j^-)»») )»)» »))»•>»■») )» »)■)»■») -Wìi^ NORTHEASTERN UNIVERSITY LIBRARY GIVEN BY nap/afd UnìvtEsiiy il li V, yf \* ii Vi Vi \i ii > » ii li i *?«« «( «( «( (C( «e c« («■«< c<( «( (c< «e -# I?ìll ^n^A nsiMun 111 dei CORPI VIVENTI LEZIONI di CARLO MATTEUCCI '^^^"^^^^m^ PISA 1844. balla cLtpci grafia bella iHiiirrua Via S. Maria N. 8-iO. QP siH M'à6 AGLI STUDENTI (li Medicina e di scienze saturali in Pisa xjffro a Voi stampale queste Lezioni, che avrei dovuto prima esporvi oralmente . Esse hanno infatti tutta la forma di Lezioni orali ; le esperienze vi sono descritte colle espressioni che adopra uno che mostra. È così infatti che furono raccolte dal mio ottimo Amico il Dott. Cima, al quale non cesserò mai di essere riconoscente per lo zelo e /' interesse che ha pre^ so a questa redazione . Se io ebbi mai un desiderio grande , un'' ambizione , quella fu certamente di ordinare a Scienza , di costituire un insegnamento dei fenomeni Fisico-chimici dei corpi vi- venti, nello studio dei quali ho sempre impiegato tutte le mie forze . Poiché una fiera affezione nervosa mi ha impedito di soddisfare in parte ai miei voti, non ho voluto lutto cedere^ ed ho amato meglio offrirvi pubblicato un lavoro, che quantunque ancora imperfetto , non sarà di corto senza qualche utilità pei vostri studj . Spero che la Provvidenza mi ridonerà la salute, e non è l'' ultimo dei motivi per cui lo desidero, quello di poter adempire interamente aW incarico di qucst^ insegna^ mento . Loieliuo ( Villa della Ripa) , Geniiajo 1841. \ C, MATTKlCCt y/'fss LEZIONE I. Si§:norl N on ho mai dubitato tanto delle mie forze, quanto nel- 1' obbedire, come fò, all' affidatomi incarico d'un Corso di Lezioni sui fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi. Ma, se da un lato sento grandissima la difficoltà di un tale insegnamento, ho d"" altronde ferma fiducia , che i più pic' coli sforzi che potrò fare in questa via , vi riesciranno di non lieve profitto. Se al principio di un insegnamento qualunque, si studia da colui che professa, di darne alla meglio la definizione, di dimostrarne i confini, lo scopo, di tracciarne, in una pa-- rola, il piano , la necessità di questi preliminari apparisce più che mai urgente nel nostro caso. È forse questa la prima volta che s' introduce nell' in- struzione medico-fisica un insegnamento così intitolato: non v' è libro in cui si trovi dettato : vi sono, è vero, i germi sparsi qua e là: ma il punto di vista sotto cui debbono svi^- lupparsi è appena intraveduto. 1 corpi viventi non mancano di quelle proprietà generali che caratterizzano tutti i corpi della natura. Il più fanatico dei vilalisli non negò mai che la materia organizzata vi- 6 yente non fosse estesa , impenetrabile , divisibile , porosa. Come credere che la gravità, che il calorico, T elettricità, la luce , r affinità chimica abbiano su questi corpi manie- re generali d' agire totalmente diverse da quelle con cui operano su i restanti corpi della natura? Troverete in Opere anche molto accreditate di Fisiologia, raccolte in quadri le differenze , le opposizioni dirò anzi , che sì sono credute potere stabilire fra i corpi inorganici e i corpi organici. Troppo lungo sarei, e lo sarei inutil- mente, se volessi qui intrattenervi del poco o niun valore di molte fra queste differenze . Gli animali e i vegetabili cre- scono per tntusiiscepzione^i minerali per sovrapposizione •, o ciò che torna Tistesso, nei primi due T accrescimento si fa per sovrapposizione interna, negli altri per sovrapposi- zione esterna, e ciò perchè in quelli è nelF interno che trova- si il liquido che contiene disciolti gli elementi delle nuove formazioni , mentre negli altri questi elementi si trovano al di fuori. Si direbbe che i tubi che conducono le acque del- le sorgenti , crescono come i vegetabili e gli animali, per ciò solo che sulle loro inteme pareti si depone il carbonato calcare? Ve, durante la vita, lotta continua frale forze fisiche e le forze vitali: la morte è il trionfo di quelle su queste . . * Ma basterà ciò a provare che le forze vitali e le forze fi- siche siano essenzialmente distinte fra loro, opposte nella loro maniera d' agire? Si direbbe forse con esattezza che le parti d' un arco sono dotate d' una forza opposta a quella della gravità, per ciò solo che queste parti non cadono? I corpi organizzati viventi sono, come tutti gli altri corpi della natura, estesi, impenetrabili, divisibili, porosi. Immer- geteli neir acqua o in altri liquidi , e tutti li vedrete im- beversene, come se ne imbevono la sabbia, il vetro pesto, i corpi porosi e fatti di tubi capillari. E questa proprietà e nei corpi viventi della massima importanza. Ve una gran serie d' animali, i quali dalia morte in cui persistevano da 1 gran tempo, ritornano a nuova vita a contatto del F acqua di Cui s'imlx'vano. Chi non conosce le belle sperienzc del nostro Spallanzani, sul /'o^/z/Wo? Eccovi un tendine, una nienilMana, che (juali ve le mostro, ragjirinzate e indurite, non semluel)- bero aver giammai costituito parte d'un corpo organizzato. Queste stesse parti cccovele imbevute d'acqua, e già le ve- dete molli, pieghevoli, elastiche e pronte airollìclp che han- no nel corpo vivente. L' elasticità non appartiene meno ai corpi viventi di quel- lo che a tutti gli altri corpi della natura. Eccovi una por- zione di tubo intestinale, un'arteria che io posso a volontà più 0 meno dilatare e restringere. All'aprirsi del roOinet fissato alla trachea, vedete questo polmone sgonfiarsi , lo vedete rigonfiarsi e dilatarsi da capo allorché vi soffio. jVè crediate potersi, senza questa elasticità del parenchima pol- monare, dell'intestino, dell'arteria, operare le funzioni di questi varj organi. Supponetela tolta, e cesseranno le loro funzioni. La gravità opera sulle parti solide, su i liquidi e i gag dei corpi viventi, non altrimenti che su tutti gli altri corpi; e non potrà mai spiegarsi nessuna funzione di circolazione sanguigna, di respirazione, di assorbimento , se le proprie- tà fjsiclie dei solidi, dei liquidi, dei gas, se lì loro vario peso, se le loro condizioni d" equilibrio , non siano tenute a calcolo. Scaldate convenientemente un corpo organico qualunque^ e vedrete svolgersene i gas, svilupparsi vapor d'acqua, bruciarsi all' aria il suo carbonio e il suo idrogeno, produ- cendo acido carbonico e acqua. E se al primo agire del calorico vedete spesso una sostanza organizzata storcersi , raccorciarsi, anzi che dilatarsi e farsi liquida, come av- viene generalmente ai corpi inorganici, certo è che tali dilferenze non sono in modo alcuno attribuibili alla vita, giacche si mostrano in parti già da gran tempo prive di vi- ta. Sono esse dovute alla particolare struttura e alle prò- 8 prietìi fisico-chimiche degli elementi che le compongono: di- falti cominciano dal perder P acqua di cui sono imbevute, e ciò nella faccia che per la prima si riscalda , per cui a guisa d' una carta più sopra una parte che sulF altra bagna- ta, si accartocciano, alTmchè la faccia più lunga rimanga alla convessità della nuova forma. Sono spesso inzuppate d'albumina che si coagula, e allorquando il calore è forte, i loro elementi si separano allo stato gasoso, riducendosi in couìbinazioni più semplici e necessariamente più sta- bili. In un modo analogo avviene, che il coagulo del san- gue abbandonato air aria si accartoccia alla superficie vol- gendo in fuori la concavità. È in questo caso il diverso grado di umidità che va diminuendo dall' interno della massa alla superficie, che produce 1" accarlocciamento. 1/ elettricità di tensione scorre sui corjti organ!7zati, si diffonde in essi più o meno facilmente, secondo il loro di- verso grado d' umidità, e se la scintilla li traversa, li volati- lizza, li brucia, V incenerisce . Se ti la corrente eledrica che atfraversa i liquidi dei corpi viventi, allora pure se ne veggono scomi)osti i sali che vi sono contenuti, separati gii acidi ad \m polo, le basi air altro ; si vede V albumina coagularsi al polo }>osi- tivo, insieme alP ossigeno e ad un liquido schiumoso aci- do, portarsi P idrogene al polo negativo assieme ad un liquido alcalino. E quanto ai raggi luminosi, chi non sa attraversare essi gli umori dell'occhio, piegarsi, or divergendo or conver- gendo a seconda della diversa densità relativa degli umori stessi, della diversa cosi formazione delle partì che gli con- tengono, come farebbero in un istrumento diottrico? Aggiungerò infine, che gli elementi che compongono i corpi viventi non cessano d'ubbidire alle generali leggi delP affi- nità. Tutti si riconoscono, si separano dal Chimico coi processi analitici ordinarli. Fate che il cloro, il bromo, lo iodio agiscano sopra di essi, e f idrogeno sarà sempre i! 0 primo a separarsi convcrtito in acido idroclorico. Tutto le azioni ossigenanti un poco l'orti , convertiranno in acidi le sostanze or«ianiclie. Concluderemo dopo tutto questo, che colle sole proprietà generali , quali si trovano nei corpi viventi, comuni a tutti gli altri corpi dalla natura, col solo giuoco delle grandi forze tisiche, calorico, luce, elettricità, attrazione, potran- no spiegarsi tutti i fenomeni che i corpi viventi ci presen- tano? Questa conclusione sarehbe così lontana dal vero, quanto lo fu e lo è quella di coloro che uiegano ai corpi viventi queste proprietà generali, che li considerano come non soggetti affatto air influenza degli agenti fisici . Esaminate i fenomeni dei corpi viventi, i jna fisici , i più chimici^ pornK'dclcnii questa espressione, che ^i siono, e troverete delle difTereuzc ben grandi, nel modo d'ope- rare degli agenti fisici e chimici attraverso all' organismo ; difi'erenze che, dietro le cognizioni che abbiamo intorno alle leggi di questi agenti , non possono completamente spiegarsi. Lo stesso fenomeno della visione, che si direbbe il fenomeno fisico per eccellenza, non è egli tuttora per noi inesplicabile in molte sue particolarità? Come mai infatti avviene che rocchio è uno strumento acromai ico? Come avviene che la visione riesce distinta alle piccole distanze , così bene che alle grandi? Perchè infine non è doppia? Che non vi dirò dell' udito , e della voce che sono pur effetti di vi- brazioni particolari dell* aria , propagate dai solidi, diffuse colle leggi generali dell' Acustica? Eppure tante particola- rità ci rimangono ancora a spiegare in queste funzioni. L' azione chimica della luce che scompone 1' acido car- bonico , fissando il carbonio in nuove combinazioni nel seno dei vegetabili, svilujìpandone Tossigeno, producendo così ciò che le affinità chinnche le più potenti non pos- sono produrre, è di certo diversa da quella che scompo- ne certi ossidi , certi cloruri metallici , per cui basta;io le azioni chimiche le più deboli . 10 Applicate la corrente elettrica su i nervi d' un animale vivo qualunque, e la singolarità dei fenomeni che vedrete svegliarsi vi dimostrerà ad evidenza, quanto è mai grande la distanza che separa gli efletti delle grandi forze della nattira, secondo che organizzato e vivo , oppure inorganico e morto è il corpo su di cui operano . Quale sarà Inai la cagione di queste grandi diflerenze nel modo d' azione degli agenti fisici su i corpi viventi, e su tutti gli altri corpi della natura? Eccovi una prima domanda della più alta importanza , èui non ci è dato adequatamente di rispondere, nello stato attuale delle nostre cognizioni . Non abbandoniamo però le analogie della Fisica. Un raggio di luce che penetra obbli- quamenie in un vetro, in ima massa d'acqua, si piega, de- via diilla linea retta ; ma se s' incontra invece in un cristallo di carbonato di calce, si divide allora in due altri raggi i quali si piegano perciò disegualmente. La cagione del' la diflereuza fra questi due fenomeni sta tutta nella diversità di struttura fìsica fra il vetro e il carbonato di calce cri- stallizzato , e forse aurhe nella di\ ersa natura chimica delle molecole loro. Ma è di certo più alla diversità di struttura odi particolare disposizione delle molecole, che alla diversità di composizione cliimica, che sono dovute tali modlfìca/.ioni del raggio lucido . Sappiamo infitti che il Tetro, secondo che ò più o meno in diversi sensi compresso, Senza cambiar j>unto la sua chimica composizione, agisce diversamente su i raggi luminosi . E chi potrà confondere un corpo organizzato con un corpo inorganico? Gruppi di vescichette chiuse, più o meno grandi , diversamente riunite e disposte , sono di certo un che di essenzialmente diverso d' un ammasso di particelle poliedriche, riunite in un corpo cristallizzato. Dire con Schwann che V organizzazione è la cristallizza- zione operata in mezzo ad un licpiido, di cui possono im- beversi i primi crist dli che si form:ìno, equivarrebbe ad 11 ammettere, che la struttura d'una slallattite h la stessa di quella del parenchima del polmone e del ferralo . Molecole composte al meno di tre elementi , in ciascun na delle quali entra un numero grandissimo di atomi ele- mentari , formeranno necessariamente sistemi chimici , le di cui afiìnità saranno diverse da quelle, in cui le mole- cole sono composte di due elementi , nella maggior quan- tità dei casi , ed in cui gli atomi elementari entrano sem- pre in minor numero . E se le azioni chimiche generali , mostrandoci come le combinazioni sieno piìi deboli al crescere del numero degli atomi elementari , bastano a spiegare la tendenza dei composti organici a risolversi in combinazioni più semplici ; se la Chimica vi dà molli esempi di cotesta tendenza in alcuni composti inorganici, la di cui composizione ha grande analogia coi compo- sti organici , non vi sarà però lecito il credere, bastare le leggi della chimica inorganica a darvi completa ragione dei fenomeni chimici della vita. L'organizzazione dunque e la struttura molecolare dei corpi viventi inducono grandi modificazioni nel modo d' operare degli agenti fisici e chi- mici . Ma ci sarà permesso sperare, scoperto in che con- sìstano queste modificazioni, lo che ignoriamo ancora, di poter giungere alla completa spiegazione di tutti i fenomeni dei corpi viventi? Per il momento almeno, sarebbe vana una tale speranza . Aprite un animale , esaminatene il fegato , i reni, e chie- detevi qual forza fisica potrà mai spiegarvi come avvenga, che dal sangue che va a questi organi si faccia la bile , l'urina? Come mai colle aflìnità chimiche, modificate, per quanto potete immaginarlo, dalia struttura particolare delU organi, giungereste, noji dirò ad intendere, ma neppure ad intravedere come dal sangue, in cui tutti gli elemenli or- ganici stanno misti e in parte sospesi e in parte disciolti , le varie parli del corpo organico giimgano a separare e fissare 12 quelli di cui hanno mestieri per riparare le continue perdite? Che non dirò delle funzioni dei nervi, che non dirò della generazione ? L' oscurità è qui al massimo. Concludiamo dunque . 1.0 I corpi viventi hanno le proprietà generali di tutti i corpi della natura , e queste proprietà intervengono nella produzione dei loro fenomeni, uh possono quindi trascu- rarsi nella spiegazione dei medesimi. 2.0 I grandi agenti fisici , calorico , luce , elettricità , attrazione, operano sui corpi viventi , come su tutti i corpi della natura 5 e 1' azione loro deve necessariamente entrare come elemento, nella produzione delle funzioni proprie a quei corpi . 3.0 Questi stessi grandi agenti, operando attraverso alla materia organizzata, modificano talora la loro maniera ge- nerale d'agire, e tale diversità è tutta dovuta alla diversa struttura e composizione chimica dei corpi organici . 4.0 Yi sono fenomeni nei corpi viventi che chiamere- mo vitali^ e sono molti e della pili grande importanza, nei quali non si sa vedere, nello stato attuale della scienza, che possano gli agenti fisici , pur modificati nella loro azione dall' organismo, intervenire a produrli . Esiste perciò uno studio, una scienza, aggiungerò, dei fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi , come v' e una Fisiologia sperimentale . Il legame di queste due scienze intimo , necessario, sta nella terza classe dei fatti che abbiamo distinti . L' orga- nizzazione modifica 1' azione degli agenti fisici \ e lo studio di queste modificazioni vuole il concorso della Fisica e della Fisiologia sperimentale . Non dimenticate mai che si è formata una quarta classe di fenomeni dei corpi viventi, denominandoli fenomeni vi- tali . Ho detto fenomeni e non forze vitali 5 la differenza è davvero vitale . Se Newton non avesse fatto che chiamare attrazione o 13 forza altralliva, quella clic conserva il meraviglioso sistema della meccanica celeste, sarebbe il suo nome da lungo tem- po caduto in obblio . Egli disse, che V attrazione si eserci- tava in ragione diretta delle masse, in ragione inversa dei quadrati delle distanze , e svelando così le leggi eterne di quella forza , eternò con esse il suo nome . Parlare di forze vitali, darne la deflnizione, interpretare fenomeni col loro soccorso, e intanto ignorare le leggi di queste forze supposte, è dir nulla, o è peggio che dir nul- la, è tentare l'impossibile, è appagare lo spirito, cessare dalla ricerca della verità . Dire che il fegato, per la forza vitale , separa dal sangue gli elementi della bile , equivale esattamente a dire che la bile si forma nel fegato . Con questo cambiamento di parole ci facciamo una fatale illu- sione . Mi lusingo di aver cosi ben stabilito lo scopo, cui si deve mirare nello studio dei fenomeni dei cor|)i viventi , che riducesi, in ultimi termini , a quello dei fenomeni fisi- co-chimici di questi corpi , della loro organizzazione , delle modificazioni che questa organizzazione induce neir azione generale propria degli agenti fisici, e infine nella ricerca delle leggi, tuttora empiriche dei fenomeni puramente vitali. LEZIONE II. Altrazìoii" molecolare — Capillarità — Imbibizione . J^a ognuno che 1* esistenza d' un corpo vivente qualunque non può conservarsi, senza che in esso siano continuamente introdotte sostanze estranee, e senza che continuamente uè sia- no rigettate. Queste sostanze, spesso soHde, vengono per mez- zo degU organi dei corpi viventi, trasformate e ridotte allo stato liquido, nel quale stato poi peiietryno entro cavità par- ticolari, dalle quali escono di nuovo, dopo aver subito altre trasformazioni . Abbiamo \isto nella prima lezione che la porosità dei tessuti dei corpi viventi faceva sì, che questi potessero venire imbevuti , penetrati da liquidi con cui erano messi a contallo. Non potremo dunque cercare di renderci una soddisfacente spiegazione dei fenomeni delP as- sorbimento e deW esalazione , senza tenere a calcolo qiial parte aver vi possano i fenomeni della capillarità , dell' im- bibizione, dell' endosmosi che noi sappiamo accadere nel se- no dei corpi inorganici . È tanta l' importanza che ha lo studio delle due citate funzioni dei corpi viventi , che mi credo in dovere di 16 destinare per inliero quesla lezione allo shulio dei fe- nomeni, puramente iisici della capillaiità, deila imbibizio- ne , dell' endosmosi, alTme di potervi preparare, colle co- gnizioni che in queste esporremo , ad intendere ([ual par- ie aver possano nelle funzioni dell' assorbimento e dell' e- salazionc . Per limitarmi alla semplice esposizione dei fatti, ripor- terò qui, sotto alcuni titoli generali, i principali risultamenti dell' osservazione dei fenomeni capillari. 1.0 Allorcbc un corpo è immerso in un liquido, que- st'ultimo s'inalza o si abbassa intorno al primo, e il li- quido è terminato , nel suo contatto col solido, da una su- l)er(jcie concava o convessa, secondo cbe s' è elevato o de- presso . ]\el primo caso il solido si dice bagnato, e questo è il caso del vetro e delP acqua: l'altro caso si osserva tra il vetro e il mercurio . 2.0 Se s'' immergono in un liquido due corpi accade, che il liquido s' inalza o si abbassa tra di loro , secondo che sono o no bagnati, allorché sono tanto ravvicinati, da ve- nire a contatto le due superficie curve che si sono forma- te nel liquido, intorno ad ognuno di loro. La qaantilà d* inal- zamento o d' abbassamonltt, risjictto alla superficie esterna del liquido , è in ragione inversa della distanza dei due corpi . 3.0 Immergendo in un liquido un tubo di vetro aperto alle due estermità , il liquido s' inalza o s' abbassa entro questo tubo, e tanto pii^i, (}uanto più è piccolo ii suo dia- metro . Confrontando 1' inalzameuto o la de|nessione in un tubo cilindrico, coli' inalzamento e colla de])ressione che avviene fra due lastre , che sono ad una disianza egiiale al diametro del tubo, si trova che T inalzamento o la de- pressione hanno un valore doppio per il tubo . 4.0 La superficie concava del liquido scsHevato e la con- vessa del liquido depresso , appartengono ad una mezza sfera, il cui diametro è uguale a quello del tubo . 17 Allorché questi tubi sono sottilissimi, o come si dicono capillari, questo inai/amento o questo abbassamento e molto sensibile. Così in un tubetto di un millimedo di diametro r acqua s"" innalza fino a 30 millimetri, sopra il livello del liquido esteriore, mentre il mercurio si mantiene sotto al medesimo di 13 millimetri air incirca. 5." Una 2:occia d' acqua in un tubo conico di vetro si vede muovere, verso la parte più stretta del medesimo. Avviene il contrario, quando s' introduce una goccia di mercurio: questa si porta verso la parte più larga del tubo . 6." I fenomeni di cui si è finora parlato, sono intera- mente indipendenti dalla grossezza del corpo solido, che s' immerge nel liquido , e per conseguenza sono anche in- dipendenti dallo spessore delle pareti dei tubo capillare , entro il quale si fanno vedere . 7.0 Questi fenomeni si osservano identici , nell'aria alla ordinaria pressione, nell'aria condensata o rarefatta, nel vuoto ed in qualunque altro mezzo gasoso. 8." I corpi tutti, qualunque sia la natura loro, purché suscettibili d'esser bagnati, presentano gli stessi risulta- menti, se prima d'essere immersi in un liquido, vengono coperti da un strato del liquido stesso. 9." Dato lo stesso liquido e lo sfesso tubo , 1' altezza o la depressione della colonna liquida interna diminuiscono, in ragione della temperatura del liquido. 10." Gli inalzamenti e ledv^pressioni, di cui finora si è tenuto discorso, sono indipendenti dalla densità dei liquidi ; così rappresentando con 100 il sollevamento dell' acqua per un dato tubo , quello dell' alcool è 40 , quello dell' olio di lavanda 37, quello d'una soluzione satura di sai ma- rino 88. 11.0 DiiQ corpi galleggianti su d'un liquido, pollali a certo grado di avvicinamento, si vedono aderire fia di lo- ro, se ambi sono tali da lasciarsi bagnare da! liquido, otl •2 18 ambi non lo sono . Si vedono respingersi se uno è bagna* to e r altro nò . Il portarsi dei corpicciuoli leggieri gal- leggianti alla superficie delle acque, verso le pareti della vasca che le contiene, si spiega dietro questo principio. 12.° Qualunque sia l'altezza, cui si eleva un liquido, giammai si vede il medesimo sortire al difuori dall' aper- tura superiore del tubo capillare. È questa una conseguen- za necessaria dei resultati già esposti. Basterà infatti ri- flettere, che la superficie della colonna li({uida elevata nel tubo capillare , è sempre concava verso V infuori ; per cui, se in un tubo capillare ricurvo si va aggiungendo acqua da una parte, tanto che si riesca a far terminare la co- lonna prima in superficie piana , poi in superficie convessa all' infuori, si vedrà l' altra colonna rimasta concava, solle- varsi sempre più al disopra dell'altra. Si genera dunque per capillarità, una forza di depressione, allorché la super- ficie si fa convessa. Non si creda perciò che l'acqua, che scola da uno stuppino di cotone immersovi, e ripiegato in basso esca per capillarità^ basterà infatti di tenerlo orizzon- tale , perchè cessi lo scolo . Non posso diffondermi a proposito di questi fenomeni, sino a darvene la teoria, che è interamente del dominio dell' analisi matematica la più sublime . I citati risultamenti dell' osservazione bastano a provarvi, che questi fenomeni dipendono da quella forza che chiamiamo attrazione mo- lecolare , la quale si esercita fra le molecole dei corpi , e che cessa di agire alle più pìccole distanze . Onde evitare ogni falsa applicazione dei fenomeni capil- lari all' economia animale , è d' uopo che abbiale sempre presente , che uno spazio qualunque, pieno totalmente di liquido, non è capace di esercitare nessuna azione capilla- re , che r azione d" im tubo capillare su i liquidi è do- vuta, piuttosto che alla natura diversa del tubo slesso, a quella del liquido di cui si trova spalmata la sua interna parete , che finalmente non è mai per effetto di capillarità 19 che i liquidi possano traboccare dall' apertura superiore dei tubi in cui da essa sono sollevati. Sono fenomeni in generale della stessa natura, e dipen- denti dalle stesse forze quelli denominati dell' imbibizione^ dell' igroscopicilà ec. In pezzo di zuccbero in pane , uno stuppino di cotone , un cilindro di sabbia , di cenere , di sej'atura di leyno a contatto dell' acqua o d' un altro li- quido che li ba;,'ni , non tardano a sollevare il liquido per tutta la loro massa , ad imbeversene in una parola; è così che avviene di certi tessuti, cartilagini, tendini, die dis- seccati e poi immersi nell'acqua si veggono, dopo poche ore riprendere tutte le proprietà che hanno allo slato di vita , e ciò per 1' acqua assorbita ; così accade pure nella famosa esperienza del rotlifero il quale riprende vita e mo- vimento, al contatto d* una goccia d'acqua, che lo bagni . Questi fenomeni d' imbibizione intervengono pure nella filtrazione dei liquidi , e perciò , allorché questi liquidi hanno particelle solide in sospensione le vediamo separar- sene, mentre il liquido imbeve la sostanza del feltro . Una goccia di cioccolato, d' inchiostro che cadano sopra un panno o sopra una carta asciugante , si convertono in una macchia nera centrale, circondata da una zona d' un liquido meno colorato . Così accade del sangue, allorché si versa nel tessuto cellulare sottocutaneo; se ne vede il sie- ro portato al di fuori e separato dalla sostanza colorante. V è in questi fenomeni d'imbibizione da considerare, da prima la forza di adesione fra il liquido e le superfici del- le particelle solide che vi si mettono in contatto, indi l'a- zione della capillarità propriamente detta, in quanto che nello zucchero, nelle masse di sabbia, di cenere ec. , e nei tessuti organici non possono non vedersi cavità estre- mamente piccole che devono più o meno tortuosamente con- tinuarsi nel loro interno. Questo fenomeno dell' imbibizione meriterebbe di certo uno studio più lungo di quello, non si è fatto fin ora. Ha- 20 Ics volle misurare quella che egli chiamava forza di assor- bimento delle polveri, disponendo Tesperienza nel modo che vedete. È un grosso tubo chiuso in alto, pieno di cenere finissima e calcata , a cui è unito nella parte aperta, un lungo tubo più stretto, di vetro. Si empie questo tubo di acqua e rapidamente si rovescia sotto il mercurio, quasi come se ne facesse un barometro. A poco a poco la ce- nere succhia Tacqua del tubo, ed il mercurio si solleva, ed Hales lo ha visto innalzarsi fino ad altezze considerevoli, non mai però ad un' altezza maggiore di 70 centimetri. Que- sta sperienza in verità non prova altro , che la pressione atmosferica. Difatti F apparecchio di Hales non è che un barometro ad acqua e a mercurio, nel quale quest'ultimo si solleva, a misura che l'acqua si disperde per imbibi- zione nella cenere. L'aria frammessa e aderente alla cene- re stessa fa equilibrio, in questa esperienza, ad una gran parte della pressione atmosferica. E chiaro che la colonna di mercurio cessa di sollevarsi , allorché tutta la massa della cenere si e imbevuta, e se si immaginasse che, per una altra cagione, la cenere andasse perdendo superior- mente r acqua di cui è imbevuta , ne verrebbe un nuovo sollevamento nella colonna, sempre che però questo potes- se accadere senza che, sulla cenere stessa si facesse sentire la pressione dell'atmosfera. E questo risultamento ha ot- tenuto Magnus chiudendo l'orificio superiore e largo di un imbuto, con un pezzo di vescica, empiendo i! tubo d'ac- qua e rovesciandolo al solito colla estremità stretta, nel mercurio. Questo fatto è tanto più importante , in quanto che prova, che mentre per la membrana inzuppata d'acqua passa il vapore acqueo, la pressione dell'atmosfera non si esercita sull'interno della colonna liquida. Potrebbe dimandarsi se per 1' azione dell' imbibizione un liquido giungerà a sollevarsi ad un altezza rpialunque. Sem- brerebbe da prima che una colonna di sabbia , di cenere o d'altro immersa con una sua estremità in una massa liquida. 21 manlonuta sempre ad una stessa altezza, dovesse portare il li- quido per ind)ibizione a una altezza qualunque , tanta da imbeverne tutta la colonna. Difatli, se sì consideri isolata- mente l'azione di oi^nuno degli strati che costituiscono la co- lonna, ne verrà che allorché le particelle del primo strato in contatto del liquido si saranno, per 1' adesione bagnate, le particelle dello strato immediatamente superiore toglieran- no alle prime una parte del liquido, e queste ultime ripren- deranno la parte perduta alla massa liquida con cui sono a contatto , e ripetendo questo ragionamento per tutti gli strati successivi della colonna ne viene, che ognuno dovrà prendere la stessa quantità di liquido , ed agendo isolata- mente e supponendo costante la massa liquida, la colonna, per quanto lunga, dovrà imbeversi tutta intiera. Non è però così che vien provato dall' esperienza . L' altezza al- la quale un dato liquido si solleva in una colonna d' una data sostanza, ridotta iu polvere, per effetto di imbibizione è limitata : e questo non avviene già perchè per V eva- porazione , una porzione di liquido esca per lo strato superiore . Ho visto sollevarsi V acqua in una colonna di sabbia esattamente alla stessa altezza, in uno spazio saturo di vapore acqueo, come nelF aria asciutta . Non posso spie- garvi questo limite nel sollevamento per imbibizione, sen- za ammettere che delle cavità continuate lungo la colon- na di polvere, operino nelP imbibizione, e che per conse- guenza, oltre la semplice adesione del liquido nella super- ficie della particella della sabbia, intervenga anche V azione capillare . V esporrò qui i risultamenti di alcune esperienze ten- tate sopra questo soggetto, insieme al Dott. Cima, e che provano anche meglio la proposizione precedente . Alcuni tubi di vetro, di circa due centimetri di diametro, furono em- piti di sabbia bianchissima e passata per setaccio fino . L" estremità dei tubi che doveva essere immersa nel- l' acqua , era chiusa con una tela legata intorno al tubo . 22 La sabbia era asciugata prima a bagno maria^ e poi si in- troduceva versandola, dall' estremità superiore del tubo, e si aveva cura di non dar urti al tubo così ripieno, perchè la sabbia non avesse a comprimersi inegualmente . Sei tubi così preparati furono immersi nello stesso tempo, in sei liquidi diversi alla temperatura di + 12° C. I liquidi continuarono a salire per imbibizione, per circa dieci ore, mostrando tutti lo stesso fenomeno singolare , che cioè l' imbibizione, rapida nei primi istanti, si faceva sempre piìi lenta, a misura che si avvicinava al limite . Tutti i tubi era- no immersi nel rispettivo liquido, per circa Ya centimetro, e si aveva cura di versar nuovo liquido nei bicchierini, perchè l' altezza dell' immersione non variasse durante r esperimento . Ecco nelP unito quadro le altezze massime, a cui i diversi liquidi si sono sollevati . Tutte le soluzio- ni saline avevano la stessa densità, cioè 10° di Baumé. Soluzione di carbonato di soda .... mm.r 85 Id. di solfato di rame 75 Id. di carbonato di ammoniaca 62 Acqua distillata 60 Soluzione di sai marino . , 58 Bianco d' uovo col suo volume di acqua . . 35 Latte 55 Siero 70] Ho creduto interessante di paragonare fra loro 1' alcool a 36° Baumé e l' acqua distillata , adoprando tubi pieni di sabbia , di vetro pesto linissimamente , e di segatura di legno . Eccovi i sollevamenti ottenuti : Tubo con sabbia . Id. con vetro pesto. Id. con segat. di legno. Alcool . . mm.r 175 . . 175 . . . 125 Acqua .... 85 . . 182 . . . 60 Esaminando questo quadro si vede chiaramente , che 23 mentre T alcool sale maggiormente per imbibizione, a contatto della sabbia , sale meno dell' acqua in contatto del vetro pesto . Il che è d' accordo con ciò , che sap- piamo accadere nei tubi capillari. Ho provato ancora ad immergere nello stesso liquido due tubi preparati con vetro pesto, in uno dei quali la quantità del vetro intro- dotto era doppia di quella dell' altro . Il liquido adopera- ta era V acqua . I risultamenti ottenuti furono 1 seguenti. Nel primo tubo il liquido s'innalzò di 170 mm, nel secondo di 107 mm. Non è così facile di rendersi esattamente spiegazione del rapporto trovato fra le elevazioni per imbibizione in questi due tubi. Era però naturale che maggiormente si elevasse nel tubo, in cui la quantità di materia era dop- pia, se si rifletta alla maggior superlìcie solida che attira il liquido, e al minor diametro delle cavità capillari. Ho cercato finalmente se vi era ditferenza in questi fenomeni di imbibizione, secondo la diversa temperatura a cui si operava . Due tubi preparati con sabbia furo- no immersi , egualmente nelF acqua , ma 1' uno era alla temperatura di circa + 55" C, l'altro a + 15" G Ecco i risultamenti ottenuti : Innalzamento dopo secondi 70 .... Id. dopo minuti 11 Tubo a + 55° G . mm.r 10 . . . 175 Id. a + 15" C . . . 6 . . . 12 L' influenza della temperatura appare assai grande, so- pra il grado dell' imbibizione . Non lascierò affatto questo soggetto, senza parlarvi del- le ricerche fatte, onde pervenire, col solo giuoco delle forze capillari e defl' attrazione molecolare, a degli elfeiti pro- prii dell' affinità chimica . Se si riflette che un dato li- quido si solleva costantemente alla stessa altezza, in un certo tubo capillare , che v' è sviluppo di calore più o 24 meno grande , come lo hanno provato le sperienze di Pouillet, in ogni imbibizione, e che vi sarebbe anche, se- condo Becquerel, svolgimento dì elettricità , e che d' al- tronde r attrazione capillare non si esercita che a picco- lissime distanze e fra le molecole ultime dei corpi, si trove- rebbero in questa forzai principali caratteri dell' affinità chi- mica. È noto il bel fatto di Doebeireiner che consiste nel tro- vare che un miscuglio d' acqua e di alcool , contenuto 'in una vescica e lasciato all'aria, si va sempre più spoglian- do di . acqua . In questo caso V acqua più dell' alcool im- beve la membrana, e si disperde per evaporazione . Un altro fatto, che più direttamente risponde al nostro sco- po, è quello che cita Berzelius , che l' acqua salata cioè, passando per un lunghissimo tubo di sabbia scola priva di sale. Ilo confermato questo fatto adoprando un tubo di sab- bia, lungo circa otto metri, ed ho trovato infatti che la densità dell'acqua salata che si versava nell'alto del tu- bo, stava a quella dell' acqua che esciva, come 1 : 0,91. Una tale differenza di densità non si mantiene però co- stante . Dopo qualche tempo infatti la soluzione salina ha, al sortire dal tubo la stessa densità, come aveva all' in- trodursi in esso . Ciò prova, che la decomposizione della soluzione salina avvenne nella prima azione di contatto, tra la medesima e le particelle della sabbia . Ho ottenuto un risultato inverso al primo , adoprando una soluzione di carbonato di. soda, che faceva passare per un tubo pieno di sabbia e lungo tre metri circa. La densità della soluzione, dopo aver traversato quello strato di sabbia, stava a quella della medesima , prima di tra- versarla come 1,005: 1. Questi ultimi fatti sono imporìanti in quanto che, i»o- trebbero avere nn giorno una qualche apj)licazione ad al- cuni fenomeni dei corpi viventi , i quali non potrebbero giammai essere completamente spiegati, colla sola azione della capillarità e delF attrazione molecolare . LEZIONE III. Endosmosi . D opo avervi parlato dei fenomeni della capillarità e del- l' imbibizione, affine di mettervi in grado di farne applica- zione alle funzioni deir assorbimento e dell' esalazione dei corpi viventi, mi rimane a dirvi d' un altro fenomeno, che quantunque apparisca esclusivamente fisico, può dirsi ap- partenere di fatto ai corpi organizzati, e sembra applicarsi direttamente a queste stesse funzioni. Parlo della scoperta di Dutrochet, del fenomeno dell' endosmosi^ il quale ridu- cesi in generale, air azione reciproca che esercitano Tuno suiraltro due liquidi diversi, separati fra loro da una membrana. Per quanto noi ignoriamo ancora la teoria di questo fenomeno , ne conosciamo il principio fisico daf quale dipende, è tuttavia della più grande importanza . Comincierò dalfesporvi il fatto in tutta la sua sem^^ plicità. 3 26 Kfcovi un tubo di ve Irò, la di cui esLrcniità inferiore chiusa da un pezzo di vescica , si allarga a modo d' imbu- to. Se si versa nel tubo una soluzione acquosa di gomma o di zucchero, e si immerge nelPacqua pura colla indicata estremità, si vedrà, malgrado 1' eccesso di i)ressione della colonna liquida , Fa- equa penetrare continuamente nelT in- terno del tubo, attraversando la membra- na . La colonna del liquido contenuto nel tubo si eleverà così ad una altezza moUo grande , ed escirà anche dall' a- pertura superiore . Allo stesso tempo , una certa quantità del liquido del tubo necessariamente molto minore di quella, scenderà attraverso la membrana, e sì mescolerà all'acqua pura. Dutrochet chiamò Cìidosmosi il primo di questi fenomeni, exosmosi il secondo. Le membrane producono V endosmosi , fino a che non cominciano a putrefare . Cessa allora il fenomeno , ed il liquido che si era elevato nel tubo ridiscende, pas- sa attraverso i pori della membrana, per il solo effetto della pressione . Le membrane non sono le sole che producano que- sti fenomeni . Le lamine d' ardesia , e meglio ancora quel- le di argilla cotta molto sottili, producono i medesimi fe- nomeni, sebbene in un grado più debole : le lamine cal- caree e silicee, al contrario, non li producono. La natura del liquido adoperato influisce grandemente sul fenomeno. L' endosmosi è tanto più sensibile, quanto più la densità del liquido del tubo è maggiore di quella del li- (juido esterno . Sembrerebbe anzi , essere la sua intensità proporzionale alla differenza di densità dei due liqui- di , se non che V alcool , la di cui densità è minore di quella dell' acqua , messo nell' interno del tubo produce l'endosmosi suH' acqua collocala all' esterno del medesimo. 27 Le soluzioni saline producono cflelli molto oiUMpici di endosmosi, ma poco durevoli, attraverso una membrana . Questi liquidi sembrano alterare le membrane. L'accre- scimento di temperatura aumenta la celerità della corrente di endosmosi . Ciò che v' ha di più curioso in questo fenomeno del- l' endosmosi si è, che la più piccola quantità d' acido sol- forico o di idrogeno solforato, basta per impedirla air in- stante nei liquidi i più atti a produrla, mentre -che gli al- tri acidi, come l' acido idroclorico, il nitrico la favoriscono. Tutti i liquidi animali producono 1" endosmosi con ener- gia, per rapporto all' acqua, ad eccezione dei liquidi con- tenuti nel!' intestino crasso, i quali ne sono privi, forse per l' idrogeno solforato che contengono . Questo gas è talmente contrario al fenomeno dell'endo- smosi che questo non si manifesta tra due liquidi , d' altron- de attissimi a manifestarlo , se si fa uso d' una membrana appena imbevuta di quel gas . Noi abbiamo più volte ve- rificato questa importante osservazione . La celerità colla quale un liquido può penetrare, in virtù deir endosmosi, dalP esterno alF interno del tubo , è poco considerevole . Cosi, per esempio , se T estremità inferiore del tubo sia allargata in modo, che la membrana abbia un pollice e mezzo di diametro, e il tubo stesso 2 mm. di diametro , si vedrà con una soluzione di zucchero, la cui densità sia l,!^'^*» ^' liquido elevarsi di 53 divisioni in un'ora e mezzo, ciascuna divisione essendo d' un decimo di pollice. È però a notarsi, che questa celerità dell'endosmosi sembra direttamente proporzionale all' eccesso di densità dei liquidi interni, sulla densità dell'acqua adoperata all' esterno. Confrontando fra loro soluzioni di diverse sostanze , prese tutte alla stessa densità, e sempre messe in confronto coir aequa separata da esse per un pezzo di vescica, Dutro- chet ha trovato, che i rapporti in cui T endosmosi si fa- ceva, potevano esi)rimersi coi numeri che sieguono : 28 Acijua gelatinosa . . . . 5 ■) 1 » gommata . 5,17.. . .ii;''Miii « zuccherata . . . • 11 ;■-•■, !f K albuminosa . . . . 12 Vedesi da questo quadro, che di tutte le sostanze oi?* iraniche solubili neir acqua.) 1' albamina ò quella che pro- duce il maggiore endosmosi; < ! -ufTra i fatti i più «uriosi che Dutrochet ha scoperto stu^ diando P endosmosi, v'è quello del cambiamento di dirij- .zione, che avviene nella corrente delP endosmosi fra cer- te soluzioni acid(i e 1' acqua, secqndo il loro grado di densità e secondo lai temperatura L La soluzione d'acido idroolo- rico è quella, che più d'ogni altra soluzione a<;ida,pre*- senta questo fenomeno .Così coli' acido idroclOrico alla dén* sita di 1,02 presentasi l'endosmosi dall'acqua verso Paci- dò, e alla densità di 1,015 l'endosmosi è diretto dall' acido verso r aequa: con quest' ultima soluzione ad una tempera*- tura più elevata di oltre ■+• 20*^ P endomosi si mostra nuo- > amente diretto verso l'acido. Conveniva cercare la forza colla quale il liquido ester- no lìiìwelra. 'UkìV endosmomefro ^ che così è chiamatoli tubo che v'ho descritto. In una parola conveniva cer- care la forza della corrente chiamata d' endosmosi. A qué- sto fine Dutrochet imaginò di adoperare quell' apparecchio che Hales , e Mirbel in questi ultimi tempi , usarono per misurare la forza ascensionale del sugb nei vegeta- bili. Su questo apparecchio una tal misura è data dall' al- tezza d'una colonna di mercurio, sollevata dal liquido. Studiando 1' endosmosi sotto quest' aspetto, Dutrochet ha provalo, che la forza con cui la corrente d' endosmosi si opera, lasciando tallo costante, meno la densità del liqui- do iiìterno, era proporzionale alle quantità che esprimono, nelle diverse sperienze di confronto , gli eccessi della den- sità dei liquidi intenii su quella dell' acqua , per cui tan- to la forza, quanto la velocità dell' endosmosi sembrano 20 sof*scUi alla stessa legge . Ne verrebbe, clic siipposlo die la legge si verificasse in ogni casn, lo sciroppo alla (h'ii- si(à di 1,3 produrrebbe un endosmosi capace di sollevare uua colonna di 127 pollici di mercurio, o ciò clie (orna lo stesso il peso enorme di quattro atmosfere e mezzo, , iDutrochet lia cercato di dare la spiegazione dei fenon»eni ileir endosmosi; Poisson e Bequerel hanno pure imaginalo ailtre spiegazioni. Così si è attribuilo T endosmosi all' a- zi^onei della corrente elettrica, la quale generandosi nel dontatlo dei due liquidi diversi, produeeva, couie nella nota sperienza di Pòrret, il movimento dell' acqua aUra- v^crso la mendirana dal polo positivo al negali>o. Per- chò^ però questa spiegazione avesse qualche ])roba- bllità sarebbe mestieri, cbe fosse prima provato, ciò che non è , svilui)parsi elettricità fra il contatto dell" acqua coir alcool , coir acqua zuccherata ec. . Poisson ha pen- sato, che il liquido meno denso penetrava per i tubi ca- pillari della membrana, per cui ne veniva cbe il fdetto capillare, essendo attirato in basso dall' azione dell' acqua pura, e in alto da quella d' mi liquido più denso, 1' ec^ oess© dell', attrazione molecolare superiore delermhiava r ascensione . Ma anche questa spiegazione non è piìi ammissibile se si considera , che 1' alcool , meno denso del- rac(Jua, produce l'endosmosi; che una piccola traccia d' idro- gjeno solforato lo arresta; che certe pietre calcaree e si- licee, prese nelle stesse condizioni delle meudirane e de- gli strati d' argilla non operano il fenomeno . Non al)- biamo nulla , conviene confessarlo , di soddisfacente nella teoria dell'endosmosi, sappiamo bensì le condizioni generali del fenomeno esser queste: l.o che i due liquidi, od uno almeno, abbia affinità per la sostanza delio strato inter- jmsto : 2." cbe i due liquidi abbiano atTinità , e possano mescolarsi fra loro. Se manca una di queste condizioni, ancbe V endosmosi manca . La corrente d* ojidosmosi non è dovuta, come le sperieuze lo provano, nò al liquido 30 il meno denso , ne al meno viscoso , ne a quello che ha più forza ascendente nei tubi capillari: questa corrente appartiene generalmente al liquido che ha maggiore aiTi- nità, che imbeve più facilmente , la sostanza dello strato interposto . Le cose dette suir endosmosi bastano a provarvi con tutta l' evidenza, esser forse questo il fatto fisico il più importante nelle sue applicazioni alle funzioni dei corpi viventi . L' osservazione microscopica ha oggi messo fuor di dubbio, che in ogni tessuto vegetabile o animale , nel seno di quei liquidi che si generano nell' alterarsi dei corpi organizzati e viventi vi si trovano sempre, ad una certa epoca del loro sviluppo , corpuscoli microscopici di una forma particolare e caratteristica , e che furono chiamati cellule elementari o primitive . Consistono quei corpu- scoli in una membrana finissima di forma sferica, che rac- chiude un liquido, e sulla cui parete interna si trova un corpicciuolo che fu detto nucleo o cistoblasfe . Le cellule poi nuotano dapprima in un liquido, che Schwann chiamò cìstoblasteme , e finiscono per esservi comprese e quasi impastate, allorché questo liquido è divenuto più o meno denso . Secondo i diversi tessuti, le cellule elementari so-' no più o meno ravvicinate 1' una all' altra, e il cìstohlaste- me^ o sostanza intercellulare, è in ogni caso il mezzo d'u- nione tra una cellula e l'altra. Torneremo forse altrove, sopra questo soggetto importante, che non abbiamo qui ci- tato se non che, per rendere anche più palese tutta F im- : portanza del fatto dell' endosmosi . La vita delle cellule ele- mentari forma di certo la più gran parte dello sviluppo e della conservazione dei tessuti dei corpi viventi , e poiché queste cellule si trovano nelle condizioni dell' endosmosi , non v' è ragione perchè V endosmosi non debba accader- vi . Una vescichetta , che contiene un liquido , che è at- torniata da un altro liquido , non può agire al di fuori , non può ricevere questo , uè emettere quello, se non se operando in un modo analogo all'endosmosi. (lonvicn pelò coiif«\ssaro , cìk^ assai poco furono finora estesi ^li studj deir endosmosi , onde poterne fare alla Fisio- logia tutta r applicazione di cui apparisce suscettibile. Con- veniva variare i liquidi , fra cui V endosmosi deve operarsi, scegliere membrane diverse , ravvicinandosi sempre più alle condizioni, nelle quali avvenir possono nei corpi vi- venti i fenomeni che hanno analogia coir endosmosi , È perciò che io credo di qualche interesse V esporvi le poche esperienze che abbiamo potuto tentare dietro que- ste viste, e i di cui risultati son suflicienti a provare, che il fenomeno dell' endosmosi non è tanto semplice , quanto si era creduto , allorché si pensò d' interpetrarlo col soccorso deir analisi . Comincierò dal descrivervi im primo fatto, il quale pro- va essere la direzione delP endosmosi dipendente, in certi casi almeno , dalla struttura particolare della membrana . Adoprando in un endosmometro ordinario , invece della vescica urinaria di bue o di majale (la quale si è comu^ nemente adoperata in queste sper lenze) il gozzo fresco d'un pollo , si trova coli' alcool e F acqua , che 1' endosmosi è in direzione contraria a quella che presenta la vescica urinaria , servendosi di questi stessi liquidi. Se V alcool è dentro lo strumento, e Y acqua fuori, si vede l'alcool di- scendere nel tubo , mentre in vece sale l' acqua disponen- do i liquidi inversamente . Coli' acqua zuccherata e coir r acqua pura si vedono attraverso lo stesso gozzo di pol- lo appena sensibili i segni d' endosmosi , nella solita di- rezione dall' acqua pura all' acqua zuccherata . Disponendo due endosmometri col gozzo al solito di pollo, in uno dei quali la faccia mucosa del gozzo era volta verso l' in- terno dell' istromento , mentre nelP altra questa faccia si trovava all' esterno , ho veduto coli' alcool fuori e 1' acqua dentro, l'endosmosi essere, nelle prime ore dello speri- mento, pili rapido colla prima che colla seconda disposizio- ne della membrana. L' alcool adoperato era di circa 28'' 32 Banmé, la temperatura h- 8" C. Nello spazio di sei ore la colonna liquida s' inalzò di 30 mm. nel primo endosmo- metro, e di 24 mm. nel secondo . Dopo sedici ore 1' ele- vazione nel primo era 60 mm. e 58 mm. nel secondo . Adope- rando invece albumina e alcool , 1' endosmosi è diretto al modo solito, dall' acqua cioè all' albumina , quando la fac- cia mucosa del gozzo è in contatto dell' albumina, ma se la membrana è disposta al rovescio, 1' endosmosi non av- viene , o assai debolmente . Mettendo l' albumina fuori, e r acqua dentro l' istromento , questa si vede discendere , ma la differenza è quasi della metà , secondo che la fac- cia esterna del gozzo o la sua faccia interna sono in con- tatto dell' albumina . Ho confrontato un gozzo fresco con un altro tenuto alcuni giorni neir acqua. Adoperando al- cool e acqua l' endosmosi era diretto , come si è detto dall' alcool all' acqua , ma era d' un terzo più rapido col gozzo fresco . In un altra serie d' esperienze ho adoperato la sola mem- brana mucosa del rumine o primo stomaco d' un agnello . Se si volge in un caso la faccia interna o stomacale di questa membrana verso V interno dell' istromento, e in un un altro caso si dispone al contrario , si vede , mettendo alcool dentro e acqua fuori , che nel primo v' è endo- smosi al solito, mentre nel secondo l'alcool discende. Usando acqua zuccherata e acqua pura , 1' endosmosi è al solito da questa a quella, qualunque sia la disposizione della faccia della mend)rana . Mettendo nell' interno dell' istromento una soluzione leggiera di potassa , e al di fuori 1' acqua , v' è endosmosi dall' acqua all' alcali, ma del doppio quasi, quando la faccia stomacale della membrana è a contatto dell' alcali . Ho pur tentato di variare gli sperimenti adoperando la vescica urinaria di majale , or secca da qualche tempo , ora fresca . Colla prima si scorgono manifestamente le dif- ferenze, secondo la disposizione delle sue faccie . Se la su- 33 perlìcie esterna si volge in un caso verso P interno del- l' endosmouietro in contatto dell' alcool , e se in un altro caso si rovescia la disposizione della membrana, mettendo invece verso l' interno la faccia mucosa, si vede esser r endosmosi nel primo di 29 mm, nel secondo di 35 mm. Tenendo invece 1' alcool al di fuori e 1' acqua dentro, la discesa dell' acqua è doppia , quando la faccia mucosa è al di fuori dello stromenlo di quello che sia quando e cos'i disposta la faccia esterna della vescica . La corrente del- l' endosmosi risulta così sempre maggiore , quando questa, per la disposizione dei liquidi deve traversare la membrana dalla faccia esterna della vescica alla sua faccia interna o mucosa . Adoperando la vescica urinaria fresca i risultamenti so- no estremamente varii ed incerti. Ho variato in mille modi le sperienze , e gì' effetti i più costanti sono i seguenti : non v' è endosmosi dall' acqua all' alcool colla vescica fre- sca 5 se non che quando la mucosa è in contatto dell' al- cool il quale è nell' interno dell' istromento : se invece la mucosa è al difuori in contatto dell' acqua, allora o l' al- cool rimane stazionario, o più generalmente , si abbassa , Mi è accaduto, benché assai raramente, di vedere abbas- sarsi l' alcool, anche quando era in contatto della mucosa, ma r abbassamento fu sempre minore che in tutti gli altri casi. In una esperienza si adoperò, come membrana interme-« dia la pelle di rana, disponendola in modo che all' interno dell' endosmometro corrispondesse, ora la sua faccia esterna, ora la sua faccia interna 5 i liquidi adoperati erano acqua pura e alcool , acqua pura e albume d' ovo sciolto nel- 1' acqua . Si osservò costantemente , e indipendentemente dalla natura dei liquidi adoperati , che V endosmosi avve- niva dalla faccia interna all' esterna della pelle , e quindi si vedeva abbassarsi il liquido dell' endosmometro, sempre che all' interno dell' istromento corrispondeva la faccia in^ terna della pelle , ed elevarsi nel caso contrario . •1* 34 Si adoperò in un altro caso la sola membrana mucosa dello stomaco d' un cane. Alla parte interna dello stroniento corrispondeva ora la faccia stomacale della membrana , ora r altra faccia . L' endosmometro conteneva dell' alcool , V altro liquido era l' acqua pura al solito . Viddi operarsi Y endosmosi in ambi i casi dall' acqua all' alcool , e questo elevarsi nel tubo , ma con questa differenza , cbe men- tre non si elevò diedi 16 mm. quando all'interno dell' en- dosmometro corrispondeva la' faccia esterna della mem- brana, si elevò di 40 mm. quando vi corrispondeva la faccia stomacale . Questa maggiore intensità dell' endosmosi , dalla faccia esterna della mucosa stomacale alla sua faccia interna , ]' osservai anche adoperando dell' albume d' ovo sciolto nell' acqua , e del liquido acido preparato diluendo in una certa quantità di acqua le materie, in parte digerite, tro- vate nello stomaco stesso , aggiungendovi qualche goccia d' acido idroclorico e filtrando . Il liquido acido era sem- pre a contatto della superfìcie stomacale della membrana . In una prima sperienza, in cui la faccia stomacale della membrana corrispondeva all' interno dello stromento che conteneva il liquido acido , questo si elevò 5 in un altra esperienza, in cui si rovesciò la disposizione della mem- brana il liquido dell' endosmometro, che era 1' albume, si abbassò. Vi fu dunque endosmosi diretto costantemente nel- le due esperienze dal liquido albuminoso alla soluzione aci- da , ossia dalla faccia esterna della mucosa alla sua faccia stomacale . Questi fatti per quanto poco estesi e variati ci bastano per conchiudere: 1." che nel fenomeno dell'endosmosi operato attraverso a membrane particolari, convien tener conto della struttura stessa della membrana adoperata. 2." che l'endosmor si si opera diversamente, che la velocità della corrente è diversa, secondo la disposizione della membrana. 3." che la direzione della corrente d' endosmosi nella esperienza fatta 35 colla membrana mucosa dello stomaco , e nell" altra fatta colla pelle della rana s' accordano coiranalof>ia già stabilita ed ammessa nella struttura di questi tessuti, i." clic il fé-? nomeno dell' endosmosi interviene nelle funzioni di questi tessuti . Le cose espostevi nel corso di questa Lezione basta- no per farvi comprendere tutta l'importanza del feno" meno dell' endosmosi : fenomeno il quale è ben lungi per altro da potersi dire studiato completamente . S' avrebbe bisogno di nuove sperienze , e quelle che vi ho riferito non hanno che assai imperfettamente soddisfatto a codesto bisogno , LEZIONE IV. Assorbimento negli animali , e nei vegetabili Jl arlandovi lungamente nelle passate lezioni dei fenomeni della capillarità, dell'imbibizione e dell' endosmosi, mi- rava principalmente a prepararvi allo studio delle fun- zioni dell' assorbimento e dell' esalazione . Non è a noi, né in questo luogo che spetta di farvi la storia delle infinite ricerche fisiologiche , che si sono fatte sopra queste funzioni , specialmente nella vista di stabi'- lire quale dei diversi sistemi organici fosse più partico- larmente 0 unicamente incaricato di tali funzioni. Tro- verete nei Trattati, che ora alle sole vene queste funzio- ni furono attribuite, ora ai soli vasi linfatici* Allorché si riflette alla struttura di tutti i diversi tes- suti animali, alla necessaria esistenza delle funzioni, del- l' assorbimento e dell' esalazione , in una vasta serie di animali inferiori , privi di vasi linfatici , si trova diffi- cilmente il fondamento di tante discussioni. li' assorbimento, domo funzione do^Vi animali \ ivcnli , non è la sola imbibizione d'un tessuto qualunque del li- quido a contatto di questo tessuto ; v' è di più il tra- sporto del corpo di cui il tessuto è a contatto nei vasi sanguigni . È nel sangue che definitivamente deve trovarsi il corpo assorbito *, è questo il line della funzione . Di- stinguiamo perciò nel r assorbimento due cose: cioè l'in- troduzione, negf intcrslizii d' un corpo organizzato qualun- que, del corpo che deve essere assorbito, e poscia il passaggio del corpo così assorbito nel sistema circolatorio. È facile di provarvi 1' esistenza della prima parte di questa funzione in tutti i tessuti, e in generale in qua- lunque parte d' un corpo organizzato . Eccovi una rana che è stata per alcune ore immersa colle sole sue estre- mità inferiori in una soluzione di prussiato di potassa. La rana estratta dal liquido lavata con diligenza con acqua stillata e poscia sezionata, ci mostra la presenza della so- luzione di prussiato in tutte le partì del suo corpo . Qua- lunque punto tocchi dei suoi visceri, dei suoi tessuti, con una bacchetta di vetro bagnata nella soluzione di cloruro di ferro , per tutto apparisce una macchia bleu più o meno viva . Insisto anzi sopra questo modo di mostrarvi V assorbimento perchè più chiaramente ci svela le due parti in cui si è detto consistere una tal funzione . Una rana viva immersa ugualmente nella soluzione di prussiato di potassa, e colle sole sue estremità inferiori, se si uc- cida poco dopo e si cerchi poi nei suoi visceri e nei suoi tessuti la presenza del prussiato, si trova che nella massa muscolare delle gambe e delle coscie appena si hanno le traccie del prussiato , mentre toccando col cloruro di fer- ro il polmone ed il cuore vi si scuopre con segni marca- tissimi la presenza del prussiato. Ancora un altra espe- rienza, e la conclusione sarà evidente. Immergo un'altra rana morta da qualche ora nella stessa soluzione di prus- siato e dopo un tempo uguale d' immersione la tento con 38 il reattivo già usato . Il polmone , il cuore , non danno segni della presenza del prussiato più distinti delle altre parti della rana. La soluzione di prussiato di potassa s'intro- duce per semplice imbibizione nel corpo della rana, e questa funzione operandosi ugualmente sulla rana viva che sulla morta non può di certo considerarsi distinta dall' imbibi- zione che abbiamo studiato e visto appartenere ai corpi inorganici come agli organici e che sappiamo dipendere dalla loro struttura cellulare , vasculosa ec. Ma v' ha di pili ; nel polmone , nel cuore della rana viva si trova il prussiato di potassa in maggior copia che nelle altre parti del corpo della rana , quantunque più prossime al liquido in cui è immersa . Questi visceri sono il centro di tutto il sistema circolatorio, in essi terminano o incominciano i tronchi sanguigni . La soluzione di prussiato di potassa penetrò dunque nei vasi sanguigni , si mescolò al sangue, e giunse così al polmone ed al cuore . Si è questionato lungamente se i soli vasi linfatici po- tevano assorbire, se lo potevano le sole vene, o più chia- ramente, se un corpo può introdursi direttamente e pene- trare così nei vasi sanguigni attraverso al tessuto delle loro pareti , o seppure per giungere in questi era mestie- ri che prima si introducesse nei vasi linfatici . Poiché non v' è parte di corpo organizzato che non si lasci più o me- no facilmente imbever d' acqua , di soluzioni saline , di siero 5 è chiaro , che la prima parte della funzione del- l' assorbimento deve farsi dal tessuto delle pareti dei vasi sanguigni come da quello dei linfatici , L' anatomia microscopica svelando la maniera con cui si terminano i vasi sanguinei e i linfatici ha confermato la conclusione suddetta. Non farò qui che citarvi i risul- tamenti principali delle osservazioni del nostro Panizza . Non v' è fatto che dimostri 1' esistenza di estremità li- bere dell' albero sanguineo , che per tutto si presenta con reti intricatissime e continue 5 la rete arteriosa si continua ;)9 ognora e senza interruzione n<'lla rete venosa, la (piale predomina in genere all'arteriosa: il sistema linfatico non ^i termina mai per estremità libere , ma sempre si pre- senta esso pure sotto la forma di rete minuta ed intrica- tissima . L' anatomia dunque conduce , come 1' esperienza, a concludere che la prima parte dell' assorbimento non può Hiai farsi che per mezzo delle porosità proprie alla struttura dei corpi organizzati . Per questa via giungon*» i corpi assorbiti a mescolarsi al sangue, al chilo, alla lin- fa, e con questi in movimento si distribuiscono in tutto il corpo . Dopo tutto ciò stimerei quasi inutile di citarvi le sperienze di Magendie, Segalas, e le ultime del Paniz- za colle quali è ad evidenza provato che l' assorbimento può farsi e si fa anzi principalmente pel solo mezzo dei vasi sanguigni . Eccovi come opera quest' ullimo fisiologo. Steso a terra un cavallo e fattogli un taglio di 10 polli- ci di lunghezza al ventre, si trasse fuori un ansa d' inte- stino tenue da cui partivano varie venuccie che si rac- coglievano , dopo qualche tragitto in un sol tronco assai distinto del mesenterio , innanzi che nessuna venuccia de- rivante dalle glandole vi ponesse foce. Circoscritta que- st'ansa, che era lunga 9 pollici, con doppio laccio in modo che non ricevesse sangue che da una sola arteria, e non lo rimandasse al cuore che per il tronco venoso or nominato , sì praticò nella medesima ansa un piccolo foro , in cui s' introdusse un tubo di ottone , e si assicurò con un filo , i n maniera che la sostanza che doveva in- trodursi neir ansa non potesse venire a contatto dei mar- gini cruenti dell' apertura . Fatto questo fu passato un lac- cio sotto la vena, la quale raccoglieva il sangue reduce dal- l'ansa. Si strinse il laccio, e perchè la circolazione non soffris- se fu tagliata subito la vena , e dato cosi sfogo al sangue venoso reduce dalP intestino . Allora per mezzo d' un im- buto di vetro fu introdotto nel tubetto di ottone, e quindi nell'ansa, una certa quantità d'acido idrocianico concen- 40 Irato, e indi chiuso il tubetto di ottone , Raccolto allora > immediatamente il sangue venoso che retrocedeva dall' infj testino si rinvenne carico di acido idrocianico .• 5 IntailtOf l'animale non dava segno di avvelenamento Jierrchè fos-' sero intatte le diramazioni nervose ed i vasi linfatici' spettanti all'ansa intestinale. In un altra esperienza dello stesso Panizza in vece di allacciare e di aprire? iÌ*itPonGO| venoso del pezzo dell' intestino, nel mentre che 1' àcido idro- cianico si versava, non si faceva che comprimere il .tron-i co venoso in cui mettevan capo le venette delF ansa J Non comparve segno di avvelenamento 5 fu tolta. kcom+i pressione e dopo poco i segni dell' avvelenamento cpnW parvero, e tagliata la vena si trovò il sangue lèarico di acido idrocianico . Infine in una terza esperienza lo stesso Panizza toglieva con diligenza quanti vasi linfatici e nervi vi sono nell'ansa e l' acido introdotto non tardò ad avvelenar l'animale purché la vena fosse rimasta. inr<; latta . -, ! (.: L'assorbimento venoso è dunque un resultamento evi*-^ dente di esattissime esperienze. . h Che per mezzo dei vasi linfatici si faccia l' assorbimen- to è un fatto troppo noto ed evitlente. Uccidete ed aprite un animale qualunque, due 0 tre ore dopo averlo cibato, scopritegli le intestina , esaminate con attenzione il me- senterio, e scorgerete i vasi chiliferi ripieni d' un liquido lattiginoso analogo a quello che vedrete scolare in abbon- danza dal condotto toracico che è il tronco principale do- ve sboccano questi vasi . Questo liquido è il cJiìlo che per 1' atto della digestione si formò nell' intestino in cui fu assorbito dai vasi chiliferi. ? Quanti esempi non ha 1' Anatomia patologica, nei quali ! si rinvennero i vasi linfatici ripieni di pus in prossimità di parti colpite da ascessi? Assorbon dunque i vasi chili- feri e i linfatici. In una parola l'assorbimento si opera sempre che si immagina un vaso a pareti organiche', un 41 ln|Ui(lo osloiioro i-Ik^ possa imbevere la soslaiiza dì queste pareti , un liijuido interno caparci di mescolarsi con quel- lo e scorrente nel vaso stesso con più o meno di celerità. Niente per consej^uenza di |mìi llsico d' un fenomeno cosi fatto . Voglio provarvi coir esperienza la verità di questa asserzione . Eccovi un lungo tronco di vena presa sopra un. grosso animale. Esso è fissato con una estremità ad un tubo che termina nella tul)ulatura posta alla base di un recipiente di vetro -, V altra estremità è congiunta ad un tubo sottile e ricurvo di vetro ed è munito d'un rohinet. Empio d'acqua il recipiente, e per conseguenza anche il tronco venoso; fò che una porzio- ne di questo tronco venoso peschi entro acqua acidulata con acido idroclorico o solforico. Dapprima il liquido del reci- piente non indica la presenza dell' acido, ma dopo un certo tempo questa presenza si scuopre . Se invece di attendere un certo tempo , lasciando i liquidi in riposo , apro il ro' òincl^ non tardo a vedere i segni dell' acidità nel liquido che scola. Intanto nel liquido del recipiente non si scor- ge ancora la presenza dell' acido . Ciò che avviene ado^ perando un tronco di vena accade con un tronco d' arte- ria, con un tubo d'argilla, di cartone, di legno. Se la soluzione acida fosse contenuta nell' interno del tronco venoso , e se nel liquido della capsula in cui pesca la pa- 42 rete esterna di questo tronco, si versasse la tintura di tor- nasole, avverrebbe u;iualmente, cioè l'acido passerebbe al di- fuori, traversando la parete della vena, e tanto più facil- mente , quanto è più grande la velocità dello scolo . Le condizioni del fenomeno sono sempre le stesse, cioè, due liquidi capaci di mescolarsi separati da nna membrana che si lasci imbevere d' ambi due, e il movimento del liquido interno che trasporta in una data direzione il liquido e- sterno penetrato attraverso la membrana . Senza che supponiate variata in nessun modo la strut- tura e la disposizione dei vasi sanguigni , immaginate per un momento rovesciata la direzione della circolazione san- guigna , e non diremo più che le vene assorbono, dovre- mo dire invece che sono le arterie che assorbono . Eccovi il meccanismo fisico dell' assorbimento . Voglio esporvi ancora le leggi di questa funzione quali furono trovate dalla Fisiologia sperimentale , e vi sarà facile di scorgere che esse sono una necessaria conseguenza dei nostri principii. » 1.° Le sostanze quanto più sono| solu- » bili ed attenuate , ed atte ad entrare in combinazione » coi succhi organici , e a divenir parte constituente del » sangue , tanto più sono facilmente assorbite » . Malgrado il linguaggio poco scientifico con cui questa legge è espressa, ho voluto riprodurla quale trovasi nelle opere più accreditate e più moderne di Fisiologia . Questa legge non è che una dimostrazione della manie- ra con cui abbiam detto farsi 1' assorbimento . Spettereb- be ai fisiologi di studiare con esattezza la diversa facoltà dei vari liquidi ad imbevere i tessuti organici, e ne ver- rebbero certamente da questo studio conseguenze impor- tanti per la Terapeutica . Eccovi intanto alcuni fatti che possono metterci sulla via di tali ricerche . Voi vedete qui due conigli , nello stomaco d' uno dei quali si è introdotta , sono due ore , una certa quantità d' acqua , mentre nello stomaco dell' al- 43 Irò si versò dolTolio. Nello stomaco del primo non si scorge pili traccia del liquido introdotto , mentre nell' al- tro tutto r olio si trova , e vi si sarebbe trovato ancbe ritardando molte ore a sezionarlo . Se invece d' acqua pura si fosse introdotto un miscuglio di acqua e di alcool l' assorbimento sarebbe accaduto anche più rapidamente . Una soluzione acida , ima soluzione salina sarebbero state pure assorbite , ma meno rapidamente dell' acqua pura . 2." » La forza del potere assorbente dei diversi organi » è determinata principalmente dell' abbondanza dei loro » vasi , dalla floscezza del loro tessuto , e dalla facoltà » conduttrice delle parti che gli cuoprono . » Continuo a riprodurre parola per parola ciò che tro- vasi nei libri di Fisiologia . E chiaro che per /Joscezza d'un tessuto^ e per facoltà conduttrice delle parti che lo cuoprono, non s' intende e non deve intendersi altro che la tessitura dei solidi organici più o men propria a favo- rire r imbibizione . Il maggior numero dei vasi non signi- fica altro che maggior numero dei punti di contatto del corpo d' assorbirsi col liquido con cui deve mescolarsi e col quale deve essere trasportato. Ecco perchè i polmo- ni, come l'abbiam visto coli' esperienza , si trovano i più atti all'assorbimento, perchè sono i primi a mostrare la presenza dol corpo assorbito . L' anatomia infatti e' insegna che di tutte le parti dell' economia animale haimo essi una struttura più propria all' imbibizione , ed un sistema vascolare più sviluppato . Il tessuto cellulare è pur per- meabilissimo ai liquidi, ma meno provisto di vasi sanguinei del polmone •, 1' assorbimento vi si opera più lentamente . La pelle al contrario, coperta dall'epidermide che è di tessitura molto compatta, fornita di piccoli e pochi vasi , si presta difiìcilmente all' assorbimento, al che si ripara to- gliendo V epidermide . S.** » L'assorbimento varia secondo la quantità dei li- » quidi che si trovano nell' organismo 5 è inversamente » proporzionale allo stato di pletora più o men grande » dell' animale . Risovvenitevi del fenomeno dell' imbibizione e vi sarà facile di comprendere questa legge dell' assorbimento . Una massa di sabbia già imbe vuta d' un liquido cessa di prenderne altro, e al contrario tanto più rapidamente s' im- beve quanto »iù è presa lontana dal limite della sua mag- giore imbibizione. Dutrochet lasciò una pianta esposta all' aria sino a tanto clie avesse perduto 0,15 del suo peso per evaporazione , e indi immergendola nell' acqua, trovò che in ognuna delle prime quattro ore dell' immersione assorbiva 20 grani, e ne perdeva 8, mentre più tardi non ne assorbiva che 9, e tanto quanto ne perdeva per esalazione. Edwards ha visto le rane assorbire tanto più rapidamente l' acqua , quanto più aveano diminuito di peso per traspirazione. Magendie ha visto morire rapidamente per avvelenamento di stric- nina un cane a cui aveva estratto molto sangue , mentre sopra un altro, nelle cui vene avea introdotto molt' acqua, l'avvelenamento non avvenne. 4.0 » L' assorbimento deve variare dentro certi limili » proporzionalmente alla temperatura del corpo assorbente, » e dell'assorbito ». 'u^f:- presentarsi con acqua e carbonio . L' esperienza ha pro- vato che le sostanze alimentari delle due ultime categorie non bastano alla nutrizione di un animale, e che è mestie- ri che sieno sempre unite alle prime . Quanto alle sostanze della prima categoria, non posso lasciarvi ignorare due scoperte importanti fatte in questi ultimi tempi da Mulder e da Liebig . V albumina , la fi- brina , e la caseina sono identiche nella loro composizione; in tutta la proporzione del carbonio air azoto è di 8 equi- valenti del primo a un equivalente del secondo :; esse non sembrano differire , che per piccole quantità di fosforo e di zolfo che le accompagnano, per cui tolti questi corpi , ne rimane un principio comune che Mulder ha chiamato /jro" teina^ e di cui la formula adottata da Liebig è Cjs H-,o N(, Oj j. Quantunque queste sostanze posseggano proprietà fisiche assai diverse, dobbiamo considerarle isomeriche, e come modificazioni della proteina. L'altro fatto importante tro- vato da Liebig e da Dumas si è, che V albumina vegeta' bile e identica all' albumina animale , che nella farina del cereah v' è una sostanza analoga alla caseina, che la kgu' mina ha la slessa composizione della caseina , e che nel glutine v' è una sostanza identica alla fibrina animale . Non v' è dunque essenziale diil'erenza tra gli alimenti de- 4' 54 gli animali erbivori e quelli dei carnivori, se non che i pri- mi li traggono dalle piante , i secondi da altri animali. E poiché la composizione del sangue, non che quella del maggior numero dei tessuti e dei liquidi animali è quella stessa delle sostanze organiche neutre or ora citate , poi- ché non provano nel far parte delF organismo animale al- cun cangiamento di chimica composizione, e non fanno che prendere nella nutrizione una nuova forma, è natura- le, è giusto d' ammettere, che nell' atto della digestione le sostanze azotate neutre alimentari non fanno che divenire solubili e passano così inalterate nel sangue. L' isomeria di queste sostanze azotate è pure dimo- strata dal bel fatto scoperto da Denis che cioè, la fibri- na cangiasi in albumina , allorché é stata dlsciolta in una soluzione satura di sai nitro . Questo fatto é tanto più curioso, giacché non sembra verificarsi che per la fibrina del sangue venoso , mentre quella del sangue arterioso non si discioglie nel sai nitro , né si cangia in albumina. Sche- rer ha provato a tenere esposta la fibrina del sangue ve- noso in una atmosfera di gas ossigeno, ed ha visto con-, vertirsi V ossigeno in acido carbonico , perdendo così la fibrina la proprietà di cangiarsi in albumina colla soluzio-» ne di sai nitro. Alcune sperienze di Fisiologia hanno da lungo tempo stabilito che la digestione di tali sostanze alimentari è un jitto puramente fisico, che si opera indipendentemente dall'or-r ganismo vivetote. Non v'é chi ignori le sperienze celebri del nostro Spallanzani: la carne, il glutine, l'albumina coar gulata introdotta nello stomaco entro tubetti metallici per^ tugiati, si disciolgono, si digeriscono, come se fossero libere nello stomaco stesso. Le ricerche recenti di Eberle , Schwann e principalmente quelle di Wasmann hanno stabilito che nel sugo gastrico, che sembra essere una soluzione acquosa d'acido idroclo- rico 0 di fosfati acidi secondo Blondlot, trovasi disciolta 55 una sostanza particolare che fu chiamata pepsina^ e che si b giunti ad ottenere suflkientcniente pura . K questa stessa sostanza che Paycn ha recentemente studiato , cliiaman- dola gasterase . Eccovi in alcuni bicchierini una infusione di pepsina cui sono state aggiunte poche goccie d' acido idro- dorico. In uno di questi bicchierini si mise albumina coa- gulata, in un altro della fibrina. I bicchierini così preparati furono tenuti per 10 o 12 ore in un mezzo caldo a 30'^ e come vedete l' albumina e la fibrina sono in gran parte scomparse e non rimangono più che piccole traccie tra- sparenti ai bordi, e che non tarderanno a scomparire an- che esse. Posso riavere facilmente neutralinzando V acido, evaporando la soluzione, l'albumina e la fibrina, che non han- no punto cangiato di natura e che non hanno fatto che di- sciogliersi, in contatto delP infusione acida di pepsina. Questa sostanza opera perciò nella dissoluzione della fibrina e del- l'albumina come un corpo catalitico, ed è un' azione di con- tatto quella che opera la loro dissoluzione. Non è che nelr lo stomaco, e da certe ghiandole che trovausi nella mem- brana mucosa d' una porzione dello stomaco , che la soIut: zione acida di pepsina, o il sugo gastrico, è separato . Ho provato a tenere in una soluzione acida debolissima d' acir do idroclorico pezzi d' intestino tenue , d' intestino cras- so, di stomaco 5 la soluzione non acquistò mai la proprietà dissolvente, non divenne mai sugo gastrico se non a con- tatto della membrana dello stomaco. Ricordiamo qui ciò che si è detto nella Lezione suir as- sorbimento. Le soluzioni acquose penetrano nel sangue per la sola imbibizione delle pareti dei capillari sanguigni dello stomaco^ l' acqua, le bevande alcooliche colorate introdotte nello stomaco sono assorbite, non oltrepassano questo vi- scere, non si trovano nel chilo, mentre si rinvengono nel sangue. Bouchardat e Sandras hanno nutrito animali con fibrina tinta di zafferano o di cocciniglia , e nel chilo di questi animali non fu trovata mai la sostanza colorante 56 aggiunta alla fibrina . Essi hanno fatto di più . Animali nu- triti di fibrina ed altri lasciati a digiuno, uccisi poi hanno dato un chilo sempre identico 5 la materia trovata negli in- testini non era diversa, e solo negli animali nutriti di fi- brina fu trovata nello stomaco una porzione di fibrina in- completamente disciolta . Si sa pure dalle celebri esperien- ze di Tiedemaun e di Gmeliu, che la quantità di fibrina trovata nella linfa e nel chilo dopo un lungo digiuno, non è mi- nore di quella che vi si trova dopo la digestione . Adope- rando albumina coagulata , glutine e sostanza caseosa in- vece della fibrina, i risultamenti sono gli stessi. La dige- stione di queste sostanze azotate neutre riducesi dunque alla loro semplice dissoluzione , operata da una azione di contatto, e all' assorbimento, principalmente nello stomaco , di questa dissoluzione , La gelatina che non ha la stessa composizione della fibri- na, dell' albumina, della caseina ;» non è perciò come que- ste atta alla nutrizione . Nulla perciò di più fisico di questa parte della digestio- ne. La masticazione degli alimenti imbevuti d' un liquido leggermente alcalino e caldo è quella operazione interamente fisica che sì fa nei nostri laboratorii, onde dividere, atte- nuare un corpo solido e prepararlo cosi a disciogliersi . Il sugo gastrico che lo stomaco secerne , principalmente al momento della digestione, è un' infusione di pepsina nel- l' acqua acidulata , e questa infusione si prepara , si fa agire sull' albumina coagulata, sulla fibrina , sulla caseina e la loro dissoluzione avviene così bene nello stomaco, come in un recipiente qualunque convenientemente riscaldato . Il movimento delle pareti dello stomaco favorisce 1* a- zione dell'infusione di pepsina sulle sostanze da discio- gliersi , come ogni agitazione giova alla reazione di due corpi disciolti quahmque , o alla dissoluzione d' un solido in un liquido . Giova questo movimento delle pareti dello stomaco, perchè rinnovando i punti di contatto fra le pa- 57 reti e la materia contcniila, si opera meglio V assorbimen- to della porzione liquida di questa materia . L"" influenza che ha nelP alterare la digestione il taglio dei nervi delF ottavo pajo , deve in parte attribuirsi alla cessazione del movimento delle pareti dello stomaco c^ie da questi nervi è di certo influenzato 5 oltre di che poi il taglio di questi nervi porta un disturbo grande in altre funzioni troppo necessarie air integrità dell' economia ani- male . La digestione delle sostanze amilacee, la trasformazione di queste sostanze nell'organo digerente, sono fenomeni non ancora abbastanza rischiarati dall' osservazione. Mi limiterò perciò a dirvene quel poco che mi sembra ben stabilito. Bouchardat e Sandras hanno introdotto nello stomaco di alcuni cani una certa quantità d'amido, o allo stato di gelatina o semplicemente sospeso nell' acqua . Questi animali furono uccisi dopo un certo tempo più 0 meno lungo , e si ricercò nello stomaco é negli intestini la pre- senza dell' amido o dei suoi prodotti . È assai curiosa 1' osservazione fatta da questi chimici della non acidità costante trovata nel liquido dello stoma- co , negli animali nutriti col solo amido 5 si direbbe che la secrezione del sugo gastrico è eccitata dalla presenza delle sostanze azotate neutre per la dissoluzione delle quali è necessario. Nò negli intestini, ne nel chilo si rinvenne mai traccia d' amido 5 nel solo stomaco se ne ebbero in- dizj . Fu cercato lo zucchero nelle materie dello stomaco ^ del duodeno , dell' intestino tenue , nel sangue . V apparec- chio di polarizzazione di Biot fu adoperato, ma senza al- cun resultato , che indicasse la presenza dello zucchero; e d egualmente non si scoprì lo zucchero, tentando d' eccitare in quelle materie la fermentazione alcoolica coli' aggiunta del lievito di birra . Bouchardat e Sandras attribuiscono ad un errore d' osservazione lo zucchero che Gmelin e 58 Tiedmann avevano trovato nello stomaco d' animali nutriti con amido . Li stessi chimici e più recentemente Blondiot hanno inutilmente cercato la presenza della destrina in questi casi. Secondo essi V amido non sarebbe dunque cangiato nel- lo stomaco , ne in zucchero , ne in destrina ; ma dalle lo- ro esperienze risulterebbe che una proporzione più grande d' acido lattico si trova nello stomaco degli animali sotto- messi a un regime amilaceo , di quella che vi si rinviene se sono nutriti di fibrina^ e poiché la composizione del chilo non è in alcun modo variata dalla ingestione della fecula, poiché nessun prodotto delle trasformazioni della fecula si trova nel chilo, ne verrebbe che l'amido è can- giato, se non immediatamente , almeno poco dopo la sua introduzione nello stomaco in acido lattico e lattati, quali corpi solubilissimi neir acqua , sarebbero nello stomaco assorbiti, ne giungerebbero mai negli intestini. Confesso il vero che vorrei aver potuto ripetere queste sperienze , o vederle da altri variate e confermate . Non voglio però lasciarvi ignorare che alcune scoperte impor- tanti di chimica organica sono in qualche maniera d' ac- cordo colle conclusioni che si deducono dalle sperienze di Sandras e Bouchardat. La conversione della fecula in acido lattico è un fatto oggi ammesso generalmente , dopo gì' in- teressanti lavori di Fremy. Vi sono delle materie albu- minose azotate, la diastasi , il cacio che convertono 1' ami- do in destrina e in zucchero. Queste stesse sostanze mo- dificate, per qualche giorno d' esposizione all' aria umida, divengono capaci di trasformare la destrina e lo zucche- ro in acido lattico . Fremy ha anche provato che la mem- brana dello stomaco del cane e del vitello , che non agi- scono sulla destrina e sullo zucchero, allorché è stata la- vata coir acqua fredda , acquista poi la proprietà di tra- sformare rapidamente in acido lattico quelle sostanze, se è stata conservata per qualche tempo nell' acqua . 59 Queste stesse sostanze azotate , che in un certo slato so- no atte ad eccitare la fermentazione lattica, prese in uno stato che chiamerò più avanzato dì trasformazione e che ancora s'ignora in che consiste, non producono più acido lattico agendo sullo zucchero 5 esse operano invece eccitan- do la fermentazione alcoolica, trasformandolo in acido car- bonico e in alcool . Credo anche dover citare a questo proposito la scomparsa dello zucchero nelle urine dei dia- betici al cessare di qualunque nutrizione amilacea ; nei quali casi si sarebbe trovato , che finche questa nutrizione si manteneva, v' era realmente trasformazione dell' amido in zucchero il quale si riscontrava nelle materie dello sto- maco e delle intestina , e per fino nel sangue . Questo soggetto merita tutta l' attenzione dei medici , principalmente dopoché per alcuni casi osservati dall' illu- stre Clinico di Firenze rimarrebbe dubbio sulla scomparsa dello zucchero nell' urina dei diabetici , malgrado la sop- pressione d' ogni alimento feculento . È dunque in accordo colle cognizioni della Chimica or- ganica, è una conseguenza di ciò che possiamo ottenere col semplice giuoco delle azioni di contatto, che l'amido può convertirsi nello stomaco in acido lattico^ passando probabilmente prima allo stato di destrina e di zucchero . Né farebbe sorpresa, e non si opporrebbe alle cognizio- ni attuali che una porzione dello zucchero , in cui l' amido si è trasformato, non soffrisse nello stomaco la fermenta- zione lattica , ma che vi subisse ancora qualche altra tra- sformazione , analogha a quelle in mezzo alle quali sappia- mo oggi generarsi animali infusori. Le sperienze recentissime di Gruby e Delafond hanno messo fuori di dubbio che un grandissimo numero di que- sti animali si trova, specialmente nello stomaco degli er- bivori . Ci rimane finalmente a parlare della digestione delle sostanze grasse , che s' introducono in tanta copia nello 60 stomaco degli animali carnivori, e che senza cangìamenfot di composizione trovansi principalmente deposte nel tessuto adiposo degli animali stessi. Yi dirò, a questo proposito, una parola della questione importante promossa in questi ultimi tempi fra i chimici, sulf origine delle sostanze grasse negli erbivori . Liebig ha sostenuto che il grasso in questi ani- mali vi si produceva per una trasformazione della fecula che avea perduto una porzione del suo ossigeno, eliminato dair organismo allo stato di acido carbonico . Dumas ^ Boussingault e Payen hanno invece sostenuto , che la quan- tità di sostanza grassa esistente nel fieno, nella barbabie- tola, nella paglia basta a render conto di quella che si trova negli animali nutriti con queste sostanze . Boussin- gault ha provato la verità di questa esserzione , determi- nando sopra una vacca convenientemente assoggettata all' os- servazione, che mentre la quantità di materia grassa esi- stente negli alimenti di cui si nutriva, era stata di 1614 gram. , quella trovata nel latte della medesima era di 1413 gram. Ne viene da questa sperienza che rimane un ecces- so di 201 gram. nel grasso degli alimenti sopra quello dei prodotti deir animale . Devesi perciò ammettere che le sostanze grasse degH a- nimali fan parte dei loro alimenti , per cui la digestione ri- dur si deve , per queste sostanze , come per le materie azotate neutre , ad una semplice dissoluzione , tale che le renda atte a venire assorbite e ad entrare così nel circolo sanguigno . Tutte le osservazioni fisiologiche hanno stabilito da lun- go tempo, che gli animali nutriti di sostanze grasse dan- no un chilo più abbondante , piìi del solito lattiginoso , e da cui possono estrarsi le stesse sostanze grasse con cui furono nutriti e in cui col microscopio sì veggono globetti di materia grassa . Le sperienze di Sandras e Bouchardat hanno messo que- sta conclusione fuori di ogni dubbio . Nutrendo animali con 61 olio (lì mandorle dolci fu trovato da questi chimici questo slesso olio uel chilo degli animali; così avvenne pure allor- ché fu adoperato il sego . Usando invece la cera , non si trovò che ujia piccola quantità di (jucsta sostanza nel chi- lo , la quale vi crebhe però allorché fu introdotta discioUa neir olio . Gli stessi chimici hanno esaminato lo materie dello sto- maco e degli intestini di animali nutriti, per un certo tem- po, con solo grasso , ed hanno trovato che una porzione grande del medesimo, solido a freddo, esisteva nello stoma- co in mezzo ad un liquido molto acido , che negli inte- stini tanto tenui che grassi esisteva una specie di densa emulsione da cui si poteva trarre coli' etere una gran quan- tità di sostanza grassa . Ne verrebbe da questi fatti, della verità dei quali ho potuto io stesso assicurarmi , che le sostanze grasse non soffrono nello stomaco alterazione alcuna e che inalterate e solo ridotte liquide o quasi liquide dalla temperatura del viscere passano nell' intestino : e infatti facendo reagire fuori dello stomaco il sugo gastrico con un corpo grasso non vi si osserva cambiamento alcuno. Negli intestini Fal- cali della bile e del sugo pancreatico satura 1' acido del sugo gastrico, ed è questa una nuova prova che ces- sa negli intestini P azione dissolvente su le materie neu- tre azotate . È diflìcile di poter dire con precisione e col soccorso delle analogie , dedotte da fatti chimici , ciò che avviene delle sostanze grasse neir intestino . È un fatto che queste sostanze vi sono assorbite , e che i chiliferi possono considerarsi quasi unicamente incaricati deir as- sorbimento delle medesime . Eccovi alcune sperienze colle quali ho cercato di ren- dere meno oscura questa parte della digestione . Verso in questo matraccio ima soluzione formata di 10 oncie d' a- cqua distillata e di 25 grani di potassa caustica. Questa soluzione non ha sensibilmente il sapore alcalino e agisce 62 anche debolmente sulle earte reattive: essa non contiene infatti che appena 0,005 d' alcali , ciò che ne fa un liqui- do meno alcalino della linfa e del chilo. Riscaldo questo matraccio a bagno maria alla temperatura di 35o a 400 q e vi verso alcune goccie d' olio d' oliva, agito, e all'istante vedete il liquido farsi lattiginoso e prendere talmente le apparenze del latte da potersi confondere con esso . Abban- donato il liquido così ottenuto a se, e alla temperatura ordinaria, conserva la sua analogia col latte, separandosi in due strati uno più opaco al disopra, in cui si veggono pa- lesemente globetti di sostanza grassa , mentre il liquido in- feriore è meno opaco e tuttavia lattiginoso. Ho empito di questa specie d' emulsione un pezzo d' intestino e 1' ho immerso poi nella soluzione alcalina descritta tenuta alla temperatura di + 35o a 40° C. Dopo un certo tempo la so- luzione alcalina si è intorbidata, ha preso i caratteri del- l' emulsione interna , e di certo una porzione di questa è cosi passata al difuori della membrana . Vi riferirò ancora un' altra esperienza che parmi più concludente. Ho empito un endosmometro d'una soluzione debolissimamente alcalina , e 1' ho immerso nella emulsio- ne che v'ho mostrato. La membrana adoperata era la solita vescica urinaria di bue, e i due liquidi al principio dell' esperienza erano caldi a -+- 30Q C. Yi fu endosmosi e r emulsione penetrò nella soluzione alcalina sollevando la colonna liquida di 30 mm. in pochissimo tempo . Eccovi dei fenomeni fisici, che lungi dal risolvere in tutte le particolarità e col rigore scientifico la questione che ci siamo proposta, la rendono tuttavia meno oscura. 1 vasi chili- feri terminati con estremità cicche, inviluppati dalla mucosa intestinale, sono, nell' animale a digiuno principalmente, ri- pieni d' un liquido alcalino molto analogo alla linfa. Dopa la digestione, se specialmente si nutrì 1' animale di sostan- ze grasse, il liquido dei vasi chiliferi non e diverso da quello di prima che per V aggiunta di corpuscoli grassi , i quali 63 gli danno I' apparenza ladlginosa . È naturale T ammettere che quella alUiiità chimica, da cui si produce il liquido laltijìinoso nel miscuglio della soluzione alcalina e deir olio abbia pur luogo attraverso la membrana dei vasi chiliferi, che di certo si lascia imbevere , tanto dalla soluzione al- calina , quanto dal liquido lattiginoso formato dall' azio- ne deir alcali sui corpi grassi . Il fenomeno d' endosmosi di cui or ora v' ho parlato può anche ammettersi con qualche probabilità fra le cagio- ni dell" assorbimento dei vasi chiliferi . Le sostanze neutre azotate che entrano disciolte dal su- go gastrigo nel sangue , distruggerebbero presto lo stato neutro o leggermente alcalino necessario alla conservazio- ne delle qualità di questo liquido : V alcali del chilo e del- la linfa conservano questa neutralità del sangue. 11 chilo , la linfa contengono sospesi un gran numero di piccoli grani che hanno da 1 a 2 millesimi di linea di diametro , e che sembrano formati d' una sostanza grassa inviluppata da una membrana, che tutto porta a credere consistere in un corpo analogo alla proteina . Esistono que- ste granulazioni nel giallo dell' ovo , nel latte , nel chilo , nella linfa e in tutti i liquidi essudati patologicamente o destinati a nuove formazioni . Si sono viste queste granu- lazioni elementari riunirsi e formare un globetto una cellula analoga ai globetti del sangue , e si riguardano per- ciò come gli elementi morfologici di tutti i tessuti ani- mali. Donne ha visto in questi ultimi tempi, iniettando il latte nei vasi sanguigni , sparire dopo un certo tempo i globetti del latte , coprendosi d' uno strato albuminoso , a guisa d' una vescica e allora ridursi allo stato dei glo- buli bianchi del sangue , e alla fine scomparire anche que- sti trasfornitindosi probabilmente in gioboli sanguigni , e tutto. Ui^nèwB ridursi come prima dell' iniezione del latte. JL' elemento organico sembra dunque ridursi ad una vescichetta costituita da uno strato di sostanza albuminosa , 64 che si raccoglie , si organizza intorno ad un grano formato principalmente di sostanza grassa. Yoglio moslrarvi una importante esperienza fatta da Ascherson, la quale consiste nel mettere un grasso liquido a contatto dell' albumina : que- st' ultima , come lo vedete , si coagula air istante, e se me- scolate il tutto assieme, e portate una goccia del miscu- glio sotto il microscopio vedrete un mucchio di vescichette ognuna delle quali è formate d'un grano di grasso invi- luppato da una membrana d' albumina in qualche modo coagulata , e vi sembrerà d' avere sul porla-oggetli delle vere cellule adipose . Può anche vedersi meglio que- sf azione deponendo sopra una lamina di vetro in pros- simith una goccia d' olio e una d' albumina, e conducendole lentamente al contatto : è assai curiosa a vedersi al mi- croscopio , la formazione quasi instantanea d' una mem- brana delicatissima, elastica che non tarda a cuoprirsi di numerose ripiegature . Ascherson ha provato che que- sta formazione d' albumina e d' olio 6 realmente di na- tura cellulosa , e lo ha fatto aggiungendo un poco d' acqua ad una goccia di questa formazione: egli vidde le cellule gon- fiarsi e sortirne nel tempo stesso delle goccioline d'olio. Ado- prando in vece d' acqua, acido acetico allungato, le cellule gli parvero tanto crescere che si ruppero. Invece neir olio le cel- lule si comprimevano, diminuivano di volume. Evidentemente questi fatti, che dovrebbero tuttavia esser variati ed estesi, appartengono al fenomeno dell' endosmosi , e non possono intendersi senza ammettere la formazione cellulosa . Ec- covi dunque una operazione fisico-chimica, che rende conto con esattezza della formazione delle granulazioni elementari. Dei corpi grassi e delle combinazioni di pro- teina sono costantemente introdotte nell' organismo 5 esse si trovano in tutti i liquidi animali^ e i globetti del grasso che entrano nei tubi chiliferi e si trovano così in mezzo ad un liquido albuminoso , non possono tardare ad esser investiti da membrane albummose , e devono perciò for- 65 mare vescichotte analoiilic a quelle che V osservazione microscopica sciiopre nel chilo , nella linfa e |nel sariiinc. Per compiere questa Lezione sulla digestione non ho piii che a dirvi una parola dei gas dello stomaco e degli in- testini, e delle sostanze inorganiche che formano parte più o meno integrante deli' organismo animale. L'osservazione ha provato che manca (}uasi sempre Possigene nei gas dello stomaco, e specialmente in quelli delle intestina ; e che questi gas si compongono princi- palmente di azoto , d' acido carhonico e d' una certa quan- tità d' idrogeno carhoiiato , e qualche volta di traccie di idrogene solforato. Evidentemente una gran quantità d'aria atmosferica è introdotta nello stomaco , e in qualche ma- niera deglutita assieme agli alimenti . L' ossigene di que- st" aria scompare nello stomaco infUtrandosi forse per le memhrane e giungendo fino al sangue , e piìi probabil- mente prendendo parte a quelle modificazioni che sappia- mo dover subire le materie azotate albuminose per dive- nire fermento . L' acido carbonico sembra svilupparsi ab- bondantemente in qualche caso , e si citano a questo pro- posito gli sviluppi enormi di questo gas in alcuni rumi- nanti nutriti di erbe fresche e umide . È curioso come la scomparsa , o la produzione di quantità abbondante di gas nello stomaco e negli intestini si fanno e si succedo- no qualche volta con tanta rapidità, da non potersi ricorre- re ad azioni chimiche per rendersene conto . La presen- za dell' idrogene fra i gas del tubo digerente non può fin qui legarsi a nessuno dei cangiamenti lìsico-chlmici che abbiamo visto accadere nella digestione . Ho provato colj' esperienza che 1' ossigeno non e neces- sario per r azione che il sugo gastrico ha a disciogliere la fibrina e 1' albumina coagulala , come sembra supporsi da Liebig. Un pezzo di stomaco di majale fu messo nelP acqua leggermente acidulata insieme alla librina e all' albumina coagulata: l'acqua era stata bollita per molte ore, ed il li- 6G qiiido preparato venne riuoperlo da \m grosso strato d- o? lio. L' albumina e la fibrina si disciolsero in quel liquido, come in un altro simile lasciati liberamente a. contatto dell' aria. Le sostanze inorganiche cUe trovansi nell' organismo , vi sono evidentemente introdotte e fan parte degli ai-menti : esse non possono penetrare nella massa sanguigna che nel solo caso che vengano disciolte nell' acqua e nel sugo gastrico dello stomaco . Tutto ciò che non soddisfa a que- ste condizioni ò necessariamente rigettato fra gii escre- menti 5 ed i medici npn dimentichino mai questa verità nella scelta e nella preparazione delle sostanze c^ie aim ministrano ai malati. LEZIONE VI. ^espirazione — Eìidowiosi (jdsoso T ^ J-j azione delP ossigeno dell' aria atnios (erica sul sangue venoso , le variazioni che avvenijono nelF aria inspirata introdotta nelle cellule polmonari , le modificazioni provate dal sangue che scorre nella retò capillare distesa sulle pareti sottilissime delle vescichelte aeree ; ecco i fenomeni principali che costituiscono la funzione della respirazione degli animali, e che formeranno il soggetto di (piesta Le- zione . Non v' è animale, sia preso pure fra i gradi piìi infimi deir organizzazione , la di cui vita non sia essenzialmente legata alle modificazioni che induce nella sua sostanza 1' ossigeno atmosferico . Secondo la sua diversa struttura , gli organi in cui quest' azione ha luogo sono più o meno sviluppati, ed hanno forma ed organizzazione diversa, se- condo il mezzo in cui f animale vive abitualmente . Così nei pesci V organo della respirazione ò una membrana mucosa ripiegata piìi volte sopra se stessa , divisa in fila- menti o in lamine, ripiena di vasi sanguigni, la quale (roa vasi costantemente a contatto dell'acqua che s'introduce nella m loro bocca e si espelle per le fessure brancliiali . Tutto in questi animali ò disposto perchè il contatto fra Y acqua , in cui è disciolta l' aria atmosferica , e le pareti vascolari si faccia sopra uiia superfìcie la piìi estesa possibile . In una razza ordinaria, le branchie hanno una superfìcie di 2250 pollici quadrati , Nei rettili, negli uccelli, nei mammiferi 1' organo respi- ratorio consiste in una espansione dei bronchi ramificati a guisa d'un albero, le di cui estremità più sottili terminano in un gran numero di vescichette semisferiche, addossate le une alle altre, circondate da sottilissimi vasi sanguigni. Alcuni rettili, almeno nei primi tempi, della loro vita, parte-» cipano della respirazione dei pesci e di quella dei mammi- feri, per cui hanno ad un tempo branchie e polmoni. I movimenti necessarii a questa funzione, dei quali alcuni sono involontarii, altri dipendono dalla volontà, possono ri-» dursi a un atto d' introduzione d'aria e ad un altro di emis- sione. Tutte le vie aeree dell'apparecchio respiratorio si dilatano nelF inspirazione^ tutte si restringono nell' espirazio- ne. L'azione riunita della forza muscolare, dell'elasticità delle parti ossee e cartilaginee del torace, quella propria delle pareti delle vescichette aeree, infine le propietà fisi-» che dell'aria, formano le cagioni dei movimenti della fun- zione respiratoria. Tutta la cavità toracica si dilata nell'in- spirazione e l'aria precipita nei bronchi; nell'espirazione questa cavità si restringe, le cellule aeree del polmone per la loro elasticità riprendono il volume primitivo, e l'aria così compressa e divenuta anche più elastica per il riscal- damento subito nel polmone è spinta al di fuori. 11 giuoco sem- plice d' un soffietto vi rappresenta tutto il meccanismo dei movimenti respiratorii . Nei pesci questo movimento ha luogo senza il concorso delle coste, gli archi branchiali si aprono, le lamine si se- parano, ha luogo il contatto fra esse e 1' acqua, poi si ri-' iphiudono e T acqua esce per la fessura bronchiale cho GO rimane aperta intaiilo dio T opercolo si ahbassa . Ne^li animali inferiori la respira/ione è meno pressante, e i mo- vimenti della funzione respiratoria si)no quasi involontarii. Negli anelidi, nei molliiselii la corrente delPacqua, in cui è disciolta Paria, sembra aiutata dai movimenti vibratili proprii dei cigli impiantati sulle branclne dei medesimi . L'uomo in una inspirazione introduce nel polmone cir- ca un terzo di litro d'aria atmosferica; Taria espirata con- tiene da 3 a 5 per 100 d'acido carbonico, e in una espirazio- ne molto profonda vi si trovano anche da G ad 8 per 100 d'acido carbonico . L'aria introdotta ha intanto perduto da 4 a G per 100 del suo ossicene , I numeri che qui vi cito sono scelti, fra i tanti che abbia- mo, come quelli che mi sembrano degni della maggiore fi- ducia. È facile di calcolare con questi dati quanto ossige* ne si consuma dall' uomo nella respirazione d' un giorno, ammettendo che si facciano da 15 a 20 inspirazioni in un minuto. Secondo Lavoisier e Seguin l' ossigeno consu* niato in un giorno nella respirazione d' un uomo adulto è in pe.so di 1015 grammi. L' ossigene che scompare nel- la respirazione dell' uomo e degli uccelli trovasi sensibil- mente in volume eguale all' acido carbonico che si espira. Si è trovato da qualche osservatore molto diligente, che il volume dell' ossigeno scomparso nella respirazione supera quello dell'acido carbonico prodotto. Questa difi'erenza è specialmente marcata nei carnivori , nei quali Dulong ha trovato che l' ossigene scomparso è qualche volta doppio in volume dell'acido carbonico espirato. Dulong e Despretz hanno messo fuori di dubbio che facendo respirare un animale in un volume determinato d'aria, una quantità notabile d'azoto è costantemente espira- ta. Questo fallo dimostra che l'azoto così esalato in ecces^ so ha origine dagli alimenti , e forse anche da queir azo- to che ahbiamo ^islo trovarsi nello stomaco e negli inte- stini , come residuo dell' aria ingerita , E se la quantità •70 dell' azoto rimane costante nell' aria atmosferica , Botis» singault ha provato che ciò proveniva dall'assorbimento che alcune piante fanno di questo gas. Questi stessi cangiamenti che la respirazione produce nella composizione dell' aria atmosferica inspirata avvengo- no pure nelP aria disciolta nelP acqua . Si sa che nell' a- cqua comune e nelP acqua del mare , sta sciolta una certa quantità d' aria atmosferica che se ne va coli' ebullizione deir acqua stessa , o mettendo V acqua in contatto di gas diversi da quelli che vi s(m disciolti , o togliendole col \iioto la presenza dell' aria atmosferica . Questi fenomeni interamente fisici si operano colle leggi ben note dell' as- sorbimento dei gas dai liquidi , trovate da Dalton . Le sperienze recenti di Morren hanno pure stabilito che v' è una certa quantità d' acido carbonico disciolta in quelle acque , la quale sembra variare in ragione inversa dell' os- sigene che vi è insieme contenuto. La proporzione del- l' ossigene trovata in un dato volume d' aria disciolta nel- l'acqua, supera quella in cui si trova nell' aria atmosferica* • Humboldt e Gay-Lussac trovarono nelP aria dell' acqua dolce 32 per 100 d' ossigene . L' ossigene secondo Mor- ren sembra variare nell' acqua del mare nelle diverse ore del giorno ed essere al massimo sul mezzogiorno, e il con- trario accadere per 1' acido carbonico . I pesci consumano una porzione di que sf ossigene di- scioUo e restituiscono acido carbonico che si trova così disciolto neir acqua, e non è che per la successiva disso- luzione di nuova aria atmosferica, e per il successivo e- scirne dell' acido carbonico , che la respirazione di questi animali può continuarsi: perciò nell'acqua privata dell' aria per r ebullizione e neir acqua coperta d' olio, i pesci ces- sano presto di vivere . Riferirò qui una mia spcrienza fatta, è già molto tempo, sulla respirazione della torpe- dine . L' aria disciolta nell' acqua deir Adriatico presa presso la spiaggia si componeva per 100 di 11 d' acido 7i t'arbonico, di 00,5 d'azolo, di 29,5 d' òssìjicno . linai grossa torpedine fu tenuta per lo spazio di i5 niinuli in poco* pili di 4 litri di quesf acqua : la torpedine fu ir- ritata spesso, e se ne ebbero molte scosse, a modo che cessò presto di vivere . L' aria disciolta nell' acqua non conteneva più traccie d' ossigeiie ed invece v' erano 36 per 100 d' acido carbonico, e il rimanente d'azoto. Fu- ron dunque consumate nella respirazione della torpedine 29,5 parti d'ossigene e furono restituite 25 d' acido car- bonico . L' esperienza ha provata clic i descritti cangiamenti dell' aria atmosferica, in contatto d' un animale vivo, non solo avvengono nell' organo polmonare , ma che tutta la Superficie del corpo dell' animale può operare in un gra- do diverso simili cangiarrienti , Le rane a cui furono tolti i polmoni , o venne in altri mòdi impedita la respirazio- ne , continuarono a vivere , e poste in una determinata quantità d' aria si trovò dopo un certo tempo scomparsa una porzione dell' ossigene, e in sua vece reso l'acido carboni- co. Humboldt e Proven^.al hanno visto le tinche vivere senza gran patimento, avendo la testa e le branchie fuori del- l' acqua e il solo corpo immerso. Spallanzani ed Edwards hanno di piìi provato che la respirazione cutanea è essen- ziale nei batracciii , di modo che le rane vivono molti giorni senza polmoni, mentre periscono dopo poche ore, s€ sono scorticate o verniciate alla cute ; Sorg tenne i)er quattro ore un suo braccio in un vaso pieno di gas ossi- gene , e trovò che due terzi circa di questo gas era scomparso . Davy analizzando 1' aria soffiala in una delle pleure d' un cane trovò non contener dopo un certo tem* pò che qualche traccia d' ossigene . Il meccanismo della respirazione , i cangiamenti chimici che accompagnano questa funzione si operano dunque in tutti gli animali, nell' istessa maniera. L' ossigene scom- pare a contattò degT organi, respiratorii degli aniniali^ T ** 72 rido carbonico nello stesso tempo si esala da questi or- gani •, v' è un eccesso d' azoto nelP aria espirata su quel- lo deir inspirata ; il volume dell' acido carbonico espirato non è mai maj^giore di quello delK ossicene scomparso, e in certi animali non è che la metà 5 1' aria espirata esce satura di vapor acqueo. Intanto che la funzione respiratoria opera nelP aria at- mosferica i cangiamenti di cui v'ho parlato, cosa avviene neir organismo ? Non v' ha alcuno di voi che ignori che nella respirazione il «angue venoso spinto nel polmone, cangia il suo nero colore in un bel colore vermiglio, di- V iene arterioso, è rimandato al cuore e da quest' organo a tutte le parti del corpo . La più piccola interruzione di questo cangiamento del sangue cagiona V asfissia, la morte. Potrei descrivervi centinaja d' esperienze che vi prove- rebbero, che il cangiamento del sangue venoso in arterioso si fa nel polmone , nelF atto della respirazione . Bicbat ta- gliò in un cane la trachea e un arteria, ed applicò pron- tamente ad ognuno di questi vasi un robinet : chiudendo il robinet della trachea poco dopo una inspirazione, il san- gue arterioso cominciava ad escire nerastro, e non era passato .un minuto che appariva completamente venoso . Rifacendo 1' esperienza chiudendo il robinet della trachea subito dopo una espirazione , il sang\je arterioso esciva nero dopo pochi secondi. Togliendo con una pompa con- venientemente disposta l' aria dal polmone, il sangue esciva dall'arteria immediatamente nero, e se al contrario si spingeva un poco d' aria nel polmone il sangue più lun- gamente esciva col suo colore vermiglio . Avendo cura di aprire di tanto in tanto il robinet della trachea, si vedeva alternati vamente un ondata di sangue vermiglio succedere a quella di sangue nero . Eccovi un coniglio alla cui tra- chea è sialo unito un robinet 5 osservate il peritoneo messo allo scoperto e vedrete la tinta rossa dei suoi vasi cam- biarsi ili un biuno-oscuro , se il robinel sta chiuso per 73 qualcìie niiniitn , e ricomparire col suo colore, riaperto il robincl . I tessuti di tutte le parti del corpo, i reni , i muscoli , la lingua, le labbra , prendono il colore nerastro negli asfissiati . Tagliate i due nervi pneumogastrici in un animale qua- lunque 5 i movimenti respiratorii non tarderanno a turbar- si , e nello stesso tempo il sangue rimarrà nerastro, e le labbra , le narici , le fauci deir animale perderanno il loro color rosso . Se invece d' introdurre nel polmone d' un animale aria atmosferica si fa respirare l' animale nel gas azoto , nel- V idrogene carbonato , nell' idrogene puro , nelP ossido di carbonio , nell' acido carbonico , nel deutossido d' azoto , neir idrogene solforato , la morte succederà più o meno prontamente , e non troverete che sangue nero per tutto il corpo . Air infuori dell' aria atmosferica, l' ossigene e il gas protossido d' azoto , possono per un qualche tempo mantenere la respirazione. Forse nell' ossigene questa fun- zione potrebbe lungamente mantenersi: ma respirando que- sto gas, i movimenti respiratorii si fanno più frequenti, le pulsazioni arteriose si accelerano , e il sangue prende per tutto un color scarlatto vivacissimo. Nel protossido di azoto , la respirazione si prolunga per qualche minuto sen- za gravi inconvenienti, ma come nell' ossigene il movimento respiratorio è accelerato, sono turbate le funzioni senso- riali , e succede una specie d' inebriamento . Conosciamo dunque i fenomeni che avvengono nell'atto della respirazione tanto nell' aria , quanto nelP organisnto : ossigene assorbito , acido carbonico esalato , sangue nera- stro venoso cangiato in sangue vermiglio arterioso^ e que- sti due cangiamenti in uno stesso organo in cui per la sua particolare struttura , V aria atmoferica , che perde il suo ossigene , e il sangue venoso che diviene vermiglio , si trovano quasi a contatto o separali da una membrana estremamente sottile . 74 Ouesti cangiamenti dell'aria e del sàngue sono essi uri fenomeno che si opera nel solo corpo vivente ? Accade fra P ossigene dell' aria atmorferica , e il sangue venoso fuori del corpo vivente, anche da qualche tempo^ un cangia- mento simile a quello che aliene nella respirazione ? L' esperienza la piìi facile risponderà presto a queste di- mande, e non vi lascierà dubbio sulla natura assoluta» mente fisico-chimica di questa funzione . Eccovi una massa di sangue coagulato da qualche ora,- è che vedete rosso alla superficie e d' un colore nerastro nella nuova superficie che vi mostro col taglio. Non pas- seranno pochi minuti che prenderà il color rosso anche questa nuova superficie. Spingo un getto d'acido carbo- nico sulla superficie rossa di questo coagulo , e ben presto diverrà nerastro . Spingo questo stesso gas attraverso un liquido formato con sangue disciolto nell'acqua e dopo poco il color del liquido diviene nerastro . Questo liquido così nerastro lo verso in una boccia piena di gas ossigene, lo agito per pochi istanti, e'I suo colore nerastro si cangia in vermiglio é Sin dai tempi di Priestley si sapeva che, se questo satìgue fatto nerastro coli' acido carbonico, si teneva in una vescica umida e quindi si metteva a contatto dell' ossigene, diveniva rosso egualmente e che perciò lo strato interposto della mendirana umida non impediva il cangiamento di colore. È dunque provato dall' esperienza che il cangiamento del colore nero del sangue in vermiglio che accompagna costan- tertiente l' introduzione dell' ossigene nelle vescichette aeree dell' animale vivente , in circostanze identiche a quelle or ora indicate, è un fenomeno interamente di natura fisi- co-chimica , consistente nell' azione dell' ossigene sopra un liquido preparato dall' organismo vivente . Quale è dunque la natura di questo fenomeno, con quali leggi si opera ? Ecco le particolarità di cui dobbiamo an^ Cora occuparci . 75 Se si raccoglie il sangue venoso che esce al ferire una vena in un animale vivo, in un recipiente che contenga gas idrogenc puro e indi si agita questo sangue nel gas sudde Ito , vi si trova tal porzione d' acido carbonico , che di certo non è il prodotto di nessuna combinazione chimi- ca del gas idrogeno cogli elementi del sangue, né può dirsi discacciato dal sangue per l' affinità doli' idrogene col cor-" pò con cui potrebbe supporsi combinalo V acido carbonico* 11 gas acido carbonico esiste dunque disciolto nel sang.ue stesso , ed è discacciato dall' idrogene per quel!' azione che ha tin gas sopra gas di natnra diversa disciolti in iin liquido. Se invece di sangue venoso si fosse operato sul-» l'arterioso si sarebbe trovata una quantità minore d'aci- do carbonico emessa dal sangue . Anche l' azoto, adopera- to invece dell' idrogene produce in contatto del sangue una emissione d' acido carbonico in quantità più che doppia dal venoso , di quella che proviene dall' arterioso . Né il solo acido carbonico può con questo tìiezzo aversi dal sangue , giacche insieme ad esso escono ancora 1' ossige- no e l'azoto: ed è provato dalle esperienze esattissiine di Magnus , che la quantità d' ossigeno che è emessa e che esisto per conseguenza nel sangue venoso, è minore del- la metà di quella dell' ossigeno esistente nel sangue arte- rioso . I risultamenti di Magnus meritano tanta fiducia, e sono d' altra parte tanto importanti che io credo di dovervi qui dare i numeri trovati da questo chimico. Magnus ha estratto ed analizzato i gas disciolti nel sangue con un ap^ parecchio particolare per mezzo del quale si faceva il vuoto sul sangue stesso , e se ne raccoglievano i gas che così esci vano . Se io introducessi una certa quantità di sangue, appena estratto dall'animale, nel vuoto del baro-* metro, vedreste abbassarsi grandemente la colonna di mercurio , e potreste anche in questa maniera raccogliere i gas del sangue. Ecco i numeri di Magnus ridotti ai vo- 16 lumi dei diversi gas esistenti in lOOO parli in volume di sangue . Sangue venoso Sangue arterioso di Cavallo di Vitello di Cavallo di Vitello Ac.Carb. 547 = 0,6889 — 550 = 0,7765 . . 702 = 0,6679 — 703 = 0,6045 Ossigeno 128 = 0,1613 — 95 = 0,1326 . . 250 = 0,2378 — 279 = 0,2398 Azoto . . 119 = 0,1498 — 65 == 0,0909 . . 99 = 0,0943 — 180 = 0,1557 Somma 794 716 1051 1163 Evidentemente i gas trovati da Magnus nel sangue nel- le proporzioni riferite, non possono esservi die disciolti , polche non è che in questo stato , che possono ottenersi liberi per la presenza di altri gas o nel vuoto . Nel san- gue arterioso il rapporto fra il volume dell' ossigene e quello dell' acido carbonico è all' incirca di 1 : 2 , nel ve- noso invece questo rapporto è di 1 : 5. L' ossigene dell' aria atmosferica portato a contatto del sangue venoso, scaccia adunque una porzione d' acido car- bonico , e vi si discioglie in sua vece* Abbiamo veduto che il cangiamento di colore che su- bisce il sangue venoso per divenire arterioso , operato dall' azione dell' ossigene , avviene anche allorché questo ossigena è separato dal sangue per mezzo d' una membra- na . Importa ora di provare che questi fenomeni , cioè r azione reciproca dei gas e il cangiamento di colore nel sangue, s'operano fuori del corpo vivente, attraverso a strati di membrana e con leggi interamente fisiche . Un gas qualunque contenuto in una vescica ben chiu- sa , non tarda molto ad escire dai pori della medesima e intanto 1' aria atmosferica vi penetra in sua vece . Se il gas esterno non fosse d'un volume indefinito rispetto al volume del gas contenuto nella vescica, verrebbe presto arrestato il cambio dei gas, e tanto al difuori che al di dentro si troverebbe un miscuglio dei due gas . Ponete 77 una vescica piena d* acqua leggermente acidulafa con a- cido carbonico, sotto una campana piena di gas idrogene d' ossigene , d" azoto , e una porzione doli"' acido carl)0- uico abbandonerà 1' acqua , si troverà libera nella cam- pana mentre una porzione del gas esterno si sarà in sua vece disciolta nell' acqua . In generale due gas uno dei quali libero o in dissoluzione in un li(|uido e un altro se- parato dal primo per mezzo d' una membrana , operano r uno suir altro, si mescolano in rapporti determinati . Sarebbe a desiderarsi che una lunga serie d' esperimenti deteruiinasse le leggi di questo fenomeno, in relazione alla natura reciproca dei gas, delle loro densità, della natura delle membrane interposte . Forse un fenomeno analogo a quello dell' endosmosi avviene fra i gas. Eccovi una esperienza che vi proverà , come si barattano i gas attraverso le membrane, e come anche qualche cosa d' ana- logo air endosmosi vi è in questo cambio . Riempio in parte di gas ossigene il polmone d'un agnello ucciso, son pochi istanti , e dopo averlo vuotato col succhiamento delP aria , per quanto mi fu possibile . Legata strettamente la trachea , introduco il polmone in una campana piena di acido carbonico, rovesciata sulP acqua . Dopo pochi instanti si vede il polmone gonfiarsi e distendersi per quanto gli permette la capacità della campana . Analizzo il gas dopo r esperimento e trovo che V acido carbonico è penetrato nelle cellule polmonari, che V ossigene è escito da queste 5 il cambio però non è stato in volumi eguali , e T acido carbonico introdotto è in maggior quantità dell' ossigene uscito . In un polmone preparato al modo descritto, trovai dopo quattro ore , che il gas contenuto entro il medesimo era composto di V* di ossigene e di ^l^ di acido carbo-^ nico 5 mentre quello che era nella campana risultava da V5 d' ossigene e da '/ò d" acido carbonico . Le bolle di sapone piene d'aria atmosferica o d'idroge- ije fatte cadere neir acido carbonico hanno mostrato al 78 Marianini un fenomeno simile a quello osservato nel polmo- ne. Le bolle gonfiano, ed è curioso che nel gonfiare ca- dono in fondo al vaso che contiene il gas acido carbonico. L' eccesso delf acido carbonico penetrato nella bolla e che cagiona 1' aumento di volume, produce un aumento di peso che fa equilibrio alla diminuzione che essa soffre per il suo aumento di volume , ma intanto il velo d' acqua della bolla discioglie certamente acido carbonico e diviene cosi più pesante . Ho provato a tenere una vescica ben chiusa, a pareti sottilissime, piena di gas ossigene in contatto dell' acido* car- bonico, avendo cura che la vescica non fosse bagnata . Il gonlìamento non avviene, ma bensì dopo un certo tempo si trova che il cambio fra i due gas ha avuto luogo, sen- za però che l'acido carbonico introdotto superi I' ossigena uscito . Ho provato in fine ad empire interamente il pol- mone d' acido carbonico e così introdurlo nelf ossigene : il polmone si sgonfia, i due gas si mescolano, ma T ossigene che entra è meno dell' acido carbonico che esce . hi tutti questi fatti , oltre all' azione reciproca dei due gas attra- verso alle membrane , conviene tener conto della presenza dell' acqua , che bagna la membrana , e in cui l' acido car- bonico è solubile. Il liquido acido così formato si trova da una parte m presenza d' un gas diverso da quello di- sciolto , rispetto al quale il gas Ubero agisce come uno spazio vuoto. Polrebbesi dunque intendere l'introduzione maggiore dell' acido carbonico , nel polmone o nella bolla, attribuendolo o ad una azione particolare dei due gas , ciò che costituirebbe l'endosmosi gasoso, e ad un effetto del gas prima disciolto , poi esalato. Per rischiarare questa que- stione fa d' uopo ricorrere a gas che non abbiano affinità per l'acqua. E d' un tal soggetto che mi occupo presentemente. Alcuni fatti di Fisiologia sperimentale che mi rimango- no a citarvi, porteranno tutta I' evidenza nelle nostre con- clusioni . Alcune rane, alle quali Spallanzani, Nysten, Mar- 79 ti o Vt;; solo della bile se- parata sarebbe espulsa cogli escrementi . D' altra parte non può credersi che una sostanza così poco azotata, co- me la bile possa servire alla nutrizione. Liebig ammet- te che la bile versata nel duodeno entra in combinazione solubile colla soda, la quale è assorbita e convertita in car- bonato di soda, cedendo così parte del suo carbonio all' ossi- gene. Ad ammettere questa idea parmi manchi l'appog- gio deir esperienza , giacche non è che in certi casi pa- tologici e duranti certe costituzioni atmosferiche che si sono trovate traccie di materia biliare nel sangue. Che che ne sia delle viste ipotetiche , più o meno fon- date sulla nutrizione, che ho voluto accennarvi di volo, è un fatto che un uomo adulto assorbe in un giorno cir- ca 1015 grammi d' ossigene. Le osservazioni di Dumas, d' Andrai e Gavarret, e le più recenti di Scharling porta- no in termine medio, che 221 grammi di carbonio si esa- 01 lano ili un {giorno dairuomo, allo stalo di acido caiijo- nico , che gli uomini ne esalano più delle donne, i l>am- bini principalmente più degT uomini, che più se ne esala nella veglia che nel sonno . Un cavallo rigclla allo sialo d' acido carbonico 24C5 gram. di carbonio , consumando per ciò ()504 gram. d' ossigenc. Ina vacca lattajola con- suma 2212 gram. di carbonio, che rigetta allo sialo d'a- cido carbonico , prendendo 5833 gram. d" ossigene . Le quantità degli alimenti dunque sono in rapporto neces- sario colle quantità dell' ossigene respirato, dclP acido carbonico esalato. L'attività dei movimenti respiralorii, la densità dell'aria respirata e la quantità di carbonio introdotta cogli alimenti , devono essere in proporzione fra di loro onde si conservino i materiali dell' economia animale. In quegli animali in cui l' attività dei movimenti respi- ratorii è più grande, più rapida la circolazione capillare, maggiore la quantità dei globuli sanguigni è minima la por- zione delle sostanze grasse dei loro tessuti. È il caso degli uccelli, della Jena, della tigre. Fate che questi animali si muovano poco o niente, e il grasso s' accumulerà nei loro tessuti . È indubitato dunque che un animale è un vero appa- rato di combustione, in cui sempre si brucia il carbonio, da cui sempre si svolge acido carbonico. Un tale apparato colorifico è stato costituito in maniera da conservare un ec- cesso di calore, che doveva essere necesseriamente costante, o poco variabile, sulla temperatura del mezzo anìbiente. Que- sto eccesso varia secondo la rapidità della combustione del- l'apparalo calorifico animale e secondo la temperatura costan- te del mezzo ambiente in cui vive. Vn grammo di ferro che si ossida all'aria e un grammo di ferro che brucia nell' ossige- ne, svolgono di certo la stessa quantità di calore, ma uno si ossida, forse in un secondo mentre l'altro v'impiega molte ore. Da ciò la differenza del calore immensamente più! grande che il primo mostra sul!' altro . l na massa di mosto conveniente- 92 mente ammuccliìato si scalda grandemente nel siio fermen- tare , un'altra simile, ridotta ad uno strato sottile , svolge la slessa quantità di calore , che però non si rende sensi- bile ptr la maggior dispersione . È così che va intesa la differenza fra gli animali a sangue caldo, e gli animali a san- gue freddo . Non può dunque cader dubbio sulla sorgente generale del calore animale . Questa si trova nelle azioni chimiche della respirazione operate nei capillari , della trasformazio- ne dei tessuti e principalmente nella combinazione delPos- sigene col carbonio. Non ho voluto e non voglio neppure accennarvi le altre ipotesi immaginate sulle sorgenti del calore animale. Per- chè tagliando i nervi pneumo-gastrici o la midolla spinale, si vedeva abbassare un termometro immerso nei tessuti d'un animale, si diceva che 1' tnnervaztone era la diretta ca- gione del calore animale , ma intanto non si rilletteva che per questo taglio dei nervi e della midolla spinale la re- spirazione , la circolazione sanguigna venivano meno. Piuttosto che nella discussione di tali ipotesi, sarà me- glio d' entrare in maggiori particolarità sulle azioni chi- miche che abbiamo considerate come unica sorgente del calore animale . I Fisici hanno voluto mettere a prova la verità di questa ipotesi . Un animale esala in un certo tempo una certa quan- tità d'acido carbonico e di acqua, e svolge nello stesso tem- po una data quantità di calore che può misurarsi dalla quan- tità d'acqua che è capace di riscaldare in quel dato tempo. Se l'acido carbonico e l' acqua che l' animale esala, sono il prodotto delia combustione del carbonio e delT idrogene, il calore svolto dell'animale , hanno detto i Fisici, deve es- sere uguale a quello che quelle stesse quantità di carbonio e d' idrogene svilupperebbero bruciando air aria. Partendo dalli' determiiiazioni faJte con un calorimetro circondato d'acqua fredda, in cui l'animale era tenuto, no- 93 laudo il liscaldaineiito dell'acqua, e misurando uellu slos- so tempo l'ossigene consumato dall' animale o i suoi pro- dotti, acido carbonico e actjua, l)uIon;j; e poscia Desprelz hanno lro\ato che sopra 100 parti di calore prodotte dall' a- nimale e raccolte dal calorimetro , sole 80 o 90 erano rappresentate dalla combustione del carbonio e delP idroge- ne, dedotta dall' acido carbonico e dall'acqua emessi dall' a- uiniale . Se si rillette che la temperatura dell' animale nel calo- rimetro è sempre più alta di quella dell' acqua che lo cir- conda, e che quindi V animale si raffredda durante V espe- rimento , si trova in questo raffreddamento una spiega- zione plausibile dell' eccesso trovato . E in fatti le numero- se sperienze di Despretz hanno mostrato, che gli eccessi del calore raccolto dal calorimetro, su quello dovuto alla com- bustione respiratoria, sono tanto più grandi quanto più l'ani- male è giovane, e quanto più è elevata la sua temperatura. Si sa d' altra parte dalle belle sperienze di Edwards che gli ani- mali giovani si raffreddano molto più presto degli adulti . ;N'on v"ha dunque ragione di cercare altre sorgenti di ca- lore animale, oltre le azioni chimiche della respirazione e della nutrizione 5 se non che credo si abbia torto nel voler applicare esattamente i risultati delle sperienze delle com^ bustioui ordinarie fatte in un calorimetro , a quelli delle combustioni che possono accadere in un animale, e a non voler ammettere come sorgente del calore animale , che una sola delle molte azioni chimiche che si operano nel seno dell' animale stesso . E di fatti l'acido carbonico di cui si carica il sangue venoso, il quale è sicuramente un prodotto della combina- zione dell' ossigene atmosferico col carbonio degli elementi organici dei varii tessuti che si trasformano , non può es- ser prodotto da carbonio esistente in questi tessuti allo sta- lo libero, ma bensì in combinazioni che siamo lontani dal conoscere pienamente . Ora è provalo dalle sperienze 94 di Diilon;? che im corpo combinato ad un altro non svolge nel bruciare o nel combinarsi all' ossigeno , la stessa quan- tità di calorico che svolge essendo preso allo stato libero. 11 calore che svolgono il gas idrogene bicarbonato , il gas des marais ^ T essenza di trementina , bruciando nell' ossigene, formando acqua e acido carbonico, non uguaglia la somma del calore che svolgerebbero i volumi dei gas compo- nenti, bruciando separatamente, ma è generalmente molto minore . Le sperienze di Hess e di Andrews le quali pro- verebbero svolgersi sempre in una data combinazione, una quantità assoluta di calore, qualunque sia lo stato dei due corpi che si combinano , sono tuttora assai poco estese , e iln qui si riferiscono alle successive combinazioni d'uno stesso corpo , come sarebbe il caso delF acido solforico il quale si combina con diversi atomi d' acqua . Volendoci limitare alla sola azione chimica del carbonio e dell' idrogene coli' ossigene per spiegare la produzione del calore animale, sarà difficile interpetrare i risultati ai quali son giunti in questi ultimi tempi Andrai e Gavarret, studiando r esalazione dell' acido carbonico nell' atto della respirazione dell' uomo , Stando alle esperienze molto estese , e secondo ogni apparenza esatte, di questi due distinti Fisiologi , la quantità d' acido carbonico che viene esalato nella respira- zione è estremamente varia a seconda del sesso , dell' età e d' alcuni stati fisiologici . La differenza è compresa tra i numeri 5, e 14,4, esprimendo coi medesimi le quan- tità, prese in grammi, di carbonio che entrano a formare r acido carbonico espirato nello spazio d'un ora. 11 primo di quei numeri è stato trovato in un fanciullo di 8 anni , e 1' altro in un giovane di 26 anni . Notate che la tempera- tura essendo piìi elevata nei bambini che negli adulti , sic- come è maggiore la massa che si deve riscaldare in que- sti, così deve pure essere maggiore corrispondentemente la perdita del calore che devon fare. 95 Andrai e Gavarret lianiio pure trovato die la quantità d' acido carbonico che è emessa da una donna è assai mino- re all'epoca della sua pubertà, di quello che lo sia prima di quest'epoca, e che la differenza scompare allorché l'età o altre casioni mettono line al fenomeno della mestrua- zione . Malgrado ciò non si trova nessuna differenza sen- sibile di temperatura nel corpo d' una donna ne prima, ne do|)o, ne nel tempo della mestruazione, nò nello stato di gra- vidanza. E senza ricorrere a questi risultati sperimentali basterebbe considerare, come in certe malattie siavi un rapi- do abbassamento, e in certe altre una grandissima elevazio- ne di temperatura in tutto il corpo, senza che possa ammet- tersi una corrispondente variazione nella funzione respi- ratoria. Concludiamo intanto, che nello stato attuale delle no- stre cognizioni fisio-chimiche è duopo ammettere, che le azioni chimiche che avvengono negli animali, durante la trasformazione dei loro tessuti sotto l' influenza dell' ossi- gene atmosferico, sono la sorgente del calore negli animali, che principale , ma non unica , deve considerarsi fra que- ste , la combustione del carbonio e dell' idrogene, e che ci mancano ancora i dati sperimentali per trovare T esatta corrispondenza fra il calore prodotto da un animale e quel- lo svolto dalle azioni chimiche che in esso avvengono e che ci è dato di produrre nei nostri apparati . Non lascierò questo», soggetto senza dirvi, che anche nei vegetabili il calore svolto nella germogliazione e un fenome- no d'azione chimica dovuta alla combinazione dell' ossigene col carbonio del seme che germoglia. Si sa che nella ger- mogliazione v'è assorbimento d' ossigene, sviluppo d'acido carbonico. Nella germogliazione la diastasi converte l'amido in destrina, in zucchero e che infine scompare producendo a- cido carbonico. Ècurioso che nelle piante, come negli animali, siano r amido e lo zucchero i corpi che bruciando svolgono il calore proprio a questi esseri. Nello stesso modo si dee 96 spiegare il calore che accompagna la fecondazione delle piante, ed è perciò che troviamo scomparso lo zncchero nel- la canna da zucchero, nella kirbabietola, nelle carote, dopo la iuliorazione e la frutlilìcazioue . LEZIONE Vili. Fosforescenza dei corpi organici. N on è il solo calore che i corpi viventi producono 5 in molti fra questi vi è anche sviluppo di luce. Benché questa produzione di luce non sia un fenomeno generale e pro- prio di tutti gli esseri organizzati, i molti casi che si co- noscono, sono della più alta importanza 5 essi dimostrano uoa singolare facoltà dell' organismo vivente . Vedremo in questa Lezione , studiando il caso meglio conosciuto di fosforescenza animale, che dessa rientra nel- le teorie fisico-chimiche, quanto al suo modo generale di prodursi, e che il suo carattere eccezionale non è che una di quelle misteriose singolarità che la natura sembra aver lanciate in mezzo all'immensa varietà degli esseri, quasi senza scopo per quelli che le presentano, e solo per renderci umili ammiratori della sua moltìplice potenza creatrice , Vi parlerò lungamente della fosforescenza d' un insetto molto comune fra noi , esponendovi le sperienze le più concludenti fatte , è già qualche anno, da Macaire e da al- tri Fisici , e da me in questi ultimi tempi . 7 98 L'insetto di cui vi parlo è il Lampins Italica^ detto volgar- mente lucciola •, è un insetto coleoptero che vive nell' erba, ove si fa vedere poco dopo il cader del sole , in prima- vera e nell'estate. I due ultimi segmenti del corpo di que- sto insetto , i quali osservati di giorno si mostrano d' un colore gialliccio, appariscono leggermente luminosi ncl- l'oscurità^ nella notte poi spandono molta luce in un mo- do intermittente , ciò che si osserva assai meglio collo- cando quest' insetto col ventre all' insù, sopra una tavola . Si vede allora o toccandolo leggermente , oppure an- che senza toccarlo, che la luce cessa qualche volta ad un tratto , e poi ricomparisce . Questo fatto condusse il sig. Macaire ad ammettere che la volontà dell' animale interveniva nell'emissione della sua luce fosforescente, ma non è certamente per mezzo d'una membrana opaca, che può tendere sopra i suoi anelli lumi- nosi che r insetto cessa d' esser fosforescente, coitie hanno creduto alcuni , poiché questa membrana non esiste . Vedremo nel corso di questa Lezione che tutto ci con- duce ad ammettere che la fosforescenza non è continua , perciò appunto che non è continua la cagione che la pro- duce , e che possiamo darci ragione del come il fenome- no si produce con un certo periodo . L' osservazione , che mi ha sempre sorpreso nello stu- dio di questa fosforescenza, è quella della luce che segui- ta ad emettere la materia gialliccia contenuta negli ulti- mi anelli dell' insetto , allorché è separata dal medesimo . Basta di uccidere una di queste lucciole , di schiacciarla fra le dita, per vedere lunghe strisce di luce che parto- no dalla materia giallastra che sta in questi anelli. Que- sta fosforescenza seguita più o meno lungamente, secondo varie circostanze che studiercmo più innanzi . Certo è per questo fatto , che l' integrità dell' animale , la sua vita, non sono essenzialmente necessarie alla produzione della fosfo- rescenza . Sono partito da ciò per isludiare sopra questa 99 materia così separala dal corpo dell' insetto l' influenza delle diverse circostanze , calore , elettricità , mezzi gas- sosi diversi , come lo avevano fatto lutti quelli che si so- no occupali di un tal curioso fenomeno avanti di me . Nello stesso tempo ho studiate le stesse cose sull' insello intatto e vivo , ed è dal confronto che credo d' esser giunto a meglio fissar la natura del fenomeno . Ho poste varie lucciole vivacissime e splendenti in un tuho di vetro , che era immerso nelP acqua . Un termo- metro a palla piccolissima era circondato dalle lucciole . Yi farò notare che più volte ho cercalo , ma senza ri- sultato , di scoprire, se il termometro così circondalo da lucciole , indicava una temperatura più elevata di un al- tro termometro libero . Scaldando leggermente Y acqua viddi crescere l' intensità della luce, sino a 30.o R. al- rincirca, cessare T intermittenza , la luce farsi continua: seguitando a riscaldare, la luce si fa rossastra. A -h 40.° R. la luce cessa affatto e per sempre , e V insetto è morto : schiacciandolo fra le dita la materia degli ultimi segmenti non dà più luce . Oprando non più sulle lucciole intatte , ma sui soli ul- timi segmenti luminosi , non ho scorto differenza . Questi risultati confermano le esperienze fatte dal signor Macaire operando sulle lucciole intere , e tenendole in mezzo al- l'acqua, che successivamente veniva riscaldando. Esponendo le lucciole nello stesso modo al raffredda- mento , ho trovato qualche differenza fra i miei risultati e quelli del citato Fisico . Messo il tubo in mezzo al ghiac- cio, la luce non cessa, e dopo 15 o 20 minuti ho visto le lucciole splendere . La luce non è divenuta che più debole ed ha cessato di esser intermittente . Ritirate le lucciole dal tubo e poste sulla mano , ritornano come pri- ma splendenti. Accade lo stesso operando sui soli ultimi segmenti luminosi. Posto il tubo , in cui erano le lucciole col termometro, 100 In un miscuglio frigorifico di — 5.» R., dopo 8 o 10 mi- nuti le lucciole cessano di splendere , e sembrano ridotte senza movimento: ritirate e poste sulla mano riprendono vita e splendore . Mentre sono nel tubo a — 5." R. se con un filo metallico a punta, si rompon loro i segmenti ul- timi, una luce debolissima e passeggera si mostra. Questo fatto è pure confermato dal vedere che i soli ultimi seg- menti o la loro materia luminosa, cessano affatto di splen- dere a — 5.° R. Ritirata e scaldata la materia luminosa così raffreddata , risplende di nuovo per un istante , e di- viene al solito rossa prima di estinguersi , se il calore è troppo forte . Ho messe nello stesso tempo in due campane eguali di vetro, dieci lucciole, e uno stesso numero dei soli segmenti luminosi tratti da lucciole simili. Poi, dopo aver empite que* ste campane di mercurio, vi ho fatto passare l'acido car- bonico. Dopo pochi secondi la luce ha cessato affatto, sen- za differenza notabile, tanto per le lucciole che per i soli segmenti . Se allora introduco un poco d' aria nella cam- pana , la luce ritorna in ambidue ; assai più viva e più rapidamente si mostra introducendo alcune bolle di ossi- gene . Si veggono le lucciole che apparivano morte nel- r acido carbonico , riprender movimento e vita all' intro- duzione dell' ossigene . La vita e la ricomparsa della fo- sforescenza non avvengono, se si tarda un certo tempo, 30' a 40' , ad introdurre 1' ossigene o 1' aria . I soli se- gmenti luminosi, rimasti anche per più lungo tempo oscuri neir acido carbonico , si veggono risplendere subito, allor- ché s' introduce 1' ossigene . Adoperando Y idrogene in luo- go deir acido carbonico , tanto le lucciole quanto i loro soli segmenti luminosi, non durano a splendere che per un tempo eh' è alquanto maggiore di quello che abbiamo detto per 1' acido carbonico . La differenza è assai piccola per le lucciole intere 5 è alquanto più grande per i seg- menti Inminosi staccati. Ho visto in un caso continuare 101 questi ad essere luminosi neir idro£?ene per 25' o 30' . An- che per le lucciole spente nel gas idrogene succede che coir aria o meglio coli' ossigene aggiunto ritornano vive, e la fosforescenza ricompare all' istante , quando non si tardi più di 15' o 20'. Osservai costantemente che negl' insetti interi, prima che la luce cessi del tutto, viene a mancare l'intermittenza. Qualche ora dopo che le lucciole o i segmenti luminosi hanno cessato di splendere , si ottiene una debole ma vi- sibilissima luce, schiacciando sulla mano i segmenti stessi la qual luce però non dura che un momento. Riferirò ora le esperienze le più concludenti che ho fat- te studiando V azione delle lucciole e dei soli segmenti luminosi suir aria atmosferica e sull' ossigene . Ho messo in una campana di vetro graduata nove lucciole vive , e un numero simile di segmenti in altra uguale quantità d' aria. Dopo 24 ore le lucciole non splendevano più, mentre i se- gmenti erano ancora , benché debolmente , luminosi . Fu analizzata l'aria rimasta nelle due campane, 36 ore dopo. L' ossigene era interamente scomparso ed era stato rim- piazzalo dal suo volume di acido carbonico. In 11,8 cent, cub. d' aria atmosferica in cui erano le lucciole , furono trovati 2,4 cent. cub. d' acido carbonico . Coi soli segmenti luminosi , tutto 1" ossigene non era scomparso . Le lucciole si mantengono vive e splendenti nel cloro puro, come vi si mantengono splendenti i suoi segmenti . Ces- sate in questo gas la vita e la fosforescenza, esse non ricom- pariscono ne introducendovi V aria , ne colla presenza del- l' ossigene , nò col calore . Le lucciole e i suoi segmeuti anche schiacciati non si mostrano più fosforescenti . Le lucciole che sono state 24 ore nell' aria atmosferica in una campana di vetro, dopo aver cessato di splendere, e di vivere , se si scaldano con una lanq>ada , ritornano per un istante leggermente luminose. Ho messe le lucciole vive e splendenti nel gas ossigene 102 contenuto in campane di vetro empite sotto il mercurio . Vi sono vissute circa 40 ore seguitando a splendere sempre . Ho messo nell' ossicene puro 10 segmenti luminosi tolti da 10 lucciole vive. Questi segmenti hanno continuato per 4 giorni interi a splendere, e si vedevano luminosi anche di giorno quando si guardavano in un luogo non troppo il- luminato . Il gas rimasto conteneva un terzo di acido car- bonico prodotto , e il rimanente era ossigeno . Rimessi nuovi segmenti luminosi in questo gas ossigene, tolto r acido carbonico colla potassa, si riebbe lo stesso ri- sultato di prima. I segmenti rimasti dopo quattro giorni anche scaldati non emettevano più luce . Ecco i numeri dedotti d'alcune esperienze: Lucciole intere in un volume di gas os- sigene . . = 6cc^8 Dopo 30 ore, il volume del gas era . . = 6, 2 La potassa ha assorbito un volu- me gasoso = 4, 2 Il gas rimasto era ossigene che scomparve con un pez- zetto di fosforo, non rimanendo che una piccolissima bolla. Altre lucciole furono messe in llcc^S d'aria atmo- sferica . Dopo 36 ore il volume dell' aria non aveva cam- biato, e si trovò che conteneva 2cc,4 d'acido carbonico. I segmenti fosforescenti delle lucciole furono messi in 6cc di ossigene: si analizzò il gas il di cui volume era ridotto a 5cc^8 dopo 48 ore, e si trovò che conteneva 2cc d'acido carbonico: il rimanente era ossigene. In tutte queste esperienze non ho mai operato che sopra 8 o 10 segmenti luminosi presi da 8 o 10 lucciole diverse . Ho visto ancora che in un miscuglio di 9 parti d' idro- gene e 1 d' ossigene , le lucciole continuarono a vivere e a splendere anche dopo 12 ore d'esperimento. Ho trovato 103 che la metà circa dell' ossicene era stata rimpiazzata da un egual volume d' acido carbonico. Invece in un miscu- glio di 9 d' acido carbonico e 1 d' ossicene, le lucciole non duravano a s])k'ndere che due o tre ore, e dopo 12 ore erano morte . Ho visto che bastano '/s d' acido carbonico e Ys d' ossigene per fare un miscuglio, in cui la lucciola noD vive lungamente, ne splende per molto tempo. Anche in questo miscuglio ho trovato scomparsa una porzione di ossigene dopo esservi state per qualche tempo le lucciole. Il gas acido carbonico sembra agire come un gas ve- lenoso. I segmenti luminosi messi nel citato miscuglio, si comportano come le lucciole intere , quanto alla durata della loro luce : se non che P ossigene assorbito e V acido carbonico emesso sono molto meno e air incirca */* ^^ quello che abbiamo visto esser per le lucciole intere . Il volume che scompare durante P esperienza è dovuto a quel poco d' acqua che s' introduce insieme col corpo delle luc- ciole, la quale discioglie P acido carbonico che si va for- mando . L' aver visto che le lucciole continuavano a vi" vere per molte ore, anche private dei segmenti luminosi, mi ha dato luogo a fare una curiosa sperienza , la quale è interamente d' accordo colle già esposte . Ho introdotto 20 lucciole vive e ben splendenti in una campana graduata capovolta sul mercurio, la quale conte- neva 6cc,6 di ossigene puro: ho asportati con cura i seg- menti luminosi ad altre 20 lucciole egualmente vive e splendenti , poscia le ho messe in un' altra simile campa- na contenente 5cc ^ 6 d' ossigene puro e parimenti capo- volta sul mercurio. Inflne i 20 segmenti luminosi rimasti gli ho pur messi in una terza campana di vetro graduata, e con 9cc d' ossigene e P ho disposta come le altre due . Dopo 10 ore ho osservato le tre campane e in tutte il vo- lume del gas era diminuito, e certo per P acido carbo-» nico formatosi e poscia assorbito dalla umidità delle luc- ciole o dal velo d' acqua che copriva il mercurio . Cosi lOi nella prima, il gas era 6cc,2: nella seconda 5cc,4: nella terza il volume del gas non era sensibilmente diminuito 5 vivevano ancora splendenti le lucciole intere , e i segmenti soli erano pure fosforescenti e le mezze lucciole si move- vano . Nella prima campana dopo T assorbimento della potassa, sono rimasti 3cc,8 d'ossigene, nella seconda 3cc,7 e nella terza 8cc^2. La potassa aveva assorbito per conse- guenza, 2,8 d' acido carbonico prodotto dalle lucciole in- tere , 1,9 d' acido carbonico dovuto alle lucciole senza segmenti , e 0,8 dello stesso acido prodotti dalla sola so- stanza fosforescente . E curioso cbe , stando a questi nu- meri , le due parti in cui la lucciola è stata divisa avreb- bero agito separatamente quasi colla stessa intensità che nella lucciola intera e cosi viventi di una vita comune . Ho ripetuta altra volta V esperienza : ho sempre trovato , che l'assorbimento della lucciola intera superava, e an- che assai più di quello dei numeri citati, la somma degli assorbimenti nelle mezze lucciole e nei segmenti luminosi. Riferirò ancora un' altra esperienza che conduce alle conseguenze stesse delle precedenti . Ho introdotte varie lucciole in una campana di vetro , che ho empita d' acqua e ho rovesciata sotto una vasca idro-pneumatica» Dopo 2Q' le lucciole avevano cessato di splendere : introdotte alcune bolle d' aria le lucciole ripresero vita e splendore . Questo fatto P ho più volte rivisto . Ho ripetuta la stessa esperienza con acqua che aveva fatta bollire per due ore : le lucciole non vi hanno durato a splendere che 10' a 12'. È curioso che con altri liquidi che non agiscono chimica- mente sulla sostanza dell' insetto , la durata della fosfore- scenza è diversa . Neil' alcool e nell' etere la fosforoscen- za dura un poco più che nell' acqua 5 nell' olio invece, le lucciole splendono assai meno che nell' acqua . Conviene operare nel modo indicato, e non contentarsi di metter le lucciole nel liquido contenuto in una capsula. Tanto nel- V una che nell' altra di queste ultime esperienze , credo 105 chi' la durata della fosforescenza del)l)a in parte attribuirsi air aria che rimane sempre aderente alP insetto. Ho tentata pure un'altra esperienza clie credo impor- tante il descrivervi prima di trarre dalle suesposte , le conseiJiuenze che ne dipendono . Ho separato i segmenti luminosi da varie lucciole ben vive , e li ho schiacciati e triturati in un piccolo morlajo d'agata. In questa guisa, la materia di questi segmenti apparisce grandemente lumi- nosa sulle prime 5 ma dopo pochi secondi se ne vede in- debolire la luce e cessare affatto . Questo avviene anche più presto se il mortajo è lievemente caldo . Introduco nel fondo di una campana di vetro una porzione della sostanza triturata dei segmenti , e air istante in cui cessa di splen- dere , riempio la campana di mercurio , la rovescio sul bagno e v' introduco V ossigene . Al contatto del gas ho veduto una sola volta tra le moltissime esperienze fatte , un leggerissimo segno di luce che cessò all' istante: in una sperienza in cui la materia triturata dei segmenti splendeva ancora debolmente quando il gas fu introdotto, la luce con- tinuò per alcun tempo. Analizzai il gas in questi due casi 48 ore dopo . 11 suo volume non aveva variato : e V as- sorbimento colla potassa sopra 8* t: di gas ossigene, non ol- trepassò 0«:, 2 neir esperienza in cui la luce aveva conti- nuato, e fu nullo neir altra. Era rimasto 1" ossigene puro. In un altra esperienza ho scaldato 20 segmenti luminosi a H-40.'^ circa, mettendo il tubo in cui erano contenuto neir acqua calda a quella temperatura. I segmenti si sono fatti rossi ed hanno cessalo di sj)lendere. Allora ho empito il tubo di mercurio , V ho rovesciato sulla vasca ed ho in- trodotto r ossigene , non ho scoi ta luce e dopo 4 giorni la potassa non ha indicalo nessun assorbimento. Questi seg- menti non han fatto che cessare di splendere , e V ossi- gene non è più slato assorbito, ne T acido carbonico per conseguenza è stalo prodotto . Alcinie lucciole messe nelF idrogene solforato hanno ces- 8 106 sa(o dopo pochi secondi di splendere e di vivere. Non si sono più fatte vedere fosforescenti anche in contatto del- l' ossigeue , e quantunque scaldate . Schiacciandone i seg- menti luminosi, qualcuno ha emesso una debolissima luce. Descriverò iìnalmente l' esperienza fatta mettendo le lucciole , e i soli segmenti luminosi nell' aria molto rare- fatta. Ho introdotto nel fondo chiuso di un lungo tubo di vetro alcune lucciole intiere e alcuni segmenti luminosi tolti da altre lucciole . Ho empito il tubo di mercurio e r ho rovesciato entro un pozzetto nello stesso liquido, operan- do come per fare un barometro. Le lucciole ed i loro seg- menti si sono così trovati in uno spazio in cui di certo r aria era assai rarefatta . La luce ha cessato nelle luccio- le e nei segmenti circa nello stesso tempo , cioè dopo 2 o 3 minuti-, al solito ha cessato prima di mostrarsi inter- mittente . Appena la fosforescenza scompariva introducevo r aria, e non tardava il tutto a risplendere di nuovo . Vidi distintamente, anche in questo caso tutte le lucciole ripren- dere il movimento perduto : avevano cessato di splendere nell'aria rarefatta, ma non erano morte. È lo slesso che avviene col raffreddamento . 1 fatti fin qui esposti , conducono necessariamente alle seguenti conclusioni , che sono in parte nuove e in parte assai meglio determinate di quelle dedotte finora . l.f> Può cessare la fosforescenza dei segmenti luminosi di una lucciola , senza che questa sia morta . 2.^ V è nella lucciola una sostanza che spande lece e non sensibilmente calore , la quale per mostrarsi con que- sta proprietà non ha direttamente mestieri dell' integrità dell' animale e del suo stato di vita . 3.0 L' acido carbonico e l' idrogene sono mezzi nei quali la materia fosforescente della lucciola cessa di splendere , dopo un tempo che non è maggiore di 30' o 40' se i gas sono puri . 4." Nel gas ossisene la luce della materia fosforescente 107 è decisamente più viva, che nell'aria atmosfesica, e si coiisi'iva lucente por un tempo quasi triplo . Questo acca- de tanto per i soli segmenti luminosi, come per la lucciola intera . 5." Questa materia fosforescente, allorché si trova in con- dizioni da spander luce , consuma ima porzione d' ossi^^ene che e rimpiazzata dal volume ejiuale d' acido carbonico . 6.0 Questa stessa sostanza in contatto dell' ossigene, ma messa prima in condizione di non spander piìi luce , non assorbe nemmeno sensibilmente 1' ossigene, ne sviluppa a- cido carbonico . Desidero che fissiate particolarmente la vostra attenzione sopra questo risultato . 7.0 L' ossigene nella proporzione di 1 a 9 d' idrogene o d' acido carbonico , forma un mezzo in cui la fosforescen- za continua per alcune ore ; si può concludere da ciò che è per r alterazione avvenuta nella sostanza fosforescente , che questa cessa di splendere dopo molti giorni , essendo stata messa da prima neir ossigene puro, di cui inseguito una porzione sola è stata rimpiazzata dall' acido carbonico. Ho esaminato l' idrogene in cui aveva tenute varie luc- ciole per 24 ore , ed in cui non avevano durato a splen- dere che per pochi minuti . È cos\ che avviene se il gas è puro , se si opera sul mercurio e se si ha cura di em- pire la campana rovesciandola due o tre volte , per to- gliere r aria aderente alle lucciole . In questo gas idroge- ne ho trovato che il volume era cresciuto di una picco- lissima quantità j sopra 8cc idrogene, ebbi 0cc,2 d'aumen- to di volume che la potassa ha assorbito . È dunque acido carbonico che le lucciole hanno prodotto, e questo, o per- chè vi era nelle loro trachee un resto d' ossigene che si è combinato al carbonio e cangiato in acido carbonico, 0 perchè esse contenevano già formato quest' acido . Quan- do i soli segmenti luminosi sono messi con tutte le pre- cauzioni neir idrogene , non durano che pochi secondi a splendere , e il gas non cangia . 108 S." Il calore, dentro certi limiti, accresce la luce della maf^'ria fosforescente , ed il contrario avviene per il raf- freddamento . 9/' Quando il calore è troppo forte , la sostanza fosfo- rescente rimane alterata, e lo stesso avviene di questa so- stanza lasciata all' aria o in un gas qualunque per un cer- to tempo. E questa indubitatamente la cagione per cui le lucciole non vivono che in certi climi, e per cui non cominciano a splendere che in certi mesi delF anno . 10." Cos\ alterata questa materia fosforescente , non è più atta ad emetter luce o a divenire luminosa . Queste conclusioni stabiliscono evidentemente la natura del fenomeno: la produzione della luce in quest' insetto è intieramente legata alla combinazione deir ossigene col carbonio eh' è uno degli elementi della materia fosfore- scente . Importa ora studiare come nell' animale vivo la fosfo- rescenza avviene, per quali circostanze varia, quaP è la struttura della sostanza fosforescente e delle parti che la circondano . Ilo messe alcune lucciole ben vive e splendenti in una scatola di latta, che chiudeva esattamente e 1' ho riaperta 24 ore dopo , circa due ore dopo il tramonto del sole , Le lucciole parevano morte ; pure s[>lendevano quantunque assai debolmente . Riscaldandole sulla mano hanno ripreso alquanto i loro movimenti, e Ir. luce è divenuta piìi viva. Dopo altre 30 ore passate nella stessa scatola , alcune erano morte , e la luce era in molte estinta , in altre de- bolissima. Questa esperienza poteva, supponendo che non fosse vero tutto quello che già vi ho esposto , condurre nelle idee di Beccaria , di 3Iayer e d' altri Fisici, i quali riguardano la fosforescenza delle lucciole come dovuta al- l'' insolazione , Ma ecco un" altra esperienza il di cui risultato è netto e soddisfaciente . Nella stessa scatola , |che aveva doppio 109 fondo ho messo in uno dei coniparlimenlì molli' lucciole, e neir alfro altre lucciole simili sparse in nie/zo ad erba fresca e ta<;liala in pezzi, e lolla da; Inolili dove questi insetti si trovano . Dopo "li ore ho osservate le luccioh^ : delle prime era accaduto quello che già ho detto, e le al- tre erano vivacissime e splendenti. Aprendo di {giorno questa scatola in una stanza oscura , vedevansi queste luc- ciole splendere . Per non andar inutilmente per le lunghe, mi basterà di dirvi, che ho conservate per nove giorni tali lucciole in mezzo all'erba, sempre vive e splendenti. Trovandosi la lucciola nelle condizioni di temperatura, d'u- midità ec. , in cui esiste naturalmente , e continuando a nutrirsi, la materia fosforescente si conserva , indi])cnden- temente dall' azione solare . Concludiamo ancora dalle esperienze su riportate che la sostanza fosforescente , preparata dall' animale conservasi per un certo tempo luminosa, quantunque priva della vita che ha comune coir insetto , lo che stabilisce che questa vita non è condizione immediatamente necessaria della fosforescenza. Per la vita, la materia fosforescente è in- cessantemente conservata nelle sue proprietà con quello stesso processo di nutrizione , che opera egualmente so- pra tutte le parti dell* insetto . Non ho trascurato di studiare qual parte poteva aver la funzione del sistema nervoso nel fenomeno della fosfo- rescenza. Yi descriverò queste ricerche colla suOìcicnte e- steùsione . Allorché si osserva una lucciola appena presa e tenuta col dorso sopra una tavola , si veggono gP ulti- mi segmenti delFaddome del colore di una tinta rossastra . Xel giorno, o sulle lucciole anche da poco morte, questo co- lore non è così distinto e si fa gialliccio. Sinché la luc- ciola è viva, si veggono di tanlo in tanto, or più or nieno sovente , divenir luminosi i suoi segmenti . Osser- >a!ìdo bene e sopra molti individui, si riesce a scoprire che (jiialche volta non è in tutti i punti di questi segmenti, 110. che la luce compare allo stesso istante. Basta irritare leg- germente la lucciola in qualunque parte del suo corpo , per vederla divenire per un istante luminosa . Toccando un qualche punto dei segmenti, la luce persiste di più. Se ad una lucciola in questo stato, si taglia la testa, non si tarda a veder la luce illanguidire, e cessare poi aflalto, e allora si vede bene il color rosso della membrana dei segmenti luminosi . In questo stato , si \mb irritare anche fortemente V insetto nel torace , senza che più si giunga a vederlo luminoso . Perchè questo avvenga, è necessario di toccare i segmenti luminosi stessi , e allora si veggono i punti toccati splendere , e da questi estendersi la luce per un certo tempo al resto dei segmenti stessi . Facendo quest'esperienza, mentre la lucciola sta sul portaoggetti del microscopio, si vede anche megiio la produzione e la dif- fusione della luce . Conviene essere nelP oscurità e non mandare suU' oggetto alcuna luce . Yedesi un movimento oscillatorio rapidissimo nelle parti della materia fosfore- scente , e nel tempo che esse si fanno luminose. Ho provato e riprovato più volte V influenza che pote- vano esercitare sulla fosforescenza delle lucciole 1' oppio e la noce vomica , ed eccovi come . Ho preparato solu- zioni fatte di 5 grani d' estratto d' oppio o d' estratto al- coolico di noce vomica , in due oncie cV acqua . Poi met- teva le lucciole in una campana di vetro , che empiva di quelle soluzioni e rovesciava sugli stessi liquidi. Così non v' era contatto coli' aria . 11 risultato d' un gran numero d' osservazioni mi porta a concludere , che nella soluzio- ne di noce vomica le lucciole muoiono 8' o 10' più pre- sto di quelle che sono nelP acqua . Al contrario nelle lucciole che sono nella soluzione d' oppio , la fosforescen- za continua per 8' o 10' di più che in quelle che sono neir acqua . Spero di poter riprendere lo studio di questo soggetto che non ho potuto che abbozzare . Aggiungerò che le lucciole che cessano di splendere Ili neir acqua , splendono imo\ aiiKMite al confallo tl«'ir aria , mentre le altre che furono fenute nelT oppio e nella noce vomica cessano di splendere per sempre e vi muoiono . È così provata V azione di cerU^ sostanze sulla fosforescen- za , le quali con oj];ni probabilità , non possono a;;ire alte- rando la materia fosforescente . Ho provato a spalmare con trementina il solo addome di molte lucciole: ho visto che la luce s'indeboliva, che meno frequen!i erano le scintillazioni, ma che non cessa- vano mai alTallo. Ho studiato col microscopio la struttura dell' organo lu- minoso . Spogliando i segmenti luminosi dalle due membra- ne , dorsale e ventrale , si vede una materia globuliforme, granulare , gialliccia , in mezzo alla quale appariscono gruppi di globelli rossi, un gran mimerò di ramificazioni, e di più una specie di tubi che hanno V apparenza della fibra muscolare , ma che osservali meglio , si veggono vuoti . Guardando di notte , si vede la luce essere emessa dalla materia granulosa gialliccia , e se questa si compri- me fra due vetri, la luce è sempre all' orlo del pezzo che s' osserva . La membrana ventrale osservata sola e dopo averla la- vata più volte nell'acqua, per toglierle tutta la sostanza fosforescente, è trasparente e piena di un gran numero di peli . La membrana dorsale , non così trasparente co- me r altra , ha pure gli stessi peli , ma ha inoltre nella sua faccia interna un gran numero di tubi o trachee che si veggono penetrare fra la materia fosforescente . Aggiungerò ancora, che non m' è mal accaduto di sepa- rare r addome d' una lucciola senza trovare sotto alT a- nello penultimo luminoso una vescichetta di un bel co- lor rosso , che vista al microscopico è formala di un gruppo di globelli rossi. IVon ho trovalo in altri inselli simili questa vescichella : non ho Irovalo libro di Anato- mia Comparata in cui se ne pai li. 3H limito nell;i mia Ili ignoranza del soggotlo a indicarne la presenza ai Zoo- tomi . Yi dirò finalmente del poco che ho potuto fare, e che cre- do possa farsi , per studiare la natura chimica della materia fosforescente . Questa materia tratta dalf animale vivo ha un odore parlicolare che ricorda quello dei sudore dei piedi: non e ne acida ne alcalina, si dissecca facilmente all'aria, sem- hra coagularsi a contatto degli acidi diluiti , non si scioglie sensibilmente nèueiralcool, nò neir etere, uè nelle soluzioni alcaline deboli : si scioglie e s'altera nelF acido solforico e idroclorico concentrati e coir aggiunta del calore, e con que- st'ultimo la soluzione non diviene bleu. Scaldata in un tubo manda i solili prodotti ammoniacali . Non v'ò in essa traccia sensibile di fosforo, e me ne sono assicurato bruciandola più volte col nitro in un crogiuolo di platino, e trattando il resi- duo disciolto coisoliti reattivi che scoprono i fosfati. Dopo tutto ciò che abbiam detto , non si poteva credere alla pre- senza del fosforo , come cagione della luce in questi insetti . Forse operando sopra un grandissimo numero di questi ani- mali, si troverebbe quella piccola traccia di fosforo, che ordinariamente si trova in tutte le sostanze organiche . Concluderò in seguito di tutte le conseguenze sperimen- tali suaccennate, che 1' acido carbonico si produce pel con- tatto della sola materia fosforescente separata dell' animale coir ossigene^ che cessa la luce fuori di questo gas, e che in contatto del medesimo vi è luce e si produce un vo- lume di acido carbonico , uguale a quello dell' ossigene scomparso ; che la sostanza fosforescente della lucciola, non pili luminosa, non esercita nemmeno azione sulF ossigene . È dunque naturale il supporre che nei segmenti lumi- nosi di questi insetti, inviluppali da membrane trasparenti, avvenga per mezzo delle molte trachee che vi si veggono sparse, il contatto dell'aria atmosferica o piuttosto del suo ossigene con una sostanza sui generis principalmente com- posta di carbonio , d' idrogene , d' ossigeno e d' azoto . 1 113 molli globuli sangui;?nì che vi si veggono sparsi in mezzo e frammisti alla materia granulare luminosa , provano che questi segmenti sono il centro di un organo particolare di secrezione, e credo meriti l'attenzione dei Naturalisti l' esi- stenza di quella vescichetta rossa che dissi trovarsi im- mediatamente al di sopra dei segmenti luminosi . Le irri- tazioni suir animale, razione del calore, operano in que- sta fosferescenza in un modo generale e che appartiene a tutti i fenomeni dell' economia animale , e di più , favo- rendo direttamente la combustione; ed è cos\ che vanno interpetrati gli efletti prodotti da quegli agenti sulla sola sostanza fosforescente separata delP animale . Non è nuo- vo r esempio di una sostanza organica che bruci all' aria , assorbendo ossigene ed emettendo arido carbonico : è il ca- so del legno in putrefazione , del cotone unto , del carbo- ne estremamente diviso, e di tante altre accensioni spon- tanee . E se nel nostro caso manca il calore che dovreb- be accompagnare la combinazione chimica , non è diflìcile di rendersene conto . È cosi piccola la quantità delP acido carbonico che dai segmenti luminosi di ognuno di questi insetti si svolge in un dato tempo, che non può il calore che ne è sviluppato, accumularvisi : e la citata fosfore- scenza del legno e molti altri fatti di emissioni di luce , le quali accompagnano cangiamenti chimici, e che credo inutile di ricordare , provano con tutta 1' evidenza che può ben esservi emissione di luce , senza sensibile aumento di calore. Quest'ultimo vuol essere accumulato per apparire ai nostri istrumenli . È così che ci siamo dati ragione della mancanza di calore negli animali cosi detti a sangue freddo. Se sono entrato in molte particolarità sulla fosforescen- za delle lucciole V ho fatto perchè non aveva da intratte- nermi che di volo sugli altri casi di fosforescenza animale. È noto vedersi nel mare di notte tempo grandi esten- sioni luminose, e questo fatto attribuito una volta allo sballinienlo delle onde, all' elettricità, ai gas fosforati svolti 8* 114 nella putrefazione dei molluschi, sembra oggi provato dipen- dere da un gran numero di animaletti microscopici fosfo- rescenti . Ma nulla si sa delle condizioni fisico-chimiche sot- to le quali questi infusori divengono fosforescenti . È indubitato che i pesci in putrefazione divengono fosfo- rescenti , e potrebbe anche questa cagione produrre in qual- che caso qualche fosforescenza nel mare . Vi sono negli Annali della Medicina racconti ben consta- tati di fiammelle viste intorno al corpo di certi malati 5 si e parlato di sudore ai piedi fosforescente ed è curiosa a notarsi l'analogia che vi ha tra l'odore della sostanza fo- sforescente della lucciola e il sudore ordinario dei piedi. Tutti questi casi di fosforescenza sono tuttora senza spiegazione . Raccontano i Botanici che in varie piante P infiorazione è accompagnata da una fosforescenza. Ma anche questo fenomeno è troppo raro per poter essere convenientemente studiato . Nella infiorazione v' è assorbimento d' ossigene, sviluppo d' acido carbonico , v' è combustione in una pa- rola , ed è perciò che anche molto calore sviluppasi in certi casi d' infiorazione . Forse anche l' accensione alla tem- peratura ordinaria d" un qualche olio volatile separato dal fiore fosforescente , può esser cagione di questa luce . Non terminerò senza dirvi delia bella osservazione fatta in questi ultimi tempi da Quatrefage sulla fosforescenza degli annelidi e degU ofiurt . Questo distinto Naturalista ha visto col microscopio la fosforescenza di questi animali appartenere alla fibra muscolare , essere intermittente , farsi più viva irritando la fibra e obbligandola a contrarsi, cessare la fosforescenza per un certo tempo, per poi ri- prodursi , lasciando P animale in riposo . Eccovi un punto d'analogia, che nondevesi perder di vista. La vita dei muscoli, le sue funzioni, sono accompagnate da sviluppo di calore, di luce, e in tanto questa vita, queste fun- zioni, sono immediatamente dipendenti dall' agente nervoso. LEZIONE IX. Corrente elettrica muscolare . ii-bbiamo visto nelle passate Lezioni generarsi costante- mente calore , e in qualche caso anche luce , nel seno degli animali 5 abbiamo dovuto, condotti dalle sperienze, guidati da tutte le analogie, attribuire lo svolgimento di calore e di luce neir organismo vivente alle azioni chi- miche che vi si operano , ed abbiam trovato così una nuo- va prova della costanza degli effetti generali delle grandi forze della natura . I fatti di cui ci occuperemo in questa Lezione ci condurranno a queste stesse conseguenze . Non è naturale il credere che le azioni chimiche dell' organismo vivente che svolgono calore , e spesso luce , non siano accompagnate da produzione di elettricità: è di questa pro- duzione , che siamo riesciti oggi a dimostrare con tutta r evidenza delle verità fisiche, che io voglio intrattenervi. Eccovi una sperienza molto semplice e facile , che vi prova r esistenza d' una corrente elettrica , che si produ- ce riunendo con un corpo conduttore due diversi punti di una massa muscolare, tanto in un animale vivo, come in HO un animale di recente ucciso . Si prepara una rana alla so- lita maniera di Galvani , si taglia a metà il suo bacino , si asporta con cura tutta la massa musculare della coscia, si taglia uno dei plessi lombari al suo escire dalla colonna verte rale , e sì ha così una gamba di rana unita al suo lungo filamento nervoso composto dal plesso lombare e dal suo prolungamento nella coscia , ossia dal nervo cru- rale. È la rana così preparata che ho chiamata rana galvano se opica , e che serve assai bene alla ricerca della cor- rente elettrica . A questo fine basta d' introdurre la gamba della rana in un tubo di vetro coperto d' una ver- nice isolante, di reggere il tubo colle mani e di portar poi due punti del corpo qualunque di cui si studia lo stato elettrico in contatto di due punti distinti e suflRcieutemeute lontani del filamento nervoso della rana galvano- scopica . Se si ha cura di non toccar mai il corpo con alcuna porzione del muscolo della gamba, se questa è te- nuta ben isolata dalla mano , si può con sicurezza asse- rire che la contrazione sopravvenuta nella rana galva- noscopica sarà dovuta ad una corrente generata nel corpo toccato , e che il nervo non fa che condurre e mostrare colla contrazione del suo muscolo . Mentre la rana galvanoscopica si sta cosi preparando, prendo un animale vivo qualunque, un piccione a cagion d'esempio, taglio leggermente il suo muscolo pettorale dopo averne tolti con cura gì' integumenti , e introduco nella ferita il nervo della rana galvanoscopica. Vedete la rana contrarsi, e se ponete mente alla dispo- sizione della rana rileverete che per aversi queste con- trazioni è mestieri toccare con due diverse porzioni del filamento nervoso , due distinti punti del muscolo pet- torale del piccione. Toccando con 1' estreniilii del nervo ■^Afi, 117 della rana il fondo della ferita e con un altro punto del nervo stesso le labbra delia ferita o la superfì- cie esterna del muscolo , la rana si contrae costantemente. Ciò vi prova ad evidenza la presenza d' una corrente elet- trica che circola nel nervo, poiché è necessario formare un arco nel quale è compreso esso nervo . Che poi queste contrazioni della rana siano eccitate da una corrente elel- Irica dovuta alle diverse parti del muscolo dell' animale, ve lo proverà il vedere, non eccitarsi contrazioni nella ra- na quando tocco due distinti punti del nervo con un li- quido o con un corpo conduttore qualunque . Ne credia- te che il sangue sia più atto d' un altro liquido condut- tore qualunque a svegliare le contrazioni nel muscolo della rana galvauoscopica . Fò cadere una goccia di san- gue di questo stesso piccione su d'una lamina di vetro, tocco col nervo della rana due punti distinti di questa goccia : la rana non si contrae . È inutile il farvi notare che se bagno o il nervo della rana galvanoscopica, oppure le diverse parti del muscolo del piccione , con una soluzione salina od acida, o meglio anche con una soluzione alcalina, le contrazioni nella rana si fanno più forti che nella prima sperienza . Queste solu- zioni agiscono chimicamente sulla sostanza del nervo e del muscolo . Ciò che avete veduto accadere su questo piccione av- viene in qualunque altro animale, sia desso a sangue caldo, oppure a sangue freddo. Si ottengono anche le contrazioni nella rana galvano- scopica mettendone il nervo a contatto d' un muscolo se- parato da un animale . Eccovi una coscia di rana separata già da qualche tempo dall' animale , fo un taglio sul mu- scolo crurale, metto a contatto del fondo della ferita r estremità del nervo della rana galvanoscopica ed a con- tatto della superfìcie del muscolo un altro punto dello stesso nervo. La rana galvanoscopica si contrae all' istante. 118 Ripeto questo sperimento coii questa coscia di piccióne ^ con quest'altra di coniglio, con questa porzione di an- guilla 5 la contrazione ha ugualmente luogo nella rana galvanoscopica , come nel primo caso . Ma se anderete ripetendo questi sperimenti , rinnovando di tanto in tanto la rana galvanoscopica , osserverete che dopo qualche tempo cessa il fenomeno , servendoci dei muscoli d -1 pic- cione e del coniglio , mentre persiste più a lungo con quei della rana e dell' anguilla . Le contrazioni che avete veduto eccitarsi nella rana galvanoscopica vi danno già l'indizio dell'esistenza d'una corrente elettrica , che dirò muscolare , la quale dal mu- scolo d'un animale vivo o recentemente ucciso in cui si produce, circola nel nervo della rana. Ma a mettere fuori d' ogni dubbio 1' esistenza di questa corrente , per scuo- prirne la sua direzione , la sua intensità in relazione allo stato di vita o di morte dell' animale , in relazione al posto dal medesimo occupato nella scala animale, in una parola per determinarne le leggi, conveniva ricorrere al galvanometro . Scuopro sopra un piccione vivo il muscolo pettorale , e vi fò una ferita , porto rapidamente le estremità in pla- tino del lìlo d' un galvanometro sensibilissimo , l' una sulla superfìcie del muscolo , l' altra uell' interno della ferita . Vedete all' istante l' ago del galvanometro deviare di 15, di 20 e più gradi, e così indicare una corrente eh' è di- retta neir interno dell' animale dall' interno del muscolo alla sua superficie . Dopo poco l' ago ridiscende e spes- so ritorna a 0 . Se tolgo le estremità del galvanometro e rinnovo 1' esperienza , accade qualche volta , forse il più spesso di riavere una deviazione nel senso della prima , ma sempre assai più debole . In qualche caso però le de- viazioni che si hanno dopo la prima spericnza sono anche inverse . Ripetendo 1' esperienza sopra i muscoli di altri a- nimali , la prima indicazione del galvanometro si ottiene 119 nel maggior numero dei casi come quella da noi vista , come è pur vero che nelle successive esperienze le inver- zioni della corrente si presentano spesso . Un tal fatto non è dunque abbastanza netto, non prova rigorosamente l'e- sistenza della corrente muscolare . Se avessi operalo egual- mente sopra un animale morto avreste visto al solito nel- la prima sperienza il segno d' una corrente diretta dalP in- terno all' esterno del muscolo nelP animale , però più de- bole che nel vivo, ma anche su questo le incertezze si succedono , le sperienze non sono concludenti . Y' è dunque difetto in questo modo d' operare , e non v' è Fisico, per poco abituato all' uso del galvanonietro, che non scorga questo difetto , e non ne prevegga le cagioni . In un mio libro recentemente pubblicato a Parigi sotto il titolo di Tratte sur les phenomenes electro-phùiologtqnes des ani- maux ho insistito con prolissità sul modo d' applicare il galvanometro allo studio dei fenomeni elettrici degli ani- mali, e sarei troppo lungo ripetendovi qui tutto quello che vi ho detto. Sono contento di potervi mostrare d' esser giunto a sta- bilire col galvanometro 1' esistenza della corrente musco- lare , e a scuoprirne le leggi fondamentali . Preparo cinque o sei rane alla nota maniera di Galvani, le taglio a metà, e separate le coscia dalle gambe per via di disarticolazione, taglio trasversalmente in due parti le coscio stesse. Posso così disporre d'un certo numero di mezze coscie, tra le quali non scelgo che quelle che ap- partengono alla porzione inferiore. Su questa tavola verni- ciata che vedete, ed in cui sonovi delle cavità a guisa di capsule, dispongo le mèzze coscie a questo modo. Ne col- loco primieramente una in maniera che peschi colla sua superfìcie esterna in una delle capsule, ne fò succedere a questa un altra in modo che la sua superflcie eslerna stia a contatto con la superficie interna della prima, e così di seguito, in modo che mentre tutte le mezze coscie dispo- 120 ste in fila si toccaao, presentano rivolta costantemente la stessa superficie verso la stessa parte. L'ultima mezza co- sera di questa serie la fò pescare, come la prima, in un altra cavità di questa ta- vola, colla sua superlìcie interna . Eccovi dunque u- na pila di mezze coscie di rana, una estremità della quale è formata dalla su- perficie esterna del muscolo, T altra dalla sua superficie in- terna. Verso nelle due cavità della tavola dell'acqua legger- mente salata o anche dell'acqua distillata, immergo in esse le due estremità del galvanometro, e ne vedo immediata- mente deviar F ago il quale era a 0° prima dell' immersione . Eccovi dunque dimostrata al galvanometro la presenza di una corrente elettrica prodotta dalla pila formata coi mu- scoli della rana. Variate per quanto volete l'esperimento, fate uso invece di muscoli di rane, di muscoli d'altri ani- mali, pesci, uccelli, mammiferi, purché conserviate la stessa relativa posizione suindicata delle superficie interna ed esterna dei muscoli, avrete una deviazione più o meno grande nell'ago galvanometrico-, questa deviazione vi in- dicherà coslantemcìite colla sua direzione la presenza del- la corrente elettrica, che va nell'interno della pila dalla su- perficie interna alla superficie esterna del muscolo . Devo farvi notare come l'intensità della corrente sia in ragione del numero delle coscie impiegate a formar la pila. Eccovi una pila formata con sei mezze coscie di rana, notate la deviazione dell'ago 5 è di IO.» a 12.": ecco\ene un'altra di quattro elcminti; l'ago devia di 0." a 8.0; eccovene una terza di due elementi 5 l'ago devia an- che meno , non segna che 3.o o 4.*^ appena . L' accresci- mento d' intensità nella corrente muscolare in ragione del numero dei muscoli impiegati a formare la pila è costante qualunque sia V animale da cui sono tolti quei muscoli . Se invece di disporre gli elementi in linea retta per 121 formare le pile muscolari , li disponete in maniera da for- mare un arco, e rendere cosi piccolissima la distanza fra i due poli della pila , potrete chiudere il circuito col solo nervo della rana galvanoscopica , e dalle sue contrazioni dedurre T esistenza della corrente . Ho voluto esaminare se gli altri iessuti ed organi degli animali , le membrane , i nervi , il cervello , il fegato , il polmone , mostravano la presenza di correnti elettriche al galvanometro : i risultati furono negativi . Il solo cuore mostrò r esistenza di correnti elettriche , ma il cuore è un muscolo , come ben sapete . È inutUe che vi dica che ho tentato tali esperienze sul- le membrane , sul fegato , disponendo a pila delle por- zioni di questi tessuti od organi come nel caso dei musco- li , e che ho operato colle stesse precauzioni . La corrente dunque di cui finora si è parlato si deve riconoscere come proprietà dei muscoli . Ne quesla pro- prietà nei medesimi dipende dal sistema nervoso. Mol- te sperienze da me tentate e riportate per esteso nelP in- dicato mìo libro mi convinsero che distrutto anche il sistema nervoso che si distribuisce al muscolo , questo non perde la proprietà di manifestare la sua corrente elettrica . Formai pile con muscoli spogliati con ogni cura dei loro nervi, ne formai con muscoli tratti da rane alle quali qualche giorno prima venne distrutta con un ferro rovente una estesa porzione della midolla spinale , ne formai con muscoli di rane avvelenate con oppio . Nes- suna notabile differenza si ebbe nelP intensità della cor- rente prodotta da queste diverse pile paragonala a quella di una pila formata dello stesso numero di clementi musco- lari presi da rane intatte . Se venite via via tentando col galvanometro una pila , che oramai diremo muscolore , rileverete facilmente le deviazioni delP ago farsi sempre piii minori e lilialmente cessare del tutto 5 e fiicendo uso di pile formale di mu- 12S scoli d' animali appartenenti a diverse classi, vedrete i se- gni della corrente elettrica diminuire tanto più rapidamente, e tanto più presto scomparire del tutto, quanto più 1' ani- male di cui vi servite occupa un posto più elevato nella scala degli esseri . Così avviene che mentre le pile formate con muscoli di pesci , di rane , di anguille danno per molte ore dopo la morte segni sensibili della corrente , quelle formate con muscoli d'uccelli e di mammiferi non li presentano più. Abbiamo già notato l"" incertezza dei segni della corrente al galvanometro, allorché le estremità del filo dell'istromen- to si mettono direttamente in contatto coi muscoli d'un ani- male vivo . Per poter dunque stabilire qualche cosa di po- sitivo, bisognava variare il modo di sperimentare . Eccovi una mia esperienza al coperto di ogni causa d' errore , e che non è che la ripetizione suir animale vivo di quella che vi ho fatta colle mezze coscie di rana. È facile d'in- tendere come con qualche cura si giunge ad inchiodare so- pra la solita tavola un certo numero di rane vive fissan- done con chiodi le quattro gambe e collocandole così una presso r altra . Ognuna delle rane è stata prima privata degl'integumenti delle coscie e delle gambe, e di più si è fatto a ciascuna un taglio nel muscolo d' una delle coscie . Così preparata la tavola si giunge facilmente a mettere le gambe di una delle rane in contatto dell' interno dei mu- scoli delle coscie tagliate della rana successiva. In tal gui- sa si ripete con rane vive la pila già descritta . La cor- rente che si ha allora è diretta al solito dall'interno del muscolo all' esterno nell'animale: la intensità della corren- te così ottenuta è, a numero eguale di elementi, più gran- de che adoperando muscoli di rane morte, ed assai più lentamente s' indebolisce. Eccovi dunque con tutto il rigore dimostrata l'esistenza di una corrente elettrica, allorché con un'arco conduttore si riuniscono l'interno e la superficie d'un muscolo di un 123 animale vivo o recentemente ucciso 5 questa corrente h sem- pre diretta nelT. mimale dalPinterno del muscolo alla su- perfìcie, persiste più o meno lunf^amente dopo la morte, e tanto più negli animali a sangue freddo che in quelli di un ordine superiore 5 sussiste senza la diretta influenza del si- stema nervoso e non è modificata anche distrutta l'integrità di questo sistema. Mi resta a dirvi degli studj che ho fatti per ricercare r influenza che aver possono sulla corrente muscolare le condizioni organiche del muscolo vivente. Paragonando fra' loro muscoli di animali, privati di nutri- mento 0 in cui il cìrcolo sanguigno è lento e anche distrut- to aflatto , trovasi la corrente muscolare assai indebolita di intensità . Se invece i muscoli sono da qualche tempo infiammati , ingorgati di sangue, o appartengono ad animali ben nu- triti , la corrente muscolare si mostra più intensa e più persistente. Ho principalmente agito sulle rane essendo questi ani- mali più atti di tutti a resistere ai patimenti che mi si assoggettano coli' esperienze . Se i muscoli di cui si compone la solita pila appartengono a rane che si sono tenute per lungo tempo in un mezzo di temperatura assai bassa, a zero o sotto zero, la cor- rente muscolare è grandemente indebolita. Per gli animafi a sangue caldo la diflerenza portata dall' abbassamento di temperatura è meno sensìbile che per le rane. Un risultato che può sulle prime sorprendere è quello di vedere, che la corrente muscolare ha la stessa intensità, sia facendo la pila con mezze coscie di rane, come facen- dola dello stesso numero di elementi, ognuno dei quali sia di duco più mezze coscie ammucchiate. In una parola la superlicie degli elementi non ha influenza sull'intensità della corrente. È così che accade colle pile formate di condutto- ri di seconda classe, cioè con soluzioni acide e alcaline che reagiscono fra loro . Ho voluto finalmente vedere se Fazione di alcuni vele- ni aveva influenza suU'iutensith e durata della corrente mu- scolare, e trovai che questa corrente nelle rane avvelenate con acido carbonico, con acido idroeianico , con idrogene arsenicato non differisce in intensità dalla corrente delle ra- ne alle quali non si è fatta subire Fazione di quei veleni. L''influenza al contrario dcir idrogene solforato sulP in- tensità della corrente muscolare è molto marcata, ciò che ho potuto più volte verificare, tanto nelle rane che nei pic- cioni asfissiati e uccisi con quel gas. Un'animale morto in un atmosfera di idrogene solforato perde quasi totalmente la proprietà di manifestare la corrente muscolare. Vi ho detto altrove che nei muscoli delle rane uccise coi veleni narcotici la corrente era egualmente intensa che nelle rane non cosi uccise . Una parola finalmente dei risuUamenti ottenuti studian- do la corrente muscolare sopra muscoli in cui i nervi so- no lasciati ed anzi messi in qualche modo in esperienza. Ilo costruite pile di mezze coscie di rane, nelle qua- li però i muscoli non si toccavano direttamente , ma in cui erano i filamenti nervosi che stabilivano le comunica- zioni . Ho trovato costantemente che la direzione della cor- rente muscolare non era mai alterata; Fintensità sola era diminuita. In tutte, secondo che si stabilivano i contatti col filamento nervoso superiore al taglio della coscia o col fi- lamento della gamba lasciato unito alla coscia la direzio- ne della corrente rimanendo la stessa , ne veniva che il nervo ora mandava la corrente verso F elemento muscolare ora la riceveva^ o ciò che torna lo stesso , non avendo iniluenza il nervo sulla direzione della corrente muscolare, esso agiva sempre rappresentando la faccia del muscolo ^ interna o esterna, con cui era a conlatto. La corrente muscolare era in questi casi indebolita per la cattiva conducibilità del nervo e se invece del nervo si usa un filo di cotone inzuppato di acqua stillata , i risulta- 125 meliti sono identici a quelli che si ottengono usando i mu- scoli coi nervi. V agjTiungorò infine esser giunto in questi ultimi teiupi a cotnporre con piccioni vivi, una pila muscolare simile a quella descrittavi di rane vive. Confrontando questa pila con una simile di rane , trovai che i primi segni della corrente muscolare erano assai più forti colle pile di pic- cioni, che con quella di rane. E la dilTerenza diviene tanto più grande se si considera che nella pila dei piccio- ni la resistenza del circuito è tanto più grande che in quella delle rane . Yerifìcai sempre che i segni della corrente muscolare più presto s" indebolivano e cessavano coi piccioni che colle rane . Dall'insieme di tutte le cose discorse in questa Lezione e per le quali è ben dimostrata l'esistenza della corrente muscolare e ne sono stabilite le leggi fondamentali, è chia- ro che questa corrente è dovuta alle azioni chimiche del- la nutrizione, che è una corrente molecolare, che si trova cioè nei muscoli come T ammettiamo nell'ipotesi d'Ampe- re nelle molecole dei corpi magnetizzati. L'^esperienza so- la poteva manifestarla, come si manifesta chiudendo il cir- cuito del galvanometro coll'imitìergere le due estremità ete- rogenee di un arco metallico in un liquido acido : una la- mina di zinco immersa in un acido, si discioglie, ma non dà segno di corrente perchè manca il circuito . Così è della corrente muscolare che si genera e si distrugge in qual- che modo nelle molecole stesse del muscolo in cui è prodotta. 126 LEZIONE X. Pesci eleUrici — Corrente propria delia rana. K Iella Lezione passata abbiamo veduto come dalie azioni fisico-chimiche, che succedono nella fibra muscolare vi- vente, si svolge elettricità la quale può rendersi manifesta con una conveniente disposizione sperimentale. La corrente muscolare è un fatto generale dell'organismo vivente. Vo-* glio oggi intrattenervi sullo sviluppo d'elettricità proprio di alcuni animali . Conosciamo cinque pesci dotati di questa proprietà ; la Raja Torpedo^ il Gymnolus Electricus») il Silurus Electricus^ il Telrodon Eleclricus^ il Trichiurus Electricus. Due soli fra questi sono stati studiati con cura, la torpedine e il gimnoto, e quella più che questo. Parleremo dunque più particolarmente della torpedine. Se si prende fra le mani una torpedine viva si risente immediatamente una forte commozione ai polsi e alle brac- cia, paragonabile a quella che vien prodotta da una pila a colonna di 100 a 150 coppie caricata con acqua salata. Continuando a tener fra le mani Tanimale, queste scosse si 127 succedono con una grande rapidità, in modo che riesci- rebbe impossibile sostenerle a lun{j;o; dopo un certo tem- po raiiinialc perde la sua vivacità, le scosse si risentono meno forti, anche avendo la precauzione di conservarlo in un vaso pieno d'acqua salata. La scossa che la torpe- dine può dare è così forte da risentirsi senza toccarla di- rettamente, e lo sanno i pescatori che si accorarono della presenza di questo pesce in mezzo a quelli che sollevano colle reti allorché vi getta secchj d' acqua per lavarlo . Tutte le volte che il getto dell' acqua e continuo la scossa è risentita specialmente nelle braccia. Nell'acqua stessa in cui trovasi la torpedine , la scossa si fa sentire anche a delle grandi distanze ed è di questo mezzo che sembra esser stata dotata la torpedine a fine di uccidere i pesci di cui si nutre . I primi osservatori non tardarono ad accorgersi dell'iden- tità d'un tal fenomeno della torpedine colla scarica elettri- ca. Essi si accorsero che se l'animale era circondato da sostanze coibenti, se veniva toccato con bastoni di ce- ralacca, di vetro ec, la scossa non era più sentita, mentre lo era immediatamente, adoparando invece della resina e del vetro, l'acqua, i panni bagnati e meglio anche i corpi metallici . AValsh ha fatto anche piìi essendo giunto a provare con esperienze, oggi generalmente confermate, che le due faccie opposte del corpo della torpedine sono i poli in cui si trovano, nell'atto della scarica, le elettricità contrarie: ne viene che si ha la scarica la più forte congiuugendo con un arco conduttore, che può essere il corpo del- l' osservatore , il ventre e il dorso del pesce . Si è cre- duto un tempo che bastasse il toccare con un corpo con- duttore un punto qualunque della schiena o del ventre del- la torpedine per a\ ere la scossa, e che quindi non fosse me- stieri di fare arco colle due faccie opposte dell'animale, ma oggi è provato che questa condizione è essenziale e che 9* 128 se si riesce ad aver la scossa loccando la torpedine in un sol punto con un conduttore metallico tenuto fra le mani, ciò avviene perchè la torpedine non è isolata, per cui allora Tarco si fa attraverso al suolo e a tutto il corpo dell' os- servatore. Anche isolando la torpedine sopra una sua facr eia e toccandola sull'altra con uno o due dita, avviene di provare in cpieste una lieve scossa. Ma intenderete facil- mente questa particolarità quando avremo esposte le ìeg'^ì della distribuzione dell' elettricità sul corpo di questo anir male. La scossa della torpedine è accompa^i^nata da tutti i fe- nomeni proprii della scarica o della corrente elettrica. Le rane pre[>arate al modo di Galvani distese sul corpo della torpedine si veggono saltellare ad ogni scossa che essa dà allorché è irritata . Si veggono queste rane saltare, anche quando sono poste a qualche metro di distanza dalla tor- pedine, purché posino sopra un panno bagnato, su cui s| trova anche la torpedine. Se la rana preparata tocca un pun- to del corpo della torpedine coli' estremità dei suoi ner- vi ed è sostenuta colla mano, la rana si contrae ad ogni scossa della torpedine. Cessa però di contrarsila rana co- si tenuta se la torpedine è isolata, o se la rana è soste-. nula con un filo isolatore. Malgrado questi isolamenti la rana indica di nuovo la scossa quando si fa in modo che un lungo tratto del suo filamento nervoso sia disteso sul corpo della torpedine . Questo fatto è simile a quello del- la scossa provata nel dito di colui che tocca la torpedine isolata . Distribuendo varie rane preparate su tutta la superfìcie del corpo della torpedine si veggon da prima scuotersi tutte ad ogni scossa del pesce, ma a misura che la sufi vitalità si va estinguendo, non si tarda a scorgere che le rane che mostrano più lungamente di scuotersi sono quelle collocate su i fianchi dell'animale, in prossimità al capo. In una parola 1 punti che conservano plìi lungamente la 129 facoltà (li far contrarre le ra- ne, sono quelli che corrispon- dono a (lue origani particolari posti lateralmente e sinìmelri- canu'ule verso restreniilà ce- falica del pesce. Quando si p(>r- lano in contatto del dorso e del ventre d'una (orpedine le due estremila in piai ino del tìlo di un sralvanoinetro di una me- diocre sensibilità, e s' irrita la torj)edine perchè dia la scarica, si vede al momento in cui sal- tano le rane , deviar brusca- mente ]' ago del galvanometro , poi ritornare air istante addietro , oscillare e fissarsi a zero , anche continuando a tener chiuso il circuito ; ad una nuova scossa del pe- sce, Tago devia come prima. L'uso di questo istromento ha servito a mostrare che nella scossa della torpedine la corrente è diretta nel galvanometro dal dorso al ventre del pesce che cioè, il dorso rappresanta il polo positivo di una pila e il ven- tre il polo negativo. Se si tentano coi scandagli del galva- nometro i diversi punti del corpo della torpedine nell'atto che dà la scarica, si vede, anche meglio che facendo uso del- le rane, che da primo si hanno i segni della corrente sta- bilendo il circuito fra qualunque dei punti della schiena e del ventre, e che quando l'animale s'indebolisce convien tocca- re i punti che corrispondono ai così detti organi elettrici della torpedine per avere i segni della corrente. È curio- so che toccando nello stesso tempo due punti della stessa faccia, dorsale 0 ventrale, di uno degli organi, si hanno se- gni di corrente, però più deh(jli assai di qu'JlIi che si hanno stabilendo il circuito fra le due opposte faccie . Per- chè la deviazione avvenga toccando coi scandagli del gal- vanometro (lue punii appartenenti alla stessa faccia del pe- sce , è necessario die uno dei scandagli tocchi i punti pros- simi alla periferia dell'organo e l'altro scandaglio il inulto 130 airincirca diametralmente opposto al primo. Allora si lian- no i segni della corrente e si trova questa sempre diretta nel galvanometro dallo scandaglio più prossimo alla linea mediana dciranimale a quello più lontano dalla medesima. Si ottengono pure i segni della corrente al galvanometro tenendo uno degli scandagli in contatto della superficie ven- trale o dorsale d'uno degli organi e infiggendo l'altro scan- daglio neirinterno dell'organo stesso; la corrente si mostra costantemente diretta dallo scandaglio che tocca la super- ficie dorsale o che vi è più prossimo, all'altro scandaglio. Se ili luogo del filo del galvanometro, si adopera un fi- lo egualmente metallico, una porzione del quale sia avvolta a spirale, e se colle estremità di questo filo si toccano le due facete della torpedine , si avrà magnetizzato dalla scossa r ago d' accia jo che si è precedentemente messo nella spi- rale. Qualunque sia la grossezza del filo della spirale, la lunghezza del circuito metallico, il diametro della spirale stessa, la lunghezza e la grossezza delP ago d' acciajo , il suo grado di tempra, il senso del magnetismo prodotto dalla scarica della torpedine , è costante . Disponendo sulle due faccie del pesce collocato sopra un piano isolante, due dischetti di platino Tuno sul dorso, l'al- tro sul ventre, mettendo su questi due dischi due altri di- schi di carta inzuppata di una soluzione di idriodato di po- tassa e chiudendo infine il circuito, mettendo questi dischi in comunicazione con un filo di platino, non si tarda a vedere, dopo un certo numero di scariche fatte dare dal pesce, che intorno all'estremità del filo di platino toccante il disco di carta posato sul platino in contatto del ventre, si fa una macchia d'un colore giallo-rossastro. Un egual colore, ben- ché più debole comparisce sulla faccia della carta posata sul platino in contatto del dorso . Il liquido che inzuppa la carta è dunque scomposto dalla corrente elettrica della torpedine, e l'iodio apparisce al polo positivo. Si può anche giungere a veder la scintilla nelFalto del- 131 la scarici della torpodlne, e V apparecchio adoperato a questo line è assai semplice . Si colloca la torpedine colia sua pancia o colla sua schiena sopra un largo piatto metal- lico, come sarebbe lo scudo di un elettroforo ben isolato e si posa sull'altra faccia del pe- sce un piatto simile tenuto con un manico isolante . Ciascuno dei due piatti è munito d'un filo metallico , sulle estremità superiori di questi due fili sono attaccate con gomma due fo- glioline d'oro che vengono co- sì a pendere in basso. Si dispongono i due piatti in ma- niera che le due foglioline sieno in grande prossimità . Convien scegliere per questa esperienza una torpedine vi- vace più che sia possibile. Comprimendola col piatto supe- riore, e cercando nel tempo stesso di condurre le due fo- glioline 4' oro a contatto, non è raro il veder brillare la scintilla fra le medesime . È naturale che il fenomeno sia difficile a scorgersi, giachè convien cogliere il momento della scarica e combinare in questo momento una tal distan- za fra le foglie d'oro, perchè la corrente possa produrre la scintilla. Tutti i fenomeni della scarica o scossa della torpedine sono dunque dovuti a una corrente elettrica. L'apparecchio da cui questa corrente è prodotta consiste in due organi particolari, chiamati orfani elettrici della torpedine-^ le due faccie opposte di questi organi mostrano stati elettrici con- trarii; la faccia dorsale è positiva, la faccia ventrale è ne- gativa. La torpedine dà volontariamente la scarica, ed ogni esterna irritazione non agisce sulP organo elettrico che per r intermezzo della volontà dell'animale e di fatti, siccome la scarica passerebbe attraverso l'animale stesso se non vi fossero archi esterni e conduttori per riceveila, ne viene che r animale o non ne dà o cessa ininicdialamcnte di darne, quando non è toccato ed è fuori dell'acqua, o 10 132 quando è toccalo da corpi coibenti. Non è perciò a caso (ihe Ja natura dotò d'una funzione elettrica gli animali che vivono in un liquido conduttore. Le proprietà della corrente della torpedine sembrano av- vicinarsi più tosto a quelle della corrente elettrica propria- mente detta , che a quelle della scarica della bottiglia . Esaminiamo ora la scarica della torpedine come funzio- ne fisiologica e per conseguenza veggiamo quale inlluenza vi hanno le parti diverse dell'organo stesso, quelle che lo circondano o che yì sono in qualche modo in rapporto, non che le circostanze che operano sullo slato di vita dell'ani- male elettrico. Se si ha cura di operare rapidamente sopra una torpc^ dine assai vivace asportando uno dei suoi organi, separan- dolo così dalle cartilagini, dagli integiimenli che lo copror no e lo circondano , e solo lasciando intatti i grossi tron- chi nervosi che vi si distribuiscono, si scuoj)re facilmente che tutte le suddette parti , integumenti, cartilagini ec. non inlluiscouo sulla scarica . Si cuopra infatti quest' organo così separato dalla tor- pedine con rane preparate, vi si applichino i scandagli del galvanomctro , sopra e sotto, e si vedrà irritando i nervi in un modo (lualuuque, scuotersi le rancj deviar l'ago, indi- cando una corrente che va al solito nel giilv^nometro dalla faccia dorsale alla ventrale dell'organo. Così operando si arriva ad un altro ben curioso risulta- mento, che è quello di ottenere la scarica ora da una por-, zione ora dall' altra dell'organo elettrico su cui si esperi- menta: basta perciò di irritare separatamente ognuno dei nervi dell' organo stesso e si vedrà che nou tutte le rane stesevi sopra si contraggono, ma alcune sole, quelle cioè che occupano lo spazio in cui si distiibuisce il nervo irritato. Tali scariche però non durano che pochi istanti . Se pe- rò si usa per irritare il nervo la corrente elettrica, fatta passare pel nervo stesso, le scariche dell'organo così scpa^ 133 ratO;, fonliniiaiW) un cerio tempo. La corrente elettrica che passa pei nervi (lelToriiaiio elettrico della torpedine agisce colle stesse lei;gi cui vedremo obbedire nella sua azione sui muscoli. La corrente elettrica alTistante in cui comincia a passare nel nervo dell'organo elettrico della torpedine, ecciila la solita scarica: continuando a passare, la scarica non contiima e si ottiene di niiovo allorché la corrente cessa- Finche l'organo è molto fresco e appena separato dalP ani- male vivo, grelVetti descritti appartengono alla Corrente direHanoì senso della raniitìcazione del nervo, come air//u7'r- sU . A misura che si indebolisce V azione deìla corrente , i fenomeni cangiano, cioè la corrente diretta eccita la scari- ca al solo suo entrare e l' inversa al solo cessare . Lo stesso vedremo avvenire allorché la corrente agisce sui nervi del iriolo ed eccita la contrazione nei muscoli. Vedesi ancora, che a misura che la vitalità dell'organo elettrico separato si vìi estinguendo, perchè la corrente ap- plicata sui nervi vi ecciti la scarica, conviene agire sopra, dei punti seiiipre più prossimi alle loro estremitii. Ne viene anche da questi fatti che la circolazione san- guigna non è direttamente necessaria alla scarica elettrica, perchè sussiste neirorgano separato e di certo vuotato di sangue e in cui la circolazione non si fa più. Quanto al parenchima dell'organo stesso, si è vista la scarica continuare anche dopo averlo trahtlo , tagliato in più sensi, purché si conservasse unito alla torpedine: ces- sava però di agire se o immergendolo nell'acqua bollente 0 col contatto d' un acido, si era Coagulata 1' albumina che in gran parte lo compone. Risulta da qui^sti fatti provata l'inlluenza della volontà dell'animale sulla scarica esercitata per mezzo dei nervi che vanno all'organo. Questi nervi non sono dun('|ue né di senso né di moto ^ sono nervi che non hanno altra funzione che quella di far agire l'organo in cui si distribuiscono, di eccitarlo al* la sua funzione V 134 Era importante di studiare l' influenza che il cervello della torpedine esercita sulla scarica . Ho scoperto perciò col taglio orizzontale della cassa aponevrotica , il cervello in una torpedine viva, ho disposte le rane preparate e il galvanometro, onde scoprire quando accadeva la scarica e come . Se si irritano i pri- mi lobi del cervello ( i lobi olfatori) non v'è scarica : i lobi ottici , il cervelletto, si condu- cono egualmente. Que- ste tre prime protube- ranze del cervello pos- sono esser tolte , e la torpedine può ancora dare la scarica. Non rimane più che un quarto lobo che ho chiamato lobo elettrico: questo non appena è toccato che le scariche sopravvengono , e se- condo che si tocca la sua parte sinistra o la destra , V organo sini- stro 0 il destro dà la scarica. Si possono to- gliere tutti gl'altri lobi del cervello e la fun- zione elettrica si con- serva: il quarto lobo tolto, lasciati gli altri, la funzione elettrica dell'animale ha cessa- to per sempre. Ciò che vi è anche dì più curioso si è, che se, mentre la torpedine ha cessato di dar scariche, s' irrita il lobo elettrico queste si rmnovano , e allorché si ferisce, se ne ottengono ancora fortissime le quali ho visto in qualche caso, 135 raro SI, càser dirette in senso inverso della scarica ordi- naria . Per compier ciò che riguarda lo studio della torpedine mi rimane a dirvi che questo pesce cessa di dare scariche tenuto nell'acqua fredda a zero o poco sopra, ma che poi la ripiglia rimessa nclPacqua a 15.» o 20.o C, e che queste alternative si possono ripetere più volte sullo stesso indi- viduo . Neir acqua calda a circa 30.« la torpedine cessa presto di vivere, e muore dando un gran numero di scariche vio- lente . Allorché s'irrita spesso, tenuta nelP acqua, Specialmente comprimendola sopra gl'occhi, dà un gran numero di sca- riche e poi cessa di darle, anche irritata : lasciata in ri- poso riprende dopo qualche tempo la sua proprietà* I veleni narcotici, la stricnina, la morfina a grandi do- si , uccidono presto la torpedine facendole dare molte sca- riche ed intense: a piccola dose portano la torpedine in quello stato di sopra-eccitamento, nel quale la più piccola irritazione basta a farle dare la scarica. In questo stato messa sopra una tavola, ho visto che bastava dare un colpo sulla tavola, perchè la scossa avesse luogo. Toccata alla coda, subito succede la scarica, ma se allora le si taglia la spina, i contatti al di sotto del taglio, non eccitano la scarica. E dunque una scarica prodotta per azione reflessa sulla mi- dolla spinale . Le analogie fra la contrazione muscolare e la scarica della torpedine sono complete: tuttociò che distrugge, accre- sce, modifica l'una, agisce egualmente sull'altra. Del gimnoto, altro pesce elettrico, che si trova in alcuni laghi delle Indie non posso dirvi che poche cose, giacché assai poco fu studiato . Duolmi di non potervi qui leggere un lungo passo dell' opera del celebre Humboldt , in cui si descrive la caccia che fanno gP Indiani delle anguille elettriche . Essi cacciano a forza, cavalli e muli nei laghi 1.16 limacciosi in cui vivono i gimnoti : questi cominciano a lottare dando fortissime e numerosissime scariclie sui ca- Aalli e sui muli , e non è raro che qualcuno di questi perisca nel conllitto . Dopo una lunga battaglia, i gimnò- ti slancili vengono galleggianti sulP acqua , avvicinandosi alla spiaggia 5 allora gì' indiani scagliando su di essi un- cini legati a corde , riescono a tirarne qualcuno fuori dall' acqua . Le osservazioni di Humboldt hanno prova- to che le scariche del gimnoto accadono, come per la torpedine , senza la necessità d' alcun movimento nrusco- lare ncll' animale, e che tolto il cervello la scarica manca quantunque s' irriti la midolla spinale . Rimarrebbe a studiarsi , meglio che non si è fatto finora, qual può esser l'azione delle diverse i)arti del cervello sulla sca- rica. 11 modo con cui si fa la pesca dei gimnoti basta a provare che la sua scarica è volontaria , e che s' inde- bolisce una tal funzione rinnuovandola spesso e che si ri stabilisce col riposo . Faraday, che ha potuto studiare un gimnoto giunto vivo a Londra , è riescilo ad ottenere dalla scarica elettrica di questo pesce tutti 1 fenomeni della corrente elettrica, cioè la scintilla , la decomposizione elettrochimica , l' azione sul- 1' ago magnetico ec. Faraday ha cei-cato di paragonare la scossa del gimnoto ad una batteria di boccie di Leyda ca- ricata a saturazione < Secondo questo Fisico la scarica del gimnoto non sarebbe diversa da quella d' una batteria di 15 bottiglie di 3500 pollici quadrati inglesi di superficie armata . Stando a questo numero non può più sorpren- dere che qualche cavallo resti ucciso dalle ripetute sca- riche del gimnoto . Il resultato il più importante a cui è giunto Faraday è quello della direzione della scarica di questo pesce. L' e- stremità cefalica è il polo positivo e la caudale è il ne- gativo ; di modo che la corrente va nel galvanometro dalla testa alla coda dell'animale. Questa disposizione ci spiega r arlilicio che si e visto adoprar dal ginmoto al- i:n loroliò (là la scarica per iiccidorc un pesce 5 egli s' Iiì" curva , a modo che la preda rimanda nella concavità for- mata dal suo corpo . Nulla si sa deiili al hi pesci elettrici di cui non ho po- tuto dirvi che i nomi . In che consiste 1" orjjano dei pesci elettrici , qual è r apparecchio elettrico che ha analoj^ie con quesf or- gano ? È assai diflìcile di rispondere adeguatamente a que- ste dimande. L'organo elettrico della torpedine si com|)one d'un certo numero400 a 500, dorso 4- di masse prismatiche simili a grani di riso addossati Tuno all'altro, e composte ciascuna di altrettante vescichette so- vrapposte runa air altra. Da questa disposizione risulta venh e l'apparenza di un favo che h^ lutto r organo , e quella che ha poi ognuno dei prismi ohe lo compone di tanti diafragmi che li dividono nor-f mal mente al loro asse e che in realtà non sono altro che ]e pareli aponeurotiche addossate delle masse vescicolari prossime . Ramilìcazioni nervose e fibre muscolari si di- stribuiscono sopra queste pareti 0 diafragmi. Le ramificar zioni nervose risultano da fibre elementari distribuite a maglia sulle pareti delle vescichette e terminate in anse nel lobo elettrico, e probabilmente anche in anse sulle pa- reti delle vescichette, hi tal guisa i rami nervosi dell'or- gano formerebbero tanti circuiti chiusi, ognuno dei quali avrebbe un ansa nel lobo cerebrale e un altra nella pa- rete della vescichetta dell' organo . Traggo queste notizie dalle importanti ricerche fiUte dal mio amico prof. Savi, e che si trovano io una Memoria pubblicata nel mio Li- bro succitato . La grande somiglianza , 0 più precisamente 1" identità di struttura di tutte queste vescichette conduce ad am- mettere che esse sono il vero organo elementare dell' ai)- parecchio elettrico , lo che pure è provalo dalP identità j^' 138 della loro composizione , giacché tutte sono piene d' uno stesso liquido denso formato di circa »/io d'acqua e di Vio d' albumina e di poco sai marino . Che ognuna di queste vescichette sia 1' organo elementare dell' apparata elettrico lo prova pure direttamente P esperienza . Ho preso sopra una torpedine viva un pezzetto d' uno dei suoi prismi , grosso all' incirca come la .testa d' un grosso spillo , v' ho steso sopra il nervo della rana galvanosco- pica , ed ho visto spesso che ferendo il pezzetto del prisma con un vetro, o con un corpo aguzzo qualunque , avveni-^ vano le contrazioni nella rana . Riflettete ora che ognuno dei prismi si compone di un grandissimo numero di ves- cichette o organi elementari , che Hunter ha contato 470 prismi in uno degli organi della torpedine , e intenderete che la scarica, dovendo essere proporzionale al numero delle vescichette , dovrà essere assai forte , L' organo elettrico è dunque un vero apparecchio mol- tiplicatore . Pensò il Volta che fosse mia pila, messa in attività dall' animale, comprimendo il suo organo, stabilendo così i contatti . Ma nulla di tutto questo fu provato dalle spe- rienze che abbiam riferite. Si è detto in questi ultimi tempi che 1' organo elettrico era analogo ad una spirale elettro-magnetica, che la scarica era un fenomeno d'ej;- tracorrente o d' induzione . Passo sopra ad un grandissimo numero di opposizioni che si posson fare a questo con- fronto , basate sulla troppa differenza di disposizione , di conducibilità, che v' ha fra una spirale elettro-magne- tica e r organo della torpedine . Ciò che più importa ò che manca la prova , essenziale in questa ipotesi , che l'azione nervosa si trasmuti in elettricità. Voglio mostrarvi qui un fatto che , quantunque ancora mollo oscuro , non manca d' essere importante e che può condurci nella via della dimostrazione che si cerca. Stendo il nervo d'una rana galvanoscopica molto vivace e recentemente preparata su ì muscoli delle coscie d'una rana preparata all'uso di Galvani. 130 Ciò fallo, irrilo in un modo qualunque i nervi s|)inali di quesla seconda ra- na, e vefigo che nienlró i suoi mu- scoli si eonlrasiiono , si contrae an- che la ^amba do della radice e del caule. La radice di una pianta continua a scendere, e il caule a sa- lire, benché Tumidità e il contatto del terreno siano por- tati artificialmente più tosto sul caule , che sulla radice , e benché la luce agisca più su questa che sul caule . Dob- biamo a Knight alcune ingegnose esperienze le quali , se non hanno intieramente svelato questo mistero, hanno di certo provato resistenza d'una delle cagioni cui è dovuto un tal fenomeno. Hunter il primo facendo ruotare intorno ad un asse orizzontale un barile pieno di terra nel cui centro erano alcune fave, vidde, continuando per molti giorni la rotazione, che la radice si dirigeva sempre parallelamente airasse di rotazione. Knight (issando convenientemente fa- gioli o fave sulla periferia d'una ruota, tenendo questi semi costantemente bagnati, e facendo girare rapidamente la ruo la per molto tempo, ha veduto che, essendo la ruota verli-: cale, le radici delle pianticelle si dirigevano verso la circon- ferenza, mentre i cauli si volgevano verso il centro; se la ruota era orizzontale, la radice ed i cauli si dirigevano obli- quamente , fuggendo sempre le prime verso la circonfe- renza della ruota . Dal che ne viene , cond)inando questo secondo fatto di Knight col primo, che l'ordinaria direzione delle radici e dei cauli delle piante è inlluenzata dalla gra- vità , che la radice ed il caule si dirigono obliquamente nella seconda esperienza, per collocarsi fra la posizione orizzontale che tende a dar loro la forza centrifuga e la po- sizione verticale che prenderebbero naturalmente. Evidentemente i fatti di lluuter e di Knight non possono spi<'garsi senza ammettere: 1." uno stato più o meno liquido delle nuove parti della giovine pianta; 2," una densità diver- 10* 146 sa nelle diverse parti di questa stessa pianta; 3,'' che nelle radici si portano, alméno da principio, le parti più dense del nuovo vegetabile. Viene da ciò che nel caso della ruota verticale le parti della giovinp pianta, risentendo la so* la azione della forza centrifuga, si sviluppano avendo le lor ro parti più dense, ossia la radice, alla circonferenza, e che nella ruota orizzontale prendono una posizione internici dia fra quella dovuta alla forza centrifuga e quella ohe pren- derebbero obbeden4o alla sola gravità, Dutrochet, senza nìegare l'influenza della gravità sulla di'; rezione ordinaria della radice e del caule , ammette ancora una seconda cagione di questo fenomeno, dipendente dal di- suguale sviluppo del sistema cellulare del caule e deWa^ ra- dice, e dalla diversai turgescenza che Tendosmosi produce nelle cellule di questo sistema. Avremo occasione più oppur* tuna di ritornare sopra questo soggetto. Diciamo ora della luce. Poco 0 quasi nulla sappiamo dell'azione della luce sugli animali. Edwards ha provato che le uova delle rane si svi- luppano meglio esposte alla luce che neiroscurità, e che la conversione dei girini in rane si fa più presto e più completa- mente nella stessa circostanza. I colori degli animali sono in generale tanto più vivi, quanto più l'azione della luce è intensa. Si è detto anche che la quantità d'acido carbonico esalato dalla cute d'un animale cresceva sotto l'influenza dei raggi solari. Ma intanto s'igno- ra quale spece di raggi, fra quelli che ci vengono dal sole, è cagione di questi effetti e non può dirsi per conseguenza se i medesimi siano dovuti all' azione chimica di alcuni di quei raggi» L'azione della luce su ì vegetabili è della massima im- portanza per la vita di questi esseri, ma tuttavia ancora oscu- ra. È un fatto che la respirazione della pianta, cioè la scom- posizione dell'acido carbonico operata dqlle sue parti verdi, la fissazione dei carbonio e resalazioue dell'ossigene non in avvengono che sotto T influenza della luce solare: invece neir oscurità la pianta assorbe l'ossigene, svolge acido car- bonico. Alla luce i vegetabili si colorano, si induriscono i lo- ro tessuti, mentre nell'oscurità si scolorano, s' allungano, si fanno llosci. Una luce artificiale molto viva agisce, benché più debolmente, come la luce solare. Non abbiamo che un solo fatto che possa rischiarare in qualche modo questa sin- golare azione della luce su i vegetabili. Si è visto in questi ultimi tempi, facendo imagini col daguerrotipo, che le parti verdi dei vegetabili, come in generale tutti i corpi verdi, non si ottengono. Io che non avviene degli altri oggetti che hanno altri colori. E poiché è ben provato che la cagione della for- mazione delle imagini col noto processo di Daguerre risiede nell'azione dei raggi chimici della luce solare, conviene am- mettere, che le parti verdi del vegetabile assorbono questi raggi completamente, È quindi naturale il supporre che la produzione della materia verde nei vegetabili e la straordina- ria proprietà di questa sostanza a scomporre sotto l' azione della luce l'acido carbonico, fissando il carbonio ed esalan- do Tossigene, sia dovuta all'azione chimica di alcuni dei raggi solari . Quanto all' ossigene assorbito e all' acido carbonico esalato nell' oscurità dobbiamo credere, che que- sti effetti sieuo indipendenti dallo stato di vita. Vedete pe- rò dal poco che ho potuto dirvi sopra un soggetto così importante, quanto ancora rimane a sapersi. Qual è real- mente il principio chimico immediato che così agisce nelle piante, che è capace di un'azione chimica, la di cui in- tensità non ha esempio nelle afTinità chimiche ordinarie le più forti ? Qual parte ha l' organismo in questa azione ? Ho provato ad esporre alla luce in un pallone pieno d'acqua acidulata con acido carbonico alcune foglie assai triturate, e non ho ottenuto traccia alcuna d' ossigene, mentre in al- tro simil apparecchio, in cui le foglie erano intatte, Tos- sigene non tardò a mostrarsi. Vorrei però veder variale ed estese queste ricerche per ben stabilire l'inlluenza del- 148 l'organizzazione sulla respirazione vegetabile. Converrebbe anche sapere in quale stato si riduce il carbonio che rima- ne dalla scomposizione dell' acido carbonico , e se Fossi- gene che rimane da questa scomposizione è immediata- mente esalato del tutto, o se non lo è che in parte. Sono queste alcune fra le molte questioni delle quali i Chimici ed 1 Fisiologi dovrebbero seriamente occuparsi . Si è parlato in questi ultimi tempi dell' inlluenza dei diversi raggi dello spettro solare sulla germogliazione. Si è detto da alcuni osservatori che i raggi violetti e chimici la favo- rivano, da altri si è detto il contrario. Questa contradizio- ne ci mostra la necessità di nuove e più esatte ricerche . Non avendo agito coi raggi semplici dello spettro solare, ma invece con raggi colorati ottenuti dal passaggio della lu- ce solare attraverso a vetri di diverso colore, non è difil- cile lo scorgere la cagione delle differenze trovate dai di- versi sperimentatori. In generale un raggio che traversa un vetro colorato ordinario è lungi dall' esser privo da raggi di altro colore, diverso da quello che mostra. Vi parlerò infine dell' inlluenza del calore sui corpi orga- nizzati viventi. La temperatura è forse la prima condizione dello stato di vita. Questo stato è difatti compreso fra certi limiti di temperatura al di là dei quali non vi è esempio di sviluppo e di conservazione di vegetabili o di animali. Possiamo am- mettere , quanto a questo modo generale d' agire del ca- lore, che la sua azione si spiega nella produzione dei feno- meni fisico-chimici che avvengono nel seno di tutti i corpi viventi. Sappiamo oggi che tutte le azioni di contatto non av- vengono che ad una data temperatura. Abbiamo visto in queste Lezioni in quanti fenomeni dei corpi viventi inter- vengono le azioni di contatto, ed il poco che sappiamo so- pra questo soggetto ci fa intravedere tutto quello che anr Cora ci rimane a sapere. 140 La fecondaziono doi vcgciabili, la {Torhiofiliazionc non s'operano senza calore, e le azioni di conlallo v'inlerven};o- no. Chi oserebbe ne{i;arc che nella fecondazione dej;li ani- mali, in cui la leniperalura è pure un elemento essenziale , non v'intervenga un azione di contatto? Lo sviluppo di uno e più spesso di un gran numero di esseri, operato dall'azione di un corpo ben distinto da quello che si sviluppa, che basta alla sua funzione con una piccolissima quantità della sua sostanza, è qualche cosa d'analogo alle fermentazioni . Indipendentemente da questa maniera generale d'agire del calorico sui corpi viventi, e su cui vi ho accennato alcune viste ipotetiche, dobbiamo studiare piìi particolar- mente la sua influenza sugli animali. È dal classico libro De rinfluence des a gens physiques sur la vìe che trarrò le cognizioni le più importanti so- pra questo soggetto. Edwards ha provato a sommerge- re nell'acqua di lìumc naturalrnente aerata diverse rane ed ha veduto che se la temperatura dell'acqua era a 0" questi animali vivevano per lo spazio di otto ore 5 alla tem- peratura di -h 10" non vissero che sei óre; a H- 16" due ore 5 a -h 22" da 70 a 35 minuti; a + 32" da 30 a 12 mi- minuti ; e a + 42" la morte era subitanea . La grande inlluenza che piccolissime differenze di tem- peratura presentano sulla vita della rana non possono attribuirsi alla diversa quantità d' aria che alle diverse temperature è sciolta nell'acqua. Si sa infatli che questa quantità varia pochissimo nelle diverse stagioni dell' anno, mentre abbiam visto che le differenze di temperatura delle diverse stagioni producono effetti dislintissijui sulla vita delle rane sommerse nell' acqua . Quanto più la temperatura del mezzo in cui Questi ani- mali vivono è elevata, tanto è più grande la quantità di aria òhe respirano ; e quella che è disciolta ordinaria- mente neir acqua , benché rinnovata , non è sufliciente . 150 Le rane non vivono sommerse nell' acqua che a temjie- rature molto basse , altrimenti vengono alla superfìcie e respirano V aria atmosferica . Anche i pesci presentano fenomeni simili a quelli che abbiamo notato nelle rane . Nei pesci sommersi in una quantità d' acqua aerata che non sia in contatto dell' atmosfera , la durata della vita si prolunga tanto più , quanto piìi è bassa la temperatu- ra deir acqua stessa . Abbiamo veduto in un' altra Lezione verificarsi questa legge sulla torpedine , la quale immersa nell' acqua calda presto vi moriva , dando fortissime scariche , mentre vi- veva lungamente, dando poche e deboli scariche, nell'a- cqua fredda . La relazione trovata fra la respirazione e la temperatura del mezzo in cui vivono gli animali, di cui si è parlato , non è che una nuova prova della natura chimica di questa funzione . L' uomo 9 ed i mammiferi in generale , possono sop- portare temperature molto più elevate . È famosa l' os- servazione di Tillet e Duhamel i quali videro una gio- vane rimanere per 12 minuti in un forao in cui la tem- peratura fu da essi trovata di 128" C. Delaroche e Ber- ger hanno introdotto conigli , gatti e diversi altri ani- mali vertebrati in una stufa riscaldata da -|- 56" a -j- 65" Questi animali vi perirono dopo pochi minuti. 1 delti os- servatori hanno conchiuso da un gran numero di espe- rienze , che i vertebrati esposti ad un' aria secca e calda a -+- 45.0 C. sono prossimi al limite di temperatura in cui è ad essi dato di poter vivere . Sembrerebbe dunque che per r uomo solo questo limite sia più elevato ; difatti , oltre al caso già citato, vi sono altre osservazioni , sul- r esattezza delle quali non può cader dubbio . Dobson racconta d'un giovine che stette in una stufa a +98^,88 per 20 minuti, mentre il suo polso da 75 pulsazioni che dava ordinariamente per minuto , giunse a 164 . Berger rimase per 7 minuti nell'aria a -h 109", e Blagden in quella a H- 127". 151 Non è più così se V aria è allo stesso tempo riscal- data e umida . Lo stesso Berjier , £;ià citato , non resse più di 12 minuti in un ba^no di vapore, la di cui tem- peratura erasi innalzata da 47'Y25 a 53",75. La tempera- tura che può sostenere un uomo immerso nelP acqua li- quida e riscaldata è anche minore di quella che sopporta in un bagno di vapore. Vedremo fra breve le cagioni di queste differenze . Era importante di ricercare le variazioni della tempe- rature! propria degli animali esposti a diversi gradi di calore , Liniitandosi alle ordinarie variazioni di tempera- tura proprie delle stagioni e dei climi , il calore del cor- po umano è sensibilmente costante . Francklin osservò per il primo che la temperatura del suo corpo era 33'',55, mentre quella dell' aria era 37",77. Se ne concluse da ciò, che gli animali a sangue caldo hanno la facoltà di man» tenersi a un grado di temperatura inferiore a quella del tnezzo in cui si trovano .- Conveniva petò vederle se jn mezzo a temperature molto più elevate di quella dell' uo- mo, la temperatura del corpo subiva variazioni , t)elaroche e Berger viddero accrescersi di 5" la temperatura in uno di essi per esser stato otto minuti in una stufa calda a 80^. Ripeterono essi tali sperienze sopra mammiferi ed uccelli , e si assicurarono che Tesposizione di tali ani- tnali in un aria secca e riscaldata grandemente produce- \R una elevazione nella loro temperatura , la (juale però non poteva oltrepassare , senza produrre la morte , i 7» 0 80 C. Bastano le cognizioni elementari della Fisica a spie- garci gli effetti della temperatura esteriore sul calore de- gli animali < La formazione del vapore acqueo , il quale esce costantemente! per la cute d' un animale , k una con- tinua cagione di raffreddamento dell' animale stesso. Ecco perchè nelP aria molto calda e secca la temperatura del- l'animale non s'innalza tanto, come quando quest' a- 152 ria è carica di vapore . V è in ogni animale una produ- zione continua di calore e una cagione costante di raf- freddamento , e la sua temperatura si conserva, non ri- sente gli efletti delle temperature esteriori molto elevate al disopra della propria, perchè la cagione del suo raf- freddamento è tanto pili energica , quanto è più alta la temperatura esteriore , e inversamente . Edwards ha fatto un grandissimo numero di esperienze^ affine di stahilire se v' era diflerenza nel ralTreddamento indotto in un animale immerso nell' aria più fredda di esso , secondo che era umida o secca , e ne ha con- chiuso che il raffreddamento era lo st(^sso nei due casi. Se si considera che 1' aria umida conduce il calore me- glio deir aria secca ^ può spiegarsi questo resultato di Edwards dicendo, che il raflVeddamento prodotto dalla più grande evaporazione nelT aria secca ha potuto esser compensalo dal freddo dovuto al contatto dell' aria umi- da . Ve invece una differenza considerevole nel raf- freddamento d' un animale , secondo che V aria è agitata o calma . Neil' aria tranquilla e a una temperatura infe- riore a quella del nostro corpo , noi perdiamo calore, per 1' evaporazione , per il contatto dell' aria e per l' irraggia- mento . La perdita per irraggiamento non è intluen- zata dalla natura e daUa presenza del gas, per cui T agi- tazione del gas istesso non modifica questa perdita . Non è cosi della perdita che si fa per 1' evaporazione e per il contatto dell' aria , la quale aumenta colla velocità del vento . Questi risultati sono evidentemente una conseguen- za delle leggi fisiche del raffreddamento dei corpi per 1" e- vaporazione . Parry racconta d' avere spesso sostenuta st'nza incomodo una temperatura di 17o,77 C. sotto Io zero ad aria calma, mentre una brezza di — G",r)6 gli era mole- stissima. Il chirurgo della celebre spedizione del capitario Parry racconta che ad aria calma la sensazione prodotta 153 da una temperatura di — 40",! 1 non era diversa da quella di — 17",77 nel tempo di brezza. Ne viene da questa osservazione clie 1' abitazione dell' aria produce una sen- sazione di freddo equivalente all' elVetlo d' un ralTredda- nieiito deir aria di 29 gradi . LEZIONE XII. Azione fisiologica della corrente elettrica* V i parlerò in questa lezione delibazione fisiologica del- relettricità. Non mi fermerò lungamente a dirvi degli ef-* fetti deireiettrieità statica sugli animali e su i vegetabili. Nei libri antichi di Fisica troverete riportati prodigi, effet- ti grandi, stranissimi. Operati dall'elettricità statica sugli ani- mali e sulle piante < Oggi però sono banditi totalmente dalla Scienza, poiché non vennero essi comprovati da più esatte osservazioni. Un animale, una pianta, isolati ed elettriz- zati colla macchina elettrica, non hanno offerto fin ora nulla di diverso da quello, che in simili circostanze presentereb- bero i corpi inorganici. Non è così dell'azione della cor- rente elettrica sugi' animali . Questo studio è della piìi al- ta importanza, e non vorrei che ne ignoraste le più piccole particolarità. In un quaderno trovato fra i manoscritti di Galvani su cui h scritto dal Galvani stesso Esperienze snW elettricità dei metalli colla data dei 20 settembre Ì786 è riportato un fatto che ha certamente influito nell'avanzamento delle Scien- ze, quanto le scoperte di Galileo e di Newton. Consiste ir>5 questo fatto nelle contrazioni che si eccitano in una rana di recente uccisa e preparata alla nota maniera del Galva- ni, allorché con un arco composto di due metalli diversi se ne toccano i nervi ed i muscoli. Non starò qui a dirvi come il Galvani interpetrasse que- sti fatti, ammettendo un'elettricità animale che Parco me- tallico non faceva che scaricare. Dopo che il Volta ebbe provato coirelettrometro che nel contatto di due metalli ete- rogenei le due elettricità si separavano, non vi fu più chi credesse airelettricità animale del Galvani, e si ammise generalmente che le contrazioni osservate nella rana dal Galvani erano 1' effetto semplice dell'elettricità svolta dai due metalli e stimolante il nervo che traversava. Nelle Lezioni passate avete visto in che consista realmente l'elet- tricità animale e vi siete persuasi che non a torto il Gal- vani l'ammetteva, poiché molti dei fatti da lui scoperti so- no dovuti certamente ad elettricità generata negli animali. Le contrazioni che si eccitano nella rana o in un ani- male qualunque vivo o recentemente ucciso, allorché una porzione d' uno dei suoi nervi e percorsa dalla corren- te elettrica sviluppata dalla coppia voltiana, sono senza dub- bio indipendenti da qualunque elettricità animale. È que- sto caso semplice dell'azione dell'elettricità sugli animali che comincieremo a studiare. Nei primi tempi che succederono alle scoperte del Gal- vani e del Volta, ogni giornale, ogni libro parlava di fatti re- lativi a codesta azione. Le contorsioni, i salti che presen- ta un animale recentemente ucciso, assoggettato ad una cor- rente elettrica abbastanza forte , fecero quasi sperare esser giunta la Fisica a ridonare la vita. Naturalmente non durò e non poteva durare a lungo questa illusione; la Scienza ri- entrò nei suoi limiti. Valli, Lehot, Humboldt, Aldini, Bellin- gieri , Marianini e Nobili in questi ultimi tempi, studiarono l'azione fisiologica della corrente elettrica. Non posso qui citarvi tutte le loro esperienze e devo 156 limitarmi ad esporvi questo soggetto , quale si trova nello stato attuale della scienza. Scuopro in questo coniglio, che vedete stabilmente fis- sato colle sue quattro gambe sopra una tavola, il nervo sciatico di ambe le coscie e lo separo , per quanto è pos- sibile, dalle parti circostanti, l'asciugo con carta senza colla e fo passare al di sotto del medesimo una striscia di taffettà gommato, in modo da isolarlo perfettamente dai sottoposti tessuti. Osservate cosa avviene allorquando fo passare lungo il nervo la corrente di una pila di 10 coppie applicandovi i due reoferi alla distanza di pochi centi- metri P uno dall'altro, in modo che la direzione della corren- te sia diretta dalla parte centrale alla periferica del nervo- Ai chiudere del circuito tutti i muscoli della coscia si con- traggono , 1' animale stride , incurva fortemente il dorso , agita le sue orecchie. Questi stessi fenomeni si riproducono , se cambiando la respettiva posizione dei reofori , faccio in modo che la di- rezione della corrente vada inversamente alla prima, cioè dalla parte periferica alla parte centrale del nervo. Ciò che vedete avvenire al chiudere del circuito si ripete all'aprire del medesimo, cioè togliendo la comunicazione del reofori col nervo , sia nel caso della prima direzione della corrente , ossia della corrente diretta , sia nel caso della opposta direzione, ovver della corrente inversa. Mentre il circuito sta chiuso, qualunque sia la direzione della corrente , 1' animale non mostra alcuno di questi fe- nomeni. Vedremo piìi innanzi in che consiste l' azione della corrente nel tempo del suo passaggio pei nervi. Se la corrente è applicata al nervo in maniera da traver- sarlo , invece che percorrerlo, non si hanno uè contrazioni ne segni di dolore. Ripetendo le sperienze riferite sopra diversi individui si trova in generale che ì segni del dolore manifestati dall'animale sono più forti al cominciare della corrente 157 Inversa, e che le conlrazlooi le più forti si fanno vedere al cominciare della corrente diretta. La prima azione della corrente elettrica su i nervi d' un animale vivo , come rinterrompersi della mede- sima, danno luogo alli stessi fenomeni, qualunque sia la direzione della corrente nel nervo; se non che si osserva costantemente , che le contrazioni le più violente sono quelle che si eccitano al cominciare della corrente diretta. Se un uomo, comò osservò il Marianini, chiude il circuito d' una pila d' un certo numero di elementi, toccando con una mano un polo, coli' altra 1' altro polo, la scossa la più forte la risente sempre nel braccio sinistro, in cui la cor- rente è diretta . Continuando ad esperimentare sullo stesso animale non tarderete ad accorgevi, che i descritti fenomeni non hanno più luogo, e che dopo un certo tempo, tanto più breve quanto più è intensa la corrente, l'animale non vi darà più indizio del passaggio della corrente stessa. Ma lascian- do l'animale per qualche tempo in riposo, o raddoppiando la forza della corrente, si vedono riprodursi i primi feno- meni^ Studiando intanto i fenomeni che avvengono a misu- ra che r azione delle corrente sull' animale si prolun- ga prima di cessare del tutto i segni del passaggio della corrente stessa, osserverete che allorché la corrente di- retta è interrotta , le contrazioni dei muscoli inferiori , ossia di quelli collocati al disotto del punto cui è appli- cata la corrente , divengono più deboli , mentre che sussistono ancora nei muscoli del dorso e che persiste r agitarsi delle orecchie e sovente il grido deiranima- le. Quando questa corrente comincia, gli effetti sono limitati alle contrazioni dei muscoli inferiori . Nel caso della corrente inversa le contrazioni dei muscoli del dor- so , i movimenti delle orecchie , e quasi costantemente il grido , hanno luogo al chiudere il circuito , mentre le con- 158 trazioni nei muscoli inferiori , si mostrano appena sen- sibili ; al contrario all' aprirsi del circuito sussistono le con- trazioni dei muscoli inferiori e intanto quelle del dorso e i movimenti delle orecchie sono scomparsi e l'animale non stride più. Malgrado un grandissimo numero di esperienze che ho potuto fare , mi sarebbe impossibile poter precisa^' re in qual ordine cominciano a scomparire questi fenomeni. Conviene dunque ridurre a due periodi l' azione della corrente elettrica che eccita i nervi d'un animale vivente: nel primo periodo l' eccitazione del nervo è trasmessa in tutte le direzion i , tanto verso la sua parte centrale , come verso la sua parte periferica, e ciò tanto al momento della sua prima azione , come al suo cessare ed indipen- dentemente dalla direzione della corrente j nel secojido periodo l'eccitazione del nervo si propaga verso la sua estremità periferica al cominciare della corrente diretta, e all' interrompersi della corrente inversa : al contrario l' ec- citazioPiC del nervo è trasmessa verso il cervello, allorché la conente diretta è interrotta o quando la corrente inver- sa comincia . Posso esprimere questi resultati in termini più semplir ci : la corrente agisce nel senso della sua direzione qua»-, do comincia a passare per il nervo e nel senso contrario della sua direzione quando cessa di passarvi. Passiamo ora a studiare come la corrente elettrica può produrre le contrazioni nei muscoli del dorso e della testa agendo , come negli sperimenti che avete visto , sopra un nervo che non si ramifica in questi muscoli , e come ci sja possibile , in opposizione alle idee generalmente ammes- se , di darci ragione della contrazione muscolare prodotta da una eccitazione che opera in senso retrogrado sul nervo. Se tagliate in un coniglio la midolla spinale trasversalmen- te, e fate passare per il suo nervo crurale una cojrente elet- trica , osserverete che le contrazioni si riducono ai muscoli che si trovano al di sotto del punto ove venne tagliata la 159 midolla spinale ; e se tagliale la midolla spinale verso la sua estremitii inferiore non vi sarà più contrazione alcuna nei muscoli posti superiormente al nervo eccitato. I movimenti dunque eccitati nei muscoli collocati superior- mente al nervo eccitato da una corrente elettrica, sono movimenti re/ìessi. L'eccitazione del nervo viene trasmes- sa alla midolla spinale , la quale per un' azione reflessa determina la contrazione nei muscoli che ricevono i ner- vi dalla medesima, Diremo perciò che la eccitazione del nervo , sul principio centripeta , si trasforma poi ip lina eccitazione centrifuga . Abbiamo fin qui esposto le leggi dell'azione della cor- rente elettrica sopra i nervi d'un animale vivente^ passe- remo ora a parlare di quest' azione della corrente sopra gli animali uccisi di recente. Operando colla corrente d' una sola coppia sopra coni- gli recentemente uccisi e preparati come nelle sperien- ze precedenti , si ha la contrazione dei muscoli inferio- ri al cominciare della corrente diretta e all'interrompersi della corrente inversa. Adoperando una corrente più forte si ottengono le contrazioni nei muscoli suindicati tanto al comin- ciare, quanto airinterrompersi della corrente, qualunque sia la direzione della medesima. Continuando a far passare la corrente per un certo tempo si termina col ottenere contrazioni al cominciare della corrente diretta , e all' in- terruzione della corrente inversa. Si riesce in qualche caso e nei primi instanti del passaggio della corrente , a ottenere le contrazioni nei muscoli supe- riori ai punti del nervo eccitato , le quali presto cessano, e non si ottengono mai che con correnti molto intense ed a- gendo sopra animali recentissimamente uccisi e nei quali fu conservata l'integrità del sistema nervoso. Questi fenomeni si verificano anche negli altri animali, e si mostrano distinti principalmente nella rana. Kccovi una rana preparata alla solita manierai del Galvanj 160 e alla quale di più si sono tolte le ossa del bacino e le verte- bre lombari: la rana così spaccata è messa a cavalcioni sopra due capsule piene d'acqua a pescarvi colle sue gambe. Im- mergendo idue reofori d'una pila di poche coppie nelle due capsule, vedrete da prima la rana sbalzar fuori, e se si ritiene con forza in posizione si hanno le contrazioni nelle aue gambe, tanto all'aprire quanto al chiudere del circuito, e perciò tanto nel membro in cui la corrente è diretta, quanto in quello in cui è inversa. Ma se si continua ad agire, non si tarda a scorgere il cambiamento descritto, cioè al chiudere del circuito un solo membro si contrae ed è quello in cui la corrente è diretta, mentre all'interrompersi si contrae l'al- tro, quello cioè in cui la corrente è inversa. Questa succes-^ sione di fenomeni può ritardare più o meno ad apparire, e ciò secondo la forza della corrente e la vivacità dall'animale, ma non manca mai. Eccovi cosi la rana non solo sensi- bilissimo gelvanoscopio , ma di più l' istrumento che fa iu parte l'ofiìcio de! galvanometro potendo com' esso indicar-i vi la direzione della corrente che scorre una porzione di un suo nervo. Il Marianini ha mostrato che le contrazioni all'aprirsi del circuito, ossia all'interrompersi della corrente, persistono auto più lungamente quanto più prolungato fu il passaggio ^ella corrente stessa. Allo stesso illustre Fisico si deve pure l'osservazione, che te contrazioni sì ottengono all' interrompersi del circuito , senza averle ottenute al suo chiudersi. Per realizzare questo spe- rimento basta di disporre una rana nel circuito di una pila, e di chiudere poi il circuito, toccando con una mano il pò-» lo della pila, e tuffando le dita dell'altra mano nel liquido in cui pesca una delle estremità della rana. Nel primo mo^ do r intensità della corrente che circola è debolissima e va S(;mpre crescendo a misura che il dito s' imbeve del liffuido -^ la rana non si risente perciò alla prima iutrodu- jfcioue di una corrente debolissima. 1(U V\i\ i\\ù abbiamo aj^ito colla correlilo sui soli nervi de- gli animali ed abbiamo stabilite le leggi di quesfazioue . Abbiamo pure studiato il caso della corrente die scorre lungo rintero animale, percorrendo ad un tempo nervi e muscoli. Ci rimane a dire delPazione della corrente sulla sola libra muscolare. Egli è facile di concepire quanto questa ricerca sia dilTi- cile, giaccbè quando ancbc si sono tolti ad un nmscolo tulli j lilamenti nervosi visibili, compresi quelli clic si scorgono colla lente, non si può mai sperare che ogni traccia di so- stanza nervosa gli sia così tolta. Nulla di meno è sul mu- scolo spoglialo di nervi come si può, che ci è dato di agire , ed eccone i risultali. Facendo passare la corrente di una pila di 20 a 30 coppie per un muscolo pettorale di un piccione, per esempio, spo- gliato dei suoi nervi , come si è detto , si vede sempre centrarsi il muscolo al chiudere del circuito. Questa con- trazione però non dura che un istaute e sembra consistere in una specie di raccorciamenlo delle fibre. Qualunque sia la direzione della corrente relativamente a quella delle libre muscolari , il fenomeno è sempre lo slesso. Tenendo chiuso il circuito e continuando razione della corrente, il muscolo non si contrae piìi*, riaprendolo, ricom- paiono le contrazioni , che sono però piìi deboli che al cominciare della corrente , ed ove il passaggio della cor- rente sia stalo prolungato per un certo tempo , al cessare della medesima, le contrazioni mancano interamente . In generale si può stabilire, che le contrazioni al chiu- dersi del circuito persistono più a lungo di quelle che si producono all'aprirsi del medesimo, e che, aumentando Tin- tensità della corrente, spesso si vedono queste ultime ri- comparire per qualche tempo. Si può dunque conchiudere che la corrente elellrica che agisce sopra una massa muscolare, alla quale furono tolti 11 162 i filamenti nervosi visibìli, vi eccita una specie di contra- zione, tanto al chiudersi, come all'aprirsi del circuito, qua? lunque sia d'altronde la direzione della corrente relativa- mente a quella delle fibre muscolari, e che la contrazione all'aprirsi del circuito è la prima a scomparire. Ponendo mente alla conducibilità dei muscoli per Teletr ricità, maggiore di quella dei nervi, si può dire anche a priori^ che data una corrente di una determinata intensità, le contrazioni da essa eccitate agendo direttamente sopra una massa muscolare fornita dei su;ji nervi debbano esser re più forti che quelle eccitate sulla stessa massa spogliata di nervi. Mi rimane a dirvi di alcune cagioni e circostanze le qua- li modificano l'azione della corrente elettrica sopra i nervi ed i muscoli degli animali viventi o recentemente uccisi . Le alternative voltiane di cui passo a parlarvi, sono do- vute al passaggio stesso della corrente nel nervo. Ed ec- covi in che modo . Se si mette a cavalcioni di due bicchieri contenenti acqua salata, una rana preparata alla ma* niera sopra descritta e si chiude nel circuito di una pila si comprende di leggieri essere uno dei suoi membri percorso dalla corrente inversa e l'altro dalla corrente diretta. Sapete ciò che avviene in questa esperienza, la rana si contrae tanto al chiudersi come all' aprirsi del circuito, ma dopo un certo tempo le contrazioni non sono ugualmente intense in ambe le gambe» II membro percorso dailis^ corrente diretta si con, trae maggiormente al principiar della corrente, quello per- corso dalla corrente inversa si contrae piìi fortemente all'a- prirsi il circuito. Lasciando chiuso per qualche tempo il circuito ed indi ria- prendolo, avete visto già come no!ì si manifestino più le contrazioni, e come non si rinnovino nemmeno al chiudersi di nuovo. Ora se ridotto il ranocchio à questo stato, s'inverte la |)osizioue dei reofori relativamente all'estremità del me- 103 desimo , oppure s' in verte la posizione della rana in modo che il membro che pescava in un bicchiere peschi nell'altro e viceversa, e si chiude nuovamente il circuito, vedonsi ri- comparire le contrazioni , come si veggono ricomparire a- prendolo di nuovo. Se cessato che abbia la rana di contrarsi per il prolun- gato passaggio della corrente, la rimettete nella sua prima posizione , oppure cambiate di nuovo la posizione dei reo- fori , le contrazioni si riproducono come prima. Il passaggio stesso della corrente è dunque una cagione che modifica Y azione della corrente sui nervi e sui mu- scoli degli animali. La corrente elettrica modifica Teccita- bilità dei nervi talmente da renderli dopo qualche tempo insensibili al suo passaggio in una data direzione , senza però renderli inetti a risentirne la sua azione allorché s' inverte la sua direzione. Queste alternative si ripetono piìi volte di seguito sullo stesso animale , e gli intervalli di tempo necessari fra Tun passaggio e l'altro onde prodursi il fenomeno, dipendono dall'intensità della corrente e dalla vivacità del animale ■stesso. V'ha un altra cagione d'indebolimento dell'eccitabi- lità del nervo al passaggio della corrente e che è indipen- dente dalle alternative voltiane. Se si fa passare una cor- rente per il nervo d'una rana preparata alla maniera di Galvani e se ne prolunga 1' azione per qualche tempo, si vedranno finalmente cessare le contrazioni, sia al chiudersi come all'aprirsi del circuito; ma se si applicano i reofori ad una porzione del nervo piìi lontana dal cervello di quello lo sia la prima porzione, su cui si ha agito da prin- cipio , si vedranno tosto ricomparire le contrazioni se- condo le leggi superiormente esposte. Scuoprite una nuova porzione di nervo sempre più lontana dal cervello ed ot- terrete gU stessi effetti. Si direbbe dunque che l' eccitabi- lità del nervo a produrre la contrazione per la corrente 164 eleltrica, va ritirandosi verso la parte sua periferica mano mano che la sua vitalità va perdendosi. Allorché si opera nel modo or ora indicato sopra un animale vivo si vede , che i segni del dolore manifestati dal medesimo quando su i suoi nervi agisce una corrente elet- trica , si ottengono se si agisce sopra parti del medesimo sempre piìi vicine al cervello, quanto più la sua vitalità s' indebolisce. Era importante esaminare Fazione della corrente sugli animali avvelenati. A questo fine ho fatto un gran numero di sperimenti dei quali vi dirò i principali risultamenti. I metodi d' adoperarsi per conoscere l' effetto che i diversi veleni producono sulP eccitabilità dei sìervi al passaggio della corrente elettrica possono ridarsi a quello che con- siste nel tener conto del numero delle coppie voltaiche necessarie ad eccitare le contrazioni nelle rane avvelenate e nelle altre lasciate intatte , o meglio assai a quello che consiste nel paragonare il tempo necessario perchè il passagio d' una data corrente distrugga totalmente 1' eccitabilità dei nervi in un'animale avvelenato ed in un altro ucciso nel modo ordinario. Gli animali avvelenati neiridrogene , nell' azoto, nell'acido carbonico , nel cloro , ed anche nell' idrogene solforato non presentano diversità sensibile nel loro grado d'eccitabi- lità alla corrente elettrica , da quello degli altri animali che non provarono l'azione di questi gas. Non così può dirsi di quelli animali uccisi coli' acido idro-cianico o con un certo numero di scariche elettriche d' una grande batterie fatte passare attraverso la midolla spinale. In que- sti casi la corrente d'una coppia sola ed anche d'un certo numero di coppie applicate su i nervi dell'animale, o non eccita alcuna contrazione, o bastano pochi secondi di pas- saggio della corrente per il nervo , perchè venga distrutta affatto le sua eccilabilà. Intanto però la stessa corrente applicata ai soli muscoli vi sveglia contrazioni abbastanza 1(15 sensibili, ciò che prova, come £;ìà vi dissi, doversi ani- iiieKcre nella libra muscolare la proprie! ;i a conlrarsi sollo il passaggio della corrente indipendentemente dal nervo. Mi resterebbe a dire delti effetti della corrente eletirica sugli animali narcotizzati , ma di questi credo più oppor- tuno parlarvene a proposito degli usi terapeutici della corrente elettrica. Fra le cagioni che modificano T azione della corrente elettrica v' e infine la legatura del nervo . Scuopro ed isolo sopra un coniglio il nervo crurale ed alla metà circa del nervo scoperto fo una legatura. Ilo cura nello stringere il nodo d' arrestarmi al momento in cui veggo cominciare le contrazioni nella gamba 5 allora applicando al disopra della legatura cioè verso il cervello, i due reofori d' una pila ad una certa distanza fra loro , ottengo le contrazioni del dorso e i segni del dolo- re, tanto air aprire che al chiudere del circuito, sia colla corrente diretta, sia colf inversa. Poco dopo questi effetti si limitano al cominciare della corrente inversa e al cessare della corrente diletta. Se poi applico i due reofo- ri al disotto della legatura, ho da prima le contrazioni della gamba all'aprire e al chiudere della corrente di- retta e deir inversa, e al solito dopo un certo tempo non si veggono piìi che le contrazioni al principio della cor- rente diretta e alla fine deir inversa : sempre però le contrazioni sono maggiori per la corrente diretta . La le- gatura del nervo fin qui studiata non agisce dunque che isolando gli effetti della corrente , cioè producen- do separatameìite quelli della sua azione su i centri ner- vei da quelli che ha agendo sulle estremità dei nervi . E inutile il dire che se si opera sulf animale morto , i segui del dolore non possono aversi. Onde non cadere in errore in queste sperienze conviene tenere il nervo ben isolato dalle parti umide che lo circon- 100 dano e slringere convenientemente la legatura. Il meglio è di operare sulla rana preparata al modo solito, sospendendola per il suo nervo. In questa maniera non può più cadere dubbio che le parti umide sottostanti al nervo servano a condurre una porzione della corrente al difuori dell'intervallo che separa i due reofori. Senza questa precauzione una por- zione della corrente può passare o al disopra o al disotto della legatuara, secondo che i poli sono applicati al disot- to 0 al disopra della legatura stessa , e così si può ve- nire indotti in errore. Nel caso che i reofori siano applicati uno al disopra e l' altro al disotto della legatura, la corrente non essen- do arrestata e solo venendo indebolita per il ditfetto di conducibilità che induce la legatura nel nervo, i fenomeni sono gli stessi, come se la legatura non vi fosse, o tutto al più non sono che indeboliti. Per compiere questa Lezione non avrei più che a dirvi degli effetti che la corrente elettrica produce applicata sul- le diverse parti del cervello, sui nervi dei sensi, sulle ra- dici dei nervi spinali e sui nervi ganglionari. Duolmi pe- rò che un soggetto così importante non sia stato ancora convenientemente studiato. Può dirsi che tutto rimane ancora a sapersi e ve lo pro- veranno le pochissime cose che potrò dirvene. Ho provato ad applicare i reofori di una pila, anche di molte coppie, sopra gremisferi cerebrali e sul cervelletto di un animale vivo, ho provato a farli penetrare nella pol- pa di questi organi, ma non vidi mai ne scosse né segni di dolore neiranimale. Giungendo però coi reofori a far passare la corrente nei corpi quadrigemini, nelle radici del cervello, nella midolla allungata, allora si ottengono scosse forti per tutto il corpo e Tanimale stride. Questi effetti continuano, benché indebolendosi, anche a circuito chiuso, e non ho mai visto che insorgessero alTaprir- 1()7 si del ('u'ciiilo. Dopo ciò ctìe abbiamo visto accadere aj^en- do sui nervi, tali elFetti 8end)raii() singolari. >'(Miei però die fossero meglio studiali, ciò die non può Carsi senza una gran pratica nelle vivisezioni ^ Si è fatta passare la corrente per il nervo ottico di un a- nimale vivo e non si ebbero nò grandi contrazioni dei mu- scoli, nò segni di dolore. Toccando sopra se slesso colle estremità di una pila anche elementare, Porecchio e l'oc- chio, oppure Torecchio é la lingua, e lìnalmente l'occhio e la lingua si hanno le sensazioni d'un suono, d'un baglio- re, d'un sapore particolari. Queste sensazioni non sembra- no dipendere che da un'azione esercitata dalla corrente elet- trica sopra i nervi sensorii di quelli organi, e non da con- trazioni svegliate nei muscoli allenenti ai medesimi, poiché una corrente debolissima, che non è capace di eccitare i più piccoli movimenti muscolari è sufficiente a produrle; nò il sapore in particolare può esser dovuto alFimpressione esercitata sulla lingua dai prodotti dei sali della saliva scom- posti dalla corrente, dappoiché una corrente debolissima, e perciò insufiìciente a produrre quella decomposizióne, è ca- pace di eccitare la sensazione del sapore. Una parola finalmente sulFazione della corrente sui ner- vi del sistema ganglionare. Le pochissime cose che sappia- mo su questo proposilo le dobbiamo alFRumboldt. Allorché si fa passare una corrente elettrica attraverso il cuòre d'un animale ucciso di recente, pochi istanti dopo che hanno cessato le sue pulsazioni, si osserva ripigliare quest'organo i suoi ordinari movimenti, (jualcbe tempo dopo che principiò a passare la corrente, e questi movimenti con- tinuare anche per qualche tempo dopo cessato il passaggio della medesima. Se avvece di aspettare che i movimenti naturali del cuore sieno totalmente estinti, si fa passare la corrente allorché questi sono sufficientemente^ indeboliti, si vedono allora farsi piò frequenti dopo che la corrente ha agito per qualche 168 islaiilc e continuare così per un certo tempo, tolta anclie razione della corrente . Questi medesimi effetti si osservano nel moto vermicolare delle intestina nelle quali si faccia passare la corrente . Se riiletterete all'importanza che ha il sistema ganglio- nare nell'esercizio delle funzioni organiche degli animali, comprenderete di leggieri quanto su questo soggetto ci re- sti a sapere. La differenza d'azione che spiega la coerente su i ner- vi della vita di relazione e su quelli della vita organica è già molto notabile. Nei primi i suoi effetti si mostrano nei soli istanti in cui essa comincia ed in cui cessa di agire-, mentre nei secon- di gli effetti tardano a comparire, continuano durante il suo passaggio, e persistono anche dopo che dessa ha cessato di agire. Fin qui abbiamo studiata l'influenza esercitata sull'ecci- tabilità dei nervi dal passaggio della corrente elettrica con- tinua. Ne resta ora a vedere quali effetti produce una corrente interrotta più volte di seguito, in modo da rinnovarsi il suo passaggio per il nervo a piccolissimi intervalli di tempo. Fisso a questo fine una rana preparata al modo solito so- pra una tavola per mezzo di piccoli chiodi; lego ad uno dei chiodi uno dei reofori della pila, e coli' altro reoforo tocco un altro chiodo più volte di seguito chiudendo così ed a- prendo successivamente il circuito. La rana tende i suoi membri e sembra presa da convul- sioni tetaniche , sia diretta oppure inversa la corrente che così interrottamente s'introduce in essa. In una rana tetauizzata per i ripetuti passaggi della cor- rente elettrica, l' eccitabilità dei nervi resta molto indebolita, relativamente ad un altra nella quale sia stata fatta passare una corrente continua. Ho fatto più volte questo sperimento comparativo sottomettendo due rane ugualmente preparate, una al passaggio d'una corrente continua di quarantacinque 169 coppie, e l'allra alla correlilo d'una pila simile la di cui azione però veniva rinnovata a corlissimi intervalli. L'espe- rienza dnra\ a da dieci o quindici minuti in ambe le rane. Sottomettendo quindi separatamente le due rane al |)assa^';;io d^una corrente che introducava per i loro nervi lombari, osservava esser d'uopo d' un ma;jijfior numero di coppie per far contrarre la rana che era stata precedentemente sottoposta alla corrente interrotta. Mi assicurai anche della diirerenza dell' eccitabilità delle due rane, sottomettendole contempora- neamente al passaggio d'una corrente continua 5 la perdita era sempre maggiore nella rana che aveva di già subita l'azione della corrente interrotta. Marianini si è anche assicurato confrontando due rane , r una delle quali è percorsa da una corrente continua sem- pre nel medesimo senso, e l'altra da una simile corrente, diretta ora in un senso, ora nell' altro, che nella prima l'ec- citabilità dei nervi rimaneva esaurita per il passaggio della corrente, più che nell'altra. Questo grande esaurimento dell'eccitabilità dei nervi per il passaggio della corrente rinnovata a cortissimi intervalli di tempo viene più particolarmente dimostralo dalle spe- rienze di Masson . Ecco l' apparecchio col mezzo del quale questo Fisico è giunto ad eccitare un gran numero di scosse elettriche in un tempo brevissimo. Consiste in una ruota me- tallica, fissa a un asse parimente metallico la quale si fa girare per mezzo d'un manubrio e sopra due cuscinetti amal- gamati. Uno di questi cuscinetti è in comunicazione con uno dei poli della pila, e l'altro polo è in contatto con un filo il quale, dopo essersi avvolto spiralmente su di un cilindro di ferro dolce comunica con una lastra metallica (issa, la quale viene urtata succes- sivamente dai denti della ruota. 170 Girando la ruofa si chiude il circuito a ciascun contatto della lastra metallica con un dente, e si interrompe nelf in- tervallo che divide due contatti successivi . Toccaìido col- le mani bagnate le due estremità del conduttore situate ai lati del punto ove si chiude e si apre il circuito, si prova una successione di scosse molto forti. Quando la velocità di rotazione è molto grande, queste scosse producono nelle brac- cia Uria sensazione di tensione dolorosa, la quale fa sì che lo sperimentatore non possa lasciare i Conduttori che ha nelle mani e lo costringono anzi a stringerlo fortemente. Masson ha potuto con questo apparecchio e con una pila d'un piccolo numero di elementi, uccidere un gatto in cinque o sei minuti. È importante il fatto scoperto dallo stesso Masson, che la sensazione e le scosse scompaiono quando la velocità con cui gira la ruota è molto grande. Pouillet ha trovato che allorquando la durata dell'intervallo tra una scossa e l'altra era di cirCa Y300 di secondo non si giungeva più a distinguere Finterruzione della corrente, per cui reCfetto era lo stesso di quello d' una corrente continua. Eccovi un coniglio che assoggetto al passaggio d'una cor- rente interrotta, adoprando la ruota di Masson. Le due e- stremità della corrente gli sono applicate nella bocca e su i muscoli del dorso. Benché la pila non sia che di dieci cop- pie ti coniglio muore dopo pochi secondi del passaggio cosi interrotto della corrente. Non terminerò questa Lezione senza parlarvi dell'appli- cazione terapeutica della corrente elettrica, poiché dessa si fonda sui principii scientifici che vi ho esposto. Indipendentemente da qualunque idea teoretica e da ogni ipotesi sulla forza nervosa, dobbiamo ammettere, che in certi casi almeno di paralisi i nervi siano alterati in un modo a- nalogo a quello che sarebbe in essi accaduto per il passaggio continuo della corrente elettrica. Abbiamo veduto che per ridonare a un nervo 1' eccitabilità al passaggio della cor- 171 l'ente, dopoché T ha perduta pei* il passagio prolunirato della stessa corrente , bisogna servirsi d' una corrente diretta in senso inverso a questa. Parimenti, per far cessare la para- lisi, si dovrà fare passare una corrente in senso contrario a quella che l'avrebbe potuta produrre. Sì vede da ciò che noi supponghiamo che la paralisi che si deve sottomette- re al trattamento elettrico sia o del solo movimento, o della sola sensibilità. Cosi per una paralisi di movimento conver- rebbe applicare la corrente inversa, mentre per una paralisi della sensibilità si dovrebbe usare la corrente diretta. Ts'el caso di una paralisi completa non v'ha più ragione alcuna per decidersi piuttosto per la corrente diretta che per V in- versa; se pure non si voglia calcolare quale delle due indi- cate funzioni è stata la prima ad alterarsi. Non vi lascierò ignorare alcune regole che credo im- portanti neir applicazione della corrente elettrica nella cu- ra della paralisi. Cominciate in ogni caso da una corrente molto debole. Questa regola mi sembra oggi più importante di quello che non la credeva prima d' aver veduto un pa- ralitico cadere in convulsioni decisamente tetaniche per l'azione d'una corrente d'una sola coppia. Abbiate cura di non prolungare mai troppo il passaggio della corrente , e ciò tanto più quanto è più intensa la cor- rente che adoperate. Applicate la corrente interrotta, piut- tosto che la corrente continua , ma dopo 20 o 30 scosse al più, lasciate il malato per alcuni istanti in riposo. Gli apparecchi che potrete adoprare nella cura elettrica sono varii. La pila a corona di tazze è in generale il migliore , o almeno il più comodo degli istrumenti: giac- che con essa è assai facile il toglier delle coppie, di va- riare la conducibilità del liquido. Se vorrete usare la cor- rente interrotta con una certa regolarità, potrete ricorre- re, alla ruota di Masson che v'ho mostrato. Magendie si serve della macchina elettro-magnetica di Clark, i di cui ef- fetti possono moderarsi con un ancora di ferro dolce , ap- 172 plicata su i due poli della calamita . Potete adopfare per reofori due strisce di lamina di piombo o di rame, e cuo- prirete con un pannolino imbevuto d'acqua salata le estre- mità che vanno applicate sulla cute. In qualche caso po- trete servirvi degli aghi che si adoprauo per 1' ago-puntu- ra come estremità dei reofori. Le storie delle guarigioni di paralisi col trattamento elet- trico degne di fiducia, sono già in numero sufficientemente grande per incoraggiare i medici e gli ammalati nella per- severanza che è necessaria nell'applicazione della corrente elettrica, senza di che non v' è speranza di buon resultato. Un altra malattia per la quale si è proposta l'applica- zione della corrente elettica è il tetano. Credo essere stato il primo a tentare questa applicazione nell'uomo. Eccovi su quali principi è fondato l'uso della corrente elettrica nella cura dal tetano. Una corrente che passi interrottamente per qualche tempo nei nervi d' un animale produce le contrazioni tetaniche ; una corrente continua produce al contrario la paralisi dopo qualche tempo del suo passaggio . Era dunque naturale il dedurre che il passaggio continuo d'una corrente per un membro tetaniz- zato avrebbe distrutto questo stato, riducendolo a quello di paralisi. La verità di questa deduzione è dimostrata dal- l'esperienza. Agendo sopra rane tetanizzate con narcotici o con acido idrocianico si vede , sotto il passaggio continuato d'una debole corrente elettrica, lo stato tetanico cessare. Le rane muoiono senza quelle convulsioni che mostrano quando non vengono assoggettate all' azione della corrente. L'applicazione della corrente elettrica in un caso di tetano, da me pubblicato nel maggio del 1838 nella Biblìo'r thèquc UmverseUe.) sembrami provare la giustezza delle indi* cate conclusioni teoretiche. Durante il tempo del passag- gio della corrente elettrica, V ammalato non presentava le solite violente scosse, poteva aprire e chiudere la bocca, la circolazione e la traspirazione sembravano ristabilirsi. 173 Sgraziatamente il miijlioramento non durò a lungo; la ma- lattia era cagionata e mantenuta dalla presenza di corpi estranei nei nmscoli della gamba. Forse nei tetani non Irauinalici la cura elettrica potrà avere migliori risuKati , e in ogni caso non è poco V alleviare i patimenti in una malattia così dolorosa. Yi dirò infine che in questi ultimi tempi si è propo- sta la corrente elettrica nella cura dei calcoli e della cateratta . Basta però il ridettere all' insolubilità nell' a- cqua delle sostanze che contengono i calcoli per persua- dersi , non esser punto fondata una simile applicazione . Quanto alla cateratta vi farò notare, che invertendo la posizione dei poli d'una corrente fatta passare per una massa d' albumina, non ho mai veduto ridisciogliersi at- torno al polo negativo l'albumina che era stata coagulata al polo positivo. È dunque possibile colla corrente di pror durre una cateratta, ma non già di distruggerla, LEZIONE XIII. forza nervosa^ In un Corso su i fenona^nì fisico-chimici dei corpi vi-^ venti può parervi strano, e quasi arroijante dal Iato mio, r intrattenervi con una Lezione sulla forza o agente ner- voso. Mi lusingo però di dimostrarvi per le cose che va- do a dirvi, che non è fuori di luogo questo soggetto, e che pella stessa maniera che nei trattati di Fisica il capitolo delle analogie generali tra il calore , la luce , V elettrici- tà è il più importante , il più filosofico in qualche modo 5 anche questa nostra Lezione godrà sulle altre di tali van- taggi, almeno per la sua importanza. Comincierò dal dirvi, più brevemente che mi sarà possi- bile, dei caratteri principali della forza nervosa e delle sue leggi. Vi sono nel corpo di tutti gli animali, ìd un grado più o meno grande di sviluppo, degli organi per mezzo dei qua- li gli animali stessi si muovono e sentono Questi organi costituiscono il sistema nervoso cerebro-spinale. Si compone principalmente questo sistema d' un numero infinito di ra- mificazioni sparse per tutto il corpo dell' animale, le quali 175 si riuniscono in una massa centrale costitulla dal cervello e dalla midolla spinale . Se si lega, oppure si taglia una di codeste ramilica/ioiii in un animale vivente e poscia si toc-» Ga con un ferro caldo, Con Un pezzo di potassa, se si feri- sce c(m un ago , se si stringe con una pinzetta quella porzione che è rimasta Unita colla massa centrale, l' animale darà manifesti segni di dolore. Ripetendo queste istesse irrùa- zioni al disotto del taglio o della legatura del nervo manca- no 1 segni del dolore , e non si veggono che le contrazioni nei muscoli sui quali si ramifica il nervo irritato. Portan- do le stesse irritazioni sul nervo intatto , il dolore e le contrazioni si ottengono nello stesso tempo. Se infine si taglia o si lega il nervo in due punti e s' irrita quel tratto compreso tra i due tagli o fra le due legature , non si hanno più gegni ne di contrazioni muscolari né di dolore. 11 nervo dunque non fa altro ufficio che quello di condurre, di propagare 1" azione degli stimoli su di esso applicati ; quest' azione è sensazione portata al cervello , è contra- zione muscolare e movimento pervenuta ai muscoli. 1 Fisiologi Bell, Magendie,Muller ed altri hanno scoperto che vi sono nel corpo dei nervi che irritati svegliano uni- camente dolore, ed altri che per le stesse irritazioni non svegliano che contrazioni. È il caso delle radici anteriori e posteriori dei nervi spinali, e di qualche altro ramo ner- voso. Flourens ed altri Fisiologi hanno pur distinte nelle mas- se centrali delle parti unicamente destinate alle sensazio- ni e delle parti destinate ai soli movimenti. Oltre il sistema nervoso cerebro-spinale v" è negli animali un altro sistema nervoso il quale, quantunque in un cerio legame colFaltro, non mostra allorché è irritato di svegliare movimenti e sensazioni. F] questo il sistema nervoso-gan- glionare , comj»osto di ramilicazioui distribuite principalmen- te agli apparecchi della vita organica, ramificazioni che tialto tratto si riuniscono , s' intralciano fra loro , avendo interposta fra i loro interstizi una sostanza globulare, la quale sembra 176 trovarsi anche nelle masse centrali. Per questo sistema le ir- ritazioni che si mostrano per certi particolari movimenti ec- citati principalmente nelle intestina , si propagano lentamen- te e persistono anche cessate le irritazioni medesime . Un muscolo che sia da un certo tempo senza comunicazione coi centri o gangli di questo sistema perde la proprietà di contrarsi sotto l'irritazione dei suoi nervi cerebro-spinali. Queste poche cose che io poteva dirvi sull' azione nervo- sa basteranno, lo spero , a farvi meglio comprendere Tim- portauza dei resultati ai quali siamo giunti nella Lezione sull'azione fisiologica della corrente elettrica. Credo importante di riassumere qui le differenze princi- pali trovate coli' esperienza fra gli effetti che eccita l' irri- tazione elettrica su i nervi e quella che producono gli altri agenti stimolanti, calore, azioni meccaniche, azioni chimiche^ ec. Eccovi queste differenze. 1.0 Fra tutti gli slimoli la sola corrente elettrica eccita ora la sensazione, ora la contrazione muscolare, secondo la direzione diversa nella quale percorre un nervo. 2." La sola corrente elettrica percorrendo un nervo tra- sversalmente non produce alcuno dei fenomeni dovuti aU r eccitabilità del nervo. 3." La sola corrente elettrica non produce alcun effetto su i nervi , non eccita cioè né contrazioni ne sensazioni, al- lorché continua ad agire su di un nervo. 4.° La sola corrente elettrica eccita un nervo al cessare d' agire sul medesimo. 5." La sola corrente elettrica ristabilisce l' eccitabilità del nervo, allorché viene trasmessa in una direzione contraria a quella della corrente che aveva distrutta o indebolita que- sta eccitabilità. 6." La sola corrente elettrica finalmente è fra tutti gli agenti stimolanti quella die può per più lungo tempo risve- gliare r eccitabilità del nervo , allorché anche é debolis- sima per riguardo agli altri agenti suddetti . 177 Queste differenze fra 1' azione che lià la corrente eletirica sui nervi e quella propria defili altri agenti, provano eviden- temente essere la prima mollo più semplice dell' altra. Da ciò ne venne T analogia fra la forza nervosa e la corrente elettrica che si vide sin dai primi scuopritori del galvanismo. Ma potremo da ciò giungere sino ad ammettere che la forza nervosa non è altro che la corrente elettrica ? Guardiamoci bene da questa conseguenza, che pur troppo si vede spesso abbracciata come und delle verità sperimentali le meglio di- lUbstrate; Dimandiamoci pi'imaisi trova cogli strumenti che possiede la Fisica la corrente elettrica nei nervi d'un animale vivente? può esservi questa corrente, e può esservi in quelle con*» dizioni che si richiederebbero , affinchè avesse i caratteri della forza nervosa? La corrente elettrica muscolare, di cui ci siamo lungamente occupati in una di queste Lezioni , è un fenomeno, che come provammo coiresperienza,deve la sua origine alle azion- ili chimiche che avvengono del muscolo : abbiamo visto che questa corrente esiste nelle parti ultime del muscolo, coj- me fra le molecole di due corpi che si combinano , e che vi circola senza alcune regolarità come nei corpi magne- tizzabili , e che è solo per una disposizione sperimentale ^ che può discoprirsi la sua presenza. Abbiamo pure mostra- to che i nervi non hanno alcuna inlluenza diretta sulla prò*- duzione di questa corrente, e che il loro ufficio si limita a quello d' un corpo poco conduttore che comunica con cer- te parti del muscolo* Conveniva cercare la corrente elettrica nei nervi d' un animale vivente. Mi guarderei bene dal riferirvi qui tutte le sperienze che si sono fatte per questa ricerca, e per le quali ora fu detto che la corrente esisteva, ora che no. La conclusione più cosciensiosa, meglio stabilita si è che', nel" lo stalo attuale della Scienza^ eoi mezzi sperimentali che pò s- 12 178 sediamo^ non sì trovano segni di corrente elettrica neinervi degli animali viventi. È stato detto che introdotti (iej^li a*;!!! d' acciajo nei mu- scoli perpendicolarmente alla direzione delle loro libre, que- sti aghi apparivano magnetizzati, sopra tutto nel momento in cui i muscoli si contraevano. Si era perciò concluso es- servi nei nervi una corrente elettrica, e che il circuito era stabilito come in una spirale o cilindro elettro-dinamico. Ho ripetuto questi speriménti, introducendo degli aghi d'acciajo 0 di ferro nei muscoU d'animali viventi, e in tutte le di^ rezioni relativamente alle fibre muscolari. Per assicurarmi della magnetizzazione di questi aghi immersi nei muscoli ho impiegato uno degli aghi d' un buonissimo sistema astatico ed anche 1' ago del sideroscopio del Lebaillif, ma non ho giammai potuto ottenere alcun resultalo positivo. Ho colloca- to una mezza ranocchia recentemente preparata, neir interno d' una spirale di fil di rame coperta di vernice ; le estremità della spirale erano unite alle estremità d' un altra spirale più piccola , entro la quale collocava un filo di ferro dolce . Fatto ciò ho irritato il nervo della rana, osservando allo stes- so tempo se una corrente d'induzione percorreva la spirale e magnetizzava il filo di ferro. Tutte le mie rìcerhce riesci- rono Inutili. Ho pure tentato , d' introdurre l' estremità d' un galvano- metro sensibilissimo in due punti , lontani tra loro più che fu possibile , d' un nervo scoperto sopra un animale viven- te 5 ho operato in animali sopra-eccitati da certi veleni nar- cotici^ ho eccitato in essi delle forti contrazioni muscolari nel momento che fissava nel nervo i due fili del galvano- metro. Ma mi è duopo confessare che sempre che le spe- rienze furono ben fatte non ebbi giammai segni determinati e costanti di corrrente elettrica. Aggiungerò ancora che stando a quanto conosciamo re- lativamente alle proprietà deir elettricità, e alle leggi della 170 sua propajjazione, ci sarebbe impossibile concepire 1' esisten- za d' una corrente elettrica condotta dai nervi. Perchè una corrente elettrica potesse scorrere da un estremità air altra del sistema nervoso e mantenersi entro il medesimo, conver- rebbe poter paragonare il nervo ad un filo metallico coper- to di vernice o di qualunque altra sostanza coibente, ciò elio è molto lontano dalla verità. Una corrente elettrica la quale per l'atto della volontà partisse dal cervello per giungere ai mu- scoli. Scorrendo per i nervi non potrebbe venire arrestala nel suo corso dalla legatura o dal taglio del nervo come vediamo accadere in questi casi per la propagazione delFingnota (orza nervosa. Alla circolazione finalmete d'una corrente elettrica nei nervi si richiederebbe una disposizione tale nel sistema nervoso da formare un circuito chiuso. E i lavori anato- mici sono ben lungi da darci per provata una tale disposi- zione del sistema nervoso , soprattutto nelle sue ultime rami- ficazioni nelle masse muscolari, dove maggiormente sarebbe mestieri di una tale disposizione . Ho spesso tentato un'esperienza , la quale ove mi avesse dato un resultato positivo, avrebbe potuto provare in mo- do indiretto che il sistema nervoso forma un circuito chiuso per la corrente elettrica. Ho scoperto in un animale vivente il nervo ischiatico in due punti lontani della sua lunghezza, nell' alto della coscia cioè, e nell' estremità della gamba, ho introdotto la gamba deiranimale in una spirale simile a quella che v' ho descritto poco fa, in comunicazione con un'altra spirale più piccola contenente un cilindro di ferro dolce nel suo interno , ho fatto passare per il nervo preparato una corrente elettrica : non mi fu dato giammai di vedere segni ben manifesti e costanti d' una corrente d' induzione nella spirale . Ciò che sarebbe dovuto avvenire di certo , se la corrente avesse percorso quella specie di spirale che si è supposta formata dalle ramificazioni nervose che si distribuiscono nei muscoli. Concludiamo dunque. La corrente elettrica non esiste 12* 180 naturalmente nei nervi d^ un animale vivente : le leggi del* la sua propagazione esigono delle condizioni che non si tro- vano nel sistema nervoso : la propagazione della forza del sistema nervoso è arrestata da cagioni le quali non pos- sono produrre simile effetto ^ quando si tratti di correa^ ti elettriche . Questa forza incognita del sistema nervoso non è dunque la corrente elettrica. Ma qual raporto v' e fra la forza ner* vosa e r elettricità ridotta a corrente ? Riassumerò in poche parole la sola conseguenza positiva che sembrami dato poter dedurre dai miei lunghi studj so* pra i fenomeni elettro-fisiologici degli animali. Esiste fra la corrente elettrica e la fofza nervosa una analogia, la quale se non è dal medesimo grado di evidenza , è pur tuttavia del medesimo genere , di quella che passa tra il calorico, la luce, l'elettricità. Abbiamo veduto parlando dei fenomeni dei pesci elettrici, che la facoltà che essi hanno di produrre elettricità è sotto la dipendenza di- retta del sistema nervoso. Y'ha dunque in questi animali una struttura organica particolare, ima disposizione di parti tale, che per Tatto della forza nervosa può sviluppare elet- tricità. Ricordatevi dell'identità delle cagioni che eccitano la contrazione muscolare e la funzione elettrica dei pesci; altrove avete veduto che la proprietà di produrre la funzione elettrica dipende immediatamente dalle funzioni del sistema nervoso, come ne dipende la facoltà di contrarre i muscoli. Un cristallo di tormalina il quale scaldato sviluppa elet- tricità ci dimostra una relazione, più o meno intima tra il ca- lore e l'elettricità: i fenomeni che abbiamo studiato nei pesci elettrici ci provano una simile relazione fra la forza nervosa e l'elettricità. L'elettricità non è la forza nervosa, nel modo stesso che non è elettricità il calorico. Questo si cambia in quella per la forma delle molecole integranti della tormalina; la forza nervosa si trasforma in elettricità per la struttura particolare degli organi elettrici di quei pesci. 181 La Fisica attuale tende con tutti i suoi sforzi a ridurre le sue ipotesi alla piìl grande seinplicità possil)ile, e, più esat- tamente tende verso una ipotesi sola, per spiefi;are tutti i fenomeni del calore, della luce, deireleltricità. E questa Tipo- tesi dell' etere. 1 caratteri più essenzali di questo etere , cioè Tinnnensa rapidità colla quale si pro|>a