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II
MEDICO-FAUIUCEUTICA
FLORA
MEDICO-FIRMA CEUTICA
COMPILATA
DAL DOTTORE IN MEDICINA E CHIRURGIA
FELICE CASSONE
TOMO QUARTO
— ***9m— - LIBRARY
NEW YORK
BOTANJCAL
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TORINO
TIPOGRAFIA DI GIUSEPPE CASSONE
4 850
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FAMIGLIA 39MA
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CINAROGEFALE
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Famiglia di piante cotiledoni monopetale , la di cui fruttifi-
cazione consta di fiori ora tutti flosculosi, ora tutti ermafroditi ,
o di rado femminei mescolati tra gli ermafroditi. Il calice co-
mune consta di più pezzi o squame spinose o muricate, dispo-
sti su diversi ordini e che si ricoprono a guisa delle tegole dei
letti. Il ricettacolo comune viene coperto da peli , ovvero, come
accade più spesso, da pagliuzze. I flosculi neutri , spesso irrego-
lari, gli ermafroditi divisi in cinque parti regolari pcntandri ,
con uno stimma semplice o bifido , d'ordinario articolato uni-
tamente allo stilo. I semi vanno muniti di un pappo sessile,
semplice o piumoso. Le piante di questa famiglia portano un
fusto erbaceo , ma qualche rara volta anche legnoso. Le loro
foglie sono alterne, spinose, ovvero anche inermi. I fiori va-
riano nei lori colori e per lo più nascono alla estremità dei fu-
sti o dei rami.
Yentenat comprende in questa famiglia, che è la IIa della
Xa classe del suo Tableau du rèync vegetai, veiilidue generi che
divide in tre sezioni.
6
i° Le cinarocefale cere aventi il loro calice guarnito di sca-
glie spinose. In questa si annoverano i generi Atraciglis, Cnicus,
Carthamus, Carlina Berardia , Cygnara , Cnopordors , Carduces,
Virhim Arditmi, Crocodilium, Calcitrapa, Feridia.
2° Le vere cinarocefale colle squame del calice inermi, Ia-
cea, Cyanus, Zoegea, Rhaponticum, Centmrea, Ferratula.
3° Le cinarocefale anomale aventi i calici uniti, ovvero rac-
chiudenti pochi fiori aggregati, Gundelia, Echinops Sphaeranthus,
Tpcrtdma ^Ùza&zde/?
CARLINA ACAULE
«<^3^»
Carlina acaulis, magno flore. Bauli, pin. lib. 6 — Town, class. 14 rag-
giate. — Carlina acaulis. Lmn. class. 19, Singeuisia poligamia eguale — Juss.
class. 10, ord. 2 cinarocef^'e. Poiret, fior. raeJ. toni. 2, lab. '9S.
La carlina è un farmaco di antichissima rinomanza. Essa
deve tale denominazione alla sua proprietà allessifarmaca ,
rivelata, giusta uno editore mitologo , da un angelo a Carlo
Magno , per cui seppe preservare non solo , ma guarire anche
una gran parte della sua armata attaccata da terribile pestilenza.
Amministrato però da mani profane e volgari, la carlina me-
rita appena d'essere annoverata fra le piante medicamentose.
Questa pianta vivace, amante dei climi caldi, e dei luoghi
elevati, rinviensi nelle montagne d'Italia, della Svizzera, della
Provenza e di molte al Ire parti d'Europa. La sua radice grossa,
oblunga, subfusiforme, munita di alcune fibre sparse, rosse
esternamente, bianco-giallognole internamente, penetra net
suolo alla profondità di otto a dieci pollici. Le foglie partono
immediatamente dalla radice , appoggiate sul suolo a mo' di
rosa, della lunghezz di due piedi circa, e sono semplici, den-
tate, spinose sul loro margine, laciniate e quasi alate. Il fiore
che parte immediatamente dal centro del ciuffo o rosa costi-
tuita dalle foglie radicali , è sessile e rimarchevole, sia per la
larghezza sua che è di quattro pollici all'incirca, sia per la sua
posizione; solitario al centro della rosetta suddetta, presenta un
calice comune, panciuto, composto di scaglie radianti, minute,
acute, di cui le interne lunghissime, lanceolate, leggermente
porporine verso la loro base, bianche superiormente, imitano
una corona raggiante , mentre le esterne sono corte e spinose.
La corolla è formata di flosculi, tutti ermafroditi, tubatosi, fessi in
cinque parli regolari e situati sopra d'un ricettacolo grosso,
munito di scagliette e circondato dal suddetto ricettacolo co-
mune. Il fruito consiste io più grani, quasi cilindrici, coronati
da un pennacchietto cotonoso , e circondato dal calice persi-
stente.
La carlina acaule, detta dai Francesi Carline, e volgarmente
Chardousses loques, chiamasi dagli Spagnuoli Carlina, dagli
Inglesi Carline, Caroline thislle , dai Tedeschi Eberwurzel, dagli
Olandesi Everwcrlel.
La cai lina a foglie di acanto, Carlina acantifolia, Linn., 'ina
beila pianta che cresce nelle alpi marittime e nei Pirenei, fcé
sue foglie sono grandi, elegantemente tagliate, spinose , bianca-
stre e cotonose. Dal loro centro s'innalza un capoliuo grossis-
simo, composto di fiori giallastri circondati da un involucro
brillante e colorito.
Usavasi per l'addielro di sua radice, che è d'un sapore amaro Tì'.qtìantP
nauseoso e d'un odore aromatico: contiene della mucilag'me ed un >. jla-
tile coro), inaio a certa materia resinosa. Adopra\asi per ('addietro ii suo de-
colto nella cura della scabie e delle affezioni cutanee croniche, all'oggetto di
accrescere l'azione respiratoria della pelle. Gilbert in ispecie ne fa ielogii
tanto, che l'esperienza però non li seppe sino ad oggi giustificare. Dice egli
ch-j l'infusione vinosa della radice di carlina si mostiò utile nel reuma , negli
erpeti, nella scabie, nell'anoressia , nelle flottuosilà, nell'amenorrea, e nelle
febbri intermittenti e remittenti atoniche. La dose da somministrarsi sarebbe
da tre a quattro diamine infuse nell'acqua^ e più comunemente digerite nel
vino. Quando poi si amministra in soatauza, due dramme di pohere sono
sufficienti. Oggidì è poco adoperala.
Essa fa parte della teriaca, dell'orvietan , dell'essenza alessifarmaca di Stai) l
e di altre preparazioni farmaceutiche aualoghe, andate a giusto merito in
tlisuso.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
». Pis-jt.a allo iti do naturale. 2. Pisi 3 FruMc.
C 7atdm//? W//??V?
CARLINA ACAULE GOMMIFERA
Carlina acanlis gummifera, C. Bauh. pin. 380. — Chamaeleon alhus , apu-
lus purpureo flore, gumraifer, Col. part. 1, 12. — Cardus bumilior gum-
mifer, magno flore simplici, caeruleo. M. H. 3, 158. — Carlina acauli»
gommifera , Morand. His. Bot. pract. — Singenisia poligamia eguale, Limi,
class. 19. — Juss. class. 10, ord. 2 cinarocefale.
Questa specie di carlina, che cresce in alcune regioni d'Eu-
ropa, specialmente nei luoghi incolti dell'Apuli^, contiene
nella sua radice, la quale è grossa, lunga, rossa esternamente
e bianca nell'interno, non che divisa, il più delle volte, in molte
parti , le quali più o meno sono coperte di piccole fibrille o ra-
dichette, un succo lattiginoso, che al contatto dell'aria rendesi
tosto concreto e sotto forma di grumi, il quale ha molta ana-
logia colla gomma; che anzi viene raccolto dai pastori , e porta
il nome di Gomma di Camekone o Cera di cardo.
Dal collo della radice sbucciano numerose foglie, sparse
nella terra a guisa di una larga rosa d'un piede di circonferenza
circa, semplici, dentate, spinose sui loro margini, laciniate e
quasi alate, molto simili, diremo, alle foglie della carlina sovra
descritta, differenti nel colore, perchè nella gommifera sono d'un
verde chiaro, e nella frastagliatura che in questa è più fina e mag-
giormente ricciuta ; fra mezzo a questo spunta un fiore solitario,
sessile , composto come quello della precedente specie di flo-
sculi circondati da un involucro composto di scaglie radianti,
lucenti e d'un leggiero colore di porpora; simile in tutto al fiore
della precedente specie, tranne nel colore e nella grandezza,
essendo i fiori della specie in discorso meno larghi. I semi sono
oblunghi , cinerei e lucenti.
Questa pianta che gli antichi la consideravano come emauagoga antispa-
smodica, diaforetica, a peri ti va, diuretica, ariti verminosa, non è più adoprala
in medicina, e pochi trattati di materia medica ne tanno oggidì menzione-
Forse tutte queste proprietà non furono comprovate, e mandossi perciò in olì •
blio. A parere nostro le sue virtù non possono differire da quelle della sopra
descritta specie.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
-*§§&$s-
i. Carlina acaule gummifera. a. Fiore. 3. Semi.
3
CARLINA VOLGARE 0 CAULIFERA
Carlina caulifera. Bauh. 64. — Ciarlio» sive letica cantila. Dod. pag. 727.
Carlina caulescens flore magno, albicatile. G. Batib. pia. 380- — Carliua
vulgaris, caulem emitlens. Col. - Carlina elatior. Lob. — Cbamaeleon vulgaris
albus. Clus. Hist. — Carlina caulifera Moraud. Hist. Bot. Pract. — Singe-
uisia poligamia eguale. Linn. class. 19. Juss. class. 10, ord. 2 cinarocelale.
Questa specie di carlina, che cresce in molti luoghi mon-
tuosi d'Europa ha una radice grossa, quasi fusiforme, e munita
nel tratto di sua lunghezza di piccole radichetle. Dal collo di
questa radice sbucciano molte foglie radicali che serpeggiano su
terra a guisa delle foglie della sopra descritta specie, e pure a
mo' d'una larga rosa: ma frammezzo a queste s'eleva uno stelo
munito di foglie e portante un fiore solitario. Le foglie lungo
lo stelo sono opposte, ed abbracciacauli inferiormente ; nella
forma sono quasi simili alle foglie della carlina acaule : diresti
solo , che la differenza di queste specie consiste nell'avere una
il caule , l'altra esserne mancante. Lo stesso dicasi del fiore il
quale non differisce da quello della suindicata specie, tranne
che è un po' più piccolo e meno ampio.
La carlina a foglie di acanto (carlina acanthifolia) , Ridi.
bot. med. tom. 1, pag. 371, è pure una specie di carlina, che
costituisce una bella pianta, che cresce nelle alpi marittime e
nei Pirenei, che le sue foglie sono grandi, elegantemente tagliate,
spinose, biancastre e cotonose. Dal loro centro s'innalza un
capolino grossissimo, composto di fiori giallastri, circondati da un
involucro brillante e colorilo ; questa pianta è stata preconiz-
zata nelle malattie pestilenziali ; ma oggidì andò in disuso , od
almeno non le si attribuiscono altre virtù , tranne quelle, che
godono le altre specie di carlina.
Alla carlina volgare o caulifera erano pure attribuite tutte le virtù da noi
accennate, parlando della carlina gommifera. Di più, questa specieera risguar-
data dagli antichi, quasi come uno specifico contro l'erpete, ed altre affe-
zioni cutanee. Il suo decollo eia commendato specialmente nella cura dei morbi
ipocondriaci, e coll'aggiunla della radice di piretro era preconizzato efficace
rimedio nella paralisi della lingua.
SPIEGAZIO^E DELLA TAVOLA
ii Carlina volgare aulifera. a. Un flosculo. 3. Fruito;
m
J M 1 ni ^» ,JL il
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l. Stelo di bardana maggiore 2. Radice. 3. Fiore intiero. 4. Corolla aperta.
5. Stami ingrossati. 6. Involucro taglialo longitudinalmente.
a
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17
BARDANA MINORE
Xantbium sive lappa minor. Bauli. 3, 372. — Alatili. — Lob obs 319.
— Lappa minor, »ive xantium. Diose- 198. — Bardana minor. Ger. Emac.
xantium sive bardana minor. Park. 1223. — Linn. singenisia poligamia eguale
class. 19- — Juss. class. IO, Cinarocefale. — Morand. Sliit. bot. pract. pag-
125 , lab. 61, 6g. 10.
Questa rustichissima pianta che cresce nei luoghi incolti ,
lungo le rive delle strade, e sui margini incolti di molte regioni
d'Europa, ha una radice piuttosto piccola e fusiforme, munita
però di molte Abiette o radichetle : essa dà origine ad uno stelo
grosso, aspro nella sua superficie, d'un colore verde chiaro, e
screziato di quando in quando da macchie rosse o rossigne ,
alto quattro o cinque piedi, ed alle volte anche di più, massime
se cresce in buon terreno: esso è ramoso, specialmente nella sua
estremità superiore. Le sue foglie sono alterne, portate da lun-
ghi peduncoli del colore stesso dello stelo, larghissime, con
grossi nervi, e velose nella superficie inferiore, d'un colore
verde oscuro nella superiore, e profondamente sinuose nei loro
margini. I fiori, a guisa di teste rotonde, sono muniti d'un in-
volucro imbricato di scaglie terminate ad uncino ; e tutti i fio-
sculi sono ermafroditi , gonfi alla sommità e terminali da cin-
que denti. Gli stami in numero di cinque sono riuniti dalle loro
antere. L'ovario è aderente e sormontato da uno stilo a due
stimmi. I frutti disposti a tre o a quattro nelle ascelle delle fo-
glie sono coronati non da piumette, come quelli della bardana
maggiore , ma da piccole spine che aderiscono facilmente a
qualsiasi corpo che loro venghi a contatto.
La bardana minore dicesi anche lappa minore o giugolare,
perchè anticamente essa era tenuta come specifico nei mali di
gola, applicata sotto forma di cataplasma.
Tom. IV. 2
48
Le foglie flella bardana minore, unica parte che per l'addietro s"adoprass«
in medicina, hanno un sapore amaro aromatico; il loro sugo amministravasi
specialmente nelle affezioni cutanee: e se dobbiamo prestar fede ad alcuni
autori, spiega una possente efficacia contro la lebbra. Le foglie contuse poi
applicavansi sui tumori stillinosi sotto forma di cataplasma. Queste lurono pure
raccomandate per promuovere la diuresi e prescriveva usi spesso nelle malattie
croniche della pelle e nelle malattie veneree sotto lo scopo di depurare il
sangue. Gli effetti però, sembra che non abbiano corrisposto alle mire dei
curanti, poiché i pratici ne abbandonarono l'uso; ed oggidì anche questa pianta
andò in obblio insieme a tante altre, a cui gli antichi attribuivano laute virlù.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Bardana minore. ». Fiore. 3. Frutto intiero. 4. Se»*,
2>06
Crfatérfk
Tattica/
19
CARDO MARIA
CarJuus alim maculis uotatus vulgaris. Bauli pin. lib. 10, sect- 6. — Tonni
dass. 12 flosculose. — Carduus maiiauus. Limi, class. 19, singenisia poligamia
eguale. Juss. class. 10, old. 2 Cinarocefale. — Rich. hot. roed. toni. 1, pag.
363. — Poiret. Fior. med. tom. 2, tab. 3.
Sotto il nome di cardo si distinguono volgarmente una folla
di piante che non hanno alcun rapporto fra loro, se non che
per le numerose punte di cui sono armate ; ma i botanici lo
ristrinsero ad un genere della famiglia cinarocefale o carduacee
sovra descritta, genere riconoscibile pei suoi capolini circon-
dati da un involucro formato di squamine embricate e spinose
nella loro sommità, pei suoi flosculi tutti eguali, ermafroditi e
fertili; pel suo ricettacolo fornito di setale;edaullimo, pei suoi
frutti coronati da certa piumetta sessile e pelosa. Tutte le spe-
cie appartenenti a questo genere sono piante erbacee di foglie
profondamente sinuose ed ornate di spine. I botanici moderni
però ne estrassero la specie di piumette pelose per comporne
il genere Cnicus. Parleremo delle principali specie , ossia di
quelle usate nella medicina.
Il cardo maria, comunissimo in Italia, in Francia, in Inghil-
terra e nell'Àlemagna, è una pianta annua, che cresce abbon-
dantemente nei luoghi incolti e sui margini delle strade. La sua
radice è lunga, grossa, cilindrica e fibrosa. 11 suo stelo fermo,
ritto, striato, ramoso, elevasi ordinariamente all'altezza di due
o tre piedi. Le sue foglie sono grandi, verdi coi nervi bianchi,
sinuose, spinose e segnate di macchie bianche variamente con-
siderabili: le radicali sono pinnatifide, peziolate ; quelle dello
stelo alterne, oblunghe, acute, ed abbracciacauli alla loro base.
20
I fiori sono porporini, solitari alla sommità dello stelo e dei
rami , e muniti d'un calice comune od involucro assai grosso ,
rotondo, con squame che sono spinose nei loro orli e terminate
da lunga punta acuta. I semiflosculi sono tutti ermafroditi; cia-
scun d'essi è tubuloso , a cinque strette divisioni : gli slami in
numero di cinque sono riuniti dalle antere. Il frutto consiste in
più grani ovoidei, angolosi, lisci, coronati da una piumetta
semplice, sessile, lunga e rinchiusi in un calice comune. Fio-
risce dal mese di giugno sino a tutto settembre.
Il Cardo maria, detto anche Cardo del latte, chiamasi dai Fran-
cesi Chardon marie e volgarmente Chardon argentò, Chardon de
notre dame, dagli Spagnuoli Cardo mariano, Cardo lechero , dagli
Inglesi Milkthistle, Ladiei thistel, dai Tedeschi Mariendistel, Fra-
vendistel, Milchdistel, dagli Olandesi Lieve vrouwen distel, dai
Russi fFoltschelz kudrjawoi, dai Polacchi Osiropest, Podgorzai
Le foglie e la radice del cardo maria sono amare, e vuoisi che la loro
decozione sia tonica e sudorifera II suco spremuto da cotesto sue parli fresche,
venne per lo addietro suggerito contro in6uite malattie, quali sono la itteri-
zia, le idropisie ed il reumatismo crouico ; si commendarono anche altamente
le sue proprietà entipleuretiche ed antietiche; ma Griller, a cui dobbiamo
una monografia molto stimata intorno a queste malattie, rigetta il cardo ma-
ria come inutile in sì latte affezioni. Secondo Mattioli il cardo maria sarebbe
un eccellente idragogo ; secondo Macquart gioverebbe molto nella leucorrea ,
e Lindano non esita di proclamare i suoi semi come sovrano rimedio nell'i-
drofobia, i quali, giusta l'opinione di Saint-Hilaire, sono sudorifici, febbri-
fugi , aperitivi e diuretici. Oggidì questa pianta, non è più usata dai medici.
In alcune contrade si mangiano le teuere foglie dopo d'averne recisi gli orli
spinosi; hanno all'incirca lo stesso sapore di quelle dei cardi.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Cardo- maria, z. Invelucro tagliato longitudinalmente,
3. Fiore intiero ed aperto. 4. Seme distaccato.
307
y7ah/f
<:i,r,^
21
CARDO BENEDETTO
Carduus benedictus. Dod. pag. 337. — Cnicus silveslris hirsutior, sive
carduus benedictus, Bauli. 378. — Carduus benedictus, Mor. Hist. Boi. pract
lab. 24. — Carduus beaedictus, Linn. — Singenesia frustanea. — Juss. Car«
duaceé, Cenarocefale. — Ricb. bot. raed. toni. 1, pag. 366.
Questa pianta, che cresce nei luoghi incolti , non che nei
campi delle contrade meridionali d'Europa, è annua ed erbacea.
La sua radice è grossa, fusiforme, e munita di piccole radi-
chetle in tutta la sua lunghezza. Da questa s'eleva uno stelo
ritto, diviso in molti rami sino dalla sua origine, a guisa che
alcuni rimangono striscianti su terra, munito di peli lanuginosi
e foltissimi, Questo, non che i rami, sono guerniti di foglie al-
terne, semi amplessicauli , allungate, che offrono delle grandi
dentellature irregolari terminate ciascuna da una piccola spina,
e coperte come lo stelo di peli lanuginosi densissimi. I fiori
formano dei capolini solitarii o terminali, accompagnali da pic-
cole foglie spinose e pungenti: essi sono piccoli, e giallognol
formati da molti flosculi lubulosi o fistolosi. A questi tengono
dietro semi oblunghi, crassi, striati, portanti alla loro sommila
una barba lunga ed alquanto rigida.
Il cardo benedetto, detto anche Cardo santo, che nello stato di
selvatichezza ha un sapore amaro intenso, sotto la coltura lo
perde nella massima parte, si che serve, come tutti sanno, all'uso
della cucina; anzi degenerò talmente, che molle delle sue spe-
cie si resero persino dolcine, massime se sopportarono il rigore
d'inverno. Prese inoltre, sempre mediante la coltura, maggiore
sviluppo in tutte le sue parti , e le foglie, da sottili che sono
nello stato rustico, diventarono grossissime , e costituiscono la
parte più buona a mangiarsi.
Il sapore ilei cardo benedetto, nello stato selvaggio è, come notammo, armi-
rissimo, e per la sua amarezza appunto era tenuto dagli antichi in grande
riputazione per molti morbi. Era commendatissimo nelle (ebbri periodiche,
nelle quartane in ispecie , contro le ostruzioni del fegato, della milza, e gli
afflussi della bile , sì frequentemente riconosciuti dagli antichi medici. Lo si
prescriverà spesso nelle affezioni verminose, non che per sedare le ventosità,
e promuovere le orine: anzi era risguardato come mezzo efficacissimo per
sciogliere i calcoli e dissipare i dolori dei reni di qualsivoglia specie. Lo
credevano capace di resistere ad ogni veleno, e lo teuevano quale eccellente
preservativo dei morbi pestilenziali. VaUvansi per ultimo del suo decolto
onde detergere gli ulceri ostinati e ribelli.
Oggidì è rade volte usato in medicina. La sua decozione è però ancora ado-
prata dai contadini per liberarsi dalle febbri intermittenti ; ed il più delle
volte vi riescono. Come amaro, conviene in tutti quei casi in cui sono com-
mendati gli amari semplici.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Cardo feeaedetto. a. Fiere. 3. Seme.
308
23
CARCIOFO
Ciuaria horteusis. Bauh. più. lib. IO, sect. 6 — Toutu. class. 12. Fio
sculose. — Cyuara scolimus. Lino, class. 19, singenisia poligamia eguale. —
Juss. class. 10, ord. 2, Cinarocefale. — Poiret. Fior. nied. Ioni tab. 46. —
Ricb. Bot. med. lom. 1, pag. 369.
La pianta, che ci facciamo a descrivere, serve piuttosto alla
tavola che alla medicina. Checche abbiano scritto alcuni autori di
sue mediche proprietà, essa è conosciuta da tempi remotissimi, e
su di lei esistevano pregiudizi! molti ; in genere il suo uso era
risguardato come di cattivo nutrimento, capace di cagionare
umori melanconici, venti, di nuocere alla testa, di gravare io
stomaco e va dicendo; onde Castor Durantes:
Gt. lotium C'inora alcjue grave emendai odores
Caltacil et siccat bHis, et imlenigra est.
Carduus hortensis cui spina est mollior arie,
Cui calor est modicus, cui tnmidusqiie liquor
Et sloniacho et bimbi* sapidus, sii duxit olenlem
Uriuain, os redolet, nec sapit ala capruin.
Hunc libi jus propinque coquat, prae*tautior inde esl
Ibil et iu numero* sic venus apla suos esl.
È il carciofo od artichioco una pianta vivace originaria delle
contrade meridionali dell'Europa. La si coltiva negli orli , onde
raccogliere innanzi del totale loro allargamento le sue teste o
capitoli dei suoi fiori, di cui mangiasi il ricettacolo carnoso
volgarmente indicato col nome di porta foglia o fondo , culo di
artichioco e la base delle foglietto dell'involucro.
Nello stato di selvatichezza l'arlicbioco ha il portamento e
l'aspetto dei nostri cardi , dopo cui va a collocarsi nelle bota-
niche classificazioni. Il suo ricettacolo è poco fìtto, duro, co-
n
riaceo. Lo sviluppo considerabile che attinsero le varie parti di
tal pianta , specialmente il suo ricettacolo per foggia da farlo
ricercare quale alimento va per intiero attribuito alla sua col-
tivazione.
La radice di questa pianta vivace, è grossa, lunga, ferma,
fusiforme. Lo stelo ritto , grosso, canaliculato, cotonoso, munito
di più rami, elevasi all'altezza di due a tre piedi. Le sue foglie
sono alterne, grandissime, armate di spine, che però la col-
tura le fece sparire, profondamente frastagliate, quasi alate, d'un
verde cinereo nella superficie superiore, biancastre e tomentose
nella inferiore. I fiori, disposti a mo' di teste, voluminosi , ter-
minali , e spesso solitarii , presentano : un calice comune gran-
dissimo, vuoto, formato di scaglie numerose, imbricate, car-
nose alla loro base, ed acute alla loro sommità; una quantità
considerevolissima di flosculi tubolosi, quinquefidi, regolari,
tutti ermafroditi, irritabili, circondati dal calice e situati su
d'un ricettacolo comune carnoso , e tappezzato da peli setosi.
Il frutto consiste in più grani ovali-oblunghi, quasi tetragoni,
coronati da una piumetta sessile.
Il carcioffb chiamasi dai Francesi Artichaut, Artichaud, Arti-
chaux, dagli Spagnuoli Alcachofa, Cardo alcqchofero, dagli In-
glesi Artichoke, dai Tedeschi Arlichocke, dagli Olandesi Arti-
schock, Arlisjon, dai Polacchi Carcioch, Karciof, Carczoch.
Nello stato di selvatichezza l'artichioco ha il portamento o l'aspetto dei
«ostri cardi , e lo sviluppo considerevole che attinsero le varie parti di tal
pianta, specialmente il suo ricettacolo, per loggia da farlo ricercare quale
alimento, va per intiero attribuito alla sua coltivazione Poco usasi in me-
dicina, sicché vuol essere piuttosto considerato sotto l'aspeMo d'alimento che
«li medicamento. Anticamente si raccomandava il suco della radice, che ha
sapore aspro ed amaro , mescolato con parte eguale di vino generoso , come
possente diuretico. Ed era opinione degli antichi, fra"' quali di Galeno, che
generasse succhi biliosi e melanconici , e che valesse anche a stimolare gli
organi gentili e gli uropojetici: di presente non si adopra più come medi-
tomento, ma lo si usa per l'opposto assai di frequente q'iale alimento.
25
Il carcioffo pel fatto, ossia le sue teste, bollito o cotto nell'acqua, ha sa-
pore piacevolissimo ed è facile a digerirsi; sicché puossi permetterne aDche
l'uso ai coovalesceuti il cui stomaco riesce per anco debole. Mangiatisi anche
i carciofli crudi, ma a tal uopo conviene usare l'avvertenza di sceglierli per
anco piccoli e tenerissimi, onde risultino di facile digestione, da che più
tardi, ossia quando si colgano per cuocerli, hanno sapore piuttosto amaro,
spiacevolissimo, il quale però sperdesi di leggieri colla cozione.
L'infusione dei fiori di calcinili nell'acqua fredda, a cui s'aggiunga un po' di
sale, vale, secondo Poiret, a fare coagulare il latte, e pretende che gli arabi
ed i Mauri si valgano di tal metro per fare i loro eacii.
Willich dice che il carcioffo usasi vantaggiosamente nella fabbricazione
della soda, e che le foglie preparate col bismuto compartiscono alla lana un
colore d'oro fino di molta durata.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. l'iaul» di carciofo con foglie. 2. Fiore distaccato dall'interno del calice comune.
3. Flutto maturo privo detla sua piumetta.
26
GENTAUREA MAGGIORE
Cenlaurium majus folio in lacinia* plures diviso Baoh. più. lib. 3, sect. £
Tourn. class. 12, flosculose - Centaurea centauiium Lino, class. 19- Sin-1
penisia poligamia fiaslaoea. — Juss. class, ord. 2 , inarocelale. — Poiiet
Fior. med. tnm. 2, tab. 106 Rich. boi. med. tom. 1, pag. 375.
Le centauree costituiscono un genere di piante a fiori com-
posti o sinanterici che si riconosce e si distingue facilmente
dagli altri generi di questa famiglia, atteso i flosculi esterni de/
suoi capolini che sono assai più grandi , più aperti , ed affatto
neutri. Contiene questo genere molte specie delle quali daremo
a conoscere le principali.
La centaurea maggiore, che vuoisi dire d'un tal nome deco-
rata , perchè il centauro Chirone si guarì con detta pianta la
ferita ricevuta nel piede da una fleccia d'Ercole , è una pianta
vivace e d'un bell'aspetto , che cresce sulle montagne elevate
di molte parti d'Europa, in ispecie della Spagna e d'Italia. La
sua radice è voluminosa , lunga circa tre piedi , succolenta ,
bruna esternamente e rossa nella sua parte interna. Il suo stelo
si mostra alto tre o quattro piedi , ramoso , cilindrico, liscio. Le
sue foglie sono alterne , ampie , alate, con una impari , verdi ,
liscie, a fogliole oblunghe, dentate ed alquanto scorrenti sul
loro comune picciuolo. L'estremità di ciascun ramoscello porta
un fiore grosso, globoso, porporeo , che presenta un calice co-
mune, sferoide, composto di scaglie liscie, ovali, convesse ed
intiere; una corolla flosculosa, formata di numerosi flosculi
tubulosi, quinquefidi, de' quali però, solo quei del centro i
sono ermafroditi, mentre sterili sono quelli della circonferenza ;
ed il ricettacolo che sostiene questi flosculi è tutto tappezzato d*
7^7i^i^>la// ^//c&aa-t
peli setosi. I frutti consistono in più grani ovoidei, lisci, coro-
nati da una piumetta sessile e circondati dal calice comune.
La centaura maggiore chiamasi dai Francesi Centauree, dagli
Inglesi Centaury , dai Tedeschi Grosstausen guel den kraut, dagli
Olandesi Centaurie , Santone.
Gli antichi tenevano in gran conto la centaura e la predicavano dotata di
molte medicinali virtù ; usavasi specialmente la sua radice che è molto amara ;
ed il suo decotto reputavasi tonico e sudorifero, non che un energico febbri-
fugo. Cratone l'amministrava nelle ostruzioni viscerali e Camerario nelle affe-
zioni cachetiche. Essa era uno dei vegetali componenti la polvere antiartritica del
Principe di Mirandola. Oggidì però andò in totale obblio, ed al più è ripu-
tata uu semplice amaro indigeno, capace però di sostituire qualunque amaro
di estera provenienza, di cui sono zeppi gli scalali dei nostri farmacisti.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Centaura maggiore. ». Fiore sterile. 3. Fiore ermafrodite. 4. Fraito.
28
RAPONTICO CAPITATO
Centauriura majin, folio Enulae, suhtus hirsulo et incano. F. B. 3. 4Ì.
Rhapouticiim, folio helenii iucano. C. B. P. 117. — Rhap. capilatum, hele-
nii folio. Lugli. 1700. Rhap. Do«l [>ag. 389. — Centaurium majiis folio hele-
nii incano Murami- Hist. piaci, hot. lab. 25 fig. 2- — Singeriesia poligamia
fruslanea Lini). - Juss. class. 10, ord. 2 Cioarocefale-
Questa pianta, che viene pure sotto il nome di Cenlaurd
maggiore, cresce lungo le ripe di molli fiumi d'Europa, special-
mente d'Italia. La sua radice è simile a quella del Rabarbaro ,
cioè lunga, grossa e fusiforme, non che munita di molle radi—
chette ; essa è bruna esternamente e rossastra nell'interno. Dal
collo della radice sbucciano molte foglie radicali, grandissime,
d'una forma ovale oblunga , leggermente frastagliate e dentale
sui margini, portanti grossi nervi nella superficie inferiore, la
quale trovasi pure tutta coperta d'una finissima lanugine che
compartisce ad essi un aspetto biancastro, mentre nella superficie
superiore mostransi d'un colore verde oscuro : esse sono soste-
nute da grossi picciuoli , coperti pure nella loro parte inferiore
della slessa lanugine; frammezzo a queste sbuccia lo stelo che tosto
dividesi in più rami, lutti portanti foglie disposte alternativa-
mente, più piccole delle radicali, e con una forma più ovale;
Ciascun ramo in cui dividesi lo stelo , termina con un fiore
solitario, globoso , porporino: questo è composto di un calice
comune sferoide; di scaglie liscie, ovali, convesse ed in-
tiere ; d'una corolla flosculosa , formata di più fosculi fistolosi,
del colore, come già dissimo, di porpora, divisi nel loro lembo
in cinque parti; ed il ricettacolo che sostiene questi flosculi è
pure tappezzalo come quello della cenlaura maggiore da lun-
310.
C,.
^//////^r ' /?//&/&'
311
29
ghi peli setosi. I fruiti consistono in grani ovoidei lisci, coro-
nati da una piumetta sessile e circondati da un calice comune.
Havvi pure un'altra specie di Rapontico, detto anche Cen-
taura maggiore (Rhapuntichurn, angustifolium, incanutii, Bauh. Pin.
\ 1 7. — Centaurum majus folio helenii angustiore. Morand. loc.
citJ, che differisce solo dalla specie sovradescritla nelle foglie,
le quali mostransi più strette che nella precedente, come puossi
osservare nella tavola 311.
Queste due piante furono pure tenute in gran conio d;igli antichi che loro
attribuivano proprietà diverse; le quali però non buono comprovate dai pra-
tici moderni, essendo che le mandarono io obblio. Dotate ambedue d'un prin-
cipio amaro, come lo è la centauro maggiore, può convenire in lutti quei
casi in cui questa è commendata.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
E9@4B
i. Rapontico capitato, a. fiore. 3. Frutta.
30
CARTAMO
Cnicus sativus, sìve carlhamum officinarum, Bauli, pio, lib. 10, sect. 6. *—
Carthamus officiuarum , Tourn. cla*s. 12, flosculose. — Cartbainus tiuctorius,
Linn. class. 19, Sitigenesia poligamia eguale. — Juss. class. 10, ord. 2. —
Cinarocefale, Poirel fior. tued. loro. 2, lab- 101. — Ricb. Boi. med. toni. 1
pag. 362.
Il genere Cartamo si distingue specialmente per le fogliette
esterne del suo involucro , assai convesse alla loro base , avente
la loro parte superiore fogliacea dispiegata e talvolta orlala di
piccole spine.
Il cartamo dei tintori è originario dell'Oriente, specialmente
dell'Egitto, ma è coltivato in molte parti d'Europa, massime in
Francia ed in Germania, a cagione dei suoi fiori che forniscono
un principio colorante molto impiegato nelle arti. La sua radice
è fusiforme, munita di varie radichette, ed impiantata piuttosto
orizzontalmente nella terra. Il suo stelo è eretto, cilindrico,
duro, liscio, fogliaceo, alto ordinariamente da uno a due piedi.
Le sue foglie sono alterne, sessili, ampie, intiere, venose, ovali
acute, denticolate, e liscie tanto nella superficie superiore che
nell'inferiore. I suoi fiori sono riuniti in capolini terminali e so-
litari'! , d'un bel colore rosso di zafferano. Ciascuno d'essi pre-
senta un calice comune, ovale, imbricato di scaglie fogliacee
appendicolari, di cui le estremità ne sono armate di spine la-
terali e terminali ; di flosculi tulli ermafroditi , grandi , formali
di una corolla tubulosa esile e non gonfiata alla parte supe-
riore, che offre un lembo a cinque divisioni uguali, lanceolate e
ristrette. 11 frutto consiste in più semi ovoidei, allungati, lu-
centi e privi di piumetta , cioè nudi alla sommità.
>-/////'
31
Il cariamo, detto anche Croco Ortense, Zafferano Saracinesco
chiamasi dai Francesi Carlhame, Safran batard, dagli Spagnuoli
Alazon, Azaefran vomì , dagli Inglesi Safflower, Bartard saffran,
Dyeris safflower, dai Tedeschi Saflor wilder safran, Graten safran,
dagli Olandesi Wilde saffran , Bastard saffran, dagli Svezzesi
Safflae.
Il cartamo lanuginoso (Carthamus lanatus, Linn.J S'eleva al-
l'altezza stessa del precedente. Il suo stelo è parimenti ritto, ci-
lindrico, duro e ramoso alla sua sommità; inoltre esso è lanu-
ginoso specialmente fra le brattee , ove i peli sembrano stelle
d'argento. L'amarezza che caratterizza questa pianta, soprattutto
la sua estremità quando è in fioritura, la fece adoprare pure in
medicina, sotto la denominazione di Cardo benedetto parigino.
I Francesi chiamano il cartamo lanuginoso Chartame laineux
o Chardon bèni Parisien, Chardon o Quenouille. Gli Inglesi Distaff
Thislle.
Il cartamo è poco o nulla adoprato in medicina. Anticamente usavansi i
suoi semi collo scopo di purgare: e li troviamo specialmente raccomandati da
Dioscoride nella cura delle idropi. Oggidì sono mandati in oblio, ed il car-
tamo non suolsi più considerare che sotto l'aspetto dell'utilità grande che ha
esso nelle arti, soprattutto nell'arte tintoria.
Diffatti, i suoi flosculi, che, come dissimo, hanno un colore gialfo aureo o
di zafferano, sono impiegati per tingere in giallo; il loro odore non è spia-
cevole, ed ha un apparente somigliante al croco; «la ciò presero in com-
mercio il nome di soffrano bastardo o di soffrano d1 Allemagna.
Si trovano talvolta uniti al croco, ma è facile riconoscerne la frode; poi-
ché il vero croco non è formalo di tubi, ma di filetti piani, che sono
gli stili e gli stigmi d'un Core della famiglia delle iridee, come avremo occa-
sione di osservare, e che si distinguono inoltre per un sapore particolare ed
un colore molto più vivo.
Dufour diede negli anuali di chimica, tom. 18, pag. 283, la seguente aua-
lisi di chimica dei fiori di cartamo.
1. Acqua 0, 062.
2 Residui della pianta .'.'.'' Oj 034.
3. Albumina vegetale . • . 0, 053.
h. Estratto solubile nell'acqua . 0, 261.
K. Estrattivo .... 0, 042.
6. Resina 0, 003.
o,
009.
o,
005.
o,
496.
0,
005.
0,
002.
o,
012.
Zi
7. Cera i la sua erba tresca e le sue sommità fiorite, e le
loro proprietà attive sembrano dipendere da un olio volatile, che secondo
Baume è d'un verde mollo carico, poco fluido, e da una materia animala-
zata particolare di sapore amarissiuio die Ivuusinuller crede esseie di naturi
resinosa.
Parli 600 della pianta recente analizzala da Bracoiiolle di Nancy diedero
i seguenti risultati.
Acqua ......
Fibra legnosa .....
Olio volatile di un verde oscuro
Materia resinosa verde
Albumina .....
Fecola particolare ....
Nitrato di potassa . . . ,
Materia resinosa estremamente amara.
Materia a ni (palizzata poco sapida
Materia animalizzata amatissima
Avvizialo di potassa
Solialo 0 muriate di potassa
Totale
L'assenzio fu sempre creduto un medicamento assai energico, touico e sti-
molante: quindi commendato in molte malattie, specialmente nella dispessia
o difficile digestione; nelle febbri intermittenti, nell'anasarca, nell'itterizia e
nelle malattie verminose. Noi riferimmo quanto scrisse a tale riguardo Ri-
chard, come quegli che sembra avere apprezzato più scienlificameule l'agire
del farmaco iu discorso.
Ogni qual volta si somministri l'assenzio o taluna delle sue preparazioni ,
determinasi nello stomaco un senso di calore; le funzioni di quest'organo ne
sentono presto l'influenza, e si eseguiscono con maggior forza e regolarità.
Ma siffatta azione non si limita a codeslo (unto e si comunica di botto
a tutto l'organismo. Circola il saugue coli maggiore prestezza, le secrezioni
diventano più abbondanti, eccitatisi in fine generalmente tutte le funzioni.
Tale eccitamento universale risulta in ispecialità sensibile, qualora abbiasi
prescritta certa preparazione, la quale contenga inoltre dell'olio essenziale
della pianta, come sarebbe la sua infusione, la sua acqua distillata e simili,
mentre codesti feumneiii si limitano allo stomaco, ladduve siasi impiegalo un
preparato privo di lai principio stimolatile, quali sono ad esempio il decollo
della pianta ed il suo estratto.
Ponendo mente ai fenomeni fisiologici cagionati dall'amministrazione del-
488,
7.
65,
0.
0,
9.
o.
o.
7,
5.
1,
0.
2,
0.
1,
4.
8,
0.
18,
0.
5,
5.
1,
1.
600
l'assenzio, torna agevole prevedere i casi, nei quali [>uò giovare il suo uso :
sarà l'assenzio preso ori molto buon esito , pssenrlo esso uno elei nostri mi-
gliori stomacici», laddove si tratti ad esempio ili rianimare l'azione infralita
dello stomaco a motivo di malattie croniche e lente.
Né apporta esso miDor profitto nelle leucoree croniche, che sì spesso lor-
meulano le donne nelle grandi città: nell'amenorrea, la quale ricouosce per
sua origine la debolezza ed il rilassamento dell'utero, di cui rianima essa la
circolatone e ridesta le funzioni
Si suggerì l'assenzio nelle febbri intermittenti, onde fermarne gli accessi; in
tal caso la sua amministrazione, può però avere un esito felice quanto ogni
altro medicamento amaro.
Adopravasi pine spesso l'assenzio ed i suoi preparati per distruggere i vermi
che nascono nelle \ie digerenti; volendo ottenere questo effetto la di mestieri
usare quei preparati nei quali si rinviene il suo olio essenziale: Culleu Ber-
gius, e Gleditck gli attribuirono eziandio la proprietà narcotica
Si dà l'assenzio in varie maniere, cioè: in infusione alla dose di mezza fin
un'oncia per ogui libbra d'acqua; in decotto da una a due oncie fatto con
una libbra di liquido, in polvere da uno a due scrupoli ; infuso nel vino
bianco, uella quantità di una in due oncie per caduna libbra di vino, costi-
tuisce così il vino d'assenzio, che è il suo preparato maggiormeute usato, eia
cui presa varia dalle due alle quattro oncie, assunto un quarto di ora iunauii
di pranzare, laddove vogliasi soltanto eccitare lo stomaco: nel mattino, o per
lo mintbium tenuifolium, Dud.
pag. 24. — Ahsinthium ponticum album, Eyst. — Absinlhium Galatium
sardonium, Diosc — Ponticum vulgare med. hist. hot. pract. tom. 22, Gg.6.
— Ahsinthium ponticum. Lino, class. 19- Singenisia poligamia superflua. —
Juss. class. 10, ord 3 Corimbifere.
Questa specie di assenzio, che cresce parimenti spontaneo
nei luoghi incolti di molte parli d'Europa , e che al pari della
precedente specie alligna di preferenza sotto i climi freddi, col-
tivasi in molli giardini d'Italia e di Francia; essendo che oltre
all'amarezza che contiene in tutte le sue parti (sebbene però in
minor grado della sovra descritta specie), e che lo rende suc-
cedaneo all'assenzio maggiore in tutte le sue proprietà, esala
un odore aromatico alquanto piacevole.
Essa costituisce pure una pianta vivace : e sebbene i suoi
steli siano solo annui, non sopportando i rigori del freddo, la
sua radice non è fusiforme, ma rampante sotto terra, e lungo il
suo tragitto qua è là manda degli stoloni , da cui sorgono come
dal ceppo della radice tanti steli, a guisa che rendono sì fatta
pianta cespugliosa. Gli steli sono sottili, duri, fibrosi, alti da uno a
due piedi, amorosissimi. Questi sono coperti di foglie composte di
tre o quattro paja di fogliole terminate da una impari, le quali
sono frastagliate minutamente, quasi sino al loro nervo me-
diano, d'un colore verdognolo nella superficie superiore, verde
bianchiccio nell'inferiore. I suoi fiori sono piccoli, flosculosi, quasi
globosi , giallognoli e disposti come quelli dell'assenzio mag-
48
giore, in una specie di panieolo allungatissimo alla parte su-
periore delle ramificazioni del fusto e dei rami. I semi sono nudi,
situati nel calice su d'un ricettacolo comune. Fiorisce nell'a-
state; nell'inverno marciscono i fusti, ma ripullulano di nuovo
in primavera. Si moltiplica facilmente tagliando parte della sua
radice.
L'assenzio romano o politico viene dai medici moderni risguardato come
succedaneo e come dolalo di aualoga virtù dell'assenzio maggiore, dal quale,
come dissimo, non differisce ebe per essere meno amaro e per possedere sa-
pore aromatico.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA.
I. Astemio roniIQO O pontieri.
3/ 7.
ili
2 3 >
z5&?zes sóave^^
49
SEME SANTO.
Absiuthium sautonicum gallicum. Baub. pin. lib. 4, sect. 2. — Tourn
dass. 12, sect. 3, geo. 2. — Artemisia SaDtonica, Wild. — Lino. Singenesi»
poligamia superflua. — Juis. class. 10, ord. 2, Corimbifere. — Poiret. Fior,
«ned. torà. 6, tab. HO.
Molla è la riputazione che gode il seme santo fra gli antel-
mintici , ed estesissimo è l'uso che i medici fanno di questa so-
stanza nella cura delle affezioni verminose. Esso si compone
dei fiori non ancora sbucciati di differenti specie di artemisia,
di cui le principali sarebbero V Artemisia santonico di Wild, V Ar-
temisia contra di Linneo e l Artemisia Judaica dello stesso autore.
Batka di Praga però opina che provenghi anche da una specie
trasportata d'Oriente, e nominata Artemisia gtomerulata. Secondo
Richard inoltre, fiori d'altre artemisie odorose sarebbero mesco-
lati al seme santo del commercio. Noi descriveremo l'artemisia
santonica di Linn., e faremo parola delle due specie principali, cioè
à^X Artemisia contra e ([^W Artemisia giudaica.
L'artemisia santonica vuoisi dai più originaria della Tarla-
rla e della Persia. I suoi steli sono semi-serpeggianti, legnosi
nella loro parte inferiore , divisi in moltissimi rami , allungati ,
ritti, lunghi due o tre piedi, d'un verde biancastro, lìscii, an-
golosi. Le foglie sono alterne, d'un verde alquanto biancastro,
a frastagliature molteplici, corte, piane, lineari , sottilissime;
quelle dei rami molto più corte : e quelle che terminano i gio-
vani germogli sono biancastre e cotonose. I fiori sono disposti
in moltissimi grappoli sottili, quasi filiformi , paniculati, ricurvi,
frammischiati a foglie semplici, piccoli e lineari : essi sono com-
posti d'un calice comune, cilindrico, quasi liscio; di flosculi
Tom. IV. 4
50
numerosi, ermafroditi, lubulosi, a cinque denti ; di cinque stami;
d'un ovario sormontato da uno stilo e da due stimmi ; il loro
ricettacolo è nudo. I semi sono piccoli, nudi; esalano un odore
fragrante analogo a quello della camomilla, sebbene meno forte
e meno spiacevole.
Il Seme santo, detto anche Semenzina, Sementina, Barbotina,
Seme santonico, Seme contro, Seme di Cina, chiamasi dai Fran-
cesi Borbottine; dagli Spagnuoli Semilla santa; dai Tedeschi Uei-
liger zeyfuss, Heilige pflanze; dagli Inglesi Tatarian southern
woold, Vormseed; dagli Olandesi Severachtig Byvoet.
11 Seme santo viene da Poiret descritto sotto il nome di San-
toline, nome che gli danno anche altri autori. Lanostra santolina
però differisce non poco dalla suddescritta specie, come avremo
occasione di osservare.
Il Seme contro di Linneo, detto in commercio Seme contro
di Aleppo, di Alessandria o di Levante, cresce nelle contrade
orientali, principalmente- della Persia e nell'Asia minore. Esso
componesi di piccoli fiori non ancora sbucciati , globosi, attor-
niali ciascuno di un involucro di piccole fogliette embricate,
applicate, leggermente cigliate. Questi fiori sono mescolati coi
loro peduncoli rotti che sono corti , glabri , cilindrici, e vi si
trovano alcune piccole foglie verdi ottuse , coronate o glabre.
Il Seme contro Judaico, detto anche di Barbaria, cresce come
la precedente specie neirOriente, ma principalmente in Arabia
ed in Giudea. Componesi di peduncoli infranti , che talvolta
portano ancora alla loro estremità il calice o involucro di fiori.
I fiori propriamente detti, mancano, o sono ridotti a piccoli
bottoni globosi.
L'involucro componesi di foglie piccolissime, lineari, ottuse.
Queste diverse parti sono coperte d'una peluria biancastra , ciò
che dà al seme contra di Barbaria un aspetto particolare e for-
nisce un mezzo facile por distinguerlo da quello d'Aleppo. Esso
è d'altronde specificamente più leggiero e più colorito.
51
Il Seme santo prodotto dalla pianta sovra descritta , sebbene dotato
d'uu odore meno aromatico, tuttavia è molto amaro; possedè tutte le proprietà
medicinali delle altre specie , cioè del seme contra di Levante e del seme
contra di Barbarla ; anzi spesso viene frammisto in commercio con queste due
ultime specie, il cui uso è molto più esteso, forse per ragioni di commercio.
Il Seme santo, del pari che che tutte le altre specie suindicate, è di grande
uso in raedecina come vermifugo, soprattutto per i fanciulli, ai quali peral-
tro è difficile il farlo prendere a cagione del suo odore forte e del suo sa-
pore amaro. L'azione sua è più decisiva contro i vermi lombricoidi. Risulta
dall'esperienza di Redi e di altri ondici, che questi animali, sortiti dal corpo
umano in istalo di vita , muoiono nello spazio di sei ad otto ore se immersi
sieno in una infusione acquea di seme sauto. Questo medicamento sembra
sviluppare nelle vermificazioni un doppio modo di agire ; il suo principio
amaro cresce la tonicità dell'apparato digerente al pari del principio amaro
proprio ad altre specie di artemisie. Il principio acre ed aromatico poi
sviluppa l'azione sua specifica contro i vermi, arrecando ad essi prontamente
la morte. Questa doppia azione del seme santo lo rende presso tutti i pratici
preferibile a molti altri antelmintici, in ispecie allorquando si tratti di com-
battere le verminazioni proprie dell'infanzia e quelle che vi si sviluppano nei
soggetti deboli e cachetici.
È utilissimo l'amministrare il seme sauto unitamente a qualche evacuante
alvino; il rabarbaro è ordinariamente prescelto dai pratici. In questo caso,
nel mentre che il santouico uccide i vermi, il rimedio catartico ad esso as-
sociato ne promcve la pronta eliminazione dall'altro. Alcuni medici ad ot-
tenere questo intento somministrano il purgante il giorno dopo all'ammini-
strazione del santonico. Qualche clinico ha osservalo, che il seme santo svi-
luppa eziandio un'azione propria nell'organo della visione, che disturba la
facoltà visiva ed induce il ristringimento della pupilla. Questa osservazione ha
suggerito il pensiero di somministrare il santonico contro l'amaurosi.
Le proprietà del seme santo devonsi principalmente, giusta l'opinione di
Richard, a certo olio essenziale abbondantissimo e più pesante dell'acqua, che
trovasi concentrato in maggior copia nei capolini, che in tutte le altre parti;
e quindi siffatto medicamento risulla mollo slimolante. Il professore Bruschi
lo annovera fra i medicamenti che valgono a riordinare il perturbamento dei
moli vitali dell'apparalo digerente occasionato dalla presenza dei vermi.
Risiedendo le proprietà medicinali del farmaco in discorso nell'olio volatile,
importa dunque lo scegliere il seme santo allo stato più fresco, e conservarlo
in boccie ben chiuse.
Trovasi un'analisi del seme contra di levante eseguita da Herwy nell'ec-
cellente opera tedesca che Nees d'Esenbeck di Bonn pubblicò sovra le piante
officinali. Eccone i risultati:
1. Una materia estrattiva con un po' d'acido malico.
2. La stessa sostanza con un po' di magnesia.
3. Resina bruna amara.
h. Resina balsamica rosa.
S. Estrattivo gommoso.
52
6. Elemina.
7. Acido malico coh un po' di silice e di sostanza vegetale.
8. Legnoso.
9. Materie terrose.
Vackenroder ba pure dato un'analisi della stessa sostanza nel giornale di
Tromsdorff, 1827, fase. 2, assegnando i seguenti risultati.
1. Principio amaro
2. Sostanza bruno-resinosa amara
3. Resina balsamica verde acre ed aromatica
4. Cerina ....
5. Estrattivo gommoso .
6. Ulraina ....
7. Malato di calce e silice
8. Fibra legnosa
9. Parti terrose .
Totale
20,
25.
4,
45.
6,
65.
0,
35.
15,
50.
8,
60.
2,
00.
33,
45.
6,
75
. loo,
00.
Kakler poi, speziale a Berlino, ba trovato nel seme contra una nuova so-
stanza che egli ha trattato col seguente processo. Trattò una libbra di quel
seme coll'etere Gntantochè questo cessasse quasi affatto di colorarsi: esposta la
tintura eterea, in una storta tubulata, distillò l'etere col calore d'ana lampada
a spirito di vino ; il residuo aveva una consistenza oleaginosa.
11 giorno dopo egli trovò il fondo e le parli della storta coperta di piccoli
cristalli che fece disciogliere a caldo nell'etere, da cui si depositarono di
nuovo per raffreddamento. Evaporato a calor blando, l'etere che soprannuo-
tava ridisciolse tutti i cristalli coll'alcool caldo del peso specifico di 0, 896,
a cui a^eva aggiunto un poco d'acido idro-clorico. I cristalli furono disciolti
prima che l'alcool entrasse in ebollizione e la cristallizzazione si operò dopo che
il liquido fu rimasto abbandonato a se stesso per 24 ore ad una temperatura
di 15.
Quei cristalli sono solubili nell'etere e nell'alcool , si combinano colFacido
idro-clorico, per il quale per altro mostrano un'affinità debole; sono solu-
bili nell'ammoniaca a ealdo e quasi insolubili nell'acqua; sono quasi affatto
privi di odore e sapore; esposti ai raggi del sole si colorano in giallo; ad
un'alta temperatura bruciano con una bella fiamma.
Alms fece la stessa scoperta senza avere cognizione del lavoro di Kakler.
Egli fa conoscere in una sua memoria molte altre particolarità di questa so-
stanza. Le dissoluzioni alcooliche ed eteree hanno un sapore amaro, benché
la materia sia in se stessa insipida. Essa non è ne acida, né alcalina; forma
alla temperatura ordinaria coll'acido solforico concentrato un liquido bruuo,
cupo, da cui si precipita in grossi fiocchi per l'aggiunta dell'acqua. Si disoio-
glie ad un blando calore negli acidi idroclorico , nitrico, ed acetico, e nel-
l'olio essenziale di Terebintina. È insolubile nell'acqua, negli alcali caustici
e carbonati , e negli olii fissi ; scaldata sopra una lampada a spirito di vino
comincia fondersi, e dà un liquido bruno oleaginoso che per raffreddamento
si cangia in una massa simile al succino. Continuando a scaldarla si scom-
53
pone , lascia sprigionare dei vapori densi , e resta un poco di carbone
{Jour. de phann., févr. 1831, pag. 115).
Il teme santo si amministra solo ridotto in polvere sottilissima alle dose di
graui dieci a venti per i bambini, e di nn denaro ad una dramma per gli
adulti. Lo si fa prendere o mescolato all'acqua pura o al latte, ovvero nnito a
qualche sciroppo purgativo , come quello di rabarbaro, di Gor di pesco ecc.
Talvolta si è nella necessità di amministrare il seme santo in massa pillolare,
poiché vi sono degli individui che mal volentieri sopportano il cattivo odore
di esso. Si preparano col seme santo la confettura comodissima ad amministrarsi
ai bambini ; le pastiglie fatte col solilo metodo delle altre pastiglie medici-
nali ; la tintura alcoolica che può essere utile in molti casi ; l'estratto acqueo
il quale ritiene la virtù stomatica e l'antelmintica, perchè nella di lui
preparazione si va a perdere il principio acre volatile, e resta soltanto il ma-
teriale amaro. Finalmente il seme santo unito ad altre sostante, vermifughe e
catartiche, costituisce la base di varie polveri antelmintiche che si trovano in
diversi ricettarli.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Seme santo. 2. FIosculo isolato.
54
ARTEMISIA VOLGARE
Artemisia vulgaris major, Bauh. pin. lib. 4, sect. 2. — Tourn. class. 12,
Flosculose. — Artemisia vulgaris, Liuti, class. 19. Smgeuesia poligamia su-
perflua. — Juss. class. 10, ord. 3. Corimbifere. — Poiret. Fior. metl. tom 1
tab. 37.
La fama medica dell'Artemisia, siccome pianta emmenago-
ga, rimonta all'epoca più remota dell'arte del guarire, ed e
fondata sopra titoli tanto antichi, che molteplici, e diremo an-
che favolosi non solo , ma assurdi. Il nome però con cui questo
vegetale fu designato sembra appunto che sia riferibile alla
proprietà che esso possiede di promuovere la mestruazione ;
imperocché da alcuni filologi si pensa, che la voce Artemisia
derivi dalla parola Artemis, colla quale i Greci chiamarono la
dea Diana dei latini, protettrice delle vergini, a tutelare la sa-
lute delle quali si rende tanto giovevole l'artemisia , perchè
pianta emmenagoga , ed alle quali appunto vuoisi che la Dea
suddetta amministrasse per tale scopo la pianta in discorso.
Altri scrittori di botanica pensano, cho l'artemisia sia stata
così chiamata in commemorazione della famosa regina Artemi-
sia, la quali immortalizzossi pel suo amore coniugale , e che
fece innalzare al suo sposo Mausolei una magnifica tomba, una
delle sette meraviglie del mondo, e per molti secoli il più
bell'ornamento d'Alicarnasse, come appare da seguenti versi di
Macer :
•A
c f /{,/;//■> srf t.'C'tadTstt
55
Herbarum varias dicturus Carmine vires,
Herbarum matrem justum puto ponere primo
Cui Graecus sermo dedit Artemisiae uomen,
Hujus opem fertur prior in venisse Diana,
Artemis a Graecis quae dicitur : indeque nomen.
Herha tenet, quia sic inventrix dicitur ejus,
Praecipue morbis mulieribus illa medetur.
Checche ne sia, egli è certo, che tutti gli antichi padri della
medicina hanno attribuito all'artemisia volgare un'azione elet-
tiva specifica diretta nelle proprietà vitali dell'utero; azione ten-
dente ad accrescere l'esercizio delle funzioni organiche che a
questo viscere appartengono , come vedremo in seguito.
L'artemisia volgare è una pianta vivace che cresce sotto tutti
i climi, ed è comune nei siti sterili, nei rottami, nei margini
delle strade, dei campi e simili» La sua radice, della grossezza
d'un dito, è lunga, legnosa, fibrosa, rampante. I suoi steli er-
bacei s'elevano all'altezza di tre o quattro piedi; sono ritti,
fermi, cilindrici, canaliculati, ramosi, porporini, ed alcune
volte d'un verde biancastro. Le foglie sono verdi nella su-
perficie superiore, bianche e lanugginose nell'inferiore, alterne,
piane, alate, incise, colle frastagliature più strette a mano a
mano che le foglie s'avvicinano alla sommità dello stelo, a se-
gno che le superiori sono quasi lineari. I fiori sono disposti a
spiche laterali che nascono nelle ascelle delle foglie e formano
colla loro riunione lunghi grappoli terminali : ciascun fiore è
sessile , ovale , composto di molti piccoli ilosculi biancastri o
rossastri, situati su d'un ricettacolo nudo: i flosculi del centro
sono ermafroditi , quelli della circonferenza sono femmine ed
in numero di cinque; gli uni e gli altri trovansi circondati da
un calice comune tomentoso, non che imbricato. Il frutto con-
siste in piccoli grani nudi.
L'Artemisia, detta volgarmente Erba di S. Giovanni, Corona
di S. Giovanni, Centura di S. Giovanni, chiamasi dai Francesi
Armoise, e volgarmente anche Herbe de Saint-Jean; dagli Spa-
56
gnuoli Artemisia, Artemisa; dagli Inglesi Mugwort; dai Tedeschi
Beyfuss, Beifus Saint Johannis giiertel;(fog\\ Olandesi Byvoet,Sinl
Jans Kruid, Sint Jans Gordel.
Le parli dell'artemisia impiegate all'uso medico sono le foglie e le sommità
fiorifere: esse hanno un sapore amaro e spandono un odore leggermente aro-
matico.
I chimici antichi, sottoponendo le foglie ed i fiori del vegetale in discorso
alla distillazione ed all'infusione nell'acqua e nell'alcool, avevano conosciuto,
che le indicate parti di questa pianta forniscono:
1. Un olio volatile.
2. Un principio estrattivo amaro.
3. Alcun poco di materia astringente.
4. Uoa sostanza resinosa.
Bracanot di Nancy trasse inoltre dall'artemisia certa materia animalizzata
amara.
La radice di questa pianta, la quale forma oggetto di materia medica, e
che si crede dotata di virtù medicinale specifica anti-epilettica, venne pure
sottoposta ad una accurata analisi da Grafe che rilevò i seguenti materiali:
1. Un principio estrattivo.
2. Una materia gommosa.
3. Una sostanza legnosa.
4. Una materia bigia insolubile nell'acqua e nell'alcool.
5. Gommo-resina.
6. Della resina balsamica.
7. Albumina.
8. Olio pingue verde.
9. Alcune traccie d'argilla.
Dissimo che tutti gli antichi padri della medicina hanno attribuita all'ar-
temisia volgare un'azione elettiva specifica diretta sulle proprietà vitali del-
l'utero, azione tendente ad accrescere l'esercizio delle funzioni organiche che
a qaesto Viscere appartengono.
Ippocrate, nel suo aureo scritto De morbis mulierum, si fa grande
encomiatore della virtù antiamenorroica, posseduta dall'artemisia, e commenda
altamente questa pianta quale idoneo mezzo terapeutico , onde facilitare l'espul-
sione della placenta. Dioscoride e Plinio, oltre che rammentano, parlando
dell'artemisia, le proprietà stesse encomiale in questo vegetabile dal vecchio
di Coo, aggiungono che l'artemisia gode eziandio della virtù di accrescere i
conati dell'utero nell'atto del parto , ed accelerare così l'uscita del feto. Dopo
che gl'indicati vetusti scrittori ebbero asserito possedere l'artemisia siffatte
qualità medicinali , tutti i medici posteriori hanno dal più al meno ammesso
nella pianta in questione la proprietà emmenagoga ; proprietà avvalorata pure
dalla volgare opinione, che riconosce nell'artemisia un rimedio di molta atti-
vità per promuovere il corso dei mestrui. Molti pratici però de' tempi nostri,
poco iuclinevoli a credere veritiere tutte le asserzioni degli antichi clinici
57
sulle virtù medicinali dei vegetali indigeni, e meno portati a prestare omag-
gio alla credenza popolare, non ammettono di buon grado cbe l'artemisia
sia fornita di uua virtù emmenagoga specifica , e tutt'al più condiscendono a
riguardare questa pianta idonea per curare l'amenorrea, al pari di ogni altro
vegetale appartenente alla classe degli amari, i quali dal più al meno sono
suscettibili di essere impiegati con qualche vantaggio nel trattamento curativo
di questa malattia. Il solo dottore De-Meza medico, danese, secondo cbe ri-
ferisce Alibert, ci somministra una osservazione pratica, dalla quale si avrebbe
uua prova convincente circa la virtù anti-amenorroica dell'artemisia volgare ;
ma ognuno si persuaderà di leggieri, cbe per assegnare una positiva virtù ad
un rimedio, non è bastevole un solo fatto pratico. L'artemisia volgare adun-
que, considerata sotto l'aspetto di medicamento emmenagogo , possiede presso
a poco la stessa attività di cui sono fornite le piante amare in generale, eie
altre specie del genere artemisia in particolare; quali sono l'abrotano, l'as-
senzio pontico-romaoo e ceruleo, ed altre specie dello stesso genere. Egual-
mente alla pianta di cbe ci occupiamo accordano i medici , siccome fanno in
riguardo all'abrotano ed alle testé indicate specie di assenzio, la virtù
stomatica, disostruente, febbrifuga, anti -isterica ; ed anzi sull'efficacia dell'ar-
temisia volgare contro gli accessi d'isterismo , il dottore Home presenta
qualche rimarcabile osservazione
Se poco valutabile è la possanza medicinale delle foglie, e dei fiori del-
l'artemisia volgare, considerando questa pianta come un rimedio, che ha un'
azione elettiva sull'utero, la radice dell'Artemisia volgare forma al di d'oggi
nn importante oggetto di matèria medica , riguardandola sotto l'aspetto di un
medicamento specifico contro la epilessia. Siffatta specificità ci è stata non ha
guari annunciata dal dottor Bourdac di Triebel, il quale asserisce che la ra-
dice dell'artemisia volgare, estralla dalla terra circa la metà di ottobre, sec-
cata all'ombra senza lavarla, e polverizzata poco prima di doverne fare la
somministrazione, riesce un buon farmaco anti-epilettico , e varie osservazioni
concorrono a dimostrare la verità di questa asserzione. Bourdac amministra
ad un adulto la polvere di artemisia alla dose di due denari o di una dramma,
mescolata con una piccola quantità di birra calda , poco prima dell'accesso
epilettico, qualora sia annunciato da qualche sintomo particolare, ovvero si
conosca periodico : dopo che il malato ha preso il rimedio , Bourdac lo fa
porre in un letto caldo, e fa bevere al medesimo qualche altra piccola quan-
tità di birra tiepida, finché si sviluppa il sudore, il quale deve ritenersi per
un sintomo caratteristico, indicante cbe il farmaco agisce utilmente : cessato
il sudore, l'infermo può alzarsi dal letto, e qualche volta si osserva (giusta ciò
che riferisce Bourdac) cbe una sola dose del rimedio indicato è bastevole a
guarire radicalmente un epilettico. Allorché non si ottenga però così pronto
e felice risultamene, vuole Bourdac, che la dose del rimedio debba ripetersi
per più giorni consecutivi, facendolo però prendere al malato a stomaco di-
giuno , ed un giorno sì ed uno no. 11 clinico di Triebel possiede già varie
osservazioni pratiche fatte nel distretto da lui abitato , dalle quali apparisce
che circa quattro quinti dei malati di epilessia trovarono nell'uso della ra-
dice di artemisia volgare un sicuro mezzo di guarigione. Gli sperimenti di
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Boiinlac ripetati nell'insliluto policlinico di Berlino, sotto la direzione del
celebre Huffeland, non hanno avuto un effetto tanto favorevole: di dieci epi-
lettici curati in Berlino colla radice di artemisia volgare, tre guarirono; altri
tre migliorarono la loro condizione , giacché gli accessi di epilessia si ren-
dettero in essi più miti e più rari; quattro malati però non ritrassero alcun gio-
vamento dall'uso del novello farmaco. Nel R. Spedale di Carità di Torino si
sono pure tentate le sperienze sull'azione anti -epilettica della radice di arte-
misia volgare, ma non si è ottenuto quell'esito fortunato che si sperava: a
dieci infermi è stato amministrato il nuovo rimedio quasi senza profitto: una
sola donna epilettica e demente, e nella quale l'accesso di epilessia ricorreva
periodicamente in ogni settimana, ne è restata libera per quattro settimane,
e di poi è ritornata nel primiero stato morboso. Anche lo stesso Bourdac ha
avuto l'occasione di convincersi che la radice dell'artemisia volgare non cor-
rispose alla di lui aspettativa in varii infermi domiciliati fuori del suo paese?
egli però si crede autorizzato ad asserire, che la diversità degli esiti delle cure
dipende il più delle volte non dalla poca efficacia del medicamento, ma dalla
non convenevole preparazioue del medesimo. Ciò non pertanto il dottore
Buurdac, in seguito di nuove osservazioni, si trova in grado di accennare
con precisione quali sieno le specie e le forme di epilessia, contro cui la ra-
dice dell'Artemisia è giovevole; e quali viceversa sono i casi in cui il rime-
dio in questione riesce poco proficuo, ed anche alquauto nocevole. La causa
da cui ha origine l'epilessia non fornisce, a senso di Bourdac , alcun giusto
criterio per l'amministrazione della radice di artemisia, e l'indicazione per
questo deve piuttosto trarsi dalla forma del morbo. Se l'epilessia è intermit-
tente e periodica, presentandosi costantemente con uno o due accessi al giorno,
e se le convulsioni epilettiche sono molto intense, in tali circostanze la ra-
dice in discorso si mostra quasi sempre utilissima, e l'uso di questa guarisce
radicalmente l'infermità. In fatti ha sempre giovato a quegli epilettici dell'età
di cinque a quindici anni, nei quali l'accesso si sviluppava costantemente
matliua e sera, in ore precisamente determinate, e si annunciava con senso
di doloroso stiramento nell'estremità inferiori. Viceversa, nota Bourdac, che
la radice di artemisia non arreca alcun vantaggio, ed anzi talvolta esacerba
la malattia in quegl'individui nei quali gli accessi epilettici si presentano a
periodi indeterminati di otto a quindici giorni, per lo più a mezzanotte, e
sono preceduti nel giorno antecedente da abbattimento di forza fisica, con
propensione al sonno, e d altronde dall'esaltamento di attività morale. Simil-
mente osserva Bourdac , che il nuovo proposto rimedio non arreca rimarca-
bile utilità contro quell'epilessia, la quale attacca gli uomini di età provetta,
sviluppandosi con accessi di molta violenza, ed assai distanti l'uno dall'altro,
come per esempio coll'inlervallo di sei a dieci settimane. Intorno all'argo-
mento che ci occupa , oltre quello che appartiene a Bourdac ed Huffeland ,
si ha pure ciò che riferisce il dottore Schoeubeck, il quale ha impiegato la
radice di artemisia volgare contro l'epilessia, ed ha veduto che un tale ri-
medio produce buoni effetti , allorquando si amministri alla dose di due ottave
a mezz'oncia, prima o immediatamente dopo gli accessi, ed allorché produca
esso copiosi sudori : e si ha del pari una storia importante di epilessia di tipo
59
terzìanario, e di poi quotidiano , dalla quale era affetto Guo da un mese un
certo giovane, che fu liberato da così incomodo malore per opera del dottore
Van Maauen , mediante la somministrazione della polvere di radice di arte-
misia alla dose di un'ottava per presa; il dottor Loovenhard però c'instruisce
di avere egli impiegato la radice di artemisia quale medicamento anti-epilet-
tico, e di non avere ottenuto quei vantaggi che ad altri medici fu dato di
conseguire. Ci duole di non possedere in proposito qualche fatto che vi ap-
partenga; ma ci proponiamo però di sperimentare il novello farmaco anti-
epilettico alla prima occasione che ci si presenterà , ed intanto invitiamo r
medici pratici a sperimentarne l'efficacia, ed arricchire così la medicina di
osservazioni, colla scorta delle quali si pervenga a stabilire in un modo posi-
tivo, se la radice di artemisia goda o no di una specifica virtù contro l'epi-
lessia. Egli è certo che questo morbo, perchè oscurissimo nella sua essenza,
può ammettere nel suo trattamento curativo ogni medicamento, quantun-
que del lutto empirico : e tanto più un clinico potrà all'uopo giovarsi della
radice di artemisia; perchè questa, se non addiverrà utile, non riuscirà tam-
poco dannosa, perchè alcuni fatti pratici ci mostrano l'utilità, e perchè in-
fine la proprietà anti-epiletlica dell'artemisia volgare trova un appoggio an-
che nell'antorilà di Pliuio, la quale merita giustamente una qualche conside-
razioue.
Tornando ora alle foglie di artemisia volgare, è da sapersi, che queste sono
stale impiegate anche come rimedio di esterna applica/ione. Galeno credette,
che la proprietà emmenagoga delle foglie freschi di artemisia potesse pure
svilupparsi nel caso in cui tali foglie venissero ridotte in poltiglia, ed appli-
cate esternamente sulla regione uterina in quelle donne mancanti dei loro
calameni: ed il medico di Pergamo pensò che da siffatta pratica potesse ri-
sultarne costantemente un felice successo. Alcuni chirurghi hanno commen-
dato la virtù cicatrizzante delle foglie fresche di artemisia , asserendo che le
medesime, applicate sopra gli esulceramenti cronici delle gambe, favoriscono
la cicatrizzazioue. Altri pratici pretendono che la polvere delle foglie secche
di artemisia, ed il cataplasma preparato colle foglie fresche della stessa pianta,
sieno rimedi molto utili per essere applicati sopra le scottature, delle quali
facilitano la guarigione. Da ultimo giova di quivi rammentare un altro uso
esterno delle foglie di artemisia, quello cioè dei Chinesi e Giapponesi, i
quali si servono della lanuggine di queste foglie per la preparazione della
Moxa, siccome abbiamo altrove indicato.
Qualora un clinico voglia approfittarsi nella sua pratica della virtù emme-
nagoga dell'artemisia volgare, potrà egli valersi delle foglie e dei ramoscelli
fioriferi di questa pianta, formandone un'infusione teiforme, ovvero una de-
cozione. Due dramme a mezz'oncia delle parti indicate, ed una libbra d'ac-
qua bastano a formare un buon infuso o decolto di artemisia, che si farà
prendere in Ire dosi nello spazio di venliqualtr'ore. Alcuni medici hanno
pure prescritto nella cura dell'ammenorrea le foglie di artemisia ridotte in
sottilissima polvere, nella quantità di un danaro ad un'ottavo, mattina e sera;
ma questo modo di amministrazione è generalmente poco seguito dai pratici.
In varie farmacopee si trova notala la preparazione dello sciroppo di arte-
60
misia, a formare il qoale si tiene lo stesso metodo cbe s'impiega nel prepa-*
rare gli altri sciroppi medicinali di piante indigene- lo sciroppo di artemisia
può adoperarsi per addolcire le pozioni emmenagoghe, e può anche prescri-
versi isolalo alla dose di un'oncia a tre. Finalmente V estratto di artemisia,
preparato col sugo della pianta fresca , o col decotto della pianta secca, è te-
nuto in pregio da qualche clinico , sebbene dalla maggior parte dei medici
sia riguardato come inattivo, e viene amministralo alla dose di due ottave a
mezz'oncia , sciolto in conveniente mestruo, da consumarsi epicraticameote
nello spazio di venliquattr'ore.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Artemisia volgare.». Fiore composto. 3. Fiore femmina.
4. Fioree rma frodi lo
3/y.
t f .Syv Ss/s/f
yt/
61
ABROTANO
e-*-
Abrotanum volgare. I. Bauh. 3, 192. — Abrotanum mas angusti foli unì
majus, G. B. pag. 136. — Abrotanum mas Dod. pag. 21. — Abrotanum
mas vulgare Fusch- II. M. 3, 11. — Abrotanum vulgare, Mor. Hist. bot.
pract. pag. 36, tab. 22, fig. 9. — Artemisia abrotanum, Linn. Singenesia su-
perflua. — Juss. Cori miniere.
Questa pianta, che si distingue sotto il nome di Abrotano ma-
schio per distinguerlo dall'Aerofono femmina (Artemisia campe-
stris Linn.), nome volgare del seme santo, cresce in alcuni dei
nostri campi, viene abbondantemente coltivata nei giardini.
Essa godette anticamente di tante e tali virtù medicinali, da
fare fino a credere che il di lui uso continuato allontanasse la
morte, come indica, a senso di Plinio, il suo nome abrotano
derivante dall'oca privativo e brotos mortale. Oggidì però per-
dette pressoché tutta la maravigliosa fama e l'abrotano non è
più considerato che quale pianta dotata di proprietà analoghe ,
ma meno energiche dell'assenzio e delle artemisie; ed è, come
dissimo, molto coltivata nei giardini, atteso certo suo piacevole
odore di cedro, che le fece dare il nome di citronella.
La sua radice dura, fibrosa, nerastra, è alquanto serpeggiante,
non che munita di piccole radichelte. Da questa s'elevano varii
steli legnosi, fibrosi , di due a tre piedi d'altezza, portanti foglie
che sono finalmente tagliate in lobi lineari , stretti , pubescenti
che diffondono un soavissimo odore di melissa o, come già dis-
simo, di cedro. I suoi fiori sono piccoli e paniculati alla parte
superiore dei fusti , e del tutto analoghi a quello dell'assenzio.
L'abrotano, detto anche Artemisia abrotano (Abralana maschio),
chiamasi dai Francesi Auronnc.
62
Le tenui foglie dell'abrotano, come pure le sommila tenere dei fusti, sono
le sole parti che si prescelgono all'uso medico. Quando sono tresche manife-
stano un sapore amaro-aromatico ed un odore forte di cedro: quali proprietà
fisiche si riscontrano minori nell'abrotano seccato.
In quanto alle chimiche proprietà di questa pianta non si hanno che de-
boli nozioni: conosciamo che da essa può ricavarsi una scarsa quantità di olio
volatile e che la medesima contiene un principio amaro, solubile tanto nel-
l'acqua che nell'alcool.
L'uso medico dell'abrotano è presentemente molto limitato ed è considerato
come stomatico , emmenagogo ed antelmintico. Adoprasi come le tenui foglie
ed i teneri fusti dell'assenzio.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Pianta di abrotano. 2. Fiore. 3. Semi.
/?rr/re>?/ce/
G3
DRAGONCELLO
Drago berba, Doil. pag. 709. — Dracunculus bortensis, C. B. pag. 98. —
Tarcbon I. B. 3, 148. — TarcboD Avicenuae. T laguro vulgare. Clus. Hisl.
— Draco herba. Mor. bist. boi. pract. pag. 36, lab. 22 , fig. 10. — Arte-
misia Dracunculus, Lino. Singeueaia superflua. — Juss. Corimbilere. — Ridi
but. uied. Ioni. 1, pag. 380.
Il Dragoncello è una pianta erbacea che vuoisi originaria
della Siberia, ma che abbondantemente coltivasi negli orti d'Eu-
ropa. Essa anticamente , al pari del sovra descritto abrotano, go-
deva di alta fama medica, ed era commendata contro molte
malattie. Oggidì però non si considera che dotata di virtù ana-
loghe alle artemisie in genere, le quali poco più, poco meno
godono tutte delle stesse proprietà.
La sua radice è fusiforme, orizzontale o serpeggiante , nera-
stra, esternamente giallognola nell'interno , legnosa , dura , non
che munita di molte piccole radichette. Da questa sbucciano
alcuni steli a foggia da formare un piccolo arbusto, ritti, ra-
mosi, cilindrici, glabri, alti circa due piedi, portanti delle foglie
alterne, sessili, intiere, lanceolate, strettissime, glabre e spesse.
I suoi fiori composti di flosculi giallastri, formano delle piccole
teste disposte in ispiche ascellari , ed il cui insieme costituisce
un panicolo allungato: ciascun fiore è sessile, ovale, composto
di piccoli flosculi giallastri situati su d'un ricettacolo nudo ;
quei del centro sono ermafroditi; quelli della circonferenza
femmine ; e gli uni e gli altri sono circondati da un calice co-
mune alquanto imbucato. I semi consistono in piccoli grani nudi.
Il Dragoncello, detto anche Dvacone, chiamasi dai Francesi
Estragon.
64
Il sapore aromatico e piacevole delle foglie di dragoncello è dovuto alla
presenza di uu olio volatile che si estrae colla distillaiione. Quest'olio, prima
giallo e liquido, e che quando cristallizza è bianco più pesante dell'acqua e
solubile nell'alcool, è adoprato dai venditori d'aceto per comunicare un gu-
sto agli aceti che servono a coudire le insalate.
Adopransi volgarmente le foglie fresche della pianta in discorso come un
condimento di cucina. Essa inoltre è commendata ove conviene l'assenzio e le
altre specie d'artemisia. È piuttosto un medicamento stimolante : fu anche ri-
sguardato come antiscorbutico , ma di rado si usa.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
«. Pianta di Dragoncello. ». Fiore. 3. Semi.
S>%/.
Ytfrs
'/s
65
TANACÉTO
Tanacelum vulgare luteum, Bauh. pin. lib. 4, sect. 1. — Tourn. class. 12,
secl. 3, gen. 7. — Tanacetum vulgare Linn. Singenesia poligamia superflua,
— Juss. class. 10, ord. 3 Corimbifere. — Richard. Bot. med. tom. 11, pag.
881. — Poiret. Fior. med. tom. 6, tab. 359- — Saint- Hil. Plant. de la
Fiauce tom. 4.
Il Tanaceto è una pianta vivace che cresce comunemente
nei luoghi incolti , e lungo le vie di molte parti d'Europa. La
sua radice è orizzontale ed alquanto rampante , munita di pic-
cole radichette. I suoi steli, alti due o tre piedi, sono quasi
semplici, cilindrici, forniti di foglie alterne, sessili , profonda-
mente pinnatifide ed a divisioni allungate, acute, quasi pinnate.
I fiori, di colore giallo dorato, formano capolini piccolissimi
assai depressi, disposti in forma di corimbo nella estremità
degli steli : essi sono composti di un calice emisferico, for-
mato di numerose scaglie ravvicinate ed imbricate; il centro
del fiore è composto d'un gran numero di flosculi ermafroditi
a cinque divisioni , ed a cinque stami riuniti dalle antere ; i
semiflosculi della circonferenza sono a tre divisioni e muniti
solamente d'uno stilo , vale a dire, sono unicamente femmine.
L'ovario è aderente ed il seme situato su d'un ricettacolo ro-
tondo.
Il Tanaceto, detto volgarmente Atanasia , Aniceto , Dwieta,
chiamasi dai Francesi Tanaisie ; dagli Spagnuoli Tanaceto ; dai
Portoghesi Tanasta ; dagli Inglesi Tansy ; dai Tedeschi Rhein-
fami, iVurmfarrn ; dagli Olandesi Reinevaren, Voomkruid ; dai
Danesi Bei/un, Ormekrud ; dagli Svezzesi JVrotecz ; dai Russi
DewetUnih; dai Boemi Vraiyc.
Tom. IV. 5
66
Le foglie e le sommità fiorile del tanaceto esalano, sovrattutto strofinate
fra le mani, un odore aromatico estremamente forte; il sapore ne è amaro,
acre e caldo. Questa pianta deve la sua proprietà all'olio volatile che con-
tiene abbondantemente , perciò la perde in parte colla disseccazione che dis-
sipa l'olio volatile, lasciando solo sussistere il principio amaro.
Peschier La pubblicato nel giornale di farmacia di Tromsdorf, 1827, l'ana-
lisi delle foglie e dei fiori della pianta in discorso, di cui si hanno i seguenti
risultati :
1. Resina.
2. Della materia intermedia fra la cera e la stearina.
3. Un po' di clorofilla.
4. Della gomma.
ò\ Un principio giallo estrattivo.
I Gori contengono un principio alcalino e un acido particolare ( acido ta-
nacelico) e fosfato di calce ; le foglie inoltre tannino ed acido gallico.
II suo sapore acre , caldo ed amaro svela nelle sommità fiorite del tanaceto
un medicamento energico, la cui azione stimolante devesi principalmente al-
l'olio volatile che contiene in gran copia. Questa pianta è stata riputata sto-
macica, carminativa, vermifuga, sudorifica, emmenagoga, antispasmodica e va
dicendo; e giusta Chaumeton, sarebbe realmente dotata di tutte queste se-
condarie proprietà, secondo che essa porta più particolarmente la sua azione
o sullo stomaco, o sugli intestini, o sul sistema esalante o sull'utero, oppure
sul sistema nervoso in genere, ma bisogna, come s'esprime il succitato autore,
che sì fatti organi siano in uno stato d'atonia, e che v'esista una debolezza
reale nelle loro proprietà vitali; e vaglia il vero, che si potrebbe nelle sur-
riferite circostanze ricorrere a si fatto medicamento ogni qual volta si ripu-
tasse necessario l'uso dei riraedii stimolanti, fra cui non havvi dubbio doversi
annoverare il tanaceto, come abbondante d'olio volatile.
Esso è pure stato vantato contro le febbri intermittenti ; si usò anche
nell'idropisia, nella gotta, nella clorosi, ma sembra con poco successo, perchè
nessun fatto havvi che comprovi in queste affezioni la sua efficacia. Altronde
non potrebbe convenire che quando queste affezioni sono atoniche , lo che è
ben di rado , seppure esistere ponno. Fu pure commendalo contro le vertigini,
l'epilessia ; ma sembra con poca utilità.
Ove pare positivamente spiegare la sua azione, egli è contro i vermi
intestinali ; ed è specialmente sotto quest'ultimo aspetto che oggidì s'adopra in
medicina e che perciò costituisce un medicamento vermifugo molto energico,
che opera però all'iucirca e nella guisa stessa dell'assenzio, dell'artemisia, della
camomilla, e di molte altre corimbifere. Hoffman e Rosestein attribuiscono
molta efficacia all'uso del suo decotto per clistere, contro gli ascaridi. Sono
i suoi semi specialmente che godono fama di antelmintici. I suoi fiori souo
stati particolarmente amministrati da Simon Pauli contro l'isteria.
Esternamente il tanaceto sotto forma di cataplasmi, non che in infusione, fu
raccomandato contro le contusioni, gli ingorghi ed altre affezioui cui faccia
d'uopo eccitare alquanto. E puossi in genere con Poiret stabilire, che questa
pianta amara e fetida, può esser adoprata sì per uso interno, che per uso
67
esterno, in tulli quei casi in cui è necessario determinare un'azione louica lo-
cale, od un eccitamento generale vivo e durevole.
In generale la si prescrive in infusione alla dose di una o due dramme in
un chilogramma d'acqua; più di rado iu polvere, la cui dose varia da alcuni
grani sino alla dramma, secondo l'età ed il temperamento dell'individuo. Il
suo sugo espresso è commendato alla dose di due a quattro oncie. La con-
serva che anticamente godeva di alta riputazione , oggidì è totalmente dimen-
ticata ; sarebbe però la più opportuna a prescriversi.
In alcuni paesi del Nord le sue foglie sono adoprate come condimento
nelle preparazioni della cucina. Si vuole sì fatta pianta dannosa alle pulci ed
-~+9H~
SPIEGAZIONE DELLA. TAVOLA
i. Pianta di tanaceto, a. Calice comune e ricettacolo.
3, Flosculo femmina della circonferenxa. 4. Flosculo ermafrodita del centro.
68
BALSAMITA ODOROSA
■
Balsamita odorosa. Moran. Hist. hot. pract. tah. 22, Gg. 3. Balsamita sua-
veolens Desf. — Linn. Singenesia poligamia eguale. — Juss. Corimbifeie. —
Rich. bot. med. toro. 1 , pag. 343.
Il genere balsamita fa stabilito dapprima da Vaillant, poi
riunito da Linneo al genere tanaceto. Finalmente ristabilito da
Desfontaines negli Atti della società di storia naturale. Si distingue
dai tanaceti stante i suoi flosculi tutti ermafroditi ed a cinque
divisioni, e pei suoi frutti coronati da una piccola membrana in-
compiuta.
La balsamita odorosa è una pianta vivace, erbacea che cre-
sce naturalmente nelle provincie meridionali d'Europa, in ispe-
cie d'Italia e di Francia, nei luoghi incolti, non che nei prati; col-
tivasi anche nei giardini quale pianta d'ornamento. La sua radice
vivace dà origine a dei fusti ramosi di tre a quattro piedi d'al-
tezza, biancastri, e come polverulenti. Le sue foglie, d'un verde
chiaro, sono elittiche, allungate, ottuse, regolarmente dentate,
ed esalano , specialmente qualora sieno confricate tra le dita ,
certo odore balsamico, forte, piacevole. I capolini dei fiori sono
numerosissimi, bianchi, disposti in una sorta di corimbo termi-
nale. Essi sono composti come quelli del tanaceto, colle diffe-
renze però che notammo di sopra; cioè i suoi flosculi invece
d'essere ermafroditi nel centro e femmina nella circonferenza,
sono tutti ermafroditi ed a cinque divisioni ; ed i suoi frutti
sono coronali da una piccola membrana incompiuta , mentre
sono nudi nel tanaceto.
La balsamita odorosa, detta volgarmente Menta gallo, Erba
da Galli, Gran balsamo, chiamasi dai Francesi Balsamite, Grand
Baume, Coq des jardhis.
322,.
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69
La balsamita ha un odore estremamente forte, aromatico ed aggradevole, ed
un sapore caldo ed amaro. Essa è un medicamento molto energico, potente,
stimolante, che si meriterebbe essere con maggiore frequenza usato dai pratici.
Opera esso pel fatto con grande energia sugli organi digerenti; se ne racco-
mandò l'uso nelle malattie richiedenti i tonici e gli stimolanti, in particolare
poi contro lo scorbuto, la itterizia, le affezioni verminose e simili.
Si può usare l'infusione teiforme delle sue sommità fiorite,- si somministra
anche in polvere. Altre volte si preparava con questa pianta un olio per
macerazione che era molto in voga contro le piaghe e sovrattutto contro le
contusioni.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Pianta di balsamita odorosa, a. FIosculo. 3. Semi.
70
SANTOLINA
Santolina foliis teretibus,Morand. hist. bot. pract. lab. 22, fig. 1. — Santolina
cbamoecyparissus — Itinn. Siugenesia poligamia eguale. — Juss. Cori rulli l'ere
La santolina è una pianta vivace che cresce sotto la forma
d'un piccolo arbusto spontaneamente nelle contrade meridio-
nali d'Europa, d'Italia e sovrattntto di Francia, ove trovasi
naturalmente nei campi coltivati , non che in alcuni luoghi
incolti ; coltivasi anche nei giardini per ornamento e per l'uso
medico negli orti botanici. Questa pianta però non vuol es-
sere confusa colla santolina dei francesi [Santoline), che come
avvertimmo , parlando del seme santo (Artemisia santonico), è
tutt'altro genere che questo , stabilito da Linneo e situato come
l'assenzio nel genere artemisia.
La santolina nostra ha la radice fusiforme, grossa, fi-
brosa, oscura esternamente, e giallognola internamente. Da
questa sbucciano steli che sono suffrutiscenti inferiormente,
alti circa due piedi , divisi alla loro base in molti rami sem-
plici diritti, portanti foglie alterne numerosissime, d'un co-
lore verde oscuro vivo , ravvicinate le une alle altre , divisi
in lobi piccolissimi e pinnatifidi. I fiori sono gialli, lunga-
mente peduncolati, flosculosi, quasi globosi, solitarii alla som-
mità delle ramificazioni dello stelo , composti di un calice
imbricato racchiudente flosculi uguali, ermafroditi, divisi in
cinque denti alla loro sommità. I semi sono nudi.
Tutta questa pianta sparge odore fortemente aromatico e poco piacevole, ha
sapore acre caldo: costituisce, come il tanaceto e la balsamita, un medicamento
'sr///r'f//s?
71
assai eccitante che contiene grandissima quantità di olio volatile odorosissimo;
adoprasi sì fatto vegetale come vermifugo. E pure commendato quale stoma-
tico. In una parola può convenire in tutti quei casi in cui sono raccomandale
le due sovra descritte piante, cioè il tanaceto e la balsamita.
La si somministra in infusione, non che in polvere, di cui formasi un elet-
tuario e dei bocconi. Oggidì è poco adoprata.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
I. "un la di Santolina. ». Flosculo. 3. Semi.
li
SANTOLINA COTONOSA
Santolina tomentosa. Hort. — Lino. Siugenesia poligamia eguale. — Juss.
Corimbifere. — Saint-Hil. Plant. de la France lom- 4.
Questa pianta è originaria del mezzodì d'Europa, cresce
spontaneamente in molti luoghi incolti d'Italia e di Francia, e
trovasi attualmente sparsa in molti giardini, ove coltivasi per
ornamento, producendo co' suoi fiori un gradevole aspetto. La
sua radice è rampante, sottile, dura, nerastra; lo stelo al-
quanto legnoso, d'un colore bruno ed irregolare. I rami che
portano i fiori sono coperti d'una lanugine biancastra molle:
essi formano per mezzo della loro unione un ciuffo grosso e
cotonoso. Questi rami sono muniti di foglie come alale e
guernite di un gran numero di foglielte intiere e sparse, le
quali come gli steli sono coperte esteriormente d'una lanu-
gine biancastra. I fiori sono terminali , di colore giallo : essi
sono composti d'un calice imbricato di scaglie d'ineguale
grandezza, di forma sferica, e racchiudenti i flosculi, dai quali
sono divisi alla loro sommità in cinque parti , a mo' di cin-
que denti, muniti di cinque stami riuniti dalle antere, e di
uno stilo. 11 seme è nudo ed il ricettacolo munito di pa-
gliette.
Questa pianta, come dissimo, è coltivata abbondantemente
nei giardini ; si moltiplica per barbatella o per margotto. Nei
paesi freddi è bene ripararla dal freddo; si radica facilmente.
Fiorisce nei mesi di luglio e d'agosto.
'ss
73
Questa pianta è, come la precedente, dotala d'un odore forte aromatico, e
d'un sapore acre caldo. Può servire agli stessi usi, e la si può somministrare
nelle stesse dosi. La coltura le fa però perdere di sue proprietà mediche, le
quali, a vero dire, ancbe nello stato di selvatichezza sono di poco momento -
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i Pianta di santolina cotonosa. 2. Calice^eomune. 3. Flosculo apeito.
4. Ricettacolo messo al nudo.
74
SANTOLINA MILLEFOGLIO
Achillea santolina, Lino. Singenesia poligamia superBua. — Juss. Corina'
bifere. -- Saint-Hil. Plant. de la France. tom. 3.
Il nome generico di Achillea, dato alle varie specie di mille-
foglio, vuoisi derivato da Achille discepolo di Chirone , perchè
pretendesi che siasi servito appunto d'una specie di millefoglio,
per sanarsi le ferite ricevute da Telefo: ebbe poi quello di san-
tolina, perchè le sue foglie, non che i fiori, hanno molta somi-
glianza con quest'ultima pianta , che coltivasi nei giardini quale
pianta d'ornamento per l'eleganza del suo fogliame e pei suoi
bei fiori d'un aspetto giallo vivo, che sembrano bottoni d'oro,
Trovasi selvatica in alcuni paesi meridionali d'Europa.
Il suo stelo s'eleva all'altezza d'un piede circa e dividesi tosto
alla sua base in molti rami ritti, coperti d'una lanugine coto-
nosa e biancastra, portanti foglie piccole, alate e munite di pic-
cole fogliole della larghezza appena d'una linea, analoghe, come
notammo, a quelle della santolina, solo sono molto più piccole. I
suoi fiori disposti in corimbi serrati all'estremità dei rami,
perciò terminali , sono d'un bel giallo d'oro , ed hanno un calice
imbricato , composto di fogliole piccolissime , cotonose. I flo-
sculi del centro sono a cinque denti, e costituiti da una corolla
monopetala che porta cinque stami riuniti dalle antere ; ed i
semiflosculi della circonferenza sono femmine e muniti d'uno
stilo. L'ovario è aderente e racchiude grani piccolissimi.
Questa pianta alligna facilmente in tutti i terreni, preferisce
nulladimeno una terra leggiera e poco sostanziosa. È bene col-
ÒZ3.
sfs/fs- f/s/sr
75
ti varia in una posizione meridionale. La si moltiplica semi-
nando i suoi grani pervenuti alla perfetta Maturità. Fiorisce nei
mesi di luglio e d'agosto.
La Santolina millefoglio, detta anche Achillea santolina, chia-
masi dai Francesi Millefeuille santoline.
Questa pianta è pure dotata d'un olio volatile, che la rende slimolante: il
suo sapore è acre ed amaro. Può sostituire le specie di santolina sopra de-
scritte: la si può altresì prescrivere nelle stesse dosi, e sotto le stesse forme.
«SC^S?^S£SfcS»
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Santolina millefoglio 2. Calice comune.
*■* "Semi Uose ilio inglossalo della circonferenza, aperto.
4. Flosculo ingrossalo dal centro. 5. Seme.
76
MILLEFOGLIO VISCOSO
Achillea ageratum, Linn. SiugeDesia poligamia superflua. -- Juss. Coritn-
bifere. — Saiut-Hil. Plant. de la France tom, 3.
Questa pianta cresce selvatica in molte parti meridionali d'Eu-
ropa, e coltivasi anche nei giardini come pianta d'ornamento. La
sua radice è fusiforme, bruna esternamente, giallognola nell'in-
terno. Da questa s'elevano steli alti un piede circa, ritti, ra-
mosi e portanti in tutta la loro lunghezza delle foglie ses-
sili, lanceolate, ottuse, dentate a sega, verdi, viscose, spe-
cialmente quando sono tenere; le radicali sono peziolate,
alate, a pinnule dentate, e leggermente biancastre. I fiori,
disposti in un corimbo terminale e serrato, sono d'un bel
colore giallo : essi sono composti d'un calice comune imbri-
cato di scaglie serrate ed ineguali; di flosculi centrali, tu-
bolosi, a cinque denti, muniti di cinque stami riuniti dalle
antere e d'un ovario aderente; di semiflosculi in piccolissimo
numero femmine , fertili , e terminati da due o tre denti :
d'un ricettacolo piano, stretto, munito di pagliette. I semi,
sono privi di margine membranoso, e di piumette. Fiorisce
nei mesi d'agosto, di settembre e d'ottobre.
Il millefoglio viscoso, detto anche Agerato canforato, chiamasi
dai Francesi MiUefeuille visqueuse e volgarmente Eupatorie
de Mesue ; dagli Spagnuoli Eerba Julia ; dai Tedeschi Balsam-
garde, Leber balsame; dagli Inglesi Sweei milfoil, or maudlk:
dagli Arabi Schiach.
Il millefoglio viscoso od ageralo gode pure d'un sapore amaro aromatico, e so-
stituisce le altre specie di millefoglio. Era anticamente molto adropato contro le
&L6'.
v od p /.
3 i
///s/svy/Ys' s/syr/s/fv'
ys'S/fw s//?f
77
malattie di fegato, contro le ostruzioni iu ispecie; ma questa virtù desoslrueute,
attribuita in alto grado all'agerato da Mesue, è al presente del tulio dimenti-
cata. Si couserva ciò non pertanto nelle nostre spezierie l'estratto di agerato,
che viene raramente prescritto dai medici nelle dispepsie e nelle ostruzioni a
guisa dell'estratto di assenzio e delle varie specie di artemisia.
f!SH
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Millefoglio viscoso. 2. Calice comune. 3. Semillosculo della circonferenza.
!.. Flosculo del centro. 5. Ricettacolo 6. Seme.
78
MILLEFOGLIO COMUNE
Millefolium Tulgare album, Bauh. pin. lib. 4, sect. 3. Toum. class. 14,
sect. 3, gen. 8. — Achillea millefolium, Lino. Singenesia poligamia super-
flua. — Juss. Corimbifere. — Saint-Hit. Plant. de la France, tom. 3. — Rie!*,
bot. med. tom. 1, pag. 374.
È il millefoglio comune una pianta che trovasi abbondantis-
sima nei prati secchi e nei luoghi incolti di molte parti meri-
dionali d'Europa, sovraltutto nei nostri paesi, ove puossi dire
comunissima. Le si diede il nome di millefoglio, atteso i fra-
stagli fini e molliplici che presentano le sue foglie. Il nome
d'Achillea poi vuoisi derivato sia da Achille, il quale , giusta la
favolosa storia , sarebbesi servito di questa pianta per sanare le
ferite de' suoi commilitoni; checché ne sia, è certo che la pianta
in discorso gode dalla più remota antichità, alta fama di vul-
neraria; ed anche ai di nostri gli abitanti delle campagne ri-
corrono ben spesso a sì fatto farmaco, tosto che nei loro lavori
riportano qualche ferita.
Il fusto è alto due o tre piedi , canaliculato, verde, alcune
volte rossastro inferiormente; si ramifica alla propria sommità
ove termina mediante un corimbo di fiori. Le sue foglie sono
allungate, alquanto strette, sessili, due volte alate, d'un colore
verde ad intagli molteplici, lineari, corti e finissimi. I fiori sono
situati alla sommità dei rami , e formano dei corimbi alquanto
serrati e ben muniti: essi sono ordinariamente d'un colore
bianco , sebbene se ne coltivi nei giardini una varietà a colori
porporini ; si compongono d'un calice comune emisferico , im-
bricato di scaglie serrate e conniventi ; il disco del fiore è com-
32
V-
J*5*t-
79
posto di flosculi ermafroditi ed a cinque divisioni ; la circonfe-
renza è formata da semi-flosculi in piccolissimo numero fem-
mine, solcate ed a tre denti ; gli stami, in numero di cinque ,
sono riuniti dalle antere; l'ovario è aderente; cangiasi in un
seme nudo, privo di piumetta e situato su d'un ricettacolo co-
mune , munito di pagliette lanceolate.
La varietà a fiori porporini serve piuttosto d'ornamento nei
giardini che alla medicina ; si moltiplica seminando i suoi grani
nella primavera, o separandone le radici; fiorisce dal mese di
giugno sino ad ottobre.
11 millefoglio comune, detto anche Millefoglie, chiamasi dai
Francesi 3Iillefeuille, 3Iillefeuilk comune e volgarmente Herbe
aux charpentiers, Herbe à la coupre; dagli Spagnuoli AchUeami-
lenrama, Milènrdrna; dai Portoghesi Milfolha; dai Tedeschi
Schaufgarbe, o Garbenkraut ; dagli Inglesi Milfoil, Yarrow; dagli
Olandesi Duizenblad; dai Danesi Roellike; dagli Svezzesi Roelleka;
dai Russi Tusjatsch-alistnik traiva; dai Polacchi Tysiacznich
ziele; dagli Ungheresi Ezer-levetu-fu.
VAchilea atrata, nana et moscata , sono specie di millefoglio
facili a distinguersi dalle loro foglie intagliate e coperte di la-
nuggine bianca, pel loro sapore amaro ed aromatico ; offrono
però dei grandi rapporti coll'assenzio e coll'artemisia ; esse ne
possedono anche le proprietà, sono eminentemente toniche e
stimolanti. I paesani delle alpi , ove queste specie allignano,
le risguardano come una panacea universale, e l'impiegano
indistintamente anche nei casi in cui il loro uso non è senza
pericolo. Ma tale è la loro confidenza per questo rimedio , che
quelli che non ne trovano nei luoghi che abitano vanno ben
lungi a cercarle, sovente anche col rischio della vita. Con
queste specie di achilee e con altre piante della stessa fa-
miglia compongono un miscuglio a cui danno il nome di
Genepi.
Gli iteli e le foglie di questa pianta hanno un sapore amaro ed astringente.
80
Le sommità Gorite sono dolale d'uà odore debolmente aromatico, I pochi
saggi chimici intrapresi su d'essa dimostrano che contiene uu principio amaro
slitico, di natura estrattivo, solubile perciò nell'acqua, ed uu principio aro-
matico solubile nell'alcool, a cui comunica un odore penetraute canforato ed
uu sapore piccante; si ottiene, colla distillazione del millefoglio, il di lui olio
volutile, il quale da azzurro chiaro o giallo verde che è quando è fresco,
s'imbrunisce ed inspessisce invecchiando. Il suo odore è aromatico canforato
più iuteuso di quello che olezza la pianta; il suo sapore caldo, acre ed
amaro.
Nelle auliche materie mediche si trova molto lodato il millefoglio, ed an-
tichi medici anche di molta rinomauza ne commendarono l'uso in molte
malattie. Slahl attesta d'averlo trovalo vantaggiosissimo nelle affezioni nervose;
altri autori lo proclamarono di grande utilità uélripocoridriasi , nell'isteria,
nell'epilessia. Fu fino decautato utile contro le emorragie , soprattutto contro
le emorroidi, la meuorragia e l'emottisi; si pretese per sino che sia slato am-
ministrato vantaggiosamente nella tisi polmonite. Chomel non esita a segnarlo
utilissimo contro le superazioni interne dei visceri. Hoffmau poi altamente
commendane l'uso nelle atonie parziali dell'apparato digerente ed anche ge-
nerali del sistema nervoso, nelle emorragie passive, nelle leucorree, nell'ipo-
condriasi, nell'emottisi, non che nella incipiente tisi, nella polmonite, ed in
altre malattie di laoguore; e nella Norvegia, al dire di Gruner, usasi frequen-
temente nelle affezioni reumatiche.
Ad onta però di autorità sì rispettabili le virtù mediche del millefoglio
sono pressoché dimenticate, e raramente questa pianta viene prescritta dai me-
dici moderni. Il volgo apprezza noudimeuo assai le virtù del millefoglio ed i
contadini usano il decolto di questo vegetale unito ad altre piante amare nelle
febbri intermittenti e nelle inappetenze; esternamente ne u»auo in cataplasma
per la cura delle piaghe e delle ferite. Se altri riroedii stomatici più attivi
ed altri tonici ed astringenti non possedesse ora la materia medica, polrebbesi
tuttavia prescrivere il decotto o l'estratto di millefoglio nelle dispepsie, ano-
rassie e negli altri suindicati malori che tendono ad illanguidire le forze
digerenti.
Il millefoglio inoltre gode dalla più alla antichità, grande fama di vulne-
nario, narrandosi come già avvertimmo, di sopra, che Achille sanasse le ferite
dei suoi soldati con sugo di questa pianta; oggidì il credulo couladino ne fa
tuttora uso, allorché nei lavori di campagna riporta qualche ferita. La chi-
rurgia moderna più razionale abbandonò giustamente l'uso di questa vulneraria
come pure quello di tutte le altre piante che pel passato godettero ingiusta-
mente di sì fatta riputazione.
Per l'uso interno si dà 4a preferenza alla sommila del millefoglio , e pre-
seli vesi ordinariamente in infusione teiforme alla dose di quattro onde. L'es-
senza adopravasi alla dose di cinquanta a sessanta goccie. Usasi più frequen-
temeote l'acqua distillala, la quale fa spesso parte di diverse preparazioni
farmaceutiche. L'olio essenziale adoprasi alla dose di qualche goccia; si faceva
pure un sciroppo ; ma questo godette mai riputazione alcuna.
1S Achillea aliata, che fa parte del Geuipi sovra citato: possiede presso.
81
che le stesse virtù. Gli abitanti delle alpi elvetiche, secondo riferisce Perylbe,
l'adopiano in infusione teiforme come sudorifica contro le malattie infiamma-
torie ed altre del petto. Tultavolta, "Vicat, Tissot ed il succitato Perylhe
giudicano che una tale infusione sia riscaldante, perciò poco prudente sommi-
nistrarla nelle malattie d'infiammazione, e nociva nelle pleuriti ed altre ma-
lattie di petto.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
t. Millefoglio comune, i. Fiore intiero ingrossato.
3. Fiore femmina della circonferenza. 4. Fiore ermafrodito del centro.
5. Frutto.
Tom. IV.
82
MILLEFOGLIO PTARMICO
Achillea ptarmica, Linn. Singenesia poligamia supeiflua. — Corimbifere
Juss. — Saiut-Hil. Plaut. de la Fraace tom. 3. — Ridi. bot. meil tom. 1, p»g
374.
Il millefoglio ptarmico è una pianta comunissima nei prati
di molte parti d'Europa, specialmente nei nostri climi: coltivasi
anche nei giardini. La sua radice è grossa, fusiforme, munita
di molte radichette, brunastra esternamente, giallognola nella
parte interna ; da questa sbucciano gli steli che pervengono al-
l'altezza di tre piedi circa, cilindrici, verdi ed alquanto ramosi.
Le sue foglie sono lanceolate, strettissime, dentate a sega,
sessili e glabre, d'un verde alquanto carico, assai simili a quelle
del dragoncello; si che essa differisce essenzialmente da tutte le
altre specie di millefoglio. I suoi fiori sono bianchi, terminali,
muniti di dieci a quindici flosculi disposti in un corimbo ; il
loro calice è composto di piccole foglie imbricate:i flosculi sono
tubulosi, a cinque denti al loro lembo; gli slami, in numero di
cinque, sono riuniti dalle antere; l'ovario è aderente e cangiasi
in un seme leggermente solcato verso il mezzo; i semiflosculi
sono a tre denti sui loro margini e muniti solamente d'uno stilo
e d'un ovario aderente. Il ricettacolo comune ò guernito di pa-
gliette, i grani sono nudi. Fiorisce dal mese di luglio sino al
mese di novembre.
La specie che si coltiva nei giardini ha ingrandito i suoi
fiori e produsse varietà; e sebbene possa allignare in tutti i ter-
reni, tuttavia, coltivata in un terreno grasso e ben esposto al sole,
prospera maggiormente. Si moltiplica seminando i suoi grani.
Il millefoglio ptarmico, detto volgarmente Dragoncello pratense,
3?#:
83
Sternutella, Piretro bastardo, chiamasi dai Francesi Millefeuille
ptarmique , MiUefeuille à è ter nuer , Erbe à étermier, Pyrètre
batard; dagli Spagnuoli Dragon sdvestre, Dragoncillo pratense;
dai Porloghesi Hervara epirradeira; dai Tedeschi Nieskraut; dagli
Inglesi Common neeze-wort, Goose-tongue; dai Russi Tschicha-
wez trama.
Le foglie di questa pianta essiccate e ridotte in polvere producono lo ster-
nuto, essendo debolmente aromatiche ed acri; onde il suo nome di sternutella.
La radice eccita, masticandola, l'aiione delle glandole salivari; e per quest'a-
lioue può sostituire il piretro: onde il suo nome di piretro bastardo.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Millefoglio ptarmico. i. Semiflosculo della circonfereBta.
3. Flosculo del centro, 4. Ricettacolo, b. Seme.
84
PIRETRO
Pirelbrum flore bellidis. Bauh pio. lib. 4, secl. 4. — Anlhemis pyrelrom,
Linn. Singenesia poligamia superflua. — Juss. class 10, orti. 3. Corimbitere.
— Poiret. Fior. mei), toni. 5 , lab. 287.
Il piretro, pianla indigena dell'Europa meridionale e delle
contrade dell'Asia e dell'Affrica, trovasi in abbondanza nelle
montagne d'Italia , nei dintorni di Montpellier ecc. ; occupa per
l'eleganza de' suoi fiori un rango distinto nel genere anthemis
già in riputazione per le belle specie che fornisce nei nostri
giardini. Il carattere essenziale di questo genere consiste nei
fiori raggiati. Il loro calice comune è emisferico, composto di
scaglie imbricate, oblunghe, quasi eguali, scariosesui margini;
il disco è occupato da flosculi tubulosi , ermafroditi , a cinque
denti, a cinque stami singenesiaci, uno stilo. Alla circonferenza
sono situati dei semiflosculi femmine , numerosi, fertili, più
lunghi del calice; uno stilo; due stimmi; i semi senza piumetta,
coronati da una piccola membrana intiera o dentata ; il ricet-
tacolo convesso , munito di pagliette.
Questa pianta è conosciuta dalla più remota antichità ; gli an-
tichi Egizii ed i Greci ne facevano di già uso: gli antichi Romani
l'adopravano come condimento nelle varie loro preparazioni di
cucina. Anche oggidì gli Asiatici la confettano col zucchero , e
da tempi immemorabili si servono di questa pianta a molti
usi domestici. I Mauri ladoprano pure in oggi per condir varie
3Z9.
T
85
specie d'alimenti : la polverizzano e colla polvere si fregano
il corpo per eccitare la traspirazione. Essa ci viene dall'Egitto
e da Tunisi per la via del commercio : la si coltiva in grande
nel Thuringe e nel Magdebourg.
La radice del piretro è cilindrica, lunga e grossa come il
dito mignolo, diritta od un poco flessuosa , talvolta guernita di
un piccolo numero di radichette d'un bruno cenere e segnata
esternamente di rugosità longitudinali , biancastre al di dentro,
dura e spezzabile allo stalo secco. Secondo riferisce Desfontai-
nes, quando sono maneggiate allo stato di freschezza fanno pro-
vare alla mano una sensazione di freddo , a cui tiene dietro un
caldo assai intenso. Dalla radice s'elevano più steli semplici o
mediocremente ramosi , alquanto flessuosi, lunghi da otto a
dieci pollici e più, terminati da uno, due o tre fiori. Le foglie
sono di due sorta: le radicali disposte a mo' di rosa; le cauline
alquanto carnose sono due volte alate, colle pinnee corte,
velose, sottilmente frastagliate, acute; i fiori sono grandi, bel-
lissimi, terminali, ordinariamente solitarii ; le scaglie del calice
molto imbricate, lineari, alquanto brune ai loro margini; i semi-
flosculi della circonferenza lineari, biancastri nella superficie
superiore, d'un bel porpora violetto nell'inferiore ; i flosculi del
centro sono d'un giallo pallido; i semi sono glabri, compressi,
membranosi ai loro margini edalla loro sommità; il ricettacolo
convesso, munito di pagliette ottuse e larghe alla loro estre-
mità.
Il piretro chiamasi dai Francesi Pyrèthre; dagli Spagnuoli
Piretro, Pelitre; dai Portoghesi Piretro; dagli Inglesi Pellitory of
spain; dai Tedeschi Bcrtram, così pure dagli Olandesi, dagli
Svezzesi; dai Danesi Berlramsurl, Spytteurt; dai Polacchi Zebne
ziele.
È la radice l'unica parie usata in medicina-, essa, quale rinviensi in coni*
mercio, risolta cilindrica, grossa quanto un dito, fornita di alcune Olire mi-
nute, segnate esternamente di rugosità longitudinali; il »uo colore esterno
80
è bruno cenere, l'interno biancastro; il sapore è particolare di questa pianta;
lo che la fa facilmente distinguere da tutte le altre ; dapprima debolissimo,
svolge poscia nella bocca e nella lingua un senso di acrezza e di pungimeuto
fortissimo, provocando abbondante secrezione di saliva; il suo odore è quasi
nullo quaudo è molto tempo che furono disseccale.
Fu questa radice analizzata da Gautier di Parigi clie la rinvenne composta
dei seguenti materiali (Journ- de pharm , 1818.)
Olio volatile alcune traccie.
Olio Gsso 5.
Principio colorante giallo. . . 1 '»
Gomma . . . . . 11.
Inulina ..... 33.
Muriato di calce alcune traccie.
Principio legnoso . . . . 35.
Perdita .2.
Totale
100
Pariset pubblicò nel 1833, e nel tom. 19 del Giornale di farmacia, una
analisi della radice in discorso, alla quali attribuì la seguente composizione.
Olio volatile
Principio acre, piretrina
Inulina
Gomma
Concino
Materia coloraute
Legnoso
Cloruro di potassa
Silice
Ferro traccie.
0.
3.
25.
11.
0,
12.
45.
0,
0,
55.
79.
Totii
100, 00.
Koene, sottoponendo la stessa radice di piretro successivamente all'azione
dell'etere, dell'alcool, dell'acqua fredda e bollente, l'ha trovata formala:
1. D'una sostanza bruna assai acre, d'apparenza
resinosa, insolubile nella soluzione di potassa
caustica .......
2. D'un olio fisso, bruno oscuro, acre e solubile
nella potassa ......
3. D'un olio giallo, acre, egualmente solubile
nella potassa ......
4. Di traccie di concino.
5. D'una sostanza gommosa ....
6. Di inulina
7. Di solfato idroclorato e carbonato di po-
tassa, fosfato e carbonaio di calce, allu-
mina, silice, ossido di ferro e di mangagoese. ", CO-
0,
95.
1,
CO.
o,
35.
9,
40.
57,
70.
87
8. Di legnoso 19, 80.
9. Perdila 2, 60.
Totale . . 100, 00
Si vede che i risultati di quest'analisi differiscono essenzialmente per la
proporzione e per la natura dei prodotti. Il risultato pur rimarchevole delle
ricerche di Koene si è la materia resinosa che Parisel credette dovere chia-
mare Pìretrìna. E un composto di tre sostauze; cioè una specie di resina e
due olii.
Tale materia complessa è solubile nell'etere solforico, nell'etere acetico o
nell'alcool, è insolubile nell'acqua; gli acidi nitrico ed idroclorico non agi-
scono nella medesima , ma l'acido solforico cencenlralo lo scioglie e l'altera
profondamente.
La potassa liquida scioglie in parte questa sostanza, lasciando un residuo
acre ed insolubile.
Onesta soluzione uella potassa è poi solubile in tolte le proporzioni nell'ac-
qua; ha sapore acre, e gli acidi vi separano l'olio, che va al fondo e rimane
inalterato.
La sostanza acre indissolubile nella potassa è di una acrezza insopportabile;
l'alcool a 24 gradi la scioglie, e se è più debole non la scioglie punto.
L'acido nitrico a calor moderato la rende più viscida. Il solforico concentrato
la scioglie e l'altera, inGne riscaldata in un tubo di vetro s\iluppa dei vapori
che non hanno azione uella tintura di tornasoli.
L'olio reso solubile nella potassa è pure acre e solubile nell'alcool , inso-
lubile nell'acqua; gli acidi idroclorico e nitrico non vi hanno azione; il sol-
forico concentralo le discioglie e per mezzo dell'acqua si sviluppa un fetido
odore. Calcinata in un tubo di vetro dà prodotti ammoniacali
Il piretro agisce sull'animale economia a mo' degli eccitanti acri ; rammo-
lito ed applicato sulla pelle determina una forte irritazione ed anche esulce-
razione; l'irritazione che esercita nell'interno della bocca eccita vivamente le
glandole parotidi e sali vali da produrre una secrezione abbondante di saliva.
La sua azione è nou meno pronunciata nella membrana pituitaria, quando
s'introdece per le fosse nasali: essa provoca violeuti sternuti.
Egli è appuuto pel suo principio acre, come salino ed acido nello stesso tempo
che eccita fortemente la salivazione, per cui viene impiegata questa radice
nelle malattie della bocca, quando si voglia determinare una viva eccitazione;
essa godette anche sotto tale aspetto una tal quale riputazione contro la pa-
ralisia della lingua. L'olio di questa radice , preparato per infusione, venne
adoprato da Ceteuo per unzione, lungo la colonna vertebrale contro le febbri
intermittenti , lo stupore , e la paralisia.
Questa radice polverizzata entra in molte polveri ed elesiri dentilrici;
usasi come slernulorio e viene impiegato nella fabbricazione dell'aceto, alcuni
farmacisti preparano tavolette di questa radice che s'usano contro i dolori dei
denti.
Malgrado la sua acredine, il piretro viene facilmente intaccato dai vermi; si
sostituiscono talvolta alla radice di questa pianta quelle di varie Mtre corina-
88
bifere cbe non hanno appunto la ili lei energia ; tali sono la radice della
Achillea ptarmica sopra descritta, del Chrysanthemum frutescens e va di-
cendo.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Piatila di piretro. 2. Flosculo del centro. 3. Flosculo della circonferenza.
33o.
y
!&7?&?97'6
/?a?t/fr
89
CAMOMILLA ROMANA
Cliamaemelum nobile, sive leucanlliemum odoratius, Bauh. pin.lib. 4, secl. 1 ■
— Tourn. class. 14 raggiate. — Anlhemis nobilis, Lino, class. 19. Singe-
nesia poligamia superflua. — Juss. class. 10, ord. 3 corimbifere. — Poiret ,
Fior. med. toni. 2, lab. 89. — Rich. bot. med. toni. 1, pag. 372. — St-Hil.
Plani, de la Frauce toni, t , tab. 38
Dassi il nome di camomilla a due piante appartenenti bensì
alla stessa famiglia, ma a due generi differenti , assai affini
però, e dotali assolutamente delle stesse proprietà mediche.
Una è la Camomilla Romana, l'altra la Camomilla Volgare: am-
biduc queste specie sono comunissime nei nostri climi. Diremo
della romana.
La camomilla romana è una piccola pianta vivace , sparsa
con profusione in quasi tutte le contrade sabbiose d'Europa
temperata, soprattutto della Francia e d'Italia, ove trovasi co-
munissima in moltissimi luoghi , nelle praterie , nei terreni dei
boschi, sui viali dei medesimi, sui margini dei fossi , delle
strade e va dicendo ; preferisce tuttavia le macchie alquanto
umide; essa coltivasi pure abbondantemente nei giardini. La sua
radice è fibrosa e cappelluta. I suoi steli sono sottili, sdraiati, ra-
mosi, raddrizzati all'estremità dei suoi rami, ciascuno dei quali
porta un fiore; essi sono striati, guerniti di foglie corte, irre-
golarmente bipinnale, pubescenti, ugualmente che il fusto, a fo-
glietto lobulate , piccolissime ed acute. 1 fiori solitarii alla som-
mità della pianta, bianchi alla circonferenza e gialli nel centro,
sono composti : di un calice comune imbricato , quasi eguale ,
d'una forma emisferica; di semiflosculi posti alla circonferenza
femmine e muniti di tre piccoli denti alla loro sommità; di
90
flosculi situati al centro, gialli , ermafroditi , tubulosi, a cinque
denti che hanno cinque slami riuniti dalle loro antere ; l'ovario
è aderente, sormontato da uno stilo; questo cangiasi in un grano
nudo inserto su d'un ricettacolo, munito di pagliette.
Dissimo, che questa pianta si coltiva anche nei giardini ; e
vaglia il vero, che quasi tutta la camomilla romana usata in
medicina , si trae da individui coltivati. Con tal mezzo otlen-
gonsi certi capolini , o teste maggiormente grosse e piene ; vale
a dire, i flosculi del centro si cambiano tutti in semiflosculi , e
quindi siffatte leste di camomilla coltivata sono affatto bianche.
Quelli che s'incontrano nel commercio degli erboristi sono an-
che trasformati in capolini interamente composti di fiori bianchi;
non sono però tanto amari ed aromatici quanto i fiori semplici
e selvaggi. 1 fiori di questa specie di camomilla divengono facil-
mente doppii per mezzo della coltura. Si moltiplica o separando i
suoi piedi nell'autunno, o seminando di primavera i suoi grani.
Parmentier ed AUbert proclamarono come eccellente il me-
todo di coltura adoprato da Descroizilles a riguardo di questa
pianta. Le principali cure che esige stanno nel sarchiellare ben
bene le piante, e ripetutamente, sin che la pianta sia pervenuta
a soffocare per così dire, le erbe parassite. Piantala sul princi-
pio di marzo, la camomilla fornisce nei primi giorni di giugno
un raccolto, che si continua sino nel mese di settembre : i fiori
che si sviluppano prima sono semi-doppii ; ma a misura che
il raccolto volge verso il fine rendonsi doppii, ed allora sono
molto più ricercati nel commercio essendo più bianchi ; locchè
però è a pregiudizio delle loro mediche proprietà.
L'aprimento dei fiori influisce molto sulla loro bianchezza, ed
osservasi in alcuni casi che è meglio raccoglierli ai tre quarti
di loro fioritura, specialmente quando temesi qualche tempo-
rale. Per disseccarli s'adopra il metodo sopra descritto ; e per
conservarli è necessario metterli in botti intonacate di carta ,
affinchè si mantengano bene asciutti. Se ne conosce una varietà
91
in cui i fiori non sono raggianti. Fiorisco in quasi tutta restate.
La Camomilla romana , detta anche Camomilla nobile, chia-
masi dai Francesi Camomille, Camomille romane, Camomille no-
ble, Camomille odorante ; dagli Spagnuoli Manzanilla, Manzanitta
nobile; dai Portoghesi Macella nobre ; dagli Inglesi Chamomille,
Roman camomille, FFeet-scented chamomille ; dai Tedeschi Ka-
mille komeìj; dagli Olandesi Kamille, Roomsckc kamille ; dai Po-
lacchi Rumianeli.
Tutte le parti di questa pianta , i fiori principalmente, esalano un odore
aromatico forte ed aggradevole per molti : il loro sapore è estremamente amaro,
alquanto caldo ed acre. Sia che si tratti dei fiori selvaggi, o «lei fiori colti-
vati, dopo d'averli raccolti si seccano esponendoli ai raggi solari sopra qua-
dri di tela; essi, perchè siano buoni, debbono essere ben secchi, d'un bel
colore bianco, non che olezzare un odore aromatico penetrante, ma piace-
vole. Debbonsi però rigettare tutti quelli che non sono di un bel bianco e
che non essendo stati convenientemente disseccati, perdettero gran parte del
loro aroma.
Noi non conosciamo particolari lavori chimici intrapresi sulla camomilla;
sappiamo solo ch'essi contengono una grande quantità di sostanza estrattiva
amara, della canfora, un principio gommo resinoso e poco concino, non che
un certo olio volatile di bel colore azzurro, alterabile al contatto della luce e
dell'aria. Quest'olio si conserva dai farmacisti, perchè prescritto come risol-
vente, eccitante, sedativo in diverse malattie esterne, sotto forma di linimento,
solo e combinato coll'ammoniaca, ovvero con altre sostanze analoghe ecci-
tanti.
Costituiscono i fiori della camomilla romana certo medicamento indigeno »
che per la sostanza estrattiva amara, e l'olio volatile che contengono, risulta
tonico e stimolante, ed il suo uso trovasi cotanto sparso, da essere divenuto
non solo popolare, ma popolarissimo, ed a segno, che in ogni paese, dalle
donne in ispecie , è siffatto rimedio continuamente adoprato, soprattutto nelle
affezioni nervose, di cui lo credono il campione, e forse con ragione, perchè
rade volte ricorrono ad esso senza vantaggio, speciamente nelle varie specie di
contrazioni.
La infusione acquosa dei fiori di camomilla romana si somministra talvolta
profittevole onde accrescere le forze digerenti dello stomaco, allorquando
quest'organo eserciti penose le proprie funzioni ed abbisogni essere stimolato.
S'impiega eziandio la stessa bevanda in certi casi di ammenorrea, specialmente
allorquando la irregolarità od il cessare dello scolo mensile sono accompagnati
da debolezza generale. « Esso, dice Gilibert, è la consolazione degli ipocon-
driaci, delle isteriche, e di tutti coloro le cui forze digestive trovausi in istato
di languore ; facilita e regolarizza Io scolo dei mestrui soppresso o devialo per
qualche disposizione cachetica o per debolezza dell'utero ».
92
Molli medici, fra* quali primeggia Bollarci, che contribuì molto a ristabi-
lire la camomilla romana nella sua primitiva fama, da cui era scaduta , rico-
nobbero nella camomilla la virtù febbrifuga marcatissima contro le febbri
intermittenti invernali , che prolungausi per gran tempo specialmente negli
individui deboli: in tal caso bisogna usare della infusione dei Cori: e vo-
lendo rendere sì fatta azione più gagliarda, adoprasi con vantaggio la loro
macerazione nel vino od anche si somministrano in sostanza; anzi altri autori
considerano la polvere della camomilla romana come uno dei migliori succe-
danei indigeni della China la somministrano nelle medesime dosi , e sotto
le stessi coudizioni di questa corteccia; il succitato Bodard gli attesta siffa'ta
proprietà , e Chaumeton dichiara d'averue ottenuti felici risultati dall'ammi-
nistrazione del farmaco in discorso nelle febbri mucose continue e periodiche,
e d'averlo trovato ottimo ausiliare nelle febbri adinamiche: e molti medici
attestano d'averlo impiegato utilmente contro le febbri intermittenti , da cui
sono colte in primavera le persone di un temperamento debole.
La camomilla romana è il più delle volte adoprata come antispasmodica
contro tutte le specie di malattie nervose. Si osservò inoltre, che la sua in-
fusione ben calda, assunta per bevanda o somministrata sotto forma di cli-
stere, produce un buon effetto in certe coliche nervose, specialmente allor-
quando sono accompagnale da grande sviluppo di gaz nel tubo intestinale.
All'oggetto di produrne lo stesso effetto si praticano talvolta sull'addomine
varie imbricazioni con un linimento, in cui entri l'olio essenziale di camo-
milla.
La infusione della camomilla romana produce spesso un senso di gravezza
all'epigastrio, per motivo del quale non è cosa rara che accadano vomiti più
o meno copiosi : in certi individui anzi basta tale bevanda ad apportare da
se sola mai sempre codesto effetto ; e quindi la si adopra talvolta tanto sola,
quanto dopo la somministrazione dell'emetico o della ipecacuana all'oggetto di
provocare, o di facilitare il vomito.
La camomilla romana per ultimo va annoverata tra i numerosi vegetali
della stessa famiglia che adopransi per combattere i vermi che svolgonsi ne-
gli organi digerenti.
Usansi per solito i Gori di camomilla in infusione alla foggia del thè e la
loro dose è di dodici capolini per ogni boccale di acqua bollente ; tale in-
fusione va preparata tntro vasi chiusi: spesso però si fanno digerire questi
Gori nel vino, oppure si polverizzano; il vino di camomilla che si sommini-
stra nella dose di una Gno a tre oncie, costituisce una preparazione molto
energica. Per ciò che spetta alla polvere va essa somministrata nella quantità
di due, Gn quattro dramme innanzi all'accesso di una febbre che vuoisi sop-
primere; bisogna continuarne l'uso , sebbene in minor dose, alcun tempo
dopo cessata la febbre, onde prevenirne il ritorno. Si prepara un'acqua di-
stillata di camomilla, che puossi far entrare nelle pozioni eccitanti per la
dose di due in tre oncie.
Abbiamo già osservato esercitarsi spesso dalla camomilla certa azione al-
quanto irritante sulla mucosa gastro-intestinale e che quindi produce essa tal-
volta i vomiti od aumenta le egestioni; all'oggetto di neutralizzare quest'azione,
93
moli ì [natici, seguendo l'esempio ili Calieri, aggiungono a siffatto medica -
niellili «filatelie sostanza narcotica , come sono i preparati dell'oppiti
Il modo popolare d'usare la camomilla e^li è di passarvi sopra un po'
d'acqua , o limilo di \ilello : per quegli s'usa la poh ere dei fimi , invero i
fiosculi ermafroditi essiccati e polverizzati. L'estratto di camomilla è pure in
grande uso. Per ultimo direnici, che la camomilla costituisce la base ed un
principio componente molli medicamenti che s'adoprano si esternamente che
internamente, lozioni, fomentazioni, pediluvii , bagni, elettuarii, pillole e va
dicendo.
wvanrJuw^
SP1EGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Piatila di Camomilla romana. 2. Ricettacolo taglialo per mela.
3. Flosculo ermafrodito. 4. Flosculo femmina. 5. Grano.
94
CAMOMILLA VOLGARE
Cbamaemelum vulgare. Doti. pag. 257. — Leucatbemum Dioscordis. G.
B. pag. 135. — Chamaeiueluni vulgare amarum. J. Baub. 3, 116- — An-
ihfinis vulgatior sive cbamomilla. A;//
97
Tutte le parti della camomilla fetida diffondono , come lo indica il suo
nome speciGco, un odore forte e disaggraderole, che è dagli autori consi-
derato come indizio di proprietà stimolanti ed antispasmodiche. Si adopra
pure nelle differenti neurosi, e specialmente contro gli accidenti isterici, tanto
in infusione teiforme coi fiori , come in clisteri colla decozioue della pianta
intera.
Del resto, siccome essa è vicinissima pei suoi rapporti botauici alla camo-
milla romana, gode pure di proprietà all' incirca simili.
SPIEGAZIONE DELLA. TAVOLA
-*© pianta sul sistema uterino; poiché si è risguardata come un efficace rime-
» dio alto a promuovere l'esecrezione dei mestrui e dei lochi , e convenien-
» tissimo perciò nei casi di soppressione o dell'uno o dell'altro di questi
» profluvii J>. E più sotto: fc Intorno alla virtù stomatica della matricaria non
« vi ha dubbio che questo vegetale la possieda, al pari di ogni altra pianta
» amaro-aromatica. Il forte di lei odore ba indotto alcuni medici ad animi-
s> Distrarla come antelmintica e con qualche successo Si è pure lodato il
» sugo di matricaria come antifebbrile , amministrato nella intermittenza delle
» febbri periodiche. Infine anche Pesterua applicazione della matricaria ha
» trovato i suoi partigiani e sono stali vantati i buoni effetti dei cataplasmi
" di matricaria nel calmare la cefalalgia, i dolori podagrici ecc. «
103
Le asserzioni di Bruschi sono convalidate da Rai e Lange, die affermano
essersene serviti vantaggiosamente della matricaria per espellere la. tenia. Mil-
ler asserisce d'averla trovata utile contro le febbri intermittenti ; e Chomel
riferisce die, applicata sotto forma di cataplasma sulla testa, fece sparire ce-
falalgie ed emicranie, e che varii gottosi dovettero ai cataplasmi fatti eoa
questa pianta alleviamento sommo di dolori. A tale riguardo conchiuderemo
pero con Richard ebe « Spelta al medico pratico giudicare quali siano i casi
y> in cui devesi usare un tale medicamento attivo, il quale non si addice ge-
» neralmente altro che nelle circostanze, in cui fa d'uopo stimolare ed attivare
» gli organi ».
La matricaria può essere amministrala in polvere alla dose di un denaro
ad una dramma. I medici prescrivono più comunemente l'acqua stillata ed il
sugo espresso della matricaria ; quest'ultimo può amministrarsi alla dose di
un'oncia a due. Essa fa parte dei componenti il siroppo d'artemisia, il
siroppo aperitivo e cachetico di Charas, l'empiastro di Vigo e va dicendo.
Simon Pauli raccomanda alle persone, che sono esposte ad essere punte
dalle api , di munirsi di uu mazzetto di matricaria, cui il suo odore solo ba-
sta metterle in fuga.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
«. Matricaria officinale, x. Flosculo ermafrodito. 3. Ftosculo femmina.
4. Involucro e placenta. 5. Seme.
MATJ1ICARIA ÌNDICA
-£^£@«-
Anlhemis artemisiaefolia, Vild. spec 3. pag. 2185. — Anthemis grandf-
flora, Ramai, jour. d'hist. natur. — Desf. hort. par. ed. 2, pag. 125. Chry-«
santhemum iti dienti). Curt. bot. mag. □. et tom. 327. — Matricaria iudica'
Lam. dici- enc. 3, pag. 734. — Lini)., Singenesia poligamia superflua. —
Juss. Corirobifere. — Arlhemis arlemisiaefolia Delaun. berb. de l'amat tom 4,
tab. 276.
Questa pianta è originaria della China ove coltivasi nei giar-
dini , e d'onde venne trasportata nelle Indie , poscia in Europa.
Andiamo debitori agli inglesi di questa specie di matricaria,
appo cui già sin dal 1764 coltivavasi. Oggidì però è sparsa per
ogni dove in Europa, e si sparse tanto la coltivazione, che già
si hanno più di dodici varietà distinte pel colore diverso dei
fiori : havvene con fiori bianchi , con fiori a diverso giallo , con
altri d'un rosso chiaro o carico, ed anche d'un violaceo oscuro;
variano pure questi fiori, secondo sono essi semplici, semidoppii
od interamente doppii. La varietà che descriviamo è conosciuta
sotto il nome di Chrysanthemum indicum coccmeum, che però,
come saggiamente osserva Delauny, starebbe meglio l'epiteto di
Croccimi.
Lo stelo di questa matricaria è ramoso dalla sua base , al-
quanto legnoso, più o meno persistente, quasi angoloso, pube-
scente nella parte superiore. Le sue foglie sono sparse, peziolate,
pinnatifide , la maggior parte profondamente frastagliate in cin-
que lobi dentali, lucenti nella superficie superiore, lanuginosi
o solamente pubescenti nelle inferiori. I fiori sono grandi , -
tuati nelle ascelle delle foglie superiori e riuniti da tre ad otto
assieme, alla sommità dei rami, in una specie di corimbo: questi
/1/Ì/*-,Ma
S////-/"?//'^ tfltfY?*?
4 OS
(lori sono raggiati , composti alla circonferenza di semiflosculi
femmine, e nel disco di flosculi ermafroditi , gli uni e gli altri
portati su d'un ricettacolo quasi piano, guernito di pagliette
oblunghe e circondato da un calice comune emisferico, com-
posto di più ranghi di scaglie ovali, fogliacee , membranose ai
margini ed intricate su diversi ordini. L'ovario di ciascun flo-
sculo, o semiflosculo cangiasi in un piccolo grano oblungo , co-
ronato da un orlo cortissimo.
Si moltiplica separando le sue radici, o seminando i suoi
grani. Fiorisce nei mesi di novembre e decembre : nelle serre
si mantengono i fiori anche a tutto gennaio.
Questa specie di matricaria chiamasi dai Francesi Anthémide
à feuilles darmoise.
Tulle le partidi quegli pianta, Soprattutto le Toglie, hanno un odore forle,
aromatico, analogo a quello della matricaria sopra descritta, alla quale può
essere sostituita.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Matricaria indica, i. Semiflo3cu!o della circonferenza.
3. Flosculo del centro ingrossato.
106
MARGHERITINO ESENTILE
Bcllis silvesliis minor, C. B. pag. 261. — Bellis et bellini Flos. Jung. —
Bellis perenDis, Linn. Singenesia poligamia superflua. — Jus.s. Corimbilere.
Questa pianta era anticamente molto usata in medicina e
godeva anche di molta riputazione , ed a segno, che credevasi
persino capace di richiamare a vita i morti , come leggiamo
nel Morandi : Quia reducere in vitam mortuos videtur.
Alligna il margheritino, che costituisce uno dei più bei or-
namenti della natura campestre , abbondantemente per ogni
dove, specialmente frammezzo all'erba minuta e folta, nei prati,
sulle piote, nei luoghi incolti, lungo le siepi, le sponde dei
ruscelli e simili. Ebbe tal nome per l'eleganza de' suoi fiori
paragonati a tante perle. Coltivasi anche nei giardini quale
pianta d'ornamento.
La sua radice è vivace, quasi semplice, fusiforme, bian-
castra. Sbucciano dal suo colletto foglie radicali, ovali, oblun-
ghe , ristrette in un picciuolo , quasi membranose , alquanto
acute alla loro sommità , leggermente vellose , più o meno
dentate od incise, d'un colore verde oscuro. Frammezzo a
queste s'elevano gambi nudi , alti da tre a sei pollici, alquanto
vellosi, solitarii, semplici, portanti un fiore terminale, so-
litario, composto di un calice pubescente, imbricato, di for-
ma conica; d'una corolla radiata coi semiflosculi della cir-
conferenza bianchi, oppure internamente bianchi, con macchia
rossa all'estremità, rossi al di fuori; coi flosculi gialli al
centro , ermafroditi , tubolosi, a cinque denti ; il loro ricet-
/f au/Z/f ///'"<■ fi
Y/fftSY-
407
tacolo è nudo, come pure nudi sono i semi. Il margheritino
gentile presenta un fenomeno particolare, che ha molto rapporto
con quello nomalo da Linneo Sonno delle piante: ed è che se il
tempo è nuvoloso , od il sole vicino al tramonto : sovraltutto
se l'aria è umida, si chiudono i fiori, e la prateria, prima piace-
volissima a vedersi per la brillante decorazione di questi fiori
aperti, non presenta più che una vasta tinta di verzura.
Questo bel fiorellino trasportato nei giardini s'abbellì sia
per la moltiplicazione dei suoi semiflosculi, o volgarmente pe-
tali, che per la varietà de' suoi colori, di cui però il porporeo
ne è sempre la base. Le varietà più comuni sono:
// rosso.
Il roseo.
Il macchiato semplice o doppio.
Il bianco doppio.
Il bianco accartoccialo.
Il rosso pallido.
Il rosso carico.
Quello a cuor verde e via via.
Infine il prolifero, di cui i raggi della circonferenza portano
altri fiori più piccoli , peduncolati , sotto forma d'ombrella.
Il margheritino è di facile coltura, non occorre che di sar-
chierarlo, ed ogni tre o quattro anni svellerlo nell'inverno per
cangiarlo di sito. Si moltiplica ordinariamente separando le
sue radici, perchè i suoi semi rimangono due o tre anni senza
svolgersi. Ama una terra succolenta, fresca, leggera, serve nei
giardini a fare bordature. Fiorisce di primavera ; nell'autunno ,
e nei luoghi ombrosi quasi tutto l'anno.
Il margheritino gentile chiamasi dai Francesi Marguerite
gentile.
Il margheritino «Tentile, era, come dissimo, temilo in grande riputazione
appo gli antichi. E»>i lo credevano refrigerante o dotato della facoltà di
umettare le membrane mucose. Lo prescrivevano nelle artriti, nella gotta,
108
nelle idropi, essendo che gli allribuivano in sommo grado la proprietà diuretica.
Elmiuiio lo raccomanda nelle pleuriti; Michel nelle affezioni asmatiche. Si
servivano pure della decozione per purgare i bambini. Preparavasi una conserva
coi suoi fiori che la prescrivevano spesso nella leucorrea, ed era anche com-
mendata per promuovere la mestruazione; esternamente adopravasi il suo de-
cotto come astringente e vulnerario. Oggidì però questa pianta non ha più
in medicina uso alcuno, sebbene avesse anticamente la facoltà di fare ri-
vivere i morti.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. M»rgheritino gentile, a. Semiflosculi. 3. Semi.
q fi
y & ta/f /sf/sfr r/fa//r
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rSs ///?,, ^^^g^e„^ >
111
MARGIIER1TIN0 AUTUMNALE
Ciysanlbemum indiani), Linn. Singenesia poligamia superflua. — Juss. Co-
rimbil'ere. — St-Ilil. Plani, de la France, toni. 1 , tal). 78.
Questa pianta, originaria delle Indie e della China, costituisce
un ornamento preziosissimo dei nostri giardini. La sua radice
è vivace: il suo stelo è alto circa tre piedi, quasi legnoso, ro-
tondo, e munito di foglie alterne, peziolate, a cinque lobi pro-
fondi e dentati: la inferiore d'un verde cinereo, la superiore
d'un verde vivo; i picciuoli poi sono muniti alla loro base di
una o due stipule. I fiori sono terminali e d'un bel colore por-
poreo carico ; l'involucro o calice comune è formato di scaglie
imbricate e sormontate da un margine membranoso, come nelle
altre specie di questo genere. I raggi o semiflosculi della cir-
conferenza sono a linguette: ma quando la stagione non è
molto calda restano tubulosi ed a modo da diminuire di lun-
ghezza in ragione che s'approssimano al disco: i flosculi del
centro sono a cinque divisioni, a cinque slami riuniti dalle an-
tere e da uno stilo. Il seme è nudo ; il ricettacolo munito di
pagliette.
La coltura di questa pianta è molto facile; e sebbene il freddo
impedisca ordinariamente che i semi pervengano alla maturità,
si può non ostante ovviare col metterne alcuni individui nella
serra. Si moltiplica seminando i suoi grani , o separando le sue
radici; ama d'essere esposta al sole e d'essere frequentemente
bagnala. Fiorisce nei mesi d'ottobre, novembre ed anche gen-
najo.
112
Il margheritino autunnale, detto propriamente Margheritino
indico, chiamasi dai Francesi Crysanthème d'automne.
Tutte le parti di questa pianta sono dotate delle proprietà stesse, che quelle
della sovra descritta specie ; può perciò servire agli stessi usi. In medicina si
fa poco o nessun conto , come iu genere di tutte le altre piante coltivate.
Serve piuttosto, coi uumerosi suoi steli portanti una grande quantità di fiori^
all'ornamento dei giardini in una stagione avanzata in cui la natura incomin-
cia mostrarsi nel suo squallore.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Margheritino autunnale, a. Scaglia del calice comune ingrossato.
3, Ricettacolo tagliato per metà. 4. Semiflosculo della circonferenza.
5. Flosculo del centro aperto. 6. Seme.
/&éaa&t6&?i#* 'sdte, /y^u///,
4 S 3
MARGIIERIT1N0 GIALLO DEI GIARDINI
o^'MM^--
Cliiysanlbeimitn coronariuni, Limi. Singeuesia poligamia superflua. — Jus^
Coriinbifere. — St-Hil. Piaut. de la FraDce Unii 1 , lab 7U.
Questa pianta , originaria della Francia meridionale e d'Ita-
lia, serve coi suoi numerosi fiori doppii ad ornare i giardini e
le aiuole. I suoi steli ramosi , cilindrici e leggermente solcati ,
s elevano a due o tre piedi : essi portano foglie d'un verde al-
quanto glauco, profondamente pinnatifide, a lobi stretti, acuti
e muniti di denti acuti, specialmente verso la loro sommità, la
quale è ordinariamente più larga della base. I fiori sono rag-
giati , solitarii alla sommità dei peduncoli , di colore intiera-
mente giallo o solamente giallo alla loro base, e bianco nel
contorno: essi sono composti di un calice comune emisferico,
a scaglie imbricale, coriacee; le superiori munite di un orlo
membranoso sagliente; di flosculi centrali, tutti ermafroditi, a
tubo rinversato inferiormente e leggermente gonfio alla sua parte
superiore, che è terminata da cinque denti, ed aventi cinque
stami colle antere riunite, a modo da formare un tubo al pistillo;
di semiflosculi della circonferenza fertili, e come tronchi alla
sommità : il ricettacolo è nudo come lo sono i semi.
La pianta in discorso è annua, e si moltiplica seminando i
suoi grani in una terra buona, dolce, aduna buona esposizione;
non richiede altra cura che di sarchiarla. Fiorisce da luglio sino
ad ottobre.
11 margheritine giallo dei giardini , dello volgarmente Mar-
gherlino dorato, Fiore dorato dei giardini, chiamasi dai Fran-
cesi Chrysanthème desjardim, e volgarmente Marguerite jaune
Tom. IX. H
414
Flew dorée desjardins; dagli Spagnuoli Santimonia; dai Porto-
ghesi Malmequer amar elio; dagli Inglesi Garden chrysanthemum,
dai Tedeschi Garten cryssanih.
Tutte le parti di questa pianta sono dotate d'un principio amaro, e d'un
odore aromatico, analogo al genere matricaria ; la sua decozione è adoprata
dalle donne per liberarsi dall'isterismo.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Marghcrilino giallo dei giardini, a. Calice comune.
2. Floiculo della circonferenza. ... Flosculo del centro aperto. 5. Ricettacolo.
fi
MAliGìIERITINO FltlTTICOSO
Pyretbruiia frutescens, Wild, spec. 3, pag. 2130. — Matricaria frulesceus,
Desrous in lam. dici. euc. 3, Cbamaemelum canarieuse l'rulicosius. Moris.
Iiist. 3, pag. 35. — Bellis canarieusis frutescens. Rai, suppl. 221. — Cliry-
sanlbemum frutescens, Linn- spec. 1251. — Siugenesia poligamia superflua.
— Juss. corinibifere. — Delaun. beri), de l'amai, toni. 3, lab. 167.
Questa specie di margherilino è originaria delle isole Cana-
rie. Portata da più d'un secolo in Europa, molliplicossi mollo
nei giardini , perchè i suoi fiori , non solo hanno un aspetto pia-
cevolissimo , ma si succedono gli uni agli altri nella maggior
parte dell'anno.
Questa pianta è un arbusto a steli legnosi, alti due o tre
piedi, che si dividono in più rami; le sue foglie sono oblunghe,
alquanto carnose, glabre, d'un verde gaio alquanto glauco, ri-
strette alla loro base , frastagliate più o meno profondamente in
cinque o sette pinnule oblunghe, il più delle volte ineguali, tri-
dentate alla loro sommità, altre intiere: le foglie superiori sono
più strette , non divise e solo leggermente dentate. I fiori sono
bianchi alla loro circonferenza e gialli nel centro, portali su
lunghi peduncoli situati alla sommità dei rami, o nelle ascelle
delle foglie superiori. Questi fiori sono composti di molti pic-
coli fiori particolari riuniti in un calice comune , formato da
numerose scaglie fogliacee, imbricate su molti ordini, e mem-
branose ai loro margini: i flosculi del dentro sono piccolissimi,
monopetali, tubulosi, divisi in cinque parti ai loro margini,
tulli provvisti di cinque stami e d'un pistillo: i scmiflosculi della
circonferenza disposti all'intorno dei primi, come altrettanti
146
raggi d'una corona , sono tubulosi alla loro base e larghi a guisa
da costituirò una lunga linguetta nel resto di loro estensione:
essi sono solo femmine, cioè hanno solamente un pistillo, e sono
sprovvisti di stami. A ciascun flosculo e semiflosculo succede
un piccolo grano oblungo, coronato alla sua sommità da un
margine cortissimo ed inserto su d'un ricettacolo rotondo o in-
cavato a guisa di piccolissimi alveoli.
La coltura di questa pianticella è facile ; la si moltiplica se-
minando i suoi grani , o per margotto. Se è tenuta riparata
dal freddo fiorisce tutto l'anno; chiamasi dai Francesi Chrysan-
thème frutescent.
I Cori di questa pianta ponno servire agli usi stessi di quelli della mani-
carla officinale; auzi uel commercio trovausi confusi. Le sue foglie hanno
un sapore acre , ed alquanto piccante ; masticate , lasciano siffatta impressione
per lunghissimo tempo sulla liugua.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
f. Margherilino frutlicose. 2. Stelo con fiore, 3. Semitlosculo della circonfercm»-
4. Flosculo del centro ingrossato. 5. Ovario, stilo e stimmi.
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ano.
4
117
ARNICA
Boronicum plaolaginis folio alterum, Bauh. più. lib. 5, sect. 4. — Tourn.
class, li raggiate.- Dorouicum opposilifolium. Lam. - Amica montana, Linn.
class. 19. Singenesia poligamia superflua. — Juss. class. 10, old. 3 Corim-
bifere. — IViret. fior, med tom 1, lab. 38. Rich. boi. med. tom 1, pag.
387.
Quantunque il credito, di cui ha goduto l'arnica in medicina
(credito che tuttodì si sforzano di rivendicare i medici omeopatici,
prescrivendola omeopaticamente in un'infinità di affezioni), sia
stato troppo esteso; e sebbene le moltiplici virtù attribuite a
questa pianta siano alquanto esagerate ; nondimeno può questo
vegetale meritamente occupare un posto distinto nella materia
medica.
Egli è incertissimo, se l'arnica dei Greci, e specialmente di
Dioscoride, sia la nostra arnica, come opina Matioli , la cui au-
torità però non è tanto importante, essendo egli spessissimo ca-
duto in errore. Conrad Gesner, che ne fece dei primi parola, la
denominò Ptarmica, che Michele Jehes probabilmente trasformò
in Arnica.
Checché sia, questa pianta vivace ama i luoghi elevati ,
freddi ed umidi, non che ombrosi : cresce abbondantemente in
Europa sulle montagne, nei boschi, e nei pascoli montuosi della
Laponia, della Svezia, della Boemia, della Svizzera, della Francia,
non che sulle alpi che separano l'Italia. Gilibert la rinvenne
frequentemente in Polonia e sul monte Pila, e ne osservò al-
cune varietà; trovonne alcuni individui a foglie strette, a steli
alti otto pollici , uniflori; altri a larghe foglie , con steli dell'ai-
ffg
iezza solamente di tre piedi e moltiflori ecc. Noi parleremo'
della più comune.
La sua radice, irregolare, bruna esternamente, biancastra
all'indentro, non s'impianta perpendicolarmente nel suolo, ma
serpeggia obliquamente ad una piccola profondità, gettando nu-
merose fibre. Da questa s'eleva uno stelo cilindrico, legger-
mente velloso, che s'eleva ordinariamente all'altezza di due
piedi, e che per lo più porta tre fiori. Le sue foglie sono di due
sorta: le une radicali, ovali, intiere, lunghe da due a tre pol-
lici, nervose come quelle della piantaggine, d'un verde chiaro,
pubescenti, prostrate a guisa che formano una rosetta alla
base dello stelo , ordinariamente in numero di quattro , abbrac-
ciaci la base del medesimo per mezzo d'una guaina cortissima;
le cauline sono opposte, lanceolate, più piccole delle radicali.
Il fiore terminale è grande, bellissimo, d'un giallo d'oro, e pre-
senta un diametro di due pollici almeno : e quando esistono
fiori laterali, sono più piccoli : ciascun d'essi è composto di un
calice comune, formato di due ordini di scaglie lineari, eguali,
acute, aperte ; di flosculi ermafroditi, tubulosi, quinquefidi, si-
tuati nel disco ed aventi cinque stami riuniti dalle autere;
di semifiosculi femmine a linguetta lineare, lanceolate, situate
alla circonferenza, con due o tre piccoli denti alla loro som-
mità. Il ricettacolo è nudo. Il frutto consiste in più grani ovali,
leggermente compressi, e tutti coronati da una piumclta sessile.
L'amica chiamasi dai Francesi Arnique , Arnica , Tabac des
vosges, Bétoine des montagnes; dagli Spagnuoli Amica, Tabaco
de montagna ; dai Tedeschi Arnika, JVokl vertein, Woherleij,
Fallkraut Inzianskraut ; dagli Inglesi Amica, German, Leopard
s bane ; dagli Olandesi Arnika, TVorlverley, Val-kruid, Groot-
luciaen, Kruid.
Lamark credette bene di riunire il genere arnica a quello
del doronico. Infatti Linneo, dice Lamark, dà per caratteri di-
distintivi dell'arnica tutti i semi a piunietta, cinque filamenti
4 49
sterili nei semiflosculi; ora, il primo di questi caratteri è poco
importante per stabilire una distinzione generica ; il secondo
non esiste che nell'arnica montana, secondo Ilaller, Jussieu,
Turpin ; e Gilibert dice solamente che non la si trova sempre.
Tutte le parti dell'arnica presentano un sapore alquanto acre, astringente,
ma più particolarmente amaro-aromatico ; l'odore balsamico che esse spandono
è più o meno penetrante, secondo lo stato di freschezza della pianta e delle
sue varie parli.
Si deve a Lassaigne e Chevallier l'analisi di chimica dei Gori dell'arnica ;
questi chimici vi hanno trovato :
1. Certa resina odorosa.
2- Una materia amara nauseosa.
3. Dell'acido gallico.
4. Una materia colorante gialla.
ò\ Dell'albumina.
6. Della gomma.
7. Alcuni sali.
L'analisi di questa pianta è stala però preceduta da un esane chimico di
Lemercier. Questo medico attribuiva le proprietà che possiede l'arnica di es-
sere emitica a degli insetti che soventi si trovano nei Gori ; ma l'analisi dei
succitati chimici ha dimostrato che questa proprietà dovevasi alla Citisina che
trovasi nell'arnica.
La cilisiua scoperta dai suddetti chimici nell'arnica e nel Cytisus labur-
mtm è di un colore giallo; il suo sapore è amaro e nauseante; esposta all'aria
ne attrae l'umido ; si discioglie difficilmente nell'alcool concentrato , e mollo
facilmente nell'alcool allungato. E insolubile nell'etere, solubile nell'acqua. La
sua dissoluzione acquosa non fa rossa la carta di tornasole, ne quella di cur-
cuma ; essa non è precipitata dall'acetato di piombo, dai nitrati di argento,
dai solfati di rame e di ferro, dagli idroclorati di barite, di calce, di stron-
ziana. ecc.
La citisina, introdotta nell'economia animale, agisce come vomitivo e come
purgativo. In dose di cinque grani ha prodotto gli stessi effetti che tre di
tartaro emetico; otto grani ingoiati da Cbevallier la esposero ad una specie
di avvelenamento vinto col mezzo di bevande acidulate, e specialmente colla
limonata tartrica presa in grande quantità.
Pochi sono i medicamenti indigeni ai quali siansi prodigati elogi pari a
quelli che si tessero all'arnica ; i medici alemanni in particolare si diffusero
molto coll'attribuire a tal piauta proprietà meravigliose; per questa guisa pa-
recchi la considerano quale panacea infallibile contro tutti gli accidenti che
possono risultare dalle cadute, dicendola Panacea lapsorum. Stai la chiama
China dei poveri, lo speciGco della dissenteria; ed Altof inGne, spingendo la
esagerazione all'ultimo grado, riguarda siffatta sostanza come preferibile alla
china.
f20
Non sarà inutile aggiungere a coleste asserzioni altre di carattere affatto'
opposto Belgio uella sua materia medica, dice die egli adoprò invano i fiori
e la radice dell'arnica nella cura delle febbri intermittenti quartane, e die
Sungi dall'apporlarvi sollievo di sorta, tale vegetale aggravò i sintomi della ma-
lattia.
Di mezzo ad opinioni cotanto diverse, deve, come saggiamente osservava
Richard, il medica prudente tenersi in giusta riserva ed osservare i fenomeni
determinati dall'amministrazione di questo medicamento, onde appoggiare il
suo giudizio sopra falli positivi.
Ecco i fenomeni che, secondo Richard, presentano gli individui a cui si
somministra un tale medicamento: « Un senso dì gravezza e di ansietà nella
regione dello stomaco: nausee ed anche talvolta certi vomiti penosi, o sol-
tanto abbondante salivazione ; altre volte coliche susseguite da egestioni
alvine; il polso è maggiormente gagliardo e pieno, la pelle alituosa, la secre-
zione dell'orina aumentata; poco dopo l'introduzione del medicamento, allor-
quando le sue molecole sono sparse nel torrente della circolazione, ne risen-
tono l'influenza lo stesso cervello, ed il sistema nervoso in generale; patisce
il malato certa cefalalgia, parecchi movimenti subitanei e convulsivi nelle
membra con difficoltà di farli agire, ed un senso di stringimento nel diaframma.
« Non sempre questi diversi fenomeni si riscontrano lutti sullo stesso in-
dividuo, e qualora essi si presentino, ciò accade sempre nei primi islauti
della somministrazione di questo rimedio, alla cui azione poscia lo stomaco si
abitua di leggieri. Considerando perciò attentamente la serie de' fenomeni
svolti dall'arnica nell'economia animale, non diviene sempre facile dare ragione
degli effetti curativi di questo medicamento ».
Molti autori, fra i quali Stai ed Altof gli attribuiscono grande efficacia nel
trattamento delle febbri adinamiche ed atossiche, il primo in particolare dice
positivamente, che niun altro rimedio ebbe a fruttargli cosi bene, quanto i
fiori dell'arnica; li adoprò esso eziandio con pari successo nelle febbri in-
termittenti quartane e terzane; ed alle attestazioni di quel valente medico ne
diverrebbe agevole aggiungere quelle di parecchi altri pratici; fra quali Kausch,
Crichton, Gilibert, che n'ebbero, nelle medesime condizioni gli slessi risultali ».
« Questa sostanza inoltre non produce effetti cotanto rimarcabili soltanto
nelle febbri, ma la sua azione risulta in pari grado efficace anche contro
certe neurosi. Per simil guisa riferisce Colliri, vent'otto osservazioni di paralisi
guarite coi fiori dell'arnica^ nove casi di amaurosi furono risanati mediante
questi fiori; osserva quell'autore, che i dolori, le stirature, i pungimenti fia-
titi dagli infermi nelle parti malate, formano i segni uon equivoci dell'azione
del rimedio e della sua efficacia Oaskou si loda egualmente dei felici esili per
lui ottenuti, adopraudo tale sostanza uella cura della paralisi e del reuma-
tismo cronico.
« Non è di nostro intendimento il procurare di confutare la proprietà che
le venne attribuita di fare riassorbire il sangue sparso per causa di cadute o
di contusioni violente ; imperocché può l'arnica tornare profittevole in questa
circostanza collo stimolare il cervello sempre in vario grado nelle commo-
zioni alquanto forti ».
121
« In Francia adoprasi meno la radice dell'arnica, che i fiori ; parrebbe
tuttavia giusta l'asserzione ili qualche autore, essere le sue proprietà per lo
meno egualmente attive, risulta però es>a più acre ed irritante, di modo che
determina con maggiore frequeuza il vomito o le schariche alvine ahhondanli ».
Ecco, per ultimo, come s'esprime Bruschi a riguardo delle mediche pro-
prietà della pianta in discorso. « Venendo ora ad enumerare le proprietà
mediche attribuite all'arnica, incomiucieremo ad accennare che questo vegetale
giustamente appartiene alla classe degli amaro-aromatici, possedendone in ve-
rità la maggior parte delle virtù mediche. Infatti, può risgoardarsi l'arnica
come valevolissimo rimedio alto ad aumentare la tonicità dell'apparato dige-
rente e a diffondere l'azione sua medicamentosa anche al sistema dei nervi,
e perciò essere essa convenientissima ad eccitare in generale l'abbattuta energia
\itale di nostra macchina. Innumerevoli scrittori hanno trattato delle virtù
mediche dell'arnica. La proprietà febbrifuga di questo vegetale è stata som-
mamente decantata; e Cullen presenta nel soggetto utilissime osservazioni; dalla
proprietà eccitante e tonica dell'arnica non è però dUgiuuta una qualità ir-
ritante, poiché le dosi un poco forti di questo vegetale eccitano talvolta il
vomito, come pure la polverizzazione dell'arnica eccita lo sternuto; di maniera
che alcuni medici hanno riguardata l'arnica come emelica ed errina, e da
quest'ultima di lei proprietà è stato dedotto il nome di Arnica, corrotto di
Vlarmica, vale a dire sternutatoria. Si è lodata la lirtù dell'arnica nelle
emorragie passive, e non mancano favorevoli osservazioni sul proposito. Si è
pure asserito giovevole l'uso dell'arnica negli ingorghi dei visceri abdomiuali;
ma di tale pretesa virtù desostruente si desiderano tal l'ora [nove maggiori.
Le diarree, anche epidemiche, sono state soventi vinte e felicemente trattate
con l'arnica, amministrata però a malattia alquanto inoltrata. Una delle virtù
mediche, (orse con troppa esagerazione attribuita all'arnica, si è la generale
virtù nervina, e la speciale di lei azione sul nervo ottico, per cui è stato un
tal farmaco altamente commendato nella cura dell'amaurosi in particolare, h
nel trattamento generale delle paralisi, delle epilessie, e di altre malattie ner-
vose , senza che l'esito abbia corrisposto all'aspettazione in quei molti casi nei
quali i medici, onde seguire la corrente, si sono determinati alla prescrizione
dell'amica. Finalmente si è voluto formare dell'arnica una generale panacea,
e si trova essere questa pianta proposta per la cura di molte malattie, cioè
per la clorosi, per gl'ingorghi delle mamelle, per l'atrofia, per la febbre elica,
per le affezioni calcolose, per i dolori artritici, per l'asma, per l'itterizia,
per le affezioni cancerose ecc. »
Non taceremo infine che i medici omeopatici si valgono dell'arnica sotto
dosi omeopatiche in un'infinità d'affezioni, soprattutto nelle cadute, e nelle
contusioni. Sembrano veramente ligi alla denominazione di Panacea lap-
sorum.
La polvere della radice, dei fiori o delle foglie, è eminentemente sternutoria,
la quale proprietà fruttò all'arnica il soprannome di Tabacco dei Vosqi.
DifTatti nei paesi di queste regioni si usa a mo' del tabacco.
Si prescrivono d'ordinario i Gori d'arnica nella dose da due, a quattro
dramme, od anche un'oncia in infusione entro due libbre di acqua, od una
122
di birra leggera. Prenderà il malato questa bevanda a bicchieri prima dell'ac-
cesso febbrile, ove la si somministri quale febbrifugo. Si può far entrare la
polvere dei fiori o della radice nella dose di una o due dramme entro un
elettuario col quale si preparano i bocconi. Cullen propone la preparazione
dell'estratto.
=^S££«=
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Radice ed una parie dello stelo, a. Parte superiore dello slelo.
3. Scaglia distaccata del calice comune. 4. Flosculo ermafrodito del centro.
5. Flosculo della circouferenza. 6. Tre semi distaccali.
34-2.
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427
DORONICO MAGGIOKK
Dorooicum maximum Collis caulem amplexanlibus C. B pag. 185. — Mor.
bot. piaci, lab. 19, Gc. 6. — Doronium pardalianches. Lino Sìngeuesia
poligamia superflua. — Juss. Corimbifere. — St-Hil. plant. de la Fraace,
tono. 2.
I doronici costituiscono un genere di questa famiglia, che è
assai affine al genere arnica, da cui differisce soltanto pel mo-
tivo che i frutti occupanti la circonferenza d'ogni capolino sono
nudi e mancanti di piumetta. In alcune materie mediche si
trovano proposti come succedanei dell'arnica, il doronico mag-
giore (Doronicum pordalianches Linn.), ed il doronico a foglie di
piantaggine (Doronicum minus offìcinarum Ger.). Noi descrive-
remo il primo disegnato nella tavola 343, e faremo cenno del
secondo.
II doronico maggiore è una pianta vivace, che cresce spon-
taneamente nei luoghi montuosi d'Alemagna, di Francia, d'Ita-
lia ecc. Coltivasi anche nei giardini quale pianta d'ornamento ,
stante che i suoi fiori d'un bel colore giallo, e le sue grandi fo-
glie d'un bel verde vi producono un bellissimo effetto sul prin-
cipio di primavera specialmente, che i fiori sono ancora rari.
La sua radice è tuberosa, oblunga, nodosa, serpeggiante, mu-
nita di molte radichetle, giallo-brunastra esternamente , d'un
colore bianco giallognolo internamente. Lo stelo s'eleva all'al-
tezza di due piedi circa ; esso ò cilindrico, canaliculalo, solcato,
e tutto coperto di cortissimi peli che costituiscono quasi una
lanuggine , diviso in molti rami che partono dalle ascelle delle
foglie caulinari , e tutti portanti un grande fiore giallo termi-
128
naie. Le foglie sono ili due sorta: le inferiori, rotonde, ottuse,
dentale sui loro margini e portate su d'un lungo peziolo; le su-
periori sessili, cordiformi alla base, e sì le une che le altre
sono d'un colore verdastro scuro nella superficie superiore,
biancastre nell'inferiore; questa superfìcie inoltre è tutta co-
perta d'una cortissima lauuggine. I fiori sono composti d'un
calice od involucro composto di più fogliolc eguali, disposte su
d'un sol ordine, acute e vellose; di flosculi che costituiscono il
disco, tubulosi alla base e divisi in cinque lobi alla sommila,
aventi cinque stami riuniti dalle antere : di semiflosculi della
circonferenza femmine terminati in linguetta con due o tre
denti alla! ore sommila. Il ricettacolo è totalmente nudo : l'ova-
rio ò aderente. I semi del centro sono sormontati da semplici
piumette, quelli della circonferenza sono nudi; lo che, come
avvertimmo, costituisce la differenza trai doronici e le arniche,
che Lammark aveva riunite.
Il doronico maggiore ebbe il nome specifico di Pardaliancìtcs
che, secondo Sl-IIilaire, sarebbe derivato da una parola amba
significante Veleno di leopardo. Esso chiamasi dagli Inglesi Leo-
par d? s. bane; dai TedeSfchi Gernsenimrtz, Getnsenkratiti', dagli
Olandesi JVolmiey.
Ouesta pianta si moltiplica per mezzo delle sue radici o
germogli, che ne tramanda in grande quantità. Fa d'uopo tra-
piantarle nell'autunno; alligna facilmente in qualsiasi terreno,
ed in qualsivoglia situazione. Fiorisce nel mese di aprile.
Il doronico a foglie di piantaggine differisce dal primo in
quanto le sue foglie radicali sono simili a quelle della piantag-
gine, oltre ad altre differenze nel fiore e negli steli.
La sua radice si mostra acre e dolala all'i nei rea delle stesse proprietà di
quella dell'arnica, ma non è usata che raramente in medicina. Questa radice
da alcuni botanici è stata considerata come un veleno, mentre ila altri è
tenuta quale contra veleno ; si pretende che Gesner sia stato avvelenato vo-
12S
Vendola esperiwientare su di lui medesimo; ma secondo St-Hilaire questa
asserzione sarebbe gratuita , constando dalla storia, che egli morì in Zurigo
nel 1565. Si può inoltre asserire, che tutto quanto si disse intorno alle sue
proprietà veneQcbe, è non solo esagerato, ma lungi dal vero.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
s. Doronico maggiore. 2. Foglia della base. 3. Calice comune,
4. Semiiloscuto della circonferenza. 5. Flosculo del centro.
6. Grano. 7. Ricettacolo.
Tom. IV.
4 30
CALENDOLA
Catha tulgaris. Bauh. pin. lib. 7, sect. 4. — Tourn. class. 15, secl. 4 ,
gen. 1. — Calendula ofGcinalis, Linn. Singenesia poligamia uecessaria. — Juss.
class. IO, ord. 3. Corirobifere. — Poire», fior, med lom 6. tal>. 828. —
Ridi. boi. med. toro. 1. — Sl-Hil. plant. de la Frauce, toni. 4.
Crescono naturalmente nei luoghi coltivati di quasi tutte le
parti meridionali d'Europa, della Francia, e specialmente d'Ita-
lia, due specie di calendole e sono la calendola officinale ( Ca-
lendula officinalis, Linn. ), e la calendola dei campi (Calendula
arvensis,L\nn.). La prima però da lunghissimo tempo e coltivata
nei giardini quale pianta d'ornamento, atteso che i suoi fiori,
d'un giallo vivissimo e di lunga durata, producono un bellis-
simo effetto in primavera, se la pianta fu seminata d'autunno,
e nel mezzo della state quando fu seminata in marzo. Descri-
veremo questa.
La sua radice è grossa, fusiforme, brunastra esternamente,
bianco- giallognola nell'interno, munita di molte fibrille o radi—
chette.ll suo fusto è cilindrico, grosso, vellutato, alto circa un
piede, guernito di foglie alterne, sessili , ovali, un poco sinuose
agli orli e leggermente pubescenti ; le superiori però sono più
piccole, quasi lanceolate ed acute. I fiori, d'un bel colore arancio,
sono solitarii, terminali. Essi sono composti d'un calice comune
o involucro composto di più fogliole eguali, acute, disposte su
d'un sol rango: di flosculi maschi nel centro, ed ermafroditi
alla circonferenza; di semiflosculi femmine e fertili; di cinque
slami riuniti dalle antere ; d'un ricettacolo nudo. I semi sono
rimarcabili per le loro irregolarità ; essi non occupano che la
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133
«jaesto medicamento che una proprietà stimolante dalla quale solo sono rimar-
cati i buoni effetti nell'amenorrea accompagnata da lintomi di debolezza.
I Gori non ancora aperti, e confettati nell'aceto, contribuiscono a determi-
nare l'appetito. Questi sono adoprati nell'arte tintoria per tingere in giallo.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Calendola officinale. 2. Flosculo femmina della circonferenza.
3. Flosculo ermafrodito del centra. 4. Frutto sterile.
E e 6. Frutti appartenenti a due sorta di fiori.
EUPATORIO DI AVVICELA
-f»o«
Eupalorium Cnnuabiuum, Bauh. pin. lib. 8, sect. 3. — Tourn. class. 12
flosculose - Lino Singenesia poligamia eguale. — Juss. class. 19. onl. 3
Corrmbifere. — Poiret, fior. mei!, toro. 3, lab. 137. — Sl-Hil. plaitt. de
li Fiauce lom. 2, tab. 44.
Onesta pianta è adoprata in medicina dalla più remota an-
tichità: sebbene, a vero dire, le descrizioni fatte prima del
quinto secolo siano incomplete, e spesso poco esatte, e che solo
le sue proprietà abbiano dato valore all'opinione di coloro che
riguardano questa pianta come quella adoprata da Avvicena
nella cura delle malattie del fegato e d'altri visceri, onde il
nome di Eupatorio d'Aviccna. Il nome d Eupatorio poi vuoisi
derivato da Eupator, soprannome d'un Mitridate, re di Ponto, a
cui gli antichi avevano dedicato questa pianta.
Checche ne sia, è certo però, che sotto la denominazione di
Eupatorio vengono indicate varie altre piante esotiche non solo,
ma indigene, differentissime pei loro caratteri e per le loro pro-
prietà , tra' quali citeremo principalmente YAyapana {Eupalo-
rium Ayapana, Vent.), pianta erbacea rimarcabile per l'odore di fava
tonka che esalano le sue foglie disseccate, e che è stata vantata
come una specie di panacea universale, Appartiene pure a que-
sto genere o ad un genere analogo il Guaco {Eupatorium satureiae-
folium, Lam. ,). - Micania Guaco Wildenow, pianta celebre presso
i popoli della repubblica di Colombia, come specifico contro il
morso dei rettili venefici. Nell'America settentrionale YEupato-
rium perfoliatum (Linn.), febbrifugo molto usato , e che Ander-
son della Nuova Jork dice d'avere ottenuti grandi vantaggi
dalle sue foglie prese in infusione, in polvere e in tintura al-
135
coolica. Gli antichi inoltre davano il nome di Eupatorio ad al-
tre piante della stessa famiglia, come all'agerato (Achillea age-
ratwni) che il chiamavano Eupatorio di Meme, Eupatorio ac-
quatico e va dicendo. Qui non descriviamo che l'eupatorio di
Avvicena, Eupatorium Cannabimm, essendo quello che si ebbe
maggior riputazione, e sul quale molli moderni tentarono ul-
teriori ricerche.
L'Eupatorio di Avvicena è una pianta vivace, abbondantissima
nei boschi e nei luoghi umidi di tutta l'Europa. La sua radice
è formata da un pedale obliquo fornito di molte fibrille bian-
castre: da questo s'innalza uno stelo alto da tre a quattro piedi,
ritto, ramoso inferiormente, semplicemente vellutato, da cui na-
scono parecchie foglie mediocremente peziolate, opposte, divise
in tre lobi lanceolati, lunghe da tre a quattro pollici, dentate ai
margini, d'un verde cinereo, alquanto pubescenti nella superfi-
cie inferiore ; alcune volte le foglie superiori sono semplici ; e
questa diversità di foglie fece stabilire a St-Hilaire una nuova
varietà. I fiori sono d'un rosso vinoso e formano dei corimbi
densissimi all'estremità delle ramificazioni del fusto. Ogni ca-
polino poi, di cui è composto il corimbo, è costituito d'un in-
volucro o calice comune imbricato, oblungo, cilindrico, conte-
nente un piccolo numero di flosculi tubulosi ed ermafroditi, or-
dinariamente da cinque in sei: la loro corolla è monopetala, non
che divisa in cinque piccoli denti alla sommità ; gli stami in
numero di cinque sono riuniti dalle antere: l'ovario è aderente
e sormontato da uno siilo lungo e profondamente biforcato : il
ricettacolo è nudo: i semi muniti di una piumetta di peli ca-
pillari e dentati.
Questa pianta, coltivata nei giardini, sui margini dei ruscelli,
produce un buonissimo effetto : i suoi folti fiori, che non com-
pariscono che sul finire d'estate, sono d'un aspetto piacevole.
La si moltiplica separando le sue radici d'autunno o seminando
i suoi grani. Alligna su d'ogni terreno purché sia situata in un
f36
iuogo umido ed ombroso. Incomincia a fiorire dal mese cFagosfo
e continua sino a novembre.
L'Eupatorio d'Avvicena chiamasi dai Francesi Eupatoire, Eu-
patoire commuti, Eupatoire à feuilles de Chanvre, Eupatoire cTAvi-
eenne, Eupatoire de Meme ; dagli Spaglinoli Eupatori®; dagli In-
glesi Hem-agrimony; dai Tedeschi Wasserhanf, Vasserdostr
Kumgundenkraut Abkraut, Hirschtlée, Dostenkraut ; dagli Olandesi
Koninginne-kruid , Boelkens-kruid; dai Russi Griwa konckaia ;.
dai Polacchi Sadziec, Wodna konop; dagli Ungheresi Vizikender;
dagli Svezzesi Floks.
La radice e gli steli dell'eupatorio alla stato di freschezza spandono ub
odore aromatico, il quale, secondo molti autori, presela qualche analogia con
quello della carotta o meglio ancora della pastinacea selvaggia; il loro sapore
riesce amaro, aromatico, pungente ; le foglie in ispecialità hanno molla ama-
rezza.
Andiamo debitori a Baudet di una diligentissima aualiti della radice èi
questo vegetale: vi rinvenne questo chimico:
1. Dell'amido.
2. Una materia animale.
3. Dell'olio volatile.
4. Della resina.
5. Un principio acre ed amaro.
6. Parecchi salr.
11 principio acre ed amaro è ugualmente solubile nell'acqua e nell'alcool
allungato.
Il chimico Rigbini rinvenne inoltre nella pianta in discorso un alcaloide^
per cui vien detto Eupatorina; ha la forma sui generis, amaro, pungerne;
è insolubile nell'acqua, solubile nell'etere solforico e nell'alcool assoluto; al
fuoco si gonGa ed arde; si combina coll'acido solforico, formando un solfato
the cristallizza in aghi morbidi.
Giusta la testimonianza di alcuni medici Arabi e quella di Gesner, di
Chambau e di Boudet, la radice di eupatorio, specialmente la sua infusione
viuosa, ed il suo estratto alcoolico, inducono una lieve irritazione nello sto-
maco e negli intestini, ed operano come emetici, anzi più' spesso quali pur-
ganti. Gesner lo esperimentò sopra se stesso, ed asserisce che dopo d'aver
presa una data quantità di infusione viuosa di questa pianta, provò vomiti ed
abbondanti evacuazioni alvine, non che un aumento notevole nella secrezione
dell'orina. Boudet afferma d'essere stato purgato energicamente da una piccola
quantità d'estratto alcoolico di questa pianta ; e Boerrhave osservò parimenti
«he il sugo determina il vomito, e cagiona abbondanti scariche alviue.
Gli antichi se ne prevalevano di frequente nelle idropisie passive, eocae
137
l'idrotorace, la leucoflegmasia e simili ; ed è probabile che in virtù della sua
azione purgativa e tonica esso sia stato utile alcune volte nell'idropisia ed in
certi ingorghi atonici del fegato e d'altri visceri addominali, ma è poco ra-
gionevole il voler credere che esso possegga in modo generale la proprietà di
guarire l'ascite e le ostruiioni. Lo stesso dicasi dei suoi effetti eromenagogbi,
i quali non furono sempre comprovati, e degli elogi che a siffatta pianta si
prodigarono per la guarigione dell'idrocele, delle leucoflegmasie , e va dicendo,
non che dell'azione sua sugli erpeti e su altre croniche affezioni della pelle
come pure dell'efficacia sua contro le febbri intermittenti e simili.
Da gran tempo però riuunciossi all'uso di sì fatto medicamento spesso in-
fedele per testimonianza di Chomel , che lo adoprò senza verun profitto. Si
prescrive la infusione di un'oncia od un'oncia e mezza della radice, da farsi
in un boccale di acqua bollente, od il prodotto della macerazione della stessa
quantità in una libbra di vino e da ultimo il suo estratto alcoolico.
La ayapana menzionata di sopra è una specie di eupatorio, Eupatoriwn
ayapana, la cui introduzione in Europa la dobbiamo al capitano Baudin.
Adopransi particolarmente le foglie; e le radici disseccate presentano un co-
lore verde brunastro; il loro odore è aromatico, piacevole, ed ha molta ana-
logia con quella della fava tonica ; il loro sapore risulta erbaceo, alquanto
aromatico.
Cadet ne istituì l'analisi, e ne ricavò certo estratto bruno di odore erba-
ceo, alquanto aromatico, di sapore un poco astringente, eduna piccola quan-
tità di acido gallico.
Ove si volesse prestar fede agli elogi che alcuni autori tessero al farmaco
in discorso, sarebbe un rimedio infallibile contro il maggior numero delle ma-
lattie, eziandio più resistenti, come sono le febbri intermittenti, le idropisie,
le coliche, i morbi cutanei e simili; ma, come asserisce Richard, allorquando
si assoggettarono codeste asserzioni al vaglio dell'esperienza, non si tardò a
conoscere la falsità; l'unico caso, Bel quale Alibert, che pur fece tanti ci-
menti coll'appana, trasse qualche vantaggio, fu col somministrarla a tre
scorbutici, nei quali essa diminuì i sintomi della malattia.
La infusione fatta con un pizzico di ajapana in un boccale di acqua com-
pone certa bevanda teiforme piacevolissima, da potersi sostituire al té; la si
può adoprare come diaforetica specialmente se la si beve alquanto calda.
Questo medicamento è poco adoprato.
Il Guaco, che come di sopra abbiamo notalo, è il nome volgare di due
piante, dette Eupatoriì, indigene dell'America meridionale, è rimedio riputato
efficace contro il morso dei serpenti. Queste due piante hanno un sapore
amarissimo, un odore forte ed aggradevole.
Il guaco gode di uua grande celebrila pressoi popoli selvaggi dell'America:
esso ricevette una sorta di sanzione dall'esperienza di Mutis, che fece mordere
un pittore della sua società da un serpente dei più venefici, e che guarì in
seguilo col guaco. Bertero, dottor medico e naturalista, che risiedette vari»
anni sui confini della Maddalena, ci ha confermata la verità delle sperienze
di Mutis, e senza pretendere di spiegare il modo di azione di queste piante?
pensa che vi si possa avere un'intiera coufidenza.
138
Si spreme il succo della pianta, si beve, e si applica il residuo spie-
mulo sulla Cerila , e se uon si ha guaco recente, preudesi una forte in-
fusione, Gli abitanti dell'America setteutrionale ne portano sempre seco.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Eupatorio d'Avvicina. 2. Fiore intiero. 3. Flosculo dislaccato.
4. Ricettacolo. 5. Seme.
34 ó\
1
^>r>s/f/r//*?* <>rf//sY;u7/s
139
T0SSILAG1NE OFFICINALE
Tussilago farfara. - Lina. S'mgeuesia poligamia superflua. — Juss. Corim-
hilere. — Poiret, fior, raetl. tona. 3, tab. 342. — St-Hil. plani, de la Frante,
tom. 4. — Ricb. boi. meJ. tona. 1, pag. 391.
Gli antichi botanici avevano dato a questa pianta il nome
di Film ante patrem, o figli che nascono prima del padre
stante che i fiori sbucciano prima delle foglie. Essa è una
pianta vivace, che cresce comunemente nei luoghi incolti ed
in particolare nei terreni calcarei di molte parti d'Europa, come
nei terreni ghiacciosi ed alquanto umidi della Francia, d'In-
ghilterra. Decandolle la trovò sulle alpi del monte Bianco nelle
regioni delle nevi permanenti.
La sua radice è carnosa , serpeggiante ; anzi, questa è più
tosto considerata quale stelo (rizoma), sotterraneo, rampante
che si stende da lontano; in primavera spuntano molti piccoli
getti da sei ad otto pollici, coperti di scaglie floccie e cotonose,
terminati da un solo capolino di fiori gialli. Il capolino ha
le fogliette dell'involucro lanceolate, ristrette, formanti una sorta
di cilindro intorno ai fiori che al centro sono lubulosi, er-
mafroditi, ed alla circonferenza formano un giro di semiflo-
sculi ligulati femmine; cioè: l'involucro o calice comune è
composto di più fogliole disposte su d'un sol ordine; i fio—
sculi del centro sono tubulosi alla base e muniti di cinque lobi
alla loro sommità; essi hanno un ovario sormontato da uno
no
stilo e da uno stimma, e cinque stami ritmili dalle loro an-
tere; i semiflosculi della circonferenza sono femmine; l'ovario
é sempre aderente ed il ricettacolo nudo; i semi sono coro-
nati di piumetta semplice e sessile.
Le foglie, come dissimo, si svolgono dopo i fiori, special-
mente dal colletto delle radici ; sono grandi, peziolate, cuori-
formi, angolose, dentate agli orli, d'un verde chiaro superior-
mente, bianche e cotonose dissotto.
La tossilagine officinale, detta anche Tussilagine e volgar-
mente Piede di Asino, Far faro, Farfero, Ugna di cavallo, chiamasi
dai Francesi Tussilage officinale, e volgarmente Pas d'ém, Ta-
connet, Herbe de saint Quirin ; dagli Inglesi Colts foot ; dai Te-
deschi Der huflatick, Brundlattick rosshuf; dagli Olandesi Hoef-
blad; dai Russi Dwoje lisirik, Mutschika ; dai Polacchi Podbial;
dai Boemi Podbel; dagli Ungheresi Marti-lapa.
Questa pianta, alquanto vivace, non coltivasi che nelle scuole
botaniche ; ama i luoghi freddissimi; non fiorisce che in feb-
braio od al più sul principio di marzo , ed i fiori esalano
un odore piacevolissimo, che nella massima parte il conser-
vano colla disseccazione.
1 Goti della tossilagine sono la sola parte che s'adopri in medicina, e, come
lo annuncia il loro noma, sono specialmente usati in medicina come raddol-
centi; esalano un odore aggradevole, ed il loro sapore è dolce, un poco aro-
matico; essi sono stati raccomandati nei lievi catarri, nei reumatismi esimili-
Bruschi li annovera fra i ri medi i becchici. Bodard attribuisce a questi fiori
le stesse virtù che dà alla tossilagine pelasite, Tussilago petasites, Line, di
cui parleremo in seguito.
Si somministrano ordinariamente in infusione teiforme, però una precau-
tione da non trascurarsi è quella di passare attraverso un pannolino siffatta
infusione all'oggetto di separare i peli della piumetta che senza di ciò irri-
terebbero la gola, e produrebbero la tosse.
I fiori della tossilagine fanno parte delle specie pettorali conosciute col nome
volgare dei quattro fiori; se ne compone uno sciloppo ed entrano in quello
di consolida. Tournefort, dice Chomel, ci dà una tisana che per la tosse secca
è eccellente. Si prendono quattro piizici di foglie, tre pizzici di fiori , due
pillici di sommità d'isopo, un'oncia d'uva secca, tre cucchiai di miele di Nar-
141
bonne: si mette tutto ia ira vaso, si copre e si feltra il decotto a freddo
Le foglie della stessa pianta, di sapore amaro ed alquanto austero, adopra-
vansi pur in addietro nelle medesime circostanze ; ma oggidì il loro uso è
quasi abbandonato. Lo stesso deve dirsi delle radici-
In certi paesi delPAlemagna le foglie vengono tuttavia usate, e si fumano.
come quelle del tabacco-
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
ì. Radice di tossilagine e steli. %. Radice e foglie. 3. Flosculo del centro.
4. Semitloseulo della circonferenza. 5. Ricettacolo e calice.
U2
T0SSILAG1NE ODOROSA
Tussilago fragrati*, Vili. — Lina. Siugenesia poligamia superflua. — Juss.
Corimbifere. — St-Hil. plaDt. de la France tura. 4.
Questa pianta, che sembra essere da poco tempo conosciuta,
perchè di essa non fanno menzione gli antichi botanici, secondo
St-Hilaire, che è dei primi a farne parola, alligna ai piedi
delle alpi e del delfinato. L'odore soave de1 fiori fece dare a
questa pianta il nome di tossilagine odorosa. La sua radice è
formata da un ceppo da cui s'eleva uno stelo alto un piede
circa: esso è munito di brattee alterne, abbracciacauli. Le fo-
glie sono radicali e portate su d'un lungo peziolo canaliculato
e velloso: esse sono grandi, cordiformi, intiere, scanalate sui
margini, verdi nella superfìcie superiore , biancastre e vellose
nell'inferiore. I fiori nascono due a due o tre a tre su d'un pe-
duncolo comune. Esse formano col loro assieme un tirso termi-
nale ; il loro colore è d'un bianco bleuastro o rossastro. Il calice
è semplice, eguale; i fiori sono ermafroditi, a cinque divisioni;
gli stami in numero di cinque sono riuniti dalle loro antere; i
scmiflosculi sono femmine. Il ricettacolo è nudo e porta semi a
piumetta semplice. Fiorisce sul principio dell'inverno sino a
marzo.
Questa pianta chiamasi dai Francesi Tussilage odorant e vol-
garmente Hèliolrope dliiver.
Può servire all'ornamento dei giardini in un'epoca in cui
i fiori sono rari. Da qualche anno è sparsa in molti luoghi
e adorna i saloni dei ricchi durante l'invernale stagione.
<3^/.
143
I suoi fiori potino servire all'uso stesso della sovra descritta specie. Ado-
prasi nello stesso modo; anzi, essendo questa specie maggiormente coltivata
per ornamento dei giardini, è più facile ad averne
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Tussilagiue odorosa. ». Calice. 3. Semiflusculo femmina.
4. Flosculo ingrossato ed aperto. 5. Ricettacolo.
U4
TOSSILAGINE PETASITE
Tussilago petasites, Linn. — Singenesia poligamia superflua. — Juss. Co-
rimbifere — St-Hil. plant. de la France tom. 4.
Questa specie di tosìilagine cresce nei luoghi umidi di
molte parti d'Europa, e, come la precedente specie, porta i
fiori prima che siano sviluppate le foglie, e quando il freddo
mantiene ancora nello squallore la vegetazione nei nostri
climi.
La sua radice è un ceppo rampante e fibroso: essa dà
origine ad uno stelo semplice, carnoso, alto da cinque a sei
pollici, munito di larghe scaglie membranose, e spesso ter-
minate da una piccola foglia. I fiori d'un porpora bruno sono
situati a piramidi alla sommità dello stelo. Dopo la fioritura,
sbucciano dal colletto delle radici le foglie : esse sono incavate a
mo' di cuore alla base, inegualmente dentate sui margini, glabre,
e d'un verde carico nella superficie , biancastre e pubescenti
nella inferiore. Ciascun fiore è composto di un calice comune
o involucro formato di più fogliole, situate tutte su d'un sol
ordine; questo calice racchiude flosculi ermafroditi, la cui
corolla è monopetala, tubulosa, ed a cinque lobi alla som-
mità ; gli stami in numero di cinque sono riuniti dalle loro
antere. L'ovario è aderente e sormontato da uno stilo più
lungo della corolla. Il ricettacolo è nudo ; i semi sono coro-
nali da piumette semplici e sessili.
Assicurasi che in alcuni individui i fiori sono tutti fem-
mine e portati su lunghi peduncoli, locchè loro dà un aspetto
particolare.
3W.
6
f /s, >, >f //?/';/'<'
yt
y
dissertazione inaugurale, ottenne da 500 gramrae di radice:
Resina .... gramme 60.
Acqua ....
Estratto gommoso
Fecola amilacea
Albumina vegetale
Principio legnoso
Fosfato di calce
Muriato di potassa
Di calce
Sotto carbonato di potassa
Carbonaio di calce
Di ferro
Silice ....
Traccie di diversi sali ecc.
Perdita attribuita special-
mente al principio legnoso
24.
220.
12,5.
12,5.
145.
4.
8,11 8.
0,2.
0,882:
2.
.
2,7.
16,995.
500,000.
Ma altre analisi dimostrarono che la proporzione di resina, porte affiva
della sciarappa, non era costantemente la medesima; locchè spiega le varia-
zioni d'energia di cui accusano i pratici le proprietà della radice di sciarappa?
oltre le falsificazioni ed alterazioni che può il medicamento aver anche pro-
vato.
La Jalapina, secondo Hume, è una sostanza particolare che egli estrasse
dalla gialappa nella maniera seguente. Si fa macerare dodici o quindici giorni
nell'acido acetico concentrato la radice di jalappa grossamente polverizzala, si
separa il liquido dal residuo, e si satura coll'alcali volatile in eccesso. La
giunta di questo alcali determina la precipitazione di un corpo granelloso
mescolato di piccoli cristalli che si altaccauo in parte alle pareli del vaso; si
raccoglie il precipitato, e la materia cristallina, si getta sopra un feltro e si
lava con acqua distillata ; si ridi scioglie in seguito il residuo insolubile nel-
l'acido acetico e si precipita di nuovo coll'alcali volatile: si lava e si fa dis-
seccare.
La jalappina di Hume non ha sapore, né odore. E più pesante che la mor-
fina, poco solubile nell'acqua fredda , un poco piò solubile nella calda, e in-
solubile nell'etere ; Hume pensa che la jalappina esista nella gialappa in
proporzione di cinque grani per oucia.
INon passeremo per ultimo sotto silenzio che Hume, avendo invialo a Pel-
lelier un prodotto salino da lui distinto col nome di solfato di jalapina, que-
sto dotto fece diversi esperimenti sul prodotto; conchiuse, che il sale inviatogli
non era che un miscuglio di sostanze inorganiche, e non già il solo vegetale
enunciato dall'autore.
153
Vien qualche volta falsificala la sciarappa colle radici di brionia e di gel-
somino di notle, mirabilis jalapa. E questa meno rugosa e meno resinosa.
La prima è più bianca, più leggiera e di Binarissimo sapore. La radice di
sciarappa è soggettissima ad essere dalle punture de' vermi alterata. Siccome
la parte amilacea è la sola che sia attaccata, così trovasi la resina allora in
maggior proporzione. Accadrebbe incouveniente ad usare la sciarappa così
alterata per amministrarla in polvere, ina servir può all'estrazione della re-
sina ; altre volte all'opposto quest'ultimo principio è in minor quantità, per-
chè si trattò preliminarmente la radice col mezzo dell'alcool, che si è impos-
sessato della resina. La radice è allora leggiera e quasi senza odore.
Henry padre, capo della farmacia centrale, fece l'analisi comparativa della
gialappa leggiera, sana e tarlala, ed ha veduto che queste tre sorta produ-
cerano in residuo, in estratto, e in resina le quantità seguenti:
Estratto Resina Residuo.
Jalappa sana . 140 . 48 . 210.
Jalappa leggiera . 73 . 60 270.
Jalappa tarlata . 125 . 72 200.
Da questi fatti risulta: i. che la gialappa leggiera è quella che contiene
minore quantità di estratto di fecola, e molto più di legnoso ; che la jalappa
sana produce più estratte, più fecola, meno resina ed un poco più di le-
gnoso; chela jalappa tarlata contieue più resina e meno estratto; 2. che que-
st'ultima si deve preferire per prepararne h resina.
La resina di scialappa, che senza dubbio è il principio più attivo e costan-
temente identico, è di un colore bruno verdastro fragile. Brillante ne è la
spezzatura ; polverizzata, ha colore giallastro, odore viscoso, sapore debole
dapprima, poi acre e spiacevole. Di rado si trova pura in commercio, perchè
vi si mescolano spesso della polvere di carbone e della resiua di prezzo in-
feriore, massime della resina di guaiaco.
Per ottenere la resina di gialappa si prende la tintura alcoolica di questa
radice, si introduce nel bagno maria di un alambico, si procede alla distil-
lazione. Si cessa quando sono ottenuti tre quarti del liquido nel recipiente, sì
smonta l'apparecchio, si mesce al residuo un'eguale parte di acqua pura e si
agita. Il liquore s'intorbida e lascia precipitare abbondantemente una mate-
ria, che si raccoglie sopra un feltro, la quale si lava con molt'acqua; si lascia
poi sgocciolare, si fa ridisciogliere nell'alcool, poi si fa evaporare.
Riferiremo per ultimo le belle osservazioni del dottore Poma sulla radice
di gialappa e suoi prodotti, non che sull'estratto idro-alcoolico della medesima-
1. Astratto idroclorico di sciarappa. Si prende radice di sciarappa
scelta e contusa parti 20.
Acqua bollente 120.
Si fa digestione per 24 ore, rimovendo di quando in quando la materia ;
fredda che sia, si cola l'infuso, e la residua sostanza, ridotta in viscida e molle
pasta, si tratta a bollimento per tre consecutive volte impiegando per ciascuno:
Acqua ....... parti 120.
La massa residua alle decozioni si serba a parte segnata A per l'estrazione
della resina pura.
454
L'infuso ed il decotto si concentrano colla evaporazione a densezza d'e-
stratto. Si tratta questo estratto resino-gommoso con alcool di vino bollente,
p p. 0,830, parti 40.
Facendo digestione per 24 ore, si decanta e si feltra la tintura alcoolica
segnata 6 per raccogliere la resina bruna molle.
La materia dell'estratto idrolieo, rimasta insolubile nell'alcool, lavata a
freddo con un poco d'alcool p. p. 0,843 per privarla della flemma, e ridotta
mediante il B. W. o l'azione del sole, a siccità, si polverizza, e si conserva
sotlo il nome di polvere d'estratto idrolieo di sciarappa.
Si ottiene di detto estratto circa il quarto del quantitativo della sciarappa
ini piegata.
Oue^to est ratto idrotico è di colore rossastro nericcio, solubilissimo nell'ac-
qua, insolubile nell'alcool « nell'etere. E dotato di virtù lassativa e diuretica.
A questa conferma, le esperienze terapeuticamente instituite provano che
purga dolcemente e che ageudo sul sistema linfatico promove copiosamente
le orine. La dose è da uno scrupolo a due dramme a norma dell'età e delle
circostanze, associandolo allo zucchero, alla magnesia carbonata, a polveri an-
telmintiche, ed in particolare per gl'infanti misto allo sciroppo dei fiori di
persico o sciroppo di Senna idrociaoato.
2. Resina bruna molle di sciarappa. La tintura alcoolica segnata B
nell'antecedente processo si dislilla a B. M. per separarvi l'alcool. Il rimasto
nella cucurbita si dduisce cou acqua bollente . • parli 30.
Raffreddata, si decanta l'acqua madre C, e la precipitata resina si lava ben
bene con acqua fredda per ispogliarla dei sali deliquescenti e delle materie
coloranti solubili; e posta in cassida di porcellana a B. M. si riduce in estratto
secco.
Il quantitativo è del 2 al 3 per 100 a norma della buona od inferiore qualità
della sciarappa.
La resina è di colore nerastro lucida sì nell interno che nell'esterno, si
ammollisce all'aria, non è riducibile in polvere che nel gran freddo, ma in
breve tempo si raduna in massa ; è di un sapore amaro spiacevole ed acre,
d'odore acuto, nauseoso di sciarappa.
E insolubile nell'alcool e la' soluzione trattala col carbone animale chimi-
camente preparato resìa alquanto colorala.
È solubile a freddo nell'etere solforico, e dopo l'evaporazione di questo
solvente rimane molle e nerastra la resina.
Solubile nella potassa pura, e la soluzione si carica di una tinta bruno rosa.
La soluzione eterea e potassica non è precipitala dall'acido sollorico, e se
avviene mai di scorgervi alcune tracce di precipitalo, desse sono dovute ad
alcune particelle di resina pura ; ma il prodotto per la sua scarsità non è va-
lutabile.
L'acido acetico p. p., 1,030, non ne scioglie che piccolissima dose.
E mollo meno purgativa della resina pura, ed alcune volte, come si è
osservato, viene rigettata col vomito.
Dall'acqua madre C, che si mostra acida al chimico saggio, evaporata, si
ottiene una decima parte di estratto molle, saliuo, alquanto deliquescente, so-
155
lubile nell'acqua e nell'alcool. È lievemente aperitivo, ma non lassativo, pei
cui lo si trascura.
Resina pura di sciarappa- La massa residua alle decozioni idroliche della
sciarappa serbata a parte nel 1° processo segnalo A , massa Gbro-lignea e re-
sinosa, di consistenza molle e tenace, privata al più possibile dell'umidità
culla pressione, si tratta in autoclave a bollimento con alcool di vino p. I
0,850 parli 80. Dopo un giorno si decanta, e si feltra la tintura chiaro-gialla.
Il residuo si pone di nuovo a bollire con alcool . . parti 60.
Si feltra e si unisce alla prima. Si distilla la tintura a B. M. per estrarvi
l'aloool; si versa quindi nella cucurbita di
acqua bollente . . . • • par»' 40.
Freddata, si separa l'acqua madre, ben poco colorata, insipida ed inattiva
che si getta ; si leva la resina, e la si lava ripetutamente con acqua fredda
all'oggetto di segregarla dall'odore flemmatico; si pone in cassula di porcel
lana esposta a B. M. e si evapora a spessezza di denso estratto terminando
di ridurla a siccità colla esposizione all'aria.
Si ottiene di resina pura circa il 12 per 100 di sciarappa, ma il minore
o maggiore quantitativo della resina è riferibile alla quantità della sciarappa.
Quaulo più è in pezzi grossi, compatti e pesanti, tanto più è abbondante di
resina.
Questa resina è esternamente di un colore chiaro giallognolo; si appanna
al contatto dell'atmosfera, è fragile, e nella rottura ci presenta un color giallo
leggermente bruno e lucido; è opaca, di sapore amaro ed alquanto acre che
si spiega massime in gola ; riscaldata o soffregata sparge l'odore della radice.
È solubilissima nell'alcool, la cui soluzione già per sé appena colorata si
decolora perfettamente col carbone animale chimicamente preparato.
Essi è ben poco solubile a freddo nell'etere solforico, solubile a caldo, e
la soluzione di color pagliarino , evaporata spontaneamente all'aria, lascia la
resina sodiGcata in iscaglie lucenti.
Solubile nella potassa pura diluita, e la chiara soluzione viene precipitata
dall'acido solforico, ed il precipitalo quasi saponificato si scioglie nell'acqua.
Solubile nell'acido p. f. 4,050, e la soluzione liquida allungata d'acqua ab-
bandona la resina in un precipitato biauco.
Queste tre ultime proprietà della resina pura, la fanno distinguere dalla
resina bruna molle, come di leggeri si scorge confrontando i caratteri d'am-
bedue.
La resina pura ridotta in polvere non si ramassa nei calori estivi, come
succede di quella che contiene la resina molle. I composti o le pillole
fatte con la resina pura non vanno soggetti ad appianarsi e ad unirsi, il che
di frequenti si rinviene in quelle preparate colla resina comune di sciarappa.
I vantaggi di questo metodo per procurarsi la resina pura, ad evidenza si
possono rilevare dalle seguenti osservazioni: la radice di sciarappa contiene
due resine, una è la resina pura dura, l'altra la resina bruna molle. La resina
molle nella sciarappa, a mio vedere, è in combiuazione naturale congiunta in
modo ad alcune materie ed acuii che la rendono solubile nell'acqua, ma che
disciolta nell'alcool, questo diluito d'acqua vi lascia il suo solvente, e se ne
156
precipita la resina come appare da'1 processi suddetti nn. 1, 2. Trattaudo quindi
«li subito la radice coll'alcool, le due resine vi si sciolgono insieme ed in-
sieme si precipitano, separandosi colla distillazione l'alcool e coll'alluuga-
niento del residuo nell'acqua; ma col metodo da me descritto le resine ven-
gono isolatamente ricavale.
La sciarappa contusa e sceverata dalle parti amidacee e gommose, saline
ed estrattive, mediante il trattamento coll'acqua, e ridotta ad essere quasi uni-
camente costituita di sostatila fibro-lignea, e di resina pura nello stato di
massa idrata, si trova favorevolmente disposta ad essere in un tratto attaccai;»
e nel centro di ogni molecola dall'alcool, cedendo a questo solvente con
facilità la resina. La sciarappa invece polverizzata in natura, presenta all'al-
cool la superficie composta di resina collegata alle materie gommo-amidacee-
saline; si scioglie quindi la resina di primo incontro, mentre le altre materie
indurite e conglutinate dall'alcool ostano all'alcool istesso di penetrare nelle
particelle per staccarvi ed appropriarsi la resina interna.
Il poco umido esistente nella pasta fibro-ligea e resinosa della sciarappa
che ha comportata l'azione dell'acqua, sene di veicolo opportuno a condurre
con prestezza Dell'addentro della materia l'alcool, laddove nella sciarappa in
sostanza l'idratazione non varrebbe che a rendere più incomoda l'operazione
col consumo maggiore di alcool, e col prodotto composto delle due resine.
Nel metodo da me praticato una grossa polverizzazione od un3 semplice
contusione della sciarappa è sufficiente per l'operazione ; mentre nel metodo
usuale si rende indispensabile di ridurre in finissima polvere la sciarappa, e
questo meccanico ed incomodo travaglio cagiona la perdita non minore dell'S
per 100 di sciarappa.
Dal complesso «li queste osservazioui e dal prospero risultalo che ebbi nella
mia pratica, deduco e considero la resina preparata con questo processo es
sere la parte attiva della sciarappa allo stato di purità, e quindi credo bene
di chiamarla resina pura di sciarappa.
La polvere di sciarappa sparsa nell'atmosfera, sebbeue poco offenda l'odo-
rato, irrita tuttavia la membrana mucosa del naso e della gola e provoca lo
sternuto e la tosse. Introdotta nel canale digestivo, sviluppa il alto grado il
fenomeuo della purgazione: ed i medici molto si approfittano della facoltà
drastica che possiede la radice in discorso e sogliono darle la preierenza sopra
altri rimedii di tal classe, tanto per l'attività e prontezza con cui agisce,
quanto per il modico prezzo di essa.
Di rado essa, a meuo di disposizioni individuali o ili dose fortissima, eccita
il vomito. La sua azione irritante si porta specialmente sull'intestino tenue,
di cui il calore, il moto peristaltico e la secrezione perspiratoria sono forte-
mente, ed assai prontamente accresciuti. L'azione secretoria si comunica spesso
all'apparecchio biliario, siccome accade dietro purgativi intensi ; ed una più
o meno considerabile quantità di bile è versata nell'intestino e rigettata luori
colle mucosità intestinali. L'irritazione determinata sull'intestino dalla sciarappa
amministrata in dose moderata, non va pel solito accompagnata da coliche ne
da fenomeni generali notabili; ma qualche volta produce la slessa dose tali
effetti, lo che dipende, secondo Richard, dalla proporzione differente in cui
157
si trova la lesina.* ciò fece accusare la polvere di sciarappa d'essere purgante
instabile ed infedele. Amministrala in troppo forte dosi e in circostanie con-
trarie, può determinare violenti coliche, egestioni alvine prolungate, l'iufjam-
mazione della membrana mucosa intestinale e tutte le sue conseguenze.
La resina di gialappa, da cui dipende la proprietà purgativa di questa so-
stanza, produce gli stessi effetti, ma in dose necessariamente assai minore. La
facilità d'amministrarla sotto piccolo volume, e di mascherarne il sapore e
soprattutto la precisione che può usarsi nell'estimazione delle dosi del princi-
pio attivo, dovrebbero farla preferire per l'ordinario uso alla radice intiera.
Nondimeno l'azione della resina non è sì costante e sì facile a graduarsi come
lo pretende Scbwilgue. Essa determina talvolta in leggierissime dosi delle
coliche, e pericolosa superporgazione.
Fu predicata la gialappa nel trattamento di molte malattie; ma gli effetti
che tengono dietro all'amministrazione di sì fatto medicamento dipendono in-
tieramente dalla medicazione purgativa : e l'esperienza dimostrò, che tanto la
radice somministrata in polvere, quanto la resina convengono poco in gene-
rale ai temperamenti nervosi, alle costituzioni irritabili, agli individui secchi e
magri ; che sarebbe dannosa nelle febbri acute e nelle malattie infiammatorie,
ed in tutte quelle affezioni che accompagnate sono da una viva reazione vi-
tale, o da irritazione; sarebbe per lo contrario conveniente ai temperamenti
linfatici, agli individui robusti che hanno poca suscettibilità nervosa. La gia-
lappa, in uua parola, è uno dei purganti i più utili in quelle croniche affezioni
indipendenti dall'irritazione gastro-enterica e contro cui è utile la medica-
zione purgativa , e sia per eliminare le materie alvine stagnanti, sia per
ottenere una specie di rivulsione.
La polvere di sciarappa si prescrive in dosi variate secondo l'età e le con-
dizioni particolari degli individui ; vien data nella dose di cinque a dieci
grani nei fanciulli, in quella di mezza dramma negli adulti; può questa dose
essere portata sino a quarant'otto grani per le persone nelle quali si deter-
mina la purgazione, o nelle quali produrre si vuole purgazione intensa, pegli
idropi a ino' d'esempio. La polvere può sospendersi in tre o quattro oncie
di un liquido qualunque d'acqua inzuccherata, di brodo, di tisana, di latte,
d'emulsione. Questo modo di amministrazione è il più facile e per nulla in-
grato, si può anche farne pillole o elettuario.
La resina si amministra in Idose di uno a due grani nei fanciulli e di sei
a dieci graui negli adulti, unita a polvere mitigante, come quella di gomma,
di radice di altea, di cui si fa pillole o elettuario, o meglio ancora sospesa in
un liquido mucilaginoso e gradevole che moderi la sua attività. Richard am-
monisce di unire talvolta la resina di gialappa a tre o sei grani di calome-
lano e di farne un esatto miscuglio: pasta quest'addizione per iscemare molto
l'azione irritante della resina.
La tintura alcoolica di gialappa è poco usata oggidì, eppure secondo il
succitato Richard, sarebbe dessa preferibile alla resina amministrata in so-
stanza- Sembra che colla soluzione nell'alcool, la sua azione purgativa sia più
uuiforme, meno irritante, estendendosi egualmente subito dopo la sua intro-
duzione su più glande superficie.
La tinnirà di sciaiappa, che porla il nome di Acquavite tedesca, tintura
purgante alemanna, cousta di 250 parti di resina di gialappa, di 32 di tur-
hitlo, di 64 di scamonea. Si confondono le sostanze e si mettono in un ma-
traccio in contatto coll'alcool a 32 gradi. Si lasci macerare otto giorni, si
decanti e si feltri. Questa preparazione è un forte purgante. La si amministra
iilla dose di 8 a 32 in uu veicolo adattato.
L'elisir purgativo di Le-roy ha analoga preparazione; secondo Bruschi si
forma per il primo grado un'infusione fatta in dodici libbre di alcool per ore
dodici ; di oucie sei radice di sciaiappa polverizzata ; di oncie una e mezza
di polvere di scamonea e tre ottave di radice di turbino ; a questa infusione
filtrala viene aggiunto un sciroppo fatto con libbre tre di acqua e di zucchero
ed oncie sei di foglie di sena. Nell'elisir purgativo di secondo o terzo grado
sono aumentate proporzionatamente le dosi delle droghe drastiche, ferma ri-
manente la quantità dell'alcool. Tale è il rimedio, che ha destato tanto fana-
tismo in Francia, fanatismo che qual morbo epidemico si è diffuso poscia an-
che in Italia, ove divenne pure in voga tale, che giammai ciarlatano nei
tempi più rozzi fece ingoiare ad un pubblico ignorante.
La gialappa, per ultimo, fa parte d'una infinità di farmaci composti, la mag-
gior parti andati in disuso.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Gialappa a. Corolla aperta. 3. Fruito intiero. 4. Frutto tagliato orizzontalmente.
5. Seme.
SfY /// C///Y/
159
SCAMONEA
Scamonia syriaca, Bauh. pili. lib. vm, sect. 1. — Convolvulus syriacus
et scammonia syriaca Tourn. class. 1, sect. 3 gen. 5. — Convolvulus scam-
monia Lino. Pentandria raouoginia. — Juss. class. 8 'onl. Convolvulacee.
— Poiret. fior. med. tono. 6, lab. 317. — Ridi, hot med. toni. 1, pag. 282.
Col nome di scamonea proviene dal levante e si conserva
nelle officine il sugo condensato del Convolvulus scammonia, e di
altre piante anche non appartenenti a questa famiglia, come
avremo occasione di osservare. Di presente descriveremo solo
il Convolvulus scammonia di Linneo.
La scamonea era conosciuta dagli antichi : ed i Greci e gli
Arabi ne facevano grande uso ; quindi Ippocrale adoprava già
la sua radice come un purgante drastico potentissimo.
Questa pianta cresce nell'Oriente, nella Persia e simili. Le
sue radici sono lunghe, grosse, carnose, e lasciano sgocciolare
un sugo lattiginoso, quando su di loro si praticano incisioni :
esse producono degli steli sottili , cilindrici, serpeggianti , al-
quanto vellosi, lunghi tre, quattro e più piedi. Le loro foglie
sono glabre, alterne, peziolate, astate, triangolari, acute, lunghe
due pollici circa, coi loro angoli posteriori divergenti, muniti al
loro lato interno di un piccolo dente. I peduncoli sono solitarii,
ascellari, molto più lunghi delle foglie, portanti due o tre fiori
pedicellati, coi pedicelli muniti di due piccole brattee lesini -
formi. I fiori sono composti: di un calice persistente a cinque
fogliole glabre, ottuse ed anche alquanto incavate alla loro som-
160
milk; d'una corolla campaniforme, d'un bianco tinto di porpora,
di cinque stami ; d'un ovario supero; d'uno stilo a due stimmi.
11 frutto è una capsula a due logge racchiudente ciascuno due
semi rotondi.
La Scamonea chiamasi dai Francesi Scamonèe ; dagli Spa-
gnuoli Escamonea; dai Portoghesi Escamonia; dai Tedeschi
Scammoniemvinde ; dagli Inglesi Scammoneutn, Syrische winde ;
dai Danesi Skammoneum, così pure dagli Svezzesi, dagli Àrabi
Sachmmia.
La Scamonea, che viene da Smirne, è il succo concreto della
Periploca scamone, Linn., arbusto sementoso della famiglia degli
apocini e che cresce nei luoghi stessi del convolvulo scamo-
nico, non che della Periploca greca da noi descritta nella
pagina 228, e disegnata nella tavola 251 , e della peri-
ploca mauriziana che si ravvicina molto a quest'ultima, pianta
conosciuta volgarmente sotto il nome di Scamonea di Bor-
bone.
La scamonea di Mompellieri, per ultimo, o Falsa Scamonea o
Scamonea in Gaiette, è il succo estratto collo stesso processo
della radice del Cynancum Mompelliacum, piccolo arbusto pure
della famiglia degli apocinei, che cresce nei dintorni di Mon-
pellieri e nelle provincie meridionali della Francia, che noi ab-
biamo descritto in questa Flora alla pag. 230 del 3 volume, e
designato nella tavola 252.
La Scamonea di Aleppo è così nomata perchè ci viene portata da questa
città dell'Asia minore, ove il convolvulo scammonio cresce naturalmente. Se
ne distinguono due sorta principali, cioè:
La Scamonea in chioccole che si ottiene raschiando la terra intorno al
collarino delle radici, al quale si fanno alcune incisioni, d'onde scola un
succo biancastro che si riceve in piccole chiocciole e si dissecca al calore del
sole. Questa scamonea, la più pura e la più stimata, è rarissima in commercio.
Essa presentasi sotto forma di piccole masse spesso porose, talvolta unite di
un grigio rossastro o di un grigio biancastro allo esterno, d'una spezzatura
fosca, cerosa , giallastra, e semi traspaiente sugli orli dei frammenti. Il suo
161
udore è forte e disaggradevole; sfregata colla saliva forma uua emulsioueili un
giallo verdastro lordo, che diviene velenosissima disseccandosi.
La Scamonea di Aleppo ordinarla sembra essere slata ottenuta per espres-
sione dal succo della pianta ricevuto in vasi piatti e concentrato per la sua
esposizione al sole, ed evaporato col fuoco alla maniera ordinaria degli estratti.
Onesti differenti modi di preparazione influiscono necessariamente sulla qua-
lità dei prodotti ; così la scamonea otteuuta coll'evaporazione spontanea, si
ravvicina -li più alla scamonea in chiocciole, di quella che soggiacque all'a-
zione del fuoco. La prima è in pezzetti leggieri, friabili, talvolta cavernosi e
che provengono dalle masse piatte, la cui spessezza è di olio a dieci linee.
La loro spezzatura è fosca, di un grigio nerastro, e le loro scaglie più mi-
nule, non sono sprovvedute di tutta la trasparenza. Questa scamonea ha un
odore forte, meno disaggradevole che quello della scamonea in chiocciole. Essa
è ordinariamente coperta di una polvere grigia che proviene dal confricamelo
dei pezzi gli uni cogli altri. La scamonea di qualità più inferiore venue
probabilmente preparata coll'evaporazione al fuoco, sino alla consistenza di
estratlo. Essa è in pani orbicolari , appiattiti col raffreddamento, friabile, pe-
sante, compatta, senza cavità interne, d'una spezzatura nera e \etrosa, tra-
sparente nei suoi frammenti minuti, d'un odore più debole che la prece-
dente.
La Scamonea di Smirne prodotta dalle piante succitate appartenenti alla
famiglia delle apocinee, è d'ordinario bruna, pesante, dura, non cavernosa,
difficile a ridurre in polvere, di spezzatura fosca e terrosa, d'un odore debole
ma disaggradevole, d'un sapore acre ed amaro; la sua soluzione nell'acqua
è lattea e d'un bianco sporco. Essa è frequentemente alterata e si stima
meno che la scamonea di Aleppo-
La Scamonea di Montpellier si fabbrica al mezzodì della Francia col
succo del Cynanchum Monspellìacum succitato. Essa è nera, dura e com-
patta; quando si confrica col dito bagnato, forma un liquido d'un grigio in-
lenso, untuoso e tenace. Il suo odore è debole, disaggradevole ; il suo sapore
nauseante. Questa scamonea non è ordinata dai medici a cagione della sua
azione irritante è meno purgativa della scamonea di Aleppo colla quale i
falsificatori la mischiano talvolta.
Bouillon-Lagrange e Vogel pubblicarono un'analisi comparativa della sca-
monea di Aleppo e di quella di Smirne, cui rinvennero composte dei se-
guenti materiali.
Scamonea di Aleppo Scamonea di Smirne
29.
8.
5.
58.
Resina
60
Gomma
3
Estratto
2
Rimasugli
35
100
ioo.
La sola scamonea di Aleppo deve essere adunque impiegata in medicina ed
auche bisogna servirsene con circospezione, perchè essa purga violentemente,
anzi (orma uno dei purganti drastici maggiormente energici; opera nella
Tom, IV. 11
162
stessa maniera della resioa di gialappa, del succo di eufoibio ed in uoa pa-
rola di tutli gli altri medicamenti dello slesso genere.
Fiuo dai tempi d'Ippocrate, come avvertimmo di sopra, si usava la radice
della scamonea come sostanza purgativa; ed il vecchio di Coo ne prescriveva
utilmente la decozione onde promuovere abbondanti e solleciti evacuazioni
alvine: l'uso medico perciò della scamonea, come drastica, monta ad un'epoca
antichissima dell'arte; ed i medici d'ogni tempo hanno grandemente valutalo
l'attività di questo rimedio, che è pure al giorno d'oggi vitalissimo nel trat-
tamento di quelle malattie, in cui la prescrizione dei drastici si trova bene
indicata. Coll'oggetto poi di modificare la sua azione purgativa, gli antichi la
facevano soggiacere a diverse preparazioni, ed in questo stalo la scamonea
portava il nome officinale di Diagridio (Diagridyum) ; l'esponevano al va-
pore di zolfo, oppure la mescevano all'estratto di regolizia; la facevano eva-
porare dopo averla dilungala nel succo di cotogni, ciò che produceva le so-
stanze nominate Diagridio solforato-, Diagridio glicirizato, Diagridio
ridoniate. Queste preparazioni sono oggidì totalmente obliate.
Orbazio, Ezio, Offmann e molti altri osservatori attribuiscono alla scamo-
nea un'azione deleteria ; ma alcune esperienze di Orlila sembrano avere com-
provato non possedere essa proprietà velenose : diede egli questa sostanza alla
dose di quattro dramme a più cani, senza che altro sia avvenuto che l'orli
evacuazioni alvine; ciò non pertanto, l'irritazione che determina sugli intestini
la è sì violenta, che presa ad alla dose, può produrre non solo forti evacua-
zioni e coliche, ma anche l'infiammazione e l'ulcerazione di questi organi, e
solto questo rapporto è stata a giusta ragione segnalala la scamonea come
un purgante nocevole, da non somministrarla perciò, che a piccole dosi, e
con somma circospezione. Quindi, se la scamonea è un purgante che può
riuscire vantaggioso agli individui robusti, forti e dati a lavori faticosi, non
che agli individui linfatici, e d'uua sensibilità ottusa, non può convenire iu
modo alcuno ai bimbi, ai ragazzi, alle donne, ai convalescenti, non che in
genere agli uomini deboli, di costituzione delicata, o dotati d'un temperamento
nervoso, o d'una viva sensibilità; oppure, che disposti siano all'inGammazione,
alle emorragie ed altri acuti malori.
Ouesta gomma resina può essere utile come drastica in certi catarri cro-
nici e ribelli, nelle idropisie atoniche, in certi casi di manìa, d'idropisia, di
colica saturnina, conlro i vermi intestinali, ed alcune malattie croniche della
pelle; allorquando, cioè, la medicazione purgativa od è necessaria, od almeno
indicata. Ma è prudente l'astenersi da un sì fatto derivativo nelle febbri, ne-
gli esantemi acuti, nelle flegmasie dei visceri, nella lisi, ed altre malattie sì
acute che croniche, quando sono accompagnate da sete, calore, secchezza,
magrezza o da una grande debolezza ecc.
In sostanza si può amministrare da cinque a venii grani in qualche oppor-
tuno veicolo; si associa per lo più a qualche sostanza mucilaginosa, onde
moderarne l'azione.
Serve la scamonea a molte preparazioni farmaceutiche oltre alle succitate;
entra essa nella composizione della famosa polvere Cornachina o de' tre dia-
voli o dei conti di JVaiwich, delle pillole pollereste dorate fetide, sine
163
quìbus, e mesenteriche di Charus, mercuriali di Bornio, di Belloste, e di
molle altre mostruose produzioni della farmacologia Galenica ; per ultimo è
la scamonea il principale componente della tintura alemanna e dell'e/ef/r
d» le-Roy, di cui già abbiamo tatto parola parlando della sciarappa.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Scamonea. ». Corolla aperta. 3. Calice. 4. Pistillo. 5. Semi,
464
CONVOLVULO MECHOACAN
CodvoIvuIus americanus mechoacan diclus. Raii. bist. 723. — Convolvulu*
luechoacan, Linn. Penlandtia monogiuia. — Juss- coDvolvulacee. — Muraud,
bist. boi. pract., lab. 29.
La radice, che in commercio viene sotto il nome di mechoa-
can, è il prodotto del convolvulo mechoacan di Linneo, che
cresce nella provincia di Mechoacan nel Messico. È pure una
pianta rustica, che cresce naturalmente nei campi , nei luoghi
incolti, nei boschi e simili.
La sua radice è grossa quasi come quella della sciarappa,
sebbene in commercio si trovi in piccoli pezzi irregolarmente
globosi, della grossezza d'un pugno o tagliati in rotelle ordina-
riamente sprovvedute della loro corteccia, d'un colore bian-
castro esteriormente, tutte affatto bianche all'interno, marcate
talvolta di linee concentriche come quelle della sciarappa,
inodorose, d'un sapore da prima debole e presso che nullo, poi
leggermente acre. Dal coletto di questa grossa radice s'elevano
steli lunghi, sermentosi, serpeggianti, moltiangolari, che s'ar-
rampicano e s'avviticchiano ai corpi circostanti; questi portano
foglie alterne peziolate, della lunghezza d'un pollice e più, cor-
diformi, anzi alquanto astate, d'un bel verde nella superficie
superiore, venose nell'inferiore. I suoi fiori, simili affatto a
quelli del convolvulo delle siepi, nascono per lo più solitari!
dalle ascelle delle foglie, e sono sostenuti da lunghi peduncoli
tetragoni. Sono composti di un calice quasi intieramente co-
perto da brattee è diviso in cinque parti da una corolla mono-
petala campaniforme piegata su cinque angoli, d' un colore
ec&zcccvt
1G5
bianco, con macchie rossigne quasi del colore di carne all'e-
sterno, di colore di porpora internamente ; di cinque stami
d'ineguale lunghezza ; d'un ovario rinchiuso per metà in una
glandola circolare, sormontato da uno stilo e da uno stimma a
due lobi. Il frutto consiste in una capsula a quattro valve, rac-
chiudenti ciascuna uno o due grani.
Il mechoacan dicesi anche Meccocan, Meciocan, Mechoa-
canna , Mcciocam , Masciocam , Rabarbaro bianco. Non è col-
tivato che negli orti botanici. Fiorisce nei mesi di giugno,
luglio, ed agosto.
Avvertiremo per ultimo che il nome di Mechoacan nero
venne dato, sebbene del tutto improprio, alla sciarappa sovra
descritta, come si chiamò anche mechoacan del Canada la
Phylolacca decandra di Linneo.
Il convolvulo marino [Saldonella vulgaris, Park.,) (Soldanella
marina, Eystj, (Convolvulus mariUimus, Linn.), è pure una specie
di convolvulo a fiori rossi ed a foglie reniformi, che cresce
abbondantemente nelle sabbie marittime, che già era quale
purgante drastico adoprato da Dioscoride contro le idropisie.
Il Turbilo vegetale per ultimo, è pure una specie di convol-
vulo che cresce nelle Indie orientali, particolarmente nell'isola
di Geylan , denominato da Linneo Convolvulus turpethum. Le
sue radici fresche sono cilindriche, flessibili, lunghissime,
ramose , piene d'un succo latteo ; disseccate e quali si tro-
vano nelle farmacie , sono lunghe da quattro a sei pollici ,
d'un mezzo pollice di diametro ; la sostanza legnosa ne fu
separata : l'esterno è grigio o rossastro ; l'interno bianco, com-
patto, composto di fibre parallele longitudinali, o di vasi pro-
prii contenenti una resina giallo-arancio. La sezione traver-
sale di queste radici offre alcuni pertugi rotondi visibili, che
danno loro l'aspetto d'una canna di giunco tagliala traver-
salmente. Quest'osservazione di Guibourt sembra essere stata
trascurata dai farmacologisti.
4 GG
Abbiamo inoltre molle specie indigene di convolvuli, spe-
cialmente nelle provincie meridionali d'Europa, che possedono
in grado meno energico le proprietà purgative della gialappa,
della scamonea ecc. Noi non descriveremo che i più comuni,
cioè il convolvulo delle siepi (Convolvulus sepkmi , Linn.) ed il
convolvulo dei campi (Convolvulus arvensis, Linn.).
La radice di mechoacan che, come abbiamo Dotato, trovasi in commercio
in pezzi irregolarmente globosi , grossi quanto il pugno, od in fette circolari,
mancanti generalmente della propria corteccia, di colore biancastro, segnate
talvolta di linee concentriche come quelle della sciarappa, ma assai più visi-
bile, è un purgante debole, cbe non ha azione speciale e la cede sotto ogni
rapporto alla sciarappa, ed alla scamonea, oggidì è di rado usata in medi-
cina. Il suo odore è quasi nullo, il sapore, dapprima scipito, rendesi poscia
acre.
Sì fatta radice si compone quasi totalmente di amido e di poca quantità
di resina analoga a quella esistente nella radice di sciarappa. Quella delle
nostre radici indigene, che rassomiglia di più al mechoacan, e con cui si può
falsificare, è la radice di brionia, che si distingue facilmente essendo meno
bianca, d'un odore disaggradevolissimo, e di sapore amaro acrissimo. 11 me-
choacan inoltre offre all'esterno macchie brune e punte legnose che sono gli
avanti delle radichette; ciò che non si osserva sulla brionia.
L'azione della radice del convolvulo marittimo è analoga a quella del me-
choacan; credesi però alquanto più acre.
Le radici di turbito poi sono prive di odore ; il loro sapore da principio è
nullo, poi lasciano un impressione acre e nauseante. Boutrou Charlard pubblicò
un'analisi di questa radice, e diede i seguenti risultati.
1. Della resina.
2. Una materia grassa.
3. Dell'olio volatile.
4. Dell'albumina.
5. Della fecola amilacea.
Ugualmente che la gialappa, le radici di turbito costituiscono un purgante
drastico, altre volle impiegato più che oggidì. Entravano in gran Damerò di
preparazioni, che i medici moderni or più non prescrivono.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Convolvulo mechoacan. a. Capsula intiera. 3. Semi.
&Mecc&6ps ^ <-<7wSi£>
167
VILUCCHIO DEI CAMPI
Convolvulus arvensis, Linn. — Pentarxhia monoginia. — Juss. Convolwi-
tacee. — Si- Hi!, plant. de la France, tom. 3.
Il vilucchio dei campi, o convolvuìo campestre, è una pian-
ticella indigena dell'Europa, che cresce per ogni dove, lungo le
vie, i viottoli, nei solchi dei campi , ed in quasi tutti i luoghi
incolti ; si avviticchia attorno delle piante che gli stanno vicino,
serpeggia da arboscello in arboscello , da erba in erba , sulle
pioli e con queste s avviluppa.
Questa pianticella è vivace : la sua radice è lunga, brunastra
e grossa proporzionatamente allo stelo; non serba però propor-
zione alcuna colla radice delle altre convolvulacee già descritte;
cioè della sciarappa e della scamonea, non che del convolvuìo
americano (Convolvulus americanus -mechoacan clictus) , de-
critto di sopra. Da questa s'elevano steli serpeggianti, sot-
tili, ramosi, segnali da linee circolari: essi portano foglie
con corti picciuoli ; le superiori sono intiere, pressoché trian-
golari; le inferiori hanno la forma d'una lancia, e sono munite
alla loro base di due lobi spuntali, come la sommila di ciascuna
foglia. I fiori variano da sito in sito, ora sono bianchi, ora rosei,
ora porporini, ora variegati; il più delle volte sono rosei e se-
gnati sulla superficie esterna da cinque raggi divergenti d'un
colore rosso sbiadato, che s'alternano con allreltanli biancastri
apparenti sulla superficie interna ; alle volte si osservano solo i
raggi sulla superficie esterna , i quali a vece di essere rossi
sono alcune fiate biancastri, e quello che è più particolare, si è
168
che tutte queste gradazioni di colori si trovano per lo più sulla
stessa pianta : questi fiori si aprono sul mattino per chiudersi
verso mezzogiorno, se il tempo è sereno ; sostenuti da lunghi
peduncoli, solitari! e situati alle ascelle delle foglie, sono com-
posti di un calice monoftllo terminato da cinque denti alquanto
profondi: d'una corolla monopetala rotonda, infondibuliforme:
essa porta cinque stami d'ineguale lunghezza ; l'ovario è libero,
munito alla sua base d'una glandola circolare, e sormontato da
uno stimma a due lobi. Il frutto consiste in una capsula a due
logge che racchiude più grani.
Il vilucchio dei campi, detto anche Convolvulo campestre, chia-
masi dai Francesi Liseron de champs; dagli Inglesi Small bin-
doeed; dai Tedeschi Ackerwinde, Kleine ivinde; dai Danesi Merle,
Merre ; dagli Ungheresi Kisfulak.
Questa pianta, essendo comunissima nei campi, è poco colti-
vata nei giardini; tuttavia avendo colla coltura abbelliti i suoi
fiori ed ampliate le sue foglie, è coltivala per coprire pergolati.
Si moltiplica seminando i suoi grani in piena terra. Fiorisce
dal mese di giugno sino a settembre.
Il vilucchio dei campi possiede pure proprietà drastiche, ma in grado molto
minore delle specie esotiche sovradescritle ; imperocché la proprietà drastica
dipende specialmente dalla maggiore o minore quantità di resina che conten-
gono, e le radici del vilucchio dei campi non ne contengono che un cinque
per cento, come risulta dall'analisi di questa radice, pubblicata da Chevallier
nel Giornale di farmacia, 1823, luglio ed agosto.
Risulta adunque dall'analisi del succitato autore, che le radici del vilucchio
dei campi contengono i principii seguenti :
1. Dell'acqua.
2. Della fecola amilacea.
3. Dell'albumina.
4. Del solfato di calce.
5. Del zucchero cristallizzabile.
6. Della resina somigliante a quella di gialappa.
7. Un estratto gommoso.
8. Dei sali solubili ed insolubili
9. Dell'ossido di ferro. •
169
Il vilucchio dei campi adunque, contendendo una resina purgativa a guisa
dei convolvuli sopra descritti, può servire agli stessi usi, solo la proprietà dra-
stica è in minor grado.
Appo gli antichi godeva fama di vulnerario, detersivo, purgativo, anodino,
ecc. Oggidì però non è più in uso.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Vilncchio dei campi. 2. Calice. 3. Corolla. /,. Frutto.
170
VILUCCHIO DELLE SIEPI
Couvolvulus sepium, Linu. Pentandiia monoginia. — Juss. CoDvolvulacee.
- St-Hil plani . de la France, tona. 3.
Poche piante offrono un aspetto grazioso quanto questa spe-
cie di convolvulo, allorquando s'eleva frammezzo alle aiuole, e
corona delle sue larghe corolle gli alberi su cui s appoggia.
Cresce in molte parti d'Europa fra le siepi; la sua radice è al-
quanto grossa e fibrosa ; i suoi steli tortuosi e sottili si gettano
e s'avviticchiano qua e là attraverso delle sciepi le più folte.
Le loro foglie sono alterne, peziolate, astate, coi lobi della loro
base tronchi. I fiori sono grandi, d'un colore bianeo, portali su
peduncoli tetragoni, solitarii e muniti di due grandi brattee:
questi sono composti di un calice quasi intieramente coperto
dalle brattee, in diviso cinque parti ; d'una corolla monopetala,
campaniforme, piegata sui suoi cinque angoli; di cinque stami
d'ineguale lunghezza ; d'un ovario per meta situato in una glan-
dola circolare , sormontato da uno stilo e da uno stimma a due
logge. Il frutto consiste in una capsula a quattro valve, cia-
scuna delle quali contiene uno o due grani.
Il vilucchio delle siepi, detto anche Convolvolo delle ajuole,
Vilucchio maggiore, chiamasi dai Francesi Lis&ron des haies,
Grand liseron, Liset; dagli Spagnuoli Correquela major ; dagli
Inglesi Great bindweed; dai Tedeschi Zaunwinde, Brunstok ; da-
gli Ungheresi Nagy fidale ; dagli Olandesi Haugwinde.
Questa pianta comunissima, come abbiamo notato, nelle
siepi e nelle aiuole, è pure coltivata per coprire pergolati, pro-
ducendo i suoi grandi fiori d'un bel bianco, un ottimo effetto.
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'///,
17t
La si moltiplica seminando i suoi grani in piena terra ; pro-
spera maggiormente in una terra leggiera ed alquanto calda.
Per mezzo della coltura se ne ottennero molte varietà, alcune
azzurre, altre porporee, altre screziate ecc.
Il genere convolvulo, per ultimo, le cui specie presentano,
come abbiamo dello discorrendo dei caratteri di questa fa-
miglia, quasi tutte grandi consonanze di virtù , ha qualche
specie che forma notevole eccezione. Tali sono le Patate
(Convohulus balatas, Linn.), ed il convolvulo commestibile (Con-
volvulus edulis), le cui radici grosse e carnose, fusiformi,
rosse, violacee al di fuori, bianche di dentro; ed in alcune
varietà gialle o bianche esternamente, hanno sapore dolce,
piacevole e servono di alimento in molte contrade dell'Ame-
rica ed anche in Germania, Francia ed Italia, ove coltivasi
abbondantemente. Siffatte anomalie provengono dal non con-
tenersi resina in queste due ultime specie, dacché è la resina
che va fornita dell'azione purgante. Il Convohulus edilis poi,
descritto da Thounberg nella flora del Giappone, non sembra
differire dalla patata.
Nei paesi caldi la coltura di questa pianta è presso a poco
la stessa che quella della patata. Essa venne tentata nei no-
stri climi e vi riesce, ma esige molte precauzioni. Ecco il
metodo usato generalmente. Si prepara verso la metà di aprile
uno strato di tre piedi e mezzo di larghezza, su due di spes-
sezza con letame di cavallo ben caldo che ricopresi di circa
sei pollici di terra. Allorché lo strato ha perduto il suo
troppo calore, si collocano nella terra che lo ricopre a 2 o 3
pollici di profondità ed all'incirca ad otto pollici di distanza
le une dalle altre, alcune fette di radici di patate coi loro
occhi. Quanto i getti giunsero all'incirca ad un piede di
lunghezza si trapiantano , dopo averne levale le foglie infe-
riori, in una terra profondamente lavorata , ed a due piedi
di distanza gli uni dagli altri. Si innaffiano frequentemente le
i7a
piante ; al cominciare d'autunno si fa la raccolta delle ra-
dici. Ogni piede ne può fornire circa due libbre. Si man-
giano dopo averle fatte cuocere e preparate in diverse ma-
niere.
Risulla dall'analisi di Chevallier che le radici del vilucchio in discorso
contengono i seguenti risultati:
1. Una materia grassa solubile nell'etere.
2. Una materia della stessa natura solubile nell'alcool bollente.
3. Un 5,02 per 100 d'una resina purgante analoga alla resina di gialappa.
4. Dell'albumina.
5. Dello zucchero.
6. Della gomma.
7. Dell'acetato e dell'idroclorato d'ammoniaca.
8. Del solfato di calce.
9. Del ferro, ilei solfo e della silice.
Dai risultati dell'analisi consta adunque, che i componenti sono pressoché
analoghi a quelli del convolvulo dei campi ; e che la resina in cui risiede la
proprietà drastica delle convolvulacee, tanto esotiche che indigene, trovandosi
in scarsa quantità , non è la pianta in discorso, dotata se non di leggiera
proprietà purgativa.
Le radici delle patate non racchiudono alcun principio resinoso purgativo
come le radici della più parte degli altri convolvuli. Henry Gglio ha pubbli-
cala l'analisi d'una patata rossa coltivata nelle viciname di Parigi; risulta chi-
questa contiene:
1. Amido 13,30.
2. Acqua 73,12.
3. Albumina 0,92.
4. Materia incristallizzabile fermentesci-
bilissima ...... 3,30.
5. Materia virosa volatile . . . 0,05.
6. Sostanza solubile nell'etere fondentesi
facilmente come una materia grassa
e colorantesi in verde cogli acidi sol-
forico, nitrico, ecc 1,12.
7. Parenchima secco .... 6,79.
8. Acido malico, diversi sali a base di
potassa e di calce, silice ed ossido di
ferro . • MO.
Totale 100,00.
Henry inoltre osservò: 1. che la coltura leva l'odore viroso che pare do-
vuto ad un olio volatile ; 2. che la quantità di zucchero non aumenta per la
coltura, ma si condensa coll'evaporazione dell'acqua; ciò che rende la radice
più piacevole e la fa parere zuccherosa.
173
Parmeutier aveva altre volte notata la presenza dello zucchero nella patata.
L'analisi di Henry non presenta questi priucipii nel numero dei costituenti
della radice, e fautore parla nella nota precedente dello zucchero, che si con-
densa per la cozioue nella radice; ma non devesi dire piuttosto, come osserva
Richard, che la cozione trasforma in materia zuccherosa una parte dell'amido,
e delle altre sostanze immediate vegetali che questa radice contiene ?
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Vilucchio delle siepi. 2. Calice e pistillo. 3. Frutto iutiero. 4. Grano distaccalo.
Mi
CUSCUTA
-•>:®#S*- ■
Cuscuta major, Baub. pio. lib. 6, sect. 4. — Tourn. appendix (class. I
Campaniformi). Cuscuta Europea, Linu. class. 4 tetrandria diginia. — Juss.
class. 8, ord 10 Convolvulacee. — Poiret, fior. med. tom. 3, tab. 144.
Il genere cuscuta, composto di cinque specie, alle quali però
Poiret aggiunse una settima, che sarebbero perciò la Cuscuta eu-
ropea Linn., Cuscuta americana, Cuscuta africana, Cuscuta rnon-
gogyna, Cuscuta chinensis, e la Cuscuta epithymum Linn., major
Decanti. (Fior. Frane.) è veramente singolare per la sua strut-
tura filamentosa e per essere mancanti di foglie tutte le sue
specie, che divengono totalmente parassite qualche tempo dopo
la germinazione, che ha sempre luogo nella terra, come accerta
Poiret, che ebbe più volte occasione di osservarle nell'America,
specialmente la specie americana.
I vegetali offrono due specie di parassiti distintissimi, cioè i
semi parassiti ed i veri parassiti: fra i primi sonvi le cuscute,
le vanille, il pepe del commercio, l'edere ecc., che dopo d'avere
germogliato in terra e vissuto per se stesse, s'attaccano alle
piante vicine su cui vivono in seguito, disseccandosi allora il
collo della radice, e divenendo il vegetale vero parassito : fra i
secondi il visco quercino e le numerose specie di Tillandasia,
un gran numero di crittogame, come funghi licheni, muffe ecc.,
che tutti germogliano , vivono, muoiono sui vegetali che le vi-
dero nascere.
Due specie sole però crescono in Europa e sono la Cuscuta
So',
' f/, tf/s/ft
(Z
175
Europea, e XEpithimum che Linneo per la loro somiglianza quasi
perfetta designò la prima col nome di Cuscuta Minor, la seconda
con quello di Major.
I Creoli delle Anlille fanno della cuscuta una specie di prova
pei loro amori : quando una o due amanti passeggiano fra mezzo
ai boschi, e l'uno e l'altro schiantano un pugno di questa pianta,
la gettano per caso su d'un buscione, e se in capo a qualche
giorno particolari circostanze, come l'ombra o la pioggia, favo-
rirono la ripresa del parassito, allora non havvi più dubbio sulla
reciproca fedeltà. In questi paesi è la cuscuta chiamata Erba
deW amicizia.
La maggior parte degli autori moderni esclusero dalla ma-
teria medica tutte queste specie di parassiti ; noi però terremo
discorso ée\Y Europea esponendo brevemente i pensamenti degli
antichi a riguardo di questa pianta.
Parassita micidiale, dalla pianta che la nutrisce ; questo sin-
golare vegetale è curioso, sia pel suo modo d'esistere, che
per la facilità di essere riconosciuto tanto pel suo portamento
quanto per la propria conformazione.
I suoi semi si svolgono nella terra, ma la giovane pianta
muore; tosto che è fuori terra se ne trova subito un appoggio
per sostenerla non solo, ma per nutrirla, e sebbene ella si
adatti bene alla maggior parte degli steli erbacei , o sotto
legnosi, sembra non pertanto, che gli steli del lino, della
veccia, del serpillo e simili, siano più favorevoli al suo svi-
luppo. Allorquando s'impadronì d'una di queste piante, la cir-
conda, la serra in tutti i sensi coi suoi lunghi filamenti ra-
mosi, capillari, alquanto rossastri, mancanti di foglie, ma mu-
niti da distanza in distanza da piccoli succhiatoi, che insi-
nuandosi nella corteccia della pianta circondata e serrata, le
succhiano i proprii umori, l'alterano, la disseccano, ed il più
delle volte la conducono a morie. Le foglie sono alcune
volte sostituite da scaglie piccole, rade e distanti.
17G
I suoi fiori sono bianchi o rossastri, riuniti a mazzetti glo-
bosi, sessili, laterali: ciascun d'essi è composto d'un calice
corto, a quattro, ed il più delle volte a cinque divisioni: duna
corolla companulata, a quattro o cinque lobi e ad altrettanti
stami. I filamenti sono muniti alla base d'una scaglia bifida,
aderente alla corolla ; i due stili sono corti.
II frutto consiste in una capsula quasi globosa, a due logge,
di cui ciascuna contiene due semi.
La cuscuta, detta anche Cuscute, Granchierella, Turpigine,
Podagralim, Grugno, Sbozzolino, chiamasi dai Francesi Cuscute,
Goutte du Un; dagli Spagnuoli Cuscuta; dagli Inglesi Dodder ;
dai Tedeschi Flachssekle , Fikkraul ; dagli Olandesi Schorste,
Volka rum; dagli Svezzesi Silice.
La cuscuta è inodora, il suo sapore è alquanto amaro secondo Linueo;
acre ed astringente al dire di Geoffroy ; insipido e leggermente mucoso, giu-
sta altri autori; varia al riferire di Murray, sacondo la specie della pianta da cui
attrae il nutrimento. Si credette pure, che essa acquistasse le proprietà dei di-
versi vegetali su cui vegeta, e di cui assorbisce gli umori. Egli è per questo,
che si risguardò la cuscuta vegetale sul lino come mucilaginosa, quella vege-
tante sul giuestro e sull'ortica come diuretica; che diedesi liberamente il
titolo di astringente, quella che vegeta sulla sabbia, e che s'attribuì la virtù
purgativa alla cuscuta che cresce negli euforbii e via via.
Egli sarebbe certamente importante il constatare sì fatte asserzioni per
mezzo di esatti esperimenti ; ma frattanto conviene con Peyrilche lasciare
sotto lite i dubbiosi fatti su cui riposano. Tutlavolta questa pianta godeva
presso gli antichi di molta riputazione. Ippocrate l'adoprava nella tisi ; se-
condo Galeno, Ezio, Eribaso, converrebbe in molte affezioni che furono per
lungo tempo confuse sotto la vaga denominazione di difficoltà di respirare.
Altri medici antichi, inoltre le attribuirono la proprietà di risolvere le ostru-
zioni dei visceri, specialmente quelle che tengon dietro alle febbri intermit-
tenti.
Pauli, Etmuller, Wedel ed altri, celebrarono del pari le sue virtù con-
tro tutte le ostruzioni ; e diversi pratici asseriscono d'averla vantaggiosamente
amministrata nella melancolia, nell'ipocondriasi e simili. Si decantò parimenti
contro la gotta ed il reuma. Oggidì però la cuscuta è presso che proscritta
dai libri di materia medica. Forse tante vantate virtù non furono compro-
vate.
La si amministrava in infusione vinosa, in decozione acquosa, da una a
quattro dramme, ed in sostanza, in più piccola dose. Faceva parte la cuscuta
di molte preparazioni farmaceutiche antichissime e scadute di loro lama, come
177
delle pillole tartarose di Querceton, degli eleltuarii di Psyllium e di Sena,
della confezione di Hamecb, del sciroppo aperitivo di Charas ecc.
I suoi semi l'anno pure parte del siroppo di cicoria composto di Charas, e
di quello di Mesue.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
La pianta della grandezza naturale è rappresentata su d'un piede di medica (Medicago
saliva).
i. Pianta intiera su una pianta di medica, a. Estremità d'un ramo su cui si distin-
guono alcune scaglie facienti le funzioni delle foglie, dall'ascella delle quali escono ra-
moscelli, le cui estremità terminano a guisa degli asparagi. 3. Tronco di medica, su cui
si vede come per mezzo de' suoi succhiatoi, succbii la cuscuta per nutrirsi degli umori
della sua benefattrice, che finisce sempre per cagionarle la morte. 4. Fiore intiero. 5. Co-
rolla aperta. 6. Pistillo composto d'un ovario sormontato da due stili. 7. Frutto intiero
«!«lla grossezza naturale. 8. Frutto tagliato orizzontalmente. 9. Grano isolato ingrossato.
Tom, IV. 12
178
FAMIGLIA 42MA
OyAvwc \0\ "Decana. — ^>$ Jvs*.
RINANTOIDI
•
Costituiscono le rinantoidi una famiglia naturale di piante
dicotiledonee monopetale, che hanno un calice più o meno
profondamente diviso e d'ordinario tubuloso e persistente. La
loro corolla è quasi sempre irregolare e gli stami sono in
numero indeterminato. L'ovario è semplice, munito di uno
stilo sormontato da uno stimma, semplice, rare volte bilobato.
11 frutto è una casella biloculare, polisperma, bivalve. I setti
seminiferi sono opposti e continui alle valve, le quali si aprono
nei loro margini. I semi hanno il perisperma carnoso, l'em-
brione diritto, ed i cotiledoni semicilindrici.
Le piante di questa famiglia, che Mirbel chiama Veroniche,
hanno un fusto ordinariamente erbaceo , il quale porta delle
foglie alterne ed opposte. I fiori, muniti di brattee, sono qual-
che volta solilarii, ascellari o terminali, ma più di sovente stanno
disposti in ispighe terminali.
Le Rinantoidi vennero da alcuni botanici comprese nelle
scro folade, fra le quali si misero pure le pedicolari. Quindi
nella famiglia delle scrofolarie si comprendono dai suddetti bo-
tanici tutte le piante che formavano altre volte le famiglie
delle Personale o Scrofolarie propriamente dette , delle Pedi-
colari o Rinailacee.
179
Ventenat unisce a questa famiglia, che è la III della Vili
classe del suo Tableau du règne vegetai ecc., dieci generi sotto
due divisioni:
4 . Le Rinantoidi aventi due, cinque od otto stami, Pohjgala,
Veronica, Coclearia, Disandra.
2. Le Rinantoidi a stami didimi, Sibthorpia, Castillaeja,
Euphrasia, Pedicularis, Rhinonthus, Melampyrani (Nouv. dici.
dhisL natur. tom. xx, pag. 1 35.)
! 80
VERONICA OFFICINALE
Veronica mas supiua et vulgatissima, Bauli, pio. lib. 7, sect. 1. — Touro.
class. 2, sec. 6, geu. 4. — Veronica officinalis, Linn- Diandria monnginia. —
Juss. Rinantoidi {PedicolarlJ. — Poiret, fior. med. tom. 6, tab. 345- —
Ilicb., l>ot. med. tom. 1, pag. 232.
Sonvi pochi generi, le cui specie siano più variate e mag-
giormente sparse, di quelle delle veroniche ; oggidì se ne con-
tano già più di 1 40 specie crescenti sui due emisferi. Esse
crescono quasi per ogni dove, ma sotto differenti forme ; le une
crescono lungo i margini dei ruscelli, nei luoghi umidi, palu-
dosi: altre fanno brillare nei campi, o frammezzo ai prati, la
loro corolla d'un bleu celeste (colore quasi comune a siffatto
genere di piante). Le colline, i monti, le alte montagne ne sono
piacevolmente tappezzati, sovraltutto nei margini delle loro strade;
se ne trovano sino alla sommità dei Pirenei e delle Alpi. Nei
boschi inline se ne riscontrano pure bellissime specie. Siffatto
genere di piante è facilissimo a riconoscere per la corolla dei
fiori monopetala, rotacea , a quattro lobi ineguali ; i suoi due
stami e la sua capsula lenlicolare, compressa, a due cellette
polisperme. Molte specie del genere furono, ed alcune lo sono
anche oggidì, adoprate in medicina. Noi parleremo delle prin-
cipali, incominciando dall'officinale , come la più usata.
Cresce la veronica officinale comunissima nei boschi di
quasi tutta l'Europa ove fiorisce per una gran parte della
state. I suoi fusti sono prostesi, rampanti, un poco vellutati,
J ì ' /?
/ e ?</ é&z s^ytcs sia/?
181
lunghi da quattro a cinque pollici , semplici o divisi alla loro
base, in ramoscelli simili agli steli, muniti di foglie opposte,
ovali, ottuse, pubescenti, dentate a mo' di sega ai loro mar-
gini; alcune sono quasi rotonde e più piccole. I fiori sono
piccoli, d'un turchino pallido, traversato da vene rossastre,
disposte ordinariamente in due grappoli laterali, ascellari, che
alcune volte appaiono terminali, cioè, quando le foglie della
sommità non sono ancora ben sviluppate. Questi grappoli sono
pubescenti, ritti, lunghi da tre a quattro pollici e sostenuti
da un peduncolo particolare comunissimo e munito alla base
d una brattea. Essi sono composti di un calice a quattro di-
visioni profonde ; d'una corolla monopetala, rotacea, a quattro
lobi ineguali ; di due stami inserti sulla corolla ; d'un ovario
libero, sormontato da uno stilo e da uno stimma. Il frutto con-
siste in una capsula cordiforme, compressa, a due logge , le
quali racchiudono più semi rotondi.
La veronica officinale, detta anche volgarmente Tè d'Europa,
chiamasi dai Francesi Véronique officinale, e volgarmente Vé-
ronique male, Thè (V Europe; dagli Spagnuoli e dai Portoghesi
Veronica; dagli Inglesi Male speedwer or fluellin; dai Tedeschi
Ehrenpreis, FFundkraul; dagli Olandesi Eerenprys; dai Danesi
Aerenpriis; dagli Svezzesi Aerenpreis jordkrypa.
Questa pianta, come dissimo, rustichissiraa, la si coltiva
anche in qualche giardino: moltiplicasi separando le sue ra-
dici, oppure seminando i suoi grani in una terra leggiera.
Fiorisce da maggio sino ad agosto.
Sebbene la veronica officinale sia inodora, tuttavia Pacqua distillata risulta
debolmente aromatica. Il suo sapore è amaro, alquanto caldo e stitico; sembra
contenere un principio estrattivo ed una piccolissima quantità di tannino.
L'acqua e l'alcool s'impadroniscono facilmente dei suoi principii attivi , ma
l'estratto alcoolico risulta molto più amaro; lo che dimostra impadronirsene
maggiormente. Non si hanno esatte analisi chimiche.
Questa pianta s'approssima molto al suo modo d'agire sull'animale economia,
alle sostanze amare, poiché vale a rialzare alquanto le forze illanguidite dei vi-
sceri ; sebbene, a vero dire, la sua azione tonica sia debole, molto leoia , e
4 82
gli effetti secondarli, a cui dà luogo, talmente oscuri, da essere stata commeD-
data contro le malattie che richiedono i tonici, e contro quelle che esigono
i dolcificanti. Essa fu soprattutto usala per lungo tempo in diverse malattie
del petto. La tosse, la dispnea, l'asma, la tisi polmonare, sono le affeziour
contro cui fu specialmente decantata. Hoffman contribuì molto a dare credito
alla sua riputazione per gli effetti che pretende avere otteuuto nelle succitate
affezioni.
Fu pure raccomandata contro le affezioni calcolose ; ma siffatta azione non
fu più comprovata per questa pianta di quanto lo sia slata per altre già da
noi descritte: altri autori la raccomandarono contro la scabbia, il prurito, ed
altre affezioni della pelle, contro cui i risultali sono più o meno dubbiosi ; e
noi non possiamo citar l'alti che valgano a comprovare sì fatta azione; tanto
più che oggidì non é più che rare volle adoprata e considerala s«lo come
una pianta, che gode della proprietà astringente. Bruschi l'annovera fra la
classe degli astringenti e ne fa cenno in quella degli anliettici.
Esternamele questa piauta fa adoprata come astringente e vulneraria; Sa-
muel Pauli ne esalta altamente le virtù. Oggidì andò pure per l'uso esterno
in dimenticanza, come seco lei andarono quella turba di topici adoprati dal-
l'antica chirurgia.
Se si deve prestar fede ad alcuni autori tedeschi, come ad Hoffman e Frank,
che innalzarono alle stelle le proprietà reali o supposte della veronica, sarebbe
questa tanto preziosa quanto il tè: la sua infusione sarebbe preferibile a quella
delle foglie del Tè verde ( Theo, viridis) onde il suo nome di Tè d'Eu-
ropa. Diffalti la loro infusione teiforme riesce piacevolissima e costituisce
una bevanda, secondo Richard, leggermente eccitante e diaforetica. A tal fine
adoprausi le foglie, ed i teneri steli.
Si adopra sollo questa forma alla dose di quattro ad olio gramme per au
kilogramma d'acqua.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Veronica officinale. 2. Fiore intiero. 3. Corolla aperta. 4. Calice e pistiUo.
5. Pistillo. 6, Frutto ingrossato. 7. Frutto tagliato orizzontalmente,
8. Grano isolalo
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188
VERONICA BECCABUNGA
Ànagalis aquatica maior folio subrolundo, Bauli, pin.lib. 7. sect. 1. — Tourn-
class. 2 iufondibuliformi- — Veronica beccabunga, Linn. class. 2, Diandri»
uionoginia. — Juss. class 8, ord. 2. Riuanloidi (Pellicolari).
Alligna questa pianta vivace sui margini dei ruscelli, degli
stagni, attorno dei fonti, ed alcune volte anche immersa nella
loro limpida acqua. Trovasi non solo in molte parti d'Europa,
tanto nei climi temperati, che nelle regioni fredde della Litonia,
ma anche nelle ardenti regioni dell'Africa. Vuoisi il suo nome
derivato da Bachbungen o da beekeboom, che significano una
pianta dei rivi ; imperocché Bach in tedesco e Beck in lingua
Olandese significano ruscello.
La sua radice è bianca, verdognola, fibrosa, rampante ; da
questa s'elevano steli cilindrici, sdraiati, rossastri e stoloniferi
inferiormente, quindi ritti : questi prendono poscia un colore
verde e s'elevano all'altezza di un piede circa. Le foglie sono
opposte, sostenute da corti picciuoli, ovali, glabre, alquanto car-
nose, dentate sui margini. I fiori sono disposti a grappoli late-
rali, che partono dalle ascelle delle foglie. Ciascun fiore, che è
sostenuto da un sottilissimo pedicello e munito alla base di due
brattee, presenta un calice persistente a quattro divisioni; una
corolla monopetala rotacea, il cui lembo è diviso in quattro lobi
ovali d'un colore turchino : di due stami inserti al tubo corto
della corolla, i cui filamenti sono terminati da antere oblunghe,
subsaettate ; d'un ovario supero, compresso lateralmente, sor-
montato da uno stilo filiforme, e da uno stimma semplice, quasi
184
tronco. Il frutto consiste in una capsula quasi cordiforme, a due
loggie, che racchiude molti piccoli grani rotondi nerastri.
La veronica beccabunga, delta anche Anagallide acquatica,
chiamasi dai Francesi Beccabunga , Beccabenga, Vèronique a-
quatique, ed ebbe da Lamark il nome di Vèronique cressonnée;
dagli Spaglinoli Becabunga; dagli Inglesi Brooklime, Greater
water speedwell; dai Tedeschi Bachbungen, IVasserbungen, Ba-
chbonen; dagli Olandesi Beeheboom.
Poco o quasi nullo è l'odore che olezza la beccabuuga; il suo sapore ila
prima solo un po' amaro, rendesi poscia acre e piccante. Sembra contenere,
come la veronica officinale, un principio estrattivo, ed una piccolissima quan-
tità di tannino; l'acqua e l'alcool s'impadroniscono facilmente di questi priu-
cipii. Nou sonvi su questa pianta esatte analisi chimiche.
Anticamente era molto adoprata, e ne decantarono le sue virtù, fra i molti,
Foreest, Boerhave, Simon Pauli , Vogel; ma Murray non dimostra avere
grande confidenza sulle virtù di questa pianta, ed altri farmacologisti , fra
quali Cullen, Swediaur, Peryllhe più recenti, asseriscono essere appena degna
di stare fre le sostanze medicamentose. Tuttavia le osservazioni di Guersenì
tenderebbero a ristabilire la riputazione perduta. Ecco come s'esprime questo
autore.
« Nella primavera, quando incomincia a vegetare, e verso la fine dell'estate
durante la fruttificazione, la beccabunga è solamente acquosa, astringente, ed
alquanto sapida; ma quando la pianta è sviluppata e pronta a fiorire, essa
offre in tutte le sue parti, un sapore leggermente acerbo ed amaro, poscia
acre e piccante, come quello del crescione; d'onde il nome Véronìque cres-
sonnée impostogli da Lamark. Queste qualità Gisiche sono mollo più pronun-
ciate nelle piante che crescono vicino ai ruscelli ed esposte al sole, che in
quelle che vegetano nell'acqua od all'ombra. Che che ne sia, la beccabunga
ha meno d'analogia sotto l'aspetto medico con le veroniche, che colla fami-
glia delle crocifere, e no» differisce dalle altre piante di questa famiglia, se
non perchè è meno acre ed alquanto astringente : ed è appunto per queslif
ragione, che la si deve preferire alcune volte a stimolanti più attivi, quando si
teme che questi possano aumentare l'irritazione, ed aggiungerla perciò al sugo
delle crocifere per moderarne gli effetti. La beccabunga agisce ciò non per-
tanto nello stesso modo di questi vegetali che in genere si designano colla
denominazione di autiscorbutici , sebbene non sembrino possedere più parti-
colarmente qneste virtù di molte altre piante. Egli è in grazia delle sue pro-
prietà eccitanti e leggermente toniche, che conviene la beccabunga in certe
affezioni erpetiche e scorbutiche: essa, secondo Willemeut, sembra essere stala
vantaggiosamente amministrala in alcune specie di tisi polmouari e negli in-
gorghi atonici dei visceri addominali che succedettero alla gotta irregolare.
185
Era pure anticamente raccomandata pesta, per modificare eli ulceri «li
cattiva uatura, dissipare gli iugorghi emorroidali , guarire i palarecchi e le
bruciature. Internamente s'amministra per l'ordinario il sugo espresso alla
dose di due a quattro oncie, solo, o mescolalo a quello del crescione, della
coclearia, sia solo, sia unito al latte. La conserva, ed il sciroppo di becca-
bunga sono oggidì assolutamente dimenticali.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
t. Veronica beccabunga, a. Fiore intiero. 3. Corolla aperta. 4. Calice e pistillo.
5. Frutto. 6. Lo stesso ingrossato. 7 Seme isolato ed ingrossato.
186
VERONICA ANAGALLIDE
Veronica anagallis, Linn. Diandria rnonogiriia. — Juss. Rjuantoidi. — "
St-Hil. plant. de la France, torti, 4.
Cresce questa specie di veronica naturalmente nei luoghi
acquatici di molte parli d'Europa ; St-Hilaire dice d'averla tro-
vata in molte parti della Normandia. Il suo stelo s'eleva a di-
ciotto pollici all'incirca; esso è ritto, erbaceo, glabro e cilindrico.
Le sue foglie sono opposte, ovali-lanceolate, dentate a sega, ter-
minate in un picciuolo semi-amplessicaule ; le due foglie in-
feriori sono ordinariamente incavate alla loro sommila, non che
glabre. I fiori sono d un colore turchino, e disposti a grappoli
che nascono dalle ascelle delle foglie, e sono molto più lunghi
che queste. Essi sono composti di un calice piccolo, ed a quattro
divisioni ; d'una corolla monopetala rotacea, ed a quattro lobi ;
di due stami meno lunghi dei lobi della corolla; d'un ovario
libero sormontato da uno stilo e da uno stimma. 11 fruito con-
siste in una piccola capsula ovale, non solcata sui margini,
come in molle specie dello stesso genere.
La veronica anagallide chiamasi dai Francesi Véronique mou-
ronnée; dagli Inglesi Water speedwel; dai Tedeschi JVassergau-
cheil; dagli Olandesi fFaterpimpernel ; dai Danesi Vandaruc,
Lemmìke; dai Boemi Kurjmor; dagli Ungheresi Yizikahtk tc-
riek.
Questa pianta è vivace; coltivasi anche nei giardini, e si
moltiplica come la precedente specie. Se ne contano due va-
rietà, luna che getta delle radici da lutti i suoi nodi in-
feriori; l'altra ha le sue foglie disposte tre a tre sullo stelo. Fio-
risce nei mesi di luglio e d'agosto.
£/é4-&ntaz/ ^larftf&jix^
187
Questa specie, assai simile alla beccabunga, godeva aulicamente delle stesse
proprietà; cioè, prescrivevasi nelle malattie scorbutiche ed adopravasi special-
mente una conserva fatta colle sue toglie per purificare il sangue e guarire
gli erpeti. La loro decozione credevasi aperitiva ed antisterica. Esternamente
era adoprata come vulneraria e sotto forma di cataplasma, come risolutiva.
Oggidì non s'adopra punto o poco.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Veronica Anagallide. i. Calice. 3. CorulU e stami. 4. Frullo.
188
VERONICA SPIGATA
VeroDica spicala, Linn. Diandria monoginia. — Juss. Rinantoidi. — St-
Hil. plani, de la France, tom. 4.
Questa specie di veronica, che cresce naturalmente nei luo-
ghi secchi e nei boschi montuosi di molte parti d'Europa, ha
uno stelo alquanto velloso e cilindrico, alto da uno a due piedi,
e terminato ordinariamente da una sola spiga di fiori, alcune
volle da due e più, sebbene vegeti in un medesimo terreno e
nella stessa situazione. Le sue foglie sono ovali oblunghe, al-
quanto ferme, verdi e biancastre nella loro superficie inferiore,
dentate sui margini, e meno grandi a mano che s'avvicinano
alla spiga dei fiori, ove spesso si trovano senza alcun dente.
I fiori formano una o più spighe di colore turchino e ben guer-
nite. Essi sono composti di un calice a quattro lobi, muniti d'una
brattea, duna corolla rotonda, a tubo corto, ed quattro divisioni
acute; di due stami inserti sulla corolla e mollo più lunghi delle
sue divisioni. L'ovario è libero, sormontato da uno stilo e da uno
stimma. Il frutto consiste in una capsula cordiforme.
La veronica spigata, chiamasi dai Francesi Véronique à épi;
dagli Inglesi Upriglet spiked speedwell; dai Tedeschi Kleincr
bergli renpreiss, Kleiner wiesenhrenpreiss, Schwalkenzalyel.
Questa pianta, sebbene rustica, serve tuttavia all'ornamento
dei giardini, producendo colle sue lunghe spighe un bellis-
simo aspetto. Si moltiplica facilmente separando le sue ra-
dici, o seminando i suoi grani in una terra leggera. Fiorisce
nei mesi di maggio e giugno.
■3àJ.
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/&l&?z6az/ ^<^a,£t
189
Tutte le parti di questa pianta hanno un odore leggermente aromatico ed
un sapore alquanto amaro ed astringente. Era pure aulicamente adoprata in
medicina in quelle circostanze, in cui usavasi la veronica officinale. Oggidì è
totalmente dimenticata.
•«frs-
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Veronica spigata, ». Calice eolla sua brattea. 3. Corolla aperta e slami.
4. Capsula. 5. Semi,
90
VERONICA CÀMEDRA (ChamaedrisJ
-H^m^m^-
Veronica cbamaedris, Limi. Diandria monoginia. — Jass. Rinanloidi
St-Hil. plaut. de la France toni. 4.
Questa specie di veronica è coraunissima in molte parli'd'Eu-
ropa, specialmente lungo le vie e le aiuole che circondano i paesi.
Essa serve a decorare di primaveralepiote.il suo stelo è cilin-
drico, ritto, ramoso alla sommità, alto da sette ad otto pollici, mu-
nito di due ordini di peli, che s'estendono dall'ascella di ciascun
paia di foglie all'intervallo che separa il paia delle foglie supe-
riori. Le foglie sono opposte, ovali, cordiformi, dentate e vellose.
I fiori d'un bel turchino sono disposti a grappoli ascellari alla
sommila dello stelo. Questi sono composti d'un calice a quattro
divisioni, pubescenti, ovali-lanceolati e quasi ineguali tra loro;
d'una corolla monopetala rotacea, a quattro lobi alquanto ine-
guali; di due stami più corti della corolla ed inserti sufdue
lobi interni; d'un ovario libero, sormontato da uno stilo por-
tante un solo stimma. Il frutto consiste in una capsula piana,
cordiforme.
La veronica in discorso chiamasi dai Francesi Véronique
pélichène; dagli Inglesi Wild germander; dai Tedeschi Bla-
zer wiesen chrenpreiss , Falsches wildes wiesen-ga mand erlein;
dai Danesi Wild teucrium.
Questa pianta è ruslichissima ; tuttavia la si coltiva in al-
cuni giardini, ove serve d'ornamento nei primi giorni di
primavera; la sua radice è vivace; la si moltiplica perciò
separando le radici, oppure seminando i suoi semi perve-
3àp.
/V/v
H&méa. uò amministrare questa polvere alla dose di una a tre dramme sola od
unita ad altre sostanze aromatiche. 11 vino d'eufrasia, che preparavasi per
mezzo dell'infusione o della macerazione, si prescriveva da una a quattro on-
de al giorno. La sua acqua distillata, tuttodì conservata ancora in molte
farmacie quale prezioso antiottalmico, è pressoché inerte. Il suo sugo, per lungo
lempo adoprato per collirii, non è più in uso.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
1. Eufiasia officinale.!. Calice e pistillo ingrossalo. 3 Corolla è stami ingrossali di molto
!,. Frullo.
1 lèU
'ua appendice. fi. Frutto. 7. Noce isolata.
208
BORRAG1NE ORIENTALE
Borago Conslantiuopolitana, flore reflexo, ceruleo, calyce vescicario. Touru.
coroll. 6, Voyag. du le?. 1, pag. 323. — Buxb. cent. 5, pag. 16 , toro. 32-
— Borago orientalis, Lian., spec 197. — Pentandria mouoginia. — Juss.
Borraginee. — Delau. Herb. de Taroat. tom. 8, tab. 556.
La borragin'e orientale cresce comunissiraa in Oriente, spe-
cialmente nei dintorni di Costantinopoli, onde il nome di Con-
stantinopolitana datogli da Tournefort. Coltivasi in moltissimi
giardini d'Italia , di Francia, e d'altre parti d'Europa, quale
pianta d'ornamento. La sua radice è vivace, fusiforme, nerastra
al di fuori, carnosa, e biancastra internamente. Questa produce
molte foglie radicali, cordiformi, larghe da quattro a cinque
pollici su sei di lunghezza, d'un verde carico, e coperte di pic-
coli peli che le rendono rude al tatto, e sostenute da picciuoli
vellosi, lunghi quanto il lembo delle foglie. Lo stelo che nasce
frammezzo alle foglie è ritto, velloso, allo un piede circa, ra-
moso nella parte superiore, e guernito di alcune foglie alterne,
ovali, sostenute da picciuoli solcati. I fiori d'un porporeo blua-
stro, peduncolati, disposti da quindici e più, a grappoli ramosi,
ascellari e terminali, formano nel loro assieme un largo pani-
colo: il loro calice è monofillo, diviso in cinque parti ottuse, più
corte del tubo della corolla ; questa è monopetala, tubulosa in-
feriormente, col suo lembo diviso in cinque parti lanceolate, li-
neari, rotacee, volte alquanto all'infuori, munite ciascuna d'esse
alla loro base d'una piccola scaglia ; e queste cinque piccole
scaglie formano nel loro assieme una specie di corona, che
chiude l'entrata del tubo della corolla: gli stami in numero di
3étf.
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209
cinque, hanno i loro filamenti bianchi, aderenti alla parte su-
periore del tubo della corolla, e terminati da piccole antere
bleuastre : l'ovario è supero, a quattro lobi, sormontato da uno
stilo filiforme, terminato da uno stimma semplice. 11 frutto con-
siste in quattro grani nudi, ricciuti, situati nel fondo del calice
persistente.
La borragine orientale, detta anche Constantinopolitana, chia-
masi dai Francesi Bourrache cTOrient.
Tulle le parli di questa pianta contengono, come quelle delle precedenti
specie, un sugo carico di nitrato di potassa ; serve perciò agli stessi usi e
s'amministra nello stesso modo.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Borragiite orientai* colla foglie radicali.
Tom. IV. \ 4
210
BUGLOSSA OFFICINALE
— ==^^^^='= —
Buglossum angustifoliura innjiis, Baub. piò. lib. 7, sect. 2. — Tour»,
class. 2 infondibuliformi. — Anchusa ofBcinalis, Lino, class. 5. Pentanclri:»
moDOginia. — Juss class. 8, orti. 9 Borragiui. — Poiret, fior. med. Iona. 2,
lab. 76. — Ricb., bot roed. tom. 1, pag. 277.
Due piante si confondono generalmente sotto il nome di
bnglossa o di ancusa, e sono la buglossa officinale di Linneo,
Anchusa offìcinalis, Linn., e la buglossa italica od Ancusa italica
Laniark; ma tale confusione non apporta verun danno; impe-
rocché codeste due specie sono assolutamente fornite delle
stesse proprietà; tuttavia Poiret le distingue e ne dà i caratteri
distintivi, ed aggiunge, che la prima è indigena del Nord, men-
tre la seconda cresce per ogni dove della Francia. Checche ne
sia, il genere bugi osso della famiglia delle borraginec è assai
affine alla borragine e si distingue pel tubo di sua corolla il
quale è più lungo, per le divisioni del suo orlo che sono ot-
tuse, e per le appendici della gola di sua corolla, che risultano
barbute. Noi descriveremo la buglossa officinale di Linneo
(Anchusa offìcinalis), che è effettivamente quella delle nostre
farmacie.
È la buglossa officinale certa pianta annua, la quale ha as-
solutamente lo stesso aspetto della borragine; e sì fatta rasso-
miglianza tra i caratteri fisici si osserva eziandio nelle loro
proprietà, come diremo in seguito. Trovasi questa pianta nelle
messi dell'Europa meridionale e, secondo Richard , è frequen-
tissima nelle vicinanze di Parigi.
211
La sua radice è della grossezza di un dilo, vivace, oblunga,
ramosa, bruna o rossastra, succulenta. I suoi steli, che giun-
gono sino a tre piedi di altezza, sono eretti, ramosissimi, ci-
lindrici, coperti, egualmente che tutte le altre parti della pianta,
di peli lunghissimi e ruvidissimi. Le sue foglie sono alterne,
ovali, acute, coperte pure di rari peli, che nascono da un tu-
bercolo bianco durissimo, un poco ondulate sugli orli. I fiori
sono grandi, d'un bel turchino, disposti in panicoli molli
all' estremità dei rami : ciascun d1 essi presenta un calice
oblungo, persistente, monofillo, a cinque divisioni profonde,
strette, lineari: una corolla monopetala col tubo munito al
suo orificio di cinque scaglie molto barbute, mentre il lembo,
aperto a mo' di rosa , si divide in cinque lacinie rotonde ;
cinque stami coperti, ed alterni colle scaglie : un ovario qua-
drilobato, dal cui centro s'eleva uno stilo filiforme, terminato
da uno stimma bilobato. Il frutto consiste in quattro grani
nudi, ovali, arriccimi, aderenti al fondo del calice. Se ne co-
nosce una varietà a fiori bianchi.
La buglossa officinale, detta anche Buglosso officinale, An-
cusa, Borrana salicilica, Lingua di bue, chiamasi dai Francesi
Buglose; dagli Spagnuoli Buglosa; dagli Inglesi Bugloss; dai
Tedeschi Ochsenzunge ; dagli Olandesi Ossetong; dagli Svedesi
Oxtunga.
Havvi pure in commercio la radice di un'altra specie del
genere buglosso (Anchusa tinctoria, Linn.), indicata col nome
generico di Organetto. Oggidì non è più in uso.
La rassomiglianza che osservasi nei caratteri fisici della buglossa coti quelli
della borragine, esiste eziandio nelle mediche proprietà; la buglossa pel
fatto, opera assolutamente nella stessa guisa della borragine e se essa non
«-punto tanto di frequente adoprata come l'ultima, ciò proviene soltanto da
quella specie di fama popolaresca di cui godette la borragine ; è d'essa in vero
egualmente succosa, mucilagiuosa e raddolcente, e può usarsi in tutte le con-
dizioni in cui abbiamo detto giovare la somministrazione della borragine.
Bruz ne decaula l'efficacia della tintura alcoolica contro l'epilessia.
212
Willemeut dice, che i suoi fiori servono alla pittura e che le foglie, bollite
nell'acqua con dell'alume, danno un bel colore verde.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stalo di buglossi. a. Corolla aperta. 3. Pistillo ed ovario, t,. Frutto.
5. Grano isolato.
*€£ ryftr.
Wr/Zf,
213
CINOGLOSSA OFFICINALE
•HC-H
Cynoglossum majus vulgare, Bauh. pin. lib 7. sect. 2 — Toarn. class. 2
infondibuliformi — Cynoglossum ofGcinale, Linn. class. 5. Pentandria
monoginia. — Juss. class. 8. ord. 9 Borraginee. — Poiret, flor. med.tom. 3,
lab. 147- — Ricb., bot. med. tom. 1, pag. 274.
Dioscoride diede il nome di Lingua di cane o Cinoglossa ad
una pianta che non sarebbe, secondo Poiret, la nostra cinoglossa,
sebbene ne porti il nome; anzi è impossibile determinare quale
sia la pianta di Dioscoride dietro l'imperfetta descrizione di
questo autore, alla quale attribuivasi la proprietà di guarire le
morsicature dei cani; dietro appunto la ridicola credenza di
quei tempi che supponevano nelle piante virtù curative, relative
alla forma delle loro parti, paragonate a quelle degli animali.
Checche ne sia, il nome di buglossa o lingua di cane fulle im-
posto per ciò che, secondo gli uni, le foglie delle specie più
comuni hanno la stessa forma della lingua del cane , oppure
pel motivo, secondo altri, che sono tali foglie coperte d'asprezze
leggiere, simili a quelle che si osservano sulla lingua di que-
st'animale.
Si distingue il genere cinoglosso dalle borragini, alla quale
è affine, pel suo calice diviso profondamente in cinque parli,
per la sua corolla infondibuliforme, il cui tubo è corto, col
lembo a cinque lobi, fornito internamente di cinque appendici
ottuse e brevi, pel suo stimma smarginato, e pel suo frutto i cui
quattro lobi sono sparsi di asprezze.
La cinoglossa è la sola specie del genere usata per medicina,
costituisce essa una pianta bienne, comunissima nei boschi e
214
nei luoghi incolti di quasi tutta l'Europa. La sua radice per-
pendicolare e grossa quanto il braccio, ramosissima, fusiforme,
ha un colore bruno rossastro all'esterno, e biancastra all'interno.
Da questa s'elevano gli steli, che sono grossi, vellosi, ramosi,
alti circa due piedi, muniti di foglie alterne, sessili, molli, al-
lungate, lanceolate, simili alla lingua d'un cane, pubescenti,
coperte d'asprezze leggiere, d'un verde biancastro, I fiori sono
piccoli, d'un rosso pallido, sostenuti da peduncoli corti, riuniti
alla sommità dei rami in una specie di spiche alquanto
rare. Essi sono composti di un calice quasi campanulato di-
viso in cinque parti, d'una corolla monopetala, il cui tubo è
alquanto più corto del calice, col lembo a cinque lobi, fornito
internamente di cinque appendici ottuse e brevi: di cinque
stami più corti della corolla, d'uno stilo a stimma smarginato.
Il frutto consiste in quattro semi compressi, aderenti lateral-
mente allo siilo, aventi alcune scabrosità sulla loro faccia su-
periore.
La cinoglossa officinale, detta anche Cinoglosso, Cinoglossa
officinale, Lingua di cane, chiamasi dai Francesi Cynoglosse, Ci-
glose, Langue du chien; dagli Spagnuoli Cinoglosa; dagli Inglesi
Hound's tongue, Dogs-toungue ; dai Tedeschi Hundszunge ; dagli
Olandesi Honds-longe; dagli Svedesi Ihnd-tunca,
L'aspetto lurido di questa pianta, il suo odore forte, che alcuni autori pa-
ragonano a quello del becco, altri a quello del cane, ed altri ancora a quello
dei sorci, il quale però s'affievolisce, od anche svanisce affatto mediante la
disseccazione; il suo sapore scipito, dolciastro, nauseabondo, la rendono a
giusta ragione sospetta, e, secondo Richard, sembra che le proprietà narcotiche
e deleterie da certi autori indicate nella cinoglossa, risiedano in codesto prin-
cipio volatile e fugace: imperocché prosciugala, opera assolutamente soltanto
quale sostanza emolliente e raddolcente. Ha pel fatto sapore alquanto dolce-
amaro, ma in ispecialità anche mucilagiuoso; quiudi non si allontana la cino-
glossa dalle altre piante della famiglia delle borragini.
L'anaftsi chimica non ci fece ancora conoscere i materiali componenti la
cinoglossa; e le opinioni le più contraddittorie si souo emanate a riguardo
delle di lei proprietà mediche. Fuller, Scopoli, Desbois, de Rochefort, e
molli altri ci assicurano che niente ha di viroso. Volgel, Morison, Murray e
21S
altri autori antecedenti a questi, la considerano come una pianta velenosis-
sima; e quell'ultimo riferisce Littoria d'una famiglia intiera che è stata av-
velenata dall'uso delle foglie di cinoglossa; ed asserisce, che egli stesso, in se-
guito ad una erborizzazione, in cui aveva raccolti molti individui di questo
vegetale, essendo intento ad aggiustarli in carta, fu preso da un mall'essere
generale, da svenimenti, e da forti vomiti.
Alla radice disseccata, la quale sotto il processo della disseccazione per-
dette il principio velenoso, molti medici attribuirono qualità rinfrescanti e
uiucilaginose, e la raccomandano contro i reumi, la tosse ; altri riconoscen-
done in essa un principio astringente, la vantarono nella cura della diarrea,
della dissenteria, della leucorrea, delle emorragie, ed in genere contro i flussi
mucosi, sierosi e sanguigni. La maggior parte dei pratici la considerano
come particolarmente dotata di virtù narcotica, e la prescrivono come ano-
dina, sedativa e va dicendo.
Applicate le foglie di questa pianta sotto forma di cataplasmi sopra certi
tumori, moderano il dolore, e molti autori, specialmente inglesi, le vantarono
molto nel trattamento delle scrofole. L'unguento che preparavasi altre volte
col sugo di questa pianta, colla terebentina e col miele, godette molta rino-
manza nella cura degli ulceri maligni e flstolosi.
In generale però, i pratici d'oggidì non usano frequentemente della cino-
glossa, delle cui virtù già mostrò molti dubbi Murray, e che Cullen la giu-
dicò poco degna di figurare fra i medicamenti. Peryllhe per ultimo opinava
di già non doversene far uso in medicina, sino a che le ricerche dei pratici
avessero determinato con maggiore esattezza le sue mediche proprietà; lo che
aspettasi tuttodì.
La sua radice e le sue foglie si somministrano in decotto alla dose di due
dramme, ed anche un'oncia in due libbre d'acqua. Se ne preparava altre
volte uu sciroppo che era molto stimato nella cura della tosse e delle affe-
zioni catarrali. In quauto poi alle pillole di cinoglossa, così spesso adoprate
nella clinica medica, sanno tutti andare esse debitrici delle loro proprietà
calmanti al castoreo, allo zafferano, e specialmente all'oppio che entrano nella
loro composizione. Noteremo tuttavia, che Chaumetou non vuole attribuire
assolutamente a quest'ultima sostanza la proprietà anodina, ed ecco come
s'esprime «. Si avrebbe torto a conchiudere che questa formola deve essere
sbandita dalle farmacopee e sostituita dall'oppio. La radice mucilaginosa della
cinoglossa tempera l'energia del sugo narcotico , e gli imprimono una tale
modificazione, riconosciuta utile da molti celebri pratici ».
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Cinoglossa officinale. 2. Fiore intiero ingrossato. 3. Corolla aperta.
4. Pistillo composto d'un ovario quadrilobzto, dal cui centro l'eleva lo stilo.
5. Frutto della grandetta naturale.
216
CINOGLOSSA DI PRIMAVERA
Cynoglossum omphalodes, Limi. Pentandria monoginia. — Juss. Borraginee.
- St-Hil. plant. de !a France, tom. 2.
Questa pianta coltivata in molli giardini d'Europa trovasi
rustica nel Portogallo, e comunissima nel Piemonte, ove verso
il mese di marzo fa bella mostra dei suoi fiori turchini. La sua
radice è vivace, rampante , ed il suo stelo non s'eleva che al-
l'altezza di tre a quattro pollici. Dalla radice sbucciano grossi
ciuffi di foglie ovali, acute alla sommità, intiere sui loro mar-
gini e spesso glabre; le foglie inferiori sono un po' cordiformi
alla base. I fiori, riuniti in numero di cinque a nove, formano
piccoli panicoli: il loro calice è a cinque divisioni , coperto di
alcuni peli ; la corolla è monopetala, rolacea, a cinque lobi, e
munita alla sua base di cinque scaglie d'un bleu chiaro con cinque
raggi bianchi, situati tra i suoi lobi: gli stami in numero di cin-
que ed alterni colle scaglie ; l'ovario è a quattro parti , dal
cui mezzo s'eleva uno stilo con uno stimma a capolino. Il
seme è incavato superiormente a guisa d'una piccola sottocoppa
senza ponte, né denti, come quelli della maggior parte delle ci-
noglosse: lo che determinò Tournefort a farne di questa specie
un genere separato.
La cinoglossa di primavera, detta anche Piccola Consolida,
Piccola Borracine, chiamasi dai Francesi Omphalodes, Petite
Bourrache.
Essa è coltivata nei giardini per ornamento, essendo che il
suo bel fogliame d'un verde tenero, ed i suoi fiori producono
un aspetto piacevole in epoca in cui i fiori sono ancora rari.
Si moltiplica separando le sue radici, o seminando i suoi grani.
r„
' //
i. Cinoglossi di primavera, i. CjliceV ingrossalo. 3. Fiore inderò ingrossalo.
4. Corolla aperta parimenti ingrossata. 5. Ovario ingrossalo. 6. Seme.
218
CONSOLIDA MAGGIORE
Sympbylum consolida major, Bauli, pia. lib. 7, sect. 2. Touru. class. 2
irifondibulilornii. — Sympbytum olKcinale, Linn. class. 5. Pentaodria mono-
ginia. — Juss. class. 8 , ord. 9 Borrnginee. — Poiret, fior, med tom. 3,
lab. 130. — Bicb. boi., med. tom. i.
Fa d'uopo convenire che la pianta menzionata da Dioscoride
sotto la denominazione di Symphytum (Species altera), ha grandi
rapporti con quella che ci facciamo a descrivere. Frattanto la
descrizione che egli fece delle sue foglie lasciano qualche dub-
bio, essendo queste foglie più strette di quelle descritte da
Dioscoride ; può per altro essere, che questa differenza dipenda
dal suolo in cui vegeta. Gli altri caratteri da lui assegnati le
convengono perfettamente. La consolida sembra dovere la sua
denominazione alla facoltà che gli antichi le attribuirono di ag-
glutinativa, cicatrizzante, consolidante.
Questo genere di piante, che forma parte della famiglia di
cui trattiamo, ha per suoi caratteri distintivi, un calice a cin-
que divisioni profonde e diritte : la corolla monopetala regolare,
tubulosa, alquanto gonfia nella parte superiore ove presenta due
piccoli denti ripiegati, e nella sua parte interna cinque appen-
dici lanceolate, strette, glandolose, ravvicinale a cono, e nascon-
denti per intiero gli stami ; il frutto è liscio e quadrilobato.
La consolida maggiore che cresce in grande abbondanza
nelle praterie umide, vicine alle marenne ed ai ruscelli di quasi
tutta Europa, ha radici grosse, appena ramose, d'un bruno ne-
WMJ. Fiore intiero. J. Pistilli; . 4. Corolla aperta.
-©
r ^f/ss/f? f/VsY
229
VIPERINA OFFICINALE
Echium bulgare, Linn. Pentandria monoginia. — • Juss. Borraginee. — St-
Hil. plant. de la France, tom. 4.
Questa pianta, secondo St-Hilaire, ebbe il nome di viperina;
non già perchè valghi a guarire le morsicature delle vipere,
come pretendono alcuni, ma sebbene dalla forma de' suoi fiori,
i quali hanno la forma d'una vipera. Riscontrasi in molte parti
d'Europa nelle aiuole, e lungo le strade, non che in altri luoghi
incolti. Il suo stelo cilindrico, rossastro, velloso, coperto di peli
o di tubercoli rudi, semplici o ramosi, s'eleva all'altezza di due
piedi circa e porta foglie alquanto distanti l'ima dall'altra, alterne,
lunghe, alquanto strette ; le radicali però sdraiate sulla terra e
molto più grandi. I fiori sono d'un colore turchino o roseo, ed
alcune volte anche bianco: essi sono disposti in spiche laterali
ed alquanto distanti ; d'un calice a cinque divisioni profonde,
ineguali e vellose; d'una corolla monopetala, allargata alla som-
mità, col lembo a quattro divisioni, di cui una più grande ed
incavata ; di cinque stami inserti alla base della corolla ; d'un
ovario libero e formato di quattro lobi distinti, fra cui s'eleva
uno stilo lungo con uno stimma bifido. Il frutto è una capsula
che si divide in quattro parti, senza che però s'aprano: ciascuna
d'esse racchiude un grano.
La viperina officinale, detta dai Francesi Viperine officinale,
Herbe aux vipères, chiamasi dagli Spagnuoli Hierba de la vibora;
dagli Inglesi Vipers bugloss, CaCs tail ; dai Tedeschi Natlerkopt,
Otterkopf, Fahcherwaid; dai Russi Rumimi ; dai Polacchi Mio-
dunka plonna ; dai Boemi Plany wolowy gazyk.
230
Essa è pianta annua, comunissima, non la si coltiva che
negli orti botanici per uso della farmacia. Fiorisce da giugno
sino a settembre.
La viperina officinale gode fama di becchica ed incisiva e fu commendata
in lutti quei casi, in cui conviene la buglossa: si prescrive negli stessi modi,
nelle medesime forme e dosi.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
li Viperina officinale ». Calice 5. Pistillo 4. Corolla aperta eoa starni.
3/4
'.: Jr
4
23
S E B E S T E
Sebestena sitvestris et domestica, Bauh. più. lib. 11, sect. 6. — Cordia
«ayxa, Linu. Peutandria raouoginia. — Jnss. class 8, old. 9 Borraginee. —
Poiret, fior. med. tom 6, lab. 222.
L'albero che produce i sebesti, di cui gli Arabi fanno grande
uso da tempo remotissimo, cresce in Egitto e vuoisi eziandio
nelle Indie; ma alcuni autori sono disposti a credere che quello
che vegeta nelle Indie sia una specie diversa. L'albero in di-
scorso appartiene ad un genere, i cui caratteri essenziali sono
i seguenti: un calice persistente, alquanto tubuloso, a cinque
divisioni : una corolla infondibuliforme a cinque ed alcune volte
anche a sei ad otto lobi; cinque stami, alcune volte quattro od
otto aderenti al tubo della corolla; un ovario supero; lo stilo
bifido ; sei divisioni biforcate. Il frutto è una drupa globosa
contenente un nocciuolo a due o quattro logge una o due delle
quali per lo più abortiscono; un seme in ciascuna loggia.
Il sebeste è un albero di mediocre grandezza. Il suo tronco
è grosso, il legno biancastro ; la corteccia scagliosa con alcune
linee porporine ; i rami acuti lisci, e cinerei. Le foglie sono
grandi, alterne, peziolate, quasi ovali, ristrette alla base, alquanto
angolose, pubescenti nella loro giovanezza, rude quando sono
vecchie, dentate verso la sommità; i picciuoli due volte più
corte delle foglie. I fiori sono disposti in un panicolo ampio,
terminale, un po' serrato; il loro calice è verde, cilindrico, se-
gnato da dieci striscie, a cinque frastagliature acute ; la corolla
è bianca a cinque o sei lobi mQlto aperti, ed anche un po' ro-
vesciati all'infuori : gli stami in numero di cinque aderenti alla
corolla ; l'ovario è supero, lo siilo bifido. Il frutto consiste in
una drupa glabra, polposa, ovale, acuta, contenente un nocciuolo
232
profondamente solcato, ridotto a due loggie per l'aborrimento
delle altre.
Il sebeste, detto anche Sebesto, chiamasi dai Francesi Sébeste,
Sèbestier domestique ; dagli Spagnuoli Sebesto ; dai Portoghesi
Sebesteira ; dai Tedeschi Sebestenbaum ; dagli Inglesi Sebesten ;
dagli Olandesi Sebesterboom ; dai Danesi Sebestentraee ; dagli
Svezzesi Sebeslentraeed.
I fruiti del sebeste, cbe trovanti in commercio, sono piccole drupe rugosis-
sime alla superQcie per l'effetto della disseccazione, della grossezza d'un pic-
colo pruguuolo, ovali, assottigliate alle due estremità, munite alla loro base
del calice persistente. Essi rinchiudono un nocciuolo grossissimo, leggermente
tetragono, ottuso ai due orli, a tre o quattro loculi. Il parenchima è bruno,
molle, inodoroso, d'un sapor dolciastro e viscoso, avente molta analogia colle
prime ed altri analoghi frutti. Nessuna analisi chimica possediamo di questi
fruiti: ma lutto c'induce a credere che contengono presso a poco gli stessi
componenti dei frutti dolcignoli.
Questi frutti sono nutritivi e nello stesso tempo dolcificanti, emollienti,
rilassanti , così cbe la loro decozione, a guisa di tutte le altre bevande dolci
e raucilaginose, può essere vantaggiosamente adoprate nella maggior parte
delle malattie febbrili ed irritative, come nelle infiammazioni della membrana
mucosa, nelle aite, nell'angina, nella diarrea, nella dissenteria, nel catarro
vescicale, nella leucorrea, nella blenorregia acuta, ecc. Gli antichi la racco-
mandavano spesso nelle affezioui del petto, come nella pleurisia, nella peri-
pneumonia, nella tosse, nella tisi polmonare e simili.
La polpa dei sebesli può essere adoprata come un dolce lassativo in tutte
le affezioui in cui si ha da temere dai purganti drastici. Mattioli fa osservare
che dieci o dodici dramme di questa polpa purgano come la polpa di cassia.
Esternamente gli Egizii applicavano la mucilagiue di questi frutti su di-
verse specie di tumori, come sui buboni, sui patarecchi, furoncoli ed altri
tumori infiammatorii. Oggidì si preferiscono i cataplasmi di farina di linosa,
di malva, d'altre sostarne mocilaginose cbe sono meno costosi.
Gli Egiziani compongono con questi frutti un viscio molto attaccaticcio,
ehe l'adoprano per prendere gli uccelli; viene trasportato in Europa sotto il
nome di liscio d'Alessandria, ed è anche in uso in più arti.
Si può somministrare la sua decozione alla dose di una o due oncie sa due
libbre d'acqua. La loro polpa, come purgativa, deve essere amministrata da
una a due oncie. Si fanno delle tavolette, delle paste, e si preparano sciroppi
reputati buoni contro il catarro.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
t. Uq pezio di branco di sebaste ». Frutto intiero,
ì. Frutto tsgluto ormontalmenle per fare vedeae il goccinolo»
233
FAMIGLIA 44WA
SOLANACEÉ
•aS&QféSs-
Poche sono le famiglie che apportino tanta utilità, quanto
questa delle solanacee, di cui molte servono alla medicina,
molte all'economia domestica ; fra quest'ultima havvi la Patata,
il cui uso e vantaggio son noti a tutti. Essa sostituisce in tutto
e per tutto i cereali ; per essa non si hanno più tanto a temere
le carestie che per più volte desolarono l' uman genere.
Famiglia naturale di piante cotiledoni monopetale, a stami
ipogini, composte di vegetali ora erbacei, ora legnosi; le loro
foglie sono alterne senza stipole, spesso geminate verso la parte
superiore degli steli ; molte sono sparse di pungoli variamente
numerosi. I fiori, talvolta grandissimi, riescono ora solitarii, ora
diversamente riuniti in ispiche o corimbi che spesso stanno
collocati all'esterno ed al lato dell'ascella delle foglie. Essi
presentano un calice monosepalo, talvolta gonfio e vescicoloso,
a cinque divisioni di variabile profondità ed accompagnanti in
generale il fruito sino alla perfetta maturità. La corolla è mo-
nopetala, regolare, di variabile forma secondo i diversi generi,
col suo lembo diviso in cinque lobi, generalmente eguali e re-
golari, ma talvolta ineguali. I cinque stami sono inserti alla
base della corolla, il germe mostrasi libero, ed a due cellette;
331
diviene quindi un trullo consistente ; ora, in una capsula a due
cellette aprentisi naturalmente in due valve; ora, in un fruito
carnoso a due o tre cellette contenenti molli semi. 11 genere
iusquiamo, però colla sua capsula in forma di scatola da sa-
ponetta, vale a dire aprentesi in due valve soprapposte, costi-
tuisce eccezione ai caratteri generali della famiglia, e si di-
stingue facilmente dagli altri generi che la compongono, come
vedremo in seguito.
La famiglia dei solani presenta alcune anomalie sotto l'a-
spetto delle sue proprietà mediche ; non di meno puossi dire
in generale, che essi sono in vario grado narcotici acri e quindi
nocevoli; tuttavia alcuni generi formano un eccezione notevole
a codeste proprietà, ed in fatto, tutto il genere verbaceo è com-
posto di specie che mostransi dolci, emollienti e non nar-
cotiche.
Se esaminiamo comparativamente ogni organo in questa fa-
miglia, vedremo esistere Ira loro le stesse differenze per ri-
guardo al loro modo di agire sopra la economia animale ; le
radici risultano in genere velenose, ed in questa parte sembrano
risiedere le proprietà più allive, come scorgesi nella madra-
gora, nella belladonna, nel giusquiamo e simili; nondimeno
i tubercoli carnosi che svolgonsi sugli steli sotterranei delle
patate e di molte altre specie del genere Solanum, come il
Solarium montanum ed il Solanum venezueloe, sono ripieni di
certa fecola dolce e copiosa, che ne costituisce un cibo sanis-
simo. Le foglie risultano in generale molto acri e narcotiche,
come lo provano quelle di stramonio, di tabacco, di bella-
donna e simili. Nondimeno mostransi emollienti in tutte le
specie di verbasco ed in molti solani ; per tal guisa in molti
paesi mangiansi le foglie del solano nero.
Le stesse differenze risconlransi nei frutti, dappoiché man-
giansi abitualmente quelli del Solanum insanum o melanzane del
Solanum lycoperiscum o pomidoro, dell' Alchechengi od anche
235
gli altri del Capsicum annuum, sotto il nome di pepe lungo; men-
tre che nella madragora, nella belladonna, nella slramonia ed
infiniti altri solanei , costituiscono essi una delle parti nella
quale più abbonda il succo narcotico.
Quindi scorgesi essere tale famiglia del numero di quelle,
cui importa conoscere e ben distinguerne i generi in quanto
che essi vanno spesso forniti di proprietà affatto opposte.
La proprietà dominante dei solani consiste nella loro azione
narcotica e stupefacente che agisce specialmente sul sistema
nervoso e quindi adopransi in ispecialità contro le malattie
dipendenti da qualche alterazione, nelle funzioni del sistema
nervoso ; dobbiamo egualmente qui notare la proprietà co-
mune a molte piante di allargare la pupilla quando sene usi in-
ternamente o se applicansi sul globo dell'occhio (Ricfi.)
Ventenat assegna a questa famiglia i seguenti caratteri :
calice ordinariamente diviso in cinque parti e quasi sempre
persistente ; una corolla per lo più regolare e cinquelobata alla
cui base vengono per l'ordinario inseriti cinque stami: il loro
ovario è supero, munito di un solo stilo a stimma semplice, ov-
vero qualche volta formato da due lamine o incavato da due
solchi. Per frutto portano ora delle caselle biloculari, bivalvi,
coi tramezzi paralleli alle valvole, ora delle bacche a due ca-
vità, talvolta, simulandone di più per lo sporgere dei selli. I
semi hanno un perisperma carnoso, l'embrione curvato a mezzo
cerchio o anellare o avvolto in ispira e rare volle diritto : i co-
tiledoni semicilindrici.
Le piante di questa famiglia hanno il fusto erbaceo o frutti-
coso, qualche volta rampante, guernito in alcune specie di spine
ascellari o terminali ; le loro foglie sbucciano da bottini conici
sprovveduti di scaglie e sono sempre alterne. I fiori prendono
diverse disposizioni, ma ordinariamente sono ascellari, cioè
sortano dalle ascelle delle foglie.
Il suddetto autore comprende in questa famiglia, che è la X
236
della Vili classe del suo Tableau du règne vegetai ecc., diciassette
generi che divide in tre sezioni.
\ . Le solanee aventi per frutto delle caselle, Celsia, Verba-
scwrn, Hyosciamus, Nicotiana, Datura.
% Le solanee portanti delle bacche, Atropa, Mandragora Ni-
candra, Phypalis, Solarium, Capsicum, Lycium.
3. I generi aventi affinità colle solanee, Nolana, Cestrurn^
Bontio, Brunsfelsia, Covis'JNouveau dict. d'hist. nalur. toni. XX,
pag. 424).
c '<"/?/;/<» //,. /,,
337
SOLANO NERO
Solanum officinarum, Bauh. più lib. 5, sect. 1. — Sotanum ofticinarum
ac'mis nigricantibus, Tourn. class. 2, sect. 7, gen. 1. — Solanum nigrum, Linn.
Pentandria monoginia. — Juss. class. 8, ord. 7 Sohinacee. — Poiret , fior,
roed. tom. 5, lab. 239. — Ricb., bot. roed. loro. 1, pag. 292. — St-Hil.
plant.de la Frante, toro. 3.
Il genere solano è quello che diede il nome alla famiglia,
e molte specie di esso meritano il massimo interesse. Sì fatto
genere si distingue facilmente dagli altri dello stesso ordine
pel suq calice dispiegato, ed a cinque lobi ; per la sua co-
rolla monopetala rotacea, a cinque divisioni acute , pei i suoi
cinque stami diritti aventi i filamenti brevissimi, le antere
lunghe, ravvicinate le une alle altre nel centro del fiore, ove
esse formano una specie di cono troncato, ed aprentesi cia-
scuna mediante due piccoli fori nella sua sommità. 11 frutto
è una bacca di variabile forma e grossezza giusta le specie,
a due cellette contenenti molti semi sparsi di mezzo alla polpa.
Le specie di tal genere sono numerosissime, e crescono
in tutte le contrade del globo : sono desse ora piante er-
bacee annue e vivaci, od arbusti ed arboscelli molto alti ; le
loro foglie risultano alterne, semplici, e più o meno profon-
damente incise ; i fiori di esse, talvolta grandissimi, formano
per solito certe cime o corimbi pedicellati.
Dissimo che le specie del genere solano sono numerosissime,
vaglia il vero, che è il più numeroso del regno vegetale, ed è
sorprendente il vedere con quale rapita s'accrebbero le specie
dall'epoca di Linneo. Questo illustre botanico pubblicò nel 1 753.
238
la prima edizione del suo lavoro intitolato: Specie* plantarum,
non ne comprese che 23 specie, e nella seconda edizione ne
riferì già 30; Willdenowne numerò 83, e Poiret, 34anni dopo
Linneo, nella sua enciclopedia metodica portò a 1 00 il numero
delle specie di solano. Persoon nel 1 805, nel suo Synopsis plan-
tarum, servendosi del lavoro del succitato Willdenow, ne men-
zionò 139 specie. Dunal nel 1813 pubblicò un'opera botanica
in cui fece menzione di 235 specie di solano, più di sei Lyco-
persicum e di due IVitheringia, nuovi generi formati a dispen-
dio dei solani; poscia nel suo Synopsis solanarum, pubblicato
molli anni dopo, ne numerò 341 specie, compresi dieci Lyco-
persicim ed undeci JVitheringia. Finalmente Ernest Steudel nel
suo lavoro Nomenclator botanico comprende nel genere solano
384 specie, senza 28 specie rapportate ai Lycopersicum e Wi-
theringia.
Essendo così numeroso il genere Morella, trovasi per conse-
guenza sparso in tutte le parti del mondo, nei paesi i più freddi,
come nei paesi i più caldi, colla differenza però che sono più
comuni in questi ultimi, e l'America equatoriale è la contrada
ove allignano in maggior numero. Noi parleremo delle princi-
pali specie che interessano la medicina e l'uso economico, in-
cominciando dal solano nero.
Il solano nero è una pianta annua che cresce abbondante-
mente nei campi nelle siepi d'Europa, e di quasi tutte le
parti del mondo; predilige però i luoghi coltivati, sebbene ri-
scontrisi spesso anche lungo i margini delle strade. Il suo stelo
è alto più di un piede, ramoso, pubescente ; le sue foglie sono
d'un verde fosco e tetro, come in genere tutte le foglie delle sola-
nacee, molli, ovali, munite di denti grandi, ed irregolari sui loro
margini. I fiori sono piccoli, bianchi, disposti in piccoli corimbi
pendenti, e sostenuti su d'un peduncolo comune, inserti verso
la meta dei picciuoli e dei ramoscelli. Il loro calice è piccolo,
a cinque divisioni; la corolla monopetala, rotacea, a tubo corlo,
239
divisa in cinque lobi ; gli stami in numero di cinque sono in-
serti sulla corolla ed alterni, coi suoi lobi; le loro antere sono
oblunghe, ravvicinate, e s'aprono alla sommità per mezzo di due
pori; l'ovario è libero, sormontato da uno stilo e da uno stimma. 11
frutto è una bacca rotonda e nerastra nella sua perfetta matu-
rità: essa racchiude molti semi , il cui embrione è ravvolto a
spira.
Il solano nero, detto anche Solastro, Soìastro ortolano, e vol-
garmente Erba puzza, Erba morella, chiamasi dai Francesi
Morelle, Morette, Mourelle, Crevé chien; dagli Spagnuoli Hierba
mora; dai Portoghesi Hervamoura; dai Tedeschi Sckwarzer na-
chtschalten, Morelle, Alpkraut ; dagli Inglesi Black night schade ;
dagli Olandesi Swarte nagtschade ; dai Danesi Natchjgge, Svi-
neurt; dagli Svezzesi Hansletgraes ; dai Polacchi Psink-zele ;
dagli Arabi Enabeddib.
Questa pianta rustica si coltiva solamente negli orti bo-
tanici; si moltiplica seminando i suoi grani giunti alla per-
fetta maturità. Fiorisce dal mese di luglio sino a settembre.
Le foglie del solano nero sono unicamente le parli di questa pianta che
formano oggetto di materia medica. Esse sviluppano sapore amarognolo, spia-
cevole, e spandono un odore ingrato, ma che sente ancora alcun poco del-
l'odore di muschio. Poco o nulla si conosceva intorno all'analisi chimica del
solano nero, prima che Desfosses, farmacista a Besanzone, avesse sottoposto
questa pianta ad accurati saggi chimici. Pensò questo chimico che il solano
nero non dovesse essere privo di un qualche principio sui generis o mate-
riale attivo al pari di lauti altri vegetali medicinali: e di fatto, i suoi tenta-
tivi chimici gli fecero conoscere, che nella pianta in questione, cioè nel succo
espresso dalle bacche mature bawi certa sostanza alcalina nuova, cui propose
nomare Solanina, e che va combinata con un eccesso di acido malico, so-
stanza che non esiste nelle foglie.
Morin farmacista Roveu pubblicò l'analisi dei frulli del Solarium mam-
mosum che possedono alcune proprietà narcotiche mollo pericolose Eccone
i risultati:
1. Acido malico libero.
2 Malato di solanina.
T. Acido gallico.
4. Gomma.
tì. Materia colorante gialla
240
6. Principio nauseante amaro avente qualche analogia col principio nauseoso
«Ielle leguminose.
7- Olio volatile in piccola quantità.
8» Fibra legnosa.
9. Sali minerali.
Chevallier e Payer avendo avuto a loro disposizione le bacche del solanum
verbascifolium, trasportato d'America, fecero alcune ricerche chimiche sopra
questo principio e vi hanno egualmente riconosciuto la presenza d'una materia
alcalina, che bruciando col contatto dell'aria, uon ha lasciato alcun residuo.
La solanina che trovasi anche in altre piante solanacee, come vedremo, in
seguito, è dessa una sostanza sotto forma di polvere bianca, opaca, talvolta
periata, e simile alla colestrina, senza odore, di sapore alquanto amaro, nau-
seoso, poco solubile nell'acqua, nell'etere, nell'olio di olive, e nell'olio essen-
ziale di terebentina, solubilissima nell'alcool: cogli acidi compone sali neutri
difficilmente cristallizzabili, indecomponibili dall'acqua, e decomponibili dagli
alcali. La solanina non viene arrossata dall'acido nitrico, come la morfina e
la bruciua; Ih sua soluzione alcoolica ritorna all'azzurro la carta di tornasole
arrossala da un acido. La si ottiene precipitando mediante l'ammoniaca il
succo feltrato dalle bacche di solano nero perfettamente mature, ove esiste allo
stato di malato Si tratta il precipitato coll'alcool bollente, che stempra la
solanina e si fa evaporare ; essa è emetica e narcotica (Orfila).
Il solano nero considerasi generalmente come sospetto appartenendo ad
una famiglia, in cui la maggior parte delle specie possedono qualità deleterie:
si fatta asserzione però, che il massimo numero degli autori ripeterono senza
esame, non è minimamente fondata. Il dottore Dunal di Mompellieri, autore
di una eccellente monografia del genere solano, fece molle esperienze colle
bacche del solano nero, che è la parte cui avevasi fin allora risguardata per
velenosa; ne fece mangiare sin cento cinquanta a cani ed a porci d'India:
esso stesso ne ingoiò molte, senza che tali frutti il cui sapore risulta dolcia-
stro e poco piacevole, abbiano prodotto il minimo accidente. E probabilis-
simo, come pensa Danai, che nei casi di avvelenamento attribuito ai frutti del
solano nero, gli accidenti siano stati prodotti dai fruiti della belladonna.
In quanto alle foglie, certi autori attribuiscono loro un'azione narcotica e se-
dativa , e raccomandano adoprarle soltanto in piccolissima dose; ma anche in
siffatta asserzione risulla egualmente falsa ; è invece certo, che le foglie del
solano nero hanno sapore scipito, piacevolissimo, e che bollile nell'acqua
rassomigliano assolulamente, riguardo al sapore, agli spinacci; e che quindi io
certe parti della Francia, ed anche nei dintorni di Parigi, mangiane queste
foglie come praticasi degli spinacci. Nelle isole di Francia e di Borbone,
mangiansi le foglie del solano, per guisa che, non evvi pasto, di cui esse non
facciano parte. Quindi Richard è pure di parere, che quanto si disse intorno
ai frulli ed alle foglie del solauo nero, cioè che abbiano essi cagionati effetti
velenosi, vanno attribuiti ad altre piante della slessa famiglia, e probabil-
mente alla belladonna.
Dopo che Dioscoride ebbe scritto sulle proprietà mediche del solano nero,
molti piatici si fecero ad usare di questa pianta in medicina Alcuni ne lo-
241
darono, ed a buon diritto, la virtù calmante, sedante, antispasmodica, e per-
ciò ne commendarono assai lodevolmente l'amministrazione nel trattamento
curativo di alcune malattie nervose, ed in particolare dell'epilessia e dell'i-
sterismo. Il solano nero però ba spiegato un'attività salutare più rilevante
contro le ueuralgie, siccome apparisce da molte storie mediche scritte in di-
verse epoche e pubblicate da clinici di varie nazioni. Altri pratici hanno
inoltre creduto di riconoscere nel solano nero una speciale attività nell'ac-
crescere la secrezione dell'orina, e quindi si sono dati ad usarne contro le
idropisie; ma come è ben facile ad intendersi, l'esito di sì fatti tentativi non
è stato al cerio dei più favorevoli. Similmente la proprietà emenagoga che
qualche medico ha creduto di osservare nel solano nero, non è nulla più
verificata di quello che sia la qualità diuretica a questo vegetale attribuita, e
perciò l'applicazione fattane nella cura dell'amenorrea, non è stata più feconda
di buoni risultamene di quello, che sia stata la prescrizione del solano nero
contro le idropisie. Infine, anche l'uso interno che si è fatto del solano nero,
onde risolvere lo scirro ed arrestare i progressi del cancro, non ha che ra-
ramente corrisposto alla intenzione dei medici o almeno la virtù a;itiscirrosa
ed anticancerosa del solano nero non è in pratica nulla più comprovata di
quello che sia in proposito la efficacia delle altre piante solanacee. Da tutto
il complesso adunque delle cliniche esperienze instituite col solano nero, ap-
plicandolo contro morbi differenti, non è permesso dedurre, che questo ve-
getale possegga proprietà mediche particolari ; ma bensì può stabilirsi, che esso
gode di quelle generali proprietà, di cui le altre piante solanacee sono for-
nite, ed in conseguenza il solano nero deve ritenersi, giusta le attuali co-
gnizioni di materia medica, come un farmaco dolalo di azione anti eccitante,
minore però nel grado di forza a quella del giusquiamo e dello stramonio.
L'applicazione medica del solano nero , quale topico rimedio, è più estesa,
e forse anche più profittevole dell'applicazione medica di questo vegetale come
interno medicamento- Si hanno varie osservazioni, le quali dimostrano che
le foglie del solano nero si sono usate con vantaggio in forma di cataplasma
nella cura dello scirro, non meno che nella medicatura del cancro e del pa-
nareccio maligno. Del pari gli stessi cataplasmi si sono applicati con decisa
utilità sulle membra affette da artrite, da reumatismo, o da qualunque altra
specie d'addoloramento; sembra che la possanza del solano nero nell'alleviare
i dolori fosse anche grandemente stimata dai vetusti scrittori di piante me-
dicinali ; poiché la voce Solarium, con cui essi vollero designare il vegetabile
in discorso, è derivata, a senso di Miller e Bohemer, dal verbo latino solari,
idest dare consolationem , appunto perchè le foglie del solano nero, posle
sopra le parti addolorate, apportano consolazione e ristoro agli infermi, di-
minuendo in essi le dolorose sensazioni. Inoltre, anche del sugo espresso delle
foglie fresche del solano nero se ne è fatta una lodevole esterna applicazione;
imperocché, aspergendo con tale sugo le ulceri croniche e sordide, si oli iene
di queste il rinnovamento della superficie ed una non tarda cicatrizzazione.
Il sugo medesimo, applicato sopra le scottature e le risipole flemmonose, è
molto valevole a moderare il dolore che accompagna sì fatte malattie. Per
ultimo è da conoscersi, che fra gli usi esterni del solano nero vi è anche
Tom IV. <6
242
quello del fumo, ottenuto dall'abbruciametito dei frutti secchi di questa
pianta- si è pure scritto da qualche medico che il fumo anzidetto insinualo
nell'interno della bocca, e diretto con apposito stromento contro i deuti ca-
riati, produce buonissimi effetti; poiché diminuisce sensibilmente la dolorosa
sensazione propria dell'odontalgia ed arresta i progressi della carie.
I medici raramente si approfittano del solano nero nell'esercizio della pra-
tica ; perciò in poche officine farmaceutiche trovansi i preparati di questo
vegetale : tuttavia qualora un clinico volesse impiegarlo nella cura di qualche
morbo, dovrebbe seguire la pratica degli antichi medici, i quali prescrissero
le foglie del solano nero secche e ridotte in polvere alla dose di 6, sino a 24
grani per due o tre volte al giorno. Ovvero, si valsero di un'infusione tri-
forme delle foglie stesse, impiegandone un danaro fino ad un'ottavo per ogni
libbra d'acqua. Alcuni medici inoltre hanno amministrato agli infermi anche
il sugo ottenuto dalla pianta fresca del solano nero, facendone prendere un
danaro fino ad una dramma in opportuno mestruo; il sugo medesimo è stato
del pari impiegato per lavanda esterna in alcuni di quei casi morbosi di
sopra rammentati.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Solano nero. 2. Frutto maturo. 3. Calice e pistillo. /,. Corolla aperta.
5. Frutto tagliato orizzontalmente. 6. Grano isolato. 7. Lo stesso ingrossato.
l\ff
<_ 'cff/ ?/s> sff//ect 1. — Tourn.
class. 2, sect. 7, gen. 1. — Solarium luberosum. Lino. Peiitaudria monoginia.
— Jusv class. 8, orci. 7 Solanacee. — Poiret. fior. med. lom. 5. lab. 280
— Ridi bot. med. lom. 1, [>ag. 289.
Il solano tuberoso , impropriamente chiamato Patata falsa,
Patata, nome questo proprio della patata vera, Tuberi del con-
volvulus batatas di cui abbiamo fatto cenno : trattando delle con-
volvulacee , è un vegetale assai prezioso più pei vantaggi , che
come tutti sanno , arreca all'economia domestica, potendo con-
trobilanciare i cereali, che per le sue mediche virtù.
Oriondo questo vegetale del nuovo mondo, ignorossi per
lungo tempo precisamente quale fosse la parte di quel va-
sto continente in cui crescesse selvatico , quantunque non si
sia mai negata al pomo di terra la sua origine americana, ed
Humbold allorquando soggiornò in America, non potè disco-
prire nulla di certo su tale proposito, per quante ricerche esso
abbia fatto. Tale questione però venne poscia completamente
risolta dalla società Orticidlrice di Londra; e si venne a sapere,
che alquanti tubercoli di questa pianta alla società suddetta in-
viati, furono raccolti su alcune piante di pomi di terra assolu-
tamente selvaggi in una valuta poco distante dalla citta della
Concezione al Chili; anzi prelendesi, che prima di Humbold
Donibey, viaggiando nel Perù , abbia veduto il pomo di terra
crescere senza coltura nelle Cordellierie, e Giuseppe Pavon po-
scia lo riscontrò selvaggio presso Lima. Si seppe inoltre, che
3//.
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249
cresce selvaggio anche nelle foreste di Santa-Fe de Boyota.
Ma tutto che s'ignorasse la patria originaria d'un tale vege-
tale, egli è però certo, che all'arrivo degli europei in America
vi rinvennero essi già le patate coltivate in molte contrade di-
stantissime le une dalle altre, come il Perù e la Carolina. Gli
spagnuoli probabilmente furono i primi a recarle in Europa, e
nel 4 585 il celebre navigatore Walter-Raleig, ne riportò dal-
l'America settentrionale vari i tubercoli che piantati in Inghil-
terra, vi si moltiplicarono abbondantemente, sebbene sia pro-
babile, che gli spagnuoli, come già dissimo di sopra, l'avessero
pure trasportate dal Perù e le coltivassero di già nel loro paese.
Clusio fu il primo botanico che ne abbia fatto menzione
nella sua storia delle piante pubblicata nel 1591 ; narra egli
che nel 1588 n'ebbe due tuberi da Filippo di Fiori governa-
tore di Mons , e che a quell'epoca le si vedevano già comune-
mente in certi giardini di Àlemagna, e che anche in Italia
erano esse coltivate in grande per servire di nutrimento in
molte provincie di codesto paese.
La coltivazione delle patate si sparse poscia rapidamente
subito che si conobbe quanto essa fosse facile e produttiva in
certi paesi d'Europa; mentre era, per così dire, completamente
ignota in altri paesi vicini ; e fu specialmente sotto il regno di
Luigi XVI , che un entusiasmo generale successe in Francia al-
l'indifferenza ed anche ai pregiudizii contro il pomo di terra e
la sua coltivazione: difiatti, per moltissimo tempo un volgare
pregiudizio diede a vedere nelle patate soltanto un cibo gros-
solano, valevole unicamente a nutrire il bestiame; quindi la sua
coltivazione non era allora tanto generale, quale la veggiamo
oggidì.
In cima degli uomini illuminati e filantropici, che cercarono
distruggere tale pregiudicio in Francia dobbiamo collocare il
nome del venerabile Parmentier. Si applicò egli per molti anni
a dimostrare non solo nei suoi scritti, ma eziandio colla sua
250
pratica ed esperienza, coltivando in grande le patate nei din-
torni di Parigi, quanto sì fatta coltivazione poteva tornare pro-
fittevole non solo negli anni, in cui il raccolto dei cereali fal-
lisce, ma eziandio in ogni tempo, eccitando così l'interesse di tutte
le classi della società e specialmente dei grandi , rilevando
loro l'importanza del pomo di terra. Sulle traccie di Parnientier,
moltissimi economisti e filantropi illuminati, alla testa dei quali
havvi Cadet de Vaux , a gara portarono tutta la loro attenzione
nelle applicazioni di questa pianta ai diversi usi della vita; e
Payer e Cbevallier ne pubblicarono un trattato speciale intito-
lato (Tratte de la pomme de terre, 1 826), che è il sunto delle
loro ricerche. Non taceremo per ultimo che un nostro compa-
triota, l'avvocato Virginio, fece quanti sforzi potè fare Parmen-
tier in Francia, per introdurre e propagare il pomo di terra in
Piemonte.
Il solano tuberoso ha alcune radici lunghe, fibrose, caricate
di distanza in distanza di grossi tubercoli, che presentano di-
verse forme , ma che ordinariamente sono rilondati ed oblunghi.
Tali tubercoli non sono dunque le vere radici, ma specie di
esotosi laterali, ripiene di fecola, che presentano in diverse parti
della loro superficie i bottoni, od i rudimenti di nuovi indivi-
dui, che portano esclusivamente il nome di Pomi di terra. Il
fusto è erbaceo, diviso in più rami, guernilo di foglie irrego-
larmente pinnatifide, a lobi separati sino alla costa principale ,
ineguali in grandezza, ovali e soventi anche peziolati. I fiori di
color bianco ed un poco violetto formano alcuni corimbi all'e-
stremità dei rami. Essi sono composti di un calice a cinque di-
visioni, d'una corolla rotacea; d'un tubo corto, col lembo aperto
e ricciuto , diviso in cinque lobi ; di cinque stami colle antere
ravvicinate , a due loggie che s'aprono alla sommità per mezzo
di due pori ; d'un ovario supero ; d'uno stilo filiforme, a stimma
acuto. 11 frutto consiste in una bacca succulenta, a due o più
loggie che contengono numerosi semi.
251
Molte sono le varietà dei pomi di terra che si coltivano ed
alle quali diede pure origine la coltivazione in regioni si diffe-
renti ; le une perchè sono più o meno primaticcie, le altre per-
chè hanno tubercoli più ricchi in fecola amilacea ecc. Distin-
gueremo le principali.
1. La bianca lunga. Corolla bianca, piccola, foglie di un
verde oscuro, tubercoli quasi cilindrici, assai farinosi, segnati
internamente da nessun punto rosso. Questa varietà è una delle
più producenti e d'un'eccellenle qualità. Sembra che in Irlanda
coltivisi specialmente, poiché per lungo tempo fu conosciuta
col nome di Bianca Irlandese.
% Grossa bianca macchiata di rosso. Questa varietà ha pure
le foglie d'un verde oscuro più ricciute, e più rude nella su-
perficie inferiore ; i suoi steli sono forti e rampanti. I suoi fiori
cominciano per essere rossi, screziati, e poi violacei; sono
molto abbondanti, come lo sono le bacche; queste varietà è la
più vigorosa, la più feconda , la più comune. I suoi tubercoli
sono agglomerati e segnati internamente da punti rossi più o
meno servibili. Chiamasi anche Patata o Pomo di terra da Vacca.
In Fiandra porta il nome di patata selvaggia e rustica.
3. Gialla rotonda appiattita. Ha spesso sei stami ; lo stelo è
verde, forte; le foglie profondamente frastagliate , d'un verde
olivastro. Il fiore è spesso doppio ; le bacche abbondanti con
piccoli punti bianchi che partono dalla sommità nella direzione
del loro più grande diametro. I tubercoli, a vece d'essere riuniti
al piede della pianta, s'allontanano: la loro cute è fina e la
carne alquanto giallastra.
4. La rossa oblunga. La pianta è assai forte, i suoi steli egual-
mente verdi, i fiori biancastri, foglie d'un verde oscuro, alquanto
lunghe, tubercoli oblunghi, carne solida, bianca, coperta di un'
epidermide rossa; varietà stimata per la tavola che perviene
alcune volte ad una grossezza enorme.
5. La rossa lunga. Il suo stelo è rossastro, velloso; le foglie
252
d'tin verde più carico, munite di peli lungo i nervi. La super-
ficie dei tubercoli è alquanto tubercolosa, e internamente se-
gnata da un cerchio rosso; dopo la grossa bianca è la più
sparsa.
6. Lunga rossa. Stelo sottile, rotondo, quasi ritto, rossastro,
alle estremità leggermente alalo; le sue foglie sono verdastre e
simili a quelle della rossa lunga. I fiori hanno diversicolori, ma
i suoi tubercoli sono più uniti , acuti da un lato ed ottusi dal-
l'altro , alquanto appianali, pochi occhi, ed una carne assolu-
tamente bianca. Chiamasi anche Corno di vacca; è precoce, non
che di buonissima qualità.
7. Piccola gialla appiattila, Steli sottili e rossi ad intervalli ,
foglie piccole ricciute, fiori violacei, tubercoli lunghi, appianati,
ed alcune volte acuti alla loro estremità; è d'una buona qua-
lità , e primaticcia, porta il nome di Spagmola ; quasi simile a
questa varietà è il Pomo di terra precoce degli Inglesi, che in
alcuni paesi chiamano Lingua di bue.
8. Rossa lunga marmorea. È intuito simile alla grossa bianca.
11 colore dei tubercoli che dapprima hanno la carne d'un rosso
vivo, quando crescono per mezzo dei semi, sparisce del tutto e
finiscono i tubercoli per essere marmorei. Non crescono alle
estremità delle radici come le altre specie, ma aderiscono alla
base dello stelo a guisa di grappolo e s'elevano spesso fuori
terra, se la pianta è molto feconda e vigorosa.
9. Rossa rotonda. È analoga alla rossa lunga, sia per la strut-
tura , che pel colore dei fiori e pegli steli; solo i tubercoli sono
più rotondi.
10. Violetta olandese. Steli sottili; foglie d'un verde carico,
ravvicinate l'una all'altra, corte e quasi rotonde; fiori violacei;
tubercoli piccoli quasi rotondi, la loro superfìcie è segnata da
macchie violacee e giallastra; questa specie è alquanto attiva.
1 1. Piccola bianca o piccola cinese. Steli sottili; foglie gracili
e molli, d'un verde chiaro e verticali ; i fiori piccoli, d'un bleu
153
celeste ; tubercoli piccoli quasi rotondi ; è anche chiamala Pa-
tata zuccherata d'Hannover.
Queste sono le principali varietà che coltivatisi nei varii paesi.
In Piemonte poi sono più comunemente coltivale le seguenti
specie :
1 . Pomo di terra precoce di Savoia : tubercoli quasi rotondi,
di mediocre grossezza, esternamente di colore violetto, inter-
namente giallastri, di ottimo sapore.
2. Pomo di terra rossa ed allungato, delle valli d'Aosta.
3. Pomo di terra giallo e rotondati, di Lonzo.
4. Pomo di terra screziato, di Exilles, il quale pare una va-
rietà ibrida della varietà rossa di Aosta, e della gialla di Lanzo.
5. Pomo di larva bemocoluto. Fusti più elevati e più gracili
che nelle altre varietà, foglie d'un verde oscuro superiormente,
tuberi molto grossi, bernocoluti, farinosi, di ottimo sapore.
6. Pomo di terra di Rhoan. Fusto assai rigoglioso, foglie d'un
verde chiaro; tuberi soventi riuniti tre o quattro assieme, più
tardivi che quelli della varietà precedente, di poco sapore.
Il solano nero è del tutto indifferente riguardo al suolo e
l'esposizione, tuttavia cresce meglio ed i suoi tubercoli sono di
qualità superiore nei terreni poco compatti, non troppo umidi,
mediocremente letamati, e sovrattulto molto profondi. Deve
tuttavia il coltivatore applicarsi a ricercare tra queste varietà
quelle che meglio sono appropriate alla natura del suo terreno.
Il solano tuberoso, detto volgarmente Pomo di terra, Tartuf-
folo, Patata, chiamasi dai Francesi Pomme de terre, e volgar-
mente Parmentière ; dagli Spagnuoli e Portoghesi Patata; dagli
Inglesi Patatoes; dai Tedeschi Kautojfel,Erdappfel; dagli Olandesi
Aardappel ; dai Danesi Jordoble ; dagli Svezzesi Jordpaeron; dai
Polacchi Ziemme jablko ; dai Russi Semlenaja jacod.
L'uso principale del pomo ili terra è senta dubbio quello di servire alla
nutrizione dell'uomo e degli auimali domestici. Sotto questo rapporto tutti
couoscouo l'immenso consumo che se uè fa , «.ovrattutto nelle contrade d«!
254
Nord e dell'Ovest dell'Europa, ove il popolo lo mangia ordinariamente collo
coll'acqua senza alcuna preparazione. E una delle sostanze nutritive la più
preziosa; essa vale a sostituire il frumento, l'orzo ed altri cereali; per essa
non si hanno più a temere le carestie che per tante volte desolarono nei
tempi andati il genere umano.
Tuttavia molti volgari pregiudizi! si opposero alla propagazione del pomo
di terra in Europa. 1 dotti lo tacciarono d'essere cagione della lepra e lo
dichiararono almeno sospetto, siccome appartenente ad una famiglia di piante
velenose. Interessi particolari poi si opposero validamente in alcuni luoghi
alla coltivazione di questa pianta. Nelle Asturie ove era stata introdotta con
grande vantaggio di quelle povere ed ignoranti popolazioni, venne sbandila
in seguito alla declamazione dei preti che la dichiararono una Radice Dia-
bolica ; conciossiachè dilatandosi in quelle montagne la coltivazione del pomo
di terra, ne veniva diminuita quella della segala, sulla quale il clero percepiva
la decima. In generale il volgo, e soprattutto i contadini sempre alieni dalle
novità, si opposero per lungo tempo e con indicibile ostinazione all'introdu-
zione di questa pianta nella grande collivazioue e per conseguenza all'impiego
de' suoi tuberi che dicevano atti al più ad alimentare il bestiame.
Ne ci volle meno per introdurre e propagare il pomo di terra che la fi-
lantropica ostinazione dei succitati Parmenlier, Cadet de Vaux, Payen, Che-
vallier, Virginio ed altri. Si diceva, e molte persone credevano, che la pelli-
ccila, la quale ricopre i tubercoli delle palate, contenesse un principio dele-
terio e quindi si usava gettar l'acqua in cui si cuossero ; ma il dottore Donai
di Mompellieri, a cui, come già dissimo parlando del Solarium nigrum, an-
diamo debitori d'una eccellente monografìa del genere Solarium, si assicurò
mediante l'esperienza che quest'acqua non è menomamente velenosa. Fece
egli prendere di tal acqua in cui aveva fatto cuocere molle volte patate a
cani, ed altri animali, senza che essi ne patissero veruu incomodo. Non luce-
remo però che le piante erbacee partecipano senza dubbio delle proprietà degli
altri solani, e che contengono, sebben in piccola parte, anche della Solamna.
Oggidì ogni pregiudizio è sbandito, ed i pomi da terra costituiscono uno
degli alimenti più diffuso, specialmente nella classe del popolo. E vi sono
paesi non solo nel Nord, ma nell'Italia stessa, ove i contadini, si può dire,
non vivono che di pomi da terra. Cotti nell'acqua, oppure semplicemente al
Tapore di questa, e condite con alcuni graui di sale, sono il nutrimento il
più comodo, il più economico, ed il più salutare. La natura sembra averle
destinate ad essere mangiate in tal modo. Egli è in questa maniera che nazioni
intiere le mangiano. Costituiscono perciò un alimeuto nutritivo, salubre e più
d'ogni altro economico. Infatti, da un lavoro presentato da Vauquelin e Percy
al ministero degli affari interni di Francia, risulta, che tre quintali di pomi
da terra pareggiano in sostanza nutritiva setlantacinque libbre di pane e trenta
libbre di carne.
Ad inchiesta della società d'agricoltura di Parigi, Vauquelin fece l'analisi
del pomo di terra sopra diverse varietà in numero di 47- Esso determinò in
primo luogo le quantità d'acqua che ciascuna contiene; quantità variabilissime,
poiché le une perdettero due terzi, le altre tre quarti ed anche quattro quinti
da
da
670
a 780.
214
a 244.
60
a 689.
7.
1
4
a 6.
12.
25S
del loro peso. La quantità d'amido varia ugualmente da un ottavo del loro
peso fino ad un quarto; ma egli ha osservalo che tutto l'amido non si po-
teva ricavare dal parenchima. Da mille parti egli estrasse le sostante seguenti:
1. Acqua .... da
2. Amido
3. Parenchima
4- Albumina
5. Asparigina
6. Materia animalizzata particolare
7. Nitrato di calce
8. Una resina amara e aromatica di un aspetto cristallino.
9. Alcuni fosfati di potassa e di calce.
10. Un citrato di potassa.
11. Alquanto acido citrico libero.
Dietro l'analisi del pomo di terra rosso di Einhof, esso contiene all'in-
circa tre quarti del suo peso di acqua. Sopra la quantità rimanente dopo la
disseccazione contiene : #
1. Amido 1152.
2. Materia fibrosa amidacea . . . 510.
3. Albumina 107-
4. Mucilagine allo stato di sciroppo denso 312
Il succo del pomo di terra coutiene inoltre un acido, che, secondo Einhof,
sembra essere un miscuglio di un acido fosforico.
Dai risultati di queste ed altre analisi , i chimici sono d'accordo sulla natura dei
pr'mcipii, tranne sull'acido citrico rinvenuto da Vaiiquelin, come abbiamo ve-
duto di sopra; ma non possono esserlo sulle quantità proporzionali di questi,
poiché estremamente variano. L'amido fra tutti predomina; la resina amara
e la materia animalizzata sono i soli che abbiano qualità fisiche bene mani-
feste.
Per estrarre l'amido dalle patate , si lavano e si raspano: si raccoglie la polpa
che si pone sopra un tamiso ; si fa cadere sopra questa polpa un filo di acqua
mescolando contiuuamente la massa per mettere tutte le sue parti a contatto
coll'acqua. Quando il liquido che è passato attraverso la polpa n'esce chiaro,
si spreme fortemente il residuo che si mette a parte, sia per farlo disseccare
o per darlo da mangiare al bestiame. Si lascia deporre il liquido, si decanta
l'acqua chiara che soprannuota e si scopre la fecola ; si toglie la prima parte
che è colorita, si lava di nuovo agitando e si lascia deporre. Le acque de'
lavacri sono un eccellente ingrasso dei terreni- Dopo alcuni lavacri si ottiene
l'amido, che passato coll'acqua attraverso un setaceo trovasi allo slato di pu-
rezza. Si fa disseccare e si conserva convenientemente.
L'amido o la fecola di patata può di leggieri surrogare ogni altra fecola.
Essa è composta, come consta dall'analisi di Gay-Lussac e Thenard , di
Idrogeno . . . . 7, 066.
Carbonio .... 43, 481.
Ossigeno .... 49, 443.
256
Secondo Soussure la fecola di patata, la più pura posìibil*, consta di
Ossigeno . 12, 4i7.
Idrogeno ... 1, 692.
Carbonio . . 10,891-
Totale . 25, 000.
La fecola di patata cotta nell'acqua aromatizzata, nel latte, e nel brodo
forma essa un alimento leggiero, di facile digestione, che si addice perlelta-
mente ai convalesceuti. Puossi fare del pane colle patate , tauto mescolandole
colla metà del loro peso di farina di cereali, quanto colla loro solo pasta,
di cui si fa leggermente fermentare una porzione.
Appena si riconobbe che la palata conteneva molta fecola e trovossi il modo
facile d'estrarla; teutossi subito di darle la forma onde maggiormente utiliz-
zarla, cioè la panificazione. Da prima si tentò di fare pane colla palatasela,
poscia di farla unicamente colla fecola. Ma l'esperienza dimostrò, che il mi-
glior modo di ottenere buon paue di patate è d'unire la fecola alla polpa
della patata. L'introduzione di uua data quantità di palata nella. panificazione
degli altri cercali, in ispecie del frumento, compartisce un gusto piacevole al
pane. Non è nostro intendimento il riferire i varii processi di panificazione
esperimentati dai varii autori tanto colla fecola, che colla polpa di patata, es-
sendo ristretto il limite prefissoci in quest'opera. Inviamo perciò il lettore
a leggere su questo rapporto alcune memorie inserte nella gazzetta dell'as-
sociazione agraria dei nostri stati, che stampasi in Toriuo; e ci limiteremo
solo ad osservare, che il pane di palale, se è un po' pW dilficile a di-
gerirsi che il pane di fromento, è sempre però di più tacile digestione
che quello della segala, del formentone, del zeaniais ecc., è costituisce un
alimento sano e nutritivo.
In Allemagna gli operai ne introducono nel butirro e nel formaggio che
mangiano sul loro pane, il che rende queste soslanze più nulritive e più
facili a digerirsi. L'arte del cuoco inoltre pervenne a trasformare questi
semplici tubercoli in moltissime eccellenti vivande. Queste ed altre prepa-
razioni veramente utilissime eri economiche, suggeriscono l'idea d'una Irode
praticata sovrallulto in Inghilterra. Essa consiste Dell'introdurre la pasta di
pomi di terra rotti nei grassi destinali alla fabbricazione del sapone, frode
che cagiona grande pregiudizio ai fabbricatori di sapone. Per iscoprirnerlo
basta tenere i grassi liquefatti al bagno maria per ore due : il pomo di
terra deponesi in gran parte nel fondo del vaso.
È noto a tutti che la fecola di patate fornisce colla fermentazione un al-
cool, il cui gusto leggermente erbaceo può essere distrutto col mezzo del
cloro o del cloruro di calce. L'acquavite dei pomi di terra otlenevasi altre
volte direttamente colla fermentazione della loro polpa bollita. Questa po-
trebbe eziandio servire nell'economia domestica, privandola di certo gusto
alquanto spiacevole che contrae colla distillazione. Finalmente mediante
semplicissimi processi si può convertire in zucchero la fecola di patate.
Dobbiamo a Kirchoff, farmacista russo, la scoperta dello zucchero di pomo
di terra e della fecola che la fece nell'anno 1812, trattando l'amido col-
l'acido solforico allungato d'acqua. Questo zucchero è di natura assoluta-
257
menle somigliante a quello cbe si ritrae dai frutti e particolarmente dalle uve.
Ecco il metodo più semplice per la sua estrazione: si allungano 1000 parti
di amido o di fecola di pomi di terra in 40000 d'acqua allungata con 2000
parti di acido solforico, si fa bollire il miscuglio in un vaso cbe non possa
essere alterato coll'acido solforico, come un bacino intonacato internamente
ili piombo. Si usa pure in alcune fabbriche un tino di legno ove si fa arri-
vare del vapore e si agita nella prima ora dell'evaporazione. La massa diviene
allora più liquida e non ha più bisogno d'essere rimescolata continuamente.
L'acqua deve essere sostituita a misura della sua elaborazione : quando il li-
quore ha sufficientemente bollito, è d'uopo aggiungervi il carbonato di calce
per saturare l'acido. Si chiarifica con carbone, bianchi d'uovo o sangue di
bue; si feltra attra\erso d'un panno e si conserva il liquido sino a consistenza
scilopposa. Col raffreddamento si depone molto di solfato di calce, si decauta
il liquore e si compie la operazione.
Secondo Teodoro de Saussure, l'acido solforico non ha altra influenza
nella saccarificazione dell'amido, che d'aumentare la fluidità della soluzione
acquosa d'amido. Lo zucchero ottenuto non sarà che amido combinato col-
l'acqua solidificata, vale a dire coll'idrogeno e coll'ossigeno nelle proporzioni
necessarie per costruire l'acqua.
Couverchiel convertì l'amido in zucchero mediante degli acidi malico, tar-
trico, ed ossalico. Questi osser\ò che l'amido passa da principio allo stato
gommoso, ed in seguito a quello di zucchero. Egli diede pure una teorica
inversa di quella di Teodoro di Saussure, perchè considera lo zucchero
d'umido come prodotto della sottrazione e non colla giunta d'una certa quan-
tità di idrogeno e d'ossigeno nelle proporzioni necessarie per fare l'acqua.
Abbandonando la solila d'amido a se stessa con o senza il contatto dell'aria
ad una temperatura di circa 20, e mescolandola col glutine disseccato, il suc-
citato Saussure ottenne zucchero ed altri prodotti, come la gomma, l'ami-
dina, una sostanza analoga al legnoso, acqua, acido carbonico ecc.
Mollerat è pervenuto ad ottenere un zucchero di pomi di terra d'una
bianchezza e d'una purezza perfetta. A questo stato lo zucchero in discorso è
granelloso, polveroso, non cristallizzato, secco, non igrometro d'un sapore
dolce che imprime un sentimento di freschezza nella bocca e senza alcun
cattivo gusto. Non può sostituirsi allo zucchero ordinario e nemmeno al mele
nella preparazione dei sciloppi e delle confetture alle quali si vuole un sa-
pore zuccherino aggradevolissimo, ma è senza dubbio da preferirsi alla fer-
mentazione vinosa. Lo sciloppo di fecola di pomi di terra, vale a dire la so-
luzione d'amido saccarificato, ma non concentrato, è impiegato nelle birrerie in
luogo dell'orzo germinato, cbe spesso è d'un prezzo troppo alto. Lo zucchero
di pomo di terra, per ultimo, è suscettivo, giusta la scoperta di Mellerat, di una
cristallizzazione somigliante a quella dello zucchero di canne.
Venne inoltre la patata applicala ad altre arti economiche industriali. Se
ne prepara :
1. Una colla di pasta che può essere impiegata utilmente da diversi fab-
bricatori di cartoni, legatori di libri ecc.
2. Una sorta di colla senza colore ad uso dei tessitori di tele bianche.
Tom. IV. 17
258
3. Una pittura a tempo assai conveniente per imbianchire le muraglie in-
terne delle case ecc. Infine si propose di fare col pomo di terra tutte le
preparazioni usuali che si ottengono dalle altre sostanze vegetali ricche in
principi! gommosi, farinosi, zuccherini. Finalmente Gadet de Vaux, propose
d'impiegare il pomo di terra a guisa di sapone nell'imbianchimento delle tele
e dei lini.
Abbiamo già accennalo alcun che della coltivazione della pianta in discorso;
ora ne parleremo ancora, per quanto però permetie l'angustia dell'articolo
prefissoci. Egli è solo per darne alcuni cenni.
Qualunque terreno, purché sostanzioso e non eccessivamente argilloso, ov-
vero abbondante di sassi, per cui venga impedito l'allungamento delle radici e
l'ingrossamento dei tuberi, è conveniente a questa pianta, e lo sarà tanto me-
glio, quanto più sarà sciolto e ricco di humus.
Il tempo più opportuno per la piantagione è la primavera, quando non
siavi più timore di gelo. Preparata per tempo, e con opportune arature la
terra, si aprouo, colla zappa o coll'aratro, dei solchi profondi quattro oncie
almeno, e distanti sei oncie l'uno dall'altro. 1 tuberi destinati alla piantagione
si tagliano iu pezzi minuti, ciascuno di un occhio almeno, ed abbastanza
grossi, onde il germe possa trovare nella fecola contenuta in ciascun pezzo
nutrimento bastante, finché la sua radicola trovisi in islato -di prenderlo dalla
terra; e però i tuberi poco più grossi del doppio di una noce, si taglieranuo
solamente in due pezzi, e quelli che sono più piccoli si pianteranno intieri.
Errano a gran pezza coloro che per un mal inteso risparmio piantano sola-
mente gii occhi cavati dai tuberi; conciossiachè le piantine, cui mancò nei
primordi! della loro vita il necessario alimento, resteranno deboli e poco pro-
duttive. Le fette de' tuberi si depongono nel primo solco fatto coll'aratro alla
distanza di tre o quattro oncie fra l'ima e l'altra , e vengono ricoperte dalla
terra che sollevasi arando il secondo solco, il quale si lascia vuoto ; si depon-
gono nella detta guisa le fette di tuberi nel terzo solco, e così di seguilo'
avvertendo soprattutto che le fette siano coperte almeno di quattro oncie di
terra, massime nei terreni leggieri. Quando la pianta si è sollevata ad una
certa altezza, richiede una incalzatura, la quale dovrà ripetersi in progresso
della sua vegetazione. Se non che a questo riguardo non accordami gli agro-
nomi, fra i quali particolarmente Robertsou e Dombasle asseriscono le rin-
calzature riescile nocive alla produzione dei tuberi. E però le osservazioni
e gli esperimenti speciosi, su quali appoggiasi questa sentenza, sono contrad-
detti dagli sperimenti di Villeioi e dal criterio fisiologico ; conciossiachè, come
abbiamo di sopra accenuato, coprendo i rami, se ne ottengono tuberi a vece
di fiori e frutti inutili oltre che le rincalzature aprono l'adito ai benefici
indussi atmosferici e distruggono le male erbe.
Si conosce che i tuberi sono giunti a perfetta maturità dal colore
delle foglie che diventa giallognolo : conviene allora procedere alla raccolta.
A tal uopo tagliasi in basso tutto il fogliame, e si ammucchia per tras-
portarlo nel letamajo; quindi colla gran zappa si cava la terra sollevando
grosse zolle, onde mettere allo scoperto tutta la radice ed i tuberi che v'
sono attaccati, una parte dei quali però rimane tuttavia sepolta nella terra
259
che conviene frugale diligentemente. Non è però necessario l'aspettare che i
tuberi siano giunti a maturità ; si possono raccogliere tosto che incominciano
ad ingrossare, e successivamente in tutti i periodi della loro vegetazione, seuza
temere the riescano nocivi alla salute degli uomini e degli animali che se ne
cibauo, come è stato a torto asserito da taluni, quantunque sìa vero che i tu-
beri perfettamente maturi contengono meno acqua e più di fecola e di albu-
mina, e siano per conseguenza più nutritivi e più saporiti.
Prima di ritirare i tuberi nel luogo ove voglionsi custodire in inverno, bi-
sogna lasciarli distesi per qualche giorno sotto la tettoia onde si asciughino
bene. Nei luoghi ove non bavvi pericolo di gelo, i pomi di terra si conser-
vano ottimamente durante l'inverno ; ma in principio di primavera conviene
trasportarli in luogo più fresco, onde nou germoglino.
Questa pianta va soggetta ad una malattia che dicesi arricciatura, dai
francesi fri sole o pivre, frequente nella gran Bretagna ed in Francia, raris-
sima appo di noi, più comune nelle pianure, che uelle montague. Le piante,
che ne sono affette, hanno il fusto di colore oscuro, qualche volta cou mac-
chie rossiccie penetranti nel midollo; il lembo delle foglie raggrinzato ed ac-
cartocciato, si prosciuga e seccasi, massime nel margine. Inoltre le foglie sono
contratte nel picciuolo ed appressate al fusto. Le piante colpite da questa
malattia languiscono, s'accorciano, diventano pallide, poi gialliccie e muoiono
all'epoca in cui dovrebbero trovarsi nella loro più vigorosa vegetazione. Ipo-
chi tuberi prodotti da queste piante hanno un sapore ingrato. Siccome questa
malattia sembra ereditaria, perciò il miglior modo per liberarsene consiste nel
cangiare i tuberi destinati al piantamento.
Un'altra malattia molto più formidabile del pomo di terra è quella che ai-
tacca direttamente i tuberi e che dicesi Gangrena secca. Questo morbo che
da qualche tempo va scemando più o meno cotesto prodotto importantissimo,
massime per le regioni settentrionali d'Europa, consiste in un indurimento
dei tuberi che sembrano impietrili; non si rompono ancorché percossi a colpi
di martello, e resistono all'azione dell'acqua bollente e per fino a quella del
vapore. Martius ritiene per causa di questa malattia un fungo microscopico
parassitico appartenente alla tribù delle mucedine, da lui chiamalo Fusispo-
rium solani. Altri derivano la malattia da certi piccolissimi insetti E peto
taluni ammettendo nei tuberi gangrenati l'esistenza dei funghi parassitici e
d'inselli, la considerano come effetto, anzi che causa della malattia.
La società nazionale di Francia, e centrale d'agricoltura, apriva nell'anno
1848 un concorso per uu premio di lire 3000, offerto dal ministro dell'a-
gricoltura e del commercio, per la rigenerazione del pomo di terra e pel suo
affrancamento dalla funesta malattia. Moltissime furono le memorie trasmesse
a quel concorso, e però la sullodala società dichiarò che nessuno dei concor-
renti aveva risolto il problema, e prorogò il concorso all'anno seguente. Il
problema rimase però ancora da sciogliersi.
Chi fosse bramoso poi di conoscere le moltissime cose, che si sono Onora
pubblicale intorno a quest'importantissimo argomento, potrà con vantaggio
consultare i volumi del repertorio d'agricoltura e di scienze economiche ed
industriali del dottore Ragazzoni, non che la gazzetta agraria di Torino, ove
260
si leggono su questo riguardo interessanti relazioni e commenti del chiarissimo
nostro chimico Abbene.
Ci limiteremo solo ad osservare che finora non si è trovato pur troppo un
mezzo valevole a prevenire e molto meno a curare questa malattia ; che seb-
bene taluni abbiano avvertito potersi adoprare senza verun inconveuiente i
pomi di terra infetti per alimento dell'uomo e degl'animali, non è prudente
il servirsi per cibo dei tuberi alterati, senza averli prima mondati esattamente
dalla parte guasta.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Stelo del solano tuberoso, a. Radice o palata. 3. Calice. {,. Corolla
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261
SOLANO MARIGNANO
Solaoum exculentum, Ounal. — SolaDum uaelongena , Lion. Peutaodria
monogioia. — Juss. Solauacee. — St-Hil., plant. de la Fra noe, tom. 3. —
Rich. bot. med. pag. 291.
Il solano malignano è originario dei climi caldi dell'antico
mondo, probabilmente dell'Arabia ; da tempi antichissimi però
coltivasi non solo nell'Asia e nell'Africa, ma nel mezzodì di
tutta l'Europa, in ispecie della Francia e d'Italia, ove fassi un
considerevole consumo per la cucina, aggiustandone il frutto
in diversi modi.
Questa pianta ha una radice fibrosa, poco profonda. Il suo
fusto è erbaceo, ramoso, alto più di un piede, cilindrico, ar-
mato qua e là di spine corte, guernite di foglie alterne, peziolate,
ovali-acute, scariose sugli orli e pubescenti. I fiori sono gran-
dissimi, violacei, solitari! e peduncolati; essi sono composti di
un calice a cinque divisioni ottuse, leggermente acute e mu-
nite di alcune spine corte; d'una corolla porporea o bianca, a
cinque, ed alcune volte anche a sei divisioni; di cinque stami
colle loro antere grosse, corte, alquanto ravvicinate : ed a mi-
sura che il frutto s'avanza verso la maturità i peduncoli si chi-
nano. I frutti sono ovoidi, allungati a guisa d'un ovo, grossis-
simi, d'un colore bianco o violetto e marezzato.
Nei dintorni di Parigi, non che in molte regioni d'Italia, se
ne coltiva una varietà a frutti bianchi ; ella nominasi Piante
qui pond, specialmente per causa di sua configurazione che
s'avvicina molto a quella d'un ovo di polla.
269
Miller ne cita quattro varietà; due però sono distili li ssiine :
cioè la Melongena ovale e la Melongena teres o cilindrica, se-
condo che la forma del frutto è ovoidea o cilindrica. La melon-
gena a frutto curvo [Melongena fruclu incurvo) differisce dalle
precedenti per la forma delle foglie che sono profondamente
sinuose sui margini, e pel suo frutto che è oblungo, curvo, d'un
colore giallognolo e più grosso alla sua estremità. La melon-
gena spinosa [Melongena spinosa), ha fiori più grandi, foglie
dentate sui margini ed armate di spine forti ; frutti lunghi ci-
lindrici).
Il marignano ha molta analogia col Solanum ovigerum, specie
coltivata nei giardini a cagione de' suoi frutti che hanno pure
la forma degli ovi di pollo. La polpa di questi ultimi è peri-
colosa, mentre il solano marignano non ha polpa, ma un frutto
molto fibroso e commestibile.
Il solano marignano, detto anche Solano pertronciana, Me-
longena e volgarmente Marezmna, chiamasi dai Francesi Mo-
relle melongènc e volgarmente Mayenne, Aubcrgine, Mèringeane
Brchème, Bèringène veringenne ; dai Portoghesi Beringela; dai Te-
deschi Melanzana fel, Eyerbaum ; dagli Inglesi Eyg-plant, Mad-
apple; dagli Àrabi Badindjan; dai Chinesi Kie-lsu.
Onesta pianta coltivata da antichissimi tempi, come dissimo,
nell'Asia, nell'Affrica, non che nelle parli meridionali di quasi
tutta l'Europa , si moltiplica seminando i suoi grani di prima-
vera, e coltivandola a guisa di tulli gli altri erbaggi che ser-
vono alla cucina. Ama un terreno leggiero e sostanzioso, e ben
esposto al sole. Fiorisce, nei mesi di maggio e giugno, e porta il
frutto alla fine di questo mese ed anche prima, quando la sta-
gione è calda.
L'uso del solano marignano è presso che generale; lo che attesta l'inno-
cuità di questi frutti. Sembra nondimeno che dietro il loro antico nome di
Melongena, per corruzione di Malia-insana, che tasi risguardasse come pe-
ricolosa; ma secondo Dunjl confoudesi la petronciaua col Solanum ovigerum
263
-succitato che ha qualità deleterie. Forse anche il solano marigoano non è che
una varietà di questa specie prodotta dalla coltura.
Il sapore del malignano crudo è scipito, perciò non si mangia che dopo
d'averlo fatta cuocere e condire con olio, o diversi roanicheretti, secondo i»
gusto dei differenti popoli. Nelle provincie meridionali della Francia ed in
molte d'Italia, si trova su tutte le tavole coudito in diversi modi. In Egitto»
dice Bellone, si fauno cuocere questi fruiti sotto la cenere o nell'acqua e s
servono giornalmente sulla tavola. Si confettano alcune volte coll'aceto per
mangiarli come i cocomeri. Alcuni medici però consigliano di farne poco
uso. sia per essere di difficile digestione, sia perchè cagionano ventosità ed in-
digestioni.
Il marignano è rade volte adoprato in medicina; godeva fama di afrodisiaco
in alcune parti d'Italia. La maggior parte però degli autori lo riguardano
Come rinfrescante. Le faglie furono considerate come anodine, risolutive, e
He adoprano perciò a fare cataplasmi.
SPIEGAZIONE DELLA. TAVOLA
i. Solano marignano. 2. Siilo. 3. Frutto.
864
SOLANO POMO DORO
-9H-
Lycopeisictira Galeni, Lam. — Lycopersicum esculentum, Mill. N.oeN.2.
— Solarium lycopersicum, Linn. Pentauilria raonoginia — Juss. Solanacee. —
St-Hil. plani, de la France, Ioni. 3.
Il pomo d'oro, di cui mangiasi il frutto, fu riposto da Linneo
fra le specie del genere solano; ma i botanici moderni, ritor-
nando all'opinione di Tournefort, ne fecero un genere partico-
lare che hanno distinto coi seguenti caratteri: calice a cinque
o sei divisioni, corolla rotata, a cinque o sei lobi, antere coni-
che, appressate, che s'aprono internamente e longitudinalmente;
bacche a due o più logge, semi villosi ; vedesi perciò che le
differenze si riducono al diverso modo di deiscenza delle antere,
ed alla diversa superficie dei semi.
Questa pianta, originaria dell'America meridionale, è coltivata
da molti anni in varie parti d' Europa , specialmente nella
Provenza e nel Piemonte , ove si fa un uso estesissimo del
suo frutto, come erbaggio; essa forma un irregolare bu-
scione. I suoi steli , alti tre o quattro piedi, si piegano ordina-
riamente pel peso de' suoi frutti, e si stendono sulla terra,
quando non trovano onde appoggiarsi: questi sono cilindrici, e
coperti di peli, come lo sono i picciuoli ed i peduncoli. Le fo-
glie sono pinnatifide, coi loro lobi di grandezza irregolare, den-
tate profondamente sui margini, munite per lo più d'un pedun-
colo cortissimo, ad eccezione di quelle della sommità, che sono
sempre grandi e sessili. I fiori sono d'un colore giallo, disposti
a grappoli pendenti e situati all'opposto delle foglie : il loro
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C^^a^ytc^ Jkjtwz&^^rt^
265
calice è villoso, a cinque divisioni profonde: la corolla è mo-
nopetala, a cinque lobi acuti; gli stami in numero di cinque
sono inserti alla base della corolla, ed alterni coi suoi lobi; le
loro antere sono sormontate da scaglie acute, e s'aprono per
due piccoli fori situati alla sommità. L'ovario è libero, munito
d'uno stilo, e d'uno stimma. Il frutto è una bacca rossa, gros-
sissima, irregolarmente lobata, munita del calice persistente e
ripiena d'una polpa abbondante, frammezzo alla quale stanno
molti grani.
Il solano, pomo d'oro , detto dagli antichi Pomo etropico,
Pomo doro, chiamasi anche Pomo clamore, Albergamo, e vol-
garmente Tomatica; appellasi dai Francesi Morelle tornate, e
volgarmente Pomme cCamour, Pomme dorè ; dai Portoghesi To-
mailero; dagli Inglesi Loveapple; dai Tedeschi Liebesapfel, gol-
dapfelj dai Conchinesi Ca-tau-tlany.
Quest'erba coltivasi in abbondanza pei suoi frutti che si ado-
prano per condimento, come tutti sanno, e la si moltiplica se-
minando i suoi grani. Alligna in tutti i terreni ; ma quanto più
è sostanziosa la terra, altrettanto prospera. Fiorisce in maggio e
giugno ; porta il suo frutto in luglio e perdura sino all'autunno
avanzato.
La tomatica è uno dei frutti, il cui uso come condimento è molto esteso.
Il suco acidulo che contiene è molto piacevole, sano nello stesso tempo e rin-
Irescanle. Si conservano nell'aceto ; si fanno essiccare, e se ne prepara anche
una conserva, la quale, se è ben colta, si mantiene buona per molto tempo. No»
è adoprata in medicina.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo del solano pomo d'oro, i. Corolla aperta. 3. Calice e pistillo. 4. Frutto.
266
MANDRAGORA
Mandragora frnctu rotondo, Bauh. pio. 169- — Mandragora Dod. pempt.
457. Mandragora officinalis, Mill. dici. N. 1. — Tourn. class. 1 Campani-
formi. — Atropa Mandragora, Linn. class. 5. Pentandria monoginia. — Juss.
Solanacee. — Poiret, fior, med., tom. 1,tab. 162.
Conosciuta e celebrata da immemoriabìli tempi, fa la man-
dragora oggetto delle opinioni le più contradditorie , delle
ipotesi le più frivole, delle favole le più assurde: e tutta la
celebrità e l'alta riputazione che essa godette, non solo appo
gli antichi, ma presso alcuni delle eia più a noi vicine, la
si deve in massima parte alla configurazione di sua radice,
per cui si credette ravvisare un'analogia, tra questa radice,
spesso divisa sino alla metà di sua estensione in due parti,
ed il tronco, non che le estremità inferiori, del corpo umano;
e ciò che maggiormente dimostra sino a qual punto si era
persuaso di sì fatta rassomiglianza, egli è, che nei vecchi er-
barii ove questa pianta viene disegnata, trovasi tutto sem-
plicemente disegnato il corpo intiero d'un uomo o d'una donna,
sormonlato da foglie e da fiori che tengono le veci dei ca-
pelli.
E poiché un pregiudizio ne conduce naturalmente un altro,
s'immaginò ben tosto che una conformazione assai singolare
non poteva essere effetto del caso, e che una pianta, la quale pre-
sentava una siffatta rassomiglianza, doveva avere una grande
influenza sulla generazione, e ben presto la mandragora di-
venne la base di tutti i filtri. Per conseguenza in grazia dello
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mi
slesso pregiudizio si venne a credere, che una radice, la quale
era l'immagine d'un essere animalo , doveva pure essere do-
lala di vita e di sensibilità ; quindi i prelesi gemiti che crede-
vano sentire schiantando la mandragora, ed a segno, che coloro
i quali temevano di venire inteneriti da' suoi queruli gridi ,
avevano gran cura di turarsi gli orecchi. Faceva d'uopo inol-
tre, prima di tentare la pericolosa intrapresa, di schiantare sif-
fatta radice, compire più magiche cerimonie, e chi le negligen-
tava s'esponeva ai più grandi danni. Dovevansi tracciare tre
grandi circoli attorno della pianta con la punta d'una spada,
poscia uno degli assistenti doveva danzare pronunciando oscene
parole. Teofrasto e Plinio descrissero colla maggiore pacatezza
e credulità queste superstiziose pratiche.
Era perciò ben facile l'immaginarsi, come ciarlatani, che vi-
vono unicamente a spese del credulo pubblico, contribuissero
non poco ad aumentare la rinomanza di cui godeva la mandra-
gora. Sapevano inoltre coll'arte modellare le sue radici, e loro
dare la somiglianza che le rendeva più preziose ; e giungevano
sino a fabbricare con altre radici mandragore fìnte, che ven-
devano come vere.
Fra le pretese virtù attribuite alle mandragore, quella che fu
la più lusinghiera si è quella che supponevasi a queste radici,
d'avere la possanza, per mezzo di alcuue cerimonie misteriose,
di fare duplicare in ciascun giorno il danaro con cui le si chiu-
devano. Alcune mandragore avevano più magico potere delle
altre; felici coloro che potevano raccoglierne sotto dei patiboli
(Gibets). Era inoltre necessario conservare in un pezzo di len-
zuolo le radici che eransi procurate in tal modo ; allora dove-
vano per certo apportare fortuna. La riguardavano inoltre quale
filtro possente, e quale erba capace di rendere felice chi la pos-
sedeva, di fecondare le donne, di mettere in fuga i sorci, di
rammollire l'avorio e renderlo maleabile, non che tante e tante
altre meraviglie, assurde non solo, ma assurdissime. La man-
$68
dragora per ultimo ispirò al famoso Machiavelli una ingegno-
sissima commedia, e .fornì a diversi scrittori il soggetto di dotte
monografie.
La mandragora alligna in molte parti d'Europa, ma è spe-
cialmente sotto il bel clima di Grecia, di Spagna e d'Italia, ed
in generale nelle contrade che circondano il bacino del Medi-
terraneo, che maggiormente cresce ; essa non vegeta sul nostro
suolo, e difficilmente la si coltiva nei nostri giardini. Preferisce
i luoghi oscuri, come l'entrata delle grotte e delle caverne; onde
l'origine del suo nome mandragora, da Mandra, che significa
stalla , caverna, grotta, e dal greco vocabolo agory , che vuol
dire nocevole, cioè dannosa alle stalle del bestiame; perchè,
come citeremo in seguito, vuoisi produca perniciosi effetti negli
animali domestici che se ne cibano.
La sua radice è lunghissima, fusiforme, spessa, carnosa, bian-
castra, ordinariamente divisa in due rami pressoché uguali che
si paragonano per la forma alle coscie, ed allo scroto dell'uomo,
per cui venne chiamata Anlropa morphon; ciascuno di questi
rami poi manda qua e la radichette o fibrille. Le sue foglie sono
tutte radicali, stese alla superficie del terreno, ovali, allungate,
molto ristrette alla base in una specie di peziolo, intiere e on-
dulate agli orli. I fiori risultano bianchi o porporini; nascono
di mezzo alle foglie radicali , sopra pedicelli brevissimi, cioè
molto più corti delle foglie. Il loro calice e monofìllo, turbinato,
a cinque divisioni. La corolla è monopetala, campanulata, a cin-
que lobi: gli stami, in numero di cinque, hanno i loro filamenti
inserti nella parte inferiore della corolla, ravvicinati alla loro
base. L'ovario è supero, munito di due ghiande alla sua base ,
e sormontato da uno stilo terminato da uno stimma semplice.
Il frutto è una bacca globosa, nerastra, ad una sol loggia, rac-
chiudente molti semi reniformi, prolungati nella sostanza spu-
gnosa dell'interno della bacca e vicino alla sua superfìcie.
Ora tali frutti risultano grossi e globosi, ora alquanto più
269
piccoli etl ovali, lacchè forma due varietà indicate coi nomi di
Mandragora maschio e Mandragora femmina. La mandragora si
distingue facilmente da molte altre solanacee, in ragione della
grandezza e lunghezza delle radici : a cagione del portamento, e
forma delle foglie, le quali sono tutte radicali, ovato-bislunghe,
rugose, acute, per la mancanza dello stelo, in modo che i fiori,
solitarii e di colore ceruleo, sono sostenuti da piccolo scapo che
in primavera s'innalza sulla sommità della radice ed in mezzo
alle foglie , ed a causa dei frutti che appariscono in autunno
sotto forma di bacche di colore giallo. Fiorisce di primavera. .
La mandragora chiamasi dai Francesi Mandragore, Belledonne,
Sanstige; dagli Spagnuoli Mandragora; dagli Inglesi Mandrake;
dai Tedeschi Atraun; dagli Olandesi Alruin, Mandragora, Man-
dragers-kruid ; dai Polacchi Mandragora pokrzyk ziele.
La mandragora, stata da Linneo designata col nome di Atropa
mandragora, fu da Gaertner ed altri botanici separata dal ge-
nere Atropa, formandone un distinto genere e nominando la
specie in discorso Mandragora acaidis.
Se dagli antichi medici non si fosse tanlo scritto sulla mandragora, noi
avremmo potuto dispensarci dal farne parola ; ma poiché molte cose, in parte
vere ed in parte favolose, si sono divulgate relativamente alle proprietà me-
dicinali di questa pianta, è d'uopo che noi occupiamo qualche linea di questa
nostra opera, onde dare una speciale nozione di ciò che spetta alle mediche
virtù, di cui la mandragora si credette fornita. Fin dai più remoti tempi
dell'arte, i naturalisti ed i medici hanno dato contezza della possanza medi-
camentosa e velenosa propria alla mandragora, la quale spiega nell'animale
economia un modo di azione non molto diverso da quello che sviluppa la
belladonna, ed altre varie piante della famiglia «Ielle solanacee. In vista di ciò
il vegetale di cui noi ci occupiamo, è stato impiegato dai vecchi clinici per
soddisfare non poche di quelle indicazioni curative, che le diverse piante so-
lanacee soddisfano; in modo che la mandragora è stata prescritta nella cura
di alcune malattie nervose, e principalmente contro la mania, l'epilessia, l'iste-
rismo, e le convulsioni. E perchè nella mandragora si contiene abbondante-
mente il principio acre, dal che ne consiegue che essa pianta esercita un'azione
di contatto molto irritante; cosi la medesima si è supposta utile nella cura
delle idropi, amministrandola in dose tale, da indurre frequenti evacuazioni
alvine; ad ottenere un tale risultamento, solevano gli antichi pratici sommi-
nistrare la sola parie corticale della radice di mandragora, forse perchè que-
$70
sta corteccia radicale abbonda più di principio acre, che di materiale narco-
tico. In tempi da noi meno remoti, hanno i medici trascurato d'impiegare la
mandragora nel trattamento curativo delle malattie nervose e delle idiopr, ina
hanno usato di questa pianta nella cura di altri particolari stati morbosi di
nostra macchina. Di fatto, alcuni clinici del passato secolo, hanno encomialo
non poco nella mandragora quella virtù, che essi dicevano risolvente, inci-
dente, disostruente, e quindi ne hanno usato coutro le malattie glaudulari in-
veterate, ancorché queste avessero già indotto nelle glandule considerabile in-
duramento o scirrosità : nò si manca di osseravzioni dimostranti che le prescrizioni
fatte in proposito sieno riuscite vane, e si sono vedute più proficue allorquando
all'interna amministrazione della mandragora in polvere, ovvero in estrattori è
congiunta eziandio l'applicazione esterna dei cataplasmi, formati colle foglie e colle
radici di mandragora , e posti sopra le glandule indurate o scirrose. Inoltre è
da sapersi, che il dottor Valli ha tentato, non senza qualche felice successo,
l'uso interno delle foglie di mandragora nella cura della tisi polmonare: egli
di più diceche nell'isola di Zante, le donicciuole volgari, dandosi in quel paese
come in ogni altro a fare le medicaslre, si valgono delle foglie anzidette con-
tro molte croniche infermità, di cui talora ottengono, per azzardo, la guari-
gione ; stimano poi bene indicata e vantaggiosa l'amministrazione delle foglie
di mandragora, polverizzate, allorquando questo rimedio sviluppa negli infermi
il delirio, promuove in essi l'escrezione di orina sedimentos;i, ed aumenta nei
medesimi notabilmente la traspirazione. La mandragora ha pure goduto di
qualche fama come un buon medicamento atto a dissipare l'artrite, i dolori
reumatici, ed altresì quelli della gotta; ed in cosi fatti casi morbosi si è trailo
simultaneamente partito, tanto dalla deglutinazione, quanto dalla topica appli-
cazione del farmaco in discorso: ed in questo punto di clinica si leggono
pure delle storie mediche di qualche importanza. Finalmente è da sapersi che
i medici del passato secolo prescrissero sovente la radice di mandragora, quale
rimedio drastico, onde vincere alcuni morbi di cui possa sperarsi la guari-
gione, impiegando quei medicamenti atti a promuovere la purgazione.
L'odierna medicina non apprezza quasi affatto le mediche virtù possedute
dalla mandragora, e nelle moderne officine farmaceutiche è ben difficile di
trovare le foglie e le radici di questa pianta; la radice al dì d'oggi si con-
serva soltanto dai cerretani, i quali si approfittano della sua polvere quale in-
grediente di alcuni pretesi specifici; e mostrano al popolo le slesse radici
intiere, circa le proprietà delle quali narrano molle favole, traendo parlilo,
tanto dalla volgare credulità, quanto dal grosso volume e straordinaria torma
delle medesime radici, di cui alcune capricciosamente designano col nome di
Mandragora maschia, ed altre col nome di Mandragola femmina, come
eglino son soliti di praticare eziandio colle radici di brionia.
Colla mandragora non si formauo particolari preparati farmaceutici, ad ec-
cezione dei cataplasmi per uso esterno. Qualora però qualche medico volesse
usare internamente la mandragora, potrebbe farne preparare l'estratto, come
si pratica riguardo alle altre piante virose: ovvero potrebbe, ad imitazione
degli antichi medici, somministrare agli infermi l'esteriore corteccia delle ra-
dici, seccala e ridotta iu polvere: in caso tale la polvere anzidetta deve aia-
271
ministrarsi atta dose ili due grani fiuo a sei, per due o Ire volle al giorno;
avvertendo però di unirla sempre a sostanze involvenli, tali come lo zucchero,
la gomma arabica e la regolizia, ad oggetto di togliere l'acredine di cui è
fornita la corteccia radicale della mandragora. Questa pianta possedè, al pari
della belladonna e di altre piaute solanacee, qualità velenose e deleterie;
quindi l'applicazione medica deve farsene con cautela e circospezione. Sembra
che la velenosità della mandragora non fosse ignota ai naturalisti e medici
dell'antichità ; questi avevano bene valutato i perniciosi effetti che tale vege-
tale produsse negli animali domestici che se ne cibavano ; imperciocché il
nome di mandragora, dato alla pianta in questione, è relativo appunto alla
qualità deleteria, che essa sviluppa negli animali.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Mandragora, a. Calie;. 3. Corolla. 4. Pistillo. 5. Fruito. 6. Semi.
272
ATROPA BELLADONNA
Solauura fuiiosum vulgaris, Bauli, pinax. lib. 5, sect. I. — Belladonna ma-
joribus foliis et floribus. Tourn. class. 1 Campaniformi. — Atropa belladonna,
Lino, class. 5 Pentaudria mouoginia. — Juss. class. 8, ord. 8 Solanacee. — •
Poiret, fior. med. tom. 2, tab. 61. — St-Hil. plani, de la France toro. 1. —
Ricb. bot. med. toni. 1, pag. 287.
Allorché piacque a Linneo di riformare l'antico linguaggio
botanico, e ridurre a maggiore precisione la nomenclatura spe-
ciale dei vegetali, volle il botanico svedese che ai nomi di So-
lanum furìosum, e Solarium lactale, con cui gli antichi designa-
rono la pianta in discorso, fosse sostituito il nome di Atropa
belladonna. Il nome generico Atropa indica infatti assai bene le
mortifere qualità di questa pianta solanacea ; imperciocché il
nome Atropa, rammentando quello di una delle tre Parche, a cui
i mitologi concedettero la possanza di recidere lo stame della
vita, ricorda eziandio l'energica attività deleteria di cui la bella-
donna è fornita. A tal nome generico volle Linneo associare
lo specifico, desunto totalmente dalla nostra lingua , e col quale
da lunga pezza gl'Italiani distinguevano il vegetale di che ci oc-
cupiamo. La voce Belladonna, a senso di alcuni scrittori, deriva
dalla proprietà cosmetica di cui si credette godere questa pianta,
e vuole appunto esprimere essere essa totalmente dedicata al
bel sesso ; imperocché si narra che la medesima servisse in
Italia a preparare un'acqua idonea a distruggere le impetigini,
e dare alla cute la mollezza e la bianchezza. Altri scrittori poi
opinano, che il nome Belladonna sia riferibile alla natura dei
frutti di questa pianta, i quali per la loro forma e colore indù-
- /SsCY/f/ #466éZ ?//<;/ ss ss
273
cono gl'incauti a cibarsene ; ma che restano indi ingannali
dalle deleterie qualità di essi, come appunto i poco avveduti
restano delusi dalle femminili bellezze.
Il genere Atropa lo si riconosce facilmente pei seguenti ca-
ratteri : il calice è monopetalo, a cinque divisioni profonde,
ovali, acute; la corolla risulta monopetala, regolare, succampa-
nulata, a cinque lobi ovali, i cinque stami banno le antere
quasi rotonde. Il fruito consiste in una bacca rotonda alquanto
depressa, circondata dal calice persistente.
L'atropa belladonna è comune nei climi caldi e temperati di
quasi tutta l'Europa. Cresce nelle montagne, nelle fosse om-
brose, lungo le aiuole, nei boschi cedui, non che in tutti i luo-
ghi incolti. La sua radice vivace e grossa, lunga, ramosa, e
biancastra. Lo stelo erbaceo, cilindrico, tomentoso, ramoso, alto
da tre a cinque piedi : questo porta foglie sostenute da corti pe-
zioli, grandi, ovali-acute, intiere sui margini, molli, alterne, qual-
che volta gemminate, spesso ineguali. I fiori penzolenli, solitarii
nell'ascelle delle foglie, ed agli angoli delle divisioni del fusto,
sono d'un colore rosso smorto o d'un purpureo sombro. Essi sono
composti d'un calice di un sol pezzo, lungo la metà della co-
rolla, diviso profondamente in cinque parti che terminano in
punta, e leggermente villoso; d'una corolla monopetala, campa-
nulata, alquanto panciuta, col lembo diviso in cinque lobi eguali; di
cinque stami corti, coi filamenti inserti alla base della corolla
opposti ai lobi della stessa, sostenendo antere oblunghe ; d'un
ovario supero, sferoide, sormontato da uno stilo alquanto incli-
nalo e da uno stimma capitato ed a tre lobi. Il frutto consiste
in una bacca globosa, nerastra, polposa, circondata alla sua
base da un calice persistente, diviso internamente in due
loggie contenenti più grani reniformi fissi su d' una pla-
centa.
L' atropa belladonna, detta anche Belladonna, chiamasi dai
Francesi Delladone ; dagli Spagnuoli Delladama; dagli Inglesi
Tom. IV. 18
274
Deadly night-shade , Deadly dwale ; dai Tedeschi Dolikraut;
dagli Olandesi Dolkruid, Dolle nachtschade.
Questa pianta, comunissima e molto rustica, non si coltiva
che negli orti botanici ad uso della farmacia ; e la si moltiplica
o separando le sue lunghe radici, o seminando i suoi grani:
cresce in tutti i terreni, e fiorisce nei mesi di giugno e di
luglio.
E la belladonna una pianta virosa, le cui parti tulle esalano un odore
nauseoso spiacevolissimo Costituisce un veleno violento all'esterno, che opera
alla foggia delle sostanze uarcolico acri, come avremo occasione di osservar»
in seguito. Ma riguardo alle sue qualità deleterie, i frutti sono la parte della
pianta maggiormente nocevole e più terribile, atteso i funesti sbagli che pos-
sono produrre. Diffatti quanJo sono maturi si rassomigliano essi alle ciliegie,
per guisa cbe varii bambini , ed anche le persone più attempate, spinti dalla
sete furono molte volte le vittime di così tristo errore, come lo comprovano
alcuni istorici ed osservatori, non che alcuni tossicograB, citando fatti di cui
la maggior parte non sembrano scevri di tutta l'autenticità ; e riguardo ai
frutti si comprenderà di leggieri, del come avvenga consimile accidente, ove
si consideri, che i frutti della pianta in discorso, ben maturi, hanno sapore
dolcigno, scipito a dir vero, ma non già spiacevole.
Vauquelin, che assoggettò il succo acquoso delle fogliejdi belladonna ad una
diligente analisi chimica, ne ritrasse le seguenti sostanze :
1. Certa materia albuminosa coagulabile col calore.
2. Un'altra materia animalizzata insolubile nell'alcool, solubile nell'ac-
qua, precipitabile dalla uoce di galla.
3. Un principio solubile nell'alcool, fornito al massimo grado della fa-
coltà stupefatliva della belladonna.
4. Dell'acido acetico libero.
8. Molto nitrato di potassa.
6. Alcuni altri sali, del ferro, e della silice.
Brande quindi ritrasse certo nuovo principio immediato da esso risguardato
come di natura alcalina , e che sta combinato nella belladonna, ad un ec-
cesso di acido malico, a cui diede il uome di Atropina, che sembra essere il
principio attivo della belladonna.
L'Jtropina, deità anche Atropio, è, secondo Brande, uua sostanza alca-
lina bianca, brillante, che cristallizza in aghi: essa è insipida, insolubile nell'ac-
qua, poco solubile nell'alcool freddo, solubile nell'alcool bolleule : essa è su-
scettibile di unirsi alle basi salificabili, e di formare dei sali, per esempio,
coll'acido solforico, formando il solfato di atropina, nelle seguenti proporzioni:
Acido solforico .... 36, 52.
Atropina 38> *J3-
Acqua 2^, SS"
Totale . . 100, 00.
275
L'atropina, secondo Richard, si prepara nella maniera seguente : si prende
la piauta iu piena maturità, la si contunde in un mortaio, e la si fa in se-
guito bollire nell'acqua, aggiuntovi dell'acido solforico; allorché la decozione
è preparata, si feltra, la si precipita in seguito colla potassa, si raccoglie
il precipitato, il quale, quando è ben lavato, deve essere trattato di nuovo
coll'acido solforico, o precipitato colla potassa. Si raccoglie sopra un feltro il
prodotto risultaute della decomposizione di questo sale; tostochè è ben la-
vato e ben secco, lo si sottomette all'azione dell'alcool bollente, il quale per
l'evaporazione del liquore alcoolico feltrato fornisce l'atropina allo stato di
purezza.
L'atropina, sottomessa all'azione del calore, si decompone esibendo i pro-
dotti vegetali e dell'olio empireumatico. Alcuni chimici hanno indicato d'im-
piegare la magnesia per precipitare la decozione di belladonna, poi trattare il
precipitato ben lavato e secco con l'alcool bollente.
Runge, dottore in medicina, ne diede il seguente processo. Si versa una
soluzione di solfato di magnesia, dell'idrato di potassa, in minore quantità di
quella che sarebbe necessaria per precipitare la magnesia del solfato. Si uni-
sce questo liquido torbido, che è un miscuglio di magnesia idrata, di solfato
di potassa e di magnesia all'estratto di belladonna che si ha disciolto nell'ac-
qua. Si fa evaporare il miscuglio fino a secchezza, si riduce in polvere, e si
tratta quando è secco con alcool diflemmato e bollente: questo discioglie
l'atropina che si ottiene coll'evaporazione spontanea. Essa allora presentasi
sotto forma di cristalli bianchi e brillanti. Parleremo in seguito dell'uso me-
dico di questa sostanza e delle mediche applicazioni, che di essa si praticarono
specialmente in questi ultimi.
Prima d'inoltrarci nell'enumerazione di quelle malattie, contro le quali l'uso
interno ed esterno della belladonna si addice , crediamo che sia mestieri pas-
sare ad una breve disamina di tutti quei sintomi, allo sviluppo dei quali dà
luogo l'introduzione nella economia animale del materiale attivo, che nella
belladonna risiede. Un esame sì fatto ci condurrà non solo a ben conoscere
l'azione che l'accennato vegetale esercita sul vivo organismo ; ma varrà ezian-
dio a fornirci una guida più sicura onde applicare la belladonna al tratta-
mento curativo di non poche infermità. Risulta da molte esperienze, apposi-
tamente instituite ad oggetto di conoscere quali sieno le alterazioni, che la
belladonna induce nell'animale economia; e risulta del pari da numerose os-
servazioni fatte sull'uomo sano, il quale o fortuitamente o a bella posta ha
dovuto provare gli effetti venefici della belladonna; risulta che questa pianta,
comunquemente introdotta nel vivo organismo, sviluppa sempre un'azione
pronta, energica, deleteria; per lo che non solo si colloca dai medici nella
classe dei medicamenti eroici, ma si riguarda eziandio come uno dei più polenti
veleni. I sintomi generali che si manifestano negli animali sottoposti all'azione
della belladonna, sono in parte eguali a quelli, che per l'azione delle altre
piante solauacee si appalesano, ed in parte sono particolari al vegetale in di-
scorso Nella prima serie dei sintomi sono colabili l'abbattimento generale
della forza muscolare, e l'insensibilità, in forza di che l'animale, allorquando
vi trova sotto l'influenza della helladonna, è impossibilitato ad eseguire spe-
276
dilaniente i moti del corpo, si mostra quasi del tutto insensibile, e presenta
una rimarcabile stupidezza. Di più, l'animale è sorpreso da vertigine, i mu-
scoli volontari si muovono indipendentemente dalla potenza volitiva, la quale
non esercita più quell'impero che le è proprio; e l'animale si fa barcollante,
e con difficoltà può reggersi in piedi, e specialmente fissarsi sull'estremità in-
feriori, che a preferenza delle superiori sono più deboli e vacillanti. Questo
stalo di abbattimento si alterna sovente col tremito convulsivo delle membra,
le quali pure talvolta si agitano e si scuotono con violenza. A tali sintomi
primitivi succedono, come fenomeni secondarli, ora un sopore profondo, ora
una smania angosciosa, ed ora un delirio furente; e questa diversità di effetti
sembra unicamente dipendere, non dall'assoluto modo di agire della belladonna,
ma sì bene dalle relative condizioni individuali in cui si trovano gli animali
sottoposti alla influenza di questa pianta. Qual effetto che la belladonna co-
stantemente produce negli animali è da annoverarsi l'inattività degli organi
dei sensi, e più particolarmente di quelli dell'udito e della vista. E rimarca-
bile altresì l'alterazione che la belladonna produce nei movimenti cardiaci ed
arteriosi: in sul primo sviluppo di sua azione i moti di sistole e diastole del
cuore, ed i moti pulsativi delle arterie si osservano accresciuti : ma dopo
breve tempo l'organica reazione di queste parti si ravvisa grandemente me-
nomata; l'espansione del cuore è appeua sensibile, ed il polso si fa piccolo,
profondo, intermittente, languido, e gradatamente il di lui moto si rende vie
più impercettibile. Sembra che quel primo indicato aumento di azione negli
organici moti del sistema circolatorio sia l'effetto della irritazione che la bel-
ladonna produce sul vivo organismo con cui si trova a contatto; la quale
irritazione, siccome poco durevole, cessata che essa sia, tutta si appalesa nella
piena sua forza l'azione torpente ed anti-eccitante che la belladonna esercita
sulla potenza nervosa, la quale è sì fattamente infievolita da non potere più
influire sull'organica reazione del cuore e delle arterie. L'alterazione delle
funzioni che all'apparato respiratorio appartengono, progredisce di pari passo
con quello delle funzioni che spettano all'apparato circolatorio: quindi è che
negli animali, nel corpo dei quali siasi introdotta la belladonna, la respira-
zione si fa da principio accelerala ed anelante, e di poi lenta e profonda;
lentezza e profondità che si aumentano in proporzione che l'animale si avvi-
cina al termine di sua esistenza: egualmente il tuono della voce siegue Io
stesso andamento; imperciocché gli animali emettono da prima suoni acuti e
striduli, ed indi bassi e fiochi. Per ultimo è da notarsi che anche l'apparato
digerente prova qualche alterazione in forza dell'attività che spiega la bella-
donna nell'animale economia: se alcuna parte di questo vegetale sia deglutita,
lo stomaco soffre una irritazione considerabile, si sviluppa in esso dolore e bru-
ciore, e si suscita una reiterata voraizione di mucosità, talvolta giallastra, e
talvolta sanguinolenta ; i sottoposti intestini soffrono alterazioni analoghe, per
cui gli animali hanno frequenti scariche alvine di simili mucosità: se poi la
belladonna sia stata introdotta nel corpo di un animale per altra via, esclusa
quella della deglutiuazione, allora lo stomaco e gl'intestini non manifestano
un così chiaro stato d'irritamento, ma gli animali ricusano di prendere cibo,
non possono deglutire alcuna sostanza, neppure se questa sia allo stato liquido,
277
ed appalesano di sentire qualche molesta sensazione in tutla la regione ad-
dominale.
Fra i sintomi più particolari, e diremo quasi caratteristici alla belladonna,
sono degni di speciale attenzione, in primo luogo, la dilataziane della pupilla,
che talvolta si fa il doppio più ampia del naturale, ne si ristringe allorquando
gli occhi sono esposti alla viva luce; o se il ristringimento ha luogo, questo è
tardo, di modo che può dirsi che l'iride abbia perduta affatto la sua contrat-
tilità: secondariamente, la sensazione di ristringi mento in tulle le parti in-
terne della gola, che sembrano affette da spasmodica contrazione, analoga a
quella che si mauiiesta nell'idrofobìa, ed associata ad una notabile aridità di
tulle le interne parti della bocca: in terzo luogo, la lagrimazione degli occhi,
accompagnata da enormi movimenti delle palpebre, tendenti ad aprire e
chiudere gli occhi successivamente e con molta rapidità : p»r ultimo, è da cono-
scersi che nell'uomo, il quale abbia preso per una sol volta una considerabile
quantità di belladonna, ovvero abbia usalo per lungo tempo «li questa pianta
a modica dose come medicamento, si è osservato che questo vegetale sviluppa
altri sintomi propri! e caratteristici, e tali sono una eruzione cutanea pruri-
ginosa, ora analoga alla scarlattina, ed ora simile alla migliare; un sensibile
alteramelo negli organi della visione, costituito da intenso bruciore degli oc-
chi, da dolore profondo nei bulbi di essi, il lutto accompagnalo da diplopia,
o da temporaria amaurosi: in fine, giusta ciò che accenna Giraudy, un deli-
rio costantemente gaio ed allegro.
Da tutlo il sopraespresso quadro sintomatico può dedursi che la belladonna,
41 seconda dei principii da noi stabiliti sul modo di agire dei medicamenti'
sviluppa un'azione di contatto alquanto irritante, e ciò in forza di un prin-
cipio acre, esistente in questa pianta : di fatto l'irritazione prodotta dalla bel-
ladonna si manifesta sensibilmente nel tubo alimentare, quando sia stata de-
glutita: e l'irritazione stessa si appalesa eziandio alla cute, allorché questo
vegetale si applica esternamente. Dopo l'irritazione locale, produce la bella-
donna un generale alteramene» di tutta l'economia organica, con un'azione
diffusiva che ha luogo allorquando il materiale attivo di essa (atropina) sia
stalo assorbito in circolo e mescolato col sangue: in questo caso è rimarcabile
Io stato di depressione indotto dalla belladonna nelle proprietà vitali del si-
stema nervoso, poiché resta quasi del tutlo abolita la sensibilità, diminuita la
contrattilità muscolare, menomala la forza impellente del cuore e delle arte-
rie, e renduti languidi lutti i movimenti organici, destinati a compiere le
funzioni della respirazione, digestione e secrezione. Né manca la belladonna
di spiegare eziandio un'azione elettiva su varii organi e tessuti organici : l'or-
bano della visione, le parti addette alla deglutizione ed alla loquela, il tes-
suto cutaneo ed il complesso delle membrane mucose, manifestano assai sen-
sibilmente lale alterazione a cagione del principio attivo della belladonna, da
non potersi dubitare che questa pianta dirige, sopra le parti organiche anzi-
dette, un'azione particolare ed elettiva.
Sembra in vero che gli antichi clinici non abbiano saputo valutare quanto
basta le mediche virtù della belladonna, e che quindi non ne abbiano fallo
quelle applicazioni mediche, di cui questa pianta sarebbe stata suscettibile. Io
18*
278
i'ittti essi si servivano di questa sostanza medicamentosa più come ri-
medio particolare e specifico per certe malattie, di quello che sia come far-
maco universale, applicabile alla cura di molti morbi egualmente universali, i
pratici moderni però, i quali apprezzano per ogui lato il modo di agire della
belladonna nel corpo umano, rawisauo in questa pianta un medicamento
iiloneo a soddisfare non p^chr indicazioni curative. E venendo all'esposizione
di quelle umane infermità contro cui l'uso interno ed esterno della bella-
donna è da ritenersi come molto proficuo, nominiamo in prima le malattie
nervose, qualora queste sieno sostenute da uno slato di sopraeccitamenlo del
sistema senziente, ed accompagnale da un aumento di quei moti vitali propri i
all'encefalo ed ai nervi. Quindi alcune forme di alienazione mentale, e pre-
cisamente quelle manìe cbe presentano un cumulo di sintomi, indicanti ec-
cesso di azione nella potenza nervosa, ed aumeuto manifesto della sensibilità
e coutrattilità organica; contro manìe sì latte, la somministrazione della bel-
ladonna si vede talvolta essere vantaggiosa, e se ne potrebbe in tali casi e-
stendere l'uso anche più di quello che fino ad ora si è fatto. La epilessia è
ilei pari una di quelle nervose malattie curabili dalla belladonna, convenien-
temente amministrata; e varie pratiche osservazioui dimostrano essere stala
questa giovevole a sanare alcuni epilettici, e più particolarmente quelli nei
quali l'accesso di epilessia si presenti con sintomi non equivoci di accresciuta
organica mobilità, e con sensazione di stringimento alle fauci, le quali parli
vi osservino eziandio in uno stato di decisa irritazione. Altre specie di morbi
convulsivi sono pure sanabili per la forza medicatrice che la belladonna pos-
siede: e riguardo alle convulsioni è d'avvertirsi, che le convulsioni Ioniche
sono quelle, le quali a preferenza reclamano l'uso interno del farmaco in di-
scorso. Inoltre giova il conoscere, che nei libri di medicina pratica si leggono
non poche storie mediche, le quali riguardano la guarigione dell'isterismo,
•'.ella ipocondriasi e della corea, otleuute mercè l'uso continuato della bella-
donna. La numerosa serie delle nevralgie trova ancora in questa pianta un
valevole mezzo curativo, imperciocché non sono rare, negli annali dell'arte,
le osservazioni relative a cefalalgie, prosopalgie , ischiadi, ed altre affezioni
nervose di dolore, vinte ilei tutto, o grandemente menomate, dalla salutare
influenza della belladonna. I morbi in questione si guariscono più agevolmente,
se alla interna amministrazione della belladonna si congiunga pure l'uso
esterno di questa pianta, o applicando dei cataplasmi formati colle foglie della
medesima, ovvero praticando frizioni col suo estratto ammollalo con poca
quantità di acqua stillata. Anzi è da sapersi in proposito, che molti pratici
sono pervenuti a guarire alcune nevralgie imponenti, ed anche inveterale,
senza somministrare agl'infermi la belladonna, ma valendosi unicamente della
esterna applicazione di essa. In Francia Henry, Claret e Dupau hanno fen-
duto conto di alcune osservazioni mediche riguardanti nevralgie sopra orbitali
e prosopalgie, debellate mercè le topiche frizioni fatte colla soluzione del-
l'estratto di belladonna, o colla tintura alcoolica di questa pianta. Anche noi
abbiamo prescritto, non ha guari, con deciso successo, le frizioni anzidette ad
un individuo molestato grandemente dal tic dolorosa. Iu Inghilterra Jood e
Cbevalier hanno del pari ottenuto felici risultameli!! dall'uso esterno della
279
belladonna contro le ischiiidi e le lorobagini. Tutto ciò ci conduce a non
avere più dubbio alcuno nell'accordare alla belladonna una decisa proprietà
sedante, calmante, o come taluni dicono anodina, antispasmodica, tanto cbe
questa pianta sia prescritta come interno rimedio, quanto die essa sia appli-
cata come esterno medicamento. Per ultimo vogliamo accennare, cbe fra le
malattie nervose, suscettibili di essere vinte coll'uso della belladonna, vi sono
pure le paralisi : in alcune forme di questo morbo si può assai conveniente-
mente usare di questo vegetale, internamente ed esternamente; onde vi ba
qualche individuo che può vantarsi di avere riacquistato la sensibilità ed il
moto in qualche parte del suo corpo, paralizzata mediante la medica pos-
sanza della belladonna. L'azione però elettiva e specifica che questa pianta
chiaramente apporta sui nervi, a cui la facoltà visiva appartiene, ba indotto
non pochi clinici a servirsi della belladonna nel trattamento curativo del-
l'amaurosi. di cui si narrano alcune guarigioni ottenute coll'uso interno ed
esterno della pianta anzidetta. Non però in tutte le forme di amaurosi è ap-
plicabile l'indicato rimedio: questo conviene particolarmente in quelle amau-
rosi nelle quali si abbia ristrignimento considerabile della pupilla, dolore in-
tenso al sopracciglio e nel bulbo delt'occhio ; iutolleranza alla luce, ed iuiet-
tamento nei vasi della congiuntiva, con abbondante lagrimazione: in quelle
amaurosi adunque che presentano un tale apparato di sintomi, si può sperare
che la belladonna apporti qualche considerabile vantaggio, e che la malattia
resti, se non vinta del tutto, almeno in gran parte scemata, ovvero arrestata
negli ulteriori suoi progressi.
Nel numero delle affezioni morbose, al trattamento curativo delle quali può
essere convenevole l'amministrazione della belladonna, si comprendono ezian-
dio alcune malattie dell'apparato circolatorio, respiratorio e vocale. In certi
stati morbosi rlel cuore e dei vasi, in cui la reazione organica di queste parli
sia di troppo esaltata, ed in cui si abbia qualche dolorosa sensazione nella
cavità toracica, la belladonna può formare una parte del metodo ili cura,
poiché tendi a reprimere la troppo energica attività impellente del cuore e
delle arterie, e menomare il dolore in queste parti esistente. Quantunque l'uso
del farmaco, di che ci occupiamo, contro i vizii precordiali non sia molto
esteso presso i pratici , pure non dubitiamo che questo possa per avventura
riuscire sommamente giovevole. E se si voglia anche ritenere l'idropisia come
l'effetto di una innormale azioue dell'apparalo circolatorio, si avrà pure un
altro clinico argomento per commendare le virtù medicinali della belladonna
contro le malattie proprie al sistema vascolare; essendo che non si manca di
cliniche osservazioni che riguardano idropisie dissipate coll'uso interno di
questa pianta. In quanto poi a ciò cbe spella ai molti morbi, che hanno lor
sede negli organi addetti alla respirazione ed alla loquela, si ha una ricca se-
rie di storie mediche che attestano in favore della salutare efficacia che la
belladonna sviluppa. Si è usato di questo vegetale nella cura della bronchite,
della tracheite (non esclusa quella forma che i francesi distinguono col nome
di croup), e dell'angina; ed i tentativi instituiti su questi varii stati morbosi,
hanno avuto sovente esilo felice: né ciò è da recare maraviglia qualora nou
s'ignori che la belladonna spiega un'azione particolare su quegli organi com-
280
ponenti le fauci ed il cauale aereo- Forse a. Gli effetti che induce l'atropina Dell'organismo
animale, sono gli analoghi a quelli determinati dalla belladonna.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di belladonna. 2. Radice. 3. Corolla «perla. /,. Pistillo.
5. Frutto tagliato orizzontalmente.
289
GIUSQUIAMO NERO
Hyosciamus vulgaris vel niger, Baub. più. lib. 5, sect. 1. — Tourn. class.
2, sect. 1, gen. 4. — Hyosciamus niger, Linn. Pentandria monoginia. — Jus.
class. 8, ord. 8 Solanacee. — Poiret , fior, med , tom. 4, lab. 211. — Rich.
bot. med., tom. 1, pag. 296.
Tutto nel giusquiamo contribuisce a compartire, sulle qua-
lità mediche e velenose di questa pianta, le più favorevoli
idee. Un fogliame d'un verde pallido e livido coperto d'una
lanuggine viscosa; il colore tristo e sombro dei suoi fiori;
l'odore ributtante che esala da tutte le sue parli, sono tutti
attributi, che tolgono da questa pianta quelle attrattive pro-
prie della maggior parte degli altri fiori. Il genere che co-
stituisce è caratterizzato da un calice tuboloso, persistente, a
cinque lobi; da una corolla quasi campanulata, col tubo corto
a lembo diviso obliquamente in cinque parti ineguali; di
cinque stami ; d'un ovario supero sormontato da uno stiìo, e
d'uno stimma a capolino. Il frutto è una capsula ovale ot-
tusa, gonfia alla sua base, apreniesi orizzontalmente verso la
sua sommità. Molte sono le specie : noi non parleremo che
delle principali , cioè di quelle che vengono in uso medico;
fra queste primegga il giusquiamo nero.
Il giusquiamo nero è una pianta erbacea che cresce in
tutte le parti d'Europa , non che comunissima nei luoghi incolti e
sovrattutto in quelle, ove abbondano le materie animali in
decomposizione, come sono i cimiteri. Incontrasi anche fre-
quentemente nelle località sabbiose, lungo le strade e via via.
La sua radice è fibrosa, grossa, nappiforme, bruna all'esterno
Tom. IV. IO
290
bianca internamente ; essa fu talvolta confusa colla radice della
cicoria selvatica e quella del panace. Il suo stelo, alto da diciotto
pollici a due piedi all'incirca, cilindrico, ramoso superior-
mente, coperto di lunghi peli viscosi, porta foglie alterne,
sparse, talvolta opposte sullo stesso piede, grandi, ovali, acute,
sessili, profondamente sinuose agli orli, molli, vellutate e vi-
scose. I fiori sono rivolti da una stessa parte e disposti in
lunghe spiche. Essi sono composti di un calice tuboloso, per-
sistente, a cinque denti allontanati; d'una corolla infondibu-
liforme, col lembo obliquo, a cinque divisioni ineguali, ot-
tuse, d'un giallo sporco, marcate di strie o vene rossastre; di
cinque stami ; d'un ovario supero sormontato da un solo stilo
e da uno stimma capitato. Il frutto consiste in una capsula
o pisside che si apre alla sommità per una parte di coper-
chio; essa è divisa internamente in due loculi contenenti un
gran numero di semi piccolissimi, quasi reniformi, a superficie
reticolata e nerastra.
Il giusquiamo nero, detto volgarmente Disturbio, Dente ca-
vallino, chiamasi dai Francesi Jusquianie, Hanébame ; dai Porto-
ghesi Mcimendro, Yosciamo; dagli Inglesi Henbane; dai Tedeschi
Bilsenkraut ; dagli Olandesi Bilsenkruid; dagli Svezzesi Bolmort;
dai Danesi Eulme ; dai Polacchi Bielun ; dai Russi Belena.
Tutta la parte del giusquiamo nero che si vede fuori terra, è ricoperta di
lunghi peli cotonosi ; ha un colore verde pallido , è untuosa al tatto, sviluppa
un sapore ingrato, amarognolo, nauseante, e tramanda un odore fetido, viroso,
stupefaciente.
I saggi di chimica analisi, instituiti da Brande», gli diedero i seguenti ri-
sultati :
1. Un olio fisso solubile nell'alcool.
2. Un olio fisso poco solubile.
3. Una sostanza grassa analoga alla cetina.
4. Gomma.
5. Bassorina.
6. Albumina.
7. Amido.
8 Una quantità di zucchero cristallizzabile.
291
9. Alcuni sali uetitri, cioè malati di calce, magnesia, potassa, e solfato delle
stesse basi.
10. Una materia particolare di natura alcalina combinata colPacido malico,
che gli diede il nome di Josciamina.
Geiger ed Hesse praticarono pure un'analisi dei semi di giusquiamo, e vi
rinvennero poco a presso gli stessi principii.
La Josciamina, quando è purissima, cristallizza lentamente in aghi di colori
trasparenti, d'un aspetto lucente e disposti a stelle. Questi cristalli sono poco
solubili nell'acqua, e per lo contrario solubilissimi nell'alcool e nell'etere; il
loro sapore è acre, non che analogo a quello del tabacco. L'azione della jo-
sciamina, a cui vuoisi attribuire tutte le proprietà medicinali e deleterie di
questa pianta, è velenosissima. Allo stato anidro, non è punto alcalina più
degli altri alcali organici nella stessa condizione, ma aggiungendovi acqua,
spiega una alcalinità pronuncialissima e persistente. Distillata a secco si vita-
lizza in parte senza alterarsi ; scaldata con acqua calda passa in parte eoa
quest'ultima nel recipiente; il liquore distillato e leggermente alcalino, secondo
riferisce Roques, produce la dilatazione della pupilla. Essa lascia sfuggire
dell'ammoniaca, allorquando la si riscalda cogli alcali idrati. La josciamina
scarseggia nella radice, abbonda nello stelo e nelle foglie, ma in maggior
copia si contiene uei semi.
I sali di giusquiamo sono neutri ; la maggior parte cristallizzano facil-
mente e tutti sono velenosi quanto il giusquiamo puro.
L'uso del giusquiamo in medicina rimoBta ad epoche assai remote dell'arte.
Dioscoride scrisse di questo vegetale, a cui attribì principalmente la qualità
sedativa e calmante. Celso indicò come un valevole mezzo per togliere il do-
lore dei denti cariati, l'introdurre nelle carie i frammenti della radice fresca
di giusquiamo ; fece menzione di un particolare collirio composto dal tuorlo
di uovo e dalle foglie cotte di questa pianta ; e ne lodò i semi qual rimedio
narcotico. Asclepiade finalmente prescrisse il giusquiamo nella cura della fre-
nitide. Queste imperfette nozioni però lasciateci dagli antichi padri dell'arte
circa le applicazioni mediche del vegetale in discorso, sarebbero state insuffi-
cienti per indurre i medici posteriori alla prescrizione del giusquiamo nel
trattamento di morbi differenti, se l'illustre Stoick non avesse fatto conoscere
quanto valevole sia tale pianta nel condurre a guarigione diverse malattie, e
quanta possanza medicinale questa sviluppi contro varii stati morbosi del si.
stema dei nervi. Le osservazioni di Storck sono state grandemente apprezzate
dai moderni clinici, in modo che questi si sono occupati con ogni diligenza a
determinare quale sia il modo di agire del giusquiamo nell'animale economia-
ed in seguito di molte osservazioni e reiterate esperienze, sono pervenuti a far
conoscere le vere qualità medicamentose di questa pianta , e ad usarne quindi
razionalmente nel giornaliero esercizio dell'arte.
L'azione, che il giusquiamo sviluppa nel vivo organismo, si ravvisa essere
molto simile a quella che vi esercitano le altre piante solanacee, di cui ci
siamo nell'antecedente capitolo occupali. Anche il giusquiamo, al pari della
belladonna e del tabacco, spiega tutta la sua possanza sulla vitalità del
sistema nervoso, di cui tende a diminuire i troppo esaltati movimenti vitali
292
dal che De segue che la sensibilità si diminuisce, e la contrattilità muscolare
s'illanguidisce: ma perchè il giusquiamo è sprovvisto di principio acre, l'azione
di tale pianta sulla Gbra vivente non è seguita da irritazione alcuna: questa
qualità del giusquiamo lo rende più idoneo ad usarsi in tutte le condizioni
morbose originate e sostenute dall'esaltamento di energia vitale dell'encefalo e
dei nervi. A buon diritto adunque i medici del passato secolo ritennero il
giusquiamo per un medicamento calmante, sedativo, antispasmodico, voci tutte
che i moderni comprendono sotto la denominazione di rimedio deprimente,
anti-eccitante, controstimolante. Si fatte qualità medicamentose ehe il giusquiamo
possiede, perciocché verificate dai medici viventi con ben lunga serie di os-
servazioni, si pongono ora lodevolmente a profitto dell'arte di guarire. A dì
nostri il giusquiamo è uu farmaco, che si usa molto estesamente in pratica, e
si approfitta di questo nel trattamento curativo di tutte quelle malattie, nelle
quali è di mestieri moderare la eccessiva sensibilità, menomare le dolorose
sensazioni, e ridurre allo stato di normalità i disordinati movimenti vitali. Si
può quindi conchiudere, che laddove i medici vissuti nel finire del passato
secolo, e particolarmente i seguaci di Brown, amministravano soltanto l'oppio
come rimedio sedativo, calmante, antispasmodico ; i clinici d'oggi giorno si
valgono in vece del giusquiamo con miglior successo, e con maggiore avve-
dutezza, e la pratica di essi sembra essere in verità più sicura e più razionale.
Le malattie nervose, a preferenza di ogni altro genere di morbi, sono quelle
contro le quali il giusquiamo può trionfare, e nella cura delle quali si pre-
scrive più frequentemente dai medici tale vegetale. L'estratto ed i semi di
giusquiamo hanno arrecato qualche notabile vantaggio a diversi epilettici; poi-
ché alcuni di questi infelici sono stati radicalmente guariti con un tal mezzo
curativo, ed altri hanBo sensibilmente migliorata la condizione loro, svilup-
pandosi in questi più remoti e più miti gli accessi di epilessia. Sthorck.
è quegli che presenta sul proposito le , osservazioni più rimarcabili. Si
hanno inoltre molti fatti che dimostrano nel giusquiamo una proprietà quasi
specifica di arrestare il progresso dei morbi convulsivi e dell'isterismo ; ed è
questo farmaco particolarmente valevole contro le convulsioni cloniche ; in
modo che non vi è pratico che al dì d'oggi non abbia qualche propria
osservazione , la quale venga in appoggio di quanto avevano già osservato
gli antichi clinici, intorno all'esimia qualità anti-spasmodica che il gius-
quiamo possiede. Né si manca di storie mediche, dalle quali apparisce es-
sere anche stata questa pianta sommamente giovevole a moderare l'intensità
delle palpitazioni toraciche, qualora queste non siano originate da un de-
ciso vizio organico strumentale esistente nel cuore o nei grossi vasi. Le
nevralgie trovano eziandio nel giusquiamo un farmaco salutare : questo si
amministra utilmente ad oggetto di menomare la dolorosa sensazione che
accompagna la emicrania, la cefalalgia, la pleurodinia, la cardialgia, la colica, ed
ogn i altro morbo di tal natura : l'odierna medicina possiede tanti fatti re-
lativamente ai buoni effetti prodotti dal giusquiamo nelle malattie di dolore,
che non si dubita al dì d'oggi di assegnare a tale pianta nn posto di-
stintissimo nella classe dei così detti rimedii calmanti, e non si teme di
somministrare il giusquiamo anche in quei casi morbosi, in Cui la sema-
293
2Ìone dolorosa che provano gl'infermi , sia la conseguenza di flogosi ac-
cesa nella parte ove il dolore ha la sua sede. Noi in molte circostanze,
in cui era d'uopo sollevare i malati da molesti dolori, tanto nervosi che
flogistici, noi abbiamo in tale incontro prescritto uoa emulsione preparata coi
semi di giusquiamo ; e la nostra prescrizione ha avuto quasi sempre un ot-
timo risultamento. Inoltre le malattie mentali sono pure comprese nelle serie
dei morbi nervosi suscettibili di essere o migliorati , o guariti coll'uso del
giusquiamo ; si leggono in proposito storie mediche di qualche interessamento,
che riguardano la guarigione di alcuni maniaci, ottenuta colla somministrazione
per lungo tempo reiterata, dell'estratto, o della polvere dei semi di giusquiamo.
Per ultimo, merita di essere rammentato, che molti morbi i quali frequente-
mente si presentano all'occhio clinico sotto una forma puramente irritativa, il
che sovente si osserva nel morboso andamento della pertosse, dell'asma, del
singhiozzo e del vomito ; è da conoscersi, che in tali incontri riesce utilis-
sima l'amministrazione del giusquiamo: e le indicate morbosità si osservano
grandemente menomate, ed anche vinte del tutto per la possente azione se-
dativa o diremo meglio anti-eccitante, di cui gode il vegetale del quale ci
occupiamo.
L'attività medicinale del giusquiamo, non solo spiega la sua forza contro
le malattie, che al sistema dei nervi appartengono, ma esercita eziandio una
sensibile influenza su varii morbi, che hanno la loro sede in altri apparati
organici. Alcuni slati morbosi del sistema vascolare possono essere tolti o mi-
gliarati col giusquiamo. Questo farmaco si presta lodevolmente a porre un
freno al progresso di quelle lente flogosi, che investono alcuna parte compo-
nente il sistema irrigatore: le croniche carditi ed angioiti trovano perciò nel
giusquiamo un valevole mezzo terapeutico, ond'essere o vinte del tutto, ov-
vero in gran parte menomate. Del pari certi morbosi turgori dei vasi, e
certe specie di emorragie, possono condursi a buon termine coll'uso interno del
giusquiamo, amministrato per lungo tempo, ed in quantità gradatamente ac-
cresciuta: tanto per parte degli antichi medici, quanto per opera dei clinici
viventi, si sono registrati molti fatti da cui apparisce, essere stato il gius-
quiamo proficuo nel trattamento curativo delle affezioni emorroidali, e del-
l'emottisi. In ciò che riguarda l'azione medicinale del giusquiamo, sviluppata
sul sistema g'.andulare, abbiamo pure altri fatti rimarcabilissimi; imperciocché
molti pratici distinti si sono giovati, e si giovano tuttora dell'interno uso del
giusquiamo nella cura di ogni stato morboso proprio alle glandule, cioè dal
semplice loro induramento, fino alla loro scirrosità; quindi le malattie scro-
folose, ed alcune forme di sifilide, possono essere convenevolmente trattate
col rimedio in questione, e specialmente se esso sia congiunto ad altri farmaci
di azione specifica, ed all'uopo indicati. Finalmente non è da tacersi, che il
giusquiamo apporta ancora qualche azione sull'utero: le dismenorree accom-
pagnate da dolore, ed anche le assolute amenorree, reclamano talora la som-
ministrazione del giusquiamo, che non manca di essere seguita da notabili
buoni effetti: nella cura poi dello scirro e del cancro uterino, tutti i medici
commendano l'amministrazione del giusquiamo, tanto ad oggetto di arrestare
l'andamento di una sì funesta malattia, quanto ancora per alleviare nelle in-
294
ferme quelle dolorose sensazioni, che un lauto atroce malore accompagnane
Ci piace però accennare, che nell'organiche alterazioni dell'utero, non meno
che nelle morbose affezioni glandulari, si otterranno sempre risultamene più
felici, se all'interno uso del giusquiamo sarà congiunta eziandio la esterna
applicazione di questa pianta.
Il vegetale di che facciamo parola merita pure di essere teuuto in pregio
dai medici, qualora questi vogliano riflettere ai vantaggi che esso arreca alla
infermata umanità, allorché venga applicato come esterno medicamento. La ri-
marcabile virtù sedativa e calmante, che possiede il giusquiamo, lo rende
idoneo ad essere usato qual topico rimedio in molle malattie. Numerose os-
servazioni dimostrano, che le poltiglie fatte colle foglie fresche di giusquiamo,
ovvero i cataplasmi formati colle medesime, sono di molta utilità, qualora si
tratti di moderare il grave dolore che accompagna certe morbose affezioni.
Quindi l'applicazione esterna delle poltiglie e de' cataplasmi di giusquiamo si
vede essere in primo luogo giovevolissima a moderare i dolori procedenti da
gotta, da reumatalgia, e da artrite: inoltre si osserva del pari vantaggiosa ad
infievolire le dolorose sensazioni, che derivano da interne irritazioni e flogosi
dei visceri; in modo che nel trattamento curativo della pleurite, della gastrite,
della enterite, della epatite, metrite ecc., trova egualmente il medico nel
giusquiamo un ottimo sussidio terapeutico. In fine ri ravvisa riuscire pur utile
l'applicazione esterna del giusquiamo, nel caso in cui si voglia rendere più
mite quel dolore che vivissimo si sviluppa in quelle parti, ove esiste un tu-
more infiammatorio, il che sovente ha luogo negli ingorgamenti lattei delle
mammelle, nelle parotidi acute, e nei buboni venerei ; nelle quali circostanze
sogliono i chirurghi mescolare ai comuni cataplasmi emollienti le foglie di
giusquiamo, e la pratica loro è seguita da deciso alleviamento dei malati. A
soddisfare tutte le accennate indicazioni curative, non sempre i pratici usano
delle poltiglie e dei cataplasmi anzidetti ; ma sovente si approfittano di una
densa soluzione dell'estratto di giusquiamo, colla quale si fanno frizioni sopra
le parti addolorale : noi spesse volte usiamo all'uopo dell'accennato estratto
sciolto nell'olio, coll'aggiunta di piccola quantità di potassa, onde dare al mi-
scuglio l'apetto di un unguento saponaceo. I clisteri preparati colla decozione
delle foglie di giusquiamo, costituiscono eziandio un mezzo terapeutico di
molta utilità, e da essere posto in opera in certe malattie, che hanno lor
sede nei visceri situati nella inferior parte dell'addomine. Molti medici adun-
que lodevolmente prescrivono i clisteri di giusquiamo, ad oggetto di migliorare
la coudizione di quegli individui malmenati da morbosità esistenti nell'iutestino
retto, come induramenti, esulcerazioni, carcinomi, e seroi fistolosi ; partico-
larmente allorquando queste affezioni morbose sieuo accompagnate da dolore
intollerabile: del pari i clisteri anzidetti s'iniettano con profitto, qualora si
abbia nello slesso intestino un peculiare stato d'irritamento, contrassegnato da
quella molesta sensazione che i clinici dicono tenesmo. Né meno vantaggiosa
è la introduzione dei clisteri di giusquiamo, nel caso in cui la vescica ori-
uaria si trovi in preda a processo flogistico, ovvero i movimenti organici di
questo viscere sieno perturbati a cagione di morbosa condizione irritativa:
quindi è che per vincere certe specie d'iscuria, disuria, slranguria, e tenesmo
295
orinario, i clisteri di giusquiamo si osservano essere sommamente giovevoli.
Per ultimo è da notarsi, che i medesimi clisteri arrecano non poco vantalo,
allorché si tratti di applicarli alle donne infermate per metrite, © per altra
qualunque malattia uterina, accompagnata da dolore o da irritazione.
La forza velenosa del giusquiamo è poco diversa per la sua intensità, da
quella di cui tutte le piante solanacee sono fornite. Gli annali di medicina
presentano molte storie di avvelenamenti fortuiti avvenuti per opera del gius-
quiamo : abbiamo per esempio nella nosologia di Sauvages, che una donna
di Mompellieri e suo marito, dopo d'avere mangiato radici di giusquiamo
provarono uno spasmo gutturale con atonia e difficoltà neiremmeltere le orine.
Furono momentaneamente privi della vista, ridevano e cangiavano di sito ad
ogni istante; questa specie di mobilità automatica, che prolungossi per due
giorni, fu tosto seguita da debolezza e da male di capo. Si dissiparono questi
diversi sintomi sotto l'azione d'alcuni evacuanti. Alibert parla d'un radazzo
che fu colpito da stupore, cefalalgia, delirio ecc., ed aveva ad intervalli con-
vulsioni di tutte le membra e riso sardonico. Vepfer, Murray e Raulin ri-
feriscono fatti analoghi.
Molte osservazioni comprovano parimenti le proprietà deleterie dei giovani
germogli e delle foglie del giusquiamo, dando essi luogo a gravissimi fenomeni
nervosi, come uno stato d'iutorpimento, di debolezza, di tifomaraia, di trismo
e simili: il succitato Sauvages osservò una atonia cagionata da una minestra
in cui entravano foglie di giusquiamo. Marito e moglie che ne mangiarono
divennero come imbecilli, e non potevano pronunciare una sola parola. Eme-
tico dato a forte dose, clisteri purgativi, bevande diluenti ed acide, valsero a
prontamente dissipare gli allarmanti sintomi. Sintomi pressoché analoghi di-
mostrarono tre individui che presero inavvertentemente una decozione di gio-
vani germogli di giusquiamo. Una famiglia italiana composta di cinque indi-
vidui mangiarono in insalata del giusquiamo nero, che aveva confuso con al-
tre piante selvaggie; due morirono e gli altri tre provarono vertigini, op-
pressione, dolori forti di capo, stupori e simili.
Le esalazioni stesse, per ultimo, del giusquiamo attaccano l'apparato nervoso
ed eccitano una specie d'ingorgo e d'ubbriachezza. Il professore Brugnano,
come riferisce Roques, fu preso da vertigini e da spasmi negli organi della
vista, per avere maneggiato ed attentamente esaminato per qualche tempo al-
cune piante del vegetale in discorso : e simili fatti si trovano pure negli an-
nali dell'arte.
Dal cumulo di queste storie perciò si può col professore Bruschi dedurre,
che esso vegetale produce la morte soltanto nel caso in cui alla di lui azione
deleteria alcun mezzo curativo non si opponga : se però gl'individui che per
la loro mala ventura si trovano sotto la velenosa influenza del giusquiamo,
sieno prontamente soccorsi, si sottraggano questi certamente da morte. Intanto
crediamo opportuno d'indicare quei sintomi, pei quali possa un medico rico-
noscere l'avvelenamento prodotto dal giusquiamo; e ciò crediamo di fare per-
chè molti di tali avvelenamenti hanno avuto luogo per essersi in non poche
circostanze mangiata la radice di questo vegetale, confondendola con radici
eduli ed innocue. La velenosità adunque del giusquiamo si appalesa coi se-
296
silenti fenomeni : si osserva talvolta il delirio con isguardo fiero, ma questo
sintomo non è costante, poiché il più delle volte gl'individui avvelenati dal
giusquiamo, anziché farsi deliranti, sono sorpresi da stupidezza e profonda
sonnolenza : si vedono essere sintomi meno variabili la somma dilatazione della
pupilla ; la semi-paralisi della lingua ; la rigidità quasi tetanica dei muscoli ad-
detti al movimento della mascella inferiore; la respirazione difficile e profonda
con afonìa; e la paralisi di alcuno degli arti superiori ovvero inferiori. Potnvillat
rammenta pure ( Transazioni filosofiche di Londra per Vanno 1733) di
avere osservato un sintomo straordinario, prodotto dal giusquiamo, cioè la vi-
sione raddoppiata degli oggetti, e quindi il loro coloramento in rosso scar-
latto. Se però il giusquiamo e una pianta assai velenosa per l'uomo , non
sembra essere tale per alcuni animali domestici; imperciocché la denomina-
zione di greca etimologia , assegnata a questa pianta, vale a dire la voce Hyo-
scìamus, composta dai vocaboli jos porco , e chiamos fava, indica, a senso
di qualche scrittore, che le capsule del giusquiamo, le quali hanno qualche
analogia di forma colle fave, si mangiano dai porci insieme con tutta la pianta
senza che un tal cibo arrechi a questi animali alcun nocimento. Intorno alla
cura da instituirsi nel caso di avvelenamento prodotto dal giusquiamo, è ben
facile il rilevare, che debba essere quella stessa che è indicata contro gli al-
tri veleni narcotici.
Varii sono i farmaceutici preparati a cui si sottopone il giusquiamo nero. I
semi di questa pianta forniscono, colla pressione, un olio fisso, a cui si è dato
il nome di Olio di giusquiamo : questo non ha al dì d'oggi uso alcuno ,
benché gli antichi medici ne lodassero le virtù di rimedio anodino e cal-
mante. I semi stessi tritati coll'acqua, costituiscono la Emulsione dei semi
di giusquiamo; il quale preparato è amministrabile (in tutti quei casi mor-
bosi nei quali è indicato il giusquiamo) alla dose di un cucchiaio in ogni 4
o 6 ore. Colle foglie del vegetale in discorso, si prepara V Estratto di giu-
squiamo:, e sì fatto preparato può ottenere, tanto condensando a moderato
calore il sugo espresso dalle foglie fresche, purché non sieno queste né troppo
giovani, né troppo vecchie, quanto concentrando la decozione saturata delle
foglie secche : è d'avvertirsi però che il ;primo degl'ÌBdicalì estratti spiega
una possanza medicinale mollo più energica di quella che il secondo sviluppa;
quindi è che i medici usano quello più frequentemente, e sogliono prescri-
verlo alla dose di 1 grano a 3, in ogni due, quattro o sei ore; quantunque
alcuni valenti clinici, e particolarmente Storck, abbiano prescritto l'estratto
di giusquiamo in quantità mollo maggiore, fino al punto di farne prendere
20 grani, ed anche una mezza ottava per giorno. Recentemente il signor
Buchner ha proposto di preparare un estratto di giusquiamo nero, che egli
assicura riuscire di una rimarcabile e costante attività: L'estratto di giu-
squiamo di Buchner si prepara facendo digerire per più ore nell'alcool la
parte erbacea del giusquiamo, e quindi evaporando la tintura alcoolica a con-
sistenza di estratto; questo stesso estratto si discioglie poi nell'acqua; e la
soluzione acquea si evapora a siccità; il prodotto dell'evaporazione è una
sostanza lamellosa, trasparente, di colore del mele, che ha l'odore deciso di
giusquiamo, e che è solubile tanto nell'acqua, quanto nell'alcool: è da no-
297
tarsi che sì fatto preparato si ottiene più perfetto e dotato di maggior forza
medicinale qualora, onde formarlo, si usi la pianta secca anziché fresca: Fat-
tività medica di quest'estratto è anche più energica, se invece d'impiegare Io
stelo e le foglie di giusquiamo, si faccia il preparato con semi di questa pianta-
Chevalier ha suggerito, non ha guati, un altro metodo di preparare l'estratto
di giusquiamo. L'estratto di giusquiamo di Chevalier si prepara traendo
il sugo dalle foglie fresche della pianta all'epoca della sua fioritura; conden-
sando il sugo ottenuto, mediante l'apparato a vapore, Gno alla consistenza di
sciroppo; sciogliendo di poi l'estratto sciropposo nell'acqua distillata , ed in
fine evaporando la soluzione a consistenza di estratto secco. Con sì fatto
preparato si può formare lo Sciroppo di giusquìamo, al quale oggetto Che-
valier ha indicato doversi sciogliere 12 grani dell'estratto sunnominato iu una
libbra di sciroppo comune. Chevalier ha prescritto con deciso vantaggio lo
sciroppo di giusquiamo nella cura delle malattie polmonari, tali come la tra-
cbeite, la tosse irritativa, il catarro crouico, la tisi incipiente ecc. Siccome i
due sopra rammentati estratti di giusquiamo sono poco cogniti, e di un uso
non generalizzato ; così non sapremmo indicare le giuste dosi in cui essi de-
vono prescriversi; ciò sarà di mestieri dedurre da pratiche osservazioni, e da
esatte sperienze. Fra i preparati di giusquiamo, si può eziandio annoverare
l'unguento, che si ottiene nel modo stesso indicalo nell'articolo relativo alla
belladonna; avvertendo che per formare l'unguento di giusquiamo si deve
anche impiegare una quantità arbitraria dell'olio fisso somministrato dai semi
di questa pianta. Anche il Cerotto di giusquiamo è un preparato regi-
strato in alcune farmacopee, e che può essere impiegato agli usi medesimi
dell'unguento sopra rammentato : il cerotto in discorso si prepara mescolando
iusieme il sugo estratto dalle foglie colte del giusquiamo, coll'olio fisso otte-
nuto dai semi della medesima pianta : sì fatto miscuglio si riduce alla dovuta
consistenza di cerotto, mediante la ebollizione, e coll'unirvi una proporzionata
quantità di cera, di trementina, e di polvere delle foglie secche dello stesso
giusquiamo. Finalmente colle foglie del vegetale di cui facciamo parola , si
forma il Cataplasma dì giusquìamo , a preparare il quale si procede col
metodo ordinario che seguono i farmacisti nel comporre altri cataplasmi me-
dicinali. I semi di giusquiamo nero costituiscono un ingrediente della massa
pillolare di cinoglossa, della quale si farà altrove menzione. Non è a Dostra
notizia che siasi latta ancora alcuna medica applicazione del principio attivo,
o del nuovo alcali contenuto nel giusquiamo. Soltanto sappiamo che il soprac-
citato signor Reissingeb si è servito della Josciamina, come un mezzo op-
portuno a promuovere la dilatazione della pupilla negli individui affetti da ca-
taratta, onde sottoporli alla operazione della cheratonissi. Questo medico ha
osservato negli animali, e poscia nell'uomo, che la dissoluzione acquea della
josciamina posta nel globo dell'occhio, produce una rimarcabilissima dilata-
zione dell'iride, fino al punto di ridursi ad una piccolissima zona circolare
all'intorno della pupilla. Reissingeb ha adoperato la josciamina per soddisfare
allo scopo anzidetto, nella dose di un grano disciolto in un denaro, o tutt'al
più in un'ottava di acqua distillata: ha egli inoltre verificato, che la joscia-
mina, ottenuta dalle radici delle piante di giusquiamo, è quasi del tulio inef-
298
ficace a produrre la dilatazione pupillare; che quella otteuuta dalle foglie è
più attiva, ma irrita molto il globo dell'occhio; e che la josciamina ottenuta
dai semi si mostra di un'azione assai energica, ed è alle altre da preferirsi.
Diremo per ultimo che il chiarissimo nostro chimico Abbene propose di
preparare il sciroppo di giusquiamo nel seguente modo :
Foglie secche di giusquiamo nero contuse, oncie due. Si introducono in
matraccio di tetro, e si versa sopra oncie 15 alcool a 22 gradi a B. M. Si
opera la digestione per tre giorni, agitando di tanto in tanto la materia ; si
cola la tintura, si rinnova la stessa quantità di alcool sul residuo e si ripete
la stessa operazione premendone poi fortemente il residuo. Le tinture riunite e
filtrate, si introducono in un lambicco di rame bene stagnato, con due libbre
di zucchero bianco, si distilla a B. M. sinché stilla liquore alcoolico, quindi
la materia rimasta nel lambicco si versa entro un bacile d'argento (può an-
che servire di rame stagnato), e continua la svaporazione sino alla dovuta
consistenza di sciroppo, che raffreddato s'introduce in bottiglie di vetro.
In tal modo si ottengono 32 oncie di sciroppo di bel colore verde tra-
sparente, di odore e sapore proprio del giusquiamo, miscibile all'acqua senza
il menomo iutorbidamento.
Ciascun'oncia di sciroppo contiene i principi-! solabili nell'alcool a 22
gradi di mezza dramma di foglia secche di giusquiamo, che da calcolo appros-
simativo corrisponde a sei grani di estratto alcoolico. Questa nozione potrà
servire al medico per prescriverne quella quantità che crederà opportuna.
Questo sciroppo può anche prescriversi invece dell'estratto alcoolico, allor-
ché trattasi di amministrare quest'ultimo sotto forma liquida, unito ad acqua
distillata, sciroppi ecc.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Sielo di giusquiamo, i. Caliee- 3. Corolla. /,. Frutto.
y <,ss,;y<'s<'<2>?K& ',/&à:<7ic&
299
GIUSQUIAMO BIANCO
-^aaRAAAAa~
Hyosciamus albus , Lìdq. — Pentandria mouogiuia — Juss. Solanacee.
Poiret , fior, med., tom. 2.
Questa pianta, originaria delle provincie meridionali della
Francia, d'Italia, e di molte altre parti d'Europa, cresce nei
luoghi incolti, lungo le sponde delle strade, nei siti sabbiosi e
va dicendo ; naturalizzossi pure nei giardini botanici e di far-
macia. Il suo stelo , alto un piede circa, è cilindrico, ramoso ,
coperto d'una lanuggine alquanto densa. Le sue foglie sono al-
terne e portate su peduncoli assai lunghi, ovali oblunghe, molli,
angolose, sinuose e munite di lanuggine finissima sui loro mar-
gini. I fiori sono d'un bianco sporco, solitarii alle ascelle delle
foglie e quasi sessili. Il calice è tuboloso, a cinque lobi al-
quanto profondi ; la corolla è monopetala, tubolosa, a cinque
divisioni alquanto aperte ed irregolari. Gli stami in numero di
cinque sono inserti alla base della corolla, ed hanno i filamenti
meno lunghi della corolla; l'ovario è libero sormontato da uno
stilo e da uno stimma capitato. Il frutto è una capsula ovale,
compressa ai due lati e segnata da un solco longitudinale; essa
s'apre circolarmente per mezzo d'una specie di coperchio e
racchiude molti semi.
Il giusquiamo bianco chiamasi dai Francesi Jusquiame
bianche, Fève du cochon. Coltivasi nei giardini botanici e la si
moltiplica seminando i suoi grani : ama una terra leggiera. Fio-
risce nei mesi di agosto e di settembre.
Il giusquiamo bianco è una specie molto vicina alla precedente per le
forme e la proprietà ; perciò si può sostituirla ad essa senza inconveniente. I
300
suoi semi sodo prescritti Della preparazione di alcuni medicamenti, delle pil-
lole di cinoglossa per esempio. Cberrau preveone il pubblico della sofistica-
zione di questo seme con quello delle ammi , ma è difficile lasciarsi ingan-
nare da una frode si grossolana.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
■ . Stelo di giusquiamo bianco, s. Calice aperto e pistillo. 3. Corolla aperta e stami.
4. Frutto della grandezza naturale.
301
GIUSQUIAMO DORATO
■«***>&*#«**■
Hyosciamus anreus, Linn. spec 257. Pentandria monogioia. — Juss. Sola-
nacee. — Decand., fior, frane. 2885. — LBull. tom. 20. — Roq. phto. me-
die, toni. 1, pag. 419, lab. 50.
Questa specie di giusquiamo cresce nei dintorni di Napoli,
di Nizza, di Montpellier ecc. , e la si coltiva anche nei giardini
come pianta d'ornamento, ove distinguesi pei suoi fiori d'un
giallo vivo, striziati di porpora nero.
Il suo stelo è villoso, alquanto sottile, alto un piede circa;
le sue foglie sono rotonde, cordiformi, molto angolose, portale
su picciuoli assai lunghi, e molto villosi. I fiori nascono dal-
l'ascella delle foglie, sostenuti da piccoli peduncoli e sono com-
posti d'un calice persistente a cinque divisioni acute, d'una co-
rolla monopetala infondibuliforme, col lembo quinquefido, d'un
colore giallo vivo, con macchie d'un porporeo oscuro, come lo
sono i filamenti degli slami. Questi sono in numero di cinque
inserti sulla corolla ed opposti ai suoi lobi; d'un ovario libero
sormontato da uno stilo e da uno stimma. Il frutto è una cap-
sula formata dal calice persistente, che s'apre trasversalmente.
Il giusquiamo dorato chiamasi dai Francesi Jusquiame dorè.
Il giusquiamo iìsaloide, Hyosciamus physaloidcs, Linn., che
cresce in Siberia; il giusquiamo Egiziano, Hyosciamus miticus,
Linn., che cresce nell'Egitto e nell'Arabia; il Hyosciamus pusillus,
Linn., originario della Persia, è coltivato in molli giardini d'Eu-
ropa, come le sovraddette specie; sono tutte varietà che ponno
servire alla medicina, sebbene il più in uso, ed a vero dire an-
che il più efficace sia il giusquiamo nero.
302
La specie sopra descritta, cioè il giusquiamo dorato, è poco usato in medi-
cina, perchè la sua efficacia è ben poca in paragone del giusquiamo nero ;
tultavolta Bulliard cita esperienze fatte su cani con questa specie, ed asseri-
sce che la sua decozione produce poco a presso gli stessi sintomi che vale a
determinare il giusquiamo nero , cioè tremorio, debolezza nelle gambe, ver-
tigini, ecc. I vecchi rimasero cinque o sei giorni senza voler mangiare, quindi
morirono. I giovani per lo contrario bevevano eccessivamente e mangiavano
poco; vi sanarono in capo ad otto giorni.
— ~*i-Mì" —
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di giusquiamo dorato, a. Calice e corolla aperta, ove si vedono gli stami,
l'ovario ed il pistillo.
£<^%5
6t&fy£6é%&??l€> ,UY >/?£
303
GIUSQUIAMO DI SCOPOLI
Hyosciamus scopolia, Linu. Pentandiia monoginia. — Juss. Solanacee.
Willd. — St-Hi!., plant. de la France, tom- 2.
Questa pianta originaria, secondo St-Hilaire, della Corniola
e dell'Istria, coltivasi da più anni in molti giardini d'Europa,
ove fiorisce nei primi giorni di primavera. Fu Jasquin che le
diede il nome di Scopola dal botanico Scopoli; ma siccome
esisteva di già un genere sotto il nome di Scopalia, Willdenow
la uni ai giusquiami di cui ha molti caratteri.
La sua radice è grossa, nodosa ed ineguale. Questa getta uno
stelo alto due o tre piedi, ritto, cilindrico, solcato per la decor-
renza dei picciuoli, e diviso in due o tre rami semplici. Le fo-
glie sono alterne gemelle, o terne, ovali, intiere acute, alquanto
ricciute e decorrenti sui picciuoli. I fiori nascono nei ramoscelli
alle ascelle delle foglie e sono solitarii, pendenti e d'un porpora
alquanto giallastro. Essi sono composti di un calice glabro, emi-
sferico, mollo più corto della corolla, d'un sol pezzo e munito
di cinque piccoli denti alla sua sommità ; d'una corolla mono-
petala ed a cinque divisioni nel lembo ; di stami inserti sulla
corolla, in numero di cinque, ed opposti ai suoi lobi ; d'un ova-
rio libero sormontato da uno stilo e da uno stimma. Il calice
persiste e rendesi vescicoloso : esso racchiude una capsula che
s'apre trasversalmente.
Il giusquiamo di scopoli chiamasi dai Francesi Jusquiame
de Scopoli.
Le sue radici sono vivaci e ponno servire a moltiplicarlo.
304
Si può eziandio ottenere seminando i suoi grani in una terra
leggiera; fiorisce sul principio di primavera o verso l'inverno.
St-Hilaire asserisce d'aver veduta la pianta totalmente fiorita
nel febbraio del 1 806, e d'essersene servito di modello per
farla disegnare.
Questa pianta, che ha l'aspetto, non che l'odore quasi eguale alle specie di
giusquiamo sopra descritte, serve piuttosto d'ornamento nei giardini, atteso
che i suoi Cori s'aprono di primavera, che alla medicina. Tuttavia gode, seb-
bene in minor grado, delle proprietà delle specie del suo genere.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di giusquiamo di Scapoli. ». Corolla aperta. ì. Calice aperto e pistillo.
^^at
a/t/ta j/t a ? /ics /ss1
305
DATURA STRAMONIO
Solaoum fa&tidum, Bauli, pin. lib. 5, secl. 1. — Stramouiuin fructu spi-
noso, clas». 2 sect. 1, gen. 5. — Datura straiuonium, Limi. Peutaudria nio-
noginia. — Juss. class. 8, urd. 8 Solanacee. — Poiret, fior, med., toni. 6,
tali. 332.
La tintura stramonio vuoisi originaria dell'America. Coltivata
quindi nei giardini d'Europa, naturalizzossi non solo in questi,
ma propagossi da più secoli in molte parti, sì in Europa, che
nel levante e nella Barbarla ; oggidì la si rinviene abbondante-
mente nei luoghi coltivali, non che negli incolti, e nei dintorni
delle abitazioni, dei villaggi e simili.
Sembra che l'uso medico della datura rimonti ad epoche
molto remote, poiché gli arabi conobbero assai bene questo ve-
getale, ed i greci del pari ebbero una esatta nozione della sua
forza medicinale e velenosa. In fatti il nome generico Datura,
assegnato da Linneo alla pianta in discorso, è tutto di araba
origine, ed è formato dalla voce tdtdrah con cui gli arabi vol-
lero indicarla: il nome poi specifico Linneano Stramonium, è un
accorciamento di quel vocabolo col quale gli antichi medici greci
designarono il vegetale di che ci occupiamo. Stramonium è voce
sincopata di Stricnonmanicon, vale a dire rendere furente ed aber-
rare le sensazioni. E però d'avvertirsi in proposito, che alcuni
scrittori autorevoli, portano opinione non essere lo stramonio
nelle nostre officine farmaceutiche quello stesso vegetale de-
scritto con sì fatto nome da Teofrasto e da Dioscoride; ma sì
bene che lo Strìcnonmanicon di questi vetusti filologi e medici,
sta la pianta che noi ora conosciamo col nome di Noce melclla,
Tom. IV. 20
306
e che Linneo nominò Datura metel. Comunque sia, egli è certo
che i medici vissuti nei tempi a noi più prossimi, ed i clinici
che vivono di presente, hanno appreso dai greci la maggior
parte delle nozioni circa il general modo di agire della da-
tura nell'animale economia, ed intorno alle principali virtù
medicinali, che questo vegetale possiede.
Il suo genere è caratterizzato da un grande calice tubuloso,
panciuto, a cinque angoli, a cinque divisioni; duna corolla
molto grande, piegata a forma d'imbuto, il cui tubo s'apre in-
sensibihflente in un lembo a cinque angoli, a cinque denti; di
cinque stami ; d'uno stilo a stimma con due lamine ; d'una
capsula arricciuta, a quattro loggie divise da tramezzi, di cui
due solamente pervengono alla sommità. I semi sono numerosi,
aderenti su d'una grossa placenta, saglienti, acuti.
La datura stramonio ha un fusto erbaceo, amaro, ramosis-
simo, dicotomo, alto oltre due piedi, guernito di foglie grandi,
ovali, acute, peziolate, alterne, angolose, alquanto pubescenti.
I fiori sono grandi, bianchi o tinti leggermente di viola, soli-
tari!, portati da corti peduncoli situati fuori delle ascelle delle
foglie, o nelle ascelle delle dicotomie del fusto. Il calice è tu-
buloso, un poco rigonfio inferiormente, a cinque denti, a cinque
angoli ; la corolla è infondibuliforme, ugualmente a cinque an-
goli, terminata da un lembo dilatato, piegato longitudinalmente.
II frutto è una capsula ovoide, armato di punte spinose, diviso
internamente in quattro loculi comunicanti insieme due a due
alla loro sommità per l'imperfezione di una delle due chiusure.
Le capsule si aprono in quattro valvole e contengono molti pic-
coli semi brunaslri, pressoché reniformi, la cui superficie è a
guisa di zigrino. Tutte le parti di questa pianta tramandano
odore viroso, spiacevole, che diviene ancora più penetrante
qualora lo si confrica fra le dita.
La datura stramonio, delta anche Stramonio, conosciuta pure
coi nomi volgari di Pomo spinoso, Noce spinosa, Noce puzza,
307
Erba ita incantesimi, chiamasi dai Francesi Stramoine, Pommc
épineuse, Herbe aux sorciers ; dagli Spagnuoli Estramonio ; dai
Portoghesi Estramonia ; dai Tedeschi Stechapfel, Tollkraut; dagli
Inglesi Thorn-appie; dagli Olandesi Doornappel; dai Danesi
Piig-aeble, E 'ìskovs-villie; dagli Svezzesi Spikklubba; dai Polacchi
Psinki;&ài Russi Dunnischnik ; dagli Ungheresi Maszlag Tsaltanto.
Tutte le parli dello stramonio, principalmente i suoi frutti, sono dotale d
proprietà narcotiche, a tal grado, che risguardasi questa pianta come una delle
più veneGche della famiglia delle solanacee. Esso ha un odore viroso che di-
vieue ancora più torte quaudo si strofina fra le dita. li sapore è amaro, acre
e nauseabondo. Il suo modo di azione è all'incirca lo jtesso di quello della
belladonna, del giusquiamo, come vedremo in seguito.
Varie analisi furono instituite sulla pianta in discorso. Le foglie furono»
analizzate da Promuilz, e da quelle ottenne i seguenti componenti :
Materia estrattiva gommosa . . . 98.
Materia estrattiva ..... 6.
Fecola 94.
Albumina . 15.
Resina ' . . 12.
Sali 23.
Edwars riferisce pure all'analisi delle foglie del suddetto autore, eseguila
coi seguenti risultati :
Materia estrattiva gommosa . . 58.
Materia estrattiva ..... 6.
Fecola ....... 64.
Albumina 5.
Resina 12.
Sali 23.
1 semi lurono poscia sottoposti da Braudes ad un'accurata analisi, ed addi-
mostrò che le peculiari proprietà dei semi procedono da un'alcaloide , a cui
impose il nome di Dalurina.
Grani 1000 di semi, per mezzo del disseccamento hanno perduto 155, trat-
tati coll'acqua fredda si otteuuero :
Glutine vegetale 150.
Albumiua. ...... 95.
Gomma 45.
Malato e sopra malato di potassa e di da-
lurina 30.
Dal residuo del trattamento coll'acqua fredda, si ebbero coll'alcool:
Sostanza resinosa .... 36.
Materia bulirracea e cera verde 70.
Malato di dalurina .... 50.
Cera 70.
308
Il residuo dell'acqua fredda e coll'alcool, trattato coll'acqua bollente, Jiecfe
la gomma con alcune traccie di benzoato e di acetato, di muriato, di solfate
di potassa e di calce 350.
Di materie zuccherose 40.
Di glutine vegetale . . • • 37, 5.
Di olio fisso 107, 5.
Di lamelle contenenti la silice . . . . 67, 5.
Trattati di nuovo coll'alcool i prodotti, si ottennero da qu«lli :
Olio fisso 585.
Materia resinosa 135
L'etere ha poi estratto :
Grani di più di olio fisso e di acido muriatico . 40.
Grani di dragante, d'allumina e di fosfato di calce 170.
La soluzione di potassa caustica ha estratto:
Glutine 275.
Estrattivo gommoso 30©.
Estrattivo aranciato 30.
Finalmente le ceneri contenevano i muriati, i solfati, i fosfati, ed i carbo-
nati di potassa; i fosfati ed i solfati di calce; la silice; gli ossidi di rame, di
l'erro e di manganese.
La daturina si trova secondo Brandes nei semi alto stato di malato acido
che si può ottenere col mezzo' dell'alcool bollente. Si decompone in seguito
questo sale colla magnesia, e si scioglie il precipitato coll'alcool bollente; il
liquore evaporando lascia deporre la daturina.
La daturina cristallizza in prismi piccoli, probabilmente a quattro pani.
Essa può essere depurata col mezzo di ripetute soluzioni negli acidi, la de-
composizione de' sali e la soluzione dell'alcaloide nell'alcool ; è più solubile a
caldo ebe a freddo in quest'ultimo. Coll'acido solforico dà formazione a grandi
prismi trasparenti, a base di rombi ed a piccoli cristalli cubici: è questo un
sopra solfato od un solfato? 11 muriato cristallizza in tavole quadrangolari: il
nitrato è foggiato a pennelli di prismi. L'acetato è una massa salina deli-
quescente. La daturina si combina altresì coll'iodio. Brandes è stato afflitto da
mali di testa e da dispnea, ogni volta che ha assaggiato i sali di daturina, ed
ha couchiuso, che ciò procedere doveva dal principio narcotico dei semi dello
stramonio-
Giovanni Righini ha pure pubblicato alcune esperienze, le quali miravano
ad ottenere la daturina, eccole:
La daturina di Giovanni Righini. — La daturina, principio alcalini»
dello stramonio, esiste nei semi e nelle foglie pur anche di questo vegetale.
La sua scoperta devesi al Brandes.
La daturina trovasi nello stramonio, datura stramonium, L-, in combi-
nazione coll'acido malico, per conseguenza allo stato di sopramalato.
Sebbene gli alcaloidi essenzialmente nel loro ordinario stato di combinazione
sembrino legali con qualche acido, pure bavvi tra essi qualche cosa che li
trattiene tanto tenacemente connessi agli altri prodotti immediati dei vegetali,
che decomponendo le sostanze in cui sodo occulti coi mezzi conosciuti, ne
309
riesce oltremodo difficile il segregare da queste ultime il principio alcalino ;
per la qual cosa è giuoco forza ad un acido più forte ricorrere, onde per in-
tiero sviscerarne l'alcali dalla combinazione in cui è ravvolto.
Dietro questo stesso raziocinio dalla pratica convalidato, noi abbiamo posto
il fondamento al conseguimento della dalurina.
Onde ottenere la dalurina si prende, giusta la nostra pratica, l'estratto pre-
parato con semi dello stramonio, dal quale siasi separato l'olio fisso, che si
produce mediante l'ebollizione dei senfi medesimi. Quest'estratto viene sciolto
nell'acqua bollente, a cui si unisce dell'acido solforico puro a 60 (due dramme
d'acido per ogni libbra d'estratto). La soluzione viene Gltrata, ed in questa
s'inslilla a ri fra Ite porzioni dell'idrolato di calce puro (acqua di calce); ne
nasce un precipitato di colore bruno-verde, e questo si disgiunge dal liquido
dopo qualche tempo di quiete. Il precipitato raccolto su di un filtro, e pri-
vato il meglio che sia possibile dell'acqua, si fa a lieve calore prosciugare fino
a secchezza in idoneo recipiente.
Il precipitato ottenuto e ridotto in finissima polvere, viene replicatamele
trattato con dell'alcool a 38 a caldo ; le tinture alcooliche che si hanno nei
diversi trattamenti vengono passate a filtro. Filtrate le tinture alcooliche, si
passa a bagno maria la distillazione dell'alcool, e mediante simile operazione
condotta colle opportune norme, si ha una sostanza che, convenientemente
svaporata, cristallizza, ma contaminata tuttora da parte di materia colorante.
La daturina per tal maniera ottenuta si scioglie nell'alcool bollente a 38,
a cui si unisce del carbone animale chimicamente preparato. Si prosegue na-
turalmente l'ebollizione nella marmitta autoclave per alcuni minuti ; quindi ,
levato il recipiente dal fuoco, si lascia divenire alquanto freddo, e si passa in
seguito alla filtrazione dell'alcool saturo di datura. Sul carbone animale ri-
masto sul filtro si ripete una seconda bollitura alcoolica, e questa filtrata uni-
scesi alla prima.
Col raffreddameuto dell'alcool la dalurina si depone sotto la forma di fioc-
chi bianchi cristallini.
La daturina è presso che insolubile nell'acqua e nell'alcool freddo, ma si
scioglie nell'alcool bollente ; la sua capacità di saturazione è, come osservò
l'illustre professore Mojon, per gli acidi molto deboli: forma con questi dei
sali di natura particolare-
li solfato di daturina assume colla cristallizzazione la forma prismatica, è
solubile nell'acqua e sfiorisce alquanto lorchè si espone all'aria secca. La da-
turina entra pure in combinazione coll'acido nitrico, e costituisce un nitrato
cristallizzabile in aghi setacei, solubili nell'acqua- I sali poi che noi abbiamo
potuto ottenere dalla daturina li trovammo solubilissimi.
Gaetano Grigolato, farmacista in Rovigo, ha pure dettato un processo per
ottenere la dalurina. Prepara egli la daturina nel modo seguente. — Dopo
di avere ottenuto l'olio Gsso dai semi del Datura stramonium, il residuo
polverizzalo si pone in digestione nell'alcool per alcune ore. Il liquore fil-
trato si tratta colla magnesia, e così procedendo s'isola la dalurina, che resta
soltanto contaminata da poca materia colorante in gialliccio. Quindi alla so-
luzione nuovamente filtrata si unisce poco carbone animale, sino a cbesisco-
310
lora del lullo. Evaporato li liquido die era a limpidezza ridotto, si ottiene,
dopo alquanto riposo, la dalurina cristallizzala
Conosciuta Fazione dello stramonio, e conosciuta la famiglia naturale a cui
questo vegetale appartiene, è chiaro, che le prime applicazioni mediche, che
di tale pianta sieusi fatte, debbano essere state nel trattamento curativo delle
malattie nervose. Stork, Bergius, Reef, Durami, Maret, ed altri medici del
passato secolo hanno riferito tante pratiche osservazioni, onde far conoscere
gli effetti salutari che dall'iutemo uso dello stramonio si ottengouo contro non
pochi morbosi stali dell encefalo e dei nervi, che le relazioni di tali scrittori,
e le storie mediche dai medesimi pubblicate sulle virtù sanatrici dello stra-
monio, hanno non poco contribuito a porre questa pianta in molto credito,
e darle non piccola rinomanza. Le manìe, l'epilessie, gl'isterismi e le convul-
sioni sono quelle infermità, contro cui i medici testò rammentati hanno pre-
scritto lo stramonio, e con lodevolissimo successo, siccome questi narrano.
Gredings però, il quale si è studiato, con ogni modo di accurata indagine,
di valutare sulla bilancia della sperienza il peso delle osservazioni, che agli
anzidetti medici appartengono, e che quindi m è dato ad usare, siccome que-
sti fecero, lo stramonio nella cura delle accennale malattie nervose; Gredings
dopo tutto ciò non ebbe gran fatto a lodarsi delle tanto encomiate virtù me-
diche di tale pianta, ed il risultamento dei di lui tentativi non è slato tale,
quale avrebbe egli dovuto ottenerlo, se le altrui asserzioni fossero state per
ogni Iato veritiere. E perciò che i clinici moderni poco si approfittano dello
stramonio nella cura della mania, dell'epilessia, delle convulsioni, e di ogni
altro morbo nervoso; non perchè questo vegetale manchi di efficacia nel
trionfare di tali infermità, ma perchè le osservazioni, le quali si hanno in
I*oposit8, sono in parte equivoche ed in parte esagerate- Lo stramonio adun-
que, nello slato attuale della medicina, è fra le piante solanacee quella che
ha l'uso il più limitato qual rimedio nervino anti-eccitante, avvegnaché sin
facile il persuadersi, che seguendo attentamente le tracce di quei clinici sopra
menzionati, e ripetendo accuratamente la loro pratica , si debba ottenere
tanto, quanto basta per innalzare anche lo stramonio al grado dei più valevoli
farmaci nervini anti-eccilanti.
La verità di quest'asserzione è di fallo dimostrata da alcuni saggi speri-
meutali, falli di recente collo stramonio, usandone nel trattamento curativo
di certe infermità, che hanno lor sede nel cervello e nelle organiche dipen-
denze di questo viscere. Begbie ha recentemente renduto uote non poche
importanti osservazioni mediche, dalle quali risulta, che la pianta in discorso
sviluppa in alcuni casi morbosi uu'azione sedativa, calmante, anti-eccitante,
forse nel grado di energia superiore a quella ebe altri vegetali solanacei svi-
luppano. Begbie si è servilo dell'estratto ottenuto dai semi derlo stramonio,
perchè più attivo di quello che colle foglie di tale pianta si prepara : egli ha
prescritto l'indicalo estratto alla dose di un ottavo, di un quarto, ed anche di
una metà di grano, ogni tre o quattro ore, e lo ha fatto prendere a quegl'in-
dividui infermati per encefalite, meningite, spinite, convulsioni tetaniche, e
nevralgie; ottenendo da pratica sì fatta quasi sempre un felicissimo risulta-
mento. Inoltre il medico Mever ha trovato utilissimo lo stramonio contro
:M 1
quell'asma che i pratici designano col uome di nervoso o spasmodico : egli si
è approfittato in tale incontro delle foglie o radici secche di stramonio, le
quali ha fatto fumare agl'infermi nel modo stesso con cui comunemente si
fumano le foglie di tabacco. Meyer non ha esattamente determinato la quan-
tità di foglie dello stramonio che debbono essere all'uopo impiegate; ma in
genere ha avvertito, che la dose debba essere proporzionata alla intensità
della malattia, ed al sesso, età, costituzioue dei malati, i quali, se con tal
mezzo curativo non guariscono compiutamele, soffrono almeno minori pati-
menti, e soggiacciono ad accessi di asina meno gravi, durevoli e frequenti.
In fine il dottore Zollikoster, il quale ha immaginato la preparazione di «lue
tinture di stramonio, di cui si terrà or ora parola, ha presentato eziandio
una serie di belle osservazioni, che riguardano la guarigione di non poche
malattie nervose, ottenuta colf uso interno delle tinture anzidette, amministrate
albi dose di 6 a lo gocce per più volte al giorno, fino al punto d'indurre
negl'infermi una leggiera vertigine : di più lo stesso Zollikoster ha trovato
utilissime, contro le nevralgie, l'esterne frizioni fatte colle tinture medesime
sopra le parti addolorate.
Poiché fra i varii effetti medicinali, che produce lo stramonio, si è osser-
vato esservi pur quelli di accrescere la traspirazione e la secrezione della
orina, di promuovere una copiosa salivazione, e ili eccitare l'organica attività
del tessuto dermoideo, fino anche al grado di sviluppare nella cute differenti
specie di anomala eruzione: a cagione di tutto ciò, molti clinici hanno cre-
duto che lo stramonio potesse essere vantaggiosamente applicato alla cura di
altre differenti infermità, ed i tentativi loro all'uopo instituiti hanno sovente
avuto un esito favorevole. Nei medici annali si racchiudono non poche storie
relative a diversi morbi cronici, tali come affezioni cutanee, induramenti glan-
dulari, scirrosità, cancri, carcinomi, anchilosi, artriti e reumatismi : morbi tutti
scemati, o perfettamente guariti mediante l'uso interno dello stramonio. In ciò
poi che riguarda la reumatalgia e l'artrite, si hanno delle osservazioni che
appartengono a medici viventi, le quali possono destare mollo interessamento
negli esercenti le arti salutari. Marcet ha vantaggiosamente amministrato l'e-
stratto di stramonio a molti iadividui affetti da antiche reumatalgie, i quali
hanno costantemente trovato notabile alleviamento del loro malore nell'uso
del farmaco anzidetto, qualora questo sia stato ai medesimi amministrato per
lungo tempo, a piccole dosi, e spesso reiterate nel corso della giornata: lo
stesso Marcet ha pure sperimentato utile l'estratto di stramonio contro la gotta.
Anche il sopra menzionato Sollikoster, si è utilmente servito dell'uso interno
delle sue tinture di stramonio, onde vincere ostinate ed inveterate reumatal-
gie, contro le quali ha pur egli osservato essere uà utilissimo mezzo curativo,
la frizione praticata sui membri affetti, o coll'olio dei semi di stramonio, o colla
tintura alcoolica dei medesimi, ovvero coll'unguento preparato colle foglie di
questo vegetale. Finalmente in diverse opere periodiche di medicina si rife-
riscono altre varie osservazioni, le quali tulle concorrono a stabilire che lo
stramonio, tanto come farmaco interno, quanto qual topico rimedio, possiede
un'attività medicamentosa ben rimarcabile nel distruggere le croniche malattie
articolari
312
L'azione velenosa che io stramonio sviluppa negli animali, uoa è meno
pronta ed energica di quella che manifestano le altre piante solanacee. E però
rimarcabile, che mentre queste introdotte nell'animale economia inducono
sovente la stupidezza, la sonnolenza, e l'inattività sensoria ; lo stramonio suole
più spesso produrre negli animali il delirio ed il furore. Circostanza si fatta
sembra che dimostri essere la forza deleteria, di cui lo stramonio è fornito,
diretta principalmente sulla vitalità del cervello, anziché sulla yitalità delle
altre parti, che l'apparato nervoso costituiscono: quindi bene avvisarono quei
molti pratici, i quali vollero che lo stramonio s'impiegasse di preferenza come
un rimedio idoneo a vincere le malattie cerebrali. L'avvelenamento prodotto
dal vegetale di che ci occupiamo, oltre che si appalesa con tutta quella serie
di fenomeni, che nell'avvelenamento da altre piaute solanacee causato si os-
serva, è rimarcabile per qualche sintomo particolare, come il eopioso proflu-
vio di sciliva, e la sete iuestiRguibila. Ciò non pertanto, trattandosi di dover
soccorrere un individuo avvelenato per opera dello stramonio, il metodo cu-
rativo da praticarsi deve essere il medesimo di quello, che si oppone a di-
struggere gli effetti deleterii, che le altre piaute solanacee producono.
Ciò che si è scritto intorno al modo di usare in medicina la belladonna ed
il giusquiamo nero, e circa ai farmaceutici preparati, che si faDno con queste
piante, vale eziandio per lo stramonio ; in fatti lo stramonio si presta oppor-
tunamente a fornire alle officine di farmacia l'olio fisso ottenuto dai semi,
l'estratto preparato col sugo della pianta fresca, l'unguento, il cerotto, ed il
cataplasma formato colle foglie della slessa pianta. Oltre a tali preparati si
hanno pure le due Tinture alcooliche dei semi di stramonio di Zolli-
koster ; la prima, che si dice tintura semplice, è preparala colla digestione,
per 24 ore, di un'oncia dei semi di stramonio contusi, fatta in mezza libbra
di alcool ; la seconda, che si chiama tintura composta, è preparata colle me-
desime quantità di alcool e di semi di stramonio, alle quali sostanze però ven-
gono aggiunte una mezz'oncia dell'estratto di oppio, e due once di vino aro-
matico canforato: questa tintura di stramonio composta si stima più utile della
semplice nel caso di dover usare preparati di stramonio contro le affezioni
artritiche e reumatiche.
SPIEGAZIONE DELLA. TAVOLA
i. Stelo della datura stramonio 2. Corolla aperta. ì. Pistillo.
4. Frutto tagliato onzzontalmcnle. 5. Grano isolato.
ss /ss ti
/ ss/sfsYsr
313
DATURA METELA
Datura metel., Linn. Penlandria monoginia, spec 2g6- — Datura alba
Rumpb. herb. amb. 5, tab. 87. — Datura metel. Roq. phyto. lom 1, pag. 450,
lab. 43. — Juss. Solanacee.
La datura metelia è originaria delle Indie e dell'Africa.
La si coltiva però da molti anni in alcuni giardini d'Europa,
ove però poco è piacevole stante l'odore penetrante e fetido
che olezza. I suoi steli sono forti, cilindrici, ramosi, alti un
piede circa; i rami sono villosi, muniti di foglie peziolale,
ovali, alquanto acute, pubescenti, intiere, o leggermente si-
nuose nei loro margini , d' un verde piuttosto biancastro. I
fiori laterali o situati nella biforcazione dei ramoscelli, sono
composti : d'un calice tubuloso, alquanto gonfio nella parte in-
feriore, a cinque denti, ed a cinque angoli; d'una corolla grande,
infondibuliforme, bianca, ma d'un bianco che tira verso il verdo-
gnolo, massime nella parte inferiore, ove è segnata da striscia o
linee giallastre; le pieghe del lembo sono terminate da un dente
corto ed acuto; di cinque stami; d'uno stilo astimma avente due la-
mine. Le capsule sono inclinate, globose, coperte di spine analoghe
a quelle della sovra descritta specie e contengono pure semi
brunaslri, alquanto reniformi, con una superficie molto aspra.
La pianta in discorso, detta anche Datura bianca, chiamasi
pure dai Francesi Datura metel
Questa specie di datura che io tutte le sue parti esala un odore mollo pe-
netrante e fetido, contiene presso a poco gli stessi principii che la datura
stramonio; le sue proprietà narcotiche sono molto spiegate. Riferisce Roques,
che una decoiione di tre capsule nel latte, diedero luogo ai seguenti sintomi
in uu uomo sessagenario ; vertigini, tremolìi, ubbriacbezza accompagnata da
314
perturbamento dei sensi e ila una aridezza somma di tutte le parli della bocca
Quest'uomo balbuziente e reso immobile, aveva fermi e lagrimanti gli occhi:
stupido per sei o sette ore, divenne poscia furioso; s'agitava nel letto facendo
molti segni che gli assistenti uon poterono comprendere; dopo tutto questo,
e nella stessa sera, si dissiparono perfettamente tutti i sunumerali sintomi.
Gli indiani sembrano conoscere benissimo le virtù saponiere ed ubria-
canti dei semi, e si citano giudicii nei tribunali del Bengal, per incolpazioni
cioè d'avere clandestinamente somministrato sì fatto rimedio con intenzioni
anche colpevoli.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Slelo di datura metel con fiore.
/ f//f/ ti? /"■ '//S'. 40
31
DATURA FASTOSA
Dalura fastuosa, Limi. Penlandria monoginia, spec. 259. — Datura rubra,
Rumpb. herb. amb. 5, tab 243, fase 2. — Roqu. pbyto. tom. 1, pag. 462,
!ab. 44. — Juss. Sotanacee.
Questa pianta, che vuoisi derivata dall'Egitto, coltivasi pure
in molti giardini d'Europa, ove produce un bellissimo effetto
stante i suoi belli e grandi fiori. Il suo stelo è ritto, alto, diviso
in ramoscelli d'un colore bruno-rossastro, e munito di foglie
ovali acute alla loro estremità, leggermente angolose ai loro
margini, d'un bel verde chiaro. I fiori sono peduncolati, solita-
ci nelle divisioni dei rami o laterali: essi sono composti di un
calice, che pure è gonfio o panciuto nella parte inferiore, ver-
dastro, ma il più delle volte tinto d'un rosso bruno come quello
dei rami, ed alcune volte anche d'un colore porporino, diviso in
cinque parti acute alla sommità; d'una corolla grandissima, infon-
dibuliforme, a lungo tubo, d'un colore porpora-violetto nell'e-
sterno, d'un bianco fuso internamente, col lembo segnato da
cinque angoli terminati da una punta; nel resto conforme alle
sopra descritte specie. Le capsule sono rotonde, mediocremente
spinose, e contengono pure semi brunastri e coperti d'asprezze.
La datura fastosa chiamasi dai Francesi Dature fasteuse e
volgarmente Trompelte ih jugement.
La datura feroce, Datura ferox, e la Datura taenela, sono spe-
cie affini alle sopra descritte , che crescono nelle Indie orien-
tali. La datura arborea, Datura alborea, Limi., è una specie bril-
lante originaria del Perù, ove dassi anche il nome di Trom-
bette du jugement; coltivasi parimenti nei giardini ove produce
316
un magnifico effetto, sia pel suo fogliame molto grande, e d'un
verde delicato, sia pei suoi giganteschi fiori d'un bianco bellis-
simo. S'eleva sotto forma d'arboscello all'altezza di sei o sette
piedi, e verso sera spande un odore penetrante assai piacevole,
ma che però ubbriaca.
La datura fastosa, come pure le altre specie, sono poste fra le piante vele-
nose e dotate presso a poco delle stesse proprietà che possiede la datura stra-
monio. I suoi semi molto narcotici perturbano le funzioni cerebrali e produ-
cono lo stupore.
Lemonnier fu consultato da una famiglia, i cui individui tutti soffrivano da
qualche giorno male di capo accompagnato da altri mall'easeri ; esso accusò le
molte piante di datura arborea in fiore che erano su d'un balcone ; diffalli,
levate le piante, all'indomani nessun individuo della famiglia ebbe incomodo
di sorta.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Datura fastosa. 2. Frutto.
, /,//,/, <■ r
317
TABACCO
-~^AAATJlA/vw
Nicotiana major latifolia, Baub. pio. lib. 5, sect. 1. — Touro. class. 2,
sect. gerì. 3. — Nicoliaua tabaccarci, Linn. Pentandria monoginia. — Juss.
class. 8, orci. 8 Solanacee. — Poiret, flor. med., tom. 6, lab. 336. — Roq. phyto,
tom. 1, pag. 431. — Lamk. ni, geu. tab. 110. — Gaertn lab. 55 de fructu.
— Camer. epi>>t. 8l7.
Chi avrebbe mai potuto supporre che la scoperta nel nuovo
mondo d'una pianta virosa, nauseabonda, d'un sapore acre e
bruciante, d'un odore ributtante, non annunziando in somma
nei fisici attributi che proprietà deletrici, avrebbe avuto una sì
grande influenza sullo stato sociale di tutte le nazioni, tanto del-
l'antico, quanto del nuovo mondo; chi avrebbe mai creduto, che
sarebbe essa divenuta l'oggetto d'un commercio estesissimo;
che la sua coltura sarebbesi sparsa con prontezza maggiore
delle piante le più utili, e che avrebbe procurato alle più
grandi potenze d'Europa la base d'una imposta delle più pro-
duttive? Quali sono adunque i grandi vantaggi che una tal
pianta potè offrire all'uomo, perchè si prontamente sia divenuta
d'un uso tanto generale quale il veggiamo oggidì ? Niente altro
che per quello d'irritare le membrane dell'odorato e del gusto,
in modo piacevole per coloro che ne sono abituali ; per lozio,
per l'abitudine; pel bisogno di distrazione e simili, anziché per
medicamento o sostanza necessaria alla vita.
Il tabacco non fu per lungo tempo che una pianta selvaggia,
la quale cresceva ignota in alcune parti dell'America, e della
quale servivansi gli Indiani, all'epoca in cui gli Europei sco-
persero il nuovo mondo, per una serie di malattie che preten-
318
devano guarire per mezzo di questa pianta. I sacerdoti indiani,
gli indovini ne ricevevano il fumo nella bocca, e nelle nari me-
diante un lungo tubo , allorquando volevano predire i risultati
d'una guerra, o l'esito di qualche importante affare; altri ne fa-
cevano lo stesso uso per risvegliare il loro spirito e trovarsi in
una specie d'ubbriachezza, quasi in uno 8tato d'assopimento.
Sembra quindi che l'uso d'introdurlo in polvere nelle narì,-fosse
allora sconosciuto ; e che lo fosse pure qualche tempo dopo la
sua introduzione in Europa, sino al regno di Luigi X1IL Olivier
di Serra, che viveva sotto Enrico IV, non ne parla nel suo teatro
d'agricoltura, che quale pianta adoprata agli usi medici.
Checche ne sia, è certo, che coloro i quali fecero prima uso
del tabacco, furono o messi in ridicolo, o perseguitati. Giacomo I
re d'Inghilterra, dichiarò nel 1604, che il tabacco doveva es-
sere estirpato come un'erba cattiva, e nel 1819, vedendo span-
dersi l'uso di questo vegetale, fece contro i fumatori il suo li-
bro Misocapson. Papa Urbano Vili, nel 1624 , scomunicò i
cattolici die prendevano tabacco. L'imperatrice Elisabetta difese
parimenti di farne uso nelle chiese, autorizzando i birri
(Bedeam), a conflscare a loro profitto le tabacchiere. Nella
Transilvania un'ordinanza del 1689, minacciò della perdila
dei loro beni coloro che coltiverebbero tabacco, e nella menda
da 3 fiorini sino a 200 coloro che ne consumerebbero. I ne-
gozianti che vollero i primi stabilirne l'uso in Persia, in Turchia,
nella Moscovia e simili, non furono più felici nella loro impresa.
Amurat IV, uno Czar, un Re della Prussia, ed un gran duca
di Moscovia lo proibirono, sotto pena dell'amputazione del naso,
ed anche della morte. In Francia però trovò meno ostacoli la
propagazione del tabacco, e presto divenne l'oggetto d'un com-
mercio importante.
Il tabacco fu prima conosciuto dagli Spagnuoli in una parte
del Messico, detta Tabacco, onde il suo nome comune; ebbe poi
quello di Nicoziana da Nicot ambasciatore di Erancia alla corte
319
di Portogallo, che il conobbe per mezzo d'un negoziante fiam-
mingo. Esso presentò questa pianta al grande priore, al suo
giungere in Lisbona; quindi al suo ritorno in Francia alla re-
gina Catterina de1 Medici; onde i nomi che portò anche per qual-
che tempo di Erba del gran priore, Erba della Regina. Il cardi-
nale di Santa Croce, nunzio in Portogallo, e Nicolao Ternabono
delegato di Francia, avendo i primi introdotti questa pianta in
Italia, le diedero il nome di Erba di Santa Croce, Erba di Ter-
nabono. Ebbe anche il tabacco il nome di Erba santa o sacrata,
in grazia delle meravigliose proprietà che gli si attribuivano nel
Brasile e nella Florida. Gli indiani lo chiamano Petun.
Tale è poco a presso la storia dell'introduzione del tabacco in
Europa non solo, ma nelle altre parti ancora dell'antico continente;
ed oggidì, come tutti sanno, trovasi sparso in quasi tutti i paesi
anche di clima differentissimi. I luoghi però più rinomati, ove
esso cresce, ed ove lo si coltiva oggidì, sono Verina, Brasile,
Borneo, Virginia, Maryland, Messico, Italia, Spagna, Olanda, In-
ghilterra ecc., In tutti i paesi inciviliti d'Europa, la coltura del
tabacco è proibita e riservala al solo governo, che ne trae,
come già dissimo, un immenso guadagno. Appo noi le leggi vie-
tano di coltivarne più di tre piante.
Il genere nicoziana offre per caratteri essenziali un calice
persistente a cinque divisioni ; una corolla infondibuliforme col
lembo diviso in cinque lobi ; cinque stami; un ovario supero;
uno stilo; uno stimma incavato. Il frutto consiste in una capsula
ovale a due logge, a due valve che s'aprono alla sommità, con-
tenenti molti semi piccolissimi aderenti ad una placenta attac-
cata al tramezzo. Se ne conoscono più specie ; di presente de-
scriveremo la più comune : citeremo in seguito alcune delle
principali.
La pianta della nicoziana tabacco, ha una radice ramosa,
bianca, e d'un gusto molto acre. Il suo stelo che s'eleva sino
all'altezza di quattro o cinque piedi, è cilindrico, assai forte,
320
grosso quanto il pollice, leggermente vellutato, è pieno di
midollo. Esso si divide in molti rami guerniti di foglie ampie,
alterne, ovali lanceolate; la sommità di queste foglie è acuta;
i loro margini leggermente ondulati, la superficie lanugi-
nosa, ed a nervi molto apparenti , d'un colore alquanto gialla-
stro o d'un verde pallido ; esse tingono la saliva, hanno un sa-
pore acre e sono glutinose al tatto. I fiori d'un colore porporino
o ferruginoso, presentano un panicolo molto bello all'estremità
dei rami ; il loro calice è d'un sol pezzo leggermente villoso e
frastagliato in cinque lembi acuti ; la corolla ha un tubo due
volte più lungo del calice, un lembo piano, aperto, ed a cinque
divisioni. Gli stami, in numero di cinque, offrono una particola-
rità osservala da Desfontaines : essi s'avvicinano allo stimma
per fecondarlo ; formano allora quasi una corona attorno di
quest'organo , e s'allontanano dopo la fecondazione. A questi
fiori succedono frutti o capsule oblunghe, membranose, a due
logge , contenenti molti semi piccolissimi che forniscono dell'olio.
Questa specie è talmente naturalizzata in Europa, che cresce
quasi senza cura e senza coltura. Fiorisce in luglio ed agosto e
sopporta alcune volte gl'inverni moderati. Nei nostri climi è
ordinariamente annua ; ma nel Brasile, dice Bomare, fiorisce
continuamente e vive dieci o dodici anni. I suoi semi, aggiunge
questo naturalista, conservano la facoltà di germogliare per
molti anni e le sue foglie si mantengono in tutta la loro forza
cinque anni all'incirca.
La nicoziana tabacco chiamasi dai Francesi Tabac, Nicotiane
petwn, Herbe de la reme; dagli Spagnuoli e Portoghesi Tabaco; dai
Tedeschi Tobak, Tabak; dagli Inglesi Tobacco; dagli Olandesi
Tabak; dai Danesi e Svezzesi Tobak; dai Tartari Tamek; dai
Brasilesi Petmne; dai Messicani Quauhyetl
Le specie principali sono :
La Nicoziana rustica (Nicotiana rustica, Linn.), che descrive-
remo in seguito e che trovasi disegnata nella tavola.
321
La Nicoziana panicolata (Nicotiana paniculata, Linn.J. I suoi
steli sono duri, alti tre o quattro piedi, coperti, d'una lanuggine
biancastra; le foglie larghe, alterne, peziolate, alquanto pube-
scenti e biancastre, cordiformi, acute, coi picciuoli lunghi e to-
mentosi, fiori disposti in un panicolo mediocremente ramificato,
un po' distanti gli uni dagli altri; essi hanno il calice glutinoso,
a cinque segmenti acuti, quasi lanceolati ; il tubo della corolla
lungo, stretto, col lembo cortissimo, ottuso. La capsula è acuta.
Questa specie cresce nel Perù.
La Nicoziana glutinosa (Nicotiana glutinosa, Linn.). Questa
specie glutinosissima ha molto rapporto colla precedente acuì
anche rassomiglia; ma distinguesi facilmente pei suoi fiori dis-
posti in un grappolo unilaterale: le foglie sono peziolate, cordi-
formi, ondulate ai margini, alquanto vellose come la corolla; il
calice a cinque divisioni ineguali, quella del mezzo, molto più
larga e più lunga; la corolla di un porpora pallido, offre un tubo
corto e curvo; s'apre quasi in due labbra; gli stami sono incli-
nati verso il labbro superiore. Qnesta specie è pure originaria
del Perù, ma coltivasi in molli giardini.
La Nicoziana ondulata (Nicotiana undulala, Vent.). Il suo stelo
è ritto, ramoso, alquanto grosso, a rami pubescenti, muniti di
foglie ampie, alterne ; le radicali quasi a spatula, le caulinari
peziolate, decorrenti sui picciuoli, ovali-lanceolate, acute, on-
dulate sui margini, alquanto lanugginose o pubescenti sui nervi.
I fiori sono disposti in un panicolo terminale; i pedicelli muniti
di brattee strette, lanceolate ; il calice è quasi glabro, a fra-
stagliature strette, lanceolate, acute e cigliate, la corolla d'un
bianco di latte col tubo leggermente vellutato, lungo circa un
pollice e mezzo ; il lembo piano, a cinque lobi larghi, ottusi; gli
stami ineguali non saglienti ; lo stimma grosso, a due lobi. Que-
sta pianta cresce a Porto Jackson, nella nuova Olanda. È pure
coltivata in alcuni orti botanici.
Nicoziana ricciuta (Nicotiana crispa, Desf. - Nicotiana plum-
Tom. IV. 21
322
bagini/blia, Wild). Questa pianta ha uno stelo screziato di pic-
cole asprezze e peli che la rendono ruda al tatto. Si divide in
rami sottili ; le foglie sono alterne, quasi sessili, lanceolate,
oblunghe, glabre, ondulate e ricciute ai loro margini, legger-
mente dentale e cigliate. I fiori, disposti in un panicolo all'e-
stremità dei rami, sono sostenuti da peduncoli lunghi un pollice
un po' tubercolosi, quasi uniflori; il calice è a cinque divisioni;
la corolla è biancastra col tubo quasi glabro, sottilissimo, cilin-
drico lungo circa due pollici e col lembo diviso in cinque lobi
corti, acuti e piegati. Le capsule sono ovali, ottuse, della lunghezza
del calice. Questa specie è pure originaria del Perù e coltivala
negli orti botanici.
La Nicoziana a quattro valve (Nicotiana qnadrivalvis, Pursh.).
I suoi steli sono erbacei, ramosi, glabri, verdastri, alti due o tre
piedi, muniti di foglie alterne, peziolate, glabre, oblunghe, ova-
li-acute, intiere, un po' decorrenti sui picciuoli; le superiori
quasi sessili; i ramoscelli sono compressi, angolosi; i fiori so-
litarii, ascellari, peduncolati ; il calice è coperto di piccole
glandule, a cinque divisioni acute; la corolla infondibuliforme,
bianca, con una tinta turchina, col tubo glabro quasi il doppio
del calice, coi lobi del lembo alquanto analoghi. Le capsule
sono globose un po' saglienti fuori del calice che le circonda
e s'aprono in quattro valve. Cresce nel Missouri.
Se ne trovano pure molte altre specie di nicoziana disegnale
nella flora del Perù, come la Nicotiana angusti/olia di Humb ;
la Nicotiana andicola, Pulmonaroides, Loxensis, Ybarrensis, Ly-
rata di Kunt ; la Nicotiana macrophyUa, di Ville! ; la Nicotiana
iatissima, di Dumont-Courset, ecc.
Tutte queste specie sono coltivate in molte parti del nuovo
ed antico mondo: della sua coltura ne discorreremo in seguito.
Tutte le parti del tabacco hanno sapore acre e nauseoso, odore grave, par-
ticolare, ingrato*, le sue foglie masticate promuovono la secrezione della saliva
ed il loro sugo inghiottito colla saliva genera nausea, vomiti violenti, vertigini,
323
vliavrea, sopore, sudore profuso, convulsioni, ecc. Non ostante però tutte que-
ste proprietà velenose, e ad onta di tanti ostacoli frammessi alla sua propa-
gatane, come citammo uella storia, l'uso del tabacco si è propagato e pro-
pagasi ogni dì più a segno, che non solo la sporca e puzzolente erba
(come venne chiamata da Pietro Columhel, la cui avversione per essa si spinse
tant'oltre da proibire con una clausola testamentaria i suoi eredi in perpetuo
d'usarne in qualunque guisa, sotto pena di perdere la sua pingue eredità, che
sarebbe devoluta agli Spedali) sedusse le nazioni tutte barbare dell'Arabia,
del Giappoue, delle Indie, della China, delle contrade bruciauti dell'Africa,
degli Ottentotti, dei Samoidei, dei Lapponesi ecc.; ma anche lutti i popoli ci-
vilizzati della terra ; e quello che è più, donne gentili, quali veggonsi oggidì
fare continuo uso della polvere, ed assorbire anche con delizia il fumo della
lurida erba
Una pianta che formò ben presto un importante oggetto di commercio a
causa degli estesissimi usi, che di essa si fecero uella società, è bene a cre-
dersi che i chimici si occupassero di analizzare questa pianta ad oggetto «li
conoscere di quali materiali la medesima si compone ; quindi Vauqueliu ne
formò il primo l'oggetto di sue diligeuti indagini. Risulla perciò dai saggi
aualitici da questo abilissimo chimico intrapresi sopra le foglie della J\ico-
liana tabaccwn ìatifolia, di Miller, che la medesima contiene:
1. Una grande quantità d'albumina.
2. Una materia rossa solubile nell'alcool e nell'acqua, die si gonGa con-
siderabilmente quando si riscalda, e la cui natura non è ben conosciuta.
3. Un principio acre, volatile, senza colore, leggermente solubile nell'ac-
qua, solubilissimo nell'alcool.
4. Alquanta lesina verde o clorofila.
5. Alquanto di fibra legnosa.
fi. Alquaulo acido acetico.
7. Alquanto nitrato di potassa, ed altri sali a base di calce, di ammo-
niaca, dell'ossido ili ferro e della silice.
Il principio acre volatile e senza colore, in cui risiedono ìe proprietà de!
tabacco, ebbe il nome di JMcozianina o Nicotina-
Vauqnelin pubblicò poi un analisi del tabacco preparala colla fermentazione,
alfine di paragonare la sua composizione con quella delle toglie non fermen-
tale Egli vi ritrovò le stesse sostanze, (dire alquanto carbonato d'ammoniaca
e d'idroclorato di calce, proveniente dalla mutua decomposizione dell'idroclo-
rato di ammoniaco e dalla calce carbonata che si aggiunge al tabacco. L'odore
ammoniacale è talmente sviluppato in certi tabacchi, che bisogna aspergerli
■con un liquore leggermente acido, come l'acqua cou acido idro- dorico e con
acido acetico.
Per estrarre la nicozianina dalle foglie di tabacco, si ppstano, se ne estrae
il succo, si fa evaporare sino a tre quarti del suo volume; si lascia raffred-
dare: il liquore col raffreddamento lascia deporre una grande quantità di
malato di. calce sotto forma di uua polvere sabbiosa. Separata questa materia
si fa evaporare di nuovo il liquido fino che esso non fornisca più alcuna so-
stanza salina ; quando esso non lascia più deporre alcun sale, si fa digerire
324
coli 'alcool che si carica d'acido malico e d'aceto libero, che il prodotto con-
tiene della nicozianina e di una certa quantità d'idroclorato di ammoniaca.
S'introduce la soluzioue alcoolica in una storta , si ricorre a dolce calore e
si tratta una seconda volta con alcool concentrato , affine di separare una
porzione di materia animale che era rimasta disciolta da una piccola quantità
d'acqua. Si ricupera di nuovo l'alcool colla distillazione; il residuo si riiii-
scioglie nell'acqua, si satura con potassa, e si sottomette alla distillazione.
Questo si spinge al grado di ottenere un liquore acquoso, che quantunque
senza colore, contiene la nicozianina in dissoluzione. Si fa ridisciogliere il re-
siduo ; si procede di nuovo alla distillazione; si ripete più volte quest'opera-
zione ed ogni volta si ottiene una soluzioue di nicozianina nell'acqua ; ripe-
tendo questo lavoro si ottiene cosi tutta la nicozianina. Con una evaporazioue
condotta con precauzioni si perviene ad evaporare l'acqua ed ottenere la ni-
cozianina pura.
La nicozianina pura è senza colore: ha un sapore acre; possiede l'odore
particolare che distingue il tabacco; cagiona un continuo steruutamento; è
solubile nell'acqua e nell'alcool; le tre soluzioni nell'uno e nell'altro di questi
liquidi, sono senza calore, e si distinguono pel sapore ed odore particolare
alla nicozianina. Essa è precipitala delle sue dissoluzioni mediante la tintura
di noce galla; è volatile e veneGca. Si accosta per la sua proprietà agli olii
volatili.
Hermstaedt diede il nome di Canfora di tabacco o nicozianina a un
prodotto che ha con questo alquanta analogia ; egli propose il seguente mezzo
per ottenerla. Si distilla acqua sopra foglie di tabacco; quest'acqua, abbando-
nata per alcuni giorni a se stessa, presenta alla sua superficie una sostanza
cristallina che se ne separa. Si tratta il liquido rimanente con acetato di
piombo. Si ottiene un precipitato, al quale si aggiunge una sufficiente quan-
tilà d'acido solforico per saturare tutto il piombo. Il liquore separato fornisce
con una evaporazione spontanea, una nuova quantità di prodotto. Questo prodotto
è biaoco, cristallizza in lagrime, si fonde a una dolce temperatura, si volatizza
poco a poco: non esercita alcnn'azioue sulla tintura di tornasole: il suo odore
è quello del tabacco raffinato ; preso in dose di un grano, cagiona vertigini.
E poco solubile nell'acqua; mescolato coll'acido dorico questo miscuglio,
coll'evaporazione non cangia natura e l'acido si evapora. La soluzione di que-
sto principio nell'acqua precipita l'acetato di piombo e il nitrato di mercurio;
quest'ultimo precipitato è insolubile nell'acido nitrico : esso è solubile nell'al-
cool ; la soluzione alcoolica è precipitata dall'infusione di noce galla.
Sopra la nicotina o precipitato attivo del tabacco si ebbero delle belle espe-
rienze da Posset e Reiman, i quali facendo l'analisi chimica del tabacco, hanno
scoperto un nuovo alcaloide vegetale, cui imposero appunto quel nome di ni-
cotina e che pare costituisca, come già dissimo, il principio attivo di questa
pianta.
L'egregio Vauquelin, come riferimmo di sopra , si è dato ad analizzare
questa sostanza; ma non era riescilo ad ottenere detto principio narcotico allo
stato di purezza ; oltre di ciò il succitato Hermstaedt che aveva ripetute
l'esperienze del chimico francese, aveva considerato come principio attivo, e
325
descritta sullo il nome di nicozianino, l'olio essenziale che il tabacco contieue
e che si solidiGca alla temperatura ordinaria. Tale era lo stato della questione
quaudo i succitati Posselt e Reinian intrapresero nuove ricerche, i cui
risultati meritarono la corona della facoltà di medicina di Heidelberg nell'adu-
nanza soleune delli 22 uovembre- 1828.
Ecco il processo, mercè cui i sullodati dottori Posselt e Reiman hanno ot-
tenuto questo nuovo alcaloide : si fanno bollire due libbre di foglie di tabacco
nell'acqua aguzzata di acido solforico ; si fa svaporare il decotto a un mode-
rato calore, indi si tratta il residuo coll'alcool a 90. Si sottomette ora questa
tintura alcoolica alla distillazione, la quale toglie tutto lo spirilo di vino : in
appresso si assoggetta il residuo acquoso all'azione dell'idrato di calce e ad
una nuova distillazione. Si tramischia e si agita allora coll'elere il prodotto
per tal modo ottenuto ; si separa il liquido acquoso per mezzo della distilla-
zione; si aggiunge una nuova quantità di etere, indi si distilla di nuovo e così
di seguito, fino a che il residuo sia interamente spogliato del sapore acre. Si
trattano in appresso gli estratti eterei col cloruro di calcio, e si dislilla a bagno
maria la dissoluzione così ottenuta nell'etere anidro. Il risultalo di quest'ope-
razione dà la nicotina, che si vuole appresso purificare. Con questo proce-
dimelo gli autori, da dodici libbre di foglie di tabacco essiccate, hanno otte-
nuto due dramme di questo principio.
La nicotina pura, secondo i suddetti autori, è liquida a 60, al di sotto di 0
del termometro centigrado. Essa è chiara, d'un colore rosso-brunaccio e di un
odore pungente simile a quello del tabacco secco e tanto più penetrante
quanto più forte è il calore. Il suo sapore sommamente acre e bruciante per-
siste lungamente sulla lingua. Unge la carta , ma la macchia svanisce a capo
di dodici ore ; si volatizza all'aria libera , lasciaudo un leggero residuo di una
materia come resinosa ; bolle a 264 ; arde la mercè dello stoppino e si con-
verte in vapori bianchi riscaldata a 100 a un di presso- Il suo peso speci-
fico è maggiore di quello dell'acqua.
Questa nicotina si scioglie nell'acqua in tutte le sue proporzioni e la so-
luzione dà segni evidenti di alcalinità ; allungata iu 10,000 parti di acqua
ritiene ancora uu'acrezza distintissima ; è pure perfettamente solubile nell'al-
cool, nell'etere, e nell'olio di mandorle: le soluzioni alcooliche ed eteree, si
possono sottomettere alla distillazione senza che la narcotina passi coi prodotti;
verso il finire dell'operazione soltanto, le ultime parti dell'alcool e dell'etere
ne contengono alcune tracce. La soluzione eterea mischiata coll'acido solfo-
rico, idroclorico, tartarico od acetico, poco concentrati, cede a questi reattivi
tutta la nicotina che contiene, e si formano sali insolubili nell'etere che si
precipitano. Neutralizzata col mezzo dell'acido solforico concentrato, la sostanza
alcaloide somministra un liquido sciropposo scolorato, il quale svaporato al
sole, dà cristalli simili a quelli della coleslrina. Il solfato di nicotina forma una
massa spessa, non cristallina, ritenente ancora alcuue proprietà acide. L'acido
ossalico e l'acido tartarico danno con questa base sali cristallizzati al tutto
solubili ; finalmente l'acido citrico concentrato reagisce gagliardamente su di
està e la distingue in gran parte.
Perchè i medici hanno conosciuto nel tabacco una pianta dotata di uou
320
poca acredine, e di molta azione virosa, sono stati assai circospetti nel ser-
virsi di essa come interno medicamento. Ciò non pertanto, siccome non vi
ò vegetale, per possente che egli sia nel suo modo di agire nell'animale eco-
nomia, che non possa riuscire un farmaco salutare, così alcuni clinici si sono
studiati in prima di conoscere quale azione il tabacco esercita nel corpo
umano, ed hanno di poi tentato di farne qualche utile applicazione medica.
Ora adunque si couosce assai bene, che il tabacco agisce nel vivo organismo
molto aualogamente alla belladonna, poiché sviluppa un'azione di contatto ir-
ritante, dovuta al principio acre, ed un'aziose diffusiva stupefacente, auti-
eccitante, che tutta si dirige sulle proprietà vitali del sistema nervoso. Quindi
è che, fissato questo duplice modo di agire del tabacco, alcuni medici inten-
dono di approfittarsi della qualità irritante, di cui questa pianta è fornita;
ed altri vogliono valersi della virtù anti-eccitante. che la medesima possiede;
io modo che sotto tali punti di vista si procura di soddisfare col tabacco va-
rie indicazioni curative. A cagione della forza irritante, che il tabacco spiega
con rimarcabile energia nell'apparato digerente, se ne loda da alcuni l'uso
interno qual medicamento emelico e purgativo: ma in tanta dovizia di rime-
dii atti ad eccitare l'eruesi, ed a promuovere le alvine evacuazioni, sarebbe a
vero dire poco circospetto e prudente quel medico, il quale volesse sbaraz-
zare il tubo gastro-enterico, e vuotarlo dalle materie impure in esso conte-
nute per la via della bocca o dell'alvo, mediante l'uso del tabacco. Simil-
mente l'azione irritante del tabacco si pone da alcuni medici a profitto, onde
accrescere, coll'uso interno di questa pianta, la secrezione delle oriue, che è
quanto dire, si amministra il tabacco come un medicamento diuretico. Fowler
fra gli altri ne commenda l'estratto e la polvere «ielle foglie nella cura delle
idropi, ad oggetto di promuovere abbondante diuresi, e riferisce qualche os-
servazione, che favorisce una si fatta indicazione curativa. In ragione poi
dell'attività, che il tabacco possiede di sviluppare nel sistema nervoso un'azione
stupefacente ed anti-eccitante, si propone da altri pratici l'uso interno di
questo vegetale nel trattamento curativo di alcune malattie proprie all'encefalo
ed ai nervi. Si loda perciò l'amministrazione dell'estratto acqueo di tabacco
contro alcune specie di mauìa, epilessia, ed isterismo ; anche più se ne vanta
l'efficacia nel vincere certe particolari convulsioni, e si assicura essere il far-
maco in questione in molti casi giovevole. Inoltre si ha eziandio qualche
fallo, che dimostra essere il tabacco capace di agire come rimedio antispasmo-
dico; poiché Weslberg ci fa conoscere di aver vinto alcune iscurie spasmo-
diche, somministrando agl'infermi la tintura alcoolica di tabacco, alla dose di
venti gocce per ora, in opportuno mestruo, ed asserisce che tre o quattro
dosi sono brotevoli ad aprire un naturale e libero corso alle orine. Final-
mente, siccome molti valenti clinici opinano che l'uso interno dei medicamenti
virosi, narcotici, stupefacenti, sia grandemente giovevole ad arrestare i pro-
gressi della tisi polmonare, ed auche a guarire questo morbo ; cosi Schulz
amministra ng!i individui affetti da tisichezza l'estratto acqueo di tabacco a
modiche dosi e per lungo tempo, e riferisce qualche caso di tisi polmonare,
in cui l'uso dell'indicato rimedio ha sortito un felice risultamene.
Se sono poco numerose le applicazioni mediche del tabacco, come interno
327
rimedio, sono però molto estesi gli usi, che Hi questo vegetale si fanno qual
esterno medicamento, e quale sostanza destinata al lusso ed al piacere. Le
foglie dei tabacco si usano in tre diverse maniere ; ridotte in polvere, che
s'iatroduce nell'interno delle narici, ad oggetto di vellicare questi parti, ec-
citare lo sternuto, e rendere più abbondante la secrezione mucosa ; tagliale
sottilmente si abbruciano, e con particolare strumento se ne attira il fumo
nell'interno della bocca col molo d'inspirazione, e con quello di espirazione
si rigetta successivamente al di fuori ; il quale meccanismo, che si dice fu-
mare, tende ad eccitare una maggiore secrezione di sciliva ; stracciale in
grossolani frammenti, si masticano, e si ottiene così, come dal fumare, un
maggiore profluvio di sciliva, che gradatamente in parte si deglutisce ed in
parte si espelle. Non è nostro intendimento il discutere, se i testé rammen-
tati usi del tabacco sieno all'umana salute profittevoli, anziché no : l'attirare
tabacco per entro le narici, il fumarlo ed il masticarlo, sono costumi troppo
generalmente eslesi nella civile società, e qualunque cosa che scrivere si po-
tesse coutro usi sì fatti, non varrebbe a toglierli, e non sarebbe bastevole a
persuadere la moltitudine degli uomini intorno al nocimento che gli usi an-
zidetti al loro benessere apportano. D'altronde molti valentissimi scrittori
d'Igiene si sono fatti a declamare contro la costumanza di prendere, fumare
e masticare tabacco, e con fatti e ragionamenti ne hanno dimostralo di danno;
ciò non pertanto le umane abitudini acquistano tal forza, che nulla vale a va-
riarle; quindi è che le voci dei medici sul proposito, sonosi rendute del tutto
inutili, e si continua sempre nella civile società a profondere danaro nell'ac-
quisto del miglior tabacco, ed a perdere il tempo per usarne, credendo così di
soddisfare ad un immaginario bisogno. Ci piace adunque occuparci soltanto in
questo scritto a considerare il tabacco, unicamente come oggetto spettante alla
medicina, e conseguentemente accennare in quali malattie l'uso di questo, in
tutti tre i sopraindicati aspetti, possa essere giovevole.
L'introduzione della polvere di tabacco per le narici appalesa molto sen-
sibilmente le due azioui proprie alle piante anti-eccitanti acri e che noi per
il vegetale in discorso abbiamo già rammentato. Ognuno in fatti, che non
sia abituato a prendere tabacco , sentirà in priucipio una molesta irritazione
nell'interno delle narici, che eccita lo sternuto, e promuove una più abbon-
dante secrezione di rauco nasale: se però le prese di tabacco sono spesso rei-
terate, oltre la suaccennata irritazione, proverà l'individuo una incomoda sen-
sazione nel capo, una specie di offuscamento, e non rara volta la vertigine.
Nondimeno un medico potrà approfittarsi all'uopo dell'impressione causala
dalla polvere di tabacco insinuata entro il naso: e l'uso moderalo di pren-
dere tabacco potrà rendersi idoneo a rimuovere alcuni particolari siali mor-
bosi. Ed in verità gli annali dell'arte ci presentano varie storie di malattie
condotte a buon termine col prescrivere agli infermi il tabacco da naso ,* tal1
sono per esempio le cefalee di antica data, alcune specie di capiplenio, e certi
stati di stupidezza. Iuoltre la suindicata prescrizioue si osserva essere giovevole
per gaarire le oftalmie ricorrenti o croniche. In fine t'uso medesimo del tabacco
da naso arreca non piccolo vantaggio ad alcuni individui affetti da incipienti amau-
rosi, la quale si dilegua compiutamente, ovvero $i arresta ne' suoi ulteriori progressi.
328
Similmente il fumare le foglie di tabacco induce irritazione locale e slato
senprale di stupefacimento ; il fenomeno primitivo che insorge in fona di
pratica sì fatta, è un eccitamento nei follicoli mucosi e nelle glandule sciti vali,
per cui si produce una maggiore secrezione di mucosità e di sciliva. Allorché
poi si continui per qualche tempo a fumare, ed in ispecie se ciò si faccia da
un qualche individuo, che non sia fumatore per abitudine, non tardano a
manifestarsi alcuni fenomeni secondarli, dovuti all'azione stupefacente del ta-
bacco; tali sono appunto il capogiro, lo stupore, la vertigine, il vomito, ed
anche la lipotimia. Ciò non pertanto anche l'uso di fumare il tabacco può
essere poslo a profitto dell'arte di guarire. L'odontalgia principalmente è uno
di quei malori che sovente si dissipa col fumo di tabacco, e non vi è quasi
persona che ciò ignori, poiché ognuno che sia molestato da dolore di denti,
tosto, o per consiglio del medico o di propria volontà, incomincia a fumare,
e non senza deciso vantaggio. Inoltre utilissimo si rende il fumare tabacco,
onde migliorare la condizione morbosa di alcuni individui affetti da catarro
cronico, da asma, ed anche da tisi polmonare. Il fumo del tabacco, oltre ai
sopraindicati effetti salutari, altri pure ne produce applicandolo in modo di-
verso da quello che costituisce l'atto del fumare : si osserva in fatliche il fumo
di tabacco è molto idoneo a rianimare, negl'individui caduti in asfissia, i sopii)
movimenti vitali: e ciò si ottiene, procurando di far penetrare possibilmente
questo fumo nell'interno delle narici, e sesia possibile, anche nell'interno della
bocca : questa pratica può essere pure utilmente posta in opera nel caso di
dover prestare soccorso ad individui annegati. Di più è da conoscersi, che il
fumo del tabacco, insinualo mediante idoneo strumento nell'intestino retto, è
>alevolea rimuovere varie morbosità del tubo intestinale. Si hanno diverse
storie mediche relative a casi di verminazione, d'induramento fecale, di pas-
sione iliaca, e di ernia incarcerata, dalle quali apparisce, che il fumo del ta-
bacco ha grandemente favorito la guarigione degli anzidetti stati morbosi. Né
il fumo del tabacco è da considerarsi unicamente quale agente terapeutico, ma
se ne può approfittare eziandio come mezzo igienico. La qualità irritante di
cui gode esso, non si limita soltanto a produrre irritazione nelle fauci, ma sì
bene la irritazione si propaga ancora al tubo digerente, per la qual cosa si
accresce il moto peristaltico intestinale, e si favorisce così la escrezione delle
fecce ; di fatto tutti i fumatori di tabacco sanno per prova quanto il fumare,
e specialmente a stomaco digiuno, sia utile a promuovere in essi sollecita-
mente alvine deiezioni, e se ne giovano quindi come un mezzo idoneo a
mantenere libero periodicamente l'alvo. L'uso di fumare tabacco si estima
anche utile dalle persone del volgo, non meno che da alcuni medici, qual
preservativo delle malattie coutagio>e e pestilenziali; ed è perciò che presso
gli orientali, appunto perchè sottoposti all'influenza di micidiale contagio, l'uso
del fumare è oltremodo esteso ; come del pari fumauo assai quegl'individui
che abitano in paesi di aria malsana.
In fiue l'azione di contatto irritaute, e l'attività stupefacente del tabacco,
si appalesano anche molto sensibilmente in quegl'individui che hanno l'abi-
tudine di masticare le foglie secche di questo vegetale. I primi fenomeni che
si sviluppano da questa masticazione sono di semplice irritazione, perchè altro
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effetto non si osserva, se non se una più abbondante secrezione mucoscilivale;
quando poi la masticazione del tabacco si prolunga per qualche tempo e si
deglutisce la sciliva, uou tardano a mostrarsi dei sintomi cerebrali più miti sì,
ma non dissimili da quelli, che hanno luogo nel caso in cui si protragga a
lungo il fumare, e che noi abbiamo di sopra notati. Ad onta di ciò, la ma-
sticaiione delle toglie secche di tabacco, regolata con medico avvedimento,
può avere qualche ielice risultamene) nella cura di alcune croniche infermità;
in tal numero si racchiudono tutte quelle che reclamano, ond1 essere vinte,
l'uso dei così detti rimedii scialagoghi, e di tal natura sono alcune morbosi
affezioni dei denti , e le tumefazioni delle glaudule scilivali. Utile pure se
crede la masticazione del tabacco per rianimare le illanguidite forze dell'ap-
paralo digerente, e quindi per ottenere con mezzo tale la guarigione di
certe particolari dispepsie, e di alcuni morbi intestinali: si stima egualmente
la pratica stessa giovevole, onde superare in taluni individui l'abituale ano-
ressia. Cornei finalmente riguarda molto vantaggiosa la masticazione ilei ta-
bacco per dileguare la incipiente ostruzione delle glandule meseraiche; ma
bisognerebbe che si avessero in proposito osservazioni numerose, le quali po-
sitivamente dimostrassero quanto da Cornei si asserisce.
Le foglie del tabacco si prestano eziandio a molti altri usi medici, appli-
cale come topico rimedio. La decozione, o l'infusione di tabacco si prescrive
dai medici con qualche frequenza sotto forma di clistere, il quale si commenda
come un valevolissimo mezzo curativo in quei casi morbosi iu cui si stimi
utile l'indurre una sensibile irritazione nell'ultimo tratto degl'intestini. Quindi
i clisteri di tabacco vantaggiosamente si usano negl'individui infermati per
apoplessia, o per altra morbosa affezione cerebrale, analoga, per essenza e per
forma, all'apoplessia slessa. Del pari i clisteri di tabacco si mostrano effica-
cissimi in quei casi morbosi, in cui un'ostinata costipazioue alvina si oppouga
al buono e regolare andamento della malattia ; ed in tale circostanza si os_
serva, che l'uso dei clisteri anzidetti è più efficace a vincere l'inattività in-
testinale, e conseguentemente a rendere aperto l'alvo, di quello che sia la
somministrazione de' purganti. Inoltre presso i medici è una pratica molto
generalizzata quella d'iniettare clisteri di tabacco nella cura delle gravi ed
ostinate vermiuazioui ; qualora il complesso dei sintomi, che accompagnano la
malattia verminosa, non formi una contro-indicazione all'uso del tabacco. Ne-
gl'individui molestati da quelle specie di vermi, che si conoscono sotto la de-
nominazione di ascaridi, si usano con vantaggio le semplici levande fatte al-
l'ano colla decozione delle foglie di tabacco. Siccome da ambedue queste
(natiche si ottiene il più delle volte un felice risultamenlo , così non può
dubitarsi che il tabacco sviluppi, applicato per contatto, una decisa virtù an-
telmintica, la quale sembra che sia dovuta a quel principio acre che in questa
si contiene. Proseguendo ad indicare i vantaggi che l'arte medica può spe-
rare dall'uso dei clisteri di tabacco, dobbiamo accennare, che recentemente il
dottor Ghidella ha renduto noto al pubblico che egli in uu caso di parto dil-
Gcile per difetto di organica contrattilità dell'utero, è riuscito a ravvivare
questa proprietà vitale del viscere mediante la iniezione di ui> clistere di ta-
bacco ; e questo suo tentativo ha sortito un ottimo effetto : la pratica del
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Ghidella, quantunque in parte ragionale, pure non potrà porsi in opera «la
altri ostericanti senza una dovuta circospezione, ed una previa matura rifles-
sione- Nei rapporti clinici dello spedale di Dublino si legge pure un'osserva-
zione relativa ad altro caso morboso, contro cui è stato utile il clistere di
tabacco: la storia di questo caso appartiene a James O' Benne, il quale ri-
ferisce, che in un individuo sorpreso da telano prodotto da esterna lesione,
fra tutti i meni curativi posti in opera, quello che ha trionfalo del morbo è
stato il clistere di tabacco ripetuto più volte , abbeuchè (lasse luogo allo svi-
luppo dei sintomi piuttosto imponenti, dovuti alla forza deleteria di cui questa
pianta è fornita. I sintomi osservati in caso tale da O' Beirne sono stati la
nausea, il vomito, il sudore abbondante al capo ed al petto, la tendenza al
deliquio, e Paccaloramento interno, sviluppatosi in tutto il tubo intestinale.
O' Beirne avendo veduto i buoni effetti ottenuti dai clisteri di tabacco nella
cura del tetano, pensò che questo slesso mezzo terapeutico potesse essere an-
che applicato con buon successo nel trattamento curativo di alcune epilessie ;
e fatti all'uopo gli opportuni tentativi, il medico inglese si ebbe a lodare di
questo suo divisamente. Se però l'iniezione dei clisteri di tabacco è suscetti-
bile di essere vantaggiosamente praticato, non è per questo, che una tale pra-
tica sia immune da inconveniente. Spesso avviene, che alla introduzione del
decotto di tabacco nell'interno del retto intestino conseguila lo sviluppo di
sintomi molto imponenti, poiché questa pianta spiega tutta la sua proprietà
veneflca. Molte osservazioni fanno conoscere , che i clisteri di tabacco
sono stati per alcuni individui assai funesti, o perchè hanno suscitato
gravissimi sconcerti morbosi, o perchè hanno anche prodotto la morte.
Ansiaux riferisce , che una signora , la quale era affetta da ostinata ver-
rainazione , muri istantaneamente dopo che fu ad essa iniettato un cli-
stere formato colla decozione di due once di foglie di tabacco, e la morte
di lei fu solo per pochi istanti preceduta da uuo stato morboso analogo
a quello della ubriachezza. Anche nella nostra pratica avemmo un tempo
a dolerci di aver prescritto un clistere di tabacco, poiché dovemmo ri-
correre all'uso di molti mezzi terapeutici, onde porre un freno ai gravi
sintomi che si svilupparono, e che minacciavano la vita dell'individuo. E
per ciò, che tutti i clinici avveduti, i quali hanno scritto sulle proprietà
medicinali del tabacco , danno i più utili avvertimenti intorno alla appli-
cazione dei clisteri preparali col decotto di questa pianta, ed i loro sugge-
rimenti sono tali da rendere un pratico molto circospetto nella prescri-
zione dei clisteri anzidetti.
Onde compiere l'esposizione di tutti gli usi esterni, a cui le foglie del
tabacco si applicano, dobbiamo primieramente accennare che alcuni me-
dici accordano a queste foglie quella virtù, che si disse dagli antichi in-
cidente, risolvente, disostruente; virtù medicinale attribuita a quasi tutte le
piante solanacee. In vista adunque di ciò varii clinici lodano l'applicazione
dei cataplasmi falli colle foglie di tabacco nel trattamento curativo de-
gl'induramenti glandulari, dei tumori freddi , e nelle fiscouie addominali.
Un'altra proprietà medica, che pure si vuole valutare nelle foglie di ta-
bacco, è la proprietà così detta mondificativa, o detersiva; per lo che alcuni
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chirurghi consigliano i verifica per lutti quei
vegetali che si trapiantano in climi diversi. Il caso presente ne offre un
esempio: essendo ben lontano il tabacco coltivato in Europa dal possedere
le qualità di quello che raccogliesi nei paesi ove è indigeno, conviene,
per dar pregio al tabacco europeo , mescerlo con quello della Virginia >
dell'Avana, del Maritami.
Abbiamo indicalo le principali precauzioni per conservare al tabacco tulle
le qualità volute, ed in conseguenza presso di noi queste precauzioni deb-
bono essere anche più numerose, perchè le menome alterazioni distrugge-
rebbero la piccola quantità di principi! che rimane nel nostro tabacco. Noi
ne palleremo adunque per meglio farne conoscere l'importanza.
Dobbiamo primieramente stabilire che un terreno troppo grasso, troppo
letamalo e troppo umido non è quello che meglio convenga alla coltiva-
zione del tabacco; la pianta vi acquista uno sviluppo straordinario; le cel-
lule s'ingorgano di succo e di sostanze saline straniere che ne rendono la
conservazione quasi impossibile. L'eccesso contrario darebbe un risultalo
opposto, perciò il tabacco cresciuto in un terreno magro e sabbioso trali-
gnerebbe per maucania di alimenti; gli conviene perciò un terreno mode-
ratamente sostanzioso e leggiero.
Tulli coloro che hanno qualche idea d'agricoltura, conoscono quanto sia
vantaggioso scapezzare la pianta giunta ad uua certa altezza per impedire
335
che le foglie si moltiplichino soverchiamente, e per fare rifluire nelle ri-
manenti la maggior quantità di succo. E pur hene togliere le foglie verso
terra, poiché non danno che un prodotto assai inferiore. Da ciò vedesi
che non si possono conciliare l'abbondanza del raccolto colla buona qualità
di esso. Converrebbe che le qualità inferiori si pagassero tanto meno, da
obbligare gli speculatori a coltivarlo nel miglior modo. Una buona dissec-
cazione è necessaria a compir l'opera, poiché se fosse imperfetta o protratta
di troppo, il tabacco scapiterebbe, ed è facile concepirne il motivo , poi-
ché se questo eccesso di disseccazione risultasse da una temperatura troppo
elevata, sarebbesi senza dubbio volatilizzato o distrutto qualche principio ;
e se ciò avesse qualche vantaggio, potrebbe anche risultarne qualche disca-
pito, quando però non si trattasse di un tabacco coDsecrato ad un tale o
tal altro uso, come sarebbe rendere meno piccante il tabacco da pippa; ma
siccome in generale il coltivatore ignora l'uso a cui è destinato il suo ta-
bacco, egli deve osservare i principii della pianta e lasciare al fabbricatore
che lo sottoponga alle diverse operazioni da lui credule necessarie per esal-
tare o mascherare gli altri principii. Se poi questa disseccazione soverchia
proviene da una temperatura non troppo elevata, ma continuala per nu
tempo troppo lungo, il tabacco uou avrà sofferto alterazione, ma le foglie
si stritoleranno, anzi che rimanere intiere ; come abbiamo detto, conviene
imballare queste foglie in tempo umido per evitare un simile inconveniente.
Coltura del tabacco in Olanda. — Il tabacco coltivasi in grande
quantità anche nell'Olanda, le sole provinole di Gueldres e d'Utrecht ne pro-
ducono annualmente uudici milioni di libbre, di cui tre milioni erano altre
volte vendute alle Gnanze di Francia. In questi paesi, principalmente nei
dintorni d'Armefort, si semina il tabacco su grandi letti di legno, alti tre piedi,
larghi dieci, e d'una indeterminata lunghezza Questi letti sono circondati ester-
namente da concime di letame di maiale e di montoni, alto quanto le pan-
che del letto ; l'interno è pure coperto dello stesso concime, per l'altezza di
due piedi, e d'uno di terra finissima, mobile, e ben concimata.
Mentre i semi germogliano, e che la pianta cresce e si fortifica sui letti o
strali, se ne preparano altri nei loro dintorni d'un genere di\erso. Si scava
il terreno a qualche pollice di profondità per fare questi strati, i quali sono
separali gli uni dagli altri da un sentiero di sei od olio pollici di larghezza ;
la loro base è di due piedi e mezzo; la loro profondità di due piedi; la loro
scarpa o pendio di tre pollici; di modo che alla sommità non sonvi che due
piedi di larghezza su nna lunghezza indeterminata. La loro direzione è dal
nord al mezzodì ; a sei od olio pollici di altezza del livello del fosso si mette
uno strato d'un pollice e mezzo di spessezza di concime, di mattone molto
sminuzzato; di sopra sei pollici di terra ben concimata e così di seguito,
strati su strati sino all'altezza designata. I sentieri offrono due vantaggi , il
primo di condurre le acque, il secondo di procurare il mezzo onde ben sar-
chiare; alcune volte questi strati hanno più o meno d'altezza; secondo che
il terreno è più o meno umido; ma la loro larghezza superiore non varia
molto da due a tre piedi. Egli è su strati io tal guisa preparati; che si tra-
piantano con tutte le ordinarie precauzioni le giovani piante del tabacco; ed
336
onde approfittare ancbe degli strati su cui si semina, che allora restano li-
beri, si seminano sui medesimi latughe, selleri ed anche legumi. Le piante
del tabacco sono messe sotto terra sino all'origine delle foglie e distante le
une dalle altre d'un piede e mezzo ; esse sono disposte a zig-zag e formano
due ordini su ciascun strato-
I campi di tabacco in Olanda sono circondati da siepi alte, onde mettere
al riparo le piante dai forti venti. Si coltivano poi queste piante sino alla
maturità colla stessa diligenza e coi medesimi lavori che nell'America. Dopo
d'avere spampanate le piante si cominciano a raccogliere le foglie della se-
conda e terza qualità. La terza qualità condiste nelle più piccole e nelle più
cattive foglie che sono alla base degli steli ; quelle poi che souo situate imme-
diatamente al di sopra, in numero di ciuque o sei, compongono la seconda
qualità. Si raccolgono e le une e le altre quasi uello stesso tempo, e si scel-
gono poi nelle case destinate all'essiccazione: durante il tempo che queste
seccano si spampanano di nuovo le piante, ed hassi attenzione di raccogliere
le foglie che restano e che formauo la prima qualità ; perchè se si lasciano
ingiallire le foglie sulla pianta perdono della lor forza; risultano meno ma-
neggevoli e si alterano facilmente ; queste due raccolte si fauno dalle doune,
le quali sfogliano al più presto possibile.
Dopo tutte le convenienti preparazioni, di cui abbiamo già fatto cenno e
di cui ne parleremo ancora in seguito, si mette il tabacco in corda e si im-
balla per partite di dodici, tredici, quattordici ed anche cento libbre entro
stuoie o canestri, o piccole botti.
" Il tabacco, dice Fansen, quello specialmente che è esposto iu piena terra
e ad aperta campagna, soffre i forti venti, e le glandi pioggie accompagnate
da venti, e particolarmente la grandine, che toglie iu un momento al coltiva-
tore tutto il frutto del suo lavoro Onde prevenire questo malore per quanto
è possibile, si divide il campo in più quadrati; si circondano questi quadrali
di t'assetti di quercia, d'olmo, di salici od anche di faggi, ma la prima specie
di legna è la migliore, potendo perdurare per due anni e più, mentre le altre
fa d'uopo cangiarle ogni anno. Per piantare siffatte palizzate si formauo colla
vanga profondi solchi, coJla cui terra si riempiono poscia quando i fasselti di
legno si trovano in sito. Questi ripari, o ripara venti, garantiscono le piante
dai venti e dalla pioggia, e servono d'appoggio a fagiuoli, o piselli che soglionsi
seminare per godere il terreno; questi coi rampanti steli e foglie servono
anche a rendere un più forte riparo contro le intemperie dell'aria ».
« Alcuni coltivatori ritirano i torsi del tabacco dalla terra e li fanno ser-
vire cogli steli a formare mi ingrasso, che spandono poi sul terreno ; ma è
meglio lasciarlo morire iu sito ".
Coltura del tabacco in Alsazia. — Ecco quale è il processo adoprato
in questi paesi, dietro Kauffmaun, per la coltura del tabacco. Alcuni giorni
prima di seminare i grani si mettono in un pannolino che si ha cura di ba-
gnarlo di quando in quando, e di lasciarlo in un luogo caldo; e quando il
germe ha cinque o sei linee di lunghezza , allora si getta sulla terra. Lo
strato su cui si semiua il tabacco deve essere fatto presso a poco come qua-
lunque altro ordinario in qualsiasi giardino. Non si coprono le giovani piante,
337
ma si innaffiano spesso, e per sino due volle al giorno. La trapiantatone ha
luogo nel mese di giugno ; e siccome poi le piante sono già situate a due
piedi di distanza l'ima dall'altra in tutti i sensi , le si sarchiellano due o tre
volte sino ali epoca del raccolto. Verso la mela d'agosto sì scoronano, ossia
si tagliano le sommità. Le piccole foglie poste verso la sommità degli steli si
tagliano a mano a mano che compaiono e uou si lasciano che le foglie ordi-
nariamente in numero di tredici o quattórdici.
Il raccolto del tabacco ha luogo prima della fine ili settembre; se si lar-
dasse maggior tempo, il freddo lo d'istruirebbe, perchè la minima brina basta
per fare perire le piante. Si tagliano le foglie e gli steli si lasciano in piede,
e non si tagliano che quando vuoisi lavorare il terreno; allora s'infossano
nella terra. Il tabacco è portato nei seccatoi; ove resta sino al mese di marzo:
allora si formano su d'uua tavola mucchi di quattro o cinque piedi di alleila,
che uou si toccano più che al momento della vendita. Il compratore si in-
carica degli altri processi di fabbricazióne»
Uu campo di q uà rant ottomila quattrocènto piedi quadrati può produrre
cento quintali di tabacco fresco, che essiccato si riducono a quattordici quintali.
Le piante vauno soggelte ad essere distrutte dalle lumache, dalla siccità, e
da una specie di arrugine. In questi casi si sostituiscono al più presto possi-
bile con altre nuove piante quelle che mancarono.
Parere sulla coltura del tabacco in Francia, pubblicato dalla società
d'agricoltura di Parigi.
« Il tabacco si semina su semenzai e si trapianta quando ha una data forza.
Il semenzaio deve essere uno strato di letame per i paesi ove la primavera è
fredda, e solamente uno strato di terra da giardino, ove il principio di questa
stagione è dolce.
I coltivatori ponno consultare i giardinieri sul modo di fare uno strato e
sul grado di calore che deve avere, onde affidare i semi di tabacco. Si ado-
pra ordinariamente letame di cavallo che non sia [troppo consumato; ed in
mancanza di questo si usa il letame di vacca; se ne aduna quella quantità
necessaria alla parie di terreno che si vuole seminare. Per piantare un campo
di terra di novecento tese quadrate, sono necessairi tre quarti d'oncia di semi
ili tabacco, che richiedono uno strato di ventidue piedi su quattro ; si dà allo
strato lo spessore d'un piede e mezzo a due piedi essendo ben trito il le-
tame. Si copre il letame di sei pollici di terra composta di un miscuglio di
terra da giardino e di terriccio oppure solamente di terra da giardino, si cir-
conda lo strato di tavole per sostenerlo.
I semi di due armi ponno germogliare quanto quelli di un anno. Non gua-
rentiremo uu seme più vecchio. In caso di dubbio si potrebbero esperimen-
tare alcuui grani su d'un piccolo strato.
Si può secondare la germinazione dei semi di tabacco, mettendoli in un
pannolino, che bassi l'attenzione di bagnare di quando in quando mantenen-
doli in un luogo caldo. Quando questi germi hanno circa quattro linee, si
seminano e non tardano ad alzarsi.
II tempo di seminare il tabacco in Francia è dalla fine di febbraio sino
Tom. IV. 22
338
ali» fine di marzo. Questi pianta soffre i geli quando è giovane, e quando
s'approssima alla maturità; fa perciò d'uopo preservarla dai freddi di prima-
vera , ma seminarla al più possibile di buonora ; matura nell'autunno.
Per seminale bene il tabacco è necessario scegliete un giorno sereno. Al-
cuni, stante la piccolezza del seme, u*ano d'aggiungere sabbia o terra fina,
»nde spanderlo più facilmente. Una volta fatto il semenzaio si bagDa lo strato
con un bagnatolo a piccoli fori, e si copre di terra finissima, ma sì legger-
mente, da essere solo il seme coperto. Una precauzione non indiffereule è
quella di mettere su questi semenzai uno strato leggiero di paglia odi fogliee
simili, affinchè la terra non venghi pestata dal innaffiamento, ed il seme sollevati!.
Se si è seminato di buon'ora, e che il paese sia freddo, bisogna avere la
precauzione di coprire lo strato durante la notte, o con tavole sostenute o con
fogliame o con letame lungo e simili. Sonvi molli coltivatori cbe si servono
di casse munite di coperti di vetro, o di carta unta d'olio.
Affine di secondare il germogliamento dei semi di tabacco, alcuni coltivatori
chiudono totalmente lo strato perire o quattro giorni, e dopo questo tempo gli
• lamio un po' d'aria, e lo chiudono meno esaltamente. Noi non consigliamo sì
fatto metodo perchè, per coloro che non lo sanno adoprare, ha l'inconve-
niente di abbruciare i semi e le giovani piante, ft di farle elevare troppo
presto ; lo che loro -impedirebbe d'acquistare la dovuta forza. Sapendo profit-
tare del calore dello strato, non havvi bisogno di chiuderlo. Altronde, lo si
può riscaldare applicandovi nuovo letame attorno, se il freddo dell'atmosfera
lo richiede.
Si avrà attenzione di pulire dalle erbe le giovani piante sullo strato e di
Inguaile quando fa d'uopo.
Le precauzioni da noi indicate per gli strali potino parimenti applicarsi ai
tavolati, che vi si sostituiscono nei paesi, ove gli strali sono inutili.
La pianta del seme gettalo in febbraio è bene trapiantarla in maggio; quella
del seme sparsp in marzo, vuole essere trapiantala più tardi ; troppo giovane
« troppo formala avrebbe pari difficoltà a rigermogliare. Quando le giovani
piante hanno due pollici di altezza fuori terra e da cinque a sei foglie, per
poco favorevole sia il tempo, si è sicuro della riuscita. Si deve però avere at-
tenzione di non metterle a silo, se non aitando non si ha più a temere i
freddi, perchè in piena terra, ed ali aperta campagna, non si ponno più gua-
rentire. Nei climi di Parigi è difficile che geli dopo li 10 maggio.
La terra in cui ilevesi piantare il tabacco esige preparazioni che fa d'uopo
notarle. Egli è bene d'esperimentare, ma in piccola quantità, ogni sorta di
terreno alfiue di osservare quale ne produce in maggiore quantità e della
migliore qualità. Il tabacco riesce sempre meglio in un terreno sostanzioso, e
per terreno sostanzioso intendiamo quello che è composto di sabbia, e di terra
vegetale o di terra pura e d'argilla ben mescolata; è necessario che sia ben
profondo e bene sminuzzolato; per tal guisa un disvelliinenlo di bosco, una
prateria, un dissodamento profoudo, convengono assai per seminare il tabacca,
dovendolo considerare come un terreno nuovo. Non hav\i dubbio che prospera
n meraviglia in una canapaia, od in una terra già seminata di lino, di zaf-
ferano, di lupuli ecc. ; non che uelle lepre sostanziose di fromeuto.
339
Secondo che le terre destinate a tabacco hanno più o meno di capacità,
bisogna fare più o meno arature. Se all'aratro, se ne farà una prima dell'in-
verno, affinchè il gelo possa sminuzzolare le zolle, e due dopo l'inverno , cioè
una »ul principio di primavera e l'altra un po' prima della trapiantagione
del tabacco. Sonvi terreni per cui sono necessarie quattro arature; una prima
dell'inverno e tre dopo. Alcune volte fa d'uopo ancora di erpicare.
L'aratura alla vanga, od al zappone è sempre preferibile a quella che si fa
coll'aratro, ma è maggiormente costosa ; basta farne una prima dell'inverno,
l'altra di primavera, ameno che il terreno sia coperto di erba; lo che ne ri-
chiederebbe una terza.
Non si deve mettere concime nelle terre nuove; ma solo in quelle che si
trovano in coltura regolare, e che hanno prodotto fromento od altre piaule
che lo privarono delle materie sostanziose. E siccome in generale le terre a
tabacco sono terre forti, si preferirà il letame di cavallo, quello di montone,
non che lo sterco dei volatili. Egli è inutile di dire ai coltivatori in grande,
che se si servono d'un terreuo compatto, che richiedesi letame non consumato
oppure marna, calcarea o rottami e simili, necessarii per ben dividerlo, e che
quando il terreno è troppo leggiero, di renderlo più forte, ingrossandolo coti
concime ben consumato; il letame di vacca, per esempio, con marna frammista
ad argilla. Queste preparazioni del terreno sono necessarie sì pel tabacco, che
pel formento, il mais ecc.; La quantità del concime indispensabile è relativa
alla specie di letame, alla condizione ed alla natura del terreno. Basta il
fare osservare, che si concimano le terre a tabacco, come la terra a for-
mento.
Lavorando il terreno a mano, si ponno formare piccoli monticelli di terra
la cui base sia di due o tre piedi di diametro. Anche collo stesso aratro si
disporranno i solchi larghi e profondi come quelli di un campo in cui si vo-
gliano piantare viti. Questi solchi tengono luogo di monticelli.
In tal guisa preparata la terra , e tosto che le piante hanno acquistato l'al-
tezza e la forza conveniente, si procede alla piantagione , purché sia dopo
una pioggia, essendo necessario il potere svellere le piante con tutte le loro
radici ed anche con una piccola zolla di terra e ben piantarle in un suolo
che non le essica. Può avvenire che non piova ; in questo caso bisognerebbe
bagnare bene il terreno, lo strato del semenzaio e bagnare anche le radici a
misura che si piantano. Si avrà pure attenzione di non dare troppo d'acqua;
è meglio bagnarle due volte.
Per piantarle, si fa un buco con un bastone rotondo che si curva sola-
mente nella sua parte superiore; s'affouda la pianta sino all'occhio, vale a
dire sino all'origine delle foglie e si ferma rincalzandola. Quando il terreno è
disposto a piccoli monticelli , si mette una piauta nel mezzo di questi ;
quando è disposto a solchi ravvicinati, si dispongono le piante a due piedi
almeno di distanza l'una dall'altra, lasciando alla piantagione la forma di
zig-zag ; quanto meno è buono il terreno le piante vonuo essere più distanti.
Avvienealcune volte che la siccità odi geli tardivi fanuo mancare alcune piante',
si sostituiscono allora con massima precauzione.
Il campo è neceisario tenerlo sempre proprio, vale a dire pulirlo delle erbe,
3 iO
sarchiellandolo quanto è necessario: per lo meno Ire volle, secondo richiede il
bisogno.
OikibJo le piante del tabacco hanno un piede e mezzo di altezza, lo che
avviene sei settimane dopo la piantagione , si rincalzano. Quest'operazione si
può fare con una stretta zappa o con altro istrumenlo appropriato.
Quando si scopre su ciascuna pianta del tabacco un nodo che è il princi-
pale del fiore, è necessario toglierlo, o scoronare la pianta, tagliandole la
sommità in modo, che non vi restiuo che dodici o quattordici foglie; allora
la pianta ba ordinariamente l'altezza di due piedi. Questo scoronamento de-
termina il getto dei diversi germogli all'ascelle delle foglie; anche questi hi-
sogua toglierli, per quanto è possibile, a fine di concentrale il succo nelle fo-
glie, che costituiscono l'oggetto principale della coltura.
Per avere poi del seme si lasciano alcuni individui nel campo senza scoro-
narli. Bisogna lasciarne pochissimi, se non bassi intenzione di vendere il seme;
perchè un bel individuo di tabacco può servire per seminare un campo
(arpenV). Si lascia venire a semenza gli individui più vigorosi, cioè le prime
piante e non quelle che pel caso fossero state sostituite dopo la piantagione.
In Olanda gl'individui destinati pel seme si spogliano perchè tutto il sugo si
porti nel seme; e non si raccolgono questi individui che quando le capsule
divengono nere. Allora si tagliano e si sospendono all'aria sino alla prima-
vera. I grani acquistano tutta la loro qualità e si conservano meglio lascian-
doli entro le loro stesse capsule.
A riguardo del tabacco scoronato , come quello che deve fornire il vero
tabacco, si riconosce, che le foglie sono mature per la raccolta, quando inco-
minciano a perdere il vivo della loro verzura, che le caratterizza, per pren-
dere una debole tinta giallognola. In questo tempo penzolano verso terra e
spandono il loro profumo ad una certa distanza : ed appaiono sulle loro su-
perficie alcune piccole macchie e le loro costole facilmente si rompono sotto
le dita.
Tutte le foglie non maturano in pari tempo; perciò non si devono con-
temporaneamente raccogliere; s'incomincia per le inferiori e si va ascendendo
.sullo stelo. Per questa cagione, in alcuni paesi se ne distinguono tre qualità;
le più slimate sono le superiori. Nelle buone colture e nelle migliori fabbri-
che si mettono a parte queste tre qualità.
A misura che si raccolgono, si posano le une sulle altre e più propria-
mente per quanto è possibile, e si mettono a seccare.
Le foglie del tabacco s'infilzano con un grosso filo per sospenderle, ed io
guisa, che uua foglia non tocchi l'altra.
Le foglie di prima qualità essendo più spesse e più grosse delle altre ric-
chiedono maggior tempo per essere seccate; quindi è necessario raccoglierle
le prime, perchè possano seccare anch'esse.
Quaudo il tempo è nuvoloso od umido, è necessario di tener fuoco nei
seccatoi, affine d'impedire la fermentazione delle foglie; al contrario, quando
è secco, bisogna guardarsi dall'acceudere fuoco.
L'abitudine mostra il tempo vero della perfetta disseccazione del tabacco. Se
tosse troppo secco perderebbe di suo profumo ; se troppo umido, fermenterebbe.
311
Si potrebbe dire che il tempo |>iù cerio è quando, serrando nelle mani un
pugillo di foglie, riprendono il loro volume senza rompersi tosto che si riapre
la mano.
Quando le foglie sono sufficientemente secche si mettono le une sopra le
altre in modo ila formare un quadrato, frammezzo al quale si lascia uno
spazio vuoto necessario per lasciare libero il vapore che da! mucchio delle
foglie s'eleva; quivi si lasciano sette, olio o quindici giorni: dopo si coprono,
oppure si meltouo entro botti.
Operazione del tabacco prima d'essere messo in commercio-
— 1. Scella — S'incomincia dal separare le foglie ammuffite, perchè c< -
inimicherebbero il loro odore alle altre e ne renderebbero la rendita impos-
sibile. Prendesi un pacchetto di foglie, lo si scuote leggermente si slega;
si separano le foglie ad una ari una e colla palma della mano si nettano;
le foglie ben conservale naettonsi in mucchi separati , secondo che crederi
convenire a questo o quell'uso. Questo lavoro si fa ordinariamente da fem-
mine e gli ispettori sorvegliano continuamente, ed impediscono le piccole
frodi che si potrebbero usare. Le sue foglie patite sono poche e si gettanti
via intieramente. Se l'avaria provata non è mollo considerevole si procura
di lame qualche uso ed è preferibile il seguente. Si umettano prima leg-
gerissimamente le foglie patite' con acqua saturata di sale, e subito che vedes*
incominciare una fermentazione si voltano e si rivoltano ripetutamente per
esporle all'aria; poi se ne fanno delle pile, e si lancia progredire la fer-
mentazione; conviene però vegliare accuratamente che non progredisca di
troppo ; e quando si vede che la temperatura s'innalza oltre il grado con-
Tenienle, si scioglie la pila e si espongono all'aria le foglie. Fattasi quesiti
operazione, s'irrorano le foglie con aceto di vino bianco, cui non si può
sostituire alcun altro, perchè è il solo che riesca bene; si dispongono nuo-
vernente le toglie e se ne fanno delle altre pile. Si lasciano così per circa
24 ore; poi si scioglie la pila e si espongono all'aria nuovamente le to-
glie; si stratificano in questo stato dopo avervi aggiunto 5a6 per 100 dl
sale marino e averle ben rimesciute e fattone nn solo ammasso, si lasciano
macerare per 24 ore. Si assicura che più di 200 migliaia libbre di tabacco sj
ricuperarono dall'avaria con questo metodo. Tuttavolta sarebbe vantag-
gioso per mettere in commercio un simile tabacco, mescerlo con una certa
quantità di quello che non provò alcuna alterazione.
L'operazione più importante è senza dubbio quella di umettare le foglie a
grado di renderle molli e disporle in mucchi per far loro provare un certo
grado di fermentazione che sviluppi le qualità del tabacco e lo renda piccaute.
Si fa questa operazione ordinariamente in una stanza a piano terreno. Dis-
ponesi un primo strato di foglie; s'irrorano con acqua salata a 24 gradi
dell'areometro; sopra questo strato se ne estende un secondo, che s'irrora
egualmente ; quindi un terzo e cosi di seguito, finché siasi riunita in un solo
ammasso una grande quantità di foglie del peso di molte migliaia di libbre ì
si lasciano in tale stato per tre o quattro giorni secondo la temperatura della
stagione e la qualità del tabacco.
Per comprendere quello che avviene in tale operazione, è utile sapere, che
342
il sapore ammoniacale, essendo il veicolo di alcuni odori ; lo è specialmente
del tabacco e del muschio. Diffatti prendasi una foglia di nicoziana verde e
si stropicci fra le dita , non si manifesterà che un odore erbaceo comune a
molte piante ; ma se invece si macina in un piccolo mortaio, questa foglia,
con un poco di calce polveriizata o di potassa caustica, sviluppa tosto uà
odore di tabacco.
Se prestiamo attenzione ai risultati dell'analisi superiormente indicata, ve-
diamo, che il principio acre non si manifesta nella distillazione coll'acqua, se
non quando aggiungesi della potassa e dell'ammoniaca, e che esiste nella ni-
coziana una certa quantità di ammoniaca ; in conseguenza il principio odoroso
di questa pianta nou può svilupparsi che per l'influenza del vapore ammo-
niacale; ed è tanto vera quest'asserzione, che, se si satura con un acido secco,
come l'acido tartarico, l'alcali che trovasi in eccesso nel tabacco ordinario, il
suo piccante totalmente dileguasi. Perciò non v'ha dubbio, che per rendere
odoroso il tabacco è necessario privarlo dell'eccesso di acido, e sostituirvi uà
eccesso di ammoniaca. Questo appuuto è quello che avviene quando si sotto-
mette alla fermentazione. La nicoziana contiene molta materia azotata, una
porzione della quale si separa col succo della fecola verde e un'altra rimane
disciolta nel succo slesso feltrato, e si può separarla col calore che la coagula.
Questa sostanza azotata si decompone progredendo la fermentazione e fornisce
dell'ammoniaca ; le prime proporzioni che si sviluppano servono a saturare
l'acido libero contenuto nella pianta, e subito dopo la stessa ammoniaca rende
manifesto l'odor dui tabacco. Ciò posto , perchè adoprasi acqua salata e non
acqua pura? Noi crediamo che il sale moderi la fermentazione a segno che si
possa regolarla e arrestarla quando conviene, mentre con l'acqua pura la fer-
mentazione progredirebbe in modo, che non potrebbesi moderarla e non ot-
terebbesi in Gne che del terriccio. E tanto più importante regolare e moderare
questa prima fermentazione, perchè non è la sola che il tabacco deve prova-
vare , come vedremo in appresso.
Alcuni fabbricatori di tabacco pretesero, che l'acqua del mare fosse prefe-
ribile all'acqua salata arti6cialmeule, perchè essa contiene dei soli delique-
scenti che mantengono nel tabacco una conveniente umidità. Un'altra opera-
zione ricbiedesi, ed è quella di togliere alla foglia il nervo, ossia la costa
centrale. A ciò ordinariamente impiegansi femmine e fanciulli; uella stessa eeca-
sione si cernono nuovamente le foglie e metlonsi da parte quelle che sono
più larghe e più forti. Queste foglie scelte si pieghino lungo la costa, perchè
siano più resistenti e non si lacerino spogliandole. Si mettano in serbo per
coprire il tabacco ridotto in sigari.
Le foglie privale della loro costa si portano nuovamente nella stanza o»e
hanno fermentalo e quivi si fanno i miscugli delle differenti specie di tabacco
in proporzioni soventi diverse, secondo la quantità particolare di ciascuna, e
secondo che crede meglio la persona incaricata di questa parte di fabbrica-
zione- Quest'opera non può venire affidata che a persona espertissima uella
fabbricazione dei tabacchi, essendo necessario, che si sappiano distinguere tutte
le differenze che caratterizzano ogni qualità e comporre coi diversi miscugli
una qualità media e costante. La riputazione della fabbrica dipende da questa
U3
sorta d iiiHllerabilllà. Il tabacco a proviene da San Malo; le sue foglie sono un poco untuose, di odore de-
bole e in qualche modo soave. Il Carolina è meno untuoso della Virginia,
ina dopo il Manìand è quello che stimasi maggiormente ; esso ba un odore
manifesto di buon tabacco.
Quando si crede che la fermentazione sia giunta al punto conveniente, si
taglia il tabacco da pipa con uu coltello, e si arriccia in sottili correggie di
2 o 3 linee di larghezza, si fanno seccare su piastre di rame riscaldate col
vapore. Le sottili correggie seccandosi, s'increspano e fauuo il tabacco crespo
da pipa. Appena seccato trasportasi in apposita stanza, ove mettesi in pacchetti
di carta del peso di uua libbra, i quali si suggellano sotto e sopra. Questo
lavoro si fa con uua celerilà maravigliosa.
Parte di questo tabacco crespo trasformasi in una specie di corda, il cui la-
voro richiede molta destrezza. Si comincia ad avvolgere il tabacco crespo in
una mezza foglia di tabaceo ruotandola colle dita. Questa specie di ruotalo si
torce con uua macchina ; poi all'estremila di esso se ne aggiunge un altro
quindi un terzo ecc., sempre iu modo che le commettiture non appariscano;
e inoltre necessario che questa corda di tabacco sia dovunque di eguale gros-
sezza, assai consistente inleruameute, liscia e ben tesa all'esterno, di colore
bruno uniforme per tutta la lunghezza.
Per dare alle foglie maggiore pieghevolezza e facilitare il lavoro della corda
s'impregnano di una piccola quantità d'olio d'oliva; è necessario di evitare
die quest'olio abbia il menomo odore, nemmeu quello della stessa oliva, per-
chè il tabacco s'impregna facilmente di qualunque emanazione. Parie di que-
sto tabacco iu corda mettesi iu commercio per chi è avvezzo a fumare; un'al-
tra paiie udupiasi per fabbricare il tabacco in carota e si procede nel modo
seguente : prendesi il tabacco iu corda, si taglia in porzioni di eguale lun-
ghezza e poi mettesi iu quaolilà bastaute iu iitampi di legno cerchiali di ferro,
344
che rappresentano due metà di tronco di cono, e si sottomettono ad una forte
pressione; tratti dallo stampo si legano con funicelle fortissime. Questo ta-
bacco si conserta in un magazzino, ove prova una sorta di fermentazione più
lenta; e quando credesi al grado di fermentazione voluta, si riduce in polvere
colla raspa ila tabacco. Questa preparazione si fa specialmente per quelli che
desiderano di polverizzare da se stessi il tabacco.
Polverizzazione del tabacco. — 11 tabacco che si polverizza nella fab-
brica, prendesi subito dopo provata la seconda feimentazione e seccato: si fa
discendere dalle stanze superiori per luoghi sacchi; ciascuno dei quali corri-
sponde inferiormente ad un molino posto verticalmente, messo in moto da
un asse verticale che termina nella parte superiore in una leva orizzontale.
Moltissimi di questi molini sono disposti longitudinalmente in una vastissima
officina ; tutti messi in moto da una macchina a vapore; e le ruote sono com-
binate in modo da far descrivere a ciascuna di esse una semirivoluzione in
un senso, ed una nell'altro opposto. Il tabacco a tal modo si macina, o più
tosto si stritola con una specie di movimento di va e viene che non permette
al inolino di riscaldarsi. L'asse di ciascun molino con un meccanismo assai sem-
plice si può arrestare. A proporzione che il tabacco è macinato cade dal fondo
degli stessi molini ed entra in un serbatoio comune, dove con un particole
meccanismo viene versato per porzioni sopra «lei larghi stracci, che vengono
messi in moto dalla macchina stessa; per guisa che le parti più grossolane
ascendono alla superficie, mentre la polvere più Gna passa a traverso la tela
dello straccio e raccogliesi separatamente.
Fattasi la polverizzazione, si sottomette il tabacco a fermentare di nuovo,
il che compie tutte le fermentazioni precedenti. Nelle fabbriche ordinaria-
mente poste al piaB terreno si costruiscono dei grandi depositi di legno di
quercia divisi con forti separazioni ; ciascuno di questi depositi ha due aper-
ture: l'una laterale che serve di porta, l'altra superiore per la quale s'intro-
duce il tabacco. La capacità di queste grandi casse è tale, che vi possano ca-
pire molte migliaia di libbre di tabacco in polvere. Riempitone il deposilo si
chiudono perfettamente le due aperture e si mette un'iscrizione indicante il
giorno. Da ciò vedesi che in questo deposito deve il tabacco provare ancora
un'altra fermentazione assai lenta per mancanza d'umidità. Per altro essa è
assai manifesta e la si favorisce in altre, mautenendo questi luoghi ad una tem-
peratura elevata, mediante dei tubi a vapore e preservandoli dal freddo con
doppie finestre. Il tabacco in tale situazione si riscalda , il che tende a de-
comporre i principii più alterabili e sovrattutto le sostanze azotate. Di qui
nasce la produzione dell'ammoniaca e l'esaltazione dell'odor del tabacco; ren-
desi anche libera una certa quantità di carbonio dal quale ne deriva il colore
nerastro. È evidente che non converrebbe lasciare progredire questa reazione
perchè continuerebbe fino alla distruzione della materia organica. Perciò dopo
qualche tempo si visit3BO questi deposili, e se trovasi che sieno troppo ri-
scaldati, se netrae la polvere e si espone all'aria; tutto questo richiede molta
sopravveglianza ed attenzione.
A dir vero, i buoni risultati si ottengono più facilmente nelle manifatture
del governo, nelle quali nulla risparmiasi e i direttori uou hanno alcuno io.-
* 345
•eresse (l'infunare il pubblico. Se da nn cnnto il fabbricatore privalo per
meritare una preferenza procurava di ottenere migliori prodotti, dall altro
la cupidigia, il bisogno di utilità concorrevano troppo a defraudare il pubblico,
e ad immaginare sostituzioni pericolose.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di nicoziana tabacco. 2. Foglia. 3. Pistillo.
V Base della corolla su cui sono inserti cinque stami d'ineguale grandezza. 5. Frutto.
6. Lo slesso taglialo traversalmeute. 7. Grano della grossezza naturale.
8. Grano ingrossato.
346
TABACCO RUSTICO
ISicotiana rustica, Linn. spec. 258. Pentandria monogioia. — Juss. class 8,
ord. 8 Solanacee. — Decand., fior, frane. 2687. — Roqu. phytog. med.
tom. 1, pag. 443, tab. 42.
La nicoziana rustica è pure una specie di tabacco originaria
dell'America, ma che così facilmente si è riprodotta in Europa
da potersi dire indigena in tutti i climi. La si coltiva in
alcune provincie meridionali di Francia, d'Italia e v. altri paesi.
Le sue foglie olezzano un odore molto nauseabondo e sono al-
quanto glutinose, amare ed acrissime.
La nicoziana rustica ha uno stelo ritto, cilindrico, vellutato,
che s'erige all'altezza di tre e più piedi. Esso è ramoso verso la
sua sommità e ciascun ramo porta un panicolo di fiori gialli.
Le sue foglie sono alterne, ovali, ottuse, coperte d'una lanug-
gine finissima e sostenute da corti picciuoli d'un verde oscuro.
I fiori, d'un colore verdastro o d'un giallognolo pallido, nascono
all'estremità dello stelo e formano un panicolo alquanto serrato.
Ciascun fiore è composto di un calice ad un sol pezzo, legger-
mente velloso e frastagliato in cinque lembi ovali; duna co-
rolla col tubo gonfio e vellutato, appena più lungo del calice, e
rinserrato da uno strangolamento al dissotto del lembo, il quale
è corto ed orbicolare, non che diviso in cinque frastagliature
quasi rotonde ; di cinque slami. A' frutti succedono capsule ro-
tonde, a due logge, che contengono molti piccoli semi nerastri.
La nicoziana rustica, delta dai Francesi Nicotiane rustique,
vuoisi che sia la prima specie che siasi trasportata dall'America
in Europa ; checche ne sia, essa, come già dissimo, si rese quasi
fi
wxx? ?s/<;
/s/:^
347
indigena, e coltivasi facilmente sotto ogni clima nel modo slesso
che abbiamo detto della specie sopra descritta.
La nicoziana mitica che è pure dessa annoverata fra le piante velenose,
e che vuoisi ragionevolmente al grado di velenosità della specie sopra detta,
non che di tulle le altre specie del genere nicoziana, ha uu odore nausea-
bondo, amaro, ed adissimo. È probabile che sia composta degli stessi princi-
pe che la nicoziana tabacco. Non conosciamo analisi instituite su questa specie:
serve agli slessi usi, sia dal lato economico, che dal lato medico.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di tabacco rustico, i. Calice, corolla, stami. 3. Capsula o fratte.
318
ALCHECHENGI
Solannm vesiearium, Bauli p!n. lib. 5, sect. t. — AlLekengi oiHcinanim,
Tourn. class. 2 infondihalifórmi. — Pliysalis alk^kengi^ Limi, class. 5, Pol-
iandria moooginia. — Juss. class. 8, orci. 8 Solanacee. Poi rei, fior. niecl. Ioni. 1,
lab. 16. — Ridi., bot meJ ., tom. 2, pag. 294.
Questa pianta annuale, che cresce nelle campagne, nelle
vigne , ed in molti luoghi ombrosi di varie parti d'Europa ,
specialmente d'Italia, di Spagna, di Francia, trovasi pure nel
Giappone. La sua radice articolata getta qua e là libre sot-
tili che serpeggiano a notevole distanza. Questa radice da
origine a varii fusti deboli , rotondi, vellutati , rossastri, che
si dividono in varii rami e che s'innalzano all'altezza di mezzo
metro. Le sue foglie rassomigliano a quelle del solano nero,
ma sono molto più grandi: gemelle alla loro inserzione, e
portate su lunghi picciuoli, non hanno tutte la stessa forma;
alcune sono intiere , altre leggermente sinuose', altre ancora
alquanto ottuse; la maggior parte però sono ovali ed acute.
1 fiori sono d'un bianco pallido o giallastro, solitarii, ascel-
lari, sostenuti da peduncoli assai lunghi, meno però dei pic-
ciuoli delle foglie. Ciascun d'essi offre un calice monofillo,
diviso sino alla metà in cinque parti acute , che rendonsi
membranose e vescicolari, acquistando un colore rosso bril-
lante a mano a mano che s'avanza verso la sua maturità. Vuoisi
che l'alchechengi debba a questo gonfiamento vescicoloso del
calice il nome generico di Phisalis o bolla, e la sua deno-
minazione francese di Coqueret; frutto racchiuso in un guscio,
d'una corolla rotacea monopetala , a tubo corto, a lembo quasi
piano, diviso in cinque parti larghe ed acute ; di cinque stami
conniventi, meno lunghi della corolla: d'un ovario supero,
t'/rS S Sf/f
3*9
rotondo, sormontato da uno stilo della lunghezza degli stami,
a stimma ottuso. Il frutto consiste in una bacca globosa, bi-
loculare, chiusa nel calice gonfio, contenente varii semi ap-
piattiti e reniformi: questa bacca, che altro non è che il pi-
stillo divenuto frutto molle, rosso, carnoso, chiuso nel calice
divenuto vescicoloso, dapprincipio verde, poscia rosso matu-
rando, sembra a una piccola ciliegia; matura alla fine d'au-
tunno ed anche sul principio d'inverno, onde il nome di Ci-
liegia d'inverno, che ebbe dagli Inglesi.
L'alchechengi chiamasi dai Francesi Alkekenge, Coqueret;
dagli Spagnuoli Alkekenge, Aìqnequenje, Vexica de peno; dagli
Inglesi fVmler-chcrnj; dai Tedeschi Sudenkirschen ; dagli Olan-
desi Blaes-kemser.
Questa pianta, sebbene congnissima in tutti i siti, come
abbiamo accennato di sopra, coltivasi pur anche in qualche
giardino pel piacevole aspetto delle sue bacche. Alligna in
qualsiasi terreno purché sia ben esposto ; si moltiplica semi-
nando i suoi grani di primavera. La sua coltura è facilissima.
Raccolte con precauzioni le bacche di alchechengi, hanno un sapore aci-
dulo; se vengono a contatto del calice, acquistano to>to l'amarena propria
di questo. In Lpagna, uella Svizzera ed iu molte parti d'Alemanna, al dire
di Piiiret si servono le bacche in discorso sulle tavole come gli altri finiti
aciduli. In alcuni casi i medici prescrivono le foglie, ma più spesso le bacche^
Esse sono diuretiche e si credono anche leggermente anodine; ponno perciò,
giusta l'opinione di Chaumeton, determinare maggiore secrezione d'orina senza
stimolare gli organi secretorii di questa ; lo che le rende molto appropriate iu
alcune affezioni dei reni e della vescica.
Dioscoride le ordinava nell'istero e nell'iscuria, ed asserisce d'averle tro-
vate vantaggiose nell'epilessia. A rnaud di Villanova che rimise in uso questa
pianta lungo tempo abbandonata, dice d'avere vinto un'iscuria ribelle a lutti gli
altri soccorsi. Alcune bacche di alchechengi prese in ciascuna settimana bastarono,
al dire di Ray, onde prevenire gli accessi d'una gotta ostinatissima; e molli
idropici guarirono sotto un tal metodo, che Gilibert confessa «l'averlo pure
trovato vantaggioso. Questo pratico consiglia non solo di mangiare il frutto,
ma di bere anche il sugo semplicemente espresso e depurato per mezzo del-
l'ebollizione, o fermentato con sugo d'uva. James raccomanda l'applicazione
delle foglie e dei frutti di alchechengi sulle eresipole maligne.
Le bacche di alchechengi, sunu oggidì poco usate ; formano uno degli iu-
350
predienti dello sciroppo di rabarbaro composto di alcune farmacopee. I Irò-
ciscbi immaginati dal polifarmaco Mesue e vantati come litontriGchi dal cre-
dulo Lister, non sono più in uso.
Il alcuni paesi usano di colorire il butirro col sugo di queste bacche. Pra-
tica iunocentissima.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di alchechengi. m. Fiore inliero. 3. Corolla onerrata dal lato del lubo.
4. Catte* « pistillo. 5. Siame. 6. Frutto aperto. 7. Frutto tagliato oriiiootaliutiite.
/, //,f,u,> /".>,>,■'
351
VERBASCO
Veibascum mas latifolium liiteiim, Banh. pin. lib. 6, sect. 6. — Tourn.
c'as<. 2, infoudibuliforme. — Verbascnni thapsus, Lina, class. 5. Pentandria
mone-gioia. — Juss. class. 8, ord. 8 Solanacei». — Poiret, fior, roed., tom. 2,
lab. 7*. — Rich., bot. med., tom. 1, pag. 29*.
Secondo Gilibert, il verbasco sarebbe originario dei paesi
caldi, ove s'eleva persino all'altezza di sei piedi, mentre nelle
contrade fredde perviene appena al terzo di quest'altezza. Esso
costituisce un genere , che, secondo Boissieu, sarebbe uno di
quelli che formano il passaggio della penlandria alla didinamia
angiospermia. Gli stami sono in numero di cinque; ma, come
nella didinamia, sono ordinariamente ineguali, ed i lobi della
corolla sono irregolari. La corolla del genere Celsia è perfet-
tamente simile a quella del verbasco, ma gli stami sono didimi.
Vuoisi che la denominazione di Verbascum sia un'alterazione
del nome Barbascum, che esprime la barba od i peli di cui
tutte le parti ne sono coperte.
Il verbasco lasso è una pianta bienne che incontrasi fre-
quentemente nei luoghi incolti e lungo le strade di tutta l'Eu-
ropa ove comincia a fiorire verso la metà dell'estate. La sua
radice, biancastra, dura e quasi legnosa, s'impianta assai pro-
fondamente nel suolo, gettando qua e Ih radichelte. Il suo fusto
è semplice, dritto, affilato, assai carnoso, alto due a quattro
piedi, coperto d'una lanuggine grigiastra molto densa ; le fo-
glie radicali sono amplissime, rasenti terra e disposte a mo'
di rosa, sostenute da corti picciuoli ; le cauline meno volumi-
nose sono alquanto aperte, sessili, ed anche decorrenti sullo
stelo ; queste foglie sono alterne, ovali oblunghe, coperte d'una
densissima lanuggine ; le superiori per ultimo sono quasi lan-
332
ccolate. I fiori sono gialli, grandi, disposti in ispica semplice
molto allungata, posta all'estremità del fusto ; il calice e to-
mentoso, a cinque divisioni acute; la corolla è ruotata, a tubo
corto, a lembo quasi piano, diviso in cinque lobi rotondati, ine-
guali: i cinque stami sono ineguali, a filetti coperti di peli
bianchi, ad antere reniformi e traversali : l'ovario è ovoide, co-
tonoso, sormontato da uno stilo obliquo, più lungo degli stami;
il frutto è una capsula cotonosa, ovoide, biloculare, che rin-
chiude un gran numero di semi piccoli, irregolari e sagrì-
nati.
Il verbasco chiamasi dai Francesi Bouilhm blanc, Moline,
Bonhomme, Herbe de Saint-Fiacre; dagli Spagnuoli Gondolobo,
Verbasco ; dagli Inglesi Mullein high taper cow's lungwort ; dai
Tedeschi JVollkraut, Koenigskerz, Eimmel brand, Velke; dagli
Olandesi PFollf-hruid; dai Polacchi Dziewanna.
11 genere verbasco ne contiene oltre la sovra descritta spe-
cie, molte altre; le principali sono le seguenti :
Il Verbasco nero (Verbascumnigrum,Lmi\.), che è la più bella
pianta del verbasco bianco, ed il sugo dei suoi fiori è ricer-
catissimo dalle api, sembra che contenghi qualche cosa di
particolare che non le altre specie; perchè i bruchi che suc-
chiano sui fiori di questa specie, non si veggono mai su quelli
del verbasco bianco.
Il Verbasco licnite (Vcrbascuni hjchnilis) è altra specie, i cui
fiori e specialmente la radice furono considerati da molli autori
antichi come anlisterici.
La Blataria (Verbascum Malaria, Linn.), è pure altra specie
di verbasco i cui fiori servono agli stessi usi del verbasco
tasso.
Collocalo il verbasco nell'ordine naturale a lato del giusquiamo , del ta-
bacco, e dello stramonio, del pari die tutte le altre specie del suo genere,
forma un'osservabile ecceiione alle proprietà narcotico-acri delle altre piante
della famiglia dei solani. In l'atti, lun<:i dall'avere il sapore acre e nauseoso,
l'udore: viroso delle altre p'uule della stessa famiglia, il verbasco lasso manca
353
di odore, è quasi insipido ed essenzialmente emolliente; uon di meno di (ale
dissomiglianza di proprietà non è tale che non si rinvengano nella specie di
verbasco alcune traccie dei principi] che predominano in tolte le altre sola-
nacee; infatti il verbasco tasso, oltre la sua proprietà emolliente possiede un'
azione leggermente narcotica e sedativa.
Dietro l'analisi instituita da Moria, i Cori del verbasco contengono i se-
guenti principii :
1. Un olio volatile giallastro.
2. Una materia grassa acida analoga all'acido oleico.
3. Acidi malico e fosforico libero.
4. Malato e fosfato di calce.
5 Aceto di potassa.
6. Zucchero incrislallizzabile.
7. Gomma.
8. Una materia grassa verde dotata dei caratteri della clorofilla.
9. Un principio colorante giallo, che deve essere riguardato come ma-
teria particolare , classificalo fra le sostanze coloranti di natura resinosa.
IO. Alcuni sali minerali.
Tutte le parli del verbasco sono emollienti, e la loro innocuità è un ec-
cezione molto osservabile, come già dissimo, nella famiglia dei solanr. I fiori
sono particolarmente dotati di qualità raddolcenti. L'odore gradevole che
esalano aumenta le loro proprietà becchiche. Si adoprauo in infusione tei-
forme nei catarri polmonari poco intensi. Bisogna passare l'infusione in una
tela fitta per separarne i piccoli peli ruvidi che coprono la base dei filett'
degli stami, e cagionerebbero meccanicamente un'irritazione alla gola. I fiori
di verbasco esigono essere prontamente disseccati e guarentiti dall'umidità
dell'aria atmosferica; senza queste precauzioni perdono facilmente il colore e
il profumo da cui dipendono le loro proprietà mediche.
In quanto alle toglie esse servono a fare decozioni emollienti con cui pre-
paratisi fomentazioni, lozioni, e clisteri , che adopransi con mollo profitto ne'
tenesmi e nella dissenteria, come nei dolori al podice cagionati dall'enfiamento
e dalla irritazione delle emorroidi.
« Il verbasco, scrive Gilibert, racchiude un principio narcotico mollo na-
scosto per non temerne cattivi effetti. La decozione delle foglie è ammirabile
pei clisteri, nei tenesmi e nella dissenteria: essa calma i dolori cagionati dalle
emorroidi. I fiori sono il migliore dolcificante nelle irritazioni della mem-
brana mucosa intestinale. La sua infusione leiforrne procura notevole solle-
vamento negli ardori del petto, nelle tossi convulsive dei bimbi, nelle coliche,
nella disuria; inGue, in tutte le malattie, la cui indicazione consiste nel mo-
derare gli spasmi, e l'eretismo ». Chaumetou asserisce pure d'avere osservato
effetti calmanti dalle foglie e dai fiori della pianta in discorso.
Al dire di Chaumetou, di Risler, gli alìittaiuoli della Corniola, dell'Irlanda.
della Norvegia riguardano il verbasco come un mezzo ottimo a debellare la
tosse del bestiame e prevenirne la consunzione. Hocheimer assicura , che il
verbasco è velenoso ai sorci.
Pretensesi che i suoi semi inebbriino i pesci, e the forniscano essi un
23
354
menu talvolta adoprato per pescarli più facilmente; lo cbe accerta GiliberS,
il quale asserisce pure, cbe le radici sminuzzate e mescolale colla farina in-
grassano prontamente i volatili.
Darobourney, Becblein, Willcb, lo annoverano fra le piante tintorie; e
Boisseu dice, che esso comunica alla lana una tinta analoga alla lana di Vi-
gogna. Risler, Durando, Gilibert e Peyrillbe, lo propongono per colorire i
capelli.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Pianta di verbasco tasso. 2. Calice e pistillo. 3. Corolla aperta. 4. Pistillo.
5. Capsula. 6. Frutto tagliato traversalmenle. 7. Grano della grandexaa Mluute
8. Orano ingrossalo.
355
FAMIGLIA 4hHA
OviWwt 10 e» Dsus, Liti». Diilinainia angiospeimia. — Juss. Acantacee. —
St-IIil., j>iabl. «le la France, tom. 1; lab. 2.
Le eleganti spiche dei fiori, ed il bel fogliame di questo
vegetale producono un effetto pittoresco nei grandi giardini e
nell'aiuole. Le foglie furono pure prese per modello di orna-
menti di scultura e di abbellimenti. Virgilio nelle Eneidi fece
l'ornamento della veste di Elena. Cresce in molle parti d'Europa.
Il suo stelo s'eleva a due o tre piedi all'incirca. Esso è sem-
plice, ritto, duro e terminato da una spica di fiori biancastri
tinti d'un bel colore rosso o violaceo. Le foglie sbucciano dalle
radici o dalla parte inferiore dello stelo: esse sono grandi, lar-
ghe, profondamente pinnatifide, liscie, lucenti, d'un verde al-
quanto oscuro e spinose sui margini. Il calice è a quattro di-
visioni ineguali, colorate e come labiate; la corolla consiste in
un grande petalo labiato, a corto tubo, munito di peli alla en-
trata: gli stami, in numero di quattro, sono inserti alla base del
petalo, questi sono muniti d'antere conniventi e vellutate nella
loro parte anteriore. L'ovario è libero, sormontato da uno stilo
lungo, terminato da uno stimma bifido. Il frutto consiste in una
capsula a due valve che s'aprono con elasticità, ciascuna delle
quali racchiude più grani.
L'Acanto spinoso chiamasi dai Francesi Acanto épineux ,
dai Greci Accintila, che significa spina, e questa denominazione
deriva dalle parole aU punta ed anthos fiore. Fiorisce nei mesi
di luglio e d'agosto.
. ?z&
t///s s/risf
361
Tulte !e partì dell'acanto spinoso contengono un principio mucilaginoso,
per cui s'adoprano come le foglie «Iella sovra descritta specie, sotto forma di
cataplasmi e di fomentazioni in quelle morbose affezioni, in cui sono com-
mendate le sostarne emollienti.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Acanto spinolo, z. Foglia. 3. Slami e base detta corolla. 4. Pistillo. 5. Fruito.
SI
302
ACANTO SAT1VO
Acniithits *ativu«, Doil. pag 7l9. — L«b 477. - Ger. 114. — Park.
992. — Ltigd. 1443. — Carduiis acanlhus. F. B. B.. 75. — Acanihiis laevis
Eyst, mormoracia elicla. — Acanlhus salivus, Moni. hist. hot. pracl. pag (50,
lab 37- — Linn. Didinamia angiospermia- r— Juss. Acantacee.
Questa specie di acanto è molto analoga alla prima ; anzi
alcuni la considerano come la medesima, mentre altri ne
fanno una varietà. Checche ne sia, questa sembra la specie di
cui fanno menzione gli antichi greci e di cui ne parlano Dio-
scoride e Plinio ; fu forse quella che venne presa per modello
per gli ornamenti delle colonne di Corinto ecc.
Questa specie comunissima in molte parli d'Europa, cresce
nei luoghi umidi, sassosi e simili. La sua radice è grossa, lunga,
serpeggiante, biancastra internamente, nera esternamente. Da
questa s'elevano molte foglie radicali, grandi, larghe, profonda-
mente pinnatifìde, liscie, lucenti, d'un verde alquanto oscuro,
pelose. Fra queste s'eleva uno stelo ritto, allo due o tre piedi
e terminato da una lunga spica di fiori bianchi con una leg-
giera tinta rosea ed alcune volte d'un colore violaceo ; le foglie
cauline hanno la stessa forma delle radicali, ma alquanto più
ristrette. I fiori sono composti di un calice a quattro divisioni ine-
guali, colorati, e quasi labiali ; d'una corolla che consiste in un
petalo grande, labiato, a tubo corto, munito di peli alla sua en-
trata ; di quattro stami con antere conniventi e vellutate alla
loro parte inferiore : d'un ovario libero sormontato da un lungo
stilo e terminato da uno stimma bifido. Il frullo consiste in una
capsula a due valve, le quali s'aprono con elasticità. Queste con-
tengono semi piccoli, oblunghi e nerastri.
3.9JT.
t i
'/?>//?' .stz/s
6 ZAt
363
Questo vegetale potrebbe essere anche coltivato nei giardini
quale pianta d'ornamento. È vivace, ma sensibile al freddo : è
difficile che perisca totalmente; tutti i terreni gli convengono,
preferisce però un suolo dolce e profondo. Si moltiplica semi-
nando i suoi grani, o separando le sue radici in autunno. Fio-
risce nei mesi di maggio, giugno e luglio.
Questa specie contiene pure od stico mucilaginoso come le sovra descritte:
quiudi può servire agli stessi usi.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Acauto satiro. 2. Fiore intronato. 3. Frutto aperto ingrossato'
4. Scene ingrossato.
*m$pr
301
FAMIGLIA 45" A
Otìvm \\0 Dicawà. — 99 Jvws.
PIANTAGINEE
•ìot»'^'
Costituiscono le piantagione una famiglia naturale di piante
dicotiledoni, che hanno un calice per lo più diviso in quattro
parti; una corolla di un sol pezzo inserta nella parte infe-
riore del pistillo persistente , munita di un tubo corto , ri-
stretto all'estremità e spesso quadrifida. Rinchiude questa quat-
tro stami coi filamenti saglienti inseriti alla base del tubo;
banno 1' ovario supero , munito di un pistillo portante uno
stimma semplice. Il loro pericarpio è una casella che si apre
orizzontalmente , unita o biloculare, le di cui logge conten-
gono uno o più semi i quali hanno l'embrione ritto e col-
localo nell'asse di un perisperma carnoso, quasi corneo, e la
radichetta inferiore.
Le piante di questa famiglia sono tutte erbacee; hanno
uno stelo di rado ramoso ; ma per lo più semplice, nudo e
scapiforme. Le loro foglie constantemente semplici, sono dor-
di nario radicali e qualche volta opposte. Iloro fiori, rade volte
declini, sono quasi sempre muniti di brattee e disposti in
lunghe spiche, ovvero riuniti in gruppi terminali.
La piante contenute in questa famiglia riescono pure os-
servabili per le loro qualità medicinali ; tultavolta i semi della
365
Plantago psyllium, e di molle altre specie vicine, contengono
gran copia di mucilaggine. Le foglie e le radici nel maggior
numero delle specie di questo genere, hanno sapore astringente,
come osserveremo in seguito.
Ventenat associa a questa famiglia, che è la IP della Vii*
classe del suo Tableau du règne vegetai ecc., tre generi, cioè
Phyllium plantago, Litlorella (Nouveau dict. dhist. nalur. tom,
XVIII, pag. 359),
36 6
PIANTAGGINE MAGGIORE
Planlago latifolia sinuata, Baub. pio. lib. 5, sect. 5. — Tour», class. Il,
sect. 2, gen. 3. — PlanLigo major, Liou. Tetraudria raoDoginia. - Juss.
class. 7, ord. 2 Piantagginee. — Poiret, flor. raed , tono- 5, lab. 275. — Decaud.
fior, frane, v, tona. ni.
Le piantaggini che costituiscono un genere, da cui la famiglia
ebbe il nome , hanno per carattere : fiori ermafroditi ; un
calice a quattro divisioni profonde; una corolla ipocrateriforme;
un germe sormontato da un pistillo e da uno stimma lubulato,
il cui frutto consiste in una pisside biloculare per ogni celletta,
nella quale stanno rinchiusi uno o più semi. Contiene il genere
diverse specie e varietà. Noi parleremo delle principali inco-
minciando dalla piantaggine maggiore.
La piantaggine maggiore, o a grandi foglie, è comunissima
nei prati secchi e nei terreni aridi, non che incolti, nei campi,
sui margini delle strade e simili. Senza apparenza di sorta me-
rita tuttavia pel suo portamento l'attenzione del botanico, che la
distingue a prima vista da tutte le altre piante dei campi ; i
suoi fiori numerosi, serratissimi, sono disposti all'estremità d'un
gambo in una lunga spica munita di brattee, rappresentando
un leggiero pennacchio, massime allorquando mostrasi tutta
coperta dei lunghi e numerosi filamenti degli slami.
Questa pianta fu conosciuta dalla più remota antichità;
vuoisi sia Temisone il primo che abbia introdotto il suo uso in
medicina. Dioscoride ne fa menzione senza però prodigare
elogi pomposi di sue proprietà; mentre Galeno, credulo oltre
ogni altro sulla possanza di molli medicamenti, le attribuì la
meravigliosa proprietà di disostrurre i visceri, di dissipare i flussi
/ ■
367
di far sparire le emorragie, di guarire le dissenterie, i flussi
di ventre e simili. Boyle credette pure di doverla segnalare
quale possente mezzo contro l'emaiemesi e l'emottisi ; e molto
tempo prima Celso e Plinio ne avevano raccomandato l'uso ai
tisici, e pretende Schulz d'avere ottenuto meravigliosi risultati
dal suo sugo associato al miele nella tisi polmonale e nella
l'ebbre etica.
Checche ne sia, la piantaggine fu sempre ascritta fra i me-
dicamenti , ed oggidì la sua acqua distillata occupa ancora gli
scafali delle nostre farmacie. Congnissima, come abbiamo già
detto, per ogni dove di tutta l'Europa, ha la radice composta
d'un tronco duro, grosso, quasi legnoso, munito nella parte in-
feriore di fibre cilindriche. Dal colletto di questa sbucciano fo-
glie stese in rosette sulla terra, peziolate, ovali o quasi roton-
date, ottuse, marcale da cinque a sette nervi veramente assai
distinti, coriacee, quasi glabre, leggermente dentate o sinuose
sui loro margini, alquanto decorrenti nel picciuolo solcato, e
screziato da alcuni peli rari. Fra questi s'eleva un gambo sem-
plice, cilindrico, leggermente lanugginoso verso 'la sommità,
allo cinque o sei pollici e più, terminato da una lunga e sot-
tile spiga, composta questa di fiori d'un bianco sporco serrali ,
ad eccezione degli inferiori che sono alquanto più distanti gli
uni dagli altri. Ciascuno di questi fiori è formato di un
calice a quattro divisioni profonde ; d'una corolla tubulosa di
un sol pezzo più grande del calice, a quattro lobi alla sua som-
mità; di quattro slami coi filamenti più lunghi del tubo della
corolla, colorati d'una leggiera tinta porporea ; d'un ovario li-
bero, sormontalo da uno stilo e da uno stimma. Le capsule che
risultano dai fiori, sono ovali, a due loggie separate da un tra-
mezzo che rendesi libero al momento della maturità dei semi.
Questi sono oblunghi, rossastri, in numero da selle ad otto, ade-
renti su d'un ricettacolo carnoso.
Questa pianta, come comunissima in tulli i luoghi, non si col-
368
tiva che negli orti botanici. Ogni terreno le conviene, come
pure qualsiasi esposizione Fiorisce nei mesi di giugno e di lu-
glio, ed è in frutto nei mesi d'agosto e di settembre. Fra le
varietà rimarcabili per la proporzione della loro grandezza se
ne riscontrano alcune, le cui brattee si prolungano in fogliole
oblunghe.
La piantaggine maggiore chiamasi dai Francesi Grand pian-
tavi, Piantavi; dagli Spaglinoli Lanten mayor; dai Portoghesi
Tanchagem mor ; dai Tedeschi Grosser wegerich; dagli Inglesi
Great piantata; dagli Olandesi Groote iceggbree; dai Danesi Nei
bred; dagli Svedesi Groblad; dai Polacchi Babka ; dai Russi Po-
puschnik; dai Persiani Kamasch; dai Calmucchi Tsc/tur.
La piantaggine d'acqua, detta alisma (Alisma plantago, Linn.),
non appartiene a questa famiglia, ma a quella delle alismacee.
La descriveremo a suo luogo ; diremo solamente che essa ha
molta analogia d'azione colle diverse specie di piantaggini. La
polvere delle radici è slata preconizzata come un rimedio infal-
libile contro l'idrofobia. Tuttavolta le osservazioni non sono nu-
merose, e positive per meritare una intiera fede.
La radice e le foglie della piautaggioe maggiore sono quasi inodore ;
il loro sapore è erbaceo, alquanto amaro e leggermente astringente; masticate,
imprimono alla saliva un colore rossastro e la loro infusione reudesi nera
quando vi si versa dal solfato di ferro. Non Lassi ancora un analisi chimica
dei priucipii che la compongono: contengono un principio astringente alquanto
manifesto. Nei semi poi raccbiudesi una grande quantità di mucilaggine : essi
rancidiscono facilmente e si rendono acri.
Le fìsiche qualità di questa pianta sono evidentemente troppo poco svilup-
pale per supporre che vi possano annidare grandi proprietà medicinali; egli
effetti contraddittori! che le si attribuirono, e le virtù esagerate od intiera-
mente illusorie che le vollero prodigare i troppo creduli autori, sono pure una
sufficiente prova della debolezza di sua azione.
Già abbiamo citato la credenza di alcuui autori antichi riguardo a questa
pianta; ora discorreremo dell'uso che moderni autori fanno tuttodì Essa non
è considerata che come dotata di proprietà leggermente astringente, ed anche
risolvente; per tale oggetto appuuto usasi nei collirii astringenti la sua acqua
distillata; ma nella, mag^iui palle sene soltanto di eccipiente per le sostanze
più attive.
3G9
Alcuui autori spiusero ancora la proprietà astringente delta pianta in discorso,
olire da compartirle la virtù febbrifuga, e d'essere perciò efficace contro tutte
le febbri intermittenti, ed anche contro le febbri nervose, pestilenziali ed altre
di cattiva indole, lo che le fece dare i titoli di possente febbrifugo e di eccel-
lente antipestileuziale. Il dottore Perret presentò pochi anni sono alla società
delle scienze di Losanna parecchie osservazioni sulla proprietà febbrifuga delle
radici di piantaggine maggiore, minore e lanceolata. Secondo quel medico, sì
tatto rimedio indigeno gli riuscì molte volte a bene nei casi di febbri inter-
mittenti semplici.
Esternamente, la decozione di questa pianta erbacea fu predicata vantag-
giosa come topica per la guarigione degli ulceri, delle fistole pcc. Borelli la
vautò coutro il cancro; ed altri la decantarono come atta a calmare i dolori
dei denti.
Frattanto, concbiude Chaumeton, quale confidenza meritano siffatte asser-
zioni, mancanti d'ogni sorta di prove? E quali conseguenze può dedurne una
mente esatta, se neppure l'alia opinione che si formarono da più secoli del-
l'azione delia piantaggine sull'economia animale, non è per anco in rapporto
colle sue proprietà reali ? Egli sarebbe certamente buonissimo, come nota giu-
diziosamente Murray, che la pretesa efficacia che le fu attribuita da Borelli
contro le affezioni cancerose fosse vera ; ma nessuna osservazione sfortunata-
mente ne confermò la realtà. Se alcune volte usossi vantaggiosamente della
sua decozione per la cura delle piaghe e delle fistole, dovrassi tutta la gloria
all'acqua che servì di eccipiente, e che è finalmente riconosciuta dai più abili
chirurghi come vulneraria per eccellenza?
Quanto all'uso cbe fanno le donne del volgo d'applicare le foglie di pian-
taggine sulle piaghe receuti, può forse tornare utile onde preservare le super-
ficie spoglie dal contatto dell'aria ; ma ben spesso la presenza di queste foglie
irrita la piaga , impedisce la riunione de' suoi margini e diviene mollo più noce-
vole, che non sarebbe il contatto dell'aria. Se febbri intermittenti guarirono
sotto l'uso esterno di questa pianta, è esso ragionevole l'onorarla del titolo dì
febbrifugo, allorquando l'esperienza ci dimostra cbe queste affezioni guariscono
alcune volte pei soli sforzi della natara ? Se le emorragie, le dissenterie devono
essere trattate, come è nostro avviso, coi dolcificanti, coll'astinenza e coi ri-
valsivi, quale confidenza può inspirare nella loro cura una pianta come la
piantaggine, le cui qualità amare e stiticbe, alcune volte deboli, equivalgono
almeno alle sue proprietà dolcificanti ? Inquanto ai flussi ed alle pretese ostru-
zioni contro cui raccomandossi questo vegetale , se sono acuti, richiedono
mezzi molto più direttamente dolcificanti ed in tutti i casi l'essenziale consiste
nel dislrurre le cause che lo mantengono : lo che non può la piantaggine
assolutamente fare-
La radice e le foglie di piantaggine furono amministrale in decotto da una a
due oncie in un litro d'acqua. Si fece per lungo tempo uso del sugo
espresso dalle foglie alla dose di due a quattro oncie. Si prescrissero i semi
come lassativi ed alla dose da uno a due dramme in decozione nel latte,
nel brodo, od altro veicolo. L'acqua distillata di piantaggine è alcune volte
adoprata anche nei collirii. come leggermente astringente, sebbene sia dessa
2i
370
totalmente inerte. Si fece per ultimo un estratto il quale è alquanto acerbo
e preparossi uq sciroppo che nou possiede virtù di sorta. Questi prepa-
rati però sono oggidì in disuso ; solo da alcuni chirurghi adoprasi ancora
l'acqua stillata quale veicolo od eccipiente.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Stelo di piantaggine maggiore. 2. Fiore intiero accompagnato dalla sua brailli
3. Corolla aperta ingrossata. 4. Pistillo. 5. Frutto intiero ingrossalo.
6. Frutto aperto. 7. Seme ingrossato.
tazvz&aaterie, ///ss^r
371
PIANTAGGINE MEDIA
Plantago media, Dod. pag. 107. — Plantago latifolia insana, C. B. pag. 189.
— Plantago media, Limi. Tetrandria monoginia. — Juss. Pianlagginee. —
St-Hil., plaut. de la France, toni. 4.
Questa specie di piantaggine cresce pure naturalmente in
tulli i luoghi secchi ed aridi di quasi tutta l'Europa. La sua
radice vivace, fibrosa, dura e divisa in molte radichette dà
origine a molte foglie radicali disposte a guisa di rosa sulla terra;
queste foglie sono ovali, rotonde, marcate da molli nervi,
munite di peli e leggermente dentate sui margini. Fram-
mezzo a queste foglie sbucciano alcuni gambi, che sosten-
gono una spica lunga, cilindrica , che porta molti fiorellini.
Questi sono composti di un calice a quattro divisioni pro-
fonde; d'una corolla col tubo di un sol pezzo, più grande
del calice , divisa in quattro lobi alla sua sommità , cogli stami
situati alla sua base e persistenti dopo la fioritura; essi sono
più lunghi del tubo; d'un ovario libero sormontato da uno
stilo e da uno stimma. Il frutto consiste in una capsula che
s'apre orizzontalmente, divisa con un tramezzo semplice, su cui
sta aderente d'ambo i lati un piccolo seme.
Questa specie, come la precedente, è rustichissima, co-
mune in tutti i luoghi; coltivasi però negli orli botanici e
si moltiplica o separando le sue radici, oppure seminando i
suoi semi. Fiorisce nei mesi di giugno, luglio ed agosto.
Quesla pianta chiamasi dai Francesi Plantain rnoyen; da-
gli Inglesi The hoanj plantain, Or lamb 's-tonque ; dai Porto -
ghesi Tanchagem mediana ; dagli Ungheresi Syoros uti-fu, ; dai
Tedeschi Mitlehvegerich, Kleiner.
372
Questa pianta, die contiene gii stessi principi! della sovra descritta specie,
serve agli stessi casi che quella, ed è commendala e adoprasi uegli stessi
modi.
-«SJSfeKe-
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. PiantaggUe media, ». Calice ingrossato. 3. Corolla e stami. 4. Pistillo
JM
■ C&eZ- / Z /ss,
SJ/s ,s//;,r,,
373
PIANTAGGINE MINORE
■+3'JH
Planlago minor, Dod. pag. 189. — Plantago angustifolia major, C. B. P.
— Plantago lanceolata, F. B. 503. — Plantago minor, Mor. tùst. bot. pract.
tav. 61, [>ag. 124. — Limi. Tetiandria monoginia. — Juss. Piantagginee.
La piantaggine minore è pure una specie congnissima in
tutti i luoghi secchi, come prati , pascoli , luoghi incolli ecc.
Rinviensi frequentemente lungo le vie, sui margini dei fossi,
non che all'intorno delle case diroccate e simili. La sua radice
è grossa, dura, fibrosa, nerastra esternamente e biancastra nel-
l'interno , munita di molle radichette serpeggianti. Dal colletto
di questa sbucciano parimenti molte foglie a mo' di rosa, di cui
però la maggior parte s'elevano; queste sono lunghe, alquanto
strette, acute all'apice, quasi lanceolate ; pubescenti nella super-
ficie esterna od inferiore, liscie alcune volte sui margini, altre
dentate. Frammezzo a queste s'elevano pure varii gambi più o
meno lunghi, del pari pubescenti, che portano una lunga spica
di fiori composti pure di un calice a quattro divisioni; di una
corolla tubulosa formata d'un sol pezzo, più grande del calice,
a quattro lobi alla sommità, persistente dopo la fioritura ; di
quattro stami inserti alla base della corolla, più lunghi del tubo;
d'un ovario sormontato da uno stilo e da uno stimma. Il fruito
consiste in una capsula che s'apre orizzontalmente e divisa da
un tramezzo semplice in due logge contenenti semi aderenti
più grossi che nelle altre specie. Fiorisce nei mesi di luglio e
d'agosto.
Questa specie di piantaggine, la quale contiene presso a poco gli stessi
componenti della sovra descritta , era molto in credito presso gli autori an-
374
tictii. Il suo sugo era raccomandato come astringente e vulnerario; adopravasi
(tarciò nulle ernie, nelle dissenterie, nell'emottisi, nella gonorrea, nelle me-
Irorragie ecc- Come vulnerario era applicato sulle ulceri, sulle ferite; ed era
Commendato assai per colino. Secondo Moris, questa specie meriterebbe d'es-
sere anteposta per i citati usi alla piantaggine maggiore. Fu per ultimo racco-
mandata molto nelle febbri intermittenti legittime.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Stelo di piantaggine minore.
, £T
*
375
PIANTAGGINE CORNUTA
Coronopus bortensis, C B. pag. 100. — Herba stella, Dod. pag. 1o9. —
Coronopus vulgaris sive comuni cemuum, Paik. — Plautago coronopus, Liuti-
Telandria monoginia. — Juss. Plantagiuee. — St Ilil. plani, de la Fi ance
toni' 4. — Mor. hist. hot. piaci, tal). 61, pag. 124.
Questa pianta si trova comunissiir.a sui terreni secchi ed
aridi di molte parli d'Europa, della Francia, d'Italia ecc. La
sua radice è oblunga, sottile, biancastra. Da questa sbucciano
foglie radicali che si dispongono pure a mo1 di rosa sul terreno
e variano molto nella loro forma, la quale per lo più è allun-
gala, più o meno larga e quasi pinnatifida, vale a dire manda
ai suoi margini grossi denti, che si suddividono in altri piccoli
a guisa delle corna del cervo ; onde il suo nome di Como di
cervo e Piantaggine cornuta ecc. Frammezzo a queste foglie s'ele-
vano alcuni lunghi gambi nudi, alquanto scabrosi, alla cui som-
mità portano una rotonda e lunga spica di fiori. Questi sono
pure composti di un calice a quattro divisioni; d'una corolla
tubulosa, petaloide, più grande del calice, a quattro lobi alla
sua sommità; avendo gli stami alla sua base e persistente dopo
la fioritura; di quattro stami molto più lunghi del tubo, sor-
montati da antere, la cui sommità è munita d'una membrana,
d'un ovario libero, unico, terminato da uno stilo e da uno stimma.
Il frutto consiste in una capsula che s'apre orizzontalmente
come una tabacchiera: essa racchiude il ricettacolo a quattro
facuie che formano quattro loggie, le quali contengono piccoli
semi aderenti alle loro pareti.
La piantaggine cornuta , delta volgarmente Piantaggine fra-
stagliata, Corno di cervo, (Capriola sanguinaria, chiamasi dai Fran-
376
cesi Plantain come de cerf, Come de cerf, Piantavi découpé, Ca-
priole, Sanguinarie; dagli Spagli uol i Hierba eslrella; dagli Inglesi
The bukshom piantarne the star of the carth; dai Tedeschi Der
krahenfuss-wegerich ; dagli Olandesi lìertshoorn.
Questa pianta coltivasi in alcuni luoghi come erbaggio e
suolsi quando è tenera mangiarla in insalata ; si moltiplica se-
minando i suoi grani nel mese di marzo in terreno mobile e
leggiero. Conviene però bagnarla frequentemente. I semi si con-
servano per due o tre anni. Fiorisce nei mesi di luglio e d'agosto.
Questa specie di piantaggine contiene gli stessi priocipii delle piantaggini
sovra descritte, quindi serve agli stessi usi ; appo i francesi e gli inglesi, è in
uso come diuretica e diaforetica.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
- Piantaggine corno di cervo. 2. Calice. 3. Corolla aperta. 4. Stame ingrossato.
5. Fruito intiero. 6. Frutto aperto. 7. Seme.
S/f/
377
SERPENTINA
Holesteum si lietissimo Colia majus, C- B. pag. 190. — Coronopus serpen-
tina, F. B. 3, SlO. Serpentina rnallb. — Lino. Telrandria raonoginia. — Juss
Plantaginee. — Morand- bist. bot. pract. tab. 61, pag. 124.
Questa specie di piantaggine fu delta da alcuni autori anti-
chi serpentina, perchè si credeva utile contro le morsicature
dei serpenti.
La serpentina è abbondantissima nei luoghi sabbiosi e sterili,
nei monti e colli di quasi tutta l'Europa, ha una radice annua
fusiforme, lunga, brunastra esternamente, biancastra nell'in-
terno. Dal colletto di questa sbuccia un numero immenso di
foglie strettissime, lunghe, lanceolate, quasi lineari, acutissime
alla sommità, pubescenti, di cui alcune s'alzano ritte, mentre
altre piegate verso la metà chinano esternamente. Dal mezzo
di queste sbucciano varii gambi più o meno alti, sebbene tutti
lo siano più delle foglie, cilindrici, pubescenti e portanti una
lunga spica di fiori come tutte le altre specie di sopra descritte;
questi fiori sono parimenti composti; di un calice a quattro divi-
sioni; d'una corolla tubulosa, d'un sol pezzo più grande del ca-
lice, divisa in quattro parti nella sommità, persistente dopo la
fioritura ; di quattro stami più lunghi del tubo ed aderenti alla
base della corolla ; d'un ovario libero, sormontato da uno stilo
e da uno stimma. Il frutto è pure una capsula tramezzata, che
s'apre orizzontalmente, e che in ciascuna loggia contiene un
seme aderente al tramezzo. Fiorisce in giugno e luglio.
Il Miosuro o Piantaggine dei muri [Myosurm carda mattina.
25
378
Dod.) è anche una specie di piantaggine che cresce sui muri
non che nei prati grassi ed umidi; rassomiglia molto alla specie
su descritta, salvo che è tutta più in piccolo, sia la radice e le
foglie, che i gambi, le spiche ed i fiori.
La Piantaggine arenaria (Plantago arenaria , Decand.) è al-
tra specie di piantaggine che cresce abbondantissima nei luo-
ghi sabbiosi, fra le messi di quasi tutta l'Europa. Questa è la
pianta figurata da Boulliard, nell'erbario della farmacia sotto il
nome di Plantago psyllium, ma che non è la stessa di quella
chiamata da Linneo. Per altro queste due specie non offrono
che una leggiera differenza e si possono sostituire indifferente-
mente una all'altra.
La piantaggine arenaria ha una radice annua, fusiforme ; un
fusto eretto, pubescente, ramoso, alto circa un piede; alcune
foglie opposte, sessili, strettissime, lineari, acute e pubescenti ;
i fiori piccolissimi, disposti in ispiche corte, ovoidi, portate su
peduncoli ascellari, verticillati ed accompagnati da brattee. Il
frutto è una pisside globulosa, piccolissima, racchiudente alcuni
semi piani da un lato, convessi dall'altro, bruni e brillanti.
Questi semi vennero paragonati ai pulci, per cui si è detta Erba
di pulci.
La Plantago psyllium e Plantago cynops, Linn., che nascono
abbondantemente nella regione mediterranea, hanno alcuni semi
simili a quelli della piantaggine arenaria; e dicesi, che gli abi-
tanti del mezzodì ne facciano un oggetto assai importante di
commercio. Essi li trasportano nel Nord, ove si fanno servire
a lavare le mussole e probabilmente ad altri usi poco cono-
sciuti.
La serpentina, che dagli antichi era usata contro la morsicatura dei ser-
penti, contro cui credevano esercitare una reale efficacia, come comprova il
nome compartitole , oggidì non è più usata ; o tutto al più adoprata per gli
stessi usi, ebe le specie di piantaggini sopra descritte. Lo slesso dicasi del
tniosuro, che gli antichi l'avevano quale refrigerante potentissimo.
I semi della piantaggine arenaria contengono molla mucilaggine, in colise-
379
guenza sono molto emmollienti ; tanto essa abbonda che una parte rende 48
parti d'acqua filtrate come il biauco d'ovo. Adopravasi altra volta a prepa-
rare i collirii raddolcenti, ai quali si sostituiscono oggidì i semi di lino o di
cotogno. Poco a presso la stessa quantità di mucilaggine contengono i semi
della Plantago psyllium, Linn.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
i. Serpentina.
FINE DEL QUARTO VOLUME
384
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL QUARTO VOLUME
«&$$@$af«3*
Nomi italiani
Nomi latini
ACANTACEE
Acanto molle
Acanto spinoso
Acanto salivo
Abrotano
Alcacbengi
Arnica
Artemisia volgare
Assenzio maggiore
Assenzio romano
Atropa belladonna
Balsamita odorosa
Bardana maggiore
Bardana minore
BORIiAGINEE
Borragine officinale
Borragine orieutale
Buglossa officinale
Calendola
Camomilla romana
Camomilla volgare
Camomilla saliva
Camomilla dei tintori
Cardo maria
Cardo benedetto
Carcioffo
Carlina acaule
Carlina acaule gommifera
Acanthus mollis, Linn. (1)
Acanthus spìnosus
Acanthus safivus
Artemisia abrofanum
Alhekengì physalis
Arnica montana
Artemisia vulgaris
Artemisia absinthìum
Absinthium punticum
Atropa belladonna
Balsamita odorosa Mor-
Arcthium lappa
Bardana minor
Borago offìcinalis
Borago orientalis
Anclmsa offìcinalis
Calendula offìcinalis
Anlhemis nobilis
Anthemis vulgaris
Anthemis arvensis
Anthemis tinctoria
Carduus marianus
Carduus benedictus
Cynana scolimus
Carlina acaulis
Carlina acaulis gum.MoR
Pag. Ta».
y» 357 393
» 360 394
v 362 395
* 61 391
» 348 319
y> 117 341
» 54 318
» 43 315
v 47 316
« 272 381
» 68 322
» 13 304
» 17 305
» 202
» 205 364
» 208 365
>> 210 366
» 139 344
» 89 330
» 94 331
* 96 332
» 98 333
» 19 306
* 21 307
w 23 308
» 7 301
» 9 302
(i)Qmndo non è indicalo l'autore della denominazione latina, s'intende sempre Linneo.
382
Ninnai italiani
A'oiui latini
Carlina volgare o caulifera
Cartamo
Ceni.iura maggiore
Cernito aspro
Ciano
CINALIOCEFALE
Cinoglossa olficinale
Cinoglossa di primavera
Clandestina d'Europa
Consolida
CON'VOLVULACEE
Con vii! volo Macoacan
COR1MBIFERE
Cresta di gallo
Cuscuta
Datura stramonio
Datura metela
Datura fastosa
Doronico maggiore
Dragoncella
Enula campana
Eutrasia
Eupatorio d'Avviceua
Gialappa
Giusquiamo nero
Giusquiamo bianco
Giusquiamo dorato
Giusquiamo di scopoli
Jacea nera
Mandragora
Margheritino gentile
Margheritino giallo de' campi
Margheritino autunnale
Margheritino giallo de' giardini
Margheritino Irutlicoso
Matricina officinale
Matricaria iudica
Millefoglio viscoso
Millefoglio comune
Millefoglio ptarmico
PIANTAGGINEE
Piantaggine maggiore
— Carlina caulifera Mou. ■»
— Cartamus linctorium w
— Centaurea centaurium w
— Cerintìie major, Var. »
— Centaurea Cyanus »
. . . . »
— Cynoglossum officinale t>
— Cynoglossum omphalodes »
— Lathea clandestina »
— Symphytum officinale "
— Convohndus Macoacan «
- Rhinanthus crista galli »
- Cuscuta Europea »
- Datura s trai noni um »
■ Datura metel, Roq. *
Datura fastuosa »
Doronicum pardolianches »
artemisia Dracunculus "
Inula Helenium »
Eufrasia officinale »
- Eupatorium cannabimmi »
Coni>oh> ulus ] 'alappa «
• Hyosciamus niger »
■ Hyosciamus albus »
Hyosciamus aureus »
Hyosciamus scopolia »
• Jaceanigrapratensis.,MoR.»
■ Atropa Mandragora »
Bellis perennis »
Chrysanthem. segetum, M ., •>■>
Chrysanthemum Indacum "
Chrysanthem. coronarium «
Chrysanthemum frutescens *
Matricaria parthanium »
Matricaria indica »
Achillea ageratum »
Achillea millefolium »
Achillea ptarmica *>
Pag
. Tav.
1t
303
26
309
26
309
227
312
36
314
5
213
367
216
368
197
362
218
369
147
164
381
39
200
363
114
354
305
386
313
387
315
388
127
343
63
320
123
342
194
362
134
345
149
349
289
382
299
383
301
384
303
385
34
313
226
380
106
336
109
337
111
338
113
339
115
340
100
334
104
333
76
326
78
327
82
328
Plantago major
» 366 396
383
Nomi itiiSiaeii
Nomi latini
Piantaggine media
Piantaggine minore
Piantaggine cornuta
Piretro
Polmonaria officinale
Polmonaria anguslifoglia
Rapontico capitato
Impolitico
RìlNANTOIDI
Santolina
Santolina cotonosa
Santolina millefoglio
Scamonea
Sehesle
Seme santo
Serpentina .
SOLANACEE .
Solano nero
Solano dulcamara
Solano tuberoso
Solano rnarigoano
Solano pomo d'oro
Tabacco
Tabacco rustico
Tanaceto
Tasso verbasco
Tussilagine olficinale
Tussilagiue odorosa
Tussilagine petasite
Veronica officinale
Veronica beccabunga
Veronica anagallide
Veronica spigata
Veronica camedra
Veronica selvaggia
Vilucchio de' campi
Vilucchio delle siepi
Viperina officinale
Plantago media
Plantago minor
Plantago
Anthemis pyretrwn
Pulmonaria officinalis
Pulmonaria angusfifolia
Cenfaitrium majits, Mor.
liaponlhicwn angusti f, M.
Santolina camoecyparissus h
Santolina tomentosa, Hont »
Achillea Santolina •»
Convolvulus scamonia »
Corda myxa »
Artemisia santonico, Will. ■>•>
Solanum nigrum
Solarium dulcamara
Solanum tuberosum
Solanum melongena
Sotanwn Lycopersicum
Tabaccum nicotiana
Tanacetum vulgare
Tussilago officinalis
Tussilago odorosa
Tussilago petasites
Veronica officinalis
Veronica beccabunga
Veronica anagallis
Veronica spicata
Veronica camaedris
Veronica [agrestis
Convolvulus arvensis
Convolvulus saepium
Echium vulgare
Pag
. Tav.
371
397
373
398
375
399
84
329
222
370
225
371
28
310
29
311
178
70
323
72
324
74
325
159
350
331
314
49
317
377
400
323
231
315
243
316
248
317
261
318
26 \
319
317
389
346
390
65
321
351
392
139
346
142
347
144
348
180
355
183
356
186
357
188
358
190
359
192
360
167
352
170
354
229
373
Botanical Garden Lit
QK 99 .C294 v.4
Cassone, Felice/Flora medico-farmaceutic
gen
3 5185 00057 1008