frequenti costru- /.ioni di gusto. Arrogesi anche un altro motivo, ed è, che la musica la quale previene tutte le altre belle arti nel farsi signora del cuore , lo stanca eziandio più presto, e quindi più presto ancora gli fa bra- mare altri stili ed altre foggie di comporre, le quali purché colla loro novità colpiscano gli animi, non si guarda poi quanto dalla ragione sj allontanino e da un giusto intendimento. 4- Né già solamente della musica, di tutte le belle arti in gene- rale può affermarsi, che proponendosi di tenere il dominio sopra il cuore umano sede di tante variabili passioni; divengono anche esse inco. 44 slami e mulabili, secondo l' indole d'un dato secolo e i capricci d'una" data nazione. Di tal verità ce ne offerse una prova evidente il Socio Ordinario sig. Antonio Quadri in una sua Memoria da lui intitolata Colpo d'occhio. Questo difalli in miniatura, per dir cosi, ci dà a ili- vedere lutto quanto intorno alle arti del disegno leggesi sparso negli ampli volumi de' Winchelmann , degli Agincourt e de' Cicognara , pres- soché in altro modo imitando l'ingegnoso artifizio di colui, cbe al dire- di Plinio, nel guscio d'una noce tutto trascrisse il poema dell'Iliade. Col suo Colpo d'occhio separa in due gran periodi di tempi la sto- ria delle belle arti. 11 primo comincia da secoli anteriori alla guerra Trojana e giunge sino alla caduta delle Greche Repubbliche sotto il dominio di Roma: il secondo da questo grande avvenimento giunge si- no all'età nostra presente. A noi non tocca parlare se non del primo periodo. Questo è lunghissimo, percorre lo spazio di 20 secoli, e ci offre tre grandi mutazioni, degnissima ognuna di un'epoca particolare. La prima dall'infanzia delle arti Greche sino a Pericle ed a Fidia ci fa conoscere i primi tentativi delle arti sorelle , che sempre più verso il tipo del bello si innalzano. La seconda comprende gli splendidi fa- sti d'un secolo solo, che ci addila i capi-lavoro dell'ingegno e dell'ar- te. Spicca ne' primi maggior grandezza e sublimila , ne'secondi maggior grazia e leggiadria. L'epoca terza ci dinota uno stalo di letargo, in- terrotto dal Regno di Tolomraeo Filadellb , dopo il quale le arti so- relle trassero in Roma a cercare un masrnifico teatro di nuovi trionfi. ]Nè dimentica già 1' erudito Accademico nostro di mostrarci da lungi le grandiose moli de' popoli Orientali [)iìi vetuste, e quelle singolarmente tanto famose dell' Egitto , e qui scrittore filosofo ugualmente che dot- to , le cause va indagando perchè queste costruzioni di troppo siano rimase inferiori a quelle della Grecia e del Lazio ; né giammai nep- pur quelle si decantale nelle ultime scoperte di 'Champollion e di Ro- sellini dimostrare si possano siccome modelli del vero bello. Schiene e muscoli di schiavi , no accogliere non potranno una giammai quella scin- tilla di fuoco , che il soffio di vita diffonda alle dipinte ed alle sculte forme che nelle colonne Ioniche alletti coU'imagine delle Grazie e de- gli amori, nelle Doriche sentire faccia la robustezza eia forza, e nei Corintii colonnati sorprenda colle ricchezze d'una dignitosa e ben com- partita magnificenza. 5. E fissando alquanto su' moiuimcnli ck-lla Grecia lo sguardo , ri- Iroveremo, che la nostra Venezia ne va adorna di molli, de' quali in tempi diversi farne [)o[ù l'avventuroso acquisto, siccome d'un recente a' giorni nostri^ quale sic il tanto celebre Marmo di Rodi. Intorno a questo ci tenue eruditissimo discorso il Socio Ordinario dott.Rohen, Quel monumento all'epoca si riferisce del INIagno Alessandro, nella quale mostravasi anche il suolo di Rodi fecondo di piUori , che vinti esser non poteano che dal solo Apelle , e di scultori che nel colosso esser noi poteano da nessuno. Questa lapide stessa , che oggidì si mira nel Palriarcal Seminario, le impronte porta di questa felice età nelle di- verse scolpite corone sopra le quattro sue faccie , notevoli e per la esat- tezza del disegno , e per la perfezione delle forme. Le inscrizioni poi intagliatevi sopra, le cpiali ci chiariscono essere state quelle corone al- trettanti doni tributati ad un benemerito Dionisiodoro , aprirono sino al giorno d'oggi un dotto campo di battaglia, nel quale entrarono in liz- za i più riputati archeologi e fdologi della liermania , della Francia e della Italia, e vi ru[)pero sino ad ora più d'una lancia. Fra questi d' armi sopraffine guernito comparve 1' Accademico nostro , e valorosa- mente sostenendo le date da lui spiegazioni, nuovamente provò ch'egli era quel desso , che profondo conoscitore della Greca favella avea tra- sportato alla luce dell' Italia Polibio. Se non che avendo egli reso colle stampe di pubblico diritto questo suo pregiato lavoro, noi dall' obbligo disciolge di tenerne al cospetto vostro, o Signori, uno più lungo discorso. 6. Bensì una sola osservazione crediamo, che qui cada in acconcio al proposito nostro , ed è , che avendo al Dionisiodoro dal marmo Ro- dio c£uattro diversi collegi offerte in premio quelle corone, e tra questi il collegio, che in onore del Dio Pane s'intitolava de Paniasti, po- trebbe servire d' illustrazione opportuna intorno a cjuesto Nume una erudita Memoria letta dal nostro Socio dott. Calucci tanto più, che que- sta anziché Memoria , può chiamarsi un Trattato per le ragionate e co- piose ricerche che intraprende, arricchite di ben i8o tra citazioni e note. Non potendo noi ora per le angustie del tempo offerirne , uma- nissimi Uditori, un'adeguata analisi; non vogliamo almeno trasandare di ricordarvi e con quanta sagacia la vera origine rintracci di questo Nu- me eh' e di conio Egiziano, introdottosi nella Grecia e nel Lazio, e con quali precise e chiare nozioni lo distingua da' Fauni e da' Sileni 46 e come partitamente dinoti i diversi uffizj, e quali i riti e le relative cerimonie , che ne accompagnavano il culto. La morte di Pane tra ge- mici e grida , che echeggiarono per tutte le isole dell'Arcipelago congiun- te colla cessazione degli Oracoli fu interpretata dal sig. Chateaubriand , siccome un annunzio, che indicasse la caduta del Regno di Satana, di- nanzi alla recente predicazione del Vangelo. L' Accademico nostro stima per quello che intrinsecamente valgono le fantastiche opinioni d' uno scrittore brillante .j che di lutto fa romanzi , e le colloca su quella bilancia stessa , che le allegorie per le quali sotto le attribuzioni diverse date al Dio Pan, i Mistici vedeano simboleggiata la Kalura. L'Accademico nostro con forza di prove dimostra , che Pane in realtà non è altro se non che uno de' dieci compagni di Osiride , il quale per testimonianza di Diodoro Siculo , insegnò 1' agricoltura ed i primi elementi del viver sociale , né la voce stessa Pan è Greca di origine come volgarmente si spaccia , bensì Egiziana , per denominare uno de' mesi dell' anno Egi- zio , che al nostro giugno corrisponde. 7. Nobili ed utili esercizj d' ingegno sono questi si veramente , che ci arricchiscono di curiose , erudite ricerche. Confessare però dob- biamo esservi uno studio , che in noi destar può un impegno piìi vivo, ed è quello della patria storia. Quanto a ragione il gran Tullio reputa che sia una perpetua fanciullaggine quella di colui , che non sappia ciocché sia accaduto prima che nascesse; altrettanto a buon diritto il padre della Veneta storia Bernardo Giustiniani, stima in uno stato giacersi di zotica stupidilk colui che la origine ignori della sua patria. Ma di tanto vituperevole trascuranza esservi non può maligno alcuno , che darne osi la taccia all'Ateneo Veneziano, nel seno del quale un eletto drappello de' suoi Membri chi ad illustrare della città la origine, chi i monumenti dell' arte intraprese , altri a ricercarne gli usi e i costumi, il commercio, la navigazione applicossi, ed altri alla Veneziana letteratura le dotte sue veglie indirizzò. Nella quale schiera io mi avviso, umanissimi Uditori, di far cosa non che gradila, santa all'animo riconoscente di ciascuno di voi , se il nome prima di qualunque altro io pronuncio del co: Domenico Almorò Tiepolo, che appresso di noi rimarrà nome sempre onorato , e sempre acerbo ; perciocché 1' ultima volta , che da questo luogo medesimo fece sentir la sua voce che tra pochi giorui luttuosamente ohimè! stava per estinguersi, fu appunto 47 quando adoprò la debil Iena della cadente sua vita per vendicare la sua patria da un nuovo oltraggio , col quale denigrarla volea non so se più la ignoranza dello straniere, o la malevolenza. Questo fu lo scopo del suo discorso sulla originaria Aristocrazia di Venezia, po- nendosi con vivo zelo a confutare alcune lettere pubblicate da un Anonimo, il quale jiretendea di sostenere, che democratico fosse stalo il primitivo Governo, sopra il quale un usurpo dovesse stimarsi l'Ari- stocrazia stabilita in Venezia l'anno 1297 colla cosi detta Serrata del maggior Consiglio. La base su cui appoggia 1' awersario la sua odiosa imputazione si è questa , che ad uomini del pari poveri e inde- pendenti , non si presenta altra forma di reggimento , che quella di governarsi a comune, che è quanto a dire, democraticamente. Basta adunque atterrar questa base, perchè crolli l'intero edifizio, ed è questo quello che d'un colpo solo fa l'Accademico nostro, dimostrando ali' in contrario , che i fuggiaschi del continente per le irruzioni de' barbari erano anzi per lo più nobili, ricchi ed ecclesiastici, i quali in questi sicuri, asili riparavano, seco asportando dalle città di terraferma quanto di più prezioso possedeano. Essi poi faceano sussistere colle loro facoltà gl'inquilini, che per avventura ritrovavansi in queste isole, le quali r Anonimo onora coli' epiteto di fangose , ed essi per naturai conse- guenza tener doveano nelle mani il governo de' pubblici affari , senza aver d'uopo di ricorrere a quelle, che anche uno storico celebre de* nostri giorni male informato, chiama nel suo linguaggio lente e sorde usurpazioni. Di questa calunnia tanto più risalta la falsità, quanto che appena si potè stabilire qualche forma di regolar governo, quella SI fu appunto d'un Tribuno ossia d'un ottimate, per ciascuna delle isole più popolose, nel che patentemente scorgesi il primo germe dell'A- ristocrazia , la quale di poi a grado a grado andò vieppiù sviluppandosi sino alle legge promulgata dal doge Gradenigo. Ed è qui dove il nostro Socio Onorario, con sagacità non comune discuopre, che la Serrata non chiuse il maggior Consiglio come volgarmente si crede, ma all'in contrario lo apri per tutte quelle famiglie, le quali provare poteano di averne fatto parte da più di un secolo indietro, cioè dall' instituzione del Consiglio de' 480 , e che neppur non lo chiudeva a quelle , che por qualche circostanza non vi avessero potuto avere l' ingresso. Di qui lacijmeutc ricava, che le congiure di Bocomio e de'Querini, de'quali 48 fu capo Bajamonte Tieiiolo uno degli antenati della sua famiglia, non vennero già ordite fier ricuperare al pojiolo, ovvero a se slessi i diritti del governo per usurpazione rapiti ; ma sibbene per soddisfare a qual- che personal vendetta, ed alla propria ambizione, fini occulti ma veri, di tutte le congiure , e di tutte le rivolte che sono state da che mondo è mondo. 8. Quanto commendevole riusci il Socio nostro Onorario Co: Tie- polo , rischiarando la vera indole del primitivo Veneto governo; altret- tanto merita encomio il nostro Bibliotecario consigliere Gio: Rossi , il cjuale indagò quali fossero de' Veneti i primitivi nostrali costumi. Queste curiose di lui investigazioni fornirono gradito soggetto a diverse Acca- demiche tornate, nelle quali quando ci parlò de' vestiti, quando de' giuochi e degli spettacoli pubblici, quando s' intertenne sugli addobbi casalinghi , quando su' servi liberi e sugli schiavi, locchè fece il valo- roso Accademico allegando sempre esattamente i relativi documenti , che spesse fiate disotterrar dovevansi dal fondo di polverosi Archivj, dove stavansi dimenticati e sepolti. ]\ell' adunanza , della quale a noi .tocca lavellare , si fece a considerare i Veneziani nelle loro antiche relazioni di famiglia. Un argomento di tal fatta richiedeva, che discorrer dovesse delle fanciulle educate dentro le domestiche pareli. Quei primi erano secoli burberi diviso, e che vegliavano co' cento occhi d'Argo. Quando poi le donzelle usciano , locchè era di rado, doveano sempre opporre agli sguardi de' curiosi 1' ostacolo d' ampio lino , che loro cadeva in sul mento e le nobili e doviziose camminavano in vece ricoperte di zendado nero. Ciò forte rincresceva al famoso Erasmo di RoUerdam , che lagnavasi di non ritrovar che delle nonne per le strade di Venezia. Forse perchè egli uomo nulla romantico, e in tutto classico, si aspet- tava di vedere vezzose Najadi scherzar dalle fonti, ovvero in sulla spuma dell' onde marine il sorriso di qualche nuova Ciprigna. L' indi- cato severo contegno verso le nubili donzelle non toglieva già , clie manifestazioni di amore non dessero gli amanti colle cosi àelteSerenade. In quella prisca semplicità per via di mediatori che chiamavansi Golj , stabilita la scritta del maritaggio, gli sposi mandavano alle loro fidan- zate manili di candide perle simboli della verginità, giacché le vedove non ne portavano , che di violacee dette granate. Tanto poi regnava la buona fede ; che le doli davansi senza previa stima , delle quali la 49 somma per le Jonaelle nobili non oltrepassava un migliajo di lire prima Jel secolo XIV comecliè poco dopo fuor di misura crescessero. Con- lessa peraltro 1' Accademico nostro , che questa sorta di cittadineschi costumi semplici e puri non fu poi possibile mantenere in vigore ne' secoli XIII e XIV , quando Venezia divenuta 1' emporio del mondo allora conosciuto , accoglier necessariamente dovea un popolo misto di i'orestieri d'ogni nazione, di marinai , di mercatanti, che trafficavano di merci uguuhnente che di vizj. Quindi le provvide leggi del Senato ne' casi di bigamia e poligamia, e pel trattamento de' bambini espo- sti in tempi anteriori all'asilo aperto da F. Pietro d'Assisi, detto F. Pietro della Pietà. Una particolar legislazione il Senato promulgò nel 1662, risguardante i malrimonj de' nobili con fanciulle della plebe, giac- ché poche erano le simili a quelle. Rossana Scalfì , che impalmala da Benedetto Marcello parve la Dea dell'Armonia che gì' inspirasse quelle tanto ammirato musicali consonanze. Tra Veneziani nota l'erudito no- stro Bibliotecario, che non sussisteva l'uso, siccome nell'antica Roma, si frequente de' figli adottivi. Ammettevansi quelle che chiamar si possono adozioni politiche , quali a favore di Catterina Cornaro Regina di Cipro, e della sventurata Bianca Cappello, G. Duchessa di Toscana. JNelle pri- vate famiglie bensi risguardavansi con particolare affezione certi fanciulli, che si chiamavano fi^li d'anima, comecché questi prediletti allegar non potessero per forza di legge verun diritto civile. 9. Dall'antica morigeratezza de' maritaggi nascer poteva, siccome ne' secoli gloriosi di Roma , quella gioventù vigorosa , che il Lirico chiama: Rusticoriim mascula mililum pubes , la quale sì per tempo da'sette colli usciva a respingere i popoli più feroci. Non erano punto infe- riore alla Romana la Veneta gioventù, che appena per cosi dire , nata, siccome Ercole nella culla valse a schiacciare i serpi , essa così a tuf- farsi cacciò in fondo delle onde marine i corsari venuti ad insidiare la sua libertà nel seno delle Lagune. Questa serie di primaticcie prodezze noi le ritroviamo esposte in un Saggio , die ci lesse 1' Accademico nostro Ordinario sig. Casoni , col quale diede splendido principio ad un' o- pcra di grande espettazioue da lui intitolata: Memorie per servire (dia storia dell' Arsenale di f'enezia. Fissati i primi natali della nostra città nell'isola di Rialto, egli è pure colà, che vi ritrova le Iraccie di anticlii cantieri , dove fabbricavansi que' navigli da Cassio- 5o doro lodali nella celebre sua lellera del 495. Con questi si passò alle imprese navali, che ajutarono INarsete , difesero l'Esarcato contro i Longobardi , ed espugnarono Ravenna. Degli antichi cantieri parecchi ne addila, ma si ferma particolarmente ad illustrare un tronco di torre con muraglie merlate, il quale innalzavasi sotto il nome di Pagos Oligos verso la imboccatura del cosi detto Rio della Tana e per conseguenza attiguo al presente Arsenale. DI questa torre il diligenlis- simo sig. Casoni volle delinearne la pianta, ed offerirla agli occhi degli Accademici; e ben a ragione, poiché questo informe edifìzio risguardar- lo conveniva con quella venerazione medesima , colla quale i Romani, anche allora quando erano divenuti dominatori del mondo, contem- plavano il comignolo della rozza capanna di Romolo. Fu questa torre che nascer fece nella mente del Doge Faledro l'anno 1104, ossia dopo la seconda guerra di Siria , il nobilissimo divisamento di erigere un Arsenale , dagli Arabi allora dispensatori delle scienze ricavandosi un tal nome. Il primo Arsenale occupava un non vasto recinto, poiché non si stendeva al di là di quello che ora dicesi Arsenal vecchio sulle isole Gemelle, che per vezzo del nostro dialetto Ziniole si nominavano, perchè un tempo su quel terreno prestavasi culto a Dioscuri Castore, e Polluce. Questo navale stabilimento, comechè ancora imperfetto, fu quello che veduto da Dante, ne infiammò la fantasia, donde ne usci quella vivacissima ipotiposi ad ognuno ben nota. U Come nell' Arzenà de' Veneziani Bolle r inverno la tenace pece A rimpalmar i legni lor non sani, « Che navigar non ponno , e in quella vece Chi fa suo legno novo , e chi ristoppa Le coie a quel , che più viaggi fece a Chi ribatte da prova , e chi da poppa , Altri fa remi , ed altri volge sarte Chi terzeruol , ed artimon rintoppa. lo. La descrizione poi di questo stupendo edificio alla sua pre- sente grandezza condotto , siccome di altre fabbriche insigni di Vene- zia nel XVI secolo, la dobbiamo a Francesco Sansovino figlio del 5i celebre arcliitctto e scultore. Cerio che fece opera non solo erudita , ma ben anclie pia il socio nostro Ordinario sig. Emmanuele Cicogna, il quale ne raccolse le biografiche notizie, e con quell'accuratezza, che spicca in tutti di lui lavori ce le presentò a gradito argomento di lettura in due consecutive ragunanze. PSon fa però di mestieri, che ora troppo a lungo e' intrattenghiamo intorno ad esse, poiché quelle di maggior rilievo leggonsi nel fascicolo XIII delle di lui J^eneziane Iscrizioni. 11. A noi basti notare, che Francesco Sansovino macchiò, come quel famoso generale Ateniese la sua gio\entù co' vizj proprj di quel- l'età sconsigliata; ma che seppe puranche altrettanto rialzarsi, e che se non come quegli co' militari segnalati servigi, egli almeno con utili letterarie fatiche benemerito della patria si rese. 11 Sansovino ciò fece e coli' edizioni di ottimi libri dalla tipografia da lui fondata e colle opere del proprio ferace ingegno , giacché il novero di esse ascende ad un centinajo. Fra tutte accordasi la palma a quella ch'e- gli intitolò: Venezia città nobilissima e singolare descritta in 14 libri, la quale città tenuta da lui quale eeconda patria, afferma che non la cangerebbe per qualsivoglia più cara e più bella e più ricca cosa dell'Universo. Per le tante sue utili letterarie intraprese ben me- ritamente il Sansovino quando giunse l'anno i583 al fine della sua mortai carriera , egli contava in ogni ordine di cospicui personaggi molti suoi ammiratori , e tra cjuesti sono notabili un Papa quale era S. Pio V, ed un Rodolfo li d'Austria Imperatore di Germania, che siccome il Giove maestoso di Omero dalle sublimi vette dell'Ida a'campi di Troja, egli cosi dairastronoraico cielo del Danese Ticon Brahe, ai Veneti lidi dal Sansovino descritti rivolgea lo sguardo, 12. Non di Veneti semplicemente letterati, ma di letterati me- dici utilmente e' intrattenne il Socio Corispondentc dolt. Levi leggen- doci in una delle nostre Accademiche tornate le notizie concernenti la vita di quattro prediletti figli d' Ippocrate , Valatelli , Bottari , Colludrovicli , e del non mai compianto abbastanza dolt. Selle , rrudclniente rapito agli amici ed alla scienza in sul fiore degli anni. IVIcrcé le diligenti cure del nostro Accademico possiamo distintamente conoscere 1' indole di servigi che ciascuno di essi prestò nelle gravi malattie suggerendo i farmachi salutari , ed insieme il valore degli 53 scrini , co' qnali giovarono alla repuLLlIca delle lettere. Non fa iierè» di nieslieri , die ora qui da noi si passino in minuta rassegna, polendo ciò ricavarsi dalle vite, che si leggono già date alle slampe. Afferme- remo bensì animosi, perchè certi noi siamo, che i nostri detli alia generosilà de' vostri sentimenti, o Signori, perfettamente consuonano, esser giustissimo premio a' prodi, che i loro sludj e persino la durala degli stessi loro giorni consacrano al sollievo dell'egra umanità, se i nomi loro gloriosi alla posterità si tramandino. Perciò vediamo l'Ate- neo Veneziano non cogli scritti solo, ma ben anche cogli sculli marmi eternarne la memoria. Né guari andrà che dirimpetto al monumento, che qui miriamo adornar questa sala , un altro uguale sorgere vedremo in onore di quel Francesco Aglietti , i cui meriti uopo non è che io qui ridica, perchè non solo vivi alle menti di ciascuno di Voi, umanis- simi Uditori, ma direi quasi, ci stanno scolpiti nel cuore, nel quale pietoso uffizio un omaggio rendiamo^ che tutta l'Italia al- benefico e sublime di lui genio insieme con noi concordemente tributa. 1 3. Le scienze mediche e le ecclesiastiche hanno questo in co- mune , che per vie diverse adoprandosi a vantaggio della civil socie- tà, i benemeriti coltivatori di esse sterili campi ad innaffiare co' loro sudori intraprendono, ne' eguali la immaginazione poco v'incontra di ridente ed ameno. In questa condizione ritrovasi chi si applica alla sacra archeologia , per la quale una cosi risoluta e paziente costanza si esige , che di Adamantino meritò il soprannome al tanto famoso Origene. Adamantino per tanto , ancor noi chiameremo per questo riguardo il Socio nostro Ordinario Professore Driuzzo , che alla labo- riosa impresa si accinse d' illustrare parecchi monumenti nel tesoro custoditi della R. Basilica di S. Marco. Tale si è appunto un Dittico picciolo di mole, ma di cui conoscer si fece il pregio singolare in una delle tornate Accademiche. Questo rappresenta in un piano rotondo di lapislazzoli il moriente Redentore, che affida 1' addolorata sua madre al prediletto discepolo Giovanni. Tra le figure lavorate a cesello in oro purissimo veggonsi degli aurei caratteri Greci in abbreviatura disposti dall'alto al basso pressoché alla maniera Cinese, uso per altro anti- chissimo secondo il Ducange. La inscrizione , eh' egli si legge è la seguente: i(?£ oa/se^-yjgffou t^£ /i|3>5Ty; jtx»5T>]s iutamente guariti benedicono l' intrepida mano che li tolse al diuturno patire e al grave infortunio di non jiotcrsi regger sui piedi. Restituire il libero movimento da luogo a luogo ad uomini quasi ridotti all'im- mobilità de' vegetabili è prodigio dell'industria chirurgica , e un dolce palpilo di commozione mi si desta nel cuore all'idea di que' poverelli che nella sanazione del fratello, del marito, del padre, riebbero l'unico mezzo dì procacciarsi alimento. Psè simili risultanze furono effetto d'una cieca imitazione de' metodi di recidere le vene varicose. Scopri il nostro Accademico nm nuovo fatto e importante, scopri essere in queste retrogrado il corso del sangue , passare dai tronchi ai rami , le sfian- cale valvule non sostenere la colonna sanguigna che discende in senso (i) Giornale per servire ai progressi della patologia e della terapeutica T. V. (2) N. 2-}, 8 joillet 1857. 76 contrario alla naturale circolazion delie vene. Da ciò fu iiulollo a reci- dere i vasi costantemente sopra il tumor varicoso , e da questa savia avvertenza derivarono le felici riuscite delle sue operazioni. Tale è il frutto che si trae nelle scienze dalla giusta teoria, cui si perviene mediante lo studio de' fenomrni della natura. Non però la sorprendono ne' suoi misteri ardite supposizioni, bensi l'attenta osservazione de' fatti, il porli tra di loro a confronto, riducendone, se fìa possibile, molli ad un solo od a pochi, che ne costituiscano, come a dire, i principj. E questi acconciamente stabiliti guidano alla precognizione di ulteriori fenomeni , e rannodati colle teorie di altre scienze ai piìi alti conce- pimenti dell' umano intelletto. Egli é poscia indubitabile che a fecon- darli si domanda l' ausilio dell' esperienza , imperocché ostacoli spesse fiate s'incontrano nelle più ovvie applicazioni. Pertanto la teoria addita il cammino, l'esperienza lo segue, questa si abbatte in mal previste difficoltà , quella al lume di altri generali principj insegna a vincerle o mutare sentiero, 1' una porge all'altra amicamente la mano, amen- due con islretfa alleanza portano alla scoperta di utili verità. III. I poteri della meccanica e le notizie concernenti la struttura dell' uretra e la sua dilatabilità furono i principj dietro a cui stritola- rono i chirurghi de' nostri tempi la pietra in vescica , liberandone gl'infermi per le vie naturali. Mille ostacoli s' incontrarono nelle prime sperienze, e mille provedimcnti una nobile emulazione imngiuò dietro la scorta delle dottrine meccaniche ed anatomiche. La storia di tale stre- pitoso trovato che chiamossi litotripsia , che ai dolori e al pericolo di una larga ferita della vescica sostituì la men nocua distruzione del corpo estraneo nel suo medesimo ricettacolo , è una serie non inter- rotta di affinamenti ne' maneggi e negli ordigni, dal trifido che primo il Civiale adoperò nella piuova su l' uomo vivo , fino al percussore dell'Heurteloup che slabili una nuova era per questa foggia d'operazio- ne. Sopra i più recenti progressi della litotripsia e l'esposizione di nuovo percussore, occupossi il socio corrispondente Adolfo Benvenuti, e colla di lui applaudila dissertazione (i) convinse l'Ateneo che né pure li successivi miglioramenti dopo il lodato congegno jìcr rompere i calcoli a colpi di martello trassero origine dal caso, ma da preme- (i) Fu poi itampata nel T. VI del citalo Giornale per servire ec. 77 dilate teorie , poi sommesse alio scrutinio dell' esperienza. 11 nostro Accademico, che già con un lilolabo curvo di sua invenzione jire- sentato all' luslituto di Parigi nel i853 (i) e poi con sode osservazioni esposte in una lettera al Cav. de Filippi (2) era entrato noi novero de' benemeriti Italiani che sostennero 1' onor nazionale anclie in questo ramo di chirurgia, aveva in Vienna principiata l'operazione col vero percussore di Heurteloup su di un infermo venutogli da Breslavia, Due volte rotto il corpo straniero, non riusci ad aprire ulteriormente l'or- digno per afferrar nuovi pezzi , e né anche a chiuderlo esattamente, sicché non fu estratto senza soverchia dilatazione del canale urinario. Lo riempivano alcuni minuzzoli di pietra, i quali sebbene schiacciali, perchè contenevano molto glutine animale non voleano uscire dalia solcatura della sua branca fìssa , togliendo pertanto alla mobile la necessaria libertà. Concepì il sig. Benvenuti, per non ristare dall' in- trapresa la felice idea di dare tale forma ai denti dello strumento che non lasciasse veruna sorta d' incavo. E fatto eseguire un percussore con denti alterni - obbliqui lo applicò per ben quattro volte sopra lo stesso infermo, e condusse seuz' altri ostacoli a buon termine l'ope- razione. Ecco arricchita la suppellettile della litotripsia di un impor- tante strumento , che oltre evitare il pericoloso incavo dell' anterior percussore, sfugge la fralezza che nella branca fissa o femmina era conseguenza di quello. Non più dunque inciampi nell' aprire e chiuder r ordij^uo , non più timore che il braccio debole si pieghi o rompa nella vescica. Investigò poi l'Autore, con bell'esempio di non essere affascinato da troppo amore della propria scoperta, le circostanze che ne domandano l'applicazione, le differenti che esigono un previo tra- foramento del calcolo , e quelle infine per cui son preferibili altre maniere di conosciuti strumenti. Così la litotripsia nata solo negli ultimi anni , toccò recentemente si alto punto di perfezione, che pochi avanzamenti possiamo ancora sperare nella parte istrumentale di essa. W . Operò la meccanica per questo trovato chirurgico i medesimi portenti di che a' nostri tempi mostrossi capace a prò delle più utili arti. Rivolta appena la mente a qualche forza della natura, sterminato numero di macchine ne moltiplica le applicazioni. IValt imprigionando (i; Esiai sur le lithotritie par A. Beovenuti. Paris i8jj. (2) Biblioteca Italiana T. 85. 78 il vapore in un cilindro, scrive un moderno economista (i), ha crea/o trenta milioni di braccia all' Inghilterra. Più audaci per la nuova potenza sfidano i navigli i conlrarj venti e l' indomito Ocea- no , trascorre l'uomo con sorprendente rapidità la superficie terre- stre, e il colono cui stavano inerti, mancando il vento, quelle be- neficile ruote die discacciano 1' acqua minacciante di allagargli la messe , spinge ora (2) in alcune regioni col vapore i mulini, e rimuove la piena che gli avrebbe distrutte le più care speranze e il povero lucro de' continui suoi stenti. Dopo tali servigi clie ci ha comparlili la forza degli acquei vapori, quanto non dovrem noi fiduciare nel!' al- tra ben più poderosa del fluido elettrico? Ministro dello sdegno cele- ste , esso piomba a sgomentare la terra , e docile non meno ai voleri dell'uomo si accumula ne' suoi maravigliosi apparecchi, fonde i più coerenti metalli , scompone le più tenaci sostanze, entra nelle spran- ghe di ferro , le converte in calamite gagliarde e produce quella con- gerie di fatti eh' ebbero nome di elettro-magnetismo. Già per tal mezzo si pongono in movimento nuovi congegni , già in nien che noi dico si sommano le azioni della nuova magnete per accrescere efficacia agli imaginati motori. Tuttavia le arti ancora non ne cavaron profitto, e grave ostacolo si frappone nell' incostanza del potere magnetico , proporzionata alle vicende dell* elemento galvanico suo generatore. Perde esso durante l'immersione nel liquido rapidamente la propria energia, e per le alterate condizioni di quello e per l'ossidazione delle lamine elettromotrici. Scoglio inevitabile, perciocché cresce di tanto il rigore della corrente, quanto è più facile ad ossidarsi la piastra che dall' altro metallo riceve elettricità. Adoperossi a tentarvi riparo il fecondo pensiero del nostro socio dott. Luigi Magrini. Ei presentò a quesl' Ateneo un ben costrutto apparecchio (3) ove il liquido condut- tore è distribuito in recipienti separati ma comunicanti fra loro per via di cannelli , e le parli tutte in tal foggia assestale che nell' affie- volirsi 1' olellrica corrente per 1' ossidazione della parte di lamine me- talliche attuffata nell' umor sopraddetto , vi si immerga una nuova (1) Continuazione degli Alti dell'I. R. Accademia de' Georgofill di Firenze. Tol. XV. Dispensa IV. p. 2 1 3. (2) Giornale Agrario Toscano, Dispensa V. iSS^. p. ^i^'i. (3) Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto Bim, II e III 18D7. 79 porzione di esse, e cjiiiucli aggiungasi nuova forza a mantenere sliiJ)iie l'azione dell'elemento galvanico. V. Koii mai sazia di acute indagini la scienlifica curiosità del Magrini volle penetrare nei più arcani recessi di questo ramo di fìsi- ca , svelare la direzione del fluido imponderabile , il suo corso alia superficie e fìuo al centro de' cilindri di ferro dolce sottoposti all'azione di elettromotori, la forza magnetica più intensa quando i cilindri ofl'rono appuntate le stremità , e molti altri particolari da lui esposti in una seconda lettura intitolata sperienze elettro-magnetiche eseguito colla limatura di ferro. VI. Tempo verrà , e forse non ne siamo lontani, che questi fatti daranno lume a riconoscere quale parte abbiano i fluidi imponderabili nella vita senziente degli animali. Ciò almeno pare probiibilissimo che l'elettrico oppure il magnetico percorra le intricate fila e i centri tutti de' nervi. Addi 2 gennajo i838 comunicava il celebre Becque- rel (1) alla R. Accademia delle scienze di Parigi l'estratto d'una lettera del sig. Prevost di Ginevra che annunzia essersi^ nel momento in cui irritando la midolla spinale, suscitava contrazioni muscolari negli ani- mali, magnetizzati alcuni aghi di ferro dolce posti vicinissimi ai nervi, e perpendicolarmente alla direzione , in cui egli supponea che per questi passasse l'elettricità. Tale esperimento di agevole esecuzione inerita essere su varie specie di animali ripetuto , a fissare in quali circostanze si magnetizzino gli aghi, con quali leggi, se con molta generalità , ovvero se il caso del medico di Ginevra per avventura non fosse che una particolare eccezione. Egli è intanto fuori d' ogni dub- biezza che i comuni agili cacciati entro il corpo umano anche a poca profondità , e per brevissimi istanti, operano energicamente sul sistema de' nervi. La loro azione , che fu detta agopuntura , produce nei sani senso di stanchezza , torpore e deliquj. Applicata a combattere le infer- mità seda alcune specie di ostinatissimi spasmi e i dolori fisici di qua- lunque natura, massime i reumatici ed i nervosi. A me parve non immeritevole dell'attenzione accademica una storia di strana malattia nervosa guarita con l' agopuntura (i) e narrai di una giovane che (1) Gaz. mèA. n. i, i858. (2) Fu pubblicata negli Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto, 13ini«itre U e HI, i83';. 8o trailo tratto iuvolonlariaraente emetteva fastidiosa serie di sifoni quasi fragorosi latrati. Riusciti vani i più acconci rimedj , furono allo scro- bicolo del cuore e intorno all'organo della voce conficcati dodici aghi dall' esperta mano del sig. prof Rima alla profondità di men che mezzo pollice. Conseguilo una tregua di cinque giorni , dopo i quali ripro- dottosi il morbo, cedette e per sempre alla ripetizione dell'agopuntura, praticala in certi punti della spina dorsale ove la compressione susci- tava dolore. Questo caso appartiene alla famiglia di mali che si spie- gano con sintomi instabili e singolari , che lasciano intervalli di calma, cedono e ricompariscono senza poterne assegnare leggi e ragioni. Por- tano il nome di essenzialmente nervosi , perciocché i fenomeni che si presentano, le circostanze che accompagnano le guarigioni e la natura delle precedute potenze morbifere ne dimostran compreso il sistema de' nervi. ]Non consistono nelle flogosi, nelle congestioni, o in muta- menti di slrullura sensibili, uè procedono da azione irritante di prin- cipi eterogenei. Forse di essi avverrà per opera dell'esperienza e del tempo ciò che per opera della chimica avvenne dell'acqua, dell'aria e de' due altri creduti elementi. Però in medicina, o signori, l'errore è sommamente pericoloso, i giudizj non devono appoggiarsi alle supposi- zioni ma ai falli, e segnare i veri limiti della scienza, ella è pure un'orma tracciata pel suo futuro progresso. Intanto questi morbi curansi cauta- mente , si tentano rimedj forniti di elettiva azione sui nervi, finché se ne trovi alcuno capace di vincerli o mitigarli. Talvolta poi dipendono da associazione morbosa di movimenti vitali , o come a dire da morbosa abitudine , e giova allora persistere nell' uso de' farmaci che recano anche temporaneo alleviamento. VII. Ma talvolta le morbose abitudini o concatenazioni di sintomi assumono periodica regolarità, al mal? succede transitoria ed ingan- nevole calma, indi scorse alcune ore ovvero uno o più giorni quello si riproduce , scema con maggiore lentezza, lascia vacui minori intervalli, si mostra più fiero ad ogni nuova comparsa e giunge fino a troncare lo stame della vita. Spesso interroga senza fruito la paziente nolomia le mute spoglie degli estinti , non si scoprono in essi patenti ragioni della morte. Convengono i più assennati patologi essere nei nervi o ne' loro centri la causa di questi morbi periodici e perniciosi, ma un velo impenetrabile ricopre la natura di colali alterazioni. Le ipotesi 8i iniaginate a spiegare il grande fenomeno Jel periodico andamento bril- larono sovente di fuggevole splendore e e' immersero poscia in più fiUa tenebria. Pure non vogliousi biasimare gli sforzi di chi intende a menomarla, siccome quelH del sig. dott. Alvise Mauri, dieci lesse la sua Memoria delle febbri periodico -perniciose. In magnis et vo- luisse sat est. Corrobora con le parole di Celso la conosciuta divi- sione di siffatte malattie in ipersteniclie, iposteniche , irritative, e a queste , egli dice , e per indole e per analogia si riferiscono le larvate, comitate , nervose o perniciose. Come sia però di tali opi- nioni, cerio é che il differenziale carattere di questi morbi consiste nella periodicità , fenomeno primo perchè inesplicato nella condizione attuai della scienza e non risolubile in ulteriori elementi. Prescindendo dalle complicazioni che esigono qualche riparo , esso in minacciosi frangenti ci guida ad usare il più jirezioso rimedio che l' arie saiia- trice possegga , la più grande conquista fatta dall' uomo nel regno de' vegetali. 11 chirurgo che allaccia un' arteria ed arresta mortali emor- ragie, non salva la vita con più evidenza , di un medico che toglie dalle fauci di morte infermi di febbre perniciosa. Nessun farmaco , o signori, più potentemente di questo mostra l'utilità della medicina, nessuno meglio la vendica dall'ingiustizia de' suol temerarj calunniatori. Vili. Cosi un eguale trionfo ci accordasse la Providenza in quel tremendo flagello dell'età nostra, intorno al quale con molla erudi- zione tenne discorso il dott. Alessandro Calogerà socio ordinario, addi- tandoci la maniera onde il male si è propagato da poi che nelle Indie prese le qualità specifiche e micidiali , che il distinguono dal colera spoi'adico ed epidemico conosciuto eziandio dagli antichi. IX. E su lo stesso proposito ragionò nella seguente tornata l'al- tro socio ordinario dott. Giambattista Kohen, toccando il modo di propagarsi, la natura e le trasformazioni del morbo, cui meglio che di colera stimerebbe confacevole il nome di passione algida ed epi' demica. Ma specialmente di sano intellello ei diede saggio nelle osser- vazioni spettanti alla cura, commendò le medicine che temperano lo scompiglio de' nervi , 1' oppio soj)ra ogni altra , dalle cui preparazioni si trassero buoni effetti contro 1' Indico malore. Non dimentica il no- stro Accademico i mezzi che irritano la cute, massime i sinapismi. >i Meno , egli disse , giovano i vescicanti , l' azione de' quali è troppo 11 8a « lenta, e può eziandio riuscir nociva, in quanto clie accresce col « suo stimolo la contrazione della vescica urinaria già fortemente con- u tratta dallo spasmo coleroso «. X. Forse da tali parole scosso il socio ordinarlo dolt. Domenico INardo poche tornate appresso fece lettura di un brano del suo Com- vicntario chimico — farmacculico e medico — pratico sulla natura e modo di agire delle sostanze epispastiche comparativamente con- siderate , il programma del quale già pubblicato gli procacciò in Italia e fuori molta fama ed onore (i). Sommettendo iii questo brano ad esame le conosciute sostanze vescicatorie e notandone le imperfezioni, giunse alla parie del suo trattato in cui dovrà farci conoscere quelle ch'egli scopri più sollecite nell' operare e meno irritanti le vie urina- rie , purgate insomma delle due mende, per le quali a parere dell'Ac- cademico dott. Kolien , meno proficue riuscivano nel colera. XI. Cosi l'Ateneo prendeva parte nella generale sollecitudine a scemare 1 danni di questa patria sventurata, la quale se per divina cle- menza non fu in Venezia formidabile quanto in altre regioni del beato cielo d'Italia, ne andiamo assai debitori ai circospetti pro.vedimenti del- l'I. R. Governo, fedele interprete delle benefiche intenzioni del comune Padre eMonarca, alla pietà e mansuetudine de' costumati cittadini, alle cure de' sacerdoti e de' coltivatori dell'arte sanatrice, che affaticati nel soccorrer gì' infermi vegliavano ancora per meditar sopra il morbo e rivolgere le proprie osservazioni a pubblica utilità. Ah! miei signori, chi non si sente capace di corrisj^ondere alla santità di questi obbli- ghi non è degno di praticare un così nobile ministero. Lo stato del- l' animo che ci conforta a sopportarne i disagi va maisempre congiunto alle [V\ìi dolci emozioni. E meglio di me vel disse , valorosi Accade- mici , il prof. Hecker di Berlino in quel suo Discorso su le malattie popolari, che volse nel nostro idioma il membro corrispondente dott. Valentino Fatsetla. Da simile traduzione fregiata coU'onor della stampa nel Giornale medico di Venezia (2) e poscia in quello di Napoli (5) voi raccoglieste non solo alcuni rapidi cenni delle precipue pestilenze (1) V. 1 n. 2 e 3 dell'Antologia medica del pi-of. Brera. (2) Giorn. cit. per servire ai progressi ec. T. \I. (5) Filiatre Sehezìo Yol. XIV. 83 cl.e afflissero la socielù, nin si ancora gl'incomparabili benef.zj di cui l'arte medica fu largitrice agli uomini, arrestando con rigide separa- zioni il dilatamento della peste Orientale , o togliendo colla scoperta di Jenner le condizioni necessarie a contrarre il vajuolo degli Arabi:. « Questa scienza, son parole dell'autore, dispone il medico^ad essere « compagno fedele de' suoi simili, dovunque sia per trarli il destino, « ad alleviare i loro mali, tanto presso il pacifico focolare, quanto « nelle sanguinose battaglie, senza curarsi delle dispute che fanno a « vicenda volgere gli uni contro gli altri le proprie spade, solo per « medicare le loro ferite e rimuovere con ogni amorevolezza le eon- « seguenze d'infiammate passioni». Macaone il figli„ol d'Esculapio, che non ha pari, scrisse il grande poeta, — Nel cavar dardi dalle piaghe e spargerle — Di balsamiche stille soccorreva lo sforzo de' Greci a combattere l'oste Trojana. Xri. Ma i Macaoni de'nostri tempi, meglio che l'asta o la lancia sono destri a maneggiare la penna. Il Cav: dott. de Kerckove colla sua storia delle malattie osservate nella grande armata francese durante la campagna di Russia nel 1812 e di Allema- gna nel 181 3 indirizzò a profitto della scienza le slesse calamità della guerra. Della terza edizione di quella stimabile opera che l'Au- tore presentò al nostro Ateneo, diede un sunto il Membro del Consi- glio Accademico sig. dott. Francesco Trois, e toccò i più cospicui li-Ili del gran dramma, di cui il medico delle infelici milizie fi. spettatore, non che i particolari de' morbi che queste incontrarono abbattute da tante cause nocenti. Indi il nostro consocio fece parola delle osservazioni e delle dottrine , colle quali non accordasi la sua lunga e illuminata esperienza, ma lungi diapporne taccia all'au- tore considerò la fisica e morale influenza delle sciagure che percos- sero que' prodi soldati, da cui doveano procedere speciali forme di morbi e necessità di variazion nella cura. Cosi fosse il nobile esempio efficace ad ammonir que' censori che impazienti di gettare il veleno sopra i fruiti dell'altrui studio, chiudono gli occhi a tutto che po- trebbe scolparli , e ne van razzolando amaramente i difetti. Critici sono questi che forniti eziandio di mente elevata si ammirano ma non s. amano, che la moltitudine paventa, ma non benedice, che iposteri men parziali di noi condanneranno siccome tarli distruggitori d'ogni buona semente. 84 XIII. Delle cause die operarono ad ammorbar quell' esercito una fra le ^Itre gravissima fu nuovamente subbietto della nostra attenzione, quando il socio corrispondente dottor Lorenzo Rossi ragionò circa r origine e la necessità delle passioni. Seguirne lo sviluppo giusta le leggi dell' animale sensibilità , fermare i limiti entro cui servono al mantenimento degl' individui e delle specie , dipingere le tristi con- seguenze che a queste dal disordine di quelle derivano, ciò, e più assai che io giunto dappresso al fine del mio discorso mi veggo astretto di pretermettere , si prefiggeva il nostro Accademico nella sua filoso- fica dissertazione. 11 quale argomento ben si addice che dopo tutti gli altri sia ricordato , imperocché con esso quasi parmi toccare la som- mità di queir erta , da ove domina lo sguardo un più ampio orizzonte. La filosofia, al dire di Tullio, è madre di tutte le arti, dono e tro- vato de' Numi. E uno spirito di soda filosofia prevalse invero ne" la- vori del nostro Istituto , diretti quest' anno con esclusivo fervore alla chirurgia, alla medicina, alla fisica, ma governati da un comune prin- cipio che r osservazione e l'esperimento son le uniche fonti dell'umano sapere, che indarno si tenta di penetrare alcuni misteri, che soprav- vanzano la nostra ragione e rimarranno forse ognora nascosti nella maestà deHa natura. Rispetto alle mediche scienze che ne costituirono la maggior parte , non fu tra noi il desiderio di brillare con imaginosi sistemi, non vane fatiche a indovinare il recondito magistero della vita, non fantastici voli a disporre in poche classi l'infinita caterva de' mali, non la fumosa credenza di comprendere le intime mutazioni per cui i farmaci riconducono la salute. Ecco i liijri che si confanno ad un medico, diceva un celebre pensator d'oltremonti (i), mostrando i suoi ammalati, ma non è agevole di leggere in questi, siccome in quelli che sono dati alle stampe. L'arte nascente trasse, o signori, di là le sue prime dovizie , e dopo tanti secoli e tante meditazioni vi attinge ancora le sue migliori teorie. (i) Gaz. mèd. a5 novembre 1857 Feuilleton. DEI LAVORI FATTI DALLA CLASSE PER LE LETTERE NELL'AISNO ACCADEMICO iSSy-BS. RELAZIONE DELL' ABATE GIOVANNI BELLO MO SEGRETARIO DELLA CLASSE. ^.^^•"^UO - JL-Ja letteratura de' popoli, Altezza I. R. , Eccellentissimo sig. co: Governatore, illustri Magistrati, Accademici dottissimi, Uditori umanis- simi, la letteratura de' popoli ormai pervenuti alla cima dell'incivilimento sociale, ben diversamente apparisce da quella, che dominare si trova appresso nazioni troppo vicine ancora allo stato di selvatica rozzezza. Vide il Romauo Oratore in una delle sublimi sue inspirazioni la prima tutti gli studi intieramente abbracciare, che ponno a ciascuna delle più nobili facoltà della niente porgere un quanto utile, altrettanto gradito intertenimeuto, laddove noi veggiamo quell'altra, che tutti i generi insieme mischiando confonde, tutti gli assorbe nella immaginazione, ed il poeta sacer interpresque Deorum è tutto ad un temjx» medesimo oratore, legislatore, fisico, teologo, secondo i limiti ristretti d'un cortissimo intendimento. Che se oggidì la letteratura nella colta Europa già tocca si nobii mela; Voi tutti , prestantissimi Uditori , che qui intorno ci fate cospicua corona , Voi tutti io dico , quinci un' interna soddisfazione provare dovrete, e quasi lasciarvi trasportare da un generoso orgoglio, qualora ili questo giorno solenne, fissando lo sguardo sopra le ricchezze let- terarie raccolte nel giro d'un solo anno accademico; scorgerc.ad evi- denza potrete, che va del pari l'Ateneo veneziano con quella fiorente 86 coltura d'Ingegno, la quale oggidì veggianio appresso le più incivilite n;izioni diffusa. Cosi pur fosse ! che nelle angustie del tempo al ragionare pre- scritto, non mancasse ancor la facondia di chi si accinge a dimostrarvi i pregi di tanti importanti letterarj lavori. Se nonché col difetto di questa io prego che Voi tutti, umanissimi Uditori, soccorrer vogliate col vostro benigno favore: tanto più che trattandosi dell'Ateneo, di cosa veneziana si tiatta , e per conseguenza dell'in tutto vostra. 1. E per provare ciocché teste proposi, che la classe delle let- tere ha offerto copia e varietà di lavori corrispondenti allo sviluppo dell'odierna civil cultura; giova riflettere, che tutte le umane cognizioni a tre facoltà principali dell'animo ridurre potendosi ^ secondochè 1' una di queste sulle altre più sovranamente signoreggia ; voi, umanissimi Udi- tori, ravviserete per l'appunto accademici scritti, che a ciascuna di esse nobile esercizio fornirono. E cominciando da quella delle facoltà mentali , che toglie al vorace obblio de' tempi remoti le più vetuste notizie; noi vi porremo innanzi, Uditori coltissimi, le pazienti, accurate ed ingegnose ricerche del nostro Socio ordinario professore Diiuzzo, dirette ad illustrare un a/itica moneta della Samutracia. Nuovo è per l'Archeologia l'acquisto di tali rarissime monete , per cui gran lode ne proviene al celebre ab. Sestini, che ne cominciò le inda- gini nella Collezione Ainslieana. Questa moneta, di cui parliamo, da una parte ci presenta la testa d'un giovane d'elmo ricoperta, e dall'altra un ariete. Sarebbero qui da schierarsi gli argomenti , pe' quali l'Acca- demico nostro dimostra, chela lesta è ciucila di Saon figlio di Mercurio, il quale diede alla Samotracia le primitive sue leggi, siccome l'ariete serve ad indicare i jjiugui pascoli dell' isola stessa. Questa moneta fu Jbattuta dagli Odrisii popolo bellicoso della Tracia, ad epoche remotissi- me trasmigratosi in quell'isola, a' quali pure si aggiunsero i profughi di Samo , donde ebbe il nome di Samotracia, Il nostro socio a foi-za di ingegnose conghietture giunge perfino a fissare il tempo in cui fu coniata quella moneta, cioè poco innanzi, che di quella isola s'impa- dronisse il re di Macedonia Filippo. 2. Medaglie, vasi, armi, urne, obelischi, piramidi, a lutto dritto esser devono conservale ; poiché nelle ruine dell' Antichità ve- neranda sono queste siccome altrettante tavole , le quali , per adope- 87 rare l'enfatica frase di Bacone da Verulamio , galleggiano ancora dopo il naufragio. Ma slimare eziandio moltissimo debbonsi gli studii di quelli, che all'uomo ricordano l'uomo slesso, richiamando quasi a nuova vita un qualclie illustre personaggio. A tali commeudevoli lavori si accinse il Socio ordinario professore Emilio Tipaldo, dedicandosi ad illustrare gli antichi Autori, e in una delle accademiche tornate ci of- ferse le notizie di Alceo, che può chiamarsi de' Lirici il Demostene. Intorno a questo poeta istituisce erudite ricerche e con molto calore il difende da' vizj che gli vennero apposti. Ci fa conoscere 1 frammenti di quelle, che il Venosino chiamava minaces camenac , e le più pre- giate traduzioni. A questa lettura medesima l'Accademico accojìpiò al- cune nuove notizie intorno a quel grande ammiratore de'classici antichi Ugo Foscolo, e specialmente richiamò la nostra attenzione sopra alcuni di lui scrini più celebrati, i Sepolcri, l'Inno delle Grazie, le Satire e le tre di lui Tragedie, notando francamente ne' di lui scritti i pregi ugualmente che i difetti, e per siflalta guisa contribuendo a perfezio- nare la critica , ed a raffinare il buon gusto. 3. Personaggi sono questi ad onore de' quali più volle la Fama die fiato alla sonora sua tromba, quando all'opposto havvene di quelli, i cui nomi ingiustamenle si giacciono tuttavia sconosciuti ed oscuri. E siccome reggiamo avvenire di tante isole sparse nel seno del vastissimo Oceano, di preziosi prodotti bensì feconde, ma che bramano tuttavia qualche animoso navigatore, che il primo a quelle spiaggie approdi e le ricchezze del ferace suolo a tulli discuopra ; cosi avviene della vita di questi personaggi degnissimi d'encomio, i quali aspettano tut- tavia qualche accurato e sagace erudito, che ad essi si avvicini, e li renda finalmente al mondo palesi. Di ciò un luminoso esempio ci porse il benemerito Presidente dell' Ateneo co: Manin , prendendo ad illu- strare le azioni, e gli scritti di Ottaviano IManin detto di Udine, per distinguerlo da un altro di S. Vito, col quale si combina identità di nome, di tempo, e persino di studii. Questo Ottaviano I\Ianln in ori- gine discendeva da una famiglia di Firenze, di là espulsa dalla fazione de' Guelfi , e costretta a rifuggirsi nel Friuli, dov'era dominante la parte Ghibellina. Questi fiori nel secolo XVI , secolo per copia di pre- clari ingegni tra gli altri famoso: né Ottaviano Manin si rimase inferiore a nessuno di essi per molli e varj studi felicemente da lui coltivali. Ri- 88 destando prima il Ijcllicoso squillo della latina tromba, chiamò I Prin- cipi cristiani a liberare l'isola di Malta, assalita allora dalle armi del formidabile Solimano. A questo poetico talento associava la scienza del Blasone, e vi aggiungeva gli studii gravi ed austeri dell'Archeologia, e della Numismatica, e dell'Epigrafia. Terminò Ottaviano Manin la mor- tai carriera della sua vita dopo il 1697 , restando incerto l'anno preciso della sua morie, non già incerto che non avesse lasciato meriti da doversi ai posteri tramandare. L'onore reso alla di lui memoria era un ufficio pel CO: Manin tanto più giusto e prezioso , quanto die in quello egli vede un Agnato della illustre sua casa, siccome noi vediamo in lui stesso redivivere una pari virtù, della quale ce ne dà fra le altre molte una prova col provvedere si fervorosamente all'incremento ed al lustro di questo scientifico , letterario Istituto. 4. Per altro genere di parentela formata dall' amoie degli studj , e dal vincolo comune che a questo dotto Consesso ci univa, sono da riputarsi assai pregevoli le notizie, che il Socio corrispondente dottor Levi ci lesse intorno al defunto dott. Gaetano Ruggeri, che nel soste- ner l'incarico di Vice Presidente colle indefesse sue cure cotanto alla rinomanza contribuì del nostro Ateneo. Gli rese quindi un ben dovuto ulfizio colla sua Biografia il nostro Accademico , rappresentandolo sotto a due caratteri assai luminosi , quello cioè di valentissimo medico , e di letterato veneziano. Siccome però il dott. Levi ha raccomandato il suo scritto alle ali velocissime della Gazzetta Veneziana ; così noi discioglie dall'obbligo di farne un'ulteriore menzione, ormai che a volo avranno compiuto il giro delle più colle città dell' Europa. 5. Non amore di qualche comune letterario , o scientifico Insti- tuto , ma quello tanto più fervido e sublime , che a Teiaiistocle facea tutto nella patria ritrovar prezioso, « L' aria , i tronchi , il terren , le mufa , i sassi , « generosamente eccitò il Membro onorario del nostro Ateneo, Consigliere Zamagna , ad intessere per una delle nostre consuete ragunanze i Fasti Militari della Dalmazia , e ne avea ben ragione egli, che nato a Ragus' trattò le armi ne' primi anni dell' età sua giovanile. Due città fissarono principalmente le dotte sue ricerche flagusi , e Narenta. Colonia la prima Romana nata nel VII. secolo tlalla distruzione di Epidauro e di Salona , seppe difendere contro le barbare na/.ioni la propria in. dependenza, ed ajiitò l'Augusto Basilio a ricuperare la città di Bari sopra le forze de' Saraceni. Narenta nacque nel secolo VII. da una tribù disiavi Pagani , e mirò sin dal suo nascere alla signoria dell'A.- driatico , quindi ip continua lotta con Venezia , che al medesimo fine aspirava. Narenta in paragone di Ragusi fece prove militari pili corag- giose e più abbondò d'intrepidi guerrieri, Ragusi segnalossi con im- prese pacifiche di lucroso commercio , ebbe una florida marina , e godette d' una ben contrabbilanciala forma di governo. Ragusi , che sparse una luce più tranquilla , divenne altresì una delie sedi care a Minerva, ed alle Muse, e tuttavia vigorosa fiorisce all'ombra dell' Au- striaca Monarchia ; Narenta che gittò allo squillo della tromba mar- ziale una luce più viva , all'incontrario ebbe una più breve esistenza. Non si mostra qui persuaso il nostro erudito Accademico, che Narenta nel IX. secolo, dopo le riportate vittorie, vinta anch'essa a vicenda dal Doge Pietro Orseolo II., rimanesse in quella occasione dalle armi venete distrutta. E noi ben lungi dall'opporvisi , anzi bramiamo, che a lutti eguidmente validi compariscano i di lui ragionamenti ; perciocché il trofeo che a' cuori piace d'indole Veneziana, sarebbe appunto un alloro non intriso di sangue, intrecciato colla palma del pacifico ulivo. 6. Non guerrieri, che fulminano sui campi, non letterati, die incanuliscon su' libri, a considerare si rivolse il Socio corrispondente canonico Ramello ; ma sibbene un fanclulletto d'anni sette e mezzo Ja- copo Martino, vero portento di precoce ingegno. Le meraviglie, che di esso ci narra , appajono cotanto fuor di natura , che a stento pre- star fede vi si potrebbe , se i documenti, a' quali si appoggia 1' Acca- demico nostro, non troncassero ogni dubbiezza. Questo fanciullo, quan- do contava appena un solo lustro , cominciò i suoi studj in tutte le scienze di que' tempi sotto il P. Servita IVIezzetto di Budrio, ed in due anni e mezzo di già ne avea compiuta la cafriera. Condotto quasi in trionfo a Roma , vi sostenne una pubblica tesi dedicata a Papa Inno- cenzo, in cui disputava e di Filosofia, e di Matematica, e di Giurispru- denza, e di Medicina , mentre insigne Poliglotta leggeva in tutte le lingue Orientali , e parlava il latino con quella facilità stessa , colla 13 9° quale allri appena si esprime ncll' idioma nalio. D' un fanciullo cosi straordinario ravellarono un INicio Eritreo, un Godéau , unBaillet, un Tiraboschi , inciampando in errori, che vengono dall'Accademico no- stro emendati. Stupivano tutti alle prove di tanto meraviglioso inge- gno, ma non istupiva punto anche un certo P. Brogniioli, la cui dottrina , chi lo crederebbe a' nostri giorni ? consisteva nell' apparec- chiar rimedj contro i Diavoli { Alexicacon). Ora cotesto gran bar- bassoro della diabolica scienza , appuntando gli occhi sopra l' ingenuo fanciullo, incontanente gridò : magiche sorti, patti cogli spiriti infernali e defini che il maestro del fanciullo fosse un vero stregone. Questa decisione , che oggidì verrebbe accolta co' sibili e colle risate , con- servava , o signori coltissimi, a que' tempi un si terribile peso, che produsse la tragica fine del suo maestro insieme colla immatura morte dello sventurato fanciullo , fiore che appena nato crudelmente reciso in sullo stelo divenne per gli animi sensibili un oggetto più degno di compassione , che di ammirazione. Al rammentare di cosiffatti tristissimi eventi noi dobbiamo , rive- riti Uditori, andarne ben lieti per respirare le aure vitali in mezzo alla luce del nostro secolo , che del portentoso fenomeno un'adequata cagione avrebbe procurato di £Cuoprire , inslituendo un' accurata ana. lisi sulle facoltà dell'intelletto umano , dal munifico Creatore ., a chi donate pii^i ed a chi meno vigorose. Ed appunto quante e quali siano queste , udir lo potemmo. C! Nell'idioma gentil, sonante, e puro 55 esposte dall'Arcliivista del nostro Ateneo nobil sig. Bonfadini, che per una delle tornate Accademiche trasportò dal latino il V. libro dell'An- tilucrezio , che traila della Mente umana. Col vigore delle ragioni avvivate dalla magia del poetico stile, tratteggiando il quadro delle operazioni della mente , ad evidenza resta comprovata la spiritualità dell'anima, e si atterra Uassurdo sistema di Democrito , e di Epicuro, che per negare tale spiritualità, troppo liberalmente alle piante ed a' sassi persino accordarono la facoltà di volere. Pilloresca si é nel poema latino la descrizione degli effetti del fuoco, e pittoresca »i è pure nella traduzione , che quasi coll'originale gareggia. 91 8. Le dollrine dell'austera filosofìa abbellite dal canto de' poeti, ci lanno a conoscere che la nostra niente possedè una potenza , la quale ler dir così , il soffio di vita inspirando negli esseri inanimati, giunge formare una nuova creazione. In nessuno de* poemi questo soffio ivino pii!i vivo apparisce , quanto in quello, M Al quale ha posto mano e terra e cielo. « 'obbiamo perciò saper grado al Socio ordinario esterno professore cav. travia, il quale un elegantissimo ragionamento ci tenne sopra un luogo Ila divina Commedia e sopra il sistema di Mitologia che adoprò ante. Acconciamente da prima ci fa riflettere l'Accademico, che questo .iicipe de' poeti visse in un' età, come oggiilì suol dirsi, di transizione, cui la Mitologia tutte ancora affascinava le menti. Sarebbe stato un urdo l'usarne cogli attributi del paganesimo , e in un poema sacro irreverenza. Che fece adunque l'immortale Alighieri? Ritenne i nomi, e le forme, ma ne cangiò l'essenze. I Numi mitologici dell'inferno li riguardò siccome altrettanti ministri ed esecutori delle pene , alle qua. li la divina giustizia condanna i colpevoli , e si pose per siffatta guisa in armonia co' veraci insegnamenti della cristiana reliiiione. L'erudito o o nostro Accademico ciò prova ad evidenza , esaminando molti bellissimi passi della divina Commedia. Senonchè restringendoci noi a favellare folamente di quel luogo, che badato prima occasione al ragionamento, il cane Cerbero non è piìi quel custode formidabile delle sedi in- fernali; è collocato solamente a guardia del terzo cerchio, dove sono puniti i golosi, goloso egli slesso, come suona il nome che porta. Per questa bestiaccia , che « Gli occhi ha vermigli, la barba unta, ed atra, C( E '1 ventre largo , ed unghiule le mani , a Gralfia gli spiriti, ed ingoja , ed isqualra , jj non fa bisogno dell'offa della Sibilla condita di mille sapori, basta get- tare qualunque più grossolano cibo alla sua ingorda voracità? Ecco perchè Virgilio a Prese hi terra , e con piene le pugna tt Le gitlò dentro alle bramose canne ». Il nostro valente accademico , recando innanzi il nuovo sistema di Mitologia , adottato da Dante , rende eziandio facilmente ragione del- l' addotto passo , in cui il cervello di tanti commentatori si è tor- mentato e stillato senza profitto, avvezzi in tutto a ricercare recondili sensi, e misteriose allusioni. Anzi il nostro accademico è d'avviso, che Dante con questo artifizio può servir di modello anche a' poeti de' nostri giorni ne' loro componimenti , quando esser non vogliano di que' ro- mantici, che ruvidamente discacciano la classica Mitologia, e fanno solo buon viso a quella delle settentrionali gelate Nazioni. g. Questo nuovo sistema mitologico divisato dal divino Alighieri dovrassi riconoscere appunto per uno de' gran mutamenti introdotti dal cristianesimo nella poesia , intorno a' quali ci tenne un facondo ed erudito discorso il socio corrispondente ab. professor Parolari. Egli ci rappresenta il genio di Dante, quale inesorabil giudice del suo se- colo, vindice de' delitti, e rimunerator delle magnanime azioni, tra- endo la forza del suo terribil sindicato dalle verità della cristiana re- ligione. Per un'altro effetto di cjueste medesime mutazioni dal cristianesimo operate riusci il Petrarca, un cantore di amorosi affetti, di un'indole elevata e pura , de' quali mancavano i poeti Gentili ; 1' Ariosto ed il Tasso, incarnando, com'egli si esprime, il principio del cristianesimo ne' loro poemi , crearono degli eroi di molto superiori in sublimità di sentimento a quelli di Omero , e di Virgilio. Il nostro accademico non giunse già a queste conclusioni cosi d' un tratto , bensi avendoci jirima offerto un quadro storico, col quale dimostrava, che sempre in ogni età variarono i caratteri della poesia, secondo le diverse vicissi- tudini politiche e morali che accaddero in tempi diversi ; il quale esame poco, a quello di classici , e molto alle orecchie de' Romantici tornò giocondo. Le mutazioni che l'influenza del cristianesimo operò nella poesia , egli le ridusse a tre principali elementi : Dio , natura , e uomo. Gettando quindi uno sguardo sullo stato presente della civil società, concepisce ottime speranze per l'avvenire. Egli s'avvisa, chn la poesia quindi innanzi non sarà né pagana, né servile imitatrice, nò arcadica , ma cristiana. Perchè non abbiamo a credere dell' in tutto ■ 93 vaili i 6uoi presenlinieiili , egli ci cliiania ad ammirare 1' eletto tlraj)- pello de poeti, che a' di nostti fioriscono , e singolarnienle Manzoni, ai quale opina che debba sovra gii altri accordarsi la palma. IO. Rivale fastosa della italiana scende anclie oggidì in suU' arena la francese letteratura , comechè , se si consideri nello stato suo pre- sente, menar non possa si gran vampo. Ciò si deduce ad evidenza da una brillante Memoria che il socio ordinario sig. Luigi Carrer ci lesse intorno alla poesia, e a' poeti contemporanei francesi. Os- serva primieramente gli scrittori più recenti di questa nazione , e segnatamente i poeti divisi in tre partiti , che fra loro colle penne guer- reggiano. Gli uni vogliono rimanersi ligi alla scuola classica, i secondi se ne discostano , ed i terzi piij audaci sono i novatori , i quali co' Romantici hanno stretta alleanza, e formano un corpo solo. Di questa ultima scuola sono corifei Liimarline, e V^ittor Hugo, ed è quella vera- mente che innonda laP'rancia de' suoi versi, e delle sue prose, e che nella letteratura v'imprime il dominante carattere. E qui l'A'ccademico nostro conoscitore espertissimo delle produzioni di questi famigerati Au- tori, le considera dal lato dell'immaginazione, e ritrova che danno nello stravagante, le considera dal lato dello stile, e ritrova che troppo caricano le tinte. La lingua francese, acconciamente osserva, per tanti altri pregi bellissima è certo di sua natura poco poetica, ond'ebbe a dire l'Alfieri, che « i Francesi faceano le tragedie in rime , per non poterle far in versi r. Malgrado ciò i protagonisti della nuova scuola si sforzano , come si esprime il nostro accademico, «di fiorire lo stile d'immagini e di figure, imitando gli arricchiti di fresco, che sfoggiano per vanità «. A tioi certamente forte rincresce, che a tale degradamento sia oggidì ridotta la francese letteratura dopo gl'immortali scritti del secolo di Luigi XIV, ma il rincrescimento ancora più al vivo si aumenta , qua- lora noi veggiamo, egregi Uditori, uno stuolo incauto di begl' italiani mgegnl deviare dalle traccie luminose improntate da' padri della nostra letteratura per correre dietro a siffatta genia di scrittori , taluno dei quali ispido di pelo , come di cuore, osò schifiltoso con insultante pie- de calcar questo adriaco suolo, ripieno di tanti illustri storici monu- menti, e contaminò queste aure, che un di gioivano di respirare un Dante, ed un Petrarca. Lasciamo sul fango della Senna costoro, che non da Apollo invocano la cetra, ma si piuttosto da Mercurio aspettano l'oro. 94 II. Con più sano consiglio meglio apprezziamo le cose nostre, al quale nobilissimo studio ci allettò il consigliere Giovanni dolt. Rossi , nostro socio ordinario, avendoci letta una pregevolissima memoria sopra i Teatri Veneziani. Ci dimostra l'accademico nostro, che fino dalla metà del secolo XVI può datarsi la introduzione del più antico Teatro in Ve- nezia, eretto in Contrada di s. Cassiano, nella corte cosi detta di Cà Micliieli; ed anche con precisione segna l'anno i565, in cui si rappresentò la Tragedia delta V Antigone. Poco dopo altri Teatri successivamente s'innalzarono sino al numero di otto, il più recente de' quali, e il più magnifico, quello cioè della Fenice , a compimento condotto nei 1792. A questi devono aggiungersi parecchi altri teatri privati , i quali tutti era- no aperti , e frequentati ad un tempo stesso. Il nostro accademico tra- sportandosi colla fantasia a' tempi passati, penetra collo sguardo nelle pareti domestiche delle famiglie , ci guida dentro i ricinti di que' tea- tri , e ci fa conoscere quali fossero allora i costumi , gli usi, e l'econo- mico sistema in riguardo a' drammatici spettacoli, poscia di ciascheduno de.' teatri in particolare ci espone le fauste, o triste vicende, e con brillante penna ne descrive i meccanismi veramente portentosi, i quali ammiraronsi nella rappresentazione dclV Andromeda , prima opera in poesia di Bendelto Ferrari, musica di Francesco Marcello, e in quello della Illaga fulminata , che tenne dietro l'anno seguente. Né lasciò di avvertire ciocché torna a molto onore, che le opere in musica rappre- sentate sui teatri di Venezia , quando erano in fiore, tuttavia si conser- vano in Germania, siccome per quanto a Norimberga, ad Augusta, ed a Passavia, ce ne rende testimonianza il dotto Wintlerfield letterato prus- siano. Una delle più tristi vicende alle quali mostra, che soggiacquero ' nostri teatri, furono gl'incendj, che divorarono tre di essi, al quale pel quarto abbiamo co' nostri occhi veduto aggiungersi fra l'universale rat- tristamento la Fenice. Veramente fatale elemento fu in ognitempo per Venezia il fuoco, quanto utile l'acqua, che sempre alla custodia di essa vigilò. Peraltro i disastri che fino dalla sua prima nascita ad essa re- caron le fiamme slruggitrici, fecero sempre meglio risplendere la virtù de' cittadini , perché le deplorale rovine trasformarono in quelle moli superbe , che torreggiano sulla più magnifica piazza del mondo. Emù. landò tali generosi esempj anche in quesla ultima recentissima calami- tà , fecero pur ora sorgere un nuovo teatro , vera architettonica Fé- Ilice, ler questa nove soli mesi baslarono onde farla rivivere ciiilie sue ceneri, vie più splentlicla ancora e leggiadra della prima; ed il fervido amore di palria fu per essa il nuovo solo vivitìcaiite. la. Periamo qiiesla novella prova del valore de' veneti Artisti meriterà di occiip:,re alcune pagine nella storia delle belle Arti , che il nostro socio ordinario sig. Quadri ci delineò in un rapido abbozzo dal secolo di Augusto sino a Canova. Il soggetto che tratta già in conlinuazione alla storia delle belle Arti sino dalla prima loro origine, ancor viemeglio avvalora quella filosofica osservazione, che questi seguono sempre la condizione de' tempi , il grado del sociale incivili- mento, lo spirito de' Governi. Comincia l'Accademico nostro l'epoca pei Romani alla coltura dell'ingegno propizia, dalla dittatura di Ce- sare, del quale gli alti concepimenti furono mandati ad effetto dal fortunato Augusto. Quindi quelle tante stupende moli , che tuttavia ammiriamo, modelli dell'Architettonico bello maestoso. Dopo l'epoca degli Antonini cominciano i tempi infausti dell'Impero, ed allora le vere idee del bello giacquero in quella mina stessa avvolte, che di- strusse in Occidente la romana potenza. Sotto nuovi dominatori, e sotto nuovi popoli anche nuovi stili prevalsero, l'uno che di Bizantino prese la denominazione, l'altro di Gotico, ambedue i quali il nostro Socio risguarda, siccome mere degradazioni dell'ottimo stile Greco e Romano. Tale severo giudizio egli recando del gotico stile, non temeUe «l.ncoirere nello sdegno de' Romantici , i qu.li all'opposto stimano che -l'Architettura gotica abbia il merito di aver sostituito a quel de' Pagan. d concetto de' Cristiani. Quindi le ardite guglie, dicono essi, che s mnalzano al cielo, le finestre a sembianza di rose, quindi <.li nrch. a sesto acuti, ed anzi sotto a questi archi di sesto acuti, essi assi- curano d. sentire non so quali commovimenti persino alle lagrime. Io però credere., che questi Romantici piangolosi sotto gli archi a sesto acuto potrebbero ancor meglio andare a compungersi in fondo alle Tebaidi, e giacché amano oggidì far pompa della barba, indossare con essa anche la stuojade'Pacomj,edesliIlarioni! Col gotico, e col bizantino si aggiunse a dividere ne' medj tempi il principato un terzo stile, che ^/ore..co si chiama. Di qui l'Accademico nostro sempre intento alle glorie d'Italia •m nuovo motivo ne ritrae, perchè quando per le belle Arti sorse '•■'•'••ora della restaurazione, gl'ingegni italiani il dovettero a se stessi. 96 ed appareccKiarono il secolo XVI, nel quale tutte le belle Arti dì nuovo gettarono il più vivo splendore. Decaddero nel secolo seguente pei raffinamenti che vi si vollero introdurre, siccome u all'uomo av- viene, cosi acconciamente osserva l'Accademico, che quando sta Lene nuoce alla propria salute, se cerca di star meglio ^^ Ma da questo stato di avvilimento le trasse in sul finire del XVIII secolo il genio d'un sol uomo, ed ognuno subitamente si avvede, che questi è Ca- nova. Più grande di Fidia egli educò un generoso drappello di alunni, clie oggidì mietono dovunque palme dal loro valore meritate. i3. Sono queste le alternative ora tristi ed ora liete alle quali in tempi diversi tutte in generale le belle Arti soggiacquero. Glie se va- ghezza vi prendesse, umanissimi Uditori, di conoscere quelle vicende che in particolare ad alcune di esse esclusivamente appartengono, noi vi possiamo indicare la Storia della veneziana pittura , colla quale gradevolmente e intrattenne in una delle consuete accademiche tornale il valoroso sig. Francesco Zanotto. Di questa opera, che si accinse a scrivere intera , a noi presentò fi-attanto il disegno ed un primo sag- gio. Egli spartisce tutta la sua storica tela in sette grandi epoche, le quali dal secolo V sino ai giorni nostri rappresentano in breve tutte le vicissitudini che ora innalzarono ed ora abbassarono la Scuola della veneziana pittura. L'autore, che si dimostra profondo conoscitore del bello, vi aggiunse la lettura del Capo I, che contiene l'epoca I, la quale dalla fijndazione comincia della chiesa di s. Jacopo in Rialto e giunge sino alla metà del secolo Xllf. In que' tristissimi tempi nei quali tanto oscurossi la luce del bel cielo italiano, dà a divedere come dentro Venezia riparassero dalle nordiche ruine gli avanzi delie belle Arti. Diedero queste segni di vita e nella erezione di nuove fabbriche, e neir esecuzione di pitture, che non mancarono giammai anche prima dell'anno laSo; e per conseguenza innanzi la nascita di Giotto, che il Vasari, troppo, a dir vero, buon Fiorentino predica, siccome il ristauratore dell'arte, quando già qui in Venezia si veggono dipinti affatto diversi dallo smilzo stile de' Greci bizantini. Ciò serve di prova, perchè debbasi inferire che in Venezia scorgeasi dentro quel periodo di tempo l'infanzia d'un modo originale di dipingere, infanzia piena di fuoco e di vigore, che prometteva in avvenire una robusta giovi- nezza. 97 i^. I portenti di cosiffatta robusta giovinezza operati dal veneziano pennello anticipatamente noi gli abbiamo potuti ammirare in parte descritti dal nob. sig. Neumayr Socio ordinario, in un' applaudita Memoria ch'egli intitolò del Pittore paesista. Questa dee veramente giudicarsi un compiuto trattato, che suggerisce le regole e gli esempj per qnesto genere di pittura, ed è, per cosi dire, il succo prelibato spremuto da novantaquattro opere da lui diligentemente consultate. Né dee già tale lavoro estimarsi un'arida e fredda esposizione di precetti. E come infatti poteva far ciò 1' Accademico nostro , il quale allorché li dettava, si tenea dinanzi agli occhi i dipinti d'un Tiziano, d'un Caracci , d'un Salvator Rosa , d'un Zuccarelli insieme con quelli di Waterloo, di Dughet, di Tenier, di Vernet, di Rubens, di Pou- sin , e di Claudio di Lorena. Il sig. Neumayr si sente investito dal fuoco che accendeva questi gran pittori, quando ricavando dalie loro tele le imagini, tratteggiale quattro stagioni, e ci addita nella ridente faccia della Primavera la gioja della natura , le ricche frondi degli aXber'ì xìtW Estate che ondeggiano giltando agli stanchi viandanti fresche ombre trasparenti, la immensa varietà dei colori, di cui V Autunno si ammanta, le mute campagne àiàV Inverno ricoperte di brine riverbe- ranti di pallido chiarore misto a quello che dal focolare vampeggia di rusticano tugurio. Con egual vivacità descrive i caratteri diversi , che assumono le quattro ore del giorno, le diverse forme delle nubi, delle nebbie, e de' vapori che precedono la comparsa dell'astro maggiore sul- r orizzonte, (ili svariati aspetti di queste meteore fanno sotto alla di lui penna un bel contrasto co' due spettacoli diversi, che presenta l'immobilità delle onde sotto un purissimo cielo, ed il sottil filo d'ar- gento d'un ruscello, che fra le zolle si fa strada, lucicando sotto il raggio, e perdendosi Ira cespugli di rose, in confronto o d'un precipi- toso torrente che tutto nelle ruine travolve, o d'impetuosi flutti, che al fremere d'una burrasca usurpansi violentemente fra loro le regioni dell'aria, e balzano, e spumeggiano , e in vortici si aggirano e in vor- ragini si spalancano, dentro alle quali trascinano il fragile naviglio » troppo lardi ohimè! pentito d'aver creduto al limpido specchio di quelle onde menzognere che ora si crudelmente ne' loro abissi lo ingojano. i5. Dolci sì veramente, ed incantevoli trattenimenti all'immagi- nazione furono questi , Uditori gentilissimi , fra mezzo a quali peiò i3 98 alcuni doti! Accademici coltivando jùù gravi e severi sludj un altro ben degno pascolo prepararono a quella facoltà delia mente, che lutto pondera e tutto sottopone ad accurate disamine. Primo iVa questi il Socio ordinario nob. sig. Perolari Malmignati iu un corso di venti Le- zioni abbracciò le più importanti dottrine della Filosofia speculativa e piratica. Di queste iu una delle nostre accademiche tornate ci lesse quella che tratta della Invenzione e della Rettificazione. Egli comincio dal farci riflettere, che invenzione non è creazione ^ questa dal seno del nulla trae le cose, quella delle già esistenti ne compone di nuove, o ne manifesta di quelle che giaceano nascose, nel che sta la scoperta. Siccome però nulla dalle mani dell'uomo esce di perfetto; cosi la facoltà ragionatrice ricorre alla rettificazione per togliere le primitive imper- fezioni, o quelle che vi si fossero di poi introdotte. Sagaci sono le osservazioni dall'Accademico nostro per valutare la facilità, e la utilità delle invenzioni , e giuste le regole perchè la rettificazione possa adem- piere l'importante suo ufficio; egli pone per base di queste, che deb- basi indicare, et probare ad normam , non ad hominuin opinioncm , e quindi per nulla romantico, slima che riguardo alle belle Lettere, ed alle belle Arti siano esemplari del bello le opere di quegli antichi, che sono state dette ispirazioni divine; Cf perchè, egli dice, rifulge " in esse l'idea di quella perfezione che eternamente assidesi in Dio ». i6. Una recente invenzione, e che perciò tuttavia abbisogna di rettificazione, ce l'offrono oggidì le scienze politico-legali, suggerendo nel sistema penale l'introduzione delle cosi dette carceri penitenziarie; Intorno ad un soggetto di tanto rilievo il primo fra noi intraprese a favellare il Socio corrispondente sig. Forti. Egli comincia dal farci riflettere sopra una verità pur troppo dolorosa, che 1' uomo quantunque pur sia dotato di ragione , non può esser raltenuto dal recare ad altri nocumento, se non co' mezzi stessi colli quali si raffrenano le tigri. Costretta l'antica legislazione ad infligger le pene, fatalmente non sem- pre osservò col delitto la giusta proporzione. Qui è dove 1' eloquente Accademico, retrocedendo colla fantasia a' tempi decorsi, sulle traccie del sig. Howard, dinanzi a' nostri occhi dischiuse le carceri, nelle quali fino alla metà del secolo XVIII venivano gettati i colpevoli, e ci guida dentro quegli abissi , dove 99 (t sospiri, piantij ed altri guai U Risuonavan per l'aer senza stelle , n e dove fra lo strider delle catene, o l'eco ripeteva inorridito le bestem- mie degli uni, o risuonava pietoso de' lamenti dell'altro. Eppure le pene, per quantunque gravi, non giunsero giammai a scemare la somma dei delitti, ed ecco le utilità delle carceri penitenziarie , le quali secoii. deche le defluisce il valoroso nostro Accademico , «hanno per iscopo di condurre a penitenza i malfattori , sicché usciti del carcere non infe- stino la società con nuovi delitti 55. Tale filantropico divisameiito ancora nella sua infanzia , già ormai a se richiama dal trono gli sguardi de' Regnanti , che vi apparecchiano utili provvedimenti ; e tal; che diradando gli squallidi orrori delle carceri, a conciliare saggiamente valgano col ravvedimento de' colpevoli i diritti della umanità e quelli della giustizia. Sarà vanto del secolo nostro di aver diffusa siffatta benefica luce sulla penai legislazione ; ma fu certamente glorioso e singolare dei tempi antichi l'intero edifizio della Romana Giurisprudenza nella quale trovasi riposta tutta la parte dottrinale della moderna civil Legisla- zione. Parla in tal guisa il valente nostro Socio dottor Giovanni Ca- lucci , il quale si accinse a considerare la influenza del Diritto Roma- no nello stato attuale della Giurisprudenza Europea. Questa Me- moria filosoficamente , ed eruditamente sviluppata , abbraccia tre parli distinte, le quali fornirono utile e gradito intrattenimento a tre di- verse accademiche tornate. Egli sarebbe però un voler dal mio canto troppo abusare, coltissimi Signori , della vostra gentil cortesia nell'ascol- tarmi , se ora mi accingessi a presentarvene di tutte e tre un analisi separata. Ora basti il farvi conoscere , che con nuove e sagaci vedute , vittoriosamente comprovate colla storia alla mano , il valente accade- mico tutte e tre queste parti indirizza a dimostrare una sola verità , ed è questa, che la Romana Giurisprudenza e la moderna non forma- no se non che un lutto continuato e progressivo , le di cui membra hanno fra loro una reciproca connessione. Egli è appunto nella moder- na Giurisprudenza, che ambedue gli accademici nostri il sig. Forti, ed il sig. Calucci si accordano nel rendere un ben giusto omaggio agli Austriaci Regnanti pe' segnalati benefizj , ch'essi i primi c'impartirono 100 di nuove sapientissime Leggi. Quell' Eroina , che fu denominata la ma- dre de' suoi popoli, Maria Teresa, e l'Augusto suo figlio ben degno di tanta madre Leopoldo Granduca di Toscana, essi furono i primi in Kurojja a dar 1' esempio d' un codice penale , nel quale respirò 1' u- manità che ricuperava i suoi diritti. Quindi dal medesimo trono venne promulgato il codice civile, nel quale, secondo l'avviso deiraccademico nostro dottor Calucci il compimento si vede della Romana Giurispru- denza. Felici veramente que' popoli , governati da Regnanti, principal cura de' quali si è quella di congiungere insieme il trionfo dell' umanità con quello della giustizia! Germe di questi Austriaci Eroi si è l'Imperatore e Re nostro Ferdinando I , il quale , da qui a non molti giorni della sua Augusta presenza rallegrerà l'Italia , e questa nostra Venezia. Kè già scenderanno dall'Alpi, siccome ne' ferrei tempi del Medio Evo, bar- bari duci fra le stragi de' partiti Guelfo , o Ghibellino. Egli si avanza preceduto dalle beneficenze che a questa città apparecchiò la regal sua destra , e circondato dalla splendida comitiva delle virtù paterne. Af- frettiamo adunque co' sinceri voli del nostro cuore quell' istante , nel quale le onde tranquille e placide della nostra laguna fenderà il maesto- so naviglio in mezzo a mille ed a mille agili barchette inghirlandale di fiori, che giubilanti gli accorreranno d'intorno, mentre noi ira festosi evviva in lui riveriremo il Sovrano, ed ameremo il Padre; ed egli magnanimo e generoso su noi fissando benignamente lo sguardo, alloi-a rammenterà quel detto del suo gran Genitore, che Venezia è «il più prezioso giojello della sua corona 55. ESERCITAZIONI SCIENTIFICHE irSTORNO AI POZZI MODOKESI ED ARTESIANI MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO EMILIO CAMPI-LANZI. r.M\r.M\^\0\A u. 'n singolare metodo nella costruzione dei pozzi di acqua pota- bile venne usato fin da tempi immemorabili nel territorio Modenese in Italia e nella provincia dell' Artois in Francia ; ed i fenomeni della natura da cui tal costruzione era sempre accompagnata furono riguar- dati meritevoli di attenzione, sia per la loro straordinarietà, sia pei vantaggi che da essi avrebbe potuto derivarne negli usi della società. Il Ramazzini nella sua opera stampala in Modena dal Soliani nel 1691, ed intitolala De fontiun miitinensium admiranda scaturigine, imprese a far la descrizione del modo con cui si costruivano i pozzi modenesi, si diede cura di determinare i caratteri geologici dei terreni nei quali fino a quell' epoca erano stati escavati ; e rese conto in pari tempo delle leggi idrauliche per le quali dopo fatta una terebrazione nel fondo dei pozzi dovea l'acqua di sua natura innalzarsi fino alla superficie del suolo, e perennemente fluire limpida e pura. L'opera fu ristampata in Padova dal Gonzatti nel lyiS, ninna delle norme essen- ziali in essa mancava per riconoscere se in altre località i terreni tro- vavansi nella stessa fisica condizione di quelli del niodonese, ma ciò non valse per indurre gli Italiani a far nuove indagini ed a tentare in altri luoghi It^ costruzione di questi pozzi. Anche in Francia i pozzi artesiani rimasero fino ai nostri tempi pressoché ristretti nella sola provincia che loro avea dato il nome (l' Artois, od Artesia). Ora però che tanto avanzarono i lumi in fatto di fisica e di geologia, e che l'industria degli uomini è tutta rivolta a procurare di pari passo nuovi comodi alla vita ed incrementi continui alla prò- io4 sperila delle popolazioni, non isl'uggì alla Socielà d'incoraggiamento per r industria nazionale del Regno di Francia la necessità di rendere generale il modo di costruire i pozzi all'artesiana; e nella sua seduta delli 22 settembre 1818 propose un vistoso premio a chi avrebbe pre- sentato un Manuale o miglior istruzione elementare e pratica sull'arte di perforare colla trivella del Minatore e del Fontaniere i pozzi arte- siani, dai 75 piedi di profondità fino ai 5oo, o di più se fosse stalo possibile. Corrispose alle viste della Società ed ottenne il premio il sig. Gar- nier Ingegnere nel Corpo reale delle Miniere. La Memoria da esso lui presentata fu talmente corredata di tipi e descrizioni sui caratteri del terreno, e sulle operazioni pratiche per riconoscerli, che la Società d' incorraggiamento anziché inserirla , come è di consuetudine , foglio per foglio nel suo Bullettino , slimò meglio di farla stampare separa- tamente e fece l' onore al Garnier di intitolarla Trattato completo suir arte del Terebratore e del Fontaniere. L' interesse che prese il Governo per darvi tutta la possibile pubblicità , e l'accoglienza favo- revole che trovò presso tutti questa importante produzione animarono l'Autore a farne la ristampa con aggiunte nel 1826 e ad intitolarla 7V(7i- tato svi pozzi artesiani , sopra le differenti specie di terreni nei er procedere, ove il caso lo ammetteva, alla costruzione dei pozzi all' artesiana. '-'i "i' ' Se col mezzo di un tale ritrovamento si può giugnere a soppri- mere le immense spese che nei tempi andati era d'uopo incontrare nella costruzione degli acquidotti e delle cisterne; se si può ottenere un' acqua viva e purissima la di cui mancanza è in molti luoghi fre- quente cagione di malattie negli uomini e negli animali : se prodoiu abbondanti possonsi ritrarre da uq terreno che prima era , per siccità io5 incolto ed abbandonato: se può in alcuni casi essere l'acqua in tanta copia raccolta da dar movimento a macchine di qualunque grandezza, formare nuovi canali di navigazione, o vie maggiormente alimentare quelli di già costruiti ; se con tale ritrovamento, dissi, possonsi ottenere così rilevanti vantaggi , oso credere che una succinta esposizione sul modo di costruire questi pozzi, e sulla ricerca di terreni alti ad assi- curarne la riescila possa formare soggetto non indegno di una lettura da farsi in questo nostro Ateneo. Tanto più che non avendo il Gar- nier, forse per ignorarne l'esistenza, fatto nemmeno un cenno dell'opera del Ramazz.ini, stimai necessario di far conoscere quanta parte questo illustre Italiano abbia diritto di prendere in una invenzione cosi inge- gnosa e di tanta utilità. Parlerò pertanto dei pozzi modonesi coli' appoggio dell' opera del Ramazzini; indi facendo un estratto di quella del Garnier , mi darò cura di far concepire una idea esatta dei pozzi artesiani, coli' aggiunta di alcune mie osservazioni tendenti a dimostrare come in questo argo- mento divenga pure essenziale la cognizione dei fatti , e delle analisi geologiclie esposte dal Ramazzini. POZZI MODOINESI. Entro la città di Modena e ne' suoi contorni per la periferia avente il raggio di 4 'i^ 5 miglia geografiche si può , perforando il terreno fino alla profondità di circa 68 piedi , procurarsi una fonte perenne di acqua purissima. La costruzione del pozzo col quale per- viensi ad ottenerla si eseguisce in questo modo — In qualunque siasi luogo , ed anche fra le stesse pareti domestiche , cominciasi col fare uno scavo della profondità pressoché di 28 piedi, cioè a dire fino al punto in cui trovasi uno strato di terreno composto di creta ben compatta. A questa profondità riescendo di grave incomodo le filtra- zioni lente ma continue delle acque stagnanti ed impure di cui trovasi imbevuto il terreno superficiale circostante , non può essere continuato lo scavo se prima non eì prendano opportune misure per liberarsi totalmente da dette filtrazioni. Sogliono quindi gli artieri costruttori erigere sulla base di quel solido strato cretoso un muro circolare del diametro di i5 in ao piedi e la cui altezza arriva fino al punto in cui 14 T06 cessano le filtrazioni, e vien poscia delto muro intonacato esleriormente con scelta creta , onde impetlire che entro lo spazio da esso racchiuso possa piti aver luogo la minima trapelazione di acqua. Ciò fatto, senza più pericolo di essere disturbati dalle filtrazioni, continuasi lo scavo con più ristrette dimensioni fino alla profondità di allri 55 piedi, in totale di 63 , ove incontrasi un altro strato di terreno solidissimo composto di creta mista a pochissima sabbia ed a ghiaja minutissima. Sopra quesl' ultimo strato si costruisce un altro muro a base circolare col diametro di 5 in 6 piedi , e s' innalza fino alla superficie del suolo; di maniera che vengano cosi a formarsi due canne cilindriche come quelle dei pozzi ordinar] , una concentrica' all' altra , e di cui la più ampia , la quale non è che una semplice disposizione accessoria al lavoro, termina alla sola profondità di piedi 28; e l'altra interna, che è la vera canna del pozzo , giunge fino alla profondità di piedi 63. Lo spazio intercetto fra le dette due canne si riempie intieramente di creta, per cui non rimane più visil^ile che quella di minor diame- tro j profonda 63 piedi , ed affatto priva nel suo interno di qualunque specie di acqua. In una cassa di legno , attaccala ad una fune che si attortiglia all' asse di un vericello , si cala fino al fondo del pozzo un uomo munito di una trivella ordinaria di 6 in 7 piedi di lunghezza. Perfora egli con questo istrumento il terreno, ed arrivata che sia la punta della trivella alla profondità di piedi 5 , 1' acqua sbocca imme- diatamente con grand' impeto seco traendo ghiaja ed arena , ed in tanta quantità sortendo che in pochi secondi il pozzo è ripieno fino alla sommità. 11 Terebratore troverebbesi perciò esposto a grave peri- colo se all'avviso di aver compiuta l'operazione non venisse, mediante il vericello girato con celerità da più uomini , tratto all' istante fuori del pozzo. Giunta poi l'acqua col suo livello alla sommila del pozzo si pone in equilibrio , e si depositano al fondo 1' arena e ghiaja erut- tate. Con raschiatoi di ferro ed appositi recipienti che si calano al basso e si fanno agire con funi , levansi totalmente queste materie ad oggetto di scoprire il foro fatto colla trivella e permettere liberamente il successivo ingresso alle acque. Terminata questa operazione è ter- minata pur anche la costruzione del pozzo ; né resta più che di mu- nirlo di un coperto , ed applicare una spina metallica in un foro fatto nella canna un poco al disotto del livello dell' acqua , giacché imme- 107 diatamente formasi un gclto die più non si estingue, clie mantiene in continuo movimento l'interna massa liquida, e non altera mai della benché minima quantità il livello a cui questa si compose. L' acqua superiore ai bisogni di chi fece costruire la fonte lasciasi scorrere in tubi espressamente costruiti sotto terra e diretti a vasche situate neir interno di altre abitazioni , giardini od ortaglie di livello più depresso ; e finalmente le si apre l'adito nei canali di cui è ripiena la città, e che vanno tutti ad unirsi nel solo che si stacca da un suo lato. Entro la periferia sopraindicata è affatto arbitraria la scelta del luogo ove vuoisi costruire il pozzo, poiché niuuo si ricorda che fatta la terebrazione non ne sia prontamente e cogli stessi effetti sortita l'acqua. L'altezza a cui questa sale in tutti i pozzi corrisponde sem- pre ad un medesimo piano di livello, e si ha quindi da ciò una sicura norma per terminare la costruzione della canna ad un' altezza conve- niente , desumendola cioè con un' apposita livellazione da quella di altre canne de' pozzi già esistenti. — INei luoghi pili bassi della città o delle ville suburbane 1' acqua monta entro la canna di qualche piede sopra il suolo , e nei luoghi piii elevati vi rimane alcun poco al di sotto. Queste differenze però sono cosi piccole che nei punti piti ele- vali si può sempre ottenere il getto dell' acqua profondando di qualche piede la vasca che deve raccoglierla; e nei più bassi, l'acqua con tutta facilità si estrae, e si devia nei modi più addatti agli usi cui viene destinata. La profondità di 63 piedi a cui è portata l' escavazione dei pozzi è data dall'esperienza, ma gli operai, hanno un altro indizio certo intorno al punto in cui devono arrestarla; ed è questo un rumor sot- leraneo pari a quello di un' acqua che scorre con forza ed in gran massa attraverso di spessi e minuti ostacoli. — 11 Ramazzini volle di ciò persuadersi egli stesso facendosi calare in fondo ai pozzi prima della terebrazione, ed assicura di aver manifestamente udito quel ru- more. Una volta costruiti questi pozzi -fonte non vanno mai più soggetti ad alcuna viziosità; le acque serbano sempre intatta la loro purezza, sono tiepide e fumanti nell'inverno e freschissime nell'estate; e qua- lunque variazione atmosferica per frequenti pioggie o grandi siccità io8 lascia sempre inalterabile il loro livello o che è lo stesso , il getto della ispina applicala alla canna nel modo sopraddescritlo. — Il nostro Autore assicura di essere stalo testimonio di una siccità che arrecò infiniti danni in tutte le provincie circumpadane, mentre pei modo- nesi rimasero invariabili i benefici influssi delle loro fonti. Molto affaticarono i dotti del paese per giugnere a conoscere r epoca in cui cominciò ad usarsi la costruzione di questi pozzi tri- vellati, nonché l'individuo a cui polca attribuirsene la scoperta; ma le loro indagini riescirono sempre vane. Il Ramazzini dice che da molti soslenevasi essere una nuova scoperta fatta nell'epoca in cui viveva, ma che per cognizioni prese dalle persone più illuminate e dagli artieri più provetti , potè francamente dimostrare essere una diceria priva afifatto di fondamento. Dalla necessità maestra di tutte le cose ne fa egli derivare la scoperta. Suppone che i pozzi costruiti nel modi ordi- nar] ed a poca profondità, essendo alimentati da acque viziose ed insalubri, venisse a qualcheduno in pensiero di escavarli a profon- dità maggiore sperando di rinvenirne di pure o meno corrotte; e che giunti gli escavatorl a quel punto in cui odesi lo strepito delle acque sotterranee si risolvessero di tentare la perforazione del terreno col- la trivella. — Qualunque però sia stato 1' avvenimento che produsse questa scoperta, fatto certo si è che essa deve ascendere ad epoca remotissima , poiché anche ai tempi del Ramazzini non era raro il caso In cui dovendosi fare uno scavo profondo non si rinvenisse- ro sparsi qua e là del condotti di piombo sepolti fra i rottami delle fondazioni dell'antica città , segno sicuro che nel secoli addietro, e prima anche che Modena fos^e Colonia Romana, le acque di una stessa fonte erano condotte e diramate in varj punti come usasi di presente ; colla sola differenza che essendosi la superficie del suolo coir andar del tempo alquanto elevata, l'operazione facevasi in antico ad un livello più basso. Dopo essersi Informato del metodo pratico di costruire 1 pozzi , il Ramazzini concepì 1' idea di dare una spiegazione al fenomeno delle scaturigini che apronsl colla trivella nel loro fondo. Esaminò quindi con acuratezza , non solo la fisica costituzione dei terreni in cui fino allora eransi col mezzo della terebrazione manifestate, ma benanche quella dei terreni lontani, e ne' quali sospettava potessero avere del 109 rapporti. Prima sua cura fu di trovarsi più volte presente alia escava- zione, e di tener conto esalto delle varie specie di materia di cui erano composti gli strati del terreno, cominciando dalla sommità fino al fondo; e vide clie costantemente, entro la città, il primo strato della pro- fondità di 14 piedi era composto di terra vegetale e di rottami di demolizione di fabbrica, e clie a questa stessa profondità riuvenivansi sempre le vestigia della città esistente in epoca anteriore a quella in cui le venne conferito il titolo di Colonia romana. Per la profondità di altri 6 piedi lo strato era formato di argilla , di quella stessa che usasi nelle manifatture di colto. Per la grossezza di altri 4 piedi lo strato susseguente era composto di terra nera limacciosa mista a canne j)nlustri; e per altri 4 piedi lo strato vedevasi formato di terreno del pari nericcio, non però limaccioso, e frammisto in vece a rami di albero con corteccia e foglie, non che ad erbe di vario genere. Rag- giunta in tal modo la profondità di 28 piedi, compariva quello strato cretoso di cui abbiamo parlato di sopra e che serve di base al primo muro circolare che si costruisce per garantire i lavori, ed in seguilo il pozzo , dalle filtrazioni delle acque superficiali impure. Era questo strato tutto uniforme, della grossezza di 11 piedi, e seguito imme- diatamente da altro di soli 2 piedi di grossezza composto di terreno paludoso sparso di giunchi e di foglie. Se ne scopriva poscia un'altro di tutta creta dell'altezza di 11 piedi, e quindi uno paludoso di 2 piedi d'altezza; un'altro parimenti di tutta creta di 6 piedi; e final- mente, arrivato cosi lo scavo alla profondità complessiva di 65 piedi, trovavasi quell'ultimo strato in cui si eseguisce la terebrazione, e che come dicemmo, è composto di creta mista nella sola parte superiore a poca sabbia ed a ghiaja minutissima. Trapassato questo dalla trivella per la profondità di 5 piedi incontravasi quello strato di ghiaja nel quale contengonsi le acque. Tolte poi le vestigia dell'antica città, lo stesso ordine di stratificazioni ritrovò costantemente il Ramazzini anche nei luoghi suburbani. Da tutti questi fatti ne desunse le varie vicende a cui , per la sregolata discesa delle acque dai monti , e materie seco loro trasportate, andò soggetto nei secoli addietro il territorio modenese, trasforman- dosi alternativamente da palude in terreno popolato di alberi e di piante di vario genere. Osservò che le ossa, i carboni, ed i pezzi di ferro 1 10 lavorato che trovavansi frdnimisli alle terre anche negli strati più pro- fondi , dovevansi avere per indizj certi che quel territorio fosse anche prima delle sopravvenute mutazioni abitato dagli uomini ; e riportando diversi passi di antichi scrittori di grido, cercò di dimostrare che alla stessa vicenda dovette essere pure soggetta tutta la regione circumpa- dana. E tornando all' inferior strato acquifero di ghiaja egli è d' avviso, che partendo da punti elevati dei monti debba stendersi a piano incli- nato verso il corso del Pò : e che per una circostanza straordinaria , come sarebbe quella di una forte scossa di terremoto , le acque esi- stenti in un gran ricettacolo situato nell'interno degli Appennini eiensi aperte un adito ed introdottesi nello strato ghiajoso per andarsi a sca- ricare sotterraneamente in quel fiume, oppure anche nel mare. jNè ommette di avvertire che la ghiaja deve ragionevolmente trovarsi rin- serrata fra due strati impermeabili all'acqua; altrimenti questa, o sa- rebbe slata assorbita dai terreni sottoposti, o sarebbesi innalzata e dispersa fra i terreni sovraincombenti. Dal rumore che odesi sempre in fondo ai pozzi prima della te- rebrazione , e dalla purezza stessa delle acque non j)ose il nostro Au- tore alcun dubbio sulla esistenza di un corso perenne; e gli parve quindi che per essere l'acqua in continuo movimento dovesse meritare un riflesso la spiegazione da darsi al di lei innalzamento istantaneo dal fondo del pozzo fino alla superficie del suolo. Se l'acqua fosse stata slagnante, ciò sarebbe evidentemente derivato dalla di lei pressione contro r inferior superficie dello strato di creta immediatamente so- vrapposto a quello di ghiaja , pressione che sarebbe dovuta all' altezza del livello dell'acqua, nell'occulto ricettacolo da lui supposto, sopra il piano in cui apresi il foro colla trivella; ma essendo l'acqua in movimento, era duopo spiegare come potesse scorrere, e sboccare non ostante con impeto dal foro per portarsi istantaneamente alla superficie. Richiamate quindi le leggi idrauliche sul moto ed equilibrio dei fluidi, immaginando che quel ricettacolo fosse come la branca di un sifone ed il pozzo l'altra, ed istituendo diverse esperienze con molta diligenza descritte nella sua opera, dimostrò che l'acqua in causa degli infiniti ostacoli presentati dalla ghiaja non poteva scorrere con velocità pro- porzionata alla di lei pressione naturale, ma doveva soffrire un rallen- Il 1 lamento , e tanto più grande quanto più spessa era la gliiaja , esleso lo strato acquifero, e le sortite per cui avea uno sfogo lontane e ri- strette; dal che ne risultava che nell'alto che aprivasi il foro colla trivella l'acqua doveva spingersi all' in su con una velocità rappresen- tata dalla differenza fra quella che avrebbe avuto in ragion dell'altezza del livello del ricettacolo, e l'altra di cui era in effetto dotata nel suo passaggio sotto al punto in cui facevasi la terebrazione. In niun tratto dei fiumi o torrenti del modouese superiori ai luoghi in cui eransi aperte le scaturigini gli fu dato di scoprire se le acque si inlernassero in fenditure di roccie od in modo qualunque nei ter- reni dei loro alvei, E questa circostanza, congiunta all'altra dell'im- mobilità del livello nell' acqua dei pozzi , cosi nelle grandi siccità come nelle pioggie prolungate , fu quella che lo indusse a stabilire che le acque scorrenti sotterraneamente non potessero partire che da un oc- culto ricettacolo, il quale dovea d'altronde essere inesauribile, senza di che non avrebbe saputo come spiegare la detta immobilità di livello. Più non gli rimanea quindi che di dar conto delle cause che rendeano inesausto quel gran serbatojo; e per gingnere a questo scopo ricorse egli ad alcuni principj di geologia in voga a suoi tempi , ed immaginò che nelle parti interne delle radici dei vicini monti esistano delle grandi caverne in comunicazione diretta colle acque del mare; che per 1' azione del calore , il quale secondo lui non dovea mancare in un territorio che presenta traccie evidenti di vulcani attivi , vengano quelle acque sollevate in vapori ; che pel raffreddamento che i vapori incontrano nelle alte ed amplissime volte che ricojirono le caverne si convertano di nuovo in acqua ; che questa depositandosi nelle cavità e prominenze delle stesse volte passi nelle fenditure delle rocce , generi una infinità di canali i quali alimentino senza interruzione un lago sotterraneo in posizione elevata; e vengasi cosi a formare quel nascosto ed inesauribile ricettacolo, che scaricando le sue acque nello strato ghiajoso, conserva perennemente ed invariabilmente il livello dei pozzi di cui ragionava. 11 Ramazzini in sostanza adottò una di quelle opinioni che per lo passato erano poste in campo per sostenere l'esistenza di una circola- zione continua fra le acque del mare, e quella dei fiumi, e delle fonti; opinioni che Gaspare Bartolino pel primo, poscia il Valisnieri, ed ora lutti i moderni fisici reputano fuori di ogni probabilità. 1 1 2 L'esistenza di caverne in qualunque siasi parte interna dei monli non può essere da alcuno contrariata , ma le acque di cui rienipion- si , e quelle clie superficialmente discendono dall'alto ristrette in alvei , si riguardano tutte come procedenti dalle pioggie o dallo scio- glimento delle nevi e delle ghiacciaje. Può ammettersi senza alcuna difficoltà che le fonti modonesi siano alimentate dalle acque depositate in un vasto serbatojo situato nell'interno dei prossimi Appenini , e per sjiiegare l'inalterabilità del livello dei pozzi, basta supporre che quel serbatojo sia inesauribile per una sola stagione. — L' esperienza dimo- stra che maggior durata di due o tre mesi al più non possono avere le straordinarie vicende atmosferiche di pioggia o siccità. La quantità di acqua che scaricano le fonti è assai limitala, e quand'anche in quel- l'intervallo di tempo il livello del serbatojo si fosse, per siccità, di qual- che poco abbassato, sarebbe di nuovo portato all'altezza primitiva al sopraggiugnere della stagione piovosa. — I cangiamenti inoltre di li- vello nel serbatojo non possono rendersi così facilmente sensibili anche nei pozzi, giacché come appunto osservò il Ramazzini, non trattasi qui di sifoni a canale libero in cui l'acqua può equilibrarsi all'istante in amendue le branche , ma di sifoni a canale ingombro da infiniti osta- coli e di acqua che vi scorre per entro rattenuta da questi. Che se poi non si possono sempre conoscere le alte situazioni in cui le acque si internano nei terreni per fluire sotterraneamente al basso, egli è non pertanto indubitato che le acque che danno origine ad ogni fonte, ed anche agli stessi fiumi che d'improvviso sboccano nel fianco di un monte o nel centro di una pianura , non son che quelle che vengono assorbite superficialmente dai terreni in generale, o che si scaricano iii punti il pili delle volte tolti alla vista nel fondo degli stagni, laghi, fiumi o torrenti sopratterranei più elevati. Da queste acque sono eviden- temente alimentati anche i pozzi modonesi ; ed anziché immaginare un occulto ricettacolo in cui previamente vadano a depositarsi, sem- bra più naturale il supporre che lo strato acquifero di ghiaja sia al- quanto inclinato e come i fatti lo accertano, di vastissima estensione, e capace quindi di contenere, e conservare superiormente alle fonti entro di se tanta acqua , quanto basti a dare egualmente spiegazione, per qualunque straordinaria circostanza atmosferica, alla costante al- tezza dell'acqua nei pozzi. ii3 Se dunque rispetto alla provenienza dell' acqua nei pozzi modonesi non si può convenire col Ramazzini , non tralascio però di notare che egli in questa parte non fece che seguire uno fra i varj pensieri già jjrima di lui esternati dal Cartesio e dal Faloppio intorno alla spiega- zione dei corsi sotterranei di acque, e che la sola immobilità del livello Jo trasse a preferire l'origine delle acque dal mare; mentre egli stesso dice, che se il livello dei pozzi modonesi fosse stato variabile a seconda delle stagioni , non avrebbe avuto difficoltà di accordare che avessero essi pure il loro alimento dalle acque di pioggia o di nevi liquefatte, come appunto credeva dover così essere per tutte le fonti a getto va- riabile od intermittente. Da quanto esposi fin qui scorgesi che il Ramazzini nel fare di pubblica ragione la di lui opera ebbe in mira di portare a comune notizia in che consistessero effettivamente i jiozzi modonesi, e lo fece in guisa da persuadere che anche in altri territorj avrebbesi con pro- babilità di felice successo potuto tentarne la costruzione. Dimostrò infatti che un ammasso di terreni di trasporto dell' altezza di 68 piedi, sovrapposto ad un estesissimo strato di ghiaja rinserrato fra due altri im- permeabili erano le geognostiche combinazioni che davano luogo al corso sotterraneo delle acque salienti nei pozzi; ed aggiunse che a tali combi- nazioni potevansi anche trovar. soggette tutte le provincie circumpadane, tranne naturalmente le differenze nell' altezza dei terreni di trasporto. D;d che ognuno poteva poi facilmente inferirne che in simili condizioni si potessero pur trovare altri territorj disposti in vaste pianure da uno o più lati congiuntre a catene di colli e monti. Affinchè però dalla ge- neralità si avesse potuto prendere le cose sotto questo semplice aspetto, sarebbe forse stato duopo che egli si fosse astenuto dall' innestare ai ragionamenti riguardanti la sola geognosia ed idrografia sotterranea del terreno preso in considerazione , la sposizione di varj sistemi sullo slato primitivo della terra ; onde non dare all' opera sua l' apparenza più di dissertazione accademica di elevato argomento , che di facile guida a pratiche applicazioni. x5 m4 POZZI ARTESIANI. 11 tema proposto dalla Società d'incoraggiamento al Garnler può in succinto ridursi a questo — Determinare in quali casi e con quali mezzi si può, coli' uso della trivella del Minatore, ricercare e condurre alla luce le acque sotterranee. — Per rispondere in una maniera precisa alla quislione divise il Gar- nier il suo lavoro in due parti. — Knlla prima si propose di determi- nare le cause locali o le ragioni geologiche per le quali si può intra- prendere la ricerca delle acque sotterranee in un paese ove da prima non se ne conosceva l' esistenza. Nella seconda , di descivere il detta- glio delle operazioni per condurre le stesse acque alla luce con zam- pilli alla superfìcie del suolo, oppure a qualche metro al di sotto. Incomincia la prima parte con una specie di prefazione in cui accenna essere opinione generalmente ricevuta che le prime ricerche intorno alle scaturigini naturali siano slate fatte in Francia nell'esten- sione di terreno che forma il Dipartimento del Passo di Calais , e che comprende l'antica Provincia dell' Artois, opinione che come egli dice sembra confermarsi dalla denominazione di pozzi artesiani che vien data alle fonti di questo medesimo genere stabilite in altri paesi. E per corroborare sempre piij l'idea che la prima costruzione di questi pozzi fosse fatta iiell' Artois, soggiunge che il metodo di costruire i pozzi trivellati nel Modonese è conosciuto da poco ytiù di un secolo, epoca che probabilmente fu da lui desunta da quella in cui Cassini fece aprire una fonte nel Forte Urbano distante circa cinque miglia da Modena , e dallo stesso Garnier a questo passo ricordata. ( Basterà qui richiamare alla mente quanto fu più sopra riportato per persua- dersi che non solo un secolo e mezzo fa Modena ed i suoi contorni erano ripieni di pozzi trivellati ; ma che a questa medesima epoca si riconobbe che l'invenzione ascendeva a tempi remotissimi ed anteriori perfino all'era volgare). La scoperta dunque delle acque sotterranee la fa il Garnier derivare dalla facilità di fare gli scavi e di rinvenirle a poca profondità, come appunto accade nei dintorni di Bethune, che è il paese dell' Artois riconosciuto pel primo in cui si costruirono i pozzi trivellati. Una volta fatta questa scoperta , e ritenuto che le sca- turigini potessero rinvenirsi anche in altri luoghi purché si spingessero ii5 gli scavi a maggiore profondità, se ne fece, egli dice, la ricerca per mezzo di opere meno dispendiose di quelle che esigono i pozzi ordi- nar] , e si pervenne cosi a poco a poco, coU'invenzione di semplici stromenti , ad attraversare dei terreni di una grossezza considerabile. Fatti questi cenni storici, prosegue colla sua analisi dei terreni nei quali esistono acque sotterranee. Una carta topografica del Dipartimento del Passo di Calais, cui sono uniti varj disegni rappresentanti le Sezioni verticali dei terreni prese sopra determinate linee , serve al Garnier per dimostrare che sopra una linea, la quale si stacca da Calais sulla costa del mare, ed ascende entro terra verso Bethune pel tratto di circa trenta miglia geografiche, le acque che sono portate alia luce colle terebrazioni trovatisi tutte nelle fenditure di uno strato di rocce calcari cretose., il quale è coperto immediatamente da un altro di argilla piili o meno grassa. Da questo, salendo verso la superficie del suolo, s'incontra uno strato di ghiaja , un altro di sabbia , e finalmente lo strato supe- riore del terreno di vegetazione. Le fonti aperte a qualche distanza da questa linea hanno tutte indicata la medesima stratificazione. Considerato ia seguito sotto tutti i suoi rapporti fisici il Diparti- mento del Passo di Calais, dimostra che il pendio delle alture che costituiscono quella parte del Dipartimento che chiamasi paese alto , è formato di uno strato di roccia calcare cretosa, sojira il quale so- nosi appoggiati i terreni di trasporto , cui viene a servire di base per una superficie estesissima, ed a profondità più o meno grandi e va- riabilissime anche a piccole distanze. A Bethune p. e. lo strato cretoso s'incontra a 70 od 80 piedi di profondità, mentre alla distanza di due sole leghe verso il Nord lo si trova a 200 piedi. Fissa in seguito la sua attenzione s^a insalubrità delle acque pressoché stagnanti ed impure esistenti so^ra gli strati argillosi , che s'incontrano in alcune località prima di raggiungnere il calcare creto- so ; ed avverte degli inconvenienti che ne deriverebbero dal loro mi- scuglio con quelle vive e salubri che provengono da questo ultimo strato, inconvenienti cui viene posto rijiaro nella costruzione del pozzo, come vedremo in appresso. Spiega l'innalzamento delle acque fino ad un certo punto all'interno dei pozzi, od il loro getto a fior di terreno coi principi stessi adottati dal Raraazzini; •d esaminando le circo-' ii6 stanzG particolari del territorio del Passo di Calais fa derivare le a- cque da quelle dei fiumi o torrenti situati nella parte che si denomina paese alto. Devono, egli dice, evidentemente internarsi nelle fenditure del calcare cretoso che si estende in tutte le direzioni possibili , e quindi mettersi in corso al disotto dei terreni di nuova formazione. Pei rilievi poi fatti nei punti più depressi di quel territorio , e per le variazioni di livello che si manifestano durante l'alta e bassa marea nelle fonti costruite sulle coste del mare, non esita a ritenere che le acque dopo un, lungo corso sotterraneo, debbano avere uno sfogo, parte nei fondi delle vallate o nei punti più bassi dei fiumi, e parte sulla costa del mare a diverse profondità sotto il livello dell'acqua salsa. L'esame pertanto sopra tutti gì' indicati accidenti naturali lo con- duce a stabilire per regola generale che ovunque s'incontrano le sca- turigini , il terreno dovrà essere internaiBente costituito come quello del Dipartimento del Passo di Calais : e «d appoggio di questa sua asserzione fa rimarcare che le fonti zampillanti ottenutesi nelle vici- nanze di Boston in America sono come quelle del Passo di Calais ali- mentate da acque che provengono da un calcare cretoso: e che alcune operazioni state eseguite a Scheerns in Inghilterra nel punto in cui la Medoa confluisce col Tamigi, hanno egualmente comprovato, che a 55o piedi al di sotto di banchi d'argilla, esisteva un calcare cretoso contenente delle acque pure e limpidissime. Fondandosi sui fatti sin qui esposti, e sulla spiegazione dell'in- nalzamento delle acque nei pozzi, pone per principio che le scaturi- gini avranno sempre luogo allorquando per disotto ai terreni di nuova formazione esista uno strato permeabile all'acqua, rinserrato fra due altri impermeabili, ed in questa guisa tutti e tre disposti, partano da una linea situata nei^^unti più elevati di un territorio , e si estendono verso le parti ^r depresse. Alle quali condizioni aggiugne l'altra indispensabile , che cioè lo strato permeabile si avvicini nei punti più alti alla superficie del suolo , o ne sporga in guisa da poter ricevere le acque che ne assorbano i terreni, o che scorrono nei fiumi e torrenti. Nella prima edizione della sua opera aveva stabilita la massima , che soltanto nel calcare cretoso avrebbesi potuto sperare di rinvenire le acque producenti il fenomeno delle scaturigini , e si appoggiava a sostenerla al seguente ragionamento. — Dalla naturale giacitura di que- sta roccia scorgesi die essa è quasi sempre racchiusa fra due strati d' argilla impermeabili ; che nei punti più alti ilei territorj comparisce sovente a fior di terreno ; che da questi si estende sopra vastissima superficie ai luoghi più bassi, e che infine per le innumerevoli fenditure di cui è dotata, può l'acqua colla piili grande facilità introdurvisi, span- dersi e circolare in lutti i sensi , senza trovar modo di escire intiera- mente. Una osservazione però del sig. De Gargan, altro Ingegnere del Corpo reale delle Miniere, intorno ad una fonte aperta a Creutzvald nel Dipartimento della Mosella , lo fece nella seconda edizione della stia opera decampare dalla massima fissata sulla natura dello strato acquifero, e riconobbe che nelle stesse condizioni del calcare cretoso poteva esservi anche una specie di pietra arenaria egualmente per fen- diture in minute parti divisa. Avverte però che nell' ammettere che la calcare cretosa fosse la sola roccia nella quale potevansi rinvenire le sorgenti, aveva inteso di dire soltanto, che detta roccia doveva sulle altre meritare la preferenza. (Se al Garnier fosse slata nota l'opera del Ramazzini si sarebbe persuaso che lo strato acquifero può essere com- posto anche di ghiaja. Nozione importantissima poiché, come vedemmo, molti possono essere i territorj in pianura e distanti dai monti in cui esistano corsi di acqua sotterranei derivanti da strati gliiajosi ). Essendo la permeabilità una condizione necessaria delle rocce per- chè possa aver luogo il corso sotterraneo delle acque , uè potendosi sperare di rinvenirla che in quelle di seconda formazione, esclude per- ciò il Garnier da ogni ricerca quelle di prima , come sarebbero i gra- niti, i porfidi, le serpentine ec. , e cosi pure le rocce schistose, perchè le parti ferruginose che racchiudono possono decomporsi e comunicare alle acque l'odore ed il sapore del gas idrogeno solforato. Dopo ciò passa ad accennare le norme per riconoscere i terreni in cui con probabilità di felice esito si può intraprendere la costruzione ilei pozzi trivellati. Osserva daj)prima che l'esame dovrà abbracciare la massima esten- sione possibile per rilevare i rapporti che il territorio preso in con- templazione può avere con quelli che lo circondano; ed avendo egli stabilito che la roccia calcare cretosa sia la stratificazione sotterranea Ijiù propria a dar origine alle fonti, mette per norma principale un ii8 viiiggio fallo alle parli più elevale del lerrilorio, ad oggello discoprire se quesla roccia si presenta in varj punii a fior di terreno, oppure se si trova esistere a poca profondità. Quando ciò si verifichi , si esami- neranno in seguito le parli piij depresse , e si assicurerà con qualche scandaglio provvisorio , oppure consultando la successione degli strati scopertisi nelle escavazioni piiì profonde slate eseguite nel paese, se il calcare cretoso che si rinvenne nelle parli più alle si prolunga al di sotto dei terreni di trasporto di cui ordinariamente sono ricoperti il pendio delle colline, ed il fondo delle vallale. Esplorando in questa guisa il terreno se si riscontra che egli abbia molta analogia con quelli in cui furono antecedentemente aperte le fonti, si potrà quasi con certezza di riescire nell' intento^ intraprendere i lavori necessarj per aprirle colla trivella. In quanto poi all'altezza cui può portarsi l'acqua entro a' pozzi, od alla sua sortita con spruzzi a fior di terreno , osserva essere impos- sibile di poterlo determinare con precisione prima di cominciare le ope- razioni; poiché r una e l'altra dipendono da ciixoslanze che solo iii pochi casi si possono con qualche approssimazione prevedere esaminando l'esteriore configurazione dei terreni, e principalmente l'inclinazione della loro superficie all'orizzonte. Altre avvertenze aggiugne sul modo di regolarsi a seconda di varj casi particolari, le quali possono riguardarsi come coroUarj alle regole generali sopraindicate. Passeremo ora al metodo da lui immaginato per costruire i pozzi in modo diverso dall'ordinario, ossia alla seconda parte dell'opera. La perforazione del terreno, dalla superficie fino alla profondità dello strato acquifero, si eseguisce intieramente colla trivella; ed il foro che ne risulta si riveslisce contemporaneamente con tubi di legno in modo che la parte inferiore del rivestimento resti internata e solida- mente fissa nello stesso strato acquifero. Fatte conoscere tutte le difficoltà che deve presentare una opera- zione di questa natura per trapassare qualunque siasi specie di terreno, e raggiungere la profondità di oltre 3oo piedi, continua il Garnier col dare, mediante una lunga serie di disegni, la descrizione della trivella del Minatore più completa e precisa di quelle che furono finora pub- blicate. E la trivella composta di tre parti, della testa cioè, del fusto 110 e del piede. La testa è come quella delle trivelle ordinarie in forma di T. 11 fuslo è formato con varie aste di ferro che si uniscono con ■viti l'una all'altra di mano in mano che si profondano nel terreno: ed il piede o asta inferiore del fuslo , è nella sua estremità formalo in varie guise, e si cangia a norma della qualità delle terre, sabbie, o rocce che deve trapassare e trattenere entro di se per essere trasportale alla superficie. Fra le aste che servono per dar ricambio al piede meritano una particolare osservnz.ione quelle che vengono impiegate per ritirare le porzioni del fusto che potrebbero spezzarsi ed impegnarsi nel foro durante la terebrazione. Di mano in mano che si aumenta la profondità del foro convien rivestirlo con una parie resistente onde impedire che si chiuda pel distacco e caduta delle materie che lo circondano, e per ottenere di più il vantaggio che quando il pozzo è terminato non succeda un mi- scuglio fra le acque viziose che potrebbero trovarsi negli strati iutermedj e quelle dell'ultimo strato. Si introduce quindi da principio nel foro un lubo di legno di forma cilindrica, di un sol pezzo, della lunghezza di 9 in 10 piedi, col diametro interno di 5 o G oncie, ed armalo nella sua estremità di un zoccolo a tagliente , di ferro , affinchè possa resi- stere agli urti, e con più facilità fendere il terreno. Introdotta poscia la trivella nel tubo si continua il foro, in cui si affonda il tubo stesso spintovi da colpi di maglio o battipalo dati sopra di un secondo tubo collocalo superiormente al primo e col quale imbocca. Cosi al secondo succede un terzo, poi un quarto, poi altri finché con questo alternare (li trivellamento, e di conficcamento di tubi sia raggiunto lo strato entro cui scorrano le acque che voglionsi condurre alia luce. In alcuni siti è tanta la grossezza degli strati di sabbia asciutta e scorrevole, che il conficcamento dei tubi nel modo suindicato riesce impossibile, e vuol essere quindi preceduto da consimile operazione falla con casse quadrangolari, o con altri tubi di maggior diametro. Tanto perla terebrazione, che pel rivestimento occorrono diverse macchine, delle quali ommetterò per brevità di farne la descrizione, anche sul rifles^so che senza l'appoggio dei tipi non potrebbe che rie- scire imperfetta. Kon tralascierò però di dire che esse consistono in argani -e battipali combinati con una specie di capra ; e che il loro oggetto principale si è di tenere sospesa la trivella, estrarla con facilità 120 per levare le materie dal piede, e cangiare questo a seconda delle cir- costanze ; di dare dei colpi di maglio nella testa della trivella stessa , per accelerare in alcuni casi l'operazione , e nei tubi o doccioni di legno per profondarli nel terreno ; e di regolarne finalmente il foro ed il rivestimento in modo che l'uno e l'altro risultino in direzione per- fettamente verticale. Colla stessa esattezza usata nel descrivere la trivella e le macchine, accenna pure il Garnier le regole che devonsi l'una dopo l'altra osser- vare per cominciare , e condurre ordinatamente a termine l'operazione; e fa inoltre conoscere come risultano limitate le spese anche nei casi più difficili; ed in ristretto indica i metodi usati dagli Inglesi, i quali ai tubi di rivestimento in legno ne sostituiscono altri di ferro fuso , o di rame. Nel far concepire l'idea di quest' opera mi studiai di non trascurare cosa alcuna che influir potesse ad istituire un giusto confronto fra essa e quella del Ramazzini, onde poi, a scioglimento di varie questioni, poter viemeglio conchiudere colle osservazioni seguenti. 1° Circa alla spiegazione del fenomeno delle scaturigini, ed alle analisi geologiche dei terreni, questi Autori seguirono amendue le stesse tracce : e rispetto alla costruzione dei pozzi, menlre il Ramazzini non descrisse clie il metodo ordinario ed applicabile a profondità assai li- . mitala , il Garnier traendo partito con molto ingegno da altre opera- zioni di simil genere, e dai progressi nelle arti meccaniche, ne per- fezionò ed esattamente descrisse una affatto diversa dalle comuni, colla quale si può economicamente e speditamente trapassare qualunque siasi specie di terreno , e pervenire alla profondità di oltre 5oo piedi. 2.° Che i pozzi modenesi ed artesiani non hanno fra loro di co- mune che la sorgente d'acqua che apresi nel loro fondo colla trivella, né doversi perciò solo confonder gli uni cogli altri. 3.° Che quantunque siano tutti pozzi trivellati, e sia anche di- mostrato che a Modena assai prima che nell' Artois si conosceva la maniera di ottenere le scaturigini terebrando il terreno, ciò non debba influire perchè abbiamo, come pretendono alcuni, ad essere chiamati indistintamente pozzi modenesi; giacché tutti ormai conoscendo che la scoperta devesi al caso, l'anteriorità a questo modo non dà merito ad alcuno, né può per se stessa fare attribuire ai pozzi quella generale denominazione. 121 4." Che però gli Italiani possono vantarsi di aver avuto un loro connazionale che prima d'ogni altro svolse l'argomento dei pozzi tri- vellali coi veri principi di geologia; poiché fu senza dubbio il solo Ramazzini che anche quando questa scienza era ancora nell'oscurità, comprese e dimostrò che con ragionale analisi geologiche dei terreni potevasi giungere a spiegare il fenomeno delle scaturigini, e ad asse- gnare le norme per scoprire le località in cui avrebbero potuto ot- tenersi. 5.° Che finalmente se come in Francia fosse pure nei varj stati d'Italia esistito un corpo organizzato di Ingegneri delle Miniere, o fosse stato più generale l'uso di scaudaghare i terreni colia trivella del Mi- natore , forse all'epoca stessa in cui il Ramazzini diede alla luce la sua opera, sarebbe quella medesima trivella stata impiegata a ricercare le acque sotterranee in quei luoghi ove non era, come nel Modonese, ancor nota la profondità dello strato acquifero ; e sarebbesi probabil- mente fin nel 1691 o poco dopo , immaginata in Italia la costruzione dei pozzi col sistema che ora chiamasi artesiano : cosicché sembra che non senza ragione si possa ritenere che soltanto il poco uso della trivella del Minatore abbia impedito agli Italiani di essere anche i primi a costruire i pozzi trivellali con meccanismi simili agli artesiani. NOTA. Dopo Ja lettura di questa Memoria, che successe nella tomaia ordinaria del 5 agosto i83o, sortirono altre opere di varj autori, il cui scopo si fu l'esame- con viste più generali sui corsi e depositi di acque sotterranee, e sopra la natura dei terreni in cui preferibilmente devonsi ricercare; non che il perfezionamento dei meccanismi per ar- rivare a profondità che oltrepassano i mille piedi. In alcune soltanto però trovasi appena citata 1' opera del Ramazzini ; e rendevasi quindi sempre più necessario di darne conto preciso, affinchè si comprenda appieno in qual modo gli Italiani abbiano di gran lunga preceduti gU ah ri anche in questo genere di fisiche ricerche. i6 DI UNA NUOVA SPECIE DI CECIDOMIA ED ALCUNE OSSERVAZIONI SOPRA QUELLA DELL'IPERICO DESCRITTA NELLA MEMORIA DEL PROF. GENE, ED INSERITA NEL TOMO XXXVI. PAC. 187. DELLE MEMORIE DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE IN TORINO MEMORIA DEL NOE. SIC. CO: NICOLÒ BERTUCCI CONTARCI N. I on vi sembri strano , o Signori , che io venga a parlarvi di un nuovo insetto. Il numero di questi esserle quasi infinito , e per quanto abbiano cercato di conoscerli gli entomologbi, resta tuttavia aperto il campo a nuove scoperte. In esse è per lo più l'accidente che ne ha il maggior merito, e rosservatore attento che sa prevalersi delle circo- stanze che gli si offrono , ne ottiene dalle sue pazienti investigazioni un centuplicato compenso^Ed oh quante belle scoperte rimangono nella primitiva oscurila , appunto perché si mostrano a quelli che o non ne conoscono il pregio, o non si curano di trattenervisi sopra! La natura è sempre grande nelle sue produzioni, tanto se la si riguardi nelle immense moli di quei lordi animali che col loro peso sprofonda- no il terreno che calcano, quanto se si consideri in quei minutissimi insetti , che trovano un comodo asilo nei fori di un granellino di sab- bia. Se è cosa facile io studio dei primi, non lo è poi cosi riguardo ai secondi. Essi sfuggono alla nostra vista, e l'ajuto dei migliori mi- croscopi! ancor non basta per conoscerli perfettamente. Gli insetti sui quali sono per trattenervi, o Signori, non sono già microscopici; essi sono visibili anche ad occhio nudo^ ma non ostante la loro grandez- za non eccede quella di cinque millimetri, o di circa due linee. Essi fanno parte dell'ordine dei dilteri, o bìalati , entrano nella prima ses- sione dei proboBcidei , e nella famiglia delle tlpularie di mons. Latreil- 123 lc(i); il quale poscia le pose in quella tlci nemocer: (2), riunendoli ai ceralopogoni di Meigen (3), e costiluiscono con i suoi consimili .1 genere Cecidomja. Volle raons. Latreille separare dalle tipuie que- st insetti, con le quali venivano riuniti, e formarne un nuovo genere per collocarvi le tipuie del pino, del ginepro, del loto, e la gialla ^ poichè le loro larve Ibrniano delle galle sui vegetabili sopra i quali vivono , e perchè le loro ninfe si lavorano un astuccio. Ollrecchè l'in- setto perfetto differisce dulie tipnle per avere le antenne lunghe, hli- form,, granellose, composte di circa ^4 articoli nei maschi, di ,a nelle femmine, e semphcemente pelose; una bocca poco sporgente ac- compagnata da piccolissimi palpi incurvali su di essa ; per la mancanza dei piccoli occhietti lisci posti sul vertice del capo; per gli occhi or- dinariamente allungati, ed avvicinati posteriormente, e per le ali in- crocicchiate sul ccpo aventi tre sole nervature longitudinali. Fgli fu il primo a formar questo genere, che venne poscia ricevuto dal Mei- gen, e dal Wiedemann, i quali ne accrebbero le specie al numero di ventiquattro. Il Meigen però nel Voi. VI della sua Opera sui Ditteri europei subdivide leCecidomie in due sezioni, cioè in quelle che han- no le ah prive di una frangia di peli, ed in quelle che hanno l'orlo delle ah frangiato , e vi aggiugne altre dieci spezie nuove , cosicché dopo l'Opera del Meigen , e del Wiedemann se ne conoscevano tren- taquattro specie. In seguito Bosg. (4) ne fece conoscere altre due ed .1 Professore di Storia naturale di Torino sig. Giuseppe Gene ne de- scrisse posca uu altra nella sua Memoria inserita nel Tomo XXXVI p. :i87 delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Tarino. Linneo , ed i suoi antecessori confondevano le Cecidomie con le T,pule,eFabricio pure vele avea i-iunite nelle sne specics insectorum, ma poscia nel suo systcma antliatorum ne separò alcune per riporle nel suo genere C/uronomus. il Meigen ne collocò iu parte nel suo ge- nere Lasioptcra, ed una in quello di Campilon,j.a (5) per alcune Co„:ii.t:f'^:;.?:r; ,^-'--"-' «' ^--'-u. To. ,v p. .5. et Latreille (a) Regn. Anim. di Cuvier. (3) Dicfion. classique d'Hlst. naturelle. .8.r*i.'','5t°""' '='""^-'''"'^' -N^""--' ^' B"'letin de, Scienc. de b Soc. Philom. 134 differenze da lui osservate nella forma, e nel numero degli articoli delle antenne, in quelle del primo articolo dei tarsi, nei palpi più, o meno apparenti , e nelle nervature delle ali , die secondo il suo siste- ma costiluiscono dei nuovi generi. Mons. de Geer (i) avea già descrit- to diffusamente ed assai bene i costumi delle Cecidomie del ginepro , e del pino, ma egli le considerava con il nome generico di mosche, mentre in quei tempi l'entomologia non avea ancora fatti tutti quei progressi a cui la condussero poscia le nuove scoperte degli enlomolo- glii. Willers (2) descrisse pur bene la galla della cecidomia , o tipula del ginepro. Il Meigen nella sua opera sui Ditteri europei ^ diede delle buone descrizioni specifiche, ma non si estese molto sui loro costumi, ed accenna assai in ristretto, e come di volo le galle, e le larve delle cecidomie del pino , del salice, e del loto. Il Wiedemann (5) che do- po la morte del Meigen ne continuò il lavoro , e descrisse spezial- mente i Ditteri esotici, parlando della Cecidomia destructor. Say , dice soltanto, che questa specie si è resa comune nel settentrione, e nel clima medio degli Stati Uniti di America , ove le si dà comune- mente il nome di mosca di Assia {Hassian Flj), perchè corre voce , che vi sia stata introdotta con la paglia che vi recarono le truppe di quel paese nella guerra d'indipendenza dell'America settentrionale. Essa attacca , e distrugge il frumento , ed in alcuni anni ne fa un guasto considerabile. Per buona sorte questa non si è ancora diffusa fra noi. Bosc nel nuovo Dizionario di Storia naturale aggiunse alcune al- tre utili nozioni alla storia delia cecidomia del ginepro. Egli pure nel Diction. des scicnc. natiirelles ce. fa conoscere il guasto clie reca ai fiori della ginestra la cecidomia a cui egli dà il nome di questa pian- ta , ne descrive i costumi della larva, ed indica il tempo della sua trasformazione. Descrive pure la galla della Cecidomia Pone, che de- pone le sue ova sul culmo di questa graminacea , e le impedisce di fruttificare. Il sig. Reaumnr osservò le larve di due Cecidomie fra le sei fatte conoscere dal Vallot (4). Una di esse produce delle grandi alterazioni nei stami, e nei pistilli del Verbasco, ed una seconda 1 1 ) De Gccr. Mem. sur les Insect. (al Linn. Willer. Entomolog. ce. (3) WiedexMann. Aussereuropeis Zvveifl. ec. (41 BuIlctÌA des Selene, nalur., et de Geolog. par M. Ferrussac , io. i5, p. 3i8, 12$ ragiona delle piccole galle barbute sopra la Veronica chamedrys. Delle analoghe deformità nella licnide , nella euforbia, e nel sonco olcraceo sono dovute a tre altre fra quelle descritte dal Vallot succi- tato. Finalmente il professor Gene nella suindicata Memoria descrisse difTusamente i costumi, e la larva di una specie di Cecidomia che vive sugli ì^ev'ìó perforatum , eà hiitnifusuvi , della quale parlerò in seguilo. Il nome di Cecidoivya viene composto da due parole greche, cioè da kekis che significa galla , e da ivya che vuol dir mosca, e vei;ne dato a questi ditteri per la proprietà che hanno di cagionare delle de- formità sulle differenti parli dei vegetabili, le quali vennero distinte col nome d'i galle. Varii altri insetti, e fra questi molti imenotteri, hanno pure la proprietà di far nascere delle galle sui vegetabili, ed altre de- formità che servono ad alloggiare, e nutrire le loro larve. Dopo queste indicazioni, sembrerà strano che io descrivi una Ce- cidomia, la quale manchi di questa proprietà, e che in luogo di vivere sui vegetabili si pasca di materie animali. Eppure è una vera Cecidomia avendone tutti i caratteri del genere , e forma parte della seconda se- zione del Rleigcn , che comprende le Cecidomie che hanno l'orlo delle ali ornato di una frangia, lo la distinguo col nome di Cecidovìya Woel- dickiij per i motivi che verrò in seguito esponendo. Non è raro in natura vedere tratto tratto delle anomalie in tutte le sue produzioni , e queste per lo più servono per collegarle vie meglio fra loro, e per far vedere la relazione che mantengono tanto nella forma loro, come nei loro costumi. Rimarcabile al certo si è quella che presenta la mia Cecidomia. Riferisce il sig. Vallot (i) di aver os- servato la larva di una Cecidomia, che trovasi sotto la superficie in- feriore delle foglie del chclidonium majus , la quale succhiava gli acari che vi si trovavano, come fanno pure le larve di certi sirfi, che si nu- trono di gorgoglioni. Questa sua asserzione però non è ancor provata abbastanza , ma è probabile che vera sia , dietro a quanto sono ora per esporre ; anzi questo modo di vita cosi differente da quello che se- guono le altre Cecidomie fino ad ora conosciute autorizzerebbe alla formazione di un nuovo genere. Ma quella che sono per descrivere non si pasce di larve vive ; ma ili parti morte animali , come si vedrà. (i) Vallot. Bullc^ des Scicn. i^'ur. , et de Geolog. par M. Ferussac, to. i5. pag. 3 18. 13$ Avendo ricevuto una spedizione di uccelli impngliati del Baliico , inviatami dal sig. Woeldicke di Brunsbiittel dell'Elba inferiore, cava- liere dell'antico ordine di Dannebroglie, osservai nel mese di giugno alcuni piccolissimi insetti, che lentamente camminavano soprale ali di quei volatili, ed a prima vista li presi per piccoli pidocchi, ma mi accorsi tosto dell'abbaglio, mentre volendo prenderne alcuno lo vidi volar via prestamente. Si accrebbe allora in me vieppiù il desiderio di prenderne alcuni per vedere che cosa fossero in fatto. Per non guastarli, a motivo dell'estrema loro piccolezza , umettai con la saliva l'ei-tremità di un dito, ed approssimandola assai lentamente mi riuscì di prenderne alcuni, restando impaniali all'apice del dito stesso. Esaminati con la lente vidi che appartenevano alla classe dei dilteri. In seguito le loro antenne, le nervature delle loro ali, gli occhi quasi semilunari , allun- gati, posteriormente avvicinati, la mancanza dei piccoli occhietti liscj , e tutti gli altri caratteri mi iecero conoscere chiaramente che appar- tenevano al genere Cecidomja. Volli indagare come potessero queste Cecidomie farsi vedere sopra di uccelli impagliati che teneva disposti nella mia Raccolta, e chiusi in una stanza a bella posta a ciò destinata. Mi posi perciò con dili- genza ad esaminare quegli uccelli sopra i quali avea veduto tali Ce- cidomie, e vidi alcuni corpetti bianchicci attaccati qua e là sulle piume delle loro ali. La lente mi fece scoprire che erano delle pel- licine vuote, o spoglie di ninfa già trasformata. Allora reiterando gli esami con Tonchio armalo di lente andava sollevando le piume qua e là, ed osservandole al dissolto vi trovai dei piccoli bozzolelti bianchicci, ed alla loro origine vidi alcune piccole larve rosse starsene nicchiate e nascoste sotto la pelle fra li tubi delle piume stesse. Non esitai tosto a credere, che da esse fossero sortite le Cecidomie da me prima os- servate , e per esserne affatto certo presi varie di quelle larve , e le rinchiusi in piccole scattole', ponendovele con la pelle, e con le piume, appunto come le avea trovate, per jion disturbarne le loro funzioni. Dopo pochi giorni trovai nelle scattole sviluppatesi delle Cecidomie si- mili alle altre, e restai pienamente contento di averne conosciuta tutta la loro metamorfosi, della quale mi fo tosto a parlare. La larva di questa Cecidomia è di un color rosso carneo. Essa è priva di piedi, ed ha la bocca munita di due forti mandibole. La pelle 127 del suo corpo si raddoppia sui lati, e forma delle ondulazioni ed ine- guaglianze prominenti, che fanno l'uffìzio di piedi. Arrivata al suo ultimo accrescimento si porla alla estremità delle piume, ed ivi si fila un bozzolo ovato-schiaccinto , composto di una seta bianchissima, e di un tessuto assai floscio. Lo colloca all'apice delle coperture alari , ma nella pagina inferiore, cosicché non si veggono i bozzoli se non si sollevino e rovescino le piume suddette. Queste larve si trasformano in una piccola ninfa allungata di un rosso carneo. Vi si scorgono II ru- dimenti delle ali, lu gambe ripiegate sul petto, e le lunghe antenne poste lateralmente al capo. Pochi giorni dopo sorte la Cecidomia, e lascia dietro a se attaccata all'apertura del bozzolo la vuota spoglia della ninfa, la quale spoglia si moslia perfettamente bianca e trasparente, e posta in un certo punto di luce manda dei bellissimi riflessi iridati. Ad essa vi restano attaccati li vuoti astucci che racchiudevano le lunghe antenne, i quali si vedono distesi e rialzali da ciascun lato del capo della vuota spoglia suddetta. Stanno questo pellicole attaccate , come già dissi, alla estremità delle barbe delle piume, ma in maggior quanti- tà sopra quelle delle ali, tanto di sopra Come disotto, e pochissime sul capo, e sulle altre parti del corpo. Le larve di queste Cecidomie si pa- scono delle interne pellicole, delle cartilagini, delle piccole nervature, e delle poche carni disseccate clie restano sempre attaccate nell'interno della estremità dulie ali, le quali non si possono rovesciar tanto da poter loro levare tutta la carne che contengono fino all'ultimo apice , come si fa nelle altre parli del corpo. Esse attaccano anche le piume alla loro inserzione nella pelle , e perciò il loro guasto si potrebbe rendere rimarcabile qualora fossero estremamente moltiplicate. Sorte la Cecidomia nei mesi di maggio, giugno, luglio e agosto soltanto. Deggio però far rimarcare una cosa molto singolare , ed è , che dopo il periodo di dieci anni che tengo gli uccelli del Baltico disposti nei scaflali, frammisti e vicini ai suoi congeneri nostri indigeni da me preparali , non ne abbia ancor veduto un solo dei nostri da esse anac- iato , ma sempre continuasi a vederle sopra quelli del Kord, cioè sopra il Lestris calaractes^ e parisiticus, e s\ì\V j^lca tordo. Credo però che ciò possa dipendere dal metodo diverso tenutosi nella prepa- razione, e dalla maggiore, o minore diligenza usata nello spogliarli. Qualunque ne sia la causa, la cosa non cessa di essere rimarcabile. 128 mentre anche nei miei preparali l'ultima falange delle ali vi resta sem- pre intatta, non essendo possibile di togliervi quella poca carne che la ricopre. Non mi è noto se anche nella Raccolta del sig. cav. de Woeldicke compariscano quesle Cecidomie, ma credo che non se ne debba nem- meno dubitare, menlre gli uccelli che ebbi da luì ne erano di già at- taccali, né prima di averli ricevuti io non ne avea mai veduto alcuna sopra de' miei. Darò ora la descrizione degl'insetti perfetti, tanto del maschio, come della femmina, esistendo fra essi alcune diversità. Il maschio ha le antenne moniliformi composte di ventiquattro articolazioni rotondate, eguali, fra loro un poco distanti , e coperte di peli lunghetti. Esse sono nere, ed una volla e mezza piià lunghe del corpo. Il capo, e gli occhi sono neri. La fronte di un bianco pallido. Il torace rotondato di un color atro sanguigno. I contrappesi bianchi. L'addome è cilindrico - allungalo (t) , un poco peloso, di una tinta sanguigno incarnata, ed è terminalo all'ano da due appendici, o pic- coli uncini incurvali a e uno opposto all'altro, che gli servono di attaco nel suo accoppiamento. Le sue gambe lungliissime sono pallido- bianchiccie , sparse di macchielle di un nero pallido. Ha le ali jaline, ristrette alla base, rotondate all'apice, piij lunghe dell'addome, eoa una cigliatura di peli attorno il margine inferiore; alquanto pelosette, portanti da quattro a cinque macchie quadrato- bislunghe, di un color alro-violaceo. che si toccano fra esse negli angoli. Portano tre nervi semplici, dei quali quello di mezzo corre tutta la lunghezza dell'ala, e termina al di lei apice, ove forma una piccola smargiualura. Gli altri due sono corti. 11 primo s'inserisce sul margine esterno, e l'altro si estende al di sotto un pò incurvandosi, ma non arriva al margine in- feriore dell'ala. La sua lunghezza è di una linea e mezza, presa dal capo all'ano, escluse le antenne. La femmina (a) ha le antenne più piccole la metà di quelle del maschio , composte di soli dodici articoli assai fitti e pelosetti. La loro lunghezza eguaglia quella del capo , e del torace presi insieme. Il capo, (i) Vedi Figura i." (j) Vedi Figura 2.» 129 gli ocelli, la fronte, le gambe, le ali come il maschio. 11 torace di un color atro-sanguigno, ma più carico di quello del maschio. Il suo ad- dome è ovato-rotondato , un poco schiacciato, alquanto acuminato all'apice, e terminato da un corto stilo. Egli è quasi la metà più corto di quello del maschio, ed ha la stessa tinta. La sua lunghezza è di una linea presa dal capo all' ano. Wel loro stato di riposo tengono le loro ali incrocicchiate sopn.a il dorso, ed allora le macchie bruno-violacee da cui sono macchiate si rendono più apparenti. Volano con poca forza, e preferiscono di star- sene in quiete, e di lentamente camminare. Di che si cibino queste Cecidomie nel loro stato perfetto non potrei indicarlo : ritengo però, che poco tempo vivano dopo trasformate, e che molle di cjnelle che sortono la mattina non veggano la sera del giorno addietro, e che dopo accoppiate muojano. Osservai però che quasi tutte si facevano vedere dopo il mezzogiorno fino a sera. ISe tenui alcune rinchiuse in una piccola ampolla, e mi vissero due giorni. Sfuggono facilmente all'occhio per la loro piccolezza , ed al primo aspet- to rassomigliano, come dissi, a piccoli pidocchietti, ed a minutissimi ligei. Fra tutte le Cecidomie fino ad ora conosciute questa si avvicina moltissimo alla longicornis di Meigen, e ne differisce soltanto per il colore dei piedi , e per le macchie delle ali : d'altronde la longicornis vive su\ e nicus paliistris da quanto dice il Meigen, ed anche secondo il Fabricio vive ne' luoghi umidi. INè l'uno, né l'altro però fauno men- zione della larva. Vi è pure la Cecidomya ornata descritta da Wiedemann , che potrebbe riferirsi a questa per le macchie delle ali , ma dessa è della Pensilvania , ha le antenne e le zampe bianchiccie ^ e le macchie delle ali bruno -chiare. Neppure da esso venne fatta menzione alcuna della larva. Ma perchè meglio si veggano le differenze dei caratteri trascriverò la descrizione di tutte tre. »7 i3o Cecidomya Woeldickli. Coniarmi. Vedi FJg. I Mas. Mas. « Antennac nigrae monilifor- << mrs , 24 at'ticulatae , articulis distan- amei)le sui Ditteri, e ne fece un lavoro a parte nel s,uq Syslevia antliatonim, ove formò pure molti nuovi generi, non abbia conosciuto la vera Tipula Juniperina del deGeer, e del Linneo, abbenchè gliene riporti, ma erroneamente, la loro sinonimia. Ciò si deduce almeno dal lavoro fatto poscia dal Meigen , il quale avendo veduto il vero ed identico esemplare che avea nella sua Raccoha il Fabricio , e che gli avea ser- vito di tipo a fare la sua descrizione, potè sincerarsi di ciò, e fece conoscere lo sbaglio commesso dal Fabricio nel riportare le sinonimie del de Geer, e del Linneo alla sua Tipula Juniperina .j che era da quella ben diversa , e che perciò non le convenivano. Vide pure il Meigen , che secondo il suo sistema la Tipula juniperina del de Geer, e del Linneo non poteva aver più luogo fra le sue Cecidomie, mentre non avea che due sole nervature alle ali, e perciò la pose fra le La- sioptera ritenendole il nome ài juniperina. Veramente anche il Fabricio erasi accorto, che tanto la sua Tipula juniperina da lui poscia chia- mata coi nome di Chironomus juniperinus , quanto il Chironomus pennicornis y le larve dei quali vivono nelle galle delle piante , e che sono di corpo minuto e tenue meritavano di formare un nuovo genere, come si rileva da una nota da lui apposta sotto al Chironomus juni- perinus. La Tipula juniperina poi di Fabricio, il quale nel Supplemento della sua Entomologia sistematica indicò col nome (\\ Hirtea juniperina, e che poscia nel Sistema Antliatorum la chiamò col nome di Chi- ronomus juniperinus , venne distinta dal Meigen dalla Tipula junipe- rina di de Geer, e di Linneo, niun calcolo facendo delle Sinonimie loro riportate dal Fabricio, e la collocò fra le sue Sciare, mentre i36 porta cinque nervature sulle ali; una delie quali è forcula all'apice. I\Ia per far meglio conoscere come va la faccenda esporrò qui la de- scrizione e la sinonimia anche della Sciara leucophaea del Meigen. Sciata leucophaea. Hofgg. Meig. Il Tfaorace fusco , abdomine livido, i lati ed il di sotto del corpo sono di un bianco trasparente. La loro forma è cilindrica, allungata, ed assottigliata alla estremità posteriore, composta di 13 anelli non compreso il capo. Questo è un poco roton- dato, e si vede distinto dal resto del corpo, che è composto di anelli, come nei vermi, uno dall'altro separati con una strozzatura apparente, la quale vi forma sulla parte inferiore alcune piccole prominenze car- nose, che servono come di una specie di piedi. La parte posteriore è assottigliata , e può essere allungata ed accorciata a piacere delle larve. Alla bocca hanno un tubercolo carnoso retrattile, che visto colla lente sembra esser armato da due piccoli denti per corrodere il parenchima. Hanno sul dinnanzi sotto al capo sei piccoli punti neri, appena visibili con la lente che sembrano fare l'uffizio di piedi anteriori. 11 Gene però dice che sono senza piedi (2) , ma osservate con una forte lente, si distinguono benissimo. L'estremit.ì dell'ano loro pure serve al di dietro come di piede, e termina in due piccole appendici ottuse che escono, e rientrano a piacere della larva. Esse però non camminano, ma solo si vanno girando da una parte, e diiH' altra attorno a se stesse, e (i) Vedi Gene Mcmor. cit. png. 8. (1) Gene Memor. cllat. pag. 3. Ì^O sliisciaiido Ialcr;ilmente piegale un poco ad arco or a destra or a si- nistra descrivendo una curva. Ciò si osserva se appena levate le larve dalle capsulette si pongano sopra un foglio di carta bianca, e si vada toccandole con una spilla. Sono esse coperte da un umore alquanto glutinoso. Se ne stanno attaccate alle pareti interne delle capsulette per lo pili trasversalmente , e non verticalmente come c|uelle del ginepro (i)- Se ne trovano da due fino a sei entro una sola capsuletta, ma per lo più una, o due soltanto, né perché vi si trovino in maggior numero acquista la capsula un maggior volume , ma è sempre la slessa. Esse sono lunghe due millimitri nel loro maggiore accrescimento. Queste larve si trasformano in ninfe, o crisalidi nell'interno della capsuletta, senza filarsi alcun bozzolo, ma soltanto attaccando alle volte la loro iiarte posteriore con poca seta alla parete della capsula. Sono le ninfe di figura ovato-allungala , e di un bel rosso cinabro. Vi si veggono gli occhi, i rudimenti delle ali, delle antenne, e dei piedi ripiegati sopra il petto, come le ninfe dei Nuiotteri , e degli Imenotteri. Queste parti si rimarcano facilmente allorché si avvicina il tempo della trasforma- zione in insetto perfetto , poiché allora sono di un bruno-pallido , e terminano col diventar quasi nere , specialmente sulle ali. Sul dinnanzi del capo lateralmente agli occhi hanno queste ninfe due piccole punte coniche , o cornetti dritti e corti a guisa di due antenne troncate. Queste sono immobili e dure. Si contano nove anelli nell'addome, il quale termina in una punta bianchiccia trasparente. Sono lunghe circa tre millimetri , o una linea, e larghe uno. Tengono l'estremità dell'ano un poco ricurvata all' insù , e stanno pure con questa sola estremità attaccale un poco alla parte interna della capsuletta. Li slessi cornetti suindicati si vedono anche sul dinnanzi del capo delle ninfe appartenenti alla Cecidomia del ginepro. 11 De Geer li riguarda come organi di respirazione. Gene dalla diversità rimarcata nella loro lunghezza^ crede forse che si potrebbe arguire della diversità del sesso (a). Se dovessero servire alla respirazione dovrebbero essere forati al loro apice; ma io non potei scorgervi foro di sorte. Per me penso che servano alle ninfe come qualche arma di difesa, ma specialmente per puntellarsi nel tempo deli' uscita dell' insetto perfetto , acciò ne sorta liberamente. (i) Vedi Gene fìg. citat. N. 2. (2) Gene Memor. citat. pag. 4- i4i Nel Icmpo che l'insello passa nello sialo di ninfa , le valve deile caiisnlelle cominciano a perdere la loro forza di ravvicinamento, e giunto il momento della metamorfosi la Cecidomia sorte senza fatica lasciando attaccala al fondo la spoglia della ninfa, la quale alle voile anche resta impegnala fra una valva e l'altra , essendovi trattenuta dai due già menzionali cornetli. Osservai pure, come l'osservò il Gene (i), che una volta che si ahbiano levate fuori dalle capsulette le larve, o le ninfe di questa Ce- cidomia, non si sviluppano più in insetti perfetti, a motivo che restan- do prive della necessaria umidità, la loro pelle viene a dissecarsi, e perciò rimangono inette allo sviluppo. E inutile che io ripetta qui la descrizione degli individui perfetti avendola già dala più sopra in latino. Mi limiterò soltanto a far cono- scere le differenze che si ossei^ano fra il maschio, e la femmina. Queste consistono 1.° Nelle articohazioni delle antenne che sono in maggior numero, più allungate, e distanti nel maschio; più corte e ravvicinate nella femmina. 2.° Nei peli delle antenne più lunghi, e più folli nel maschio; più corti e più rari nella femmina. 3.° Nel torace di un rosso sanguigno con una linea nera che gli corre a traverso sul dinnanzi, e che va fino alla origine delle ali da ciascuna parte nel maschio, quando nella femmina è tutto nero, col collo soltanto rosso. 4-° Nell'addome che è tutto rosso sanguigno senza alcuna macchia nel maschio, sottile e quasi eguale in tutta la sua lunghezza; mentre quello della femmina che è rosso del pari, e più corto, è di più mac- chiato solto e sopra da macchie bislunghe, quadrate, nere, delle quali quelle di sotto sono più pallide. 5.0 INello stiletto da cui è terminato l'addome del maschio, che é cortissimo, ed accompagnato da due uncini; e nella femmina è più lungo, e posto alla estremità di un tubo retrattile. 6.0 Nelle ali che sono lunghe quanto l'addome in quello, e più corte di esso in questa. (i) Gene Meraor. cit. pag. 4. i4a 7.0 Nel colore delle antenne e de' piedi, di un pallido giallìccio in quello, ed invece neraslro in questa. 8.° Finalmente nella lunghezza di tutto il corpo, clie nel maschio è di circa quattro millimetri, e nella femmina di cinque. Il maschio poco dojDo la sua trasformazione va continuamente mo- vendo il suo addome, come è costume dei maschj nelle falene, alzan- dolo e abbassandolo, ora volgendolo a destra or a sinistra, ed ora allungandolo in punta, e movendolo per ogni verso. Vidi che tratto tratto lo appoggiava sul piano a lui sottoposto, e vi lasciava una piccola gocciola di un umor gialliccio trasparente, e di queste goccie ne sparse otto o dieci, ma semjire in differenti punti. Dalla agitazione quasi con- vulsiva da cui lo vedeva preso allorché rimoveva l'addome, e dalla cfuiete che subentrava al momento della deposizione delle gocciole, mi fò a credere che esse fossero gocciole di umore spermatico, tanto piìi che non avea presente alcuna femmina con cui accoppiarsi. Vidi al- l'incontro la femmina rimovere il suo ano a destra e a sinistra, ma non alzarlo, e piegarlo quasi sino al capo, come faceva il maschio. Essa allungava lo stiletto dell'addome facendo sortire un tubetto più piccolo, il quale rientrava di nuovo, appunto come lo indica il Meigen , e lo osservò il Genè(i), e come lo mostra anche la stessa larva. La vidi deporre delle uova allungalo-cilindriche di un color rosso sanguigno, e di queste ne ammucchiava tre o cjuattro una dietro all'altra a guisa di coroncina. Poche sono le larve, e le ninfe, o forse nessuna , che non abbiano del nemici che cerchino di distruggerle. Chi le attacca apertamente, e le divora tutto ad un tratto, come fanno gli uccelli allorché le possono trovare. Chi le mangia un po' alla volta come tanti carabi, cicindelle ec. Chi le porta per cibo ai loro piccoli, come molli imenotteri, vespe ec. Vi sono poi degli altri inselli che loro fanno una guerra più insi- diosa, più accanita, e tormentosa. Sono questi gli icneumoni, le cai- cidi, i diplolepi , le cinipi ec. Alcuni icneumoni, certe cripti, e pimple sono provveduti di un lunghissimo, e sottilissimo ovidutto, che fanno penetrare con molta destrezza per entro li bozzoli stessi ove stanno racchiuse le niufe. Altri (0 Gene Memor. citai, pag. 5. '4' tr.iforano jicrfiiio gli ovicini dui più piccoli inselli. Altri depongono eolio hi pelle delle larve, o delie ninfe vivenli le loro uova, dalle quali sviluppandosi una larva ancor jiiù piccola , leva lentamente corrodendo nel loro inlerno Ano a che le distrugge, e loro impedisce sempre l'ul- tima metamorfosi. Fra questi avvi quella di una Calcide, osservata pure dal Genè(i), la quale attacca di frequente la larva della nostra Ceci- domia. Il Gene dice, che è di statura sensibilmente maggiore, e di colore più sbiadato di quella della Cecidomia clie attacca, e che rendesi ]>iù oscura allorquando è passata allo slato di ninfa. Pare che egli non abbia veduto l'insello perfetto, mentre di esso non ne parla. La larva della Calcide da me osserviila giunta all'ultimo suo ac- crescimento è di tre millimetri di lunghezza. Essa è di un bel giallo aranciato, composta di dodeci anelli, un poco più grossa al ciipo . ci- lindrica, alquanto panciuta, e terminata all'ano da due piccole punte , o appendici. Essa si trasforma in una ninfa che ha la lunghezza di tre milli- metrii La sua forma è ovato allungata , e rotondata all'ano. 11 suo capo é rotondo, rilevato, e distinto dal restante del corpo. Vi si veggono le antenne e le gambe ripiegate sul petto, gli astucci delle ali, ed alla estremità dell'ano una lunga setola, che è l'ovidutto, il quale sta ri- piegalo sul dorso. 11 suo colore è gialliccio, solo sui lati del corpo si osservano due punti rotondi di color rossiccio-castagno, uno per cias- cuna parte. Da questa ninfa sorti una Calcide, che riconobbi essere la Chalcis Bedegitar-is ^ la quale attacca anche la larva della cinipe della rosa, e della quercia. 11 maschio ha le antenne nere, moniliformi, di undeci articoli. Gli occhi di un castagno oscuro. Il capo, il torace", e tutto il resto del corpo di un bel verde splendente. I piedi pur verdi lucidi, ma li quat- tro anteriori di un bianco pallido. I posteriori con le coscie e le tibie verdi splendenti, ma con le ginocchia, l'estremità delle tibie, ed i tarsi di un bianco-pallido, eccettuato l'ultimo articolo che è nero. Le ali bianco jaline. L'ano terminato da una piccola jìunta. È lungo tre mil- limetri. (i) Gene Memor. cit. pag. 3-4. i44 La femmina è UiUa di un verde metallico doralo, con le antenne nere, spezzale alla base. Gli occhi rossi sanguigni. I piedi di un gial- lastro-pallido , con le tibie posteriori bianche , e coi tarsi neri. Le ali di un bianco jalino trasparente. L'ovidutto più lungo dell'addome, la sua lunghezza senza l'ovidutto, è eguale a quella del maschio. Seguono le descrizioni latine tanto del maschio, come della fem- niiua. Mas. « Antenna; nigrce, monilifor- « mes , 1 1 articulatje. <( Oculi obscure castane!. « Caput thorax, et reliqua corpoiis e viridi-nitentia. « Pedes viridi-nitentes, genulras , « tiblarum apicibus, tarsisque pallide- « albis, vero articulo extinio tarsorum « nigro. (t Al£e albo-lijalinee enervile. (t Anus stylo brevi terminatus. « Longitudo tria millimetra. Foemina. « Antennte nigrcc, basi « Iractce. « Oculi rubro-sangulnei. « Corpus totum nitore metallico vl- « ridi-auralo fulgens. « Pedcs pallide-flavescentes , libiis 'I posticis albis, tarsisque nigris. « Alce albo-hjalin.-e pellucida. ic Anus stjlo addominis longiore » terminatus. « Longitudo maris. Queste osservazioni serviranno io spero a complettare la storia della nuova Cecidomia dell'Iperico scoperta dal celebre profes. Gene, il quale vedrà con piacere con quanto interesse vi si applicò un suo vero amico. La mia nuova Cecidomia poi andrà in seguito ad accrescere la lista degli Insetti nocivi alle nostre Collezioni ornitologiche, e voglio sperare che gli amatori di si bel ramo di Storia naturale me ne sa- Sjfnonimja. CLalcis Bedeguaris. jur. Hjmenopt. 3 16. Diplolepis bedeguaris. Fab. Syst. Piez. i5o. 6. Jchneumon bedeguaris. Fab. Ent. Syst. 2. i85. 2i5. — — Linn. Sjst. nat. i. 939. 63. _— id. Faun. Svec. 1634. Linn. Willers. 3 p. 3o5. 23 i. ■■ De Geer 2. p. 877.Tab. 3o. fìg. 20.-2 I. Faun. Fridr. a. 622. . Act. nat. Cur. dee. 2. 42. 2. obs. 10. — — — Blanc. Ins. 188. 12. — — — — Reaumur Ins. 3.t. 41. f. i3-i4. Cjnips . . . N.o 1. Geoifr.Ins. 2. pag. 296. — — Roesel Ins. 3. lab. 53. fig. A. ad H. ^45 ranno grati. Gli Entomoioglii poi., di queste mie osservazioni ne fac- ciano quel conto, che esse possono meritare., ma mi l'accio verso di essi mallevadore della loro verità ed esattezza. E voi, eruditi Socii, che con tanta sofferenza e bontà tolleraste questo mio dire, accoglietelo di buon cuore, e date venia agli enori che in esso avrete potuto rimarcare. ^9 ESERCITAZIONI LETTERARIE DEL SISTEMA MITOLOGICO DI DANTE RAGIOINAMENTO DEL CAVALIERE PIER - ALESSANDRO PARAVIA PROFESSORE DI ELOQUENZA ITALIiNA NELLA REGlA UNIVERSITÀ' DI TORINO Letto nella Sessione ordinaria da' i3 marzo 1857. vJomechè il parlare da conspicuo luogo a eletta schiera di gente sia oggi mai la mia compiacenza e 1' occupazion mia cotidiana , io vi confesserò schiettamente, che da un pezzo questa compiacenza non l'ho provata maggiore, né questa occupazione m'è riuscita sì dolce, come in questo giorno, nel quale tra voi seggo, e a voi ragiono. Im- perciocché è bello (e' non ha dubbio) il tener pubblico magistero in una città, la quale è posta tra due fiorenti nazioni, perchè in se ri- tragga le qualità piih preziose d'entrambe; belio l'aver le stanze nella capital di un reame, ove le lettere e le arti, ben lungi dall'esser la- sciate in un ingiurioso abbandono , o condannate a turpi e oscuri ser- vigi ,' sono anzi con ogni guisa di onorificenze e di premj favoreggiate ; beilo filialmente l'erudire nel gusto una gioventù, non improvida, né scioperata, né abbietta, ma avida di scienza, ferma di proposito, vi- gorosa d'affetto, tale in somma, che ben mostra esser disposta da'cieli ad alti e gloriosi destini. Ma tutto ciò, che pur basta a lusingare l'amor proprio e ad infiammar lo zelo di un pubblico iusegnatore , che é mai rispetto alla soddisfazion dolcissima che provo oggidì, sedendo in un luogo, che fu testimonio de' miei primi passi nell'arduo cammin delle i5o lettere 5 ragionando a persone, che prime mi sostennero in quelle gio- venili mie pruove ; e rivedendo benigni e noti volti, ne' quali chiara- mente io leggo e memorie di cortesie ricevute, e caparre di accoglienze novelle? Poiché è ben vero, che nell'Augusta Torino non fumai ch'io sperimentassi r amara verità di quel detto di Eschilo , che il cittadino. Contro il novello abitator la lingua Porta ognor pronta ( Trad. del Belletti ); vero è anzi, chp non v'ha segno alcun di favore, non dimostrazione alcuna di affetto, che da quell'umanissimo Principe e da que'cittadini cortesi io non abbia ricevuta. Ma v' ha egli (io vi domando), v' ha egli umanità e cortesia sulla terra, che valga a radere da un'anima vini- ziana la cara immagine della diletta sua patria; di questa città, cui fanno invidiata le glorie e venerabile le sventure j di questa città, di cui tali e tante sono le maraviglie, che non v'ha terra si rimota, non angolo si riposio , ove non s'incontrino i suoi palagi, i suoi templi, le sue gondole, le sue feste, qua dal pennello dipinte, là dal bulino intagliate; città, che tutti ardon di conoscere, se mai non vista, che tutti anelano di risalutare, se un dì veduta; città, di cui si gradevol suona il dialetto, che ove a tutti gli altri si chiude frettoloso ogni orecchio per non esserne lacerato , a questo solo volonteroso si apre per esserne piacevolmente percosso : città in fine, di cui è si divolgata la giovialità, si lodata la cortesia, che basta dirsi nativo di essa, per- chè si spiani ogni fronte, sorrida ogni labbro , e tutti vi siano intorno con segni di amore e di festa? Or vedete, o signori, se tutte queste circostanze bastate non sarebbono a farmi di continuo ricordar la mia patria, ove anche la mente e il cuore non mi avesser di lei incessan- temente parlato. Tolga adunque Iddio, che al partir ch'io feci di qua per raccoglier in estranea terra il frutto de' miei poveri studi, io abbia scosso la polvere da' miei calzari , e pregato nimici a Vinegia il cielo che le sovrasta , e le acque che la circondano? E poi, chi non vorrebbe aver patito i più duri colpi dall'avversa fortuna, e sortirne quindi a ripara- tore quel generoso Principe, a cui guardano oggi le italiane lettere, come a presidio lor singolare? — Eccomi adunque tra voi. Piemontese di Stanza, ma però sempre Viniziano di cuore; e per meglio provarvi , i5i come Io abbia sempre allegato l' eserti/io del pubblico magistero col ricordo della lontana mia patria; per mostrarvi, come mi sia fitta nel- l'animo quella preziosa osservazione del Varchi, che i due supremi beni che ci vennero dalla inondazione de' barbari furono la italiana lingua e la città di Vinegia; io ho deliberato di non voler oggi sce- verare ciò che quell'illustre scrittore ha con tanto senno congiunto; e però nella veneranda luce dell'Ateneo di Vinegia parlerò del prin_ cipal lume della volgar lingua e poesia che è l'Allighieri, pigliando a sporre un luogo assai scuro e controverso del suo divino poema; nella quale sposizione io non darò, spero, in visioni e indovinaglie , com'è il costume di molli, i quali si puntellano dell'autorità stessa di Dante, che disse violtiscnsa la sua commedia; ma tutto procederà in modo ragionevole e piano, ancor che la materia sia di non leggiera impor- tanza; imperciocchò dalla vera interpretazione che si debbe dare a que- sto luogo di Dante , noi verremo a conoscere il vero sistema di esso circa alla mitologia; e dichiarata la sua mente su questo jjroposito , imparerà la nostra il diritto uso da farsi di quest'antica miniera de' poetici fingimenti. Smarritosi Dante nella oscura selva de'vizj; assalito dalla lussu- ria, dall'ambizione, dall'avarizia, che sono le tre pesti di questa mi- iera terra; ajutato in quel terribile passo dalla Divina Grazia, che mandò in suo soccorso Virgilio: egli entra, in compagnia di questo gran poeta, ne' tetri gironi d'Inferno, a fine di ricevere dalla vista di tanti tormenti e di tanti tormentati ammaestramento e lume per la sua vita avvenire. Egli ha già passato l'Acheronte per virtù di un angelo, e se di qua da esso ha veduto le anime degl'infingardi, che non furon mai vivi (dacché la vita non è altro che moto), di là dal fiume ha già visitato il primo cerchio, ov'é punitoli peccato originale, e il secondo ove son gastigati i lascivi. Ora egli è nel terzo cerchio, ove son puniti i golosi; e alla entrata di esso trova Cerbero, questa bestia diversa àa\\e altre per le tre teste che ha e per le tre gole onde latra , questo cane, che da Virgilio in su fu sempre messo da' poeti per guardian dell'Infer- no. In ciò solo Dante divaria dagli altri poeti, che mentre questi lo collocan nella prima entrata dell'Inferno, egli lo pone più dentro a guardia del terzo cerchio, ove son puniti i golosi, quasi per simbolo ( dice il Poggiali) e per dolorosa immagine di quella eccessiva golosità. 103 E prima di lui il VelluLcllo e il Landino aveano spiegalo quelle tre leste di Cerbero per le tre necessità del corpo, ilie sono lame, sete e sonno, nella cui satisfazione il goloso eccede sempre la miiurai non avs'ertendo però, che l'eccesso del sonno fa il dormiglione, non il goloso. Tuttavia questa spiegazione delle tre teste sarà sempre da anteporsi a quella d'Isidoro, citata daWOtCimo , il quale facendo di Cerbero il Dio Pluto, vuole che quelle tre teste dinotino la sua giuri- sdizione sopra li peccatori delle tre parti del mondo ^ Asia, Euro- pa^ ed Africa; non prevedendo che sarebbe poi sorto Colombo a dargli una mentita. Ma checché sia di ciò. Dante, che ben sapea che cosa suona in greco il nome di Cerbero, lo constituisce, non già cu- stode general dell'Inferno, ma bensi guardiano special de'golosi; e j)erò lo fa abbajar di continuo per fame; gli dà mani unghiate da un- cinar chicchessia; ventre largo da riemjjierlo a sazietà; occhi vermigli , o sia infocati, indizio di violento appetito; barba unta ed atra ^ se. gnale di recente pasto ; per questo infine egli non fa che un continuo graftìare , sciiojare ed isquartare quegl' infelici , che gli capitano innan- zi. Ora immaginate, se al vedere un uomo, com'era Dante, in carne ed ossa, egli dovea sentirsi stimolato a mangiarselo vivo; e già spa- lanca la bocca, arruola i denti, ha tutti i membri convulsi. Or che Jarà il savio Virgilio per acquetar questo mostro? Se Orfeo lo ammansò un tempo col suono della sua lira , noi potrà egli con quel de' suoi ver- si? mai no, ch'egli troverà un nuovo partito: E '1 Duca mio distese le sue spanne. Prese la terra , e con piene le pugna La gitlò dentro alle bramose canne ; e quella poca terra bastò per render Cerbero, muto e placido a guisa di agnello. Or che significa questa terra ? E donde avviene mai ch'essa produca si mirabili effetti? Che la Sibilla, guidatrice di Enea nel regno de morti , per attutar Cerbero gli dia una soporifera focaccia , composta di mele e di biade incantate : Melle soporatam ^ et medicatis frugibus offam^ io lo comprendo; proprio era delle maghe 1' infonder tale vìrti^ nelle piante, da far loro produrre quegli effetti che ]iiù volevano; or pen- sate se noi potea fare una Sibilla. E poi una focaccia era il consueto presente , che si faceva a quel cane trifauce da tutti coloro che scen- i53 (Jean uell' Inlerno. Ma una focaccia è Leu altra cosa, clie le due pngna di terra , che Virgilio gli gitlò io bocca. Or che significa ciò, tornerò a dirlo? E donde è che quella poca terra produce si grande effe ilo.' Eccovi, o Signori, il luogo, che oggi mi sono proposto di dichiarare. E qui sul primo, che ci dicono gli spositori , quando arrivano a questo passo? Il Venturi, il Volpi, il Poggiali, il Portirelli, il Costa, il Robiola , il commentatore della magnifica edizion fiorentina del i8i9> lo saltano a pie pari. Il Daniello, per tutto comento, non fa che re- care il verso Virgiliano soprallegato; e il Cesari non altro dice, se non che questa pittura Dantesca gli par più minuta e spressiva di quella di KirgiUo ; il che nel nostro caso è lo stesso che dir niente; e prima di lui il Boccacci avea detto , che questo luogo di Cerbero è tutto preso da Virgilio; lo che quanto sia falso , rispetto alla terra dell'uno e alla focaccia dell'altro, nessuno è che non vegga. — V.' Ottimo , dopo aver notato, che il Cerbero Dantesco ha a significare in universale il vizio della gola ^ soggiunge: a Qui la ragione nella bocca di questo vizio agognatore gitta terra, a dinotare che di cose terrene e nate in terra fu vago, e non di spirituali, e però in confusione di lui gli em- pie la gola di terra, dicendo: di terra avesti fame, e di terra li sazia «. — E questo medesimo ripeto il Sansovino , dicendo , che a per Cer- bero che ha tre gole si dimostra l'appetito naturale il quale è insazia- bile j e per la terra che Virgilio gli getta in bocca, s'intende che il detto appetito non è se non intorno alle cose terrene, delle quali es- tendo egli bramoso, non trova mai il fine ». Ma che il goloso ami le cose terrene, bene sta; ma non già che ami la semplice terra: ed io non so che pretenderebbe di ottenere colui, il quale per guarire un ghiottone, lo convitasse in sua casa; e come quella Marchesana del Monferrato, che al Re di Francia non imbandi che galline, e' non gli facesse trovare a mensa altro che terra. Questo argomento ha la me- desima efficacia che quello di tanti oratori sacri (non ischiuso il Cri- sostomo) i quali per distoglier l'uomo da' profani amori, gli rappre- sentan la donna siccome un mucchio di 04sa ed un pugno di polvere; non considerando, che niuno s'invaghisce di una donna quando è ri- dotta in polvere ed ossa, ma bensì quando è vestita di carne, coperta di pelle, e tutta ridente di gioventù e di bellezza. — Anche il Lan- dino spiega sotto sopra quel passo al medesimo modo, dicendo; che 20 i54 la parte razionale (cioè Virgilio) per acquetare V appetito naturale (ossia Cei-bero) prese la terra .... c?oce dinota per la terra cibi vili. I\Ia se Cerbero era ghiotto di questa vivanda , non poteva egli empier- sene il ventre, quandunque il volesse .'* E che bisogno era che Virgilio gliela buttasse in bocca ^ se con 1' una o l'altra di quelle sue teste, o con tutte e tre insieme ei se la potea pigliare da se? — INè più coglie nel segno il Vellutello , dicendo, che Virgilio, il quale si curva, s'em- pie le pugna di terra, e la dà a Cerbero, rappresenta « l'uomo pru- V. dente, che molte volte vinto dalla importunità del goloso, piglia la M terra, cioè il cibo, e disse terra, per istar nella similitudine, haven- « do chiamato Cerbero gran vermo, pascendosi i vermi di terra ... n Ma il Vellutello non ha posto mente, che Dante chiama gran vermo Cerbero, non già perchè tal fosse in effetto (da che egli ffvea la for- ma di cane), ma perchè il verme somigliandosi di forme al serpente, e sotto la forma di serpente avendo appunto il Demonio ingannato i nostri progenitori, il nome di serpente , ossia gran vermo, suonò d'indi in poi sinonimo di Demonio ; e però nel nostro caso chiamar gran vermo Cerbero era lo stesso che chiamarlo demonio, qual era in effetto. — 11 Biagioli, meco accordandosi nello scartare le vùsteriose idee de' co- mentatori , che vogliono che Virgilio acquietasse Cerbero colla terra per significare che i' umana carne , di cui Cerbero è bramoso., non è altro che terra ^ crede poi che Virgilio si servisse della terra ce per- ii che non avea seco né la focaccia della Sibilla, con ch'ella affrenò il « furore del fortissiino cane, né la lira , col suono della quale lo legò « Orfeo». Ma se Virgilio non avea né la focaccia, né la lira, non aveva egli quel parlare onesto, in cui si fidò tanto Beatrice, da rac- comandare a lui solo ( Inf. e. n.) lo smarrito suo amico? Non avea egli la virtù de' carmi, per la quale potè scendere nel cerchio di Giuda , e cavarne uno spirito, a requisizione della maga Eritto? (Inf. e. ix. ). La natura insomma spirituale o fisica non gli dava altri mezzi da pla- car Cerbero , fuorché un pugno di terra ? — Ma chiudiamo questo novero di Commentatori con q^uello, che è dirittamente giudicato il miglior di tutti, vuò dire il Lombardi (i). E lasciando slare la solita spiegazione, (i) Venne poscia in luce JlCommenlo dell'illuslrc Tommaseo , il quale nota alla parola terra: mostra la viltà della Jìera , cioè del vizio... E la ragione che vince la fiera vile. - i55 da lui pur ricantata, che Virgilio con quell'ano aljbia voluto significare , che l'umana carne di cui Cerbero era bramoso^ non è in sostanza altro che terra, lasciando, dico, questa trita epiegazione, già da noi rifiutata, e venendo a quella che tutta è del Lombardi: Trarrebbe forse Dante ( egli dice ) redarguire tacitamente la gentilesca persuasione di Virgilio, che si potessero dagli uomini i Demonj ingannare ^ e nel tempo stesso far capire^ che la umiltà intesa per la terra fé qui cita la Cornucopia del Perotti ) sia lo scudo più valevole contro quelli spiriti superbi? Ma se l'umiltà è buona per vincere i Demonj ne' casi orJinarii della vita , esser noi potea nel caso singoiar di Virgi- lio, il quale disceso colaggiìi per disposizione dei cieli, ben lungi dal mostrarsi umile e rimesso, tutta anzi dovea spiegare ( e la spiegò in varj incontri) quella onesta franchezza, e quella santa baldanza, che è propria di uno spirito , il quale si muove ed opera per lo volere istesso di Dio. Veduto adunque come gli spositori della Divina Commedia, o non abbiano dato di questo passo veruna spiegazione, o l'abbiano data torta e fallace, io m'ingegnerò di darne una, che meglio ci apra la mente di Dante, e meglio si accomodi al grande concetto del suo poema. E qui sul primo ricorderò, che l'andar che fa Dante all'Inferno è un andar fatale (Inf. e. v. ); è un andare, cioè, ordinato e voluto da Dio medesimo, supremo moderatore de' fati. Ora ciò, che Dio, come causa prima , ha prefisso ne' suoi eterni consigli , da niuna causa secon- daria essere può in modo alcuno impedito o tardato. Però noi veggianK), che Virgilio, il quale nel misterioso viaggio di Dante è l'esetntore di questi divini consigli, a Caronte ed a Minosse, che si sdegnano di ve- dere un uomo vivo penetrar nel regno de' morti, Virgilio, dico, altro non risponde, se non che vuoisi così colà dove si puote quel che si vuole; ed a Pluto dà la stessa risposta, se non anzi più amara, perchè gli ricorda il luogo, dove l'Arcangiol Micbiele gli ha fiaccalo le coma. Ora qui veggiamo Cerbero , che pur egli fa ogni sua possa per atterrir Dante, e per rimuoverlo dalla fatale sua andata. Ma qui Virgilio spen- derebbe vanamente le parole, che adoperò sì utilmente con Caronte, ronMinosse, e con Pluto; perocché una bestia, com'è Cerbero, è inabile a capire l'unian linguaggio. Qui adunque ci vuole un modo più sensibile per render capace quel mostro della volontà suprema di Dio; e questo r56 modo sarà un pugno di terra , che Virgilio gli gitterà in bocca. V ha egli nulla di più comunale, v'iia egli nulla di più spregevole al mondo di un pugno di terra? Ma questa poca terra in mano di Virgilio (che in quel punto , lo ripeto, non è altro che un ministro de' voleri divini ) opererà tal prodigio, da far che Cerbero , di rabbioso e crudele che era prima, deponga incontanente i latrati e la rabbia, e lasci andare i due poeti a lor via. E cosi Dante , il quale sappiamo che era peritissimo nelle sagre carte, mettea in atto quella dottrina dell'apostolo: che Dio elegge le ignobili e spregevoli cose del mondo, e (fucile che non sono , per distruggere quelle che sono. Ma ciò non basta. O io m'inganno, o un più alto concetto si racchiude in quel pugno di terra, che basta a racchetare il favoloso can degli abissi. Dante volea fare un poema, non che politico, religioso; il triplice stato delle anime nell'altro mondo, ed infiniti passi della Divina Commedia ci rilevano a bastanza questo suo cattolico intendi- mento. Ora Dante, fedele a si fatto principio, dovea in più occasioni dimostrare, che gli esseri mitologici introdotti nel suo poema aveano perduto, dinanzi al lume del Cristianesimo, tutto quel prestigio che aver poteano presso gli antichi. Osservate in fatto il Caronte dantesco, e raffrontatelo col virgiliano. Virgilio ve lo rappresenterà bensì squallido e irto, ma però sempre Iddio: Jam senior.^ sed cruda Deo, viridisque senectus ; onde si vede il torto che ebbe il Caro, quando tradusse: Caron dimonio spaventoso e sozzo. Ma vero dimonio è bensi il Ca- ronte dantesco , (imitato in ciò dal Dante della piuttura nel suo famo- so Giudizio) che punge Dante di amare parole, che batte col remo chi s'indugia a montare, e che per ogni nonnulla dà nelle furie e im- bestialisce. Osservate parimenti il Minosse virgiliano. In quei due versij « Quaesitor Minos urnam movet; ille sileotum C( Conciliumque vocat, vitas et crimina discit; « chi è che non ravvisi di tratto , e non riverisca in suo cuore la maestà di un severo giudice , al quale gli Dei hanno imposto il sacro incarico di amministrar la giustizia in loro vece? Ma il Minosse dantesco è tutto altra cosa; non fosse altro, che quella smisurata coda, la quale e' gira e rigira intorno al nudo suo corpo, per segnare a ciascun dannato il suo cerchio d'inferno, basterebbe pur essa per dimostrare, ch'egli non appartiene già alla nobile famiglia degli Dei, ma bensì al turpe sluol de' dimonj. Veggiinsi finalmente le Furie di V^irgilio, le quali tormen- tan le anime de' reprobi , e in quel crudele lor ministerio si manifestano vere Dee, quali la poetica e mitica dottrina ce le ha sempre rappre- sentate; veggansi queste Furie nel Prometeo di Eschilo, dove sono qual cosa più che Dee, perchè ministre, insieme con le Parche, del Fato, e superiori per conseguenza al medesimo Giove; e poi si con- frontino con le Furie dantesche, le quali martoriando i peccatori, mar- torian anche se stesse, fendendosi il petto con l'ugne e battendosi con le palme; il che non farebbono, se Dee fossero, poiché la natura di- vina non ammette verun dolore. Ma Dante e in Caronte e in Minosse e nelle Furie non venerava già degl'Iddìi secondo la stolta credenza gentilesca , ma raffigurava bensi de' dimonj, secondo il vero dogma cattolico; e però, se come dimonj potevano infierire negli altri, non doveano alla lor volta essere eccet- tuati da quelle pene, a cui tutti indistintamente sono condannati i jieccator nell'inferno. Che se Dante non rispettò né Minosse, né Caronte, né l'Eumenidi , pensate se dovea poi rispettar Cerbero, e non mostrare anzi, con quella terra che gli fu gittata in bocca, che è passato il tempo in cui egli ci spaventi con le sue zanne e ci assordi co' suoi latrali. E come no, se in altro luogo ( Inf. e. ix. ) egli ci dice di questo cane infernale, che porta ancor pelato il mento e il gozzol II che non può certo intendersi che di quella misteriosa catena , alla quale fu messo dal divin Redentore, quando scese trionfante nel limbo. Da quel punto crollò e cadde quell'edificio mitologico, che la stupida umanità avea venerato per tanti secoli ; sui rovesciati templi del bugiardo Giove si rizzaron gli altari del vero Iddio; un sagrificio senza sangue, un Agnel senza macchia tenne il luogo delle antiche vittime immonde; a' turpi fatti delle superbe Giunoni e delle Veneri impudiche successero gl'intemerati esempli della più pura tra le Vergini e della più umile fra le ancelle; e le favolose metamorfosi cantate da Ovidio disparvero di- nanzi alla trasformazione adorabile di un Dio fatto uomo. Ora Dante, che non era meno studioso di Virgilio, che delle sacrosante Scritture ; Dante che dovea esser salutato sì qual poeta e si qual teologo; Dante che morse qualche Papa come Ghibellino , ma sempre gli rispettò come i58 Cattolico; Dante che in prova della sua fede cinse i lombi dtlla ]ieni. lente fune di san Fi-ancesco , che fondò la invenzione <■ "■ Il sacerdozio spesso asilo di coloro a' quali non sorrideva fortuna o non cb!)ero nobiltà di legnaggio, il sacerdozio argomento della gran- dezza di tanti ingegni solenni nati in modeste condizioni di fortuna i64 accolse lo Svegliato, il quale veslitc le iiurgrie clericali in età di undici anni entrò ad erudire la mente nel seminario di Padova che serbava intera la nominanza e la gloria du' (empi andati. Egli fu sempre dili- gente amatore dello studio e una dille più helle fperanze de' suor maestri, finita l' educazione sagralo sacerdote fu elello ad ammae- strare i minori, prima nelle graramaliche poi nelle umane lettere. Lasciò per dite anni le scuole del seminario e fu professore tempo- raneo di archeologia, biblica e lingue orientali nella universilh di Padova , quindi professò sublirno eloquenza nel seminario , il clit; suole addomandacsi , maestro d" accadenna , degno successore del Costa e del Cesarotti. Era sapiente avvedimento x\e\ seminario 'he coloro i quali venivano scelti a maestri delle più nobili disci])li- ne cominciassero a tenere le scuole inferiori e cosi s' educavano alla pazienza prima dote d'un maestro, cosi il buon metodo, tanta par- te del buono insegnamento , si faceva abito in loro. Ed era inoltre quasi una religione che nessuno straniero salisse le cattedre; dal che nasceva nobile emulazione fra gli alunni, e l'istituto aveva in se medesimo i germi della florida riproduzione per la quale si acquistò tanta rinomanza. Coloro che vi passavano la più bella jiarte della vita lo amavano quasi una patria, dove la memoria delle glorie pas- sate parla all'intelletto jiarole di gloria, e all'animo parlava parole d'amore il sovvenire dell'adolescenza e dei vergini e caldi sentimenti che le sono compagni. Perciò furono visti uomini sommi ivi educali rifiutare dignità e interessi per vivere e morire tranquilli dove avea- 110 passata la gioventù, simili a coloro che innamorati del jia trio loco, paghi di moderalo censo antepongono quello ad ogni più splendida dimora, questo ad ogni più splendida fortuna, contenti dell'onorata independenza nel casolare natio, beati di requiare neUe tombe dei maggiori. Del qual affetto per il seminario, lo Svegliato soleva spesso farmi parola, e sebbene avesse ammigliorata la projiria fortuna noi lasciò se non dopo treni' anni di continuo soggiorno e l'orse non 1' avrebbe la- sciato fino a che gli fosse bastata la vita. Spesso mi ricordava le prische glorie e le opere illustri di quel caro ricetto della sua giovinezza , spesso mi favellò del culto scaduto della lingua del Lazio, e di se modestamente tacendo, ripeteva il nome del sommo fra i latinisti 165 viventi, Giuseppe Furlanetlo , e lamentnra lor perdita fatta dal se- minario coir essersene ritratto anche questo S|ilendido ornamento. III. Io non scrivo la vita dello Svegliato , perchè anch' io credo particolari della \ila d'un nonio di lettere e di scienze vissuto in modeste sorli non essere importanti ove non si collegllino colla storia delli studi da lui professali , od abbiano influsso sugli avanzamenti deiii studi istessi. Dissi brevi parole intorno alia sua educazione, ed ora favellando degli scrini suoi , se lo chiamo maestro e scrittore eccelleiile nella lingua del Lazio mi francheggia la sentenza di quel- l'ingegno illiiblre e animo onesto e caldo del vero che è Kicolò Tom- maseo {a), e ne fa chiara prova quel carme che lo Sveglialo dettava nel 181G quando Padova per dare segno di ossequio a Francesco I. Imperatore e Re gli offeriva magnifici spettacoli notturni. Sorge in quella nobilissima città un edifizio , vasta e stupenda mole , nionu- mcnlo di quello potevano ed hanno fatto gì' Italiani, quando diradala la seconda barbarie, racquistarono le perdute franchigie. Quella vasta sala, nella quale i liberi cittadini deltarano libere leggi, e si mini- strava la giu!;tizia , fu tramutata in un momento per 1' ingegno di Giuseppe Japelli architetto in un giaidino ridente d'alti alberi e lìo- renli verzure nel quale fra gli zampilli delle fontane stava una splendida reggia. Questo prodigio fu argomento al carme dello Svegliato che suona nviesloso al paro di quelli de' poeti del secolo d'Angusto, alli splendidi concelli rispondendo gli esametri dei quali sono vestili. Padova lieta per la presenza del ^Monarca , Padova seniore di Roma, piena di vetuste memorie, ricca di suolo ubertoso e di industrie, impone a suoi genii d' apprestare uno spettacolo degno dei suo nome per attc- stare la reverenza al Princi[)e e mostrargli come in lui riponga le sue speranze. Il luogo e i monumenti che vi si accolgono scaldano il poeta clie rammenta la santità della magna aula , e lo storico sovra- no clic se non l"u grande filosofo , altri però noi superava ancora nella magnificenza del dettato e reltiiudine dei sentimenti. Ricorda quella donna illustre Lucrezia degli Obbizi, l'immagine della quale sorge de- gnamente presso quella di Tito Livio th' ella meritava per isterico, se jiari nel nome alla Lucrezia di Roma fu maggiore nell'atto, perchè (a) Vedi r Autulogia di Fireoie. bello le parve anlivenire l'infamia colla morte. Né il poeta obblia il ram- memorare , giusta r opinione di molti , Giotto avere istoriata le pareti ilei vasto loco traendo argomento ed ispirazione dal suo amico Ali- ghiero in que' tempi in cui gli artisti non avversavano a' sapienti anzi chiedevano loro utili consigli ed ammaestramenti, e le arti, sennon erano arrivate all'eccellenza, pure vergini ancora traevano dalla reli- gione e dalla verità i tipi ed i suggelli delle opere loro. Viene quindi la descrizione de' nuovi giardini e della nova reggia ed il poeta trionfa. Basterebbero questi versi dello Svegliato per istabilirne la rinomanza, poiché tale qualità è nella poesia che pochi versi eccel- lenti recano il ncHiie d'un poeta alle età pii!i remote e lo eternano. Questo carme dello Svegliato fu il secondo che desse alle stampe, avendo nel i8i3 pubblicato dei bei versi l'argomento dei quali era l'an- tro di Trofonio. Il suo uffizio di maestro d' accademia lo obbligava a stendere ogni anno tre serie di componimenti questi tulli in versi ed in lingue differenti Latina cioè, Italiana, Ebraica e Greca; i quali componimenti formano le tre accademie, due privale una pubblica che servono d'esercitazione e modello agli scolari. Da questi compo- nimenti ne scelse tre e li diede in luce quando il suo diletto discepolo Cesare Marini si conventò in ragione civile nella università di Pado- va. Due sono italiani, il terzo una ode Ialina sul potere della poesia, felice imitaxione di Orazio che narra antichi prodigi con antiche pa- role. E le principali fra le sue poesie latine delle accademie stampò nel 1837 in Palermo quando l'Angelo delia Chiesa di Monreale Mpn- sisnor Arcivescovo Domenico Balsamo ra\ea cliiamato prefetto delli studi e professore di eloquenza del suo seminario. Queste jirose sono precedute da epigrammi, uno in onore della novella sposa del Barone Mortillico de' Rlarchesi di Villarena per le nozze del quale fu stam- pato il breve volume , che sarà la pietra angolare della fama per lo Svegliato , col secondo invila il valente pittore Palana a ritrarre la sposa, e col terzo mostra la sua esultanza per la felicità dell'amico che impalmava bella e virtuosa giovinetta. I quali epigrammi spirano le "razie del cantore di Lesbia ed in uno la gioconda gentilezza d'A- nacreonte. TSei componimenti che seguono egli si fa conoscere sommo Mastro in ogni maniera di versi latini. Solenne suona l' esametro Vir- giliano nel carme di Curzio che si getta nella voragine sacrandosi alla patria, e comincia colle magnifiche parole; 167 Heu ! fuit haec nobis, tuit hacc laus Itala qviondam Rlagnanimis ausìs, clarisque per ardua factis Aeternum nierecisse decus , seadisque futiiris Faecundas lauriis et niagiium Iradere nomen , Scilicet innumeros quando liaec pia tejra Camillos, Et Fabios genus aci e virum, sauctumque Calonem , Et Cossum, et Paullum , aut geminos, duo fulmina belli Scipiadas tulit, et IManli, Drusiqiie sccuies. At iiunc quandoquideni longo consumpla veterno Jamprideni infelix nostra liaec conlabuit etas , Et prisci cecidere animi , lateque per orbeni Ejectum ingenium virtusque facessere jussa est, INos veterum facta liaud sognes repelamus avorum , Qua fortuna binit , quantum est concessa facultas. A questo caime succede la mesta elegia foggiata su quelle d'Ovi- dio, colla quale San Luigi Re di Francia cattivo fra i barbari narra la sua miseria al figlio Filippo, e lo ammonisce, e con affettuose pa- role la madre gli accomanda ed i suggetti. Tre odi vengono poi; in una stupenda e ardita, il poeta canta le laudi di quell'uomo che mo- strò di quanto sia suscettivo l' umano intelletto, si levò sino agli astri e ne segnava il cammino, da un pomo cadente divinò la legge dei gravi, per il prisma partiva in sette un raggio della luce onde si ve- ste e s'abbella l'universo. Ad Isacco INewtoii, argomento della prima ode, segue Torquato Tasso nella seconda; e lo Svegliato mette in Locca di Sperone Speroni illustre Filologo del XVI secolo dolci e assennati documenti co' quali lo consiglia a non lasciare le quiete spon- de della Brenta per iscagliarsi fra i vortici delle corti. Ma la fortuna avversa incalzava il cantore delle armi pietose, e gloria ed amore do- veano trafiggere quel cuor generoso quell'intelletto divino di quante amaritudini possano far misera la vita ; e se nell' estrema ora vide brillare un raggio di luce, fu segno che Iddio dopo tanti danni gli apriva i gaudi del cielo ed in terra accordava alla sua memoria il retaggio d'una fama che vivrà fino a che durino i secoli. Argomento della terza ode è la tortura, iniquo avanzo di tempi e costimi! bar- bari, e i cruciati de' miseri cui pareva dovesse uscire di bocca il vero Ira jil. sj atinii eJ i loiiv.tiil:. 11 jioola ricorda un' altr:i gloiia di qiie- Ma iioslra le]i;t , Cpsare Ijtcturia al sepolcro ùi cui veglia ci;stode 1 iiaiajii.à raccuusulala , la quale per lui \idc ilislrulta uua tlclle sue taiilf niiseiic. Dopo If oJi \iciie una elegia nobile e Jignilosa tome quelle di Scilo r'ioj)erzio nella quale fi mostra T importanza dell'educazione Pe\cra siccouie presso i Romani. 11 giovane che quasi un nume teneva il padre, da' lauri domestici dalle avite virtù ed tf empii trasse quella ioìigaiiime j)azicti?.a dell'avversa fortuna, quel magnanimo uso della ])ros|)era e so\ra tulio quella religione e carila della patria per calla nostra Ieri a iu dominatrice dell' oibe. V. perchè alle glorie antiche d'Italia lo Sveglialo volle aggiungere alcuna ricordazione delle moderne, cantò la morte di Sisara dipinta da Rafiliello, Ertole ciie scoglia Lica in mare scolpilo dal Canova, quasi rafi'ionlando le maraviglie di quei due da quali s'ingemmò il serto della madie nostra di sì preziosi giojelli , qr.el sei lo the taula e si lunga avversità di fortuna non seppe distruggere. Più ardua prova tentò lo Svegliato imitando Terenzio in un dia- logo fra un amatore delle latine cose e parole da un Sosia , immagine degli jonoranti , messo in ischeruo. Tentò anche l'imitazione di Ennio mostrando le misere sorli dello schiavo romano, quasi vile giumento obbligato a muovere la mola pel suo padrone. 11 prezioso volumello è chiuso da un e|iigramma col quale liei giugnere in Sicilia il poeta salutò questa nobile regina delle isole italiane, ultima per luogo fra le regioni in cui la terra nostra è parlila, fra le prime per la eccel- lenza degli uomini e dei monumenti, per le venerande e care memo- rie, sacre per chiunque senta correre nelle vene il sangue Ausonio, e non abbia tcordate le grandi imprese e fermo volere e generoso ardire che fu nei maggiori. Io non favellai di un carme dello Svegliato sulla Pulzella d'Or- leans, |)ur ho pensato di recarlo iniero in questo luogo per ornamento del mio discorso a pruova e alla verità delle mie parole. Ut merita est, dignis tandem sua crimina flammis Eluat, et fraudes saga nefanda suas. Eluat ah noslras disjectas saepe phalangas, Liberaque infernis moenia facta notis. 169 Haec passim Angligenae; mulloqup satellite cincta Ibat ad insigneni capta puella necera. Errabant fusi per candida colla capilli, Pulchrior in maesto sederai ore color. Totaque talis erat vultuque habituque videri, Posset ut hjrcanas i)la movere feras. At non Cambriaco prognatas vertice tigres, At non praedones, insula avara tuos. Ausi etiam captae (probrum!) insultare pucUae , Ausi foemineas implicuisse manus. Quae simul ac densas flammarura accessit ad undas, Vidit et adversos, ultima fata, rogos, Restitit, et penitus concusso pectore inhorrens Obruit indignas imbre cadente genas. ' — a Heu nec natales iterimi mibi visere campos il Nec dulcis dabitur culmina parva domus? ii Nec dabitur miserae perituri funere acerbo « Supremum patris colla tenere mei? Turbato hacc secum paulisper corde volutans Fulmine perculsae palluit adsimilis. Tum , subito ignavum velut indignata dolorem, Et primum imbelli pectora tacia metu , Obvolvit late vultus , inimicaque circum Prospectans lentis agniina luminibus, O igitur quid statis adhuc? jam pergite, clamat, Pergite, magnanimi fortia facta viri. Non haec laus ingens, non clarus ab hoste triumphus Virginia invalidum fune inhibere latus; lUam et , quam medio versantem in turbine pugnae Numquam ullus valuit proruere Anglus eques, Nunc propriis exutani armis, et compede onustam Indeplorato perdere supplicio? At non quae campii toties interrita apertis Oppetere audebam mille pericla necis, Non ego, quae vestras disjeci invicta phalangas , Ceu quondam patrium muta per arva gregem , 170 Non ego viva velini lellio praeferre calenas , Aut mage quam gladios exlimuisse rogori. — O patria ! o nosU-i lux cima , et gloria regni , O mihi servati principis alma fides, Accipite hanc animam , ncc qnas sub funcris lioram Virgo vovet patriae respuile exuvias. Haud ego Vc'^na loquor: jani pulvere, et ossibiis islis Exsurget vindex funeris ira mei. Jam jam cogeris lellure excedere nostra Cogeris scopulos, Angle, redire tuos, Nempe hinc virgineo dotabere sanguine, nempe Ampia feres tanti proemia flagilii, Perjuri Deus, ecce Deus, te fcederis nltor Ignotis striato jam petit ense locis. Jam semel atque iteruni tu regimi indigna tiionim Funera conspicies, Iruneaque colla solo: Littora litloribus contraria, fluctibus undas. Civili liorrentes saepe cruore lares, Donec cocca dolis, fastu et Ijmpliaia superbo^ Viribus ipsa mas, gens male fida, tuis. — Sic ait, et placido prospectans lumine Coelimi^ In medios ignes praecipilata ruit. O patria, o cives .' sumniae gemuere favillae O patria, o cives! reddldit aura fremens. At caeca impietas diris furibunda nefàndis Innocuos cineres , ossaque casta vovet. IV. Questo Giambattista Svegliato toccò con maestra mano lulte le corde della cetra latina e sarebbe stato anclie meritevole di salire in sui rostri e favellare a' Quiriti, né Ortensio, Antonio, Cicerone l'avrebbero tenuto indegno compagno. Treoraiioni, latine, egli dava ai torchi una sulle lodi delia pietà, le altre in onore di Lorenzo Mar- tinelli e Giovanni Coi. Breve semplice è l'elogio della pietà, numeroso e terso lo stile, nobili i pensieri. La pietà colle sue opere svariate forma il nesso che l'uomo all'uomo congiunge, e dall'amore di Dio scende all'amore dell'uomo, forma ed ammigliora l'umano consorzio. 171 L'orazione è immaginosa, pure non"è varcalo quel sottilissimo limite, e quasi direi linea geometrica rhe l'oratore parlisce dal poeta. La quale linea l'aratore deve sentire da se meglio che altri vaglia a mostrar- gliela, e superata no avviene un guazzabuglio' il quale non direi prosa, tanto è lontano dalla semplicità, prima qualità della prosa ; né la chia- merei poesia, perchè io sono di quei che tengono non essere vera poesia quello non abbia la forma dei versi. 11 Martinelli fu maestro, sacro oratore rettore del Seminario, Ar- ciprete d'Este , Canonico di Padova. L'oratore mostra la dignità del- l'aspetto esser l'apice delle qualità- in un uomo eccellente , lo specchio in cui si rifrangono e pel quale si presentano più luminose. Per la dignità che era nel Martinelli tutte le sue virti!i e l'ingegno rifulsero maggiormente nel tramite della sua vita conservata agli altari e al be- ne de' fratelli. 11 mostrare le qualità dell'animo ed ingegno del Mar- tinelli non mai scompagnate dalla dignità e per la dignità fatte più ciliare ed utili, ecco l'assunto dell'orazione nobilissima, ciceroniana. E ben avea ragione lo Svegliato di far soggetto al suo dire la dignità, perdio la vera dignità dell'aspetto della persona e della favella è ra- rissima. Dico della dignità che non sia larva colla quale l'orgoglio si maschera, e non sia scompagnata dall'umiltà e affabilità, per le quali chi è posto in alto Sii'rà sempre amato dai soggetti, caro agli uguali, e rispettato dagli emuli e gl'invidiosi. Giovanni Coi vis3e quasi un secolo, ebbe sempre ospizio nel se- minario da lui retto per lungo tempo. Fu uomo dotto e solerte e in tempi difficilissimi) salvò il seminario quando il turbine superava l'Al- pe, il bagliore della folgore fu tenuto quasi aurora di giorno felice per questa nostra Italia, ed in vece frenarono nuovi stranieri che pro- mettendo libertà ed ugualità distrussero alcune nazionali signorie, e i nostri credettero loro scordando il vero e grande interesse della pa- tria. Ma qualunque sieno le condizioni della patria l'ottimo cittadino può recarle giovamento col reggere onestamente quella parte della cosa pubblica a lui coiffkiata. Tale fece il Coi .^ e lo Svegliato lo mostra uomo pibblico sa^vio ed accorto, uomo privato virtuoso e modesto a nuli' altra glori» agognante che a quella di bene meritare del suo paese, nuli' altro pi-cnrira) 'chiedente . che quello venuto dall'adempimento dei propri do*ori. (Figii favella del protettore della sua gioventù, del suo 172 padre secondo , lascia libero sfogo all' animo e desta in altrui que'sen- timenti clic gli poneano sul labbro la parola. Queste tre orazioni sono di pubblico diritto, ed io m'asterrò di favellarne più a lungo. Ma duolmi non sia di pubblico diritto rorazio-: ne letta nella Chiesa del Seminario per i solemil funerali del Marchesa Federigo Manfredini, il quale legò ai seminario di Padova la sua rac- colta d'opere d'intaglio, ed a quello di Venezia la sua pinacoteca ponendo sotto l'egida del santuario quello che fu il più bel frutto raccolto nella sua vita faticata, e gli rallegrò le mule ore della vecr chiezza negli ozi della sua villa solitaria. In questa orazione lo Sveglialo é sommo, e dissero severi ed imparziali giudici che per poco non la si crederebbe opera di chi scrisse il sogno di Scipione. Egli parlava der guarnente d'un uomo che sotto a' suoi occhi vide spiegarsi la tela di un mezzo secolo sulla quale sono dipinti tali e tanti avvenimenti da superare quelli di molti secoli. Il Manfredini fu de'princlpali perso- naggi storici del. suo tempo, né la storia ancora il pose nella luce che meritava. Difficile era, senza ollendere le passioni dei contemporanei» difficile era il parlare francaiaiente di lui ora levato in alto dalla for- tuna ora sprofondato negli abbissi , sempre maggiore della fortuna, ingegno singolare, puro di cuore e di mano. Voglia Iddio che non sia perduta l'opera dello Sveglialo ed il Manfredini abbia un monur mento degno del suo merito. Fu egli grato a Giuseppe, ed a Leopoldo, maestro di Francesco Augusti, ministro di Ferdinando Gran Duca di Toscana e quella bella parte della patria nostra, vide rir lucere lo splendore dei Medici senza le turpezze e le vergogne dei Medici.. Uomo singolare cui mancare di fede fu creduto atto sleale da queir Italiano che quasi domava il mondo , ma si scordò sempre che Corsica è Italia. E fu il Manfredini di sincero consiglio, protesse le belle e le utili arti onde si orna e s' ammigliora l'umana famiglia ;. per lo splendore della condizione per l'altezza del potere non superbì mai né insolentiva,, per le mutate sorti non mai fu visto chinarsi^ fatto sicuro della rettitudine della propria coscienza. Non perseguitò persona, ma i buoni confortare nel retto sentiero, raddrizzare gli er- ranti, far ravvedere i malvagi, provvedere al bene vero de' sudditi sti- mava somma arte e sommo scopo del pubblico reggimento. Egli ot- tenne il massimo guiderdone alla virtià dei grandi scaduti dal potere. vedersi conservale le antiche amicizie, sapersi amato e desiderato dai suoi dipendenti. E quando moriva lasciò solenne ammonimento della vanità in die teneva le umane cose, se visse da grande fra grandi ordinava d'essere sepolto da posero fra poveri sotto le umidi zolle nel cimitero del villaggio dove s' addormì nel Signore. Federigo Man- fredini splendido benefattore di que' luoghi fu certamente più contento di un umile avello bagnato dalle sincere lagrime dei contadini, di quello sarebbe stato d'una statua nel foro o nel Panteon. V. Ma ora che ho finito di favellare dello Svegliato siccome scrittore latino, prima che altri il chieda, domanderò io primo quale sia l'utilità di questo studio, se debba tenersi come analogo a' bisogni del secolo e della nostra nazione. Lo Svegliato mi risponde con questo brano della lettera colia quale dedicava il volumetto de' suoi versi la- lini al Barone Mortlllaro de' Marchesi di Vlllarena: 55 Posciachè la ce non sia questa l'aurea eia Medicea ed il bisogno del secolo ben il altro domandi che latine poesie : tuttavolta agevolmente inducevami « a credere che io sarei liberalmente perdonato se dalle Padovane « scuole passando a sedere sulla Cattedra di Murena e degli illustri (( successori avessi procacciato di far palese che io pure aveva buon (( tempo sagrificato alle muse latine, e bruciato qualche grano d'in- C( censo al simulacro dell' augusta favella. Con che di vantaggio anche « a questo mirava di bandire per avventura qualunque sospetto che io » pur fossi nel numero degli apostati e che predicando lo studio della «lingua Italiana intendessi scemare riverenza ed amore alla latina, e « parteggiassi cogli incauti che ne vorrebbero disdetto ogni culto. C( Ah ! no, cessi il cielo la brutta vergogna, né lo straniero abbia a tampoco a gloriarsi di averne anche questo resto involato delia pas- ci sala grandezza. Facciansi pure coscienza gli Ilalici ingegni che «santo è il dovere di scrivere italianamente: infamia, maledizione « caggla in capo a qual sia che non conoscasi del patrio linguaggio e (< non ami , non onori , non senta il vulgare di Dante e di I\Iacchia- II velli. Ma se qualche ingegno privilegiato sappia pensare e scrivere U Romano , se valga alcun generoso , e saran pochi , significar colla a lingua Romana affetti e sensi Romani ed ispirarsi al verso che Iu- te siiigava i superbi Quiriti e consecrava i fasti del valore e della libertà, « perchè anziché lode qui pure in Italia , dove lapide e monument' ' 74 « ad ogni passo ci annuiizuiuo die lummo Romani , n avrà ditprezzo (( e muligno riso? Fin qui lo Svegliato, ed io mi fo oso d' aggiugnere clie non avrà disprezzo e maligno riso sennon da quelli, ingegni meschini , ai quali lo aver lelLo alquante scritUire di autori stranieri , lo averle messe a ruba per darle iu luce con veste, che tengono sia italiana perchè rabescata d' alcuna parola vieta o frase di un dialetto della nostra fuvclhi , porge 1' intimo convincimento della propria dottrina o del diletto che recano ad altrui. Spregiatori delli antichi senza conoscerli che poco o male, non sanno di quanta importanza sia lo studio delli antichi per 1' interesse della nazione e per provvedere a suoi bisogni. A noie duopo avere una poesia solenne e calda, che dal cuore venen- do al cuore favelli, sia incitamento della virtiì nella quale sta riposta la conservazione d'ogni bene per coloro che sono felici, la speranza del riscatto per coloro che sono contristati e soggiogati dalle sventure. E per noi è duopo avere prose facili popolari , che si diffondano per tutti gli ordini della nazione; istorie sincere sicure che non ci adulino né ci sconfortino.^ fondate su' documenti degni di fede, filosofia sana e conforme ai bisogni della vita. E sovra tutto è necessario per noi il serbiire le qualità e 1' unilà del nostro linguaggio bellissimo acciò sieno conformi siccome la favella i nostri senliinenli, e vada strng» gendosi quella miseria dei tanti dialetti, tris'e monumento delle nostpft tribolazioni. "* Io professo che reputo cecità la servile iaiitazlone degli antichi, ma senio che gli ingegni degli Italiani non jiolranno essere utili alla terra materna se di là non tolgono gli ammaestramenti. INè questa è con- traddizione. Ogni bambino ebbe sostegno alla debolezza dell' infanzia, dal latte materno, e le qualità di questo latte ebbero grande influsso sulle sorti della sua vita. Sarebbe stolto chi volesse che il bambino fatto uomo ogni altro cibo rifiutasse fuor del latte materno , come è stoltezza il volere che colui il quale fu educato severamente sugli anti- chi debba seguirne sempre gli esempli né discostarsene mai. L'edu- cazione severa ed il culto savio degli antichi e spezialmente de' Ro- mani padri nostri , conserva intatto il carattere nazionale dei nostri scritti. Al quale pensiero dirizzino la mente i giovani, e mentre per tutta Europa non è nazione la quale non cerchi di mettere in ono- '75 ran/a i propri sludi., acciò siccome il cielo il suolo i volti e le abilua- lezze sono diversi nei diversi popoli, cosi anche gli studi ne mostrino il carattere diverso , vorremmo noi figli di questo bel paese che i nostri studi abbiano l'aspetto come se fossero d'estrani, cliu perdano la ilsionomia ed il carattere nostro nazionale? VI. Lo Svegliato si ricordava quelle solenni parole: yW/;/ sulla via antica^ e di là osserva quale sia la via viigUore e seguila. I primi versi Italiani che pubblicò erano foggiati sulla stretta imitazione degli . antichi, e sono inferiori a' versi latini pel dcllalo. I\Ia non s'airestò, conobbe i bisogni del secolo , e fatto lungo studio su' nostri scrittori fece conoscere il suo valore. ]Ne fanno Icslimonian/.a le terzine suha morte d'Alberico da Romano, la mesta canzone colla quale piagneva la fine immatura dell'Adelaide Trevisan , rara do/ella, delizia d'un padre amoroso e ben degno di miglior fortuna. Lo Sveglialo movendo dalla via antica seguitò per la migliore siccome il dimostrano gli argomenti delle sue accademie pubbliche conservale nella- biblioteca del seminario di Padova, e dei cjuali ho avuto conosceny.a per opera del dolcissimo amico e caro compagno de' miei sludi conte Giovanni Cittadella , il nome del quale è una lode. I quali sono — I Romani — Canova e le sue opri e — Gli ingegni — L' influsso delle btllc arti — 11 secolo XVIII — 1 beni della religione pel civile consorzio — Le crociate — Il medio evo. Noi dobbiamo imprecare alla morte che rapi lo Svegliato mentre stava preparando una eletta delle sue poesie' italiane, le quali ^ cosi scriveva al suo IMarlni , spero mi torne-ranno ili onore. VII. INIa in maggiore l'onoranza sarebbegli venula se poteva pub- blicare le sue scritture italiane di prose alle quali rivolse principalmente il pensiero, dopo che avea lasciata la cattedra. In breve tempo molte ne dettò, due sole videro la luce delle stampe. La jirima è nel terzo volume dei nuovi saggi dell'accademia di Padova, sulla ragione dell'uso o scadimento della lingua latina e con- ghietlure sul futuro suo stalo. Chiaro è lo stile, franco, puro. Os- serva che sarebbe grande e importante lavoro lo scrivere intorno l'influsso della lingua latina sulle sorli delle nazioni moderne, poiché' ogni nazione per torsi dalla barbarie seconda dovette ricorre*'»- Rgli Scrittori Romani. Ricorda che sebbene la nojslra patHia oMflal perduto uella seconda civiltà l' impero del monilo le rimase il seggio della Religione degli Apostoli , la quale per esser una così nelle liturgie come nello spirito e nella fede, consecrò 1' uso della lingua latina. E poicliè la nostra santa e nazionale religione si diffuse su tutta la terra e la croce fu piantata e adorata dove non era giunto il nome ed il potere dell'aquila Romana, la lingua latina mercè la nostra religione si sparse per tutto il mondo. Fino al secolo XVII la politica e la legislazione usarono della lingua latina ed era insieme comune al sa- pienti i quali per essa conversavano insieme , sebbene partiti da lunghe distanze, vivessero in diversi paesi. Ma la civiltà aumentandosi prese un' altra via , ogni popolo volle fosse posto in onore il proprio lin- guaggio, perchè lutti gli ordini ne' quali s'andavano spargendo le dottrine ])otessero partecipare delli studi. La legislazione e la politica servironsi de' propri idiomi, e le opere dei sapienti furono vestite di tutte le favelle moderne. In tal guisa si minorò il culto della lingua latina, ma lo Svegliato si conforta a buon dritto che vivrà sempre, finché la Re- ligione l'abbia in tutela, alcune scienze e le naturali in ispecie ne abbisognano; finché dureranno i sommi scrittori diRoma, e voglia o non voglia l'età moderna dovrà sempre inchinarsi a loro; finalmente per- chè non è ancora formala una lingua universale che precipiti la lingua del Lazio dal sovrano seggio. Lo Sveglialo chiude il suo dis- corso proponendo alcuni savi problemi sullo stato in cui trovasi la lingua latina , ed i suoi rapporti colla civiltà odierna , i quali sciolti crede che potrebbe essere ricondotta al prisco splendore. Questa dissertazione mi ricorda tre altre dallo Svegliato composte e devono trovarsi fra suoi scritti inediti, la prima sul misticismo e sen- timento religioso della moderna poesia, l'altra sull'attuale tendenza e condizione dell' Italiana letteratura e proposta d' un nuovo corso ; la terza sul romanticismo. La prima , se non erro, egli la lesse nell'ac- cademia di Padova. Egli in queste tre dissertazioni discute argomenti di singolare importanza, si mostra libero da ogni preoccupazione, cerca le cause degli erorri, accenna le vie per consolidare l'edifizio della nostra letteratura nazionale. Non offende con ingiurie contro gli stra- nieri, ma fa conoscere che male s'avvisa colui che crede tutte le letterature convenire a tutte le nazioni ed a tutti i secoli, perchè ogni nazione ha un carattere peculiare, ogni secolo una tendenza. E bene 177 al vero s' apponeva : a noi per esempio che nati sotto questo cielo respiriamo questa mite aure , a noi che fra le ricchezze donate dal Signore al nostro suolo veggiamo sorgere le prodigiose opere dei padri nostri nelle due civiltà, a noi male s'affanno quelle letterature cupe e procellose d'altre nazioni, le quali sono meritevoli di lode osservate giusta la relazione che hanno col carattere e le abituatezze delle altre nazioni. Del secolo poi favellando, si dee osservare che noi adesso non possiamo più sopportare nella poesia le vacuità d'Ar- cadia le ampollosità del secento le adorazioni ai miti antichi, e nella prosa ci movono a sdegno le superfluità del secolo XVI. magnifico di parole, l'irreligiosità del secolo XVIII. vestile di frasi barbare. Adesso per tutta la penisola è amore della nostra lingua, e desiderio di quella sapienza , nella quale stanno riposte le piij care speranze dei popoli , ed alla quale sta il conservarne la gloria. Vili. Pensa taluno che possa esservi uomo valente nell' erudire altrui co' precetti, e chiamato poi ad attuarli, se ancora noi faccia degnamente, si crede ciò nulla menomare al suo merito di maestro. Ma non sarà detto maestro valente colui che non sappia mostrare eoi proprio esempio ciò che insegna ad altrui. Lo Svegliato professa- va eloquenza e fu in vero eloquente; sali il pergamo a dispensare la parola del Signore in modo utile per chi 1' ascoltava , e vestiva la santa morale del Vangelo con parole nobili ed efficaci cotiformi al sentire del secolo , il quale abborre le stranezze e lo stile irto e non italiano. Predicò qui in Venezia nella Chiesa di S. Luca cliiamatovi dai nostro collega don Giuseppe Lazzari paroco dignissimo di quella Chiesa fino conoscitore del bello, e dotto oratore egli medesimo; predicò in Padova , in Castelfranco eletto convegno di generosi spiriti che coltivano con assidua cura gli utili studi. Scrisse di molti pane- girici, parecchie prediche e sarebbe aggiunto alla fama di illustre oratore dal pergamo. Io lo ascoltai alcune volte , e duolmi che la niente rivolta ad altri studi non possa dare contezza delle prediche udite , e duolmi ancor più the nessuna delle sue prediche e panegirici sia di pubblica ragione. La seconda prosa accennata sopra, monumento della sua elo- quenza, è l'orazione funebre per la Maestà di Maria Cristina di Snvoja Regina delle d.ie Sicilie letta nella Cliiesa di Monreale e slam- 2.3 178 pata in Palermo. Difficile argomento a chi guardi la vila di lei die non porgeva argomento a sublime ispirazione. Non poteva l' autore narrare magnanime imprese come se avesse lodata Maria Teresa della quale ella aveva il sangue, che sola e fatta forte dell'amore materno, nel pericolo estremo della sua casa va inerme fra armali e consegna alla fede Ungarica il figlio suo, e mille acciari lampeggiano, ed uno fu il grido di votare la vita per essa, e perchè una nazione unanime ■volle, la sna casa fu salva. Maria Cristina modello di bellezza t; di santi costumi, lieta dell'amore dello sposo, beata di quella felicità cui nuli' altra quaggiù può compararsi , il gaudio d' una madre che vede corona del talamo uà gentile portato , Maria Cristina nel fiore della gioventù pietosamente moriva. La bontà dell'animo io lei è il suggetto del suo elogio; buona mostrandola ne' travagli d'una gio-^ ventù contristata dalle sventure , confortatrice dei parenti quando la casa di Beroldo e d' Umberto scacciata dall' armi straniere lasciò il continente d'Italia e si raccolse in una delle nostre isole, la Sarde- gna , che dopo lunga dominazione di Spagnuoli era toccata in Signo- ria di un Sovrano nazionale. Scelta poi a sposa dal re Ferdinando II. delle due Sicilie , felice del non dover abbandonare la nostra terra , V oratore ce la mostra buona fra lo splendore del trono , sempre inchinata al bene, dìspensiera di soccorso agli infelici, d' ajuto a' pu- silli, regina e umile, severa con se stessa, indulgente con altrui, cri- stiana veramente. E quando scoccò l'ora fatale, egli ci guida al suo letto di morte, buona ce la fa conoscere, rassegnata e serena, sebbene grave angoscia le premesse 1' animo nell' abbandonare tanti suoi affetti, e lo sguardo moribondo errasse sul marito , sul pargoletto figlio per chiudersi mirando al Signore Crocefisso. La bontà è parola comune, non comune la bontà vera, la quale è fiore e fragranza di tutte le virtù , le fa care ed utili agli uomini. Tale lo Svegliato dimostra la bontà dell'animo, la quale negli ottimi è immagine della bontà d'Iddio: e come la bontà d'Iddio è d'infi- nito vantaggio a suoi figli , così la bontà degli ottimi reca beni gran- dissimi a' fratelli , gli invita al retto ed al bello, gì' incuora alle buone opere ed alla pratica della virtù. Magnifiche sono alcune parti dell' o- razione , altre soavi , e quando egli tocca la corda del dolore non è cuore che non faccia eco alle sue parole. 179 IX. Dopo questa orazione , altro scritto dello Svegliato non fu dato alle stampe, perchè nell'anno seguente a' di la. di settembre iSSy. egli moriva in Monreale. 11 morbo Asiatico che percosse più la Sicilia che le altre regioni d'Italia lo aveva costretto a fuggire fra i monti per salvezza ; ma la sua ora era segnata , ed egli fini per un malore non molto dissimile dal morbo asiatico. Se non potè chiudere gli oc- chi al sonno del Signore in quella regione d'Italia dove era nato, pure non ebbe la tomba in terra di stranieri. Giunse improvvisa la novella della sua morte agli amici ch'erano i più eletti ingegni della Venezia, Giuseppe Barbieri, Giuseppe Furlanetto, Placido Talia, Fran- cesco Maria Franceschinis, quanti altri amano e coltivano gli studi. Ognuno pensi sene lamentassero, ognuno pensi al dolore dei molti discepoli che quasi padre secondo il tenevano! E di vero pochi uomini io credo, sieno stati meglio adatti all'uffi- zio di maestro. Egli studiava le diverse tempre de' suoi alunni, e lo scopo cui dirizzavano la vita. Con metodo diverso insegnava le lettere a colui che si togheva il ministrare nella vigna del Signore di quello sia a colui che doveva orare e giudicare nel foro o scrutare i misteri della natura. Tutti erano incuorati allo studio colle parole e l'esempio; ammoniva coloro cui sorride fortuna che ricchezze, legnaggio, onori scompagnate da culto intelletto sono vanità la quale di se non lascia orma né desiderio; ed ai minori mostrava nello studio la via per la quale sarebbero arrivali a sovrastare agli altri , e qualunque pur fosse la sorte d'ognuno faceva conoscere a tutti gli studi arrecare tali conforti della vita da farne scordare ogni tribolazione. Chiara e fucile era la sua scuola, allettava i giovani al lavoro infiorando i triboli ch« sono com- pagni del noviziato. Fu visto ammaestrare anche donne gentili e per- suaderle che bellezza e gioventù passano rapidissime e la coltura del- l'ingegno conserva quella beltà e giovinezza dell'intelletto per cui meno pesa loro la prima ruga del volto, il capello che primo incanutisce. Queste cure d'ottimo maestro erano compensate dall'amore de' disce- poli , del quale io posso e debbo fare solenne testimonianza. Non fu uno di loro al quale io abbia favellato del maestro e non mi rispon- desse con filiale affetto, e tutti quelli che seppero voler io dettare al- cuna parola per onore di lui antivennero alle mie inchieste col favorirmi notizie e documenti. I quali discepoli dello Svegliato ed in uno i suoi i8o amici io prego allesso che s'adoprino a raccogliere le opere sui per donarle colle stampe a' nostri desideri. L'uomo di lettere giunto all'era suprema vede allontanarsi la terra ed aprirsogli innante le vie interminabili dell'eternità, e prima- che dare l'estremo addio alla vita volge il pensiero a quello che resterà di lui dopo la sua morte. In quell'ora gli corre alla mente il timore- che la sua lama presso ai posteri non sia minorata da quelle fatture- aJle quali non dava 1' ultima lima , quella lima che meglio è conosciuta' da chi l'usa nelle opere proprie di quello sia da chi guarda alle opere- altrui. E trepida ancor più, pel tristo esemplo di ciò accadde a molti contemporanei, trepida che il vile interesse e l'indiscretezza dei' superstiti non frughino ne' luoghi più riposti per trarre dalle opere non- compiute un vile guadagno a scapito della sua fama. A questo pensò lo Svegliato quando legava i suoi scritti ad un Pietro Gambino Sici- liano pregandolo molli ne struggesse, nessuno pubblicasse perchè li- stimava imperfetti. Santo volere è un desiderio dei trapassali e si strug- gano e non si pubblichino le opere imperfetle ed abbozzale dello Sve- gliato. Ma r orazione in morte del Manfredini preparata per le stam- pe, le dissertazioni, molte prediche e panegirici, le poesie delle acca- demie recitate al cospetto del pubblico non devono esser tenute corno- imperfette od abbozzate. Poste che sieno in luce, Giambattista Svegliato avrà per opera de' suoi discepoli e de' suoi amici un monumento pia- durabile che se fosse di bronzi e di marmi, perchè il tempo e la bar- barie guastano e annientano anche i bronzi ed i marmi, e la mente.- degli ingegni eccellenti nelle opere loro vive eterna. Che se il mio prego venga ascoltato , io perdonerò a me slesso la povertà di queste parole, e confido vorranno perdonarla anche quei cortesL che vi prestarono paziente e benigno orecchio. i8i AININOTAZIOKE t^^^a «T^jo . Io debbu alla cortesia elei mio illusLie amico Marchese Xomuiaso Gargallo la nota dei Manoscritti lasciati chili' abate Svegliato, come la ebbe da Monsignor Arcivescovo di Monreale. Stupii del non trovarvi l'orazione funebre del Manlredini , che prima della sua partenza per Sicilia egli mi diceva aveva avuto anche l'approvazione della R. Cen- sura, e quindi pareva dovesse essere [ironia per i torchi; |)er (juanta diligenza abbia fatta non ho potuto trovarne traccia. Intanto mi è lieto di poter qui significare al venerando traduttore d' Orazio la reverente amicizia che a lui ed alla sua gentile famiglia mi unisce, e la quale il tempo e la distanza non potranno sminuire. E poiché favello di lui mi corre debito il ricordargli esser già tempo che doni al desiderio de' suoi connazionali la sua eccellente versione di Giuvenale che riempierà un vuoto delle letlei-e Italiane, e le sue cantiche originali di cui volle farmi sentire la bellezza. Manoscritti di sacro argomento dell' Abate Svegliato. Un quaresimale composto di tre prediche per settimana Elogio della Beata Pcwla Montaldo di Sant'Andrea Avellino di Santa Beatrice di San Crispino da Viterba di San Giuseppe di San Francesco Saverio di San Francesco d' Assisi di Santa Margherita da Cortona di San Vincenzo Ferreri di Sant'Antonio di Padova, quattro elogi ed una novena. di San Benedetto , due elogi di San Filippo Neri, tre elogi Due orazioni per la Inftnacolata Concezione Orazione j)er la Presentazione al tempio di Maria per 1' Assunzione l82 Orazione per la Festa del Rosario per la Passione di Gesìi Cristo per la Corona di Spine per le Anime del Purgatorio per il primo giorno dell' anno per l'ultimo giorno dell'anno Elogio di Lorenzo Martinelli (stampato). di Luigi Montini, Opere profane. Disseriazione sull'uso etc. della lingua latina (stampata). sul misticismo ed il sentimento religioso della mo- derna poesia, sull'attuale tendenza e condizione della Italiana let- teratura, e proposta d'un nuovo corso, sul Romanticismo. Esame critico sulla traduzione delle rime di Viltorelli fatta dal- l'abate Giuseppe Trivellato, sul celebre tratto di Francesca da Rimini, Opere latine Analisi delle migliori orazioni di Cicerone. Esame critico de' Classici Greci e Latini. Poesie. Un poemetto in terza rima sulla Pietà, Altre in ottava rima sulla tratta dei Negri. Molte composizioni latine ed italiane in vario metro e sopra temi diversi. ALCUIXE VARIANTI DEL PER CURA DI BARTOLOMMEO GAMBA TOLTE DALL'UNICO AUTOGRAFO ESISTENTE NELLA I. R. LIBRERIA MARCIANA IN VENEZIA. L E D I T O R E A CHI LEGGE ilessandro Guarirli di Ferrara, che di anni 74 fini di vivere in Padova nel 1745, triLiuò alla Libreria Marciana un Codice concernente le prime bozze e i primi studi sul Pastor Fido, celebre Favola pastorale del cav. Batista Guarini suo pro- zio. Da questo Codice scorgesi quanto 1' Autore faticato avesse l'intelletto prima di dare a così celebre opera quel compimento che poi s'ebbe, e che tale apparisce da altro Codice, pure autografo, che oggidì si conserva nella pubblica Libreria di Fer- rara. Il marciano è stato preso in esame da Apostolo Zeno , da Scipione Maffei, da Jacopo Facciolati, e più diligentemente da monsignor Filippo Del Torre vescovo d'Adria, il quale notando, che costò il Pastor Fido oltre vent' anni di ap- plicazione ali Autore, finì coU'esckunare : in cotal guisa stu- diavano e componevano gli uomini di quel tempo! Dopo il Del Torre deesi a Gio. Andrea Barotti una anche più circo- stanziata relazione, raffermando egli eziandio, che trattasi di scrit- tura originale unica in tutto il mondo (*). Delle moltissime (*) Nella Difesa degli Scrittori Ferraresi (BaroUi, Prose ital. Ferrara, 1770 voi. 3 in 8.V0.) si Ingge la seguente diligente descrizione del Codice: » Dopo due « fogli, in uno de' quali è il frontispizio, e nell'altro la nota de' personaggi della « Tragicommedia, comincia il testo del Pastor Fido senz'argomento, senza prologo « (benclié notato tra le persone che parlano nella tavola) e senza cori fra gli alti. Il Tutto il poema è compilo sino all'ottava scena (secondo la stampa) dell'atto quinto, 11 della quale vi mancano i primi oltantasci versi, siccome la prnullima .n buona (I parte , e l' ultima tutta intera. Questo primo testo è scritto di mano dell' autore , 24 i86 Varianti^ che vi si leggono, ha recato esso Barotti un qual- che brano , ed altro si avrà nella presente stampa ; tuttavia I uno e l'altro tali da lasciare in desiderio che venga fatta più ubertosa messe. Quanto a me da ciò operare desisto, e desisterò d'ora innanzi attesa la poca mia simpatìa per un Autore capo scuola de' poetici deliri e delle acutezze del secento, il quale se seppe talvolta mostrarsi ingegnoso dipintore della più delicata tra le passioni, più di frequente si fece conoscere espressivo e scaltrito nel dar colore agli amorazzi delle Corische. Ed io già anni addimesticai non poco con le Beatrici e le Laure, in nes- sun tempo con le Corische. (; or di carattere andante, or di bellissimo e diligente; salvo la terza scena dell'atto « terzo da quel verso di Amarilli: Assai discreto amante esser potevi, sino alla « fine; e la scena quinta, con tutte l'altre che seguono sino in capo dello stesso « atto, le quali sono d'altra mano, né molto buona; bencLè le cancellature, le « correzioni, e il modo d'unire que' versi, cLe dalle cassature sono divisi e disconti- « nuati, tirando una linea rossa dal fine dell'uno sino a trovare il principio dell'al- " tro, sieno tutti di mano del Guarini medesimo , e conformi allo stile da lui pra- i( ticato ne' fogli di suo carattere. Succedono al poema da venti carte , ora in foglio, K ora in quarto, confusamente accozzate insieme, tutte di pugno del Cavaliere; la (t maggior parte delle quali contengono i primi abbozzi ( benché quasi tutti man- ie canti o di principio o di fine) di varie scene, cioè della settima dell'atto quarto, « della prima , della quarta , della sesta e delle seguenti del quinto , insieme col co- li ro, che termina il dramma. Evvi poi un'idea della distribuzione degli atti e delle II scene, colla materia esposta brevemente in prosa, che in ciascheduna si tratta 11 degl'interlocutori; idea che dovett' essere delle prime, poiché diversa non sola- io mente dal testo stampato, ma dal medesimo manoscritto, nella disposizion delle 11 scene, nella struttura dell'intreccio, e ne' nomi ed impieghi de' personaggi. Ven- (1 gono dietro a queste , altre sette carte in foglio piccolo , nelle quali del pii\ diligente « e bel carattere dell'autore sta scritta la prima scena dell'atto primo, e la prima (1 parlata di Mirtillo della scena seconda, ed è copia lasciata imperfetta dallo stesso « Guarini. Segue finalmente una compita copia di tutto il poema, di buon carattere, 11 ma scorrettissima, e par toccata e supplita di man dell'autore in alcune parole li o mal espresse , o lasciate per imperizia del copiatore ». Uelle sei guise nelle quali cambiò il Guerini il principio nella Sccn;» Prima dell'Atto primo si tralasciano i versi che stanno nel manoscrillo per mano d'esso Autore accecati, e si olirono soltanto le seguenti che sono le due ultime Varianti. Penultima mutazione. Ite voi altri al monte Solleciti.^ Pastori, A preparar la destinata caccia. Cingete il picciol bosco ove s' appiatta Li' alpestre abitator de V Erimanto , Strage de le campagne E terror de i bifolchi, A cui die forse il Ciel V esser sì fiero , E ad ogn altro in sin ad ora invitto. Perchè da me sia vinto, E data oggi ne sia A questo ferro , a questa man la gloria: Ite dunque, Pastori, E precorrendo il dì prima de V alba , Accelerate il passo: Tu meco resta.) Lineo.) E meco vieni intanto A venerar de la gran Cintia il nume ; Seguirem poi la caccia. Chi ben comincia ha già de V opra il mezzo , Né si comincia ben, se non dal Cielo. Ultima mutazione. Oh come a tempo! Ancor non apre gli orchi La sonnacchiosa Aurora. Che più s' indugia? Ite .j Pastori., al monto, i88 Cingete il picciol bosco ^ Ov il dì si ripara a le /reseli ombre L'alpestre abitator de V Erimanto , Strage de le campagne E ferrar de i bifolchi , A cui t esser si fiero, et ad ogni altro In fin ad ora invitto^ il Ciel die forze Perchè da me sia i'into^ E data oggi ne sia A questo ferro , a questa man la gloria. Ite dunque. Pastori^ E percorrendo il dì, prima de V alba Accelerate il passo. Tu meco resta, Lineo, e meco vieni A venerar de la gran Cintia il nume ; Seguirem poi la caccia. Chi bp.n comincia ha già de r opra il mezzo. Né si comincia ben., se non dal Cielo. La lezione adoLlata In tutte le slampe è come segue: Ile voi, clie chiudesle L'orribil fera, a dar l'usalo segno De la futura caccia: ite svcgliaiulo Gli ocelli col corno, e con la voce i cori. Se fu mai ne l'Arcadia Pastor di Cintia e de' suoi studi amico, Cui stimolasse il generoso petlo Cura o gloria di selve. Oggi il mostri, e me segua Là dove in picciol giro, Ma largo campo al valor nostro , è chiuso Quel terribil cinghiale. Quel mostro di natura e de le selve, Quel si vasto e sì fiero, E per le piaghe altrui Si noto abitator de l'Erimauto, Slrage de le campagne E terror de i bifolchi. Ite voi dunque, E non sol precorrete. Ma provocate ancora Col rauco suon la sonnacchiosa Aurora. Noi, Lineo, andiamo a venerar gli Dei; Con più sicura scorta Seguirera poi la destinata caccia. Chi ben comincia, ha la metà de l'opra, ISè si comincia ben , se non d;d Cielo. " Invettiva del Satiro contro Amore .j che forma la intera Scena Quinta dell'Atto Primo. Le Varianti, che offre il Codice autografo, si sono impresse in corsivo. In nota, in carattere tondo, sono le lezioni (he offrono tutt'i testi stampati. Come il gelo a le piante, a i fior l'arsura La grandine a le spiche, a i semi il verme, La rete (i)a i cervi, ed agli augelli il visco. Cosi nemico a l' uom fu sempre Amore , E chi foco cliiamoUo, inlese molto La sua natura perfida e malvagia. Splende il foco e riluce , ed è pur vago (a) A .chi da liingc sol di rimirarlo Prende vaghezza : imitalor del giorno , Che cince l'ombre, e fa fuggir la notte. Di cui non par che, dopo il sol ^ si miri Cosa qua giù più preziosa e bella, Mentre quel che risplende , in lui si mira. Ma se r altra virtù., quella eh' incende.. Tanto o quanto si prova , il mondo tutto (i) Le reti. (a) Che se '1 foco si mira: oh come è vagol Ma se si locca: oh come è crudo! II mencio Non ha di lui più spaventevol mostro; Come fera divora , e come ferro Pungente passa (5) , e come vento vola ; Ciò eh' incontra ruina , e ciò che tocca Fere, frange^ dilegua, atterra e strugge; E dove il piede imperioso ferma , Cede ogni forza , ogni poter dà loco ; Non altrimenti Amor, che se lu'l miri In duo begli occhia in un leggiadro viso^ (4) Jn una treccia bionda , oh come è vago ! Come diletta e piace! oh come è in vista Mansueto e gentile ! come pare Che gioia spiri, e pace altrui prometta! Ma se troppo t'accosti, e troppo il tenti. Si che serper cominci , e forza acquisti , Non ha tigre d' Ircania , e non ha Libia Leon si fero, o sì pestifer' angue Che la sua ferità vinca e pareggi ; Crudo più de l'inferno, e de la morte, (5) Superbo, inesorabile, insolente. Perfido^ disleale bugiardo, ingrato. Nemico di pietà, ministro d'ira, E finalmente Amor privo d'Amore. Ma che parlo di lui? perchè l'incolpo, E seco sol m' adiro? È forse Amore Sola cagion di ciò che'l mondo amando. Amando no, ma vaneggiando peccai No certamente a chi ben dritto mira; Che come il foco , a chi ben l'usa, è buono. Così il foco d'amor, chi ben l' adopra , Di chi r adopra é condimento e vita. (3) Punge e trapassa (4) In due begli occhi, in una treccia bionda, Oh come alletta e piace! oh come pare (5) Che l'inferno, e che la morte 19» Oh feniminil perfidia , a te si rechi La cagion pur d' ogni amorosa iiijamial Da te sola deriva , e non da lui Quanto ha di crudo e di malvagio Amore (6). Pargoletto infelice, or che ti giova Trar da le stelle il tuo principio eterno^ Dar leggi al mondo ^ e penetrar gli abissi^ Se'n breve giro, e poco men d'un palmo Di non so che di colorito, ed anco Le più volte dipinto^ e ne lo spazio Di due pertugi invetriati e tinti Puoi capir tu., eh' a pena cape il mondo? Tu non sì tosto nel bel viso nasci Di vagheggiata e vaneggiante donna , Che quanto hai di gentil e d'amoroso Prestigiosamente ella t' invola. Tutte le vie di penetrar nel seno , E di giugner al cor V empia ti chiude Sol di fuor ti lusinga., e y« tuo nido, E tua cura e tua pompa e tuo diletto La scorta sol d' un miniato volto. Opre tue non son quivi. j o tuoi pensieri (7) Destar l' alvi e a virtù., gradir con fede (6) Ma che parlo di lui? perchè l'incolpo? E forse egli cagion di ciò che'l mondo Amando no, ma vaneggiando pecca? O feminll perfidia , a te si rechi La cagion pur d'ogni amorosa infamia; Da te sola deriva, e non da lui, Quanto ha di crudo e di malvagio Amore, Che in sua natura placido e benigno Teco ogni sua hontà subito perde : (7) Né già con l'opre tue gradir con fede La fede di chi t'ama, e con chi t'ama Contender ne l' amar , ed in due petti Stringere un cor, e in duo voler un'alma La fede di chi t'ama^ e con chi C ama Contender ne l'amare, e far l'amata Emula de V amante , ed in due petti Nudrir un core^ ed in due cori un'alma; Ma tinger d'oro una insensata chioma, E d' una parte in mille nodi attorta Infrascarne la fronte , indi con 1' altra , Tessuta in rete , e 'n quelle frasche involta, Prendere il cor di mille incauti amanti. Oh come è indegna e stomachcvol cosa Il vederlo talor con un pennello Finger un volto, (6) ed occultar le mende Di natura e del tempo , e con qual arte Il livido palor far parer d' ostro ! Le rughe appiana, il bruno imbianca , e toglie Col difetto il difetto , anzi I' accresce ; / Spesso un filo incrocicchia , e 1' un de' capi Co' denti afferra , e con la man sinistra L'allro tien fermo , (7) e del corrente nodo Con la destra fa giro, e l'apre e stringe, Quasi radente forfice , e l'adatta Su l' inegual lanuginosa fronte, Indi rade ogni piuma, e svelle insieme Il mal crescente e temerario pelo Con tal dolor , eh' è penitenza il fallo. Ma questo è nulla ancor, che tanto a l'opre Ben ha (8) costumi simiglianli , e i vezzi. Cosa non trovi in lui che non sia finta ? (9) S'apre la bocca, mente; se sospira Son mentiti i sospiri ; se move gli occhi (8) Le guance. (9) Sostlen (io) Sono i (II) Qual cosa hai tu ctc non sia tutta finta? 193 E simulato il guardo ; in somma ogn'alto , Ogni sembiante, e quant' in lui si vede, (12) E quanto non si vede, o parli, o pensi, O vada , o miri , o pianga , o rida , o canti , Tult' è menzogna; e questo ancora è poco. Ingannar più chi più si fida , o meno (i3) Amar chi più n'è degno; odiar la fede Come cosa mortai^ queste son l'arti (i4) Che ne la scuola d' un bel viso impara ; E, quel eh' é peggio, in quella di Corisca , Bambin quasi canuto, ho iviparat' io! Oh quanti affanni ho sostenuti! oh quante, Per questa cruda, indignila sofferte! Ben me ne pento, anzi vergogno. Impara Da le mie pene, o malaccorto amante. Non far idolo un volto , ed a me credi : Donna adorata, un nume è de llnferno. Di sé tutto presume , e del suo volto Sovra te, che l'adori, (i5) è quasi Dea. Come cosa mortai ti sdegna e schiva , Che d'esser tal per suo valor si stima (i6) (12) E ciò ctc in te si vede (i3) E meno. (14) Pili della morte assai, queste son l'arti Che fan sì r,in(1o e si perverso Amore. Dunqne la colpa, è mia , che ti credei , Malvagia e perfidissima Corisca, Qui per mio danno sol, cred'io, venuta Da le contrade scelerate d'Argo, Ove lussuria fa l'ultima prova. Ma si ben fingi , e si sagace e scorta Sei nel celare altrui l'opre, e i pensieri. Che tra le piii pudiche oggi ten vai Del nome indegno d'oneslade altera. (i5) L'inchini (16) Vanta 25 ^94 Qual lu, per tua viltà, la fregi ed orni. (17). Che tanta servitù, che tanti prieghi? Tanti pianti e sospiri? Piangano pure (18) Le femmine e i fanciulli ; e i nostri petti Sien anche ne l'amar virili e forti. Un tempo anch' io credei , che sospirando , E piangendo e pregando, si destasse (19) In petto femminil fiamma d'amore; Ma grandemente errai, che se la donna Ha'l suo cor di macigno., indarno tenti Che per lagrima molle, o lieve fiato De' sospir che '1 lusinghe, arda o sfaville, Se rigido fucil noi batte e sferza (30). Lascia, lascia le lagrime, e i sospiri O tu che vuoi de la tua donna il core; (21) E s' ardi pur d' inestinguibil foco , ]Nel centro del tuo cor, quanto più puoi (22) Chiudi l'affetto; e s'ella ti vien destra Senza rispetto alcun mena le mani; Che se ben la modestia nel sembiante Par iùrtù de la donna , il trattar seco Modestamente è però gran difetto. Ed ella, che si ben con nitri l'usa, (17) La Ungi ed orni (18) Usin quest'armi (19) In cor di donna Si potesse destar fiamma d' amore ; Or me n'avTeggo, errai: che s'ella il core Ha di duro macigno (20) O sferza. (ai) Se acquisto far de la tua donna vuoi; (i2) Sai Chiudi l'afietto; e poi, secondo il tempo, Fa quel ch'Amore e la Natura insegna; Perocché la modestia è nel sembiante Sol virtù de la donna; e però seco Di trattar con modestia è gran difetto , lar, Seco usata, l'ha in odio, e vuol cli'in lei La miri si, ma non l'arlopri il vago. Con questa legge naturale e dritta. Se farai per mio senno, amerai sempre. In quanto a me, non mi vedrà Corisca (a3) Mai più tenero amante, ma sì bene (24) Fiero nemico, e sentirà con armi Non di femmina piià , ma d' uom virile Assalirsi e trafiggersi. Due volte L'ho presa già questa ribalda (aS), e sempre M'è, non so come, de le mani uscita; Ma se mi dà ne l'iignc anco la terza (26) Ho disegnato d' afferrarla in guisa Che non potrà fuggirmi. Aj)punto suole In queste selve capitar sovente; Ed io pur, come sagace veltro, Fiutandola per tutto; e se la trovo (27) Sola , e posso ghermirla anzi che fugga (Che pie non ha così veloce al piano. Come spedito al monte) , oh qual vendetta Ne vo far , quale strazio, e quanto scherno l Ben le farò veder , eh' anco talora (28) Chi fu cieco apre gli occhi, e che gran lem^JO De le perfidie sue non si dà vanto Femmina traditrice , che se stessa Tradisce alfin.j alfin se stessa offende. (29) (a 3) Me non vedrà, né proverà Corisca (14) Anzi piuttosto (25) Malvagia (26) Ma s'ella giugne anco la terza al varco Ho ben pensalo d' afferrarla (27) Oh qual vendetta Ne vo'far, se la prendo, e quale strazio! (28) Che lalor anco (39) Femmina ingannatrice, e senza fede. 196 Si riporta con fedeltà alla lezione originale il seguente brano che presenta il Codice , da cui però vedcsi dall' Autore stesso espulso con linea rossa ; e eh' egli abbia in ciò fare bene adoprato potrà es- serne giudice ogni lettore d' animo gentile e di nobile educazione. Et ora appunto mi sovvien di quello Che già vii disse il saggio Alfesibeo , Che per indur la femmina , che t' ami , Un ottimo argomento era il bastone. Allora ime ne risi, ed or comprendo Che disse il vero , e la ragion è questa : Che siccom ella risoluto e maschio A le percosse de la man ti sente , ' Così nel resto nerboruto e sodo Anco ti crede , e molto ben di lena E di i'irilità fornito; e quinci T^ ama perchè sei uomo, che se donna Fosti, o sembiante a donna ti credesse , Non t' amerebbe ; e di qui avi'ien che Giove Quand' egli scende a la sua donna in braccio^ E vuol esser amato, a lei non s'offre Con queste indegnità^ né s'avvilisce, O in alto pusillanimo si reca. Ma di folgore s' arma , e sì la suona Molto ben prima col baston (che Giova Altro baston die 'l folgore non avej. Ed ella sotto le percosse orrende Del suo possente e valido marito D' amoroso disio tutta sfavilla. Così credi de V altre. Né sì tosto Maliziosa femmina scaltrita A queste languidezze , a queste vane Meschinità di pianti e di sospiri T'ha conosciuto effeminato amante. Che tale in ogni cosa., e così vile E di si poco cor languido e molle , »97 JE simile a le femmine ti erede , Però ti sprezza , e ti dilegia , ed osa Farti gran beffe; al fin li fugge ^ e scaltra A più maschio amator volge il pensiero. Oh quando era sì vile ( il ricordarlo ' Solo mi raccapriccia) , e sì meschino Ch' io non ardiva di guatarla a pena , Di far una parola che non fosse Tutta tronca e confusa , di toccare Il più picciol capei de la sua chioma , Il più minuto pel de la sua vista ! Così m' avea co' suoi prestigi questa Pessima maga affascinato e guasto. Più diffusa nel Codice r.lie nello stampato è la risposta di ol- eandro ad Amarilli, clie Icggesi nell'Alto Quarto Scena Quinta. Ec- cone le differenze, notate, second'il solito, in carattere corsivo. Amarilli. Così dunque morire, cime, Nicaudro, Così morir debb'io? Né sarà chi m'ascolti, o mi difenda? Così da lutti abbandonata , e priva D'ogni speranza? accompagnata solo Da un'estrema, infelice, E funesta pietà, che non m'aita? O destin troppo crudo ! Che mi giova esser figlia Di sì gran padre, e figlia unica e cara^. Se bisogna morire , E morire innocente! NiCASDRO. Ninfa, queta il tuo core, E se 'n peccar sì poco saggia fosti Mostra almen senno in sostener l'affanno De la fatai tua pena. Drizza gli occhi nel Cielo Se derivi dal Cielo. ■' 198 Tutto quel che c'incontra O di ben o di male , Sol di là su deriva , come fiume Nasce da fonte, o da radice pianta; E quanto qui par male. Dove ogni ben con molto male è misto, E ben là su, dov'ogni ben s'annida. Quetalii a noi mortali Convien con umiltade Far quel non cK a noi piace , Cui spesso il torto piace , Ma quel che piace a cui sol piace il dritto. Lascia dunque le lagrime , e disponti Arditamente, Ninfa, A qualunque fortuna il Ciel ti chiami. Sallo il gran Giove, a cui pensiero umano Non è nascosto; sallo 11 venerabil Nume Di quella Dea, di cui ministro sono, Quanto di le m' incresca, E con quanto mio sangue Comprerei la tua vita'. E se t' ho col mio dir cosi traffitta , Ho fatto come suol medica mano Pietosamente acerba , Che va con ferro , o stilo , Le latebre tentando Di profonda ferita Ov'ella è più sospetta e piii mortale. Credi pur , eh' l vorrei Senza colpa vederti, E veder che la speme D'ogni nostra salute^ Ch' in te sola è riposta , Ne r innocenza tua , ne la tua vita , Respirasse e vivesse, Ma del contrario temo • Troppo chiaro è'I delitto, e dopo quello Che per tuo scampo adduci E confuso e sospetto; E quel che più mi sbigottisce e preme ^ Tanti segni mortali. Tanti accidenti mostruosi, e pieni Di spavento e d' orror che son nel Tempio! Suda sangue la Dea, trema la terra, E la caverna sacra Sfugge tutta , e risuona D'insoliti ululati, e di funesti Gemiti; e fiato sì fetente spira Che da le fauci immonde Tal non cred' io ch'esali Il puzzolente Averne. ^Fieri mostri, e prodigi Simili a quei ch'in prima Videro gli Jyi nostri Protender l'ira e il pestilente sdegno De la gran Dea, che vendicò d' A minta I mal graditi amori. Fiera cagion de la miseria nostra. Quetati dunque oniai^ Né voler conlraslar più lungamente A quel eh' è già di te scritto nei Cielo. 196 200 Il Guarini sparse per entro al suo Pastor Fido quantità di Sen- tenze, che sogliono trovarsi in tutte le edizioni distintamente conlra- segnate. Nelle f'arianll del Codice Marciano altre ne sono che meri- tare potrebbero una qualche considerazione , e con una di queste avrà termine il presente spicilegio. Kella Scena Nona dell' Atto Terzo è messo in derisione l'amor prezzolato co' seguenti versi: Oh più d' ogn altra al mondo anima vile! Vender a prezzo Amor , che non ha prezzo ? Oh né' vostri tesori impoveriti. Voi che comprar credete Amor con V oro! Sete ben cisti sì , sete adulati , Ma non amati, nò, che solo i corpi Non i cor possedete , e le immondizie Non le gioie d Amor, folli, gustate; E mentr' avete al dar pronte le mani Ogni bellezza, ogni virtute è in voi, Ma se ciò manca, ogn' altro ben vi manca. mas IL PITTORE PAESISTA MEMORIA DEL NOBIL SIGìSOR ANTONIO DOTTOR NEU-MAYR DI FLESSEN-SEILBITZ IMPERIALE REGIO COMMISSARIO SUPERIORE DI POLIZIA, MEMBRO CORRISPONDENTE DELL' L R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE LETTERE ED ARTI IN PADOVA, ONORARIO dell' I. R. ACCADEMIA DI BELLE ARTI IN VENEZIA ARCHIVISTA dell'ateneo VENETO, E SOCIO DI DIVERSE ALTRE ACCADEMIE, ATENEI, ISTITUTI SCIENTIFICO-LETTERARJ NAZIONALI, ED ESTERI EC. EC. Letta air Ateneo Veneto nelP ordinaria adunanza del giorno 24 Aprile 18S7. Dotti ed illustri Accademici! Oe altre volte vi siete compiaciuti di accogliere benigna- mente le tenui letterarie mie esercitazioni sullo studio delle Arti Belle, ch'ebbi l'onore di offrirvi in pegno di profondo omag- gio; spero che non isdegnerete di accordare un generoso tratto di compatimento alla Memoria che sono per leggervi intorno al vero merito del Paesista, il quale finora dagli amatori e studiosi di pittura non è stato abbastanza calcolato nel valore artistico. Considerando l' effetto morale e filosofico che risveglia nella mente dell'uomo sensibile e colto la ponderata contemplazione di un paesaggio da maestra mano eseguito, oso dimostrarvi ad un tempo con principali ricordi, e con esempj dei più classici maestri, le massime e regole cardinali, che il pittore deve aver presenti ogni qualvolta si cimenti a colorire un paesaggio. ^^/ai^p^oa)ai^ciMnifaiaimiafirB«mflir»rarafiT»f ni ratini ra^nifBfmff» ri ri rari m m/i^^^— Hien n' est beau que le vrai. BoiLEAO, I. Ufficio ed efficacia del Paesista. Xi-l Paesista (io) più assai di qualunque altro pittore occorre di osservare e di studiare profondamente in tutte le particolarità le bellez- ze campestri , poiché essendo per ordinario i magnifici aspetti della natura non animata soli accessorj negli altri generi delle arti del dise- gno, nei dipinti di paesaggio invece essi costituiscono l'unico od almeno l'integrante argomento. Ma grande é l'acutezza delle osservazioni che sul bello campestre si richiede negli artisti; più grande ancora é poi la difficoltà di a])plicarlo convenientemente ai veri fini, ed usarlo secondo i mezzi dell'arte. Reputo quindi che il Piltore Paesista, ove riesca pro- prio eccellente, tenga a giusto titolo in arte ui> notevolissimo posto. E veramente, se tanto efficace è l'influenza che esercitano sulla sen- sibilità degli animi di tempra non affatto rozza gli spettacoli della crea- zione; se allo svolgere e all'alternare dei fenomeni naturali si agita ogni fantasia più tranquilla, ne v'ha cuore tanto freddo che per essi non si commova ; se particolarmente all' aspetto di tali incanti l'uomo incivilito è suscettibile d' impressionarsi al poderoso dominio del belio e del grande; se per essi l'anima esulta d'innalzare un pensiero di con- templazione, un sentimento di pietosa riconoscenza , un voto di bontà al sommo principio regolatore delle cose; se tanto gagliardamente scuo- tono le meraviglie del creato, non è necessario dimostrare che quelle produzioni , le quali per forza di artifizio le rappresentano al vivo , meritano di essere tenuti in grandissimo pregio. E tale si è appunto l'ufficio del paesista, e questi, allorché sia veramente esimio, conse- guisce di fatto dalla universalità spontaoei e sinceri tributi di onore. Imperciocché quando il paesista possedè tanta valentia da rendere i suoi lavori perfetti, non solamente perii pregj dell'esecuzione, ma al- tresì per la nobiltà del concetto, e per la convenienza degli effetti; quan- do sia in lui tale altezza a sentire con estraordinaria energia le bellezze 206 della natura, ed abbia tale potenza d'ingegno da trasmetterne ad altri l'affetto, egli col fascino delle sue imitazioni vincerà la fantasia dell'os- servatore. Di modo che raffigurandoci a guisa di sogno mille aggradevoli visioni di scene allettatrici e immagini 3i felicità, egli giunge a muovere il battito degli affetti, a sublimare la immaginazione cosi fat- tamente, che dinanzi a' suoi lavori, trovandosi pure nel ricinto di pareti solinghe e malinconiose, mentre la vernereccia bufera balte le ridoppie imposte , in un » Bujo d'inferno e di notte, privata n D'ogni pianeta, sotto pover cielo « Quanto esser può da nuvol tenebrato; c'illude con le sue mirabili imitazioni, ci trasporta in dolce vohutà , ci fa esclamare con Ossian (i5) » Vedi notte, serena, lucente, 55 Pura, azzurra, stellata, ridente! » ed innebriandoci lo spirito ci mette in un'estasi così cara , che nella durata dei suoi beati intervalli più non rammentiamo le tristi realtà delle cose, le sollecitudini, le ambascie della esistenza. II. Differenti generi di paesaggi. Il campo del paesista è immensamente fecondo, ed esige come dissi, in chi lo tratta un acuto spirito di osservazione, il più squisito gusto di scelta, e non minore entusiasmo di quello che domandano in generale tutte le imitatrici arti del Bello. Le pitture di paesaggio non debbono considerarsi di una specie soltanto , dappoiché de Pils ( 67. 68. 69. 70 ) e Hagedorn ( 35. 56. 37.) le dividono in due: eroica e pastoreccia. Sulzer (81) ne indica una terza che fa consistere nelle rappresentazioni della vita urbana. E ve ne sarebbero altre ancora subordinate a queste, ove ammettendo tale guisa di classificazione, si dovesse badare alle diverse scene di tutte le condizioni sociali che ponno esservi introdotte. Ma queste non de- 207 \ono in massima considerarsi che quali accessorii , Irallanclosi esclusi- vamente di paesaggio. Sembra però più opportuno dividere li mollipl'ci generi in tre sole principali classi. Prima nella fedele imitazione del vero, come l'offre la natura in uno spazio determinalo. In secondo luogo nella copia di un qualche sito naturale, con la modificazione o l'aggiunta di al- tre parli tratte dal vero ed abbellite dall'arte. E Analmente in quelle rappresentazioni totalmente immaginose, in cui le parti imitanti la più scelta verità, compongono un aggregato, tutto di fantasia. Egli è soprattutto in questo ultimo genere che il paesista per mezzo dell'avveduta applicazione di tutti i diversi elementi che gli offre a parte a parte il creato, può dar maggiormente a divedere il suo ingegno, e specialmente per questa via s'insiguoreggia , per cosi dire, quel belio clie non si può prescrivere colle regole, né assoggettare al compasso. L'artista infatti si rende con ciò emulo al vero, e dimostra la potenza poetica della sua immaginazione. III. Fine del Paesista. Ma sia che il paesista si prefigga una fedele copia del vero , sia che pretenda con l'arte aggiungere al vero vaghezza ; ossia che abban- donandosi alle ispirazioni che gli mettono le meraviglie campestri, prefe- risca di rappresentare un bello tutto composto : egli deve prima di tutto formare il concetto nel proponimento di un fine. Tanto viene unani- mamente prescritto, oltre che dalla ragione il principale dei maestri, da tulli i teorici, ed inculcato caldamente dallo stesso Milizia ( 62. G3 ). E per tal parte anche al pittore di paesi corre l'obbligo stesso che stringe ogni altro imitatore della natura. E di quella guisa che gli artifici del rrielro e l'armonia del verso , non sono per li poeti che i mezzi della loro arte, così il disegno ed i colori sono pel pittore. In vero poveri i versi, nei quali non v' è che musica senza pensiero! In vero poveri i dipinti^ i quali non offrono che colori senza poesia ! Ogni paesista per tanto, sin dalle prime sue disposizioni all'opera, miri a destare una qualunque impressione; lenti di cogliere precisa- mente le espressioni di un preciso carattere; escluda tutto quello che sarebbe inutile al soggetto prefisso. 2o8 Sia ritraendo con fedeltà j ovvero aggiungendo quanto gli sembra richiedere il vero bello, o componendo di sua mente le scene, l'artista ordini ogni cosa in modo che ciascheduna soccorra alla espressione complessiva dell'insieme che si è proposto. In somma la scelta , la or- dinazione, il carattere del sito, il disegno, il chiaro scuro, l'intona- zione del colore, il decoro degli episodj, tutto deve concorrere a combinare un complesso uniforme e perfetto, IV. Scelta dei siti. In quanto alla scelta il pittore consideri che se la natura nel- la sua prodigiosa ricchezza, nella vastità delle sue dimensioni, si mostra bella in ogni sua parte, non tutto ciò eh' è bello in essa è atto ad essere espresso dall'arte. Esso quindi trascuri quelle minute particolarità, le quali scemerebbero l'effetto dell'intiero complesso, e che l'arte non ha modo di esprimere. Dughet Gaspare detto Pussino ( 27. 47. 52. 53. 66. 88. ) e Zuccarelli Francesco ( 2. 5. 4. 54. 47. ) furono anche per tal conto espertissimi. Valgano anche i loro esempj a tal fine. Scelto male il punto di vista, un luogo riesce cattivo an- corché bello fosse in se slesso. Dulia felice scelta dipende il buon ri- sultamento ed il merito fondamentale dell'opera. Sono in tanto di malagevole effetto in arte, sebbene meravigliosi alla vista, quei siti composti di molte piccole parti, parecchie delle quali basterebbero anche sole alla composizione di un quadro. In tali soggetti frastagliati l'attenzione dello spettatore, distratta da troppe cose subordinate non può fermarsi sugli oggetti predominanti, ed atti a de- terminarlo alla radicale impressione prestabilita dall'argomento. Osservata nella scelta la debita convenienza , la quale esige una massima relazione delle parti accessorie col tutto costituente l'indole del soggetto, si uniformi il paesista a quanto intorno a questo prescri- vono il Baldinuci (7. 8. 9. io.), Winckelmann ( 90. 91. ), Mengs (34) Wolf (92), se pure giova citare il precetto dei maestri in quello che il buon senso basta ad autorizzare. Tale principio è fondamentale altresì in quei paesaggi che non sono affatto ritratti dal vero, ed anche in quelli intieramente nell'in- sieme composti, il bello dei quali sia però tutto reale, scevro da 200 quanto può mai supporre lo spirilo di esagerazione ed il capriccio, tratto dalle pnrti più gradevoli e sopraltutto convenienti al caso, e quali ce li offre la natura. Queste condizioni conducono al conseguimento dell'ottimo in ciaschedun'arte del bello, quantunque piaccia troppo spesso alla moda di preferire e lodare quegl' ingegni sregolati, i quali cercarono il bello nello strano, e ciò eh' è peggio, nelle sconvenienze più ributtanti, e ciò eh' è biasimevole, nelle turpezze della realtà. V. Semplicità dei mezzi. Nel comporre le opere si miri sopraltutto ad una saggia modera- zione. S'imitino unicamente le bellezze del vero nella loro semplicità. Si rifiuti il soccorso di ornamenti estranei o troppo ricercali, onde poter eccitare colla composizione una sola e determinata idea generale, senza la quale sarà sempre tepida la impressione del quadro. Waterloo Antonio (17), Hackert Jacopo Fdippo (55. 55. 56. 57. 58. 77.89. 90. 91.) e Castiglione Benedetto ( 80. 90. gr.) per essersi attenuti a tali massime si segnalarono grandemente, dappoiché appunto la sobrietà dei mezzi, la semplicità e l'unità del fine costituiscono il grande. Non basta da per se ad impressionare gagliardamente l'anima quell'immane scoglio che staccatosi dal fianco della montagna incappel- lata di ghiacci eterni, arresta il corso antico al torrente, il quale piomba in un abisso a cercarvi altro letto e recarvi altre rovine! Quali mirabili opere non produssero solamente col mezzo di tali oggetti Hermels Giovanni Francesco (20. 73. 77.), Everdingen Alberto (17. 77. 88.) e Majer Felice (28. 29. 77.)! Sole boscaglie di aranci e di cedri non offersero bastante argomen- to a lodatissime opere di Berghera Nicolò (17 55. 56. 5?. 58.), Caracci Annibale (27.47. 5i.), Rubens Pietro Paolo (5. 17. 27. 61. 67. 68. 6g. 70. 74, 82. 88.) Wouwermann Filippo (17), e Le Brun Carlo (5. 88.). Soli gruppi di allori e di cipressi che spirano sacro orrore bastarono per dipingere mirabili tele a Elzheimer Adamo ( 17. 55. 56. 57. 58. 79. 90- 9' ). Gelee» Claudio di Lorena (7. 8, 9. 10. 27.66. 79.88.90. 91,), Zampieri Domenico detto Domenichino ( i i. 42. 47. 5i. 54.)! Semplici cadute d'acque vaporose scendendo placidamente ed allargandosi al piano ispirarono la nobile immaginazione di Pussino a raffigurare luoghi 27 2 10 d'incanlo, nei quali odi quasi un blando sonito pei quali volgi nel pensiero mille dolcezze. Quegl' informi avanzi di un'eccelso edifizio che sorge ancora in parte sulle rovine di una spenta metropoli, in mezzo all'ispida pianura sparsa di erbe rade e selvagge, non sono forse sufficienti senz'altro all'effetto artistico, a determinare il pensiero alla piccolezza, alla nul- lità della nostra esistenza? Si osservino le opere di Gainsborughe Tom- maso (55. 56. 57. 58.), di Elzheimer e di Salvator Rosa ( 7. 8. 9. io. i5. 19. 27. 28. 29. 5o. 46. 47- 65. 66. 78. 8a. 88. 90. 91)3 convincersene della efficacia. Quei raggi con che la luce divina illumina all'alba tanto la selva- tichezza e la povertà squallida, come la civilizzazione raffinata ed il fasto ordinato dal lusso ; quella luce stessa che poscia s' attufTa nel- l'Oceano e manda l'ultimo saluto all'universo, saluto che può meglio sentirsi che esprimersi; quei raggi, quella luce, quel mesto saluto fu- rono ai pennelli di Waterloo e di Stubbs Giorgio (27. 77.) argoment' richissimi. IN'on destano sbalordimento quelle acque che traboccano da rupi, e come dardo lanciato scagliandosi in mille zampilli frante, rifrante, rimbalzano di scoglio in scoglio finché formano un torrente, il quale con orrido fragore alza un nembo di caliginosi vapori che oscura la luce in mezzo ad altissimi mouti ? Perchè aggiungervi altre cose? rvull'altro vi aggiunsero alle volte Everdingen , Agricola Cristoforo Lo- dovico (40) e Salvator Rosa, e senza d'altro ottenero effetti mirabili. Non move un brivido per le ossa il solo aspetto di quell'acqua stagnante, nera, immota, senza fondo, ed in cui soltanto verso la sponda sorge un labirinto di canne a privare della fiocca luce di un triste giorno che manca, gli screziati muschi distesi lungo la ca- rena di una barca rovesciata e rotta, già un tempo in sul margine, dove la pietà del pescatore piantò una croce, a indicare il luogo in cui gli fu assassinatoli parente? E Majer spesso fece tesoro solo di simili argomenti. Hagedorn (33. 36. 37.) esclama a tutta ragione, che li pae- fa""i dei sommi maestri, come erano li Pussino, Salvator Rosa, Everdingen ed altri contengono nella loro semplice sobrietà tanto di grandioso, che ispirano ora ammirazione, ora terrore, elevando oltre ciò la mente umana e quanto v'ha di più metafisico e sublime. 211 VI. Economia delle parti. Ma sieno pur ricchi 1 siti , non però a profusione , siano pur va- ni non però con disordine; e pei- quanto si amino vasti per lontanan- za di oggetti, e per quanto si vogliano copiosi per prospetti di mare, di monti, di colli, di praterie divise da fiumi, rotti da tratti d'acqua, irrigati da ruscelli, sparsi di monumenti ricordevoli de' tempi che furono, popolali da macchiette esprimenti fatti storici , o immaginar] , non siano però senza un limite. Un limile convenevole diedero pure ai loro più ricchi paesaggi, e Claudio di Lorena, e Molin Pietro detto Tempesta (17. 47) e Tiziano Vecellio, (1. 5. ^i^. 34* 27. a8. 29.46. 47* 48' 49- ^o- ^9* 60.75.76.82.84.85.86. 88.90. 91. 95. 94.). Egli è vero che meravighosamente allargano, dilettano, incantano l'anima quelle interminabili acque, quelle ridenti pianure lontane, lus* sureggianti di cereali prodotti, con grande frequenza di frutici, di vi- gnetti fecondi, di ville, di castella, di ponti. Ma la economia degli oggetti vince di gran lunga coli' effetto le composizioni ricche sover- chiamente. Cosi pure relativamente agli episodii. Viva ed istruttiva compassione ci desta la solitaria selva , in cui il benefico Samaritano soccorre l'infelice ferito dagli assassini ed abban- donato a certa morte. E per simile guisa Van Uden Luca ( 17. 5o. ) , Berchem e Caracci con estrema parsimonia di mezzi adoperarono lo- devolmente. La figura sola di Adamo collocata in una regione di Paradiso ba- stò a Roos Giovanni Eurico ( 17. 41 • 52. 53. 55. 56. 57.58.) ed a Ti- ziano per farci sentire la divozione verso il Creatore, mentre l'aggiunta di cose estranee od accessorie ne avrebbe impedito o scemato l'effetto. Gli Arcadici paesaggi di Pussino e Dominichino quantunque sem- plicissimi ci allettano l'anima con una soave impressione di melanconia, e ci fanno sentire l'estasi della pace che spira dalle pastoreccie fin- zioni degli antichi mitologi. Ma la copia degli oggetti giova spesso ad avvalorarne l'effetto col mezzo della contrapposizione , ed alletta in particolare i giovani artisti, massime alla vista di opere mirabili di eccellenti Autori. E però ai colossi di quelle roccie solinghe che nei quadri di Dietrich Cristiano Gu- glielmo Ernesto (35. 56. 67.90. gì.) e di Mayer mettono stupore. 3)2 emergendosi bizzaramente sul pendio di facili collinette, e gettandovi la frastagliata ombra delle loro punte mostruose; alle scabre falde di quei burroni inaccessibili, die aprono li fianchi cavernosi al di sopra orribili precipizj, si desidara offrire almeno in lontano un solenne con- trasto coi pingui piani dipinti da Wouvermann , Everdingen, e Casti- glione. Invoglia quel ponte crollante di Hackert clie accavalò di costa sulle acque profonde del sottoposto ramo morto del lago, affine di aggiungervi il terrore. Invoglia ad accrescere il raccapriccio di aggiun- gervi quel pico vacillante che si scorge nelle opere di Hermels e Gain- sborugh , quel pico il quale credi che minacci schiantarsi dalla vetta e stritolare i soggetti abituri, nelle quali si narrano le tranquille dolcezze della vita pastorale. Quel mutilato simulacro mezzo ascoso sotto festoni di edera , le di cui radici ne hanno quasi sfasciata la base, cosi come fu espresso o da Elzheimer , o da Roos , o da Rubens basta è vero all'effetto pit- torico, ed a narrare l'antico avvenimento campale, e le pazze discor- die degli uomini ; ma non vi si potrebbe aggiungere a fianco uno d' quei tronchi dipinti da Salvator Rosa, rotti, solcali ed inariditi dal fulmine? Esso ne rafforzerebbe il carattere. Un pellegrino che tra gli sterpi , i burroni tenta un difficile varco e si affanna per giungere alla meta a sciorre il voto, non risveglierebbe egli idee religiose? Una candida vela sull'orizzonte, indizio della industria Ma basta, basta. Un limite è chiesto dalla convenienza. Lo sguardo altrimenti si slanca. L'immaginazione dello spettatore in luogo d'accendersi s'anuo- ja, si assonna. La sobrietà è necessaria in tutto anco nell'imitare la natura. Agricola e Gainsborugh specialmente si sono guardati dal meraviglioso, onde non correre pericolo di cadere nell'esagerato. INell' esprimere anche i caratteri più insoliti essi mirarono da valenti sempre alla semplicità ed alla nobiltà come mezzi efficaci ad ottenere ottimi effetti. VII. Unità di proponimento. Mediante il lungo esercizio acquista l'artista fermezza e risolu- zione di fare, e le sue opere ricevono da ciò un carattere deciso quanto basta a trasfondere ad altri il sentimento. Ma si badi, che tale risoiu- y/ione di fare, non esageri gli effetti naturali , e che per essa non si cada 2 l3 neir ammanieralo, ir quale tranne rare eccezioni suole essere il difelto delia mediocrità. Ed il mediocre in arie è peggior del callivo. Si dia bando alle minutezze, dappoiché guastano l'effetto generale- I fondi non siano ingombri da piccolezze confuse. Gli oggetti secondarii siano trattati con la cura che esigono i principali, onde non far com- parire quelli confusi, e togliere a questi l'effetto. Belli esempj di tali massime abbiamo di Everdingen e Marco Ricci (i5. 34.47.94.). Sia sempre manifesto, deciso il carattere del luogo, e l'impronlo anche delle più minime diversità di espressione , acciocché non si con- fonda la Hsonomia di un oggetto con quello di un'altro d'indole affine. Tanto Pussino come Claudio di Lorena e Stubbs riescirono in questo mirabilmente. Quanta differenza non passa tra un'aprica, tetra e deserta regione di Elzheimer , Dietrich e Castiglione , in cui non solo la fantasia del misantropo direbbesi che trovi alimento alla sua iniqua passio- ne, ma anche gli animi non abitualmente malinconici all'osservarla non possono a meno di non lasciarsi indurre a tristi meditazioni, quale differenza dico da quelle tranquille scene di solitudine rappresentate da Capacci, Pater, Lodovico^ Alcazor (27Ì Stubbs e Domenichino, nelle quali domina per ogni dove il riposo, la dolcezza, la pace e la reli- gione, ed all'aspetto delle quali si destano nell'animo soavi emozioni di cara mestizia, ed il profondo pensiero di una successione di pemi- niscenze ch'epilogano le vicende di tutta la vita! Oh quale diversità ])assa dalle cupe idee che ci risvegliano li siti orridi di Majer nascon- digli di masnadieri, e gli antri covili di feroci belve, dalle filosofiche considerazioni a cui si rivolge la mente quando osserva nei riposti seni delle collinette che soavemente sfuggono una dietro l'altra, coper- te di molle verzura diWouvermann e di Zuccarelli le semplici costru- zioni con le quali la povertà si è fabbricata un ricovero, in cui spesso si trova quella tranquillità eh' è tanto difficile, se non impossibile, di rinvenire nei sontuosi edificii dei grandi! Quante idee di pietà religiosa ci desta quel caratteristico dipinto in cui il venerabile Eremita di Caracci , assorto in santa contempla- zione innalza il pensiero alla somma Volontà, la quale anche nel jiiù semplice concorso di parti inanimate, manifesta la sua infinita sa- pienza. 2l4 Nella unità del fine si distinssero sommamente il Pussino, Brand Giovanni Cristiano (55. 36. Sy.) e Domenichino: il loro esempio valga all'artista volonteroso di vero onore. E quindi qualsiasi l'argomento che esso ami di scegliere, sia piano con vivace freschezza di piantagioni e di acque, lieto di praterie, soggiorno di moderate passioni: sia di balze montane, aspre per infeconde rupi, per bronchi selvaggi, dilette a quelle anime trambasciate, a cui le sventure resero amica e necessa- ria la solitudine, ovvero deserte per lande abbandonate, per aride sabbie, nido d'insetti schifosi, ovvero orrido per tenebria suscitatrice il racapriccio, dove per le fratte deserte sembra che sbuchino gli spettri; qualunque sia l'argomento, l'artista si mantenga sempre fermo nel suo intento. Vili. Scopo morale. Né tanto basterà ancora per tal parte , ove lo scopo manchi di una qualche utilità, o non serva in guisa indiretta a rendere cara la morale, miti i costumi, dolce la religione. Tali sono i profitti che pro- creano le scene della natura; tali sono i fini dell'arte. S'interroghi in ciò questa prodigiosa natura, essa risponderà chiaramente e narrerà sempre cose nuove dallo spettacolo dello spuntare dell'alba col sorriso promettente un giorno tranquillo, sino a quello di una oscura notte imagine della pace del giusto che vive nella fede dell' eternità. Nulla di quanto apparisce in natura è senza ammaestramento pel filosofo che sa comprenderla. Difatti la contemjilazione della natura non ani- mata fu il primo passo che le piìi selvagge nazioni nello sviluppo del- l'intelletto mossero all'amore del buono, alla conoscenza di un Dio, ai fondamenti della Religione. Hagedorn (55. 36. Sy. ) a tutta ragione esclama che i paesaggi dei sommi maestri contengono tanta altezza di concetto e di espressione, da rivolgere la mente per mezzo delle differenti impressioni che quelle producono a quanto evvi di più as- tratto e sublime. E quindi colui che non sa rinvenire tale linguaggio nelle opere della Creazione né sa comprenderlo, né crede i mezzi del- la pittura bastanti a trasfondere il significato e il calore, rivolga ad altra parte i suoi studj , rinunzii in quest'arte ad ogni speranza : riell' imitare le bellezze campestri non potrà divenire che un materiale copiatore di freddissimi oggetti, non metterà mai in chi osserverà i suoi lavori 2 1 5 un nuovo senso di vita, di desiderio, di amore, non giungerà giam- mai a conseguire meritamente nome di artista, IX. Disposizione dei piani. Con tale convincimento nell'animo, col pensiero fermo allo sco- po cui tende, dipinga l'artista i diversi piani dei suoi quadri in modo che la conformazione dei terreni, dei sassi, degli alberi, e le dimen- sioni di ogni altro oggetto che intende a rappresentare, indichino non solo gli sparii ad essi frapposti e le distanze reali, ma concorrano altre- sì anch'essi a raflforzare il carattere del soggetto. Non vi sia tratto nelle sue opere cosi relativamente al concepimento, che all'esecuzione, il quale non giovi al radicale proponimento. Valentissimi furono in questo Claudio di Lorena, le Brun Carlo, Elzheimer, Stubbs, Zuccarelli, Wouvermann , Pussino, Preugel Giovanni (17.26.77), Waterloo, e Van Uden. Si frappongano avvedutamente le ineguaglianze del terreno, dei colli, e degli scogli, si distinguano le diverse forme degli edifizii se- condo gli stili particolari, si collochino con accortezza gli alberi ap- profittando delle varie loro specie ad ajutare gli effetti delle distanze , l'estensione delle acque ; i confini delle montagne si accordino coll'in- tcnsità della luce , il tono delle tinte, gli accidenti del cielo. E sempre colla massima ferma di escludere severamente tutto ciò che non è dal soggetto richiesto , affinchè non risulti un insignificante aggregato di parti eterogenee, connesse senza filosofia d'arte con pro- fusione viziosa. Ma si dirà : la natura è sommamente varia nelle sue opere. È vero , e lo sia del pari 1' artista nei suoi lavori. Nella stessa maniera di variare piacevolmente gli oggetti esso tenda sempre ad imitare il bello della verità , la quale allorché pure apparisce in maggiore opposizione nelle differenti sue parti, serba sempre, come accenna Lairesse e de Pils (44- 45' 68. 69. 70.) una meravigliosa concordia nel tutto insieme. L'uniformità anzi occupa spiacevolmente la nostra attenzione , gli occhi e lo spirito vanno spaziando in modo tanto piìi aggradevole, 6ia nelle bellezze del vero come sul lavori che le imitano, in quanto che è maggiore la varietà. Di guisa tale, dopo di esserci impressionati 2t6 con diletto delle vere amenità , troviamo bello lo stesso orrore di un paesaggio , esclamando col Tasso. (( Bello in si bella vista anco è l' orrore ». Roos , Pater, Shwanenfeld Ermano detto d'Ilalin ossia il Solita- rio ( 17. 37. 46.) e Tempesta Antonio (6. 3o. 47«) offersero colla col- locazione opportuna di opposte maniere di edifizj e rovine, di roccie scoscese o falde ridenti, di alberi soli o aggruppati, spogli o ricchi di frondi , ottimi esempj nell'impiego dei mezzi acconci per far ottennere semplicemente piacevoli contropposizioui, e quella tale giudiziosa va- rietà, che è l'ingrediente massimo del diletto. X. Importanza della prospettiva. Al pieno conseguimento di un tal fine importa moltissimo un' av- veduta collocazione delle parti , a seconda della loro maggiore o mi- nore notabilità. Per ordinario il davanti del quadro offre in Pussino, Claudio di Lorena, Hackerte , Rubens la parte piìi interessante del soggetto. Ma tale oggetto primario non è mai tale però da trattenere esclusivamente l'occhio dell'osservatore ed a stoglierlo affatto dalle cose lontane o intermedie. Nelle opere principali di Salvator Rosa, Waterloo, Berchem , e Vernet Claudio Giuseppe (18. aS. 55. 56. 57. 58. 82.90. gr.) appa- riscono distint.nmente davvicino anche le piccole parti degli oggetti prin- cipali : da lontano non sono espresse che le masse: Cosi avviene anco in natura. Soprattutto dall'accorta collocazione delle parti secondo la dispo- sizione dei piani deriva radicalmente il bell'effetto delle distanze. Di- sposto male una volta il piano e le parti, non giovano più tutti gli altri mezzi dell' arte a celarne il fallo , a produrre un'illusione perfetta. Dimodoché devesi secondo li precetti di Diirer, Da Vinci, Euclide, e Vilruvio (16. 32. 23. A 87. ) osservare accuratamente le degradazioni che sulle diverse altezze e lontananze hanno gli oggetti , cosi relati- vamente alle grandezze, ciò che determina la prospettiva lineare., co- me all'intensità del chiaro scuro e del colore, lo che insegnano le 217 norme della prospettiva aerea. Egli fu principalmente per la cognizione profonda e per la somma perizia di tali parti die Claudio di Lorena venne in grandissima riputazione. E la ottenne meritamente. Ignora al certo che cosa sieno delizie campestri, chi in faccia ai suoi dipinti non sente quella calma che succede ai rammarichi, quella ilarità che dà gl'incanti del vero. Fu in principal modo per la sua grande dot- trina in tali parti, eh' egli giunse a quella meravigliosa illusione per la quale nei suoi dipinti sembra di fatto all'immaginazione di andar va- gando per quelle pianure fecondale dai ruscelli che le irrigano , e per quei monti che li alimentano , e pare che si senta il susurro del vento che viene soavemente agitando l'erbe ed i fiori, e rincrespa l'onda tranquilla del lago. Per essa dottrina principalmente oltemie la soa. vita di quella luce che sembra nei suoi quadri stendersi mollemente per la cara tinta delle sue zolle , e riverberarsi dai tersi specchi del- le acque ch'essi circondano, rinfrangersi , ripercuotersi, e scherzare in fra le mobili masse del fogliame, cosi delle più discoste e gentili selvette, come fra quelle maestosissime dell'alto pino e del bianco pioppo, che nei suoi dipinti sembra amino di maritare le loro ombre ospitali. Senza l'efficacia di tale dottrina, come sarebbe egli giunto a rappresentare l'altezza dei suoi pensieri con quella evidenza, per cui la mente dell'osservatore richiama i benedetti fantasmi de' primf anni, ne' quali il candore dell'anima senza timori, senza sospetti, non ancora contaminato dalle simulazioni, non ancora offeso dall'amaro disinganno della realtà non credeva tutto affatto un sogno le semplici virtù e le beatitudini dell'età dell' oro? Come senza di ciò avrebbe quel valente colle sue preziose opere ottenuto di richiamarci le pri- me innocenti illusioni della vita, velarci la mala fede degli uomini, e rinvigorirci nell'istintivo, ma non di rado a ragione vacillante amore per essi.'* Quindi si dimostra da per se, quanto sia necessario al paesista il possesso profondo delle norme che regolano la prospettiva dalla quale dipende tutta la vigoria dell'imitazione, in quanto alla degradazione delle dimensioni, della maggiore o minore intensità della luce e dei colori locali. Possesso difficilissimo a considerarlo in tutta la estensione di tali parti. E la prova della difficoltà si potrebbe trovare nella verità, 28 2l8 die la pittura di paesaggi non è di antica origine come tutti gli altri generi delle arti d'imitazione, assicurandoci Plinio (21. 72.) e Winlicl- inann (90.91.) che Ludio fu il primo il quale soltanto ai tempi d'Au- gusto intraprese l'impegno di rappresentare la natura non animata: la qual arte ricevette in seguito co' progressi della prospettiva la sua perfezione. XI. Chiaroscuro, E die dovrà dirsi delle cognizioni del chiaro-scuro, della scel- ta del partito del lume, e della naturale ed aggradevole diffusione di esso? Questa parte integrante della pittura, e che l'artista non può trattare che per approssimazione nei complicatissimi effetti con cui si offre in natura , è soggetta a tanti svariati elementi da potersi assai più facilmente comprendere dalla pratica, che da regolari principii. Giovi grandemente consultare intorno a questo i precelti di Gessner (3a), Gellert (3i), Mailer (38. Sg.), Thomson (85) e Rleist (43). Giovi all'artista poi sopra tutto oltre alle regole, che indicano in massima i fenomeni della luce, la piij perseverante osservazione del vero , e so- j)ra tutto sui mezzi dell'arte, giacché non lutto è in esso opportuno sebbene vero in natura. Gli sia norma l'uso che ne hanno fatto i som- mi artisti. Studii, mediti innanzi a tutto il Correggio, Allegri Antonio (47- 54.) che fu per tale rispetto il grande dei grandi. Un ottimo effetto di chiaro scuro si può ottenere, come si fece spesso, collo stabilire due masse principali, ognuna delle quali offra tali insensibili degradazioni, che dal punto più forte, si passa alla con- giunzione del punto più leggiero, senza quasi accorgersene, come si osserva particolarmente nelle opere di Wouverniann. Claudio di Lorena fece con ottimo successo partire i lumi dal fondo dei suoi paesaggi. Quantunque sia principio più generalmente ammesso, che la mag- gior forza del lume sia nel centro del quadro, pure i lumi secondar) non debbono in massima esserne totalmente sagrificati. Non di meno i Fiamminghi e soprattutti Everdingen , Hermels, Berchem, Teniers Davide il giovane (5. 17. 52. 53. 74. 82.) Dietrich 219 e VVoiivermann hanno rislrelto molto il centro della loro luce, ed al- largata la massa delle ombre, affinchè quella apparisse più fulgida. É pure gradevole la diffusione della luce , la quale discendendo da un solo punto, sparge degradatamente il chiarore de' suoi raggi su d'ogni oggetto, e piove dall'alto prodigiosamente su tutta la scena, come fecero spesso Tiziano, Castiglione, Waterloo, Caracci, Rubens, e Dominichino. Massima costante è che le ombre serbino sempre una certa tras- parenza, la quale nulla tolga alla robustezza del tono generale: che il fondo particolarmente sia trattato con ogni maniera di soavità, così nei toni che nei passaggi di luce ; che in nulla apparisca la ricercatezza di effetti troppo complicati, e particolarmente nelle piccole parli, nulla sia di esagerato nelle contrapposizioni delle masse principali. 11 lume vivissimo del meriggio è più suscettibile di svariato con- trasto : non però cosi quello del Settentrione tetro e costante. I soggetti di notte vogliono anguste piazze di lume, vividamente vibrate qua e là con richiami opportuni, in essi si allargano spazio- samente le fredde ombre nelle quali appariscono parcamente ed appena i riflessi. La luna batte il suo squallido raggio, mentre lutto ciò che non è rischiarato da essa, resta in un'ombra ampia, verdastra e crudamente staccata dal lume. Lume prediletto degli animi appasuonati, alimenta- tore delle fallaci lusinghe, anima ai dolori ed alle memorie delle amicizie tradite, degli amori mancati, dei Toli falliti, e delle spente felicità. Gli accidenti di luce ed i contrasti immediati di essa con l'om- bra, di che usò molto Rembrandt, Paolo Van Rhjn (17. 24. 28. 29. 35. 36. 37. 46. 53. 55. 67. 68. 69. 70. 82. 88.) rendono sorprendenti ed animati i paesaggi, qualora non se ne faccia abuso, o per eccesso, o per ricercatezza soverchia. Un raggio scenda in fra l'orrore d'una tenebrosa caverna ; penetri pel cupo fondo di un bosco. Una fiacco- la che guizza, getti un vampo lugubre a protendere bizzaramente gli sbattimenti dei gotici frastagli di un mausoleo rovinoso per le offese dei secoli. Un baleno diradi istantaneamente il bujo orribile di una pro- cellosa marina, la eruzione notturna di un vulcano che sna"de in sulle 220 cose soggelte un sinistro chiarore. Ma sempre regni ovunque una par- simonia giudiziosa, uno strettissimo scrupolo di convenienza, e soprat- tutto somma avvedutezza nell'ordinazione delle parti. XII. Colorilo. Ma il mezzo principale con cui il paesista infonde vita alla sua tela è il fascino del colorito. Egli è il mezzo più potente del quale ]a stessa natura volle, servirsi, affinchè l'uomo non cadesse in quel terribile tormento eh' è la noja , all'aspetto medesimo d'innumerevoli incanti ch'essa otì're. Quanto diletto e quale meraviglia non destano li prodigiosi pen- nelli di Pussiuo, Claudio di Lorena, Rubens, Vernet, Tiziano, Te- niers , Zuccarelli e Dominichino in cui la varietà delle tinte soavi e forti, tetre o ridenti, fuse armonicamente tra loro o gagliardamente contrastate, emulano la splendidezza e la vita della creazione, quale svarialo spettacolo che precede ed accompagna gl'incanti dall' apparire dei crepuscoli , sino a quello che dopo lo sparire delle purpuree bel- lezze del giorno che n)anca , rimane in fra il silenzio delle cose a de- stare le religiose meditazioni del saggio verso il suo Iddio? Non isperi per altro il paesista di poter mai conseguire per solle- citudini di studio il possesso di questa interessantissima parte, ove non l'abbia avuto in sorte dal nascere. Bensì lo studio profondo verrà in lui a sviluppare e perfezionare la naturale attitudine ad essa. Dal colorito maestrevolmente trattato deriva l'ottimo effetto delle prestabilite dispo- sizioni. Per esso si aumentano i pregi così della condotta dei toni le- gati ed opposti tra loro, come quelli della degradazione tanto rispetto ai piani che occupano i diversi oggetti, quanto alle degradazioni parziali in chiaro-scuro degli oggetti stessi, sia nel proprio loro colore , che sotto la varia intensione della luce , e nelle diversità delle loro forme e del loro tondeggiamento. Queir istessa unità che richiedesi nel paesaggio dal lato della com- posizione , si esige pure da quello del colorito. Evvi per ciaschedun carattere di argomento, siccome una corrispondenza di oggetti relati- vamente alle forme, anche una corrispondenza di toni in quanto al colore. Tale corrispondenza, nel debito accordo, nell'armonia e nella 221 degradaxione, deve sempre serbare in tulle le sue parlila indicazione e l'espressione del radicale concelto. XIII. Caratteri delle Stagioni. Importantissimo uffizio del colorito è pure di esprimere la di- versità del tono eh' è proprio di ciascheduna stagione, mentre tutte hanno anche in ciò il loro caratteristico particolare, il quale nei di- pinti dei paesaggi contribuisce oltre modo alla bellezza del loro com- plesso. La Primavera si offre un carattere vìvo, ridente. Tutto in essa esprime la gioja della natura che sembra celebrare colla più pomposa mostra delle proprie attrattive 1' universale tripudio pei suoi natali. Una luce serena, sottile, sembra investire tutti i corpi. È come una fiam- ma ammaliatrice che penetra l'uomo, e gli suscita quella indeterminala commozione che lo spinge alle delizie campestri, a godervi un'estasi voluttuosa. Il cocente raggio del sole rifulge nell' Estale più vivido, e colora più robustamente le cose. I terreni riflettono tinte caldissime. Un ver- de carico tinge le ricche fronde degli alberi che ondeggiano superba- mente, e gettano fresclie e trasparenti ombre a proteggere il riposo, e a ristorare l'ansia che assale ed opprime di sotto al meriggio il vian- dante. Ma la stagione prediletta del Paesista è l'Autunno. Né la Primavera con tutto l'apparato delle sue seduzioni, né l'Estate colla pienezza della lussureggiante vegetazione, non porgono uno spettacolo cosi sva- riato, e non per certo poi tanto favorevole all'arie come presenta l'Au- tunno. Come ridire la varietà dei colori che assumono le piante, i muschi, i terreni? Come esprimere le infinite degradazioni con che pas- sano le frondi dalla pallida verdura alle tinte verdastre giallognole, dal ro.ssiccio al bruno? E come le tinte descrivere della vite selvaggia aggruppata in fra i rotami della capelletta Sacra alla Vergine Santa jirotetlrice de' campi? Come indicare infine la pittoresca sparutezza degli arbusti, in cui tra lo spoglio del caduto fogliame, e tra le loro bacche di mille brillanti colori , si rifugge 1' augello perseguitato dalle insidie dei cacciatori. 222 Il freddo, il fosco tono del verno offre ancli'esso all'arte mirabili effetti da imitare. La natura è assopita. Sulla terra coperta di brine si riverbera il chiarore pallido e tristo di un debole raggio, che non sa vincere lo spessore delle nebbie, e al quale si mesce il vampo del focherello che splende dal rusticale tugurio. Triste periodo dell'anno ma neppur esso è privo di esimii pregi per il paesista filosofo. E come la sbaldanzila vecchiaja dell'uomo a cui nell'assenza delle ilhisioni, nella privazione delle lusinghe, di quelle illusioni, di quelle lusinghe che sono tanta parte della felicità nella fervida e fiduciosa gioventù , resta il contento delle rimembranze, il vantaggio del saggio consiglio, e cièche più vale, il gaudio che prodiga all'estremo la vita , se onesta, nella beata quiete di una intemerata coscienza. ' Ad esprimere la diversità di questi caratteri si studiarono in ogni tempo di riuscire i più valenti paesisti. Si trova in fra gli altri, la se- renità della natura, che nella primavera si desta, espressa mirabil- mente dagli artifizj di Pussino. Il vigore dell'estate si figurò pure vi- vamente da Zuccherelli e Van Uden. La varietà del cangiante fogliame che nell'autunno offre uno spettacolo istantaneamente mutevole allettò Claudio di Lorena a coglierlo nelle sue eminentemente pittoresche bellezze. Temjiesta Sicilio ed Agricola imitarono felicemente gli squal- lori dei ghiacci e delle nevi, quelle magnifiche pompe della stagione brumale. XIV. Caratteri delle differenti ore. E parimenti i diversi caratteri che assumono le varie ore del giorno offersero a Breugel , Claudio di Lorena, Van Uden, Marco Ricci, e Tcniers, fertile campo e degno meszo a spiegare il loro ingegno. Allo spuntare del Sole nei crepuscoli dell'Aurora, i vapori terrestri sono ordinariamente di colore azzurrognolo ; divengono quindi rosei e di un violetto dorato. Al sorgere del Sole s'indorano affatto e si diradano ai raggi , che il suo disco ancora rosseggiante vibra dal fondo degli stessi vapori nei quali si trova immerso, e che si fanno violetti o porpori- ni, finché l'orizzonte tutto apparisce come un'immenso oceano di zaffiro fiammeggiante. Succedono poscia a mano a mano le altre ore mattinali di sempre vario carattere, e la luce diviene sempre più leg- 220 giera , '.rasparenle, e tale, che si diiebbe sciiillllante letizia. E nien- ire il Sole si piega al tramonto, sempre più imbruna l'orizzonte, sempre più invece rosseggia l'occaso di vivissima luce. In questi vi- vissimi vapori, che di tratto in tratto si condensano in nubi diafane, sorgono ad incontrare il benefico Astro, e ne rifrangono i raggi che fiammeggiano vagamente ne' più splendenti colori. Il cielo poi va sempre più azzurreggiando limpidissimo, sino a che il Sole cade affatto, si cela, e succedono istantaneamente ombre sempre più fitte e profonde, finché viene a regnare misteriosamente la notte ncll'oscurato emisfero. XV. / Vapori. Ed avendo qui toccato dei vapori, accennerò altresì che il Pae- sista deve osservare attentamente gli effetti onde trarne giudizioso par- tito. Essi vapori più o meno densi, si sollevano al mattino dal suolo, e cagionano nei colori una sensibile alterazione. E questa risulta tanto più grande quanto maggiore è la loro quantità intermedia in ragione della distanza degli oggetti colorali. Essi ricevono inoltre la luce in modo differente degli altri oggetti, ed in forza della loro diafaneità, la trasmettono a quelli con forme diverse di raggi luminosi, cambian- do, come ho detto, la purezza dei colori locali , e costituendo per cosi fatta giiis^ una loro particolare armonia aerea ed universale. Si noli che è massima di non rendere i vapori osservabili, se non allora che vengono illuminati. Il fioco chiarore della Luna apparisce per essi , ove sieno leggieri assai , più caro ancora, più voluttuoso. Vernet è di- venuto in ciò il maestro dei maestri. Diirer e da Vinci c'insegnano (16.22. A) che li corpi non solo naturalmente si diminuiscono alla vista di grandezza quanto sono da essa più distanti, ma che l'aria interposta, coprendoli come di un velo ne modifica pure a grado a grado il tono, cosi nelle ombre che nel colore , insino a che per la grande distanza li comprende nella propria massa, e li perde. I vapori che s'innalzano dalla terra e dall'acqua au- mentano maggiormente tale effetto. La nebbia produce alterazioni ancora più immediate, con la dif- ferenza parò che i vapori spesso concorrono a rendere più gradevole la scena, quando la nebbia invece l'attrista. 32^ XVI. // Cielo. Uno dei principali mezzi di eui servonsi i valenti paesisti cosi per equilibrare la composizione, che per esprimere il carattere, ed ottenere mirabili effetti, si è il partito del cielo. Nondimeno s'in- contra in tal parte grandissima difficoltà, essendo malagevole assai l'imitazione delle nuvole, per la infinita varietà delle forme e dei co- lori ch'esse ricevono dalle diverse correnti dell'aria, dalle opposizioni della luce, e dalle ombre in che si mettono reciprocamente. Sono esse in natura contornate con tanta dolcezza, che quasi si giudicherebbe l'arie inefficace a rappresentarne evidentemente gli svarialissimi effetti, senza cadere nel minuto, nel crudo. Rari infatti sono gli artisti i quali colgano con felice successo l'imitazione di quei vapori vibrali mirabil- mente nell'atmosfera. Le nuvole sono in massima di carattere vago, lucide nei lumi, trasparenti e riflettute nelle ombre, sommamente leggiere, sfumate, e soprattutto soavi ed armoniche nell' orizzonte , dove il più delle volte non offrono che un complesso di molteplici tinte, confuse in modo da non potersene distinguere le forme. Ma le nuvole anche spesso si ad- densano, si squarciano bizzarramente all'appressarsi del temporale, ed offrono talvolta orrenda comparsa dei toni più freddi e pesanti, allo spaventoso annunzio dell'uragano imminente. Gli eccellenti artisti tante volte nominati in addietro offrono tutti bellissimi esempj d'imitazione di tali mirabili effetti. XVII. Le Acque. E pregio massimo del paesista il trattare competentemente le ac- que. Di quali differenti effetti non è mai suscettibile la loro mobilità sotto l'influsso della luce e dei venti? Le scene, che ne sono abbon- devoli, vogliono più che altre esprimere il fresco spesso verdastro, <; vogliono sempre la maggior trasparenza di tinte. Everdingen , Vernet , Pater, e Agricola offrono esimii modelli del modo di trattare con bella imitazione del vero questa difficilissima parte della pittura di paesaggio. Le sponde del mare e dei fiumi sono di malagevolissima esecuzio- ne, e tanto più quando si tratta di rappresentare una riviera somma- 225 mente tortuosa, od un fiume serpeggiante per una vasta pianura. Vuoisi in tal caso segnare i lidi con molta avvedutezza, affinchè le loro si- nuosità ne sviluppino ad evidenza il corso. S'abbiano possibilmente seni dolcissimi, se ne evitino gli angoli troppo duri, e soprattutto si rifugga dal dare ad essi soverchia pendenza. Tanto domanda il piano orizzon- tale delle acque. Tanto ha debito di osservare l'artista, il quale per mezzo di avveduti ravvolgimenti, d'interruzioni, di richiami può fare ad esse percorrere una grandissima via in breve spazio, senza ofTesa della convenienza e del gusto. Ma quanta finezza nell' osservare, quanta prontezza nel concepire esigano nel paesista gì' infinitamente svariati caratteri delle acque! Di quanta perizia e spedita sicurezza di esecuzione egli abbisogna per co- gliere ed imitare bellamente gli sfuggevoli loro moti, il loro istantaneo al- terare di tinte, riverberare di oggetti, coruscare di luce! Qual lode non si deve al pittore che sappia rappresentare al vivo la loro immo- bilità, sotto un purissimo cielo senza brezza, ovvero fra il cupo orrore di una foresta nello zampillare scherzoso che fanno fra bronco e frana, e nel loro stendersi in larghe falde, e come specchi sul candido e liscio dorso di una rupe selvaggia! Quale orrore non desta l'impeto del torrente che si rovescia dal sommo, erompendosi nell'aria soggetta, cade a modo di grigio vapore, cambiato quasi in nube si versa e nella sua apparente leggerezza seco travolve le scogliere fra le quali s'infuria? Quale orrore la veemen- te cateratta che piomba in un baratro, e ne rimbalza un monte di spuma. Che gentile, al contano, il filo d'argento che fra le zolle e le ghiaje si fa strada lucicando sotto il raggio solare, e si perde fra cespu- gli di rose? L'attonita meraviglia che impongono li verdastri e spumosi cavalloni che nell'impeto della burrasca si sbattono violentemente, fra di loro balzano, all'alto usurpano le regioni dell'aria, e in aria si ca- povolgono e nel loro vorticoso moto spalancano voragini immense pronte ad ingojare nei loro abissi il navigatore; mentre incontrando la resi- stenza in uno scoglio vi si rompono e si tramutano in una candidezza abbagliante? Spettacolo veramente sublime! O Veroet incomparabile pittore delle tempeste! Felice quell'ar- tista che ispirato dalla sublimità del vero, può profittevolmente stu- diare m tal parte la potenza esecutiva del tuo insigne pennello, e può =9 226 dietro la tua guida al vivo esprimere i concepimenti formati all'aspetto della verità: felice se valendo come tu a rappresentarli, resterà mosso dall'entusiasmo, dalla esaltazione, dal fremito clie mettono quei solenni spettacoli della natura agitata da chi con un cenno sconvolge gli ele- menti! XVIII. Le Frondi. V\c\ por termine alle mie parole con deliberata intenzione mi sono riserbato di toccare di volo due altre parti integrantissime dell'argo- mento, nelle quali stimo che solo per l'attento studio su l'opere dei famigerati possano i giovani paesisti trovare norme ad uscirne con lode: voglio dire del frondeggiare e delle macchiette. ]Siuno pensi mai, in quanto al frondeggiare con gusto, larghezza di stile, convenienza di carattere, facilità di fare, che possano valere in nulla i precetti. La più accorta osservazione del vero, e delle di- verse maniere colle quali lo espressero i pittori di vaglia , il più lungo ed ostinato esercizio a disegnare con precisione e speditezza ogni guisa di frasche, possono condurre alla perfezione in questa parte: la quale è al certo la piìi malagevole in quanto all'esecuzione di qualunque al- tra costituente il paesaggio. Il frondeggio piiì che altro in questo note- vole ramo delle arti è quello che manifesta il grande disegnatore, il profondo osservatore degl'infìnili caratteri delle piante, il colorista si- curo, l'esecutore focoso, direi quasi ispirato. In tale parte non giunse ad ottenere lode di ■Ralente chi non fu consumato nell'arte pratica, e chi non ebbe dalla natura l'eletto dono il quale fa che l'uomo nasca artista. Il frondeggio è nei quadri di paesaggio , ciò che il nudo è in quelli di storia, la prova del pittore. Ed Ermels come ci assicura Breem- berg Bartolommeo ( 17.54) si distinse oltremodo in tale ingegnosa parte. Una recente scoperta dell'ingegno umano offre in questo tempo all'alunno in tal parte dei vantaggi prima non conosciuti, mediante gli •studj di paesaggi tratti dal vero, che da valenti artisti si vanno pub- blicando in litografia. Il dottissimo signor Bartolomeo Gamba in un suo rispettato scritto •s'esprime quindi a tutta ragione, che questo utilissimo ritrovato può condurre gli studiosi specialmente per la parte esecutiva più difficile dell'arte, siccome è quella del frondeggiare, a cogliere presto le rose senza troppo pungersi con le spine. XIX. Le macchiette. Prova di gusto, di valentia, e di sentimento, indizio di pit- tor vero sono finalmente le macchiette, e Borghini (12) avvalora questa verità. Per esse il carattere dei luoghi riceve l'ultimo rafforza- mento , per esse macchiette si lega il paesista co' nostri affetti , ci desta nobili passioni, ci solleva l'anima, divenendo storico, ci narra latti, ci conduce fra gli abituri a considerare la povertà contenta, ci presenta le rovine dell'età, le sventure, ci ammaestra, ci migliora nel costume. Una sola figura accortamente collocata unisce non di rado la composizione, determina l'espressione, rivolge il pensiero allo scopo dell'opera. Nondimeno senza nessuna macchietta, sonovi situazioni specialmente selvaggie che manifestano da per loro l'indole propria. Ma non sono però troppo frequenti i soggetti che senza tale soccorso basti- no a produrre una gagliarda impressione. Indipendentemente poi anche dalla loro efficacia a muovere le sensazioni, le macchiette mi sembrano m se stesse un cosi piacevole ornamento dei siti, un'allettativo si caro, che io le direi quasi le rime del paesista. Le macchiette sia che assecondino il carattere locale, o ne facciano risaltare la forza co' contrasti, costituiscono fuor di dubbio uno del maggiori mezzi dell'arte. Ma guai se ad esse manca il brio, la sicu- rezza del tono, la grazia del fare! Guai al paesista che le giudicasse estranee al suo debito, o le facesse stentale! XX. Necessisà dello studio nel Paesista. Oltre all'ispirazione, al genio, ed alla continua contemplazione della natura è indispensabile ancora lo studio sui più rinomati maestri; mentre solo dalle opere loro si possono apprendere infinite cose, che i principi non valgono a descrivere. I modi, coi quali i valenti uomini usa- rono imitare la natura meritano, che se ne faccia tesoro , non già quasi modello, ma come esempj, guide, ed ajuti, a cogliere nei più gene- ral, caratteri le espressioni del vero. In Waterloo, Schvvanenfdd, Clan- dio di Lorena, Ermels, Roos e Teniers troveranno gli studiosi perfezio- 228 ne di l'rondi, di tronchi, freschezza di boschetti, e mirabili riflessi di luce. In Salvator Rosa, Felice Mayer , Hermels, Hackert , Everdingen, e Dietrich terribili esempj di vaste rupi desolate, di malinconiche si- tuazioni. In Lorena e Pussino delizie di erbose campagne, dolcissime lontananze ed inesauribile vaghezza nella campestre semplicità, e nel silenzio di un boschetto chiuso, rotto da monotono mormorio del ru- scelletto , che riempie il cuore di soave malinconia. In Wouvermann collinette beate. In Berchem e Dietrich somma verità di terreni sab- biosi, monti sparsi di verdure, boscaglie, ed una foresta con piante annose che sveglia il senso della venerazione. In Everdingen e Pater arditezza di tono, impetuosità di torrenti romorosi , che si divallano dall'ineguale montagna, e stringono l'anima di spavento. In Rubens, Tiziano e Dominichino un brillante colorire, focoso e sublime ordi- mento nelle composizioni. In Dietrich ottimo gusto e grande sicurezza nell'arduissima parte di trattare le rupi. In Vernet, Dietrich, e Zucca- relli sì meravigliose rappresentazioni di marine, acque correnti, cadenti e serpeggianti per le pianure, con tanta magica illusione che l'Algarotti (2.5.4-) *^' ricorda un paesaggio di Dietrich in cui credevasi di sentire mormorare le acque. Ah lasci lasci anche il paesaggio colui che non vuole le fatiche che comandano le discipline del bello! Dimetta il pennello, non vitu- peri un r.imo delle arti, che troppi mediocri per iufingardia resero spregevole a que' molti, i quali giudicano delle cose, non sulla intrin- seca essenza di loro , ma dagli effetti provenienti da vizii e dagli abusi di esse. Senza ostinata perseveranza di studj lunghi e difficili non si giunge all'altezza in ninna parte del bello, e senza altezza di mente non si ottiene la gloria. Senza altezza d'ingegno non si conseguiscono a' nostri giorni encomj, e sia onore al vero; dappoiché non si pregia ge- neralmente né si ricerca che l'ottimo in ogni cosa, ed il solo merito eminente suole avere corona. Nessun ramo dell' arte , oso asserirlo , può profittare altrettanto semplici , gagliardi, ed innocenti piaceri. Imperciocché se le delizie cam- pestri insegnano a bene eseguire e gustare le pitture di paesaggio; cosi, al dire del Pindemonte fy i) anima candidissima, i paeselli dipinti con debita ricompensa ajutano a gustare e ad apprezzare maggiormente le delizie campestri. 229 Ma sia clie il desiderio di una dilettevole occupazione, o la forza del genio per cui solo uno può giungere al sommo, induca allo stu- dio del paesaggio, chi la tratta soprattutto si avvezzi in quanto alle ultime parti accennale , allo studio profondo dei grandi maestri, come unico mezzo ad apprenderne gli artifizj. Gli artisti elevati non si pre- fìggono mai altro modello che il vero , ma mettono attente conside- razioni ai mezzi che i valent' uomini usarono ad imitarlo. Egli è certezza che l'entusiasmo pel belio della natura, come dice INIillin (64), è il principale fondamento del sublime che ci sorpren- de, domina, e sforza ad ammirarlo. Esso sublime anco nei paesaggi opera sul nostro cuore con una specie di violenza , e più che si riflette su quello che è veramente sublime, piij profonda ci lascia nell'anima la gratissima impressione dell'ordine armonico dell'universo, in cui v'è il bello della natura selvaggia, il bello della natura ingentilita, essendo ambedue rappresentate dal bello dell'arte, il di cui palpito s'ingenera nell'anima, del paesista. INDICAZIONE DELLE CITATAZIONL i. Acordini. Vita del Tiziano. Venezia i8og. in 4.to. a. Algarotti. Lettere sulla pittura. Cremona 1781. in 8.° 3. Algarotti. Opere. Venezia 1791. Voi. 17. in 8.° 4. Algarotti. Saggio sopra la pittura. Cassel 1769. in 8.° 5. Argcnsville. Abregé de la vie de plus fameuse Pcintres. Paris l'jGi. Voi. 8. in />.o 6. Baglioni. Vile dei pittori, scultori etc. moderni del 1572. al 1640. fioriti in Na- poli 1753. in 4.° •3. Baldinucci. Lettera al Marc. Capponi Marini. Firenze 1787. in 4-to. 8. Baldinucci. Lettere a Monsignor Salviati intorno al modo di dar proporzione alle figure. Poggiali. Livorno 1802. 9. Baldinucci. Notizie dei Professori del disegno etc. Domenico Maria Mani. Firenze 1767. Tomi y.i. in 4.0 10. Baldinucci. Vocabolario Toscano dell'arte del disegno. Firenze 1681. in 4-to. 11. Bellori Gio: Pietro. Le vite dei pittori etc. moderni Roma 1728. in 4-° 12. Borghini Raffaele. Il riposo etc. Riscionl Ant. M. Firenze l'jóo. in 4.° i3. Botturi. Raccolta di lettere sulla pittura. Roma 1754. in 4.° i4' Carpani. Le Majeriane etc. Padova 1820. in 8.* i5. Cesarotti Melcliiore. Poesie di Ossian. Padova i^yi. Voi. 4- '" 8.° 16. Da Vinci Leonardo. Trattato della pittura. Manzi. Roma 181 ■;. in 4.10. 17. Descamps. Vies de Peintres flamands AUemand et Hollandois. Paris l'jSS. Voi. 4. in 4.° 18. Diderot. Essais sur la Peinture a Paris chez Fr. Sruisson Pan. IV. de la Re- pubblique in 8.° 19. Domenici. Vite dei pittori etc. Napolitani. Napoli 1742. Voi. 3. 4.to. 20. Doppelmajr. Notizie istoriche degli artisti di Norimberga. Nùrinberg. 1730 fol. 31. Durand. Histoire de la peinture ancienne extraite de l'histoire naturelle de Pli- ne. Londres. 1725. fol. 22. Dureri Alberti. Collezione di tutte le sue opere dal i525 fino al iS.iS. Arnheim. i6o3. fol. 25. Euclide. La prospettiva, tradotta da Egnazio Danti. Giunti. Firenze 1673. in 4-° 24. Evequus Pietro Carlo. La continuazione del Dizionario delle arti etc. per Wa- telet. Parigi 1792. a5. Tenillet, Precis historique de la vie de M. Vernet. 26. Fillbien André. Entretiens sur le vies des peintres Trevoux. 172$. in 8.° 23l 27. Fiorillo Giovanni Domenico. Storia dell'arie della PiUiira. Gottinga 1-98. Yol. 5. in 8 28. Fussl/ Enrico. Discorsi sulla Pittura. Koraa i8o4. in 4-to- 29. Fussly. Lexicon universale degli artisti. Zurigo 1800. Voi. 7. fol, 30. Gandellini. Notizie isteriche degl' intagliatori. Slena l'jii. Voi. 3. In 8.0 5i. Gellert Cristiano Furchtgott. Dell'influenza delle belle arti sul cuore e li costu-- mi. Berna 1775. Sa Gessner. Iiettera sopra la Pittura inserita nella prefazione dell'opera di Fussly. Gottinga i'387. in 8.0 33. Goethe Giovanni W^olfgang. Disegni presi dal suo poema; 34. Guarienti Pietro Orlandi Pellegrino Antonio A. B. E. pittorico. Venezia 1753. in 4-'o- 35. Ilngedorn. Lettere a un amateur de la pelnturc. Dresda 1755. in la.mo. 3G. Hagedorn Cristiano Luigi. Raccolta di Lettere sopra le arti. Baden. Lipsia 1797. Voi. 2. in 8.0 37. Hagedorn. Rcflessions sur la Peinture traduit par Hubert. Leipzig. 1775. Voi. 2. in 8.0 58. Haller Alberto. Le alpi etr. Berna i 732. in 8.0 3p. Haller Alb. Lettere che servono alla coltura del gusto. Berna 1777. 40. Heinecke G. Notizie degli artisti etc. Lipsia 1770. Voi. 2. 41. Hiisgcn Enrico Sebastiano. Magazzino degli Artisti. Francfott i-;f)c>. Voi. 41. in 8.0 42. Introduzione allo studio delle arti del disegno. INlilano. Vallardi 1821. Voi. 2.8.0 43. Kleìst Er. Chrlst. La Primavera. Berlino 1758. in 8.t> 44- Lairesse Gerardo. Il gran libro dei pittori. Amsterdam 1716. Voi. 2. 45. Lairesse. Les princlpes de dissein. Mortier. Amsterdam 1719. fol. 46. Lnndon. Annalcs des Muste , e de l'ecole moderne des arts. Paris. i8or. in 4.0 47. Lanzi Luigi. Storia pittorica. Bassano 1809. Voi. 6. 8.° 48. Lirutl. Notizie del Friuli. Venezia 17G0. Voi. 3. in 4-to. 49. Lomazzo Gio. Paolo. Idea del tempio della Pittura. Pontlo Milano iSgo. 50. Lomazzo Gio. P. Trattato della Pittura. Pontlo. Milano 1 585. 5i. Malvasia Felsina pittrice. Vite del pittori Bolognesi. Bologna. 1678. Voi. 2. in 4.to. 52. Manlicli. Notice des tableaux do la Galerie Rojale de Munic. Munic i8i8. 53. Manlicli. Notice des tableaux de la Galerie Rojale de Scbleisheim 1810. in 8.0 54. Mengs Antonio Raffaelle. Opere. Di Fea. Roma 1787. in 4.to. 55. Mcusel Giovanni Giorgio. Archivio pegli artisti , ed amatori delle Belle Arti. Dresda 180 5. Voi. 7. 8. 56. Meusel. Dizionario degli artisti tedeschi viventi. Lemego. 1778. Voi. 2. in 8.0 57. Meusel. Museo per gli artisti e dilettanti. Manheim 1787. in 8.0 58. Meusel. Nuove Miscellanee concernenti le arti. Erfurt i7q5. in 8,0 59. Majer. Apologia del libro imitazione pittorica etc. Ferrara 1820. in 8." Go. Mayer. Dell'imitazione pittorica e della vita di Tiziano. Venezia 18 18. in 8.0 61. Michel S. F. M. Vita di Rubens. Brusselles 1771. in 8.0 232 62. Milizia Francesco. -Dell' arte di vedere nelle Belle Arti eie. Venezia 1788. in 8.° 65. Milizia Francesco. Dizionario delle arti del disegno. Bassano i^gy. Voi. 2. in 8." 64. Millin. Dictionaire des Beaux Arts. Paris j8o6. Voi. 5 in 8.0 65. Morgan Ladj. Vita e secolo di Salvator Rosa. 1824. Voi. 2. in 8.0 A. Neu Majr. Vita ed opere di Alberto Diirer. Venezia 1822 ed Artisti Alemanni Venezia 1819 in 4-° 66. Pascoli Lione. Vite dei Pittori, Scultori, ed Architetti moderni. Roma i^So. Voi. 2. 67. Piles. Cours de Peinturc par principe. Paris lygi- 68. Piles. Diverses conversalions sur la peinture. Paris 1677. 69. Piles. Elémens de Peinture praticque. Paris 177G. 70. Piles deRoger. Rulcuel de divers ouvrages sur la Peinture Paris 1776. in 12. mo. 71. Pindemonte Ippolito. Saggio di poesie campestri. Bodoni. Parma 1792. in la.mo. 72. Plinius. Historia naturalis. Basilae i525. fol. 70. Preissler. Istruzioni per disegnare paesaggi eie. Norimberga lySg. fol. 74. Rejnalds Joshm. Opere. Londra i8or. ^ol. 3. in 8.° 75. Richardson. Traile de la Peinture etc. Amsterdam 1728. Voi. 3. in i2.mo. 76. Ridolfì Carlo. Le maraviglie dell'arte etc. Venezia 1648. in 4-to- 77. Rost Carlo Cristiano Enrico. Manuale pei amatori delle Belle Arti sugl'Intaglia- tori e le loro opere. Martini. Lipsia 1796. Voi. 6. 78. Salvinj Antonio Maria. Vita di Salvator Rosa. Firenze 1770. 79. Sandrart Joachiml etc. Accademia nobilissimae artis Pictoriae. Norlmbergae i683. in folio. 80. Soprani Raffaele. Vite dei pittori Genovesi, Ratti. Genova 1768. in 4-lo- 81. Sulzer Gio: Giorgio. Teoria generale dello Belle Arti. Lipsia 1792. Voi. S. in 8.° 82. Tailasson. Observations sur quelques grands peintres etc. Paris 1807. 8.° 83. Thomson Giacomo. Le stagioni. Bolli. Prato 1826. 84. Ticozzi. Vite dei pittori Veneti. Milano 181 7. in 8.0 85. Vasari. Ragionamenti sopra le invenzioni da lui dipinte etc. Arezzo. 1762. in 4-'* 86. Vasari Giorgio. Vile dei più eccellenti pittori. Dalla Vale. Siena 1791. Voi. 4 'i 8.° 87. Vitruvii Marci PoHlonis. De Architettura etc. cum notis SoLneider. Lipsia 1807. Voi. 5. in 8.0 88. Watelet. Dictionnaire des Arts. Paris 1792. Voi. 5. in 8.0 89. Wejermann. Vite degli artisti dei Paesi Basti. Gravenhage 1756. in 4.0 90. Winckelmann ed il suo secolo. Goethe. Tubinga i8o5. in 8.0 91. Winckelmann Giovanni. Storia delle arti del disegno presso gli antichi. Fea. Roma 1785. Voi. 3. in 4.0 92. Wolf Giovanni Cristiano. Elementi- delle scienze matematiche. Francforte 1725 Voi. 4. in 8.0 93. Zandonella Gio. Battista. Elogio di Tiziano Vecellio. Venezia 1804. in 8.° 94. Zanetti Antonio Maria. Della Pittura Veneziana. Venezia 1771 in 8.° IPAcìD IL (D) ' MJE MiriE IK. B'G) leU -BH ■ VlRI¥IE2iJIA IPIElK'iL'OMMlSSlIIOiVlE flCDHFWA -MIEILIL' ■ ATOS O •CIIDDCn ItXXyi .>wfc?«(K' ^nméia^ (Sa'^na/i- &<«ééyw '■^ ^ta/rif/i/è/eé /5^ •^ i<«8èi«fe- STORIA ANEDDOTA DEL BUSTO ERMI DEL DOGE IIE]^IER OPERA DI CIKOVA MEMORIA D I PETRONIO MAKIA CANALI LKTTA ALL'ATENEO VENETO NELLA TORNATA 27 AGOSTO l838. PKOLEGOMEWO. Signori. N, [ull'avvi di più venerabile della patria, nulla di più lorte della memoria de' maggiori suoi. Avvinto io a queste persuasioni da' nodi te- nacissimi dello spirito, sono perciò ricondotto a voi cosi presto su di questa bigoncia, quantunque nella prima tornata di luglio, sciogliessi il mio dovere accademico con patrio soggetto, e quantunque io possa meglio provvedere a me col silenzio, di quello che con l'eloquio. Ma di me non curo. Io doveva curare, rassicurata da critica, una disco- perta che intreccia di nuova foglia la corona del patrio alloro ; e a voi. Signori, per primi io la dovea rivelare; a voi, che cultori de'pa- tri studi, e zelatori delle patrie glorie, potrete profittarne a onore della età nostra. Già voi prevenuti dagli appellativi della nostra cedola d'invito, m' intendete che vi parlo della discoperta del busto-erma del Doge Renier di Canova. Dodici lustri trascorsero senza tracce manifeste di tanta effigie, di tanto effigiatore ; il magno storico della scultura, pub- blicava che n'era perito anche il modello; il tempo, che attenta per- fino allo spirito di non retrotrarsi, ne illanguidiva con le memorie le speranze. Ma un'artista nostro concittadino, che nulla tiene di più venerabile della patria, nulla di più forte della memoria de' maggiori suoi, instancabile perciò di ricerche fra i disfacimenti e le macerie di patri lavori che interessino il suo esercizio di scalpellino; il signor Giambatista Geraldon Bosio, trovò e serba da quallr'anni, il busto del Doge Renier di Canova. 3 38 A questo annunzio che io vi faccio , mi accorgo della muta inler- locuzion vostra, come per quattr'anni fosse silenziata fin oggi la sco- perta,, ed oggi poi ne la gridi con tanta fretta. Signori: la scoperta aveva bisogno di vincere 1' autorità che vi ò delta ; di superare il pre- giudizio dell' obblio; di condurre con la storia, co' documenti , col maestrato dell'arte, il consenso generale alla certezza, che il busto scoperto, sia il vero busto scolpito da Canova, il vero busto rappre- sentante il Doge Renier. Ecco i motivi dell'allentare. E quelli della sollecitudine di questo giorno? No, noti me li richiedono gli uomini di studio, che sanno le inquietudini delle investigazioni, e il gaudio di pace della raggiunta certezza: no, non me li richiedono gli uomini della patria, che sentono nell'animo come proprio, ogni racquislo di tutta la città natale. Così oggidì io certo, che il busto di cui vengo a parlarvi é la effigie di Renier scolpita da Canova, oggi vengo per- ciò frettoloso a versar con voi la soddisfazione della mia mente, la compiacenza del mio cuore. E poiché il lavoro della critica a discuoprimenlo di tal vero, mi rivelò pure una peculiare odissea dell' Erma Canoviana, non senza interesse alla nostra storia domestica, ò creduto non inutile di enar- rarvela. Che se lieve sarà a voi il mio racconto, così riescirà per la mia Icvezza , non per le cose; che la storia aneddota della contraddetta esistenza della immagine di un principe nostro celebratissimo , sculta dal Fidia di due secoli, porge fatti e nomi patri nostri, alla curiosità di tutto il mondo incivilito. Io poi mi ricovero alla vostra graziosita. MEMORIA \_^anova aBoma, nell'anno 1817, a inchiesta dell'alto principe, in presente Re di Baviera , pubblicava il tr Catalogo cronologico delle sculture cr sue (1). Ivi due ne annoverò operate nell'anno 1776: L'Orfeo, in pietra di Costoza , ch'esposto in Sensa (a) sfavillò la scintilla del sorgente suo genio alla fama: e l'altra sua opera indicò in questi termini : — Ritratto del Doge Renier^ modellato per ordine del N. V. Angelo Querini. s Questa sola dichiarazione della bocca di Canova documenta, ch'egli ritrasse il volto del Doge Reuier; do- oimenta che ne fece il modello, non però di avernelo sculto, di che egli tacque. Quando poi volle il destino, che non altrove, ma fra noi, dove da pria il Possagnese inalzò a grido , deponesse per sempre lo scal- pello; così come il destino intendesse di segnare il circolo della sua gloria, che non doveva arrestarsi fra il mondo, ma compiere il corso, e finir solamente ov'ebbe principio; quando, diceavi. Canova sollevò dalla magion nostra al cielo, l'ultimo soffio della peregrina sua vita, il destino perciò gli fea appo noi ragion di ritrovo dell' eridanio scrit- tore della scultura, clie raccogliesse la vita estetica di lui; e la diffon- desse e tramandasse dall'uno all'altro polo, unici confini della sua celebrità. Allora Cicognara pubblicava il suo catalogo delle opere Ca- noviane. Ivi anch'egli annotava nell'anno 1776, il —Ritratto del Doge Renier , modellato pel nob. uomo Angelo Querini sj ma soggiun- geva : s modello perito (3). iNiuno quindi avrebbe più pensato a tale argomento, se una sin- golare avventura, di altre più singolari succeditrice, non avesse por- tato in proprietà dell'artista nostro Geraldon, il busto di cui vi ra- giono. Per caso, e senza sua volontà, egli lo conseguiva contrattando un acquisto di colonne di Bianco-negro di Verona : le quali solamente 3i 343 conosceva, ma che il propiielarlo non gli accorciava, se non compe- rava insieme a dato prezzo collettivo, un busto e un lavello, che allo stesso padrone fabbro ferrajo , fraudavano nella carbonaia, spazio al carbone per lui più importante. Il Bosio quinci, per avere le colonne che gli occorrevano, acquistava nel di 19. ottobre i834-j tali altri pezzi di marmo (4). Tantosto mondava il busto annerito, per rico- noscere che cosa fosse, e lo stato in cui fosse. Vide un ritratto, ma ignoto a lui; ignoto pure gli restava il lavoro dello scalpello: bensi ne fu preso. Allora gli crebbe l'interesse di ripulirlo, per osservare se fosse slato danneggiuto; ma per dilficile avventura, mai avealo of- feso menomamente, il ciclope o badile del fuclniere. Contento lo rimon- dava e lo allc'^ava in casa sua , per salvarlo da altri danni di espo- sizione e per mostrarlo à indovino di chi fosse, e chi fosse. Io a lui vicino in più rapporti di stima e amicizia, fui il primo a vedere il suo trovato; e il primo che ne lo pensasse di Canova , tutto compreso dall'attica semplicità. Ma occorreva l'autorità de' periti: furono molti richiesti in grazia, e fluttuarono i pareri. Il primo artista poi che giu- dicasse il busto di Canova, fu il rinomalo pittore di storia, l'accade- mico sig. Gian-Carlo Bevilacqua, che pregato dal Geraldon di deporre scritto il suo giudizio, addi 24. giugno j835 pronunziava, che: p; /a correzione del gusla, la regolarità del disegno, la morbidezza dello scalpello, indicavano la mano del Canova^ bensì nella prima sua età (5). Altri artisti furono opposti a tal giudizio, altri convennero. Finalmente il professore di scultura della I. R. Accademia, il chiaris- simo signor Zandomeneghi , e poi l'Accademia stessa in corpo, giu- dicarono il busto di Canova. Cosi confortalo il Geraldon, s'inanima a nuove investigazioni; e non osando di dubitare esternamente, che il modello potesse esistere, zitto, inosservato, e solo con la sua compagna, ad apparente cagion di diporto, recasi a Possagno. Appena entrali nella Galleria Canovia- na , vede, e la moglie previenlo con cenno, che colà eravi gesso pari del busto di casa loro. Egli circospetto in profonda riverenza, ma compreso dal fatto (e ogni fatto sempre avanza l'autorità) precipita quasi il suo ritorno a Venezia; fa eseguire all'acqua forte un profilo del suo busto; e per mediazione del cortese nostro accademico, signor dottore Arrigoni, liberale di ogni favore a chi ne lo ricerca, speditolo 243 all'inclito Prelato, fratello dell' insigne scultore , cliiedeva uno riscontro sul modello, che ivi avea visto. Il signor cavaliere Stecchini (nipote di monsignor Canova) nel primo giorno di questo mese, da Possagno rimandava al prcfalo dottore Arrigoni, il ])rofiIo segnato di tutte le dimensioni del modello, percliè si riscontrassero sul busto. Avvertiva per altro: che quel disegno ricordava il modullo colà esistente, ma non gli assomigliava gran fallo, che il gesso di qucU' ernia è leggero e scuro, perciocché il tennero sempre gcUalo a "N'enezia , sondo i gessi di Pioma ordinariamente candidi e pesanti: che cjnando Monsignore crasi colà trasferito da Pioma , lo supponeva il ritratto del Doge Re- nier, ma che ora non sovviensi piTi di lai suo parere; per ultimo consigliava, che fosse portalo a Possagno il busto di marmo, per ivi appagarlo ni modello, e cosi decidere sicuramente (6). INon volle di più il Gcraldon , ansioso del vero: tanto più, che le misure qui prese dal signor professore Martini sul marmo, corri- spondevano al modello fino all'ubimo millimetro. Prende egli licenza dall'I. R. Accademia di asportare per ritorno il suo Busto, che già l'Accademia aveva dichiarito lavoro di Canova, e ripeteva la sua di- chiarazione nel certificato normale per la R. Finanza; e subitocchè da questa ebbe la permissione di transito a invio e rinvio da Possa- gno, colà ne lo porla; e arriva nella Gipsioteca Canoviana nel di i4- iigosto cadente. Là posti a parallelo il marmo e il gesso dell'erma, risultò a piena luce l'identità dell'uno all'altro, e viceversa. Lo scul- tore Pasin Tonini, ilircltore della Galleria, ne fu cosi convinto da di- chiarare, che il c= Busto Erma in gesso .... perfettamente in tulio e per tutto corrisponde al busto in vìarmo di Carrara, posseduto dal signor Giambalista Geraldon di ì^'cnczia. e Eccone l'originale cerlificalo, che mi jtiace di leggervi nella sua interezza, anzi che rife- rirvene il contesto (8^. L'amico mio reduce a Venezia gaudioso, commette per mio av- viso al diligenlissimo pittore, signor Angelo Tramontlni, nn disegno del busto sulla pietra : perchè essendo indubbiamente ora provata Pe- perà di Canova, importa di farla di pubblico diritto. E poiché, come ora vi dimostrerò, sono venuto anche a prova, eh' è il ritratto del Doge Renior, commesso già dal Querini, io sottoposi alla litografia Tramonlini la semplice iscrizione italiana seguente. 244 PAOLO . REl^IER DOGE . DI . VENEZIA PER . COMMISSIONE DI . ANGELO . QVERINI . SENATORE SCOLPIVA . NELL' ANNO . CIODCCLXXVI CANOVA . E cosi da che feci lesta affrettatamente ogni cosa per voi , vedete ora, signori, il disegno sortito dalla litografia Dejè; e poi tornatemi il favor vostro al termine del mio racconto. KB. A questo punto fu mostrato il disegno del busto (^che sta ora in fronte a questa stampa) distribuendone esemplari agli ac cadcmici inten'cnuti. Provato Canoviano il busto, ora lo proverò rappresentante il Doge Renier. E a questa prova, eziandio Monsignor Canova impegnava negli scorsi giorni, con lettera all'accademico nostro, dottore Arrigo- nì. Monsignor vescovo dichiariva, ch'era ben certo che il fratello suo modellò il ritratto del Doge Renier; eh' è ben certo che il getto con- frontato in Possagno dal Geraldon col suo marmo, è getto di suo iralello; ma non è poi certo che il getto stesso, sia poi in fatto la presunta effigie ducale del penultimo principe viniziano. Però a tale riconoscimento, io pensava col Geraldon, sin dapprin- cipio della scoperta. Se poi anche tempo mi concedesse , non potrei dirvi le lunghe e pazienti cure di lui, per toccare la certezza in tal punto. Si rivolgeva dapprima ad antichi famigli de' Falieri, de' Farsetti, degli Zuliaui , de'Rezzonici, patrizj nostri cospicui, primi mecenati di Canova, per indagare se il busto di taluno di essi era stalo da lui scolpito, e se il busto ritrovato era di alcuno di essi la effigie: ma tutto indarno. Pareva quasi disperata ogni ulteriore indagine ; e succe- deva la stanchezza dell' operare infruttuoso. Quadochè avvenne un gior- no, che mentre il nostro Geraldon stava nella sua stanza, dappresso il busto delle sue affanaose ricerche, intento al servizio de'poveri (di 245 cu. è promotore di carità, nella sua parrocchia de' santi Ermagora e Fortunato) avvenne che l'uno di questi, un'ottuagenario, inaspettata- mente esclamasse: ah padrone! dopo tanti anni, mi tocca di rivedere .1. busto del Doge Renier di Canova , eh' era presso il N. U. Angelo Querini. Vi potete immaginare, signori, se il Geraldon restasse sba- lordito; e come suscitato da scossa elettrica, corresse a me dicendo- mi: Siamo a segno di lutto. Io però vedeva bene il segno della prova, ma non la prova. E pertanto approfittando di recente mia convalescen- za, che tenevami obbligato a casa, assunsi a costituto particolarizzato tal vecchio, Francesco Alfarè, miniatore già del Viero, negoziante di stampe, che miniava al Querini i disegni del suo piano di regolazione del Brenta, e teneva in cura le sue molte impressioni in rame (9); non che potei sentire altro vecchio superstite, certo signor Angelo Colhs, figliuozzo del Querini medesimo, e poi agente di sua casa ("o). bulle tracce di loro, indirizzai le mie ricerche, frugando memorie e libri patri; occupai amici che mi favorivano, a depurar tradizioni e confrontarle in archivi. E tutto ciò all'espresso fine di documentare la stona aneddota del busto del Doge Renier di Canova, ch'è poi il soggetto della mia promissione, alla quale m'inoltro. Pari nobile condizione, pari talenti alacri, pari vasta dottrina e pan fini, parevano che legassero in amicizia strettissima, il Senatore Angelo Querini, e Paolo Renier, Senatore, Ambasciatore. Bailo Con- sigliere, Inquisitore, e finalmente Doge. Ambi aveano spirito di novità • ambi miravano a riforma dell'edificio patrio; ma per fine diverso fra' loro, e forse solamente non distinto dal Querini. che il Renier avan- zavalo nell'uso della politica, e nella orditura della oratoria: com'e-'H er' avanzato dal Querini nella magnificenza di cavaliere, e qual mec^'e- nate delle lettere, e delle arti belle. Querini avea in sostanza animo repubblicano, Renier principesco. Queste, e le seguenti nozioni Io pre- dispongo pe- giovani di voi, che non abbiano addentrati gran passi nella storia ultima del nostro paese: e affine eziandio, di poter poi essere meglio inteso. L'infanzia di Renier, ce la conservò velatamente l'Esopo nostro nel saporoso apologo =: El Fatelo e la Luna = che incomincia: « Una bela Damina, e taso el resto » 2 46 e finisce accennando che il fanlicino: n l'è sia Conseger de santa Crose , » L'è andà su come Rosso, e morto Dose. " (li) Ciocché favoleggiando, la musa di Grilli significa: che lu Renier figliuoletto di arditissimo animo, sbrigliato pria lungamente dalla ma- dre, che poi lo imbrigliò bruscamente, e col piìi alto esito del tempo. Lise Morosini è lodevole di aver sagrificato la sensibilità alla sensatezza: ma ò dubbio che il rapido passaggio suo , dalla estrema lassezza, alla rigidezza estrema, comprimendo con violenza la violenza, abbia in- dotto in lui quel magistero di carattere velatore della magica sua vo- lontà. Però a dire della maturità dt4 Renier, non istarei alle caratte- ristiche dal Segretario Franceschi scritte nel 1763, per motivazione delle censure degl'Inquisitori di stato al medesimo Renier, perchè erano di circostanza (12): né prenderei i colori conformi , ma più rettorie!, dal paragrafo terzo del capo XXIl. della Narrazione apologetica di Gra- larol (i3) partita da ira e da studio; e quantunque il suo lagno in genere, non sia senza londaiiienlo di giustizia. A far poi conoscere Angelo Querìni, posso anche dilettare i gio- vani nostri , mandandoli a gustare la descrizione della di lui villa di Alticchiero, che stampò in francese la di lui amica, donna Giustiniana Wynne, contessa di Rosemberg (i4)' La villa Querini ad Alticchiero (villaggio discosto due miglia poc' oltre da Padova) era tutta creazio- ne del genio di lui. Viali, zolle, rezzi, acque zampillanti e lambenti, vaghezze d' incoli ed esotici fiori, sapori di frutta elette, olezzi di ce- dri e timiami, ogni beltà di natura colà rideva alla beli' arte industre di labirinto e di selva selvaggia , che distaccavano e ombreggiavano tempietti, simulacri, altari, obelischi, monumenti, che a Querini idea- rono gli studi classici, in sentimento condegno della patria sua nobiltà. E notate bene. Signori, che i più degl' inalzamenti da lui portati nei suoi giardini, non erano costruzioni coolemporanee. Già nell'anno 1787 (in cui li descriveva la Rosemberg) vi si enumeravano ventinove pezzi di sculture egiziane, romane , venete antiche e moderne, raccolte dal Querini per varie ricordanze, e le più illustrate da iscrizioni, che provano il suo gusto di latinità. 247 E per dirvi ora una delle sue ricordanze, e provarvi insieme il patrio suo spirito, vi dico che in Allicchiero , egli rialzò a luce la co- lonna monumcntaria del nostro Bajamonte Tiepolo , che nel i3io il Consiglio di X erigeva sull'alterramenlo della casa di Bajamonte stesso a s. Agostino, con questo bando ; » De Bajamonte fo questo terreno •,i E nio' per suo iniquo tradimento " Posto in Comune et per l'altrui spavento » E per mostrar a tutti sempre seno ». La qual colonna er' andata poi sepolta sotto quel campo, dal qual era stata ricavata nel lySS. Querini , diceavi, rialzolla nelle sue deli- zie sopra piedistallo, in cui fece scolpire assai bella epigrafe latina (i5^ clie a me piace di riferire italianamente in questo soggetto di discorso, che interessa anche altri uditori artisti, a' quali non potrebb* essere fa- miliare la filologia, come la matita, lo scalpello, il compasso. Eccola, DI . VIETA . DEMOCRAZIA IMONUMENTO DEL . MCCCX DA . VETVSTÀ E . DALLA . INGIVRIA . DEGLI . UOMIKI QVASI . DISTRUTTO DA . IKCVRIA . DI . PIV . RECENTI . TEMPI ERA . MVRICCIE . SOTTO . IL . PIAZZALE . DI . S. AGOSTINO . GIÀ . PROFOiNDATO DI . KVOVO . ELEVATO . SV . DI . PIAGGIA . APRICA . NEL . MDCCLXXXV TRA . RVINE . DI . PI^ . ANTICO . EVO . INTERMISTO NELLO . INSEGVENTE . DECHINO IN . VN . COL . LVOGO . E . IL . NOME . A . TOTALE . STERMINIO NON . SARÀ . PER . ISMARRIRE 248 II nostro dotto accademico, e sviscerato cittadino, il carissimo amico mio, Emmaiiuele Cigogna, riportò nelle sue Iscrizioni Veneziane (16) l'originale iscrizione, che aveva già pubblicata la Rosemberg nel suo libro di Alticchiero , ricco di trenta incisioni della pianta del palagio Querini, e de' monumenti di quegli alteri giardini. Ma in tal libro dilettevole, i nostri giovani potranno anche util- mente apprendere e valutare il vezzo delle grazie , e a distinguere il sapere, dalla voluttà del sapere. La letterata stampava per onorare il cavaliere e l'amico: e intanto a pretensione di spirito (e con disinvol- tura, come trattasse di piccole bagatelle) imputava Querini di aver l'anima pagana, o almeno manichea: e ciò a causa del di lui gusto per le antichità, per le deità allegoriche, pei geni benefici e malefici, ch'egli simboleggiava ne' suoi giardini a coro di muse, per colti ozi temporali , e meglio ancora a imitazione inglese. Vedete il melifluo ri- cambio, e la teologia citerina bandita dalla figlia di Albione, a lui che le fea omaggio, e onorava in alto fra noi, le britanne lautezze (17). Ora poi al mio preciso proposito dirò, che Querini ingenuo di Stima e di amore a Renier , dopo visto l'Orfeo di Canova, commetteva di fatto a Canova nel 1776, il busto dell'amico, allora Inquisitore di Stato. Renier contava a quel tempo 66. anni, percliè era nato nel di 21. marzo 1710, e Querini era più fresco di 11. anni, avendo veduta la prima luce nel di 3i. luglio 1721. Il Querini che domiciliava sulle fondamenta di s. Severo, nella casa che ora porta il civico ]N.° 425g, (18) teneva il busto del Renier ne'suoi ammezzati, e precisamente in quello della libreria , su di un tavoliere in faccia al suo scrittojo. Cosi i predelti vecchi mi deposero: aggiungendomi, che l'effigie Canovlaaa somigliava benissimo al Doge; ma per quanto consentiva la singolare mutabilllà di espressione del suo viso; tanto conosciuta da lui mede- simo, che perciò il bellettava quando portavasi in Senato, affine che negli aringhi non potessero essere indotte le impressioni che risentiva il suo animo. Ciò non ostante il mio confronto che praticai col rame delineato da Vitalba, sul dipinto acclamato del Gallina, me lo fecero riconoscere per la conformità delle regioni della glabella, e de' sopra- cigli, del naso adunco, degli zigomi, e de' labbri spiranti risolini: e ciò quantunque il camauro sopra la parrucca e sotto il corno, deggiano fare gran differenza, Ma una leggera marca, pur visibile, del volto 249 del Renier , fedelmente riportala dallo scultore, a carattere specifico della effige, assicura ad ultima evidenza l' identità del ritratto. Il Doge aveva una naluccia di forma elitlica alla sommità dello zigoma destro, inferiormente all'angolo esterno dell'occhio: ed ivi Canova agitò lo scalpello cosi, da segnare la lieve macula. Cosi pure sfuggevolmente, voi signori miei, la vedrete toccata nella litografia dall' acruiatissimo Tramontini (18^. Il Busto or'adiinque riserbato, è il Busto di Renier, che Canova aveva scolpito per Querini, il quale prima serbavalo con tanto amore. Ma amore non fondato su virtù vera , è frale assai , passa , e non dura. Quinci tempo venne, che il busto accarre/.zato da tanto amico, in bre- vissimi anni rappresentava a Querini piuttosto il freddo del marmo , di quello die l'immagine; indi di questa la stanchezza, finalmente l'odio. Le cause furono pubbliche e private. Le pubbliche consistevano, di quella opposta indole di fini de' due uomini; le private le accagio- narono attrito di pass'oni sulle compiacenze e sugi' interessi. Renier fatto Doge, spiegava le sue ali : e quantunque circospettamente per la forza delle patrie costituzioni, pur quanto mai poteva a soddisfar l'in- timo ambito di maggior dominio : il suo fine era por lui solo: allar- garsi la Promissione Ducale. Il movimento di riforma politica del 1780, Renier Doge, non trovava più Renier Senatore del 1761. — I prin- cipali motori, Messer Giorgio Pisani, rimase sfiancato; Carlo Conta- r.ni oppresso: altri disgiunti; la rinovellata causa, perduta per sempre. Ma Renier poco ajipresso la ritentava per sé solo, con velatissima proposizione al Senato: il quale ne sarebbe stato preso, se non ne avesse squarciato il velo, l'aringo oppostogli da quel gravissimo Sena- tore, Francesco Foscari , di cui per tutto elogio mi basti dire, ch'eb- be la stima di un Benedetto XIV. — Sono ricordale tuttora del suo aringo le ultime parole, in vero memorande, che rivolgeva al Dogo, col braccio proteso segnandolo: e: L' esempio vien dal alto: Eia, Serenissimo , la impara a darlo. Angelo Querini di spirito repubblicano, mal soflferiva delle vicen- de della patria ; e disdegnando poi gli attentati di dominazione del Doge Renier, alienavasi sempre più il suo animo dall'antico amico- Quest' erano le cagioni di pubblico argomento, di disgusto del Querini. Tie' medesimi anni, lo corrucciava poi in privata causa, il pia» 3a no di regolazione del Brenta, proposto dall'Avvocato fiscale al Ma- gistrato delle Acque, Angelo Maria Artico, che portava il corso del fiume a traverso delle delizie Queriniane di Alticchiero. E siccome l'Artico era amorevole del Renier; tenea Querini, che il Doge alla macchia dell'amicizia, influisse ad avversarlo. Battagliò per lunghi anni con istanipe, con rilievi, con aringhi. I suoi opuscoli sotto i titoli e: Impetus philosophici^ e Cogitata et visa , ss cioè le sue considerazioni sul piano Artico, provano quanto fosse il suo incalorimento: ed è ben facile credere quanto dovesse esser tenero di quel suo vago creato. Potente poi com'egli era d'immagini anche per la stessa ira, pensò di erigere marmoreo altare alle Furie, nell'angolo estremo de' suoi giardini, là dove aveva a sbucare l'Artico taglio del Brenta. Ne le fece scolpire giusta la composizione di Apelle, descritta da Plinio ; e la iscrizione sottopostavi dichiariva quell' altare, antemurale all'ignoranza, all'invidia, alla calunnia, affinchè tali furie, non nuocessero oltre quel confine. Avvenne poi nel 1787, quando più agitavansi le questioni del Brenta, e le opposizioni che il Querini riceveva in Senato, in seguito ai consulti de' matematici Cristiani, Nicolai, Zuliani, Cocoli ; avvenne che il Doge insinuasse amichevolmente ai Querini di provvedere alla sua quiete, mettendo collarino di abate (^ii^). Querini compreso l'ar- tifizio, rispondeva che non l'avrebbe messo che per la sedia di Pri- micerio di s. Marco (20). Renier gliela prometteva: ma Querini riser- rava il partito suo, al fatto della elezione ducale. Moriva poco tempo dopo il decrepito Diedo; e il Doge invece (a influenza della sua mo- glie privata, la famosa donna Margherita, sornomata impropriamente la Dogheressa (21) nominò unFoscari, altro dal prefato j quello che fu poi l'ultimo Primicerio di s. Marco. Querini allora sciolto ogni ri- tegno d'intima recredenza, che potesse essergli cotanto disleale l'antico amico, passò alla magion sua; commise a' domestici, lui presente, di levare dalla libreria il Busto del Doge, e con essi disceso all'entrata, il fece porre a terra all'angolo del portone., ov'era lo scolatoio della fluida secrezione de' servi. Egli il primo lo immondò ; comandò a' suoi, ihe cadauno tosto lo immondasse , e cosi continuamente per l'avvenire. Durav' alcun giorno questo domestico bando di sprezzo, veramente basso assai; e gli amici di Querini il consigliarono instantemente che 25 1 lo distogllesse in rispetlo pubblico , ed ancLe a evitar nuovi dispiaceri. Cede il Querini al consiglio, ma non all'ira. Fece imbarcare il Buslo per Alticcliiero ; ed ivi a pari, il pose a terra, dietro l'altare delle furie che vi descrissi, a tutta la copia de' villani projettili animaleschi. Oh! quanto macchia, la più misera passione dell'uomo, l'odio. Que- rini ne inzavardava le sue virtù pubbliche , il suo genio , e lo slesso Canova, ch'egli aveva prenunzlato sovrano scultore. E Canova, ch'era ricorrentemente a Venezia, certamente conscio della bruttura del suo marmo, perciò forse nel suo catalogo , enunziò unicamente il modello, che solo restava onorato nel suo sludio. E forse infurianti le stesse furie , il busto slette al lor tergo , anche più anni dopo che il Renier era trapassato; ed anzi finché morie nella sera 5o. dicembre 1795, colse improvvisamente qui, in Selciata di s. Moisè, Angelo Querini, allora censore (aa) mentre procedeva dal suo casino verso piazza, la bauta. Se in fatto di ultimo fine fra redenti, si potesse usar di profane immagini, sarei tentato a dire, che mopte \o prendeva nella oscurità e nella maschera che l'ira fece di lui, con nimistà a'suoi prischi pal- piti di amicizia, e alla propria sua capacità a' concepimenti del genio. Lauro Querini suo nipote ed erede, curò subito di riparare le onte de' tre: che dal discorso fatto erano offesi, Querini, Renier, Ca- nova. Tolse il Busto dalia nefasta deposizione; il fece detergere più ch'era possibile senza guasto al capo-lavoro; e comunque putente, ebbe animo per compensativa virtù, di tenerlo nella sala terrena, di quel suo soggiorno campestre. Moriva egli poi nell'anno 1806, e la- .«iciava giovine moglie, signora Elisabetta Allughera e pupilli, ne' quali poi si depauperava l'avita fortuna. Allora l'intagliatore Casadoro, ch'era molto vicino al predefunto Angelo Querini, approfittò dello scomponi- mento degli eredi suoi, per acquistare il busto di Renier-Canova, ch'egli ben conosceva fin da quando era nello studio Querini. Anche di ciò ò cavalo ora documento (aS). Dappoi anche Casadoro, mancalo a vivi nel iSaa, il busto con altri marmi passò, per ragioni credito- rie in Pietro Riva , detto Acerboni , quel fabbro ferrajo , da cui vi di- pea dinanzi, come pervenne al Geraldon. ,; Eccovi, signori miei, rivelate con irrefragabili documenti, senza interruzioni tutte le vicende del Busto Renier di Canova. E se l'ami- cizia non mi fa velo, parrai che merilino ogui lode le sollecitudini del 253 Geraldon alla sua discoperta , quantunque debbano a ragione e giusti- zia frullare anche pel suo interesse: interesse ch'egli però cura assai meno tiel patrio decoro. Soltanto è scorato dall'infortunio , che accom- pagnò sempre i suoi esperimenti. E valga il vero. Molli anni piii sono venne in proprietà de' disegni del nostro Temauza, pegli allari del- l' Oratorio di sua parrocchia , il classico temj)ietto dedicato alla Mad- dalena. Fu a lui commesso di costruirvi un solo altare, e volea man- dare in opera il tipo Temanziano: a chi pagava non piacque, e dovette erigervene colale altro, che con voce vitruviana direbbesi borico, e con voce artistica dell'uso, barocco. Allora poi che avvenne per la soppressione de' chiostri, anche l'aLlerrameuto del lenipio del Corpus Domini , si affrettava il Geraldon di comperare le quattro colonne di Porlo Venere, d'ordine composito, alte nove piedi, che sostenevano il monumento de' tre fratelli. Marco Daniele e Agostino Gradenigo; le quali colonne erano di singolare bellezza , senza pari a Venezia ; che ninno però apprezzò per la pa- tria, e solcarono l'oceano ad onorare il Tamigi. Indi Geraldon traeva dal feu'lo di Zoppola alla nostra Venezia, altre olto colonne di Cipol- lino orientale, alle olio piedi, d'ordine pure composito j forse uniche in tanto accoppiamento. Le quali colonne scoperte in Roma sotto il pontificato di Clemente XIII, lui Sovrano Pontefice le cedeva a jirez- zo, per le istanze insistenti dell'abate Filijipo Farsetti, cospicuo pa- trizio nostro, che aveale destinale alle sue delizie nella villa di Sala. Quasi nove anni le riteneva il Geraldon, ricercando ricchi della patria che ne facessero tesoro; ma non riusci: e già tre anni, il romano sig. Pietro Fumaroli, le acquistò e riporlolle alla sua Roma, d'onde per l'eia di una vita umana aveanvi fatto diparto. Du ultimo, dirò, che fu il Geraldon, che scopriva e acquistava in casa Cappello, il busto in marmo, del procuratore Lorenzo Cap- pello, che la gazzella privilegiata di Venezia, N.° 291. del aS. dicem- bre i83o, annunziava che monsignor Moschinl aveva donato alla città di Trento, perchè avesse un lavoro dell' illusti-e figliuolo suo , Vittoria. Intanto noi perdemmo un bel busto d' illustre patrizio nostro. E tanto meno io poi avrei pensalo, che ciò avvenisse dal Moschini, che fa suppellettile al seminario d' ogni patria reliquia; e che fu sollecito d'in- vocare per lo stabilimento stesso, dalla patrizia famiglia Zen, il busto di Pietro Zen, altra opera di Vittoria, ma in terra cotta. 253 Comprendete cosi, signori, quanto sia nel Geraldon l'amor patrio: quell'amore, che m'inspirava oggi di discliiudere la bocca con le pa- role del mio senlinienlo, che nuli' avvi di più venerabile della patria, nulla di più forte della memoria de' maggiori suoi. E cosi, perchè in- tendeva pure per mie parole finali avanzarvi supplicazione, che anche il busto di Renier scolpito da Canova, caro alla patria per composte proprietà, e per belle ricordanze, non dovesse poi anche questo vali- car le lagune. Mi pare che abbiate una occasione propizia. Un nostro accademico, copioso scrittore, giù alcune tornate, ci discorreva un jnogelto di un patrio museo (24). Che sia pur politecnico, attivo, pro- gressivo tale museo, non archcoteca : ma poiché, pare accolto dal Mu- nicipio, deve avere un luogo; poiché tal luogo dev'esser degno delhi città che abbialo, dev'essere quindi decorato. E poiché sembra prin- cipalmente concepito per lustro di patria, in ulilc delle patrie arti, non sarebbe dicevole, che lo insignisse una immagine, che due prin- cipi patri in uno ricorda? E nella prossima fausta circostanza, che Ferdinando Pio Felice Augusto, onorerà la patria nostra, impegnate voi il patrio municipio a invocare la sanzione e i mezzi , per ivi effet- tuare la deposizione del Busto Reuieriano e Canoviano. Che se questo mio concepimento, voi lo giudichiate un sogno, io chino il capo, ma con ultima istanza, che il giudichiate almeno, un sogno di cittadino dabbene. ©TE. (i) Catalogo cronologico, delle sculture, di, emonio Ciino^'a , pubblicato dietro ri<^hiesta , di S. A. R. il Principe, di Baviera. — Roma flJDCCCXFIJ. , presso Francesco Bourlié , con licenza de' superiori. — Opuscolo in quarto, di pagi- ne 21. numerate, ed altre in fine senza numero, portante le licenze per la stampa. Vedi a pagina 5. (2) Senso: cosi appellavasi col dialetto patrio a Venezia, il circo che costrulvasi in ogni anno nella piazza di s. Marco, per la notoria fiera de' quindici giorni seguenti la festa dell'Ascensione di N. S. — Ivi gli artisti esponevano i loro lavori, perchè potevano essere ammirati da tutti gli ordini di persone. (3) Biografia, di Antonio Canova , scritta dal cav., Leopoldo Cicognara, aggiuntivi, I. Il catalogo completo delle opere del Canova ; //. Un saggio delle sue let- tere familiari } III, La storia della sua ultima malattia , scritta dal dolt. Paolo Zannini. — fenezia, editore Giambalista Missiaglìa, da' torchi della tip. di .ilvisopoli , 1823. — Vedi dopo la pagina 54 numerala, alla prima facciala, senza numero, la carta di antiporta: = Catalogo cronologico, delle opere, di Antonio Canova. — Pubblicato lui vivente per la maggior parte , ad oggetto die non gli venisse attribuito il merito di opere non sue, e non fosse indotta in errore la posterità su falsi supposti, resi autorevoli dal suo silenzio, (4) Documento di acquisto da Pietro Riva , detto .\ccerboni. » Slg. Gianbatlista Geraldon Bosio «. )) Questa mia non serve altro che per prevenirla che stante le ricevute in da- )> naro venete 1. 275 e le piccole due vaglia scadibili ambedue col 10. decembre » dell'importare di venete 1. Szo, che in complesso formano venete 1. 5g5 , importo j) delle colonne vendutegli non che un busto ed altri pezzi di marmo v. » Però la prevengo che subito che potrò avere il lavello, le farò ancor di quello » la coniegna. Frattanto salutoia ». n Venezia 19. ottobre i854 ». « Pietro Riva « (5) )) Venezia 11 24 giugno '835 ». » Per aderire di buon grado alla richiesta di questo Scalpellino, sig. Giambali- » sta Bosio, mi sono portato alla sua casa a s. Marcuola, per vedere un busto in n marmo, ch'egli aveva raccolto, e mosto a parte perche gli compariva di un me- » rito. Dlflalti in quest'oggi visto il busto erma in marmo di Carrara, tosto vidi j) un ritratto che io non rilevava, ma bensì indi presto potei indurmi decisamente a 33 258 » pronunziar opinione che fosse lavoro ài Canova; perete la correzione del gusto, » la regolarità del disegno, la morbidezza dello scalpello, indicavano la roano del » Canora nella prima sua età. E quest'é quanto cbe a richiesta del sig. Bosio Ge> Il raldon stesso, dichiaro anche in iscritto, perchè è la mia persuasiva opinione ». ì> Gio: Carlo Bevilacqua, pittore d'istoria , membro dell' Imp.. » Reg. Acccademia di Belle Ani in Venezia »\. (6) Stralcio di lettera scritta da Possagno, dal signor cavaliere Pietro Slecchini, ni- pote di monsignore Sartori-Canova, sul busto erma del sig. Geraldon-Bosio , al signor Dottore Kenato Arrigoni, I. I\. Segretario di Governo a Venezia. » Posiagno primo agosto i858 ». Il C'è effettivamente qui nella Galleria un Erma col naso adunco, che nel suo Il insieme è, per cosi dire, ricordata dal disegno che mi spediste, il quale peraltro Il non le assomiglia gran fatto »• » Quest'erma è piuttosto leggera, e di un gesso scuro per cui, siccome i gessi » di Roma sono ordinariamente candidi e pesanti , si credè sempre gettata a Venezia ». » Anni sono, quando arrivò qui da Roma Monsignore, egli la supponeva il ri- j> tratto del Doge Renier, ma ora non si sovviene egli più di questo suo parere ». » Veniamo al positivo. E di fatto che se l'erma in marmo sia tratta dal gesso ji che abbiamo qui (il quale mi par tratto dalla creta) deve essergli o uguale in )i tutte le sue parli, o proporzionale ». Il Ciò posto, ho prese sul modello col compasso ricurvo alcune misure sulle li- « nee che ho segnate sull'unito disegno, ed eccovele in millimetri. — » A [apice lì del naso F [occipite) 247- — A (apice stesso) K [apice dell' orecchio) i58. il A [apice stesso) G [nuca) 219. — B [mento) E [vertice) 262. — C [sottomento) )i D [sincipite) 265. — ». » Notate che A F per esempio indica la maggior distanza dalla punta del naso !! alla nuca , cosi delle altre distanze ». Io pertanto suggerirei che si prendessero i> sul marmo le stesse misure, e se si trovassero eguali o in proporzione con quelle ji retroindicate, si passasse ad ulteriori esami, misure, e confronti, anche, se oc- )i corre, venendo qui col marmo, e se quelle misure non combinino, si pensasse 11 a qualche altra prova, che dimostrar potesse nell'erma in marmo un lavoro Ca- )i noviano ». » Concorda coll'originale » » R. Arwgopii ». D A (^CL^uc jlcff^ j G LMiccL ] 2/ a ! -^i-^x^rmAiei&ifilig^ ^%t/r/i^/f 'i%M^ ^^^^i^e/'yr '■■'1, H.S^^ (7) IMPERIALE E REALE ACCADEMIA DELLE BELLE ARTL "Venezia li 4. agosto i838. 259 N." 22 5. // Conservatore dtlle Gallerie Certifica Che la cassa segnata S. G. contiene un busto maschile, opera del e. Antonio Canova eseguita nei primi suoi tempi a Roma. Questo busto riene inoltralo a Possa- gno presso Monsignore G. B. Sartori Canova posseditore del modello originale, al- l'oggetto di un chiesto confronto. — Siccome Topera di Canova è capo d'arte, e gode «lei privilegio di pagare l'uno per cento di dazio, cosi s'indica il suo valore in austriache lire 600, li signor G. B. Geraldon Scalpellino, altarista di Venezia, h incaricalo del invio a Possagno del su nominato busto. In fede di che hoD. DE Beniczkv Conservotore. Visto Il Segretario DIEDO. (8) » Possagno 14. agosto i858. » » Attesto io sottoscrllto nipote dell'ora fu Commendatore Antonio Canova, e >. Direttore del collocamento e distribuzione delia Gipsoteca Canoviana in Possagno, » egualmente che fra i busti erma, opera del fu Commendatore Antonio Canova, » ch'esistono nella medesima Gipjoteca, vi si trova pure un busto erma in gesso, » rappresentante una effigie maschile, il quale perfettamente in tutto e per tutto >. corrisponde al busto in marmo di Canova posseduto dal signor Giambatisla Geral- » don di Venezia, qui in Possagno ora espressamente recatosi col busto di marmo » stesso all'effetto di verificare sull'anzidetta erma tale confronto. Tanto attesto a lume » del vero, pronto a deporlo ove ne fossi in altro modo richiesto. » » Paiin Tonini Scultore e Direttore come sopra n. » Detto » (14 agosto i838) » La Deputazione Comunale di Possagno riconosce l'autenticità della firma del » «ig. Pasin Tonini Scultore e Direttore della Gipjoteca Canoviana in Possagno. » Luigi Rossi Primo Deputato Deput. Comunale di Possagno n L'Agente Comunale n » Glo: BoTTANCILI-ik » a6o 1) f'isio per V auiendcità delle suesposte firme. Asolo li i4- agosto i858. 0Per l'I.R. Commissario asserite n II R. Aggiunto )) Brocche » » Visto per l'autenticità della retroscritta firma del sig. Brocchi Aggiunto preiio >i l'I. R. Commissariato distrettuale di Asolo. » Treviso 2. ottobre i838. )) // R. Delegalo Provinciale n HUMBRACHT » » Si certifica l'autenticità della premessa firma del sig. Barone di Humbraclit » I. R. Consigliere di Governo e Delegato provinciale di Treviso. — Venezia 5. ot- » tobre i858. )> In assenza di sua Eccellenza il sig. Governatore 11 L I. R. Ciambellano e yice Presidente 1) LviGi conte Palffy. L' I. R. Segretario di Governo e della Presidenza V Rossetti » (9) Coslltato di Francesco Alfarè di Venezia. » Venezia II 8. agosto i838. » )i In casa dello scrivente Petron-Maria Canali, domiciliato io parrocchia de' SS. )) Ermagora e Fortunato, in palazzo Molin alla Maddalena, al terzo piano, civico « Ti.o 5538, presenti 1 sotto firmati, comparso il signor Francesco rifare per sua )> compiacenza, al fine che si farà indi manifesto, rispose alle propostegli interro- » gazioni come segue u. Interrogato. Sulle generali. Rispose. Io sono Francesco .rifare, del fu Giarabatista , e della fu Teresa ■Vetlurij nacqui in Venezia, nella par- rocchia de' S.S. Ermagora e Fortunato , addi 5 aprile 17^8; per tutto il corso 261 della mia vita, sono stalo miniatore pres- so il negoziante di stampe , Teodoro Viero, ed indi col figlio suo, fintantoché continuò la Ditta. L. C. /. A dichiarire come riconoscesse nel Busto in marmo, ora presso il sig. Geraldon , 1' effigie del fu Doge Renier. /. Come conosceiie il Qaerini , e se andava in sua casa; /. Se «appia come quel butto fosse il ritratto del Doge Renier, e come fosse in caia Querini ; R. Perchè ò conosciuto subito quel busto, ch'era in vecchio presso il n. u. ». Anzolo Querini a S. Severo (ora ci- vico N.° 4^59) che diede causa a fatto straordinario. L. C. R. Lo conosceva , perchè sior An- zolo Querini, uomo dotto, era altresì gran dilettante di Belle Arti, e veniva con frequenza al Negozio Viero, di cui era utile avventore. Anche perciò quindi, aveva occasione ricorrente di passare a Cà Querini. Mollo e poi molto, e per molto tempo andava in casa sua , fra gli anni 1780, e 1790, per occuparmi nelle miniature de' suoi rami per le sue questioni sul taglio della Brenta, che non Toleva che si verificasse sui suoi giardini inglesi di Alticchiero. L. C. R. Dallo stesso n. u. ». Anzolo Qaerini ò lentito tante volte ripetere , che queir era il ritratto di Polo Renier, che volle avere scolpito da Canova , al quale perciò avealo commesso. L. C. a6a /. Se ricortlasi che il ritratto ló migliaste. /. Dove il Querini tenesse in casa sua tal busto. R. Mi ricordo che si riconosceva bene alle ciglia , al naso , e alla bocca ridente. Ma dopocchè il Renier era Do- ge s' ingrassò , e poi la papalina che mettevasi il Doge alla testa sopra la parruca , e sotto il corno , allontanavano le somiglianze da un busto piiì scarno , e fatto alla greca , scoperto , e co' soli capelli propri della persona. L. C. R. Lo teneva prima ne' suoi am- mezzati, e precisamente in quello ore teneva la libreria , e dove stava a stu- dio; poi lo cacciò in entrata dietro il portone a terra, ove si andava al gallalo per pisciare. L. C, /. Come, quando, e per cosa (che sappia) sia avvenuto tal fatto. R. Il Renier e il Querini erano amicissimi; e tanto il Querini, che fece sempre broglio pel Renier a fargli avere tutte le cariche che ambiva, e fin'anche quella di Doge. Il Querini per ultima carica, avrebbe aggradita quella di Pri- micerio di S. Marco, ch'era di elezione del Doge; e Renier gliela promise alla morte del Diedo, Primicerio quasi nona- genario. Ma il fatto poi fu, che il Doge Renier mancò di parola al Querini, ed elesse invece il Foscari, che fu l'ultimo Primicerio. Perciò indispettito sior An- zolo Querini , levò il busto dalla sua camera, e lo pose a terra, ove ò detto, con ordine a tutti di sua casa , che pi- 2Ì}6 iciassero «opra il builo del Doge, ciocclié ordinò a me pure di fare. Seguitò per alquanto tempo tale insulto: ma gli amie: di s. Aniolo Querini Io consigliarono a levamelo di là, perchè la cosa non facesse poi chiasso cosi , che ne avesse d' aver poi dispiaceri. A ciocché arresosi il Que- rini , fece invece trasportare il busto a Villa Alticchiero. IVla ivi pure il mise ne' suoi giardini inglesi, e in sito dove colà pure erano destinati gli scarichi de' corpi. L. C. J. Se sappia quanto tempo abbia durato a «tare in Alticchiero il busto del Renier nell' indicato sito del giardino. R. Vi stette finché mori «ior Anzolo Querini negli ultimissimi anni della Re- pubblica. E poi anni dopo , passò dal- l'intagliatore Casadoro, dal quale io stes- so sentii dire in negozio Viero, che il busto del Renier di Canova, che aveva il Querini ad Alticchiero, allora lo aveva lui. Come poi fosse passato dal Casadoro non so; ma so che il Casadoro aveva molta frequenza in Casa Querini, ove io pure lo vedeva, come tanti altri arti- sti del maggior grido. Altro non saprei dire. L. C, >■ Fatto, letto, chiuso, e firmato da'presenti, nel tiorno, raeie , ed ann* ■• suddetti ». » Francesco Al/are affermo «1 Ciò: Carlo Bevilacqua , professore di pittura. )i Pietro Alvise Bragadin » Pitkon-Mahu Canali m. p. ». 264 (io) Costituto del signor Angelo Collis di Venezia. )) Venezia li 20. agosto i838 ». n In casa dello scrivente Pelron-Maria Canali, domiciliato in parrocchia de'SS. Ernia- )) gora e Fortunato, in palazzo Molin alla Maddalena , al terzo piano , civico N.o 3538 , » presenti i sotto firmati, comparso il signor Angelo Collis per sua compiacenza, )) al fine che ti farà indi manifesto, rispose alle propostegli interrogazioni come j; segue ». Inierrogalo. Sulle generali. 7. Da quando entrava nella casa Que- rini a i. Severo. /. Se ricordasi , che fosservi presso il nob. sig. Angelo Querini , un busto in marmo rappresentante il doge Renierj Rispose : Mi chiamo Angelo Col- lis, del fu Giambatista, e di Domenica Scola da Padova, nacqui li 22. novembre I765, in parrocchia di s. Giustina; sono scrittore dell'avvocato sig. Bartolomeo Castellani ; e in avanti fui impiegato nel- l'Impresa de' Sali, ed era Agente della famiglia patrizia Querini a s. Severo. L, C. R. Io frequentava aCàQjeiiiii sino dalla mia infanzia , e prima ancora delia mia intelligenza, dacché il N. U. s. Anzolo Querini mi era stato padrino al sacro fonte balt"simale, per l'amicizia di cui onorava mio padre, cittadino benestante. L. C. R. So che lo teneva prima in Vene- ria j ma io non ricordo di averlo distinto da ragazzo; e di 18. anni sono andato in Istria, impiegato nell'Impresa de' Sali. Bensì dappoi il viddl nella villa Altlc- chiero, nel giardino inglese del N. U. Angelo Querini, ch'era posto per di- sprezzo sulla terra, dietro l'altare delle Furie , ove andavasi a soddisfare i biso- gni corporali da chiunque. E mi ricordo /. Se si ricordi per quali motiri il N. U. Angelo Querini , volesse così vi- lipeso il busto del doge Renier, ch'esso medesimo aveva commesso a Canovaj 2GB cosi il busto , die ora che Io vidi presso jl sig. Giambatista Geraldon a s. Mar- cuoia, l'ò riconosciuto immediatamente, ed è precisamente quello. L. C. R. È precisa memoria di notizie storiche interne di famiglia Querini : = che sior Anzolo Querini, amicissimo vec- chio del sior Polo Renier, anche prima che fosse Doge , appunto per amicizia e stima di lui , gli facesse fare il busto da Canova, e lo tenesse presso di sé; che poi il Querini agitatlssimo per le grandi opposizioni che aveva incontrate in Senato per l'affare del Piano Artico a regolazione del Brenta, fosse perciò consigliato in amicizia dal Doge Uenier di ritirarvisi, mettendo su collarino d'a- bate. Il Querini anche aderiva alle ap- parenti amichevolezze del Renier , ma per quando gli conferisse il Primiceriato di s. Marco , alla vacanza per morte del Primicerio Diedo , che appariva prossi- ma : e il doge Renier gliene fece pro- messa. Ma avvenne poi in fatto, che per influenza della siora Margherita (di cui non mi ricordo il cognome, ma ch'era conosciuta per la favorita del Doge , e poi sua moglie , detta la Dogheressa Mar- gherita) il doge Renier nominò invece Primicerio il Fosca ri. Perciocché il Que- rini disgustato irosamente della dislealtà dell'amico, fu allora che mise a vitupero il busto, come ò detto, e che si allro- vava nel giardino di Allicchiero anche allora della morte di sior Anzolo Que- rini , avvenuta nel dicembre 1795. — 34 a66 /. Se aveste altro a soggiungere , o mutare all'esposto; Allora poi l'erede di lui, il N. U. slor Lauro Querini, suo nipote, e mio com. padre e principale ( perchè io faceva le cose sue) volle di là levarlo a toglimento di odi di famiglie, e a professione di rispetto, quantunque già morto il Doge da sei anni prima. Pertanto ordinò di far nettare il busto , e lo fece porre in sala del palazzo colà di villa Alticchie- ro , ed ivi rimase sempre fino alla morte del sior Lauro , accaduta in Venezia a s. Severo nell'anno 1806 certamente, e parrai nel mese di settembre. Di lui poi furono eredi la giovanissima sua mo- glie , Elisabetta Allughera, figlia del- l'avvocato AUugbera, e due figli pupilli, Costantino ed Elena Querini. Con la morte del sior Lauro , cioè pochi mesi appresso, io terminai di agire per la casa Querini ; e non so quindi dappoi come sia sortito dalla casa stessa il bu- sto in questione. So che la vedova al- cun' anno dopo abbandonò la casa a san Severo, e li portò ad abitare a s. Bar- naba, in calle lunga, nell'antico palazzo Mcolosi , die per ragione dell'ava, era pas?ato in proprietà Querini; so che la sua dilezione economica non fu la piò cousigllata , e che presto seguirono di- sfacimento e vendite delle tante belle cose formate dalla buona memoria del valentissimo senatore, N. U. sior An- zolo Querini. L. C. R. Nulla ò da mutare al su espo- sto; se non che avvertire, che appunto per la bontà verso di me del N. U. sior Lauro Querini , ottenni col suo pa- trocinio nel 2g. setlembre 1792, dal senato la nomina dì Deputato all'Ospitai 267 della R. Marina. Allora »ior Anzolo Que- rini era al Magistrato del Sai, mentre poi, lorchè mori, era Censore. L. C. » Fatto, Ietto, cbiuso , e firmato da' presenti , nel giorno, mese, ed anno sud- n detti ». » Angelo Collis del fu Giovanni Baltisla. » Giambalista Geraldon n Gio: Carlo Bevilacqua professor di pittura n Pieir Alvise Bragadin. » Petron-Mahia Canali va. p. » di) Apologo di Francesco Gritti = El putelo e la luna = Lo si trascrive tutto per esteso, affinchè dal fatto storico, i fisionomi possano documentare le loro argomentazioni dalla effigie del Renier; i moralisti possano giudicare dell'in- dole del fanciullo; e i pedagologhi dedurre sui mutamenti di educazione data al Renier: tutti i lettori poi , perchè possano gustare il lepore del plettro verna- colo di Gritti. I critici non denno poi dubitare che il fatto si riferisca al Re- nier, il quale fu consigliere del Doge pel suo Sestiere di s. Croce, perchè aveva casa dominicale al ponte del me gio , nella parrocchia allora di S.Eustachio (volgarmente s. Stae , ora di s. Giacomo dall'Orio; fu Inquisitore di Stato, scelto fra i Consiglieri del Doge (il quale Inquisitore dicevasi perciò il Rosso, cioè per la veste rossa dei Consiglieri) e fu poi Doge. — 11 testo della se- guente trascrizione è quello edito dalla Tipografia di Alvisopoli, Venezja 1834, G. Missiaglia editore , e col frontispizio: = Poesie di Francesco Gritti in dia- letto veneziano — Terza edizione ricorretta e accresciuta : = ottavo , di pa- gina 246, e ritratto all' aqua forte. — Vedi a pagina joo. i> Una bela damina ( e taso el resto » Perchè no vogio chlacole per piazza) » Avendo el primo maschio, l'ha volesto » Arlevarselo eia, poverazzal )) So mario, che gaveva poco sesto, n Siben eh' el gera senalor de razza, » Fi l'ha lassada far; ma quel putelo )) Presto a la marna ha reballà el cervelo. )i Cossa serve ... la gera incocalia. i> Pissclo in lelo? — Povere to el sua: n Rompelo la «pecbiera? — /'//a mia. 268 » Varda , per cariti , no te far bua. » Dìselo un'insolenza, una busia? » La gbe dà un baso, e pò un graspeto d'uà. n Dalo un pugno sul naso al sior maestro? )) — Che bufoncelo , che maton , che estro! » In soma, per paura ch'ai se amala, )) IVo la Yol elle nessun glie contradiga. )> El ragazzo, che sa che mai noi fala, )i El fa luto a so modo , el se destriga. » Se no i xe pronti a darghe su la baia, » El va in furor, el pesta, el rompe, el ziga; » E de set' anni apena, quel frascon )) Gera un'Atila in erba belo e bon. « El papà , senator , vedeva el puto » Da l'amor de la marna sassinà, « Ma noi gaveva cuor de farse bruto » In fazza de la so cara metà. ' j) I parenti 1 diseva senza fruto, )) I amici no gaveva autorità, » Eia pò, se anca i tenta iluminarla , » Ga el don de Dio de no ascoltar chi parla. )) Mentre la stava un di lezendo sola, 1) O ingropando panele . . . uli che rumor! )i Da la corte sbregandose la gola, )i Quel bardassa cria: Marna . . . con furor. )) La buta tulo al diavolo, la svola; 11 Indovine mo perché ? un servilor » Ghe negava una cossa fora d'uso, » E lu da rabbia se sgrafava el muto. ji — Pezzo d' aseno , forca , dì, perchè » Pio ghe porlistu subilo co rendo , >} Quelo eli el voli Se in casa no ghe n' è , ). Birbante, va a comprar; son mi che spendo'; « Vbbidissilo in bota. Ma el lachè » Strenze le spale, e risponde ridendo: t: Zelenza , el poi cigar fin a doman » Che no ghe dogo gnente da Cristian. ji La torna su furente in convulsione » So mario gera in camera d' udienza , 1) La ghe conta l'ardir de quel bricon, » La ghe mnnda de mal la conferenza , 2 Gg » Tuti Ta a la fenestra; e clal balcon « Co un pegio da caovechlo , so Zelenza )i Dise al lacliè: Ubidissi temerario, )> O te cazzerò via senza salario. — )) — Ma .... Za pareri, sle cosse, con permesso, n A'o le se glie Jn bone gnanca in cuna: » El vardaya in quel secliio , e per riflesso )i L'ha visto in acqua bagolar la luna: » Sala mo cossa di' el voraye adesso") » Se la parona glie ne poi dar una, » Mi no per brio! noi voi miga el ragazzo » L'acqua nel sechio , el voi la luna, e . . . .' « Ride tuti , compreso la parona, 5) A sto spropositazzo da paela; » Ma la gbe pensa su, la ghe ragiona. lì El zorno dopo no la par più eia , » Col speroni e la scuria la scozzona » El so pulier; 1' à porla brcna , e spia . . ; • » Oo ... l'è sta Consegier de Santa Crose , » L'è andà su come Rosso, e morto Dose. (12) Gl'Inquisitori di Stato, corametteTano al Segretario Pietro Franceschi, di scri- vere, e scrisse, la storia documentala della famosa Correzione del 1762. La quale storia fu deposta ncll' Archivio dei cinque Correttori alle leggi: ed ora trc- var^i nell'Achivio Generale Politico. Alla correzione furono soggetto i subugli orditi nel 1761 da varj palrizj , contro l'autorità degl'Inquisitori di Stato. In quella trama di patria ricostitu- zione, ebbero parti principali il Querini, e il Renier. Qui non sarebbe luogo riportar dal volume di storia, 1 fatti e i delti ri- feribili al Renier, ivi sparsi in diverse pagine. Ma poiché Gratarol (ministro contemporaneo) ne raccolse la somma delle consistenze nella sua apologia, a quflla mi riporto, perchè comprende il sentimento dello stesso storico magistrale. (i3) Gratarol non nomina espressamente Paolo Renier: ma 1 fatti della sua avventura ch'egli apologa j la circostanza che in quel tempo, Renier era Inquisitore di stato, ed erano a lui propri i falli storici , che Gratarol considera; e per ultimo il ritratto vivissimo che ne fa, idenlilicano Paolo Renier a certezza. Perciocché riportasi il passo della narrazione apologetica di Pietro Antonio Gratarol, che scrive Renier: e tal quale sta nella edizione prima, a cura dell'autore, fatta nel 1779 in Slockholm, presso Enrico Fougt — quarto piccolo, di pagine 146. numerate. Vedasi a pagina 29 , il secondo capo. 370 » Giacché r uso di prevenire con privati uffizj , si estende anche agli affari di )) nuda giustizia, nel dì seguente di buon mattino mi trovo nell'anticamera d'uno )i delli tre Inquisitori , ed era il Consigliere. Ingegno ed arte mi mancano per dipin- j) gere a penna quest'uomo di cento colori. Né tale assunto è per chi, Dio mercè > » sia sempre vissuto da lui lontano (ahi! non però quanto basta): né per chi anche » nella causa del proprio onore , vuol rispettare i secreti deUa repubblica ; né per « chi finalmente , con solenne dichiarazione si propose di seguire la pura verità, che )) non ha maggior contrapposto di lui , del c]uale non posso , né debbo segnar che i) poche ombre. Talento de' più sublimi, cuore de' più superbi , faccia delle più in- ji gannevoll : questo é il suo composto. Più fraudolente oratore, più turbolento poli- » tico io non ho conosciuto. Sia fortuna o malia che il difende, ognora esce illeso » dai volontarj perigli. Lui cittadino molesto alla costituzione, é spedito in amba- n sciata: lui ambasciatore meritevole, che alcuni suoi dispacci siano con nuovo esem- » pio, altri mutilati in parte, altri aboliti e lacerati, si elegge ad altra ambasceria, » che suol essere il premio di lunghi servigi: lui tornato in patria avversario, come )) n'uscì, all'autorità de' triumviri , viene creato un dei tre: lui triumviro accecator « de' colleghi per trarli seco a prostituire a maggior odio la sacra podestà triumvi- » rale, vede l' un de' compagni soccomber vittima d! sue atesse artlfiziose ingiustizie )) e capricci, vede l'altro a un sol punto dj non perire egualmente, e vede se im- » mune spettatore dell'altrui danno, se impavido testimonio dell'altrui timore. Quei « pochi, ai quali riusciran non oscuri questi miei tronchi cenni d' ampio argomento, » dicano se io m inganno, ovver se colgo nel segno. La lusinghevole Sirena mi ri- ti ceve con obbligante dimestichezza al suo letto , m' ascolta , esce a rispondermi )) con lungo squarcio eloquente ornalo di eruditi racconti, di prudenti riflessi, e con- » dito di melate espressioni, e di frequenti risolini, né a fronte di mia prevenzione 0) mi dà tempo di ammetter dubbio sulla sua persuasione in cosa, che ammetter « non può dubbio onesto ». (14) Alticchiero, par Mad. I. W. G. D. I\. — a Padoue 1787. — Volume in quarto con Tavole XXIX incise, e rappresentanti i monumenti di que' giardini. Precede una planimetria generale della villa Querinl; poi seguitano dedica e prefazione senza numeri j tutto il libro conta pagine 80. (i5) L'epigrafe è riportata nel libro stesso su citato (12) a pagina 55. il disegno della colonna Tepulea, e il piedistallo Querineo, vi si vedono nella piantaXXIV. — L'epigrafe é la seguente. 271 AINTIQVAT-E . DEMOCRATLE . MONVMENTYM MCCCX VETVSTATE . AC . HOMINVM . IMYRU PENE ; DELETVM RECENTIORVM . TEMPORVM . INCVRIA MACERIA . SVB . PLATEA . D . AVGYSTINI . lAM . DETRVSVM IN . APRICVM . DENTO . PROLATVM MDCCLA-XXV ANTIQVIORIS . AEVI . RVINIS . PERMISTYM INSEQYENTIS . LAPSV VNA . CVM . LOCO . ET . NOMINE EXITIYM . EX . TOTO NON . EYASVRYM (16) Cigogna , Iscrizioni Veneziane, volume III. pag. 58. (l'j) Ecco le precise parole origirjali della contessa di Rvsemberg nel precitato suo libro (12). )) A cause de son goùt pour l'antiquité, je crois a nòtre Quirini l'ame un » peu paj'enne, ou au moins manichéenne : je lui ai entendu dire bien souvent, j> que pour ètre heurcux dans ce beau monde come il va, il faut sacrjfier i( aux génies malfaisans , corame aux bons. » §. XII. pag. 26. E sia pur vero, clie cosi dicesse Querinl: vorrebbe perciò dire, ch'egli fosse pagano, o manicheo? Un classicista, che raffigurava sculte in marmo umane passioni , significava con le premesse parole, espresse conia vocabologia classica, che al mondo bisogna far tributi a chi fa bene, ed eziandio a chi fa male, per passarlo meno male. (18) Il presente numero anagrafico rosso è 5oo3< (19) Vedi nota io. (20) Vedi ivi. (21) Paolo Renier eletto ambasciatore a Vienna li 28. novembre 1764; reduce nel- l'estate 1768, neppure un'anno era scorso, che addi 7. maggio 1769 fu eletto Bailo a Costantinopoli; ch'era la prima Ambasceria della Repubblica Veneta. Ivi egli ebbe occasione di conoscenza con certa Margherita Contussi veneziana , che seco addusse a Venezia , e prese in moglie. Mori il Doge (dice il Registro del Magistrato di Sanila ) nella sera iZ. feb- braro 1788. M. y. (1789) giorno di venerdì, dopo 5o. giorni di febbre , mal conosciuta dai medici. 272 (aa) Ecco come sta sciillo nello slesso Registro mortuario del Magistralo di Sanità = Ser Amalo Querini de ser Lauro morì improvvisamenle ai 3o. dicem- bre 1796, in salizzada a s. Moisè da dove fu trasportalo alla sua casa collo intervento dei fanti di sanità. Le altre particolarità della morie subitanea di lui, le raccolsi dallo stesso Collis, suo figliozzo, di cui riportai il costituto (V. nota 10.). Egli anzi ini soggiunse, che cadette a terra precisamente davanti la farmacia, ora Zampie- ronij e che il primo eventualmente a riscon trailo , fu suo nipote ex uxore , il degno patrizio Marco Molin , terzo podestà di Venezia, mancalo pur' esso im- provvisamente nel 18 1^. (23) Ecco il certificalo, che oggi stesso rilasciava al proprietario Geraldon , il nomi- nato Pietro Garbato, ch'era direttore della officina dell'intagliatore Casadoro. 1) Venezia lì 27. agosto i838. li Dichiaro io sottoscritto a lume di verità che il busto in marmo Carrara rap- » presentante una effigie maschille cui attualmente si trova in potere del sig. Giovanni 1) Battista Geraldon di qui so io pnesersenza [così sta alla lettera nel mss. che si )) riporta fedelmente anche senza intenderlo) cioè sino dall'anno 1808 posseduto dal- » l'ama dal defunto Giovanni Casadoro pure di qui, e tanto attesto per la mia )) piena cognizione che tengo di detto busto in marmo per èssere stalo dall'epoca » indicata sino dell'anno 1822 al servizio di esso Casadoro in qualità di direttore )) del di lei negozio d'intagliatoi'e e costruitore di mobilie anesso alla di lei c.iia di » abitazione in qui il buslo stesso si allrovava e veniva da me conscguentemente di 11 continuo osservalo. Tanto aflcrmo per la pura verità pronto a deporlo ovunque 1) lossi in altre forme richiesto «. n Pietro Garbato scultore » Ornatista patentato dal Municipio )>. (•24) Il dottore Giovanni Domenico Nardo, nella tornala dell' Ateneo Veneto 23. luglio i838 leggeva una sua Memoria col titolo = Quale sarebbe, e di quanto pro- ftto un museo di prodotti patrii da stabilirsi in l'enezia =. Egli poi la stampava co' tipi di Alvisopoli, due mesi dopo, per festeggiare (secondo la premessavi epigrafe) l'arrivo di S. M.I.R. l'Augusto nostro Sovrano. La stampa poi à il diverso titolo = Di una raccolta centrale dei prodotti naturali ed industriali delle venete provincie =. Ma la consistenza era sempre la slessa. CATALOGO DEI SOCI COMPOIVENTl L'ATENEO DI VENEZIA. t-^^ ««-««•^ PRESIDENZA / SIGNORI Manin s. e. CO: Leonardo, presidente. Casarini Luigi, vicepresidente. Namias dott. Giacinto, segrelario per le Bellomo ab. prof. Giovanm segretario scienze ed arti meccaniche. per le lettere ed arti liberali. CONSIGLIO ACCADEMICO. CLASSE SCIEUTlTICAx CLASSE LETTERARIA. CoNTARiNi co: Nicolo'. Casoki ingegnere Giovanni. Trois dott. Francesco. DiEDOcav. Antonio. Nev-Mayr nob. Antonio. Gamba Bartolommeo. CASSIERE Rossi dottor Lorenzo. ASCBiriSTJ Nkv-Matr nob. Antonio. BIJBLIOTECAIÌIO Rossi cons. Giovanni. MEMBRI ONORARI I. S. A. I. R. L'ARCIDUCA FRANCESCO CARLO GIUSEPPE. S. A. L R. L'ARCIDUCA RAINIERI GIUSEPPE GIOVANNI. S. A. l R. L'ARCIDUCA FEDERICO FERDINANDO LEOPOLDO. 35 274 SOCI ONORARII DIMORANTI IN VENEZIA. 1 Avesani barone Guido. 2 'Batlaggia Micbele. 5 Bcltio cav. Pietro. 4 Biagi dottor Pietro. 5 Bizio dottor Bartolomeo. - - 6 Bonari consigliere Antonio. 7 Brera cons. Valeriano Luigi. 8 Caitanei (de) di Momo barone Carlo. 9 Coniarini S. E. conte Girolamo. ) o Coiniani nobile Marco. 1 1 Correr conte Gioyanni. 12 Dalla yecchia abate Luigi. i3 Dandolo S. E. conte Silvestro. i/f Derchich nobile consigliere Giuseppe. i5 Erizzo S. E. conte Guido. i6 Calvagna S. E. barone Francesco. 17 Giovanelli conte Andrea. 1 8 Giudici abate cons. Filippo. 19 Giusiinian Recanati S. E. conte Lorenzo. 3 0 GregorelU cons. Francesco, 21 Maniago conte cons. Pietro. 22 Michiel conte Giovanni Domenico, 23 Monico S. Eminenza cav. Jacopo, Patriarca. 24 Morosini conte Domenico, 25 Mulazzani barone cons. Antonio. 26 Neumann-Rizzi cons. Ignazio. 2'3 Orefici (degli) S. E. Francesco. 28 Palffjr S. E. conte Luigi. 29 Paulucci S. E. marchese Amilcare. 30 Renier S. E. Daniele. 3i Roner cav. cons. Carlo. 32 Salvioli cav. Lodovico. 53 Sampietro cons. Glo: Battista. 34 Spaur S. E. conte Gio: Battista, Governatore. 35 Suhias S'orna/ monsig. Placido, arcivescovo di Sunia. 56 Thurn S, E. conte Gio: Battista. 37 Zaj'oui cons. Paride. 38 Zamagna nob. cons. Matteo Luigi. Sg Zannini dottor Paolo. 4° Zorzi nobile Pietro. 375 SOCI ORDINARII DDIORANTI IN VENEZIA. CLASSE BELLE SCIENZE. 1 Arrigoni dottor Renato. 2 Casoni Giovanni. 3 Campana dottor Andrea. 4 Campilanzi Emilio. 5 Contarmi conte Nicolò. 6 Benvenuti dottor Adolfo. : ■j Galvani Antonio. 8 Koen dottor Gio: Battista,* 9 Namias dottor Giacinto. 10 Nardo dottor Gio: Domenico. 1 1 Paleocapa cav. Pietro. 1 2 Paroliiii nobile Alberto. i3 Quadri Antonio. 14 Rima dottor Tommaso. i5 Rossi dottor Lorenzo. i6 Trois dottor Francesco. !•) Vallenzasca dottor Giuseppe. 18 yitalliani Benedetlo. ; i 19 Zantedeschi professor Francesco. 20 Vacante, CLASSE DELLE LETTERE. 1 Avesani barone dottor Gio: Francesco. 2 Beliamo profess. Giovanni. 3 Canal profess. Pietro. 4 Casarini Luigi. 5 Catucci dottor Gioseppe. 6 Cicogna Emraanuele. ■j Diedo cav. Antonio. 8 Driutzo abate Francesco. f) Gamba Barlolommeo. 10 Garofoli dottor Federico. I I Lazzari Giuseppe, parroca. 12 Locatelli dottor Tommaso. i3 Manin S. E. conte Leonariìo. i4 Neu-Majr nobile Antonio. - " i5 Pianlon moasi". abate Pietro. 276 SOCI > iG Parolari profess. Giulio Cesare. IT Pero/ari-Ma/m%na« nobile Pietro. 18 Rossi cons. Giovanni. 19 Sagredo conte Agostino Gherardo. 20 Tipaldo profess. Emilio. CORRISPONDENTI DIMORANTI IN VENEZIA. 1 Albrizzi conte Giuseppe. 2 Asson dottor Mandolino. 5 Beni cons. Francesco. 4 Bianchi Luigi. 5 Brown Rawdon. 6 Brovedani Gio: Battista, arciprete. ■3 Cc/To dottor Luigi. 8 Canali dottor Petronio. 9 Cadorin abate Giuseppe. IO Casalini Alessandro. 11 Ciotti Antonio. 12 Coen Giuseppe. i3 Dandolo conte Girolamo. itf Dezan canonico Gio: Maria. )5 Duodo dottor Giovanni. ,6 Furio dottor Paolo Leoviglldo. ,, Fassella dottor Valentino. 18 Fortis dottor Leone. 19 Gabelli Pasquale, ao Gatto Lorenzo. 21 Lazzari professor Francesco. 22 Levi dottor Moisè. 2D Mainardi dottor Sofoleone. 24 Magrini profess. Pietro. 25 Manzoni nobile Francesco. 26 Martelli Gio: Battista. 27 Minano nobile Giovanni. 28 Mulinelli nobile Fabio, ag iVo^ dottor Cesare Maria. 5o PapadopoU conte Antonio. 3i Pesseg Giuseppe. 52 Frju/i conte Nicolò. 2 77 55 Querìnì Stampalia conte Giorannu 34 Taussig dottor Gabriele. 35 Trevei de BonJìU cav. Jacopo. 36 Troia dottor Carlo. 37 Unger Adolfo. 38 yeludo Giovanni. 39 yiolìn dottor Giacomo. 40 Zanetti Alessandro. 4i Ziliotto dottor Pietro. 42 Zinelli professore Federico. SOCJ ONORARJ ESTERNI. 1 Acerbi cav. Giuseppe. Milano. a Amberg (de) nobile Giuseppe. Vienna. 3 Balbi nobile cons. Adrianno, Vienna. 4 Derres professore in Fienna. 5 Bufalinì professor Maurizio. Firenze. 6 Carus dottor Gio: Carlo. Dresda. 7 Crivelli S. E. Ferdinando. Milano. 8 Dielrichstein S. E. conte Maurizio. Flenna. 9 Faraday-. Londra. I o Follioi S. E. co: di CrennevUle Lodovico Carlo. Fienna. I I Folsch nobile Giuseppe. Fienna. 12 Giordani Pietro. Parma. i3 Còess S, E. conte Pietro. Fienna. 14 Giintner dottor Francesco. Fienna. i5 Grimm cav. Vincenzo, Milano. 16 Hammer (de) Giuseppe. Fienna. 1 7 Heintl (de) cav. Carlo. Fienna. 18 Herschel. Londra. 19 Hochenwarth conte Francesco. Lubiana, no Humboldt (de) barone Alessandro. Berlino. ai Inzaghi S. E. conte Carlo. Fienna. 22 Jiistel Giuseppe Luigi. Fienna. 25 Kleiber (de) Leopoldo. Fienna. 34 Kiibech barone Luigi. Fienna. a 5 Knoiz Giovanni protomedico in Fienna. 26 Labus dottor Giovanni. Milano. 27 Litrow cav. J. Fienna. 28 Malfalli dottor Giuseppe. Fienna. 378 2 9 Manzoni Alessandro. Milano, 50 Marianini professor Stefano. Modena. 01 Mazzetti S. E. Antonio. Milano, 32 Medici professor Michele. Bologna. 35 Meneghelli abate professor Antonio. Padova. 54 Menin abate professor Lodovico. Padova. 55 Mezzo/ami S. Em. card. Giuseppe. Roma. 56 Oerstedl Giovanni. Copenaghen. 3 7 Panizza professor Bartolommeo. Pavia. 58 Passj- (de) consiglicr Cristoforo. Vienna. 59 Plana professore Giovanni. Torino. 40 Prelà monsignor Tonamaso. Roma. 41 Pjrcker S. E. Giovanni Ladislao. Eiiau. 42 Raimann (de) dottor Gio: Nepomuceno. Ficnna. 43 Reviezkj- S. E. conte Adamo. Henna. 44 -fì'o (da) conte Nicolò. Padova. 45 Ronchi commendatore Salvatore. Napoli. 46 Saleri dottor Giuseppe. Brescia. 47 Santini dottor Giovanni. Padova. 48 Sebregondi nobile Giuseppe. Milano. 7 49 Skrbenshj- S. E. barone Filippo, preside degli Stati' d'Austria sopra V Ems. ho Stanhope conte. Londra. ■ o i 5 1 Tlìiersch dottor Federico. ' ' 52 Turkheim barone Luigi. Vienna. ' ~ ■ 55 Traversi monsignor patriarca Antonio. Roma. 54 f'ilt Carlo. Breslavia. - 55 Zendrini abate professor Angelo. Mestre. SOCI ORDINARI! ESTERNL ^ V^ 1 Ci 1 Barbieri abaie profess. Giuseppe. Padova, 2 Bellrame dottor Francesco. Treviso, 5 Carrer Luigi Ernoinio. Padova, ' 4 Cortesi professore Fi-ancescoj Padova. , 5 Fappani dottor Agostino. Trevi\o^ , v "" 6 Magrini professor L.mgi. Padova. .,- ' la' "v ^t 7 Paravia cav. Pietro Alessandro; T^'^-^'^^'-'oirA ""e 8 Pajmi professore Pietro. Paioga.^j.^j, ^^^^^ 3^ 9 Poli dottor Baldassare. /'<2t/oi^. ,. _^^ ^^^^^.^^^ ^^ 10 iìo.a cons. Gioyap^i.. ^j Wj .^^^^^ \y,^y^^-s^ S.= . li: 279 1 1 Scolari dollor Filippo. Treviso. 1 2 Tommasini professor Jacopo. Parma. i3 Zambelli nobile professor i\hdrca. Pavia. i4 Zeccliinelli dottor Gio: Maria. Padova. SOCI CORUISPONDENTi ESTERNI. 1 Agostini dollor Antonio. Treviso. 2 Aprilis dottor Bartolomroco. Udine. 5 Aporli abate Ferrante. Cremona. 4 Angelelli marchese Massimiliano. Bologna. 5 Amorini marchese Antonio. Bologna. 6 Balbi nobile Cesare Francesco. Padova. 7 Baseggio Gio: Battista. Bassano. 8 Basso dottor Luigi. 9 Bazzini professore Carlo. Padova. 10 Bellani canonico Angelo. Milano. 1 1 Becr dottore in Fienna. 12 Bellavilis Giusto. Bassano. i3 Bellini dottor Gio: Daltista. Firenze, i4 Bonzi conte Orazio. Crema. iG Casa (dalla) professor Vittorio. Padova. 17 Calderini dottor AmpcUlo Carlo. Milano. i8 Catullo professor Tommaso. Padova. 19 Calanco dottor Cai4o. ÌMilano. 20 Caiiani dottor Gio: Battista. Tremo. 21 Cavalieri San Bertolo Nicola. Bologna. P.2 Celsi dottor Lorenzo. Ferona. 23 Ceresa medico in Fienna. 24 Cernacai Giuseppe. Udine. 25 Cittadella conte Giovanni. Padova. 26 Cittadella Figo d'Arzere conte Andrea. Padova. 27 Con/ìgliacchi abate Luigi professore. Padova. 28 Conti professore Carlo. Padova. 29 Czernak dottor Giuseppe. Vienna. 30 Cumano dottor Gio: Carlo. Trieste. 3i Dandolo conte Tullio Milano. 02 Estense Selvatico conte Pietro. Padova. 33 Fantonetli dottor Gio: Battista. Milano. 54 Ferrari Girolamo. 35 Fetsler dottor Saverio. Padova. 280 36 Fischer dottor Giuseppe. Vienna, 07 Fusinieri dottor Ambrogio. Ficema. 58 Galvani dottor Gio: Antonio. Padova. 09 Gargallo marcliese Tommaso. Napoli. 40 Giovanelli conte Benedetto. Roverelo. 4i Grapputo dottor Tommaso. S. Filo. 4j Ivacich consigliere. Cattato, 45 Kirkoff" vice-presidente dell'Accademia d'inversa. I^l^ Korber Filippo i.o tenente. Fienna. 45 Lebezeliern (di) cay. , Ajo di S. A. I. il principe Federico. 4t) Lenguazza nobile dottor Leonello. Padova. 47 Liberali dottor Sebastiano. Treviso. 48 Maffei cavalier Andrea. Milano. 49 Mantovani dottor Jacopo. Bertiolo. 50 Martini professor Lorenzo. Torino. 5i Marzottini abate Giuseppe Onorio. Paduva. 52 Marianini dottor Pietro. Mortara. 55 Marinovich capitan Giovanni. 54 Magliari dottor Pietro. Napoli. 55 Milani ingegnere Giovanni. Ferona. 56 Minich professore Stefano. Padova, 57 Mori (de) dottor Alfonso. S. Dona di Piave. 58 Maschietti canonico Giovanni. Concordia. 59 Mustoxidi cavalier Andrea. Corfù. 60 Naccari cavalier Fortunato Luigi. Padova. 61 Nanmda cavalier Antonio. Napoli. 62 Nardi nobile dottor Francesco. Padova. 63 Nicolini dottor Giovanni. Brescia. 64 Novati dottor Domenico. Pavia. 65 Ongaro (dall') abate Francesco. Trieste. 66 Orti nobile Gio: Girolamo. Ferona. 67 Ostermann abate Francesco. Feltre. 68 Paoli Domenico. Pesaro. 69 Papafava dottor Marsilio. Padova. 70 Penolazzi dottor Ignazio. Montagnana. 71 Pezzana abate cav. Angelo. Parma. 72 Pezzoli dottor Gio: Battista. Ceneda. 75 Pezzoni dottor Antonio. .Alessandria. - 74 Pola conte cav. Paolo. Treviso. 75 Poggi dottor Giuseppe. Milano. 76 Ramelli canonico Luigi. Rovigo. 28l 77 Reis dottor Paolo. 78 Renìer abate Giovanni. GodegO. ■39 Renzi (de) cav. Salvatore. Napoli. 80 Righini dottor Giovanni. Oleggio. 81 Roberti conte Gio: Battista. Bussano. 82 Rondolini dottor Lorenzo. Trieste. 85 Rossetti dottor Domenico. Trieste. 84 Rosas professor Antonio. Fienna. 85 Sacchi dottor Giuseppe. Milano. 86 Sacelli dottor Defendente. Milano. 87 Santello dottor Giovanni. Piove. 88 Scorlegagna dottor Francesco Ignazio. Padova. 89 Scliuller dottor Antonio. Fienna. 90 Schizzi Fulcbino. Cremona. 91 Signoroni professor Barlolommeo. Padova, ^2 Sormani dottor M. N. Milano. gS Speranza professor Carlo- Parma. 94. Taglialegne Osvaldo. Udine. 95 Taramelli dottor Carlo. Milano. 96 Tellani (de) cav. Giuseppe. Rovereto. Q^ Tenore professor Michele. Napoli, <)8 Thiene dottor Domenico. Ficenza. 99 Tonello Gaspare. Trieste. 100 Trivellato abate Giuseppe Angelo. Padova, 101 Turazza dottore. Ficenza. 102 Falsecchi dottor Antonio. Padova. io5 Fedova dottor Giuseppe. Padova. ]o4 Fenanzio dottor Girolamo. Portogruaro. io5 Fermiglioli G. B. Perugia. 106 Fisiani professor Roberto. Padova. 107 Fiviani cav. Domenico professore. Genova. 108 Zannini dottor Gio: Battista. Belluno. 109 Zamboni professor Antonio. Ferona. . loi Zanier professor Ciò: Battista. Portogruaro. 36 ELENCO DELLE MEMORIE LETTE NEGLI ANNI ACCADEMICI 1 835-36. e 1 836-37^ RIFERITE NEL TOMO III. ASSON do». MANDOLINO. Memoria intitolata : Investigazioni anato- miche intorno all' organizza zione del cervello e delle sue dipendenze. 20 luglio i855. Relazione sig. Casarini . . Pag. 28 BENI cons. FRANCESCO. Una Cantica intitolata : Salita al nuovo mondo in continuazione dell' altra sua Cantica la Cometa 1 2 gen- naro j835. Relazione professore Bellomo >, 41 BENVENUTI dott. ADOLFO. Sopra i più recenti progressi della lito- tripsia, e sopra un nuovo stromento relativo di sua in- venzione 16 gennaro iSà^. Relazione dottor Namias . . » ■jG BONFADINI nob. GIUSEPPE. La traduzione in versi del libro F del- l' Aniilucrezio del cardinale Folignac 21 agosto 1857. Re- lazione professore Bellomo j ^ . » 00 CALOGERA' dottor ALESSANDRO. Memoria intitolaU: Riflessioni cli- niche intorno alle /ebbri 2f, agosto i835. Relazione sig. Casarini „ ói-Sa Memoria sul ciiolera morbus 26 giugno 1857. Relazione dot- tor Namias . . .^ n gj CALUCCl dottor GIUSEPPE. Memoria intorno al cullo di Pane 22 giu- gno i835. Relazione professore Bellomo « 45 Memoria: intomo alla forza del diritto Romano nello stato attuale della nostra legislazione 9 gennaro 1837. I Continuazione della Memoria intorno alla forza ec. 2 7 feb- braro 1837. Ultima paite della Memoria intorno ec. 5 giugno 1837. Re- lazione professore Bellomo m gg CAMPILANZI EMILIO. Una Memoria di Architettura statica, sulla conservazione delle fabbriche di Venezia i giugno i835. Relazione del sig. Casarini » 35 CANAL profess. PIETRO. Memoria intitolata : percìiè la musica piìi che le altre arti belle sia soggetta a frequenti mutazioni di gusto i5 luglio i835. Relazione professore Bellomo . . )> 43 283 CASONI ingegnere GIOVANNI. Una delle sue Memorie per servire alla storia dell'Arsenale di Venezia n maggio i835. Rela- zione professore Bcllomo P^g. 19 CARRER LUIGI. Una sua produzione poetica intitolata: Inno al mare iC marzo i835. Relazione professore Bcllomo n 4" ■^-— /inalisi con qualche saggio di traduzione dei moderni poeti francesi i4 agosto iSSy. Relazione profess. Bellorao » gó CICOGNA EMMANUELE. La prima parte di una sua Memoria intitolata: Notizie intorno a Francesco Sansovino 22 dicembre i835. Relazione professore Bellomo » 5o -^— J-a seconda parte della sua Memoria: Notizie 'intorno a Francesco ec. 29 dicembre i835. Relazione prof. Bellomo n 5i COEN GIUSEPPE. Una sua Memoria intitolata: Osservazioni d'anatomia patologica sulle alterazioni croniche dell' utero e delle sue appartenenze 9 marzo i83.'). Relazione sig. Casarini. n 27 CORNIANI conte MARCO. Sunto delle Memorie de' signori Campilanzi, Casoni, e cav. Paleocapa sopra i Pozzi Artesiani, fatto leggere dalla Commissione presieduta da S. E. co: Erizzo, per dirigere gli studj dell' Ateneo suU' argomento di for- mare in Venezia un pozzo trivellato 19 gennaro i835. Relazione sig. Casarini » 5S CONTARINI conte NICCOLO', La continu?zioni3 del suo discorso sopra le Attinie, genere dì zoofiti aS maggio i835. Relazione signor Casarini « 34 DANDOLO conte TULLIO. Memoria intitolata. Scene de' costumi Italiani del secolo XVI i5 giugno 1 855. Relazione prof. Bellomo » 56 DEZAN mons. canonico GIAMMARIA. Alcuni articoli della tua opera : la Biografia dei Preti Veniziani illustri per letteratura IO agosto i835. Relazione professor Bellomo .... » 53 DRIUZZO profess. FRANCESCO. Memoria intitolata: Osservazione so- pra un antico Dittico di Passione con vari Beati, del regio Tesoro della Marciana Basilica 20 marzo i835. Relazione professore Bellomo » 5i - - Memoria sopra una moneta rara di Samotracia i3 febbraro 1837. Relazione professore Bellomo n 8G FORTIS dottor LEONE. Memoria sulle cerceri penitenziarie , premesso un cenno sulle istituzioni penali degli ultimi tempi 19 giugno 183^. Relazione professore Bellomo .... « 99 GALVANI ANTONIO. Una lua Dissertazione sulle invariabili proprietà della strichnina pura, e sulla presuntiva composizione 284 delta bntcina della noce vomica 6 aprile i835. Rela- zione sig. Casarini Pog. 32-35 HECRER piofcss. FEDERICO. ( di Berlino ). Un Discorso, tradotto in italiano dal dott. Passetta , sulle maialile popolari 6 mar- zo iSSy. Relazione dottor Naraias ìi 8? KOEN dottor GIAMBATTISTA. Un Saggio sul Monumento Rodio che serbasi nel Seminario patriarcale di Venezia 4 "^^ggio 1 835. Relazione professore Bellomo » ^,5 LEVI dottor GIUSEPPE. La Biografa dei medici Bonari Trino, Cul- ludrovich Giacomo , Sette Vincenzo , Falatelli Andrea 2 3 febbraro i835. Relazione professore Bellonio ... « 5i — — La Biografia del dott. Gaetano Ruggeri ig dicembre i836. Relazione professore Bellomo » 88 MAGRINI dottor LUIGI. Memoria sopra i suoi nuovi tentativi per appli- care alta meccanica l'eleltro-magnetismo , eseguendo co' suoi congegni le relative esperienze 8 maggio iSSy. Re- lazione dottor IVamias » 78 - Relazione di alcune sue esperienze eletlro-magnetiche 3i lu- glio 1837. Relazione dottor Namias » yg MANIN S. E. co: LEONARDO. Memoria di Otlariano Manina di Udine illustre poeta del secolo XVI. 5 dicembre i836. Relazione professore Bellomo » 67 MAURI dottor ALVISE. Memoria sulle febbri periodico-perniciose io luglio iSSy. Relazione dotlor Namias » 80 NAMIAS dotlor GIACINTO. Memoria sulle malattie reumatiche ed ar- tritiche 26 gennajo i855. Relazione sig. Casarini . . » 3o-3i . : Memoria intorno ad una estraordinaria malattia nervosa gua- rita coli' agopuntura i 2 giugno i85y. Relazione dolt.Namias )i 79 NARDO dottor DOMENICO. Una Memoria intorno alla natura delle alghe , ed intorno al loro uso medico ed economico 3 agosto i855. Relazione sig. Casarini » 55 — — Alcune considerazioni chimiche farmaceutiche sui vescica- tori 3 agosto i83y. Relazione dottor Namias .... » 82 NEU-MAYR nobile ANTONIO. Memoria intitolata il Pittore Paesista 24 aprile 1837. Relazione professore Bellomo .... » 97 PAJELLO dottor PIETRO. Una Memoria sopra gli ospedali dei maniaci a Parigi, e intorno lo stato degli strumenti principali della litotripsia 5 gennaro i835. Relazione sig. Casarini » 3o PARAVIA cav. PIER ALESSANDRO. Memoria. Sul sistema mitologico di Dante i3 marzo 1837. Relazione profess. Bellomo . » 8y 285 PAROLARI MALMIGNATI nob. PIETRO. Elogio Jcrnebre di Francesco primo tmperalor d'Austria. Relazione profcss. Bellomo Pag. 54 Memoria sull'idealismo 9 febbraro i835. Relazione profes- sore Bclìomo " Memoria intorno la invenzione e la rellificazione So gen- naro 1857, Relazione profess. Bellomo » 98 PAROLARI prof. GIULIO CESARE. Memoria intorno a' mutamenli in- trodoui dalla Religione Cristiana nella Poesia \l luglio 1857. Relazione professore Bellomo » 9» QUADRI ANTONIO. Memoria intitolata: Colpo d'occhio sulla storia, delle belle arti dai tempi anteriori alla guerra di Troja sino al secolo di Augusto 27 aprile i855. Relazione professore Bellomo " ** Sopra la storia delle belle arti dal secolo di Augusto sino a Canova 20 febbraro 1837. Relazione prof. Bellomo . . ., gS RAMELLO can. LUIGI. Memoria sull'ingegno precoce e sulla dottrina d'un fanciullo d'anni sette e mezzo del Polesine i. maggio iSSy. Relazione professore Bellomo .... » 89 RENIER abate GIOVANNI. Un'Orazione sopra i cimiteri 16 febbraro i835. Relazione professore Bellomo " 53 RIMA dottor TOMMASO. Memoria sulla causa prossima delle varici alle estremità inferiori e sulla loro cura radicale 2 gennaro 1857. Relazione dottcw Namias » 75 ROSSI cons. GIOVANNI- La continuazione della sua opera, degli antichi costumi dei Veneziani, avente per argomento: le toro relazioni di famiglia 17 agosto i835. Relazione professor Bellomo " ■'' Memoria su' Teatri veneziani tratta dalla sua opera, sugli usi e costumi antichi de' Veneziani 25 gennaro 1837. Relazione professore Bellomo » 94^ ROSSI dottor LORENZO. Memoria intorno all'origine e necessità delle passioni indipendentemente dall'istinto 29 maggio 1837 Relazione dottor Namias " °4 'i'IEPOLO conte ALMORO'. Un Discorso sulla Aristocrazia originaria di Fenezia 27 luglio i855. Relazione prof. Bellomo . » 46-47 TIPALDO tde) prof. EMILIO. Memoria sopra Alceo, e sopra le Trage- die di l/^o Fojco/o 24 luglio 1857. Relazione prof. Bellomo » 67 TROIS dott. FRANCESCO ENRICO. Osservazioiù intorno all'Influenza che hanno le congestioni della midolla spinale in molte malattie spasmodiche. Relazione sig. Casarini .... » 29 286 TROIS . . Sunto della storia del cav. dott. de Kerckow relativa alle malattie della grande armata francese nella campagna di Russia del i8ia, e di Alemagna nel iSiSj 28 agosto 1857. Relazione dottor Namias Pag. 83 ZAMAGNA nob. cons. MATTEO LUIGI. Memoria sopra i fasti militari della Dalmazia IO jtoyemhre iSS-]. Relazione prof. Bellomo h 88 ZANOTTO FRANCESCO. Saggio sulla storia della Pittura veneziana 17 aprile 1837. Relazione prof. Bellomo » 96 INDICE. BELLOMO . . Relazione «lei lavori fatti dalla classe delle lettere ed arti liberali nell'anno accademico 1855-56 . . Pag. Dei lavori fatti dalla classe per le lettere nell' anno accademico i856-37 » CASARIIVI . . Continuazione de' Ricordi storici sull'Ateneo . . . « Relazione de' lavori fatti dalla classe delle scienze nell'anno accademico 1 835-36 » _ — Il Medio Evo considerato nel suo vero riferimento alla italiana moderna letteratura. Prolusione. ...» CAMPI-LANZI. Memoria intorno ai pozzi modenesi ed artesiani . . » CANALI . . . Storia aneddota del busto erma del doge Uenier opera di Canova , Memoria letta nella tornata 27 agosto i83<^ » CONTARINI . Memoria di una nuova specie di Cecidomia ed alcune osservazioni sopra quella dell' Iperico descritta nella Memoria del professore Gene 11 GAMBA . . . Alcune varianti del Pastor Fido, tolte dall'unico auto- grafo esistente nell'i, r. libreria Marciana in Venezia ii MANIN . . . Prolusione sopra un' antico codice di marina ...» NAMIAS . . . Dei lavori fatti dalla sezione per le scienze nell' anno accademico 1 856-3 7 ; . s i> NEU-MAYR . . Il Pittore paesista. Memoria letta nell'ordinaria adu- nanza del giorno zt^ aprile 1837 » PARAVIA . . Del sistema mitologico di Dante, Ragionamento letto nella Sessione ordinarla de' i3 marzo 1857. . . » SAGREDO . . Intorno agli scritti dell'abate Svegliato, Lezione letta il giorno 12 marzo iSSg : . . u Statuto dell'Ateneo » Catalogo dei Soci componenti l'Ateneo » Ei.ENeo delle Memorie lette negli anni accademici i855-36 e i836-37 riferite nel tomo III » 39 85 5 6i loS 255 i83 19 73 '19 i65 8 282 ERRORI. CORREZIONI. 5 27 54 34 3 39 i6 82 5 85 55 5» 1837 Cs' èo 1837 sventurata 1837-58 1855-36. Cos' è 1 835-36. sventura 1836-37. maier consilias tuut , adoletcens ecce mater tua cSe oaptrnc oo'j, (Ss ri^riTti jiirjTripooj; mater ecce Jiliut tuus, adolescen* ecce mater tua. Tomo IV. EI^ERCITAZiOMI SCIEi\TIFICHE E LETTERARIE D E L L A T E r\ E O DI VEÌXEZIA. VENEZIA DALLA TIPOGRAFIA DI FRANCESCO ANDKtOLA MDCCCXLI. CONTINUAZIONE DE RICORDI STORICI SULL'ATENEO DI VENEZIA PRODOTTA AL VENETO ATENEO STESSO DAL MEMBRO ORDINARIO E VICE-PRESIDENTE LUIGI CASARINL XXdempio al dovere prescritto dall'art. 42 del generale Statuto; dettando cioè la continuazione dei Ricordi storici del veneto Ateneo , riguardanti l'anno accademico 1839-40, ferace d'importantissimi av- venimenti. Diffatti può dirsi che il fulmine caduto sul nostro locale nel giorno i6 agosto i840j segnò un' Era nuova nei nostri Annali, co- sicché , se in questi tempi fosse permesso di ammettere mitologiche reminescenze, potrebbe dirsi, che l'auspice nostra Dea annunziava quasi con quel disastro il disegno di voler abbandonare l'antica sua sede. Mercè però le doverose cure della Presidenza a poca cosa si ridussero le perdite dell'Ateneo, mentre le pronte, energiche e ze- lanti misure attuate dalle pubbliche Autorità, limitarono i guasti del locale ad una sua parte soltanto, riparata che fu poscia radicalmente. In seguito il Governativo Decreto 11 dicembre j 840 N.° 485i2 , accompagnato dalla Delegatizia Ordinanza 29 del mese stesso Nume- ro 3o7i5, faceva conoscere il tenore del Dispaccio 21 novembre 1840 N.° 7485 dell'Eccelsa Imp. Regia Commissione degli Studii, riportante la sovrana Risoluzione 17 del mese stesso, con cui sta- luivasi che nel Ducale Palazzo dovessero avere stabile stanza ( oltre 6 alla Grande Guardia militare, alla Camera di Commercio, ed alla Borsa) la Biblioteca pubblica, l' Instituto delle Scienze, Lettere ed Arti, ed il Veneto Ateneo , ordinando che la sua Presidenza dovesse prestarsi alle opportune intelligenze ed inspezioni, in concorso della Regia Direzione delle pubbliche Costruzioni , e del cav. Bibliotecario della Marciana , affinchè, previo un particolare esame dei locali de- signati, e disponibili del primo piano, si potesse effettuare un riparto comodo ed opportuno dei locali medesimi, anche per le adunanze dell'Ateneo. Questa adottata massima della traslocazione dell'Ateneo non deve in noi ridestare che i sensi della più rispettosa e sentita riconoscenza verso l'Augusto Monarca, il quale volle decorosamente fissare le sta- bili sorti del Veneto Ateneo, associandolo ad altri onorevoli stabilimenti, in quel palazzo che riunisce tutte le rimembranze della Veneta gran- dezza, frequente e sempre gradito soggetto delle nostre lucubrazioui. Mi dispenso dall' accennare il numero, e l'importanza dei la- vori dei nostri Soci , dacché le Relazioni dei Segrelarj ne faranno conoscere li pregi e lo spirito, limitandomi a ricordare soltanto, che compito il monumento da erigersi alla memoria di Aglietti , e supplito il debito verso il famigerato artefice che magistralmente scolpivalo , senza l'evento accaduto, stalo sarebbe a quest'ora già inaugurato nella grand' Aula che al presente occupiamo. Parte non lieta , ma indispensabile de' miei doveri , si è quella di onorare con qualche fior la memoria de' nostri fratelli che orre- volmenle compirono la mortale carriera. Nominerò fia i Soci esterni per primo quel Francesco A malico, recente decoro dell'antica Opitergio, raccoglitore solerte delle patrie memorie, in cui una vasta erudizione andava del pari al criterio di ben pesarla e disporla a base d'utili letterarii lavori. Ricorderò il dottor Giuseppe Montesanto, espositore facondo di mediche teorie, che, associate ai risultamenti della lunga sua pratica, portavano ai sofferenti spesso insperata salute. E colla voce commossa dell' amicizia ripeterò il nome del pro- fessor Gaspare Federigo , che nel momento in cui con occhio medico e indagatore sicuro, spargeva nelle sale della patavina Università , ed al letto degli ammalati i tesori di una clinica illuminata, chiedendo non ai 7 sistemi, ma .-illa natura la vera indole delle malattie, tenero d'altronde delia sua patria , dettò anche pregievoli lavori sulla sua medico-fìsica topografia, convinto die il ristagnamento e la mistura delle acque influir dovessero possentemente sulla veneta igiene. Fra i Soci onorarii dimoranti in Venezia ridestar devo il vostro compianto sul professor Giuseppe Innocente , uno dei primi ristoratori fra noi della chimica, su Tommaso Mocenigo Sornnzo, ultimo eco dell'eloquenza del patrio Senato, sul cavaliere Meschini che la sua lena letteraria tutta profuse fino all' ultimo anelito a decoro di questa adottiva sua patria, per cui ottenne svariati onori e pubblico elogio, e finalmente sul sommo eccletico consiglier Brera che poteva appellarsi vivente medica Enciclopedia, ed a cui in mezzo a onorevoli corone applicar si potrebbero i versi dell' Anacreonle Bassanese: Et lesse ed imparò con forte ciglio Tutto il libro fatai delle vicende. Tutte care memorie che inspirar devono lusinghiere rimembranze ed incoraggimento perenne alla nostra Società , perchè in qualunque sede, ed in qualunque circostanza progredir debba animosa nella or- revole sua carriera : Società che, non uhimo ramo della pubblica in- struzione, unica per olire trent'anni concentrava e rappresentava, non senza onore, gli antichi Instituti scientifici e letterarii di Venezia, di quella Venezia che fu conservatrice dei germi dell'antica civiltà, e promotrice operosa della sua moderna ristorazione. ADUNANZA PUBBLICA TENUTA NEL GIORNO DUODECIMO DI MAGGIO DELL'ANNO MDCCCXXXIX. DELLE RELAZIONI DEGLI AMBASCIATORI. PROLUSIONE DEL COi^TE LEONARDO MANIN PRESIDENTE DEL L' ATENEO. Q 'uella carità della patria clie in altri momenti mi consigliò ad intrattenervi nel preludere alle pubbliche nostre tornate con argomenti relativi agli studii de' Veneziani; quelle lettere belle che in mezzo alle più severe scienze con sempre maggiore incremento , ad onore del bello favellare italiano qui si coltivano: que' luminosi esempii che i progenitori nostri ci diedero sulle scienze politiche e statistiche; tiit- tociò in oggi m'induce a ragionarvi dell'arte dai Veneziani adoperata nel procurarsi le più accurate e diligenti cognizioni de' principi stra- nieri, ed in essa quella, dirò così, politica letteratura, di cui usavano per porre nel più chiaro lume e la religione, e i costumi e le forze delle straniere nazioni, affine di trarre que' lumi che riuscire potessero vantaggiosi al proprio governo. Quanto in questo genere di studii ogni altra nazione avvantaggiassero inostri, mi è dato libero il campo a di- mostrarvelo, e son ben certo che dai brevi tratti che al mio dire sono concessi dal tempo e dal luogo, rimarrete convinti della prudenza loro nel prescrivere quegli ordinamenti che assicurare potessero della verità dei fatti addotti, e come eglino con le relazioni al finire delle loro Ambascerie al Senato offerte, in questo divisamento riuscissero. A tale oggetto pertanto rivolgo, o signori, le mie parole, e spero che la importanza dell'argomento ritroverà grazia appresso di voi, e lo giù- dicherete opportuno all'accademico nostro instituto, siccome quello che offre materia alla storia, alla politica, alla statistica, ed alla geografìa, umanissime facoltà contribuenti alla felicità degli stati e 1 2 delle nazioni. Voi falerni animo, o signori, con la indulgenza vostra che iniploro , e permettete che fra tanto concorso di letteratissimi uo- mini vi ragioni di questi libéralissimi sludii amenissimi, clie in ogni tempo e luogo ci accompagnano, ci giovano e ci dilettano. Fino dai primi secoli della veneziana Signoria, ed allora quando aveva assunto le forze, e la energia di uno stabile e ben regolalo governo, e quindi altri popoli reggeva che al suo dominio dedicato si avevano, o che dalle armi sue vincitrici erano stati sottomessi, ai leggitori di quelli ordinava , che al restituirsi presso la sede del governo riferire dovessero ciò che riuscire poteva utile al ben essere de' luoghi stessi. La medesima considerazione aveva indotto il governo a prescri- vere, che gli Oratori, che presso le straniere potenze erano stati pe' suoi negozii inviali, avessero nel loro ritorno a rendere esalto conio di ciò che presso quelle nazioni osservato avevano, del che ci rende certi quella legge registrata nel repertorio delle leggi, con molta fatica e studio raccolto da Bartolommeo Zamberli filosofo veneziano, legge in data dell'anno 1268, epoca in cui li Veneziani incominciarono ad inviare alla corte di Roma oratori permanenti, e solamente ogni tre anni permutati; ed allora quando anche presso le altre corti d'Europa oratori residenti ed ordinarii si decretarono , ( il che ebbe luogo sul principio del decimoquinto secolo), si rinnovò la stessa legge, che si ritrova registrata nel pubblico libro denominato Z.eona all'anno i^oi , legge confermata pii!i volte dappoi ne' secoli posteriori. Da tutto ciò risulta come li Veneziani abbiano sempre riconosciuto la importanza di queste politiche relazioni. Scipione Ammiralo ne' suoi Discorsi sopra Tacito dice espressamente, che li Veneziani hanno più che ogni altra nazione trovata presta e spedita la via di avere la conoscenza degli altri principi, avendo gli Ambasciatori , che essi mandano a' potentati del mondo, questo obbligo di riferire in Senato , tornali che siano dalle loro Ambascerie , ciò che hanno potuto conoscere dei costumi , del principe, e del sito, ricchezze, fertilità, ed altre qualità degli uomini dove sono stati mandati , il che fanno con tanta felicità , che si vede il più delle volte quelle cose essere loro più manifeste che agli stessi uomini del paese noi sono. E Wicquefort nel suo Trattato dell'Am- basciatore e delle sue funzioni asserisce, che gli ambasciatori di lutti i principi fanno rapporto di ciò che hanno maneggiato ; ma solo gli i3 oratori Veneziani rendono esalto conto di ciò che allo stalo appaitiene appresso il quale hanno essi risieduto. Perchè poi più facilmente rie- scano in sì importante ed utile negozio, li nostri legislatori furono ben avveduti nel decretare, dietro le massime di Aristotile nella sua politica esternale, che questi uomini di stato, che a queste bisogne attendere volessero, poco innanzi al quarantesimo anno fossero alle corti inviati, acciochè fatti prudenti per la età sapessero più giudiziosamente osservare le cose del mondo, e ritrarre ciò che al proprio governo giovare potesse; oltre a che quelli che alle ambascerie edalle legazioni si dedicavano, prima di entrare nel pubblico ministero l'adito si ap- parecchiavano, accompagnando gli oratori nelle legazioni, affine di prendere cognizione delle corti presso le quali gli ambasciatori risie- devano , e sotto maestri ed instruttori si dotti apprendere potessero il modo di conciliare a loro slessi , ed alla propria nazione gli animi degli stranieri; e difatli i nomi di Daniele e Maio' Antonio Barbaro, di Luigi ed Angelo Contarini , di Giovanni Michiel , e di Giovan Bal- lista Nani , per tacere di tanti altri, risuonavano di bella ed onorevole fama prima che all'ambascerie fossero stati prescelti. Ma per venire al concreto del mio dire ; cioè per riconoscere quanto le relazioni de' nostri ambasciatori concorrano a sovvenire allo studio particolarmente della storia di que' tempi , non andrò già fru- gando fra i polverosi ed obbliati scaffali de' pubblici archivii , questa , o quell'altra relazione scegliendo, ma starommi conlento di alcune poche relative ai fatti più importanti della non remota epoca del sedi- cesimo secolo. Di questa epoca parlando il chiarissimo cardinale Ago- stino Valiero nel suo opuscolo de' ricordi per iscrivere le istorie a messer Luigi Contarini non dubitò di asserire, che le informazioni che si serbano nell'archivio del Senato sono veramente di grande autorità, e degne di essere poste in grande considerazione per la verità delle cose narrate, e per le cause delle azioni che sono successe. Era in Inghilterra dopo la morte di Enrico Vili caduto il go- verno ad Odoardo VI .suo figliuolo in età ancor pupillare, e per la veneziana Repubblica ambasciatore ordinario risiedeva nell'anno j568 Daniele Barbaro, che venne poscia eletto in Patriarca d'Aquileja , fa- migerato illustratore di Vilruvio , ed autore di altre opere minori , uomo mollo letterato in molte sorte di lettere; ed egli nella sua re- ^4 lazione tutti gli ordini cittadineschi e militari di quel regno rappre- senta, le forze, la popolazione, le ricchezze, eie alleanze; e parlando poi della religione, che dagli insani capricci dell'ultimo Re era stata manomessa, e riconoscendola come il cuore dell'uomo, da cui dipende la vita ed il bene di tutte le repubbliche e di tutti i governi, e come l'unico mezzo per moderare gli animi, e far loro conoscere Dio do- natore degli stati e delle vittorie, vi aggiunge che ciò non può giammai a quella nazione accadere, come quella che più d'ogni altra mostrasi nella religione incostante , errando circa la opinione della fede, circa le cerimonie della chiesa, e circa all'obbedienza nella fede. INelli stessi sentimenti scrisse Giovanni Michele successore al Barbaro nell'ambasciata d'Inghilterra dopo la morte di Odoardo VI , al tempo della regina Maria figliuola di Enrico Vllf, la quale sposa di Filippo che fu poi re di Spagna, procurato aveva di rimettere la religione Cattolica. 11 Michele fa conoscere quanto poco fossero gl'Inglesi inclinati a rientrare nel seno della religione, e quanto di buon occhio ris- guardassero la principessa Elisabetta che con opposto sentimento do- veva a quella succedere sul trono. Dopo la morte della regina Maria trovasi una grande laguna nelle nostre relazioni d'Inghilterra per tutto il regno della regina Elisabetta , ed anzi nel Libro degli ambasciatori, che si conserva nella biblioteca di s. Marco, evvi l'annotazione che per motivi di religione pel corso di quarantacinque anni non vi fu inviato alcuno ambasciatore veneziano a quella corte; quantunque da* altra parte abbiansi alcune memorie, che quella Regina insistesse per- chè la Repubblica rimettesse il corso delle sue ambascerie : ed infatti per varii anni fu posta parte in Senato di eleggere l'ambasciatore alla Regina, ma fu sempre preso di differire. Successa poi la morte di questa , e giunto al trono Jacopo I Stuardo re d' Inghilterra e di . Scozia nell'anno i6o5 fu spedito ambasciatore Nicolò Molino, susse- guitandosi poscia le elezioni fino all'anno 1640, nel quale fu eletto Vicenzo Contarini, che per le rivoluzioni di quel regno non fu spe- dito. Alcune interessanti relazioni si conservano ne' pubblici archivii, fra le quali quella di Marc' Antonio Correr al re Jacopo 1, e quella di Angelo Correr all'infelice Carlo I, nella quale particolarmente si appalesano i movimenti popolari che succeder dovevano in quel regno i5 per due jirincipalissime caiise , quali erano il voler rimetlere la reli^ gione Callolica, e la estenuazione della libertà de' popoli. Ma una delle più importanti relnzioni di quel regno si è quella di Giovanni Sagredo spedito ambasciatore estraordinario al Protettore Croraweli nell'anno j655, sei anni dopo la catastrofe orrenda di Carlo I. In essa dopo aver descritto gli avvenimenti successi nella mutazione del governo, le forze, le alleanze, i disegni, e la forma del governo dell'Inghilterra, tocca particolarmente alcune cose relative alla per- sona del Protettore, ed assicura che le apparenze fanno sperare che egli conservato avrebbe la propria grandezza, ed in essa terminata la vita , come in effetto successe. Questa relazione meriterebbe per la sua importanza di essere resa pubblica con le stampe, riferendo alcuni particolari dalla storia tralasciali, ed avvi motivo ragionevole di cre- dere che un discendente di quell'Ambasciatore verificherà il propostosi pensiero di rivolgere i proprii studii alla memoria di quel grande avo con lustro sempre maggiore di questa patria. Che se ella è così, se le addotte relazioni de' nostri ambaEciatori nell'Inghilterra somministrano abbondante saggio di ciò che ritrarre si potrebbe per iscrivere quella parte d' istoria si odiosa di rivoluzioni e di commovimenti , è altresì palese qual utile ne deriverebbe, se fos- sero prese a suggetto di studio dai moderni scrittori. Ma non solo alla storia, alla politica eziandio possono di gran lun- ga sovvenire, a quella scienza che insegna a governare le genti, i regni ed ipopoli, ammaestrando ad indovinare i progetti de' nemici, antive- dere le conseguenze, discernere i beni dai mali, ed a' buoni consigli appigliarsi. E per darvi di questa politica una qualche parte nelle re- lazioni de' nostri ambasciatori, vi presenterò, o signori, la relazione prodotta al Senato dal Bailo alla Porta Ottomana ( che con tal nome chiamavasi l'oratore veneto a quella corte) Marc' Antonio Barbaro, uomo di molta prudenza e di accortissimo ingegno, presso l'impera- tore Selino , il quale nel lungo spazio di sei anni , in diffìcili tempi , ed in mezzo ad una acerrima guerra ha potuto conoscere la politica de' ministri Ottomani, ed ha nella sua relazione e nella memoria che l'accompagna dati saggi di quella prudenza che lo distingueva, mo- strandosi poco soddisfatto e della accoglienza usata dalla Repubblica all'ottomano Cubat Chiaus mandato da Selino, e della risposta franca i6 air intimazione di guerra , la quale fu da lui giudicata preinatura , credendo più utile di porre la cosa in negozio, ed entrare in trattative secondo l' intima conoscenza che egli aveva del carattere de' principali ministri ; e quantunque la opinione di lui molto differisca da ciò che era stato dal Senato deciso, pure non lasciò di presentarla al Governo per le direzioni avvenire : esempio di fermezza di animo , e di auto- revole avvedutezza. E giacché siamo sull'argomento della politica, si scorrano le re- lazioni di Angelo Corraro ambasciatore della Repubiilica a Parigi, nel tempo di Luigi- XIII , e nel ministero del cardinale Richelieu , del quale era divenuto confidente, a segno di essere tenuto da quel mi- nistro quasi necessario, procurando di ottenere dal Senato che la sua legazione si protraesse oltre il consueto termine; e quelle di Gio: Battista Nani ambasciatore egli pure alla corte di Francia due volte, l'una all'epoca del sullodato cardinale Richelieu , e l'altra a quella del cardinal Mazzarini , nelle quali dipinge i caratteri di que' ministri, il primo de' quali ha saputo nel regno di Francia disarmare la ribellione e la eresia, riportare conquiste, e rinforzare in più parti gli argini della sua autorità, della sua riputazione e della sua potenza; il secondo con la pace conchiusa colla corona di Spagna, ed il matrimonio stabi- lito con la Infanta, seppe riformare molti abusi, sollevare i popoli op- pressi datante gravezze, e sostenere l'autorità reale. Ambedue questi ambasciatori ottennero dal sig. Wicquefort i più grandi elogi per le loro politiche direzioni, e meritarono di essere proposti ad esempio di eccellenti ministri. Dalla politica entriamo nella statistica, in quella scienza cioè, che, al dire di Melchiore Gioja, descrive un paese in modo da presen- tare i vantaggi , e i danni di ciascun oggetto per norma di tutti i cittadini, del governo, e degli esteri: ma senza immorare nel render conto che li Veneziani furono i primi fra tutte le nazioni di Europa a coltivare questa scienza si utile fino dai jirincipii del secolo XV, e lasciando di presentarvi ciò tutto che ricavar si potrebbe analizzando le relazioni de' Veneziani oratori, i quali per la maggior parte si fe- cero carico di ragguagliare il Senato della popolazione, delle ricchezze territoriali e commerciali, delle forze e delle rendite di ciascuna po- tenza presso cui risiedettero, io vi renderò conto della relazione, di 17 Tommaso Centanni spedito ambasciatore estraordinario alle Provincie Unite nell'anno i6io, epoca che da poco si allontanava da quella della loro politica esistenza. Il Contarini ci fa conoscere la numerosa popolazione di quelle provincie, che ogni giorno prodigiosamente au- mentava, la coltura de' loro campi, i quali per ragione dei terreni poco sodi e non acconci ai lavori dell'aratro, ai prati ed agli orti solo si restringevano; per il che latti, butirri e formaggi in maggior copia di tutta la Germania somministravano, recando pure la indica- zione della pinguedine dei loro animali, e della fecondità delle loro pecore. Accorda che di molte cose abbisognavano , come grani , le- gnami e vini, ma vi supplivano co' negozii e con la navigazione, per cui i fondachi erano abbondantemente provveduti. Penuriano di legna da fuoco , poiché in quel suolo spugnoso e pieno di motte non pos- sono gli alberi porre salda radice; ma in loro vece adoperano certa sostanza vegetabile, estratta dalla terra, che chiamasi torta, la quale lino dai tempi di Plinio usavasi nelle Fiandre, ed essiccata che sìa arde con facilità, e dà un ottimo fuoco per tutti gli usi domestici e famigliari, e per le fornaci e fucine, ed a questo proposito aggiunge di averne seco portato alcun poco per esaminare e riconoscere, se con iscavamenti nelle nostre lagune si riuscisse ad ottenerne, riflessione e pensiero che farebbe onore a' nostri moderni economisti. Entra poscia j)articolarmente a far parola delle forze terrestri e marittime, e del- l'interno ed esterno commercio; e delle arti d'industria parlando as- serisce che si estendevano d' assai e nella pescagione delle aringhe , e nella introduzione dell'arte delle telerie, nelle quali fin d'allora face- vano lavori bellissimi; ed espone i suoi desiderii che per parte nostra s'introducesse il commercio de' cristalli e de' scarlatti, i quali pren- dere potrebbero il luogo di quel commercio che i Veneziani avevano con le Fiandre vivissimo; per cui da' nostri erano i loro porti fre- quentati, e diede origine a quella simpatia ed amicizia che per la veneziana Signoria quella nazione sentiva. Fa lunghe parole della cor- rispondenza di quelle provincie con gli altri popoli d' Europa , e le mostra affezionate alla regina Elisabetta d'Inghilterra ed alla corona di Francia, conservando un'antipatia con quella di Spagna, della quale avevano da pochi anni scosso il giogo. Forse che mi sono pilli del dovere soffermato nell'analisi di questa i8 relazione, nia siccome questa più particolarmente delle altre nelle cose alla statistica appartenenti si e dilungata , cosi ho creduto di presen- tarvela per rendervi certi quanto nella statistica i nostri si distin- guessero. Dal sin qui esjiosto mi sembra di avere a sufficienza esaurito il mio argomento sulle parti de' eussidii che le relazioni nostre sommi- nistrano allo studio della storia, della politica, della statistica; mi richiamano ora quelle relazioni che si occuparono specialmente nel rendere conto delle contrade più allora sconosciute e rimote, e de- scriverne a parte a parte la geografica posizione. Io non vi tpalterrò su quelle dei due ambasciatori alla corte di Ussum Kassano re di Persia, Giosaphat Barbaro , ed Ambrogio Contarini, che sono già state impresse nel secondo volume dei viaggi da Gio: Battista Ranuzio rac- colti , e dei quali diffusamente ragiona il fu Eminentissimo Cardinale D. Placido ^urla nelle sue Dissertazioni sui viaggiatori Veneziani : mi restringo piuttosto a farvi parola di quella relazione delsecretario Vicenzo Alessandri spedito ministro aTamas re di Persia, affinchè con le armi deviasse Selino dalia guerra a' Veneziani minacciala per il Regno di Cipro. In questa sua finale relazione dopo aver l'Alessandri descritto il governo, e la persona del Re e la sua potenza, entra ad esporre geo''raficamente la posizione di quel regno : ricorda i vasti possedi- menti di quel sovrano, presso cui abbondavano ricche miniere di oro e di preziose gemme, ed il fiorente commercio di drappi e tappeti di seta, che in quel regno maravigliosamente lavoravansi in ispecial modo jielle città diTauris, d' Ispahan e di Cabul. Tutte le quali geografiche nozioni confermano i più distinti geografi moderni, fi a i quali mi «jnoro di nominare il nostro consocio e concittadino consigliere Adriano iBalbi nel compendio della sua geografia con la sola osservazione, che quii possedimenti sono al presente in più regni divisi e separati, e sono governati da signorotti che s'intitolano Kan, i quali spesso fra loro guerreggiano aizzati, e fomentati fors'anco da opposti interessi di due rivali potenze. Ma quella relazione che più delle altre mi chiama a favellarvi, si è quella che rendendo conto del viaggio fatto dalle ca- ravelle del re Emmanuelle di Portogallo, girando il capo delle Tem- peste, che fu poi detto di Buona Speranza, porlo l'amarezza nel nostro commercio affatto disviato dall' antica strada. »9 Erano già in Venezia arrivale nell'agosto dell'anno i499 alcune ■vaglie notizie di Alessandria, che in Aden sul margine dei Mar rosso erano tre caravelle de' Portoghesi pervenute; ma questa notizia tennesi allora per favolosa : pur troppo però giunsero poco dopo le lettere del veneto oratore in Portogallo Alvise Mocenigo, che si tristi notizie confermarono. La relazione infine di Vincenzo Querini , uomo di varia e peregrina erudizione, fu quella che diede il colmo itila dispiacenza universale, recando la maggiore contezza delle cose dell' Jndie e di Calcutta. Ritrovandosi egli in Ispagna per la veneziana Signoria , amba- sciatore al re di Castiglia, immaginò di prendere il cammino verso i confini del Portogallo per riconoscere fondatamente il vero stato di quelle predicate navigazioni. Difatti dopo avere premessa la descrizione delle Indie, riferì al Senato i viaggi delle navi, i rombi de' venti che s'incontrano, i porti per approdare, e così le stazioni, le fattorie, le qualità del traffico luogo per luogo ; fa conoscere l'antico commercio dei Mori tanto a' nostri vantaggioso, e le mutazioni che se ne fece in loro danno dopo la comparsa de' Portoghesi. In somma ofTre con molto appoggio la probabilità di que' nuovi stabilimenti, e quanto aveasi ragionevolmente a temere pel commercio de' Veneziani , il quale forse potrebbesi in qualche guisa nuovamente risorgere co' progetti enunziati di un progresso sempre maggiore nella fìsica , e nelle altitu- dini delle nazioni. Ecco dunque in queste relazioni un modello della geografìa di que' tempi , e con quale accuratezza , e con quale studio si applicassero i nostri a render conto della situazione de' nuovi paesi, dei mari, dei fiumi e dei monti, dai più sicuri fonti le notizie ri- traendo. Che infatti agli studii di storia, di politica, di statistica, e di geografìa le relazioni finali de' nostri ambasciatori , ampio argomento somministrino, siavene di prova l'ajipoegio che sovra di esse alcuni gravi scrittori anche a' giorni nostri ne fanno. A ribattere le roman- tiche fallacie avanzate dal conte Darù sull' immaginata congiura degli Spagnuoli, il famigerato Prussiano sig. Leopoldo Ranke nella sua storia della vera sussistenza di quella congiura, .npprofillò de' documenti estratti dai pubblici Archivii, fra i quali delle lettere e dispacci del residente veneto in Napoli sig. Spinelli. Qual utile non ritrasse da queste relazioni lo stesso sig. Ranke nella sua opera De la Papantè ? 20 Più di cinquaula relazioni sono siale da lui studiale ed esaminate dal principio del sedicesimo secolo fino all'epoca della rivoluzione; in ciò assai pili avveduto del sig. de Roscoe, autore dèlia vita di Leone X, il quale avrebbe potuto dalla relazione di Marco Minio molti parti- colari ritrarre; buon per noi che la indicata relazione, ed i dispacci •li quell'ambasciatore vennero in mano di un concittadino del signor Roscoe , e nostro consocio sig. Ravvdoun Brown , che io mi onoro di nominare qual benemerito illustratore delle venete cose, e come quegli che dedicò i suoi studii sopra la voluminosa opera dei diarii di Marin Sanuto, ahi! troppo spesso dai Veneziani dimenticata. Ed a giorni nostri una nuova luminosa ed onorevole testimonianza della importanza di queste relazioni ce l'ha porta Sua Maestà il regnante sovrano della Sardegna Carlo Alberto de' buoni studii egregio coltivatore, ed illustre mecenate de' dotti e de' letterati uomini, il quale ad oggetto di far tessere la storia di quel regno, Tolle che consultate fossero le relazioni de' Veneziani oratori in Savoja , ed ordinò che apposta qui un suo messo venisse per esaminarle e trarne copia. Che più? In qual conto tenessero ne' tempi addietro gli stranieri le nostre rclaz.ioni, ve lo at- testano le stampe che in più luoghi di esse si fecero. Fino dall'anno i5g5 molte furono in Colonia impresse nel Tesoro Politico, delle quali se ne fece una seconda edizione in Milano nell'anno 1600, alcune in Brusselics ed in Leida, altre con la data di Cosmopoli nel 1672, ed altre in varii luoghi. Molte pure ne esistono manoscritte, che sono assai celebri, e come tali conservate nelle Biblioteche di Vienna, di Berlino e di Parigi , ed anzi alcune di queste ultime furono dal Tom- maseo a' nostri giorni pubblicate. Li nostri ambasciatori brevemente scrivevano li casi successi presso le corti straniere, e quindi con l'animo libero da timore e dalla spe- ranza . quelli sceglievano che portassero utilità ed avessero forza fli insegnare agli uomini il governare se stessi, le cose e la Repubblica. E ben avveduto e sagace chiamarsi può quel governo nel quale tali instituzioni si divisarono dirette sempre al miglior essere delle sud- dite genti. Ma già m'avveggo, o Signori, che il mio discorso è ormai olire modo dilungato, e mi conviene cedere il luogo ai dotti Secretarli, che vi sapranno risarcire della noja del mio dire con l'ampia materia 21 delle memorie scienlificlie e lelterarie prodotte nel corrente anno al nostro Ateneo. Da queste riconoscerete che gli argomenti più impor- tanti pel ben essere fisico e morale universale furono prescelti ad oggetto di studio dagli Accademici nostri, i quali non dispartendo mai dallo scientifico e letterario nostro corpo, il vero e l'utile, rivol- sero gl'intendimenti loro a vantaggiare la condizione fisica ed intel- lettuale della nazione. DEI LAVORI SCIKNTIFICI DELL'ATENEO DI VENEZIA DURANTE L'ANNO ACCADEMICO i85?-3g. RELAZIONE DEL DOTTOR G I A C I ]\ T O N A M I A S SEGRETARIO PER LE SCIENZE. J_Je nialerie che diiiiuo subbielto a questa mia lìclaziotie luron prodotte nell'auno accademico iSSy-SS, memorabile anno per l'Ateneo di Venezia che vide , raro esempio di umanissima degnazione , due Principi della Casa Regnante, e quegli stesso ciie per benefizio del Clemeiile Alonarca , con animo di Padre modera le sorti delie venete e longobarde provincie, ascritti al novero di Membri Onorarj deco- rare questo patrio Istituto dell' Augusto lor nome- E fosse accidentale emergenza, o che le inclite aggregazioni rinfrancassero lo spirito de' nostri colleghi, un insolito fervore io ammirava ne' lavori Accade- mici, maggior gravità di argomenti, due letture sovente in una sola tornala, e uomini di alta fama e di esimio intelletto che alle nostre fatiche dalle propinque città accomunavano il frutto di lunghe medi- tazioni. Lo scorso anno quando io la prima volta la tenuità di mie forze sperimentava in cosi pubblico e solenne cimento, era la pratica medicina per la più parte il proposito dell'orazione, erano almeno argomenti strettamente connessi con l'esercizio dell'arte mia. Ma in questo giorno, Altezza Imperiale, Eccellenze, Magistrati, Accademi- ci, Uditòri tutti veneratissimi, senza il suffragio della vostra benignità io sarei più che allora confuso, avvegnacchè la fisica sperimtsjitale e ^4 teoretica, la teratologia, la storia della medicina, la notomia micro- scopica, la medicina legale, l'ostetricia, l'agricoltura, la storia natu- rale, l'industria spieghino i proprj diritti nel cumulo delle scientifiche dissertazioni. Cosi nOn ne, adombrasse i pregi la povertà del mio dis- corso, e potessi se non più fare mostra di cuore devotissimo alle glorie della patria e alla fama di questo nostro Instituto! Non legato dalle strettezze di nn ordine cronologico piacerai pren- der le mosse dagli studj sui fluidi imponderabili, principali ministri della natura , gagliardi animatori dell'universo. Pare che entro al globo terracqueo annidi inesauribile una sorgente di magnetismo; le spranghe di ferro dolce almeno lo acquistano se per brevi istanti si tengono verticali (i) o in senso dell'ago d'inclinazione. Si conseguono mediante l'elettrico cristallizzazioni che prima di Becquerel (2) ninno immaginava obbedienti agli umani artifizj , si accelera lo sviluppo di germi vege- tabili e fino si sopperisce alla maravigliosa opera del nervoso siste- ma, non meno negli esterni movimenti, che nelle funzioni essenziali alla vita. Altera il calorico la fisica e chimica costituzione de' corpi , né si compie senza di esso il misterioso atto della generazione , né l'arcano magistero del cervello e de' nervi, né la circolazione della linfa e del sangue che domandano una temperie costante alla propria integrità. Dagli astri ci piove un torrente di benefica luce che concita non solo le pupille degli animali e fa visibili colorando tutte le cose, ma suscita ancora mplte chimiche azioni, in onta all'impercettibile tenuità di sua massa , se da questa multiplicata per la velocità si ot- tiene la forza , e la luce per arrivarci dal sole percorre 70,000 leghe in un minuto secondo, rapida sei milioni di volte più di una palla di cannone, né la sua forza é tuttavolla idonea ad agitare le più mi- nute erbe del prato, I. Una chimica azione della luce imperfettamente studiata da Ber- thollet , e quasi posta in dimenticanza dai posteriori scienziati diede appunto argomento alla dissertazione (3) del Socio corrispondente Am- (i) Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto. (2) Per mezzo di correnti assai deboli ed assai prolungate Becquerel ottenne alcune nuove cristallizzazioni. (3) Dell'azione della luce sopra il sale sciolto in acqua acidificala , chiamato una volta idroferrocianaio di potassa ed ultimamente cianuro ferroso potassico 0 proto- 25 Jjroglo Fusinieri di Vicenza, cui lo perspicacissimo ingegno e l'inde- fesso amore ai buoni studj collocarono tra i primi fisici che ora vanti l'Italia, Osservò il nostro Accademico che il protocianuro giallo di lerro e di potassio sciolto nell'acido muriatico allungato dava col tem- pò precipitazione d'azzurro di Prussia, che questa era grandemente sol- lecitata dalla diretta azione de' raggi solari o anche senza di essi giusta la maggiore intensità della luce riflessa o dilTusa. Da principio nessuna mutazione apparente, indi il Ifqnido diventa giallo, che si rende più intenso, e passa poi al giallo-verde, al verde, al verde-azzurro, e mantenendosi ognora trasparente il fluido, sottentra in fine l'azzurro. Poscia cresce l'intensione di questo, avviene l'intorbidamento, e ne seguita una lenta deposizione di colore azzurro-carico in fondo del vaso. Tre bottiglie contenenti la soluzione del protocianuro, due nude, una co- perta di carta nera, vennero esposte in una camera illuminata; le pri- me nel quarto di mostrarono i liquidi azzurri , mentre in quella difesa dalla luce trovossi il fluido limpido e scolorato. Mise con ciò in evi- denza il sig. Fusinieri tali fenomeni non procedere dal calore, impe- rocché nella stanza era una stessa temperatura, e con pari verità e copia d'esperimenti mostrò non avervi parte l'ossigene, cui analoghi fenomeni attribuivano alcuni sapienti nella chimica. La luce, diurna è indispensabile condizione; ogni efTetto si sospende al tramonto di quel- la , né valse in sua vece la fiamma di lucerna, quantunque il nostro infaticabile sperimentatore sopra uno di questi vasi per cinque ore la concentrasse. Forse ciò devesi alla maggiore energia della luce del giorno, o meglio a qualche sua speciale azione, imperocché gli stessi raggi che la compongono sono forniti di particolari proprietà, ed al- cuni più efficaci nel riscaldare, ed altri nelle chimiche operazioni. II. Intorno al poter colorifico de' raggi solari occupavasi il Socio Corrispondente sig. Pasquale Gabelli , descrivendoci un suo congegno per condensarli e volgerli ad uno scopo, ove fosse mestieri di molla quantità di calore. Ei mette un'asta di ferro nella direzione dell' as.«e del mondo, incurvata semicircolarmente nel mezzo, e quivi unita ad altra asta mobile intorno a quel punto , la quale sostiene un parabo- cianuro giallo di ferro e ili polnssio. Memoiia che fu poi stampata negli Annali delle scienze del Regno Lombardo-Veneto. T. Vili 1838. 4 26 Ioide di rivoluzione, il cui foco prossimameate corrisponda al centro del semicircolo. La macchina si fa mediante opportuni ingegni roteare per modo che nel piano delle aste sia compreso il centro del sole, e proseguire uniformemente il suo moto, si che in 24 ore compia un giro intorno al proprio asse in senso contrario a quell'astro. Kel pa- raboloide sono inscritti alcuni specchi piani che portano presso al cen- tro del semicircolo le immagini del sole e ne moltiplicano grande- mente il calore. In quel cavo semicircolare colloca il Sig. Gabelli qualunque corpo da arroventarsi, oppure una sfera vuota comunicante per mezzo di un tubo con una caldaja , che riposa sur il fornello at- taccalo alla macchina per potervi far fuoco quando le nubi ci sottrag- gono allo sguardo del sole. Introdotto il liquido, i vapori che for- inansi nella sfera metallica attraversano quello del tubo e delia caldaja portandolo all'ebuUizione. Tale pensamento del nostro Accademico procede, o Signori, da giusti principj. Buffon con una congerie di specchi piani inscritti in una curva bruciava il legno alla distanza di 200 piedi, a quella di /^5 fondeva i metalli e rendea cosi più verosi- mili i portenti dell'ingegno di Arcliimede, che vuoisi dall'alto delle mura di Siracusa incendesse le navi della nemica Roma. Decida poi l'esperienza se lo spendio di questa macchina, che potrebbe riuscire proficua nelle regioni della zona torrida e a coloro che navigano in quelle parti darebbe equo compenso fra noi, in onta all'impossibilità di giovarsene allorché le nubi ottenebrano il cielo. III. A meno incerta scaturigine di calore poneva mente il Socio Ordinario Prof. Luigi Magrini nelle sue lucubrazioni su la intermit' lenza della luce de' fari (i) di cui abbiam veduto gli esperimenti. La fiamma del fanale de' fari riscalda, al paro di ogni altro fuoco, il circostante aere, laonde questo, fatto più lieve, s' innalza e il più Ireddo si abbassa, e uno strato viene ad occupare il luogo dell'altro con interminabile successione di movimento. Ritornò il nostro Socio sopra un'idea che il Cav. Aldini avea concepita e repudiata poi come lìon suscettibile d'applicazione, d'approfittare, cioè, di questa cor- rente atmosferica a spingere un apparecchio produttore dell' intermit- tenza di luce, senza la quale mancherebbe sovente il benefizio de' fari. (I) Questa Dissertazione fu stampata a Venezia nel 1858 dalla tipografia di Alvisopoli. Lumina noctivagoe tolUtPhants cemula lance cantò Stazio(i) di quella torre che illuminavasi nell'isola di Faro per iscorla de' navi- ganti , celebrata dagli antichi fra le sette maraviglie del mondo. Gli astri notturni, di cui il vate napoletano chiamò emulo il Faro, spesse fiale i piloti illudevano, che dirigendosi verso l'ingannevole meta an- davano a romj)ere contro gli scogli. Immaginaronsi quindi alcuni con- gegni i quali o dessero speciali maniere di luce, o la luce alternassero con intervalli di oscurità, sicché il chiarore de' fari da ogni altro si distinguesse, né questi creati a soccorrere gli smarriti nocchieri po- tessero talvolta accrescere le ambagi del mare. Psell' ordigno poi mosso dalla corrente dell'aria sovrappone il Sig. Magrini alla fiamma un disco metallico immobile nel centro dell'apparecchio, le ali del ven- tilatore riduce a superficie concava verso la corrente, dinanzi l'aper- tura dell' occultatore mette un riverbero, e combina le più favorevoli circostanze perchè l'ari.*» tenuta in agitazione dalla vampa della lu- cerna muova in perenne giro all'intorno di questa l' occultatore , e per l'apertura di esso spargasi su tutti i punti dell'orizzonte pronta e vivissima luce, seguendo di continuo tale avvicendamento di chiarori e di eclissi , da porgere non ambigua dimostrazione del luogo di si- curezza. Vedete, o Signori, con che tenue forza si otterrebbe l'in- tento , se nel ridurre ad ampie dimensioni l'ordigno non insorgessero imprevedute difficoltà: tale è il procedere della natura grandemente parca nei mezzi e sempre feconda di maravigliosi risultamenti. Gli stessi lluidi imponiierabili , di cui vi tenni finora discorso, forse ri- stringonsi ad uno o due, moltiplicati apparentemente dalle varie con- dizioni in cui si ritrovano. Certo almeno l'un di leggieri si trasmuta nell'altro; la luce in calorico, il calorico In luce, quello suscita elet- triche correnti, pare che questa magnetizzi gli aghi: l'italiano Mori- chini l'aveva annunziato: Madama Sommerville di Londra lo confer- mò. Risuonano ancora al nostro orecchio le recenti sperienze che il fuoco elettrico trassero dalle calamite, conseguendo da esse la decom- posizione dell'acqua insieme agli altri fenomeni dalla pila di Volta comunalmente prodotti; e già fin dal 1819 aveva il celebre fisico di Copenaghen mostrate le deviazioni dell'ago magnetico per l'azione del filo che chiude il circolo degli apparecchi Voltiani. (1) Lib, 111 Svlu. V vers, 100. 28 lY. Sul foiulamenlo Ji questa scoperta poggiano le pruove circa il telegrafo elettro-magnetico dal medesimo sig. Magrini (i) nell'Ateneo istituite. L'ago di un galvanometro sottomesso a quel filo declina verso oriente od occidente giusta la direzione nella quale il percorre l'elet- tricità, e può secondo la vigoria di questa dare una grande o una picciola declinazione. Da un solo galvanometro procedono quindi quat- tro evidenti segni che all'azione corrispondono di un grande o di un piccolo apparecchio Voltiano e alle due opposte direzioni della cor- rente. Con tre galvanometri stabilisce il nostro Accademico un con- gegno di lettura; i loro tre aghi mercè isolate declinazioni bastano a notare dodici lettere dell'alfabeto; per altre otto gli stessi movimenti combinati a due a due; infine per le ultime quattro i simultanei di lutti e tre. Investono li galvanometri sei fili metallici intonacati di cera o pece che si posson riunire in vm fascio per affondarlo nel ma- re, o seppellirlo lungo le vie, o sotto le rotaje delle strade di ferro fiiìO alla stazione dello scrittore. Quivi i fili vanno a pescare nel mer- curio di alcuni vasi contenuti ne' pertugi del copercliio d'una cassetta , e le comunicazioni colla pila che vuoisi porre in azione fannosi con una tavola alla cassetta sovrapposta , dalla cui esterna superficie spor- gono varie asticciuole che portano segnate le lettere dell'alfabeto. Tale fu disposto l'ingegno di questa tavola che premendo l' una o l'altra «Ielle asticciuole, si genera 1' una o l'altra delle suddescritte combina- •/ioni , onde l'elettrico messo in movimento devia l'ago o gli aghi magnetici a indicare la medesima lettera impressa nell' asticciuola che si comprime. Cosi il fluido galvanico può in men che noi dico tras- portare assai lontano i nostri concepimenti , né v'ha mestieri d'accre- scere soprammodo la superficie delle lamine elettromotrici, impe- rocché sostenuto da molti esperimenti afferma il sig. Magrini l'ago magnetico deviare d'uno stesso numero di gradi, quando si aumenta il numero delle coppie in proporzione della lunghezza del circuito. V. Quest'è, o Signori, un telegrafo che senìbra preferibile agli ordinar] per la somma velocità di trasmettere i segni e per la costante facilità che offre a discernerli a ciel nuvoloso e di notte. Le quali (1) L'opuscolo Telegrafo elettro-magnetico praticabile a grandi tliitanze imagi- nato ed eseguilo da Luigi Magrini con tavole, Venezia 1858 , fu pubblicato dopoché l'Autore lo lesse all'Ateneo. 29 maniere di jierfezlonamenli io reputo efficacemente profillevoli all'uma- na civiltà, conciossiacliè agevolino le comunicazioni fra persone divise da non brevi distanze. Ed invero quanto non crebbe il patrimonio ilello scibile dappoicliè regolari corrispondenze furono tra lontane re- gioni istituite e cotanto accelerato il corso de' viaggi? Dai più colti popoli muovono ai nostri di scientifiche spedizioni , e i dotti di ogni nazione valicano mari e monti per convenire in tempi determinati e soldati, in tal guisa deridendolo: Se figlio della spada ( oh frase d'oro!) Ei chiama un guerrier prode ^ quind' innanzi Figli del naso chiamerà gli occhiali. 12. Divide col Dalmistro la gloria di aver sostenuta ne' suoi fon- damenti la classica lelleralura il celebre abate Bernardo Zamagna , in- torno alle cui opere ci lesse un'erudita Karrazionc il di lui ben degno nipote Socio Onorario dell'Ateneo sig. consigliere Matteo Zamagna, il quale giustamente non volendo, come tanti fanno, adornarsi di penne non sue, prevenne gli Accademici avvisandoli, che avea attinto le notizie di questo suo lavoro dal Commentario di Francesco Maria Ac- cordine Certo è però, noi aggiungeremo, ch'egli almeno attinse da se stesso il brio col quale dello quello scritto , e le assennate rifles- sioni ond' è sparso, utili allo stalo presente dell'italiana letteratura. Perciocché largamente avendo bevuto lo Zamngna al purissimo fonte de' classici Greci e Latini, procacciossi sino dalle j)rime gran rinomanza, scrivendo nella più tersa latinità i poemi che hanno per argomento V Eco , e la Nave aerea, ed inoltre l'Elegie. Di qui passò a cogliere altri pregevoli allori, donando Ialine spoglie agl'Idilii di Teocrito, di Mosco, e di Bione , allo Scudo di Esiodo, ed all'Odissea di Omero, la più laboriosa e la più slimala insieme delle sue fatiche. Lo stile la- tino che sempre aureo vi brilla dappertutto, leggesi sempre variato secondo la varietà dell'argomento, e le illustrazioni poi ricche delia più rara erudizione rischiarano qualunque o.scurità dei testi originali. Questo esimio talento dell'abate Bernardo Zamagna accompagnato ve- niva da esimi! costumi, e da un ardente amore di patria, che ben trovossi contenta, ogni qualvolta ebbe a lui affidati difficili e spinosi incaritlii. Do|)o ciò il valoroso Accademico ci volle chiarire una par- ticolare circostanza della di lui vita, che sarà ben cara a ciascuno di noi. Gli ubimi carmi latini di questo cigno canoro furono modulati a jiiedi del trono dinanzi all'Augusto Imperatore Francesco I di gloriosa memoria l'anno 1818, e con cjucsli chinse la serie de' suoi lavori, i quali la dotta Europa avea sempre accolto cogli applausi. 96 1 3. E qui molto a proposito entrerebbe ora a favellare il Socio nostro Ordinario co: Agostino Sagredo , il quale tanto gradevolmente c'intrattenne in una delle consuete Adunanze col suo cosi du lui chiamalo, Studio intorno agli applausi , poiché porrebbe a confronto que' giusti, che riportò lo Zamagna, con quelli che oggidì strappano quasi per violenza i corifei del Romanticismo, e scorger ci farebbe donde quelli scaturiscano, quale ne sia il divario, e quanto tornino nocivi al puro sentimento del bello. Senonchè su questo lavoro pur dettato con molta leggiadria di stile noi non dobbiamo ^fermarci po- sciaché già venne colle stampe reso di pubblico diritto. i4> Bensì profittando al presente noi delle savie regole che il conte Sagredo ci porse in quella parte del suo lavoro, che comprende il criterio dell' applauso; noi ritroveremo, che questo fu dagli Acca- demici impartito giustamente ad ujia Memoria che il nostro Bibliotecario consiglier Gio: Rossi ci lesse, estraendola dalla sua grande opera, che sta compilando sui costumi antichi de' Veneziani. II tratto col quale c'intrattenne, avea per curioso argomento le follie astrologiche e ma- giche alle quali nel medio Evo prestavano fede i creduli Veneziani. La malaitia morale di credere all'influenza degli astri sulle umane azioni, dagli antichi quasi in eredità ci venne tramandata. Valga per lutti il Venosino iu que' noti suoi versi: Seii me Scorpius aspicit furmidolosus , Seu Tyrannus Hesperiae Capricornus undae. Peraltro nel cosi detto medio Evo i Veneziani mercanteggiando non erano niente vaghi di conversar con Orazio , molto bensi nei porti di Soria e di Egitto co' Saraceni di lutti i più creduli e superstiziosi. Da costoro principalmente s'imbevvero di questa stravagante persuasione, innalzata al grado di scienza pegli studii fantastici di due barbassori di quei tempi, che ne scrissero Trattali, Francesco Giuntino di Firenze , e Luca Gaurico, quando entrambi fecero soggiorno in Venezia. L'ade- pto, che più allora profondò in questa vanissima scienza, si hi il nobile Francesco Barozzi. Costui all'astrologia univa la magia, che gli dava il potere immaginario di far comparire ne' suoi circoli des- critti con un coltello, tinto niente meno che col sangue d'un uomo 97 ucciso, qualuiKnie spirilo dell'altro mondo, accompagnalo dal grazioso corteggio di dragoni, di furie, di demonj. In Caridia avca trovata lina certa erba delta Felice che avea secondo lui, la virtù di cangiare qualunque più grofso asino nel maggior sapiente del mondo, e posse- deva finalmeiile il secreto, che i zecchini spesi, di nuovo nella sacco- cia tornassero. Sapeva anche la virtù di rendersi invisibile, ma per di lui sventura il potere non si estendeva sino agli ocelli de' birri , da' quali fu bello e catturato, e per 24 capi d'accusa al santo Uffizio dichiarato apostata, e condannato a carcere perpetuo. Un aUjevo beu degno di tal maestro, Francesco Friuli, immaginavasi di aver acqui- stato la virtù di volare, e certo di questa spiccando un volo fuori della finestra, ne fece un primo esperimento, fracassandosi nella ca- duta le coste. Egli è qui dove il nostro erudito Socio , ci espone qual fosse a que' tempi la forma de' giudizii pronunciali., quali le pene in- flitte; spargendo dovunque la più gioconda amenità nel raccontarci le avventure di questi prelesi sapienti, dominatori della natura. i5. ISoi intanto, o Signori, dobbiamo tutti concordemente an- darne ben lieti per cagione de' lumi del nostro secolo, che spezzando la magica bacchetta, da false scienze, veri Irasognamenli d'una deli- rante fantasia, condusse le menti a coltivare quel genere di studii , the render possano migliore la condizione umana. In questo drappello dev'essere annoverato il sig. abaie Ferrante ApoiUi di Cremona, del quale venne letta una Memoria intorno alla educazione de' Sordo-muti. Quest'arte ammirabile di favellar colle mani, e di ascoltar cogli occhi , da prima ritrovala dal monaco spagnuolo Ponce de Leon , la quale ricevette a cjuesti giorni sviluppo dall' aliate De l'Epée, venne linai- mente al grado di scienza innalzata dall'abate Sicard , che tosto per se slesso ne colse il frullo; poiché egli chiuso nelle carceri dovet- te la propria salvezza ad un sordo-muto da lui educato, che com- parve alla sbarra della Convenzione , avvocalo per lo innanzi non più veduto. Quello che per la Francia avea operalo il Sicard, altrettanto fece l'illustre abate Czeck per l'Austria, la quale quando trattasi di instituzioni destinale a promuovere il bene dell'umanilà non cede a nessuna nazione il vanto. Sulle Iraccie di quell'autore cammina con pie sicuro 1' Aperti , il quale del suo vi aggiunse utili considerazioni sul modo di migliorare il sistema di tali instituti, e sulla economia i5 da osseivarsi, affinchè col miuor clispenJIo olteiiere si possa 11 nir.g- iilor salutare effetto. i6. Le scuole de' sordo-muli sono guidale da quello spirilo me- desimo di Religione e di umanità insieme congiunte, che ha dato origine alle scuole infantili, agli ospizj pe' trovatelli , ed alle recenti carceri, cosi dette di penitenza. Quindi dovrà nuovo ed originale pensamento a tutti comparire quello del valoroso nostio Socio Ordi- nario Giuseppe dottor Cnkicci, il quale in una dotta Memoria, si accinse a considerare questo generale entusiasmo , che oggidì per sif- fatto genere d' instltuli si è all'improvviso ridestato, siccome fosse una modificazione del Romanticismo. Strano veramenle può a tutti sembrare, tale pensamento, e tale egli stesso lo chiama. Ciò non ostante svani- sce jn-essoché la sorpresa, qualora intender si voglia qual senso egli attribuisca alla parola Romanticismo. Ora secondo lui il Romanticismo " è una trascendente melanconia, per cui l'anima è inclinata a pa- ci scersi d'immagini tristi, e di lagrimevoli avvenimenti »>. Da tale definizione egli ne ricava primieramente la conseguenza non esser vero, che il Romanticismo, qual comunemente si creile, sia una puerile imitazione degli stranieri. 11 nostro Accademico nel suo originai mo- do di pensare, fa ch'esso derivi dalle scosse violenti della passata Rivoluzione , apportatrice delle più gravi e sanguinose sventure pub- bliche e private, che indusse, com'egli si esprime, gli spiriti ad abituarsi a delle impressioni violenti. Gli scrittori poi vogliosi di aura popolare secondarono questa , ch'egli chiama, sociale malattia, ed anzi cospirarono ad accrescerla co' mostruosi parti della negra loro fantasia. Egli è qui dove il dottor Calucci letterato ed insieme filosofo-statista, calcola l'influenza politico-morale di tale Romanticismo, e prova che l'anima sempre trattenuta nel delitto , dipinto con troppo vivaci colori, finisce coir accostumarsi anche troppo fatalmente all'idea del delitto medesimo j anzi da tal fonte funesta egli è d'avviso, che provengano persino i suicidii resi tanto frequenti a' nostri giorni principalmente in Francia. Malgrado tullociò ch'egli giustamente non dissimula punto, siccome da' veleni l'arte del chimico esperto sa ricavare ancora dei rimedii; cosi dal Romanticismo derivò, secondo lui, la piià attenta applicazione alle scienze sociali, e quindi agli studii che ne sono al- trettanti rami, si premurosamente coltivati, per le scuole infantili, per 99 la sorte de' trovatelli , e perle carceri penilenziarie , giacché tutti que- sti soggetti che offrono al certo immagini tristi, e lagrimevoli avve- nimenti 6Ì confanno a quella trascendentale melanconia, nella quale il nostro Accademico ripone la essenza del Romanlicismo. Sono poi da commendarsi le profonde ricerche ch'egli fa sopra ciascun di questi argomenti di si gran rilievo, e degni della niente di un pensatore che tutte riunisce le pii!i recondite parti delle scienze politico-legali. Noi non possiamo per le angustie del tempo tener dielro alle di lui de- duzioni; ci basti osservare ch'esse meritano di essere attentamente ponderate, giacché danno motivi di giusta lode al cuore, all'ingegno, ed alla dottrina di chi vi si è con tanta cura occupato. l'j. Peraltro il mezzo più efficace per isradicare questi mali che rendono infelice tanta parte della spezie umana , egli si è quello di offrire sino dalla prima infanzia il latte dell'educazione, non già per tutti indistintamente scientifica e letteraria , ma quella beusi che meglio a ciascuna classe s'ad;itta. Intorno a questo argomento venne Iella una IMemoria assai pregevole del Socio Corrispondente signor consigliere Jvacich , e ch'egli intitolò: Della editcaiione letteraria curata dalla pubblica autorità. Tre devono, secondo lui essere i fini che la pub- blica educazione dee prefiggersi; i.° favorire la religione ed il costume: ì.° mantenere l'ordine civile colla obbedienza alle lecci, ed a chi CD ' comanda : 5.° promuovere mediante la coltura delle scienze la pubblica prosperità. Proposti questi tre unici e veri fini d'una saggia educa- zione, il valente Accademico passa a dimostrare, che questi in verun modo non potrebbonsi conseguire, quando la pubblica autorità non intervenga; e ciò a tutta ragione, essa sola potendo fornire i mez- zi più acconci , affinchè ogni scienza ed arte pervenga al maggiore suo grado d'eccellenza. Che più? la sola pubblica Autorità può diri- gerle allo scopo principale, quello cioè di prosperare lo stato sociale, scopo, al quale ciascun cittadino dee per la sua parte, e secondo la natura dell'arte o scienza che professa , con tutte le sue forze contribuire. Qui è dove il nostro Accademico, prima di chiudere le sue satistico- morali deduzioni, tesse un elogio all'Austriaco Governo, il quale ap- punto a questa meta dirige i suoi nobili e generosi provvedimenti,, coronati da un proporzionalo felice successo. lOD E quul difatti esservi può mai animo duro cotanto o restio, che non si sciita commosso a tributare nuove azioni di grazie a quel- l'umanissimo Monarca, che con regale munificenza ogni di sempre nuovi stabilimenti dischiude alle Scienze, alk Lettere, ed alle Arti? Il nostro Ateneo stesso cresce all'aura del cesareo favore, esso che va superbo di fregiare il novero de' suoi Membri Onorar] col nome di tre Principi dell'Augusta prosapia. Né scemerà punto a favor dcU'Ate- neo questa medesima benigna sovrana benevolenza al presente, perchè nella città stessa veggiamo aperto l'I. R.. Istituto per le venete Pro- vincie. Lasciamo al Macedone l' orgogliosa risposta che non possa il mondo comportare due soli. La nostra città va lieta a tutta ragione di accogliere nel suo seno ambedue questi corpi scientifici e letterari!, e prevede che lo splendore di quello non è per recare nocumento, né ofifuscherà lo splendore di questo. Di un tale felice presagio noi ne abbiamo un pegno sicuro, allorché risguardiamo a quel personaggio, che per presiedere insieme all'uno ed all'altro ci venne dalla sapienza di Cesare concesso. ESERCITAZIONI SCIENTIFICHE, VEDUTE GENERALI SULLA STORL\ DELLA LEGISLAZIONE PER DETERIvnNARE LA LNFLUEINZA DEL DIRITTO ROMANO AI GIORGI NOSTRI MEMORIA DEL DOTTOR GIUSEPPE CALUCf, Ne lei tempi i quali succedettero ad una grande innovazione di principj e di opinioni nasce mai sempre una lotta animosa fra l'antica e la novella generazione; imperocché quella tenace alle massime di cui fu nutrita sprezza quanto di nuovo le si premuta: questa invece boriosa dei suoi ritrovamenti non cura le passate cose e deride chi avanzare mai non volle di un passo. Coteste gare mosse e sostenute dall'amor proprio terminano bene spesso coli' attemperare felicemente le cose; ma di rado avviene che durante la lotta ambedue le parti non oltrepassino il giusto confine, poiché se da un lato avvi capar- bietà, dall'altro s'alza una sterminata presunzione la quale dimenti- cando che nella progressiva catena dei fatti, per cui gli uomini dallo slato di selvaggia brutalità giunsero all'attuale incivilimento , esser vi deve fra di essi un piìi o meno attivo rapporto, cerca di abbattere ■quanto l'esperienza ha ammassato, e stima che ogni sapere possa im- ])rovvisamente perfetto sortire come Minerva dalla testa di Giove. Ciò pure sembra ora succedere nella giurisprudenza, conciossiac- chè cominciano già taluni a gridare che dappoiché le nazioni fecero dei Codici proprj , il jus comune appartiene alla storia soltanto: che nulla è la di lui autorità nelle pratiche decisioni: che mai possiamo ad esso ricorrere quando la lettera del nostro Codice tace, e che lo studio del medesimo alla pura erudizione viene ristretto. Sennonché hanno forse gli oppositori percorso col loro pensiero il graduato pro- gresso delle legislazioni? Hanno essi stabilito a qual punto di questo io4 progresso siasi quella di Roma arrestata? Hanno giustamente deter- minato la posizione della nostra giurisprudenza? Si sono per avren- tura giammai accorti che l'antico ed il moderno diritto formano un tutto continuato, le di cui parti hanno una stretta relazione fra di loro? Pure queste ricecche sono essenziali^ ed in esse soltanto è l'i- posto il criterio logico onde rispondere ad una questione la quale , per quanto ci Isembra , è forse la più grave che agitare al giorno di oggi 8Ì possa nella storia filosofica del diritto. Affine di raggiungere siffatto scopo noi abbiamo diviso in tre capi il presente lavoro. Nel primo anteposte alcune idee generali in- torno alla origine ed ai naturali progressi delle legislazioni , accen- nammo sotto l'azione di quali cause siasi sviluppata e compita quella di Roma , determinando in siffatta maniera il di lei carattere. Nel se- condo abbiamo tracciata quella dolorosa catastrofe in cui gli elementi dell'antica civiltà andarono a frammischiarsi con quelli dei barbari, e fu questo un punto importantissimo nelle nostre ricerche onde stabilire quanto veramente in allora si perdette, quanto invece rimase, e quale si fosse la condizione di quelle epoche sventurate. Nel terzo finalmente abbiamo mostrato come sorgesse una civilizzazione novella intenta a discoprire gli avanzi dell'antica: quale si fosse il di lei carattere ed i di lei progressi ; ed indagando le cause da cui fu spinta a rinnovare le proprie leggi abbiamo cercato di dimostrare quanto ancora ella possa valersi delle anteriori, e quale connessione abbiano esse colle moderne. CAPO I. §. 1. Condizione cconomico-cit'ile delle Società nascenti. Saggiamente scrisse un grande pensatore italiano. " Gli uomini ielle cose sociali incominciano col /are perché bisogna ad ogni modo provedere ; proseguono collare, coli' osservare ., col variare e col correggere ; e finalmente finiscono col pensare, coli' insegna- re, col convincersi e col consentire riposando sulla forza stessa io5 delle cose (i). Quelle grandi rivoluzioni, quegli interni turbamenli clie dngli storici volgari vengono riguardati come lenijìi luttuosi e barbari di una nazione non sono die altrettanti conati all'incivilimento, simili alle ebolizioni che, secondo i fisici vulcanisti, prepararono l'or- dine attuale dell'universo. Quando dallo sialo nomade e. sehaggio l'uomo passò ad una vita sociale, si fece tostamente sentire il bisogno di un governo che attemperando l'egoismo individoale conseguisse il maggiore benessere di ciascheduno: ma questa non Tu l'opera di un istante. JNon esisteva sulla terra un ente sopranaturale che additasse a quelle genti il mezzo di togliersi ai loro mali: ed una coltura da- tiva, se avvenne per qualche nazione, iiou vi fu certamente pelle primitive le quali soltanto da una lunga esperienza furono condotte alla loro destinazione. Le istituzioni civili si vedono uullameno avvolte in mezzo a favole, od a sognate ipotesi: e questo per avventura di- pende poiché il cambiamento dallo stato selvaggio a quello di una so- ciale convivenza avvenne per gradi impercettibili ; e tanto è impossibile cosa il suguarli quanto lo sarebbe l'additare i punti in cui un animale od una pianta si sviluppa ed ingrandisce. Se noi ricorriamo ai pochi monumenti storici che ancora ci re- stano intorno a quei rimotissimi tempi, dopo l'età dei vaganti Pelasgi e dassaggera rivoluzione, lina rivoluzione la quale altro noa fu che un conato della crescente civilizzazione contro il potere tirannico che l'arrestava, può avere get- tato quel popolo in una novella barbarie da lasciarlo privo di ogni legislazione. Ammettete [Uire con Pom[tonio che le regie istituzioni più quali consuetudini che quali leggi scritte si seguissero, ciò poco im- porla; esse venivano osservale e mantenevano l'ordine nello stato; e se in siffatta maniera andava la cosa, non possiamo stimare giammai che da un punto all'altro una nazione abbia bandito le proprie istitu- zioni già Stabilite a seconda dei particolari bisogni, consacrato dal rispetto pella antichità, obbedite per abitudine; ed abbia duta la cit- tadinanza a delle forestiere che si toglievano da un popolo per bisogni, per carattere, per costumi differenlissimo. S 4-. Aiimeììto progressivo della B.ojnana giurisprudenza. Nei fatti storici ch'io andai riportando non vi sarà certamente sfuggila una osservazione oramai divenula comune, voglio dire la pro- gressiva diminuzione della teocrazia. I decemviri non erano figli di numi, non avevano come Romolo e Nunia soprannaturali colloqui. ii5 non dissero .il popolo : queste leggi sono discese dal cielo: obbedite; ma bene sì: queste leggi vi proponiamo: sanzionatele', ed in tale maniera nbbaiidonavasi , per usare il linguaggio del Vico, la giurispru- denza divina. Questo passaggio nulladimeno in grmlualo: la parte re- ligiosa si conservò nelle forme ; e le inviolabili actiones legitlimae per lungo tempo ancora dovevano difendere come egida sacra la osservanza delle civili prescrizioni. Sennonché molte cause spingevano al secondo stadio della giurisprudenza. L'uomo, essere fisico, circondato da fisici rapporti, passa mai sempre dal concreto e materiale all'astratto ed ideale: quelle poclie leggi perciò hnige dal d( tiare delle massime generali, lunge dallo sta- bilire dei principi filosofici e connessi di diritto, i quali servissero di norma sicura e di criterio al giudice, decidevano casi particolari, o dettavano delle massime fra di loro staccale , le quali lasciavano un vacuo, come mano mano i civili rapporti si moltiplicavano. A questo fatto aggiungete la severità delle forme e la intangibilità dello stabilito; e tosto vi appariranno innanzi le lunghe disputazioni onde dichiarare, ristringere, estendere le leggi; e quella necessità di progredire con una certa accortezza in ogni azione, la quale se da un lato dava alla giurisprudenza un aspetto severo e talvolta cavilloso, serviva nulladi- meno a segnare le minime differenze, ad istituire un'analisi accura- tissima , a condurre alla perfetta conoscenza di tutti i civili rapporti ; e quindi apriva il campo a stabilire le massime generali, connesse e progressive nelle quali l'ultimo e più perfetto stadio della giurisprudenza è riposto. E qui sopra un altro fatto è di mestieri arrestarci. Fino da prin- cipio io vi dissi che dal jus burri et aequi erano gli antichi popoli passali al fus civile. Con ciò altro io non intesi allora di dire se non che dal modo di giudicare secondo gli interni principi di equità sine fare certo et sirte le gè certa si passò a giudicare secondo delle norme prestabilite. Queste norme peraltro, imperfette come osservammo, e Jiulladimeno intangibili, erano bene spesso in opposizione colla logge più prepotente della opportunità per cui avrebbono dovuto correggersi e modificarsi. Dall' un lato adunque si alzava la inviolabilità della religione ; dall'altro i bisogni sociali cercavano di atterrarla; ma alcuna di queste ii€ forze non doveva restarsene soccomberne : se lo fosse slata la prima , noi avressirao veJtito im passo retrogrado della nazione distruggendo quanto fino allora erasi ammassalo: se lo fosse stato la seconda, le cose sarebbero rimaste in una eterna posizione stazionaria: ed in fatto d'in- civilimento è d'uopo, non già di distrugg-cre , di arrestarsi-, ma di accumulare, di progredire. Da questa opposizione ne nacque una seconda specie di jiis boni et acqui per cui lasciando sussistere le antiche leggi come sacre, pure si diede diritto di giudicare in un modo diverso ; ed eccovi il Jiis praetoriiim il quale ritornava a decidere ed accumulare una nuova serie di casi onde più tardi pur esso a sua volta passare alla classe del jiis scriptum, ed eccovi l'editlo perpetuo sotto l'imperatore Tra- jano sanzionato. Quello stadio della giurisprudenza è il più lungo ed il più diffi- cile a percorrersi dalla nazione: esso deve necessariamente durare per alcuni secoli; in esso nascono molte leggi più o meno staccate, i giu- risprudenti fioriscono, le sette si dividono, la persuasione subentra alla cieca obbedienza, la filosofia e l'esperienza tengono il luogo del- l' azzardo. A tulio percorrerlo è necessaria peraltro , olire aduna prolungata esistenza politica, una esistenza pure tranquilla, ed una possanza pe- renne nello stato. Le piccole nazioni di rado conservano lungo tem|K) la loro indipendenza; e più di tulio ad ogni guerra, ad ogni politica scossa sono poste a soqquadro, né hanno pressoché mai tale durala e tanta tranquillità da vedere la loro legislazione svilupparsi progressiva- mente e giungere al suo naturale compimento. Questo ci spiega per avventura il perchè di tutte le antidie nazioni i soli Romani ci abbia- no lasciato un corpo di leggi perfetto. La Grecia pure aveva raggiunto un grado massimo di coltura , ma la Grecia fu sempre divisa in tanti piccoli Etali i quali a vicenda si sottoponevano, né ebbe mai campo di condurre la sua legislazione all'apice cui fra i Romani è arrivala; essa si arrestò nei princij)j dello stadio secondo quando ancora tulio serve più all'ordine politico che a quello civile, e poscia andò a con- fondersi con quella di Roma, onde un giorno formare un sol tulio. In cotale maniera la legislazione Giustinianea essere doveva il risulta- mento della esperienza di molli secoli, della dottrina delle due nazioni 117 f\ii colte dell' universo, Jclle leggi stabilite da un popolo tlie passò per tulli i gradi dell' incivilimento , ch'estese il suo impero su nazioni ]jer cosliinii , per religione, per abitudini diffcrentissime ; né perciò dobbiamo meravigliarsi di ritrovare in essa quella preveggen/.a , quella moderazione, quella universalità che le meritarono in seguilo il nome di Jus comune. §. 5. Della influenza eh' esercitò la cangianza di governo e di religione. Se non che non tutte ancora abbiamo accennate le circostanze le quali concorsero ad imprimere un carattere unico su quella legislazione e toglierle alcune macchie che mai l' opera dei secoli non avrebbe cancellale. Una continua necessità spinge l'uomo, come più volte abbiam detto, ad attemperare l'individuale egoismo onde consegua in tal guisa il suo interesse maggiore. Non crediate però ch'egli ceda giammai ol- tre il necessario: non ci dobbiamo illudere, ed in cosi fatti argomenti è d'uopo guardare gli uomini come sono, non quali esser dovrebbono. Le grandi massime di filantropia , i grandi sacrifizj individuali meritano di essere lodati e scolpiti nel cuore ; ma non serviranno a spiegare le islituzioni sociali, conciossiacché cotesti onorevoli sentimenti sonorari, e nella massa degli uomini ciascuno ha uno scopo soltanto, ed e il proprio interesse e l' amor di se stesso. Per questo appunto voi ritroverete in tulle le antiche legislazioni frammiste alla equità una certa durezza , e talvolta perfino la forza preponderante alla giustizia e l'utile anteposto all' onesto. Le leggi ci- -yili, le quali vengono mai sempre stabilite, od almeno proposte dalla classe più potente della nazione, quanto più sono antiche, tanto più sono a questa parziali, e none che mediante una lotta prolungata fra i nobili e la plebe che vengono corrette con delle transazioni succes- sive, transazioni che costano bene spesso molto sangue, né hanno fine che stabilendosi un terzo potere moderatore di quei disperali in- 'teressi, cioè il potere monarchico. ii8 Rispetto alla origine lot-o due specie di monarchie noi conoscia- mo : quelle cioè che derivarono dal potere mililare nelle quali il re non è clie un sommo capitano ; e quelle che s'innalzarono a poco a poco sulle rovine delle repubbliche mediante la forza perenne che tende a concentrare il comando. Nella prima specie di questi governi, in cui ravvisate il feudalis- mo, i nobili hanno vasti privilegii, e la plebe è pili o meno schiava, Wella seconda specie all'incontro i nobili hanno molti onori e |)oco potere; ed una perfclla eguaglianza passa fra di essi e la plebe nei diiitti civili. A questa seconda classe jier lo appunto apparteneva il governo stabilito da Augusto: l'imperatore, tribuno della plebe, capo del senato, pontefice, dittatore, padre della patria, doveva tutelare ed eguagliare i diritti di tutti ; la qual cosa in Roma non fu si difficile, conciossiachè avendo quello slato, come notammo, percorsi regolar- mente tutti gli stadj della vita civile, le lunghe lotte fra i nobili e la plebe avevano attemperato l' aristocratico dispotismo e condotto alla forma monarchica, nella quale, qualora sia bene intesa e costituita, più che nelle repubbliche , risiede la vera libertà ed eguaglianza civile. Se discendiamo ad esaminare il carattere della romana giurispru- denza noi lo vediamo uniformarsi mai sempre a quello dei temjn in cui essa ha fiorito; e questo é comune alla storia di qualsiasi legisla- zione, essendo la ragione civile intieramente connessa coi costumi, colle passioni, colla natura infine dei popoli che la costituiscono. Le leggi decemvirali vi presentano il severo aspetto aristocratico, e nelle prime disputaz.ioni del foro voi vedete la nobiltà intenta a pri- meggiare sulla plebe. Dai Gracchi ad Augusto tutto è il risultamenlo di quella lotta continua fra il popolo ed il senato: lutto si risente della discordia politica e delle dominanti passioni: né la voce della filosofia parlò francamente che allora quando quelle passioni sen tacquero. Io non vi nego che molti giureconsulti non abbiano fiorilo prima di Au- gusto: i nonii dei Catoni, dei Scevola , dei Manlii, dei Bruti, dei Ruffi , dei Sulpicii e di altri non pochi ci vennero tramandali dalla storia; ma questi uomini o furono spinti pur essi dall'onda politica, o non servirono che ad apparecchiare migliori leggi per le età suc- cessive, ed in generale durante la repubblica le leggi Romane sen- tono più l'azione degli interessi del tempo che della ragione vera- mente filosofica e naturale direttrice degli affari pri\-ati (i). Alldiarjiiando i ])nrtili politici che fecero versore torrenti di saii- gito furono sazj di guerre ciltadinesclie e di strage, né più ebbe il popolo un Siila che cercasse di opprimere il senato, né questo ebbe nn Mario che Io animapsc a respingere ed avvilire la plebe, ma (jnelie forze contrastanti fra loro furono rassodale ed equilibrale da un potere monarchico temperato, la equità civile e la giusta filosofia cominciarono od animare la giurisprudenza, dirigendo al vero suo scopo quell'am- masso di leggi e di discussioni che da gran tempo erasi apparechiato: i giureconsulti si diedero ad ascoltare le voci della verità anziché quel!.-» dell' intcscsse , e la loro influenza fu piùdiretta nello stabilire le leggi. Ai tempi della libera repubblica il vederli seduti nell'atrio delie loro case pronti ad istruire le parti : il vederli nel foro seguitati da nume- roso stuolo di clienti, o raccolti nel tempio di Apollo a disputare, dava loro nn aspetto più drammatico di quello che all'epoca degli im- peratori; ma non fu che sotto questi ultimi ch'essi prepararono le leggi da proporsi al senato, ch'essi prepararono quella serie di prin- cij)j i quali formare dovevano l'ammirazione dei secoli futuri, e rego- lare gli affari di tutte le incivilite nazioni. Lo spirito altiero ed innovatore di Labeone fondando la scuola dei Proculejani tolse la giurisprudenza dall'antica semplicità che invano cercavasi di conservare dai Sabiniani ; e da Labeone fìoo ai dotti con- siglieri di Alessandro Severo enumerali da Laropridio voi potete se- gnare l'epoca più gloriosa di cjuesta scienza. E qui io dovrei tenere parola di un altro avvenimento che pos- sentemente agì sui costumi della nazione, voglio dir»; del Cristianesimo divenuto la religione delio stato. Nessuna forza morale esercita un impero maggiore sull'uomo del sentimento religioso. Ogni religione per quanto pazza si sia opera nel credente con eguale potere, ed é sacra ed inviolabile in egual modo: in essa egli ritrova quel rapporto colla divinità che lo nobilita sopra tutto il creato; in essa vede il maggiore conforto nelle sventure .^ il maggiore soccorso nei suoi pericoli : egli l'ama, né riconoscendo umana (1) Rocnagnosi Fattori. Deirincivilimento Parte li, Capo I § 4. 120 autorità al di sopra di lei, crede il piii forte dei suoi doveri quello di difenderla disperatamente contro chi osasse attaccarla. Guai al principe che trova una barriera all'incivilimento del proprio stato innalzata dalla religione! Dovrà sbandire ogni idea di progresso, altrimenti ver- serà inutilmente del sangue divenendo il tiranno anzi che il benefattore della di Ini nazione. Il genio di Pietro il grande potè da se solo scuo- tere la Russia dal suo lungo letargo e darle un impulso sulla via dell'incivilimento dov'essa rapidamente avanzò; ma l'attuale reggitore dell'impero Ottomano (i), deve con la spada sguainata sforzare i re- nitenti suoi popoli a battere un cammino da cui la religione e le grida sacerdotali li rispingono; e molto dobbiamo temere che inutili sìeno gli sforzi, e che al cadere della sua stella quella fatua luce si estingua. Troppo, perchè io ve ne parli, è oramai dimostrata l'influenza del Cristianesimo sugli stati: la uniformità dei divini precetti alle mas- sime fondamentali della civile convivenza : la pura morale sconosciuta al gentilesimo, o ridotta a pazze austerità dal hraminismo ; il potere sacerdotale ristretto fra suoi veri confini : i popoli non piìi separali" fra loro da un'avversione crudele, essere dovevano gli effetti di quella santa religione che senza rendere gli animi infiacchiti pure predicava la carità e la pace. NuUadimeno tanta non fu da principio la sua in- fluenza sulla legislazione quanta per avventura alcuni scrittori vollero ravvisare. Le leggi dettate da Costantino per impedire che i iiau- Iraghi si deprexlassero non furono che una ripetizione di quanto An- tonino Pio aveva ordinato; e quelle dirette ad attemperare il po- tere paterno ed il crudele dominio sopra gli schiavi erano state già antecipate da Adriano e d;i altri imperatori pagani né furono tali da riconoscere in esse il pietoso officio dell'Evangelio, anziché l'opera del progressivo ed assorbente potere monarchico che spogliava gli avanzi tirannici dell'antico dispotismo famigli;ire. 11 Cristianesimo doveva in tempi posteriori e piìi luttuosi esercitare una forza maggiore per im- pedire che l'Italico incivilimento andasse in rovina: ma a questo punto egli non servi the a togliere dalla legislazione ogivi apparato religioso e separare il sacerdozio dalle magistrature. Da Costantino a Teodosio voi insomma \eertamente ue- gavasi ogni naturale giustizia. In tal guisa gli uomini da ogni parte trovarono il veleno e la peste: a poco a poco non si vidde nella so- cietà che un formale contratto, o l' effetto della violenza dei forti sul deboli, o la causa perenne di una crescente corruzione: si disputò sul legittimo potere delle leggi e dei principi : si dubitò perfino se il regicidio fosse delitto : si disprezzò il santo diritto di proprietà : ed i buoni che cercavano di porre un argine a questa irruzione si chia- marono anime servili e da poco. S ■'5. Economia politica. Cause che chiedevano una riforma nella legislazione positiva. Se in mezzo a tanta miscredenza di ogni principio sociale la Romana legislazione non avesse avuto radici profondissime: se una folla di dotti occupati nei pubblici affari non l'avesse mai sempre studiata, e se un'utile deviazione non fosse avvenuta richiamando gran parte dei pensatori allo studio delle pratiche cose , questa epoca sì piena di vaneggiamenti sarebbe giunta certamente alla follia di stringere fra cosi strani sistemi i civili rapporti, e mozzarli, stirarli come nel letto di Procuste, finché una reazione terribile avrebbe spezzato quei snaturati legami. La deviazione di cui feci cenno è avvenuta onde gettare le basi della politica economia, e poscia correggere i vizj introdottisi nella positiva legislazione. La generale diSnsione dell' incivilimento europeo da noi rimar- cala, e le forze ripartite su tanti punii avevano posti gli Slati in uno i48 specialissimo rapporto fra di loro. Quelle antiche guerre di conquista che accumulavano nelle mani di un fortunato vincitore le ricchezze delle sottoposte nazioni , e che servivano di poi a procacciarsi una rendita perenne nei tributi, dovettero sparire dalla storia; ed i po- poli, anzicchè ricercare la loro prosperità nelle prede straniere, fu- rono costretti a valersi di quei mezzi di cui la natura li aveva bene- ficati. L'agricoltura, le arti, il commercio si presentarono loro: ma i vincoli da cui erano inceppati i terreni al risorgere della europea civiltà non permettendo che dalla prima se ne potesse ritrarre tutto il vantaggio di cui ella è capace, si rivolsero agli altri due; e la spinta dell'interesse lu sì vibrata che tutto piegò alla sua forza: da questo punto la nazione più commerciante ed industre fu pure la più potente nelle politiche relazioni: la classe più commerciante ed indu- stre primeggiò sopra le altre nell'interno dello Slato: la più industre e commerciante famiglia regolò col fatto i destini della sua patria. In tale posizione di cose era assai naturale che lo studio si rivolgesse a ricercare i principi di quella scienza che ha per oggetto la ricchez- za delle nazioni; e come ogni sapere doveva mai sempre dall'Italia prendere le sue mosse, cosi fu un Italiano, cioè il Calabrese Serra, che nel 1614 ne gettò i fondamenti. Lo spirito di sifFa-tta scienza, piegando alla condizione dei tempi, dovette seguire il sistema esclu- sivo come quello che in apparenza più proteggeva il commercio. Di- co in apparenza conciossiachè in tale sistema vi ha uno scambio d'idee confondendosi il commercio coli' industria commerciale, eh' è quanto a dire la nazione considerata quale persona morale che per- muta le proprie produzioni, coli' individuo che serve di mezzo onde effettuare la permuta stessa. Confesso nulladimeno che in allora non si poteva pensare altrimenti, e meno poi in diversa maniera avrebbo- no potuto operare i Governi troppo essendo l'ascendente degli artisti e dei commercianti che aspiravano ai privilegi : e , per quanto gridi- no gli oppositori , la suprema legge della (opportunità e insuperabile. Se non che, come troppo è noto, le cose giunsero agli estremi: gli accorti atti di Cronvello e le apparenti e momentanee risorse di Colbert portarono una tale illusione che ogni stato quasi segnò un'or- bita propria entro cui restringevasi ; e le reclproche'gelosie , le prede industriali e commerciali, le ostilità, ed in molte parti l'avvilimento i4fi dell'agricoltura ne derivarono. Nel tempo medesimo alcuni forti pen- satori si viddero sorgere con opposte opinioni. Essi conobbero un vizio radicale che si era permanentemente sostenuto nel trattamento di siffatte materie, cioè di guardare l'ordine di fatto, anziccliè quello di ragione, dimenticandosi che sebl)ene per una necessità di posizione i popoli più s'erano dati al commercio, che all'industria dei campi, pure era questa una delle fonti più copiose e sicuie da cui trarre potuvasi la riccUezza. Quesnay , David Hume , Smith , gli Enciclope- disti, e, più, o meno, la lunga serie degli economisti Italiani ab- bracciarono questo partito, e combatteiono eoo tutta forza l'opposto Colbertismo. Voi già sapete che anclie in questo sistema non vi fu transazione, urtò anzi nello scoglio contrario; ma come a poco a poco le politiche vicissitudini cambiarono l'aspetto alle cose, cosi esso prevalse nella opinione, perchè in gran parte sostenuto dai' no- velli bisogni che chiedevano una riforma. La scoperta del Capo, la cjuale diede tutto ad un tratto una differente direzione al commercio, servi non poco a sbilanciare gli Stati Italiani, e più di tutto a sopprimere in gran parte quella spe- cie di commercio detto di economia da cui molte nazioni traevano il loro principale vantaggio , estendendosi in sua vece quello di proprietà il quale necessariamente richiede grande copia di produzioni. La sco- perta dell'America diede, è vero, origine ad una specie di commer- cio tutto nuovo colle colonie per cui, mentre da un lato avevasi', per cosi dire, uno sfogo alla piena dei prodotti industriali, dall'altro gli Stali di Europa ricevevano dalle terre oltremarine abbondante quantità di materie brutte da porsi di poi in circolazione; ma questa specie di comnimercio non appena erasi consolidata fu scossa dalle sue fondamenta : le colonie non vollero piìi sottoporsi ad un mercato servile, e si dovette, necessitati dalla forza, concedere quella libertà che la condizione dei tempi consigliava di accordare come una madre ad una figlia matura. La voce dei dotti, e più di lulto i vincoli po- sti per ogni lato dalle protezioni industriali, dalle lunghissime guerre, dalle ostinate rappresaglie, dagli arditi armatori che scorrevano i ma- ri, e le deviazioni che il commercio ad ogni tratto soffriva pelle vi- cende politiche attiravano moltissimo numero di persone ad agognare le possidenze fondiarie ; ma queste inceppate da fedecommessi , da i5o feudi, da raanimorte , vieppiù si concentravano in pochi: e sebbene il sistema livellarlo ed enfiteulico in parte diminuiva il male , pure insopportabile era divenuto al cittadino il non possedere una zolla libera di terra nella sua patria, e non sofferiva che nobili aggravati di debiti e scioperati , o monasteri ricchi a dismisura , lasciassero quei beni in grande abbandono. Si gridò adunque che male le leggi prov- vedevano ai bisogni sociali: ch'era d'uopo troncare il vizio dalla ra- dice: che troppa da un lato era la libertà dei testatori nel beneficare a dismisura le Chiese, e nel vincolare coi fedecommessi le proprie sostanze: mentre dall'altro le stesse leggi regolando le successioni intestate esse pure restringevano la libera diffusione dei beni. Questi lagni per altro, sebbene giustissimi, non erano diretti che ad una parte soltanto della legislazione la quale, lunge dal rac- chiudersi nella giurisprudenza Romana, in quella particolare e statu- taria veniva compresa. IN ed' è d'uopo ch'io vi parli del feudalismo, eredità tutta a noi pervenuta dal tempo di mezzo ; ma negli stessi fideicommessi voi già vedete, anzicchè una retta applicazione, un abuso delle sostituzioni fideicommissarie contemplate dalle leggi Ro- mane differentissime negli effetti economici dal fideicommesso di fami- glia, e nulladimeno limitate dai senatus-consulti Trebelliano e Pega- siauo. In quanto alle dotazioni ecclesiastiche non fu che nei bassi tempi degli imperatori che si permettessero, e, se pure volete, si proteggessero, mentre prima di Costantino le Chiese ed i poveri non si potevano eleggere quali eredi. In quanto finalmente alle successioni intestate, dappoiché fu tolta l'antichissima distinzione fra agnati e cognati, e Giustiniano stabili l'ordine delle medesime, nessuno al certo poteva sostenere eli' esse concentrassero i beni. Egli è vero che anche ai tempi dell'impero voi ritrovate uno strabocchevole concen- tramento di ricchezza; ma questo non dipendette dalle leggi civili, ed è mestieri attribuirlo alle economiche vicissitudini di quel regno , ai principi di una lalsa politica cl>e per assicurarsi dei ricchi Decu- rioni municipali responsabili delle esazioni fiscali proibiva loro di ven- dere i proprj fondi, danno immenso qualora si pensi che dai tempi di Tiberio in poi ereditario era il Decurionalo nelle famiglie , e fitial- mente alla impossibilità in cui si ritrovavano i piccoli possidenti di frenare gli schiavi sempre pronti ad armarsi verso i loro padroni , da i5i cui ne veniva eh' essi ben volentieri cedessero per tenuissimo prezzoi le loro terre ai più potenti. In tempi più moderni invece molte cause di tale conceutramento erano riposte nelle stesse leggi civili : ma que- ste leggi non erano le Romane. Non fu pel diritto Romano, fu pegli statuti francesi che s'introdussero le distinzioni fra i beni proprj , e di acquisto^ e si dotarono le fanciulle con un c;ippello di rose unico loro retaggio delle paterne sostanze. Non fu pel diritto Romano, fu pegli statuti di Milano che le figliuole, sebbene non avessero avuta alcuna dote, nulla poterono pretendere dal loro padre. Non fu pei diritto Romano, fu pel Veneto Statuto che si richiamarono le antiche linee agnatizie, e le donne furono escluse in concorrenza dei maschi dalla paterna successione, anzi contente di una tenue dote rinunzia» rono ad ogni diritto. E d' uopo non ingannarsi nel determinare quali vizj esistessero allora nella legislazione e quali cause richiedessero perciò la ritorma della medesima. Quando vi dissi die la giurisprudenza Romana fu ab- bracciata da tutte le nazioni non vi dissi già ch'ella fosse la sola, e meno poi che rimanesse incorrotta. Il feudalismo , gli statuti , le con- suetudini, tutte leggi il più delle volte dettate da momentanei biso- gni, o da novelli rapporti che si erano istituiti, o dall'interesse delle classi preponderanti, l'avevano in fatto più o meno deturpata; ed allorquando le cose si consolidarono, e quella esuberante disugua- glianza fu livellala, e le tante piccole signorie e popoli indipendenti cominciarono a riunirsi formando dei corpi più complessi ed organiz- zati, quando infine cessarono le cause che avevano richiesti quei pro\ vedimenti, e la prepotenza che aveva posti quei legami, tosto la massa delle leggi fu in opposizione coi bisogni sociali , od almeno si trovò sovrabbondante in modo da imbarazzarli: fu di più in oppo- sizione colle giuste vedute dei dotti che attingevano ad una fonte più pura. Notale peraltro di non oppormi giammai la condizione econo- mica di molte parli d' Italia : esse furono quelle che più intatta con- servarono la Romana giurisprudenza: ed i loro medesimi statuti rior- dinati da Giovanni di Vicenza , o a meglio dire dai più dotti giure- consulti di quei tempi, non furono si opposti ai principi '^'^ quella saggia legislazione: il qual fatto, più che mille argomenti, dimostre-r rebbe che non già alle leggi Romane , ma ai vizj che vi si unirono si doveva attribuire ogni male. Qui parlo dei niaii più forti e perniciosi , di quelli che diretta- mente impedivano il progresso sociale , conciossiacchè era un vizio pur anco che le leggi fossero scritte in una lingua straniera: era un vizio che affollale si ritrovassero da una lunga schiera di glossatori e d'interpreti: era un vizio la stessa forma delle medesime. La reda- zione di un codice è la meta piò eminente a cui possa giungere una nazione: essa suppone non solo che si abbia ammassata una lunga serie di pratiche decisioni, e che si abbia partitamente provveduto a tutti i bisogni sociali; ma di più che al punto di quella accumulata esperienza l'incivilimento sia tale da poter radunare tutte le fila spar- se in quell' ammasso disciolto, e con un ordine sintetico dei più dif- ficili a compiersi fissare le massime generali che senza perdersi in Un indefinito privo di pratica utilità , pure racchiudano il maggior numero possibile di casi particolari. Giustiniano non era tale da com- piere siffatto lavoro: il suo secolo decadente non poteva giungere a questa mela; egli invece ci conservò quanto fu fatto: ci trasmise quanto poteva servire a condurre al suo apice la legislazione: ci la- sciò in somma i più perfetti materiali onde si redassero i codici in tempi più felici senza che questi materiali vi potessero tenere le veci perchè ancora troppo inceppali dalle accademiche discussioni, dalle combattute opinioni e dall'aspetto dottrinario di cui devono essere spoglie affatto le leggi. Nel punto in cui la coltura Europea sembrava essere giunta ai massimo di perfezione dovevasi ritornare al proseguimento di quell'e- difizio eli' era slato inlerrollo da (ante disavventure; e dopo averlo sgombrato dalle sozzure della barbarie, l'ordine stesso delle cose por- tava che si compiesse: molli ostacoli, è vero, vi si frapponevano, seniLrando sacrilega la mano che si stende su quelle cose cui 1' anti- chità impresse un suggello sacro e venerando ; ma bastava il primo passo, e qui la voce della filosofia più dignitosa parlò al cuore e riu- sci vincitrice. La parte criminale era la meno perfetta nel diritto Romano: noi ora non vogliamo esaminarne le cause: voi le ritrovereste nello spi- rito di vendetta; nell'ambizione, nella superstizione che sembrano essersi succedute a dettare le pene, nel carattere in generale crudele degli antichi i quali si compiacevHno degli spettacoli di sangue, e nella minore libertà ed influenza rli' ebbero su questo punto i giure" consulti. Ma seppure più eminenti e piìi giuste fossero state le vedute del jtts comune, troppe cause vi si nnirotio onde trascinarle in pie- na rovina. I barbari nella parte criminale portarono le loro leggi : ora segnarono note di sangue, ora fecero, per cosi dire, mercato dei delitti: nessuna idea d'imputabilità, nessuna misura nelle pene, nessuna prevenzione, nessuna certezza nelle prove, nessuna efficacia nella contro spinta criminosa: l'innocente era vittima delle presun- zioni legali e delle prove: il reo trovava un rifugio negli asili, nel- l'astuzia, nella ricchezza, nell'abuso del diritto di grazia, e perfino talvolta nella umanità del giudice cui era grave l'applicare una pena sproporzionata alla colpa. E ben doloroso volgere lo sguardo su que- sti codici nei quali si vede quanto l'ignoranza renda l'uomo crudele! E , ci è forza il confessarlo , anche ove i barbari non erano discesi , questa peste nulladimeno regnava ; e nella nostra patria , sebbene fos- se vergine e libera da giogo straniero , pure ai giorni di Jacopo Tie- polo punivasi con lieve multa un feritore, ed invece minacciavasi la perdita degli occhi al ladro di 20 lire, la morte a chi ne toglieva quaranta; e nel secolo XV crudelmente stabilivasi clie si dovesse tor- turare coi tormenti per quattro giorni continui l'accusato di streghe- ria. Che se in cosi fatta guisa andavano le cose in Venezia, più mi- serande erano nelle altre parli d'Italia. Fra mille esempi io vi cito quello dello Statuto di Novarra in cui mentre punivasi il ladro per- fino di pena capitale, e l'adultera davasi vìva alle fiamme, l'adultero invece non pagava che 5o lire di multa, e con cento potevasi non solo tagliare il naso e le orecchie a chichessia , ma anche stuprare violentemente una fanciulla. Confrontate ora le sode massime che nel medesimo tempo si dettavano negli Statuti civili; e conoscerete quanto dobbiamo al Di- ritto Romano. Le Leggi Venete per altro, e le Italiane in generale erano meno crudeli di tante altre. Nel diritto civico di Spira voi vedete condan- nato un uomo alla morte per una semplice offesa , o per un furto di tre danari: in Lubecca, Strasburgo, e molle città dell' Impero) i ao 1^4 nionetaii falsi si facevano cuocere pubblicamente neirolio; ed i popoli si freddamente guardavano tali orrori, si poco ribrezzo in loro de- stavano le prolungate pene del paziente, che il itefando mestiere del carnefice stimavasi onorata cosa, ed i laici, i consiglieri, i giurisdi- centi più giovani n'erano rivestiti (i). Cessatala ignoranza, risorta la coltura di Europa, resi comuni i principi ^^^ Diritto Romano, le cose non migliorarono punto. Spa- rirono, è vero, a poco a poco i giudizj di Dio ; ma la tortura, san- cita dalle slesse leggi di Roma, venne a tenere il loro posto: le ac- cuse segrete subentrarono ai pubblici combattimenti : la crudeltà fu meno fanatica, ma più fredda: e la superstizione, diretta prima a scoprire l' innocenza , servi a ricercare per ogni dove il delitto. Per un istante può muovere a riso il vedere Beckmaun , uno dei più ac- creditati crirainalisli della Germania sullo spirare del secolo XVll, accertarci che gli' stregoni tenevano nottetempo la loro conclone sulle vette del Scheckelberg , e che in un [>roces30 , ove egli assisteva, comparve il diavolo sotto forma di scarafaggio additando all'inquisito di tacere; ma questo riso dev' essere ben momentaneo qualora si pensi che la vita degli uomini era riposta nelle mani di siffatta gente , e che quell'infelice doveva essere torturato ed abbracciato. Venne il punto che la pubblica opinione fu in opposizione con tali barbarie: allora si cominciò a palesare come gli innocenti periva- no bene spesso vittima delle leggi : la morte di Giovanni Calas copri di orrore la Francia; e la voce di un Italiano, di Cesare Beccaria, scosse tutta l'Europa. Questo grande uomo segnò un' epoca nella sto- ria ; e se la scienza piìi deve a Romagnoai che a Beccaria , l' umani- tà più benedice Beccaria che Romagnosi. Gettata la prima scintilla , si levò quella fiamma che da gran tempo covava: la coscienza de' Regnanti si chiamò al cospetto di Dio onde correggere i codici cri- minali: Catterina II fu proposta ad esempio; ed in fine si stese la mano e si cominciò l'opera gigantesca. (I) Vedi l'Introduzione del Diritto criminale Austriaco del Jennull. i55 S 4- Riforma della legislazione. Eccoci al punto di esaminare quanto fecero i moderni legislatori. La parie criminale chiedeva una pienissima rifusione; ma nel tempo medesimo il passaggio dovette essere graduato, che una improvvida rapWitìi avrebbe accresciuta l'audacia ai malvaggi; e dalle leggi di Calterina, la quale fu la prima a dettare un codice umano, fino a quelle del VViirtemberg basate sui principj di Romagnosi, voi ritro- vate nelle nazioni incivilite uno sforzo continuo onde porsi a livello collo spirito della filosofia per quanto l'ordine dello stato e la impe- riosità delle cose lo permettevano. La parie civile era maggiormente inceppata perchè la santità dei diritti acquisiti chiedeva rispetto: e se la Francia può andarsene glo- riosa di una compiuta riforma, questa gloria le costò scene di delitti, rivi di sangue, ed una prolungata frenesia sociale. Le altre nazioni che non rovesciarono lo stalo onde rifabbricarlo dovettero avere din- nanzi agli occhi il passato ed il futuro; e se la condizione economica dei popoli richiedeva che la legislazione fosse rifusa, questo doveva succedere in modo che i privati ne risentissero il minor danno pos- sibile. Voi già sapete che tali difficoltà non sussistevano in ogni pun- to; ma per disavventura cadevano sopra di quelli maggiormente im- jìorlanti. Le leggi personali sopra cui era lecita al legislatore un'azione piij libera venivano affette da un numero minore di vizj. Le Decre- tali da lungo tempo regolavano 1' unione matrimoniale ed i rapporti dei conjugi: esse medesime avevano attemperala la patria j:otestà, ultima a cedere i proprj privilegi nel lungo conflitto fra il regime patriarcale, ed il civile; né richiedevasi ancora che alcuni tocchi soltanto: il sistema tutorio erasi mai sempre attenuto alle saggie ve- dute del jus comune; e le poche mutazioni che vi si fecero, pres- soché Inlle più furono di apparenza e di nome , di quello che di sostanza e di fatto.' In quanto alla procedura, è d'uopo distinguere la parte organica dei Tribunali , le azioni attribuite ai cittadini , il modo materiale di farle valere ed il sistema probatoriale. La prima dipendente dalla for- i56 ma di Governo non lia che uno scopo , quello cioè di segnare accu- ratamente i limiti giurisdizionali , stabilendo una catena successiva di anelli, dalla suprema facoltà legislatrice ed esecutrice fino all'ultimo giurisdicente. Le azioni considerate nella loro essenza come gli stessi diritti accordati ai cittadini, posti in attività onde rimuovere gli osta- coli che si oppongono al loro libero esercizio, appartengono alla le- gislazione attributrice ed andarono a formar parte di questa. Il modo materiale di farle valere , dipendente pur esso dalla forma governativa e dal sistema organico dei Tribunali, poche difficoltà ritrovava nella posizione delle cose , potendo il legislatore scegliere qual [)iìi credeva opportuno senza tema di violare gli anteriori diritti dei cittadini. La parte probatoriale , parte eminentemente filosofica, abbraccia le pre- sunzioni e le prove. Se noi anzi spingessimo l'analisi all'ultimo risul- tamento, forse dovressimo concludere che essendo il giudice costretto ad attenersi alla verità estrinseca e non all'intrinseca delle cose, tutto il sistema probatoriale è composto di presunzioni. E infatti una pre- sunzione , e non una fisica o morale certezza , che se due lestimonj si uniscono a dire la stessa cosa, questa sia vera: è una presunzione che l'uomo giuri la. verità: che chi confessò in una carta di aver ri- cevuto una somma, l'abbia effettivamente ricevuta, e cosi via discor- rendo: nulladimeno avvi fra le presunzioni propriamente dette, e le prove, questa notabile differenza; che le prime, dirette a garantire la incolumità delle persone e delle cose dai disonesti attacchi dell' al- trui cupidigia o sevizia, costituiscono in se medesime una parte della tutela sociale: le seconde invece non sono che i mezzi onde dimo- strare di essere in una data posizione in cui si ha diritto di esigere la tutela sociale: ogni prova produce una presunzione, ma non ogni presunzione richiede necessariamente una prova, partendo bene spesso dagli attributi anteriormente riconosciuti ed accordali. Il sistema probatoriale in ambedue le sue parti lunge dal venire abbandonato all'arbitrio del legislatore, o, come dicesi nel linguaggio delle scuole, dall'essere di materia e di sanzione soltanto civile, deve invece partire dalla più esalta couoscen/.a dell'uomo e delle cose: esso è legalo eminentemente coi principj della logica più severa: colla natura della so( ielà civile: colla morale e coli' incivilimento della na- zione: da esso può dipendere la floridezza ed il languore dello stato; i57 e soUanto coli' esatto adempimento del medesimo noi possiamo dire che non l'individuo, ma la società, giudica e difende i nostri diritti. Quali si fossero su questo punto le leggi Romane, vedetene l'effetto nelle celebri opere di Mascardo e di Menoccliio, e nella somma di quegli aforismi ricevuti quali assiomi consacrati dal consenso di tulli i popoli inciviliti. La obbiezione che le prove in gran parte dipendano dall'attuale posizione dello stato è più speciosa che vera. Io ben comprendo che un grado maggiore o minore di depravazione sociale può esigere un numero maggiore o minore di testimonj , una maggiore o minore fi- ducia nei giuramenti , od altro di simile ; ma in questa maniera si confondono le cautele col principio filosofico delle medesime : Si li- mita il sistema probatorio alla parte materiale soltanto dei mezzi già stabiliti, dimenticando la cagione direttrice che determina questi mez- zi; ed io cito il diritto Romano non come legge positiva e di latto, ma come principio filosofico e di ragione. Siamo ora nella parte delle leggi riguardante le cose nella quale tutl'i diritti reali e personali vengano compresi ; ed è questa la più este- sa e complessa del diritto civile: quella in cui gravissimi erano i mali, e nel tempo medesimo maggiormente inceppato il passo del legisla- tore. Alla naturale divisione delle cose segnata dal Diritto Romano altre se n'erano unite. I beni si suddividevano in nobili ed ignobili , allodiali, feudali e di fedecommesso : gli allodiali in proprj e di acqui- sto, ed i proprj in aviti e non aviti, per linea reità e per linea col- laterale; le quali distinzioni tutte tendevano ad inceppare la libera disposizione dei medesimi , conciossiacchè i beni nobili , come ci di- mostra la stessa parola , non si potevano possedere che da certe per- sone : i feudali e di fedecommesso stavano vincolati , e dei proprj non era lecita l'alienazione. Aggiungete che per diminuire i legami lascia- vasi ai privali la facoltà di alterare la stessa natura delle cose ; ed i beni Slabili, a cagione di esempio, mediante l'atto della mobilizza- zione si potevano considerare come mobili onde formassero parte delle comunioni; ed i proprj divenivano talvolta di acquisto fittizio-, le quali cose non essendo dalla legge che in parte riconosciute , por- tavano mai sempre confusione ed origine di non pochi litigj. Che fe- cero le moderne legislazioni ? Lasciando alle leggi politiche ed al Di- i58 ritto Ecclesiastico qiinnto spetta alle cose consacrate e religiose, ed agli Statuti Feudali quanto concerne i terreni ed i diritti feudali , ri- tornarono nel jus civile alla primitiva divisione della Romana giuris- prudenza. Questo primo passo era importante, conciossiaccliè non solo toglievasi dal diritto privato gli abusi che si erano successiva- mente introdotti, ma lo si liberava dal feudalismo e da tutti i diritti signorili, la qua! cosa, anche dove questi si rispettarono, pure s-e- stando essi separali come tante eccezioni , preparò nel generale una serie di rapporti piià semplici e naturali , che a poco a poco andarono a livellarsi e ristabilirsi l'ordine sociale. Il diritto di proprietà eh' è la base di tutti gli altri era egual- mente snaturato. Nella Normandia ed in parecchie provincie della Francia e dell'Italia gli abitanti godevano il cosi detto Banon per cui era loro lecito di condurre il bestiame a pascolare sui terreni «li tutta la parrocchia a cui erano addetti dalla metà di settembre fino alla metà di marzo, ed anzi il diritto era perenne trattandosi dei maggesi. Nel Pavese i proprietarj utili potevano costringere a lor pia- cere i direttarj ad acquistare l'utile proprietà: in molli Statuti Italiani i venditori dei fornii godevano per trenta anni un diritto di ricupera 5 e quello di prelazione accordavasi non solo agli agnati, ma ai confi- nanti: indi succedevasi una lunga serie di servitù legali: poi decime signorili ed ecclesiastiche: poi diritti delle Comuni, dei Vescovi, dei feudatari sulle terre, sulle acque, sulle alluvioni; ed il proprietario frattanto languiva, e l'agricoltura cadeva in deperimento. Che fecero le moderne legislazioni ? Alcune arditamente atterrarono il tutto : al- tre lo fecero in parte: altre si riservarono di farlo graduatamente; ma tutte tolsero dal diritto civile questa melma lasciataci dai barba- ri; e le massime della giurisprudenza Romana ritornarono nella loro purezza. lo non posso continuare questo esame ; ma se lo continuassi , apparirebbono per ogni dove gli stessi risultamenti. Una osservazione generale non deve per altro sfuggirci la quale io credo bastantemente risultare da tutte le cose fin ora esposte. Dal momento della deca- denza europea fino al punto in cui le nazioni posero mano alla rifor- ma dei loro codici, due specie di leggi regolarono i privati rapporti ,• le Romane, e gli Statuti civili e feudali: le cose adunque erano da i59 lungo tempo atteggiate ai loro priiici[)j , ed ove lutto non si avesse voluto sovvertire e porre a soqquadro, quei principi si dovevano ris- pettare. Fate pure astrazione dalle massime fondamentali di giusti/.ia che in essi si racchiudevano e da cui non si possono i legislatori al- lontanare: ponete come meglio vi piace che le leggi avessero deter- minala quella posizione, o viceversa, ciò poco importa; egli è certo che il rapporto sussisteva , che quella posizione era radicata , e che per ciò non si poteva capovolgere da un punto all'altro. Or;i , anche di volo che vogliale scorrere le attuali legislazioni, voi vedete che degli Statuti nulla si è conservato nel Diritto civile , ed al più qual- che poco nelle leggi politiche : che il feudalismo formò un tutto sus- sistente da per se solo; cosa dunque restò nella civile giurisprudenza? La risposta noi l'abbiamo di già antecipata. Aggiungete riguardo alla nostra legislazione un fatto storico di non lieve importanza, cioè che alloraquando Maria Teresa ordinò all'Azzoni il progetto del Codice Civile, egli, avezzo alle calledralichc discussioni, presentò un lungo commentario del Diritto Romano in otto volumi in foglio: questo, è vero, non fu sancito, ma i successivi lavori dell' Horten e del Mar- tini non furono che un estratto dell'opera dell' Azzoni, sicché lo spirito delle leggi Romane doveva in essi necessariamente rimanere" compreso. Qu'i per altro cade quella triviale obbiezione di cui feci cenno fino dal principio di questo discorso, voglio dire, che esserrdo per lo a[>punto i codici moderni compilati su quello Romano, quanto ia essi non venne compreso dobbiamo supporre essere stato pienamente abolito, e ciò tanto più che gli stessi legislatori ebbero cura di es- pressamente dichiararlo, come vediamo riguardo al Codice Italico nel Decreto 16 gennajo 1806, e riguardo all'Austriaco nella Patente del giugno 1811. Io vi prego di distinguere la forza di autorità e di ra- gione da quella che nasce da una disposizione positiva e di fatto. I legislatori abolirono, è vero, \l jiis comune dal numero delle leggi positive; ma nel tempo medesimo ordinarono ch'egli si spiegasse nelle scuole. Credete voi che questo si abbia fatto per semplice erudizione ed ornamento, o piuttosto perchè in esso si racchiude la parte dot- trinale della giurisprudenza , perchè senza di esso i nostri codici rnol- i6o te ?olte non si comprenderebbono , e pressoccbè mai sarebbono suf- ficienti a determinare i contingibili casi? Fu una gravissima questione quella di stabilire l'utililà dei codici in confronto delle raccolte di leggi e decisioni accumulate da lunghis- simo tempo. Fu opposto che nei codici le massime semplici e generali di rado possono decidere direttamente i casi pratici i quali , simili alle malattie, appariscono sempre composti ed avviluppati da svaria- tissime circostanze: che in tal guisa troppo si lasciava all'arbitrio del giudice, e bene spesso lo si j>oneva nella dura condizione del medico il quale vede due mali opposti aggravare l'infermo; e come in tal caso più conviene ricorrere ad una pratica ragionata, di quello che alle teoriche astratte , così più opportuno è per il giudice avere in^ nanzi una serie di decisioni sancite e ritenute per giuste, la quale quanto più è prolungala tanto meno può succedere che non racchiu- da un caso consimile, di quello che applicare a suo talento una mas- sima generale: fu perfino minacciato che impunita andrebbesi la tur- pitudine di un magistrato malvaggìo o corrotto , potendosi egli mai sempre scusare colla generalità della legge e colle differenti interpre- tazioni a cui può essere sottoposta. In tutte coleste accuse, a dir vero, si dimenticò che i codici non sono già libri caduti improvvisa- mente dal Cielo onde regolare i civili rapporti, ma bene si l'ultimo risultaroento di una lunga esperienza , il tardo frutto di una nazione che abbia percorsi gli stadj della vita sociale; e ad interpretarli re- stano, come altrettanti storici monumenti, tutti quei passi che si fe- cero onde giungere a questa meta. Ma se voi volete distruggere quanto anteriormente fu fatto, quelle accuse diventano imponenti ed invincibili. Se Ginsliniap.o quando pubblicò il di lui codice non aves- se di poi ammassato nelle Pandette tutta quella serie di opinioni, di discussioni, di leggi, credete voi che il Diritto Romano avrebbe ba- stalo a regolare la sorte delle future nazioni? Coloro i quali sosten- gono che le massime generali racchiuse in un Codice bastino a rego- larci , si potrebbero paragonare a chi volesse dimenticati tutt' i libri di medicina sostenendo che un semplice ricettario è sufficiente. Schu- sler, a cagione di esempio, fece una bella opera di oltre 5oo pagine sopra alcune questioni riguardanti le servitù: Romagnosl ne scrisse una ili celebre sulla condotta delle act/uc «11 oltre mille e duecento jia- jjiiic ; pure il noslro Codice non h;i sugli acquedotti che un solo [)a- ragrafo, e l'intiero capitolo delie servitù non ne comprende che cin- quanlaotto: ora ditemi, vi prego, se con quel solo §, se con quel capitolo voi potreste decidere tutt'i casi trattali dal Romagnosi e da Schaster? Dalla lunga serie dei nostri pratici trattatisti io vi potrei citare innumerevoli esempj di siflatto genere. So che a c|uesto punto rispondono gli oppositori essere precetto del nostro legislatore che nei casi in nessun modo decisi tlal Codice s'abbia a licorrere ai principi ilei naturale diritto ; ma qui cade molto a proposito un passo di lienthan. » Non si può ragionare (dice egli) con di-i fanatici armati " di un diritto naturale, che ciascuno intende come gli piace, ap- •■1 plica come più gli conviene, da cui nulla essi vogliono togliere, !i mai discostarsi: eh' è inllessibile ed inintelliggibile nel tempo stesso, " eli' e consacralo ai loro occhi come un dogma il dilungarsi dal •.1 quale è delitto che sostituirono ai ragionamenti dell' espe- « ricnza le chimere dell' immaginazione (i). « E quale armonia infatti ne verri bbe, o Signori, nelle decisioni? Se il giudice è seguace di Seldeno cercherà di giudicare coi precelti dati da Dio a Koè : se è seguace di Warburton o di Bonald ricorrerà all'intiera genesi: se è seguace di Huttcheson interrogherà il proprio cuore: se è seguace della scuola germanica farà astrazione dallo stato sociale, e darà una sentenza bene spesso contraria al medesimo; e se per avventura è di quelli che non credono ad alcun sistema, p)'onun7.ierà a suo capriccio. Queste massime non si possono né si devono supporre giammai essere conformi alla volontà di un sa""io Iciiislatore. Avvi una legge ODO CD naturale santissima , ma questa non è sottoposta al capriccio degli scrittori, e molto meno è limitata ad un puro stato immaginario antisociale, quasi che negli stati civili perduto avesse ogni impero: essa altro non ò che la catena di cjuei princlpj a cui nell' ordine di ragione l'uomo deve attenersi a seconda dei rajiporti reali e iiecessarj delle cose: questa ebbe di mira il nostro legislatore; ma noi non abbiamo una scienza innata onde conoscerla, e la tradizione e l'espe- rienza sono le uniche fonti da cui attingiamo ogni sapere: la co- (1) Bentlian. Principes des Legislation , Chapitre XUI. \6'2 scienza individuale può essere bene spesso fulLice , e se il cumulo delle altrui osservazioni non ci venisse tramandato, le nostre cogni- zioni sarebbono eternamente quelle di un fanciullo. Se a tale officio possano poi soddisfare le leggi Romane, credo essere sufficienti le poche vedute da noi stabilite circa il loro spirito ed il loro progresso. § 5. Conclusione. Dimostrato che nel Diritto Romano sta riposta tutta la parte dottrinale delle moderne civili legislazioni , un nuovo campo aprireb- besi .neir esame particolare di quelle parti in cui si comprendono gli immutabili principi di diritto, e di quelle che dipendendo da una eventuale posizione cessarono col cangiarsi della medesima. Qui per altro un puro confronto delle leggi, come più volte fu fatto, sareb- be inopportuno, ed una saggia critica assistita dalla storia e dalla filosofia potrebbe soltanto compiere cotesto lavoro. Se non che tutto ciò esce dai confini proposti, e noi siamo giunti al termine del no- stro discorso. 11 punto segnato fin da principio erasi quello di trat- tare la questione sotto un aspetto storico filosofico , e questo abbiam fatto per quanto lo potevamo. Molte cose io vi dissi che bene spesso vi saranno apparse sconnesse, rapide e prive di ogni diletto; ma lungo era il filo ch'io doveva svolgere in breve spazio, e simile io mi era ad un viaggiatore che dal tempo pressato a toccare una meta lontana corre frettoloso, cammina a balzi, e vi giunge tutto coperto di polvere e disadorno. SULLA BONIFICAZIONE DI VAL DI CHIANA. RELAZIONE DEL CAVALIERE PIETRO PALEOCAPA. Leila dall' Autore nella quarla Adunanza ordinaria del 3i del mese di Dicembre i838. Ija valle di Chiana presa in tutta la sua estensione non com- prende solamente il territorio di questo nome cl.e slendesi da Arezzo a Chiusi ed appartiene al Granducato di Toscana, ma eziandio quello che appartiene allo Stato Romano da sotto Chiusi fino alia vallata del fiume Paglia, nel q„;de entra la Chiana romana rimpetto ad Or- vieto doi>o essersi unita al fiume Argento; e va poi ad isboccare col Paglia stesso nel Tevere. Dimanlerachè la valle di Chiana può ri- guardarsi come un'ampia vaile che mette in comunicazione l'Arno col Tevere: aperta, pianissima, lunga da circa sessanta miglia, e larga più o meno, dalle miglia tre alle miglia cinque, che si stend quasi giustamente nella direzione del meridiano. Dalle due catene di monti, che la limitano ad oriente e ad occi- dente, scendono molli torrenti che lutti slogano in questa valle, , che sono stati origine del suo impaludamento , incomincialo, per quan^ lo è dato vedere dentro la caligine di que" tempi , nell' undecimo se- colo dell'era cristiana, e prolungato può dirsi sino al finire del secolo scorso ; quantunque anche innanzi fossero state fatte di mollo eslese ma parziali, imperfette, e sregolate bonificazioni. Rimontando ad epoche più remote si anno certi documenti che la valle di Chiana era asciutta e belhssima provincia, per la quale i e e iR4 Ilomani condussero i;i via Ca?s!a. E l'opinione di alcuni autori clie inlesero trovare in vai di Ciiiana quelle ampie paludi, die traversò Aiinib.de prima di giuguere al Trasimeno, é stata da accurati storici e geografi Toscani smentita; ed è sialo dimostrato che quelle paludi erano poste intorno alle rive del Po , nella bassa pianura innondata allora dall'espansioni di quel gran fiume, e non dentro alla catena degli appennini di Toscana. Ma se vai di Cliiana era asciutta sino a' primi secoli dell'era no- stra • coma avvenne ch'essa impaludasse cosi miseramente? e non in questo o quel punto, ma ben può dirsi in tutta la sua estensione da sotto Arezzo sino ad un buon trailo -di là da Chiusi? Questa inda- iiine era essenzialissima ; imperciocché in idraulica come in medicina [«rimo argomento a sanare il male è conoscerne le cagioni. Le discus- sioni furono lunghe: alia storia ed ai fatti si sostituirono, in questo come in tanti altri casi, le ipolesi e le fantasie: onde le molle e dis- jiarate opinioni colle quali ognun intendeva spiegare, e nessuno spie- gava il fenomeno. In ciò solo s'accordavano tutti, che i torrenti che scendevano precipitosi e torbidissimi dalle pendici laterali degli appen- nini, entrali nella valle senza pendio, non potevano trovarvi che uno sfogo lentissimo alle acque loro, e perduta la forza per trasportare le torbide la ingombravano qua e colà d'alti dossi , fra i quali l'acqua stagnava in ampii bacini paludosi. Ma si chiedeva appunto perché questa slessa cagione non avesse negli antichi tempi prodotto que' me- desimi effetti che produsse poi ne' secoli di mezzo? La coadizione to- pografica della valle di Chiana era pure la stessa, né vi erano tracce , né documenti , e neaimen tradizioni , che accennassero catastrofi che n'avesser mutato il proprio suo suolo. Queste oscurità si diradarono solo, quando il Conte Fossombroni rivolse i suoi studii alla vai di Chiana intorno al fine del secolo passalo. Era già da antiche e sicure testimonianze degli storici e de' geo- grafi provato, che il principal corso di Chiana anziché rivolgersi come ora fa da Chiusi ad Arezzo verso l'Arno, scendeva da Arezzo verso Chiusi ed entrava nel Tevere. Ma il Conte Fossombroni provò di più che a quc' tempi la vai d'Arno, che ora è metri quaranta più pro- fonda di vai di Chiana, stavane allo stesso livello, e che due dira- mazioni dell'Arno poteano quindi entrare, ed entravano in fatto nel i65 piano d'Arezzo, girando intorno al colle su cui s'erge questa città; e riunitisi ancora scendevano in Cliiana, e con essa nel Tevere. L'opinione del Conte Fossombroni appoggiata a prove storiche, e ad argomenti geologici che faceano chiara la grande mutazione di livello avvenuta in vai d'Arno, venne accolla dal più colebie idraulico Francese, e dal più grande geologo de' nostri tempi, da Pronj e da Humbold; i quali visitali i luoghi l'aveano delta probabilissima. Ed il secondo l'avea anzi confermata coli' esempio di un'inversione simile di corso, da lui osì^ervata in una diramazione dell'Orcnoco. Ma poscia , da mollo verisimile congettura ch'essa era, divenne quasi certezza; quando or non sono più che dodici anni passali, si trasse dalla pol- vere degli archivii un prezioso documento del milleduecento, che con- fermò quanto il Conte Fossombroni avea colla forza del suo ingegnò e coir atlenla considerazione della forma e della geologia del paese scoperto, intorno all'antiche vicende di vai di Chiana. Questo docu- mento consiste in una rozza ma assai cliiara pianta del territorio di Chiani, dove si veggono le acque uscir da verso Arno nel piano d'A- rezzo ed entrare in Chiana correndo da tramontana a mezzogiorno, in un verso affatto contrario a quello d'oggidi. L'Arno adunque ingrossando la Chiana con una parte delle sue acque sopperiva negli antichi tempi alla poca pendenza di quella, e le dava forza di trasportare le torbide che vi travolgevano gli influenti. Ma depressa vai d'Arno e soppresso il ramo teveriuo, come giusta- mente chiamoUo Prony, cessò quella vigoria; e le stagnazioni inco- minciarono insieme coli' inversione del corso. Memorie storiche positive ci mostrano che in principio del seco- lo XII seguitava ancora la Chiana a correre verso Tevere. Al terminare di questo secolo slesso l'impaludamento della Chia- na si la manifesto. Nel corso del secolo XIII lo stato paludoso si vede andar sem- pre aumentando, ed arrivare a tal punto, che quella parte della valle clie era più vicina ad Arezzo, non avendo ancora potuto acquistarsi alcuno sfogo in Arno, e non potendo averne ormai più alcuno nel Tevere, perchè i torrenti maggiori che scendevano di qua da Chiusi aveano coli' alluvione intercluso il passo alle sue acque, era convertita in uno stagno continuo. i66 Sul finire del XIV secolo e più precisamente nel i388 il male era fatto sì grave, che i Fiorentini deliberarono di incanalare con un taglio profondo, e far isfogare le acque degli stagni più vicini ad Arezzo, nell'Arno. Il taglio fu fatto; ma perché l'irruzione di tutte le acque della valle nel fiume che scendeva a Firenze Incuteva molta paura , lo si frenò con un'alta traversa che diveime poi la famosa chiusa de' Mo- naci Benedettini. A malgrado di questo freno le acque scolarono in gran copia nell'Arno dalle più vicine paludi. Ma il rimedio insufficiente anche per queste , era inutilissimo per le più lontane. La Chiana avea perduto aflfatlo il carattere di fiume; ed era diventata un canale di poca pendenza , che attraversava nel bel mezzo la valle impadulita e veniva scavata artificialmente per mantenerle pure un qiialclie sfogo verso Arno. Crebbe allora la miseria di vai di Chiana tanto più prestamente, e divenne tanto più grande, quanto che anche quelle porzioni di terreno, che per essere stato essiccato, o dalle alluvioni de' torrenti abbastanza elevate, potevano essere messe a coltura, erano abbando- nate per l'infezione dell'aria diventata proverbiale in Toscana: in guisa che tutto il piano era rimasto vuole d'alìitatori, che tutti eransi ritirati sulle alture vicine, le quah non andavano però esenti esse medesime dall'insalubrità dell' ari.T, per effetto degli effluvii che si sol- levavano dal piano sottoposto. In questo stato di cose l'opinione più generale era che alla re- denzione di vai di Chiana bastasse la distruzione della Chiusa de' Mo- naci; poiché s'argomentava che, ridonata al canale maestro quella pendenza verso Amo che dalla chiusa stessa venivagli tolta, la parte Toscana delia valle si sarebbe bonificata per essiccamento. Ma a ciò s'opponevano prima i grandi interessi dei Frati di S. Fiora , in que' tempi potentissimi, che goJeano del diritti di pesca negli stagni, e dell'ope- rosità dei mulini animati dalla cascata. Poi i Firenlini e lutti gli abi- tatori di vid d'Arno inferiore, veggendo quella grande massa d'acque sospese in vai di Chiana al tempo della piena, paventavano non di- strutta la briglia e lasciato loro sfogo a discendere lutto ad un trat- to, avessero a gonfiare il fiume in tal maniera da farlo straripare e rompere ogni ritegno. 167 Il ([ual Umore dei Fiorentiul e degli altri abilanli di Valdarno era tanto più oslinalo e potente , quanto era più antico e discendeva per tradizione da una generazione all'altra. Esso rimontava in fatto sino ai tempi della grandezza di Roma, quando la Chiana correva al Tevere, Le grandi piene di quest'ultimo fiume e le funeste innonda- zioni c»i andava soggetta Roma e le campagne vicine, si attribuivano in gran parte all'influenza della Chiana; onde i Romani aveano me- ditato di voltarla verso Arno. Ma i Fiorentini mandarono al Senato oratori supplicando clie fosse dimesso questo pensiero , come ci viene attestato da un passo di Tacito. E, ossia che le supplicazioni di quelle comunità e della colonia fossero ascoltate, ossia piuttosto che l'im- presa che per l'urte era grande, facesse desistervi, fatto è, che non si venne allora ad alcun atto; e la Chiana continuò a correre, per tutta la lunghezza della valle , verso il Tevere (*). C) 11 passo di Tacito giìi da tanti riferito è questo : Aduni dcìnde in Senatu ab ^iHJiiio et Altejo an ob moderandat TìberU cmmdalionei vertercnlur (lumina per quos autjeicit. Audilaeque luimicipiorum et coloniaruin legaltones orantibtts florenl'mis ne Clnriisj solilo alveo demolus, in amnem Arntim transferrettir ; idque ipsis perniciem a/ferret seu precet coloninrmuj seti difficultas operum, sive superslitio valuti an in senienùam Pìsonìs concedereiur , quinil mutandtim considerai. Or questa paura, clic gli antichi Fireulini aveano della discesa in Arno di tutte l'acque di vai di Chiana potea essere esagerala , ma non era certo destituita di buon fondamento. Percioc- ché se all'epoca in cui si discuteva nel senato di Roma questa quistione idraulica correva in Tevere anche la Chiana Toscana, il partilo di deviarla dal Tevere mi- rava nientemeno che a voltare in Arno tutte le acque del vasto bacino di amen- due le Chiane. E questo bacino , misurato come si deve , non nella valle maestra soltanto, ma anche nelle sue convalli, supera i due quinti di lutto il bacino d'Arno superiore a Firenze senza la Chiana. Or chi vorrà porre in dubbio che il crescere di quasi la mela il bacino di un fiume (per quanto pur vogliasi supporre che il maggiore afflusso dalle nuove parti del bacino ingrandito non sia né egual- mente celere , né sempre contemporaneo ) non abbia a farne lo piene più grosse e pili alle? Quale è la cagione per cui i fiumi e i torrenti corrono maggiori e jiiii gonfi e piii rovinosi gli uni degli altri , se non che perchè l'uno ìi bacino più ampio dell'altro? La regola insegnala da Guglielniiiiì che l'unione delle acque più vale a scavare il fondo che ad alzar il pelo , non è in tutte le condizioni de- gli alvei né oltre certi limili vera; e quando è vera essa non si verifica che dopo quel più 0 meno lungo periodo che esige lo stabilimento dell' alveo secondo le jG8 Ma la speranza di poracr sollievo alla miseria • di vai di Chl:iiia area snesso vinto i suJdelti contrarli interessi e gli antichi timori, ed aveva fatlo subire molte ed importanti vicende a quel celebre edificio idraulico della Chiusa de' Monaci. Ond'esso fu demolilo, poscia rico- strutto: abbassato, poi nuovameiile rialzato; or tenuto continuo, ora interrotto da parziali bocilic e cateratte , cercando pure un piìi ani- nuove condizioni del corso. E questa regola poi non è più applicabile, né l'au- lere inlese applicarla ai casi in cni l'unione succede nelle vallale dei torrenti die corrono in ghiaia. 1 quali se possono talvolta per l'aumcnlata massa d'acqua sta- bilire il loro leilo a minore declività incassandosi di più , deggiono però travol- gere più abbasso le ghiaie od ivi alzare il fondo. Ad ogni modo Guglielniini de- duceva il non alzarsi , e spesso il deprimersi che farli il pelo del recipiente , dal maggiore incassamento cui se ne dee stabilire il fondo. Ma sorse poi Genneté che volea senza più , che anche ad alveo inalterato gli influenli non alzassero punto o insensibilmenie i recipienti ; e che le derivazioni non gli abbassassero , pur sempre indipendentemente dal nuovo stabiiimenlo del letto. Il Donati tacciò di contraria al senso connine questa teoria , e la provò falsa con più veritiere sperienze. Pure in Italia quando più ferveva la famosa quistione dell'immissione di Keno in Pò, uomini di gran valore si mostrarono inclinati ad abbracciarla; forse, come avvien troppo spesso , per contrapporre all' esagerazione di coloro che vedeano il Pò sa- lire a spaventosa altezza se vi si fosse introdotto il Reno , una esagerazione in senso contrario. Ma senza troppo discutere, l'assurdità della teoria di Genneté si fa evidente, solo che si consideri, che se un influente non facesse alzar punto o insensibilmente il pelo del recipiente , o se per converso il distrarre da un recipiente uno de' suoi influenti, non ne facesse ribassare il pelo, si dovrebbe conchiuderne che non succedeih ribassamento nemmeno se tolto via il primo influente, se ne tolga via un secondo, e così anche un terzo; e va discorrendo. In guisa che si finirebbe per toglier via ad un gran fiume tutti i suoi tributarli , e non lasciargli che le perenni poche acque delle sue origini, senzachè il fiume potesse mai ab- bassarsi, o pochissimo s'abbassasse di pelo. E da ultimo, se la teorica singolare che mise in campo Genneté fosse vera, non so per qual cagione i fiumi si mettes- sero mai in piena. Perciocché stante il principio che col crescere delle portate cresce nella stessa proporzione anche la velocita , come la inalterabiliiìi della se- zione domanderebbe, gli influenti per gonfii the fossero non dovrebbero alzare punto di più il recipiente, di quel che lo alzino coU'acqne loro ordinarie; e così noi vedremmo il Pò conservare sempre la stessa altezza d'acqua, anche quando scendono in esso le più strabocchevoli piene di Panaro , di Secchia , d' Adda , e di Ticino ec. i69 pio ma pur sempre moderato sfogo alle acrjuc. Fincliè nel i6/|5 il parlilo eli demolire sino dalla radice la Chiusa stava per essere addot- talo dal Granduca Ferdinando de' Medici , e sarebbe stato messo ad esecuzione, se un uomo di alto ingegno e sapere non fosse sorto ad opporvisi. Questi fu il celebre Torricelli, il quale intese a mostrare che la distruzione della Chiusa de' Monaci non avrebbe fatto altro che ac- crescere alquanto la chiamata dello sbocco del canale maestro; ma che il canale non avrebbe avuto perciò capacità bastante di far isco- lare tutta la valle fìnch'essa rimanevasi com'era senza pendenza. Che r asciugamento suo generale avrebbe domandato che non il solo letto della Chiana , ma sibbene tulio il piano della valle si fosse ribassato dalla parte di Arezzo sino al fondo della Chiusa de' Frati, e che si fosse tirata in su la escavazione sino a Chiusi. E poiché riconosceva questa opera gigantesca impossibile, si limitò a consigliare le bonifi- cazioni parziali di questo o quel punto della vallala , dichiaraDdo che un risanamento generale di essa sarebbe stato impossibile. Questa stessa era stata l'opinione del grande Galileo, il quale come riferisce il Torricelli medesimo " aveva lodato bensì il pensiero di disseccare » la Chiana, ma non lo riguardava come possibile; od almeno negli " ultimi anni della sua vita egli s'era mutato di opinione. E Bene- )i detto Castelli tanto slimato nel mondo in materia di acque (sono >> sempre parole del Torricelli) interrogato da me una volta per lei» " tera qual fosse il suo parere intorno al rasciugamento della Chiana, SI pensando forse che io vi inclinassi , mi diede del pazzo j'. Si rinunciò quindi per allora al divisamento di bonificare la valle essiccandola , e si ripresero e continuarono con piil» vigore i lavori delle colmate, the nella parte Toscana aveano fatto anche ne' tempi anteriori non pochi, ma molto mal ordinali progressi. Quanto alla parte Romana, un accordo fatto fra i due Governi intorno alla metà del secolo passato ne migliorò sifTattamente le con- dizioni ch'essa potè ben presto essere redenta. Imperciocché un ar- gine detto di conterminazione fu eretto al di là dal lago di Chiusi attraverso alla valle, che costringeva le piene de' torrenti e de' laghi centrali a volgersi tutte verso Arno. 2 3 Mercè questa separazione non ebbero più i Romani a temere che la loro Cliiana fosse invasa dall'acque dei delti laghi e da quelle dei torrenti che erano stali permanentemente rivolti verso i chiari di Chiusi e Montepulciano: che anzi furono sollevati da molte acque che sarebbero discese sul loro territorio anche nelle magre mag- giori; perchè l'argine suddetto fu eretto un buon tratto al di là dal punlo della naturai partizione che avrebbero avuto le acque, a norma del contrario prndio dL4Ia valle. Per la qual cosa sollevali essi da tante acque, vennero al partito di- distruggere ogni pescaja e ogni callone esistente sulla loro Chiana ; e queste opere bastarono ad essiccare quasi compiutamente la valle , che trovò pel fiume Argento in Faglia, e poi nel Tevere uno sfogo sufficiente per i torrenti minori che ancora vi discendono. Si deve però fare eccezione di alcune limitate porzioni di terreno più basso, nelle quali dura tuttavia anche nel territorio Romano la condizione palustre. A modificare anche questa porzione della valle si accinsero ; Papalini collo stesso sistema delle alluvioni usate in Toscana. Ma ossia che vi procedano con meno buona arte, ossia che 1 torrenti delle cui acque si valgono scendano poco ricchi di torbide, egli è un fatto e l'abbiamo noi ben veduto sul sito, che alcune porzioni di terreno che sono forse da ben trent'anni soggette alle colmale re- stano tuttavia paludose. Ma ciò non è invero cosa di grave impor- tanza in quel paese: perchè anche quella parte della valle romana, che è perfettamente sana ed asciutta, seguita a giacersi in uno stalo cosi miserabile che poco male è se alcune altre parti ne sono tutta- via paludose. lu nessun sito forse la vicinanza, anzi il contatto, di due traiti per natura identici dello stesso territorio ubertosissimo , rende più singolare l' aspelto loro tanto diverso. Il Toscano a' di nostri, come or ora dirò, pieno di fabbriche nuove, di frequenti ed agevo- lissime strade che lo intersecano per ogni verso: ricco di belle colture e già popolatissimo , benché di recente dall'acque stagnanti e dalla mal aria redento: il Romano invece incolto, selvatico .^ invio per le rade e disagiale strade: con pochi e mìseri abitatori, benché da più lontane epoche asciutto. Ed in nessun sito forse questo da un lato lieto e dall'altro compassionevole confronto, fa più palese l'influenza dei buoni o cattivi ordini amministrativi sulla pubblica prosperità. Ma nella Chiana Toscana quantunque non si cessasse dal far sem- pre nuovi parziali acquisti, onde già dopo la mela del secolo scorso la principalissima parte della valle era più o meno bene colmata , pure la condizione endemia e l'agricola n' eran sempre assai tristi. Imper- ciocché gli acquisti l'atti disordinatamente , e di [ireferenza ove i tor- renti più speditamente si volgevano a riempiere le paludi, nel mentre che miglioravano alcuni terreni più abbasso nel fondo della valle si- tuati, ne intristivano alcuni altri cui venivano interrotti gli scoli. Bo- nificavasi, e non si aveva piano alcuno per conservare la bonificazione ; facevansi emergere i terreni sull'antecedente livello dell'acque sta- gnanti, e non si provvedeva a che l'acque non ristagnassero a più alti livelli soperchiando anche gli acc^uisti nuovi. Per la qual cosa ai miglioramenti succedevano per intervalli di tempo e di sito nuovi peggioramenti; come suole [liù spesso accadere nei territorii paludosi, i quali non ammettono permanenza di stalo che nei due limiti estre- mi; cioè se non quando siano già ridotti e mantenuti asciutti perfet- tamente, o quando per lo conlrario l'impaludamento siasi steso sino a que' più vasti confini che la natura à posti alla bassezza del suolo rispettiva al livello delle acque circostanti. Quindi è che a quell'epoca stessa in cui le colmate facevano pu- re tanto progresso, ricominciavano le antiche quistioni e tornavano in campo gli antichi progetti. Lo Ximenes voleva ancora, se non distrug- gere affatto la chiusa de' monaci, ribassarla di molto. Il Perelli tornava a dimostrare come il Torricelli che questo rimedio era insufficiente all'intera redenzione di vai di Chiana; e che per venire a quest'otti- mo fine il principal mezzo dovea ancora essere quello delle colmate. Ma come queste colmate dovessero procurarsi, come moderarle, e come condurle alia totale rigenerazione e conservazione della valle , non fu nemmeno allora insegnalo; e gli acquisti seguitarono a proce- dere senz'ordine e senza norma generale, sino verso il finire del se- colo XVIII. Era riservato al conte Fossombroni il ridurre a buon sistema l'asciugamento di vai di Chiana, e sostituire a quelle operazioni di colmate lente e parziali , un piano generale che non limitandosi più allo scopo di rialzare questo o quel tratto di terreno e ad essiccar- ne alcun altro, mirasse allo scopo più vasto di convertire tutta la valle 172 in un' asciuUa , e fioreiife pianura; sana e quindi presto popoljtissi- ma; e di costituirla così, die il couquislo non ne fosse effimero, ma si potesse, soccorrendo alia natura con misurata spesa, perpetuamente conservarla. Richiamando egli in vigore la prima sentenza del Torricelli e le opposizioni fatte dal Perelli alle proposte dello Ximenes, fn condotto ad una di quelle idee la cui giustezza, congiunta a tanta semplicità che le rende a lutti dopo die sono palesate evidenti, costituisce la vera caratteristica del genio trovatore. Torricelli come dicevamo avea sentenziato impossibile redimere l'intera pianura, perchè giudicava che a questo fine fosse necessario dare alla vallata una continua pen- denza verso Arno: e inuiiaginava die per ottenere questa pendenza altro mezzo non vi fosse che lo sbassare tutto il suolo della pianura stessa gradatamenle e sempre di più da Chiusi all'Arno. La quale opera diventava appunto per la sua smisurata grandezza impossibile. Ma Fossombroni considerò che a mettere la valle sopra un determi- nato pendio tanto valeva rialzarla gradatamente meno da Chiusi scen- dendo all'Arno, come ribassarla gradatamente meno dall'Arno mon- tando verso Chiusi; e vide tosto, ch« tale rialzamento, a cui potevano volgersi le torbide dei torrenti, se era impresa vasta e di lunga durata , non era però per sua natura, ne per eccedenza di mezzi richiesti, impos- sibile. Su questa luminosa idea cardinale adunque egli fondò il suo plano, secondo il quale dovea colmarsi la valle incominciando a Chiusi e scendendo verso Arezzo; in guisa die rialzate tutte le parti basse della valle slessa le si procurasse una regolala pendenza longitudinale verso Arno, che secondo il princi[)io di Toricelli era necessaria a far si che la bonificazione si compiesse , e compiuta si conservasse. INè Fossombroni intendeva che questo generale declivio cui si voleva ri- durre la valle, alzandone tanto più le colmale quanto più era discosta dall'Arno, avesse a procurare da per se solo la necessaria pendenza alla Chiana e fare ch'essa stabilisse il suo fondo parallello alla super- fìcie dei terreni bonificati, ed avesse cosi un costante incassamento sot- to di quelli, che troppo grande in tanta lunghezza di vai di Chiana, e quindi di troppo lento successo sarebbe slato questo partito. Ma egli divisava venirvi in ajuto colle misurate e successive depressioni della Chiusa de' monaci ; depressioni che come dentro un certo limite 173 sono ulllissime ad accrescere la pendenza del fondo di Chiana , oltre a quel limile riuscirebbero inutili non solo, ma veramente (uneste. La successione di questi ribassamenti ed il limite a cui arrestarli , in- tendeva il conte Fossombroni che determinar si dovessero per esperien- za ; la qual cosa riusciva tanto più ovvia e sicura, quantocliè essendo Chiana in alcune stagioni poverissima d'acqua, era possibile col mezzo di uno scaricatore laterale, che già come diremo or ora si praticò, variar come meglio piacesse la cresta della grande chiusa. Perciò s'egli sostetme che questa chiusa soggetto di tante qui- slioni dovesse essere conservata, non fu già per quel fine ch'essa aveva avuto in origine di favorire !a pesca e l'operosità dei mulini, ne per aderire all'esagerato, se non aflìitlo panico timore, che volea posto un troppo gran freno alla discesa di tante acque in vai d'Arno ; ma sib- beiie perchè primo ed essenziale scopo delle opere di bonificazione era quello di soffermare più facilmente le acque torbidissime che dai torrenti scendono nel canale maestro, ed ottenere che depositassero queste lor torbide a maggiori o minori altezze, secondo appunto che più o meno alto riusciva ne'variisiti il livello, sino al quale intendevasi di rialzare il suolo della valle per metterlo sul continuo piano declive, che si stabilirebbe da mezzodì a tramontana. Ed è evidente che lo sbas- sare la chiusa sarebbe stato a questo scopo non solamente inutile ma intempestivo e contrario. Ma ottenuto il rialzamento della valle coor- dinato ad una regolata pendenza, e redenlone tutto il piano colle torbide de' torrenti , sorgeva la opportunità ed il bisogno di ribassare di tanto la eresia della chiusa quanto, come dicevamo, la esperiimza avesse dimostralo necessario, per sopperire all'insufficiente declive delie colmate, e dare al canale maestro la facoltà di travolgere le torbide dei torrenti che non conveniva ormai più impiegare ad acqui- sti nuovi ed al perfezionamento de' più antichi. Al quale ribassamento progressivo della chiusa dovea tener dietro quello del fondo dell'alveo da eseguirsi artificialmente , ove la sua natura non permettesse che le acque se lo scavassero da per se stesse. Dappoiché egli è evidente che se alla depressione della cresta della chiusa, non tenesse dietro una corrispondente regolazione del fondo del canale che è a monte, l' ef- fetto ottenutone si limiterebbe ad una forte chiamata dello sbocco, la quale non si farebbe sentire che ad una limilata distanza, e poco 174 o nulla influirebbe ad accelarare il corso della Chiana dove essa riceve i maggiori influenti. D'onde si trae o l'inutilità delia totale distruzio- ne della chiusa, quando dietro di essa non si distruggano insieme tutti gl'i ostacoli che si oppongono al ribassamento dell' alveo, sino ad averne un ben ordinato declive lungo tutta la valle, cioè sino verso- ai Calone di Vallano j o la rovina grande ed il generale sovverti- mento che avrebbesi recato a tutto il piano della valle medesima e principalmente alle sue parli più vicine alla chiusa, se si avesse inteso di sgomberare tutti i detti ostacoli profondando di corrispondenza tutto il canale. Il sistema tracciato secondo questi principii dal conte Fossom- broni fu addottalo dal Granduca Leopoldo I d'Austria e fu messo ad esecuzione negli ultimi anni del secolo XVIII. Le vicende de' tempi , e i sovvertimenli politici che si succedettero, furon cagione che le ope- razioni procedessero or con maggiore or con minore attività, e fossero più volte interrotte, poi nuovamente riprese; ma furon pure sempre condotte verso lo scopo fissato. Tanto valse la evidente giustezza del primo concetto , e la saviezza e sicurezza delle disposizioni date per la sua esecuzione. E bisogna anche dire che se quei sovvertimenti po- litici ritardarono da un lato le materiali operazioni , procurarono però loro dall'altro una grande facilità e semplicità sotto i rapporti ammi- nistrativi; perciocché la più grande e la miglior parte dei terreni della valle appartenendo all'Ordine di s. Stefano, il quale dopo avere ne- gli antichi tempi procurato di molli parziali acquisti , scaduto dal suo antico splendore, lasciava ora andare in rovina l'opera de' suoi ante- cessori , e lutti i possessi dell' Ordine essendo stati incamerati , riusci- va affatto semplice il procedere dell'amministrazione Gran-Ducale, che potea disporre come meglio le pareva di questi terreni e variarne come meglio le piaceva la condizione. I pochi possedimenti appartenenti ai privati furono assoggettati ad un apposito regolamento, eh' è un vero modello di saviezza per ■ conseguire il ben generale dello Stato senza ledere il sacro diritto di proprietà. Dopo la listorazione di Toscana avvenuta nel 1814, il Gran-Duca Ferdinando 111 riprese l'opera con gran fervore, e sono veramente maravigliosi i progressi fatti dalla coltivazione, dalla popolazione, e dall' induslria e gì' edificii rurali eretti in gran numero, e le strade bellissime e frequentissime istituite in vai di Chiana in questi ultimi tempi. Gli stagni colmati e le essiccate paludi l'hanno prima resa abi- tabile in ogni sito, poi gli accresciuti fuochi, il disboscamento di molta parte delle pendici, e de' bassi ed altra volta umidi piani, han- no operato il risanamento dell'aria; né questi miglioramenti si sono arrestati alla parte piana delia vallata principale; che anzi tutti i colli e le convalli si veggono insieme migliorare, e crescere di abitatori e di ricchezza agricola, sia per la cessata triste influenza della mal aria che si fa sentire pur sempre in regioni più o meno elevate, sia perchè non avvien mai che la prosperità di una provincia non si diffonda alle Provincie vicine. Ma quantunque la prosperità di vai di Chiana sia condotta a tal punto, non si può certamente ancora riguardar la sua redenzione, e le operazioni idrauliche come terminate. Ed infatti le bonificazioni continuano tuttavia in alcuni punti, e principalmente sulla sinistra del canale maestro colle acque del torrente Esse e con quelle della Foenna. Coir acque del primo di questi torrenti ho veduti in colmata due re- cinti, il primo de' quali avrà all' incirca looo metri di lunghezza so- pra 5oo di larghezza; ed il secondo sopra la stessa lunghezza avrà la larghezza di metri 3oo. E poiché ebbi appunto occasione di vedere come si operasse la colmata di questi recinti, ne descriverò qui breve- mente il sistema. Questi recinti sono bacini in cui scaricaiisi tutte le acque grosse scendenti da uno o dell'altro de' torrenti; i quali avendo piene effi- mere e di poca durata abbisognano di recipienti più o meno este&i , ed in maggiore o minor numero l'un dietro l'altro, secondo che la portata della piena loro è maggiore o minore. Questi bacini son lutti circondati da argini, e questi argini stessi sono più o meno elevati anch'essi secondo la maggiore o minore quantità di acqua che travol- ge nella sua piena il torrente , e secondo la maggiore o minore ele- vazione a cui conviene portare il suolo in quel sito. Ma il torrente che si adopera alla colmata è innanzi tutto stato argmato nella parte di pianura già alluvionata ch'egli traversa, e cosi diiuso fra gli argini è condotto a sfogare nel primo bacino e spaglia sopra di esso invadendolo in tutta 1' estensione. Quando le acque sono 176 arrivate ad un certo livello oltre il quale metterebbero in pericolo le arginature, trovano un ampio scaricatore a fior d'acqua che le fa ro- vesciare nel secondo bacino. Se la piena del torrente è tanto grande e tanto insistente che riempia anche il secondo bacino , e si rialzi in esso come nel primo a quell' altez.za oltre alla quale si dovrebbe te- mere che gli argini non facessero più resistenza bastante , le acque trovano un altro scaricatore che le manda in un terzo bacino; e cosi in un quarto se la portata del torrente il domandi. Le acque chiuse neir ultimo bacino trovano anch' esse uno scaricatore posto al maggior livello a cui possono contenersi, che le manda nella Chiana; in guisa che passata la piena non resta dentro i recinti che quella quantità d'acqua che sta al dissotto della cresta degli sfioratori. Le acque cosi stagnanti si lasciano riposare più o meno finché abbiano depositate le loro torbide; dopodiché una chiavica, praticata nell'argine che separa questi vasti serbatoi dalla Chiana, dà sfogo alle acque chiare; ed altre chiaviche, poste fra uno ed un altro bacino, per- mettono che si vuotino tutti. Queste chiaviche sono di assai semplice struttura, ma ingegnose; poiché le paratoje, costituite di grossi ma- dieri che sovrappongonsi l'uno all'altro, permettono che la soglia s'alzi a misura che colla colmata s'alza il fondo de' bacini, onde non sor- tano appunto che l'acque chiare. Quando il primo bacino è colmato, si procura al torrente diretta- mente una sfociatura nel secondo; e cosi via via. Quando son colmali tutti , ed il suolo traversato dal torrente sia tutto atto a coltivazione si manderà direttamente il torrente stesso ad altri avvallamenti che si vogliono rialzare , o finalmente nel condotto maestro della Chiana. Quei torrenti però ch'erano piià a portata di rivolgere il loro sbocco nei laghi di Chiusi e di Monte Pulciano, vi sono stati condotti, e sono stati prima opporlunemente impiegati alla bonificazione delle gronde paludose di quei laghi. Oltre alle bonificazioni fatte coli' Esse e colla Foenna , di cui ho detto sopra, ho veduto in colmata alcuni altri terreni meno eslesi, mercè dei rii e fossi minori che scendono da vari punti della vallata così sulla destra come sulla sinistra, e sempre dal grande al piccolo seguendo lo stesso processo che ora ho accennato. 177 Nò si omette alcun altro lavoro che conduca con qualsiasi siste- ma alla bonificazione di questo o quel limitato spazio della valle. Onde siccome alcuni terreni, quantunque elevali abbastanza, impalu- davano tuttavia perchè trovandosi circondati da altri terreni sregola- tamente alluvionati negli antichi tempi e piìi alti di loro, mancavano di scolo, si procedette alla bonificazione per essiccamento parziale, cioè procurando loro uno scolatore verso il comun recipiente, e difendendoli cogli argini dalle acque da cui avrebbero potuto essere^ nelle piene innondati. E perchè il condotto maestro di Chiana era slato dall'una e dall'altra parie arginato fino dalla metà del secolo passalo per salvare que' terroni adiacenti che eran già sin d'allora più o meno alluviona- li , restavano fra questi argini ritirati e la viva sponda del canale maestro delle golene di varie larghezze donale già ad uso di pascolo dal Gran-Duca Leopoldo ai Comuni; i quali avendole contrarginate perpetuavano lo slato basso e quasi paludoso in cui giacevano. 11 Go- verno ora le ricomperò, e tolto ogni ostacolo che impediva che la Chiana vi si espandesse, e facilitalo anzi il ristagno sopra di loro dell'acque torbide, adoperò che andassero anch'esse poco a poco rialzandosi ; lentamente però, finché i torrenti più torbidi sono rivolti ;id altre bonificazioni. E evidente die mentre un torrente è impiegato a qnalche colma- ta il suo sbocco va necessariamente elevandosi e quindi gli ultimi tron- chi di esso si rialzano pure, e si rialza quindi il pelo delle piene, fin- ché Irovi competente caduta nel recipiente della colmata. Quindi è che oltre ai lavori indicali è sialo necessario arginare tutti questi ultimi tronchi, sia per salvare i terreni laterali già bonificali e messi a coltu- ra, sia per tener raccolte le piene e le torbide e condurle nei rispet- tivi bacini. Onde cresce anche perciò l' interesse grande che si ha di liL'ii governare , e veder prestamente condotta a termine una colmala , affinchè quanto prima si possa facciansi scendere i torrenti ad uno sbocco pilli depresso, o ne' laghi o nel condotto maestro. E già per affrettare questo momento si è incomincialo a depri- mere la chiusa. Essa è stala sbassata due braccia. Ed oltre a ciò nel suo fianco destro le si è accollato uno scaricatore a soglia molto pro- fonda. Questo scaricatore però troppo angusto a petto dell'ampiezza 23 17S totale della chiusa, ci sembra clie poco abbia a giovare per dcpri nere il pelo delle piene nelle parti alquanto lontane della valle. E ci sem- bra che sarebbe stalo preferibile ridurre tutta la sommila della chiusa in guisa che si potesse, come dicevamo, sbassarla e rialzarla a volonlà in tutta r estensione , secondo gli stati d' acqua. Ciò avrebbe giovato nieo-lio a rendere jiiù efficace lo scarico, che poco s'aumenterà per la chiamata fatta da anguste chiaviche, per profonde che siano, non es- sendo a monte di esse bene coordinalo il fondo alla depressione delle loro soglie. Ad ogni modo vuoisi anche tener conto dell' utilità che ^ come fu già avvisato, avrà lo scaricatore a facilitare gli altri lavori che si facessero nella chiusa; ma anche a questo fine ci sembrò al- quanto angusto. 11 complesso di tulle queste operazioni eseguite in vai di Chiana ha offerto agli ingegneri Toscani un vasto campo di osservazioni e di sperienze ntilissime a perfezionare la teorica e la pratica delle bonifi- cazioni per alluvione. Da bel principio erano essi costretti ad andar tentone sia nel determinare l'estensione dei bacini di colmala o il nu- mero loro, che nell' assegnar agli argini le altezze convenienti, e nel regolare ojiportunemenle l'ampiezza degli sfioratori e delle chiaviche. Ma col continuo operare questi dati si conobbero assai bene rispetto a ciaschedun torrente: si sono misurate le portate medie delle piene di ognuna, e conosciuta la durata ordinaria di queste piene vi si è proporzionata la capacità dei bacini. Si conosce del pari quali torrenti sieno più, quali meno torbidi, e la proporzione media della quantità delle torbide coli' acqua che le travolge; onde si può argomentare in quante piene di un torrente si potrà compiere una colmala di data estensione ed elevatezza. All'Esse di Fojano per esempio che si è os- servato soggetto a piene che quando son grandi durano tre dì , si sono assegnali ricinli la cui ampiezza è di circa 1^0 campi lasciandovi un regolatore o sfioratore di 5o metri circa d'ampiezza. Alla Foeniia le cui grosse piene hanno all'incirca la stessa durata, ma che è torrente di maggiore portata, si è assegnato un bacino di 180 campi ed uno scaricatore di metri 70. Grande è poi la diversità fra la copia delle torbide di cui scendono cariche l'acque de' varii torrenti. Le notizie che ho raccolto sul silo mostrano invero che i pratici non son in questo proposito mollo d'accordo: ma ad ogni modo par eh' essi am- >7fl rtieltano die mentre queste torbide non arrivano al due per cento del- l'acqua in alcuni torrenti, in altri raggiungano persino la proporzione del sei all'otto per cento, che sarebbero torbidezze eccessive. Oltre la maggiore o minor copia di torbide si é anche osservato le più o nien facili a depositare; condizione da cui vuoisi lar dipendere il te- ner plij o meno chiuse e stagnanti le acque de' bacini. Senonchè la limitazione di questo periodo dipende da molte altre circostanze ac- cessorie di cui si vuole farsi carico. Se per esempio dopo riempiuti i bacini un forte ed insistente vento li agili, conviene indursi a scari- cameli, perchè l'azione dell'ondate minaccia corrodendoli la sussi- slenza degli argini. Allre volte si scoprono negli argini stessi delle fil- Inizioiii che consigliano per lo meno a sollevarli di una parte della pressione dell'acque. Ha Hnalmenle inlluenza al più o meno pronto scarico de' bacini la stagione che corre, e la maggiore o minor proba- bilità che sopravvengano nuove acque grosse, alle quali degglono lasciarsi sgombri i recipienti. Si può ammettere che ne' comuni casi l'acque si lascino stagnare in colmata da due a tre di; e non è già a credere che dopo questo tempo esse n'escano perfettamente chiarificate; ma non conservano sospese che le torbide più leggiere , le quali essendo m pochissima quantità poco gioverebbero, e richiederebbero troppo lungo tempo di [lerfetta stagnazione jier precipitare. La bonificazione di vai di Chiana è come abbiamo detto già av- vanzatissima ; e sembra che la si guardi come vicina al suo termine* Sembra cioè che compiute le parziali colmate che si stanno facemlo coll'Esse, e colla Foenna si voglia affrettarsi a ricondurre liberamente in Chiana questi torrenti insieme con altri che non trovano un più opportuno scarico nei laghi. Or potrebbe dubitarsi se questo desistere dalle colmale non sia alquanto troppo precoce, tanto per rispetto al princi()io di por la valle sopra un conveniente declive, come ancora per assicurare nella presentanea loro condiziono idraulica, un felice e sicuro scolo a tulli i terreni. Fra quelli che sono usciti più recente- mente dalle colmate a noi è sembrato di scorgerne alcuni troppo de- pressi, cui il livello rispettivo dei terreni circolanti potrà essere osta- colo ad una com[)iuta bonificazione. Bene sappiamo che il principio di condurre la colmata della vallala cosi che n'acquisti da un capo all'al- tro una decisa pendenza regolare, vuoisi nell.i pratica applicazione i8o stringere a limili coiivcnienli ; onde appunto avvertivamo or ora che la granile lunghezza della valle non cons€nle che la pendenza acquistala di tal modo possa essere sufficiente a far che Chiana smaltisca libera- mente le torbide introdottevi da' confluenti. IVTa non resta che il prin- cipio non s'abbia a rispellare, e non s'abbia a procurarsi con esso tolto quel vantaggio che, dentro certi limili di spesa e di tempo, è dato conseguirne. E più ancora è evidente l' inconvenienza che vi sarebbe, per voler troppo afTrcttare il momento fli mettere ogni terreno con- temporaneamente a coltura, di lasciare alcune colmale imperfette, non solamente rispetto a quel generale pendio cui si mira, ma rispetto eziandio ai soli terreni circostanti. Altronde quantunque sia pur vero che al pendio generale si sopperirà in parte , come dicevamo , con con- venienti ribassamenti della Chiusa de' Monaci e del Condotto maestro, tuttavolta siccome heppur con questo ribassamento si darà mai alla Chiana la pendenza necessaria a sostenere le ghiaie, sebben minute, che gettano in essa i torrenti, cosi è evidente il bisogno di valersi convenientemente dell'altro, quantunque piih lento e piili dispendioso soccorso , delle colmale ridotte ad un regolato pendio. Quanto più lungo tempo fossero trattenuti i torrenti nell' uffi- cio delle colmate, e quanto più elevale si facessero queste da Arezzo gradatamente ascendendo verso Chiusi, tanto meglio s'assicurerebbe l'esito delia bonificazione, si faciliterebbero gli scoli, e si procure- rebbe un maggiore incassamento ed un maggiore pendio al canale maestro. Ma per converso , tanto più .lungo tempo converrebbe sot- trarre alla coltivazione or questa or quella parte della pianura che si continuerebbe a tenere in colmata: e tanto maggiori spese dovrebbonsi iare.^ sia per rivolgere gli sbocchi dei torrenti verso questo o quel punto, sia per rinforzare e far più alti gli argini loro e quei dei ri- cinli, sia per proteggere dalle irruzioni quelle parti di pianura già bonificata e fruttifera traverso alla quale è uopo condurli, sia infine per conservare a questa pianura i suoi scoli. E del pari quanto è più grande il ribassamento che si farà subire alla Chiusa dei Monaci , fa- cendo che a questo ribassamento tenga dietro la depressione del fondo di Chiana per metterlo sotto una conliima cadente, o sotto più ca- denti bene coordinate colla svariata portata sino al Callone di Valia- no, e tanto più sarà aumentata la pendenza di Chiana; tanto maggiore i8i diverrà la sua capacità a travolgere le ghiaie; e tanto più sicuramente e con minori spese continue si riuscirà a mantenere la valle in quella prospera condizione cui sarà stata condotta. Ma anche qui per oppo- sito, tanto più gravi saranno le difficoltà e le S[)ese per ridurre l'al- veo in quel sistema di regolata pendenza di fondo, senza la quale co- me dicevasi i ribassainenli della Chiusa non procurerebbero che una breve e poco efficace chiamata dello sbocco ; ed a tanto più ingenti a fu- nesti sovverlimeiUi si esporrebbero i manufatti lutti lungo la Chiana , e le sponde, e i terreni laterali per non breve estesa; e tanto più pericolosa al sistema dell'Arno potrebbe riuscire la troppo aflfrettala discesa dell'acque di Chiana. Calcolare questi vantaggi e questi danni e pericoli, e bilanciare gli uni cogli altri cosi, che ne conseguisse il risultamento più felice, tanto nel rispetto fisico come nell'economico, era la norma che dettava il conte Fossombroni, e che dovea servir di guida a chi sovranlendeva all'esecuzione del suo piano. Ma comunque si proceda, e qual pur siasi il punto cui s'arre- steranno le opere artificiali, abbiam detto che non sarà mai possibile ridurre la valle in tale stato eh' essa vi si mantenga senz'altro soccorso che quello della sola natura. Se avvenga, come sembra potersi argo- mentare da quel che si è fatto in questi ultimi anni, die si desista in breve dalle colmate e si conducano tutti i torrenti agli sfoghi lo- ro meglio accomodati, o ne' laghi, od in Chiana, è a credere che si ribasserà prima d'alquanto la Chiusa de' IMonaci , e forse le se ne modificherà la struttura, facendone come ci parrebbe opportuiiissi- nio la cresta mobile, per una determinata altezza. Ma la pendenza the n'avrà la Chiana sarà ancora lungi dall'essere pendenza sufficiente a travolgere ghiaie, e sieno pure minute, per tutto il corso lungo il quale la ne riceve il tributo. Si può ragionevolmente dubitare da ta- luno se conTenisse s'i tosto cessar dal colmare; altri può credere in vece che colmar di più non convenga. Ma gli è in ogni ipotesi certo che allo stadio più o nien lungo della bonificazione terrà dietro lo stadio perpetuo della conservazione artificiale del territorio bonificato ; e che vai di Chiana come quasi tutte le provincie conquistate sul do- minio dell'acque esigerà, ove la si voglia mantenere in quel fiorente stato di cui è suscettibile, lavori e spese continue, o per le curazioni generali del Canal maestro, o per isgombrarne i dossi o i pinggioni parziali che si formeranno till'ingresso de'suoi Iributarii; o per argi- nare l'uno, e gli allri e fare che nella piena la pendenza del pelo possa farsi maggiore (*) ; o per erigere serre e traverse opportunenienle (*) Né il solo alzare la vallo gradatamente di più , rimontando da Arezzo verso Chiusi ; né il solo sbassare la chiusa dei Monaci , sono rimedi! che bastino a dare alla Chiana la pendenza necessaria a mantenersi incassata dopo che vi saranno in- trodotti tutti i torrenti che operarono le colmate. E fu perciò che il conte Fossom- broni voile clie s' associassero amendue queste operazioni , nel mentre stesso che fondava il suo sistema sulla prima, cioè sulle graduali colmate di Val di Chiana, con quel luminoso concetto che come dicevamo fu la vera cagione della compiuta prosperiti» a cui perverrà codesta provincia , perché ridusse a regola e princi- pii certi le bonificazioni parziali , che prima si laceano disordinatamente. Ma da quel savio ed illuminalo idraulico ch'egli è, il conte Fossombroni consigliò clie nel ribassare la chiusa de' Monaci s'andasse operando mano a mano, ed a misura che si restituivano alla Chiana i suoi ti'ibutarii. Nel 1826 egli fece ribassare la chiusa di due braccia. Poi in una Memoria recentissima del 1837 consigliò di sbassarla d'altri due. E gli effetti del nuovo stabilimento a cui si disporrà la Chiana, dopo che i tributarli suddetti le saranno tutti restituiti , consiglieranno forse a maggiori ribassamenti , che a noi pare sieuo assai bene alle condizioni locali accomodati. Perchè quantunque siamo lungi dal disconoscere i gravi pericoli del rimuovere to- talinenlo e tutto ad un tratto la chiusa, teniamo per fermo che deprimendola poco a poco, e ad intervalli che lasciino luogo alla conseguente nuova disposizione del fondo del Canale maestro operala tra per natura e tra per arte , la chiusa potrebbe senza inconvenienti, o con pochi e di facile rimedio, ribassarsi mollo di più che non si è fatto o proposto sinora. Ma la poca pendenza che à la valle , anche al punto a cui sono condotte , e voglionsi liniiiaie le colmale, per non tener le campagne troppo lungamente sog- gette alle alluvioni e per proQiiare più conipiutamente e più presto di quella prin- cipalissima parte di esse che già può riguardarsi come redenta , quesia poca pendenza diciamo, ci assicura che nemmeno il sussidio del sudJcito convenienie maggiore ribassanienlo della chiusa dei Monaci , basterebbe a regolare la Chiana in guisa che il suo corso potesse, dopo accolti tutti i torrenti, riguardarsi come stabilito e permanente. Ond' è che il conte Fossombroni lungi dall'avere pensato che s'avesse ad ottenere un lisuliamenio così pieno e propizio da poierlosi abban- donare a natura, à anzi dlchiaiaio espressamenie che, redenta la valle, non con- vlen credere che la si possa nianiener tale, senza continui lavori e spese. Egli è per altro evidenie che il bisogno di questi dispendii si faià più pronto e più grave quanto minore sarà la pendenza che si sarà procurata al hume maestro. E da ciò appunto procede , come qui sopra dicevamo , il contrasto fra il partito i83 collocale ;i punii più elevali delle convalli e ile' bniroiii , meclianle le di ritardare il compimento dello colmate per alzare il terreno verso il Gallone di Valiano ognor più , e quello di affrettare il momento in cui ricondotti i fiumi al corso loro naturale in Chiana sopra lince di buona confluenza, si mettano leboni- ticazioni tutte definitivamente a coltura. Ed è del pari evidente che a qualunque momento si desista dal continuare le colmate il sistema di conservazione successiva sarh tanto più facile e meno dispen- dioso , quanto esso gioverh meglio ad assicurare il libero trasporto in Arno delle materie scendenti dai torrenti. Or noi pensiamo che l' arginamento delia Chiana e quello dei suoi influenti, fatto in ritiro, onde resti libero alle piene un vasto letto, sia l'unico bene accomodato mezzo ad ottenere il desiderato scopo. Regolare un fiume torbidissimo, od un torrente, contenendolo fra argini posti a conveniente distanza è in sostanza la stessa cosa che restringere alla zona di terreno che è determinata dalla distanza degli argini quell' alluvionamento e quelle colmate che il fiume avrebbe operato più ampiamente e più sregolatamente sopra un esteso territorio, se lo si fosse nelle sue piene lasciato vagare senza freno. Di questa guisa il fiume o il torrente anziché incassarsi nel vasto conoide eh' e' si sa- rebbe naturalmente generato co' depositi suoi lungo la linea che percorre, resta incassato fra gli argini e le golene ; i primi alzati artificialmente , le seconde natu- ralmente a misura ch'egli alza il suo letto e le piene; fino a che l'altezza dell'uno e dell'altre venga a tal punto che basti a procurargli la velocità necessaria a spin- gere a valle tutte le torbide che gli vengono da monte; che allora solo il corso è stabilito. Egli è conforme a questi principii che ci sembra dovesse essere arginala la Chiana. Gli argini si farebbero prima di poca altezza ma di larga base, onde pos- sano essere in progresso di tempo rialzali come conipeterii alle varie pendenze a cui si metterà il fiume recipiente ne' varii tronchi in cui va ricevendo nuovi influenti. Gli ultimi tronchi di questi influenti saranno pure muniti d' argini in ritiro, che si coordinino in altezza a quelli della Chiana, e vadano colla divergenza loro deter- minando un alveo piii largo verso la confluenza. Se gli argini si terranno a note- vole distanza s'avrà un'ampia zona sulla quale la Chiana opererà naiuralmenie , alzandosi il letto e le golene, quell' efi'etto stesso che sarebbe troppo lento e troppo svantaggioso procurare su tutta 1" ampiezza della vallo lasciandola invadere dalle al- luvioni, e rialzandola tutta artificialmente. E in questa guisa saia adempiuto il principio su cui fondò il suo sistema di colmale il conte Fossonibronij e saranno salvi insieme gli interessi di un territorio che è già suscettibile di tanta floridezza, Bene è vero clie questo sistema impedirebbe col progresso del tempo lo scolo ilirelto in Chiana delle parti basse della valle, cioè lo scolo delle giìi compiute i84 e si raccolgano ne' bacini che vengono a costituirsi dietro alle serre me- desime. Il quale ultimo provvedimento che sarebbe stato intempestivo finché, volendo fare acquisti, era anzi interesse che i torrenti scen- vaste bonificazioni; perchè il fiume arginato s'alzerebbe di fondo e di pelo. Ma questo scolo si procurér!i mediarne due canali laterali die riceveranno da' fossi se- condarli tutte le aeque chiare della pianura, e sottopassando gl'influenti di Chiana aneleranno ad isboccare a quel punto inferiore di questo fiume , dove possano es- servi accolti. Conosciamo tutto quello che si è dello, e che si va ripetendo contro il sistema dell'arginamento dei fiumi. Ma qui ci limiteremo a dire come diceva il Perelli che le sono buone rnyìoni per chi à i suoi lìoderì in montagna. La condizione di UUta la pianura di queste nostre province è conseguente a questo sistema; ne altriraenii potrebbe conservarsi loro la grande ricchezza e prosperila agricola di cui sono pur dotate. Alle campagne che non possono più scolare ne' fiumi si procurano condoni separati di scolo che vanno al mare, o rientrano solo nel fiume a poca disianza dalla foce. Ai fiumi che sul declive insensibile della campagna non troverebbero pendenza necessaria per corrervi incassali , e che dovrebbero perciò invaderla ed alhivionarla disordinaiaraente , si è concessa una limitala zona sulla quale, tra per l'opcia dell'arte colla costruzione degli argini, tra per quella della natura collo alzamento del letto, e ben più ancora del pelo delle piene, si procaccia loro questo necessario declive. Affinchè quello stabilimento a cui i fiumi si mettono fia gli ar- gini , se lo avessero procurato invece incassandosi naturalmente nelle campagne ri- alzale dall'alluvioni, avrebbe convenuto che la coltivazione e la civiltà delle nostre Provincie pianigiane fossero stale rilardate di parecchii secoli. Ma poiché esse fu- rono da così remoli tempi popolate e fiorenti , dappoiché in somma la civiliù pre- corse la compiuta formazione del suolo , era pure necessità che l' arte lottasse contro a natura. Non conviene confondere il sistema co' suoi dilfelii; né conviene dimenticare di quale grande uiiliià, anzi di quale assoluta necessità sia ormai un sistema, che à invero i suoi inconvenienti , ma tali che lo scemarli non Qa né im- possibile né difficilissimo. I lerriloiii che sono in condizioni pari o simili ai nostri, e quello pure di Valdichiana che per molli rispetti idraulici vi si assomiglia, non potranno conservare la loro prosperità che col soccorso di un buon sistema di arginature , e di scoli artificiali. Ed in Valdichiana dove il piano ne sarebbe affi- dato ad una mente sola, che prevederebbe le modificazioni che dovrebbe poscia subire, e vi provvederebbe ammaestrata da tanti esempii d'altri paesi, in Valdi- chiana diciamo , questo sistema di arginature e di scoli artificiali potrebbe andar scevro da que' maggiori disordini che fra noi dipendono, più che dalla natura stessa del provvedimento , dalla mancanza di ogni regola e piano premeditalo con cui do- vetlero stabilirsi le nostre arginature, erette e cresciute a tratti, a caso, ad i85 dessero giuso caricalissimi di materie , a misura eh' essi si tolgati via dalle colmate parmi die .iovrebbe essere tosto ed efficacemente adoperato dai Toscani, che di questi lavori fu.ono i yeri e primi mae- stri C). Tutti questi lavori saranno di grande spesa gli è vero. Ma quando si pensi a quello che si fa in Olanda per sottrarre alle acque un territorio frigido coperto da un cielo triste e inclemente, non sarà epoche lontane , qui e colà , per soccorrere a bisogni che dapprima non erano che particolari , del momento , e locali. (•; Bene sappiamo che tra noi è invalsa in moltissimi l'opinione che questo modo dì regolare il fondo delle valli non sia che d'incerto ed onìmero elletlo. Ma coloro che così pensano, appoggiandosi principalmente sull'autorità di Guglielmini, mo- strano di non averne inteso bene o di applicare assai male la sua dottrina sa questo soggetto. Guglielmini (della natura dei Dumi cap. V) dimostra che dopo costruita una pescaja la pendenza dell'alveo si ristabilirà tanto a monte, come a valle, in quegli stessi rapporti che domandano la portata del (ìume e le ma- terie che esso travolge. Ma Guglielmini parla quivi degli alvei di que'lìumi che sono ridotti a sezione limitata, ed in ogni rispettivo stalo d'acqua, costante; e che stabiliscono per alluvione il loro letto ; e non già di quelli che colla condizione loro torrentizia si spandono in maggiore o minore ampiezza di sezione, ed accres- cono o diminuiscono la quantità delle materie trasportate in proporzione della fa- cilità che trovano nel corrodere le laterali sponde, e nel procurare lo frane e gli scoscendimenti; come avviene appunto nelle linee montuose dei torrenti principali, e nelle convalli, da cui ricevono i tributarli che li fanno grossi. Quando il siste- ma delle serre secondo i principii di Viviani sia bene applicato , e prima di ogni cosa esteso alle vallate secondarie dove le chiuse sono più economiche, e spesso ancora piti proficue che nella valle prrncip:de, l'utilità ne e sicura e permanen- te; e lo sarà tanto maggiormente quanto meglio sì sappia coordinarvi un buon metodo di piantagioni sulle pendici, delle quali si vogliono arrestare le frane , e sulle alluvioni guadagnate dietro alle chiuse medesime, come viene dal Viviani in- segnato. Per le quali cose la permanente utilità delle serre o chiuse , e delle tra- verse poco elevate e dispendiose, ma frequenti , si consegue anche senza quel con- tinuo alzamento loro, che da molti si crede indispensabile per renderle continua- mente efficaci. Perchè quantunque i torrenti colle prime mnterie scendenti da dis- sopra abbiano colmalo il bacino che la serra lascia dietro dì se; e quantunque allora non possa essere più trattenuto il progresso verso la pianura delle altre materie sopravvegnenii sospinte dall'acqua vei-so l'orlo della chiusa, luttavolia scemato da questi ostacoli l'impelo del corso, scemano in conseguenza ancora la 14 i8G chi voglia mellcre in dubbio, non dirò solo la possibilitìi , ma la con- venienza e la vera e grande ulililà di conservare con alcuni lavori d'arie, dopo clic si è condotta la natura a fare il i'ii!i , un ridente territorio uberlosissimo posto sotto al bealo cielo della Toscana. Quesli cenni bcncliè paclii € iniperfetli basteranno a far com- jirendere quanto grande opera, e dirò anzi niaravigliosa, sia la rigene- razione fisico-economica di vai di Chiana: niaravigliosa o la si guardi sotto all'aspetto geologico; o sotto l'aspetto idraulico: o sotto quello dell'economia politica. forza di corrosione, e la facoltà di portar oltre le maleile die da più alto scen- devano , di scavarne ancoia di più, e di mandarne nei tronchi inferiori. D'al- tronde un'altra cagione di rallcnlamenlo si trae dalle piantagioni di cui si posson coprire mercè le serre le estreme falde delle pendici da cui spesso à origine le frane per le corrosioni die vi reca il torrente. E siccome le frane di qualunque specie, non sono di lor natura perpetue, ma o pel declivio in cui si dispongono 0 per la nuda roccia che scoprono, vengono dopo una serie d'anni più o meno lunga a stahilirsi , così quando ancora si volesse considerare cessalo l'ufficio delle serre all'epoca in cui i bacini rimasti dietro di esse sono riempiuti, potrii avve- nire che nel tempo necessario a questo riempimento la frana s'arresti, ed allora la permanenza dell' utilit'a loro sarà conseguita anche indipendentemente da ogni altro riguardo. Finalmente rompendo colle serre o chiuse la conlintiità della ca- dente, si rallenta la discesa dclPacque nell'aheo principale, e procurando lo stesso effetto negli influenti si ottiene che il deflusso loro sia meno precipitoso e meno contemporaneo, e che quindi la piena si scarichi più moderatamente e con più lunga successione di tempo. 11 quale ultimo vantaggio si consegue più compiuta- mente nei torrenti secondarli ed effimeri , in quelli cioè che nelle siccità tornano alTatlo asciutti ; dappoiché in essi la piena non può scendere nei tronchi inferiori p nel recipiente, se prima non abhia riempiuti i bacini, che durante la siccità so- nosi o per inflltraziono o per evaporazione, in tutto od in parte vuotati; onde le differenti ampiezze di essi bacini relativamente alle varie portate , rendono sempre più lontana la contemporaneità dell' afflusso nel recipiente medesimo. E quesli ot- timi effetti delle serre sono meglio che altrove conosciuti in Toscana, ove furono sperimentati recentemente nella regolazione dell' Ombrone di l'isloja , e de' suoi principali influenti; regolazione proposta nel 1821 dall'Ingegnere Pietro Petrini , e pochi anni appresso con pieno successo, e con onor grande di lui, posta ad esecuzione. 18; Imperciocché sotto all'aspetto geologico essa ci presenta il singo- lare fenomeno d'una totale inversione di pendenza nel fondo di una vuUala , e nel primigenio corso di un fiume, incominciata per opera spontanea della natura dopo la soppressione di un ramo d'altro fiume die manteneva l'antico corso originario; compiuta poscia dall'opera degli uomini, che perfezionandola seppero rimediare ai mali che da quella prima inversione erano derivati. Sotto l'aspetto idraulico poi, nessuna provincia è più atta a mo- strare come secondando colTarte le disposizioni della natura; e valen- dosi dei mezzi ch'essa offre spontanei , si possano conseguire grandi risultamenti a salvezza non solo, ma a vera rigenerazione e creazione di vasti tcrritorii. E questo è l'aspetto sotto ai quale m'auguro che le colmate sieno studiate, e trovino favore nelle province nostre , nelle quali si veggono immense paludi in circostanze ben più favorevoli a questo sistema di bonificazione (come un'altra volta m' ingegnerò di jirovare ) che non sono quelle della Toscana, ove esso venne pure con tanto prospero successo applicato. E sotto l'aspetto dell'economia politica finalmente, ci si presenta una vallata spaziosa, e ben può dirsi una vasta provincia, prima in- culta e deserta d'abitatori, o da poca ed infelicissima gente popolata, in cui gli effluvii pestilenziali dell'infima palude diffondendosi sulle pendici de' colli vicini avcano condotto anche in quelli la desolazione e l'abbandono, ora coltivata, feracissima, e popolata da famiglie sane ed agiate , che crescono con una progressione rapidissima. Per le quali vicende, quella provincia il cui nome proprio divenne appellativo di palude e stagno marcioso (che cosi suona in Toscana il nome di Chiana) e di cui Fazio degli liberti diceva che gli abita- tori avevano volti lividi e sparuti per il nemico aere che respiravano : quella provincia che il Dante prendeva ad esempio per dare una giu- sta idea dell'ultima chiostra dlMalebolge; quella provincia che il Boc- caccio chiamava nojosa dimora di gente schifosa : quell.T provincia in- fine, che per secoli misera e deserta, fu argomento di compianto e di dolore, è ora diventata una delle più Ijelle province della bellissima Toscana; e per la ubertà maravigliosa del suolo, per la mitezza del clima, pec la posizione sotto ogni aspetto vantaggiosissima ai traffici n88 e ad ogni maniera fi' industria , promette di superare bentosto in ric- chezza territoriale tutte le altre della Toscana medesima. Monumento delle illuminale cure e della munificenea di Leopoldo d'Austria, eter- no e ben più glorioso, e più degno di un padre del suo popolo, clic gli obelisclù e le piramidi degli orgogliosi dominatori d' Egitto. SUI FENOMENI DEL LAGO DI C/JRKINITZ MEMORIA D I EMILIO CAMPI-LANZI. I lenonieni del Lago di Czirknitz furono sempre tenuti in conto di slraordinarj e maravlgliosi. Di essi parlarono Strabene eCluverio, che attribuirono al Lago la denominazione, il primo di Palude lugea , ed il secondo di Lago circonicense. Il Tasso li descrisse nella terza delle sue Sette giornate del mondo crealo^ chiamando il Lago Pa- lude lagia. Ai nostri tempi fece, fra gii altri, menzione di questi fenomeni il sig. Arago in un suo Opuscolo sui Pozzi artesiani (i) , citandoli per uno degli esempj piiì rimarchevoli di corsi e depositi sotterranei di acqua. Sono essi in vero meritevoli di attenzione , e per la vastità del terreno che abbracciano, e per lo spettacolo imponente che offrono alia vista nell' istante in cui si presentano. Le nozioni però che in oggi abbiamo sulla forma e giacitura delle stralifica/ioni componenti la crosta superficiale della terra , e sulla idrologia sotter- ranea, ne rendono facile la spiegazione, e distruggono quel mistero in che sembravano avvolti nelle età passate. Fra le varie descrizioni degli stessi fenomeni quella che ci diede non ha molto (a) persona che assicura di averli osservati due volte sul luogo, sembrami la più precisa, e per rispetto alla narrativa dei fatti principali, la piìi meri- tevole di confidenza. La esporrò quindi per intero ; e poscia cercherò di dare la spiegazione dei fenomeni, non essendovi fin' ora stato, al- meno per quanto è a mia cognizione, chi siasi presa questa cura. (1) Inserito nnW Annua'ire dedVe ou Boi per l'anno 1853. (2) Vedi l'Appendice della Gazzetta privilegiata di Venezia del 21 giugno 1834 Nutn. 138. DESCRIZIONE. Il viaggiatore clie si reca in Germania non ne parta senza fer- marsi alcun tempo nel Ducato di Carniola. Quivi respirerà gioconda- mente quella dolce aria che l'avvisa essere poco discosto il golfo di Venezia; troverà anticipatamente le frutta, i vini, e lutti gli squi- sili prodotti della terra italiana. I costumi e le favelle di ciascun di- stretto di quel Ducalo fermeranno la sua attenzione, non tanto per- chè affalto diversi sono da' costumi e dalle favelle delle altre province di Alemagna, quanto per le grandi differenze che l'uno dall'altro di- stinguono. La sua curiosità sarà principalmente aguzzata da' racconti che gli abitanti di Czirknitz non mancheranno di fargli intorno al Lago marai'iglioso , che si chiama dal nome di quel borghetto. Vedere nello slesso anno, e nel medesimo luogo succedere al barchetto del batteliere, ed alle reti del pescatore, il vomere dell'aratro, e la falce del mietitore è una di quelle trasformazioni che volentieri si mette- rebbe nel numero delle fiabe. Le vaghe ed imperfette notizie date dai geografi su questo particolare , e la testimonianza degli abitanti del paese non avrebbero, senza la fede de' miei proprj occhi, bastato a persuadermi della verità di tale fenomeno. Ora mi ingegnerò di des- criverlo quale il vidi io medesimo rinnovarsi due volte , e quale si rinnova ora di cinque in cinque, ora di tre in Ire anni: ma pii^i A\ sovente ogni anno nei primi giorni di marzo. Il Lago di Czirknitz giace a mezz'ora dal borgo. E lungo più che due leghe, e circa una largo. Rupi sterili ed immensamente alte l'inghirlandano tutto intorno quasiché volesse nascondere le maravi- gllose sue acque, e vietare la sua sponda all'umano piede. Ma quella infaticabile industria che fa biondeggiare la spica cosi ncll'agghiacciato clima della Siberia come nell' infuocalo del Vesuvio, ha sapulo fare suo prò del segreto di quel Lago. Non lungi dalla ripa sorgono due punte di rupe quasi a fior d'acqua le quali segnano le cavità per do- ve le acque disgombrano. Poiché n'è giunto il momento, un rumor sordo, eguale ad un lontano romoreggiare di tuono, sorte dal fondo di esse: e tosto quelle onde, fino allora chete ed immobili nel lor letto, gorgogliano, s'abbaruffano, vengono per una misteriosa nitra- zione assorbite da quelle grolle, e nello spazio di quaranlott' ore 1 9 1 intieramenle clispjtjono. Talvolta ancora d' improvviso si dileguano jicr diciotto frane qui, equa sparse nell'imo fondo del lago. Allora l'acqua si nggira in vortici al di sopra di quelle fenditure ; tutta la superficie (reme e si ricopre di_ schiuma : le cavità sopradette muggono, ed in meno di un'ora quel vasto canale rimane in secco. Ai primi indizj dello sgombramento delle acque gli uccelli acqua- liei, colti da subito terrore, spiegano le ali, si raccolgono a stormi, e mandando lamentevoli strida abbandonano una spiaggia che perde r elemento necessario alia loro sussistenza. E dove riparano essi? ove si celano quelle acque viaggianti? qùal magica forza le attrae, le ri- tiene fino all'istante in cui una forza contraria ed egualmente maravi- gliosa le costringe a ritornare. Quando il Lago non è piij che un terreno melmoso vi si gode il lieto e vario spettacolo che presenta la pesca in uno stagno. Gli agricoltori che vi sono presenti riguardano senza invidia la prodigiosa quantità di bellissimi pesci che riempiono le reti dei pescatori, giac- ché verrà anche per essi il momento di una raccolta abbondante fatta sopra una terra che non avranno avuto bisogno riè di comprare , né di pigliare a pigione. In capo a dieci settimane al piià, quell'immenso tratto di terra che prima era un Lago, si ricopre di spessa erba. Quando la falce passò per quella prateria, sorta come d'incanto; quando il sole di maggio ha convertito in fieno odoroso quell'erba smaltata di fiori , il bue a passo lento e misuralo segna col vomere il solco in quel luogo medesimo ove due mesi prima il pescatore ne segnava uno colla sua navicella. Cofi posto a seme, il suolo riceve il miglio, e l'orzo che in bre- ve restituisce alle mani che ve l'hanno gettato coll'interesse del trenta per uno. E vero che il coltivatore paga quella ricca messe con timori (•d angustie perpetue; giacché l'altera dominatrice di quel terreno ri- comparisce talvolta prima che le biade siano giunte a maturità. Ma il più delle volte ella consente che vengano a perfezione , e cadano a fil di ronca. Allora si faimo i covoni con sorprendente rapidità, né si interrompe il lavoro per notte. La raccolta è portata via in trionfo ed a precipizio , come un furto fatto a quel suolo quasi sempre invaso dalle acque , che parrebbe ne rendessero impossibile la cultura. 1 1)3 11 primo vento che spira dopo la messe è foriero della tempesta' il cielo si fa gonfio di nubi , il tuono romba , la folgore scoppia a più ' riprese, la pioggia cade a torrenti, ed il guizzo dei Inmpi clie solcano le nuvole rischiarano uno de' più superbi spettacoli della natura. Le acque che un incognito potere aveva fatto, dirò così, rintanar nella terra, sgorgano d'improvviso co-n una spaventosa violenza dalle due cavità della ripa, e dalle diciotlo frane del fondo. Que'getti d'acqua pigliano mille forme fantastiche di zampilli, di colonne trasparenti, di monti aspersi di spuma, che la rossa luce del lampo tinge di varj e bizzarri colori. Dall' altezza immensurabile a cui pare che una magica forza abbia spinto le acque, elle ripiombano nel lor letto , s'aggirano, ribollano, s'acquetano e formano in picciol ora un placido lago. Non v'ha penna che possa ritrarre in carta l'orrore, e la maestà di un tale spettacolo: a farsene una giusta idea è mestieri averlo veduto. Gli uccelli acquatici ritornano a frotte, i loro giulivi garriti cele- brano soli il ritorno delle acque, poiché niun al)italore della contrada ardirebbe esserne testimonio. A nìuna soprannaturale potenza si attri- buisce il loro sgombramento : esso arriva sempre, se non senza ru- more, però senza spaventevoli effetti. Ma la ricomparsa loro presenta uno spettacolo cosi terribile nella sua bellezza , che si crede farsi per opera delle potenze infernali. Sin dall'infanzia de' popoli , tutti i benefizj si facevano venire dal cielo, e si supponeva che il male uscisse dal fondo dell' aiiisso. Se la fredda ragione distrugge cosi dolci credenze, il cuore non sa rinunciarvi. Il poeta fa sempre scendere dalle nuvole la virtù, e la felicità; ed obbliga il delitto e la sventura a squarciare il seno della terra per giungere a noi. Niuno si farà quindi maraviglia che gli abitanti del borgo di buona fede assicurino , che col ritornar delle acque parecchie centinaja di diavoli vi giungano sotto la forma di passeri neri , ciechi e spen- nali , e che in capo a pochi giorni ripigliano il naturale loro aspetto; conservando però alcun che di aereo e celeste, poiché divengono gli angeli guardiani del lago. Assicurano ancora che la mercè delle lor cure ricompariscano i pesci , i quali senza dubbio eransi ritirati nelle frane e negli scoscendimenti delle rocce , che non sono mai privi af- fatto di acqua. A codesti passeri ora angeli , ora demoni si attribuisce anche il potere di far crescere le erbe, e maturar le messi. Sino ad ora i dotti non si pigliarono pensiero di investigare le cagioni del fenomeno che presentano lo sgombramenlo ed il ritorno [ìeriodico delle acque del lago di Czirknitz. E sì che per andare a vederlo non si hanno a varcare ignote marine, né popoli barbari e selvaggi a brav.ire. Gli abitanti della Carniola si consolano facilmente di tale non curanza. Quel lago meraviglioso è per loro un particolar beneficio della natura, ed essi ne godono senza darsi gran fatto pena delle cagioni segrete a cui ne van debitori. SPIEGAZIONE. È nota da gran tempo ai geoioghi la cavernosa struttura dei monti della Carniola; e quando altri fatti non si avessero in prova, baste- rebbe soltanto la famosa grotta di Adelsberg, che in linea retta dista da Czirknitz meno di dieci miglia geografiche. Evvi quindi ragione di supporre che di eguale struttura siano anche le rupi clic circondano il lago; supposizione che è pure fondata sulla natura stessa dei feno- meni , i quali non possono evidentemente derivare che da corsi e depositi di acqua in cavità sotterranee. Senza quindi trasferirsi siri luogo, potrassi render ragione di questi fenomeni ove si giunga a far comprendere in che consistano i rapporti, che per produrli, devono avere fra loro le caverne, e quei corsi e deposili di acqua invisìbili. Figuriamoci pertanto che entro ad uno di quei monti che cir- condano il lago esista una grande caverna il cui vano si estenda anche al di sotto dello stesso lago; e che in delta caverna vadtinsi, per vie sotterranee, a depositare le acque che si raccolgono nelle vallale o burroni dei dintorni, e si internano nei terreni per aperture informa di imbuto, le quali per testimonianza di parecchi visitatori di quei luoghi veggonsi sparse qua e là. Si immagini che queste acque abbiano contemporaneamente una escila al Ibndo della caverna iislernandosi nelle fenditure delle rocce , e spandendosi ^jei sottoposti terreni fino a scaricarsi in un fiume o torrente, o come accade tante volte, fino alla costa, e sotto il livello del mare. Si supponga inoltre che tutto il fondo della caverna sia ad un livello assai più basso del fondo del bacino che costituisce il lago; e che nei punti inferiori di questo ba> cino sianvi aperture e canali che comunichino colla caverna. io4 Ciò posio, immngliiiamo die essendo la primavera avvanzata o cominciala la stale, e quindi scarse le pioggia, le acque che alimen- tano la caverna siano, [icr quanlilà, eguali o minori di quelle clie scolano dal suo fondo; o se per qualche istante maggiori, siano in ogni modo tali da non permettere che il livello di tutta la massa di acqua depositata nella caverna si alzi sopra il fondo del Ingo. Egli è chiaro che in questo stato di cose il lago si troverà perfettamente asciutto, e continuerà a rimaner tale fin tanto che non accadono va- riazioni meteorologiche che cangino i rapporti fra l' acqua che entra nella caverna, e quella che sfugge dal suo fondo. Supponiamo ora che scorsa la slate, soppraggiunga un temporale d'autunno quale ci fu descritto. Le acque che cadono a torrenti dal cielo, raccogliendosi improvvisamente nelle vallate circostanti, preci- piteranno in gran copia nella caverna, ne rialzeranno immediatamente il livello sopra il fondo del lago , e scorrendo impetuosamente entro i canali che mettono capo nel lago stesso, saliranno con fracasso, in colonne e .«sprazzi più o meno elevali , a seconda della maggiore o •minore altezza dell'acqua istantaneamente forniiitasi nella caverna sopra il fondo del lago; ed il fragore, i getti, le ebollizioni, i moti vorti- cosi non cesseranno, fino a che sedandosi il temporale e limitandosi l'acqua che entra nella caverna, si sarà composto 1' ef|uilibrio fra la massa di acqua in questa racchiusa, e l'altra di cui si sarà riempiuto il lago. La caverna ed il lago non sono che due branche di un scifone, il complesso dei canali di comunicazione rappresenta il tubo che le congiunge; e l'equilibrio si comporrà nel scifone tosto che cesserà di innalzarsi l'acqua entro una delle branche. Dopo i primi temporali di autunno comincia ordinariamente la stagione delle pioggie, progredisce fino in inverno avanzalo, si congiun- ge all'altra in cui sciolgonsi i ghiacci e le nevi, o rinovansi le pioggie, manca nei periodi di calma e di sereno quel calore solare che disperde colla evaporazione gran parte delle cadute pioggie; e puossi quindi ragionevolmente supporre che nel tempo che scorre fra l'autunno e la primavera del successivo anno, la caveiiia sotterranea seguiti a rice- vere acqua in tanta .quantità da ])oler conservare la parie riversala nel lago ad una altezza di livello pressoché costante, o con differenze non valutabili e di ninno materiale interesse. 195 Avanzandosi la slagione verso l'estate, le acque che discendono nella caverna si ridurranno, in causa dell'ordinaria deficienza di piog^ gie, e pronte evaporazioni, a quantità sempre più minori di quelle elle si scaricano dal suo fondo; ed abbassandosi per conseguenza il livello dell'acqua che racchiude, quello del lago non solo si abbasserà pur esso per effetto dell'equilibrio nelle duo branche dell'immaginato scifoue, ma giungerà un istante in cui perdendosi la continuità fra le due masse di acqua che si equilibrano, si formerà un vano anche nella parie di caverna sottoposta al lago, e le acque di questo discen- deranno attraverso di quel vano in colonne verticali. Ognuno sn che un fluido posto in una vasca, e che si sfoga in un sottoposto rtci- j>iente per luci situale nel fondo della stessa vasca , si abbassa grada- lumente intuita la sua superficie senza perturbazioni e sconvolgimeiili, (ilio a che trovandosi il livello di poco elevalo sopra le luci disfogo, roniiiician.0 a manifestai-si delle correnti convergenti ai punii sovrapposti alle luci medesime, e poscia dei gorghi, i quali all'abbassarsi sempre più del livello si trasformano in un imbuto conico colla base in alto , dal quale sfuggendo l'aria, scacciata dall'acqua che discendendo va »à occupare il suo posto, nascono quelle combinazioni che produce l'aria stessa, quando colla bocca, o con mantici come nell'organo, vien spinta entro ad una tronìba; e ne sorge quindi un suono più o meno intenso e fragoroso a norma del maggiore o minor vano nel recipiente in cui discende l'acqua, della massa di questa, e delle (orme e dimensioni delle aperture per cui fluisce. Facile sarà perciò il persuadersi, che negli ultimi istanti dello sgombramente delle acque, grandiosa essendo nel caso nostro l' opera della natura , visibilissimi saranno i corsi convergenti a' varj punii ed i moti vorticosi , vaste e spaventose le voraggini in forma di imbuti roteanti aperti nel centro, ed il suono che fuori da quegli imbuti mandano le bocche della ca- verna, ora pari a forte muggito, ora .«imile a rombo di tuono cupo e prolungato. Supposi fin qui l'esistenza di una sola caverna, ma come ognuno vede., la dimostrazione non varia punto quand'anche intorno al lago, e per disotto, ne esistessero due o più comunicanti fra loro od isolate, cui par/ialmente corrispondessero nel fondo del Ingo le due grotte, e le dieciotto frane sopradescritte. 196 La coincidenza, the piìi di sovonle si verifica, dei primi tempo- rali di aiHunno e dei giurili meno piovosi di prlmavern, coli' ingresso e regresso delle acque nel lago, dovrebbe bastare per render palese anche ai meno esperti .-nella fisica, che questi fenomeni non possono trarre Ja loro origine c!>e da corsi di acque sollarranee, e di quelle acque precisamente che cadono dal cielo in luoghi non lontani. Come in fatti un fiume corrente alla superficie rigonfia, straripa, forma sla- gni intorno a se, si ristringe nel suo letto, rimane pressoché asciutto, a seconda delle intemperie che accadono nei corso dell'anno ; cosi un fiume sotterraneo rinserrato fra le rocce tramanda e sprizza le acque soperchianti fuor dalle luci esistenti alla superficie con varietà di getti , riempie le cavità del suolo che trovansi vicine a quei getti , scemano o svaniscono i getti slessi, ritiransi le acque che si erano fermate al di fuori; e come pel fiume superficiale, rinovansi nel sotterraneo nell'anno successivo le stesse vicende; in modo vario però, poiché dall'uno all'altro anno le locali meteore acquee fra loro differiscono. 1 fenomeni pertanto del lago di CyJrknitz non possono ripetersi, come dissi, che da corsi di acque sotterranee , associati alla condizione chiara e manifesta della frapposizione di vaste caverne comunicanti col medesimo lago, e nelle quali espandendosi, formano altri laghi invisi- bili nell'interno dei monti: e per le cose esposte credo che ognuno potrà convincersi. Che la massa di acqua che prima precipita nelle caverne, e quella che perla forza di pressione vien poscia spinta entro canali che di loro natura saranno tortuosi, in vaiie guise inclinati e tramezzati da sassi , spiegano il sotterraneo rumor sordo che precede la comparsa delle acque nel lago. Che le portentose colonne, i cumuli spiumeggianti , le varie foggie di sprazzi, non sono che l'effetto della jjflessibile differenza di livello istantaneamente formatasi fra l'acqua delle caverne ed il fondo del lago, non che delle forme e dimensioni delle venti aperture eparse per quel fondo ed in due punti depressi della sponda. Che gli sconvolgimenti, le spaventose voraggini, il tuono, gli orrendi muggiti che accompagnano gli ultimi istanti della partenza delle acque, non sono che il prodotto delle leggi fisiche, con cui le acque stesse di molto abbassale, discendono per le luci di sfogo , e dell'aria che sfugge da quelle aperture. Che la partenza delle acque Bon devesi effelluarc in poche ore, come suppone l'autore delia de- 197 scrizione, ma gradalanienle , ed impiegando qualche giorno; e tlie trascurandosi il semplice alibassamento di livello, come quello che non offre certa straordinarietà , non si pone mente che ai fenomeni clie presentansi quando il livello ha raggiunto l'infimo limite, e dalla sola durata di questi , misurasi il tempo entro cui le acque disgrom- brano. Che la maggiore o minore quantità di acqua entrala nelle ca- verne nei giorni di pioggia, e la maggiore o minore celerità con cui le caverne slesse si scaricano nelle siccità, producendo notabili differenze nei fenomeni della comparsa ed escita delie acque nel lago, scorgesi il perchè alcuni notarono per piij sorprendenti quelli della coniparsa , altri quelli della sorlila , ed altri invece assicurano di non aver veduto che entrare e sortire V acqua placidamente. Che finalmente lo varia- zioni dall'uno all'altro anno nei fenomeni di questo lago, o la loro mancanza assoluta, sia per continuata permanenza, sia per lunga as- senza delle acque, non possono dipendere che da irregolarità nelle ordinane vicende atmosferiche cui sono i fenomeni stessi indispensa- bilmente legali. Reslami ora di dar conto dell'arrivo e partenza delle anitre al- l'atto dell'ingresso e sortita delle acque, non che dell'apparizione dei passeri ciechi e spennali. Prima parlerò delle anitre. Sono questi uccelli acquatici, che come ognuno sa danno caccia abbondantissima e non tenue rendita ai possessori di laglii e paludi. Abitano e nidificano durante l'estate nelle regioni del JNord, e più particolarmente nella Siberia, nella Lapponia, ed anche nella Groenlandia; e compajono ordinariamente nei nostri climi alla fine di ottobre, arrivando a branchi da quelle regioni , che sono poi seguiti da branchi più numerosi nel mese di novembre. Nell'inverno passano dall'uno all'altro dei nostri laghi, stagni, o fiumi per nutrirsi come loro meglio conviene, e qualche volta per fuggire i ghiacci. Se p€r una straordinaria rigidezza di tem- peratura i ghiacci si fanno generali e durano per più di otto in dieci giorni, trovano cibo nella pianura, ma cosi scarso, che si affrettano di tornare al Nord tosto che cessano i venti contrarj che spirano da quelle parti. Ove poi la stagione segua un corso regolare , la loro jiartenza accade per lo più negli ultimi d'i febbrujo, o nei primi di marzo. Combinando dunque la partenza ed arrivo di questi volatili nelle nostre contrade colle stagioni in cui d'ordinario manifestansi i fenomeni , resta dimostrato ove riparano e d' onde pervengano anche quegli stormi di anitre selvatiche che trovandosi in cammino ed av- vicinandosi verso le regioni meridionali di mano in mano che svilup- pansi vicende atmosferiche a loro favorevoli, scelgano per loro stanza il calino diCzirknitz nel momento che per improvvisa e grande pioggia si trasforma in un lago. Glie se, in caso di pioggie prolungate fuori di stagione, il lago continuasse a mantenersi tale veramente per l'in- tero corso di un anno, opiù, le anitre potranno esse pure tratteuervisi per tutto quel tempo. Osservarono infatti i INaluralisti che diversi di questi volatili si arrestano e nidificano nei nostri climi auche durante la state in quei luoglii specialmente che , come appunto i montuosi , sono meno soggetti ad alte temperature: ed è anzi loro opinione che le varie famiglie delle nostre anitre domestiche non derivino che dalle anitre selvatiche, che nate nei nostri paesi, furono raccolte ed addi- mesticate. ÌNel caso finalmente che il regresso delle acque accadesse in primavera avanzata od in estale, le anitre del lago potranno trasferirsi in altre non lontane paludi; e per le ragioni suespresse , ivi stabilire la loro dimora fino all'inverno successivo, o soltanto fino alla stagione burrascosa coincidente colla ricomparsa delle acque nel lago , per tor- nare ad abitare in questa prima e forse più gradita loro stanza. Trat- tasi insomma di anitre od arzavole che in tempi e circostanze deter- minate, da esse per istinto presentile, passano alternativamente in branchi pii!i o meno numerosi dalle regioni settentrionali alle meridio- nali, oppure dall'una all'altra delle nosii-e provincie, in cerca di tem- perature e località piiì confacenti alla loro natura. Niuno poi certamente si sorprenderà se i pesci secondando il movimento dell'acqua, che è il loro principale elemento, con questa si ritirano nelle caverne, e ritornano nel lago; non fanno che passare da un lago all'aria libera, ad altro sotterraneo. Anche il sig. Arago neir indicato suo opuscolo non trova in ciò alcuna singolarità; e cita varie altre località montuose in cui veggonsi i pesci sortire ed entrare dalle fenditure delle rocce colle acque che da quelle slesse fenditure sgorgano, e formano laghetti che poi si dileguano nella stagione estiva. Rispetto finalmente ai passeri ciechi e spennati, non dice l'autore della descrizione di averli veduti; e devesi anzi credere che in cpiesta '99 parte si attenga alla sola relaz'ione degli abitanti del luogo. Il conle Girolamo Agapito, che visitò pure il lago, ci assicura che non sono già passeri, ma anitre senza penne e cieche (i). Ed anitre appunto cicche e spennate possono essere rigurgitale da quelle ciiverne i cui canali di comunicazione col lago vanno a terminare presso il loro londo in punti inferiori al livello dell'acqua. E presumibile infatti che mentre le acque dispajono, e specialmente quando ciò accade con mite e leggiero rombo, parecchie anitre si fermino nel lago, ed incauta- mente abbandonandosi alle correnll, si lascino trascinare verso i gor- ghi; che in questi d'improvviso attratte e rigirate, manchi loro la forza di piij spiccare il volo, restino come corpo morto ingojate, e dalla violenza delle acque trasportate entro le caverne. Non possono da quegli antri sortire, perchè i canali che vi diedero accesso sboc- cano sotto il livello dell'acqua, e sono di più invisibili in quella oscu- rità. Non niuojono perchè trovano aria che entra dalle fenditure supe- periori , e pesce con che cibarsi: ma prive affatto delia luce e di un aria salubre non possono che vivere miseramente; e sopraffatte da malattie, perdere le penne e trasformarsi in bestie denudate di ignota e misteriosa procedenza. Nel modo stesso che per la forza delle cor- renti lurono costrette ad entrare nelle caverne, vengono, a pari di qualunque corpo galleggiante, retrospinte nel lago al momento del- la ricomparsa delle acque. Restate lungo tempo chiuse nell' oscurità , l'improvvisa luce del giorno offende e toglie loro la vista; enei primi istanti nuotano, o camminano sulle sponde come se fossero affatto cieche. Trovandosi però di nuovo esposte all'aria libera, si rivestono in pochi giorni di penne, acquistano vista , forza è sanità, e tornano a prendere l'aspetto di anitre, con qualche differenza forse dalle alti e. E questi sono indubbiamente i passeri ciechi e spennati, che secondo la superstiziosa credenza di quella buona gente di Czirknitz, appari- scono col ritorno delle acque, trasformansi per virtù soprannaturale in anitre selvatiche; e sono cosi , ora diavoli-passeri, ora angeli-anitre. Stranissima in vero e non più udita credenza ! (<) Veggasi l'operetta intitolata: Le grotte ed altri naturali oggetti nelle vici- name ili Trieste, di Girolamo conte Agapito, stampata in Vienna in lingua italiana nel 1823. 200 Dalle spiegazioni premesse credo che ognuno possa ora compren- dere il perchè i Fisici dei nostri giorni non diedero ai fenomeni di Czirknitz quell'importanza che credette attribuirvi l'autore della de- scrizione. Un poeta piuttosto potrebbe trovarvi argomento per com- porre un poemetto didascalico. ANNOTAZIONI MEDICO -PRATICHE SULLE MALATTIE FALSAMENTE CREDUTE VERMINOSE, SUI FALSI VERMI. E SUL MODO DI CONOSCERLI MEMORIA DEL DOTTOR GIOVANNI DOMENICO NARDO MEMBRO EFFETTIVO B£Il' /. Jì. ISTITUTO DI SCIEyZE, LETTERE ED yiRTI DELLE PKOriXClB rEXETB^ MEDICO PRIMARIO DELL ISTITUTO DEGLI ESPOSTI X« VEtìEZlAÌ MEDICO ONORytRIO DEGLI ASILI d' INFANZIA E DI ALTRI PII STABILIMENTI , SOCIO ORDINARIO DEL VENETO ATENEO E DI MOLTE ALTRE ACCADEMIE NAZIONALI E STRANIERE Letta al Veneto Ateneo IL 17 Dicembre i85S. u, n argomento die dovea interessarmi sotto doppio aspetto , cioè di medico pratico e di naturalista, feci per oltre dodici anni, soggetto di accuratissime indagini; riguarda questo le cosi dette Ter- minazioni inlest nali o malattie verminose. Studiai sotto ogni punto di vista quello ch'ebbero a dettare varii autori su tal proposito, specialmente i trattati dei chiarissimi profes- sori Brera e Bremser, e di altri moderni scrittori, comparando colle mie pratiche osservazioni q\ianto nei libri vcdea registrato , dimodo- ché raccolta buona serie di fatti potei trarne rpialche utile dedu- zione e confermare quanto valenti medici ebbero saggiamente soventi volle ad avvertire , non però con quel frullo che ragione voleva avesse a conseguirne la buona pratica medica. Ora colla sola mira di servire all'esercizio medico-pratico, esponendo qualche utile osservazione o qualche verità non mai ripetuta abbastanza, anticipo alcuni lirani del a6 302 mio lavoro, cioè alcune Annolazioiii medlco-praliche sulle malattie che a torto si credono originate dai vermi intestinali, ed altre sui pseudo-eleiuinti o falsi vermi e sul modo di riconoscerli. Il nuiuero delle malattie che si credono prodotte dai vermi, stan- do alla pratica volgare, riesce ad onta degli odierni lumi così esteso, da Tcramente sorprendere. Ogni male die si nioslii un poco insolito nel suo modo di manifestarsi, specialmente se affetta il tubo gastro- enterico, consociandosi a qualche turba nervosa, si suole giudicare come causalo dalla presenza dei vermi. INei fauchilli specialmente la mag- gior parte delle sofferenze si attribuisce a verniinazione. Una tal causa riesce ansi sovente l'unica salvaguardia dell'ignoranza, e vediamo per- sino ciualche addottrinato farsi lecito sovente di assecondare l'opinione iM volgo su tale argomento, mostrandosi penetralo da uua massima la cui ricredenza potrebbe forse riuscire molto nociva alla di lui ripu- tazione. Le polveri, gli olii, gli elettuarj, i bomboni e le ciambelle pei vermi, sono il trattamento che ognuno si crede in dovere di sug- gerire per un fanciullo malato, e che si proclama di sicura riuscita; in tal guisa quindi la speculazione ed il rispetto umano, la buona fede o l'empirismo tradiscono sovente i doveri più sacri di umanità. Quante volte un male il più semplice, un disturbo di poco conto e facilmente cor- reggibile con igienica cura, l'effetto d'un processo organico indispensa- bile e naturale, come p. e. nei fanciulli la dentizione, accompagnati essendo da qualche fenomeno di pretesa verminazione, trattati vengono con sostanze credute ai vermi contrarie, le quali alterano più o meno e fanno cadere in slato morboso la vila dell'individuo, a cui vengono ciecamente somministrate. Quante volte si ha la mortificazione di deplo- rare la perdita di più d'un fanciullo, a cui, credendolo affetto da vermi, eransi prodigati antielmintici e purgativi con tal pervicacia da produrre nel sistema enterico irreparabili guasti! Quante volte si ha lo sconforto di veder ridotto grave un malore in origine assai leggiero, perchè mal trattato da donniciuole prima di ricorrere a medico ajuto, e quante volte infine consultati relativamente a malattie credute d'indole vermi- nosa si ha la compiacenza di convincere col fatto che ben altra origine aveva il male e bea altre strade doveansi tenere per convenientemen- te guarirlo, ad onta del molti argomenti posti in campo a sostegno della contraria opinione! 203 Mostra sovente l'esperienza darsi benissimo un mimerò di casi ne' quali giovano i comuni antielmintici empiricamente amministrati, perclic più presto di ogni altro mezzo sembrano condurre alla guari- gione certe croniche malattie, solo per alcuni siulomi supposle vermi- nose , anche senza evacuazione di vermi ; ciò non deve però servire di appoggio alla cieca credenza che se un preteso antielmintico guarisce una malattia giudicata verminosa, sia quella una conferma dell'emesso giudizio. Si danno eziandio frequenti casi, nei quali vengono esjiulsi dei vermi in stato sano, senza che l'individuo soffra ;dcnno dei disturbi attribuiti alla presenza di tali ospiti; così pure vengono quasi sempre susseguile dall'espulsione di vermi certe malattie, specialmente acute, le quali lutto altro stimavansi e lutto altro sono infatlo che 1' effetto delia presenza dei vermi slessi: vediamo finalmente che certi disturbi possono benissimo aver origine dallo sviluppo in qualche viscere di tali esseri parassiti, i quali, in causa di uno stalo parlicohire deli indi- viduo e della condizione dell'organo in cui si sviluppano o si traspor- tano, possono stanziar alla lunga e mantenervi mediante la loro massa, se sono molli, o mediante i loro movimenti, uno sialo d'irritazione tale, da desiarvi una serie di fenomeni particolari. Questi fenomeni però perchè accompagnano sovente la presenza de' vermi non devono credersi alla loro presenza esclusivi , potendo invece esser propri soltanto di uno stato irritativo locale, clie può esser causato anche in grado eguale da altri corpi estranei, o ila qualche altra condizione di un viscere fallosi morbosamente piij sensibile, come in molli casi vien dato di os- servare. Da ciò consegue quanto nelle diagnosi sia Imporlanle distinguere: i.° Se, non cflettuandosi evacuazione di \ermi, appariscono di quel sintomi che sovente ne fanno sospettare l'esistenza, sieno questi sintomi dovuti piuttosto ad altre cause. 2.° Se avendovi evacuazione di vermi questi potessero preesi- filere , o sieno effello del male. 5.° Se coir evacuazione de' verrai svanisse ogni sintonia di ver- minazione , possa ritenersi che quegli esseri fossero la causa del male. 4.° Se malgrado l'evacuazione di verrai continuassero i sintomi di verminazione , possa ritenersi che la continuazione del male sia attribuibile alla sussistenza d'altri degli stessi animali. 204 5.° Se data espulsione di vermi senza sintomi di vermiiiaxione od altri incomodi, debba perciò intraprendersi una cura relativa pel timore di mali futuri. 6° Se guarindo una malattia con un pret-eso antielmintico senza espulsione di vermi , possa perciò concludersi essersi sanata per la di- struzione de' vermi stessi. 7.° Se guarindo la malattia con un preteso antielmintico o con altro mez7.o con espulsione di vermi , possa concludersi esser ciò av- venuto per la successiva espulsione di essi che si j>retendevano causa del male, o sia da attrilniirsi piuttosto il buon esito della cura, come dice il celebre Raiman , alia corretta individuale disposizione, specialmente delle prime vie, ad alkneniare ed ingenerare i vermi stessi. Relativamente alle malattie credute verminose senza espulsione di vermi, guarite coi cosi detti antielmintici ebbi ad osservarne non jDOchi casi nella mia pratica medica. Acciecato anch'io dalla comune creden- za, operava da principio empiricamente: reso però più guardingo da qualche contrario risullamento ed addottrinato da pii!i razionale e l'erma esperienza, ebbi ad accorgermi della fallacia del mio procedere e della verità del principio , che per certi mali ogni medicina riesce giovevole e che sembra doversi piuttostocliè correggere nell'organica mistione de'fluidi o nella vitale energia lo stato dell' organismo , scuoterlo quasi o toglierlo da vizioso torpore, ovvero da una locale condizione irri- tativa, causa di particolari fenomeni che simulano ogni male. Le ma- lattie infatti le quali pii^i facilmente credonsl prodotte da vermi sono , per lo più negli adulti, certe nevropalie ancora poco conosciute, col- lettivamente dette isterismi, convulsioni od ipocondrie, affezioni per le quali è noto come giovi spesso di non far niente , o basti qualche volta un solo inganno, una pia credenza dell'ammalato , una cambianza d'abitudini ec. , anzicliè l'uso de' farmaceutici sussidj. Tali sono i casi in cui per ordinario viene coronata da felice successo l'amministrazione empirica dei cosi detti antielmintici, i quali d'altronde ognuno sa di quante e svariate specie compongansi, e quale abbiano differente modo di azione : ma se i fenomeni morbosi procedono invece da più essenziali cagioni, l'ammalato peggiora sensibilmente, e guai a quel misero che trovasi sotto cura di un medico che si ostini a persistere nel metodo 205 iulrapreso eJ acquieta la propria coscienza col credere , essere cau- sa del tristo esilo l' osliuatezza del male piullostochè la propria igno- ranza. Sono poi nioUissime le malaltie de' fanciulli-, le quali presciilaiisi con caratteri che indicherebbero sicura la presenza de' vermi: parlo de' faTiciuUi più specialmente , comedi un'età, nella quale pii!i frequenti si credono le malattie verminose, di un'età, i di cui niorbi esigono di essere più attentamente osservali ed in cui il medico pratico studioso e paziente ha motivo di conoscere ben assai più che verminazio- n'ì , spasimi e marasmi. Le malaltie infatti clic devono considerarsi come le più pericolose in tal età e le più facilmente inducenti in er- rore il medico poco avveduto, sono l'idrocefalo acuto ed il crouico specialmenlc, nonché altre affezioni del cervello o delle meningi e della spinale midolla , che con esse si confondono, e conv-ertirsi possono in cerebro-gastriti ; alcuni disturbi inoltre che accompagnano lo svi- luppo de'denti e dell'organo cerebrale; l'irritazione gastro-enterica che poi si converte in entero-meningite , prodotta da mala assimila- zione, tanto facile a succedere in causa di n>al intese pratiche dome- stiche circa all' ullaltamenlo ed alla nutrizione de' fanciulli ; certe flo- gosi eritleraatose o di altra indole, esterne od interne, prodotte da irritazioni cutanee conseguenti a poca nettezza, a mala applicazione degli indumenti o delle fascie che contundono spesso od alterano le funzioni circolatorie e tra'spiratorie, all'imprudente uso esterno di certe polveri date a titolo tli assorbenti od astringenti, nelle quali en- trala biacca od altri preparati di piombo, ecc. Potrei illustrare coli' esposizione di varie storie mediche quanto ebbi ad asserire, ma come troppo lungo riuscirebbe il mio discorso e pochi vi avranno d'altronde ira' medici, i quali non siansi già convinti coli' esperienza della verità de'miei detti, perciò riservo far questo più o]iporlunemenle in un lavoro che sulle malattie dei bambini sto com- pilando. Fin qui parlai delle pretese verminazioni giudicete per soli sin- tomi senza espulsione di vermi : che se avviene il caso della reale comparsa di qualchuno di essi, allora si che si proclama sicura la diagnosi ed ogni modo si tenta per distruggerli , dimenticando afTat- lo il sospetto che da altra causa aver possa origine il male. Appa- 206 rirà troppo severo il mio dire su tnl proposilo, ma mi sembrano non mai ripetute abbastanza quelle verità che ad onta di esser stale proclamale da tanti benemerili autori e confermale dalia buona espe- rienza , osservansi tuttavia da taluno sì male inlese. Fatto si è che dalia evacuazione di vermi non può concludersi assolutamente che la ma- lattia clie sicura sia da questi prodotta, giacché, come nioslra il fatto, continuamente puossi avere espulsione di essi anche in istato di salute e senza manifestazione de' cosi detti segni di verminazione. Tali esseri infatti, come tanti altri parassiti, sviluppansi nel corpo animale ogni qualvolta si presentino favorevoli circostanze, le quali possono esistere anche entro il limite fisiologico dell'individuo senza cli'csso s'accorga punto della loro presenza , dacché vivono bensì a dispendio di chi loro appresta ricovero, ma limitansi solo a togliere il superfluo della sua nutrizione. Che se poi si aggiunga in qualche viscere uno stalo pato- logico, favorevole al viver loro, essi si propagano tanto piiJ, ovvero vengono espulsi in caso contrario. Non devesi adunque far gran cal- colo dell'espulsione di vermi in certe malattie, anzi in alcune acute, febbrili specialmente, devesi ritenere con Ippocrate di buon augurio la loro comparsa, esseiulochè mantenendo il vivere di essi, come è consono all'odierna esperienza, e favorendone la propagazione uno slato morboso irritativo od iperstenico del tubo gastr.i-enterico , con aumentata secrezione di linfa, si ha fondalo motivo di credere che sor- tano appunto perché, attesa la cambianza delle circostanze, spossati nella loro vitale energia, trovansi incapaci di rimanei-e in un luogo non più favorevole alla loro sussistenza e profìagazione. Infatti compariscono quasi sempre sul finire dei morbi acuti e quando i più gravi sintomi si sono già dissipati, lasciando luogo ad una completa guarigione; mentre se arrivano a sortire mediante reiterate purgagioni od abuso dei cosi detti antielmintici, prima che l'irritazione gastro-enterica sia vinta, l'ammalato non ne sente sollievo, ed il male continua il suo corso e spesse volte peggiora. lo credo che non vi abbia pratico attento ed onesto che non ve- rifichi giornalmente colla propria esperienza quanto esposi, e che non resti persuaso con Calatroni, non darsi malattie verminose patologi- camente parlando , ma poter esser i vermi sovente un sintoma di altre malattie , o se vogliamo parlare più rettamente uu prodotto od 207 un segnale concomitante taluno de' sintomi slessi. Di un lille pavere mostrossi anche l'ingegnoso Gaulieri nelle sue iiellc lircrclie sull'ori- gine dei vermi abitanti le interiora degli animali, stampate l'anno i8o5, dove mostra, come quando vien impedita alla natura la produzione omogenea, devia essa dalla propria direzione e produce nuovi esseri ete- rogenei. In tal lavoro avanza pure l'idea, die altro non sieno i vermi in alcuni casi, se non il prodotto di una stenia arteriosa e quindi di una vera secrezione clic, abbandonata a se, tenia di organizzarsi all'istante, vitalizzarsi ed animarsi. Le posteriori opinioni di Bremser sulla possi- bile generazione spontanea o primitiva de' vermi nel corpo animale, e quella ingegnosa del cav. professor Scherer di Vienna sul con\erti- mento in essi della tela cellulare iperstenizzata , coincidono con quanto esposto aveva quel bravo italiano, ed ora è anclie consono alle vedute del maggior numero degli scrittori nostrali e di oltreinonte. Anche il eh. professore G. A. Giacomini considera le cosi dette malattie verminose intestinali come effetto di una iperstenia gastro- enterica e più specialmente di \u\ adeno-enterite verminosa, e pensa non poter essere i vermi se non prodotti favoriti dal disordine di secrezione intestinale da quella indotto , o se pur vuoisi complicazio- ne meccanica della malattia stessa, che non cambia la sua natura né di molto l' aggrava ; non potersi quindi .sanare gli Infermi se non togliendo la causa. Vedasi perciò adunque quanto importante sia non agire con buona fede in siffatto argomento, e non prestar fidanza a cieche abitudini, relativamente all'amministrazione de' pretesi antiel- mintici, giacché questi riuscir non possono che dannosi quando non combattono la causa delia malattia che può aver rapporto coi vermi. Su tal proposilo non posso esimermi dall' accennare , che se la comparsa dei vermi, come vedemmo, è conseguente ad una speciale condizione irritativa del tubo gastro-enterico, non per questo è facile determinare la causa contro cui devesi agire onde lar cessare l'irrita- zione e la conscguente verminazione. Io vidi verminazioni che accom- pagnavano morbi cutanei divaria indole cessare con essi senza bisogno di antielmintici o di vermifughi. E chi non conosce il nesso e la sim- patia esistente fra il sistema cutaneo esterno e l'interno investienle specialmente il tubo gastro-enterico? Ognuno sa come per la stessa ragione certe operazioni chirurgiche, quali sono l'amputazione di un 208 aria specialmcnlc ilegll inferiori, l'estrazione delia pietra, il ricom- ponimento (li un ernia semplice od incarcerata ec, seguite sieno da formazione ed espulsione di vermi, circostanza che non ammette alcun particolar trattamento. La conrlizione del tubo gastro-enterico in molte epidemie si os- serva tale da dar luogo allo sviluppo di vermi, anche in quegli individui che non avevano dato mai segno di essere ai medesimi predisposti. 11 cholera fra noi ne die un'esempio in gran numero di persone, sicché potrei citare moltissimi casi, persino di taluni die per tutto il corso dell'epidemia, accusando o nò turbe intestinali, ebbero ad evacuar quotidianamente tre o quattro, e persino dieci e venti ascaridi lom- bricoidi. Fu concluso perciò da più di uno che il cholera fosse una malattia verminosa, e che per questo si dovessero combattere i vermi: ma pur troppo costò buon numero di vittime siffatta credenza e non pochi loro malgrado ebbero a togliersi dall'inganno. Fra le varie storie da me raccolte nel corso della mia pratica relative a verminazioni, effetto di cause non cosi facilmente riconosci- bili ed agenti direttamente recando sconcerto nel tubo intestinale , merita di essere riportata quella di una signora nubile, la quale, so- spese essendosi le di lei mestruazioni nel corso di una lunga assenza da Venezia, aveva invece all'epoca della loro ordinaria comparsa alcuni disturbi di basso ventre, che guarivano senza medicamento alcuno e costantemente nel modo stesso, coll'uscila cioè per l'ano di copioso numero di ascaridi lomhricoidi. Spaventata da un tal evento avea ricorso indarno più volte agli antielmintici ed ai purgativi, rite- nendo causata dai vermi la sospensione de' suoi ordinari, la quale contava già l'epoca di sei mesi ; con un buon numero invece di sanguisughe ài perineo, pochi giorni prima della comparsa del fenomeno, arrivai a sospenderlo in buona parte, e la seconda volta ad impedirlo del tutto coli' uso anche del carbonaio di ferro, dimodoché prima scom- parvero i vermi senza la comparsa de' mestrui, ma nel terzo mese di cura si riordinarono anche quesli con perfetta sanazione dell'ammalata. TSon meno importante è il caso da me osservato in altra femmina madre di pili figli, la quale, senza che per lo avanti fosse mai stata u vermi soggetta, fu presa da febbre con turbamenti intestinali, e dopo qualche giorno da scioglimento di ventre e forti dolori con evacua- 2 09 zioiie di trenta e quaranta e persino sessanta ascaridi lomluicoldi per volta, locchè durò più giorni senza che i precitali medicamenti recas- sero vantaggio o minorassero la forza del male, clie io considerava co- me r effetto di un enterite, e che come tale curava. Io non aveva sba- gliata la diagnosi, né dannoso poteva riuscire alla paziente il mio moilo di agire a sollievo delle di lei soflerenze ; ma forse avrebbero queste più alla lunga continuato, e forse letale ne sarebbe slato l'esi- to , se fatta per altro motivo indagine più attenta sullo stato dell'ute- ro, non avessi riconosciuto in esso una reale procidcnza. Dovetti quindi conckidere che un tale stato inormale era la sola causa dell'irritazione intestinale desiatasi, convien dire, per consenso, dando origine allo sviluppo de' vermi; essendoché scomparvero le turbe intestinali ed i vermi stessi, rimesso che fu l'utero allo stato normale. Ricomparve un'anno dopo per la elessa cagione la malattia, ma rimediato essen- dovisi con prontezza maggiore, riusci essa più breve, né più si ri- produsse. Anche dopo il parto mi avvenne talvolta di osservare un Insolita evacuazione di vermi, che durò finché riordinate furono quelle par- li, le quali cogli intestini crassi avendo consenso diretto, melte- vano essi pure coli' anomalia delle loro funzioni in uno stalo preter- naturale. Riferir volli siffatti casi, forse meno rari di quello può credersi nella pratica medica , onde confermare maggiormente come riuscir possa falale od almeno molto dannoso 'il non. prest.ire la dovuta attenzione alle vere cause che indur possono la propagazione e l'espulsione dei ver- mi intestinali, e mostrare tanlo più la necessità di ber^ imprimersi nella mente, per a])profittarne nella pratica medica, quanto ebbe a scrivere il celebre ardiiatro/?a/ma« rclalivamcnle airelmintiasi isnon essere, cioè, « sufficienli, i pretesi sintomi di verminazione per ischiarire la diagnosi , « imperocché sono pure originati da irritamenti e da mali gastrici diversi ne molti di essi, considerati separatamente, dall'idrocefalo; né poter 55 fornire la desiderala certezza la considerazione intorno alla disposizione «ed alle cause eccitanti, dappoiché si quella come queste possono ben.'t «in un dato caso aversi, e non essere per ancora derivata l'elmintiasi. «Che se fosse posta fuori di dubbio la presenza de' vermi per l'avve- ;; nula loro evacuazione, non esser per queslo né pel seguito allevia- 37 2 10 «mento, o pella scomparsa dei precedcnli sintomi con pari certezza u dimostrato anco il rapporto causale che passava fra i vermi ed i fe- « nometii della malattia, né conoscersi qual parte i vermi stessi possono «avere in tali fenomeni, potendo lo scemamento e la guarigione del « male derivare non di rado dagli adoperali rimedj ". Essendomi proposto di discorrere soltanto delle malattie che si credono originate da vermi , ma sono invece da altra causa pro- dotte, tralascio di accennare i pociii casi da me osservati, in cui il male potevasl realmente ad un soverchio sviluppo di vermi attribuire; ommetto pure di esporre i blandi ed inocui modi da me usati onde li- Lerarne l'affelto individuo , e le conferme nate dall'esperienza, esser cioè la dieta rigorosa, accompagnata da qualche blando purgante antiflogi- stico, il modo pili sicuro per espellerli ed impedirne l'ulteriore sviluppo. Un tal metodo che tino dal i8o5. il sullodato doti. Gaulieri proclamò preferibile all'uso d'ogni preteso antielmintico, fu esperito dal eh. clinico professor Wawruch di Vienna come l'imico e più sicuro mezzo per la cura della tenia, e con questo oticnne più centìnaja di gua- rigioni. Avendo anch'io potuto applicare felicemente la indicata pra- tica del Professore viennese contro quella specie di vermi , credo non senza interesse, prima di parlare come mi proposi dei pseudoelminti, far una breve digressione sopra alcuni casi di tenia da me osservati nella mia pratica medica. La tenia non è verme così frequente fra noi. Soli sette leniosi potei osservare in dodici anni, fra quali sei di sesso femmineo : Ire di questi solamente presentavano fenomeni che potevano far sospettare un tal verme, gli altri cinque non sapevano di averlo , abbencliè tratto tratto ne evacuassero delle anella. Tre degli ultimi , fra cui l'uomo, non vollero sottomettersi a cura alcuna, poiché trovavansi bene; una femmina si spaventò all'idea di esser in possesso, come diceva, del verme solita- rio, ed accusava in seguito fenomeni di cui prima non aveva mai avuto indizio: volle quindi esser curata. Tentai con essa per lungo tempo, varj dei melodi conosciuti con maggiore o minor sollievo , sempre però più morale che fisico, finché fattasi sposa, sparirono i sintomi che la spaventavano, e quindi il timore divenirne presa di nuovo, tanto più rlie mi asserì posteriormente di aver anclie cessato di evacuare fram- menti di verme. »1 1 Da ciò potrebbesi facilmente concludere che taluno dei sintomi che accompagnano la presenza della tenia , possono qualche volta es- ser figli dello spavento che incute nel volgo la conoscenza di esser aflfelti dal verme solitario. L'altra delle cinque femmine aveva cominciato a curarsi più per compiacenza e per altrui consiglio, di quello sia perchè lo credesse necessario; ma avendo dovuto cambiare paese, preferì di starsene come prima , e di risparmiarsi la briga di prender rimedj contro un ospite che non le riusciva d'incomodo. Le due prime, cioè quelle nelle quali oltreché evacuazioni di Icnia, rimarcavansi anche fenomeni che potevano farne sospellare l'esistenza, furono le sole che potei sottomettere a cura regolare con qualche van- laggio. Una di esse, vedova, di circa Scanni, fu trattata coli' uso delle acque di Recoaro , dopo tentali indarno, anzi talvolta con esaceiba- 7Ìone ili sintomi, per circa un anno, varj melodi, cioè il Psusteriano , quello di Odier e di Selle. Da queste acque otteneva molto sollievo, non |>erò l'intiera evacuazione del verme, per cui la persuasi di adallarsi ad una dieta rigorosissima, giusta il metodo del sullodato prof. Wa- wruch; con tal mezzo ebbi il contento di veder eliminarsi la lenia tutta intiera, quale la conservo nella mia raccolta di vermi. Seguitò la pa- ziente, ad onta della sicurezza di aver eliminala per intiero la pretesa causa delle sue sofferenze, a lagnarsi ancora per qualche mese, talché temeasi l'esistenza di qualche altro individuo di analoga sjietie , ma )a continuazione delle acque di Recoaro, che molto le conferivano, di- leguò a poco a poco ogni sospcllo di recidiva , e nell'enlrar dell'inverno si trovò jier intiero guarita. L'altra teniosa, dell'età di circa 24 anni, nubile, dì volgar condizione, provava tratto Iraltu degli assalti di melanconia, di con- vulsioni, il cosi detto bollo isterico, lipotiniie, dolori intestinali, ecc. benché regolare si mostrasse ogni altra funzione, e contemporanea- mente evacuava delle auella di tenia. Essa era molto «ftlitla del suo stato e voleva ad ogni costo guarire. Aveva preso il santonico e molti altri antielmintici da perse, ma indarno. Volli trattarla colla radice di pomo granato, come accenna Breton, ma provò delle esacerbazioui: lasciai quindi di più continuare tal modo di cura, avendone due volte sperimen- tata l'inutilità. Non essendo stata capace di resistere all'appetito, non si 212 è potuto adoperare con essa il metodo del prof. Wawruch ; mi sono determinato perciò di ricorrere anche in tal caso ai ferruginosi, ed ammi- nistrai per circa un mese il <:arbonato di ferro in boli unito all'estralto di valeriana, dal clie sembrò ottenere mollo vantaggio. Arrivata intanto la stagione •dell'acque di Reconro, si sottomise all'uso di quelle e cessò cosi gradatamente dall' evacuar frammenti di tenia e dall' esser presa dai consueti malori. In tre mesi credetti poterla dichiarare guarita, ben- ché evacuata non siasi la tenia, come per solito si esige. Se un tal verme sia morto e quindi distrutto, se siasi evacuato inavvertitamente, io non potrei dirlo; fatto si è che non comparve mai più, e l'am- malata fu in seguito sempre contenta del proprio stato. Potrei forse, come usasi talvolta, trar molte conseguenze dalie storie accennate j come però troppo pochi stimo essere i casi di tenia da me osservati , e ritengo d'altronde riuscir più utile, alla buona pra- tica medica, limitarsi aliasela sincera esposizione dei fatti, e lasciare a ciascuno trarne quelle deduzioni che più gli aggrada, passo piutto- sto alla seconda parte del mio lavoro, parlando dei pseudo-vermi, come mi sono proposto di fare. Sembrarebbe forse fatica inutile occuparsi ancora di tale argo- mento dopo quanto ne scrissero i chiarissimi Brera eBremser, i quali nelle loro opere a ciò destinarono un apposito articolo, se principale scopo di tali benemeriti autori non fosse stato quello piuttosto d'indicare im numero di specie pr^ge in buona fede da varj autori per vermi, quan- do non lo erano in fatto , anziché proporre un qualche modo capace di togliere da quell'incertezza, in cui può sovente cadere senza colpa anche un medico il più distinto, ed a cui non di rado conduce un complesso di circostanze capaci di trarre in errore persino uomini nelle scienze naturali versatissimi. Egli è perciò che credo prezzo dell'opera esporre il frutto delle mie indagini su questo argomento, e di quegli abbagli medesimi ne' quali mi accorsi che sarei soventi volte caduto, qualora non «ni fossi sempre studiato di usare la più scrupolosa av- vertenza. Il discorrere de' falsi vermi e rinel concorso di tante cause per- turbatrici di quella quiete, senza la quale non arrivano a svilupparsi. Cosii poi fossero in realtà quelle apparenti idatidi , non tardai a scoprirlo, e a facilmente convincerne anche la famiglia del malato. Il fanciullo faceva uso per mia prescrizione di qualche arancio , e nella mattina ne aveva inghiottiti degli spicchi quasi intieri, i quali eransi disciolti bensi , ma non aveansi potuto ben digerire, cosicché intere eransi evacuate le cellule conlenenti il succo dell'arancio, e pregne ancora di esso mostravansi in maniera da simulare una vera idatide, avendone realmente la forma come ognuno può riscontrare. In seguito il fanciullo non evacuò mai vermi di altra sorta, e guari a perfezione sotto il metodo antiflogistico e con la dieta relativa, essendosi anche fatti più docili i di lui genitori, ai quali riusci utile lezione l'avvenuto ilisinganno. Potrei aggiungere qualche altro caso in cui frammenti vegetabili furono presi dal volgo e da qualche medico por veri vermi o frani- menli di essi , ma trovo inutile il riferirne di più , e passo invece ad indicare le sostanze appartenenti alla seconda classe , le quali essendo 2 iS di natura animale, simular possono più facilmente del vermi inte- stinali. Il celebre Morgagni che erasi ben accorto di cic>, rendeva avver- titi doversi usare somme cautele nel determinare la presenza di vermi, specialmente singolari e nuovi, nel tubo intestinale, essendoché una infinità di lesioni dando luogo a linfatiche e sanguigne effusioni, rapprese vengono queste talvolta in sostanze polipose , ed altre escrescenze posson prodursi capaci di tlar luogo ad equivoci. Osservasi in fatto non di rado in alcune enteriti ed altre intestinali irritazioni, evacuarsi pezzi di muco biancastro, talvolta in forma di membrana libera od involgente dei pezzi di sterco induriti , od altri corpi stanziati per qual- che tempo nel tubo intestinale, ovvero di forma filamentosa più o meno grossa, semplice o ramosa, i quali simulano perfettamente dei vermi. Il sig. dottor Levi, nostro medico pratico distinto, mi pre- sentò una volta ad esame alcuni degli ultimi , che un individuo preso dai cosi detti sintomi verminosi ebbe ad emettere per qualche tempo, ed io vidi evacuarsi altra volta da un rnio cliente, che avea sofferta infiammazione del retto intestino, tali listarelle di muco condensato che aveano trasversalmente l'impronta delle pieghe del retto intestino, e che perciò sembrando articolate, simulavano dei pezzi di tenia. Che se parlar vogliasi di altri corpi evacuati presi per vermi , possono esser questi, come accenna anche Bremser , rimasugli di ten- dini, di membrane, di legamenti, vasi di qualche animale ecc., cose tutte difficilmente digeribili che passano sovente, in certi individui, poco alterate nelle vie intestinali. Mi furono presenlati una volta come vermi singolari emessi da un fanciullo, due corpi che riconobbi non essere altro che un primordio di piume, quali osservansi nelle ali del gallo d'India, e che doveano esser stati ingojati inavverlenlemenle mangiando la carne delle ali stesse, che non eransi bene spiumate. Al tempo delle così dette Canocchie ( Cancer raantis. Lin. ), le quali mangiansi allesse, vidi sovente accusarsi dal volgo l' evacuazione di vermi, che non erano altro che frammenti di tale crostaceo, e pro- priamente di c[uella parte di corteccia che a lui serve di branchie. Anche le branchie dei pesci, dell'ostrica ecc., se vengano ingojate , passano indecomposte sovente pel tubo intestinale, e simular possono- un verme singolare, non così facilraente riconoscibile, persino talvolta 2 J 7 dai più avvedali. Lo stesso dicasi dell'aspera arteria degli uccellelli o d'altri animali. In tal proposito quanto rumore non produsse nel se- colo scorso, il solenne granchio preso da un valente naluralisla, quul era lo Scopoli ., per aver desi:ritto e figurato nella di lui Fauna In- subrìca un verme nuovo e singolare, il quale altro non era che un gozzo di gallina statogli venduto da un ciarlatano. Anche lo Spigelio è caduto in consimile errore, e rappresentò la trachea e la laringe di un anitra per un verme umano, e ciò sull'appoggio di Van-der-Linden, il quale riferisce in buona fede un tal verme vomitato vivo dal pro- prio padre. ISè la buona fede soltanto concorre a far prendere ab- bagli di tal natura , convien anche mettersi molto in guardia contro la credulità degli infermi, contro la furberia de' maligni e dei specu- latori , i quali possono a bella posta far comparire corpi stranieri fra lo sterco del paziente. Su tal proposito è curioso il fatto di un ciar- latano, il quale curando f^^ni male per vermi, onde convincere della propria asserzione, somministrava bocconi formati di frammenti di corde da violino. Questi passando per le vie intestinali scioglievansi ed ingrossavansi in modo da simular veri vermi. Vedasi da ciò come sono numerose le vie dell'inganno, e come non mai siamo guardinghi abbastanza per non essere condotti in errore. Passando ora alla terza classe de' falsi vermi intestinali, dirò comprendersi in questa tutti quegli esseri animali completi che per la loro forma possono esser presi per vermi. Tali sono alcuni insetti e le larve loro, alcuni annelidi , come p. e. i lombrici terrestri, le san- guisughe ecc. Il eh. prof. Brera nella di lui opera all'articolo vermi metastatici od insetti ne cita più esempi, e cosi pure il eh. professor Bremser. Fra i casi che a me si presentarono non potrei citare niente di singolare, dirò quindi solo che compilando nel i85o per ordine governativo il catalogo ragionato del Museo zoologico dell'Università di Padova, trovai in un vaso, appartenente alla Collezione dei vermi regolata dal prof.Brera sidlodato , una specie portante il wome Ai tenia lanceolata rinvenuCa nelle f'isse nasali ili un cane che acca dati segnali di pazzia. Es.imiuando attentamcnlt; i caratteri di questa pretesa tenia, onde conoscere se eragli stalo bene imposto il nome specifico, quale non fu la mia sorpresa nell' accorgermi che invece di un verme era una piccola sanguisuga schiacciata, le cui estremità pa- 2l8 revano decomposte, e clie veramente simulava la tenia lanccolata\ Senza 1' esame il più attento ingannarsi poteva in tal caso anche l'el- luintologo il più profondo ., e perciò appunto cadette il prof. Brera in inganno (i). Spiegai allora come la piccola sanguisuga poteva forse essersi introdotta nelle narici del cane , mentre questo beveva in qual- che fosso, e come avea potuto promuovere quei sintomi che a pazzia venivano attribuiti. Dovendo chiudere il mio discorso coli' esposizione di quella serie di avvertenze, che reputo necessario di aver sempre presenti, onde non incorrere in errori consimili agli accennati , qualora si tratti di decidere sulla reale presenza de' vermi, dirò con Bremser, esser talvolta assai facile di determinare la natura di un pseudo-verme, ma riuscir plia spesso molto difficile , anzi talora impossibile. Perciò volendo seguire vie meno incerte, conviene prima di tutto assicurarsi destramente del- l'onestà e della buona fede dell'ammalalo e di chi lo circonda, indi esaminando il preteso verme , determinare a quale delle Ire accennate categorie può appartenere. Per assicurarsi se trattisi o meno di un prodotto vegetabile si ricorrerà all' abbruciamento , all' ebulizione , alla macerazione, ovvero all'esame microscopico. Conviene però osservare attentamente se le fibre vegetabili sieno involte da muco condensato, poiché in tal caso bruciandole si potrebbe dall'odore animale venir condotti facilmente in errore. E necessario quindi far prima una specie di analisi meccanica, onde accorgersi meglio della forma e struttura del preteso verme , sottoponendo poi agli assaggi chimici le singole parti ; la qual cosa deve riuscire facile a ciascun medico, anche il meno istrutto nelle scienze naturali, essendoché chi non distingue l' abbruciamento di sostanza animale in confronto di vegetabile, chi non ne riconosce al micro- scopio, ed anche colla semplice vista, la differente struttura, chi non si accorge dei differenti risultati obesi ottengono mediante l'ebulizionc, la macerazione, ecc.? (■) Brera. Memorie Dsico-raediche sopra i principali vermi del corpo umano. Meni. I p. 7. e Due belissirae tenie lanceolate conservo pure , le quali trovate « si sono ne' seni frontali di un cane , che era diventato poco meno clic furi- « bondo > . 319 È facile accorgersi mediante il microscopio , ovvero anche con semplice lente, se i prelesi vermi sieno muco intestinale in varie foggie condensalo, ovvero frammenti di verme o di altro animale, giacche nel secondo caso osservasi un tessuto organizzato , mentre nel [irimo vedesi una massa omogenea, senza traccie di organizzazione. Volendo poi distinguere se la sostanza sottoposta ad esame sia frammento di un vero verme, conviene considerare attentamente a quale specie di verme umano potrebbe appartenere, se ad ascaridi od a tenioidi, se a cistici o ad altri; locchè non è difficile riconoscere, avendo presenti le forme delle specie finora nel corpo umano rinvenute, e le diverse loro [)arti. Abbiasi pertanto avvertenza di non prendere le viscere dell'ascaride lombricoidc, accidentalmente staccate, per vermi, come fece quel medico , del quale racconta Goeze , essendoché le ovaju specialmente sembrano a prima vista filacrie ; cosi pure non credansi specie differenti di vermi le varie parli di una tenia comune, i cui articoli mostransi diversi per forma e grandezza, ovvero quelle alte- razioni accidentali di struttura che costituiscono mostruosità. Da ciò la necessità che i medici coltivino con poco più di fondamento lo studio delie scienze naturali , e specialmente di quelle parti che più diretta- mente risguardano l'arte del guarire. Ma non solo è d'uopo stare in guardia per non prender parli di vermi per vermi nuovi: conviene anche garantirsi controia mala fede, che potrebbe per fini secondi fir comparire fra le evacuazioni umane vermi non propri dell'uomo. Cadendo in siffatto sospetto devesi far in- dagine a quale specie appartenga il verme che si presenta, e conosciuta questa, cercare, dietro le guide dei professori Rudolfi , Bremser e Sche- rer, in quali animali siasi finora rinvenuta e e nella loro maggiore estensione non oltrepassano due centimetri d. lunghezza. Gli esterni sono quasi la metà più corti. Sono tutti fili- form,,_ d. un bianco pellucido, e disposti ir, sei file circolari alternanti iNon s. osservano esternamente in questa attinia le glandole salivari che crcondano il disco, come in tante altre specie, ma restano na- scoste nell nuerno di essa. Il disotto dell'attinia, o la sua base è di un color cinereo. Alle volte rial.a il lembo del disco superiore fino a du« centi- metr. e pu., allargandone l'apertura, poi lo ritira di nuovo, e lo rotonda; m seguito lo riapre allargandolo di più alla sommità a guisa lo "'" '"'? l t ^"'^'"^" ^"^ '"^' ^'-^ '^ ^^^■"'^^ '^'^ - ''o e lo tiene aperto dall'altro. Questa attinia può chiudersi affatto e ritirar tutti 5 suoi tentacoli mento del granchio che la porta, cosi ritiene essa il suo disco nuasi sempre sem.-chinso, e non lo apre se non quando i, granch o Tn - ,n nposo. Per altro questa attinia non\ cosi sensibile tocca Anche se e aperta s. lascia toccare, e muovere sen.a dar segni di 33o chiudersi; e lo fa poi con tutta lentezza. Alle volte però si risente del toccamento tutto ad un tratto, e con una piccola scossa. Fa sor- tire quest'attinia, come fu detto, dai foreilini della superficie del suo corpo, allorché viene malmenata, dei lunghi fili di un bel color rosso vinato, o anche bianchi. Se ne veggono poi anche sortire, ed in mag- gior quantità dalla base dello stomaco, da due fori che sono in esso, e ciò con molta evidenza, presentandosi in due Hocchi separati uno per ciascuna parte della bocca, come si vede nella figura 2. Posta nell'acquavita spariscono i suoi vivi colori; essa restringesi, mostra varj solchi o grinze , e diventa di un color bianco pallido con una leggera tinta di carnicino. Quest'attinia aderisce alla cliiocciola , detta volgarmente dai pe- scatori Caraguolo de Mar. Trochus magus. Linn. , e la investe tal- mente che nessuna , o piccolissima parte di essa apparisce al di fuori. Questo troco serve di ricovero ad un Granchio della divisione dei Pa- rasiti, che è chiamato dal Risso Pagiirus calidus , e volgarmente dai pescatori Corbola de mar, il quale trasporta seco e la chiocciola, e l'attinia. Questa se ne sta aggrappata al troco in forma di un grosso anello, mentre levata fuori e staccata dal guscio resta aperta da arabe le parti, e riunita tuttora sul dorso. Sono le espansioni della sua base che si uniscono nei loro lembi dopo aver abbracciala la chiocciola, e le danno la somiglianza di un anello; appunto come sarebbe una mano che con le dita riunite abbracciasse un intero cilindro, e che le dila si andassero ad attaccare alla polpa del pollice, levando il cilindro, fino a che la mano non si apre, resta una cavità a guisa di largo anello, ma aperta che sia, si vedono due larghe espansioni , una rappresentata dalle dita, e l'altra dalla polpa del pollice. La parte superiore, o la base della coda del granchio viene pure quasi tutta circondala dalla attinia coH'espansione dei lati del suo corpo, o mantello, il quale va del pari a coprire il troco, la di cui prima spira o la punta soltanto si vede alle volte scoperta. Il centro della sua base corrisponde sotto alla boc- ca, dunque la sua base è al dissotto fissata sull'ultimo giro della spira del troco, e con le sue espansioni laterali si distende, ed abbraccia tutta la conchiglia, e l'inviluppa come un mantello, e talmente l'ab- braccia, che queste espansioni non solo si toccano, ma anche si at- taccano insieme e cosi fortemente, che si può staccare l'attinia dal 23l troco senza clie si separino, ma restano unite e come accollate; anzi si osserva che nel luogo della loro unione formano un piccolo solco, od una linea alquanto incavata. L'attinia cosi separata dal granchio e dal troco ha la rassomiglianza di una Bulla. Sta essa attaccata al troco in modo rovescio, cosicché la sua bocca si vede rivolta sempre da un lato, e quasi al dissotto, ma non affatto al dissolto, mentre veirebbe a soffrire dal continuo strisciare del granchio che la porta. Anche il Murex brandaris , vulgo Garuzolo , porta seco un'attinia, ma que- 6ta ha sempre la sua bocca superiormente posta .^ stando con la sua base fissala sul dorso del murice. La ragione della diversa posizione di queste due attinie è ben evidente, mentre quella che sta sulla con- chiglia del Murex hrandaris , che è il suo vero abitatore, occupa col suo corpo tutta la parte inferiore di essa , e deve lasciar un libero varco al murice di entrare ed uscire, quando nel troco indicato, il granchio non lenendo che una parte soltanto della sua coda , lascia all'iiltinia la libertà di fissarsi come le })iace. E questa attinia molto sottile di corpo e come caverncsa; la sua maggior grossezza ò al capo. Un;i volta che siasi fissata attorno al troco abitalo dal granchio non può più liberarsi da esso, talmente trovasi imprigionata. Ter separanerla viva , convien prima levare il granchio dalla conchiglia , e poi con diligenza staccarla da essa , a cui si trova come accollala. Allora essa vive e vegeta bensì, ma è inca- pace di più fissarsi , essendo la sua base modellata sulla forma del Iroco. Posta in un vaso con acqua di mare da se sola, senza la com- pagnia del granchio, ma abbracciata al suo troco, si gonfia un pò' più, dilata ed apre il suo disco superiore, e fa vaga mostra di se. Essa può vivere cosi cinque o sci giorni, ed anche più rinovandole l'acqua marina, ma j)oi sen muore. Dopo morta si stacca dal guscio del troco, e si decompone in una pappa cinerea; mantiene però per molto tempo il bel color rosso nei punti. Non ho mai veduto questa attinia attaccarsi ai vasi o ad altri corpi immersi nell'acqua marina, dopo che fu staccata dalla conchi- glia, abbenché tenesse ben aperta e dilatata la sua base, e la ponessi nella facilità di farlo. E necessario conchiudere che questa specie sia stata data dalla natura per compagna al granchio, mentre senza di 232 esso perisce, ed egli sarebbe esposto a danneggiare la sua delicata coda, alla di cui base sono poste le ovaje ed i germi delle future generazioni. Il granchio che abita nel trochus magus suddetto è assai grande, e a mala pena vi può tener nascosta 1' estremità della sua coda. L'at- tinia che colla sua base ricopre il troco , si distende perciò con la slessa al di Jà dell'apertura di esso, e dilatandonela , serve in tal modo ad accrescere la nicchia, acciò il granchio vi possa meglio lo- care la base della sua tenera coda. Siccome poi egli con li peli al- quanto ruvidi, di cui ha coperto il suo torace, potrebbe offendere coti i suoi ripetuti movimenti la tenera pellicola dell'attinia, cosi la provvida natura fece che l'aitinia in quella parte che serviva d'ingresso al troco , si coprisse di uno strato sottile, duro ed elastico, di una pelle consistente , semi-cornea , pellucida , la quale si adatta tanto ai mo- vimenti dell'attinia, come a quelli del granchio. Osservata alla lente questa espansione trasparisce, e si vede tessuta di filamenti ramosi ed intrecciati, che imitano quelli della esterna pelle dell'attinia. 11 suo colore è gialliccio verdastro , ed ha 1' aspetto di un pezzo di uh'a. Disseccandosi diviene più oscura e fragile. Questa espansione si osser- va, ma più sottile, ricoprire pure alcuna parte anche dei giri minori della spira della conchiglia. Questo è un umore che traspira dalla base dell'attinia stessa, il quale poi si indura. Lo si vede benissimo dopo che l'attinia è morta e staccata dal guscio , lasciandovi sopra lo stesso ed intorno alla sua apertura una pelle coriacea, di un giallo verdastro, della quale ho già parlato. Anche il continuo sfregamento del granchio contribuisce alla uscita in maggior cojiia di quell'umore, essendo uno stimolo con- tinuo all'attinia di produrlo. Levala questa pellicola, la base dell'attinia allora resta nuda, e si vede formata, come in tutte le altre, da mi- nute strie longitudinali e trasversali, radiate, che lasciano fra loro dei vuoti e dei lunghi interstizi! , fra li quali sono j)osle le ovaje e li vasi spermatici, che in alcune sono rossi ed in altre bianchi, come fu già detto. Con la dilatazione che forma 1' attinia sul dinanzi dell'apertura «lei troco , trova poi un appoggio sulla giossa coda del granchio, alla quale serve come di scudo. Cosi il guscio coperto della pelle semi- toriatea formata dalla base dell' attinia, sembra due volle più grande 233 di quello è in fatto , mentre la pelle sottoposta forma la continuazione dell'ullinia spira, o dell'apertura del froco , che con tal mezzo viene ad ingrandirsi. Vedi figura 5. Quest'attinia varia un poco dalla pietà di Risso, che egli trovò attaccata sulla Natica , mentre quella ha il corpo allungato , sparso di lince e punti violacei; di pii!i ha la bocca circondala da un orlo trasparente, la mia è di un giallo dorato sul dorso, bianca presso al disco superiore, ove è tutta sparsa di punti rossi; non ha Torlo tra- sparente olla bocca, e trovasi sul Trochus niagus Lin. abitato dal Pagurus caliiìns , al quale serve di difesa. L' abate Chiereghin nel succitato suo lavoro descrive cosi questa attinia, u Corpo carnoso, rotondo, liscio, colorato, di un fondo bianco « macchiato a lunghi tasselli di color brunetto, disposti all'intorno di « esso corpo uno dopo l'altro in linee, una dall'altra egualmente distanti " alquanto, e tali tasselli tutti pur anco corrispondenlisi nno all'altro «a formar in cotesta disposizione trasversale tante altre linee brune, « e sulla conchiglia dalla parte laterale destra del granchio questo corpo « mostrasi sempre avere una elevata orlatura formante un largo cir- « colo alquanto affossato, la quale sull'orlo di tutta la sua circonle- « renza allui>ga dei successivi eguali, retti, sottili, mobili, lunghetti « cirri a far credere questo corpo poter essere forse un Actinia di « Linneo non ancor cognita ad altri, essendo che questa lascia l'estre- u ma parte spirale della conchiglia afiatto libera di se stessa, e cosi u, p\ire l'anterior parte da cui esce il granchio da un'apertura lasciata " da essa, ca[)ace di poter esso entrarvi ed uscirne". Dà egli pure una lunga descrizione del granchio , che giudica es- sere il Cancer Bernhardus hin.i ma che come si vedrà appartiene ad un' altra specie. Kella succitata figura a chiaro-oscuro dell'abate Chiereghin viene rappresentato il granchio che tiene la coda entro alla conchiglia, sopra la quale stassi aggrappata l'attinia alquanto aperta. La figura del gran- chio non è molto esatta, ni da quella che rappresenta l'attinia si possono riconoscere le sue vere forme, ed i suoi caratteri distintivi. M.'' Dugès nella indicala nota mostra di essere in dubbio se la Urticac quarta species di Rondelezio possa , o no', riportarsi a questa, e ciò perchè vive sulle conchiglie, e perchè getta fuori dei fili rossi dai porri del luo corpo , cose comuni ad ambedue- Ma quella di Rondelezio che è V Attinia maculala di Bruguière, descrilta nel- l'Enciclopedia metodica al n.° 14» ed anche figurata in essa alla ta- vola 72, fig. 10, è chiamata dal Rapp Actinia e/foela ^ e da lui figurata nella tavola II, fig. 3; é ben diversa da questa, e per la sua forma, e per la grandezza, e per la disposizione dei colori , ed infine jier il suo metodo di vita. Io pure ebbi occasione di vedere la specie del Dugès, e la riconobbi tosto per una specie diversa da quella di Rondelezio. Il nome di parasita che egli diede a questa attinia uou mi sembra abbastanza convenirle, mentre essa in fatto non è parasita, come non lo sono né la maculata , uè Yejfoeta^ uè tulle le altre che vivono attaccate ai gusci dei teslacei e delle lepadi , come disse lo slesso Dugès. mentre non vivono a spalle di essi', ma anzi servono in qual- che modo di garanzia , di difesa e di custodia agli animali che le portano. In tal caso questa dovrebbesi piuttosto chiamare Actinia pallium , come lo fecero Sliom, Rohudsch, Fabricio , Ehremberg eLamarck, mentre protegge e ricopre la coda del granchio come un mantello e tulio il troco stesso, ma siccome sappiamo esserne delle altre che hanno la stessa proprietà, cosi credei meglio lasciarle quello che le avea dato già l'Otto, e che fu ritenuto pure dal Rapp. Osservò IVI.'' Dugés ciie questa attinia non si trovava che sopra le conchiglie abitate dal granchio chiamato Bernardo l'eremita, Can- cer Bernliardits Lin., e che sempre tenea la sua bocca quasi a contatto con quella del crostaceo, per approfittare delle bricciole che egli ave.Hsesi lasciato cadere nel tempo del suo mangiare. Egli non indica quale sia la specie di troco nel quale tiene rinchiusa la sua coda il suddetto granchio. Per altro è da notarsi che la bocca dell'attinia trovasi posta naturalmente a molla distanza da quella del granchio , e converrebbe che egli si ripiegasse a bella posta sopra se stesso , per mettere la sua bocca a contatlo con quella dell'attinia. E però benissimo probabile che qualche bricciolo di cibo venga a stac- carsi nell'atto del mangiare del grauchg}', e che portato dall'acqua stessa a contatto dei tentacoli dell' attinia, questi lo afferrino, e lo portino alla di lei bocca. ,. ! Vide pure il Dugès i filamenti rossi che espelle quest'attinia dai pòrri del suo corpo, ma non li osservò sortire dalla bocca, come li 2^5 ho veduti io slesso in diverse. Egli li considera come ovaje con Cu- vier, ma in fallo non lo sono, ma piuttosto canali sjiermatici , come ho già fatto vedere parlando della Actinia diaphana. Parla inoltre il sigiior Dugès di quella espansione di consistenza cornea e di color bruno, che si distende per uno spazio due o Ire volte maggiore della stessa conchiglia , e che copre al dissotto tutta la porzione dell'attinia che serve di coperta al granchio. Dice, e riflette assai bene, che non si dee considerare questa espansione per un ram- mollimento dell'ultima spira della conchiglia , ma come una addizione fatta dalla attinia stessa, e non dal granchio, mentre non se ne co- nosce alcuno che lavori simile espansione. Ed in fatti essa è veramente prodotta dall' attinia , mentre vi aderisce fortemente alla sua base, e si vede anche, benché piti sottile, sopra la conchiglia stessa da essa coperta, dove non è al contatto del granchio. Di più, le striscie tra- sversali di questa espansione corrispondono chiaramente alia forma dell'orlo della base, o jiiede dell'attinia. Questa sottile e meno consistente espansione cliC trovasi fra la attinia e la conchiglia fu pure osservala dal Dugès, che la considera appunto come una prova evidente di una produzione dell'attinia slessa" Egli ne diede una figura mollo cattiva, la quale assai poco fa vedere la vera forma di quest'attinia, perciò credetti necessario di doverla qui ripetere aneli' io, come si vede nell'annessa tavola alla figura 6. per li dovuti confronti. Ma facciamo ora parola del granchio da me osservato. Da quanto mi pare l' Olivi nella sua Zoologia Adriatica lo ommise. Egli differisce moltissimo e per la sua grandezza , e per la sua forma dal Cancer Bernhaidus , e dagli altri dcsrritli dall'Olivi nella sua divisione dei Cancri parasiti. Riporta egli sotto il nome volgare di Cortola di mare, una nuova specie di granchio, alla quale dà il nome di Cancer glaber ^ di cui pure ne dà la figura alla tavola III, figura 4- e 5. Ma questo è ben diverso dal nostro, e per la sua forma, e per avere non la sua chela destra maggiore, ma la sinistra, e per il suo me- todo di vita , che è di starsene sprofondato nel fango , come il Cancer scyllarus , vulgo Corbola , mentre invece il nostro tiene la sua coda aggrappala alla vuota spoglia di un troco. Psè il riportare che fa l'Olivi il nome volgare di Corbola di mare al suo Cancer glaber. prova i36 che sia la stessa specie del iioslro, mentre i pescatori sono solili chia- mare con lo stesso nome molte specie , benché fra loro diverse , qualora abbiano però fra di esse dell'analogia. Abbiamo l'esempio nello stesso Olivi, che chiama col nome volgare di Bulli col Gramo tanto il Cancer Bernhardus , <;om€ il Diogenes , e l'Eremita; e cosi pure la Attinie vengono tutte distinte da essi col nome di Tettine. Il Risso nella sua Storia naturale dell'Europa meridionale, de- scrive molto bene questo nostro granchio, cui dà il nome ài Pagurus calidus /!.° 54. Pagare rusé , ossia Grnnchio volpone; ma nulla dice de' suoi costumi , solo che vive nei gusci del Murex trunciilus Lin. , e che SI vede nella state , che differisce dal suo Pagurus cingulatiis per le sue chele o tanaglie quasi triangolari, molto granellate al di sopra. Perciò io mi dispenserò dal descriverlo , ma riporterò invece la descrizione che ne diede lo stesso Risso , e le osservazioni da lui fatte, avendole trovate esattissime. Eccone la descrizione. N.° 54. Pagurus calidus. Risso , pag. 59 , tomo V. «Pagurus, thorace glabro, rubescente, piloso , latere rubro vi- « vido : brachiis subtriangularibus granulatis. a Osservazioni. Le sue gambe anteriori sono color di carne, fa- usciate da strie di un rosso carico, armale da una linea di punti aldi « sopra, che si estendono fino all'unghia; gli occhi sono olivastri col « peduncoli biancastri ; le • antenne interiori due volle più lunghe « di questi organi; il corsaletto è rossastro sporco, liscio, guarnito " di alcuni fasci di peli, con i lati branchiali di un rosso vivo. Lun- « go 0,80; largo o, 14. Soggiorna nel Murejn truiiculiis. Apparisce « nell'estate n. E la descriaione del Pagurus angulatus che egli ne dà è questa, e che io riporto per i dovuti confronti. N.' i3. Pagurus angulatus. Risso. Pagùre anguleux , p- 5g t, f^. «Pagurus; thorace subglaberrimo , intense rubro; branchiis inse- di qualibus, carinatis, dextro majore '■>. '.i Osservazioni. Questa specie, dice il Risso, è rimarcabile per 20- Cile sue cliule, l'ullinia articolazione delle quali è rilevala al dissopra «in carena; il suo corsaletto è lungo, quasi liscio, sparso di peli, " variato di un bel rosso carmino; gli occhi sono bluastri; le antenne « esteriori lunghe : le chele hanno due incavi profondi longitudinali , « separati da una resta, con l'orlo esteriore rilevalo, il che le rende « angolose: l'addome lungo , lerniinalo da uncini inegnaii. La femmina u è piena di uova rossastre in eslate. Lungo Ojioo, largo 0,020. " Soggiorna nel Tritonium. Apparisce in primavera ed in estate ■>'. Cosi il Risso nel luogo citato." Io non posso aggiugnere alla descrizione data dal Risso del Pa- gurus calidas fuorché ha le piccole zampe posteriori macelliate di bianco, e di bruno pallido. Venne questo granchio pescato iu mare nei bassi fondi a poca distanza dal nostro litorale nel luogo detto ]& Fossa .^ li a5 luglio del iS58. ]Vle ne furono portati da cinquanta e più, e tutti avevano la loro attinia che li proteggeva. Senza di essa il granchio non potrebbe ivere ; in compenso egli la conduce qua e là , ove trova il conve- niente cibo Questo granchio estrallo dal mare , e posto invasi pieni di acqua salata può vivere un giorno o due al pili. Dopo morto egli abbandona il guscio in cui teneva attaccata ed immersa la sua coda. L'attinia vi resta tuttora aggrappata al troco , ma pochi giorni dopo perisce essa pure, quando non trovi qualche altro granchio che vadi ad abitare la vuota conchigli.i , e che la trasporti da un luogo all'altro. La coda di questo granchio, come iti lutti gli altri parasiti, è la parte più delicata, essendo liscia, nuda, tenera e trasparente. Anche la base del suo torace è carnosa e floscia , ma il tutto viene iirotelto dalla dilatazione, o dal largo anello clic forma l'attinia dinanzi al- l'apertura del troco. Questa attinia è ben diversa da quella che vive sul Jk/ure.x Bramlaris Lin. come fu detto, mentre quella si direbbe essergli più d'incomodo e di faslidio , che di difesa, ma questa invece gii si rende afiatto iiecessaria. Si veggono dei centinaja di murici privi dell'indicata attinia, ma ancora io non trovai alcuno di questi granchi che non venisse difeso dalla sua. Ciò potrebbe forse succedere se aves- sero trovato un guscio assai grande da polcr ricovrare per intiero la loro grossa coda, il the non mi è ancor noto accadere. In lai caso 2 38 troverebbesi il granchio troppo afTaticato nel doversela trascinar dietro. L'attinia die è attaccala al murice si può a suo piacere slaccare da esso, e andar a fissarsi altrove, ma questa è condannata all' iucontro a starsene sempre fissata sul troco, almeno fino a che vive il gran- chio. Pvè il granchio lia bisogno di cangiar domicilio, come fanno tanti altri parjtsiti , i quali crescendo di corpo lasciano la vuota con- chiglia che loro serviva di abitazione, perchè resasi troppo angusta, e vanno in traccia di un'altra più comoda e migliore. L'estremità della coda del nostro granchio , ed una parte di essa trovasi abbastanza difesa dal troco, e l'altra parte lo i dall'attinia. Se cresce il granchio cresce anche l'attinia, la quale va dilatando il suo mantello a misura che il granchio va crescendo. La coda di questo granchio è terminata da un' unghia un po' in- curvata e smarginata , la quale lateralmente porta due appendici, una per parte, munite ciascuna di due forti uncini crostacei, cigliati da pelelti, e posti come in croce, o aperti, per tener fermo l'animale . alla chiocciola. Tanto se ne sta fisso , che alle volte volendolo far sortire a forza, si spezza piuttosto la coda dal corpo, che cedere ove sta aggrappata. Anche l'Olivi nella sua Zoologia Adriatica alla pag. Sg. parla di questi uncini in una nota riguardante li granchi parasiti. Questo granchio ha la coda coperta da una fina pelle, e dentro di essa stanno in salvo le ovaje , le quali giunte a maturità, ingros- sandosi di troppo le uova, spaccano la pelle e sortono. Egli non può ritirarsi e nascondersi nel nicchio al caso di un pericolo. Il guscio non basta né meno a mettergli in salvo tutta la coda. L'attinia gliela ripara nel resto , ed il granchio alle volte si rannicchia in se slesso per salvarsi dal pericolo che lo sovrasta , ed allora si asconde sotto all'attinia fino al tronco, raddoppiandosi sopra se stesso, e lasciando tutta la parte anteriore del suo corpo esposta al di fuori. Stando Jermo mette in movimento continuo 1' estremità delle sue antenne esteriori , o delle più corte, tiene gli occhi rialzati e allargati, e se si accorge di un qualche sinistro, si scuole di un colpo ritirandoli un poco indie- tro, e dando avviso all'attinia che essa pure va tosto chiudendosi. Quanto ammirabile e singolare non è mai questa specie di fratel- lanza fra due animali di classe affatto diversi, che la nalura seppe associare a comune benefizio e difesa! f^^ fc^J: Il^.Ó. ^^vi yv\v Fiy.J y{rvirocellosa amministrazione de' Comuni parea che operasse del suo peg- gio , a distruggere quella libertà che pur s'era comperata a prezzo di sangue? E quasi fosse destino che qui il bene appena mostrato dilegui; non andò guari che l'ambiz-ione di pochi potenti , con astute arti ag- girando il corto senno delle cieche moltitudini, s'insignorì del supremo potere; e quasi città non v'ebbe che non piegasse il colio al suo ti- ranno— . Un'altra piaga che di questa stagione affliggeva le nostre contrade, erano le fazioni de' Guelfi e de' Ghibellini: le quali sotto ■ li splendidi nomi di chiesa e d'impero, non ad altro miravano che a saziare l'empia libidine di dominio e di sangue: atrocissima peste, che non solo infieriva tra chi vivea serrato dentro un sol muro ed una sola fossa, ma sin fra gli abitanti sotto un medesimo tetto — . Non oziosa spettatrice di tanti mali se ne stette allora la poesia; che, la- sciando un tratto i teneri versi d'amore, già meditava ne' suoi mi- steriosi silenzii un altissimo canto; e di tanta epica grandezza, da non invidiare per nulla agli antichi poemi cavallereschi , di che si vanta la Francia, la Germania, l'Inghilterra e la Spagna. Ed eccomi giunto a quella parte del mio discorso che più aper-' t ameni e , e come in atto, dimostra quanto si è venuto ragionando finora: tanti secoli e sì diversi e strani avvenimenti si dimandavano, acciocché per intero si rinnovasse ia poesia , e delle sue insohte e cri- stiane sembianze maravigliasse la terra. E vera maraviglia, a non dire miracolo di quelle età non ancora civili , siccome delle presenti e delle venture, saranno sempre le immortali cantiche di Dante Alli- "hieri. A. discorrere alcun poco delle quali, io non so se m'accosti con maggior reverenza o timore. Ma perchè tacerne non si potrebbe, e la luce del vero raggia si chiara che percote ed avviva anche i mi- nori intelletti; farò come chi pur di se dubitando, non lascia di favel- line . Qual fine sjieziale si proponesse Dante nella divina Commedia, non è cosa dimostrala e sicura: però, o volesse egli vendicarsi della ingiusta condanna di che avealo colpito l'ingrata patria; o s'adope- rasse al trionfo della setta ghibellina, alle cui parti da ultimo s'era «citato; ovvero intendesse a persuadere, non altra via di salute ri- 261 manere a quest'Italia divisa sempre, che la soggezione iinperiaie, affìnchtt di lami piccoli stati si componesse una grande ed universal monarchia; è indubitato peraltro, ch'egli si valse della religione, siccome di principale ed opportunissimo mezzo a conseguire o l'uno o l'altro di questi fini. E v'ebbe — follia quasi incredibile ! — un j)0- tentissirao ingegno de' nostri tempi, il quale pensò che Danle, assu- mendo il carattere di profeta e d'apostolo, col suo poema mirasse a riordinare le cose della chiesa e i turbati governi d'Italia: sogno ve- ramente di strana mente e non ortodossa! — Ma, lasciando di questo e d'altri delirii , dirizziamo invece lo sguardo a vedere sovra qual fondamento egli appoggiasse il suo sublime edifizio. V'ha mai alcuna delle cristiane credenze più volgarmente diffusa , che quella delle ri- compense e de' castighi, assegnati all'uomo nella vita avvenire 3 Altis- simo ed innegabile domnia è questo, a chi vive di fede; e non avvi uomo, per quanlo dell'infima plebe, che al solo suo annunzio, non sia commosso e non ti-emi. Gli atroci ed eterni supplizii de' peccatori, il martirio confortato di speranza di chi espia le reliquie delle colpe passate, la ineffabile gioia delle anime, che in Dio vivono senza fine contente: ecco le tre magnifiche idee, che in una sola ravvivale e ri- fuse, sono pietra angolare al sacro poema. Stupenda ed unica trilogia; nella quale il divino intelletto dell' Allighieri , ponendo mano a cielo e terra, coi più vivaci colori che uscissero da mortale pennello ne pinge i misteri del secolo avvenire, rammenta le glorie del passato, ed il presente ritragge cosi, che invano cercheresti negli scrittori contempo- ranei storico di lui più scheitto 0 sagace. Interprete degno del secolo suo, non però gli fallisce mai la veduta nell'abbracciare d'uno sguardo l'intera unianilà : quale a supremo giudice, gli stainnanzi.il cuore dell'uomo, tutto ignudo qual èj sublime al pari dell'angelo, abbietto al pari del bruto. Esperto della sventura, tocca egli la corda dell' aflfetto? e le lagrime seguono spontanee la sua parola. Terribile come gli antichi pro- feti, e talora soave come la mite parola evangelica , scuote e compunge per guise tutte insolite e nuove: né musa altra conosce a cui più al- tamente s'inspiri, tranne la religione. A somiglianza di quella mente, cui i panteisti imaginando infusa nell'universo, tutte dissero agitarne le singole parli ; così la religione compenetra ed informa le cantiche 262 dell' Allighieri , che ove si spogliassero dei cristiani principii non altre uè parrebbero che mulo ed informe cadavere. JNè mi sì dica che Dante si giovasse dei donimi cristiani ai modo stesso dei miti pagani ; che dappoiché se usò di questi come di tipi allegorici, a celare il concetto sotto il t>elame delli versi strani; di ({uelii aiulossi cjual mezzo potentissimo a persuadere l'amore degli eterni veri. Né la cattolica credenza di lui potè revocarsi in dubbio, da uomini di sano intendimento — . Dante dunque rigenerò la poesia nel Cristianesimo, prima e sincera vita alle ispirazioni del genio, princi- pio e fonie d'ogni bellezza; e come non v'é fuor del cattolico grembo speranza di vita, così senza pensieri ed affetti cristiani non può avervi sublime e perfetta poesia. Datemi pure un uomo, privilegiato dell'in- gegno di Salomone, d'imaginazione tai^to possente che accoppii in se l'ardore di quella fiamma che scaldò Omero , questo Dante e Shakespea- re ; ornatelo di quante cognizioni arricchirono mai mente umana: ma s'egli neghi credenza alle verità della fede, se abbrutisca se stesso nel fango delle terrene cose, saprà noi niego , comporre poemi, meravi- gliosi dal lato dell'arte; ma non giungerà mai a commovere il cuore profondamente, non sorgerà a maestro di civiltà, di gentil costume, di schietta virtù; primo e principalissimo uffizio, venerando ministero affidalo all'operare di quelle arti , che perciò stesso si chiamarono belle. §. Petrarca e V amore cristiano. XII. Né il poema sacro s' irradiò così della luce divina onde disfavilla il Cristianesimo , che parte non ne riflettesse in que' versi , che r Allighieri consacrò alF affetto della sua donna. La celeste Bea- trice che nelle cantiche per sì mirabile modo spesso si scambia in uno colla Teologia, ci vien dinanzi nel canzoniere qual donna, ma sciolta veramente da tutte qualitadi umane. Cosi la poesia amorosa , che i Provenzali prima e poi i Siciliani aveano cominciato a detergere dalle macchie, diche l'aveano deturpata gli antichi, acquistò per opera dell' Allighieri nuova grazia e purezza; e fu poco stante da Francesco Petrarca condotta a tal grado di perfezione, ch'egli ne venisse saluta- lo a principe e fondatore. E certo; per siffatte guise ne rappresenta 26ù ógli l'amore , rlie non soln \eita altre forme e sembianze dalle greche e romane, ma ancora assuma natura aO'allo diversa. La sola belle/za fìsica, il dilclto dei sensi risvegliava in petto degli antichi l'amore; i quali correndo a bruciare incensi alla Venere terrestre , lasciavano deserto l'altare dell'altra, cui Platone chiamò, la Venere Urania ■^ o celeste. Lo spiritualismo, benché non al tutto puro, di che il Pe- trarca si valse come di principale elemento, mentre non rigettava le imagina/.ioiii platoniche, le rendea più gentili e più alte coli' asso- ciarvi le idee religiose. La novella credenza non avea già spente le passioni nell'uomo, ma si mortificate e rivolte a fine più degno: altri premii , altre .«speranze confortavano la mortale fralezza, che vedca dischiudersi oltre la tomba un'esistenza immutabilmente beata, e sor- riderle tutta pura la gioia d'un amore ineffabile. Che ne sapeano di tutto questo gli antichi? la dolcezza delle lagrime sante, la dignità del dolore, l'altezza dei sacrifizi!, le battaglie della carne contro lo spirito, erano cose affatto ignote, a chi nei godimenti , nell'egoismo, nei materiali interessi poneva il sommo di ogni terrena felicità. Oh la sublime unione dei cuori, che vivendo l'uno dell'altro sono affra- tellali da un vincolo che non si spezza per morte! Oh la pura gioia delle menti che comprendendosi senza parola, s'abbracciano in un Solo pensiero! oh l'estasi degli sguardi che in un'ora stessa s'innal- zano al cielo a pregar pace, benedizione, interminabile affetto! .... Parlate, parlate pure
  • ensiero, a manierismo di frase. Si dimenticò mano a mano anche il Petrarca ; di Dante , come di morto da buon tempo, più non s'udiva parola: deplorabile traviamento die condusse tanti fioriti ingegni, nati a volare oltre forse le pindariche altezze, a turpe caduta ed obblivionc perpetua. Le poche eccezioni , e di parti piuttostochè dell'intero, non fanno meno vere le nostre parole. E mentre il divino Galileo, visitando il cielo col suo telescopio apriva < on immenso ardimento nova strada alle scienze, e la scuola di lui ed altri illustri scrittori travagliavano alla diffusione d'incogniti veri: la i>oesia sola, venuta allo mani di travolti cervelli , miseramente giaceva. L'età susseguente , dall'uno estremo varcando nell'altro, in cambio del- le idropiche risonanti gonfiezze, s'infcniminò nelle melate paroline de' pastorelli d'Arcadia. IVla gli animi stanchi dal lungo sonno, a poco a poco si ridestavano; l'amore di Dante tornava, e i buoni ingegni gli correano incontro volonterosi. Dallo studiare in lui si riconobbe; the poesia non è arte di vane parole, ma, a chi ben l'intende, civile e religiosa sapienza, sotto forme affettuose e leggiadre; e che di lei, come di potentissimo mezzo, può giovarsi l'uomo poeta a persuadere il culto della virtù cittadina e cristiana. Scoppiava in questo mezzo la tremenda rivoluzione di Francia; l'aspetto d'Europa si tramutava. Strategia, politica, legislazione si ri- fondevano ; gl'intelletti s'aprivano a vedute più larghe e profonde, i cuori batleano co.mraossi d'insoliti affetti: s'abiurò l'ateismo, e il regno degli sceltici si rinchiuse entro più angusti confini. Una breve, ma e- letta schiera , di letterati e poeti preluse al mutamento felice: che poi condusse a quella che mi piacerebbe chiamare rigenerazione seconda- li poeta più grande dell'età nostra, il primo che dopo Dante intendesse meglio d'ogni altro qual sia il vero concetto delia cristiana poesia, ha dimostrato all'Italia qual via si deggia battere, a non fallire a glorioso porto. Dal non averne bene inteso la mente , segui che molti traviali aberrarono in vani delirii : di chi la colpa? Ma i principii del bello poetico, grado a grado spargendosi, vanno da qualche tempo frutlifi- 267 caiido ; le file degli opponenti ogiior più si diradano, e nelle intelli- genze non accecate da superbia oda ignoranza, è ornai fatta universale la persuasione; che vera poesia non può avervi senza originalità: che alle opere degli antichi è da usare bensi reverenza , non però adorazione; che la religione cristiana^ siccome rinnovò l'uomo e la civil società, così pose fondamenti diversi alle lettere ed alla poesia ; e che final- mente senza il perfetto accordo del pensiero col sentimento, della parola coli' armonìa non sarà mai che colle poetiche ispirazioni si giun- ga ad operare eflicacemente nel bene dei popoli , ad acquistarsi fama immortale. UNOVI STUDII SULLE RELAZIONI FINALI DEGLI AMBASCIATORI VENEZIANI DISCORSO DEL KOB. SIG. CONTE I. EONARDO MANIN PRESIDENTE DELL'ATENEO. V^e in oggi, o Signori, ritorno a voi sopra un argomento che non fu riputato indegno di formare la prolusione di questo nostro anno accademico, cioè sull'utile che ritrarre si potrebbe dalle finali relazioni de' Veneziani ambasciatori al Senato presentate, io vi ci ri- torno con un misto di compiacenza e di rammarico , e son ben sicuro che voi slessi prenderete meco parte a questi sentimenti. La storia di Venezia, e ciò tutto che riguarda l'ordine ammirabile di quella re- pubblica è divenuto uno studio di comune usanza, e quelli pure che negli anni addietro contro di essa si scatenarono , e negli scritti loro se ne mostrarono avversi, in ora mercè gli studii di pace, di quiete, e di tranquillità, la storia di lei accarezzano, e quindi di più bella luce risplende: si ammira la condotta di quel governo, si applaude alle sue leggi, si fa eco alla sua politica, infine si procura di meditarla, di studiarla, di pubblicarla. Quegli c)»e sente la più viva carità della patria non può che provarne una superba compiacenza , riconoscendo che nelle veneziane memorie si j)ossono rinvenire i fonti per correg- gere ed emendare gli errori, che nelle storie si sono con tanta fre- quenza introdotti; ma ciò che è cagione di compiacimento e di piacere offre pur anco materia al rincrescimento ed alla pena. Gii stranieri pubblicano le cose nostre, ma estratte Ja fonti impure, ma squarciate nelle parti più importanti, ma dirò cosi capovolte, che sembrano non conservare di nostro che la esterna corteccia , ed una leggiera ombra apparente. Ne' patri! archivj studiare si debbono le patrie cose: in essi li documenti si rinvengono esatti, irrefragabili, sinceri, e non già a caso pescarli nelle estranee biblioteche, e quasi menar pompa di ri- trovarli ovunque, mentre non sono che incerti, falsati e sconvolti. Il celeberrimo padre Affé nella sua storia di Parma esaminò gli statuti promulgati della pace di Costanza, e continuati sino all'anno ia66; prezioso manoscritto cu^lodito nell'archivio secreto delia parmigiana comunità ; ma più d' ogni altro ce ne diede luminosissimo esempio lo storico della rivoluzione, e dell'impero francese a' giorni nostri, che andò di luogo in luogo di quel regno, frugando ne' pili secreti ripo- stigli., consultando relazioni di generali e magistrati, attingendo ne' pubblici archivi!, confrontando i giornali uffiziali, e i disegni delie battaglie, e infine tutti li mezzi adoperando per giungere alla verità. Si facciano pure i ben meritati enconij a tutti quelli che delie rela- zioni nostre si occuparono e si occuj)ano tuttavia; ma se veramente aspirano alle oneste mire espresse , che da queste relazioni la storica utilità risulti, esaminino da prima, se le copie che presso di loro ri- tengono siano da pure fonti estratte , se furono con gli originali che ne' nostri arcliivii si conservono, poste di fronte, ed allora conchiu- dere si potrà che esse sono veramente atte ad assicurare la scoperta del vero. Convinto da questo principio mi farò ad esaminare qual fon- damento abbiano le relazioni che si pubblicano a' nostri giorni, ed apertamente vedremo quanto anzi sia offesa ed oltraggiata la verità , e quanta ragione avrebbe tuttora il dottissimo nostro doge Marco Fo- scarini a dolersene, come il fece al suo tempo ,^ nell'opera della Let- teratura Veneziana (*). Siami permesso, o Signori, di trasandare tutte quelle relazioni che si trovano impresse nel sedicesimo secolo, o nel susseguente si (■) Riscontrale non pertanto coleste relazioni con testi a penna fedeli , ap- paiono imperfette, e quali mancanti di principio o di fine, e talune dell'uno, e dell'altro. Foscarini lib. 4." pag. 462. nel tesoro politico, che nei tesori della corte Romana, eil altre si- mili edizioni, nelle quali esse sono falsate dallo sjiirilo di partito, o dalla satira. Su di esse espresse il proprio seiilimento 1' anzi lodato Foscarini, né io mi tratterrò a ripetervi le stesse lagnanze. Il mio assunto si ù di esaminare le pii!i recenti edizioni , quelle io dico sulle quali appoggiare si deve nel secolo de' lumi la verità della storia , veridici documenti della interna ed esterna economia di tutti i go- verni, e di farvi toccar con mano le varietà ed ommissioni che s'in- contrano, le quali danno assai poca fiducia sulla sincerità dell'asserto. Già vi dissi altra voli a, che il Veneto governo aveva una legge sta- bilita alli g dicembre i a68 , epoca della prima ambasciata permanente presso la corte di Roma sotto Urbano VI, per la quale li Veneziani oratori, dalle loro ambascerie ritornati, riferire dovevano al Consiglio che li aveva spediti, le cose tulle che riuscire utili e vantaggiose allo stato potessero. A questa legge replicata dappoi nell'anno i'a^Q alli 34 e'' luglio, e rinnovata nel principio del quindicesimo secolo, cioè alli 9 di giugno dell'anno 1401 , fuvvi pur anco aggiunto, che tutte le scritture appartenenti alle legazioni in Cancelleria riposte si tenes- scio. Ecco perchè non dovendo i principi accordare, che le relazioni degli ambasciatori siano rese pubbliche, per non essere agli occhi di tutti li secreti de' negoziati , anche il veneto Senato aveva ordinato che le relazioni, che sogliono essere fedelissime non si comunichino, ma siano con molta fede e. secretezza in un archivio rinchiuse, chia- mato appunto Secreta, e da due segretari del Senato custodite e di- fese. Da ciò forse ebbe luogo che delle più antiche relazioni non si ebbero che gli estratti, quali sono quelli riportati da Marln Sanudo ne' suoi diarii. Lo stesso Marco Foscarini nella sua relazione di Sa- voja, che pubblicala venne dal cavaliere Cibrario, fa cenno, che avendo molta esitazione di scrivere quanto è relativo alla sua ambascia- la, pure prende animo in riflettere che scrive unicamente al Senato. Si esamini ora prima d'ogni altra la edizione fatta in Torino dal cav. Cibrario (*) delle tre relazioni degli ambasciatori presso la corte (*) Relazioni dello slato di Savoja nei secoli XVI , XVII , XVIII. Torino presso r Milana 1830. Reale di Savoja, già indicatavi nella prolusione stampata nel princijiio di questo volume. ISoii avrei cerlamenLe posto alcun dubbio che quel cavaliere facendo parie di una commissione , che alla storia dal proprio regno specialmente applicare si doveva , visitali avrt'Llje con diiigen/a i nostri archivii, quelle cognizioni traendovi delle quali più abbisognava : ma quale fu la mia sorpresa nel leggere, che queste copie anziché fossero da' nostri archivii estratle, il fuiono dalle privale librerie di Torino , solo rivolgendosi alla Camera de' Conti di quella corte al- lorché alcun dubbio gì' insorgeva. Che se egli seguendo il volere del suo augusto Sovrano, che in Venezia a bella jiosta spedito lo aveva, riscontrate le originali relazioni negli archivii nostri rinchiuse, ripor- tate le avesse esattamenle, sarebbesi avveduto che quelle copie che in Torino esistevano, erano in alcune parti mancanti , e lo vediamo difalti. Nella relazione di Francesco Molino (*) all'anno iB"/^, olire a molle varianti viene ommesso un lungo brano relativo ad un capo di giu- ' stizia che dominava l' animo del duca Emmanuele Fibberlo, e acca- gionava molte angarle verso li sudditi , e produceva disgusti nei popoli del Piemonte. Che se avesse consultato l'originale di questa relazione non avrebbe trovato mancante il luogo alla pag. 4' della sua edizione, di cui l'editore si lagna in una nota, e vi avrebbe invece veduto chiuso il periodo dopo l'ima, e l'altra: soggiungendovisi nell'origi- nale il seguente periodo: Tra questo mezzo tiene Possano, e Vil- lanova di Asti : Possano per essere nel mezzo del cammino , che farebbero gli eserciti , che venissero di Prancia per la fia del De l- finato^ e li Spagnuoli per la via di Asti^ è guardalo dagli uomini della terra per essere fortezza ec, ne avrebbe creduto inutile di riportale il finimento della relazione. In quella di Calterino Beliegno (**) nell'anno 1666 avrebbe rinve- (*) Gio: Francesco, e non Francesco Moliao figliuolo di Antonio della famiglia di s. Panialeone fu nel 1538 oratore Veneto appresso Emmanuele Filiberto duca di Savoja. Campidoglio Veneto mss. (*•) Catterino Bellegno figliuolo di Paolo Procuratore, nato li 8 ottobre 1632, fu Capitano di Vicenza l'anno 1659, poi nell'anno 1664 ambasciatore a Torino presso Carlo Emmanuele li, indi nell'anno 1667 ambasciatore a Madrid. La famiglia Bclegno si eslinse nell'anno 1750. nula (jnalclie variatile sull'ordine equestre de' Ss. Maurizio e Lnzzaro, e sulla sua decadenza d'allora, dicendovisi , clie essendo divise, le Commende maggiori fra i principali^ pochi si degnano di prendere la croce di giustizia, mentre quella che si dà per grazia vn in petto di vilissima gente ^ olire all'essere decadiilo per la vendita delle tre galere^ che ad esso ordine appartenevano ,^ non clic la dirocazione dell' ospitale do' Cavalieri ce. Venendo in appresso alla relazione di Marco Foscarini (*) del quale parla con molta lode nella sua prefazione, si avrebbe dovuto fare una legge di non tralasciare quel luogo ore si ricorda la politica tenuta dal re Carlo Emmanuele fra le corti di Francia, e d'Austria, vi avrebbe aggiunto il foglio spedito al Senato sul sistema militare di quella corona, che abbandonava il metodo antico delle cernide , che erano anche presso di noi in uso, per comporre reggimenti nazionali. E pure manchevole questa edizione là dove si indicano li maneggi del re Vittorio ritenuto chiuso dai proprio figliuolo, dappoi che aveva la corona abdicata; tace le qualità dell'animo dei ministri di quella corte, cose tutte assai importanti in una politica relazione, e che maggiormente comprova quanto difettiva fosse la copia dalla quale trasse la sua edizione. Anche il dotto signor ISicolò Tommaseo pubblicò in Parigi per ordine di quel ministero alcune delie relazioni relative al regno di Francia, ma di queste io non farò parola alcuna, avendo egli dichia- (*) Marco FoscarÌDÌ , il doge, autore della Storta della Letteratura Veneziana, e di pili altre dissertazioni e trattali , sostenne l' ambasceria presso l' Imperatore Carlo VI nell'anno 173S. Esiste nella regia Biblioteca dell'Arsenale in Parigi niss. al a.° 969. Della guerra fra l'Austria e le coni Borboniche. Relazione di Marco Fo- tcariai , Vienna primo tettembre i73ì». Cirlaceo in 4." piccolo corsivo di pag. 430 ben conservato. Dìi di questo ragguaglio l'abate doli. Marsand nell'opera de' ma- noscritti italiani ritrovali nelle biblioteche di Parigi. Fu poscia presso la S. Sede negli anni 1739, ed avvi un di lui dispaccio nel quale rende conio della elezione del Ponieficc Benedetto XIV. Finalmente gih elello Procuratore di s. Marco fu ambasciatore straordinario presso il rtì di Sardegna Carlo Emmanuele III, speditovi dopo accomodate le diITcrenze insorte tra la Repubblica di Venezia e quella corte per pretese dì precedenza , essendovi scorso lo intervallo di più di settanta anni dal Bellegno a lui. 35 = 74 rato nella prefazione di aver assunto quella impresa per avvantaggiare gli studii degli Italiani, e non si occupò che di corredarle di brevi annotazioni relative alla dizione italiana, ed a confrontare le notizie degli Ambasciatori con quelle degli autori contemporanei. Per dichia- rare però sempre più l'importanza di esaminare ne' suoi fonti gli ori- ginali di queste relazioni, vi dirò che quella che dal Tommaseo si riferisce come di Marc' Antonio Barbaro (*) è del tutto diversa da quella che si conserva nel nostro archivio , e della quale a mezzo di un mio pregiatissimo amico ho potuto fare il riscontro. Io non so rinvenire alcuna scusa per gli editori di Firenze nella loro nuova impresa delle relazioni Veneziane , i quali, volendo offrire alla storia documenti, senza il cui sussidio non può sperarsi di rag- giungere l'intera verità delle cose , abbiano presa di guida e l'edizion del Tesoro politico piena di errori e di frodi, e l'allra del Tommaseo, the senza pretesa di esaltezza le stampò quali esistevano nelle biblio- teche di Parigi , piuttosto che procurarne il riscontro ne' politici ar- chivii di Venezia, entro i quali non più la gelosia de' governi , né la prossimità de' tempi le tengono riserbate e nascoste. Nel primo volu- me di questa edizione tiorenlina si dà parte della relazione di Vincenzo Querini (**) ambasciatore al duca di Borgogna nell'anno i5o4, dico ])arte, perciocché il Querini nella relazione fatta alla Repubblica riu- tiendo in una tutte le ambascerie da lui fatte, col duca di Borgogna, (•) Marc' Aiiioiiio Barbaro figlio di Francesco fu ambasciatore in Ingliilterra , poi nel 1564 in Francia, e nel 1574 Bailo a Costantinopoli ove negoziò la pace col Turco. Fu Procuratore di s. Blarco , più volle Riformatore dello studio di Pa- dova , e morendo fu sepolto in s. Francesco della Vigna. (•*) Vincenzo Querini figliuolo di Girolamo quondam Baldovino fu dottore , cavaliere e senatore cospicuo. Nel 1504 fu mandato ambasciatore al duca di Bor- gogna in Fiandra , ed in Ispagna , ove giudicò di (ircndere il cammino verso i confini del Portogallo con oggetto di conoscere fondatamente il vero stato di quelli' cotanto predicate, navigazioni. Per la qualcosa nella relazione fatta alla Rcpubblira di tutte insieme le ambascerie suddette , frammise un lungo racconto delle cose dell' India e di Calicut , cosi avveduto e diligente , che Pier Giustiniano lo ricorda con lode nella storia. Disgustatosi poscia da' pubblici affari si fece Monaco Camal- dolense, e si ritirò nell'eremo di Bua sotto il nome ili Pietro. Di questo si con- servano manosi ritte alcune lelleie, e trattati contro gl'Infedeli. 275 e in Inghilterra, ed in Ispagna , ove uliimamenle trovandosi, giu- dicò di prendere il caniniino verso i confini del Portogallo, con oggetto di conoscere fondatamente il vero stato di quelle cotanto predicate navigazioni, narrando il viaggio di Calicut , della qual narrazione fa un lungo elogio il sullodato Foscarini nel Libro IV della Letteratura Veneziana. Io non poteva certo immaginarmi che una si sj)lendida edizione, proposta con si pomposo titolo, avesse poi a mancare ne' più importanti argomenti. E poiché tengo presso di me molte copie delle relazioni stampate finora nella edizione di Firenze, ommellendo di farvi presente le varianti che derivar possono dall' incuria de' co- pisti, mi tratterrò alcun poco nel farvi conoscere 1 difelli di esse che alterano la verità , e la loro essenza. Kella relazione di Francia di Marin Giustiniano (*) tolta dalla edizione del Tommaseo, manca un lungo tratto, nel quale si rende conto dell'amicizia del Turco con la corte di Francia, il quale gli offriva e forze e denari per sostenere la guerra contro l' Imperatore. Si desidera pur anco un brano nel quale si parla della disposizione della Francia per la pace offrendo di rimettersi nel Pontefice; nulla dico della conclusione di essa che fu pure ommessa dal Tommaseo. Questi due pezzi di storia non sono essi importanti per la politica di quel governo? Che dirò poi della importante circostanza ommessa nell'edizione di Firenze, e che si legge nelle nostre copie, che il re di Francia operava co' suoi legati in Germania, affinchè la Dieta che vi si faceva, non acconsentisse al proposto concilio? E parlando di quella di Marin de Cavalli (**) nello elesso regno di Francia, quanti avvisi non dà egli pel buon governo de' sudditi , e) Marin Giustiniano figliuolo del Procuratore Sebastiano fu ambasciatore in Francia nell'anno iS55, e nel 1537 presso l'Iniperatore Carlo V col quale pas- sito all' imprisa di Affrica nel 1342 morì di freddo e disagio. (") Maria de Cavalli figlio di Sigismondo dopo essere stato ambasciatore a Carlo V andò in Francia per rallegrai-si col re Carlo IX nella di lui successione al Irono: ebbe molte altre commissioni, e fu spedilo ambasciatore al Sommo Pon tefice Pio V, poscia a Solimano per rallegrarsi del suo ritorno dalla guerra di Persia. Fu Riformatore dello studio di Padova, e lasciò Dlcune iiìemoiie mano- scritte. 376 pel traflico cogli stranieri, e per la giustizia criminale. Isè gli editori poterono avvedersi che alla pag. 255 del loro primo volume dopo le parole nocumento alla Corona^ egli offre al Senato un avvertimento pei Feudi , avvertimento che pochi anni appresso fu messo in pratica con la instituzione del Magistrato dei Feudi. Ligio l'editore alla di- fettosa sua copia, lasciò due intiere facce sulla condotta degli Svizzeri, che scosso da prinaa l'Austriaco dominio, con confederazioni e leghe divennero liberi e potenti , oggetto riportato pur dal Tommaseo a pie di pagina. Ed a che prò, dopo avere ominessi altri periodi sulle con- fìsclie l'atte da quel Re, e quella conclusione della relazione, appiè di pagina chiude in una nota una riflessione fatta dall' Ambasciatore sul trattamento ad essi dalla Repubblica accordato? Io non farò die scorrere brevemente la relazione di Bernardo Navagero (*) a Carlo V; di quel INavagero, tlie dopo aver percorse tutte le legazioni, e molti interni Magistrali, (u dal Sommo Pontefice Pio IV. inalzalo alia porpora cardinalizia ed eletto vescovo di Verona. Nella edizione di Firenze invano si cercano molli periodi ne' quali si fa parola delle rendite e delle spese ordinarie e straordmarie di quella corona, periodi che addurre si poticbbero da chi amasse più partico- larmente di prendere in esame i difetti di quella edizione. E quante mancanze ed oiiimissioni esistono nella relazione di Lo- renzo Contarini i^**) a Ferdinando re de' Romani nell'anno 1 548 ? 11 (*) Bernardo Navagero figlio di Gio; Luigi fu prima ambasciatore al Cardinale Ercole Gouzaga di Mantova; poi nel 1543 a Carlo V, accompagnandolo nello guerre di Francia all'assedio diS. Dizier nella Sciampagna , poscia presso Solimano imperatore di Costantinopoli, ed alla Santa Sede presso Paolo lY ; quindi presso Ferdinando imperatore, ed a Francesco II re di Francia per rallegrarsi della suc- cessione al irono , ed in fine ad insinuazione del santo Cardinale Carlo Borromeo fu dal Pontefice Pio IV nominato Cardinale e Vescovo di Verona, essendo slato anche uno dei legali al Concilio di Trento. (") Lorenzo Contarini figliuolo di Nadalino dottore, fu cavaliere , e filosofo cc- cellenie , peritissimo nelle lingue Greca e Latina, scrisse varie opere, e fra le altre una orazione funebre pel duca d'Urbino. Copri molle ambascerie fra le quali quella a Ferdinando re de' Romani , morì di quaranludue anni , e fu sepolto nella Chiesa degli Angeli di ÌMurauo. nostro amliasciatore aveva a lungo trattcìiulo il Senato sulle fortifica- zioni (li Vienna, e di Neuslatl , ma particolarmente sulle |)rime, clie si desiderano nella edizione di Firenze; e in quella stessa relazione alla png. 40G. manca fjiianliij saggia delle repubbliche, sostengono il difficil confronto delle mura sorgenti da tutti i iati, e più di quelle che messe di faccia, quasi a trapunto, come sottilmente rileva il dottissimo cav. Cicognara (*), a divertire e confondere colla profusion degli ornati l'inevilabil disor- dine di una simmetria inen perfetta, ad ecclissare variebbero ogni vicino, che di eleganza o splendore alquanto scadesse. Kel campo de' Santi Gio: e Paolo una cinta guari non è da signorile palagio (**), come in bel giardin trapiantata, che per la sceltezza degli sculti fregi, e pel morbido e grasso delle effigiate figure, tutta sente la classica bel- lezza dei Greci; non divide forse gli sguardi del forestiero, incerto se prima arrestarsi al monumento superbo su cui equestre torreggia la statua del guerrier Bergamasco, o sulla sfarzosissima fronte del- l'opposto edifizio, che tien tuttavia l'antica appellazione della Scuola del divo Marco, prodigio peraltro non nuovo, e incanto non ultimo della nettunia città? Che se queste sponde seminate con bella prodigalità nei cam- petti, 0 innalzate quai piccioli monumenti nel centro di vaste piazze, ove modeste e contente di loro semplicità, ove fastose ed altere, come le margarite e le perle disposte sopra di un drappo , la spensieratezza interrompono, e scuoton l'inerzia di chi ozioso s'aggira per le con- trade, o, quasi premio dilungo pellegrinaggio, la lassezza confortano di chi, presala via, tapina per sue faccende , e misura fra le tortuosità e gli aggiramenti questo nobile labirinto ; tai sponde, dissi, ad attrar su sé stesse 1' attenzion di chi passa, e produrre il diletto, non sup- pongono minor industria ed ingegno in chi le architetta, di quello si voglia le molte volte a ideare il prospetto di una chiesa, o un par lagio, che lussureggi di marmo, e imperi l'ammirazione per regolarità (•) Vedi la ricca spiegazione delie XXXI. Tavole rappresentanti l'antico Pa- lazzo Ducale, estesa dalla profonda dottrina del chiarissimo sig. co: Leopoldo cav. Cicognara nella grand* opera delle Fabbriche pic* cosucce di Venezia pubblicata nel 1818 dalla Tipografia di Alvisopoli. < ì '■"■ <• • (•■) La descritta cinta esisteva un tempo nel magnifico Palazzo Corner a San Maurzio, ora residenza della Ces. Regia Delegazione, e precisamente in una pic- cola corte contigua a quel lato, su cui, dopo l'incendio da alcuni anni accaduto, il eretta una nuova ala ad uso di Uffizj. a 86 e per sceltezza di simmetrie. E vaglia il giusto. L'ordinanza di una facciata di sacro o profano edifizio ammette dei canoni che son punii fissi, e quasi ri|)osi alla mente del nobile architettore : e chi per poco conosce l'arte di partire i corpi, e disporre le masse , e sa con «piai proporzioni giovi neslare quegli ordini, che sembrano e sono di un trattamento difficile, ma bene spesso tornan di ajuto non lieve a de- corare il tempio e la reggia; trova nell'altrui produzioni, combinaìido e scegliendo, anche senza noia di plagio, quel tanto che basii a passar per autore: e molti hai maestri di disciplina, o, a meglio dir capitani, che nell'arena e palestra li stendono la mano gagliarda, e ad arruolarsi qual loro compagno d'armi sotto le lor bandiere t'in- vitano , onde parecchi che mietono a ben compor qualche linea non scarsi allori. Ma se li prefiggi novità di pensiero nella sponda di un pozzo, uopo è li faccia creatore, e tutla, ove si spiegasse a fronte di altro campione in gara, sostengala marte proprio cavando dal solo tuo ingegno i trovati , e abbellendo li parti col solo tuo gusto. Che a produr logge, archi, torri, porte, fari, mausolei, leatri, e qualsi- voglia costruito ( con che non intendo fraudare dei suoi diritti chi ha il merito), incontri modelli, e suppellettil di libri, e lusso di descri- zioni ; a compor cinte di pozzi li trovi col sol patrimonio, non già redatto dagli avi senza latica, ma compro e spremuto col sudor della fronte, e lo sforzo di molti studj , col sol patrimonio ti trovi de' tuoi culti talenti. Il perchè a me parve consolare l'inopia , e chiedere aita in prò degli Alunni alle mie cure affidati, volgendomi all'amena e ricca immaginativa, fatta forte da incessante esercizio, e nodriia da ottimo gusto, del nostro Professore, cui basta il nome per lode, di ornamenti Borsaio, a fin di dare alcun saggio di tali cinte (*). Venezia oil're ad ogni passo modelli di questo genere. Darebbe luogo ad un'opera del più vivo interesse il raccorre quanto di pij ve- ;•) Fu principalmente ad insinuazione di chi scrive, che il piolessor Borsate compose questa bell'opera pubblicata in Venezia per cura della I. R. Accademia. Lo scopo di essa era appunto di fornire agli Alunni degli esemplari di buon gusto in ogni maniera ili arredi e suppelleuili sacre e profane, nonché in alni oggetti di nobile decorazione, singolarmente sofTitli , gran parte de' quali se ne vede eseguila, e si ammira nel Reale Palazzo, nonché in alcune stanze signorili e ele- ganti di private famiglie. 387 iiuslo e loggiadio si trova diviso iiell' innumerevole numero della sponde clie lalor nei luoghi più illnslri fan di sé bella mostra, non rado neglette e dimenticale avvien di osservare negli angoli più riposti di una romita contrada, o nei nascondigli di un diroccalo tugurio da niuno accessibile, tranne da qualche contemplativo, clie immerso in pensieri di studio, s'aggiri per quelle vie taciturne, o da alcun soli- tario che avvolto in la nebbia delle proprie sventure , cercando lunge dal romore dell'odiata frequenza, e dal molesto urlarsi e sospingersi della calca, alcun lenitivo alla pena che l'ange, porli senza avvedersene il piede in quelle squallide soglie, malinconico asilo del gramo e cencioso. Un'opera qual la descritta, sarebbe del voto di quegli spirti gentili che, aventi una familiaritei col disegno, eduna abitudine a tutte cose di gusto, assaporano il bello; ed ove |)ure ciò tutto a che s'in- contrassero non fosse candido e puro qual neve intatta , san sceve- rare il mal seme dal grano eletto , e traggon 1' oro e le gemme dalle quisquiglie. In alcune tavole ornamentali pubblicale per cura della Re- gia Accademia su disegni del Professor ripetuto, che qui potreste a vostro agio vedere ove ve ne prendesse vaghczi'.a , avvene alcuna dii dette cinte che il suo purgato giudizio credè meritevole d'esser pro- posta ad esempio. La forma e gli ornati, come di ogni opera spettante al leggiadro disegno, decidono la vera bellezza, potendo»i avere la forma come il co«trutlo di un corpo, che senza la giusta conformazion delle mem- bre ben rispondentisi nulla ha di perfetto; e gli ornali potendosi as- simigliare alla veste, che coli' attillatura del taglio, col gusto dflle varie pieghette, coi fregi, coi bordi, coi guarnimenli , non sol dà risalto alle membra stesse, ma aggiunge grazia e splendore a chi con arte le indossa per farne pompa. Kntri pertanto festosa, e passi in lieta rassegnn la schiera delie multiplici forme che aspergono di varietà e giocondez/.a questi piccioli monumenti seminati per la città a consolazion della sete, e ristoro salutare degli occhi per chi battendo il sentiero sente con più di forza e potere il bisogno di essere a quando a quando avvivato da qualche oggetto piacevole, e dal languore guarito di una lenta monoionia che }' impossessa dei sensi. Bello è il vedere sifìTalle sponde , altre di 388 forma cilindrica ed altre otiagona , e quai profilate a fiore di me- lograno (*), e quasi divise da zone che le inanellano, e queste allar- gantisi a cono tronco di dove prende le mosse il piede , e dilatale quelle sull' orlo che lor fa labbro ; ed ove soffolte da ricche mensole su cui si spiana la tavola che le coperchia, e quai con fasto muliebre adorne e quasi crinite di vaghe trecce, che con bel garbo soUevansi dall'ima baie, per far deipari sostegno al marmo lor sovrastante, ed ove a giunchi intrecciate come un paniere, ed ove ispide ed aspre di spessi archetti T un dentro all'altro nestantisi con punte gotiche ad allargarne il cimiero, e comporne serto e diadema; e infine inter- rotte nel loro giro da muriccioli sporgenti con bei profili a divider la larga circonferenza in più nicchie (**), ove entrato chi attinge col recipiente, e cavatolo dalla cisterna, lo posa all'istante, senza far pialo o querela col suo vicino , sul capo del muricciol ripetuto che trova ai fianchi. Però se alcun mi chiedesse delle forme fin qui spiegate, e di tant' altre che nel portare la falce su questa messe mi son sfuggite di mano, a vantaggio forse di chi fattosi riccoglitor più solerte il premio sperasse di uno spigolar meno scarso; se alcun mi chiedesse quai più mi garba: parmi non avrei d'uopo di molto studio a sciogliere il nodo e sviluppare il quesito; e si direi, che quella forma che servi di pri- ma scintilla alla mente del gran Callimaco per ornar la parte più ricca e più rigogliosa della splendida Architettura, vo' dire il Capi- tello corintio ; quella pur si dovesse senza timor preferire a decorazion di una sponda, che quai maestosa regina fosse a folgoreggiare chiamata sopra le dame e matrone del suo corteggio. Ognuno sa come una (*) L' Autor si ristrinse a nominar questa sola fra le infinite che di curve mi- ste addur ne poteva, e ciò a risparmio di noja; noja che si sarebbe accresciuta dal non vederne i disegni. Per la stessa causa serbò silenzio sulle diverse propor- zioni , che , giusta il vario carattere e mollipiici circostanze locali , sarebbero da assegnarsi alle sponde. Ciò che diverrebbe soggetto di un particolare trattato, non è punto opportuno per una breve Memoria da leggersi in un consesso di persone già istrutte, e della cui pazienza e bontà non è permesso di fare abuso. (••) Di una cinta così costrutta se ne ha un bell'esempio nella piazietia dei Leoni a S. Marco. cestella di vinchi dal dolor di una sposa abbandonata sull'erba , e poi coperta e vestila di larghe foglie che le germogliarono e crebbero in- torno intorno, suscitò nel Greco scultore il ben concetto pensiero di innalzar sulla cima di una colonna quel corbellino leggiadro ; ond' io farei onta al vostro sapere studiando illustrare ciò già vi è noto. Che però volendo avere riguardo all'uso, da cui, senza che Vitruvio lo insegni, dovria prender legge qualunque forma, crederei, ove la ri- strettezza dell'area non fosse avversa al consiglio, che succeder dovesse all' onor della scella, appunto la cinta o sponda cilindrica intervallata a non larghi spazj da muricciuoli, o, a meglio dir, modiglioni, perchè, preparando tanti ricetti a chi v« per acqua, gli somministra il buon destro di poter a tutto suo agio locare l'urna od il vaso sulle lor teste, e sì riposarsi dal fatto sforzo. Pasiando all'ornato, eh' fe l'altra parte essenziale di queste cinte, e che possiam riguardare come l'addobbo di bella donna sempre leggiadra e elegante, sia dessa vestita familiarmente, o sfoggi splen- dida pompa di abito matronale; sembra che la dottrina discenda senza fatica, a non doversi ripetere dalle sottigliezze del portico, o dai raffinamenti dell'Accademia. Sia questo quale lo vuole la forma diversa di detta cinta. La forma che ne dà il tema , ne prescrive anche le leggi, o, a di)- più giusto, ne consiglia i modi e le norme. Ciascuna taglia ha misure e proporzioni sue proprie, ciascun titolo e rango determina i gradi della ricchezza più convenienti; talché ciò che in un caso saria povertà e squallore, diverrebbe in un altro lusso e ri- goglio. La sponda a cagion d' esempio corintia , che tale io chiamo la sponda che delle insegne più nobili di quest' ordine si copre e ab- biglia, vuole di stretto diritto, e sontuosità di volute, e ricchezza di acanti, né può far senza il corredo di fregi, d'intagli, di cariatidi, e colonnette: avara dovendosi stimar la mano, ed infeconda la mente di quell'artista, che di questo od altro acconcio ornamento ne la privasse, o per limitazione e sterilità d'idee non sapesse abbellirla. Leggiadra quistione potrebbe muoversi, se la scultura, che più d men saliente dal sasso di cui fa parte, spicca nei vasi, trionfa nei piedistalli, serpeggia sulle colonne; quella scultura che col vario as- sembramento dei gruppi, colla vivacità delle mosse, colla forza delle altitudini, incantatrice maliarda é prestigio agli occhi , fascino al cuo- ago re; perda od acquisti di sua magia, ove servendo alle cinte rotonde delle cisterne, e intorno ad esse aggirandosi in bella guisa, esprima una qualche azione che dalla favola o storia prenda soggetto (*). Per- chè in un paese marino siccome il nostro sembra che una Galatea , che mollemente seduta sull'aurea conca sorvoli la mobile superficie, tirala dalle nereidi , preceduta da glauchi tritoni che a piene guance soffiando nel cavo corno annunziano ai muti abitatori dell'acque il passaggio della gran dea , e destano gli addormentati delfini, e la tur- ba natante a fine di porsi a schiera dietro il suo carro spettatrice e spellacelo per festeggiarne il trionfo; le nozze di Peleo e Teli con quelle situazioni leggiadre, e con que' curiosi accidenti che ispirati dalla poesia accrescono a mille doppi la vaghezza e letizia di un ben augurato connubio; questi ed altrettali soggetti di siniil indole torne- rebbero senza meno, non pur piacenti ed amabili, ma voluttuosi. Io non sarei lullnvolta di tal parere, mentre se un racconto, una mu- sica, una poesia, lutto ciò insomma che dolce suona all'orecchio, e per le vie dell'orecchio discende al cuore, ed all'anima si propaga, fosse da un tumulto o frastuono, ne per brevi istanti interrotto, ;i farne perder le tracce e troncarne il filo, darebbe pena grandissinui e da non dirsi: per simil guisa ciò pur che dilella gli occhi, e più, *e più vivo desta interesse, sottraggasi per metà, od anche in parie soltanto resti occultato, non solo è una frode, ma un tradimento. Né certo va immune da lai peccato quella scultura che presentando una storia sopra di un corpo che giri, non mai la vedi ad un punto, né tutta intera; che per vederla anche a brani, li e giuoco foraa se- guirla tutlo all'intorno, e ravvolgerti,, non cavalier ma pedestre, quasi a torneo , con pena simile e eguale a quella di un assettato, cui poca acqua recata da avara mano inacerbisce il tormento anziché sanarlo , o con quella indegnazione che sofiFre un creditore deluso, cui per e) La cele])re colonna Trajana è luita coperla di sculiure che girano spiral- mente inioino al suo fusto. L'importanza di questo continualo basso rilievo era massima , perchè serviva a rapprcseiiiare le vittorie da quel prode ottenute contro i nemici di Huma. Ognuno che sia di retto intendimento, né si lasci rapire da un fanatico entusiasmo, dovrà confessare il disgusto prodotto dalla continua occul- laKJone di una parie di dette srnliiire che si rinnova a ogni giro. 291 cento auree monete, che de' suoi sacri diritti lo soddisfacciano, non ne riscuota che venti , e ben stancheggiate. Ma se per mio senno dèi rinunziare a quelle sculture sloriche che servendo, dirò così, di vestito al corpo ricurvo della cinta, non potrebbero venire scorte e comprese a un sol colpo d'occhio, e per- metter quindi che rotta la succession delle idee , si formi chiaro il concetto di ciò ch'esprimono: nulla però contrasta o rattiene dal po- terle ornar di figure disposte a guisa di fregio, se non consimiU af- fatto, né anco diverse; come sarebbe una schiera non già di furi- bonde baccanti, o di ebbri satiri, giusta il vezzo della gentilesca licenza, che ciò lo esclude la semplicità del potabile contrario alvino, e più lo ricusa e lo bandisce il pudore; ma ben di danzatrici leggia- dre, quali Icore o le grazie, o le dolci muse custodi del sacro fonte dei vati, o meglio in senso morale alcune delle virtù sotto 1' amabil sembianza di caste vergini, o dignitose matrone, stanti o sedute, aventi in dosso e in le mani gli emblemi che meglio si addicono alla lor indole, ed agli uffìzj pietosi che a prò de' mortali si piacciono di esercitare. Non è però cosi povero, né circoscritto da limiti cotanto angusti li fertile censo dell'immaginazione vivace, né cosi aride e secche le ricche sorgenti della inesausta e sempre varia natura, onde dar luogo al sospetto che, se manchi mai la figura, non possa il vóto riem- piersi , e degnamente occuparsi con altri simboli. Il perchè ogni raa- Miera ha, o può aver luogo, di arnese caratteristico sparso sul nudo campo, disposto a giusti intervalli, ed intrecciato con rame d'alloro, con foglie d'edera, con festoni carichi di fiori, e colmi di grappi, o lussureggianti di spiche, a fi'gurar le stagioni, ovver l'età della vita; e girlande di rose, e astri, e soli, e farfalle, e vasellini, e panieri, e cimbali, e cetre, e fanciulli sprimenti amori, sul dorso adagiati di un capro o cavai' marino , o volanti su rapida biga, o meglio assisi su picciolo palischermo corrente a fior d'acqua, o remigato da agii nocchiere su pelaghetti, e genj aleggianti al tepido sole nel bel mat- tino di maggio, 0 mille altre allusioni ed allegorie ; cui sol riferire, a non dir descrivere , sarebbe opra men facile che il numerar quante ha slclle la chioma di Berenice, quanti garofani olezzan nei culti dell'alma Flora, o quante biondeggiano ariste sul campo dell'aurea Cerere. 393 In passeggiando assai volte per la città, e l'occhio, più che agli alteri palagi, alle cinte volgendo, non mai mi avviene, e mi duole di non vederne, alcuna striata lungo il suo fusto; che gli scannelli o le strie a sé stesse bastando , oltre al non lasciar desiderio d'altro orna- mento, son tuttavia indicatissime , e, starei per dir filosofiche, se l'acqua che spesso trabocca dal colmo labbro delle secchie e dei vasi, giù gocciolando dalle ciniacce , scavano a lungo andare non bis sed saepe cadendo quei solchi o canali , che raddrizzali e resi perfetti dall'arte, adornan si bene, qualunque sia la lor forma, e o in tutto il contorno, o ancor fra risalti che li separano, i corpi delle più volte descritte sponde. Che però, se a cagione di piacevole varietà aggradi di farne senza, questa Città singolare vi darà legge, e modello a fornir l'are o le cinte già memorate. Vieni, o dei pennuti regina, cara a Giove, e insegna diletta al più possente e più saggio fra i primi monarchi , e delle vittrici tue ali, alla cui ombra ripari tanta parte di mondo, e degli artigli onde un tempo afferravi il fulmin trisulco del tremendo Egioco, ed ora stringi più mite lo scettro di Temi, in pace e in guerra temuta, e della testa imperiosa e nobilmente feroce, con che annunzi dominio, vieni a far belle e cospicue le nostre cinte. E tu pur vieni in effigie, o imperator delle selve, prode compagno di Marco , sempre grande e maestoso sia che sulle prore ti assidi dei formidabil navigli; sia che custode e guardiano appiè delle tombe degli eroi e degli artisti lagriinoso ten giaccia in tristo abbandono ; sia che tolto al Pireo (*) , e sceso dagli inalberati vessilli , ove tutor del com- mercio un di sventolavi scherzo dell'aure, ami vegliare alle soglie del nostro Arsenale; vieni, e colla sola tua testa e con le fulve tue chio- me che ti pendon ricchissime, e fan l'onor del tuo collo, a riempier vieni di te, e a render più nobili questi nobili piedistalli, che nella città di Marco leggiadramente si mostrano e si ristanno. E se talora spontaneo ceder ti piaccia ad altro simbolo il loco , ad un lo cedi uffiziosOj o almen lo mesci ed alterna, che preso centro su quattro delle otto facce di ottangolare cisterna offra allo sguardo l'emblema (*) Ognuno sa che i superbi Leoni esistenti all'ingresso del regio Arsenale, .rutto di gloriosa conquista, vennero trasportali da Atene. fli un gemino cornucopia Ja naslii raccolto, ed label giiip()0 intiec- ciato col caduceo , ad esser arra e preludio di fecondila e di abbon- danza ; celeste dono e prezioso, che in molta parte si gode, e mercè il paterno amore di Cesare munificente a non dubbie prove e fallevoii ognor più florido e ricco ne si promette. Usavasi spesso ai di più fiorenti della Repubblica di porre, come sulle tele de' nostri maestri, e più sulle opere di grande importanza, cos'i nelle faccia, e ud ornamento primario di queste cinte, lo stem- ma di quel magistrato che aveva promosso, o qual edil presieduto alla loro erezione. Nulla più giusto che clii per prestate benemerenze ha im titolo all'altrui gratitudine, riscuota pur nell'omaggio di una memoria il premio condegno alle cure per ciò impiegate. Ma un omag- gio ancora più giusto vorrei che ad esempio e conforto dei buoni , cogliendo il destro di un'opera di questo genere, si tributasse non meno ■• chi per altri uffizj più cari ed interessanti, acquista un diritto di eisere ricordato, e di passar non oscuro nb senza nome, alla ri- membranza dei posteri. L'uomo d'arme e di toga, il condottiero di eserciti, chi ntil si rese per grandi negoziazioni, e segnò illustri trat- tati, e tenne per la sua patria le redini, e sedè al governo di una provincia, questi hanno, estinti, l'onore di un simulacro, o con is- plendide epigrafi, e colla pompa abbagliante de' mausolei vivono anche oltre le ceneri nei segni preclari di una solenne ricordazione. 11 lette- rato eziandio non va sempre privo di tale onore; e, se non nei templi, almen sulle case, e sulle mura gloriose che gli fur placido asilo, le cifre sculte sui marmi , come di fresco si vide mercè lo zelo di egre- gio e pio sacerdote (*), t'insegnano ov' ebbe stanza, e trasse gli onorati suoi giorni, un Goldoni, un Gozzi, un Aldo, un Marcello. Le sole virtù picciole , e meno osservate non trovano registro di laude e nota d'inchiostro. Perchè l'uomo dabbene, il cittadino frugale, che nella semplicità del costume, e nella fuga dal fasto, e da ogni ambizione, l'u però agli altri benefico, o per lo meno lo fu lasciando ne' figli altrettanti eredi delle sue miti virtù, morirà oscuro perciò che merita il più chiaro meriggio, vo' dir per effetto di bassa stima, e di un dimesso sentire di lutto sé? E si seppellirà nella polvere dell'avello (') L'abate Vincenzo Zenier zelaniissimo della patria, e delle Bell'Arti. 394 ogni e qualunque memoria delle sue utili azioni? Vorrei che l'immà- gine, da non ignoto scarpello effigiala, di chi od oprò qualche bell'alto, o per serie di atti ognor commendevoli , sebbene non fragorosi , si re«e caro e proficuo veracemente, visso li presso a quel luogo ed a quelle mura ove sorge la sponda, avesse sulla sponda stessa, e in quella medaglia, che a tutto rigor di voce potrebbe chiamarsi del me- rito, il culto modesto e cordiale a cui ha diritto. Tiè vorrei meno che dopo aver condisceso e sacrificato alle grazie negli intagli e nei fregi, che con alghe, conche, tridenti, delfìni, ed altrettali emblemi proprii dello città che sovra l'acque impera, fan cima e corona alle sponde di cui si parla, si servisse ancor, che più importa, alla stessa morale; e che dai varii ornamenti non fosse esclu- sa , anzi fosse accolta ( ciò che anche in effetto giova ad ornare ) alcuna sentenza, o proverbio, o memorabile detto, di cui abbondan non meno le sacre pagine, che i canti dei culti profani poeti, che per essere appunto poeti e profani , non lasciano di esser morali. Sa- rebbe forse straniero od impertinente, o raen meritevole del nostro voto, quel segno, quel verso, quella espressione, che ponesse in onore la temperanza, od alle vicissitudini alludesse del tempo, o che, coni' acqua che fugge e viene portata dalla corrente, fosse espressiva figura della fugacità ed incostanza di tutte le umane cose, o ispirasse orror pel mal fare, o per qualunque maniera fosse pungolo e sprone alle imprese onorate accette a Dio, e care agli uomini? Per questo modo verrebbe a avverarsi ciò che fin da prima ebbi a dire , che la cinta del pozzo può esser guardata siccome un'ara: e tal dovrebbe chiamarsi senza contrasto, ove servendo all'onesto dopo avere servito al bello, si consecrasse ai diritti del merito, e si convertisse in iscuola pur di virtù. STATUTO STATUTO ARTICOLO i. 1.° l_i Ateneo è una Società clie lia per iscopo di cooperare al jirogresso delle Scienze, delle Lettere, e delle Arti. u.° Si compone di cinquanta Soci ordinarj dimoranti in Venezia. 5.° A questi si aggiunge un numero di Soci onorarj interni, clie non potrà mai esser maggiore di quello degli ordinar], ed un numero indeterminato di Ordinarj esterni , di Onorar) esterni e di Corri- spondenti; i quali appartenendo lutti al Corpo Accademico, godono degli attributi conferiti dal presente Statuto alle diverse loro classi. 4.° L'Ateneo si divi Pasini Lodovico. 20 Quadri i. r. consiglier Antonio. 2 1 Jxossi cav. dottor Lorenzo. 2 2 Trois cav. dottor Francesco. 23 f'allenzasca doltor Giuseppe. 2^ Zantedesclii professor Francesco. 25 ZUiolto dottor Pietro. CLASSE DELLE LETTERE. 1 Avesani barone doltor Gio: Francesco. 1 Beliamo abate professor Giovanni. 5 Cadorin abate Giuseppe. 4 Canal abate professor Pietro. 5 Correr Luigi Emilio. 6 Casarini Luigi. 7 Calttcci doltor Giuseppe. 8 Cicogna Emmanuele. 3 Diedo cav. professor Antonio- 312 10 Fonis dottor Leone. 1 1 Garofoli dottor Federico. 13 Lazzari parroco Giuseppe. i3 Lazzari cav. professor Tranccsco. 14 Locatelli dottor Tommaso. i5 Mulinelli cavalier Fabio. 16 Neu-i\lajr nobile Antonio. j •) Parolari abate professor Giulio Cesare. 18 Pasini abate professor Pietro. 19 Friuli conte Nicolò. 30 Rossi consigliere Giovanni. 21 Sagretio conte cons. Agostino Glierardo. 22 Scolari caT. Filippo. a5 Tipaldo ^de^ nob. professor Emilio. 24 Feludo Giovanni. 35 Vacante SOCI CORRISPONDENTI DIMORANTI IN VENEZIA. i Albrizzi conte Giuseppe, a Bianchi Luigi. 5 Brown Raudon. 4 Canali dottor Petronio. 5 Casalini Alessandro. 6 Ciotti Antonio. 7 Coen Giuseppe. 8 Duodo dottor Giovanni. 9 Desiderio dottor Achille. 10 Passetta dottor Valentino. 1 1 Grassi Lorenzo, la Levi dottor Moisè. i3 .y/ainardi dottor Sofolone. 14 Manzoni nobile Francesco. i5 Martelli Gio: Battista. 16 Magnana parroco Antonio. 17 Nor dottor Cesare Maria. i8 Papadopoli conte Antonio. 19 Pesseg Giuseppe. ao Guerini Stampalia conte Gioranni ai Scarsellini Vincenzo. sa ì3 Taussig dottor Gabriele. a3 Treve! (te nonfili cav. Jacopo. 34 Unger Adolfo. i5 yiolin dottor Giacomc'. jC Zanetti Alessandro. SQCr ONOrvARII ESTERNI. • Acerbi cav. Giuseppe. Milano. 1 Amherg (de) nobile Giuseppe. Vienna. 3 Balbi nobile consigliere. Milano. 4 Berres professore in Fienna. 5 Bufalini professor Maurizio. Firenze. 6 Carus dottor Gio: Carlo. Dresda. 7 Crivelli S. E. Ferdinando, ^lilaiio. 8 Dietrichsiein S. E. conte Maurizio. Vienna. 9 Faraday. Londra, 10 Folliot S. E. co: di Crenneville LodoTico Carlo. Vienna. 1 I Folscli nobile Giuseppe, t'ienna. 1 2 Giordani Pietro. Parma. i5 Coess S. E. conte Pietro. Fienna. 14 Giinliier dottor France-co. yiennu. i5 Grimm cav. "Vincenzo consigliere Aulico. Milane. 16 Hammer (de) cav. 'Giuseppe. Vienna. 1 7 HeiniL (de) cav. Carlo. Vienna. 18 Herschel. Londra. if) Hocltenwarih conte Francesco. Lubiana. 20 Humboldt (de) barone Alessandro. Berline. 21 Inzaghi S. E. conte Carlo. Vienna. 11 Jiislel Giuseppe luigi Vienna. 23 Kleiier fde) [.eopoMo. Vienna. 24 Kiibech barone Luigi. Vienili:. 25 Knolz Giovanni protomedico in Vienna. 26 Labus dottor Giovanni. Milano. 27 Litrow cav. J. Vienna. 28 Malfalli dottor Giuseppe. Vienna. 2f) stanzoni Alessandro. Milano. 3o .'ifarianìni professor Stefano. Molletta. 5i Maniago conte cav. Pietro. Ldine. 3i Medici professor Micbiele. Bologna. 'il 3i4 55 Mencghclli abate professor Antonio. Padova. 54 Menili abate jn-ofessor Lodovico. Padova. 35 Mezzofanti Sua Em. cardinal Giuseppe. Roma. 56 Oersledi Giovanni. Copennghen. 57 Orefici (degli) S. E. Francesco. Verona. 58 Panizza professor Bartolonnineo. Pavia. 59 Plana professore Giovanni. Torino. 40 Prelà monsignor Tommaso. Roma. 41 Prrcker S. E. Giovanni Ladislao arcivescovo d' Erlatt. 42 Raimann (de) cav. dolt. Gio: Neponiuceno. Fienna. 43 Reviczkr S. E. conte Adamo. J-'ienna. 44 /{/o (da) conte cav. Nicolò. Padova. 45 Ronchi comraendalore Salvatore. JVapoli. 46 Sampietro consiglier Gio: Battista. Milano. 4'3 5a/eri dottor Giuseppe. Brescia. 48 .Sanlini dottor cav. prof. Giovanni. Padova. 49 Shrbenky S. E. barone Filippo. 52 5/?nu/- S. E. conte Gio: Battista. Milano. 53 Stanhope conte. Londra. 54 Tliiersch dottor Federico. 55 Tdrkheim barone Luigi. Fienna. 56 Traversi monsignor Patriarca Antonio. Roma. 57 fi» Carlo. Ereslayia. 58 Zajolti presidente Paride. Trieste. 59 Zendrini abate professor Angelo. Mestre. SOCI OaDINARII ESTERNI, i Barbieri abate professor Giuseppe. Padova. 2 Sortesi professor Francesco. Padova. 3 Fappani dottor Agostino. Treviso. 4 IMagrini professor Luigi. Milano. 5 Paravia cav. prof. Pier' Alessandro. Torino. 6 /"o/i prof, dottor Baldassare. Padova. 7 floia consigliere Giovanni. Milano. 8 Tommasini professor Jacopo. Parma. 9 Zambelli nobile professor Andrea. Pavia. 3i5 SOCI CORRISPONDENTI ESTERNI. 1 jigostini Hottor Antonio. Treviso. 2 /iporli aliale Ferrante. Cremona. 5 Angelelli marcliese Massimiliano. Bologna. 4 Aìnorini marchese Anlonio. Bologna. 5 Balbi nobile Cesare Francesco. Padova. 6 Baseggio Gio: Dattista Bussano. 7 Basso dottor Luigi Rovigo. 8 Bazzini professor Carlo. Padova. 9 Bellani canonico Angelo JMilano. 10 Becr dottore in Fienna. 1 1 Bellavitis Giusto. Bussano. la Bellini dottor Gio: Battista. Firenze. i5 Beni consigliere Francesco. Ficeiìza. i4 Bonzi conte Orazio. Crema. l5 Bufjini Andrea. Brescia. i6 CflJfl (dalla) professor Yitlorio. Padova. 1 7 Calderini dottor Ampclllo Carlo. Milano. i8 Catullo professor Tommaso. Padova. 19 Calanco dottor Carlo. Milano. 20 Cailani dottor Gio: Battista. 'Iremo. 21 Cavalieri San Bertelo Nicola. Bologna. 22 Ce/jj dottor Lorenzo. Verona. 33 Ceresa medico in Vienna. 24 Cernazai Giuseppe. Udine. a5 Cilladella conte Giovanni. Padova. a 6 Cilladella Vigo d' yirzere co: Andrea. Padova. 27 Conjigliacchi abate Luigi professore. Padova. 28 Conti professor Carlo. Padova. 29 Czcrnak dottor Giuseppe. Vienna. 30 Cuinano dottor Gio: Carlo. Trieste. 3i Dandolo cnntc Tullio. IMilano. 3i Dandolo conte Girolamo. Treviso. 33 />e Castro prof. dolt. Vincenzo. Verona. 34 Estense Selvatico conte Pietro. Padova. 55 Fanlonetti dottor Gio: Battista. Milano. 56 Ferrari Girolamo. 37 Feisler dottor Saverio. Padova. 58 Fischer dottor Giuseppe. Vienna. 3i6 Sg Fri'scìii conte Glierartlo. San Filo. 40 Fiisiiiieri dottor Ambrogio. Ficenza. 41 Gallo Vincenzo, Trieste. 42 Galvani dottor Gio.- Antonio. Pados'a, 43 Gargallo marchese Tommaso. Napoli, l^li Giovanelli conte Benedétto. Rovereto. 45 Groppiuo dottor Tommaso. S. Filo, 46 Jvacich consigliere. Catterò. 47 A'irAro^ vice-presidente dell'Accademia à' .inversa. 48 Kbrher Filippo 1,° tenente. Vienna. 49 Lebezeltern (di) cav. , Ajo di S. A.I. il principe Toderico 50 Lengitazza nobile dottor Leonello. Padova. 5i Liberali dottor Sebastiano. Treviso. 52 Liberi de Paradis Leonardo, primo tenente. 55 Maffai cavalier Andrea. Milano. 54 Mantovani dottor Jacopo. Beniolo. 55 Martini professor Lorenzo. Treviso, 56 Marzotlini abate Giuseppe Onorio. Padova. 57 Marianini dottor Pietro Morlara. 58 IMarinovidi capitan Giovanni. 59 Magliari dottor Pietro. Napoli. 60 Medoro dottor Samuele. Padova. 61 Meneghini Giuseppe. Padova. 62 Milani ingegnere Giovanni. Padova. 63 Minicli prufessore Stefano. Padova. 64 Mori (de) dottor Alfonso. S. Dona di Piave. 65 Muschietli canonico Giovanni. Concordia. 66 Mustoxidi cavalier Andrea, Cor/li. ti-] Naccari cavalier Fortunato Luigi, Padova. 68 Nannula cavalier Antonio. Napoli. 69 Nardi nobile dottor Francesco. Padova. 70 Nicolini dottor Giovanni. Brescia. 7 1 Novali dottor Domenico. Pavia. •32 Ongaro 'dall') abate Francesco. Trieste. 73 Orsi nobile cav. Gio: Girolamo. Verona. 74 Ostermann abaie Francesco. Beltre. 75 Paoli Domenico. Pesaro. ■jG Penolazzi dottor Ignazio. Montagnana. 78 Pezzana abate cav. Angelo. Parma. 79 Pezzali dottor Gio: Battista. Ceneda. 3i7 80 Pezzoni dottor Antonio. Alessandria. 81 Poggi dottor Giuseppe. Milano. 82 Ramelli canonico Luigi. Rovigo. 85 Reis dottor Paolo. 84 Renicr abate Giovanni. Godego. 85 Renzi (de) cav. Salvatore. Napoli. 86 Rigliini dottor Giovanni. Oleggio. 8t- Roberti conte Gio: Battista. Bassano. 88 Rondolini dottor Lorenzo. Trieste. 8f) Rossetti dottor Domenico. Trieste. yo Rosns professor Antonio. Vienna. 91 Sacelli dottor Giuseppe. Milano. 92 Santello dottor Giovanni. Piove. gó Scortegagnn dottor Francesco Ignazio. Padova. gl^ Schuller dottor Antonio. Vienna. 96 Schizzi Fulchino. Cremona. '^ 96 Signoroni professor Barlolommeo. Padova. 97 Sormani dottor M. N. Milano. 98 Speranza professor Carlo. Parma. 99 Taglialegne Osvaldo. Udine. 1 00 Tarnmelli dottor Carlo. Milano. 101 Tellani (de) cav. Giuseppe. Rovereto. 1-32 Tenore professor Miclcle. Napoli. io5 Tlìiene dottor Domcniro. Vicenza. io4 Tonello Gaspare. Trieste. io5 Trivellalo abate Giuseppe Angelo. Padova, 106 Tiirazza dottore. Vicenza. loy Valsecela prof, dottor Antonio. Padova. 108 Vedova dottor Giuseppe. Padova. 109 Venanzio dottor Girolamo. Portogruaro. iio Vermiglioli G. li. Perugia. 1 1 I Visioni professor Roberto. Padova. 112 Vitalliani colonnello Benedetto. Olmiitz. ii3 Vivenot dottor Rodolfo. Vienna. ") 114 Viviani cav. Domenico professore. Genova. ii5 Zannini dottor Gio: Battista. Belluno. 116 Zamboni professor Antonioi Verona^ 1 1 7 Zanier professor Gio: Battista. Portogruaro. ELENCO DELLE MEMORIE LETTE NEGLI ANNI ACCADEMICI 1837-58. 18.38-39. niFERlTK NKL TOMO IV. APORTI abalc FERRANTE. Memoria intorno alta educazione de' Sordi muli 23 luglio 1839. Relazione professor Bellomo . . Pcg. 97 BALBI nobil CESARE. Un canlo del Poema intilolato: Castel d' Amore , ■ 4 gennajo 18Ó9. Relazione professor Bellomo . . . » ' 92 BATTAGGIA sig. MICHIELE. Elogio di Sebastiano Erizzo , 1 i giugno i858. Relazione professor Bellomo n 42 BENI consiglier FRANCESCO. Poesie Elegiache , 5 giugno i83g. Rela- zione professor Bellomo » cjj BIZIO dottor BORTOLOMMEO. Osservazioni ad un articolo della Bi- blioteca Italiana intorno alle Candele cerogene , 17 giu- gno 1859. Relazione dottor Giacinto Naraias .... » 84 BOTTARI consiglier ANTONIO. La legge di ììlosè ricevuta sul Sinai, unitamente ad un saggio di Poesie di generi diversi, 7 maggio i838. Relazione professor Bellomo » 49 BOTTARI sig. GIOVANNI. Sulla coltivazione de' litorali , iG luglio i838. Relazione dottor Giacinto Namias » 55 BROVEDANI arciprete GIAMBATTISTA. Ode per la consacrazione del Cimitero. Relazione professor Bellomo » gì CALUCCI dottor GIUSEPPE. Comento si § 5a del Codice Generale Au- sirìaco confrontato col Jus comune, 28 giugno i8".8. Relaiione professor Bellomo ji 8B -^— Osservazioni sulla influenza del Romanticismo nelle cose sociali, I luglio i838. Relazione professor Bellomo . . » 98 CALOGERA' dottor ALESSANDRO. I suoi studii intorno al colera , 18 giugno i838. Relazione dottor Giacinto Namias . . . ), 53 CAMPILANZI sig. EMILIO. Sui fenomeni del lago di Czerknit: nella Camicia, 2 aprile i838. Relazione dult. Giacinto Namias » 29 CANALI dottor PETRONIO. Sopra Giovanni Canini Diplomatico fene- ziano , 2 luglio 1 838. Relazione professor Bellomo . . » 42 020 CANALI dottor PETRONIO. Storia aneddota del busto del doge Renier opera di Canova, 7.-) agosto iS38. Relazione prof. BpUorao Pag. 4g CANNELLA dottor NICOLO'. Sul taglio ipogastrico, 5 agosto iSSg. Relazione dottor Giacinto Namias » 8i CARRER sig. LUIGI. Inno, te ^rti, 5 giugno i83g. Relazione professor Bellomo !) 92 CASONI sig. GIOVANNI. Memoria sulta storia dell' arsenale di Ve- nezia, 21 maggio i838. Relazione prof, Bellomo . . n 5o COEN dottor GIUSEPPE. Delle glorie che in fatto di medictie scienze agl'Italiani compete, 5 marzo i838. Relazione dottor Giacinto Namias » 5i CONTARINI conte NICOLO". Sopra una nuova specie di Cecidomia , e sopra quella dell' Iperico descritta dal professor Gene , 5 febbraio 1858. Relazione dottor Giacinto Namias . . » 55 — — Sopra una nuova specie di Attinia, i5 aprile iSSg. Rela- zione dottor Giacinto Namias » 78 CORNIANI co: MARCO ANTONIO. Sopra la Drammaturgia deltMac- J ci e sulle relative aggiunte, 7 gennajo iSSp. Relazione professor Bellomo » 90 CORTESE professor FRANCESCO. Considerazioni sopra un caso d'idro- rachitide in risposta al sig. Girolamo dottor Novali di Pavia, 23 aprile i838. Relazione dott. Giacinto Namias . « 5i — ^ Discorso sulla struttura microscopica de' tessuti animati, osservali dal prof. Berres di Vienna, 11 decembre i85g. Relazione dottor Giacinto Namias » 53 DIEUO cav. ANTONIO. Osservazioni sopra il Pome di Riatto, 4 marzo 1839. Relazione professor Bellomo . • » 95 PASSETTA dottor VALENTINO. Serie cronologica delle principali pe- stilenze del y secolo sino al XII dell'Era volgare , 26 febbraro i858. Relazione prof. Gio: Bellomo ....>, 09 Della Peste yìntoniann secondo il prof. Hacker, 29 luglio 1859. Relazione dottor Giacinto Namias " 85 FEDERIGO dottor prof. GASPARE. Storia di molteplici emorragie. 1- giugno 1859. Relazione dottor Giacinto Namias ...» 85 FUSINIERI sig. AMBROGIO. Osaervaziom sul protocianuro giallo di fer- ro , e di potassio sciolto nell'acido muriatico , 26 agosto t838. Relazione dottor Giacinto Namias i- 24 GABELLI professor PASQUALE. Sopra un nuovo meccanismo per diri- gere i raggi solari condensati ad usi speciali, 25 agosto i858. Rclaziome dottor Giacinto Namias , n aS 3a 1 GALVANI sig. ANTONIO. Alcune idee cTi fisiognomonia, e patogno- monia teorica ed applicata, 17 giugno iSSg. Relazione dottor Giacinto Namias . " 89 GAMBA sig. BARTOLOMMEO. Se l'Italia d" oggidì abbia diritto di gridarsi maestra d'ogni sapere ragguagliata all'Italia ilei secolo /irecedentc. Relazione professor Bellomo . . Pag. /fS ■ Le Farianti del Pastor Fido, Relarione professore Bel- lomo » 91 GARGALLO marchese TOMMASO. La Satira X di Giovenale tradotta , e il principio di una Cantica \\ Silenzio notturno, 9 luglio i838. Relazione professor Bellomo » 48 IVACICH consigliere GIOVANNI. Della educazione letteraria curala dal- la pubblica autorità, 3 5 maggio i83g. Relazione profes- sor Bellomo » 96 LAZZARI atale GIUSEPPE. Il seguito della sua traduzione della Cri- sliade del Vida, 6 agosto i858. Relazione prolessore Bellomo 11 47 LEONI signor CARLO. Sopra le origini di Padova sino ad Augusto, i3 agosto i838. Relazione professor Bellomo .... » Sg MANIN s. E. conte LEONARDO. Confotazione di Darù circa la mala amministrazione delle provincìe governate da' Feneti, 3o aprile i8d8. Relazione professor Bellomo . . . . n 4° MARCONI dottor ANTONIO. Memoria sulla resezione 'della mascella inferiore, operala dal prof. Tommaso Rima, 22 aprile 1859. Relazione dottor Giacinto Namias » 80 NARDO dottor DOMENICO. Sopra una centrale raccolta di prodotti naturali delle provinole venete. Relazione dollor Giacinto Namias » 36 — Sopra un nuovo genere di spugne, le quali perforano le pietre, ed i gusci marini, 29 aprile iSSg. Relazione doltor Giacinto Namias » -^n NEU-MAYR nobile ANTONIO. Notizie biografiche letterarie sopra Ca- millo Federici, 22 gennajo i838. Relazione professore Bellomo „ ^g Sulla IMecchina idro-pneumatica Popafaviana , 26 fcbbraro 1839. Relazione dotici' Giacinto Namias r, 84 PALEOCOFA cavaliere PIETRO. Storia sulla bonifcaz\onc di Fai di Chiana, 3i dicembre i858. Relazione dottor Giacinto Namias ,, yn 42 022 PARAVIA. caT. professor ALESSANDRO. Lezione sopra le rime liriche di Dante, 8 aprile iSSy. Relazione prof. Bcllomo . . Png. 89 PEROLARI MALMIGNATI nobil PIETRO. Se vera sia la opinione che i letterati sieno insujjfìcìenti nella amministrazione delle pubbliche cose, 29 gennaro i838. Relazione professor Bellomo » 4^ — — Sopra i pregi delle lingue* antiche , 21 gennaro 1859. Re- lazione professor Bcllomo " 88 RENIER abate GIOVANNI. Parole alla memoria dell' arciprete Angelo Dalmislro , 18 marzo 1839. Relazione prof. Bellomo. . » 94 ROSSI consigliere GIOVANNI. Sulle follie astrologiche e magiche del medio evo per rapporto a costumi veneziani, 11 maggio 1859. Relazione professor Bellomo » 96 ROSSI cav. dottor LORENZO. Considei azioni teoriche pratiche intorno al cholera , 23 aprile i858. Relazione dottor Giacinto Namias ,....» 35 -^— Di alcuni casi clinici da lui osservati, 29 aprile 1839. Relazione dottor Giacinto Namias » 82 SAGREDO conte AGOSTINO. Commentarlo sugli studii e sugli scritti dell'abate Giambattista Sveglialo, 12 marzo i858. Re- lazione professor Bellomo • . . » 4>^ — - Studii intorno agli applausi, 4 febbrajo iSSg. Relazione professor Bellomo » 9^ SANTELLO dottor GIOVANNI. Su alcimi casi di eclampsia delle par- torienli, e il felice esito d'un isterotoma l'aginale, 12 febbraro i838. Relazione dottor Giacinto Namias . . » 34 TROIS cav. dottor FRAISCESCO. Sopra una operazione di medicina pratica, 18 febbraro iSSg. Relazione dott. Giacinto Namias » 83 VALENZASCA dottor GIUSEPPE. Sopra il modo facile di denunziare ai Tribunali le ferite del corpo vivo o morto, a6 marzo i838. Relazione dottor Giacinto Namias » 34 — Saggio storico- medico sulle pestilenze di Perugia del dot- tor Mascari, i5 luglio i83g. Relazione dottor Giacinto Namias ' 86 ZAMAGNA consigliere MATTEO. Intorno la vita e le opere di Ber- nardo Zamagna , Raguseo, 6 marzo 1839. Relazione pro- fessor Bellomo » gS ZaNAROINI dottor GIOVANNI Considerazioni /jio/o^ic/ie sulle alghe, I luglio 1859. Relazione dottor Giacinto Namias ...» 78 Ò2Ó ZANOTTO signor FRANCESCO. Snpgio della sua storia della Pittura Veneziana, 17 aprile iSSg. Relazione j>rof. Bellorao . Pag. 49 — Sul Palatio Ducale di f^enczia , 12 agosto iBSg. Rela- ziono professor Bellonio » 92 ZtCCIlI.\ELLl (lolloi- GIOVANNI. DisquisizlonP sulla scoperta della circolazione del sangue, aS giugno i858. Relazione Hott. Giacinto Namias » Sa ZILIO'i'TO dottor PIETRO. Influenza della polizia medica sulla pro- sperità degli Stati, ig agosto iSSg. Relazione dottor Giacinto NSiniai " 85 INDICE. K>y%im>m/mj«yaB BELLOMO . Relazione de' lavori fatti dalla Classe delle Lettere ed Arti liberali nell'anno accade- mico t837-i858 Pag. ^7 Dei lavori fatti dalla Classe delle Lellere iiel- l'auno accadenitco i838-3g » 8y CALUGCI . . Vedute generali sulla Storia della legislazione per determinare la influenza del Diritto Romano a' giorni nostri ;5 io3 CASARINI . . Continuazione de' Ricordi storici dell' Ateneo di Venezia 55 5 Sul vero spirito delle Crociate e suU'influen/a che vi esercitarono i Veneziani ... « 55 Sui fenomeni del lago di Czirlcnitz ... 55 189 Sopra una nuova spezie di Attinia fatta co- noscere da IVI.'' Diigè negli Annales des Sciences naturelles r aaS Delle Relazioni de"li Ambasciatori Veneziani. Prolusione " 11 Kuovi slndii sulle Relazioni finali degli Am- basciatori Veneziani , Discorso . . . , ;5 269 NAMIAS , . . Relazione de' lavori fatti dalla Classe delle Scienze nell'anno accademico iSSy-SS . 55 25 Dei lavori fatti ilalla Classe delle Scienze nel- r anno accademico j858-39 n yS CAMPILANZr CONTARINI . MANIN 3a6 NARDO . . . Annotazioni medico-pratiche sulle malattie fal- samente credute verminose, su' falsi ver- mi, e sul modo di conoscerli . . . Pag- 201 PALEOCOPA. Sulla bonificazione di Val di Chiana . . »^ i65 PAROLARI . . De' mutamenti operati nella Poesia dal Cri- stianesimo, Discorso 55 245 DIEDO .... Sulle cosi dette Vere o sponde de' pozzi . « 281 Statuto dell' Ateneo » 297 Catalogo de' Soci « 509 Elenco delle Memorie lette negli anni accademici i837-l838, i838-i839 « Sig A 'sauof or J3U0J\[ eUMBQ .%.■ H^^IBk^^^ ^^ ;«s. ■''^ ^"^