/ \ 6 ÀeU Iipia/oj.( dpi le I . y^ft 'u « -6’ I ' 1 11 'd' 1 ^ io^l ■ 1848 \ / ^ ^CTawo ‘QS(pUL^' v .0.^0 mwwmNTp^-^ ^-/~y-^,8. DA GAETANO OSCULATI MEMBRO CORRISPONDENTE DELLA SOCIETÀ’ GEOGRAFICA DI PARIGI E DI ALTRE ACCADEMIE SCIENTIFICHE d' ITALIA. Asconda edizione corretta ed accresciuta, con carte topografiche, e eoli’ aggiunta di nuove Tavole rappresentanti Costumi e Vedute tolte dal vero dallo stesso Autore M IL A N 0 PRESSO I FRATELLI CENTENARI E COMP. Tipografi E «I ito ri. MDCCCLIV. /• \ A L L A C A R A ED 0 N 0 R A T A MEMORIA DEL SUO GENITORE QUESTA SEMPLICE NARRAZIONE DI VIAGGIO RIVERENTE CONSACRA L’AUTORE ANNO MDCCCL 1° GIUGNO. AVVERTIMENTO DEGLI EDITORI M 1.1 lentie le altre Nazioni promuovono ed incoraggiano i viaggi scientifici, l’Italia lascia andare perduti nel silenzio anche quelli che più l’onorano, che più fanno testimonianza dell’infaticabile genio de’ suoi figli. Invece di elevare a nazionali intraprese , a fatti di grande importanza scientifica , le esplorazioni de’ suoi viaggiatori, che soli, senza eccitamenti, senza sussidj, senza ajuti s’avventurano ad intraprese appena possibili alla sapiente libe¬ ralità di un popolo, l’Italia non li avverte neppure, c se i gior¬ nali e le accademie ne parlano , è gran fortuna , indizio sommo di merito. Colpa non nuova della patria nostra, poiché Colombo doveva, in terre straniere, consumare quattordici anni ad acqui¬ starsi credenza, e Cadamosto limosinava una nave a un principe di Portogallo, e Cabotlo accettava dieci lire sterline dal re d’In¬ ghilterra per aver scoperto Terra-Nuova, e Marco Polo di ritorno dell’ Asia , scriveva in prigione il suo viaggio , c Bolzoni solo e povero partiva alla volta dell’Egitto, e il bassanese Brocchi chie¬ deva a Mehemet Ali que’ soccorsi ehe la terra de’ suoi padri gli negava. Nulla ostante la intraprendenza nostra lasciò ovunque le sue tracce, i suoi martiri; e sorretta dal solo amore della scienza, sperante nè chiedente ricompensa, operò sforzi cotanto pro¬ digiosi, che ogn’ altra Nazione, fuor dell’Italia, ne trarrebbe giu¬ sto motivo di vanto e di gloria. E sforzi prodigiosi furono quelli onde il Signor OSCULATI attraversò nella sua maggior larghezza il continente americano e raggiunse, per foreste selvagge e terre deserte, i lidi orientali del¬ l’Atlantico. Molti altri viaggi avea prima compiuti, e giovinetto si addentrava nell’ Egitto e nell’Arabia; poi nell’America Meridionale percorreva le immense e selvagge pianure delle Pampas e saliva i gioghi delle Andes; co! Dc-Vecehi visitava V Armenia, la Persia , l’ ìndia, sempre animalo dal desiderio di scoperta e da quella prodigiosa costanza che fa il bello d’ ogni impresa e facilita i grandi risultati. L’ opera che intendiamo pubblicare nuovamente, descrive gli usi e costumi della Repubblica dell1 Equatore : la natura belli¬ cosa e irrefrenata delle molle popolazioni selvagge che vivono lungo il Napo e le Amazzoni, i contrasti fra la civiltà e la bar¬ barie, la religione e la superstizione, il nuovo e l’antico; mostra a quali e quanti pericoli sieno esposti i viaggiatori di quelle re¬ gioni tra le insidie di tribù feroci, in campi invii, dovendo var¬ care fiumi senza ponti, e lottare contro la fame e sfidare gli as¬ salti delle fiere, e durare animoso agli stenti del digiuno, all’ar¬ dore del cielo , alla solitudine più terribile d’ ogni male. È una schietta narrazione, in cui lo stile corre facile e spedilo, e i fatti si succedono 1’ un 1’ altro con vero interesse , narrazione da cui la scienza molto profittò, poiché per essa venne rivendicata alla Repubblica dell’Equatore una civiltà antica quanto quella degli Sncas: si conobbe la lingua Zaparra , prima del lutto ignota, e la storia naturale crebbe di molte varietà, specialmente di animali vertebrati, come pure di molte specie nuove di Coleopleri illu¬ strate dal Nestore degli entomologi italiani marchese Massimiliano Spinola, e dal celebre naturalista francese Guèrin-Ménéville. Il Signor OSCULATI è tal uomo da non bisognare di altri elogi. Chi ama veramente il proprio paese concorrerà , non ha dubbio, a questa edizione; un lavoro che può ben dirsi una gemma della letteratura italiana contemporanea. GLI EDITORI. 1) Alla sua pvima pubblicazione molti giornali ne parlarono: il Crepuscolo, V Illustra- tion , il Cimento, il Monitore, il Ballettino della Società Geografica di Parigi, V Opinione il Risorgimento, ccc. ccc. — Il Presidente della Società Geografica di Londra ne faceva menzione onorevole al Congresso Britannico d’ Ipswich. — In Francia se ne proponeva la' traduzione. Nell’Agosto 1846 io salpava da Marsiglia sulla nave francese Au¬ guste Etienne che faceva vela per l’isola Borbone, onde, superalo il Capo di Buona Speranza , compiere il viaggio di circumnavi¬ gazione. Non sussidialo dalla liberalità di alcun governo , non sorretto dagli eccitamenti e dai consigli di Società scientifiche, io mi lanciai in sì avventurosa peregrinazione fornito di quei limitali mezzi che porge la fortuna di un privalo , confortato soltanto dalla speranza che dalle mie fatiche e dai miei sacrificj ridonar ne potesse qualche lustro alla mia terra natale , e alcun vantaggio a quei rami della storia naturale cui ho consacralo tutto me stesso. Se negli anni primi di mia giovinezza un irresistibile desio d’av¬ venture, l’ansia di affrontare pericoli, di contemplare que’luoghi e que’monumenli, che la mia infantile imaginazione aveva tante volte ne’ suoi sogni vagheggiato , mi spinse lutto solo e ancora inesperto ora a percorrere le aride sabbie de\V Egitto e dell "Arabia, ora a traversare gli immensi piani delle Parnpas e a superare i nevosi gioghi delle Andes d), altro non riportandone che vaghe im¬ pressioni di uomini e di cose; fatto adulto, avvalorala la mente dal¬ l’esperienza e da geniali sludii, mi applicai a ciò, che i miei viaggi più non fossero soltanto un vano pascolo alla innata mia curiosila e irrequietudine, ma diretti a un altro scopo, riuscissero di avan¬ zamento alla scienza e di vantaggio alla società. I) Vedi volume VII del Politecnico, fascicoli 37-58-41, Nola d'mi viaggio nell’America meridionale di G. Osculali, negli anni 1831-1853-1836. v2 Eccitalo da amichevoli suggerimenti e saldo ne’ miei propositi, intrapresi , or fa nove anni, il viaggio de\Y Armenia, della Persia e dell’ India !), del quale il mio bravo compagno De Vecchi ha pub¬ blicato in parte la relazione 1 2). Appena reduce da quelle remote regioni dell’Oriente, schivo di poltrire in un ozio per me letale , mi decisi ad intraprendere il viaggio di circumnavigazione , nel- l’intenzione di percorrere le provincie de\V Indostan che nell’ante¬ cedente escursione non aveva potuto visitare , per quindi perlu¬ strare quegli arcipelaghi della Polinesia , che ancor lasciano tanto a desiderare al geografo e al naturalista , ed ove tuttavia sono calde le ceneri dell’ardito nostro compatriota, il conte Vidua. Ma l’uomo propone e Dio dispone; in faccia ad Algesiras , proprio al limitare dell’Atlantico , un incendio divorò la nave mercantile sulla quale mi trovava imbarcalo, lasciandomi su quel lido solo e quasi spoglio delle principali mie risorse. Mi fu forza mutar con¬ siglio, ed approfittare della nave dalmata la Zoe che da Gibilterra salpava per New- York, non iscoraggiato della mia mala ventura, fermo sempre nell’ idea di effettuare il progettato viaggio , intra¬ prendendolo dai lidi occidentali. Toccalo il suolo americano, percorsa buona parte degli Stati- 1) V. Coleotteri raccolti nella Persia, Indoslan ed Etjitlo, c Note del viur/yio di Gae¬ tano Osculali. Monza, 1844, tip. Corbella. 2) Qualche parola in proposito di questo mio collega del passato viaggio nella Persia ed Indostan, a cui, come per l’addietro fra i divisi pericoli, mi legherà ora e sempre in¬ declinabile stima e ricambiata amicizia. Perchè giova far noto a’ mici lettori ed a quelli della di lui Opera, il Giornale di Carovana, come della forzata interruzione ch’ebbe questa a patire non s’abbia nudamente ad accagionarne l’autore. Senza accennare alle critiche circostanze che valsero ad ammutire qualunque opera in corso, nò tampoco al notevole sbandamento degli Associati, l’improvvisa morte dell’ onesto e diligente editore di quell’o¬ pera, accaduta proprio nel momento che si dava mano alla continuazione, fu causa ap¬ punto che venisse arenata di bel nuovo un’ intrapresa ben altro che lucrosa c meritevole di tempi più propizj. Per altro l’autore, in vista dell’ assuntosi impegno, s’ impromette di adoperarsi, per quanto sta in lui, perchè abbia a toccar line un lavoro, i cui dispendiosi materiali già belli e preparati fanno da sè bastevole guarentigia del buon volere di chi ebbe Uitt'altra mira clic di tenerli dimenticati fra la polvere d’ uno scaffale. xt Uniti, e visitato il Canadà , ritornava a New-York, donile sul brick De /Addo faceva vela per la Giamaica. Un terribile uragano, clic ci sorprese all’ altezza delle isole Bermude e che desolò tutto il litorale del mar delle Anlille , costrinse l’equipaggio a far getto di tutto il carico, e a me avariò il rimanente degli effetti in modo, da obbligarmi a deporrc affatto il pensiero di compiere la pere¬ grinazione clic aveva divisata. Volsi quindi altrove i miei passi, e conoscendo come sotto 1’ Equatore esistessero regioni dove non per anco aveva posto il piede alcun Europeo, o che solo erano stale esplorate nella prima metà dello scorso secolo da qualche missionario, intorno alle quali scarse ed incertissime erano le re¬ lazioni, mi decisi di traversare fistino di Panama , donde mi recai al Guayaquil, porto della repubblica dell’ Equatore nell’Oceano Pa¬ cifico, e a Q itilo sua capitale suiraltipiano del Pichincha e del C/iim- borazo. Di là, superando di bel nuovo le Andes, seguendo il corso del Napo dalle sorgenti alla sua foce nel rio delle Amazzoni , io intendeva riuscire proprio nel centro del continente americano, attraversarlo nella sua maggior larghezza, e toccare infine a qualche porto dell’Atlantico del gran Partì , provincia dell’impero brasiliano. Ardita anzi temeraria era la intrapresa , superiore di troppo alle forze dell’ individuo, il quale in niun altro che in sè solo do¬ veva trovar le risorse per reggere a tante fatiche , per superare tanti rischi. Oltre le difficoltà inerenti ad una esplorazione per regioni inospili c quasi affatto sconosciute, traverso a vergini fo¬ reste dove ignota era la faccia del bianco, io doveva intraprendere quel lunghissimo viaggio nella stagione dell’anno più avversa. Nè questo basta; le tribù indiane clic mi era forza incontrare, vengono ritenute fra le più crudeli e selvaggie di quante percorrono quelle desolate solitudini, sempre in guerra fra loro, abborrenli da qual¬ siasi arte della civiltà, date alcune all’antropofagia, celebri soltanto nella scienza di filtrare veleni e di massacrare nemici. Nè la pro¬ spettiva di tanti pericoli, nè gli amorevoli consigli de’miei cono¬ scenti di Quito valsero a smuovermi da’ miei proponimenti; quasi Xh ad occhi chiusi mi lanciai nella via che volea percorrere, fidando in me solo c nella vigoria del mio animo; vidi più e più volle pendere sul mio capo la morte; mi trovai per quattordici eterni giorni tutto solo nelle selve del Quixos, abbandonalo dagli Indiani che mi servivano di guida, in un isolotto, ove torrenti d’ acqua minacciavano da un istante all’ altro d’ inghiottirmi , senza pane pel dimani , stremo di forze c con cattive armi per difendermi contro le fiere: scampato quasi per miracolo all’ira degli elementi che parevano scatenali a mio danno, dovetti lottare contro le arti di selvaggi senza fede, avidi del mio sangue e della mia roba; nè mancarono le malattie, funeste conseguenze di tanti stenti e di sì diuturne privazioni; le febbri, che conquassandomi il corpo , mi prostrarono ancora lo spirito: disperai di rivedere i miei più cari, e quella terra che io tanto amo; ma vinse la mia buona stella, e dopo lunghi mesi passati sempre sotto alla vòlta dei cieli, nutrendomi di fruita e carni di tapiri e di scimmie appena roso¬ late, riuscii a toccare il suolo del Brasile, che fu in vero per me la terra di promissione. Reduce dopo tre anni in patria , classificali gli oggetti di storia naturale, dei quali buona parte venne da me ceduta al civico Musco di Milano {), ordinale le copiose collezioni d’armi, di arnesi, di tessuti, di produzioni di quelle contrade, mi applicai a dare qual¬ che forma letteraria agli sparsi frammenti del mio giornale di viaggio, preferendo fra le notizie ed impressioni che ogni giorno era andato notando quelle che a mio vedere sembravano più importanti, sia relativamente alle scienze fisiche c geografiche , sia riguardo ai costumi, agli idiomi, alle superstizioni, alle tradizioni di quelle selvagge tribù. I) L’Opera sarà corredata da interessante memoria già pubblicata per cura del chiaro naturalista Dottor Emilio Cornalia , col titolo: » Synopsis vertebrulorum in Museo Medio- Innense cxstanlium quee per novam orbem G. Osculati collcgil annis 1846-1847-1848. Spccicbus novis vel minus cognitis udjcctis, nec non descriptionibus atipie iconibus illu- slralis. Spinto dagli eccitamenti di alcuni amici , distinti cultori della storia naturale, io mi fo ardito di presentare a’miei compatriotti questo volume, in cui espongo la relazione delle mie escursioni nelle regioni equatoriali del Nuovo Mondo, nella fiducia che essi, avuto riguardo ai tempi e alle circostanze in cui venne redatto , non mancheranno di fargli buon viso , c di compatire alle mende e alle mancanze che io stesso non posso a meno di riconoscervi. Desideroso più della precisione dei fatti che della venustà della esposizione , ho voluto mantenere al racconto le forme del mio diario, ottenendo cosi di rendere più facile al leggitore il seguirmi nelle varie vicende della mia avventurosa peregrinazione , e di conservare quella semplicità , quella chiarezza , quella esattezza nelle date, che formano f unica garanzia presso il Publieo della veracità delfesposto. Parco nelle descrizioni , ma nel tempo stesso esalto pittore della natura , io non mi lasciai mai lusingare da quella tendenza pel meraviglioso e pel fantastico, dalla quale, con ben poco frutto della scienza, si lasciano forviare molli viaggia¬ tori d’ oltremonti, che finiscono col compartire alla nuda verità f impronta dello strano e del romanzesco. Appena questo volume trovi nel Publieo benigno accoglimento, io non mancherò di farlo seguire da un secondo, di cui ho già ordinati i materiali, dove mi farò ad esporre il rimanente de’miei viaggi nelle due Americhe, studiandomi così di porgere agli Ita¬ liani un’ illustrazione quasi completa del nuovo Continente , che da me venne in varie riprese perlustrato dai laghi Canada alla Terra del Fuoco. Possa questo mio qualsiasi lavoro meritarmi la stima e la benevolenza de’ miei compatriotti , nè riuscire affatto sterile alle scienze naturali ed agli studj geografici. L’oscuro viag¬ giatore, che non confortato dalla speranza di nazionali ricompense, nè sorretto della protezione di alcun Governo, volle avventurarsi in sì rischiose esplorazioni , non chiede altro guiderdone , non pretende altro compenso alle sue fatiche ed ai tanti sostenuti sacrilìcj. ESPLORAZIONE DELLE REGIONI EQIJATORIA LI LUNGO IL NAPO E IL FIUME DELLE AMAZZONI CAPITOLO 1° ( dal giorno 29 Marzo al -22 Aprile 1847. ) Partenza dal porto di Panama. — Navigazione nell’ Oceano pacifico. — Arrivo al¬ l’Equatore. — Descrizione della città e porlo di Guayaquil. — Produzioni na¬ turali e vegetali. — Partenza per la Capitale. — Isole galleggianti. — Alligatori. — Villaggi di San B or ondo n , Bodegas e Savanela. — La febbre gialla. — Arrivo a Guarauda. li giorno 29 Marzo partii da Panama per recarmi al Guayaquil sul vapore inglese V Ecuador che intratteneva una regolare e men¬ sile corrispondenza lungo la costa della Colombia, del Perù c del Chili. Si fé’ scalo per poche ore nel porto di Sant. Buenaventura nel gran Giocò, ed il giorno 2 Aprile alle 5 pomeridiane si get¬ tava l’àncora nel porto del Guayaquil. La riva era ingombra di persone d’ ogni ceto ed in ispecie di militari in grande assisa, i quali colla maggiore ansietà sta¬ vano aspettando l’arrivo di quel piroscafo, onde aver notizie in¬ torno alla spedizione dell’ ex Presidente General Flores , che as- serivasi fosse di già salpato dalla Spagna con una flottiglia di¬ retta all’ Equatore. Dopo la consueta visita del capitano del porto, venne permesso lo sbarco de’passeggieri, tranne alcuni spagnuoli, i quali dovettero continuare il viaggio sullo stesso vapore pel Perii. — 10 — I miei bauli vennero minuziosamente visitali da doganieri , e mi furono sequestrale le armi in esecuzione di un ordine gover¬ nativo emanato poco prima. Esse mi vennero però restituite il dì seguente in un col passaporto per la Capitale. Alloggiai alla posada (albergo) della Boia d'oro , impiegando po¬ chi giorni nel fare i necessari preparativi per la partenza e nel visitare i dintorni. Guayaquil, posta sull1 Oceano pacifico, è il primo porlo della Repubblica dell1 Equatore e giace alla riva destra del fiume che porla lo stesso nome, in una pianura circondala da piccole ca¬ tene di monti e da immensi boschi paludosi. La città è divisa in vari quartieri, che fra loro comunicano per mezzo di ponti di legno; può avere circa 2 miglia di lunghezza, ed un mezzo miglio di larghezza. Le case infestale da scorpioni e da miriadi d1 altri insetti no¬ civi, sono per la più parte di legno, edificale sopra palafitte, ad uno o due piani con ampi balconi e ballatoj forniti di ventilatori. I materiali e i melodi di costruzione danno bastante ragione della frequenza degli incendii. Guayaquil non possiede nè edilizi nè istituti degni di osserva¬ zione, quantunque sia stala in ogni tempo una località importante, sia come centro di un commercio considerevole col Panama , la Nuova Grenada, il Perù e le provincie dell1 interno, sia perchè fino ad ora è runico porto di costruzione marittima della costa meri¬ dionale dell’Oceano Pacifico. La Cattedrale o San Domingo che trovasi nella città vecchia, è la chiesa più bella, fabbricata per la più parte in pietra; quella di Sant1 Agostino e le altre non meritano la minima attenzione. Vi sono pure quattro conventi con 60 religiosi viventi d’elemosina. L’arsenale è affatto in rovina, non vedendosi nei cantieri, dove altra volta vennero costrutti navigli della portala di 3 a 400 tonnellate, che alcune barcaccie da raddobbare. Nell’ interno la città presenta uno squallore tale da formare il I) La Repubblica dell’Equatore confina al nord colla repubblica della Nuova Grenada, al sud col Perù, all’est con Maynas cd il fiume delle Amazzoni, c secondo una nuova or¬ ganizzazione si divide in sette provincie: Pichineha o Quilo , Guayaquil, Cuenra, Imba- bura, Cliiinborazo, Manali, Loja. Queste sono suddivise in cantoni, la provincia del Gua¬ yaquil poi è ripartita nei 6 cantoni di Guayaquil, lìodeyas, Boba, T)aulc, Sant' Piena t Moro. 17 — più desolante contrasto colla deliziosa sua situazione. L’erba cresce rigogliosa per le sue strade , clic sono la più parte spaziose c tagliate ad angoli retti. Ad ogni angolo si incontrano cumuli di immondizie, ed il fetore che tramandano quelle cloache al calare della marea riesce veramente insoffribile. Siffatti inconvenienti uniti all’afa soffocante contribuiscono nella stagione piovosa a rendere oltremodo malsano questo scalo visitalo altresì bene spesso dalla febbre gialla, la quale negli anni 1854 e 1842 ha decimala quella popolazione in un modo spaventevole. Dietro calcoli approssimativi , i soli che si possano insliluire, Guayaquil non conta al giorno d’oggi che 18 o 20,000 abitanti de’ quali circa due terzi appartengono ai varii incrociamenti colle razze di colore. 11 clima del Guayaquil è caldo ed umido, e solo nell’estate quel soggiorno riesce alquanto più mite e salubre , spirandovi quasi costantemente ogni mattina i venti di Sud-Est c Sud-Ovest. 11 termometro monta sovente fino a + 50° e 52° Reaumur e man- tiensi sempre nella giornata per termine medio a 26° e 28°. Però nelle ore mattutine l’aria è più rinfrescala, circostanza forse dovuta ai venti di terra, i quali non soffiano che sul declinar della sera, e durante la notte rinfrescali dalle Cordigliere d’onde provengono. 1 frequenti trabalzi di temperatura uniti all’ azione debilitante dell’ umidità e del calore sono le cause principali delle malattie quivi endemiche, dalle quali però non è tanto diffìcile il preser¬ varsi, appena si mettano in pratica quelle cure igieniche, le quali ab immemorabili sono indicate ovunque l’elemento caldo-umido ab¬ bia la prevalenza. Al Guayaquil non si hanno che due stagioni: l’estate e l’inverno cioè la stagione delle pioggie, e quella della siccità. Dura la prima dal Dicembre al Maggio , la seconda dal Maggio al Dicembre , e quasi senza la menoma interruzione di pioggia o di bel tempo, e secchezza, durante 1’ uno o 1’ altro di tali periodi. La stagione secca o l’estate è più fresca, mentre l’altra della pioggia e che costituisce l’ inverno, è invece la più soffocante. Gli abitanti passano 1’ intera giornata nelle loro case e solo sull’ imbrunire vedonsi un po’ animati il porto e il mercato lungo la riva del fiume, unici punti o\*e sia dato di respirare un aere meno infuocato, sollevandosi spesso verso sera qualche temporale — 18 — accompagnato da fragorosi tuoni e lampi, clic rinfresca l’atmosfera, c la rende se non altro sopportabile. Arrogi, che di notte non si può tener acceso un lume senza che una miriade d’insetti aquatici, farfalletle e moscherini, svolaz¬ zando all’ intorno e cadendo a migliaja sui tavoli, arrechino la più viva molestia, spegnendo ad ogni istante la fiamma 4)- Lungo la riva del fiume, nella strada reale e lungo il porlo sorgono le abitazioni dei benestanti e dei negozianti ; le classi meno fortunale vivono nella città vecchia e ai lembi d’un piccolo colle verdeggiante detto la Polveriera; i più poveri, in particolare poi i pescatori, abitano sul fiume entro balsas ("zattere) galeggianli sulla cui coperta costruiscono una capannuccia con bambous c foglie di palme, assicurandole poi con corde alla sponda, dove insieme agli animali domestici, vive il resto della famiglia , clic suol tal¬ volta coltivare all’ intorno dell’ abituro qualche ajuola di fiori, di legumi e di frutta (Vedi Tav. li, Panorama del Guayaquil). In tal modo conducono una vita nomada , ed indipendente sulle sponde degli Esteros dandosi liberamente alla pesca, e rispar¬ miando sul vitto e sulla pigione clic sono al Guayaquil a caris¬ simo prezzo. In generale i Guayaquilegni sono di carattere dolce; ma poco proclivi allo studio , e per conseguenza poco istruiti e dediti al- 1’ ozio ed al giuoco. Le donne sono di belle forme, di carnagione bruna, escono ben di rado sulle vie stando ritirale la più parte della settimana neH’interno delle loro case, seguendo in ciò l’uso orientale, solo facendosi ve¬ dere nei dì festivi per recarsi alla Chiesa. Le più ricche si fanno portare in una specie di palanchino formato da una amaca ( letto pensile a rete) attaccata ad un lungo bastone che posa sulle spalle, entro la quale la donna se ne sta rannichiata col suo parasole. In casa ricevono le visite sedute o piuttosto sdrajale nelle loro ama¬ che che fanno dondolare , sia appoggiando di tratto in tratto il piede sul suolo, sia coll’ ajuto delle loro serventi (Vedi Tav. II). Tutte indistintamente fumano il zigaro, vestono alla spagnuola, 1) Raccolsi alcune migliaja di questi insetti in una sera sola nella farmacia del signor Reyre. In tanto numero di individui poche furono le specie, la più parte di colcopteii della famiglia degli Ilydrocantari : V Ilydalicus uncinatus , Colymbcles undecim guttalus , Gyrinus Columbinus ; G. Ovata s, G. Guayaquilcnsis, N. Sp. ed alcuni Brachelilri, Stafili- nicli , oltre a molti effimeri. — 10 — portando il faldellino quando vanno in visita, ed ornandosi di fiori, de’ quali sono mollo vaghe. L’ industria è meno in progresso fra gli abitanti della provin¬ cia del Guayoquil di quello lo siafra le popolazioni dell’ interno; nel cantone di Sant’ E lena però si tessono amache di filo di Agave di un lavoro squisito, e cappelli di paglia pa Imira che si vendono a carissimo prezzo, essendo di una finezza non inferiore a quella dei più pregiali di Firenze. Oltre al gran consumo che se ne fa nell’ Equatore , se ne spediscono al Perù ed al Chili , pagandosi per uno de’ più fini da 200 a 500 franchi, e per i più ordinarj da 15 a 20. Al Guayaquil P infimo lavorante può guadagnare da 4 a 5 franchi al giorno, e non avvi un operajo un po’ intelligente ed attivo il cui salario sia minore di 5 franchi i). Il commercio è pur troppo quasi nullo a cagione delle discordie e delle guerre civili alle quali è di continuo in preda quella Rc- publica ; all’ epoca poi del mio arrivo la notizia della spedizione del Generale Flores aveva dato P ultimo crollo alla sua attività com¬ merciale, tanto ché non più di4o 5 bastimenti vedevansi ancorati in porto. Tutti erano occupati a mettersi sulle difese onde impedire lo sbarco del Presidente che Panno antecedente avevano espulso a viva forza. I trasporti per terra sono dificilissimi, stante che i pochi sentieri praticati nei boschi sono affatto negletti ; per questa ragione tutti i trasporli di merci si devono praticare con zattere chiamate balsas costituite da 20 a 50 tronchi d’ alberi di circa 40 piedi di lun¬ ghezza, d’un legno leggiero e spumoso a guisa del sughero co¬ nosciuto nel paese sotto il nome di Palo de Balsa. Queste informi imbarcazioni, tenute insieme unicamente con corde e liane sono atte a sopportare il peso di 4 a 5 tonnellate, però non possono avanzarsi che nella direzione della corrente pro¬ dotta dalla marea. Qualche volta muniscono la zattera d’ una vela quadrala, di cui non fanno uso però che di rado e sol quando il vento soffia nella direzione della corrente stessa. Un lungo remo attaccalo all’ estremità della zattera costituisce il limone. Uno o due uomini sono sufficienti per guidarla senza gran fatica dalle foci del fiume sino al punto dove cessa d’essere navigabile. Del 1) Il lavorarne del Guayaquil guadagna dicci volte di pili di quello dell’ interno. — 20 — resto siccome questo veicolo è lentissimo, in generale non viene usato clic per oggetti pesanti c voluminosi , mentre invece pelle merci di qualche valore c pei passeggieri , servonsi di piroghe formate d’alberi scavati, delle quali alcune hanno da 25 a 50 piedi di lunghezza, o di canotti piatti formati di tavole unite ed inca¬ tramate. Per mancanza di consumazione i terreni boschivi sono quasi di nessun valore, massime se a qualche distanza dalla città, mentre la coltura comparte subito un valore considerevole al minimo pezzo di terra, che varia però secondo la situazione, secondo lo stato più o meno completo di dissodamento, secondo il genere di coltivazione che vi si può praticare. Questo è certo che in complesso i campi ben coltivati possono quivi rendere al pro¬ prietario fino al 12 e al 15 per cento di annuo fruito. Le praterie poi alte a mantenere il bestiame rendono ancora di più, e ciò pel motivo che il prezzo de’commestibili sì vegetali che animali è doppio di ([nello delle provincie in tr ne. In quanto poi agli animali domestici il paese alleva una grande quantità di bestiame, massime cavalli e muli, che si incontrano a torme nelle vicinanze del Guayaquil , specialmente al Moro , i di cui pa¬ scoli sempre freschi sono principalmente frequentati nell’ estate, epoca nella quale l’ aridità delle campagne diventa universale negli altri distretti. La provincia di Guayaquil è meno rieca in produzioni metal¬ liche delle provincie interne, superando invece quest’ ultime in prodotti del suolo. Trovansi , ma in piccola quantità disseminate nei torrenti delle pagliette d’ oro fra Boba e Palenque come pure nel Baule. Vi crescono spontaneamente frutta d’ ogni specie , la banana , l’arancio, l’aroca, il coco, i meloni, de’quali si nutrono gli abitanti- come pure il cacao, la canna da zucchero, tabacco, riso, caffè, indago, non che gomma elastica, vaniglia c vari legni di tintura. La coltura del cacao è la più estesa di tutte , il cui prodotto forma già da solo la metà dell’esporlazione del paese, calcolandosi all’ incirca da 15 a 16,000 cariche equivalenti a 12 milioni di libbre , che valulansi nel paese a circa 5 milioni di franchi, con¬ sumandosi nello stato un quarto al più del raccolto. Dopo il cacao, la coltivazione più lucrosa e più diffusa è quella della canna da zucchero le cui piantagioni circondano le dimore sì del ricco che del povero. Si calcola clic una quadra a canna da zucchero di 2 o 3 anni può rendere lino a 1500 piastre forti al suo proprietario, mas¬ sime quando lo zucchero venga convertito in aquavile, in causa delle elevate tasse che colpiscono i liquori forestieri , e della propensione degli abitanti pei medesimi. Il tabacco è egualmente uno dei rami di coltura più produt¬ tivi , anzi veniva consideralo come il più lucroso quando non era aggravato da speciali imposte. Gli abitanti del Datile sono quelli che lo coltivano più estesamente, valutandosi a più d’ un milione e mezzo di franchi l’annuo prodotto. Esso viene per intero acqui¬ stalo dairAmminislrazione delle Finanze, e per ben due terzi si esporta al Chili e al Perù. Il riso è la coltura alla quale il terreno umido della provincia del Guayaquil sarebbe più adatto, e potrebbe diventare un pro¬ dotto interessante per l’Equatore, se questa Republica riuscisse ad ottenere con trattali qualche vantaggio sui mercati della costa del¬ l’Oceano pacifico, che vengono approvigionati quasi esclusivamente dai Brasiliani; L’indaco del Guayaquil è di ottima qualità; ma non impiegasi che per la tintura di stoffe di cotone fabbricale nell’interno della provincia. Questo prodotto potrebbe però diventare ben più lu¬ croso e ricercato appena fosse in mano di persone attive ed in¬ telligenti; ma la mancanza di braccia e di industria, e dall’altra parte l’indolenza del piccolo numero di coltivatori fanno perdere a quella provincia tulli i vantaggi che potrebbonsi ritrarre tanto da questa sostanza come dai legni di tintura e di costruzione. Il taglio dei primi restringesi al piccolo consumo dell’interno* quello dei secondi serve per l’esportazione pei Perù, commercio che si potrebbe estendere con certezza di guadagno , qualora qualche speculatore pensasse a sostituire le macchine alle brac¬ cia^ non trovandosi queste, come già abbiamo accennalo, che con salarii molto elevati. La sera medesima dello sbarco fui tanto fortunato da poter as¬ sistere alla processione del Venerdì Santo, la quale rappresentava in proporzioni però minori, quella che si fa a Quito, dove si ce¬ lebra colla massima pompa, e col corteo di tutte le Autorità ci¬ vili e militari. La processione esci dalla Cattedrale e percorse tutta la città rap¬ presentando la passione del Redentore. In questa circostanza però — 22 — si dovette interrompere ed affrettarla in causa della pioggia. Una moltitudine di penitenti c di donne con adosso il cilicio gridava a tutta gola per le strade: Ahi! que tallito Deos se ha muerlo para mi, battendosi intanto il petto e gli omeri con catenelle di ferro. L’epoca delle pioggie non essendo peranco terminata, il viaggio per Quilo ricsciva difficoltoso al sommo, ai soli corrieri essendo concesso di poter serbare una regolare corrispondenza ogni quin¬ dici giorni colla Capitale. Tutti i terreni delle circostanti Savane trovavansi sommersi nè si poteva pei sentieri delle Ande resi dalle pioggie impraticabili, trasportare alcun carico. Vari Europei colà stabiliti e fra gli altri il farmacista sig. Reyre ed il Dottore sig. Durando , mi consiglia¬ vano a non mettermi in cammino prima del Maggio, epoca del decremento delle acque, cominciando allora a cessare le pioggie giornaliere; ma le disgrazie sofferte, ed i disagi sopportali nella navigazione dell’ Atlantico, mi facevano ardentemente desiderare di trovarmi al più presto a Quilo per ivi riposare alcuni mesi, c per poter poi riprendere più rinvigorito e più alacre l’ardua e lunga peregrinazione alle sorgenti del rio Napo ed al fiume delle Amazzoni. Ridotti i miei bauli a tre arrobe di peso ciascuno, come m’ era stato consiglialo, c falli coprire d’ incerato, provveduto delle vet¬ tovaglie indispensabili, noleggiai una piccola canoa per otto dol¬ lari, c me ne partii in compagnia di un giovine nativo del Belgio, statomi colà raccomandato dal vice-console francese, clic recavasi pure a Quilo, dove trovavasi da più anni stabilito il suo genitore. Il 9 Aprile al primo albeggiare, coll’alta marea, si salpò da Guayaquil, e dopo due soste onde lasciar riposare i rematori, si arrivò la sera ad un villaggio dello los Calles , fattoria ove tro¬ vatisi immense piantagioni di cacao. Ivi ci fermammo per aspet¬ tare la nuova marca. I terreni, tanto dall’ una clic dall’ altra riva, sono boscosi ed allagati; nella giornata si osservò un arcipelago di chivinc od isole galeggianti formale da erbe, canneti, rami che slaceansi dalle sponde, c clic continuamente scendono o rimon¬ tano il fiume a seconda della corrente prodotta dalla marca. In una di queste scorgemmo un capretto che stava belando, sorpreso forse dalla corrente nell’atto clic pascolava; tosto i miei rematori se ne impossessarono e ci servì di pasto, involandolo se non al¬ tro alle zanne degli innumerevoli coccodrilli dei quali brulica il — 25 — fiume, entro cui nuotano impavidi, nulla curandosi dell’ appros¬ simarsi dell* uomo. I boschi sono popolati da scimmie delle Ara- guatos e Chotos , i cui lamentevoli urli si fanno udire a gran¬ de distanza. Giunti al confluente del rio Datile col Guayaquil che scende a mano manca, diminuendo di forza l’alta marea, i rematori dovettero metter mano alla palanca , specie di pertica, la quale serve a spingere avanti la canoa , appuntandola nel basso fondo del fiume. — Sur ambo le sponde vedevansi piccoli casolari formati di giunchi, che poggiano a molta elevatezza dal suolo su palafitte: sono questi abitati da contadini coltivatori di cacao e canaverales (piantagione di canne da zucchero). Essendo stato avvertito essere quel luogo infame per frequenti ladronecci, volli dormire nella piccola canoa, ordinando al pilota che nessuno ar¬ disse ivi entrare nella notte senza avermi prima , onde ovviare a qualunque disgrazia, chiamato ad alta voce. Il dì seguente si partì alle 5 del mattino entrando nel canale o estero de cingavi , e si arrivò senza inconveniente di sorta allo spuntar del sole a san Borondò, scalo abituale di commercio fra Bodegas e Guayaquil. È questo un piccolo villaggio, la cui popo¬ lazione, che ammontava a 2000 anime, era stala quasi intiera¬ mente distrutta dalla febbre gialla nel 1842. Sostammo per rifo¬ cillarci nella casa dell’ alcade, il quale cortesemente mi aveva in¬ vitato, desideroso di aver notizie della spedizione di Flores, di cui mi assicurava essere egli uno dei più caldi ammiratori. Si toccò quindi Cavonda , vasta fattoria cinta da campi tutti coltivali a ca¬ cao, zucchero e riso ; e dopo aver rasentato V estero de Lagarto , s’arrivò la sera alla bocca di Babahoyo poco lungi dal rio Tauro, pernottando a Mosquitos. Durante la giornata raccolsi molti semi c pianticelle silvestri, colle quali incominciai il mio erbario del- f Equatore. Si vedevano galleggiare differenti mimose, e fra queste un bellissimo Lotus o Nimphcea a fiori grandi rossicci , poco dis¬ simile da quello che ammirasi sul Nilo nel basso Egitto. L’ 11 si arrivò al villaggio di Pimocha ove il fiume di videsi in due rami. Pimocha capo luogo del distretto di Baba, trovavasi altre volte sulla sponda orientale del fiume del medesimo nome; ma avendo questo abbandonato il suo letto primitivo, ha perduto i vantaggi della sua posizione. Del resto il suo territorio è uno de’ più ricchi della provincia in grazia dell1 importanza delle pian¬ tagioni di cacao: abbondante è pure la produzione del micie e 24 — della cera di api selvatiche. Procuratomi quivi miele e popponi , si giunse la sera all'estero di Tejar dove riposammo. Il 12 arrivammo a mezzodì a Bodegas , ed ivi ci fermammo in una piccola pulperìa (Osteria), olfatto isolala nel mezzo delle acque dove passai una pessima notte tormentato, come lo fui in tutta la navigazione dai mosquitos, che non mi lasciarono un mo¬ mento di tregua, sebbene fossi munito di zanzaliera, tanto ivi in¬ dispensabile che ne vanno provvisti gli stessi indiani. Bodegas è piccola borgata, importante ed assai commerciale, per essere divenuta l’emporio di tutte le provincie del Nord del¬ l’Equatore; giace sulla riva destra del fiume , in un territorio dal Gennajo a lutto Maggio interamente allagato. Le acque al mio ar¬ rivo montavano al secondo piano delle case, a sci braccia al di¬ sopra dell’ordinario livello del liume. Gli abitanti in tutto que¬ sto periodo di tempo sono obbligali aggirarsi per le strade colle barche ed entrare in casa per le finestre, ritenendo il secondo piano come piano terreno. Le abitazioni sono la più parte di legno bnmbous , e tutte come già notai edificale sopra elevate palafitte. Havvi una chiesa ed un quartiere, o deposito di sale, che viene quivi trasportato dalla punta di Sant’Elena, per essere distribuito in tutta la provincia. Dal lato opposto del fiume trovansi molti casolari, fra i quali la così detta Elvira o casa dell’ex Presidente Flores, dove era avvenuto un sanguinoso fatto d’armi fra i suoi partigiani, e i così detti Libertadores , colla peggio de’ primi. AI presente la casa è stata ridotta a raffineria di zuccaro o trapi¬ che, con torchio per frangere le canne. Siffatto soggiorno in quella stagione mi parve veramente in¬ fernale per l’insalubrità dell’aria, e la frequenza de’ Lagarlos (Alligatori), cbe veggonsi nuotare per le contrade diventate al¬ trettanti canali. Così abbondante è la pastura di pesci che in que¬ st’ epoca trovano questi schifosi rettili , da non succedere mai che essi s’ attacchino e rechino nocumento ai nuotatori, ciò che invece non avviene ne’mesi di siccità. Gli alligatori de’ paesi tropicali d’America sono di enorme gran¬ dezza, i più comuni essendo lunghi da 5 a G metri; vivono di pesci e di topi aquatici; ma sovente assalgono V uomo e sono più feroci di quelli dell’ Africa c dell’ Indie Orientali. Quando non siano stimolati dalla fame, si strascicano lenti lungo i greti del fiume, talora in frotte di 10 o 12; restano esposti al sole lungamente — 25 immoli, accavallali Firn sull’ allro ed a fauci spalancale, lasciandosi riempire la bocca di mosche ed alili inselli. Dessi non fuggono alFaccostarsi de’ baiteli i ; ne’ una palladi fucile facilmente intacca la dura loro spoglia. Depongono le uova sulla riva, o nei ban¬ chi e le ricoprono d’arena; ove divengono facil preda delle scinde e de’ galinazos (uccelli rapaci), che ne distruggono la maggior parte. Al Guajaquil si fa talvolta dai pescatori e massime dai Negri, una pericolosa caccia di questi orridi rettili , come la si pratica in altre parti d’America. Varj sono i modi posti in uso comune¬ mente onde distruggerli od almeno allontanarli dalle vicinanze delle abitazioni. Quella che più desta meraviglia è la seguente: Visto un Caimano, l’Indiano si spoglia e si getta nel fiume, te¬ nendo solamente in capo un cappellaccio di paglia , e in mano un lungo ed acuto coltello. Dentro 1’ acqua egli si agita facendo quanto più strepito sia possibile, e fissando intrepido il mostro, che s’ è affamato non tarda a lanciarsi alla sua volta. Quando è a pochi passi di distanza, il Negro in un baleno sparisce , la¬ sciando galeggiante il cappello che gli rimane assicurato al brac¬ cio con una funicella, e che il Lagarto nuotando a fior d’acqua e colle fauci spalancale impetuosamente ingoja ; ma nel medesi¬ mo tempo il pescatore gli è sotto, gl’ immerge nel ventre il pu¬ gnale, e ritorna lieto a gala, poiché il mostro appena ferito fugge e dopo brevi istanti approda moribondo alla riva, cercandovi ri¬ fugio. Quell’ardito indiano riceve una adeguata mercede da tutte le famiglie del vicinato, c massime da quelle che hanno dei bambini. Il vomito prieto , o febbre gialla visita sovente que’ luoghi sul principiare e verso il finire delle alluvioni, elevandosi allora da quel putrido fango miasmi che corrompono l’aria, e cagionano febbri putride e perniciose. Nell’estate rientrando le acque nel loro alveo la navigazione termina a Bodegas, durando due soli giorni , dal qual villaggio si va a cavallo sino a Savaneta, ove nell’ inverno si è obbligati rimontare colle canoe dette di monte ossia del bo¬ sco, impiegandosi così 5 giorni. Si coltiva nelle vicinanze il riso, e trovansi ottimi pascoli pel be¬ stiame bovino. Fra Bodegns e Savaneta incontrarsi molli po- Iretos, d’onde escono le migliori razze di cavalli di tutta la pro¬ vincia. In quanto agli allievi della razza cavallina sono più pre¬ giati quelli del cantone di Bodegns e di Balta: ed i puledri conosci u t i sotto il nome di I ungos sono i più ricercati in tutta la republica dell’ Equatore. IMS si dovette impiegare tutta la giornata da Bodeyas a Su- vaneta rimontando colla canoa attraverso i boschi ed i terreni inondati. Quivi il pilota m’indicò un grosso albero, ai piedi del quale in quell’ anno sul principiar dell’ allagamento generale di quelle steppe egli aveva salvata la vita ad un tal Rodriguez , suo com¬ paesano, ivi morente di fame e di stenti. Quell’infelice era partito a cavallo da Savaneta per recarsi a Bode - gas , quando a metà cammino era stalo sorpreso dalla subitanea inondazione, cresciuta in modo spaventevole. Non polendo nè andar più oltre, nè indietreggiare, e vedutosi circondalo da smisurati al¬ ligatori, che scorrevano a bande quelle Savane allagate, costui non trovò altro scampo se non coll’ arrampicarsi sull’albero , nel mentre i coccodrilli, assalito il suo cavallo, lo fecero a brani e lo divorarono impavidi sotto i suoi occhi. Su quell’albero era rima¬ sto per ben due giorni ed altrettante notti privo d’ogni soccorso, senza prender cibo, e sotto una continuata pioggia , quando il mio pilota, facendo quello stesso viaggio, e uditene le lamentevoli grida, lo raccolse nella sua canoa. Ivi uccisi una grossa iguana ( Polychrus marmoralus ), la cui carne fu rosolala e mangiala da’ miei rematori. Arrivato in su! far della notte a Savaneta, termine della navigazione, e pagati 6 colonnati di nolo al piloto sbarcai i miei effetti, trovando la più cortese ospitalità nella casa dell’alcade. Quivi mi trovai costretto rimanere due lunghissimi giorni, non avendo potuto trovare arrieros (condottieri di mule) che voles¬ sero porsi in cammino, sebbene mi mostrassi pronto a spendere il doppio di quello che si suol pagare ordinariamente nella buona stagione. Giunta finalmente una piccola carovana da Guaranda con carichi di viveri, col mezzo dell’alcade potei ottenere che mi ve¬ nissero cedute a nolo varie bestie sì da sella che da soma per tre colonnati cadauna sino a Guaranda. L’ arrivo di due uffizioli con dispacci governativi contribuì a ritardare di nuovo la mia partenza, avendo essi avanzata la pre¬ tesa di volersi servire delle bestie da me noleggiate; non vi rie- seirono però, quantunque le avessero di già fatte sellare, avendoli io minacciati che non avrei lardato a render avvertito il Presi- dente di tal sopruso commesso verso un Europeo. Dopo tale coni minatoria, desistettero dai loro modi arroganti; che anzi si mo¬ strarono subito più rispettosi, e solo mi pregarono a non mettermi in cammino insino a tanto che essi pure non avessero trovato cavalli , desiderando per maggior sicurezza reciproca di accom¬ pagnarmi a Quilo. lo però , ben conoscendo con qual razza di galantuomini avessi a trattare, cercai alla meglio di scusarmi, di¬ cendo loro come fossi troppo pressato di partire, nè potessi aspet¬ tare più oltre, sia a cagione del carico pesante , sia per voler a mio agio visitare le località che offrivano qualche interesse. In tal modo riuscii a liberarmene. Savaneta è piccolo villaggio abitato solo nell’inverno da quelli di Bodegas e da alcuni trafficanti di Guaranda, i quali formano colà il punto centrale del loro commercio. Al decrescere però del fiume, quel luogo rimane affatto deserto. Anche qui le acque stagnanti e la melma corrotta producono i loro terribili effetti. Di 200 abi¬ tanti che compongono quel meschino villaggio, non ne trovai una ventina che non fosse affetta da febbri intermittenti , da epatiti o da idropisia; tutti poi indistintamente pallidi al sommo ed ema¬ ciali. La breve dimora fatta in quel luogo, e le cure praticate in tutta quella navigazione, di tenermi cioè costantemente coperto di coltri di lana e di una camiciuola di flanella sulla nuda pelle, sebbene di notte dovessi sopportare un calore soffocante , mi preservarono dalle funeste influenze di quel clima. Il giorno 16 partii da Savaneta a mezzodì passando vicino i\\Y estero di Cum- bez. La strada, se pure strada dir si polea, era orribile, ed i ca¬ valli sprofondavano sino al ginocchio nel fango, essendosi solo da pochi giorni ritirate le acque. Dopo aver guadato varj fiumicelli , sempre accompagnati dalla pioggia, si arrivò a Filipongo , di là a Cuevas (Tane) , ove sostammo la notte in una fattoria a Punta- play a. Il 17 si partì di buon mattino da Punta-playa e traversati va- rii boschi detti di Cipan , Pìsagia , Copilaliglio , Boca de Limon , s’ incominciò a salire la montagna o Pena d’Angas , giungendo sino alla Chorrera (cascala). Il cammino era oltremodo erto, sdruc¬ ciolevole per la molta melma , infido pei solchi profondi sca¬ vati dalle acque. Si traversò Balsa-bamba , ed alla sera s’ arrivò a Cristal, capanna situata sulla vetta del monte dove pernottammo, lasciando liberamente pascolare gli animali poco discosto dall’abi- — 28 tato. Si passò meschinamente la notte sdrajati sn poca paglia, iu- lirizziti dal freddo e cogli abiti lutti ancor molli di acqua. Quivi mi raggiunsero gli uffizioli che a mio dispetto volevano scortarmi fino a Quito , avendomi però data la parola che sarebbero stali soggetti a’ miei ordini, sì per le fermate, come in tutto quanto pò- lesse occorrere nel cammino; stimai allora prudente di non in¬ sistere in un rifiuto clic sarebbe apparso di troppo scortese. Il domani verso l’albeggiare s’attraversò la catena delle montagne di Angas , sostando al piccolo tambo di Jorje; si passò Chavarpata , s’arrivò a Lusan grande , piccioli villaggi; si calò nel piano di Ra- mos-pampci, di là a Pojo, a Zancruz, e a Zanca chicìdta (piccola). Lungo lutto il cammino ammiravansi ad ogni passo i più strani e svariati fiori , le liane , le fuchsie , ec., e più in là annose bo¬ scaglie rallegrate dal canto d’innumerevoli uccelli a colori viva¬ cissimi, fra i quali si notavano molte specie di touccini ( rampila - slns dicolorus ), oltre a sciami d’insetti a tinte brillanti, Elater e Cetonie. Da quel punto ci dirigemmo per la strada regia o degli Incas , della quale altro però non rimane che il nome , si passò a iMu- cha-nuco , pernottando in una miserabile catapecchia a Puzuchuc. Il 19 arrivali per tempo a Cima , quivi ci soffermammo per ri¬ storarci c per dar lena alle nostre mule , le quali dovevano ar- rampicare su per la scoscesa schiena del Calzado ; a Pescara , piccolo villaggio , fu forza trattenerci per ben due ore in causa della dirotta pioggia; ripreso il viaggio e superata la costa di La- natan , si entrò nelle immense aride vallale che conducono a San Miguel de Cimba , dove trovammo ospitalità nella casa dell’alcade Don Pablo Rodriguez. Cimba è piccola terra lontana circa cinque ore da Guaranda , situata in una vallata paludosa sulla riva orientale del fiume dello stesso nome. Intorno ad una piazza sorgono pochi casolari di fango coperti di paglia , il tutto compreso in un’ area di 50 pertiche al più. Partili da Limbo il dì vegnente, si montò il Cerrito (montagnuo- la) , indi si calò sull’ altipiano ( quebrada ) di Culba. Da quel punto si gode il magnifico panorama delle Cordigliere , scorgendosi al basso dal lato destro i villaggi di Sancoto e Chiapacoto. Attraver¬ salo il rio S. Sebastian de Curba , si entra nella convalle de’/J/o- linas continuando il viaggio per la Ladera de Palmas , o vallata delle palme. Di là, sempre seguendo gli aspri sentieri del monte, ei trovammo improvvisamente al rinominato Soeabon o ponte na¬ turale. È indescrivibile la sorpresa ed al punto stesso il timore die invade l’animo del viaggiatore al momento in cui, senza es¬ serne da prima avvertito, giunge a quel passo. La strada trovasi ad un tratto rinserrata fra due burroni, ne’ cui abissi odesi scor¬ rere fragoroso un torrente: quelle acque hanno traforalo la mon¬ tagna , formando così naturalmente un vero ponte. Varcalo il So- cabon, si va rimontando un’erta costiera, sinché, scesi nel piano, si passa al tambo di Stesi-pampa, arrivando infine a Guaranda. Tutte le strade sono fiancheggiate da grossi ed eccelsi cactus. Durante il viaggio ambedue gli officiali erano caduti infermi di febbre terzana; oltre all’ aver loro somministrali i medicamenti opportuni per troncare la malattia, dovetti anche saldare Io scotto, essendosi essi messi in cammino affatto sprovvisti di denaro c vi¬ veri, per aver poco prima di partire perduto alla bisca 1’ intiera somma che avevano ricevuta dall’ erario. Approfittai dell’ istante dell’arrivo per accommiatarmi da loro. Alloggiai nella casa dell’ex governatore sig. Rovelli, ottimo italiano nativo di Parma, colà sta¬ bilito da oltre 20 anni con numerosa famiglia , e vi dimorai due giorni alToggello principalmente di trovar nuove cavalcature che mi trasportassero a Quito. Guaranda è piccola borgata che sorge in delizioso c fertile piano d’onde godesi la stupenda veduta del Chimborazo, il quale di là non dista più di cinque o sci ore di cammino. I caseggiati sono la più parte d’un piano, costruiti con tavole e fango. Vi si raccoglie una prodigiosa quantità di patate dolci che ven¬ gono spedite per tutta la provincia. La coltura del cotone , che cresce spontaneamente in questo come negli altri cantoni, è tal¬ mente trascurata , da lasciar andar dispersa buona parte di sì preziosa derrata. Dalla poca quantità che ne raccolgono pel loro I) Nel 1842 aveva il suddetto signor Rovelli ospitato in sua casa il contò Alessandro Lilla Modignani, distinto viaggiatore milanese, di passaggio per Quito. Il suddetto, dopo aver percorso nel 1841 parte del Brasile e della repubblica Argentina, visitò il Chili, il Perù e parte dell’ Equatore ; ed attraversata la Nuova Grenada , imbarcossi a Cartagena per l’Europa. — Dell’interessante suo viaggio ha già pubblicato quella parte che riguarda la repubblica Argentina, la navigazione c il passaggio del Capo Horn nella Rivista Europea del gcnnajo 1847. — 30 — consumo, traggono di che lavorare delle stoffe grossolane. Appena venisse favorita l’ introduzione di macchine e incoraggiata l’ in¬ dustria manufatluriera, per la quale non v’ha dubbio che gli abi¬ tanti hanno una decisa inclinazione, la piantagione del cotone non tarderebbe a rivaleggiare in estensione e importanza cogli altri prodotti del paese. Incontransi pure pochi campi piantali a caffè , arbusto anche questo che coltivato con maggior cura, potrebbe essere per quei terrilorj fonte non indifferente di ben essere c di dovizie. A Guaranda risiede un comandante di piazza con poca milizia ed un governatore ; la piazza è un vasto quadrilatero con una chiesa di meschina apparenza. In una gita intrapresa nella val¬ lata raccolsi molti coleopteri, massime scarabei, ed arricchii il mio erbario di molte specie e varietà di mimoosee, papilionacee, ro¬ sacee, composite, leguminose, fra le quali ammiransi la tac.sonia trepartila-QuELM., la Barnadelia spinosa , il Siphocamphylus gi- ijantcus , ed altre dei generi Gnaphalium, fìhexia, Astrwmeria e Lobelici, che conservo tuttora senza altra classificazione per man¬ canza di cognizioni botaniche. CAPITOLO IL C'ontlnuazloue. ( Dal giorno 22 Aprile al 26 delto ) l'assaggio delle Ande. — Il Condoro. — Il Chimborazo ed il Caraguaiaro. — Vil¬ laggio di Moclia. — Un felice incontro. — Città di Ilambato. — Suo commercio. — Gli Xibaros. — Loro usi — Costumi — Armi. — Borgata di Latacunga. — — Il vulcano Cotopaxi. — Le rovine antiche di Callo. — Il Despoblado. — Ar¬ rivo a Quito. Il 22, stipulato il contratto del noleggio con altro avvierò , al quale dovetti pagare tre colonnati per ciascun mulo da carico e da sella insino a Quito , mi rimisi in viaggio. Guadalo il fiume Guaranda, si rimontò la costa delta del Pongo c si mise il piede in una vasta pianura denominata Campamento , che si dovette tutta attraversare sino a Cushuckto c Cibubuc piccole aziendas. In mezzo a codesti piani m’ imbattei in molte Lamas e Vigone ( Auchenia lacma ) cariche di biade provenienti da Riobamba. Gli arrieros montavano su questi animali, che docilissimi si lasciano guidare dalla sempliea voce. (Vedi Tavola VII). Arrivati alla così detta Chorreva (cascata) de\\' Arenai, giunti alla vetta, ci trovammo inaspettatamente alle falde del Chimborazo che innalzavasi maestoso ed isolato, coperto interamente di perpetue nevi. Spirava un vento gagliardissimo ed il freddo incominciava a farsi sentire in modo tale da non permettere di più oltre procedere; fummo quindi ob¬ bligali ad ivi sostare per ben due ore, onde lasciar pascolare le be¬ stie, ed acceso un buon fuoco, riscaldare le membra intirizzite. Poco ivi potei occuparmi del mio erbario; raccolsi solo fra i tanti e svariali fiori alcuni esemplari del Culcilium rufescens , del Pan- evatium auvantium, varie Genziane, c poche ma scelte specie di Hhcxie, Melaslome, Vernerie , delle quali i pendìi di quelle eccelse montagne andavano tappezzali. D’insetti non raccolsi che alcuni scarabei. 11 cammino va sempre radendo le falde del Chimborazo fra im¬ mense sleppe montuose coperte da semplici erbe delle pajonales , o da graminacee; solo di tratto in tratto nei luoghi meno aridi vedevansi qua e là spuntare alcune valeriane , sassifraghe , gen¬ ziane, molle qualità d’ amaranti , e nelle piu evelale regioni ve- deusi roteare 1’ immane Condor 4), il più terribile fra gli abitatori dell’aere. La vetta del Chimborazo, secondo le misure barometriche di varj dotti viaggiatori , e fra gli altri del principe de’ geografi vi¬ venti, l’illustre e venerabile barone di Humboldt, si innalza piedi 21,416 al dissopra del livello del mare, e questo immune colosso sorge poco discosto del vulcano Caraguaiaro. (Vedi Tav. Ili, lìg. 1). Il Caraguaiaro che disputava altre volte in altezza col Chim- borazo , vomitò fiamme in un epoca mollo anteriore alla con¬ quista. Dopo 200 anni di riposo nel 1669 la parte più elevala del suo cono s’inabissò nel proprio cratere, le di cui eruzione sparse la desolazione in tutti i dintorni, è costantemente coperta di neve, e s’innalza a 15,664 piedi (Vedi Tavola III). Si camminò lutto il rimanente del giorno attraversando varj torrenti formali dalle nevi che sciolgonsi sul Chimborazo. Ci im- batemmo in una mandra di pecore numerosa di più di 6,000 capi, che pasceva nel fondo della vallata : poco lungi di là ci incon¬ trammo in due donne di Riobamba con varj lamas carichi di pa¬ tate, che seguivano a piedi filando cotone, prova del quanto sieno laboriose quelle montanare. Vi sono due strade in quel punto, 1’ una clic accenna diretta¬ mente a Riobamba1 2), l’altra che mette a Mocha ed flambalo. Noi 1) Il Sarcoramphus Cunlur. Abita le più inaccessibili regioni della Cordigliero, ponendo il suo nido nelle mule rupi e sollevandosi a volo fino a 4,000 metri di altezza: divora i cadaveri, satollandosi in modo da non aver più forza di alzarsi; resiste però anche per un intero mese all' inedia. Spinto dalla fame assale anche il guanaco ed il lacma nelle Ande , anzi scende talvolta al piano, ove radunandosi quattro o cinque insieme, e radendo n volo la terra, accerchiano una pecora, 1’ atterrano , le spezzano il cranio, la sbranano e via ne portano le lacere membra , pcrlocchc gl’ Indiani fanno mirabili racconti intorno a questo temuto volatile. Il maschio, quando apre le ali, occupa uno spazio di i nielli, ma la lunghezza è alPincirca d’un terzo; le uova sono grosse più d’ un decimetro, la cre¬ sta è carnosa c intagliata a scacchi. Ila il collo nudo a guisa degli altri avoltoj , ed una collana di bianchissime penne o lanugine finissima al basso collo. Ha piume nere; la femmina è senza cresta. Nel Museo di Pavia conservasi un esemplare maschio da me uc¬ ciso nelle Ande del Chili nel 185.Ì. (Vedi il mio viaggio al Chili e Perù). 2) La provincia di Rio-Bamba o del Chimborazo , così denominata dalla sua capitale o dal piceo colossale che sorge nel suo territorio, è situato all' estremila nord della Repu- blica , là dove le Ande raggiungono il grado maggior di elevazione, li quindi la provincia più alpestre dell’ Equatore , tutta intersecata da profonde vallate c da eccelse montagne. Frequenti quivi sono i térremuoti; In sua temperatura è variabilissima, passandovi in scegliemmo quesl’ ullima , desiderosi di giungere al più presto a Modici , ove il mio compagno sapeva clic suo padre già da più giorni lo stava aspettando impaziente d’ abbracciarlo. Dopo un lungo e continuato cammino di ben cinque ore, costeggiando quel celebre vulcano, si giunse a notte avanzata al lombo, casa di ri¬ covero pei viandanti, i quali assalili da qualche uragano , vi pos¬ sono trovare un asilo. Non essendovi foraggio pei muli, gli ar- rieros diedero loro del maiz che avevano seco recalo. Adagialo su poca paglia e involto solo nel mio mantello passai tutta la notte senza poter chiuder occhio, intirizzito dal freddo, e nel continuo timore di venir derubato, essendo quel luogo deserto visitato so¬ vente da malandrini. Nulla però accadde di sinistro, e il 25 di buon mattino ci po- simo in cammino, sempre percorrendo le falde del Chimborazo in un piano disuguale. Osservammo piantale nel suolo qua c lava- rie croci, non che cranj ed ossami di persone morte in viaggio, ammucchiati entro i crepacci delle rupi. Più avanti si lasciò a sinistra il Chimborazo, guadando varj stagni d’acqua dove svolaz¬ zavano innumerevoli stuoli di anitre. 11 freddo andava facendosi meno intenso, e intanto ci si spie¬ gava davanti all’occhio il panorama sempre più stupendo della grande catena delle Ande, montagne altissime, vulcani sempre fumanti che gli uni agli altri si succedevano. Fra i tanti che in un circuito di 20 leghe vedeansi ergere le superbe vette, rimar- cavansi dall’un lato i vulcani Antisana , Cotopaxi , Ruminavi. Tnnguragua, quest’ultimo di forma conica; dall’altro lato i monti Corazon ed Illinissa ( Vedi Tav. IV. fìg. 2 ); infine ci si presen- brev’ora per tulli i gradi termometrici, dal freddo più rigido al calore più intenso: ciò mill'ostante il clima è saluberrimo. La parte orientale della provincia, formata dal cantone di Macqgi, c tuttora coperta da folte e vergini foreste , nei cui recessi errano le tribù della razza indiana dei Macus cd Jlargi. In produzioni naturali è però la provincia più povera dell’Ecjuatorc : non sono molti anni sul versante occidentale della Cordigliera tro- vavansi tuttavia dei Lavcideros d’oro, ma anche questi furono abbandonati. E inutile il ripetere che anche quivi le strade sono impraticabili: è ben vero che sotto la reggenza di Flores crasi proposto di renderle migliori , il che avrebbe facilitato le comunicazioni colla capitale , con non piccolo vantaggio di quelle popolazioni: ma insino ad ora nulla si è fatto. Gli abitanti sono poveri dedicandosi unicamente al commercio delle lane. A llio-Bamba esistono tuttora varie famiglie patrizie spaglinole, clic fanno rimonlrare la loro origine ai primi tempi della conquista. 5 lava ili prospetto il maestoso vulcano detto V Aliar de las nieves, (Vedi Tav. IV. fig. 1) che appartiene alla stessa catena, alto 17,450 piedi, nella provincia del Chimborazo e distante non più di 10 leghe da Riobamba. V intero cratere di questo vulcano rovinò, sic¬ ché ha ora la forma di un semicircolo, tutto già coperto di neve, come lo erano le sottostanti montagne. Si calò al piano, ed at¬ traversato il rio Pachalinca la campagna cominciò a mostrarsi bella di florida vegetazione, soffiando aure più miti, e facendosi tem¬ perata l’atmosfera. Alle nove del mattino si giunse a Mocha , piccolo villaggio situalo sulla riva settentrionale del fiume, ove il mio compagno ebbe la consolazione d’abbracciare il padre, il (piale avendolo saputo in viaggio per la capitale, si era mosso ad incontrarlo sino a quel punto in compagnia di vari conoscenti. Gli abbracciamenti e le lagrime del genitore, da tanti anni pere¬ grino in terre sì remote, che rivedea un figlio, mi commossero al sommo, riportandomi l’ agitata fantasia sui colli della diletta patria e ritornando col pensiero alla mia famiglia, della quale da più di un anno eia privo adatto di notizie. Dato sfogo a sì pure commozioni dell’animo, si pensò a passare lietamente quella mattinata, tanto clic fra le gioje del banchetto si finì col dimenticare tutte le superale fatiche. A mezzodì si partì dal villaggio di Modici seguili dalla più allegra brigata, ed avendo affidata ad un servo la cura delle nostre mule, si poterono slanciar al trotto i cavalli giungendo in 4 ore ad Ilambalo per una strada tutta piana ed asciutta. I sentieri erano fiancheggiali dall’ Agave americana ; le ortaglie e i campi erano ammantati di fragole, poponi, alberi di ciliegi. Appena giunti ad Hambato ci diressimo alla casa della signora Maria Guerrcro moglie del governatore del Napo, intimo conoscente d’uno della nostra comitiva. Hambato è piccola città ad l.° 41 Iat. merid. di Quilo, situala in una deliziosa e fertile pianura sulla riva meridionale del fiume che porla lo stesso nome. Di là lo sguardo si ricrea alla vista dei due vulcani il Chimborazo ed il Tunguragua che sorgono ai due lati a poca distanza. Sonovi fertili ortaglie, dove un’infinità di co- libri a brillanti colori andavano svolazzando di fiore in fiore; il Rhamphodon thalassinus , Swains, il Lampornis Lafresnais ed il Irò - diilus columbicus furono le uniche specie, delle quali potei ivi far caccia. Grasse praterie beu irrigate, campi seminali di biade, 35 — nìberi fruttiferi, ciliegi, pomi c grandillos, altissimi pioppi, ludo annunziava la fertilità del suolo e le benedizioni d’ un clima temperato. Questo cantone ha per limite da un lato il piccolo torrente Nag- sichi mentre dall’altro tocca al cantone di Modici , e prende il nome dal suo capo luogo flambalo, nelle cui vicinanze crasi stabbia una tribù indiana dello stesso nome. Gli spagnuoli però furono i veri fondatori della città , la quale non tardò a popolarsi e ad arricchirsi, stante la mitezza del clima e la somma fertilità del territorio. Nel 1669 un. franamento dell’ antico vulcano Caragua- iaro rovinò da cima a fondo tanto Hambato che Modici , borgata più vicina al cratere, in luogo della quale ora non trovasi che un meschino villaggio. I pochi abitatori cV flambato sfuggiti alla tremenda catastrofe ricostruirono l’attuale città mezza lega più in basso dell’ antica. Dessa è regolare, le sue strade sono in retta linea, spa¬ ziosa la piazza con varie case eleganti. Fu altre volte residenza reale, ora però non vi ha stanza che un governatore ed un co¬ mandante militare. La popolazione ascende a circa 8,000 abitanti la più parte dedicali al commercio di pellami, ed altri 4,000 ri¬ partiti nel resto del cantone. Le principali parrochie sono di Quin- sanpice , cV f samba, Santa Rosa e Pillars. Vi si fabbricano bèllissimi mantelli di cotone c seta detti poun- dios , e massime scarpe, delle quali si provede tutta la provincia e sin la capitale, ove si esitano a vilissimo prezzo, venden¬ dosi un pnjo di scarpe dai 2 ai 5 reali, un pajo di stivali un dollaro; sono però di poca durata. Gli abitanti coltivano la Juca e la canna da zuccaro. 11 caffè riesce a meraviglia , raccogliesi anche una grande quantità di cotone. In questo cantone raccogliesi pure sui cacti la cocciniglia d’una qualità superiore; ma l’indifferenza degli abitanti di quel paese per tutto ciò che si toghe alla sfera de’loro ordinarli lavori agri¬ coli fa trascurare quella preziosa tintura, la di cui produzione è ridotta alla sola quantità necessaria alle fabbriche della Republica. Trovatisi pure nelle vicinanze di Patate e Peliled graniti di tutti i colori e marmi preziosi. Gli Indiani delle provincic di Chimborazo , fmbabura e Maccts ivi affluiscono recando le loro merci in cambio d’altri prodotti eu¬ ropei o del paese. Quivi trovasi una strada che mette a Canelos , c nella Xibarià, percorrendo la quale si impiegherebbero soli dicci giorni costeggiando il Bobonassa , d’onde si potrebbe guadagnare il rio delle Amazzoni discendendo in canoa pel rio Paslassa che è navigabile dal punto detto Ciambira sino alla sua foce. (Vedi la mappa del Quixos.) Una commissione di scienziati stava per ordine governativo tracciando un cammino migliore allo scopo di rendere vieppiù facili le comunicazioni colla provincia di Maaas, operazione che tornerebbe di sommo vantaggio pel commercio del¬ l’Equatore colla provincia di Maynas (Perù). Gli abitanti d’ Ha rubato vestono pantaloni larghi e copronsi d’un mantello, e cappello di paglia toquilla. Le donne vanno pure semplicemente vestite di una gonnella a pieghe larghe di color nero o azzurro. Nella sera si assistè ad una danza improvvisala dai capi di quella borgata onde festeggiare il nostro arrivo; il comandante di piazza, fratello del generai Guerrero, volle colla sua famiglia ono¬ rare il festino invitandoci quindi a pranzo. Si passò la notte fra canti , balli e suoni tramezzali dalle solile libagioni spirito¬ se, terminando il convitto in una vera orgia verso le quattro del mattino. Nel territorio à'Hambalo trovasi pure la missione di Canelos , si¬ tuala all’est ai piedi del versante Orientale della grande Cordi - gliera. Il di vegnente mi riesci ollremodo gradita la passeggiata al mercato, dove trovavasi una banda d’indiani Xibaros appena allora arrivati da Canelos con carichi di canella, cera, gomme, re¬ sine ed altri vari prodotti del loro territorio, che venivano a cam¬ biare con ferramenta e tela tucuyo. Gli strani abbigliamenti e le fìsonomie interessanti di que’ sel¬ vaggi avendomi destalo il desiderio di conoscerne gli usi e co¬ stumi, mi trattenni seco loro per ben due ore, dirigendo ad essi per mezzo d' interprete varie domande , e comperando molli dei loro ornamenti e spoglie d’uccelli. !) 1) Qui credo prezzo dell’opera otl'rirc diverse notizie che intorno a (jnegli Indiani mi vennero comunicate sul luogo. La nazione Xibara occupa un immenso territorio, abbraccia più di 400 tribù con nomi distinti e con lingua propria, ascendendo, secondo le più recenti notizie, il numero degli individui a circa mezzo milione; e potendo mettere sotto le armi ben 130,000 uomini. Abitano nella provincia di Macas, tra i fiumi Pastassa c Cincipc, e sono popoli bellicosi affatto indipendenti dai governi del Perù e dell’Equatore. Il 26, parlili sul far del giorno da flambato eolia slessa comi- tiva si giunse alle 2 poraer. alla Lalacunga , dove sostammo la notte. Fu forza quivi separarmi dal mio compagno di viaggio che Oli uomini sono alti, robusti, di aspetto marzia!^ . portamento snello, tuono di voce so¬ noro e limpido. Vestono pantaloni lunghi ed una ciusma , o specie di camiciuola che scende loro sino al ginocchio. Conservano lunga la zazzera annodata di dietro a guisa di coda. La ciusma c i calzoni sono di stoffa assai forte, bianca, tessuta da loro stessi. Forano le orecchie introducendovi un fuscello, od un osso. Dipingonsi la faccia col roucou (liixa ord¬ inila .) a svariati disegni. Le donne lasciano la lunga loro capigliatura disciolta, si forano le narici, per le (piali passano un pezzo di legno traversale, nè mancano di farsi un buco nel mento in cui introducono un fuscello. Usano la pampanilla , specie di grcmbialelto che scende loro sino al ginocchio, e tingonsi la faccia. IS'ei dì festivi si coprono d’un cappello tessuto di piume, c adoperano la mala per allac¬ ciare le treccie che ornano cou uccelletti da loro stessi preparati, con piume , ossa , se¬ menti; al di sotto del cappello hanno il la\jo che pende loro sugli omeri. Questo vezzo è formato dagli ossiccini delle ali d’uccelli di rapina, simmetricamente disposti con se¬ menti c perline di vetro colorato, formando così una larga fascia o mata, alle di cui estremità stanno attaccate le ali lucenti del buprestis giganlea, unite a denti di scinde, co’ quali formano de’ nodi bizzarri. Si mettono alle braccia c alle gambe braccialetti di sementi, c si adornano il collo con monili di conchiglie terrestri e lluviali. Quando vanno alla guerra portano gli uomini brache molto strette ai fianchi, con larga fascia tessuta coi capelli dei loro nemici usciti in battaglia, una rete con esca cd acciarino, alcuni cerini di copal e far¬ machi per le ferite, non clic la dondona , contraveleno pel morso delle vipere. Copronsi la testa col concigliailù simile a quello degli Zapari, formato di scorza d’ albero tempe¬ stato di madrcperla, la rodela o scudo di pelle di Datila (tapiro) o di legno nell’una mano, e nell’ altra una lancia a punta di ferro o di legno durissimo detto nubi, infine un coltello o machete, pendente da una corda sulla spalla. Durante la tregua si provano a finte bat¬ taglie , c s’inviano disfido, esercitandosi così fra di loro, nè abbandonandosi mai ad un imbelle ozio. Le case sono tutte di legno durissimo, di una palma delta dotila, le pareti a doppio graticcio , tessuto colle foglie di palme, e legate assieme con liane dette tuucki le quali hanno la forza e la tenacità del filo di ferro. Le porle sono massiecie fatte di radici d’alberi con fori tanto al disopra che al disotto nei quali per maggior sicurezza introducono due grosse spranghe. Le abitazioni sono spa¬ ziose , divise però in due riparti , de’ quali 1’ uno serve per gli uomini , c 1* altro per le donne , che stanno di giorno sempre appartate attendendo ai loro lavori. Nel lato degli uomini trovatisi molti sedili fatti di tronchi d'alberi ben lavorati c comodi , disposti al- l’ingiro c a fianco della porta; cadaun Xibaro possiede oltre ai comuni un sedile suo par¬ ticolare, dove si asside egli solo, nè lo cede ad alcun altro. Davanti a ciascuna sedia tro¬ vasi un nodoso bastone ficcato nel suolo, sul quale ripongono le lande, gli scudi, la bo- doquera, il turcasso (mutil i). In prossimità poi vi collocano un’olla molto capace di terra cotta al sole, in cui ripongono pettini, specchi, ornamenti, il cappello di piume, gli ami da pesca, mille altre bagatelle. All’intorno della casa stanno inchiodali o (itti nel suolo altri — 38 — recavasi cogli amici e col padre a Puckili, villaggio a qualche ora discosto, dove questi avea istituita una manifattura di lana ncl- V azienda di Don Alvarez, benestante di Quito. pali su cui veggonsi appese varie matasse di ciumbira torta, involti di tele, di reti c fili torti, cotone per filare ; sul davanti trovasi uu altro sedile, c nei varii canti poi si accende il fuoco. Nella camera delle donne non si trovano sedie, solamente davanti a ciascun letto o si vedono tre grossi tronchi che vanno ad unirsi in croce, formando così un trepiede, al quale attaccano le pentole, c sotto \i accendono il fuoco che mantengono costantemente, secondo il bisogno, he donne vi stanno all’ ingiro per ammanire le toro vivande. Alle 3 del mattino s’ alzano i Xibari, c subito le donne devono preparare la guajussa , specie di beverone simile al thè, che ingoiano per eccitare il vomito, ripetendolo due o tre volte, cacciandosi fin le dita nella gola all’oggetto , come essi dicono, di espellere la flemma o la bile, che elaborasi nello stomaco durante il sonno , c divenir cosi vieppiù forti ed agili al corso. Eccitato il vomito, bevono un po’di ciccia calda preparata col maiz. Allora il più coraggioso della famiglia esce fornito di tutt’ armi per ispiare se vi sian pe¬ ricoli o si annidino insidie; questi dà il segnale, e allora tutti escono liberamente; dopo aver soddisfatto alle loro naturali urgenze, rientrano di nuovo, sprangano le porte e vanno ai loro sedili a lavorare fino alle G del mattino. Fanno quindi colczionc, c aprono la porta senza prendere precauzione di sorta, essendo svanito a quell’ora ogni pericolo di sorpresa per parte de’ loro nemici clic compiono le loro scorribande dalle 3 alle 4 del mattino. Jn generale sono pulitissimi, e prima di prendere cibo si lavano le mani. Gli uomini at¬ tendono alle loro opere, poi vanno alla caccia; le donne lavorano ne’vicini orti, puliscono la biancheria, la tingono con colori vegetali; e si occupano della cucina, alla (piale l’uo¬ mo provvede con selvaggiumc, cioè scirnic, tapiri, capibari. Alle 3 od alle 4 pomeridiane pranzano, ed alle sei si ritirano al riposo colle loro donne. Stia lo Xibaro lavorando, sia in visita, giammai egli abbandona la sua lancia ; allorché dorme la tiene appesa alla testa del calce o letto, unitamente alla rodela (scudo ). Quando si presenta alla di lui casa uno straniero, imbrandisce subito la sua lancia, la mette in resta , c lo abbraccia tenendo impugnata l’arma dell’una mano. Appena però sia svanito ogni sospetto, lo abbraccia tenendo solo un coltello in mano in atto di ferire. Al- ior che sta seduto al lavoro, lascia pendere il pugnale sulla spalla destra colla punta in basso, c quando va in visita porta lo scudo appeso all’ omero sinistro. Gli Xibari edificano le loro case alla sommità delle colline, d’onde lo sguardo possa spa¬ ziare, procurando di rendere la posizione quasi inaccessabile per ogni dove. Tracciano due viottoli, l’uno clic mette alla porta anteriore, e l’altro alla posteriore, e gli scavano a zig¬ zag per lungo tratto della collina, onde poter meglio celarsi all’occhio dell’inimico. Sono in continua guerra cogli Zaparos, battendosi per ogni più frivolo pretesto una tribù contro l’altra. Per la più piccola contesa, all’istante progettano una spedizione per isterminare la tale o la tal altra famiglia, c non di rado s’ammazzano fra loro per il più piccolo di¬ verbio. — Il trovarsi, per esempio, qualche guasto nelle loro seminagioni, o nei loro pollai, il subitaneo infermarsi di uno della famiglia, tutto attribuiscono aU’cffelto del mal occhio, agli incantesimi gettati da qualche loro conoscente, col quale ebbero ad attaccar briga — 39 — Lalacunga o Tacunga fu fabbricala sul luogo stesso dove esi¬ steva una tribù indiana della quale ha conservato il nome. Questa città è situata sul piccolo fiume d 'Alaquer vicino al suo confluente S. Filippo; è la piazza la più ricca e commerciante di quel paese tanto a motivo dell’industria della sua numerosa popolazione, quan¬ to per la ricchezza delle sue miniere, e de’suoi armenti; ma va sog¬ getta al pari di Riobamba a frequenti terremoti che arrecano gravi infortunj a quella popolazione, essendo poco discosto dal tremendo vulcano il Cotopaxi (Vedi Tav. Ili, fig. 2). Le case a un sol piano sono tutte fabbricate di pietra pomice vomitata in tempi remoti da una grande eruzione del Cotopaxi. 11 famoso terremoto del 1797 portò f ultimo colpo, e le ruine tuttora esistenti fin da quell’epoca danno un’ alta idea della ric- giungendo persino a credere clic questi abbiano potuto trasformarsi in tigre od altro ani¬ male feroce per recar loro qualche nocumento. AH’ insorgere di qualche sospetto, il capo della casa si affretta a prendere il sugo d’una pianta delta Aya-guassn, specie di narcotico che lo esalta e poi 1’ addormenta, procurandogli stravaganti sogni , nei quali pretende gli si riveli l’autore del danno. Appena risvegliato da quella specie di letargo, vien interpellalo da’ suoi famigliala chi mai esser possa il colpevole, ed egli subito proferisce il nome dello sciagurato che deve esser ucciso per vendicare raffronto. Allora fanno i preparativi per la spedizione, e si mettono in viaggio camminando giorno c notte con fiaccole di copal in traccia del preteso nemico; di dietro si strascinano i figli che portano otri di ciccia, per ristorarsi durante la marcia, rimanendo alla custodia della casa le sole donne. Giunti al- l’abitazione del creduto magliardo, stansene appiattati nelle vicinanze sino alle quattro del mattino; allora danno l’attacco uccidendo il primo che esce di casa e dando l’assalto da tutti i lati. Quei di dentro sbarrano subito le porte, si asserragliano e si difendono dalle fcrritoje colle lancio e colle freccie dai nemici che stanno schierati alle due sortite, e vanno appiccando ad ogni angolo il fuoco. Soffocati i meschini dal denso fumo ed arsi dalle fiamme sono costretti ad uscire, ed allora veramente incominciano ad azzuffarsi e misu¬ rarsi corpo a corpo. I combattenti piegano un ginocchio a terra, si coprono coi loro scudi, menano colpi di lancia e di bastone, parandoli con gran maestria ; infine rimasto sul campo o 1’ uno o l’altro dei guerrieri, il vincitore ne taglia la testa , e seco la porta in trionfo per farne co’suoi di casa una gazarra, la quale dura per più giorni. Levano poi tutta la pelle della nuca e della faccia , staccandola dal cranio per la parte posteriore, rovescian¬ dola diligentemente, c conservatane la forma la riempiono tutta di cenere, e la espongono a seccare vicino al fuoco. Del cranio formano una specie di scodella nella quale tracannano la cicha, credendo in tal modo di schernire il loro spento nemico. Finita la festa tagliano i lunghi capelli del teschio e ne fanno una cintola tessuta di piccole treccie che tengono appesa in un angolo della casa. La pelle poi già secca ripiena di cenere, viene scarnata e imbottita con seybo , specie di cotone, facendola servire a guisa di pallone ne’ loro giuochi e nelle feste che celebrano al ritorno da qualche grande caccia di pecari (cignali). — 40 — chezza ed eleganza d’edifizi clic abbellivano quella sfortunata città. 0 La popolazione del cantone di Latacunga ascendeva altre volte a più di 50,000 anime ; ma considerevolmente ridotta pei fre¬ quentati terremoti che devastarono quel paese si calcola al di d’oggi a 20,000 al più, di cui quattro quinti circa sono di razza indiana. Vi si trovano parecchie fabbriche di telerie dette tucuyo , di cinture di lana a vari colori che spediscono in tutte le provincie di Macas, servibili per gli indiani di Cane lo s , pei Color ado s , e per quelli del Q uixos. Havvi pure una fabbrica di polvere per conto del governo. I campi nelle vicinanze danno abbondante raccolto di maiz , patate, frulli d’ogni specie, nè vi mancano buoni pascoli pel be¬ stiame bovino. Da Lai acunga si andò a Callo passando per Molalo e Macinelli (VediTav. IV. fig. 2 ) ambedue piccoli villaggi. In questa giornata si camminò per lo più in mezzo a pianure sterilissime dette Are- nales coperte di sabbie, di pietre vulcaniche , e di piccoli arbusti spinosi di Cagliar o Cactus 1 2). À Callo ammiransi tuttora le rovine di un antico palazzo degli Incas, ora fattoria ( azienda ). Poco lungi incontrasi una montagnuola fatta ad arte con viottoli sot¬ terranei che servi agli Indiani di ricovero nel tempo dell’eruzione. Si attraversa i! Despoblailo (deserto di Tropuyo ) luogo perico¬ loso per essere in ogni epoca infestalo da bande di malandrini che si tengono appiattali negli antri di quei burroni. Come ne era stato avvertito, non mancai di tenermi sempre vicino a’mici muli pronto a qualunque evento. Pessime sono le strade; i ponti clic vi si incontrano sono per la più parte rotti c in rovina , senza che il governo pensi a ripararli nemmeno nei luoghi più frequen¬ tati. Avvicinandosi alla capitale , i terreni ritornano a mostrarsi coltivati e le piantagioni a farsi fiorenti. 1) Il Cotopuxi è il principili vulcano dell’ Equatore conosciuto per le sue devastazioni. È alto più di 18,890 piedi al disopra del livello del mare. Le sue principali eruzioni dit¬ tano nel 1552, 1742, 1743, 1744, 174G, 17GG. 17G8. La prima è celebre nell’istoria della conquista del paese come causa della prima vittoria degli Spagnuoli. ( Bourcièr. Notice sur la province de Quito. ) 2) 11 Cagliar o Aloè ha le foglie carnose, lunghe da 2 a 5 piedi, larghe, con aculei al vertice. Ve ne sono di due specie, una a foglie grandi c tronco debole, e questa sta vi¬ cino alle acque; l’altra a foglie più piccole e tronco più forte col quale gli Indiani fabbri¬ cano le loro corde e le loro reti clic sono incorrili l ibili nell’acqua. — 41 — Ammirasi iti questi campi la più strana varietà di uccelletti , fra i quali brillano , per la vivacità di colori , varie famiglie di colibrì, una delle quali c la Patagona ensifera , specie rara , con becco lunghissimo, che svolazza intorno al Floripondium e ne de¬ liba il calice. Frequentate erano le vie da molti viandanti che andavano e venivano da Quilo, la più parte a cavallo. Incontrai parecchi mer¬ canti Guanegni coi loro grossi involti di telerie pendenti ai due Fianchi delle cavalcature. Più lungi m’ imbattei in un uomo a cavallo che andava di buon trotto portando in groppa una donna di forme gentili che tenevasi stretta ravvolgendo un braccio intorno al collo del marito: modo invero economico di trasporto ncll’Equa- torc , dove non essendovi strade carreggiabili , si è obbligati di viaggiare a piedi od a cavallo ( Vedi Tav. V. fig. 1 ). Altre donne stavano su palafreni sedute sopra una scranna ben assicurata , delta Syllon, vestite elegantemente di un linissimo mantello bianco screziato a vari colori, con elegante cappellino di paglia coperto di stoffa di seta color scarlatto, e foderato di verde, col volto velato sino a metà da un fazzoletto onde non guastare Pincarnalo delle loro guan- cie. Più innanzi alcune contadine ritornavano all’ azienda sopra una mula che lasciavano correre senza briglia a tutta carriera (Vedi Tav. V. Fig. 1). Vari accattoni sulle strade chiedevano l’elemosina ; e intanto si stavano spidocchiando, mangiandosi que’schifosi insetti come usano tulli gli Indiani dell’infima classe; fruttivendole, ven¬ ditrici di latte, fioriste , bizzarramente ed in mille foggie vestite, indiani Chagra o campagnoli, che all’aspetto sembrano altrettanti bravi, colle loro pistole e coltellaccio ( machete ), a mantelli rossi , cilestri e con sciarpe al viso, inforcati sui loro puledri con gual¬ drappe di pelle d’agnello tinte in rosso e con cappelli di paglia di Guayaquil. Nell’entrare poi in città potei ammirare i zerbini montali su ottime cavalcature e vestiti alla parigina, con indosso un mantello bruno ed occhialacei verdi onde difendere gli occhi dal sole e dalla polvere. Insomma le ultime due leghe mi riu¬ scirono del più gradito passatempo , avendo potuto osservare , durante il cammino e nelle case di ricovero, la stranezza degli usi e la somma varietà delle fogge di quegli abitanti. La città di Quito non si può scorgere da lontano per essere in parte nascosta dietro il monte detto Panecillo che tutta la co¬ pre. Godevnsi però dell’imponente spettacolo della vista del vol¬ ti 42 — rano Pichincha coperto di eterne nevi, non che deirimmensa ca¬ tena delle Ande. Arrivalo a mezzodì, appena fatta la salila di S. Agostino, mi recai difilato alla casa del signor René, francese da molti anni colà stabilito ed ammogliato, pel quale recava lettera commenda¬ tizia d'un suo amico di Guayaquil. Ebbi dallo stesso la più gentile accoglienza , avendomi persino obbligato a rimanere in sua casa per tutto il tempo che doveva colà trattenermi. È d’uopo avvertire come, stante la stagione piovosa, il viaggio avesse durato 18 giorni , mentre nell’ estate non si avrebbe im¬ piegato che la metà del tempo, con molto minori spese e pericoli. Il viaggiatore che da Guayaquil passa a Quito deve però sem¬ pre andar mollo circospetto, nè mai perdere di vista i suoi ba¬ gagli, tanto nel rimontare il fiume, quanto nel viaggio attraverso le Ande , onde non correre il rischio di venir derubalo dagli stessi arrieros , che sono più furfanti de’ladri stessi, e che sanno appro¬ fittare degli intervalli d’assenza per rompere con molla destrezza i bauli del viaggiatore, sicome accadde a me, ed a moltissimi altri. Trasportale appena le mie valigie nella stanza presa a pigione e levato l’ incerato del quale erano coperte, mi accorsi subito di un buco quadrato nel fondo d’una di esse, grande abbastanza da potervi introdurre una mano. Mi affrettai ad aprire quel baule , dove per mia mala ventura trovavasi lutto il denaro e i pochi oggetti di valore; lascio considerare la mia sorpresa nel trovarvi nulla mancante. I mariuoli non erano riusciti a derubarmi, pro¬ babilmente perchè nel fondo vi si trovavano parecchi libri c carte che ben compresse colle lingerie non si potevano facilmente ta¬ gliare c cavar fuori: lobo così loro il destro di continuar nclfin- trapresa , avevano creduto bene di riporre l’ incerato, e lutto ri¬ mettere e legare come lo era dapprima. Non potendo dubitare es¬ sere quella opera degli stessi mulattieri, non tardai a farne rapporto agli uffiziali del Buongoverno che ne ordinarono subito l’arresto. Non essendovi però sufficienti dati onde comprovare come essi fossero i rei dell’ attentato , piuttostochè quelli clic da Savanela m’avevano condotto a Guaranda , si dovette ben tosto rimetterli in libertà. 11 dì seguente vennero a salutarmi il ministro inglese M. Koopc ed il dottor Jameson , clic sapendomi proveniente dagli Stali-U- — 45 — nìti e dalla Nuova Grcnada , erano desiderosi di aver notizie di que’ luoghi. Fattesi per tale circostanza più frequenti le nostre visite, e strettasi sempre più la nostra amicizia, tutto essi misero in opera onde facilitarmi il disastroso viaggio che aveva divisato intraprendere ; di tanta loro benevolenza io non posso a meno che qui render pubblica la mia gratitudine. Non mancarono essi di consigliarmi a non intraprendere tutto solo il viaggio alle sorgenti del Napo ed alle Amazzoni pei molti disagi ai quali mi sarei esposto nelfiattraversare le foreste del Quixos , ed il conti¬ nuo pericolo d’ essere attaccalo dalle tribù selvaggio accampale lungo quel fiume , mentre invece discendendo pel rio Paslassa , avrei potuto facilmente raggiungere il rio delle Amazzoni senza soffrire tante privazioni c superare tanti ostacoli. Il ministro in¬ glese aggiunse, aver esso ricevuto notizie da Londra, come una commissione di ingegneri inviata dal suo governo rimontasse il fiume delle Amazzoni all’ oggetto di assumere le più esatte in¬ formazioni c prendere le misure idrografiche del Paslassa onde istituirvi una regolare navigazione con battelli a vapore. Questa sarebbe stata per tutt’ altri una ragione più clic convincente: in me invece il desiderio ardentissimo di esplorare una parie dei- fi Equatore tuttavia poco conosciuta prevalse ai saggi consigli, c mi ostinai a recarla ad effetto nel più breve termine possibile, benché la stagione per attraversare quelle immense solitudini fosse tull’allro clic propizia. Mi occupai quindi, durante la mia dimora a Quito, a provve¬ dermi di quanto mi fu detto indispensabile a sì lunga peregrina¬ zione, riducendo lutto il mio equipaggio a piccoli bauli c cassette clic non dovevano eccedere cadauna il peso di due arrobe ( 50 libbre), tali da potersi portare sulle spalle dagli Indiani. A quat¬ tordici ammontavano le mie cariche , per le molte proviste di viveri, pane biscotto, riso, carne secca, caffè, zucchero, acqua¬ vite , sale , pentola di rame , che neccessariamente doveva por¬ tar meco tanto pel viaggio di terra che per la navigazione del Napo, al che devesi aggiungere un’infinità di oggetti di vetro co¬ loralo, anelli, ami da pesca, coltelli , specchi , e tele , tutte cose ricercale da’selvaggi per compiere gli scambii e le paghe giorna¬ liere. Nè vi mancavano tutte le rarità e gli oggetti di storia na¬ turale da me raccolti durante la mia dimora in Quito. Di quanto imbarazzo esser doveva tale strana congerie di ef- — 44 felli, per uno die tulio solo senza conoscenza degli idiomi e per la prima volta si avventurava fra quelle foreste guidalo da soli indiani prezzolali, ognuno ben se lo potrà immaginare. Un giovane pittore di Quito erasi offerto a scortarmi fino al Brasile, per esercitare colà l’arte sua , accontentandosi delle sole spese di viaggio in qualità di domestico ; tal parlilo mi sarebbe riuscito convenientissimo, parlando egli perfettamente la lingua quichoa ; ma al momento della partenza sentì mancargli il co¬ raggio, nè gli diè Tanimo d’abbandonare la famiglia in un colla patria. CAPITOLO III.0 Descrizione di Quito. — Situazione. — Popolazione. — Monumenti principali. — Stabilimenti pubblici. — Istruzione. — Barrros o Quartieri. — Governo civile e militare. — Strade progettale. — Clima — Usi e costumi degli abitanti. Quito, città capitale della republica dell’Equatore, trovasi a 1,4-80 tese sopra il livello del mare sul pendio d’ uno de’ fianchi , che forma la base orientale del vulcano Pichinchu , a soli 15’ dalla linea equatoriale, ed a 4-0 leghe circa dall’Oceano Pacifico. La fondazione di Quito rimonta all’anlichilà più remota. La sua esistenza è di più secoli anteriore alla conquista. Capo luogo da prima d’ un Governo dipendente dagli Incas del Perù, Quito di¬ venne poscia la capitale d’ uno stalo indipendente sotto il regno d’Alhualpa, che scosse il giogo del suo fratello Huascar Attualmente è residenza presidenziale e vescovile, ed il centro di tutte le amministrazioni; industriosa per la grande attitudine di quegli abitanti ad imitare le altrui produzioni; al presente de¬ caduta dall’esteso commercio che un dì manteneva con tutta quanta l’America del sud. Le ultime turbolenze la ridussero quasi al niente , e sarebbe diffìcile il dare una cifra esatta della popolazione di Quito, e delle altre provincie di questa republica. Dall’ una parte i registri delle anagrafi sono affidati interamente agli ecclesiastici, c quasi dap¬ pertutto negletti ; dall’ altra vi si oppone 1’ antipatia che tuttavia conservano i popoli americani per i censimenti che ne’primi tempi erano sempre i precursori di contribuzioni , sia in denaro , che in uomini, tanto che lino al dì d’oggi sonosi resi inutili tulli gli sforzi del Governo. Secondo 1’ almanacco nazionale che publicasi annualmente in Quito la popolazione ammonterebbe a circa 80,000 abitanti. Possiede buoni edilìzj, ha chiese ricchissime, se ne contano 45 comprese le Cappelle e i Conventi. I più rimarchevoli fra questi monumenti sono la Chiesa ed il Convento di S. Francesco fabbricato in parte co’ tesori di Ruminavi luogotenente iVAtahualpa che sfuggirono alle prime ricerche de’vin- eitori; ma che furono più lardi scoperti da un indiano. La Chiesa i ) Histona del Beino de Quito, V fiasco. de’ Gesuiti i}, la Cattedrale, il Convento c la Chiesa di S. Domingo, 1) Nella Galleria dell’antico convento de’ Gesuiti vi si legge la seguente iscrizione stata scolpila in una tavola di marmo dagli Accademici francesi nell’anno 1 7413. CD U3 ca z o H cC w CD es o •>) T T "O SB .22 O u,oo - O CD rQ IO O •*? . O od IO 03 CM « co _ £-' 2 S ® cn co ~ ECO 2^ CO : oi "■£ ® X S > CG CO .3 E ~ £ X — X aj co o cx'E e co e •> co <- e3 C CO fcc s— — ce woqo co s to gL, ?r 2-= *- « g &."o a c ^ o ■> P •- -X - r~l X r- "Sofo .22 "cd ^ 5 g-ll^ì; co s ™ £ 2 (M s 3 X — ^ ^ * ®~ o-g x 3 -0 a - ^SClio -ria “ - "fi o^g- •■? a r. *o K ~ 3! a ^ ^ ~ ■-— N 3 O C-I p _ (3, Ol CC- O - — . LO to a v 'ai .3 1 5 II5 ?: m g = c - — ' o -,r e CD - « — X »\a G co O Cd .e CmQ •CO O o 3 O CO g «P 8 £ S~ CN ■X) TI 87.2 2 2 °.£ 2Tx.£ H3 0 -o X) P-TO ^£ 5D« -T.S .5® '5? 50 > s GC *~ O; Op * Q 3 03 £3 X} O • — “ .,.2 so 3 * D c CO , O G ^ £B ~ - 3 a „ 55 _ = cd~ lodo s^JeO* .2, g^CO V p = od ^ ^ ■- 3 o 2 cd OJ o cu g 03 Ì Sb.S — ao co ec > CD 3 c 'CC *o 3 P -S -ts rO(X) - co 1 2 - • 0.2^00 E o a oi o •=»■- a _ p c £ e C 3 •— 3 3 Ol o T3 CO © 03 CO -C ' 03 •00 a CD rT 3 O -- "So *0 — ■ 03 3 ^ 03 Ol o qj 03 O ‘S. - CO Q 3 05 7- O .2 <3 o a .3 Qj S>1 io QJ 03 ■ — t~> s o 05 oO •— 1 CO 00 . r- ’Ì ,S- C 1^" roi •—5 0 £ S 0 a .2 S T3 5 C.35 ><* CO = 3^3 •— s OJ 2 00 o co ci 2 T3 i° £ colo C 00 o C ; co d CO 3 D s <73 2" ■•“ X’ c p "c c “* CO 03 CD.— 31 T3 'O X 2 ce ” 2 O _ Il a fl5 I «^.2 rz — 13 o t; -3 ; o ^2 < rsi cj >3 (D c ^ c £ ^ cti _5 ■ C-h .-3 : o X a ’£• 05 a: T3 CO £ C SS Qj oT P 71 — « 03 3 O 3 C O I|-S C M _ P 'a 3*0* >cy-5 2 ) . „ O 03 1 O r-“ o CD 03 to' 13 TÓ O x o 03 ^ co „ LO *3 S ^ od P OT x c > 5 — 1^ •- >c *=? s o LO 0 co LO CD CD CO X =3 rC co 13 *S3 X °- X 03 _ 33 LO O 3= O X O " «3* OÌ . x QJ X X ex c/3 X X LO
    G > O X - o .22 0) x 3 oj ° ’ o -Sr 3, X X o ~ O) x c "x •— s a £ x « « .2^2 U CO c (X) co .Ili .^* . CO o c/2 ^ C — 5 X iO ré-o fefD c/3 cS"^-E g>So tc^ o G- za oT £ o .2 x « e~? t ■* D co o G QS' rN io cd P GT ì> ^ .p-i x 25 G O X >x O 3 G X3 3“ -' a « x X x px co G cd quella della Mercede e S. Juan ile Dios. Questi conventi hanno altre succursali chiamati Ricolete, clic denominatisi Recolecion de la Mercede , S. Diego , S. Juan. Sonovi 5 conventi di monache dette del Cannine alto e basso, che vivono in stretta clausura ed hanno gli stessi regolamenti pel ricevimento di visite ed altro, clic si praticano nei chiostri d’Europa ; quelli di santa Clara, la Concepcion e santa Calilina sono pure di clausura ; ma lasciano aperta la porta acciò entrino ed escano le tante domestiche che sono in numero eguale alle monache. Quilo trovasi diviso in quartieri o Barrios ciascuno eoi propri parroehi; e sono, pel centro la parrochia della eapella del Sagra¬ rio, c per gli altri quelle di S. Rlas , S. Marcos, S. Sebaslian S. Rocco e Santa Prisca. La piazza principale è adorna nel mezzo d una fontana in pie¬ tra ed è fiancheggiala al sud dalla cattedrale, all’ovest dal palazzo presidenziale, ed al nord dal vescovile. Le strade sono per la più parte assai irregolari, ed i torrenti che scendono dal Pichincha oltre che tengono pulita la città dalle immondizie, servono altresì guidati col mezzo di condotti sotterra¬ nei , agli usi domestici degli abitanti. L’ acqua potabile però è sempre cattiva, e produce non rade volte perniciosi effetti; pro¬ venendo direttamente dalle nevi ehe sciolgonsi su quelle eterne ghiaeciaje; molte strade corrono sopra arcate o vòlte allo scopo di diminuire gli avvallamenti o di superare profondi burroni, fra queste sono degne di rimarco quella detta Quebrcida de Jerusa- lem , donde si gode di una vista pittoresca , e la Cantera , dove innalzasi un monte di pietra granitica (die si va continuamente cavando per la costruzione degli edifizi. Hannovi in Quilo 12 scuole primarie, due collegi, ed un’uni¬ versità, dove ricevono i gradi accademici tutti gli studenti della republica. L’altro è di S. Fernando : aggiungasi una scuola pu- blica di disegno c dì pittura, ed un’altra nuovamente eretta di scultura, nella quale i Quitegni hanno fatto rapidi progressi: si spediscono i loro disegni, e le pitture all’ olio lanlo al Perù clic al Chili, dove vengano comperali a caro prezzo. L’istruzione nell’Università si riduce a poche cattedre, di me¬ dicina , di giurisprudenza, di teologia , di chimica e scienze na¬ turali. La biblioteca è ricca di 3000 e più volumi, lutti però mal ordinali. 48 — Non pochi edifici sono in parie rovinati da frequenti terremoti; e per la noncuranza nel instaurarli. 11 palazzo presidenziale ha un aspetto al di fuori assai maestoso, luti’ altro però offresi nel- rinterno. Non avvi che un sol passeggio o alameda a fianco della strada che mette a Tornbacko, al di là del quale si sta costruendo un nuovo Barrio detto di Belem (Betlemme). La zecca o casa de moneda è pure un palazzo grandioso, ma cadente in rovina. La casa de moneda in oggi esistente è stata istituita nel 1851 , onde reprimere almeno in parte la falsificazione dell’ ar¬ gento che era divenuto generale in tutta l’ America del sud. Anche al dì d’ oggi trovatisi in circolazione monete false ed in particolare dei pesos (dollari) della nuova Grenada sì ben imitati che colla maggior facilità si può restare ingannalo. Questo sta¬ bilimento era sotto la direzione del suo fondatore il colonnello Salazza torinese , antico ufficiale della grande armala francese , morto il quale vi succedette il professor Jamèson di Londra, at¬ tualmente in attività. L’oro che vi si conia proviene in parte dai lavaderos del gran C/iocò, nella Nuova Grenada. Le miniere dell’Equatore, e partico¬ larmente del Napo , d 'Esmeraldas e della provincia di Loja ne forniscono il resto lK In quanto alla monetazione d’ argento (salva una piccola por¬ zione acquistato in barre), il metallo proviene per la più parte dalla vendila particolare di vasellami, e di diversi utensili d’ ar¬ gento appartenenti agli abitanti. Come nelle altre Republiche d’America, hanno ivi corso l’oncia d’oro o quadrupla di Spagna, la messicana, le Colombie; ed il co¬ lonnato o pesos che si divide in 8 reali è la moneta più diffusa e che forma la base del sistema monetario, non avendo ivi corso quella di rame. Gli ospitali sono poco bene organizzati , nè vi si osservano quella pulitezza, e quelle cure che sono indispensabilmente ricer¬ cate in tali caritatevoli stabilimenti. Nel maggiore si contano 80 letti circa dei quali 50 per gli uomini c 50 per le donne, però la più parte degli ammalati giaciono in una specie di nicchia I) L’America equatoriale è, per cosi dire, il paese dell'oro e dc’metalli preziosi. Vedi lieti- doni corso di storia naturale - Mineralogia - a pag. 168. — 49 — fatta nella parete, non avente più d’ un braccio e mezzo di lar¬ ghezza, appena cioè da capirvi il letto, la qual disposizione po¬ nendo ostacolo alla libera ventilazione , riesce di sommo nocu¬ mento ai poveri infermi. Non si trovano in Quito nè teatri, nè alberghi, non essendovi concorso di forestieri , sicché i pochi che vi si recano sono ob¬ bligali a procurarsi qualche commendatizia, lutti prestandosi colla maggior cortesia ad ospitarli. Pochi sono gli europei ivi stabiliti, riducendosi a non più d’ una ventina fra inglesi , francesi ed italiani. È però residenza de’ministri dei governi europei. E Quito bagnata all’est dal rio Mackangara , formato in parte dallo scolo delle acque, le quali sgorgano dal Pichincha c dal Panecillo. Questo monte che domina la città, di forma conica, sulla vetta mostra tuttora poche reliquie d’un tempio dedicato al Sole. Que¬ sta località è celebre altresì negli annali americani per essere il punto, dove gli abitanti di Quito, guidali dal generai Sucre , scon¬ fissero gli spagnuoli che cransi trincierati sul Pichincha ; vittoria che decise di loro indipendenza. Poche sono le manifatture del paese, essendo l’industria appena sul rifiorire. Di tutte le regioni dell’America meridionale la provincia di Quito è una di quelle dove è più avanzata l’industria, grazie agli sforzi illuminali de’ primi missionarj, e più lardi dei Gesuiti. Privi però d’ogni comunicazione straniera, non solo non compi¬ rono il menomo progresso nei differenti rami d’industria a’ quali si dedicarono; ma hanno invece al dì d’oggi di non poco dete¬ riorato. 11 cotone si lavora in tutta l’estensione della provincia di Quito. La tessitura de’panni è al presente totalmente abbandonata, ed i telaj e le macchine che tuttora esistono in gran numero ne’can- toni d’ flambato e Tacunga, servono unicamente a tessere stoffe grossolane di lana, per uso degli indiani, dette jargon , e tele or¬ dinarie di cotone dette bagetas e tucuyos KK 11 principal commercio di Quito e della sua provincia si fa colle provincie contermini di Guayaquil , Piio-bamba , tmbabura e 1) Fi» dal tempo degli Spagnuoli, un europeo aveva attivata una filatura di lino; ma il governo geloso della sua riescila, e temendo che l’industria si propagasse, non tardò ad ordinarne la sospensione. Da quel tempo in poi essa venne allatto abbandonata. / — 50 — cogli abitami di Pasto, e del Cboeò , provincie della nuova Gro- nada limitrofe all’Equatore. 11 commercio eolia provincia d YJmbabura riesce affatto passivo per que’ di Quito , che non hanno alcuna derrata a spedirvi in cambio della grande quantità di zuccaro, ed acquavite che ne ritraggono pel proprio consumo. Le tariffe daziarie sono tenui in paragone alle altre rcpubliehc d’America. Gli oggetti di macchine, apparati di chimica, fisica, libri, stampe, pitture, medicinali vanno esenti da gabella, tanto se provengono dal Iato di mare che di terra, e ciò per facilitare 1’ introduzione di articoli che tanto interessano la pubblica prosperità e il sociale progresso. Dall’Europa, oltre agli articoli su accennati, si estrae ogni sorta di cotonerie, tapczzerie, velluti, sete, vini, ferro, mercurio, chin- chaglie , offrendo essi in cambio tabacco , lane , pelli , zucchero, caccio, cotone, frumento, orzo, maiz, pila (filo d’agave), polvere d’oro. Anche la coltura dei cereali è in generale assai trascurala, po¬ tendo divenir suscettibile di sommi miglioramenti. Poche sono le terre che si incontrano discretamente coltivate; ciò non pertanto, esse sono assai produttive , il che dcvesi ben più alla feracità del suolo che all’industria degli abitanti, come lo si potrà osser¬ vare nel prospetto che si darà nel capitolo seguente riguardante le produzioni naturali della provincia di Quito pel regno minerale, vegetale ed animale. Ad onta di lutto ciò quello stalo non fiorisce. Causa principale di tal deperimento sono le continue discordie colla Nuova Grenada, le rivoluzioni e guerre civili che da ben 20 anni agitano quella republica degna di miglior sorte; l’aumento invilabile dell’esercito, le spese di trasporto , le munizioni da guerra , il vestiario delle truppe assorbiscono ogni anno le rendile dello Stato 1). Il governo attuale dell’ Equatore come negli altri Stali costitu¬ zionali, è diviso in tre poteri, giudiziario, esecutivo e legislativo, composto quest’ultimo di un senato c di una camera dei deputali* I) Il ministro di Stalo signor Bustamante in quell’anno avea presentato al congresso delle Camere un bilancio delle spese occorse riguardo alla giudicatura fiscale, polveri, dogane, zecca e credilo publico; spese di diplomazia, Consolati c spese straordinarie per la guerra; ed aveva mostralo come le rendite non fossero sufficienti a coprire il Orfici!. Ogni rappresentante di ciascuna provincia recasi alla capitale al¬ l’epoca del congresso annuale. Il Presidente è investito di pieni poteri, non escluso il cornando dell’esercito, che viene confidato allo stesso, cessando però dalla sua carica dopo quattro anni. Le strade nella provincia di Quito sono in uno stato deplora¬ bile, ed è questa senza dubbio una delle cause principali clic inceppano lo sviluppo della sua prosperità, poiché una gran parte de’prodotli agricoli si sciupa, o scarsamente ricompensa il lavoro «lei contadino, che non sa come esportare le sue derrate. Nell’inverno, epoca del raccolto, le strade diventano quasi im¬ praticabili, sopratulto per le bestie da soma, ed appunto in que¬ sta stagione gli abitanti di Rio-Bamba , le di cui produzioni sono pressoché eguali a quelle di Quito, approfittano del vantaggio delia maggior prossimità per spedire le loro derrate a Guayaquil. Per conto del Governo si sta ora lavorando indefessamente all’ aper¬ tura d’ una strada che da Quito conduce direttamente al porlo d’ Esmercildas Quest’impresa grandiosa, appena sia condotta a termine, dovrà arrecare senza dubbio immensi beneficj allo Stalo ed alla popolazione dell’Equatore. Oltre alla facilità delle comu¬ nicazioni colla costa dell’ Oceano Pacifico, varie compagnie essen¬ dosi già istituite tanto per intraprendere lo scavo delle miniere, ricche in metalli e pietre preziose , quanto pel dissodamento di que’ vergini terreni ove allignano il tabacco, la vaniglia, la salsa- pariglia , la china, il eaulcioucJi o gomma elastica, questo sarà uno sprone efficace per eccitare la loro attività e aumentare i loro capitali, potendosi così dare un nuovo c facile sfogo all’esu¬ beranza delle loro produzioni 2Ì. 1) Il nome d' Esmcraldas gli è stalo imposto dagli Spagnuoii a motivo della grande quantità di smeraldi clic avevano trovali gli indigeni; (in al di d’oggi però le miniere dove questi li cavavano sono sfuggite alle ricerche degli Europei ! ! 2) Venne progettata questa strada fino dal 1G33 dal nostro genovese Vincenzo Giusti¬ niani; ma tutti gli sforzi riescirono infruttuosi; solo egli venne a capo di radunare una truppa di indiani d’Esmeraldas e d’Atacama, fondando all'occidente d’Ibarra la borgata di S. Miguel, clic fu però distrutta dai selvaggi. Dopo di lui alili si misero all’opera; ma tutti i tentativi, non secondali dal buon volere del governo, rimasero vani; finalmente il celebre geografo Vincente Maldonado di Quito, essendo stato nominato nel 1733 a governa¬ tore d' Esmcraldas , si recò in quella provincia compiendovi molti importanti lavori geo¬ grafici in compagnia d’UIloa, Lacondamine ed altri scienziati francesi. Si erano offerti premj a chi volesse dar mano a questo taglio, ma sempre infruttuosamente. 52 — Il clima della provincia di Quiio è generalmente temperato e mantiensi per termine medio fra i 12° ed i + 14° gradi Reaum. nelle zone di mezzo, in varii punti, massime poi nelle profonde vallate come in quelle di Yuraqui , di Goyabamba, d’ flambato e sopralulto all’ estremità del versante orientale della Cordigliero nell’antica provincia del Quixos, la temperatura media è di circa + 21° Reaum. Il clima però di Quiio è variabilissimo; le ore mattutine sono fresche anche nell’estate; per cui veggonsi gli uomini in questa stagione indossar abili pesanti, e portare abitualmente il mantello (Vedi Tav. Vili). Nè il caldo soffocante, nè il troppo freddo quivi non recano mai molestia, trovandosi la città ad una grande ele¬ vazione al disopra del livello del mare. I giorni sono costante¬ mente eguali alle notti in lutto l’anno; si sogliono computare dalle 6 del mattino alle G di sera, trovandosi a soli 15’ dalla linea equatoriale nell’emisfero australe. Nell’ inverno le pioggie continuano senza interruzione per più settimane , con lampi e tuoni spaventevoli. Alle volte lasciano qualche tregua dalla mattina sino verso le 5 pomeridiane , poi l’aria si offusca e cade dirotta pioggia che continua tutta la notte; allora le strade si cambiano in veri torrenti e la città è tutta al¬ lagala. L’aria è pura c di una grande salubrità, e non si è mo¬ lestati da insetti velenosi come al Guayaquil, solo danno incomodo le pulci c le nigue (pulex penelrans). I venti soffiano moderati rinfrescando l’aria, ed i più ordinarj sono quelli del nord e del sud, quest’ ultimo vi soffia particolarmente durante l’estate. Nell’estate si fanno sentire i freddi ed i geli che sono quivi i più mortali nemici dell’agricoltura. L’abbondanza delle pioggie, come l’eccessivo calore, nuocono al raccolto senza però distruggerli come avviene col freddo. Dopo le pioggie si presenta ovunque sotto il più bello e ridente aspetto la inesauribile fertilità di quel suolo che, unita all’amena sua giacitura sur un altipiano alle faldi del vulcano, riesce sotto ogni rapporto uno de’ più incantevoli sog¬ giorni. Ora il governo Ita ordinato elio 2000 soldati, sotto la direzione di esperti ingegneri c del generai Jose M.a Gucrrero, vengano impiegali con tutta l’alacrità a quella intrapresa, tanto più utile in quanto che trattasi eziandio di render navigabile con battelli a vapore il fiume Esmcraldas fatto scandagliare dal colonnello inglese Joung. — 00 Le epidemie sono ivi sconosciute e le febbri rarissime, ad ec¬ cezione di qualche località dove l’insalubrità dell’aria è eccezio¬ nale, ed è dovuta a circostanze particolari corografiche, che fanno succedere senza la menoma transizione una bassa temperatura ad un calore eccessivo. Favorito dai più svariali climi , dovuti forse a diversi gradi d’elevazione dal suolo, Quito riunisce le produzioni di quasi tutte le zone. 1 mercati sono ben provvisti di tutti quegli erbaggi clic mai si possono desiderare in Europa. A lato della banana , del- V ananas, del Yaguacate V, delle guabas 1 2), e di tutti i frulli del tro¬ pico, vi prosperano a meraviglia il pomo, il pero, il ciliegio , la pesca, l’albicocco, la fragola ecc., proprii de’climi temperati. Tulli gli sforzi però deH’agricoltore sopra tutto nelle parli ele¬ vale della provincia sono specialmente diretti alla produzione delle derrate più nutritive, come la segala, l’orzo o cebada , il maiz, i pomi di terra, le lenti, i fagiuoli, le fave, ebe sono il cibo or¬ dinario degl’ indiani , c coi quali anche preparano varie bibite delle chicha, usale fin da primi tempi. Il vitto vi è a prezzo vile, vendendosi a buon mercato le carni di majale cd agnello, delle quali si fa gran consumo dai Quitegni. In cambio non vi si trova pesce , il quale non può allignare in quelle acque ghiacciate clic colano dalle nevi del vicino vulcano; solo si fa uso di pesci salati che vengono spedili dal Guayaquil. L’ aquavile, la cioccolata, le confetture sono le passioni domi¬ nanti; l’uso di fumare è generale anche nel sesso gentile. Si fa uso dai creoli delle foglie di guayussa , che lien luogo di thè , i di cui arboscelli crescono abbondanti e spontanei sulle Ande c sul Pichincha. (Ili abitanti in generale sono buoni ed ospitalieri; pochi sono i bianchi di prima origine spagnuola, essendo la più parte di vera razza indiana: molli sono i mestizos (meticci,), fruito dell’unione 1) A Lima questo frutto vien chiamato Palla o butirro vegetale; ivi tien luogo di bu¬ tirro, si ammanisce col latte, aggiungendovi un pò di sale. È albero d’alto fusto. La figura del fruito è quella d’una grossa pera. Quando è maturo sene leva la pellicola con facilità; il suo colore è bruno-verdognolo, si liquefa posto al soie, e si stempra sul pane. Ila un nocciolo nel mezzo grosso assai, amaro c compatto. 2) Acacia mimosa. Il baccllo ò lungo, verde-scuro, coperto di lanugine; il fruito è dolce, sugoso c biancastro. do' bianchi cogli indigeni, dei negri e di tutte le suddivisioni di sangue affrieano, mulatti, quarteroni , sallo-alras (salto indietro) con quello dei bianchi ed indiani. Le donne bianche sono piuttosto belle, mollo socievoli, piene d’amabilità ed allegria, appassionale per la musica ed il canto, ballano con molla grazia ; ma sono pochissimo amanti del lavoro e delle cure domestiche. Le signore portano la più parte i ca¬ pelli sciolti, massime quando recansi alla campagna ed ai bagni, altre fermano con piccolo pettine la lunga loro capigliatura c la lasciano cadere in due trecce sul seno. 1 bianchi di sangue spagnuolo vestono all’ europea. Le classi inferiori portano cappelli tessuti di palme, con poitnchos o man¬ telli di cotone di varj colori, brache larghe, ma corte, di tela lucuyo , lutti senza calzatura , con camiciuolc di cotone turchino o bianco (Vedi Tav. VII) , con fascia variopinta in cui tengono un coltello. Le Chincis od indiane formano de’ lunghi neri capelli una lunga coda stretta con nastri a colore, che lasciano penzolare sul dorso (Vedi Tav. VII). La lingua più generalmente parlata , nella provincia di Quilo, dalla classe media ed alla della società è la spaglinola ; adulte¬ rata però da una moltitudine di vocaboli tolti dall’ antica lingua degli Incus e Quichoa , che vicn parlala da tulli gli indiani del - l' Equatore. Bizzarri poi sono gli usi e i costumi ili questa città, che può dirsi totalmente indiana , differendo affatto da quelli che osser¬ vatisi al Perù e al Chili, dove la civiltà è assai avanzata stante la maggior concorrenza e la continua communicazione cogli eu¬ ropei. Era mio desiderio di nulla lasciar di inosservato , per quanto almeno mi fosse stato possibile , in uno Stato che offriva tanti usi e costumi variali, differenti dalle altre rcpubliehc americane già da me pria visitate. Le mie relazioni colle più ragguarde¬ voli famiglie del paese , e la facilità del commercio con quegli abitanti, mi posero in grado di soddisfare con lutto agio a que¬ sta mia curiosità. In compagnia dei francesi René c Houel mi dilettava ogni mat¬ tina a percorrere le contrade, i mercati, le piazze, dove la stra¬ nezza delle foggio, le varie grida delle trecche e ilei rivenduglioli, i crocchi degli oziosi, formavano per me un nuovo e sempre sva¬ rialo spettacolo. — - Sulle piazze vedovatisi Indiani acquajoli oc¬ cupali a colmare le loro otri che poi caricavano in singoiar mo¬ do, e più oltre venditori di pomlos , e di sluoje (Vedi Tav. IX). Un passo più in là ecco venir gridando un venditore di chaquar- (jucro (legno d’agave), venditori di candele, le carnheras o ven¬ ditrici di carne (Vedi Tav. Vili): altre donne che portavano al mercato enormi fasci di legna, sui quali stavano aggrappati an¬ che i loro fanciulli (Vedi Tav. Vili), ed infine i nevcros o por¬ tatori di neve che arrivano dal vicino vulcano Pichincha col loro carico involto a strati nella paglia, approvigionando ogni giorno ed in ogni epoca dell’anno la città di Quito (Vedi Tav. Vili). Se ti rechi al mercato, eccoli de’eiltadini involti ne’loro grandi mantelli di panno, ben vestili, con cappello bianco, ma a piè nudo senza calzatura, facendo i bellimbusti, e vagheggiando le riven¬ di! gliole c le frutlivendole (Vedi Tav. Vili). Anche i pinganìllas o damerini del paese non mancano nei luoghi frequentati, dove sanno affluirvi le Bolsicone (mestizas), non che quelle portanti Io strano abito chiamato Varo il cui co¬ lore non differisce da quelle delle spagnuole (Vedi Tav. Vili). Più lungi, indiane Iallivendole, pollajole portanti i loro fardos attac¬ cati sulla lesta, macellaj in abito festivo colle mogli: indiane di Ollavaio e dintorni, contadini portanti al mercato fasci d’erba pei cavalli. In un altro canto vedi uno stuolo di selvaggi Yumbos e Colorados semi-nudi, dipinti di rosso, adorni di pennacchi (Vedi Tav. VI) appena allora arrivali da’ loro boschi, portando a ven¬ dere le loro produzioni , o scambiandole con altri oggetti di cui abbisognano; barbieri o Sangradores (flebotomia, che girano con gran mantello nero e coi loro strumenti pronti a’ cenni dei pas¬ santi (Vedi Tav. IX); pulitori di strade (Vedi Tav. VII), condot¬ tieri d’asini che frustano le loro bestie e le fanno galoppare ca¬ riche, urtando chi subito non lascia loro libero il passo. Se poi nelle notti del venerdì li avvicini alle porle chiuse della chiesa della Compagnia di Gesù e ad altre ancora, vi odi un rumor sordo di gemiti prolungali, di preci e di- colpi; sono confraternite d’uomini o di donne, che radunate stanno flagellandosi con catenelle di ferro e discipline, barbaro avanzo della superstizione spaglinola che tuttora è vigente in quella città. Se poi alla dimane ti rechi in quelle chiese, vi osservi il pavimento ancora lordo del sangue — 56- tli que’ meschini che volontariamente si martirizzano con tanta crudeltà Nelle varie solennità, specialmente in quelle del Venerdì Santo e deirAscensione del Redentore, si osservano indiani semi-nudi, che per penitenza imposta dai loro confessori si fanno attaccare con funi alle braccia distese una grossa trave , e con tal peso seguono la processione ; che anzi oltre a ciò molli portano eziandio fascctli d’ erbe taglienti dette sicksi , stretti ai fianchi a foggia cT un grembialetto , che nel camminare feriscono le varie parli del corpo, facendone scorrere a rivi il sangue. Quei peni¬ tenti si chiamano Ciackataska. Le così dette Alrnas Santas (anime sante), clic co’ loro smisu¬ rati e puntuti berrettoni di cartone, ornali di stoffe e nastri a varj colori, coperti da una lunga tunica bianca e colla faccia ve¬ lata fanno codazzo a quelle processioni; i barbieri, i calzolai ric¬ camente vestili , portanti le bandiere e gli stemmi delle confra¬ ternite, rendono interessanti quelle bizzarre cerimonie: ciò però che più ancora desta la meraviglia del viaggiatore , sono alcuni indiani mascherati in forma di diablUos (diavoletti) e sacka-runas (stregoni) 2), che precedono il corteo scacciando con fruste i ra¬ gazzi e facendo far largo agli astanti (Vedi Tav. VI). Dietro questi vengono i così delti danzanti dipinti a più colori ed ornati di penne d'araras, di conchiglie, di semi ed altri vezzi f) La religione cattolica è la dominante in questa provincia, come in tutto l'Equatore; ma è però accompagnata da cerimonie sconosciute affatto in Europa , ed introdotte dai missionarj Gesuiti all’oggetto di facilitare agli antichi abitanti del paese la transizione dal culto del sole alla religione di Cristo. 2) Gli indiani hanno i loro stregoni o diavoli, ai quali prestano onore c venerazione; e ad alcuni antri delle Ande, che la superstizione e le esaltate fantasie fanno loro credere abitati dagli spiriti malefici , fanno pellegrinaggi e feste, recandovi anche offerte. Venni accertato da un religioso di Quito, che essendosi una volta posta in una chiesa una nuova statua rappresentante il San Michele nell’ alto di trafiggere il demonio che calpestava a suoi piedi, si osservò che ogni sera quella cappella veniva frequentata ed illuminata da¬ gl’ indiani che offrivano cerei e mille altri oggetti. Tale assiduo concorso avendo reso dubbioso il parroco intorno al vero fine di simili visite, ed avvertito da alcuni divoli, fe’ staccare dalla statua il demonio. 11 giorno vegnente e ne’ successivi più nessuno di que’ fanatici e divoti del diavolo comparve in chiesa, tanto che si vide obbligato di rimetterlo di nuovo al suo luogo, giacché altrimenti cessavano affatto le offerte e le elemosine, con grave scandalo anche de’ parrocchiani. imitanti i selvaggi Yumbos , saltando e ballando continuamente e senza posa , paleggiando le loro lancio di legno ed altre armi (Vedi Tav. IV), uso antichissimo, che per nessun modo i preti hanno potuto sradicare dagli indiani. 1 ballerini di Lalacunga e di Quito poi vanno adorni di abili elegantissimi di molto valore, ai quali appendono una quantità di monete d’argento ( pesos ) me¬ diante un piccolo foro espressamente praticatovi. Questi fanatici per aver a nolo uno di tali addobbi , che per lo più sono rica¬ mati d’oro c d’argento, spendono in un giorno tulli i risparmi accumulali in un anno, anzi più volle si rendono volontariamente schiavi per un tempo determinalo, finché abbiano pagalo il con¬ venuto, e tutto questo per la bella gloria d’essere stali danzanti. Il danzante gode però di varj privilegi , fra’ quali il massimo è quello di poter entrare nelle case senza essere invitato , sedere alla mensa, e partirsene senza obbligo di ringraziamento, con al¬ tre sconce licenze. Nelle strade vedi vagare, passeggiare, affaccendarsi preti , frali d’ogni ordine, d’ogni colore e foggia di vestiario, a cappe nere, bianche; beali, beate di N. S. del Carmine; monache, cappuccine, ed un sine fine di Ordini. Nelle varie epoche dell’ anno osservi alcuni sagrestani delle chiese con campanello al collo cd aspersorio in mano, a piè scalzi cd accompagnali da indiani con bisacce che chiedono elemo¬ sina, gridando a tutta gola : Anjeles somos , dal del venimos, y pan pedimos (Siamo Angeli, scendiamo dal Cielo a chiedervi pane, Vedi Tav. X). In un altro angolo un frate con gran scatolone in mano, tutto affaccendato ad offrir tabacco ai passeggieri ed ai conoscenti, dai quali poi il dì vegnente si recherà coll’ asino e colla bisaccia a cercar 1’ elemosina. Altro frale va questuando pel convento , ed adocchialo un branco di pecore da macello fa scelta della più pingue, e gettandovi sul dorso la stola sene impossessa dicendo: Este la quiere S d Francisco ( Questa pecorella ve la dimanda S. Francesco), rifiutandosi di caricare in groppa il caprone of¬ fertogli dal pecorajo (Vedi Tav. X). E qui do (ine a tali scene svariale che tuttodì osservansi in quella città, per non dilungarmi di troppo in simili notizie, che olirono forse troppo lieve interesse al lettore. CAPITOLO IV. Nutizie riguardatili la provincia di Quilo. — Suoi confini — Estensione — Altezza e configurazione. — Un nuovo vulcano. — Fiumi principali. — Produzioni mine¬ rali, animali, vegetali. — Brevi riflessi sul dominio degli Incas nell’ Equatore. La provincia di Pichincha , detta volgarmente di Quilo, prende la sua denominazione dal vulcano ai piedi del quale è situata la capitale. Confina al nord colla provincia d’ Imbabura , della quale n’ è separata dai fiumi di Tisque , di Guallabcimba c d ’Esmeraldas clic vanno successivamente a meschiar l’uno nell’altro le loro acque. All’ ovest la sua linea di confine va fino al mare fra i fiumi Mira c Jama. Al sud si estende nella sua parte marittima fino al fiume Jama , le di cui sorgenti sinora sconosciute si suppone trovinsi un po’ al sud del Pichincha ed un po’ più in basso, fino alla latitudine del Chimborazo o di Rio-bamba. All’est i suoi confini sono tuttora incerti, essendo nella parte sud-est circoscritta dalla catena orientale delle Cordigliere, donde hanno origine i primi grandi affluenti del Marognone o fiume delle Amazzoni , ed abbracciando più al nord il territorio dell’ antica provincia del Quixos, bagnata dal fiume Napo e dai suoi tri* bularj. La provincia di Pichincha propriamente chiamata, ossia la parte abitala, va dal nord al sud per una estensione di circa 50 leghe. La larghezza varia dalle 5 alle 8 leghe. La maggior altezza de’ luoghi abitali e più popolati della pro¬ vincia giunge ai 9,000 piedi al disopra del livello del mare. Come tulli i paesi montuosi questa è attraversala in tutte le direzioni da numerose valli e da profondi burroni, scavati da torrenti, cui servono tuttavia di Ietto, o squarciali dai terremoti, sempre fre¬ quenti in questa parte de! continente americano. Il tratto più piano e regolare di questa monluosa provincia è quello che gli Accademici francesi presero nel 175G per base delle loro operazioni trigonometriche, conosciuto sotto il nome di pianura di Jaraqui. L’elevazione media dei due limiti che circoscrivono la provin¬ cia di Pichincha è di 10 a 12,000 piedi a! disopra del livello ilei mare; ma non pochi punii superano i lo c i 20,000 piedi, e trovatisi perpetuamente coperti ili neve. La figura che presentano le principali velie è quella di un cono più o meno troncato, carattere particolare delle montagne vulca¬ niche. È per questo motivo clic nel paese viene data la denomina¬ zione comune di vulcano a tulli i punti culminanti e nevosi delle Cordigliere, sia clic già siano conosciuti come vulcani per le eru¬ zioni passale, sia clic si abbiano indizj clic minacciano di dive¬ nirlo più lardi. Oltre ai tanti vulcani dell1 Equatore « trovasi , dice il signor Bourcièr , vicino alle sorgenti di Cola all’oriente del Cayambe c del- l’Anlisana un vulcano che non venne indicalo nelle carte geogra- lìche: questo, chiamalo dagli indiani Sara-urcu, (Vedi la mappa del Quixos e del Rio Napo), fece il 7 Dicembre 1843 un’eruzione di cenere che si sparse per tutta la provincia di Quilo, e sopra tutto nella capitale, dove questa pioggia di nuovo genere comin¬ ciò a 4 ore dopo mezzodì, e durò lino al dì vegnente a 10 ore del mattino , lasciando uno strato di circa tre centimetri d’ una cenere finissima, impalpabile, d’un grigio un po’ giallognolo; nes¬ suno s’ inquietò di fare ricerca donde mai fosse provenuta ; il governo rimase indifferente tanto quanto il pubblico , ed è solo alle dotte ricerche del signor Salazza ch’io sono debitore di tali notizie. » La provincia di Pichinehà è bagnata da un gran numero di fiu¬ mi i quali vanno a scaricarsi in ambo i mari che bagnano il nuovo continente, con questa particolarità , che le acque, le quali sgor¬ gano dagli altipiani delle Cordigliere al nord del Colopaxi , si get¬ tano nell’Oceano Pacifico, c ([nelle clic hanno le loro scaturigini al sud di questa montagna e sul medesimo piano, si scaricano, insieme a quelle del Napo e delle Amazzoni, nell'Oceano Atlan¬ tico. i fiumi che prendono la prima direzione corrono dal nord al¬ l'ovest, e sono: il iVackangara che bagna i sobborghi di Quilo; il Tombacco clic scaturisce dal fianco settentrionale del Colopaxi, e il Gualla'bamba che, dopo aver ricevuto que’duc primi fiumi e le acque di Pisque , forma uno de’ più ricchi tribularj dell’Zs- smeralda. Questa fiumana ha le sue fonti circa al 54’ di latitu¬ dine australe , ed a 40’ longitudine occidentale del meridiano di Quilo , scorre da principio sotto il nome di Taucki; e dopo es- sorsi ingrossata successivamente con un gran numero d’affluenti, che discendono per la più parte dal versante occidentale della Cordigliero , sbocca nel mar Pacifico a 0’ di latitudine nord, e circa 77’ all’ovest del meridiano. I fiumi clic prendono la seconda direzione correndo al sud-est sono : II S. Filippe formato dalla riunione delle acque che discendono dai due fianchi della vallata al sud dell ' Illinìssa , il quale, dopo aver ricevuto quelle di Huapanta, si getta nel Pastassa affluente del Maragnone. Al di fuori dell’altipiano delle Ande e del suo fianco orientale scorrono i grandi fiumi Coca e Napo , che dopo essersi riuniti vanno a scaricarsi nel fiume delle Amazzoni. I loro tribù La rj sono quasi affatto sconosciuti (Vedi la mia mappa del Quixos). Sola fiumana navigabile fra quelle che corrono al ponente di Quito, e che potrebbero nelle attuali circostanze offrire qualche interesse come suscettibile di facilitare le comunicazioni colla capitale e colla costa marittima dell’ Equatore, è V Esmeralda. Non si può però sperare alcun risultato senza l’introduzione della navigazione a vapore, la sola capace di sormontare le tante dif¬ ficoltà che oppongono c la rapidità della corrente c la poca pro¬ fondità delle sue acque. Le produzioni della provincia di Quito sono svariale in ogni genere. Ricchissimo è il regno minerale; ovunque trovatisi V al¬ lume, la calce, lo zolfo, il nitro: queste due ultime sostanze in particolare nel cantone di Latacunga. V ametista, il cristallo di rocca, la granata, il rubino sono co¬ munemente trovati nelle altitudini poco distanti dalle basi del Cayambe e deW Antisana. La tradizione antica non lascia alcun dubbio sulla prossimità delle miniere di smeraldi che formavano l’ornamento dei re in- ras; ma è sopraffino in metalli duttili che la provincia di Quito è particolarmente favorita: vi si trova il ferro nei fianchi delle montagne vicine a Quito, come il Pic/iincha , la Viuda, il Rumi¬ navi. Il piombo è abbondante nel cantone di Latacunga, e sopra lutto nella parte della Cordigliera che separa le parrocchie di Pu- ckilì c R Ang amarca. In queste stesse montagne sono frequenti le miniere d’argento puro , di rame argentifero ed aurifero. Più di 200 miniere di GL queste differenti specie di metalli erano state notificate all’ ammi¬ nistrazione delle casse regie fin sotto la dominazione spagnuola. L’argento si trova anche nel Pichincha , e nelle vicinanze dellMw- lisana. Il mercurio è stato scoperto nella parrocchia di Permeilo, in un burrone vicino a Guallci-bamba. L’ oro infine è sparso in tutta la superficie della provincia di Quito , tanto sui fianchi delle Cordigliere , che nelle terre basse che la fronteggiano dall’oriente all’occidente. Il cantone del Quixos e quello d’ Esmeraldas sono sopratutto ricche di questo metallo, che ritrovasi qualche volta in grani di una o più once col titolo di 27 carati, come lo si vedrà nei ca¬ pitoli seguenti riguardanti il Quixos. Di tutte queste miniere, poche soltanto ed esclusivamente quelle d’oro e d’argento vennero esplorate nel secolo scorso : da allora in poi anche quest’industria andò sempre più diminuendo, tanto che al dì d’oggi vengono messe a profitto, ed anche nel modo più irregolare, solo alcune miniere d’argento nel cantone di Tacunga; nei cantoni di Esmeralda , Canelos e Quixos esistono alcuni la- vaderos d’oro J). È a notarsi che l’oro che si estrae dai due primi, proviene in buona parte dal commercio di cambio cogli indiani ; i quali, seb¬ bene limitatissimi nei loro desiderj , pure di giorno in giorno vanno acquistando una nozione più esalta del vero valore degli oggetti che acquistano dai bianchi colla polvere d’oro. Il regno animale è comparativamente meno ricco che il prece¬ dente, quantunque le foreste che costituiscono il confine levante e ponente della provincia formicolino di rettili e di fiere. Gli ani¬ mali ridotti allo stato di dimestichezza, e che sono di utilità di¬ retta per gli abitanti sono: gli asini, i muli ed i cavalli dapper¬ tutto abbondanti , ed altrettanto più utili che non trovasi altro mezzo di trasporto compatibile colla natura del suolo, e collo stato delle strade in quelle deserte regioni. Le pecore , comuni in tulle le località , sono più numerose e d’una qualità superiore nei terreni asciutti, come già dissi, nella parte ubertosa del cantone di Tacunga ed in quello d’ I/ambato; i) Si darà nel capitolo riguardante la provincia del Quixos la descrizione de 'lavadcros d’oro. esse aìimcnlano collo loro lane r industria mantifalluricra del paese, c forniscono un ottimo ingrasso alle terre colpite da ste¬ rilità. Mandre di buoi popolano i parcimos di tutte le Cordigliere , e sono di diretta utilità a que’montanari (serrannos), ai quali forni¬ scono un nutrimento sano c gustoso, ed un riparo contro il freddo e contro l' u midi là. 11 majalc riesce a meraviglia in tutte le temperature ed in tulle le regioni abitate. Questo animale, unitamente al pollame, è ovun¬ que abbondantissimo ; costituendo così la risorsa di tutte le fa¬ miglie indiane della provincia di Quito, per quanto povere esse siano. Le produzioni vegetali possono dividersi in due classi : quelle che sono indigene e che crescono naturalmente, e quelle che sono il risultato della cultura. La prima categoria è svariatissima; così la provincia d’ Esmeralda è ricca di legni preziosi di tulle le specie, come il cedro bianco c rosso, Vacajou, il noce ed un’in¬ finità d’altre essenze mirabilmente venale ed a varj colori, adatte, tanto per la loro durata quanto per la loro leggerezza e lucen¬ tezza, ad essere impiegate nelle costruzioni terrestri c marittime, ed in mobili di lusso. Per mala ventura la mancanza di braccia ha insino ad ora reso quasi nullo il vantaggio che ricavar si potrebbe da quelle fore¬ ste, c da tulli gli altri prodotti vegetali di cui abbondano, come la vaniglia, le gomme aromatiche e medicinali, il cautcioiich , ed un’ infinità di erbe utili all’ umanità, 1 boschi alTorienle della Cordigliero, oltre alla maggior parte di questi prodotti , ne vantano un’ altra che è a loro esclusiva ; la cannella, che ha dato il nome al cantone di Canelos nella pro¬ vincia del Quixos. Questa pianta preziosa che copre un’immensa superficie di terreno, dove cresce senza coltivazione, è stata ri¬ conosciuta da molli naturalisti poco dissimile dalla cannella del Ceylan. La scarsità della popolazione, generale pur troppo in tulli i paesi tropicali dell’America, ha resi vani insino ad ora tulli i tentativi fatti tanto dai particolari quanto dal Governo per facili¬ tare l’estrazione di questo utilissimo vegetabile. .\e' luoghi caldi (lierras calienles ) gli abitanti coltivano il mandi (come lo si vedrà nel capitolo seguente), la j/uca, la canna da zucchero; ([nella che produce la provincia dì Quito è d’una qua- lità relativamente inferiore, non eslracndoscnc elio acquavite. La irregolarità delle imposte prediali si oppone ad ogni calcolo, an¬ che approssimativo, intorno al valore delie differenti produzioni agricole, non solo in particolare, ma anche de1 prodotti lutti in generale. Questo calcolo non puossi ottenere che in un modo molto inesatto, ricavandolo dai prospetti degli esattori delle decime. Per la provincia di Quito una tale aggiudicazione c portata per termine medio a franchi 20,000, il decimo d’un capitale di 200,000; ma come gli oblatori non spingono mai le loro offerte al di là de! terzo o della metà del valore, cosi quello della decima si può francamente valutare a più di IV. 500,000, quindi a IV. 2,500,000 il valore complessivo dei prodotti rurali nella sola provincia di Quito, nella qual somma non è però compreso il valore de’ pro¬ dotti animali, come il latte, il butirro, il formaggio, sego, lane e cuojo clic formano, come già dissimo, la ricchezza di alcuni cantoni. La fertilità del suolo varia infinitamente a seconda dell’ eleva¬ zione del terreno, come lo si vedrà chiaramente nel qui unito prospetto comparativo delle differenti produzioni agricole di Quito, e dei diversi cantoni di quella provincia. SEGALE FRUMENTO MAIZ LEGUMI POMI DI TERRA f Turubambu 11 a n 10 a 12 30 a » 7 a 3 20 a 23 S Anaqnito . 20 » 23 0 n 7 30 il GO 11 11 11 20 ii 23 Cantone di Quito } J Chillo . . . 11 U 11 5 ii G 100 ii 100 11 11 11 i ii 7 t Ma ciuchi . 11 11 11 12 ii 20 11 11 11 11 11 11 ii ii ii < Cantone di Tacunga . 10 11 15 6 » 7 50 ii 60 7 n 8 15 ii 20 Cantone d’ llambalo . 10 ti 13 4-n 3 50 ii 60 7 ii 8 12 ti 15 Danno per adegualo il 13 per 1 pel frumento 11 T 8-9 11 11 per l’orzo e segai 11 il 60 11 11 pel maiz 11 il 7-8 11 11 pei fagioli e fave 11 il 16 11 11 pei pomi di terra ha rendila media della proprietà rurale oltrepassa il 3 o 6 per 0|0 (I) t) Queste notizie tuttora inedite riguardanti la provincia di Quito mi vennero recente¬ mente comunicate dal celebre ornitologo signor Giulio Bourcièr , già console di Francia ncllEquatoro, il quale, avendovi soggiornato per varj anni, fu in posizione di compiere non brevi escursioni scientifiche pelle varie parti di questa republica, e specialmente sulle Ande. Non polendo riferire, per ciò che concerne la storia del regno di Quilo, che quanto narrarono gli scrittori del paese, devo limi¬ tarmi a porgerne i seguenti brevissimi cenni, all* oggetto solo di rettificare un errore incorso, a mio vedere, dal più de’ geografi moderni nella classificazione de’ popoli aborigeni dell’ America. Nella famiglia Peruana vennero classificali anche gli indiani del¬ l’Equatore, quando sembra invece che avrebbero dovuto formare una famiglia affatto distinta. Secondo la storia , la famiglia dei Quilus, e dopo loro i Caras, furono gli abitatori dell’Equatore per ben 1500 anni. Formavano uno Stato ben ordinato, avente pro- prj sovrani detti Scytis; i loro costumi ed usi rassomigliavano in parie a quelli del Perù ; il loro idioma abbondante ed armo¬ nico; le arti e le scienze erano avanzate quanto quelle degli In¬ cus ; aveano una scrittura a diversi colori sulle pietre di varie grandezze. Questo regno fu conquistato da Guayna-Capac nel 1487, che se ne impadronì dopo la battaglia di Hatun-tuqui , nella quale cadde morto Sayre-cacha Duchicala, legittimo sovrano del regno di Quilo. Governò Guayna-Capac per trentanni, lasciando alla di lui morte due figli. Uno nel Cuzco del ramo degli Incus , chia¬ mato Huascar, l'altro della sua seconda moglie, Paccka figlia del Scyri, chiamato Atahualpa. Alla sua morte, Guayna-Capac divise il suo impero in due parli, una ad Huascar, cui toccò l’ impero il signor Bourcièr possiede a Parigi la più bella , la più doviziosa raccolta di Colibrì ( Oiseaux mouches ) delle due Americhe, nella quale risconlransi moltissime specie nuove dallo stesso scoperte nell’ Equatore, c da lui illustrale. Le più recenti specie d'uccelli-mo- sca descritte dal signor Bourcièr sono le seguenti : Trochilus Dohrnii, Boaro., dedicata al presidente della società entomologica di Stettino. Trochilus Oseryi, Bourc., dedicata al fu conte d’Osery, sfortunato compagno del conte di Castclnau, assassinato dalle guide nella discesa dell 'Huàllaga al fiume delle Amazzoni. Trochilus Dubusi. Bourcièr et Malsani, dedicala a M. Dulus, conservatore del museo di storia naturale di Brusselle. Trochilus Humboltii, dedicata all’ illustre Alessandro Ilumbolt. Trochilus Lcliliee. Borire, et Mais., dedicala alla bambina della marchesa Dclgallo, figlia d’uno de’ più celebri ornitologi d’Europa, il principe Carlo Bunaparlc.Xe ggasi : Dcscription de quelqucs nouvclles espcces d’oiseaux-mouchcs par M. M. /. Bourcièr et Malsani. Pre- scnteè à la soeiété nationale d’agricuilure, d’histoire naturcllc et des aits utilcs de Eyon dnns la seancc ilu 7 mai 18'I2. degli Ineas , e 1’ altra ad Atahualpa , il quale ebbe il regno di Quilo che era stalo rapito a’ suoi avi materni. Tali divisioni pro¬ dussero poi guerre civili che duravano tuttavia fra le due mo¬ narchie allorché vi entrarono gli spagnuoli condotti da Pizzarro. Dietro tali ragioni sembra non potersi strettamente chiamare Peruana la famiglia dei Quilus per i soli treni’ anni di dominio degli Ineas, giacché in quel limitato periodo di tempo questi non riuscirono certamente a confondere insieme i loro idiomi che in molte parli differivano {), né si giunse ad estinguere l’odio fra i dominatori e gli oppressi. I) Ecco alcuni vocaboli comprovanti la differenza notabile fra i due idiomi luca» e Quichoa. ìshet Tggrrm Idioma Idioma Quichoa • Italiano degli Incas o dell' 1 Italiano Incas Quichoa o del Perù Equatore j | Abbastanza sacsala il liaciqua Cosa buona olii , aitili albini Accendere cancharini sindi Cosa cattiva ali millay manavali Aj u, tare janapani janapar Coione uccu uteu Amistà cuyay tuckuscio Cranio campata haya-liuma Ammogliarsi morto testa cassaracuni casarasciun Cucire huan, covru miscki-ciuspi cirani sirar divin Ape Debito insetto miele manu Ar nto collque culqui Dimagrare gliacayani caspiacini Avanl ’ ieri caninpa zarum-puncià Duro anac sinci Aver sete ckaquini jacu-nayani Eclisse di sole inti-huagnum inti-guagnu Baciare mucka-ckini muciani hoco lineo a della luna quillam-hua- kiglia-guagnu Bagnalo luna morta Bello sumani suma gnu in Bere . Fungo mito iuru upiani upiar janah-sciungo negro cuore Calvo cara-cuna juciù Fegato cucupi Cambiare rantisca randini F c min ina china buarmi Cane ascku 'allcu Fiume mayu jacku Caricare apamuni a parini Folgore coqueilla iliapa Casa huasi huassi Formica alla aguango Castigare mucìuckini gliovacini Forte buamina sinci Castrare c urani lulnn-surckuni Fuggire ayquini ri ni testicolo-levare cianglia Cavar sangue circucuni yaguarsurckuni Gamba chanca sangue levare Gola cunsa tunguri jlCeroo harque taruga Gomito cuc-huch vigra-punta ciciglia quisipra mi Ima Idolo villca guaca 1 Collo ! muku ckunga Innamorato sonco- canna huarmi-bujac | Conchiglia [mugli muglio ra vasca donne amante tCordigliera ’ anti burnì Prima di partire da Quilo, benché la stagione fosse luti’ altro clic propizia per intraprendere la salila al vicino vulcano del | Italiano Idioma degli Incas o del Perù Idioma Quichoa o dell’ Equatore Italiano Incas Quichoa 1 Labbra virpa scimi Riposare cacvini saamani l 'Lampo gl in hurcku pugiaku Rispondere liayguini tigracini ! l Latte gnunu monti che giuocano chi o Rompere gliquini packini | Lavare pichacuni tacksciani Saliva glauca tiucka ÌLmi! i/o Miagro suniciaqui ayacra suni caspi-liiascka Salutare Seguire alliachini caticuni imacina-tianghi catini ^Malvagio amarao migiai Sera ellissi cisci ^Masticare carmini maglici Sole jui'l inli 1 Mal l ina cava iuta-manta Squartare gnacani ciaupin 1 Mestruo quicucuni jaguar-huarmi sangue donna Stereo Superbo aca apuscachac isma migia tSIisurare huar-cuni tupani Terremoto cununum ucciù gailpa molti liVaso achaca conca ascka singa T i gre uturuncu yaguar sangue | \Nevicare ritini rasuni Traditore avea migliaj-runa ? | Oro cori ckuri Tulli gliapallan tucuita lOrso ispay uckmari Uova ruru lulun ^Piangere k Por la ^Ragazzo huacani ponco huamta guackani pungu guambra Vergine mana-carida riccio mana-cari p richsa-huarmi non uomo conosciuta^ donna | Ridere acickini assilli Vomitare acruni chicliniani S Numerazione. Incas Quichoa Incas Quichoa 1 1 bue sciuck 17 i cbunca cancliisnyoc ’ciunga-cancis 2 isckai isckai 18 cbunca pussanioc ciunga-pussac ! 3 quimsa ckisma 19 cbunca isconiock ciunga-isckon 4 t3hua ciuscko 20 isckay elilinea isckay-ciunga l 5 picclia piscka 21 jsckay-cbunca-huc isckay-ciungas-ciuck G soda soda 50 quimsa-chunca ckimsa-ciunga 7 cancliis cancis 40 tahua- elilinea ciuscko-ciunga 8 pussac pussac 'so piccba-cbunca piscka-ciunga 1 9 icson isckon 60 soda-chunca socta-ciunga 1 10 cbunca ciunga 70 canchis-cliu nca cancis-ciunga | li chunca-hucnioc ciunga-sciuck 80 pussac-cliunca pussac-ciunga 1 12 chunca-iscanioc ciunga-iskai 90 icson-cliunca isckon-ciunga ! i" chunca-quinyayoc ciunga-ckimsa 100 packac pazac 1 ^ chunca-tabuayoc ciunga-ciuscko 200 isckai-pacac isckai-pazac 1 15 cliunca-picbiayoc ciunga-piscka 1000 liuarama gu ara il ga n 1 '6 ! cliiinca-sodavoc ciunga-socta 1 f Pichincha , pure volli ad ogni costo tentarla. Accordatomi con due neveros che doveano servirmi di guida , partii prendendo V erto sentiero della Chorrera (cascata d’acqua). Colà giunto, mi fermai il rimanente del giorno raccogliendo piante, semi, erbe e cac¬ ciando piccoli uccelletti. Nella notte mi coricai in un miserabile tugurio di pecorai, su poco strame, ed il vegnente dì di buon mattino proseguii l’ardua salita, che oltremodo mi affaticava. Più s’andava inoltrando e più il terreno si vedeva cosperso da pomici e da ciottoli vulcanici; poi il cammino era nascosto dalla neve, c a superiore elevazione il freddo si fece intensissimo, la rarefazione dell’aria rendendomi difficile la respirazione 1}. Più avanti il suolo era coperto da finis¬ sima polvere di pietra pomice e di cenere nera. Eravamo poco lontani dal cratere, quando una ti ita nebbia che veniva avanzando e la neve che lutto ingombrava il suolo, ci avvertirono di non più inoltrarci, potendo facilmente avvenire di fuorviarci, come era seguilo l’anno prima ad alcuni viaggiatori francesi che rimasero quattro giorni va¬ gando sui monti senza trovar modo di poter ritornare a Quilo. M’ac- oonlenlai dunque di quella corsa, e seguendo il consiglio de’portalori di neve, me ne ritornai in fretta, dopo aver fallo sosta per un’ora ad un’ azienda nella quale trovatasi a pascolare molto bestiame. Vidi saltellare fra que’ dirupi daini e lepri , c avrei voluto pro¬ vare il mio fucile; ma la stanchezza ed una subitanea indisposi¬ zione mi fe’ perdere la volontà di dar loro la caccia. Giunto sul far della sera a Quito, una violenta febbre mi obbligò a Ietto, ma grazie alle cure del dottor Jameson, riuscii in pochi giorni a rista¬ bilirmi perfettamente 1 2). Molte piante ed erbe riportai dal vulcano 1) Il Pichincha s'innalza a 13,939 piedi d’elevalezza aldi sopra del livello del mare, ed Iia fatto 4 eruzioni dopo la conquista negli anni 1339, 1377, 1387 e 1660. Il cratere di quel vulcano ha attualmente una trentina di fumajoli e 2 voragini ; la prima è situata nel lato settentrionale all'altezza di 4,172 metri dal livello del mare, ed il fonilo del cratere me-, ridionale trovasi 4,446 piedi d'elevazione. 2) Questo celebre botanico inglese stabilito da molti anni in Quito, oltre all’ esercizio della sua professione come medico, è pure direttore della zecca e professore di chimica e botanica all’ università. Mediante le molteplici sue escursioni nelle varie regioni equa¬ toriali, c specialmente ai vulcani Chimborazo, Colopaxi , Cayambi, Antisana, egli è quasi riescito a completare la flora di quel paese. Ogni anno fa doviziosi invii all'orto botanico di Londra de’ duplicati delle sue raccolte, nelle quali, a sua onoranza, mollissime specie nuove vennero designale col chiaro suo nome. — Os¬ che mi vennero classificate in parie da questo otiimo amico ol¬ tre a’variopinti colibrì, fra i quali ammiravasi la palagona ensifera , che col suo lunghissimo becco giunge a succhiare 1’ umore zuc¬ cherino de’ floripondi (datura arborea). I) Le piante da me raccolte nella gita al Pichincha sono le seguenti : Drabu violacea, are- toides Irovansi a 14,000 piedi d’elevatezza: Homocanthus pungens, specie rara a 11,000 piedi: Chuquiraga insignis. Uumb. Culcilium rufcscens , reflexium, nivale, specie rare a 15,000 p.; Tradescantia gracilis, Fuchsia tryphilla , Rubra rosa flores, Gentiana Jamesonii* vermut, a 13,000 p. : Siphocamphylus giganteus : Tacsonia trepartila, a 11,000 p. ; Cerastium densum sulla sommità 13,000 p.: Olloa cenanlhoides a 13,000 p.; Sida Pichinchensis sulla sommità: Baccharis thgoidcs e Ilgmus nubigenus, a 15,000 p. : Ranunculus tridenlatus, Calceolaria floribunda c molte altre che finora le conservo coi soli nomi delle famiglie e dei generi: Bolax, Psoralea, Astrcemceria, Polentella, Solxnum, oltre a varie Orchidee raccolte a 10,000 p.; Melastome, Cleome, Ribes, Apium, Baccaris, a 15,000 p. ; Gnaphalium nella val¬ lata di Quito: Geranium, a 12,000 p.: Alchemilla a 10,000 p. abbondantissima: Rhexia a 11,000 p. : Lupinus, e Plantago a 13,000 piedi d’elevatezza, cee. CAPITOLO V (Dal 7 Giugno al 18 delto) Partenza da Quilo per le sorgenti del Napo. — Ordine governativo. — Villaggio di Tarn- bnclio. — Danzanti. — Mastodonti fossili. — Villaggio di Tablon. — Tambo dell7/i- cas. — Passaggio delle Andes. — Villaggio di Papallacta. — Sorgenti d’aqua bol¬ lente. — Modo di viaggiare nelle foreste del Quixos. — Il rio Maspa. — Il rio Quixos. — Il Vulcano Anlisana. — Un cadavere. Il 5 giugno, non essendo sialo possibile di ritenere almeno per altri due giorni una banda di indiani Yumbos che ritornavano al Napo con merci appartenenti a diversi negozianti , mi risolsi ad affidare agli stessi quattro cassette di oggetti servibili a far cambi co’selvaggi durante il viaggio al fiume delle Amazzoni, pa¬ gando loro pel trasporto d’ogni carica sci braccia di tela tucuyo. 11 capo di quella truppa aveva promesso di aspettarmi per con¬ tinuare di conserva il viaggio a Papallacta al di là della cordigliero del Guamanì , ove il clima per essere più caldo, è loro assai più confacente, quello di Quilo riuscendo loro perniciosissimo e ben di spesso letale. Gli indiani del Quixos e di Canelos non vi dimo¬ rano mai più di due a tre giorni, appena cioè il tempo necessario per consegnare le cariche ai negozianti e ripartirne con altre; non curandosi di aspettare nel caso che non possano trovare pronte le merci. Una più lunga permanenza sarebbe loro fatale facendoli in¬ correre in ostinale dissenterie e violenti febbri infiammatorie, elicli riducono in pochi giorni alla tomba, tanto che con somma diffi¬ coltà si arrischiano a tali viaggi (Vedi Tav. VI, fig. 2). Congedatomi dagli amici, sig. dottor Jameson ed Houél, il 7 partii a cavallo da Quilo per Tumbacko, avendo fatto caricare il rima¬ nente del mio bagaglio su mule, e recando meco l’ordine gover¬ nativo !) per gli alcadi di quel villaggio , affinchè mi fosse data 4) REPUBLICA DEL ECUADOR Gobernacion de la Provincia df. Pichincha. Quito, 7 de junio de 1847 — 3.° de la libertad. A los tenientes de Tumbacko. E1 senor Cajetano Osculati viajero italiano pasa al Napo y al rio de Ias Amazonas, con si objeto de continuar sus investigaciones, v deseando cl Gobierno favorecer empresn tan — 7U — una scorta di indiani cargueros che mi {(Oliassero gli effetti ad Archidona. Da Qu ito a Tumhacko non impiegai che quattro ore passando per Guapulo , luogo celebre per un antico tempio, situalo in una profonda valle, poco discosto dal villaggio di Cumbaya e dal rio Guallhambci, uno de’ rami del rio Esmeralda. La strada corre per metà in un’ampia pianura (llanó), il resto fra’ monti. À Tumhacko alloggiai nella casa del tenente Ximènes, il quale al presentargli l’ordine del Governo, si affrettò a rispondermi clic non sarebbe stato possibile di trovare indiani cargueros prima di otto giorni , giacché celebrandosi allora in quel villaggio la ot¬ tava del Corpus Domini, e la più parte di quelli che sarebbero stali destinati ad accompagnarmi essendo inscritti come danzanti nella processione, per nessun modo essi si sarebbero lasciati in¬ durre a partire prima di aver consumala tutta la chicha (specie di birra) preparata per quella festa, che si riduce ad un conti¬ nualo baccanale. Dovetti dunque a mio malincuore fermarmi colà, occupandomi della caccia e di ricerche entomologiche. Tumhacko è piccolo villaggio situalo in una gran pianura poco lungi da un fiumieello che porta lo stesso nome. Yeggonsi interi campi seminali a maiz, orzo, fave, patate e incontrasi un prodi¬ gioso numero di gelsi selvatici che potrebbero forse utilizzarsi, in¬ troducendovi 1’ educazione dei bachi da seta , non servendosene que’ terrazzani che per legna da fuoco. Il mandi vi prospera a meraviglia, formando quasi il principale prodotto. Questa pianti¬ cella cresce a piti di mezzo braccio d’altezza, e produce un fruito oleoso, oblungo, a scorza bianca-rugosa; i semi sono poco dissi¬ mili dai nostri ceci, se ne cava dell’olio, e si fanno abbrustolire servendo agli abitanti di nutrimento. Cresciuta la pianticella, viene nuovamente sepolta sotto il terreno, laseiandovela tino a maturanza. II clima di Tumbacko è caldissimo e tanto insalubre, che la più parte dei viandanti, i quali vi dimorino per qualche giorno, ven¬ gono assalili dai frios (febbri intermittenti). vi ti 1 ; tiene à bicn prevenir a V. V. «pie tan pronto corno el senor Osculali toque en oste pue¬ blo !e proporcionem 10 indios pconcs a que lo conduscan basta Archidona, y losqucseian rei ij iosa mento satisfcchos de sus rcspectivos jornales; recomendando a V. V. muy parti¬ colarmente el evado cuinplimicnto de la precedente disposicion gobernativn. D/os y libei laU. F a A ncisco Villani. — Ti¬ lt terreno è fertile, abbenchè vi sia grande scarsezza d’ acqua per l’irrigazione, alla quale però si potrebbe supplire col far Sca¬ vare dc’pozzi artesiani, trovandosi l’acqua a poca profondità. Le tortore, i colombi selvatici ( palonibos ) arrecano gran danno ai se¬ minati, svolazzando a torme in quelle estese campagne. Tutta la popolazione di Tumbacko e de’ luoghi convicini pas¬ sava que’ giorni raccolta nelle case in gran gozzoviglia, bevendo liquori spiritosi e eludici. La piazza era tutta adorna di archi trion¬ fali a fiori, mirti c frutti d’ogni sorta, fra i quali vedevansi appesi molti animali viventi, come conigli, capretti clic barbaramente espo¬ sti ad un cocente sole, legati con funi alle pareli ed ai pali man¬ davano lamentevoli strida. Queste offerte falle dagli indiani riman¬ gono a prò del parroco, che li fa staccare la sera dagli archi di trionfo. Si godè pure sulla piazza d una caccia del loro, e si fecero mascherale con fuochi d’artifi zio c cuccagne. La processione uscita dalla chiesa, compiè il giro della piazza dove quattro altari bene addobbati erano stali cretti in ciascun an¬ golo; ed era preceduta da danzanti, adorni di pennacchi. Alcuni denti fossili che trovai nella casa dell’ alcade mi invo¬ gliarono di conoscerne la provenienza , c allora seppi rinvenirsi ne’monti, a poca distanza di là, scheletri interi petrificati.. Colla scoila di una guida mi recai alla così detta Alcantarilla, ad una lega dalla strada di Papallacta , dove mi venne dato di os¬ servare un ammasso di ossami c vertebre di mastodonti, reliquie delle più rimote epoche della creazione , alcuni de' quali si sa¬ rebbero potuti estrarre completi formandone una stupenda colle¬ zione. Dopo aver percorso un buon tratto fra que’ burroni, e fatti vari scandagli, ritrovai in una buca piena d’aqua una intiera mandi- bula con zanne, ciascuna delle quali poteva pesare non meno di due libbre. Riliensi che possano appartenere tali scheletri ad una specie di mostruosi tapiri , de’ quali si è interamente perduta la razza nell’ America. Temendo che gli Yumbos, ai quali aveva consegnati i quattro carichi, stante il inio ritardo, partissero da Papallacta , e premen¬ domi di averli a compagni essi pure , come praticissimi di quei boschi e dei guadi de’ fiumi e torrenti, mi decisi partire solo a cavallo , lasciando 1’ ordine all’ alcade di spedirmi il resto degli ef¬ fetti il più presto , appena cioè terminata la festa , fossero stati pronti gii indiani. Si durò gran fatica a trovar una guida clic mi volesse indicare il cammino, essendo tutta quella popolazione im¬ mersa nelle più volgari e sozze gozzoviglie. Partito il 10 da Tumbaeko. traversai V Alcantarilla sempre per un sentiero declive, insin che si varca il torrente su un ponte di legno. Si rimonta di nuovo dall’opposto lato sino ad Iluckalci, grande azienda (fattoria) ed arrivai la sera al Tablon , piccolo vil¬ laggio posto sulla vetta del monte. La mia guida era stanca, ed avendo trovato un altro indiano che si offriva a venir meco sino al (ambo dell' Incus, continuai il cammino per viottoli entro boschi folti e pericolosi. Più volte mi pentii di non aver passata la notte al Tablon , come voleva la mia guida; inline quando volle il cielo giunsi alle 10 di notte al tambo, dove dopo una frugale refezione di patate arrostite al fuoco, mi coricai su poca paglia, avendo ri¬ mandalo il cavallo al temente che gentilmente me Io aveva prestato. Quivi noleggiai una mula dal proprietario stesso del tambo , es¬ sendo quella una cavalcatura più adatta per viaggiare *fra le mon¬ tagne del Guamanì , e me ne partii di conserva con una povera famigliuola di Papaline ta che era venuta a caricare maiz e patate. Il tambo delT incus è una catapecchia che sorge a poca distanza, alle falde della gran catena del Guamanì. Dopo un viaggio di due ore sempre fra boschi pantanosi, s’ar¬ rivò ai piedi dell’altissimo monte che si doveva superare. La tema d’essere sorpresi da una nevicata ci faceva accelerare il passo, tanto più che manifesti erano gli indizj del cattivo tempo. Il passaggio di quella Cordigliela, nella buona stagione, non pre¬ senta alcuna difficoltà; ma nell’epoca delle pioggie e delle nevi è quasi impraticabile, tanto che non di rado sorpresi da bufere o da valanghe, molti viandanti vi rimangono sepolti i}. Ad ogni istante si presentano passi difficili, erte scoscese fra terreni paludosi; ad ogni istante si è obbligati a scendere da cavallo per non correre il rischio di restare impigliati in que’fangosi stagni, o precipitali in qualche profondo burrone. La vegetazione in quelle solitudini f) Niuno si meraviglierà come sotto 1' Equatore nella stessa giornata si possa gradata¬ mente passare da una zona infocata come quella de’ llanos di Tumbaeko a quella glaciale ( nevados ) delle Ande del Giuunanì, quando si consideri che la variazione del clima di¬ pende quasi intieramente dalla maggiore o minor elevazione delle torre al disopra del livello del mare. cangia totalmente d’aspello, non più scorgendosi gli annosi alberi della pianura; sibbene soltanto licheni, mirti, piante crittogame ed immensi pajonales (pagliai). Molti uomini percorrevano a cavallo que’luoghi suonando una specie di tromba ( vocimi ) onde radunare e far calare dal monte le mandre, per poi rinserrarle nei corales o stalle, ove passano l’inverno; taluni indossavano calzoni fatti con pelli d’agnello e di orsi. Alle ù pomeridiane si giunse in riva al lago di Papallacta. Cre- desi sia l’antico cratere d’un vulcano spento; infatti le pietre c i lapilli che si trovano nelle vicinanze si palesano prodotti vulcanici. Il clima che dapprima nella Cordigliero era glaciale, giunti dal¬ l’opposto fianco ritornò a farsi eguale a quello di Tumbacko, co¬ minciando di nuovo a traversare foreste tutte ammantate delle più belle liane c fuchsic a vivaci colori ed animale dal gorgheggiare di infiniti uccelli , fra i quali il /laniero , così chiamato pel suo melodioso canto. Le pioggie avevano ridotte le strade impraticabili tanto che si era obbligali a tagliare fiondi e canneti onde riuscire ad avan¬ zarsi. Giunto a Papallacta discesi alla capanna dcWaleatle (sindaco), dove i miei indiani Yumbos mi stavano tuttavia attendendo. Essi però, slancili d’ aspettarmi , aveano divisalo partirsene il giorno successivo, mollo più che due di loro cransi digià amma¬ lali; sicché a mio malincuore dovetti lasciar loro proseguire il viaggio, non arrivando tuttavia gli altri di Tumbacko col resto de’ miei effetti. Mi fermai altri tre giorni aspettando invano l’arrivo dei cargueros, ed in questo frattempo, privo di viveri, incominciai a sopportare grandi privazioni che non erano pur troppo se non triste preludio di quelle che doveva soffrire in appresso. Mi tro¬ vava obbligato a passare le notti sdrajato su semplice cuoio a canto di un focolare, c framezzo a genti di colore clic odiano mortal¬ mente lutti i bianchi. L’arrivo del parroco, del quale da cinque anni era privo quel villaggio, mi fe’ parer men trista la mia situazione, aggravata dalla tema che le mie robe fossero state derubale sulla strada. La tar¬ danza degli indiani cargueros mi obbligò a spedire l’alcade a Tum¬ backo con lettera diretta all’ alcade, nella quale lo supplicava a costringerli anche colla forza a portare i miei effetti , poiché stante l’inoltrarsi della stagione, un tal ritardo polca cagionarmi danni gravissimi , coll’ impedir le nevi e le pioggie il varco de' torrenti. Papullacla è piccolo villaggio appartenente al Cantone di Qui- xos , posto in un pendìo, circondato da ogni banda da alte e sco¬ scese montagne. È abitata da venti o trenta famiglie, la più parte laglialegne, che passano la loro vita fra quelle giogaje. Va sprov¬ vista di tutto , e difficilmente riesce ad un viandante il trovare qualche viltovaglia. 11 vitto di que’d isgraziati riducesi ad un po’ di maiz fatto abbrustolire sulle bragie , a qualche patata bianca e a selvaggiume, quando almeno ne possono avere. Non rinviensi un grano di sale in tutto il paese , servendosi quegli indiani di un’acqua salmastra amara che scaturisce in una vicina prateria. Non educano che pochissimo bestiame, del quale non sono d’al¬ tronde che i semplici custodi. Scorre a piò del monte un piccolo fiume detto Huile, diviso in due bracci, che si unisce eoi Maspci; ha origine nella Cordigliero, ed è ingrossato dalle acque dello stagno di’ Papallacta. Visitai in compagnia del parroco una sorgente d’ acqua solforosa bollente, che scaturisce a poca distanza dal villaggio nel mezzo di una bella vallata. Era questo sacerdote un giovane sui 25 anni clic, abitualo agli agi della vita, dovette turbarsi non poco alla vista dello squal¬ lido villaggio dove era stalo destinalo alla cura delle anime. Mi assicurò clic non avrebbe potuto durarla più di due o tre setti¬ mane in quel deserto, dove chiesa e casa erano costrutte di pa¬ glia ed umidissime. Sotto l’Equatore variando il clima secondo le latitudini, non si contano che due stagioni: estate c inverno, le quali non sono nem¬ meno uguali tanto per la durata che pel tempo nelle diverse pro¬ vince. Quando a Quito è estate, cioè in giugno, luglio ed agosto, è rigoroso inverno nelle regioni a levante, c nelle montagne del Quixos cade continua pioggia. Finalmente al 15 giunse Falcadc da Tumbacko coi miei cargue- ros ch’io nella tema mi fuggissero, non appena deposti i carichi, li feci rinserrare in un tambo e custodire tutta la notte. 11 giorno 16, benché il tempo fosse piovoso e l’atmosfera coperta di folla nebbia, volli ad ogni modo rimettermi in cammino. Da Papallacla ad Archidona non trovandosi che un semplice viot¬ tolo per i pedoni, tutti i carichi dovettero essere portati sulle spalle. Spogliatomi degli abili, indossai corte mutande, c coperte le spalle con piccolo encauciao (tela spalmata col sugo di gomma elastica ed impenetrabile all’acqua), calzati i sandali di corda, provvisto — 75 — di pistole c fucile, lasciai sfilare i miei indiani in numero di IO. In tale arnese diedi addio al villaggio di Papallacta, abbandonan¬ domi ciecamente al destino , e fidente nella stella clic mi avea scorto in tutte le mie peregrinazioni. Tutta quella giornata fu piovosa, il cammino sempre in mezzo a boschi paludosi, sicché bene spesso si fu obbligati a travesare maremme e pantani. Si guadò YHuila , s’arrivò ad I/ueine-chialpi, e di là al rio Hatun-chialpi ( fiume grande ) , ove si pervenne alle quattro, calando alla spiaggia per una gradinata scolpita in un grosso albero appoggialo alla rupe. Si sostò per quella giornata, avendo fatto G samai's. Gli indiani contano il viaggio a saniate o fermale, durante le quali depongono i fardelli c riposano per qual¬ che tempo: esse sono più o meno lunghe, a seconda de’ luoghi più o meno faticosi e di difficile tragitto. Da Papallacta ad lì itila si conta il l.° saniate , il 2.° a Talachi- gua, il o.° a Chalpi grande , il 4.° ad Iluango, il 5.° a Panga- Icucko, cd il 6.° ad Alun-chialpi J). Appena giunti, parte degli in¬ diani andarono in traccia di grandi foglie di viliuja e di grosse canne, legandole insieme con liane per formare il rancho o ca¬ panna. Vi collocarono sotto i fardelli che, coperti con pelli d’a¬ gnello, mi servirono di Ietto. Gli indiani poi poco discosto dalla mia ne formarono un’ altra , accendendo fra mezzo alle due un buon fuoco col quale ammanirono il pranzo. Stante la cattiva sta¬ gione , il viaggio da Papallacta ad Àrchidona non poteva durare meno di tre settimane, mentre nella buona stagione non s’im¬ piegano più di dieci o dodici giorni da Quilo, non polendosi per¬ correre più di due leghe al giorno in quelle paludose c cupe selve. 11 dì vegnente si partì all’albeggiare costeggiando il fiume, indi c’internammo nel folto della foresta, e s’arrivò al rio 3/aspa. Vi trovammo un piccolo lambo deserto, dove si fe’ colazione. A poca distanza dal tambo si traghettò il fiume sopra tronchi d’ alberi che formavano una specie di ponte. II 3/aspa ha origine dal lago di Papallacta , viene ingrossalo dai due fiumi //itile ed Alan, si unisce col rio Quixos che scende 1) Gli indiani del Quixos diedero denominazioni differenti a tutti i descansos o luoghi di fermata, ed io credo opportuno di riferirli quali mi furono da essi indicali sul luogo, benché non vi siano abitazioni, potendo servire moltissimo ai viaggiatori cd ai geografi, per formare mappe o dizionarj geografici coi distinti nomi dei fiumi, passaggi, ecc. — 76 — ì\a\V Auliscimi, e si gelta nel Cosanga. Al punto dove si congiun¬ gono i due fiumi Quixos e Cosanga , ricevono il nome di Rio della Coca. Superata una collina ed arrivali al punto o descanso d 'Huila, si finì di udire il fragore delle acque del Maspa , incominciando poco dopo a farsi sentire quelle del Quixos. Giunti a gran fatica alla vetta del monte del Quixos sempre battuti dalla pioggia, si cominciò a scendere per una lega e mezza per un pendio quasi a picco , non di rado obbligali ad aggrapparci agli arbusti onde non precipitare nell’abisso. I cargueros più volte sdrucciolavano in basso coi carichi, abbenchè avvezzi a quei difficili passi. Da quel punto ammiravasi in tutta la sua maestà l’alta vetta del vul¬ cano Antisana , che ergevasi gigantesco fra le nubi , coperto di eterni ghiacci, nel mezzo d’una catena di monti più bassi clic a lui facevano corona (Vedi Tav. XI). Il vulcano non distava in linea retta più di tre leghe. Nell’imo della valle scorreva l’impetuoso tor¬ rente Quixos a piè di allo monte che pure dovevasi valicare, po¬ tendosi distinguere da lungi il sentiero tracciato fra quelle balze. Appena varcati i due fìumicelli Verdc-yacu e Cya-yacu , a po¬ chi passi discosto si attraversò il Quixos sopra alcuni pali lun¬ ghissimi che formavano una specie di ponte. Si dovette far alto, imprendendo i più coraggiosi il trasporlo dei carichi, giacché se sgraziatamente qualcuno avesse messo il piè in fallo, certa ne sa¬ rebbe stata ed inevitabile la morto per la somma violenza della corrente che infrangevasi contro le scogliere. Per non correre il rischio della vita stimai prudente il mettermi a cavalcione sul palo, e portarmi così a poco a poco all’ innanzi appoggiandomi colle braccia, nella persuasione che i miei indiani sarebbero stali ben lieti se fossi fra que’ gorghi scomparso. Si fecero non più di 4 samai's : Maspa, Guagra , Huila e Quixos. Si camminò tutta la giornata del 17 sino alle 4 poni. Si passò il Packack-mcima, indi giunti a Ciuro-hurcu , o monte Lumaca, fe- eesi un po’ di sosta. Contansi 4 samai's : Toldo , Rampata , Pa¬ ckack-mama e Ciuro-hurcu. La strada era pessima , appena tracciata in que’ boschi uligi¬ nosi, pei quali si dovea camminare sempre coll’acqua sino al gi¬ nocchio , sopra alberi rovesciati dai turbini o dal tempo. Di so¬ lilo, appena giunti là dove si doveva passare la notte, gli indiani si affrettavano ad erigere la capanna. Io mi spogliavo de’ pochi cenci, c dopo essermi ben lavala tutta la persona, mi rivestiva di abili asciulti. L’enfiagione de’ piedi pel lungo camminare fra l’acqua, i pantani ed i canneti m’impediva di calzare gli stivali, sicché dovetti starmene contento a mettere sandali di corda , dei quali aveva fatto provvista a Quito. Nel giorno 18 cadde un continuo acquazzone. Si partì verso le 0 del mattino dopo aver passalo una pessima notte, intirizziti, mal difesi dalla pioggia e dal vento. Dopo Ciuro-hurcu ci soffermammo a Cimila- Cruz ; di là a Chi- daja , indi a Rosario, ed attraversato il Guayra-yaca, ci dirigemmo, inoltrandoci per paludosi boschi, verso il Borro-yacu. Circa mcz- z’ ora prima di giungere al fiume , mentre ci trovavamo in una folla boscaglia di canne del suro harundo , udii ad un tratto i miei cargueros, che camminavano davanti, gridare aya-runa (un morto! un morto!); affrettato il passo, rimanendo sempre di retroguardia per impedire la fuga agl’ indiani , trovai infatti un Yumbo colla faccia rivolta al suolo, digià fallo freddo cadavere. Rialzatolo po’ lunghi capelli , riconobbi tosto essere uno de’ miei Yumbos , che crasi ammalato di dissenteria a Papallacta in causa di aver fallo arrostire e mangiato un pezzo di pelle di bue am¬ mazzalo di fresco, e bevuto poscia dell’acqua fredda. I suoi com¬ pagni 1’ avevano abbandonato forse appena non fu più in istalo di camminare, ed avevano nascosto il fardello che portava, ap¬ pendendolo ad un albero nella foresta. La vista di quell’ infelice aveva prodotto ne’ miei cargueros una specie di terrore che non sapevano occultare, chiamandosi a vicenda per nome , radunan¬ dosi ad ogni tratto di strada, c rabbrividendo ad ogni più piccolo rumore o ululo d’animali, come se Io vedessero nuovamente ap¬ parire dinanzi , paventando ognuno di soggiacere allo stesso de¬ stino pria del termine di sì lungo viaggio. Per calmarli e infon¬ der loro coraggio, distribuii una bottiglia d’acquavite clic consu¬ marono in un batter d’occhio insieme a pane biscotto. Giunti al Berro-yacu feci far allo per tutta quella giornata, abbenchè non rimanessero che due sole ore di cammino per giungere al tambo di Baeza. Si vedevano ancora nel fango le impronte dei piedi di persone che erano passale in quel giorno; queste non poleano essere che quelle dei miei Yumbos, i quali, deposte le cariche, se ne tornavano forse da Baeza a prendere quella del loro morto compagno. Il dì vegnente si traversò un immenso bosco in terreno piano, — 78 — ove raccolsi molle conchiglie terrestri, fra le quali rinvenni assai comuni i grandi Bulinms canlagallanus, de’ quali si cibano gli in¬ diani, alcune Ciclostome di differenti grandezze, massime la Cyclo- stoma blanckeliana, colle quali i selvaggi formano collane. 11 clima cominciava a farsi più dolce , e si passò la giornata senza pioggia: papagalli, toucan, pavas, scimmie animavano colle loro strida quelle selvagge solitudini. A mezzodì s’ arrivò final¬ mente a Baeza. CAPITOLO VI. Continuazione. ( Dal 18 Giugno al 24 iletlo. ) l'ambo di Baeza. — Insubordinazione degli indiani. — Una marcia forzosa. — Il rio Vermejo. — Aspetto delle selve del Quixos. — Caccia d' un orso. — Descrizione di due specie d’orsi d’America. — Nuova sollevazione de’ miei cargueros. — Mi¬ sure energiche poste in esecuzione. — Il rio Jana-yaeu. — Barbaro abbandono di tutti gli indiani. — Loro fuga c furti commessi. Baeza , secondo le tradizioni, era in tempi remoti una città, ora è totalmente distrutta, non trovandosi che un’unica capanna nel mezzo della foresta dove dimora una piccola famiglia, clic coltiva qualche palmo di terreno e traffica coi pochi indiani che da Pa- pallacta e Quito vanno ad Archidona , i quali non trovano altra abitazione o rifugio in tutto quel lungo tragitto. Qui vi sono due viottoli, uno che accenna ad Archidona , e l’altro più al nord che mette ai villaggi di Avita, Loreto, Conception , situali ncU’inlerno della provincia del Quixos. Ambedue pessimi ed impraticabili in tutto l’anno per la negligenza del governo cquatoriano, erano però solo un secolo fa meglio tenuti, non impiegandosi allora che due soli giorni da Papallacta a Baeza. Giunti al tambo feci deporrc i miei effetti, volendo ivi passare il resto della giornata onde concedere qualche riposo agli indiani. Seppi dal padrone che la brigata di Yumbos se ne era di là par¬ tita quel giorno stesso, lasciando ivi depositali due miei carichi; essi però aveano data l’assicurazione che non avrebbero lardalo a spedire altri de’ loro compagni per riprenderli e trasportarli ad Archidona in causa della morte avvenuta d’uno di loro, e della grave infermità dell’ altro che appena poteva reggersi senza la soma. Comperai del maiz, che si fe’ abbrustolire in mancanza di orzo c macinare, servibile per nutrimento agli indiani che lo me¬ scolano con poca acqua fredda nelle loro fermate 4); per mio oon- 1) Matcia-mote. La preparano pure anche con orzo, che fanno torrefare, riducendolo a farina, e senz’altri ingredienti ingojano a cucchiajate. Con tre o quattro di queste ed un po’ d’acqua o Chicha ammaniscono il loro pranzo. Tutta la provvigione pel viaggio di (pia¬ gli indiani consisteva in un sacchetto di questa farina. — 80 - stimo riuscii a trovare alcuni polli ed un po’ di carne affumicata di tapiro. Vegliai tutta la notte per tema clic gl’ indiani mi abbandonas¬ sero colla roba, come era stalo avvertito a Pallapacta, mollo più che li vidi stretti in complotto col padrone del tambo. Il giorno 20 appena sorto il sole ordinai clic si tenessero lesti per partire. Mille pretesti furono posti in campo per non obbe¬ dirmi , ma tutto inutilmente; alla fine il capitano dei cargueros , per intimorirmi, mi disse non voler viaggiare in dì festivo ; clic 10 stesso governatore del Qiiixos , da essi medesimi scortalo l’anno prima, li aveva lasciali riposare la domenica , e che senza dub¬ bio mi sarebbe occorsa qualche grande disgrazia se avessi insi¬ stilo nel mio progetto. Non volli badare alle loro ciance, e per¬ duta la sofferenza, terminai col minacciare il capitano (capo degli indiani) di venire a vie di fallo, tanto che questi credè bene di cedere e di mettersi in cammino. A 500 passi dal tambo , uno di essi essendo caduto ed essen¬ dosi fallo una graffiatura alla gamba, cominciò ad esclamare es¬ sere quello un avviso del cielo. Non mi fu possibile il farlo rial¬ zare , che anzi si mise a strillare in modo che dovetti convin¬ cermi essere una finzione ordita a mio danno a bella posta. Si dovette farlo trasportare al lombo , e siccome ivi stavano già ri¬ poste due mie cassette, così consegnai anche la terza al padrone, presso il quale rimase anche il ccirguero, almeno finché si fosse trovalo in islalo di ritornarsene a Tumbacko. Non per questo volli che venisse protratto il viaggio , giacché allora la stagione inol¬ trala avrebbemi impedito di guadare il Cosanga. Si viaggiò lutto 11 giorno , non dirigendo mai nessuno a me la parola : solo nel bosco uccisi alcune pavas (penelope). Il sentiero, secondo il solilo, serpeggiava fra pantani e paludi, costretti ad ogni passo a tagliare le lunghe canne del suro barando, le quali formando una fitta rete rendevano ognor più difficile il cam¬ mino. Da Baeza continuando la strada si trova per primo il fiume Mackangara , indi a poca distanza il rio Uritu-yacu. Si fé’ posa ad un luogo detto Ventanilla , piccolo monte lutto ingombro di canneti. In quel punto s’ incominciarono ad udire da lungi rumoreg¬ giare le acque del Vermejo (Vermiglio) e quelle del Cosanga. Più avanti s’attraversò V Uritu-yacu, cd alle A pom. s’arrivò alle sponde del fiume Vermiglio , dove sostammo la notte. Si fecero — Si¬ ili quella giornata 6 samiù's, cioè da Baeza ad Upianama, Kun- diqua , Urita-yacu, Ventanilla , Cyni-yacu c Vermejo. Nella notte passò vicino al (ambo un grosso tapiro, che disparve nel bosco pria che mi fosse dato misurargli un colpo colla carabina. Si di giorno che di notte si facevano udire a pochi minuti d1 in¬ tervallo forti detonazioni, che dapprima credetti causate dal tem¬ porale, ma che seppi poscia dagli indiani essere segnali dell1 eru¬ zione del Sangui, formidabile vulcano della provincia di Macas che sempre arde e tuona, vomitando acqua, cenere, fuoco, di¬ stante di là circa 1G a 18 leghe. S’ attraversò il dì vegnente il fiume Vermiglio sopra un ponte che si costrusse in un batter d’ oceiiio col tronco di un lungo albero da noi tagliato sulla riva. La corrente era troppo rapida per poterlo traghettare a guado. Il Vermiglio, così chiamato dal colore delle sue limpide acque, scende dall’ Àntisana e si getta nel Losanga a poca distanza dal sito dove eravamo riusciti a var¬ ca rio. L’ aspetto delle selve al di là del fiume mutasi affatto , facen¬ dosi la vegetazione ognora più selvaggia. 1 grandi canneti det Suvo, che atterrati dalla pioggia e dal vento intercettavano il cam¬ mino fra Baeza ed il Vermiglio, ora erano affatto scomparsi; in¬ vece si dovette penetrare in un folto bosco reso quasi inaccessi¬ bile da un intricato labirinto di liane, di arbusti spinosi, dismi¬ surali cedri e di sinci-caspi , palmizii rovesciati dal tempo e dal turbine, sui quali, per non correr rischio di sprofondare nei pan¬ tani, fummo obbligati di camminare la più parte di quella gior¬ nata. Gl’indiani, sebbene pratici delle località, finirono col per¬ dere essi stessi il filo del sentiero. Alle 9 del mattino, mentre già da tre ore ci trovavamo internali nella foresta, a un tratto i no¬ stri dell’ avanguardia si soffermarono spaventali alla vista d’ un mostruoso orso che loro slava a pochi passi di lontananza. Il la¬ trato d' un cane che apparteneva al capo de’ miei cargueros lo aveva posto in fuga, e già crasi arrampicato sui rami d’un fron¬ zuto albero; allora ordinai ai mici uomini che lo circondassero, onde intercettargli lo scendere, tanto eh’ io potessi apprestare il fucile, che per la tanta pioggia trovavasi in cattivo stato. Le grida degli indiani e l’abbajar del cane lo costrinsero a tenersi immo¬ llile suda pianta, sinché io avvicinatomi ben bene, gli assestai un colpo tale, che Io fece all’istante stramazzare dall’alto. Al tonfo di 9 — 82 — queirimmane belva noi alzammo grida di gioja, e gettatici addosso a colpi di bastone e di bajonelta si lini di ammazzarla. Si lasciò a guardarla uno degli indiani, intanto che gli altri continuarono la marcia sino a Sinci-playa o spiaggia del Cosanga, che stava poco lungi di là, ove deposte le cariche se ne ritornarono per traspor¬ tare l’orso al luogo della fermata. Si calcolò che potesse pesare non meno di 6 cirrobe. Lo feci scorticare, alla quale operazione 10 stesso volli metter mano acciò non venisse rovinata la pelle che desiderava recare con me , tanto più che trattavasi di una specie affatto differente da quelle d’Europa. Feci distribuire a cia¬ scuno in parti eguali la carne dell’orso, riserbandomi il cranio c la spoglia. Formato il lambo, subito si accese un gran fuoco per affumicare ed arrostire la cacciagione, avendo alla mia scorta con¬ cesso di passare colà tutta la giornata in riposo. Erano talmente avidi di mangiarne , che non lasciarono nep¬ pure il tempo di poterla cucinare, e cosi semi-cruda se la divo¬ rarono con (ale voracità, che temei forte di vederli cadere tulli ammalati. La carne dell’ orso, eli' io pure volli assaggiare, è sa¬ porita , e gl’ indiani ne sono ghiottissimi , sicché sovente nella buona stagione si radunano a (ruppe armati di archi e bodoquere , e vanno in que’ boschi a cacciarli, divorandoli sul luogo. Due sono le specie di questi pia ntigrad i che si rinvengono nelle foreste dei Quixos. Una chiamata uckumari è la più grande , avendo circa quattro piedi di lunghezza; Vursiis ornatus di Cuvier: il corpo è grosso, con pelo affatto nero, tranne una larga striscia di pelo bianco che dalla fronte scende sul collo e termina coll’abdome; 11 muso è corto, è d’indole coraggiosa, e vive nelle selve palu¬ dose, dove dorme sugli alberi, formando colle frondi una sorta di sedile, nutrendosi di frutti, di semi e di pennacchi teneri di palmizii. L’altro, che reputo una semplice varietà, ò il così detto iznacki; è un po’ più piccolo, di pelo nero e lucente, rompe rami e si fa strada nelle folle foreste , per cui facilmente se ne rico¬ nosce la traccia. Ritrovai nel suo ventricolo una grande quantità di semi poco dissimili dalle nostre ghiande. Gl’indiani conserva¬ rono con gran cura la vescichetta del Fiele e la pinguedine del¬ l’orso, della quale se ne servono per varie infermità e clic vendono a caro prezzo a Quito. Durante la giornata feci copiosa incetta di bellissime farfalle che rinvenni lungo la sponda , fra le quali rimarcai la Ncereis festiva. YH eliconia end r ma , il Papi/ io thoas. Callydrias cypris, evadile, iXymphalis stelenes, Mancipium fugax , non clic molti dipteri ed imenoplcri, i quali erano attirali a scia- mi dalle carni e dalla pelle dell’orso posta ad essicare; ammira- vansi fra essi anche come più comuni molli dipteri dei generi Bombylius ed Anthrax. 11 giorno vegnente dopo un’ora di cammino lungo la spiaggia, parie sull’arena e parte in mezzo a foreste, si dovette per neces¬ sità far allo essendoci impedito di più oltre avanzare, essendo il Cosanga cresciuto oltremodo nel giorno e nella notte antecedente, le acque impetuose trascinando nella loro furia massi e tronchi d’alberi, vietavano di poter seguire l’alveo del fiume, che era pur l’unico c più sicuro sentiero. Nè era in quel luogo possibile di poter valicarlo , poiché avea ben 300 metri di larghezza ed era molto rapido e profondo. Se ivi si avesse potuto guadare si sa¬ rebbe guadagnala non meno di una buona giornata di cammino; eravamo invece obbligali di fare un lunghissimo circuito per riu¬ scire ad attraversarlo più in alto dove presenta minori difficoltà. Già nella mattina erano insorte gravi dispute fra me ed il capi¬ tano de’ cargueros , rifiutandosi questi di caricare la pelle ed il cranio dell’orso, tanto che mi vidi obbligato a minacciarlo di far gettare tutta la carne affumicata nell’ acqua appena avesse insi¬ stilo nel suo divisamente. Rimarcai che una metà di quella carne era scomparsa, avendosela essi trafugata durante la notte, nuovo argomento per convincermi non essere quello che un mero pre¬ testo per compiere la trama che avevano già ordita a lìaeza , tanto più che erano forniti di viveri bastanti per far ritorno a Tumba- cIìo. Preso da rabbia per procedere sì infame, dopo che io avea usate tutte le possibili cure onde non fossero oppressi dalla fatica, lasciandoli riposare anche più del bisogno , non mi potei tratte¬ nere dal bastonare ben bene il capitano, minacciando di fucilarlo pel primo, se alcuno degl’indiani avesse attentalo alla mia vita o avessero progettalo una fuga. Sul far della sera mi accorsi come avessero preparata una capanna per me solo, molto meglio ripa¬ rata delle altre volle, avendo tessuta coi rami una specie di tet- loja tutto all’intorno. Questa loro inusitata gentilezza non fece che accrescermi il sospetto, sicché non tardai a chiedere al capo qual fosse mai il motivo dei l’avermi apparecchiato un sì comodo iam- bo. Imbarazzalo da tale inaspettata domanda, mi rispose: Porgile mie atro amo descanse bini . «Acciò il nostro padrone riposi bene». Ma mi accorsi della loro malizia , e strappali que’ ripari che mi impedivano di sorvegliarli nella notte, ordinai che lo stesso capo rimanesse a dormire al mio fianco, avendo prima, a vista di lutti, caricale le pistole e fatto accendere un buon fuoco. Stante la guardia e vigilanza mia, levandomi ad ogni più piccolo rumore, nulla accadde di nuovo. Il 25, diminuita di molto la piena, si continuò il viaggio co¬ steggiando per ben tre ore il Cosanga sino alla foce del piccolo Yanu-yacu , che si passò a guado seguendone il corso per poco tempo. Indi si entrò in una foresta monticellosa , ove e’ imbat¬ temmo in un altro orso che facilmente avrei potuto uccidere; re¬ putai però più conveniente di passar oltre per non perdere un tempo prezioso, che mi era necessario per arrivare alla sera al passo del Cosanga. Dal Yana-yacu piccolo si seguì il cammino lino al Yana-yacu grande che con tutta facilità si potè passare a guado; rientrali nel folto della foresta, si continuò il cammino. Già udivasi di nuovo il fragore del Cosanga, che riuscimmo a rivedere verso le ore 4 pomeridiane costeggiandolo per ben un’ora prima di arrivare al luogo ove suolsi guadare , e sempre camminando sotto dirotta pioggia. Oppressi dalla stanchezza, sostammo alla sponda, essen¬ doci per allora impedito il varco per lo straordinario gonfiarsi delle acque. Si preparò la capanna, ove passai una mala notte in continua agitazione, svegliandomi ad ogni momento nel sospetto che i miei indiani prendessero la fuga. Al mattino del giorno 24 essendo calala la piena, volli in com¬ pagnia del capo e di un altro indiano andare in traccia di un luogo più facile a guadarsi, lasciando intanto gli altri di guardia al lembo. Andava rimontando lungo la riva del fiume, quando ad un tratto m’accorsi della subitanea scomparsa del capo. Ritornalo aU’islante coll’indiano che standomi sempre ai fianchi non aveva avuto campo di fuggire, con mia sorpresa e dolore trovai i miei bauli aperti , involate le provigioni e molti oggetti di lingeria e scomparsi tulli i cargueros. Che fare in una sì disperala situazione ? Subito mi balenò alla mente il pensiero di correre sulle traccie dei fuggi¬ tivi ; ma dovetti ben presto retrocedere per impedire almeno la fuga dell’ unico che mi restava. Sembrava questi commosso dal deplorabile mio stato , e con tutta l’ impostura della sua perfida — 85 - razza promise d’ajularmi. Dopo lungo riflettere reputai più con¬ veniente di spedirlo ad Archidona con lettera diretta al governa¬ tore del Quixos, nella quale gli comunicava la mia disgraziata av¬ ventura, c lo supplicava a spedirmi un pronto soccorso di uomini e di viveri, non mancando di includere la commendatizia del di lui fratello Josè Maria Guerrero, generale al servizio di quella rc- publica. 11 tristo indiano finse di accondiscendere alle mie istanze, anzi chiese in anticipazione la convenuta mercede, promettendomi che al dimani sarebbe partilo, giacché avea paura di valicare tutto solo di notte la montagna del Guacamajo molto infestata da ja- guari. Spartii seco lui la poca carne secca ed il pane biscotto che ancor rimanevano in un baule, c pieno di fidanza di non essere per la seconda volta ingannalo, volli che mi ajutasse a rimettere in ordine il tanibo malconcio dalla pioggia e dal vento, nel quale per necessità doveva passare almeno sei giorni onde custodire il rimanente de’ miei effetti. Ma il mariuolo, approfittando del mo¬ mento in cui m’ era scostato dalla capanna per cogliere alcune lunghe foglie colle quali ricomporla alla meglio, si diè egli pure alla fuga e così raggiungere i compagni coi quali era certamente d’accordo, lo avrei potuto assicurarmi di lui guardandolo a vista, ritirando la sua bisaccia delle provigioni insino a tanto almeno che l’avessi veduto attraversare a nuoto il fiume; una volta pas¬ sato di là, avrebbe senza dubbio dovuto continuare la via per Ar¬ chidona, non trovandosi altro passo migliore di quello dove allora ci trovavamo. Un tal pensiero non era mancalo di balzarmi in mente; ma non mi era curato di metterlo in esecuzione sbalor¬ dito da una tanta disgrazia. CAPITOLO VII. ('oiUinuiìzitinv. (Dal giorno 24 Giugno al 9 Luglio). Il rio Cosanga. — Trinceramento della mia capanna. — Mezzi di difesa contro un attacco notturno di fiere. — Precauzioni suggeritemi dal caso. — I Cucujos o Lucciole. — Pioggie continuate. — Penosa esistenza. — Un tapiro. — Subitaneo crescimenlo del fiume. — Aftievolimento di forze. — Patimenti sofferti in quattor¬ dici giorni di totale isolamento. — Costruzione di nuova capanna. — Umidità somma di que’ luoghi. — Mio nutrimento. — Caccia d’ un colimbo aquatico. — Disperala risoluzione. — Passo a nuoto d Cosanga. — Mal esito del mio progetto. Il Cosanga nella buona stagione, cioè dal gennajo a lutto mag¬ gio, è guadabile, avendo la profondità soltanto d’ un metro , ma nei mesi d’inverno, stante le continue pioggie e le nevi dell’ Ami- sana, dove Ita le scaturigini, cresce lino a 5 e G metri, straripando e coirimpeto della corrente seco strascinando alberi e pietre. Ha un corso di 20 leghe e si getta nel Coca. Colla massima facilità vi si potrebbe costruire un ponte ed an¬ che una semplice lambita , che riuscirebbe di grande utilità pei viandanti , siccome vidi praticarsi sui fiumi che attraversano le pampas di Buenos-Avres e dell’Uraguay C. Sotto l’Equatore ogni 1) Barbara foggia di navicella, o piuttosto di porto volante che si chiama tarabita. Un cuojo di bue raccolto e cucito ai quattro angoli, e intelajato su quattro legni fermali in¬ sieme alla meglio, forma nel suo mezzo un seno, in cui possono accosciarsi due persone; e viene raccomandato con un annoilo aduna fune di cuojo ritorto a più doppj, clic si tende dall'ima all’altra riva del fiume, e si stira più ancora con un arganello. Cosi assicurato il tristo burchio si tira attraverso il fiume nell’uno e nell’altro senso con due apposite corde. Al Ilio Tòrcerò, al Salado e Rio Quinto nelle Pampas poi tragittano il viaggiatore entro quel cuojo galleggiante facendolo assettar dentro colle poche sue robe prima che sia messo in aqua; poi un indiano nuotatore si getta nel fiume traendosela dietro; prima però d'in¬ golfarsi nell’onde impetuose, lo fa barcollare più volte da una parte all’altra per assicu¬ rarsi che il carico sia posto in buon equilibrio. Ter tali traghetti sono ordinariamente impiegate delle donne robuste ed esperte nuotatrici. l’er que’ viaggiatori clic s’invogliassero di visitare le vaste c pantanose solitudini dell’E¬ quatore c del Brasile sarebbe della massima loro utilità il portar seco un Boot-Cont Mantello-barca di gomma elastica, di recente invenzione inglese di Charles Macintosh c C. e clic per la prima volta ammiravasi alla grande Esposizione Mondiale. Gesso oltre al — 87 acquazzone, sì nell’estate clic neH’inverno, fa gonfiare subitamente i fiumi e li fa uscire dal loro alveo, sicché il viandante trovasi ben di spesso obbligato ad aspettare sulle rive uno o due giorni onde dar luogo all’ abbassamento delle acque. Ritornalo al lembo e più non veggendo l’indiano, subito gridai, chiamandolo ad alta voce più volle per nome, ma sempre inva¬ no; io era solo, lutto solo. Aneli’ esso mi aveva abbandonato, e via portando la rete dove aveva riposte le poche provviste, s’era internato nel bosco diretto per Baezci. Calmo e rassegnato a tanto infortunio , io non pensai che a riparare la capanna, approfittando dei pochi intervalli di bel tem¬ po ; accomodatala alla meglio con pali e corde , costrussi all’ in¬ torno, alla distanza di qualche braccia , una specie di barricata con frondi , canne e pruni , onde non venir sorpreso durante il sonno , ed avere almeno il tempo di mettermi sulle difese , sia contro gli attacchi delle fiere, sia contro gli stessi miei ccirgueros , i quali potevano anche tenersi appiattati nel bosco per assassinar¬ mi nella notte. Compiuti alla meglio questi ripari, lavai e caricai il fucile e le pistole, posi una punta di lancia su lungo bambous per servirmene all’ uopo , c dopo una parca refezione con pane biscotto ed acqua , mi coricai sui bauli. Ad un’ ora di notte mi alzai ed uscii dallo steccalo , spiando lutto all’ intorno se alcuno mai vi stesse in agguato, feci due tiri di fucile verso il bosco tanto per allontanare gli orsi e gli j aguari che molto infestano quei luoghi, quanto per far conoscere agli indiani che ivi al caso si celassero, come io di continuo me ne stessi all’erta. L’oscurità era completa, nè si poteva distinguere un oggetto a più d’un palmo di distan- polcr servire a doppio uso di mantello e letto da viaggio, lo si può facilmente ed in meno di cinque minuti ridurre a forma di battello, rigonfiandolo col mezzo di piccolo soffietto che va unito all’apparecchio. Questa nuova imbarcazione presenta tutta la sicurezza possi¬ bile, galleggiando mirabilmente anche frammezzo ai banchi , alle scogliere e nelle rapide de’ fiumi, polendovi contenere due persone, che accosciale in quella e munite di due piccoli remi la ponilo guidare con somma facilità e prestezza. Uno di codesti Bool-Coat venne acquistato a Londra dall’otlirno mio amico Luigi Ferrarla , ed il 18 Luglio 18od ne fecimo F esperimento sul lago di Como, dove non solo potemmo fare una lunga traversata a remi; ma ben anco si potè bordeggiare, servendoci di un pan¬ nolino per \ eia , ed impiegando uno dei remi per limone onde dirigere quella fantastica barchetta. Una bella e coraggiosa signora milanese, D.a L. C . , ne fece tranquillamente e tutta sola sul Mantello-barca il tragitto del Iago!! 88 — za, il che insieme alla pioggia contribuiva a render vieppiù triste la mia situazione, facendomi ardentemente desiderare la luce del sole. A mezzanotte circa ripetei due altri tiri di fucile , ed alle 6 del mattino, appena fallo giorno, pensai ristorarmi con un po’ di caffè che per buona fortuna mi aveano lasciato, non avendolo forse trovato di loro gusto. Il 25 di giugno mi occupai durante la giornata a trincerare me¬ glio la capanna, sebbene fosse cessala la tema di venire assalilo dai miei cargueros, i quali non avrebbero potuto compiere il loro misfatto se non che nella notte precedente, e sebbene non mi ri¬ manesse die un solo nemico a combattere, le fiere. Dopo serie riflessioni sul modo di uscirmene da tale posizione, stimai miglior partito quello di soffermarmi quivi almeno una set¬ timana, persuaso clic in quel frattempo qualche indiano sarebbe di là passato e m’avrebbe prestato soccorso; in caso diverso, mi vedeva costretto ripormi in cammino sia per ritornare a Baezci, sia per continuare il viaggio per Archidona, quantunque facilmente in ambo i casi, senza una guida, a più di tre giornale da qual¬ siasi abitato , dovessi correre il rischio di smarrirmi in quelle immense solitudini. Procurai di spartire in vàrie razioni il poco bi¬ scotto che mi rimaneva, onde, se non altro, mi servisse per tutti que’giorni, consumandone da tre a quattro once per ogni pasto. Radunai tutte le ossa semi-spolpate dell’orso che avevano gettato gli indiani al momento della loro fuga, ne tagliai la pelle, conser¬ vando quella della testa e delle zampe, come più morbida, onde farla arrostire, e facendo seccare il rimanente affinchè mi servisse di schermo alla pioggia che filtrava di mezzo al fogliame della capanna. La lusinga di poter dare la caccia a qualche volatile ria¬ nimava le mie forze. Approfittando degli intervalli di bel tempo anche per non lasciarmi vincere dai tristi pensieri che m’ingom¬ bravano l’animo, durante la giornata mi dedicava alla raccolta di farfalle ed insetti , di cui ivi irovavasi ricca messe non arri¬ schiando però d’internarmi nel bosco per tema di smarrirmi. Al¬ l’imbrunire faceva i soliti spari, poi cercava di addormentarmi. Radunava buona copia di molle specie di lucciole dette cucujos , 1) Tulle le raccolte di farfalle e inselli fatte durante la mia dimora al Cosanga andarono perdute, essendosi ammuffite nel rimanere abbandonale colà tre mesi consecutivi, esposte a tutte le intemperie. — S9 delle quali mi serviva onde rischiarare la capanna riponendole in un vaso di vetro. Appartengono alla famiglia dei Sternoxidi , ed erano di varie specie del genere Pyrophorus : = Pyr. noctilucus , Fab ., phosphoreus, luminosus , ardens. De j., che colla loro fosfore¬ scenza e massime dell’addome, producono una brillante luce ba¬ stevole per leggere correntemente. Faceva pure ricerca nei buchi delle piante dei piccoli alveari di certe api che danno una cera nera colla quale gl’ indiani nel Quixos fabbricano i loro cerini e da cui cavano pure un ottimo miele. Mi venne dato di trovarne uno nel tronco di un albero, avendo però durato molla fatica e sofferte non poche punture prima d’ impadronirmene. 11 26, allo spuntare, dell’alba alcune grida, forse di scimic, mi fecero balzare in piedi , nella speranza di veder qualche anima viva sulla opposta sponda del Cosanga. Pur troppo m’accorsi quella non essere stata che una vana illusione! Una dirotta pioggia mi obbligò a ripararmi nel tarnbo che già stava per rovinare. Quella fu per me una giornata tristissima passata in preda ai più neri presentimenti. Mi preparai sulla sera un po’ di brodo colle ossa e col cranio non bene spolpalo dell’orso {), ed alla meglio mi ad¬ dormentai. Circondato da insormontabili ostacoli, abbandonato da tutti nella più squallida solitudine, io non vedeva via per uscire di là, tanto continuando il viaggio che retrocedendo; non dispe¬ rava ancora però, che anzi il mio pensiero era costantemente oc¬ cupato giorno e notte a mulinare i mezzi per trarmi d’impaccio. Il 27, la pioggia continuò tutta la giornata ; il fiume andava ingrossando : non mi era riescilo di accendere il fuoco ; ed il co¬ raggio, che insino allora non mi aveva mancato, slava per cedere il varco alla disperazione. Nella notte fui preso da spavento al¬ l'udire nella selva un rumore che sempre più andava avvicinan¬ dosi; balzai in piedi c stelli silenzioso colla mia carabina in mano. Poco dopo ecco comparire a poca distanza dallo steccato un og¬ getto nero che andava avanzandosi verso la sponda: quantunque la notte fosse oscura, pure dal movimento de’ passi e dal fiutare dell’animale conghietlurai dovesse essere un tapiro. La mia gioja fu grande in quel momento , ma la terna di perderlo di vista e di non potermene impadronire, produsse in me tale sussulto da obbligarmi a far fuoco appoggiato all’albero che sosteneva il (ambo. I) Il cranio ili quest’orso sta depositato nel Civico Musco di Milano. — 90 — Con mia soddisfazione lo \ idi sleso a terra al secondo colpo. Ac¬ certatomi della di lui morte, e non avendo forza di trascinarlo da solo nella mia capanna, ritornai al mio giacilio, lieto di avere as¬ sicurala resistenza, giacché colle carni avea di che mangiare per molto tempo. Durai fatica a prender sonno , agitato coni1 era da mille commozioni; ma pur troppo la mia gioja fu di breve durala. Svegliatomi alle 5 del mattino del 28, trovai che V acqua del fiume era rimontata fino all’altezza del tambo per una subitanea piena , tanto che a mala pena mi rimase il tempo di trascinare nel bosco ad una ad una le casse e i bauli. La corrente avea già seco trascinata la mia caffettiera, una pentola di rame ed altri oggetti che aveva lasciato fuori del tambo per ripulire. Ma ben più vivo fu il mio dolore allor che m’ accorsi essere scomparso il tapiro. Un tale impreveduto accidente mi lese più cauto sicché mi misi ad erigere la nuova capanna in luogo più eminente , e più lontano dalla sponda. Dopo aver esplorate per ben mezzo miglio le rive del fiume onde andar in traccia della perduta preda, mi fu forza per quel giorno accontentarmi di fruita silvestri, come del manzanillo c di pennacchi di palme già frantumate in parte dagli orsi, astenendomi sino dal toccare il pane biscotto. Intanto la piena continuava con impeto sempre maggiore; il sibilare del¬ l’uragano ed il fragore delle acque che rompevansi contro le sco¬ gliere producevano una specie di suono monotono, non dissimilo da quello di una moltitudine di persone che inluonano preci mor¬ tuarie, al quale se si aggiungano le forti e frequenti detonazioni del vulcano Sangai, ognuno potrà immaginarsi quale impressione si¬ nistra tale spettacolo produr dovesse nelPabballulo animo mio. La mia salute intanto andava sempre più deteriorando, risen¬ tendosi tanto dell’ umidità e dei miasmi paludosi , quanto dello scarso e cattivo nutrimento : sopraggiunlomi un affiochimento di voce, io già credeva d’essere giunto al termine de’ miei mali. In quel giorno scrissi una lunga lettera diretta al presidente della Hepublica, nella quale mi feci ad una ad una a narrargli tulle le mie disgrazie; incaricandolo dell’ esecuzione dell’ ultima mia vo¬ lontà in caso di morte. Ciò fallo, involsi il foglio entro un pezzo di tela cerata, e lo appesi ad un palo nella capanna. Piantai una lunga pertica in riva al fiume in luogo eminente , e vi legai a! disopra un pannolino a guisa di bandiera,' -mettendovi ai piedi un baule vuoto (Vedi Tav. XI, fig. 2). Tutto ciò eseguii, pur lusin- — 91 giuntomi che qualche indiano proveniente d’Archidona alla vista di quel segnale avrebbe potuto passare il fiume in quel punto, mosso da curiosità o attirato dalla cupidigia di far bollino. Ciò fatto rimasi piti tranquillo, e mi misi a ricostruire la capanna. A mio malincuore dovetti erigerla in un luogo donde l’occhio non polca spaziare , onde se non altro non trovarmi più esposto ad una seconda inondazione. 11 29 e 50 giugno me ne rimasi, pel continuo diluviare, quasi sempre coricato su’ miei bauli , coprendomi colla pelle dell’ orso che cominciava ad infracidili ed era già falla preda dei vermi e sostentandomi con un po’ di biscotto inzuppato nel miele, e poco caffè infuso nell’acqua fredda. Il l.° luglio (settimo giorno) aveva quasi perduta ogni speranza di poter scampar vivo da quella tetra solitudine, continuando la piena del Olirne sempre colla stessa violenza ; nè mi era nem¬ meno più possibile di muovermi giacché mi trovava fra due fiumi che avendo la stessa origine dal vulcano Antisana, aveano le stesse epoche di alluvioni, quindi ambedue non guadabili in quel mo¬ mento. lo aveva formalo una specie di idrometro che osservava ad ogni ora, facendo diversi segnali sulla spiaggia; appena lo ve¬ deva abbassare, rinasceva in me la speranza, che pur troppo per¬ deva scorse poche ore. Nell’ottavo giorno il tempo si fe’ limpido c sereno, sicché po¬ tei distendere il mio pannello (mantello) e vari oggetti ad asciu¬ gare al sole; poscia radunai un po’ di legna per accender il fuoco c cuocere un grosso colimbo acquatico che improvvisamente era venuto ad adagiarsi su uno scoglio, e che non avrei certo man¬ calo d’ impagliare in altro momento più fortunato. Nel nono c decimo giorno del mio abbandono, essendovi stati intervalli di pioggia e di bel tempo, mi fu dato raccogliere alcune frutta silvestri, nutrendomi cogli avanzi della caccia che feci ba¬ stare per ben tre giorni. Cercava di risparmiare il pane, giacché mi era proposto di avventurarmi alla volta di Archidona non ap¬ pena fossero calate le acque; nò disperava di poter seguire il filo del cammino, o di rintracciarlo col soccorso di una carta geogra¬ fica di Maldonado, cd una bussola tascabile che meco avea por tato per orientarmi. 11 progetto era invero ardito di troppo e su¬ periore alle estenuate mie forze, ma non trovava altro scampo, e mi era pur forza di uscire di là, perduta ogni speranza di ajulo — 92 — per parie degli indiani, elie non sogliono intraprendere que'viaggi se non nella buona stagione. Mi era fitto in capo che se avessi avuto la fortuna di rinve¬ nire il rio Kondachi, non distante di là più di due giorni di cam¬ mino , alla peggio avrei potuto seguire la sua corrente in una hcilsci (zattera), che con tutta facilità sarei riuscito a costruire stante 1’ abbondanza de1 pali leggieri poco meno del sughero, che trovansi in quelle foreste. Pervenuto poi alla sua foce nel fiume tìollin , ivi o avrei trovala qualche capanna di indiani , oppure avrei continuato a discenderlo sino alla sua conllucnza col Misagualli che avrei raggiunto in quattro o cinque giorni, vi¬ vendo nel frammezzo di caccia: non abbandonando mai la corrente di questo fiume, sarei alla fine riuscito a toccare il villaggio Àr- chidona, che sta a pochi passi discosto dalle sue rive. ( Vedi la mappa del cantone di Quixos e del Rio Napo). Non ignorava come tutti questi progetti facili a concepirsi ed a tracciarsi sulla carta , presentassero però al momento dell’esecu- zionc un’infinità di ostacoli; ma nulla poteva distogliermene, pre¬ ferendo di procedere avanti piuttosto che di retrocedere a Baeza, giacché nell’ intricato labirinto di fiumi , pantani e foreste che avea già percorso avrei poco più o meno corso il rischio di per¬ dermi, senza toccare al termine de’miei patimenti. L’ undicesimo giorno mi occupai a coprire di grandi foglie i bauli che più m’interessavano, ed a fare i preparativi per la par¬ tenza; presi un po’ più di nutrimento del solilo, essendo riuscito a uccidere un toucan (ramphastus dicolorus), che era venuto a po¬ sarsi sur un albero poco distante. El 12.° le acque essendo calate di due metri, formai degli og¬ getti più necessarj due piccoli involti, mettendo in ciascuno una inetà dei viveri che contava di trasportare al di là del fiume in due riprese, onde non avventurare il lutto in una sola volta. Dopo aver riposto gli oggetti preziosi, orologio, denaro, bussola, nel mio berretto che assicurai ben bene sulla lesta, mi gettai a nuoto, portando il fardello sul capo. La somma prostrazione delle forze mi tolse di poter superare la corrente, sebbene esperto nel nuoto; tanto che pria di toccare all’opposta riva, fui strascinato per ben trecento passi più in basso, urtando contro gli scogli a rischio di perdervi la vita; sciolsi allora il fardello clic mi impediva di agire con maggior forza, e m’aggrappai ad un ramo, mediante il quale riuscii a guadagnare la sponda; non senza riportarne contusioni alle mani ed ai piedi. Pur troppo vidi in allora svanita fin la speranza di mettere in esecuzione il mio progetto, avendo perduta la metà delle provviste, e le pistole da me ermeticamente chiuse in una scatola di latta; che anzi mi trovava senza ricovero e con indosso per coprirmi le sole mutande. Dopo un’ora di seria rillessione mi vidi costretto a nuovamente attraversare il fiume ed a rassegnarmi al malvagio destino. Scelsi un luogo migliore dove non si vedevano frangere le onde , e felicemente ripassai. Fu in allora soltanto che dovetti pensare a far ritorno a Bacza; intanto ricomposi alla meglio la capanna per passarvi la notte , contando partir subito il domani. 11 tredicesimo giorno del mio isolamento, la continuata pioggia avendomi impedito di pormi in viaggio, m’ occupai a formare con una dozzina di quaderni di carta una gran quantità di frastagli che riposi in un tubo di latta, i quali dovevano servirmi per ispargere sul cammino, in caso dubbio, dove non fossi certo del sentiero, e così non perdermi in quella foresta. Nel visitare di nuovo le casse , rinvenni con molla mia gioja unitamente ad altri semi, qualche manciata di varie qualità di grani di maiz da me raccolti ne’ dintorni di fluito, che aveva posto in serbo per tentarne la coltura in Europa. All’ istante li feci abbrustolire, spezzando perfino uno de’ bauli per far fuoco al più presto, onde potermene servire di sostentamento in quella peregrinazione. CAPITOLO VISI Cnntinuazionr- — Ritorno « Rncz.e. (Dal 9 Luglio al 21 detto). Smarrimento nella forest a. — Disagi sofferti nc’ tre giorni di cammino. — Difficoltà superale ne’ guadi decorrenti e pantani. — L'inaspettato canto d’un gallo mi rin¬ cora. — Ritorno al (ambo di Bacia. — Inconli-o felice d’indiani della Con- cepeion. — Falsa notizia di mia morte. — Ritorno al Cosanga. — Indiani spediti dal governatore del Quixos in mio soccorso. — Abbandono de’ miei bagagli alla sponda del fiume. — Il monte Guacamayo. — Prostrazione di forze. — II rio Ckon- dacki. — Vengo portalo in groppa dalle guide. — Il rio Misagualli. — Arrivo in Archidona. Fallo appena giorno , caricai sulle spalle , involle in una rete le mie provviste, c armato ilei fucile abbandonai quel luogo in¬ fausto dove per quattordici giorni aveva sopportale tante priva¬ zioni e tante angoscie. Durai fatica a seguire sul bel principio il filo del cammino già da me calcalo, non scorgendosi, per la tanta pioggia caduta in que’ giorni, neppure le orme de’ fuggitivi miei cargueros. Dopo un1 ora circa di corsa per entro la foresta , più non rintracciando il sentiero in mezzo agli alberi rovesciali, do¬ vetti spezzar dei rami e far uso devastagli di carta, onde, appena rinvenuta la strada, poter tornare a prendere il fardello deposto. Per più di un’ ora andai vagando in tulle le direzioni , infine , quando a Dio piacque, riuscii a ritrovarlo ; ma, quasi non avessi duralo bastante fatica, dovetti di bel nuovo stentare onde rintrac¬ ciare il luogo dove aveva deposta la rete ed il fucile. Questa fu per me una severa lezione, nè volli più deporre quegli effetti per qualsiasi evento, giacche ove non fossi allora riuscito a rin¬ venirli avrei corso sicuro rischio di morir di fame, o venir sbra¬ nato dalle fiere, privo come mi sarei trovalo di qualsiasi mezzo di difesa. Obbligato a camminare nel fango sino al ginocchio, senza scarpe, nò sandali, e con un peso di circa venticinque libbre sul dorso, mi trovava ad ogni istante in procinto di cadere per terra af¬ franto dalla fatica. Finalmente udito il rumore delle acque dell1 Jana-yacu , calai alla sponda. Là mi rammentai del luogo dove dinanzi l’avevamo varcalo , ma ancor troppo impetuosa era la corrente. Per buona sorte ritrovai un lungo albero che incuneato fracassi dove l’onda era più rapida mi rese agevole il varco. Mi cacciai nuovamente nel bosco dopo essermi ristorato con un po’ di pane ammuffito. Ad ogni passo trovava sul terreno le fresche orme degli orsi e de’ja- guari. La circospezione colla quale camminava e forse anche la pra¬ tica acquistala di quelle selve, mi facilitarono quel viaggio tanto rischioso , tanto che passalo di nuovo V Jana-yacu piccolo, potei continuare lungo il lato sinistro del Cosanga. Era stremo affatto di forze e sentiva bisogno di riposare, ma ben più vivo era il desiderio di giungere al più presto a Baeza ; mi sforzai a reg¬ germi in piedi e a camminare sino alle 5 della sera. Giunto ad un certo punto in riva al Cosanga , nè ravvisando quella località, dubitai forte d’avere smarrito il cammino, temendo d’aver preso il sentiero clic mena ad Arila: non volli per allora andar più oltre, aspettando il domani per rettificare l’errore. La mia stanchezza era tale che non potei neppure occuparmi a for¬ mar una capanna, sicché mi fu forza sdraiarmi sulla sabbia ba¬ gnata dalle acque che eransi di fresco ritirate. 11 freddo però e le urla delle fiere non mi lasciarono prendere il menomo ri¬ poso. All’albeggiare del dì vegnente cercai, ma sempre invano, il cam¬ mino nel bosco, e già slava per retrocedere , quando mi balenò in mente che forse avrei di nuovo potuto rintracciarlo cammi¬ nando sempre rasente la riva del fiume. Senza perdermi d’ ani¬ mo mi posi alla ricerca, e dopo lunga fatica mi fu dato scorgere sulla sponda opposta certo segnale, che ben mi rammentava di aver la prima volta osservalo. Proseguendo il cammino fra pantani e canneti, mi trovai ina¬ spettatamente , con mia grande sorpresa, a Sicsi-playa, dove tuttavia rimaneva in piedi la capanna , nella quale avevano gli indiani fatta dapprima affumicare la carne dell’orso. Mi riposai al¬ quanto, ed ivi nascosi parte del fardello c lo stesso fucile che m’imbarazzavano oltremodo, mollo più che di questo non poteva servirmi per essersi inumidita la polvere nel passaggio delle acque. M’ internai in quella foresta monticellosa , nè volli ripo¬ sare se pria non fossi giunto a rivedere il fiume Vermiglio. 1 miei piedi erano gonfi c dolenti per i tagli e le punture fatte dai rovi e dai canneti , più non rimanendomi per tutta calzatura che due pezzi di tela. Toccate le rive del Vermiglio , trovai che quegli infami, onde impedirmi di seguitarli, avemmo tagliato il lungo albero che serviva di ponte, sicché mi trovai obbligato a passarlo a guado appoggiato a due grossi pali che mi servivano di puntello per vincere la corrente. Giunto a salvamento dall’opposto lato verso il tramonto, fui ben contento di riposare nel tambo che aveami già altra volta servito di ricovero, ivi passando una notte discretamente tranquilla. Benché fatto macilento pei tanti digiuni ; pure la mia salute conservavasi tuttavia discreta, né ancora l’a¬ nimo mio crasi abbandonalo alla disperazione. Il di vegnente, lutto indolenzito e potendo appena reggermi sulle gambe per le piaghe che dopo tanto camminare pel fango e pei sassi eransi aperte sotto le piante, quasi disperava di poter riprendere il viaggio: il pensiero però che in un giorno solo avrei potuto di là recarmi a Baeza, m’ infuse coraggio e mi fece risol¬ vere a ripartire. L’ultimo pezzo di biscotto ammuffito avendomi servilo il giorno avanti, per unico nutrimento mi restavano due pugni di maiz ab¬ brustolito. Attraversai coi più grandi stenti quelle selve e quelle paludi, facendomi strada col coltello in mezzo ai cespi che intercet¬ tavano il cammino, obbligalo più volte a camminare carpone colla faccia nel fango sotto que’ canneti per non perdere il filo del sen¬ tiero che trovava chiuso d’ogni parte, probabilmente per opera de¬ gli stessi miei cargueros , o in causa delle pioggie. Aveva camminato sino alle 4 pomeridiane, né per anco trovato indizio d’essere vicino a Baeza. Le mie forze erano abbattute ed aveva fame, non avendo inghiottito più d’una trentina di grani di maiz, giacché {enea in serbo il rimanente per vivere almeno sino al giorno successivo nel caso che non mi fosse stalo concesso di giungere in quello a Baeza. 11 dubbio di averla oltrepassata mi aveva posto al colmo della disperazione, e già stava per formare un piccolo tambo onde passarvi la notte, quando dopo mezz’ora che inerte me ne stava seduto sur un tronco d’albero pensando alla disgraziata mia sorte, mi si fa sentire da lungi il canto d’un gallo. Tendo di nuovo l’orecchio c mi accerto non essere quella una illusione, rinnovandosi poco tempo dopo io stesso suono. Al¬ l'istante il mio coraggio ritorna a sì inaspettato soccorso, mi sento rivivere, e gettatomi genuflesso, grido: Sono salvo! Dio mio , io fi ringrazio ! — 07 — in mezzo a quella boscaglia non poteva ben discernere da qual lato venisse il canto, ma più andava avanzandomi, c più tro¬ vava facile lo scorgerne la direzione colla bussola tascabile; senza curarmi più d' altro dopo aver superalo una collina e fatto circa un quarto di miglia , ecco trovarmi inaspettatamente al (ambo di Baeza. Sul limitare stavano alcuni indiani suonando con pic¬ coli Hauti di legno , i quali non appena mi scorsero si mi¬ sero a fuggire , non sapendo chi mi fossi , ed avendomi forse tenuto in quell’ arnese e colla lunga barba scarno e sfigurato per qualche fattucchiere. Non mi curai di chiamarli , ed appena entralo mi gettai su delle pelli, chiedendo al padrone che mi aveva riconosciuto, di ammanirmi subito con che saziar la fame. Chie¬ stogli se i miei indiani fossero di là passali, mi rispose come non si fossero fermati che il tempo di avvertirlo della mia morte av¬ venuta nel passaggio del Cosanga, c quindi del loro ritorno onde darne avviso al presidente. Una tal menzogna , che mostra di quanta perfidia siano capaci quc’ barbari, mi fe’ fremere di rabbia, ed avrei voluto ritornarmene a Quilo per vendicarmi ; ma quel viaggio era troppo faticoso e fuor di proposito, giacche avrei al¬ lora dovuto abbandonare tulli i miei oggetti deposli sulle sponde del Cosanga ed a Baeza. Gli indiani, i quali al momento del mio arrivo stavano sul limi¬ tare del l ambo , erano del Quixos, provenienti da Avila, giunti per altro cammino, che recavansi a Quilo con alcune cariche di pila ((ilo d’ agave) per venderle su quel mercato. Essi avevano do¬ vuto tornarsene indietro al rio Maspa per avervi i miei cargucros rollo il ponte non appena varcatolo , certamente onde impedire eh’ io li inseguissi. Li ritenni al mio servizio , pregandoli a vo¬ lermi condurre ad Archidona tosto che mi trovassi in grado di reggere al viaggio loro promettendo in premio, appena colà arri¬ vali, varj oggetti di ornamento. Essi non dovendo allungare la strada che di tre giorni per ritornare ad Avila, acconsentirono ad accompa¬ gnarmi pel prezzo stipulato. Allora, aperta una delle cassette quivi rimaste, feci loro varj pre¬ senti, sentendo pur troppo il bisogno di tenermeli amici. In una di quelle cariche trovavansi alcune bottiglie di rhum e carne secca, che dovevano servirmi nella discesa del Napo e rio delle Amaz¬ zoni; ma fui ben contento di giovarmene allora facendone parte alle nuove mie guide. Mi medicarono le piaghe dei piedi con un- 10 — 98 — guenlo composto di grascia d’orso, di pecaris e di altre varie dro¬ ghe, del quale vanno sempre provvisti ne’ viaggi, e clic io trovai efficacissimo. Il padrone mi vendette due paja di sandali di corda per calzatura. 11 lo si partì di buon mattino, lasciando tuttavia colà in de¬ posito le tre cariche ; senza alcun fardello sul dorso , e con un semplice bastone in mano seguii quegli indiani, sostando il pri¬ mo giorno al fiume Vermiglio. Il dì seguente giunto al lambo, ripresi il fucile c gli altri oggetti ivi deposti; si camminò sino all’ Yana-yacu, e dopo un’ora di ri¬ poso si proseguì fino a notte, arrivando al Cosanga nel luogo stesso dove avea passali quattordici giorni di dolorosa agonia. Al nostro arrivo vidi dall’opposto lato del fiume acceso un gran fuoco, si¬ curo indizio di essere giunto colà qualche indiano da Archidona. Poco dopo tre indiani al primo vederci fecero il segnale di sa¬ luto ; invitati da me ad avvicinarsi, uno di loro, passalo il fiume a nuoto, venne ad annunziarmi trovarsi essi colà già da due giorni, spedili dal governatore d’Archidona in cerca di mie notizie; avendo questi saputo dalla truppa di Yumbos , clic pei primi avevano la¬ sciato Papallacta , come io fossi già da quaranta giorni partilo da Ouito a quella volta. Venivano essi per prestarmi ajulo in caso di bisogno, coll’ordine di proseguire il viaggio insino a che mi avessero incontrato: l’in¬ diano mi presentò altresì una lettera del D. Villavicencio , in cui questi ni’ invitava gentilmente alla sua abitazione al Napo. Confortalo da tali notizie , feci collocare in luogo più asciutto i miei bauli che erano tutti ammuffiti, levandone la più parte de¬ gli oggetti di storia naturale, uccelli, insetti e semi tulli rovinali dall’ acqua , e feci coprire il rimanente con foglie , dovendo per forza ivi lasciarli , giacche non polevasi per anco traversare il Cosane/ a che a nuoto. Il 17 passai il fiume portando sul capo pochissimi effetti per vestirmi , e partii accompagnalo da sette indiani. Il cammino da quella parte era più asciutto ma lutto montuoso; si valicò il Gua- camayo e s’arrivò all’ A Imorzadero, cioè alla vetta di quella mon¬ tagna, ove si sostò per un’ora. Il Guacamayo è ritenuto vulcano per le forti detonazioni che di sovente si fanno udire , le quali certamente però altro non sono che i controcolpi del vulcano Svnmco che sta al 2° lai. sud o ad 1°, 20' di long, da Qu ito o del Sangui nel Cantone di Ma- cas4). Gli indiani superstiziosi valicano quel monte con somma paura, credendolo il convegno degli spirili. Un indiano non si ar- rischiercbbc a compiere solo quel viaggio per qualsiasi urgenza ben più per la tema degli incantesimi di quello che per le fiere, le quali ivi hanno i loro covi. Si passò il Tiurcko c si dormì sul monte d’ Urcu-Sicki. Nella notte dovetti sopportare un freddo intensissimo, non avendo po¬ tuto portar meco con clic coprirmi. In questo giorno si osserva¬ rono moile scimmie sugli alberi, ma non potei andarne alla cac¬ cia, avendo dovuto smontare il fucile e riporlo ne'bauli prima di gettarmi a nuoto. Il 19 partili da Urcu-Sicki s’arrivò a Sara-yctcu , dove ci risto¬ rammo con un po’di ciclici di cionla , bevanda corroborante, e si proseguì il viaggio guadando i due fiumicelli Asna-yacu c Cabal- lo-guaynusca-yacu . Alle G poni, toccammo le sponde del fiume Ckonduci , il cui letto ha non meno di 200 metri di larghezza. Era questo il fiume al (piale aveva divisato dirigermi allorché fui la¬ scialo solo; ma mio Dio! a quanti stenti, a quai rischi io mi sarei trovato esposto, fra que’ monti, in mezzo a quelle selve, dove più volle gli stessi indiani perdevano il filo del cammino. Io avrei voluto riposare colà , essendo ollremodo stanco e malconcio nei piedi; ma aveva a clic fare con indiani irragionevoli, i quali non vogliono fermarsi se non in luoghi previamente fissali, c che mi avrebbero senza dubbio colà abbandonato appena mi fossi oppo¬ sto, quantunque quivi spedili in mio soccorso. Mi dovetti quindi strascinare alla meglio sino ad Aya-loma , dove caddi spossato dalla fatica. Ivi si sostò la notte, avendo percorso nella giornata sei lunghi samais , che sono Urcu-sicki, Cianci n-bana, Sara-ycicu , Pungara-loma , Gammi-Ionia , rio Kondachi ed Ay a- Ionia. Mi forzai al dimani, giorno 20, di reggermi in piedi, ma sempre invano; allora le mie guide per non perdere tempo si decisero a caricarmi in groppa, avendo formato con un pezzo di legno e 1) Sul Guacamayo non si osservano traccio alcune di vulcano, avendolo l’autore vali¬ cato e percorso in tutta la sua estensione ed elevazione. Si fa quest’osservazione per retti¬ ficare un piccolo errore incorso dai geografi, e nella preziosissima opera del signor F. C. Marmocchi intitolata: Corso di geografia universale. — Vedi Descrizioni dei Vulcani: — a 11 Guacamayo sta alle falde della giogaja della parte orientale presso alle sorgenti del Rio .Napo, ce. a pag. 480. — 100 — duo cordo una specie di lettiga, e dandosi Io scambio ad ogni sci- mais. Quel mezzo di trasporlo era per me un continuo martoro , poiché ad ogni passo una canna, un ramo, un arbusto spinoso mi arrecavano punture, graffiature alla faccia ed alle gambe, non mancando quella incomoda giacitura di produrmi il crampo nei piedi , in modo tale clic quando stanchi mi deponevano a terra, mi trovava costretto a restarmene sdrajalo. II cammino faeevasi sempre migliore e più asciutto: nella giornata provammo un caldo straordinario, essendo avvenuto un gran cambiamento nell’ atmo¬ sfera d); gli indiani uccisero due serpi, una da loro chiamata Echis (scacchi), per la figura delle macchie rosse ( Collider corais. Sebi.), e l'altra detta Sciscindi , a macchie biancastre ( Coluber eximius) , ambedue molto comuni nel Quixos. I boschi erano animali dal canto di miriadi d’uccelli, e di quando in quando scorgevansi le impronte d’ innumerevoli pecaris che ivi trovano abbondante pascolo. Si passò il rio N ina- caspi, così denominato da un albero resinoso dello Caspi, che abbonda in quelle foreste e clic serve a’viaggialori di eccellente combustibile essendo facilmente accendibile. Si attraversò V Huassac-yacu dove cominciano a trovarsi ad ogni tre o quattro ore di distanza al¬ cune piccole tellojc di giunchi fatte costruire per ordine del go.- vernatore, onde servire d’asilo ai viandanti, providenza clic si avrebbe dovuto adottare anche al di là del Cosanga. Si passarono in seguilo i fi u micchi Usciac-ycicu , Pungci-yacu , Munda-yacu, Caci-yacu. Da quel punto incominciai ad udire il fra¬ gore delle acque del Misagualli, il che mi riesci di sommo con¬ forto vedendomi prossimo alla desiderata meta, dopo un malaugurato viaggio di quarantacinque giorni dalla mia partenza da Quilo, la metà dei quali avea trascorsi in mezzo alla più disperante mise¬ ria. Alle 4. poni, entrai in Archidona in groppa all’ Estribevo (staffiere indiano) con indosso un pajo di lacere mutande, una cammieiuola dove teneva cucito il denaro ed altri oggetti di va¬ lore, e un pezzo di tela cerala clic mi copriva le spalle. I) Sullo l’Equatore, nel passare da una regione ad un'altra, si subiscono straordinarii cambiamenti di temperatura; nelle parli montuose si soffre gran freddo, mentre' clic nelle parti basse, a poche miglia di distanza, si devono sopportare calori soffocanti, i quali uniti allo sviluppo di miasmi pestilenziali, sono causa di morbi gravissimi. CAPITOLO IX-' (Dal giorno 20 Luglio al 26 Ottobre). Ospitalità ricevuta. — Descrizione d’Àrchidona. — Usi di quegli abitanti. — Vege¬ tazione. — Trasporto al Napo con lettiga. — Incontro del governatore alle sponde del rio Pano. — I miei bagagli rimangono per tre mesi in riva al (losanga. — Mie occupazioni al Napo. — Terreni auriferi. — Indiani del Quixos. — Loro costu¬ mi. — Ornamenti. — Abitazioni. Gli indiani mi condussero direttamente alla capanna di un tal Padilla trafficante di Quilo, dove subito mi furono somministrati abiti per coprirmi e vennero ristorale le mie forze con ottimi cibi , essendo qualche ora prima corso innanzi uno della comi¬ tiva per prevenirlo del mio arrivo. Il messo che avea spedito al Napo per dar contezza al governatore dello stato deplorabile in cui mi aveano abbandonalo le guide, fu subito il dì ap¬ presso di ritorno con presenti di viveri e due gentilissime lettere tanto del governatore don Clemente Guerrero come del dottor Vil- lavicencio, che m’invitavano a recarmi al più presto da loro; al qual fine avevano già dato ordine ai capi-justicias (guardie) che dodici uomini mi trasportassero in una lettiga. Mi fu forza però di ivi restare, non concedendomi per anco la mia salute di ri¬ mettermi di nuovo in cammino. Archidona non è che un piccolo villaggio sórto sugli avanzi dell’ antica città, e trapiantato in un bel piano in situazione più salubre a pochi passi dal rio Misagualli. La vista che di colà si gode ò deliziosa , presentandosi alFoccidcnle le due catene delle Cordigliere di Guacamayo c de lus Galeras che hanno una dire¬ zione dal nord al sud ; al nord rocchio si posa sull’alta vetta del vulcano Sumaco che si erge regina sulle circostanti montagne. È residenza di un capo politico o governatore inviato dal Governo equatoriano, di un tenente con sei just icias o officiali c Uccidi , clic si mutano ogni anno, e di altri sei officiali subordinali ai cenni del governatore. Deplorabile c lo stalo attuale di quella provincia, la quale deve attribuire il suo decadimento all’ obbrobrioso commercio che pel passato unicamente esercitavasi da alcuni avventurieri, dai gover¬ natori e dagli stessi missionari, tulli dediti soltanto a far incetta di oro per lor conto. Illimitata era la loro autorità ; a capriccio amministravano la giustizia e tutti i mezzi mettevano in opera onde estorcere a quegli sciagurati il frutto delle lor fatiche. Impo¬ nevano balzelli esorbitanti; esigevano 12 pesos , ossia sei casi¬ gliani d’oro come tributo, e per forza a titolo di cambio fra loro ripartivano due volle all’ anno a prezzo esorbitante varj effetti di vilissimo valore, come tela tucuyo , vetri colorati, esigendo in pagamento oro in polvere, tabacco o quanto più conveniente essi credevano, castigandoli poi severamente se non ubbidivano a’ loro comandi. Così quegli sciagurati, con iscandalo generale, erano co¬ stretti lavorar pei soli governatori e parroci. Non poterono però più a lungo frenarsi; e avidi di vendicarsi, si sollevarono in massa assassinando i parroci ed il governatore Torres. Poco vantaggio però ne ricavò il Cantone, giacche alcuni di quegli indiani riti- raronsi nell’interno de’ boschi, altri emigrarono rimontando YAn- supì ed il Napo, ed i pochi che ivi rimasero divennero insocia¬ bili, insubordinali c ladri. Il villaggio è ora diviso in tre parti : quelli clic hanno le loro capanne al nord sono chiamali Janai , o della parte alla; quelli che abitano all’est chiamansi Urea, o della parte della montagna e de! rio Mollili; c quelli dell’ owest Vrois , o della parte bassa. Questi ire quartieri ( particlos ) sono poi divisi a seconda dei mestieri, conservandosi fra loro una specie di gerarchia, ed essendo raris¬ simo il trovarli tutti riuniti anche nel caso di una gran festa, o di una caccia o pesca. Si veggono ben poche piantagioni nelle vicinanze delle loro case, ivi non dimorando che poche volte in lutto l’anno. Questo passare la più parte del tempo ne’ loro lombi che trovatisi a tre o quattro giorni di distanza, e lontani l’uno dall’ altro più di una lega, fa sì che non si possano visitare tre famiglie in un giorno. Oltre a questi hanno altri tambi ancor più lontani nell’interno de’ boschi, dove vanno a far le loro caccie. Giacciono tuttavia nella più profonda barbarie, forse più fune¬ sta dell’antica, poiché avendo i bianchi insegnato loro a estrarre acquavite dalla Banana musa , da essi chiamata platano , diventa¬ rono dediti sommamente all’ ubbriachezza, che ò la passione ivi predominante ; odiano i forestieri, tenendoli per istrumenti d’op¬ pressione, e vengono ritenuti dall’assassinarli soltanto dal timore o dalla necessità di avere gli oggetti dei quali abbisognano. Questi indiani sono brutali nei loro modi c costumi; diman- — 105 — tlano quanto veggono nelle mani del viaggiatore senza nemmeno far cenno di retribuzione; che anzi pretendono sia obbligo di co¬ loro cbe li visitano offrir regali in compenso dell’avcrli tollerali; nè si scusano o mostrano rossore allorché sono còlti a rubare ed aprire le casse clic furono loro affidate per trasporto. I fanciulli fuggono con terrore all’approssimarsi del bianco. Le donne coi loro mariti recano viveri , cioè mandi, banane , yaca , aguacate , galline, uova, ananas e canne da zucchero in cambio d’effetti, di veleno ticunas o di sale, i quali due ultimi oggetti, di cui son privi, provengono da Quilo o dal Maragnone. Quasi per abitudine, e come avvenne anche a me, questi in¬ diani hanno il perverso costume di gettare al suolo il carico loro affidalo dai viaggiatori, sotto pretesto d’infermità, rompendo ser¬ rature e rubandone il contenuto, massime quando trattasi di prov¬ vigioni. Rimangono così gli effetti per intere settimane o mesi nei boschi, appesi talora agli alberi ed esposti a tutte le intemperie, finché vengano altri uomini a raccoglierli c trasportarli alla loro destinazione ; sono questi designali col nome di aillus (fratelli). Prima però di porsi in cammino fanno baldoria per tre o quat¬ tro giorni, e ne impiegano altri quattro per provvedersi del ne¬ cessario ; così sciupano almeno dicci giorni pria che si decidano a lasciare la casa. Intanto buona parte del carico va perduta, nè si può far loro la menoma protesta o dirigere alcun rimprovero, non essendo suscettivi di conoscere la malvagità dell’ azione commessa. Allorché si sia costretti a passar a minacele, fuggono nei loro (ambi e non ritornano al villaggio che dopo tre o quattro mesi, emigrando talvolta, se l’affare è grave, in altro territorio per vi¬ vere. Chiesi un giorno ad un vecchio indiano che veniva a vi¬ sitarmi , del perchè così pochi individui dimorassero stabilmente nel villaggio, c tenessero così lontani ed isolali i campi coltivali. Al clic mi rispose cbe se avessero agglomerale le loro capanne, subito i bianchi vi sarebbero venuti a vivere a loro spese, im¬ ponendo gravissime retribuzioni, nel mentre clic invece nelle at¬ tuali condizioni, se questi vogliono rimanervi, sono costretti a pa¬ gare i viveri, ed eglino intanto se la passano nella più compiuta libertà ed indipendenza. Questi indiani vengono battezzali soltanto per formalità, giac¬ ché vivono immersi nella più gran dissolutezza , e nutrono il — i 04 - maggior disprezzo per le cose di religione e pei xsuoi ministri , persino ignorando il segno di croce. Tengono nelle loro capanne alcune immagini di Santi, non già per divozione, ma solo per un titolo o pretesto di fare delle feste co’ loro vicini , per bere ed ubbriacarsi ; sarebbe cosa utilissima che il Governo ed i par- roclii vietassero l’uso di qualsiasi bevanda spiritosa, giacché allora soltanto i forestieri non correbbero il rischio di venire insultati da tali crapuloni. Ad ogni festa che fa l’indiano, paga un dollaro ( pesos ) al par¬ roco sia in polvere d’oro, sia in tabacco opita (specie di canape); invita poscia i parenti a danzare, far baldoria, nò pensa a met¬ tere il piede in chiesa. Il parroco ha il diritto di percepire da uno a due pesos in oro per la decima, altri quattro pesos per la celebrazione di un matrimo¬ nio, contribuendone metà Io sposo e metà la sposa; i vedovi non pagano clic la metà. Al mio passaggio già da tre anni tutta la provincia del Quixos trovavasi senza parrochi, quello d’ Àrchidona essendo morto di epatite, c l’ altro di Conccpcion essendosene ritornato a Quilo. Dopo clic per ordine governativo venne imposto a’ parrochi di non più attendere ad alcun commercio, nè di ricevere od esigere decime dagli indiani, limitandoli, per i tanti abusi, ai soli annuali stipendi loro assegnati, nessuno più crasi presentato per occupare quelle cariche; sicché quegli abitanti, interamente in balia a loro stessi , erano ritornali allo stato selvaggio , lasciando andare in rovina la chiesa formata di bambous c coperta di foglie di palma. Di canne è pure la casa del governatore o cabildo, al pari delle altre capanne. Abbenchò tuttora in uno stato di somma prostrazione pei di¬ sagi sofferti, addoloralo per le tante piaghe ad ambo i piedi non ancor cicatrizzale , pure mi risolsi partire da Àrchidona il 28 luglio, avendo prevenuto il giorno prima gli indiani che dove¬ vano trasportarmi in lettiga , e fatto a ciascuno distribuire un braccio di tela lucuyo. Formarono la lettiga con due grossi bam¬ bous uniti per mezzo di altri due traversali, nei quali intrecciando eortcccic sottili di fronde formarono un sedile. Questo palanchino di sì strana foggia viene portato a spalle da sei persone, tre da¬ vanti e tre a tergo, che camminano d’un passo uniforme; altri sei precedono a disporre il cammino e tagliare i rami servendo poi di mula ad ogni fermala (Vedi Tav. XII, fìg. 1). — 105 — Si passò il rio dello Lagarto , indi quello di Macin-yacu, e si arrivò alle sponde del Misagualli dopo due ore di corsa rapidis¬ sima traverso una folla boscaglia. 11 Misagualli misura circa 150 braccia di larghezza al punto dove si guada. Ha origine nell’Anlisana, riceve varj confluenti, il Kondacki, il rio Ilollin , il Ninci- caspi , il Terni ed il Pano, e si scarica nel fiume Napo circa quattro leghe più in basso del tra¬ ghetto. Stante 1’ altezza delle acque tulli e dodici gli indiani si unirono per portarmi a braccia alzate nella lettiga, mantenendosi ritti e dando prova di molta vigoria nell’ attraversare quella ra¬ pida corrente che loro giungeva sino al collo. Si fe’alto non ap¬ pena giunti all’opposta sponda onde rifocillarci, c si fece lo scam¬ bio. A mezzodì arrivammo al Terni ed al Pano , il primo veloce di corso ma profondo non più di due o tre metri, il secondo più tranquillo ma più profondo dell’altro; per evitare quel passo fum¬ mo obbligati dirigerci quattro quadre più in basso, al punto ove confluiscono i due fiumi, varcando ivi felicemente all’altra sponda. Al di là del rio Pano con mio sommo conforto vidi una mol¬ titudine di persone che formavano la scorta del governatore del Quixos, don Clemente Guerrero, col quale tosto m’abboccai. Egli mi disse come recavasi espressamente ad Archidona per avere mie nuove, per dar parte dell’infame abbandono delle guide al pre¬ sidente della Repubblica, c chiederne una severa punizione : in pari tempo mi promise di spedire tosto un drappello d’ indiani onde ricuperare le mie cariche abbandonale in riva al Cosanga ; essendo ora larda ci congedammo per riprendere ambo il cammi¬ no. Arrivai al Napo alle G poni. Tutta quella strada continuava piana e come al solilo fangosa tra folte boscaglie e paludi, dove ad ogni tratto un albero caduto, una liana, un ruscello ci im¬ pedivano di avanzare, e mi mettevano spesso in pericolo di capi¬ tombolare dalla lettiga. Si contano sei leghe da Archidona al Napo per le tante sinuosità del cammino indispensabili onde evitare i passi difficili ; in linea retta si farebbe poco più della metà. Mi recai al tambo, dove da più mesi abitava il D. Yillavicen- cio, che mi accolse coi modi più cordiali, c mi volle a suo ospite per lutto il tempo che avrei ivi contato di dimorare. I) La quadra spagnuola è di 130 braccia di lunghezza cd altrettanto in larghezza. La lega spagnuola c di 36 quadre o 3500 braccia ( varas ). — 100 — Era mio desiderio di partire al più presto possibile onde discen¬ dere al fiume delle Amazzoni; ma trovandomi nella necessità di dover aspettare gli effetti , vi dovetti a mio malincuore passare tre mesi. Le continuate pioggie e le nevi de’ vulcani Auliscimi c Colopaxi cagionarono una piena tale, che per tutto il mese d’agosto rimasero inlercelle le comunicazioni con Quito, e tutti gli indiani spediti dal governatore per ricuperare parte almeno de’ miei og¬ getti, furono obbligati retrocedere senza aver potuto traghettare il Losanga. Durante quella lunga dimora nel Quixos m’occupai in compa¬ gnia del nuovo mio amico, zelante cultore delle scienze naturali, di ricerche entomologiche ed ornitologiche, riescendomi facile il formare una raccolta di variali e rari esemplari; feci pure un erbario di crittogame e di fuchsie, non tralasciando di stendere an¬ notazioni sui cantoni di Quixos e Canelos, sugli usi e sui costumi di quegli indiani , intorno a’ quali non sarà discaro al lettore se mi diffonderò alquanto, essendo que’ luoghi ben poco frequentati dagli stessi equaloriani. Ove il Napo comincia a divenire navigabile trovasi un piccolo villaggio di circa trenta a quaranta capanne denominalo Pucrlo de Napo, il quale fu altre volle residenza di un correggitore e vice¬ superiore della missione gesuitica, situato a 1° 20’ di longitudine orientale, ed 1° 40’ di latitudine meridionale da Quito. Questo fiume ha origine dal Colopaxi nelle Andes dell’Equatore, passa per Valle - Vicioso , scorre per ben 50 leghe prima d’essere navigabile, ricevendo le acque d’ innumerevoli rivi che formano come un’ estesissima rete, e va a scaricarsi nell’immensa fiumana delle Amazzoni. Il villaggio è diviso in due quartieri, il basso e 1’ allo , che è più bello c meno umido; raspollo del luogo non offre gran cosa di notabile, essendo tutto circondalo da boschi sì dall’un lato che dall’altro del fiume, solo Io sguardo riposando nell’azzurro delle Ande. Al mio arrivo la più parte degli indiani erano partili dietro licenza del governatore per alcune settimane, onde lavar oro col (piale pagano l’annuo tributo al Governo. Questa licenza è per loro causa d’ infinito giubilo, giacché ne approfittano per passare quei giorni di perfetto ozio nei loro boschi, non amando, come già dissi, di vivere in società, e ricavando in soli due o tre giorni la quan¬ tità di metallo in pagliette sufficiente per soddisfare il Fisco. _ 107 Gli indiani del quartiere inferiore avendo da qualche tempo ab¬ bandonate interamente le loro abitazioni, avevano formato un nuovo villaggio ancor più in basso, che denominarono Laguano , e ciò allo scopo principalmente di starsene separati da quelli della parte alla, coi quali si trovavano in rivalità e in continue risse. I boschi circonvicini fanno pompa d’ima vegetazione lussureg¬ giante; i terreni sono fertili ed alti ad ogni cultura, abbenchè pre¬ gni di particelle d’ oro e di mica. Le poche ortaglie coltivale da due o tre bianchi colà stabiliti danno frulla squisita, ananas, riso, caffè, canne da zucchero; una straordinaria piena del fiume aveva però quasi ridotte al nulla quelle poche piantagioni. La più parte degli abitanti del Napo hanno le loro Rancerie (ca¬ panne) lungo il fiume Ansupi , dove il terreno essendo assai pro¬ duttivo , giungono con poca fatica ad ottenere quanto può loro bisognare pel sostentamento giornaliero della famiglia. Ciascun indiano è obbligalo di pagare annualmente al Governo tre castigliani d’oro in pescagione ed in pita {agave americana) o tabacco. Dividonsi in oreroso cercatori d’oro, e pileros lavoratori di canape. I primi abitano sulle sponde de’fiumi, cioè del Napo, Napoloa , Pagammo, Laguano , S. Rosa , Sano. Gli altri dimorano nell’ interno del Quixos, e sono quelli d ' Archidona, Loreto , Avita , Concepcion , coltivatori d’agave e di tabacco. Gli abitatori del Quixos vengono indistintamente chiamali Yum- bos, benché veramente non appartengano a codesta tribù e par¬ lino la lingua quichoa; la loro pelle è lucente, color di rame ; sono per ordinario di statura alta , forniti di folli e neri capelli, non vedesi alcuno fra loro affetto da gozzo o da rachitide; hanno lineamenti regolari, occhi grandi, fronte spaziosa, corporatura snella. Si colorano la faccia, le braccia, le gambe come in antico prima della conquista , e lo fanno con varie erbe e sughi , manduro , aciote o roucoù, che danno un bel rosso, e coi semi di un alto albero detto guito che tinge in nero , rimanendo indelebile per due o tre settimane. Tanto gli uomini che le donne c i ragazzi si dipingono col gitilo sì le mani che i piedi; altri poi se ne im¬ piastricciano tutta la persona aH’oggello di preservarsi, come essi credono, dalla morsicatura e puntura d’insetti, mosquilos, arenillas e comejen ( termiti ). II loro vestiario consiste in un pezzo quadralo di tela detta eiusma, che tingono color caffè o Idea, nella quale praticando un — JOB — (aglio nel mezzo, introducono il capo, loro servendo di camicia e di mantello, ed in un pajo di corte braghe clic chiamano baleni della stessa tela tinta di egual colore (Vedi Tav. VI, fìg. 2). Gli uomini ed i fanciulli portano per ornamento al collo un piccolo collare fallo di pictruzze nere da essi medesimi lavorate miste a perline di vetro. Le donne si adornano di filze di vetri colorati e di sementi che chiamano ciambyra-muyo ; portano una sottana stretta, corta, detta paccio , legata a’fianchi con una cin¬ tola di grossi semi neri detta mackana-muyo. Tutti vanno a piè scalzi. Si conciano il capo alla 'guisa dei nostri frati , lasciando all’ingiro i capelli alquanto lunghi; nei dì festivi portano gli uo¬ mini in testa una corona o cerchio formato con piume d’uccellelli, ed una collana pure di penne a variopinti colori, loro principale ornamento. Questi indiani sono di una velocità incredibile quando viaggiano pei loro boschi, e ponilo resistere ai più intensi calori ; ma al¬ trettanto soffrono quando si recano nelle regioni fredde, trovando facilmente la morte al passaggio delle Ande, eli’ essi a buon di¬ ritto chiamano Sepulcro de los Yumbos. Del resto sono pigri al lavoro, ghiottoni, codardi e ladri. Le loro case dette huassi hanno due scompartimenti clic chia¬ mano ciancia; sono costruite con canne «li guagua e pindos che a mala pena li riparano dai frequenti attacchi degli yaguari nu¬ merosi in quella provincia. La lunghezza totale è di 20 a 25 brac¬ cia su 10 a 15 di larghezza, con porte di tavole, senza serra¬ tura di sorte; dormono su piccoli calvi detti cahuitas, costrutte pure di canne, all’altezza di mezzo piede dal terreno, c là pas¬ sano oziosi la più parte del tempo. La teltoja è formala con foglie di paglia fugatila che cresce spontanea ed in abbondanza. Le case sono infestate da centopiedi, scorpioni, ragni velenosi di gros¬ sezza meravigliosa, poco dissimili dall’ Arena aviciilaria, da lu¬ certole, pipistrelli, grandi blatte, scarafaggi c mille altri generi di inselli, in modo tale che non si potrebbero abitare, ove una be¬ nefica formica detta cazadora (caccialricc) non venisse a visitarle ogni cinque o sei giorni dando la caccia a lutti indistintamente quegli schifosi ospiti. Questa ammirabile repubblica di piccoli culi vive sotto terra in tane vaste fatte a mille compartimenti; escono ogni mattina, e tutte unite o divise in colonne si dirigono alla capanna destinala — 109 — ad essere loro preda; quivi prendono al momento differenti dire¬ zioni, vedendosi in un batter d’ oecliio a migliaja arrampicare sui pali, sui tavoli, sulle tettoje, dove snidano gli insetti c sino i pi¬ pistrelli che non tardano a cader al suolo coperti di formiche, le quali per nessun modo si staccano finche non li abbiano uccisi. Al primo loro apparire si è obbligati di lasciar immediatamente la casa per tutto quel giorno, poiché esse mordono e pungono aspra¬ mente chiunque dia loro molestia. L’ avvicendarsi di un eccessivo calore e di diluvii di pioggia rende molto malsano il clima del Napo ; V umidità è tale che in due o tre giorni ogni sorta di provigioni si guasta, e le lingerie divengono tutte macchiale da una muffa, che è indelebile c resi¬ ste a qualsiasi bucato. Le febbri intermittenti sono molto comuni : ma però prendono raramente un carattere infiammatorio , se non sul principiare o sul finire delle pioggie, come al Guayaquil. Nelle febbri intermittenti o frios in que’ luoghi, e che mi venne dato più volle d’osservare, gli intestini che sono il più di sovente attaccati sono il fegato e la milza, in ispecial modo quest’ ultimo si dilata e si gonfia considerevolmente. Vi accadono anche alcuni casi ove 1’ ammalalo è colpito dai frios in unione ad ostinata dissenteria ; in questo caso il fegato diventa la sede di una violentissima congestione , e 1’ ammalato muore in 5 o 4 giorni al più, sprovisti come lo sono de’ rimedi atti a calmarne l’ irritazione intestinale, ed a troncarne pronta¬ mente quelle febbri col chinino. CAPITOLO X Continuazione» Loro villo. — Caccia. — Pesca col barbasco. — Differenti qualità di bevande. — Idee religiose dògli indiani. — Feste. — Funerali. — Morte di un Quilegno. — Sepoltura. — Credulità e superstizioni. — I Ckandischas. — Loro cure. — Anti¬ dolo contro il moiso delle serpi. — Singoiar modo di apparecchio per la caccia. — Armi degli Yumbos.— Veleni dei Colorados. — Modo di prepararli. 11 cibo ordinario di colesti indiani consiste in ignami, yuckci, mundi arrostili e banane verdi abbrustolite. 11 mandi , che lien lor vece del pane, è una pianta alla un braccio, con foglie largite, for¬ nita di tuberi bianchissimi e grossi non meno delle nostre rapo, dolci e farinacei. Sono assai ghiotti delle carni di selvaggina, ri¬ portando delle loro caceie scimmie , uccelli, cignali. Si nutrono pur anco di rettili, rospi ed insetti; sono abili pescatori, ed in certe epoche dell’ anno sogliono radunarsi in gran numero per partite di pesca clic durano non meno di otto a dieci giorni. Io volli esser presente ad una di queste, e ne rimasi assai soddis¬ fatto, avendo potuto scegliere moltissimi esemplari che riuscii a conservare nell’alcool. Le specie comuni a que’ fiumi erano i Pa¬ gri c Bocacicos. In un sol giorno più di duemila pesci di differenti grossezze furono pescali nel rio Pano. La ricca preda venne divisa in parte eguali fra tulli i concorrenti, clic si affrettarono a farla seccare ed affumicare per conservarla. Ciascun indiano che intende partecipare alla pesca, porla seco la sua rete ed un fascio di radici del barbascum , albero clic ab¬ bonda nelle vicinanze di' Ar elùdono, delle quali aveano fatto prov¬ vista poco tempo prima. Così uniti partono di conserva pel luogo destinato, seco conduccndo anche i figli e le donne. Appena siano arrivati, pestano colle pietre quelle radici, e scelto un punto dove il Ietto sia profondo c la corrente tranquilla, le vanno rimesco¬ lando raccogliendole in una reticella; alcuni s’immergono sott’a¬ cqua con parte di queste radici soppcsle fornite della proprietà di atlosieare, mentre altri armali di lunghe canne rimontano il fiume, ed obbligano i pesci a concentrarsi in quel luogo. Dopo un breve spazio di tempo questi si veggono galeggiare alla su porli - Ili — t ic capovolti e trasportali dalla corrente. In allora lutti si gettano nel fiume, lenendosi stretti gli uni agli altri, e vanno raccogliendo i pesci intorpiditi da tal veleno, cambiando il giorno consecutivo di luogo, e sempre così finché non abbiano terminata la loro prov¬ vigione di barbasco Gli abitanti del Quixos , come già accennai, fanno un uso smo¬ dalo di bevande incbbrianli dette chicha di palanchi , di ijucka , d 'iziaspa, paciack, banane , vinillo e ciunta secondo le sostanze da cui vengono estratte e il lor modo di preparazione. La chicha delta palanda-ayu vien preparala facendo arrostire il platano (banana) ben maturo, indi pelalo c soppeslo , depo¬ nendolo sopra foglie larghissime dette ayapanga; durante questa operazione uniscono all’ impasto una polvereo fioritura rossa che ottengono artificialmente tagliando a piccoli pezzi il fusto d’ un arbusto della yuca- brava che abbrustolilo espongono alla rugiada per otto giorni, al termine de’ quali compare sul tronco così tor¬ refatto una muffa bellissima color scarlatto, di buon odore, che al pili leggiero soflìo si stacca. Questa polvere ha la proprietà di far fermentare ed inacidire l’ impasto di banane che si lascia in¬ volto in quelle grandi foglie per un dato tempo, passalo il quale la preparazione è compiuta. Quando se ne vogliono servire, pren¬ dono un po’ di questa sostanza, la stemprano nell’acqua fredda e la tracannano, riuscendone una bevanda assai nutriente e così sostanziosa, clic molli indiani passano intere settimane senza pren¬ dere altro nutrimento. La chicha di yuca o lumo-ayà (in lingua quichoa) vien preparala in due maniere: la prima facendo arrostire sulle bragie la yucka e adoperando lo stesso processo di quella di banane: si può ot¬ tenere nera o bianca secondo il grado di torrefazione. Coll’altro processo si fa bollire la yuca raspandone prima la corteccia e allora vien chiamata paciack. Per preparare la tziasplia o chicha bianca pelano la yuca e la fanno cuocere , dappoi la vanno masticando e la sputano fuori entro una batea o vaso di terra, mesehiandola all’ altra che venne di già soppesta: in tal modo dopo la fermentazione se ne servono stemprandola in acqua tiepida. II vinillo preparasi mettendo quattro piccoli pezzi di legno in croce sul focolare, c collocandovi sopra otto o dicci zucche. Ap¬ pena queste sono arrostile le pestano e schiacciano unendovi poca — m — quantità di cliicha vecchia c di banane sia verdi clic mature. Ne riempiono un otre o una giara di terra, la lasciano fermentare c se ne servono nel modo già detto. Questa bibita è la più gagliarda, e inebbria più presto delle altre. Per ammanire la chicha ciunta (palmizio) raccolgono un ra¬ cemo di frutti della palma delta ciunta, ne aprono il pericarpio, ne cavano i semi, indi fanno bollire la polpa e la pestano, riser¬ bandone un po’ per masticarla e poi aggiungetela onde ottenere in tal modo la fermentazione. E questa la migliore di tutte le bi¬ bite, è diuretica, rifrescante e un po’ nutriente. S’ usa mollissimo in lutto il Cantone del Quixos e lungo il rio Napo dagli indiani Zaparos. Io pure ne faceva mollo consumo trovandola di un gra¬ tissimo sapore. Estraggono pure dalle banane un’acquavila di medriocre qualità; ecco il processo molto ingegnoso da loro praticalo. Tagliano parec¬ chi racemi o matte di banane e li lasciano maturare ben bene, indi levatane la pellicola li schiacciano in un mortajo non senza averli prima fatti cuocere. Ripongono quella massa entro giare di terra, e la lasciano così fermentare versandovi un po’ d’acqua. Ne estrag¬ gono quindi il sugo, gettandone la parte filamentosa. La polpa delle banane vien posta in lambicco, unendovi della ciccia forte, c quindi si filtra. Non si giunge ad ottenere che aequavita di 1 o a 20 gradi al più di forza, la quale ha un sapore piuttosto nau¬ seoso per chi non vi sia abituato. Assai poco, o per dir meglio affatto nulla, quegli indiani hanno saputo approfittare sì nelle arti della civiltà che in ciò che ri¬ guarda i dogmi e le pratiche della religione dagli insegnamenti e dagli esempi dei missionari e parrochi, peccando invece la più parte d’incredulità e d’idolatria. Credono nella metempsicosi al pari degli indiani del Gange; avendo un giorno chiesto ad uno degli anziani del paese che conosceva un po’ lo spagnuolo e pas¬ sava pel più istruito, che cosa mai egli credesse fosse l’anima; mi rispose all’ istante esser un soffio d’aria, che uscendo dal corpo umano al momento della morte entra in quello d’un animale qua¬ lunque, morto il quale si va ad unire ad altro corpo. E forse in conseguenza di questa credenza clic gli Yumbos amano sep¬ pellire i loro morti poco discosto dalle capanne, lusingandosi di aver in tal modo di continuo una guardia che espelle dai semi¬ nali i loro nemici, che ne allontana gli animali nocivi ed i gemi malefici, trasmigrandosi quel defunto in una tigre o in altra belva. Nei villaggi dove trovasi un parroco, ogni qualvolta uno di que¬ sti indiani cade gravemente infermo, cercasi ogni mezzo per occul¬ tarlo, trasportandolo nel bosco, e ciò onde in caso di morte non venga sepolto nella chiesa del villaggio, ove non sarebbe loro per¬ messo compiere le cerimonie mortuarie usate da’ loro antenati. 11 dottor Villavicencio mi raccontò il seguente aneddoto. Un capo indiano o curacka del Napo si ammalò e morì nel giorno stesso che gli era stata consegnata la barra o bastone di comando, in conseguenza di liquori tracannati nel festeggiare co’suoi amici l1 onorevole carica statagli conferita dal Governo equatoriano. Con¬ sapevole il parroco della grave infermità sopraggiunta al curacka, mandò ad avvertire i parenti che sarebbe accorso all’ istante per confessare il moribondo; ma con sua sorpresa non appena giun¬ se alla capanna la ritrovò vuota allatto, venendogli riferito da alcuni vicini che i parenti 1’ avevano trasportato al suo tambo ad una giornata di cammino sul rio Arackuno. 11 parroco adiralo spedì tosto alcuni indiani in traccia della fuggente comitiva in¬ giungendo loro di rimandare rinfermo al villaggio, e loro vietando in particolar modo che dopo morto venisse sepolto colà , sotto comminatoria di far disotterrare e gettare il cadavere nel fiume. Si videro allora costretti di ricondurlo nello stesso giorno al vil¬ laggio, dove per gli stenti del viaggio spirò un’ora dopo. Il cada vare venne sepolto nella chiesa. Non meno bizzarre sono le cerimonie dei loro funerali. Qnando qualche indiano muore , usano di vegliarlo per tutta una notte, radunandosi gli amici al primo tocco della campana. Congregati tutti, pongono il morto sur una piccola sluoja nel mezzo della ca¬ mera, ed incominciano le loro lamentazioni , che al solito consi¬ stono in lunghe cantilene. Indi principiano i giuochi, cui succe¬ dono libazioni di chicha e d’acquavite. Varj sono i giuochi; il più usilato è quello detto paya o del macico (scimmia), della gallina, del gufo, lutti allusivi alla circostan¬ za per la quale si trovano assembrati. La veglia dura esattamente per ventiquattro ore, c ne escono tutti uhbriachi. Al secondo tocco della campana , finito il baccanale , si trasporla il cadavere alla chiesa col codazzo dei parenti, che tengono in mano una torchia di eopal o d’altre resine. Quivi gli stessi membri della famiglia scavano una fossa non più profonda d’ un metro. Prima d’ esser portato 11 dalla casa al sepolcro, involgono il morto in lutti i suoi abiti sì nuovi clic vecchi , e gli pongono accanto tutti i suoi attrezzi di caccia e di pesca , non eccettuando la balea o bacino di legno, eolia quale lavava l’oro, i piffctni ed altri strumenti pei loro balli, e fino i vezzi di piume. La ciusma ed i calzoni gli servono di capezzale; indi tagliata per metà anche la sua piroga, sia pur nuova o vecchia , di cui usava il defunto , la fanno servire di coperchio appena sia calalo il morto nella fossa. L’ altra metà, che deve servire per la moglie di lui quando muore, viene con ¬ servata nella casa come qualsiasi altra suppellettile. Tulli gli amici ed astanti vi gettano un pugno di terra, e così vien se¬ polto. Al disopra della fossa vengono collocati alcuni vasi colmi di chicha e di maiz ; quando poi riescono a seppellirli nei loro nimbi, per otto giorni continui vi accendono al disopra un gran fuoco acciò, come essi dicono, non abbia 1' anima del defunto a soffrire di freddo. Passalo tal termine, per un intero anno vi con¬ tinuano a deporre al disopra chicha, pesce secco, fi nita, scegliendo sempre a preferenza i cibi dei quali più diletta vasi in vita. Vi mantengono eziandio un cerino di gomma copal fisso su un can¬ deliere di canne , all’ oggetto che il defunto possa a suo piacere accenderla, e quindi si riscaldi e prenda cibo ! ! — Ogni qualvolta però vi muore qualche bianco, nessuno si presenta alla capanna del defunto nè alla chiesa , che anzi si adoperano in tulli i modi affinchè venga tumulato in luogo appartato. Per le donne poi i funerali sono assai semplici; esse non ven¬ gono sepolte colie loro vesti ed ornamenti se non quando sieno prive di figli; in caso contrario, vengono involte in una stuoja che serve loro di lenzuolo funerario, e deposte nell’ altra metà della canoa, ogniqualvolta il marito sia morto anteriormente. Al pre¬ sente la mancanza di parrochi in quella provincia ha fatto sì che ben di rado siano sepolti nella chiesa, morendo la più parte senza che un medico li assista, nè un sacerdote li benedica. Il 7) settembre, durante la mia dimora colà, era morto un gio¬ vane trafficante di Quilo per nome Mariano Rubios, in conseguenza di un accesso al fegato prodotto da ostinata febbre perniciosa 1}. 1) Velie febbri perniciose solfo In zona torrida, l’ammalato diventa giallo arancio pro¬ dotto daH'intìammazione del fegato ed è talmente forte che di sovente trovasi rpiest’organo aeereseinto, rome l’osservammo nel soggetto sunnominato. Tanto dal dotlor \ illa vicencio , che per caso quivi dimorava, quanto da me vennero a quel meschino prestate tutte le cure c propinali i medicamenti indicali in simili affezioni ; ma tulio in¬ vano, che nel quinto giorno spirò nella capanna di certo Guillin pure di Quilo. Privo dei conforti della religione, lungi dalla sua amata madre c dalla sua patria, giovane di soli quattro lustri, ve¬ deva avvicinarsi a gran passi la fine de’suoi giorni fra straniere genti e nel mezzo di selvagge solitudini, il che lo accorava c gli rendeva amare le ultime ore dell’agonia. Mentre noi ci trovavamo sul limitare della capanna per passare all’ autopsia del cadavere, non potemmo trattenere la nostra indignazione all’udire una donna indiana quivi presente pregarci di un pezzo di quella carne onde farla arrostire, insistendo acciò noi gliela volessimo concedere ; fummo obbligati di passare a minaccie per Scacciarla di là. In¬ fine ricucito il cadavere , si dovette pensare anche a seppellirlo al più presto, corrompendosi i corpi umani in brevissimo spazio di tempo in quel clima cocente ed umido. Fummo obbligali di strappare a forza dalle mani del curaeka, o comandante del vil¬ laggio, la chiave della chiesa, poiché ci voleva costringere a sep¬ pellirlo al di fuori, per la ragione clic quella era di esclusiva pro¬ prietà degli indigeni, nulla avendo i bianchi contribuito per la sua costruzione, nè essendovi parrochi che la funzionassero. Noi stessi con altri due di Quito , posto il cadavere in un sacco che for¬ mammo con alcune braccia di tela tucuyo , Io trasportammo su due bambous alla chiesa, ed ivi scavata con vanghe di legno una fossa, lo seppellimmo. Al pari degli altri indiani, reputano provenire il più dei morbi da falucchicrie e da genj malefìci , e quindi si servono di rimedi analoghi, avendo i loro stregoni, ai quali prestano tutta la fede. Le malattie più dominanti in que’boschi sono l'epali le, le febbri catarrali, intermittenti, le cefalalgie e le dissenterie, prodotte il più delle volle dalla sregolatezza del loro vivere , dai cibi e frutti, dalla umidità e dall’eccessivo calore. Un giorno fummo invitati a visitare una donna gravemente am¬ malata di febbre catarrale, alla quale il Villaviceneio prescrisse que’farmachi che parevano indicali. Il dì seguente portatici colà per visitarla di nuovo, entrammo proprio nel momento in cui sta¬ vano esorcizzandola. L’indiano mago, senza punto curarsi di noi, proseguiva nel suo incantesimo. Frasi desso dipinta tutta la faccia di rosso, i! resto della persona in nero. Si fe’somministrarc del ta¬ bacco che involse in una foglia di maiz c tulio lo fumò, indi ne chiese un’altra porzione e rinnovò la fumata; chiamata allora l’in¬ ferma, la mise interamente nuda nel mezzo della camera ed in¬ cominciò a far le frizioni per tutto il corpo con istoffa di cotone, nella quale aveva involto una lanugine del seybo simile al cotone, con alcuni carboni accesi. A cadauna di tali frizioni soffiava su quell’involto, facendo mille contorsioni , ravvolgendo il cotone e fregandolo sulla spalla dell’inferma con una mano, mentre coll’al¬ tra faceva mostra di gettare o scacciare qualche cosa. Consumalo dal fuoco quel cotone, ed avendo cosi irritala la pelle dell’inferma, cominciò a gettarle soffi di vapore di tabacco , del quale si em¬ piva la bocca, dirigendo una corrente di fumo per lutto il corpo, alzandole fin i capelli acciò penetrasse il vapore anche sulla ca- lotlola. Compiuta questa operazione, che durò per ben mezz’ora, prese una copiosa razione di chicha, di cui le fece dono la madre dell’inferma, e uscì salutando gli astanti con tale gravità da muo¬ vere le risa. Questa operazione venne ripetuta alla stessa ora per tre giorni, alla fine dei quali 1’ ammalalo avrebbe dovuto essere ristabilito in salute. Mi dolse di non aver potuto esser presente anche le altre due volle per veder almeno se quella strana me¬ dicazione avesse prodotto il salutare effetto. Gli Yumbos si servono di erbe, di radici e sughi di piante per sostanze medicinali, nè fanno alcun conto dei medici bianchi, dei quali nessuno si arrischierebbe ad ordinare farmaci da loro non ben conosciuti, poiché in caso avverso potrebbe venir attribuito al medico raggravarsi della malattia o la morte; in tal modo nes¬ suno si cura di somministrar loro il menomo soccorso. Sanno mirabilmente guarirsi dalle morsicature avvelenate, ser¬ vendosi di una liana detta machani- huasca , la cui radice ha un odore assai grato. Quasi ogni giorno avvengono casi di morsi di serpi che in grande quantità stanno appiattate nelle erbe , sulle piante, fra i cespugli e nelle stesse capanne. Il comandante del vil¬ laggio indiano, uomo ancor vegeto, sebbene nonagenario, fornito di qualche istruzione e di esperienza, mi accertò di aver guarito pa¬ recchie persone co! puro olio di mandorle dolci, facendone pren¬ dere internamente all’ammalato in gran copia, ed applicando sulla ferita un po’ di sublimato corrosivo che procuravasi a Quito. Vi sono poi indiani i quali non paventano il morso delle serpi, che anzi riescono innocue per loro tutte le specie, e fanno pompa di quella loro arie mostrandosi invulnerabili. Sono questi chiamali col nome di Ckcinbiscka o Sanados, c formano oggetto di specula¬ zione del loro segreto, che è conosciuto da pochi. Per quanto potei sapere, gli iniziati prendono per quaranta giorni l’ estratto del guaco o gimjacum , così in bevanda come per lavarsene lutto il corpo misto ad altri sughi ed erbe solo conosciuti dai Ckanbiscìd. Passato tal periodo, ogniqualvolta avvenga che siano morsicati da serpi velenosi, ne guariscono prontamente in poche ore; di rado però succede che persino la vipera aizzala espressamente colla mano si avventi contro coloro, che hanno praticata preventivamente questa cura. Durante i quaranta giorni si astengono da alimenti oleosi e spiritosi, solo bevendo un decotto composto di erbe su¬ dorifere. Posso assicurare di aver veduti co’ miei propri occhi molli di tali individui anche nel seguilo del mio viaggio al fiume delle Amazzoni. Del resto ho già osservato, massime nell’America centrale e all’istmo di Panama, adoperarsi con felice successo una semente o fava detta cedrone , di gusto amaro, astringente, la cui raschiatura veniva amministrala in un po’ d’acqua, aspergendone anche la ferita. Un’altra fava detta ojo de vernalo è fornita della stessa prerogativa andandone sempre muniti gli indiani che attra¬ versano i boschi dell’istmo. Molti indiani però sono così indolenti che per niente si curano di applicare alla ferita i rimedi neeessarj, sebbene conoscano le cattive conseguenze del ritardo, tanto che sovente ne soccombono. Varj sono i sintomi che manifestansi nel¬ l’infermo dietro la morsicatura delle serpi; in alcune il virus sem¬ bra fornito di virtù contro stimolante, producendo quasi all’istante la coagulazione del sangue ; altre invece posseggono un veleno che agisce sopra il sistema sanguigno in modo che si vede stil¬ lare il sangue dai pori della cute in varie parti del corpo; que¬ sto è il più letale. Col sublimalo corrosivo applicalo alla ferita , ed alcune goccic d’ ammoniaca prese internamente , o un po’ di teriaca, ottenni alcune guarigioni. Le serpi più velenose di qiie’ boschi sono la Eckis , la Afua- nìnda o a scacchi, a squamine gialle macchiate di nero, in figura di un X. Coluber cocinia e Coronella venustissima. 11 Cascabelo o serpe a sonagli assai conosciuta, Crotalus durissus. La Goral , os¬ sia Coluber cor ai s, picchiettata di nero e rosso. Molte poi sono le innocue, ed avvene una acquatica di mostruosa grandezza detta Jaca-mamu (madie del fiume), la quale però è piuttosto rara e non trovasi che nelle estese paludi. E d’ uso fra gli indiani del Quixos , allorché partono per una lontana partita di caccia, dove passano più giorni, di porsi affatto nudi al di fuori delle capanne, avendo pria raccolto un fascio di ortiche, colle quali si fanno flagellare dalle lor donne; cosi cre¬ dono divenire più agili e snelli alla corsa , e riuscir meglio ad inseguire i pecaris (majali silvestri). Vidi più volte con meravi¬ glia eseguirsi tal flagellazione , e sempre dovea ridere al mirare que’ meschini che ad ogni frustala facevano mille contorsioni, smorfie e capriole stranissime. Applicano pure questo rimedio in vari casi di malattia , pretendendo con ciò che il sangue circoli più facilmente. Nè meno brutale è il modo col quale puniscono i loro ragazzi, sia quando strillano, sia quando commettono un fallo anche lieve, usando di gettar loro in faccia e negli occhi acqua di pimento (peperoni rossi) e tabacco nelle nari ; nè (inora hanno pensato a mutare quel barbaro metodo di punizione. Avvenendo una rissa fra loro, il più delle volte essa termina col buttare negli occhi del- favversario festratlo dell’ ctcki o pimento, che Io riduce per più ore in un compiuto stato di cecità, non riuscendo a liberarsi dal forte bruciore se non dopo essersi ben lavato nel fiume, con che necessariamente ha fine la baruffa. 1 bianchi stabiliti al Napo, non eccettuandone lo stesso gover¬ natore , comperano dai selvaggi Zapctros de’ piccoli ragazzi che essi rubano nelle scorrerie o fanno prigioni , e questi poi sono venduti in cambio di vaselli di veleno ticunas o di sale, e me¬ glio ancora per ferramenta, falci, macìietes e scuri, dando il va¬ lore di 8 pesos per ogni fanciullo. Questo obbrobrioso commercio fatto sì sfacciatamente vien tollerato dal Governo, sebbene nell’E¬ quatore sia abolita la schiavitù, pel solo motivo, come intesi dagli stessi capi, che que’ fanciulli vengono in seguito battezzati fatti cristiani ed educati; sinché, giunti all’età di 10 anni, ritornano ad esser liberi. Una scure che non vale dippiù di un dollaro in Quito, al Napo vien data in cambio d’ un fanciullo, ossia per 8 dollari. Diffìcilmente però riescono a mantenerli in vita, e pochi resistono al clima di Quito; altri si procurano da sé stessi la morte, privi di libertà, mangiando terra e frutti nocivi che li fanno ingiallire, dimagrare considerevolmente, e morir consunti, se pur non riescono a fuggire e far ritorno alte loro natie foreste. Per impedirne la fuga, il padrone loro tiene sempre rasa la lesta; in tal modo li costringono a starsene ritirati nelle case, facendo quei selvaggi gran pompa della lunga capigliatura. Non servonsi d’ altre armi che della bodoquera con frecce av¬ velenate e di laneie di legno durissimo di ciunta (palme), colle quali si procurano ogni sorta di selvaggina. Hanno pure de’ cani assai macilenti e brutti, che ammaestrano alla caccia degli yaguar c ad inseguire i pccctris. Non si dà loro alcun nutrimento, sicché sono obbligali di procurarselo nei boschi, inseguendo conigli, sorci, iguane, ece. Le bodoquerc sono pure formate di legna di ciunta , lunghe da 8 a 10 piedi. Per fabbricare coleste armi, tagliano per metà un palo , segnandovi precisamente con filo rosso la linea di mezzo , e lo vanno scannellando di dentro col mezzo di due denti di un rosicante detto lomuclm , assai taglienti a guisa di scalpello. Lo rendono levigalo con acqua ed arena, indi uniscono i due pezzi e li involgono in una fascia stretta formata di alcune liane e vimini, spalmando la superficie con un bitume composto di resina c cera. Fatta questa operazione, introducono nel foro una lunga bacchetta di legno di ciunta, alla cui estremità sfa aderente della sabbia, e con quella vanno soffregando finché sia ridotto il foro ben liscio e rotondo di dimensione tale, che vi possa entrare una piccola e sonile freccia. Vi collocano un osso a guisa di im¬ buto pel quale soffiare la saetta; poco distante dall’imbuto inse¬ riscono una punta onde dirigere il colpo. Sono così destri nel ma¬ neggio di tal arma, che rare volte sbagliano un piccolo uccello mosca o colibrì alla distanza di 50 a 60 passi. Le piccole freccio sono preparate con una corteccia di canne di pindo, che riducono assai sottile e acuta con un piccolo coltello, o con una scaglia di conchiglie fluviali ; intridono poscia la punta in un veleno atti¬ vissimo che vien preparato dai selvaggi Ticunas e dagli Orecko- nes , abitatori delle sponde delle Amazzoni, col quale si uccide in due o tre minuti al più un animale qualsiasi. Quello che vien fabbricato nell’Equatore dai Colorados, e che chiamano ciguela , non è fornito della stessa attività che i veleni dei Ticunas e Lla- mas , intorno a’ quali a suo luogo non mancherò di porgere al¬ cune notizie. lì veleno ciguela preparato dagli indiani delia provincia d'Esme- ralda , vien preparato con un sugo biancastro che si estrae da un ì'20 albero , ed ha la proprietà ogniqualvolta sia introdotto nella fe¬ rita, di uccidere animali in 10 minuti al più. NelTuomo però non ha tanta efficacia , dando solo origine a pustole e ad ulceri ma¬ ligne. I Colorados valgonsi d’ un altro veleno, cioè di un umore vi¬ scoso, che estraggono da piccoli rospi abbondanti in quei boschi. Per ottenerlo, circondano i rospi di carboni accesi, attaccandoli l’un P altro per una gamba. A misura che il calore va crescendo essi lasciano trapelare un umore che si raccoglie, e col quale un¬ gono le loro freccie. Dopo tale operazione li lasciano di nuovo liberi onde potersene servire altra volta , rinnovandosi pronta¬ mente in que’ schifosi rettili Tumore virulento. Concluderò la relazione dei bizzarri costumi di questi abitanti col porgere un breve cenno del modo col quale fra loro si salu¬ tano, cerimoniale antico, insegnato dai missionari gesuiti, e tut¬ tora in uso. CAPITOLO XI. Cerimoniale di salolo fra i Quixos. — Divertimenti. — Sabbie aurifere. — Modo di estrarre l’oro.— Nido di Comejen e qual uso se ne faccia.— Descrizione di un Lavadero. — Compagnia di minatori europei. — Triste lor fine. Gl’ indiani del Quixos , allorché incontratisi con qualche loro stretto amico o parente , il quale per alcun tempo sia rimasto assente, si prendono e si stringono la mano proferendo le parole Aglilià-ciuti hanghe /iliaci (Come stai, fratello mio). 11 primo prende poscia la mano dell’altro e ravvicina alla bocca; così nello stesso modo vien replicato dal secondo , e sempre tenendosi stretta la mano danno principio al loro solilo formulario = « Dal dì che non ci siamo veduti io sono stato in buona salute. Lo stesso di mia moglie, de’miei tigli. Dio mi ha conservalo il corpo sano, la Ver¬ gine Santissima, S. José, S. Francisco, S. Domingo hanno conser¬ vali i miei nervi, le mie vene, le mie ossa c tulli i muscoli senza lesione di sorta, e tutto ciò perchè io sono cristiano, \ì ho chiesto a Dio, alla Vergine Santissima che conservi in buona salute me, mia moglie, i miei lìgli, i miei compari, fratelli, parenti ed amici, per poterli vedere un’altra volta », e seguita via via raccontando poscia tutte le sue avventure così di caccia come di pesca. Terminala il primo la sua relazione, l’altro incomincia lo stesso cerimoniale, aggiungendovi le sue nuove. Dopo tutto ciò il primo ripiglia la parola e dice: « Giacché ora conosciamo ambidue le cose che ci sono successe nell’assenza, giacché Dio, la beala Vergine Maria, i Santi ci hanno ajutati e ci hanno mantenuti in salute, ed abbiamo avuta la fortuna d’incontrarei, cominciamo la conversa¬ zione». In allora si danno un abbraccio a vicenda, avvicinano di nuovo la mano dell’ amico alla bocca , ed il cerimoniale è finito dandosi a conversare di oggetti indifferenti od a gozzovigliare. Ciò si vede lutti i giorni nei villaggi del Quixos, tanto nelle case che all'aperto. Se sono più di due i visitatori, sì dall’ una parte che dall' altra , questo cerimoniale vien riserbalo ai due più anziani, standosene intanto gli altri ad occhi bassi ed in silenzio sì pro¬ fondo che nessuno, fosse pure il governatore od il presidente della Repubblica, potrebbe interromperli senza correr rischio di rice¬ vere forti insulti, lo che spesso accade a’ forestieri non consape¬ voli di tali stranissime usanze. i loro divertimenti sono puerili ed insignificanti, dandosi a smo¬ derate risa per ogni più futile motivo , c passando del resto la giornata in compiuto ozio. Celebrano soventi feste e conviti nei quali cadono lutti ubbriachi consumando enormi otri di cnieha. Il padrone del tambo ripete agli invitali ad ogni quarto d’ora Aglilià- tiai , Aglilia-lia (Stale allegri, divertitevi), e le donne portano in giro la chiclia entro calebasse , che ognuno è obbligalo mettere alla bocca anche contro voglia. Questa bevanda viene ammanila all’istante della festa con acqua tiepida , nella quale stemprano colle mani l’impasto. Il capo della capanna va girando all’intorno suonando con un piccolo lamburrello fatto con una gran cortec¬ cia d’albero arrotondata, sulla quale d’ambo i lati è distesa una pelle di scimmia. Porta sulla testa un cerchio di legno ornato di piume di toucan (. Rhamphastus ), un vezzo di sementi al collo ed una fascia pendente sul fianco destro, adorna di pelli d’uccelletti e di rettili. Queste gozzoviglie durano da venti a trenta ore con¬ secutive senza mai far sosta, sempre bevendo finché cadono ad¬ dormentali sul suolo. È d'uso, prima di uscir dal banchetto, chie¬ derne licenza al padrone; che se questi lascia partire l’ospite senza rinnovare il cerimoniale Agldia-liai , maiman-ringhi (Divertili, dove vuoi andare), ciò è segno che egli fa ben poco conto dell’invi¬ tato, il quale ciò ritenendo per un grande affronto, non pili per l’avvenire ardisce presentarsi in quella casa. Il battere del lam¬ inino in tutto questo intervallo di tempo non s’interrompe quasi mai, c nessuno intanto conversa col vicino, essendo tutti in estasi al frastuono di quel monotono strumento. Le arene dei fiumi che bagnano il territorio dei Canelos , non che quelli del Quixos, sono in proporzione maggioro minore tulle fornite di particelle d'oro. 11 Napo ed i numerosi suoi affluenti, VAnsupi, Misagualli, Sano , Pagammo, Coca , Aguartco e Curar ag , ne sono i più doviziosi. Lo trovai però sempre più abbondanti' e in grani o pepiti più voluminose nel mezzo del letto dei fiumi quanto più si rimonta verso la loro sorgente, lo credo che nes¬ suno mi vorrà tacciare d’esagerazione nel far qui osservare, che una esplorazione di quelle regioni praticala da persone dell’arte, e per cura di qualche società scientifica d’ Europa, posta sotto la proiezione di que’ Governi, e favorita ne’ suoi tentativi, non po¬ trebbe che venir coronala del più felice successo. Nella mia di¬ mora colà potei raccogliere molti saggi dell’ oro di que’ fiumi e prendere esatte informazioni intorno al metodo, onde gli indiani del Napo si servono pel lavacro delle sabbie aurifere. — Un abi¬ tante di Quito quivi stabilito da qualche anno, dopo avere insti - tuili varj saggi che gli riescirono a meraviglia, chiese ed ottenne dal governo cquatoriano la proprietà di una parte di que’ terreni situati a poca distanza dal porlo al T oggetto di un’esplorazione; ma sia in causa della difficoltà di trovar persone che si volessero prestare al lavoro , sia per essere privo di macchine colle quali estrarre dalle fosse l’acqua, che ogni giorno vi penetrava per le continuale pioggie, trovavasi costretto a limitare il lavoro ai soli mesi d’ estate; e benché lutto solo colla famiglia ne avesse già estratto per più di 2000 dollari, pure dovette alla fine abbando¬ nare l’impresa. Le vene aurifere cominciano a mostrarsi ricche lungo la sini¬ stra sponda del fiume, penetrando perfino nelle capanne del vil¬ laggio, il cui suolo talvolta riluce del prezioso metallo. Ogni qual¬ volta, durante la mia dimora in que’ miseri abituri , raccoglieva di quella terra c la soltoponea a lavature, vi rinveniva ragguar¬ devoli particelle d’oro. Gli indiani mostrano somma avversione a quel lavoro, sia allo scopo di impedire ohe i bianchi, allcttali dal ricco guadagno, va¬ dano a stabilirsi fra loro , sia che realmente non ne facciano alcun conto. Ond’ è che solo allorquando il bisogno di qualche arnese di ferro da caccia o da pesca , o la vaghezza di qualche ornamento, o l’obbligo dell’annuo tributo al Governo li costringe, essi sogliono decidersi al lavoro , al quale sempre si mettono di soppiatto, obbligandosi a custodire gelosamente il segreto circa i luoghi dove si trova il metallo in maggiore abbondanza. Allorché quegli indiani credono averne raccolto a sufficienza per la compera di quanto bramano, ripongono l’oro nel tubo di una grossa penna d’avvoltojo o condor ( vultur gryphus), nel quale già stanno tracciati de’ segni indicanti varie misure; il di più che hanno raccolto lo gettano di nuovo nel fiume esclamando: /s- quia scìa iiiaka . — «Chi li vuole ti cerchi». fi metodo usalo per estrarre l’oro dalle terre d’alluvione situale poco lungi dal fiume, consiste semplicemente nello scavare una fossa perpendicolare di uno o due metri in quadralo, lavorando finché arrivino alla roccia primitiva. Spesso trovano de’filoni, ed in questo caso li seguono; ma più sovente l’oro granelloso vi giace sopra disseminalo o raccolto nei crepacci. Estraggono al¬ lora dalle fessure le sabbie che ammucchiano in vicinanza , le trasportano poscia al fiume , ove vengono lavale a poco a poco in una scodella di legno ( balea ). L’oro che se ne cava è sempre puro, della grossezza di un grano di riso o di pisello, cioè del peso di 3 a 4 tomini, e qualche volta anche di un casigliano. In una corsa fatta al rio Ànsupi , a poche ore dal porto del Napo, mi riuscì piacevole rincontro di un drapello d’indiane che stavano per porsi all’opera del lavacro; presentatele di alcuni gra¬ nelli di vetro colorati ed aghi, le pregai a volermi permettere di rimaner là spettatore. Vi accondiscesero a malincuore, ed alla per fine s’accinsero al lavoro. Dopo aver praticati con pezzi di legno alcuni buchi nella spiaggia, ritirandone da un lato e dall’altro le grosse pietre, riempirono di quelle sabbie le lore batee, e quindi imprimendo a queste un movimento rotatorio alla superficie delle acque, ne estrassero tutti i corpi più leggeri, non rimanendo sul fondo o nel piccolo incavo appositamente praticato nel mezzo die un terriccio bruno e lucente composto d’oro, di ferro e di piccoli giacinti o frammenti d’altre gemme. Riposto quel residuo succes¬ sivamente in un unico vaso, ripresero con altra sabbia la descritta operazione. Terminato il lavoro , posero quel residuo a seccare vicino al fuoco, c dopo col mezzo di un pezzetto di calamita giun¬ sero a separare l’oro dal ferro. L’operazione così era completa. Nello spazio preciso di un’ora quattro donne estrassero da quelle sabbie circa 20 / omini d’oro, ossia un castigliano e mezzo , che supera il valore di 20 franchi Durante quel lavacro somma era la molestia che soffrivano da una miriade di zanzare, inosquitos c pìourn , che piovevano a nembi a punzecchiare le carni di quelle poverette seminude. Il sangue usciva da mille ferite, fatte ancor più dolenti dal continuo dardeggiare d’un sole equatoriale. Per allontanare almeno in parte que’ molesti insetti , sogliono 1) L'oro dei fiumi Napo cd Aguurico risulterebbe di prima qualità c ciò dietro I’ espe¬ rimento fatto su un mio campione dal sig. Luigi Giraudy, assaggiatore della Zecca di Mar¬ siglia, non appena tornato dal Brasile nel giugno 1848. Esso contiene 144 millesimi d’ar¬ gento, cd 830 d’oro, pari in valore a fr. 2903. 47 il kilogrammo, o fr. 87 per ogni oncia francese. I varj saggi di quest'oro da me donali al civico Museo di Milano sono inseriti nella raccolta mineralogica al N. 174, 22, a, b, c, d, c, f, g, de’ fiumi Napo, Coca, Insiipi Atfuarico, Paucki , Pai/amino c Curaray. costantemente, sia nelle capanne sia alla riva ilei fiume, quando lavorano l’oro, tenere vicino a loro in combustione un gran nido di termiti, delle Comejen , abbondantissime in quelle foreste, il cui fumo denso e spiacevole all’ olfalo diminuisce e fuga in parte quei tanto molesti nemici. Questi sono i due soli modi coi quali gli indiani del Quixos sanno estrarre l’oro; essi potrebbero ottenere ben maggiori van¬ taggi con perdila minore di tempo volendo formare dei lavaderi, quali vidi praticarsi nelle Àndes, al Chili e nelle varie parti del Perù da me percorse dal 1831 al 1S3G. Lungo il corso del fiume Napo, dalla sua sorgente nell’ Antisana sino alla sua confluenza col rio della Coen , si rinvengono ovun¬ que in copia terreni ed arene aurifere, che son ben conosciute dai naturali e da chiunque abbia formato un po’ di pratica. In ge¬ nerale si osserva trovarsi l’oro in maggiore quantità dove la su¬ perficie del suolo mostrasi sterile e dove non allignano alberi. Sono per lo più terreni uliginosi, composti di argille nerastre fer¬ ruginose e di strali di torba, variando in quanto allo spessore da 1 a 13 piedi di profondità, miste pur anche di più qualità di arene quarzosa e ferruginosa, di mica gialla, verde, rossa e blcu; ros¬ siccia cioè quando vi abbonda l’ossido di ferro; gialla quando vi abbonda la terra d’ocra. Codeste arene pare debbano i loro prin- cipj metalliferi alla distruzione delle roccie in vicinanza delle sor¬ genti de’ fiumi. Secondo l’opinione di molli, pare che una grande alluvione av¬ venuta in remotissimi tempi abbia trascinato giù dalle Cordigliere quelle pietre che , triturandosi nel rotolare fra i massi , separa¬ rono l’oro, il quale trovasi disseminato in piccole particelle piatte e subrolonde. Nel Ietto de’ fiumi auriferi dietro le pietre o die¬ tro qualsiasi altro ostacolo, trovansi costantemente più o meno riuniti varj granelli d’oro, i quali, stante il loro peso specifico, non poterono venir trascinati dalla corrente. I lavaderi sono assai semplici e di non difficile esecuzione in tutte quelle località nella cui vicinanza scorra qualche ruscelletto, nè richiedonsi macchine od apparecchi. Eccone una breve descri¬ zione, che potrebbe forse riuscire di qualche utilità a chi fosse invogliato di recarsi in quelle sì poco conosciute regioni equato¬ riali onde dedicarsi ai lavori delle miniere. Scavalo il terreno nel luogo dove già venne fatto 1’ assaggio, — 12G - gettato da banda il primo strato, die non tiene il conto di sot¬ toporre al lavacro , si continua a scavare fino a tanto clic si arriva al così dello manto o roccia primitiva. Tutta la terra estratta vien radunala in un mucchio e trasportata vicino ad un’acqua corrente. Là si pratica una specie di canaletto da G ad 8 braccia di lunghezza, 18 a 20 pollici di larghezza , 8 a 10 pol¬ lici di profondità con G ad 8 pollici d’inclinazione, chiamato Ca¬ riente (corrente^). 1 primi 20 pollici quadrali , ossia la testa del canaletto , è alquanto più profonda e tutta ad uno stesso livello allo scopo di ritenervi l’oro; 1’ estremità del canale resta aperta acciò vi possa scorrere l'acqua, non mancando di scavare un’al¬ tra piccola fossa adatta a riceverne le colature. Compiuta la fossa, viene introdotta per la tosta (codia) l’acqua del fiume o del ru¬ scello. Un indiano tiensi con una pala di legno dal lato ove tro¬ vasi l’ammasso di terra minerale, gettandone di tanto in tanto tre a quattro palate nella testa del canale. Un altro uomo collocasi a piedi nudi nel suo mezzo con altra pala, e ne va rimovendo 1’ arena o la terra acciò liberamente scorra coll’ acqua. Appena quell’arena, quell’ argilla c le parli più leggere furono via trasci¬ nate c che i corpi di maggior peso specifico hanno colmata la lesta del canale, l’indiano ritira colla pala tulle quelle sostanze; il che fatto, va ripetendo l'operazione finche siasi lavalo tutto il mucchio d’arena là trasportato. Il rimanente che vi resta, o a meglio dire il deposito del lavacro, si compone di gran quantità di ferro magnetico, d’ un po’ di quarzo cristallino ed oro. Levano allora dal Invaderò con una scodella o piccola zucca ([nelle sostanze, e le mettono in un piatto ( batea ) finché esso ne sia colmo. Por¬ tano quella batea in un luogo dove siavi molta acqua, imprimen¬ dole un movimento eccentrico circolare , col quale fanno sì che le sabbie ed altri corpi più leggeri escano dai bordi, mentre l’oro rimane nel fondo. Si continua l’operazione insino a tanto che non siano estratte tutte le sostanze eterogenee c che lutto 1’ oro non resti depurato. Questo Invaderò serve solo per lavare la terra e le arene, giac¬ ché, in quanto a quello delle roccic o de’ filoni, il minerale pria di venir sottoposto alla lavatura, deve essere ben pesto e tritìi rato. Necessitano per un Invaderò così descritto non meno di qua!- 1) Falla di lrcno. di -20 pollini di diametro n 3 di profondità noi centro. irò persone, due per lavare, una al di fuori del canaletto per far scorrere 1’ acqua, e la quarta per mantenere sempre libero Io scolo. Colle macchine però si otterrebbe un lucro ben maggiore, giac¬ ché non andrebbe allora perduta una infinità di particelle d’oro, cd un uomo solo potrebbe bastare per tal lavoro, senza correre il pericolo di venire defraudalo dai compagni. Il trasporto però di quelle macchine riuscirebbe per ora impossibile in mezzo a quei pantani ; o tanta almeno sarebbe la spesa , che non ne ri¬ sulterebbe alcun guadagno, sicché consiglierei a limitarsi alla co¬ struzione dei lavatoj. Nel 1844 si era formata al Guayaquil una compagnia compo¬ sta di europei, la più parte francesi, alPoggello di lavorare le mi¬ niere d’oro nel cantone di Canelos limitrofo a quello del Quixos. Giunti i direttori con tulli gli attrezzi e le macchine, e con rile¬ vante quantità di merci , fecero varj scandagli sulle sponde dei fiumi Pnstnssn, Bobonassa, Sarn-yacu c Gl inquino , nelle cui vi¬ cinanze trovarono in fine un gran tratto di terreno d’ alluvione ricchissimo del prezioso metallo. Quivi determinarono di fissarsi, fondando un piccolo villaggio, cui diedero il nome di Suni-Ckuri (paese dell’ oro), ed obbligando persino molli indiani di Canelos a venire ad abitarlo. Fecero venire da Quito le loro mogli, o si procurarono delle creole, ed anche delle schiave degli stessi in¬ diani Zaparos, c trasportarono dalla capitale barili di farine, carni secche, liquori, in somma tutto Poecorrcnte per ivi stabilirsi. Per formare il Invadevo necessitava di scavare un lungo canale che deviasse parte delle acque del fiume , alla quale opera do¬ vettero impiegare una moltitudine di persone. Dopo sei mesi di continuato lavoro , non appena avevano incominciato a ricavare i! frutto di loro fatiche, ecco che una improvvisa piena distrugge in poche ore tulli gli edifizii, seco trascinando la terra minerale che slava già ammonlichiata vicino al Invadevo, c che certamente doveva rendere un ingente lucro. Ridotti così a mal partito, e privi di risorse per riprendere i lavori, si diedero ad una srego¬ lata vita ed ai liquori spiritosi , cercando così nella crapula di obliare le loro disgrazie. L’ozio c le malvage passioni diedero presto origine a dissapori, a gelosie, ad ire che, trascorse in mi¬ nacele e vie di fallo, terminarono con ducili e morti. Alcuni ri¬ tornarono a Quito dopo avere incendialo il villaggio da loro stessi edificato, altri passarono nella Xihnvin ; un tale Cartagenova, ita- liano, uno dei capi ili tale impresa, dopo aver rimandala ai pa¬ renti aQuilo la propria moglie, volle lenlarc una nuova esplora¬ zione, discendendo con canoa il rio Paslassa a fine di recarsi di là al rio delle Amazzoni, dove però non potè arrivare, essendo stalo trucidato in una malocca di Cocamas (selvaggi) a colpi di lancia. Al mio giungere a Quilo vi era da pochi mesi giunta la fatale notizia, ed io ebbi a visitarne la vedova tuttora inconsola¬ bile per tanta disgrazia. Tulli que’ terreni boschivi sarebbero suscettivi di coltura, pro¬ sperando a meraviglia nei pochi orti lavorali dagli indigeni il riso, il tabacco, il caffè, la canna da zuccaro ed ogni sorta di frutti. 1 primi tre generi, formandone oggetto di più estesa coltivazione, basterebbero per arricchire quella provincia. Si potrebbe poi ri¬ cavare un vistoso lucro anche dall’ estrazione della bilama , specie di foglia di palma detta cìambira , la quale dà un filo assai tenace c resistente all’acqua. 1 naturali la preparano, e se ne servono per differenti usi, come per corde, reti, canestri, borse, ec. Per V imbiancatura potrebbe adoperarsi lo stesso processo di cui ci serviamo pel lino, a! quale dovrebbe preferirsi, polendo resistere per molti anni all’azione dell’ umidità; laddove, come già accen¬ nai, le lane, il cotone, il lino vengono quivi. in poco tempo distrutti. Riuscirebbe eccellente anche per intrecciar cordaggi per barche. L’esplorazione de’ terreni auriferi darebbe incessante lavoro a va- rj stabilimenti metallurgici. Per ora Postaccio insuperabile che si frappone alla prosperità di que’luoghi, si è la nessuna cura che se ne prende il Governo equaloriano , il quale li abbandona al monopolio di pochi privali, che non attendono se non ad impin¬ guarsi, senza pensare a migliorare quel territorio. Il non trovarsi strada alcuna praticabile in un paese coperto tutto da foreste sì folte che sino un indiano dura fatica ad attraversare , fa sì clic pochi Quilcgni si osino avventurare per quelle solitudini anche nella buona stagione. Sarebbe necessario clic il Governo si occu¬ passe a rendere que’ sentieri più praticabili, facendo costruire su varj fiumi e torrenti alcuni ponti , o almeno delle {arabile sul Maspa, Losanga, Comincili, Misagualli, ed erigervi alcune capanne per ricovero dei viandanti : s’ impiegherebbe allora la metà del tempo, senza clic il viaggiatore si trovasse esposto ad infermarsi entrando in quelle acque gelale dopo un lungo e faticoso cammi¬ nare a piedi ancor tutto grondante di sudore , nè correrebbe il — 129 — pericolo di venir trascinato da quei precipitosi torrenti dove pa¬ recchi trovano la loro tomba. Per tal modo sarebbero non pochi incoraggiati a stabilirsi in quelle regioni, everrebbe favorita l’e¬ migrazione degli europei, come praticasi negli Stati-Uniti. Senza dubbio in pochi anni verrebbero quc’ luoghi dissodati e messi a coltivo , massime trattandosi di terre feracissime ove le sementi danno più del 100 per 1. Si dovrebbe mantenere anche una re¬ golare comunicazione col limitrofo cantone di Canelos, o meglio si potrebbero riunire in un solo, formandone una estesa provincia. 12 CAPITOLO XII. ('mi (lunazione. Falsa notizia pubblicala ne’ giornali in Quilo. — Arresto de’ cavgueros. — Lettera governativa. — Preparativi per la navigazione del Napo. — Scelta fatta di dodici indiani. — Uccelli. — Lcpidopteri. — L’Yaguar. — Nido di formiche. — Le ter¬ miti. Dopo Ire mesi di dimora onde aspettare la buona stagione, riu¬ scii finalmente a ricuperare in parte i miei bagagli rimasti abban¬ donali per le continue piene sulle sponde del Cosanga, non che quelli clic trovavansi nel tambo di Baeza. Mi risolsi allora di non più differire la mia parlila, abbenchè non mi trovassi ben prov¬ visto di viveri, nè di oggetti per iscambi coi selvaggi. Fortuna volle clic alcuni giorni prima della partenza il Villa- viccncio mi avesse ceduto alcune cassette contenenti lavori di vetro, agili, ami da pesca, specchi, coltelli ed un rotolo di 200 braccia di tela tucuijo , necessaria per pagare i miei indiani bogas , (rematori). Dovevano questi oggetti servire al suddetto per un viag¬ gio clic aveva risoluto di fare al fiume delle Amazzoni ed in Eu¬ ropa, quando circostanze impreviste, c forse un po’ di nostalgia gli fecero cangiare di progetto, limitando il suo viaggio a visitare parte della Zaparia. Nella capitale intanto crasi sparsa la notizia come io fossi stalo trucidato dagli stessi indiani di scorta , cd il Governo non avea tardalo a far carcerare tutti i cargueros , i quali ritornati a Tumbacko, avevano riferito al comandante del loro vil¬ laggio clic io mi era annegato nel passare a nuoto il Cosanga, e clic essi in conseguenza aveano credulo opportuno di retrocedere abbandonando quivi tutto il carico. I giornali di Quito avevano già annunziala la mia morte , quando ricevettero dal governa¬ tore del Quixos il rapporto invialo al governo della mia mira¬ colosa salvezza, e del modo infame col quale era stalo abban¬ donalo. 11 presidente Vincente Ramon Rocca, con sua gentilissima lettera si mostrò dolentissimo dei tanti disagi da me patiti , ed invitavami a stendere una nota di lutto ciò che gli indiani m’a¬ vevano derubalo onde ne fossi indennizzalo. Altra lettera gover- — 151 — nativa inviala al Napo per espresso pervenne al signor Don Cle¬ mente Guerrero, clic non lardò a comunicarmela lK Fatte anticipatamente approntare due grandi piroghe apparte¬ nenti una a certo Guillin, e l’altra ad un tal Ferreira, appena mi giunsero le cariche volli subito apparecchiarmi alla partenza. II governatore del Quixos scelse dodici indiani fra’ più coraggiosi , armigeri e robusti al remo, sei del villaggio di Lagnano ed altri sci di Santa Uosa d’Oas, i quali dovevano discendere meco il Rio Napo. Fattomi venire innanzi il loro capo o piloto, gli consegnai brac¬ cia 192 di tela tucuyo affinchè venisse distribuita a ciascuno dei Bogas in parti eguali come è d’uso in que’ luoghi, guadagnando così ciascun rematore per tutta quella navigazione braccia 16 di tela oltre qualche altra bagatella data particolarmente in dono alle loro donne; ordinai che stessero pronti entro 10 giorni, lasciando loro lutto il tempo di fare le provviste di chicha tanto pel viaggio quanto per le feste e per le gozzoviglie, cui sogliono abbando¬ narsi prima di cimentarsi in tali spedizioni. Troppo prolissa riuscirebbe la narrazione di tulle le eaccie cui assistetti come attore o quale spettatore, e la descrizione partico¬ lareggiata dei mammiferi, uccelli, insetti che ad ogni passo s’in¬ contrano in quelle vergini foreste. Non potendo tali racconti in¬ teressare se non i cultori della zoologia, nè possedendo quelle co¬ gnizioni che si richiedono per l’esattezza delle descrizioni , così mi limiterò a porgere la semplice nomenclatura di alcune specie di uccelli esistenti nel Quixos, de’ quali potei prender nota sul luogo, coi nomi loro dati dagl’indigeni. Essa potrà servire ad altri (1) Copici conforme. REPUBLICÀ DEL EQUADOR GOBERNACION DE PlCHINCHA. Quito, 18 Agosto 1847. = 3.° de la liberlad. Senor Jefe politico del Cantori del Napo. Tan luogo come se recibiò la comunicacion de V. V. de feeba 31 Julio p. p. se diclaron las providencias convcnientes para que sean todos carcerados los indios cargueros que bau abandonado cn el camino al viajero senor Cuyelano Osculali para imponerles ci castigo que merecen por semejante falta y que de està manera se evitcn en lo sucsesivo iguales resultados. Digo a V. S. en contestaeion. Dios y liberlad. Fra.ncisco Villani. — 132 — viaggiatori ed agli studiosi per la ricerca di quelle specie rare, clic presentano maggior interesse per l’ornitologia americana. Iluanga è il . Cathartes aura. Lin. Quillilic . Falco sparverius, ed ogni sorta di falchi. Tula-huanga (notte rapaci) . Noctua ferruginea. Prin. Max. Mango . Cassicus luteus. Mango-curacka . Cassicus eristatus. Cutu-tzuan . Picus llavicans. Urpi-jurac . Peristera Swani. Jacku-pisco (acqua uccello) . Tringa maculata. Nina-pisco (fuoco uccello) . . Rhamphocelus ignescens. Cuntur-pisco . Pachyrhynchus semifascialus. Piccick-pisco . Rhampliocelus jacapack. Utcu-pick . Cyssopis bicolor. Huiti-huiza . Pitylus grossus. $ Tutu-huarmi . Capito punctatus f Tutu-cari . . Capito aurovirens £ Silghirito . Tanagra coelestis. Zuan . Ilenops subulatus. Lorna ciquan ...... Coccyzus seniculus. Cipilili . » . Nemotia gularis. iAglaia tatao. Lin. Ciccia . e . ( » » Sckrancki. Cutu-sciuli . Picus albirostris. Ciccia-cari . Dacnis cyanocephalus. Ciccia-uciuck . Dacnis cyanus. Raya-ckinde . Galbula albivenlris. Huiciù . Psiltaculus gregarius. Lopez . Thamnopbilus strialus. [Pipra filicauda. Spix. Hiwj*/ 1 . » cseruleo capilla. Ghinde ciccia . Neelarinia cyanea. Lomo-pisco . Ceninola flaveola. £ Tia-pisco . Muscicapa elegans. Ckanzan . Scapidurus ater. Pazac-pisco . Plalyrinchus xantopygus. Huila-pisca . Sylvicola ruflcapilla. Ciccia-ekinde . Cereba spiza. — 155 - il porlo del Napo è ben di spesso, o quasi ogni nolle visitalo dagli ocelùte jaguari e da altre specie di gatti tigrati che arre¬ cano gravissimi danni, vuotando i pollai e predando anche i cani assaliti alPimprovvisto. Più volte accade che ne siano pure assa¬ liti gli stessi indiani nelle capanne o nei boschi, motivo per cui danno loro la caccia per distruggerli; al primo abbajar de’ cani nella notte tutti gli abitanti del villaggio accorrono al di fuori armati di picche , lancie , ecc., riuscendo soventi volle ad ucci¬ derne. 11 racconto di un caso avvenutomi al Napo nel settembre di quell’anno, mostrerà ad evidenza i pericoli a cui si è continua- mente esposti in quelle selve. Dopo esser ritornato cogli amici Villavicencio e Guillin da una pesca fatta nel rio Ansupi, e lieti della buona preda, avevamo depositato tutto il pesce nella capanna attigua alla nostra, che rimaneva inabitata per la avvenuta morte dello sgraziato Rubios. Si udirono nella notte gli ululi lamente¬ voli di un cane, e ben sapendo che V Jaguar si aggirava poco lontano, si balzò dal calve e si uscì fuori armati di fucile; per mala ventura il rumore fatto aveva di già posto in fuga la belva. Recatici di buon mattino alla capanna, con nostra sorpresa si vide praticato un largo foro nella parete fatta di giunchi, pel quale l’animale era entrato, via portandosi il pesce che tuttavia stava sparso sul circostante terreno. Molto sangue segnava il cammino fatto dall’ jaguar che volevamo inseguire nel bosco, quando vicino ad un albero trovammo alcune ossa, un po’ di pelle ed il cranio d’un grosso cane. Quel meschino stato attirato dall’odore del pesce era penetralo nella capanna, ma aH’uscirne un altro ladro di lui più forte ed astuto se l’aveva fatto sua preda e divorato. Si rise della burla fatta dall 'Jaguar al cane, e questa volta eravamo ben contenti che il tigre ci avesse liberati da quel molesto animale, che più volte noi pure avevamo tentalo di ammazzare onde ser¬ visse ad attirare col fetore della sua carogna i condori e gli uru- bus (yullur aura), dei quali voleva arricchire la mia raccolta. Ma la notte vegnente l 'jaguar ritornò di nuovo , e non avendo più trovato cani da sbranare, si mise a raspare il terreno intorno a 1) Letto formato ila un pezzo di tela disteso sur un telajo sospeso da terra, dove l’indi¬ viduo si corica posando il capo sovra un piccolo guanciale. — 134 - unn canoa capovolta che serviva di stia ai polli, e ne estrasse bel hello que1 poveri volatili che ancora ci rimanevano pel con¬ sumo giornaliero, compiendo lutto ciò nel massimo silenzio e senza che il nostro sonno venisse molestalo , benché a soli tre passi discosto dalla capanna. Quella immane belva non tardò a pagare il fio de’ tanti danni arrecati colla massima audacia ed astuzia in quel villaggio, per¬ chè stanchi alfine gli indiani di vedersela comparir dinanzi ogni notte quasi a sfidarli, via portandosi polli e cani, postisi di guar¬ dia, riescirono ad ucciderla a colpi di lancia. Molte specie di galli tigrati si contano nel Cantone di Quixos. Ve ne sono taluni di mole enorme , e poco dissimili dalle pan¬ tere d’ Affrica. Oltre alle caccie continue falle con fucili, ci divertivamo pure a tendere lacci alle lomuccie ed alle lepri, le quali atterrite al- l’avvicinarsi del Vjuguar venivano a rifugiarsi vicino alle capanne. Fra le varie specie di scimmie abitatrici di que’ luoghi, se ne rinvengono alcune piccolissime dette cicikos ( midas pignueus ). lo ne potei avere parecchie vive. Alcune sono di color ferruginoso ad orecchie lunghe, occhi vivaci castani, a coda gracile, piedi rossicci; si addomesticano facilmente , ma sono irascibili e mor¬ dono al più piccolo dispetto che loro si faccia. Altre sono di pelo biancastro o fulvo , ma la specie più grande e più bella si è il mydas leoninus (Meo), ossia salmi o tornar in degli autori, clic forma col lungo suo pelo una specie di criniera simile a quella del leone. La lesta, il collo, il petto, Faddome ed i piedi sono bruno-rossicci, cd è fornito di coda lunga. Di queste piccole ber- luccie gli indiani Quixos ne portano molte alla capitale, dove sono subito acquistate dalle signore quilegne cilene hanno somma cura; le tengono vicino a sè a mensa, e le riparano dal freddo celandole in seno. Questa ed un’altra che chiamano a Quilo fr ai¬ lecito (frate), piccolo scimiollo grazioso, allegro, color cenerino, ed un altro dello monja (monachella), sono le specie più ricercale. Furono dedicali più giorni esclusivamente a raccogliere varie sorta di lepidopteri sì diurni che notturni, i quali a miriadi svo¬ lazzavano intorno alla capanna od alla riva de’ fiumi Napo ed Ansupi , riflettendo al chiaror del sole i loro argentei ed aurati colori, ed allettando ollrcmodo la vista. Fra le tante e variate specie figuravano anche le rilucenti tur- 155 — chine del grande papìlio Menelaus, leilus , il lars heroica; altre farfalle, dalicaon , dimas c ninfali erano assai numerose, ed in ispecie la coresia, la Clytemneslra , \\ pupillo prolesilaus , thoas, eec. Riescii a radunare ben 2,000 individui riposti entro cornetti di carta rinchiusi ermeticamente con gomma, allo scopo di occupare il minor spazio possibile, e pel più facile trasporto. Più volte fui colpito da stanchezza e dolor di capo in causa dell’eccessivo ca¬ lore de’ luoghi ove era costretto aggirarmi per far caccia di tali insetti, e pel continuo moto che mi eccitava una soverchia tra¬ spirazione’, formando argomento di risa per gli indiani che non potevano comprendere qual mai fosse l’utilità di quegli animalelti die mi vedean raccogliere in tanta copia. Numerazione delle principali specie di Lepidopleri che si osservano nel Quixos. Callydrias argante God. » Cypris Boisd. » Evadile » Nymphalis coresia. » acheronlia. » Clytemneslra. » La uremia. Papilio prolesilaus. » Poi idem us. » Menelaus. » Thoas. » Leilus. Argymnis Vanitine. Potamis cospicua. » phyllis. Heliconia diafana. » cudema. Ceiosia Julia. Nereis viridis. » ere rulea. » viirea. » ninonia. »> festiva. Aganislus Orion. Mancipium fugax. » vorax. Nayas Cylheraia. Orcus Quixensis. Ose. n. sp. Lars heroica. Ilesperia cyanea n. sp. » Zaffira Ose. n. sp. Trovasi nelle foreste del Quixos un singolarissimo nido di for¬ miche ( [unnica spinicollis ), posto su rami d’alberi assai elevati, di forma conica, composto d’una specie di criptogamo, di cui gli indiani si servono come esca per accender fuoco. Questa materia sottoposta a diligente esame dal Padre Cavalieri, professore di fisica nel Collegio de’ Barnabiti in Monza, ha dato il seguente risultato: « Ingrandito una particella di quel nido al microscopio, il tessuto — 15G — assomiglia al filo di bambagia. Il suo odore cd il sapore sono come di materia vegetabile; la situazione però del nido e le sue dimen¬ sioni allontanano l’ idea di doversi ritenere come un criptogamo, clic anzi dalla sua figura travedesi chiaramente il lavorìo d’insetti. Sarebbe quindi forza conchiudere essere il nido di queste formiche formalo da loro stesse colla sostanza vegetale che in forma gluti¬ nosa staccano dall’albero, non avendo dall’altra parte potuto scor¬ gere ne’ suoi inlerstizii alcun altro insetto. Anche il modo d’a¬ desione indurrebbe a siffatta opinione. La formica colle mandi¬ bole innesterebbe sul già fatto una giocciolina di glutine, la quale stirala c compressa, darebbe al tessuto quella forma che abbiamo descritta ». Que’ boschi sono pure infesti in modo spaventevole dalle ter¬ miti ( comejens dei naturali), le quali formano le maravigliose loro abitazioni ne’luoghi paludosi entro grossi tronchi d’alberi, o sot¬ terra ne’ luoghi monticellosi. Sono essi formali di una materia lignea, simile di forma ad una grande spugna, ne’ di cui fori an¬ nidano quegli insetti a migliaja, alcune giungono al diametro di uno a due braccia ; sono rotondi o piramidali. Molte di queste fanno i loro nidi fin nelle capanne, formandovi viottoli coperti tanto sui travi che sulle pareti da un certo mastice preparato dalle stesse termiti. Distruggono in breve, dove si fissano , lutto il legname, le lingerie e difficilmente si riesce a snidarle, a meno di dar fuoco alla capanna ; ed è perciò che gli indiani sono co¬ stretti a tener costantemente appese con liane nel mezzo dei loro abituri le poche provviste di pesce e carni affumicate , ignami , non che gli ornamenti di piume entro canestri di vimini. Ve ne sono altre di differente specie che fanno i loro nidi di semplice argilla, hanno una forma conica, e sono della larghezza di tre a quattro piedi e molto compatti. Molle di queste termiti sono ala¬ te, e si veggono uscire dalle loro lane, prendere il volo ed in¬ nalzarsi a grande altezza. Le rondini ed altri uccelli danno loro la caccia cibandosi di esse. Si veggono cadere o librarsi, a seconda del vento che spira, molte ali di simili insetti che si distaccano facilmente, come asseriscono gl’indiani; ma che più probabilmente però sono l’avanzo degli uccelli, che non cibatisi clic del corpo di queste, termiti. — Qui credo prezzo dell’opera il riferire quanto scrisse in proposito di questi singolarissimi insetti il dottore Tito Omboni. — 157 — « Di mano in mano ohe ci andavamo ingolfando in quella nuova atmosfera (dice l’Omboni), ci apparivano monticclli di argilla ora a modo di piccole piramidi, ora rotonde, ed in tutto somiglianti a casolari di selvaggi, e con tale arte costrutti, che ci parve strana¬ mente pazzo l’uomo che si desse cotali cure senza un apparente vantaggio. Siccome quanto più si andava innanzi , tanto più il luogo si popolava di tali creduti abituri e simulava un villaggio abbandonalo, ne interrogava i negri, che non sapeano risponder altro che f e Lise, seriore, fctisc. E non avevano tutto il torlo, nella loro selvaggia superstizione, di tenere per sopranaturale quei meravigliosi lavori delle termiti, minutissimo insetto che vive in immense nazioni, e si racchiude, lavora, si governa e si difende con leggi quasi umane, formando la meraviglia del naturalista non che del selvaggio, che alcune volle mostra forse minore in¬ telligenza. « Le termiti, di cui finora non si ha per anco una descrizione soddisfacente, sono inselli appartenenti all’ordine de’ nevropleri ed alla famiglia de’planipenni. Hanno per distintivi generici quattro articolazioni ai tarsi, mandibole forti e cornee, testa arrotondata, ali distese orizzontalmente sul dorso , colle inferiori della gran¬ dezza delle superiori, senza ripiegatura nella parte interna, cor¬ saletto pressoché quadro o semicircolare, antenne corte filiformi di circa diciassette nodi. Latreille crede di averne rinvenute due anche nel mezzodì della Francia, ma sono comuni alle Indie Orien¬ tali ed alle regioni intertropicali, ove menano guasti incredibili, c sono uno de’ più temuti flagelli. « Pare che Linneo abbia compresa questa specie con molte altre sotto il nome di Termos fatalis. « Fra le cose più straordinarie « che mi fu dato osservare nel mio viaggio al Senegai, dice Adan- « son, nessuna mi recò più meraviglia di alcune eminenze, le « quali per la loro altezza e regolarità mi parvero da lungi un « gruppo di capanne di negri, od un considerevole villaggio, ed « in fine erano solo nidi d’insetti. Sono piramidi rotonde, di otto « a dieci piedi d’altezza sopra una base presso a poco della stessa « dimensione, la cui superficie è unita colla migliore argilla e co- « strutta colla maggiore solidità ». Queste piramidi giungono sino all’altezza di 15 a 20 piedi. L’industrioso insetto comincia ad ele¬ vare una o due piccole eminenze d’un piede, c mentre queste crescono in grossezza ed altezza, se ne aggiungono altre a qual- — 138 — die distanza. Continua così ad aumentarne il numero ed allargarne la base, finché non siano compili c ricoperti interamente i lavori sotterranei, facendo in modo che le torrieelle di mezzo siano le più alle e le più grosse, poco curandosi della loro regolarità, pur¬ ché siano solide. Quando perla loro riunione il coperchio è finito, levano il disotto della torricella di mezzo e lasciano solo le som¬ mità, le quali congiunte formano la corona della cupola : ado¬ perano allora l’argilla staccala a costruire Tinlerno o ad elevare l’edifizio con nuovi coni, servendosi dell’argilla ammassala presso a poco siccome usano i muratori dei ponti e dei tavolati. Allor¬ ché l’edifizio è solo alla sua metà, il bufalo selvaggio suole mon¬ tarvi sopra e farvi sentinella al resto della mandria die ruina nei contorni , c la vòlta è abbastanza solida per sostenerlo Questo serve non solo a difendere, l’interno dalla forza degli uragani e dallo scroscio delle pioggie, ma a conservarvi anche il grado di tem¬ peratura che è necessario all’incubazione delle uova, ed è sì com¬ patta e solida che a stento si giunge ad intaccarla anche con istrumenli di ferro. «Il palazzo della regina o camera reale, come dice Smealham , é collocata per lo più nel mezzo dcU’edifizio , ed al livello del suolo. La sua forma è quella di un uovo diviso per la sua lun¬ ghezza. Al principio questa camera è lunga un pollice, ma a mi¬ sura che la regina ingrossa coll’età, gli operaj per di dentro la¬ vorano ad ingrandirla e ad allungarla fino a sei e a nove pollici. Il suolo è perfettamente orizzontale e la vòlta ad arco solidissimo. Attorno a questa camera, a livello del suolo e a distanze eguali, s’aprono parecchi ingressi al palazzo de’ soldati e degli operaj, giacché la nazione termilina ha anch’essa gli ordini sociali clic abbiam noi; ma quelle porle sono troppo anguste per il re e la regina, per cui le loro maestà sono condannale a perpetua re¬ clusione. « Attorno attorno dell’appartamento reale è disposto un nume¬ roso ordine di anticamere, varie di forma c di grandezza , tutte però con vòlta ovale clinica o circolare. Comunicano le une colle altre per mezzo di ampii passaggi, e vi stanno i soldati di guardia e numerosa servitù. « Attigue all’anticamera ed il più presso possibile del reale ap¬ partamento sono disposte le formicuje , edili zj di architettura af¬ fatto differenti dai suddescrilli. Esse sono interamente costrutte di festuche di legno unite con certo glutine gommoso, di cui natura ha forniti forse a tal uopo codesti inselli opcraj, c divise in tanti gabinetti non maggiori di mezzo pollice di lunghezza. Questi sono costantemente ingombri di uova e di novelli che hanno in sul principio la forma di operaj, ma sono bianchi come la neve, dal che venne loro il nome di formiche bianche. Quando la capitale è in sul nascere e il reale appartamento è ancora piccolissimo, queste formiche gli sono assai vicine; ma allorché la regina in¬ grossa ed ha mestieri di maggior numero di gente per servirla c trasportare le uova di mano in mano che le depone, e che è d’ uopo ingrandire la sua camera e le anticamere della servitù , allora le prime formieaje sono demolite e gli operaj ne costrui¬ scono alquanto più lungi altre nuove più vaste e più numerose c sul luogo sgombrato ingrandiscono la reale dimora. « Gli operaj sono in tal modo occupali incessantemente ad in¬ grandire le dimore, demolendo, riparando, ricostruendo, secondo i bisogni dello stato , con una sagacità , una previdenza ed una regolarità superiore a quanto si conosce fra gli inselli e fra gli animali ; giacché, dice Boitard, con buona pace di lutti i sistemi dei frenologi, sebbene codesti minutissimi inselli non abbiali cer¬ vello, sono però gli animali cui fu dato da natura la più grossa dose d’intelligenza. Le termitiere ricoverte d’argilla dura e com¬ patta sono al sicuro delle influenze esterne. In sulle prime non sono più grandi d’una noce, ma quando la capitale è in tutta la sua ampiezza, il che avviene dopo due o tre anni, si fanno grosse come un pugno. « Presso le termitiere e le anticamere stanno i magazzini se¬ parali da gallerie e camere comunicanti le une colle altre, sem¬ pre ripiene di sostanze gommose e succhi condensati di piante che hanno forma di segature di legno. Il resto della capitale è composto di strade, gallerie, piazze, ponti ed alloggiamenti formanti un complicatissimo labirinto. Le vòlte che ricoprono lutti questi luoghi, si sostengono scambievolmente. « Il complesso di queste interne costruzioni è ricoperto da una lelloja piana, senza alcun foro. In tal modo gli appartamenti in¬ feriori sono difesi dall’ umidità , anche nel caso che la rotonda corteccia esterna screpolasse. Ove poi vi penetrasse acqua nella stagione delle grandi pioggie, vi sono de’ condotti in varie dire¬ zioni ed a varie altezze che 1’ accolgono e la mellone fuori. Fra (lue terre infine, presso la superficie del suolo, ed estese a più di trecento piedi di circuito , sono le grandi strade per le quali muovono le termiti a portare la devastazione nelle dimore degli uomini, e tornano cariche di preda 1) Chi desiderasse avere anche circostanziate notizie sui costumi di codesti singolari in¬ setti, non ha che a consultare l’interessante opera del distinto viaggiatore lombardo dot¬ tor Tito Omboni, intitolata: Viaggi nell’Affrica Occidentale, al capitolo XXV, pag. 359. — Milano, tip. Ci velli, 1817. CAPITOLO XIII lM’lnciplo della navigazione del Napo> (Dal 26 Ottobre al i°. Novembre.) Velocità delle correnti. — Scogliere. — Vortici. — Il villaggio di Lagnano. — Mia dimora nella capanna del governatore. — Accoglimento festivo de’ miei bogas (re¬ matori). — Celebrazione d’un matrimonio. — Sentieri che guidano nella Zaparia. — Arrivo di un’orda di selvaggi Zaparos. — Regali. — Oggetti acquistati. Commo¬ vente congedo de’miei bogas. — Isole che incontransi. — Villaggio di Napoloa. — Una danza improvvisata. — Navigazione pericolosa. — Arrivo a Santa Rosa d’Oas. La mattina del 26 ottobre, dopo aver caricate le mie provvi¬ sioni c le casse su altra canoa, mi congedai dagli amici Guiditi e Villavicencio, e me ne partii per Lagnano , approfittando della straordinaria piena. Un7 ora dopo si giunse al luogo detto Cko- los (gozzo), dove dal lato nord alla foce di un ruscello il fiume si divide in 4 rami. Si entrò in uno di essi , e si dovette per buon tratto trascinar a braccia sull’arena la piroga , giacché il Napo scorrendo ivi precipitoso fra immensi ammassi di pietre, formando vortici ( remolinos ) e cascate fino di due braccia d’al¬ tezza, si sarebbe corso grave rischio di venir trascinati dalle ra¬ pide e di andar incontro ad una certa morte. Gli indiani mi assicuravano come quel passo fosse men peri¬ coloso in altri tempi prima dell’epoca della grande inondazione successa nel 1846, chiamata da essi Reventason , di cui a memo¬ ria d’ uomini non erasi vista l’uguale, poiché si era il fiume al¬ zato 8 braccia sul suo ordinario livello , e avea prodotti guasti dei quali scorgevansi ancora gli indizii. A tre leghe più in la si superò un’altra violentissima correntia, detta Lata , per la quale fummo costretti di avventurarci, non es¬ sendo più possibile il trascinare la barca sulle sponde del letto serralo fra due gole di monti. Le acque urtando con veemenza nella parte interna delle rupi o contro le punte dalle rocce che si alzano in quel rapido fiume scorrente fra balze tagliate a picco , danno origine a qu tremolini o vortici, che riescono di tanto pe¬ ricolo in quella navigazione. Tutti i bracci di quel fiume, i vor¬ tici, le rapide, hanno i loro nomi particolari. A quasi 6 leghe dal porlo del Napo sbocca il Quillu-yaca, nelle 142 cui vicinanze trovasi un altro passo diftìcile, il Barvanco di Se- rafines. Qui soventi capovolgonsi le canoe in causa della somma velocità della corrente, e per gli spessi scogli a fior d’acqua : que¬ sto passo è lungo circa 400 metri. Si superarono felicemente tulli questi ostacoli, resi però minori dalla somma destrezza e agilità colla quale gli indiani sanno manovrare quelle fragili navicelle. Le sabbie sottoposte all’ esame furono trovate pregne di parti¬ celle d’oro. Si arrivò a Muyuma-pimla , così chiamala da quegli indiani una risvolta del fiume là dove forma un gran vortice , cui i miei bogas seppero schivare con molta maestria. Giunsi verso il mezzodì alla foce del rio Misagualli ove il fiume forma altro vortice dello Ciuro-Cimbana (o Lumaca), che si riuscì feli- licemcnte a superare tirando la canoa rasente alla sponda. Visto alla foce del Ciunta-yacu un fronzuto albero di china, si arrivò finalmente alle due ore pomeridiane a Lagnano. Nella discesa del Napo sino a S. Rosa gli indiani non possono remare per la tanta rapidità delle acque, e solo adoperano il re¬ mo nei punti pericolosi onde evitare le forti correntie e il peri¬ colo di frangersi contro le roccie; nella silicata invece, cioè nel rimontare il fiume non è dato loro di riposare un solo istante , ora dovendo tirare la canoa sulla riva , ora vincere a forza di braccia la corrente , ora rimorchiare la canoa con corde clic le¬ gano agli alberi. Il governatore mi stava aspettando già da più giorni , anzi si era trattenuto per facilitarmi il viaggio e prestarmi lutti quei soc- sorsi che potevano da lui dipendere, avendomi preparato l’alloggio al cabildo, o capanna destinala al governatore , situala in luogo prominente alla sponda del fiume. Lagnano è villaggio nascente , edificalo da soli sei mesi sotto la direzione del D. Villaviceneio, e di un tal Arrebaio di dlogo- bamba. Vi avevano erette varie capanne belle c spaziose , e si slava costruendo anche una chiesuola. II luogo è assai ameno, e men umido del porto del Napo , godendosi della maestosa vista delle Andes e del vulcano Antisana. La pesca vi è abbondante, massime alla foce del rio Arackuno che le sta di fronte. Al mio arrivo trovai sulla riva molti indiani con tamburri io mano, lutti ornati di piume, dipinti di rosso, che mi stavano at¬ tendendo ; suonarono le loro vocine o specie di trombe di legno, e m1 accompagnarono in tal modo al cabildo , facendo festa pel mio arrivo. Erano questi gli uomini stati scelti dal governatore per accompagnarmi nel viaggio. Sebbene già da sei giorni essi se ne stessero in baldoria, bevendo ed ubbriacandosi , pure non mancarono di supplicarmi ad aspettare altri cinque o sei giorni, non avendo ancora terminato di consumare la chicha preparala per la così detta Bevida de la despedida ( brindisi di congedo ). Dovetti loro concedere altri tre giorni. 11 dì seguente fui invitalo ad assistere ad una lesta nuziale , invito clic accettai di buon grado onde essere testimonio anche di questa loro cerimonia. Non aveva ancor finito la mia refezione col governatore Don Clemente Guerrero, che si presentò al cabildo una deputazione formala de¬ gli anziani del villaggio c de’ miei bogas onde condurmi alla casa dove avea luogo la festa nuziale, la quale però era di già prin¬ cipiata fin dallo spuntar del giorno. Non era quell’ edilìzio clic una semplice e spaziosa teltoja, sotto la quale stavano radunate circa cento persone d’ambo i sessi, tulle bizzarramente vestite e dipinte con acliote. Le donne formavano varj gruppi c stavano sedute su pezzi di scorza d’ albero c sluoje , mentre gli uomini se ne rimanevano accoccolali all’ ingiro su tronchi c radici d’al¬ beri. Due nozze venivano celebrate in quel giorno. Gli sposi erano uno de’ marinoj o bogas che doveva discendere meco il Napo, ed un uomo di Avila. I miei bogas lutti adorni di pennacchi e di¬ pinti si tenevano in luogo appartalo, portando sulla lesta una co¬ rona di vimini o cerchio inlessulo di piccole piume, ed eccita¬ vano l’ammirazione di tutti gli astanti. Gli indiani del Quixos accettano con gioja l’offerta di far parte di una spedizione o navigazione sul Napo, essendo al loro ritorno tenuti in molta considerazione e scelti ad occupare le cariche di juslicias od anche di capi o caciqui. Oltre all’onore che vicn loro impartito per l’acquistalo titolo di bogas (navigatore), il maggiore vantaggio per loro, a mio credere, consiste nel poter passare sei a otto mesi senza stentare la vita visitando nuove terre, cono¬ scendo nuove tribù c procurandosi ogni sorta di selvaggina. Si aperse la danza, c le due coppie si avanzarono accompagnale dai due paraninfi c dalle due malrinc. Le spose erano abbigliate alla foggia delle Quitegne, ed avevano una infinità di ornamenti di vetro , e piccole collane di pezzetti d’ oro infilzali tali quali vengono trovali nel Ietto del fiume. Una fascia rossa cingeva loro — i 44 — il capo, tenendone così raccolta la lunga e nera capigliatura. Gli sposi, oltre all’essere tulli dipinti a varj colori, portavano un cap¬ pello di paglia loquilla , con lunghi nastri color di rosa. Colla mag¬ gior riservatezza c serietà tanto dall’uno che dall’altro lato si diè principio alla danza consistente in semplici passi a guisa delle nostre quadriglie. Le spose stavano sempre a testa bassa guar¬ dando i loro piedi, gli uomini facevano mille lazzi e mille ridi¬ cole contorsioni, i padrini andavano levando di tratto in tratto i cappelli di paglia posandoli sul capo delle spose, e gli astanti gri¬ davano e cantavano. Molte femmine intanto erano occupate a pre¬ parare la chicha che ammanivano con acqua tiepida, empiendone le enormi otri che stavano ai quattro angoli della tettoja. Alcuni ragazzi affatto nudi, altri con cintole alle reni battevano le mani accompagnando in cadenza i monotoni suoni de’ tamburrclli. Terminata la prima danza, le due coppie salutarono gli astanti eoll’avvicinare la mano alla faccia di ciascuno, proferendo in pari tempo la parola licenza o permissione, e si ritirarono in un’altra capanna chiusa poco di là discosta. Un drappello d’uomini con pic¬ coli tamburri ( caijtas ) formò all’istante un gran circolo e girando in tondo velocemente fece cogli strumenti un baccano infernale. Altri cantando in uno degli angoli della tettoja andavano rammen¬ tando tutte le prodezze e le caccic fatte dagli sposi, mentre nel- l’altro lato molle donne esaltavano parimenti e celebravano la ve¬ nustà delle forme delle fidanzate. Slava per andarmene, stanco di quella ridicola pantomima, quando, dopo qualche tempo, rientra¬ rono sulla festa le due spose, e portatesi a me davanti mi fecero un segnale col dito indice , ma tanto vicino agli occhi da quasi accecarmi. Io non capiva che mai volesse significare quell’invito, e stava perplesso; quando il cacique che sedeva a’ miei fianchi, portando il bastone o clava di comando, si levò, e mi accompagnò al luogo dove esse se ne stavano ritte in piedi a testa bassa aspet¬ tandomi; allora si diè principio nuovamente al ballo, ed io dovetti sforzarmi di imitare alla meglio i loro passi c le loro pose, finché stanco chiesi che altri venisse ad occupare il mio posto. Dopo che il governatore ebbe subito lo stesso cerimoniale noi riuscimmo a congedarci. Tutti ci salutarono col nome di tucayo (amico), e ci fecero ingoiare ad ogni costo molle lazze della loro stomachevole cervogia. L’adunanza si sciolse, e gli sposi, accompagnali dai pa¬ drini, uscirono pei primi dalla tettoja recandosi ciascuno alle loro — 145 — caso. Il marito indicò ad uno ad uno tulli gli utensili della casa, quelli di caccia, di pesca, e la balea per lavar l’oro; ed il cacique li unì in matrimonio proferendo alcune parole sacramentali ; così ebbe line la cerimonia. La mancanza già da più anni in quella provincia di parrocbi o di missionari fa sì che i capi c gli anziani siano costretti a celebrare matrimoni e dar il battesimo a’ bambini ; così vanno rendendosi sempre più increduli ed indifferenti ai riti e ai dogmi della religione. Nel dopo pranzo vennero al cabildo lutti i convitali, recando gli sposi in offerta al governatore racemi di banane , yuca , mandi, c le spose uova ed acki (pimenti rossi). Prima di partire però esigendo essi un regalo per compenso dei presenti, vennero loro distribuiti de’ piccoli anelli ed ami da pesca, tanto che alla fine ci lasciarono liberi. 11 dì seguente non appena si presentarono l’alcade ed i justi- cias (officiali di polizia) per udire gli ordini del governatore, venne loro ingiunto di far calafatare dai miei boyas la piroga che aveva una larga fessura alla poppa, e di mettere a suo luogo il pamacan, specie di lelloja formala di rami di palma alla a riparare dalla j) ioggia e dal sole. Durante la giornata volli attraversare il fiume per delincare uno schizzo della vista pittoresca di quel villaggio presa dall’ isoletta dell’ Aradiuno. Magnifica era la scena che allora mi si presentò allo sguardo: qua e là innalzavansi alberi altissimi di guapali, di cedri, di bananieri e di palmizi, nel cui centro ergevasi siccome in mezzo a un bacino di verzura quella terra; indiani con isvelte piroghe attraversavano il fiume con attrezzi di caccia e di pesca; donne alle sponde andavano lavando le sabbie per estrai ne l’oro. Di là passai ad un piccolo Iago vicino in compagnia del gover¬ natore e di un tal Sandoval peruano , residente a Laguano. Ivi molli indiani. stavano pescando col barbasco, col quale ci procac¬ ciammo molli pesci delti bocacicos e robalos. — Salmo rhombeus Lin. e Gaslcropdcus bermela di Block. Hyposlhomus emarginatus. Esistono quattro sentieri per passare da Laguano al Cantone di Canelos, così almeno mi venne accertato da Sandoval clic aveva più volle percorso quel cammino. 11 l.° è quello detto del Gua- puno che è il più occidentale, il 2.° pel Rio floglan , il 5.° per Rodriguez, ed il 4.° per Cusano. Qucst’uliima è la strada più fre- — 140 — quèntala , impiegandosi da o a G giorni passando per (iliaquitio e di là in altri 2 giorni giungendosi a Canelos n. In quella stessa giornata arrivò dal Curaray un’ orda di sel¬ vaggi Zaparos i quali, giunti di fronte al villaggio di Lagnano, con grida e con segnali chièsero si passasse dall’opposta sponda per traghettarli. Non appena furono scorti da que1 del villaggio , che vennero lanciale in acqua le canoe e dirette a tutta forza di remi a quella volta. Chiesto da me il governatore del motivo di tanta sollecitudine verso que’ selvaggi, mi fu risposto non far essi que¬ sto per alcun senso di amicizia, sibbene per essere i primi a de¬ rubarli degli oggetti che portano a vendere in cambio, carni affu¬ micate di pecaris, scimmie, ornamenti di penne, ce.; gli Zaparos 1) Dallo stesso Sandoval potei avere le seguenti notizie intorno a quel tratto di terri¬ torio abitato dagli Zaparos, regione che avrei desiderato v isitare in compagnia dell’amico, se non mi fossi trovato tanto in ritardo. Il l.° giorno, da Lagnano si passa all'opposta sponda del Piapo, si riesce allo sbocco del rio Arackuno e si rimonta per mezza giornata sino al rio L usano. Qui si è obbligati di lasciare la canoa c continuare il cammino a piedi. — Gli indiani alla sera fabbricano le loro canaste, dove ripongono i varj oggetti che devono trasportare sulle spalle e vi chiu¬ dono le cariche clic d'ordinario non eccedono le due arrohe. Il 2.° giorno, dopo aver lasciato il rio Solano ad una lega più in là, si passa il Sardi liti¬ goni, e percorse C leghe si arriva la sera a Mi ic liino, pernottando sulla spiaggia d 'Ispingo, piccola fiumana che sbocca nel Musino. Quivi incontrasi una tribù Zapara , ed un’altra più in basso. Gli Zapari del Machino stanno accampati sulla sponda orientale. li 3.° giorno dal tambo del Muekino , seguendo per un’ora e mezzo l'alveo del fiume, si entra in una pianura boschiva, impiegandosi tre ore nel salire e scendere il monte Gna- gru-ut'cu, alle cui falde scorre il rio Stimino. Lasciato questo in disparte si entra nelle pompati (pianure) del Curaray, c s’arriva alla sera a Monete, villaggio di 12 a lo capanne, abitato da 20 famiglie Zapare aventi il loro Camelia, per nome Uchapiero , c clic dipen¬ dono dal Gliaquino. Hanno costumi molto ospitali e sono provvisti di viveri , cioè carni affumicate di scimmie, di tapiri e di paucki (fagiani). Nel 4.° giorno si passa dal Morde al colle d’ Agnango, e si discende per I' opposto lato al rio Aniago-yacu che si è obbligati ad attraversare per ben tre volte. La strada conti¬ nua sino al rio Basano che si guada per giungere poi al rio Lagnano, andando a riposare la notte a Turu-yacu. .Nel 3.° giorno dal Taru-yacu si va al rio Collana-yacu si supera il monte Guaynssa e s'arriva alle sponde del Gliaquino, dove trovasi un piccolo villaggio fondato dallo stesso Sandoval. Essendo costui riescilo a raccogliere molte famiglie Zapare, si diede a dissodare cj tiel le vergini terre; ma dopo una dimora di cinque anni, avendo corso grave pericolo della vita in un tumulto di que’selvaggi contro i Xibaros, stimò bene di ritornarsene colla sua famiglinola al Napo. però, consci con qual sorla di ladri avessero a clic fare, avevano diligentemente nascosto nel bosco, prima di dare gli avvisi, tutto quanto avevano condotto seco per poi riprenderlo a miglior tempo in compagnia dei compratori. Arrivali al villaggio, si recarono su¬ bito a salutare il governatore al callido, dove giunse anche San- doval per servirci d’interprete. Erano questi Zapari del rio Curaray, coi quali Sandoval aveva vissuto per ben cinque anni, e venivano unicamente per fargli una visita e portargli alcuni regali consi¬ stenti in carni , ornamenti di piume ed un po’ d’ oro del Cura¬ ray , oltre a due ragazzi da loro falli cattivi in una scorreria, commissione che era loro stala data dallo stesso Sandoval, il quale avea offerto in cambio due scuri. Non si pervenne mai in al¬ cuna maniera ad estirpare questo obbrobrioso traffico usato fin dal tempo della dominazione spagnuola. Mediante alcuni presenti di utensili, di conlerie, di tela, di ferramenta ed altro, falli a’ più valenti e coraggiosi selvaggi, questi intraprendono scorrerie con¬ tro i loro vicini, massime contro gli Xibaros , ne rubano le donne ed i fanciulli, e se ne ritornano per vendere ai bianchi la preda. Vengono dessi chiamali Taguachas. I! valsente o foggelto si con¬ segna in anticipazione al curacka dell’orda, il quale con sempre tutto lo scrupolo adempie al suo incarico. Quella truppa Zapara era composta di 32 persone fra uomini , donne e fanciulli, che vennero tosto impiegati da Sandoval a tagliar boschi e dissodare terreni da ridurre a campi di riso e tabacco, essendo intenzionato di non lasciarli partire prima di quindici giorni. Io comperai da loro alcuni ornamenti di piume e di semi , dando in compenso aghi grossi da cucire ed ami da pesca. Erano la più parte nudi, alcuni però portavano una specie di lunga camicia falla di sem¬ plice corteccia d’ albero tinta in rosso; lo donne non avevano che una stretta fascia di corteccia d’albero detto gianociania che loro copriva i pudendi, non eccettuata nemmeno la moglie dello stesso curacka , donna assai avvenente, sebbene di statura atle¬ tica, fornita di due begli occhi cerulei. Mi mosse a compassione la somma loro miseria , e feci loro vari presenti di anelli d’ ot¬ tone , ami ed aghi che ricevettero con molla gioja , essendo per loro oggetti di gran pregio ; alla moglie poi del eacico regalai uno specchietto e quattro braccia di tela , colla quale fornirsi di un pajo di calzoncini. Questa , onde mostrare la sua gratitu¬ dine, dopo aver scambiale alcune parole col marito, venne di- — 148 — nanzi a me, c slaccatasi dal collo un monile inlessulo di semi, di conchiglie , di piccoli denti di scimmie ed ali lucenti di pic¬ coli bupresti (insetti), con modi assai cortesi me lo offri in dono. Avendo osservato trovarsi fra loro molti guerci, seppi da Sando- val come alcuni si feriscano facilmente nelle foreste gli occhi coi rami , allorché senza badare agli ostacoli inseguono gli animali da loro feriti: mentre altri si ledono colle stesse freccie rimbal¬ zale dagli alberi, e molti restano feriti dai nemici in guerra. Mi colpì altresì in loro una somma loquacità ed un’allegria per me inconcepibile , che esprimevano col far capriole , e dar fiato a piccoli pifferi fatti con ossa di jaguar. Gli uomini per la più parte avevano un po’ di barba e mustacchi , ciò che mi riuscì strano formando il contrapposto degli indiani del Ouixos clic non hanno un pelo su lutto il loro corpo , e sono di un colore di rame oscuro , mentre gli Zapari appena si ponno dire olivastri chiari. Partenza «la Lagnano per Santa Rosa «l'Oas. Il l.° novembre volli discendere a 8. Rosa cV Oas per racco¬ gliere gli altri sei indiani che, stante il mio ritardo, cransi recali alle loro capanne. Presi congedo dal governatore don Clemente Guerrero, al quale consegnai una lettera pel generale Josò Maria, di lui fratello, nella quale lo ringraziava dei tanti favori prodi¬ gatimi , e gli esprimeva la mia gratitudine. I mici marinai poi non si poterono strappare così presto da’ loro parenti ed amici : non poteva a meno di commovermi la vista di una moltitudine di persone, uomini, donne, vecchi, fanciulli, che erano venuti ad accompagnare alla piroga c prendere congedo dal padre, ma¬ rito o figlio. Le femmine inluonarono una lugubre nenia simile a quella che cantano nei funerali , accompagnata da dirottissimo pianto, e intanto per più di mezz’ ora si alternarono gli addii e gli abbracciamenti. Mentre i padri benedivano i figli genuflessi loro davanti , le donne recidevan loro le lunghe ciocche , pegni d’ amore e di ricordanza che doveano, secondo il rito, servire per compiere i funerali nel caso che più non tornassero da quel viaggio. Stanco di starmene colà sotto la sferza del sole aspet¬ tando clic gli addii fossero finiti, diedi il segnale della partenza, scaricando le pistole c la carabina, al qual saluto venne risposto dai quattro soldati elio scortavano il governatore ne’ suoi viaggi nella provincia per ivi esigere l’annuo tributo. Gettatici al largo , la piena del fiume rendendo rapida la cor¬ rente a segno tale che si correvano circa sci miglia per ora, in un baleno si perdette di vista quel villaggio. Si passò rasente aH’isolelta d’Araekuno, dove alcuni indiani stavano lavando l’oro. 11 fiume va sempre più allargandosi, c tanto ncll'una clic nell'al¬ tra sponda i terreni sono elevati e boschivi. Si scorge da lungi la catena della Cordiglieli di Galeras che va ad unirsi con quella del Guacamayo. Da Cagliano a S. Rosa sonovi le seguenti isole, le quali ad una ad una mi venivano indicate dal pilota col nome loro dato dai naturali: Arackuno , Santu , Rodriguez , Campana , Napoloa, Muglia-, guanga , Fluambuno grande , Huambuno eie! lo , S. Rosa. Dopo due ore di rapida discesa si giunse a Napoloa , piccolo villaggio situato sulla sponda settentrionale, ove non trovansi clic piccole capanne qua e là sparse senza alcun ordine. Varie per¬ sone avendoci invitali con grida e gesti ad avvicinarci alla riva, i miei bogas mi pregarono a loro concedere tanto favore , onde poter dare 1’ ultimo abbraccio agli amici, lo mi trovai mio mal¬ grado obbligalo ad accondiscendere ai loro desiderj onde non met¬ tere il malumore sul bel principio della partenza, ed in luogo ove usando rigore avrebbero con tutta facilità potuto cavarsela. Sal¬ tarono a terra, e fui io pure costretto a discendere, strappato quasi a forza da quegli indiani. Ballarono c bevettero per ben due ore, e tutti alla line caddero in uno stalo di completa ubriachezza prodotta dal vintilo o chieha fermentata. Due canoe ci raggiun¬ sero poco dopo il nostro arrivo, cariche di quelle stesse femmine dalle quali ci eravamo già congedati a Laguano, ma che volevano seguire i loro mariti o amanti sino a S. Rosa. Con somma dif¬ ficoltà mi riesci a ricacciare gli uomini nella piroga, lusingandosi essi tuttavia ch’io avrei loro concesso di passare quivi la notte in gozzoviglia in compagnia delle donne e dei camerata. Dovetti af¬ frettarmi a montar pel primo nel canotto, tanto più che vidi ac¬ correre molli armati di lancio e coltellacci, ed altri vagar nei con¬ torni mezzo ubbriachi, con volti sinistri, mostrando dispetto per 1’ ordine dato ai miei bogas d’ imbarcarsi. Tutto però finì senza ulteriore molestia, tanto clic potei partire alle 4 pomeridiane. Si rasentarono varj isoloti i coperti d’ alberi ; scandaglialo in varie parti ii fiume, trovai che la profondità variava dalle 3 alle 4, 5, G braccia. Incontrasi in lutto questo tratto un solo passo assai difficile o correntada, che si superò felicemente. Dal porlo del Napo a S. Uosa la corrente è rapidissima, scorrendo il fiume in un letto angusto, ingombro di scogli, vortici e banchi di sabbia, che rendono al sommo pericolosa quella navigazione. Alcune volle fummo costretti a balzare nell’acqua e trascinare la canoa rasente alle sponde, per impedire che venisse capovolta dalle impetuose correnti e dai vortici. Altre volle saltando di roccia in roccia fummo obbligati di spingerla avanti coi piedi c colle mani. Sull’imbrunire giunti a S. Rosa d’Oas, tirai due colpi di fucile per avvertire il mulatto Malhias del mio arrivo , e feci scaricare la canoa dovendo necessariamente passarvi alcuni giorni prima che fosse allestita 1’ altra piroga. Questo giovane mulatto , che cono¬ sceva la lingua quichoa e zapara, doveva discendere meco al fiume delle Amazzoni in qualità di domestico onde servirmi di inter¬ prete. Esso mi era stato raccomandato dall’ amico Villavicencio, che gli aveva affidato varie commissioni di compere di veleni ti- cunas ed oreckones e di sale, dovendo poi ritornarsene da Loreto colle canoe e cogli indiani da me noleggiati. — • Nella stessa sera fallo venire il capo-pilolo , feci somministrare a tutti gli indiani provvigioni ed acquavite, rimanendo essi, duratitela mia dimora colà, a tutto mio carico. 11 D. Villavicencio mi scrisse dal Napo, pregandomi ad aspettarlo per alcuni giorni, poiché desiderava di tenermi compagnia nella discesa fino a Sincicicla. Tal notizia riu¬ scì per me di sommo conforto, essendomi così data l’opportunità di rivedere un uomo cui ero legato da tanta riconoscenza ; sic¬ ché mi decisi ad aspettarlo. Certi Pereira c Salazar di Quito accorsero tosto a felicitarmi del mio arrivo , e mi fornirono di commestibili. Alloggiai però presso il mulatto Orliz, trovandosi la sua capanna più presso al- l’ imbarcadero (porlo). Mi procurai carni affumicale di scimmie e pesci, che mi dovevano servire per i primi cinque o sei giorni solamente di discesa; essendovi , dopo aver varcato il rio Coca , somma dovizia di caccia e di pesca. Impiegai quelle giornate in varie corse nell’interno per far incetta d’uccelletti, d' insetti e di farfalle, e di accrescere così la mia collezione. CAPITOLO XIV. Villaggio di S. Rosa d’Oas. — Coltivazione. — Migliorie che si potrebbero introdurre nel Cantone di Quixos. — L’agave americana. — Modo d’estrar la cabuya o pila. — Il tabacco di Colapino. — Progetto di un cammino di comunicazione. — Decreto della Camera legislativa. — Epoche nelle quali fu esploralo il Quixos. — 1 vam¬ piri. — Descrizione di varie specie di pipistrelli. — Danni che arrecano all’uomo ed al bestiame. — La nigua o pulex penetrami. — Pucacuros o insetti micro¬ scopici.— Caccia àcWjaguar. — Colibrì. — Il trompetcro o psophia crepilans.— Copia di lettera interessante ricevuta dal Napo. — Infanticidio commesso da un'in¬ diana. — Il solimancillo o erba velenosa. — Preparativi di imbarco. — Con qual modo i selvaggi costruiscono le piroghe. — Partenza e congedo delle donne dei miei bogas. — Il corso del Napo. — Lussuriosa vegetazione. — Isole. — Fiumi che sboccano nel Napo. — Il villaggio del Suno. — Febbri miasmatiche. — IJivacco nell’isola di Cacao. Santa fiosa tV Gas trovasi situata ad 1° 4’ di latitudine meri¬ dionale, ed 1° 461 longitudine occidentale di Quito; dista non più di 20 leghe dal porto del Napo. Altre volte era borgata piuttosto vasta, residenza di missionari e parroehi ; ora è ridotta a povero villaggio cadente in rovina e quasi deserto. E situata sur un al¬ tipiano poco discosto dal fiume. Di videsi in quartiere allo e basso. Nell’alto trovansi la chiesa e le abitazioni degli indiani; nel basso si vede tuttora l’antico convento ed il cabilcìo , quantunque rovi¬ nali, più non essendo abitati. Le case e la chiesa sono di paglia e canne. La popolazione non oltrepassa le 500 anime. Vi sono altre capanne abitale da cinque o sei Quilegni che si applicano all’agricoltura. Un tal Fereira portoghese v’ introdusse la coltiva¬ zione del caffè che vi prospera a meraviglia ; s’incontrano pure belle piantagioni di tabacco, cotone e eanavcralcs (piantagioni di canne di zucchero), dalle quali estraesi tanta acquavite c melassa da approvigionarne tutto il Cantone di Quixos. Questa incante¬ vole regione potrebbe ritornare al suo primiero stato di floridezza appena venissero un po’ instaurali e resi praticabili i sentieri che menano ad Avita, a Loreto, a Concepcion ed alla capitale dell'E¬ quatore, e concessa protezione e guarentigie ai trafficanti e col¬ tivatori che ivi volessero stabilirsi. Reso poi navigabile il Napo, quivi senza dubbio si stabilirebbe lo scalo principale delle piro¬ ghe e barche provenienti dal rio delle Amazzoni e da Nauta con carichi di sale, di cui vi si potrebbe formare un emporio. Così — 152 - dicasi di quelle provenienti da W A guari co, dalla Coca, dal Curaray, che quivi verrebbero a provvedersi di ferramenta, di sale ed al¬ tri articoli di prima necessità, cambiandoli coi prodotti dei loro boschi e delle loro terre, od oro in polvere, risparmiandosi in tal modo la metà almeno del viaggio. Le 500 arrobe, ossia 12,500 libbre di pila clic ogni anno al presente si esporta da quella provincia, essendo limitata la coltivazione dell’ agave a Loreto , Avita, Concepcion e Pagammo, si potrebbero in pochi anni por¬ tare, con poche migliorie che si riuscisse ad introdurre, sino a 1500, ossia a due terzi dippiù. Questa pila si vende a Quito a 5 e 4 reali per ogni libbra. Semplicissimo è il metodo che vidi più volle praticarsi nel¬ l’Equatore onde estrarre il caguar o fili dell’agave. Que’ del Qui- xos recidono le foglie carnose rasente il fusto, e le espongono per qualche tempo al sole finché sieno un po’ secche, quindi le met¬ tono a macerare entro qualche acqua stagnante per lo spazio di otto giorni. Scorso questo tempo, si cavano dalla fossa, c poste sur una tavola, si raspano ad una ad una con un coltello di le¬ gno finché si sia staccata da ambo le pagine tutta la pellicola già in istalo di putrefazione. Compiuta questa operazione, le lavano accuratamente, c le espongono al sole, onde ottenerne l’ imbian¬ chimento. Se ne fanno poi delle matte o mazzi, del peso di una libbra, denominate pila fioca o pittila, che si spediscono per l’or¬ dinario a Quito ed anche nel Perù , ove i sarti c i calzolaj ne fanno molto consumo stante la tenacità c durata del filo. Talvolta vien ritorta in varj capi sottili , ed allora chiamasi pita torcala, che ha un valore eguale o maggiore dell’ altra , a seconda delle ricerche che se ne fanno all’estero. Una libbra di pita fioca nel Quixos non vale, facendo de’ cambi, che un reale a un reale e mezzo. Non adoperano macchine per filarla, nò per torcerla; pure, servendosi semplicemente delle mani , giungono a ridurla ad una straordinaria finezza. A Quito vien tinta a varj colori, e si adopera per ogni sorta di lavori diiicati. Come già feci osservare, gli indiani dell’ interno del Qui¬ xos pagano il tributo al Governo con pita fioca, pel valore di 4 dollari, il quale tributo però nel 1847, per decreto della Camera legislativa , era stalo interamente abolito. 11 tabacco é di eccellente qualità, massime quello che ricavasi dal Cotapino, Pagammo, Avita, .8. Jose. 1 terreni più prossimi 153 — alla grande Cordiglicra delle Caler as ed al vulcano Stimano , go¬ dendo d’ un clima temperalo, anzi piuttosto freddo, potrebbero produrre palale, maiz, orzo e foraggi da alimentare molto bestiame bovino ora non educato in lutto il Quixos. Moltiplicando i mezzi di comunicazione si potrebbero spedire i varj prodotti per Avila onde raggiungere la via d’ Arcbidona a Baeza, la quale per essere in linea retta, è d’assai più breve (Vedi la mappa del Quixos). Fa pena il vedere come quelle popolazioni sicno obbligate per¬ correre sentieri asprissimi, vie tortuose, sopportando immense fa¬ tiche e con perdita di tempo infinito. Da Santa Rosa si impie¬ gherebbe un giorno per recarsi alla Concepcion, quando ora ce ne vogliono tre, dovendosi prima superare un ramo delle Cordi¬ gliere di Galeras al passo detto Ventanilla , indi attraversare i fiumi Buono , Sacala per giungere al piccolo villaggio di Cotapino , alle sponde del fiume dello stesso nome. Altri piccoli sentieri ap¬ pena tracciati nel bosco mettono a Concepcion , Loreto , Avita, S. Josè. Un solo parroco disimpegnava la cura delle anime in lutti questi luoghi, nei quali vi passava, entro l’anno, una o due setti¬ mane. Ora però i preti hanno affatto abbandonalo anche queste province, che loro forse rendevano frulli troppo meschini! Questo vasto territorio, che offre tante risorse al coltivatore, al negoziante ed al naturalista, non manca de’ suoi flagelli e de’ suoi influssi dcleterii, i quali però potrebbero in buona parte scom¬ parire appena migliorata la coltura del suolo, venissero abbat¬ tute quelle impenetrabili foreste d). I vampiri sono di gran nocu¬ mento agli armenti, anzi formano uno dei principali ostacoli per poterli introdurre e far prosperare, succhiando essi nella notte il sangue agli animali, e riducendoli così in poco tempo sfiniti di forze a tale da morire consunti. Gli stessi indiani sono costretti di erigere de’ piccoli ioidi o tende, onde ripararvi i loro fanciulli. 1 più infesti e terribili sono di una specie assai piccola del ge¬ nere vespertilio , specie tuttavia sconosciuta e che osservasi solo nel Quixos e Rio Napo. Gli indiani loro danno il nome generico di tuta-pisco (notte-uccello); io credei bene di denominarlo Phyl- 1) Il Quixos fu esplorato per la prima volta da Pineda nel 155G, in seguilo nel 1551 lo percorse Ramircz Davalos, il quale vi fondò Baeza ed Arcbidona, ma venne in decadimento in seguito ad una peste clic distrusse parte di quelle popolazioni, c dopo un’invasione dei selvaggi Xibaros, che trucidarono i pochi superstiti. — 154 - loslomus quixensis n. sp. L’ Janu-lìlcishu, così chiamato in lingua quichoa, è un’ altra specie di pipistrello clic crcdesi innocua ; è di mole considerevole c di color oscuro, poco dissimile dal ve¬ spertilio nasutus, ad orecchie grandi un po’ più corte della lesta, a muso lungo e acuto; il pelo è d’un bruno marrone, un po’meno carico sotto il ventre. 11 pucka inasinì degli indiani è il Phyllostoma perspicillatum di Geoff. Se ne trovano altre specie ad orecchie lunghe, come il plecotus velatus Geoff., ed altre poco dissimili, ma che non potei procurarmi. Siccome le capanne di notte non si ponilo chiudere, ed i vampiri vanno a frolle svolazzando per r abitalo , io aveva somma cura di tenermi accovaccialo sotto la zanzaliera di tela, quantunque il calore fosse intenso; ciò non ostante due volle venni morsicalo da questi non favolosi vam¬ piri, c sempre senza avvedermene, una volta ai piedi ed un’altra sulla lesta lasciandovi una piccola cchimosi con sangue rappreso. La molestia poi de’ moscerini, zanzare, areni llas è tale e tanta, che a mala pena si riesce a prendere un po’ di riposo sì di giorno che di notte , mantenendo un denso fumo davanti alle capanne colla combustione dei nidi di vespe c di termiti. A questi flagelli arroge quello degli jaguari, degli ocelot e di altre belve che escono nella notte dalle loro latebre nelle selve attigue, penetrano nei villaggi, divorando quanto loro si presenta, massime i cani c i polli, senza risparmiare nemmeno 1’ uomo. E perciò che gli in¬ diani non attraversano mai soli que’ boschi, c mantengono sempre accesi de’ fuochi davanti alle capanne. Sol pochi giorni prima del mio arrivo, una donna, moglie di un tal Salazar di Quilo, avendo udito un ululo e un abbajar di cani, affacciatasi all’uscio della capanna, mirò alla distanza di pochi passi un enorme jaguaro; essa senza perdersi d’ animo, dato di piglio alla carabina del marito assente ed appostatasi dietro una parete della casa formata di canne, gli appuntò un colpo c lo ferì nella coscia ; i cani finirono poscia di ammazzare quel terribile mostro, del quale vidi la spoglia che rimanea tuttora ad essiccare. Oltre alle ni gae o pulex pene trans , comunissime nel Perù e nell’ Equatore, in quelle foreste trovansi certi insetti quasi micro¬ scopici detti pucacuros , di color rossiccio, simile agli acari , che al più lieve muovere dei rami si staccano a migliaja e si ficcano in tulle le parti del corpo, sotto le palpebre, nelle carni c fra le dila de’ piedi, produccndo un prurito insopportabile; nè la per- donano agli animali, sorci, lepri, scojalloli, cacciandosi al di sollo della gola, nelle nari, negli orecchi, c sì crudelmente da farli mo¬ rire di spasimo. Fra i tanti uccelli i cui melodiosi accordi diffondono la vita e la gioja per quelle selvaggie solitudini, si ammirano molle specie di risplendenti colibrì, che vanno librandosi di fiore in fiore a suc¬ chiarne il nettare più puro. In una delle caccie da me intraprese, fra le svariate specie che ne riportai, eravi la elegante rupicula peruviana (Gallo di rocca), di un vivissimo color giallo aranciato, avente un ciuffo di tinta uguale clic ne copre interamente la lesta fino all’estremità del becco, roseo al pari de’ piedi, deila grossezza di un piccione all’ incirca. Una bella varietà dell’ agiata tatuo, che i naturali del Quixos chiamano ciccià , differisce dalla comune per non aver sul dorso quella tinta gialla, che si osserva costantemente negli individui del Perù e del Brasile; forse potrebbe essere una nuova specie. La Pipr a / ilicauda (Huèz), uccello rarissimo, da me poscia non osservalo che una volta sul rio delle Amazzoni vicino a S. Pablo iV Oliveinca, dove potei averne altri due esemplari. La Cotinga Nat- tererii o /usciali dei naturali , ed il Rhamphocclus ignescens di Lesson, o niiui-pisco (fuoco-uccello), pel suo rosso di fuoco, ed una nuova specie di Phcenicercus , poco dissimile dal nigricollis e dal carni fex, fornito di un collare nero di tinta uniforme che circonda la gola ; un bel colore scarlatto gli orna il resto del corpo l\ Alcuni giorni prima della mia partenza da Santa Rosa 1 2), due 1) Nelle capanne di quegl’indiani si vede svolazzare una specie di grò delta (rompetelo nell'Equatore ed agami nel Brasile. Questo uccello facilmente si addomestica e segue l’uomo in ogni parte del bosco come un cane; ogni mattina al primo suo apparire gli move in¬ contro, allarga le ali c manda un suono sordo e rauco. È la psophia crepilans di Lin. 2) Pochi giorni dopo il mio arrivo a Santa Rosa ricevetti la lettera dell’amico Villavi- ccncio clic qui riferisco: S. Cayetano Osculati. Napo, l.° novembre 1847. Mi buen Amigo. Me calie la complacencia de escribir a V. partecipandole que los Indios que abandonaron a V. en cl Cosanga han sido castigados cn Qnito. Remito a V. una carta del Presidente de la Republica cn que contesta solile cste asunlo; tambicn le remilo etra nota oficial de la Gobernacion relativa a lo mismo, yo no dudo que cstos malvados cargueros quedaran escarmen lados. - 156 ■- giovani indiane vennero a ehiedermi lieenza d’ imbarcarsi nelle mie canoe onde seguire i loro amanti, ciò clic non volli assolu¬ tamente concedere, ben sapendo qual fomite di discordie e di disordini esse sarebbero state in tal tragitto. Fra le supplicanti la più insistente era la vedova di un tal Panduro di Moyo-bamba, stato alcuni mesi prima assassinalo a Jasuni in una rigna. Dopo tale infortunio, ritiratasi quest’ indiana a Santa Rosa con un pic¬ colo fanciullo avuto da quel bianco, viveva in concubinato con uno dei bofjas prescelti ad accompagnarmi. Per liberarmi da tanta molestia, stanco di sue preghiere, uscii col dire come noi potessi in causa dell’ aver dessa un bambino lattante. Se ne partì l’ in¬ diana tutta dolente pel mio rifiuto; quand’ccco il giorno seguente mi vicn narralo come quella madre crudele, nella speranza che disfattasi del fanciullo sarebbe stata raccolta nelle mie barche, avesse di pien meriggio esposto lutto solo il bimbo sulla prua della canoa, dalla quale per la continua ondulazione era caduto nel fiume che via lo avea trascinato nella sua corrente; ed ella, sebbene abile nuotatrice, non si fosse punto curata di salvarlo. Appena scomparso sotto le onde, si era posta a gridare a tutta gola, a piangere ed a cantar la solila nenia mortuaria, fìngendo sommo dolore; ma lutti avevano la certezza clic volontariamente quella disgraziata avesse commesso tanto misfatto. La stessa sera ebbe l’impudenza di presentarsi alla mia capanna, dicendomi come avendo perduto il figlio io non potessi più negarle 1’ im¬ barco. La feci scacciare di là, ingiungendole di non più compa¬ rirmi dinanzi, rinfacciandole in pari tempo come mai per soddi¬ sfare ad una brutale passione avesse potuto commettere sì infame delitto. Nè polca darmi pace clic questo rimanesse impunito. II Villavicencio, al quale riferii tale accidente, non appena arri¬ vato a Santa Rosa dal Napo, assicurommi che al di lui ritorno si sarebbe occupalo di tal affare soggiunse però non doversi Tocante a las cosas que le han robado à V. de las cargas que quedaron butadas cerca del Cosanga nò se puede averiguar con los Jumbos, porque parccc que lodos los que bau salido han tcnido parte en los robos, amas yo creo lo han vendalo lodo cn Qttilo v cl producto se lo han bevido, cn tal caso no se podrà restituir ni cobrar nada. Sin embargo no olvide V. de mandarino la lista prolija de lodo lo que han robado. Dcsceo a V. buona salmi, y cl que ocupc a su alTccluoso amigo : Villavicencio. 1) Il D. Villavicencio avc\u ricevuto in questi ultimi giorni da Quilo un dispaccio fare gran meraviglia eli (ali infanticidi, giacché ne succedevano di continuo fra gli indiani. Quando un’ indiana ha avuto com¬ mercio con un bianco, e da questi abbia generato un figlio, il cui colore faccia palese il fallo commesso, quella disgraziata non trova più pace, è perseguitata da’ suoi parenti, derisa c disprezzata dalle altre donne, tanto clic per finirla è costretta a disfarsene in qualche modo, o affogando il neonato nel fiume o propinandogli suchi di certe erbe velenose della famiglia delle euforbiacee dette soliman (sublimalo), che lo fa morire in poche ore. Ciò fallo, quella donna è ristabilita nella pubblica opinione, e torna ad es¬ sere benveduta da’ parenti che dimenlicansi, dopo tale espiazione, de’ torti e dei falli commessi; tanto ò l’odio clic quei selvaggi nutrono verso i bianchi. Partenza da Santa Rosa «l'Ous per Sineicicta. ("Dal giorno 12 Novembre al U detto.) — Continua la navigazione del rio Napo. 11 12 novembre alla mattina per tempissimo passai in rivista i miei bogas, osservai se i canotti si trovassero tuttora in buon assetto, e ordinai che si caricassero tosto le provigioni c gli ef¬ fetti. Nella canoa più grande aveva fallo stivare sotto il pamachari o ramatici parte delle mie casse, lasciandovi lo spazio conve¬ niente per potermi tener coricato su un piccolo canovaccio, riem¬ pilo di muschi e di barbe di piante, e per appendervi le armi: nell’ altra erano in serbo tutte le proviste dei dodici bogas, cui bisogna aggiungere una infinità di piccoli oggetti loro indispen¬ sabili in viaggio, come bodocliere , lancio, arponi, armi, freccio, tamburelli e pifferi per ballare. Di sopracarico eranvi circa 25 arrobe di pasta di yuka, di banane per ammanire la cliicha, della quale, ogni tre giorni di navigazione, veniva sepolta una parte che doveva poi servir loro nel ritorno. Il viaggio da Santa Rosa governativo , nel quale il presidente lo nominava governatore del Quixos in rimpiazzo di don Clemente Guerrcro che aveva compiuto la sua missione triennale. Non posso dubitare che questo giovane erudito e caldo d’ amor patrio sarà giunto co’suoi talenti c buoni modi a migliorare i destini di quelle popolazioni da tanto tempo neglette c immerse nella mas¬ sima ignoranza. Il viaggio che stava per intraprendere nella Zaparia onde assumere esatte informazioni sullo stato loro, non avrà mancato certamente di arrecare immensi vantaggi tanto dal lato politico clic dal lato religioso c commerciale. — 158 — a Lordo dura da 25 a 30 giorni nella discesa, ma nella silicata o rimonta del fiume da Lordo a Santa Rosa si devono impiegare non meno di cinque o sci mesi. Queste canoe, assai leggermente costrutte d’un sol tronco d’al¬ bero, sono dotate di molta elasticità, resistendo agli urli violenti contro le roccic a fior d’acqua, rasente alle quali scorrono sci¬ volando con incredibile velocità. Esse possono portare almeno 10 bauli in volume e circa 40 arrobe o 1000 libbre di peso. Hanno da 15 a 20 braccia di lunghezza, 2 di larghezza ed 1 di pro¬ fondità ; sono costrutte con tronchi di legno cedro o caoba , dei quali se ne trovano in que’ boschi di smisurate dimensioni 1}. Gl’indiani in numero di cinque o sei stanno seduti alla prua, e remano con una piccola pala, restando il timoniere alla poppa, sempre ritto sui due piedi, mentre dirige la canoa con un remo. Del resto sono abili navigatori, agili, vigilanti, e sanno nell’occa¬ sione sottrarsi con prontezza dai pericoli. !1 Villaviccncio ed un tal Torres trafficante di Quilo , avendo equipaggiata una piroga, vollero accompagnarmi sino a Suicidata, recandosi quivi i! primo coll’intenzione di fare una corsa nella Zaparia, e l’altro per attendere ad alcuni suoi particolari negozj. Alle 10 del mattino si partì di conserva da Santa Rosa, rinno¬ vandosi le solite commoventi nenie per parte delle indiane, che accorrevano a raccomandare alla mia umanità i loro amanti o mariti. Onde finirla, mi affrettai a distribuire un fiasco d’acqua¬ vite, e subito ingiunsi si prendesse il largo. Scomparsa dopo po¬ chi minuti Santa Rosa, non rimase in vista che la grande cate¬ na de’ monti di Guacamayo , i quali continuano sino alla con¬ fluenza della Coca col Napo , dove insensibilmente vanno decli¬ nando. Il rio Napo va sempre ingrossandosi , avendo in varj punti circa 450 metri di larghezza e 4 a (> di profondità. Le donne de’ mici bogas , non che 1’ indiana clic aveva fatto perire il suo bimbo nel fiume , discendevano con altra canoa , sempre tenendoci dietro ; allora io , nel timore che intendessero 1) Gl’indiani dopo avere abbattuto l’albero scelto per la costruzione della canoa, lo vanno sul luogo lavorando, levandone la corteccia, e scavandolo con ferri, o col fuoco se non ne sono provvisti. Indi, ridotto a piroga, lo trasportano al fiume adoperando da '10 a 30 persone: è questo un giorno di gran baldoria. — 159 — seguitare quel viaggio di conserva, ordinai di far allo ad una spiaggia, dove oravi un piccolo tambo , per attenderle e loro in¬ timare con minaccio di far airistante ritorno a Santa Rosa. Vi rimasi per ben due ore, tanto clic fossero una volta finiti gli addii, non volli però acconsentire a passarvi la notte per ri¬ sparmiare ulteriori noje ed evitare che alcuno de’ miei bogas , indotto dai pianti e dalle suggestioni delle mogli , prendesse la fuga. Infine riuscimmo a liberarcene, scendendo sino a Concinno- playa (spiaggia) , dove passammo la notte , che fu tempestosa , con forte pioggia c un continuo tuonare e balenare. Quivi trovai tre capanne occupale da indiani lavoratori d’oro. Si rasentarono in quel giorno le isoletlc tutte boschive di Conejo , lumino, lambito, Palati, Ackos, Huacamago , Camaglio, Iluama- cko, delle quali volli prender nota, onde in seguilo tracciare su una mappa le isole tutte formale dal Napo, i laghi, i fiumi che vi mettono foce, la direzione, le correnti, profondità c sinuosità, al qual uopo aveva abbozzalo su scala maggiore un tracciamento del suo corso, servendomi della vecchia carta di Maldonado con¬ servandone le latitudini e longitudini, aggiungendovi quanto poteva osservare di notevole, e massime rettificandone gli errori. Il dì vegnente (15) si partì da Concilino all’alba con tempo piovoso; quanto più ei avvicinavamo allo sbocco del rio Sano, tanto più la vegetazione di que’ boschi moslravasi rigogliosa c ricca di frondosi alberi, fra i quali non devesi passar sotto silen¬ zio il Guapalo, fornito di un legno molto pesante e compatto che si indurisce facilmente nell’acqua, del quale si servono gli indiani per formare degli accendi- fuoco. Quest’albero vegeta quasi isolalo, nè alcuna liana od edera vi può allignare all’ intorno ; ha una corteccia lucida, liscia, di color giallo. Intanto si superarono le isole di Mani, Cruz, Acketono , Iscopolo, Patas e infine la Guagra, che sorge a mano manca precisamente allo sbocco del fiume Sano. Scaturisce questo dal vulcano Sumaco nella Cordigliero di Gua- carnago, raccoglie le acque di varj altri fiumi, scorrendo nelle vi¬ cinanze dell’ aidea di Loreto, riceve il rio Chac a , il Guataraco, che bagna Valdea di Concepcion, il Pucuno , il Cotapino e rio Bueno, tutti ingrossali da una infinità di ruscelli c torrenti, c va infine I) Benemerito geografo ili Quilo elio fu eompagno a encomiammo nelle misure (Calcimi gradi del meridiano. a scaricarsi dal lato nord del Napo, due leghe prima di arrivare al villaggio clic porla lo stesso nome. Poco lungi da questo, vi¬ sti alcuni indiani sdrajali sulla spiaggia, i miei bogas ornali tut¬ tavia di piume si levarono ritti nella canoa , diedero fiato alla bobbona (specie di corno da caccia di legno), e pervenuti in vi¬ cinanza, loro dissero in lingua quiclioa : «Chiamateci!» Al che gli altri senza muoversi risposero: «E perchè? noi non abbiamo cosa alcuna ad offrirvi. ■ — Oziosi! (soggiunsero i miei bogas). Che fate tutto il giorno ? c perchè non pescate , o andate nel bosco a cacciar cignali ? » Così finì quella conversazione, essendo noi stali trasportati mollo lungi di là dalla corrente e dall’ im¬ pulso dei remi. Feeimo sosta per rifocillarci ad Inci-playa , vil¬ laggio di tre o quattro capanne : le poche famiglinole clic vi abi¬ tano attendono a lavar oro, depositato in buona copia in quelle arene. La ostinala pioggia non mi permise di far scaricare la canoa tutta infestata dalle termiti che vedevansi scorrere da un punto all’altro, e uscire a miriadi da’ mici bauli , c mi trovai a malincuore obbligalo a differire quella urgente operazione ad un altra fermala. Si passarono le isole di Puma e Castellano , cd alle due pomerediane s’ arrivò all’ isoletta di Cacao , che trovasi dirimpetto al villaggio di Suno , dove gl’indiani ci alzarono una capanna c ci imbandirono il desinare. Il villaggio , situalo al pendio di un monte sulla riva destra , consisteva in sole 15 a 20 capanne, cd era interamente deserto per essere infetto dalla mal aria , dominandovi quindi le gastro¬ enteriti , le dissenterie , le febbri miasmatiche in grado tale da obbligare i pochi superstiti a cercar ricovero nell’isola di Cacao . Avevano quei meschini tanto in orrore quel luogo sì fatale alle loro famiglie, che non reggeva loro l’animo di ritornarvi nem¬ meno per raccogliere le masserizie che ivi nella fuga aveano ab¬ bandonalo. Contavano di riedificare le loro capanne in luogo più salubre c più adatto alla coltura, in riva al fiume Vino. Mi affrettai a scaricare la canoa, c mi liberai dalle termiti col fuoco , esponendo poi all’ aria tutto il mio equipaggio. Molti og¬ getti , specialmente di lingerie , erano stali digià quasi intera¬ mente distrutti e resi inutili. In cambio di alcuni medicamenti , come solfalo di chinina , cremor tartaro, ec., quegl’indiani mi somministrarono altri com¬ mestibili. CAPITOLO XV.* Continuazione. (Dal 14 al 18 Novembre). Il rio Payamino. — Delfini osservati alla sua foce. — Il rio Coca c le sue scaturi¬ gini. — Una selvaggia Zapara. — Caccia d’ un tapiro.— Le isole di Guamas. — Laghi di Capocuì e à' Agnango. — Subitanea piena del fiume. — Testuggini. — Capanne dei selvaggi di Guama. — Carattere e fisonomie. — Strumenti di caccia e di pesca. — La gianciatna. — 1 letti pensili. Si parli da Suno ed alla prima risvolta incontrammo il rio Vino. È questo un fiume di mediocre larghezza che viene dairinterno, e mette foce nel Napo dal lato del Nord. Lungo quelle sponde elevate e selvagge vedevansi molti alberi di guadila ( bombix guaclua). Il fiume da me scandagliato in più punti variava dalle 5, 6, 8, 10 braccia di profondità. Ogniqualvolta gettava la sonda, faceva sostare la canoa remando contro la cor¬ rente, affinchè le misure potessero essere prese colla maggiore esattezza. Si rasentarono le isole di Haguila, Guagnusca, Bucheo, Aja, e si pervenne al Suyuno , altro piccolo fiume che scorre quasi parallelo al primo, mettendo foce nel Napo all’isola Aja. Da quel punto la riviera va rinserrandosi in uno stretto canale, la cui pro¬ fondità varia dalle 10 alle 12 braccia, formando le isole Moretc, Pucacucla, Huciuck, Atalpa, Supai; poscia ritorna ad allargarsi. L’isola Supai (Diavolo) trovasi propriamente nel mezzo, formando un canale il cui tragitto sì dall’una che dall’altra sponda è sicuro. Il Napo scorre placido ed inalveato per ben due leghe prima di giungere all’ ultima isola di Jana-rumi , che sorge all’ imboccatura del Pagammo. Il Napo quivi misura circa 000 metri di larghezza. Alla foce del Payamino vidi guizzare e far capriole un prodigioso stuolo di delfini di due differenti specie, una interamente bruna picchiettata, l’altra rossiccia con macchie biancastre. Un tal incon¬ tro in località che distava più di 900 leghe dal mare, non potè a meno di recarmi meraviglia; fui tanto sfortunato però di non riuscire a procurarmi nemmeno uno di que’ singolari mammiferi. I molti canneti o pindi fanno conoscere la vicinanza del rio Pa¬ gammo, che scende dai monli Guacaniajo , aitraversa lutto il ter¬ bi ritorio del Quixos, bagna il villaggio di Sucre, riceve altri con¬ fluenti, il Paucki, il Puntino , e si scarica nel Napo poco lungi dal rio Coca, cui si giunge dopo percorso un quarto di lega. È il Coca non minore in larghezza e profondità dello stesso Napo. Qui prima che il Napo ricevesse le acque del rio Coca volli conoscerne la temperatura col termometro, e trovai quelle del Napo a -(-21 R., quelle invece del Coca a + 18. Sbarcammo ad un piccolo villaggio detto Coca poco lungi dalla foce. La navigazione da Santa Rosa al rio Coca, cioè pel tratto di 20 leghe, non può riuscire più amena, scendendosi sempre fra rive verdeggianti di verzura, e rasentando isole ingombre di folte bo¬ scaglie, che rendono sempre svariata la prospettiva, e moltiplicano i giri e le sinuosità del fiume. Digià la pesca e la caccia inco¬ minciano a farsi molto più abbondanti. Dal porlo del Napo sino alle foci del rio Coca la direzione del fiume è precisamente quasi in retta linea da ovest ad est, volgendo dipoi il suo corso al sud-est. Ad un giorno di cammino al nord di Baeza , i fiumi Quixos, Vermiglio e Cosanga , il cui corso ho io più sopra indicato , si mischiano insieme e formano il Coca, il quale scorre fra le valli delle Cordigliere de las Galeras e Guacamayo , e dopo un corso di circa trenta leghe sbocca nel Napo a 79° 50’ di long, occid., e 1° 5’ di lat. merid. Nel balzare a terra in quel punto dove il Coca si unisce col Napo, non potei far a meno di rammentar la gloriosa discesa di Orellana nel 1542 1}. Fu da questo fiume che Orellana pel primo arditamente inollrossi fino a riuscire al sovrano dei fiumi, il rio delie Amazzoni. Qui dovetti mio malgrado rimanere passivo testimonio di una scena, il cui nudo racconto farà palese meglio di qualsiasi altra descrizione lo stalo di barbarie, in cui trovansi tuttora immerse quelle popolazioni. Alcuni mesi prima una giovane selvaggia za- para molto avvenente era stata dallo stesso suo amante fraudolen- temente venduta in Laguano a Sandoval , il quale aveala di bel nuovo rivenduta, insino a che era capitala per cambio nelle mani 1) Orellana (Francisco). Qucst’illustre personaggio, chiamato dalla corte ili Spagna \'A- delantado (l’Avanzato) per la scoperta del fiume al quale dapprima era stato imposto il suo nome, discese l’Amazzone in tutta la sua estensione. (Vedi per la descrizione del suo faggio: Gomma, edizione del 1731, Capitolo Vili). 163 — ili Torres. Avendo ricevuti mali trattamenti dalla moglie di questi per gelosia, orasene fuggita cercando asilo presso quc’ poveri in¬ diani alle foci del Coca. La misera, già assente da più mesi, venne sorpresa dal padrone, che l’obbligò ad imbarcarsi all’istante nella sua canoa. Non potendo io oppormi a tale turpitudine, pratican¬ dosi in quei luoghi sì obbrobrioso mercato, c avendo dimostrato il malcontento per sì aperta violenza, mi venne proposto dallo stesso Torres di acquistarla per dieci scudi, onde la trasportassi meco al Brasile. Interrogata però quella povera fanciulla se accon¬ sentisse di venir in mia compagnia in Europa, mi rispose fran¬ camente di no: sicché fui obbligalo a rinunciare a siffatto acquisto, nella certezza che alla prima occasione essa mi sarebbe fuggita. Pur troppo simili casi sono frequenti in quei disgraziati paesi, ove gli schiavi formano un importante ramo di speculazione e di com¬ mercio. La navigazione del Coca, secondo le notizie avute sul luogo, riesce difficile stante la rapidità del suo corso, le molte scogliere a fior d’acqua, ed una cataratta o salto quasi perpendicolare. Dal cantone di Quixos si può passare per la provincia di Sucumbios nella Nuova Grenada , rimontando con piccola canoa il Coca per quattro o cinque giorni, indi attraverso immense foreste giungendo al fiume Aguarico , ov’ entrasi nel paese dei Cofanes, nel quale trovansi stanziate molte orde di Encabellados (scapigliati). Dopo la congiunzione del Coca col Napo, il letto del fiume non che le due rive veggonsi coperte da finissime arene, nelle quali è impossibile rinvenire la più piccola pietruzza. Appena ristoratici si partì di là, via trascinando la povera fanciulla Zapara, che venne guardata nella canoa di Torres. A poca distanza s’incontrano varie isolette coperte di selve, e il fiume le cui acque scorrono placi¬ dissime, va sempre più ingrossandosi, avendo il suo alveo ben 800 metri di larghezza. Si passò l’isola di Manduro, la quale porla il nome del fiume che vi mette foce. Superata poi l’ imboccatura del rio Yuyuc-yacu, si trova l’isola di Balsa-Cicta. Poco prima di toc¬ carla gl’indiani della mia canoa, che sempre precedeva le altre, avendo visto una danta, ossia tapiro, che se ne stava tranquillo sulla riva, subito vi si diressero, facendo segno agli altri di av¬ vicinarsi, ed armati di lancie e carabine si inseguì l’animale, il quale al primo vederci era balzato nell’acqua, d’onde non ricom¬ pariva che ad intervalli per riprendere il fiato. Si dovette inse- Sdirlo colle canoe, e infine dopo un’ ora di continua caccia, aiutati dai cani , clic si erano essi pure gettali nel fiume , dopo varii colpi di lancia e di carabina, si riesci ad ucciderlo proprio nel¬ l’istante in cui, stanco di nuotare, cercava riposarsi sulla sponda. La preda ci obbligò a far alto in quell’ isola fino al domani onde affumicarne le carni e ridurle a micira, come dicono gl’indiani, cioè facendone friggere una parte nella grascia dell’animale, e asper¬ gendole di sale. Con tal pratica si giunge a conservarle per più settimane. Gl’indiani, impazienti di divorarne la carne, non mi lasciarono il tempo di mostrar loro il modo di scorticarlo, onde, come era mio desiderio, potessi conservarne la spoglia; il tapiro, tagliato a quarti, venne distribuito in parli eguali fra le nostre piroghe. Quest’animale, conosciuto nell’America meridionale col no¬ me di danta, è il tapirus americanus dei naturalisti: è comunissimo in lutto il Quixos e lungo il Napo e l’Amazzone: vive di frutti, foglie, semi ed erbe: il maschio ha una bella criniera ed il dorso un po’ convesso; è agilissimo al nuoto, potendo rimanere sei ad otto minuti sott’acqua senza sentire il bisogno di respirare. Si addomestica facilmente. Ve ne sono del peso sin di 300 a 500 libbre. Differisce da quello che incontrasi nelle Andes unicamente per avere una macchia bianca sulla punta dell’ orecchie, le quali nell’altro sono tinte uniformemente di un colore bruno scuro. La sua statura è presso a poco quella dell’asino; va fornito di una piccola proboscide formala dal labbro superiore che è sporgente e mobile. Ha un po’ di lanuggine sulla coda; il corio è dello spes¬ sore di un dito, adoperato nell’Equatore nell’arte del sellaio. Si servono gl’indiani delle unghie come farmaco nell’epilessia. Incon¬ trasi il tapiro solitario in tutte le foreste dell’America meridionale. (Giorno 15. Terni. R. -p 25 aria, -f- 20 acqua. Profondità me¬ dia br. 2). Si partì da Balsa Cicla ove il fiume ha circa un miglio di lar¬ ghezza. Poco più innanzi s'incontrarono cinque isole poco discoste le line dalle altre, dette Guainas; una aveva la forma di ventaglio per la bizzarra disposizione degli alti alberi che l’adornavano. Indi si rade l’isola di Olivino dal Iato sinistro del fiume, la cui lun¬ ghezza è di circa 3 leghe, stretta e formante una lingua di terra. Vi si trova un piccolo fiumicello che porla l’egual nome e clic mette foce nel Napo. Più lungi se ne incontra un’altra delta Ondo. A misura che ci — 165 — ■ avanzavamo, l’alveo del limile andava sempre più allargandosi, talmente che alcune volle si diè in secco stante le acque torbide che impedivano al piloto di prendere la giusta direzione e affer¬ rare il canale più profondo. In alcuni luoghi si trovò non più di un braccio di profondità, sicché erano costretti i bogas a trascinar la canoa per lunghi tratti, mettendosi nell’acqua con grave rischio di venir punti dalle razze che ivi abbondano, o di essere mor¬ sicati dai caraibi, pesci avidissimi di sangue, dei quali farò pa¬ rola più avanti. Il letto del Napo torna a ristringersi sino alla foce del Turu- qua-yacu , ove sostammo sur un banco d’arena per rifocillarci; sul suolo potemmo veder impresse le fresche orme de’ capibari e dei tapiri che avevano traghettato il fiume. Si ripartì alle IO di conserva colle altre canoe. Tutte le selve lungo le due rive erano popolale da una infinità di scimmie dette Brasilargo o Ateles, belzebù , chrysurus , seniculus e ursinus, chiamali dagli indiani Ckotos o scimmie ruggenti , le cui lugubri strida assordavano tutta l’aria d’intorno. Fatte avvicinare le canoe a terra, e sbarcali varj indiani, questi colle loro bocloquere riuscirono in brev’ora a prendere non pochi di questi bizzarri animali. Gettatici di nuovo al largo, pei1 indennizzarsi del tempo perduto si dovette vogare a tutta forza di remi, e così si continuò fino al Iago Capocuì , che si stende a sinistra ossia dal lato del Nord. Ha questi circa ò le¬ ghe di circonferenza , ed è abbondante di pescagione. Più lungi incontrasi un altro lago detto Inti-xjama (agnello del sole), assai più lungo, ma più stretto del primo, formato esso pure dalle acque del Napo, le quali nell’epoca delie alluvioni traboccano dalle rive e si raccolgono in quegli ampj serbaloj. Superalo un promonto¬ rio, si scoprì dal lato destro una costiera elevata, formata dalla piccola catena delle colline d’Agnango, ai di cui piedi scorre un fiumie.ello, il quale porla lo stesso nome, clic serve di emissario ad altra vasta laguna detta Coccia d’Agnango. Si scese a terra per tagliare de’ l ami di palme coi quali tessere un aros , specie di sluoja che serve per riparare dalla pioggia, venendo collocala su! davanti aU’entrala del pamachari, come pure per cogliere canne di bambous e foglie, con cui formare la capanna che si eresse sulla spiaggia vicina, o piuttosto sur un banco di sabbia sterile e nudo affatto di alberi. È questo l’unico punto che rimanga sco¬ perto nel tempo della calata delle, acque, tanto che in certo qual 168 — inodo il viaggiatore è costretto a cercar ricovero in compagnia de’ pesci , che si rinvengono infatti in copia in quelle frane o in que’ vacui ove siavi raccolta un po’ d’acqua. Siffatte spiagge arenose vengono scelte sempre di preferenza onde passarvi la notte, tanto per essere meno infestate dai mosquitos (zanzare), quanto perchè rimanendo isolati si corre meno pericolo d’ essere assaliti dalle fiere, e più ancora dai selvaggi, come non di rado avviene quando si vuol accampare sulle rive , tutte coperte da macchie si folle da non trovarvi taluna volta tanto spazio da potervi erigere il lambo. Posto appena il piede a terra, seguendo le traccie impresse dalle grandi testuggini, riuscimmo a scoprire una buca, dove, estrattane la poca sabbia che le ricopriva, rinvenimmo 124 uova depositate di fresco. Lungo lutto il corso del Napo e del Rio delle Amazzoni si trovano due specie di questi rettili, la di cui carne è sapori¬ tissima e nutriente. Gl’individui della specie più grande sono della larghezza di due metri, e depongono da 155 a 140 uova a guscio duro, Podocnemis expansa di Wagl. L’altra specie è più piccola, depone una minor quantità d’uova a semplice pellicola, e ha carni assai più dilicate, Podocnemis sex tubercolata. La prima venne descritta e figurata nell’opera di Spilz e Marlius; l’altra è specie nuova descritta dal distinto mio amico dottor Cornalia (Vedi la de¬ scrizione nella Synopsis vertebratorum , cc.) Alle 5 del mattino (giorno 16) si dovette al più presto sgom¬ brare di là, essendo il fiume a un tratto cresciuto in modo tale, che sebbene avessimo eretto il tambo in luogo elevalo, pure le acque lo aveano già invaso, minacciando di via trascinare le no¬ stre canoe, che s’ era dovuto assicurare doppiamente con grosse liane. Benché la notte fosse oscurissima si dovette partire, avendo solo presa la precauzione di accendere alcune torce di copal, onde illuminare la via fra gli scogli e i banchi e schivare 1’ urto dei grossi tronchi d’alberi che giù erano trascinati dalle gonfie acque del fiume. Allo spuntar del dì si passò vicino a un isololto, al cui lato sinistro trovasi un canale o braccio del lago di Mandi- Cocia. Più lontano incontrasi 1’ isola Pava tutta coperta da folle macchie di piante secolari , massime da varie specie di paline , Ciambira , Toquilla , Movete. Dalla palma Ciambira gli Zaparos estraggono una specie di canape incorruttibile all’ acqua , colla quale tessono reti ed amache , filandola come si fa del lino. 1! frutto del Movete serve per preparare una bevanda piacevole al — 167 — palalo, refrigerante e nutritiva, molto usala dai selvaggi. Gli ululi lamentevoli delle scimmie ( ckolos ) e le strida delle Araras erano gli unici suoni che turbassero il silenzio di quelle maestose fo¬ reste. Lascialo alla sinistra il lago Ciaja-Cocia , alle 8 si arrivò poco discosto dall’isola di Ckauckuckuma, dove con nostro sommo stupore avendo veduto sur un banco di sabbia in mezzo al fiume alcuni indiani che ci faceano de’ segnali e c’ invitavano a venir in loro soccorso, all’ istante vi dirigemmo le barche, toccando terra. Erano dodici , fra i quali varie donne e fanciulli, cui du¬ rante la notte le acque vorticose avevano via strascinalo due piroghe, su una delle quali trovavasi un abate, certo Ignazio Tara di Quilo, che erasi stabilito a Sincicicla per ivi istituire una missione, e che rimontava il fiume per passare ad Archi- dona con alcuni de’ suoi neofiti. Nella terza canoa, 1’ unica loro rimasta, eransi lanciati quattro dei più robusti fra loro onde cor¬ rere in traccia e riprendere le altre; ma nessuno era peranco tornalo indietro. Intanto il pericolo cresceva, giacché le acque al nostro sopravvenire avevano quasi ricoperto il banco su cui quegli infelici si erano ricoverati. Sostammo per ben due ore, e stavamo per imbarcarli sulle nostre piroghe, quand’ecco si videro da lontano comparir due canoe che vennero riconosciute tosto per le loro. In una di queste trovavasi il Tara , intimo amico del Villavicencio e di Torres, i quali lo consigliarono a ritor¬ narsene a Sincicicla , tanto più che gli aveano recato varie let¬ tere ed un ordine governativo , dietro il quale la sua gita ad Archidona diveniva inutile. Si aggiunga che una canoa dove sta¬ vano riposte le provigioni di tutta quella comitiva non era stata rinvenuta. L’ abate raccontava come la sua canoa , dopo essere stata trascinata in balìa della corrente per più d’una lega, avesse urlato con violenza contro alcuni alberi che stavano rovesciati alla sponda, e là si fosse fermata; al forte contracolpo ei si era sveglialo, e, balzando in piedi, avea tosto conosciuto il pericolo che gli sovrastava. Privo di remi , tutto solo, non sapeva come trarsi di là , e stava per disperar dello scampo , quando soprag¬ giunsero in suo soccorso gli Zapari coll’ altra canoa rimasta alla spaggia. Ripostici di conserva in cammino , toccammo terra ad un piccolo luogo detto Capocuì , altre volte possedimento di un tal Arrebaio di Moyo-bamba (Perù), che era riuscito a radunarvi alcuni selvaggi Zapari. Tutto però era stato abbandonato; le ca- 168 — panne erano deserte per esservi morto uno di loro, e gli indiani, come è loro abitudine, eransi recali a vivere altrove. Colti alcuni limoni, aranci e mammey, e tornati nelle piroghe, alle 5 si arrivò ad Huama, dove ci fermammo la notte. A misura che ci avvici¬ navamo alla spiaggia si vedevano selve magnifiche di banani c di altri alberi fruttiferi. Cinque famiglie zapare di 50 individui vi stavano ricoverale in una sola maloca (capanna grande). Al no¬ stro arrivo se la spassavano in gran feste, che dovean durare al¬ meno tre giorni. Ebbimo la più cortese accoglienza ; si affretta¬ rono a mostrarci l’ingente quantità di chicha che avevano amma¬ nito per ubbriacarsi in quel baccanale; ci offrirono varie frutta, e c’ invitarono a godere di sei scimmie e due scojattoli che stavano rosolando sulle bragie. Onde ripararci la notte ne venne ceduta una capanna rimasta vuota, ove appesimo le nostre ama¬ che e imbandimmo le nostre provvisioni, consistenti in carne di tapiro affumicata, uno scojatlolo , un scimmiotto arrostilo, cd in acquavita di cana (canne di zucchero). 1) Sciurus igniventris? CAPITOLO XVI Continuazione. Usi dei Zapari. — Ornamenti.— Scorrerie. — Cibi strani. — Poligamia. — Una danza notturna. — Canzoni. — Il villaggio di Sincicicla. — Evoluzioni e caccia. Gli usi di questi selvaggi essendo affatto diversi da quelli del Quixos, credo prezzo del libro 1’ offrirne una breve descrizione, approfittando delle notizie desunte sul luogo o trasmessemi dai compagni di viaggio. Gli Zapari in numero di 20,000 circa oc¬ cupano quella parte di territorio che sta fra il Napo ed il Pa- stazza sino allo sbocco del Curaray: sono d’indole pacifica, ospi¬ talieri, vivaci, intelligenti; vivono in renicene , capanne più o meno numerose e distanti. Hanno una confusa idea dell’esistenza di un Dio, che chiamano in loro lingua Puelzo (Creatore degli uomini), nè sono privi di qualche barlume di morale naturale; insomma la conversione di queste tribù non offrirebbe grandi difficoltà ai missionarj. I Zapari sono ordinariamente di statura alta, robusti, di bel¬ l’aspetto, snelli di portamento, hanno fronte spaziosa, però senza sopracciglia, estirpandole di continuo; hanno poca barba al mento e portano piccoli mustacchi; il loro colorilo è olivastro chiaro e quasi bianco, occhi grandi castani, in alcuni però cerulei I}; naso profilato, bocca grande, denti bianchissimi e ben conservati; la loro pronuncia è sonora e chiara; parlano con molta volubilità. Sono di carattere schietto e di umore sempre gajo. Gli uomini non indossano che una semplice camicia o ciusma di gianciama 1 2), 1) Quelli ad occhi cerulei sono distinti col nome di Viracucias (signori), titolo che danno anche ai bianchi. 2) La gianciama è una pianta d’alto fusto, fornita di un legno tenace, la cui corteccia che si stacca facilmente dal tronco, vien posta per alcuni giorni a macerare nell’acqua, indi vien battuta con maciulle ed esposta all’aria finché si riesca a separarla in due pagine, ohe danno un tessuto assai forte e compatto. Nella parte interna è bianca c forte; quella vicino alla epidermide è rossa, aspra e dura. Nella mia collezione si trovano varj esem¬ plari di questa corteccia, nonché delle camicie dipinte avute sul luogo dagli stessi selvaggi, unitamente ad armi, archi, frecce, bodoquerc , ornamenti d’ogni sorta si di piume che di semi, collane di denti di tigre, panieri ed altri utensili, -veleni, attrezzi di caccia e di pesca. — 170 corteccia Tribù Jasunìs. — Differenza di carattere e d’ idioma. — Descrizione del Laman¬ tino. — I lebbrosi. — Il rio Aguarico o fiume dell’oro. — Tribù dei Santa Ma- rius. — Le razze, e loro punture. — Malocche degli Abjicliiras. — Cambj pra¬ ticali con essi. — Scuri di pietra e loro uso. Jasunì è l’ultimo villaggio, che forma il limite della giurisdizione del Quixos e Macas , trovasi a 3°2i’ di lat. sud; è una piccola alclea posta su un’isoletta del Napo portante Io stesso nome, for¬ mata dalle reliquie di un’orda di Zaparos errante fra il Curaray ed il Pastazza. Poche sono le capanne che compongono quel luogo; sono però mollo ben costrutte con grosse canne e colle foglie di palme dette ubussà ( manicaria saxiferd). Gli Jasunìs sono poco socievoli e formavano un vivo contrasto coi Sincicictas; hanno un distinto idioma che è molto gutturale. Erasi Arrebaio recato al lago di Ciaja-coccia alla pesca dei la¬ mantini (Manalus amerìcanus. Cuvier), che ivi incomineiansi a tro¬ vare rimontando il fiume delle Amazzoni, dove sono comunissimi. Avendo spedito un indiano in una canoa a renderlo avvertito del mio arrivo, egli non tardò a ritornare, riportando una ricca preda di scimmie ed un piccolo lamantino. Questo industrioso peruviano viveva al pari di Sandoval, suo compatriota, già da molti anni fra gli Zaparos , dei quali era riuscito radunarne alcuni in so¬ cietà, formando così un piccolo villaggio. Avea loro insegnato a far piantagioni di canne da zucchero, di ignami e banani, facendo da alcuni estirpare i boschi circonvicini, impiegando altri a rac¬ coglier salsapariglia e vaniglia silvestre, oggetti dei quali faceva commercio con que’ di Quito. Scorgemmo altri alberi fruttiferi, come il mammey , grossa pianta che dà un eccellente fruito. La cannella di que’ luoghi, della quale erano ricolmi varj panieri, è di buona qualità aromatica e ricca d’olio volatile (davo). Sebbene mi sentissi stanco, dovetti passare tutta notte in gazzarra, trovandosi Arrebaio ben provvisto d’ acquavite eh’ egli stesso cavava col lambicco dal sugo della canna da zucchero, colla — 178 - quale era solilo festeggiare l’arrivo di qualsiasi bianco. Gli in¬ diani indistintamente parteciparono a quel festino, ma i miei bogas , nel timore di essere assalili dagli Jasunìs, coi quali sono sempre in continue discordie, mi chiesero la permissione di condurre le canoe all’isola dirimpetto onde passarvi la notte, domanda alla quale subito acconsentii, avendo però presa la precauzione di or¬ dinare al piloto di rimanere a terra presso di me, e ingiunto loro allo spuntar del giorno ritornassero al villaggio. Acquistai da quei selvaggi varj oggetti, e feci provviste di banane servibili pel nu¬ trimento della mia ciurma, essendo stalo avvertilo come più avanti nulla più mi sarebbe riuscito di rinvenire, almeno per otto o dieci giorni, sino ad Orano sul rio delle Amazzoni. L’immenso tratto che mi rimanca a percorrere è occupato da tribù selvagge e fe¬ roci viventi di sola pesca e di frutti delle foreste, di scimmie e rettili. Àrrebalo volle regalarmi un pezzo di lamantino, che feci subito ammanire per servirmene in viaggio unendolo al resto della intuirà fatta colla carne del tapiro, e da me conservata in una giara di terra. Questo cetaceo chiamalo pure vacca marina ha il corpo ob¬ lungo con pelle nuda color grigio leggermente striata, di grande spessore, non dissimile da quella dell’ippopotamo. Ha due nata- tojc con vestigio di unghie , mustacchi di setole forti, pungenti, servibili di difesa, con muso simile a quello degli animali bovini. Ila un corpo rotondo somigliante a quello d’una foca, la lesta co¬ nica, colle fosse nasali 'larghissime, coda piatta a foggia di remo: si pasce di erbe aquatiche e specialmente d’un’erba detta Gama- Iota , vien preso con arponi allorché leva la testa a fior d’acqua per razzolare sulle rive. Quivi rinvenni alcuni indiani affetti da lebbra , aventi lutto il corpo a piaghe marciose , a’ quali somministrai un po’ di subli¬ malo corrosivo onde ne adoperassero esternamente, commisto alle loro erbe vulnerarie. Stante le nuove provviste di viveri, i due navicelli trabocca¬ vano , sicché dovetti far legare due talabordi o pali di balsa a ciascuna canoa a fior d’ acqua si dall’ uno clic dall’ altro fianco. Essendo la balsa una pianta leggiera e galleggiante quanto il nostro albero del sughero, riusciva a mantenere in equilibrio ed impediva alla piroga, che corresse pericolo al primo tempo bur¬ rascoso. Questa precauzione era utilissima , succedendo ben so- - 1 79 — venie a que’ fragili schifi di capovolgersi sia airurlar contro qual¬ che albero o qualche scoglio , sia pel soverchio sobbollimene delle onde. Era bensì vero che con tali impedimenti si allentava un poco il cammino e si affaticavano dipiù i remiganti ; ma nulla di ciò mi affannava, purché si giungesse a salvamento a Loreto. Ebbi molto a che fare per renderli docili a’ miei cenni; protesta¬ rono, mi mostrarono il loro malcontento, ma inutilmente; essendo già assuefatto alle loro insurrezioni , non mi lasciai intimorire , e volli ad ogni costo prima di salpare di là che si eseguisse Por- dine dato. Giorno 20. nuvolo. — Si partì alle 10 del mattino rasentando sempre la sponda sinistra del fiume pei bassi fondi, che ivi si tro¬ vano. Le tante isole che si succedono, fra le quali s’ incontrano a sinistra gli isolotti Ayuruciù, Tulumba, Piton, Guaiacan, impe¬ divano che T occhio spaziasse fra le due sponde. Uccisi un ma¬ gnifico airone con bel pennacchio bianco ( Ardea alba). Il Napo scorre colla stessa monotonia fra terre basse immerse sotto le acque; le rive però di tratto in tratto erano adorne di bellissimi fiori a svariati colori, ed in ispecie di fuchsie, dei quali io, poco avanti nella botanica, non poteva che ammirare la va¬ ghezza , raccogliendone però i semi maturi o facendo appassire quelli che reputavo più curiosi. Arrivali alle foci del rinomato rio Aquatico l\ stavamo per continuare il viaggio, quando dal fumo che innalzavasi fummo avvisati della presenza di alcuni selvaggi alla spiaggia. Spinto dalla curiosità di conoscere che ivi mai facessero , e anche per cimentare quelle arene che asseri- sconsi ricchissime d’ oro , ordinai si avvicinassero le due canoe però con tutta la cautela onde non venir ravvisati , ben preve¬ dendo che al nostro avvicinarsi si sarebbero quegli Indiani dati alla fuga celando nelle macchie il loro lavoro. Sceso a terra en¬ trai di soppiatto nel bosco con due rematori , portandoci pian piano alla loro volta. Giunti a poca distanza, accelerammo il passo per sorprenderli senza dar loro tempo a fuggire ; ma scossi ad un tratto dalla subitanea nostra apparizione, sbigottiti e gri- 1) L’ Aguarico o Agua-rica , cosi chiamato per la gran quantità d’ oro, clic si rinvenne nelle sue arene sin da'tempi più remoti, ha origine nella provincia d Ibarra, bagna quella di Succumbios nella Nuova Grenada, e dopo 1ò0 leghe eirca sbocca nel Napo alla sinistra, formando il limite del territorio della Repubblica dell’equatore eolia Nuova Grenada. ISO (lancio taueko kuri alzano (bianco cerealor d’ oro), gettarono nel fiume la cuya , zucchetta dove avevano riposto il prezioso me¬ tallo. A gran stento si riuscì ad impedir loro la fuga, accennando coi gesti come non fossi nemico. Mi spiacque d’essere stato l’in¬ nocente causa della perdita di tutto il loro lavoro, e durai fatica a far loro conoscere come non fossi colà venuto che per sem¬ plice curiosità. L’indiano che servivami d’interprete mi disse che i bianchi sono tra loro tenuti in concetto d’ hitiuma (perversi) , avendo per carpire l’oro messo a morte i loro padri. Risi della sincerità del complimento fattomi , e dopo aver loro distribuiti alcuni piccoli presenti d’ami da pesca ed aghi, mi rimisi in viag¬ gio. Dopo un’ora circa di discesa si scorsero alcuni selvaggi della tribù Santa Marias adagiati sotto un grandioso cedro ; tosto or¬ dinai al piloto d’ accostare la canoa per venire a parlamento. Que’ selvaggi vedendoci diretti a quella volta balzarono in piedi imbrandendo le lancie e gli archi, riparandosi dietro le piante ad osservare attentamente i nostri movimenti prendendoci forse per una spedizione di altra tribù in guerra con loro. Onde sbandire da loro ogni sospetto, mi levai in piedi svento¬ lando un pannolino bianco con una mano, e coll’altra una bottiglia d’acquavite; i miei bogas li invitavano intanto ad avvicinarsi alla sponda. La vista di un bianco fe’ loro sbandire ogni tema, e usci¬ rono dalla foresta recandosi presso di noi. Sceso a terra, strinsi la mano al cacico, che presenlossi pel primo a complimentarmi con una lunga tiritera , della quale nessuno potè intendere una sillaba; feci diversi baratti con collane di denti di tigre, ed armi, donando loro un pizzico di tabacco da fumo ed un po’ d’acqua¬ vite. Erano, come già dissi, della tribù dei Santa Marias, che stanzia nell’interno delle terre, ed erano venuti, come al solito, ad accamparsi in riva al Napo durante l’epoca in cui le testug¬ gini depongono le uova per fare le loro provviste, cavarne l’olio e raccoglierne le uova. Correva dunque l’epoca più pericolosa di quella navigazione, potendo noi venire assalili da quelle orde er¬ ranti durante le nostre fermale di notte; sicché ci trovavamo ob¬ bligati di servirci di tutta la circospezione quanto più s’ andava inoltrando. Con un po’ di farina di mandi aveano quei selvaggi ammanite alcune sottilissime focaccie, che diedero a’ miei bogas, le volli assaggiare; ma mi parvero insipide, miste a pagliuzze ed arena. Salpali di là, si passarono le isole di Pitscko, Sana, e si — 181 - giunse la sera a Jarini 4), semplice spiaggia dove pernottammo formando lina capanna. Si stette all’erta facendo far buona guardia; nè si accese il fuoco onde non essere scorti dai selvaggi. Si trovarono semi-coperte dalla sabbia due grandi razze , l’una delle quali punse colle spine della coda un bogas, che all’insaputa l’aveva calpestala. Essendo so¬ praggiunta una forte enfiagione alla parte con acuto spasimo, vi applicai prontamente l’ammoniaca. I due pesci servirono per la cena della mia orda di rematori. (Giorno 20. Tempo piovoso e folta nebbia. Ter. Ària -f- 24. Acqua 22. Prof, media del fiume, piedi 5 a 4. 1/2). Si salpò al primo albeggiare e s’arrivò alle 8 nel canale Santa Marias; continuando la navigazione, dopo due ore ineonlrossi una malocca di selvaggi; stante la pioggia, credei bene di passar oltre senza prender notizia di quel luogo. Vogando sino alle 2 pome¬ ridiane, si giunse ad una ranceria di selvaggi Abijkiras, ove volli scendere a terra. Al primo approssimarsi delle canoe si commos¬ sero tutti questi abitanti, e si affrettarono alcuni a rintanarsi nelle macchie, altri a percorrere la sponda armati di lance, altri a chiamar con alte grida in aita i loro vicini, facendo intanto a noi segno di allontanarsi. Innalzai la banderuola bianca, quale indizio di pace, e feci accostare le due canoe; ma essi ciò non ostante non sosta¬ vano dalla fuga, seco portando nella foresta quanto avevano nelle capanne; tanto che, posto il piede a terra, trovai affatto deserti quegli abituri. Nel dubbio però di una sorpresa, avea ordinato a’ miei bogas di scendere a terra armati di lance , con espresso divieto di usare il menomo atto ostile nel caso si mostrassero amici. Noi ci fermammo per ben mezz’ora sotto quelle tettoie senza che alcuno comparisse, ed intanto i bogas si regalarono di un li¬ quore estratto dai fruiti delle palme di fresco preparato da quei fuggitivi. Io rimasi assai meravigliato nel.lro'vare nella costruzione di quelle tettoie un non so che di grandioso ed artistico; nell’ in¬ terno poi tali comodi e tale mondezza, che non era mai riuscito a rinvenire la simile fra le altre tribù selvagge da me visitate tanto zapare che del Quixos. (Vedi Tav. XIII, fig. 1.) 1) Tanto i nomi delle isole che dei laghi, fiumi, ec., mi furono indicati dal vecchio pi loto, che aveva fatta altre volte quella navigazione caricando il sale e Mauta e facendo ritorno a Santa Hosa. Quelle tettoie erano spaziose, larghe non meno di 50 metri ed alte 15, con varj telai all’ ingiro, dei quali alcuni servivano per tessere le amache, altri per lavorare la corteccia di gianciama, di cui, come dissi, sorvolisi pei loro indumenti; dentro girava una specie di loggiato dove riporre gli ornamenti e le provigioni allo scopo di preservarle dall’ umidità e dai guasti delle fiere. Me ne stava intento in questa perlustrazione, quando i miei bugas ven¬ nero ad avvertirmi che alcuni più arditi eransi avvicinali , e che certamente non avrebbero tardalo a comparire anche gli altri appena si fossero accertati delle nostre pacifiche intenzioni. In verità che il vederci tulli armali non andava loro molto a grado; ma avendo essi deposte pe’ primi le armi, noi non tardammo ad imitarli. La loro prima parola fu di chiedere alla debita distanza il motivo della visita tanto inaspettata di un bianco, ed assicurando di nulla aver a scambiare con noi, ci supplicavano ad andarcene di là. Ne chie¬ sero poscia se fossimo mai affetti da malattie, il che indicavanci col soffiare sulle mani, curando essi la più parte de’ loro malori con frequenti suffumigi di tabacco sulla parte dolente. Non appena ebbi offerto alcuni piccoli donativi, il loro viso comin¬ ciò a rasserenarsi, e passalo quel primo istante di diffidenza, indivi¬ sibile compagna del selvaggio, tanto essi che i loro compagni si affrettarono di ritornare alle capanne ed offrirei quanto possedevano in amache, monili, armi, archi, borse di cìambira, eec. , che io cam¬ biai cogli oggetti che meco recava. La causa poi dell’essere fuggiti con tanta furia nelle foreste, era la paura in cui vivevano di un’in¬ vasione degli Anckuteres loro acerrimi nemici, che sapevano starsi preparando ad una spedizione, per vendicare la morte di tanti da essi trucidali in una recente scorreria fatta allo scopo di ricu¬ perare le donne da quelli involate. Onde respingere gli Anckuteres o Encabellados , avevano chiesto aiuto alle tribù limitrofe ed alleate dei Simiguais e Santa * Marias ; che anzi mi fecero la proposta di rimanere fra loro onde dirigerli e soccorrerli col mio fucile, che chiamavano usenilacìta (folgore) , col quale avevano veduto abbat¬ tere e uccidere all’istante u n'arde a (airone). Uomini e fanciulli mi circondavano, nè potendo credere ai loro occhi, toccavano la canna mettendovi sopra un dito, e subito ritirandolo quasi fosse infuo¬ cato, facendo passare intanto da una mano all’altra l’uccello da me ucciso a gran distanza. Le donne mi accarezzavano la lunga barba per convincersi che non era posticcia : tutto in me desiava — 183 — loro meraviglia; il colorito, la foggia di vestiario, fino la larga daga che slavami appesa al fianco. Questi poveri selvaggi essendo del lutto privi di arnesi di ferro, adoperavano, onde estirpar le foreste, scuri di pietra durissima di color verde Qiota in Europa sotto il nome di pietra delle Amazzoni), colla quale, fissata ad un legno con corda di ciombira, vanno percuotendo lutto all’ ingiro le piante, sicché queste, soppeste c spoglie della corteccia, non lardano a disseccare. Dopo qualche tempo vi appiccano il fuoco, e le lasciano abbruciare e incenerire completamente, in modo che l’anno successivo vi possono fare piantagioni d’ ignami. La troppa affluenza dei selvaggi avendomi fatto sospettare della loro cordialità e delle loro buone intenzioni, stimai opportuno di usare maggior circospezione: ordinai quindi ai bogas di far ritorno alle canoe e di subito imbarcarsi, facendo conoscere a quegli abi¬ tanti che se desideravano di far cambj s’avvicinassero alle piro¬ ghe , ove noi avremmo potuto in lutti i casi difenderci e avere uno scampo mettendoci al largo. Essi non furono restii ai nostri inviti, c subito si stipularono i prezzi ; un piccolo coltello era 1’ equivalente di tre amache di filo di ciambira ; una scure, di dodici amache; un filo di granelli di vetro coloralo, di tre borse, collane o monili. Cambiai quattro camicie nuove di scorza d’albero ben ornale e dipinte per uno specchietto ed un battifuoco. In tal modo acquistai sei dozzine delle amache più fine le quali si vendono più in basso nell’alto Amaz¬ zone, e nel Brasile ad un dollaro cadauna in denaro, o due in cambio d’effetti o prodotti del paese, come salsapariglia, copaiba, vaniglia, gomma elastica. Quei selvaggi, lieti dei cambi che avevano fatto, mi supplicarono ad aspettare almeno fino al dì vegnente onde po¬ ter fornirmi un numero mollo maggiore di oggetti che avrebbero fatto portare da altri della stessa tribù, i quali abitavano a qual¬ che ora di distanza. Il curacka poi, al quale feci presente di un machete (coltellac¬ cio), continuava a supplicarmi di rimanervi alcuni giorni. Io per iscusarmi, celiando, feci lor dire non polermivi fermare più ol¬ tre per non aver donne a mia disposizione. « Se questo è il solo motivo di tua dipartita, o bianco, risposemi il vecchio curacka, io ti offro a scelta una delle donne che qui ti stanno dinante qual più li aggrada per tenerti compagnia durante la tua dimora». Non mi lasciai adescare da tale offerta; feci staccare dalla canoa i sei- — 484 — vaggi, clic volevano ad ogni costo trattenerla colle mani, e diedi il segnale di partenza, tanto più sollecitamente che ci trovavamo sotto la sferza d’ un sole cocente, tormentati da migliaia di mo- scherini e zanzare 4). Si navigò a gran forza di remi sino al ca¬ der della notte, e giunti alla spiaggia delta d 'Abijkiras, si costruì il solito tambo , ordinando di stare a severa guardia. 1) La poligamia è in uso presso queste popolazioni della natura come osservammo fra gli Jasunìs e Sincicitas, e più in basso anche cogli Scapigliali; ma è più prudente però d’aspet¬ tare che il Cacico della tribù, il marito, il padre o la madre ne concedano il permesso di avvicinare le lor donne. Gli oggetti che più appetiscono quelle sclvaggie sono per primo gli specchietti, i vetri colorati, anelli, aghi, mentre le stoffe non sono di loro genio, prefe¬ rendo esse di vivere nella più completa nudità. CAPITOLO XVIII.' (Dal giorno 2i al 30 Novembre.) Un tradimento. — Un falò.— Le Araras.— Il rio Curaray.— Un’orda di Iquilos, — Loro capi. — Il Chandirù. — Scaturigine del Curaray. — Sua navigazione. — Caccia dei pecaris. — Diverse specie di scimmie.— Il lago degli Alligatori.— Il gran serpente d’acqua.— Prodigioso numero di caimani, e di caraibi. — Loro voracità. — Abbondanza di selvaggina. — Il rio Cttrasabelo. — Descrizione dell’albero del Seybo. — Uso del suo baccllo. — Il lago di Tackamiri. — Gli Anckuteres. — Loro carattere. — Armi. — Scorrerie. — Pesca. — Gli arubus. — Il rio Mu¬ sai). — I capibari. — Una bufera. (Giorno 21 (Alle 6 antim. Aria + 23. I Aria +29.1(2) ^uiui iu 1 (• Cielo sereno Acqua + 26. I A rtl /z Acqua + 26. ) Giunti alPirnboccatura dell’ Uritu-yacu sostammo sulla riva di Guama. Si vedevano intanto passare sul capo nubi di papagalli e stuoli di anitre. Sulla riva sinistra, poco lungi di là si scopersero alcuni selvaggi, che e’ invitavano ad approssimarsi a terra ; non ignorando però quanto sarebbe stata pericolosa una fermata, mi limitai solo a far avvicinare un po’ più alla sponda la canoa onde chiedere che mo’ si volesse da noi. Non tardò molto che alcune freccio vennero scoccale contro le canoe, dalle quali nessuno per buona avventura rimase colpito per la troppa distanza. Non po¬ tendo in allora trattenere lo sdegno per sì vile tradimento , feci fuoco su di loro col mio fucile, e subito tutti sparirono. In uno spazio di circa tre pertiche in quadro, sgombro di piante, sorge¬ vano due tettoje aperte, nelle quali trovavansi varie amache; ed in riva al lìume si ossservavano pali su cui stavano appesi a disseccare pesci e carni di scimmie. Non concessi ad alcuno de’ miei di scendere a terra per appropriarsi quelle provigioni come essi desideravano, potendoci tale ardimento tornar fatale. Erano della tribù degli Anckuteres , della nazione degli Enca- bellados (scapigliati), non tributarj ad alcun governo, che scoraz¬ zano indipendenti nelle foreste tra il fiume Aguarico ed il Napo; sono tenuti pei più feroci e bellicosi selvaggi di quelle con¬ trade, e riputati persino antropofagi , almeno stando alle asser¬ zioni dei loro vicini gli Abijckiras e gli Iquitos, verso i quali nu¬ trono odio implacabile e vivono in continua guerra. Si dividono gli Encabellados in molte tribù aventi ciascuna un idioma proprio, — 186 - alle quale appartengono quelle degli Anckulercs e Ckolos, le sole che abitino le sponde del Napo. Gli Anckuteres cd i Ckotos sono i soli selvaggi, a mio credere, die rendano cotanto pericolosa la navigazione del Napo, non pra¬ ticala che di rado dagli stessi Colombiani. Si potrebbero però fa¬ cilmente soggiogare se tanto la Repubblica della Nuova Grenada che quella del Perù volessero concorrere coll’Equatore a distrug¬ gerli, o almeno a snidarli dalle loro foreste. I fanciulli Anckuteres fatti prigioni dagli Zaparos ricusano di sopravivere alla loro schia¬ vitù, sebbene trattali con dolcezza, e si procacciano da sè stessi la morte, come praticano gli Zaparos, mangiando terre e pietre, o succhiando da certi alberi sughi caustici c velenosi. La più parte si aggiravano nudi, alcuni avevano fascie di cor¬ teccia , il corpo dipinto di rosso , la capigliatura sciolta , nera e lunghissima; si servono di archi e lancie come gli Zaparos. Il non aver potuto comunicar con essi , mi tolse di potermi procurare più esatte nozioni ; i bogas nuli’ altro mi sapevano ripetere sul lor conto se non che erano estremamente feroci e coraggiosi. Si continuò il cammino, e sostammo nella notte all’isola di Ca- chan, dove vietai si accendesse fuoco onde non incappar nel pericolo di essere ravvisali, tanto più che si vedevano in distanza sulla riva sinistra innalzarsi nembi di fumo, che provenivano certo dai fuochi degli Anckuteres. Grazie a tal precauzione, non ebbimo nella notte molestia di sorta. (Giorno 22. Temp. Aria -f- oO. Réaum. Temp. Acqua -f- 26. Mez¬ zodì. Tempo chiaro). Il dì vegnente si partì all’ albeggiare e s’arrivò alle ore 0 an¬ timeridiane all’imboccatura del Zunai-yacu, sulla sinistra del Napo. Su quella spiaggia altissima i miei bogas seppellirono quattro grandi panieri di chiclia, che doveva loro servire d’alimento nel loro ri¬ torno a Santa Rosa, pratica che non dimenticano anche nei viaggi di terra. Spiarono dapprima se nessuno mai si trovasse nascosto in quelle vicinanze; poi, cavati dalle canoe i panieri, mutarono le foglie che involgevano l’impasto di banano, indi lo trasporta¬ rono nel follo della foresta , dove ai piedi di un grosso albero, in luogo ove non potessero montare le acque del fiume, scava¬ rono due fosse; collocali sul fondo varj pezzi di legno e deposti i panieri, vi formarono al disopra una specie di graticcio con ba¬ stoni posti orizzontalmente gli uni vicino agli altri, sovraponen- — 187 — dovi ampio foglie di vykuja; il tulio ricoprendo in lino con terra, onde alla meglio occultare quel ripostiglio. Venni assicurato clic quell’impasto di chicha, sia di banane che di yucka o di mandioca masticata, conservasi per più e più mesi così sepolto senza subire alterazione di sorta. Gl’indiani non ponilo assolutamente far senza di tale bevanda, la quale, come già notai, nel mentre che basta loro a spegner la sete, serve altresì di ali¬ mento, potendo passare settimane e mesi senza sentire il bisogno d’altra specie di cibo. Nel discendere il fiume non mancano ogni tre giorni di sotterrare sempre la stessa quantità, la quale nella rimonta deve loro servire per dieci, calcolandosi clic per ogni giorno di discesa se ne debbano impiegare quattro nel rimontarlo. Il viaggio ch’io potea compiere recandomi a Loreto in 25 giorni o al più 50, doveva nel ritorno durare da 5 a 6 mesi. Intanto che i miei indiani stavano occupati nel nascondere la chicha , io diedi la caccia ad alcune araras che erano venute a posarsi sur un albero. Questi uccelli non s’incontrano mai a stormi come i pappagalli, bensì accoppiati a due a due, maschio e fem¬ mina. Lo stesso osservai anco nei boschi della Nuova Grenada e nel passaggio dell’istmo di Panama. Molli piccoli parocchetli verdi svolazzavano a centinaia fra quegli alberi e quei cespugli spinosi, becchettando semi e noccioli, nè mancavano le fresche traccie de¬ gli jaguari. Il calore era insopportabile, quantunque il termometro non segnasse che -h 50° IL Verso le i pomeridiane non solììava un fil d’aria, ed i mosticchi, l’arenilla l\ la mutuca, il carapato (acaro) e altri molestissimi insetti ci tormentavano oltre misura sì dentro che fuori della canoa. Dopo aver passate molte isole ci fermammo nella spiaggia nel mezzo del fiume onde imbandire il pranzo, che invero questa volta era assai ghiotto, consistendo in uova fresche di testuggini, un paucki o fagiano, due grossi bagri (pesci). Finito che ebbirno di mangiare, si alzò una catasta di legnc secche cui si diede fuoco, onde avesse a durare per tutta la notte; quindi c'imbarcammo di nuovo nel maggior silenzio, passando in un’isola vicina ove si piantò l’alloggiamento. Mediante tal precau¬ zione, i selvaggi venendo attirati là dove avvampava il falò, sa¬ rebbero siali delusi nelle loro male intenzioni. I) Piccolo insello microscopico che punge le carni e produce, grattando , pustole ma¬ ligna, delle quali quei selvaggi sono coperti. — 188 — li dì vegnente il cattivo tempo c la pioggia clic cadeva a di¬ luvio, mi obbligarono a partire di là un’ora prima dell’albeggiare, giungendo alle 8 del mattino alle foci del Curaray. Qui feci av¬ vicinare le canoe ad un isolotto dove scorgevansi varie capanne poco diverse da quelle che venivano da noi erette. Giunti a poca distanza si riconobbe essere una banda d’indiani Iquitos , che di¬ retti da due Brasiliani, un negro ed un mulatto, rimontavano il Curaray, ove la salsapariglia trovasi in grande abbondanza c di ottima qualità; erano essi occupati ad estrarla per conto di al¬ cuni commercianti di Pebas. Legate le nostre vicine alle loro canoe ben quattro volte più capaci, accolsi con piacere l’invilo di scendere a mangiar un boccone coi due capi. Comunicatoci a vicenda, parlando essi il portoghese, lo scopo del viaggio, le provenienze ed i pericoli che ci sovrastavano, essi mi pregarono a voler loro cedere un po’ di polvere e munizione che aveano esaurito nel difendersi poco lungi di là, alcuni giorni prima, da un attacco degli Ànckuteres, nel quale essendo stali còlti all’im- pensala, ebbero quattro dei loro compagni trucidati. Alla loro do¬ manda mi prestai di buon grado, tanto più volentieri ch’io pos- sedea tuttavia alcuni vasi di latta ripieni di polvere linissima provvista in Quito: ne ricevetti però in cambio un fiasco d’ac¬ quavite ed un grosso manipolo di più libbre di salsapariglia. Quella truppa componevasi di trenlasei selvaggi Iquitos, e dei due Brasiliani colle loro donne; lutti ben armati con lancio, archi e machetes. Questi ultimi erano due soldati disertori fuggiti dal Bra¬ sile per aver ucciso in una rivolta al forte di Tabatinga il loro comandante; e trovalo un asilo a Pebas, nel territorio peruviano, avevano scambialo il servizio militare con quello di cercatori di salsapariglia, reputandosi di questo cambio ben fortunali, giacché i loro camerata fatti prigioni erano stati senza misericordia fuci¬ lali. Al presente aveano già quasi completato il loro carico , e speravano entro pochi giorni di far ritorno a Pebas per conse¬ gnare il raccolto al proprietario della spedizione. Quei pacifici selvaggi erano stati assoldati per raccogliere quelle radici tanto usate nell’arte salutare, ed avevano ricevuto in anticipazione po¬ chi oggetti di ferramenta e alcuni vezzi di vetrerie. Erano tutti completamente nudi, ed una sola cordicella di ciambira loro at¬ traversava i fianchi , alla quale tenevano sospeso il pene, legan¬ done il prepuzio. Per quanto io abbia interpellalo i due capi in- — 180 ionio al motivo di si strano costume, altro non riuscii a sapere se non che ciò si usava dagli Iquitos sino da tempi più remoti e che essendo essi costantemente obbligali a passar a guado fiumi, e lagune, forse impedivano con ciò che un sottilissimo pesciolino conosciuto in tutto il Napo e fiume delle Amazzoni sotto il nome di ckandirìi , riuscisse ad internarsi nell’ uretra, come di sovente accade non usando di tal precauzione, eccitando in pochi giorni la cancrena e la morte La più parte erano tattua Li in rosso e bleu; alcuni eransi tinta parte della faccia di nero , figurando la barba ed i mustacchi ; però non osservai che praticassero mulilazioni di sorta. La tribù degli Iquitos fa parte della nazione Zapara, ed abita fra il fiume Nanay e Branco , sino alle foci del Napo. Il loro idioma mi parve armonioso. Sono pacifici , di modi mitissimi , di bell’ aspetto , di statura alla, di color rame oscuro; portano rasa la testa, non usano altri ornamenti che alcuni pennacchi d’ araras o d’ altri uccelli , e collane di denti di tigri. Sono laboriosi e molto agili nel ma¬ neggio delle armi. Furono istituite alcune missioni dalla parte dell’Ucayale ed il territorio da loro occupalo è sotto la giurisdizione del Perù nella provincia di Maynas. Dai due brasiliani mi vennero comunicale molte altre precau¬ zioni da praticarsi nel resto della navigazione sino allo sbocco nelfalto Maragnone , onde non venir sorpresi dagli Anckuteres, che stanziavano in quei paraggi per far pesca di tartarughe c raccoglierne le uova. Si parli ai là dopo aver passalo seco loro allegramente alcune ore , quando una dirotta pioggia ci obbligò a riparare un po’ più in basso del Curaray, su un banco di sab¬ bia dove piantammo la nostra tenda. Il Curaray è di difficile navigazione , per quanto almeno mi assicurarono que’ Brasiliani che f avevano rimontalo , incontran¬ dosi ad ogni istante molli scogli , bassi fondi e rapidissime cor¬ renti. Nel punto dove il Curaray mette foce nel Napo ha una t) Si citano molli casi di persone d'ambo i sessi, le quali non essendo riuscite subito ad estrarlo, aveano incontrata la morte. Abbonda molto nel Napo e rio delle Amazzoni, ed è poco dissimile dai cosi delti caraibi, essi pure avidissimi di sangue. Gli indiani per anti¬ doto si servono del sugo di una pianta delta ivilo , di cui prendono internamente qualche gocciola mista ad acqua, i! che fa prontamente morire quel pesciolino. Di tal sugo cau¬ stico fanno altresì uso por tingersi di nero il corpo. i 90 - larghezza da me calcolala di G00 metri ; più in allo però il suo alveo non misura più di 200 a 500 metri. Ha origine nel Can¬ tone di Canelos, e dopo un corso di 160 leghe si getta nelNapo ai 70° di long, occid. 1! giorno susseguente continuò sempre a diluviare ; verso il mattino si osservò una truppa di pecaris o majali selvatici (di- cotyles labialus) in numero di 50 a 60, che attraversavano a nuoto il fiume ; si die loslo loro la caccia , inseguendoli nelle canoe con lanlo ardore che alcuni indiani slanciaronsi nell’ ac¬ qua colle picche , e ne ferirono due proprio nel mentre stavano per toccare la sponda e «'inselvarsi insieme cogli altri. La loro carne, che è grata al palato, in parte si consumò subito e il resto si fece mettere in serbo pel dì vegnente. Sepolti quattro altri panieri di chicha in un isolotto , e alleggerite di ben qua¬ ranta arrobe le canoe, feci staccare i due talabordi onde pro¬ seguire con maggior celerità quella navigazione , non tanto pel pericolo degli Ànckuteres, quanto per essere caduti tre de’ miei indiani ed il mulatto Mathias gravemente infermi di febbri in¬ termittenti causate dalle continue pioggie , dai calori insoffribili , e dalla calma assoluta dell’ atmosfera , dovendo navigar sempre sotto il tropico del Capricorno, e propriamente fra i 5 e 4 gradi dalla linea equatoriale 1 2). Si presero dai miei bogcis colle treccie avvelenate molte scim¬ mie, il coafa (ateles belzebub ), il guarapalo (ateles marginatus ), il doro (cebus griseus ) , delle quali preparai quelle specie che ancor non possedeva. In un bosco trovai un grosso rospo die a stento potei riporre nell’alcool, volendolo i miei indiani arrostire e mangiarselo come un ghiotto boccone 3). Giunti sul far della sera a rio Verde ossia Jana-yacu , balzam¬ mo a terra per inseguire alcune scimmie che stavano tutte in¬ tente a raccogliere uova di tartarughe , ma che al nostro avvi¬ cinarsi fuggirono a precipizio. Le loro forme strane e diverse dalle comuni avendomi messo il desiderio di possederne qualche esemplare, promisi una buona mancia a chi me ne avesse pro- 1) L’arroba equivale a 23 libbre. 2) L’umidità del suolo, i calori soffocanti della zona torrida rendono quelle regioni malsane. 3) Questa specie è comune anche nel Brasile. È il bufo (ignei. — 191 — curala qualcuna. Tulio però fu indarno; solo polei osservare trattarsi di una specie alTallo ignota finora, essendo a coda corta di color castano rossiccio ed a faccia rossa. I varj fuochi che si vedevano accesi da ogni Iato continuamente ci rammentavano trovarsi noi in mezzo alle popolazioni più fe¬ roci, fra’ cannibali, dai quali potevamo ad ogni istante essere rav¬ visati ; reputai quindi prudente consiglio seguitare la pratica dei giorni scorsi, accendendo spessi falò, onde così deludere le loro malvagie intenzioni. Per avere la sicurezza che nessuno se ne stesse appiattato nelle vicinanze , ordinai si facesse buona guar¬ dia , promettendo a ciascuno un bicchier d’ acquavite se nella notte avessero veglialo e risposto subito ad ogni mia chiamata , raccomandando loro di non Scostarsi dalla capanna onde non correre il rischio di venir còlti in isbaglio. Essendo parso ad al¬ cuni di udire un rumore nel bosco vicino come di persone che schiantassero rami , ed essendo corsi ad avvertirmi , balzai in piedi, e fatto a quella direzione due scariche di fucile , mi ven¬ nero all’orecchio voci come di persone che s’allontanassero; poco dopo lutto ritornò nel più perfetto silenzio. Grazie alle usale pre¬ cauzioni nulla avvenne di sinistro. Sul far del dì si andò ad ispe¬ zionare il sito dove si era fatto udire il rumore, c si trovarono impresse nella sabbia le orme dei selvaggi, che eransi posti in fuga ed imbarcati al fragore delle scariche *). II giorno 25 dopo tre ore di viaggio s’arrivò a Lagarto coccia o Lago eie’ coccodrilli. E questa un’ ampia laguna situata sulla riva destra del Napo, dove sceso a terra mi divertii ad osservare la immensa quantità di caimani o alligatori , che o nuotavano impavidi, o si avvoltolavano nel fango, nulla curandosi della no¬ stra presenza. Tutte le paludi lungo il Napo, anzi ogni più pic- 1) Venni accertato, giunto a Pebas, che gli Anckuteres, al pari de'Mayorounus, sono in alcuni casi antropofagi ; e ciò dietro varj fatti, uno de’ quali era avvenuto sol pochi mesi prima del mio passaggio. Mi raccontò il governatore di Pebas , come alcuni Peruviani di Moyo-bamba trafficanti di schiavi avessero fissato la loro residenza a Masan fra le tribù degli Iquitos; dove, dopo aver radunati una sessantina e più d’indiani ben armati, re- eavansi a fare scorrerie sul territorio occupato dai Ckotos ed Anckuteres, rubandone e me¬ nandone schiavi i fanciulli che poi vendevano a Moyo-bamba od al Brasile. Questi ultimi radunatisi in grossa banda , resi feroci per la perdita di molti dei lor nati , piombarono loro addosso e fecero un vero macello degli indiani Iquitos; i due bianchi poi coman¬ danti la spedizione furono fatti a pezzi, arrostili c divorati dagli Anckuteres. colo slagno, sono talmente infestati dagli alligatori e da mostruosi serpenti d’ acqua detti mama-yacu, (madre del fiume), lunghi dai 50 a 60 piedi, che riuscirebbe assai pericoloso il bagnarvisi senza le necessarie precauzioni. Mentre slava osservando que’ rettili tanto schifosi , spassando¬ mela a colpirli colla mia carabina ; ecco passare uno stuolo di anitre, alle quali mi provai a tirare; una di essa cadde ferita nel lago ed all’ istante fu divorata da un alligatore che era ac¬ corso al tonfo. Se ne osservavano alcuni lunghi da h a 6 me¬ tri. Nelle acque del Napo, dopo però passalo l’Aguarico, oltre al trovarsi a centinaja gli alligatori, guizzano alcuni pesci delti ca- raibi avidissimi del sangue, i quali appena arrivino co’ loro acuti denti a ferire qualche parte del corpo, invitando all’esca una mi¬ riade di quei voraci animali, rendono in brev’ora esanime la mi¬ sera vittima , a meno che questa non giunga a trovare pronto scampo alla riva. Nè pericolo minore s’ incontra dalla puntura delle razze. Per evitare tante piaghe e per non espormi a cam¬ minar sulle spiaggie per entro al fango , io aveva istituito una specie di servizio che ciascun indiano , ad eccezione dei piloti , alternativamente dovea compiere ogni giorno ; aveano cioè a tras¬ portarmi sul dorso dalla canoa al lido , e viceversa quando le acque impedivano di avvicinarla a terra. Siccome quegli cui toc¬ cava tale fatica partecipava agli avanzi del mio pasto, e godea siccome compenso di qualche bicchier di acquavila , lutti vi si prestavano senza ritrosia e quasi la cercavano. Il prodotto della caccia e della pesca d’ ogni giorno , dopo che io avea fatto la scelta degli esemplari che mi convenivano , era loro completa¬ mente ceduto. Così tutto succedevasi con somma regolarità , nè alcun incidente veniva a mettere fra’ miei bogas il malcontento. Quando per la guardia durante la notte pretendevano dell’acqua- vite con troppa frequenza , io non soleva mai loro accordarla , per la ragione clic essi erano obbligati a’ mici cenni senza altre pretese. Però appena si erano rassegnati , e quando meno se l’aspettavano, ne distribuiva a cadauno una piccola razione. Si arrivò al piccolo Curaray o Curasabelo , fiume che alla sua foce ha non più di 100 metri di larghezza. Avvicinala la canoa alla sponda , uccisi due specie di fagiani dagli indiani chiamali Moiilù ( crax alector ), che insieme alle pavas n Penelopi, incon¬ tratisi a dovizia in quelle foreste. .Si riconosce il Curasabclo per aver nel mezzo un silvestre iso- lotlo , alla cui punta osservai due grossi ed alti alberi di caoìm o cedro, fra’ cui rami celavasi un prodigioso numero di nidi pen¬ sili d’una specie di stornello giallo e nero a becco bianco ( turdus miranlius). Avendone falli raccogliere alcuni esemplari, li trovai artisticamente tessuti di fili di piassaba. Essendo frequentali tutti que’ banchi di sabbia dagli Anckuteres, che vi avevano costrutte le capanne per la raccolta delle uova di testuggini, si dovette pro¬ seguire la discesa sino all1 imbrunire. Giunti un po’ più in basso del Curasabelo, sulla riva destra all’orlo d’una foresta, si piantò la nostra capanna. Feci raccogliere gran quantità di un finissimo cotone lucente come la nostra seta, il quale trovavasi sparso sul terreno, prodotto dai bacelli del seybo, e ne feci riempire un sacco, che mi servì poi di soffice materazzo. E il seybo un grosso albero poroso: le sue radici escono in gran numero un braccio al di sopra del suolo , formando antri e ca¬ panne naturali, dove i selvaggi trovano sicuro ricovero. (1 fruito portato a maturità somiglia a quello del cacao; si apre a varj strali come il cotone; il vento poi ne fa uscire quei filamenti, clic a guisa della lanugine dei nostri tigli coprono il terreno sottostante. Si po¬ trebbe senza dubbio cavarne profitto e farne oggetto di speculazione; ma quei naturali non se ne servono che per involgerne le frecce tirate scoile bocloquere od a fiato. Oltre al seybo s’incontrano al¬ beri di caoutchiu/i. * (11 giorno 26. Terni. Aria -4- 29 Reatini. Acqua + 26. Tempo vario). Si giunse al rio Ciuru-yacu sulla riva destra , e di là alla la¬ guna di Gltapa. Avvi un altro lago sull’opposta riva del Napo chia¬ malo Tackamirì , dove avendo travedute alcune capanne abitate, volli recarmivi, desideroso di contemplare più da vicino quei for¬ midabili selvaggi. Ci avvicinammo a terra , si fecero i consueti segnali , ma nessuno si mosse , continuando nelle loro faccende senza mostrare timore alcuno, nè desiderio di venire a parlamento. Non era in vero prudente il saltar a terra, nè alcuno de’ miei avrebbe osato seguirmi, non ignorando qual odio nutrono verso i bianchi. Slava per ritornarmene, quando una vecchia indiana, venuta per ispiare, invitata ad avvicinarsi alla canoa, ardì appros¬ simarsi, mostrando però molta diffidenza. Fallile alcuni presenti, a quest’esca s’ammansarono alquanto gli altri selvaggi, clic, ar- 16 mali di lance e allontanali i fanciulli, vennero a noi. Uno di loro mi offerse un alveare di piccole api, che acquistai regalando loro alcuni ami. La cera era nera, il miele molto piacevole ed aroma¬ tico, che si rinviene nei tronchi degli alberi. Distribuii loro altri ninnoli, vetri colorati e battifuoco, e ne ricevetti in cambio un arco con turcasso ricolmo di frecce avvelenate, una scure di pietra verde, alcuni ornamenti e diverse amache. Ogni piccolo oggetto destava loro somma meraviglia, lo accettavano dopo smoderale risa e salti, e ne menavano gran cicaleccio. Non mi fu fatto però alcun invito di scendere a terra e di entrare nelle capanne, come solevano farmi i selvaggi delle altre tribù. Alcuni erano interamente nudi, altri portavano una ciusma simile a quella degli Zaparos, tinta in rosso col roncoli. Avevano le guancie forate per innestarvi piume e fuscelli: il corpo era taltuato in rosso e bleu, con monili alle braccia ed alle gambe. La statura non era in generale molto ele¬ vata, il colorilo era di rame oscuro o marrone. La loro (Isonomia, sebbene forniti di labbra grosse, non era spiacevole; il loro sguardo severo, senza barba, lunghi e neri i capelli, denti tinti in rosso, forse col campeccio. Portano per arma di difesa uno scudo di pelle di tapiro; bastoni di legno nero durissimo, lance ed archi per arma d’offesa. Sono affatto indipendenti, vivono erranti nelle selve, e non si soffermano in un luogo che sino a tanto che possono trovarvi provigioni; la loro ferocia li spinge sino a devastare il territorio delle vicine tribù e ad incendiarne le capanne. L’odio implacabile, che necessariamente dopo fatti così atroci devono portare ai bian¬ chi, fu certamente la causa principale della fredda loro accoglienza e della somma diffidenza di cui fecero mostra. Terminati gli scambi, nè avendo fra’ miei chi intendesse sillaba di quanto ci dimanda¬ vano, si partì di là ben lieti di essere scampati da quell'incontro senza aver subito il menomo insulto o nocumento. Si vogò a gran forza di remi, finche sostammo di notte sur un banco di sabbia, dove fummo in modo tale tormentati da’mosticchi, da non poter riposare nemmeno ricoverali sotto i Ioidi o mosticchicre , delle quali nessuno può ivi far senza; al che bisogna aggiungere il gracchiare de’ ranocchi e dei rospi, il ronzare d’insetti simili alle cicale, e le strida degli uccelli notturni, che formavano lutti insieme un'armo¬ nia veramente infernale. Il dì vegnente si dovette partire involti in una foltissima nebbia, la quale non si diradò che alle 10 del mattino; rischiaratosi l’oriz- — 195 — zonle, si ebbe a sopportare per tulla la giornata un calore insoffribile. Durante la fermala del mattino si pescarono più di quaranta grossi pesci delti bctgre, che pesavano non meno di 20 a 25 libbre ca¬ dauno; essi erano rimasti prigioni in uno stagno formalo dal ritirarsi delle acque. Se ne fecero arrostire alcuni, altri si posero a seccare, ed il rimanente si gettò agli unibili, che piombarono a stormi per divorare la preda. In tutte le spiagge ed isole del Napo rinviensi una moltitudine di questi benefici uccelli, che si nutrono delle uova deposte dagli alligatori neile arene, distruggendone così in buon dato pria che si aprano, e uccidendo anche si schifosi rettili appena nati pria che si tuffino nelle acque. Intanto si andavano succedendo l’una dopo l’altra le isole, così numerose e folle d’alberi da non per¬ mettere che lo sguardo vagasse libero tra le due sponde. Si lasciò a destra il rio Masan, nel quale rimontando incontrasi una pic¬ cola aidea appartenente alla missione degli Iquitos. Qui il Napo va sempre più allargandosi, potendo avere il suo alveo non meno di 1500 metri di larghezza. Si videro molli capibari (cavia capi¬ bara), che pascolavano a torme nelle isolette; appena però ci scor¬ gevano, subito correvano a tuffarsi nell’acqua, nella quale nuotano a meraviglia, potendo ritenere a lungo la respirazione. Non se ne potè uccidere che uno assai piccolo, la cui carne trovammo sa¬ porita. Questo pacifico animale, pesante, corto, grosso, simile ad un mnjale nella struttura del corpo, è della famiglia de’ rosicanti, essendo fornito di due grandi denti incisivi a ciascuna mascella. Di questi i selvaggi si servono in luogo di scalpello onde scan¬ nellare le bodorpiere e per altri lavori, legandolo stretto ad un pezzo di legno. I! capibaro è senza coda, il colore della sua pelle è ros¬ siccio scuro o marrone, con peli o setole rare simili a quelle del majale; ha piedi larghi armali di unghie riunite con due membrane; si raduna in truppe di 20 o 50 al più, sempre frequentando le sponde dei fiumi. Si addomestica con facilità, e vive di radici, erbe, frutti, ecc. Si arrivò sul far della sera ad una spiaggia dove , sia per la continua molestia di zanzare c moslicchi, sia per la tema in cui continuamente si viveva degli Anckuteres , non si potè chiudere occhio tutta la notte, costretti come eravamo a correre quai for¬ sennati in su e in giù da un punto all’altro del banco di sabbia. I.e punture di quegl’insetti furono tali e tante, che le mie povere — 196 — membra, già lulte gonfie e indolenzite, rimasero tutte coperte di pustole e di piaghe. Nel giorno 28 continuò la pioggia e la nebbia densissima; sem¬ pre colla stessa monotona prospettiva di terre inondate, basse e boschive, si seguitò a discendere. La corrente, più ci avanzavamo verso la foce, più andava diminuendo pel rigurgito delle acque delfAmazzone. Nella mattinata cominciò a soffiare un impetuoso vento di levante che, minacciando di rovesciare le canoe, ci co¬ strinse a cercar ricovero sulla destra del fiume alla spiaggia detta di Morete, così chiamata per la straordinaria quantità di palme. Si rimase quivi ancorati tutto quel giorno ballonzolati continuamente dagl’impetuosi cavalloni , e si passò una cattivissima notte sotto una dirotta pioggia e fra un continuo tuonare e balenare. Continuazione» Generalità geografiche e naturali intorno al Quixos e al rio Napo. — Epoca delle mis¬ sioni. — Villaggi distrutti. — Epoca delle grandi piene. — Temperatura media. — Progetto di navigazione a vapore. — Legnami da costruzióne e da ebanisteria. — Medicinali. — Caccia d’ insetti. — Numerazione delle specie rare. — Descrizione di un nuovo genere di Coleoptero . Nel giorno 29 si rasentarono le isole dette di Puma , Negro c Pingue , ove il fiume si dilata oltre misura, avendo ben due miglia di larghezza, e scorre placido e maestoso. Si arrivò finalmente all’i¬ sola più vasta di Lagarto, che trovasi là ove i fiumi Napo ed Amazzone al loro confluire formano due grandi bracci. A mezzodì si arrivò a duro -coccia, piccolo villaggio di 8 a 10 capanne, recentemente edificato sulla riva destra vicino ad una laguna alle foci del Napo dagli abitanti di Gran, che stanno sotto la giurisdizione del Perù. Passai il rimanente del giorno nella capanna d’un Peruano traf¬ ficante di salsapariglia, nulla ivi trovando di notevole tranne la magnifica prospettiva del maestoso Amazzone. Prima di abbandonare il Napo c di passare a descrivere la na¬ vigazione fatta sul rio delle Amazzoni, credo opportuno di qui porgere un riassunto degli oggetti più curiosi e interessanti pel commercio e per le scienze naturali che mi fu dato osservare lungo la discesa del Napo. Questo fiume ha le sue scaturigini dal vul¬ cano Cotopaxi, riceve le acque dell’Ansupì, Misagualli, Suno, Pa- yamino e Coca, scorrendo fra il 1° grado di lat. sud in direzione dall’ovest aìl’est fino a quest’ultimo fiume, il quale separa il can¬ tone di Quixos, dal Iato nord, dalla provincia di Succumbios nella Nuova Grenada; ai di là della Coca il Napo diverge il suo corso verso il sud-est, ricevendo le acque dell’Aguarico a sinistra, del Curaray a destra, finche dopo un corso di circa 200 leghe si getta nel Maragnone ai 75° SO’ di longitudine occidentale, e 5° 4’ di latitudine meridionale. Dopo la prima spedizione di Orellana, che scoperse quell’ immenso corso d’acque al quale diede nome d 'Ama- zonas, vi affluirono in varie epoche molti missionari* della Com¬ pagnia di Gesù, i quali riescirono a fondarvi piccoli villaggi, con» — 198 — vertendo alla loro foggia parie di quei selvaggi al cristianesimo1'. 1 più che si distinsero fra i missionarj che percorsero quelle ino¬ spiti regioni furono il padre Raphael Ferrera nel 1603, il quale discese al Napo dal rio Aguarico; il padre Acuita, c per ultimo il celebre padre Samuele Frilz nel 1686, il quale entrato fra quelle barbare e feroci popolazioni, contribuì in sommo grado all1 incre¬ mento di quelle missioni non solo, ma bensì anche colla somma prudenza e dolcezza di modi riesci in pochi anni a domare la nazione Zapara, gli Omaguas, i Cocamas ed altre tribù. Versato com’era nelle matematiche e nelFastronomia, fu il primo che tracciò il corso del Napo c del rio delle Amazzoni1 2). Dopo l’espulsione de’ Gesuiti dall’America spagnuola, rimasero que’ luoghi interamente abbando¬ nati, andando così perduto il poco frutto ottenuto dalle missioni. Que’ selvaggi lasciali in balìa di sè stessi, liberi della loro volontà, non tardarono a far ritorno al primiero stalo d’indipendenza as¬ soluta, dimenticando in poco tempo quanto avevano appreso, di¬ struggendo gli edifizj delle missioni, rintanandosi nelle foreste; in tal modo sparirono lungo il Napo i villaggi di S. Juan Nepomu- ceno, di N ombre de Jesus , S. Pedro , S. Miguel , S, Bartolomeo , S. Juan, La Soledad, S. Xavier , S. Francisco , Vraminas ed H or avia, terre che tuttora si trovano segnate nelle carte moderne, sebbene più non se ne rinvenga vestigio, tutto essendo ora tornato nella primitiva solitudine e barbarie. Questo vasto territorio rimasto per pili d’un secolo abbandonato, è ora occupalo in parte, come dissi, dagli Zapari, nazione immersa nella più crassa ignoranza, sebben degna di miglior sorte ; colla massima facilità si potrebbe ricon¬ quistarla al cristianesimo; solo si ha a deplorare l’assoluta defi¬ cienza di persone caritatevoli, le quali, incominciando ad attirar quei selvaggi colle lusinghe e con presenti d’attrezzi, ferramenta, ecc., potessero in seguito giungere ad ammaestrarli nei dogmi della vera religione. 11 collegio di Propaganda di Quilo, protetto e sussidialo dal governo, dovrebbe fare una scelta di soggetti veramente illu- 1) Cedro Tcxcira, portoghese, nel 1637 rimontò con 30 canoe c con 600 uomini il fiume «Ielle Amazzoni, entrò nel Napo e passò a Quito dopo un anno di disastroso viaggio, nel quale ebbe a perdere metà della sua truppa. 2) Duoimi di non aver potuto rinvenire nella biblioteca di Quito la sua carta idrogra¬ fica onde confrontarla con quella da me tracciata , c così scorgere quali mutazioni siano seguite dopo un intervallo di 130 unni. — 199 — minati, dolali d’ingegno, non che di robusta costruzione per poter resistere alle intemperie, agli ardori d’un cocente sole sotto la zona torrida, ed a molti altri incomodi e privazioni. Al presente però la tenuità dei redditi del governo equatoriano fa sì che, non polendo ricompensare i rnissionarj secondo le loro esigenze (giacché Patlaccamento alle ricchezze li rese affatto dimen¬ tichi di quelle regole di povertà che prescrive il loro istituto), così il vescovo di Quito, come già dissi, non riesce a trovare un solo religioso in tutto l’Equatore che voglia prestar l’opera sua a prò di tanti infelici. Il solo padre Plaza, ora vescovo di Cuenca, si distinse nelle missioni, passando più di 30 anni fra i selvaggi dell’Ucayale. La famiglia Zapara comprende più di 200 tribù con nomi distinti e con lingue proprie. La popolazione, per quanto mi si disse, può ascendere a 30,000 individui , che si aggirano nelle terre fra il Napo e il Pastazzo. Ciascuna di quelle tribù deve avere dei costumi ed usi affatto differenti da quelle delle altre poste in riva al Napo, variandone persino il loro linguaggio secondo le differenti località che abi¬ tano ; ma un viaggiatore che passa solo e rapidamente in una regione sconosciuta , non può studiare gli usi ed i costumi di una nazione sparsa neU’interno d’immense foreste; e deve limi¬ tarsi , come io faccio , a descrivere soltanto quel poco, che ha potuto osservare di volo. Dalla eonduenza del Coca seguendo il corso del Napo lino alla sua foce osservasi tutta la rigogliosa vegetazione di un paese equa¬ toriale. Su ambo le rive uniformemente piane, c solo interrotte da lagune o pantani , incontratisi vergini foreste , i cui alberi seco¬ lari colla verdeggiante chioma rompono la monotonia dell’ oriz¬ zonte. Le orchidee , V edere e le altre piante parassite si abbar¬ bicano agli annosi tronchi, mentre le fuchsie, le liane dai fiori va¬ riopinti si slanciano a festoni , a ghirlande da un ramo all’ altro arrampicandosi sulle cime, su cui posano e folleggiano miriadi di uccelli e di scimmie. L’aspetto di quelle regioni, le cui ricchezze in legni aromatici, in legni di tintura, in balsami, in vaniglia, in salsapariglia sono incalcolabili , era affatto diverso da quello dei paesi che aveva prima attraversato. Il terreno è uniformemente piano, e non incontrasi dal fio Coca alle foci del Napo la minima pietruzza ; il letto e le rive sono coperte di linissima arena ros- — 200 — sieda ferruginosa ; soltanto sulle sponde rinvengonsi qua e colà depositi di varie terre argillose colorate di giallo, rosso, verde. La profondità del fiume varia notabilmente; trovasi però quasi sem¬ pre in ogni epoca un fondo sufficiente per sostenere canoe della portata di G0 arrobe ; nei mesi delle alluvioni, fin anco della por¬ tata di 500 a 400. Le acque dopo il Coca sino alio sbocco nel Maragnone scorrono placide, variando di velocità a seconda delle isole che rendono sinuoso il canale e Io dividono in varii bracci. Durante V epoca delle grandi piene, che succedono in giugno, luglio, agosto e set¬ tembre , potrebbe il Napo essere navigabile con grosse barche o piccoli battelli a vapore; ma non si potrebbe però far uso di vele tanto nella discesa che nella sulcala, non spirandovi vento se non in prossimità del rio delle Amazzoni, pratica che sarebbe d’altra parte pericolosa pei tanti tronchi e ammassi di alberi che nelle piene seco trascina. (La temperatura media dell’aria nei mesi di ottobre, novembre c dicembre è di 26 a 28°; quella dell’acqua di -j- 25 a 25° R.) L’ epoca della pesca delle testuggini cade nei mesi di settem¬ bre, ottobre e novembre. Le uova di questo rettile si trovano in tale abbondanza su que’banchi di sabbia, da poterne fare un lu¬ croso ramo di commercio , portando il grasso che se ne cava a Quito, ove avvi scarsezza di olii e butirro per condimento. Oltre le tartarughe c i lamantini, quelle acque formicolano di pesci d’ogni qualità e grandezza, bagni, bacacicos, robali, anguille, che vengono predati solo dagli alligatori. Straordinaria poi ò l’abbon¬ danza di legnami da costruzione. Ivi si trovano alberi di cedro, dal cui tronco si potrebbero cavare canoe di 20 a 25 braccia di lunghezza; vi cresce pure il sinci-caspi, legno assai duro e adatto ai. lavori d’intarsio; V al ninno, il guapalo , il cogoyo c più di 50 differenti qualità di palme o cimila, che somministrano il cosi dello legno ferro, allo ai lavori dilieati , co’ quali i selvaggi fab¬ bricano le loro lance e bodochere. Sonovi palmizii, che producono la cosi delta ci ambiva , la quale tien loro luogo di canape. Alcune palme son cariche di ottimi fruiti del sapore dei datteri, che i selvaggi fanno cuocere onde preparare i loro liquori inebbrianti ; altre danno una cera nerastra, posta in commercio sotto i! nome di cera di valle , estratta col raspare le nervature delle foglie, fa¬ cendola poi fondere a fuoco lento. Altre palme infine danno un sugo assai delicato, dolce c rinfrescante. Sonovi molti alberi ric¬ chi di balsami, resine o gomme che gemono dalle incisioni; ab¬ bondante ò l’albero del caoulchiuh, il quale dà la gomma elastica, non che quello della copaiba , e il cacao silvestre. Incontratisi in quasi tutte le isoielle del Napo, come in quelle del Curaray, molti arboscelli di* un lauro dai cui fiori si cava una cera verdognola, posta in commercio a Quito sotto il nome di cera laurei. Nè bi¬ sogna dimenticare la cera animale prodotta da piccole api , che rinviensi abbondante nei tronchi degli alberi, cera di buona qua¬ lità, sebbene interamente nera. Non mancano differenti varietà di cascarilla c quina-quina l\ inferiori però a quelle del Perù e della Bolivia, essendo fornite di una corteccia assai grossa e rossiccia. Ho notalo altri alberi , il cui legno ha la durezza quasi del ferro, il guayaco e il palo de cruz; nè bisogna dimenticare un’altra specie di lauro, la cui cor¬ teccia chiamata davo è poco dissimile nella bontà e nell’ odore dalla cannella delle Indie orientali. E di colore un po’più fosco, con fiori c semi differenti; le foglie però, l’odore e il sapore sono somiglianti. Eccitandone la coltura, certo se ne potrebbe miglio¬ rare la qualità. I pericoli e gli ostacoli che bisogna vincere nella navigazione del Napo non superano quelli che è forza affrontare sugli altri fiumi di quelle regioni, e in ispecie sul rio Pastazzo. Dalla carta idrografica di qucst’immensa fiumana da me tracciala durante la discesa, si può scorgere di quanto interesse sarebbe pei governi del Brasile, del Perù , Nuova Grenada ed Equatore , sotto i rap¬ porti politico e commerciale, 1’ aprire una diretta comunicazione da Quito al Gran Parà per la via del Napo e rio delle Amazzoni. Il progetto della Compagnia inglese sarebbe invece quello di ren¬ der navigabile col vapore il rio Pastazzo ; ma tanto il cammino di terra che da Quito mette a Canelos e Bagnos , quanto la na¬ vigazione del Bobonassa e del Paslazza, riescono ben di un terzo più lunghi, correndo più al sud per varii gradi di lati L. e longit. In un sol punto, come si può scorgere dal mio giornale, ven¬ nero trovate le acque troppo poco profonde, forse in causa del- A 1) La quina-quina c la corteccia di un albero che cresce nel Perù cd in alcuni luoghi dell’ Equatore, e che ha qualche rassomiglianza col nostro ciliegio. Questo eccellente feb¬ brifugo fu portato in Europa dai (j esilili nel 1 6-iO. l’ampiezza dell’alveo; facilmente vi si potrebbe rimediare appro¬ fondando il letto in quel breve tratto, oppure servendosi dell’atti¬ guo lago di Capocuì per canale di comunicazione durante l’epoca dell’abbassamento delle acque, ciò che sarebbe facile, non essendo quel passo più lungo di un mezzo miglio. L’istoria naturale del Cantone di Quixos e di tutto il corso del Napo offrirebbe un campo vastissimo agli scienziati , che si tro¬ verebbero compensali ad usura delle loro fatiche nella certezza di rinvenirvi oggetti tuttavia ignorati; il botanico specialmente vi scoprirebbe una infinità di piante medicinali, e fiori e frutti e semi che certamente non sono entrati per anco nel dominio della scienza. Il zoologo poi una grande quantità di uccelli , rettili ed inselli curiosi e rarissimi 1) Fra le variate specie d’inselti da me raccolti nel Quixos e lungo il rio Napo, il Ne¬ store degli entomologi italiani, l’illustre marchese Massimiliano Spinola, vi rinvenne e de¬ scrisse venticinque specie nuove, e fra quelle vi trovò il tipo di un genere affatto nuovo di coleotteri. La diagnosi e la descrizione delle suddette, non che i disegni delle princi¬ pali specie testò speditemi, non potendo essere inserte in questo volume per troppa bre¬ vità di tempo, mi sono limitato a pubblicarne per ora la sola numerazione delle specie meno cognite, e la descrizione del nuovo genere. Coleoptei'a. Mcgacepha Klugii, Moritz. . . . . jucunda, Dcjan. « Amandi, Boet. Trichognalhus marginalus, Dej. Slercnlia gigus, Erichs. Philonthus corruscus, id. n graliosus, id Boeosckus Osculiti, Spin., novum genus (1). Auge tlielcphorina (Omalvsus) P.ty. Nyeloplianes pallida, Dej. cat. Cullianlhiu Proserpinu. Spin. (2) n. sp. Dcsytes variegalus , Spin. n. sp. (3) tphlhinus scrobiculatus, Spin. n. sp. (1) Pcecilestlius ci'ux, Dej. cat. Epicauta major, Spinola n. sp. (3). Nacerdes coxalis, Spin. n. sp. (6). Heilipus rufcscens, Sch. n cruentalus, in Coll. Banon. Sipulus barbirostris, Sch. Cosmisoma decoratum, Spin. n. sp. (7). Amphionycha ccnsobrina, Spinola, n. sp. (8). Doryplioru feisthameli, Guerin. » unda lo -fasciala, Sp. n. sp. fD). Clialcophana purpurea, Dej. cut. Erolylus gibbosus, Fab. Brachysphanu s Xapensis , Spin. n. sp. (10). Diedi la caccia nello slagno vicino a varj inselli , fra i quali notai P hydrophilus UneaLus e a molli girini; sugli alberi trovai frequenti le casside ed il buprestis gigantea. Le farfalle erano lut- 10 y meco opterà. Formica spinicollis, neutra. Acodoma cephuloles, neutra et P n crassinoda, neut. et P Poneva clavala, neut. et p Odontomachus armiger, (Alta) Latreillc. " unispinosus (formica), id. Malilla carulans, Spin. n. sp. (11). » colombica, Spin. n. sp. (12). Monedula panciata, Lat. Scolia atra, Fab. Pepsis stnaragdina , id. q* Spchx f uliginosa, Kl. M. S. Poliles labiata (Zethus), Fai. a lanio, id. a callosa, M. R. ìlhopalidia pallens (Polistes), M. B. ii minutissima, Spin. (13). Cliartergus apicalis (Vespa), Fab, E am enea brunnea, M. Bcrol. ii Rcthoides, Spin. v. n. sp. (li). Odyneras Quixcnsis, Spin. (lo). Halictus sub-peliolatus, Spin. n. sp. (16). Ccelioxys tridentata, Spin. P l\7). Chriscndelis dentata (Euglossa), Fab» Hyloco a frontalis, Fab. Ceralina rutundiventris, Sp. n. sp. (18). Hemisia uni cincia, Spin. n. sp. (10). Epicharis binatala, Spin. n. sp. (20). a flavo-zonata, Spin. n. sp. (21). Tetralonia sub-hcemmorrhoa, Spin. (22). Euglossa Brullei , Lepell. Dombus Napensis, cf (23). n semivetulus, Spin. (2i). Melipona trilinea, m. operaria (25). N 0 V (1 M G E N U S. !S «e o s c e 1 i s Osculati. Genus Bceoscclis. Spinola. Antenna in medio frontis paulo ante oculos in tuberculo elevato inserite magis inter se quam a margine exleriore remotae, Il -articulaia, articolo primo breve crassiore sim- plici, sequentibus 2-10 subaequalibus longioribus, ac tenuioribus apice bircunosis, ramulis liliformibus reclis articulo genuino saltem quadruplo longioribus, undecim sive ultimo praccdentibus multo longiorc ramulos lulerules facie simulante ac longitudine sequante. Caput, medise magnitudini , detectum horizontale, elvpeo antrorsum declive longitudi- naliter silicato, antice sub-emarginato, postico rccta truncato : oculis lateralibus magnis , elevato globosis. Man dtbula, fere longitudinis capitis, tenue*, inlus cdentulae arcuatae unciniformes, cx- tremitatc acuta ac incurvala tantummodo eonniventes. Palpi filiformes' maxillares duplo longiores, 5 articulati, articulo primo cylindrico crassiore, secundo longiore basi attenuato «bconico, sequentibu? tribus gradatimo longitudine diminutis, ultimo brevissimo hemisphse- la via simili a quelle del Quixos , la ncereis fuìsliva , Y helicoma endemu; erano comuni e numerosissime le nymphali vicino alle sponde. A compimento di quanto già dissi intorno ai lavaderos ed ai terreni auriferi del Quixos , a pag. 125, credo opportuno d’ unirvi un breve cenno sul metodo da seguire nella ricerca dell’oro, qualora venisse da qualche intraprenditore europeo formata una compagnia per ivi por mano a lavori di mineria. rico: labiales quadri articulati, articulo primo crassiuscolo obconico, secundo cylindrico attenuato sequentibus duobus uno longiorc , bis brevibus moniliformibus. Mentimi planum transverso quadratum. Reliquae partes oris inobservatac. Prolhoracis dorsum clypeil'orme, trapezioideum, postico dilatatimi medio eonvexiusculuni utrinque depressimi , marginibus exterioribus arcuatis expantise lamellosis liorizontalibus. Scutcllum conspicum triangulare, plus longius quam lalius, postico scnsim attenualum et in arcu elliplice lerminatum. Prosternimi mesosternumque depressa concava. Mctaslernum maximum, convcxum sub inflatum. Ab dome n supra planum sublùs concavum , septem annulatum , annulis sub sequalibus , sex primis transverso-quadratis, septimo inviso. Elylra abbreviata, thoracis dorsum vix superantia, post scutellum fere immediata obli¬ que truncata , angulis postero-inlernis rotundato-obsoletis , postero-externis Iongitrorsum acuminatis. Alce magn;e, sed in quiete obdominis extremitatem haud attingentes. Pedcs grassarii, tenues, longitudine insequales, antcriorcs breviore, postcriores longiores ad extremitatem abdominis haud pervenientes, lursis fìliformibus pubescentibus quinque articulatis, articulis a la ad quintum gradatim decrescentibus, inlermcdiis ac posterioribus v isibi 1 i ter plus libiis longioribus a quo charactere nomen Boeoscelis (brevis tibia J. Genus hoc locum babet naturalem in Melyridium tamilia , et in Phengodoidorum sub familia , prope G. Phengodes c t Actenista. A primo differt antennarum appendicibus ramulosis ncu- liquam in spiralem convolulis, a secundo capite horizontali detccto, ab ambobus tarsis iu- termediis ac posterioribus plus libiis longioribus. Species unica. SSm'oseeBBs ©scsaSati. Spinola. Bceosc. rufo testacea, anlennis ely tris libiis tarsisque brunnea-nigris. Specimen milii communicatum haud integrum, antennà sinistra infractà, abdominis seg¬ mento ultimo deficiente et inde sexu latente. Reliquum corpus long. 0,024m; antennae ni- grae, articulo primo rufo-testacco. Palporum articulis extremis sive primo et ultimo quo¬ que rufo-testaceis, intcrmediis nigris. Cnpitis pagina inferiore prope mentimi profunde fo- veata, foveolà parva semielliptieà distincte marginata, margine elevato carinaeformi. Elytra puberola confusim punctulata opaca. Abdominis annuii exlùs singulatim arcuati , laminis superioribus vix postice emarginatis, infcrioribus Iongitrorsum canaliculalis , Alae obscuroe nìgrcscentes. Typurn descriptum D. Osculati invenit prope lilus fluminis Xapo. — 205 — La compagnia che vi si stabilisse al Napo, deve sempre avere in mira d’ esplorare terreni nuovi , ossia dove non siano già stati praticati degli assaggi da quei del paese benché fossero certi di un mediocre risultato ; mentre il lavoro e la spesa di questi scavi sarebbe quasi nullo occupandovi degli indiani che si limiterebbero ad aver in cambio delle loro giornaliere fatiche oggetti di quasi nessun valore. Intraprendendo nuove escavazioni e formando de’ nuovi lava- deros con macchine in luoghi vergini più vicini alle sorgenti del rio Napo, si troverebbero facilmente a pochissima profondità filoni o vene aurifere, che incrociate in tutte le direzioni, darebbero con certezza quelle fertilissime cave un dovizioso risultato. Il vantag¬ gio poi che presentano questi nuovi assaggi non si limiterebbe a questo solo , ma si potrebbe evitare il rischio dell’ inondazione, come pur troppo accade in quasi tutte le miniere con maggiore o minor danno. La compagnia che si formasse per ispeculare in un ramo d’in-, duslria cotanto interessante deve a mio vedere recarsi da Quito alle falde dell’ Antisana dove scaturisce il Napo, ed ivi stabi¬ lirsi per qualche tempo nel Valle-Vicioso (Vedi la mia mappa), appuntandovi i luoghi più ricchi di sabbie aurifere tanto vicino alle sorgenti, che nelle roccie di quarzo ferruginoso, massime ne’ terreni d’alluvione. Fatte con diligenza le debile osservazioni, si potrà discendere di inano in mano lungo le due rive per un tratto di ben 30 o 40 leghe fino al punto dove il Napo diventa navigabile , continuando sempre le investigazioni senza interru¬ zione. Dopo aver fatta una tale esplorazione e segnati sulla mappa i luoghi principali più abbondanti d’oro, il Direttore della com¬ pagnia ne fisserà il luogo onde slabilirvisi per dar mano ai la¬ vori , c chiederà immediatamente al governatore del Cantone di procurargli un numero d’indiani sufficienti pel servizio della com¬ pagnia. Le provigioni da farsi in Quito potranno essere ristrette per i soli europei, consistenti in farina, riso, carne secca, salumi, olio, sale, pane biscotto ed acquavite, mentre per gli indiani adotti alla compagnia non si farebbe spesa alcuna , procurandosi essi stessi giornalmente, tanto colla pesca quanto colla caccia di che vivere, vagando in que’ luoghi numerosi stuoli di pecaris (majali — 206 — selvatici), di guanachi , orsi, tapiri e lepri. Le cariche de’ com¬ mestibili , attrezzi e macchine , dovendo necessariamente essere portate a dorso degli indiani per mancanza di strade , dovranno essere affidate a persone già conosciute come pratiche di quei luoghi. La spesa di tale esplorazione non sarebbe di gran rilievo, ed il lavoro degli scavi di pochissimo costo; e basteranno certamente i granelli (pepitas) o la polvere d’oro che si troverà in codesti primi assaggi per far acquisto in Quito di tulio l’occorrente onde pagare le spese giornaliere agl’ indiani , non che per le provvigioni per gli Europei. In pochi mesi si potrebbe ottenere un lucroso pro¬ dotto a compenso delle fatiche e privazioni sostenule. Allo scopo poi che la compagnia vada con perfetto accordo, e goda d’ima maggior proiezione, e non abbia a deplorare un tri¬ ste risultalo simile a quello della compagnia francese a Canelos, di cui giù accennai la tragica fine nel Capitolo XI , troverei in¬ dispensabile che venissero aggregali alla compagnia alcuni esperii Equaloriani conoscitori di que’ luoghi , i quali oltre al facili¬ tarne i mezzi di trasporto ed a contribuire col proprio alle prime spese, potrebbero appianare tulle le difficoltà che sarebbero per insorgere, mentre gli stranieri per quanto abbiano cognizioni estese non potranno mai conseguile quanto quelli del paese stesso e con minor perdita di tempo. Questa parte dell’Equatore sì poco conosciuta offre facilmente tutti i vantaggi per la formazione di una compagnia, e non v’ ha dubbio che il governo equatoriano ne favorirebbe 1’ impresa , accordando agli intraprendilori tutte le facilitazioni possibili onde effettuarla. CAPITOLO XX* Partenza ila ('laro Coccia per Pebas e Loreto. (Dal giorno 30 Novembre all’ 11 Dicembre). Orni i. — Ninfee galleggianti. — Aldea di Pebns. — Notizie intorno all’ assassinio del Conte d'Qsrry. — Coltivazione. — Selvaggi Ynguns. — Loro lai maggio. — Fabbricazione dei veleni e modo di usarne. — Gli Oreekones. — Abitazioni. — Ornamenti. — Aidea di Cochichina. — Selvaggi Mayourounas. — Serbatoi di testuggini. — Modo di farne la pesca. — Villaggio di Pdniate. — L’aldea di Lo>'elo o confine peruviano. — Sbarco e congedo degli indiani del Quixos. — Indiani Ti- cunas. — Loro carattere. — Ornamenti. — Il presidio di Tabalinya . — Strana legge brasiliana. — I presidiarj. Il giorno 30 si parli di buon mattino, e dopo tre ore ci trovammo ad Oran, villaggio ora affatto rovinalo, trovandosi in una posizione malsana e infestata dagli jaguari, alligatori e serpenti. Il Maragnone in quel punto scorre in direzione così retta, da potersi scorgere la continuazione dell’alveo per ben 8 leghe, perdendosi nell’oriz¬ zonte, e riproducendo alla vista l’imagine dell’Oceano. Al Iato nord o riva sinistra si scarica un fiumieello, le cui acque colano lim¬ pidissime, e conservano la loro tinta molto più in là della foce, essendo le acque del Maragnone o alto Amazzone costantemente torbide e rossiccio. Si levò un tempo procelloso con lampi e tuoni, e tale un gon¬ fiarsi del fiume da essere obbligati ad avvicinare le piroghe alla riva sinché fosse cessato il turbine che si sciolse in dirotta pioggia. Vedevansi galleggiare sulle acque un’incredibile quantità di erbe, massime diverse specie di nimphea o loius di varie grandezze e forme ed a vaghissimi colori di cobalto, violetti e rossi. Sul far della sera non essendo stato possibile ritrovare , come di con¬ sueto ne avveniva, un banco di sabbia od almeno una rada, per essere ambo le rive sommerse dall’irrompenle piena del fiume, si dovette alla meglio avvicinare le canoe a terra, e tagliati gli ar¬ busti ed i giunchi , ivi cercare per alcuni momenti un ricovero onde ammanire la cena. Ma pur troppo fummo obbligali a sgom¬ brare anche di là a precipizio , molestali come eravamo orribil¬ mente dai moslicchi che a nembi eransi su di noi precipitali , attirati dal chiarore della fiamma. Si unirono le due canoe di fianco una all’altra, e coll’ajulo della sola correrne si arrivò alle 3 del mattino a Pcbas , avendo sospeso il remigare per timore che nell’oseurilà si passasse oltre quel villaggio dove contava far alto. 11 l.° dicembre, fatto giorno, si presentò il governatore di quel- F aidea , che mi invitò a scendere alla sua abitazione; prescelsi però l’ospizio del convento, ove mi condusse un missionario che colà trovavasi. Qui venni a sapere che il conte di Castelneau col di lui segretario M. Deville , che viaggiavano in missione scien¬ tifica per conto del Governo francese, avevano passali ben qua¬ ranta giorni in quello stesso ospizio , provenienti dall’ Ucayale , all’oggetto di aspettare il loro terzo compagno, il conte d’Osery, che, intrapresa la navigazione HeW Iluallaga, aveva designato quel luogo per punto di riunione. Dopo un inutile aspettare , erano partiti per Tabalinga e pel Gran Para , discendendo il rio delle Amazzoni, per poi di là tornare in Europa. Sgraziatamente quel loro intrepido compagno , poco prima di giungere al Pongo di Manseriche , era stato assassinalo dalle stesse guide stategli date dal Governo Peruano, le quali si divisero fra loro il bottino. Passai allegramente quella giornata e buona parte della notte, sebbene mi trovassi molto affaticalo a motivo della lunga naviga¬ zione e delle continuate veglie. Fu imbandita un’ottima refezione, alla quale intervenne pure il governatore e gli altri superiori di quella missione. La cena consisteva in un pezzo di lamantino con banane, una guariba o scimmia urlante , arrostita al forno , uno stufato di pciucki , e farina di mandioca per pane, cui aggiungi acquavite a piacere. Dope il rendimento di grazie che suol reci¬ tarsi dai religiosi, terminalo il pasto, gli inservienti si posero in ginocchio borbottando un’altra preghiera, c vennero a ricevere ad uno ad uno la benedizione da tutti i convitali. Erano questi in¬ diani Jaguas , da poco tempo convertiti al cristianesimo da quei missionarj; tre uomini e due donne, che però ancor conserva¬ vano tulli i costumi selvaggi , passeggiando in completa nudità, se ne logli una larga fascia di corteccia d’ albero di gianciama che, legala a mezzo il ventre, lasciavano penzolare onde coprire le parti pudende. Non potei a meno di far osservare al missio¬ nario tale sconvenevolezza; ma mi venne risposto che essendo neofiti , trovavansi costretti a non contrariarli nei loro usi , che altrimenti se ne sarebbero fuggiti di bel nuovo nelle loro selve. Pebcts è aidea situala a 15 leghe più in basso della foce dei IVapo, sulla riva sinistra dell’ alto Maragnone , nella provincia di Maynas. Quella missione è assistila da due religiosi ed un laico; pel civile avvi un governatore e un alcade dipendenti e sotto la guirisdizione di Ciaciapoja nel territorio Peruviano. Questi ultimi però mi parve che attendessero più ai loro interessi e negozj par¬ ticolari, che al bene pubblico ed airincivilimcnlo di quelle popo¬ lazioni selvaggie. È situato il villaggio in luogo eminente , e ne è assai pittoresca la vista. 1 terreni circostanti sono in parte col¬ tivati, essendo di una fertilità senza pari; vi si raccoglie in co¬ pia cacao silvestre, cotone, vaniglia, salsapariglia; e si cava d a 1 - l’interno delle foreste, oltre alla cera bianca , un po’ inferiore a quella d’ Europa , molto eccellente legname tanto da costruzione clic per intarsiatura. La popolazione è composta d’ indiani Jaguas ed Oreckones (orec¬ chiuti). Questi abitano le terre più addentro, e solo nei di festivi accorrono al villaggio que’pochi convcrtiti al cristianesimo. Vi si contano non meno di 50 famiglie stabilite fra Jaguas, Oreckones e peruviani di Moyo-bamba , abitanti in capanne di paglia piuttosto spaziose. Le pareli della chiesa, del convento, della casa del go¬ vernatore ed il quartiere per ospitarvi i passeggieri sono costrutte con pali fitti nel suolo , intonacate di fango e calce , ed i tetti sono coperti da foglie di palme o di paglia. La pesca vi è abbon¬ dantissima, ed ogni giorno arrivano pescatori Jaguas con uno o due lamantini, che vendono agli abitanti in cambio di piccoli og¬ getti di chincaglierie. Gli Jaguas sono pacifici, di bell’aspetto, piuttosto alti , perspi¬ caci, e si reputano discendenti dagli Incas. Il tipo di questa razza è totalmente diverso da quello che osservai nel corso del Napo; vanno nudi, e solo si mettono dei monili alle braccia ed alle gambe. La più parte hanno i capelli castagni e molto corti , si tattuano il corpo e la faccia. E loro costumanza di abbruciare , alla morte di un membro della famiglia, la casa, rifabbricandone una nuova in altro sito. Le loro armi consistono in sarbacane , archi e frec¬ cio, servendosi di queste non solo per la caccia , ma anche per la pesca. Tanto poi gli Jaguas che gli Oreckones ed i Ticunas sono rinomali per la confezione di certi veleni attivissimi , che uccidono in due o tre minuti di tempo un animale qualsiasi non appena resti ferito dalle loro freccio. Varj sono i processi ado- 17 - 210 - perali da ciascuna di queste tribù per elaborare tali droghe; il più rinomalo si è il licunas intorno alla cui preparazione non mi fu dato avere alcuna notizia , mostrandosi quei selvaggi restii a palesarne il segreto, sebbene non abbia mancato di far loro lar¬ ghe promesse. Per quanto potei sapere dai missionarj , venni in cognizione che impiegano sughi di piante, come di voururù , di curar è e d’ alcune liane dette supai-hausca (corda del demonio), da loro ben conosciute, facendole bollire miste a teste di formi¬ che delle congo , c ad altri insetti venefici che raccolgono pria di preparare quel micidiale estratto. 11 colore, l’odore di siffatte so¬ stanze rassomigliano a quello dell’ estratto di tarassaeo , essendo fornite di sapore amaro astringente. Ripongono il tutto entro va¬ setti di terra da loro stessi fabbricali, che vendono poi ai bianchi del Perù e della Colombia , i quali ne fanno un lucroso traffico cogl’ indiani. II veleno tieunas o Curare misto col llamas , fabbricato dagli indiani Llamas dell’ Ucayale, si chiama veleno generale, cioè ser¬ vibile per uccidere tanto un uomo che un animale, uccello o ret¬ tile qualunque. Il licuìias, adoperato solo, non serve che pei qua¬ drupedi e volatili. Vurubus però difficilmente muore, od almeno v’ impiega maggior tempo degli altri uccelli. 11 llamas è più at¬ tivo, ma non serve che pei grossi quadrupedi, non avendo alcuna azione sui volatili. Siffatti esperimenti non vennero però da me tentati , nè mi è dato ripetere che quanto mi fu riferito in pro¬ posito. Quello che posso asserire si è d’aver io stesso ucciso scim¬ mie, falchi, rospi, ec. col veleno tieunas colla massima prontezza, adoperando una piccola freccia intinta in qi/ci snelli. I dardi così avvelenati hanno la stessa attività anche dopo tre o quattro anni, purché si conservino in luogo asciutto , come Io è il veleno sin dopo dieci o dodici anni quando sia conservato in quelle piccole olle di terra. Onde adoperarlo si ammollisce mettendolo a bagno¬ maria in una pentola, dove sia versata dell'acqua bollente. L’an¬ tidoto è lo zuecaro ed il sale , massime preso internamente con acqua, ed asperso sulla ferita, dalla quale deve al più presto ve¬ nire estratto per intero l’islrumenlo feritore, continuando ad usare bevande zuccherale o solo zucchero. Tutto questo compier si dee nel momento stesso clic l’animale è caduto, quando lo si voglia salvare e tener in vita, giacché lasciando scorrere soltanto pochi minuti, la massa del sangue rimane infetta, e la morte diventa ir- — 211 — reparabile. Tale esperimento fu da me ripetuto durante il viaggio più e più volte eon buon esito , avendo conservalo in vita eoi semplice uso del sale alcune scimmie e uccelli presi da’miei in¬ diani colle sarbacane {K Molli Oreckones erano venuti al convento per cedere al missio¬ nario una partila di cera e varj vasi di veleno in cambio di tela tucuyo e di granelli di vetro; io ne approfittai per ottenere da essi, oltre ai pochi ornamenti di piume che possedevano, anche un vaso di veleno. Gli Oreckones abitano le foreste lungo la riva sinistra dell’alto Maragnone; sono in generale di statura piccola, veggonsi molti di loro bucherali dal vajuolo, altri insozzati per lutto il corpo di macchie biancastre prodotte da malattie cutanee o lebbra, alia quale facilmente vanno soggetti. L’ aspetto di que’ barbari è insignificante; hanno i più la lesta grossa, contribuendo essi a renderla ancor più deforme collo strano uso di stirare a tutta forza le orecchie. A tal uopo praticano un foro nella cartilag- gine, e v’introducono un fuscello; alcuni giorni dopo ve ne fic¬ cano un altro più grosso, così continuando finche arrivano a in¬ nestarvi un pezzo di legno, a poco a poco riuscendo a far pen¬ zolare le orecchie sino alle spalle. Alcuni erano ornati di collane di denti di capibari , oppure di scimmie, colla faccia tinta di rou- coh e di ivito. Prima di partire da Pebas quel buon missionario volle conse¬ gnarmi una lettera pel conte di Castelneau , pregandomi, al mio arrivo in Europa, di volerla trasmettere a Parigi. In essa comuni¬ cava un circostanzialo rapporto intorno all’assassinio del suo com¬ pagno il conte d’Osery, steso dietro notizie officiali trasmesse dal governatore di Ciacia-poja. Lo assicurai del mio impegno nel com- I) Il chiarissimo professore di zootomia e zoofisiologia signor Luigi Patcllani, al quale aveva trasmesso alcune piccole treccie avvelenate onde venissero esperimentate sui cavalli, non ottenne dalla sua prima prova alcun buon effetto: egli ne aveva introdotta una nella vena giugulare d’ un cavallo inservibile, fratturato alla tibia destra; in seguito passò ad esperimenti su piccoli mammiferi , avendo poscia introdotta una freccia avvelenata sotto la pelle d’un porcellino d’india ( Cavia porcellus) , questi, dopo cinque minuti, fu preso da convulsioni tetaniche, indi da paralisi all’ estremità, e morì poco dopo con contrazioni alle labbra che limitaronsi al lato sinistro , e continuarono dopo la cessazione de' battiti del cuore ancora per altri cinque minuti. Successe la morte con uscita abbondante di feci, di urina e di lagrime, avendo le palpebre aperte, gli occhi lucenti; la temperatura del corpo decrebbe all'istante. - 212 — pierò l'incarico affidatomi, e ringraziatolo della cortese accoglienza e dei servigi prestatimi, il giorno 5 partii dall’aldea. Una giornata di navigazione mi condusse da Pebas e (lochi-china , piccolo villaggio dipendente dalla missione di Pebas sulla riva de¬ stra del fiume, abitato da Muyorounas. V alcade del luogo, che trovavasi in un completo stalo d’ubbriacchezza , volle conosceie la mia provenienza e lo scopo del viaggio; io gli offersi alcuni annelli d’ ottone ed altri ninnoli onde mi procurasse delle pro- vigioni , polli , uova e banane ed una grossa testuggine po’ miei indiani, oggetti che ottenni all’ istante. È da notarsi che in tutto l’alto Amazzone, ossia nel territorio peruviano, in ogni villaggio lungo il fiume esiste una casa di ricovero pei viaggiatori , dove possono dimorare per que1 giorni che vi stanno di transito: non è fornita però di utensili nè di amache, ciascuno essendo obbli¬ galo portarsi 1’ occorrente. L’ alcade all’arrivo di qualsiasi indi¬ viduo ne prende annotazione c ne segna il passaporto , dopo di che è tenuto a prestarsi in lutto quanto gli possa occorrere, sic¬ come canoe, indiani, rematori, provviste, ricevendo gli oggetti che si vogliono dare in cambio. Ordinariamente si dà un annoilo del valore di 4 o 5 soldi per un grosso pollo o per un pesce da 10 a 15 libbre; i rematori vengono pagati con tela tucuyo. L’alcade consegna ai capi o juslicias gli annelli, ami, aghi od altro; ed essi vanno per le capanne ad offrire quegli oggetti che devono essere in ogni modo accettati in cambio , quand’ anche non andassero loro a genio. 11 villaggio è piccolo, da poco tempo soltanto costrutto ed abi¬ talo. 1 Mayorounas , abitatori delle foreste vicine, fra’quali appena comincia a balenare la luce della civiltà, hanno caratteri ed usi particolari; la più parte hanno barba al mento, e vene sono molli, tanto uomini che donne, col pelo e capegli rossi. Per atteggiarsi ad aspetto marziale i Mayorounas si forano le labbra, innestandovi dei fuscelli, i quali, allorché parlano o ridono, si muovono, ren¬ dendo così la loro fisonomia veramente ributtante. Dimorano la più parte dell’anno nelle selve, almeno per tutta l’epoca della cac¬ cia; quelli però che sono tuttora completamente immersi nella bar¬ barie, di rado capitano sulle rive del fiume; taluni li reputano sino antropofago Io, per accondiscendere alle preghiere di un justicias, mi recai in una capanna a visitare un selvaggio affetto da gra¬ vissima dissenteria e quasi moribondo. Visto che piangeva dirot- — 213 — tornente, c chiesta ai circostanti la cagione ili tanto alTanno , mi fu risposto in lingua portoghese, non lagnarsi egli delPinfermilà, sibbene rammaricarsi al pensare che dopo la sua morte sarebbe stato sepolto c fatto pascolo ai vermi, quando invece avrebbe pre¬ ferito, secondo l’antico costume, di servir di cibo ai parenti. Mi si volle assicurare clic gli ammalati, privi di speranza di guari¬ gione, si offrono spontaneamente al macello. La fama dunque che hanno acquistata que’selvaggi di essere cannibali deve attribuirsi a siffatto barbaro costume , non già , come altri vorrebbero , al cibarsi delle carni de’nemici uccisi nelle loro scorrerie. Ogni capanna ha un scrbalojo d’ acqua dove si conservano vive le testuggini che servono loro di vitto giornaliero. Vanno alla pesca di questi rettili entro piccole canoe armali di archi con frecce, la j cui punta è mobile, avente attaccala all’altra estremità una lunga funicella. Veduta da lungi galleggiare la tartaruga , scoccano la freccia che conficcasi nella parte ossea o scudo. L’ animale al sentirsi ferito si tuffa soli’ acqua , seco trascinando e facendo svolgere lo spago ; allora 1’ indiano vi corre sopra, ed afferrala la corda galleggiante , la va tirando a sè finché giunge a cogliere e rovesciare la tartaruga che fa en¬ trare nella canoa, legandone le zampe posteriori, e Asportandola così al serbalojo. Appena però ha cavalo il ferro , chiude la fe¬ rita con un po’ di cera mista ad argilla, onde impedire così che vi entri l’acqua; in caso differente in pochi dì quel rettile do¬ vrebbe soccombere; in tal modo vengono conservale per anni uteri. Il giorno 4 s’arrivò di buon mattino a Makaquete , ossia l’an¬ tico villaggio* Conhi-china , ove non si vedono che lo o 20 capanne abitate da Mayorounas ; sorge poco discosto dalla foce del fiume che porla lo stesso nome. Alle 5 pom. giungemmo a Peniate, aidea piuttosto vasta , ove sbarcai alla casa di un tal Gomez de la Nevas, brasiliano. Aveva questi un deposito di 20,000 libbre e più di salsapariglia, la più parte del Napo e del Curaray, che doveva spedire al suo corri¬ spondente a! Gran Farà. La salsapariglia nell’ alto Maragnone si può comperare da seconda mano per 7000 ad 8000 reis l’arroba; valore che equivale a franchi 18 a 20 per ogni 2ò libbre. Que¬ sta poi trasportata al Farà si vende da 18 a 20,000 reis per ar- roba, cioè dai 48 ai òO franchi. Verso sera si salpò, c dopo aver passalo la nolle. vicino all’ aidea di Caballo -Coccia , alla mallina del 5 dicembre s’arrivò felicemente a Lordo dopo una navigazione di 2G giorni a datare dalla mia partenza da Santa Rosa d’ Oas. Mi trovava cosi al termine del viaggio stipulato coi miei bogas del Rapo, i quali si affrettarono a ripartire non appena ebbero rice¬ vuto 1’ ammontare degli oggetti promessi per mercede. Feci por¬ tare le casse nell’ abitazione di un tal Ventigno portoghese , che al primo mio giungere m’avea offerta l’ospitalità. Li congedai, mu¬ nendoli però di un certificato di buon servizio che dovea essere presentalo al governatore del Quixos. Erano essi premurosi di ritornarsene , dovendo passare a Nauta per caricarvi sale a loro conto e rimontar poscia il Napo prima della cattiva stagione. Il governatore di Loreto era un tal Callegno, l’uomo il più rozzo e brutale eh’ io m’ abbia conosciuto, tanto clic io rimasi scando- lezzalo come il governo del Perù avesse potuto affidare carica si importante ad un individuo cotanto ignorante c vizioso. Gli stessi indiani Ticunas lo miravano con odio, e disprezzo, e nessuuo si curava di prestargli obbedienza. Egli voleva ad ogni costo proi¬ birmi di continuare il viaggio per non essere io munito di pas¬ saporto peruviano, protestando di aver ricevuto un ordine gover¬ nativo il quale gl’ ingiungeva di far retrocedere quanti non ne fossero forniti. Ebbi mollo a che dire per fargli comprendere come io non fossi proveniente dal Perù, sibbenc dall’Equatore, e quindi non potessi essere munito che del passaporto di quella Repub¬ blica. Queiruomo bestiale si ostinava sempre più nel sospetto ch’io avessi attraversato il territorio peruviano, non essendovi , a suo credere, altra via che quella per discendere dall’ Ucayale o dal- VUuallaga , ignorando egli che il Napo fosse navigabile. Infine, per¬ duta la pazienza, passai a minacciarlo che avrei partecipato im¬ mediatamente al governo di Ciacia-poja l’accaduto appena avesse fallo ritardare d’un sol giorno il mio viaggio: allora si trovò ob¬ bligato a firmare il passaporto ed a procurarmi una canoa grande con otto uomini della tribù Ticunas, come era di suo speciale ob¬ bligo per trasferirmi alla frontiera del Brasile, cioè a Tabalinga. Do¬ vetti comperare dal signor Ventigno della tela tuciiyo, colla quale pagai gli indiani, dando una vara (braccio) di tela a testa; nè po¬ tei esimermi dal sottomettermi ad un ingiusto balzello clic si esige dai viaggiatori, i «piali passano dal Perù al Brasile, essendomi stata mostrala una ridicola circolare stata spedita da Lima. Lordo è piccola aidea siluala sur un altipiano alla sinistra del rio delle Amazzoni, a poche leghe dai confini del Perù col Bra¬ sile. Le case sono in parte fabbricale con doppie palizzate into¬ nacate d’argilla, della quale riempionsi anche i vacui delle pare¬ ti: le leltoje sono di paglia. Nulla avvi di notevole; la chiesa è piccola, situata in luogo eminente. Vi si fa da cinque o sci spe¬ culatori portoghesi un rilevante commercio di salsapariglia , ve¬ leno licuiìas, farina di mandioca, che ricevono in cambio di og¬ getti di manifattura europea, massime ferramenta. Qui per la prima volta dopo la mia partenza da Papallacla nella provincia del Qui- xos , avendo veduto con somma mia meraviglia una mandra di giovenche che pascolavano nei dintorni , mi affrettai a chiedere del latte fresco clic assaporai con delizia , essendo corsi ben sei mesi da che non mi era dato gustarne. Nei dì festivi viene da Ca- ballo-Coccia un missionario quivi residente per funzionare nella chiesa dove intervengono quelle poche famiglie di lapayos conver¬ titi al cristianesimo. La popolazione di Loreto è di circa 200 per¬ sone, la più parte Ticunas. Nei giorni però di qualche pubblica festa vi accorrono da ogni parte tanto indiani Jaguas che Ore- ckones c Ticunas. I Ticunas sono, al pari degli Jaguas, buoni, pacifici e laboriosi; hanno in generale capelli neri; quelli che abi¬ tano le foreste vanno interamente nudi , con un piccolo scher- maglio sul davanti; si cingono le braccia c le gambe di anelli di pelle d1 iguana c d’ altri rettili, e legano alle braccia due lunghi mazzi di piume d’ardee colorate o d’araras (Vedi Tav. XIV) ; si latluano il corpo c si intessono con granelli di vetro braccialetti o collane. Non mi fu dato trattenermi sino al giorno della festa della Madonna di Loreto , alla quale accorrono con gran fre¬ quenza. Le tapuyas battezzate fanno uso di vesti c cainiciuolc bianche, c portano una specie di pettine. Nelle case non trovansi letti, lutti indistintamente dormendo nelle amache, delle quali se ne fabbricano in Loreto dai Ticunas delle bellissime tessute lauto di ciambira che di foglie di palma. Il giorno 10 partii da Loreto in una montaria (canotto) con olio rematori, c dopo sci ore di monotona navigazione giunsi a Tabalinga. Prima di arrivarvi si trovano lungo la riva sinistra varj strati di una terra rossiccia o argilla, posta in commercio al Brasile, e conosciuta col nome di Tabalinga : viene adoperata dai pittori. Al primo avvicinarmi, una sentinella mi gridò il Quien và ! (Chi va là!), al quale si rispose subito: Amigos. Si presen¬ tarono allora due soldati che mi permisero di scendere a terra e scaricare i miei effetti. 11 comandante di quel presidio era partito per Loreto quello stesso giorno, nè ci eravamo potuti incontrare in cammino, avendo egli dovuto tenersi vicino alla costa nel ri¬ montare il fiume, quando io al contrario era andato vogando nel filone della corrente. Il viaggio, che compicsi nella discesa in 6 ore, nel rimontare dura un’intiera giornata. Per tale accidente mi trovai costretto di dimorarvi più a lungo di quello avessi divi¬ salo , onde attendere il di lui ritorno , giacché avea dato ordine al figlio di non vidimare passaporti a chiunque fosse arrivalo, pro¬ veniente sia dal Perù che dal Brasile. Non posso a meno di consigliare a coloro che fossero invogliali d’ intraprendere un viaggio sul rio delle Amazzoni, di provvedersi d’abiti sfarzosi, di far pompa di decorazioni, ec., essendo pur troppo questa l’unica maniera di trovar accoglienza da quella gente, che per la più parte non sa giudicare i viaggiatori se non dalle più futili apparenze. Quand’anche il viaggiatore vi volesse esercitare un pic¬ roio commercio, sarà sempre credulo uomo di merito e d’ allo rango ogni qualvolta scenderà a terra con un codazzo di servi c con abili di gala. Al passo del Cosanga , avendo perduto tutto il mio corredo, io non aveva da' indossare che abiti grossolani acquistati al Napo, ed un mantello o pomicilo all’ usanza degli Equatoriani. Essendo sceso a terra in quell’arnese, senz’ altra calzatura che un pajo di scarpe di gomma elastica comperate a Loreto, ed un cappello di paglia molto logoro, ancorché mi fossi affrettato a narrar loro gli infortunii sofferti, pure non venni dal mulatto fi¬ glio del comandante del presidio riputato degno di abitare nella camera, che alcuni mesi prima aveva servito ad alloggiare il conte di Castelneau ed il suo segretario M. Deville, essendomi stala in¬ vece assegnala per ricovero una stanzaccia esposta a tutti i venti. Non potei far a meno di manifestare vivamente il mio malcontento, protestando che me ne sarei all’istante ritornato a Loreto, se non mi veniva dato un alloggio più decente. Alla fine si decise ad aprire l’apparlamenlo, com’ei dicea, del sig. di Castelneau. Al primo en¬ trarvi non potei far a meno di dare in un solenne scroscio di risa. Erano due sudici camerini tutti a crepacci, senza imposte, ricovero di sorci, di vipere c di lucertole, ove dovetti rassegnar- — 217 — mi a far trasportare i miei effetti, aspettando l’ arrivo del coman¬ dante. Una ridicola legge brasiliana proibisce l’entrata delle canoe stra¬ niere, provenienti tanto dal Perù che dall’Equatore e Nuova Gre- nada; in tal modo invece di render più facili i mezzi di comu¬ nicazione in que' luoghi sì poco frequentali, ed estenderne il com¬ mercio , si cercano tulli i più frivoli pretesti per impedirne ai viaggiatori l’entrata. I comandanti dei luoghi di confine fanno ciò che più loro talenta; impiegano i soldati ad estrar salsapariglia dai boschi, a far sh ingas o scarpe di gomma elastica, a fabbricar canoe; abbandonano la residenza per quel tempo clic più a loro piace ed a seconda de’ loro negozj particolari, tanto che il povero viaggiatore, al quale vien proibito di passar oltre senza la vidi¬ mazione del passaporto, deve soffrire dilazioni, perdile di tempo e sagrifizj di denaro, essendo eziandio costretto per partirsene a comperare un’altra barca. 11 presidio di Tabalinga, terra ai confini del Brasile col Perù, è composto di un comandante con 50 soldati , la più parte uo¬ mini insubordinati, di mala fama, turbolenti c ladri, inviali colà per castigo delle varie parli dell’impero. Nel 1846 vi avevano i soldati ucciso il comandante , saccheggiandone la casa ; alcuni, come già narrai , erano scampali nel Perù , altri sparsi nei varj punti dell1 Amazzone vivevano di rapine ed assassinavano i vian¬ danti. lo ebbi molto a stentare per impedire ai soldati che mi rubas¬ sero oggetti di valore; ad onta però della mia vigilanza, molte cose sparirono, del che essendomi lagnato all’ arrivo del coman¬ dante , uno di que’ soldati trovato colpevole del furto fu posto ai ferri e condannalo a trenta colpi di bastone. Non devo ad onor del vero tacere che ben diverso trovai il contegno verso di me tanto da parte di questo funzionario che della di lui mo¬ glie, che non mancarono di prodigarmi ogni sorta di cure c di gentilezze. Mi fu mostralo un piccolo oratorio dedicalo a S. Antonio, però senza cappellano per ufficiarlo. II forte, che dapprima vi esisteva, ora è smantellalo , solo rimanendovi due irruginiti cannoni in¬ servibili senza affusti. Gli edifizj abitati dai soldati e dal co¬ mandante, sorgono poco distante da un limpido fiumicello , for¬ mando una specie di quadrilatero, nel cui mezzo fanno bella mo- — 218 — sira annose piante di aranci e limoni. Avvi inoltre una piccola torre dove mantiensi una guardia per far accostare le canoe , e sulla quale nei dì festivi in cima ad un’ alla pertica si fa sven¬ tolare la bandiera dell’impero. Il fiume in quel punto va rinser¬ randosi, non avendo quivi il suo alveo più di un miglio e mezzo di larghezza. Le rive erano amenissime; sparse d’arbori maestosi, die non vennero mai tocchi da scure, e stuoli di anitre, di pappagalli e d’altri volatili passavano ad ogni istante dall’ una all’ altra riva ; ma qui pure era insopportabile la molestia delle zanzare , e di certi insetti quasi invisibili , che annebbiano 1’ aria intorno , ca¬ gionandomi oltre alle dolorose punture la nausea delle continue fumigazioni vicino ah’ abitato. «SCx 1 3C®C» CAPITOLO XXI* Continuazione. (Dal giorno 11 al 25 Dicembre.) Pesca del piravucà o Suilis gìgas. — Selvaggi Mayorounas a Tabatinga. — Or¬ namenti. — Acquisto di una garriteci o barca. — Il rio Javarì. — Fabbricazione dell’olio di testudini , e raccolta delle uova. — xVdea di S. Fabio d’ Oliveinca. — Ricca vegetazione. — Popolazione. — Costruzione di case. — Tribù selvaggio delle vicinanze. — Donne di S. Pablo d'Oliveinca. — Loro vestiario. — Villaggio di S. Fernando d’Ica. — II rio Pulumayo. Durante la mia dimora ebbi campo di dedicarmi alla caccia ed alla pesca recandomi al rio Coary e nei luoghi sì dall’ una clic dall’altra banda del fiume, ove polca lusingarmi di preda più sva¬ riala e copiosa. Vi si pescano in abbondanza grossi pesci conosciuti nel Brasile sotto il nome di pirarucù, alcuni de’quali pesano fino a (Ì00 lib¬ bre, le di cui carni vengono tagliale a lunghe liste e fatte seccare. Hanno un sapore simile al baccalà, e se ne fa un consumo grandis¬ simo in tutta la comarca del rio Negro c del Parà. Gli indiani Ti- cunas vanno a quella pesca con arponi , co’ quali lo colpiscono appena si presenta a fior d’acqua. Questo smisurato pesce d’ acqua dolce ha la testa assai volu¬ minosa, ossea , di forma quasi cilindrica. 11 corpo è oblungo, le squamine sono grandi, ossee, colla pinna dorsale lunghissima. Il colore è di un verde scuro al disopra e di un roseo carico al disotto; la piti parte delle squamine ha una macchia rossa dal¬ l’un lato, le piume poi sono tutte screziate di rosso e bleu. Il pirarucù o Suclis gigas si trova nel rio delle Amazzoni e nel- VJapurà; giunge alla lunghezza di 7 ad 8 piedi; i naturali ne con¬ servano la lingua , che è ossea , rugosa , di cui si servono per grattare il guaranà l\ 1) È questa una conserva di frutti silvestri, massime del sorbillum brasilicnsis. 1 ta- puyos di Malto grosso e delle Amazzoni la adoperano mischiata con acqua per loro bibita ordinaria, essendo piuttosto diuretica e refrigerante; al Perù ed a Rio Janeiro si vende a prezzo elevato. Gli indiani mi vendettero varj uccelli vivi, fra ì quali un bel¬ lissimo agami ( psophia crepitans). Tutto l’immenso tratto di queste foreste, cominciando da Pebas venendo a Loreto e Tabatinga dal lato sinistro o nord, è abitalo dagli Oreckones , cui seguono gli Jaguas ed i Ticunas; dall1 altro lato del fiume si trovano prima i Mayorounas , indi più in basso i Ticunas, tutti aventi idiomi Ior proprj. La maggior parte però di coloro che frequentano i villaggi, conosce la lingua geriti (generai), che è la più usala lungo tutto il corso delle Amazzoni, oltre alla lingua portoghese che si parla in ogni villaggio del Brasile dagli indiani convertiti al cristianesimo. Era giunta in quel torno una truppa di Mayorounas, che reca¬ vano al comandante varj prodotti dei loro boschi in cambio di ferramenta e di altri oggetti di cui abbisognavano. Questi selvaggi abitatori delle lontane foreste sulla destra dell1 Amazzone anda¬ vano affatto nudi, coi capelli lunghi; avevano le orecchie, il naso e alcuni persili le labbra traforate ; nelle guancie vedevansi pra¬ ticati de1 piccoli fori dove sogliono ficcare piume di araras e di ardee , ossa o fuscelli , e lutti avevano dipinta la faccia e parte del corpo di rosso e bleu. Avevano alcuni monili alle braccia ed alle gambe, a guisa dei Ticunas ed Oreckones, fatti di un tessuto di cotone colorato in giallo. Le loro fisonomie erano piuttosto tri¬ sti ed abbattute e per niente espressive; somma è la loro ferocia, avendo fama di essere cannibali. Fanno frequenti scorrerie lungo le sponde dell1 Javarì ed anche deU’Ucayale, e vivono in continue guerre coi loro vicini i Ticunas, ai quali arrecano continui guasti. Non appena giunse il comandante , mi disposi alla partenza, avendo dovuto per necessità rivolgermi allo stesso per far acqui¬ sto di una piccola garrilea (barca), colla quale continuare il viag¬ gio. Mi riuscì ad averla per 50,000 rcis, ossia 25 colonnati, for¬ nita però di quattro soldati per rematori, clic dovevano accompa¬ gnarmi sino a S. Palilo d’Oliveinca, non trovandosi altre persone pratiche di quella navigazione. Il 18 dicembre colle provvisioni in parte comperate, in parte avute in dono dal comandante, dopo aver riordinate alla meglio le mie collezioni, salpai da Tabatinga. A mezzodì giungemmo alla gran foce del rio Javarì. L1 origine di questo fiume è tuttora ignota : venni però avvertilo che si poteva rimontarlo per ben due mesi. Serve di limite fra il Perù ed il Brasile. I boschi prò- pinqui «lamio eccellenti legnami da costruzione. Tanto i Ticunas che i Mayorounas fabbricano molla farina di mandioca clic ven¬ dono entro grandi panieri a Tabatinga cd a Loreto. Le isole vanno succedendosi le ime dopo le altre , in modo che difficilmente si riesce a contemplar le rive. S’arrivò sull’im¬ brunire ad un braccio del fiume Juriparì , nel quale entrammo onde sorprendere qualche indiano, e, come ò d’ uso , imbarcarlo a forza pel servigio della canoa. Non appena però fummo a tiro di fucile, essi s’internarono a tutta furia nel bosco, sicché si dovette proseguire la navigazione coi soli soldati, de’ quali in vero non mi fidava per niente, te¬ nendomi costantemente in guardia, e pronto a far fuoco appena mi fosse sórto qualche sospetto intorno alle loro intenzioni. Le loro lisonomie avevano un non so che di sinistro. Si osservavano tuttavia in (pici luogo le vestigio di un antico villaggio o mis¬ sione della S. Josè, che fu abbandonalo dagli abitanti per esserne l’aria al sommo insalubre. Nella notte si elevò un fiero uragano con pioggia dirotta e vento sì gagliardo dell’est, che la garriteci trovandosi di continuo invasa dall’onde ci fu forza cercar ricovero vicino alla riva. Cal¬ matosi il tempo c ripreso il viaggio, ci trovammo all’ albeggiare a Calderon , dove avvicinammo la canoa a terra per accendere il fuoco. Calderon è un banco di sabbia mollo rinomato nell’ A- mazzone per essere una località assai frequentata nel tempo della pesca delle testuggini c della fabbricazione della così detta man- leica dagli abitanti di Loreto, Tabatinga, S. Pablo d’OIiveinca. Vi si vedevano ancora tutte le baracche: ma essendo passata l’epoca dei lavori, la più parte degli accorrenti era già partita. Volli scen¬ dere a terra per assumere più esatte notizie intorno al modo di preparare la manleica o olio di tartaruga. Tanto nel Napo che neH’Àmazzone le testuggini ne’ mesi di ottobre, novembre e di¬ cembre escono dal fiume c depongono le loro uova sui banchi di sabbia. Non appena nei villaggi dell’alto Amazzone si osservano i primi indi z j della presenza di tali animali , i governatori spe¬ discono sulle varie spiaggie e banchi, che sanno essere più fre¬ quentati , alcune guardie che ivi rimangono per lutto il tempo dell’ovazione, onde impedire che gli indiani in quell’epoca va¬ dano a distruggere quei fecondi anfibj, che formano la ricchezza cd il nutrimento di quelle popolazioni. _ ‘222 — Passalo un determinalo tempo, in allora i mantecheiros d'ogni villaggio elle sono stati abilitali , si recano sol luogo con pa¬ recchi uomini , e vanno raccogliendo tutte le uova che cavano dal di sotto delle arene. È mirabile la prontezza con cui ritro¬ vano que’ ripostigli, dei quali solo la pratica e un occhio eserci¬ talo possono fornir loro qualche indizio. In ciascuna di quelle buche si possono rinvenire dalle ISO alle 140 uova. Ogni man- techeiro fa deporre tutte le uova raccolte in luogo appartato , e ammonlichiale le va ricoprendo con frondi e foglie onde impe¬ dire che si guastino durante P epoca della ricerca, la quale non dura più di sei ad otto giorni. In capo a tal tempo ne riempiono metà d’una piroga ben spalmala e pulita; indi le vanno schiac¬ ciando coi bastoni e coi piedi, tanto che ne rimanga un liquido giallo spumoso, contenendo quelle uova pochissimo albume. Dopo avervi mescolala una porzione d’ acqua , lasciano per un intero giorno esposta al cocente sole la piroga contenente quel liquido, nel qual tempo il calore Io fa fermentare, venendo a galla tutto Polio e la grascia ; vanno poi schiumando e ritirando quell’ olio con guscio di cuyas 11 , come si adopera da noi nel separare la crema dal latte, replicando P operazione collo stesso metodo nei giorni seguenti. L’olio così ricavato vien riposto entro giare di terra che ponno contenere da 40 a 50 libbre cadauna, indi si fa cuocere a fuoco lento entro caldaje di rame, rimescolandolo continuamente. In tal modo si va depurando da ogni altra sostanza , come dalle fibre filamentose c dai pezzetti di gusci o pellicole. Yien riposto nuo¬ vamente in giare di terra, le quali si turano con larghe foglie e con vimini , e vengono così trasportale ai villaggi , avendo cura di tenerle sempre mezzo-sepolte nella sabbia. Queste giare d’olio sono poste in commercio nel Certam ed al Gran Para sotto il nome di mante tea de ciarapa. Riesce un ottimo condimento quantunque conservi sempre un po’ di odore rancido e un sapore nauseoso. La qualità inferiore viene pure adoperata nell’alto Amazzone, per ardere in tutte le case, ed è anzi prefe¬ rito a quello che estraggono dal frutto dell’ andiroba , del quale parleremo in avanti. 1) Sono segmenti del guscio d’una specie di zucca, clic vuotala, pulita cd inverniciata a fuoco, somministra scodelle leggiere per mangiare e bere. 225 — L1 olio di ciarapa , ossia di lestudine , vale , cambiandolo con altre merci , da uno a due dollari per ogni giara , secondo la ricchezza del raccolto, e si vende al Gran Para a 5 e 6 dollari in denaro. Si passarono varie isole; quella di Curaraturà è la più gran¬ de. Poco più in là di Calderon si trova a destra il rio Camatià. Queste isole erano anticamente abitate dagli Omagùas. Giunto di notte a S. Pablo tV Oliveìnca, dovetti passare fino al mattino per presentarmi alle autorità del paese, ossia al coman¬ dante, che all’ istante mi assegnò una casa dove dimorare per lutto quel tempo che mi fosse convenuto, senza obbligo alcuno di pagamento. Ivi doveva per necessità passare più giorni onde trovare gli uomini indispensabili pel servizio della canoa. S. Pablo cl’ Oliveìnca sorge su piccolo colle al lato destro del- rAmazzone, nella più pittoresca situazione, scoprendosi dall’ una parte un esteso tratto della maestosa fiumana , e dall’ altro una ridente vallata, alla cui estremità comincia un’immensa foresta irrigala in ogni senso da limpidissimi ruscelli e traversala da co¬ modi sentieri, fatti d’ altronde sicuri per la frequenza di indiani coltivatori clic si recano alle loro feilorias o piantagioni. La ve¬ getazione non può essere più rigogliosa, e il viaggiatore ad ogni tratto può ammirare la più strana varietà di fiori e di frutti , e qua e colà gruppi di annosi alberi fra le cui fiondi si librano mi¬ riadi di variopinti uccelletti, che coi loro canti allegrano il severo silenzio di quelle solitudini. Salubre nc è il soggiorno , solo che di notte recano grave molestia i musticchi e le zanzare. A non più di 1500 anime può ascendere quella popolazione, comprendendo gli abitanti delle circostanti campagne, per la più parte composta di indiani Ticuiìas, Campivas , Culinas battezzati in altri tempi dai missionarj. Qui già cominciasi a travedere qualche elemento di civiltà. Gli edifizj sono di mattoni , i tetti coperti di tegole, le porle di legno con serrature, le contrade a rettifilo. La chiesa è sufficientemente decorata , ma non uf¬ ficiata ; solamente nelle solennità il più anziano del paese ed il più istruito vi fa recitare alcune preghiere. Al momento del mio arrivo una cinquantina di donne e ragazzi stava lavorando, portando sabbia e calce permetterla un po’ in assetto prima delle feste natalizie. Ognuna di essa prendeva colle mani una porzione di quell’intonaco c lo gettava sulla parete, indi vi faceva scorrere — 224 — al di sopra il palmo della mano onde appianarne la superficie, Il mestiero di muratore è quivi riserbato alle sole donne. Molte sono le tribù selvaggie che abitano nelle vicinanze di S. Pablo eT Oliveinea ; distinguonsi fra le altre i Campiva», gli Arayas , Culinas e Ticunas ; tutti vanno nudi , con poca o nes¬ suna differenza dalle altre tribù, alle quali danno indistintamente il nome di Tapuyos (barbari). Le donne sono celebri in tutto l’Amazzone per la loro affabilità verso i forestieri. Sono gioviali in fatto, ospitaliere, d’ indole mite, amanti della vita solazzevole. Tutti indistintamente, uomini e don¬ ne, inclinali alla crapula ed alle bevande alcooliche; tutti im¬ mersi nella più abbietta depravazione fomentata tanto dal mal esempio delle autorità, che si permettono ogni più scandaloso concubinato, quanto dal non trovarsi fra loro da anni alcun par¬ roco o missionario, clic metta il minimo argine a tanta turpitu¬ dine. Ivi non si fa caso alcuno della fede conjugale, godendo le donne sì nubili che maritate di libertà illimitata , nè sorgendo mai alterco o rissa in conseguenza di gelosia talché tu la diresti una colonia di Sansimonisti. Amanti di avventure , facilmente quelle ninfe delle foreste lasciano il natio paese abbandonandosi in braccio ai viaggiatori od ai creoli che scendono o rimontano il fiume delle Amazzoni , passando così interi mesi in una con¬ tinua navigazione , finché abbandonale dai loro drudi , sono ob¬ bligale a ritornarsene al loro natio villaggio o nella loro tribù. Sono agilissime, e al pari degli uomini destre nel maneggiare archi , lancio , vogare e far da nocchiero. Vestono , quelle che abitano il villaggio, una leggiera sottana bleu o d’altro colore, le¬ gala ai fianchi; alcune portano anche una camiciuola lunga non pili d’un palmo, non sufficiente a velare metà del pe Ito. La più parte però ne fa senza. Sono in generale di forme regolari , ben fatte, occhi neri, vivaci, piuttosto alte di statura; la loro pelle è di color marrone, il loro portamento è elegante: sono ad esse riserbati i lavori della costruzione delle case , della coltura dei campi, nel mentre gli uomini d’altro non soglionsi occupare che di caccia e di pesca. Ridente diveniva pili ancora la prospettiva di questi colli inol¬ trandosi nella vicina foresta; quivi scendendo godei tutta la de¬ lizia di vedermi in mezzo ad una verdeggiante prateria frasta¬ gliata per ogni dove da limpidi ruscelli, con belle piantagioni di bananieri, ed udivasi per ogni dove il frastuono e le grida delle scimmie e dei pappagalli, c lo schiamazzo delle fanciulle che sla¬ vano lavando e bagnandosi. Il giorno stesso del santo Natale salpai da S. Pablo d’Oliveinca con otto indiani Ticuiìas clic mi erano stati destinati dal coman¬ dante; si durò gran fatica a radunarli in quel giorno solenne, trovandosi la più parte sparsi nelle case , dove allegramente si danzava. Non trovando modo a persuaderli, si dovette passare a mezzi violenti, non risparmiando i soldati i colpi di bastone, onde costringerli ad imbarcarsi. 11 dubbio clic nei giorni successivi mi sarebbe stalo ancor più difficile ottenerne l’ imbarco , rintanan¬ dosi essi nelle foreste , m’ indusse a non differire più oltre la mia partenza. Per quel giorno si potò fare ben poco cammino, non polendo pretendere che remassero di continuo per essere quasi tulli ub- briachi e sonnolenti, senza eccettuarne lo stesso pilota; ad ogni muover di remo per mandar innanzi la canoa costoro barcolla¬ vano talmente, che cadevano nel fiume un dopo P altro. Passale varie isole abitale da pochi Omciguas, s’arrivò la sera a Matura, piccolo villaggio alla foce del rio Janatù , sulla riva meridionale del Solimoens. Qui feci breve dimora a richiesta de’ miei tapuyos , passando quel po’ di tempo in una capanna dove si stava danzando alle¬ gramente. Si navigò tutta la notte, e sul far del giorno giungemmo a S. Antonio d’Ica, altre volte S. Fernando d’Ica. È questo un pic¬ colo villaggio di otto a dicci case, posto alla foce del rio Putu- mayo, nelle cui vicinanze stanziano i selvaggi Miranlias, Passò , Juris e Muriattè, popoli che vanno interamente nudi. 11 Pulumayo a 50 a 60 leghe prima di sboccare nel Solimoens , prende il nome di rio Ica, nasce dalle Cordigliere delle Andes, nella Nuova Grenada, poco lungi da Pasto, attraversa regioni vaste e tuttavia poco conosciute, abitale da indiani in parte governali da missio¬ nari' , in parte erranti , serbando la più completa indipendenza dai Governi del Brasile e della Columbia. Alloggiai nella casa di un tal Rodriguez negoziante peruano ; partii il giorno successivo , e dopo quattro ore di navigazione arrivai al rio Tonanlin. 18 CAPITOLO XXII. ('«(EiUniinxioiic. (Dal 25 Dicembre 1817 al 5 Gennajo 1818.) 31 rio Tonanlin. — Le acque nere. — Scaturigini del rio Vaiai. — Sbarco alTal- dea di Fonteboa. — Incontro del Vescovo del Gran Para. — Sua [missione. — L’ lluackari o scimmia a faccia rossa. — Pericolosa navigazione. — Villaggio di Ckaisarà. — Indiani Cocamas. — Caccia delle testuggini. — Il rio Yapurà o Caquela. — Arrivo ad Egas. Rimontando il Tonantin per un quarto di lega incontrasi un piccolo villaggio, dove mi recai per comperare alcuni panieri di farina di mandioca ad uso dell’equipaggio. Oltre al pagamento in telerie, durante il viaggio si è anche obbligati passare il man¬ tenimento ai tapuyos, consistente in semplice farina di mandioca e pesce secco, ossia pìrarucù. Le acque di questo fiume sono fuligginose, nè vi possono alli¬ gnare pesci od alligatori; le sue rive poi offrono un altro singo¬ lare fenomeno, quello cioè di essere libere dai mosticehi e dalle zanzare, clic tanta molestia arrecano a’ viaggiatori dell’Amazzone. L’acqua posta in vasi di cristallo appare limpida, tirante un po’ al giallo aranciato. Esso è navigabile per ben un mese, e accam¬ pano sulle sue sponde i Miranhas, Caxicunas e Juripisciunas , clic lavorano ad estrarre salsapariglia, ed a preparare farina di man¬ dioca. Fatto acquisto di alcune arrobe di questi generi, partii da To¬ nantin e rientrai nel Solimoens , continuando la navigazione sino ad Aratuba , grossa terra allora vuota d’ abitatori, dove si fabbrica la manteica od olio di testudine. Si arrivò sull’imbrunire alla /at¬ toria detta jacarè (coccodrillo), nella quale pochi indiani si occu¬ pano nella pesca de’lamantini c d é’pirarucù. Ivi decisi di passare la notte. Quella desolala solitudine era talmente infestata da alli¬ gatori, che tutta la sponda si vedeva brulicare di questi orridi ret¬ tili intenti a divorare i carcami c le cuoia de’lamantini, le squamme ed i teschi dei pirarucù abbandonali alla sponda dai pescatori, contendendo la sozza preda agli stessi cani, senza curarsi di fug- gire airavvieinarsi deiruomo. Colpii mio di questi rettili eolia mia carabina, ma tosto s’immerse nel fango e scomparve. Le foreste sono infeste da jaguari ed altri animali feroci, tanto che per pre¬ servarsi dai loro assalti si è obbligati nella notte a mantener co¬ stantemente acceso il fuoco, e a tener sospese le amache molto in alto fra due tronchi d’albero. Si partì di là il dì vegnente di buon mattino, e toccato Araca- luba, si entrò nel pavana-miri (ramo) del fiume Yutai per visitare un’ altra fattoria , nella quale comperai due arrobe di pirarucù secco per l’equipaggio. Le scaturigini d eWYulai non sono per anco conosciute, ma per quanto mi dissero quegli abitanti , esser dee navigabile per più settimane. Si viaggiò lutto il rimanente del giorno e tutta la notte; sul far del dì si giunse a Fonteboa , dove passai tre giornate. Per lutto questo tratto del Solimoens da S. Pablo d’Oliveinca fino ad Egas l’aria è cattiva, i miasmi sono fomite di febbri ad accesso, dette seisons. Anche quei boschi sono frequentali talmente da ja¬ guari, che gli abitanti delle fattorie sono costretti mantenere per custodia una moltitudine di cani, i quali non riescono ad impe¬ dire a que’mostri di penetrare nelle capanne e perfino di tuffarsi nelle cisterne dove serbano le testuggini, afferrarle, mozzare loro il capo, c colle zanne dilaniarne le carni, il lutto compiendo con silenzio sì profondo da non permettere ai cani ed agli uomini di avvedersene. Al mio sbarco a Fonteboa mi fu gradito l’ incontro col vene¬ rando vescovo del Gran Para , monsignor Alfonso de Moraes Torre, che contava rimontare il fiume sino a S. Pablo d’Oliveinca , in compagnia di un canonico suo segretario e- di tre padri cappuccini italiani allo scopo di fondarvi le missioni ed istituire scuole pei fanciulli , battezzando e catechizzando in ogni punto di fer¬ mata. Mi presentai all’istante, desideroso di porgere i miei ossequi ad un sì degno pastore, il quale nulla curando i tanti pericoli e le molestie di una sì lunga navigazione, crasi consacrato a quel¬ l’impresa a tulle sue spese, nulla avendo potuto ottenere dal Go¬ verno brasiliano, che, a quel che pare, non si dà alcun pensiero del ben essere fisico e morale di quelle popolazioni. I) Erano 1 padri Fedele, Pietro ccl Egidio da Garcssio, missionari apostolici. — 228 — Venni accollo dal venerando prelato e dai suoi compagni colla più schietta affabilità, e fui presentalo di varj oggetti, armi, attrezzi cd ornamenti appartenenti alle tribù di quelle vicinanze. 11 dì seguente volli assistere al sermone recitalo dal vescovo in lingua portoghese alla popolazione di Fonteboa, che erasi radunala tutta sul piazzale avanti alla chiesa, esortando gli astanti alla pre¬ ghiera , compiangendo la triste loro situazione, privi come erano stali per tanti anni di parroci e di missionari- Fece distribuire varj libriccini di divozione, medaglie, corone, ed agli anziani del paese compartì consigli sul modo di comportarsi dopo la sua partenza, acciò fossero continuate almeno in parte le pratiche religiose, pro¬ mettendo loro che si sarebbe adoperato con lutto lo zelo onde indurre qualche missionario a fissare in que’luoghi la sua stanza. 11 vescovo mi consegnò una lettera per la Propaganda fide di Lione allo scopo di chiedere qualche zelante religioso, che tutto volesse consacrarsi alla diffusione del Vangelo fra quelle tribù immerse nella più bestiale superstizione. Fra i varj oggetti statimi donali trovavansi due scimmie vive, una piccola guariba o Mycetes ursinus, ed un huackari. Quest’ul- lima era singolarissima e simile a quella da me veduta nella di¬ scesa del Napo, da me ritenuta come specie nuova, non trovan¬ dola descritta ne! mio manuale di mammalogia, ed essendo raris¬ sima anche in quelle foreste. Secondo le relazioni avute dagli stessi abitanti di Fonteboa, queste scimmie a faccia rossa non compajono che al momento in cui le testudini depongono le loro uova, es¬ sendone assai ghiotte; il rimanente dell’ anno stanno nascoste nell’ interno di quegli impenetrabili boschi. Quelli che cacciano gli huackari , si recano in riva al fiume , e sui banchi di sabbia frequentati dalle testudini , e là stanno appiattati aspettando il loro arrivo. Non appena sono veduti intenti a dissotterrare le uova, corrono in quella direzione, ed a colpi di frecce li feri¬ scono, giungendo persino a prenderle colle mani allorché nella fuga non vogliono abbandonare le uova che hanno rinvenute nella sabbia. Quando poi le scimmie furono ferite con freccio avvele¬ nate, non appena sono cadute, si affrettano ad applicare sulla piaga del sale che loro fanno anche inghiottire stemprato nell’ acqua, antidoto efficacissimo che le risana al momento. L’operazione però deve esser fatta colla massima prontezza; in differente caso, pas¬ sati cinque o sei minuti, l’animale non c più guaribile. — 2-29 — Questa scimmia non ha clic pochi peli sul mento, ha la faccia interamente di un color rosso vivace, il pelo rossiccio, quello della testa biancastro e raso, la coda corta , i denti incisivi sono lun¬ ghissimi sporgenti in fuori, le labbra tumide, gli occhi bruni, non è fornita di barba, il basso ventre è di color ferruginoso. Vivono in truppe, secondo mi fu detto dagli abitanti di Fonteboa; diffi¬ cilmente si addomesticano; sono di un naturale melanconico, e alzano grida acute e sempre lamentevoli. Al momento della morte o d’infermità, la faccia che pria era di un bel rosso carmino, di¬ venta pallida, livida o bianca. Si cibano d’insetti, locuste, ragni, semi, fruiti d). Fonteboa è piccola aidea situata sur un altipiano alla sponda di uno dei bracci del rio Camicia a circa un miglio di distanza dal¬ l’Amazzone, che ivi si allarga formando come una laguna. La po¬ polazione, che non ascende a più di 200 abitanti, è composta di meticci e d’ indiani. Il 2 del gennaio 1848 presi congedo da quei buoni missionari c partii da Fonteboa colla mia garritea (barca). Non appena sboc¬ calo nel Solimoens dal Iato sinistro incontrasi il canale di Mupià, 1) Questa rara scimmia venne con tutta la cura possìbile mantenuta in vita per cin¬ que mesi senza che avesse risentito il minimo deterioramento in salute , benché presa colla sarbacana. Imbarcatala meco a bordo della nave Nouvelle Eugènie, che dal Gran Para faceva vela per l'Europa, non appena si ripassarono i tropici, incominciò a dimagrare notabilmente, sebbene fosse nutrita tuttavia di banane ed altri frutti serbati per tale og¬ getto. Vicino alle isole Azzorre , il notabile cangiamento di temperatura la fé’ cadere am¬ malata, ad onta di tutte le cure prestate per ripararla dal freddo e dal vento. La faccia prese un colore azzurro ; le sopraggiunse una diarrea di materie assai fetenti, con tutti i più manifesti sintomi di tubercoli al polmone; le gengive gonfie tramandavano sangue; la cicatrice della ferita riportata crasi aperta di nuovo. Volendo ad ogni costo mantenerla viva sino al mio arrivo in patria, la sottoposi ad un regime di vitto differente, con uova e carni, ricoverandola nella mia stessa cabina. Al mio arrivo a Marsiglia gli occhi le si erano infossati c fatti torbidi , e la sua debolezza era tanta da non potersi reggere in piedi. Nei pochi giorni di mia dimora colà migliorò alcun poco, continuando in tale stato lino al mio ritorno in patria. La spedii in dono al distinto amico dott. F. De Filippi, direttore del museo di Storia naturale a Torino, ritenendola una specie tuttora sconosciuta, ma po¬ chi giorni dopo l’arrivo alla sua destinazione mori di marasmo. Seppi in seguito dallo stesso De Filippi non essere che il Bracltyurus ealvus di Geoffrov Saint- Ililaire , descritta soltanto da un anno sopra una spoglia recala dal conte Castelneau nel suo viaggio al rio delle Amazzoni. — 250 — clic è uno de’ tanfi bracci o foci del rio Japurà o Caquela. La navigazione da Fonteboci ad Egas diventa pericolosa in causa de¬ gli immensi tratti di terreno boschivo, che corrosi e minati dalle acque repentinamente franano nel fiume, producendo un sobbol- limento tale nelle onde, che trovandosi in poca distanza quei fragili navigli corrono rischio di rimanere sommersi. In tale infortunio incappano non di rado coloro, che rimontando il fiume sono ob¬ bligali tenersi rasente la sponda onde superare a forza di remi l'impeto della corrente, tirando le alzanas o corde, che devono di tratto in tratto attaccare agli alberi. 11 povero vescovo poco mancò non rimanesse vittima d’uno di questi scoscendimenti, e solo dovette lo scampo alla somma de¬ strezza dei rematori. Al cadere di quelle frane il frastuono è tale, che se ne può udire il tonfo a due leghe di distanza. La corrente era piuttosto rapida per le tante isole che ivi s’in¬ contrano e per le infinite sinuosità del fiume. Arrivato alla bocca del rio Jarnà , poco distante d’Araguarì, scesi ad una fattoria per comperarvi tartarughe ad uso mio e dell’equipaggio; in questo frat¬ tempo poco mancò che la mia barca calasse a picco, per essersi alla sua prua incuneato un grosso albero, il quale dava a quelle mal connesse tavole le più violenti scosse; per buona ventura si riuscì subito a respingerlo. L’incessante lampeggiare e le dense e nere nubi che si andavano accavallando sull’orizzonte, minaccia¬ vano prossimo un terribile uragano, sicché fummo obbligati a met¬ terci di bel nuovo al sicuro dietro un isolotto , dove si rimase ancorati sino a mezzanotte. Gessato il temporale, salpammo di là col solo aiuto della corrente e col vento contrario. Si arrivò alle ore 2 pomeridiane a Caisarà o Alvarens, piccolo villaggio situalo in riva al fiume dello stesso nome. Quivi trovai ospitalità presso un negoziante brasiliano d’Egas, nella cui casa passai il rimanente della giornata. Questi in pochi anni era riu¬ scito a creare in quel luogo una bellissima fattoria, avendo a tutte sue spese fatto atterrare un immenso tratto di selve, che ridusse a coltura, servendosi dell’opera di un centinaio di Cocamas , tuttora al suo servizio , oltre di una ventina di schiavi negri. 1 Cocamas sono i più abili navigatori del rio delle Amazzoni, assai laboriosi, destri, forniti di molta intelligenza; abitano una parte del territorio di Maynas, sanno costruire buone canoe e tessere eleganti lavori colla paglia toquilla ; stante una tal quale analogia (lolla loro lingua con quella degli Omaguas, essi rilengonsi loro discendenti. Hanno la testa piuttosto grossa; non mi fu dato però di trovarne alcuno fornito di testa quadrata, ridotta in tal modo dalla prima infanzia, come credesi da molti, e come udii ripetere soventi nel Brasile. I Cocamas si strappano le sopracciglia, hanno occhi grandi neri, naso piuttosto schiacciato e grosso, bocca grande ed il labbro superiore sporgente in fuori e più tumido dell’ infe¬ riore , denti bianchi e ben conservati; portano i capelli sciolti ; son privi di peli sul mento e sul resto della persona. La tinta della pelle è di un giallo oscuro. Usano del sugo di tabacco che fanno colare nelle nari , al pari degli Zaparos , per mezzo d’ un piccolo tulio, o col becco dei toucani. Il loro idioma è sonoro e fa¬ cile. In quel giorno vidi arrivare in una specie di gran gabbia una quarantina di testuggini, frutto delle loro fatiche di soli tre giorni. Questi rettili vengono presi per la più parte colle freccie a punte di ferro. Appena li vedono galeggiarc, gl’ indiani si vanno avvici¬ nando colla canoa alla portata di 50 a 70 passi, indi armati d’arco scoccano la freccia, la quale vibrata con forza, trapassa lo scudo della testudinc. Questa, appena sentesi ferita, si luffa di nuovo, seco traendo l’uncino, che staccandosi, lascia sormontare la canna affidata ad una sottilissima fune. Subito il pescatore l’afferra, e ti¬ randola a sè, giunge ad impadronirsi della preda. Allora, dopo aver turato con pece il foro fatto dalla freccia, si chiude la testudinc nella gran gabbia, sostenuta da pali leggieri detti di balsa, che vanno rimorchiando dietro la piroga. Ne ebbi in dono quattro delle più grandi da quell’industre mio ospite, oltre a due grandi panieri di farina di mandioca e di aranci. Si partì sull’imbrunire da Ccisairà, e un po’ più basso si superò la foce maggiore del rio Yapurà. Questo fiume ha origine nella stessa Cordigliero all’oriente di Pòpayan nella Nuova Grenada, dove vien chiamato Caqueta, assumendo nella parte inferiore il nome di Yapurà. Le sue sponde sono popolate da tribù tuttora selva ggie e feroci. Gli abitanti d’ Egas e Fonteboa lo rimontano onde rac¬ cogliere salsapariglia e gomma elastica. I celebri viaggiatori tede¬ schi Spix c Martius hanno esplorato tutta questa parte del terri¬ torio brasiliano sino alle cateratte. Entrati nel Parana-miri, si rimontò il rio Tefé per ben due ore, ed arrivammo a mezzanotte alla terra d 'Egas. CAPITOLO XXIII i'ontiniiiizioiit'. (Dal 5 gennaio al 3 febbraio 1848). Incontro di due Europei. — Descrizione d 'Egas. — Gita a Nogueira. — Il rio Tefè. — La Lanzeada. — Le Cuyas o calebasse. — Preparazione della vernice di Ma- cucù. — Nuova specie di cantaridi. — La farina di mandioca. — Sua preparazione. Il serpente boa. — 11 sucrusgiù o serpe d’acqua. — Varie specie di bradypus. — Scaturigini e foci del rio Coary. — La Freghesia o villa d’Alvellos. — Il rio Pu- rus. — Gli Urumutù, Piuris , Pavas ed altri uccelli. — I Selvaggi Muras. — La¬ droneggi. — Vitto. — 1 Maruins e le Molliccia*. — La fattoria di Manacapurùs. — 1 1 rio Negro. — Prodotti delle foreste. — Natura del suolo. Alloggiai presso certi Neil Bradly irlandese , e Brandybreickt tedesco, i quali per ragione dei loro traffici, provenivano dalla Barra do rio Negro. Venne festeggiato il mio arrivo con un ban¬ chetto che si protrasse sino all’alba, nel quale si fecero abbon¬ danti libazioni di easciassa (acquavite del paese). Il trovarci noi tre europei riuniti in quelle recondite regioni ne colmò di giubilo sì vivo, che certo mi sarebbe impossibile esprimerlo a parole. Tutti eravamo ansiosi di aver notizie della nostra Europa, ma tutti pur troppo n’ eravamo affatto digiuni. La compagnia di quegli onesti negozianti mi fé’ risolvere a passare colà tre settimane onde aspet¬ tarli, dovendo essi pure ritornarsene alla Barra do rio Negro, appena finita la raccolta della salsapariglia, e dato sesto ai loro affari. Vendetti quindi la mia garrite a per 40,000 reis (scudi 20), e licenziai gli indiani, volendo approfittarmi della graziosa offerta fattami dal signor Neil Bradly dhmbarcarmi nella sua vigilenga o barcone a vele, della portata di 120 tonnellate, conventi uomini di equipaggio, fornita di maggiori comodi e ben più sicura, es¬ sendo la mia navicella troppo piccola e facile a rovesciarsi sotto un forte temporale. I miei nuovi compagni erano del carattere più franco e leale, colti ed allegri, tanto che potei passare seco loro i giorni più piacevoli della mia navigazione. Egas, veduta dal largo, ha 1’ aspetto di bella borgata; ap¬ pena però le si avvicina, svanisce l’idea che se n’era da prima formata. Le poche case che vi sorgono di prospetto sono di mal- toni e calco, come lo sono pure le due chiese ed il cabildo. Le altre sono tulle d’ un sol piano a tettoie di paglia , con ortaglie ricche di frulli, di aranci, di banane, e le piazze e le contrade sono in rettilinea, però senza lastrico. È luogo d’importanza pel commercio dell’ alto Amazzone , esportandovisi le produzioni del paese , salsapariglia, copaiba, pesce secco, cacao, farina di man- dioca, manteica de ciarapct. La popolazione ascende a 1500 anime circa, consistente in pochi bianchi, meticci o negri, e il resto di barbari della tribù de’ Coretas , Cucurunas, Achouaris. Vi ri¬ siede un comandante militare, un giudice di pace con cinquanta soldati. Durante il mio soggiorno colà feci una gita colla canoa a No - (jucira in compagnia di Neil e Brandybreickt. Questo villaggio è situato di fronte ad Egas sulla riva sinistra d’un lago, che ha tre leghe circa di larghezza , non avendo impiegalo nella traversata più di tre ore. Vi si trova una piccola chiesa e varj edifizj di mattone. I coloni di queU’aldea sono per la più parte delle tribù Jurbas e Tawnanas , oltre a molti meticci. Vi passammo il rima¬ nente del giorno e tutta la notte ospitali nella casa di un tal Fauve francese, stabilito colla sua numerosa famiglia da più di ventanni in quel luogo. Il domani si rimontò il Tefé sino ad una pic¬ cola malocca d’ indiani , che trovammo intenti a riempiere otri di copaiba. Il rio Tefé è navigabile per ben due mesi, e le sue rive sono popolale da varie tribù selvaggie. A mezza giornata di cammino l’alveo va rinserrandosi in modo da non avere più di 150 metri di larghezza. I dintorni sono deliziosi, c quelle acque formicolano di pesci e di molluschi. Ritornato il seguente giorno ad Egas, pregai quel comandante di assoldarmi alcuni pescatori, affinchè per mio conto gettassero le reti , e mi procurassero varie specie di pesci che desiderava conservare neiralcool. Infatti sull’imbrunire imbarcatomi con dieci uomini, s’arrivò in due ore alla congiunzione del Tefé coll Amazzone, approdando ad un banco di sabbia. Là i pescatori si distesero in fila, ed en¬ trali nelle acque basse, colle reti clic tutti uniti andavano tirando in opposta direzione, raccolsero una discreta quantità di pesci che restavano avviluppati nelle maglie. Si continuò per ben 4 ore la stessa operazione finché, stanchi ed affamati, ci posimo ad am- — 234 — manire per la nostra cena buona parte della pescagione, avendo prima fatta una scelta delle varie specie che intendeva conservare. Questo genere di pesca è assai in uso nell1 Alto Amazzone; talora riuscendosi a prendere in tal modo anche de’ piccoli lamantini. Chiamasi tal pesca la lanzeada. Non manca però di pericolo, giac¬ ché oltre al non poter farla che di notte, non di rado avviene che i pescatori calpestino qualche razza appiattata nell’arena, e pronta a pungere colla coda spinosa, o vengano assaliti da qual¬ che alligatore, dal cui morso il meno che si può temere è di ri¬ tornare alla sponda monchi di qualche membro. Uno di questi infortunii accadde, durante il mio soggiorno in Egas, ad un giovane tapuyo (così chiamansi al Brasile gli uomini di colore) che si recava con altri compagni a lanzear poco lon¬ tano dalla borgata; proprio nel momento in cui stava tirando a terra la rete un enorme jacarè (alligatore) lo afferrò pel braccio e glielo mozzò intieramente quasi sino all’ omero. Quell’ infelice venne subitamente trasportato ad Egas, e non essendovi in quei luoghi nè medici, nò chi avesse la menoma nozione di chirurgia, fui pregato dal comandante di prestargli que’ soccorsi che per me si potevano. Sebbene limitatissime fossero le mie nozioni in fatto di chirurgia, pure mi provai alla meglio, ed essendo riuscito ad infrenare l’emorragia, segai il moncone dell’osso che sporgendo avrebbe impedito la cicatrizzazione, e ricomposte le carni vi ap¬ plicai una fasciatura. Prima di due settimane quell’ infelice era fuori di pericolo, non essendo comparsa cancrena, e non avendo avuto a far uso che di faldelle spalmate d’unguento e di qualche tocco di pietra caustica. Quell’ operazione eseguita così alla buona cogli stessi coltelli che mi servivano a preparar gli animali, mi valse l’onore d’es¬ sere ad ogni momento disturbato dalla più parte di quegli abi¬ tanti, che accorrevano alla mia abitazione per aver rimedj e con¬ sulti , distribuiti, ben s’intende, gratis. Per andar alle corte, in genere loro somministrava alcuni grani di tartaro stibiato , non ignorando che la più parte delle loro infermità provenivano da indigestioni prodotte da intemperanza. Gli abitanti d’Egas, ed in particolare le donne, attendono alla fabbricazione degli otri di terra ed alla confezione di calbasse , specie di zucche, colle quali fanno scodelle, conosciute e poste in commercio sotto il nome di cmjas o pilche . Tagliate nel mezzo ed essiccate, fanno abbrustolire questi segmenti superficialmente sopra la fiamma, sicché divengano interamente neri. Indi li tin¬ gono a due o tre riprese con una vernice, che loro comparte un lucido bellissimo resistente all’acqua, colorandoli pure a bizzarri disegni con sucbi vegetabili d’indaco, di roucoù e colle radici di (ingiù pel giallo. La vernice è preparata coi sughi dei frutti del¬ l’albero detto macucù , abbondante nelle foreste per tutto il corso delle Amazzoni. Onde prepararla li mettono a macerare nell’acqua per tre giorni, indi li schiacciano estraendosene i semi. La polpa vien fatta bollire per più ore onde separarne la sostanza gom¬ mosa , si filtra e vien riposta in vasi di vetro per servirsene al bisogno. Non è men curioso il modo col quale gli abitanti di Egas pre¬ parano la farina di mandioca . Spogliata della pelle la radice del- Yigname , la pestano e la riducono in pasta: questa vien riposta entro una specie d’ imbuto formato con liste di corteccie e di canne intrecciate che ha la figura e grossezza del serpente boa , c che riesce così flessibile ed elastico. Riempito il tubo di quel- F impasto , ne attaccano un’ estremità alla parete della capanna, stirando fortemente l’altra onde spremerne fuori i’ umore. Fatto ciò la estraggono nuovamente e la fanno abbrustolire entro vasi di terra rimescolandola continuamente , indi la ripongono così disseccata entro alcune corbe dette alachere, mettendola in com¬ mercio sotto il nome di farina di mandioca . Questa tien luogo di pane , e s’ imbandisce sulle mense lungo tutto il rio delle Amazzoni. Nelle varie mie escursioni nelle limitrofe foreste , per le quali andava raccogliendo quanto poteva interessare lo studioso di zoo¬ logia , mi fu dato scoprire una specie nuova di cantaride, che produce lo stesso effetto delle nostra lytta vescicatoria . La sua figura era perfettamente simile a questa, non differenziando che pel colore affatto nero tanto delle elitri che di tutto il rima¬ nente, e per le antenne un po’ più lunghe del corpo ; le imposi il nome di lytta amazonica . Questo coleoptero era comunissimo nelle vicinanze d’Egas, massime dal lato del cimitero, situato sul¬ l’attiguo colle. Negli stagni osservai una specie di sanguisughe piuttosto grosse, che potrebbe certamente venir adoperata in medicina, e formare un lucroso ramo di commercio; ma quegli abitanti sono troppo — 236 — indolenti, al punto di non curarsi nemmeno degli oggetti più in¬ dispensabili alla vita, reputando quindi ben meschino l’applicarsi a queste pazienti ricerche. Si trovano nelle lagune e ne’ boschi, oltre a mostruosi alliga¬ tori e jaguari, anche de’ grossi serpenti, il boa constrictor ed il sucrusgiù. Quest’ ultimo rettile , che vive negli stagni , giunge a smisurata grossezza c lunghezza, toccando sino i 50 piedi e più, e quantunque innocuo , si pretende da quegli abitanti fornito della proprietà di attirare a sè coll’alito animali, uccelli, rospi e piccoli mammiferi onde farne sua preda. In alcune parti del rio delle Amazzoni , e massime nell’ Yupurà , i lapuyos fanno loro alimento dei grossi serpenti che riescono ad uccidere. Non ap¬ pena essi possono vederne uno disteso in riva al fiume , gli si vanno avvicinando pian piano armati di coltello, e prima che il serpente riesca a svolgersi dall’albero, l’afferrano nelle varie parti del corpo, avvitichiandosi il più ardilo strettamente al collo, onde impedirgli di mordere. La forza però di quel mostruoso rettile è tale che dibattendosi riesce a trascinare gli uomini nell’acqua prima che sia fallo a pezzi ; non per questo que’ coraggiosi sel¬ vaggi abbandonano la loro preda , che anzi lasciansi trascinare insieme sott’acqua, nel qual tempo riescono assai più facilmente a recidere cadauno il loro pezzo, ritornando subito a galla colla preda. Pretendono che la carne del sucrusgiù {anaconda? ) sia squisita, e quando una caccia sì strana ha un esito felice ne me¬ nano baldoria per più giorni. E comune anche nel rio Napo , e conosciuto dai selvaggi sotto il nome di mama-yacu (madre del fiume). Venne da me portata la spoglia di uno di questi rettili, preso nel lago d’ Egas. 1 boschi, oltre essere popolati di scimmie, sono pure ingombri di varie specie di bradypus , il cui acuto e prolungato squittire si fa udire molto da lungi : ne osservai di tre specie distinte, una col muso giallo, fornita l’altra d’un collare nero, la terza affatto cenerina; la più singolare è quella delta pigrisa reai , che ha una larga macchia gialla sul dorso con striscie nere. Osservai trovarsi costantemente questi animali sugli alberi d 'imbauba, ci¬ bandosi di quelle foglie tenere e dei germogli; hanno una carne viscida e cattiva, non appetita dagli stessi selvaggi; vanno forniti di tre acuti artigli per ciascuna zampa , ma sono assai timidi , talmente lenti nel camminare e così imperfetti nelle articolazioni. che loro non riesce possibile la fuga, tanto che per impadronir¬ sene altro non suol farsi che tagliare quel ramo d’albero al quale stanno avvitichiati colle unghie. Io ne conservai vivo un indivi¬ duo per ben un mese durante la navigazione , nutrendolo colle foglie d’ imbauba; ma morì tostochè mi provai a volerne mutare il nutrimento. Rimase per dodici giorni consecutivi nell’ inedia senza voler mangiare nè bere, piuttosto che assaggiare una qua¬ lità differente di foraggio. Il 24 gennajo partii da Egas in compagnia degli ottimi Neil e Brandybreickt sulla vigilenga di loro proprietà, dirigendo il corso per Manaos o Barra do rio Negro. Quivi pure ebbimo a subire le stesse difficoltà onde riuscire ad imbarcare gli uomini desti¬ nati al servizio; giacché, secondo l’usanza loro, eransi tutti ub- briacati. Usciti dal lago di Tefé , in meno di due ore sboccammo nel Solimoens , dovendo continuare per tutta quella giornata la navi¬ gazione con vento contrario dell’est, che soffia quasi di continuo; si arrivò verso sera al Garapè del lago Cayumbe che sta alla riva destra, e si dovette vogare tutta la notte senza vele a se¬ conda della corrente, lasciando così riposare alquanto i rematori. II 25 a mezzodì ci trovammo poco discosti dal luogo detto Cu- mackarà ; indi si passò rasente l’ isola di Catoù , dove si vede¬ vano baracche di pescatori intenti alla confezione dell’olio di le- studine e di lamantini, dovendo viaggiare l’intera notte a tutta forza di remi. II giorno 2G si arrivò di buon mattino alle foci del rio Coary, pel quale si rimontò colla vigilenga fino alla feitoria d’ Aquari, proprietà d’un certo David ebreo di Gibilterra, ove si gettò l’àn¬ cora. Il fiume presenta l’aspetto d’un gran lago. Nel tempo che si doveva necessariamente rimanere colà per caricare 100 alacheri 1} di castagne dell’Amazzone ( Bertholetia ) per conto di Neil-Bradly, io subito me ne approfittai onde rimontare il Coary entro una pic¬ cola piroga con cinque indiani e recarmi alla Freghesia o Villa d'Alvellos , la quale non distava di là che solo tre leghe, ove ar¬ rivai dopo cinque ore di viaggio. Sorge sulla sinistra rimontando il Coary in luogo eminente in una situazione pittoresca; il clima però è cattivo , e gli abitanti vanno soggetti a febbri terzane e i) Misura equivalente a circa due staja dei nostri. tiroidee. Il villaggio è un ammasso di capanne formanti una sola contrada con piccola chiesa funzionata da un missionario per nome Padre Pereira; è residenza di un comandante c di un de¬ legato civile. Il rio Coary, secondo le notizie avute dallo stesso Padre Pe¬ reira, si divide più in su in tre grandi rami, formando così tre differenti fiumi denominati Coary, Urecu-paranà e Guani. Questi affluenti discendono dall’ alto Perù , irrigano le selvaggie regioni dell’ampia comarea del rio Negro, e sono navigabili con piroghe sino in prossimità alle loro sorgenti. Ad Alvellos si fa un lucroso commercio di castagne del Maragnone, di balsamo di copaiba, di gomma elastica e di stoppa della corteccia di gianciama. Il ricollo di queste castagne o per meglio dire noci, grosse quanto un cocco, riesce più volte fatale ai poveri indiani occupati a razzolarle nei boschi, giacché essendo altissimi gli alberi che danno tal frutto, questo, venuto a perfetta maturanza, al più lieve solilo di vento si stacca e cade, spaccando col suo peso e colia sua durezza la testa a quegli sciagurati. Il 28 si partì di buon mattino , si navigò di continuo , e si giunse la sera alla feiloria Cassuna , dove l'ecimo provvista di pollame c di testuggini j). Essendo il tempo procelloso c soffiando un gagliardo vento di est, credemmo conveniente aspettar l’alba del 29 per salpare di là. Si toccò sul mattino la celebre spiaggia di Goiaraturà , dove non si fé sosta per non trovarvi pescatori, e si arrivò sull’ im¬ brunire a Banama , Qui , proprio nell’ istante in cui stavamo avvicinandoci alla sponda, si corse pericolo che la nostra barca non rimanesse som¬ mersa in causa del repentino franare di un esteso tratto di ter¬ reno boschivo; il tonfo produsse nelle onde una commozione spa¬ ventevole. 11 50 si superarono nel mattino a Cuchivarà le foci del rio Purus , conosciuto anche sotto il nome di Cuchibarà , clic alla sua imboccatura poteva avere da G00 a 650 metri di lar¬ ghezza. Anche questo maestoso fiume è navigabile, rimontandolo 1) Nel Certam o Allo Amazzone i lupuyos danno il nome di jurarà-assà alla grande » tcstudine Podocnemis expansa , chiamando 1’ altra più piccola cugnà-mucù. Questa spe¬ cie varia notabilmente nelle forme dall’altra : l’egregio professore D. Emilio Cornalia ne formò una nuova specie Podocnemis scxluberculala (Vedi la Scholia, al n." 11). — 239 — per ben Ire mesi, sino a Sanici Cruz de la Sierra nella Bolivia; le sue sponde sono abitate da tribù selvaggie ma pacifiche , in¬ tente a raccogliere salsapariglia e copaiba , come mi venne rife¬ rito da alcuni brasiliani che lo avevano rimontalo. Il Purus è detto anche Marno nella parte superiore del suo corso; viene da¬ gli alti monti di Carabaya , ramo della Cordigliera orientale del Perù, ed entra per molti bracci nell’Amazzone. Quest’ampio fiume sarebbe di somma importanza per le comunicazioni fra il Brasile ed il Perù, sebbene non aitraversi che regioni dei due Stati tut¬ tavia selvaggie c sconosciute. Tutti que’ boschi risuonavano dei rauchi gridi c canti degli urumtùs , piurìs , pavas , specie di gallinacei o fagiani le di cui carni sono saporitissime ; desiderando noi gustarle , spedimmo i nostri indiani a dar loro la caccia colle sarbacane. Dopo breve tempo essi tornarono con una discreta preda, ol¬ tre ad una dozzina d’ uova dell’ inanbìi , gallinaceo non dissimile dal pollo, le cui uova sono di un bel colore azzurrò. Viirnbu- tinga , ed altri uccelli di rapina , essendone assai ghiotti , se ne stanno continuamente spiando là dove essi fanno il nido. Delle piume bronzate dei piurìs e della finissima lanugginc bianca del loro abdomc i naturali si servono per formare varj de’ loro or¬ namenti e collane. Trovasi poco discosto una laguna detta di Tapinanbarana, che mette foce un po’ più in basso dallo stesso lato del rio Purus . Un altro lago si rinviene sulla riva settentrionale detto Amurì. Gl’indiani Muras occupano lo spazio di territorio situato sulla sponda meridionale, vivono di sola pesca c di caccia, e passano per i più famosi ladroni di quelle regioni; essi ricusano di ap¬ plicarsi a qualsivoglia coltivazione, che anzi non vogliono fabbri¬ care neppure le amache come gli altri selvaggi , loro bastando , là dove vogliono passar la notte , di tagliar la corteccia di due alberi di gianciama a due o tic braccia di distanza l'uno dall’al¬ tro, e ripiegando ed incrocicchiando quelle corleccie tenacissime, formano il loro giaciglio rialzato dal suolo. Al di sopra , se il tempo ò piovoso, vi tessono all’istante una specie di teltoja con foglie di palma, tirandone un cipò 1] nel mentre che le loro donne I) Liana strisciante che trovasi attortigliata intorno agli alberi, e serve per uso ili corda ai selvaggi. — 240 — vanno accendendo il fuoco. Per ottenerlo con celerità stropicciano varj pezzi di legno con cui accendono l’esca , della quale van sempre muniti, ed apparecchiano il loro cibo consistente in carni di scimmie, serpenti, rospi, pesci, frutti silvestri, senza punto cu¬ rarsi d’ altro nutrimento , sapendo però al pari degli altri appa¬ recchiare la mandioea (jotropha manioca). Qui si cominciò a venire orribilmente tormentati dai Maruins , piccoli moscherini che producono pustole sul corpo e un prurito insopportabile , e dalla motucca , specie di tafano la cui puntura è dolorosissima , che è ivi tanto abbondante quanto lo sono in estate fra noi le mosche ( Tabanus trilineatus ) d). Si arrivò la notte a Peschiera , dove ci procurammo viveri per la ciurma. 1) 1 dipteri ila ine offerii in dono al civico Museo di Milano, vennero studiati e classi¬ ficati dal distinto entomologo parmense Camillo Rondani. In essi vi rinvenne e descrisse venti specie nuove, pubblicate nei INuovi Annali delle Scienze Naturali di Bologna, fase, di Novembre e Dicembre 1850 col titolo: Nomenclalio specicrum nonnullurum ordinis diplc* rormn in America Meridionali a Cajctano Osculali coll'ectarmi , novis breviler descriptis a Camillo Rondani. Xiiniernzioitc «Ielle miovc siicele «lei Quixos c Utensile. 1. Erislalis fanerens, Rondani n. sp. 2. Syrphus cxcavalus, n ir 3. — fascivcnlris, ir n Dejania honesta, ir ir 5. Cyphocera decorata, n n 6. Hyslricia palpino, n n 7. Blcpharopoda pilitarsis, nov. genus 8. Exorista longa, Rondani n. sp. 0. Sarchophaga varipes, n n 10. — pygmcea, rr » 11. Mya versicolor, Rondani n. sp. 12. — jonicroma (G. Lucilia aliis) h 13. Grallomya Osculati, n u 11. Mallophora Macquartii, n u 15. — cilicrura, ir n 16. Dasipogon? bombimorpha, n n 17. Asilus therevinus, ii u 18. Dasipogon parvus, n ir 19. Pangonia Interina, u u 20. Silvius nubipennis, n ir GENUS NOVUM. G. ISIcpliaropodn. Rondani. Char. gcn. : Anlennarum articulus ultimus duplo circitcr Iongior sccundo. — Arista* nudae articuli duo primi brevissimi. — Oculi manifeste pilosi. — Serics frontales setarum in genis non descendcntes, scries fovcalcs ad medium laciei non ascendentes. — Alarum vena transversa extcrior magis proxima cubilo quintfe longìtudinalis quam venula; trans¬ versa; intermedia;. — Cubitus vense quinta; longìtudinalis non appendiculatus. — Abdo- mcn, macrochetis dorsualibus paucis, ad marginem segmentorum, et discoidalibus nullis. — Tibiie postica: ciliis densis et longiusculis instruela:. - 241 - li l.° febbrajo si arrivò a Manacapurà, piccola fattoria, dove sostammo nella casa di un portoghese chiamalo Barroso, vecchio settuagenario che da più di 40 anni dimorava in quella solitu¬ dine, facendo lavorare terreni da una ventina di negri suoi schiavi. Quivi passammo il rimanente del giorno e della notte. Nelle vicinanze vi prospera gran copia di aranci e di limoni silvestri, oltre a smisurati inaliglieli; mi provai ad internarmi nel bosco per far caccia di scimmie; ma i runbachi , specie di arbu¬ sti spinosi, rendevano impraticabili que’ luoghi che ne erano per ogni dove ricoperti. Il dì seguente si viaggiò tutta la giornata ; si rasentarono le isole di Manacarì , Anaurì , abitate da pochi Muras ; e giunti al così detto Calderon, uno dei rami del rio Negro, il pilota indiano non credette bene di arrischiarsi in tal passo pericoloso, ancor¬ ché venisse accorcialo di molto il viaggio. Il rio delle Amazzoni in tal punto si forma un gran gomito , divergendo notabilmente il suo corso. Si arrivò alla sera all’ imboccatura del rio Negro , dove si diè fondo , non polendo senza un vento favorevole ri¬ montare quel fiume e vincere la contraria corrente colla sola forza dei remi. Le terre dal lato destro rimontando il rio Negro sono alte c monlicellose : le sue acque sono di un colore fuligginoso, man¬ tenendosi per tre o quattro miglia dello stesso colore pria die si mescolino con quelle delle Amazzoni, clic sono costantemente biancastre e rossicie, cariche di terriccio. Quivi la profondità del rio Negro è dalle 50 alle 40 braccia. Appena superala la foce di questo fiume, cessa interamente il flagello dei maruins, dei me¬ sticelo e d’ogni altra classe d’insetti; singolarità che notasi in lutti i fiumi d’America , le cui acque sebbene limpide sieno nerastre. Specics Pilitarsis. Kond. n. sp. o” Nigricans; abdomen lateribus fusco-rufcscentibus , sculcllo testaceo. — Tarsi apice pilis longis praedili. — Yitta interoculari velutino-picea. — Squama? alba;. — Alce grisoe costa antica et basi palilo fuscioribus. — Venae quarta; longiludinalis basis spinulis tribus ve! qtfaluor instimela. — Tibia; praescrlim postica; paolo picca;. 19 — 24 2 Essendo la stagione delle alluvioni, buona parte delle foreste era sommersa, non sopravanzando qua e colà che Je cime degli alberi, la più parte palmizii assaccù , bcicabà , miriti, palava , oravo o cannella silvestre ed andiroba^. Più indentro ne’ luoghi eminenti sorgevano le abitazioni dei coltivatori di coloni c canaverales. Non appena fatto giorno si salpò dalla foce, c con una calma perfetta si andò rimontando lentamente il rio Negro, non polen¬ dosi procedere che a forza di alzane , cioè facendo attaccare ad un albero alla riva una lunga corda, e tirandola poi a sè stando nella barca. Finalmente, verso le 8 antimeridiane, elevatosi il con¬ sueto vento fresco di levante, si issò la vela, ed in due ore si giunse alla città di Manaos. L’alveo del rio Negro supera qui forse in larghezza quello delle Amazzoni; esso nel punto dove sorge la città misura circa 3 mi¬ glia, avendo però nel suo mezzo varie isole. La sua profondità varia dalle 20 alle 30 braccia. Per quanto raccolsi sul luogo, più si va inoltrando, c più si fa maggiore la larghezza del suo letto, andando sempre aumentando il numero delle isole. 11 Negro è il più grande ed il più maestoso di lutti i fiumi, clic tributano le loro acque al rio delle Amazzoni; nasce nella Nuova Grenada dalle montagne di Tunuck, passa per S. Carlos, bagna il territorio di Venezuela, e continua il suo corso pel Brasile, ingrossato dalle acque del Cassiquiare , per mezzo del quale si ha comunicazione coll’ Orenoco; taglia dal nord-ovest al sud-est la vasta comarca alla quale dà il proprio nome, bagnando Thomar e Barcellos; riceve le acque del rio Branco e molte altre fiumane fino al suo sbocco nell’Amazzone 2). 1) L’albero detto andirobeira produce lina castagna rassomigliante moltissimo a quella d’ Europa, dalla quale estraggono un olio da ardere. Si trova in grande abbondanza nelle isolette dell’Amazzone, in modo da bastare per il consumo di tutta la provincia, e per la fabbricazione del sapone di cacao, per la quale vien preferita al sego. 2) Devonsi impiegare nel rimontare il fiume circa due mesi onde entrare nel territorio (li Venezuela. CAPITOLO XXIV. (Dal 3 Febbraio al 9 Marzo). Città di Manaos o Barra do rio Negro. — La Casciuera o salto d’acqua. — La Tigre nera. — L’Onza. — Alberi di China. — La piassaba. — Storia naturale dei dintorni di Manaos. — Viaggiatori europei che visitarono quelle regioni. — Specie di serpi velenose. — Quadrupedi. — Numerose specie di scimmie. — Insetti. — Nuova specie di cynips. L’antica Manaos o Barra do Rio Negro è situala sulla riva destra o settentrionale del rio Negro a due leghe circa dalla sua imboc¬ catura; sorge, come già accennai, sur un altipiano quasi isolato del continente, composto di rocce calcaree ferruginose, ornale di palme e cocotieri, che, veduto dal iìume, gli danno un aspetto incantevole. La città ha un’estensione di circa un miglio; andando dalla chiesa del Remedio fino all’altra detta dell’ ospitale inconlransi tre grandi seni dove stanno ancorati brigantini, vigilenghe ed altre barche più piccole. Si comunica tra i diversi quartieri per mezzo di tre lunghi ponti di legno che riuniscono la città. Il porlo è sicuro e difeso dai varj venti ; possiede un piccolo cantiere per la costruzione delle navi, c sull’alto della collina una fabbrica di mattoni. Tutto ciò annunzia ravvicinarsi della civiltà. S’incontrano molli edifizj in pietra e mattoni, la più parte di proprietà di un nostro italiano, da lui stesso falli costruire. Spaziose sono le piazze e in quadralo ; le contrade ampie e tirale in rettifilo, ma mal selciale; le case di un sol piano di stile moderno. Vi si trovano molli magazzini di chincaglie ed altre ma¬ nifatture e stoffe d’Europa, stante l’attivo commercio che mantiene colla repubblica di Venezuela; c ben anco l’emporio delle merci e dei prodotti provenienti dall’alto Amazzone e dai fiumi Purus, J avari , Jutay, consistenti in pirarucù secco, castagne, copaiba, salsapariglia, coione e tabacco. Non appena sbarcati, ci recammo direttamente alla casa del signor Antony di Livorno, dove i miei compagni di viaggio ave¬ vano il loro alloggio. Venni gentilmente accollo da quel bravo italiano, che con quella squisita cortesia della quale usava verso lutti i viaggiatori, mi offerse subito la sua ospitalità per tolto quel tempo clic mi fosse piaciuto di restare colà. Accettai di buon grado r offerta , massime sapendolo fornito di discreta agiatezza, frutti delle sue fatiche e di stenti superati in ventanni di dimora in quelle contrade, lungi dalla sua patria e dalla sua famiglia. La difficoltà di trovare una propizia occasione per proseguire la mia navigazione sino al Gran Para mi obbligò a passare un mese c più in quella città; ritardo che per dir vero non mi riuscì punto dispiacevole , trovandomi in sì lieta compagnia , e avendo così l’agio di compiere qualche escursione nell’interno delle terre onde aumentare la mia collezione zoologica , e far incetta d’ insetti e di semi. La popolazione ascende attualmente a circa G000 anime, la più parte DIestizos ed indiani delle tribù de’ Passò , Bamba , Dorè , Muras, Panipurù, Colanti, Catacquisà. Quella popolazione potrebbe dividersi in 4. classi: bianchi, indiani, tapuyos e negri. 11 bianco dell’Amazzone è di un carattere dolce e semplice, ed il viaggia¬ tore errante in que’ luoghi vi trova ospitalità , tanto rara nelle popolazioni civilizzate. I più agiati hanno grosse feitorias , dove si coltiva il calle , il cacao, la canna da zucchero, e si educa anche il bestiame bovino. 11 governo civile è allidato ad un giudice di pace, ad una ca¬ mera municipale e ad un delegalo. Pel militare trovasi un co¬ mandante di piazza con un distaccamento di trecento uomini , ai quali, in caso di necessità, ponno aggiungersi mille uomini di guardia nazionale: l’ecclesiastico poi c rappresentato da un unico parroco. Alcune settimane prima del mio arrivo era appprodato a Manaos un piroscafo da guerra brasiliano all’oggetto di reclutare indiani pel servizio militare. La comparsa di questa nave aveva cagionalo tale spavento a que’pacifici abitanti, che la più parte se n’erano fuggiti a precipizio nei boschi. In tal modo la città era rimasta quasi sprovveduta d’ogni ge¬ nere di commestibili, e i pochi rimasti soffrivano di penuria. La incuria del Governo ed il dispotismo che i suoi delegati eserci¬ tano su quei poveri tapuyos sono tali, che questi giungono a pre¬ ferire la loro vita primitiva selvaggia e indipendente a lutti i van¬ taggi, che loro potrebbe offrire il civile consorzio. Que’poveri la - puyos , minacciali ogni giorno nella loro libertà sia , come già dissi, per imbarcarsi a forza in qualità di marina]', o per armo- larii nella truppa, o incorporarli nella compagnia de’ lavoratori, quasi tulli si sono internati dopo aver sofferto tulle le privazio¬ ni e vessazioni d’ ogni genere e maltrattamenti; e sarebbe pure facile ritenerli quando venissero trattali con dolcezza. Le au¬ torità, in luogo di far prosperare il commercio e l’ industria di quella vasta comarea con leggi provvide e adatte alla capacità di quelle popolazioni, pare che adoperino ogni mezzo per peggiorarne la condizione, tormentandole senza posa e opprimendole con anghe¬ rie ed estorsioni. I tapuyos vivono sotto la dominazione della legge quali pescatori, cacciatori, battellieri, in un sol motto formano la classe dei lavoranti, ma non è laboriosa; poiché il tapuyo non lavora pel padrone se non quando il bisogno lo forza. Vive con poco, bastandogli per suo nutrimento un pugno di riso, di farina di mandiceli o qualche banana, ed un po’di pesce secco o testudine. M anno s , benché situata nella zona torrida, anzi a pochi gradi dalla linea equatoriale, ha una temperatura piuttosto mite, ed è un soggiorno salubre e piacevole. 11 clima però cangia del lutto, appena si vada rimontando per qualche giornata il fiume. L’atmo¬ sfera si fa allora torrida ed uliginosa, eia più parte de’ naviganti viene assalila dalle seisons (febbri intermittenti) e da dissenterie co) sì ostinale che in breve tempo mandano alla tomba, o se non altro, si convertono in letali affezioni epatiche, o in croniche idro¬ pisie, le quali sono pur anco causale dalla cattiva qualità delle acque potabili. Molti abitanti di Manaos mandano uomini con canoe al- l’Àmazzone per riempire d’acqua varie bolli pel loro consumo, essendo questa assai leggera e salubre. — Non s’incontra alcuna reliquia degli antichi abitatori Manaos, solo osservatisi sparsi nella spianata della distrutta fortezza molle giare senza coperchio e dei vasi d’argilla, i cui orli sporgono alla superficie del suolo, arnesi che certamente dovevano servir per riporre le ceneri dei defunti. Feci eseguire diversi scavi in varj punti , e ne estrassi alcune anfore ben conservale, nelle quali però non rinvenni che un po’di terriccio. Trovasi a circa mezz’ora di cammino nella foresta dal lato nord un delizioso luogo detto Casciuera o salto d’acqua, dove un tal Robert scozzese costrusse un grandioso edificio per segare il le¬ gname da costruzione. Il lavoro però non può essere continuato clic per sei mesi dell’anno, eioè nell’epoca soltanto del calo delle acque, giacché durante il periodo delle alluvioni, clic ha prin- — 246 — eipio ordinariamente a’ primi di marzo e continua per tutto ago¬ sto , tutti i terreni sono inondati , scomparendo perfino quella cascala. I mesi nei quali si è costretti a sospendere il lavoro ven¬ gono impiegati nel far tagliar alberi nei boschi e nel trasportarli sulla località. Associalo all’ italiano Antony, che aveva anticipato i capitali, lo Scozzese continuamente spediva legnami d’opera al Gran Para sopra balse, zattere. Già essi avevano ricavato grossi lucri, stante la sicurezza e prontezza dello smercio, guadagno che si sarebbe accresciuto di molto, ove si avesse potuto aumentare le macchine. Più volte ivi mi recai per diporto, e co’ miei cortesi ospiti con- secrava l’intera giornata alla pesca ed al nuoto, essendo ivi sicuri dagli alligatori, che non rimontano mai fino a quel punto. Le acque di quel braccio del fiume sono limpide, ma conser¬ vano il color fuligginoso; la cascateli, opera della natura, si getta perpendicolarmente dalla roccia. La temperatura di quell’acqua al salto era d i — |— 1 4° , quando invece quella del rio Negro nello stesso giorno montava a —4— 21°. Le selve che si attraversano per recarvisi sono frequentale da Jaguar, che gettano non di rado lo spavento fra’ visitatori. Molle tigri nere erano state uccise in quel bosco in varie epo¬ che, e non pochi indiani ne erano stati malconci o sbranati, senza che ancora abbiano potuto trovare il modo di allontanarle. L Jaguar nero1) è la specie più feroce, assaltando anche l’uomo; fortuna¬ tamente però è divenuta assai più rara di qualunque altra specie di gatti tigrati. Quella che al rio Negro chiamano susuruanna è la Felis concolor; il quale è il Couguar o Pinna (Leone d’Ame¬ rica), intieramente di color fulvo, grande e senza macchie, a coda lunga a pennacchio, in forma di clava. Una di queste fiere venne uccisa a colpi di lancia in una fattoria di Antony dagli stessi man- ilrieros (pastori), proprio nell’istante in cui crasi slanciata sopra una giovenca. La pacova susuruoca è la Felis onza. Questo jaguaro è simile nelle forme e nel colore alla pantera africana, benché sia alquanto inferiore nella vigoria. Affamala, assale anche l’uomo, nè gli la¬ scia scampo alcuno se questi non giunge ad arrampicarsi sur un albero; però ha paura dello splendore dei fuochi. '.) Questo jaguaro non può essere che una varietà mclana del jaguaro comune. 247 Nelle selve vicine alla città si osservano alcune varietà di al¬ beri di China, mollo inferiori però nella bontà a quella della Bolivia e del Perù. Molte sono le piante adoperate nell’intarsio e per costruzione; il cedro rassomigliante all’abete dell’America del nord. Ve ne sono di due sorta , 1’ uno di color rosso si trova ovunque nell’ alto Amazzone, e l’altro meno forte di colore trovasi più in basso, vi¬ cino al Para, la maripanga, finissimo legno macchiato a vaij colori; la masandaruba a chiazze nere e bianche; il palo crux o palo santo; Yitauba di due sorta, gialla e nera, che serve ai naturali per la costruzione delle canoe; il pao d’arco, servibile per far archi, essendo dotato di molta elasticità e pieghevolezza; la ta¬ mbuca. , per costruire le grandi barche; Yjacarè-hulà , V huacari-cuarà, il marupù, de’ quali lutti scrvonsi per far cassette c bauli; Vacajoù , la sucubci , la maripinina , le cui macchie rassomigliano in lutto alle scaglie della tartaruga. Vananes; questo legno viene d’ordi¬ nario impiegato per far remi , è assai pesante e pieghevole , e vien lascialo seccare per molto tempo. L’ andirobeira è pure un legno proprio a far antenne , alberi e barche. E rosso ed assomiglia al legno di quercia. Varpiulea ; questo legno è il più comune dell’Amazzone, impiegato sovente per la costruzione delle barche. Vliauba trovasi di due qualità, l’una gialla, l’altra nera. La prima è la più ricercala per la costruzione. Uno fra i tanti prodotti meritevole di speciale menzione si è quello che gl’indiani cavano dalla piassaba. È dessa una palma che non giunge ad un’altezza maggiore di 5 a 6 metri , dal cui frullice estraggono una matassa di lunghi fili che vi stanno an¬ nidali nel mezzo. Con essi i naturali intrecciano cordami pel ser¬ vizio delle barche, che sono di gran lunga più durevoli dei comuni, e forniti di maggiore elasticità. Mi assicurò il signor Antony che gl’inglesi, avendo conosciuta la bontà delle gomene di piassaba , ne avevano fatte vistose domande per la loro marineria, poten¬ dosi d’altronde comperare a prezzi mitissimi. Egli ne spediva con¬ tinuamente al Parà, ove veniva caricata per Londra, mettendosi quivi in commercio a IO e fin 12 lire per tonnellata. Ogni quin¬ tale condotto dal rio Negro al Parà, calcolale le spese di primo acquisto, trasporto c magazzinaggio, ecc. , non veniva a costare più di due scudi. La sola industria di quegli abitanti è la fabbricazione di vasi di — 248 — terra falli con crela finissima, clic trovasi ne1 dintorni, ed anche ordinaria a varj colori. Adoperano il yutai-ipica come vernice che dà un bel lucido ad ogni sorta di terra ed è assai brillante e puro; ma non resiste mollo tempo all’ azione del fuoco. La storia naturale di questa remota regione del Brasile è tut¬ tavia assai poco conosciuta. Pochi scienziati vi fecero in varie epoche brevi escursioni, pubblicando in Europa il risultato delle loro esplorazioni. Fra questi si distinsero pei primi Spix e Mar- tius, i quali pubblicarono in seguito una interessantissima c ma¬ gnifica relazione de’ loro viaggi e delle loro scoperte; venne poscia Nalterer, c per ultimo il conte Castelneau c Deville. Per quanto i miei mezzi e le mie limitate cognizioni in fatto di scienza me Io permettevano, non mancai di completare i miei studi su quelle contrade, ove natura fu prodiga de’ suoi doni, tanto che coll’aiuto da’ tapuyos spedili per conto mio alla cac¬ cia ed alla pesca riescii a radunare buon numero di esem¬ plari d’ogni ramo della zoologia, inviai espressamente con canoa varii Cocamas all' Amazzone alla pesca del piracucù o Sudis gi- gas, del quale riportarono dopo due giorni un individuo adulto, che volli io stesso disseccare; esso pesava circa 250 libbre (V. Scho- lia, n.° 15). Alla gentilezza di quel nostro Italiano, che prestavasi colla massima premura onde arricchire la mia raccolta, devo an¬ che un piccolo lamantino. Nei boschi del rio Negro molle sono e svariatissime le specie di serpenti, che i naturali distinguono con differenti nomi. Fra le innocue si annoverano la giboia-ckurà , il sucrusgiù o serpente d’acqua, il boicissù: invece il gerarca, il cascabelo (serpente a so¬ nagli) sono le più terribili pel loro attivissimo veleno. Si trovano pure, oltre alle belve, di cui abbiamo già fatto cenno, ed agli alligatori, anche varie specie di cervi, delle quali la più comune è il cervus macrolìs, che incontrasi in istuoli più nume¬ rosi quanto più si va rimontando quel fiume sino alla confluenza del rio Branco; aggiungi le lepri ( lepus brasiliensìs), i coati che si pascono di formiche, la mucura , l’ armadillo o tatoù, il taman¬ dua o formichiere, e tanti altri animali dei quali sarebbe troppo lunga renumerazione. Di scimmie poi se ne contano almeno venti differenti specie. La mydas bicolor di Spix o saltai de’ brasiliani è assai comune; questa bellissima specie l’cbbi in dono viva dal governatore di Manaos; ha la testa, la nuca, il collo, il petto ed 249 — i piedi anteriori bianchi; il tronco, la coda e i piedi posteriori color castagno. È assai cattiva, irascibile, morde; ha le orecchie piuttosto lunghe sporgenti; la coda gracile, i suoi movimenti sono molto snelli e graziosi. Se ne trova pure un’altra varietà affatto bianca. Altra specie piccolissima detta ouistiti (: mydas pygmoeus) ha un pelo morbido rossiccio, il dorso variegato di nero e di bi¬ gio, con lunghe orecchie ed unghie acute; la coda è sottile col pelo un po’ arricciato; è essa pure assai collerica, il suo grido è un fischio molto acuto. Le tre specie di Phytecia, cioè mona- chus , irsuta ed inusta , non sembrano a prima vista che una specie sola, variando fra loro pochissimo. La Phytecia inusta differisce solo per esser di forme più esili e per aver la lesta color rug¬ gine. Si cibano di soli fruiti. Hanno il corpo assai peloso, slan¬ cialo, ondeggiante, colla coda foggiata a largo pennacchio, i peli della lesta assai lunghi, cadenti sulla fronte; i peli del mento sono ocracei e rosei. Non si ponno cogliere che di buon mattino e verso sera, saltando allora di ramo in ramo unite in famiglie numerose e mettendo strida acutissime. La caccia però non ne riesce tanto facile, perchè fuggono e si nascondono tra le frondi al più lieve rumore; sono molto facili ad addimesticarsi. Io ne serbai viva per due mesi una che avea presa a S. Palio dJ Olive trina , e che morì al Manaos, dopo aver rigettalo dalla bocca un conside¬ revole ammasso di lombrici. Innumerevoli sono gli uccelli che annidano in quelle selve: par- rocchetti, anitre, arde e araras , che si veggono ad ogni istante passare e ripassare dall’una all’altra sponda. Si trova piuttosto rara la scimmia delta parahuaco o Phytecia israelita di Spix. Ila un pelo nerastro nel maschio e rossiccio nella femmina, e va fornita di barba foltissima sotto il mento: me ne potei procurare un solo individuo in tutte le escursioni che feci in que’ boschi. Vive in branchi nelle foreste e nei luoghi monli- cellosi, massime verso ii rio Branco e sulle rive dell’Orenoco. Nè in minor proporzione si rinvengono gl’insetti d’ogni ordine, in ispecie i coleoptcri ed imenopleri. Durante le mie escursioni in que’ boschi ebbi campo di fare alcune osservazioni intorno ad una nuova specie di Cynips , la quale specificai sotto il nome di Cynips bombix . Questa nello stato di larva produce un globo di seta , entro il quale sta rinserrata per ben quindici giorni, uscendone trasformala in insetto perfetto. — 250 — Questo bozzolo, che per lo più ha una forma ovale, è di un color cilestrino o bianco, in grossezza minore di quello del nostro baco da seta. Si trova sospeso ai rami dei piccoli arbusti , ed è fornito di un canaletto aperto , composto di piccole cellule unite mediante un finissimo tessuto. Visitava sovente e quasi ogni giorno il sin¬ goiar lavoro di quelfinselto onde poter continuare le mie osser¬ vazioni. Fra le conchiglie terrestri e llu viali da me raccolte nel Quixos e nel Brasile, le quali erano destinate pel dotto malacologo lom¬ bardo conte Carlo Porro i signori fratelli Villa 1 2) ne determi¬ narono una parte di esse , avendo lasciate senza nomenclatura tutte quelle che non possedevano. Vi osservarono un buon nu¬ mero di Bulimus di specie diverse , assai interessanti ed anche nuove , una bella specie gigantesca di Succinea ed una singola¬ rissima varietà della Helix pellis serpentis delle foreste del Quixos, di grandezza doppia della consueta. Anche negli attrezzi ed or¬ namenti delle varie tribù indiane stanziali lungo le sponde del Napo, da me riportate dal viaggio, rinvennero varie specie inte¬ ressanti di Bulimus , di Unio, una quantità di Iridine , di Cyclo- stome e la rara Carocollu labyrinthus. Negli ultimi giorni di carnevale non mancarono a Manaos in quasi tutte le case de’ benestanti kle feste e i halli , ai quali io veniva quasi sempre invitato. Una strana maniera però di com¬ plimentare l’invitato al suo entrare nel festino si è quella di ve¬ nir assalito da tutte le ragazze , le quali afferrandolo a forza Io trascinano nella sala, ove gli gettano a piene mani farina bianca 1) Questo esimio naturalista, caldo d’amor patrio, fatalmente peri nel 1848 all’epoca degli avvenimenti politici della Lombardia, e la sua perdita fu vivamente sentita non solo da’ suoi amici, ma ben anco da tutti i suoi concittadini. La sua bella raccolta malaeolo- gica veniva legata dallo stesso in dono al Civico Museo di Milano, del quale era uno dei conservatori, e dove per un intiero anno crasi indefessamente occupato nella classifica¬ zione della doviziosa raccolta di conchiglie terrestri c fluviali. Fra gli importanti lavori zoologici pubblicati dallo stesso si annovera la Malacologia terrestre c fluviale della pro¬ vincia di Como. 2) Questi due distinti naturalisti lombardi posseggono una ricca collezione di oggetti di storia naturale consistente in insetti d’ ogni ordine, massime coleopteri europei, di conchiglie marine, terrestri c fluviali, di minerali, roceie , petrifienzioni e fossili dei ter¬ reni terziarj. f2oi di tapioca negli occhi , nella bocca , sulla lesta c persino entro gli abiti da ridurre il meschino in uno stato di cecità e di sof¬ focamento. Nè basta ancor questo; appena finito tal villano sa¬ luto , ecco che si fanno colle mani e colle unghie a strappargli di dosso e stracciargli gli abili c fin la camicia, ciascuna ripor¬ tandosene quasi trofeo un lembo; è però concessa la rivincita, essendo permesso agli uomini di proseguire lo scherzo, facendone tutti gli astanti le più grasse risa. Si noli però che in preven¬ zione lutti i giovanotti prima di metter piede nella festa non mancano di indossare gli abiti più vecchi e sdruscili. Durante la danza e tutti così infarinali, si scagliano a vicenda l’uno contro l’altro gusci d’uova e globetti di cera riempili di acque odorose figuranti un cuore , un frullo od altro. Al suono di una o due viole si intrecciano le quadriglie e i fandanghi, ac¬ compagnando coi canti la danza. CAPITOLO XXV.1 (Dal 9 Marzo al 20 dello). Villaggio ili S. Josè. — Jl rio Madeira. — Sua origine e navigazione. — L’aldea di Serpa. — Fiore gigantesco. — Il Caramurù o Lepidopsiren paradoxa. — Villa¬ nova da Rlieyna. — Il monte Parenlins. — Lago di Vaniti. — Il rio Trom¬ betti. — Aidea di Obidos o l’antica Pauxis. — La marea. — Fattorie di Cacao o Cocotti Imperiai. — Larghezza e profondità dell’Amazzone. — Città di San - larem. — 11 rio Tapayos. — Sua comunicazione. — Fiumi navigabili che met¬ tono foce nell'Amazzone. — V Huassacù o Ultra brasiliense. — Sue proprietà. — Cura dell'elefantiasi. — Il Munirò. Finalmente il carico della vigilenga essendo stalo completato, e dovendola il signor Bradly spedire al suo corrispondente al Gran Para, io venni cortesemente invitalo ad approfittarne, sicché potei la mattina del 9 marzo allontanarmi dalla Barra del rio Negro. Gli italiani Antony e Costa, l’irlandese Bradly, il tedesco Bran-'5 dibreickt e N. Marcos americano mi accompagnarono per ben un’ora giù pel fiume; indi fallo un brindisi con una bottiglia di rhum ci congedammo, tristi di dover lasciarci forse per sempre, c rompere un’amicizia (die i luoghi, le comuni avventure e più ancora le doli dell’animo aveano confermata. Neil -Bradly c Brandibreickt dovevano il dì vegnente rimontare il rio Negro fino al territorio di Venezuela per oggetti di com¬ mercio; essi non aveano mancato di munirmi di una lettera com¬ mendatizia pel loro corrispondente nord-americano al Gran Para. Il vento contrario e la poca forza della correntia ci fe’ fare breve cammino. Passata l’isola di Marapalù, stante la soverchia calma, si dovette gettar l’àncora. Nella notte ci fuggirono da bordo quat¬ tro Cocamas, che erano stali imbarcali contro voglia dal signor Antony, via portandosi il piccolo schifo, sicché più non ce ne rimasero che dicci pel servizio della barca. Alla fine si potò issar la vela , cd all’albeggiare ci trovammo alla punta di Lajes , ossia alla foce del rio Negro. Sul lato sini¬ stro o nord trovasi il lago d'Alescio. Non appena shoccati nel Solimoens , e superata la punta di Pariquarci-mìrì , formala da un braccio del lago Japurà , la corrente diventa rapidissima fino a Par achi- quassù , ove si scorre di fianco al lago Yuturuana , nel qual punto trovasi una bella [dioica. Si superò più avanti Fi- sola Janaoris, dove ci fu forza niellerei al sicuro, slanlc rim¬ itelo della bufera che innalzava le onde e ci impediva di tener dislese le vele. Nella notte però si potè continuare la navigazione. Il giorno 11, sotto un cielo ingombro di folte nebbie, s’arrivò verso il mattino al paranamirì di Marcello , e dopo aver rasen¬ tala la grand’isola di M atavi , si toccò il villaggio S. Josè. Questo è abitato da indiani Muras , ma venne quasi intera¬ mente distrutto nella ritirata de’ Cabanos , all’epoca della rivolu¬ zione. S’arrivò alle 4 poni, alla foce del Madeira , il colore delle cui acque è simile a quello dell’Amazzone. Il Madeira , detto Cayary dai naturali, venne cosi chiamato dai Portoghesi per la quantità di tronchi d’alberi che sempre seco trascina; è formato dalla congiunzione del Beni col Marmar è ed / tcnes ; discende dai monti della Bolivia, ed incomincia a farsi navigabile a Santa Cruz de la Sierra , città di questa repubblica, a poca distanza dalle sorgenti l\ Questo maestoso fiume, che scorre dal sud al nord, riceve le acque del Guaporè dal lato sud nella provincia di Mattogrosso , bagna l’aldea di Borba e sbocca nell’Amazzone poche miglia più in su di Serpa. Sarebbe di somma importanza quella navigazione tanto pel Perù e per la Bolivia , quanto pel Brasile , essendo la linea più diretta di comunicazione col Gran Parà , e lo sbocco più sicuro dei prodotti nella provincia brasiliana di Mallogrosso c della Bolivia , ossia dei paesi che trovansi dal lato orientale delle Andcs. Rimontando il Madeira per tre giornale , si arriva all’ aidea di Canoini, abitata dai Mundrucus che occupano tutto quel territorio. Da questo punto il Solimoens riprende il nome di rio delle Amaz¬ zoni , che conserva fino alla sua foce nell’Oceano Atlantico. Di fronte quasi al Madeira, dall’opposta riva, mette foce il rio Urubù. Dopo due ore di navigazione, dalla foce del Madeira s’arrivò al- l’aldea di Serpa , la quale fa- di sè bella mostra, situata come è sur un altipiano, con chiesa c altri edifizj di mattoni coperti di tegole. Più in basso trovansi due altri bracci del Madeira detti Canissarì, dove avendo fatto sosta, volli che i miei tapuyos gettassero le reti, lusingandomi di potervi rinvenire quei Caramurù o Lepi- dopsiren paradoxa , che il naturalista Nalterer aveva ritrovato nel 1) Balbi. Compendio di geografia universale. — 254 — Madeira presso Sorba 1]; non ebbi però la fortuna di ritrovarne, od almeno non mi fu dato distinguerlo fra le tante varietà che vennero prese, come grossi zurubìn , lombackì , pirapitanga , pi- rarci, o Salmo rhombeus , e alcuni piccoli pesciolini detti cliandmi. In una laguna, e propriamente nel luogo ove apparentemente le acque si vedevano stagnanti, osservai in copioso numero gal¬ leggiare foglie gigantesche di un verde lucente, aventi il diame¬ tro, le più grandi da 6 a 7 piedi, con grandi fiori tinti de’ più svariati colori; non tardai a riconoscere esser quello il rinomato fiore denominato la regina Vittoria, scoperto nella Guiana dal ca¬ valiere Schomburg nel 1857, di cui questi avea trasmesso alla società botanica di Londra una ben circostanziala descrizione 2). 1) Era pervenuta al sig. Antony una tavola che figurava il pesce , speditagli da Vienna dal dottor INallerer , il quale lo pregava a ricercare se nell’ Amazzone esistesse siffatta specie. 2) a Era il primo giorno (dice Schomburg) dell’anno 1837, quando noi lottando contro le difficoltà che ne presentava il sinuoso corso del fiume Berbice, arrivammo ad un punto in cui dilatandosi formava una specie di bacino , ove le acque rimanevano senza alcun movimento apparente. Avendo verso la sua parte centrale fissata la nostra attenzione su un oggetto clic non potevamo ben distinguere, ci dirigemmo subito a quella volta coi no¬ stri batelli, e superato lo spazio che si frapponeva, ci trovammo a fronte di una meravi¬ glia vegetabile che ci colmò di gioja e ne fece obbliare i disagi sofferti nel difficile tragitto. Una foglia gigantesca, del diametro di 3 in 6 piedi, della figura d' una guantiera, con larghe zone di lucidissimo verde all’ intorno, c di un cremisi vivo al disopra, posava su quelle acque; mentre corrispondente alle dimensioni ed al carattere della foglia sorgeva un superbo fiore formato di più centinaja di petali, tinti dei più svariati colori, dal bianco sino alla rosa ed al garofano porporino. Una larga superficie di quelle acque era ricoperta da questo meraviglioso tappeto, che noi con istupore sempre crescente potemmo esaminare da tutti i lati, girando intorno a ciascuna pianta co’noslri battelli. La foglia nella sua pa¬ gina superiore è di forma orbicolare, c del diametro sopra indicato di 3 a 6 piedi: al,l’in- torno del margine elevasi un orlo alto circa tre dita , di un color verde brillantissimo ; l’interno della foglia, come pure il suo rovescio, sono di un color cremisi molto brillante. Lo stelo del fiore vicino al calice ha quasi un pollice di diametro, ed è irto di molti acu¬ lei elastici lunghi tre quarti di pollice all’incirca. Il calice è diviso in quattro segmenti; biancastri nell’interno, rosso bruni e ispidi al di fuori. Il diametro del calice è di 12 a 13 pollici; e quando questo magnifico fiore è completamente sviluppato, i suoi mille pe¬ tali lo coprono intieramente. Al suo sbucciare, il colore è bianco, c solo un punto rosso appare nel mezzo ; ma a poco a poco questa tinta si va dilatando , e nell’ ultimo giorno di vita tutto il fiore è rosso di sangue. Al pari degli altri fiori di quel paese, trovasi in quello di cui parliamo un disco sempre nuovo , giacché i petali e le foglie vanno sosti¬ tuendosi gli uni alle altre , producendo molte figliazioni. Più si progrediva nel viaggio e Si arrivò sul mattino in faccia a Tabuckal , all’altezza della bocca di Ramos del lago Saracà , e si rasentò sul lato destro l’isola di Urucuritaba. 11 vento contrario d’est , che ci obbligava a bordeggiare durante lutto il giorno , rallentò la nostra naviga¬ zione; finalmente si potè giungere alla foce deWHuatumo che ha origine dal lago di Saracà. Più avanti si osservò l’isola Frescial e quasi di fianco sulla sinistra un piccolo colle detto Cararucù , e si sbarcò per far proviste alle 5 pom. a Villa nova da Rema o Topinambaruna dei tapuyos , poco lungi dalla imboccatura del rio Camma . Quesl’aldea è piuttosto vasta , situata sur un altipiano alla si¬ nistra del fiume; non vedesi però alcun edifizio regolare. Vi si trova una piccola chiesa, ma nemmeno questa officiata per man¬ canza di parroco. Gli abitanti si dedicano al commercio, e raccol¬ gono salsapariglia, olio di copaiba e d'andiroba. Vi educano molto bestiame bovino; ma a ben poco si riduce la coltivazione dei ter¬ reni. Le case son quasi tutte segregate le une dalle altre, costrutte la più parte di paglia c canne. Si partì nella notte, ed arrivali alla punta di Lares, si scorse il monte isolato di Parenlins , l’unico che mi fu dato osservare dalla confluenza della Coca col Napo sino a quel punto dell’Amazzone, essendo tutto quel territorio uniformemente piano e paludoso. Dal lato meridionale si superò la foce del lago Yuratì , indi l’isola di Maracausù, e si bordeggiò tutta la notte con vento con¬ trario, lasciando alla sinistra il rio Yamundas. L’alveo dell’Amaz¬ zone è in quel punto d’una straordinaria larghezza. Nel giorno 15 ebbimo vento variabile, pure si poterono adoperare le vele, e con discreta velocità si arrivò in vista d’ una piccola catena di col¬ line, che sorgono alla foce del rio Trombeta. Potemmo scorgere alla punta una fornace ; tutta la riva destra poi si vedeva sparsa da piccole feitorias, dove ammiravansi belle piantagioni di cacao. più frequenti si incontravano tali piante; più c’innoltravamo nel fiume, e più giganteschi ne apparivano i fiori. Osservammo pure un insello (credo della specie trincius), che gli reca molti guasti e ne distrugge le sue più intime parti. Su di una sola pianta ne con¬ tammo da venti a trenta a. Pare però clic questo colossale vegetabile sia stato dapprima osservalo dal celebre Al¬ cide d'Orbigny nel 1828 nella provincia di Moxos , che ne diede una descrizione poco differente da quella offerta dal cav. Schomburg nel suo Yoyage dans l'Amériquc da Sud. Il rio 'frombola acquistò celebrila per essere il luogo dove Orcllann incontrò una turba di donne guerriere, le quali volevano opporsi colle armi a chi più oltre si avanzasse; origine questa del nome impartito a quella riviera. Nembi di piccoli parrochelti interamente verdi assordavano l’aria svolazzando dall’ una all’altra riva. Le sponde del Trornbela vedevansi ornate di giganteschi castagnieri, il cui tronco fornisce un magnifico legno da costruire. L’Amazzone, superata la foce del Trombeta !), forma un vasto seno tortuoso, dopo il quale si scopre in distanza l’aldea di Obidos, situata in posizione pittoresca sopra un alto colle. Presso Obidos il letto del fiume va di nuovo rinserrandosi, non avendo più di 4000 metri di larghezza, con una profondità però dagli 80 ai 100 piedi. Tanto i lamantini che il piracueù o Sudis gigets e le tartarughe scompaiono affatto in giù di Obidos, cioè laddove incomincia a farsi sensibile la marea. Feci sosia ad Obidos, desideroso di visitare quell’ incantevole soggiorno; è questo l’antico Pauxi. Obidos è situala nella più bella posizione dell’Amazzone sulla velia di un colle. Forma una specie d’angolo rientrante correndo all’est-sud-est fino al canale di Cou- piranga, e sud-ovest sino alle foci del rio Madeira. Domina il corso del fiume, c sarebbe un punto forte da intercettarne la naviga¬ zione. L’aldea non presenta però altro oggetto rimarchevole che la chiesa edificata in pietre c mattoni, come lo sono pure anche le abitazioni. Vi risiedono un governatore ed un comandante. La fortezza, stata costrutta nel 1760, venne però smantellala e lasciata andare in rovina. La popolazione non oltrepassa le 1000 anime. La popolazione attende alla piantagione di cacao, come pure alla pesca nel lago grande; il distretto è sommamente agricolo; il ca¬ cao, pesce pirarucù, salsapariglia, olio di eopaiba sono i prodotti principali che vengono spediti al Gran Parò. Procurai di fare qualche indagine intorno coesistenza vera o supposta di quelle nazioni di donne guerriere; c la massima parte di quegli abitanti si mostrò convinta che fossero realmente esistite; t) I fiumi Jary, Para e Trornbela sono affluenti dell'Amazzone, che intersecano parti¬ colarmente la Guayama francese, e potrebbesi avere un’immediata comunicazione colla stessa se le febbri tifoidee che vi regnano, non avesse tante volte neutralizzali gli sforzi de’ viaggiatori che esplorarono que’Iuoghi. che anzi, onde persuadermi deU’aulerjticilà di tale tradizione, ini mostrarono alcune pietre verdi foggiale ad azza, dette pietra (Ielle Amazzoni, che non mancai di acquistare, non che una pietra gra¬ nitica stata ritrovata poco tempo prima del mio arrivo sotto terra, nel mentre costruivasi una casa vicino al Trombeta , sulla quale rozzamente vedevasi scolpilo un ermafrodito con fascia, ritto in piedi in atto di scoccare l’arco, tenendo la faretra all’omero l\ Il 16 salpai da Obidos per Santarem . La marea cominciava già ad essere assai sensibile ad Obidos , che tuttavia dista dal mare 200 e più leghe. I terreni limitrofi sono coltivati a cacao detto Caconi imperiai, massime nel lato destro, ove trovansi molte fattorie. L’Amazzone è talmente largo in quel punto, che ben di rado è dato scorgere dall’ una all’altra sponda del lìume. Tutte le acque dell’Amazzone riunendosi ad Obidos in un sol brac¬ cio, che non ha più dTin miglio di larghezza, la corrente ha una gran violenza, e dicesi che abbia non meno di 80 braccia di pro¬ fondità. Dopo Obidos si passò al piccolo villaggio di Ucupiranay , appartenente ai Cabanos. Questo luogo acquistò celebrità per una lunga ed ostinala di¬ fesa che fecero i ribelli nell’ultima rivoluzione. Cacciali da tulle le posizioni che occupavano, eransi rifugiali in quel sito, dove avevano formato il loro quartier generale, e dopo un lungo as¬ sedio e falli d’armi, vennero ad una favorevole capitolazione, chiedendone un assoluto perdono ed amnistia completa, che però non fu mantenuta, ed in tal modo ha lasciato un odio continuo al legittimo governo, che un giorno o l’altro non può fare a meno di ricominciare le ostilità. Di prospetto a Pericatuba, sul lato de¬ stro, incontrasi un’isola piuttosto vasta; lasciale le acque torbide dell’Amazzone, s’entrò in quelle del Tapayos , il cui colore è nero, si superano le foci AeWAlincheres , uno de’ bracci di questo fiume, ove si scorgono molte abitazioni, poco lungi di là si prese a ri¬ montare per quattro miglia il Tapayos, arrivando a notte larda a Santarem, ove si gettò l’àncora sotto il forte. Il giorno 17 mi re- I) Nella rivista trimestrale che pubblicasi a Rio Janeiro il sig. De V arnhacfhen pubblicò una sua interessante memoria col titolo: Noticia sobre o lliesouro clescoberto no maxima rio Amazonas, ed il chiarissimo signor Ferdinando Denis bibliotecario di Santa GcnevielTa a Parigi, assicurò per certo, clic il dotto sig. De Varnhcighcn sta preparando un grandioso lavoro sul Brasile, dove tratterà per esteso la questione dell’esistenza delle bellicose Amazzoni. 20 cui di l)uoii mattino presso il capitano irlandese M. Hislop, pel (piale il suo compatriota Bradly mi avca fornito di commendati¬ zie, e presi alloggio nella sua casa. Santarem è piccola città situata alla sponda destra del rio Ta- payos. E di forma regolare, le strade rette e spaziose, selciate in parte; le abitazioni sono di stile europeo, ad uno o due piani, coperte di tegole ed imbiancale. La chiesa è vasta, adorna ai fianchi da due alte torri. E dominata da un piccolo montieello, ove trovasi una fortezza di nessuna importanza, ove sventola la bandiera bra¬ siliana, servibile altre volte a difendere la città dagli attacchi de¬ gl’indiani, ed a sorvegliare la navigazione del fiume; vi si mantiene però costantemente una guarnigione di 200 soldati. Vi è organiz¬ zata la dogana, facendosi col Gran Parà un attivo commercio per mezzo di battelli a vapore , skooner , brigantini e golette. Con altre barche minori mantengono la comunicazione con Cuyabà e coll’ interno della provincia di Matto Grosso per mezzo del Ta¬ payos lì. Questo fiume ha circa un miglio di larghezza nel punto dove sorge la città di Santarem , ed è navigabile per barche di 100 tonnellate. Le sue acque sono limpide, ma di color fuliginoso, per il che porla eziandio il nome di Prieto (negro). A due miglia al disopra di Santarem il Tapayos s’allarga mollissimo, e nel fondo della baia trovasi la piccola aidea di Villafranca , situata alle sponde d’un canale pel quale comunica il Tapayos col gran lago che si estende prolungandosi sino all’ Amazzone. Questo lago forma la principale risorsa e ricchezza di quel paese, abbondandovi ogni sorta di pescagione, cd in ispecie il Piracucù. Veggonsi immense praterie dove vi pascola molto bestiame. 11 lago è infestato da molli Caimani mostruosi, ai quali per la copia del pesce che v’incon¬ trano sono affatto innocui agli abitanti circonvicini. Rimontandolo per quattro giorni s’incontra una cascata, ove l’acqua scorre pro¬ li Oui ini torna acconcio il fare un breve riassunto di molti fiumi affluenti dell'Amaz¬ zone che potrebbero servire di mezzi di comunicazione fra i singoli Stali dell’ America meridionale. l.° Linea di Mallo grosso pel rio Madeira. 2.° Linea ili Cuyabà pel Tapayos. ó.° Linea di Bolivia pel rio Madeira e Mainare. &.° Linea del Perù pel Solimoens , Uca- yale e Apuriinac. S5.° Linea dcW Equatore per 1’ Amazzone c Napo. G.° Altra linea dell’/i- guulurc pel Solimoens , Paslazza c Bobonassa. 7.° Linea della Guajuna inglese pel rio negro e rio Branco. 8.u Linea di Venezuela pel rio Negro, 9.° Linea della Nuova Grenada pel rio Pntumayo, Outchipuiuco. cipite sì, clic non prendendo le necessarie precauzioni , la navi¬ gazione riesce mollo pericolosa l). Santarem è residenza di un governatore civile e militare e degli agenti consolari francese ed inglese. La popolazione ammonta al presente a circa 4000 anime, ed è composta di bianchi, negri schiavi, indiani Mahuès e Mundrucus. Dapprima ascendeva a G000 anime, e malgrado la vantaggiosa sua postura , che la fa emporio del commercio dell’ alto Amaz¬ zone, del rio Prieto , non che di Cuyabà nella provincia di Matto Grosso, le rivoluzioni che agitarono quel luogo hanno quasi anni¬ chilalo la prosperità di quel paese. Il capitano Hislop mi fé’ dono di due bottiglie ricolme di estraili di piante medicinali, Huassacù cd il Mururè, fatte raccogliere da lui stesso ne’ vicini boschi; suchi i cui benefici effetti erano stali più volle da lui stesso sperimentali nella cura di varie schifose infermità serpeggianti fra que’ selvaggi ; massime per la cura del¬ l’elefantiasi il primo, e l’altro per la sifilide inveterata. Eransi ottenute prodigiose guarigioni di lebbrosi, non impiegando altro che il sugo deW Huassacù ( II lira brasiliensè). È questa una pianta della famiglia delle euforbiacee, della quale se ne trovano due specie. 11 suco che se ne ottiene, praticando un’ incisione nella corteccia, ha un colore biancastro castano o rossiccio, se¬ condo la qualità del terreno dove alligna l’albero; è di consistenza gommosa, acre, caustico, ma presto si altera, sicché fa d’uopo ripeterne sovente la preparazione onde non vadano perdute le sue eminenti virtù medicinali: è insolubile nell’etere, poco nell’alcool, cd ha più apparenza di una sostanza gommosa che resinosa. Si scioglie però con tutta facilità nell’acqua. Si può conservare per anni, mescolandolo con parti eguali di alcool puro entro bottiglie ermeticamente chiuse c coperte di caria onde preservarlo dalla luce; puossi anche ridurre in forma pillolare. Il principio attivo dell Huassacù esiste quasi in maggior forza nella scorza dell’albero che nel suco: sciogliendo la scorza ridotta a decollo, gli effetti sono ben più pronti di quelli clic ottener si possano col suco in pillole. È d’uopo avvertire clic non usando nel propinarlo di una somma 2) 1! rio Tupayos, conosciuto nella parte supcriore del suo corpo sotto il nome di Ju- i u-ciki, ha le sue scaturigini nei campi Parccis nella provincia di Matto grosso, c bagna le Campi nas abitate dai Mundrucus. 260 — cautela, si corre il pericolo di eccitare tulli i sintomi d’ima gastro¬ enterite. Se per caso, durante la manipolazione di questo efficace rimedio, ne cade sulla pelle qualche spruzzo, subito si appalesano macchie risipolacee e pustole pruriginose e dolenti. 1 selvaggi se ne servono come di sicuro veleno. Non è conosciuto sinora alcun antidoto per questo avvelenamento; in tutti i casi però si dovrebbe ricorrere al tartaro stibiato onde subito provocare il vomito 11 sueo del Mururè è di una sorprendente efficacia nella cura della lue venerea. L’albero che lo fornisce cresce abbondantemente nel distretto di Santarem. L’umore che geme da un’incisione fatta nell’albero è rossiccio , gommoso e di un odore fetente. Se ne servono quegli abitanti nelle 1) Ecco il metodo con cui si amministra tal farmaco nc! Brasile nella cura dell'elefan¬ tiasi quale mi venne comunicato dal farmacista Acurcio al Gran Para. Si prende mezz'¬ oncia di scorza d 'Iluassacù; tagliuzzata e soppesta, si fa bollire in dieci oncic d’acqua finché siano ridotte a sei, si cola, le si uniscono dodici goccio di sugo Iluassacù, il tutto rimestando ben bene; si fa prendere all'ammalato in due o tre riprese. Se mai fosse in¬ dicato il vomito, onde favorirlo si fanno, bere all’infermo varie tazze d’acqua tiepida. Dopo due o tre giorni di riposo si ripete la dose eguale alla prima , c si continua per otto giorni nell’uso delle pillole, prendendone due e lino a cinque per giorno, regolandosi se¬ condo le forze dell’individuo. Dopo otto giorni si rinnova l’emetico, avendo sempre ri¬ guardo agli intervalli prescritti. Fa d’ uopo notare clic alcuni infermi vengono sorpresi da vomito e da evacuazione sanguigne non Scompagnate da dolori di stomaco e d’ inte¬ stini: tali incomodi non devono punto intimorire il medico e l’ammalato, poiché cedono prontamente all’uso di bevande antiflogistiche e dopo una cacciala di sangue; anzi tal¬ volta basta sospendere per alcuni giorni il trattamento, onde meglio vincere l’irritazione prodotta dall’uso continualo di cosi polente rimedio. Ogni tre o quattro giorni deve l’ infermo far uso di un bagno tiepido preparato con due o tre dramme di corteccia d' Iluassacù sciolta in una libbra d’acqua ; in proporzioni, se il recipiente ne capisce 1 00 libbre, si dovranno cuocere 23 once di corteccia. L’infermo non resterà nel bagno clic un quarto d'ora; tutti i giorni prima di porsi a lotto prati¬ cherà fregagioni nelle parti affette da tubercoli o piaghe con pomata composta dello stesso Iluassacù, che però sospenderà appena produca eruzioni cutanee o forte bruciore. L’aria libera, gli alimenti di facile digestione, e 1’ astinenza di eccessi , in {specialità venerei, contribuiscono di molto a facilitare la guarigione radicale. Deve aver cura l’infermo di non toccar gli occhi colle dita intrise di sueo d' Iluassacù, potendosi eccitare una forte irritazione ed esiti più funesti. Con 200 pillole e due oncic di quél sueo, con 23 libbre di corteccia d' Iluassacù si può compiere la cura continuandola per cinque o sei mesi. Gli esperimenti vennero seguili da ottimi risultati anche negli ospedali del Gran Parà e di Fernambuco , ove varj medici tentarono V Iluassacù, massime in individui affetti da lebbra od elefantiasi. — 281 — affezioni sifilitiche inveterale, nei dolori osleocopi, nelle risipoie, piaghe, ulceri maligne, erpeti. Le mirabili guarigioni che assicu¬ ratisi ottenute col Munire (detto anche mercurio vegetale) non sono in piccol numero. Il capitano II islop me ne diede in dono una bottiglia, onde po¬ tessi tentarne la prova in qualche ospitale d’Italia e comunicargli i risultati. Egli ne solea spedire nel Nord-America, e mi raccontò come uno de’ suoi amici di New-York , affetto da lue venerea in¬ veterata, esausto di forze e ridotto in uno stalo deplorabile per ulceri saniose nel naso ed in varie parli del corpo, fu consigliato dai medici di recarsi in climi caldi, come più confacenti a quelle sorta d’infermità. Recatosi al Para, rimontò fino a Sant arem , dove fu eccitato dall’amico ad assoggettarsi alla cura del Munirò. Disperando questi degli ordinarj soccorsi della medicina, si lasciò indurre e vi si sottopose di buon grado. Ogni giorno furono amministrati tre pic¬ coli cucchiai di tal suco in tutta la sua purezza, alla mattina, prima di pranzo ed alla sera; obbligandolo però ad astenersi dalle be¬ vande alcooliche e dai cibi di difficile digestione. In meno di un mese cessarono i dolori, le piaghe si cicatrizzarono, ricomparve l’appetito, la voce che pria era fioca, ritornò sonora, ed ogni sintomo di lue in breve scomparve in modo che potè far ritorno in patria perfettamente ristabilito in salute. Questi sughi caustici e medicinali furono da me dati all’ottimo amico dottor Bonomi j), onde farne analoghi esperimenti sulla van¬ tata loro proprietà. \) Uno de’nostri distinti medici, che coraggiosamente accorsero a prestar 1’ opera loro a prò di tanti infelici attaccati dal cliolcra nel 1S49, giacenti negli ospitali civili e mili¬ tari di Bergamo. CAPITOLO XXVI0 (Dal giorno 20 Marzo al 30 detto.) I selvaggi Mundriicus o lagliatesle. — Territorio da essi occupalo. — Loro supersti¬ zioni. — Funerali. — Feste. — Il Guaranà. — Il rio Xingu. — Il forte di Gu- rupà. — L’isola Yavarì. — Il Canale di Tagipurù. — Il rio Toeantin. — L’olio d’Andiroba. — Feitorie di riso e di zucchero. — Tragitto del Toeantin. — Villa d’Abbaite. — Villa Sant’Anna. — Il rio Tucumandù. — Il rio Guama. Molti Mundrucus essendo accorsi da Taituba e da Canonici, io potei far acquisto di alcuni dei loro ornamenti di penne artistica¬ mente intessuti con semi e conchiglie , di armi e di un certo composto detto guaranà, del quale si servono , raschiandolo, per loro bevanda ordinaria. 1 Mundrucus vivono sparsi nel territorio compreso fra il rio Madeira ed il Tapayos, ed anco al di là, raccolti nelle così dette Campine in piccole tribù e Malocche. Vanno affatto nudi, si tat- tuano il corpo , e non mancano di valore nelle spedizioni che spesso compiono contro gli Araras e Parentintins. Quando il Mun¬ drucus giunge ad uccidere un suo nemico, subito gli recide la testa, che portala nella sua capanna, viene da lui preparata in un modo singolare. Estratte le cervella pel foro occipitale , ei lava accuratamente il cranio, lo riempie di colono, e dopo averlo asciugato e ben ripulito dal sangue, lo appende al disopra del focolare onde ri¬ ceva quel grado di calore sufficiente alla perfetta essiccazione e conservazione delle carni, cavandone soltanto gli occhi, ai quali sostituisce della bambagia colorata. Fatto questo, la tiene esposta al di fuori della capanna , o la porta sulla punta d'una lancia quando si celebra qualche festa. In tal modo si conservano ezian¬ dio le teste dei loro parenti, tenenendolc però separale da quelle dei nemici e portandole in solennità differenti. Sono creduli, superstiziosi, hanno fede nelffapparizione di spi¬ riti, nelle fatucchieric c negli incantesimi, e venerano i loro pagò o indovini. Credono che siano morti naturalmente soltanto co¬ loro clic veggono di giorno in giorno dimagrare ed estinguersi alfine consunti; in caso di repentina morte, al pari degli Xibarosi la attribuiscono a qualche loro occulto nemico. Allora il capo — 2G3 — ddla famiglia molle in opera ogni mezzo per riescile a scoprire il colpevole. Anche egli qui tracanna un potente sonnifero composto di sughi di certe erbe e liane che gli procura un letargo di 2ì ore. I parenti intanto lo stanno vegliando, finché ritornato in sé si affrettano a dimandargli se mai gli sia stato rivelato dal grande Spirito il nome di colui, che ha messo a morte il loro congiunto. Allora si pone a raccontare le visioni avute, e termina coll’addi- lare il nome di colui che pretende sia stato l’uccisore. Tal se¬ greto vien conservalo scrupolosamente in famiglia, aspettando che si presenti una favorevole occasione per vendicarsene, incontran¬ dolo nel bosco o nella loro malocca, ove Io invitano a qualche fe¬ sta, e lo ammazzano a colpi di azza, o avvelenandolo coW/fuas- sucù. Hanno nessuna credenza religiosa; soltanto tengono per fer¬ mo che lo spirito dopo morte se ne vada vagando per tre gior¬ ni nell1 aria per poscia tornare a riposare sulla terra. Se uno moria infierisce nella loro tribù , vanno alla caccia , cercano di riportarne gran quantità di selvaggina, e fatala rosolare sulle bra¬ gie, si mettono tutti davanti alle loro maloeche adorni di pennac¬ chi, di clave, di lance , cantando bevendo e mangiando di quelle carni. Con tali pratiche pretendono di scacciare dai loro corpi gli spirili malefici. Nei dì fìssati per le feste mortuarie si radu¬ nano davanti alle loro maloeche, ove la vedova del defunto, presa in mano la testa essicela del marito, si siede su di una stoja e intuona una nenia , nella quale va ripetendo le gcsle e le virtù del defunto, facendo intanto balzellare fra le mani e sulle ginoc¬ chia quella orrida spoglia, e dando di tratto in tratto in urla la¬ mentevoli. Tutti i convitati vanno danzando alfingiro , poscia si assidono alla mensa, ove s1 imbandiscono carni affumicate di scim¬ mia , di tapiri ed altri animali , avendo cura di offrire ad ogni momento agli astanti una cuya (scodella) di acqua preparata con miele e guaranà , loro bevanda favorita. 11 guaranà è un composto di frutta silvestre preparato massime col Sorbillum brasiliense (specie di ciliegio). Quest’arboscello cresce in abbondanza alle sponde del Tapayos, dà un frutto poco dissimilo dal nocciolo. Riducono quei frulli ad una massa compatta, alla quale danno la forma di un coccodrillo, d’un latou o d1 uccelli, indi la fanno seccare al sole. Di questa, oltre al consumo giornaliero, ne fanno anche commercio esitandola in cambio d'altri oggetti a Cayabà o a Sant arem. E una bevanda refrigerante e salubre, adatta mas- sime per quei climi del tropico, e come rimedio è mollo diffuso nella provincia del Para e in quella di Scllagrosso. Il Guaranà è diventata una bibita di lusso che tiene luogo del caffè, cd acqui¬ sta un valore progressivo, vendendosi fino a 8 e 10,000 rcis, 24 franchi la libbra. Nella notte del giorno 20 si partì da Santarem con perfetta calma di vento c marea alta , durando somma fatica a superare il punto dove il Tapciyos confluisce nell’Amazzone, mollo più ehe il pilota si trovava in uno stalo di completa ubbriachezza. Per mala ventura non appena passata la foce d’ Itucki, ecco elevarsi un forte temporale con pioggia dirotta, il pilota, per alcuni rim¬ proveri a lui giustamente diretti a Santarem, indispettitosi, or¬ dinò ai rematori di issare la vela maestra, e già essi stavano per obbedire a’ suoi ordini, quando io sorsi ad oppormi risolutamente ad una tale manovra, non ignorando qual pericolo ci sovrastasse, esposti come eravamo a venir dall’impeto del vento e delle onde capovolti all’istante. Non avendo potuto riescire nel suo malvagio divisamento, ubbriaco come si trovava, ordinò che i Cocamas si mettessero a remare. Ritiratomi, per ripararmi dalla pioggia, sotto al Ramadal (cabina), non mi era caduto nella mente come quel mariuolo stando al timone avrebbe potuto tentare di far investire la barca, del che mi dovetti accorgere proprio nel momento in cui più non era in tempo d’ impedirlo. Infatti un forte sussulto mi avvertì che il naviglio avea urtalo contro la sponda, ove i rami e le radici degli alberi sporgenti alTin fuori aveano per fortuna im¬ pedito ch’essa si spaccasse pel mezzo. Balzai fuori furente armato di carabina, che già teneva in pronto ad ogni evento, non igno¬ rando con qual razza di canaglia avessi a che fare, e Io minacciai della vita se subito non si adoperava a metterci in salvo. Ubbriaco come era, veduto il pericolo che gli sovrastava, fé’ manovrare con energia i Cocamas , e riesci a rimetterci al largo. Me ne rimasi tranquillo pel rimanente della notte, ma sempre vigilante, deciso di farlo mettere in prigione non appena arrivato al Gran Parà; nel frattanto dovea usare della massima circospezione, giacché avreb¬ bero potuto anche gl’indiani sollevarsi in massa, essendo lutti della tribù dei Cocamas , e scappati dalle loro terre deli’ Ucay ale, e ben rammentandone le miserie diggià passate in riva al Cosanga. Lasciata alla nostra destra la Barrerà di Gamia , suil’albeggiare del 21 si scoperse il monte Aiegre ; si viaggiò lutto il rimanente del giorno, c verso la sera, superala la costa detta Las Cuilleras, si arrivò al villaggio di Prcttnha; la posizione di questo villaggio è pittoresca e ridente , situato sur un colie clic domina il monte Aiegre , ma non trovasi buon guado per ancorarvisi. Svaniti i fumi dell’acquavite, il pilota riconobbe il suo fallo e venne a chiedermi scusa e a baciarmi la mano, ben prevedendo qual castigo gli sa¬ rebbe stalo inflitto al Gran Para. Gli promisi che di tutto mi sarei dimenticato, purché in appresso non mi fornisse motivo alcuno di lagnanza. Mantenne infatti la promessa, non volendo nemmeno accettare quella poca acquavite che qualche volta gli offriva du¬ rante il pasto; io pure non feci parola dell’accaduto alLarmatore. Ogni più minuto luogo, i fiumi c le colline mi venivano da lui indicate, pratico com’era di quel tratto di navigazione. La mo¬ notonia delle rive scompare come per incanto, ed il fiume diventa maestoso. A due leghe dentro terra sul lato nord si vedevano le montagne dette di Paraguarci, di poca altezza, indi ai primi al¬ bori del 23 ci trovammo di fianco al monte Almeirin , posto al- l’estremità de’ monti Parà , ai di cui piedi sorge un piccolo villaggio che porta lo stesso nome. Almeirin è il punto il più eccentrico che potrebbesi stabilire in una comunicazione colla Guayana fran¬ cese. Vedesi il resto di un forte situalo sur una collina di 40 a 30 casolari, popolazione miserabile. Vi abbonda di cacao, vaniglia, salsapariglia, e copaiba l) ; ma quegli abitanti quasi non ne sanno apprezzare il valore. Continuando il viaggio, s’incontrò al lato nord il monte detto Velila pobre (vecchia povera); e dal lato sud la grande pianura di Urucurichayci , arrivando la notte al villagio di Gu- rupù, alla foce maggiore del fiume Xingu , dopo aver superata quella di Ackicki , clic è la minore (Vedi Tav. XIV). Si rimase ancorati per aspettare la marea vasanle. 1! Xingu è uno de’ meno conosciuti affluenti dell’Amazzone; ha la sua sor¬ gente nella parte orientale dell’altipiano dei campi Parecis , traversa il paese dei Bororos e di altre nazioni indipendenti della provin- 1) L’olio di copaiba vie» estratto da un albero denominato copaliaba dai Tupuyos. Sene trovano di due specie, Cuna che dà un olio bianco, l’altro nero ; quest’albero abbonda in tutto l’Amazzone e nei fiumi Madeira, Tapayos, Purus, Xingu. 11 bianco c il più ricercato. I Tapuyos per estrarre con maggior prontezza quest’olio, vi praticano all’albero un gran taglio con una scure, per modo che nell’ anno venturo quell'albero si dissecca e muore Un tal metodo è assai nocivo, c col tempo questo prezioso balsamo potrà divenire scar¬ sissimo, mentre que’bavbari potrebbero ottenere un egual prodotto praticandovi alle piante de' fori fatti con un semplice trivello. ria (li Mattogrosso , bagna raldra di Ponila e Porlo di Moz, met¬ tendo foce nell’Amazzone. 11 rio delle Amazzoni in tal punto ha una immensa larghezza, e forma due grandi rami divisi dalla vasta isola di Javarì. Il braccio destro è quello di Macupà , che mette direttamente in mare. L’altro, detto Baca di Limao , che pure va ad unirsi più in là, mette an¬ che al canale di Tagipurù, è uno dei bracci che pone in comuni¬ cazione l’Amazzone col Tocanlin o rio del Gran Para. Nell’ istesso giorno s’ arrivò al canale detto Tagipurù che im¬ boccammo, dando un addio alla maestosa fiumana dell’Amazzone. Il Tagipurù è il cammino che percorrono le barche di cabotag¬ gio; i bastimenti però di una certa portata percorrono quello di Limao , essendo il canale più largo e men tortuoso. Secondali dalla marea, si proseguì senza interruzione, toccando nel dì vegnente al tramontar del sole a Brèves. Questo è un piccolo villaggio posto sulla sponda della grand’isola di Marajò o Isola Joanes, i di cui abitanti fanno commercio di Cautciouh, che si raccoglie abbondantissimo in quei boschi. L’al¬ bero che dà la gomma clastica o Cuulciouh si trova in copia in tulli questi luoghi. Per raccogliere il sueo elastico di quesl’al- hero, che si coagula all’aria, prendendo consistenza, ha un color cinefino. Gl’indiani tagliano con un’accia il tronco, ne raccolgono il suco in vasi disposti ai piedi dell’albero. Questo modo è pre¬ giudizievole, mentre l’albero mutilato non tarda a morire. Vi si vedono alcuni tratti di terreno coltivali a riso, ma tutto all’intorno spira la più squallida miseria; il clima è malsano, e quei meschini coloni sono divorali dalle febbri, causale dai miasmi che l’intenso calore sviluppa da quelle maremme. Ci fu forza star an¬ corali fino a mezzanotte onde aspettare la marea favorevole. Nel canale di Tagipurù guizzavano turbe di delfini ( Botos ), che davano la caccia ai pesci di cui abbondano quelle acque. Il giorno 25 s’arrivò sul mattino ad una piccola capanna, dove si gettò l’àncora; saltai a terra, e giunto al tugurio, mi si offerse il più desolante spettacolo. Tre giovani ragazze ed un fanciullo, orfani di padre e madre morti nell’intervallo di tre mesi, ambi- due per febbre tifoidea, si trovavano là abbandonati da lutti, non avendo per nutrirsi che un po’ di riso, clic coltivavano poco di¬ scosto dalla capanna in ruina, e alcuni frutti silvestri. 1 dolci e pallidi lineamenti di quegl’infelici ed i modi interes¬ santi delle fanciulle sepolte vive in quei boschi, tanto mi coni- 267 — mossero, elio volli dividere eoo loro parte delle mie provviste di pesce secco, carne salata c farina di mandioca, potendo questo soccorso servire a sostentarle per qualche tempo ancora , e risto¬ rarle dei lunghi digiuni sopportali. Mi era offerto di condurli tutti al Farà nella mia barca, ma esse ricusarono di far ritorno in sì abbietta miseria alla lor patria. Salpati di là, si entrò nel Paranamirì del fiume Piria , e, come al solilo, si gettò l’àncora per aspettare la marea, non polendo servire in quei paraggi la vela neppur con vento favorevole. 11 26 s’arrivò alla bocca del T amangiò. L’isola di Marajò divide i due grandi bracci dell’Amazzone e del Tocantin o Rio Farà. Continuando a costeggiare l’isola, si giunge a Corallina indi a Manaburà; ed arrivati a Paracuba , si diè fondo presso l’isola Mandi , ove l’acqua incomincia a farsi salmastra. Il 27 di buon mattino si pervenne alla Spira di Guayabal , dove per la folla nebbia si dovette rimanere ancorali. Qui trovansi alcune feilorias dove si coltiva la canna da zuc¬ chero, e si prepara l’olio di andiroba, che si ottiene col seguente processo. Il frutto del V andiroba vien pestalo e raccolto in grosse pentole, che ripongonsi sopra uno scolatoio. A poco a poco va gemendo l’olio che vien raccolto inferiormente in un recipiente di terra. Vantasi la sua efficacia in varie infermità; gl’indiani se ne servono per illuminare le loro capanne. Osservando che il cielo andava facendosi sempre più minaccioso, noi stavamo in dubbio d’attraversare il Tocantin. Questo passo è il più difficile di tutta la navigazione, almeno quando essa si compie su piccoli legni, giacché, oltre all’essere obbligali a solcare il fiume in tutta la sua larghezza (la quale ivi non misura meno di 12 miglia), al più piccolo soffiar del vento le onde s’innalzano a cavalloni tali, che non poche barche ne riman¬ gono sommerse. Nè minore del pericolo della procella è quello dei bassi fondi, frequentissimi in quei paraggi. Ad onta però del tempo minaccioso, noi ci ponemmo alla vela, e felicemente in cinque ore si compì il tragitto. Il pilota diè prova di straordinaria energia e di somma perizia nella sua professione, stando costantemente colla sonda alla mano, e giovandosi pur anco de’ remi per fare la tra¬ versala in una sola marea. Alle 4 di sera si arrivò alla foce del canale di Tucumanduba , dove si entrò colla marea e col vento in poppa. I grossi legni — 268 - mercantili e i vapori vanno direttamente al Para costeggiando il golfo di Tocantin, così abbreviando la navigazione di due giorni; tutte le piccole barche invece sono costrette a passare tra canali o bracci del fiume, onde ripassare al sicuro, e non essere bersaglio dei frequenti colpi di vento. Il rio Tocantin , detto anche inferiormente Para, è formato dal- Piinione del Tocantin e del Rio grande d’ Araguay , c può essere considerato siccome un vero golfo. Navigando sul Tucumanduba, sostammo per breve tempo ad Abbaile , arrivando alla sera a Villa Sant’Anna. E questa una pic¬ cola borgata di fresco costrutta; ha una bellissima chiesa con due alle torri. Le case, erette in riva al fiume, poggiano sopra pala¬ fitte, onde venir preservate dalPumidilà e dalle inondazioni nelle forti maree. Le feitorias di zucchero, cacao, riso vanno succedendosi senza interruzione sì dalPuna che dall’altra sponda: ad ogni tratto ve¬ niva disturbalo ora da poveri stipati entro piccole canoe chiedenti l’elemosina, ora da contadini che portavano frutta d’ogni qualità onde farne il cambio con pesce secco e farina di mandioca. Nella notte si passò il così detto Canal novo , fatto scavare dai Portoghesi da circa un secolo, onde ottenere una più pronta co¬ municazione col rio Mojoù. Il dì vegnente si ancorò alla piccola aidea di Magiari aspettando la marea: si navigò tutto il resto della giornata, e sul far della sera sboccammo nel rio Guaina , toccando al Gran Para dopo una monotona e difficile navigazione di 22 giorni, sterilissima d’os¬ servazioni, e colla molesta compagnia di una ostinata febbre in¬ termittente. CAPITOLO XXVII (Dal giorno 30 Marzo al 13 Giugno 1848.) Sbarco al Belem o Gran Para. — Descrizione della città. — Commercio. — Abitanti. — Clima. — L’isola Marajò. — La Pororoca. — Imbarco sulla nave Nouvelle Eu~ genie. — La linea equatoriale. — Il Monsone o venti alisei. — Mar di Sargasso. — Abboccamento con una nave inglese. — Arrivo a Marsiglia. — Ritorno in patria. — Catalogo delle armi ed ornamenti de’ selvaggi. — Cenni sulla lingua Zapara. Non appena sbarcate le mie casse, andai a chiedere l’ospitalità nella casa di un agiato negoziante di New-York, pel quale il signor Bradly mi era stato cortese di commendatizia. Ivi trovai tutte quelle cure e quei conforti che pur troppo richiedevano la malferma mia salute, e l’estenuazione delle forze ridotte allo stremo dalle tante privazioni e dai disagi sofferti in quella rischiosa esplorazione d’un anno intero attraverso alle terre equatoriali. Dopo tanti sagrifìzj, sopportati con animo sempre uguale, l’unico pensiero che allora mi confortasse si era quello di poter riportare tale congerie di og¬ getti, i quali nel mentre sarebbero servili di perenne memoria di mie peregrinazioni, avrebbero aumentato il patrimonio delle scienze, e dato qualche lustro alla mia patria. Infatti, oltre ad una infinità di schizzi dei luoghi da me percorsi , e di disegni degli svariati costumi dei selvaggi , io mi era procurata una collezione quasi completa d’armi, ornamenti di penne, utensili, veleni delle singole tribù selvaggie, ed aveva raccolto in sei grosse casse il frutto delle mie escursioni scientifiche, non comprendendo quelle che già aveva spedilo dagli Stati-Uniti, dal Canadà e dalle Antille al civico Museo di Milano. La malferma salute e la cattiva stagione non mi permisero d’oc- cuparmi d’altro che d’ordinare le mie collezioni, contando in breve di proseguire il viaggio per Rio Janeiro; quando l’arrivo di un battello a vapore da Fernambuco, che recava le notizie de’ grandi sconvolgimenti avvenuti in quel torno in Europa, risvegliò in me vivissimo il desiderio di rivedere la terra natale, stanco di con¬ durre più a lungo una vita sì errante e travagliata. Trovavasi per buona ventura in porto, c pronta a far vela per Marsiglia, la nave francese Nouvelle Eugénie ; non mancai quindi di approfittare di — 270 — sì propizia occasione , e mi affrettai a stipulare col capitano il passaggio pel prezzo di 100 colonnati. I pochi dì nei quali rimasi al Para vennero da me impiegati a fare le necessarie provviste ed a percorrere la città. Santa Maria di Belem o Gi an Para, a 1°50’ di latitudine sud , è la capitale della comarca che porla ristesso nome. E posta so¬ pra un goffo ingombro di banchi di sabbia alla confluenza del rio Guaina e Capino col Tocanlin , all’est di Maranhao. Le sta di fronte l’isola grande di Marajò, che ha circa oO leghe di cir¬ conferenza. La città è bella, con magnifici edifizj pubblici ; il palazzo del Governo è mollo vasto, di forma quadrilatera, a due piani. 1 due conventi e le chiese, la cattedrale, il Remedio , S. Antonio, S. Anna, il Rosario, sono assai ricche d’ornamenti ed eleganti. La strada detta Largo do palacio , e quella delta Rua da Praga, sono le più belle e frequentate, essendo la prima il passeggio pubblico, dove trovansi le più brillanti botteghe di mode e altri oggetti di lusso europeo: l’altro, il ritrovo dei negozianti, ove hanno le loro ban¬ che e i loro fondachi. Due forti che sorgono su due scogli opposti difendono la bocca del porto. Il clima, al pari di tutte le terre equato¬ riali , è torrido, insalubre, sebbene le pioggie che nell’inverno ca¬ dono lutti i giorni rinfreschino in parte l’atmosfera. La popolazione del Parà è composta per la più parte da meticci, mammalucchi, negri schiavi e liberi, e da molli Portoghesi; in genere quegli abitanti sono indolenti, poco industriosi , ed hanno le stesse abitudini di quelli del Guayaquil, vivendo quasi sotto la stessa latitudine. Le donne passano la più parte del giorno nelle loro amache, si dilettano di far pompa di ornamenti d’oro, di vezzi di perle, massime le mammalucche, delle quali se ne ve¬ dono di bellissime nei giorni festivi, abbigliate con eleganza c buon gusto. Al largo do quartel trovasi una specie di giardino pubblico ornalo di alte piante di Seybo , dove quegli abitanti affluiscono nei giorni di festa. Vi è pure un piccolo teatro, v ai j collegi ed un ginnasio. II principale eornmereio del Parà consiste in zucchero, cacao, salsapariglia, riso, copaiba, castagne del Maragnone, vaniglia, in¬ daco ed altre droghe. Il cacao potrebbe considerarsi come la prin¬ cipale ricchezza agricola del basso Amazzone e del Perù; trovan¬ dosi nello stato selvaggio , i grani sono più piccoli di ciucilo di Caracca, ma è più aromalico di quello che si coltiva al GuayaquiL È per conseguenza più slimato ed è più raro. Vi si richiedono lunghe escursioni ne’ boschi, e di frequente proibiscono la coltivazione, che sorvegliano essi stessi. La popolazione può ascendere a 15,000 abitanti. E residenza dei consoli di tutte le potenze europee. Nell’isola Marajò esistono ottimi pascoli e vi si educa mollo be¬ stiame bovino; le carni però non sono troppo saporite. Qualche volta quell’ isola e le adiacenze del Para vanno soggette ad una subitanea inondazione, alla quale danno il nome di pcirorocct , che arreca ai seminati danni incalcolabili. Per fortuna vi avviene di rado. La causa di sì impetuosa piena si è P impiegare che fa la marea nel crescere soli tre o quattro minuti, in luogo di mettervi cinque o sci ore; accavallandosi allora le acque, irrompono colla rapidità della folgore, via strascinando tulli gli ostacoli che loro si oppongono , e sommergendo nella loro furia case , uomini c bestiame. Onde ottenere un passaporto per l’Europa, dovetti per tre giorni sottopormi a noie infinite, compiere varie formalità , e subire una spesa non minore di 10,000 rcis, corrispondenti ad 8 dollari effettivi. 11 giorno 9 aprile 1848, con vento favorevole, salpammo dal porto, e colla guida d’ un piloto del paese, in poche ore ci tro¬ vammo fuori de’ banchi, che rendono tanto pericolosa quella na¬ vigazione. Alla fine, spiegate tutte le vele, ci gettammo nell’immenso Oceano. Le acque, a più di cinque leghe dalla foce dell’Amazzone, con¬ tinuano ad essere di color biancastro e poco salmastre. Nello stesso dì attraversammo la linea equatoriale. Si fe’ una bordata al largo per allontanarci dalla costa della Guajana, la quale non si potè per¬ dere di vista che dopo due giorni. Un calore soffocante impedi¬ vate di rimaner sotto coperta anche durante la notte; a poco a poco però andava scemando a misura che ci allontanavamo dal¬ l’equatore. Le acque avevano ripreso il loro eolore azzurro: i venti favo¬ revoli, gli alisei, che spiravano con forza, ci facevano fare da sci a sette nodi per ogni ora, continuando senza interruzione per dieci giorni consecutivi senza che fossimo obbligali a mutar la manovra delle vele, ed accompagnandoci fino alla latitudine di 25° 30’. Si provarono poscia due giorni di calma ; il vento d’ ovest avendo incominciato a spirar con forza, si corse in poppa sino all’altezza delle Azzorre. I nostri marinai ci tenevano approvvigionali conti- imamente ili dorade, bollite ed altri pesci die guizzavano intorno alla nave, e venivano presi cogli arponi, con dardi, o con grossi ami attaccali per mezzo di lunghe cordicelle alla poppa. Subito dopo i primi giorni di navigazione mi cessò del tutto la febbre intermittente; il riposo, un sano nutrimento, e la gioviale compa¬ gnia del capitano Coste finirono col ridonarmi alla primiera sa¬ nità, e sradicare qualsiasi germe di mali. Si ebbero per qualche tempo in vista due bastimenti, uno da guerra, e l’altro mercantile. La falsa notizia che si era sparsa al Para prima della nostra partenza, cioè che dopo gli avvenimenti politici del 2o febbraio, l'Inghilterra avesse dichiarala la guerra alla Francia, ci metteva in qualche angustia, temendo non aves¬ simo a fare con corsari. Non tardammo però ad essere rassicurati, giacché essi pei primi, restando a sopravento, inalberarono la bandiera e ci salutarono. La prima era una nave della Compagnia delle Indie diretta pel Capo di Buona Speranza, l’altra dirizzava il suo corso per l’America; venuti a parlamento, si ebbero in¬ torno agli affari d’Europa più consolanti notizie, e, scambiata la longitudine, che si trovò precisa, si proseguì la navigazione verso lo stretto di Gibilterra, che al l.° giugno imboccammo a gonfie vele, approdando PII felicemente a Marsiglia. Non appena am¬ messo a libera pratica, partii immediatamente col piroscafo La Ville de Mar stille per Genova, ed il 15 feci ritorno in Lombardia, ri¬ vedendo, dopo una peregrinazione sì lunga c sì avventurosa, dopo aver superati tanti stenti c pericoli, la mia famiglia, i miei amici, la diletta mia patria. . — 273 - CATALOGO delle armi, degli utensili , degli ornamenti , degli arnesi da caccia , e da ;;esca delle varie tribù indiane, stanzianti lungo le sponde del Napo e rio delle Amazzoni , che osservansi nella collezione dell’autore, in Milano. og) oc=rrXr=3C ge¬ li numero progressivo accenna a quello della raccolta, ed il nome è quello stesso dato dagli indiani nei rispettivi idiomi. Anni. 1. Bodoquera o Pucuna degli Xibaros, della lunghezza di brac¬ cia 4 (Vedi Tav. XV, fig. 16). 2. Altra degli Zaparos. 5. Esgrawatana de’ selvaggi Ticunas (Tav. XV, lìg. 1). 4. Idem degl’indiani Yaguas ed Oreckones. 5. Maliri o turcasso, con piccole frecce avvelenale di legno la- quarà, servibili per le bodochere. 6. Dieci dozzine di Virotes o piccole frecce di legno taquarà. 7. Arco grande di legno rosso detto pao d’arco , dei Mayourounas nell’alto Amazzone (Tav. XV, fig. 18). 8. Archi degli Zaparos, Abijckiras e Simiguaès (Tav. XV, fig. 18). 9. Fascio di dodici grandi frecce avvelenate, da lanciarsi coll’arco degl’indiani Muras (Tav. XV, fig. 15). 10. Altro fascio di dodici frecce avvelenate, con turcasso di diffe¬ rente forma, de’ Mayourounas (Tav. XV, fig. 6). 11. Una Mcickana o mazza di legno nero di ciunta, della quale servonsi gli Encabellados per uccidere i loro prigionieri (Tav. XV, fig. 3). 21 — 274 — 12. Altra di differente forma degli Zaparos (Tav. XV, fig. 17). lo. Lancia di legno Maripinina, con finissimo lavoro di piume al- l’ impugnatura de’ selvaggi del rio Negro (Tav. XV, fig. 7). 14. Frecce uncinale di legno rosso del Brasile de’ selvaggi del rio Coary (Tav. XV, fig. 19). Ili. diapiri , o pugnale di legno a punta avvelenata de’ selvaggi del rio Purus (Tav. XV, fig. 22). 10. Scuri di pietra verde e nera degli Abijekiras (Tav. XV, fig. 20). 17. Dieci lance sottili a punta avvelenata degli Zaparos e Xibaros (Tav. XV, fig. 2). 15. Lancia di legno-ferro degli Oreckones, di diversa forma (Ta¬ vola XV, fig. 4). 19. Altre due grandi lance di legno-ferro degli Zaparos (Tav. XV, fig, 11 e 13). 20. Lancia grande con punta d’ osso degli Icquitos e Muras (Ta¬ vola XV, fig. 10). 21. Vlluararà, o unghia di tigre avvelenata, arma delle selvaggio del rio Tefé (Tav. XV, fig. 25). 22. Tubo di canna contenente veleno Llamas (Prov. di Moyobamba). 25. Dicci piccoli vasi di creta contenenti veleni preparati nelle tribù Yaguas, Oreckones, TicunaseMiranhasfTav.XV,fig. 21). 2-4. Altri vasetti contenenti veleni de’ selvaggi del rio Yapurà o Caqueta. 25. Scmlo di pelle di tapir degli Zaparos (Tav. XV, fig. 24). Arnesi «li pesca. 26. Dardo per la caccia de’ lamantini e dei pirarucù degl’ indiani detratto Amazzone (Tav. XV, fig. 12). 27. Arco di frecce con funicelle di pita per la caccia delle te¬ stuggini (Tav. XV, fig. 5). 28. Glica\ o rete per la pesca degl’indiani del Napo. 29. Zuiccid, ami da pesca fatti d’ossa d’animali. 30. Remo, o pala per le canoe. Sanimeli rii itiusicsili. 31. Bobona, o gran tromba dei capi-tribù degli Ànckuteres (Ta¬ vola XV, fig. 8). 32. Guagliacku, o piffero degli Abijcki ras. 33. Altro , degli Zaparos e Xibaros. 34. Pingujo, specie di flauto fatto con ossa di tapiri. 35. Pignutaza-cka, zuffolo col quale gli Zaparos imitano il grido delle pavas e delle piccole scimmie dette cicikos. 3G. Keracka, grande conchiglia terrestre (Bulimus cantagallanus) , della quale forandola tirano un rauco suono, clic serve loro per chiamarsi a vicenda nelle foreste e nella caccia dei pecaris. 37. Cascabel-muyo , fascia di grossi noccioli imitanti il suono dei sonagli, che serve agli Zaparos nelle loro danze. Oniamcnrii maschili. 38. Cuncilialù, berrettone fatto con corteccia d’albero, ornato di conchiglie e piume d’araras, usato dagli Zaparos ed Ancku- tercs in tempo di guerra, riserbalo ai soli cacichi (Tav. XV, fig. 2). 39. Altro berretto di piume del quale ornansi gliZaparos nelle danze, 40. Cerchio ornato di finissime piume a vivaci colori, che por¬ tano gl’indiani del Quixos ne’ giorni di festa. 41. Altro berretto screzialo di piume rosse, verdi c turchine dei selvaggi deU’Amazzone. 42. Altro di pelle di gatti tigrati con codazzi di peli di scimmie, or¬ namento di guerra degli Ànckuteres. 45. Altro di penne delle ali de’ pappagalli degli Ànckuteres. 44. Altro de’ selvaggi del rio Negro di diversa forma. 45. Altro degl’indiani Mundrucus del rio Tapayos. — 276 — 46. Due scellri di piume d’araras e di loueani, di cui servonsi i Mundrucus nelle loro danze. 47. Tayo, bizzarro ornamento degli Xibaros e Zaparos, riservalo ai soli curacka quando assistono a qualche festino, formato di tibie d’avolloi simmetricamente ordinati e riuniti con fili di pita , semi, denti di scimmie ed ali lucenti di grandi bupresti. 48. Gliaitù , o cerchio adorno di piume di touean , clic portano nelle feste gli Jumbos. 49. Camicie di corteccia d’albero di gianciama (Tav. XI, fig. 1). 50. Altre a varj colori di gianciama. 51. Ringri-huaci , pennacchi che fanno passare ne’ fori delle orec¬ chie gli Zaparos del Napo. 52. Tzamarosicià-keracka, collana di conchiglie fluviatili (iridine), di cui vanno adorni gli Zaparos ne’ loro balli. 55. Tzamarosicià-neunucià , altra di piccole conchiglie (Unio) , usate dagli Abijckiras e dai Canelos. 54. Gliuscia-gliaìtù , altra collana per balli. 55. Tza-sanackanacka, collane di sementi dell’albero detto Inayo , col di cui legno gli Zaparos fanno le frecce. 56. Aya-muyo , ornamento di penne d’araras, con spoglie intere di uccelletti, di rospi e rettili, c rostri di toucani per le feste degli Zaparos. 57. Apassò : se ne adornano quando vanno i Zaparos a far visita ad indiani di diversa tribù. 58. Namucknacka degli Zaparos, o Pelanso degli Jumbos; collana di sementi odorose con baccelli di vaniglia, che si mettono attraverso il corpo. 59. Uticcià, piccolo collare di pietruzze nere, che portano legato al collo gl’indiani del Quixos e gli Zaparos. 60. Jmalina-icciari, grande collana di denti di tigre, che portano > tigre denti i caciehi ed i guerrieri del Napo. 61. Imatina- agitasti, altra collana di unghie di tigre. - 277 — G2. Uckumari-icciari, collana di denti di orsi. 36J Aya-ciumbi, grande fascia formata di treccie de’ capelli de1 ne- s morto capelli mici uccisi ne’ combattimenti degli Zaparos e Xibaros; or¬ namento di guerra e delle feste funebri. 64. Icca-icciari, collana di denti di pecaris. 65. Tapa-rcibo, pezzo di gianciama col quale copronsi i selvaggi le parti sessuali. Ornamenti femminili. 66. Ture-icciari, collana di denti di lomnccia e di altri rosicanti. 67. Quatecko-icciari , collane di denti di grosse scimmie, araguatos e ckotos. 68. Patoa-icciari , collana di denti di piccolissime scimmie. 69. Idem , altre dodici collane di semi, di piume, di conchiglie cyclostome delle Tapuyas dell’alto Maragnone. 70. Murupisci, collana di semi degli Zaparos. 71. Sciupino , cintola di semi diversi. 72. Huiririna, cintola di grossi semi di palmizi. 73. Ckuri-sciundo-rigra, collana di ali d’insetti lucenti. 74. ( Non denominati ). Braccialetti varj fatti con pelli di grosse igua¬ ne e di serpenti. 75. Idem, altri di piume di paucki degli Oreckoncs. 76. Tuvasci , pendenti di cocco degli Jasunis. 77. Idem, pendenti di conchiglie degli Jasunis. 78. Idem, pendenti di piume de’ Ticunas. 79. Strettoi di gianciama. 80. Ventagli di vimini degli Zaparos Simiguaés. 81. Ciusma o camiciuola de’ piccoli fanciulli di corteccia. 82. Grcmbialetto di semi, col quale copronsi le parti sessuali. 83. Idem, di piume d’araras e loucani. 84. Idem, di foglie di palmizj. — 278 — Ariucsi fTcBumiifiiSi* 85. Aritataro , strani pettini degli Zaparos. 86. Hijkioto, aghi da cucire fatti con denti di rosicanti. 87. Piruro, specie di fuso per filare la ciambira. 88. Ruckuaza , gratuggia a punte di legno per raspare la mandioca. 89. Idem , altra delle Tapuyas dell’Amazzone, fatta colla lingua ossea del pesce pirarucù, colla quale raschiano il guaranà (Vedi al n.° 127 del Cai.). 90. {Senza denominazione). Varie borse di ciambira a varj disegni e grandezze, delle quali si servono gli Zaparos per riporvi l’esca, le pietre focaie, i cerini o resine, il veleno, gli anti¬ doti pel morso delle serpi, ed altri arnesi quando fanno le scorrerie o vanno alla caccia. 91. Idem , altra borsa grande o rete servibile alle donne zapare per trasportarvi i bambini nelle scorrerie. 92. Idem, bicchieri di grosse canne del Suro barando. 93. Idem, due grandi cofani delti Zaparos , fatti di giunchi, in cui gl’indiani del Napo conservano i loro prodotti. 94. Idem , altro di vimini. 95. Idem , scalpello per la scannellatura delle bodochere degli Za¬ paros fallo coi denti di grossi rosicanti. 96. Idem , setaccio per filtrarvi la loro chieha. 97. Cuyas, o calebasse, dipinte a colori vegetali che si fabbri¬ cano ad Egas. 98. Mecero o accendifuoco delle Tapuyas dei dintorni di San Pablo d’Oliveinca. 99. Amache, o letti pensili di forme differenti de’ selvaggi del Napo. 100. Idem, altre di filo d’agave colorate dagli Abijckiras. 101. Idem, altre degl’indiani Yaguas cd Orcckones. 102. Idem, altre dei capi tribù, di finissimo lavoro, ornale di piume d’araras e loucani. — 279 - Vario produzioni. 103. Pitti , o ciainbira filala e lolla. 104. Pitti naturale o filo d’agave. 105. Mazzi di paglia toquilla, colla quale tessono le amache e fanno corde. 106. Guayussa, foglie di cui servonsi i Zaparos per bevanda a guisa di thè. 107. Saggi di vaniglia e di davo (canella silvestre) de.’ boschi del Napo. 108. Varie sorta di esca, estratta dalla foglia dell’ /lndromac/na igniaria, altre di criptogami. 109. Achole o roucoù, che estraggono dal frutto della Bixa Orci- lana, di cui gli Zaparos fanno uso per dipingersi il corpo c la faccia in rosso. 110. Wito , colore per dipingersi il corpo e le mani in nero (in¬ delebile per più settimane^). 111. Gìanciama, o corteccia naturale preparala, che adoperano gli Zaparos per fare le loro camieiuole. 112. Mucucù , sorta di vernice che servonsi per dar lucido alle cuyas (calebasse) ad Egas. 1 13. P lassai) a , fili del frullo d’ un palmizio coi quali inlessono cor- daggi per barche alla Barra do Rio Negro. 114. Brea o mastice, sorta di bitume che adoperano i selvaggi per intonacare le bodoehcre. 115. Cere diverse del Napo, gialle e nere. 116. Cera vegetale che cavasi dal fiore del Laurus. 117. Tabacco del Payamino (Quixos). 118. Specie di tabacco narcotico, che fumano gl’indiani del Cerlam e del rio Tapayos, e specialmente dai Mundrucus. 119. Resine diverse delle foreste de! Napo. 120. Tavarì, o papiro americano, col quale s’involge il tabacco nell’alto Amazzone. ‘280 121. Seijbo , specie di cotone lucente. 122. Guoyaco , ed Ojo de venado, antidoti contro il morso delle serpi. 125. Salsapariglia del rio Napo. 124. Legni varj d’ebanisteria. 125. VHuassacù, o sugo medicinale per la cura dell’elefantiasi; potente caustico. 126. Tamaquarè , o latte d’albero, usato per la cura delia scabbia. 127. Guaranà , composto con fruiti del Sorbillum brasiliensis , di cui servonsi per bibita ordinaria gl’indiani dell’alto Amaz¬ zone. 128. Varj saggi d’oro dei fiumi Napo, Payamino, Coca, Aguarico e Curaray. — 281 - BREVI CENNI SULL’IDIOMA ZAPARO corredato d'un[saggio di dizionario e di alcuni dialoghi più necessarj pel viaggiatore. — - 000-0 O-O-O-o* - La nazione selvaggia degli Zaparos non oltrepassa il numero di 20 a 25,000 individui, secondo le notizie assunte nell’ Equa¬ tore. Questi occupano quella parte di territorio, che sta fra il fiume Napo ed il Pastazza fino allo sbocco del Curaray, divisi in varie tribù, viventi in rancerie o maloche , più o meno numerose c distanti. La loro lingua è sonora, chiara, di facilissima pronunzia, mas¬ sime per gl’italiani, e ricca di vocaboli1!. Rimasti abbandonali que’ luoghi da più di un secolo, e ritira¬ tesi le missioni, nessun viaggiatore che visitò l’America meridio¬ nale, fu tentalo di esplorarne di nuovo le foreste, ed è per tal motivo che nessun cenno finora è stato fatto di questo interessante idioma affatto differente dalle lingue Xibara, Incas, Cerai, Gua¬ rani (lingua generale) 2). 1) Deve essere pronunciato precisamente in italiano come si trova scritto, colla sola differenza di alcune parole, il cui suono gutturale nelle aspirate si pronuncierà come ich tedesco. 2) Uno dei nostri più distinti filologi italiani, l’ottimo professore Biondelli, direttore del Gabinetto numismatico di Brera, al quale aveva comunicato questi pochi cenni sulla lin¬ gua zapara , fece i seguenti interessanti riflessi, ch’io credo prezzo dell’opera rendere di pubblica ragione. Signor Osculati. Milano, il 30 Agosto 1849. Le rimando i Cenni sulla lingua zapara da lei raccolti nel difficile c pericoloso suo viaggio lungo le rive del Napo, e la ringrazio di vero cuore per avermeli comunicati. Ella si è benissimo apposta nel divisamento di rendere il suo viaggio proficuo eziandio alla linguistica, raggranellando questi elementi d’ un linguaggio sconosciuto sinora al mondo incivilito, e compirà la sua lodevole impresa, se, come ebbe a manifestarmi , li renderà / — 282 — Articolo. Maschile singolare. Maschile plurale. Som. il no. Som. gli aira Gen. del no-'i. Gen. degli airata Dal. al no‘i-ira. Dat. agli nucua-cay. Acc. il noi- qui. Ace. gli aira. Abl. dal nucca-casina. Abl. dagli nucua-casina. quanto prima di pubblica ragione colle stampe. Vadano pure gli avidi speculatori a rac¬ cogliere le sabbie aurifere in California ; per lo studioso amante dell’ umanità c del pro¬ gresso le nuove cognizioni clic valgono ad aggiungere qualche pagina al gran libro della scienza, patrimonio comune della società, saranno mai sempre gemme più preziose, e per molteplici riguardi più utili. Peccato che non abbia potuto spigolare di più, e regalarci un maggior numero di materiali , sui quali poter più diffusamente svolgere il naturale organismo di quest’idioma.' Contuttociò anche questo brano è bastevole ad istituire un confronto , ed i filologi europei le sapranno buon grado anche del poco. Approfittando dei troppo brevi ritagli di tempo che le attuali mie occupazioni mi permisero , non ho intralasciato di confrontare questi brevi Cenni coi materiali procurati dagli instancabili Humboldt, Spix, Marlius, New-Wied, Seetzen e Valer, delle varie lingue indigene dell’A¬ merica meridionale, e specialmente coi saggi prodotti dal Yeigl e dall’Hervas delle lingue degli Amaonos e dei Cahuaches, della Andoa, della Yamea c della Encabcllada, della quale 10 stesso llcrvas , senza addurne veruna prova, considera la Zapara come dialetto; ma con mia sorpresa non vi bo riscontrato la minima affinità o consonanza, sia nella parte etimologica, sia nella grammaticale. La sola analogia che in qualche modo potrebbe rag¬ grupparle consiste nell’insieme del loro organismo , nella complicazione cioè delle forme grammaticali, nella quantità degli affissi e dei suffissi, c quindi nelle modificazioni che subiscono i nomi ed i verbi giusta la natura del loro regime; la quale uniforme tendenza delle lingue americane, come osserva sapientemente Alessandro Humboldt, se non basta a guidare il filologo ad una classificazione delle medesime, vale almeno ad attestare una somma analogia nelle disposizioni intellettuali dei popoli che le parlano, dalla lontana Groenlandia sino alle terre magellaniche. Non ebbi agio nè tempo per intraprendere un simile confronto colle lingue primitive dell’America centrale e settentrionale, onde stabi¬ lire, se per avventura la tribù zapara emigrasse un tempo da quelle regioni per trapian¬ tare le sue cruente capanne del N'apo; sebbene si possa agevolmente argomentare, ebe eziandio questa prova avrebbe avuto un risultamento negativo. Se dalle parziali indagini instituite sinora il numero delle lingue americane radicalmente distinte raggiunge quasi 11 migliajo, un terzo delle quali appartiene all’America meridionale, non è punto verosi¬ mile, che la lingua zapara chiaramente diversa da quelle che la circondano, serbi qualche affinità colla più lontana. Ad ogni modo egli è certo eh’ essa porta con sè i caratteri di lingua primitiva sintetica, non senza qualche sviluppo analitico prodotto forse dal succcs- - 283 — Femminile singolare. Noni. la noi. Noni. lo cu. Gcn. della noira. Gcn. dallo cu-ali. Dal. alla noiqui. Dal. allo nuiqui. Acc. la noi. per lo, per la noirala. Ahi. dalla nucua-ina. Neutro singolare. Ilei uomo. IL CANE. Singolare. il cane del cane al cane il cane dal , col cane airocko. nucua airocko. airocko liuira. airocko gina. airocko cutu. Plurale. i cani dei cani ai cani i cani ( lai , coi cani airockù. curuquan cay ayrocku. airocku cuaira. airochu. airocku cuata. LA DONNA. Singolare. Plurale. la donna della donna alla donna la donna dalla donna itiuma. nucua itiuma. itiuma huira. itiuma gina. itiuma cuta. le donne delle donne alle donne le donne dalle donne itiumuira. nua cay itiumira. itiumira cuaira. itiù cuagina. itiuma curata. sivo sviluppo intellettuale ili (incili clic attualmente la parlano. La forma ordinaria dei vocaboli, la loro terminazione costante in vocale, più spesso piana, e sopratutto l’equa distribuzione delle vocali e delle consonanti, la caratterizzano lingua armonica ed atta per eccellenza alla poesia. Nè sarebbe stato per avventura superfluo il rintracciarvi qualcuna delle loro canzoni, onde iscoprirne il metro , giacché trovando nel di lei saggio di voca¬ bolario le parole distinte, cantare, gridare, fischiare, parlare c simili, parmi clic si possa con fondamento dedurne l’esistenza. Checché ne sia, io mi congratulo seco lei per la pa¬ zienza colla quale ha saputo raccogliere il poco che le rendo, il quale, comunque poco, è però bastevole, quando venga opportunamente analizzato c studiato, a condurre il filo¬ logo a nuove ed utili induzioni. Se tulli i viaggiatori che la precedettero avessero fatto altrettanto, anziché correr dietro alle variopinte penne dei pappagalli e dei colibrì , non avremmo a deplorare oggidì le immense lacune e le molte incertezze che rallentano lo sviluppo della scienza etnografica in America! Mi creda con perfetta stima Uno devotissimo B. Biondelle 284 - L’ALBERO. Singolare. Plurale. l’albero nackuna. gli alberi nackunacua. dell’albero nucua nackuna. degli alberi nucua cay uackunacka all’albero nackuna huica. agli alberi nackuna cuaira. l’albero nackuna gina. gli alberi nackuna cuagina. dall’ albero nackunata. dagli alberi nackuna cuata. Alcuni Sostantivi. Dio Puètzo. Vista nuckino. Cielo (firmamento) niacosina. Edito iossino. Diavolo (stregone) zamaro. Odorato nosuno. Fuoco anamickucia. Tatto ickano. Terra jacua. Suono ainucko. Acqua muriccia. Testa anackacka. Sole janockua. Naso nuhùcua. Luna cacickuo. Bocca atuapama. Stelle naricka. Denti icarè. Terremoto irissa. Cuore huissià. Tuono hucenacka. Mano hickoma. Lampeggio tanicuelacka. Gamba huissiacku. Chiaro huizacka. Braccia curpmasacka. Oscuro nignacka. Sangue unnacka. Giorno nucuaekate. Vena cuizano. Notte nignacka. Fiato parata. Sera neatenacka. Occhi namisia. Estate ianopua. Orecchie laure. Inverno liumaroaqui. Venire m arama. Alcuni Aggettivi. Grande queracka. Maturo upaca. Piccolo nicicoqui. Forte tucurucka. Grosso queracka. Brullo asacociclia. Basso iaquaqui. Valoroso zirancano. Largo queraito. Bianco uckino. Lungo sahacka. Negro caqueno. Pesante ignacka. Rosso natuno. Magro masico. Sano huizano. Grasso zatuno. Infermo quizojano. Amaro hipano. Gli Zapari servonsi del vocabolo querelilo per indicare una cosa grandiosa -, querelilo muriccia , gran fiume ; e sembra aver la derivazione dalla parola queracka, grande, ed hitOj più, per esempio : querailo taucko, gigante uomo. Servonsi del vocabolo nianucka per diminutivo, laucko nianucka , omiciattolo, muriccia nianucka, fiumiccllo. Pronomi personali. 1.» PERSONA SINGOLARE. l.a PERSONA PLURALE. Noni. io cuy. Nom. noi cana. Geni. di me cuira. Gen. di noi canaira. Dal. a me cuirata. Dal. a noi canairata. Acc. me cuy. Acc. noi cana. Abl. da me cuirata. Abl. da noi canairata. 2 a PERSONA SINGOLARE. Q a PERSONA PLURALE. Noni. tu cka. Nom. voi quinà. Gen. di te quira. Gen. di voi quignaira. Dal. a te cka. Dal. a voi quignata. Acc. te quiraira. Acc. voi quinà. Abl. da te cka. Abl. da voi quignarata. 3.a PERSONA SINGOLARE. 5.a PERSONA PLURALE. Nom. egli noi. Nom. eglino nucnacay. Gen. di lui no'ira. Gen. di loro nucuacayra. Dat. a lui noirata. Dal. a loro nucuacayrate. clCC. lui noi. Acc. loro nucuacoy. Abl. da lui noirata. Abl. da loro nucuacoyrata Questo , questa , questi , serve per tutti e tre la parola nicka o nukuci. Quel, quello, quella, dicono indistintamente nolmi. Il quale, la quale, tiacaca, uno, nuquaqui, alcuno, canajara, nessuno, canaqua. Numerazione. La numerazione non arriva che ni tre , dal (re al sette vanno contando per paja, per esempio : Uno nuquaqui, Due namisciniqui. Tre haimuekumarachi. Quattro namisciniqui ckaramaitacka Due paja ossia 286 — Due paja e uno ossia Cinque namisciniqui karamailacka nuquaqui. Tre paja a Sei haimuckumaracki ckaramaitacka. Tre paja e uno n Selle liaimuckumaracki ckaramaitacka nuquaqu La parola citar am ai tacita significa paja. Naquaqui significano uno. Gli altri numeri li accennano colle dita sino al IO, e per gli altri usano indistin- tamcnte la parola ciana, che significa molti. Veri»!. ESSERE. Essere iquino. Plurale. Essendo iquica. Noi siamo cana ta. Stalo iqui. Voi siete quina ta. Per essere iquino sinata. Eglino sono nucuaca ta. Indicativo presente. lo era cui iquica. lo sono cui-ta. Noi eravamo cana iquica. Tu sei cka-ta. Io fui cay iquacka. Egli è noi cuita. Noi fummo cana iquacka. Sono stalo cui iqui. CANTARE. Cantare orano. lo cantai cuy oragna. Cantato cuy na ora. lo canterò cui na ora. Cantando oraca. lo canterei cuy ale oragna. lo canto cuy oraicka. Imperativo. Tu canti Egli canta Noi cantiamo Voi cantale Eglino cantano cka oraicka. noi oraicka. cana oraicka. quina oraicka. nucua cay oraicka. Canta tu Canti egli? Cantiamo noi Cantino queglino dia ta ora. nohuita ora. paolo ora. quinata ora. GRIDARE. Gridare acano. Io gridava cuy acagua. Io gridai cuy acacà. Io grido cuy acà. lo ho gridalo cuy atina aca. RUBARE. Rubare uocoano. 1 Rubato nucò anzian. Rubando nocoacka. — 287 — A A D A 11 E. A ndare Anelalo Andando Io vado Tu vai Egli va Noi andiamo Voi andate Eglino vanno oekuno. ocku. ockueu. Presente. cuy ockù. cka ockù. nohui ockù. vana ocku eia. quina ockù eia. nucua cay ockucià. Imperfetto. Io andava Io andai Io andrò Va t u Andiamo noi Andate voi cuy ociuho. cuy ockuhua. cuy ockeià. Imperativo. ckatu ocu. paolo cu. nohui ta ocku. N. B. Non essendo ben sicuro della conjugazione del verbo Avere , e degli altri tempi che mancano ai verbi Essere, Cantare, Gridare, Rubare qui accennati, ho creduto bene di non farne parola. Avverltj. Mollo cuma. Da quando in qua tiamackari anitiza Poco asati. Oggi jari. Di fronte masacate. , ieri tiackari. Poco a poco zuraque. Nella notte nignacka. Da vero itoza. Dimani tareque. Abbastanza cuma. All’alba tarecco. Pia llitO. Questa sera niecia niotiniaca. Meno asati. Il dì seguente a packuasa canle. Tanto hiaicka. In altro tempo lamackari. Quasi aquera. Molte volle cuma. Una volta nucuaquirà. Ora no aita. Due volle namickiquiquirà. Prontamente nicariqui. Tre volte haimuckumaraquira. Tardi neatinacka. Ora lari. All'albeggiare ta catizacka. Di LUOGO. Dove lai. Di sotto tickerickama. Ver dove taiza. Di fuori bunumasira. Per là carni. All’intorno taquiotacka. Pn'i in là luto carni. Lontano taicua. Più in qua Dito ani Vicino aniqui. Là hati. Fin qui anitirà. In cima nizina. Fin là cani irai. — *288 — Affermativi. Si ichija. No aitià. È vero itorà. Non più na-tacua. DEI TAVOLA ALFABETICA VERBI PIÙ USITATI NELLA LINGUA ZAPARA. Abbassare iquano. Cercare packeno. Abbruciare oekamaruno. Chiamare pignono. Accendere atoa-teno. Chiudere niscimutano. Accompagnare. aramuckuno. Commendare tarackeno. Accusare otino. Correre hassino. Affilare cockuno. Crescere zapetano. Affogare muricia-hina-puqueno. Cucinare o arrostire maickino. Allattare acqua nel morto zupeno. Dare ckaquino. Allontanarsi taiquera. Dire alino. Alzare aciciano. Dimagrare massiquino. Amare hickano , paniciano. Dormire mackino. Andare Arrivare ockuno. cockueno. Essere iquino. Ascoltare Assoggettare numino. anicià hiciano. Faticare piroquelano. Attingere tackitano. Fischiare ioneno. Attraversare hùquano. Fregare zuckurini. Aver sete hichjà-rino. Frustare massaqueno. Azzuffarsi hopiono. Fuggire nascini. Baciare tzohuno. Governar la canova huitza-mino. Bagnarsi ckaisciuno. Granare arisciuno. Ballare per saltare sickino. Gridare ackanu. Bastonare supiciano. Guardare nuquino. Bere huireno. Guerreggiare hamuno. Cacciare numuno. Imbarcare biava bino ockuno. Cadere ictino. Incominciare otuno. Cantare orano. Ingannare zapinockuno. Castigare mackaqueno. Inghiottire imano. Caricare anino. Ingrassare zutuino. Cavare huilano. Inviare Iiierocknno. - 289 — Mangiare alzano. Seguire Marnarsi ackamino. Seppellire Masticare saqueno. Serrare Mentire tamautuno. Soffiare Mirare nuquino. Sognare Mordere zaino. Sospirare Morire puqueno. Spaventarsi Spedire Nascondere guiatzono. Spidocchiarsi Navigare hiara-liino-octuno. andar in canova Spingere Negare iumeno. Spogliarsi nudo Nominare haitiono. Spillare Orinare tzancno. Squartare Stare Parlare acacujùno. Sternutare Partire naickano. Stirare Partorire ickoqueno. Strappare Perdere mascino. Stringere Pescare tzuiono. Succhiare Peleggiare mijhiono. Sudare Piegare tupaitano. Svegliare Piangere ainuno. Prendere Iiiciano. Tagliare Provare sanino. Temere Tender la rete Ricevere matzino. Tenere Ricompensare riquano. Tessere ràdere tzalano. Tirare Riposai e piruquateno. Toccare Risanare icketano. Travagliare Rispondere arequano. Rompere liscino. Ubbriacarsi Rubare nuquano. Uccidere Russare muéquano. Ungere Saltare sickino. Vendicare Sapere aitino. Venire Scaldare hupanono. Vivere Sciogliere tzaquitano. Vomitare iscino. luimono. nickimano. nohuino. macke-Iiono. nacketano. piritano. liiero-Iiono. zuquanaqua Iiiciano pidocchio prendere ciricio-hono. citano-lasciro. aruchkùjano. raauckuno. iquino. ackisioneno. toruno. arizuno. cumino. supueno. ackino. inoquano. maackana. pcreno. rickaino. ickano. citano. haatano. ickana. namirockano. mackani. huagnucliini. arini. cramiteno. aniciano. iquino. ckimackono. 99 290 - SAGGI DELLA LINGUA a A PASSA. Abbasso huamira. Abbraccio ackamaru. Abbastanza cuma. Acqua muriccia. Affaticalo piruquereno. Agro hingiricka-ta. Ago da cucire hiekioto. Alba tarreccò. Allegro huizano. Albero nackuna. Allo , alla sabito, sahacka. Amaro , a hipano, hipaka. Amaca, letto pensz7enuqua. Amabile, buono huizano. Ammoglialo nckumuqueno. Amo da pesca zuicià. Anima ( spirilo ) zagueno. (queno Annegalo muriccia bina pu- aoqua nel morire Ape muruhan. Aquila sisika. Aria paratu. Arena hiocka. Arco ariucka. Ardilo hanajcia taucko. forte uomo. Avanii taquira. Bagnato zutuno. Barba amu. Barbuto hamuano. Bastone supicia. Basso iaquaqui. Bello huizano. Bene hati. Bica nijicka. Bianco uckino. Bocca atuapama. Borsa ckamizocke. Bosco nacku. Braccia curcmasacka. Bravo zeranckano. Brullo asacocicka. Budella marcochu. Buffone quatecko. Bugiardo scimia tamu-tuyano. Buono huizano. Cadavere puquereno. Caldo achino. Calvo ciacka-cana-hano. Cammino nù. Camole ( palala ) imazacka. Candela-lume anamisciocka. Cane airocko. Canoa jara. Capanna itia. Capelli anaqueso. Capo di tribù curacka. Carbone nisciacka. Carne isciù. Cenere anamucka. Cera tupacka. Certamente, sì hiichja. Cervo nickero. Chiaro huizackà. Cicatrice hisia-zaraqui. Cieco namisiatcco. Ciglia tarccko. Coccodrillo manarè. Coda hohumack. Collo utusna. Colpo apino. Coltello ( gna zapuqua, ckiro Cordiliera , monta tuanacka. Corpo mahacka. Corrente dell' acqua assio. Cosa buona huizano. Cosa cattiva asacoscià. Cosa grande ckirack. Coste hirocke-cuqua. Cotone per segbo tzarequa. Cranio scimanacka. Crudo mackano. Cuore huissià. Debole picckara. Denti icaré. Diavolo zamaro. Difficile hihja nickatucua. Di là aniti-hij. Dimani tareque. Dio Puétzo. Dito canacka. Dolce hisckocuacka. Dolore nockuereno. Donna itiuma. Dopo domani tamacka- tarick. Dritto nasà-nasata. Duro tackuruckia. Erba josuqua. Estate janoqua. Elisia hetzohjano. Facile nickaitucna. Fagiano paucki. Falce mascito. Fanciulla manino itiuma. Fanciullo mearicka. Fango rapacka. Febbre ckizocka. Fegato coasa. Femmina hiliuma. Ferita hisiarariqui, Fetente apitacka. Fiato parata. Fiele hipacka. 291 — Fiori tuiccia. Fiume, acqua muriccia. Foglia zaucko ami. Formica quana-ckuno. Forte tocurucka. Foresta nacku. Franco huizano, Freccia rinqua, saissiva. Freddo zoelmeno. Fronte hisicua. Fuoco anamiekucia. Fuori unumackira. Forno anasacka. Gallina eackaracka-hitiuma. femmina Gallo cackaracka- taucko. maschio Gamba huissiacku. Ghiottone hickocicka. Gigante ckiracka. Ginocchio liackerocka. Giorno nucuàckate. Giovane tamaninn. Qiunco {canna) ckaraucka. Gobbo imutujacka. Gola huttu. Gomito ninsua. Governatore curacka. Grande queracka-queraitu. Grasso , a zatuno-zatucka. Grazioso zutaitu. Grosso qucracka. Gusto huizano. Indiano vile ckoscia-taucko. Infermità quizockua. Infermo quizono. Innamorato panituqua. In lutto il giorno ckoira-ckateno-hino. Invano lamassà. Inverno humaroaqui. Istante asaiti. _ 292 — .Ieri tiackari. Labbra jazoque. Ladro imcuatuek.ua. Lagrime anituckua. Lampeggio lamcuetacka. Lancia ackino. Largo queraito. Latte ckila. Leggero niackariqui. Legna aisiacka. Letto pensile umatuqua. Lingua ririccià. Lucertola tsirickano. Lumaca pauacka. Luna e mese cacickua. Lungo sahacka. Lupo ckaranano. Magro niasico, masicola. Male asacocicka. Malvagio assacoscino. Mammelle quitiasa. Mano hickoma. Mansueto huchnano. Mare e lago lmmiacka. Maritato ackatnueracka. Maschio taucko. Mattina larìcaqui. Maturo u paca. Mento musaquo. Molle picogno peroqua. Molte volte cuma. Morsicatura tzai-ciarecka. Morto puqueno. Munco ickioma. Muto ackaso-huyacka. Naso miliùcua. Negro caqueno. Nido pisco-huqucno. No baita. Notte nignackà. Nuovo zamicka, zamino. Occhi namisià. Odore liapitano. Odorato nosuno. Orina tzani. Orecchie tauricke. Oro ckuri. Oscuro nignackà. Ossa ucu. Ozioso sickano. Padre cu ma no. Palo amackà. Palma della mano icioacka. Palpebre nasapi. Pappagallo soracka. Passero pisciack. Pauroso itiuma. Pazzo ripasciano. Pelle hicioqua. Pelo anaqueso. Persona taucko. Pernice niguali. Pesante ignacka, ignackala. Pescatore zuitoqua. Pettine ari tataru. Petto tarneckua. Pianta del piede numachu. Pianura aniscina. Piccolo nicicoqui. Pidocchio nuquanacka. Pidocchioso zuquanaracka. Piede hinocka. Pieno , a nczeacka, nczeackata, Pietra naruqua. Pigi o sicamo. Pilce (vaso) tzamaricho. Pioggia humaroa. Pioggia dirotta cslurnaro. Piu cuma. Poco a poco zuracki. Polmone hu ini ridia. / Pulso culzano. Porco liiari javari. Prurito aguazino. Pugno agiraitanu. Pulce airocko zuquanack cane pidocchio Quanto hihjà. Questo niccia. Qui ani. Ragazzo conunaeka. Ragno manino. Raggio del sole ianuqua. Rete nicka. Rosso natuno. Sabbia aiocka. Sale iciocka. Saliva aruacka. SangiLe nunacka. Sano e salvo huizano. Sarbacana au. Scarabeo dello stereo auiruqua. Scimmia quatecko. Secco mauno, maucka. Secreto niackoaqui. Semente maacka. Sentiero un. Sepolcro ekinia. Sera neatenacka. Signora hanu. Sì hijchjah. Sole janockua. Sorcio ckasciriccia. Sordo tauckemensù. Sospiro najetano. Sottile nickata. Spalla tamisina. Specchio naquitara. Spina ickioacka. Sporco husococicka. Sposa inicka. Stella naricka. Sterco huiacka. Stesso noira. Suono ainucko. Taglio mazasiqui. Tallone asuchiia. Tatto ickano. Tempo ckì. Tempo d'estate ianocquacki. Tempo d’inverno umaruacki. Tei ra iacua. Terremoto trissa. Teschio anackecko. Testa anackacka. Tigre )ed ogni sorla di galli tigrati) imatini. Timido itiuma. donna Torlo suituyaca. Tuono huccnacka. Ubbriaco ipino. Uccello piscko. Udito iossino. Umido tzutuqua. Uomo taucko. Uova ickuqua. Ungici agnacki. Valoroso zizancano. Vecchio iarosna. Vedova macicko. Ventre marama. Verde apacka. Vergognoso cariraqueno Veleno numanacka. Vena cuizano. Vendicativo apicutucua. Vespa ackapacka. Vista nuckuino. Vipera conu. Vomito ckiniacka. Zanzare scinacka. Zucche uparoi. Questi pochi cenni sulla lingua Zapara li devo in parte alla compitezza del D. Villa Vincencio, il quale durante i tre mesi di mia dimora al ISapo fe’ venire da La- guano il figlio maggiore di Sandoval, che conosceva passabilmente quell’idioma. ( Vedi la noia a pag. 140.) EMalogfai e frasi più necessarie a sapersi nella navigazione del Napo. Come slai? Sio bene. Come sla tua moglie ? È inferma. Mollo male. Mi spiace. Mi rallegro che tu slii bene. Salutala a nome mio. Vengo a salutarti. Quando parti? Dimani a sera. Ti aspello nella capanna ( malocca ). Accetto. Addio. Tu vai colla canoa ? No, vado per la foresta. Il cammino è più corto ? Sì. Chiamami il cacico ( governatore). Dove dimora ? Che venga prontamente. Tia-ckate ickicià. come tu stai Huizano cay ickicià. buono io sto Tia quiriciano ti ickicià. come moglie tua sta Nouhi arirocku. Hijhaja cocscia. Cuta rasckicia curna. lo sento molto Hicià qui ickicià cià huiza iquino hina. rallegro me stare tu buono esser fama Cka nati cu cuai tia quiate ickicià. tu dirai mia parte te come stare Cu anicià atimura cu iquà. ti vengo a dire me ne vado Tia micia eia ma iqua. Come quando tu te ne vai ‘ì Tareccka niati nacka. notte Guy etiama cu tascki-cia. io capanna mia aspetto te ISTa cui namuare. così io farò Cu iquà. me ne vado Hiara hina ciate iquacka ? canoa nella tu vai Aita nacku cama cu iquacka. no bosco per me vado Mito nassai ta? più dritto è Ichijah. Cha curacka pino, tu governatore chiama Tia note ickicià. dove egli stare Niacaricki no ani. pronto che venga Tui cià- te iqua? Dove tu vai ? Al busco. Donde vieni ? Va via. Sorti. Ascendi. Entra. Discendi. Non fermarli. Sta tranquillo. Non li muovere o sei morto. Scostati. Non andartene. Aspetta un poco. Non andar tanto veloce. Andiamo. Andiamo lestamente. Vieni qua. Va là. Più lontano. Più vicino. Stai dormendo? No! sono sveglio. Ascolta una parola. Olà. Io ti amo di cuore. Non li intendo. Che dici? Chi è quell’uomo? Come ti chiami. A che serve questo? Come si dice? Questo si dice. — Nacku inai. bosco al Tai cka te anieiano. dove tu venire Già ocku. Già caqueta. Già mackù. tu monta Cià tuckui. Già ocku. Cià ackicià ma qua. tu stare te no Cia icki pucià. tu sta tranquillo Già aru qua puqueno ckaquino. tu muover no morte dare Cià iqua. Cui cua maqua. Cià tascki hihjà asati. tu aspetta si un po’ Cià ocku cka hihjà niackariqui. Iquà. Niackariqui pa-iquà. lesti noi andare Cià nemera. Cià carnira. Ito taiqua. * Ito aniqui. Ciate maquequa. Aita qui inoquaqua. Cià (ockii uuquacki ackasuhuzacka. tu ascolta una parola .lano. Cui panicia cia cuma. io amo te molto Taigua cu tockino. Cazacka ciale aticià. Cana te nicia taucko. Tiacka te ekia icko. Ckazaekà ira te huizacko canuquc? Tia te atisciùquta ? Niccià atisciù la. — 29G — Mangiare. Bere. Ho fame. fi/uojo di fame. Dammi da mangiare. Andiamo a mangiare. IL cibo è pronto. Sedili vicino a me. lo mangio di tulio. Non è ben arrostila gnesla scimmia. È saporita la carne. Cui nicià huigno. fame Cu puqueno huigno hichjà . Cià quigna aza azano. Pà aza-qua. Tarila nuqua aza zaca. Cià cu ciriqua icu. Cui azaicià coira cazackà-cury. (tccko.) Taiquan huizà naricia rccka nicià qua- Nicka azazucala hichjà ickaca. Andare. Venire. Non sla qui. Dove sbocca questo fiume? Sei fuori di cammino. lUoslrami il cammino. Accompagnami. Sono stanco. Non posso camminar dipiù. Riposiamo un poco. Entriamo in questa maloca. È l’ora di partire , andiamo. Portami tu. Dammi il bastone. Il sentiero è pessimo. Dove s’andrà a dormire? Passato il rio Curaray Come si passerà. Facendo una balza {zattera). È inolio lontano il l ambo {capanna)? Arriveremo al tramonto del sole. Oggi pioverà Taiqua ani nickino. Taira muriccia hale iquacka. Cià scisciù quacka. tu e^ato vai Cià cu nuquele nu. Cià cuara mucku. Cu piroquetacka. Taiqua hito cu ockuno. Papiro cuale acali. Pa-tuckui niccià Rama. Jena tarita; ockuno. Cià ani. Ckà hamackà ignoeuy. Cuma rapacala iquicia nusina. Tai pania maquequa. Curaray muriccia uniata nuckina. Curaray acqua passato quella Ilagualia pania nucua unia. Jara pamiciacà. Hijchja lai cuale zuila. Ilianccka tuquiciacka pania cocu-è. llumaru ma ani iari. e 297 — Levarsi. Dormire. Alzali. Non esser lauto pigro. Ilo dormilo mollo male sla notte. Perchè ? Perchè latravano i canti Pel fragore delle acque. Dammi un po’ d’acqua. Vo’ dormire, silenzio. Fa gran calore. • Ritiriamoci all’ombra. Ripariamoci dalla pioggia. Andiamo alla caccia. È buona la tua sarbacana? È buonissima. Imprestala a me. Non mi piace. Hai tu del buon veleno? Sono sudalo. Andiamo a bagnarci nel fiume. E profondo il fiume ? È molto rapida la corrente. Si può guadare il fiume? No, è alto. Sì, è basso. Ilo paura d’ annegarmi. Qui non si può attraversare a nuoto. Cka acicià. Cià mirqua si canoira. Hijhjà asa coscia cu maque miguaca. Cazackà-ira ? Airocko acaque cuma nignackà ? Cani latravano tutta notte Muriccia acascignuqua. Cia quigno zamariquo liina muriccia. Mackinura cu iquacka, aitia acacujuno. dormire io voglio non parlate Cuma hupanito micia. Pa asali icki iekiki. Pa asati icki imaruaco. Ciata pancia numurcura iquano. Tia rniciate eia numanucna. sarbacana Hijchia huiza-cata. Cià quino cu nucuiciarecoca. Tiaqua liuizaqua quira. Ciata huiza numanaca nicia. veleno Cu hascilaca. Pa ciasciunura iquasci muriccia. Unijakate muriccia. Hijclijà naijcatc basì. Unia-zi ciai-tuckate muriccia. Aita ancata. Hijchja suqueckata.. Cupjnicia muriccia luna puqueno. paura acqua nel morir Taiqua ani ocazailuckua. non qui nuotar puoi Cambj, Vendite e Compere. Vuo’ fare un cambio con le. Clic cambio ? Questo coltello con amache. Nicià zapucuà quaticiata. cambio Quaticiata ? Niccia ckiro ulti luqua. amaca — 298 — Cambiamo questi granelli eli vetro co¬ lorali con quell’arco. Quante amache mi dai? Queste die vedi. Non ne dai dipiu ? Vado a prenderle. Quanto vale un’amaca ? Il valor di questo battifuoco. Due battifuochi. È troppo. No, questo è di molto valore. Ti darò in cambio tre aghi. Va bene. Hai qualche borsa ? Cambia questa collana di denti di tigre con questi ami da pesca. Che vuoi darmi in cambio ? Quello che vuoi. Scegli. Ti darò la metà. Questo è troppo. Vedi come è bello. Non li piace questo anello ? Dammi quelle frecce avvelenate. Non sono mie. Già cuigno cka riucka micia cassuarala. arco vetri di colore Tiacki cuatia ciate umatuqua. Nia ciacka eia nuqua ckamiciaqua. Taiquate luto ciò mino, no tieni Qua uuqua pajequà. Tiacki cao hate nuqua. Cao nuquachi hunami. battifuoco Kamisciuiqui lmnamia. Cumata hijhia cuma. Aita, cuma taraito cumerccka. Niciacka haimuckumaraeki hickioto. dar in cambio 3 aghi lluizata. ' Cià camizoque michia. Cia quigno nucuc casauro icarè imalini , aito zuiccia. denti tigre Cazacka ciate panicia cuignono. Cazacka cia miciacka. Cia zackito. Nucua nai cuaquigno. Niciata cuma cauraca. questo molto valore Cià nuquisci huizano. Nicka cu panicia. Niciacka noliui rinqua numuna. dare quelle freccie avvelenate Tama noirata, è d’altri ALCUNI VOCABOLI PIU’ COMUNI. IN L'NGUA QU1CH0A (Vedi a pag. GG la numerazione e sua differenza coll’idioma INCAS.) Accendere sindi. Accompagnare catini. Acqua jacku. Affogare ciuchaspa. Aglio sirana. Agnello Hamas. Albero jura. Allo hatun. Alzare apani. Amarsi cuyar Aver seie jacku-nayani Baciare muciani. Bagnarsi armar. Barba sapa. Bastone tauna. Bello suina. Bianco jurac. Cacico ( capo tribù) apu. Cane allcu. Capelli accia. Capretto civo. * Caricare aparini. Cavallo huiha. Cera mapa. Chiedere tapuni. Codardo pisci-sciungo. Coltello turni. Corpo acu. Creatore chamag. Crudo ciagua. Cucinare januni. Cuore sciungo. Dare cuni. Demonio zupai. Donna huarmi. Dormire pugnuni. Erba chiua. Essere inchino. Fagioli purutu. Ferro hirro. Filo d’agave * liauciù. Fiore sissa. Fiume jacku. Formica agnango Forte sinci. Freddo ciri. Fuggire rini. Fulmine iliapa. Fuoco. nina. Gallina atu-hualpa. Gallo orco hualpa, Gambaro apangora. Gatto misi. Gatto selvatico uscullo. Ginocchio conghorì Giorno puncia. Gola tunguri. Grattare haspini. Guardare uacu-cini. Idolo guaca. imbarcarsi guambu yan Indiano vile miglia-runa. Ingannare liumayacini. Jori Cayna Labbra scimi. Ladrone scina. Lancia obliqui. Latte chio. Lavare tack-sciani. Lavar oro kuri maigliana. Levarsi in piedi lialarini. Lingua cagliu. Lumaca ciuru. Mangiare micuni. Maìio ni adii. Mare cocia-Iiatum. Maschio cari. Mattina tuta-manta. Mentire gliuliani. Mordere cani. Morte guagnu. Navigare guambuni. Nebbia puyu. Nemico mana-cuya. Nero jana. Neve rasu. Notte tuta. Nudo liiatan. Odiare a morte canillani. Omicida runa-gua gnu. Orecchia rinri. Orinare hiscpani. Ortica cini . Padre yaya. Palma ciunta. Pane landa. Pappagallo liuackamayo. Pazzo muspa. Pelle cara. Perdonare quespichini. Pettine gniacià. Pidocchioso ussasapa. Piede ciaclii. Pietra rumi. Pioggia tamia. Piombo gliulu-ekuleki. molle argento Porco cucci . Pugnale tuccina. Riposare saamani. Rispondere ligracini. Rompere packini. Rosso puca. Rubare schiuani. Sabbia liu. Sagri ficare arpani. Sale caci Salare cadili. Sbarcare asiani. Scala ciackana. Schiaffo puckuni. Selvaggio sadia-runa. selva uomo Semente nmyu. Sentiero ciacliignan. Seppellire pambani. Sepolcro pambana. Sera cisci. Sorci ucucba. Spaventarsi mandaci. Specchietto irirpu. Spidocchiarsi usani. Spinga e langani. Squartare ciaupir. Strozzare sipir. Superbo migia. Tagliare ciui inni - 301 — Tenda tambo-guassi. Vecchia ciaca. Tender rete giicani. Vendere randicuni. Terra aglpa. Tirare scitay. Ventre vicsa. Toro huagra. Vespa uruncoy. Tranquillo aglilla. Vile sacra. Tribù ayllu. Vipera maciacui. Vomito cbicniani. Ubbriaco maciac. Umido hucu. Zucca zapagliu. Frasi più usate e necessarie a sapersi neila navigazione «lei ftapo. Avvicina la canoa alla sponda. Avviciniamoci a terra. Andate nel bosco e fate caccia W uccelli. Non spiumate pii uccelli. Andate alla caccia. Se prendete degli uccelli vi regalerò. Preparale prontamente la capanna. Stale all’erta che non si avvicinino i selvaggi. A che ora arriveremo a . . . A mezzodì arriveremo. A sera. A mezzanotte. Non arrivar di notte. Cògli quel pesce. Camminiamo. Andiamo. Andiamo lestamente. Fermiamoci qui. Jutaris-aipaman. Jutarisciun. Saciamaii ri piscko ckapingapack Ama gliustinghi piscko. Hiciaman-ri ricick. (pagascaiki. Piscko ckapicpi apamunghi , gniucka. lincia liuassi ruraricic. Ciapacunghi pacta aucka sciamunman. spiate che selvaggio venghi non Maipi ioti liasepa ciajasciun. dove il sole starà arrivando a... Ciaupi puncia ciaisciun. Ciaupi cisti ciaisciun. Ciaupi tuta ciaisciun. Pacta amsajasciun. Ciai cialgua liapi. Purisciun. Risciun. Hucla-purisciun. Sciù jascium ckaipi. — 30-2 - 11 IN MUSEO MEDIOLANENSE EXTANTIUM QILE PER NOVAM ORBEM GAJETANUS OSCULATI oJlo limò SPECIEBUS IVO VIS VEL MINES COGNITIS ADJECTIS NEC NON DESCMPTIONIBL8 ILLLSTKATIS CURANTE iEMiLiO CORNALI/! MED. DOGT. CATHED. HISTOR. NATUR. SPEC. IN CbES. REG. ARCHIGYM. TICIN. ASSIST. -<3>gge>- CY..4SSIS A.» — MAMHALIA. 0 Specie# adsterisco (*) signatcs in collectione Osculali adservanlur.) ATELES MARGINATUS. Geoff (i). (Humboldt: Ree. des obs. de Zool. et An. Comp. Tom. I, p. 340) FI. Napo. P1THECIA MONACHUS. Spix. Spix. Sim. Bras. lab. 9 et 10) Lacus Egas. i» ISRAELITA. Spix. (Spix. Sim. Bras. tab. 7) ad FI. Nigrum. (P. Satanas. Geoff.) BRACHYURUS CALVUS. Geoff. S. Hilaire. (sat rarus) — Fonteboa. Anm. CALL1THRIX CUPREUS. Spix. (Spix. Sim. Bras t. 17) S. PauUim de Olivenza, MYCETES CIIRYSURUS. Geoffr. (Guerin. Mag. de Zool. 1835. T. 7) S. Rosa de Oas. Quixos. CEBUS GR1SEUS. Desmar. (Lcsson. Rev. Zool. 1840) FI. Napo. n ROBUSTU3 (juv.). Less. (Ecsson. Quadr. 141) Santarem et Napo. JACCIIUS VULGARIS. Geoff. (Ouistiti. Bufi ) — Brasilia. ' MIDAS R1COLOR. Spix. (Spix. Sim. Bras. tab. 21, f. 1) ad FI. Nigrum. » * MELANURA. Geoffr. (Geoffr. Ann. dii Museum XIX) Canelos (Equatore). » LABIATA. Geoffr. (Spix. Sim. Bras. Tab. 20) ad FI. Maranon. MIDAS LEONINUS. Geoffr. (Humboldt. Obser. I, T. 5) ad FI. Napo. DISOPES FUMARIUS. Spix. (Spix. Sim. Bras. tab. 35 , f. 8. 6) in ci vitate Barra de Rio Nigro. » NASUTUS. Temn. (Geoff. An. des Se. Nat. 7, tab 22) Brasilia. VESPERTILIO ^ OSCULA IL Cor. (2). ( QUIXENSIS. Oseul. Ling. Incas Tuta-pisco. Rcgionibus equatorialibus, secus FI. Napo decursum. NICTICEJUS LASIURUS. Lin. (Schreb. Tab. 62. b) circa Novaeboracum. PHYLLOSTOMA PERSPICILLATUM. Geoff. (Geoffr. Ann. du Museum XV.) ad FI. Nigrum. CONDYLURA LONG1CAUDATA. Ilari. Scliinz. Synop. Mammal. I, p. 593.) Amer. Sept. URSUS ORNATU3. Fr. Cuv. Tantum cranium ( Blain Osteogr. PI. IV et Vili G Ursus.) In sy 1 vis Quixos. FEL1S ONCA. Lin. Yaguar. (Fr. Cuv. Voi. I, lab. 50). Quixos et Brasilia. Tantum cranium. n MITIS. Schinz. (Fr. Cuv. Voi. I. tab. 54.) LUTRA BRASILIENSIS. Fr. Cuv. (Fr. Cuv. Dici, des Se. Nat. XXVII) ad Lacus Egas nec non cranium. TAMIAS STRI ATUS. Linn. (Schreb. Synops. Mammal. II, p. 47) ad FI. Missouri. SCIURUS IIUDSONICUS. Pallas. (Schreb. Tab. 2i4) prope Montreal. Canadà. » CAPISTRATUS. Ross. 304 — (Fr. Cuv. tah. 48.) Carolina Meridionali. SCIURUS CAROLINENSIS. Gmel. (Proceed. Zool. Soc. 1838, p. 94) prope Charleston. Carolina. •> RUFIVENTER? Sch. Se. subauratus. Bach. Proceed. Zool. Soe. 1838, p. 87) ad FI. Napo. » PYRR1IONOTUS. Natterer. (Natt. Wiegn. Arch. 1842, voi. I.) SPERMOPHILUS 15-LINEATUS. Ilart. (Ilart. Faun. Amer., p. 04) ad FI. Missouri. MUS LEUCOPUS. ? Desm. (Prinz. Max. New. Reise. I) prò. Philadelphia in Stalis foedcratis. Squamipes Brant. Muitz. (Sich. Dont. p. 138, 52.,) 1NIGRITA. Licht. (Lich. Darst. T. XXXV, f. 1) in Brasilia circa Rio Janeiro. JACOB LE? Waterhous. Zool. of Beagle, Manim. N. Ili) Brasilia (3). CAVIA CAPYBARA. Gin. Desm. 369. (Cabiai de Buffon) ad Flum. Napo. Tantum cranium. LEPUS DEFILI PPL Cor. (4). Quixos. « PALUSTR1S. Bach. (Bachmann. Jour of Phil. V. 7) pr. Charleston Carol. Merid. PTEROM YS VOLUCELLA. Schrb. (Schrb. tah. 222, fig. oplimo) in Canada. BRADYPUS TRIDACTYLUS. Linn. Desm. 378 — prope Tabalinga ad FI. Javari. Ai de Buffon ( pigriza ) Port. « TRIVITTATUS. Cor. (3). (Vici, fig.) prope Gurupa ad Amazonum ripas. D1DELPIIIS VIRGINJANA. Shaw. (Shaw. Gen. zool. tah. 107) apud Novacboracum in Am. Sept. CERVllS MACROTIS. Cuv. Desm. 633. prope Madeira. MANATCS AMERICANUS. Cuv. Desm. 749. (Peje Boy.) prope Manaca-Purus ad F!. Amazonum. (0). CLASS1S IS.a — AVKS. CATHARTE3. III. Aura. Linn. Am. mcr. IBYCTER. Vieti. Àtcr. Vieti. Quixos FALCO. Linn. Leucocephalus. Temili. ibid. Tinnunculus Limi. ib. Sparvierius. Linn. Am. mer. CYMINDIS. Cuv. Ca^ennensis. Gmel. Brasilia. CAPRIMULGUS. Limi. Gujannensis. Gmel. Quixos. IIIRUNDQ. Linn. Flaviventer ? De Lalande * Napo TROGON M celir. Cururui. Linn. Napo Viridis. Linn. ib. CAPITO. Vie II. Ricliardsonii. G. R. Gray. FI. Napo Aurovirens. Less. ib. Punctalus. Less. 0 ib. CERYLE. Boie. Amazona. Lath. FI. Amaz. GALBULA. iì/oerh. Paradisoea. Lalli. Brasil. Viridis. Lath. ib. Albirostris. Le Vaili. ib. A Ibi ventris. Le Vaili. FI. Napo JACAMEROPS. Le Vaili. Grandis Gin. Brasilia DACNIS. Cuv. Cyanocephalus. Lalh. Quixos Cajanus. Linn. ib. Cyanaler. Less. ib. CERTHIOLA. Sundev. Flaveola. Linn. ib. COEREBA. Briss. Spiza. Liàil. ib. Coerulea. Linn. ib. CAMPYLOPTERUS. Swains. Latipennis. Lath. Para RAMPHODON. Less. Thalassinns. Swains. F. Granata LAMPORNIS. Swains. Viridissimus. Lath. Para Mango. Less. Maynas La Frcsnaysii. Less. N. Granala Viridis. Vieill. F. Napo PILETORNYS. Swains. Brasiliensis. Lath. Para Squallidus. Nuli. Brasilia Euryonmus. Less. ib. PATAGONA. G. R. Cray. Ensifera. Boiss. Quito CYNANTHUS. Swains. Nuna. Less. juv. | Equator Gouldii. Lodd. I N. Granala Swainsonii. Less. * ib. SMARAGDITES. Baie. Allardii Bourc. N. Granala TROCIIILUS. Limi. Amazilii. Less. Maynas Albiroslris. Less. ib. Columbicus. Bourc. Equator Rubineus. Linn. Para Latipennis Lath. Equator Luciani. Bourc. ib. Mycrorhynchus. Boiss. ib. Francia. Bourc. Brasilia Lalandi. Vieill. ib. Chryso viridis. ib. Torquatus. Boiss. Equator Verticeps Kind. FI. Napo Mazeppa. Less. Para Cupròpennis. Bourc. et Mais. juv. FI. Amuz. - 503 — Cyaneus. Vieill. ib. Serrirostris. Vieill. ib. Albiventris. Less. Brasilia DIGLOSSA. Carbonaria. D’Orb. cl Lafres. . 1 Bolivia j Maynas GLYPHORHYNCHUS. Gray. Cuneatus. Licht. * Brasilia XENOPS. Hoffm. Subulatus. Spix. * Brasilia SYLVICOLA. Swain. Martinicana. Bris. Avana .^Estiva. Lath. Brasilia Varia. Limi. ib. Maculosa. Gmel. ib. Pensilis. Gmel. ib. Americana. Lath. ib. Rufìeapilla. Lath. Quixos HELINÀJA. Audub. SolitHria. Wils. ib. TURDUS. Limi. Musteliuus. Gmel. ib. Aurantins. Gmel. Maynas TITYRA. Vie II Semifasciatus. Spix.’ Maynas PLATYRYNCHOS. Desm. Ruficauda. Spix. ’ Fi. Amaz. MUSCICAPA. Limi. Elegans. Less. ' Brasilia SETOPHAGA. Swain. Ruticilla. Limi. ib. V1REO. Vieill. Flavifrons. Vieill. ib. P1PRA. Limi Manacus. Limi. Erytrocephala. Gmel. Filicauda. Spix. 0*^0 Rtibricapilia. Temm. Cyanocapilla. ìVagl. ib. ib. Syl. Solimoens Bras. Syl. Solimoens PI10EISICERCUS, Swain. Nigricollis. Swain. FI. Napo AMPELIS. Limi. Cedrorum. Vieti, *0 Canada IIELIOCHERA. De FU. Rnbrocristata. D’Orb. et Lafres. ib. TERSINA. Vieill. Ventralis. 111. Brasil. RUPICOLA Briss. Auranlia. Vieti. Brasil. Peruviana. Dum. Perù CARPORNIS. G. R. Cray. Arenata. Lafres. (7) ib. COTINGA. Bris. Poinpadora. L. FI. Amaz. Cayana. L. ib. Nailcrerii. Briss. ib. PERISOREUS. Bnp. Canadensis. Finn. * THAMNOPIULUS. Vieti. Strialus. Spix. Para Albonotatus. Spix. ib. SCAPIIIDURUS. Swain. Ater. Vieill. Brasil. CASSICUS. Briss. Ater. Vieill. Quixos Crislatus. Limi. ib. Luteus. Briss. ib. XANTHORNUS. Briss. Castaneus. Lath. Panama YPI1ANTES. Vieill. Baltimore. Vieill. Slatis Feeder. MOLOTIIRUS.S/it). Pecorìs. Gmel. Anlil. DOLI CIIO N VX. Swain. Oryzivora. Limi. Carol. mer. GUIRACA. Swain. Ludoviciana. Limi. ib. PITYLUS. Cuv. Grossus. Litui. Brasil. TANAGRA. Limi. Capisi rata. Spix. Brasil. Coeleslis. Spix. Qnixos Mexicana. Limi. (8) Panama Striata. Gmel. Brasil. ARREMON. Vieti. Silens. Latti. FI. Amaz. RAMPHOPIS. Vieill. Jacapa Limi. cfyO Brasilia Igncsccns. Less. ^Fquator. NEMOSIA. Vieti. Gularis. Limi. Brasil TACIIVPIIONUS. Vieill. Crislatus. Linn. ib. AGLAJA. Swain. Scliranckii. Spix. Qaixos Punctata. Linn. ib. Gyrola. Linn. ib. ZONOTRIC1IIA. Swains. Graminea. Vieill. Brasil. Leucopbrys. Wils. ib. Melodia. Vils. ib. PASSERINA. Vieill. Cyanea. Linn. N. Grenada ERYTHRINA. Brehm. Frontali*. Bonap. ^ Bras. STROBILOPIIAGA. Viel. Enucleator. L. Florida SPERMOPHILA. Sw. Albogularis. Spix. Brasilia OPISTOCIIOMUS. Hoffman. Cristatus. Lalh. FI. Amaz. RAMPHASTOS. L. Toco. Gmel. * FI. Amaz. Cytreolaemus. Gould. * ib. Temminckii. I Vagì. ib. PTEROGLOSSUS. lllig. Bai llonii. Vieill. Brasilia Maculirostris. Cuv. ib. Aracari Wagl. FI. Amaz. Koulick. Wagl. o ib. Azarae. Wagl. Brasilia Beauharnaisii. Wagl. (9)] FI. Amaz. CONURUS. Kuhi: Carolinensis. Linn. * Carolina DEROPTIUS. Wagl. Accipilrinus. Linn. Bras. PSITTACUS. Limi. Menstruus. Limi. Amaz. Melanocephalus. ’ Linn. ib. PSITTACULA. Briss. Passerina. Limi. Brasilia BUCCO. Linn. Collaris. Gray. Quixos PICUS. Linn. Villosns. Linn. Slatis Feeder. Pubescens. Linn. * ib. Varius. Linn. * Carolina Auratus. Limi. * Statis Foeder. PYAJA. Less. Bracbyptera. Less. Brasil. COCCYZUS. Vieill. Cinerosus. Vieti. Am. sept. Seniculus. Latti. ib. SQUATAROLA. Cuv. Hypomelas. Ball. Bras. CHETTUSIA. Bon. Cayana. Latti. (10) ib. HARP1 PRION. Wagl. Cayannensis. Gmel. FI. Amaz. PORPHIRIO. Briss. Tavua. Vieill. Brasilia PÀRRA. Linn. Jacana. Linn. Brasilia TR1NGA. Linn. Canutus. Linn. ib. Maculosas. Vieill. * Qaixos PHILOIIEEA. Nullal. Minor. Gmel. Am. sept. MACRORAMPHUS. Leach. Griseus. Linn. Canada CLANGIJLA. Fieni. Hyslrionica. L. Am. boreal. |J HARELDA. Leach. Glacialis. Linn. ib. PIIAETUSA. Wagl. Magniroslris. Lidi. Quixos PLOTUS. Limi. Ànhingn. Limi. Quixos — 508 CLASSIS III.» — REPTIIJA. PODOCNEM1S. Wagl. Expansa. Wagl. FI. Amaz. Sex tuberculata. Cor. (11). ih. EMYS. Al. Brog. Concentrica. Gray. Novoboracum PENTONIX. Dum. el Bibr. Americana. Cor. (12). Stalis feeder. OPHRYESSA. Boie. Superciliosa. Boie. FI. Napo. CROCOD1LURUS. Spi: x. Lacerlinus. Dum. et Bibr. Brasil. ALLIGATOR. Cuv. Lucius. Cuv. Virginia SALVATOR. Dum. el Bibr. Merianse. Dum. el Bibr. Rrasil. AMEIVA. Meyer. Vulgaris. Licth. Brasilia IIOLOTROPIS. Dum. et Bibr. Microlophus. Cocteau. In. Cuba; PIIRYNOSOMA. Wieg. llarlanii. Wieg. Am. sept. ANOLI3. Dauci. Pulchellus. Dum. et Bibr. Quayaquil Carolinensis. Cuv. N. Granat VARANUS. Merr. Albogularis. Dauci. Am. sept. GONGYLUS. Wagl. (Eumeces. Wieg.) Spixii. Dum. et Bibr. Brasilia AMPHISBOENA. Limi. Fuliginosa. Limi. Brasilia CORONELLA. Laur. Bonaparlii. De Fil. N. Sp. Stalis foeder. Venustissima. Schl. Brasilia COLUBER. FI. Nigro TROPIDONOTUS. Rulli. Fasciatus. Limi. Brasilia D1PSAS. Laur. Catesbyi. Schl. Brasilia DRYOPHIS. Boie. Nasutus. Wagl. Lac. Egas BOA. Limi. Mucina. Linn. ib. Brachyura. De Fil. Cuba Constrictor. Limi. FI. Negro ELAPS. Schn. Surinamensis. Cuv. ib. Fulvius. Wagl. ib. Corallinus. Wagl. Brasilia TRIG0N0CEP1IALUS. Oppel. a ■ r> r i im c ( Brasilia bavianus. De lui. N. Sp. J centra, CROTALUS. Limi. Durissus. Lacép. Bras. Miliuris. Lacép. o*>p Carolina I1YLODES. Fitz. Marlinicensis. Tschucli. Antil. ATELOPHUS. Dum. el Bibr. Flavescens. Dum. et Bibr. j- Batactinga ( prope Quit. I1YLA. Laur. Cynocephala. Dum. el Bibr. Quito Femoralis. Dum. et Bibr. ib. PHRYN1SCUS Wieg. Ignescens. Cor. (13) ib. BUFO. Laur. Agua. Lalr. Qui.xos Melanotis. Dum. el Bib. ib. SIPIIONOPS. Wagl. Annulatus. Wagl. ib. MEN0BRANCIJU3. Ilari. Laieralis. Say. ib. Corais. Scili. Eximius. ib. 509 — CLASSI» IV* PISCE». ACANTHOPTERYGII. - PERCID/E. POLYNEMUS. Lina. Americanus. Cuv. Val. Ha vana SCORPìEIVIDyE. PERCA. Cuv. Flaveseens. Cuv. Val. Lac. Ontario Granulala. Cuv. Val. ib. LABRAX. Cuv. Val. Osculati. De Filippi. N. Sp. * L. Ontario Lineatus. Cuv. Havana Mucronatus. Cuv. Val. ib. CENTROPOMUS. Lacép. Undecimalis. Cuv. Val. ib. LUCIOPERCA. Americana. Cuv. L. Eric SERRANUS. Cuv. Creolus. Cui'. Val. IIa\ alia Rupeslris. Id. ib. Coronatus. Id. Havana Catus. Id. ib. Oualalibi. Id. ib. PLECTROPOMA. Cliloropterum. Cuv. Val. Florida MESOPRION. Aya. Cui'. Val. Havana Cynodon. Cuv. Val . ib. Uninolatus. Cuv. ib. Chrysurus. Cuv. Val. ib. CENTROPRISTIS. Nigricans. Cuv. Val. FI. S. Laurenli CENTRARC1IUS. Cuv. Val. iEneus. Cuv. FI. Hudson. SCORPENA. Cuv. Grandicornis. Cuv. Val. Havana SCLENID.E. CORVINA. DenLex. Cuv. Val. Am. sept. LEIOSTOMUS. Lacép. Humeralis. Cuv Val. Am. Sept. PO GONI AS. Lacép. Fasciatus. Lacép. FI. Hudson MICROPOGON. Cuv. Lineatus. Cuv. Val. Am. sdpt. H.EMULON. Cuv. Elegans. Cuv. Val. Formosum. hi. Heterodon. hi. Quadrilineatum. hi. Album, hi. Laetus. De FU. Fsestivus. De FU. Havana ib. N. Granata Havana ib. ib. ib. PRISTIPOMA. Cuv. Rodo. Cuv. Val. Florida] LOBOTES. Cuv Surinamensis. Cuv. Val. Havana POMACENTRUS. Lacép. Ranzani. De Fil. N. Sp. Havana SPARIDiE. POMOT1S. Vulgaris. Cuv. Val. FI. S. Laurenti PRIACANTHUS. Cuv. Carolinus. Cuv. Val. Havana HOLOCENTRUM. Ariceli. Longipinnc. Cui». Val. N. Granala SARGUS. Cuv. Flavolineatus. Cuv. Val. Havana CHRYSOPHRYS Cuv. Cornutus. De FU. Jamaica PAGRUS. Cui'. Argyrops. Cu v. Val. Havana SIO — MNID./E. GERRES. Cuv. Aprion. Cuv. Val. Florida Plumieri. ld. ib. SQUAMMIPEPiI\IB;E. CILETODON. Limi. Striatus. Limi. Florida Bimaculatus. Bloch N. Granata EPH1PPUS. Cuv. Faber. Cuv. Val. Havana HOLACANTHUS. Lacép. Tricolor. Bloch llavana POMACANTHUS. Lacép. Paru. Bloch llavana 5-cinctus. Cuv. ib. SCOMBUIO JE. TRIClllURUS. Limi. Lepturns. Limi. Havana CIIOR1NEMUS. Cuv. Sallans. Cuv. ib. TRACHINOTUS. Lacép. Glaucus. Cuv. Val. llavana CARANX. Cuv. Fallax. Cuv. et Val. Havana Plumierii. hi. ib. Carangus. ld. ib. Solca, ld. ib. VOMER. Cuv. Brownii. Cuv. Havana SERIOLA. Cuv. Cosmopolita. Cuv. Val. Jamaica STROMATEUS. Limi. Cryptosus. Mi teli. ib. TECTHID^E. ACAISTHURUS. Lacép. Chirurgus. Bloch Havana MLGILIDAE. MUG1L. Limi. Liza. Cuv. Val. Havana GOBIONE. G0B1US. Lacép. Soporator. Cuv. Val. Havana Lanceolatus. Bloch ib. ELE0TR1S. Gronov. Gyrinus. Cuv. Val. F. Amazon. Smaragdus. Id. Havana LOPIIID/E. CII1RONECTES. Cuv. Pictus. Cuv. Val. Ins. Azor Variegalus. ld. il). Laìvigalus. Id. Antillis BATRACHUS. Bloch Tau. Cuv. Val. llavana Punctulatus. ld. ib. LABBIDyE. CTENOLABRUS. Cuv. Val. Cbogsct. Milch. Hudson TAUTOGA. Cuv. Val. Migra. Milch. Am. sept. LACHNOLA1MUS. Cuv. Aigula. Cuv. Val . Havana JUL1S. Cuv. Patatus. Cuv. Val. Havana Cyanostigma. ld. ib. CREN! CYCHLA. Ileck. Saxatilis. Schneider. F. Amazon. SCARUS. Limi. Cbrysoptcrus. Bloch Havana Rubripinnis. Cuv. Val. ib. - 511 - BUT1R1NUS. Commerson . MALACOPTERlGII GASTROPTERYGII SILLRIDyE. PIIRACTOCEPIIALUS. Aga*s. Bicolor. Agass. F. Amazon. PLATYSTOMA. Agass. Planiceps. Agass. F. Amazon. Platyrliynchos. Cuv. Val. ib. P1MELODUS. Lacép. Catus. Cuv. Val. F. S. Laurcnli Ctenodus. Agass. F. Amazon. AUCHENIPTERUS. Cuv. Val. Heckclii. De FU. (*) FI. Napo DORAS. Lacép. Coslatus. IAnn. F. Amazon. Carinatus. Lacép. il). Niger. Val. ib. IIYPOSTOMUS. Lacép. Plccosloinus. Cuv. Val. F. Amazon. Emarginatus. ld. F. Napo CYPRINID.E. CATASTOMUS. Les. Communis. Les. Am. sept. Hcckclii. De Fil . (*) ib. POEC1LI A. Schn. Sphcnops. Cuv. Val. N. Granala ESOCIDE. ESOX. Linn. Eslor. Les. F. S. Laurcnli Rcliculatus. hi. ib. VANDELLIA. Cuv. Val. (li) Cirrhosa? Cuv. Val. F. Amazon. BELONE. Cuv. Argalus. Les. Ilavana 1IEM1RAMPHU3. Cuv. Plcii. Cuv. Val. Ilavana EXOCETUS. Linn. Macroceplialus. Cuv. Val. Ilavana ELOPS. Linn. Carolinus. Linn. Florida VASTRES. Cuv. Val. Gigas (15) Cuv. Val. F. Amazon. CLUPEID.E. HARENGULA. Val. Clupeola. Cuv. Val. Ilavana CIIATOESSUS. Cuv. Thrissa. Bloch Ilavana SAL!ttONID,E. COREGONUS. Linn. Àlbus. Les. Am. scpl. GASTEROPELECUS. Gronov. Securis. De-Fil. (') FI. Napo CALC1NUS. Val. M uberi. De Fil. (*) FI. Napo BRYCON. Muli. Trosch. Pcsu. Muli. Trosch. FI. Amazon. PYGOCENTRU3. Muli. Trosch. Nigricans. Muli. Trosch. ib. SERRASALMO. Cuv. Rhombeus. Linn. F. Amazon. MYLETES. Cuv. Aureus. Agass. F. Amazon. SAURUS. Cuv. Synodus. Dussuin. Ilavana M AL ACOPTERYG1I STEROPTERIGII PLELRONECTIDE. PLAGU6IA. Brovon. Brasiliensis. Cuv. Antillis MONOCHIRUS. Cuv. Maculipinnis. Agass. Antillis PLECTOGNATHI. OSTRACION. Linn. Eyolans. Limi. F. Amazon. Quadiicornis. Bloch Antillis — 512 SCHO L I A (1) Ateles marginatus Geoff. — Ater, niai-gine faciei albo vel navicante, pectore cruribusque interne ex albo-flavicanlibus cinerscentibus. Unus tantum clariss. Humboldt optimam descriptionem omnium characterum hujusce speciei nobis prsebet. Ipse eam invenit ad ripas. FI. Orenoco. GeofTroy etenim qui speciem istituit (Ann. del Museum. V. 15, 10, 17). Schinz, Cuvler, nec non Lesson sufficienler eam minime deseribunt. Les- son idem praeserlim in Distribulione Primatum nuperrime aidita. (Rcv. Cuvicrienne, 1818, pag. 227) jam noto nihil addidit. Omnes recensiti auctores A marginatum uti totum et tantnm aterrimum denotant. Phra- sim diognosticam igitur supra relatam meliorcm censemus. (2) Vespertilio Osculati. Cor. — V. rostro-brevi, auriculis nudis, trago parvo nec non acuminato, veliere pilis bicoloribus apice rufo-fusco, basi nigro conflato. Patagio ampio cadam totani, longiludinem corporis coequantem, in volvente. Habitat prope pagos eequatorienses. Characterem pilorum communem tenet cura V. oenobarbo Temm. Habila- tores Sylvarum tropicorum eum vocant nomine Tuta-pisco quasi avis noclurnus — Speciem liane dicamus eximio viatori alque amico D. Oscu¬ lati cujus opera nobis speciem cognoscere datum fuit. (5) Patria quamplurium diversa dubium exurgere facit de speciei identitate. Mus Jakobicus nempe habitat in Jakobi una ex insulis Arcipelagi Galapagos , maris Pac fici sub linea aequatoriense. — Altamen descriptiones auctorum oplime ei conferunt. (4-) Lepus De-Filippi. Cor. — L. supra ex nigro-fusco flavidoque varius , intensiore regione postica dorsali; subtus albidus, nucha macula laete flavicante no¬ tala; pedibus infra einereis; auribus brevibus, cauda brevissima quasi nulla. Habitat rarum in sylvis Quixos. Corporis mensurse : Longiludo maxima poli. 11. — capitis — 5. lin. 3. — aurium — 2 — 0. — caudee — 0. — 0. — 313 — Affinis. fi. Brasiliensij a quo tamen sat bene dislinguilur macuUc causa nechalem regionem tenentis quoc facile etiam in pullo observatur. Pili inolles , lucidi llavo-brunoque annulali regione mentali albidi ; ad basini colli vita decurrit nigrescens; altera alba ab oculi margine externo usque ad basim aurium. Speciem dicamus class, cultori scentiarum naturalium mediolanensis. Prof. De-Filippi, Musei Augusta; Taurinorum Dirctori. (b) Bradypus trivittatus. Cornalia. Br. tridactyli minor , podiis omnibus falculis tribus longissimis pradilis , ca¬ pite pilis brunocinereis frontem versus directis, vestito; viltà longitudinali interscapulare nigerrima , duabus aliis ila innixa ut Neptuni tridentis for- mam simularet. Spatio vittis interposito aureofulvo, pilis sericeis , brevis- simis ornato. Long, corporis poli. 16. Habitat in sylvis ad ripas FI. Amazonum et Napo. — sat ‘rarus. Ab incolis specics lisce pigrissa reai vocatur dum nomine tantum pigrissa Brad, tri- dactvlus insignitur. Etiam cranium diffcrt ab ilio B. tridactylis, uti facile convincimur si effigies comparatur a nobis delineata, cum illis quas CI. Blainville in sua Osteographia Tab. Il et 111. Gen. Bradypi prmbet (*). Mense Mai nuperrime elapsi clarissimus J. E. Cray novam methodicam di- stributionem edidit veteris Linnseani Bradypi. (Vid. angl. repert. cui til. Pi oceedings of Zoological Society of London, Jan. -Juni, 1860, pag. Co et seq., nec non tab. x et xi Mamm.). Ibi auclor dum admittit genus Clio- Icepus ad tardigradorum speciem didactylam distinguendum , prseter Bra- dypum aliud ponit genus seu Are topi tliecum, jam ab aliis naturalium re¬ rum cultoribus in usimi traditum, sed tantum uti Bradypi synonimum. En phrasim diagnosticam amborum generum juxta Cray. G. Bradypus. Manus pedesque tribus falculis prm- diti ; cranium antica parte depressum. Molares antero superiores parvi , cilin¬ drici; inferions transverse compressi. Os intermaxillare nullum, aut tantum ru¬ dimentale. Zigomaticum, expansionem pe- cularem prabet quse versus oculi cavi- tatem dirigitur, marginemque ejusdem efformat. Ossa pterigoidea ampia, vesi- culosa. Maxilla inferior anlicc infra den- les sat producta. G. Arctopilheeus. Manus pedesque tribus falculis pra;- diti; cranium antice convexum. Molares antero superiores exigui, cilindrici, in- eriores exigui , subcilindrici. Os zygo- maticum subtile, omni expansione des- titulum. Ossa pterigoidea subtilia, sim- plicia, minimo vesiculosa. Ma-xilla infe¬ rior inter dentes haud protracta. (*) Varietatem dorso flavo-nigroque incerte ac varie maculato , quam Galli vocanl Ai à clos brulé, nec non omnes intermedias quas Shaw describit (Goner. Zoology, voi. I, pag. 151) polius censemus varietatem esse nostri B. Irivitlati magis quam B. tridactylis. — 314 — ! lisce charactcribus posili:?, novnm a nobis dcscriplam spcciem polius ad Cenuri? Arelopilbccum spedarci quani ad G. Bradypura. Sed ex comparatione cranium, no¬ stra: collectionis, ncc non tabularum quas ci. Auctor praebuit, sat evincinmr nonnulla individua transitorias formas exhibere ; quo in casa determinalio sat difficilis ac in¬ certa evadit. Quamobrem usque dura novai invenientur diflTerentia; majoris ponderis, nobis videtur hoc novum Genus minime adrnillendum. Ita species bujusce generis quse nobis innotcscunt ad 9 reducunlur sive. 1. B. tridactylus. Limi. Var. B. trid. Guajaucnsis, et B. trid. Brasiliensis. 2. B. pallidus. Desm. 5. B. lorquatus. Illiger. 4. B. gularis. Rùppell. b. B. rifuscatus. Temm. Addilur. 0. B. tri vi ttatus. Cor. Juxta Gray babcrcntur. Bradypus crinitus. B. affinis. Arctopitbecus (Gray) Gularis. Riipp. « marmoratus (E. Guajanensis. Bl.). »> Blainvillii. (Br. Brasiliensis. Temili.). » Flaccidus. a problematicus Gray. (G) Manatcs americanus. Desm. — Cetacoeum de quo sermo iit parvas dimensioncs atlingit, quartana etenim partem tantum longitudinis ofTert quam adulta praibcre solent (20 pedes circiter) Manatus nostcr sequentes mensuras habet : Longitudo corporis lolins pcd. o. Latitudo inler artuum èxtremitates pcd. I., poli. 3- Ex bisce omnibus evincimur de summa juvcnlute individui. Deficientia autem vibrissarum, artuus qui unguibus carcnt ncc non skeleton suturai liane sententiam suadent. (7) Carporms arcuata. Lafres. — Rev. Cuvier 1843, p. 98. Mag. Zool. 1843, pi. 40.) Speciem liane censemus transitimi perficere inler Casmarhynchuni melanoce- phalum vel Carpornis melanoceplialum Prmz. Max. et species jBrasilienses. Rostrum et tarsi rubro colore donantur. (8) . Tanagra mexicana. Limi. — Specimina aliqua plila parvasque teclrices coeru- leas uti caput, offerunt, altera e contra has partes viridesccntes praibent. (9) Pteroglossus beauhernaisi i . Wctcjl. Isis 1852, p. 279. — Elsi baie pulcherrima species jani cognita esset Cluriss. Gould sub alio nomine ( P. ulocomus ) cani descripsit. (Procedi. Zool. Soc. Lond. 1835, pag. 38 ; et Monograpby — 315 - of Rainphaslida?, p. 18.) Specimen quod nos observavimus mclius confort effigici a clariss. Eydoux et Gervais oblal® quam iilis a Gould pcrfectis. Voyagc (autour du Monde de la Corvette la Favorite, Mag. de Zool. 0, annèe 1856, p. 62) 5. p. (10) Ciietusi a cavana. Lcilh. PI. Eni. 835. — Immerito D. Gray hanc speciem Ge¬ neri adscribit: Hoploptero Bonap ; nam longitudo remigantium , quaruni prima, seconda et lertia quasi co®quules sunt, ejusdem Bonapartis generis Chettus® characterem sistit. — Dum in G. Hoploptero prima remigum mi- norem longitudinem a Iti ngit, gradi timque aline ci succedunt. In spccimine nostro sat integro facile istte differenti® ei analogia? exurgunt. (11) PODOCNEMIS SEXTUBEKCULATA. COì’ . — P. testa ovata, staerno foriter adliaesa , lice sex tubcrculos prrebente seeus margines laterales, caruncola mentali unica. Ilab. in FI. Amazonum. Descriplio. Tantum unum specimen obtinuimus hujusce speciei ; et, etiamsi juvene, ta- men observatio comparativa characteres pr®buit ad hanc novam speciem efformandam, pr®sertim propter tubcrculos qui eliptici in lamina sternali notantur prope margines laterum. Testa postice expansa, medius carinata, culli quadam depressione ad latera carina? — Scutis dorsalibus S, laterali- bus 8, marginalibus 24; unde numero et disposilionc scuta a?qualia quam in Podocnemide expans Wagl. Scuto 2, dorsale minus longo quam ampio ila ut longitudo faere dimidiam partem latitudini attingat ; qua? longitudo cadcm est ac in scuto primo dorsale. — Sulcus inter scutum primurn dor¬ sale et primum laterale optime correspondit ilio qui intereedit inter prima et sccunda marginalia. In Pod. expansa hoc liaud observatur. Scuta margi¬ nalia ab angulo test® laterali -anteriore versus posticas partes magis magi- sque in amplitudine acquirunt, cauda brevis , caput collumquc olivaceum, subtus flavo-albida. Test® osse® mensura? Longitudo dorsi poli. 1. fin. 10. Latitudo test® — 1. — 8. Altitudo — 0. — 9. Vocatur nomine Otracasgiù. Ling. Gemi. (12) Pentonix americana. Cor. — Testa oblunga, in medio coarctata, minime cari¬ nata, scutis distincla olivaceo-brunneis (lavo maculatis, tribus lincis casta- neis circumdatis. Hab. in Flum. prope Novreboracum. Descriplio. Facile distinguiti® forma complanata test® unde primum et ultiinum scutum — 516 - vertebrale plana sunt. — Sciita lateralia parum voluminosa, poslice roton¬ data. — Caput fuscum flavo obscuro nebulosum ; testa sordida olivacea , manulis flavicantibus notata unde differt a Pentonice capense. Dum. et Bibr. — Scutis omnibus a 3 vittis sequedistantibus, esilibus castaneis, cir- cumdatis; Admargines testae vitoe magis distanl’, illis interposito colore ob- seuriore, ita ut fascia quadam magna lestam circumdet. Testse osseee mensurse Longitudo poli. 5 Latitudo — 4 Hanc speciem solam pulo liujusce generis Novain Orbeni incolantein. (13) Pkryniscus jgnescens. Cor. Phr. lateribus granulosis, obscure maculato, gula cinerea, abdomine, coxis, palmis plantisve sanguineo rubescentibus. Hab. in locis humidis circa Latacunga prope Quito. Descriptio. Corpus parvum, rostrum acuminatum cujus latera perpendiculariter descen- dunt. Nulla crista regionem supraciliarcm occupat ; cutis minime laxa supra ossa cranii. — Margines mandibulse inferiores flavicantes; regiones submen- tales et gulares cinerescentes, qui color parles etiam internas partes artuum tenet ncc non laterales inferiores abdominis. Partes laterales e contra et superiores colorem brunneo-flavum offerunt ma- culis notalis parvis , rotundalis cum quodam punclulo albo prominenti, duriusculo centrali. Regiones palmarum, inlerclaviculares , abdominales , co- xales (partim) nec non plantarum colore rubro-sanguineo distinguuntur. Long. corp. poli. 1. In alkoole rubrum sanguineum in colore liete ochraceo verlit. (14) Vandellia cirriiosa ? Cuv. et Val. Chact. Gen. Ore infero, dentibus maxillaribus nullis, vomere 8 vel pluribus denticulis proedito; margine prseoperculi plurimis dentulis instructo inaequalis magnitudinis. De hoc genere parum cumque quadam Desi lione loquuntur clariss. Auctores Ilist. Nat. Piscium quibus opporlunilas non fuit observandi non nisi impcr- fecta specimina (uti ipsi fatcntur) a prof. Vandelli anno 1818. Lutetiam Parisiorum missa et in Collectione Regis (Cabinet du Roi) a celeberrimo Lacépède deposita. — Specimina proeterea tantum 2 pollices fl.'tue lineas longiludinis meliebantur. (iliaci, speciei. V. cirriiosa? Val. et Cuv. Ore cirrhis ornato; corporc bruno¬ cinereo concolore. Longitudo corporis poli. 5, Un. 6. — capitis — 8 , — 0. Altitndo maxima — 0, — b.l?2. Ilabit. in aquis dulcis fi. Amazonum et Napo. Descriplio. Etiam nos specimen unicum habuimus, in vasum alkoole repleta. Corpus po- tius productum, et lateraliter compressum in media et postica parte, cy- lindricum fìt antice, usque ad collum ubi valde eomprimitur. — Caput etiam pressum et latum. Rictus rutundus pariterque pressus nec non potius por- rectus, ita ut inferior fit. Os amplium, mandibola inferior superiore brevior, medio emarginata, angulum adduetum efliciens, in inani parte cujus, oreelauso, dentes vomerientes eollo- cantur, fere lalenles, majore tamen in numero quam Valenciennes indicat. llaud procul angulo rimae ovalis cirrhus observatur, quasi 3 lin. longus, esilis , punctatus. Dentes maxillares nulli, tantum illi vomeri adhesi habentur. — Oculi parvi, propinqui, nares sat parvae. Seplem lin. proeul ab apice rictus prseoperculum habetur spinis vel denti- culis perditum b vel 8 in numero, coronam efficientibus, quorum mediani longioribus. In parte autem superiore et posteriori preoperculi , ila ut subtus difficile distinguuntur , nonnulla aculea ebani observantur in duplice serie disposila , constituunt quasi plagam n. 10 vel 12 et potius parva. — Ab ipso Valenciennes spinae istae notalae non fuere. Ostia branchialia summe ampia. Panilo post babentur primoe pectorales quse cxplicatae fllabellum simulant. Primse ventrales parvae, et prope anum. Pinnanalis Iongior , dorsali subtus paulo posterior. P. eaudalis parva et truncata. Corpus nudum, squamis omnino destilutum; in cute tantum ondulationes quaedam babentur propter musculos subcutaneos et cutis subtilitatem. Ab. occipite 3 silici deseendunt, qui omne corpus decurrunt cylindricum , ccs- sanlque ubi lateraliter eomprimitur. Color uniformis bruno-cincreus, maculis destiti! tus. Innumera individua luijusce generis in aquis Amazonum gregarie vivunt sed fere semper parva. Sectionem anatomicam , proli dolor! perficere nequivi- mus ex co quod nos etiam specimen unicum possidemus. — Spes tamen alia babendi secandique adirne non evanuit. — A pluribus Indianis damnosse natatoribus retinentur. Species dcscripta est V. cirrhosa Val. et Cuv. an non? Imperfectiones descri- ptionis mihi obstant novam spccicm statuendi quse forsan. V. Gigunlea. Cor. vocari deberetur. — 318 Scclioncs anatomica? supra plurima individua inslitulae inpostero , dubium de- strucnt. (15) VastrÉs gicas. Cui'. ( Vaslres Cuvieri , Val.). Individuimi quod a liberalitale do- * mini Osculati tenemus etsi non maximum tamen sat voluminosum sese prai- bet. Superat cnim magnitudinem illius quod in Colleclione Regis (Cabinet du Roi) observalur, et cujus mensuras in deseriptione a Clariss.o Valenciennes suppeditula, habemus — Longitudo illius 11 pedes minime superat. Nostcr sequentes dimensioncs ofTert. Longitudo corporis, rictu pinnaque caudali comprefiensa ped. 7. poli. 8 lin. 0. Allitudo maxima . n 1. » 3. » (>. Lalitudo maxima . ni.»- » Pcrillustris Scliomburg nobis rcfert aliqua individua hujus speeiei longitudi- nem ctiam 10 et plus pedum attingere; sed sat rarius ; ncc non pondus 400 libb. superare. Immerito tamen adjungit Vastres giganles a flumine Ni grò provenire, nani in boc flumine. Doni. Osculati testante, numquam piscatores Pirasucù inveniunt. Aqua? tantum Amazonum Vastres nutriunt; immo piscatores etiam illius confluenlis ad ripas Amazonum recurrunt. Oplimam eenseo subslitutionem Gn. Vastres ilio Sudis jam antea a Rafine- sque in usum Iracto ad alias distinguendas species; sed inutilem vero il- lam reputo speeiei quse, priori tatis jure, conserval i debetur, etiamsi plures cjusdem generis species eandem magnitudinem babeant. In Musico Medio- lanensi observalur etiam adparatus lingualis , brancbiis ossoque joideo adjunctis. MB. Piscium zEquidalium detcrminationi operam precipue dedit rcrum natu- ralium cultor atque amicus D. Chuistophorus Bellotti. Piaeler expositas plurimas alias species haberemus forsitan (ne dicamus procul dubbio) novas ; sed quum omnis zoologicorum opera consulere nequivimus , et non- dum genera speciesque novas condendi mania capti sumus ita insedila: remanebunt usque dum cerlitudine scientiuque utilitatc allietis cas in lucem trademus. Hoc reti- nendum est praesertim de Avibus familite Trocbilidarum spectantibus. D. Mediolani Mense Augusti 1849. Milano, 29 settembre 1854. Sono ben lieto di poter arricchire il catalogo dei vertebrati che la scienza deve alle fatiche dell’illustre nostro Osculati della frase caratteristica di alcune specie nuove di — 319 — pesci studiale in particolar modo dal mio amico il cavalier professore Filippo De Filippi, il quale solo nell’anno scorso le rendeva di pubblica ragione, c precisamente nella Reme el M agazi a de Zoologie dell’aprile 1 853. Ecco le originali diagnosi di queste specie colle osservazioni che il distinto zoologo di Torino aggiunge per cia¬ scuna di esse. 1. Labrax Osculati. De Filip. L. cinereo argenleus , fusco aeneo longiludinalitcr li- neatus: denticulorum lingualium insula unica ovali. Squam. ser. ÌÌ6 9D3- D. 9 1/13. A. 3/13- Hab. in mare et fluviis confederationis Americana}. Vi sarebbe ragione in noi di sorpresa nel considerare che questa specie, che sem¬ bra comune agli Stati Uniti, sia passata sconosciuta ai naturalisti Americani, e perfino al signor de Kay che pubblicò la più recente e la più completa opera ittiologica di quella regione ( Zoology of New. Yorck. / art IV. Albani/. 1842). Probabilmente venne essa confusa col Labrax lineatus del quale per altro si distingue ai caratteri seguenti: 11 suo corpo è più alto; la sua altezza infatti sta tre volte e non quattro nella sua lunghezza. Le serie delle squamme sono bO. 9D5. non 04 9/U- Nel L. lineatus i denti della lingua sono aggruppati in modo che formano due isole lineari del tutto separate, mentre che, nella nostra specie, essi non formano che una sola isola ovale. I veri denti sono anche più piccoli c numerosi. Le due specie del resto, hanno lo stesso sistema di colorazione. Probabilmente le due specie vivono assieme nelle medesime aque. Gl’individui esaminati di questa specie vennero pescati nel lago Ontorio. 2. Gasleropelecus securis. Dc-Filip. — G. abdomine cultrato valde convexo. Pinna anali radiis 4. Hab. in Rio Napo. Somigliantissimo all’unica specie nota (G. sternicla) di questo genere; ma facile a riconoscersi , al tagliente de! ventre che presenta una curva assai più sentila , ed al numero maggiore di raggi alla pinna anale f.44 non 33). Appartiene pure al Napo. 3. Chalcinus Mùlleri. De FU. C. pinna caudali radiis medianis elongatis; lobo su¬ periore et infero truncatis. D. 10. A. 28. in Ilab. Rio Napo. Si riconosce facilmente questa specie, fra il piccolo numero delle sue congeneri, al prolungamento dei raggi mediani della coda , la quale è troncata come quella che osservasi nel Cynodon vulpinus. Ag. della stessa famiglia di pesci. Un altro carat¬ tere assai marcato ha nella linea laterale che segue il contorno del ventre al terzo inferiore del corpo. La forma generale di questo pesce è quella del Clt. an'gulalus ; ma la dorsale è spinta più indietro, sicché quasi opponesi alla anale , come nel C/t. brachypomus, Val. Le pettorali si prolungano fino all’ano. Il nome di questa specie richiama quello del celebre fisiologo di Berlino , di cui i numerosi lavori formano epoca nei fusti della scienza, e che illustrò, unitamente con Troschcl, la storia dei Caracini. 4. Auchcniplerus Ilcckelii. De Filip. — A. galei scutellis regulariler disposilis , quorum novcm circum sculum verlicis: radio osseo in pinna dorsali peetoralibu- sque longissime, poslicc serrato. — D t/o- P 1/7- A 5. Hab. in Rio Napo. — 520 — Egli è ancora al viaggio del signor Osculali, nelPÀmerica equatoriale, che noi dob¬ biamo la conoscenza di questo gentil pesce. Nell’ immensa famiglia dei Siluroidi esso deve entrare nel genere stabilito dal Valenciennes sotto il nome di Auchenypterus a ragione del suo caschetlo continuo e dilatato sino alla nuca ed ai lati dei primi raggi dorsali;)' denti piccoli e conici, e la linea laterale inerme e per soprappiù legger¬ mente piegata a zig-zag, con delle piccole striscie quasi verticali-, che partono dalla sommità d’ogni angolo, come accade nella specie tipica {A. nuchalis.) figurata nei pe¬ sci del Brasile dallo Spix. tav. 17. Ma gli altri caratteri che ora andrò enumerando distaccano troppo questa specie dalle altre di questo genere , già poco naturale per ritenere che la sua collocazione possa essere permanente. 11 caschetlo risulta da placche poligone finamente granulate, contigue, e di cui nove se ne enumerano collocate simmetricamente attorno ad una gran placca verticale che presenta la forma d’un decagono allungato. Ad ogni lato, una placca, la quale corrisponde alla regione soprascapulare manda un prolungamento obliquo d’avanti in¬ dietro quasi ad incontrarsi coll’omerale che ha la forma di stilo, e la cui lunghezza equivale alla distanza dal margine dell’opercolo all’estremità del muso. La testa è depressa fortemente alla sua parte anteriore e si ristringe discendendo verso la regione del mento; di modo che gli occhi che sono assai ampj (poiché il diametro loro lon¬ gitudinale eguaglia la metà della testa) guardano leggermente in basso. D'ambo i lati si osserva un lungo bargiglione mascellare, e due piccoli sotto la mandibola. 11 primo raggio della dorsale, del pari che quello delle pettorali , è assai lungo e dentellato lungo il margine suo posteriore. Le altre prime sono piccole assai. La coda è forcuta. Il colore di questo piccolo pesce è plumbeo sul dorso, il ventre al contrario è d’un bianco d’argento immaculato. Le dimensioni sue sono le seguenti. Lunghezza dell’apice del muso alla n estremità della coda . . . 0m,07ì ii dal capo . 0,m0l5 » dal raggio osseo pettorale . . 0,021 n ii ii dorsale . . 0,015 Questa specie porta il nome del dotto ittiologo signor Ileckel. Rota Qui era il luogo apportuno per collocare la lista dei numerosi insetti, specialmente co¬ leotteri raccolti e portati in Europa del Sig. Osculati e tra i quali si trovarono moltissime specie nuove. L’esame di essi e la divisione loro è opera dell’ Illustre Entomologo francese il Sig. Guerin Mèneville il quale sventuratamente non potè compierla per ora, nè giungere in tempo che qui fosse inscritto senza che i nostri lettori avessero ad aspettar troppo tutto quanto il presenle Vo¬ lume. Non per questo il pregiato lavoro del Sig. Guerin Mèneville mancherà della dovuta pu- blicitàj epperó esso formerà un opusculetto separato che soddisferà grandemente, non dubitiamo ai desideri ed alle aspettative dei cultori dell’ Entomologia. D0TT. E. CortNALlA. NOTA BIBLIOGRAFICA COIVI MENTATA DELLE PRINCIPALI OPERE DA CONSULTARSI SULLE REGIONI IN AFFIATE DAL RIO DELLE AMAZZONI E DA SUOI AFFLUENTI PER CURA * D 1 Il B IR SU 0 & B D — {. Ordinila Francisco. Questo celebre personaggio nominato dalla corte di Spagna V Adelantado, pel fiume al quale dapprima era stato imposto il suo nome, discese il fiume delle Amazzoni in tutta la sua lunghezza nel 1559. Vedi per la descrizione della sua spedizione ; Gomara. Ediz. del 1751. Capitolo Vili. 2. Jean Alloncc, soprannominato il Xaintongese. Cosmografia MS. Questo prezioso volume della biblioteca imperiale di Parigi è stato scritto nel 1545. Un pilota francese nominato Paulin Sécalarl prese parte a quella redazione. La foce del fiume delle Amazzoni visitata da Jean Al foncé nel 1541 vi si trova figurata. I dettagli idrografici sono eseguiti su carta velina a colori. Erano passati ben pochi mesi dacché Orellana era morto, quando Paulin Sécalart dovette tracciare *) XB. Questo lavoro del massimo interesse venne redatto dal chiarissimo signor Ferdinando Denis, Conservatore della Biblioteca di Santa Genevieffa a Parigi. Lo rendo di pubblica ragione nella certezza di far cosa grata ai cultori delle scienze , ed in particolar modo ai bibliofili e viaggiatori , essendo il solo ed il più ragionato elenco delle opere rigùardanti il corso del Rio delle Amazzoni, che siasi pubblicato fino al di d’oggi. Troppo lungo sarebbe V accennare i tanti suoi scritti ed opere scientifiche uscite in luce. Le Genie de la navigation , etc., etc., e mi limito soltanto ad annunciarne le più recenti; 1’ una sull’impero del Brasile, dove il benemerito francese M. Denis fece una dimora di parecchi anni. Attualmente gli Editori fratelli Didot a Parigi ne stanno ristampando una seconda edizione con nuove ed importanti aggiunte fatte dall’ Autore; dell’ altra riguardante l’ istoria letteraria del Portogallo ne è prossima la pubblicazione. u que’ lavori per la prima volta. Questo libro è inestimabile ed ha servito di lesto al volume intitolalo. Voyages adventureux du Capitarne Jean Alfonce; 1559 in 12. 3. ©vSedo (Gonzalo Fernando de). Relalione della navigalione per il gran¬ dissimo fiume Maragnon. Vedi raccolta de’ viaggi di Ramusio. Venezia 1505 in torri, 5 pag. 571 e seguenti. D. Jozé Amador de los Rios pubblicò nel Ir 55 una seconda edizione di quest’opera preziosa. 4. Relacion breve del rio Ma> agnon i de su nacimiento y olras parlicularidades de el y de la jornada que ìiico Vedrò de Orsini à Omagua y lo que succedeo despues de su muerle con los tirannos Vernando de Guzman y Lupe de Auire. Questo manoscritto contiene 122 fogli, ò citato da Garcia , e lo si attribuisce a Gerolamo Ipori. 5. Esaeic*si (Fernando de). Descriplion abridged of thè river of Amazone and of lite countries thereaboul. Voy. Hackluyl s’ ( Richard ) principal naviga • lion voyages, eie. London, 1G00, 5 voi. in fol. Questa relazione è inserita nel tomo 5.°, e vi si trova egualmente Acosla (J) tesiimonies concerning llie river of Amazone. G. Ives «TEvreux.. Suite de l'hisloirc des choses plus mémorables advenues en Maragnon ès années 1G13 , 1G14. Paris Francois Huby , 1G15, Tom. 2 in un voi. in 8.° Non esiste a nostra cognizione che un solo esemplare di questa preziosa opera, la cui edizione fu distrutta dalle fiamme nella tipografia di F. Huby. Razilly salvò il volume imperfetto, che esiste alla biblioteca imperiale di Parigi, e l’offrì a Luigi XIII. Vi si trovano curiose ed interessanti notizie sul rio delle Amazzoni. 7. ISBocìgiBei (Jean). Voyages en Afrique, Asie, Indes orienlales el occiden- lales depuis 1 60 1 fino al 1G15. Paris 1G16. in 8. Ristampato a Roano nel 16G5, e nel 1850 a Parigi. Fu tradotto in tedesco. Mocquet, che sembra esser stato in gran favore sotto Enrico IV s’ intitolava Garde des singularilez da Roy. Questo secondo libro della sua curiosa relazione porta per titolo. — Cornine est en la riviere des Ama- zonas pays des Caripons et Caribes et aulres lerres el isles d’Occident. 8. Siavi?» (Will). Descriplion of thè river Amazons. Questa descrizione è stata inserita nel volume IV della collezione di Samuele Purchas. Londra, 1G25, 1G2G, 4 0 volumi in foglio grande. 9. ©aSauselSm (Fr. Augustin de la). Coronica moralizada de la Orden de Sani’ Angustia en el Perù. Barcelona, 1G3S in fogl. (Tomo unico). Non fu pubblicato che un solo volume di questa preziosa Cronaca, la quale con¬ tiene curiosi documenti sulla navigazione d’ alcuni Indiani del Brasile, che rimon¬ tarono l’Amazzone. 10. Sjlvcini (Simào Estacio de). Rclacao das cosas do Maranham , 1024, Lisboa. 11. El rio de las Amazonas con sus dilaladas provincias. Manoscritto della Biblioteca Imp. di Parigi sotto il N. 479 supp. frane., poco importante dell’anno 1G39. 12. ClftistovaH de Actinia. Nuevo clescubrimienlo del gran rio de Ina Amazonas. Madrid, 1641, in 4. 12 bis. Leis provisòes e ordens regias para o estaclo do Maranham e Para. Queste importanti memorie, che ci pervennero dal deposito delle missioni, comin¬ ciano coll’anno 1647, e terminano coll’indicazione d’un decreto del 14 giugno 1712. Queste sono riferite ad un eccellente lavoro intitolato: Catalogo dos manuscriptoa da bibliotlieca pubblica Eborense ordenado pelo bibliolhecario Ioaquim Ilelio- doro da Cunha Rivara. Questi numerosi documenti posti in luce dal dotto biblio¬ tecario d’Evora, sono ricapitolati dalla pag. 69 alla pag. 142. Piccolo volume rarissimo, vendutosi nel 1847 a franchi SO. Nel catalogo di Vi- cenle Salvò. Si credette per molto tempo che l’edizione intiera fosse stala distrutta per ordine del governo spagnuolo; ma sembra invece da quanto asserisce Barda non esser stati impressi che pochi esemplari. 77. h. Tcrnaux Compans. 13. Aigreiuontf; (j. o— Avvertimento degli Editori . Pag. i Prefazione e dedica . » ix CAPITOLO I. (Dal giorno 29 Marzo al 22 Aprile 1817). Partenza dal porto di Panama. — Navigazione nell’Oceano pacifico. — Arrivo nl- l’Eqnatore. — Descrizione della città e porto di Guayaquil. — Produzioni na¬ turali e vegetali. — Partenza per la capitale. — Isole galleggianti. — Alligatori. — Villaggi di San Dorondon Bodegas e Savaneta. — La febbre gialla. — Arrivo a Guaranda . pag. IO CAPITOLO II. Continuazione. (Dal 22 Aprile al 26 detto). Passaggio delle Ande. — Il Condoro. — Il Chimborazo ed il Caragua'iaro. — Vil¬ laggio di Sfocila. — Un felice incontro. — Città di Ilambato. — Suo commercio. — • Gii Xibaros. — Loro usi. — Costumi. — Armi. — Borgata di Latacunga. — — Il vulcano Cotopaxi. — Le rovine antiche di Callo. — Il Despoblado. — Ar¬ rivo a Quito . pag. 51 C A P I T O I. O III. Descrizione di Quito. — Situazione. — Popolazione. — Monumenti principali. — Stabilimenti pubblici. — Istruzione. — Barrios o Quartieri. — Governo civile e militare. — Strade progettate. — Clima. — Usi e costumi degli abitanti, pag. 4-0 C A PITOLO IV. Notizie riguardanti la provincia di Quito. — Suoi confini. — Estensione. — Altezza e configurazione. — Un nuovo vulcano. — Fiumi principali. — Produzioni mine¬ rali, animali , vegetali. — Brevi riflessi sul dominio degli Incas nell’Equa¬ tore . pag. 38 CAPITOLO V. (Dal 7 Giugno al 18 detto). Partenza da Quito per le sorgenti del Napo. — Ordine governativo. — Villaggio di Tumbacko. — Danzanti. — Mastodonti fossili. — Villaggio di Tablon. — Tambo dell’/zicas. — Passaggio delle Ande. — Villaggio di Papallacta. — Sor¬ genti d’acqua bollente. — Modo di viaggiare nelle foreste del Quixos. — Il rio Maspa. — Il rio Quixos. — Il Vulcano Antisana — Un cadavere . pag. 09 CAPITOLO VI. Continuazione. (Dal 18 giugno al 24 detto) Tambo di Bacza. — Insubordinazione degli indiani. — Una marcia forzosa. — Il rio Vermejo. — Aspetto delle selve del Quixos. — Caccia d’un orso. — Descri- zione di due specie d’orsi d’America. — Nuova sollevazione de’ miei cargueros. — Misure energiche poste in esecuzione. — liccio Jana-yacu. — Barbaro abbandono di tutti gl’indiani. — Loro fuga e furti commessi . pag. 70 CAPITOLO VII Continuazione. (Dal giorno 24 Giugno al 9 Luglio). Il rio Losanga. — Trinceramento della mia capanna. — Mezzi di difesa contro un attacco notturno ili fiere. — Precauzioni suggeritemi dal caso. — I Cucujos o lucciole. — Pioggie continuate. — Penosa esistenza. — Il tapiro. — Subitaneo crescimento del fiume. — Aftievolimento di forze. — Patimenti sofferti in quat¬ tordici giorni di totale isolamento. — Costruzione di nuova capanna. — Umidità somma di que’ luoghi. — Mio nutrimento. — Caccia d’un colimbo aquatico. — Disperata risoluzione. — Passo a nuoto il Cosanga. — Mal esito del mio pro¬ getto . pag. 8G CAPITOLO Vili. Continuazione. — Ritorno a Baeza. (Dal 9 Luglio al 31 detto). Smarrimento uella foresta. — Disagi sofferti ne’ tre giorni di cammino. — Difficoltà superate ne’ guadi de’ torrenti e pantani. — L’inaspettato canto d’un gallo mi rincora. — Ritorno al tambo di Baeza. — Incontro felice d’indiani della Con- cepcion. — Falsa notizia di mia morte. — Ritorno al Cosanga. — Indiani spediti dal governatore di Quixos in mio soccorso. — Abbandono de’ miei bagagli alla sponda del fiume. — Il monte Guacamayo. — Prostrazione di forze. — Il rio Ckondacki. — Vengo portato in groppa dalle guide. — 11 rio Misagualli. — Ar¬ rivo in Archidona . pag. 94 CAPITOLO IX. (Dal giorno 20 Luglio al 26 Ottobre). Ospitalità ricevuta. — Descrizione d’Archidona. — Usi di quegli abitanti. — Vege¬ tazione. — Trasporto al Napo con lettiga. — Incontro del governatore alle sponde del rio Pano. — I miei bagagli rimangono por tre mesi in riva al Cosanga. — Mie occupazioni al Napo. — Terreni auriferi. — Indiani del Quixos. — Loro co¬ stumi. — Ornamenti. — Abitazioni . pag. 101 CAPITOLO X. Continuazione. Loro vitto. — Caccia. — Pesca col barbasco. — Differenti qualità di bevande. — Idee religiose degl’indiani. — Feste. — Funerali. — Morte di un Qnitegno. — Sepoltura. — Credulità e superstizioni. — I Ckandischas. — Loro cure. — An¬ tidoto contro il morso delle serpi. — Singoiar modo di apparecchio per la caccia. — Armi degli Yumbos. — Veleni dei Coloraclos. — Modo di prepararli, pag. 110 CAPITOLO XI Cerimoniale di saluto fra i Quixos. — Divertimenti. — Sabbie aurifere. — Modo di estrarre l’oro. — Nido di Comejen e qual uso se ne faccia. — Descrizione di un Laradei o. — Compagnia di minatori europei. — Triste lor line . . pag. 121 ùòl CAPITOLO XII Continuazione. Falsa notizia pubblicata ne’ giornali in Quito. — Arresto de’ cargueros. — Lettera governativa. — Preparativi per la navigazione del Napo. — Scelta fatta di dodici indiani. — Uccelli. — Lepidopteri. — L’Yoguar. — Nido di formiche. — Le Ter¬ mi li . pag. 130 CAPITOLO XIII. I*rinci[iio tifila navigazione «lei tiiapo. (bai 26 Ottobre al l.° Novembre). Velocità delle correnti. — Scogliere. — Vortici. — Il villaggio di Lagunno. — Mia dimora nella capanna del governatore. — Accoglimento festivo de’ miei bogas (rematori). — Celebrazione d'un matrimonio. — Sentieri che guidano nella Za- paria. — Arrivo di un’orda di selvaggi Zaparos. — Regali. — Oggetti acquistati. Commovente congedo de’ miei bogas. — Isole che incontransi. — Villaggio di Napoloa. — Una danza improvvisata. — Navigazione pericolosa. — Arrivo a Salita Rosa d’Oas . pag. 141 CAPITOLO XIY. Villaggio di S. Rosa d’Oas. — Coltivazione. — Migliorie che si potrebbero intro¬ durre nel Cantone di Quixos. — L'agave americana. — Modo d’estrarre la cabuya o pila. — 11 tabacco di Cotapino. — Progetto di un cammino di comunicazione. — Decreto della Camera legislativa. — Epoche nelle quali fu esploralo il Qui¬ xos. — I vampiri. — Descrizione di varie specie di pipistrelli. — Danni che ar¬ recano all’uomo ed al bestiame. — La nigua o palex penetrans. — Pucacuros o insetti microscopici. — Caccia dell ’jaguar. — Colibrì. — Il trompetero o pso- pìtia crepitans. — Copia di lettera interessante ricevuta dal Napo. — Infanticidio commesso da un’indiana. — Il solimancillo o erba velenosa. — Preparativi d’im¬ barco. — Con qual modo i selvaggi costruiscono le piroghe. — Partenza e con¬ gedo delle donne de’ miei bogas. — 11 corso del Napo. — Lussuriosa vegetazione. — Isole. — Fiumi che sboccano nel Napo. — 1! villaggio del Sullo. — Febbri miasmatiche. — Bivacco nell’isola di Cacao . pag. lol CAPITOLO XV. Con I in unzione. (Dal 14 al 18 Novembre). Il rio Payamino. — Delfini osservati alla sua foce. — li rio Coca e le sue sca¬ turigini. — Una selvaggia Zapara. — Caccia d’un tapiro. — Le isole di Guamas. Laghi di Capociù e d 'Agnango. — Subitanea piena del fiume. — Testuggini. — Capanne dei selvaggi di Guama. — Carattere e fisonomie. — Strumenti di caccia e di pesca. — La gianciama. — I letti pensili . pag. 103 CAPITOLO XVI. Continuazione. Usi degli Zapat'i. — Ornamenti. — Scorrerie. — Cibi strani. — Poligamia. — Una danza notturna. — Canzoni. — Il villaggio di Sincicicla. — Evoluzioni e cac¬ cia . pag. 109 CAPITOLO XVII. (Dal giorno 18 al 21 Novembre). Tribù Jasunìs. — Differenza di carattere e d’idioma. — Descrizione del Laman¬ tino. — I lebbrosi. — Il rio Aguarico o fiume dell’oro. — Tribù dei Salila Ma- — 338 — rins. — Le razze e loro punture. — Malotiche deglt Abfjckiras. — Cambi praticati con essi. — Scuri ili pietra e loro uso . pag. 177 CAPITOLO XVIII. (Dal giorno 21 al 30 Novembre). Un tradimento. — Un falò. — Le Araras. — Il rio Cuvaray. — Un’orda d’Iqui- tos. — Loro capi. — Il Ckandirù. — Scaturigine del Curaray. — Sua naviga¬ zione. — Caccia dei pecaris. — Diverse specie di scimmie. — Il lago degli al¬ ligatori. — 11 gran serpente d’acqua. — Prodigioso numero di caimani e di ca- raibi. — Loro voracità..— Abbondanza di selvaggina. — Il rio Curasabelo. — Descrizione dell’albero del Seybo. -- Uso del suo bacello. — Il lago di Tackamiri. — Gli Anckuteres. — Loro carattere. — Armi. — Scorrerie. — Pesca. — Gli urubus. — Il rio Masan. — I capibari. — Una bufera . pag. 185 CAPITOLO XIX. Continuazione. Generalità geografiche e naturali intorno al Quixos e al rio Napo. — Epoca delle missioni. — Villaggi distrutti. — Epoca delle grandi piene. — Temperatura me¬ dia. — Progetto di navigazione a vapore. — Legnami da costruzione e da eba¬ nisteria. — Medicinali. — Caccia d’insetti. — Numerazione delle specie rare, e descrizione di un nuovo genere di coleopleri. — Progetto per la formazione d’una compagnia di minatori . pag. 197 CAPITOLO XX. Partenza ila duro Coccia per l'olia.s e Cordo. (Dal giorno 30 Novembre allTl Dicembre). Oran. — Ninfee galleggianti. — Aidea di Pebas. — Notizie intorno all’assassinio del conte d’Osery. — Coltivazione. — Selvaggi Yaguas. — Loro tattuaggio. — Fabbricazione di veleni e modo di usarne. — Gli Oreckones. — Abitazioni. — Ornamenti. — Aidea di Cochichina. — Selvaggi Mayouronnas. — Serbatoi di te¬ stuggini. — Modo di farne la pesca. — Villaggio di Peruate. — L’aldea di Lo¬ reto 0 confine peruviano. — Sbarco e congedo degl’indiani del Quixos. — Indiani Ticunas. — Loro carattere. — Ornamenti. — Il presidio di Tabalinga. — Strana legge brasiliana'. — I presidia rj . pag. 2o7 CAPITOLO XXI. Continuazione. (Dal giorno 11 al 25 Dicembre). Pesca del pirarucù 0 Sadis gigas. — Selvaggi Mayorounas a Tabalinga. — Or¬ namenti. — Acquisto di una garritea 0 barca. — Il rio Javarì. — Fabbricazione dell’olio di testuggini, e raccolta delle uova. — Aidea di S. Pabto d’ Olive in ca. — Ricca vegetazione. — Popolazione. — Costruzione di case. — Tribù selvagge delle vicinanze. — Donne di S. Pablo d’Oliveinca. — Loro vestiario. — Villaggio di S. Fernendo d’ira. — Il rio Pulumayo . pag. 419 CAPITOLO XXII. Continuazione. (Dal 23 Dicembre 1847 al 5 Gennaio 1848). Il rio Tonanlin. — Le acque nere. — Scaturigini del rio Vaiai. — Sbarco all’al- dea di Fonteboa. — Incontro del vescovo del Gran Parà. — Sua missione. — L’ Iluackarì 0 scimmia a faccia rossa. — Pericolosa navigazione. — Villaggio di — 339 — Ckaisarà. — Indiani Cocamas — Caccia delle Testuggini. — Il rio Yapurà o Ca- (juela. — Arrivo ad Egas . pag. 220 CAPITOLO XXIII. Continuazione» (Dal 5 Gennaio al 3 Febbraio 1848). Incontro di due Europei — Descrizione d ’Egas. — Gita a Nogueira. — Il rio Tefé. — La Lanzeada. — Le cuyas o calebasse. — Preparazione della vernice di Ma- cucù. — Nuova specie di cantaridi. — La farina di mandioca. — Sua prepa¬ razione. — Il serpente boa. — Il sucrusgiù o serpe d’acqua. — Varie specie di bradypus. — Scaturigini e foci del rio Coary. — La Freghesia o villa d'Alvetlos. — Il rio Purus. — Gli Urumutù, Piuris, Pavas ed altri uccelli. — I selvaggi Muras. — Ladroneggi. — Vitto. — I Maruins e le Motucche. — La fattoria di Manacapurus. — Il rio Negro. — Prodotti delle foreste. — Natura del suolo. pag. 242 CAPITOLO XXIV. (Dal 3 Febbraio al 9 Marzo). Città di Manaos o Barra do Ilio Negro. — La Casciuera o salto d’acqua. — La Tigre nera. — L’Onza. — Alberi di China. — La piassaba. — Storia naturale dei dintorni di Manaos. — Viaggiatori europei che visitarono quelle regioni. — Specie di serpi velenose. — Quadrupedi. — Numerose specie di scimmie. — In¬ setti. — Nuova specie di cynips . pag. 245 CAPITOLO XXV. (Dal 9 Marzo al 20 detto). Villaggio di S. José. — Il rio Madeira. — Sua origine e navigazione. — L’aldea di Serpa. — Fiore gigantesco. — Il Caramurù o Lepidosiren paradoxa. — Vil¬ lanova da Rheyna. — Il monte Parentins. — Lago di Yurulì. — II rio Troni- beta. = Aidea di Obidos o l’antica Pauxis. — La marea. — Fattorie di Cacao o Cocoal Imperiai. — Larghezza e profondità dell’Amazzone. — Città di Santa- rem. — Il rio Tapayos. — Sua comunicazione. — Fiumi navigabili che mettono foce nell’Amazzone. — L ’Huassacù o Ilura brasiliense. — Sue proprietà. — Cura dell’elefantiasi. — Il Mururè . pag. 252 CAPITOLO XXVI. (Dal giorno 20 Marzo al 30 detto). I selvaggi Mundrucus o tagliateste. — Territorio da essi occupato. — Loro super¬ stizioni. — Funerali. — Feste. — Il Guaranà. — Il rio Xingù. — Il forte di Gurupà. — L’isola Yavarì. — Il canale di Tagipurù. — Il rio Tocantin. — L’olio d’Andiroba. — Feitorie di riso e di zucchero. — Tragitto del Tocantin. — Villa d’Abbaite. — Villa Sant’Anna. — Il rio Tucumandù. — Il rio Guama. pag. 202 CAPITOLO XXVII. (Dal giorno 30 Marzo al 13 Giugno 1848). Sbarco al Delem o Gran Parà. — Descrizione della città. — Commercio. — Abitanti. — Clima. — L’isola Marajò. — La Pororoca. — Imbarco sulla nave Nouvelle Eu¬ gènie. — La linea equatoriale. — Il Monsone o venti alisei. — Mar di Sargasso. — Abboccamento con una nave inglese.— ArrivoaMarsiglia.— Ritorno in patria. pag'. 209 CAPITOLO XVIII ED ULTIMO. Della collezione etnografica, armi, ornamenti, ecc., de’ selvaggi del Napo pag. 275 Brevi cenni sull’idioma zaparo . » 2S1 Vertebratorum Synopsis del dottore E. Cornalia . « 502 Scolia . n 512 — 340 Dii’ SIGNORI ASSOCIATI CHE HANNO ONORATO COLLA LORO FIRMA DAL I LUGLIO 1854 AL 15 NOVEMBRE DETTO ANNO (' Opera intitolata ESPLORAZIONE 1) E \. I, E REGIONI EQUATORIALI II’ AMERICA Agrati Giuseppe Cop. Agrati I. " Agosteo Valerio « Albertoni Giovanni in Busto^ « Albrighi Giovanni " Alcidingher, ufficiale ajutanle « Ai raghi, professore in Busto » Antonini, professore « Argenti Luigi « Arlati Angelo » Aslesani Achille n Aston Pietro « Avignoni, ragioniere » Azzoni, ingegnere » Balabio Rosa » Barbièr Sergente » Barinetti Carlo » Bassi Alessandro » Razzerò Giuseppe, negoziante n Belluni Luigi di Vanzaghello n Bellezza G. C. » Bellotti Francesco Besana Enrico « Biaggi » Biffi Antonio, farmacista nell’Ospitale Miti la re « Biffi Natale, commerciante « Bigatti Pietro, negoziante » Binda Carlo » Biondelli Bernardo, direttore del Mu¬ seo Numismatico di Brera n Bolis Carlo » Bolognini Come Cesare « Bonacina Ferdinando a Besana « Bonavia Carlo, imp. all’ufficio del - V Ipoteche. » Boracchi » Borroni e Scotti, tip. libraj » Bossi Ambrogio " Bossi Angelo « Bossi Gaetano » Bossi Luigi a Botta Davide, I. B. Agg. comunale in Arcisale Bovara Carlo Cop. Brambilla Giacomo, droghiere » Brenne Agrippino, imp. alla direzione del lotto " Brioschi Gerolamo, negoziante e com¬ missionario " Brioschi Giuseppe di Còlgano » Brivio, commerciante " Brocca « Brugora Simone » Brusa G. B. » Brusani Cesare « Busca Serbelloni Marchese n Brunali Francesco n Brunati Gerolamo « Bruni Gaspare » Cadolini Zaffira Villa » Candiani Cristoforo, negoziante » Candiani G., farm. Osp. Mditare » Caglio Pietro » Cagnola nobile Carlo « Cairati Natale, negoziante » Cantù Domenico, caporale » Carantani N. » Carcano Giovanni in Brignano » Camelli Carlo « Casanova G. A. n Casati Giacomo, direttore del Monte di Pietà e Castelharco S. E. conte Cesare » Castiglioni Francesco » Casiraghi Adamo n Castoldi Giovanni n Cattaneo Carlo » Cattaneo Giovanni « Cavalieri Luigi u Cava Giovanni » Cavezzali Francesco doti. » Cazzanigadon Antonio » Cernuschi » Ciffio Giuseppe h Clerici, imp. all 'ufficio delle ipoteche» Colombi doti. Rinaldo « Colombi Francesco » Colombo Ambrogio » Colombo Luigi « Comi G. B. rettore » Conti Giuseppe » Corbellini » Corneliani don Costanzo » Corti Alessandro » Corti Luigi, capo Sezione di Finanza » Corti Lorenzo » Colta, prof, in medicina e chirurgia » Cova Luigi, sac. in Meraztcne Cop. Crescemmo don Pace » Crivelli Carlo » Crippa Carlo » Croi! Pietro » Cerumi Giovanni in Gallante » Custodi Gio., farm. Osp. Magg. » Dainaso Fillipino » Dell’Acqua Giuseppe » De-Capitani Ambrogio » De- Capi la ni » De Colli bar. Stefano » De-Conturbia Luigi cavaliere » De-Vecchi Felice u De-Vecchi Pasquale « Dumoulard frat. libraj » Ferrano Giuseppe » Ferrario Giuseppe [intendente di fi¬ nanza ii Ferrario Luigi, negoziante » Ferrario Mauro n Focosi pittore » Foglia Antonio, chimico farmacista » Foglia, commerc. n Fontana Francesco » Forni Giuseppe, già chimico farmacista al servizio di S. A. Moahmet Aly, direttore dell’I. R. fabbrica di nitro e polvere in Trieste « Fossati Paolo, ingegnere » l Fumagalli » Gadda Pietro, imp. alla giunta del censimento » Gaddum Giuseppe, negoziante » Galletti Antonio » Galloni, professore » Garbagnali » Garrofoli » Gatti Antonio » Gattoni Antonio » Gavazzi Egidio, negoziante » Gentoli Pietro » Gianorini Ermenegildo » Giraud Augusto, avv. » Grassi Felice, negoziante » Grassi Luigi, imp. presso l’L R. Polizia » Guffanti Matteo, cambio valute » Gherardi Giuseppe » Guaita Carzia » Guerrieri Gonzaga marchesa » Guscetti Giacomo » Gusceti Pietro » ; Kobosehi, imp. alla dispensa del sale » Kramer Francesco » \ 1 1 1 1 1 1 1 I 1 1 1 1 1 1 \ 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 \ 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 o I 1 1 1 1 1 1 1 1 542 — Legnarli Biffi Luigia Cop. Lattu&da Francesco » L'amperli Antonio " Lampugnani Gaetano ” Lanzi Gaetano " Lanzi Gaetano " Lazzaroni Pietro, negoziante " Litta conte Giulio ” Litta duca Antonio " Litta Modignani conte Alessandro » Loca tei I i Giacomo ” Longone Angiolo, botanico » Lorenzi Saverio " Lotterio Carlo " Lucini Ferdinando " Macchi Giacomo " Macchi Giovanni, ragioniere » Mantovani Carlo, negoziante » Mangili Francesco, ragioniere » Marazzi Cesare " Marazzi Giosuè ” Marelli Ambrogio n Marca Carlo, negoziante « Margosio, avvocato » Mariani Antonio ” Masciaga Giovanni dottore « Mattia Angelo " Mauri Carlo, librajo » Mazza Michele di Oleggio » Mazzoni Giovanni " Mazzoni Giuseppe, avvocato n Medea Evaristo " Menaciozzi nobile Ercole « Merlo Antonio « Metelli Luigi, imp. all’ufficio di sanità n M ievi I le Marco, negoziante » Morardetti, dottore in medicina « Moray Enrico « Motta Pietro u Muluskus, tenente maresciallo » Nava Carlo n Obicini G. n Orlandi Achille n Osculati Francesco n Osculati G. Antonio » Osculali Antonio, ingegnere n Osculati Emilio e famiglia n Osio Enrico, ragioniere n Pariani Gerolamo n Pagliani Antonio n Pavia Giuseppe n Palmieri Tito n Paolo di Cantù figlio n Porcili Fortunato librajo « Pensa Sebastiano G. F. aggiunto Cop. ! Perelli Luigi „ i Pedetli Camillo » \ Perelli Luigi » 1 Penuti Gaetano » 1 Piazza Luigi » \ Piantanida Giov., dottore n 1 Pizzi Giuseppe » i Pietro Antonio, farmacista in Trezzo « 1 Ponti Francesco in Gallarate w 1 Pogliani N. « 1 Ponti librajo n 2 Porati Francesco « i Porro Achille n 1 Polloni Pietro n 1 Porro Giulio, imp. alla posta n 1 Poggi Cesare, pittore « 1 Puricelli Davide » 1 Praga Cesare n 1 Presti Giuseppe u 1 Preda Pietro >i 1 Prata Pietro, imp. presso l’economato Trivulzio n 1 Ro inoidi Nazaro n 1 Rodaci I i Giovanni n 1 Radice Antonio « 1 Radice Gerolamo » 1 Radice Luigi, ingegnere u 1 Razetti Oreste, imp. n I Radice Cesare, rag. n 1 Radaelli, ragioniere « 1 Regiori Francesco » 1 Regazzoni Cesare, negoziante n 1 Rema Antonio di Gullarale u 1 Rocca Giuseppe, negoziante . >» 1 Rossa ri G. B. " I Ro-i.si Ambrogio n 1 Rossi Gracco " 1 Rocca don Alessandro, prop. par. in Cesa n a » 1 Rommo sacerdote vice-rettore nei L. P. T ri v inizi » 1 Roncajoli Luigi, commerciante u 1 Rossi Orelli Giovanni » 1 Riva Giuseppe » 1 Riva Cesare ragioniere « 1 Riva Alessandro » 1 Ricclnni, librajo " 5 Ruspini nobile Amalia « l Sala Angelo, medico in Carzaniga u 1 Salina, librajo " • Salvini Ercole ” 1 Sanvito Carlo ” ^ Saltarmi Graziano " * 1 \ 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 I 1 I 1 1 1 I 1 1 \ 1 1 1 1 d 1 1 1 i 1 1 1 I 1 1 1 1 1 1 \ 1 1 12 1 1 4 1 1 1 13 345 Sabaini Antonio, dolt. Cop. Sassi Giov., ragioniere » Sala Cesare, negoziante » Sartorio Giovanni » Sardi Gaetano, negoziante » Scurati Carlo » Silva Maurizio » Sironi Carlo » Silva e Galimberti, negozianti » Soldi don Carlo P. P. in Picinengo « Sordi Francesco, ingegnere » Somasca Giovanni, professore n Sommaruga Carlo n Sorniani Baldassare, ragioniere » Sorniani Verri contessa » Sorniani Giuseppe « Spinelli Giovanni » Sperati Antonio, ingegnere » Stampa, professore » Slabilini Angiolo n Terenghi Annibaie in Osnago » Terenzio Giuseppe, imp. all’lnlen. di Finanza * » Thierry Eugenio « Torniamenti « Tra velli Giuseppe n Trotti marchese Lodovico » Torri Carlo, librajo in Gallarate n Turati Ercole, dottore » Ubicini Andrea, librajo « Ucelli Antonio imp. al municipio " Vallorta G. " Verri Borromeo contessa « Viganoni Giuseppe « Vigani Ambrogio » Villa Ercole, dottore « Villa Francesco, cambio valute « Villa Giovanni » Vimercati » Volontieri Luigi « Volpi Alessandro « Visconti Modrone Duchessa » Vittadini N. n Zuccoli Gerolamo » Zanca Antonio, ingegnere » Zanoni Francesco » Zucchi Paolo » MONZA. Benaglia, dottor in legge » Brambilla Giosuè, direttore dell’Ospi¬ tale » Caprolti Luigi n Daboli Mauro » Della-Lunga Francesco Cop. I Fumagalli Michele, negoziante » t Fumagalli Bortolo id. „ j Mazzuchelli Luigi „ \ Manetti, direttore degli 1. R. giardini n t Mattia Angelo, comm. distrettuale n 1 Molta Carlo, impiegato in finanza » I Motta Giovanni „ \ Pozzi Luigi, chimico farm. » i Rovere Amalia „ { Sirtori Giuseppe, dottore » { Staurenghi Giosuè, negoziante n 1 Veronelli Vincenzo, negoziante « 1 Villa Giuseppe, negoziante » 1 Villa Carlo, ingegnere municipale n 1 Villa Luigi, Podestà a 1 COMO e sua provincia. Oslinelli tip. librajo „ i Alliverti Giuseppe » ^ Anzaniri Giuseppe, intendente di Fi¬ nanza „ j Borsini Carlo, impiegato ali’uff. di commisurazione tl i Bianchini, ragioniere » i Braghetti Paolo „ \ Besesli Antonio » f Croce Luigi, ingegnere » \ Castagna Pietro „ \ Canali Francesco in Carato „ \ De Bernardi Filippo, proposto parroco in Desio „ ] Frangi, commissario alle frazioni mi¬ litari „ j Grassi Carlo » | Ghioldi N. i, i Longoni Giuseppe in Carote « \ Lhumer Pietro in Carato » i Miotti maestro t, \ Mantegazza Diego n i Niesner Grufenberg baronessa Fran¬ cesca ii i Balsiria Antonio, impiegato all’inten¬ denza di Finanza n 1 Ruspini Leopoldo, ingegnere » 1 Rocco Maspero, impiegato municipale » 1 Roberti Antonio » i Trenti Carlo, presidente all’L R. Tri¬ bunale » \ Venini Giorgio n 1 Vidani Giuseppe » \ LODI. Bertrand Filippo, dottore in legge « 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 i 1 \ t I 1 1 1 1 1 1 I 1 1 1 1 I 1 1 1 1 J 1 I 1 1 1 i i 1 1 1 1 1 1 1 1 I 1 344 MANTOVA. Tassano Tito doti. Cop. Cafassi Cesare » Negretti tip. librajo » BERGAMO. Grassi Cesare imp. alla finanza » Tirabosclii frat. libraj n CREMONA Albertoni G. B. '> Carpi don Carlo » Giusmini Antonio » Soldi proposto in. Picinengo <1 BRESCIA. Cavalieri Francesco librajo n Pietro ed Annetta conte di Commen- duno « VENEZIA. Farneron Antonio, ingegnere » Ripamonti Carpano, tip. librajo n PADOVA. Galuzzi Gaetano, studente Cop. t t VERONA. Federigolti conto Pietro « 1 VIENNA. De Mayer cavaliere » 1 TORINO. Società Editrice Bazzarini e Savallo » 100 GENOVA. Canepa Carlo « 1 PARIGI Bonaparte Carlo Luciano Pr. di Cann. n 1 Bourcièr Jules, ex console francese a Q u ilo nell’ Equatore n 1 Denis Ferdinand , conservatore alla Biblioteca di santa Genevieffa » 1 Haussollier Cb. a Beaugé » 1 1 1 G 1 17 1 1 1 1 G 2 I 12 Milano Pnv. ° Li log. fatarti m flsctuati-ViajjiSio in America Vai V/. -/Ma cì//à e ZJe/ Ve s/f V.raayaau/Z za// / yu (i/o i ‘e, prese e/a//a men/ajrw/a eVeffit /a /Wverera vi U \\ I DELL' EUL'ATURF. y^/; ///. Liò. i Hi ( Imitimi-. ■/.<>. a/ Sr/J. /sfi /// fi ////>' . /ttrt/i /(//' { araguaiaro . /Ù. f/ófi rjJieib Zar. // Zu /catta Aliar de las Nieves. { / //far He //e „ l'crt ) //tetra /ticth. *> 1 erza^hi ais ! fon ti ( orazon ed lllimssa , ttr//<> ^/nHc, presso Quiio nZ/eiyat/a /// . Hac/acZn. CoMumi oli Aitilo" Uscuiati ti-liatim in America 7ar. /. e //j/y/s' /’ //? Sf7/////s//S// Milano Hftgani ivày^Ys’. 7,7/. 171. Osculiti-Via^io America ./'> 7 e. '.'turni oli fluito ■ ggSL- / /7a/rfce /rté/rctfta Sjpaj'j't/tp . 2/nehana tù //loZarnZa . ////. Osculati Viaggio m America. fy / turni di fluì l o Benestante di 0 Butto Venditrice et/ Vanne { t arnisera } /te ticria catt ■ /tu te ctett. /io Poetatene di mattoni fonditore di tteve . Osculiti -Viario in America fS: 1- Co.'ltUUl eli Aiuto 7^i: //. V/V'/v' f/t /Jf>ttdvs per deposito d’acqua) //idfa/10 tu n'ttqcfifl. barbiere JUJ- o „ l/?rr<7/itr t/t /f/rt bd/t/ tt ■ / /nt/i/dr? t/t s/t/d/tt i/firrt'd/0/a ftit/ta/ta. £.'k\ l\x cjaicvc oV) *' 'umici :> o o . j ys/yys/ y/ /a / ///;/" A ' Ouiic ■ ,-s Questi! de] Convento. Mii tt/mora de// autore nette foreste dot ttuixes a/d/a ridonato dotte a/ atte. Isculaii-Vii^io m America. /ht./I. scaiifi ik dal vero Tjtizatìlr. Life;. Milano LiÉpa^an tu/w/o. Jntisa/nt netta re>rdi#/iera t/r/ ttua/nam dorè xca/urts rane / // ////// t osanna, tt/ujcos e tara . OscuIifi-Vìi^liD m America Kó.l. lai.XIJ. /‘arte atta dei porto (te/ aVapo ne/' Ouixos . / /'pintore J Fio. ‘i . Dsralaii is dai vero Tire afilli Lìt, Parte atta e tassa di Santa Posa d'/te/s. n ai 'inazione sa/. I a, app Milano Lit s Pagani 7,7///// flscukti-Maàdjo ir. Ar.enr f/fr/ftfca t’ cty/anna ae' xe/raytj/ Zaftares . //>ijc/artis i/myt’ //. / À'/'// . /y — Indiani 7 tinnii s n elidilo. Imazzone/Hav. di Ifaunas. /riwts7ne7e/Perù.J e Se/vayaia *. Muzulnicus . '/i, r/ MiUiio. !Viv « Lxi Pi^sni unifico \\V: . i&Jo/ tracciato da Nel suo viario sotto l’Equatore 0 UCLVLCO ty'itrru •t&ico (<*.ntr„ju,ft y<*cu ‘ayuuW Piccolo Finche* FtB. J numeri in m dry irte alla destro* del Corso del Ai/c/io indie (tuo il (fi orno ed il punto di fer ni otto*: f numeri tu sinistro* le lerfh.e per cor s e per <*p ros¬ sóri ctxi< ■ io rt t di s tni. ite 444 Mdiocch 4 Vortici o fiiMiin , de dr he renine* re il corso toc rito del le (ncque pero venienti doti Cottilo tu' di limolo s , che dee fiumi Pus toc. ss oc e Tiare mi sono servito pei primi tre (frittoli de Hoc Mappe* del Heo/rio di 0 urto oli Mori dotinolo . fi per rf li ocltri of rotoli de quella do Hoc J ni eri toc Merid 1 oli fi me. kelte de l JTotpo e dello od tre. correnti. si trecce retro no in r senior inuqofiore ctor d r ’Toqqoo i/cri vero onde otppotr isserò sensi hr li i itudine Ad .Vtc'àoUatij di Cu il«? I )