vo! ERG IERIS d. BONNET, D.m.P.|l| Smithsonian Institution Libraries Gift of KATHERINE MOORE STANNARD In Memory of PROFESSOR JERRY STANNARD È il ino i | | Jerry Stannard L'ACLINRERTO Rea V. 6. | 1119 W. Campus Road | Lawrence, Kan. 66044 | 2 del tI FLORA BIBLICA OVVERO ‘*.. gd» SPIEGAZIONE DELLE PIANTE MENZIONATE NELLA SACRA SCRITTURA OPERA DEL Pa Di PAOLO SULTREDA TEATI”O PROFESSORE DI STORIA ECCLESIASTICA NELLA REGIA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO CANONICO E GRAN VICARIO DI MONTPELLIER VICARIO GEN. DI SIRACUSA E CEFALÙ E SOCIO DI DIVERSE ACCADEMIE NAZIONALI E STRANIERE, I Con venti tavole incise in pietra. - N PALERMO STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI FRANCESCO LAO Salita Crociferi num. 80. 1861 ) Prov. IV) 17. (3) Ibid. IX, 5. (4) Deut. VII, 5. — Matti. IV, 4. — Luc. IV, 4. 10 146 la sete che luomo ha naturalmente di conoscere la verità. Pane nascosto. Le acque furtive sono più dolci, e il pane preso di nascosto è più gradito (1). Con questa maniera di proverbio viene a significarsi che i piaceri vietati si bramano e si apprezzano più di quelli che son permessi da Dio. Pane di menzogna. Dolce è all'uomo il pane di men- zogna, ma esso di poi gli empie la bocca di sassolini (2). Il pane di menzogna significa primieramente la roba acquistata per mezzo di bugie, di frodi e di male arti. Esso da principio sembra dolce all’uomo che lo man- gia, ma quanto più lo masticherà, il troverà pieno di sassolini, che gli romperanno i denti e gli diserte- ranno la bocca ; vale a dire che la roba malamente acquistata da principio fa piacere a colui che la pos- siede, ma alla perfine gli torna nociva, tormentando la coscienza, che è la bocca dell'anima, con mille scru- poli e rimorsi, e coll’obbligo di restituire. Il pane di menzogna significa anche i piaceri vietati, che prima- mente solleticano i sensi, ma poscia fan provare al- l’uomo amarezze, dolori e guai senza fine. Pane de’ funerali. Il profeta Osea vaticinando la punizion d'Israele ostinato a mal fare, dice tra le al- tre cose : Non faranno le libagioni del vino al Signore, e le loro oblazioni non saranno a lui gradite : i loro sacrifizi saran come il pane de funerali, chiunque ne (1) Prov. 1X, 17. (2) Ibid. XX, 17. 147 mangerà sî renderà immondo : il loro pane sta per loro : non entrerà nel tempio del Signore (1); vale a dire, el’Israeliti saran puniti colla sterilità della campagna e colla fame, sicchè non avranno neppure vino da servire per le libagioni de’ lor sacrifizi : tutto quello che vorranno offerire nell’idolatra Assiria, dove saran condotti in ischiavitù, non potrà piacere al Signore, perchè offerto fuori di Gerusalemme e del Tempio : i loro sacrifizi saranno immondi, come le cene che fannosi ne’ funerali (2); si ciberanno essi del loro pane, cioè delle loro vittime, che non son degne di essere ricevute nel Tempio del Signore, nè di essere offerte a lui. Pane nel regno di Dio. Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio (3). Colui che profferì queste parole, dice s. Cirillo nella Catena, era un uomo animale, pensando che corporali fossero le ricompense de’ San- ti : laddove il pane che sazia i Beati nel regno di Dio è l’eterna felicità, secondo quel detto de’ salmi : Sarò satollato all’apparire della tua gloria (4). E : Saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e al torrente di tue delizie darai loro da bere (5). Pane eucaristico. Il Signor nostro Gesù Cristo ri- (1) Osee, IX, 4. (2) Per legge tutti coloro che toccavano un morto , o interveni- vano a’ funerali, crano immondi per sette giorni; e immonde erano tutte le cose che essi toccavano : e chiunque toccava Suna di esse, restava pure contaminato. V. Num. XIX, 11, 14, 16, 22 (3) Luc. XIV, 15. (4) Psal. XVI, 15. (5) Ibid. XXXV, 8 148 velando l’ augustissimo sagramento del suo Corpo e del suo Sangue, dice : /l pane che io darò è la mia carne, che sarà immolata per la salute del mondo (A); di più : Questo è quel pane, ch'è disceso dal cielo (2). E spesso sì negli Atti degli apostoli, che nell’epistole di s. Paolo l'Eucaristia ha il nome di pane. Ma da ciò malamente s’inferisce che in essa non si trovi real- mente e sostanzialmente il Corpo di Cristo, come pre- tendono i Calvinisti, o che vi si trovi unitamente alla sostanza del pane quando si mangia, come vogliono i Luterani. Imperciocchè se l'Eucaristia in qualche luo- go è chiamata pane anche dopo la consagrazione, ciò fassi primieramente secondo la maniera comune della Scrittura, la quale d’ordinario suole appellar le cose come appariscono esternamente. Così il serpente di bronzo è chiamato serpente, e gli angeli apparsi so- pra la terra son detti uomini: laonde siccome nel- l'Eucaristia non si vedono che gli accidenti del pane, però essa delle volte pane si appella. Se pure non voglia dirsi in secondo luogo che ha il nome di pane per tropo, perchè la materia rimota ne è la sostanza del pane, che si converte nel Corpo del Signore; sic- come le verghe mutate in serpenti son dette verghe anche dopo tale mutazione (3). Terzo, l'Eucaristia si chiama pane, perchè questo vocabolo nel linguaggio della Scrittura serve ad esprimere ogni sorta di cibo. (1) Joan. VI, 52. {2) Ibid. 59. (3) Exod. VII, 12. 149 Finalmente, perchè come il pane è il cibo più nu- tritivo, che mantiene la vita del corpo; così anche l’Eu- caristia è il cibo più sostanzioso, che conserva la vita dell'anima. Jo sono il pane di vita, dice Gesù Cristo medesimo, chi viene a me non patirà più fame (A); e appresso : Chi mangia di questo pane, viwwerà eter- nalmente (2). E qui convien sapere che gli Ebrei avevano l’ u- sanza di non tagliare, ma di rompere il pane : e non solo l’eucaristico, ma il comune eziandio. Quindi pri- ma di cuocerlo vi segnavano con intaccature molte piccole divisioni : e perciò nella Scrittura spesso si fa menzione di mangiar pezzetti di pane. Cotesta usanza fu seguita da Gesù Cristo nell’ultima sua cena, quando prese il pane e lo benedisse, e lo spezzò, e lo distribuì a’ suoi discepoli, dicendo : Prendete e mangiate : que- sto è îl mio corpo (3). E i discepoli in Emmaus lo riconobbero nello spezzare il pane (4): dove vogliono alcuni, ma senza fondamento, che Cristo rompesse il pane in modo particolare (5). Del resto per frangere il pane nella Scrittura s’ intende la cena eucaristica. Leggesi infatti che gli Ebrei convertiti a Cristo per l’esortazion di s. Pietro, erano assidui alle istruzioni degli apostoli, e alla comune frazione del pane, e nel- l’orazione (6). Dove, come notano i sacri espositori, (1) Joan. VI, 35. (2) Ibid, 59. (3) Matth. XXVI, 26.— Marc. XIV, 22.—1. Cor. XI, 23, 24. (4) Luc. XXIV, 35. (5) V. il Maldonato sopra il citato luogo di s. Luca. (6) Act. II, 22. 150 si adombrano le tre parti del divin sacrifizio, l’ora- zione, l'istruzione e la comunione del Corpo del Si- gnore; la quale è chiamata frazione del pane, poi- chè, come si disse, eravi l’uso presso gli Ebrei di spezzare il pane eucaristico dopo la consagrazione, e di dispensarlo a’ fedeli. Così s. Paolo parlando del- Eucaristia dice: Il pane che noi spezziamo non è egli la comunione del Corpo del Signore (1)? Vale a dire che nella divina Eucaristia si spezzano e si mangiano le specie del Corpo di Cristo; e questo spezzamento ci fa sovvenire che il Corpo del Signore fu infranto e lacerato nella sua atrocissima passione. Ma da molto tempo non si fa uso della frazione, e in quella vece si consagrano delle piccole ostie, che si dicon parti- cole o comunichini, ad evitare il pericolo che cadano de’ frammenti. Ma la Chiesa greca ritiene quell’ an- tica consuetudine. Alle cose dette fin qui sul grano, e sul cibo nu- tritivissimo che se ne forma, aggiungeremo per com- pimento che il pane era presso gli antichi uno de’ simboli più espressivi dell’alleanza e dell’amicizia, le quali sempre coll’uso di esso si stringevano e si sta- tuivano. Quindi non è a dubitare, che i pani della proposizione o della faccia, de’ quali avanti si è toc- cato, non fossero il segno visibile e permanente del- l'alleanza fatta da Dio col suo popolo; come nemmeno è a mettere in dubbio che il Pane eucaristico, che sta di continuo esposto sopra l’altare, o rinchiuso ne’ no- (1) 1. Cor. X, 16. 154 stri tabernacoli, non sia come il segnale visibile, la perpetua testimonianza dell'amore di Dio verso di noi, e come, direi quasi, la bandiera bianca, lo stendardo pacifico, il pegno dell'alleanza irrevocabile, eterna del Redentore divino cogli uomini da sè redenti. FAR, FARRO, SPELDA Triticum spelta Linn. Questo frumento, originario delle vicinanze della Persia, ha molta somiglianza col grano comune. Ne differisce per le spighe più appuntate e men grosse, per le valve delle spighette più dure e più coriacee. I semi di questa specie sono molto aderenti alle glume, che li circondano, e queste sono molto approssimate all’asse della spiga. o. Contiene alcune varietà. L’ebreo vocabolo kyssemeth dalla Volgata nostra ia- tina è tradotto in far, farro o spelda, nell’Esodo (1). e per viciam, veccia, in Isaia ed Ezechiele (2). Non potendo lo stesso termine significare due cose diffe- rentissime, quali sono la spelda e la veccia, bisogna ritenere una delle due versioni. Io preferisco la pri - ma, che senza fallo è la più fondata. Infatti trovo che l’ebreo kyssemeth è tradotto far e ador da’ Tigurini e dal Guisio (3); zea da’ Settanta nel capo vigesimo- ottavo dell’Esodo; spelta dall’Aquila, Simmaco, Giunio (1) Exod. IX, 32. (2) Isai. XXVIII, 25. — Ezech. IV, 9. i (3) Guisio, Tract. Peah, cap. VII. $ 5; Tract. Chilaim, cap.I, $ 1. 152 e Ben-Melech ne’ sopra citati Inoghi dell’Esodo e di Ezechiele; e olyra da’ Settanta e da Teodozione negli stessi luoghi. Ora queste voci far, ador, zea, spelta ed olyra significano la stessa cosa, cioè la specie di frumento, che si è descritta : lo che è ben provato da Erodoto, da Dionigi d’Alicarnasso, da Asclepiade presso Galeno, da s. Girolamo (1), da Suida, dall’antico les- sico greco-latino e da altri. Più la spelda è abbon- dante in Egitto, e ridotta in pane nutrisce meno del grano : le quali cose concordano bellamente colla nar- razion di Mosè e colle parole d’ Isaia e di Ezechiele ne’ luoghi sopracitati. Al contrario traducendo per veccia il kyssemeth degli Ebrei, dovrebbe dirsi che la spessa e smisurata gragnuola scaricata da Dio sopra l'Egitto per umiliare l'orgoglio di Faraone, rovinò le campagne, ma non danneggiò il grano e la veccia (kySs- semeth), perchè sono tardivi (2): lo che se è vero del grano e del farro, che nella Giudea e nell’Egitto ma- turano verso la Pentecoste, è falsissimo della veccia, che viene a maturità subito dopo Pasqua; onde avrebbe dovuto esser guasta, come lo furono l’orzo ed il lino (3). (1) Erodoto, Secunda Musa, pag. 116. — Dionigi d’ Alicarnasso, Ant. rom. lib. HI, pag. 93. — Galeno, lib. IX, cap. 3. — S. Girolamo, în Ezech. cap. IV. (2) Exod. IX, 32. (3) Ibid. 31. ARUNDO, CALAMUS, CANNA Arundo donax Linn. Pianta che ha gli steli duri, grossi, fistolosi, fo- gliati; le foglie alterne, lunghe, appuntate, glabre, di un verde glauco; la pannocchia grande e ristretta. . A molti usi gli antichi adoperavan le canne, e prin- cipalmente a far bastoni. « Di canna si servono per ba- stone » dice Diogene Laerzio nel proemio de’ maghi cal- dei. Un di questi bastoni posero in mano al benedetto Signore i soldati del preside (1), volendo significare che tale era il regno di lui, quale lo scettro che gli porgevano (2). A questo scherno un altro ne aggiun- sero gli scellerati, poichè l’un dopo l’altro fattosi in- nanzi, e piegato a terra il ginocchio, io ti saluto, di- ceagli, o re de’ Giudei; quindi strappatagli di man la canna, con più colpi gli pestava sul capo le spine, poi lo schiaffeggiava , infine gli sputava nella faccia, e sghignazzandogli amaramente sul viso, compiva così il suo omaggio, e cedeva ad altri il luogo a rinnovargli, chi sa quante volte! quell’empio beffeggiamento (3). A Gesù, che tanto soffrì per noi, c’invita di rivolger lo sguardo Tertulliano « questi, dicendo, è quel desso (1) Matth. XXVII, 29. (2) Implel arundo manum, sceptrum quod mobile semper, Invalidum, fragile est, vacuum, leve. SepuLio, Carmen paschale, lib. IV, pag. 559. Inque vicem sceptri dextram comitatur arundo. Giovenco, Mist. evang. lib. IV, pag. 318. (5) Matth, XXVII, 50. — Mare. XV, 19. 154 che fu schiaffesgiato e percosso con una canna, di- sonorato cogli sputi, dissetato con fiele ed aceto (1); » perchè non sì tosto ebbe Gesù profferita quella mi- steriosa parola, Stlio, ho sete, che i manigoldi inzup- parono in aceto una spugna, e circondatala d’un fa- scetto d’issopo, la posero sopra una canna, e a quelle labbra dolcissime l’accostarono (2). Nelle Quistioni teo- logiche e filosofiche greco-latine (3), che portano il nome di Cesario fratello di s. Gregorio Nazianzeno, ma che sono certamente di altro autore (4), si legge alla qui- stione ottantesimaquinta, che quella che dicesi spu- gna fu veramente la pannocchia della canna; ma ciò è apertamente contrario a quel che dicono gli evan- celisti. A un bastone di canna sono nella Scrittura rasso- migliati coloro, che non posson dare quel sostegno che da lor si spera (5). Quindi presso i Padri (6) si legge a mo’ di proverbio, prendere in mano un baston di canna, vale a dire aver fiducia negli uomini, i quali mostrano amicizia nel viso, e covan odio nel cuore, a' quali se tu ti affidi, tanto non ti gioveranno, che piuttosto ti faran del male; appunto come se un si (1) Tertulliano, De spect. pag. 592. (2) Joan. XIX, 29. — Matt. XXVII, 48. — Marc. XV, 30. (3) Si trovano trasformate in quattro dialoghi nella Biblioteca de- gli antichi Padri stampata in Parigi l’anno 1644, tom. XI, pag. 543 e seg. (4) V. Bellarmino, De script. eccles. pag. 193, a; Cave, Script. eccles. list. lit. pag. 158. (5) 4 Reg. XVII, 21, — Isai.. XXXVI, 6. — Ezech. XXIX, 6, 7. (6) S, Cirillo Alessandrino, Dial. de Trinit. lib, II, pag. 241. 155 appoggia sopra un bastone di canna, corre pericolo di ferirsi la mano, perchè le canne si spaccano facil- mente e divengono taglientissime. A questo proposito un bel proverbio si legge in Isaia, il quale indicando i caratteri del divino Ripa- ratore, dice tra le altre cose: Ei non triterà la canna rotta (4); vale a dire, secondo alcuni Padri, ei non di- sprezzerà, nè gitterà gli uomini, ancorchè deboli nella fede, come si fa di una canna rotta, che non è più buo- na, anzi torna nociva; ma colla sua mansuetudine li sosterrà e guarirà (2). Il Maldonato però spiega diver- samente cotal proverbio, cioè che Cristo camminerà con tanta mansuetudine, quiete e attenzione, che se pure avesse a passare sopra una canna rotta, tuttavia non la tritera. Che questo sia il vero senso, si prova con quel che leggesi nel Vangelo di s. Matteo. Im- perocchè avendo i Farisei punti d'invidia a’ miracoli di Cristo, fatta consulta per vedere di liberarsene, anzi per prenderlo e dannarlo a morte; Gesù, cui erano certamente noti i loro segreti e iniqui macchinamenti, si partì da Gerosolima co’ suoi discepoli e operò molte portentose guarigioni in persona di quelli che lo se- guivano. A’ quali, dice l’evangelista (3), fece coman- damento di non manifestarlo, affinchè si adempisse ciò che fu detto dal profeta Isaia, dicendo : Ecco il mio servo eletto da me ec. ci non litigherà ec. e non tri- (bp Isat. XEIS, 3. (2) Così s. Girolamo, Procopio, s. Cirillo e s. Hario, in Math. XII. (3) Matth. XIF, 16-20. 156 terà la canna rotta (A). Questa canna fessa erano dun- que i Farisei, che Cristo operatore di tanti miracoli poteva perdere in un momento. Poteva rimproverar loro numerose scelleratezze, e farli cadere in odio del popolo. Purnondimeno invece di opporsi e di farli andare in furore, si allontanò, avverando così aper- tamente il vaticinio d’Isaia. Gli Ebrei un tempo aveano il costume di misurare le fabbriche con una canna, di che fassi menzione in Ezechiele e nell’Apocalisse (2). Il profeta dice che questa canna da misurare era lunga sei cubiti e un palmo (3), o piuttosto sei cubiti e sei palmi, vale a dire sei cubiti ebraici, ciascun de’ quali era un palmo più lungo del cubito babilonese (4). Il profeta è ob- bligato a delerminare in questo modo il cubito di cui parla, perchè oltre l'Eufrate dov’egli allora trovavasi, le misure erano più piccole di quelle della Giudea. Il cubito ebraico era ventiquattro pollici ovvero sei palmi, rispondenti a vent’once e mezzo della nostra misura; ciò che da alla canna o calamo centoventitre once, vale a dire dieci palmi e un quarto, quanta è per lo meno la lunghezza della canna de’ giardini. Di più gli Ebrei chiamavano kaneh, calamo o can- na, quelle tutte cose che a questa pianta in qualche modo rassomigliavano : così calami eran detti le brac- (1) Isai. XLII, 1-3. (2) Ezech. XL, 3 et seg. — Apoc. XI, 1; XXI, 15. (3) Ezech. XL, 5. (4) Ibid. XLII, 13. 157 cia del candelabro (1), e canne le ossa degli omeri; il perchè quel versetto di Giobbe, che secondo la Vol- gata si traduce, st stacchi il mio omero dalla sua giun- tura, e îl mio braccio si spezzi colle sue ossa (2), se- condo il testo ebreo suona, cada il mio omero dalla sua giuntura, e il mio braccio sia rotto e staccato dalla sua canna. ARUNDO, CANNA PALUSTRE Arundo phragmites Linn. Pianta che ha lo stelo diritto di quattro a sei piedi; le foglie lunghe, glabre, addentellate negli orli, e però taglienti, la pannocchia grande, lassa, molto guernita, di un purpureo carico. %. Questa specie ha nascimento e vita ne’ luoghi pa- ludosi. Dioscoride il primo la denominò phragmites, vale a dire arginante, poichè serve per tenere a se- gno le acque. Da questa canna il profeta Ahia toglie una similitudine, che si legge in principio del suo terribile vaticinio contro gl’ Israeliti, perchè dice : // Signore Dio percuoterà Israele, talchè sarà come la can- na che è dimenata nell’acqua (3). Infatti il regno delle dieci tribù fu quasi sempre tumultuante, e agitato 0 dalle civili o dalle straniere guerre. Le canne palustri abbondano nelle rive del Nilo, e servono di nascondiglio a’ feroci coccodrilli. Da- (1) Exod. XXV, 31; XXXVII, 17. (2) Job, XXXI, 22. (3) 3 Reg. MV, 15. 15S vidde ne fa menzione nel salmo sessantesimosettimo, caldamente pregando rivolto a Dio : Minaccia le fiere che stan pe’ canneti, l’adunanza de' tori fra le vacche de’ popoli : per cacciar fuori coloro che sono provati come l'argento (1); o come può tradursi l’ebreo, Re- primi la fiera de’ canneti, il ceto de’ tori in mezzo de’ vitelli: questi popoli, che camminano sopra piastre d’'ar- gento; vale a dire: Reprimi il re d’Egitto, questo ter- ribile coccodrillo, che sta in agguato tra le palustri canne del Nilo; reprimi i re degli Etiopi, questi tori possenti e furiosi, che signoreggiano in mezzo di po- poli, che loro tengon dietro come le vacche, ovvero stando all’ebreo, che a maniera d’indomiti giovenchi scorneggiano chiunque va incontro ad essi. Umilia que- sti popoli, che vorrebbero cacciar fuori della Giudea i servi tuoi, che sono stati provati come l’ argento ; ‘0 secondo l'ebreo, umilia questi popoli, che son sì ricchi da potersi dire, che camminino sopra l’argento. Questo, se mai non erro, è il senso storico e lette- rale di questo versetto, che è uno de’ più oscuri del citato sublimissimo salmo. Infatti Davidde immedia- tamente predice che gli Egiziani e gli Etiopi ricono - sceranno il supremo dominio di Dio, e a lui stende- ranno le mani in argomento di suggezione. Dissi poi il senso letterale, perchè molti Padri ed interpetri spie- gano il riferito versetto in senso mistico e figurato, e per bestie de’ palustri canneti, per tori e per vac- che o vitelli intendono gli occulti e palesi nemici (1) Psal. LXVII, 51. 159 della Chiesa, che ad altro non pensano se non se a straziarla e distruggerla, cacciando via da questo mondo i predicatori della fede, i servi del Signore, benchè innocenti e di sperimentata virtù simile all’ argento provato col fuoco. Le rive del Giordano sono ingombre siffattamente di canne palustri, che a pena si può scorgere la cor- rente. In questo fiume si distinguono due rive, l’una è quella che termina al corso ordinario dell’ acqua, l’altra che ne è distante un ottavo di miglio, è quella dove giunge qualche volta la piena, quando i leoni un tempo nascosti tra quei canneti erano costretti cam- biar soggiorno, come fanno oggidi altre bestie selvag- ge. A un di questi leoni, cacciati dal lor covile dal- l’ingrossamento del fiume, il profeta Geremia parago- na Nabuccodonosor nel suo lugubre vaticinio contro l’Idumea, che in fatto fu desolata da quel superbo monarca di Babilonia : Ecco, dic'egli, ecco uno che quasi leone dal gonfio Giordano va sopra la bella e robusta Idumea (1). La canna palustre sendo gracile e leggera, varia- mente si piega ad ogni aura che spira, e ci offre l’im- magine di un animo incostante. Per la qual cosa Gesù parlando alle turbe di Giovan Battista, disse loro : Voi che andaste già per vederlo al deserto, in lui che vi credeste voi di vedere? forse una canna agitata dal vento (2)? E volle dire, credete voi che Giovanni aven- (1) Jerem. XLIX, 19. (2) Matth. XI, 7. — Luc. VII, 24. 160 do mandato a dimandarmi se io sono il vero Messia, siasi mutato di parere riguardo a me? No, non è egli un di quegli uomini, che a maniera delle canne pa- lustri si lasciano scuotere e volgere da ogni banda secondo i venti. E in vero se il Precursore avea man- dato fare a Gesù quella interessante richiesta, non era stato già per sè, ma solo per lume e istruzione de’ suoi discepoli, i quali a malgrado delle gloriosissime testimonianze, che egli si era studiato di rendere al suo Signore, erano tuttavia preoccupati e infermi, e molto lontani di rivolgersi a lui. JUNCUS, GIUNCO Juncus acutus Linn. Pianta che ha gli steli terminati da una punta pun- gente; le foglie ugualmente pungenti; la pannocchia laterale e non terminale, nell’ascella di una brattea. 3%. Il giunco è pianta degli acquitrini, e come la canna palustre non ha vita fuori delle acque. Perciò Isaia volendo fare intendere che Sennacherib re d’ Assiria nell’invadere l'Egitto avrebbe distrutti tra le altre cose i canali, che intersecavano il Delta, dice la canna e il giunco anderanno male (4). E se lo stesso profeta fa altrove sapere che nel deserto arido e infecondo, e covile di dragoni, nascerà la verzura della canna e del giunco (2), ciò si debbe intendere in senso figu- (1) Isai. XIX, 6. (2) Ibid. XXXV, 7. 161 rato; volendo dire che la terra prima incolta e sterile di buone opere, e abitata da uomini simili pe’ loro vizi alle bestie feroci, inaffiata all’epoca di Gesù Cristo e degli apostoli dalle copiose acque della grazia e de’ doni celesti, diverrà feconda di ogni bella virtù. Così da’ Padri si spiega questo consolantissimo vaticinio, che da s. Tommaso e da Ugone si riferisce al ritorno degli Ebrei dalla schiavitù di Babilonia, e da costoro alla ristaurazione di Gerusalemme e del regno giu- daico sotto quel Messia, che aspettano inutilmente. LILIUH, GIGLIO Lilium candidum Linn. Pianta che ha il bulbo alquanto giallo e squamoso; lo scapo diritto; le foglie sparse, sessili, allungate, numerose, lisce; i fiori campaniformi, bianchi, grandi, lustri nell’interno, e soavemente odorosi. Si distingue in più varietà. %. Il giglio fu dagli Ebrei appellato schuschan e schu- schanna, non già per esser composto di sei petali, come alcuni han pensato (1), ma per l’esimia candi- dezza : la quale essendo figura della purità, piacque alle donne fregiarsi del nome di questo fiore. Di fatto troviam che Susanna chiamavasi la figlia di Helcia. moglie di Gioachimo (2). la cui innocenza fu fatta pa- (1) Lamy, App. bibi. pag. 198. (2) Dan. XII, 2. 162 lese da Daniele, e quella donna eziandio, che colle sue facoltà sovveniva a’ bisogni di Gesù Cristo (1). I gigli, che tra noi son coltivati negli orti, nella Persia (2), nella Siria e nella Palestina crescono spon- tanei nelle campagne, massime nelle valli (3), e qual- che volta in mezzo alle stesse spine (4): onde ne’ libri santi sono chiamati gigli delle valli (5) e de’ campi, e si dice che servono di pascolo a’ caprioli (6). Bellissime similitudini intorno a questo fiore si leg- sono nella Scrittura. E primamente a un giglio delle valli si rassomiglia ne’ Cantici lo Sposo dilettissimo della Chiesa (7); imperciocchè per noi, che eravamo nella valle del pianto , scese egli in questa valle, e giglio divenne, spuntando da un’umile e povera Ver- ginella (8). Ei non è fiore di un real giardino, per- chè non volle a padre un monarca per venire in estimazione tra gli uomini, ma si contentò di esser creduto figliuot di Giuseppe (9). Vedi quanti monti, (Lac. VIUL:O. (2) Tavernier, Iliner. pers. p. 1, pag. 418. (3) Plinio, lib. XI, cap. 4; XXI, 5. (4) Cant. II, 2. (5) Alcuni eredono che il giglio delle valli, di cui muove parola la Scrittura, sia il mughetto, convallaria majalis Linn., il quale scioccamente da’ fioristi è chiamato giglio delle valli, perchè niente ha di comune col giglio, nemmeno il luogo, trovandosi ne’ boschi, e non già nelle valli. (6) Cant. IV, 5. (7) Ibid. II, 1. (8) Luc. I, 48. (9) Ibid. HT, 23. 165 quanti re lasciò da parte, nelle cui regie ville spun- tar non volle il nostro fiore, nato invece in Betlem- me di Giuda (1), città poco considerabile per esten- sione e ricchezza. Cristo fu eziandio giglio delle valli per l'umiltà e semplicità del viver suo. 1 Figliuolo dell’uomo non venne per esser servito, ma per servire e dare la sua vita in redenzione per molti (2). A far mostra della sua umiltà lavò i piedi de’ discepoli , facendosi tra di essi come uno che serve (3) : ond’è che a tutti propone per esempio sè slesso : [mparate da me, che son mansueto e umile di cuore, e troverete alle vostre anime riposo (4). Finalmente Cristo fu giglio delle valli per l'umiltà che mostrò nell’uscir di vita, facendosi ubbidiente al padre suo fino alla morte, e morte di croce (5); divenendo sprezzato e l’infimo de- gli uomini, uomo di dolori, esperto nel patire : e col volto quasi ascoso per rossore e vergogna di sè me- desimo , e sprezzato în modo da non farsene alcuna stima (6). Ond'egli dice sulla croce rivolto al Padre : Io sono riguardato piuttosto come un verme della terra che come un uomo: son diventato l’obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebaglia, che mi giudica fin indegno di vivere. I più scellerati fanno pur sospi- rare i testimoni del loro supplizio, ma gli spettatori (1) Matth. II, 1. (2) Ibid. XX, 28. (3) Luc. XXII, 27. (4) Matt. XI, 29. (5) Philip. HI, 8. (6) Isai. LHI, 3. 164 del mio si fanno de’ miei tormenti un oggetto delle più amare derisioni, e muovono il capo insultandomi. Egli ha posto, dicon essi, la sua speranza nel Signore; egli adunque lo liberi; poichè il Signore lo ama, trovi il mezzo di strapparlo dalle nostre mani (1). A’ gigli è paragonato il nutrimento de’ fedeli. JI mio Diletto, dice la sacra Sposa, è mio, e io son di lui, il quale pastura tra’ gigli (2). Questi pascoli belli e soavemente odorosi come i gigli, a’ quali Cristo qual buon pastore mena il suo gregge, secondo s. Ambro- gio (3) sono i libri della santa Scrittura, i sagramenti della Chiesa, e tra questi principalmente la divina Eu- caristia, i misteri di Cristo, i suoi documenti ed esem- pi; nelle quali cose trova la Chiesa e ogni anima fe- dele un pascolo sempre puro e sempre salubre. A’ gigli sono rassembrate le labbra del divino Sposo. Le sue labbra son come i gigli stillanti mirra perfet- ta (4). Questa similitudine consiste nella fragranza e anche nella candidezza, simbolo della pura e schietta dottrina. Il primo de’ greci poeti celebrando la facon- dia di certi ambasciadori, disse che aveano mangiato de’ gigli. Sono dunque simili a’ gigli le labbra dello Sposo, perchè tutte le sue parole spiravano incredi- bile soavità. Quand’egli predicava tutti lo approvava- no: e ammiravano le parole di grazia, che uscivano dalla sua bocca, e dicevano : Non è egli costui il fiylio (1) Psal. XXI, 6-8. (2) Cant. II, 16; VI, 2. (3) S. Ambrogio în Psal. CXVIII, serm. 14, v. 1. (4) (Cant. V, 13. 165 dì Giuseppe (1)? E quelli stessi che erano stati man - dati da’ suoi nemici per prenderlo, postisi ad ascol- tarlo, dovetter dire : Nessun uomo purlò mai come co- stui (2). Le parole di lui erano quali furono descritte dal profeta reale, parole pure, argento passato pel fuo- co, affinato nel grogiuolo di terra, purgato per sette volte (3). Ma queste labbra divine stillavano mirra perfetta, che è molto amara, perchè predicavano la penitenza, la continenza, la mortificazione e l’austerezza del vi- vere, cose tutte diametralmente opposte alla concupi- scenza e alla voluttà. Imperocchè le prime parole della sua predicazione furono queste, fate penitenza. Fece poi risuonare nella Giudea : £eati è poveri di spirito. Beati coloro che piangono. Beati quelli che soffrono per- secuzione. Amate i vostri nemici, e fate bene a coloro che vi odiano (4). Non son venuto a metter pace, ma guerra. Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce, e mi seque, non è degno di me (5). AI contrario il mondo e la carne stillano dalle loro labbra il miele della voluttà, secondo quello che ne’ Proverbi sta scritto : Le lab- bra della donna cattiva stillano miele, e più penetranti dell’olio sono le sue parole : ma finalmente ella fa pro- vare un’amarezza come quella dell’assenzio, e dolori (1) Luc. IV, 22. (2) Joan. VII, 46. (3) Psal. XI, 6. (4) Matth. V, 3, 5, 10, 44. (5) Ibid. X, 34, 37, 38. 166 sì acuti qual se fossero cagionati da una spada a due tagli (A). A’ gigli sono agguagliate tutte le virtù. Fate fiori simili al giglio, e spirate odore (2), vale a dire pro- ducete fiori di ogni virtù, che a maniera de’ gigli ri- splendano e spargano per tutto intorno una grata fra- granza. Di questi be’ fiori altamente si gode il Di- letto de’ Cantici, il quale scende spesso nel mistico orto della sua Chiesa, e in quelli delle anime giuste per accogliere de’ gigli (3). « Tu dunque che queste cose leggi od ascolti, dice s. Bernardo, fa di avere de’ gigli presso di te, se vuoi avere in te l’amatore de’ gigli. Ogni tua operazione, ogni tuo affetto, ogni tuo desiderio sia giglio apertamente, e abbia una mo- ral candidezza e soavità. Hanno anche i costumi e co- lore e fragranza : l'intenzione li colorisce, la fama li rende olezzanti (4). » AI giglio è comparata la prosperità degli Israeliti, se si fossero convertiti al Signore. Jo sarò come ru- giada per Israele, ed ei fiorirà come il giglio (5); vale a dire, come la dolce rugiada bagna e feconda le piante, così io colle mie grazie e co’ miei favori irrugiaderò Israele, sicchè sorga dalla sua abiezione, e fiorisca come il giglio, il quale, giusta l'osservazione di Pli- (1)°Proy; Viste (2) Eceli. XXXIX, 19. (3) Cant. VI, 1. (4) S. Bernardo, Serm. LXXMI. (5) Osec, XIV, 6. 167 nio (1), eccelle sopra gli altri fiori : onde fu preso da’ re e da’ principi per insegna loro; e da’ Greci fu co- gnominato basilicon che suona reale. Rappresentando questo fiore un cestellino coll’orlo rivolto in giù, il valente Hiram da Tiro lo imitò pe’ vasi de’ capitelli (2), che ornavano le due colonne di bronzo poste nel vestibolo del Tempio, innanzi al Santo (3). La figura di un giglio imitò eziandio nel fare la gran conca di getto (4), che stava nell’ atrio de’ sacerdoti per uso loro. Dissi in principio che il giglio si distingue in più varietà, tra le quali una a fiori screziati di porpora, e un’altra a fiori screziati di giallo. A queste varietà fece allusione il Signore, quando per correggere la soverchia sollecitudine de’ suoi discepoli per le cose temporali : Considerate, lor disse tra gli altri esempi, considerate i gigli del campo: senza lavoro d’ago 0 di fuso sono da lui sì vagamente vestiti, che non può stare ad essi del pari un Salomone con tutta la sua magnificenza. Che se un’erba, che oggi è nel campo, e domani si getta nel forno, è da Dio così vestita, quanto più lo sarete voi, gente di poca fede (5). Col (1) Plinio, lib. XII, cap. 4. (2) Di qui ebbe origine il capitello d’ordine corintio , che i mo- derni seguendo Vitruvio, attribuiscono a Callimaco scultore di Co- rinto. V.il Villalpando, che con ragione tratta di favola la storiella di Callimaco. (3) 3. Reg. VII, 15-22. (4) Ibid. 23-26. — 2. Par. IV, 2-5. (5) Matth. VI, 28-30.— Luc. XII, 27, 28, 168 quale rimprovero tronca la radice di quella anziosa sollecitudine, proveniente dalla poca fiducia nella di- vina amorevole Provvidenza. PORRUM, PORRO Allium porrum Linn. Pianta che ha il bulbo membranoso e bislungo; lo scapo diritto, alto circa due braccia, consistente e vuo- to; le foglie piane; i fiori alquanto bianchi, a om- breta grande, rotonda, in cima dello scapo. dA. ALLIUM, AGLIO Allium sativum Linn. Pianta che ha le foglie lineari, piane, strette, ter- minate da una testa di fiori biancastri e bulbosi; gli stami tricuspidati; il bulbo radicale composto di molti bulbi formati a spicchi. %. CAEPA, CIPOLLA Allium caepa Linn. Pianta che ha lo scapo fistoloso, nudo, più grosso nel mezzo e più lungo delle foglie, che sono cilin- driche e tubulate; i fiori rossieci, numerosi, in testa rotondata. Se ne distinguono più varietà. %. Le antidette tre specie di aglio, di che si fa gran- d'uso nelle nostre cucine, riceveano nell’ Egitto una 169 specie di culto (1). Gli Ebrei ne erano sì ghiotti, che essendone affatto privi nel deserto , desiderarono di ritornare al luogo della loro durissima schiavitù (2). FLOS CAMPI, NARCISO Narcissus orientalis Linn. Pianta che ha lo scapo terminato da uno o due fiori, la cui corona è campaniforme, trifida, smargi- nata e tre volte più corta delle divisioni del calice. Corolla bianca, corona gialla. 3g. I In due luoghi del testo ebreo trovasi la voce cha- bazzeleth, primieramente ne’ Cantici : /o sono chabaz- zeleth di Saron (3), la qual voce dal Parafraste cal- deo, da Aben-Ezra e dal Vatablo è tradotta rosa, da’ Settanta e dalla Volgata fiore in generale. Secondo, în Isaia: Tripudierà la solitudine, e fiorirà come chabaz- zeleth (4); dove i Settanta e la Volgata leggono giglio, che in ebreo dicesi schuschan o schuschanna. La parola Saron poi nel citato luogo de’ Cantici è spiegata campo, (1) Porrum cet cacpe nefas violare, ac frangere morsu. O sanctas gentes, quibus haec nascuntur in hortis Numina! GiovenaLe, Sal. XV, v. 9. Vilia niliacis venerantur oluscula in hortis Porrum cet caepe deos imponere nubibus ausi Alliaque, et Serapin coeli super astra locare. PrupENzIo, contra Symmacum, lib. HI, pag. 250. (2) Num. ce d. di Cant. ito (4) Isai. dea 1. 170 secondo la sua significazione, mentre altrove (1), è presa per nome proprio di una estesa e fertilissima campagna posta, secondo il Relando (2), tra Lidda, Joppe e Cesarea. Quivi per copia e bellezza distinguen- dosi fra gli altri fiori il narciso per noi descritto (3), egli è probabile che l’oscuro vocabolo chabazzeleth in ambidue i luoghi sopra citati significhi cotesto fiore. Infatti per narciso è spiegato ne’ Cantici da alcuni interpetri orientali, e per lo stesso fiore è renduto in Isaia dall'arabo volgarizzatore (4). Altronde uop'è sa- pere, che il narciso impropriamente è chiamato gi- glio da coloro, che adoperano il nome di questa pianta ad esprimere qualunque fiore elegante : e gli antichi, secondo Dioscoride (5), erano di questo numero. Pertanto siam d’avviso, che il passo de’ Cantici possa leggersi : Yo sono narciso di Saron; il qual fiore, tenuto in grand’estimazione da’ popoli orientali, è attissimo ad esser simbolo del divino Sposo della Chiesa; per- chè colla sua bianca corolla figura la purissima uma- nità di lui, e colla sua gialla corona adombra tutta la pienezza della divinità che, al dir dell’Apostolo, in ui abita corporalmente (6). E il profeta Isaia vatici- (1) Jos. XII, 18.—1. Par. V, 16; XXVII, 29.—Isai. XXXII, 9: XXV: 00) (2) Relando, Palaest. lib. I, pag. 370: lib. III, pag. 988. (3) V. Chateaubriand, Itinéraire, vol. HI, pag. 122. (4) V. Iken, Diss. de lilio saronitico, Brem. 1728;— Olao Celsio, ilierob. part. I, pag. 488 e seg. (5) Dioscoride, lib. IV, cap. 161. (6) Coloss. II, 9. 171 nando che la solitudine tripudierà e fiorirà come un narciso, esprime assai bene che la Gentilità, la quale era abbandonata da Dio, senza lume della vera reli- gione, senza speranza di promessa, come dice lApo- stolo, e senza Dio în questo mondo (A), alla venuta del Cristo non solo succederà alla gloria della Sinagoga, ma la sorpasserà di gran lunga, fiorendo di maravi- gliosa amenità e vaghezza, come quella del narciso. La qual profezia, secondo alcuni Padri, sì adempì pre- cisamente quando il Salvatore dalla Galilea andò alla solitudine del Giordano per essere battezzato dal Pre- cursore. Essendo il narciso un bel fiore, i Persiani per te- stimonianza d’Herbélot hanno in costume di chiamare Narcisi le persone più care. E nelle nostre storie sa- cre e profane si trovano vescovi e altri ragguardevoli personaggi, che portano cotesto nome: tra’ quali si distinse quel Narciso commendato per la sua fede dal- l’apostolo Paolo (2), il qual si crede essere stato quel liberto dell’imperator Claudio, di cui Tacito fa men- zione. CROCUS, CROCO, ZAFFERANO Crocus sativus Smith. Pianta che ha la radice membranosa, compressa e avente origine da un altro bulbo ; le foglie radicali, strette, lineari, con un nervo bianco longitudinale, (1) Ephes. TI, 12. (2)UROm. XVI: 14, 172 involte alla base in una guaina; i fiori radicali, or- dinariamente violetti carnicini, cogli stimmi d’un rosso aurora. %. Il divino Sposo de’ Cantici nel descrivere l’amenità e fecondità del chiuso giardino, novera il croco tra le scelte piante che lo adornano (1), per le quali lo Spirito Santo ha voluto esprimere le diverse virtù che fioriscono nella Chiesa. BORITH, RISCOLO Salsola Kali Linn. Pianta che ha gli steli ruvidi, prostrati, ramosis- simi; le foglie crasse, sessili, lineari, lesiniformi, con punta spinosa ; i fiori ascellari, aridi negli orli: Je brattee spinose. o. Il riscolo, che nella Volgata ebraicamente si chiama erba borith, ed anche erba da gualchierai (2), cresce spontaneo ne’ lidi marittimi della Siria, della Giudea, dell’Arabia e dell’Egitto, ed è anche coltivato in grande a cagione della sua utilità. Perciocchè verde può ser- vire a stropicciarsene per far netta e lustra la pelle; e bruciandolo si ottiene un alcali minerale, con cui, (1) Cant. IV, 14. (2) Alcuni per erba borith intendono la saponella, saponaria of- ficinalis Linn., così chiamata, perchè si crede che contenga del sa- pone. Ma è più verisimile che l erba Dborith sia il riscolo , di che parliamo. V. Olao Celsio, Hierobot. part. I, pag. 449 et seg.; Hil- ler, Hieroph. part. II, pag. 67 et 68; Calmet, in Jerem. cap. IT, 22; Sprengel, Storia della botanica part. I, pag. 13 ec. 173 tra le altre cose, si fa la lisciva, che serve a purgare i panni, e a fabbricare i saponi, aggiungendovi del - l’olio, o del sego. A questi usi sembra che alludano e il profeta Geremia allorchè intuona a Gerusalemme: Quando ti lavassi col nitro, e facessi frequente uso del- l’erba borith, dinanzi a me tu sei sordida per la tua iniquità, dice il Signore Dio (1); e il profeta Malachia quando annunzia che il Dominatore e 1’ Angelo del Testamento, come l’erba de’ gualchierai, avrebbe tolta ogni macchia da’ novelli leviti, per farli degni di of- ferire al Signore sagrifizi di giustizia (2). HYSSOPUS, ISSOPO Hyssopus orientalis Adams. Tav. VI. Pianta che ha gli steli quadrangolari, fragili, ra- mosi; le foglie opposte, sessili, lineari, lanceolate; i fiori verticillati, racemosi, unilaterali ; il calice con denti larghi e disuguali. p. Sempre verde. Questa specie d’issopo, che alcuni riguardano come una varietà dell’issopo officinale, è indigena della Pa- lestina (3) e dell’Egitto (4). Ama essa le terre leggere ed esposte al sole; contuttociò ne’ giardini della Giudea posti alle falde delle montagne, la cui terra coltiva- bile per non essere trasportata dalle pioggie nelle sot- (i)eJerem, LI, 22. (2) Malach. HI, 2, 3. (3) Bellon, Observ. sing. pag. 249. — Roger, 7. Sanct. pag. 3. — Relando, Palaest. pag. 379. (4) Thévenot, Voyage pag. 92. 174 tostanti vallate era ritenuta da muri, l’issopo vede- vasi spuntare eziandio dalle pietre. Quindi leggen- dosi che Salomone ragionò intorno alle piante, dal cedro, che sta sul Libano, fino all’issopo, che spunta dalle pareti (1); malamente alcuni inferiscono che lV’is- sopo di quel sapiente monarca fosse la parietaria, od altra pianta congenere. L'issopo nella Scrittura si legge spesso adoperato come aspersorio. Infatti con due ramoscelli di cedro e d’issopo con fiocchi di lana color di porpora, e in- tinti nel sangue d’un passerotto, aspergevasi sette volte il lebbroso dopo la guarigione, per essere legalmente purificato (2). Con ramoscelli d’issopo inzuppati nel- l’acqua lustrale aspergevasi non solo colui che toc- cato avesse un cadavere alla campagna, ma la sua tenda eziandio, le suppellettili e tutti gli uomini che vi eran dentro (8). Il Signore ordinò agl’Israeliti, prima che uscissero dall'Egitto, di prendere un mazzetto d’issopo, d’intin- gerlo nel caldo sangue di quell’agnello, che anche per divina ordinazione la sera innanzi essi avevano sagri- licato, e di segnarne le loro porte. Il sangue, ripigliò Dio, rosseggiante sopra i vostri uscì non permetterà che l'angelo percolitore de’ primogeniti egiziani penetri e faccia danno nelle vostre abitazioni (4). Parole degne veramente di essere considerate, nè gia per quello che (1), 3. Res. IN7#33. (2) Levit. XIV2Z.07. (3) Num. MX, 16-18. (4) Exod. MI, 22, 23. 175 significano letteralmente; ma solo per ciò che Dio per esse intendeva di prenunziare. Di prenunziare inten- deva, che a salvare le anime dal ferro vendicatore della divina Giustizia non rimane altro mezzo, fuor sola- mente che aspergerle col preziosissimo sangue di quel- l’Agnello per nostra redenzione sul Golgota sagrifica- to. In quella notte funesta, come da Gesù Cristo venne appellata la nostra morte, chi non è intinto di questo adorabil sangue applicatoci da’ sagramenti, o dalla contrizione perfetta de’ nostri falli, cade miseramente trafitto ad eterna morte. Di questo sangue bramava essere asperso il reale Salmista, poichè pregava ri- volto a Dio: Tu mi aspergerai coll’issopo e sarò mondo : mi laverai, e diverrò bianco più che la neve (A). Lette che ebbe Mosè alla presenza di tutto il po- polo le leggi da Dio stabilite. e rinnovatasi da tutto il popolo la promessa di soggezione e di ubbidienza, che fatta aveva la sera innanzi, il gran condottiero mi- schiò dell’acqua al sangue delle vittime sagrificate ; poscia prendendo un mazzetto di verde issopo coperto a fiocchi di lana colore scarlatto, di sangue asperse il volume, di sangue il popolo, che per tribù e per fa- miglie si avvicinava a ricevere cotesta aspersione, di- cendo di volta in volta queste parole: Questo, Israc- liti, si è il sangue dell’alleanza, che Dio ha contratio con voi sotto le condizioni contenute nella sua leg- ge (2). Stranissima cerimonia il cui mistero fu spic- (oPsal. L, $. (2) Exod. XXIV. 6-8, — Hebr. IX, 19. 176 gato dall’ apostolo s. Paolo nella divina sua lettera scritta agli Ebrei. H libro di quella legge, dic’ egli, era un testamento, onde il Signore costituiva gli Ebrei eredi veri e legittimi della terra, a cui pellesrinando avviavansi dall’Egitto; e siccome il testamento non ha forza fintantochè il testatore si regge in vita; però a convalidarlo era d’uopo che v intervenisse la morte . del testatore. Dio non poteva morire fisicamente, stante la sua essenziale ed immutabile eternità; per la qual cosa sostituì quelle vittime, in cul egli venne a mo- rire tipicamente; e con la morte di esse e col sangue loro avvalorò la sua divina testamentaria volontà (1). Ma ciò, dice l’Apostolo, che per riguardo agli Ebrei fu meramente figura, sembianza ed ombra, riguardo a noi passò ad essere verità. Siccome già sopra il Sina nella persona di un angelo rappresentante, così Dio poscia discese nella sua propria persona nella Giudea. Quivi intimò il suo vangelo, che dee dirsi propria- mente quel testamento, onde c’ istituì veri eredi del paradiso, a cui pellegriniamo tra’ pericoli di questo secolo. E siccome a render valido tal testamento ne- cessaria si era la morte del testatore, egli morì vera- mente nell’umanità da sè assunta sopra le vette del Golgota confitto in croce. Egli col sangue suo pre- ziosissimo asperse l’anime nostre, e diede ad esse il dritto di entrare un giorno al possesso del suo gran regno , sotto le condizioni contenute nel suo testa- mento (2). (1) Hebr. IX, 16-18. (2) Ibid. 15. II Quando Gesù sulla croce fu da sete ardentissima tormentato, i manigoldi immersa una spugna in un vaso di aceto, la circondarono di un fascetto d’issopo, e postala sopra una canna, l’alzarono e l’accostarono a quelle labbra dolcissime (1); avverando così il va- ticinio di Davidde: Nella mia sete mi han dato a bere dell’ aceto (2). Ne suechiò alcun poco il Signor sili- bondo : ma era altra la sete che più lo crucciava, la sete delle anime nostre e della nostra salute, la sete di patire anche più, perchè fosse più grande il nu- mero di quelli, che dalle sue pene avrebbon tratto il prezioso frutto della loro eterna salvazione. MENTHA, MENTA Mentha sativa Linn. Pianta che ha gli steli quadrati, diritti, ramosi, ros- sicci e alquanto pelosi; le foglie un poco picciolate, ovali, grandi, appuntate, dentate in sega, di un verde oscuro; i fiori di un azzurro pallido, cogli stami più lunghi della corolla. %. La legge non sottometteva alla decima se non ciò che sotto nome di rendita si comprendeva, e non già l’erbe più minute; purnondimeno gl’ipocriti Scribi e Farisei pagavano la decima pur della menta. Gesù Cri- sto amaramente li rimproverò, non già perchè faces- sero una cosa cattiva, ma sì perchè essendo in questo (1) Joan. XIX, 29. — Malt. XXVII, 48. — Marc. XV, 36. (2) Psal. LXVIH, 22. 12 178 scrupolosissimi, trascuravan poi le cose più essenziali della legge, e non facevano caso alcuno di essere spie- tati e sleali (4). MANDRAGORA, MANDRAGORA Mandragora vernalis Bertol. Tav. VII. Pianta che ha la radice lunga, grossa, fusiforme e forcuta; le foglie radicali, ovato-lanceolate, grandi, interissime, un poco ondose e lisce; i fiori solitarii, di un bianco porporino, alla sommità de’ peduncoli radicali; le bacche rotonde, della grossezza di una mela, alquanto gialle nella loro maturità e di non ispiacevole odore. o. Narra Mosè che Ruben, il primogenito di Lia, uscito alla campagna nel tempo della mietitura del grano, trovò de’ frutti, che portò in casa alla madre. Ra- chele veggendole tra le mani della sorella, ne inva- ghì e chiese di averne parte, che Lia finalmente le accordò a patto che dovesse cederle la notte appresso il marito (2). Cotesti frutti, che nel testo ebreo dudaim sono ap- pellati, nel testo greco e nella nostra Volgata son detti mandragore. Ma è grandissima diversità di opinioni tra gli espositori ed i critici, se per dudaim veramente intender si debbano le mandragore , ovvero qualche altra cosa. Sopra questo, come sopra qual’altro siasi (1) Matth. XXI, 23.— Luc. XI, 42, (2) Gen. XXX, 14, 15. 179 soggetto della Scrittura, si fecero dissertazioni dal Pe- rerio, dall’Heidegger, dal Drusio, dal Deusing, dal Tommasio, dal Ravio, dal Liebentantz, dallo Scheuc- zer, dal Garofalo, dall’Hiller, dal Celsio, dal Ludolf e da altri assai. Delle quali dissertazioni fatto dili- gente esame, come per una parte ho conchiuso esser questo un articolo di sola congettura e non di cer- tezza, così mi è sembrato che l’opinione più verisi- mile sia la più antica, alla quale io, come può farsi in un punio incerto, mi atterrò ultimamente. Ma prima verrò accennando gli altrui pensamenti. Altri dunque per dudaim intesero le viole bian- che (1); altri i gigli (2); altri i gelsomini (3): ma non sembra affatto verisimile che Rachele potesse qual ra- gazzina invaghir di fiori. Filippo Codurco venne nella singolare opinione, che i dudaim fossero i tartufi; ma fu confutato dal Rivet nel comentario sopra il capo trentesimo della Genesi, che vide la luce senza il suo nome. Il Bochart poi avendo preso a combatterlo apertamente, lo avrebbe certo abbattuto, se morte non lo avesse tolto di vita; perchè poche pagine soltanto di quel suo lavoro fu- rono messe a stampa, non essendosi rinvenute le altre dopo la morte di quell’eruditissimo scrittore. Ma quel (1) Onkelos sopra questo luogo.—Matteo Selvaggi presso lo Scheuc- zer, Phys. Sacr. tab. 88. (2) Oleastro, in Genes.— Francesco Giorgi presso lo Scheuczer, I. c.— Osiandro, Liebentantz, $ 7. — Sisto Sanese, Bibliolh. Sancl. tom. II, lib. 3, pag. 82. (3) R., Salomon, Comm. in Gen. XXX.—Fuller, Miscell. sacr. p. 706. 180 poco stesso che ne restò è tale, che in leggendolo non può dubbiarsi, che il Codurco non siasi pentito del suo ghiribizzo. Altri opinò per dudaim doversi intendere una specie di poponi assai frequenti nella Siria e nell’Egitto, ver- gati di colore rosso e di flavo, e di piacevole odore (1); altri li prese per ciliege (2); altri per le bacche del loto d’Africa (3), chiamate volgarmente datteri di Tre- bisonda : ma i frutti che furono portati da Ruben do- veano avere qualche altro pregio, onde movessero in Rachele tanto desio. Il Ravio, uomo versatissimo nella letteratura orien- tale, nella dissertazione sopra citata, trasponendo do- dici volte le lettere radicali, interpetrò dudaim per ra- metti di fichi (4); ed altri dalla figura delle lettere e- braiche conchiusero nel vocabolo dudaîm non si trovar altro che fichi, frutti eccellenti, ma molto comuni nella Mesopotamia, dove Giacobbe trovavasi colla fa- miglia. Intorno a ciò non possiamo a meno di non osservare, che cotesta nuova arte gramaticale è assai fallace ed incerta. Il Ludolf (5) dopo aver rigettate le altrui opinioni si determinò pel mauz degli Arabi, di che ragiona (1) Deusing, Diss. de dudaim.— Anche Linneo fu dello stesso avviso, perchè chiamò questi poponcini cucumis dudaim. (2) Hiller, Mieroph. part. I, pag. 268 e seg. (3) Olao Celsio, Mierob. tom. I, pag. 21 e seg. (4) V. Heidegger, Hist. patriarch. tom. li, Exercit. 19, $ 9. (5) Ludolf, Zfist. Aethyop. lib. I, cap. 9, e nel suo comentario, pag. 159 e seg. 181 l’Herbélot (1), la qual pianta da noi si chiama ba- nano o musa; ma il celebre botanico Rudbeck scrive in contrario, che la musa nella Siria e nelle contrade limitrofe si trova soltanto ne’ giardini (2); non potendo, giusta l'osservazione di Shau, naturalmente venire sen- za cultura (3), come secondo il testo dee supporsi de’ dudaim. Il Calmet nel Comentario sopra questo luogo della Genesi, e nel Dizionario storico porta opinione, che i dudaim di Ruben fossero i cedri. Considerati, di- cegli, tutti i testi della Scrittura, ne’ quali i dudaim son nominati, intendiamo indicato un frutto noto nella Giudea e nella Mesopotamia; che viene a maturità circa il tempo della mietitura; che ha buon odore e può facilmente conservarsi. È anche probabile che i du- daim abbiano somiglianza con un panerino e con un baciletto, perchè questi due arnesi in qualche luogo dudaîm son detti (4); e pure colle mammelle, che dodaim si trovano denominate. Finalmente il chia- marsi ebraicamente dod o dud l’amore, o la persona diletta, promuove la congettura, che i dudaim fossero frutti soavi e belli. Ora non vi ha frutto, cui meglio che a’ cedri questi caratteri possano convenire. Noti talmente nell’Assiria, nella Media, nella Persia e nella Mesopotamia sono cotesti frutti, che quasi per proprio aggiunto pomi assiri, persici, medi sono chiamati. Ma- (1) Herbélot, Bibl. orient. pag. 17 e 240. (2) Rudbeck, De dudaim Rubenis. (3) Shau, Voyage tom. IH, ch. 3. (4) 1. Reg. HI, 14.— Job, XLI, 11. 182 turano nel tempo della ricolta. che in quei paesi è sul finire di aprile, o sul cominciare di maggio; man- dano gratissimo odore, per cui gli antichi tra le vesti usavano di tenerli; durano lunga pezza sopra la pianta, succedendo a’ già maturi gli acerbi; son molto simili alle mammelle, buoni a mangiarsi e bellissimi a ri- guardarsi; e i lor fiori, anch'essi piacevolmente odo- rosi, con quei filetti che su dal fondo si levano ras- somigliano a un panerino (1). Che se i dudaîm non sieno i cedrati, non ha la lingua ebraica alcun voca- bolo per nominare de’ frutti per altro notissimi nella Giudea. Ma a questi argomenti, che non neghiamo di es- sere molto belli, si può replicare che, essendo Ru- ben di quattro o cinque anni, per quanto voglia sup- porsi robusto qual ragazzino nato alla campagna e al- levato senza delicatezza, non si può mica compren- dere com’egli potesse spiccar dalla pianta e portare in casa alla madre parecchi cedri ; i quali nella Meso- potamia giungono a tal grossezza, che pesano trenta libbre o in quel torno. Nè altronde è verisimile che Rachele, la quale moriva per brama di aver figliuo- li (2), per uno o due cedri volesse cedere alla so- rella il favor del marito. Venendo ora alle mandragore, per esse spiegarono i dudaim Demetrio, Giuseppe Ebreo, s. Girolamo, (1) Cotesta somiglianza tra la corolla del fior di cedro ed un pa- nerino confesso di non vederla. (2)/*Geni XXXI. 183 s. Agostino, s. Cipriano ed altri degli antichi (1). E questa spiegazione appoggiata all'autorità de’ Settanta, e conforme alle versioni siriaca, arabica e caldea, è sostenuta da uomini dottissimi, tra’ quali il Castelli, «il Grozio, il Rivet, il Lemnio, il Drusio, il Fuller, l’Elvico, il Dieterico ed altri molti (2). Le ragioni che alducono son queste. Le mandragore vengono nella Mesopotamia, dove Giacobbe soggiornava colla fami - glia, e sono abbondanti nella Palestina, dove regnava Salomone, che ne’ Cantici ne fa cenno (3). Son belle a vedersi, massime in quei paesi, e spirano soave 0- dore (4), onde il sonno conciliano; possono bene ser - vir ci cibo, e quando sono mature perfettamente si mangiano senza danno (3). Gli antichi tribuivano alle mandragore la virtù afrodisiaca, e le adoperavano ne’ filtri d'amore; onde a Venere davasi l’aggiunto di man- dragorita; e Senofonte nel convito introduce Socrate a dire, che colle mandragore erasì sollevato dal tedio e dalla malinconia; e l’imperator Giuliano in una let- (1) V. Eusebio, Praep. evang. lib. IX, cap. 21, pag. 423; Giu- seppe Ebreo, Antig. jud. lib. I, pag. 31; S. Girolamo, Quaest. Trad. ebr. în Genes. pag. 315; S. Agostino, Contra Faust. lib. XXII, cap. 56: S. Cipriano, Prolog. de cardinal. oper. Christi, pag. 482, ec. (2) Castelli, Animadvers. samarit. Gen. XXX.— Grozio, în Cant. VII. — Rivet, Comm. in Genes. XXX.— Lemnio, Explicat. herb. biblic. cap. II. — Drusio, Tract. de mandrag.— Fuller, Miscell. sacr. lib. VI, cap. 6.— Elvico, De chald. paraphr. pag. 63. — Dieterico, Antig. bibl. pag. 529; cc. (3) Cant. VII, 13. (4) Aben-Ezra, in Genes. XXX.— S. Agostino e s. Cipriano Il. ec. (5) Giuseppe Ebreo; Antig. jud. lib. 1, cap. 19. — Dioscoride. lib. IV, cap. 76. 154 tera a Callisseno scrive, che avea bevuto il sugo delle mandragore. ad eccitare in sè l'amor coniugale; e Ari- stotele afferma (1), che davasi alle donne per procurar loro la fecondità. Perciò la mandragora fu chiamata, pomo d'amore, e si ebbe anche l'epiteto di circea,; perchè credevasi che Circe se ne servisse nelle sue magiche composizioni (2). Le quali tutte cose quadrano così alla parola dudatin, che importa cosa amabile e bella, come al fine di Rachele, la quale sembra che avesse tanta premura di ottenere dalla sorella una por- zion di que’ frutti, non solo per la loro rarità, bel- lezza e fragranza, come dice s. Agostino (3); ma. per- chè lusingavasi che la facessero concepire. | Le obbiezioni che fannosi alle mandragore non sono di gran momento. Perciocchè dicono da prima che esse piuttosto son frigide: ma risponde Levino Lemnip (4) che le mandragore essendo frigide, ne’ climi settentrio- nali cagionano la sterilità, ma ne’ climi meridionali e caldissimi, come la Giudea e la Mesopotamia, dove abitava Rachele, mitigando il calore dell’utero, e to- gliendone la siccità, facilitano invece il concepimento. Soggiungono che le mandragore spirano grave odore; tultavolta s. Agostino, s. Cipriano e altri affermano pre- cisamente il contrario : ma dato pur che sia vera co- testa opposizione, che perciò ? Nella Cantica sta scritto solo che i dudaim sieno odorosi, nè si fa motto al- E (1) Aristotele, Pe gener. animat. tib. HE. (2) Dioscoride, |. c. (3) S. Agostino, L e. (4) Lemnio, De herbis Script. sacr. cap. IH. 183 cuno della loro soavità. Dicono finalmente che le man- dragore non, potevano esser mature nel tempo della ricolta; ma la Scrittura non dice affatto che i dudaim trovati alla campagna da Ruben fossero giunti a per- fetta maturità. Onde può credersi che quel garzon- cello cogliesse le mandragore alquanto acerbe, e che Rachele contuttociò fosse premurosa di averne parte, perchè, come si è accennato, lusingavano l’innocente sua passione di aver figliuoli. Sebbene ciò fu senza effetto, perchè ella restò sterile ancor tre anni; dopo i quali divenuta madre, non per virtù delle mandra- gore, ma per favor di Dio, fu lieta oltremodo di dare alla luce Giuseppe, destinato dalla Provvidenza a sog- getto di grandissimi avvenimenti. LACTUCA AGRESTIS, LATTUGA SALVATICA Lactuca sylvestris Lam. Pianta che ha il caule diritto, duro, liscio e un poco ispido inferiormente; le foglie alterne, amplessicauli, profondamente sinuose, lisce, rozze, un poco spinose negli orli e sopra il nervo inferiore; i fiori piccoli d’un giallo pallido, vischiosi, in grappolo diritto e termi- nale. 7. Gli Ebrei per divina ordinazione nel celebrar cia- scun anno la solennità della Pasqua, mangiar doveano unitamente all’agnello e al pane azimo, dell’erbe chia- mate nel testo originale merorim; parola che importa amaritudine, perché marar in ebreo suona essere ama- ro; meriri, amaro; merora, fiele. Nella version de’ Set- 156 tanta la voce merorim è spiegata picridi : la picride, secondo Dioscoride, è la cicoria salvatica, cicorium in- tybus Linn., ma secondo Plinio, Eliano ed Apuleo (1), è l'amara e latticinosa lattuga che si è descritta. Laon- de s. Girolamo nell’Esodo e ne’ Numeri (2) traduce le picridi del greco per latiughe salvatiche. Contutto- ciò, ponendo mente alla totale mancanza che dell’erbe antidette doveano aver gli Ebrei pellegrinando pel de- serto, io penso con altri (3) che la voce merorim ado - perata ne’ luoghi sopra citati significhi qualunque er- baggio di sapor agro e al palato disaggradevole; il qua- le dovea servir di salsa all’agnello, affinchè gli Ebrei si rammentassero dell’acerba ed amarissima schiavitù d’Egitto, e fossero più grati a Dio loro pietosissimo liberatore. CARDUUS LIBANI, CARDO DEL LIBANO Carduus marianus Linn. Pianta che ha lo stelo scanalato, diritto, rugoso e ramoso ; le foglie grandi, larghe, sinuose, spinose, lisce, verdi, sparse di vene larghe e bianche, i fiori terminali, porporini, grossi e senza bratiee. %. Questa specie di cardo detto comunemente cardo LI santa Maria, cardo asinino, è il carduus leucacantha (1) Plinio, lib. XIX, cap. 8.— Eliano, lib. VI, cap. 4. — Apuleo, Herbar. cap. XXX, il cui titolo De lactuca sylvestri. (2) Exod. XII, 8. — Num. JX, 11. (3) V. Bochart, Mieroz. part. I, pag. 605; Lamy, appar. bibi. pag. 498 ec. 187 di Dioscoride. ll Camerario lo chiama cardo latteo si- riaco (1), e la Scrittura cardo del Libano, perchè ab- bonda nella Siria, massime sulla catena del Libano. Quando Amasia re di Giuda mandò a disfidare Gioas re d'Israele, questi mandò a dirgli dal canto suo : Un cardo del Libano mandò a dire al cedro, che sta sul Libano : Da la tua figlia per moglie al mio figliuolo : ma le fiere del Libano, passando, calpestarono il car- do (2). Con questo apologo Gioas si burla della pre- sunzione di Amasia, il quale perchè avea vinti gl’[du- mei nella Valle delle Saline, già si credeva assai forte per istare a petto con Israele. L'evento corrispose alle minacce, avendo voluto Dio punire per mezzo di Gioas l'orgoglio e l’idolatria di Amasia (3). Infatti, venuti i due re a giornata presso a Bethsames città di Giuda, Gioas vinse Amasia e lo fece prigioniero; entrò trion- fante in Gerusalemme, e fatto un immenso bottino, se ne tornò a Samaria (4). ABSYNTHIUM, ASSENZIO Artemisia judaica Linn. Arbuste che ha i ramoscelli teneri e grigi; le foglie piccole e piane, ottuse, lobate, alquanto tomentose, biancastre; i fiori globosi, in pannocchia ramosa e ter- minale. b. Sempre verde. (1) Camerario, Addition. ad Dioscor. p. m. 303, I, 38, 39. (2) 4. Reg. XIV, 9. — 2. Par. XXV, 18. (3) 2. Par. XXV, 14-16. (4) 4. Reg. XIV, 11-14, — 2. Par. XXV, 21-24, 188 Questa specie di assenzio cresce in gran copia nel- l'Arabia e nella Palestina, particolarmente ne’ dintorni di Betlemme (1) e nel mare di Tiberiade (2), e dà il seme santo o semen contra de’ farmacisti, tanto effi- cace a cacciare ed uccidere i vermi. È anche tonica, febbrifuga e anti-isterica; contuttociò essendo amaris- sima e nauseante più dell’assenzio comune, dagli scrit- tori sacri è noverata col fiele. Ciberò questo popolo di assenzio, e gli darò bere acqua di fiele (3); ed è para- conata a quelle cose che ingenerano dispiacere, dis- gusto, corruzione. Così dinota l’ amarezza dell’ affli- zione. Ricordati della miseria e della persecuzione mia, dell’assenzio e del fiele (4). Dinota un tristissimo fine. Le labbra della donna di mestiere stillano miele, e molli più dell'olio sono le sue parole : ma alla fine la tro- verai amara come l’assenzio, e trinciante come una spa- da a due tagli (5). Dinota i funestissimi frutti del- l'empietà e dell’ingiustizia. Non sia tra voi uomo, 0 donna, famiglia, o tribù, che abbia oggi il cuore alieno dal Signore Dio nostro, per andare a servire agli dei delle nazioni; non sia tra voi questa radice che ger- mini fiele ed assenzio (6). — Avete cangiato il giudizio in oppressione, e il frutto della giustizia in assenzio (17). (1) Zwinger. De herbis, lib. HI. (2) Tabernamontano, Merbar. lib. 1, fol. 21, (3) Jerem. ]X, 15; XXIII, 15. (4) Thren. NT, 19. (>) iProv. V, 3, 4 (6) Deut. XXIX, 18, — V. radice. (7) Amos, VI, 15. 189 L’assenzio finalmente simboleggia l’eresia, che corrom- pe la dolcezza del Vangelo. Cadde dal cielo una stella grande, ardente come una fiaccola, e cadde nella terza parte de’ fiumi e delle fontane : e il nome della stella è assenzio : e la terza parte delle acque divenne as- senzio (1). SALIUNCA, SALIUNCA Valeriana saliunca Linn. Pianta bassissima, che ha le foglie radicali, ovate, interissime, picciolate; le cauline lanceolate e sessili; i fiori portati da peduncoli disposti in corimbo, con un involucro di sei foglioline lineari, il quale ab- braccia tre fiori. %. Il profeta Isaia per far comprendere agli Ebrei che prospero e tranquillo sarebbe stato il loro ritorno dalla babilonica schiavitù, dice tra le altre cose, che là nel deserto, dove prima germogliavan soltanto cattive erbe, come la saliunca e l’ortica, sarebbono cresciuti l’abete e il mirto (2). Bellissima allegoria di ciò che dovea succedere alla venuta del divino Riparatore, quando l’infelice Gentilità, che a somiglianza di una terra ari- da, sterile e abbandonata, non produceva che male erbe, vale a dire ingiustizie e laidezze, irrigata e fe- condata dalla parola di Dio e dalla predicazione del- l’Evangelio, divenne acconcia a produrre utili piante di ogni virtù, e frutti di opere meritorie. (1) Apoc. VII, 10, 11. (2) Isai. LV, 13. 190 ANETUM, ANETO Anetum graveolens Linn. Pianta che ha lo stelo minore di un braccio; le fo- glie moltifide, colle divisioni capillari non molto gran- di, membranose alla base, amplessicauli; i fiori gialli ad ombrella; i semi compressi, solcati e membranosi, di un odore più forte e men piacevole del finocchio. /. CYMINUM, CIMINO Cuminum cyminum Linn. Pianta che ha lo stelo di sette ad otto pollici, li- scio, striato; le foglie moltifide, come quelli del fi- nocchio, ma minori e più numerose; i fiori piccoli, bianchi e porporini; i semi di un gusto aromatico e di un odore penetrantissimo. ©. L’aneto e il cimino si coltivano pe’ loro semi, che vengono adoperati per condimento, ed anche in me- dicina, come carminativi, tonici e diuretici (1). Gli Scribi e Farisei ipocriti pagavano pur la decima di questi semi, quantunque l’erbe più minute non fos- sero per legge alla decima sottoposte. Per cotesta loro affettata scrupolosità meritarono di essere da Cristo rimproverati amaramente (2). (1) Plinio, lib. XIX, cap. $. (2) Matth. XXIM, 23. — V. menta. 191 CORIANDRUM, CURIANDOLO Coriandrum sativum Linn. Pianta che ha lo stelo diritto, ramoso, liscio ; le foglie bipennate, ineguali; le foglioline al basso della pianta larghe, ovali, lobate, incise, superiormente lun- ghe, strette, a due divisioni lineari; i fiori bianchi, un poco porporini, in ombrella a cinque raggi; i semi sferici. ©. Il curiandolo ha un odore acuto e spiacevole quando è verde; ma i semi disseccandosi lo perdono e diven- tano aromatici e di un gusto soave. Mosè descrivendo la manna miracolosa, che Dio fece piovere per qua- rant’ anni a nutrimento del popolo pellegrino , dice che era in piccoli grani rotondi della grandezza e fi- gura de’ semi del curiandolo, ma di bianco colore (I). Della quale similitudine sembra che il divino storico sì servisse, perchè il curiandolo era agl’Israeliti no- tissimo, come gli altri ortaggi, di che grand’uso fatto avevano nell’Egitto (2). GALBANUM, GALBANO Oreoselinum africanum galbaniferum Geoff. Ferula galbanifera syriaca Offic. Tav. VIT. Pianta che ha il fusto legnoso, cilindrico, nodoso, pieno di midolla biancastra alquanto dura; le foglie (1) Exod. XVI, 31. — Num. XI, 7. (2) Forskal, Flor. aegypi. pag. 64. 192 rassomiglianti a quelle dell’anice, ma più larghe, più ferme e più profondamente incise, di color verde glau- co; i fiori piccoli, a cinque petali, gialli, in ombrelle solitarie e terminali. b. Sempre verde. Questa specie di ferola, rispondente al metopion di Dioscoride, differisce assai, come osservò il celebre Tournefort, da quella che Lobel volle a torto chia- mare ferula galbanifera. Essa si trova in Siria sul- l’Amano, or Montenero, in Arabia, in Persia, e in di- versi paesi dell’Africa, principalmente in Barberia. Tutta la pianta contiene un sugo lattiginoso , che sgocciola in poca quantità per incisione, e alcune volte naturalmente da’ nodi de’ fusti che han tre o quattro anni; ma sì costuma di tagliare il fusto a tre o quat- tro dita sopra terra per farne sgocciolare il sugo, che in poche ore si condensa, s’indurisce e si raccoglie. Questa gomma-resina, che si chiama galbano, come la pianta, è duttile al par della cera, giallognola, amara, acre e di un odor disgustoso. Essa entrava nella com- posizione aromatica che sempre dovea tenersi sopra l’altare de’ timiami, per bruciarsene la mattina e la sera. Il Signore disse a Mosè, prendi questi aromi, statte, unghia odorosa, galbano odorifero (1) e incenso (1) Nella nostra Volgata si legge invece, di buon odore : onde alcuni conchiudono, che il galbano degli antichi non è ia gomma- resina, di che parliamo. Ma s. Girolamo potè in quel modo tradur l'ebreo, o perchè degli accenti non fece caso, o perchè il galbano aguzza l’odore degli altri aromi. Conciossiachè spesso quelle cose che han poco, o ingrato odore, miste con altre di odor soave, olez- zano piacevolmente. Così, dice Tachenio , triturando dieci granelli 193 purissimo, il tutto in uguali porzioni; fanne un pro- fumo manipolato con diligenza, e mettilo davanti al Tabernacolo del Testimonio (1). Questo profumo non tornerebbe spiacevole alle nostre donne isteriche e a’ nostri uomini ipocondriaci, nè non sarebbe forse difficile di trovare le stesse cagioni analogiche che lo rendevano un tempo gradito o necessario agli Ebrei (2), per la sua influenza sopra il loro sistema nervoso, ugualmente affievolito come in moltissime persone de’ giorni nostri; ma questa discussione sarebbe straniera allo scopo dell’opera. GITH, GIT, NIGELLA Nigella sativa Linn. Pianta che ha le foglie frastagliate e alquanto pe- lose; i fiori biancastri o azzurrognoli; le caselle com- presse, rotonde, irte; i semi neri, quasi triangoli, di un odor forte, che si avvicina a quello del cimino. ©. Il git de’ Latini, in ebreo kaezach, ed in greco me- lanthion o melanspermon, da noi è anche detto nigella, melantro , gittaione, e volgarmente gitterone , e dal Mattiolo gittone. Î suoi semi, che portano gli stessi nomi, erano dagli antichi adoperati a condir le vi- di ambra e tre di zibetto, e aggiungendovi poche gocce di sugo di limone, si ottiene un soavissimo unguento; eppure l’ambra ha poco odore, e il zibetto quanto è più puro, tanto fa più acuto e men pia- cevole odore. (1) Exod. XXX, 34-36, (2) Eceli. XXIV, 21. 194 vande e rendere saporito il pane (1). Altra volta usa- vansi ancora come diuretici, antelmintici ed emme- nagoghi; ma oggidi servono soltanto in cambio di pepe a’ poverelli di alcuni paesi. Istruttivo e consolantissimo è quel luogo del pro- feta Isaia, dove del git, del cimino e delle grasce muove parola. Porgete le orecchie, dic’egli, ed ascol- tate la mia voce: ponete mente e date retta al mio par- lare. Forse il coltivatore sempre ara per seminare? non rompe e non erpica egli il campo suo? Quando ne ha uguagliata la superficie, non vi semina egli il git, e sparge il cimino, e pone ordinatamente e ne’ luoghi loro il frumento e l’orzo e il miglio e la spelda (2)? Perchè il suo Dio gl’insegna come regolarsi, e lo am- maestra. Il git non si trebbia per via di panconi co denti di ferro, nè la ruota del carro si ravvolge sopra il cimino; ma il git si batte con una verga, e il cimino con un coreggiato. Le grasce in opposito si trebbiano; ma colui che le trebbia nol fa senza termine, nè sem- pre son premute dalla ruota del carro, nè pestate da- gli zoccoli delle bestie (3). Questo tutto significa, che l’agricoltore divino va lavorando in diverse guise at- torno al campo del popol suo, e or la sua grazia vi semina, ora i suoi avvertimenti vi sparge, OT percuote (1) Dioscoride, lib. HI, cap. 93. — Plinio, lib. XIX, cap. 8; XX, 17. (2) Nella Volgata si legge viciam, V. spelda. (3) Isai. XXVIII, 23-28. Quante belle notizie di agricoltura i in poche parole! Si noli poi, che anche i Pagani riguardavano l'arte di col- tivare fa terra come dono del cielo, ed a’ loro dei ne tribuivano l’in- venzione. 195 ed affligge i suoi fedeli, quelli più, quelli meno, se- condo ch’egli crede essere più spediente alla loro sa- lute; e quando gravemente li batte, nol fa con animo di sterminarli e distruggerli, ma sì di purgarli da’ vizì, e renderli netto e puro frumento degno di es- sere riposto nel suo granaio, cioè nel cielo. SINAPIS, SENAPE Sinapis nigra Linn. Pianta che ha gli steli ramosi, striati e un poco pelosi; le foglie inferiori picciolate, pennate, scabre, con un lobo terminante, assai grande, appuntato, dentato, le superiori intere; i fiori gialli, piccoli, in grappoli terminali; le silique lisce, approssimate al- l’asse della spiga. o. Una parabola tolta dal seme di questa pianta, espres- sa in poche parole, ma piena di senso altissimo, pro- pose un giorno alle turbe il benedetto Signore. È si- mile, disse, il regno de’ cieli a un granel di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo : esso è bene il più piccolo fra tutti i semi (1), ma piantato e nato ingrossa, s’innalza e cresce per modo, che si fa maggiore di ogni altro ortaggio, diviene una gran pianta, e moltiplicando e stendendo i suoi rami, ne fa ricovero e stanza agli uccelli dell’aria (2). Lasciati (1) Così credevasi dagli Ebrei, alle cui idee Cristo si adatta in questo luogo. I (2) Malth. XUI, 31, 32. — Marc. IV, 31, 32, — Luc. XIH, 19. Il poela cristiano Giovenco, che fioriva circa Vanno 330, espresse 196 stare i sensi men propri in cui si può interpetrare o s’interpetra questa breve parabola, il più atto, sem- plice e naturale si è, che per la virtù del granello di senape volle il Signor nostro mostrare quanto do- vea crescere e uilatarsi e innalzarsi la predicazione evangelica, e per essa quale e quanta far si doveva la nuova Chiesa. Piccola cosa apparve dunque in sul principio la dottrina e la predicazion del Vangelo, siccome ristretta in Cristo e ne’ suoi pochi apostoli, e piccola cosa comparve, oscura, abietta e spregevole la nascente Chiesa da lor formata entro gli angusti confini della Giudea. Ma il piccol seme, il granello di senape è pien di virtù : virtù di espansione, per cui nella Siria e ne’ paesi di gran caldo presto di- viene una gran pianta (1); virtù di ardore, per cui spezzato e stritolato penetra nelle narici e nel cere- bro, e spira alito e forza di fuoco; virtù purgativa, per cui corregge ed espelle i cattivi umori, e ne sgom- bra lo stomaco, il capo e il petto; virtù di soavità ne’ seguenti non ignobili versi la istruttiva parabola del granello di senape : Haud aliter simile est (cordis si panditis aures) Praeparvi grano regnum coeleste sinapis, Quod proprio insinuans disponit cultor agello, Seminibusque illud minus omnibus esse virentum Creditur, ac justi mox ut crementa viroris Sumserit, erecto transcendit vertice cunctas Agrorum fruges, ramis ut plumea turba Considat possitque umbras habiltare virentes. Ilist. evang. lib. II, sul fine. (1) V. Buxtorfio, Lex. talm. pag. 823, e Giorgio Maregravio, Ilist. rer. natur. Brasiliac, pag. 291. 197 insieme e d’acrimonia, per cui condisce e insapora qualunque cibo (1); tutti effetti in senso spirituale prodotti dalla predicata dottrina dell’ Evangelio; tutti caratteri della Chiesa di Gesù Cristo, che rinchiusa da prima in un angolo della terra, ne uscì, si pro- pagò rapidamente e ampliossi per tutto il mondo; tal- chè sotto la sua ombra benefica e nel fecondo suo seno potè raccogliere, custodire, santificare e salvare senti infinite di ogni clima e di ogni nazione. Alla virtù del granello di senape paragonò Cristo un’altra volta la fede de’ miracoli. Maestro, lo doman- daron gli apostoli, perchè non abbiam noi potuto, per quanto abbiam fatto, cacciare il maligno spirito dal ciovinetto, che voi avete liberato ? Rispose loro Gesù : A motivo della vostra poca fede. Imperciocchè, io ve lo dico in verità, se avrete una fede simile per umiltà alla piccolezza, ma per vigore simile all’acrimonia, all’ardore, alla forza di un granello di senape, potrete dire a questo monte, che abbiamo alle spalle : passa da questo a quel luogo, e il monte subito vi pas- serà; e nulla troverete a farsi impossibile (2). Gran promessa e grande argomento della forza sovrana che ha sul cuore d’ Dio una fede viva dell’ onnipotenza sua e della sua bontà. Egli è vero, che nè le sacre, (1) V. Plinio, lib. XX, cap. 22, e s. Agostino, Serm. XXXI et XXXIII de Sanctis, i quali sono il secondo e il quarto di s. Lo- renzo. Gli stessi sermoni si trovano nel tomo quarto delle opere di s. Ambrogio, edizione di Parigi dell’anno 1586, pag. 771 e seg., ma lo stile sembra piuttosto di s. Agostino. (2) Matth. XVII, 18, 49. 198 nè l’ecclesiastiche storie ci fan sapere che alcun de- gli apostoli abbia mai trasportato di luogo a luogo alcun monte. Ma da questo non può inferirsi se non che agli apostoli non sarà mai intervenuto il caso di aver bisogno per la gloria di Dio e per la conversione de’ popoli, di mettersi a sì gran prova. Del resto, chi non sa che sì gran portento non operato mai dagli apostoli si vide più d’una volta operato da altri mi- nori degli apostoli? Lascio quel che dicono accredi- tate storie del trasporto di un monte fatto per le ora-' zioni de’ Cristiani in Tartaria, all’occasion che un ti- ranno infedele esigea che mostrassero così la veracità della gran promessa fatta dal loro Cristo. Celeberrimo è il fatto di s. Gregorio detto pe' suoi miracoli il Tau- maturgo, allorchè bisognando per la fabbrica di un tempio cristiano un certo spazio di terra occupata da un monte, pregò la notte, e nel giorno appresso si trovò il monte di là spiantato e passato ad altro luogo. E di maggior maraviglia e di altissimo stupore colpì quanti eran presenti e lo videro , quel che il Santo medesimo fece d’una rupe trasportata per l’ efficacia della sua orazione ad altro luogo in prova e conferma della verità della fede. Così è piaciuto a Gesù di adem- piere più volte materialmente e secondo la lettera Ia sua maravigliosa promessa. CAPPARIS, CAPPERO Capparis spinosa Linn. Frutice ramosissimo, che ha i sarmenti lassi e ar- mati di spine gemelle; le foglie alterne, rotonde, in- 199 terissime e lisce; i fiori bianchi, grandi, peduncolati, ascellari, con numerosi stami porporini. b. Tutti conoscono l’uso de’ capperi, che sono i Dbot- toni de’ fiori, e non le semenze, come credono al- cuni. Questi fiori hanno il difetto di cader preslamente, onde possono figurare i capelli de’ vecchi, che van cadendo, e lasciano monda e spogliata la loro testa. A questo allude l’Ecclesiaste allorchè dice : Ricordati del tuo Creatore ne’ giorni di tua giovinezza, prima che arrivi il tempo dell’ afflizione, e sì appressino gli anni noiosi.... in cui i capperi si disperdono (1). BISSUS, BISSO Gossypium herbaceum Cav. Pianta che ha lo stelo duro, di un piede e mezzo e anche più, rossiccio, peloso, ramoso; le foglie a cin- que lobi corti, rotonde con una punta e co’ picciuoli pelosi e punteggiati; i fiori gialli, alla sommità della pianta, peduncolati ascellari; le caselle a cinque logge e cinque valve, contenenti molte semenze ovali, in- viluppate in una lanugine lunga e Hnas che è il cotone o bambagia ©. Diverse son le sentenze degli autori intorno alla na - tura del bisso, di cui fassi frequente menzione nella Scrittura e nelle opere profane. La più parte de’ na- turalisti pretendono che fosse una stoffa fatta della seta delle pinne-marine, specie di conchiglie bivalve. (4) Ecele. XII, 1, 5 200 che si pescano nel Mediterraneo. Ma si pena molto a credere che cotesta seta o lana di pesce fosse sì comune negli antichi tempi, che tante persone, come appresso vedremo, potessero averne de’ vestimenti. Filone per bisso intende l’amianto o lino incom- bustibile (1), sostanza minerale disposta in fila più o meno fine, molli e setose, per lo più bianche, o di colore perlato. Ma Plinio distingue bene il bisso dal- l’amianto, dando a questo il primo luogo, a quello il secondo (2). Alcuni sono di opinione che il bisso e la seta fos- sero per gli antichi la stessa cosa; ma la Scrittura di- stingue apertamente l'una cosa dall’altra. Infatti il profeta Ezechiele nel suo lugubre canto sopra la ro- vina di Tiro, dice che i Soriani esponevano ne’ mer- cati di quell’opulenta città gemme e porpora, e telerie ricamate, e bisso, e Seta (3): e l'angelo che dovea far vendetta della prostituta Babilonia, disse tra le al- tre cose che i mercadanti della terra avrebbero versato amare lagrime, non avendo più a chi vendere le loro merci d’oro e d’argento, e le pietre preziose, e le perle, e il bisso, e la porpora e la seta (4). Altri vogliono sostenere che il bisso non fosse altro che il lino, e che la sola differenza, che tra l’uno e l’altro passava, consistesse nella maggiore, o minore perfezione. Il bisso era più fino, più bello e più pre- (1) Filone, De sommiis, pag. 597, ediz. in-fol. (2) Plinio, lib. XIX, cap. 1. (3) Ezech. XXVII, 16. (4) Apoc. XVII, 11, 12. 201 zioso; ma tuttavia non costituiva una specie diversa; mentre in opposito la Scrittura nominando nello stesso versetto il lino e il bisso (4), mostra che tra l’uno e l’altro correva essenzial differenza. Che cosa dunque era il bisso ? Per me credo che fosse il cotone, stimatissimo dagli antichi e comprato a peso d’oro per la sua rarità; conciossiachè pochi luoghi potevano gloriarsi di coltivar questa pianta. Tali erano principalmente |’ Egitto, del cui bisso tes- suto a diversi colori gli abitanti di Tiro facevano pur le vele in ostentazione di opulenza e di lusso (2); la Giudea, dove a detta di Pausania (3) il bisso si pro- duceva; e la Scrittura ci attesta che in Beth-Asbeah o Casa del giuramento , la quale da alcuni si crede essere Bersabea, un'intera famiglia tra’ discendenti di Giuda intendeva assiduamente a far lavori di bisso (4); finalmente Elide, oggidi Belvedere città della Morea, il cui territorio per testimonianza di Pausania e di Pli- nio (5) fertilissimo era di bisso. Quanto agli usi sappiamo dalla Scrittura che di bisso a filo ritorto e vagamente ricamato furon fatte per di- vino comandamento le diverse cortine e il velo del Tabernacolo (6). Questo velo che divideva il Santo dal Santo de’ Santi, e che si apriva al sommo sacerdote (1) Exod. XXXIX, 27. (2) Ezech. XXVII, 7. (3) Pausania, Eliac. prior. pag. 151. (oto Pars.iV, 21. (5) Pausania, Eliac. poster. pag. 204. — Plinio, lib. XIX, cap. 1. (6) Exod. XXVI, 1, 31, 36; XXVII, 9, 16, 18.—2. Par. II, 14. 202 una sola volta fra l’anno, si squarciò in due parti da sommo a imo, quando il Salvatore spirò sulla croce (4). L’apostolo s. Paolo (2) raffigura in questo velo la carne di Cristo, che nascondeva la sua divinità, e che a ma- niera di velo squarciatasi all’obbrobriosa sua morte, ci ottenne di potere entrare nel santuario di Dio, cioè nel cielo, non più seguendo le ombre della legge, ma quella via che Egli apri nuovamente per noi. Di candido bisso era la tonaca stretta e la tiara del sommo pontefice degli Ebrei, e della stessa materia lavorata a più fila e bellamente tessuta d’oro e di varî colori erano eziandio le altre vesti di lui, cioè 1’ Ephod, ch’ei portava a guisa di tonacella, il Razionale del giudizio, che aveva al petto, e la cintura che due volte a’ fianchi lo avvolgeva prima di annodarsi e pendere sino a terra (3). A’ quali paramenti sembra che alluda Ezechiele profeta, ove rimprovera alla Sinagoga la sua ingratitudine e la sua scelleratezza superiore a quella di Sodoma e di Samaria (4). Il bisso serviva pure di materia alle vesti delle per- sone distinte. Di bisso infatti fece Faraone vestir Giu- seppe, quando si piacque di sollevarlo alla carica di vicerè dell'Egitto (5). Ammantato di bisso Davidde pre- cedeva l'Arca del Testamento, che con grande apparato fece trasportare dalla casa di Obededon in Gerusalem- (1) Matth. XXVII, 51. (2) Hebr. X, 20. (3) Exed: XXYHL, 6, 85 15,-39. (4) Ezech. XVI, 10, 15. (5) Gen. XLI, 22, 23. 205 me (1). Anche a’ leviti e a’ cantori permise Salomone di vestirsi di bisso, quando l'Arca fu riposta nell’o- racolo del Tempio, sotto le ali de’ cherubini (2); af- finchè lo splendore degli abiti accrescesse la pompa di quella sacra funzione. Di bisso pure adornavasi quella donna forte, che fu dal Savio estimata degna di bellissimo elogio (3); e l’Epulone dell’Evangelio (4), il quale fu condannato ad ardere nell'inferno, non già perchè di bisso vestivasi, ma si perchè essendo uomo privato, consumava nel lusso e nella crapola quel denaro che era dovuto a’ poverelli. Alla Chiesa sposa dell’ Agnello immacolato, che è Gesù Cristo, fu concesso nel giorno delle sue nozze di vestirsi di bisso candido e lucente, perchè, come dice s. iovanni, questo abbigliamento significa la giu- stizia, la santità e le buone opere de’ Santi (8); e gli eserciti che son nel cielo, cioè le schiere degli angeli e de’ beati, tenevan dietro all’Agnello di bianco e puro bisso vestiti (6); perchè questa veste è pur simbolo della felicità, della gloria e del trionfo. TRIBULUS, TRIBOLO Fagonia arabica Miller. Tav. IX. Pianta che ha gli steli legnosi, biancastri, armati in ogni nodo di quattro lunghe spine rozze; le foglie (bf. Par: N24 (CV2°Par. V; "12 (3) Prov. XXXI, 22 (4) Luc. XVI, 19. (5) Apoc. XIX. $ (6) Ibid. 14. 204 picciolate, a tre fogliette lineari ed appuntate; i fiori violetti. ©. Due specie di tribolo da Dioscoride, Teofrasto e Pli- nio si distinguono (1), il terrestre e l’aquatico. Il tri- bolo terrestre, secondo Teofrasto, altro è senza spine, altro spinoso; e questo certamente sotto nome di tri- bolo s'intende dagli scrittori. Il quale avendo le se- menze rotonde, racchiuse în silique, giusta la descri- zione del principe degli antichi botanici, è chiaro che non può essere il tribolo terrestre de' moderni, detto anche ceciarello, e basapiè in volgare veneziano. Con- frontata la breve descrizione e l’effigie che Tommaso Shav dà ne! suo Catalogo delle piante dell’ Africa e dell’Asia al numero 229, con quel che dicono Dio- scoride, Teofrasto e Plinio, è mestieri conchiudere col Celsio e collo Sprengel (2), che il tribolo degli an- tichi risponde alla fagonia arabica de’ moderni, do- mestica de’ luoghi deserti e abbandonati dell’ Arabia e dell'Egitto. Quesia pianta nociva ebbe luogo nella prima pena data all'uomo dopo il peccato. Poichè tu, o Adamo, gli disse Dio, poichè dimentico del mio divieto, con indiscreta compiacenza seguisti le ree lusinghe della tua moglie, e a mangiar ti recasti il frutto interdetto; vedrai sotto le tue mani la terra cambiar natura; ma- ledetta e restia sarà per l'avvenire alle tue fatiche : (1) Dioscoride, lib. IV, cap. 15. — Teofrasto, lib. VI, cap. 5. — Plinio, lib. XXI, cap. 15, 16. (2) Olao Celsio, ZHierob. part. HI, pag. 137. — Sprengel, Storia della bolanica, tom. I, pag. 16. 205 con disagi e noie infinite ti farai a coltivarla, ed essa ti produrrà triboli e spine(1), che scemeranno di molto la tua ricolta : più non saranno tuo cibo i dolci frutti spontanei del paradiso, ma le volgari erbe della terra. In somma non mangerai un boccone di pane che non ti costi il sudore della tua fronte (2). Dalle quali me- morande parole non può mica inferirsi, che i triboli e le spine fossero da Dio creati dopo il peccato; per- chè ripugnerebbe al testo, il quale ci fa sapere che Dio nel settimo giorno si riposò, cioè cessò dal creare o produrre di nuovo cosa alcuna materiale. È a dire bensì che i detti incomodi vegetabili in maggior co- pia e tra’ buoni frutti germogliarono dopo il peccato: e oltracciò germogliarono all'uomo, perchè a lui costa gran fatica l’estirparli; dove prima erano solo o per gli animali, o per la pienezza dell'universo. ORUTA, RUTA Ruta graveolens Linn. Arbusto che ha gli steli ramosi, lisci, alquanto gri- gi, a cespuglio; le foglie picciolate, ricomposte; le fo- (1) Exemplo tuo semper tibi terra rebellans, Vepribus, ac tribulis armata resistere discet. Arcimo Aviro, lib. III, v. 165. Criminibus tellus, quam tu sulcabis aratro, Sit maledicta tuis, spinas tribulosque minaces Culta ferat. Mario Virrore, Comm. in Genes. lib. I, v. 494. Et steriles spinas sparsa pro fruge levandas, vali, ct tribulos pro fructibus. Idem. lib. II, v. 76, (2) Gen. HI, 17-19. — V. Hebr. VI, 8. 206 slioline un poco carnose, lisce, bislunghe, ovate, in- cavate alla base, di un verde glauco; i fiori di un giallo chiaro, peduncolati, con quattro petali, fuori del terminante, che ne ha cinque. b. Sempre verde. La ruta per testimonianza del Bochart cresce spon- tanea nella Terra Santa. « Le campagne, dic’egli, sem- brano orti, ne’ quali crescono da per tutto il finoc- chio, la salvia, la ruta e le rose (1). » Ma questa spe- cie colà veduta anche dal Bellon (2), è diversa da quella sopra descritta , di cui fassi menzione nella Scrittura, e risponde alla ruta sylvestris minor di Mil- ler, detta da Jacquin ruta legitima. La nostra ruta, o ruta de’ giardini, è di acutissimo odore e di sapore amaro e spiacevole. In medicina si adopera come em- menagoga, antelmintica e risolutiva. Gli antichi l’ado- peravano anche per cibo e per condimento, sì verde che secca (3); e l’Evangelista l’annovera tra quegli or- taggi, de’ quali gl'ipocriti Farisei erano scrupolosi di pagar la decima senza che ne avessero l’obbligazione (4). LINUM, LINO Linum usitatissimum Linn. Pianta che ha le radici a fittone con alcune fibre laterali; lo stelo diritto, cilindrico, ramoso nella som- (1) Bochart, Descr. T. S. pag. 92. (2) Bellon, Observ. singul. I. (3) V. Apicio Celio, De arte coquendi; Arnobio, Adv. Gentes, lib. VII, pag. 223: Ammiano, Epig. de coena Apellis, che trovasi nell’Antologia degli epigrammi greci, cap. L, pag. 387. (4) Luc. XI, 42, — V. menta pel rimprovero che lor fece Gesù Uristo. 207 mità; le foglie alterne, lanceolate, appuniate, strette, sessili; i fiori solitarì nella sommità della pianta, ce- lesti, peduncolati; le semenze ovate e compresse. o. La vera patria del lino è senza fallo l'Egitto, dove ha una bianchezza e finezza particolare, ed è abbon- dantissimo; attalchè non solo somministrava le vesti- menta a tutti i sacerdoti (1), e a tutte le notabili per- sone, che altre non ne portavano (2), e le moltissime fasce nell’imbalsamazione de’ cadaveri (3), ma ancora gran quantità ne era spedita ne’ paesi stranieri (4), come praticasi tuttavia. Da ciò può inferirsi quale do- vette essere la desolazione degli Egiziani, allorchè Dio per punire l’ostinatezza di Faraone, col flagel della grandine mandò a male tutto il loro lino, che già faceva il seme (5). Ve n’ha di quelli che parlano siffattamente dell’an- tichità del lanificio, come se ne’ tempi vetusti gli uo- mini poca, o nessuna cura si prendessero del lino. Egli è vero che gli antichi scrittori parlan poco del lino, ma nelle divine Scritture se ne fa spesso men- zione: e provasi colle memorie di tutti i tempi che al lavoro del lino assiduamente intendevano le donne (1) V. Apuleo, Apolog. pag. 69; Plutarco, De Iside et Osiride, pag. 352: s. Girolamo, Comm. in Ezech. cap. XLIV, pag. 257, ec. (2) V. Erodoto, £uterpe, pag. 134; FI. Vopisco, în Aureliano, pag. 4419 e 428; Ateneo, lib. X, pag. 451. (3) V. Giovanni Gravio, Pyramidogr. pag. 50, Monum. vet. Kemp. pag. 35. (4) V. Arriano, Peripl. Maris Erytr. pag. 145; Benjamin, Iiné- raire, pag. 125. (5) Exod. IX, 31. 208 ebree. Celebre più d’ogni altra è la testimonianza di Salomone, il quale nell’ammirabil pittura che fa d'una donna forte, cioè d’una insigne madre di famiglia, dice tra le altre cose, che ella si procura della lana e del lino, e lo mette in opera colla perizia delle sue mani (A). La storia di Giosuè ci fa sapere che de’ lavori di lino non occupavasi negligentemente la giovane ostessa no- mata Rahab; poichè narra che avendo ella dato rico - vero a’ due valentuomini mandati a Gerico da quel celebre condottiero del popolo di Dio, per vedere e spiare con diligenza le cose tulte della città e del paese; e la sera temendo o già sapendo di quello che non poteva fallirne, cioè che sarebbero ricercati, li fe’ sa- lire subitamente in sul tetto fatto a terrazza della sua casa, e per nasconderli li appiattò sotto le stoppe, che sposte avea colassù, e ammonticchiogliene tante ad- dosso, che non paressero (2). E il profeta Isaia va- ticinando contro gli abitanti di Gerusalemme ostinati nel loro pervertimento , dice ad essi, tutte le cose nelle quali voi confidate saran come stoppa, che fa- cilmente si abbrucia (3). Amando Dio, ne’ sacri ministri la mondezza pur del vestire, fece comandamento che aver dovessero imme- diatamente sopra la carne una veste talare di bianco lino, attenentesi convenevolmente alla vita, e che di lino pur fossero non solo i loro: baltei o fasce, e le (1) Prov. XXXI, 153. (2) Jos. TI, 6. (3) Isai. 1, 31. 209 tiare dette altrimenti cidari, che per maestà portavano e per ornamento, ma le brache medesime, onde co- privano l’ indecente lor nudità da’ lombi fino al gi- nocchio (1). I sacerdoti dunque entrando di servizio e di settimana nell’atrio interiore del. Tempio, lasciar doveano ogni cosa di lana, e vestirsi degli abiti an- tidetti, de’ quali si spogliavano per riporli nella ca- mera del santuario prima di uscire nell'atrio esteriore, dove il popolo si stava (2). Le vesti di candido lino significano la purità e la santità sì necessarie a’ sa- cerdoti, e sono anche simbolo di allegrezza e di glo- ria; il perchè leggesi che Davidde, deposta la maestà reale, saltava a tutta forza dinanzi all’Arca, cinto di un ephod di lino (3); e gli angeli stessi di puro e can- dido lino vestiti discesero altre volte sopra la terra (4). Di una lebbra singolarissima, che pur le vesti di lino qualche volta attaccava, parlasi nella Scrittura (5) : essa manifestavasi per alcune macchie, che corrode- vano il tessuto, o lo guastavano interamente. Questa lebbra non era conosciuta fuori della Giudea, il per- chè non solo varî antichi rabini (6), ma anche Teo- (1) Exod. XXVII, 40, 42. (2) Ezech. XLIV, 17-19. (3) 2. Reg. VI, 14.— Quest'ephod diverso assolutamente da quelle del pontefice, credesi che fosse una specie di cintura, la quale ser- rava a’ fianchi la tonaca interiore. (4) Ezech. IX, 2.— Dan. X, 5.— Apoc. XV, 6. (5) Levit. XIII, 47. (6) V. i Talmudisti nel trattato He plagis, cap. XI, c Maimonide, De lepra. Vi 210 doreto (1) ed altri interpetri dicono, che essa era un male da Dio mandato agli Ebrei in gastigo de’ loro peccati. Si sa che alcune malattie, come la tisi, pos- sono infettar le vesti dell’ammalato a segno di comu- nicare il male a chi dopo lui ne faccia uso; onde in varì paesi sono state fatte delle leggi per ordinare V’ab- bruciamento di tali vesti. Egli è pur facile a conce- pire che ne’ paesi caldi un male attaccaticcio, come la lebbra, poteva fare una strage più grande; contut- tociò riflettendo agli effetti che la lebbra negli abiti produceva, egli è forza conchiudere che noi non co- nosciamo nè malattia, nè alcuna specie di vermi, da’ quali potessero provenire. Iddio fece comandamento agli Ebrei di non coprirsi di vesti tessute di lino e lana (2). Giuseppe Ebreo crede, che secondo la lettera questo divieto abbia per ragione l'aver voluto Dio, che il vestire del popolo da quello de’ sacerdoti si distinguesse (3): ma questo è falso. Imperciocchè la proibizion di far uso di vesti tessute di due materie, che leggesi nel Levitico (4), e che nel citato. luogo del Deuteronomio vien dichiarata, riguarda tanto i sacerdoti e i leviti, che le altre tribù d'Israele, e niente evvi di peculiare pe’ laici. E veramente, quan- tunque al pontefice varie vesti sì prescrivessero di bis- so, di giacinto, di porpora e searlatto (5). contuttociò (1) Teodoreto, Quaest. XVII in Levit. (2) Deut. XXII, 11. (3) FI. Giuseppe, Antig. lib. IV, cap. $. (4) Levit. XIX, 19. ù (5) Exod. XXVII, 2114 non vedevasi in esse alcun miscuglio di lino e lana; anzi, come avanti si è cennato, l’uso delle vesti di lana interdetto era a’ sacerdoti nell'esercizio del sacro mini- stero. Varie ragioni sì adducono di cotesta legge ce- rimoniale. L'esterno vestito. dice s. Tommaso, fa con- setturare dell'interno dell’uomo. Però volendo il Si- gnore che il suo popolo dagli altri popoli si distin- guesse, non solo per la esterna circoncision della car- ne, ma anche per la maniera di abbigliarsi, gli proibì di coprirsi di vesti tessute di lino e lana; primamente a distoglierlo da ogni culto idolatrico, essendochè i Gentili di somiglianti abiti variamente tessuti facevan uso nel culto delle loro divinità (1). Così la pensò Guglielmo Parigino prima di s. Tommaso. L’uso delle vesti tessute di lino e lana, dic’egli, fu proibito se- condo la lettera, perchè i sacerdoti idolatri, massime in Egitto, di cosiffatte vesti usavano di ricoprirsi. Il divieto dunque ebbe per oggetto di far si che il po- polo di Dio agli idolatri non si assomigliasse (2). 01- ire a cotesta letterale ragione, altre morali ne addu- cono gli autori. S. Isidoro Pelusiota è di avviso, che Dio per l’ antidetta osservanza intese allontanare gli Ebrei dalla mollezza e dal lusso, ed ammaestrarli di dover dare opera all’ornamento dell’anima. (3). Teo- doreto e altri opinano, che per cotesta proibizione si accomandi la semplicità de’ costumi, si condanni la (1) S. Tommaso Prima Secundae, quaest. CH, art. 6. (2) Guglielmo Parigino, De legibus, cap. XIII. (3) S. Isidoro Pelusiota, lib. HH, epist. 84. 212 doppiezza e l'ipocrisia, e si proscrivano le false opi- nioni e l’eresie, che mescolano l’errore colla verità (1). Così la pensano eziandio s. Cirillo Alessandrino, Pro-. copio, Ruperto abate e l’angelico s. Tommaso. Quando i tremila uomini mandati dalla tribù di Giuda per arrestare Sansone , ebbero in potere quel prode, con due funi nuove e robuste assai lo lega-. rono strettamente come un lione, e lo condussero al campo de’ Filistei. Ma quivi Sansone, dato un crollo della persona, spezzò a un tratto le funi che lo strin- gevano, non altrimenti di quello che faccia il fuoco di un sottil filo di lino (2): il quale, com'è noto, ha questo di particolare che facilmente si accende. Ed è perciò che una volta si usava a farne i lucignoli (3); nel qual senso il vocabolo lino è adoperato dal pro- feta Isaia (4). Parlando il Signore con Geremia, gl’ impose di comprare una cintura di lino crudo, non lavato, nè imbiancato, e di portarla intorno a’ suoi fianchi. Un’al- tra volta gli disse di prenderla e di andare a nascon- derla in qualche buca presso all’Eufrate; e dopo un gran numero di giorni parlandogli di nuovo, gli disse di andare al fiume e ripigliarsela. Lo che fatto avendo il profeta, trovò che la cintura era marcita, e non po- po \ teva più servire a nulla (5). Qui è a sapere primie- (1) Teodoreto, Quaest. XXVII in Zevil. @) dud. XV; 13, 14. (3) Plinio, lib. XIX, cap. 1. (4) Isai, XLII, 5; XLUHI, 17.—V. Matt©h. XI, 20. (5) Jerem. XIII, 1-7. 2413 ramente, che essa non era una cintura ordinaria, ma piuttosto un gonnellino, che portavano gli uomini par- ticolarmente o per viaggio, o lavorando alla campa- gna, il quale serviva loro invece di calzoni che non aveano, il perchè veste donnesca è appellata da s. Gi- rolamo (1) : era simile a que’ calzoncini alla spagnuola, che in alcuni luoghi si portano da’ magistrati. In co- testa cintura di rozzo lino poi era figurato il popolo d'Israele, perchè egli a detta di s. Girolamo, come il lino preso dalla terra, non era nè bello a vedersi, nè di alcun pregio per dolcezza e candor di costumi; onde se da Dio fu amato di grande amore, se Dio a sè lo unì, fu questo puro effetto della sua infinita bontà. Ma quando questo popolo sordido fu divenuto e odioso a Dio per le sue iniquità, Dio passar lo fece di là dall’Eufrate, nascosto e confuso tra le nazioni, dove per settant'anni restò a marcire nella miseria e nella tribolazione. Il lungo viaggio fatto due volte dal pro- feta sino all’ Eufrafe per nascondere la cintura e ri- pigliarsela, dovea servire a risvegliare l’attenzion de- gli Ebrei per intendere il mistero nascosto in un fatto assai nuovo e straordinario. Parve un giorno al profeta Ezechiele di esser con- dotto da Babilonia nella Giudea, e posato in sul monte, dove era già il famoso Tempio, che allora era ridotto in una massa di pietre e di rovine, come Ja santa città. Fatto entrare nella gran fabbrica, vide un an- gelo da Dio mandato per dargli le dimensioni del nuo- (1) S. Girolamo, Procm. in Oscam. 214 vo Tempio, il quale aveva in mano una corda di li+ no (1). Di tale corda, chiamata da Zaccaria corda da misuratore (2), servivansi gli antichi Ebrei per misurar le lunghezze e i piani di qualche estensione , come altrove si accenna (3). Per la qual cosa sotto nome di corda alle volte s'intende la possessione medesi- ma, che per essa vien misurata. Così nel Deuterono- mio : Giacobbe è la corda del divino retaggio (4); e Da- vidde dice ne’ Salmi: Le corde mi son cadute in luo- ghi dilettevoli (5), vale a dire mi son toccati posse- dimenti belli e opimi. Di lino pur fassi menzione ove si allude al lusso e all’inverecondia delle donne di mestiere. Osea con una similitudine usata da’ profeti rassomigliando Es- raele ad una donna che fa copia di sè medesima, le fa dire: Anderò dietro a’ miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana e il mio lino (6). Israele qual donna adultera attribuiva a’ suoi drudi, vale a dire agl’idoli delle genti, ciò che avea ricevuto da Dio suo ottimo sposo, il perchè il profeta minaccia che ne sarà spogliato. Ma si ritorni al lino di Egitto, di cui leggesi an- cora: Saran confusi coloro che lavorano il lino petti- nato, e ne fanno de fini lavori (7), 0 come da altri si (1) Ezech 0,72, 4. (2) Zach. II, 1. (3) 2. Reg. VII, 2,— Ezech. XLVII, 3.— Amos, VII, 17. (4) Deut. XXXII, 9. (3) Psal. XV, 6. (6) Osee, HI, 5. — V. Ezech, XVI, 15, 16,'32#98. (1) dsar. XIX 9. 215 traduce l'ebreo, che lavorano il lino crudo, e ne fanno delle reti. ll profeta annunzia uno de’ mali che av- venne agli Egiziani per cagion della guerra cogli As- sirij i quali distruggendo tra le altre cose tutti i ca- nali che intersecavano il Delta, fecero venir meno la coltivazione del lino; e tante persone che sì occupa- vano a lavorare veli e merletti, o secondo l’altra ver- sione, a farne reti da pesca, mancando la materia, divennero tristamente oziose, e conobbero a loro grande confusione, che l'industria e l'amor del travaglio non erano preservativi della miseria. LENS, LENTICCHIA Ervum lens Linn.” Pianta che ha gli steli deboli, minuti, corti, ango- losi ; le foglie pennate con dieci o dodici foglioline bislunghe e un capreolo nella sommità del peziolo; i fiori bianchicci, due o tre insieme, peduncolati, a- scellari; 1 gusci bislunghi con una a quattro semenze rotonde e convesse da ambe le parti. ©. Il Martin coll’autorità di Ateneo (I) asserisce, che questo legume, di cui si fa gran consumo nelle nostre cucine, serviva agli antichi di pane insieme e di com - panatico, e che essi ne facevano anche la pappa a’ bambini in fasce (2). Stimatissime eran poi le lentic- chie d'Egitto, e tanto che degli Alessandrini diceasi (1) Ateneo, lib. IV, cap. 14 el seg. (2) Martin, Zapl. de plusieurs textes difficiles etc. Expl. V. 216 esser nudriti e tutti quasi formati di questo Jegume (1), che alessandrino quasi per proprio aggiunto era chia- mato (2). I filosofi della Grecia per lungo tratto di. tempo imitarono gli Alessandrini. Gli Stoici lo fecero massimamente, i quali tra’ lor precetti avean questo : « Il savio opera sempre con rettitudine, ed è sollecito di condir le sue lenti (3). » Ma siffatto cibo cadde poi dapertutto in tanto disprezzo, che si dava consiglio a chi costretto era mangiarne, di morire piuttosto che avvilirsi sino a tal segno (4). Quindi il Casaubono (5) è d’avviso, che l’ingiuriosa parola faquin in francese, e di facchino in italiano sia venuta da somigliante litolo derivato da phake, lenticchia, che i Greci per disprezzo davano a’ mangiatori di questo lesume. Se a’ tempi loro fosse vissuto Esaù, avrebbe certo ricevuta siffatta ingiuria per quel che fece. Tornato un giorno stanco oltre il solito dalla caccia, trovò che Giacobbe avea fatto cuocere e squisitamente condire una minestra di lenti, e veggendone l’ottimo aspetto, e il soave odore sentendone, n’ebbe grande appetito. L'orso, dice il volgare proverbio, avea trovato il miele. Dunque volto a Giacobbe: Dammi, gli disse, di cote- sta vivanda rossa, perchè io nel vero non posso più dalla fame. Giacobbe già dalla madre fatto consape- (1) Atenco I. c. (2) Virgilio, Georg. lib. 4, v. 228. — Marziale, lib. XHII, epigr. 9.— A. Gellio, lib, XVI, cap. 8. — S. Agostino, în Psalin. XLVI. (3) Ateneo, I. c. (4) Ibid. (5) Casaubono, in Athen, lib. IV, cap. 15, 217 vole del divino oracolo a suo favore, colse questa oc- casione e, Volentieri, rispose; ma se io debbo privar- mene cedimi qualche cosa. Che vuoi? Esaù replicò. A cui Giacobbe: Vendimi i tuoi dritti di primogenito. Esaù, il quale divorava cogli occhi quel buon piatto fumante che aveva innanzi Giacobbe: Prenditi, ripigliò, quanti dritti tu vuoi, ma fa che io mangi tosto, al- trimenti mi muoio, e morto che io fossi, a che po- trebbon giovarmi cotesti dritti? Giurami dunque, con- chiuse Giacobbe, che me li cedi, e tienti da me tutto quello che sai bramare. Esaù giurò e mangiò e bevve quanto gli piacque, e così come fu sazio andonne pe’ fatti suoi, poco o nulla curando la vendita de’ dritti di primogenito (1). Cotesti dritti credesi che fossero, primo, una specie d’autorità, di superiorità e dominio sopra il rimanente della famiglia. Secondo, una doppia partie nella di- stribuzion tra’ fratelli della patria eredità, il qual dritto fu anche per divina legge confermato (2). Terzo, la “dignità del sacerdozio e il privilegio di sagrificare nella famiglia, quand’essa era riunita. Quarto, la paterna benedizione, vale a dire una speciale profusione di voti in favore del primogenito, della quale gran conto facevasi e con ragione, perchè la benedizione del pa- dre, dice l’Ecclesiastico, perpetua le case de figliuoli (3). Ora che cosa dee pensarsi di Giacobbe che comprò, e di Esaù che vendè sì belle prerogative? (1) Gen. XXV, 29 et seq. (2) Deut. XXI, 17. (3) Eccli. II, 11. 218 Quanto a questo secondo, tutti lo condannano di peccato, anzi di più peccati. Né può scusarlo la ne- cessità della fame, su cui sembra che egli volesse giu- stificarsi. Imperciocchè non è mica credibile che nella ricca e abbondante casa d’Isacco non ci fosse altro a mangiare, per poco che ne cercasse, fuorchè le len- ticchie apprestatesi da Giacobbe. Ma sì le sue parole dimostrano un furore di gola e una ingordigia piena d’impazienza. Anche la non curanza e il disprezza che egli di questo fatto senti e mostrò come cosa da nulla, non fu per giudizio de’ Padri senza peccato, che al- cuni aggravano tanto più, quanto lo riferiscono al dritto ceduto di essere progenitore del promesso Messia. Certo è che l’Apostolo riprende in questo fatto gravemente Esaù, e lo dice apertamente profano (4). Quanto a Giacobbe, non è egli certo ad imitare nel pretendere di trar profitto dall’ altrui necessità. Pur- nondimeno nè la Scrittura lo riprende di avere in que- sto fatto commesso alcun fallo, e lo scusano comu- nemente i Dottori e i Padri per le ragioni seguenti. I dritti di primogenito Giacobbe sapeva esser già suoi per dritto divino, non intese quindi comprarli, ma sì vendicarli da un illegittimo possessore. Farglieli ri- conoscere e ottenerne una cessione spontanea dal vio- lento fratello era impossibile. Non gli restava che il mezzo di carpirglieli per artifizio. Questa cessione dun- que sendo di cosa che non era nel vero del creditore valea pochissimo, siccome quella che non era cession (4) Hebr. XII, 16. 219 reale, mentre i dritti di primogenito Giacobbe gli avea da Dio, ma solamente ideale nell’opinion d’Esaù. Però quartunque il contratto, trattandosi d’una cession reale di dritti sacri e grandissimi, fosse di sua natura nullo ed illecito, contenente lesione enormissima, e viziato per simonia, lecito era e valido per Giacobbe, presso ‘cui questa cession d'Esaù non era per nessun modo reale d’alcun dritto che fosse suo, ma una semplice cessione di nessun prezzo. Vero è che diede con ciò al fratello occasion di pec- care, il quale ignorando l’ oracolo che favoriva Gia- cobbe, pensò esser richiesto d'una vera cession reale di cosa sua, ma Giacobbe non intese questo peccato, e non mirò che a sostenere i suoi dritti legittimi, e a così fare si pensò stretto nella semplicità di quei tempi dalla necessità. Ella è questa su cotal punto la sostanza della dottrina de’ Padri, singolarmente dell’an- gelico dottor s. Tommaso, raccolta dal Gaetano (4); il quale spiega quelle parole, vendimi i tuoi dritti di primogenito, in questo senso reale: Dammi i dritti di primogenito che sono miei; e perchè non vuoi dar- meli gratuitamente, eccoti le lenticchie che tu desi- deri. Gli Ebrei aggiungono una tradizione riferita da s. Girolamo (2), che Giacobbe comprasse per altro prezzo giustissimo la primogenitura da Esaù, e che la mi- nestra di lenti non fosse altro che un dono: ma di 4 questo non è cenno nella Scrittura. (1) Gaetano, Comm. in Genes. XXV. (2) S. Girolamo, Tradit. hebr. sup. Genes. XXV, FABA, FAVA Faba vulgaris Moench. Pianta che ha gli steli diritti, tetragoni, fistolosi ; le foglie alate, bislunghe, quasi sessili; i fiori ordi- nariamente bianchi, con una gran macchia nera nel mezzo di ciascun’ala, molti riuniti insieme sopra un peduncolo cortissimo e ascellare; i gusci bislunghi, sugosi, con due, tre, o quattro semenze grandi, bis- lunghe, schiacciate, il cui bellico trovasi ad una estre- mità. Se ne distinguono più varietà. ©. La Scrittura ci fa sapere, che Iddio volendo dare un'idea delle future calamità degli Ebrei, comandò tra le altre cose al suo profeta di fare trecento novanta pani di farina grossolana di frumento, d’orzo, di mi- glio, di fave, di lenticchie e di spelda (1), di cuo- cerli sotto la cenere, e di mangiarne uno per gior- no (2); affinchè comprendessero gli Ebrei che per le loro iniquità sarebbonsi ridotti a mangiare pane im- mondo nel tempo del memorando assedio di Gerusa- lemme. CICER, CECE Cicer arietinum Linn. Pianta che ha gli steli diritti, diffusi, angolosi; le foglie alate, con quincici a diciassette foglioline ovate, pelose, dentate; i fiori piccoli, violetti, solitari, ascel- (1) Nella Volgata si legge viciam, veccia. V. spelda. (2) MEzech, CIV (9930012,137 221 lari, con un peduncolo piegato a guisa di gomito; | gusci gonfi, romboidali a due semenze. ©. Leggesi nella Scrittura, che Davidde giunto colle sue genti in Mahanaim (che significa gli alloggiamenti) città levitica posta oltre il Giordano, quivi ebbe agio di ristorarsi, e di ricevere soccorsi assai. Sobi re degli Ammoniti, che egli stesso avea sostituito ad Annone (1), e Machir figlio di Ammiele di Lodabar, quell’ uomo ricchissimo che avea nutrito per molto tempo Mifibo- set figliuol di Gionata (2), e Berzellai di Galaad nome chiarissimo nella divina storia (3), fornirono a gara a Davidde e alle genti di lui ogni maniera di agi e di vettovaglie, tra le quali fave, lenticchie e ceci tosta- ti (4); a tutte le quali cose il ribelle Assalonne non pose ostacolo, perchè era inteso a radunar moltitudine da tutto intorno. STERCUS COLUMBARUM, STERCO DI COLOMBI Species ciceris Bochart. Narrasi nella Scrittura che quando Benadad re di Siria mosse guerra per la seconda volta contro Gioram re d'Israele, lo che avvenne l’anno del mondo 3119, avanti l’era volgare 881, giunse a mettere stretto as - sedio a Samaria, che serrò in guisa da togliere alla città tutti i mezzi da procacciar vettovaglie per la ne- (1) S. Girolamo, Tradit. hebr. (2)°2.0heo.\IX, 4. (3) Ibid. XIX, 31-38. (4) Ibid. XVII, 27, 28. cessaria sostentazione de’ cittadini; e andando in lungo l'assedio, la fame crebbe a tal segno, che arrivò a vendersi la testa d'un asino ottanta sicli d’argento, vale a dire quasi trentadue ducati, e la quarta parte d’un cabo (1) di sterco di colombi, cinque sicli d’ar- cento, cioè due ducati (2). Agitatissimo e controverso si è perchè tanto valesse una piccola misura d'una materia sì vile, e a qual’uso fosse comprata. Pensano alcuni che gli abitanti di Samaria costretti dalla fame si servissero della colombina per cibo (3); e mostrano che di ciò non mancan gli esempi. Senna- cherib re d’Assiria, prese le città forti della Giudea, mandò Rabsace a Gerusalemme, il quale non potendo indurre i cittadini ad arrendersi, minacciò di ridurli a mangiare è propri escrementi, e a bere la propria orina (4). È certo per testimonianza di Varrone e di Plinio (5), che lo sterco de’ tordi e de’ merli non pur giova a fertilizzare i campi, ma anche ad ingrassare i bovi ei porci. Perchè poi non potrà l’uomo stimo- lato dalla fame cibarsi di quello onde s’impinguano gli animali? Forse la colombina è meno acconcia a nudrire degli escrementi de’ merlì e de’ tordi? Si sa che la fame, quando è eccessiva, diviene smaniosa e (3) I eabo per consentimento degli Ebrei aveva la capacità di ven- liquattro ovi: sicche la quarta parte era uguale alla misura di sei OVÌ. (2) 4 Reg. VI, 24, 25. (3) V. Eutichio Alessandrino, Chron. pag. 213, il Grozio, l'A-Lapide e altri su questo luogo. (4) Isat. XXXVI, 12. (5) Varrone, Pe re rust. lib. I, cap. 38. — Plinio, lib, XVII, cap. 9. 225 furente, nè non si lascia frenar dal pudore, o dal cal- tivo gusto, o da qualsivoglia altro riflesso; il perchè da’ poeti è chiamata oscena e cattiva consigliatrice. Leg- gesi che negli assedi delle città si è arrivato a mangiare la pelle degli scudi, i calzari, le redini, la corda degli archi, e per alimentarsi non si è avuto ritegno di ro- sicchiare il vecchio fieno (1), e di ricercare nelle vec- chie fogne gli amari avanzi d’un cibo puzzolente (2). Contuttociò non è mica credibile che uno, quantun- que sospinto da gran fame, voglia comprar per cibo una misura di colombina; tanto più che in tali escre- menti non trovasi alcuna sostanza alimentizia; perchè essendo i colombi di lor natura caldissimi, digeriscono perfettamente quello che beccano : onde qualche mo- derno ha scritto che i colombi a maniera degli struzzi ingozzano e digeriscono anche le pietruzzole. I rabini Gionata e Kimehi immaginano che la co- lombina servisse per ardere, non essendo affatto pos- sibile nell’assedio di Samaria di andare a far legna. Questa opinione è meno assurda, perchè si legge che in molti luoghi si accende il fuoco collo sterco di vacca, 0 di camelo (3). Ma può ammettersi egli mai che in una metropoli come Samaria mancasse onni- namente la materia combustibile, sicchè dovesse ac- quistarsi a sì caro prezzo una piccola misura di co- lombina, che fa gran puzza quando si accende? (1) FI. Giuseppe, De bello, lib. VI, cap. f0 come si ha nel greco originale. i (2) Svetonio, Tiber. cap. LIV. i (3) Bellon, Observ. liv. H, ch. 112: Dernier voyage de Chache- mire, lettr. II, pag. 50. 224 Ve n’ha di quelli, i quali pretendono che gl’Israe- liti comprassero lo sterco di colombi per concimar meglio i campi e gli orti; che erano dentro le mura, renderli più produttivi, e così provvedere nell’anno appresso alla fame. Ma non è verisimile che in una popolosa città si trovassero tante terre da coltivare; che eoloro i quali non aveano di che vivere alla gior- nata, avessero che seminare; che i cittadini di Sama- ria mancando di tutto al presente, fossero tanto sol- leciti dell'avvenire; o sì delicati nello scegliere il con- cime, che potendone avere un altro in gran copia e quasi ugualmente buono, comprar volessero a sì gran costo la colombina. Giuseppe e Teodoreto (1) opinarono che la colom- bina servisse agl'Israeliti per sale. Ma sebbene l’espe- rienza dimostri che in questo scremento contengansi particelle saline, quanta spesa e fatica non sarebbe stata necessaria per separarle da una materia terrestre c insipida? E poi, checchè possa dirsi in lode del sale, il certo si è che serve solo per condimento, né vi è l’uso di acquistare a caro prezzo le conditure in tempo di gran fame, e quando manca il vitto gior- naliero; perciocchè il miglior condimento è la fame stessa : nè non si cerca allora di contentare il palato, ma sì di riempire lo stomaco. I Talmudisti favoleg- giano al loro solito, che in Samaria fosse un gran numero di colombi addestrati a volare nella campa- gna, e a rigettare appena giunti alla colombaia i gra- (1) FI. Giuseppe, Anliz. lib. IX, cap. 2. — Teodoreto, Quaest. XXI, 229 nelli, che avevano ingozzato : lo che quanto sia ridi- colo da ognun si vede. Giunio e il Fuller (1) furon di avviso che il testo ebreo possa meglio spiegarsi, dicendo che il ventri- glio e le interiora di un colombo si vendevano cin- que sieli di argento; ma sono diffusamente confutati dal Bochart (2), il quale propone poi la sua opinione, cioè che le parole del testo suonano veramente sterco di colombi; ma prova colla sua sorprendente erudi- zione, che questo sterco significa una cosa assai di- versa da ciò, che si crede comunemente. Impercioc- chè gli Arabi chiamano sterco di colombi, o di pas- seri, primo una specie di muschio, o di terra granel- losa, detta altrimenti giauz Gendem (noce di Gendem), che si trova nella Mesopotamia presso Vl Eufrate, e passa per refrigerante e diseccativa. Secondo, diverse specie di ceci, dette volgarmente usnen, e quando si abbrustoliscono Kali (3), che in arabo e in ebreo vuol dire tostato, o fritto : onde nel dialetto siciliano si chiamano calia i ceci abbrustoliti. Però s. Girolamo ben tradusse l'ebreo Kali per frixum cicer, ceci tostati, nel secondo libro de’ re: dove si legge che gli Am- moniti e i Galaaditi offrirono al fuggitivo Davidde: del (1) Giunio su questo luogo. — Fuller, Miscell. sacr. lib. VI, cap. 11. (2) Bochart, Mieroz. part, II, lib. 1, art. 7, pag. 42 e seg. (3) È da sapere, che gli autori arabi riguardano la salsola come una specie di cece, e chiamano anche kai la cenere che si ottiene bruciando quella pianta, la quale da noi dicesi soda. A ciò non po- nendo mente lo Scaligero, il Salmasio ed altri de’ moderni, dicono che l'usnen e il kali degli Arabi non è altro che la soda : lo che è vero soltanto di una specie di usnen. 220 grano e dell’orzo e della farina e della polenta e delle fave e delle lenti e kali, frixum cicer, de’ ceci to- stati (A). Leggendo dunque nel sacro testo che nella tremenda fame di Samaria la quarta parte d’un cabo di sterco di colombi vendevasi cinque sicli d’argento, per questo sterco debbe intendersi una specie di cece, la quale in tempo di pace tenuta a schifo dalle persone agiate, fu comprata a sì gran prezzo durante l'assedio di quella citta. Di fatto, come nota lo stesso Bochart (2), il cabo serviva agli Ebrei per misurare il grano e le civaie, e non già il vero sterco colombino, e le interiora degli animali, come sì è creduto. COLOCYNTHIS, COLOQUINTIDA Cucumis colocynthis Linn. Pianta che ha i tralci serpeggianti sul suolo, tagliati in due; le foglie profondamente frastagliate, a lacinie ottuse, pelose e alquanto bianche al di sotto; i fiori giallicci, piccoli, ascellari, solitari; i frutti gialli, della grandezza e forma d'un grosso arancio, colla scorza sottile e dura, la sostanza leggera e bianca, di sapore amarissimo. ©. Un bel prodigio narrasi nella Scrittura operato ne’ frutti di questa pianta, indigena del Levante. Giunto Elisco in Galgala, città presso Gerico e il Giordano, (1) 2. Reg. XVII, 28. (2) Bochart, I. e. 227 ed entrato nel collegio de’ suoi profeti, che per la carestia del paese soffrivano disagio grande, comandò a uno de’ servi che mettesse a fuoco ampia caldaia per apprestarvi alcuna minestra da ristorare i suoi gio- vani. Uno de’ quali uscì alla campagna per coglierne spontanee erbe a mangiare: ma come di erbe doveva intendersi poco o nulla, abbattutosi a certe coloquin- tide, ne colse i frutti e tanti, che il suo gran man- tello ne riempi. Con essi tornato a casa si diede fretta a metterci entro il coltello, e tagliuzzatili li pose a bollire nella caldaia. Ma come a’ giovani fu distribuita e messa avanti così fatta minestra, al primo boccone che ne gustarono, sentendone l’amarezza : Ahi padre, gridarono ad Eliseo, che questo è veleno da darci morte. Recatemi della farina, soggiunse egli, e spar- sane nella caldaia, ogni cosa subitamente addolci, sicchè trattane nuovamente ce distribuitane la vivanda mede- sima, non avea più sentore di amaro alcuno (1). Fu chi pretese che quel poco di farina potesse natural- mente correggere l'amarezza di quella micidiale mi- nestra. Ma benchè i viscidi e insipidi, come farina e amido, sieno da’ medici consigliati ad oltener questo effetto, il Valesio dimostra che questo fu nelle sue circostanze sommamente miracoloso (2). (1) 4. Reg. IV, 38-41, (2) Valesio, De sacr. philos. cap. XXXVI et XXXVII, ro io 0 A) PEPO, PEPONE, MELLONE Cucumis melo Linn. Pianta distesa, sarmentosa, ruvida al tatto, che ha le foglie alterne, picciolate, rotondate, angolose, sca- bre; i fiori gialli ascellari; i frutti ovoidi, o rotondi, un po’ pelosi nella gioventù, colla buccia dura, grossa, alquanto gialla, comunemente reticolata; la polpa molto sugosa, dolce e delicata. Se ne distinguono molte va- meta: 04 CUCUMIS, COCOMERO, ANGURIA Cucurbita citrullus Linn. Pianta che ha le foglie profondamente frastagliate, salde e fragili; i frutti globosi, con pelle fina, liscia, picchiettata con macchie stellate e paralellogramme , tutti pieni e sugosissimi. Ve ne sono più varietà. o. I poponi e i cocomeri in Egitto sono grossissimi ed eccellenti. Gl’Israeliti ne erano mangiatori; e perciò quando tumultuarono là nel deserto di Faran : Ben fu tempo, dicevano i forsennati, che noi nuotavamo nell’abbondanza. Che delicati pesci mangiavam noi ih Egitto, quasi per niente! Per nostra pena noi ricor- diamo i dolci poponi e i soavi cocomeri. Eccoci in un deserto, dove non è altro che orrore. Manna, e poi manna, e poi non altro che manna (1)! Negli orti coltivati a cocomeri e a poponi, nel tempo della maturazione si fanno delle capanne, dove sta (1) Num. XI, 4-6. 229 sempre una guardia per difenderli dalle insidie di man rapaci. A uno di questi frascati, che dopo la raccolta si lasciano in abbandono, è paragonata Gerusalemme dal profeta Isaia: Rimarrà la figlia di Sionne come un tugurio in un cocomeraio (A): lo che avverossi dopo l’invasion degli Assiri, e nel tempo della babilonica schiavitù. URTICA, ORTICA Urtica dioica Linn. Pianta molto incomoda, che ha lo stelo diritto e ramoso; le foglie opposte, cuoriformi, dentate, pelo- sissime, ispide; i fiori in grappoli gemelli. Tutta la pianta pungentissima. %. Questa specie di ortica indigena della ae cre- sce ne’ luoghi abbandonati e incolti. Passui presso al campo d’un infingardo, dice Salomone, ....e vidi che tutto era pieno d’ortica (2); il qual proverbio significa che la vita dell’uomo accidioso è piena di desideri terreni e di vizi, che pungon l’anima (3). L’ortica di che tocchiamo nasce ancora sulle rovine degli edifizi. Perciò il profeta Isaia volendo esprimere la devasta- zione dell’Idumea per l’esercito di Assaradon re d’As- siria, dice che sopra le abitazioni di essa sarebbe spun- tata l’ortica (4). E il profeta Osea veggendo che gli Israeliti ad altro non pensavano che a viver lieti, a (1) Isai. I, 8. (2) Prov. XXIV, 30, 31. (3) S. Gregorio, Moral. lib. XXX, cap. 20. (4) Isai. XXXIV, 13 2530 far festa in onore di falsi dei, a tripudiare e crapolare, predice loro tra le altre calamità, che i ricchi orna- menti de’ loro palazzi sarebbero restati sotto le orti- che (1): lo che avverossi sotto di Usea ultimo re d’Is- raele, quando Salmanasar re d’ Assiria, di cui quel principe era tributario, venuto in cognizione che egli pensava a rivoltarsi, e che per liberarsi del gravoso tributo avea fatta alleanza con Sua re d'Egitto, invase con poderoso esercito il regno delle dieci tribù, e lo riempi di sangue, di desolazione e di lagrime, ridu- cendo Samaria, che erane la capitale, in un mucchio di pietre. (1) Osce, IX, 6. SEZIONE TERZA DEGLI ALBERI PALMA, PALMA Phoenix dactylifera Linn. Tav. X. Pianta che ha il fusto alto, cilindrico, coperto di squame, avanzo delle foglie antiche già cadute, con un amplo fascio di foglie nella sommità, lunghe, pen- nate, con molte foglioline spadiformi, acute e ripie- gate; i fiori a pannocchia, piccoli, sessili, involti in una spata ascellare e monofilla; i frutti rassomiglianti all'estremità di un dito, e perciò con greco vocabolo chiamati dattili, da dactilo, dito, monospermi, con se- menza allungata, solcata da una parte, convessa dal- l’altra. b. Sempre verde. Il paese originario delle palme è la Palestina, dove per l’ammirabile temperatura dell'atmosfera, e pel co- stante caldo del sole d'inverno producono i migliori frutti (1). In Africa le palme furono introdotte proba- bilmente da Didone, come i dotti deducono da una moneta di quella regina, dove si vede una bella pal- ma (2). E che nel nuovo mondo eziandio portate fos- (1) FI, Giuseppe, De dello, lib. TL, cap. 18. (2) Gronovio, Thes. graec. antig. tom. HI, tab. 23. * 22 sero da altro paese è dimostro dal diligente Erasmo Francisci (1). I libri santi nominano diversi luoghi celebri pe’ lor palmeti, i quali sono i seguenti. Elim, sesta stazione degl’Israeliti nel deserto, dovessi trovarono, oltre a dodici fonti d’acqua, settanta palme (2) : cose che pos- sono anche spiegarsi figuratamente, perchè s. Girola- mo, Tertulliano ed altri in questi dodici fonti ravvi- sano i dodici apostoli che colla loro dottrina, quasi con acqua fecondatrice e copiosa inaffiarono la steri- lezza de’ cuori umani, e li rendettero idonei a pro- dur frutti di grazia e di santità; e nelle settanta palme riconoscono i discepoli di Gesù Cristo, che egli solea mandare dinanzi a sè, quando alcun luogo, o. castello degnar volea d’una visita pastorale (3). Gerico, chia- mata per eccellenza la città delle palme (4), concios- siachè moltissime e bellissime ve ne fossero nella sua spaziosa campagna (5), i cui frutti erano assai pregiati in tutta la Palestina (6). Engaddi, che meritamente fu detta prima Asason-Thamar (7), la città delle pal- (1) Erasmo Francisci, Parad. ind. part. 1, pag. 310. (2) Exod. XV, 27. — Num. XXXIII, 9. . (3) V. s. Girolamo, ad labiol. (4) Deut. XXXIV, 3. — 2. Par. XXVIII, 15. (5) Strabone, Geogr. lib. XVI, pag. 763. — Plinio, lib. V, cap. 14; XIII, cap. IV. —Fi. Giuseppe, Anlig. lib. XIV, cap. 7; XV, 5; De bello, lib. I, cap. 5; V, 4.— Galeno, De aliment. facutt. lib. I. — Giustino, lib. XXXVI, cap. 3. (6) FI. Giuseppe, ll. ce. (7) Gen. MING NI=20 Par tXA 2. 295 me (1); colla quale denominazione è altrove indica - ta (2). Il deserto di Sin, trentesimaseconda stazione degl’Israeliti, il quale fu così chiamato dalla città dello stesso nome, detta altrimenti Cades (3), feconda di belle palme (4). Quel tratto della montagna di Ephraim, tra Rama e Bethel, dove Debora profetessa sotto una delle tante palme che vi crescevano, e che da lei avea preso il nome, dava consigli, istruiva e decideva le contese criminali e civili degl’Israeliti (5). Baal-Thamar, che vuol dire ricca di palme, campagna nella tribù di Be- niamino, dove il popolo d’Israele si ordinò in batta- glia per vendicarsi de’ Gabaiti (6). Palmira, ebraica- mente Thamar o palma, città posta in una solitudine della Siria, su’ confini dell’Arabia deserta, la quale, come dice s. Girolamo, vogliono alcuni aversi procac - ciato cotesto nome per le sue belle palme. Finalmente un’altra Thamar, città notata dal profeta Ezechiele (7) come un de’ limiti della terra promessa dalla parte di mezzogiorno, la cui campagna, secondo Diodoro Si- (1) I palmeti d'Engaddi son celebrati da Plinio, lib. V, cap. 7, da FI. Giuseppe, Antlig. lib. IX, cap. 1, e da s. Girolamo, Quaest. in Genes. tom. VII, delle Opere, pag. 308. (2) Jud. I, 16; II, 13.— Vogliono alcuni che la città delle palme, di cui si muove parola in questi luoghi, sia Gerico; ma essi non ri- flettono che questa città era stata distrutta, nè doveva più risusci- tarsi e ricdificarsi, secondo quello che leggesi in Giosuè, VI, 26. (3) Num. XXXIII, 36. (4) Eccli. XXIV, 18. fygad. IV, 5. (6) Ibid. XX, 33. (MoUzech. XNEVII, 19. 234 culo, abbondava assai di palmeti, nelle parti irrigue massimamente (4). Le palme vivono assai lungamente, compiendo al- cune dugent’anni, ed altre anche trecento. Perciò V’af- flittissimo Giobbe ragionando cogli amici suoi, lor dice che avendo stabilito l’ordine e la pace nella sua do- minazione, contava di moltiplicare i suoi giorni come la palma (2). E siccome questa bella pianta ama di avere grande abbondanza d’acqua presso le sue radici, e di essere rinfrescata dall’alto; così Giobbe parago- nando sè stesso alla palma, l'affluenza de’ beni onde era ricco alla copia delle acque, e alla rugiada il fa- vore celeste, immediatamente soggiunge, che la sua radice sarebbesi stesa lungo le acque, e la rugiada sa- rebbe posata sulle sue foglie (3); vale a dire, che egli per le sue buone azioni si prometteva di fruir lunga pezza e de’ beni della terra e delle benedizioni del cielo. I Babilonesi, per testimonianza di Plutarco (4), a trecento sessanta fanno ascendere i vantaggi che si ri- cavano dalle palme. Basta accennarne alcuni, che sono i principali. I dattili son dolci e grati al gusto, e ven- gono adoperati in medicina per fortificare lo stomaco colla loro proprietà astringente, e per addolcire l’acri- monia del sangue nelle malattie di petto. 1 dattili ser- von di cibo a’ ricchi e a’ poveri, agli uomini e agli (1) Diodoro Siculo, lib. XI, cap. 48. (2) Job, XXIX, 18. (3) Ibid. 19. (4) Plutarco, Sympos. VII, q. 4. 235 animali. I dattili non pur si mangiano sani e crudi. ma anche s’impastano con farina, e se ne formano pani e focacce. Da’ dattili ancor freschi si trae un li- quore appellato sicera, secondo il Grisostomo, Teodo- reto e Teofilo Antiocheno (1), e un tempo il più fa- moso di tutti i liquori conosciuti in Oriente (2). Dai dattili appassiti cavasi una specie di miele, che invece di burro si adopera, e serve ne’ cibi di salsa e di con- dimento. Di questo miele pregialissimo dagli Antichi volle Giacobbe far dono al vicerè d’Egitto (3) che an- cor non sapeva essere il suo Giuseppe; perciocchè di miele di api certamente quel regno non pativa difetto. Di miele di dattili gli spositori ebrei credono che si parli e nel Deuteronomio, dove si legge: /l Signore Dio tuo ti farà entrare în un paese da grano, da orzo e da vigne, dove nascono e fichi e melagrani e oliveti : paese di olio e di miele (4); e ne’ Paralipomeni, dove sta scritto : Come prima venne alle orecchie del popolo il comandamento di Ezechia, i figliuoli d'Israele offri- rono abbondevolmente le primizie del grano, del vino, dell’olio e del miele; e portarono la decima di tutte le produzioni della campagna (3). E quando nel Levitico sì prescrive: Qualunque offerta di panatica, che si fac- cia al Signore, sia senza lievito, e niente di fermentato, (1) S. Gio. Grisostomo e Teodoreto, în Isei. V, 1t.— Teofilo An- tiocheno, în Luc. I, 15. (2) Plinio, lib. IV, cap. 16. (3) Gen. XLIII, 11. (4) Deut. VIII, 8. (9)z-Rar. XXXI, 5. 236 o di miele si offra nel sacrifizio del Signore (1); vogliono che per miele si debba intendere e quello delle api e quello che da’ dattili si ricava. Poste le antidette cose, con ragione il profeta Gioele annoverò le palme tra quelle piante, che rovinate per siccità a gastigo degli Ebrei, gran danno recato avrebbero a’ mesti con- ladini (2). Senonchè la palma non tanto è celebre per sè me- desima, quanto per le grandi cose da essa rappresen- tate. Imperciocchè essa primieramente è simbolo del- l’uomo giusto : Fiorirà il giusto come la palma (3) : perchè siccome la palma al caldo e al freddo conserva la sua verdezza; non altrimenti l’uom giusto nella pro- sperità e nell’angustia si mantiene ugualmente fedele a Dio. Come la palma è coperta di ruvide squame, ma produce frutti dolcissimi al par del miele; non al- trimenti la vita dell’uomo giusto, quantunque sembri spiacevole e malinconica , internamente è ripiena di celeste e perpetua soavità. Come la palma nasconde le sue ricchezze tra il fascio foltissimo delle foglie; non altrimenti l’uom giusto col velo dell’umiltà copre i tesori preziosi, che porta in seno. In secondo luogo la palma è simbolo della cueti sposa dilettissima di Gesù Cristo, alla quale si adat- tano da’ sacri comentatori quelle parole bellissime de’ sacri Cantici: La tua statura è somigliante alla pal- ()Lemit.: TIT. (2) Joel, I, 12 (3) Psal. XCI, 12 2531 ma (1): perchè siccome la palma resiste invincibil- mente al furore de’ venti e all’ inclemenza delle sta- gioni; per simil modo Ja Chiesa si è mantenuta ferma e costante tra le battaglie a lei mosse per tanti secoli dagli errori degli eretici, e dallo sdegno degl’idolatri. Anzi da queste guerre medesime ha preso lena di cre- scere, e di viepiù sollevarsi verso del cielo. In terzo luogo la palma è simbolo di Maria Ver- gine, come sì legge annunziato dall’Ecclesiastico : o mi levai come una palma di Cades (2), tanto per la su- blimità de’ suoi meriti, per cul avanzò di gran lunga gli uomini e gli angeli, quanto per la preziosità di quel frutto, che dal suo purissimo seno venne alla luce. i In varie occasioni si è fatto uso delle foglie lunghis- sime delle palme. Primamente, come scrive Giuseppe Ebreo (3), nel celebrarsi in ogni anno la festa de’ Ta- bernacoli (4). Secondo, nell’occupazione della fortezza di Gerusalemme fatta da Simone Maccabeo (8), e nella (1) Cant. VII, 7. (2) Eccli. XXIV, 18. (3) FI. Giuseppe, Antig. lib. IN, cap. 10; XII, 21. (4) Questo festeggiamento con greco vocabolo appellato Scenope- gia, che suona innalzamento di tende, durava per tutta una setti- mana, nella quale gli Ebrei dimoravano sotto padiglioni fatti di ra- moscelli di alberi sempre verdi. Essa festa fu da Dio ordinata in me- moria de’ quarant'anni che i padri loro pellegrinarono pel deserto. Oggi chiamasi volgarmente la festa delle frascate, e desta la curio- sità di coloro, che ne veggono su pe’ tetti e le terrazze de’ ghetti di bella forma. (5) 1. Mac. XIII, 50. 51. 238 solennità della Purificazione del Tempio profanato per le lascivie e per le crapole de’ Gentili, e dal fortis- simo. Giuda e da quelli che erano con essolui per divina protezione ricuperato (1). E quando Gesù Cristo per compiere ed avverare in sè stesso il profetico pre- dicimento di Zaccaria(2), volle entrare in Gerusalemme da re, una gran turba di gente, che da tante parti era accorsa a celebrare la Pasqua, si fece subito ad incon- trarlo, portando in mano foglie di palme (3), che in segnale di festa e di plauso agitava e scuoteva intorno a lui. Così s. Giovanni muove parola di una turba innumerevole di tutte le nazioni e tribù e popoli e lin- quaggi, che stavano in piedi davanti al trono e all’a- gnello, vestiti di bianche stole, e con palme nelle lor mani (4), in segnale della vittoria riportata da essoloro sopra i nemici di Gesù Cristo. Nè dee recar maravi- glia che cotesta pianta a tal uso sia stata dagli An- tichi prescelta. La palma ha questo di singolare, che se venga gravata da un peso insopportabile, non cede già, nè si piega, ma levasi contro il peso e in alto si curva. Però, dice Plutarco (5), piacque che la palma fosse ne’ combattimenti il segnale della vittoria, perchè l'indole di questa pianta si è tale, che al carico non cede, né alle pressioni. Sendo la palma una pianta assai celebre ec molto (1) 2. Mac. (2) Zach. IX, 9. (3) Joan. XII, 12, 15. (4) Apoc. VII, 9. (5) Plutarco, Sympos. lib. VIH. 239 bella, non dee mica sorprenderci che le donne ebree avessero tra gli altri nomi anche quello di Thamar o Palma (1); e che Salomone facesse eseguire delle palme in rilievo per ornarne all’intorno le pareti del San- tuario, e le imposte delle due porte, l'una all’ingresso dell’Oracolo, l’altra all’ingresso della parte anteriore del Tempio, che Santo era appellata. I quali rilievi imitanti le palme eran d’oro coperti con tale un’esat- tezza, che l’indoratura arricchiva l’ intaglio, ma non lo nascondeva (2). Nemmeno è a stupire, che di so- miglianti rilievi, ma eseguiti in bronzo, facesse per ul- timo adornare le basi delle dieci conche ‘mobili dello stesso metallo, che stavano collocate cinque al destro lato e cinque al lato sinistro del Tempio, e che ser- vivano a lavare le parti delle vittime, prima d’imporle sopra l’altare (3). BDELLIUM, BDELLIO, BORASSO A VENTAGLIO Borassus flabelliformis Linn. Tav. XI. Questa palma è un bellissimo albero, alto quanto il cocco, ma di un tronco più grosso, scaglioso, ci- lindrico, terminato da una bellissima corona di foglie disposte circolarmente a ventaglio, pieghettate, con in- cisioni strette, allungate, acute, rette da picciuoli lun- ghi, grossi, scanalati, guernili di denti spinosi a’ due (1) Gen. XXXVIII, 6. — Ruth, 1V, 12,.— 1. Par. II, 4.2. Reg. MAIL, 1 NIV, 27. (2) 3. Res. VI, 29, 32-35. (oiBeg. MIT. 27, 28, 30, 39. 240 lati de’ loro margini. Il frutto ovale , grosso quasi quanto quello del cocco, liscio, un poco compresso, bruno giallastro, accompagnato alla base di squame calicinali, vestito d'un inviluppo carnoso, dolce, suc- culento, odoroso, contenente tre semi ossei, ripieni d’una mi deNA bin. saporosa, e d’un liquore lim- pido. b. Sempre verde. Mosè descrivendo il paradiso terrestre, dice tra le altre cose che uno de’ quattro fiumi, che usciva di là, scorre pel paese di Hevilath, oggidì Mingrelia, dove si trova oro purissimo, bedolach, e pietra onichina (4), la quale probabilmente è lo smeraldo. Altrove parlando della manna, dice che essa per la forma e la grossezza era come il seme di coriandolo , e come il bedolach pel colore (2). Questa parola bedolach, che più oltre non leggesi nella Scrittura, da’ Settanta nella Genesi è tradotta per carbonchio, come da essoloro si rende altrove il puc (3) e il tharsis (4) del testo ebreo: e nell'Esodo è voltata in cristallo : nel che son seguiti dagli ebrei Salomon, Pomario ed Elia. Ma se il bedo- lach fosse di verità il carbonchio, Mosè non avrebbe detto, ivi si trova il bedolach e la pietra onichina, ma piuttosto , ivî sì trova la pietra bedolach e la pietra onichina, ovvero le pietre bedolach e onichina; essendo- chè il carbonchio è pietra preziosa al pari dello sme- raldo e del berillo, come per alcuni si spiega la pie- (1): Gen. HI, 41,42. (2) Num. XI, 7 (3) Isal. LIV, 11. (4) Ezech. X, 9; XXVIII, 13. 241 tra onichina. Nemmeno il bdedolach può essere il cri- stal di rocca, o il diamanle , come vogliono alcuni presso il rabino Kimchi; imperocchè la manna non era traslucida, ma opaca e bianca anzi che no. Nè si opponga che essa nell’Esodo è paragonata alla brina (41); perchè il divino storico alla rugiada la rassomiglia , non quanto alla trasparenza e lucidezza, che non a- veva, ma sì quanto al modo di cadere dal cielo, e di spandersi sopra la terra. L’erudito Bochart (2), seguito da altri si argomenta di provare che il bedolach sia la perla; ma comechè sia certo che ne’ mari vicini alla Mingrelia si fa pesca di perle, tuttavia non può ritenersi cotesta spiegazione. Imperciocché il divino storico non dice già che il be- dolach sì pescasse ne’ mari vicini ad Hevilath, ma sì che in questo paese, come la pietra onichina, si ritro- vasse. Arrogi che le perle in ebraico si dicono peninim e dar, come dimostra lo stesso Bochart (3), ed è im- probabile che si avessero un terzo nome. Giuseppe Ebreo, Aquila, Simmaco, Teodozione e s. Girolamo nella Volgata, spiegano il bedolach per bdellio, pianta, dalla quale sgocciola una gomma-re- sina, che pure bdellio si chiama : nel che sono se- guiti dal Tremellio, da Cipriano de Valera, dal Sal- masio, dall’Hopkinson, dal Cappello, dal Riveto e da altri assai. E in vero non è insolito ne’ libri santi il rammentarsi o i frutti, o gli aromi, che formano il (1) Exod. XVI, 14. (2) Bocharl, Mierozoic. art. II, cap. V, pag. 679 e seg. (3) Ibid. cap. VI, pag. 680 e seg., e cap. VIII, pag. 708 e seg. 16 242 vanto d’un qualche paese, come apparisce dalla storia di Giacobbe (1). Ma intorno al bdellio varie sono le opinioni degli autori. Giuseppe Ebreo pretende che sia un albero ras- somigliante all’ olivo. Dioscoride conta tre specie di bdellio : Galeno ne riconosce due. Plinio dice che è un albero nero della grandezza dell'olivo, colle foglie simili a quelle della quercia, e il frutto rassomigliante al fico salvatico : altri vogliono che rassomigli all’al- bero che produce la mirra. Cordo nella sua’ storia delle piante ammette sei specie di bdellio. Fra tante incertezze siamo assicurati dal celebre viaggiatore na- turalista Erberto Jager (2) che la pianta bdellifera è il borasso a ventaglio, che abbiam descritto; il quale nella Persia e nell’ Arabia è chiamato volgarmente duum, o mokl, la cui gomma detta mok! asrah si ottiene dalla decozione spessita de’ frutti, e si vende da’ profumieri di quei paesi. Ma questo altento botanico, cui aggiu- stiam fede, sonnacchia quando dice che il bedolach o bdellio cresceva nel paradiso terrestre, sendo ciò a- pertamente contrario al sacro testo. FICUS, FICO D' ADAMO, BANANO DEL PARADISO Musa paradisiaca Linn. Tav. XII. Pianta che ha il fusto tenero facile a rompersi, for- mato dalle guaine de’ vecchi picciuoli, cilindrico , (1) Gen. XLIII, 11. (2) V. Kampfer, Amoen. exot. pag. 668; Forskal, Flor. arab. p. CXXVI: Sprengel, Storia della bolanica, tom. I, pag. 25. 245 grosso, alto da dodici a venti palmi romani, che porta alla sommità una ciocca di foglie lunghe da sei a otto palmi, larghe uno e mezzo , di un verde languido, molto lisce. I frutti son lunghi da cinque a sei pol- lici, e sono disposti intorno al peduncolo o l’asse a mazzetti. Quest'asse carico di frutti si chiama regime. Nel paese nativo di questa pianta i suoi frutti sono alle volte in numero di cento circa sopra ciascun re- gime: si mangiano crudi, fritti, o cotti sotto la cenere, come i marroni. %, Quando i nostri progenitori per effetto del rio pec- cato si avvidero e si vergognarono della loro nudità, della quale prima innocenti non avevano avuto ros- sore alcuno, come or non l’hanno gl’innocenti bam- bini, aggiunsero insieme alla meglio e accozzarono delle foglie di fico, e fecero di che coprirsi (1). 11 Clerc, che questo tutto intende metaforicamente, interpetra per la nudità il peccato e la privazion della grazia, e con aperta violenza al sacro testo nega doversi in- tendere letteralmente le cinture, che si fecero i primi padri (2). Ma egli è confutato nelle Miscellanee di Lipsia dal Sinner (3), il quale fa osservare opportuna- mente che il Clerc avea dati tutt’altri canoni d’inter- petrazione nella sua Critica. Per quale specie di pianta hassi dunque a prendere cotesto fico? Vogliono alcuni che fosse il fico comune, le cui fo- (£) Gen, HI, 7. (2) Clerc, Comen. in Genes. (3) Miscell. lipsiens. lib. I, observ. 2. 244. glie son larghe (1); altri il sicomoro, che molto al ficò si rassomiglia. Vi ha chi pensa fosse l’ensetè, albero domestico dell’Abissinia, il quale ha le foglie d’ un bellissimo verde, e così trandi che due sono bastevoli a coprire interamente un uomo da ogni parte. Qual- che altro inclina pel tollipot, indigeno di Ceylan, le cui foglie, come riferisce il Régnault(2), sono sì grandi, che una sola può fare ombra a quindici o venti per- sone poste insiememente. Il Milton parla del fico di Bengala, Che larghe e lunghe le ramose braccia Stende sì, che inarcandosi rientrano Nel suolo, e irradicatevi, qua’ figlie Sorgono intorno alla materna pianta, E formano inarcate ombre, che sotto Han portici e viali ampi echeggianti (3). Ma gli Etiopi credono comunemente che i primi pa- dri facessero le lor cinture di foglie di banano, che perciò volgarmente si chiama fico di Adamo. (1) S. Agostino, De Gen. ad lit. lib. I, cap. 32. — S. Ireneo, Adv. haeres. lib. II, cap. 37. — S. Gregorio Nazianzeno , Praec. ad virg. pag. 755. — Isidoro Pelusiota, presso il Baronio. — Olao Celsio, Hierobot. part. II, pag. 399. — Hiller, Zierophyt. part. I, pag. 155, ec. (2) Régnault, Entreliens de physique, HI. (3) Milton, Paradiso perduto. Trad. del Rolli v. 2431 e seg. 245 CINNAMOMUM, CINNAMOMO, CANNELLA Cinnamomum zeylanicum Nees. v. Er. Tav. XII. Laurus cinnumomum Linn. Albero ramosissimo di dieci a venti piedi, il quale ha le foglie quasi opposte, picciolate, ovali-bislunghe, ‘ aguzze, interissime, d'un verde lucido al disopra, pal- lido al disotto, per lo più con tre nervi, tra’ quali si trovano numerose vene trasversali; i fiori piccoli, biancastri, in pannocchia, terminali o ascellari. bp. Sem- pre verde. Quest’albero interessante cresce spontaneo nell'isola di Ceylan, dove sarebbe comunissimo nelle foreste e nelle siepi, se non si facesse pensiero di sbarbicarlo. Quindi non si coltiva che in uno spazio di circa qua- ranta miglia lunghesso il mare, chiamato & campo della cannella: ma questo piccol tratto di paese ne produce in sì gran copia che, proseguendo lo stesso il consumo della cannella, Ceylan fornir ne potrebbe di certo a quattro mondi siccome il nostro. La cannella, di cui tutti conoscono i vantaggi e le proprietà, è la scorza degli alberetti di tre anni, la quale si leva nella primavera e nell'autunno, quando la pianta è in sugo; appena tolta, si distacca la piccola scorza esteriore grigia e scabrosa, si taglia a striscio- line e si mette al sole; dove, di mano in mano che sì evapora la sua soverchia umidità, si avvolge a ma- niera di un bastoncello o di una canna, il perchè si chiama cannella, ed acquista un odore acuto e soave, ed un gusto piccante, che fresca non aveva. Lo 3 CASSIA, CASSIA LIGNEA Cinnamomum aromaticum Nees. v. Er. Laurus cassia Auct. (non Linn.) Questa specie di lauro, ha molti rapporti colla pre- cedente; le sue foglie sono alquanto più grandi, hanno gli stessi nervi, e sono dure e d’un bel-verde lucido, specialmente nella superficie superiore. La buccia di quest’albero originario della Cochin - china si raccoglie e si secca come quella del cinna- momo, spogliandola pure della sua pellicola esteriore. Il colore, l’odore e il gusto sono in ambedue le specie cli stessi. Ma la cassia è meno aromatica e più mu- cilaginosa, e nel masticarla si scioglie in bocca, senza lasciare alcun che di legnoso; laddove la parte legnosa della cannella per molto che si mastichi, resta sempre. Gli Antichi annoveravano la cassia tra le più belle piante; e perciò il santo Giobbe volendo esprimere la straordinaria bellezza della seconda figliuola, che ebbe dopo il suo ristabilimento, le pose il nome di Cas- sia (41). Fassi quistione se il cinnamomo e Ja cassia degli Antichi sieno la cannella e la cassia lignea de’ Mo- derni. Gli autori non convengono su questo punto ; ma io parteggio per quelli che lo affermano, tra’ quali lo Sprengel e il Geoffroy. Nella divina Apocalisse par- landosi dell’eccidio di Babilonia, tra le altre cose si dice : { mercadanti della terra ancora piangeranno, e (1) Job, XLII, 14. 241 faran cordoglio di lei, perchè nessuno comprerà le loro merci, il cinnamomo e gli odori, e l’unguento aroma- tico e l’incenso (A). Come dunque il nostro cinnamomo e la cassia lignea, che pur si appella cinnamomo aro- matico, non eran noli in quel tempo?. Il cinnamomo e la cassia avean luogo nella com- posizione dell’olio santo, che per divina istituzione fu adoperato ad ungere e consacrare il tabernacolo, l'arca del testamenio, la mensa co’ suoi vasi, il candelabro d’oro, l’altare de’ timiami e quello degli olocausti, con tutti gli utensili che servivano ad uso di essi, e finalmente il pontefice Aronne e i suoi figliuoli (2). Di poi se ne fece uso nella consacrazione de’ re, il qual costume, a detta de’ rabbini, ebbe vigore sino al regno del pietoso Giosia. Il cinnamomo e la cassia servivano pure agli Anti- chi per profumare i letti (3), e far prendere un grato odore alle vesti, che perciò si tenevano in casse o d’a- vorio, o di cedro, o di altra materia preziosa (4). OLIVA, OLEA, OLIVO Olea europea Linn. Albero ramosissimo e molto irregolare, che ha i giovani ramoscelli tetragoni e biancastri; le foglie ova- li-lanceolate, ferme, coriacee, di un verde carico al (1) Apoc. XVIII, 11, 13. (2) Exod. XXX, 23-30. — Levit. VIII, 12; X, 6, 7. (3) Prov. VII, 17, (4) Psal. XLIV, 8. Mita, 248 di sopra, bianche al di sotto; i fiori bianchi in piccoli grappoli, ristretti e ascellari; il frutto ovale, carnuto, più o meno grosso e allungato, con nocciolo a due logge capaci di contenere due semenze, ma ordinaria- imente con una. Si distingue in più varietà. b. Sem- pre verde. Fu già un tempo che la Palestina soprabbondava di olivi, come a’ giorni nostri |’ Italia, la Spagna e la Francia. Il Signore Dio tuo, disse Mosè al popolo d’Is- raele, introdurrà în una terra buona fertile di olivi (1); e altrove: Tu avrai degli olivi in tutte le tue contra- de (2). E quel vantatore Rabsace mandato a bella posta da Sennacherib per indurre i cittadini di Gerusa- lemme a mettersi in mano di lui, volendo provar loro che l’Assiria non cedeva alla Giudea in fertilità, disse tra le altre cose, che il suo paese era anch'esso ab- bondante di olivi e di miele (3). Ma quanto la Pale- stina feconda fosse di olivi meglio deducesi dalla pro- duzione dell’olio. Imperciocchè leggesi che Salomone mandava ogni anno ad Hiram re di Tiro ventimila sati di olio puro (4), rispondenti presso a poco a du- gentomila boccali, fintantochè gli uomini di lui lavo- ravano in sul Libano i legnami, che servir doveano alla maravigliosa fabbrica del Tempio. E altrove si (1) Deut. VI, 7,8. (2) Ibid. XXVII, 40. — Jos. XXIV, 15. — 1. Reg. VIH, 14. — 2. Esdr; V, 14; DE, 25. (3) 4. Reg. XVIII, 32. (4) 2. Par. II, 10. %* 249 dice, che que’ di Giuda e della Terra d'Israele spone- ‘vano alle fiere di Tiro olio in gran copia (1). Nascevano gli olivi non solo nelle colline (2), che per testimonianza di Columella e Palladio (3) essi a- mano a preferenza, ma anche in mezzo alle rupi della Giudea. Questo raccogliesi dal Deuteronomio, dove sta scritto che Dio avrebbe fatto padrone il suo popolo di un paese elevato, qual’era la Palestina rispetto al- l'Egitto, paese assai piano; affinchè mangiasse de’ frutti della campagna, e succhiasse il miele dalle pietre de’ suoi monti, dove le api facevano i loro alveari, e traesse olio dal terreno delle rupi, comechè sterile di ogni altra pianta (4). Tra' luoghi coltivati ad olivi primeggiava il monte Oliveto (5) posto rimpetto al Tempio (6), un miglio ita- liano a levante di Gerusalemme (7), da cui è diviso pel torrente Cedron e la valle di Giosafat. Alle radici di quel monte era un podere chiamato Getsemani, che significa torcolare dell'olio, perchè degli olivi ond’era coperto, e di quelli della soprastante montagna quivi spremeasi e si faceva olio in gran copia. Gran mol- titudine di oliveti eravi ancora nella tribù di Aser, di guisa che i suoi abitanti, secundo predisse loro Mosè (1) Ezech. XXVII, 17. (2) 2. Esdt. VIII, fo. (3) Columella, lib. VI, cap. 6. — Palladio, lib. III, cap. 18. (4) Deut. XXXII, 13. (5) Zach. XIV, 4. (6) Mare. XIII, 3. (7) Act, I, 12. — FI. Giuseppe, De bello, lib. XIV, cap. 13. 250 pria di morire, avrebber potuto non che ungersi di olio, come altrove si usava, ma lavarsene ancora i piedi (1). Fertile pure di bellissimi olivi era altresi la valle sottostante a Samaria, i cui cittadini perchè coll’olio che ne traevano si erano fatti ricchi e superbi, e non pensavano che a crapolare e deliziarsi, furono minacciati di essere fatti preda di Salmanassar e di andar prigioni nell’Assiria (2). Erano da ultimo in gran voce gli oliveti de’ Filistei, che Sansone incendiò per mezzo di fiaccole raccomandate alle code di una schiera di volpi e di toi, di cui quella parte della Giudea da essoloro abitata stranamente abbondava (3). L'olivo è lodato ne’ libri santi per la sua verdura, fecondità e bellezza (4). Perciò i suoi ramoscelli aveano luogo nell’annua festa de’ Tabernacoli (5); e il Sal- mista e l’ Ecclesiastico all’olivo paragonano ne’ luo- ghi testè citati, l’uno l’uom giusto, l’altro la sapienza. Dal ceppo dell'olivo spuntano de’ germogli; ad essi il Salmista assomiglia i figliuoli dell’uomo timorato di Dio e fedele osservatore delle sue leggi (6); impe- rocchè siccome quelli dello stesso sugo si nutricano, e circondando la pianta che li produsse, son di or- namento alla pianta stessa; così questi dello stesso (1) Deut. XXXIII, 2%. (2) Isai. XXVINI, 1-4. — 4. Reg. XVII, 1-25. (3) Jud. XV, DE (4) Psal. LI, 8. — Eccli. XXIV, 19. — Jerem. XI, 16. — Osee, NIV. 7° (5) 2. Esdr. VII, 15. — V. palma, pag. 237, not. 4. (6) Psal. CXXVII, 4. 251 cibo spirituale si alimentano, e sedendo intorno alla mensa del genitore, sono a lui di gloria e di conso- lazione (1). O | Gli antidetti germogli schiantati colla zappa o colla marra, e ben curati in vivaio, riescono bene a mol- tiplicare gli olivi. Ma il miglior metodo di fare un oliveto si è di piantare de’ giovani oleastri venuti na- “turalmente, ed innestarli a tempo opportuno, inseren- dovi una marza presa dall’olivo domestico. Se al con- trario s'innestasse nel domestico olivo una marza tolta dall’oleastro, il germogliamento sarebbe alquanto mi- gliore, ma come lasciò scritto Teofrasto (2), mai non avverrebbe un olivo domestico. L' apostolo s. Paolo che questo tutto non ignorava, avendo paragonato il Gentile all’oleastro, e alla domestica pianta la Chiesa, scrive che l’innesto di quello in questa fu operato fuori natura (3); e muta nel citato luogo, come osserva Ori- gene, l’ordine delle cose, adattando queste alle cagioni, piuttosto che le cagioni alle cose. Imperciocchè la con- versione de’ Gentili alla fede, simboleggiata per l’in- nesto dell’oleastro nel domestico olivo, non fu opera di natura, o di arte, ma solo effetto della volontà di Dio; il perchè quel salvatico olivo potè divenire olivo domestico e produrre ottimi frutti. Gli olivi per varie cagioni perdono i fiori e le frutta prima di giungere a maturità. Di questo male furono da Dio minacciati gli Ebrei, se mai dimentichi de’ be- (1) V. s. Ilario e Origene, Hom. XXXIV én Luc. (2) Teofrasto, Hist. plant. lib. II, cap. 3. (3) Rom. XI, 24. 1292 i nefizi ricevuti avessero osato di violarne le leggi (1). E perchè niente valsero le minacce per tenerli al do- - vere, Iddio venne a’ fatti, e più volte rovinò i loro oliveti col bruco, coll’arsura, colla ruggine e la gra- enuola (2). L’olivo ha lunghissima vita. Il suo legno è duro, nodoso, storto e di poca solidità; ciononostante, es- sendo giallognolo, ondato e vario nelle sue nodosità, è assai bello e ricercato dagli ebanisti e stipettai, per- chè prende un bel pulimento. Salomone lo fece ado- perare a farne i due cherubini, che colle ale servivano di ombrello all’arca dell’ alleanza, le imposte della porta, per la quale si entrava nel Santo de’ Santi, e l'armatura dell’altra porta all'ingresso della parte an- teriore del Tempio (8). L’olivo è stato preso da tutte le genti per simbolo della pace. Questa usanza ha forse avuto origine , come sembra aver creduto Tertulliano (4), dal ramo- scello di olivo, che la colomba portò a Noè nell’arca, per annunziargli la fine del diluvio e il ciel placato (3). Or qui nasce la curiosità di sapere come mai un ra- moscello di olivo di verdi foglie potesse durar tanto tempo sotto dell’acque. Il Bochart (6) osserva, che seb- bene nella nostra Volgata leggasi che la colomba nel (1) Deut. XXVIII, 40. (2) Amos, IV, 9. — Agg. II, 18. (3) 3. Reg. VI, 23, di, 33. (4) Tertulliano, De daptis. cap. VII. (5) Gen. VII, 11. (6) Bochart, Hierozoic. part. HI, lib. 1, pag. 30. 253 suo secondo viaggio portasse a Noè un ramoscello di verdi foglie, pure nell’ebreo si dice che avesse in bocca una fronda spiccata d’un olivo. Di più gli Antichi la- sciarono scritto, che gli olivi e altre piante vivono e verdeggiano sotto delle acque. Teofrasto e Plinio ci sicurano, che nel Mar Rosso vegetano e fruttificano di molte piante, e in particolare il lauro e l’ olivo (1). Anche Plutarco afferma che la provincia di Circan nella Persia e la costa dell’Abissinia essendo per la gran siccità sterilissime e prive affatto di alberi, nel vicino mare, onde l’una e l’altra sono bagnate, nascono piante di straordinaria grandezza, alcune delle quali olivi, altre lauri, e altre crini d’Iside vengono chiamate da- gli abitanti (2): lo che Plutarco prese forse da Aga- tarchide, il quale nel capo cinquantesimoterzo del li- bro quinto muove parola degli olivi e de’ crini d’l- side, che crescono in mezzo al mare. Qual maraviglia dunque che l’olivo, il quale è sempre verde, onde disse il poeta, Un ramoscel di sempre verde olivo (3), avesse conservato per alquanti mesi le sue foglie, o per lo meno alcuna di esse, che fu spiccata dalla co- lomba? Tanto più che le frondi di olivo resistono lunga pezza alla pioggia, il perchè i popoli ittiofagi, come riferisce Strabone (4), usano di coprirne i loro tuguri. (1) Teofrasto, Op. cit. lib. IV, cap. 8. — Plinio, lib. £INI, cap. 25. (2) Plutarco, De fucie in orbe lunae. (3) Ovidio, Metam. lib. VIN, V. 295. Ris: (4) Strabone, Geogr. lib. XVI. 254 Poteva quindi il Tournefort (1) astenersi dagl'’irreligiosi scherzi, che si lasciò sfuggir dalla penna intorno alla colomba apportatrice del ramoscello di olivo. Ma fac- ciam grado alla produzione di questa pianta, che fra oli alberi fruttiferi ha con ragione il primato. La raccolta delle olive si fa ne’ mesi di novembre e dicembre, quand’esse sono mature perfettamente. Gli Ebrei usavano coglierle sulla pianta, o farle cader per terra, battendo leggermente i rami, e queste erano de’ padroni e de’ padri di famiglia; quelle che sopra l’ albero rimanevano per legge erano del forestiere , della vedova, del poverello (2). À queste poche olive salvate dalle rapide mani dell’agricoltore, paragona il profeta que’ pochi uomini che restati sarebbono nella Terra d'Israele dopo le devastazioni degli Assiri (3). L'olio comunemente spremeasi macinando prima le olive, e poi mettendole sotto il pressore, a che dal profeta si allude (4). Esso era, secondo i rabini, un legno grande e pesante, che aveva all’ estremità un enorme sasso, che si alzava con corde (5). Estraevasi ancora l’olio dalla sola polpa delle olive non macinate, ma solamente ammaccate nel mortaio con uno stru- mento di legno da’ Latini chiamato tudicola. In siffatto modo toglievasi da quella massa il fiore dell’olio, che noi olio vergine nominiamo, e mettevasi il resto sotto (1) Tournefort, Voyage du Levant, tom. II, pag. 336. (2) Deut. XXIV, 20. (3) Isai. XVII, 6; XXIV, 13, (4) Mich. VI, 15. (5) R. Obadia di Bartenora, ad Tract. Shebiit, cap. VIN, $ 6. 253 la macina, secondo il solito, a cavarne l’olio di terza qualità, che olio di nocciolo si chiama da’ contadini (1). L’olio spremuto dalle olive ben mature e colte di fresco è dolce e di grato odore. Però la sacra Sposa de’ Cantici volendo lodare il nome del divino suo Sposo, lo rassomiglia alla fragranza che dall’ olio si diffonde (2). L’olio è penetrabile grandemente (3); per- tanto non poteva meglio Salomone esprimere la faci- lita, con cui i discorsi di una cattiva donna s'’ insi- nuano nel cuore di chi gli ascolta, che paragonandoli all'olio (4). E perchè nulla manchi al paragone, sic- come l’olio al dir di Galeno internamente irrita la gola, promuove la tosse, raschia le viscere, e cagiona san - guinolente deiezioni (3); così, aggiunge Salomone, il mellifluo e penetrante parlare di una cattiva donna pervenendo al cuore, finisce per far provare all'uomo un’amarezza come quella dell’assenzio, e dolori si a- cuti e mortali, qual se cagionati fossero da una spada a due tagli : cosa detta e scritta anche da mille au- tori profani, e per infinite, continue, lacrimevoli spe- (1) Tra’ Babilonesi i nocgioli di oliva erano pazzamente riguardati come una specie di filtro atto ad attrarre l’affetto altrui. Perciò tutte le donne anche di primaria condizione, che appo loro doveano al- meno una volta in vila prostituirsi, usavano bruciarne sedendo vi- cino al tempio di Militta ossia Venere. A cotesta folle opinione al- lude Geremia nella lettera indiritta a’ Giudei, che dovevano essere condotti schiavi in Babilonia. V. Baruch VI, 42. (2) Cant. 1, 2. (3) Psal. CVIII, 17. (4) Prov. V, 3, 4. (35) Galeno, De simpl. medic. facult. lib. II, cap. 7. 256 rienze provata. L'olio è assai scorrevole; quindi ben dice lo stesso Salomone, che chi vuole serrar la bocca a una donna rissosa è come chi vuole stringer l’olio colla mano (1); perchè siccome l’olio quanto più strin- gerai la mano per tenerlo, tanto più ti scapperà; così una donna rissosa, quanto più cercherai di farla star cheta, tanto più garrirà. Nell’elegante apologo narrato a' Sichimiti da Gioa- tamo figlio di Gedeone, a buon dritto l’olivo si glo- ria del suo sugo, e dice che serve agli dei e agli uo- mini (2); perchè l'olio di oliva, che ben si distingue nella Scrittura da quello di altre piante oleaginose (3), era continuamente impiegato nell'antico culto di Dio; e rispetto agli uomini, non solo era usato, come al presente, ad apparecchiare i cibi e ad accendere le lu- cerne, ma a più altre cose eziandio. E di vero l’olio presso gli Ebrei serviva primiera- mente per fare l’unguento aromatico, onde furono unti e santificati non solo i sacerdoti e altre cose spettanti al tabernacolo, ma i re ancora : il qual costume, a detta de’ rabini, ebbe vigore fino al tempo del pietoso Giosia. L’olio fatto al mortaio serviva per fare ardere le sette lucerne del candelabro d’oro (4) che, come scrive Giuseppe Ebreo (5), tutte stavano accese la notte, e tre di esse il giorno, e per aspergere il fior di farina, 1) Prov. wu 16. 2) Jud. IX, 8, 3) Exod. cun 0 aiù XXI, 2. ) Exod. I. c.— Levit. I. c. ) ( ( (4 (el: i Antiq. lib. IH, cap. 2. 251 che si aggiungeva al sacrificio perenne di due agnelli per giorno, uno la mattina, l'altro la sera (4). L'olio comune fu adoperato per ungere la schiacciata, che Mosè fece bruciare sopra |’ altare degli olocausti il giorno in cui Aronne e i suoi figliuoli furono con- sagrati (2). L’olio avea pur luogo in tutte le oblazioni spentanee composte di farina, che facevansi in sacri- ficio al Signore (3), nelle libazioni che si aggiungevano agli olorsusti e alle ostie pacifiche (4); e finalmente nel sacrificio ordinato da Dio per la espiazion della lebbra (5). Senonehè l'olio era anche adoperato moltissimo a’ piaceri e alle necessità della vita. Di fatto gli Orien- tali se ne servivano a rallegrare gli ospiti; perchè, come ricavasi da un frammento di Ateneo, ungendone il capo, i sensi tutti ne provano gran sollievo. Però Davidde celebrando i beneficì ricevuti da Dio: 7u hai imbandita, esclama, davanti a me la mensa, al cospetto de’ miei nemici: tu hai unto il mio capo com olio : il mio calice trabocca (6). Cotesto confortamento de’ sensi è permesso dall’Ecclesiaste: In ogni tempo, dic'egli, sieno candide le tue vesti, e mai non manchi l’olio al tuo capo (7). Anzi Gesù Cristo rimprovera fra (1) Exod. XXIX, 40, 4iî. (2) Ibid. 23, 25. — Levit. VIII, 26, 28. (3) Ibid. II, 1, 4, 5-7. (4) Num. XV, 4, 6,8, 9. (5) Levit. XIV, 10. (6) Psal. XXIT, 5. (1) Eecle. IX, 8. 258 le altre cose a Simon fariseo che avendolo invitato a cena, non avea fatto pensiero di ungergli il capo con olio, mentre la Maddalena aveagli unti con unguento i piedi (1). L'olio ingentilisce e fa risplendere la car- nagione. Iddio, dice il Salmista, trae dalla terra l’olio ad esilarare la faccia dell’uomo (2). Perciò le donzelle che doveano presentarsi ad Assuero re de’ Persiani, af- finchè la più bella prendesse il luogo della ripudiata consorte, con olio di mirra si ungevano per ben sei mesi (3). Però le donne che erano in lutto per la morte de’ lor mariti di ungersi non costumavano (4). L'olio era usato a curar le ferite, come leggesi aver fatto il buon Samaritano con quell’infelice, che discendendo da Gerusalemme a Gerico, fu ferito e lasciato mezzo morto dagli assassini (5). Quindi è che il profeta vo- lendo esprimere che il popolo di Giuda e di Gerusa- lemme era ostinato nelle sue iniquità, dice non es- sere in lui che ferite, lividure e piaghe marciose non rasciugate, nè medicate, nè allenite con olio (6). Ne’ tempi apostolici l’olio veniva adoperato alla mi- racolosa guarigion degl’infermi : Gli apostoli, dice l'E- vangelista, ungevano con olio molti malati, e li risa- navano (7). L'olio era il segno esterno del miracoloso (1) Luc. VII, 46. (2) Psal. CHI, 76. (3) Esther, II, 12.—V. pure Ruth, fil, 3, Judith, X, 3. (4) 02. Reg, XIV, (5) Luc. X, 33, 34. (6) Isai. I, 6. (7) Marc. VI, 15. 259 risanamento, e nell’unzione di esso, come insegna il concilio Tridentino, era figurato il sagramento dell’e- strema unzione istituito poscia da Gesù Cristo. Final- mente l’olio serviva ad ungere gli scudi, i quali es- sendo per lo più di rame, come quello del gigante Golia (1), e ben levigati, coll’olio si difendevano dalla ruggine, onde avrebbero potuto macchiarsi, se mai fos- sero stati lordi di sangue, o di fango. Perciò l’afflitto profeta alludendo a ciò che sarebbe avvenuto nella presa di Babilonia, quando Baldassare co’ suoi banchettava allegramente, fa dire a una guardia : Voî che mangiate e beete, sorgete, 0 capitani, ungete gli scudi (2). Or tanta essendo l’utilità dell'olio, a gran ragione esso accresceva la ricchezza de’ privati, come sta scritto ne’ Proverbi : Un tesoro di cose rare e di olio è nel- labitazione del savio (3); ed era noverato eziandio tra le dovizie de’ re, come tra gli altri si prova con quel luogo de’ Paralipomeni, dove sì legge aver Davidde commesso a un (ioas la cura delle conserve dell’olio, e a Balanan di Geder quella degli oliveti (4). Gli abitanti di Gerusalemme e di Samaria abusarono empiamente dell'olio comune e dell’aromatico; perchè il profeta rinfaccia a quelli di averlo offerto ad im- magini di uomini (5), alludendo forse agli osceni si- (1) 1. Reg. XVII, 6. (2) Isai. XXI, 5. — La Volgata invece di ungete gli scudi, come alla lettera suona l’ebreo, dice prendete gli scudi. (3) Prov. XXI, 20. (4) 1. Par. XXVII, 28. (5) Ezech. XVI, 18, 19. -260 mulacri usati nelle feste di Osiride, di Bacco e di Am- mone; e altrove agli uni e agli altri rimprovera di es- sersi posti a sedere sopra letti magnifici, e di aver con- sumato banchettando in onore degl’idoli i profumi e gli olî odoriferi ordinati da Dio per uso del solo suo tabernacolo (1), ond’era stato severamente proibito di farli e adoperarli altrove (2). NERIUM, OLEANDRO Nerium oleander Linn. Questo arboscello, detto anche alloro indiano, lau- ro-roseo , e dal volgo mazza di s. Giuseppe, cresce naturalmente in cespuglio, ed ha gli steli diritti, le- gnosi, alquanto grigi, i rami verdi o bruni, triango- lari nella gioventù; le foglie opposte, ma per lo più terne, d’un verde oscuro; i fiori color di rosa a maz- zetti terminali. Se ne distinguono più varietà, una delle quali a fiori doppi, Nerium splendens Hort. b. Sem- pre verde. L'oleandro, comunissimo nell’Oriente, non è espres- samente nominato nella Scrittura. Ma è verisimile che ad esso facciano allusione il Salmista e Geremia pro- feta, quando rassomigliano l’uom giusto a quella pianta che cresce presso i ruscelli, e le cui foglie non ap- passano negli ardori stessi della cocente stagione (3): (1) Ezech. XXIII, 41. (2) Exod. XXX, 33, 38. (3) Psal. I, 3.—Jerem. XVII, 8.—V, Sprengel, Storia della bo- tanica, tom. |, pag. 13. 201 con che esprimono bellamente che il giusto fecondato dalla divina grazia si mantiene incorrotto e fedele in mezzo a’ calori nocivi delle passioni. EBENUM, EBANO Diospyros ebenum Linn. Albero grandissimo, glabro in tutte le sue parti, il quale ha i rami colla scorza grigia, i fioriferi nericciì; le foglie alterne, poco picciolate, bislunghe, interis- sime, ottuse, luccicanti, spesso macchiate al di sopra, venose al di sotto; i fiori sessili, ascellari, solitari; le bacche ovali. Db. L’ebano è d’un bel nero lucido, e di maniera pe- sante, che non galleggia nell'acqua. Posto sopra le brage manda un odore assai grato : verde prende fuoco prontamente per l'abbondanza di sugo pingue che ha. Plinio e Dioscoride affermano che il migliore ebano è quel d'Etiopia, ma Teofrasto dà la preferenza a quel dell’Indie, donde al presente si somministra all'Europa. Gli Antichi facevano grand’uso di cotesto legno. Il pro- feta Ezechiele dice che gli abitanti della ricca Tiro lo prendevano in cambio delle loro merci (1). Ma dipoichè sì sono scoperte tante maniere di dare il nero ad altri legni duri, l’uso dell’ebano si è menomato di molto. (i) cEzech, XXVII, 15. STORAX, STORACE Styrax officinalis Linn. Arboscello di mezzana grandezza, ramosissimo, ir- regolare, diffuso, che ha le foglie alterne, picciolate, ovali, intere, verdi al di sopra, biancastre al di sotto; i fiori bianchi simili a quelli dell’arancio, un po’ pen- denti, in mazzetti poco guerniti; il frutto della gran- dezza d’una nocciola. b. Lo storace abbonda nella Siria, massime sulle mon- tagne di Galaad, che sono quasi la testa e il princi- pio del Libano (1). Dal tronco e da’ più grossi rami cavasi per incisione una gomma-resina conosciuta sotto il nome di storace in lagrima, in pasta. Essa è di co- lore rosso oscuro , ed ha un odor grato. Una volta era portata in calami o cannucce, onde si procacciò il nome di storace calamita. È cordiale e molto deter- siva, il perchè s’ impiega frequentemente per nettare le piaghe. Gli Ebrei l’adoperavano molto ne’ profumi domestici (2) e nelle cerimonie religiose; e gli Arabi e altri popoli, per testimonianza di Plinio (3), si gio- vavano dell’odore balsamico dello storace per togliersi il fastidio che ad essi cagionava l'odore dell’incenso e della mirra, di che facevano grand’uso. Perciò i mer- catanti Ismaeliti che comprarono il tradito Giuseppe, con altre somme di Galaad portavano dello storace in (1) Jerem. XXII, 6. (2) Eccli. XXIV, 21. (3) Plinio, Hib. XII, cap. 17. 265 Egitto (1); dove era sì apprezzato, che il patriarca Gia- cobbe stimò bene mandarne in dono a quel rinoma- tissimo vicerè, che ancor non sapeva essere il suo figliuolo (2). HEDERA, ELLERA Hedera helix Linn. Arboscello sarmentoso, i cui rami strisciandosi su per gli alberi e le muraglie, vi si attaccano per mezzo delle mani radicanti. Esso ha le foglie picciolate , salde, coriacee, luccicanti, alterne, a tre o molti lobi, ovvero ovali-appuntate, o intere, cuoriformi; i fiori verdicci in piccole ombrelle terminali; le bacche ne- rei bi Nella terribile persecuzione che Antioco Epifane mos- se a’ Giudei, quegl’infelici non solo dovettero trala- sciare le loro costumanze legali, ma erano in oltre tratti forzatamente ad assistere nel dì natalizio dello scelleratissimo re a’ sacrifizi che da’ Pagani si face- vano; e nelle feste di Bacco erano costretti d’aggirarsi per le vie di Gerusalemme e delle vicine città de’ Gen- tili, coronati di ellera, seguendo ordinatamente il si- mulacro di quell’ubbriaca divinità. Spettacolo degno veramente di compassione, e ad uomini, quali erano essi, adoratori del vero Dio sommamente grave e ama- (1) Gen. XXXVII, 25, — L’ebrea voce necotk, storace, che in due soli luoghi si legge della Serittura, in questo è spiegata aromi da s. Girolamo, (2) Ibid. XLIII, 11. 264 ro. Ma non potevano fare ostacolo agli usi profani senza esporsi a perdere barbaramente la vita (4).. FRUCTUS ARBORIS PULCHERRIMAE, CEDRATO Citrus medica Linn. Albero che ha irami e ramoscelli saldi, diritti ed elevati, guerniti di spine forti e pungentissime; le foglie sono maggiori di quelle dell'arancio comune, più su- gose e più coriacee, e sfornite di quell’ala cuoriforme, che trovasi alla base di quelle dell’arancio, il loro pic- cruolo è nudo; i fiori hanno sovente più di cinque pe- tali, violetti o porporini all’esterno, e piacevolmente odorosi; i frutti son gialli, odoriferi, carnosi, ovati, colla scorza grossa e scabra. Se ne distinguono molte varietà. b. Sempre verde. Gli Ebrei, come scrive il loro storico Giuseppe (2), nel celebrar ciascun anno la festa de’ Tabernacoli (3) portavano in mano frondi di palma e rami di mirto e di salice, a’ quali aggiungevano de’ cedrati, pensando che questi si dovessero intendere per frutti dell'albero bellissimo, di che fassi menzione nella Scrittura (4). E tali, a dir vero, sono i cedrati massime in Babilonia, in Egitto e nella Giudea, dove alcuni pergiungono a tal grossezza, che pesano trenta libre. Unkelos, Jonatan, il Targo gerosolimitano e gl’interpetri siriaco ed arabo (1) 2° Mac ME do. (2) LI. Giuseppe, Anlig. lib. Lil, cap. 10; MII, 21. (3) V. Palma, pag. 237, not. 4. (3) Levit. XXI. 40. 263 l’intendono pure come gli Ebrei. Anzi s. Girolamo, nel Comentario sopra il capo decimoquarto del pro- feta Zaccaria, invece di rendere l’ebreo etz hadar, come nel Levitico, lo traduce apertamente frutti dell'albero di cedro. LABRUSCA, LAMBRUSCA, RAVERUSTO Vitis labrusca Linn. Pianta sarmentosa e rampicante, ché ha le foglie lar- che, cuoriformi, divise in tre lobi dentatì, biancastre e tomentose al di sotto; i frutti in grappoli, comu- nemente a due a due, uno laterale all’altro, con gra - nelli piccoli, tondi, sodi, di guscio duro, e d’un color nero quando sono maturi. b. Le uve della lambrusca o vite salvatica, che si chia- mano uvizzolo ed affritogna, sono acerbe, asprigne, spiacevoli, e allegano i denti. Però ad esse il profeta Isaia paragonò i perversi costumi de’ Giudei (41), e la perdizione e l’eccidio, che la dimenticanza del vero Dio avrebbe fruttato alle dieci tribù del glorioso regno dAsraele (2). VITIS, VITE, VIGNA Vitis vinifera Linn. Il portamento delle specie o varietà della vite do- mestica presso a poco è sempre lo stesso. La scorza del fusto è bruna; quella de’ rami è d’un rosso ten- (1) isai. V, 2, £. (2) Ibid. XVII, If. 266 dente al giallo. Le foglie sono tutte palmate, a cin- que lobi più o meno incisi, divise o dentate secondo le varietà, verdi e glabre, e in una o due specie, bian- castre e un poco tomentose, specialmente al di sotto. I frutti compariscono sempre sopra i tralci dell’anno, e d’ordinario sono collocati al quinto, sesto e settimo nodo; di guisa che vedendo comparire il settimo nodo senza frutto sopra quel tralcio, non si può mica spe- rare di vederne più. Questi frutti sono più o meno gros- si, ovali o tondi, di un violetto nericcio o meno ca- rico, rossi o biondi, coperti d’una pelle sottile, o dura e coriacea, secondo le varietà. La vite anche per la sua grandezza con ragione era dagli Antichi noverata tra gli alberi; e nell’ apologo di Gioatamo, venuti gli alberi nella risoluzione di farsi un re, alla vite offrirono la corona; e vieni, le dissero, prendi l'impero sopra di noi (1). Di tre maniere le viti si possono coltivare: o man - dandole e legandole sopra ingraticolati fatti di pali e di pertiche, o d’altro a foggia di palco, o di loggiato; 0 facendole andare libere sopra gli alberi; o piantandole per ordine, con poca distanza Vuna dall'altra, come si pratica per Io più. Della vite in pergolato si deve intendere quel che dice il Salmista : La tua moglie sarà come vite feconda mell’interior di tua casa (2); e della vite arbustina ciò che leggesi in Michea : Ciascuno se- derà sotto la sua vite e sotto il suo fico, e non vi sarà (4) Jud. IX, 8, 12. (2) Psal. CXXVII, 3. 267 alcuno che lo spaventi (1); e in Zaccaria : In quel giorno, dice il Signor degli eserciti, ciascuno inviterà il suo com- pagno sotto la vite e sotto il fico (2); vale a dire al- l'ombra della vite errante sopra il fico; perciocchè, es- sendo la ficaia poco frondosa, lascia passare i raggi del sole, e fa che non godano, ma soffrano coloro che giacciono 0 sedono sotto di essa. In quanto all’uso di ridurre le viti a vigna, prima a farne parola è la Scrittura, la quale ci fa sapere che il patriarca Noè essendo agricoltore, incominciò a col- tivare la terra, e tra le altre cose che fece, piantò una vigna (3). Lo che pensano alcuni doversi intendere del rinnovamento dell’ agricoltura dopo il diluvio, come se si dicesse: Noè prese di nuovo a coltivar la cam- pagna, e a piantarvi con ordine le viti, avendo le ac- que dell’universale diluvio disertato ogni cosa. Imper- ciocchè si pena molto ad ammettere, dicon essi, che in mille seicento cinquantasei anni, quanti ne anda- rono dalla creazione al diluvio, altr'uomo mai non a- vesse tentato di coltivare insieme le viti. « Si può cre- dere senza eresia che il vino sia stato in uso sin dal principio del mondo. Noè si diede la premura di co- municare al genere umano le migliori cose che avea conosciuto innanzi al diluvio. Però si accinse a re- staurare l'agricoltura : e siccome uno de’ suoi primi pensieri fu di piantare la vigna; così si può credere (1) Mich. IV, 4. (2) Zach. II, 10. (3) Gen, IX, 20. 208 ch'egli s'imducesse a far questo per l’anticipata noti- zia che aveva dell'utilità di questa pratica (1). » Al- tri in opposito sono d’avviso che prima del. diluvio fossero le viti piantate a maniera degli altri alberi, e che altro uso non curassero averne gli uomini, fuorchè di mangiarne le uve (2). Comunque ciò sia, i vigneti si propagarono a poco a poco ne’ paesi caldi e temperati da’ discendenti di Noè. La fertilissima Palestina un tempo ne abbondava. Il Signore Dio tuo, disse Mosè al popolo d'Israele, lîn- trodurrà in una terra buona... terra da grano, da orzo e da vigne (3). Ciò rifermarono gli esploratori man- dati da Mosò a riconoscere l'indole di quella terra, i quali ritornati che furono dopo quaranta giorni al cam- po di Cadesbarne, mostrarono agli avidi riguardanti smisurati grappoli, che seco portato aveano, come sag- gio delle produzioni del paese (4). Tra cotesti vigneti ve n'erano sì ubertosi, che il frutto di una sola vite si estimava un siclo d’argento (5), vale a dire circa quattro carlini della nostra moneta. I luoghi della Palestina più famosi per la coltivazion delle vigne erano i seguenti. Il paese toccato in sorte (1) Spectacle de ta Nature, tom. 1, pag. 329.— V. tra gli altri s. Giovan Grisostomo, Hom. în Genes., Olao Celsio, Hieroboth. 1. II, pag. 422 e seg. (2) S. Girolamo, contra Jovin. lib. I. — Pererio, in Genes. — Ca- stelli, Lexicon. — Vives, în Aug. de Civ. Dei, lib. XVII, cap. 12, pag. 1750. (3) Deut. VII, 7, 8. (4) Num. XMIH, 24, 27. (5) Isal. VII, 23. 269 alla tribù di Giuda, giusta la profezia di Giacobbe : Egli legherà alla vite il suo asinello, e al tralcio (A) V'a- sina sua, egli laverà nel vino il suo vestimento, e i panni suoi nel sangue dell’uve (2), come anche da’ Fenici si chiama il vino. Lo che è quanto dire, ne’ possedimenti ereditari di Giuda saranno le vigne sì comuni, che si legheranno i giumenti alle viti, come altrove si legano ad alberi salvatici; nè si guarderà che essi de’ tralci e delle uve si cibino : e sì abbondanti saranno le ven- demmie, che si farà del vino quell’uso che suol farsi dell’acqua col lavarvi le vesti. Tale si è il senso sto- rico o letterale : il mistico ed allegorico può esser que- sto : La tribù di Giuda legherà col vincolo della fede a Cristo, che è vera vite (3), la sua plebe avvezza già al giogo della legge; e nel sangue di Gesù Cristo, non già nella loro giustizia, monderanno i Giudei le anime e le coscienze loro. Anche il paese de’ Filistei era fer- tile di vigneti, i quali furono arsi ingegnosamente da Sansone (4), non per vendetta privata, come pensano alcuni, ma sì in vista della causa pubblica, e delle angarie fatte alla sua nazione, di cui era stato eletto da Dio giudice e liberatore. I colli tutti di Samaria (1) Nel testo ebreo si legge alla siepe di Sorck. Sorek è un luogo nella parte meridionale della tribù di Giuda, a un miglio dalla valle di Escol, donde i sopradetti esploratori riportarono l’uva maravi- gliosa. (2) Gen. XLIX, 11. (3) Joan. XV, 1. (4) Jud. XV, 4, 5. —I poeti celebrano i vini di Ascalon e di Gaza, città filistee. V. Sidonio Apollinare, Carm. XVII, v. 15, Corippo, lib. HI, v. 88. 270 erano sparsi di belle vigne (1). Lo sventuratissimo Na- bot una ne possedeva in Jezrael, presso al palazzo del- l’empio Acabbo re di Samaria (2), cui non volendo cederla giustamente, sendo eredità de’ padri suoi (3), fu fatto uccidere con tutti i suoi figliuoli (4) dalla per- fida Jezabele, affinchè nessuno potesse ripelerla dal suo. degno sposo, che l’usurpò. Il territorio di Silo, nella iribù di Efraimo, abbondava anch'esso di vigne, dove sì appiattarono i Beniamiti per rapire e sposare le don- zelle di quella città, ad essoloro negate (5). Nell’ u- bertosa valle del Libano facevasi un vino sì rinomato, che ad esso il profeta Osea paragonò la celebrità d’Is- racle, se si fosse convertito al Signore: Germoglieranno come la vite, e îl loro nome sarà come il vino del Li- bano (6). Grandi vigneti si coltivavano ne’ dintorni di Abel, metropoli degli Ammoniti (7). Nè per tale in- teressante coltura eran da meno Jazer, città levitica della tribù di Gad, e le città rubenitiche Sabama ed Esebon, le cui famose vigne, giusta l'oracolo d’Isaia e Geremia furono devastate dagli Assiri (8). In cotesto fertile paese un vigneto possedevasi da Salomone, come (1) Jerem. XXXI, 5. (2) 3. Reg. XXI, 4. (3) La legge nol permetteva, se non in caso di estrema necessità, Levit. XXV, 25, 25, e Nabot non era in bisogno. (4) 4. Reg. IX, 26. (5) Jud. XXI, 20-23. (6) Osec, XIV, 8.— Plinio, lib. XIV, cap. 7, loda il vino di Tri- poli di Siria, di Tiro e di Baruti, città vicine alla catena del Libano. (7) Jud. XI, 33. (8) Isai. XVI, 8, 9.—Jerem. XLVII, 32. 271 sì legge ne’ Cantici : Il pacifico ebbe una vigna in una popolosa città (A), ed egli la diede a vignaiuoli con patto che ciascun gli portasse mille sicli d’argento pel frutto di essa (2). Oltre la Terra Santa ferace era di vigneti anche l’E- gitto (3), TIdumea (4), l’Assiria (5), l’Augite o Terra di Hus (6), dove soggiornava il pazientissimo Giobbe, e finalmente il campo di Damasco, dove facevasi il vino chiamato da’ Greci calibonio, che i mereatanti di quella città portavano a vendere nelle fiere di Tiro (7); il quale era tenuto in sì gran pregio, che per testimo- nianza d'Ateneo t monarchi persiani non bevevano altro vino (8). Che se oggidì ne’ paesi or ora indicati le vigne più non si coltivano come altra volta, se il poco vino che nella Palestina e nell’Egitto producesi non è sì buono qual’era l'antico, è ad incolparne precipuamente la cieca osservanza del Maomettismo e la pigrizia degli abitanti. « Bisogna potare, dice Clemente Alessandrino, (1) Il testo ebreo ce i Settanta dicono, il pacifico ebbe una vigna in Baal-hamon, come nome proprio di luogo, ovvero di città; ed io soscrivo volentieri all'opinione del Caimet, che dice poter essere Baal-meon, posta tra Jazer, Abel, Sabama ed Esebon. (2) Cant. VII, Ii. (3) Psal. LXXVII, 47; CIV, 31, 32. — V. Strabone, lib. XVII, pag. 119, Orazio, Carm. lib. 1, od. 37, Grazio Falisco, Cyneget. v. 313, s. Cirillo Alessandrino, tom. V, pag. 204. (4) Num. XX, 17. (5) 4. Reg. XVIII, 32. (6) Job, XXIV, 6. (7) Ezech. XXVII, 18. (3) Ateneo, Deipnosoph. lib. 1, pag. 28. 272 3 zappare, legare ed eseguire altri lavori. Bisogna la falce, la marra ed altri arredi per coltivare la vigna, e far che ci produca ottimi frutti (1). » Ciò non si ottiene scansando la fatica, come il fattore dell’Evan- gelio, e tenendo la vigna come quella veduta dal sa- pientissimo Salomone : Passat presso al campo di un infingardo, e presso alla vigna di un uomo stolto, e vidi che ambidue erano pieni d’ortica, è prugnoli ne ingom- bravano la superficie, e la lor chiusura di pietre era ro- vinata (2). | Le principali cose poi riguardanti la coltivazion delle vigne sono accennate da Isaia : /l mio diletto ha una vigna în fertile collina, e le fece attorno una chiusura, e ne tolse via le pietre, e la piantò di eletti vitigni, e fabbricò una torre in mezzo di essa, e vi fece uno stret- toio (3). Volendo fare un vigneto, primieramente bisogna sce- gliere un luogo da ciò. Una terra leggera e fertile, piut- tosto asciutta, che umida, è la migliore per le viti, le quali vi provano benissimo, non per la quantità, ma per la qualità del vino molto fragrante, spiritoso e di durata. Ne’ terreni salmastri e bituminosi le vigne vengono pessime, qual furono un tempo quelle di So- doma e delle vicinanze di Gomorra, che pessimi frutti producevano (4). Le cosie e le colline che guardano a levante, o a mezzogiorno, sono il sito più vantag- (1) Clemente Alessandrino, Strom. lib. I, pag. 291. (2) Prov. XXIV, 30, 31. (sal. vV,.1, 2. (£) Deut. XXXII, 32, 33. 273 gioso per le vigne; perchè, come dice Virgilio, Piacciono a Bacco Ie colline apriche (1). Ma non sempre il paese offre tal comodo, onde si è costretti piantarne nelle pianure, dove fanno più vino, secondo l’osservazione di Columella (2), ma non così buono come lo producono i collt, Che s'abbassano in facile pendio (3). Però dice Lattanzio : « Un bravo agricoltore serba le colline a’ vigneti, i monti agli alberi e alle macchie, le pianure alle biade (4). » Segue in Isaia, e le fece attorno una chiusura. Le macie e le siepi, che vengono pure raccomandate da Virgilio (5), han per obbietto di guardar le vigne dagli animali, che le danneggiano Più che la indegnità di caldo o verno (6), e servono ancora ad impedire che sieno vendemminte da tutti quelli che passano per istrada (7). E siccome per cotale precauzione non sempre si ottiene lo scopo desi- derato, Iddio fece promulgare due leggi a favore de’ pos- sidenti. La prima statuisce : Se alcun farà danno ad un campo, o ad una vigna, e lascerà andare il suo qiumento a pascer Valtrui, soddisferà col meglio del suo campo, 0 (1) Virgilio, Georg. lib. I, v. 115. (2) Columella, pag. 83. (3) Virgilio, Ecl. IX, v. 8. (4) Lattanzio, De ira Dei, pag. 744. (5) Virgilio, Georg. lib. H, v. 374. (6) Ibid. v. 376. (1) Psal LXXIX, 13. 214 della sua vigna, secondo lestimazione del danno (A). La seconda : Entrando nelle vigne deltuo prossimo, man- gia dell’uve quanto ti pare, ma non portarne via (2). Le colline convenienti alle vigne spesso sono coperte di sassi, i quali infocandosi nella state, e raffreddandosi nell’ inverno, danneggerebbero le viti (3). Però sog- giunge il profeta nella sua bellissima allegoria, e ne tolse via le pietre; come prescrive anche Catone : « La - vora colla vanga il terreno, sgombralo da’ sassi, e circondalo di siepe (4). » Prosegue Isaia, e la piantò di eletti vitigni : vale a dire che per formare una vigna convien servirsi di ma- gliuoli recisi da un buon vizzato, e adatti a quel suolo in cui si vogliono piantare. « Bisogna darsi molto pen- siero, dice Columella, nel piantare una nuova vigna, affinchè non produca frutti men copiosi, e sieno questi di pregiato sapore (5).» I migliori magliuoli son quelli di mediocre grossezza, di poco midollo, con occhi grossi, rilevati e spessi, essendo questi pieni di vi- goria, mentre quelli molto grossi, che han gli occhi piccoli e lontani uno dall'altro, son flosci, rivuoti e difficili a barbicare. Le viti possono anche propagarsi per mezzo di pian- toni, che sono rampolli spiccati dal ceppo, ed allevati in un vivaio, il fondo della cui terra debb'’essere al- (1) Exod. XXII, 5. (2) Deut. XXIII, 24. (3) Palladio, De re rust. tom. I, tit. 6. — Columella, lib, XII, cap. 3. (4) Catone, De re rust. cap. XLVI. (5) Columella, pag. 86. 215 quanto più magro del terreno, ove s'hanno da trapian- tare. Questo trapiantamento fassi a capo di due o tre anni nel mese di novembre, ed eseguendosi colla de- bita diligenza, torna di grandissima utilità, perchè le viti fin dal terzo anno cominciano a fruttificare. Colla similitudine del magliuolo, o del piantone, che preso da una grand’aquila, e messo in un campo da semenza, germoglio e divenne ampia vite, bassa di fusto (1), il profeta Ezechiele predisse che Nabuc- codonosor prendendo Sedecia, principe della stirpe rea - le, zio paterno di Geconia, lo avrebbe costituito re della fertile Giudea; che il regno sarebbe stato lo stesso nella estensione, ma il nuovo sovrano poco elevato, perchè destituito di forze, e dipendente con tutto il popolo dal monarca babilonese. | Fabbricò una torre în mezzo di essa, e vi fece uno strettoio. Le persone agiate nella Palestina usavano cdi - ficare ne’ lor vigneti certi casini, che avevano poca larghezza a non occupar molto spazio; ma che sup- plivano coll’altezza al difetto dell’estensione. Li fab- bricavano per delizia, ed anche per necessità; imper- ciocchéè con fatica si trasportava la vendemmia d’una vigna scoscesa, e tornava più comodo di farla portare in un luogo stabilito consigliatamente nel centro. Vi hanno anche oggidiì certe provincie, dove le vigne con- tengono delle piccole case, che formano una delle prin- cipali bellezze della campagna. La difficoltà di far tra- sportare la vendemmia obbligava a fare nel luogo stesso (1) Ezech. XVII, 5, 6. 276 lo strettoio o palmento, dagli Ebrei appellato gath, e distinto in due parti, cioè in gath superiore, e in gath inferiore. Il superiore era il luogo dove prima si pigiavano, e poi sì spremevano le uve, mettendole den- tro sacchi, o cofani sotto la macchina (1), e donde il mosto ottenuto colla pigiatura e colle strette scorreva per un tubo detto tzinnor nella fossa inferiore, in ebreo fekeb, e in greco lenos, o hypolenions la quale era qua- drata, o ritonda, e intonicata ben bene di calce, o di gesso. Di altri lavori da farsi alle viti già grandi tocca pure nella sua parabola il profeta Isaia; non sarà potata, nè zappata (2). La potagion delle viti è necessaria, dice Clemente Alessandrino, ad impedire che tosto insal- vatichiscano (3). Ma essa debb'esser sempre correlativa alla qualità del vizzato, e alla natura della terra, che dee nutrirlo. 1] tempo di eseguire questa importante operazione è il principio della primavera, onde lo Sposo de’ Cantici nel descrivere questa stagione dice tra le altre cose : / fiori apparvero nella nostra terra, il tempo di potare è venuto (4). Ma siccome la furia delle fac- cende, che non lascia supplire a tutto per tempo, po- trebbe far terminare tardi la potatura, molti l’intra - prendono a gennaro, di che alcun pregiudizio non deriva. Non è men necessario zappar più volte le vigne dopo (1) V. pag. 254. (2) Isai. V, 6. (3) Clemente Alessandrino, Paedag. lib. I, pag. 115. (4) Cant. II, 12. 271 averle scalzate. In marzo si ammonta la terra fra due filari, di guisa che i piedi delle viti trovandosi sco- perti, possano più facilmente venir le barbe riscaldate dal sole. In maggio si rivolta la terra, e si fa cadere al piede delle viti, disponendo così il sugo nutritivo a portarvisi con maggiore abbondanza. In luglio si rin- calzano i pedali, affinchè con più prontezza maturino le uve. Con questi lavori si liberano le vigne dall’erbe cattive, che tolgono ad esse il nutrimento, si rende il terreno sollevato e sciolto, più capace di ricevere le influenze atmosferiche, meno soggetto all’asciuttore e al caldo, e si rendono le vigne più attive alla pro- duzione del frutto. Le vigne possono rinnovarsi in tutto, o in parte per mezzo delle propaggini. Propagginare una vite è pie- gare e sotterrare un de’ suoi tralci o sarmenti più vigorosi, senza tagliarlo dal proprio tronco, facendo sì che il legno vecchio resti sotterra in una formella alquanto lunghetta, nè spunti fuori che il legno nuovo. Allorchè quella parte che sta sepolta ha geltate sot- terra le sue radici, si taglia sotto le barbe, e si col- tiva questo nuovo ceppo, per poi. trapiantarlo dove fa d’uopo. Alle propaggini i profeti rassomigliano i gio- vani di Sabama, di Gerusalemme e del regno di Sa- maria, che gli Assiri in diversi tempi condussero co- gli altri cittadini a languire, o a consumarsi in do- lorosa schiavitù (1). Le vigne possono essere danneggiate di più maniere. (1) Isal, XVI, 3,—Jerem. V, 10.— Nahum, Il, 2, 218 Primieramente dalla pigrizia de’ vignaiuoli avanti ac- cennata, e dalla loro troppa avidità, quando non con- tenti del frutto delle viti, vogliono ancora farvi se- menza per averne delle grasce; onde avviene che sfrut- tata la terra, la vigna intisichisce e si perde. Perciò iddio prescrisse al suo popolo di non seminar nelle vigne alcuna semenza (1); lo che viene pure racco- mandato da Plinio (2). La grandine, sendo minata, fa prender l’agro all’uva che percuote, ma se è grossa, spoglia la vite del suo frutto, de’ pampani e de’ tralci. Quindi non è a stupire che in Egitto spezzate fossero colle altre piante e uccise tutte le viti, quando allo stender che fece Mosè la taumaturga sua verga verso del cielo, Iddio mandò tra tuoni e folgori una gran- dine di tal grossezza, che pari non fu giammai in tutto il paese degli Egiziani, da che essi divennero nazio- ne (3). I venti caldi nuocono alle viti, facendo seccare i loro frutti e inaridire i tralci loro (4). Gran guasto ne fan le volpi, che sono in grandissimo numero nella Palestina (5): ond’è che lo Sposo de’ Cantici comanda a’ servi suoi di predarle quando sono ancor piccole (6), essendo antico il proverbio, che le volpi vecchie non restano al laccio. In queste volpi i Padri poi raffigurano li eretici, che guastano e desolano la vigna del Salva- (1) Deut. XXII, 9. (2) Plinio, lib. XVIII, cap. 10. (3) Exod, IX, 23-25.— Psal. LXXVII, 47: CIV, 31, (4) Ezech. XIX, 12. (5) Jud. XV, 4. (6) Cant. II, 15, 2 LISI 279 tore (1). Gesù Cristo sposo celeste ordina agli apostoli, a’ dottori ed a’ pastori ecclesiastici di far preda di co- teste volpi, di rimuoverle, di cacciarle da’ confini della sua vigna; lo che essi fanno ottimamente, dice s. Ber- nardo (2), quando ne manifestano le male arti, ne provano le frodi, ne convincono la falsità. Le vigne hanno altri nemici. I cignali le mettono in conquasso, le belve solitarie ne fanno pasto (3), i bruci ne di- vorano i tralci e le foglie (4), e maggiore strazio ne fan le locuste, alle quali il profeta Gioele attribuisce denti come di leone, e de’ mascellari come di fiero leone; e le descrive come una forte nazione innume- rabile disertatrice anche delle vigne (5). L'ordine della fruttificazione nelle viti si è questo. Prima spuntan le gemme, poi si sviluppano i fiori, e poi si formano i grappoli o le uve. Delle gemme e de’ fiori si fa menzione in Isaia : Avanti la mieti- tura, prima che avrà perfezionate le gemme, e che i fiori saran divenuti agresto, è suoi tralci verran recisi colla falce... e abbandonati agli uccelli de’ monti e alle be- stie della terra (6). Lo che fu predetto di Sennache- rib re di Babilonia, il qual pareva che dovesse, per così dire, ingoiar la Giudea e l'Egitto; ma il Signore (î) V. s. Agostino, in Psal. LXXX, s. Gregorio, Cassiodoro, Beda, feodoreto, s. Anselmo ed alri. (2) S. Bernardo sul luogo citato. (3) Psal. LXXIX, 14. (4) Arnos, IV, 9. (5) Joel, T, 6,7, TI, 12,.—V. Bochart, Mieroz. par. I, pag. 468 (6) Isai. XVIII. 5, 6. 280 ironcò in un attimo le sue lusinghiere speranze : il suo grandissimo esercito in una notte perì, e auel- l'immenso numero di cadaveri fu lasciato in abban- dono agli uccelli di rapina e alle bestie feroci. I tre tralci di quella vite che il gran coppiere di Faraone avea vedulo sognando davanti a sè, a poco a poco met- levano le gemme, e poi fiorivano (4). I fiori della vile sono odorosi. Io come la vite gettai fiori di odor soave, così l’Ecclesiastico (2); e lo Sposo de’ Cantici descri- vendo la primavera, dice : Le vigne fiorite han dato il loro odore (3). Dopo la fecondazione de’ fiori si formano i grappoli, che mentre sono acerbi ed immaturi si chiamano a- eresto. Di qui il proverbio degli Ebrei : I padri man- giaron l'agresto, e st sono allegati i denti a figlioli (4). Questo ripetevan sovente quando sì sentivano valici- nare qualche grande calamità, come se Dio operasse contra ogni dritto e ragione, facendo portare a’ figliuoli la pena dovuta a’ padri loro. Ma io giuro, dice il Si- enore per bocca del suo profeta, che se vorranno con- tinuare a scusarsi con questo dettato, io severamente li punirò. Imperciocchè io sono creatore e Signore delle anime de’ figliuoli, come di quelle de’ padri, e non darò la pena fuor solamente a colui che avrà peccato. Non porterà dunque il figliuolo Viniquità del padre, nè il padre l'iniquità del figliuolo : e il giusto avrà (1) Gen. XL, 10. (2) Eecli XXIV.,023. (3) Cant. Il, 13. (4) Ezech. XVIII, 2. 281 sopra il capo la sua giustizia, e l’empio la sua em- pietà (1). Lo stesso dice per bocca di Geremia : In que’ giorni non si dirà più, i padri mangiaron l’agresto, e si sono allegati i denti @° figliuoli. Ma ognuno morrà per la sua iniquità; e chiunque mangerà l’agresto, a lui è denti si allegheranno (2). A non provare questa spiacevole impressione, la- sciam che l’uva maturi perfettamente per farne la ven- demmia; e in questo mentre per ricrearci delle fati- che durate nella piantagione e coltura della nostra vi- gna, veggiam quali cose nella Scrittura vengono dalle vigne e dalle viti simboleggiate. La vigna primieramente è figura del popolo ebreo. Tu dall’Egitto, dice il Salmista rivolto a Dio, traspor- tasti una vigna : discacciasti le nazioni, e la piantasti. Tu la conducesti nel viaggio senza perderla mai di vista : tu la facesti ben radicare, ed essa riempì la terra. Colla sua ombra ricoperse i monti, e co” suoi rami gli altis- simi cedri. Stese sino al mare i tralci suoi, e sino al fiume i suoi rampolli (3). Lo che vuol dire, Signore, iu tramutasti il tuo popolo dall’Egitto nella Canani- tide, dopo averne discacciato i sette popoli che l’abi- tavano. Ne’ quarant'anni che andò pellegrinando per lo deserto tu lo guidasti colla prodigiosa colonna di nube e di fuoco : tu lo rendesti stabile e fermo contro de’ suoi nemici, ed egli occupò un gran paese. Au- mentato immensamente, coprì colla moltitudine degli (1) Ezech. XVIII, 3, 4, 20. (2) Jerem.. XXXI, 29, 30. (3) Psal. LXXIX, 9-12. 282 uomini la montuosa terra di Canaan, e colla sua po- tenza si levò tant’alto da superare i principi stranieri. Estese il suo dominio da una banda sino al Mare Me- diterraneo, e dall’altra sino all’ Eufrate. Poichè sta scrifto, che Salomone era signore di tutto il paese che giace nella parte citeriore dell'Eufrate, da Tapsaco sino a Gaza, ed avea tributari tutti i re che erano di qua dal fiume (1). La vigna di Salomone significa la Sinagoga, e quella dello Sposo de’ Cantici la Chiesa di Gesù Cristo (2). Il pacifico, dice lo Sposo, ebbe una vigna în una po- polosa città, ed egli la diede a vignaiuoli con patto che ciascun gli portasse mille sicli d’argento pel frutto di essa. Ma la mia vigna sta innanzi a me (3). Vanti pure Salomone la fertilità della sua vigna, noverì i patriarchi e i profeti, che la Sinagoga produsse, am- plifichi le promesse a lei fatte, e le prerogative di che fu adorna, ne lodi l’antichità, l’estension, la bellezza; niente di questo tutto noi gl’invidiamo. Sia pure a lui ben accetta la vigna sua; contuttociò noi possiamo dire che la vigna del Salvatore, quantunque piccola sembrata fosse nel suo principio, è di gran lunga mì- gliore, ed è guardata con affettuosa sollecitudine per mezzo de’ suoi ministri e custodi; e tutti che conosce- ranno l’una e l’altra mistica vigna, alla vigna di Mosè (1) 3. Reg. IV, 24. . (2) Così s. Ambrogio, s. Gregorio, Cassiodoro, il ven. Beda, s. An- scelmo ed altri : quantunque non tutti sì spieghino allo stesso modo. (3) Cant. VIM, 11, 12. 285 e di Salomone preferiranno la vigna di Gesù Cristo (1). La vigna pasciuta è simbolo di sudditi depauperati. Il Signore verrà a far giudizio de' seniori e de' prin- cipi del popol suo : perchè voi avete pasciuta la mia vi- gna, e nelle vostre case son le rapine fatte al povero (2). Con questa similitudine il profeta predice l’infelicità del popolo di Giuda spogliato d’ogni bene dagl'iniqui magistrati sotto il regno dell’empio Acaz, il quale si meritò di essere abbandonato al furore delle nazioni. La vigna degenerata rappresenta la nazione giudaica pervertita. Il mio diletto ha una vigna in fertile collina, e le fece attorno una chiusura, e ne tolse via le pietre, e la piantò di eletti vitigni, e fabbricò una torre in mez- zo di essa, e vi fece uno strettoio, ed aspettò che fa- cesse dell’uve, e fece delle lambrusche. Or dunque voi abitanti di Gerusalemme, e voi uomini di Giuda, qiu- dicate tra me e la mia vigna. Che si potea più fare alla mia vigna, che io non vi abbia fatto? Forse perchè ho i0 aspettato che facesse dell’uve, essa ha fatto delle lam- brusche? Or dunque vi farò io assapere ciò che sono per fare alla mia vigna: torrò via la sua siepe, e sarà espo- sta al saccheggio, distruggerò la sua macia, e sarà con- culcata : la lascerò în abbandono, e non sarà potata, nè zappata, e vi cresceranno gli sterpi e le spine, e co- manderò alle nuvole che non piovano sopra «di essa (3). Imperciocchè, come il profeta stesso dichiara, la vigna (4) V. il Calmet su questo luogo. (2) isai. HI, 14, (3) Isai. V, 1-7. 284 del Signore era il popolo d’Israele e di Giuda, che egli stabili nella Cananitide paese elevato e ricco di tutte le migliori produzioni (1). La chiusura di questa vigna, secondo Origene (2), fu la protezione di Dio, che era come un muro invisibile attorno al suo popolo, prima che lo avesse abbandonato per la sua ingratitudine. Ma la terra di Canaan, dove il Signore piantò quel popolo, quantunque fosse ubertosa, tuttavia era coperta di pietre, vale a dire di abitatori, come spiega s. Girolamo (3). I popoli che ne coprivano la superficie adoravano idoli di pietra, ed erano divenuti sì stupidi, come le pietre che adoravano. Il Signore dunque da buon vignaiuolo si prese cura di toglierli da quel terreno, perchè non fossero di nocumento alla sua vigna. Gli eletti vitigni, de’ quali anche a detta di Geremia (4) fu essa piantata, furono Abramo, Isacco, Giacobbe, e forse anche i capi delle dodici tribù, poiché Dio gli ebbe renduti tanto umili e religiosi dopo la manifestazion di Giuseppe, quanto erano stati vani, ingiusti, invidiosi prima di riconoscerlo. La torre fabbricata in mezzo alla vigna era il tempio di Salomone edificato nel mezzo della Giudea, e lo strettoio significava l’ altare degli olo- causti (5), donde nelle maggiori solennità sgorgava il sangue delle vittime a maniera de’ rivi di mosto, che scorrono dal torcolare. Ma come Dio pur sì lagna per (1) Deut. XXXII, 13, 14. (2) Origene, homil. XIX in Joan. (3) S. Girolamo in questo luogo. (4) Jerem. II, 21. (5) V. Origene, I. c. 285 bocca di Geremia (1), la sua vigna degenerò, il suo popolo in cambio di frutti di fede e di buone opere produsse frutti di superbia, d’ingiùstizia, di libidine, di empietà. Or dunque, abitanti di Gerusalemme, per- sonaggi tutti della Giudea, dice il Signore per somma benignità, decidete voi stessi, comechè peccatori al par degli altri, decidete voi stessi delle mie querele. Po- teva io far di più al mio popolo, di quanto gli ho fatto? È forse ad incolpare la mia pazienza e la mia longa- nimità, che egli sia stato infecondo di opere virtuose, e ferace di opere malvagge? Ma se voi non potete dir nulla, vi dirò ben io quello che son per fare al mio popolo. Gli torrò la mia protezione, e lo farò depre- dare e conculcar dagli Assiri : abbandonerò la Pale- slina, e la renderò solitaria, incolta, selvaggia per tutto il tempo della babilonica schiavitù; nè più farò pio- vere sopra gl’ingrati le superne consolazioni. Terri- bile vaticinio, il cui avveramento forma il soggetto de’ tenerissimi treni di Geremia. La vigna allogata dal padre di famiglia significa ia riprovazione della Sinagoga. Un signore padre di fa- miglia, disse Cristo alla turba (2), piantò una vigna, e la cinse di siepe; e scavò in essa uno strettoio, e vi fabbricò una torre, ed allogò quella a certi lavoratori, e andossene in lontan paese. Venuto poi il tempo de’ frutti, egli mandò da’ lavoratori alcuni de’ servi suoi (#)-Jerem..k. c. (2) Questa parabola è presa quasi alla lettera da quella del pro- feta Isaia, che si è avanti spiegata. Gesù Cristo l’adoperò per dare ad essa più forza a convincere i suoi nemici. 286 per ricevere i frutti di essa. Ma i lavoratori, scaglia- tisi contro i servi, uno ne percossero, un altro ne uc- cisero, e un altro ne lapidarono. Mandò egli di nuovo altri servi în più numero, e quelli fecero loro altret - tanto. Finalmente mandò ad essi il suo figliuolo, dicen- do : Avran rispetto al mio figliuolo. Ma 1 lavoratori, veduto il figliuolo, dissero tra di loro: Questi è l’erede, venite, ammazziamolo, e avremo la sua eredità. E pre- solo, lo cacciarono fuor della vigna, e l’ammazzarono. A questo punto interrogò il Signore i suoi uditori : Quando il padron della vigna sarà tornato, che farà di que’ lavoratori? I sacerdoti, gli scribi e ì farisei pre- senti, colpiti dall’atrocità del fatto così come era im- maginato e descritto, senza pensar oltre, risposero : Egli farà perir malamente quegli scellerati, e allogherà la sua vigna ad altri lavoratori (4), è quali al tempo debito gliene renderanno: frutti (2). Questa vigna era la Sinagoga da Dio sì diletta, favorita e difesa (3), e data a lavorare a’ seniori del popolo, come dice Eu- sebio, a’ principi de’ sacerdoti, agli scribi, agli otti- mati. Il Signore andossene in lontan paese, non per (1) Quest'ultime paroie, che s. Matteo riferisce come profferite da’ sacerdoti, dagli scribi e farisei, son messe in bocca di Cristo da s. Marco e s. Luca. Ma per questo, come dice il Grisostomo ed Eu- timio, gli evangelisti non si contradicono affatto. Impercioechè prima quelli pronunziarono cotal sentenza, e poi Cristo la ripetè e con- fermò in maniera e in atto da far capire ch’eglino avean detta qualche cosa contro st stessi, il perchè soggiunsero, così non sia, come leg- gesi in s. Luca. (2) Matth. XXI, 33-41. Marc. XII, 1-9. —Luc. XX, 9-16. (3) V. pag. 284. 287 mutazione di luogo, dice s. Girolamo e Teofilatto, per- chè non può altrove recarsi quel Dio di cui è piena ogni cosa; ma pare che egli dalla sua vigna si dilun- gasse per lasciare a' vignaiuoli il libero arbitrio di operare. Andossene in lontan paese, dice pure il Gri- sostomo, perchè ebbe molta longanimità, non sempre facendo a quelli pagare il fio delle loro prevaricazioni. Venuto poi il tempo de’ frutti, cioè dell’esatta osser- vanza della legge e del culto di Dio, il qual tempo fu quel di Davidde, di Salomone, di Giosafat, di E- zecchia, di Giosia e di altri, quando i Giudei pote- vano tranquillamente e avean l'obbligo di vivere a sè stessi ca Dio, il Signore volendo esiggere i debiti frutti, mandò alla Sinagoga alcuni de’ servi suoi, che furono i profeti; ma i Giudei ingiusti, crudeli, assassini fe- cero di que’ zelanti servi di Dio il più reo governo (1), ed altri ne sonarono di battiture, come Geremia e Mi- chea, altri ne ucciser di ferro, come Isaia, Amos, U- ria (2), ed altri ne accopparono colle pietre, come Zac- caria figlio di Joiada (3). Per tratto ammirabile di bontà iddio non pensò per allora a vendicarsi, ma destinò altri servi in più numero, tra cui il Battista, i quali tutti incontrarono la stessa sorte : finchè Dio pietoso per ultima prova della bontà sua e della sua mise- ricordia, mandò il suo stesso Figliuol dilettissimo, i! suo divino Unigenito. Ma i sacerdoti e gli scribi l’uc- (1) Act. VII, 52.—Hebr. XI, 37. (2) Jerem. XXVI, 23. (3) 2. Par. XXIV, 21, 288 cisero qual’erede della Sinagoga, conficcandolo in sulla croce fuori la porta di Gerusalemme (1), affinchè e- glino dominar potessero nella Sinagoga, arricchirsene, ed essere acclamati da tutti. Non altro dunque aspettar si doveano in fine senonchè il giusto Dio venisse -a percuoterli della sua tremenda vendetta, facendo mar- ciare contro di loro le legioni romane, e perire di ferro, di fame, di pestilenza quelli che restarono nel memo- rando assedio di Gerusalemme. Non altro aspettar si doveano senonchè Dio strappasse dalle indegne lor mani l’eletta sua vigna, l’unica verace Chiesa, per affidarla agli apostoli e a’ lor successori, i quali le han già fatto produrre abbondantissimi frutti colla conversione del mondo-alla fede e alla santità. La vigna non custodita dalla Sposa de’ Cantici e- sprime l’abbandonamento del Giudaismo. 7 figli di mia madre si sono scagliati contro di me, mi hanno posta quardiana di vigne : io non ho guardata la vigna mia (2). I Giudei nemici della Chiesa di Cristo ebbero con lei la stessa madre, cioè la Sinagoga, perchè da questa nacquero Cristo, gli apostoli e gli altri primi Cristiani, che tutti furono Giudei, secondo il vaticinio, d'Isaia : Da Sionne uscirà la legge (evangelica) e la parola del Signore da Gerusalemme (3); ma non ebbero lo stesso padre, perchè non poteva Dio esser padre di quelli che bestemmiavano il suo Figliuolo; e Gesù Cristò mede- (1) Hebr. XII, 12. (2 CantoeEes: (3) Isai. II, 3. 289 simo a questi increduli disse : Voi avete per padre il demonio, e volete soddisfare a desideri del padre vo- stro (1). Questi Giudei mossero alla Chiesa nascente la più fiera e terribile persecuzione, come può vedersi negli Atti apostolici e nelle lettere di s. Paolo (2); e perciò costrinsero gli apostoli e gli altri ministri ab- bandonar la Giudea e rivolgersi a’ Gentili, tra’ quali piantarono e custodirono altre vigne, cioè altre Chiese : ma la Sposa si affligge per la dolorosa memoria di non aver potuto custodire quella vigna, alla quale prin- cipalmente era stato mandato il Cristo, quella vigna, che dovea essere la sua primaria eredità. La vigna fatta lavorare dal padre di famiglia figura la Chiesa. /l regno de’ cieli, disse Gesù a’ discepoli, è simile a un padre di famiglia, il quale uscì di buon mattino per mandare lavoratori nella sua vigna. Aven- done trovati alcuni, e convenuto con essoloro a un de- naro per giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito di nuovo nell’ora terza (3), ne vide altri che stavano in sulla piazza oziosi, e disse loro : andate pur voi alia nia vigna, e vi darò in mercede quelio che sarà giu- sto. Ed essi andarono. Uscì anche nell’ora sesta e nel- l'ora nona, e fè con altri il medesimo. Uscito finalmente nell'ora undecima, ne trovò degli altri, che stavano a vedere, e disse loro : Perchè state qui tutto il giorno senza far nulla? Quelli risposero : Perchè nessuno ci (1) Joan. VIII, 44. | (2) V. in particolare I. Thessal. Ml, 44, 15. (3) V. la nostra Introduzione alla Cronologia e Geografia eccle- siastica pag. 22 e seg. Palermo 1854, in-8°, 19 290 ha chiamati a lavoro. Ed egli disse loro : Andate an- che voi alla mia vigna. Fatto sera, il padron della vi- gna disse al suo fattore : Chiama î lavoratori, e paga lor la mercede, cominciando dagli ultinii sino a’ primi. Venuti dunque quelli che erano andati circa l’undecima ora, ricevettero un denaro per ciascheduno. Venuti poi anche î primi, st pensavano di ricever di più : ma ri- cevettero anch'essi un denaro per uno. E ricevutolo, mor- moravano contra i padre di famiglia, dicendo : Que- st'ultimi non han lavorato che un'ora, e tu gli hai u- guagliati a noi, che abbiam portato il peso della gior- nata e del caldo. Ma egli, rispondendo, disse a un di loro : Amico, i0 non ti fo alcun torto, non hai tu meco convenuto a un denaro? Prendi quel che è tuo, e vat- tene in pace. Io voglio dare anche a quest’ultimo sic- come a te. Non mi è lecito far del mio ciò che mi pia- ce? e tu farai l’occhio maligno, perchè io son buono? Così, conchiuse il Signore la sua parabola, gli ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi (A). La vigna dunque è la vera Chiesa, dove il padre di fa- miglia, che è Dio, chiama gli uomini a faticare e la- vorare, affinchè abbiano a meritarsi quella mercede che, in quanto a sè, egli ha per tutti in ciel preparata. Li chiama tutti, e li chiama sempre finchè vivono su que- sta terra. Ma con ispeciale invito e colle particolari grazie altri chiama e fa venire al suo servizio fin dal mattino dell’età, altri in giovinezza, altri in virilità, altri in vecchiaia, ed altri poco prima del termine della (1) Matth. XX, 1-16. 291 vita. Nessuno ha dunque da disperare della divina mi- sericordia e della sua eterna salvezza. Tutti avran per mercede lo stesso denaro, dice s. Agostino (1), per- chè i Santi regneran tutti senza fine nel cielo; ma non tutti regneranno colla stessa gloria. Siccome a tutte le stelle è comune rilucere perpetuamente nel cielo, comechè le une risplendano più delle altre. Non di- sperino contuttociò i venuti al divin servizio in tarda età, nell’ora ultima, di poter conseguire una gloria pari alla gloria di quelli che fin da giovani, o da fanciulli incominciarono e seguirono costantemente a servir Dio. Misura della mercede non sarà la lunghezza, ma sì l'intenzione e il fervor del servizio. Anzi gli ultimi venuti al lavoro possono farsi per merito i primi nella mercede. Un lungo tempo passato nel servir Dio, ma rimessamente, con tepidezza di spirito e con trascu- ratezza di buone opere, val meno in ordine al premio di un tempo breve, ma tutto pieno di spirito, di calor, di premura, pieno di esercizi e di pratiche di pietà, di carità, di mortificazione, di penitenza (2). La vite fruttifera è immagine d’una buona moglie. La tua moglie sarà come una vite feconda al fianco di tua casa (3). La donna per più capi rassomiglia alla vite. Primieramente per la debolezza, avendo mestieri, come la vite, di sostegno e di appoggio; laonde f/ra- (1) S. Agostino, în Luc. lib. VII. (2) V. s. Girolamo, s. Giovan Grisoslomo, s. Agostino, s. Tom- maso, il Maldonato, il Bellarmino, il Suarez ed altri dottori scola- stici. (3) Psalm. CXXVII, 3. 292 gile arnese è chiamata da s. Pietro (1) : significandosi con ciò, che l’uomo dee averne cura, sopportarla e trattarla con onore e rispetto. Secondo per l’amenità, siccome una vite piantata presso al muro di qualche casa colla verdura gratissima de’ tralci suoi è d’orna- mento alla casa stessa; così una moglie coll'amabilità di sue maniere e colla purezza e probità de’ suoi co- stumi forma il decoro della famiglia. La donna gra- ziosa è apportatrice di gloria (2). Terzo per la fecon- dita, siccome la vite cresce sempre e si estende, e d’ogni lato si carica di be’ grappoli; così la moglie dell'uomo giusto di molti frutti arricchirà la casa di lui, facendo quelle cose tutie che si rammentano da Salomone (3), e colla parola e coll’esempio generando i figliuoli a Gesù Cristo. La vite ben piantata rappresenta Gerusalemme. La madre vostra (0 principi) fu piantata nel vostro san- que come una vite presso alle acque. Ed ebbe delle ver- ghe forti da scettri di sovrani, e si fece alta di ceppo in mezzo alle frondi, e fu altiera per la moltitudine de’ tralci suoi. Ma essa è stata svelta con ira (4), e git- tata per terra, e un vento ardente ha seccato il suo frut- to: le sue verghe forti sono state infrante e inaridite, il fuoco le ha consumate. Ed ora essa è trapiantata n un deserto, in una terra fuor di strada e priva di acque. (1): Pete. (2) Prov. XI, 16, (3) Ibid. XXXI, 10 el seq. (4) Di qui sino all'ultimo il profeta, sendo certissimo dell’ avve- nimento che adombra, usa il tempo passato in cambio del futuro. 295 E d’una verga de’ suoi rami è uscito un fuoco, che ha consumato il suo frutto, e non è restata di essa una verga forte, scettro di sovrani (1). Con questo tratto del suo cantico di dolore Ezechiele vaticinò, cinque anni prima che avvenisse, l’eccidio di Gerusalemme sotto Sedecia. Questa città avendo per suo fondamento il san- sue regio della stirpe di Davidde, cui il Signore pro- mise trono e casa permanente (2), crebbe a maraviglia e si dilatò per la divina benedizione; ond’è rassomi- gliata a una vite posta presso alle acque. Questa bella vite ebbe tante verghe forti da scettri di sovrani, quanti erano i figliuoli di Sedecia, e gli altri principi figli de’ re precedenti; essa a grande onore e gloria si levò in mezzo alle frondi, cioè tra tante ricche famiglie e tanti cittadini, e si compiacque e s’insuperbì per la moltitudine de’ tralci suoi, vale a dire de’ principi del sangue reale. Ma l’ira e la vendetta di Dio schiantò questa vite, il suo ceppo fu gittato per terra dopo che un vento ardente, cioè il furore degli Assiri ebbe seccato il suo frutto, e spezzate le sue forti verghe, che fu - rono consumate dal fuoco della guerra (3). La potenza, le ricchezze, il regno di Gerusalemme, tutto peri; Se- decia ebbe a soffrire l’acuta doglia di vedere ammaz- zare i suoi figliuoli, di aver cavati gli occhi, e di es- sere condotto prigioniero a Babilonia co’ principi su- persiiti del sangue reale. Quivi eziandio furono tratti (1) Ezech. XIX, 10 et seq. (2) Psal. LXXXVIII, 5. (3) V. Osec, XII, 15. 294 schiavi i cittadini di Gerusalemme, la cui condizione è paragonata a quella di un uomo confinato in un or- rido deserto privo di acque e disabitato, per esprimere la mancanza d'ogni bene e d’ogni aiuto per prospe- rare. A colmo di tante calamità d’una verga de’ rami della vite uscì un fuoco, che finì di sterminare quel che ancora restava. Questo fuoco fu Ismaele figlio di Natania, ultimo rampollo della regia stirpe, il quale mal soffrendo che Godolia fosse stato lasciato da Na- buccodonosor al governo della poca gente che restava nella Giudea, lo uccise a tradimento, e fece strage di tutti quelli che aderivano ad essolui : ma inseguito da Gioanano figlio di Caree, perdè con altri la vita. Il resto del popolo intanto temendo che gli Assiri non volessero vendicare la morte di Godolia, volle fuggire in Egitto, benchè ne fosse dissuaso fortemente da Ge- remia. Così disparve dalla Giudea quella grande e ge- nerosa vite, e non restò di essa una verga forte, scettro di sovrani, quanto dire un sol principe, che succe- desse nel trono a Sedecia, sola cagione di tanti mali. La vite fronzuta e produttiva è simbolo della pro- sperità e della propagazione grandissima del popolo d'Israele. Vite frondosa Israele, che porta frutti pro- porzionati (A). Ma di questa fecondità rendette egli gra- zie al suo Dio? Anzi, come gli rinfaccia il profeta, quanto più crebbe il numero de’ cittadini, tanto più crebbe il numero degli altari de’ falsi numi, e quanto più feconda fu la sua terra, tanto fu maggiore il nu- (1) Osee, X, 1. 295 mero de’ simulacri, a’ quali rendette quell’onore che al vero Dio è dovuto unicamente. Però il profeta pre- disse la cattività delle quattro tribù condotte nell’As- siria da Teglatfalasar, ed anche l’espugnazione di Sa- maria e la distruzione del regno sotto Salmanasar , che trasse a languire in doloroso servaggio le altre tri- bù. Senonchè Dio invitando quel popolo a conversione, gli fè promettere per bocca dello stesso profeta, che ritornato in patria dall’esilio, avrebbe menato i giorni nell’abbondanza sotto la divina protezione, e sarebbe stato come la vite (1), che dopo un lungo e rigido verno torna a ingemmarsi e fiorire, e benchè potata produce copiosi frutti. La vite è figura dell’increata Sapienza. Jo come la vite metto fiori di odor soave, e i miei fiori divengon frutti di gloria e di ricchezza (2). Siccome la vite manda soave odore quando fiorisce, e produce un frutto no- bilissimo e di gran conforto per l’uomo; così la Sa-. pienza diletta e ricrea quelli che si mettono sotto la sua disciplina, e produce in essi preziosi frutti di onore, di gloria e di ricchezza. Imperciocchè dice ella stes- sa (3), io son madre del bell’amore, di quell'amore che ha per obietto l’Essere infinito, immenso, eterno, che tutti merita gli affetti delle sue ragionevoli creature; io son madre del timor santo di Dio, che comprende la vera pietà; io son madre della scienza de’ Santi. (1) Osec, XIV, 8. (2) Eccli. XXIV, 23. (3) Ibid. 24. 296 e delle più utili cognizioni; io per ultimo son madre della santa speranza, che V animo de’ giusti solleva al desiderio de’ beni eterni. La vite è immagine eziandio della Sapienza incar- nata (1). Jo sono la vera vife, e il Padre mio è colti- vatore. Cristo si appella la vera vite, perchè siccome la vera vite solamente produce i veri tralci e la vera uva; così Cristo solo genera i veri fedeli e la vera virtù per mezzo della sua grazia, che egli infonde in essoloro come un sugo vivificante. Questa vite fu per noi pian- tata dal Padre, quando mandò al mondo il Figliuolo a farsi uomo, e rispetto a questo, e rispetto anche alla cura che si prende de’ tralci, egli sì chiama è coltivatore. Gli Ariani abusavano di questo versetto, poichè dicevano, la vite e il vignaiuolo han diversa natura; se dunque il vignaiuolo è Dio Padre, e la vite Cristo, questi non può esser Dio. Ma s. Atanasio gli rispondeva bene, che Cristo è vite rispetto alla natura umana da sè assunta, e perciò ha una natura diversa dal vignaiuolo, vale a dire dell’eterno suo Padre. Egli toglie via tutti i tralci che in me non portano frutto, prosegue Cristo, e rimonda tutti quelli che portar frutto, acciocchè fruttifichino sempre più. Tutti coloro che in- nestati a Cristo per mezzo della fede e del battesimo non daran frutto di buone opere, come inutili tralci saran troncati dal coltivatore, o con essere distaccati invisibilmente dalla grazia di Cristo, o con essere se- parati scopertamente per la scomunica, lo scisma e (1) Joan. XV, 1-6. 297 l'eresia, o con essere divisi In morte dal consorzio di Cristo e de’ Santi suoi. Quelli in opposito che daran frutto saran purgati viemaggiormente dalla superfluità de’ pampani, dagl’insetti e da ogni altra cosa nociva, cioè dall'amore delle vanità e delle sordidezze di que- sto mondo, affinchè producano frutti più abbondanti e perfetti. La roncola poi che dal Signore si adopera per questa rimondatura è primieramente la parola di Dio, della quale soggiunge: Voi già siete mondi per la parola che io vi ho annunziato; poichè la divina parola e’ istruisce e ci sprona a purgar la mente da qualunque bruttezza. Roncola sono pure le temporali afflizioni, le persecuzioni, le ingiustizie, la povertà, perchè queste cose ci distolgono dall'amore del mon- do e ci sospingono a ricorrere a Dio (1); e roncola sono da ultimo le illustrazioni della mente, le agita- zioni del cuore e i rimproveri della coscienza, con che Iddio riseca da’ fedeli i sarmenti de’ vizi e delle pas- sioni. Rimanete in me, e io in voi, è sempre Cristo che parla. Siccome il tralcio non può portar frutto da sé stesso, se non riman nella vite; così neppur voi, se non rimanete in me. Tenetevi a me congiunti per mezzo della fede e della carità, e io vi prometto che non mi ritirerò da voi, non essendo mio costume di abbando- nare, se non sono abbandonato. Siccome il tralcio ri- ceve dal tronco la vita vegetaliva e Il sugo necessario a produrre l'uva; così anche voi ricevete da me la vita spirituale e la grazia necessaria a produr frutti di (1) V. s. Cirillo su questo luogo, e s, Gregorio, lib. VII, epist. 32. 298 buone opere meritevoli di vita eterna. Io son la vite, voi siete è tralci: chi rimane in me, e i0 in lui, questi porta molto frutto, perchè senza di me non potete far nulla. Non dice Cristo, senza di me non potete fare con facilità, come pretendevano i Pelagiani condan - nati dalla Chiesa; ma dice semplicemente, non potete far nulla (A). « Nè poco dunque, nè molto, come av- verte s. Agostino, può farsi da alcuno senza la gra- zia preveniente, aiutante e cooperante di Cristo, senza il quale non può farsi nulla (2). » Di maniera che «in tutte le azioni, cause, pensieri, movimenti, dice papa s. Celestino, dee pregarsi Dio per aiuto e pro- tezione, nè vi è alcun tempo, in cui non abbiamo bi- sogno del divino soccorso (3). » Se alcuno non rimane in me, sarà gittato fuori, come î sarmenti, e seccherà, e sarà preso e buttato ad ardere sul fuoco. Terribile sciagura di chi non si tiene unito a Cristo, fedelmente osservando i precetti suoi; egli dopo morte sarà se- parato da Cristo, da Dio, dal cielo, dal consorzio de- gli angeli e de’ Santi, sarà privato onninamente de’ doni di Dio (4), e gittato ad ardere nell'inferno per tutta l'eternità. Ma se i tralci recisi non servono che a bruciare, come leggesi pure in Ezechiele (5), attaccati alla vite pro- (1) V. il Concilio di Milevi dell’anno 416, can. V. (2) S. Agostino, Tract. LXXXI; De Gratia Christi, lib. I, cap, 9. (3) S. Celestino I, Epist. ad Galliarum episcopos. (4) Matth. XII, 12; XXV, 29.— Mare. IV, 25.— Luc, VII, 18; XIX, 26. (5) Ezech. XV, 2-4.—V, s. Agostino, Tracl. s. €. 299) ducono il frutto più nobile, più pregiato e più ricco. Perciò Dio stesso volendo esprimere quanto gli era caro il popolo d’Israele lo paragonò a un bel grappolo d'uva, che si trovi da uno stanco ed assetato viaggiatore (1). Perciò la legge dispensava dal servizio militare chi avendo colla propria industria piantata una vigna, non avesse ancora cominciato a goderla (2) : imperocchè, siccome uno che ha fame, o sete, corre in veduta del ‘cibo, o della bevanda, che può ristorarlo; così chi ha piantala una vigna, e spera già di raccoglierne i Dbra- mati frutti, soffre mal volentieri di vedersene privo, e quantunque si trovi col corpo in mezzo alle schiere, tuttavia ne è lontano collo spirito, e non è affatto ca- pace di far prodezze. Perciò finalmente i re d'Israele volendo beneficare i loro benemeriti servitori, donavan lor delle vigne (3), o di quelle che avean essi pian- tate, o di quelle fatte piantar da Davidde, alle quali soprantendeva Semeia Romatite (4), o di quelle che Salomone annovera tra le sue grand’ opere (5), o di (1) Osee, IX, 10. (2) Deut. XX, 6.— Presso gli Ebrei, i frutti della vigna e di tutte le piante novelle ne’ primi ire anni erano tenuti per immondi , il quarto anno erano di Dio e de’ suoi ministri, e perciò non comuni, ma in certo modo consacrati, il quinto anno il padrone e chicchessia potevano mangiarne. V. Levit. XIX, 23-25. In alcuni paesi i contadini usano di togliere i fiori alle piante fruttifere che non abbiano an- cora tre 0 quattro anni, affinchè possano crescere più facilmente e fortificarsi. I primi frutti son quasi sempre insalubri, (P) 1. Reg. (XXIII, 7. (4) 1. Par. XXVII, 27. (5) Eccle. II, 4. 300 quelle di Ozia re di Giuda (1), o finalmente di quelle che al fisco venivano aggiudicate : così Davidde per- suaso che Mifiboset, figlio di Gionata, erasi unito al ribelle Assalonne, gli confiscò tutto quello che pos- sedeva, e ne investì Siba, antico servitor di Saulle (2). Per far la vendemmia si debbe attendere che luva sia matura perfettamente, non ‘essendo da imitar co- loro che si regolano dal cominciar del vicino, o come essi dicono, quando il vicino ha già rotto, a motivo» forse di prevenire le insidie di man rapaci : ma a que- sto inconveniente si può occorrere facendo nella vi- gna un alto frascato, e tenendovi di continuo un guar- diano. Quest'uso è antichissimo, perchè se ne fa men- zione in Isaia, il quale vaticinando che Gerusalemme per le scelleratezze de’ suoi abitanti sarebbe divenuta solitaria, la rassomiglia a uno di cotesti ombracoli, i quali dopo la vendemmia si lasciano in abbandono : E rimarrà la figlia di Sionne, come un frascato in una vigna (3). Iddio fece pure annunziare agli Ebrei per bocca di esso profeta, che dopo |’ eccidio di quella città dieci iugeri di vigna renderanno un bato (4), vale a dire presso a poco trenta boccali. Forse ciò avvenne per cagione di quella malattia, o pianta parasila, che or si chiama crittogama, senza che si conosca nè come (1) 2 Par. XXVI, 10. (2) 2: Reg. XVI, 4. (3) Isai. I, $. (4) Ibid. V,10.— La Volgata traduce in /agunculam, orcioletto, M bato dell’'ebreo, che ho voluto ritenere nel rendere italiano l'orrende annunzio, 301 si propaghi, nè come si prevenga, nè come specifi- camente si distrugga. Ma checchè sia di ciò, quando la vendemmia è abbondante, anche oggidì suol festeg- giarsi con giuochi, canti e conviti da' popoli coltiva- tori di vigne. Questi divertimenti non erano ignoti agli Ebrei. Quindi è che il profeta Isaia annunziando la devastazione delle campagne de’ Moabiti per la loro superbia ed arroganza, dice: E fuggirà la letizia e l’esultazione del Carmelo (A), e non sarà più festa, né giubilo nelle vigne (2); e altrove ringraziando il Signore . de’ benefizî fatti al suo popolo, dice: Il Signor degl: eserciti farà « tutti i popoli in questo monte un con- vito di grasse carni, un convito di vendemmia, di carni grasse e midollose, di vino senza feccia (3). Cotesti fe- steggiamenti e conviti introdotti da principio per rin- graziar Dio de’ benefizì ricevuti, e stringere sempre di più i legami di amicizia o parentela, degenerarono a poco a poco in tripudì e bagordi. Quindi probabil- mente derivarono le feste che celebravansi in onore di Bacco, dette comunemente baccanali, e mentovate nelle più antiche storie profane, le quali poi passa- rono dall'Asia nell’ Europa, e in breve si dilatarono per tutto il mondo. Dopo la vendemmia si raspollan le vigne. Raspol- lare o racimolare significa andar cercando i raspolli (1) Per Carmelo in questo luogo non sì deve intendere il monte ilello stesso nome, ma un campo fertile come il Carmelo, (2) Isai. XVI, 10. (3) Ibid. XXV, 6. 302 o racimoletti d'uva scampati dalle mani de’ vendem- miatori. Ciò era proibito agli Ebrei dalla lor legge. Non raspolleraî la tua vigna, nè coglierai è granelli che cadono, ma lascerai che se li prendano i poveri e î fo- restieri (1). Quando avrai vendemmiato la tua vigna, non prenderai è racimoli rimasti, che saranno del fo- restiere, dell’orfano e della vedova (2). Per metafora ra- spolli furono chiamati da Isaia (3) i pochi Israeliti ri- masti nel lor paese dopo le invasioni degli Assiri; e l’autore dell’Ecclesiastico, che fu l’ultimo di sua na- zione a raccogliere e scrivere precetti di sapienza, dice di essere come uno che racimola dopo î vendemmia- torî (4). La raspollatura non può certo esser migliore della vendemmia; eppure nel libro de’ Giudici sta scrit- to : Il raspollar d’Efraimo non vale meglio che la ven- demmia di Abiezer (5)? A ben intendere questa specie di proverbio convien sapere, che quando Gedeone colla famiglia Abiezer, di cui era gran parte, andò a com- battere i Madianiti, chiese soccorsi, non si sa perchè, alle tribù di Zabulon, di Aser e di Neftali, piuttosto che agli Efraimiti, che erano i più vicini. I quali, al ritorno ch’ei fece dalla vittoria, si risentirono forte- mente contro di lui, e gli andavano quasi alla vita. Gedeone rispose lor con dolcezza e con umiltà, % ra- spollar d’Efraimo ec., onde volle significare, che essi (1) Levit. XIX, 10. (2) Deut. XXIV, 21. (3) Isai. XVII, 6. (4) Eccli. XXXIII, 16. (5) Jud. VIII, 2. 303 coll’uccidere i fuggitivi principi Oreb e Zeb con molti altri del loro seguito, aveano sorpassato quello che erasi operato dalla sua famiglia col mettere in rotta tutto l’esercito di Madian. Colla quale risposta riuscì a calmare il loro spirito inviperito contro di sè. La racimolatura è simbolo d’esterminio e di saccheggio. Queste cose dice il Signor degli eserciti : Gli avanzi d’Is- raele saran del tutto racimolati, come una vigna : ri- metti la tua mano al canestro a guisa di vendemmia- tore (1). Assiri, andate alla mia vigna, vendemmiatela, e portate via fino all'ultimo raspollo. Si è veduto che il popolo ebreo spesso è rassomigliato alla vigna nella Scrittura, dove i nemici di lui son chiamati vendem- miatori (2). Nabuccodonosor non fece tutta la vendem- mia in una volta. Venne primieramente contro Geru- salemme sotto il re Gioachimo, prese la città e portò via una parte de’ vasi sacri (3). Si mosse nuovamente contro di Gioachimo, lo vinse, l’uccise e lo gittò a marcire fuori le porte di (Gerusalemme, traendo seco molta gente in ischiavitù (4). Portò poi le armi contro Geconia, figlio e successore di Gioachimo, e presolo lo menò in catene a Babilonia, trasportando quanto eravi di più prezioso in Gerusalemme (5). Finalmente sotto Sedecia strinse d’assedio Gerusalemme, l’'espu- (1) Jerem, VI, 9. (2) Ibid. XLIX, 9. — Abdia, I, 5. (3) 4. Reg. XXIV, 1. — 2. Par. XXXVI, 6.— Dan. I, 2. (4) 4. Reg. XXIV, 2. — Jerem. XXII, 18, 19; LU, 28. (5) 4. Reg. XXIV, 8-16. — 2. Par. XXXVI, 10. 504 enò e la diede alle fiamme (1). Così avverossi alla let- tera il vaticinio di Geremia, e la vendemmia di quella infelice vigna si fece gradatamente. Non men completo adempimento ebbe il vaticinio dello stesso profeta ri- guardante l’Idumea. Verranno a te de vendemmiatori, che non ti lasceranno nemmeno un racimolo, e de’ ladri notturni, che porteran via quanto lor piacerà (2). Im- perciocchè gli Assiri, cinque anni dopo l' eccidio di Gerusalemme, invasero il paese degli Idumei, e lo sac- cheggiarono orrendamente, lasciando gli abitanti po- veri e desolati. Antichissimo è l’uso di seccar l'uva, massime la bianca, stendendola sopra stuoie o foglie, come av- vertono i Talmudisti, e difendendola dalla pioggia. Presso gli Ebrei i Nazareni mangiar non potevano uva fresca, nè secca (3), affinchè allettati dalla sua dolcezza non si facessero a trasgredire il voto di non bever vino; ma l’universale facevane gran consumo. Cento penzoli d’uva passa Abigaille, moglie di Nabal, portò in dono al ramingo Davidde là nel deserto di Faran (4). Mentre egli dava dietro a’ ladroni amalecitig la sua gente avendo trovato nella campagna un servo egiziano abbandonato dal suo padrone, che era Amalecita, per farlo riavere e ristorarlo, essendochè da tre giorni non mangiava, gii diede pane e fichi e due penzoli d’uva passa (5). (1) 4. Reg. XXV, 2-16, — Jerem., XXXIX, 1-8, (2) Jerem. XLIX, 9. (3) Num. VI, 3. (4) 1. Reg. XXV, 18. (5) Ibid. XXX, 11, 12, 305 Quando gl’Israeliti si radunarono in Ebron per salutar Davidde e farlo re, fin quelli d’Issacar e di Zabulon e di Neftali portavano sopra i giumenti passola e fichi secchi, perocché il gaudio era grande in Israele (1). E mentre Davidde fuggiva il ribelle Assalonne, Siba an- tico servo di Saulle per procacciarsi la grazia di lui andogli incontro, e con altre cose pensò d' offrirgli cento penzoli d’uva passa (2). Ma l’uva serve precipuamente per farne il vino, pi- giandola e spremendola colla macchina. Pigiar le uve con frase ebraica si dice premere lo strettoîo; la qual maniera di dire è spesso adoperata nella Scrittura a significare vendetta, uccisione e spargimento di san- gue. Così il profeta Isaia vaticinando le imprese di Giuda Maccabeo, gli fa dire: Jo da me solo ho premuto lo strettoio, e niuno d’infra i popoli è stato meco (3). In fatti il prode figlio di Matatia armato solo di quel potere che Dio aveagli conferito (4), con un pugno di Ebrei, senza alcun soccorso straniero dichiarò la guerra a’ popoli confinanti della Giudea, i quali ne erano acerrimi nemici, li costrinse a prendere la fuga, e li calpestò, come fassi dell'uva nello strettoio. Geremia piangente in veduta della distrutta metropoli della Giu- dea, dice tra le altre cose: Il Signore ha premuto lo strettoio alla vergine figlia di Giuda (5); vale a dire (1) 1. Par. XII, 40. (22. Reg. XVI, 1. 3) Isat. LXIII, 3. (4) 2. Macch. XV, 15, 16. (5) -Thren. J, 15. 306 9 ha preso aspra vendetta di Gerusalemme, nella cui memoranda vendbmmia fu spremuto non tanto il san- gue degli uomini, quanto quel delle vergini e delle fanciulle. S. Giovanni nella sua divina Apocalisse ci presenta un angelo che ordina a un altro angelo di - vendemmiare è grappoli della vigna della terra, perchè le sue uve sono mature. E menò l'angelo l’acuta sua falce sopra la terra, c vendemmiò la vigna della terra, e gettò luva nel grande strettoio dell’ira di Dio. Lo strettoio fu premuto, e ne uscì sangue fino alla briglia de’ cavalli per mille secento stadi (1); lo che significa, che avendo Roma empiuta la misura delle sue ini- quità, era venuto il tempo. della superna vendetta. Lo strettoio fu premuto da’ Barbari, che invasero furio- samente l'impero romano, e il fiume di sangue che ne uscì furono le sanguinose guerre e i mali gravis- simi che essi nelle provincie cagionarono. Mentre pigiano e spremono le uve i contadini si ani- mano l’un l’altro alla fatica con qualche grido o canto, di che fan motto Isaia e Geremia, l'uno annunziando la devastazione del paese de’ Moabiti, l’altro l’eccidio di Gerusalemme. /l pigiatore non gualcirà più l uva nello strettoio : ho fatto venir meno, dice il Signore, le grida da inanimare (2). Il Signore ruggirà dall'alto, e dalla mansione sua santa darà la sua voce : ruggirà fieramente contro il luogo della sua gloria : e risuonerà a tutti gli abitatori della terra (agli Assiri) un gran (1) Apoc. XIV, 18-20. (2) Isai. XVI, 10. “# hi 307 grido, come di quelli che calcano la vendemmia (A). Co- storo hanno necessariamente le vesti, le mani, e mas- sime i piedi tinti di mosto; onde fsaia alludendo a Giuda Maccabeo vincitore degl’ Idumei, dice : Perchè rossa è la tua roba, e le tue vesti come di chi preme nello strettoio (2). Le quali parole con quelle che pre- cedono e seguono fino al versetto settimo, sì spiegano fisuratamente di Gesù Cristo nella sua gloriosa Ascen- sione (3). Se l'annata è fertile, lo strettoio è pieno, le fosse tra- boccano (4), e come dice Virgilio, Ne’ pieni tini la vendemmia spuma (5). In Oriente, come tra noi e in alcuni dipartimenti della Francia, il vino nuovo si trasporta negli otri, i quali son commodissimi a caricar su’ giumenti, e non mal- trattan coloro che li portano in sulle spalle. Bisogna solo badare che questi otri sien buoni e forti. Sul qual proposito leggesi nel Vangelo: Il vino nuovo non si mette in otri vecchi : altrimenti sì rompon gli otri, e si versa il vino, e gli otri vanno în malora; ma il vino nuovo va messo în otri nuovi, e l’uno e gli altri si conservano (6). Con questa similitudine Gesù Cristo volle significare, che i suoi discepoli erano fragili a maniera di vecchi (1) Jerem. XXV, 30. (2) Isai. LXIII, 2. (3) V. Teodoreto, s. Cirillo, s. Girolamo, Origene, în Joan. s. Ago- stino e molti altri de’ moderni. (4) Joel, HIHI, 153. (5) Virgilio, Georg. I, 6. (6) Matth. IX, 17.— Mare. II, 22,— Luc. V, 37, 38 308 otri, e non potevano portare il peso di nuove austerità e digiuni : che bisognava aver loro riguardo, e con- durli con una certa dolcezza e moderazione, affinché perseverassero e sostenessero le gravi fatiche dell’ a- postolato; ma quando per la discesa dello Spirito Santo sarebbono divenuti forti e robusti, avrebbe loro pre- scritta una nuova foggia di vivere tutta piena di eser- cizi di mortificazione e di penitenza. Simile a cotesta comparazione è l’antico proverbio, che il Nonio cita dall’Eumenidi di Varrone, « Nuovo crivello, nuovo ca- vicchio.» Del resto il vino nuovo, comechè piacevole al gusto, tuttavia aggrava lo stomaco. Il perchè leg- gesi in Giobbe : Zo son pieno di cose da dire, e mi sof- foca lo spirito, che io porto in seno. Come un vino nuovo che non ha esalazione spezza î nuovi vasi, così avviene nel mio petto. Parlerò affine di respirare un pocolino (A). A tavola il vino vecchio è sempre preferito al nuovo. Nessuno che bee vin vecchio, dice il Vangelo, vuole a un tratto del nuovo : poichè dice, il vecchio è migliore (2). Ma se con ragione si preferisce il vin vecchio, non per questo si dee trascurare il nuovo, il cuale col tempo sì matura, si raffina e si perfeziona (3) : lo stesso av- viene per ordinario nell’amicizia. L'amico nuovo, dice il Savio, è un vino nuovo : quando sarà invecchiato, lo beraî soave (4); perchè allora è meglio conosciuto da te, e tu sei assuefatto alle sue maniere, com’egli alle tue. (1) Job. XXXII, 18-20. (2) Luc. V, 39. (3) V. Plutarco, Symposiac. lib. HI. (4) Eccli. IX, 15. 309 Gli Antichi conservavano il vino in grandi fosse 0 cisterne quadre o rotonde, e intonicate secondo l’arte. Queste cisterne formavan parte delle vigne, e non po- tevano separarsi, di guisa che vendendosi un vigneto, s’intendeva anche venduta la cisterna vinaria. Fintan- tochè il vino restava in queste smisurate conserve, chia- mavasi da’ Romani vinum doliare, vino di cisterna, e quando si metteva nelle anfore, o nelle botti, appel- lavasi vinum diffusum, vino invasato. Vina bibes Tauro diffusa, dice il Venosino (1), cioè berai del vino posto nelle anfore sotto il consolato di Tauro. Non men chia- ramente che dagli autori profani ciò ricavasi dalla Scrit- tura; poichè Geremia volendo dire che i Moabiti non essendo stati mai tratti in ischiavitù, conservavano l’antico loro carattere, la superbia, la dissolutezza an- tica, li paragona al vino che è stato tenuto sempre sulla sua feccia; e non è stato maî travasato, nè ha mutato paese; e soggiunge, per questo il suo sapore sì è con- servato, e non è alterato il suo odore (2). E veramente. il vino, anche per testimonianza di Plinio (3), conser- vava meglio la sua forza in quelle immense cisterne inerostate per ogni parte talora di marmo, talora di calcina, 0 di gesso. Sussistono anche oggidì alcune di siffatte cisterne in Italia e in Francia, ma le più avvistate son quelle che si trovano in Amboise presso i magnifici granai di Cesare. (1) Orazio, Epist. lib. I, epist. 5. (2) Jerem. XLVIII, 11. (3) Plinio, lib, XXHI, cap. |. 310 Da queste cisterne si cavava il vino per metterlo in grandissime anfore di terra cotta, le quali si ve- dono in più luoghi, e molte tuttavia se ne trovano nella Palestina e nell’Egitto : hanno due manichi, e di sotto stremansi in cono, per collocarsi in terra senza difficoltà, o per cavarne il vino più commodamente. Nella Siria poi anche oggi giorno il vino si conserva in immensi vasi di terra cotta, e si trasporta negli otri. Ne’ paesi temperati cotesti vasi si mettevano nella terra sepolti in tutto, o in parte; in alcuni luoghi si, la- sciavano allo scoperto, altrove si tenevano sotto tetto nelle cantine (1), e qualche volta nel piano superiore della casa. Le anfore poi erano situate con ordine lungo le pareti, senza che si toccassero, affinchè se in al- cuna si guastava il vino, le altre non prendessero lo stesso difetto. Esse avevano un intonico di pece, o di altra materia piccante e odorosa, perchè si credeva che ciò influisse a mantenere il vino spiritoso e forte (2). Per altro, siccome allora non si conosceva l’arte di stagnare i vasi di terra cotta, a tale obbietto si ado- perava la pece. Racconta il Tavernier (3) che in Persia il vino non si conserva nelle botti ma in grandissime anfore unte dentro e fuori con grasso di coda di mon- tone, e situate con ordine in cantina, coperte intera- mente di tela rossa. Lo Chardin afferma, che nella Mingrelia il vino si mette in grandissimi vasi della (1) Plin. lib. XIV, cap. 21. (2) V. Catone, De re rust. cap. CXIHI, Columella, lib. XII, cap. 18. (3) Tavernier, Voyages, tom. I. liv. 1, chap. 2. 511 capacità di dugento a trecento mezzaruole, i quali 0 sì tengono nelle case, o si sotterrano in vicinanza di esse. Questo stesso deducesi dalla Scrittura. Geremia pro- fetando contro i Moabiti, che rassomiglia al vino, come si è veduto, dice che il Signore manderà uomini pra- tici nel disporre î vasi, e nel tramutare il vino, e lo tramuteranno, e vuoteranno i vasi, e lì spezzeranno (A); lo che avverossi completamente, perchè questo popolo fu espulso dal proprio paese e abbandonato agli As- siri, i quali dopo aver profittato di quanto trovaron di meglio, distrussero le città e le castella de° Moa- biti. La Sposa de’ Cantici dice: M'introdusse nella con- serva de’ vini... confortatemi con fiori, fatemi un letto di pomi (2). La cantina dunque non era un luogo sor- dido, profondo e oscuro, perchè vi è condotta la Sposa, anzi è a dire che fosse assai pulito ed elegante. Nella regia di Salomone tutto era magnifico : e sappiamo da Omero, che Ulisse conservava il vino nel conclavio su- periore della sua abitazione, dove era molto oro ed argento, il vestiario, ed anche il letto nuziale (3). I vini di corpo e densi, come sono la più parte de’ vini d’Oriente, in certo modo si masticano; e dicesi che anticamente tenendosi i vini tanto tempo dentro le anfore, talora solevansi rappigliare, qual si rappiglia il mele dentro de’ giarri. Questi vini potevano assa- porarsi e rimasticarsi. Quindi si comprende bene il (1) Jerem. XLVII, 12. (2) Cant. II, 4, 5. (3) Omero, Odissea, v. 237 e seg. 312 senso letterale di quel versetto de’ Cantici : La tua gola è come ottimo vino, degno di esser bevuto dal mio Diletto, e delle labbra, e de’ denti suoi per ruminarlo (1). Dissi il senso letterale, perchè un altro senso nobile ed elevato quivi pur si contiene. E primieramente è a sapere che, secondo Ruperto abate, queste parole, la tua gola è come ottimo vino, son dette dallo Sposo, a cui la Sposa approvando e rivolgendo nello Sposo la lode, risponde, degno di esser bevuto dal mio Di- letto ec. Siccome poi nella gola consiste la voce, per gola, dice s. Gregorio Magno, è designata l’evangelica predicazione, che a maniera di ottimo vino inebbria le menti degli uomini. Questo vino è degno di esser bevuto dal Diletto, perchè Chiesa santa predicando la vera fede, eccitando i suoi uditori alla pratica di opere sante, e colle parole e co’ fatti dimostrando che il vero bene consiste nell’amar Cristo esclusivamente, nell’i- mitarlo, nell’abbracciarlo, altro non fa che rendere il suo vino degno della bocca del divino Sposo : il quale ben si dice che lo bee, perchè dal suo corpo, cioè da’ popoli fedeli è bevuto amabilmente. È si noti, pro- segue lo stesso Padre, che tutti beono cotesto vino, ma le sole labbra e i denti soli lo ruminano, perché quando la Chiesa predica per mezzo de’ suoi ministri, tutti ascoltano certamente, ma non tutti comprendono la forza dell’annunziate sentenze. Ma le labbra e i denti lo ruminano, perchè i più perfetti richiamando alla memoria le cose ascoliate, e meditandole assiduamente, (1) Cant. VII, 9. 515 le rimandano in certo modo alla bocca, e sentono tutto il sapore del cibo, o della bevanda che hanno inghiot- tita. Nel grazioso apologo di Gioatamo la vite si gloria del suo liquore, e dice che letifica Dio e gli uomini (A). Il vino reca allegrezza a Dio però solamente che nel- l’antica legge era adoperato per divino comandamento nelle libagioni, che si aggiungevano agli olocausti e alle ostie pacifiche (2); e nella nuova legge per divina istituzione è usato col pane nell’augusto e tremendo sagrifizio della Messa, in cui senza spargimento di san - gue si offre all'eterno Padre quella stessa vittima, quel medesimo Gesù Cristo, che in maniera cruenta offri una volta sè stesso in sull’altar della croce. Ma il vino davvero induce negli uomini l’allegria, primo direttamente, poichè dice lo Spirito Santo nel- l’Ecclesiastico : Il vino da principio fu creato per gio- condità, non per l’ubbriachezza. Il vino bevuto mode- ratamente rallegra l’anima e il cuore. IL vino e la mu- sica allietano lo spirito (3); e il Salmista : Iddio fa uscire dalla terra il pane, e il cuor dell’uomo rallegra col vi- no (4). Secondo indirettamente cacciando la malinco- nia, e facendo dimenticare le pene; e perciò costu- mavasi tra gli Ebrei di offrir del vino a coloro che erano inconsolabili per la morte de’ parenti, o degli amici, come ricavasi da Geremia : Né alcun tra loro (1) Jud. IX, 13. (2) Exod. XXIX, 40, 41. —Num. XV, 5, 7, 10. (3) Eecli. XXXI, 35, 36; XL, 20. (4) Psal. CHI, 16. 544 ue spezzerà il pane per consolare colui che piange un morto; e non gli daranno a bere la coppa per consolarlo della perdita del padre suo e della madre (A) : lo stesso pra- ticavasi in tutte le altre afflizioni : Date la sicera agli afflitti, dice Salomone, e il vino a quelli che hanno èl cuore amareggiato : bean essi, e dimentichino la lor mi- seria, e non si ricordino più de’ lor travagli (2). Senonchè l’uso moderato del vino non solo torna di giovamento all’anima, ma al corpo eziandio. Vi fu- rono degli eretici, come i Manichei, gli Encratiti, i Ca-. taristi, che affermarono essere il vino cosa cattiva fatta dal demonio, le idee de’ quali furono adottaie dall’im- postor Maometto nel suo Corano; ma lo Spirito Santo volle prevenire i fedeli contro tali bestemmie, lodando per bocca dell’Ecclesiastico l’uso moderato del vino : Buona vita, dic’ egli, è per gli uomini il vino bevuto con sobrietà : sarai sobrio, se ne berai con moderazione. Che vita è quella di chi sta senza vino? Il bere senna- tamente è salute dellanima e del corpo (3). E in vero, dicono i medici concordemente, che il vino facilita la digestione, promuove l’urina e il sudore, concilia il sonno, mitiga l’acrimonia dell’atra bile, mantiene il ca- lor naturale, nutrisce con prestezza, avendo bisogno di piccolo cambiamento per essere assimilato, e dà vigore alle membra tutte del nostro corpo. -Perciò l’a- postolo s. Paolo volendo farla da medico col suo caro (1) Jerem. XVI, 7. (2) Prov. XXXI, 6, 7. (3) Eccli. XXXI, 32, 33, 37. 315 Timoteo, gli prescrive : Non bere più acqua sola, ma fa uso di un poco di vino a causa del tuo stomaco, e delle frequenti tue malattie (1). Le quali cose così es- sendo, non piccol bene lo Spirito Santo promette al- l’uom giusto, dicendogli per bocca del Savio, le tue fosse traboccheranno di vino (2); nè picciol danno Iddio minacciò agli Ebrei per le loro prevaricazioni, facendo ad essi sapere per Mosè e i profeti, che gli avrebbe privati della produzione del vino (3). Gli Antichi non beevano vino puro, ma ci mettevan dell’acqua in più o meno quantità, secondo la forza di esso, riguardando l’uso del vino puro come un se- gno d’intemperanza propria degli Sciti e de’ Barbari (4). Cotesto mescolamento del vino coll’acqua da’ Greci era chiamato krasis, e da’ Latini temperatura; Tempri l’annoso vin la Marzia linfa, dice il poeta (5). Lo stesso significava il verbo miscere, mescere, ond’è che per dimandare del vino non di- cevan essi, du mihi vinum, dammi del vino, ma in quella vece, misce, puer, mesci, o garzone. Varie sono le opinioni intorno al primo autore della temperatura del vino. Alcuni per testimonianza di Plinio vogliono che Stafilo figlio di Siteno fosse il primo annacqua- iore. Altri presso Ateneo danno questa lode a Melampo. {pi Pup. Vi. 23. (2) Prov. II, 10. (3) Deut. XXVIII, 39.— Osce, HI, 9.— Mich. VI. 4a, (4) V. i proverbi presso Polluce e Ateneo. (5) Tibullo, Eleg. lib. I, eleg. 7. 516 Afferma Filocoro presso lo stesso Ateneo (1), che gli Ateniesi impararono dal re Anfizione a mischiare il vino coll’acqua. Il certo si è che quest’'uso risale a una grande antichità, perchè la Scrittura ne fa men- zione. In fatti Salomone nel descrivere il banchetto della sapienza, nel quale i Padri raffigurano la divina Kucaristia, dice : La sapienza ha temperato il vino, e imbandita la sua mensa. Ha mandate le sue ancelle ad invitare la gente... Venite, mangiate il mio pane e beete il vino, che ho temperato per voi (2); e Isaia volendo esprimere che i giudici, i principi, i sacerdoti della Giudea si erano dilungati dalla primiera inte- grità e amore della giustizia, dice : Il tuo vino è me- scolato con acqua (3). Quanto è giovevole il sobrio uso del vino, tanto è nocivo il berne con intemperanza. La Scrittura parla sovente di questo vizio, e novera i gran nali che ne derivano. A chi î guai? dice il Savio, a chi i lai? a chi le contese? a chi i precipizi? a chi le ferite senza cagione? a chi il rossore degli occhi? se non a quelli che sì stanno col vino, e cercano di trincare? Non guar- dare il vino quando rosseggia, quando risplende nella coppa : esso entra con grazia, ma alla fine morderà come un serpente, e avvelenerà come un aspido (4). I sintomi che accompagnano il morso di quest’anfibio, come af- ferma Aezio, sono lo stupore, la pallidezza, la refri- (1) Ateneo, lib. IV. (2) Prov. DO 276340, (3) Isai. I, 22. (4) Prov. XXIII, 29-32. 317 serazion della fronte, i continui sbadigli, lo stralu- namento, la piegatura del collo, la gravezza del capo, il languore, il sonno profondo, e finalmente la con- vulsione. Non poteva quindi Salomone adoperare più bella similitudine per accennare gli effetti dell’ubria- chezza. Gli occhi tuoi vedran cose strane, che girano intorno, e persone che si rissano e ti battono, o ti sommergono; e la tua bocca dirà cose perverse, vale a dire giuramenti e spergiuri spaventevoli, bestemmie orrende, discorsi laidi e osceni. E tu sarai come chi dorme in mezzo al mare, e come un piloto che sonnac- chia, abbandonato il timone (1). Chi dorme in nave è portato senza avvedersene qua è là da’ venti e dalle onde, così l’ubbriaco è agitato da’ torbidi fantasmi della cupidigia, e come un piloto che dorme e non bada più al timone, lascia andare la nave a urtar negli sco- gli e dar nelle secche; così l’uomo dominato dal vino, perduta Ja ragione, trasportar si lascia in mille pe- ricoli di perdere i beni e la vita, anzi va cercando so- vente i pericoli coll'offendere altrui, onde in una pa- rola può dirsi, che questo vizio è il naufragio della sanità e della vita. £ dirai : Mi hanno battuto, ma io non ne ho sentito dolore : mi hanno strascinato, ma io non me ne sono accorto : quando mi sveglierò e tornerò a bere ancora (2)? L’ubbriaco è esposto a’ ludibri e agli scherni di tutti; ma egli è insensibile come un tronco od un sasso, e quel che è peggio egli ha tal- (1) Prov. XXI, 33, 34. (2) Ibid. 35. 3Ì8 mente perduto ogni principio di decoro e di ragione- volezza che non sogna e non ha pensiero se non di tornare a bere. Conforme all’antidetto è ciò che leg- gesi nell’Ecclesiastico : Il troppo vino fa le contese, e l'ira, e molte rovine. Il vino bevuto in copia è l’ama- rezza dell'anima. L’ubbriachezza fa ardito lo stolto ad offendere, snerva le forze, ed è cagion di ferite (A). L'intemperanza nel bere affievolisce anche le forze dell'anima. Chiunque si diletta del vino, non sarà sa- vio (2). Il vino e le donne fan traviare i saggi, e scre- ditano i sensati (3). Il vino e l’ebrezza tolgono il bene dell’intelletto (4). Il vino trae in inganno colui che lo bee (5). L’ebrezza deprime la mente (6). Con questo si accorda il proverbio latino, obumbratur sapientia vino, la sapienza è offuscata dal vino; vin dentro, senno fuori. Quindi è che ad avere discernimento, e ad insegnare la divina legge, Iddio proibi severamente a’ sacerdoti, che erano nel servizio attuale del Tabernacolo, l’uso del vino e di qualunque altro liquore capace d’ineb- briare (7). E la madre di Salomone avvertì sollecita- mente suo figlio di accomandare a’ principi e a’ ma- gistrati di guardarsi dal vino, perchè dopo aver be- vuto non si scordino degli statuti, e non si rendano (1) Eccli. XXXI, 38-40. (2) Prov. XX, 1. (3) Eccli. XIX, 2. (4) Osee, IV, 11. (5) Habac. II, 5. (6) Luc. XXI, 34. (7) Levit. X, 9-11. 319 inabili ad amministrar la giustizia (1). Salomone trasse profitto di questo avvertimento, e divezzò la sua carne dal vino per rivolgere l’animo alla sapienza e fuggir la stoltezza (2); ma non perseverò lunga pezza in que- sta pratica salutare. L’immoderato bere nuoce alla castità. Il vino, dice lo Spirito Santo, è una cosa lussuriosa (3); e s. Paolo scrive agli Efesini : Non vogliate inebriarvi di vino, nel quale vi è dissolutezza (4). La vinolenza, dice s. Gi- rolamo, è propria de’ giocolari e de’ crapoloni, e lo stomaco bollente di vino presto fa schiuma di libi- dine (5); e altrove : Siccome l’olio accresce la fiamma, così il vino fomenta il fuoco della concupiscenza (6). Ond'’è che i Nazarei esserido consagrati al Signore, si astenevan dal vino (7) : e nella nuova legge s. Paolo raccomanda a’ vescovi, a’ preti e diaconi di fuggire l’ub- briachezza, e vuole che si promuovano soltanto quelli che non son dediti al vino (8). La stessa superstiziosa antichità non ignorando che il troppo bere è incen- tivo della libidine, si fece a credere, che il segno della Vergine fosse contrario alla vigna e la mandasse in rovina. Il perchè Orfeo caldamente raccomandava di (1) Prov. XXXI, 3. (2) Ecele. II, 3. (8) Prov. XX, 1. (4) Ephes. V, 18. (5) S. Girolamo, Epist. LXXXIII, ad Occanum. (6) Id. De cust. virg. ad Eustoch. (0 Num. VI, 3. (38) 4. Fina. DI. 2, 3,8. Ft. 1,5, %. 320 non piantare vigneti mentre la luna percorre il segno della Vergine, perchè essa; diceva, gli odia mortalmente. Il troppo vino palesa gli arcani dell’animo. Non per- mettere, o Lamuele, diceva a Salomone la madre sua, non permettere a’ re (a° principi, a’ magistrati), lo smo- derato uso del vino; perciocchè dove regna l’ebrezza non vi è segreto (A). Il fuoco prova la durezza del ferro : così il vino bevuto sino all’ebrezza manifesta è cuori de’ superbi (2). Siccome il ferro, comechè durissimo, è am- mollito e domato dalla potenza del fuoco, così non vha petto sì valido e superbo, che non ceda all’azione del vino. Volgare è tuttavia l’antico proverbio citato da Ateneo (3), in vino veritas : e l’esperienza c'insegna, che gli ubbriachi non solo dicono la verità, ma par- lando sempre di sè stessi, con franchezza e spesso senza ritegno, manifestano la propria indole. Però di- ce il Venosino nell’ode all’anfora : Avvolga pur di tenebre Sue cure arcane il saggio, Del tuo giocoso Bromio Sgombra ogni nebbia al raggio (4). Teognide espresse quasi il medesimo pensiero dell'Ec- clesiastico, dicendo che il vino bevuto senza mode- razione mette in chiaro i sentimenti degli uomini saggi, come col fuoco si prova l’oro e l’argento. La Scrittura ci fornisce parecchi esempi de’ danni (1) Prov. XXXÎ, 4. (2) Eccli. XXXI, 31. (3) Ateneo, Hb. II (4) Orazio, Carm. lib. UH, od, 27. Traduzione del Gargallo. 521 e delle sciagure, di cui la vinolenza è cagione. Il buon Noè bevuto ch’ebbe del vino, ubbriacò; e come do- vea sentirsi naturalmente del caldo assai e del sonno, così si spogliò de’ suoi panni, e a guisa d'uomo fuori di sentimento che non sa bene quel che sì faccia, don- dolando e barcollando cadde nel suo padiglione scom- postamente sdraiato (1). Lot ubbriacato dalle sue fi- gliuole, commise con esse un detestabile incesto, e diede origine all’infame schiatta de’ Moabiti e degli Ammoniti (2). Gl’Israeliti attendati sulla pianura alle radici del Sina, dopo aver mangiato e bevuto si po- sero a trescare lascivamente, o a far danze e giuochi non molto migliori (3). I Sichimiti tra le vivande e le tazze mandavano imprecazioni ad Abimelecco, che regnava da giudice sopra di loro (4). Mentre Amnone molle di molto vino sollazzava alla mensa del fratello Assalonne, fu da’ fidi servi di lui in un attimo truci- dato (5). Benadad re di Siria co’ trentadue regoli suoi alleati poteva certamente espugnar Samaria da lui stret- ta d'assedio; ma avendo tutti bevuto quasi all’ebbrez- za, non ebbero tempo di finire la tavola, e furono posti in fuga da’ paggi de’ principi d'Israele (6). Avendo Olo- ferne per festeggiar Giuditta bevuto del vino fuor di misura, dormiva profondamente, e tutti i servi suoi (1) Gen. IX, 21, (2) Ibid. XIX, 33 el seq. 5) Exod. XXXII, 6. (4) Jud. IX, 27. (5) 2. Reg. XIII, 28, 29. (6) 3. Reg. XX, 16-20. 322 erano, come il padrone, oppressi dal vino; quando la forte donna favorita da Dio colse quest’opportunità per recidergli il capo (4). Il re Assuero avendo nel molto bere sommerso l’intendimento, determinò che la moglie venisse a fare spettacolo di sè medesima, e voleva a ma- niera d’impuro mediatore prostituirne la pudicizia (2). Il popolo e i sacerdoti di Giuda dominati dal vino e dalla crapola come gli abitanti di Samaria, perdettero al par di costoro il buon senso e l’amore della giu- stizia, e tali e tanti eccessi commiserd? che furono da Dio minacciati per bocca del suo profeta di esser con- dotti a languire in durissima schiavitù (3). Le quali cose così essendo, fo modo a questo lungo articolo colle parole dell’apostolo s. Paolo : Non vogliate ineb- briarvi di vino, nel quale è dissolutezza, ma siate ri- pieni dello Spirito Santo, parlando tra di voi con salmi, inni e canzoni spirituali, cantando e salmeggiando col cuor vostro al Signore, rendendo sempre grazie d'ogni cosa a Dio e Padre, nel nome del Signor nostro Gesù Cristo (4). LOTHI, LADANO Cistus creticus Dec. Arbusto, che ha i rami e ramoscelli corti e nume- rosi, guerniti di piccole foglie opposte, ovali-rotondate, scabre, venose, senza nervi; i fiori rossi, solitarì, pe- duncolati. b. Sempre verde. (1) Judith, XII, 20; XIT, 2-10. (2) Esther, I, 10, 11. (3) Isai. XXVII, 1-11. (4) Ephes, Y, 13-20. 1323 La voce loth, che in due luoghi si legge del testo originale, da’ Settanta è tradotta stacten, cioè mirra in lagrima; e questa versione è seguita da Giuseppe Ebreo (1), da s. Girolamo, da’ Tigurini, dal Montano e dal Bochart (2). Ma la mirra da Mosè nell’Esodo, da Davidde ne’ Salmi, e da Salomone ne’ Proverbi e ne’ Cantici, è appellata mor. Ond’è che Giunio e Tre- mellio traslatarono il vocabolo loth per ladano; e questa sostanza pensano doversi intendere per loth, Lodovico de Dieu, il Castelli, il Celsio, l’Hiller, lo Sprengel ed altri (3). L’opinion di costoro, che a me piace di seguire, è favorita non solo da ciò che dirassi del la- dano, ma dall’affinità che vi è tra la voce /oth e quella onde in parecchi antichi idiomi il ladano si appella. Perocchè i Soriani e i Caldei lo chiamano letom, gli antichi Egiziani louton, gli Arabi ladan, i Greci le- don e ledanon, i Latini ledum, lada e ladanum. Il ladano o cisto di Creta, detto volgarmente im- brentano o rimbrentano, è comune anche nella Giu- dea e nell’Arabia : dalle sue foglie trasuda un umore grasso e viscoso, che si chiama ladano. Questa gomma- resina raccogliesi per mezzo delle capre, le quali pa- scendosi di quell’arbusto, fan ritorno all’ovile colle barbe cariche di quella pingue sostanza, che vien tolta (1) FI. Giuseppe, Anlig. lib. H, pag. 46. (2) Bochart, Hieroz. part. II, pag. 332. (3) Lodovico de Dieu, in Genes. XXXVII, 25; XLIH, 14.— Castelli, Lex. heptagl. — Olao Celsio, Hierob. part. 1, pag. 288. — Hiller, Hieroph. part. T, pag. 448. — Sprengel, Storia della botanica, tom. i, pag, 17. i 324 da’ mandriani con certi pettini fatti a tal’uopo. Il la- dano così raccolto essendo misto con pelo caprino chia- masi ladano di barba o ladano naturale, ed è il più stimato. Il ladano comune poi si raccoglie fregando sopra le foglie una specie di scopa composta di molte correggiuole, dalle quali si separa con un coltello, e se ne formano delle masse di varie grandezze. Il ladano è adoperato in medicina come astringente, stomachico , risolutivo e balsamico. È usato ancora ne’ profumi, che si accendono a far buon odore. Leg- gesi nella Scrittura che gl’Ismaeliti compratori del tra- dito Giuseppe lo portavano con altri aromi in Egitto (1); dove era sì apprezzato, che il patriarca Giacobbe stimò bene mandarne in dono a quel celebre vicerè, che poi conobbe essere il suo figliuolo (2). MYRICA, TAMARISCO Tamarix articulata Vahl. Frutice vergato, co’ rami squarrosi, i ramoscelli fi- liformi, le squame ovate, acute, alterne, appena aperte; i fiori sessili, disposti a spighe laterali in forma di grappolo. Db. | Questa pianta infelice, come Plinio la chiama, na- sce nelle aride solitudini, e non sente il bene della pioggia, che giova alle altre piante, perchè il sabbione, in cui essa ha le radici, non rattiene l’umidità, e il (1) Gen. XXXVII, 25. (2) Ibid. XLII, 11. 320 calore l’abbrucia : ond’essa resta sempre terra terra, e non prospera in un terreno pieno di salsugine, cioè di nitro, che isterilisce. Perciò non poteva meglio Ge- remia dipingere il destino di un uomo che le sue spe- ranze ripone negli uomini, e non in Dio, che rasso- migliandolo al tamarisco del deserto (1). Egli sarà sem - pre poca cosa, e non mai veramente felice, nè grande, perchè la felicità e la grandezza non cerca dove può ritrovarla, cioè nel Signore. La stessa bella similitu- dine adoperò il profeta vaticinando le calamità de’ Moa- biti. Fuggite, dic'egli, salvate le vostre vite : sarete come il tamarisco nel deserto (2); e volle significare che da Nabucodonosor re sarebbero stati condotti schiavi nel- l’Assiria, dove sarebbero vissuti abbietti, mesti e so- litari, in pena di aver negato a Sedecia re di Giuda il promesso aiuto, e di essersi rallegrati dell’eccidio di Gerusalemme (3). ALMUGGIM, ALGUMMIM, SIRIO O SANDALO €ITRINO Sirium myrtifolium Lam. Santalum album Linn. Albero che ha i rami aperti, rozzi e lisci; le foglie alate, verdi, simili a quelle del mirto; i fiori piccoli, riuniti in mazzetti, peduncolati, ascellari, di color tur- chino oscuro, i frutti della grossezza d’una ciriegia, (1) Jerem. XVII, 5-6. (2) Ibid. XLVII, 6. (3) V. FI. Giuseppe, Anlig. lib. X, cap. 11. 326 verdi in principio, e nerì quando maturano, di un gu- sto quasi insipido. D. Il sandalo è di tre colori, citrino, giallo pallido, e rosso. Il secondo malamente chiamato bianco, e ri- guardato dagli enciclopedisti come costituente una spe- cie particolare, ha la stessa origine che il citrino, come ci sicura il celebre botanico Herman seguito dal Lou- reiro e dal Targioni-Tozzetti; perchè il pallido è l’al- burno o parte più esterna, e il citrino è il vero legno o parte più interna del tronco legnoso. Il sandalo rosso poi, che si conosce nelle spezierie, è il legno di una pianta di genere diverso, cioè del pterocarpus santalinus di Persoon e di Willdenow, appartenente alla famiglia delle piante leguminose. Il sandalo ci- trino, che si estima il migliore, cresce nell’Indie orien- tali, e principalmente nel regno di Siam e nell’isola di Timor, la più grande e più meridionale delle Mo- lucche; esso è duro, pesante, con fibre diritte, il perchè si può spaccare con sicurezza per farne tavole, ha un odore simile alle rose, e un sapore aromatico amaro- gnolo, che non dispiace : il preteso bianco è meno aro- matico e meno pesante. Ciò premesso, dico esser molto verisimile che il le- gno almuggim 0 algummim del testo ebreo, che la no- stra Volgata non ben traduce per ligna thyina, legname tiino (1), fosse il sandalo citrino, che si è descritto (2). (1) 3. Reg. X, 11.—2. Par. IX, 10. Il legno tiino, così detto dal greco thyia, che suona tuia, non dall’ Indie, ma dalla Mauritania proveniva. V. tuia. (2) V. Castelli, Declam. de stirpibus sacris; Relando, Diss. de pers. vocab. Talmudis, $ 56; Olao Celsio, Hierobot, part. I, pag. 179° 327 i Imperocchè questo legno, che le navi di Salomone por- tarono una sola volta dalla regione di Ophir (4), vale a dire dall’Indie orientali, sì trova ne’ luoghi stessi, dove anche al presente si rinviene oro e argento e gem- me preziose e denti di elefanti e scimmie e pappagalli; le quali tutte cose da quelle navi si portavano ogni tre anni (2), che tanto tempo allora impiegavasi a com- piere quel viaggio. Lo Sprengel (3) è di opinione che l'’almuggim o algummim degli Ebrei fosse il sandalo rosso; ma questo non può ammettersi, ed eccone la ragione. Gli Ebrei, a quel che pare, chiamarono al- muggim 0 algummim il nuovo legname, perchè era si- mile a un legname del Libano sotto lo stesso nome già conosciuto. Leggesi in fatti nella Scrittura aver Sa- lomone scritto ad Hiram re di Tiro : Mandami ancora dal Libano del legname di cedro, di ginepro e di al- gummim; perciocchè i0 so che i tuoi servi sono abili nel tagliare i legnami del Libano (4). Ora sia che per al- gummim voglia intendersi in questo luogo il legno di pino, come leggono i Settanta e s. Girolamo nella Vol- gata, sia qualunque altro legno, è certo che non era rosso; perchè ira tutti i legnami del Libano non se ne conosce alcuno, che abbia questo colore. Di che (1) 3. Reg. X, 12. Le navi di Salomone hanno qui il nome d’Hiram, forse perchè erano governate da marini sudditi di questo re. (2) Ibid. 11, 22. La parola Tharsis, che si legge nel secondo di questi versetti, significa probabilmente il mare dell’India, o qualche porto famoso in quel mare, e vicino ad Ophir. (3) Sprengel, Storia della botanica, tom. 1, pag. 19. (02%. Par. 16, S. 328 segue che il legname portato dall’Indie, al quale fu dato il nome di almuggim 0 algummim, perchè simile al legno di quest'albero, non era il preteso sandalo rosso, ma sì il citrino : che Salomone fece adoperare nelle balaustrate degli anditi, che dalla casa reale con- ducevano alla casa del Signore, e nel far cetere e sal- teri pe cantori (4). MYRTUS, MIRTO, MORTELLA Myrtus communis Linn. Questo arboscello tanto conosciuto e da lungo tempo , coltivato, è naturalmente ramoso, e fornito di molti < ramoscelli diritti e frondosi. Le sue foglie sono op- poste, quasi sessili, ovali o lanceolate, interissime, co- riacee, lisce, d'un bel verde; i fiori bianchi, solitari, ascellari, peduncolati; i frutti piccoli, ovoidi, belli- cati, di un color porporino quasi nero. b. Sempre verde. Il mirto ama un terreno sostanzioso e umido, qual si trova nelle vallate. Di fatto i mirti, tra’ quali Zac- caria vide in ispirito un uomo, o meglio un angelo in forma umana, che inforcava un cavallo sauro, erano piantati in un luogo assai basso (2). Ne’ deserti e dove nascono le cattive piante spinose i mirti naturalmente (1) 3. Reg. X, 12.—2. Par. IX, 11. (2) Zach. I, 8. —Il Caldeo esprime che il profeta fu trasportato in ispirito tra” mirti che sono in Babilonia; e si sa che quella ca- pitale era posta in un paese assai fertile e umido, vicina al Tigri, e coll'Eufrate che la bagnava. 329 non vengono (1). Crescono bensi anche sopra le al- iure (2), dove perciò recaronsi gl’Israeliti, giusta il co- mandamento di Esdra, a prendere rami di olivo, di mirto e di altre piante, che doveano servir loro per celebrare la festa de’ Tabernacoli (3). E da ciò forse pro- venne, che i Gentili non celebravano alcun festeggia- mento senza far uso di ramoscelli di mirto (4). Si è altrove veduto non essere insolito che le donne portassero il nome di una bella pianta (5). Così la ni- pote e figliuola adottiva di Mardocheo fu da’ suoi ap- pellata Hadassa (6), da hadas, mortella; e tra’ Persiani ebbe il nome di Esther, che da as, mortella, e da there o ther, nera, significa mortella nera, della quale gli Antichi prendevano più diletto. MALUS PUNICA, MALUS GRANATA, MELAGRANO, GRANATO Punica granatum Linn. Arboscello assai noto, che ha molti rami e ramo- scelli spinosi, angolati, minuti e per lo più rossicci; le foglie opposte, lanceolate, piccolissime, intere, lisce e sottili; i fiori di un bel rosso scarlattino alla som-. mita de’ giovani ramoscelli; il frutto rotondo, belli- (1) Isai. XLI, 19; LV, 13. (2) Plinio, lib. XVI, cap. 18. (3) 2. Esdr. VIII, 13.—V. palma, pag. 237, not. 4. (4) V. Teofrasto, Hist. plant. lib. IV, cap. 6; Plinio, lib. XV, cap. 29; Achille Tazio, lib. II, pag. 98, ec. (5) V. palma, cassia. (6) Esther, II, 7.— Nella Volgata leggesi Edissa. 330 gato, coriaceo, che racchiude un gran numero di gra- nellini divisi da una pellicola gialla in più luoghi. >. Il melagrano, in ebreo rimmon, fu uno de’ decan- tati alberi fruttiferi, onde più che ogni aitro paese ab- bondava la Terra Santa (1). Perlaqualcosa alcune delle sue città e castelli Rimmon o Remmon furono deno- minati (2). Grande era pure in Egitto la copia de’ me- lagrani; perocchè alla stazion quarantesima che gl’ Is- raeliti fecero nel deserto, iumultuando contro Mosè e Aronne, loro rimproverarono di averli tratti d'Egitto per cacciarli in un luogo miserabile, dove non erano fichi, nè viti, nè melagrani (3). Antichissimo è l'uso di coltivare i melagrani per ornamento. I loro fiori brillanti, che spiccano vantag- giosamente tra la verdura delle foglie, offrono un bel colpo d’occhio. Quindi è che lo Sposo de’ Cantici vo- lendo esprimere la bellezza del chiuso giardino, sim- bolo della Chiesa sua Sposa, dice che le piantagioni di esso, che sono i veri credenti, fanno un paradiso di melagrani (4); e corre frettoloso ad osservare se colesti arboscelli han messi i loro fiori (5), simbolo delle più sublimi virtù, che adornano il chiuso giardino; alla cui contemplazione la sacra Sposa invita ancor essa il suo Diletto (6). (1) Deut. VII, 8. (2) Jos. XV, 32; MIX, 7.—1. Par. IV, 32; VI, 77.—2. Esdr. XI, 29.— Zach. XIV, 10. (3) Num. XX, 1-5. (4) Cant. IV, 13. (5) Ibid. VI, 10. (6) Jhid. VII, 12. dol Le melagrane nella Palestina sono grossissime (1), ed hanno la scorza, non già d’un rosso misto di ver- dastro, come fra noi, ma tutta di un bel rosso. Perciò le melagrane artificiali, che adornavano l’estremità della veste talare del pontefice, dovevano essere di porpora e di cocco a due tinte (2). Perciò ancora lo Sposo de’ Cantici paragona alla scorza delle melagrane le guance della diletta sua Sposa (3); le quali possono simbo- leggiare le schiere degl’invitti martiri di ambo i sessi, testimoni a un tempo e della verità della fede e della santità della Chiesa. Dagli acini delle melagrane nettate del mallo e della pellicola, gli Ebrei traevano anticamente un liquore pregevolissimo. Quindi tre città della Palestina, l’una nella tribù di Dan (4), l’altra nella metà della tribù di Manasse di qua dal Giordano (5), e la terza nella tribù d'Efraimo (6), erano appellate Gethrimmon 0 Geth- remmon, che significa torcolare di melagrane, perchè de’ melagrani che vi si coltivavano quivi spremeasi e si faceva gran copia di quel liquore. La Sposa de’ Can- tici invitando il suo Diletto, gli fa anche promessa del vino di melagrane (7); dal quale può essere figurata la fortezza de’ martiri, che la Chiesa offre al divino suo Sposo. (1) Num. XHI, 24, (2) Exod. XXVII, 33, 34; XXXIX, 22. (3) Cant. IV, 3; VI, 6. (4) Jos. XIX, 45. (5) Ibîd. XXI, 25. (6) 1. Par, VI, 69. (Aogart. VET, 2. 302 Sendo le melagrane belle di forma e utili nella so- stanza, non è a maravigliare che il valente Hiram da Tiro leimitasse negli ornamenti de’ capitelli, che erano in cima alle due colonne di bronzo poste a’ fianchi della porta del Santo (1); e che il profeta Gioele ri- guardasse come una grande calamità la perdita de’ me- lagrani (2). CYPRUS, CIPRO, ALCANNA Lawsonia inermis Linn. Tav. XIV. Arboscello che ha molti ramoscelli opposti, gracili e ricoperti da una corteccia di un bianco giallognolo; le foglie opposte, ellittiche, acute nelle due estremità, lisce, interissime, lunghe appena un pollice; i fiori piccoli, bianchi, numerosi, in mazzetti lassi e ter- minali. b. Il cipro degli Antichi descritto da Dioscoride, Pli- nio e Prospero Alpino (3), risponde perfettamente alla lausonia senza spine, la quale in italiano si chiama pure alcanna o alchenna con voce di araba origine. Cresce spontaneamente nell'Egitto presso Canopo, oggi Bocher alle bocche del Nilo, nell’Arabia, nella Pale- stina presso Scalona, e massime nell’isola di Cipro, che per questo ne porta il nome. Questo arboscello trovasi negli orti botanici come (1) 3. Reg. VII, 18.—4. Reg. XXV, 17. —2. Par. III, 16; IV, 13. — Jerem. LII, 22, 25. (2) Joel, I, 12. (3) Dioscoride, lib. I, cap. 125. — Plinio, lib, XII, cap. 24. — Pro- spero Alpino, De plantis Aegypti, cap. XHI. dò oggetto di curiosità. I Negri impiegano la decozione delle foglie per tingere in giallo di zafferano la pelle de’ loro bambini. Le loro femmine se ne tingono le ultime falangi de’ piedi e delle mani, ed essi ne co- loriscono pure il dorso, la criniera e le gambe de’ loro cavalli. Questo colore è sì aderente alla pelle, che si è conservato sopra le mummie più antiche. I fiori sono odorosissimi : il perchè gli Ebrei costumavano di spar- gerli negli abiti degli sposi novelli; e le donne egi- ziane li tengono in sì gran pregio, che durante tutta la primavera e la state, ne adornano i loro apparta- menti. I frutti consistenti in piccole cassule grosse quan- to un pisello e disposti a grappolo, forniscono l’olio detto di cipro, odoroso e salubre per testimonianza di Plinio (1). Lo che meglio si avverava al tempo di Salomone, quando quel saggio principe faceva colti- vare con molta cura nel territorio di Engaddi i cipri e i balsamini piantati con ordine, e però ebraicamente appellati vigne (2). Quindi si comprende bene quel versetto de’ Cantici : Il mio Diletto è a me come un grappolo di cipro delle vigne d’Engaddi (3); colla quale similitudine la sacra Sposa vuol significare, secondo Onorio d’Autun, i molteplici frutti della risurrezione di Cristo, vale a dire la missione dello Spirito Santo, la predicazione degli apostoli, la conversion de’ Gen- tili, e tutti gli altri carismi, che Cristo dal cielo ac- (1) Plinio, lib. XXIII, cap. 4. (2) V. Kimchi, in Jud. XV, 14, e i Talmudisti. (3) Cant. I, 13. d04 cordò e prosegue ad accordare alla Chiesa sino alla fine del mondo. MALUS, MELO Pyrus malus Linn. Albero che ha il tronco diritto colla scorza liscia nella gioventù, scabra in seguito, cenerina o alquanto rossa; le foglie alterne, picciolate, semplici, ellittiche, seghettate, pelose al di sotto, massime nella gioventù, leggermente scabre al di sopra; i fiori alquanto bian- chi, o color di rosa; il frutto liscio, sferoidale, con- cavo 0 bellicato intorno al peduncolo, a cinque logge cartilaginose, ciascuna delle quali contiene due semenze cartilaginose. Varietà coltivate numerosissime. Malus sativa. Db. Il melo in ebreo dicesi taphuach pel soave e con- tinuo odore de’ frutti suoi, da naphach, esalare, spi- rare. Onde lo Sposo de’ Cantici Iodando i pregi della sua Dilcita, tra le altre cose le dice : L’ odore della tua bocca è come quel delle mele (A): lo che esprime bellamente la soave fragranza che spira il parlar della Chiesa per sostegno della verità della fede, e per con- fortamento delle anime nella vera pietà. Coll’odore ricreante de’ pomi brama di essere so- stenuta Ja sacra Sposa, languente per veemenza di amo- re (2). Per questi frutti dolci al suo palato s'intendono (1) Cant. VII, Ss. (2) Ibid. II, 5.’ 33d le parole, gli esempi, i documenti, le azioni di Gesù Cristo; delle quali cose il pensiero e l’imitazione forma il conforto delle anime giuste nell’assenza dello Sposo celesie; con queste elle consolano il tedio e l'amarezza del loro pellegrinaggio, con queste porgon ristoro al- l’afflitto ed angustiato lor cuore. La memoria di Cri- sto, l'imitazione delle sue virtù è per un’anima amante la consolazione del suo esilio e di tutte le tribolazioni che lo accompagnano. Il melo coll’abbondanza e grossezza de’ frutti suoi sorpassa di gran lunga i frutti di tutti gli alberi bo - scherecci; poichè i coni del cedro e degli abeti, e le ghiande delle querce, che sono i frutti più grossi delle piante silvestri, non uguaglian mica il volume, la soa- vità e la bellezza de pomi. Quindi ben dice la Su- lamita : Qual'è il melo tra gli alberi d’un bosco, tal’è il mio Dialetto tra’ figli (1); imperciocchè Cristo, Sposo dilettissimo della Chiesa, ha maggioranza sopra gli uomini e gli angeli, che nella Scrittura son chiamati figli. Ed in vero, egli sorpassa gli uomini primiera- mente per nascita; perchè non fu concepito d'immondo seme e nell’ iniquità, ma fuori dell’ ordine naturale nacque d’una intatta Vergine immacolata, nel cui seno era stato fecondato per virtù dello Spirito Santo. Se- condo, eccelle per grazia e bellezza. Tu sei bello s0- pra i figiiuoli degli uomini, la grazia è diffusa sulle tue labbra (2). Gli occhi suor vedranno i re nella sua (1) Cant. II, 3. Cr Psa XL, 2. 536 bellezza (A). Terzo, pe’ frutti e pe’ doni onde arric- chisce i suoi seguaci. Della pienezza di lui noi tutti riceviamo (2). Ei li nutrisce colla sua carne immacolata, li riempie dello Spirito Santo e de’ frutti della giu- stizia (3), e finalmente dà loro la vita eterna (4). Cristo poi è superiore a tutti gli angeli primieramente per l’ eccellenza del nome (5); perocchè a qual mai degli angeli disse Dio: Figliuol mio sei tu, oggi îo ti ho ge- nerato? E di nuovo : io gli sarò padre, ed ei sarammi figliuolo (6). Secondo per l'ampiezza dell’onore e della maestà. Ed a qual mai degli angeli disse Dio: Siedi alla mia destra (7)? Terzo, pel frutto della sua gran- d’opera, perchè a lui, e non già agli angeli noi siamo debitori della nostra eterna salvazione. Non sono eglino tutti spiriti ministratori, mandati al ministero per amor di coloro che hanno ad ereditar la salute (8)? Nel melo, pianta di grato utilissimo frutto, molti Padri ed interpetri ravvisano l’albero della croce, che a noi saluberrimi frutti produsse, e spiegano in senso mistico queste parole dello Sposo de’ Cantici : Sotto un’albero di melo i0 ti suscitai : ivi fu corrotta la ma- dre tua, ivi fu violata la tua genitrice (9). Eva, ma- (1) Isai. XXXIII, 17. (2) Joan. I, 16.—V. 1. Tim. VI, 17. (3) PRIUS (4) Joan. HI, 16; X, 28. (5) Phil. Il, 9. — Hebr. I, 4. (6) Ibid. 3. (7) Ibid. 13. (8) Ibid. 12. (9) Cant. VIII, 5. SRI dre .di tutti 1 viventi credendo alle parole del tenta- tore, sotto l'albero della scienza restò violata e cor rotta per la sua colpa, e pervertendo il marito, nella stessa corruzione fè cader lui e tutta l’umana poste- rità. Dalla donna ebbe principio il peccato, e per lei tutti moiamo (A). Doppia fu la corruzione in cui cadde allora la madre di tutti i viventi, ci viventi tutti con essolei, la corruzione della colpa e la corruzione della pena, ossia la morte dell'anima e la morte del corpo. Ma la divina bontà ordinò e dispose che sotto un altro albero (sotto la croce) la figlia, cioè la Chiesa, trovasse la sua liberazione, la sua risurrezione dalla morte del peccato, e la speranza della beata immortalità. Questo si è il mistero che è posto dinanzi agli occhi della Sposa in queste parole : Sotto l’albero della mia croce a te io diedi vita e salute, a te, la cui madre sotto un altro albero trovò la corruzione e la morte. Io presi il chi- rografo del decreto, ch’era contro di te, e lo tolsi di mezzo affiggendolo alla mia croce (2). Il profeta Gioele predisse agli Ebrei, che se non si fossero ravveduti, gl’insetti e la siccità avrebbono ro- vinati i loro alberi, e tra questi i pomi, precipua loro delizia (3). Leggesi nella Scrittura che sotto il regno dell’empio Acabbo per ben tre anni non cadde nella Giudea nè ruggiada, nè pioggia (4). Che cosa allora divennero i meli, che amano di essere spesso ‘'inaffiati? BIOEEchi. XXV. 733, (2) Coloss. II, 14. (3) Joel, IL, 12." (4) 3. Reg. XVIII, 1. bhe) Grandissima certamente dovette essere la desolazione di quel protervo paese, e principalmente di quelle città, che per l’abbondanza de' meli Taphuach erano deno- minate (1). PYRUS, PERO Pyrus communîs Linn. Albero che ha il tronco diritto colla scorza scabra soggetta a squamarsi; i rami e ramoscelli sovente rad- drizzati e terminati da spine; le foglie alterne, coriacee, ovato-lanceolate, seghettate; i fiori bianchi a mazzetti corimbiformi; i frutti lisci, turbinati, allungati sopra il peduncolo, nel maggior numero a cinque logge car- tilaginose, ciascuna delle quali contiene due semenze anch'esse cartilaginose. Varietà coltivate numerosis- sime. Pyrus sativa. b. Gran copia di peri vi era all’entrata della valle di Raphaim, vicino Gerusalemme. In fatti avendo Davidde consultato il Signore se dovesse incontrare i Filistei venuti più che mai formidabili nella stessa valle, il Signore gli rispose che no; ma in quella vece pren- desse le volte e andasse loro alle spalle per le fauci della montagna de’ peri (2): e quando avesse sentito quegli alberi muoversi strepitosamente senza essere agi- tati dal vento, allora attaccasse i nemici, perchè al- lora lo avrebbe Dio preceduto a battere il campo ostile. (1) Jos. XV, 34, 53; XVII, 8. (2) Il Pagnini, il Montano, il Munster, il Grozio ed altri dicono de’ celsi, e i Settanta del pianto; ma anche I’ Aquila traduce qui il testo ebraico conforme alla Volgata. 339 Davidde ubbidì esattamente, e ruppe e disfece Veser- cito filisteo (1). | BABKANIM, BIANCOSPINO Crataegus oryacantha Linn. Arboscello comunissimo e spinosissimo, che ha le foglie più o meno profondamente lobate, più o meno dentate, più o meno grandi, secondo le varietà; i fiori numerosi, bianchi, odorosi, disposti in mazzetti. b. Eusebio da Cesarea adopera qual nome proprio di luogo il vocabolo barkanim (2), che due volte si legge nel testo primitivo (3). Ma sebbene non possa negarsi essere state nella Giudea non poche contrade, che i nomi di diverse specie di spini sì procacciarono; con- tuitociò, come insegna il rabino Kimchi nel comen- tare i citati versetti, è chiaro che in essi la voce bar- kanim non può significar luogo, bensi una delle tante specie di spini, che crescono in quella terra. Ma quale? I Settanta ignorandola, ritennero la voce ebrea. La nostra Volgata dice /riboli, come rende in altri luoghi il vocabolo dardar; ma per triboli non ben si esprime la forza della parola barkanim. Questa, a delta di Cor- nelio A-Lapide, significa una specie di spino, i cui punciglioni penetrano e fan bruciare il corpo, come i raggi del sole penetrano e fanno ardere gli occhi. y2, Res! W) 2325/41. Par. XIV, ‘14-16 ) Eusebio, De locis ebr. pag. 45. ) Jaed.3IHk 7, 16 340) Però Tremellio, Giunio e Cocceio la voce barkanim tra- ducono ossicanta, vale a dire acute spine. Ora l’ossi- canta, giusta la descrizion del Salmasio, risponde al biancospino o lazzeruolo salvatico, detto ancora bagaia, marruca bianca, e volgarmente pruno agozzino ; il quale vegeta in quasi tutta Europa, e ne’ luoghi de- serti della Giudea oltre il Giordano. Con siffatti tormentosi flagelli Gedeone fece battere e lacerare i settantasette seniori di Soccoth, città della tribù di Gad, in punizione di aver negato barbaramente del pane a' rifiniti fratelli, che aveano con essolui espo- sta la vita, e tuttavia l’'esponevano per la comune sal- vezza (1). ROSA, KROSAIO Rosa Linn. Arbusto che ha le radici serpeggianti con sortite; le foglie composte di tre, di cinque, di sette, o di nove foglioline ovali, seghettate; i fiori terminali sem- plici, o doppi, di differenti grandezze e colori; i frutti or globosi, ora ovali, ora allungati, con molte se- menze. bd. L'Autore della natura pare che abbia scherzato colle rose, moltiplicandone le specie e le varietà. Quelle che nascevano nel territorio di Gerico dovevano avere qual- che pregio particolare, perchè ad una di esse non isde- enò paragonarsi la Sapienza (2). (ud. sel (2) Eccli. XXIV, 18.—Errano coloro i quali credono, che in que- sto luogo si parli di quella piccola pianta, che sotto ome di rosa 541 Le rose crescono in tutti i terreni e in tutte le si- tuazioni, ma preferiscono le terre dolci, e i luoghi esposti a mezzo sole. Quando si trovano in vicinanza dell’acqua divengono vigorosissime, e fanno un gran numero di fiori. Perciò l’Ecclesiastico esortando i buoni a produrre copioso frutto di laudi al Signore, lor dice : Germogliate come un rosaîo piantato presso le acque cor- renti (A). Gli Antichi erano d’opinione, che le rose impedis- sero l’ebrietà colla loro freschezza. e principalmente col soave odore, il qual supponevano che aprisse i pori, e facesse esalare i fumi del vino (2). Per la qual cosa ne’ conviti spessissimo di rose s’inghirlandavano. Ma gli empi, di cui parla la Scrittura, ad altro scopo dicevano, Coroniamoci di rose prima che appassiscano (3); vale a dire affinchè colla loro fragranza e colore em- pissero e pascessero le narici e la vista, e fossero d’in- citamento a’ carnali piaceri. Quindi soggiungevano : Non siavi prato, per cui non passeggi la nostra lussu- ria. Perocchè le rose conciliano grazia ed amore, onde erano a Venere dedicate. Dice poi Tertulliano non esservi stato tra gli Ebrei di Gerico è portata dalla Terra Santa, e della quale si spacciano molte favole. Non vi è aleun antico scrittore che chiami rosa co- testa pianta, la quale non solo abbonda nelle campagne di Gerico, ma anche nelle spiagge del Mar rosso. Non ha alcuna bellezza, né odore, e si appella anastatica. (1) Eccli. XXXIX, 17. (2) Atenco, lib. V. (3) Sap. II, 8. D) l'uso delle corone nelle feste e ne’ conviti (1), perchè di esse non si fa menzione ne’ libri santi. Ma Cle- mente Alessandrino afferma il contrario (2), appoggian- dosi al citato luogo della Sapienza; poichè Ebrei empi e voluttuosi ivi dicevano, coroniamoci di rose. Nè que- sto dee farci andare per le maraviglie, perchè eglino stessi volgendosi agl’idoli, e adottando i riti de’ Gen- tili, adorarono Venere, e nella casa del Signore, come vide in ispirito il profeta, piansero con lugubri canti la morte di Adone (3). Dicendo dunque Tertulliano che gli Ebrei non usavano le corone convivali di rose e fiori, debbe intendersi per proprio costume, non mai per costume gentilesco adottato da loro. 4 HAKBABBIM, ROSA SALVATICA Rosa canina Linn. Arbusto che ha gli steli lisci, con punciglioni rl- curvi, lunghi, spesso opposti; le foglie composte di sette foglioline ovate, acute, di un verde lucido, li- sce; i fiori semplici, bianchi, o di un roseo pallido. Trovasi nelle siepi e ne’ boschi. La voce hakrabbim, che in più luoghi si legge del testo originale (4), propriamente significa scorpioni ; e così appunto è renduta da’ Settanta, da s. Girolamo, da Arias Montano ed altri. Ma esaminando i luoghi (1) Tertulliano, De corona mililis, cap. IX. (2) Clemente Alessandrino, Strom. Hib. IT, cap. 8. (3) Ezech. VIII, 14. (4) 3. Reg. XII, 11, 14,—2. Par. X, 11, 14,.—Ezech. II, 0. bhò testè citati de Re e de’ Paralipomeni, chiaramente si vede, che per hakrabbim non si possono intendere 1 veri scorpioni; bensi qualche cosa che possa usarsi a flagello, e cagionare orribili dolori. I botanici arabi, greci e latini sotto nome di scorpione descrivono di- verse erbe, ma esse, quantunque fornite di spine, non sono atte a percuotere e straziare. Perciò il dotto ra- bino Salomon, nel suo comento sopra il citato luogo de’ Re, spiega il vocabolo hakrabbim in francese églan- tier, rosa canina, rispondente al cinosbato de’ Greci e de’ Latini, i cui steli, dic’egli, pungono a maniera di scorpioni. E il rabino Kimchi, dopo aver trattato delle sferze, dice che più dolorosi tornano gli hakrab- bim o scorpioni, perchè colle spine di che sono armati pungono orrendamente. Gli steli dunque della rosa canina furono con pro- babilità gli scorpioni onde Roboamo minacciò di stra- ziare gl Israeliti, che dimandavano di essere alleggiati dell’eccessive gravezze imposte loro dal padre suo (1). Ed agli steli della medesima pianta, non già a’ veri scorpioni, come pensa il Martini, Dio stesso paragonò i Giudei, dicendo al profeta Ezechiele : E tu, figlivolo dell’uomo, non temer di loro nè delle loro parole, perché hai da fare con uomini ostinati e nocivi, ed abiti in mezzo di scorpioni (2). (1) V. i luoghi citati de’ ke, c de’ Paralipomeni. (2) Ezechh.o0, vet) SI SI RUBUS, ROVO Rubus fruticosus Linn. Questo arbusto rampicante, che vedesi ovunque dif- fuso, ha le foglie digitate e ternate, di un color verde oscuro al di sopra, turchinicce al di sotto; i cauli, i pezioli e i. nervi delle foglie guerniti di aculei forti e uncinati; i fiori bianchi in mazzetti alla sommità de’ ramoscelli; i frutti neri, dolcigni e insipidi, ma molto amati da’ ragazzi. B. Quantunque il rovo sia un arbusto cattivo, onde ebbe a dire l’evangelista, che uva non vendemmiasi da un roveto (4); ciononostante Iddio piacquesi di trasce- glierlo per operarvi un prodigio veramente maravi- glioso. Guardando Mosè le pecore di suo suocero Jetro sacerdote di Madian, si era di tanto inoltrato pe’ pa- scoli di quel deserto, che già toccava le falde del monte Orebbo, posto nell’ Arabia Petrea, rimpetto al Sina; quand’ecco riverberogli sugli occhi un vivo lampo di luce. Sorpreso di ciò volse egli il guardo colà, donde veniva l’'insolito splendore: e vide un rigoglioso rovo, di che abbondano quelle contrade, il quale compreso d’una viva fiamma ardeva tutto, eppure non sì con- sumava (2). Prodigio grande in sè stesso, ma nulla (1) Lue. VI, 44. — Anche Alceo e Filodemo oppongono l'uva al roveto ne’ graziosi epigrammi, che leggonsi nell’Antologia pag. 474 e 565. (2) Exod. II, 1, 2.— Act. VII, 30, 31. Ignibus innocuis flagrans apparuit olim Non ardens ardere rubus, nec juncta calori 343 certamente minore per le mirabili cose che figurava, e che Dio intese per esso di presagire. Imperocchè eccone in primo luogo la letterale e storica spiegazione. Il vile ed aspro roveto simboleggiava gli Ebrei oppres- si, afflitti, avviliti, perseguitati. Le fiamme in esso ac- cese significavano l'odio degli Egiziani, barbari e di- spietati oppressori dell’avvilito Israele. Ma siccome il roveto avvampava tutto, nè però consumavasi ; così mostrava che il popolo più numeroso fra non molto sarebbe uscito da tanti guai. Oltre a questa letterale e storica spiegazione, altre ne danno i Padri, che tropologiche e mistiche sono chiamate. S. Girolamo (1) portò opinione, che il rovo trionfante di quelle fiamme figura sia della Chiesa di Gesù Cristo. Fin dal suo nascere i re della terra, i sacerdoti degl’ idoli, e i filosofi della Grecia a tutta possa avventaronsi per divamparla, per arderla, per consumarla. Ardevano nelle fornaci i Cristiani, bru- ciavano sulle pire, arrostivansi sulle graticole, e negli arroventati tori chiudevansi a finire la loro vita. Ma Materies alimenta dabat, nec torrida vivens Sensit damna frutex : sed amici fomilis aestu Frondea blanditae lambebant robora flammae. SepuLIo, Carmen paschale, lib. I, v. 111. Jam sacer innocuas dederal de fomite flammas Et rubus in rubeo viridis permanserat aestu! ALcimo Avio, lib. V, v. 23. Sed tamen et sentum visa est excita cremare Flamma rubum, Deus in spinis volitabat acutis, PrupeNzio, Apotheosis, pag. 165. (1) S. Girolamo, Epist. CXXVII ad Fabiol 346 in mezzo di tanti incendi più rigogliosa e più verde fioria la Chiesa. S. Gregorio Magno (1) nella misteriosa visione inse- gna rappresentarsi Gesù Cristo Salvator nostro. Rovo, dic'egli, si fu l'umanità sacrosanta del Redentore. Per- chè siccome il rovo è fra le piante spregevole, irto, bi- torzoluto; così per nostra salvezza quell’adorabile uma- nità si assoggettò a vivere umile, povera, penosa. Fiam- ma fu, prosegue il Santo, la persona del Verbo eterno: fiamma per lo splendore, per l'altezza e per la nobiltà incomprensibile dell’esser suo. Fu quindi prodigio stu- pendissimo che l’infiammato fuoco della natura divina lasciasse per nostro bene coperta di tante spine quella tribolatissima umanità. L’ardente e intatto rovo fu in terzo luogo figura di Maria Vergine, serbata illesa nel suo immacolato con- cepimento. Il peccato del primo padre fu veramente un incendio, che a tutti i tempi si estese e a tutti i figli. Sola Maria fu quella pianta felice, che nessun danno contrasse da questo fuoco. In mezzo alle ar- dentissime vampe del peccato originale Ella sola fu dal cielo voluta immune; e il sottilissimo Scoto, splendore e gloria dell'Ordine francescano, fu quel Mosè fortu- nato, che primo vide e sostenne sì grande preroga- tiva. Nè il misterioso roveto fu solamente figura del- l’immacolata concezione; ma lo fu altresi della puris- sima verginità di Maria, fatta madre dell'Uomo Dio, che è quanto dire compresa dal vivo fuoco e da un (1) S. Gregorio M. Moral. lib. XXVII, cap. 2. 341 abisso di luce della divinità, siccome canta la Chiesa a confusion di Nestorio e de’ suoi seguaci : Santa Ma- dre di Dio, nel rovo veduto intatto da Mosè noi rico- nosciamo serbata la vostra lodevole Verginità (A). Finalmente l’illeso e verdeggiante rovo poteva an- cora significare la costanza e la fede dell’uomo giusto in mezzo alle fiamme delle tribolazioni, l'innocenza in mezzo a quelle delle tentazioni, la carità tra Ie of- fese, l'umiltà tra gli onori, la castità tra gli stimoli della carnale concupiscenza. SENTIS, PRUGNOLO Prunus spinosa Linn. Arboscello che ha il tronco spinoso, colla scorza bruna e screpolata, spesso ricoperta al di sotto di un lichene bianco; i rami numerosi, sparsi, parimente spinosi; le foglie picciolate, ovali, lanceolate, dentate, un poco pubescenti al di sotto, piccole; i fiori pari- mente piccoli, bianchi, numerosissimi, ascellari, s0- litarì, peduncolati; i frutti rotondi, di mediocre gros- sezza, di un color quasi azzurro, o violetto cupo, di un acerbo sapore. P. Il prugnolo o spino nero nasce comunemente lun- ghesso i torrenti de’ boschi, in mezzo alle fenditure delle rocce, e ne’ dirupi delle valli; ma viene ancora nelle campagne lunga pezza abbandonate ed incolte (2). (1) Nella sacra liturgia. (2) Prov. XXIV, 31.-— Soph. 1, 9. —In questi due luoghi la Vol- 348 Si leva otto o dieci piedi; sicchè i padri degli scher- nitori di Giobbe, uomini rozzi e salvaggi, ben pote- vano adunarsi sotto de’ prugnoli (1). Si usano uni- camente a far siepi di riparo; nondimeno più diffi- cilmente riprendono del biancospino, il quale con ra- gione vien preferito. AMYGDALUS, MANDORLO o Amygdalus communis Linn. Albero che ha il tronco scabro colla scorza cene- rina; 1 rami flessibili e sottili specialmente nella gio- ventù; le foglie alterne, lanceolate, picciolate, appun- tate; i fiori di un color di rosa pallido, sessili, s0- litari o gemelli; il frutto a guisa di cuore. Ve ne sono molte varietà coltivate. Amygdalus sativa. b. I mandorli crescono in abbondanza nell’amenissima Mesopotamia; quindi con agevolezza potè Giacobbe aver- ne de’ ramoscelli, di che usò ingegnosamente per ot- tener dalle pecore e capre in tutto bianche, o in tutto nere agnelli e capretti con macchie di vario colore (2). I mandorli sono pure abbondanti nella Siria e nella Palestina, dove producono saporitissime frutta. Degli Antichi nessuno fa menzione che queste piante nel- l'Egitto si coltivassero : quivi è probabile che a’ tempi degli avi nostri introdotti fossero dagli Europei. Per- gata traduce in generale spini l ebrea voce charul, alla quale in Giobbe meglio tribuisce la significazione di prugnolo. (1) Job. XXX, 7 (2) Gen. XXX, 3 1 349 tanto fece bene il patriarca Giacobbe di mandare in dono con altri frutti lodati della Cananitide anche delle mandorle al vicerè d'Egitto, prima che conoscesse es- sere il suo pianto Giuseppe (1). Gli Ebrei, come scrissero s. Cirillo, i rabini e altri, usavano formare i lor bastoni di mandorlo. In uno di questi bacoli volle Dio operare un prodigio, che confermasse e dimostrasse divino il sacerdozio di Aron- ne. Il fatto andò in questo modo. Parve Dio consen- tire ad una nuova elezion del pontefice e della tribù, che gli piacesse sortire al grado sacerdotale, e comandò per Mosè che ciascuno de’ capi delle tribù recar do- vesse al Tabernacolo il suo bastone, quello probabil- mente che usava a segno della sua autorevole dignità, incidendovi per distinguerlo con sicurezza il proprio suo nome; che Aronne recasse anche il suo col suo nome; che tutti questi messi fossero nel Santuario in- nanzi all’Arca; che Dio uno di questi ne avrebbe fatto prodigiosamente fiorire, e a chi appartenesse, sareb- besi riputato l’eletto da Dio medesimo; che dopo que- sta dichiarazione sensibile del voler suo non ci sa- rebbero state più querele contro della persona, che fosse eletta così, non potendoci aver parte inganno al- cuno, nè alcuna passione umana. in esecuzione del divino comandamento i bastoni furono presentati, ri- conosciuti, disaminati, e sotto una guardia vegliante riposti nel Tabernacolo dinanzi all’Arca. Tredici erano secondo il numero delle tribù, perchè quella di Giu- (1) Gen. XLIII, 11. seppe era divisa in due, di Manasse cioè e di Efraimo. Tutti erano aridi, e lo cerano da molto tempo, come sogliono essere i bastoni, e in tutt'altra disposizione che di fiorire, e molto meno di fruttificare. Restarono così guardati tutta la notte, e come fu la mattina gran concorso di popolo fu alla porta del Tabernacolo. Mosè ci entrò per vedere che fosse fatto; ed ecco il bastone di Aronne tra gli altri tutti aridissimi comparir ver- deggiante, con foglie, fiori e bottoni, che aprendosi chiaramente mostravano le fresche mandorle, in cui aveano gia legato. Questo prodigio finì di convincere la nazione, che Aronne era l’eletto da Dio medesimo; e ciascuno de’ capi delle tribù riconosciuto e disa- minato il suo bastone, fu contento di ripigliarselo così arido, come l’aveva depositato. Aronne no, che non ebbe a ripigliare il suo; perchè Dio comandò che nel Santo de’ Santi fosse riposto a monumento perpetuo della sua elezione, e a freno de’ ribellanti animi am- biziosi (1). Lungo sarebbe ed alieno venir qui sponendo le molte favole, che ad imitazione dell’antidetto prodigio inven- tarono e scrissero gli autori profani; toccherò invece delle cose pel bastone di Aronne simboleggiate. Per- ciocchè s. Girolamo, s. Cirillo, s. Gregorio Magno e s. Isidoro ci riconoscono il divino nostro Pontefice prima umiliato e privo di vita, e dipoi rivestito di nuova vita e di gloria nel suo prodigioso risorgimen- to (2); il quale sta sempre nel santuario dell’Altissimo (1) Num. XVII. (2) S. Girolamo, in Jerem. cap. 1. — S. Cirillo, De adorat. lib. X. — S. Gregorio, Moral. lib. XIV. — S. Isidoro, in Num. qu SRI ad interceder per noi, come dice s. Paolo (1). S. Ago- stino, s. Bernardo, Ruperto ed altri molti nella bac- chetta di Aronne riconoscono la santissima Madre di Dio Maria, la quale senza alcun detrimento della sua Verginità concepì e partori il nosiro vero Pontefice Gesù Cristo, mistico fiore della radice di Gesse (2). Final- mente Origene ci riconosce un’imagine della benedetta croce di Cristo fiorente e fruttificante la fede e la sal- vazione delle anime già perdute (3). Il mandorlo è figura della vecchiaia, secondo la bella similitudine dell’Ecclesiaste : Ricordati del tuo Crea- tore ne’ giorni di tua giovinezza.... prima che il man- dorlo fiorisca (4); perchè siccome quesl’albero mette i suoi fiori sul finire del crudo verno, così i vecchi in- canutiscono d’ordinario nel verno spiacevolissimo della vita. SETIIM, ACACIA Acacia vera Wild. Mimosa nilotica Linn. Tav. XV. Albero che ha il tronco diritto e ramoso, colla scorza ruvida e oscura; le foglie guernite alla base di spine gemelle, aperte, bianche e rozze, con uno o due paia di penne, e con otto a dieci paia di fogliette oyate- bislunghe, di un bel verde; i fiori gialli in teste glo- (1) Hebr. VII, 25. (2) S. Agostino, Serm. Il de Temp. tom. X.— S. Bernardo, Mom. II sup. Missus. est. — Ruperto, su questo luogo. (3) Origene, Mom. IX în Num. (4) Eccle. XII, 1, 5. 392 bose, peduncolate, senza odore; i lesumi lunghi un mezzo palmo circa, di color bruno o rossiccio, arti - colati, con molte semenze ovali, compresse, dure e intorniate d'una mucilagine sommosa. b. Quasi sem- pre verde, non perdendo mai tutte le foglie. I dotti ci rendon certi oggimai che il sethim di Mosè è l’acacia vera 0 mimosa, che si è descritta (1), la quale spino egiziano, o spino nero dagli Antichi fu anche denominata (2), e da’ profeti Isaia e Gioele è detta so- lamente spino (3). Quest’albero cresce ne’ dintorni del Cairo, ein maggior copia nell’Arabia deserta, non lungi dal Sina. Nel paese de’ Moabiti è una valle che per essere un tempo coperta tutta di acacie si procacciò il nome di Valle di Sethim, come leggesi nel testo ebreo, o di valle degli spini, come ha la Volgata (4). Quivi l’indovino Balaam benedisse il campo degl’'Is- raeliti, invece di maledirlo, come voleva Balac re de’ Moabiti (5). Quivi gl’incliti Isracliti sedotti dalle moa- bite e madianite donzelle sì lordarono di peccati; si assisero con esse a mensa, adorarono i loro idoli, e finalmente a Beelfegor si consacrarono (6) : il perchè (1) Bochart, /lieroz. part. II, pag. 402; Geogr. sacr. lib. I, cap. 4. — Salmasio MHomon. Hyl. Jatr. cap. CI, pag. 167. — Muller, Gloss. sacr.— Linneo, Hort. Cliffort. pag. 209. — Olao Celsio, Hierob. part. I, pag. 498 e seg. — Hiller, Hieroph. part. I, pag. 426 e seg. ec. (2) Teofrasto, Mist. plant. lib. IV, cap. 3. — Plinio, lib. XIII, cap. 9) ec: (3) Isai. XLI, 19.—Jocl, Hi, 18. (4) Joel.l.c.Questo luogo è fo stesso che Abelsethim Num.XXXITT,49. (5) Num. XXI-XXIV.— Mich. YI, 5. 6) Num. XXV, 1-3. —Psal. CV, 28. 390 ne rimaser morti ventiquattro mila, tra quelli che fu - rono uccisi e impiccati da’ giudici, e quelli che pe- rirono sotto il flagello mandato da Dio (1). Da cotesto luogo ancora il prode Giosuè mandò due spie per esplorare il paese e la città di Gerico, prima che mo- vesse col campo ad impadronirsene (2). Dalla scorza dell’ acacia esce la notissima gomma arabica, e dal bollimento de’ suoi legumi non venuti a maturità un’ altra gomma si ottiene, di che fassi grand’uso, come di quella, in medicina e nelle arti. Il legno dell’acacia è molto leggero e bello, ha buo- nissimo odore e dura altrettanto che il cedro (3). Gli Ebrei mettendolo a parte con altre cose, ne fecero la prima oblazion generale al Signore (4); e Mosè per divino comandamento lo adoperò a fabbricare l'Arca dell’alleanza, che poi fu riposta nel Santuario (5), la mensa de’ dodici pani della proposizione, che doveano essere esposti mai sempre dinanzi a Dio (6), le assi, le traverse e le colonne del Tabernacolo (7), l’altare degli olocausti (8), e quello de’ timiami (9). (1) Num. XXV, 8,9. (2) des lata (3) V. Roger, Terre sancte, pag. 17. (4) Exod. XXXV, 24. (5) Ibid. XXV, 10, 19; XXXVII, 1, 4. — Deut. X, 3. (6) Exod. XXV, 23, 28, 30; XXXVII, 10, 15. (7) Ibid. XXVI, 15, 26, 32, 37; XXXVI, 20, 31, 36. (8) Ibid. XXVII, 1, 6; XXXVIII, 1, 6. (9) Ibid. XXX, 1, 5; XXXVII, 25, 28. 23 SI4 SILIQUA, CARRUBO Ceratonia, siliqua Linn. Grand'albero, che ha i ramì tortuosi e spesso pen- denti, con una cima dilatata; le foglie alate, senza impari, composte di sei a olto foglioline interissime, ovato-rotonde, coriacee, lisce e di un verde cenerino; i fiori di un purpureo carico, in piccoli grappoli, so- pra la parte nuda de’ rami; i legumi lunghi, com- pressi, a logge polpose, con semenze dure e lucci- canti. b. Sempre verde. Quest'albero è comunissimo nella Siria, dove i suoi legumi, che tra noi hanno i nomi di silique, di car- - rube e di guainelle, si danno anche in cibo agl’im- mondi animali (1), come in Napoli quelle che si tra- sportano dalla nostra isola si danno a' cavalli. Di co- teste silique bramava d’empiersi il ventre il figliuol prodigo, e neppur questo gli si concedeva (2) : giu- sta punizione di Dio, che uno il quale ha consumato in un lussurioso vivere ogni cosa, non trovi tra suoi falsi amici chi voglia satollar la sua fame, e provve- dere alle sue necessità. (1) Columella, lib. VII, cap. VI. (2) Luc. XV, 16.— Cornelio A-Lapide ed altri per silique pensano doversi qui intendere le bucce e i gusci d’ortaggi; altri le ghiande. Ma gl’interpetri siro ed arabo, il Salmasio, il Bochart, l'Hammond, il Clere, il Grozio ed altri molti leggono carrube , dette in greco keraltia; voce usata in questo luogo dall’evangelista. 333 ALOE, ALOF Aloexylum agallocum Linn. Albero che ha i rami diritti; le foglie semplici, al - terne, lanceolate, integerrime, picciolate; i fiori ter- minali; i frutti della grossezza del pepe, giallognoli, aromatici. b. L'agallògo o aloe, in ebreo ahaloth, nasce negli al- tissimi monti della China, di Laos e della Cochinchi- na, donde con altri aromi era da’ mercadanti indiani ed arabi trasportato in Egitto, e di qui sin da’ tempi de’ patriarchi spedito era nella Giudea per mezzo de- gl’Ismaeliti. Il tronco di quest’albero è formato di tre sorta di legno, che differiscono nel colore e nelle pro- prietà; Immediatamente sotto la scorza è nero, saldo e pesante, e da’ Portoghesi poa d’aquila o legno del- l'aquila viene denominato. Sotto di questo ve n’è un altro di color bruno, leggero, venoso, e a maniera di legno fracido, che chiamasi calambo. Finalmente il cuore 0 la parte interiore chiamasi tambaco, ed è presso gl’Indiani in maggiore estimazione che lo stesso oro: tramanda un odore assal forte, ma grato. Tra noi non sì conosce che il solo calambo , che ci vien portato in piccoli pezzi assai fragranti, che buttati sul fuoco sì squagliano come cera. Tra le mistiche piante aromatiche, che adornavano mirabilmente il giardino di Salomone, avea pur luogo aloe (1), per lo quale tutti gl’interpetri intendono (1) Cant. IV. 14. DIG l’agallòogo o legno aloè. Hi reale Salmista parlando del futuro Messia, dice : Le fue vestimenta spandono odor di mirra, d’aloe e di cassia (A). La Volgata invece di aloe, come nel citato luogo de’ Cantici ben traduce l’ebreo ahaloth, qui legge gutta, che in nostra lingua vale altrettanto che gocciola; ma per questa gocciola o lagrima debbe intendersi il legno aloè, come scrive s. Girolamo nella sua lettera a Principia, e come tro- vasi nel parafraste caldeo. Non dee poi dubitarsi, che il legno aloè adoperato fosse come un degli aromi che procacciano alle vesti un buon odore. Ciò praticavasi col profumo, e lo si pratica tuttavia; conciossiachè non abbia mai l'Oriente interrotto, o cangiato cotesto uso. Anzi non pur le vesti, ma le persone e le case si profumano da’ po- poli orientali coll’aromatico aloe, che però appunto legno da profumo si chiama da essoloro. Quindi ben si scorge che cosa voglia esprimere Salomone, quando fa dire a una donna impudica, che tira a sè un gio- vine sconsigliato : Ho sparso îl mio letto di mirra, di aloe e di cinnamomo (2). Leggesi nel Vangelo, che avendo Giuseppe d’Arima- tea ottenuto da Pilato di portare il corpo di Gesù ad onorevole sepoltura, il ricchissimo Nicodemo gli si diè per compagno alla bell’opra, portando seco quasi cento libbre di una composizione di mirra e di aloe. Sali- rono dunque ambidue il Calvario, presero pietosamente quel sacro corpo, e lo avvolsero in lenzuoli di bian- (1) Psal. XLIV, 8. (2) Prov. VII, 17. Pigneto lari SÒ 1 chissimo lino, ponendovi di quegli aromi, come dagli Ebrei si costumava (1). Dicono alcuni per aloe doversi qui intendere quel sugo amarissimo e resinoso, che si cava principalmente dall’aloe spicata, dalla succo- trina e dalla comune, e che si adopera in medicina come purgante, tonico e detersivo. Ma a me piace, come più probabile, l’opinion del Salmasio, del Ri- vet (2) e di altri molti, cioè che l’aloe dell’evangelista non fu mica diverso dall’aromatico aloe, onde fassi menzione ne’ Cantici, ne’ Salmi e ne’ Proverbi. In quanto al peso degli aromi, che a taluno potra sem- brare eccessivo, dico che forse non venne tutto ado- perato, ma solo quel tanto che era utile e necessario; e poi convien sapere che, ove gli Egiziani sparavano e imbalsamavano i cadaveri per farli durare per se- coli, gli Ebrei al contrario più a segno di amore e di devozione, che ad obbietto di preservare dalla putre- dine i loro morti, usavano condirli di fuori, e i più onorandi cadaveri immergevan quasi e seppellivano ne- gli unguenti e negli aromi (3). BALSAMUM, BALSAMINO, BALSAMO Balsamodendron gileadense Kunt Amyris gileadensis Linn. Tav. XVI. Arboscello che ha l’altezza presso a poco di un-me- lagrano; i ramoscelli rossicci, diritti, fragili e sparsi (1) Joan. XIX, 38-40. (2) V. Salmasio, Exercil. plin. pag. 743, Rivet, in Psal. XLIV, tom. ii Opp. pag. 228. (5) Salmasio, Exercit. ad Solin. pag. 744. 338 di nodi ineguali ; le foglie palmate-trifogliate , colle fogliette ottuse , interissime, di un verde glauco ; i pedicelli sostenenti un sol fiore, più corti del piceiuo- lo; i fiori bianchi ec a guisa di stelle, donde spuntano fuori de’ piccoli baccelli acuti, che contengono un frutto aromatico, grosso quasi, quando è secco, come il pepe e il cubebe, e grecamente chiamato carpobalsamo. b. Il paese nativo de’ balsamini, a detta pure di Stra- bone e Pausania (1), è l'Arabia Felice. Nella Giudea, se è vero quel che scrive lo storico Giuseppe (2), fu- rono introdotti dalla regina di Saba o del Mezzogiorno, come viene appellata nel Vangelo (3); la quale reca- tasi a Gerusalemme per far saggio della sapienza di Salomone per mezzo di ardui quesiti (4), tra’ ricchi regali che a lui fece, gli offri molte pianticelle di bal- samino, che vennero coltivate a maniera di vigne in un luogo vicino Engaddi (5) nella valle di Gerico. Plinio ci fa sapere che avanti la vittoria de' Romani non erano nella Giudea che due soli orti di balsamini, dell’esten- sione di pochi iugeri, e appartenenti alla corona: ma che sotto i Romani furono aggranditi cotesti giardini e propagati gli arboscelli, i quali non solo crebber di numero, ma divennero per la coltura più alti e più produttivi (6). Quando poi il gran Turco conquistò la (1) Strabone, Geogr. lib. XVI. — Pausania, Bocotie. (2) FI. Giuseppe, Antig. lib. VII, cap. 6. (3) Luc. XI, 31.— Saba, città e paese nell’ Arabia Felice , dagli abitanti è pur nomata Aljeman, vale a dir Mezzogiorno. (2): 2.\Par IX Ae (5) V. cipro, pag. 333. (6) V. Salmasio nelle annotazioni a Solino, pag. 591. 359 Palestina, fece trapiantare ciò che vi era di questi ar- boscelli in un suo giardino presso Matara o Matarieh, villaggio cinque miglia a greco del Cairo; dove son custoditi gelosamente (1), e non è lecito senza la per- mission del Sultano, che ne ritrae gran profitto, pian- tarne o coltivarne alcuno. Onde quest’arboscello do- vrebbe chiamarsi balsamino di Egiito, o del Cairo, piuttosto che di Gilead, o della Giudea. L'ammirabile sugo che per incisione sgocciola da questa pianta appellasi opobalsamo o balsamo. L’in- cisione si fa ne’ giorni canicolari : Teofrasto e Dio- scoride raccomandano di eseguirla con chiodi di ferro; Plinio all'opposto col vetro, perchè il ferro, dic'egli, fa morire la pianta; Tacito ci avverte che quando i rami son pieni di sugo, pare che le lor vene abbor- riscano il ferro, e si chiudano quando fassi un’inci- sione con quel metallo, ma colano francamente quando con una pietra sì aprono, o con un coccio. Finalmente dice Marmol che le vene debbon essere aperte coll’a- vorio, 0 col vetro. Le quali opinioni il Saraceno (2) crede potersi conciliare con quella di Teofrasto e Dio- scoride, dicendo raccomandarsi unicamente da tutti, che nell'incidere la scorza della pianta non si rechi alcun danno ai corpo legnoso. Il balsamo dapprima è bianco, poi divien verde, a poco a poco di color d'oro, e quando è vecchio del color del miele. Esso è torbido da principio, ma a poco a poco si fa chiaro, (1) Mallet, Cosmogr. part. III, pag. 32. (2) Giovanni Antonio Saraceno nelle annotazioni a Dioscoride. 360 e della consistenza della trementina. Ha un odore soave come di cedrato, e un sapore aromatico, acre ed amaro. Il sugo che trovasi in commercio col nome di bal- samo orientale non è propriamente quello che sgoc- ciola dalla pianta, il quale è rarissimo; ma viene estratto per distillazione da’ rami verdi e da’ frulti, ed è inoltre adulterato di più maniere. Così doveva esser quello che i mercadanti della Giudea esponevano alle fiere di Tiro (1), non essendo mica credibile che il vero bal- samo, il quale producevasi soltanto negli orti reali, e per uso del principe, in vendita si mettesse. Quando il balsamo è puro e sincero, riesce d’una viriù effi- cace nella cura delle ferite e di parecchie altre ma- lattie. Però al balsamo non misturato ama paragonarsi l’increata Sapienza (2), la quale dovea venire dal cielo sopra la terra per guarire le ferite mortali fatte dal peccato all’umana generazione. MYRRA, MIRRA Balsamodendron Myrra Nees v. Er. Tav. XVII. Arboscello che ha i rami squarrosi, spinescenti; le foglie ternate, colle fogliette laterali molto più piccole dell’impari, tutte obovate, ottuse, dentellate all’apice e lisce; i frutti acuminati. Db. Quest’alberetto ignoto a’ Greci e a’ Latini, che perciò assai discordano nel farne la descrizione (3), cresce nel- (1) Ezech. XXVII, 17. (2) Eccli. XXIV, 21. (3) V. Diodoro Siculo, lib. V, cap. 41, Teofrasto, lib. IX, cap. 4, Dioscoride, lib, I, cap. 78, Plinio, lib. XII, cap. 15 361 l'Arabia Felice, nell’Etiopia, nell’Abissinia e nel paese de’ Trogloditi detto altrimenti la costa d’Abex. I bota- nici pensarono lungo tempo che polesse essere un'’aca- cia, ma il Forskal lo aveva riguardato antecedentemente come un vegetale terebintinaceo vicino all’amyris Ka- taf. Quest'ultima opinione è stata confermata da’ si- gnorì Ehrenberg e Kempick naturalisti prussiani, che in un viaggio nel Dongolah e nell’Arabia han descritto l’arboscello della mirra, e ne hanno portato de’ saggi. Secondo quel detto dello Sposo de’ Cantici, Zo me n'andrò al monte della mirra (A), si dovrebbe ritenere che questa pianta sia indigena anche della Palestina; ma dee sapersi che in questo luogo si fa allusione al Moria, chiamato il monte della mirra, perchè su di esso sorgeva il Tempio, dove si dovea tener di continuo con altre sostanze aromatiche una quantità di mirra, per bruciarsene la mattina e la sera (2). Anzi perchè nessun faccia pensiero, che un tempo nelle regie ville di Gerusalemme si coltivasse, veggendola noverata tra le piante della sacra Sposa (3), è a notare che la pa- rola mirra non è ivi adoperata nel senso letterale, bensì nel tropologico, per esprimere le opere di mortifica- zione della carne e di annegazione di sè stesso, le quali adornano il mistico giardino della Chiesa. Questa mirra dice di aver raccolta lo Sposo, e non sola ma cogli altri aromi (4), che sono gli atti delle altre virtù, delle (1) ‘Cant. IV, 6. (2) Exod. XXX, 34-36. (3) Cant. IV, 14. (4) Cant. V, 1. 362 quali è quasì radice e inseparabil compagna l’anne- gazion di sè stesso. Due sorta di mirra si distinguono dalla Scrittura : l’una è la mirra eletta, e secondo il testo originale, la mirra libera, da’ Greci e da’ Latini chiamata stacte (4), la quale gocciola spontanea dalla pianta. Essa è in lagrime gialle, trasparenti, friabili e leggere, di un forte odore ingrato. Contuttociò gli Antichi, del cui gusto non è a disputare, l’annoverarono tra’ più soavi aromi : il perchè ad essa l’Ecclesiastico rassomiglia la sapienza, a cui fa dire : Come eletta mirra spirai soave odore (2). Anzi i re degli Arabi solevano mandarla in dono a’ principi stranieri, come uno de’ più preziosi prodotti delle loro terre : onde i buoni Magi, che se- condo l’opinion più comune erano principi di piccoli stati dell'Arabia, al re de’ re in umile omaggio la pre- sentarono con altri doni (3). Nè di altra mirra per di- vina ordinazione potevano far uso gli Ebrei nella com- posizione dell’olio santo (4) e ne’ timiami che, come si disse, facevansi a Dio nel Tempio (5). L'altra sorta di mirra è la comune, che si ottiene coll’incidere due volte all'anno il tronco e i grossi rami della pianta : essa si appella mirra ungolata, per le macchie biancastre che vi si osservano, molto s0- miglianti a quelle delle unghie delle dita. È in masse (1) Dioscoride, lib. I, cap. 74. — Plinio, lib. XII, cap. 15. (2) Kecli XXIN320: (3) Matth. I, 11, —Psal. LAM. 10.—Isai. LX, 6. (4) Exod. XXX, 23-30.— V. cinnamomo e cassia, pag. 245 e seg. (5) Ibid. 54-36. 305 piccole o lagrime rosse, quasi trasparenti; il suo gusto è amaro, aromatico, alquanto acre e disgustoso. Gli Antichi facevano gran consumo di questa gomma- resina, non solo nelle cerimonie religiose, ma anche ne’ profumi degli abiti, de’ leiti e delle stanze (1). Da essa spremeano una specie di liquore untuoso detto olio di mirra, di che si servivano a coltivare la chioma, e rendere la carnagione più delicata. Gli autori osser- vano che intorno a ciò enorme era il lusso de’ Per- siani. Noi ne abbiamo un esempio nella Scrittura (2), dove si legge che le donzelle destinate al gineceo di Assuero tutto un anno spendevano in continue un- zioni, parte con olio di mirra, parte a manteche com- poste di altri aromi, onde fossero degne di presen- tarsi allo sguardo del regnatore. Di cotesto olio di mir- ra, come di altri preziosi unguenti e acque odorose, i proci ungevano gli usci delle loro amanti, e di fiori gli adornavano per galanteria e piacevolezza (3). Perciò si comprende bene quel versetto de’ Cantici : Mi levai per aprire al mio Diletto : le mani mie stillarono mirra, e le mie dita furono piene di schiettissima mirra (4); cioè di quella, che il Diletto passando la mano per l'apertura dell’uscio avea unto nella serratura, prima di ritirarsi e passare avanti, come deducesi dal con- testo. Era altresì antico costume che l’' eleganti don- (1) Psal. XLIV, 8.—Prov. VII, 17. Eccli. XXIV, 21. (2) Esth. II, 12. (3) Lucrezio, lib. IV. — Giovenale, Satyr. VI.— Ateneo, lib. XV, cap. 3, ed altri. (4) Cart. V, d. 3604 zelle portassero nel seno de’ sacchetti d’odore (1). Ad uno di essi pieno di lagrime di mirra la sacra Sposa rassomiglia il suo Diletto, dicendo : Il mio Diletto è a me un borsellino di mirra, e starà sempre tra le mie mammelle (2) : il qual passo può spiegarsi misticamente di Gesù Cristo, che dimora sagramentato nel seno della sua Chiesa; egli è tra le mammelle della Sposa, che sono i due testamenti; ed è pure nel seno dell’anima fedele come la mirra acre ed amara, per la costante memoria della passione e morte di lui. Questi e altri mistici sensi si trovano esposti nelle opere de’ Padri. Gli Antichi adoperavano anche la mirra per condire il miglior vino (3), chiamato perciò myrrhinum vi- num (4). Di tal sorla pensano alcuni che fosse il vino mirrato offerto al Salvatore nella sua passione (5): ma (1) Ateneo, lib. XIV, cap. d. (2) Cant. I, 12.— II vocabolo zeror del testo originale, che si- enifica fascetto e borsellino, qui non può prendersi nel primo senso, come leggesi nell Volgata, perchè la mirra non è suscettibile di allasciarsi. (3) Aezio, Tetrab. IV, serm. 41, cap, 123. — Plinio, lib. XIV, cap. 1a; (4) Il Baronio, an. 34, n. 96, dice che cotesto vino era così chia- mato dalle tazze, in cui si serviva, le quali erano fatte d’una pietra preziosa detta murra, che al dire di Piinio si trovava nella Partia e principalmente nella Caramania. Ma questa opinione del dotto an- nalista è confutata completamente dal Casaubono, £xercilt. ad Ba- ron. pag. 550. (5) Marc. XV, 23. —S. Matteo, XXVII, 34, riferendo lo stesso fatto, dice che il vino era mescolato con fiele. A conciliare i due evan- selisti può dirsi che s. Matteo, il quale scrisse in ebraico o in si- riaco, usò forse la voce rosch, che significa amaritudine, cosa ama- 363 non pare che quel vino preziosissimo, il quale si pre- parava per delizia de’ magnati, e per farne offerta agli dei, potesse essere alla mano in tanta tristezza e con- fusione di cose. Arrogi che essendo dolce (1), odoroso e grato, gli spietati nemici di Cristo non avrebbero permesso che le pietose donne a lui apprestassero , come credesi, cotal conforto; nè finalmente gli evan- gelisti lo avrebbero noverato tra gli scherni e i tor- menti del Salvatore. Fu dunque un vino ordinario mescolato con mirra, che questo propriamente signi- fica l’oinon esmyrnismenon del testo originale; nè al- trimenti tradussero il siro e V’arabo volgarizzatore. Il Casaubono segnito da aliri afferma, che secondo l’u- sanza degli Ebrei, quel vino fu offerto al Signore per farlo cadere in una specie di ebbrezza e diminuirgli il vivissimo senso del dolore. Ma, come osserva in opposito Ludovico de Dieu, questo non avvenne per costume degli Ebrei, i quali mossi da un sentimento di umanità davano a’ condannati vino ed incenso a toglier loro la riflessione. Nè può ritenersi col Casau- bono che ne’ libri degli Ebrei per una certa confu- sione di specie si dica incenso invece di mirra, es- sendo questa gomma-resina assai diversa, e i luoghi citati degli Ebrei fanno costantemente menzione d’in- censo. Due cose pei mi distolgono dal seguire il sen- ra, Ja quale da s. Marco fu specificata esser la mirra, mentre il greco interpetre di s. Matteo la intese per fiele. V. s. Agostino, De con- sensu evang. lib. III, cap. 2. (1) Questa dolcezza non proveniva dalla mirra, ma sì da altre so- stanze, che pure vi si mescolavano. 366 timento di quest’autore; l'una, che niente si riferisce del sopore degli altri due crocifissi, che non potevano essere esclusi dall’usanza comune; l’altra, che i mal- vagi erano condannati allo straordinario supplizio della croce, affinchè morissero lentamente, e sì accorgessero di morire. E in vero quante storie di crocifissi mi è venuto fatto di leggere, tutte mostrano di non essersi lor mitigati, ma sì accresciuti in diversi modi i tor- menti. Resta dunque a conchiudere, che il vino mir- rato fu offerto a Gesù per rinvigorirlo di corpo e di spirito, affinchè soffrir potesse più atroce martirio, e non cadesse in abbattimento e deliquio, poichè molti svengono al solo aspetto de’ tormenti: e questo ap- punto i soldati e i carnefici temevano che dopo la ve- glia e i notturni strapazzi, la flagellazione e la coro- nazione di spine avvenisse al Signore, che avean ve- duto cader più volte boccone a terra sotto il peso della croce. E certamente la mirra, secondo Apuleio (1), mette forza nell’animo e nel corpo. Di più per la sua proprietà antisettica la mirra era impiegata a imbalsamare, o condire esternamente i più onorandi cadaveri, secondo le diverse usanze degli Egi- ziani e degli Ebrei. A semplice condimento l’adoperò il dovizioso principe Nicodemo nel seppellire il corpo di Gesù Cristo (2). Il qual costume fu lunga pezza in vigore anche presso i Cristiani. S. Gregorio Nazian- zeno nella celebre Orazione in morte di suo fratello (1) Apuleio, Metamorph. lib. VIII, et X. (2) Joan. XIX, 39, 40. — V. aloe. 367 Cesario dice : « Ed ora egli si giace estinto, privo di amici, abbandonato, miserabile, non avendo che poca mirra e i funerei lenzuoli (1). » E Prudenzio : Candore nitentia claro Praetendere lintea mos est, Aspersaque myrrha Sabaco Corpus medicamine servat (2). THUS, INCENSO Balsamodendron Kafal Kunt Amuyris Kafal Forsk. Tav. XVIII. Arboscello che ha le foglie palmate-trifogliate, colle fogliette seghettaie all’apice, villose nella gioventù; la bacca compressa, con una punta prominente nella som- mita. B. Questa specie di amiride o balsamodendro, secondo le uniformi testimonianze di Forskal e Lamark (3), fornisce per incisione l'incenso di prima sorta; il quale è chiamato ordinariamente incenso maschio in riguardo alle sue lagrime, che sono maggiori delle comuni, 0 dell’incenso femmina; ed è pur detto olibano, non già perchè distilli a guisa d'olio da un albero sul monte Libano, come dice Efraimo Chambers (4): ma per de- rivazione dall’ebreo /ebona, 0 dal greco libanos, nomi primitivi di cotesta resina. (1) S. Gregorio Naz. De funere Cesarii, pag. 660. (2) Prudenzio, Cathemerinon lhymno X ad defunct. exeq. (3) Forskal, Flora arabica, pag. 19. — Lamark, Encyel. méthod. vol. il, pag. 626. (4) Chambers, Dizionario universale, Olibano. 368 Gli Ebrei ritiravano l’incenso da Saba, regione del- l'Arabia Felice, che si estende fino al Mar Rosso. Di fatto il Signore sdegnato contro di essi: Perchè smi offerite voi, lor dice, l'incenso di Saba (1)? E il pro- feta Isaia valicinando la vocazione de’ Magi e de’ po- poli gentili alla vera fede, dice: Verranno tutti quelli di Saba, portando oro ed incenso, e celebrando le laudi del Signore (2). Ma è probabile che i mercadanti di Tiro portassero agli Ebrei l'incenso dell’Indie, il solo che si conosca in Europa, il quale distilla da una pianta congenere, chiamata da Roxburg e Colebroo- ke (3) Boswellia serrata o thurifera, che cresce pure nella costa occidentale dell’ Arabia, e nelle isole del Golfo Persico. Secondo quelle parole dello Sposo de’ Cantici, /o me vandrò.... alla collina dell’incenso (4), si dovrebbe ritenere che l’arboscello, da cui si ottiene questa re- sina, fosse indigeno della Giudea; ma dee sapersi, che quivi è indicato il Moria, detto la collina dell’incenso, perchè sopra di esso era fabbricato il famoso tempio di Salomone, ove dovea tenersi sempre una quantità d’incenso e di altri aromi sopra l’altare de’ timiami (5), per bruciarsene la mattina e la sera; ed altri profumi d'incenso ivi pure avean luogo nelle obblazioni spon- (1) Jerem. VI, 20. (2) Isai. LX, 6. — V. Matth. II, 11. (3) Roxburg e Colebrooke, Astat. research. vol. IX, pag. 377. (4) Cant. IV, 6. (5) Exod. XXX, 34-36. 369 tanee di farina che facevansi in sacrifizio al Signore (1), e nel dono delle primizie delle biade (2), e nell’ of- ferta che facevasi tutti i sabati de’ dodici pani della proposizione (3), rappresentanti le dodici tribù d’Is- raele. | L' incenso bruciato è simbolo delle preghiere de’ giusti, le quali a maniera di prezioso e gratissimo ti- miama si alzano fino a Dio (4). La legge ordinava che sì adoperasse incenso purissimo; e questo, dice s. Ci- rillo, non si pone affatto da chi offre a Dio le sue orazioni senza aver la coscienza monda di ogni opera cattiva (5). Perciò, alloraquando gli Ebrei sordi alla voce ed al comando di Dio divennero una nazion pec- catrice, un popolo aggravato d’ iniquità, una stirpe malvagia, Iddio fece ad essi sapere per bocca de’ suoi profeti, che rigettava i loro sacrifizi ed avea in ab- bominazione l’incenso (6). TEREBINTHUS, TEREBINTO Pistacia terebinthus Linn. Albero di un portamento irregolarissimo, che ha il tronco di mediocre grandezza , colla scorza bruna e (1) Lewit. HI 47 2. (2) Ibid. 14-16. (3) Ibid. XXIV, 5-8. (4) Psal. CXL, 2. — Apoc. VIII, 3, 4. (5) S. Cirillo Aless. în Levit. lib. XIV, pag. 750, —V. pure f'eo- doreto, in Psal. CXL. (6) Isai. I, 4, 13; LXVI, 3. — Jerem, VI, 20. 24 310 liscja; i rami coperti di una corteccia rossiccia; le fo- glie alate con impari, a cinque, a sette foglioline ovate- bislunghe, intere; i fiori maschi, piccoli, a pannoc- chie ascellari; i frutti quasi globosi, aridi, della gros- sezza di un pisello. b. Il terebinto è indigeno della Giudea. Anticamente se ne vedevano, come in altri luoghi, così nell’arido e sassoso territorio di Sichem, città di Samaria or detta Nabolos 0 Naplousa. Di fatto, quivi pergiunto il pa- triarca Giacobbe, a piè di un gran terebinto, non lungi dalla città, sotterrò gl’ idoli che i servi suoi aveano trasportato dalla Mesopotamia, e che sarebbero stati per essi un'occasione di scandalo e di caduta (1). La valle a mezzogiorno di Gerusalemme, verso Soco e Azeca, abbondava una volta di queste piante, il per- chè Valle del terebinto veriva denominata : luogo fa- moso, dove Saulle schierò l’esercito per combattere i Filistei, c il giovinetto Davidde con sola una fionda percosse’ ed uccise il gigante Golia (2). Il terebinto fa un’ombra assai gradita (3), e stende molto i rami suoi; perciò sotto di un terebinto si as- sise l'angelo del Signore, che in forma umana apparve a Gedeone, e lo elesse a liberare il popolo d'Israele dalle oppressioni de’ Madianiti (4). Sotto un terebinto si ciacque a riposo quel profeta di Giuda che invei (1) Gen. XXXV, 4. (2) 1. Reg. XVII, 2, 19, 49, 50. (3) Osec, IV, 15. (4) Jud. VI, 11. —In questo luogo la Volgata traduce per quercia l’ebrea voce elah, che altrove spiega terebinto. 371 contro l’altare dell’empio Geroboamo, e predisse la na- scita del pietoso Giosia (1). Perciò ancora la Sapienza. la cui forza ed efficacia si spande da tutte le parti, a un terebinto si rassomiglia dal sacro scrittore dell’Eccle- siastico (2). E Isaia vaticinando la prosperità della sud nazione dopo il ritorno dalla schiavitù di Babilonia, dice che sarà considerata come un terebinto (3), il quale mentre sembra arido e senza vita, internamente si nutrisce di sugo, onde alla propizia stagione ritorna a germogliare. Rinomatissimo è nell’antichità il terebinto sotto il quale pretendesi che Abramo accogliesse i tre angeli, ed Eusebio (4) assicura che nel suo tempo era ezian- dio in grandissima venerazione. Molte favole sonosi spacciate su questo preteso terebinto, senza riflettere che i terebinti non posson vivere per lunga tratta di secoli. E poi avrebbe dovuto provarsi che l’ albero sotto il quale Abramo accolse gli ospiti celesti fosse un terebinto; lo che non può farsi colla Scrittura, la quale non lo nomina, e dice solamente che Abramo pregò gli angeli di riposarsi sotto di un albero che era presso il suo padiglione (5). (1) 3. Reg. XII, 14. (2) Eccli. XXIV, 22, (3) Isai. VI, 13. (4) Eusebio, Demonstr. evang. lib. V, cap. 9. (5) Gen. XVIII, 4. TEREBINTHUS, PISTACCHIO Pistacia vera Linn. Albero che ha la scorza alquanto grigia, e 1 rami tiffusi e forti; le foglie alate, a tre o quattro paia di fogliette con impari, lanceolate, lisce, grandi e pic- ciolate; i fiori femmine, che sono fecondati da quelli della specie precedente; i frutti ovoidi, rossicci, con- tenenti un seme verdiccio. Db. Questa specie di terebinto o pistacchio è coltivata tra noi e nella Palestina da tempo immemorabile. I suoi frutti sono nutritivi e di un grato sapore. Gli Antichi li pregiavano più di noi, perchè credevano che forniti fossero ancora di molte virtù balsamiche, ec- citanti e afrodisiache. Quindi non è a maravigliare che il patriarca Giacobbe nel rimandare i suoi figliuoli in Egitto. dove forse a que’ tempi pistacchi non si tro- vavano, avesse fatto pensiero di far dono de’ frutti di queste piante a quel celebre vicerè (1), che poi fu lieto sapere di essere il suo pianto Giuseppe. SCHINUS, LENTISCO Pistacia lentiscus Linn. Arboscello diffuso, che ha il tronco e i rami so- vente tortuosi, e quest'ultimi rossicci; le foglie alate, senza impari, ad otto fogliette lanceolate, intere, salde, lisce e di un bel verde; il peziolo comune rossiccio (1) Gen. XLII, 11. 013 e alato; i fiori porporini, in grappoli ascellari. b. Sem- pre verde. Questa specie di pistacchio, indigeno ancor esso della Palestina, si procacciò il nome prima di dentisco, e poi di lentisco, perchè del suo legno, stimato buono a fortificar le gengive, si facevano stecchi da denti. La Scrittura lo chiama grecamente schino. Il suo tronco dà per incisione, o senza, una resina chiara e dolce, altamente commendata da Strabone, la quale è delta mastice, perchè viene di continuo masticata da’ Tur- chi, e specialmente dalle donne; e mastice di Scio, perchè forma il principale prodotto di quest'isola del- l’Arcipelago. Ella è dessa la famosa resina delle mon- tagne di Galaad o Gilead, poste ad oriente del Gior- dano, le quali una volta coperte erano di lentischi, e lo sono in parte oggidì. Gli antichi medici tribui- vano a cotesta resina mirabili virtù, e in molte ma- lattie l’adoperavano (1); i moderni la riguardano sol- tanto come stomachica e astringente. Quei di Giuda e della terra d'Israele la mettevano in vendita nelle fiere di Tiro (2), e i mercadanti ismaeliti eran solleciti di portarla in Egitto (3), dove era tenuta in sì gran pregio, che il patriarca Giacobbe ne mandò in dono per mezzo de’ suoi figliuoli allo stesso vicerè (4). I Jentischi coi loro bello e sempre verde fogliame contribuiscono all’ornamento de’ giardini. In quello (1) Jerem. VII, 22; XLVI, 11; LI, 8. (2) Ezech. XXVII, 17. (3) Gen. XXXVII, 25. (4) Ibid. XLII, 11, 374 del ricco Gioachimo, marito della casta Susanna, ve n’erano certamente, perchè uno degl’impudenti vec- ehioni, calunniatori nerissimi di quella donna, affermò Dugiardamente di averla colà veduta in atto di com- mettere cosa rea sotto uno schino (1). NUX, NOCE Juglans regia Linn. Albero altissimo, che ha la testa larga e regolare; il tronco colla scorza cenerina, liscia ne’ primi anni, screpolata nella vecchiaia; le foglie alate, a cinque, a sette foglioline ovate, lisce, quasi eguali e interissime; ì fiori ascellari, di un verde bruno; i frutti grossi, ovati, contenenti una noce ossea, crespa, a due valve, e a quattro logge, con una, semenza sinuosa a quattro lobi separati da tramezzi membranosi. Si distingue in più varietà. Db. La Scrittura ci fa sapere che Salomone, oltre ì tanti orti e giardini piantati all’ orientale dì alberi frutti- feri d'ogni maniera (2), ne avea uno estesissimo di noci; e che altre piante, tra le quali Ie viti e i mela- grani, contribuivano a variare mirabilmente quest'altro - suo paradiso (3). Nella traduzione italiana di Giovanni Diodati si legge pure, giardino delle noci, ma nelle note si trova questo sproposito solennissimo, noci, cioè mo- scade : sotto le quali sono intese tutte le altre piante (1) Dan. XIII; 54. . (2) Eccle, II, 5. I (3) Cant. VI, 10. 513 aromatiche. Dissi sproposito solennissimo, perchè le miristiche aromatiche, ossia le nocimoscade natural- mente non vengono nella Giudea; nè tacendo la storia, è permesso congetturare che il naviglio di Salomone le avesse quivi irasportate dalle Molucche, vera patria di coteste piante. Ma suppongasi per poco che vi fos- sero trasportate. A chi mai potrà venire in capo di affermare, che potessero eoltivarsi in un suolo stra- niero e in tanta copia da formare un giardino? Ar- rogi, che un celebre viaggiatore assicura, che le mi- ristiche riprendono difficilmente anche nella loro pa- tria e nello stesso suolo nativo (1). Il giardino di Sa- lomone adunque era piantato di noci comuni, che in quell’ età abbondavano nella Giudea, come deducesi dalle leggi degli Ebrei in proposito di queste piante. In cotesto giardino poi alcuni interpetri vedono raf- figurata l’antica Chiesa. Lo Sposo vi discese primie- ramente per vedere i pomi delle valli (2), perchè Cri- sto venne a visitare la Sinagoga, e specialmente Ie anime umili, che con grande anzietà aspettavano Ja venuta di lui. Discese ancora per osservare se la vi- gna fosse fiorita, e questa, secondo l’interpetrazion d'1- saia, era la casa d’Israele (3). Questa vigna quanto alla porzione più grande non era fiorita; anzi dopo che il Signore da buon vignaiuolo l’ebbe con molta cura coltivata e per lungo tempo, in cambio di-dolci uve non produsse che amare lambrusche. Lo Sposo discese nel (1) Tavernier, Minéraire d’Orient, part. IH, pag. 299. (2) Cant. ]. c. (o) dsat..V, 1. 316 suo giardino delle noci per veder finalmente se è me- lagrani avessero germogliato, ovvero, come leggono i Settanta, se avessero gettati i fiori, e questi furono gli apostoli e i discepoli, ne’ quali Cristo trovò ve- ramente i fiori, trovò ottimi desiderì, li trovò pronti a bere l’amarissimo calice che dovea bere egli stesso. Vero è, che la tentazione dissipò questi primi fiori; ma poco dopo e fiori e frutti copiosi di carità, di pa- zienza, di fortezza trovò egli in queste sue elette piante, negli apostoli e ne’ discepoli, i quali alla cognizione e all’amore di lui condussero infinito numero di cre- denti. RHAMNUS, RANNO Rhamnus spina Christi Linn. Arboscello che ha gli steli diritti, grigi, ramosi, cilindrici, rossicci nella loro gioventù; le foglie al- terne, ovate, seghettate, lisce, di un verde oscuro al di sopra, un po’ luccicanti al di sotto, armate da cia- scuna parte dell’inserzione del peziolo di una spina bianca orizzontale, pungentissima e diritta; i fiori in corimbi, peduncolati, ascellari; i frutti neri della gros- sezza d'una ciriegia. b. Questa specie di ranno, in ebreo athud, trovasi fre- quentemente nella Giudea. I libri santi fan menzione d'una pianura, che per esserne molto ingombra At4 d’Athad veniva denominata (1): i geografi sacri la co- stituiscono di là dal Giordano per chi entri nella Pa- (1) Gen. L, 10. ST lestina dal deserto d’Arabia, cioè alla riva diritta di questo fiume, due miglia incirca dal fiume stesso, e tre da Gerico (1). A cotesta Aia di ranni fecero alto Giuseppe, i suoi fratelli e i grandi d’Egitto con tutto l'immenso seguito, e celebrarono al patriarca Giacobbe l’esequie per sette giorni con pianto grandissimo e stre - pitoso; sicchè i Cananei sentendolo ed osservandolo, ne furono maravigliati; e questo, dissero, questo è gran pianto degli Egiziani : però mutarono nome al luogo, che da indi in poi si chiamò Pianto d’ Egit- to (2). Il ranno di che tocchiamo chiamasi spina di Cri- sto, perchè co’ suoi rami fu fatta probabilmente la corona di spine al nostro Salvatore, piuttosto che con quelli del paliuro, a’ quali si tribuisce. Ecco quel che Scrive in sul proposito il Bellon : « Avendo ricercato ed esaminato con diligenza le piante che circondano le mura di Gerusalemme, desiderosi di sapere quali spini vi si trovassero, per intendere di quale specie era quello onde fu intrecciata la corona di nostro Si- gnore, e non avendovi trovato altra pianta spinosa più frequente del ranno; ci è parso che quella corona fu fatta co’ rami di quest’arboscello : perchè non abbiamo veduto crescere colà alcun rovo, o altro spino qua- lunque (3). » (1) V. Ugolino, Thesaur. Antig. sacr. tom. V, pag. 47, s. Giro- lamo su questo luogo, Bochart, Descript. T. S. pag. 170. (=) Gen. Li 11. (3) Bellon, Obsero. sing. liv. IH, ch. 88. — V, pure Rhauwolff, Itin. Orient. lib. HI, cap. 8. 378 Nel bellissimo apologo narrato da Gioatamo a’ Si- chimiti, gli alberi vedendo che tre pregevoli piante invitate successivamente a comandare sopra di loro, si erano ricusate, al ranno offrirono la corona, e dis- sergli vieni e regna sopra di noi. Volentieri, costui rispose; ma poichè io debbo essere vostro re, venite tutti e state cheti all'ombra mia : che se ricusate, esca di me viva fiamma, e divori i cedri stessi del Libano (1). In questo apologo gli alberi rifiutatori della corona rappresentavano Gedeone, che l’avea ricusata, e lo spi - noso ranno accettatore del regno spiegava Abimelecco, e come tosto ne avrebbe abusato, distruggendo col ferro e col fuoco la patria stessa de’ Sichimiti. Ma non solo cotesto usurpatore, i malvagi tutti ezian- dio sono al ranno paragonati ne’ libri santi. Perchè di lor favellando il reale Salmista, dice : Prima che le vostre spine si sentano fatte un ranno, ci nel suo sde- gno quasi vivi gl’inghiottirà (2). Lo che significa : No- civi quai ranni voi siete, o malvagi, alle persone dab- bene; ma prima che si afforzino le vostre spine, prima che siate in istato di mandare ad effetto i vostri pravi diseeni, la giusta ira di Dio piomberà sopra di voi, e negli anni vostri più lieti vi toglierà all'improvviso da questo mondo. (1 dudbX 1872167, (2) Psal. LVII, 9.— Ea notare che nella stessa sentenza evvi un cangiamento di persona, che non è raro nelfa lingua ebraica. —_ ESA 379 PALIURUS, PALIURO Rhamnus paliurus Linn. Arboscello in forma di alto cespuglio diffuso, che ha la corteccia bruna e unita; i rami dispersi, guer- niti di aculei numerosi e pungentissimi; le foglie al- terne, picciolate, ovate, quasi interissime, lisce, a tre nervi; i fiori gialli, in grappoletti ascellari; i frutti a maniera di scudo sollevato nel mezzo, sottile nel- l'estremità, con un nocciolo sferoidale nel mezzo. b. Il paliuro nasce ne’ luoghi incolti, e dilatandosi fa- cilmente, occupa molto terreno. Però dice Salomone, che la strada de’ pigri è come un luogo ingombro di paliuri (1); esprimendo assai. bene, che gli uomini in- fingardi tutto trovan difficile, tutto impraticabile; nè ciò solamente nella via della virtù e nell'adempimento de’ sociali doveri, ma anche nelle cose più comuni dell'umana vita. Intanto si avvera che cotesti neghit- tosi travagliano molto più di coloro stessi che si af- faticano seriosamente, sendo certo in generale ciò che dice Columella dell’ agricoltura che « nelle faccende domestiche la negligenza è più laboriosa della dili- genza (2). » Bellamente eziandio dal profeta Michea assomigliati vengono al paliuro gli uomini ingiusti che popola- (1) Prov. XV, 19.—La Volgata legge, la strada de’ pigri è quasi cinta di spine, rendendo con una parola generale l'ebreo chedek, che altrove specifica essere il paliuro, al quale ben si addice quanto del chedek leggesi nella Scrittura. (2) Columella. De re rustica, lib. XII, cap. 2. 380 vano Samaria e Gerusalemme (1); perciocchè, siccome il paliuro non giova a nulla, e non fa altro che pun- gere e addolorare chi gli si accosta; così l’uomo ingiusto tanto non difende e soccorre l’oppresso e il poverello, che a lui per alta si avvicina, che lo ferisce e lo af- fanna : degno perciò di essere gittato ad ardere quale inutile e spinoso paliuro. BUXUS, BOSSO Buxus sempervirens Linn. Grande arboscello tortuoso, che ha molti rami € rametti; le foglie opposte, ovate, bislunghe, alle volte intaccate, coriacee, di un verde molto carico, lucci- canti; i fiori in mazzettini ascellari. b. Sempre verde. Quantunque il bosso ami i terreni freschi ed om- brati, pure il profeta lo novera fra quelle piante sem- pre verdi, che Dio per un atto di sua infinita potenza avrebbe fatte venir nel deserto per difendere gli avanzi del popol suo dagli ardenti raggi del sole, nel ritorno dalla babilonica schiavitù (2). Il legno del bosso è duro, gialliccio, quasi senza nodi, pesantissimo e di gran durata. Però è usato in molte arti, massime da’ tornitori e stipettai. Il pro- feta Isaia vaticinando il ristauramento del Tempio, che Ciro permesso avrebbe a’ Giudei, dice che il bosso con altri scelti legnami avrebbe adornato il santuario (1) Mich. VII, 4. (2) Isai. XLI, 19.—V. olmo per lallegoria di questo luogo. 381 di Dio (1). Il bosso un tempo si adoperava comune- mente a farne tavolette da scrivere, che perciò si un- gevano di cera (2). Sopra una di queste tavolette volle Dio che il suo profeta a perpetua memoria scrivesse il minaccioso vaticinio riguardante i Giudei (3), che al tempo di Geremia sarebbono fuggiti in Egitto con- tro l'espresso divin volere. Di bosso finalmente, se ag- giustiam fede a’ dotti (4), servivansi i doviziosi abi- tanti di Tiro nelle navali costruzioni, facendone i se- dili de’ remiganti, che intarsiavan d’avorio (5). Essi traevano il bosso probabilmente dall'isola di Corsica, che però era in gran voce. KIKAJON, RICINO Ricinus communis Linn. Arboscello di un bello aspetto, che ha il tronco cilindrico, articolato, ramoso; le foglie alterne, pic- ciolate, grandi, palmate, a sette lobi appuntati e den- tati, di un verde bruno al di sopra, grigie al di sotto; i fiori a spighe cilindriche, le quali portano i fiori ma- schi alla base, e le femmine alla sommità ; i frutti (1) Isai. LX, 13. (2) Properzio, lib. HI, eleg. 3. (3) Isai. XXX, 8. (4) V. Bochart, Hieroz. part. I, pag. 252, Glassio, Grammatic. lib. III, cap. 1. (5) Ezech. XXVII, 6.— L’ebreo è tradotto in varie guise; la Vol- gata dice sedili e camere, e non dichiara che cosa si prendesse dalle isole di Chittim, che spiega dell’Italia. 382 coperti di punte, contenenti tre semi lisci, cenerinì, con istrie scure o nere. b. Stavasi Giona nel suo non ben chiuso e male ac- concio tugurio a levante di Ninive, per vedere che cosa mai avvenisse della città. Forse dormiva, e non avvertiva perciò che Dio gli facesse spuntare allato una pianta, la quale cresciuta di botto la testa gli ricopriva e facevagli miglior ombra. Svegliatosi al far del giorno, si rallegrò molto di quel piacevole riparo. Ma alla punta del giorno appresso Dio mandò un vermicciuolo, che punse la pianta, ed essa inaridì. E nato che fu il sole Dio fece che si levasse un vento caldissimo, che ab- bruciava : e il sole batteva sul capo del profeta, talchè sentiva venirsi meno, e desiderava di finire i giorni suoi (1). Cotesta pianta in ebreo chiamasi kikajon, la cuì eti- mologia non può dedursi, essendo ignota, secondo il parlar de’ grammatici, la sua radice. I Settanta nella loro versione la tradussero pel greco colocythe, che in italiano vale altrettanto che zucca. S. Girolamo poi nella Volgata la voltò nel latino hedera, che edera o ellera significa nel volgar nostro. Appena seppesi que- sta traduzione di lui, molti in più luoghi ne fecero gran rumore: e in una città dell’Africa singolarmente; dove al leggerla che per ordine del vescovo si faceva nell'adunanza di molto popolo, come questo sentì che Giona più non era sotto la zucca, dove l’avean la- sciato l’ultima volta che ne ascoltarono la leggenda, (1) Jon. IV, 5-8. 385 ma sibbene giacevasi sotto di un’edera, ne fecero gran- dissima mormorazione, e ricorsero al giudizio e alla decision degli Ebrei, che parecchi ve n’ erano colà stesso. Costoro fosse per malizia, fosse per ignoranza : Oh manco male, risposero, e chi può dubitare che la zucca non abbia ad essere sempre zucca? Pel quale argomento convinto il popolo, gridò esser chiaro lo spropositare di s. Girolamo; e il vescovo pel timore che ebbe delle lor grida piamente vi sottoscrisse. Fu s. Agostino che in una delle sue lettere indirizzate a s. Girolamo stesso, lo avvertì di tutto questo: e con lui cuerelossi pur egli di una tal novità, che era stata da molti mal ricevuta, e da moltissimi disapprovata (1). Il santo Dottore ebbe molta pazienza per questi rim- proveri che gli si fecer dall’ Africa (2); ma pare che non ne avesse altrettanta per quelli che sulla stessa voce gli si fecer da Roma, dove un certo Gantelio si avvisò di accusarlo per essa di sacrilegio. Imperocchè avendo costui scioccamente cangiato il nome di Can- telio in quel di Cornelio, per vanto di essere di quella stirpe, il santo Dottore gli fe’ vedere, che tra la sua gente e quella degli onorati Cornelii vi era maggior differenza che tra una zucca ed un’edera! E avendo cosiui la taccia di bevitore, gli aggiunse di non te- mere se veniva meno in Palestina una zucca, che ad ogni modo ne restavano parecchie in Roma, per trarne (1) S. Agostino, Epist. X, cap. 3. (2) Y. la risposta di lui a s. Agostino, che si trova tra le lettere di questo Santo, Epist. XI, cap. 7. 584 a una tirata il molto vino che gli piaceva, senza che poi comparisse al di fuori di quanto erano scemate. Parlando poi seriamente si scusa di novità, adducendo le versioni di Aquila, di Simmaco e Teodozione, che prima di lui tradussero il kikajon degli Ebrei nell’e- dera de’ Latini. Dice sapere anch'egli benissimo che il kikajon all’edera non risponde, ma piuttosto a quello che i Siri e i Pupici chiamano elkeroa. Indi soggiunge che l’elkeroa di questi popoli e il kikajon degli Ebrei se non erano l'edera sua, non erano la zucca nem- men degli altri. In fine conchiude che intanto avea detto edera, e non già zucca, perchè quella piuttosto che questa pareva al kikajon più somigliante; e intanto non avea detto kikajon, ritenendo la voce ebrea, per- chè i grammatici non credessero ch’ ei nominasse 0 qualche bestia dell'India, o qualche monte della Beo- zia, 0 altro tale portento da far paura (1). Ma poichè nè la zucca, nè l’ edera non venne a Giona benefica dell’ ombra sua, qual fu dunque co- testa pianta? Prestando fede a’ dotti (2), dico che fu il ricino comune dell’immortale Linneo, che da’ La- tini si chiama ricinus 0 palma Christi, kroton da’ Greci, e kiki dagli Egiziani (3), dal cui seme, come dicono (1) S. Girolamo, Comm. in Jon. IV, 6. (2) V. i rabini D. Kimchi e Ben-Melech, in Jon.; Scaligero , De subtit. pag. 600; Dodoneo e Bauhin, Mist. pl.; Bodeo, in Theoph. pag. 1088; Drusio, Quaest. ebr. lib. II, pag. 103, et în Jon. pag. 593; Salmasio, £erc. Plin. pag. 722; Bochart, Hieroz. part. II, pag. 293, 623, Geogr. sacr. pag. 919; Glao Celsio, Hierobot. part. I, pag. 273 e seg.; Hiller, Mieroph. part. I, pag. 453 e sqg., ec. (3) V. Dioscoride, lib. IV, cap. 164, Plinio, lib. XV, cap. 7, emend. dal Salmasio p. 686. 385 anche Erodoto, Piodoro Siculo e Strabone (1), si cava un olio, che è in gran moda nella medicina: Cotesta pianta, della quale si è data in principio la botanica descrizione, altre volte cresceva soltanto nella Pale- stina, massime ne’ terreni arenosi, che le convengon di più; ma adesso non è più forestiera nemmen tra noi, che la vediam crescere in arboscello. Si crede che sia dessa, perchè dessa risponde esattamente al- l’esaminato kikajon di Palestina. Che se ricino nol dissero nè i Settanta, nè s. Girolamo, ciò fu perchè fuori della Palestina a que’ tempi non avea nome. Pure a’ primi che lo indicarono, e fu tra questi il rabino Kimchi e Arias Montano, si opposero scandalezzati gli interpetri, i quali gridarono subitamente così : avver- lite che è velenosa tal pianta : dunque ne è l’ombra pure: e vi par verisimile che fra tante piante salu- bri, e fra tante ombre innocenti volesse il Signore. quella appunto trascegliere che poteva al profela recar del danno? To direi che trascelse quella che era in que’ luoghi più familiare. E poi donde sanno che il ricino è velenoso? Non ce lo dicono que’ che ne scrissero. E poi qual conseguenza si è mai la loro? Dunque ne è velenosa l’ombra eziandio. Non mi pare che ben de- ducasi. Per altro convien confessare che questi tali son veramente botanici, che non notomizzano solo i fiori, i semi, le fibre, ma persin l’ombra notomizzano delle piante. A ogni modo si contentino che il kikajon degli (1) Erodoto, Eulerp. pag. 139.— Diodoro Siculo, tib. I, cap. 34. — Strabone, lib, XVII, pag. 824, 25 386 Ebrei sia il ricino dì cui diceva : e di grazia non mo- strino di rifuggirne, se non vogliono confermare col loro fatto l’invalsa opinione, ed è, che lungi rifug- sano dal ricino le cieche talpe. FICUS, FICO Ficus carica Linn. Albero che ha il tronco tortuoso colla scorza alquanto grigia; i rami pelosi e ruvidi; le foglie alterne, piccio- late, grandi, a cinque lobi ottusi, ruvide al tatto, di un verde cupo, e che forate mandano un sugo latti- ginoso, come pure le altre parti della pianta; i frutti sessili e disposti lunghesso i rami. Varietà coltivate numerose. Bb. Tra frutti più eccellenti, onde gli Ebrei goduto avreb- bero nella Terra promessa, la Scrittura novera i fichi (1). Di fatto quivi eglino in diverse epoche poterono stare assisi all'ombra delle viti e delle ficaie, senza che al- cuno lor desse timore (2); vale a dire, che essendovi nel paese grandissima tranquillità, fruivano, secondo l’inclinazione comune degli Antichi, degl’innocenti e sobri divertimenti della campagna : divertimenti pres- sochè sconosciuti ne’ tempi nostri, dipoichè lo smo- dato lusso ha messo in tanta voga i teatri, i giuochi, le promiscue conversazioni. Dio promise agli Ebrei per bocca del suo profeta, (1) Deut. VIII, 8. (2) 3. Reg. IV, 25. —1. Mac. XIV, 12. 387 che se fossero ritornati a lui, anche i fichi avrebbero, come una volta, fruttificato in abbondanza (1); contut- tociò non potevano fare a meno di non coltivarli. Ne’ paesi caldi, come la Giudea, tutta la coltura del fico si riduce a scalzarlo e mettervi del concime (2); ma ne’ climi freddi si richiedono altre cose, che vengono indicate da’ botanici coltivatori. I fichi possono essere danneggiati di più maniere. I gran venti scuotendoli fanno che buttino acerbi i frutti e le foglie (3). I bruci e le locuste ne rodono con particolare avidità la corteccia, e li lasciano ignu- di, sfrondati, co’ rami bianchicci e senza sugo, e ben presto secchi interamente (4). Anche gli acquazzoni tornano a queste piante di molto danno, e soprattutto la grandine, per la quale furono orrendamente flagel- lati tutti i fichi degli Egiziani (5). Le quali tutte cose non è a maravigliare se cagionino la sterilità di una pianta sì vantaggiosa, di che i profeti lamentano spes- samente (6). A ragione stimavasi ancora una grandis- sima calamità, se per invasione nemica divorati ne fossero i frutti già venuti a maturità; lo che Geremia minacciò agl’ Israeliti, se non lasciavano di servire agl’idoli delle genti (7). (1) Joel, II, 22. (2) Luc. XIII, 8. (3) Isai. XXXIV, 4. — Nahum, HIT, 12, — Apoc. VI, 13. (4) Joel, I, 7.— Amos, 4, 9. (5) Exod. IX, 25. — Psal. CIV, 32. (6) Jerem, VITI, 153, — Osee, HH. 12, — Joel, 1, 12. — Habac. IH 171.— Agg. II, 20. ci) deren. V, 17 388 Quando la ficaia si mette in sugo i suoi rami s’in- teneriscono e vengon fuori le foglie : ciò avviene in primavera, e nella Giudea intorno alla fesia di Pa- squa. Da questo fatto, comune a tutte le piante, il nostro divin Signore trasse una parabola, per prepa- rare gli uomini alla sua seconda comparsa, dicendo che siccome cotesto intenerimento di rami e cotesto spuntar di foglie annunziano che la state è vicina (1); così il sole coperto di tenebre, la luna cangiata in san- gue, le stelle cadute dalle loro orbite, i cieli smossi da’ loro cardini, l’aria guizzante di sparse folgori, la terra qua e là scossa e tremante, il mar muggente e uscito de’ suoi termini, tutti questi fenomeni di or- rore annunzieranno infallibilmente, che il Figliuolo dell’uomo è vicino a comparir sulle nuvole in grande aspetto di potere e di maestà, per punire i malvagi e glorificare gli eletti suoi. Molti degli Antichi vennero in opinione, che le fi- caie non mettan fiori (2); ma il profeta Abacucco, che certo ne sapeva più di loro, col Signore parlando si lamentava, che le ficaie non avrebber fiorito (3), quando eli Assiri per divina disposizione saccheggiata avreb- bero la Giudea e messe a ferro e fuoco le sue cam- pagne. Gl’'inviluppi che nascondono i fiori, prima di maturarsi, in greco sì chiamano olynthoi, in latino grossuli o grossi, e ficucci in italiano : di essi muove (1) Matth. XXIV, 32, 33. — Marc. XIII, 28, 29.— Luce. XXI, 29-31. (2) V. Olao' Celsio, Mierob. part. II, pag. 394 e seg. (3) Habac. HI, 47. 389 parola Salomone, dipingendo l’amenità della stagion de’ fiori (1). I ficucci giunti a perfetta maturità son nutritivi, e possono agli uomini servir di pane : la loro dolcezza e soavità è bellamente lodata nel grazioso apologo di Gioatamo (2). A questi frutti buoni e molto buoni, mo- strati in visione a Geremia, Dio paragona gli Ebrei che erano stati condotti schiavi in Babilonia con Ge- conia, promettendo di volgere ad essi placato il suo sguardo, e di farli ritornare nella Giudea. Al contra- rio a fichi cattivi e molto cattivi, che pur fece vedere al profeta, Dio stesso rassomiglia tutta la gente restata in Gerusalemme col re Sedecia, e tutti coloro, i quali contro l’espresso suo volere si erano rifuggiti in Egitto; minacciando di trattarli appunto qua’ fichi cattivi, fa- cendo sì che gli uni sterminati fossero dalla Giudea colla spada, la fame e la pestilenza; e che gli altri fos- sero vessati e afflitti per tutti i regni della terra, € divenisser l’obbrobrio, la favola, l'esempio e l’orrore di tutti i luoghi (3). I migliori fichi sono i primaticci (4), cioè quelli che molte piante danno maturi nel mese di giugno, e ven- gono più grossi e di ottimo sapore: del resto i fichi sono tardivi, e maturano al tempo stesso che le uve e le melagrane (5). A’ fichi primaticci il profeta Isaia (1) Cant. II, 13. (2) Jud. IX, 11. (»)-Jerem. XXXIV; XXIX 047,158 (4) Ibid. XXIV, 2. (5) Num, XIII, 24%, 390 paragona la gloria e la prosperità di Samaria (1); pe- rocchè, siccome quelli stluzzicano la gola di tutti i pas- seggieri, onde ebbe a dir Salomone : Chi guarda fico, ne mangia il frutto (2); così Samaria per la sua prosperità e vantaggiosa situazione avrebbe fatto gola a Salmanasar, e i suoi abitanti sarebbero andati pri- gionieri nell’ Assiria. Alla stessa varietà di fichi Dio per bocca di Osea rassomiglia gl’Israeliti dicendo, che Israele gli fu un tempo sì caro, come sarebber cari a uno stanco viandante pochi fichi primaticci, ch’ei tro- vasse nel deserto (3). Finalmente agli stessi fichi, che maturano di buon’ ora, il profeta Michea paragona i pochissimi giusti, che nel tempo suo restavano ancora in Israele (4). Antichissimo è l’uso di seccare i fichi presso i po- poli dell'Oriente (5). Gli Ebrei per conservarli più a lungo usavano di tagliuzzarli e pestarli in mortaio, e di farne delle masse più o meno grandi, di figura cir- colare, o quadrata. I fichi secchi riscaldano molto il sangue; quindi si comprende bene ciò che di essi leg- gesi in Osea (6). In medicina sono adoperati a faci- litare l’espettorazione, e applicati a maniera di cata- plasma caldo giovano, secondo Dioscoride e Celso , arammollire gl’indurimenti (7), secondo Galeno a scio- (1) Isai. XXVIII, 4. (2) Prov. XXVII, 18. (3) Osec, IX, 10. (4) Mich. VII, 1. (5) V. Diodoro Siculo, lib. XVII, cap. 75. (6) Osee, II, 12. (7) Dioscoride, lib. I, cap. 184,— Celso, lib. VII, cap. 12. 391 gliere, o maturare i tumori (1), e secondo Plinio a fare aprire gli ascessi (2). Ma da questo tutto non può mica dedursi, che la guarigione dell’ulcera, ond’era tratto al sepolcro Ezechia re di Giuda, fosse un sem- plice e naturale effetto dell’empiastro di fichi in massa, che il profeta Isaia ordinò di applicarvisi (3). L’ uso esterno de’ fichi secchi poteva ben servire ad alleggiare il male di quel principe desolato, ma non poteva af- fatto operare una guarigione sì pronta e istantanea di un’ulcera maligna e depascente. Nè fra il gran novero di rimedi, che i medici antichi e moderni prescrivono per le ulceri pestilenti trovasi .un sol cataplasma di fichi secchi. È a saper dunque, che Dio adopera qual- che volta disusati rimedi e inefficaci per ridonare all’uo- mo la bramata sanità, affinchè questi non sia tentato di tribuirla alle creature, o al caso, ma in quella vece baci la mano benefica, che a detta di Paolo apostolo tutto opera in noi colla sua potente virtù (4). Lo stesso dee pensarsi del fango, onde Gesù Cristo stropicciò l’uno e l’altro occhio del cieco nato (5), del toccamento della veste del benedetto Signore (6), dell'ombra di s. Pietro (7), de’ fazzoletti e delle fasce dell'apostolo delle genti (8). 1) Galeno, De simpl. med. facult. lib. VIN. 2) Plinio, lib. XXXVII, cap. 7. 3) 4. Reg. XX, 7.—lIsai. XXXVIII, 21. 4) Ephes. I, 19. (5) Joan. IX, 6. (6) Matth. IX, 20; XIV, 36.—Marc. V, 27.—-Luc. VIII, 44 CA) Act. V; 15. | (8) Ibid. XIX, i2 ( ( ( ( 392 Grande essendo l'utilità de’ fichi sì freschi, che sec- chi, non dee far maraviglia che Davidde se ne pren- desse pensiero, e che affidasse a un Balanan di Ge- der la sopraintendenza de’ fichereti del regal suo pa- trimonio (4). Di due ficaie fassi special menzione nell’evangelio; luna fu quella, sotto la quale il Signor nostro vide Natanaele, prima che questi fosse chiamato da Filippo per andare a lui, e conoscere che egli si era verace- mente il Figliuolo dell’uomo predetto da’ profeti (2). L'altra fu la ficaia infelice maledetta da Cristo, la quale ha molto esercitato gl’interpetri della Scrittura. Uscito da Betania e fatto alquanto di via Gesù Cristo si senti fame, non essendosi la sera innanzi ristorato abbastanza del Iungo digiuno del dì passato. Dunque per soddisfare al bisogno ei guardò intorno, se mai vedesse cosa, di che potesse cibarsi. Non altro vide che a qualche distanza, e un poco giù dalla strada, un fico che avea le foglie. Vi si accostò per cercare alcun frutto: ma in quel fico fra la gran mostra di foglie belle e rigogliose non ne trovò pur uno. Mancavano quattro o cinque giorni al plenilunio di marzo e, come nota l’evangelista s. Marco, non era stagion da fichi. ‘ppure Gesù Cristo quasi sdegnato contro di quella pianta, la maledisse; e mai, sopra di essa pronunziò, mai non nasca frutto di te, di te non vi sia chi mapgi (1) 1. Par XXVILT25! (2) Joan. I, 48. 395 frutto in eterno. Tal disse, e quella pianta infelice immantinente seccò (1). Sembra da prima che Gesù Cristo non bene si con- ducesse nel cercare su quella pianta de’ frutti fuori stagione, e nel dannarla a inaridirsi quasi fosse suo difetto il non averli. Ma non potendo mica supporsi che Gesù Cristo mancasse di equità, vediamo in qual guisa si scioglie cotesto nodo. Molti antichi e moderni comentatori (2) han riguar- data l’azione di Gesù Cristo come un simbolo della riprovazion de’ Giudei. La Sinagoga alla venuta di Cri - sto aveva un’inutile pompa di cerimonie, di osservanze, di tradizioni, ma era affatto sfornita di pietà e di virtù. In questo rassomigliava alla ficaia non avente altro che foglie; con questa differenza però, che allora non era (1) Matt. XXI, 19. — Marc. XI, 12-14, Ecce autem mediis astans sublimis in arvis, Frondea ficus erat, cujus in robore nullum Reperit esuriens lustrato stipite pomum, Arboreisque comis : jam nune ex germine vasto Nullus, ait, fructus reliquum generetur in aevum. SepuLio, Carmen paschale, lib. INI, pag. 549. Bethaniamque petit : rediensque in margine cernit Stratac, tendentem diffusa umDbracula ficum. Illic forte cibi pertentans corda voluntas, Arboris attrectat ramos, sed nulla facultas Pomorun sterili frondis concreverat umbra. Olli Christus ait : non sit tibi fructibus unquam Copia promendis : tune protinus aruit arbor. Giovenco, Hist. evang. lib. HI, pag. 501. (2) S. Agostino, Quaest. evang. lib. I, cap. 51. — Origene, s. Ila- rio, s. Gian Grisostomo, Eutimio, s. Girolamo, Maldonato, Beausobre, Lenfant ed altri su questo luogo. 594 stagion da fichi, quando per altro la Sinagoga in ogni tempo portar doveva abbondanti frutti di opere vir- tuose e sante. Ma questa spiegazione non iscioglie in- teramente la difficoltà; imperciocchè fa chiaro bensi l'oggetto che Cristo si propose maledicendo la sterile ficaia, ma non palesa la giustizia della sua maledi- zione. Hammond, Simon e le Clerc, nelle loro annotazioni al Nuovo Testamento, rendono il testo dell’evangeli- sta s. Marco, perchè quello non era anno da fichi; ma così non pare che sciolgano la difficoltà. In fatto, oltre che questa versione del testo greco è stentata e senza esempio, di che convengono gli stessi autori; se in quell’anno era per venir meno la raccolta de’ fichi, qual motivo ragionevole di maledire in particolare quella ficaia? Heinsius (1) e Gataker leggono, perchè là, dove si trovava, quello era il tempo de’ fichi. Questa tradu- zione è molto ingegnosa; ma per sostenerla è mestieri cangiare l’interpunzione e gli accenti del testo, e far parlare l’evangelista con un laconismo straniero al suo stile. Arrogi, che nella Palestina i fichi d’ ordinario non son maturi intorno al plenilunio di marzo. A giustificar dunque l’azione di Gesù Cristo fa d’uo- po mostrare, che sebbene quella °non fosse la stagione de’ fichi, contuttociò il Salvatore potea trovarne nella ficaia, che maledisse. Or dee sapersi, che nella Siria. (1) Heinsius, Evercil. sacr. lib. H, cap. 6. Così ha pure la ver sione gotica. 395 vi ha delle ficaie, che maturano i frutti due volte l’an- no, nella primavera e nella state; e ve n’ha delle altre, che fruttificano una volta sola, alcune piante in set- tembre; altre in novembre e dicembre. Queste ultime, non avendo calore tanto che basti a maturare in due mesi i frutti, li tengon talvolta sino a febbraro e marzo unitamente alle foglie. Di questa guisa fu dunque la ficaia veduta dal Sal- vatore, la quale sendo ricca di foglie, avrebbe dovuto eziandio portare de’ frutti. Ei vi si accostò, comechè sapesse che non ne avea pur uno, per avere occasione di dare nel gastigo di quella creatura insensata un esempio del giusto e terribile rigore, onde punito avrebbe la sterilità morale delle sue ragionevoli crea- ture, verso le quali avea dato tanti segni manifestis- simi di pazienza e di amore. Secondo questo sistema, s. Marco non dà la ragione perchè il Salvatore non trovò frutti sull’infelice ficaia, ma perchè a quella volle accostarsi, piuttosto che ad una ficaia delle altre varietà; ed è che quella non era la stagion de’ fichi, vale a dire de’ fichi ordinari. Le quali parole sono una parentesi del divino storico, paren- tesi omessa da s. Matteo nel riferire lo stesso fatto della maledizione della ficaia. In questo modo si con- ciliano i due evangelisti, e si giustifica completamente l’azione simbolica di Gesù Cristo. E così, ove per mancanza di erudizione restava ancor qualche nuvola, la botanica è venuta a dissiparla. Due proverbi sopra i fichi si leggono nel Nuovo Testamento. L’uno dice: Da’ friboli e dalle spine nor 396 si colgono fichi (1); ciò significa, che dall'uomo mal- vagio, fintantochè persiste nella sua malvagità , non debbono aspettarsi buone azioni : nel qual senso i Greci dicono: Dalla scilla non nasce rosa; e glItaliani : JI pruno non fa melarance. L'altro proverbio dice: La ficaîa non da uve, né fichi la vite (2); lo che fa vedere che la natura è co- stante e uniforme nelle sue produzioni : di che l’apo- stolo s. Giacomo argomenta esser fuori dell’ ordine naturale che la stessa lingua, o la stessa bocca bene- dica Dio appellandolo Padre, e maledica gli uomini, che son fatti a sua immagine e somiglianza, facendosi strumento d’imprecazioni e d’ingiurie, di calunnie e detrazioni. A cotesto proverbio risponde quel di Plu- tareo: Nella vite non si cercan fichi, nè uve nell’uli- vo (3). SYCOMORUS, SICOMORO Ficus sycomorus Linn. Albero grossissimo, altissimo e a rami molto estesi; ha le foglie alterne, picciolate, ovali, leggermente an- golose, lisce, ruvide, verdi al di sopra, pallide al di sotto e alquanto tomentose; i frutti sessili, crescenti sopra il tronco e sopra i rami, grossi come una noc- (1) Matth. VII, 16. — Luc. VI, 44. Nam neque de tribulis ficus, de sentibus uvas Provenisse unquam, ruris per terga notastis. Giovenco, Iist. cvang. lib. I, pag. 407. Qi iMei: (3) Plutarco, De franquillit. animi, pag. 472. 397 ciuola, con polpa salda e bianchiccia, e di un gusto dolcigno. Db. Il nome di sicomoro (1), che impropriamente si dà in Parigi all’acero di montagna acer pseudo -platanus Linn., ha indotto in errore molte persone, le quali han creduto che di quest’albero si parli nella Scrii- tura. Il vero sicomoro non viene in Francia; cresce bensì copiosamente in Egitto, dove colla sua grande ombra reca ristoro agli arsi viandanti (2); il perchè da Dioscoride, Plinio e s. Agostino è appellato fico egiziano. Una volta abbondava eziandio nella Giudea. In fatto dicesi di Salomone che giunse a rendere il legname di. cedro tanto comune, quanto i sicomori, che nascono nelle pianure (3). Sopra uno di quest’alberi aséese il ricco finanziere Zacheo per vedere Gesù Cristo che andava a Gerico, nol potendo a cagion della folla, perchè era di statura basso e piccino. E Gesù Cristo conoscendo le buone disposizioni del cuore di lui, lo chiamò per nome, benchè prima non lo avesse veduto giammai, s'invitò da sè stesso e recossi in casa di lui, e dando com- pimento all'opera della sua grazia, lo fece divenire in un punto tutt'altro uomo da quel che prima era stato (4). (1) Ugon Cardinale deriva il nome di sicomoro dal latino sicué morus, siccome moro ; ma è ripreso da Erasmo, in Joan. V, 2. Questo nome proviene dal greco stike, fico, e morèìa, moro; in fatti questa pianta è una specie di fico, che ha del moro. (2) Alpino, De plantis Aegypti. (0)°3*Reg. N, 27.—2,- Par. I, 15; IX,27. (4) Luc. XIX, 4-9. 398 il sicomoro, come osserva s. Girolamo, mal soffre le intemperie dell’aria. Quindi tra’ mali gravissimi che avvennero agli Egiziani per l’ostinatezza di Faraone, il Salmista annovera che i lor sicomori furono dalla grandine devastati (1). Teofrasto, Dioscoride e Plinio osservano , che per far maturare ì frutti del sicomoro è necessario scal- firli; e il profeta Amos ci fa conoscere che questo era appunto il suo mestiere : perocchè rispondendo ad Ama- sia sacerdote di Bethel, che gli rimproverava di es- sersi fatto profeta per interesse, gli disse francamente che non avea mica bisogno di ricorrere a cotal mezzo, poichè sendo custode di armenti, e occupandosi an- cora ad intaccare i sicomori, avea ben di che vivere e di che cibarsi (2). * Il legno del sicomoro è duro, forte, nerastro, ed ha questo di particolare, che non può seccarsi bene, se non sott'acqua. A tale oggetto sì lascia immerso ne’ laghi e negli stagni, fintantochè seccato perfettamente galleggi. Gli Ebrei adoperavano questo legname a co- prire le case. Ciò si deduce dal profeta Isaia, il quale così fa parlare i superbi abitatori di Efraim e della (1) Psal. LXXVII, 47.—Ho seguito la versione di s. Girolamo di- cendo sicomori invece di mori, come ha la nostra Volgata, perché i gelsi non son comuni in Egitto; e l'ebreo schikmim, in greco syko- mordia , in italiano vale altrettanto che sicomori. Così ancora in luogo di brina ho detto grandine, perchè di questa, e non di quella, si fa menzione nell’Esodo, IX, 25, nella Sapienza, XVI, 16, ed anche nel salmo CIV, 31. (2) Amos, VII, 1%, 399 Samaria : Noi abbiam sofferto de’ mali da’ nostri ne- mici, ma siamo bene in istato di ripararli : se han di- strutto qua e là le nostre case di mattoni le rifaremo di pietre quadrate : se hanno rovinati i nostri tetti di sicomoro noi li rifaremo di legname di cedro (1). Il Gravio poi congettura che la cassa, nella quale fu ri- posto l’imbalsamato corpo del patriarca Giuseppe (2), fosse di sicomoro, perchè molti pezzetti di questo legno si trovano nelle mummie (3). MORUS, MORO Morus alba Linn. Albero che ha la corteccia screpolata e i rami dif- fusi; le foglie alterne, picciolate, cuoriformi alla base, dentate, incise, o lobate, quasi lisce; i fiori ascellari; le bacche biancastre. D. | Morus nigra Linn. Albero più alto, più regolare e diffuso nel suo por- tamento, che ha la corteccia ruvida; le foglie piccio- late, cuoriformi, grandissime, appuntate, dentate, ner- vose, ruvide al tatto, alcune lobate, la più parte non divise, di un verde scuro; i frutti neri, pieni di un sugo dolce e piacevole. B. (1) Isai. IX, 9, 10. (2) Gen. L, 25. (3) Gravio, Descriptio pyramid. Acgypli, pag. 57. 4:00 I mori, in greco sykaminos, e in italiano volgare gelsi, abbondano in tutta la Palestina, dove si levano a grande altezza (1). Gesù Cristo mostrandone uno probabilmente grandissimo agli apostoli, che gli chie- devano la fede de’ miracoli, disse loro che se aveano un poco di questa fede, potevano ad un sol cenno sbarbicare quell’ albero , e trapiantarlo in mezzo al mare (2). Le more della prima specie son mediocri a man- ciare, ma riscaldano il sangue. Quelle della seconda specie al contrario sono piacevoli al gusto, aperitive e rinfrescanti; ma perchè producano questi effetti bi- sogna mangiarle a stomaco digiuno. Gli Antichi spre- mevano il sugo di queste more, e lo facevano vedere agli elefanti per aizzarli a combattere (3). I moderni invece ne fanno uno sciroppo indicato ne’ mali di gola, nelle diarree biliose, nelle lievi dissenterie ec. I gelsi sono noverati tra gli alberi più importanti a coltivarsi pel vantaggio de’ privati e pel bene dello stato. Tutti sanno che le foglie di queste piante servon di cibo a’ bachi da seta, e formano la base d’un ramo estesis- simo di commercio, conosciuto ab antico in Oriente. Di fatto il profeta Ezechiele piangendo per divino co- mandamento le calamità e la rovina della doviziosa città di Tiro, dice tra le altre cose, che i Soriani traf- ficavano con essolei, e per avere le sue numerose ma- (i) Bellon, De neglect. stirpium cultura, pag. 41. (2) Luce. XVII, 3, 6. (3) 1. Mach. VI, 34. 401 nifatture sponevano a’ suoi mercati anche della seta (1); e s. Giovanni descrivendo sotto nome di Babilonia l’ec- cidio di Roma sotto Alarico re de’ Goti, dice che i mercadanti della terra avrebber pianto, non avendo a chi vendere le loro preziose merci, tra le quali la seta (2). ULMUS, OLMO Ulmus campestris Linn. Albero grandissimo, diritto, munito di molti rami e ramoscelli, il quale ha la corteccia screpolata; le fo- glie picciolate, ovali, scabre, seghettate co’ denti ine- guali alla base; i fiori in fascetti scagliosi, sessili, ascel- lari, di un colore alquanto bianco. Si distingue in più varietà. Db. L'olmo è albero delle valli, e non de' monti : ama i buoni fondi, freschi, senza che sieno troppo umidi, e i terreni dolci e facili a penetrarsi. AI contrario ri - cusa le terre compatte, come pure le tufacee e le cre- tose. Il pianiarlo in questi luoghi sarebbe lo stesso che perdere il tempo e la fatica. A malgrado di tutto ciò Dio promise per bocca del suo profeta, che a pro- ieggere il popolo d'Israele da’ raggi del sol cocente, nel ritorno dalla babilonica schiavitù, usando di sua infinita potenza avrebbe fatto prosperare gli olmi ed altre piante nelle stesse infocate e sterili arene del de- serto (3). Il qual divino predicimento è anche una su- (1) Ezech. XXVII, 16. (2) Apoc. XVIII, 11, 12. (3) Isai, XLI, 19. 26 402 blime allegoria della conversione de’ Gentili alla fede e della istituzion della Chiesa, alla quale Iddio non avrebbe lasciato mai di dare ottimi capi, per difen- derla dalle molestie de° suoi nemici, ristorarne le per- dite ed essere a lei d'ornamento e di gloria. SALIX, SALCIO, SALICE Sulix babylonica Linn. Albero grande, che ha i rami pieghevoli, lunghi e pendenti; le foglie alterne, strette, appuntate, lanceo- late, lineari: i fiori in amenti squamosi. b. Questa specie di salcio, comune in Oriente, è chia- mato da Linneo salcio di Babilonia in grazia di que- sta città posta sull’Eufrate, le cui rive son piene di queste piante : onde il profeta dinomina l'Eufrate 4 torrente de’ salci (A); e gl’Israeliti prigionieri in Ba- bilonia dicevano spesso piangendo : 4° salcî in mezzo di essa appendemmo î nostri musicali strumenti (2). 1 salcio piangente cresce anche alle rive del Nilo, dove, come leggesi in Giobbe (3), fa grata ombra alla gran bestia chiamata behemoth ebraicamente, la quale si crede essere l’ippopotamo (4). Il salcio cresce prestissimo e viene più vigoroso ne' luoghi freschi e umidi; per la qual cosa Isaia vatici- nando che gl’Israeliti sarebbero andati in bene dopo ) Isal. sa ) Psal. i ac XL} (17. ) V. Bochart, ZMierozoie. part. 1, pag. 49. (1 (2 ( ( ) 5) 4 403 la babilonica schiavitù, dice : Germogheranno quat salci presso a’ rivi dell’acque (A). Il salcio essendo grande e ombroso, è lodato dagli Antichi come un bell’albero (2) : quindi non è a ma- ravigliare se esso avea luogo tra gli sceltissimi rami che gli Ebrei usavano portare in mano nella festa de’ Tabernacoli (3). POPULUS, PIOPPO Populus alba Linn. Albero molto diritto e altissimo, che ha la corteccia bianca, grigia e screpolata nella sua vecchiezza; i rami tomentosi; le foglie rotonde, appuntate, angolose, den- tate, tomentose e bianche al di sotto; i fiori in amenti lassamente embriciati. Bb. Questa specie di pioppo abbonda ne’ luoghi dove soggiornavano i patriarchi e i profeti (4) : quindi tornò facile a Giacobbe l’averne de’ ramoscelli, di che usò ingegnosamente per ottenere dalle pecore e capre di un sol colore de’ parti di color vario (5). Il pioppo ama le rive e le praterie, contuttociò cresce anche sulle alture. Quindi potè bene il profeta Osea (1) Isai. XLIV, £. (2) Ovidio, Met. lib. V, v. 590.— Fast. lib. II, v. 17. (3) Levit. XXIII, 40.—V. pag. 237, not. 4. (4) V. Bellon, Observ. sing. liv. IT, ch. 160; Rhawolff, Jtinér. pag. 55 e 106; De la Roque, Voyage de Syrie et du Mont Liban, pag. 199. (5) Gen. XXX, 37. 404 rimproverare agli Ebrei di aver sacrificato agl’idoli sulle colline, alla grata ombra de’ pioppi e de’ terebinti (1). QUERCUS, QUERCIA Quercus aegylops Linn. Albero che ha i rami leggermente tomentosi; le fo- glie ovali-bislunghe, terminate da una punterella se- lacea e rossiccia, un po’ sugose, luccicanti al di sopra, biancastre e alquanto tomentose al di sotto; le ghiande sessili, grosse, bellicate alla sommità, a cupola grossa, larga più di due pollici, irta di scaglie numerosissime, allargate e ottuse. b. Questa specie di quercia, detta quercia a grosse cu- pole, è indigena del Levante, e una volta formava bel- lissimi boschi particolarmente nella fertilissima Bata- nea (2) o paese di Basan, posto oltre il Giordano : laonde i profeti chiamano per encomio querce di Ba- san le più alte e più belle querce della Giudea (3). I frutti o ghiande apprestavano grato cibo a’ porci, che colà erano numerosissimi; perchè la storia evangelica riferisce, che gl’immondi spiriti, permettendolo Gesù Cristo, si cacciarono in una gran mandra di porci della stessa regione; e questi, che erano due mila o in quel torno, con furia grande si precipitarono nel mare di (1) Osee, IV, 15. (2) V. Adricomio, Theatr. T. S. pag. 79; Bellon, Op. c. lib. II, cap. 90, ec. (3) Isai, II, 13. — Ezech. XXVII, 6. — Zach. XI, 2. 405 Galilea, ovvero lago di Tiberiade, e quivi tutti si an- negarono (1). Le querce a grosse cupole sono alberi alti assai : ed è perciò che Isaia ad esse rassomigliò i fastosi e superbi principi degli Ammoniti, de’ Moabiti e di altri popoli che abitavano oltre il Giordano e nel paese di Basan (2), i quali, giusta il vaticinio dello stesso pro- feta, dovean essere umiliati, e lo furon di fatto per mezzo di Nabucodonosor cinque anni dopo l’eccidio di Gerusalemme (3). Le querce di che tocchiamo si distinguono ancora per la loro robustezza; ond’è che il profeta Amos ad esse paragonò la potenza degli A- morrei, i quali contuttociò furono dal Signore ster- minati dalla Cananitide, per far luogo al popolo d’Is- raele (4). Le querce sono lodate per l’ampiezza de’ loro rami : quindi è che Isaia vaticinando la felicità di Ge- rusalemme dopo la schiavitù di Babilonia, dice che essa diverrà come una quercia che spande ì rami suoi, e sarà mostrata con ammirazione (5). in quanto agli usi di queste piante, il profeta Eze- chiele ci fa sapere, che gli abitanti di Tiro se ne ser- vivano nelle navali costruzioni per fare i rami de’ loro navigli (6); e Isaia dice che il legname di quercia non solo era dagli uomini adoperato per bruciare e riscal- (1) Marce. V, 13. (2) Jsar. 11,12, 13 (3) FI. Giuseppe, Antig. lib. X, cap. 11. (4) Amos. II, 9. (5) Isai. VI, 13. (6) Ezech. XXVII, 6. 406 darsene e cuocere il pane e la carne, come tante altre legna, ma anche per formarne le statue delle loro vane divinità (4). Tra le piante poi memorate dalla Scrittura nessuna ve n’ha più celebre della quercia pe’ tanti fatti che han con essa relazione. Perciocchè, secondo la greca version de’ Settanta, sotto una di queste belle piante, che facevano il pregio della valle detta dalà VI mn I (d] I Cap. Vers. Pag. XXVIII, 13, 202, 409. 33, 409. 33, 34, 331. 39, 202. 40, 42, 209. XXIX, 23,25, 257. 92, 121. 40, 41, 257, 313. XXX, dida 390. 23, 84, 83. 23-30, 21, 362. 33, 260. 34-36, 193, 361,362, 368. 38, 260. XXXII, 6, 321. XXXIV, Za 120. DA: 425% 26, 97. XXXV, 24, 330. XXXVI, 20, 31, > » 35, 37, 409. 36, 399. XXXVII,1,4,10,15, » 17, 97 23, 28, 39. XXXVIII, 1,6, ) 18, 409. XXXIX, 22, 331. 27, 201. 28, 409. LEVITICO II, 1, 257. ZA 369. b-7, 291. 11, 139, 236. 14-16, 369. VII, 12, 21. 26, 28, 291. 91, 121. X, 6, 7, 2UT. 9-11, 318. Cap. XII, XIV, XIX, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXXVII, XHI, XV, XVII, XIX, NUMERI -» fo io hà ml di © ima dI dI DO Sa u Veg » I JO dad - ve RESO So » 304, : 191, è 268, 301, 3 Cap. Vers. Pag. XIX, 11, 14, 16, 147. 16-18, 174. 22, 147. XX, 1-5, 350. 17, 271. XXIV, 6, 78. XXV, 8,9, 353. XXXIII, 9, 292. 36, 239. DEUTERONOMIO IV, 24, 67. VIII, 3, 145. 18; 96, 248, 268. 8, 102,235, 330, 386. X, 3, 353. XII, DI 70. XVI, 3, 159. 8, 136. 21, 10. XX, 6, 299. 19, 5I. XXI, 17, 217. XXII, 9, 278. 10, 104. 11, 210. XXIII, 24, 274. 23, 121. XXIV, 19, 125. 20, 254. 21, 302 XXV, 4, 132. XXVIII, 4, 52. 23, 116. 38, 119. 39, 315. 40, 248, 252. XXIX, 18, 17, 188. XXXII, 9, 214. 13, 249. 13, 14, 284, 32, 3 22) 452 GIOSUÈ GIUDICI Cap. Versi XXXIII, 14, 2, 28, XXXIV, d, Il, 1, 6, III, 15, XII, 18, XV, 9, 19, 32, 34, 59, 60, XVII, 8, XIX, 1 43, XXI, 203 XXIV, 13, 26, 26. 21, I, 16, II, 7,8, 12, 19, 13, 14, IV, 1-3, ò, Va; 1,2, 11, 19, VII, 13, 14, 22, VIN, 2: di, 140, 10,9 6, 1-19, 8, 8,9, 139, 69, PRIMO DE’ RE Cap Vers. IX, 11, 12, 13, 21, XI, 39, XII, 1-6, XV, 1982: 4, 4, 5, 13, 14, XVI, 21, XX, d9, XXI, 20-23, II, 17, 23, III, 3, IV, 12, ll, 14, VIII, 14, X, 1,9, XII, 17, 18, XIV. 25-45, XVII, 2: 6, 19, 49, 50, XXI, 6, XXII, 3, 1, XXIII, 15-18, XXV, 18, SECONDO DE’ RE I, 2I, ISÌ. 213. 407. 124. 60. 370. 259. 370. 121, 122. 26. 115. Cap. Vers. Pag. Cap. Vers. I, 24, 410. VII, 15-22, V, dA, 421. 18, 23-25, 339. 27,28, 36, 39, VI, 60. VII, 33, 36, 14, 209. X, 11, 326, 3: VII, 2, 421. 12, 327 VIIIJ 2, 214 DI, IX, 4, 221. 21, XIII, I° 29 OI 11, 14, IS 321, XII, 14, XIV, Da 258. XIV, 15, 1%, 197. 19,023; 2 239 XVII, 10-16, XVI, 1, 305. XVIII, 1, 4, 390. = XIX, 4, 8, XVII, 19, 101. 6-8, 21, 28, 2204, 16 16-20, 28, 97, 226. XXI, 1, XVIII, 6-8, 62. XXII, 19, 9-15, 407. 20, 17, 62 XIX, 31-38, 220° QUARTO DE' RE XXIV, 22, 431. Il, 23, 24, TERZO DE RE III, 19, IV, 38-41, IV, 24, 282. 42-44, 23, 386. VI, 24, 25, 28, 100. IX, 26, 33, 174, 420. XIV, 9, 11-14, NE 5-10, 421. XVII, 1-23, 10, 419. 10, 11, 103. XVII, 8, VI, 9,10,15,16, 421. 24 18, 20, » 32, 24 29; 292. XIX, 23, 29, 209: 30, 51, 202, 30, 32-39, 239. XX, 1, 39, 2952. XXI, 3, 34, 419 18, 26, 36, 421. XXIV, 1,2,8-16, MIE, 14-3,1,9,11,12, ) XXV, 2-16, 29% Cap. XXV, III, 4594 Vers. 9, di PRIMO DE’ PARALIPOMENI 327,4 96,103, 248. Cap. XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVII, XXXI, XXXIII, XXXVI, IV, Vers. 24, 14-16, 18, 21-24, 6, 0, 23, 4, 3, 6, 10, SECONDO DI ESDRA 11, 15, 23, 29, 15-17, GIUDITTA 20, 2-10, ESTHER 12, i; 249, 248. 250, 329. 248. 330. 121. d1. 11. 76. 322. 329. 258, 363. 76. PRIMO DE’ MACCABEI o) d; #29. Cap. Vers. 34, 50, SI, SECONDO DE' MACCABEI XXXII, XXXIII, XXXVIII, XL, XLI, XLII, 7-9, 9, 16, 1, 13, 16, GIOBBE SALMI , Vers. 3, 5-1, 6, (N°) © e IN Sal. XV, XVI, XX, XXI, XXIII, XXXV, XXXVI, XLIV, XLIX, L, LI, LVII, LXIV, LXVII, LXVIII, LXXI, LXXVII, LXXIX, LXXX, LXXXII, LXXXVIII, XCI, CII, CHI, CIV, CVII, CXIX, CXXV, CXAVI, CXXVII, 9-12, 13, 14, 15, 13, 14, Pag. 214. 147. 52. 164. 257. 141. 57. 420. 88. 335. 247,356, 363. 39. 175. 26. 250. 318. 115. 158. 171. 362. 271, 278, 398. Ik. 281. 273. 279. 103. 66. 293. 236. 46. 135, 313. 119. 258. 398. 271, 278. 387. 235. 413, 119. 145. 52. 266, 291. 250. 496 Sal. Vers. Pag. Cap. Vers. Pag. CXXXI, 11, 92, XXXI, 6, 7, SÎ4. CXXXVI, di 402. 19, 202: CXL, Di 369. 13, 208. CXLVII, dh 105. 22, 205. I PROVERBI ECCLESIASTE Cap. Vers. Pag. II, 9, 319. III, 10, 915. 4, 299. 18, 431. ò, 314. IV, 17, 145. 5, 6, 11. V, 3, 4, 166, 188, 255. IX, 8, DON VII, i 247, 396, 363. 10, 126 IX, 2,10, 00); 156. XI, 1,4, 107. d, 145. 6, 108 17, 116. XII, 1,9, 199, 351. X, 2, 41 5; 126. SAPIENZA XI, 4, I. 16, 292; I, 13, 429. 18, 109. II, 8, 341, 28, Mi. 23, 429. 50, 432. XI, 24, 25, 10%. XII, 3, 19. XVI, 16, 398. 10, 56 12, 20. ECCLESIASTICO XII, 12, 432. AV 4, 133. III, 11, 217. 19, 379 A 10, 41 XX, de 918, 319. VII, di 109. 17, 146. IX, 15, 308. XI, 20, 250. 9, 10, 18. XXIII, 29-32, 316. XIV, 15, 19, 42, 33-39, 317. XIX, 23 318. XXIV, 30; 91 229, 272. XXIV, 17, 414. oli 94T. 18, 239, 237, 340. XXVII, 16, 256. 19, 250, 411. 18, 390. 20, 362. 22: 101 21, 193, 262,360, 363. XXVIII, 9, 116 22, 371. Dl 57 po, 280, 295. XXXI, 4, 320 24, 295. ò, 319, XXV, 35 397 Cap. Vers. Pag. Cap. Vers. XXXI, 31 320. XIV, 20: S2499: 314 30, 39, 36, 315. XV, 6, alli 31% 7, 38-40, 318. XVI, 8, XXXIII, 16, 302. 8,9, XXXVIII, 4,9, 439. 10, 301, XXXIX, 17, 341. XVII, ò, 19, 166 6, 254 XL, 20, 315. 11, L, 11, 414. XVIII, 2, 3, 6, ISAIA XIX, 4, 6, I, 4, 369 ub 6, 258. XXI, OI 8, 229, 300. XXIV, 15, 13, 369. XXV, 6, 18, 411. 10, 223 316. XXVIII, 1-4, 297 82. 1-11, 30, 19. 4, 34, 208. 23-28, II, DI 288. 24, 12,15, 405. 25, 10%, 13, 40%, 420. 2,291 159, HI, 4, 283 XXIX, 17, IV, Do DO. XXX, 8, L'È 1,2, 22. 23, 1-7, 283 XXXII, 19, 2,4, 265. 18, 19, 6, 276. 20), {? 375. XXXIII, 9, 10, 300. 11, 24, 17. 17, VI, Jo; 971, 405. XXXIV, 4, VII, 23, 268 13, IX, lì, 31. XXXV, 1, 9, 10, 359 2, i, 17, 18, 66 1, 34, 69. XXXVI, 6, XI, I, 30 12, 19, 22, XXXVII, 24, Q9** Cap. Vers. Pay. Cap. Vers. XXXVIII, 21, 391. XIII, 1-1, XL, 6, 46. XVI, î 16, 63. XVII, 900, 23, 24, 26. 8, XLI, 15, 151. XXI, 14, 19, 329,352, 380, 401. XXII, 6, XLII, 1-9, 156. 44, 15, d, 155,212. 18, 19, XLUI, 17, 212 23, 24, 89. XXIII, Dn XLIV, 4, 403 15, 1417, 406,408. 418. XXIV, 14-18, 422. XXV, 90, XLVII, Za 154. XXVI, $, 18. LIII, "di 163. 23, LIV, 1, 240. XXIX, 17,18, LV; 10: 116. XXXXI, ò, } 189, 329. 12, LVII, 11, 18. 29, 30, DX; 6, 362, 368. XXXIII, 15, 16, 15, 981, 418. XXXVI, 18, PRI, 11, 79. XXXIX, 1-8, UMILI, VA 307 8 3: 305. XLI, : XV, N) 82. XLVI, ; LXVI, Dio 369. PO)? 17, $2. XLVII, 6, î1, GEREMIA 12, 32, Il, 2, 284, 285 XLIX, 9, DD, 173 19, IV 30, 410. LI, $, MV. 10, DVI. LII, 11, 1%; 387 15, VI, 9, 503. 22, 29, 20, 83, 368, 369. 28, VII, 13, 387 DA Sto. LE LAMENTAZIONI IX, to, 188. XI, 16, 250. fp 15, XII, da, ZIE Il. 19, hi, 117. IV, DI BARUCH Cap. Vers. Pag. A, SE 156. Cap. Vers. Pag. XLIII, 19, » VI, 42, 209: XLIV, 17-19, 209. XLVII, Dì 214 EZECHIELE 12, DI 19, 230 II, 6, 342. IV, 9, 88,99, 151,220, DANIELE | PIA BE 220. VI, 15, 407. I, 2; 303. VIIIBJ 14, 342. Il, 442. IX, Di 209 IV, 1-9, 441, X, 9° 2140. 4,9,0, 442 XIII, 19, 99. 1-15, 444, XV, 2-4 298. 16-22, 445 XVI, 10, 13, 202. 29-23, 446. 15, 16 214. VII, 25, bh, 18, 19, 259. X, 3, 209 322005 214. XI, 43, 444, XVII, SO, 279. XII, da ) 10, 118 XII, 2 161 22, 23, 422 54, BY XVIII, Zi 280. 98, 408. 3, 4, 20, 281 XIX, 10, 293. OSEA 12, 118, 278. XX, 46, 66. Il, d, 214. 41, 67. gh J15. XXIII, 41, 260. J20 387, 390. XXVII, d; 419, 421. III, Zi 99% 6, 381, 404, 405. IV, 11, 318. do 201. 15, 70,370,404, 407. 15, 261. Van 6, 1221 16, 200, 401. VII, S, 141. Lis 103, 249, 360. VIII, 1, 110. 18, 271. IX, 4, 147. 19, 83. 6, 250. 25, 2%, 422. 10, 209, 390. XXVIII, 156 240. 16, 17. XXIX, 63.4; 154. X, di 294. XXXI, 69, 423. 12: 109. 8, 112. 15, di. 55, Zad, 214. XIII, 13, 118, 295. 460 Cap. Vers. Pag. Cap. Vers. Pug. XIV, do Oli EV 13, 132. 6, 19, 106. VI, 15, 119, 254, 915. 7, 4, 250. VII, 1, 390. 8, 270, 295. 4, 380. XXII, 8, 109. NAHUM GIOELE I. 10, 129. J 6, 7 279. Il, DA 277. 1, 387. di 410. tI: 97,119; 115 12, 387. 21,42, 279. 127 ,‘2300392, 337,984. HABACUC Il, 5, 129. d2 387. Il, 5, 318, III, 12 A I27. IH 17, 387, 388. 13, 307. 18, 392. SOFONEHA AMOS IE 9i DT, Il, 9, 405, 420. AGGEO TV DR 118. 9. 118,252,279, 987. I 6, VI, 13, 188. 9-11, ; WILL 14, 398. II, 18, 118, 252. 17; 214. 20), 387. VII, Li 49. Di 50. ZACCARIA ABDIA I, ; 328 Il, 1, 214 Il, Di 303. 3, 80. 18, 129. HI, $, 38. 10, 267 GIONA Leaf 12; 38 IX, 9, 238 IV. 3-8, 382. x fi, 115. XI, 2; 404 MICHEA XIV, 4, 249 10 330 HI. 12, 604. AE h, 207. Cap. HI, II, VI, MALACHIA Vers. Pag. QD, 173. 1, 24, CANTSCO DE’ CANTICI 2, 255. di 288. 11, 91. 12, 364. 13: 393. 16, 415. JE 169. 2: 162. 3, 395. 4, d, 311. 5, dol. 19:12: 45. #2. 276. 13, 380, 989. 15, 278. 16, 164. 5A 331, 410. HE 162. 6, 361, 368. 12, 79. 15, 330. 14, 83,172, 355, 361. 1; 361. ds 363. 15, 350. 15, 422. 1° 80, 166. Di 164. 6, 351 10, 330, 374,375 2: 133. Li 231. 8, dol. 9 SIZE 12, 330. 13 32, 183. vw XIV, XV, XVI, 11, 11,12, Ù 9 13, VANGELO DI S. MATTEO 1 £ 11, 10, 4, 3,5, 10, 44, 28-30, 31-38, 1-8, 1, 16-20, 20, 2, 33, 3-9, 5,6, 12, 18-23, 24-30, 31, 32, 33, 36, 37-43, 39, 41-42, 52, 36, 13, 6, 12, 18, 362, 268, 30 Il, III, IV, V, VI, VII, IX, XI, XII, XII, XIV, 178, VANGELO DI S. MARCO 22, 23-28, 22, 30, 39, 5, 6, 14-20, 25, 26, 27. 31, 32, Pag. 197. 135. 290. 100. 163. 395. 286. 199. 388. 154. 298. 125. o ). 149. 153. 364. 177. 202. 20. 307. 122. LORO x do. 110. 16. 112. 298. 1122 195. 405. 391. 258. 137. 135. 393. 286. 249. 388. 93. 386. 149. Cap. Vers. Pag. XY, 19, 153. 23, 364. 36, 154, 177. VANGELO DI S. LUCA E 42, 32 48, 162 Ill, 23, » IV, 4 145 22, 165 Vi 31,98, 307 39, 308 VI, 1-5, 122 43, 4 44, 99, 944, 396 VII 24, 159 46, 258 VIII, 3; 162 4-8, 110 6, 16. 9-15, 112 18, 298 44, 391. X, 2, 120. 39, 34, 2598 XI, 15, DO od, BENI 42, 178, 206. XII, I, i 158. 21, 28, 167 XIII, 8, 387 19, 195 20, 21, 137 XIV, 15, 14, 107. 15, 147. XV: 16, 394. XVI, 19, 205. XVII, 2, 135. 5, 6, 400. XIX, 4-9, 397. 26, 298. XX, 9-16, 286. Cap. XXI, 29-31, 34, XXII, 21, XXIV, 35, VANGELO DI S. GIOVANNI ti 16, 48, III, 16, IV, 35, 36, 38, IV, 213, 35, 52, 59, 148, VII, 46, VII] da, DIA 6, À, 28, XII, 12, 13, 24, 25, 78, XV, 1, 1-5, 1-6, 16, XXVIII, 1, MA, 29, 154, 38-40, 39; 40, 4, 42, ATTI DEGLI APOSTOLI I, 12, II, 42, v, 15, VII, 30, 31, 52, My; © 24,27, XIX, 12, Il, 4653 LETTERA A' KOMANI Vers. 28-31, 32, 125 21, 2, 6, 16, 17, 18, 24, 28, LL PRIMA A’ CORINTI SECONDA A’ CORINTI 6, 8,9, 19, AÈ GALATI AGLI EFESINI 19, 12, 404 Cap. Vers. Pag. II, 14, SILE HI, 14, 17, 20. Va 18, 319. 18-20, 322. A’ FILIPPESI I, 11, 55, 330. II, ; 38, 163. 9, 136. A’ COLOSSESI Il. 18 20). 9, 170. 14, BILE PRIMA A’ TESSALONICESI II, 14, 15, 289. PRIMA A TIMOTEO III, 2, a 319. E 17,48; 1532 Za, 315. VI. 10, 18. 17, 396. A TITO 1, De 519. AGLI EBREI I, 4,5, 13, 14, 396. VI, 8, 205. VII, 25, 301. IX, 15, 16-18, 176. 19, 175. X, 20, 202. XI, 31, 287. XII, 15, 18. 16, 218. Cap. XII, XII, Vers. Pag. 29, 61. 12, 288. 15, 58. LETTERA DI S. GIACOMO 10, 46. 17, 20. 12, 396. 18, 56. PRIMA DI S. PIETRO 19, 20, 43%. 24, 46. 1, 292. TERZA DI S. GIOVANNI 13, 89. APOCALISSE dl 434. 3, 22. 6, 100. 15, 387. 9, 298. 3, 4, 369. 10, 11, 189. 1, 156. 15, 50, 127. 18-20, 306. 6, 209. 15, 107. 11, 241. 14-12: 200, 401. 12, AT. 13, 247. 8, 14, 203. 15, 156. i, 133. ae INDICE DELLE COSE PIÙ NOTABILI A AbETE, albero allissimo, cresce naturalmente sul Libano. Ii suo le- gname è molto usato nelle fabbriche : Salomone lo adoperò pel Tempio, e gli abitanti di Tiro l’impiegavano per fare i palchi delle loro navi, p. 419. Acacia, risponde al sethim di Mosè, p. 352.— Valle di Sethim e fatti in essa accaduti, ivi. — Legno d’acacia adoperato da Mosè per la costruzione dell’arca e di altre cose appartenenti al Tempio, p. 353. AcLIO, p. 168. AGRESTO, spiegazione d’un proverbio degli Ebrei, p. 280. ALBERI, come si distinguono dall’erbe, p. 5.— Spiegazione di essi, p. 251 e seg. ALsero mostrato a Mosè, p. 437.— Quistionasi se per virtù naturale o prodigiosa raddolcisse le acque amare, p. 438 e seg. — Di quale specie fosse cotesta pianta, p. 440. — di Nabucodonosor, che cosa simboleggiasse, p. 440 e seg. — DELLA scienza del bene e del male, perchè collocato presso al- l'albero della vita, p. 434. — Perchè albero della scienza si no- minasse, p. 435 e seg. — DELLA VITA, fu albero veramente: opinione erronea di Origene e del- l'Eugubino, p. 428.— Non può in alcun modo sapersi di che specie si fosse, ivi. — Possedeva naturalmente la maravigliosa virtù di prolungare la vita umana, p. 429 e seg.— Una sola pianta di que- sta specie era nel paradiso, p. 430.— Bellissime similitudini tolte da quest’albero, p. 451 e seg. — Altro albero della vita, p. 433 e seg. 166 ALOE 0 AGALLÒcO, descrizione del suo legno, p. 355. — Esso aveva luogo tra le mistiche piante del giardino di Salomone, ivi, — Il lesno aloè adoperato ne’ profumi e nel condire il corpo di Gesù, p. 356 e seg. AneTo, p. 190. Assenzio GIUDAIS0, fornisce il seme santo de’ farmacisti, p. 188.— Gli scrittori sacri lo noverano col fiele, e l’adoperano per dino- tare l'amarezza dell’afflizione, i frutti dell’empicetà e dell’ingiustizia, e anche l'eresia, p. 188 e seg. E BaLsAMINO, Suo paese nativo, p. 398. — Ammirabile sugo che si ot- tiene da questo arboseello, p. 359. — AI balsamo non misturato si paragona l’increata Sapienza, p. 360. Banano, delle foglie di questa pianta forse i nostri progenitori co- prirono la loro nudità dopo il peccato, p. 243 e seg. BpeLtio, non è il earbonchio, p. 240, non il cristal di rocca, p. 241, non la perla, ivi; ma il borasso a ventaglio, p. 242. Brancospino , p. 339. — Co’ rami di quest’ arboscello Gedeone fece battere e lacerare i settantasette seniori di Soccoth, p. 340. Bisso, confutazione delle diverse sentenze degli autori intorno alla nalura di questa pianta, p. 199 e seg., essa probabilmente era il cotone, p. 201.—A qual'uso era impiegato, p. 201 e seg. — Che cosa simboleggi nella Scrittura, p. 203. Borasso, vedi Ddellio. BorirH, vedi riscolo. Boschi e seLve celebri della Scrittura, p. 59 e seg. — Bosco o selva del Libano simbolo de’ Gentili, p. 69. —I boschi e le selve son monumenti di desolazione, p. 64. —A un bosco Geremia paragona l'Egitto, p. 65, e Dio la Giudea, ivi. — Cose nocive a’ boschi e alle selve, p. 66 e seg. — Boschi sacri, perchè proibiti da Dio, p..69 e seg. Bosso, profezia d'Isaia riguardante la ristaurazione del Tempio, p. 380. — Usi del bosso, p. 381. € CALAMO AROMATICO, Sua patria, p. 83. Cresce eziandio nell’Arabia Fe- lice, p. 84. — Entrava nella composizione dell’unguenlo sacro, ivi, 467 Canna DE GIARDINI, adoperata dagli Antichi principalmente per far bastoni, p. 153. — Scherno fatto da’ soldati del preside a Gesù Cristo, pag. 153 e seg. —A un bastone di canna sono nella Scrit- tura rassomigliati coloro, che non possono dare quel sostegno che da lor si spera, p. 154. — Bellissimo proverbio d’ Isaia nell’indi- care i caratteri del divino Riparatore, p. 155. — Gli Ebrei adope- ravano la canna per misurare le fabbriche, p. 156 : e canne chia- mavano tulte le cose che ad esse rassomigliavano, ivi. — PALUSTRE, perchè denominata phragmites, p.157.— Abbonda nelle rive del Nilo, ivi. — Spiegazione d’ un oscuro versetto del subli- missimo salmo sessantesimosettimo, p. 158. — Spiegazione d’ un versetto di Geremia, p. 159. — La canna palustre ci offre l’imma- gine di un animo incostante : parole dette da Cristo alle turbe parlando di Giovan Baltista, ivi. CANNUCCIA DA SCRIVERE, vedi erianto. CappeRO, allusione che fassi dall’Ecclesiaste a’ fiori di questa pianta, x :199. Carpo DeL Lipano, apologo di Gioas re d'Israele, p. 187. Carree, p. 85.— Mosè esposto tra le carici del Nilo è salvato da Dio, p. 86. Carruso, delle silique di quest'albero bramava di sfamarsi il figliuol prodigo, p. 354. CASSIA LIGNEA, era annoverata dagli Antichi tra le più belle piante, il perchè Giobbe chiamò Cassia una sua figliuola, p. 246. — La cassia e il cinnamomo entravano nella composizione dell'olio san- to, e servivano anche per profumo, p. 247. CEcE, p. 220. Ceprato , gli Ebrei nella festa de’ Tabernacoli portavano in mano anche de cedrati, pensando che questi si dovessero intendere per frutti dell’albero bellissimo, di che fassi menzione nella Scrittura, p. 264. Cepro peL Ligano, perchè oggidì è annoverato tra le piante rare, p. 420. — In che gli Ebrei ed altri popoli dell'Asia adoperavano il legname di questo re degli alberi, p. 421.—Agli alti cedri la sacra Sposa rassomiglia il suo Diletto, p. 422. — Bellissima para- bola del cedro, che il profeta Ezechiele disse a Faraone re d’E- gitto e al suo popolo, p. 423 e seg. Ciuno, gli Scribi e i Farisei pagavano la decima de’ semi di questa pianta : rimprovero di Gesù Cristo, p. 190. 468 Cinnamomo, paese originario di quest’albero, p. 245. — Preparazione della cannella, ivi. CiporLa adorata in Egitto, p. 168. CIPRESSO PIRAMIDALE E ORIZZONTALE, p. 413. — Altezza maravigliosa de’ cipressi del Sion : a un di essi non isdegna rassomigliarsi la divina Sapienza, p. 414: e lo scrittore dell'Ecclesiastico al cipresso che in alto si estolle paragona il sommo sacerdote Simone, ivi. — Il legno del cipresso adoperato per le soffitte della regia di Sa- lomone, ed anche nella costruzione dell'arca, p. 415 e seg. Cipro degli Antichi, p. 332.— Spiegazione d’un verselto de’ Cantici, p. 333. Cocomero, i frutti di questa pianta sono grossissimi nell'Egitto. Gli Ebrei ne erano mangiatori, il perchè mormorarono quando ne fu- ron privi, p. 228. CoLoquintIpA , bel prodigio operato da Elisco ne’ frutti di questa pianta, p. 226 e seg. Corteccia, descrizione della corteccia degli alberi, p. 30.— Artifizio di Giacobbe per deludere l’accorgimento dell’avaro Labano, p..31 e seg. Croco, vedi zafferano. CuriAanpoLO, a’ semi di questa pianta rassomigliava per grandezza e figura Ja manna miracolosa, p. 191. D Duparm, confutazione de’ diversi opinari degli autori intorno a questi frutti, p. 178 e seg. — Si prova che essi son le mandragore, p. 182 c_ seg. E Epano, donde provenga il miglior legno di quest albero : gli abi- tanti della doviziosa Tiro lo prendevano in cambio delle loro merci, p. 261. ELLeRA, nella terribile persecuzione d’ Antioco gli Ebrei erano co- stretti d’aggirarsi per le vie di Gerusalemme e delle vicine ciltà de’ Gentili, coronati di ellera, seguendo il simulacro di Bacco, p. (205. — di Giona, vedi kikajon ossia ricino, p. 381 e seg. ERBE, come si distinguono dagli alberi, p. 5. — Hlustrazione di esse, 469 p. 83 e seg. — L’erbe minute non erano per legge sottoposte alla decima : rimprovero di Gesù Cristo agli Seribi e Farisei, p. 177, 190, 206. ErIANTO, serviva agli Antichi invece di penna, p. $8 e seg., e serve tuttavia per lo stesso uso a’ Turchi, agli Egiziani e ad altri po- poli dell’Oriente, p. 89. EF Farro, risponde al kyssemetk del testo ebreo, p. 151 e seg. Fava, fece parte del pane misterioso di Ezechiele, pag. 220. Fico, abbondanza di questi alberi nella Palestina, p. 386. — Loro coltura, p. 387. — Cose nocive a queste piante, ivi. — II germo- gliamento de’ fichi è simbolo della seconda comparsa del Figliuolo dell’uomo, p. 388. — I fichi buoni sono simbolo degli Ebrei con- dotti schiavi in Babilonia : e i fichi cattivi sono figura degli Ebrei rifuggiti in Egitto, p. 389.— I fichi primatieci sono emblema della gloria e della prosperità di Samaria, p. 390, del popolo israclitico e de’ pochì giusti che vi restarono, ivi. — Uso antichissimo di sec- care i fichi, ivi. — Empiastro di fichi secchi applicato all’ ulcera del re Ezechia. p. 391. — Ficaia maledetta da Gesù Cristo, p. 392 e seg. — Proverbi scritturali tolti da’ fichi, p. 395 e seg. — d’Adamo, vedi banano. FiorE, è l'apparecchio completo o incompleto degli organi della ge- nerazione, p. 42. — Descrizione delle sue parti, p. 42 e seg. — Simboli de’ fiori, p. 45 e seg. — de’ campi, vedi narciso. FoeLie, loro descrizione, p. 39. — Emblemi, p. 40 e seg. Frascaro, negli orti e nelle vigne è simbolo di desolazione, p. 229, 300. FRUMENTO, vedi grano. Frurri, han hisogno alternativamente d’umido ce di calore per ma- turare, p. 47. — Essi sono stati divisi da’ botanici in molte spe- cie, delle quali si accennano le principali pag. 48 c seg. — Un- cino per raccogliere i frutti mostrato al profeta Amos, suo signi- ficato, p. 49. — Leggi riguardanti i frutti e gli alberi fruttiferi , p. 50 e seg.— I frutti sono simbolo della discendenza, p. 52, delle virtù, ivi, delle buone opere, pag. 53 e seg. — Frutti mendaci, p. 54. — Dal frutto si conosce la pianta, e dalle opere l’autore, 410 p. 55. — Frutti degli apostoli, ovvero conversione de’ Gentili alla fede , ivi. — Frulti di giustizia, p. 56 e seg. — Frutti di morte, p. 58. — Frutto delle labbra, ivi. Fusto, nomi e differenze de’ fusti delle piante p. 28. & Gapano, la gomma-resina che si ottiene da questa pianta, entrava nella composizione aromatica che sempre dovea tenersi sopra l’al- tare de’ timiami, p. 192. — Osservazione intorno a questo profumo, p. 193. GermosLI, loro nomi e differenze, p. 34. — Il Germoglio de’ pro- feti è Gesù Cristo, p. 35 e seg. GiarbINI, loro distinzione: non possono prosperare senz’acqua, p. 71. — Le irrigazioni de’ giardini son chiamate benedizioni dalla Scrit- tura , ivi. — Giardino di Oza, p. 76, di Assuero, ivi. — Similitu- dini prese da’ giard ni, p. 78 e seg. — L’ idolatria ne’ giardini, Di 82. GiGLio, ebraicamente cchuschan e schuschanna, è figura della pu- rità, onde piacque alle donne fregiarsi del nome di questo fiore, p. 161. — Il giglio delle valli non è il mughetto, ma il giglio vol- gare abbondante nella Persia, nella Siria e nella Palestina, p. 162. — A un giglio delle valli si rassomiglia lo Sposo della Chiesa, p. 162 e seg. — A” gigli è paragonato il nutrimento de’ fedeli , p. 164. — A’ gigli sono rassomigliate Je labbra del divino Sposo, ivi; le virtù e la prosperità degl’Israeliti, p. 166. — Il valente Hi- ram da Tiro imitò la figura del giglio in varie opere di bronzo poste nel Tempio p. 167: vera origine del capitello d'ordine co- rintio, ivi. — A' gigli scereziati fece allusione il Signore per cor- reggere la troppa sollecitudine de’ suoi discepoli per le cose tem- porali, ivi. GinePRO ROSSO, p. 412. — Solto un di questi alberi abbandonossi a giacere il dolentissimo profeta Elia, ivi. — Il legno del ginepro è buono per ardere: alle sue brace sono elegantemente rassomi- gliate le lingue ingannatrici, p. 413. — Proverbio riguardante le radiche di ginepro, ivi. Gita, vedi nigelia. Giunco, che significhi figuratamente, p. 160. 4714 GrANATO, si coltiva anche per ornamento pe’ suoi brillanti fiori, sim- bolo delle più sublimi virtù, p. 330. — Le guance della sacra Sposa simifi alla scorza de’ granati, p. 331. — Granati artificiali che a- dornavano la veste del pontefice degli Ebrei, ivi. —Vino di granato offerto dalla sacra Sposa al suo Diletto che cosa può significare, ivi, Grano, fertilità e soprabbondanza della Cananitide , p. 102. — La- vori che si fanno alle terre per prepararle a ricevere il grano, p. 103. — Perchè gli Ebrei nell’eseguire questi lavori non pote- vano arare con un bue e un asino, p. 104. — Il grano che si de- stina a semenza debb'essere di ottima qualità, p. 108. — Cose che tornano giovevoli al grano p. 113. — Bellissima similitudine presa dalla pioggia e dalla neve, p. 116. — Cose al grano nocive, p. 116. e seg. — Gastighi di Dio, p. 117. H Ixcenso, perchè detto olibano, p. 367. — Provasi colla Scrittura che gli Ebrei ritiravano l'incenso da Saba, p. 368. — Che debba in- tendersì per collina dell’incenso, di che tocca Io Sposo de' Cantici, ivi. — L’ incenso avea luogo in tutte le oblazioni spontanee che facevansi al Signore, nel dono delle primizie e nell’offerta de’ pani della proposizione, p. 369. — L'incenso bruciato è simbolo delle preghiere de’ giusti, ivi. — Offerto in dono al bambino Gesù che cosa significasse, p. 448. Issopo, indigeno dell'Egitto e della Palestina, p. 173 — Perchè quivi sì vede spuntare anche dalle pareti, ivi. — Spesso nella Scrittura si legge adoperato come aspersorio, p. 174 e seg.—I manigoldi se ne servirono nella crocifissione di’ Cristo, p. 177. Ba Krk4Jox, così chiamasi in ebreo la pianta, che Dio fece spuntare per fare ombra al profeta Giona, p. 382. — Essa non fu la zucca, come tradussero i Settanta; nè l'edera, come leggesi nella Vol- gata, ma il ricino, p. 382 e seg. L Lapano, gomma-resina dagli Ebrei probabilmente appellata ZolA, si raccoglie per mezzo di pettini e di scoparelle, p. 323. — Era usata ne’ profumi, p. 324. 472 Lamerusca , a’ frutti di questa pianta Isaia paragonò i perversi co- stumi de’ Giudei e la perdizione d’Isracle, p. 265. LATTUGA SALVATICA, per quest’erba s. Girolamo traduce la parola me- rorim del testo ebreo, la quale probabilmente significa qualun- que erba al palato disaggradevole, p. 186. Leccio, contribuisce a variare i boschetti d'inverno, p. 408. — Ca- lunnia fatta alla casta Susanna di aver peccato alla grata ombra di quest’albero, ivi. Leeei fatte promulgare da Dio a favore de’ possidenti, p. 273 e seg. Legno, descrizione del legno degli alberi, p. 28 e seg. Lenticonia, questo leguime serviva agli Antichi di pane e di compa- natico, p. 215. — Primogenitura venduta da Esaù a Giacobbe per una minestra di lenticchie, p. 216 e seg. Lentisco , origine del nome di questa pianta, p. 373. — La resina che se ne ottiene è detta mastice, ivi. — Essa era pregiatissima dagli Egiziani, ivi. — Lentisco del giardino di Gioachimo marito della casta Susanna, p. 374. Lievito, è simbolo del regno di Dio, p. 136 e seg. — Similitudine che dalla forza del lievito tolse il divino Maestro, p. 137. — Dal- l'efficacia del lievito s. Paolo trasse argomento contro i Cristiani di Corinto e di Galazia, p. 138. Lino, vera patria di questa pianta, p. 207. — Provasi con più testi- monianze della Scrittura che l'uso de’ lavori di lino è antichis- simo, p. 207 e seg. — Lebbra singolarissima, che pur le vesti di lino attaccava. p. 209. — Comandamento fatto agli Ebrei di non coprirsi di vesti tessute di lino e lana, p. 210. — Ragioni di co- testa legge cerimoniale, p. 2î1.— Il lino si adoperava altra volta per farne lucignoli, p. 212. — Spiegazione della cintura di lino comprata da Geremia, p. 212 e seg. — Gli ebrei servivansi di corde di lino per misurar le lunghezze e i piani di qualche estensione, p. 214. — Veli e merletti usati dagli Egiziani, p. 215. MacinartrA del grano. Macine a braccio usate dagli Antichi, p. 133. — L’infelice Sansone e il re Sedecia condannati a cotesto lavoro, p. 134. Mulini portatili del Levante, ivi. — Mola asinaria.*p. 135. Manporto , cresce abbondantemente nella Mesopotamia : quindi fa- ® 475 cilmente Giacobbe potè averne de’ ramoscelli, di che usò inge- snosamente per deludere l avarizia di Labano, p. 348. — Gli E- brei usavano formare i lor bastoni di mandorlo : prodigio ope- rato da Dio in uno di questi bacoli, p. 349 e seg. — Cose sim- boleggiate dal bastone di Aronne, p. 350. — Il mandorlo è figura della vecchiaia, p. 351. Manpracora, p. 178. — Gli Antichi tribuivano a questo frutto la virtù afrodisiaca, p. 183. — Perchè Rachele fosse premurosa di averne, p. 185. MELLONE, p. 228. Meto, frutti di quest'albero dolci al palato della sacra Sposa, p. 334. — Qual'è il melo tra gli alberi d'un bosco, tale è il Dilelto tra’ figli, p. 335. — Nel melo molti Padri ed interpetri ravvisano l’al- bero della croce, p. 336 e seg. Menta, per legge non era soggetta alla decima, p. 177. Messe, tra la semente e la mictitura nella Giudea passano quattro mesi o in quel torno, p. 119. — Messe di coloro che dovevano entrare nella Chiesa di Gesù Cristo, p. 119 e seg. — La mietitura presso gli Ebrei durava fino a Pentecoste, esclusi i sabati. Rim- provero di Gesù Cristo a° Farisei. p. 120 e seg. — Gli Ebrei apri- vano la messe con cerimonie, p. 123. — La messe del grano ser- viva per determinare il tempo di un fatto , p. 124. — Comanda- mento di Dio agli Ebrei intorno alla micetitura, p. 125. — Quando l'annata è regolare la messe è in proporzione diretta colla quan- tità della semente. S. Paolo si serve di questa notizia a persua- der la limosina, p. 125 e seg. — La messe è simbolo del tempo di questa vila, p. 126, e della consumazione de’ secoli, p. 127. È pure emblema di devastazione, ivi; e della messe celeste, p. 128. MieLe di dattili pregiatissimo dagli Antichi , p. 235. — Di questo miele Giacobbe fece dono al vicerè d'Egitto, che ignorava essere il suo figliuolo, ivi. MieLio, fece parte de’ pani misteriosi di Ezechiele, p. 88. Mirra, non era indigena della Palestina, p. 361. — Che debba in- tendersi pel monte della mirra, di che è parola ne’ Cantici, ivi. — Significato mistico della mirra, ivi. — Alla mirra eletta si ras- somiglia la Sapienza, p. 362. I re degli Arabi solevano mandarla in dono a’ principi stranieri, ivi. — Offerta da’° buoni magi al santo Bambino che cosa significasse, p. 448, — Gli Antichi facevano gran 474 consumo di mirra, p. 363. — L'olio che n° estraevano serviva a coltivare la chioma e rendere la carnagione più delicata ivi. — I proci ne ungevano per galanteria gli usci delle loro amanti, ivi. Spiegazione d’un versetto de’ Cantici, ivi. — L’ eleganti donzelle solevano portare nel seno de’ sacchetti di mirra: miglior versione d'un altro versetto de’ Cantici, p. 364. — La mirra serviva anche per condire il miglior vino, ivi. — Vino mirrato perchè offerto a Gesù Cristo, p. 365 e seg. — La mirra serviva anche per imbal- samare i cadaveri, p. 366. Mirto, i rami di questa pianta erano adoperati nella festa de’ Ta- bernacoli, p. 329. Mori, abbondanza e grandezza di questi alberi nella Palestina, p. 400. — Moro mostrato da Gesù Cristo agli apostoli, ivi. — Gli Antichi si servivano del sugo delle more nere per aizzare gli elefanti a combattere, ivi. MorreLLa, dalla mortella nera provenne in lingua persiana il nome di Esther, p. 329. N Narciso, p. 169. — Nuova spiegazione d’un passo de’ Cantici e d’un altro che leggesi in Isaia, p. 170. — Narciso, nome delle persone più care e di ragguardevoli personaggi, p. 171. Narpo degli Antichi, non è la radice della valeriana spica di Vahl, ma un vegetale gramignaceo, p. 90. — Nell’Indie è adoperato per condimento , ivi. — Gli Orientali ne componevano un unguento prezioso, onde usavano di ungere i convitali, p. 91. — Lo ado- peravano eziandio per imbalsamare i cadaveri: storia della Mad- dalena, p. 91 e ses. NiGELLA, istruttivo e consolantissimo tratto del profeta Isaia, dove è parola di questa pianta, p. 194. Noce, p. 374. — Un giardino estesissimo di noci possedevasi da Sa- lomone, ivi. — Confutazione di Giovanni Diodati, che pretende fosse di noci moscade, p. 374 e seg. — Cotesto giardino figurava l’antica Chiesa, p. 375 e seg. DL) OLEAnpRO, ad esso probabilmente fanno allusione il Salmista e Ge- remia, movendo parola dell’uomo giusto, p. 260. 4715 ‘OLEASTRO, innestato nell’olivo è simbolo del popolo gentile ammesso nella Chiesa di Dio, p. 251. QLio, diverse maniere di farlo, p. 254. — Similitudini prese dall’o- lio, p. 255 e seg. — Abuso fattone dagli abitanti di Gerusalemme e di Samaria, p. 259. Ouive, maniera di raccoglierle, p. 254. — Alle poche olive che re- stano sugli alberi Isaia paragona i pochi Israeliti restati nel lor paese dopo le devastazioni degli Assiri, ivi. OLivo, la Palestina un tempo soprabbondava di olivi, p. 248 e seg. — Monte Oliveto, p. 249. — Oliveti incendiati da Sansone, p. 250. L’olivo è lodato ne’ libri santi per la sua verdura, fecondità e bellezza, il perchè i suoi ramoscelli erano adoperati nella festa de’ Tabernacoli : e il Salmista e l’Ecclesiastico a quest’albero pa- ragonano l’ uom giusto e ta sapienza, p. 250. —I germogli che spuntano dal ceppo dell’olivo simboleggiano i figliuoli dell’uomo timorato di Dio, ivi. — Cose nocive agli olivi, p. 252. — Il legno d' olivo adoperato da Salomone per adornar l’ arca del Tempio, ivi. — Perchè l'olivo è stato preso da tutte le genti per simbolo della pace, ivi. — Quistione sul ramoscello d’olivo portato dalla colomba a Noè, p. 252 e seg. Ocrwmi, alberi delle valli, fatti prosperare nel deserto p. 401. — Al- legoria d’Isaia, p. 402. Ortica, indigena della Palestina, è simbolo di devastazione, p. 229 e seg. Orto DEL GETSEMANI, p. 77. — Altro sul Golgota, dove fu crocifisso e sepolto Gesù Cristo, p. 78. Orzo, grand'uso che ne facevano gli Antichi, p. 97. — Pane d’orzo, miracolo d’Eliseo, p. 98. — Sognato da un soldato di Madian che cosa significasse, ivi. — È simbolo del Pentateuco, p. 99. — Ca- restia dell'orzo annunziata nell’Apocalisse, sua spiegazione, p. 100. — Tisana ovvero orzo brillato, proverbi p. 101. P PaLivro, nasce ne’ luoghi incolti : spiegazione d’un proverbio di Sa- lomone tratto da questo arboscello, p. 379.— Gli uomini ingiusti sono assomigliati al paliuro, p. 380. Parma, paese originario di questa pianta, p. 231. — Luoghi celebri 476 pe’ lor palmeti, p. 232 e seg. — Perchè alla palma si rassomi- glia il santo Giobbe, p. 234. — Vantaggi che si ricavano dalle palme, ivi. — La palma è simbolo dell’uomo giusto, p. 236; della Chiesa, ivi; di Maria Vergine, p. 237. — Rami di palme portati in mano in segno di gaudio e di festa, p. 237 e seg. — Perchè la palma fu prescelta dagli Antichi come il segnale della vittoria , p. 238. — Rilievi imitanti le palme adoperati per adornare il Tem- pio e le dieci conche, che servivano per lavare le parti delle vittime, p. 239. Pane, perchè così chiamato, p. 136. — Pane azzimo, ivi: pane fer- mentato, ivi. — Gli Ebrei non potevano farne uso durante la festa degli azzimi, p. 139. — Nella legge di grazia non può servir di materia nel sagramento eucaristico , p. 140. — Pane socceneric- cio, ivi. — Pani di primizia, p. 141. — Pani della proposizione , ivi. — Pane Dbenedeito, p. 142 e seg. — Pane di tribolazione, p. 144; di lacrime ivi; di dolore p. 145; d’empietà, ivi. — Pane della Sa- pienza, ivi. — Pane nascosto , p. 146. — Pane di menzogna, ivi. — Pane de’ funerali, ivi. Pane nel regno di Dio, p. 147. — Pane eucaristico, p. 147 e seg, — Gli Ebrei costumavano di non taglia- re, ma di rompere il pane, nè solamente l'eucaristico, ma il co- mune eziandio, p. 149.—Il pane era presso gli Antichi uno dei simboli dell'alleanza e dell’amicizia, p. 150. Papiro, serviva agli Antichi per materia da far la carta, p. 87. — Gli Egiziani lo adoperavano eziandio alla costruzione di piccoli battelli, ivi. PARADISO TERRESTRE, perchè così chiamato, p. 72. — Bellissima de- scrizione oratoria che ne fa s. Basilio, ivi. — Opinioni precipue intorno al suo sito, p. 73 e seg. Pero, gran copia di questi alberi era nell’entrata della valle di Ra- phaim, i quali movendosi strepitosamente senz’essere agitati dal vento, fecero avvertito Davidde di battere il campo de’ Filistei , p. 338. PIANTE, idea e origine di questi corpi, p. 9. — In quale stato le piante fossero prodotte, p. 10. — Piante diverse in diversi climi, p.11.— Usi ammirabili delle piante, p. 12, —Il color verde delle piante, p. 13. Pino cHIAPPINO, Se ne fa grand’uso in marineria, e serve anche per le fabbriche, p. 417. 4771 Pino coLtivato, adoperavasi dalle genti a vari usi domestici, ed anche a formarne le statue degli dei, p. 418. Pioppo, i suoi ramoscelli usati ingegnosamente da Giacobbe, p. 403. Pisraccuio, gli Antichi pregiavano più di noi i frutti di quest'albero: il patriarca Giacobbe ne mandò al vicerè d’Egitto, p. 372. PLatano, i suoi ramoscelli scorticati da Giacobbe, p. 414. — All’al- tezza del platano | Ecclesiastico rassomiglia la sapienza, ivi; ed a’ rami di esso Ezechiele paragona i satrapi del re d’ Assiria , p. 412. Porro, p. 168. Primizie, maniera di presentarle nel Tempio : allusione che a cotal rito fassi dallo Sposo de’ Cantici, p. 133. PruenoLo, p. 347. —1 padri degli schernitori di Giobbe adunavansi sotto de’ prugnoli, p. 348. 2 QUERCE A GROSSE cuPOLE, formavano Dellissimi boschi nella Batanca, p. 404. — Ad esse i profeti rassomigliano i fastosi principi dei popoli idolatri che abitavano nella Cananitide, come ancora la potenza degli Amorrei e la felicità di Gerusalemme dopo la schia- vitù, p. 405. — Usi di queste piante, ivi. — Fatti scritturali che han relazione colle querce, p. 406 e seg. Quercia CHERMES, fornisce una grana, che serviva agli Antichi per tingere in color cremisino, p. 409. Perizia degli abitanti di Tiro in quest arle , ivi. — Grand’ uso che fecero gli Antichi di questa tinta, ivi. — Le labbra della sacra Sposa rassomigliate a una le- gaccia di color cremisi, p. 410. — Al colore scarlatto e alla grana donde si cava si paragonano da Dio stesso i più enormi pecca- ti, ivi. n kapicE, serve di principio al rimanente del vegetabile: similitudine che da ciò trae s. Paolo, p. 15. — La radice è la base d’ ogni pianta : spiegazione d° un passo dello stesso apostolo , p. 16. — Balla radice massimamente ricevono i vegetabili la loro nutrizio- ne : perciò la distruzione o il disseccamento della radice signi- fica un totale sterminio, ivi. — A un’amara radice Mosè rassomi- glia l'idolatria, p. 17. —A una dannosa radice paragona s. Paolo l'amor del denaro, p. 18. — La radice è l'emblema della fermezza, ol 418 p. 19; ed anche della speranza e della fiducia del giusto, p. 20. — Radicare significa rifermarsi, stabilirsi, p. 20 e seg. — La ra- dice che resta troncata la pianta significa la posterità, p. 22 e seg. — Lo sradicamento importa una totale rovina, p. 25 e seg. — La scure alla radice esprime imminente distruzione, p. 27. Rami, hanno molta influenza sul portamento generale de’ vegetabili. Direzione, consistenza e lunghezza relativa de’ rami, p. 33. — Simboli degli stessi, p. 34. Rawvo, in ebreo athad, diede il nome ad una pianura, dove furono celebrate l’esequie al patriarca Giacobbe, p. 377. — De’ rami di questo arboscello fu fatta probabilmente la coruna di spine al no- stro Salvatore, ivi. — Il ranno figura di Abimelecco e de’ malvagi, p. 378. RaspoLLar le vigne, era proibito agli Ebrei, p. 302. — Raspolli Isaia chiama i pochi Israeliti rimasti nel lor paese dopo l’invasione de- gli Assiri, ivi. — Perchè l’autore dell'Ecclesiastico si rassomiglia a un che raspolla dopo i vendemmiatori , ivi. — Spiegazione del proverbio che leggesi nel libro de’ Giudici : Il raspollar di Efrai- mo non vale meglio che la vendemmia di Abiezer? ivi. — La ra- spollatura è simbolo d’'esterminio e di saccheggio, p. 303. kicimo, vedi kikajon. RiscoLo, suoi usi, p. 172. — Allusione di Geremia e di Malachia , pid Rosa, quelle di Gerico doveano avere qualche pregio particolare , perchè ad una di esse non isdegnò paragonarsi la Sapienza, p. 340. — Le rose in vicinanza dell’acque divengono vigorosissime : si- militudine dell’Ecclesiastico, p. 341. — Corone di rose usate dai Gentili, ivi. — Gii empi, di cui parla la Scrittura, per voluttà vo- levano coronarsi di rose, ivi. — Gli Ebrei per costume gentilesco adoltato da loro usavano le corone convivali di rose e fiori, p. 342. — SALVATICA, p. 342. — Cogli steli di questa pianta, detti probabil- mente in ebreo hakrabim, che significa scorpioni, Roboamo mi- nacciò di straziare gl’ Israeliti : e il profeta Ezechiele agli steli della stessa rosa paragonò i Giudei, p. 343. Rovo, fu trascelto da Dio per operarvi un prodigio veramente ma- raviglioso, p. 344 e seg. — Spiegazione letterale e tropologica dello stesso prodigio, p. 343 e seg. Rua, era adoperata dagli Antichi per salsa e per condimento, p. 206. — Gl’ippocriti Farisci ne pagavano la decima senza che ne aves- sero l'obbligazione, ivi. 419 Do) SaLcio DI BagiLoNA, perchè così chiamato, p. 402. — Cresce anche alle rive del Nilo, dove fa grata ombra agl'ippopotami, ivi. — Ai salci, che vigoreggiano ne’ luoghi freschi, Isaia rassomiglia g'I- sracliti dopo la schiavitù, ivi. — Rami di quest’ albero adoperati nella festa de’ Tabernacoli, p. 403. SaLiunca, il profeta Isaia fa menzione di questa pianta, come sim- bolo d’ingiustizia e laidezze, p. 189. Scirpo , p. 85. — Mosè viene esposto nel Nilo in un cestellino di scirpi, p. 86. SEGNI caralteristici annessi alle descrizioni delle piante, loro signi- ficato, p. 6. SELVE, vedi boschi. Semenza, è simbolo della parola di Dio : parabola di Gesù Cristo , p. 110 e seg. — La semenza germogliando soggiace a una spe- cie di morte : similitudine usata da Gesù Cristo, p. 113. — Della stessa similitudine si avvale s. Paolo per confutare i filosofi che negavano la risurrezione de’ corpi, p. 113 e seg. SEMINAGIONE, presso gli Ebrei e gli Egiziani incominciava nel mese marschevan, rispondente quasi al nostro ottobre, p. 103. — Ra- gioni della legge che proibiva agli Ebrei di seminare la terra nel settimo anno, ivi. — Legge di non seminare lo stesso campo con vario seme, p. 106. — Avvertimenti scritturali intorno alla semi- nagione, p. 106 e seg. — Seminagione figurata, p. 109. — Parabola del seminatore, p. 112. SENAPE, parabola tolta da’ semi di questa pianta, p. 1953 e seg. — Alla virtù del granello di senape paragonò Cristo la fede de’ mi- racoli, p. 197. SETHIM, ved. acacia. SiceRA, liquore un tempo famosissimo in Oriente, p. 235. Sicomoro, etimologia del nome di quest’albero, p. 397. — Maniera di far maturare i suoi frutti e seccare il suo legno, p. 398. STATTE, vedi ladano. StERCO DI coLomBi, perchè nella fame di Samaria si vendesse ca- rissimamente, e a qual’ uso servisse, p. 222 e seg. — Opinione del Bochart, il quale prova che lo sterco di colombi menzionato dalla Serittura è una specie di cece, p. 225. SropPia, uso antichissimo di bruciarla : è simbolo di distruggimento, p. 128 ce seg. 480 Storace, gli Ebrei lo adoperavano molto ne’ profumi domestici e nelle cerimonie religiose, e gli Arabi si giovavano dell’odore di esso per togliersi il fastidio dell’incenso e della mirra, di che fa- cevano grand' uso, p. 262. — H patriarca Giacobbe ne mandò in dono al vicerè d'Egitto, dov'era molto apprezzato, p. 263. N Tamarisco, pianta infelice che nasce nelle solitudini, p. 324. — Ad esso Geremia rassomiglia le stato di chi spera negli uomini , e non in Dio, ed anche quello de’ Moabiti condotti schiavi nell’As- siria, p. 325. ] Tramar 0 Palma, nome adoperato dalle donne ebree, p. 239. Terepinto, è indigeno della Giudea, p. 370. — Valle del terebinto famosa, ivi. — A un terebinto è rassomigliata la sapienza e il po- polo ebreo dopo il ritorno dalla schiavitù, p. 371. — Terebinto solto il quale pretendesi che Abramo accogliesse i tre angeli, ivi. Tirso LEGNAME, per esso la Volgata traduce il vocabolo almuggim del testo ebreo, il quale piuttosto significa il sandalo citrino, p. 326 e seg. — Questo legname, che Ie navi di Salomone portarono dalla regione di Ophir, fu adoperato nelle balaustrate degli an- diti della regia, e nel far cetere e salterî pe’ cantori, p. 328. TRALcIO, reciso prima che si maturino le uve significa intempestiva rovina, p. 279 e seg. TREBBIATURA, maniere diverse onde dagli Antichi si praticava, p. 129 e seg. TrisoLo degli Antichi, risponde alla fagonia arabica de’ Moderni, p. 204. — Questa pianta nociva ebbe luogo nella prima pena data all'uomo dopo il peccato, ivi. Tura ARTICOLATA , p. 416. — Usi che gli Antichi facevano del suo legname, p. 417. 0) Uva, a un bel grappolo d’ uva Iddio paragonò il popolo d’ Israele, p. 299. — Uso antichissimo di seecar I uva, p. 304. — Pigiar le uve ebraicamente si dice premere lo strettoio; la qual maniera di dire è spesso adoperata nella Scrittura per significare vendetta, uccisione e spargimento di sangue, p. 305. — I contadini pigiando le uve, si animano l'un l’altro alla fatica con qualche grido 0 canto, di che fan motto Isaia e Geremia, p. 306. 481 v Venpemma , per farla bisogna attendere che V uva sia matura per- fettamente, p. 300. — Quando la vendemmia è abbondante anche oggidì suol festeggiarsi con giuochi, canti e convili, p. 301. — Origine de’ baccanali, ivi. Viena, Noè non fu probabilmente il primo autor delle vigne, p. 267 e seg. — La fertilissima Palestina un tempo abbondava di vigneti, p. 268. — Profezia di Giacobbe nell’accennare i vigneti della tribù di Giuda, p. 269. — Altri luoghi delia Terra Santa celebri pci lor vigneti, p. 269 e seg. — L'Egitto, l'Idumea, l'Assiria, l'Augite e il campo di Damasco rinomati per la coltura delle vigne, p. 271. — Perchè in questi paesi le vigne più non si coltivano come al- tra volla, ivi. — Cura che richiede la vigna, p. 272. — Spiegazione letterale d'una parabola d’Isaia, nella quale si accennano le prin- cipali cose riguardanti la coltivazion delle vigne, p. 272 e seg. — Le vigne possono propagarsi per mezzo di piantoni : similitu- dine del magliuolo usata dal profeta Ezechiele, p. 275. — Le vi- gne possono rinnovarsi per mezzo delle propaggini, alle quali i profeli rassomigliano i giovani di Sabama, di Gerusalemme e del regno di Samaria, i quali furono condotti schiavi dagli Assiri, p. 277.— Cose nocive alle vigne p. 27 18 e ses. —La vigna è fi- gura del popolo ebreo, p. 281, della Sinagoga e della Chiesa, p. 282. — La vigna pasciuta è simbolo di sudditi depauperati , p. 285. — La vigna degenerata rappresenta la nazione giudaica pervertita, p. 283 e seg.— La vigna allogata dal padre di fami- glia significa la riprovazione della Sinagoga, p. 285 e seg. — La vigna non custodita dalla sacra Sposa esprime Pabbandonamento del Giudaismo, p. 288 e seg. — La vigna fatta lavorare dal padre di famiglia figura fa Chiesa, p. 289 e seg. — La legge dispensava dal servizio militare chi avendo piantata una vigna, non avesse ancora cominciato a goderla : ragione di questa legge, p. 299. — I re d’ Israele volendo Dbeneficare i loro benemeriti servitori , donavano loro delle vigne, ivi. Vino, antichissimo uso di trasportarlo negli otri, p. 307. — Simili- tudine che da ciò prese Gesù Cristo, ivi. — Come il vino vecchio si preferisce al nuovo, così un vecchio amico dee preferirsi a un amico nuovo, p. 308. — Gli Autichi conservavano il vino in grandi fosse o cisterne : testimonianze sacre e profane di que- ? 482 st uso, p. 309. — Notizie intorno. alle anfore per riporvi il vino, p. 310. — Allusioni scritturali, p. 511. — I vini di corpo e densi come la più parte de’ vini d'Oriente, in certo modo si masticano: spiegazione letterale e mistica d’ un versetto de’ Cantici, p. 311 e seg. —In qual senso si debba intendere che i vino letifica Dio, p. 315. — Il vino induce negli uomini l’allegria direttamente e indirettamente, ivi. — L'uso moderato del vino non solo torna di giovamento all’ anima, ma al corpo eziandio, p. 314. — Uso antichissimo di temperare il vino : testimonianze della Scrittura, p. 315 e seg.— Quanto è giovevole il sobrio uso del vino, tanto è nocivo il berne con intemperanza: squarcio bellissimo de' proverbi, p. 316 e seg. — L’intemperanza nel bere affievolisce le forze del- l’anima p. 318; e nuoce alla castità, p. 319. — Il troppo vino pa- lesa gli arcani dell'animo, p. 320. — La Scrittura ci fornisce pa- recchi esempi de’ danni della vinolenza, p. 320 e seg. Vite, tre maniere di coltivare le viti, p. 266. — La vite fruttifera è immagine d’ una buona moglie, p. 291. — La vite ben piantata rappresenta Gerusalemme, p. 292 e seg. — La vite fronzuta e pro- duttiva è simbolo della prosperità e della propagazione grandis- sima del popolo d'Israele, p. 294. — La vite è figura dell’increata Sapienza, p. 295; ed anche della Sapienza incarnata, p. 296 e seg. Z Zarrerano, noverato tra le piante del chiuso giardino che cosa si- gnifica, p. 172. Zizzania, parabola tolta da questa pianta, p. 93 e seg. ERRORI CORREZIONI Pac. 28. lin. Il, (2) (1) — 99, not. (1) Jud. 22. Jud. VII, 22. — 115, not. (1) 1. Cor. 42-44. 1. Cor. XV, 42-44. — 20, — 41, fogliette lincari ovatce-lincari cc. — 329, not. (3) 2. Esdr. VIII, 13. 2. Esdr. VIII, 15. — 358, — 1,J lefogliec palmate-trifogliate, le foglie ternate 0 quinate- colle fogliette ottuse, pennate, colle foglielte di- suguali, ottuse cc. SPIEGAZIONE DELLE ‘TAVOLE Tav. I. Fig. 1. Radice d’abrotano (artemisia abrotanum), a il fit- tone o caudice discendente, d le radicelte o barbe. Fig. 2. Pianta intera della cipolla (allium caepa) per mostrare quella specie di fusto detto scapo b, che ha origine della radice o bulbo c, ed è terminato dalla fruttificazione a. Fig. 3. Fusto degli alberi a, detto {ronco o pedale. Fig. 4. Fusto squamoso a della palma di s. Pietro martire (cha- maerops humilis), detto stipite. Fig. 5. Fusto o culmo del grano a ((rilicum aestivum). Fig. 6. Pezzo di legno d’olmo (ulmus campestris) tagliato per- pendicolarmente, il quale mostra la corteccia*a, l’alburno b, il cuore o legno perfetto c; nel centro vi è il midollo, che trafora le fibre legnose, e le ritorce per formare il ramo d. Fig. 71. Taglio orizzontale d’un ramo di quercia (quercus ro- bur) dell’età di otto anni, il quale mostra il legno a, composto di olto zone concentriche, separate l’una dall’altra da vasi diversi, e la corteccia d composta essa pure di otto zone concentriche più sotlili e meno distinte. Fig. 8. Parte centrale della figura precedente per rilevarne me- glio la struttura; c l’astuccio midollare, d il midollo. Fig. 9. Piccoli fascelti di fibre /f, che tra loro lasciano degl’in- tervalli attraversati da’ raggi midollari rr. 484 Fig. 10. Taglio verticale d’un giovane ramo dell’acero comune (acer campestre), veduto ingrandito ventisei volte : il quale mo- stra a l'epidermide, d l’inviluppo sugheroso, e lo strato verde, d i vasi laticiferi, e il cambio, f/f le fibre legnose, gg9 vasi diversi, h una trachea, è il midollo, r un raggio midollare. Pig. 11. La trachea della figura precedente, più aggrandita, a tubo formato da essa. Fig. 12. Rete formata dal libro dell’aureola (daplne laureola), le cui maglie sono riempite di cellule dipendenti dallo strato verde. Tav. Il. Fig. 13. Foglia semplice, a il picciuolo. Fig. 14. Fusto o culmo della gramigna (trilicum repens), a la vagina della foglia, b il nodo. Fig. 15. Stipule aa del pisello (pisum satirum), db parte della foglia. Fig. 16. Stipula a alla base della foglia della rosa (rosa gallica). Fig. V7. Foglia ternata della fragola (fragaria vesca). l'ig. 18. Foglia dispari pennata o pennata in caffo del sorbo (sorbus domestica). Fig.19. Foglia pennata in pari del carrubo (ceratonia siliqua). Fig. 20. Foglia bipennata della gaggia bianca (mimosa glauca). Fig. 21. Calice chiuso o bottone della rosa. l'ig. 22. Corolla monopetala della campanula (campanula per- sicifolia). Fig. 23. Corolla polipetala del giglio (lilium. album), aa cc. i petali, 06 cc. gli stami, ce ec. Ie antere, d il pistillo, e l’ovario, f lo stimma, 4 lo stilo. Fig. 24. Bacca dell'uva (vilis vinifera) a; b la stessa tagliata orizzontalmente per mostrare la disposizione de’ semi. Fig.25. Pomo del melo (pirus malus) a: bd lo stesso tagliato orizzontalmente per mostrare le cinque logge contenenti i semi. Fig. 26. Drupa del ciliegio (prunus cerasus) a; il nocciolo € ricoperto dal pericarpio sugoso db. Fig. 27. Pina o strobilo del pino da pinocchi (pinus pinea). Fig. 28. Legume del pisello (pisum salivum) per mostrare i semi attaccati ad una delle cuciture. Fig. 29. Siliqua del violaciocco (cheirantus cheiîri), le cui im- poste aa sono separate dal tramezzo d, che contiene i semi at- taccati alternativamente alle cuciture, e che riposano sull’impan- nata. 485 Fig. 30. Follicolo del vincetossico (asclepias vincetoricum), dal- l'apertura del quale escono i pappi @; bb la placenta 0 sostegno, al quale stanno attaccati i semi. Fig. 31. Casella d'una sola cavità del papavero degli orli (pa- paver somniferum hortense). Tav. II. Acoro volgare (acorus calamus), dal quale, come si disse, poco differisce il calamo aromatico degli Antichi. Tav. IV. Papiro, che si trova in Sicilia a s. Cosimano presso Mi- lilli, ove fu veduto per la prima volta dal Boccone, lungo il fiume Cantara vicino Calatabiano, a Spaccaforno, ove trovollo il Boccone, e principalmente presso Siracusa sui lati d’un braccio del fiume Anapo, dove per la quantità e pel grande sviluppo de’ suoi fusti questa pianta forma una specie di foresta. Un tempo nasceva pure copiosamente in certi laghetti formati da un fiumicello, che perciò appellavasi Papireto, e che scorreva dentro l'antica città di Pa- lermo, dividendo la parte vecchia detta Paleopolis, da un’altra chia- mata Transpapyretum. Ma seccato quel fiumicello nel 1591 per la cattiva aria che que’ laghetti cagionavano nella città, il papiro vi fu distrutto. Contuttociò la piazza un dì occupata da quel fiu- micello porta tuttavia il nome di Papireto (Pipîritu). Il chiaris- simo nostro concittadino signor Filippo Parlatore, professore di Botanica in Firenze, in una sua Memoria presentata all'Accademia delle Scienze di Parigi nell'adunanza del 19 gennaro 1852, so- stiene che il papiro siciliano, di cui diamo la figura con una pan- nocchia a, differisce dal vero papiro egiziano, e costituisce un’al- tra specie. Non è del nostro proposito occuparci di tal quistione, Ricordiamo solo che il signor Saverio Landolina, siracusano, è stato il primo che abbia verso la fine dello scorso secolo fabbricato col papiro siculo una carta, che corse allora per tutta Europa, e fu riguardata dalle persone intelligenti come buonissima ed anche superiore a quella che gli Antichi ottenevano dal papiro egiziano. Tav. V. Cannuccia da scrivere o erianto (ecrianthus Ravennace). Que- sta pianta cresce anche in Sicilia in luoghi marittimi verso il lato settentrionale ed orientale, così in Olivieri, Melazzo, Spadafora e Catania. Tav. VI. Issopo orientale (hyssopus orientalis). Tav. VII. Mandragora (mandragora vernalis). Tav. VIII. Galbano (ferula galbanifera). Tav. IX. Tribolo degli Antichi, oggidì chiamato, fagonia arabica, perchè cresce spontaneo nell’Arabia. 486 Tav. X. Palma (phoenix daclylifera). | Tav. XI. Borasso a ventaglio (borassus flabelliformis), da cui si ot- tiene il bdellio degli Antichi; a piccolo frutto, Tav. XII. Fico d’Adamo o banano del paradiso (musa paradisiaca); a spadice carico di frutti, © cuore o finimento dello spadice, co- perto da un gran numero di spate, le quali aprendosi lasciano ciascuna allo scoperto un verticillo di fiori. 1, Giovane banano, a foglia accartocciata. Questa bella pianta frultifica in Sicilia in piena terra : in Palermo però nell’inverno vuol essere coperta con una stoia o incannala. Tav. XII. Estremità d’un ramoscello del cinnamomo o albero della cannella (cinnamomum zeylanicum). Tav. XIV. Parte superiore dell’ alcanna o cipro degli Antichi (faw- sonia inermis), a fiore, b frutto. Tav. XV. Pezzo d’un ramoscello dell’acacia o sethim della Scrittura (acacia vera); a contorno del suo legume. Questa pianta fruttifica in piena terra nel nostro Orto botanico. Tav. XVI. Ramoscelli a foglie quinate e ternate del balsamino (dal- samodendron gileodense), da cui per incisione sgocciola il vero balsamo orientale : V'opobalsamo di Forskal e la balsamea della Mecca di Gleditseh non ne sono che semplici varietà. Tav. XVII. Ramoscello dell’alberetto della mirra (balsamodendron Myrra). Tav. XVIII. Ramoscello dell’alberetto che fornisce l'incenso di prima qualità (balsamodendron Kafal). Tav. XIX. Quercia chermes (quercus coccifera). Tav. XX. Larice o cedro del Libano (larix cedrus). 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