^ GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ART4 i844 fM ^fì •% 5^ !^.iìqi4,» GIORNALE D 1 TOMO CI OTTOBRE , NOVEMBRE E DICEMBRE ROMA Tipografia delle Belle Arti 1844 S^I^M^li Metodo per rendere permanenti gli anelli colorati prodotti dal iodio, ^^uantunque fosse noto che il colore, del quale ri- cuopronsi le lamine dagherriane , quando vengono esposte all'azione del iodio non proviene se non da una sottilissima lamina di ioduro d'argento, che mula colore aumentandosi nella spessezza; e che se l'espo- sizione della lamina all'evaporazione del iodio si pro- lunga oltre il dovuto tempo, si presenta alle estre- mità di essa- un iride di più o meno colori ; tutta- via nessuno avea pensato a trarre da ciò alcun uti- le per la teoria delle lamine sottili. Il sig. Waller dopo aver osservato questo fenomeno sull'argento, for- mandovi degli anelli colorati con una briciola di io- dio che vi soprapponeva, vide che lo stesso avea luo- go anche sopra altri metalli. §. I. Vari sono i metodi, dei quali si può far uso onde ottenere questi speltri colorati, tanto per le so- stanze da impiegarsi , quanto pel modo di usarle. Iodio, bromo , e cloro , che per le qualità che pre- sentano, specialmente rispetto alla luce, possono chia- marsi sostanze sorelle, possono del pari a tale uopo / Scienze impiegarsi. Si può far uso di dette sostanze tanto semplici, quanto in combinazione fra di loro, come cloruro di iodio, bromuro di iodio ecc. €. il. Se un pezzolino di iodio si lasci posare so- pra una lamina ben netta e lucida d'argento (sono a ciò opportune le lamine daglierriane ) comincia su- bito a formarsi intorno ad esso un' aureola di pic- coli circoli concentrici colorati , i quali vanno poi ampliandosi finche dura il iodio. Tali anelli sono analoghi a que'di Newton: se non che in questi la spessezza dell'aria interposta cresce dal centro alla pe- riferia, ed in quelli è contraria la ragione delle lami- ne sottili, che si presentano come quelle dei circoli ottenuti dal Nobili per mezzo dell'elettricità voltiana, le quali parimente crescono dalla periferia al centro. Questi colori hanno un termine: da tal punto comincia la lamina a prendere un colore cenerino che sotto al iodio s'avvicina al nerastro. La luce dif- fusa di una camera, anziché danneggiare l'operazione, sembra accelerarla. Secondo ciò che ha osservato il eh. p. Czarnocki della C. di G. , se durante l'eva- porazione del iodio , una parte della lamina viene illuminata, l'altra difesa con un diaframma dalla luce diffusa , i circoli si estendono più da quella banda che da questa. Se però vuoisi avere lo spettro rego- larmente circolare, è necessario o tenerlo all' oscu- rità, o sospendere un qualche diaframma sopra la la- stra durante l'evaporazione del iodio. Per ottenere questi circoli di una maggior gran- dezza propone il eh. P. Della Rovere della C. di G. di esporre la lamina non al conlatto del iodio, ma alia distanza di un pollice o più, a misura che vo- gliansi meno o più grandi; ciò può facilmente ese- Anelli colorati dal iodio 5 gulrsi nella cassetta del iodio, della quale si fa uso nell'apparato di Daguerre. ^. III. Né soli anelli si possono ottenere con que- sto metodo: che anzi è facile il formare delle stelle, delle lettere od altro, coi colori che più si deside- rano. A tal effetto io adattava alla lamina un inta- glio di carta, secondo i contorni dell'oggetto: quindi tenendo sospeso un grano di iodio, lo facea passare su tutti i punti del disegno, tenendolo ove più, ove meno, finche la lamina prendesse il colore desidera- to, o formasse un'aureola, o un ellssi, o un ango- lo ec; senza che apparisse quel cenerognolo ( è fa- cile l'evitarlo tenendo sospeso il iodio) che tanto mal s'accompagna alla vivacità degli altri colori. Ne dee sembrare strano che si conservino i contorni, e non si diffonda il vapor di iodio in circoli, a chi consi- deri che l'evaporazione viene perpendicolare sul piano della lamina, ed è perciò che non se ne colorano se non le parli scoperte. §. IV. Lo stesso metodo mi ha servito per formare una scala cromatica dei principali colori, non colla norma del tempo , ma prolungando l'esposizione al iodio finche il colore seguente diversificasse in tinta dall' antecedente. Questa scala, oltre al presentare i colori di una sufficiente estensione, allontana la con- fusione che nasce nei loro confini. I colori sono i seguenti : 1. Giallo argentino. 2. Giallo d'oro. 3. Violetto ranciato. 4. Violetto. 5. Violetto ferro. 6. Giallo paglia. 6 Scienze 7. Ranciato. 8. Rosa. 9. Rosa violaceo. 10. Rlu verdiccio. 1 1 . Verde. 12. Ranciato. i3. Rosa carico. 14. Verde. i5. Rosso. Trovasi questa scala corrispondente ai colori degli anelli ottenuti con questo metodo : eccetto che in questi fra il primo rosso e verde si osserva l'indaco, che in detta scala trovasi combinato ad ambedue. Do- po il giallo d'oro apparisce il violetto ( più vivo dopo una breve esposizione alla luce ) : Waller non lo no- mina, ma pare che vi sostituisca il blu. Chi osserva questi anelli, e meglio chi abbia talvolta preparato la- mine per la fotografia, può decidere se su di esse si presenti veramente il violetto. Questi colori non sono che i principali , ed è facile il supporre che esaminandoli con più diligenza se ne possano osservare quanti ne notò il Nobili nella sua scala. E da notarsi che nella scala indicala ove le lamine son più sottili, maggiore è la varietà de' colori, che vanno poi a poco a poco diminuendosi fino ad alternarsi rosso e verde soltanto. Lo stesso si osserva nei colori di Newton ed in quelli del Nobili. §. V. Sebbene tutti questi colori siano passibili alla luce, non lo sono però egualmente, ma pare che se- guano la ragione della sottigliezza laminare, in modo che i prodotti da lamina più sottile son quelli che primi si alterano. Se venga pertanto questa scala espo- Anelu colorati dal iodio n sta alla luce, i primi colori cangiano aspetto come segue: 1. Giallo argentino - si muta in - Giallo nerastro. 2. Giallo d'oro » » Giallo violaceo. 3. Violetto ranciato » » Violetto cupo. 4- Violetto » » Indaco. Se l'esposizione alla luce si prolunghi, il giallo ar- gentino e giallo d'oro passano al giallo rossaslro, poi al violaceo, al verde bottiglia : quindi cominciano ad impallidire. Gli altri colori nello stesso tempo s'av- vivano, poi impallidiscono e si cuoprono di uno strato cenerognolo, ove la luce vi abbia esaurita la sua azio- ne. La prima alterazione accade in tempo brevissimo, specialmente a luce solare: e quanto più si altera un colore ( s'intende de'primi ), tanto più esso tarda a subire un'altra alterazione. La durata di questi colori dipende dal tempo maggiore o minore in cui soffrono la luce diffusa . A quella del sole brevissima addiviene la loro vita; l'alterazione presso che Istantanea. Possono dunque questi colori, altronde si belli, simboleggiare la vita umana, non meno per la loro breve durata, che pel tramutarsi che fanno in cenere : Puh'is et umbra sumus. Ma non vi sarà egli mezzo di rendere durevole la loro vita, o piuttosto la loro beltà, e renderli emuli di quei ritrovati dal Nobili ? A tal uopo ho tentati vari metodi, dai quali quel più che potei ritrarre si fu di prolungarne soltanto la durata, ma non impe- dirne la distruzione ( tale è il metodo che vengo a riferire, se sia adoperalo sull'argeato )j ciò che mi sera- 8 Scienze bra di avere ottenuto col seguente metodo. Sul ra- me formo degli anelli, come si è indicato di sopra. A quest'effetto mi servo ( comechè ciò non sia ne- cessario ) delle stesse lamine dagherriane , che sono abbastanza lucide dalla parte del rame, le quali pon- go in un bagno di acido solforico allungato: onde net- tarle. Se vi rimangano delle macchie, può farsi uso dell'acido nitrico allungato. Quindi si dee la lamina sottomettere al pulimento del tripoli, e della bambace che serve nello stesso tempo ad asciugarla: per ul- timo si stropiccia ben bene con velluto e rossetto d'In- ghilterra, in modo che divenga non meno lucida, che scevra da macchie, le quali è agevole scoprire coll'ali- tarvi sopra. La lamina ben pulita con questo o con altro simile modo , si clorura o a caldo o a freddo col cloruro d' oro che serve per le prove dagherria- ne: e quest'operazione dee durare finche la superfi- cie del rame sia egualmente imbrunita , senza che passi ad un color neroverdastro che non pare egual- mente adattato a tal fine , ed è perciò che sembra preferibile il clorurare a freddo, per la facilità di os- servare i successivi colori. Ho detto di far uso del cloruro d'oro del dagherrotipo, non per escludere al- tro metodo , ma perchè questo sembra il più facile ed adattato; mentre all'opposto tentando di clorurare il rame coU'acqua clorata, ne risultava su di esso uno strato polverulento, che olire al separarsi facilmente dal rame, ne offuscava la necessaria lucentezza. Dopo una tale operazione si dee lavar la lamina con acqua distillata, ed asciugar alla lampada. In que- sto stato si sottopone all'azione del iodio, secondo i metodi riferiti, e ne risultano de'colori assai più vivi che sull'argento. Il color bruno, di cui ricuopresi il Anelli colorati dal iodio () rame pel cloruro, dà più risalto ai colori. Dee no- tarsi che un egual'esito ha l'operazione, tanto se que- sta ahbia luogo all'oscurila, quanto se alla luce, an- che solare; ed il presentarsi che fanno gli stessi co- lori dimostra che essa non v'influisce. Questi colori sono simili a quelli ottenuti sulle lamine d'argento che abbiano sofferto una prima alterazione dalla lu- ce, quale abbiamo di sopra indicato { §. V ), ne vi si veggono i colori delle lamine più sottili; a quanto sembra perchè la detta preparazione non permette la formazione di strati sottilissimi. Diremo che in questo caso il iodio non com- binisi direttamente o al rame o al cloro, ma in parte ad amendue ? E Foro contenuto nel suddetto cloruro resterà egli inoperoso ? Si vuol esser molto cauti nel dar ragione di questi fenomeni, i quali hanno una certa relazione co'miglioramenti che si son fatti alla bella scoperta di Daguerre; la spiegazione dei quali è tuttora, non so se dire in oscurità, o in sospeso, per la diversità de'pareri degli scienziati. Queste lamine colorate sono state esposte all' azione de'raggi solari molti giorni per più ore conti- nue, in modo che nell'estate specialmente concepivano un calore, pel quale non potevansi sostener colla ma- no, quale era quello della pietra su cui poggiavano: e quantunque durante l'esposizione una metà dello spettro coloralo restasse in perfetta oscurità, non è stato possibile in appresso distinguere qual delle due parti fosse stata esposta alla luce ; ciò che mi fece credere che erano impassibili all'azione della luce. Ma saranno poi inalterabili questi colori se vengano espo- sti per mesi e per anni alla luce diretta del sole ? Io noi so, nò finora ho avuto tempo di sperimentarlo : IO Scienze ma eziandio se ciò non fosse, non lascerebbero di acqui- stare coli'esposto metodo un aumento considerabilis- simo di durevolezza e stabilità. Luigi Arnoldi. Discorso sulla cultura della robhia nelVagro cor- netaiio, letto dal conte Casimiro Falzacappa nel- V accademia tiberina il dì 3o di settembre i844' I. fiLFappoicbè per gentilezza dell'animo vostro mi è dato poter parlare, come socio corrispondente , a tanta illustre ragunanza , e tener seggio fra uomini così benemeriti della repubblica letteraria, in esecu- zione della legge principale dell'accademia v' intrat- terrò alquanto nella descrizione di una pianta, cbe pel nostro clima e pe'nostri terreni può dare non me- diocre utilità. 2. Vi parlo, o signori, della robbia tintoria; vi parlo di una coltivazione, die per due anni ho in- trapreso lo stesso; vi parlo di cosa cbe mi è passata fra le mani e sott'occhio, e sulla quale ho fatto una qualche fredda meditazione, un esame critico e ra- gionato. 3. Una penna più illustre (i) segnò non pochi tratti di questa benefica pianta nel dicembre del 1842; (i) II sig. ab. Antonio Co^t^'i; Discorso agrario letto alla ti- berina il 12 dicembre 1842. Cultura della Robbia i i ma cenni possono quelli nominarsi, perchè misti a tante e tante cose agrarie e scientifiche. Mi sia dun- que dato potervi intrattenere per poco esclusivamente su questa pianta, che io ravviso di una qualche agra- ria utilità, e di non piccolo avvantaggio pel comer- cio e per le manifatture. 4. E perchè il mio dire riesca non oscuro, e sìa meno pesante a chi non prende una viva parte in ciò che riguarda agricoltura , dividerò il breve mio parlare : i. Nell'istoria della robbia; 2. Nella sua col- tivazione e ne'suoi risultati; 3. Nelle proprietà e qua- lità scientifiche e coloranti della medesima. I. ISTOBIA DELLA ROBBIA. 5. La robbia, che silvestre abbonda nelle regioni italiche meridionali, e che spontanea cresce fra gli ar- busti in Francia, è propriamente asiatica. Un tempo la Grecia ne forniva a dovizia i nostri mercati; e più autori antichi, fra i quali Plinio, ci dispongono a cre- dere ch'entrava nella composizione della porpora, a cui tanto si accosta nel colore gentile insieme e ma- gnifico. Ezechiello ci conta, che i tirii andavano a rac- corre la loro porpora nell'isole Elysine (Azorre) (i). A ragione dunque possiam credere, o che fosse og- getto delle loro ricerche la robbia stessa, o che fosse parte integrale nella mistione de' colori per formare il porporino. (1) EzecTi. cap. XXVII: Hyacinthus et purpura de insulis Elisa facta situi operimentum tuuni. 12 Scienze Essa appartiene alla tetrandria (classe IV) mo- noginia ( ordine i ) di Linneo, ed alle ruhiacee di lussieu. Le sue radici sono fusiformi ; il suo stelo non più alto di 2 a 3 palmi; foglie ruvide , sfran- giate, acuminate; fiori piccioli, giallognoli, ascellari. Si chiama anche eritrodano, garanza, alizari. 6. Da mille testimonianze risulta , che questa pianta era in tempo ben lontano coltivata in Fran- cia ed in Italia. Sotto uno dei Dagoberti il princi- pale commercio di questa pianta si facea a s. Denis. L'abate commendatario contava fra le sue rendite un dazio sullo smercio di questa radice. 7. Giacque per lungo tempo nell'oblio : e l'epo- clie del medio evo per l'Italia, le tante rivoluzioni e partiti di Francia dal 700 al 800, fecero dimenti- care la cultura degli alizari. Con qualche freddezza si coltivò in Fiandra ed in Alemagna; ma il clima di quelle regioni non lusingava il coltivatore, molto meno animava lo speculatore. 8. Colbert, il tanto rinomato ministro di Fran- cia (i), fece pubblicare un'istruzione su questa in- teressante coltivazione. La società d'agricoltura di Ro- uen, sotto gli auspici del suo segretario perpetuo d'Am- burney, nel 1771 (2) fece de'saggi, tentò animare la produzione di questa pianta: ma anche dopo la metà del passato secolo era sempre bambina e stazionaria, ne punto si slanciava in intraprese grandi, molto me- no faticose od incerte. II ministro di Francia Bertin appositamente ne fece venire dal levante non poca (i) Instruction sur la culture e Vemploi de la garance. Metz. i63i. il) Instruction sur la culture de la garance, et sur la maniere d'en preparer les racinas. Cultura della Robbia i3 semenza. Egli chiamò in Francia il persiano Althen, e a direttore lo scelse di questa coltivazione. Un ter- reno proprio per farne esperimento fu designato nelle vicinanze d'Avignone. 9. Malgrado di queste cure ed eccitamenti , a fronte dell'uomo pratico ed istruito, pochi si dedica- rono alla produzione della robbia. Lo spirito di dif- fidenza e d'incertezza, l'amore a più antiche abitu- dini, prevalsero ai fatti ed all' istesse dimostrazioni. Dal 18 IO al 18 17 nel contado venaisino sotto gli auspici del marchese di Caumont fece de' progressi immensi : e la garanza di Valchìusa ed Avignone acquistò nome, fu ricercata nel commercio, i chimici l'analizzarono, i tintori ne profittarono con entusia- smo. Nel i8o5 il dipartimento di Valchìusa non pro- ducea che tre o quattro milioni di robbia; oggi, ad onta della riduzione del prezzo, ne fornisce sopra 18 milioni (i). La fua coltivazione fu animala, estesa, centuplicata. IO. Si giunse nel 1821 ad innalzare al già mor- to povero Althen un monumento, quanto lardo, al- trettanto dovuto, nel municipio d'Avignone : si as- segnarono pensioni alla derelitta figlia Margherita : e tutti si slanciarono con gigantesche intraprese alla coltivazione della robbia. Ai forni per la dissecca- zione succedettero le mole per triturare le radici: ai processi chimici l'esperienze tintorìe di masserizie in seta, lana, filo e cotone : quindi spedizioni all'estero, attività non comune nel commercio e nell' applica- zione. Avignone ed i suoi contorni ebbero una ric- (i) Noiivel essai sur la culture vouclusienne de la garance. Pag. 22, par J. Basici. Orango iSSg. i4 Scienze chezza dalla coltivazione della robbia. L' eccedenza però produsse una calma nello smercio: all'entusia- smo succedette una quiete. Convenne dedicarsi eoa più riservatezza alla coltivazione degli alizari : con- venne studiare il metodo d'avere la maggior produ- zione nel minor tempo possibile, e colla più grande economia : ciò che forma la seconda parte di questo scritto. IL COLTIVAZIONE DELLA ROBBIA. 11. A somiglianza di quasi tutte le piante, la garanza ama le terre fresche, grasse e sciolte, ricol- me in parte di quell'huraus che tanto piace agli agro- nomi, di quella melma o relitto di fiumi, tanto en- comiata da Columella , da Varrone ec. Sopra tutto il suolo e sua giacitura deve ritenere il calore misto ad una qualche sorta d'umidità. La forte gelata dai gradi IO ai 12 di Rèaumur è micidiale per questa pianta asiatica, le cui radici nel levante sono rosse, ne'paesi italici e francesi rosee, nel nord gialle. L'in- fluenza atmosferica si fa senlh'e a questa pianta gentile. 12. Pochi coltivatori preparano il lavoro colla pertlcara; quasi tutti usano la vanga a non medio- cre profondità; e tale lavoro deve precedere di due mesi almeno la semina, per fare così godere al terre- no destinato gl'influssi atmosferici e le tanto bene- fiche gelate. i3. Io a questo generale sistema ho sostituito nel passato anno i843 il così detto scassatello; cioè Lo sollevato il terreno con due vangate, rimovendolo per circa palmi 2^14. Ho praticalo questo sistema, sia Cultura della Robbia i5 per avere un maggior prodotto , dappoiché è dimo- strato, che più la radice approfonda, più n'è il risul- tato; sia per non incontrare spesa nella nettezza dell' erbe parasite nella garanziera , e che tanto in due anni d'esperienza ha costato a me, non poco alla prin- cipessa di Musignano in Canino. Ignoro a che som- ma ascendano nell' agro romano o in Napoli , dove pure si è fatta semenza della robhia. Ritengo dunque che il così detto scassatello e per la maggior produ- zione e per l'economia della spesa sia il miglior me- todo da tenersi. Credo inutile dimostrare, che se il terreno fosse adacqua ti vo , più sicuro ne sarebbe il risultato, migliore il prodotto. i^. Preparato il terreno a solchi segnati legger- mente con zappa, e ridotto a soline co'suoi bordi, si semina dai i5 febbraio ai i5 marzo la robbia, e leg- germente in pari modo si ricopre.. Da molti agrono- mi si raccomanda la semenza a luna calante. Seguen- do questo antico pregiudizio, anch'io ho servito all' uso ed allo stile. i5. In i5 giorni comincia a nascere. Nel mag- gio e giugno va nettata e pulita sino allo scrupolo (ciò che negli scassatelli non segue, non riproducen- dosi affatto le erbe eterogenee e parasite ). In otto- bre si ricopre con terra da prendersi nei bordi delle già stabilite soline, mediante vanga, sino all'altezza di circa quattro dita; e dormendo nell'inverno, a pri- mavera novella verdeggia e presenta beli' aspetto di frutto e semenza, che nell'agosto maturo è facile a cogliersi. Nell'ottobre, vangando con tutta diligenza il terreno, si cava la radice, si dissecca al sole o ne' forni, si pone in botti o balle, e si vende ne'mer- cati i più ricercati. Alcuni la tengono sotto terra an- i6 Scienze che il terzo anno, e dicono ricavarne il loro profitto. Io non posso parlare di fatto proprio. So di certo, che la radice ingrossa e maggiore n' è la risultanza nel peso. Dubito però, che accrescendosi la parte le- gnosa, possa diminuire la parte colorante. i6. Lo stesso suolo è buono per una seconda coltivazione. Cfie se il terreno sia stato dissodato e preparalo con scassatello, come sopra ho detto, con discreto lavoro di vanga si soverscia facilmente, e si esponga un qualche tempo prima ai geli, alle nevi, ai raggi solari ec. 17. Ecco approssimativamente il conto delle spese a scassatello, ed eccone il risultato sopra un rubbio (i) 1. ANNO DI COLTIVAZIONE (t) Scassutello di palmi 2 3[4 compresa 1' assistenza circa se. 100 Seme, abbisognandone rubbio per rubbio ....,, i5 Sementa tori e ricoprilori, siano uomini , siano donne , circa ,, 6 Piccola prima ripulitura, perchè nello scassatello non si riproducono tanto facilmente le erbe ,, t Vangatura per ricoprire nell'ottobre la semInagioue,con- siderata in opere 3o a bai. aS ,, 7 5o Seconda ripulitura nel 2 anno, ragguagliala in opere 20 a bai. i5 ,, 3 Vangatura per cavar la radice nel 2 anno, opere circa 100 a bai. 25 „ 27 5o Disseccatura^trasporto, imballatura, consumo d'attrezzi.,, 20 se. 180 2. ANNO DI COLTIVAZIONE Solco con buono aratro per rifrescare il già mosso ter- reno sullo scassatello dell'anno primo .... se 5 Riduzione dei terreno in piano e semina >> io Seme secondo il solito rul). i j» i^ Somma, e segue se. 28 CuLTUBA DELLA ROBBIA Jy di terreno, cioè sopra canne SjoS. Vi dirò, come allo specchio qui annesso e posto in nota , che in due anni di produzione e tre di coltivazione dà una spesa di se. 3io,5o, ed un introito di se. 4^7> ^ perciò un bono di se. 146, 5o; ciò che non sembra meschi- no, avuto riguardo al piccolo impronto e alla tenuità dell'impresa. 18. Una malattia, a cui raramente va soggetta la robbia, è il faruni ossia fungo. Questo può re- care alterazione non piccola nel prodotto, e ciò me- rita attenzione dall'occhio vigile del coltivatore. Al .J^■ù^^m- 'Riporto se. 210 Pulitura nel maggio e giugno quadruplicata , perchè in quest'anno le erbe più facilmente si riproducono . ,, 4 Vangatura alquanto più costosa, perchè il terreno ras- sodato il ^^ Seconda pulitura dell'erbe parasite • 5> 4 Cavatura della radice, considerata come nel i anno. „ l'j 5o Disseccatura, trasporto, imballaggio, consumo d'attrezzi, circa ,> 20 Terratico di anni 3 per il terreno seminato . . . ,, 5o In tutto se. 3io 5o PRODOTTO In due anni di raccolto si avrà per lo meno otto migliaia di radice secca, che a se. 5o il migliaio sono . . ,, 4°^ Seme riprodotto circa rub. 3 a se. i5 „ 4^ Terreno preparato, perchè vangato in settembre, sia per seminarvi legumi, sia grano ec. almeno valutabile. ,, 12 Si avranno se. 4^7 RISTRETTO Prodotto se. 4^7 Spese ,, 3io. 5o tj\ Utile netto „ 146. 5o GA.T.CI. 2 ,8 Scienze suo primo apparire conviene circoscrivere con fosso il terreno laddove si sviluppa il malore ( il che è facile a riconoscersi nell'appassirsi delle foglie, nell* ingiallirsi delle piante ) e così liberare l' intera se- minagione da tanto infortunio. Ho detto esser ben rara questa malattia; ma nelle terre estremamente pa- lustri piti facile n'è l'apparizione; inusitato è nelle terre aride, silicee, calcaree. La previdenza, la ragio- ne, i fenomeni del fungo distruttore della garanza può ascriversi a causa fortuita, ad influenze locali o at- mosferiche ec. La cosa è tuttora inviluppata nel mi- stero, né gli agronomi ce ne danno contezza. La na- tura ha ricoperto di un velo tanto malore e i suoi fenomeni. • in. qualità' specifiche della ROBBIA. IO. Questa pianta ha fin qui occupalo molto i chimici, e ciò non pertanto rimane incerta la vera natura della sostanza colorante. Senza contare i la- vori di Fourcroi e di Berthollet, hanno particolarmen- te travagliato nell'indagine di questa pianta Kulman, Goultier de Claubry, Perez e Berzelius. Essi hanno fatto profondo studio sulle qualità specifiche e colo- ranti della robbia. La ristrettezza però di questa me- moria non mi permette di analizzare i loro senti- menti. Brevemente. 20. 1 lavori di Kulman danno per risultato due sostanze coloranti. L'una rossa solida, l'altra fulva o rossiccia, un principio legnoso, un acido vegetabile, lina materia mucilaginosa, una sostanza vegeto-ani- male, gomma, zuccaro, un principio amaro, una re- sina colorante, non poco sale. Cultura della Robbia itì 21. Il principio colorante di questa radice rie- sce ugualmente solubile nell'acqua, nell'alcool e ne.- gli oli volatili: cogli alcool si ravviva moltissimo. Sot- toposta all'investigazione di un microscopio, cosi c'in- segna l'opera del sig. Decaise (i), noi vediamo i due tessuti separare un succo giallo e trasparente con- tenuto sia ne'meali inter-vascolari, sia in tutto il tes- suto cellulare. 22. L' uso interno della radice produce certo fenomeno fisiologico osservabilissimo. Mescolandone una data quantità cogli alimenti di un animale, do- po alcuni giorni le ossa assumono un color rosso analogo a quello comunicato dalla robbia alle stoffe: questo fenomeno producesi con tanta maggior pre- stezza, quanto piij giovane è l' animale. Sin qui il classico Dizionario dì medicina, arlic. Robbia (2). 28. Ho sott'occhio un opuscolo su questa pian- ta , e nel descriverne gì' istessi fenomeni aggiunge, che sospeso all' animale per alcuni giorni il nutri- mento misto di robbia, e quindi di nu-ovo sommi- nistrato , si rinvengono le ossa colorate a strati , e perciò a diversi colori. Anche gli umori separati, co- me il latte, l'orina, assumono un color rosso, men- tre gli altri tessuti dell'economia animale rimangono estranei a sì fatta azione. I soli uccelli nel loro bec- co, penne e zampe partecipano di tale coloramento. Un tanto fenomeno merita più matura discussione, pivi accurata indagine: l'occhio filosofico può medi- tarvi. !Non può infatti negarsi che abbia dello straor- (i) Recherches analomiques e physiologiques sur la garan- ce etc. Bruxelles, iSS^. (2) Tomo XXXIX. 20 Scienze dinario, e può dar luogo pel filosofo a lunglie medi- tazioni, a calcoli analitici ec. 24. Che elle ne sia, egli è certo che la scoperta di questa pianta benefica ha dato non pochi soccorsi all'arte tintoria pel suo color porporino naturale; che adoperata per un sotto colore, il blu cioè, il verde, meglio ritiene la tinta; che dalla sua scoperta più non siamo tributari dell'Asia nell'uso di questa pianta; che i pittori ed i fabbricatori di cera lacca vi studiano e se ne servono; che generale è l'abitudine di ado- perarla. Conclusione. 25. Ritenuto il nostro italico clima per il più adatto a questa coltivazione; avuto riguardo alla pos- sibile economia nella riproduzione di questa pianta benefica; scelto con saggia avvedutezza il terreno pro- prio ed omogeneo alla robbia; avuto in disprezzo le tante ciarlatanerie che si proclamano da molti idioti o figli d'antiche abitudini, spesso erronee, non sem- pre applicabili; poco curando le teoriche forestiere e le false dottrine ripiene d'empirismo, paradossi e false deduzioni; ricordandoci che siamo figli dell'Italia, e perciò non schiavi di servili costumanze o iloti pe- dissequi di straniere dottrine; credo che coltivandola con sano criterio, economia ed avvedutezza, possa la riproduzione della robbia negli stati pontificii, pre- cisamente lungo le spiagge del Mediterraneo, rendere un mediocre vantaggio, e possa lusingare il coltiva- tore avveduto e l'accorto speculatore. 21 Esposizione delle malattie mediche curate nelVan- no 1843 nello spedale militare del S. M, O. G.^ fatta dal dottore Fortunato Rudel. Roma^ tip. camerale^ i844i ^^ S» di Jac. 267. k^enza fai' prologhi lunghi ed involuti, che voglion lasciarsi ai soli ciarlatani, porrò subito mano all'eslral- to (li quest'operetta scritta da un giovane di appena cinque lustri. Il discreto lettore ne giudichi. Alla dedica al balio fra Carlo Candida, succede l'introduzione, nella quale l'A. mostra l'utilità delle storie mediche, ed i libri classici che ha in tal ge- nere la medicina. Prima d'incominciare la narrazione dei casi occorsi nello spedale militare, si volge sa- viamente a considerare in separati capi : i. Della in- fluenza che ha il clima nella produzione delle ma- lattie, e conseguenza che da essa ne deriva. Qui accenna come alla varietà de'climi debba tribuirsi va- rietà di morbi e di epidemie. 2. Posizione topogra- fica della città di Roma. La sua latitudine, secon- do il Calandrelli ed il Conti, è di gr. 4i.53', 54''; la longitudine, computando il meridiano dall'isola di Ferro, è di gr. So, 89', 3 o". Viene costeggiata qua e là e divisa dal Tevere, che la inonda più volle. L'al- tezza media, secondo i detti astronomi, è a 60 piedi parigini sopra il livello del mare, ed a 24 sopra quello del Tevere. Ognun sa che è fabbricata sopra sette col- li, ed a questi oggi ne sono aggiunti altri tre, cioè il Gianicolo, il Vaticano, il Pincio, oltre gli altri pie- 22 Scienze coli formati Ja rottami, cioè il GItorio, il Teslaccio, il Gioi-dano ec. 3. Dei venti che dominano in Ro" ma e sue vicinanze. E esposta a tutti i venti : gli orientali son salubri e vi recano aria pura; i setten- trionali, sebben crudi assai, rianimano le forze degl' individui e purgan l' aria infettata dai meridionali. Essi predominano nell'inverno e nella primavera; gli occidentali spirano in està sull' annottare , arrecano frescura, ma possono nuocere; i meridionali riescon dannosi, sono umidi e caldi e spirano ad un'altezza minore degli altri, e nocciono in ispecie nell'estate e nell'autunno, anche perchè i settentrionali non sof- fiano. 4. Delle acque potabili e degli alimenti in Roma. Le acque ed i cibi sono sani ed abbondanti. 5. Sulla qualità delVaria bi Roma e sua campa- gna. L'atmosfera per le abbondanti acque spesso è nebbiosa: il clima è soggetto a repentine vicissitudi- ni atmosferiche in tutte le stagioni; da ciò il predo- minio delle febbri reumatiche e periodiche. 6. Del genere di vita del soldato in Roma. Gravoso è il servizio, che dicono, di piazza, per la pochezza delle milizie in proporzione degli obblighi: e questo si ren- de pili laborioso nell'estate, in cui la quarta parte del- la guarnigione è malata di periodiche. Si è adotta- to ora di fare indossare nella notte i pantaloni di lana. 7. Dello spedale militare in Roma. Vi sono 5oo letti: il numero medio del militari malati è di 25o. Neir esporre la storia delle malattie ha voluto l'A. dar loro un ordine, ed ha seguita la divisione che il eh. sig. prof. Valentini propone nell'opera ri- cordata con lode in questo giornale tomo 45, pag. 822, tom. 5i, p. 129, tom. 78, p. 340, tom. 83, pag. 7 Malattie dell' osp. militare 23 e tom. 99, pag. i65. Ogni mese ha la storia di ciò che si operò, e vi precede la tavola meteorologica. Gennaio. - Sì curarono 91 febbri: le 4^ inter- mittenti tutte recidive, complicaronsi spesso con ga- striche. Le continue continenti furono undici. Una febbre nervosa lerrainò felicemente : che, mostratosi sul XV giorno un dolore con rossore resipelaceo, e quindi ulceri all'osso sacro ed alle natiche, andarono gradatamente diminuendo i sintomi più gravi. Seguo- no due storie di sinochi e le autopsie de'cadaveri. Le continue remittenti furono 82: di queste, come delle altre malattie curate in questo mese, espone il me- todo generale col quale si trattarono. Febbraio. - Si curarono 189 individui : 76 di febbri intermittenti, predominando come nel gennaio il tipo di terzana doppia , 16 continue continenti , e 47 continue remittenti. Alla pag. jy si riporta uà caso di angina tonsillare fierissima guarita. Ecco la storia di un'idrope ascite secondaria vinta coll'elixir di Le Roy, per mostrare che i medici saggi adoprano i farmachi in voga presso il volgo con criterio filo- sofico e non come panacea. « Il granatiere Battista Marrani ( pag. 82 ) si condusse allo spedale recidivo di molte febbri periodiche, con milza enormemente ingrandita. Vescicatori, frizioni, purganti, i decotti diuretici , ossimele scillilico e tanti altri vantati ri- medi, niuna miglioria apportarono: anzi le acque se- parate dalla membrana sierosa addominale principia- rono a non essere assorbite: in conseguenza a que- ste, nuove aggiungendosene, stagnavano in quella ca- vità. Gonfiatosi fuori di misura il ventre, minacciava rompersi, e stavano i medici per decidersi alla para- centisi ad onta del lurido aspetto dell'infermo e delle 24 Scienze forti oslruzloni viscerali che aveano generalo questa seconda malattia; quando si convenne di tentare pri- ma relixir suddetto, dal quale in simili casi si erano veduti buoni effetti. Per lo spazio di 36 giorni, prin- cipiando da mezz'oncia gradatamente aumentato fino ad un'oncia e mezza, si fece uso del detto farmaco, che produsse in breve miglioramento, mediante ab- bondantissime evacuazioni addominali. Si sostituiva nel medesimo tempo nuovo vescicante al chiudersene di uno, in modo che nel corso del male se ne con- tarono i6. L'infermo dopo simile cura guari, e vi- desi in istato di abbandonare lo spedale nel giorno 17 di febbraio. » Alla pag. 287 se ne legge un altro felice caso, nel quale si erano pure adoperati inutil- mente tutti i solili rimedi. Un caporale de'granatieri fu portato allo spedale, ove periva 24 ore dopo, essendo in istato di coma, che non erasi potuto un istante togliere ( non ci si dicono i mezzi ). Avea questi sofferto tre mesi prima una febbre continua nervosa , che gli avea lasciata estrema sensibilità e tremori al capo ed agli arti. « Nel- l'apertura del cadavere non si è rinvenuta alcuna trac- cia di alterazione morbosa nell'organo , sul quale i sintomi mostrarono una massima prevalenza, e gli al- tri visceri erano nello stato normale. » La crede un' appoplesia nervosa. Termina le storie di questo mese con un caso di vizio strumentale ai precordi. Si tro- vò nell'autopsia il cuore più voluminoso, coi vasi che vi scorron sopra dilatati e turgidi di sangue. Il ven- tricolo sinistro la metà più grande del destro, con di- latamento notabile delle trabecole che formano la so- stanza cancellata del cuore medesimo. L'aorta dilatata, Mai.attie dell' osp. militare 25 in ispecìe al suo arco, dove si trovò una sostanza po- liposa di color giallo scuro, mollissirna. Marzo. Delle 216 febbri, 11 1 furono periodi- che, lutfe di facilissima e breve cura. La complica-^ zione reumatica, atteso le vicende atmosferiche, pre- dominò in questo mese . Alla pag. 92 si riporta la storia di una febbre nervosa continua con grave com- plicazione biliosa, che sortì felice esito; ed alla 94» di una gastrica terminata con morte. Segue l'esposi- zione delle 29 malattie infiaramative, delle quali ne guarirono 25. Le intemperie furon causa di arlrilidi e di reumatismi acuti, i quali tutti guarirono, tenendo l'indole infiammativa ed un corso lungo. aprile. - Anche in questo mese si ehbero 98 febbri di accesso, suscitate per la maggior parte, dice l'A., dall'incostanza dell'aria. Gl'individui che si cu- rarono d' infiammazione furono 14 > otto toraciche , una sotto forma di podagra, quattro reumatismi acuti, ed uno cronico. Seguouo brevi cenni intorno a que- ste ed a varie altre malattie curate in questo mese. Ma o-g^io. - Febbri 119: le infiammazioni furono violentissime, e dei 21 casi se ne perdettero due, uno poche ore dopo l'ingresso allo spedale, ed un altro nel terzo giorno. Alla pag. i3i si narra un caso di fiera gastrilide, terminata con morte. Giugno. - Malati 97. Predominarono le gastri- che che si complicarono agli altri morbi. Una storia di gastrica nervosa guarita nel 21 giorno si legge alla pag. 145. L'infermo avea mangiato yoo lumache. Luglio. - Malati 67 : due casi di sinochi gastri- ci (pag. i56), uno morto l'altro guarito, ed uno di febbre gastrica nervosa (pag, 159) con petecchie, che terminò infaustamente, sono le cose che più interes- 26 Scienze sano. Non voglio però fralasciare il seguente caso di epatitide passata in suppurazione. « Entrava allo spe- dale (pag. i65) il caccialorft Dario Soatti, di anni ig e di malsana costituzione, con i sintomi tutti di una infiammazione al fegato. Il metodo antiflogìstico, al qua- le subito fu ricorso, mitigò, ma non vinse interamente la malattia , che, presi i caratteri di lenta flogosi, si mostrava ribelle ad ogni rimedio. Leggiera frebbe ac- compagnata da brividi di freddo, dolori puntorii ora più ora meno frequenti nell'ipocondrio destro, diar- rea che abbatteva l'infermoj con altri sintomi somi- glianti ne stabilivano la gravezza. « Frattanto che si eseguiva il trattamento cu- rativo consistente in applicazione di sanguisughe ora ai vari emorroidali , ora alla parte dolente , nei ri- petuti vescicanti, nei decotti di gramigna, si accese con piìi forza la febbre, il dolore si fece acutissimo, estendendosi al torace ed alla spalla destra : a questi sintomi si unirono l'itterìzia, la difficoltà di respira- re, la tosse secca ed assai frequente. Dietro una nuo- va applicazione di sanguisughe, sembrò ammansire il male: ma ingannevole e passaggera fu questa tregua, poiché ben presto si notarono esacerbazioni con senso di freddo nella febbre, svanì pian piano l'acutezza del dolore, che divenne gravativo nell'ipocondrio destro, rossori circoscritti alle guance, cefalalgia, sudori ab- bondanti nella notte, tosse rara e sputi di colore so- spetto. Si sparse quindi sulla pelle , col progredire della malattia, un color fosco, i polsi divennero fre- quenti, irregolari, e con intermittenza battevano; si aggiunse il dolore al dorso, il respiro ansante con de- cubito impossibile sul lato affetto. Sintomi eran que- sti non dubbi di^stabilila suppurazione al fegato, con- Malattie dell' osp. militare 27 Irò la quale ben poco possono i sussidi dell'arte me- dica. Ai sintomi su esposti si unirono la l'espirazione difficilissima, quasi ovtopnoica, la tosse frequente, gli. sputi marciosi, l'alito fetido, il gonfiore degl'ipocon- dri, la diarrea, la consunzione, il lividore degli oc- chi, l'edema alle estremità, più pronunziato però nel piede destro. Questo stato compassionevole durò più giorni, finalmente l'infermo terminò di soffrire, ces- sando di vivere. » Àuptosia. Estrema consunzione. Aperta la ca- vità del petto, si vide il polmone sinistro epatizzato in vari punti. La cavità destra del torace conteneva mezza libra circa di pus fetido, ed il polmone cor- rispondente quasi interamente esulcerato. Il diafram- ma era corroso lievemente nella parte sovrapposta al fegato; ed il fegato accresciuto nel suo volume e nella consistenza, con una vasta vomica esulcerala nella par- te posteriore del margine superiore ottuso. Le inte- stina tenui, in ispecie il duodeno, mostravano alcune macchie giallastre assai vive che probabilmente erano cagionate dall'acrimonia di poca marcia versata nella cavità addominale. » Dall'esame di quest'autopsia chiaro si vede, che l'acrimonia del pus, contenuto nella vomica formata sul margine ottuso del fegato, abbia corrose le pareti della vomica insieme al diaframma. Da questo ne ven- ne il versamento delle marce nella cavità toracica destra, dove trovando il delicatissimo tessuto dei pol- moni operò vivamente alla corrosione delle parti ve- nute in contatto, inducendo per tal modo una tabe ulcerosa di quegli organi. Che l'infermo poi abbia po- tuto protrarre così a lungo la sua esistenza, ad onta del guasto avvenuto in parti cosi essenziali al vivere, 28 Scienze credo dìpenclere da ciò, che l' empiema si fermò in una sola delle due cavità peltorali. Empiema^ dice Klein (Interpres clinicus), valde pericidosum est ma- lumi si in uno tantum pectoris latere, dìutius su- persunt. » Segue una storia di eresipela flemmonosa alla faccia, divenuta mortale per metastasi al petto. agosto. - Malati 143. Leggasi alla pag. ijf) la storia di una fierissima e mortale pneummonitide pas- sata in empiema. Settembre. - Febbri 245 : predominando le pe- riodiche e tra queste in ispecie le terzane , e non mancando varie perniciose. Nel caso di perniciosa fre- netica, l'ultimo accesso durò circa 26 ore , ne mai die campo ad amministrare l'antiperiodico. Si trovò nel cadavere « una turgescenza sanguigna (pag. 192) nei vasi delle meningi, che erano più dense dell'or- dinario, ed aderenti alla parte interna delle ossa del cranio. Tagliate le meningi, si vedeva una raccolta di umore gelatinoso fra queste e l'emisferio cerebrale de- stro. Parimenti nei ventricoli laterali del cervello si rinvenne siero sanguinolento. Ne il torace, né l'ad- dome mostravano segni di recenti lesioni. « Dal considerare questo caso possiamo facilmente dedurre, quanto difficile sia superare l'accessione feb- brile, quando l'ingorgamento sanguigno in un organo, lungi dal diminuire, aumenta. In questi casi la feb- bre cambia, se mi è così permesso parlare, natura , e veste i caratteri di continuità: poiché si va a svol- gere una vera infiammazione che mantiene continua la febbre. Con questa sola osservazione si può spie- gare la lunghezza del parosismo delle febbri periodi- che perniciose. » Segue un altro fatto somigliante, e si dà termine alle storie di questo mese col riportarne Malattie dell' osp. militare 29 una di semi-paralisi della estremità superiore sinistra, residuo di un' appoplesia sanguigna sofferta nel feb- braio, la quale restia ai più energici farmachi, guari quasi perfettamente coll'uso dell'estratto del rhus to- xicodendron o vadicans amministrato per vario tem- po da 4 grani , fino a 20 per giorno. Nel caso ri- portato a pag. 241, l'infermo emiplegiaco riacquistò il senso ed il moto nell'estremità superiore, prima del tutto perduta; non cosi nella inferiore, nella quale apparve dimagramento. Ottobre. -Maiali 4*4* P*^* frequenti cangia- menti dell'atmosfera in umido e freddo , predominò la febbre reumatico-catarrale. I malati di febbri pe- riodiche ( che furono 244 ) ne erano molestati a se- gno, che era di mestieri curare la lieve flogosi della mucosa gastro-polmonale, ed insieme amministrare la china. Dei 27 casi d' infiammazione , sei morirono. Leggasi alla pag. 216 una storia di splenitide che fu mortale. Novembre. - Malati 199. Un caso di febbre ga- strica con eruzione aftosa nelle fauci e su tutta la membrana interna della bocca ( endoantema ? ) si de- scrive alla pag. 280, come alla pag. 233 una cinan- che o angina tracheale in un uomo di 44 ^"l'ii di età. Dicembre. -^diìdiii 137. Per la instabile tem- peratura, molte furono le febbri periodiche, tutte re- cidive. Si ebbe eziandio una febbre perniciosa sopo- rosa. Chiuderò questo cenno col riportare una storia di pericarditide, ed il riassunto generale. « Veniva portato all'ospedale il 19 dicembre il granatiere Tassi Lorenzo, d'anni 21, di sana costitu- zione. Narrava egli, che il giorno innanzi, senza co- noscere la cagione, sul fare della notte venne assa- 3o Scienze lito da febbre con brividi di freddo, die ben presto diedero ad un eccessivo calore, con dolore nel sini- stro lato che corrispondeva al dorso, ed accompagnato da violenta palpitazione di cuore , da respiro diffi- coltoso e tosse secca. Nel momento dell' esame poi mostrava febbre con calore mordace e polsi piccoli e celeri, guance arrossate, occhio splendente, lingua rossa ed arida, respirazione corta, dolore allo sterno ed al lato sinistro con corrispondenza alla parie la- terale superiore sinistra del dorso e palpitazione car- diaca. « L'infermo non trasse alcun giovamento da due salassi che in poche ore si istituirono, anzi nel gior- no 20 dicembre, terzo di malattia, si vedevano pul- sare orgogliose le carotidi, e l'infermo era preso da stupore con respiro difficile ed ineguaglianza nei pol- si. Questi sintomi col progredire delia malattia au- mentarono ancor'essi; respirava con ansietà l'infermo per moltissima palpitazione di cuore; ed il dolore al petto era sì forte, che gli strappava, nell'atto d'ispi- rare, a quando a quando lamentevoli grida. « Nel corso di 5 giorni si era tratto i4 volte sangue, oltre l'uso dei deprimenti , fra i quali pri- meggiava la digitale purpurea. Si era il male alquan- to raffrenalo, ma poco o nulla prometteva buona ter- minazione; si ripeterono altri tre salassi con qualche giovamento. Dieti-o queste vedute fu nuovamente sa- lassato, perchè lo richiedeva la violenta palpitazione di cuore, il battito impetuoso delle artei'ie carotidi e la fierezza del dolore e la febbre che acuta si man- teneva. « Con questi mezzi nel giorno undecimo di cu- ra 1' infermo trovavasi in uno stato mezzanamente Malattie dell' osp. militare 3i buono, e la reazione febbrile essendo mitigala, per- mise l'uso dei vescicanti. (( Fino al dccirnoquarlo giorno, nel qual tem- po si tenne un metodo di cura blandamente antiflo- gistico, la malattia rimase quasi stazionaria; ma nel terminare la decimaquinla giornata , dopo notabile esacerbazione della febbre avvenuta con rigori di fred- do, l'infermo fu preso da furioso delirio con occbio truce e con faccia arrossata. Furono presci'itte 16 sanguisughe alle tempie e due senapismi alle estre- mità inferiori. Nella notte il malato sudò abbondan- temente , e si trovava più quieto nel mattino , ma estremamente abbattuto e con polsi irregolari; ebbe ancora vari scarichi alvini di materie liquide. Que.- sta tregua non ebbe lunga durata ; dopo poche ore continuò il vaniloquio, il respiro si fece corto ed an- sioso, aumentò grandemente il battito delle carotidi, accrebbesi la propensione al deliquio, che si cambiò poi in sincope mortale. « Autopsia. - Aperta la cavità del cranio, si tro- varono tanto i vasi delle meningi, quanto quelli della sostanza cerebrale, ingorgati di sangue. L'apertura del petto fece vedere il lobo superiore del polmone de- stro epatizzato. Il polmone sinistro nella sua parte inferiore era suppurato, nella superiore epatizzato ed aderente alla pleura costale. Si notava versamento lin- fatico nel pericardio con ingrossamento delle di lui pareti. La membrana interna di questo sacco, insieme con quella sua porzione che va a costituire la ester- na del cuore, era coperta di un glutine tenacissimo giallastro. Era forse in istato di suppurazione questa tunica sierosa ? Il cuore era nel suo stalo naturale. Le pareli dei grossi vasi si vedevano assai dilatate , e quelle dell'arco dell'aorla ossificate per gran tratto. » 32 Scienze RIASSUNTO GENERALE del movimento durante Vanno 1 843^ /ra ^■ militari pontificii curate da malattie mediche nello spedale militare del S. il/. 0. G. in Roma. M esi Erano il 3i die. 1842, 98 infermi Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Lu glio Agosto Settembre Ottobre . Novembre Dicembre . Entrati 175 219 198 i34 92 124 243 437 296 189 ii5 Usciti per guari- gione 106 167 2d4 194 i58 116 76 164 261 439 233 ,75 Guariti 2343 Morti 94 Rimasti in cura ... 80 Totale dei malati . .2517 morte 9 7 12 6 7 4 7 6 3 i5 5 i3 La proporzione dei malati ai morti sta come 100 a 3 -23l^. 2817 Enrico Castreca Rrunetti. 33 Biografia di Nicolò Cacciatore astronomo delVosservatorio di Palermo, scritta da se medesimo. A MONSIG. C. E. MUZZARELLI. Palermo 23 novembre 1829. R Litornato dalle mie corse in Trapani, Favlgnana e Monte S. Calogero, dove dopo tre mesi sono stalo occupato per la misura d'una base e per la triangoli- zazione corrispondente destinata alla rettificazione del- le carte nautiche, trovo tra le altre lettere giuntemi in questo tempo di assenza una sua compitissima del 26 settembre scorso, nella quale con sorpresa e ri- conoscenza mi vedo annoverato senza mio merito in un'opera che certamente tramanderà alla posterità più remota que'nomi fortunati, ch'ella avrà prescelti al- l'onore della sua penna. Io non so quindi come rin- graziarla di tanta distinzione. Ma V. E. Rma vuole che io stesso scriva su di me : e le ragioni che ne adduce, figlie di quella nobile franchezza che non co- nosce amor proprio, e che nasce sempre dalla inge- nuità ed imparzialità di una bell'anima, sono così per- suasive che non possono inferocire la modestia di nis- suno. Mi farò dunque ad obbedirla: e poiché tre cose V. E. Rma da me vuol sapere ; vita, opere pubbli- G.A.T.CI. 3 34 Scienze cale, titoli e cariche indossate; io nell'annesso foglio ho steso i materiali veri e sinceri su questi tre que- siti; de'quali, secondo lo stile e il modulo ch'avrà ella adottati nell' opera sua , potrà togliere o aggiungere quelli che vuole. Quanto trova in quella carta rela- tivo alle cose più rimarcabili di mia vita, è esattissi- mo. Accetti intanto, giacché così ha voluto, questo segno di mia ubbidienza ; ma prego V. E. Rma ad averlo come primo saggio di quel piacere , con cui eseguirei altri suoi comandi, ove mi onorerà in cose di suo proprio uso e servizio. Mentre con vivissimi sentimenti di riconoscenza , desideroso di altri suoi pregiati comandi, ho l'onore di soscrivermi Di Vostra E. Rma Dmo obbmo servo Nicolò Cacciatore. P. S. Nella carta annessa non è restato luogo per soddisfare alla terza sua dimanda; cioè all'articolo titoli e cariche : io copierò, per sodd-isfare a ciò, il titolario apposto ad una poesia ultimamente a me in- titolata, cioè: « Nicolò Cacciatore Cavaliere del real ordine di Francesco I ; direttore del reale osservatorio di Palermo; regio astronomo e professore di geodesia delPofficio topografico; regio esa- minatore dei corpi facoltativi in Sicilia; deputato geo- metra de'pesi e misure; professore di astronomia nel- l'università di Palermo; socio della società astrono- mica di Londra; direttore della prima classe dell'ac- cademia delle scienze di Palermo ; socio corrispon- dente dell'accademia gioenia di Catania; della reale BroGRAFIA DI N. CACCIATOrxE 35 accademia delle scienze, del reale istituto d'incorag- giamento, e dell'accademia pontauiaua di Napoli. » Addio, modestia !. addio, rìserbatezza, griderà V. E. Rma! Ma vuole che tutto le dica, e io metto tut- to: perchè in queste cose all'autore dispiace assai man- car di materiali, mentre è padrone di scegliere quelli che crede, quando ne abbonda. Nicolò Cacciatore nacque in Castelterminì di Sicilia, nella diocesi e valle di Girgenti, ai 26 gen- naio 1780 da famiglia agiata e civile. Primo de'figli di Gaetano Cacciatore, notaio di professione, e che occupava le cariche più cospicue del suo paese , e di Rosalia Cassenti, fu da'suoi genitori destinato allo stato ecclesiastico ; ma ebbe la sorte di essere edu- cato alle lettere dal sacerdote Innocenzo Cacciato- re, suo zio paterno, ecclesiastico distinto per ingegno e per sapere. Nel 1796, ricevuti dal suo vescovo raonsig. Gra- nata gli ordini minori, fu invitalo ad occupare la cat- tedra di lingua greca nel seminario di Girgenti; ma egli chiese prima il tempo di perfezionarvisi, e a tale oggetto recossi in Palermo nel 1797. In quella ca- pitale, sotto il canonico de Cosmis suo compatriota, proseguì nella carriera letteraria, e fu impiegato da quel grand'uomo ad insegnare la geografia antica e comparata nelle scuole normali, delle quali era di- rettor generale, e precisamente nella classe più avan- zata, dì cui era lettore il dotto e benemerito mon- sig. dì Giovanni, oggi istruttore de' principi figli di S. M. Siciliana. Nelle ore di ozio intanto solo e da se studiava le scienze matematiche, nelle quali era sta- to iniziato da suo zio. 36 Scienze Nel 1798 in casa del De Cosmis fu conosciuto dal celebre p. Piazzi, il quale dopo brevi dimande conosciutolo inoltrato nel calcolo, lo consigliò ad ap- plicarsi alle scienze esatte: e per meglio dirigerlo, lo invitò a dimorare secolui alla specola. Da quel mo- mento il Cacciatore si dedicò interamente all'astrono- mia. Nel 1800 fu fatto primo assistente della speco- la, e il Piazzi gli affidò tutte le osservazioni allo stro- mento de'passaggi, ed i diversi travagli che erano ne- cessari alla formazione del gran catalogo delle stelle. Dopo la pubblicazione del primo gran catalogo nel i8o3, insorti essendo tra gli astronomi de'dubbi sull'esattezza delle 84 stelle fondamentali del dott. Masckelyne, alle quali quell'immenso lavoro era stato appoggiato ; ed essendone il Piazzi assai dolente, il Cacciatore si offrì al suo maestro per fare da se il tra- vaglio del Masckeljne. Il Piazzi ve lo animò; ed egli con improba fatica compì osservazioni e calcoli negli equinozi degli anni i8o3-4-5, e invece di 34 portò il numero delle stelle fondamentali a dugento venti. E questo lavoro, sul quale il Piazzi fondò poi il suo celebre catalogo del 18 14, trovasi nel libro VI del reale osservatorio, dove alle pagine i e 7 il Piazzi ingenuamente confessa di doverlo al suo assistente. Nel 1807 P^'^ grave malattia di occhi impedito il Piazzi di più osservare, abbandonò interamente al Cacciatore la cura di compiere le immense osserva- zioni e i calcoli ne' quali era inoltrato , e che da questi furono recati a fine nel i8i3, siccome il Piazzi dice nella prefazione pag. i e seguenti. Pubblicato quest'immenso lavoro, l'istituto delle scienze di Fran- cia nel i8i5, nell' aggiudicare il premio all'autore, dichiarò il Cacciatoi'e meritevole de'suoi elogi per la parte che vi ebbe. Biografia di N. Cacciatort5 87 La cometa del 1807 S'^ diede occasione di pub- blicare sotto il proprio nome le osservazioni della medesima. INel 181 1 fu dal suo sovrano prescelto a professore di astronomia e geodesia nell'officio topo- grafico di Palermo , e vi dettò per tre anni lezioni di tali facoltà agli ufficiali del corpo del genio. Co- me pure nel 1814? fatto professore onorario di astro- nomia nell'università degli studi, cominciò a dettarne le lezioni alla specola invece del Piazzi. Nello stesso anno fu destinato dal re deputato geometra de'corpi facoltativi in Sicilia, e di poi anche regio esamina- tore degli aspiranti dalla Sicilia alla scuola politec- nica di Napoli. Fino a quest'epoca le di lui fatiche letterarie si trovano amalgamate nelle opere del Piaz- zi, pel quale sempre travagliò, di cui fu sempre il collaboratore e il compagno; siccome in tutte le sue opere il Piazzi qua e là candidamente asserisce. Chiamato in Napoli il p. Piazzi qual direttor generale degli osservatore astronomici delle Due Si- cilie, fu il Cacciatore dal re promosso alla carica di direttore della specola di Palermo nel 1817; e nel 181 8 fu fatto socio dell'accademia delle scienze di Napoli, del reale istituto d' incoraggiamento e dell' accademia pontaniana della stessa citlà. Nel 18 19 ebbe dal governo l'incombenza dì di- videre la Sicilia in circondari per l'amministrazione giudiziaria, secondo il nuovo codice. Egli, il quale aveva avuto dal parlamento del 18 12 1' incarico di dividerla in distretti , la divise in i5o circondari . I ventitré distretti, non meno che i i5o circondari, sono la base delle amministrazioni civile o giudizia- ria di quel regno. In questo anno medesimo la co- meta apparsa gli diede occasione di esporre in una 38 Scienze memoria assai applaudita i suoi pensieri sulla for- mazione delle comete. Successore del Piazzi, egli con alacrità somma continuava a tenere in attività l'osservatorio: e già metteva in ordine per la stampa i suoi travagli, quan- do nelle vicende del 1820 il real palazzo, sul quale è posta la specola, la sua abitazione e la libreria fu- rono saccheggiate. Il Cacciatore strappato alla sua fa- miglia desolata , destinato dalla rabbia popolare ad esser trucidato, perchè si oppose di tutta forza ai ri- baldi che volevano entrare nell'osservatorio, trascina- to per la città, fu finalmente quasi ignudo rinchiu- so in fondo di oscura e stretta prigione in compa- gnia d'una ventina di uomini della massima depra- vazione. Per miracolo ne uscì il giorno susseguente; ma se gli riuscì co'suoi veementi reclami presso il governo di allora a far conservare illesa la specola, non potè impedire la totale dilapidazione de'suoi mo- bili, della sua libreria e delle sue carte. Ristabilito il buon ordine, non potè ritornare ad abitare alla spe- cola sino al 1828. Il Piazzi, ritornato da Napoli in Palermo munito delle necessarie facoltà, fece riattare ogni cosa, e il Cacciatore potè finalmente ripigliare i suoi regolari travagli. Nel 1824 fu aggregato qual socio straniero alla società astronomica di Londra. Nel 1826, morto il celebre prof. Piazzi, fu il Cacciatore necessitato a por- tarsi in Napoli, e ottenne da S. M. il re uno stabi- limento perpetuo e fisso per osservatorio, i cui asse- gnamenti durante la vita del Piazzi furono meschi- ni e provvisori, e dopo la di lui morte altamente con> trastati da qualche malevolo. Dedicò egli allora al suo re e mecenate il pri- Biografia di N. Cacciatore Sg mo volume delle sue fatiche aslronorniclie, che pub- blicò a spese regie e che contiene i primi tre libri, da lui però intitolati 7.", 8.° e 9.°, del reale osser- vatorio, perchè le opere del suo predecessore forma- vano i primi libri sei. Oggi attende da sua maestà il re le circostanze pecuniarie per rendere di pubblica ragione gli altri due volumi dell'opera medesima, che contengono altri sei libri sino al i5.° Intanto egli è stato fatto direttore della prima classe dell'accade- mia delle scienze ed arti di Palermo, socio dell'ac- cademia gioenia di Catania, e fu da sua maestà crea- to cavaliere del real ordine di Francesco I. Nel 18 IO egli si ammogliò con Emmanuela Mar- tina virtuosa ed amabile giovanetta, dalla quale ha avuto tre figli maschi e due femmine, che lo conso- lano colle più lusinghiere speranze; e d'Innocenzo, maggiore de'maschi, ne son stampate alcune interes- santi osservazioni. Egli dedica alla loro educazione le ore, che sopravvanzano alle sue fatiche e ai suoi studi scientifici. Le cose finora pubblicate da Cacciatore sono : 1. Della cometa apparsa in settembre 1807. Pa- lermo, reale stamperia 1808. 2. Sui fili di argento per uso de'telescopi. Opu- scoletto 18 17. 3. Della cometa apparsa in settembre 18 ig. Pa- lermo, reale stamperia i8ig. 4. Descrizione di un nuovo cerchio di riflessio- ne di M. Simonoff. Palermo, presso SoUi 1824. 5. Osservazioni sul M. Cuccio. Lettera a S. E. il marchese delle Favare. Palermo, slamp. reale 1824. 6. Descrizione della meridiana del duomo di Palermo. Palermo, presso Solli 1824. 4o S e: I li: N z E 7. Osservazioni sul M. Cuccio. Opuscolo secon- do. Palermo, presso Solli 1824. 8. Osservazioni sul M. Cuccio. Opuscolo terzo. Palermo, presso Solli 1824. g. Risposta ad una lettera anonima. Napoli, pres- so Trani 1824. IO. Sull'abbassamento straordinario del barome- tro ai 27 dicembre 1825. Lettera al sig. Gemellaro. Palermo, slamp. reale 1825. 12. Sull' origine del sistema solare. Discorso. Palermo, presso Solli 1825. i3. Del reale osservatorio di Palermo. Volume primo in foglio. Palermo 1826. 14. Lettera al chiarissimo sig. Visconti. Paler- mo, 1827 stamp. reale. i5. Sull' innalzamento straordinario del baro- metro. Lettera al sig. barone de Ferussac. Palermo, 1828 stamp. reale. 16. Viaggio ai bagni minerali di Sclafani. Pa- lermo, 1828 stamp. reale. Oltre a ciò vi sono pubblicate diverse lettere nella corrispondenza del barone de Zach, nel gior- nale delle scienze di Sicilia e altrove. Aggiunta del giornale. Questo illustre astronomo (siccome troviamo nel- la Ruota giornale di Palermo, anno II, i febbraio 1841) cessò di vivere in quella città il 27 di gennaio di quell'anno a tarda notte. Da quasi tre anni un malore insanabile il consumava lentamente; ed in fine, prostrategli al tutto le forze, il distrusse. L'articolo inserito in quel giornale è segnato colle iniziali G. Biografia di N. Cacciatore ^i B. C. e porta la data del 28 gennaio dal reale os- servatorio. Nelle effemeridi scientifiche letterarie per la Si- cilia, tomo Vili, anno II, ottobre i833, è pure inse- rita una lettera del nostro astronomo sullo Scirocco di Palermo diretta a raonsig. Capecelatro antico ar- civescovo di Taranto. In altri fascicoli delle citate effemeridi è regi- strato più volte il ristretto generale delle osservazio- ni metereologiche fatte in diversi anni dall' illustre scienziato nel reale osservatorio di Palermo. Il Cac- ciatore veniva nel i835 aggregato alla celebre acca- demia de'lincei di Roma. Teorica della formazione de^ censimenti, delV inge- gnere dottor Angelo Emiliani. Bologna 1844» coi tipi di Giuseppe Tiocchi e comp.^ in 4- di fac. 78. Jt^erchè questo sia libro di poca mole, non sia chi lo giudichi di poco pregio : è importante per la ma- teria, la quale giovando all'equa ripartizione de' tri- buti richiamar dee l'attenzione di tutti, che possono e vogliono secondo giustizia il bene de' singoli pro- prietari, da cui risulta il bene universale. Giova richiamare a memoria le istruzioni pel cen- simento milanese del 1782 stampate in Milano del 1801 ; giova altresì risalire ai tempi dell'imperatore Carlo V, che tra i pensieri di guerra seppe accoglie- 42 Scienze re, com'è de'granJi imperanti, anche pensieri di pace, de'quali principale si fu l'ordinare il censimento nella Lombardia austriaca. Più assai giova il farsi innanzi fino alla legge romana 4^ ff- De censibas^ ed il ri- correre i regolamenti, le oi'dinanze ed istruzioni ema- nate in riguardo alla operazione del censo : per con- cludere, che troppe sono le leggi sur una materia im- portantissima all'interesse de'sudditi, i quali chiedono l'equitativo riparto delle tasse, anche dopo che i più illuminati governi si volsero ad ordinare, a prorao- vere e completare la grande operazione del censo. La palla non balza sempre dove il giocatore l'aspetta: e, colpa la difficoltà delle imprese, tante volte un pro- getto plausibile non ha plausibile risultato. E soventi volte avviene, che quando altri crede toccare la meta, si trovi ancora a principio della strada; quando dopo lungo correre ed affannarsi per tortuosi sentieri e an- dirivieni si riconduca senza saperlo colà, donde prese gran tempo innanzi le mosse. Io non oserei dir tanto della grande operazione del censo, intorno la quale hanno sudato uomini di mente e di cuore eccellenti sotto i governi, che per quasi cinquant'anni da noi si successero sino al presente pacifico e sapientissimo. Ma l'autore, conciliando colla verità la modestia, e riguardando alla storia de'censimenti, all'esperienze di più epoche, alla moltitudine de' reclami , allo stesso malcontento generale, viene condotto a questa con- clusione : l'assunto di fissare sicure hasi^ onde ri- partire sulla massa de'' possidenti il dazio diretto in giuste proporzioni, questo assunto, che dalla re- golare instituzione de'censimenti fino alle ultime ret- tificazioni i governi hanno sempre proposto in via di problema, ad onta del concorso di tutti i mezzi, che Formazione de'cénsimenti 4^ le scienze chiamate in soccorso stimarono opportune : « non pertanto .... rimase insoluto ; gli estimi censuari trovansi tuttavia nella prima oscillazione abbandonati alla coscienza cWpratici^ i quali pon- ilo facilmente piegare ad atti arbitrari. » Ricercando la causa di tanto male, l'autore du- bitò ben presto, che il difetto potesse nascondersi nel- la base dell' edifizio : e si persuase, che una base ra- gionevole non possa sperarsi nel principio fissato co- munemente a compilare i censimenti, vale a dire 1' esclusiva produzione agricola. « Difatti ( egli continua ) la produzione agricola » si compone di due elementi : delle circostanze na- » turali del suolo, e dell'industria ... E dimostrato » che quest'ultimo elemento non può assoggettarsi a » gravezze . . . Quali elementi adunque rimangono, su » cui poggiare l'edifizio del censimento ? Le circo- » stanze naturali del suolo. » Sulle circostanze na- turali del suolo l'autore ha fondato appunto la sua teorica, opinando che a soddisfamento di tutti gl'in- teressati un ben ordinato censimento debba essere do- tato di tre qualità; I. di esser basato sur una mas- sima fondamentale semplice, naturale e a lutti intel- ligihile ; IL la massima fondamentale dovendo rice- vere sviluppo dalle scienze , che ne garantiscono l'esattezza; III. ne sia tale l'esecuzione, che venga tol- to agli esecutori l'arbitrio e l'allegazione d'ignoranza: e d'altronde ogni interessato abbia modo di verificare l'aggiustatezza della quota attribuitagli. Così la sua teorica è divisa in tre parti : dove si espo- ne; I. la massima fondamentale; IL l'impianto scien- tifico: III. il modo di esecuzione. Una base più semplice e sicura, secondo l'autore, 44 Scienze si è quella che considera gli elementi naturali del suolo concorrenti alla sua feracità ed invariabili , o tali da potersene valutare la variazione. Un consesso di dotti dovrebbe essere adoperato, secondo lui, per determinare coli' aiuto delle scienze esatte ed affini una scala di pregio delle diverse naturali feracità di un terreno. E gli operatori dovrebbero essere guida- ti continuamente da una scorta razionale, onde to- glier loro ogni arbitrio, ed aggiungeremmo anche ogni*^ imparzialità pur troppo possibile non solo in passato, ma anche in futuro. La vera cifra del pregio agrario di uno stato ( quella che diremmo finora quasi la pie- tra filosofale ) pare all'autore, che col suo sistema po- tesse aversi ed applicarsi a beneficio della comune so- cietà. Noi non sapremmo restringere in poco le vedu- te, le formole e le istruzioni in questp libro esposte e proposte : vogliamo anzi astenercene per lasciare li- bero il giudizio a quelli che amano ancora gli studi della pubblica economìa, tanto onorati e coltivati da noi, dopo l'impulso datone dall'insigne professore Lui- gi dottor Valeriani Molinari ( che io scrittore nomi- no a cagione di onore e di gratitudine, avendo da sette lustri a questa parte udite le sue lezioni dalla cat- tedra di Bologna per le attinenze della pubblica eco- nomia colla facoltà d'ingegnere, che poteva e doveva essere istruito eziandio su tutto ciò che riguarda la teoria delle imposte e dell'equa loro ripartizione). Una cosa aggiungerò , che la posizione di una provincia ( in quanto sia stretta quasi d'assedio, dico confinante da più lati con estere regioni, ed aggravata di dazi d'ogni maniera e d'ogni nome ) dee porsi a calcolo per valutare un po'meno proporzionatamente la na- Formazione de'censimenti 4^ turale felicità del suolo : il quale avrà sì tutte le be- nedizioni del cielo ; ma se avrà impedito o contrariato lo smercio de'generi, ridurrà in trista condizione i proprietari, che non potendo o male potendo dar esito ai loro generi, e non avendo quindi tutte le bene- dizioni della terra , saranno ridotti alla miseria in mezzo alla ricchezza del suolo. Il che forse conside- rava l'autore dell' C/omo di stato fino dal 179B, quando da'suoi principii deduceva fra Taltre cose: Che i paesi molto feraci non potranno senza grave pregiudi- zio delV agricoltura ne inibire^ ne aggravare Va- sportazione deHoro prodotti. Ma e questa ed ogni altra considerazione io tra- passo, ben certo che la sapienza del governo non la- scia sino dal tempo della santità di Pio VII di glo- riosa memoria di calcolare il buono delle nuove teo- rie; applicandole se non tutte; che ne tutte, né da per tutto convengono forse, all'ordinamento del ca- tasto, ed alla plìi mite e ragionevole imposizione de- gli aggravi; i quali sono necessari al certo ; benché le piccole menti non sappiano persuadersi, che siano tanto vari, e variamente percetti nei diversi rami della pubblica, provinciale e comunale amministrazione (i). Del resto, se portisi uno sguardo alle taglie o gabelle, o tasse e sopratasse, od aggravi o tributi, che vogliano dirsi, che sino dal medio evo furono e si suc- cessero nei divei'si stati meglio amministrali ; se gi- risi di qua e di là dai mari , e tra le alpi e fuori l'occhio, che nota e confronta, noi non potremo che (i) A dichiarazione vedasi; L'uomo di stato del dottore Gian' domenico Brusloloni. Venezia 1798. Parte seconda, capo sesto ^ Pel pubblico patrimonio. ^5 Scienze lamentare la condizione de'tempi, la quale impone ai principi la necessità di aggravare i sudditi per le ne- cessarie spese di governo; ma dovremo ringraziare la provvidenza, che il pensiero regolatore del nostro stato si è quello di proporsi la maggiore possibile econo- mia, come la maggiore possibile felicità de'singoli e dell'universale. Ma basti di ciò: e tornisi al propo- sito del censimento per raccomandare le belle ed utili teorie, quasi conformi alle proposte deirEmlliani, teo- rie spiegate in argomento dal sig. Adamo Fabbroni in una Dissertazione presentata al concorso del 1784 e coronata dalla reale accademia de'georgofill di Fi- renze : la cui seconda edizione fu in Faenza per l'Archi nel 1802 a spese di Antonio Marcheselli di Bologna. Conchiuderò augurando, che in una materia di tanta importanza, e nella quale si è progredito sì len- tamente, continuino i dotti a studiare, procurando quel- la necessaria e utilissima alleanza della teorica colla pratica, l'una delle quali fa ciò che l'occhio; l'altra fa ciò che le mani nell' uomo : il quale non è che un cieco, che cammina, se manca di pratica; non è che uua statua ( o poco meno ), se manca di teori- ca. Se questa a quella si colleghino, vedremo il vero progresso ; il quale finora è come l'araba fenice, nei sogni de'poeti così decantata ! D. Vaccolini. 47 Nuove ricerche Jisico-chimiche ed analisi delle acque termali euganee, istituite per ordine es- presso di S. A. I. R. il serenissimo arciduca vi- ce-re del regno lombardo veneto ec. ec, dal dot- tore Francesco Ragazzini professore ordinario di chimica generale , animale e farmaceutica nella 1. R. università di Padova. Padova dalla tipogr. del seminario 18445"^ ^- di pag. i34. c [ome da padre a figlio si trasfondono senza esau- rirsi bontà morali, e diremmo anche fisiche; così egual- mente e più da maestro a discepolo la scienza si tras- fonde. Celebre tra'chimici italiani è il nome del pro- fessore Girolamo dottor Melandri Contessi, al quale con amore di concittadino io dava tributo di lagrime anche in queste carte, quando per lo scoppio di aneu- risma al cuore lo rapì giovane ancora la morte in- vidiosa. La patria comune e la chimica hanno di che consolarsi, che nel professore Ragazzini, allievo del Melandri, sia rimasto chi sostiene con decoro e con utilità de'glovani la cattedra e regge il laboratorio di quella insigne università. Famoso fu il maestro nelle analisi chimiche di acque medicinali, come di Recoaro, di Staro, di Civillina ec. ec, chiaro si fa oggi il pro- fessor Ragazzini per queste ricerche ed analisi delle acque termali euganee: nella quale fatica diresti sin- golarmente lui avere ereditato l'acume e l'esattezza presso che matematica del maestro. Dare un sunto del libro non si potrebbe senza 48 Scienze ricopiarlo; tanto è preciso, e nulla gli si può togliere senza sfigurarlo. Bell'esempio di quella economia nello scrivere, che non si apprende se non dalla vera filo- sofia: bel pregio, sempre desiderato, rade volte otte- nuto perfettamente ! Ecco almeno l'indice delle materie. 1. Cenni storici e geografici delle terme d'Abano. 2. Analisi qualitativa del gas che si svolge dalle acque termali d'Abano. - Analisi quantitativa del gas termale dei fonti a gradi 66-67, ^^ ^ gradi 4o-5o. 3. Analisi qualitativa dell'acqua termale di Aba- no. - Esame dell'acqua dopo la bollitura. - Analisi quantitativa ec. - Correlazione tra l'acqua termale di Abano e quella dell'Adriatico. 4. Esame fisico-chimico del fango termale di Abano. 5. Cenni storici sulle terme di monte Ortone. 6. Analisi qualitativa e quantitativa dell'acqua suddetta. - Acqua della Vergine. 7. Cenni storici sulle terme di s. Pietro Mon- tagnone e di Monte Groto. 8. Analisi chimica dei più notevoli fonti termali di s, Pietro Montagnone. - Acqua detta della Lastra. - Acqua termale del colie di Monte Croio o Bortolon. g. Ricerche fisico-chimiche suU' acqua termale delle terme di Monte Groto. 10. Cenni storici sulle terme di s. Elena. 11. Analisi delle acque suddette e del fango. 12. Origine del calore termale e profondità, da cui verosimilmente hanno uscita le terme euganee. i3. Delle alghe viventi nelle terme euganee. 14. Virtù mediche delle acque e fanghi termali dei colli euganei. Acque termali /^ L'edizione è intitolata a quell'insigne mecenate dell arciduca Ranieri d'Austria, che anima scienze ed arti utih e decorose d'ogni maniera nella parte d'I- talia, che chiamasi Lombardia e Venezia. Del resto li libro, che sarà cercato da molti, si trova facilmen- te reperibile ed a prezzo agevole; poiché, mirandosi alluuhtà dei molti, si è voluto che tutti, ancorché piccoli, potessero acquistarlo comodamente a propria utilità. ^ *^ ^ Noi loderemo, come altre volte avemmo occa- sione di fare in queste carte, il senno e la operosità del professore Ragazzini di Bagnacavallo , che non perde occasione di rendersi utile alla scienza ed all' umanità l D. Vaccglini. G.A.T.CI. 5o Is'ETTMWLM^T'aUA In quale anno fosse da Dante dettato il Convito. Ragionamento critico del prof. P. Venturi, M.Ì Convito quando fu egli dettato dall' Allighieri ? A me sembra veramente cosa nuova ed incomprensibile come esser ci possa chi, letta quell'opera, debba fare sirail domanda ! L'autore stesso in sul bel principio del libro chiaramente ci dice, ch'egli ebbe dettata la yita Nuova in sull'entrare del ventesimosesto, ed il Convito dopo compiuto 1' anno quarantesimoqulnto dell'età sua (i). Or non par egli ch'esser debbano usciti di senno coloro, i quali, dopo lette quelle pa- role scritte dal medesimo Dante , dicono eh' egli lo scrisse prima del suo quarantesimo anno (a) ? ed al- tri prima del trentesimo quinto? ed altri in gioventù? ed altri finalmente negli estremi del viver suo (3) ? Certo, sarà risposto, certo che il contraddire a cosi aperta testimonianza dell' Allighieri parrebbe , senza più, anziché grossezza, delirio di guasta mente: ma (i) Conv. tr. 1, cap. i. (a) Balbo, Vita di Dante, tom. 2, pag. 75. (3) Fraticelli, Dissert. sull' epoca in cui iu scritto il Coavì- to. Dante, Opere minori, tom. 1, part. 3, pag. 564 • Sul Convito di Dante 5, perocché uomini valorosi tennero e tengono colai di- versa sentenza, egli è pur forza che siavi alcuna buona ragione perchè, malgrado delia testimonianza di Dan- te , altramente si debba credere. Ahimè ! ben havvi una fatai ragione: ed è quella stessa che, per iscia- gura del nostro autore, par che si metta nell'animo della più parte di coloro, i quali delle opere di lui prendono a fare la critica od il comento. E la ra- . gione è questa, che nello studio e nell'esame di esse opere usano bensì gli occhi del corpo , ma poco o quasi nulla quei della mente. Un'apparente contrad- dizione o difficoltà, che lor s'attraversi, basta ad ar- restarli: ed in luogo di cercar diligentemente nel te- sto la via onde conciliarla o distruggerla, s'incapano a volerne render conto a lor modo, e sognano e trag- gono innanzi ghiribizzi ed invenzioni cosi fanfasticli'e e strane, ch'ell'è una compassione a vederle. Io non toglierò mica qui ad esaminare e combattere ad una ad una quelle tante che, come ho dello, furono im- maginale e scritte intorno l'epoca in cui fu dettalo il Convito; eh' ella sarebbe impresa lunga e noiosa troppo. Ma perocché il cl.iarissimo sig. Fraticelli tulle le raccolse dentro da una sua dissertazione , per la quale egli si confidò di risolvere finalmente la gran quislione, su quella noi useremo principalmente le nostre critiche osservazioni a mostrare come ezian- dio questo valente scrittore non ebbe toccato quel termine, al quale tanto sicuramente egli tiene d'es- sere pervenuto. Il sig. Fraticelli in sul principio della sua dis- sertazione dice queste parole: « // critico, che scn^ » za aver presente ed ordinatamente disposto da- » vanti agli occhi della sua mente tutto l'insieme 5a Letteratura » dell'opera, e che da alcuna parte soltanto pre- » suine . . . dedurne, ed esattamente rintracciar- » ne il tutto , si espone al caso di allontanarsi n sempre pia da quel vero, alla ricerca del qua- \) le intendeva di consecrar le sue indagini. » Bel- la e vera sentenza ell'è questa, ma della quale non pare che lo scrittore sapesse farsi buon prò: e s'io mi dica il vero, si vedrà nel processo di questo scrit- to. Frattanto, a farci spacciatamente in sul tema, si vuol dire che il nostro critico, scostandosi dagli al- tri, dove più, dove meno , pone dettato il Convito tra il 1297 e il i3i4; cioè, com'egli dice, il trat- tato secondo ed il quarto nel 12917, ed il primo ed il terzo nel \'ò\/^. E cotale mostruosità d'ordine in- verso e grottesco egli pretende giustificarla con certe sue ragioni di cronologia rispetto le date ed i fatti che ne'diversi trattati s'incontrano. Ma perocché in quanto al primo trattato, qualor non si voglia Dante bugiardo, nessuno potrà sostenere ne provare eh' ei lo dettasse prima d'aver compiuto il suo anno qua- rantesimo quinto (i), io tralascerò di recar le ragio- ni dal Fraticelli addotte in conferma di cotal vero, e quelle tralascerò altresì ch'egli i-eca a mostrare co- me il terzo fu conseguente al primo. L'errore del no- stro critico parmi che sia nel pretendere, che il trat- tato secondo ed il quarto debbano essere stati scritti nel 1297, vale a dire, non pur sì lungo tempo prima degli altri due, ma sì ben anche i3 anni prima di toccar quell'età, nella quale Dante stesso dice d'aver posto mano al Convito. La ragione principale recata dal sig. Fraticelli a (i) Conv. tr. I, cap. i. Sul Convito di Dante 53 provare che il secondo trattato dovette essere scritto prima del i3oo, ella è che la canzone: Voi che , intendendo^ il terzo del movete: » fu dettata prima di detto anno, e che contemporaneamente ad essa ne fu dettato anche il comento, il quale poi prese luogo di secondo trattato. Se fosse indubitabilmente vero ciò che dice il sig. Fraticelli, la ragione certamente sarebbe sua ; ma la cosa parmi che stia ben altra- mente da quello ch'egli si crede. Che la canzone det- ta di sopra fosse composta prima del i3oo, non sarà chi possa negarlo, perocché Dante medesimo è que- gli che ce lo dice ; ma non è così vero che insieme con essa ne fosse dettato il comento. Il sig. Frati- celli a conforto della sua sentenza dice, che dal modo con cui Carlo Martello « menziona {j)la detta can- zone di Dante , parrebbe potersi inferire che il mondo già conoscesse la detta poesia, non solo nella corteccia delle parole^ ma dentro pure nelle ri- poste sentenze^ e che già sapesse parlarvisi delle intelligenze celesti. E conclude: « Dunque il mondo non poteva sapere tutto questo senza Valuto del relativo comento (2). « Una essenzialissima distin- (i) Farad. 8, v- 37. (2) Dove Dante prima del i3oo avesse già fatto vedere per via di comento il riposto senso di questa canzone, certo è che, detto comento non doveva, almeno, cominciare a quel modo che ora si legge; di che seguiterebbe che, se non altro, egli fu ritoc- cato: la qual cosa neppure si vuol concedere dal sig. Fraticelli, Oltracciò il mondo avrebbe saputo, che anche le altre canzoni di Dante dovevano intendersi al modo medesimo di questa; impe- rocché nel capitolo secondo del secóndo trattato dice: „ Accioc- ché più non sia mestiere di predicere (premettere) queste (già detle) parole^ per le sposizioni delle altre (canzóni) dico che questo ordine, che in questo trattalo si prenderà, tenere intendo 54 Letteratura zìone è fuggita qui alla mente del dotto critico; ed è questa. Altro è questo basso mondo, dove tutto è miseria ed ignoranza: altro il mondo celeste, dove tut- to è letizia, sapienza e virtìi. Se il sig. Fraticelli si fosse ricordato che i beati in cielo veggono in Dio tutti i nostri anche più occulti pensieri (i) , non avrebbe certamente detto che Carlo Martello non po- teva sapere i pensieri e le idee chiuse da Dante in quella canzone, senza Vaiiito del relativo comento. In secondo luogo soggiunge il valoroso critico: « Il comento appare scritto contemporaneamente alla canzone, perciocché le espressioni, che in esso adopera V AUighieri rispetto alla sua diletta Bea- trice, si riconoscono dettate da un calore di sen- timento e di affetto, che mostra una piaga piut- tosto recente » : e ne cita i seguenti tre luoghi : « Jppresio lo trapassamento di quella Beatrice beata, che vive in cielo cogli angioli e in terra colla mia anima (2). » E quest'anima non è altro che un pensiero, che commenda ed abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice (3). » Così certo sono ad altra vita migliore dopo questa pas- sare, là dove quella gloriosa donna vive, della quale fu V anima mia innamorata (4). » Io non so vera- mente vedere per qual via si riconosca in questi tre luoghi il calore e Vaffetto J' una piaga piuttosto per tutti gli altri. ,, Or va, e di, se puoi, che questo seconrlo traUato lu scritto isolatamente i3 anni innanzi al primo, e, quel cli'c peggio, che s'ei fu, non venne poscia neppur ritoccato! m) Vedi per tutto il Paradiso. (2) Tr. 2, cap. II. (3) Tr. 2, cap. 7. (4) Tr. 2, cap. 9. Sul Convito di Dante 55 recente. Ben vi trovo, e vi troveranno pur altri, un' affettuosa reminiscenza d'un amor clie fu caro , ma non un accento che mostri dolore per una piaga piuttosto recente. A Dante, comecché innamoralo po- scia della donna gentile, non venne mai meno l'af- fetto per la real Beatrice; e questo fu cagione ch'egli, a poter dire di lei quello che mai non fu detto di alcuna (i), immaginò in figura di lei la sublime teologia. E chi guarderà bene gli ultimi quattro canti del purgatorio (2), e saprà distinguere in essi l'espres- sioni che vanno alla real Beatrice, vedrà quanto sia- no più calde e passionate di quelle che si leggono nel Convito. Or se nessuno potrà negare che l'affetto per la real Beatrice non venne mai meno a Dante, qual maraviglia se, al doverla nominare quando che fosse, diceva ch^essa viveva in cielo cogli angioli , e in terra colV anima sua ? E questo chiaramente mostra come il primo de'recati luoghi nulla valga a provare la sentenza del sig. Fraticelli. Ma se nulla vale il primo, vale anche raen di nulla il secondo. Dove Dan- te dice, che per quelVanima , di cui parla nella can- zone, non altro si deve intendere che un pensiero che abbelliva la memoria della gloriosa Beatrice^ doveva il sincero critico aggiungere anche le parole che dicono , che questo pensier favorevole alla real Beatrice insorgeva unicamente per combatterne un altro ( che poscia fu vincitore ), il quale lottava con- tro quel primo a prò della donna gentile^ vale a dire della filosofia. Dunque che è in quelle parole che (1) Vedi Vita Nuova in fine. (2) E poni ben niente, che il Purgatorio fu dettato assai più tardi del Convito* Vedi Diouisi, Prep. stor. lom. 7, cap. ultimo. 56 Letteratura mostri color d' affetto ^ e dolor d'una piaga piut- tosto recente ? Egli mi pare all'incontro che da que- sto luogo se ne debba trarre una prova contraria al- l'intendimento del nostro critico. Imperocché narran- dosi ivi una battaglia di due amori, nella quale su- pera quello che era contrario alla real Beatrice , si fa chiaro che l'affetto vivo ed intenso per questa era già per tempo, o per altri argomenti, rimesso (i). Finalmente in quanto al terzo de'recati luoghi occorre dire quello che fu detto rispetto al primo : imperocché dopo aver Dante fatta una digressione a provare l'immortalità dell'anima, fa fine dicendo : Ed io così credo, così affermo, e così certo sono ad altra vita migliore passare , là dove quella glo- riosa donna vive, della quale fu V anima mia in- namorata ». E neppur qui vedesi accento né sillaba onde si possa trarre allusione a dolore per una pia- ga piuttosto recente. E se sì volesse recare e chio- sar per intero questo luogo, che solo dimezzato s'eb- be tolto a suo prò l'ingegnoso critico, ne vedremmo uscire un senso, il quale, come si mostrò del secon- (i) E ch'ei già fosse rimesso. Dante medesimo cliiaramente cel dice. Narrato ( Conv. tr 2, cap. 2), come dopo due rivolgi- meati della stella di Venere dalla morte di Beatrice, apparisse a lui primamente la donna gentile, segue dicendo : ,, Ma perocché non subitamente nasce amore e (Vissi grande e viene perfetto, ma "vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri , massimamente là dove son pensieri contrari che lo impediscono, convenne, prima che questo nuovo amore fosse perfetto, moita battaglia intra'I pensiero del suo nutrimento e quello che gli era contrario, il qua* le per quella gloriosa Beatrice tenea ( nota bene questo lenea ) ancora la rocca della mia mente ,,. Dunque, se allorché Danto scriveva queste parole la battaglia tra i due amori era finita , e la vittoria rimasta al secondo, chi oserà dire cho il primo non fosse rimesso ? Sul Convito di Dante 57 tlo, invece Ji aiutare, combatterebbe la sua sentenza. Ed infatti il sopra citato luogo si compie a questo modo nel testo : « Là dove quella gloriosa donna vìve, della quale fu V anima mia innamorata ^ quan- do contendea ». Le parole fu e quando contendea mostrano azione non pur trapassata , ma che finiva al venir meno d'una condizione che a se teneva sog- getto il paziente. Se dunque Dante fu innamorato di Beatrice quando Vanìma sua contendea, vale a dire mentre che durò il contrasto fra i due affetti , fra quello cioè per la real Beatrice già morta, e quello per la filosofia che a se il tirava: e se quelle parole furono, come sono realmente, dette quando già il se- condo affetto aveva trionfato del primo (i); manife- sto è ch'elle suonan tutt'altro che il supposto lamento per una piaga piuttosto recente. A suggellare poi di verità incontrastabile la sua sentenza, reca il dotto critico, dopo le sin qui discorse parole, un'altra prova che parmi da lui reputata l'a- chille de'suoi argomenti: e la prova è questa. Dante nella commedia ritratta l'opinione manifestata nel se- condo trattato del Convito rispetto alle ombre che veg- gonsi nella luna. Ma la ritrattazione che leggesi nella commedia, apparisce fatta nel i3oo; dunque il trat- talo secondo, nel quale trovasi la rigettala opinione, di forza deve essere stato scritto prima del i3oo. Guai alla critica, s'ella non sapesse argomentar né conclu- dere che a questo modo ! Perchè l'argomento valesse a darci indubitabilmente il cemento contemporaneo alla canzone, bisognava provare che la cantica, nella quale Dante pose la ritrattazione, fu pubblicata nel (i) Vedi auclie Ir. 2, cap. io. 58 Letteratura i3oo. In questo solo caso dovrebbesl di forza con- cedere, essere stato il trattato secondo scritto prima di detto anno ; imperocché dovendo la ritrattazione succedere alla sentenza che si pretende correggere , questa necessariamente a quella doveva andare innan- zi. Ma se la cantica del paradiso nel i3i8 non era ancor pubblicata (i),e se il Convito non v'ha critico che valga a trarlo più innanzi del 1 3 14» perchè non poteva Dante nel i3i4 aver detto che lejnacchie Ul- nari procedevano da rarità di quel corpo, e nel i3i8, e fors'anche più tardi, aver ritrattato tale sentenza? Opporrà il nostro critico , che la ritrattazione però apparisce fatta non già nel i3i8, ma sì bene nell' anno i3oo. Alla quale opposizione io risponderò, non essere slato concesso mai dai canoni della critica il dedurre sicurezza di fatti né verità dalle apparenze e dalle finzioni. El che è ella l'epoca della comme- dia se non una finzione? Quell'anno i3oo non è che un artifizio adoperato dal poeta a potere in più variate forme, e con maggior poetica vaghezza, spie- gare la gran tela ch'egli voleva colorire. Non è che un maraviglioso trovato, onde sottrarsi a quella tiran- nica e noiosa monotonia di tempo e d'azione che ob- bligato lo avrebbe ad una narrazione di storici av- venimenti tutti già trapassati. Quindi anch'io mi so bene, che tutto ciò che nel tripartito poema si pre- Hìce come cosa futura devesi riferire come cosa già trapassata a quell'epoca di mano in mano, alla quale ciascun fatto appartiene: e che altresì tutto ciò che yì è annunziato come cosa presente^ devesi riferire al i3oo. Ma se così, e non altramente , devesi in- {«) V. Dionisi, Prep. *tor tom, a, cap. ultimo. Sul CoNvtto br Dante Sg tendere degrislorici falli, non conseguila che pur così debbasi intendere delle opinioni scientifiche dall'au- tore qui e qua sparse dentro dall'opera. Queste, im- perocché indipendenti dalla storia, possono riferirsi a qualunque si voglia epoca, purché non sì contrad- dica a quelle degli studi o di altre circostanze dell' autore. E dov'anche l'opinion fosse tale, che all'au- tore assai importasse di determinarla ad un' epoca ; questa non potrebbe prender sua data, che dal mo- mento in cui quella cotale opinione fu pubblicata. Poste le quali cose, e posto pure che Dante amasse di determinare un'epoca alla sua nuova opinione, io chiederò al valoroso critico se gli paia buona l'argo- mentazione seguente: - L'epoca del i3oo, in cui si fin- ge dal poeta la visione, è immaginaria^ la ritratta- zione di lui rispetto all'opinione intorno le macchie lunari risulta da un dialogo che si finge avvenuto nel i3oo; dunque nel i3oo indubitabilmente avven- ne in Dante il cangiamento della sua opinione. - Ar- gomento più mostruoso, né più mostruosa conseguen- za io non credo che mai si udisse al mondo ! Dun- que ... ? Dunque, dove non si possa indubitabilmente provare, che il cangiamento dell'opinione in Dante avvenne, al più tardi, nel i3oo, non si potrà nep- pur provare che il secondo trattato del Convito do- vette essere scritto prima di colai anno. Oltracciò, se il sig. Fraticelli avesse posto mente la premura che Dante pone a mostrarsi non pure ri- creduto da quella prima opinione, ma il vanto e la compiacenza onde accompagna la supposta scoperta della caglon vera delle macchie lunari (i), avrebbe •. 1^ (i) Vedi Parnd. i dal v, 49 a tulio il canto; poi al 3, v. i e segg. 6o Letteratura veduto che troppo dovea stargli a cuore che la se- conda si fosse resa al più presto palese. Egli si pro- metteva da essa quell'onor grande, che suole accom- pagnar la memoria di coloro che nelle scienze o nelle arti furono trovatori o scopritori d'ignoti veri : im- perocché, sehbene, al par della prima, la seconda opi- nione di Dante or ne riesca falsa e ridicola, essa però veniva riputata da lui non pur vera ed ammirabile, ma sì tale da meritargli sopra tante altre lodi, an- che quella di trovatore d'una ignota astronomica ve- rità. E sarà pertanto chi possa credere, che dove Dan- te avesse trovato nel i3oo una verità, secondo suo credere, tanto maravigliosa, avrebbe poi indugiato a pubblicarla fin dopo l'anno i3i8? Ma ella fu pub- blicata nella commedia , la quale porta V epoca appunto delVanno i3oo. E qui siam da capo ! L'e- poca della commedia è immaginaria: e l'epoca che si richiede a determinare l'avvenimento di una sco- perta vuol esser certa. L' epoca prende sua data da quell'istante in che la scoperta è pubblicata. La sco- perta di Dante non fu pubblicata che dopo il i3i8; dunque almeno a colai anno, e non prima, deve ri- ferirsi la ritrattazione di Dante. Ma poteva Dafite, già prima di pubblicarla, aver concepita ed ap- provata in sua mente la novella opinione. Se que- sto sia stato, Dio sei saprà; ne quinci può trarsi ar- gomento al proposito nostro. Certa cosa è che la no- vella opinione non parve prima del i3i8, e che Dante non era tal balordo da credere che gli si sarebbe me- nata buona una fittizia anteriorità di i8 anni e forse più, qualora alcun altro filosofo fosse surto infra quel tempo ad annunziare una dottrina consimile. Dun- que, o provare che la cantica del paradiso fu pub- Sol Convito di Dante Gì blicata nel i3oo, o concedere che la ritrattazione di Dante non può riferirsi che al di là del i3i8. Passando il sig. Fraticelli a voler dimostrare co- me il quarto trattato si debba reputare e tenere an- ch' esso dettato assai tempo innanzi al primo ed al terzo, prende suo cominciamento con queste parole: « Il quarto trattato del Convito ci somministra tanti argomenti a rilevare Vepoca in cui fu det- tato^ ed a provare che lo fu nel 1298, che noi potremmo d'avvantaggio quando avessimo le testi- monianze concordi delia storia, o Vasserzione me- desima deW autore ». E tanta la solennità e la si- curezza con che son dette queste parole, ch'io per non picciol tempo credetti travedere allorché, in leg- gendo quel quarto trattato, m'imbatteva qui e qua in diversi luoghi, i quali chiaramente parevami che mei dessero scritto posteriormente al terzo. Se non che di colai mio immaginario o reale travedimento sarà da farne parola dopo vedute e considerate alcun poco le ragioni dal critico addotte a sostenere la sua sentenza. La prima cosa egli reca che Dante nel capitolo terzo del quarto trattato dice queste parole : « F'e- derigo di Soave ultimo imperatore de^romani [ul- timo dico per rispetto al tempo presente^ non ostan- te che Ridolfo e Adolfo e Alberto poi eletti sie- no appresso la sua morte e de'' suoi discendenti ) , domandato che fosse gentilezza^ rispose ec Dalle quali parole il nostro critico pretende trarre diverse prove a fermare che il quarto trattato dovei le essere scritto nel 1298 , 0 poco piìi tardi. Egli ar- gomenta così : L'ultimo eletto imperatore, rispetto al tempo in cui l'AUighieri scriveva quel trattalo , era 63 Letteratura Alberto: questi fa eletto nel 1298 e morì nel i3o8; dunque il quarto trattato, dove si leggono le parole sopra citate, fu scritto tra il 1298 ed il i3o8. E que- sta prova, egli soggiunge, farsi tanto piìi sicura, in quanto che, se Dante avesse scritte quelle parole re- gnante Arrigo, non avrebbe certo omesso dal novero il suo diletto ghibellino. Qui si vuole andare un poco adagio, perchè nel primo di questi argomenti mi pare che ci covi la gatta. Dante non dice che, mentre egli scriveva, Alberto fosse Vultimo eletto imperatore; im- perocché altro è il dire : dopo Federigo, Vultimo elet- to imperatore fu Alberto: altro il dire : dopo Fede- rigo, furono eletti Rodolfo, Adolfo e Alberto impe- ratori. Nel primo caso Alberto devesi di necessità in- tendere per Vultimo eletto imperatore; nel secondo non consegue di necessità che Alberto debbasi inten- dere per ultimo eletto. Dunque non v'ha ragione per escludere assolutamente la probabilità ( che poi ve- dremo convertita in certezza ) che quando Dante scri- veva quelle parole, fosse già stato eletto anche Ar- rigo. Ma se questi era già stato eletto, perchè lo scrittore ometteva da quel novero il suo predilet- to ghibellino? Prima Ji fare altrui colale interroga- zione , doveva il sig. Fraticelli farne un' altra a se stesso, ed a quella con accorto discorso d'acuta cri- tica veder di fare piana e conveniente risposta. E 1' iolerrogazione, che ne il sig. Fraticelli, ne verun al- tro critico, ch'io mi sappia, fece mai a se stesso, ell'è questa; •■ Perchè Dante chiama Federigo di Soave ul- timo imperator de^romani^ quando e Ridolfo e Adol- fo erano stati dopo di lui legalmente eletti e rico- nosciuti imperatori? - Questa non è mica una ciufola, »^jDa sì cotale un fatto che richiede ragionevole e chia- Sul Convito di Dante 63^ ra giustificazione; altrimenti Dante ci avrebbe rega- lati d'un contradditorio ed inesplicabile farfallone. Ed in vero, dove chiave di buona critica non dischiuda, chi giungerà mai a comprendere perchè Dante in una serie ex. gr. di 3o numeri dica che il ventesimo set- limo è Vultimo, comecché altri tre se ne contino do- po quello ? Ella è però cosa assai facile dimostrar giusta e vera in bocca di Dante cotal sentenza, pur- ché da lui se ne traggano le ragioni e dalla nalura sua e dai prlncipii ch'ei professava. La maniera di gente sopra ogni altra abborrlta dal nostro poeta erano i poltroni; coloro che, buoni solamente per se, vivono senza infamia e senza lode, e che, non lasciando al mondo ne onorata, nò ma- ladetta voce di loro, sono sprezzati e rifiutati da Dio e dal diavolo (i). E ben sanno tutti come quegli ama- rissimi ed atroci versi, i quali dipingono quegli scia- gurati (2), vadano spezialmente a coloro, i quali po- tendo, secondo Dante, dar mano a sovvenire Ifaha, si tennero invece in una turpe infingardaggine. Quin- di, al sentir del poeta, non poteva essere al mondo più abbominevol poltrone d'un imperatore non cu- rante e dimentico delle cose d'Italia. E perocché Ri- dolfo e Adolfo ed Alberto al tutto non curanti e di- raenlichi se n'erano dimostrati (3) , Dante fedele e fermo ne'suol prlncipii reputava costoro non pur vi- lisslmi poltroni, ma immeritevoli altresì d'essere no- verati fra gl'imperatori de^romani, posciachè come tali avevano mancato al primo loro dovere, che era quello (i) Inf. 3, V 34 e segg. (2) Inf. 3, ivi. (5) Puig. 6, V. 97 e segg. 64 Letteratura di curare Vltalia e Roma. E perchè Federigo di Soa- ve, rispetto al tempo presente ( quello in cui Dante scriveva ) era stato V ultimo imperatore che avesse mo- strato alcun amore e premura verso l'Italia, od al- meno verso le parti ghibelline, perciò egli lo chiama Vultimo imperatore de'' romani ; che gli altri eletti dopo lui furono imperatori bensì, ma non si poteva dire che fossero stati dè*romani (i). Ed un luogo, che è nel canto terzo del paradiso, mostra chiaramen- te come queste osservazioni siano vere : Questa è la luce della gran Gostanza ^ Che del secondo vanto di Soave Generò il terzo ^ e V ultima possanza (2). Questa possanza non fu chiosata mai da nessun ce- mentatore. Questi dicono senza più: Ultima possan- za^ cioè ultimo imperator di quella casa. Oibò ! Egli si vuol por mente che quivi il poeta parla lo- dando e commendando la casa di Svevia; e però, do- po aver detto che la Gostanza generò del secondo il terzo vanto di Soave, sarebbe stato ozioso ed ingrato quel soggiungere che fu Vultimo imperatore di quella, casa. E chi ardirà contraddire, che il ricordare, spe- zialmente a coloro che tennero corona e regno , il termine e lo scadimento di loro imperio, non renda spiacevole ed abborrito suono ? Sta bene, risponde- rassi; ma che si vuol egli dunque intendere per quel- la possanza ? La possanza fra le regali qualità e pre- (1) Arrigo VII era già stato eletto ( come si proverà) allor- ché Dante scriveva il Goavito;ma nel i3o9 non si sapeva anco- ra qual partito avrebbe verameutc preso a prò dell'Italia. (a) V. 118 e segg. Sul Convito di Dante 6S rogalive ella è non pure una delle maggiori, ma si veramente la principale dov'ella con prudente senno venga adoperata. Secondo però i principii e l'inten- dimento di Dante, un imperatore, il quale usato non avesse di cotale prerogativa a prò dell'Italia, egli era come se di quella fosse stato al tutto privo (i) ; e perciò soli imperatori e soli possenti imperatori re- putava coloro, che al fine desiderato da lui avesser usato la lor potenza. E perocché gl'imperatori della casa di Svevìa erano stati gli ultimi a dimostrarsi in- clinati e tener pie fermo in Italia: e, se non altrog si erano fatti veJere avversi ai papi, ed amici ai ghi- bellini: ciò bastava a Dante perchè riconoscer dovesse nel terzo vanto di Soave l'ultima vera imperiale pos- sanza. Ed ecco per questa ultima possanza di Soave chiaramente chiosato Federigo di Soave ultimo im- peratore de^romani) e le parole de''romani finiscono di suggellare ogni cosa. Imperocché Ridolfo, Adolfo ed Alberto, successori suoi, non erano stati o non si erano almeno mostrati (che per Dante era tutt'uno) imperatori de^roniani^ tenendosi unicamente distretti alle cose di Alemagna^ e ponendo in non cale il giardin delV impero, cioè V Italia (2). E che gl'imperatori, che delle cose d'Italia punto non si mostravano solleciti ne curanti, non fossero neppur avuti da Dante per imperatori de'romani, chia- ro apparisce per due luoghi specialmente del purga- torio. Nel sesto di quella cantica , là dove il poeta apostrofando all'Italia ne mostra la desolazione e l'av- (i) Purg. 6, V. 97 e segg. (2) Purg. 6, V. io3 e segg. GA.T.CI. 66 Letteratura vllimento in che la misera terra giacevasi, esce escla- inanilo : « Che vai, perchè ti l'acconciasse il freno » Giustiniano^ se la sella è vota (i) ? Che, fuor di figura, è un dire ; Qual prò che Giu- stiniano desse miglior ordinamento e forma alle tue leggi, se non v'ha imperatore che ad esse leggi fac- cia ubbidire ? E chi sa ben guardare, troverà questo luogo al tutto simile a quello del paradiso, là dove s. Pietro adirandosi contro Bonifacio Vili esce gri-. dando : » Quegli che usurpa iti terra il loco mio , » Il loco mioy il loco mio, che vaca 1) Nella presenza del FigUuol di Dio (2). Così, secondo Dante, la sella di s. Pietro vacava nel- la presenza di Cristo perchè Bonifacio non ne adem- pieva le veci : e cosi vacava la sella dell' imperatov de'romani, perchè Alberto né di Roma né dell'Italia non si prendea cura veruna. L'altro luogo è nel canto trentesimo terzo, là dove Beatrice profetizza la venula di un duce, il quale do- veva ancidere la fuia, E qual gigante che con lei delinque (3). Dice Beatrice : » Non sarà tutto tempo senza reda n L'aquila, che lasciò le penne al carro ^ n Perchè divenne mostro, e poscia preda (4). (i) Purg. 6, V. 88, 89. [1) Farad. 27, v. 22 e segg (3) Purg. 33, V. 37 al 45. (4) Purg. 53j V. 37 e segg. Sul Convito di Dante 67 JJerede delVaquilat secondo Dante, era l'imperatore dc'romani (i) : ma nel i3oo, per le parole di Bea- trice, l'aquila non aveva erede: dunque Alberto non era da Dante reputato imperator dé'roinani. Ora per le sopra dette cose è fatto luogo a ri- spondere al sig. Fraticelli, il quale, com'è detto, ci chiede : Perchè^ se Dante scriveva il Convito^ im- perante Arrigo i ometteva da quel novero il suo prediletto ghibellino ? La ragione è chiarissima. Dan- te , il quale sospirava sempre di vedere sorgere un imperatore che curasse le cose d' Italia, od almeno la parte ghibellina , rinnovava la sue speranze alla elezione di Arrigo, dal quale però solo alla fine del 1809 potè concepir qualche speranza di favorevoli eventi, allorché si dispose alla sua discesa in Italia (i). Egli vi si preparò sulla fine dell'anno sopra detto, e scese in Italia nel i3io. Ma comecché Dante spe- rasse grandi cose di lui, nondimeno, ammaestrato da fatale esperienza, non ardì predir ne predicar troppo precipitosamente, finché i fatti non avessero resa certa all'esule sventurato una risoluzione ferma e sicura in Arrigo. Quindi scrivendo egli il Convito nel i3io ( come sarà provato ), allorquando non sapeva ancora che cosa avrebbe saputo fare cotesto Arrigo a prò dell'Italia, e neppure s'egli sarebbe slato simile, o no, ai tre suoi antecessori; e non volendo perciò uscire a nominarlo in bene, perchè non poteva ancor dir- ne, e non in male perché la speranza lo lusingava; preterisce di nominarlo. Ed è in cotale preterizione un artifizio il più sottile ed efficace ad eccitare l'amor (i) Farad. 6, e il libro della Monarchia. (2) Giovanui Villani, Cronic. lib. g, cap. 7. > 68 Lette H ATURA proprio e l'ambizione d'Arrigo; e chi non sa ne ve- derlo, né comprenderlo , ben poco si conosce della mente politica e dell' abilità politico-rettorica dell'au- tore. Insomma, nel momento che Arrigo era già stato eletto imperatore , il dir che facea Dante : Fede- rigo di Soave fu Vultimo vero imperatore de^ro- mani , comecché dopo di lui siano stati eletti e Ridolfo e Adolfo e Alberto : egli era lo stesso che dire: Federigo fu vero imperatore de^roma?iiy perchè curò le cose d^ Italia. Ridolfo, Adolfo ed Alberto i successori suoi, non meritarono cotal no- me, perchè delle cose d^ Italia punto non si cu- rarono. Ora siete stato eletto voi, messer Arrigo; ma prima di nominarvi comecchessia, staremo a vedere se i fatti vi faranno degno d^ essere nomi- nato successore a Federigo, o non piuttosto ad Alberto. Ecco la ragione politica, sottile e vera, per- chè Dante nel recato luogo del Convito preterì di no- minare Arrigo. Ragione, in parte, non mica nuova, ma ordinaria e comune; imperocché sempre alla crea- zione di un nuovo magistrato si continua nominare per buono Vultimo che fu tale , ancorché dopo lui molti dei tristi siano stali eletti : ed il nuovo creato si aspetta a dirlo buono o tristo , dopo che le sue azioni lo avranno fatto conoscere. jSel qual caso (sic- come in quello di Dante ) la parola ultimo non si riferisce a numero, ma sì bene a ^«aZ/tò. I tre suc- cessori di Federigo erano già stati conosciuti e giu- dicati (da Dante) poltroni : Arrigo restava a vedere che cosa sarebbe stato, e però non lo nomina. Reca secondamente il sig. Fraticelli a conforto della sua sentenza un altro luogo del IV trattato (i), (i) Gap. 6. Sol Convito di Dante 69 il quale apparentemente ha più forza del primo: ed il luogo è questo : « Ponetevi mente , nemici di Dio , a fianchi , voi che le verghe de^reggimenti d'altana prese avete. E dico a voi Carlo e Fede" rigo regi , e a voi altri principi e tiranni ec. » Quest'apostrofe, soggiunge il critico, è diretta a Car- lo e a Federigo nel tempo in cui sedevano sui loro troni, Vuno di Napoli, Valtro di Sicilia. Se questi regnanti non fossero allora pia stati frai vivi , V apostrofe porterebbe altri nomi , o non leggerebbesi. Federigo regnò dal 1296 al iSSy, Carlo dal 1289 al 1309, Il trattato IV adunque fu composto non prima del 1296, ne dopo il 1309. Ma chi ha detto al sig. Fraticelli che la citala apo- slrofe, in quanto ai re, fosse nominatamente diretta a Carlo ed a Federigo ? Chi lo fe'cerlo che que- sti due nomi non siano un semplice glossema in- trodotto nel testo dagl'ignoranti copisti ? Sono forse pochi gli esempi eh' essi ci han porto di siffatta lor balordaggine ? Ed un critico accorto e diligente non doveva egli, la prima cosa, guardar con sospetto a ve- der se forse non era in questo luogo un esemplo no- vello di adulteramento nel testo ? Dov'egli avesse, co- me doveva, usato di simile diligenza, si sarebbe fa- cilmente accorto che le parole Carlo e Federigo so- no fuor d'ogni dubbio un glossema, quale il confer- meranno ad evidenza le prove di fatto , che in se- guito verran prodotte. Volgesi poscia il sig. Fraticelli ad un altro ar- gomento tolto da un luogo del cap. 16 del trattato IV, ch'egli distesamente riporta a questo modo: « As- dente, il calzolaio di Parma, sarebbe pia nobile che alcuno suo concittadino'^ e Alboino della Scala yo Letteratura sarebbe pia nobile che Guido da Castello di Reg' gio', che ciascuna di queste cose è falsissima, » E su queste parole il critico argomenta così : j4s- dente^ il calzolaio di P arma ^ doveva già nel i3oo esser morto ^ se Dante lo potè collocare fra' dan- nati nelV infermo (i) . . . . - D'' altronde per tutto il contesto apparisce ^ che quando Dante scriveva lo squarcio del Convito da me or or riportato ^ V in- dovino Asdente era vivo. E lo prova la ragion grammaticale nella voce sarebbe, che appella a tem- po presente e non passato^ e lo prova il trovarsi Asdente menzionato unitamente ad altri due per- sonaggi ( Albuino della Scala e Guido da Castello), che appunto innanzi al i3oo eran vivi. Dunque innanzi il i3oo era pure scritto il trattato. Io ri- sponderò, la prima cosa, parermi che la citazione delle sopra recate parole sia fatta con un pocliin di mali- zia e d'infedeltà. Esse conseguitano ad una condizione dinanzi espressa, la quale, perocché omessa può al- terarne in qualche modo la sentenza, non si dovea tralasciare. Dice 1' autore che, nobiltà non consiste mica nell'essere da molti nominato e conosciuto: chef se ciò fosse^ . . . la guglia di s. Pietro sa- rebbe la più nobile pietra del mondo, e Asdente il calzolaio di Parma sarebbe pia nobile che al- cuno suo cittadino ( non concittadino ^ come scrive il sig. Fraticelli ), e Albuino della Scala ec. » Di qui si vede che quella condizione se, e quel citta- dino riferito a Parma, in luogo di concittadino ri- ferito ad Asdente, infermerebbero assai (dove pur fosse vera ) quella cotal ragione grammaticale, per la quale (i) Inf. 20, V. ii8 e segg. Sul Convito di Dante 71 il sig. Fraticelli vorrebbe trarre dalla voce sarebbe relazione a tempo presente e non a passalo. La voce sarebbe^ che è di tempo condizionale indeterminato, appelli pur ella, come dice il sig. Fraticelli, a tem- po presente: ma non seguiterà per questo la conse- guenza ch'egli vuol trarne. Cotal voce in siffatte lo- cuzioni non mica si riferisce all' esistenza presente della persona o della cosa di cui si predica , ma si bene all' opinione ed alla credenza presente che si ha, od aver potrebbesi del predicato. E però quel di- re, che, se nobiltà vera consiste nell'essere da molli nominato e conosciuto, Asdenle il calzolaio dì Par- ma sarebbe più nobile che alcuno suo cittadino, suo- na che nella opinione e nella credenza di coloro, che vivevano allorché Dante dettava quelle parole, Asden- te sarebbe stato reputalo il più nobile de'cìltadini di Parma ; imperocché nessuno , di quanti quella città n'aveva avuti e n'aveva, non era in allora e per fre^ quente e per general nominanza ne più ricordato, né più conosciuto di Asdente. Ed affinchè anche per gli esempi sia fatta prova a questa nostra sentenza, chie- derò se forse non paia buona la locuzione seguente: « Se fosse vera gloria quella che nasce dallo spargere umano sangue , Tamerlano sarebbe il più glorioso uomo del mondo. » Potrebbe forse il sig. Fraticelli tacciar questa locuzione d'impropria e d'inesatta? E s'io dicessi, come tutto di si dice : Cicerone è il principe degli oratori; Annibale è il primo de'capltani: vor- rebbe egli, il sig. Fraticelli, citarmi a render gram- maticalmente conto di quell' è, tempo presente; con^ ciossiachè Annibale e Cicerone da tanti secoli siano già morti ? Nella presente nostra opinione Annibale è il primo de'capitani, Cicerone è il primo degli ora. 72 L E T T E R A' T U R A tori; Tamerlano sarebbe il più glorioso degli uomi- ni, se vera gloria nascesse dallo spargere umano san- gue; ed Asdente sarebbe tuttavia il più nobile dei cittadini di Parma, se, qualor fosse vera misura di nobiltà la frequente e general nominanza , egli du- rasse a questi nostri tempi ad essere nominalo e co- nosciuto, com'egli era allora che Dante scriveva quelle parole . Dunque la pretesa ragione grammaticale del sig. Fraticelli punto non giova a provare che il calzolaio di Parma esser dovesse ancor vivo mentre Dante dettava il trattato quarto del suo Convito (i). La quarta prova, onde il sig. Fraticelli conforta il suo assunto, è tolta da quelle parole del capo de- cimoquarto del quarto trattato, die dicono : « Po- gnamo che Gherardo da Camino fosse stato ni- pote del pia vile villano ^ che mai bevesse del Si- te e del Cagna.no, e la oblivione ancora non fosse del suo avolo venuta, chi sarà oso dire die Ghe^ rardo da Camino fosse vile nomo ? E chi non par- lerà meco dicendo , quello essere stato nobile! Certo nullo, quanto vuole sia pr e sontuoso ; e/?' egli fu ( cioè nobile ) e sia sempre la sua memoria ». Il critico la prima cosa pretende provare, che Gherardo da Camino nel 1298 doveva essere morto, sebbene (i) Ad onta d'infinite ricerche non mi è venuto fatto di tro- vare in qual anno morisse Asdente- Egli però fioriva ai tempi dì Federigo secondo, al quale predisse (secondo il Landino ) alcu- ni avvenimenti. Or se costui era già famoso al tempo di Federi- go, e questi mori nel laSo d'anni Sj, v'ha gran probabilità e quasi certezza che nel i3o8 fosse già morto. Perchè egli salito già fosse in grande riputazione dopo il 1219 (epoca in cui ebbe principio il regno di Federigo) è forza supporlo coetaneo allo stesso Federigo; ed ia questo caso nel 129S Asdente avrebbe contato 104 anni ! ! ! Sul Convito di Dante ^3 Dalile dica che nel i3oo era ancor vivo (i). Ed a stiracchiarne la prova pone gli spiriti del purgatorio ad una medesima condizione con quei dell'inferno ! Dante dice che questi secondi veggono e sanno so- lamente le cose future, finche però sono lontane; giac- che quando elle s'appressano, o sono , si dileguano anch' esse dalla lor mente. Quindi il sig. Fraticelli, soggettando gli spiriti del purgatorio a questa mede- sima pena, pretende che Marco Lomhardo dovette no- minare nel purgatorio (2) come vivo Guido da Ca- mino, perocché dovendo questi ( secondo il desiderio del critico) esser morto da poco prima del i2f)8,la morte di lui era per conseguente ignorata da Marco. Di che razza argomento sia questo io non saprei certo ne indovinare né dire ! Innanzi tratto non è vero che le cose, quando si appressano e sono,, svaniscono dalla memoria degli spiriti del purgatorio. E che questi sappiano e ricordino eziandio le cose presenti, sono tanti gli esempi e le prove per tutta quanta la can- tica, che sarebbe vanità il riportarne (3). Oltracciò Marco dopo aver detto, nel i3oo , che sono ancor vivi tre vecchi, nei quali l'antica età rampogna la nuova, soggiunge, come ad essi paia tardo Che Dio a miglior vita li ripogna (4)- Le quali parole con- fermano evidentemente, che lutti e tre quei vecchi allora erano vivi. Tuttavia pognam che sin qui Dante non potesse certo sapere se forse alcun d' essi non fosse già morto: perocché in quanto a quello che fu nomato Gherardo^ mostra alcuna dubbietà rispetto (i) Plug. 16, V. 121 e segg. (2) Purg. 16, V. 121 e segg. (3) Vedi p. e. Purg. 6, v. 76 e segg. (4) Piirg. i6j v- 123. 74 Letteratura alla cognizion vera dell'inclividuo, al quale udì dato un tal nome. La qual dubbietà fu a lui cagione della domanda : « Ma qual Gherardo è quel, che tu per saggio - Dì ch^è riinaso della gente spenta • In rim- proverio del secol selvaggio » ? Alla quale domanda che cosa risponde Marco ? Risponde: « Per altro so- prannome Vnol conosco - SH''nol togliessi da sua fi- glia Gaia ») (i). Qui nella domanda di Dante si vuol notare una seconda prova che Gherardo nel i3oo era ancor vivo; imperocché il poeta contrappone di fatto le virtù d'un vecchio rimaso (superstite) della gente spenta, ai vizi di quella corrotta età; e lo dice ri- maso (poni ben mente) rimaso in rimproverio del secol selvaggio i che è un dire , rimaso a far col suo esempio vergognare di loro malvagità i degenerali ni- poti. Finalmente ne avremo una terza prova nelle pa- role soggiunte da Marco, cioè: « Per altro sopran- nome Vnol conosco - S'Vnol togliessi ec. » Le parole Vnol conosco e sH^nol togliessi ( e qui vale davvero la ragione grammaticale) sono di modo e tempo pre- sente. Se Gherardo nel i3oo fosse stato morto, Marco non avrebbe detto : Io noi conosco: ma sì bene : Io noi conosceva- Ma qui sarem da capo col dire: Marco potea benissimo dire noi conosco, perocché lo ere- dea vivo. Io non so, se, dopo le cose ragionate di sopra, sarà chi più ardisca fare tal'obiezione; ma, dove pur alcuno ci fosse, risponderò : Dato, non concesso, che Marco potesse creder Gherardo vivo quando era morto, non conseguita che Dante dovesse suggellare (i) Dante all'udire che quel Gherardo ancor vivente era il padre di Gaia, non fiata più; ed ecco un'altra prova che Ghe- rardo nel 1000 era realmente ancor vivo. Sul Convito di Dante 'è^ col suo silenzio una falsità patente, e lasciar, senza una ragione al mondo, Marco in tal errore. E chi può mal supporre che se Gherardo nel i3oo fosse sialo realmente morto, Dante non avrebbe fiatato al sen- tirlo da Marco creduto ancor vivo ? Quando il tra- ditore, che supplicava il poeta a togliergli dal viso i duri veli , ebhe detto elicgli era frate Alberigo (i) , questi si tacque forse a guisa d'uomo che creda ? Non già; ma sì rispose : « Or sentii ancor morto » ? vale a dire: Come ! tu già pur sei morto ? lo ti credeva ancor vivo. Or se il poeta non si rimase dal notare e chiarire una circostanza, la quale forse poteva es- sergli ignota, cioè la morte di frate Alberigo (2), cre- derem poi ch'egli avrebbe taciuto udendo altri in er- rore rispetto ad un fatto da lui saputo con tanta cer- tezza ? Ma fu questo un artifizio per dar bella lode alle virtù di Gherardo. Oh ! Dante non aveva bisogno di volgersi a così impropri e misera- bili artifizi ! A lui non ne sarebbero venuti meno mille altri ad onorar le virtù del suo Gherardo : e dov'anche avesse voluto lodarlo morto per via d'ar- tifizio che lo mostrasse ancor vivo, egli a quel modo (i) Inf. can. XXXIII, v. ii8. (2) Parrebbe quasi che Dante , mentre poneva frate Alberi- go in inferno, non sapesse di certo s'ei fosse morto; imperoccliè fa dire al medesimo Alberigo, ch'ei non sa che cosa nel mondo sia avvenuto del suo corpo. Le qnali parole, comecché in bocca del frate, si vogliono riferire a Dante. Questi al contrario uden- do dal frate che ser Branca d' Oria anch'esso era in inferno, gli risponde che crede d'esser da lui ingannato , perocché Branca d'Oria non morì unquanque, E mangia, e bee, e dorme , e veste panni. Dalla sicurezza colla quale i) poeta parla dell' apparente ancor vivo Branca d'Oria, e dall'ignoranza mostrata rispetto al corpo del frate, parrai che si possa raccogliere il dubbio, che ho di sopra annunciato. ^6 Letteratura che vituperò altrui vivo fingendo clic fosse merlo , avrebbe saputo ciò fare adoperando per forma, che, salva la finzione e salvo il biasimo o la lode, ognuno avrebbe saputo se colui cb'ei lodava o biasimava, fosse realmente vivo o morto. Dunque l'argomento sin qui non giova all'intenzione del critico. Kgli però animosamente soggiunge : Per termi- nar di convincere il lettore che Gherardo da Ca- mino doveva già nel i3oo esser morto ... io por- terò qui testimonianza tale da non patir eccezione. Eccola : » E dove Sile e Cagnan s\iccompagna » 7ttZ signoreggia^ e va colla test' alta, » Che già per lui carpir si fa la ragna (i). // luogo ( segue a dire il critico ) ove i due fiumi Sile e Cagnano si congiungono, è T^revigi ; il si- gnore, che se ne va altero e superbo, non è certo il buon Gherardo, ma è il degenere di lui figlio Riccardo : la predizione della rete , in cui sa- rebbe questi caduto, vale dire le insidie de'' con- giurati, è del i3oo; dunque Gherardo era morto. La testimonianza è delVistesso jillighieri, e la qui- stione è finita. Adagio, adagio un poco : che la bi- sogna non è così plana, come altri potrebbe forse im- maginare. Se il sig. Fraticelli , da critico accorto e diligente, avesse fatto, come doveva, le considerazioni da noi sin qui esposte, esse lo avrebbero guidato na- turalmente a domandare a se slesso : « Non sarebbe egli forse possibile che Riccardo signoreggiasse nel (i) Farad. 9, v. 49 e segg. Sul Convito di Dante 77 i3oo, e die Gherardo suo padre fosse tuttavia ancor vivo » ? E perocché il critico, che ama d'aggiungere sinceramente il vero, non dee rimanersi dal chiarire qualsivoglia ragionevole dubbio che cader gli possa nel- l'animo, avrebbe trovato che : » Gherardo III da Ca- mino dall'una delle due fazioni, che partivano Trevi- gì, fu eletto capitano della città nel 1288: e che, rinunziato il governo de' suoi stali prima del i3oo a Ricciardo suo figlio primogenito, morì in vita pri- vata e reh'giosa nell'anno iSoj (i). » Or che rispon- derebbe il sig. P'raticelli ? Ecco qui Ricciardo che si- gnoreggia nel i3oo; ecco Gherardo nel i3oo ancor vivo; ecco piano e proprio il dir di Dante: Ben v^èìi tre vecchi ancor : ed ecco finalmente la quistione da vero e senza sofisticherie finita. Per le prove sin qui recate, parte procedenti da critico ragionamento, parte da verità di fatti, parmi che sarebbe sufficientemente mostrata la vanità delle contrarie, e tolta di mezzo la pretesa diversità de'tem- pi, ne'quali si vuole scritto il Convito. Siccome però i sottili ragionamenti, comecché diritti e giusti, ge- neralmente non prendono gli animi sì, che o per al- cun affetto che già li tenesse legali, 0 per altre an- tecedenti e repugnanti ragioni, s'arrendano persuasi o convinti a novelle dimostrazioni, io farò che ai di- scorsi ragionamenti rispondano veri ed incontrastabili falli. E questi saranno tolti dalle pagine medesime del Convito, e mostreranno ( come da principio dicem- mo ) quanto poco il slg. Fraticelli si sapesse fare buon prò della sua bella e vera sentenza : cioè, che quel (i) Vedi Dizion. islor. compii, da una società di Icltcìati iu Francia. yS Letteratura critico che non ha presente l'opera intera, e che so- lamente da alcuna parte di essa presume dedurne e tracciarne il tutto, corre pericolo d' allontanarsi dal vero, quanto più s'affatica a volerlo raggiungere. E dette appena queste parole, il nostro critico mostra d'averle dimenticate; imperocché postosi dentro al Con- vito in traccia di lutti que'luoghi ch'egli slima favo- revoli alla sua intenzione, non sa vederne pur uno dei tanti che la distruggono. E, la prima cosa , chi sarà mai che, leggendo attentamente il Convito, non vegga essere stata quell'opera immaginata, concepita, ordinata, distribuita nelle sue parli tutta quanta in- sieme e tutta ad un tempo ? In sulla fine del capi- tolo ottavo del primo trattato dice l'autore, che non intende ivi ragionai'e, perchè sì caro costa quello che si prìpga, .... perchè sufficientemente si ragionerà neir ultimo trattato di questo libro. Ed eccoti qui Dante che dal bel principio dell'opera ti avverte, che mentre ci ne venia dettando il primo trattato, aveva già pronta e ordinata la materia per 1' ultimo. Ma questo primo trattato .... Basta così : già so che cosa mi si vorrebbe opporre. Un po'di pazienza , e sarà provalo che il trattalo primo fu dettato innanzi al secondo, ed il trattato terzo prima dal quarto. E dove una cotal prova esser non possa distrutta, fer- me staranno le ragioni, per le quali verrò di mano in mano provando l'opera del Convito immaginata e dettata d'un solo tempo. A quel modo frattanto che l'autore allo scriver del primo trattato ti dice qual era la materia ordinata per Vultimo, così ti dice an- che di quale si dovesse comporre il quarto, « Que- sta sentenzia non possono avere in uso quelli^ nelli quali vera nobiltà non è seminata, per lo modo che Sul Convito di Dante 79 si dirà nel quarto trattato (i) ». E finalmente nel capitolo duodecimo, pur del primo trattato, toccan- do alcuna cosa della virtù della giustizia, dice: u Di questa virtù innanzi dirò più pienamente nel quat- tor decimo trattato.)) hQ (\\xd\ì parole mostrano come anche a quel trattato era ordinata e distribuita la sua materia fin da quando veniva dettato il primo. Nal capitolo decimo del terzo trattato dice l'au- tore, che della gran virtù che avevano gli occhi della sua seconda donna, lo raggio dei quali lo passava per ogni lato come s'ei stato fosse diafano, si potrebbero ragioni naturali e soprannaturali addurre: « Ma basti qui, soggiunge, tanto aver detto : altrove ragionerò pia convenevolmente.)) Queste ultime parole mostrano che in alcun de' trattati, che dovevan seguitare al quar- to, avrebbe ragionato di quello, ch'ei quivi promette- va; ed a ciò fare era mestieri che già fosse ordinato il luogo a colai trattazione. Inoltre nel capitolo de- ciraoterzo del sopra detto trattato dice, che grandis- sima parte degli uomini vivono più secondo senso , che secondo ragione: della qual cosa ne sarà ragio- nato per intenzione nel seguente (cioè nel IV) trat- tato. E da ullimo nel capitolo decimoquluto, pur del terzo trattato, dice che: « Li costumi sono beltate del- l'anima ^ cioè le virtù massimamente ^ le quali taU volta per vanità o per superbia si fanno meno belle o men gradite, siccome nell'ultimo trattato veder si potrà. » Dunque ...? Ma veniamo al secondo trat- tato ed al quarto, i quali ci forniranno tai prove, alle quali gli avversari sarà forza che si concedano vinti. (0 Conv. Ir. i, cap. dal prof, ispettore Maurizio Brighenti. 8, Lago per Melandri i844- (Sono carte a3.) ^ia lode al dottissimo prof. Brighenti perché in questo scritto^ non colle usate ciance ed ampollosità convenzionali dei moder- ni imbrattacarte, scrittori di biografie e di elogi, ma colla narra- zone di egregi fatti e di alte dottrine, ci ha dato degnamente l'elogio di un ingegnere, che a'nostri giorni ha onorato la scien- za e lo stato pontificio. Invito ad associarsi per innalzare una statua a Luigi Galvani. iJuelloche la città di Como ha eseguito per Volta, quello che la città di Milano eseguisce per Cavalieri , io tento mandare ad esecuzione per Luigi Galvani. I due primi trovarono alcuni veii patrioti, i quali proposero si onorassero i cittadini gloriosi innal- zando loro una statua: e le due città secondarono la proposta con tanta prontezza, che il divisamente è già realtà. Io, per quan- to mi si conceda, cerco diffondere il preso consiglio di porre il compimento a quanto la patria ha fatto già pel suo invidiato fi- gliuolo, invitando tutti gli amorevoli delle distinzioni rese al solo merito ad associarsi concordi nel decretare all'autore del Galva- nismo una statua al vero, che, eseguita in Roma da artista va- lente, sia offerta appunto alla città di Bologna come a quella che ha il maggiore diritto di possederla. Né ch'io ardisca di assumer- mi questo invito sarà trovato per avventura alieno da chi sappia come la mia famiglia appartenga anche alla dotta Bologna da alcuni secoli, e compio esca da quella stessa gente donde usciva il fisico celeberrimo. Per trovare mezzo da ciò consacro a questo intento il frutto di venti anni di studio, cioè sedici volumi di opere mie. Ne pro- pongo a' miei connazionali l'associazione, e nel prodotto saprò i34 Varietà' trovare quanto bnsti per compiere un lungo volo, solo- ch'io sia mediocremente secondato ; parendomi assai consentaneo che io adoperi i monumenti delle lettere per alzare ad un mio consan- guineo un monumento delle arti belle. Ogni volume o distribuzione si comporrà di 20 fogli di stampa in formato di ottavo, a centesimi 25 di franco per foglio, e coste- rà 5 lire italiane effettive, e tutta l'opera simili lire ottanta. Di questi volumi ne usciranno tre l'anno: talché in 5 anni saranno editi tutti, senza che l'associato spenda più di i5 lire per cia- scuno dei primi quattro anni, e più di -30 pel quinto Le opere mie serviranno all'associato di testimonio d'avere ap- partenuto all'unione di quei generosi che decretarono una ono- rificenza a chi n'era degno, e gli terranno insieme le veci di una qualsivoglia maniera di ricompensa. Nell'ultima distribuzione poi ciascuno d'essi troverà il proprio nome stampato, ed il catalogo che ne uscirà sarà depositato nell' archivio del comune di Bo- logna insieme all' atto di consegna della statua: finalmente un' ultima circolare li rlugrazierà di aver contribuito, come si disse, a questa pubblica onoranza del solo merito, e verrà loro offerta in dono l'incisione del monumento Seicento associati mi bastano perchè io ardisca di cominciare l'edizione, e di prendere sopra di me tutti i risichi e le incertezze della riuscita, e mi astringa solennemente col mezzo della slam- pa periodica ad adempiere, purch'io viva, ogni obbligazione in- contrata , affidandomi del resto all' amorevole cooperazione de' miei connazionali , ed all'autorità dei congressi degli scienziati italiani,! quali, siccome spero, vorranno proteggere efficacemen- te una impresa che è tutta loro, augurandomi sino da ora di poter annunziare quest'anno istesso dalla nobilissima Milano, che il numero dei seicento è pieno, e che l'Italia ha con ciò scritto il decreto che onorerà uno de'primi fisici dell' era nuova. Se io m'inganni lo diranno tra breve i giornali. Frattanto io prego per cortesia nazionale tutti i direttori di questi , non solamente a voler dare pubblicità al presente mio invito, ma assumersi il carico di eccitatori e raccoglitori di so- fcrizioni. E' questa impresa di natura affatto diversa dalle altre di sola speculazione, e però ha bisogno di trovare nella coope- / V A n I K T a' i35 razione de'buoni quegli aiuti elio le altre trovano nella noiosa petulanza di prezzolati associatori. Tutti quelli che mi spedi- ranno più di dieci associati, saranno pubblicati da me in un elen- co a parte dei Benefattori dell'impresa. Possibile che mi si vorrà lasciar solo, e che questo elenco non avrà nomi! ' Era n\io primo pensiero il non dir nulla de'miei lavori, giudi- candoli Io, e volendo che altri li giudicasse soltanto per l'oscu- ro veicolo, sul quale sarebbero venute a Bologna le durature sembianze del Galvani; ma cedendo al consiglio di chi ha cre- duto che il permettermene qualche parola potesse giovare all' impresa, perciò solo dirò dell'oggetto loro il più brevemente ch'io possa. Si comporranno dunque : Del Finre di storia letteraria e cavalleresca della Occitania ; ed In questo, quasi a modo di altrettante croniche", si toccherà spartitamente la storia della Francia meridionale nei secoli XI, XII e Xlir, e nelle sue relazioni letterarie e civili colla Spagna e l'Italia. Del Libro istoriale pei giullari; ed In questo, a maniera di no- velle e di separati trattati, si diranno i più curiosi accidenti di alcuni trovatori, e si dirà di loro , dei giullari , menestrelli ed arlotti, delle corti d'amore, e di quanto è di assoluta pertencnza di quelle lettere gentili. Degli Studi grammaticali sulla lingua d'oc; ed in questi, olire ad antichi trattatelli editi per la prima volta nelle originarie lo- ro favelle e tradotti, si agglugnerà un cenno di storia linguisti- ca, e poi la grammatica dell'idioma de'trovatori. Del Glossario occitanico; e qui dichiarando italianamente le voci od oscure o men chiare di quella lingua, avranno lume moltissimi luoghi de'nostri classici che attendono di colà le op- portune dichiarazioni, e si compirà cosi l'opera promessa e non potuta effettuare dal Basterò. Della Poetica de'trouatori confrontata colVantica italiana per illustrazione vicendevole; e qui , chiarite spartitamente tutte le varie maniere di poesia provenzale, se ne aggiungeranno copio- si esempi originali, e persino interi romanzi cavallereschi: talché questa si potrà dire poetica insieme e parnaso occitanico. i36 Varietà' Delle Vite de'trovntori scritte originalmente nella lor lingua con note illustrative. DeìVUtilità che si può ricavare per la storia delle lingua voi' gari d^ Italia dallo studio della lingua d'oil: cioè dell'antica lin- gua della Francia settentrionale; e qui, oltre ad analoghe disser- tazioni, si daranno tradotte nel volgar nostro contemporaneo le più rinomate ed antiche croniche franzesi. Dei Preludi alla storia delle lingue volgari d'Italia: ed al- quante difficoltà principali vi si troveranno discusse in ispartiti trattati. Dei Dubbi sulla verità delle dottrine perticar lane nel fatto storico della lingua, i quali saranno quasi le conseguenze spon- tanee degli studi premessi. Della Ritmica presso i prisci romani: ed in queste penose ri- cerche si troveranno riuscir fuori a luce i nascosi incunabuli della poesia de'linguaggi neolatini. Di circa trenta Lezioni accademiche, le quali avranno ad oh- bielto o storiche o linguistiche indagini , o nuove forse o non ovvie. Jòì Operette varie finalmente, nelle quali terranno il luogo principale non pochi commenti ai classici specialmente volgari e trecentisti. Tali sono le opere che io offro agl'italiani. A chi non è oscu- ro il mio nome, sorgerà, spero, fiducia che queste saranno con- dotte, se non con senno pari al subbietto, almeno con diligente coscienza; a chi è nuovo, non sorga, di grazia, altro anticipato giudizio sulle medesime, fuorché esse pur sono destinate ad of- ficio degno di un italiano, il quale cerca, nell'onorare gli estin- ti, di porre cuore in chi vive, affinchè si adoperi a vivere dopo la morte. Bologna il dì i5 luglio 1844- CONTE Giovanni Galvani. Varietà' iSj Opere di monsignor Pellegrino Far ini. Bologna, tipografia Sassi nelle spaderie i844- P R O G R A M M A. Xl sommo pregio in che da tutln Italia sono tenuti gli scritti dc'l chiarissimo monsignor Pellegrino Fnrini, rettore della pon- tificia università dì Bologna, e le continue ricerche che da ogni parte vengono fatte de' medesimi, sono la cagione per cui si è pensato di dare una intera collezione delle opere di lui. 11 me- rito che esse hanno non riguarda solamente la bontà della lin- gua in cui sono dettate, ma ancora la materia, la quale per ogni rispetto è molto rilevante. Ed invero nella Storia del vecchio e nuovo testamento non solo troverai la narrazione bella di tanta schiettezza ed eleganza di stile che non si potrebbe dire di più, ma tale ancora che ben fa sentire la grandezza e la santità di quel libro divino. Nella Storia Romana tu troverai, con eguale purezza, e tal- volta con più forza di stile (poiché la materia il chiedeva) nar- rati i fatti di quel popolo, della sua repubblica; e in questa no- stra edizione troverai pure la Storia degli imperatori insino a Costantino, la quale è lavoro al tutto nuovo del chiarissimo au- tore. Vedrai pure a quando a quando utili ed opportuno rifles- sioni; e all'una e all'altra di queste storie precederà un discorso scritto appositamente per questa edizione. Le Vite de' giovani educati nei piccoli seminari di Francia, non troveresti da doverle credere traduzione dal francese, se il volgarizzatore non te lo dicesse, o se in altro modo tu noi sapes- si.* tanto la locuzione di esse pare nativamente italiana. Niente si dice dell'utilità di esse, che sono tutte esempi di virtù civili e religiose. Alle dette opere seguiteranno i discorsi morali e letterari dell'autore, ed ogni altro scritto si in prosa e si in versi, la mag- gior parte dei quali inediti, di tema alcune volle nuovo e sem- pre di grande vantaggio. Vogliamo finalmente avvertire, come tutti gli scritti soprac- cennati, essendo stali dall'autore riveduti e corretti, abbiamo fa- i38 Varietà' colla di far palese, clie il medesimo non sarà per riconoscere per sue se non le opere contenute nella presente edizione, le quali ( essendo tutte state dal eh. autore a noi cedute in piena ed as- soluta proprietà) vengono offerte al colto pubblico ai seguenti patti d'associazione: 1. L'edizione delle suddette opere verrà fatta in 8 mezzano, nel sesto e carattere del presente programma, e verranno pub- blicate a volumi. Il primo de'quall verrà distribuito al princi- pio di ottobre p. v-, e sarà il primo della storia sacra. 2. Ogni volume conterrà 3oo in Sao pagine circa ; ossia fogli 30 circa di pag. i6. 3. La storia sacra sarà compresa in 5 volumi; la storia romana pure in altri 5 volumi, l'ultimo de'quali conterrà la storia degl' imperatori. Le vite de'giovani studenti, in i volumi; ed in altri due 0 tre volumi saranno pure raccolti tutti gli altri scritti fin qui fatti dairautore;per cui tutte le suennunciate opere saranno comprese in i4 o i5 volumi. 4. Le associazioni si ricevono per una sola o più delle succi- tate opere, ed il prezzo di ogni volume legato con sua soprac- coperta sarà di bai. 45, ossia lir. 2. ^1 italiane effettive ; per gli altri poi che vorranno tutte le opere, sarà di bai. 4o al volume, ossia lir. 2. i5. 5. Il numero e prezzo dei volumi sopra fissato resta fermo e garantito per tutti quelli, che si saranno associati entro il mese di ottobre. Dopo detto tempo il prezzo di ciascun volume sarà portato a bai. 5o, ossia lir. 2.68 italiane effettive. Le firme di quei signori che vorranno associarsi si riceveranno alla nostra tipografia , e da tutti i librai che distribuiranno il presente programma. Bologna il dì aS agosto i844- Per l'editore proprietario Gio. Battista Sassi tipografo. Varietà' 189 Catalogo delle opere stampate nello slato pontificio. (1844.) %^olelU Alessandro. Canto poetico per la promozione al cardi- nalato di Niccola march. Paracciani. Rieti per Salvatore Trin- chi, 1844, in 8, di f. 8. In morte del cav. Pietro Paolo Neroni. Lettera ed elegia di G. Gioacchino Belli romano. Ripatransone, tip. di Gacomo laffei, in 8, di f. 14. Discorso agrario letto da Antonio Coppi nell'accademia tiberina il di 18 dicembre i843. Roma , tip. Salviucci, i844* '^ 8 , di f. i4, e 6 non numerate, ed in fine una tavola dei generi espor- tati dalla Sicilia per l'estero negli anni i84o, i84« e 1842. Necrologia di Luigi Pieri da Cingoli letta nella chiesa dei reve- rendi pp. dell'oratorio in Macerata il dì delle solenni esequie 20 marzo i844 ^^^ dott. Giuseppe. T«cc/. Loreto, tip. dei fra- telli Rossi, 1844. 'Q 8, di f. 24* Commentario sulla vita del card. Bessarioue , di Oreste Raggi. Roma, 1844» ^^^ tip. Monaldi, in 8, di f. i5. Esposizione delle malattie mediche curate nell'anno i843 nello spedale militare del S- M. O. G. fatta dal dottore Fortunato Rudel. Roma, tip. camerale, i844> ÌQ 8, di f. 267. Opuscoli medici di Luigi Buzoni pubblico professore nella pa- tria università di Ferrara. Ferrara, dai tipi di Demenico Tad- dei, 1844, in 8, di f. 79, tomo I. Antonio Berloloni m. d , Flora italica, sistens plantas in Italia et in insulis circumstantibus sponte nascentes. Bononiae , i835, ex typ. Richardi Masii, in 8, voi. V. (In corso di stampa. ) Nuova illustrazione dell'antico Piceno secondo Plinio seniore, lettere all'egregio sig. Francesco Angelini a Roma, di Carlo uirduini. Ripatransone, tip. laffei, i844> '"^ 8, di f. 40- Notizia sulla vita e sulle opere di Mauro Berli, prof, di prospet- tiva nella pont accademia bolognese di belle arti, di Salva- tore Bluzzi. 1 edizione con aggiunte. Bologna, i844j t'P- S'av- alla volpe, in 8, di f. i5. i4o Varietà' Alla Geltrude Borzagh! nella letizia delle sue nozze con Carlo Liverani. Versi di Claudia Barzaghi Vasi. Bologna, tip, delle muse, i844> '" ^• Olhi Dazio. Alla chirurgia inno. Fano, i844» tip. di Gio. Lana, in 8, dì f. 8. Foederis arca, ode del can. d. Gaetano Bosetti. Roma , tip. dei Saffici, i844i 'Il 8, di f. ii. Petri Pauli Livirani brasighellensis advocati urbani, Odarura specimen. Bononiae ex officina saxiana, i844> in 8, di f. 55. Operette sacre del p. Urbano Tosetti delle scuole pie; pubbli- cate la prima volta in un sol volume. Urbino, i844» coi tipi della ven. cappella del ss. Sagramenlo pel Ronchini e Alippi, iu 8. Questo volume è preceduto da un elogio dell' autoi'e scritto dal p. Alessandro Checcucci. Memorie originali italiane risguardanti le belle arti. Bologna pei tipi di Iacopo Riarsigli, i84o, in 8. (In corso di stampa. ) So- no pubblicate dal sig. Michelangelo Gualandi. Memoria intorno alla vita della b. Angelina de'conti di Marsciano scritta dall'ab. Giocondo Petti/tari. Orvieto presso Sperandio Pompei i844> 'Il 8, di f. 29. Memorie delle missioni cattoliche nel regno del Tunchino, ossia brevi notizie degli atti de'martiri, e della persecuzioni che si sono levate in quel reame contro alla chiesa di Dio , e contro a' missionari dell'ordine di s. Domenico, raccolte dal p. Alberto Guglielmotti dei predicatori. Roma tip. Salviuccì, i844> in 8, di f. 265. Psalmus Misererò quatuor vocibus a Claudio Casciolinio con- cinnatus, quam Petrus Alfierius ab amanuensium mendis ca- stigavit, et in usura cathedralium et collegialium eccleslarum prò officiis ecclesiarum edidit. Romae, i844i fol. di p. 12. La via della croce del b. Leonardo da Porto Maurizio modulala a tre o quattro voci con organo da Pietro j^Z/ìen". Roma, 1844» fol. dì f. 40. Litanie lauretane modulate a tre voci, due tenori e basso con accompagnamento di organo, dell'istesso autore. Ivi, i844> fol- di f. 20. Le litanie lauretane modulate a tre 0 quattro voci con organo, V A n I E T a' i4i dell'islesso autore. Ivi, i844> fol. di f. 20. Sono altre tre raule diverse dalla supcriore. Cento ritratti e vite d'illustri italiani. Roma, tip. delle scienze 1841, in 4- (I" corso di stampa.) Memorie della storia letteraria d'Italia considerala ne'suoi monu- menti raccolte e descritte da Giuseppe Checchetelli. Roma, 1842, in 4j fig' ( In corso di stampa). Nel funere solenne rinnovato a Luigi Pieri da Cingoli studente di giurisprudenza dagli alunni della pontificia università di Macerata, iscrizioni di Niccola Gaetani Tamburini. Macerata presso Alessandro Mancini, i844j 'u 12, di f. 16 non numerale. La rivista, giornale di amena lettura, teatri e varietà. Roma, i844> dalla tip. di Angelo Aiani. fol. E' l'anno undecimo; si pubblica nei giorni io, 20 e 5o di ciascun mese. Memorie della società agraria di Bologna, voi I. Bologna i844 > in 8. (In corso di stampa.) Accademia delle scienze dell'istituto di Bologna. Novi commen- tari, tom. VI. Bononiae, i844, "^ 4- ("^ corso di stampa.) Turck S. A. Ti-attato della gotta e delle malattie gottose, recato dal francese in italiano dal dott. Cesare Gnoli. Bologna, i844» in 8. Sulle risaie di s. Martino in Argine, lettera del dott. Giuseppe Citarelli al dott. Luigi Beufenati. Ivi, in 8. Specimen quorumdem experimentorum de vi rubiae ad ossa o- vorumque gallinarum putaiiiina calcaria coloranda, Marci Prto- lini. Ivi, in 4- Memorie della società medico-chirurgica di Bologna , seguito agli opuscoli da essa pubblicati. Bologna coi tipi del Nobili e C. i835, in 4 con tavole. ( la corso di stampa). Elogio funebre del professore Tommaso Casali, letto in Camerino il giorno delle solenni esequie 25 aprile i844 dal dott. .Ma- riano Caiani. Sanseverino, per Benedetto Ercolaui, i844> fol- di facce i3. Notizie storielle di quattro insigni dipintori scritte da Salvatore Mazzi. Bologna, 1844. l'P governativa alla volpe in 8, di f. 76. Il prato spirituale de'santi padri recato in volgare da Feo Bel' cari. Bologna, a spese dell'editore Filippo Pizzoli , i844^ 'U i42 Varietà' 12, di f. 224- E' il I volume della Eletta di opere utili e di- lettevoli, serie prima. L'agro romano e la presente sua coltivazione , non che propo- posta dei mez7.i per migliorarne l'aria e la rendita, discorsi tre di Pio BofoHcli forlivese. Roma, tip. de'classici, i844, in 8, di f. XV e 79. Felsina pittrice. Vite de' pittori bolognesi del canonico Carlo Cesare Malvasia. Bologna, tip. Guidi all'ancora, 1844, voi. 2, in 8. Di un utile e degno scopo ai diporti della gioventù civile, com- mentario di -«^«^oh/o ^rtcco/mt. Bagnacavallo, Serantoni e Gra- ni, i844> 'u 8, di facce 129. Biblioteca classica sacra, ossia raccolta di opere religiose di ce- lebri autori edite ed inedite dal scc. XIV al sec. XIX, ordinata e publilicata da Ottavio Gigli. Roma, tip. Salvincci, i844) Ju 4» edizione seconda. Trattato dell'arte della pittura, scultura ed architettura di Gio. Paolo Lornazzo pittore del XVI secolo, diviso in sette libri. Ro- ma presso Saverio del Monte editore, i844> iu 8, tom. i. E il primo voi. della Biblioteca artistica. La sotterranea coufessione della romana basilica di s. Marco re- centemente scoperta, descritta ed illustrata da monsig. Domeni- co Bartolini cdmei'ieve d onore della S. di N. S., canonico della medesima basilica ec Roma, tip. di Crispino Puccinelli, i844> in 4, di f. 56 e carte 4 uon num. con 5 lav. litogr. Decisiones sacrae romanae rotae de iure hypothecario simul col- lectae a canonico yincenlio Tranquilli ravennate ec.Romae ede- bat Ioannes Oliverius, in 4, tom. i4- (In coi'so di stampa,) Sulla gran cometa apparsa nel marzo dell'anno i843, memoria di . Ignazio Calandrelli, professore di ottica e di astronomia nel- l'università romana ec. Roma, j 844» presso Gio. Olivieri, in4> di f. 79. Trattato teorico pratico sulla essenza, natura e condizioni degli atti e contratti civili e loro forme ad uso de'notai ed altri, com- pilato dall'avv. Gio. Battista Falconi. Roma, tip. Menicanli^ j8:Ì4, in 8. Pubblicato il fase. 62. Varietà' '4^ Vocabolario giuridico compilato dall'avv. Bartolomeo Belli. Ivi in 8. (In corso di stampa.) Compendio delle più note leggi del diritto civile romano, colle aggiunte di varie teoriche dei più celebri giureconsulti foren- si, opuscolo di Giovanni Patriarca. Ivi, in 4- Decisiones sacrae rotae romanae, commerciali pars I et altera. Ibi. in 4j volume unico. Storia degl'imperatori romani di Crevier. Ivi, tom. 90, in 12, fig. (In corso di stampa.) Il raccoglitore medico, giornale di medicina, chirurgia e scien- ze affini, diretto dal dottore Luigi Malagodi, e compilato dal dùtt. Dazio Olivi, anno VII, voi. XIII. Fano presso Giovanni Lana,i844>'n 8. (Se ne pubblica un foglio di io p. ogni lunedi.) Canina Luigi. Discorso intorno Alberto Thorvaldsen. Roma i844» pei tipi dello stesso Canina in 4> di facce 26 con un'incisione in rame rappresentante resimio scultore appoggiato allaSperan- za, statua da lui inventata. Estratto delle ricerche e dei documenti ufficiali pubblicati in Inghilterra dal i833 fino al presente, compilato dal sig. Mou- nier, con osservazioni del sig. Rubichon. (6 voi. iu 8.) Tradu- zione dal francese del dottore Gregorio Riccardi. Roma , tip. delle belle arti i844^ ÌQ 8, di f. 78.) Al eh. sig. Gaetano av. De-Minicts da Fermo, ciarleria di don Luigi Fabbri rettore e prof, di eloquenza nel seminario-col- legio felice di Spello. Loreto, tip. dei fr. Rossi, 1844? >" 8, di f. 32. Qualmente Napoleone non è mai esistito, ragionamento di G. B. Pèrés in continuazione del Dupuis nella sua opera. Origine di tutti i culti , tradotto sulla quarta edizione fruucese del i838. Roma, i844, in 8, di facce 27. ■f;,\! IMPRIMATUR Fr. Dora. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Joseph Canali Archiep. Coloss. Viccsg. "fH^ INDICE DEL VOLUME 301, SCIENZE Arnoldi, Metodo per rendere permanenti gli anelli colorati prodotti dall'iodio, p. 3 Falzacappa, Discorso sulla cultura della robbia » 10 Rudel, Malattie curate nell'ospedale del- l'ordine di Malta in Roma ec. . . . » 21 Cacciatore, Biografla scrittasi da se stesso. » 33 Emiliani , Teorica .della formazione dei censimenti » 41 Ragazzini, Ricerche Gsico-chimicbe delle acque termali euganee ec » 47. LETTERATURA Venturi , In quale anno fosse da Dante dettato il Convito . , » 50 RELLE ARTI Fabri Scarpellinì ,' Discorso intorno alla vita ed alle opere dell'architetto Giu- seppe Piermarini » 92 Varietà ì^^M i I GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI .844 4 ^ ^ iJ&itiì^)'^^ i4^ §€1^]^^ Animai chemistry ec; ossia Chimica animale ap- plicata alla fisiologia e alla patologia^ di Giu- sto Liebig, professore di chimica nelV univer- sità di Giessen. Edizione fatta sul manoscritto delV autore da Guglielmo Gregory. Londra 1842 (*). 1? !cco la chimica che, fatta adulta, spiega con più coraggio le insegne, ed entrata nel campo della me- dicina, adopera nuovamente di conquistarla. Si affida essa nel valore àoiV esperienza^ in cui nome bandi- sce dottrine, e promette che piìi arcani della scienza dell'organismo saran lor mezzo svelati, e chiarite non poche dubbiezze sull'origine delle condizioni morbose, e la stessa arte di guarire con piìi razionali principii diretta. Si distingue fra i condottieri il professor Giu- sto Liebig, insigne per analisi elementari, per nuovi melodi e teorie nuove, per assidui studi sulla chimica organica. Discese ei già altra volta in arena, onde as- soggettare i fenomeni della vita alle leggi chimiche: (*) Apprendiamo ora che quest' opera è stata recata in ita- liano a Napoli per opera del sig. Dorotea, ed ivi già pubblicato, G.A.T.CI. IO jA^ Scienze ma egli è specialmente in questo scritto, che si rac- colgono i più validi sforzi a conseguire tal fine. L'o- pera è divisa in tre parti : tratta la prima della vi- talità, dell'assimilazione organica, de'principii del san- gue, e stabilisce l'origine del calore animale : nella seconda discutonsi i fatti relativi alla trasformazione de'tessuti : la terza espone le teorie del moto anima- le, della malattia e della respirazione. Va innanzi un discorso preliminare, in cui l'A. dopo aver affermalo « che la scoperta delle leggi della vitalità, un de'plù alti problemi per l'umano intellet- to, non può esser nemmen concepita senza una esatta conoscenza delle leggi chimiche » prosegue lamentan- do il poco frutto, che fino agli ultimi tempi ha ri- tratto la fisiologia da tante fatiche de'chimici; e ne allega per cagioni : l'aver cercato a caso, cioè senza prefiggersi chiare e ben definite questioni; l'aver con-, eluso inconsideratamente delle mutazioni che avven-r gono entro l'organismo, per opera de'vari corpi, da quelle che si osservano in laboratorio, cimentando con essi il sangue , e i prodotti delle secrezioni ; l'aver chiamato in soccorso l'immaginazione a legare fatti sconnessi; in fine all'aver trascuralo il metodo quan- titativo, cioè al non aver suggellato ogni esperienza cum. pondero et mensura\ miglioramento di cui l'A, attribuisce tutta la gloria a Lavoisier. « Quanto chia- re, egli dice, sono ora per noi le relazioni de'vari alimenti ai fini cui soddisfano nel corpo, dacché la chimica organica ha introdotto nelle sue indagini il metodo quantitativo ! Se un'oca magra del peso di 4 libbre, nutrita per 36 giorni con 24 libbre di raaiz, acquista in tale intervallo 5 libbre in peso, e sonimi^ uislra 3 libbre e mezzo di puro grasso, è chiaro che Chimica animale i^j qaesto non poteva esistere bello e formato nel cibo, poiché il maiz non contiene la millesima parte del suo peso in grasso, o in alcuna sostanza analoga ad esso. E quando da un certo numero di api di un dato peso, nutrite di puro miele, privo affatto di cera, si ottiene una parte di cera per ogni venti parti di micie consumalo, senza che si noti alcun cambiamento nella salute o nel peso di dette api, non può rimanere al- cun dubbio, che nell'organismo animale la formazione del grasso derivi dalla sostanza zuccherina. Questo me- todo, che ci ha condotto a scuoprire l'origine del gras- so, dee servirci di guida nell'investigare l'origine e i mutamenti di tutte le secrezioni , come pure nello studio degli altri fenomeni del corpo animale. » E qui, applaudendo agl'insegnamenti dell'A., non possiamo però trattenerci dall'avvertire, quanto sia ma- lagevole impresa il sottoporre ad esatto calcolo certe operazioni degli esseri viventi, che in tutto o in parte sottraggonsi ai nostri mezzi d'indagine. Così noi po- tremo pesare un animale, e il cibo preso, e l'aria da esso inspirata, e le materie escrementizie uscitene dal corpo in un dato tempo ; ma la quantità netta del suo sangue, e di alcuni prodotti delle seci^ezioni noi non potremo stabilire che in modo approssimativo. S'interroghino per es. i fisiologi sulla quantità di bile, che nel corso di un giorno si separa in un adulto della nostra specie: e il Bianchi ci risponderà che trat- tasi di circa due once, mentre il Borelli l'apprezza a ben una libbra, ed Haller la innalza fino a due : diversità di cifre, che dimostra l'insufficienza de'mezzi a fissare la real quantità che di detto umore si va se- parando giornalmente. E quel che dicesi della bile si ripeta per varie altre secrezioni, e per lo slesso san- 1^8 Scienze glie. OUracchè la quantità di questo e degli altri umo- ri varia per mille circostanze, impossibili a valutarsi con quella minuzia, che esigerebbe il metodo quan- titativo. Il quale perciò non frutterà sempre alla chi- mica organica que'limpidi risultamenti, che la scienza ottiene nello studio de'rainerali. Apresi la prima parte coU'argomento della vita- lità. (( Nell'uovo dell'animale, scrive VJ., come nel seme della pianta, risiede una forza particolare, che è causa dell'accrescimento e della riproduzione della materia consumata. Questa forza vi si trova nello sta- to di quiete. Per l'azione degli agenti esterni, in vir- tù della fecondazione, e coU'aiuto dell'aria e dell'umi- dità, disturbasi l'equilibrio statico di essa forza, che entrata in movimento, ci si offre nella facoltà di pro- durre una serie di forme, le quali benché talvolta cir- coscritte da linee rette, sono però ben distinte dalle forme geometriche, che osserviamo nei minerali cri-r stailizzati. Tal forza chiamasi imitale, uis vitae, vita^ lità. 1) E appresso ripiglia : « Se parlasi dal principio, che lutti i fenomeni presentati dall'organismo dulie piante e degli animali debbono essere attribuiti ad una causa particolare, differente nelle sue manifesta- zioni da tutte le altre cause atte a produr movimen- to; se in conseguenza riguardisi la causa della vita- lità come una forza indipendente : allora come in tutti gli altri fenomeni attribuiti a forze, così in quelli della vita organica, avrassi una statica., cioè lo stato di equilibrio indotto dalla resistenza, e una dinami- ca, cioè lo stato di attivila della forza vitale. » Parrebbe da queste espressioni che l'A. riguardi la forza vitale come un ultimo fatto, oltre il quale non sia lecito spinger le indagini : ma leggendo ia- CmnìICA ANIMALE i4Q jianzi rilevasi, che la vitalilà trae in fine la sua ori- gine dalle forze chimiche. « Ne'processi di nutrizio- ne e di riproduzione, egli dice, si osserva il passag- gio della raaleria dallo stato di moto a quello di quie- te; per l'influenza del sistema nervoso questa male- ria entra di nuovo in movimento. Le ultime cause di tali condizioni diverse della vitalilà sono le forze chi- miche. La causa dello stato di quiete sta nella resi- stenza indotta dalla forza di attrazione, che agisce fra le più piccole particelle della materia, e si manifesta solamente allorché queste Irovansi a contallo, o a di- stanze infinitamente piccole. A questa specie parti- colare di attrazione si dà il nome di affinità. La causa dello stato di moto è da cercarsi ne'cambiamen- ti che patisce il cibo nell'organismo, e ne'processi di decomposizione che van provando i tessuti. . . . Come nel circolo galvanico chiuso, per effetto di alcuni cam- biamenti che un metallo sperimenta a contatto di un acido, qualche cosa divien percettibile ai sensi, che noi chiamiamo una corrente di elettricità : così nel corpo animale, in sequela delle trasformazioni sofferte dalla materia che faceva parte dell'organismo, si ma- nifestano alcuni fenomeni di moto e di attività, che van sotto il nome di vita o forza vitale. » E torna sotto a dichiarare lo stesso principio, scrivendo che « la forza o il movimento possono suscitarsi da va- rie cause. L'elasticità di una molla, una corrente d' aria, una caduta d'acqua , il fuoco applicato a una caldaia, la soluzione di un metallo in un acido, tutte queste sorgenti diverse di moto possono adattarsi a produrre lo stesso effetto. Ma nel corpo animale noi riconosciamo per ultima causa di ogni forza la sola azion chimica, che gli elementi del cibo e l'ossigeno tBo Scienze dell'aria esercitano scambievolmente fra loro. La sola ultima causa conosciuta della forza vitale, sì negli ani- mali come nelle piante, è il processo chimico. Ove questo sia impedito, i fenomeni della vita si arresta- no, o cessano d'essere percettibili ai nostri sensi. » E finalmente, esponendo la teoria del moto animale, ripete clie : « Come la manifestazione delle forze chi- miche sembra dipendere da un certo ordine, in cui le particelle elementari si uniscono; cosi l'esperienza ci ammaestra, che i fenomeni della vita sono insepa- rabili dalla materia, che il mostrarsi della forza vi- tale nella parte vivente dipende da una certa forma di essa parte, e da una certa disposizione della sue particelle elementari. Se distruggasi la forma, o si al- teri la composizione dell'organo, cessa ogni manife- stamento di vitalità. Nulla si oppone al considerare la forza vitale come una special proprietà posseduta da alcuni corpi materiali, e che si fa palese, allorché le particelle elementari di essi si combinano in certa forma o disposizione. » La qual dottrina che riferisce l'origine della forza vitale alle forme e composti organici, quantunque ac- carezzata dalle moderne scuole, è però lungi dal te- nersi a salde e ben fondate ragioni. Essa ci avvolge nell'oscuro circolo, che la forza vitale sia il prodotto delle forme e dei composti organici, e che i compo- sti e le forme organiche si conservino e riproducano dalla forza vitale. Essa ne assicura che da certe com- binazioni di atomi, e da certe disposizioni di mole- cule si susciti la vitalità: e ci lascia poi a secco nella questione del chi forzi gli atomi e le molecule ad entrare in queste combinazioni , e a rivestir queste forme. Essa non ci fa intendere l'unità della vita , Chimica animale tSi l'accordo maraviglioso delle parli, e come con diffe- renza di forme e composti ne'diversi esseri, e nelle diverse parti di un essere, sia pur comune ad ogni molecola organica la proprietà di conservare la for- ma, risarcirsi dopo il consumo e resistere alle affinità chimiche de'corpi circostanti. Essa non si concilia col- la rigenerazione delle parti perdute , non ispiega il concentrarsi della forza vitale in un organo a spese degli altri, e ci condanna a ignorare come la distru- zione di una parte, invece di recare una diminuzio- ne proporzionale all'intiero della vitalità, induce anzi talvolta un aumento di azione nelle parti superstiti. Aggiungi che se la vita fosse unicamente dipendente dalle condizioni materiali de'tessuti , la rapidità del suo estinguersi dovrebbe mantenere una esatta pro- porzione col grado degli sconcerti organici. Ma l'espe- rienza ci ammaestra invece , che le potenze nocive enormi paralizzano all'istante le forze vitali, senza of- fendere l'impasto organico, o almeno non offendendolo in modo pari al disordine delle forze. Così dalle os- servazioni de'tossicologi impariamo, che spesso a gran- di dosi di certi veleni è succeduta minor lesione ma- teriale de'tessuti, eppure maggior prestezza di morie; e al contrario dosi più piccole de'medesimi sono state seguite da gravi sconcerti nelle condizioni organiche, e lento morire. Paragonare i fenomeni della vita cogli effetti della pila galvanica , non è dimostrare che la vita- lità proceda da forze chimiche. L' analogia può of- frir qualche indizio , ma non costituisce mai prove. E dato pure che dalla scomposizione, cui soggiacciono i tessuti per l'esercizio di lor funzioni, sorga una potenza motrice, come dall' azione dell'acido sul me- i5a Scienze tallo scalurlsce nella pila una virtù decompomenlCi calorifica, magnetizzante; rimarrà poi a cercarsi l'o- rigine della forza, che presiede alla composizione e riproduzione di essi tessuti: forza che non potrebbe attribuirsi allo scioglimento della materia organizza- ta, senza cadere in manifesto assurdo. Il dire infine che i fenomeni vitali sono inseparabili dalla materia; che distruggendo le forme , o alterando la compo- sizione di un organo, ne scomparisce la vitalità, non è provare che la forza vitale sia un prodotto delle forme e composizione organica, ma solo che la ma- teria organizzata è una condizione necessaria, acciò si manifestino gli alti della vita. Il carattere distintivo della vita vegetale, pro- segue V j4. ■» è riposto in un continuo passaggio del- la materia dallo stato di moto a quello di equilibrio statico. Finche una pianta vive, noi non possiamo avvertire alcuna interruzione nel suo accrescimento: non vi ha parte di un organo vegetale che impicco- lisca. Se vi ha decomposizione, essa è l'effetto di un processo assimilativo. La pianta non genera in se stessa alcun principio di movimento: ninna parte del suo organismo perde per alto proprio ed intrinseco lo stalo di vitalità , convertendosi in composti privi di forme e di organizzazione: in breve, le piante non sono soggette a consumo. » Sottilissima riflessione, ;e degna che ci si fermi il pensiero de' fisiologi ; ai quali sembrò finora che la traspirazione operatasi .dalla superficie delle foglie, e le esalazioni alituose, e i trasudamenti di materie viscose , e gli umori ,che trapelano dalle radici di molte piante, rappre- sentino funzioni molto analoghe alle escrezioni degli animali, e perciò indicanti anch'esse un movimento Chimica animale i53 di clecomposizione nutritiva , un consumo eli parti- celle organiche. Gli umori in fatti che trasudano dalle radici di alcuni vegetali hanno siffattamente i caratteri di sostanze escrementizie, di detritiis della materia organizzata, da riuscire persino nocivi alle piante vicine. In questi trasudamenti ed esalazioni delle radici scorsero già i botanici la cagione del danno che certe piante soffrono dalla vicinanza di alcune altre. Così la serratala arveiisis nuoce alla coltivazione dell'avena, Veuforhia peplus e la sca- biosa arveusìs a quella del lino, Vinula hdcìiiuin al daucus carota, Verigeron acre ed il loliiuìi al fromenlo ec. Procede indi il chimico di Giessen a stabilire una nuova teoria del calore organico, la quale vuol essere esposta distesamente, come quella che è car- dine di tutte le dottrine chimico-fisiologiche e pato- logiche insegnate nel suo libro. » Le prime condi- zioni, egli dice, a mantenere la vita sono gli ali- menti e l'ossigeno. Le osservazioni de' fisiologi hanno mostralo che il corpo di un uomo, fornito di suf- ficente alimento , al termine di un giorno non è aumentato, né sminuito di peso; pure è notabile la quantità di ossigeno introdottasi nella sua macchina durante un tal periodo. Secondo le esperienze di Lavoisier, un adulto prende in un anno dall'atmo- sfera 746» e per quelle di Menzies 887 libbre di ossigeno: intanto fra il principio e il termine di que- sto corso di tempo, o non si avverte alcuna diffe- renza di peso nel suo corpo, o essa è di poche li- bre. Si domanda ora: Che avvenne mai di questa enor- me quantità di ossigeno entrato nel corpo in un anno? A fai quesito si può rispondere soddisfacen-^ i54 Scienze temente. Ninna porzione dì questo gas rimane nel corpo, ma tutto è mandalo fuori in forma di com- posli di carbonio o d' idrogeno. Il carbonio e l'i- drogeno di certe parli del corpo sono entrati in combinazione coli' ossigeno inspiralo ed assorbito, e sono slati espulsi in forma di gas acido carbonico, e di vapore acquoso. Ad ogni istante, con ogni es- pirazione, l'organismo perde alquanti elementi, dopo essersi questi combinati entro il corpo coll'ossigeno dell'atmosfera. Se per dare un fondamento ai nostri calcoli, partasi con Lavoisier e Seguin dal dato spe- rimentale, che un adulto introduce ogni giorno nella sua economia 82 once e mezzo di ossigeno, e che il peso di tutto il suo sangue, di cui l' 80 per 100 è costituito dall'acqua, sia di 24 libbre; sapremo allora dalla nota composizione del sangue che, per convertire tutto il suo carbonio e idrogeno in acido carbonico ed acqua , si richiedono 64io3 grani di ossigeno, che entrano nella macchina di un adulto in quattro giorni e cinque ore. Che V ossigeno si combini cogli elementi del sangue, o con altre par- li del corpo ricche di carbonio ed idrogeno, in ogni caso è necessario che il corpo umano, il quale gior- nalmente assorbe 82 once e mezzo di ossigeno, ri- ceva nello stesso tempo tanto di carbonio ed idro- geno da risarcire il sangue di questi elementi. Una tale riparazione è fornita dal cibo. Da esatti calcoli sulla quantità di carbonio entrato in un giorno nel- l'uomo cogli alimenti, sottrattone quello che ne e- sce incombusto colle fecce e coli' orina , cioè che non si combina coll'ossigeno, risulta che un adulto, uso a moderato esercizio, consuma giornalmente i3 CmMICA ANIMALE l55 once e 9/,o ^' carbonio, che sono espulse per là pel- le e pei polmoni in forma di gas acido carbonico. d « Se tutto l'ossigeno assorbito dal corpo ne vien cacciato in forma di composti di carbonio e idroge- no, e se il carbonio e l'idrogeno usciti dal corpo in combinazione coll'ossigeno hanno ad esser risarciti dal cibo, è chiaro che la quantità di questo cibo dovrà seguir la ragione dell' ossigeno assorbito. Due ani- mali, che in pari tempo ricevono quantità ineguali di ossigeno, consumano proporzionatamente quantità ine- guali di cibo della stessa natura. Il consumo di os- sigeno, in tempi eguali, corrisponde al numero delle respirazioni : e la quantità del nutrimento richiesto nello stesso individuo dee variare secondo la forza e il numero di esse respirazioni. Il fanciullo , che La molta vivenza di respiro , riceve il cibo più spesso dell'adulto, e tollera più difficilmente la fame. L'uc- cello privo di alimento muore il terzo giorno, men- tre il serpente colla sua lenta respirazione può farne senza tre mesi e più. Il numero delle inspirazioni è minore nello stato di riposo che durante l'esercizio e la fatica, e la quantità di cibo dee variare proporzio- natamente nelle due condizioni diverse. L'eccesso di nutrimento è incompatibile col difetto di ossigeno re- spirato, cioè colla mancanza di esercizio; come l'eser- cizio violento , che importa maggior copia di cibo , non si può unire colla debolezza degli organi dige- stivi. La salute ne patisce in ambi i casi. » . . . . • ••..,.. L'azione reciproca fra gli elementi del cibo e l'ossigeno, condotto dalla circolazione del san- gue ad ogni parte del corpo, è la sorgente del ca- lore animale, » « Tutti i corpi viventi, la cui esistenza dipende i56 Scienze dall' assorbimento dell' ossigeno , possiedono in loro stessi una fonte di calore, indipendente dagli oggetti circoslanli. Questa verità si applica a tutti gli ani- mali, e si estende ancora alla germinazione de'semi, all' efflorescenza delle piante e alla maturazione dei frutti. Il calore si genera in quelle sole parti del cor- po, a cui giunge sangue arterioso e ossigeno inspi- ralo con esso. I capelli, la lana, le piume non ma- nifestano temperatura elevala. Questo calore animale è sempre l'effetto della combinazione di una sostanza combustibile coli' ossigeno. Qualunque sia il modo , onde il carbonio si combini coll'ossigeno, l'atto della combinazione non può effettuarsi senza generazion di calore. Poco monta se questa combinazione avvenga con rapidità o con lentezza, ad alta o bassa tempe- ratura; la quantità del calore cjie se ne svolge è sem- pre la stessa. Il carbonio del cibo , che si converte in acido carbonico entro il corpo, dee somministrare tanto calore , quanto ne avrebbe prodotto , se fosse stato bruciato direttamente nell'aria o nel gas ossi- geno : la sola differenza è riposta nel tempo ineguale che s'impiega alla diffusione del calore prodotto. Nel- l'ossigeno la combustione è più rapida e il calore più intenso: nell'aria la combustione è più lenta, la ele- vazione di temperatura è minore, ma dura più a lungo.» « S' intende facilmente cbe lo svolgimento del calore animale dee crescere o diminuire secondo la quantità dell'ossigeno introdotto in eguali tempi. Gli animali che respirano di frequente, e cbe per conse- guenza consumano molto ossigeno, hanno una tem- peratura più elevala di quelli che, con egual volume di corpo da riscaldare, assorbono meno ossigeno ....» « Le più accurate osservazioni c'insegnano che in Chimica animale i^j tutti i climi, nella zona temperata , come ai poli e sotto l'equatore, la temperatura dell'uomo e degli ani- mali a sangue caldo è la medesima : eppure quanto diverse sono le circostanze sotto le quali essi vivono! La macchina animale è una massa riscaldata, che man- tiene cogli oggetti circostanti le slesse relazioni, che vi hanno tutti gli altri corpi riscaldati , cioè riceve calore, allorché questi oggetti sono più caldi, e lo per- de, quando sono piìi freddi di essa. Noi sappiamo che la rapidità del raffreddamento si accresce a misura che aumenta la differenza fra la temperatura della massa riscaldata e quella dell'ambiente esterno ; ossia, più freddo essendo l'ambiente, più breve sarà il tempo im- piegato dalla massa calda a raffreddarsi. Quanto ine- guale dev'esser dunque la perdita di calore nell'abi- tante di Palermo, la cui esterna temperatura si avvi- cina a quella del suo corpo, e nell'uomo delle regio- ni polari , ove l'ambiente è più freddo da 70 a 90 gradi ! Nondimeno l'esperienza ci mostra, che il san- gue conserva in ambedue la stessa temperatura: ciò che prova, il calore ceduto al mezzo circostante ri- generasi entro il corpo con sorprendente prontezza. Questo compenso si effellua più rapidamente nell'in- verno che nell'estate, più al polo che all' equatore. Ora ne'differenti climi e nelle stagioni diverse la quan- tità dell'ossigeno inspirato varia secondo la tempera- tura dell' aria esterna, Regnando il freddo s' inspira maggior copia di ossigeno, e dee indi accrescersi nella stessa proporzione la quantità del carbonio e dell'idro- geno destinati a combinarsi con esso. L azione reci- proca degli elementi del cibo coU'ossigeno inspirato somministra il calore perduto col raffreddamento. Il corpo animale agisce a tal riguardo come un cammi- i58 Scienze no, che sì fornisca di legna. Non importa qual for- ma intermedia prenda il cibo nella macchina, dacché la finale trasformazione è sempre il convertirsi del suo carbonio in acido carbonico e del suo idrogeno in acqua; l'azoto non assimilato, e il carbonio incom- busto o non ossidato essendo espulsi per orina e per escrementi. A mantenere nel cammino un grado co- stante di calore si dee provvederlo di più o raen com- bustibile, secondo l'esterna temperatura; vale a dire secondo la quantità dell'ossigeno somministralo dall' aria. Nel corpo animale il combustibile è rappresen- tato dal cibo. Durante l'inverno, facendo esercizio in una fredda atmosfera, aumenta la quantità dell'ossi- geno inspiralo, e per conseguenza si accresce propor- zionatamente il bisogno di prender cibo, e un cibo ricco di carbonio e d'idrogeno. Dal soddisfare a un tal bisogno si ottiene la più efficace difesa contro l'a- zione assiderante del freddo : l'affamato ne agghiac- cia tosto fino a morire. Ninno ignora che gli animali da preda delle regioni artiche sorpassano di gran lun- ga in voracità quelli che abitano la zona torrida. Il vestimento equivale ad una certa quantità di cibo : più siamo coperti, meno urgente è il bisogno di ali- menti ; dacché sminuendosi la perdita di calore pel raffreddamento esterno, diminuisce pure la quantità di calore, che vuol esser risarcito dalla combustione del cibo La dose adunque degli alimenti è regolata dal nu- mero delle respirazioni, dalla temperatura dell'aria e dalla quantità di calore ceduto all'ambiente esterno.» Fin qui Liebìg, a cui niuno vorrà negar questa lode, che la chimica non sia mai stata sì dotta nello Chimica animale iSq spiegare il gran fenomeno del calore organico, come Io è oggi nelle sue mani : tuUavia ci è sembrato che rimangan fatti e argomenti, non confacenti del tutto colla teoria della combustione. Eccone alcuni. 1. La quantità del cibo, dice l'A., dee variare, secondo la condizione di esercizio o di quiete, in cui si ritrovi la macchina: e questa è materia di fatto. Ma la necessità di maggior copia di alimenti dopo l'eser- cizio è forse la nuda espressione del bisogno di met- tere in corrispondenza il carbonio e l' idrogeno del cibo colla maggior quantità di ossigeno inspirato du- rante il moto ? Non- vi ha per lo meno gran parte il più gran consumo di materia e di forze avvenuto per la fatica ? Urgente è dopo questa il bisogno della ri- parazione , e istantaneo il ristoro che provlam dopo il pasto : mentrechè se tal bisogno derivasse solo dal dover proporzionare il cibo coll'ossigeno inspirato, ei dovrebbe giunger ben tardi; avendo l'ossigeno di che esercitare intanto la sua chimica avidità sul carbonio e idrogeno dei tessuti. Così pure, allorché dalla pia- nura ci trasportiamo sulla collina o sul monte, noi sperimentiamo tosto un più vivo desiderio di alimen- ti, digeriamo plìi facilmente, e in maggior copia : ma questo effetto deriva esso tutto, come sostiene l'A. , dalla più gran quantità di ossigeno inspirato, e dal j bisogno di somministrargli un proporzionato pabulo di carbonio e d'idrogeno in forma di cibo, ne vi con- ! Iribulsce per nulla l'azione eccitante di un' aria più fresca, più asciutta, più carica di elettricità positiva? I Questo eccitamento non si fa egli palese colla mag- giore speditezza de'movimenti, coll'alacrità maggiore, i onde si compiono tutte le altre funzioni ? 2t Quando un corpo animale viene esposto ad i6o Scienze una temperatura molto inferiore alla sua ordinaria, l'interna sorgente del suo calore si fa più copiosa. Questo bel fatto di provvidenza della natura, espresso già in breve da Ippocrate con quel suo detto « hye- me ventres calidiores » è spiegato ora dal nostro autore coli' aumento provocato dal freddo e nella quantità di ossigeno inspiralo, a cagione della mag- gior densità dell'aria , e ne' movimenti del corpo , da cui deriva più frequente respiro, e nella copia del cibo preso, e di cibo più ricco di carbonio: cir- costanze tutte die nella sua teoria equivalgono ad aumento di combustione. Ma co*nsideri qui il lettore, cbe la virtù calorifica del corpo si accresce non solo per la inspirazione di aria più fredda, che porti seco maggior copia di ossigeno, ma eziandio per l'appli- cazione di un corpo freddo, cbe non addensi nota- bilmente l'aria circostante , come per opera di un Lagno, in cui l'acqua si trovi ad una temperatura mollo inferiore a quella del corpo e dell'aria che lo circonda. E notisi poi che il primo effetto e del- l'aria e del bagno freddo si è quello dì stringere il petto, e render più anguste le vie del respiro, in- troducendosi così minor copia di ossigeno. Si avverta in fine che l'accresciuta facoltà a generar calore nel- l'animale esposto al freddo si fa manifesta, prima che esso abbia potuto soddisfare al provocato bisogno di maggior copia di cibo, e di gran frequenza di movi- menti. Nelle esperienze di Currie, immerso un uomo nell'acqua a 5 il calore discese da 29 a 24» ma ri- salì a 27 dopo dodici minuti: e posta una vipera in un vaso alla temperatura di 9 , si osservò in dieci minuti elevarsi fino a 2. E se merita fede quel che asserisce di avere sperimentato Hunter, che le uova Chimica animale i6i stesse, esposte in un ambiente freddo , manifestano la facoltà di generar calore, avverrà ciò per più co< piosa somministrazione di ossigeno e maggior consu- mo di materia organica ? E qual combustione pre- serva dal congelarsi nel cuor dell'inverno gli ovici- ni fecondati delia eruche ? « Nihil magis miratus fui^ dice Boerbaave, guani quod embr Jones in ovis erucarum, quae visco suo annulatim tenellis ar- horuin ramulis circumlito faecundata ova inji- gunt, inanserint illesae in suis ovuUs tota hjeme acerbissima » (de igne). 3. Osservò il Carcani, e lo ha poi confermato Kdwards, che gli animali a sangue freddo possono con- servare tanto più a lungo la vita senza Varia atmo- sferica, per quanto la temperatura ambiente è più bassa. Al contrario quanto più caldo è il fluido in cui vivono, di tanto maggior copia d'aria abbisogna- no essi per evitare la morte. Or questo fatto non as- sesta colla dottrina dell'A.: poiché, se un certo grado di calore è necessario alla vita, e se questo calore si genera per la combustione dell'ossigeno inspirato coll'idrogcno e carbonio de' tessuti che si van logo- rando, è chiaro che tanto più l'animale avrà bisogno di ossigeno e perciò di aria, per quanto più urgente sarà la necessità di produr calore, come avviene ap- punto quando si tratta di resistere al freddo ester- no. Al contrario, ove il calore ne venga fornito dai corpi circostanti, si avrà meno bisogno di generar- lo, e quindi minore dovrà essere il consumo dell'aria. 4. Come fra gli altri animali vi hanno delle specie, che non posseggono la facoltà di rinforzare l'interna sorgente del calore dopo l'impressione del freddo, e che sono perciò obbligate di racchiudersi iu G.A.T.CI. n i6<2J Scienze tane o nicchie a svernare: così pure fra gl'individui della specie umana ve ne ha cui bisogna giovarsi di tutti i mezzi dell'arte, onde garantirsi dall'azione del freddo, dacché la virtù calorifica è incapace d'innal- zarsi a più alto grado. Questo fatto pone il feno- meno del calore animale assai più in attenenza colle condizioni generali della forza vitale, di quello che con uu mero processo chimico, il quale non potrebbe variare che per la diversa quantità e proporzione de' materiali comburenti, 5. Raffreddando e riscaldando successivamente gli stessi individui, si osserva che il tempo richiesto a reintegrarli nella temperatura iniziale, diviene più lungo a misura che si ripetono i raffreddamenti. La lor facoltà di produr calore ha dunque diminuito 5 poiché pel riscaldarli, la temperatura loro s'innalza in parte pel calore esterno, e in parte per quello che generano, Ora come il primo è un dato costante nel- le diverse esperienze, ne siegue che la lentezza, onde si eleva la temperatura, dipende dalla virtù calorirr fica fattc^ minore col ripetersi dei raffreddamenti. Non sapremmo vedere come la teoria della combustione si prestasse ad interpretare questa esperleuza di Ed- wards, la quj^le invece s'intende beue col principio stabilito da Huuter: cioè, che gli sforzi dell'organir fimo per isvolger c^^lore , allorché venga esposto in un ambiente freddo, esaudiscono prontamente l'ener-r già vitale. 6. È noto che alcune parli, lontane dal centra dell'organismo, sono soggette a raffreddarsi prima delle (iltre. Tali sono le ultime falangi delle dita, il naso, jgli orecchi , la coda ec. A spiegare il qual fatto è §tfttfi considerata la disjposizione anatomica delle par- I Chimica animale i63 ti : così una pelle sottile, applicata sopra una cartila- gine, offre la maggior facilità al raffredJanaento, per la piccolissima quantità di sangue che scorre ne'tes- suli disposti in tal guisa. Ma questa condizione, se vale per gli orecclii e pel naso, non può egualmente applicarsi ai polpastrelli delle dita. E stato detto, che queste parti sono proclivi al raffreddamento, perchè pili isolate : ma perchè la lingua si raffredda si spesso nelle malattie prima delle altre parti ? Si è aggiunto che esse hanno relazioni più estese ed immediate col- l'aria : ma qual differenza di rapporti coll'atmosfera esiste fra le diverse parti del corpo , tranne la fac- cia, in chi giace in letto ricoperto tutto da coltri ? Pure il raffreddamento, ove abbia luogo, incomincia sempre dalle estremità. Convengono finalmente i fi- siologi in ciò, che questa prontezza a perdere il ca- lore dipenda principalmente dalla maggior distanza in che si trovano le sudette parli dal centro del corpo: dunque si ammette una sorgente di calore negli or- gani centrali. L'osservazione in fatti ci ammaestra* che la regione del ventricolo possiede una tempera- tura più elevata che tutte le altre del corpo : a In ahdomine et in ventrìculi pracprimis regione ma- iorein esse calorem , et minorem in pectore^ ob- servatio docet. » (Walter, Pliysiolog.) E Autenrielh, nelle esperienze fatte sui mammiferi, rinvenne fra lo stomaco e il fegato un calore che superava di io gra- di (Farh. 2) quello delle altre parti. La somma suscet- tività dello stomaco per le rapide vicende di tempe- ratura, e il potere ch'esso ha in modificare la condi- zion calorifica di lutto il corpo, mostra pure la stretta attenenza in che trovasi il centro epigastrico col pro- cesso di calorificazione. Nelle esperienze di Currie, i64 Scienze il corpo, ch'era sialo raffreddato coll'esporlo ad un ambiente assai freddo, veniva prontamente restituito nel suo calor naturale, mediante l'applicazione di una vessica piena di acqua calda sulla region stomacale. In qualche caso gl'individui , durante l'applicazione del freddo, lagnavansi di sommo languore al ventri- colo. E Giannini praticando le fredde immersioni os- servava, che mentre l'acqua era al punto di toccare lo scrobicolo del cuore, la sensazione di freddo era in quel punto insopportabile per molti febbricitanti, mentre impunemente slavano immerse le estremità in- feriori, e lo stesso basso ventre. Questi fatti, a cui potrebbero aggiungersene molti altri, ricavati dall'ef- fetto refrigerante di varie malattie dello stomaco, non ci è sembrato andar pienamnete d'accordo colla teo- ria della combustione, la quale rende, è vero , suf- ficiente ragione del più copioso svolgimento di calore nel ventre, trasformandosi ivi molto sangue arterioso in venoso; ma non ispiega la dipendenza in che tro- ^si il calore generale del corpo dalle condizioni dello stomaco. Quando poi questo viscere entra nell'eser- cizio delle sue funzioni, la sua temperatura s'innalza anche più, e si diffonde al resto del corpo, che tro- vasi allora più capace di resistere all'azione del fred- do. A questo svolgimento di calore nello stomaco per l'azione stimolante de'cibi e per la lor digestione, più che all'aumento di combustione delle molecole orga- niche coU'ossigeno atmosferico, ci sembra doversi in gran parte riferire quel bisogno di maggior copia di alimenti, che c'incalza nella fredda stagione e ne'cli- mi freddi; poiché egli è specialmente a stomaco pieno che ci sentiamo in istato di affrontare gli esterni ri- gori, « Vicissim^ dice Lenhossek, augetur corporis Chimica animale i65 calor per ipsam digestionem, ut adeo uherior cibi mandiicatio congelationis miniiat ppricaliim. » E se un provvido istinto ci spinge a presceglier carni e so- stanze aromatiche nell'inverno, frutta eri erbaggi nella state, gli è appunto perchè dall'azione stimolante e dalla digestione de'primi scaturisce nello stomaco istes- so maggior quantità di calore che dai secondi. Dimo- stri pure l'analisi che le frutta, delizia degli abitanti del sud, contengono assai meno carbonio, e perciò me- no pascolo alla combustione, che il lardo e l'olio di balena, favoriti alimenti nelle regioni artiche: rimarrà sempre intiero il fatto , che prima che tali corpi si risolvano ne' loro elementi , già dal pasto di questi grassi si è generato nel ventricolo gran calore, men- tre da una mangiala di frulla si produce effetto con- trario. Su questo fatto notissimo è basata la pratica distinzione degli alimenti in calidi e frigidi ; ond'è che niun medico accorderebbe al febbricitante un in- tingolo di carne, e gli permette invece fragole e pomi. 7. Recenti osservazioni han confermato, che nella donna e in vecchiezza la respirazione è meno estesa ed energica, che nell' uomo e in gioventù : la qual verità è dimostrata non solo dalle condizioni organi- che della cavità del torace e del polmone in quel sesso e in quell'età; ma sippure dal fatto sperimen- tale della minor quantità di gas acido carbonico che il vecchio e la donna espirano in un dato tempo, re- spettivamente agli altri. Intanto la temperatura del sangue non differisce per sesso od età differenti; quan- tunque una più scarsa ossigenazione dovrebbe trar seco una men ricca fonte di calore. 8. L' innalzamento di temperatura, che avviene durante lo stato febbrile, non si concilia nemmeno i66 Scienze colla teoria tlell'A. L'astinenza a cui sono condan- nati i febbricitanti, e l'aria men libera cbe respirano, non equivalgono a più copioso fornimento di mate- riali di combustione : la quale poi se tutta si ope- rasse a spese de'tessuli, dovrebbe indurre un tal de- perimento nella massa dell'organismo, quale non ci occorre di osservare che nelle lunghe malattie. £i non è raro, a cagion d'esempio, che una febbre reumati- ca percorra tre o quattro intieri settenari, durante i quali la superficie dell' infermo raggia una insolita quantità di calorico , e in cui lo stesso termometro indica uno o due gradi di elevata temperatura. Or se, giusla i calcoli dell' A., a mantenere in un adulto la normal combustione , introduconsi circa i4 once di carbonio col cibo, e 32 di ossigeno colla respira- zione, converrà ammettere, che ad alimentare il ca- ler febbrile si richiede una maggior quantità dell'uno e dell'altra. Intanto il malato per la rigorosa dieta, cui è astretto, e per l'impedito movimento dell'aria intorno a se, inspira assai meno ossigene, e riceverà appena col nutrimento tre o quattro once di carbo- nio. Ed ecco una quantità notabile di carbonio e di ossigeno, che dovrebbero esser consumati ogni giorno a spese de'tessuti, mancandone la esterna sommini- strazione : a cui aggiungendo quanto di parte solida si espelle pei diversi emuntori, o per opera de'rime- di, o per effetto de'processi morbosi e degli atti cri- tici, risulterebbe in 21 o 28 giorni una perdita enor- me di materia organica, che non è concorde alla os- servazione. Ne si obbietti che le copiose bevande usa- te dai febbricitanti possono fornire anch' esse mate^ riali di combustione; poiché vi hanno febbri di ma- ligno carattere, che non sono accompagnale da sete; Chimica animale 167 e d'altronde l'effetto sensibile delle bevande acquose è di mitigare, non di accrescere il calore febbrile; per ciò salutate sempre col nome di refrigeranti. Oi Finalmente il fenomeno della flogosi sembra anche meno adatto a confermare la teoria della com- bustione. Ponete mente a ciò , che un piumacciolo di panno lino, intinto in acqua fredda, e applicalo sopra un flemmone, se ne ritrae poco dopo ben cal- do, potendosi ripeter le cento volte la stessa opera- zione col medesimo effetto, e vi sarà dimostrato, che ricca e perenne fonte di calorico risieda nella parte infiammata: pure, invece di consumarvisi sangue e tes- suti, vi scorgiamo anzi esuberanza di forza plastica e di formazione organica. La tisichezza, che va restrin- gendo gli spazi respiranti del polmone, occupati da tubercoli, vomiche, indurimenti, e che impedisce quin- di l'ingresso nel sangue a tanto ossigeno, per quanto vi ha di viscere impervio all'aria, non è pertanto ca- gione dì abbassamento di temperatura : che anzi la febbre etica, ne'suoi frequenti ritorni, arreca un più copioso svolgimento di calore. » Il processo della resiì'ìraz'wne, prosiegue Lie- bigy s'intende meglio, allorché si consideri lo stato dell'uomo e degli altri animali, privati totalmente di cibo. Il primo effetto dell'inedia è lo sparimento del grasso , il quale non si rinviene nò nelle urine ne nelle fecce. E chiaro che il carbonio e l'idrogeno di questa sostanza hanno servito a mantenere la respi- razione, e sono usciti dalla pelle e dai polmoni in forma di prodotti ossidati. L'uomo sottoposto a per- fetta astinenza riceve ogni giorno Sa once e mezzo di ossigeno, che espelle in combinazione con una par- te del suo corpo. Currie racconta il caso di un in- i68 Scienze dividuo affetto da disfagia , il cui corpo diminuì in un mese di loo libbre; e al dire di Martell, un pin- gue maiale, avvolto in uno scoscendimento di terra, visse i6o giorni senza alimenti , e perde in questo tempo pili di 120 libbre del suo peso. Tutta la sto- ria degli animali ibernanti, e i noti fatti dell'acc^u- mularaento periodico del grasso, che poi sparisce del tutto, dimostrano che nel processo respiratorio l'ossi- geno consuma, senza eccezione, tutte le sostanze ca- paci di combinarsi con esso .... E per verità pro- lungandosi la durata dell'inedia, ei non è solo l'adi- pe che svanisce , ma svaniscono pure gradatamente tutti i solidi capaci di esser disciolti. Ne'consunti cor- pi di coloro, che moriron di fame , i muscoli sono flosci, assottigliati e privi di contrattilità; tutte le parti dell' organismo , che erano atte ad entrare in movi- mento, servirono a proteggere il rimanente della mac- china dall'azione distruttiva dell'atmosfsra. In fine la sostanza stessa del cervello soggiace al processo di os- sidazione, e il delirio, la mania, la morte chiudon la scena : cessa cioè ogni resistenza al potere ossidante dell'ossigeno atmosferico , incominciando il processo chimico di eremacausis, in cui, tranne le ossa, ogni altra parte del corpo entra in combinazione coll'os- sigeno. La differenza del tempo, richiesto a cagiona- re la morte per inedia, dipende dalla diversa quan- tità di grasso contenuto nel corpo, dal grado di eser- cizio, dalla temperatura dell'aria, e finalmente dalla presenza o mancanza dell'acqua ec. » Lo sparire del grasso per effetto d' inedia era stato finora attribuito all'accresciuto assorbimento in- terno; sicché l'organismo risarcisca in parte le per- dite che va facendo il sangue co' suoi stessi mate- Chimica animale 169 rlali, in mancanza dei nuovi somministrati dagli ali- menti. Liebig, come si vide, considera il fenomeno da puro chimico, e vi scorge una conseguenza ne- cessaria del bisogno che ha l' ossigeno respirato di consumare ogni sostanza capace a combinarsi ad es- so, e che ad esso presentisi; bisogno che negli af- famati si esercita sui materiali stessi della macchina, in difetto della nuova riparazione fornita dal cibo. Ma in verità un fatto, che discendesse puramente da leggi chimiche, dovrebbe manifestarsi colla medesima costanza e regolarità, che è propria di esse leggi; e se la morte per inedia dipendesse unicamente dal con- sumo, che fa l'ossigeno atmosferico di tutte le sostan- ze organiche atte ad entrarvi in combinazione, il mo- mento di questa mofle dovrebbe potersi assegnare col- la stessa esaltezza, con cui la chimica ne assicura po- ter calcolare la quantità di ossigeno respirato in un dato tempo, e la proporzione di carbonio e d' idro- geno, contenute in un dato peso di materiali organi- ci. Pure la cosa procede diversamente, e i fatti della più o men lunga resistenza all'inedia presentano tutt' altro che la regolarità di una combinazione chimica. Aprite gli annali della medicina, e vi leggerete che i casi naturali di prolungata astinenza non avvennei'o già in persone di pingui e carnosi, come più ricchi di materia atta ad esercitare 1' avidità dell'ossigeno , ma che i gracili e macilenti ne furon quasi sempre i campioni. « Homines quidem^ qui cibo din absti- nuerunt , fere ad unum omnes melancholici fue- runt, aut hystericae plerumque feminae, et demum aliquae sensu pene omni destitutae ec. » (Haller, Physiolog. tom. VI. ) Altre condizioni adunque, oltie le materiali, decidono della maggiore o minor resislen- lyo Scienze za, che l'organismo oppone alla mortìfera azìon dell' inedia. E qui cade irt acconcio il notare , come il fatto irrecusabile delle prolungate astinenze ponga an- che uno scoglio alla teoria chimica del calore ani- male. Poiché, o durante l'astinenza l'ossigeno atmo- sferico continuò a circolare col sangue arterioso, ed entrò in combinazione colla materia organica: e co- me allora i tessuti non furono consumati del tutto in sì lunghi tratti di tempo ? Ovvero, sospesi gli atti assimilativi, l'ossigeno non fu assorbito, o non si com- binò colla materia organica: ed eccoci alla necessità di cercare un'altra origine del calore , essendo pro- vato in più casi di astinenza, che la temperatura del corpo non abberrava dallo stato normale ( V. Mac- kenzie in philos. trans, ad 177. ) Continuando il discorso del calore animale, av- verte il nostro scrittore, che un falso concetto sulla connessione de' fenomeni naturali indusse i fisiologi ad attribuire una parte al sistema nervoso nella pro- duzione di tal fenomeno. Se la recisione del ponte di Varolio o del midollo spinale cagiona nondimeno un improvviso raffreddamento, quantunque si manten- ga ad arte la respirazione, ciò avviene, egli dice, per- chè i visceri paralizzati non forniscono più quelle so- stanze, con cui dee combinarsi l'ossigeno, onde si ef- fettui la combustione. « La singolare idea che i nervi producano il calore animale è nata dal principio er- roneo, che l'ossigeno inspirato si combini col carbo- nio stesso del sangue negli spazi arteriosi; nel qual caso la temperatura del corpo non avrebbe certo do- vuto abbassarsi pel solo fatto de'cllali esperimenti.» « E stato anche osservato, ei prosegue, che dalla contrazione Je' muscoli si genera calore , non altri- i Chimica animala 171 menti che un pezzo di gomma elastica, se con cele- rità si allunghi, torna a conlrarsi speditamente pro- ducendo calore . ^ . . . . Dalla contrazione de'mu- scoli svolgesi calore: ma la forza necessaria per la con- trazione si è manifestata per mezzo degli organi del moto, in cui suscilossi per opera di cambiamenti chi- mici. La causa ultima di questo calore si dee adun- que cercare nelle azioni chimiche. » « Sciogliendo un metallo in un acido si gene- ra una corrente elettrica; la quale passando per un filo metallico a spira lo converte in una calamita, col cui mezzo si possono ottenere vari fenomeni. La causa di questi fenomeni è il magnetismo; la causa del magnetismo si rinviene nella corrente elettrica, e le causa ultima della corrente elettrica rimonta all'azione chimica. » E qui ci sembra che il modo di ragionare del- l'A. patisca qualche eccezione. Egli assume in fatti come verità dimostrata quel che non oltrepassa i con- fini di semplice congettura; cioè che il moto anima- le sia un effetto de'carabiamenli chimici che avven- gono nella permutazione de' tessuti. Ci sorgerà in ap- presso nuova occasione a discutere tal dottrina: ba- sti intanto il rammentare, che il principale agente del moto negli animali è la volontà, la quale , a saper nostro|, non mantiene alcuna relazione coi processi chimici della metamorfosi organica. E ammesso pur come certo, che il moto animale sia una conseguen- za dello scioglimento della fibra organizzala , itasi logorando nell'esercizio delle funzioni, rimarrà sem- pre evidente, che il calore generato da questo mo- to debba ascriversi alla contraisione muscolare isles- sa, come a sua causa iramediala, e non già alla tra- 172 Scienze sformazione organica, che ne sarebbe solo l'origine : nel modo istesso che il calore , la decomposizione de' corpi e l'induzione magnetica, fenomeni prodotti dalla pila , hanno a riguardarsi come effetti imme- diati della corrente galvanica, non delle azioni chi- miche, che intervennero allo svolgimento di essa. Per quanto energica sia l'azion chimica, se occorre uno sbaglio nell'ordine de' metalli , o nella disposizione dell'apparato, la corrente non si stabilisce, e 1 pre- detti fenomeni non si mostrano. Essi adunque sono in rapporto immediato col fluido galvanico , che si genera per tali artifizi , non col processo chimico , che presiede al suo nascimento. Termina l'argomento con alcuni calcoli, traiti dagli esperimenti di Despretz sulla quantità di ca- lore, suscitato dalla combustione di una data quanti- tà di carbonio, da cui risulterebbe che le i3 once di carbonio, che si convertono giornalmente in aci- do carbonico nel corpo di un adulto, valgono a ri- scaldare 370 libbre di acqua a gB, cioè alla tempe- ratura dell'uomo. . . « E se riflettasi, aggiunge VA,, che il calorico specifico delle ossa, del grasso e dei visceri è assai inferiore a quello dell'acqua , e che perciò ad elevarne la temperatura fino a 98, si ri- cerca una quantità di calorico, minore di quella che i si richiede per innalzarvi un egual peso di acqua; non rimarrà alcun dubbio, che il calorico generato nella combustione , a cui va soggetto il cibo nel corpo , sia più che bastante a spiegare la costante tempera- tura del corpo, e l'evaporazione che si effettua alla superficie della pelle e nei polmoni. » Se talun fra i lettori si rimanesse dal far plauso a questa final sentenza, stimando un pò ardita l'analogia fra la ra- Chimica animale i^S pitia combustione del carbone posto ad arte nello stato d'ignizione, e il discioglimeuto lentissimo de' tessuti logori nell'economia animale, noi non saprem- mo redarguirlo. (Sarà continuato.) C. Maggiorani. Risposte a sette quesiti sulla peste bubonica orien- tale e determinazione relativa ec. di Francesco Grassi. Articolo del dottore Giuseppe Ferrarlo. Milano^ 1843, in 8. ^ dubbi sparsi da taluni malevoli nemici delle isti- tuzioni sanitarie sul contagio della peste bubonica orientale, benché non abbiano smosso per nulla le sagge misure, dalle quali sole dobbiamo ripetere l'es- sere, in tanto movimento commerciale, immuni dalla peste; pur nondimeno gioverà il combatterli, perchè alcuni scrittori vaghi di recenti cose , o meglio per togliere ogni impaccio alle commerciali mire, si sforza- no a mostrarne la inutilità ed il danno. Tanto può la sete del guadagno ! Il fatto (è vero) ci avrebbe to- sto fatti tornare alle antiche pratiche; ma quante ca- lamità da una pestilenza ! La storia ce le mostra fre- quentissime prima che gl'italiani inventassero ed eri- gessero pe'primi i lazzaretti. E con questi e co'me- dici consigli non abbiam forse cacciato dall'Europa schifosissimi e pestilenziali morbi ? Il eh. sig. dottore Giuseppe Ferrario ci espone in poche pagine ciò che d'importante contiene il li- 174 Scienze bro pubblicato dal doti. Francesco Grassi di Pistoia; non lasciando di raccomandare, come facciamo an- che noi, la stalislica clinica italiana. Curò il Grassi nel 1824 e nel 1828 gli appestati nello spedale di Alessandria di Egitto; poi nella Morea , a Modone e Navarino, dove si rinnovò fino al 1828. Passalo quindi in Egina per cambio de'prigionieri di guerra, studiò e curò la peste che si manifestò in Soria e precisamente a Beyrouth, indi a Damiala, a Cipro, a Liarnaca, a Sciarkia, Douhaklia, Giaffa , Gerusa- lemme ed in tutta la Palestina, infestando poscia Co- stantinopoli, Smirne, la Caramania, Tunisi ec. Nel 1889 questo nostro chiaro italiano fu in- vitato dal sig. Jokn W. Larking, console britanni- co in Egitto, perchè rispondesse a sette quesiti ri- guardanti la peste bubonica orientale sul grave og-» getto delle quarantene, che doveasi trattare in un ap- posito congresso. 11 Grassi rispose ai medesimi con tanta copia di fatti suoi autentici , registrati negli archivi del lazzaretto e del comitato di pubblica sa^ Iute , che diniostrano chiaramente il contagio della peste ed il modo di preservarne l'umanità. Nel rU portare i quesiti e le risposte, raccomandiamo la let- tura dell'opera del Grassi, o almeno il bel rapporto del dolt. Ferrarlo. 1. La peste è dessa contagiosa ? 2. La peste si comunica per contatto soltanto, o con qualche altro mezzo? ed in questo caso, quali sarebbero questi altri mezzi ? 3. Il con latto con persona è necessario per co- municare la peste, ovvero basta accostarsi ad una tal persona per prendere il male ? 4. Quanto tempo l'infezione della peste può sla^ Peste bubonica lyS re nascosta in una persona infetta, avanti dì manife- starsi con sintomi evidenti ? 5. Delle sostanze che fossero stale a contatto con pestiferati potrebbero coinuolcare la peste ? Ed in questo caso quali sarebbero queste sostanze ? 6. Quanto tempo ancora la materia contagiosa della peste, che albergasse in una sostanza inanima- ta, può ritenere il suo principio d'infezione ? y. Quali sono i mezzi, pei quali delle sostanze, che contengono la materia contagiosa della peste, po- trebbero essere purificate ? Ecco le risposte, 1. Che la peste essendo trasmissibile da persona infetta a sana, e trasportabile da paese infetto a netto, isi riguarda da lui come eminentemente contagiosa. 2. Che la peste si comunica per contatto sol- tanto, e non altrimenti. 3. Che soltanto il contatto con persone e cose infette sia necessario per prendere la peste , e che senza questo si può avvicinare una persona impu- nemente. 4. Che il tempo d'incubazione è finora inde- terminato. 5. Che certe sostanze volgarmente dette suscet- tibili possono conservare e comunicare la peste egual- mente che gli ammalati. 6. Che è indeterminato il tempo, in cui queste sostanze possono conservare la peste: ma che la pos- sono conservare per molto tempo, e per anni anco- ra, se non sono esposte allo sciorino. 7. Che il fuoco, V acqua e Varia sono disin- fettanti per eccellenza, a seconda dei casi ove que- §U possano essere applicati. Eniugo Castreca Brunetti, itG DelV agricoltura milanese^ rapporto di Giuseppe De^incenzi ec. Milano^ i844> t^ip' di Lampato, in 8, di f. i4' è più elegantemente, ne più chiaramente poteva l'egregio sig. Devincenzi darci un'esatta idea dell'agri- coltura lombarda. E questo un prezioso libretto, mo- dello iu somiglianti lavori. Divide il milanese in alto e basso, che ha agricolture differentissime l'una dal- l'altra, ma pure ambedue lodevolissime , siccome le più acconce alle diverse località, d II basso milanese ci mostra l'esempio della grande agricoltura e la ricca coltivazione irrigua : l'alto milanese ci mette innanzi degli occhi la piccola agricoltura e l'industriosa col- tivazione secca. L'una ci mostra 1' agiato ed intelli- £;ente fitlaiuolo, l'altra il solerte colono. Se tirate una linea da levante a ponente che divida Milano ed il suo territorio in due parti, quasi dividerete l'alto dal basso milanese Milano, come regina tra le sue ricchezze, siede fra i prati che le fan corona , e ci mostra quasi il vero tipo dell' agricoltura del piano lombardo; che intorno di essa altro non si vede che prato, ed il coltivo è così poca cosa, che pressoché non se ne può tener conto per riconoscervi alcuna rotazione. Questi prati sono antichissimi, ma sempre prosperi e rigogliosi si mostrano , e mai non invec- chiano. L'industria dell'uomo consiste nelle acque e nella livellazione del terreno; ma le erbe, che varia- lissime e preziosissime sono per l' allevamento del be- Agricoltura milanese lyy stianie, son prodotte spontaneamente dal suolo. Di que- sti prati, quelli che stanno verso il sud, sono irrigati dalle acque che servono a tener monda la città, ne mai ricevono altro ingrasso; e per modo son feraci, che si segano sette, otto e sin nove volte all'anno. Quelli verso il nord tra pel copioso ingrasso e per- chè irrigate sono da acque sorgenti, che dicono vol- garmente fontanili, quasi gareggiano con que'primi. Sono questi prati di quella natura che comunemen- te si chiamano marcite: ossia la state ricevono le ir- rigazioni ogni sei o otto giorni, e nel verno sono del continuo coverti come di un velo di acqua corrente.» Il maraviglioso sistema idraulico è la vera ca- gione della somma prosperità agricola del basso mi- lanese. La natura ne avea fatto un suolo sterilissi- mo, l'industria coll'acqua lo ha reso feracissimo. La sistemazione delle acque, oltre ai servire all'agricol- tura, anzi al crearla, muove infinite macchine e co' canali facilita le comunicazioni; e l'una cosa è sì re- golata rapporto alle altre, che ninna ne trae nocu- mento. Quanti vantaggi dall'industria e qual solenne lezione per gli altri popoli d'Italia ! I poderi sono per ordinario di due o tre mila pertiche ( ettari i33, a 200 ), che si affittano per 9 a 12 anni. I terreni più tenaci si coltivano a riso; la decima parte di essi a prato stabile, di cui perle più la metà si coltiva a marcita. Il prato comune s'ingrassa una volta all'anno, la marcila spesso due, le rimanenti terre hanno un avvicendamento di col- tivazioni. Niuno forse meglio dei lombardi ha veduto che il perfezionamento dell'agricoltura sta nei prati, e che questi non diminuiscono, ma accrescono il pro- dotto de'cereali. Ne' terreni di gran coltura si trova G.A.T.CI. 12 j-tS Scienze anche il gelso, il quale non soffre dalla irrigazione, ma se ne diletta. I fieni servono alla nutrizione dei buoi e delle vacclìe, ciascuna delle quali dà una ren- dita annua di 280 a 3oo franchi. L'ingente prezzo di 25 a 3o mila franchi per un'oncia di acqua, mo- stra quanto sia preziosa : dà essa sola il riso ed i prati che formano la ricchezza della bassa Lombardia. Per la sola sua virtù si vedono ghiaie e lande con- vertite in ricchissimi prati , e terreni che rendeano 3o a 40 franchi all'anno produrne dopo pochi anni 3 a 400. Volendo conoscere il rapporto fra i capi- tali circolanti ed il terreno coltivato gli è sembrato poter stabilire, che in ogni 100 ettari un Attuale im- piega poco meno di 40 mila franchi, cioè la rendita netta di tre anni. » E come a chi maggiormente si ama si lascia qualche ricordo, così noi vogliamo raccomandare in mezzo a tanta perfezione qualche altro miglioramento all' agricoltore lombardo. Ci è sembrato che l'aratro si potrebbe perfezionare con grandissimo vantaggio: clie le case e le stalle generalmente esser vorreblìero misliorate: e che la tenuta de' concimi richiedereb- O be altre cure ». Neil' alto milanese si osserva la piccola ed in- dustriosa agricoltura : i poderi, che si coltivano da- gli animali, sono da 7314 ettari ; ma più comu- nemente si lavorano colle braccia da una famiglia composta di 4 o sei individui , che ne coltiva due a tre ettari. Immensa è la coltivazione del gelso; e come il prato nel basso milanese, così il gelso nell'al- to è il principal distintivo dell' agricoltura. Vi si coltiva anche abbondantemente la vite: ma questa col- tivazione riposa sopra la poco stabile base del siale- Agricoltura milanese ij?(j TTia proibitivo. Vi si semina a rotazione per due parli il frumento, e per l'altra il grano turco con ingrasso. Unitamente al grano seminano il trifoj^lio , e fra il grano turco in agosto il lupino ; questo ed il trifo- glio ( tagliato che sia una volta ) servono al soves- cio. E opportuno, che questa pratica sia migliorata. Ogni ettaro di questo terreno suol rendere da i2o a i5o franchi. (( La coltivazione del milanese è più perfetta, ma è un'immagine di quanto si fa nella rimanente Ijombardia. Non vi ha un altro paese al mondo ove i terreni rendano maggiormente. Ma, più che queste considerazioni particolari, ci è prova della somma pro- sperità dell'agricoltura lombarda la sua copiosa e qua- si comunemente florida popolazione, ponendo mente (come teste dicea un dotto economista) che, non com- prendendovi la parte alpina, questa regione d'Italia in ogni chilometro di superficie conta iy6 abitanti, ove la nominatissima pianura belgica sol ne conta 143, e la parte meridionale della Francia a mala pe- na cinquanta. Questi son miracoli prodotti dall'agri- coltura, che di continuo abbiamo dinanzi agli occhi , e che pur spesso, abbagliati da una falsa luce, rico- noscer non vogliamo. « Ma donde tanta prosperità ? Lo stato econo- mico di un popolo racchiude tutta quanta la sua sto- ria. Ma particolarmente si vuol riconoscere le anti- che e nuove cagioni di tutto questo benessere nei saggi provvedimenti economici, nell'immenso numero, dei canali e delle strade che facilitano i commerci, nel miglioralo sistema d'istruzione pubblica, ma più che in ogni altra parte, nei savi sforzi dei governi di utilizzare le acque, e massime in quella legisla- i8o Scienze zione degli acquedotti e de'consorzi, che è il mag- gior documento delia somma sapienza civile de'noslrì padri. » Noi pregliiamo il eh. sig. Devincenzi che vo- glia occuparsi dell'agricoltura della sua bella patria, cioè di Napoli, e darne al pubblico un rapporto sem- plice e dotto com'è il presente. Enrico Castreca Brunetti. Rapporto del consiglio amministrativo alla \societi\ degli azionisti sulla gestione delVanno 1 843-44» terzo dell'esercizio della cassa de^risparmi in Pesaro. Letto nella seduta generale dei 3 di ot-^ tobre i844- ILLUSTRISSIMI SIGNORI Jl^e casse di risparmio sono ogglmal pervenute ad un tal grado di progresso nell'orbe intero, che è for- za riconoscere in loro un nuovo tratto della prov- videnza divina; la quale avendo posto nell'uomo l'i- stinto della perfettibilità, gli ebbe associato altresì il lume della ragione; e pungendolo con lo stimolo dei bisogni e coi desiderii del bene, soccorrevalo poscia con la cognizione dei mezzi, e con la pronta attua- zione di quelli, onde egli non avesse perpetuamente a soffrire, o sempre e vanamente a bramare. Seicento e sessantacinque milioni di franchi in capitale sonosi ( a tutto l'anno trascorso ) cumulati nelle casse de'risparmi deiringhillerra j ed in Frau- Cassa de' risparmi in Pesaro i8i era, ove nel i833 esisteva un deposito per il po- polo (li soli due milioni e quarantotto mila franclii iti 17 casse dipartimentali, al i di gennaio 1848 se ne conlavano 200 milioni e 364 "^Ua. Onde a questa somma unita quella di Parigi coli' interesse dei fondi in deposito per gli undici mesi dell'anno Ira- scorso, al I di gennaio 1B44 1^ Francia aveva sopra 340 milioni di franchi divisi in 460 casse primarie o succursali. Ne meno provvida, ne meno intelligente, ne me- no docile si è la popolazione d'Italia. Vengono i fatti a provarlo. Sopra 34 milioni di abitatori la Francia pose in serbo 60 milioni di scudi dall'anno iBiy al i844i sopra 2,836,436 abitanti, lo stato pontifi- cio accumulò nelle sue casse di risparmio da Roma a Bologna per circa 4 milioni e mezzo di scudi in otto anni;dunque agguagliò la Francia nel quantitativo pro- porzionale, la vinse poi per due terzi nel tempo della esecuzione. Qua e là si provvide al buon andamento, alla sicurezza, ed ai vantaggi di codesto novello te- soro dei popoli. Difatti in Inghilterra il parlamento non ha temuto di stabilire a favore delle casse di risparmio un fruito legale di tre franchi e 80 cent. per cento; il che costituisce, comparativamente ai frut- ti dei fondi pubblici e dei biglietti dello scacchiere, una perdita annua per lo stalo di Ire milioni di fran- chi: in Inghilterra nei primi sedici anni della isti- tuzione si è completata la legislazione di codeste casse con sei atti parlamentari, e tutti a favore degli isti- tuti medesimi: in Inghilterra fino da molti anni si è sancita per una legge questa disposizione: » Saranno .accordate 20 lire sterline di pensione vitalizia a qua- lunque individuo di anni 60, che dopo l'età di 3o iBa Scienze anni avrà depositato costantemente nelle casse tli ri- sparmio 3 scellini per settimana. « E questo sacrifi- cio viene fatto dal tesoro pubblico, ed è mollo su- periore all'accumulazione degl'interessi composti. In iprancia, per legge sancita dalle due camere, si fis- sò il Frutto per cento del 4- a favore dei deponenti; si autorizzarono i medesimi a deporre fino a 3oo franchi per settimana, però sino al limite complessivo di 600 scudi fra capitali e frutti composti; i soli stabilimenti pubblici ebbero facoltà di depositare sino ai 6000 franchi ; si esonerarono dalle spese di bollo e regi- stro gli atti e i libretti appartenenti alle casse ; si accordò loro il privilegio di accettar doni e legati ; si prescrisse che ogni anno fosse distribuito alle ca- mere un rapporto sommario sulla situazione e sulle operazioni delle casse del regno, collo stato generale delle somme votate dai consigli dipartimentali e mu- nicipali, o dai particolari altresì , per sovvenire alle spese delle casse suddette. Ma l'intervento dei governi ( conviene pur dirlo), in ciò che proviene dalla publica previdenza o ca- rità, molte fiate contrasta anziché giovi al consegui- mento del fine. In questo adunque fanno mostra d'ac- corgimento, e direi quasi di giustizia, quei potenti che le opere pietose dei cittadini promovono , pro- teggono, incoraggiano, senza peraltro restringerne Io sviluppo , stabilirne l'uso , contrariarne lo scopo. E noi siamo nel caso: le casse dello stato nacquero , crébbero, avvantaggiarono per lo spontaneo volere de' \ propri cittadini; il governo le autorizzò, e quasi in- visibilmente ne sorvegliò l'andamento. Ecco il per- chè prosperarono cotanto efficacemente, e quasi per un incanto inesplicabile emularono quelle delle più Cassa de' risparmi in Pesaro ifi3 fiorenti nazioni europee. Esse ad ogni giorno corres- sero e migliorarono , come voleva la esperienza e prova dei fatti, i loro statuti; tanto bene gli adat- tarono alle peculiari circostanze de'luogiii : ne' loro consigli amministrativi generalmente serbarono unità, prudenza , oculatezza , e specchialìssima onestà. Ci cade sotl'occhio appunto il bilancio della cassa di ri- sparmio in Roma per l'anno i843; di quella cassa che dal i836 al i843 ricevette 2,601,649 scudi ; che al primo gennaio 1B44 poneva allo stato attivo 1,360,479; di quella cassa che si faceva pel nume- ro e l'autorità dei soci, per l'abilità e l'onestà de- gli amministratori, per l'esattezza e la celerilà delle sue operazioni, esempio anzi modello delle altre casse dello stato. E qui è da avvertirsi, come i sindaci re- visori provano nel loro rapporto, essere per l'effetto di quella istituzione notabilmente colà ribassato il premio, ossia l'usura del danaro, dal 5 al 4 per cen- to ad anno: e in Pesaro avemmo noi il ribasso dall'8 al 6 in soli 36 mesi di esercizio. Einalmente da quei rispettabili sindacatori viene (pag. 25) con le seguenti parole approvato e lodato ciò cbe il consiglio am- ministrativo (nella deficienza dei mezzi che dovea sug- gerirgli l'apposita commissione ) ha creduto di prov- TÌsoriamente adottare. « Le disposizioni dal consiglio adottate di pre- » miazione e d'incoraggimento a piccioli risparmi , i) non meno che il sistema di repressione a'forti de- » positi degli speculatori, sono opportunissime e non » mai abbastanza commendevoli misure. Alle quali se » fosse da aggiungere qualche ulteriore più energico » provvedimento, niente sarebbe a parer nostro tanfo » opportuno e conducente allo scopo, quanto la ridu- i84 Scienze » zione in genere del limile dei depositi, sia elio dagli » scudi 20 volesse minorarsi a' soli scudi io ; sia » pure sino agli scudi 5 : fermo sempre rimanendo )) il presente divieto di potersi ammettere più di un » sol libretto di credito per ogni individuo. » Che già quel consiglio aveva (pag. 7.) adottato un sistema di repressione verso quei depositanti che della cassa si servivano, non a collocare risparmi, ma a conser- vare quelle somme che stante l'abbassamento del le- gale frutto non si adattavano a rinvestire coi parti- colari. Repressione che produsse allo stabilimento un buon risultato, quello cioè di servire alla classe meno agiata del popolo, al cui vantaggio principalmente sono istituite le casse di risparmio. Ma veniamo a noi. Si aprirono nel i." semestre del 3.° esercizio libretti n.° 3o8 Nel 2." semestre » 282 n,° 5go Di questi vennero estinti nel i .° semestre n.» 225 ì nel 2.° semestre » 272 » 497 Residuarono i libretti non estinti al i.» di luglio 1844 ^'^ 9^0 Il numero dei depositi fu nel i.° semestre n.o 2807 nel 2." semestre. » 2525 n.o 4832 Cassa de' risparmi in Pesaro i85 Le somme depositate furono nel i.° semestre 7=7 7640. 5i nel 2." semestre » ii4()5. 82 Totale 7=? 19106. 33 Le quali danno una media settimanale di ^OJ>S'l=? 44^39. 84 Quella restituita r=? 17542. 28 E l'effettivo in giro, compresi i frutti capitalizzati in fine del triennio . . 7=? 28700. 20 oltre il capitale dello stabilimento ; parte a cambi ipotecati , porzione a conti correnti, e il resto in cambiali di scadenza semestrale con firma sen- za eccezione. Cassa de' risparmi in Pesaro 187 Di conformità ai vostri voleri manifestati nell' ultima sessione, il consiglio , e per lui l' onorevole presidente, emanò un avviso in istampa sui premi d'ac- cordarsi ai depositanti poveri e piìi diligenti. Alle Ire specie di premi corrisposero le tre categorie d' indi- vidui premiandi; ed io ho il bene di manifestarvi, co- me dall'annesso quadro statistico, convalidato dal slg. consigliere ragioniere, risulta essere diciannove i de- positanti che meritano i vostri riguardi, vale a dire: Filippo Terenzi barbiere Terenzo Antonioli maiolicaro pel primo premio. Giacinta Righetti caffettiera pel secondo premio. Giulia Bernabei bracciante Lucia Berarducci sarta Vittoria Berarducci idem Aldebrando Ricciarelli garzone Alessandro Tomassini legatore - libraio Odoardo Semprucci e Vincenzo Bellini stampatori Girolamo Terenzi calzolaio Santa Capanna serva Luigia Antonioli maiolicara Bianca Bernabei bracciante Michelina Paoletti serva Antonio Borghini muratore Giuseppe Raffaelli giornaliere Giuseppe Corpoduro ident tutti pel terzo premio a sorte. Giovanni Bizzicari giornaliere Domenico Tamburini idem. r8B Scienze Ai quali ultimiclue, per avere la data della prima iscri- zione nel loro libretto riroontante al 26 di dicembre 1841 e al iQ di settembre di detto anno, il consiglio crede che possa reltribuirsi il 2." premio, che in caso diverso rimarrebbe inevaso. Eccovi adunque due indi- vidui meritevoli della prima distinzione; tre della se- conda; quattordici della terza , e tutti nelle condi- zioni volute dalla vostra autorità; e la massima parte con numero di depositi superiore al prescritto ; due caricali di un sol ritiro; il più di loro da un nuovo economico impulso sospinti a depositare, dopo la chiu- sura del 2." esercizio della cassa. Il vostro consiglio ha cercato in questo terzo an- no ( come nei passati ) di limitare le spese; di aprire in Pesaro stessa un secondo conto corrente; di limi- tare la speculazione, promovendo invece il vero rispar- mio; e tutto vi sarà fatto noto dall' autorevole rap- porto dei signori sindaci , che qui si debbe con fe- deltà e precisione a voi, membri onorevoli della be- nemerita società, presentare in unione al rendiconto dai medesimi revisori esaminato e sanciato. Per la corrente gestione occorre , o signori , la consueta nomina dei sindacatori, che noi invochiamo dai vostri liberi suffragi, come arra non manchevole della vostra fiducia, e come scorta e tutela al futuro nostro operare. Ad ovviare poi i gravi inconvenienti ( già tante volte accennati ) dei forti depositi nella nostra cassa, e a non privare d'altronde in qualche opportunità la cassa stessa di codesti sussidi tempo- rari; come pure a procurare ai cittadini agiati il co- modo di deporre somme vistose, non per avida spe- culazione, ma per le necessità momentanee o di com- mercio o d'industria, il vostro consiglio, sull'esempio Cassa de' risparmi in Pesaro 189 di quello che già praticarono ( quali in un modo e quali in un altro ) le casse di Bologna, Ferrara, Ra- venna, Fano, Bagnacavallo , sottopone ai vostri voti la seguente proposizione: « Fermo stando il maximum » dei depositi ordinari a 7=^ 20, chiunqne bramasse » farne alcuno di maggior somma, ne presenterà una » richiesta al consiglio amministrativo, il quale deci- » derà pel sì o pel no a seconda delle circostanze » della cassa. Codesti depositi verranno chiamati straor- » dinari vincolati, e si faranno in un solo libretto ») intestato nella persona del richiedente, col numero » del. registro comune, ma coli' annotazione vinco- » lato. Saranno essi soggetti a tutte quelle prescri- » zioni che sono in corso pei depositi ordinari, giu- » sia il regolamento , coli' unica diversità che non » potranno dai depositanti ritirarsi le somme prima » dei 6 mesi: e volendole riavere a tale epoca o do- » pò in qualunque tempo, dovrà farsene la diffida- )) zione 3o giorni prima , onde siano restituire nel » mercoledì successivo al detto termine prefisso. » Signori , il rendiconto del terzo anno della cassa pesarese è un vanto novello per questa filantropica istituzione : il numero dei libretti aperti maggiore di quello dell'anno antecedente : quantità piìi vistosa di libretti rimasti : deposito superiore per 7=^ Sodo circa con una media settimanale di -^ 36o. 49= sopravanzo annuale superiore per 7=^ 83. 20 ^lo: fruttato dei ca- pitali, depurato dal passivo, maggiore di r^ 188 81. E qui finalmente si chiude questa manifestazione del- la nostra agenzia e della vostra beneficenza con un vantaggio residuale, netto da ogni spesa e passività, di v=?5o2: 55 in capo a tre anni. SilTallo accumula- Uieuto di risorge 0 di capitale e un pegno sicuro per igo Scienze le evenienze JlsplacevoU, che mai non occorsero fin qui, ma che potranno probabilmente accadere; è tesoro picc'olo, ma pure assai confortante per quelle ulteriori largizioni, che voi nella vostra ben nota saviezza ver- rete ad adottare ; è prova reale ed innegabile della potenza irresistibile all'epoca nostra, del progresso cioè civile e morale delle classi inferiori. Il vice-presidente. G. Mamiani. IQt E^mTTMWLM.TVUA Orazione (quinta cVIseo su V eredità di Diceogenc. ARGOMENTO assato (li questa vita Diceogene senza figliuoli, e rimaste dopo lui quattro sorelle , Prosseno viene a- vanti ai magistrati con un testamento, dove quegli sul morire adottava nel terzo de'suoi beni Diceogene, figlio di questo. Per tale modo partitasi infra di loro l'eredità; ivi a poco il figliuol di Prosseno si fa in- nanzi, dicendo; se essere stato adottato per intero: e vinta la causa, logHesi pure le due parti, che anda- vano alle sorelle dell'estinto. Ma i figli di queste , levatisi incontro a Diceogene, restano superiori; ed egli patteggia di restituire puramente ed in intero il terzo , essendone Leccare mallevadore. Ora però sì Diceogene e si Leccare negando questo accordo, i ni- poti del defunto chiamano a giudicio per le due parti dì eredità Diceogene, siccome quegli che aveva fer- mato il patto, e Leccare come promettitore. La causa è in conghielture, pel negare di costoro. ic)2 Letteratura ORAZIONE Noi sllmavamo, o giudici, che i patii posti in quel giudizio, dove sorgemmo su centra Diceogene, ci sarebbero siali attesi: perocché quando egli si ri- mosse dalle due parti di eredità, e inisene un pro- mettitore seaza contrasto, noi ponemmo giti le que- rele. Ma siccome Diceogene or non attiene le sue promesse, chiamiamo in giudicio Leocare malleva- dore, come da noi venne giurato incontro a loro. E tu recita il giuramento. Giuramento. Che adunque noi demmo in verità questo giuramen- to, il sa Cefisodoto : e vi produrremo due testimo- ni; l'uno che Diceogene cedette a noi le due parti del patrimonio del defunto; l'altro che Leocare ne fu promettitore. E tu dimmi ambedue queste testimo- nianze. Testimonianze. Avete udito i testimoni, i quali anche Leocare, se- condo che io penso , ha per veraci. Egli però si volterà forse a dire, che Diceogene abbia compiuto quello che prometteva, sé poi avere tenuta la sua pro- messa. Il perchè Leocare, se parlerà di questa guisa, sarà mentitore, e in menzogna facilmente preso. Poi- ché vi si diranno, o giudici, tutte le suslanze, che Diceogene di Menesseno lasciò agli eredi, e quelle che il figliuolo di Prosseno recate ha in sue proprie mani. Se gli avversari neghino, che Diceogene nostro Orazione d' Iseo igS zio, vivendo le possedesse, e morendo le consegnasse a noi, essi ve lo dimostrino: ma se per certo le la- sciò, e noi le abbiamo ricevute, questo si proverà lo- ro da altrui. Ma che Diceogene di Prosseno abbia pro- messo a noi di porgere due parti di ciò, che ha la- sciato il figlio di Menesseno , ne allegheremo testi- monianze , come eziandio che Leccare diede la sua malleveria del compimento delle promesse di lui. Per- ciocché noi abbiamo formato questo processo per tali ragioni, a mantenere le quali giurammo da amendue le parti. Tu poi leggi questo giuramento nostro. Giuramento. Se dunque, o giudici, Leccare e Diceogene pren- dessero le lor difese su questi punti solamente, mi basterebbono le cose già riferite: ma perchè si sono apparecchiati a pigliare dal suo principio il discorso su l'eredità, voglio che anche da me voi siate rag- guagliati di tutt'i fatti; affinchè vedendone il vero, esponiate, non indotti a errore, il vostro sentimento. A Menesseno, avo nostro, nacquero solo un figliuo- lo , Diceogene , e quattro figliuole : di cui una fu tolta per moglie da Poliarto, padre mio; e l'altra da Demodé freario: la terza fu menata dal peanese Ce- fisofonte; e la quarta da Teopompo, genitore di Ce- fisodoto. Inoltre Diceogene capo di una trireme, na- vigando su la paralo (i), morissi in Guido combat- tendo. Dopoché egli compiè I suoi giorni privo di figliuoli, Prosseno, padre di Diceogene, recò in mez- zo un testamento, al quale attendendo i nostri ge- nitori, divisero l'eredità. Ed in un terzo ne fu erede questo Diceogene, adottivo del nostro zio, figlio
  • tipi Sassi. ( Sono pag. 44- ) 13 ellissiino scritto, e pieno di savie e profonde considerazioni di scienza economica. Qui cerchi invano le stolte utopie di tanti scrittori moderni. N'è autore il valentissimo sig. Marco MinghcUi. Guida alle bellezze di Oenoua e sue riviere, compilata da Giusep- pe Banchero membro della società letteraria della città di Lione. 8 Genova t843e i844> nello stabilimento tipografico dì L. Pallas editore. (Sono fin qui XV distribuzioni con al- quanti rami. ) JL. opera sommamente da incoraggiarsi, compilata coni' è non solo con buon giudizio, ma con egregio spirito patrio. Oltreché i genovesi vi troveranno non meno per la grande istoria della loro repubblica , che per le memorie di tante o insigni o bene- merite famiglie, un prezioso tesoro di testimoniaaze d'ogni ma- niera dal valente signor Banchero tratto fuori dagli archivi pri- vati e pubblici della famosa città e riviera. Anche le belle arti , soprattutto italiane, vi hanno la nobilissima loro parte: essendo- ché ricchissima delie opere de'più solenni maestri sia stata sem- pre, com' è tuttavia, la città regina della Liguria. 25o Varietà' Della musica in Italia. 8. Bagnacavallo dai tipi Serantoni e Grandi i844- (Sono carie 5i. ) Oi leggerà volentieri quest'operetta'dell' illustre nostro collabo- ratore signor prof. Domenico Vaccolini , per esservi non solo compendiato ciò che di più importante sull' istoria della nostra musica si è scritto fin qui da uomini intendentissimi, ma si an- che proposti alquanti saggi avvisi tendenti al miglioramento di questa grande regina del cuore umano. Alcuni versi di Domenico de Crollis dedicati a D. Cosimo Conti principe di Treuignano. 4- Roma per AlessandroMonaldi 1844. (Un voi. di carte "ì"]^. ) Xl De Crollis, uno de'più riputali medici che oggi onorino le scienze romane , ù anche noto in Italia come elegante scrittore della nostra lingua. Pochi però sapevano ch'egli forse poeta: e noi pure noi sapevamo: ed ecco ch'egli ce ne rende fede ia questo volume, il quale ben mostra l'uomo assai pratico e vene- ratore de' classici, e di quelli soprattutto dell'aureo trecento. La musa del De Crollis non si alza a gran volo: ma piana e gentile, e principalmente purissima di favella, ama parlare più al cuore che all'immaginazione. I suoi versi per la maggior parte trattaa d'amore; cioè (com'egli dice nella lettera all'egregio signor prin- cipe Conti ) di quella passione , la quale pia che tutte le altre insieme muove la volontà nostra; e che se è ben guidata, fa di se gloriare l'umana natura: e se corre alla scapestrata, diventa bestiale e di qualunque scelleratezza cagione. Nondimeno leggonsi ancora in questo libro alcune poesie non pur di civile argomento, ma di sacro e morale: e singolarmente avvi il primo canto di un poema in terzine, ch'egli aveva ideato scrivere sul grandissijuo lama dell' universale giudizio. Varietà* 2S1 JJ Anemanno di Quintino Guanciali voltato in italiano per Raf- faeli e cV Ortensio col testo latino a piedi. Napoli , stamp. e cartiera del Fibreno i844> '"■ 8 dif. 344- Xl poema latino del Guanciali ha riscosso per il suo merito poe- tico molti elogi: e certo per questo lato è commendevole. Co- si avesse egli cantato più degno e più poetico subbielto , che non è la omeopatia! La versione del sig. d'Ortcusio non ci sem- bra sempre ugualmente felice. E. C. B. Istituzioni elementari di geografia naturale, topografica, politica, astronomica, fisica e morale , ordinata con nuoco metodo in otto perìodi da Ferdinando de Luca, socio ordinario della R. accad. delle scienze ec. Terza edizione con un atlantino di sei carte colorate, costrutte espressamente secondo il disegno del- l'opera. Napoli stamp. e cartiera del Fibreno i843, in 8 di J. 35 1, con una tauola ed atlante. J- buoni libri elementari sono si rari, e d'altronde si importan- ti , che quando ne apparisce alcuno , debbesi considerare conie un monumento di progresso. Le istituzioni di geografia, che an- nunziamo e che caldamente raccomandiamo (come gli altri libri elementari del chiar. sig. prof. De Luca), produsser già in Napoli vantaggi nella istruzione geografica ,11 cel. Adriano Balbi nella Biblioteca italiana di Milano (r84o)ne fa un lungo elogio: e par- lando del metodo dal De Luca introdotto in questi studi, dice: „ Ci sembra il più acconcio di quanti fino ad ora furono ideati „ per lo insegnamento elementare della geografia.,. Le carte che compongono il suo atlante non sono del tutto mute, cioè senza alcuna scrittura, come quelle pubblicate in Inghilterra dalla so- cietà delle conoscenze utili, né del tutto scritte;ma i luogbi sono contrassegnati da numeri od« lettere iniziali, come le carie, che, aSa Varietà' posteriormente al De Luca, sono siale pubblicate in Liegi. Esse sono di «ji vantaggio immenso per lo studio della geograGa. E C. B. Elogio del prof, don Liberato BnccelU, scritto dal doli. Giuseppe Lugli, inserito nella parte fisica del tomo XXIII delle Memo- rie della società italiana delle scienze residente in Modena. Modena dai tipi della K. D. camera i844> '" 4 di/. 29. Jl Baccelli nacque in Lucca nel 177^ , studiò in Narni ed in Roma, ed insegnò in Correggio, in Bologna, ed in Modena. Alla fisica, ed in ispecial modo alla elettricità, diresse i suoi studi, ed in queste fece alcune scoperte, come neiroltica quella della dif- frazione. Lasciò varie memorie manoscritte, ed alcune ne stampò, ed ora non facilmente rinvengonsi. Mori il di 21 ottobre del- l'anno t835. L'elogio del sig. prof. Lugli è apprezzabile per le dotte ricerche fatte sugli sludi del Baccelli, nelle quali mostra quanto questo bravo fisico abbia fatto progredire la scienza colle sue osservazioni. E, C B. Catalogo delle opere stampate nello stato pontificio JJel modo di analizzare le proposizioni italiane, Irattato di Gae- tano Jtti ad uso de giovanetti. Bologna, i844, '« 12 di fase 62. Studi economico-statistici sovra il progetto e piani in pre- venzione sul bonificamento della navigazione del Po di Volano, redatto dal sig. prof, ingegnere Mario Ferliui (Ferrara, i 840 col tipi Neri). Ferrara per Domenico Taddei, i844, in 8 di fase. 57. L'autore è li sic; (iaelano Recchi- V A n 1 E T a' 233 Poesie di S. M. Lodovico re di Baviera recate ia melro ita- liano dal cav. Dionigi Stracchi. Prima edizione. Fano, dalla tip. Lana, i844j in 8. Alcuni versi di Domenico De Crollis dedicati , a D. Cosi- mo Conti principe di Trevignano. Roma, i844, Alessandro ftlo- naldi tip., in 4 di facce 274. Queste parole e questi versi sono a pubblico testimonio di sincera affezione per Maddalena Gabrielli, quand'ella vestiva 1' abito monastico nel cenobio di s. Michele Arcangelo in Fano. 11 fratello Angelo offerse. Fano 1844, i" 4 di fac. i4. Nelle nozze di Orsola Ricci e del doti. Francesco Gianfelici. Faenza, per Montanari e Marabini, 1844. Sono 4 sonetti di Fer- dinando dall'Onda Pasolini. Omaggio alla memoria del dolt. Girolamo Versari. Forlì , stamp. Gasali, ,844, in 8 di fac. 66. - Sono prose, versi ed epi-' grafi italiane di vari autori. Cenni biografici intorno famosi alemanni, scritti da SM Lo- dovico I re di Baviera, tradotti dal march. Carlo Antici. Roma, tip. di Alessandro Monaldi, 1844, »" 8 di fac. 55. Prose, versi, epigrafi in morte di Maria Anna Tinti Luzi mar- chesa di Votalarca. Macerata, Cortesi, ,844, in 4 d.fac. 17, eoa tre tavole. Intorno all'eloquenza singolarmeute del pergamo, lettera di Gaetano Leazi al p Marcello da Imola. Edizione seconda corre- data di note dall'autore. Imola, tip. Galeani, i845.in 8 di fac. 16. In lode del gruppo di s. Michele Arcangelo scolpito in mar- mo dal prof Carlo Finelli per commissione di S. M. Maria Cri- stina di Borbone regina vedova di Sardegna, componimenti rac coli, dal cav. P. E. ^sconti commissario delle antichità romane. Roma, 1844, presso Alessandro Monaldi, in 8 di fac. 21. Lettera del dott. Alessandro Co//« ferrarese alsig.prof. Fran- cesco Jacchelli intorno ad alcune malattie curate insieme nella fam.gba dei sigg conti M.lano Massari. Forlì, Bornaudini, ,844 m 8 di facce 4o. ' H-f. Elogio di Gio. Battista CaccialupI de' conti della Tru.chia g.ureconsulto ed avv. concistoriale del sec. XV, scritta da moqsig. 254 Varietà' Gio. Carlo Gentili. Macerata, tip. di Alessandro Mancini, i844 » in 8 di facce 36. Nel soggiorno che nell'autunno del i844 Carlo Emanuele Muzzarelii, uditore della sacra romana rota, faceva in Gubbio, il march. Ranghiasci Brancaleoiii gonfaloniere della città a testifi- care il patrio giubilo questi componimenti al prelato, all'ospite, all'amico desideratissimo riverente offriva. Gubbio, tip. di Anto- nio Magni i844) "^ 8 di f 8. Sono iscrizioni e sonetti. Terza lettera del march. Filippo Bruti Liberati sulle antichi» là della via cuprense (per le nozze Mascelti e Rocchi). Ripatran- sone, tip. laffei »844) '" 8 di f. io. A S. E. monsig. Carlo Emmanuele de' conti Muzzarelii, udi- tore della s r. r. Sanseverino, tip. Ercolani i844- •" 8 di f. 8. Sono due sonetti con una dedicatoria del conte Severino Ser- vanzi Collio. In morte del card, decano Bartolomeo Pacca, orazione di Ettore Novelli' Vellelri, per Domenico Ercole, i844> in 8 di fac- ce 34. Della educazione morale e letteraria della gioventù, pensieri dell'ab. Cesare Contini. Orvieto, presso Sperandlo Pompei, i844> in 8 di f. 5^. Saggio di difese criminali di Oreste /fig'g''' pubblico difensore officioso in Roma- Orvieto, presso Sperandio Pompei, i844)in8. (In corso di stampa, voi unico). Della musica in Italia, del prof. Domenico faccolinì. Ba- gnacavallo, tipi Serantoni e Grandi, i844j in 8 di f. 3i. L'agro romano e la presente sua coltivazione, non che pro- posta dei mezzi per migliorarne l'aria e la rendita, discorsi tre di Pio Bofondi forlivese. Roma, tip. de'classici i844j in 8. di f. yg. Dono per le nozze di Montevecchio-Potenziani, di Dazio Oliai. Fano tip. Lana, i844» '" 8 di f. 8- E' un cenno di novella, in- titolata Balilde, che fu soggetto di poema per la principessa Ales- sandrina Bonaparte. Esperimento di alcuni squarci del libro di Giobbe tradotti in metro saffico italiano da Luigi Renclina. Roma, tip. delle belle arti, i844j in 8 di facce 25 IMPRIMATUR Fr. D. Buttaoni 0. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Joseph Canali Archiep. Coloss. Vicesg. ^ Ìf^^°^ INDICE DEL VOWME 302. SCIENZE Licbìg, Chimica animale applicata alla fi- siologia e patologia . p. 145 Grassi, Quesiti sulla peste bubonica orien- tale 1) 173 Devincenzi, Agricoltura milanese. ... » 179 Mamiani, Rapporto della cassa de' rispar- mi in Pesaro n 180 LETTERATURA. Spezi, Volgarizzamento dell' orazione V d'Iseo ...» 191 Vaccolini, Delle iscrizioni cristiane . . » 208 Biografia del P. D. Raffiiele Zelli . . » 21 3 Marchetti, Odi XV di Orazio tradotte . » 217 Odescalchi, Orazione accademica. ...» 223 Varietà. 1 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI i844 s 257 S€lSlf ^li Del baricentro di curvatura delle curve piane » trattato del sig. cav. Steiner ^ professore nell'uni- versità di Berlino (*). (Estratto da una dissertazione letta neir accademia delle scienze di Berlino il dì 5 d'aprile i838. ) N. elle ricerche sul massimo e sul minimo di cose geometriche, fui condotto ai problemi seguenti : a. Se da un punto P , preso ad arbitrio nel piano dhcna curva [V) , si calano sulle tangenti della medesima altrettante perpendicolari, i loro piedi saranno situati in una curva V '. determi- nare il punto P in modo che questa curva dei PIEDI di tali perpendicolari abbia Varea minimal Questo punto singolare P sarà in appresso designato per S, e la corrispondente curva de^piedi per v. b. Se la curva data [T^) ruota, nel suo piano^ su per una retta fissa G , finché abbia fatto un giro intero, ogni punto P unito con essa descri- verà una curva JV\ determinare quel punto {S], che descrive la curva w d^area minima ? (*) La traduzione dal tedesco si deve al sig. Luigi Schlaefli, geometra svizzero. G.A.T.CI. 17 a58 Scienze e. La domanda analoga^ se la curva [V) ruota su per una curva fissa (Uj ^finché tutto il suo contorno sia venuto in contatto con questa. Ho trovato che ai primi due problemi soddisfa Io stesso punto singolare S , e che generalmente ha luogo la legge: che, per ogni punto P, la curva W ha sempre l'area doppia di quella della curva V. E che quel punto singolare S, al quale corrispondono le curve i^ e w d' area minima , ha , rispetto alla curva data (V), la proprietà rimarcabile: ch'esso è il baricentro di questa , quando ai singoli punti che la spartiscono in uguali elementi infinitesimi si attribuiscono pesi proporzionali alle curvature^ ossia ai valori inversi dei raggi di curvatura. Per ciò il punto S si è chiamato baricentro di curva- tura della curva (V). Da esso, e dall'area della curva corrispondente v o w^ dipende l'area della curva J^ o TV corrispondente ad ogni altro punto P, e ciò se- condo la legge : che a punti equidistanti da S cor- rispondono curve d^area uguale; e che V incremen- to delVarea ( a partire da S) è proporzionale al quadrato di cotesta distanza. Nel problema terzo (e) quel punto (S), che de- scrive la curva w d'area minima , è, generalmente, diverso dal suddetto S, ma tuttavia dipende essenzial- mente da esso, e la sua proprietà è affatto analoga a quella di questo. Se la curva data (V) non è chiusa, o non si con- sidera che un arco AB di essa, di modo che si ca- lino le perpendicolari sulle tangenti di quest'arco solo, o che ruoti sulla base ( rettilinea o curva ) quest'ar- co solo : esiste ancora un punto determinalo R , a cui corrisponde la figura minima i> o tv, e questo di- Baricentro di curvatura aSg pende essenzialmente dal baricentro di curvatura S o (S) dell'arco AB , e di più dalla corda AB e da certi angoli. Inoltre l'area della figura V o W, cor- rispondente ad ogni altro punto P, dipende dalla di- stanza fra i punti P e R; essendoché 1' incremento V — V o TV — w dell'area è sempre uguale al qua- drato di questa distanza moltiplicalo per un coeffi- ciente costante. In questo modo la quadratura di tutte curve V o W viene ridotta a quella di p o w. Sebbene più geometri si siano variamente occupati di tali curve, da niuno però, a mia notizia, trovasi proposta la legge semplice or enunciata. Nonostante, la dimostrazione di essa, nonché dei teoremi sopra ac- cennati, non è gran fatto difficile; conveniva però sco- prire dapprima i teoremi stessi (*). Ora si potranno essi facilmente dimostrare in diverse maniere. Qui ciò si fa per via di sole considerazioni geometriche ed elementari, e senza supporre i teoremi ausiliari, ri- chiesti a quest'uopo e altronde conosciuti. In tali con- siderazioni si tiene l'ordine che segue. Prima, da un semplice teorema fondamentale si traggono fuori e si svolgono le proprietà più essen- ziali del centro delle medie distanze, ossia del cen- tro di gravità d'un sistema di punti dati. Poi si porta l'attenzione ai polìgoni V de^piedi, relativi ad un poligono dato (V), e si traggono i risultati più rile- vanti da quelle proprietà del centro di gravità. Que- (•) Io aveva di già proposto i problemi antecedenti nel voi. XIV p. 88 del giornale di Creile, accennando nello stesso tem- po alcuni de'risallali ora rirciiti; ma essi, come sembra, rimasero senza risposta. o6o Scienze sti medesimi risultati valgono pure per le curve V de'piedl^ relative ad una curva data (V): al che si giun- ge immediatamente, supponendo che quel poligono (V) si cangi in una curva, aumentando infinitamente il numero dei lati, e diminuendo infinitamente ogni la- to. Se poi il poligono (V) si muove ruotando sopra una retta fissa , e si considerano le figure W , de- scritte dai punti uniti con esso : si fa palese, che an- che qui i risultati principali sono fondati sulle pro- prietà del centro di gravità, e eh' essi continuano a sussistere, quando il poligono ruotante si cangia in una curva (V). Finalmente facciamo ruotare il poli- gono (V) sopra un poligono fisso (U); e ne provengono risultati analoghi, i quali sussistono pure, quando i poligoni si cangiano in curve (V) e (U) (*). In que- st'ultimo caso si perviene ai risultati i più generali I ^. XXXIV); essi contengono quasi tutti i prece- denti, e danno luogo inoltre ad un gran numero di altre conclusioni speciali ( ^. XXXV ); ne segue im- mediatamente la quadratura di molte curve, per esem- pio delle diverse specie di cicloidi, dello spazio fra curve parallele, ec. Osservo di passaggio, che a fianco della presente ricerca ne sta un'altra, la quale tratta i problemi se- guenti, e ciò che vi è annesso immediatamente, cioè: (*) A questa maniera di procedere nelle nostre ricerche die- dero occasione i due teoremi speciali dì Querret, Sturm e IJiui- lier , i quali si trovano riferiti nel voi. 1 pag". 5i del giornale di Creile, e che ebbero per immediata conseguenza il teorema ge- nerale dimostrato ivi, e nel voi. II p. 256. Per lo sviluppo ul- teriore di tal teorema si deve consultare in parte questa disser- tazione. Baricentro di curvatura qGi (jf. Nel piano d'una curva data (V) determinare quel punto M, la cui cun>a v de^pìedi, relativa a quella, è la più corta di tutte ? R. Dato che una curva (V) ruoti nel suo piano, sopra una retta fissa G, assegnare quel punto M unito con essa, che descrive la curva la più corta w ? y. Lo stesso, se la curva (V) ruota sopra una cur- va fìssa fU) ? Qui pure sì trova : che il medesimo punto M soddisfa insieme ai primi due problemi: e di più, si trova la legge generale, che la cunrA P^{oc) be'' piedIì corrispondente a qualunque punto P, è tanto lun^ gay quanto la curva TV, da esso descritta nel ruo- tamento (^). Ciò conduce a rapportare tra loro le lunghezze di molte coppie di curve, che semhrano assai diffe- renti; e ne risultano più teoremi interessanti. In tutti e tre i problemi si può assegnare la pro- prietà caratteristica del punto M, per via geometrica. Per questa ricerca si giunge pure immediatamente alla rettificazione di un certo sistema di curve. DEL CENTRO DELLE MEDIE DISTANZE. §, L Teorema fondamentale. Se da tre punti arbi" trari A , M, B [fig. I. ) di una retta AB si ti' rano tre rette parallele AC==a, MN= m, BD^b^ in una direzione qualunque sopra un'altra retta X, ponendo AM = bi e BM = ai , si ha : 1. atti 4- bbi = («i -\- bi) m. 262 Scienze Imperocché, tirando la retta BC, che incontri MN in E, a causa delle rette parallele, si ha : ME : a= «i : (a, -f- ò,) , e NE : A = ^x : («i •4-^,) ; donde segue, essendo ME -+- EN = MN = w, quella equazione (i). In ciò è da notare che : a) Il teorema sussiste, se i punti A, M, B giac- ciono dallo stesso lato della retla X, oppure da lati diversi. Se non che in questo caso le parallele situate da lati diversi di X, debbono considerarsi come oppo- ste, cioè le une come positive e le altre come nega- tive. Questa opposizione può esser indicata o nell'equa- zione (i) coi segni -^ e — , o riguardata immediata- mente nella figura. Qui si prende l'ultimo partito, tal- ché nel caso della figura (2), in vece dell'equazione bbi — acii = (ai ■+■ bi) m , conforme con que'segni, si scriverà tuttavia l'equazione (i). b) Se, in particolare, la retla X attraversa il pun- to M, si avrà 2. «a, 4- bbi = o. e) Il teorema è indipendente dall'angolo, che for- mano le parallele a, m, b colla retta X. Dunque, per piti semplicità, questo angolo suppongasi retto in ap- presso. Per altro in alcuni de'teorerai seguenti que- sto solo caso è permesso; ma altri teoremi ammette- rebbero un angolo qualunque, e diverrebbero quindi alquanto più generali; lo che tuttavia non è cosa di grand'importanza. Baricentro di curvatura 2 63 S- II. Se a e |S sono due quantità, o numeri omogenei qualunque, e se sia 3. a : /3 == «I : ^i , avremo dall'equazione (i) : 4. cf.a H- ^h — (« -j- ^) w . Dunque, considerando i punti A e B siccome fissi, e le quantità a e /3 siccome dati coefficienti positivi, inerenti ad essi punti, dall'equazione (4) risultano i teoremi seguenti : a) Se in un piano sono dati due punti fissi A e B correlativi coefficienti « e j3, e se a e è sono le distanze dei due punti da una retta mobile X, la som- ma «a 4- ^h sarà sempre uguale al prodotto (a-4-/S) m della somma « -H jS dei coefficienti per la distanza m di un terzo punto M da quella retta X. Questo terzo punto M è situato nella retta, che unisce A e B , e la divide in parti, che sono tra loro inversamente come i coefficienti (3), inerenti all'estremità di esse. h) Se la somma («a -i-/3&) deve essere uguale ad una costante K, talché, 5. «a -H ^6 = (a -|. /3) /» =a K, eziandio la perpendicolare m è costante ; e però il luogo del suo piede N è un circolo, il quale ha M 264 Scienze per centro, e la retta X, in tutte le sue posizioni, per tangente. e) Se, in particolare, K = o , si ha 6. «a -f- i/3 == o , e la retta X, perchè m = o , passa in tutte le sue posizioni, pel punto M. §. III. Dati in un piano n punti arbitrari Ay B, CyD,... correlativi coejficienti {positivi) «. /3, •)-, ^ ... , esiste sempre un altro punto determinato S tale^ che , ove da que^punti e da esso si calino altrettante perpendicolari a, ^, e, d^ ..., s sopra una retta qualunque , sussisterà sempre V equazione se- guente : 7. aa H- /3* 4- 7C -h 5d -I- .... = (a-t-/3H-74-^H-....) s. La dimostrazione di questo teorema facilmente si ottiene per via di un'applicazione replicata del teo- rema precedente (^. II, a.): e ciò, come segue : Primieramente siano dati tre punti soli A, B, C. Se nella retta AB si costruisce il punto M, median- te la proporzione AM : BM == ^ : a ^ si avrà , rela- tivamente ad ogni retta X, oca ^ ^b = { a -h ^) ni. Se ora cercasi nella retta MG il punto N , dove MN : CN = y:(«-^/3), si avrà relativamente ad ogni retta X, (« 4- /3) m 4- yc = (« -H /3 -i- 7) « , e però a« -f- /35 -h yc = (oc H- /3 4- 7) n; Baricentro di curvatura 265 il che è conforme al nostro teorema, perchè il punto N e la perpendicolare n da esso tirala sulla retta X, tengono rispettivamente il luogo di S ed s. Sia dato ancora un quarto punto D ; si cerchi nella retta ND il punto P, che verifichi la propor- zione NG : DP = § : (a-+-/3 4-7). Allora, per ogni retta X, si avrà (a 4- /3 -H v) n -f- 5é? = (« -i- i3 -h 7 -f- §) /> , ed in conseguenza «a -i- i/3 -t- 7c -H §i = (ce -f- /3 -f. 7 -f- §) p ; il che è altresì conforme col teorema, perchè P e ^ tengono il luogo di S ed s. E palese, che si perviene in simil guisa alla con- fermazione del teorema, allorché son dati 5,6, ...n punti; e che si dimostra l'esistenza del punto singolare S, mentre si dà la costruzione per determinarlo. S- IV. A cagione della proprietà teste dimostrala, il pun- to S si chiama centro delle medie distanze^ rela- tivo ai punti dati A, B, C, . . . e loro coefficienti a, j3, 7 , ... Esso è, come si vede, identico col cen- tro di un sistema di forze parallele, applicate ai punti dati e proporzionali ai loro coefficienti relativi, ov- vero è identico col centro di gravità dei punti dati, carichi di pesi proporzionali a que'coefficienti. Quin- di, d'ora innanzi, il punto S verrà chiamato centro dì gravità , facendo però astrazione dalla proprietà meccanica. 266 Scienze Che alle condizioni del teorema suddetto (§.III) non possa soddisfare che un solo punto S , risulta chiaramente dalla dimostrazione stessa: ma può an- che provarsi indirettamente, come segue. Supponendo possibile un altro punto S, della stessa proprietà , dovrebbe aversi, relativamente ad ogni retta X, aaH-/3i-4-Vc4-§(/-H... = (a-hiS+y-hS-i-...) s=(«-h/3-|-74-5)s, e però s = Si . Onde la retta SS, dovrebbe riuscir parallela ad ogni retta X arbitraria ; assurdo mani- festo. Dunque : Dato un sistema di punti yi,B,C, ... coi relativi coefficienti «, |8, 7 . . . , non esiste in esso che un solo centro delle medie distanze^ ov- vero un solo centro di gravità S. Perciò, nella costruzione precedente (§. Ili) , si perviene sempre allo stesso punto S, qualunque sia l'ordine onde si combinano i punti dati. Da qui ri- sulta immediatamente una moltitudine di teoremi sui poligoni rettilinei, i vertici de'quali si possono riguar- dare come punti dati. Questi teoremi saranno espo- sti distesamente in altro luogo. Se la somma dei prodotti delle perpendicolari pe* coefficienti relativi debba avere un valore costante K, e però se debba essere 8. aa. -h ;5i H- yc -H $rf 4- ... = («-+-^+7+5...) s=K, il luogo, inviluppo della retta X, sarà una linea cir- colare che ha S per centro. Il raggio s di questo Baricentro di curvatura 267 circolo sì cangia insieme colla somma K, e diminui- sce e cresce in proporzione diretta con essa. Se, in particolare, è K = o, sarà 9. a« -H è]3 -V- yc H- §rf -H" • = (a -+- /3 H- 7 —...)s=o, e però s >= 0, cioè la retta X passa sempre pel cen- tro di gravità S; e viceversa, se la retta X passa per S, quella somma K sempre è = o. Da questo caso particolare risultano le conseguen- ze seguenti. S- VI. Se dal punto S si tirano i raggi ai , bt ,c,, ... ai punti A, B, C, ... , e se (a), (Z>), (e), ... designano gli angoli, che formano questi raggi con una retta X che passa per S, contandoli, a partire da questa ret- ta X, tutti nel medesimo verso , si ha : iO. a = Oisen (a) , b = bisen (6) , e = c,sen (e) , ec. e sostituiti questi valori delle perpendicolari a, b, e,... neir equazione precedente (9), si ricava la nuova equazione : 1 1. «ajsen (a) •+■ /3i,S6n (b) -+- ycisen (e) -+- .... «= o, che, espressa in parole, significa : // centro di gravità S di un sistema di punti ^, B^ C, ... e relativi coefficienti «, /S, 7, ... ha la proprietà, che, ove i raggi a» , bi ,Ci , .... ti^ rati da esso a que^punti, siano moltiplicati pe^ se- ni degli angoli [a), {b), (e), ... , onde declinano da 268 Scienze una retta qualunque X passante per S, e pe^coef-' fidenti relativi «, /3, y, ..., la. somma di tutti questi prodotti è sempre = o. Questo teorema sussiste ancora, quando in vece (lei seni degli angoli (a), (è), (e), ... si prendono i coseni: il che risulta chiaramente dalla considerazio- ne di due rette X perpendicolari tra loro. Dunque si ha pure 12. aaicos (a) -H /3i,cos {b) -4- ycicos (e) -\- ... = o. Questo teorema ha, cornee noto, una significazione sfa- tica. Se nelle direzioni di «i , 6i , Ci , ... agiscono sul punto S più forze proporzionali ai prodotti ^ai , i^^i j 7Ci , ... vi sarà equilibrio. §. VII. Se da un punto P qualunque della retta X che passa per S, si tirano de'raggi «, è, e, ... ai punti A, B, C, ... ( le perpendicolari, designate sopra per a, by e, qui non vengono in considerazione ), po- nendo PS = 5, si ha Sa^ z= a, 2 H- «2 — 2aiS cos (o) , b^ = è, 2 -f. s' — 2bis cos (b) , e* = Ci» h- s^' — 2cis cos (e) , ec, onde, moltiplicando pe'coefficienti corrispondenti a , /3 y, ... e poi sommando, risulta : 1 4. «a^ -4- jSó2 + yc2 -f- . . =««,=' -4- /3^,2 -H yCi^4-....4- (« -f-/3-f-y -4- ... )s2 — 2s («a, cos (a) -1- /36iCos (è) ■+• ycicos (e) -f- ...)j ossia, in conseguenza della (12), 1 5. «a«H-/Si3_^ye*-4- ... =«ai'H-/3ò,^H-yc,^..-f-(«-l-/3+y..)s% Baricentro di curvatura 269 la quale, scritta con segni abbreviativi, diventa : 16. 2(«a^) =^ 2(«a,^) •+■ s'2(a) , e significa : a. Dato in un piano un numero qualunque di punti A^ B^ C, ... co''relativi coefficienti a, p, y,... se da un altro punto qualunque P ( ovvero S) si tirano dé'raggi a, è, e, ... [ovvero ai ,bi , Ci, ...) a tutti que^punti^ moltiplicando i quadrati di que- sti raggi pè* coefficienti relativi,, la somma di co- testi prodotti sarà un minimo quando il punto scelto è il centro di gravità S dei punti dati. Ma quando il punto scelto è un altro qualunque P, la somma 1(/a'^^ corrispondente a P, sorpassa quel minimo 2<^cii^ del ( ^ -h/S-j- y h- .... ) pi'" quadrato della sua distanza s dal centro di gravità S. b. Se la somma dei prodotti, laa^ , debba es- sere costante, per esempio = 2 , talché J-aoii^ -H s^lx = 2 , il luogo del punto P sarà una linea circolare, che ha sempre S per centro e s per raggio. E viceversa : A punti ugualmente di- stanti dal centro di gravità S, corrispondono som- me uguali. Ed inoltre : La somma 2, e il raggio s variano nello stesso tempo, e crescono o diminui- scono insieme. Quindi il punto S ha la terza proprietà essenzia- le, d'essere il centro de'' quadrati minimi delle di^ stanze rispetto ai punti e coefficienti dati (*), (*) Dall'equazione precedente (i6) (la quale sussiste parimente, comunque in un piano o nello spazio siano situati i punti dati A, B, C, ... ) si derivano faciliueute alcune altre relazioni, come per esempio, le seguenti. ayo Scienze S. vili. Alla medesima serie di teoremi si può anche giun- gere per un altro procedimento elementare, il quale riposa sopra un teorema fondamentale, così semplice Se facciamo coincidere il punto arbitrario P con uno degli n punti dati A, B, C, ... per esempio, con A, sarà a = o, b = AB, c= AC, d ^=- AD,... 5 = «I = AS, e l'equazion precedente (i6) diverrà in questo caso ; I. /3(AB)^-4-y(AC)^-i-5(AD)'-+-...= 2(««,^)-4-o,^2(«). Per ciascuno degli n punti dati esiste un'equazione analoga. Mol- tiplicando ciascuna di queste equazioni pel coefficiente relativo a quello fra i punti A, B, C, ... con cui coincide il punto arbi- trario P, e poi sommando tutte l'equazioni, risulta : II. 1 [ «]S.(AB)'] = 2(a). 2(«a.^) , vale a dire: ,, Se il quadrato di ciascuna delle |n {n — i) rette, che uniscono due degli n punti dati, si moltiplica pei due coef- ficienti corrispondenti ai due punti uniti per essa; la somma di tutti questi prodotti I>[u^ (AB)2] è uguale ad un prodotto , di cui un fattore è la somma dei coefficienti 2;(a), e l'altro è la som. ma de'prodotti Sfa^i*) dei quadrati delle distanze dei punti dati dal loro centro di gravità S pei coefficienti relativi. ,, Eliniioando la quantità l[a,ai»} dall'equazione (II) e dalla pre- cedente (i6), si ricava ; IH. s l{c<) = j/2(«). l{oca^) — 2 C «P (AB)^] . Quest'equazione, divisa per 2(a), fornisce la distanza s del punto arbitrario P dal centro di gravità S;la quale espressione propo- se il primo Lagrange;ma la dimostrò di una maniera non molto semplice ( Mechan. analyt. t I, sect. Ili, n. 20. ). Se immaginiamo delle forze uà, i|3, yc, ... che agiscano secon- do le direzioni dei raggi a, b, e, ... vedremo facilmente, che l'e- quaziou precedente (IH) indica la grandezza della risultante sSai; la quale, avendo la direzione del raggio s, passerà sem- pre pel centro di gravità S. Quindi si troverà e quella distaa- Baricentro di curvatura 271 come il precedente (§. I). I detti teoremi però vengono fuori l'uno dall'altro, in ordine inverso, di modo che saremo dapprima condotti ai risultati enunciati in ul- timo luogo, ed in seguito agli altri in ordine retro- za * e questa risultante 5.2 a), dopoché saranno date le distanze degli n punti A, B, C, ... tra loro e dal punto P, insieme coi re- lativi coefficienti «, (3, y, ... Per ciascuno degli n punti A, B, C, j... esiste un' equazione della forma (I). Sommando queste n equazioni si ricava : IV. 2 e (« 4- /3) (AB)^'] = nl [m,^] h- l{a.) l{a,^) , vale a dire: Se moltiplichiamo il quadrato della distanza di due degli n punti dati A, B, C, ... per la somma dei coefficienti re- lativi ai due punti, la somma dei prodotti S{[(a_j_(3) (AB)^] sa- rà uguale alla somma «P '^^ dei prodotti dei quadrati delle di- stanze «1 , 6i, Ci, ... dei punti dati dal loro centro di gravità S pei relativi coefficienti, «2 (a'Zi 2) , più il prodotto della somma dei coefficienti per la somma dei quadrati suddetti, 2;a) 2[ai^). £liminando dalla (II) e dalla (IV) la quantità 2(rtai2), risulta ; V. 2(a.^) [2(a)]»=2(«) 2[(«-hi5) (AB)^]-/i 2[a^5(AB)^-J, donde si ricava, per esempio, la somma dei quadrati 2(rti2) delle distanze del centro di gravità S dagli n punti A, B, C, .., allor- ché sono dati questi punti e i relativi coefficienti a, p,y, ... Nel caso particolare, ove i coefficienti sono Uguali tra loro, e in cui però si può supporre « = |3 = y .= ,..=: i, 1' equazioni (II\ (IV) e 4Vf si riducono alla seguente ; VI. 2(AB)> = n 2(a,^) , la quale significa , che la somma «" dei quadrali dei raggi «I . bi , C\ , .., che uniscono il centro di gravità S coi punti da- ti A, B, C,... è uguale alla somma dei quadrati delle distanze di questi punti tra loro. Questo teorema, applicato ai poligoni re- golari, ci fornisce immediatamente alcuni teoremi noti. Da esso si derivano pure teoremi analoghi sui poliedri regolari. Sotto la stessa limitazione, l'equazione (III) si riduce alla se- guente : VII. {nsY == ni ((r-) — l{k\iY- 372 Scienze grado. Spero che un breve accenno di questo secon- do metodo non sarà senza interesse per gli amatori delie semplici considerazioni geometriche. §. IX. Teorema fondamentale. Se dal vertice P di un triangolo JPB (Jìg. 3 ) qualunque si tira ad un punto M della base AB, la retta PM = zw, de- signando i segmenti AM^ e BM della base rùspet- tivamente per Z>, ed Ui , ed i lati AP e BP per a e b : si ha sempre : 1 7. ttia^ H- bib-^ = (a, H- ^1) m^' -+- (a, •+• ^i) «i ^i- Imperocché, in virtù di un'equazione trigonome- trica fondamentale, designando per 9 l'angolo AMP, si ha : w* -H 3i^ — a* m^-f-ai^ — h^ 2mbi 2mai donde si trae facilmente l'equazione (17). Anche per via geometrica, mediante il cosi detto teorema pitta- gorico generalizzato, la dimostrazione può farsi con pari semplicità. S-x. Per la supposizione 19. tti : òi = a: ^ y ove oc e P sono quantità omogenee arbitrarie, o nu- meri, si può mutare l'equazione precedente (§. IX, 17) Baricentro di curvatura 278 nella seguente : 20. aa^ H- ^h^ = (a -f. /3) m' 4- (« -4- /3) a, i, ; donde si raccolgono, fra gli altri, i seguenti teoremi: a. Dati in un piano due punti fissi A e B coi relativi coefficienti oc e fi, e moltiplicati i quadrati delle loro distanze a e b da un punto P arbitra- rio, pe^ co elidenti relativi: la somma de^ prodotti cca'^H'fib^ sorpasserà sempre della costante {«-{-^) tti bi i il prodotto (oc ■+■ /3) in^ , di cui Vun fattore è la somma {oc + fi) de^ coefficienti, e Valtro è il quadrato della distanza m del punto P da un terzo punto fisso M. Questo terzo punto determi- nato M giace nella retta che unisce A e B, e la divide in due segmenti che sono tra loro in ra- gione inversa de^ coefficienti, relativi agli estremi di essa (19). b. Dati i punti A e B e loro coefficienti « e fi, s& la somma «a^ -\- fib"^ deve esser costante, = A': sarà anche m costante, e però il luogo del pun- j to P riuscirà un cercìiio che ha M pei' centro. ' Viceversa, ai punti P, equidistanti da M, corri- j spondono somme uguali «a^ -+- fib'. Anche cotesta I somma ed il raggio m del cerchio crescono e di- I minuiscono insieme: cosicché j e. La somma aa"^ H- fib"^ diventa un minimo \ == ocai^-{-fibi^, allorché si ha m=o, cioèy allorché il punto P cade sul punto fisso M. XI. a. Dato in un piano un numero qualunque di G.A.T.Cl. la 2^4 Scienze punti arbitrari A, B, C, ... correlativi coefficien- ti a, /3, 7, ... , esiste un altro punto determinato S, tale che, tirati i raggi a, b , e , ... s da un punto P qualunque a tutti gli altri punti, si ha sempre 21. «0=» -f- /332 H- 7c' 4-...= (a -H j3 -H V H-...)s=' -f- K, ove K designa una quantità costante, ma dipen- dente dagli elementi dati. La dimostrazione di questo teorema è analoga a quella del teorema corrispondente del §. Ili : perchè riposa sopra un'applicazione replicata del teorema pre- cedente (§. X.). Infatti, dati che siano dapprima tre punti soli A, B, C, si ha, rispetto ai punii A e B: aa^ H- j3i- = (« 4- /3) m* M- (a -f- /3) a^ bi = (a-f- ^) m» -t- («H-/3) AM. BM, e poi, riguardo ai punti M e C, ai quali si riferiscono i coefficienti ( « -f- /3) e y : («4-/3) m='H- yc* = (« h- /S-t-y) n^ -+- (a-f-/3-|- 7) MN.CN; donde, combinando le due equazioni, si ricava : «a'H-/S&='-H7u=*=(«-i-/3-j-7)n^-ì-(«-f-^+7).MN.CN+(«-t-/3)AM.B:; il che si accorda col teorema, essendo costanti i due ultimi termini alla destra. E da notarsi che il pun- to M giace sulla retta MG e la divide ne'segmenti, MN e CN, proporzionali alle quantità y ed (qj-j-^), precisamente come nel §. Ili; n è il raggio che uni' sce ]S col punto arbitrario P, In simil guisa si giunge alla dimostrazione del teo- rema per quattro, cinque, .... n punti. Baricentro di curvatura 2^5 Da questo teorema risultano inoltre i teoremi se- guenti : b. La somma de''prodotti^ aa^ ■+■ (ìb'^-i-yc^-^... , sia costante^ = 2 , talché 22. aa2H-/35»+Vc2H-...c= I = ((s:H-/3-Hy-i-...) s^-^-K; il luogo del punto P sarà un cerchio, che avrà sempre il punto fisso S per cìintro ed s per rag- gio. La somma 1 ed il raggio s del cerchio cre- scono e diminuiscono insieme. Da qui si deriva inoltre : e. La somma ^ diverrà un minimo^ ove sia 5=o, cioè^ ove P coincida col punto determinato S. Dun^ que^ fra tutti i punti del piano ^ il punto S è (fuello a cui corrisponde la somma minima, ed in questo caso si ha : 23. 2 ^ aai=' + /34i'- -}-7c,2-h... = K , essendo ai , Z'i , ci , ... i raggi che uniscono S co^ punti dati (^. VI.), e pe^juali si determina la co- stante K in una seconda maniera. S. XII. Come si vede, siamo giunti per questa seconda via ai medesimi teoremi, clie si trovano nel §. VII. Viceversa, i teoremi che precedevano questi ultimi, possono da essi, come già nel §. Vili fu detto, fa- cilmente ricavarsi. Inoltre dalla presente considerazione può imme- Jialamenle derivarsi uua gran serie di teoremi sui pò- 276 Scienze ligonl retlilinei e sul circolo, i quali sono differenti da'sopra riferiti (§. IV), ma posson tuttavia mettersi a fianco di essi, come loro corrispondenti in un certo senso. Questi teoremi, per la loro semplicità ed in- tima connessione, sono valevolissimi ad eccitare nel- l'insegnamento la curiosità degli scolari ed a mettere in esercizio l'attivila del loro spirito. Io gli esporrò in luogo opportuno; qui starebbero fuori del nostro sco- po principale. Ma anche una gran parte de'teoremi contenuti in questa dissertazione possono dar mate- ria di utili esercitazioni nelle scuole, tanto più, al- lorchè si connettono con altri, che qui non si sono sviluppati, siccome quelli che ci devierebbero dall'or- dine del nostro argomento. §. XIII. Rispetto ai teoremi precedenti (^. XI o VII) può ancora notarsi ciò che segue: Le somme de'prodotti (/.oi^ , /3è^ , yc^ , .... relative a due punti dati P e Pi , siano per es, 2 e 2, , si avrà, in virtù del §. XI, 22 : 2 - 2. = (et H- i3 4- y + ... ) (s^ — s^) , e quindi 2 2 24. «2 _ s-2 „ ' essendo s ,ed Si i raggi che uniscono i punti dati P e P, col centro di gravità S . Cotesti raggi non si determinano per l'equazione (24). Intanto, se si con- siderano come mobili, ossia come raggi che uniscono Bahicentro di curvatura 277 ì punti P e Pi con un punto S, qualunque; il luo- go del punto Si sarà , poicliè l'espressione alla de- stra (24) è costante , una retta facile a costruirsi , perpendicolare alla retta PP, , e passante pel centro di gravità S. Quindi, dopoché sarà conosciuta la som- ma 2a relativa ad un terzo punto dato Pa ( il quale però non deve giacere nella retta PPi ) , il centro di gravità sarà determinato, e si troverà facilmente. In- fatti esso dovrà esistere in altre due rette, date dal- l'equazioni .2 -^ ^2 la a •^i ~~ ^2 «2 — «2 = , ed Si — S2 =■ a -V- /3 -+- 7 -+- ... «-^-/3-h7-f-... L' intersezione comune di queste due rette con la prima (24), sarà il centro di gravità domandato S. Inoltre, se invece de' coefficienti a, j3, y, ... re- lativi ad un sistema dato di punti A, B, G, ... se ne prendono altri, «i , /3i , 7, , .... proporzionali a que' primi, il centro di gravità S del sistema sarà lo stesso ne'due casi : giacche i nuovi coefficienti «i » j3i , 7,, ... possono rappresentarsi per ara, x/3, xy, ..., ove x de- signa una certa quantità numerica. DEI POLIGONI DE'PIEDI, E DELLE CURVE DE'PIEDL ^. DEI POLIGONI DE^ PIEDI, S. XIV. Definizione. Calale da un punto P sopra tulli i lati di un poligono dato (V) altrettante perpendico- 2n8 Scienze lari, ed uniti i loro piedi consecutivi, a due a due, per mezzo di rette, ne nasce un nuovo poligono V, inscritto al dato e del medesimo genere. Questo nuo- vo poligono sarà, d'or'inuanzi, chiamato poligono de' piedi del punto P, i^i spetto al poligono dato {P^). Ad ogni punto P del piano del poligono dato (V) corrisponde adunque un determinato poligono V de' piedi, anche nel caso che il punto P coincida con un vertice del poligono dato (V), o cada sopra un lato di esso. In alcune circostanze particolari, il po- ligono de'piedi si mula in certe figure limiti^ ■§. XV. Nel piano di un poligono dato (/^), il luogo di tutti i punti P, assoggettati alla condizione, che i loro poligoni F' de' piedi ^ relativi a (F"), abbiano una medesima area datale una linea circolare, il raggio della quale varia insieme colV area V, ma il centro è un punto fisso S. E questo punto S è il centro di gravità de' vertici del poligono dato (F"); ove si attribuisca ad ogni vertice, per coefficiente ^ il seno del doppio angolo supplemento del relativo angolo del poligono dato [F]- Sia ABCD (fig. 4) '1 poligono dato (V), e da un punto P, preso ad arbitrio, si calino sopra i lati di esso le perpendicolari PAi , PB, , PCi , PD, : sarà A, B, Ci D, il poligono V de'piedi, /-eZaffVo al pun- to P. Designamo per a , b , e , d i raggi variabili PA, PB, PC, PD, che vanno dal punto P ai vertici del poligono dato V, e per A, B, C, 1) gli angoli adiacenti agli angoli DAB, ABC, BCD, CDA : esisto- no ( a causa dell'esser costanti, ed in parte retti, gli Baricentro di curvatura 279 angoli de'quadrigoni AD,PA, , BAiPB, , ... ec. ) fra le aree di questi quadrigoni e fra quelle de'triangoli corrispondenti DiPA, , AiPBi , ... ec. le relazioni se- guenti : 1 2.D.PA1 — ADxPAx = — o^sen 2A , 25 V 2.AiPBx — BA.PBx = — ^'scn 2B , 4 2.B1PC, -. CBjPC, = — c^'sen 2C , 2.C.PD, — DCiPDx = — d^sen 2D 4 Ora i triangoli contenuti in queste uguallanze costituiscono il poligono Ai Bj C, Di , ed i quadri- goni il poligono ABCD; dunque, sommando, si ha 26. 2.A1B1C1D1 — ABCD = -— (a^sen2A -f- b^'senlB ■+• c=*sen2G -I- d'sen2D\ , È palese, che risulterà una simile equazione, per ogni angolo del poligono dato (V). Perciò si avrà ge- neralmente, designando per (V) l'area del poligono dato, e per V quella del poligono de'piedi, 27. 4L2V— (V)]=a^sen2AH-ò='sen2B-t-c^sen2C-H...— 2(a»sen2A). Per questa equazione si prova compiutamente il teorema. Infatti, assoggettato il punto P alla condi- zione, che l'area del relativo poligono de'piedi sia una data quantità costante , earà pure costante la diffe- 280 Scienze renza aV — (V) ; cosi l'equazione (27) si accorderà in tutto con quella del §. XI (22), ossia del §. VII (16), giacché le quantità cognite sen2A, sen2B, ... ec. tengono il luogo do'suddetti coefficienti ce, /3, ... ec. Pertanto è forza che , anche nel presente caso , il luogo del punto P sia un cerchio, che abbia per cen- tro quel centro di gravità S, che abbiamo descritto nel teorema. [Sarà continuato.) Rivista di lavori di medico argomento. Del dottor Giuseppe Tonelli. Risposta di Michele M edici ^ primo professor di fi- siologia nella pontificia università di Bologna, ad una lettera indirizzatagli dal eh. si g.dott. Secondo Berruti primo professore di fisiologia nella reale università di Torino ^intorno la generazione spon- tanea degVinsetti e la natura degli zoosperni. Estratta dal giornale per servire ai progressi del- la patologia e della terapeutica. Jl osciachè nel luglio dell'anno 1842 il eh. prof, di Torino onorò del dono di un esemplare delle sue The- ses physiologicae il chiar. prof, di Bologna, non seppe quest'ultimo, ringraziandolo, entrar nella opi- nione di luì sulla generazione spontanea e sulla na- tura degli zoospermi. Dopo otto mesi però di reci- Rivista medica 281 proco silenzio indirizzò il fisiologo torinese al se- condo la lettera, di cui abbiamo riferito il titolo: e dopo avere il Medici risposto alquanto logicamente al primo argomento, s'impegna fisiologicamente nei det- tati e concetti del torinese, il quale sostiene cbe al- tro non sieno le vere ova cbe produzioni del pro- cesso plastico o nutritivo, in determinate circostanze della vita sovrabbondante nelle ovaie (i). Ma inco- minciando qui il M. ad infringere le opinioni del B. , rileva che , cresca pur quanto si vuole la nu- trizione o la plasticità della cellulare, dei vasi di ogni maniera, delle membrane e de' nervi, elementi organici dai quali risulta l'ovaia, se altro non accade, avrannosi ovaie piii grosse, più vegete, più nutrite, ma non mai le ova. Poiché per la procreazione di queste ricbiedesi una materia specifica, di tal nuova composizione e natura che, provata che abbia la vir- tù del liquore prolifico, in un animale convertasi, essenzialmente distinto e diverso dal comune pro- cesso plastico o nutritivo, quantunque soltanto con- tribuisca questo all'arcana e misteriosa di lui forma- zione. Né v'ha, per vero dire, seguace alcuno dell'e- pigenesi, di qual tempra sono i sig. M. e B. , che conceder voglia esser le ova o feti od infanti; con- tenere tutte le stesse parti del corpo generante solide e fluide; essere un aggregamento organico di fascetti di vasi e di cellulare; ed avere una individuazione pa- ragonabile con quella dell'essere cui appartengono. Giacché quel graduai passaggio di ova in individua (i) Per amor di brevità accenneremo con le sole lettere ini- ziali M. e B. i nomi chiarissimi de' sigg. Medici e Berruli. ( Il compilatore) 2B2 Scienze organizzato e vivente, è ijuello che vi opera un caffl- biamento e nella sua fisico-chimica composizione, e nella sua disposizione meccaninca od anatomica, e nelle sue fisiologiche attività; laddove come uovo non può considerarsi una gemma od una parte, la quale dal corpo di certi animali separasi. Ma il punto, in cui questi valenti ingegni M* e B., ammettendo anche la generazione spontanea, di- sconvengono, è in ammettere qual estensione convenga darsi ad essa, e precisamente se abbia luogo riguardo agl'inselli. E trae singoiar conferma del suo parere il B. dal perchè rinvengonsi dei vermi nell'embrione, nel feto e nell'animale di fresco nato : dalla morte elle li sorprende o tosto eliminali dal luogo di lor nascita, o seguita appena la morte del corpo che oc- cupavano : dalle loro specie che proprie sono di ciascun animale. Delle quali cose il M. fa ben le maraviglie, sembrandogli che vengan per tal modo ad obliarsi ed offendersi le molte osservazioni dimostranti il contrario ed in peculiar modo quelle del Redi. Nò poteva il fisiologo di Bologna acquietarsi per un dei fatti oppostogli dal B. nell'acaro della scabbia a spontanea generazione dovuto; mentre quel parasite non è né può essere egli medesimo il contagio od il principio contagioso, ma è sì bene l'ingegno o la causa che lo partorisce, mentre ha la sua nascita per virtù di propagazione sessuale. Comprova altresì lo stesso con rammentare ciocche osservò e scrisse il sommo Redi circa la generazione dei pidocchi, e ri- chiamando pure alla mente che le diligenze de' na- turalisti han discoperto curiosi ed inaspettati modi, co' quali vengono tal fiata dall'esterno introdotte nel corpo degli animali ova di entozoi. Rivista medica. 2 83 Confermasi il Medici nella sua credenza in virtù della qualità di organica struttura, la quale ci disvela dagli ordini infimi degli ajiimaii, dagl'infusorii cioè, dai polipi , da' radiari e da' vermi non passarsi agli insetti per un semplice grado sempre maggiore di organica composizione, ma mediante un gran salto. Mirandone anzi la struttura medesima nella cosi detta scala degli animali, non sa indursi a credere, che ad esseri animali di tale e tanta organica composi- zione dia origine e formazione una materia organica qualunque, condizionata solo da certe esterne influ- enze cosmiche: ed anco la diano materie inorganiche, e che non la diano materie animali specificatamente a questo fine preparate, come sono l'uovo ed il seme. Che se non manca chi trìhuir volendo ad una materia semplicemente granulosa ed amorfa la virtù di produrre esseri animali guerniii di certa struttura, si giovi di quanto accade nelle parli vive nel mentre che ha luogo la loro rigenerazione: e se non manca chi si appiglia all'analogia della massa granellosa ed amorfa componente un vero uovo, dal quale è pur certo sbucciare un animale perfettamente organizzato, non perciò n' è persuaso il chiar. Medici. « Impe- » rocche in cotesti eventi, e massimamenle nell'ul- » timo, la materia, da cui nasce l'animale, è in nuo- » ve, singolari, e misteriose guise preparata dal cor- » pò della madre, e imbevuta delle qualità od » attitudini vitali possedute dagli organi della mede- » sima, e contenente virtualmente le parti istesse » del corpo di lei: preparamento, al quale per legge di » natura congiunger si debbono le non meno sin- » golari ed arcane mutazioni recate alla materia del- » l'uovo dal seme, esso pure specificamente composto •284 Scienze » e lavorato enlro il corpo del padre; senza le quali » prerogative l'uovo non sarebbe uovo, il seme non )) sarebbe seme, né avrebbesi generazione veruna. » Il modo però e la misura di demarcazione da porsi alla generazione spontanea vuoisi dal M. sta- tuire nelle ripetute e sensate sperienze ad imitazione dell'accuratissimo e sagacissimo Redi, unica maniera con cui può afferrarsi e conoscersi la verità. Quindi è che dopo avere il fisiologo bolognese dichiarato , sem- brargli che la generazione spontanea degl'insetti pa- rasiti sia tuttora oscura ed incerta , laddove quella della generalità degli insetti sia disconosciuta e dalla osservazione e dal raziocinio, facendosi sostegno degl' islessi pensamenti dell'aretino, rammenta le idee da lui professale intorno la spontanea generazione. Favellan- do questo scrittore degl'insetti che trovansi entro corpi viventi, come quelli che rinvengonsi nei funghi, nelle galle, nelle gallozzole, nelle coccole, ne'ricci, nei cali- ci, nei cornetti, nelle lappole che son prodotte dalle querele, dalle famie, da' cerrì, da' sugheri, da' lecci e da altri simili alberi ec. , non che nelle varie spe- cie di frutti, afferma sembrargli poter più probabil- mente credere che la generazione degli animali nati dagli alberi non sia fatta da semi depositati dalle sopravvenienti gravide mosche. Tanto più che dalle sperienze stesse praticate da lui risulta, che alcune maniere d' insetti non nascono da ova partorite da una femmina, e fecondate da un maschio. Perlochè afferma il M. « che oltre la generazione sessuale la » natura possiede altro modo di generazione, il quale » comecché asessuale^ pure a motivo delle varie » circostanze o condizioni, che sonogli necessarie, me- » rita di essere distinto. E lo dislingue egli in due; l'uno Rivista medica 285 » quando alla propagazione rlchledesl un individuo n vivente: sia poi ch'esso somministri una parie in- » tegrale del proprio corpo, da esso comunque di- » staccataci, siccome nella generazione fissipara, nella » gemmipara ed in altre consimili veggiamo interve- » nire: o sia che V individuo vivente, senza perdere » porzione del corpo suo, prepari comunque gli ar- » gomenti od ingegni, da' quali un novello essere or- » ganizzato risulta: e tale è per mò d'esempio la ge- » nerazione, se non di tutti, almeno di certi ento- » zoi: e stando alle osservazioni sopra memorate del » Redi, apparterrebbero a questa maniera di genera- » zione anche gl'insetti nascenti entro piante vìve, n L'altro modo non richiede alcun individuo vivente, » bastandogli una materia organica qualunque morta, n e, per quanto tengono alcuni recenti sci-ittori, anco » materie inorganiche, purché solide e fluide, e con- » dizionate da certi agenti esteriori: al qual modo ap- » parlengono le monadi, gli animaluzzi delle infu- » sioni animali e delle vegetabili, la materia verde » del Priestley e gli altri infimi ordini de' corpi crì- » ptobioti. I quali due modi di generazione, quanto » che asessuali, ])onno appellarsi eziandio spontanei.» Esaurite le sullodate ricerche, e dopo aver ben espresso il suo dotto parere, discende il M. alla se- conda parte della Lettera del sig. B,, ove parlasi della natura degli zoospermi , o spermatozoi. Il chiar. B. nelle memorate sue Theses phfsiologicae sembrò ascriversi al parere di coloro, che negano i creduti zo- ospermi essere animaluzzi viventi, per la ragione spe- cialmente che nel seme mancano le condizioni ne- cessarie alla nascita degl'infusorli, fra le quali tengono il primato la fermentazione e la putredine: « JNeque 286 Scienze » concedere licet, eailem corpuscula esse animalia in- » fusoria: nain conditiones spermatis, in quo evolvun- ì) tur, longe dislant a condilionibus necessariis ad » evolulionein animalium infusoriorum, inter qua e- » ininent fermenlatlo atque putredo. » Aggiugue pur varie altre ragioni per serbarsi nel parere negativo della esistenza dei vermicelli spermatici: se non che riflette il Medici, che il suo avversano va qui com- plicando la pura e semplice questione dell'esistenza dei medesimi con altre da essa affatto diverse ed in- dipendenti. Ed in vero l'esistenza degli zoospermi è cosa, la quale sta da se: e rispetto ad essa è del tutto indifferente che sieno eglino altrettanti animali in miniatura della specie medesima dell'animale maggio- re, cui il seme nel quale nuotano si appartiene, e che debbono penetrare entro un uovo , nidificarvi e macchinare un novello animale. Ma se il massimo numero dei fisiologi presta fede alla esistenza degli zoospermi, non è però vero che creda all'essere eglino i germi degli animali nascituri. Che anzi il dichia- rare perciò giustamente inammissibili le ipotesi relative del Rolando, del Prevost e del Dumas, anche con le ragioni esposte dal Wolff e dal Burdach per dimo- strare l'insussistenza dell'ultimo asserto: luttociò non reca il menomo nocumento alla presenza degli zoos- permi, potendo essi esistere e non avere quegli usi ed uffici che da taluni sono stali loro trlbuiti. Così e non altrimenti va il sig. B. complicando in altro modo la quistione con tracciare un altro punto, che non è quello della parte materiale cui prendono gli zoospermi alla formazione del novello animale , ma si versa intorno la presenza loro od accidentale, o costante nel seme. Ed a buon diritto Rivista medica 287 risponde qui il M., che la questione non è se sieno eglino accidentali 0 costanti , ma sì bene se sleno animali; e tali ponno ben essere, 0 sieno costanti ovvero accidentali. Costanti li ritiene il B., perchè essi non esistono mai nello sperma degli animali infecondi: e perchè la loro presenza nel seme è un carattere sicuro per giudicare delV attitudine del medesimo alla fecondazione. Non mancano per altro al M. argomenti, e validissimi argomenti, per provare che gli zoospermi non sono necessari alla generazione. Ed affin di non portar la cosa tanto per le lunghe, rammenteremo col fisiologo di Bo- logna gli esperimenti, le molteplici ricerche di Laz- zaro Spallanzani sopra la generazione; diligenlissi- rae investigazioni e cimenti, che il M. chiama per la validità loro experimentum crucis, e per cui resta fermato che anco senza gli zoospermi il seme è dotato di fecondatrice virtù. D' altronde come la mancanza degli zoospermi in un seme valevohì a fe- condare manifesta non essere la presenza loro un carattere sicuro della sua fecondatrice virti-i; cosi è che lo dimostra un argomento contrario, la presenza cioè degli zoospermi nel seme d'individui sterili ed infecondi : il che emerge dalle stesse osservazioni da Lallemand riferite e delle quali giovasi il Medici. Liberata per tal modo la questione da tutto che non le appartiene, s'impegna il Medici in con- siderarla nella sua purezza e semplicità: se cioè i così chiamali zoospermi o spermatozoi sieno 0 no animali infusorii. Varie son le ragioni di fulcro, per cui si era il B. dichiarato in favore di questo se- condo divisamente ; sì perchè nello sperma tendente alla corruzione sviluppansi non di rado, come negli 288 Scienze altri liquidi, degl'infusorii ben diversi però dai zoo- spermi; sì perchè gli zoospermi sono tanto più nu- merosi e mobili, tjuanto più lo sperma si allontana dalla corruzione, e quanto maggiore attività fisiolo- gica possiedono gli organi della secrezione dello sperma: condizioni opposte a quelle che richieggonsi per lo sviluppo spontaneo degl' infusorii entozoi; sì perchè gli zoospermi scompaiono tosto che nello sper- ma manifestansi segni di putredine, ed allora precisa- mente cominciano a comparire gl'infusorii; insomma in seguito all'azione di cause debilitanti o fisiche o morali, o di età o simili ec, condizioni favorevoli allo sviluppo dei parasiti, diminuiscono o cessano gli zoospermi, o all' opposto si riproducono in ragione sempre inversa dei parasiti; conchiudendone perciò, che dimcjue gli zoospermi non possono esser con~ siderali quali animali infusorii prodotti nello sper- ma per generazione spontanea. Ma che questa conseguenza non fluisca da premesse abbastanza comprovate, ben lo desume il M. dal riflettere contro la prima delle accampate ragioni, che il seme, al mutarsi dello stato suo materiale , acquista nuove qualità o condizioni atte a dare origine ad una nuova e diversa maniera d'infusorii: e dal riflettere contro le altre tutte, che gli zoospermi sono cose filiologi- che , e gli entozoi parasiti son cose patologiche o quasi patologiche. Ed in vero se i zoospermi esisto- no nel seme sano e naturale per una legge della vita, ed all'incirca come le fasciole epatiche [disto- ma hepaticum) nella bile ec, esser degglono tanto più alacri e copiosi , quanto maggiore è 1' attività fisiologica degli organi separatori del seme: dovechè gli altri entozoi essendo o causa od effetto, od aC' Rivista medica 289 compagnamento di stati non naturali , od anco di preternaturali , deggiono in questi stati medesimi trovare le circostanze più opportune alla loro ge- nerazione. Il fisiologo torinese peraltro, a fiacheggiare viep- più il suo argomento di doversi cioè negare agli zo- ospermi animale natura , s' impegna in infirmare le ragioni, per le quali si è argomentato doversi loro ac- cordare il carattere di animali infusorii, per il moto loro spontaneo cioè, e per la loro forma. Non si ar- resta in onta di ciò il M. in congregare argomenti e riflessioni in sostegno dell' opposto parere : limi- tandoci noi per titolo di brevità alle molte persua- sive e concludenti indagini ed osservazioni del Wa- gner, il quale dopo un chiaro ed esatto quadro dei movimenti degli zoospermi, cosi conchiuse : « Tous » les mouvements normaux des spermatozoaires ici » décrits d'après une mullitude d'observations par- » ticuliers font naitre chez l'observateur l'idée d'une » action volontaire de la part de ces animalcules . » En effet on ne peut les rapporter aux mouvements » molèculairies , ni le comparer aux mouvements » ciliaires, ni les considerer cornine des effets pro- » duits par 1' hydroscopicité ou par d' autres causes » physiques. Ces mouvements des spermatozoaires » concordent d'ailleurs complétement avec ceux qui )) ont lleu dans les autres fluides, melés au sperme » pendant l'ejaculation ». « Alle quali osservazioni 1) ( prosegue a dire il fisiologo di Bologna ) se ag- » giugner vorremo quelle cui in appresso egli (il 1) Wagner) adduce... circa la durata normale di questi » movimenli , e le circostanze o cagioni valevoli a » rilardarla 0 ad accelerarla, e circa il loro accre- G.A.T.Cl. 19 flfto Scienze » scimento o decremento, dovremo convenire, che » l'opinione più somigliante al vero è che i moti » degli zoospermi abbiano caratteri propri e siano » indizi di animalità. » Ne la discrepanza di forma degli zoospermi delle varie specie animate deve aversi in conto di con- cludente argomento per escluderne l'essenza anima- le: tanto più che infra le altre ragioni da soggiugnersi in disfavore dell'illustre sig. B. havvi luogo a riflet- tere , che quelle fasi possono riferirsi ad effetti di trasformazioni necessarie ad ogni individuo organico vivente ad incontrarsi per passare dai suoi primordi a quella perfezione od a quel termine che gli viene dalla natura prescritto. Cosi la formazione progres- siva degli zoospermi fu ammessa dal Peltier, rico- nosciuta dal Dujardin, descritta e delineata dal Wa- gner, e quasi quasi dallo stesso Lallemand. Si con- trasta pur anco la mancanza di visibile organizza- zione negli zoospermi; ma quando fermo restasse non aversene indizi chiari e positivi, rimarrebbe a conoscersi qual natura doversi dar loro. Non quella di particelle inorganiche , contro la quale lo stesso sig. B. già è manifestamente dichiarato: non quella di particelle di epitelio o di rauco, o di adipe, o di altra materia proveniente dagli organi formatori e conduttori del seme, essendo pienamente confermato essere cotesti corpicciuoli realmente diversi e distinti dagli zoospermi: non quella di globetti paragonabili con quelli della favilla, non avendo questi la forma propria degli zoospermi. Alle quali cose aggiunge vigor di solida prova la forma dei movimenti, di variatissima locomozione, cioè avente lutt'i caratteri della spontaneità; fenomeno pur contemplalo dallo Rivista medica ani slesso Dujardln, per quanto vien dichiarando rlsguar- do alle idee pubblicate dallo Czerraack sopra la na- tura degli zoospermi. « Perocché, son parole del M., » sebbene conceda egli a questo acuto osservatore te- » desco, che massimamente nei pesci gli zoospermi » sieno rispetto al seme ciò che sono i globetti san- )) gulgni riguardo al sangue, e che fra gli uni e gli » altri abbiavi un certo grado di somiglianza, nulla- » dimeno pone negli zoospermi una differenza ini' n mensa il moto spontaneo ^ indizio certissimo di » vita.-Mais ils ont de plus, et cette difference est )) immense, ils ont de plus le mouvement spontanea )) qui, dans ces étres microscopiqueSi est Vindice w le plus certain de la vie. » Rimanendo dopo tutto il fin qui detto a decì- dersi, se gli zoospermi sieno animali infusorii o pa- rasiti , e viventi per proprio conto nel seme, sic- come la generalità degli scienziati finora li conside- ra, o veramente produzioni organiche e vive, deri- vanti immediatamente dagli organi maschili ; non pretende finalmente il eh. Medici pronunciare giu- dizio. Ritenendoli fin qui per animali; e d'altronde non trovando fondamento veruno di crederli produ- zioni dirette ed immediate , e quasi prolungamenti degli organi maschili o frutti di una secrezione: non lo impaccia oltremodo la ricerca della loro origine, bastandogli il credere colla generalità degli osserva- tori che sieno infusorii. Imiteremo ancor noi l'esem- pio dell' illustre prof. Medici di non pronunciare giudizio su questa scientifica contesa insorta tra i due memorati sapienti professori; quantunque ne sem- bri, che le asserzioni, i fatti, i raziocini, ed anche le probabilità o verisimigliauzcjpiù che in favore delle aga Scienze tesi dell'egregio slg. B-rruti, depongano in valoroso sostegno dell'opinainento del sommo fisiologo di Bo- logna, siccome rimarcar potranno i lettori dalle com- pendiate nozioni. Giuseppe Tonelli. Praelectiones theologicae quas in coli, romano soc. lesu habebat Ioannes Perrone e soc. lesu in eod. coli, theol. prof. Fol. VIII^p. II ^ continens tractatus de locis theologicis partes secundam et tertiam. Roniae trpis Collegii Urbani 1842. Articolo x, ed ultimo. i^mnalizzata di già la prima e la seconda (*), venia- mo ora alla terza parte di questo trattato intorno ai luoghi teologici , nella quale si parla dell' analogia della ragione e della fede. Siffatta investigazione incominciò a farsi dagli uomini appena la fede venne predicata e propagata. Imperocché non potè non accadere, che la ragione esercitata fino allora ne'filosofici studi de'gentili non prendesse ad esaminare, che cosa le si aggiungesse per una tal fede : che cosa questa fede esigesse da lei: e in quale maniera si conciliassero co'dommi. rive- lati que' principii , che la ragione per divino lume aveva ricevuti. L'esame, com'era a credersi, produsse un hen differente effetto. Coloro i quali, tolto ogni n Vedi tomo VC. Teologia del Perrone 2q3 anticipato giudìzio, vollero seguire il vero e il retto lume della ragione, conobbero la verità della fede, videro quanto vantaggio la ragione ricevesse da essa, e tutto adoperarono l'ingegno e la dottrina nel di- fendere la religione cristiana. Gli altri al contrarlo gonfi per superbia , e disdegnosi nel sottomettere 1' intelletto in ossequio della fede, presero invece le armi dalla filosofia per abbattere e annicliilare la fede, se loro fosse stato possibile. Quindi il gnosticismo, il panteismo, il manicheismo, il neo-platonismo o sin- cretismo alessandrino, e mille altre assurdità, nelle quali la mente umana suole cadere, quando abban- dona la verità. Siccome però una ed immutabile fu e sarà sempre la fede; varia e incostante 1' indole della umana ragione; così in ogni secolo con diffe- renti armi si è combattuto per esaminare, se potesse o no darsi una tale concordia. Won è a dire con qual cuore vi si sleno adoperati i protestanti, e in ispecie i razionalisti. La varietà de'sistemi filosofici, particolarmente a'nostri giorni, non può negarsi che non abbia reso più difficile lo sviluppo della qui- stione. Imperocché alcuni hanno in modo depressa la forza della ragione da snervarla e ridurla quasi semiviva; altri la innalzano tanto da renderla giu- dice delle verità rivelate; altri finalmente così uni- scono la scienza e la fede, che finalmente concludono non potersi 1' una separare dall' altra. Importando troppo al teologo l'essere in questa cosa istruito, e r avere in mani poderose armi per conciliare un punto così sottile e difficile, il eh. P. Perrone di- vide in due sezioni questa ultima parte del trattato de'luoghl teologici: dispulando nella prima assai dif- fusamente dell' analogia della ragione e della fede 294 Scienze riguardala in se stessa: nella seconda più brevemente dell' applicazione della medesima, ossia della meto- dologia. Data la definizione della ragione e della fede riguardate in se stesse, e fatto notare che la ragione conosce per se medesima gli obbietti e li giudica, la fede presta il suo assenso e crede agli obbietti, toglie l'A. a considei'are la ragione sotto quel tri- plice aspetto, in cui può riguardarsi, cioè avanti la fede, colla fede, e dopo la fede; vale a dire si fa egli a ricercare quale sia l'officio della ragione prima di acconsentire agli obietti della fede, quando attual- mente vi acconsentisce, e finalmente dopo di avervi acconsentito. Pertanto , divisa in tre capi la prima sezione, vediamo come il Perrone cominci a parlare della ragione considerata avanti la fede. È proprio della ragione umana non solo di essere portata al vero, ma di poterlo eziandio raggiun- gere: e quantunque vi sieno stali ognora gli scettici, coloro cioè che di lutto dubitarono, hanno poi in sostanza praticamente ammesso quello che in teoria negavano, e sono stati sempremai convinti non tanto dagli argomenti, quanto dalla stessa voce della natura. La religione cristiana in pienissimo accordo colla filosofia, benché dopo il peccalo de'nostri pro- genitori riconosca l'uomo, come dice il concilio di Trento, secundum corpus et animam in deterius commutatum, mai non gli negò quanto appartiene alla essenza della sua natura : e però sempre asserì essere dotato del naturale lume di ragione, con cui possa conoscere il vero e il falso, e scoprire le ve- rità di un ordine naturale. In altra guisa però opi- narono i protestanti nel secolo XVI. Insegnò Lutero, Teologia dei. J*errone 2g5 che l'uomo pel peccato di origine era stato ezian- dio nelle cose essenziali della sua natura concio e malmenato in guisa , die oscurato 1' intelletto ed estinto il libero arbitrio, niun vero poteva conoscere senza il lume della rivelazione. Questo empio prin- cipio fu di buon grado seguito con alcune modifi- cazioni da Daniele Hoffman, da Bernardino Ocbino, da Calvino, da Kennizio e da tutti coloro, i quali sostennero non darsi alcuna intrinseca differenza tra il bene e il male, ma soltanto dipendere dalla po- sitiva volontà di Dio; e però conoscersi unicamente dalla rivelazione iclò che fosse buono o cattivo. Quindi n'è derivato, che quella guerra suscitata dagli anti- chi eretici fra la ragione e la fede si è poi con mag- gior forza e veemenza dai protestanti raccesa. Quello poi che più deve far maraviglia si è, che quegli stessi protestanti , i quali per esaltare la fede tentarono distruggere e annichilare le forze naturali della ra^ gione 5 non dubitarono in appresso d' innalzare la ragione medesima in guisa, che non sonosi vergo- gnati di chiamarla unico ed infallibile giudice nelle cose della fede. In tanti scogli rompe chi serra gli occhi alla verità di sua natura sempre costante ed immobile ! Ma in altra guisa ancora si è mossa guerra alla ragione, dacché il neo-scetticismo ridotto in sistema da Emmanuele Kant invase le scuole tutte della Ger- mania. Hume tolse la necessità a priori^ o come di- cono il principio di causalità, e ponendolo fra i prin- cipii a posteriori, ossia della esperienza, gittò a terra il principale fondamento della realtà obbiettiva delle umane cognizioni. Kant atesso , riducendo tutta la scienza ai meri fenomeni di sensibilità e a certe »w- 296 Scienze biettive e necessaiùe forme Jell' intelletto , mentre asserisce che noi sappiamo soltanto i fenomeni , e nulla possiam dire delle cose in se stesse , mentre pone ristesso io tra i fenomeni, della cui realtà mai non può constare, non solo rende ogni cognizione siibbiettìva, ma altresì impossibile, assurda, e tocca in tal modo il sommo dello scetticismo. Questa ri- voluzione della filosofia, o piuttosto della umana ra- gione, chiamata criticismo assai piacque ai protestan- ti, e gli spinse sempre a nuovi e più assurdi sistemi. Quindi Videalismo assoluto, ossia l'egoismo meta- fisico di Ficht: la filosofia della identità , ossia il realismo assoluto di Schelling: i sistemi panteistici di Bouterweck e Bardil: la filosofica dottrina di He- gel, che sostenendo identificarsi nella idea l'oggetto e il subietto, ricava la medesima realtà degli oggetti dallo stesso logico svolgimento della idea. Questi empi sistemi han fatto precipitare la umana ragione o in un puro idealismo, o in un sozzo panteismo. Dalla natura di sì nuova e dannosa filosofia era ben facile il vedere che cosa si fosse dovuto aspet- tare la religione cristiana. Secondo gli opinamenti di Kant , la possibilità della rivelazione positiva e naturale è un noumeno^ ossia una cosa di pura intel- ligenza, di cui nulla può sapersi o affermarsi. Quel- la religione poi, ch'egli stabilisce fra i limiti della ra- gione, di qual genere mai potrà essere, essendo pri- va di ogni fondamento teoretico , ed avendo solo per base la pratica ? Imperocché questa per una cieca, e soggettiva necessità si crea come postulati le slesse verità cristiane: e benché fra di loro con- traddittorie, presta fede ad esse, appunto perchè possa credere alla propria sua libertà e alle leggi morali. Teologia del Perrone agy Qual luogo potrà mai darsi alla divina rivelazione nella filosofia di Schelling, se confonde l'infinito col finito, il creatore colla creatura, e di essi ne forma una stessa cosa sostanziale ? Hegel poi , nella sua filosofia discorrendo de'misteri della religione cristia- na, non assegna ad essi altra origine, se non la idea^ dal cui progressivo svolgimento , fa derivare, come logici e naturali parli, gli stessi misteri: né molto da lui differisce il sistema di Ficht. Laonde queste dottrine nate nel suolo de' protestanti , da essi ali- mentate e nutrite , fecero sì che il protestantismo appalesasse ogni giorno più il latente principio di distruzione, e portasse que'frutli di razionalismo e di miticismo, cui diede Strauss l'ultimo sviluppo nell' applicazione fattane in quella detestahile opera, che non si vergognò di chiamare: P^ita di Gesù Cristo. Essendo questa la misera condizione della filo- sofia neoterica : e la ragione umana, spinta da cosi perniciosi principii, mostrandosi necessariamente ne- mica alla religione cristiana ; coloro che difesero V augusta nostra religione , filosofarono in diverso modo della ragione e de'suoi officii intorno alla re- ligione cristiana. Imperocché altri sostennero non tanto doversi credere alla ragione e alla sua capacità di discoprire la verità, quanto ad un certo interno e religioso sentimento: ed ecco nato il sentimenta- lismo o il misticismo. Altri giudicarono che la ra- gione umana per se medesima non potesse conoscere neppure le stesse verità naturali e a se proporzio- nate, come per esempio l'esistenza di Dio, la spiri- tualità, la immortalità dell'anima, la norma del giusto e dell'ingiusto: ma che in queste cose medesime la 2()8 Scienze ragione avea d'uopo di una positiva rivelazione, lat quale in principio fa in realtà data all'uomo, e per una costante tradizione propagata per tutto il genere umano. Questi furono detti i supernatiiralisti. Al- tri, negando la forza della certezza della ragione in- dividuale nell'uomo, la riposero nell'autorità di tutto il genere umano, vale a dire nella ragione universa- le, ossia nella comune e perpetua tradizione: in modo che questa stessa autorità ne fosse Vunico e supre^ mo criterio^ e questi furono i tradizionalisti. Altri ritengono dannoso il metodo psicologico sì in filosofia e sì in teologia, e dicono doversi incominciare dalla ontologia, ossia dalla immediata e concreta intui- zione slessa di Dio: e però sono appellati ontolO" gisti. Finalmente non mancarono di coloro, i quali in tale maniera presero non tanto a ribattere, quanto a purgare e ad abbellire i principii di Kant e di Ficht , e ne formarono una pretesa dimostrazione sì evidente delle verità naturali e della fede cristiana, da venire astretti ad abbracciar questa fede medesima: nel quale numero fu al certo Giorgio Hermes coi suoi seguaci. Da questa istoria, che assai più diffusamente ed eruditamente viene fatta dal P. Perrone, due modi di opinare si ricavano fra di loro oppostissimi : di quelli cioè che troppo concedono alla ragione , di quelli che troppo le tolgono. Il eh. autore, a pro- cedere con ordine, nel primo articolo parla del retto uso della ragione avanti la fede : e dopo aver fatto notare con Tullio, che la umana natura ha una incredibile cupidigia di trovare il vero; che •questo senso le sarebbe slato dato invano da Dio, se non potesse mai raggiungere la verità: dice che la u- Teologia del Persone agg mana facollà di conoscere può essere empirica e ì^a- zionale^ ossia con ordine sensibile ed ideale, o se più piaccia dilaniarlo con ordine logico od ontologico: che da queslo doppio ordine di cognizioni procedono alcune verità essenziali di ordine diverso: che i mo- tivi intrinseci di certezza sono il senso intimo pe'falti interni, la sensibilità esterna pe'fatti che altronde provengono: e finalmente la ragione, in quanto che o presenta i primi necessari ed universali princlpii, o deduce altre verità da princlpii già certi: dalle quali cose si ha poi la verità logica, metafisica e fisica. I molivi estrinseci non ci danno alcuna in- trinseca certezza della verità di una proposizione, ossia del nesso tra il predicato e il soggetto ; ma tutta dipende dalla verità del testimonio. Laonde se la verità dell'autorità è evidente, la proposizione sarà evidentemente credibile; se poi quest'autorità sarà posta nella testimonianza di Dio medesimo, produrrà una certezza assoluta e metafisica. Questa veracità dunque si fonda nelle leggi morali della natura del- l'uomo, le quali, come si ha pure dalla esperienza, sono costantissime. Sviluppate queste teorie e fattasi dall'A. conoscere la differenza grandissima, la quale passa tra la scienza e la fede, sostiene I, che la umana ragione è portata al vero, e che co' mezzi naturali può in alcuni casi con sicurezza raggiungerlo; II, che si danno alcune primitive verità o di fatto o di ra- gione , che intuitivamente sono per tutti evidenti ; III, che non di tutte le cose si può raziocinare, nò tutto può dimostrarsi ; IV, che sebbene la certezza possa anch'essere relativa, può tuttavia darsi in al- cuni la certezza assoluta, cioè una certezza che per tutti debba essere certezza interamente obbietti\>a . 3oo Scienze cioè incapace Ji trarre in inganno ; V, che quesfa certezza assoluta può in alcuni darsi in ordine di cognizione^ ossia psicologicamente dipendente an- che dalla stessa cognizione e veracità di Dio (seh* bene nell'or^me di essere^ ossia ontologico, tutti gli enti necessariamente dipendano dall'ente neces- sario e assoluto); VI, che il nesso tra il soggetto e l'obbietto, per cui tanto i trascendentali combatto- no, è fondato nella stessa natura sensibile e intel- ligente dell' uomo ; imperocché 1' animo umano pel doppio ordine di cognizioni, empirico cioè ed idea- le, mentre sente e percepisce se stesso diviene ne- cessariamente certo della sua realtà oggettii^a^ e però ritrova in se stesso e ne' suoi atti la intrinseca ra- gione di que'principii necessari a priori, come per esempio, che non si dà accidente senza sostanza, ef- fetto senza causa ec. I quali principii non sono sin- tetici a priori, ma assolutamente analitici e iden- tici'., non logici soltanto, ma metafisici o ontologici, e validissimi a dimostrare la realtà oggettiva; VII, fi- nalmente che debba aversi sempre dinanzi agli oc- chi la distinzione fra l'ordine logico e cronologico delle cognizioni, e fra l'ordine istorico debutti. In- fatti l'ordine logico segue il nesso intrinseco delle cognizioni, il cronologico ne spiega la genesi, e l'isto- rico non riguarda l'ordine delle cognizioni nella mente, ma generalmente i fatti che successivamente s'incontrano nella storia della umanità. Ponderato con questi filosofici e inconcussi prin- cipii lo stato della ragione avanti la fede, il eh. A. pone quattro proposizioni. Dimostra nella prima contro i soprannatur alisti, c\\e la retta ragione senza l'aiuto della rivelazione soprannaturale può con tutta Teologia del Perrone 3oi la certezza conoscere più verità appartenenti all'ordi- ne naturale, le quali, i più sani teologi cliiamano con s. Tommaso, preamboli della fede : sono esse la esi- stenza di Dio, la spiritualità dell'anima, la legge mo- rale circa le azioni intrinsecamente buone o catti- ve ec. Sostiene nella seconda, che la ragione anche individuale, ossia senza il sussidio del consenso del- l'uman genere, può in più verità acquistarsi la cer- tezza. L' autore lascerebbe di buon grado ai filo- sofi che dimostrassero questa proposizione, se alcuni non se ne valessero per costituirla quasi base della cristiana religione e della teologia. Leggesi infatti nel Catechismo del senso comune (**), non essere altro la fede cattolica, se non il senso comune nelle cose di Dio. Siccome però cotesti confondono il consenso e l'autorità del genere umano col consenso comune, talvolta col senso comune, talora colla ra- gione universale, ed ebber la stessa ambiguità circa la nozione della ragione individuale, che spesso con- fondono colla nozione dello spirito privato; così il Perrone, innanzi di venire alle prese cogli avversari, determina bene che cosa sia il consenso del genere umano, la ragione individuale e lo spirito privato. Nella terza proposizione fa vedere, che l'anima umana può con certezza conoscere i motivi detti di credibilità, e per mezzo di essi acquistare la certezza della esistenza della rivelazione divina. Proposizione che discende quale legittimo corollario dalle due antecedenti, e che abbraccia due parti: cioè che la (') Pag. 66. 3o2 Scienze umana ragione jiuò con certezza conoscere i motivi suddetti, ossia le caratteristiche della divina rivela- zione: e che per questi motivi può essa ragione pervenire alla certezza della rivelazione medesima. Laonde in tale guisa 1' A. combatte : I, coloro che troppo togliendo alla ragione, credono che giammai ella non possa di tali motivi essere certa senza una qualche dubbiezza , ossia eh' essi motivi non sieno per se medesimi bastanti a porgere un'assoluta cer- tezza; II, coloro i quali credono che questa certezza sia respinta dalla stesiia indole della verità rivelata, la quale richiede un intero assenso: sicché, com'essi vogliono, non potrebbe farsene la dimostrazione senza un qualche danno della fede. Finalmente nella quarta, ossia ultima proposi- zione, asserisce che 1' umana ragione può con cer- tezza conoscere la esistenza della vera chiesa di Gesti Cristo , avendole dato il Salvatore tali caratteristi- che da distinguerla dalle sinagoghe di Satanasso, e Jai sogni della malizia e della superbia umana. (Sarà continuato.) Francksco Fabi Montani. 3o3 ^mTTMWL^T'SWLM. Orazione sesta su V eredità di Filottemone. ARGOMENTO E ilottemone figliuol di Eultemone, adottato Che- restrato figlio di Fanostrato e d'una delle sorelle di lui, e messo in mano a Clierea, marito dell'al- tra, il testamento; muore, vivendo ancora il padre. Dipoi estinto il genitore, successe Cherestrato ai be- ni del suo adottante. Ma incontro a lui contestando Androcle, che egli non doveva esserne erede, poiché di Euttemone era rimaso Antidoro prole legittima ; Cherestrato si oppone al suo contestare; dicendo, che Anlidoro e la sorella erano spuri; e la legge ordi- nava, non essere ninna parentela co'figli adulterini d'amendue i sessi. Lo stato della causa è conghiet- turale: imperocché non era chiaro se Filottemone avesse o no adottato Cherestrato in figliuolo; era poi anche oscuro se Antidoro fosse una legittima progenie» 3o4 Letteratura ORAZIONE Io ho per fermo, giudici, che il più di voi co- nosca le ragioni, onde Fanostrato e Cherestrato sono a me legati della più stretta domestichezza : ma a quelli che le ignorassero, ne indicherò un bastevole documento. Imperocché quando Cherestrato , come capo di una trireme, navigava all' isola Sicana (i), io, sebbene per avere innanzi assaggiata essa navi- gazione mi stessero davanti agli occhi tutte le sue fortune, mosso nondimeno dalle preghiere loro, mi posi in mare ad incontrarle insieme; e divenimmo prigioni degrinimici. Perciò sarebbe sconveniente, se io che sostenni allora quei casi pieni di manifesto pericolo, sol per avere usanza con E^anostrato e Che- restrato , e per tenerli in luogo d' amici ; ora non operi di ragionare in prò loro di tali cose, dietro alle quali, o giudici, sentenzierete con giuramento, rendendo ad essi i dritti loro. Prego adunque voi a perdonarmi, e udirmi benignamente; poiché questi hanno a contendere non di leggieri cose, ma di gran momento. Filottemone cefisiese fu amico di Cherestrato; e avendo conceduto lui tutt'i suoi beni, lo tolse in figlio adottivo, e si morì. Sicché da Cherestrato scrit- tosi il libello, dove e'chiedeva l'eredità del suo adot- tante (essendo lecito a ogni ateniese di combattere per un retaggio, e presentarsi al cospetto vostro con ragioni giuste, e conquistarlo se favelli con più di- ritto) , ha fatto Androcle una contestazione , che quella non è contrastabile ; spogliando lui del di- ritto di (juislionare, voi dell'autorità di stabilire col Orazione d'Iseo 3o5 vostro voto l'erede di Filoltemone: e spera con solo un suffragio e una contesa di mettere i fratelli di questo fuori del parentado, se poi entrare non le- gittimo signore in que' beni , tenersi la sorella (2) di Filottemone sopradetto, e annullare il testamento. Per tante e gravi cose da Androcle contestale , io v' aprirò innanzi come il defunto abbia testato , e fatto Cherestrato figliuolo suo. Perocché a lui, che dal matrimonio non ebbe frutto, e vivendo una guerra dove egli e cavaliero e capo di una trireme spesso venendo al sangue correva l'ultimo pericolo, parve bene di acconciare i propri fatti: perchè quando gli fosse occorso l'estremo giorno, non rimanesse deserta la propria casa. Adunque i due fratelli suoi com- pierono i loro dì senza figliuoli ; e delle due ger- mane, quella maritata a Cherea, non partorì al suo sposo niun maschio, benché con lui facesse lunga di- mora; l'altra, sposa di Fanostrato, diede alla luce due figliuoli, di cui Cherestrato, che era il maggiore, fu adottato da Filottemone. Il quale così espresse nel testamento i suoi voleri: Chiamo Cherestrato mio erede, se io non concepisca della mia donna figliuolo alcuno. E consegnò il testamento al cognato Che- rea, sposo dell'altra sorella sua. Laonde a voi, o giu- dici, or verrà letto il testamento, e ne sarà testimo- ne chi fu presente quando ei si dettava. E tu lo recita. Testamento. Avete adunque udito, che Filottemone testò, e per quali cagioni adottava uno in figliuolo. Ora io vi mostrerò la legge, secondo la quale ravviserete con G.A.T.CI. 20 3o6 Letteratura quanta giustiza gli fosser lecite queste opere. Tu dim- mi la legge. Legge. Propria di tutti è la legge di poter disporre delle tue cose, quando di le non ci sia figliuoli maschi le- gittimi, tu non deliri per vecchiaia, e non sii tratto di sentimento per qualunque altro caso posto in essa legge (3). E qui con grande brevità vi chiarirò, giu- dici, come in Filottemone non si trovava impedi- mento a testamentare. Imperciocché quegli che in vita sua si mostrò tal cittadino, che per essere stato onorato da voi, ne fu avuto degno, e moriva com- battendo contra i nimici della patria; come altri ose- rebbe di appellar folle? Adunque si è mostrato che Filottemone fé te- stamento , e adottò un figlio con libera volontà, se- condo che permettevan le leggi : e però fu rivelata anche di Androcle la bugiarda contestazione. Egli nondimeno siccome ha pronunziato averci un legit- timo figliuol di Euttemone, ed esser questo, io sco- prirò cotale falsità sua. Essendoché, giudici, ogni pa- rente ed ogni fratore col più dei popolani sanno e attestano come di Euttemone furono senza dubbio fi-, gliuoli Filottemone, Ergamene, Egemone e due figliuo-f le, e come ne fu consorte la figlia di Missiade cefisiese, madre di questi. Ma che egli poi si menasse una se- conda donna, che gli facesse altri figliuoli, niuno seppe mai, né udì, vivendo Euttemone. E giusta cosa è che questi testimoni s'abbiano per leali ; poiché è molto conveniente, che i consanguinei conoscano notizie di questa forma. Tu primieramente me li chiama, e quindi pubblica i testimoni loro. Orazione d' Iseo Boy Testimoni. Inoltre vi proverò col fatto, che essi avversari medesimi lian profferito quello che noi. Conciossia- chè quando si facevan gli esami dinanzi al magi- strato, e costoro ebber prima giurato, che questi era- no figli legittimi di Euttemone (4), e' dimandati da noi della madre loro e del suo padre, non poterono significarla; quantunque noi prontassimo col prote- stare incontro a loro, e il magistrato li costringesse a rispondere giusta le leggi. E come non si fa forza a queste, o giudici, se quando formasi un piato a prò di figli legittimi sopra una eredità, e si contesti contro gli avversari, non possa additarsi la madre loro, né un consanguineo? Essi nullaostante simu- landone già in madre una certa Leniuia, allungavano il giudizio : poscia venuti alle domande, prima che altri li richiedesse , dissero immantinente , Calippe esserne genitrice, e lei una figliuola di Pislosseno ; quasi bastasse il finto nome del padre suo. Dipoi interrogati chi era Pistosseno , e se vivea tuttora , risposero; che ito in Sicilia ad urtare la inimica oste, quivi morì , e lasciò la figlia ad Euttemone , come tutore alla cura di lei ; e che per tale tutela sono entrati al mondo questi figliuoli : componendo un fatto tanto lonlano dai termini del vero e dell'one- sto, siccome dalle risposte, che prima diedero, vi farò chiari. Essendoché dalla spedizione, in cui Pistos- seno si mosse per andare in quell' isola , sono già volti anni cinquantadue, sedente arconte Arimnesto; e il maggiore di questi figli, di cui si dice che Eut- temone avesse con Calippe , non trascorre V anno 3o8 Letteratu ra ventesimo. Tratti adunque i venti anni dal tempo di queir andata militare , ne rimangono trentadue ; cosicché non bisogna credere , che Calìppe essendo nel trentesimo del viver suo, si stesse ancora sotto una tutela, non altrimenti che le pupille, né fosse data in maritaggio , e si vivesse priva di figli ; ma piuttosto che di molto indietro fosse maritala, o pro- messa legittimamente, o giudicata moglie ad altrui. Era quindi giusto, che i domestici e parenti di Eut- temone avesser notizia, se era sposata a lui, o posta in sua casa per si gran tempo sotto sua cura. Che nello esame giudiciale non si hanno a infingere solo tai nomi; ma dimostrarli veri, e mettere in palese le testimonianze de'consanguinei. E noi richiedendo ci si adducesse un familiare di Euttemone, il qual sa- pesse che una certa Calìppe era sua moglie, o vi-^ veva in casa di lui, commessa alla sua cura ; e se ninno de'servi ancor superstiti potesse darne segno, o fosse in notizia di qualche domestico di Androcle e suoi compagni; essi non patirono di consegnarci i servi loro, ne torre i nostri per siffatta indagine. Tu prendi le lor risposte date nello esame , e le nostre protestazioni coll'invitar nostro della conse-. gna dei servi a testificare. Bisposte, proteste i citazione. Costoro adunque schivarono un tanto affare. Ora io paleserò, giudici, chi sien Calippe e suoi fi- gliuoli, e che sorta uomini gli avversari, i quali con- testando quelli esser progenie legittima di Euttemo- ne, cercano di farli eredi suoi. E benché sia forse in- crescevole a Fanoslrato che qui si tocchino le pub-. Orazione i>' Iseo Sog bliche calamità eli Eultemone , è pur forza che al- quanto se ne discorra ; acciocché voi conosciuta la verità dei fatti, più facilmente sentenziate quel che è diritto. Elutlemone visse anni novantasei; e il più dell'età sembrò farla beata: poiché non era piccolo il patrimonio; della consorte ebbe figliuoli, e tutte le altre cose di lui fiorivano prosperamente. Ma ren- dutosi vecchio, gli sopravvenne un infortunio gran- de, il quale gittò a terra tutta la sua casa, disperse le molte sustanze sue, e nella sua famiglia pose di- scordia. Donde mai si nascessero questi suoi danni, ve lo aprirò, secondo che è da me, con grande bre- vità. Euttemone, o giudici, aveva una liberta, che gli governava una casa di affitto là nel Pireo, e vi nu- triva le meretrici. Delle quali era una di nome Al- ce, che il più di voi penso che conosciate. Costei fattasi comperare, sedè lunghi anni nel bordello; ma come si attempò, si levò su, e diede le spalle al di- sonesto luogo. Di lei, che ivi traeva tutt'i suoi gior- ni, ebbe pratica un certo Dione liberto, il quale ne acquistò questi fanciulli , che sempre ebbe nutriti siccome suoi propri figli. Stato alcuno spazio, Dione commessa una scelleranza, e temendone penitenza, si ricovrò in Sicione: e questa femmina fu da Eut- temone posta alla cura di altra casa di affitto nel Ceramico, presso alla piccola porta, dove è mercato di vino. Sicché ella quivi accommodatasi, fu cagione di molti mali : perciocché Euttemone usando d'ivi recarsi a raccogliere le pigioni , vi dimorava assai tempo; e alcuna volta pigliava cibo con essa, lascian- dosi andare dalla memoria la propria sposa, i figli e la casa , che era sua stanza. Il che di malo animo sostenendo la consorte ed i figliuoli, nuUadimeno ei 3io Letteratura non cessava di tale pratica, e vìvea là tutto il restò della sua vita: e tanto venne occupato, non so mi dire se da veleno, o morbo, o da che altro, che fu svolto da quella femmina a porre nello elenco dei fratori il maggiore figliuolo col nome suo. Siccome però ne Filottemone gliel concedeva, né lo accet- tavano i fratori, anzi ripudiarono il sacro dono (5); Euttemone carco di sdegno contro il sopradelto Fi- lottemone, tentò sposarsi alla sorella dì Democrate afidneo ; perchè quando non gli era dato che quel fantino si ricevesse tra i cittadini , ì nascituri figli di lei ereditassono le proprie facilità sue. Nondimeno i parenti bene sapendo che di Euttemone, già pieno d'anni, non potevano uscir figliuoli, egli però li avrebbe recati fuori in altra guisa , e ne sariano derivate maggiori risse, persuasero Filptteraone a permettere che il fanciullo si annoverasse tra i cittadini colle condizioni che cercava il padre, e si porgesse il sa- cro dono (6). Allora Filottemone tintosi di vergogna a tanta follìa paterna, e dubitando di non trovare medicina a questo presente male, non istette contro ai consigli de'suoi congiunti. Laonde fermati i patti, e con quelle condizioni fatto cittadino il figliuoloj Euttemone ricusò di torre moglie, e sì fece veduta che si saria congiunto non per desiderio di figli, sib- hene per isforzare Filottemone a mettere nei citta- dini quel garzoncello. Imperciocché quale necessità lo costringeva, o Androcle, di ammogliarsi per ca- gione di avere prole, se questi due supposti erano nati di cittadini ateniesi, secondo che tu hai per fermo? E chi mai impediva loro quella cittadinanza? O perchè egli sotto certe condizioni portava ai fra- tori il nome del fanciullo, mentre gli statuti hanno. Orazione d' Iseo 3i i che ogni legittimo figliuolo sia partecipe de' paterni beni? E perchè voleva far cittadino il primogenito con le suddette condizioni (y); il secondo poi non ehbe in nessun conto, ne appo Filottemone ancora vivo, nò appo gli affini? E pure tu ponevi una ga- gliarda contestazione, che questi erano i figli legitti- mi e gli eredi suoi. Nelle quali mie parole non di- mora niuna menzogna, come voi rileverete da quelle testimonianze, il tu le recita. Testimonianze. 'j Accadute queste cose, Filottemone, che guidava una trireme, moriva sotto Chio di mano degl'inimi- ci: ed Euttemone poco appresso, fattosi innanzi ai due suoi generi, diceva di voler loro significare ciò che tra lui ed il figliuolo era passato, e posto in iscrit- tura. Allora Fanoslrato era sul navigare alla testa di una trireme sotto il capitano Timoteo; e la sua nave sfava su l'ancora nel porto di Munico (8): quando Cherea, l'altro genero di Euttemone, chiamava al porto Fanostrato sopraddetto. In questo modo Euttemone discese con alquanti cittadini verso la nave: e fatto tin testamento, e scrittevi le condizioni, onde faceva cittadino l'altro Euttemone d'età più grande, lo con- segna avanti a loro a Pitodoro cefisiese parente suo. Ed eccovi un segnale sufficiente che anche Androcle protestò che Euttemone fu autore di queste cose in prò de'suoi figliuoli adulterini. Imperocché niuno nel testamento può legare i beni a'iegittimi figliuoli; poi- ché essa legge li lega e concede loro : anzi da lei viene permesso ai legittimi genitori di non istendere le ultime volonlà. Stato così quel testamento circa 3i2 Letteratura due anni, e morto Cherea; questi avversari, fattisi uomini dell'Alce, e vedendo consumato il patrimonio di Euttemone, lui poi vecchio d'anni e fuor di senno, venuto loro un sì grande acconcio, gli tendon lac- ci : e prima l' inducono a sciogliere il testamento , come disutile a que' garzoni. Conciossiachè niuno , salvo le figlie e i nati da loro , sariasi fatto erede dèlie sue robe; ma vendendo alcuno de'suoi poderi, che erano ancora, e recatolo in danari, questi meglio si occuperebbono da que' fanciulli. Euttemone, avuto un siffatto consiglio, tosto richiede Pltocloro del te- slamento, e lo invita ad arrecarlo. Ma Pitodoro, ito al cospetto dell'arconte, disse che quegli voleva can- cellare il testamento : e dopoché ad Euttemone e Fanostrato quivi presente, palesò che disfarebbelo : ma perchè viveva ancora una figliuola di Cherea, stato alla consegna di quello, proponea di annullarlo dopo il maritaggio di lei. E venendo in questa sentenza il magistrato, Euttemone dinanzi a lui e a'giudici, che ivi sedevano, protestò in guisa da toglier forza al testamento; e si parila dal giudizio. Cosi poco di- poi, costoro per la cagione onde il trassero ad an- nientare quella scrittura , vendettero il suo terreno almonese ad Antifane 75 mine; il bagno posto nel Serangio ad Aristologo 3o mine; la casa urbana im- pegnata per 44 "line a un ierofante; una greggia di capre e il capraio i3 mine; due carra da mule, uno 8 mine, l'altro 55o dramme, e quanti operai aveva in- torno a sé. Laonde l'intiera somma passava tre ta- lenti: e queste sustanze furono subito così spacciate dopo la morte di Filottemone. E che tuttociò sia il vero, lo dimostreranno i testimoni. Orazione d' Iseo 3i3 Testimoni. A tal fine riuscirono queste facoltà di Eutte- mone. Sopra le altre poi eglino tosto consigliavano, ed operaron cosa la piiì nefanda ; e ad intenderla dovete, o giudici, ora applicare l'animo vostro. Poi- ché costoro vedendo Euttemone consumato dagli anni, e non possibile a levarsi del proprio letto, guarda- vano come, lui morto, venissero in lor podere tutte le altre sustanze sue. E che disegno fanno? Portano all'arconte i nomi di questi due fanciulli, come di tali, che fossero adottati dagli estinti figli di Eutte- mone: ed essi scrivendosene tutori, ordinavano al magistrato di allogarne i beni, siccome in prò degli orfani si costuma. Sicché alquanti sotto il nome di que'garzoni si affittassero, altri si allogassero per ma- niera da tome i pegni, e se ne pubblicassero gli af- fitti: e vivo ancora Euttemone, questi fattisi suoi fit- tuari, ne ricogliessero i frutti. Il perchè l'arconte posto il bando, incontanente s'empiono i tribunali, e costoro diventano fittuari. Ma alcuni cittadini , presenti alle offerte giudiziarie, svelarono ai parenti di lui cotanta frode ; e questi venuti in giudizio, mostrarono l'inganno ai giudici ; i quali in questa guisa proibirono che si allogassero quo' poderi. Che se l'affare rimaneva chiuso, sariasi dato fondo a quelle facoltà. E tu chiamami i testimoni, che furono sopra l'avvenimento da me discorso. Testimoni, Prima che costoro conoscessero Alce, e con esso 8i4 Letteratura lei insidiassero ad Eutlemone, questi e Filollemone possedevano tanta ricchezza, clie ancoraché di un me- desimo tempo facessero larghe spese aUa repubblica, pure non vendettero niente del patrimonio degli avi; e gli avanzi annui aggiungeann sempre alle proprie facoltà. Ma dopo la morte di Filollemone , furono in modo dissipate quelle fortune, che ora non sono la metà delle antiche, e son tolti via i frutti annui; E non bastò ai lor nemici il fondere questi averi; ma estinto pure Eutlemone, crebbero in si gran bal- danza, che lui giacente nella casa fecero guardare in modo dai servi, che niuno ne rapportasse la morte alle figliuole, ne alla sposa, nò a'suoi congiunti: e le suppellettili che si trovarono entro, essi aiutati dalla rea femmina, traporlarono alla vicina casa, da quello Antidoro abitata, uno de'fittuari. E nemmeno allora che informate da altrui vennero le figlie e la consorte, non fu conceduta loro l'entrata; ma ser- rale le porte, venne lor detto, che non conveniva ad esse Tufficio funebre sopra il cadavere di Eutlemo- ne: onde non poterono entrare se non quando il giorno se ne andava. E poiché furono dentro , lui videro giacersi da ben due giorni, come ebbero dai servi; e la suppellettile tutta levala via. Laonde le femmine , come si apparteneva loro , facevano gli estremi uffici allo estinto corpo; e gli altri consan- guinei, voltisi a chi gli aveano accompagnati, mostra- no lo stato delle cose dentro. E prima innanzi al cospetto d' Androcle e suoi consorti richiedono i domestici, come e dove sieno slate rivolte le robe di casa: e que' rispondono, che erano furate, e messe nella vicina casa. Sicché i congiunti dello estinto, riputando di dover subito cercare il furto, secondo Orazione d'Iseo 3i5 che la legge medesima permette, interrogano i servi, chi sieno i ladri: Androcle però e i suoi partigiani non vollero por mano a nulla di ciò che era giusto di operare. E che non mentano le mie parole, ec- covene testimonianze; cui tu fa note colla tua voce. Testimonianze. Costoro adunque ladri di tanta rìcchezga a quella casa , e avendo in mano il prezzo di assai vendute sustanze ; e rapite insieme le rendile che Venivano di quel tempo , disegnano di farsi anche usurpatori del rimanente : e salgono a tanto ardire da recarsi in giudizio per vie torte, protestando es- sere legittimi questi figli; dicendo ad un'ora cose bu- giarde, e opposte ai medesimi fatti loro. Poiché pri- ma porsero all' arconte il nome d'essi figliuoli; l'uno da Filotteraone, l'altro da Ergamene adottalo; e fanno qui una contestazione, che di Eultemone sono di- scesi. Quantunque neppur se fossero legittima prole di lui, ma franca della paterna podestà, come affer- mano costoro, converrebbe perciò che si chiamas- sero figli suoi. Poiché la legge impedisce di tornare in quella casa , donde uno uscì mancipato ; e solo può ritornarvi, quando nella famiglia, che lo adottava, abbia lasciato un legittimo figliuolo. Sicché da ciò medesimo, che gli avversari hanno condotto a fine, forza è che si trovino menzogneri i contestanti. Che se questi una volta fossero sì scaltriti d'allogare il patrimonio di Eultemone, non si darebbe più facoltà a Cherestrato di chiederlo per diritto : ora però i giudici proibendo, che convenga loro il contrastare a quello, non solamente osano di domandarlo, ma voi- 3;i6 Letteratura talisi a un impudente eccesso, contestano pure che | sono questi i legittimi suoi eredi, cui voi avete già ilichiarato non esser tali. Dipoi considerate l'audacia e il niun pudore di Androcle; il quale avendo per se richiesti i giudici della figliuola di Euttemone ereditiera, e della quinta parte del patrimonio del genitore , eh' è sotto lite , nulla ostante ha messo in campo una contestazione, la quale afferma avervi i figli legittimi di esso Eut- | temone. E qui come non si può riprenderlo di fal- sità manifestissima ? Perciocché essendoci di Eutte- mone una prole legittima, ecco che la sua figliuola si dichiara fuori di dritto in succedere all'ereditaggio; questo poi non doversi mai impugnare. Androcle adunque ha fatte queste domande ai giudici: e se ne scopriranno a voi i testimoni. Testimoni. Per la qual cosa venne il contrario di ciò che si registra nella legge; dove si vieta ogni parentela cogli spuri d'ambedue i sessi, tanto nelle sacre, quanto nelle civili cose, fino dal tempo che Euclide teneva il sommo magistrato. Contuttociò Antidoro ferma che sia giusto, che ei possieda i beni di Euttemone e Filottemone, levatili di mano alle figlie di quello e a'ior figliuoli. E cotesta Alce , che confuse e turbò il senno di Euttemone, fattasi potente di molto avere, ingiuria in modo, che confidando ne'sostegni d'Androcle, non solo contamina le affinità di quello, ma la città in- tera. E voi dopo che ne avrete i segni certi, ravvi- serete facilmente la sua follia. Tu porgimi questa legge. Orazione d' Iseo 3 17 Legge. Queste sacre parole della legge (9), o giudici, voi ordinaste che fossero venerate in guisa, che riputaste cosa di gran rilievo l'onorare queste due iddie, sic- come gli altri numi. La madre nulladimeno di questi fanciulli, per consentimento comune stata una schia- va, e dato tutto il suo vivere a ogni vergogna, non dovea metter piede in quel tempio, ne affissar gli oc- chi nelle cose dentro: tuttavia ne'dì solenni a quelle divinità osò d'ir dietro alla processione , condursi nel tempio, e mirarvi ciò che non l'era lecito (io). E che su la mia lingua non istia la menzDgna, voi Io saprete dal decreto , che fé il senato sopra essa femmina. Tu togli il decreto, Decreto, Bisogna dunque , o giudici , che vi volgiate a intendere, se convenga a questo Euttemone qui pre- sente, nato di quella femmina, rendersi erede legit^ timo di Filottemone, ed appressarsi ai monumenti dei padri altrui, per fare libazioni ed altre cerimonie sa- cre su le ombre degli estinti; ovvero che questi, il quale fu generato dalla sorella di Filottemone, e fu adottivo dello zio materno, diventi ereditario. Fa an- che di mestieri, che consideriate se la sorella di esso F'ilotlemone, moglie che fu di Cherea, e or n'è ve- dova, debba cadere in podestà di Androcle, e si al- loghi con cui voglia questi ; 0 si rimanga priva di altro marito fino all' estrema età ; oppure che una figliuola legittima dello estinto Euttemone venga 3i8 Letteratura giudicata da voi , secondo il parer vostro, a cui si abbia a rimaritare. Che in ciò dimora la sentenza che voi oggi darete. Poiché il contestare degli av- versari intorno all' esser vota e da impugnare l'ere- dità importa, che i congiunti di Euttemone corrano un pericolo di rimaner fuori di lei; e costoro ben- ché vadano lungi dalla lor meta in questa causa , pure se parrà degno di litigio quel patrimonio, egli- no, dico, tornati in questo luogo, combatteranno per esso la seconda fiata. Che se Filottemone avesse fatto un testamento contro alle leggi, con giustizia allora potrebbe Androcle contestare, che non si conveniva a quello l'adottamento di Cherestrato in suo figliuo- lo: ma se egli potea testare con diritto, né Andro- cle ciò niega, anzi ammette col suo discorso il te- slamento di lui, e che le suslanze ne furon legate a Cherestrato ; non doveva porre impedimento il predetto Androcle ai consanguinei di Euttemone so- pra l'ereditaggio, coll'affacciare avanti quella conte- stazione ; sibhene doveva fare con noi pialo su la giustizia di questa causa. Inoltre con quale altra maggiore sicurezza si può riprenderlo di mentite contestazioni, che facendoglisi incontro con lai pa- role ? Donde sapesti, o Androcle, che Filotlemone non testò, né si tolse Cherestrato a suo proprio fi- glio? Imperocché di quelle co6e,a cui uno assiste, può egli bene testimoniare; a cui però non è pre- sente, e ne ode soltanto, può essere testimonio di udita senza più. Tu nondiméno, non convenuto a questo fatto, hai con molta gagliardia contestato, che quegli non iscrisse testamento, e che senza prole s'uscì di vita. Quantunque, o giudici, come lo potea conoscere? Quindi bisogna che tutti voi bene trat- Orazione d' Iseo 3i^ tiate quegli affari, a cui uno non venutto, dice tut-, tavia di intenderli. Essendoché egli non ardirà di pronunziare, comechè niun rossore gli tinga il volto, «è essere stato dinanzi ad ogni fatto di Filottemone, e averne saputa l'intera vita. Conciossiacliè meglio di ogni altro , lui ebbe Filottemone a nimicissimo per la sua malvagità; e perchè solo de'congiunti di lui si accostò ad Alce , affine di por le insidie ad esso Filottemone, a'suoi fratelli e alle sue germane, non che alle loro facoltà, siccome io già vi ho di- chiarato. Sopra tutto poi muove a odegno la lor maniera di male usare il nome dello estinto Eultemone, avo materno di Cherestrato. Che se, come favellano essi, non si addiceva a Filottemone di chiamare nel te- stamento 1' erede del padre suo, era forse più con- veniente, che gli succedessero nel patrimonio le sue figliuole, che a pubblica confessione sono legittime, e noi che veniamo da queste; ovvero quelli, cui non isJringe niun parentado con esso Eultemone? I quali non pur da noi sono convinti di non esser congiunti con lui di sangue , ma eziandio da' nostri avversari medesimi loro tutori. Imperciocché prego e supplico lutti voi, o giudici, a tenere nella memoria vostra ciò che dianzi v' ho dimostralo : come cioè cotesto Androcle dica essere tutore di quelli, avuti per figli legittimi di Eultemone , e chieda per se il retaggio e la ereditiera figlia di lui. Le quali cose tutte già vi furono aperte dai testimoni. Sebbene come non si ha a dire indegno e grave , per gì' iddii del cielo , che essendo costoro una legitlima progenie, domandi per aè il tutore l'eredità del padre loro e la figliuola erede ? E se non sono legittimi, eh' egli contesti il 320 Letteratura contrario ? Questi fatti cozzano in fra loro . Onde non solamente si deduce dalle parole nostre , ma dalle sue medesime opere, lui avere profferita una bugiarda contestazione. E mentre ninno, protestando che l'eredità non è vota di erede, soccorre a Che- restrato; ma questi la si domanda dirittamente: An- drocle per contrario leva tutti dal diritto di chie- derla; e contestando fortemente, che questi figli sono legittimi, pensa essere bastevole il discorrere dinanzi a voi cose lontane da questa causa. Per tale modo procura di farvi chiaro ciò di cui bisognerebbe che v' istruisse , o leggermente il tocca : e incontro a noi gitta contumelie con voce alta, e grida che Cherestrato e suoi affini sono agiati di ogni ricchezza, se poi esserne sprovveduto. Ecco le arti, onde studia di dimostrarvi, che quegli sono legittimi! Ma se Cherestrato e i suoi parenti riboc- cano di dovizie, ne fanno più larga parte alla patria, che non a se medesimi. Poiché Fanostralo ha sette volte sostenuto l'ufficio di capo de'triremi (n); ha splendidamente portati gli altri incarchi per la sua patria; e vinse assai vittorie teatrali: e questo me- desimo figliuolo suo, ancor fantino, fu alla testa dei triremi; condusse i cori delle tragedie, e il ginnasiar- cato nel giuoco delle faci; e tanto egli quando il geni- tore porsero molto danaro fra i trecento più ricchi della città. In quel tempo fecero tali offerte Fano- strato e il suo maggior figliuolo : ora poi anche il minore regge i cori tragici; scritto è ne' trecento , e di suo avere porta al tesoro del comune. Sicché non sono essi degni dell' altrui livore , ma questi contrari nostri, in fé di Giove e Apollo, se si tar- ranno quelle sustanze a loro non convenienti. Per- Orazione d' Iseo 32' ciocché Cherestralo , se voi lo direte successore di Filollemone, vi dispenserà le sue ricchezze; farà tutti gli uffizi pubblici , come ora e meglio : questi per contrario, presa l'eredità, e inghiottitala, insidieraiino appresso anche alle altre. Prego adunque voi, o giudici, a non ingannarvi, e ad avere in mente la contestazione degli avver- sari, sopra alla quale dovrete giudicare; e a costrin- gerli di parlar di lei , come noi ne abbiamo fatto segno di tutto il nostro dire. Che se venne rappor- tato, che Filottemone non testò, ciò si è mostro falso: perciocché noi vi scoprimmo, ch'egli legò a Chere-. strato i beni suoi: e del testamento hanno attestato coloro, che furono presenti allora che si scriveva. Ma che altro han riferito in giudicio gli avversari, se non essere morto Filottemone senza figliuoli ? E come uno si muore privo di questi , dopoché adottò un nipote, al qual le leggi danno l'eredità, non altri- menti che a'propri figli di luì ? Conciossiaché sono pianissime le parole della legge , la qual dispone , che da uno essendosi adottato un figlio, e poscia ge- neratine altri, il primo, comechè adottivo, sia parte- cipante delle paterne robe, e insieme cogli altri tìgli legittimi succeda a quelle. Che se questi sono pro- le genuina, come ognun di voi è di suo padre, ciò venga da Androcle confermato : essendoché non è legittimo colui , del qual si dica il solo nome del- la madre ; ma lo sarà , se venga recato in mezzo il testimonio dei consanguinei, dei cittadini e dei fratori, i quali sappiano avere la sua genitrice abi- tato con Euttemone, od ascoltarono, o conobbero, che egli spese pubblicamente per questa seconda con- sorte sua {12). In fine domando io: Dov'ella è sep- G.A.T.CI. 21 3i?a Letteratura pellita, e in quali monumenti? Chi vide Eutlemone celebrare le funebri costumanze su l'ombra di lei ? Dove i suoi figliuoli , che ancor ci vivono , fanno libazioni e altre cerimonie alla madre estinta? Quale de' nostri cittadini o de' domestici di Euttemone ha tali notizie? Questi sono argomenti della causa; non mica le villanie, che essi ne hanno gittato in faccia. E se, o giudici, domanderete d' essere informati di questi fatti, com' eglino ve li han toccati sul prin- cipio della contesa, voi certamente darete un santo e giusto voto: e a Chère&trata, nonché a' suoi, sarà Fendala ogni ragione. DICHrARAklONI Albero deUa]fàmiglia di Filottemone. Euttemone cefìsiese Filottenìone Ergamene Egemone Figlia Figlia | la cui eredità sposa di sposa di | viene impugnata Cherea Fanostrato ! • ! ; Figlia j I I TI ! Che restrato Figlio 2.j figlio di Filottemone per adozione, e che ' domanda l'eredità del suo adottante contra un certo adulterino, che si diceva Hgliuolo del cefìsiese Eultemoue. Orazione p' Iseo SaS (i) Nota il Reiscke, che questa orazione fu della durando la guerra del Peloponneso, non molto appresso la rotta avuta iu Sicilia. Ma io.«on so accomiiiodaniii a ijuestp suo giudizio, quan- do leggo in Dionigi d'AIicarnasso, iu Plutarco ed in Fozio, che Iseo fioriva dopo quella guerra. (■j) La figliuola di EuUemone, moglie che fu di Cherea. (3j Solone concedè questo diritto agli abitatori solamente na- tii di Atene, e non a quelli che venutivi d'altronde erano poscia ricevuti nell'ateuiese cittadinanza. Petit, Legg. alt. 6, 6, 3. (4) Androcle diceva, che Euttemone generò due -figliuoli da una seconda sposa : ma Cherestrato gli si contrappone , affer- mando, che quelli erano adulterini. Poiché mostrandosi in un passo della orazione, che Euttemone, sebbene sopravvivessero la sua prima sposa e i figli di questa , voleva nondimeno sposarsi alla sorella di Democrate afidneo; anche i legittimi figliuoli, ve- nutigli della seconda moglie, poteano con giustizia contendere del patrimonio, giusta la legge attici), la quale ordinava , che tutl'i figli legittimi succedessero egualmente all'eredità. Però Cherestrato e Fanostrato provano, che quelli erano figli natura- li; e lo sostengono con dire, che niun domestico di Euttemone , niun cittadino e niuuo de'fratori ebbe mai notizia, che esso Eut- temone si ammogliasse di nuovo; che facesse le comuni spese per queste nozze; né celebrasse i funerali alla seconda sua consorte. I quali argomenti erano di grande peso per dimostrare il contra- rio delle parole degli avversari. Questo luogo ho voluto sporre, tanto per più chiarezza dell'orazione, quanto per confermare con questo passo d'Iseo l'opinione, già messa in campo da dotti critici, che in Alene era permessa la bigamia. (5) Il Valesio espone questa voce xcu'piov, o xot/fJioy, una vit- tima, od altro sacro presente offerto nell'occasione, che si regi- strava nel libro de'fralori il nome de' giovani ateniesi. Vedi la dichiarazione quarta della orazione seconda. (6) Qui ho letta e tradotta non la voce ^uflov,ma xovpioìi, se- condo l'autorità del Valchenario. (7)j Solamente il primogenito de' due supposti fanciulli fu tenuto per figliuolo da Euttemone', ed instituito erede suo: e perciò qui si tratta solo della causa di lui. (8) Questo porto era congiunto col Pireo, detto dall'eroe Mu- nico, e murato da Trasibulo. Ivi s'innalzava un tempio sacro a Diana. Meursio, Del Pireo, g. (9) L'ufficiale pubblico aveva letta una parte del diritto at- lico, riguardaute le feste di Cerere e di Proserpina. 324 Letteratura ^lo) Se uno ateniese davasi alle nefandezze di Venere^ ca- deva' da tutti ì sacri e profani dritti egli e i discendenti di lui. Petit, Leggi alt. 6, 5. (il] Vedi la dichiarazione quinta della quinta orazione. (i:]) Vedi la decima e dodicesima dichiarazione dell'orazio- ne terza. Giuseppe Spezi. Della riverenza che Dante Allighieri portò alla somma autorità pontificia. Discorso recitato il 27 maggio 1B44 nell'accademia tiberina di Ro- ma dal P. Giambattista Giuliani C. R. Somasco. D, ura, gravissima, incomportabile cosa egli è, si- gnori prestantissimi, che ne' moderni tempi, in cui tanto vien sollevandosi onorato il nome e dilatan- dosi fervente lo studio di Dante, v'abbia ancora in taluni il malvagio ardimento di oltraggiarlo in quello che a lui fu massimamente diletto e riverito, cioè la religione. Che i seguaci dell'insolente Lutero , cer- cando sostegno alle mal ferme loro dottrine, torcano le parole del gran poeta alla peggiore sentenza, non fa maraviglia: ma grandemente è a stupire, che uo- mini nati e cresciuti in grembo alla fede cattolica ed illustri per molte lettere e (lo dico o il taccio?) che italiani, lacerassero, ne si rimangano dal lacerare la fama dell'AUIghieri procacciando con sudate fati- che di convincerlo poco meno che macchiato di ere- tica nequizia. Ove si attenda alle loro deliranti fan- tasie, Dante si vuol tenere non alti-imentì che un Dante e autorità' pontificia SaS messo venuto dal cielo per illuminare le genti, per riordinare, mediante le ispirazioni di colassù deri- vale, la religione di Cristo e per riConnare dalla ra- dice il cattolico dogma. Quindi l'ardilo e franco per- cuotere che ei fa l'autorità de'sommi pontefici: quindi il riprovare continuo i mali usi introdotti nella Chiesa: quindi il dispregio di molti riti che noi ve- neriamo per santi, ed altre siffatte menzogne gli vanno imputando : e cosi poi si avvisano di aver provato, che egli esercitò gli atti del divino officio a cui, la mercè di s. Pietro, si era fatto ordinare. Male av- venturato Allighieri! dopo un vivere pieno di lun- ghi, gravi e faticosi affanni, né eziandio nel sepolcro trovasti la tanto lacrimala e sospirata pace! I tuoi poco veggenti amici ti danneggiarono in vita, non ti risparmiano in morte! Ma no: che la credenza pro- fessata dal divino poeta non è quella di cui vantansi i novelli riformatori e che si predica da pochi tra- volli intelletti, no: e le sue stesse parole sieno sug- gello da sgannare ogni uomo. Tutte ben io vorrei qui ordinatamente recarle al vostro pensiero, o signori pregiatissimi: ma poiché la strettezza del tempo mi obbliga , ne ricorderò solo quel tanto che vaglia a dileguare ogni dubbio sopra quel massimo punto, ÌL quale più si contrasta, ma non per questo lascia di esser men vero: ed è, che Dante giustamente riverì la somma autorità del pontefice romano. L'argomento non parmi indegno di voi, genti- lissimi ascoltanti: ed a ciò solo e non al poco vi- gore delle mie forze riguardando, mi lasciai condurre a trattarlo. Nò vi ritraggo all'attenzione: perchè te- merei non venisse offesa l'altezza del vostro ingegno e la vostra bene ordinata patria carità se, avendo a 3l6 Letteratura parlare di Dante, mostrassi pur lieve e lontano so- spetto di trovarvi mal disposti a sentirne magnifi- care le Iodi. Ponendoci da capo, giovi richiamare alla mente che, giusta la definizione stessa di Dante, la rive- renza altro non è che una confessione di debita soggezione per manifesto segno (i); e questa ri- verenza così intesa, egli, il gran poeta, la portò gran- j dissima verso l'autorilà del sovrano pontefice. Chi voglia scorrere per intero la Commedia con animo non occupato da passione e libero da ogni pertur- I hazione che ne possa ingannare o ingombrare il giu- dizio, comprenderà assai di lieve che Dante non parla mai del papa senza fregiarlo di que'nomi o di que' titoli onorevoli che a buon diritto gli si apparten- gono. Poiché ora lo chiama il gran prete , il som- ' mo pastore che a lutti precede e si fa guida (2) ; ora lo denomina romano pastore, e, ciò che torna quasi ad un medesimo, pastore o marito della chiesa, é questa a vicenda la dice sposa di lui (3). Rico- nosce egli nel sommo pontefice il vicario di Cristo, il successore del maggior Pietro, il prefetto del foro divino, il capo e padre di quanti seguono l'insegna del Redentore (4). Di qui l'attribuire a s. Pietro i gloriosi titoli di alto primipilo, di gran viro a cui nostro Signore (i) Con trat. 4j c- 3. (2) Inf. e. 27, V. 70 — Purg. e. 16, v. 97, e too. (3) Purg. e. 20, V. 22. — laf. e. 19, v. 57 e i ir, e in più altri luoghi. (4) Purg. e. 20, v. 88 — Inf. e. 2, v. 24 — Par. e. 3o, vcrs. "2 — Purg. e. 8, v. i3i — Mon. lib. 3 — Lett. ai cardinali e ai fiorentini. Dante e autobita' paNxiFiciA 827 concedette le cliiavi della gloria eterna, di primizia che Cristo lasciò in terra de'vicari suoi (i); di qui l'accennare al papato, quando col nome di sommo e santo officio ; quando col ricordare le sommiB chiavi, il gran manto, e persino il grand» rifinito (2). E come tuttociò gli sarebbe uscito della penna, se per gran maniera ei non senlivasi ripieno il cuore e trasportalo dalla somma venerazione alla dignità, a che Cristo sublimò s. Pietro, e dopo questo gli altri suoi vicari ? Veggasi or bene gli eretiici e> chi dalla costoro legge ne'suoi costumi non si dipacie, veggasi qual diverso linguaggio \ìsiw> vccso la Yenefasd» maestà del trono pontificale. AUro ftoa si od^ per le loro bocche che voci d'infamia, parole di spifegio» ed accenti si orribili, che la mente mal può. rioor-? darmi, non che reggermi il cuore a proferirli. Ge-r losi custodi, com'ei si fanno, delle dplt?ine dantesche» prendano in ciò a seguirlo: e la ciptiesìN si vedrgi Uet^ gioire nel ricondurre all'ovile le pecorelle §mai?rite. Ma a quelle sole e semplici significazioni di riverenza non si rimase l'alto poeta ; poiché, Gom-»' preso veramente di quell'ossequio dovuto al son[imo capo della chiesa, egU condannò al fuoco degli es meas : intendeva di tutti e quanti i cittadini dell'impero, e però della cittadinanza roma- na sparsa nell' universo orbe ( universus orbis: s. Luca. ). Nel Convito al capo citato, Roma viene indicata col nome di nobilis- sima citta romana, prendendosi questa nel significato del seme gentile uscito da Enea che poi fondò Roma.,, Enea venne da Tro- ia in Italia, che fu origine della nobilissima città romana.,. Che più? Nella Monarchia e nella lettera ai fiorentini, il governo dell'impero prende il nome di civilitas romana e di civilitas uni- versa. Ciò posto, per tenerci al consiglio del p. Fonia, si dovreb- be mettere idest nobilissimam ciuitateni, o solo civitatem nempe tra ovile e romanam , e ridurre il costrutto a questa guisa .... Pasce sacrosanctum ovile, scilicet nobilissimam civitatem romanam, cui ec che in sentenza verrebbe a dire; Pasci il sacrosanto ovile, cioè pasci la nobilissima città romana, ossia l'impero uni- versale di Roma, ossia tutti e quanti i nobilissimi cittadini ( l'or- be universo ) soggetti all'impero di Roma, cui ec. In questo sen- so leggesi nel Purg. e. i3, v. 94, che ciascuno è cittadino d' una vera città: la quale non è altra che quella dove regna l'impera- tore. Se questa non è la sana lezione, certo si conforma tutta ai principi! di Dante, che solo ne porge in mano il filo per non ismarrirci in simiglianti investigazioni. 353 Dissertazione sulV antico Iseo , o tempio (V Iside. Lllorche, etninentissimi principi, onorandi accade- mici, allorché i non pria tentati recessi di scabra rupe SI aprono alle percosse del ferro indagatore . o dal frequente solcar dell'aratro schiudesi ascosa volta d'an tico ipogeo, nel rinvenir fra la polvere confusi i nu- mi del gentilesimo cogl' infranti simulacri degli uc mmi, risvegliasi in mente il pensiero di Clemente Alessandrino, onde movea agli stolti idolatri poderosa guerra dicendo: E non vedete, che i vostri tempii sono 1 sepolcri dei vostri dei (i) ? Bene sta perciò, che confusi colle ossa degli estinti mortali si dissotterrino 1 simulacri de' falsi numi da essi fabbricati , a'quali gh stessi sibillini oracoli minacciarono estrema fatai rovina , come in particolare d'Iside si vaticinò : O Iside tu muta e sola farai naufragio nell'onde del Nilo e nelle bolge acherontée : /.,• dea, in Nili tu undis injausta manebis . sola et voce carens (2). Torna quindi sempre glorioso alla verità il mirarsi a' piedi 1 laceri avanzi della menzogna, come flutto che s'in- Irange a un immobil rupe, e come tenebre, che sfug- gono e s. annichilano all' aparire del sole. Torna eziandio proficuo all' archeologico sapere, che rovi- (1) Admop. ad gentes pag. aS. Lugd. 1606. (3) Loc. cit. G.A.T.CI. , 23 354 Letteratura stando in quelle sotterranee latebre , si fanno più chiare le idee mitologiche e storiche , e osserviamo che i medesimi padri e dottori della Chiesa non isde- gnarono trattare argomenti ricavali dai miti e da fa- volose teogonie, come Clemente iVlessandrino, s. Giu- stino martire, Tertulliano, s. Agostino ed altri illu- stri apologisti della fede cattolica , nelle opere dei quali si rinvengono cenni importantissimi sulle an- tichità profane. E noi ci siamo giovati specialmente degli aurei libri della città di Dio di s. Agostino, per chiarire il monumento isiaco,di cui siamo per par- lare, illustrando l'antico Iseo, su di cui dietro le trac- ce di Vittore , di Rufo, e della notizia dell'impero molti valorosi archeologi già si occuparono, benché non così diffusamente, da render superfluo ogni ul- teriore lavoro. Ognun sa quanto interessi lo sqult- tinio della topografia di Roma antica, ma nel tempo medesimo in mancanza di positive memorie quanto sia difficile definire e precisare le antichità parte distrutte, parte sepolte profondamente sotto l'attuai suolo. I fram- menti capitolini ci danno un lume interrotto da tene- bre, che coll'aiulo degli scavi ci guida almeno ad una approssimata idea delle passate magnificenze. Giovan- doci noi pertanto de' nobili studi di chi ci ha pre- ceduto, del Fulvio, del Nardini, del Bellori, del Mar- tinelli, del Melchiorri, del Nibbj, del Canina, e di altri, abbiamo giudicato ben fatto riunire come in un punto di vista quanto su questo antico tempio d'Iside si è potuto sapere e congetturare , aggiungendovi le riflessioni, che abbiamo fatte noi stessi, per proporle al vostro pili illuminato intendimento. Neil' anno 1840 dovendosi riparare e restaurare in molte parli la biblioteca casanatense, si sono falli Antico Iseo 355 gli scavi per innalzare un muro di fortezza e so- etegno al fianco settentrionale. Si giunse alla piofon- dilà di circa trenta palmi, nella lunghezza dioltanla. Mossi dalla archeologica curiosila abbiamo falle molle indagini, ma non così felici, come si sarebbe potuto operare: giacche l'acqua che sgorgava da occulti meati, il pericolo di danneggiar vieppiù i fondamenti mi- nacciosi, hanno impedito tali ricerche. Nulladimeno abbiamo potuto notare vari muri antichi, che inter- secavano quelli della biblioteca, allri ad angoli retti, altri ad angolo obliquo , e che mostravano il loro prolungamento nell' area della biblioteca medesima. Tra questi vedeansi degli indizi di un' absida , o se- zione curvilinea rientrante nell' area suddetta. Sa- rebbe ben temeraria impresa congiungere cosi dispa- rate sezioni, per fabbricare arbitrarie ipotesi, e de- terminare l'assieme di elementi così confusi. Tutta- via mi sembrò non improbabil congettura, che questi siano avanzi dell' antico Iseo, la cui topografica po- sizione dee certamente fissarsi nell'area casanatense, secondo l'opinione de' più accreditati scrittori. Ma prima conviene favellar del culto isiaco, in- torno a cui non convengono nel definir l'epoca, quan- do s'introdusse in Roma. Su di ciò fa d'uopo os- servare, che a proporzione che l'aquila latina sten- dea vittorioso il volo, andava crescendo la supersti- zione romulea, addottando i riti e gli dei delle vinte nazioni, sicché parca che in un sol centro si unis- sero le immense fila dell' impero e delle false reli- gioni della terra, perchè succedendo al falso il vero, alle tenebre la luce, si disponesse il mondo a rico- noscere e venerare sul Tebro il centro della verace Unità religiosa, e il soglio de' cesari a'success^ori di 356 Letteratura Pietro servisse di sgabello a'piedi. A questa cattolica verità doveano portar tributo le stesse gigantesche moli del gentilesimo , sulle quali passeggiando da tanti secoli il tempo distruggitore, rimangono ne'loro avanzi siccome argomenti di quel vero eterno, di cui fu Roma onorata da Dio , e avanti a cui l'orgoglio umano non è che polvere. Quindi dagli stessi antì» chi tempi, da'simulacri, dalle stele, dai circhi, dagli obelischi , da tutte le reliquie dell' estinta idolatria sembra uscir juna voce, un eco concorde, che tutte ammonisce le nazioni della terra, esser Roma catto- lica V unico centro della verità e della salute. Che se la vinta Grecia ingentilir seppe i suoi medesimi vincitori, e recar sul Lazio agreste le arti e le scien- ze, assai più dovea l'Egitto portarvi i suoi tributi, es$endo l' antichissima sede del sapere e de' culti , che più tardi passarono negli ellenici campi , atte- standoci Atenagora, che Iside è l'Io presso i greci : Jsis est Io apud graecos: perchè essi dall'Egitto tolsero i nomi de'loro dei: y4b istis ad graecos deo- rum nomina pervenei'unt [ì). Anneo Lucano, apo- strofando il Nilo nell'ottavo libro della Farsaglia, cosi sfoga il poetico sdegno : Nos in tempia tuam romana accepimiis Isin Semideosque canes , et sistra iubentia luctns^ Et quem tu plangens hominem testaris Osirim. Tu nostroSf Aegjpte^ tenes in pulvere manes (2): (i) Legalio prò chrislianis. Inter op. s. Justia. Paris. 174^ pag 3o6. Vide eliam Herodotuni L. 2. e. ^'. (2) Civ. belli L. VII- y. 85i. Antico Iseo 3S7 alludendo nell' ultimo verso alle ceneri di Pompeo inonorate e neglette. Il perchè opinano alcuni (2), che s'introducesse in Roma il rito isiaco nel sesto se- colo dopo la fondazione di Roma, e che ne fosse espulso nell'anno 696, e che poi vi si ristabilisse pel favore di Antonio. Tiberio al contrario, irritato per le scelleran- ze de'sacerdoti d'Iside, li fece crocifiggere, come narra Gioseffo Ebreo nel XVIII libro delle antichità giudai- che, e distrusse il tempio di quella dea. E nel settimo (cap. V. n. 4« pag. ) della guerra giudaica scrive, che l'imperatore Vespasiano col figlio Tito pernottò nell* Iseo la sera innanzi il suo trionfo giudaico. Ecco le sue parole molto notabili: «Cum autem mililes omnes, M dum adhuc nox esset, per turmas atque ordines » progressi fuissent sub ductoribus suis, et circa ia- » nuas costitissent, non palatii superioris, sed prope » Isidis templum ( ibi enim imperatores nocte illa » quiescebant ) cum iam primo diluxerat foras pro- » ducunt Vespasianus et situs lauro quidem coro- » nati , amicti vero patria veste purpurea , et ad » Octavlae ambulacra progrediuntur ». Ma sotto Ne- rone i misteri egiziaci rifiorirono, e per opera di Ve- spasiano, Domiziano, Adriano, Commodo, Caracalla, Giuliano vi proseguirono fino alla caduta estrema della idolatria. In fatti Sparziano di Antonino Caracalla dice : Sacra Isidis Romam deportavity et tempia ubique magnifica eidem deaefecit (2). Dalle quali parole (1) Nlbby, Roma e suoi contorni, par a. antica pag. 674- (a) Adii Sparlian. In Anton. Carac. IX. ."^SS Letteratura argomentarono taluni , che fosse Caracalla il primo institulore in Roma del culto d'Iside: ma l'insussisten- za di tale opinione si dichiara da Lampridio, che scrive di Commodo Antonino, che nelle feste isiache si mo- strasse ardentemente devoto : Sacra Isidis coluit^ ut et caput raderete et Anubin portaret (^i), Sve- tonio di Domiziano attesta, che sacra Isidis saepe in Unteareligiosaque veste propalam celebravit (2). Apparisce anche dall'apologetico di Tertulliano, che il tempio d'Iside ahbia sofferto in Roma varie vicende, ove allegando Varrone scrive: Serapidem^ et Isidem, et Harpocratem cum suo Cjnocephalo capitolino prohibitos commemorat Varro^ eorum- (jue statuas deiectas . . . his itaque mirum si ho- stias easdem mortuisy quas et diis ceditis (3). Ne solamente è slato soggetto a molte vicissitudini, ma il culto isiaco in Roma pagana si era propagato as- sai , sicché quella dea ci viene ricordata con vari nomi , secondo i quali si opinò in seguito che al- trettanti avesse templi ed are. Così Vittore pone Iside Atenodoria nella duodecima regionej su di che qual- che antiquario suppose edificato un tempio partico- lare da Caracalla, perchè tra la chiesa di s. Sisto e le terme antoniniane si rinvenne un frammento di lapida con tale inscrizione: Sae culo felici Isias sa- cerdos Isidis salutaris consecratio (4). Altri però esaminando il monumento pensò non alludere quel (i) Aelius Lampr. in Commodo Anton, cap. IX. (2) In Domiti, e. XII. (5) Tcrtul. Apologet. pag. 7 et 47- Luteliae. (4) Pitiscus Lex. Antiq. Verbo Jiis. Antico Iseo 35g marmo a un tempio, ma piuttosto a una statua colà eretta secondo l'antico costume ; onde co'simulacri adornavansi e denominavansi le piazze e le con- trade : l'appellazione dì uitenodoria derivare dallo statuario Jtenodoro annoverato da Plinio (i) tra i discepoli di Polìcleto, che fu uno de' celebri scul- tori elle lavorarono alla famosa statua del Laocoonte, precipuo ornamento del palazzo di Tito, ed ora del faticano. Un'altra Iside Patricia viene collocata da Vit- tore nella quinta regione; ma anche questa credesì una statua inalzata da Augusto nel vico denominato patrizio, come apollo sandaliarius, Iiippiter tra- goedics sono nomi di statue con particolari simboli. Così Iside Pelagia fu rinvenuta in vetusto marmo scoperto fuori di porta Flaminia, allusivo certamente alla invenzione della navigazione: sotto la quale al- legoria era venerata grandemente in Corinto, al ri- ferir di Pausania. Fuvvi anche Iside Faria da Faro isola dell'Egitto ricordata da Grutero (2); così Iside regina^ Iside trionfale, e con altre simili appellazio- ni, le quali indicano o statue, o are, o edicolette, o analoghi monumenti isiaci, che non possono in modo alcuno convenire coll'Iseo, il quale sembra significare il più grandioso delubro di quella dea , che avesse Roma pagana, di cui ora discorriamo. Omesse per- tanto tutte le altre opinioni raccolte dal Fulvio (3) e dal Montfaucon (4), noi ci attenghiamo all'autorità (i) Plin. XXXIV, 8. (2) Pag. 84, n. 1. (3) Lib. V, pag. 88. (4) Itiner, e. 8, pag. iii et iSg. 36o Letteratura di Vittore, il quale nella si rinomata descrizione to- pografica di Roma (i) pone, nella IX regione, vicini V Iseo^ il SerapeOi il Minervio. Noi però portiamo opinione, che non già fossero posti in linea retta , ma che formassero quasi un triangolo, il cui vertice fosse l'Iseo : il Minervio un lato che si protendea vicino al Panteon, o alla Rotonda: l'altro lato, for- mato dal Serapeo, si estendea nella direzione di santo Stefano del Cacco. Rapporto al Minervio piacque ad alcuni, dopo il Nardini, di collocarlo in retta dire- zione dietro l'Iseo. Noi dopo lunghe osservazioni ab- biamo creduto , che fosse piuttosto situato nel pic- colo chiostro, e non nel grande, più vicino cioè al Panteon, e all'area dell' attuai tempio minervitano, cosi chiamato appunto perchè o in tutto, o in parte è sopra di esso fabbricato, onde ebbe il nome supra Minervam secondo la più accreditata opinione. Lad- dove in quella ipotesi assai distante sarebbe posto il Minervio , essendoché l'Iseo sarebbe stato medio, e piuttosto sopra Iside^ che sopra Minerva si sareb- be appellato , giacché l'Iseo ergeasi nell' area casa- natense conligua alla chiesa. Né ostano le terme di Agrippa: perchè l'area ad esse assegnata è soltanto ipotetica , e di approssimazione , mentre la nostra opinione si appoggia a più positivi documenti. Infatti due erano nell' antica Roma i più rinomati tempi di Minerva : uno era l'avenlinense , che nelle fab- triche dell'Aventino era quasi unito a quello di Dia- na, situato, secondo i frammenti capitolini della icno- (i) Pubi. Vici, inter script, hist. rom. tom. 2, pag. 698. Antico Iseo 36 i grafia illustrala dal Bellori (i) e dal Canina, presso il portico di Cornificlo, che ora corrisponde a'confini della vigna Specchi. L'altro, più propriamente detto MÌ7iervio, era posto nell'area occupata ora dalla cliiesa di santa Maria sopra Minerva detta campense, e da Rufo Minerva vetiis cum luco, costruito da Pom- peo l'anno 692 di Roma, giusta la iscrizione ripor- tata da Plinio (2). Il Fulvio lo confonde con quello di Minerva Calcidica, che fu edificato da Augusto, secondo Dione: e asserisce di averne veduto ancora gli avanzi , e che nel 1527 per opera di Clemen- te VII vi furono fabbricate delle celle: Extant (co- sì lasciò scritto ) undique eiiis templi parietes {jfuadratae, et oblongae formae sine tecto : erat enini templum magnani, testudinatuni^incriistatumy multisque ornamentis decoratum. Visitar adhuc eius forma in hortis fratram. prcdicatorum etc. In un antico codice inedito della casanatense si de- termina più chiaramente il Minervio: laxta Pantheon erat templum Mineivae, quod est nane ecclesia praedicatorum, et adhuc sunt ibi colamnae (3). Il Nibby, avendovi fatto molte ricerche, lasciò scritto che oggi non ne rimangono affatto le tracce (4). Ciò è vero riguardo alle pareti: ma io avendo più (i) Fragm. vet. Rom Tab. i. [1] L. VII. C. XXVI. 5. XXVII. Cn. Pompeius magnus ini- perator bello XXX annorum conJecto,fusis, fugatis, occisis , in deditionem acceptis hominum CXXI. LXXXtlI. M. depressis aut captls navibus DCCCXLVl. Oppidis castellìs MDXXXyiIl in /idem receptis, terris a Maetis lacu ad rubi uni mare subaclis, VOtum merito Minervae. (3) Cod. MSS. Verbo Roma. (4) Rom. aiitiq. part. 2. pag. 680. 362 Letteratura agio di esplorare le domesticlie cose , ho ritrovata verissima la memoria di quello scrittore anonimo, che adhiic sunt ibi columnae. Dieci infatti ne ho po- tuto rintracciare, parte visibili a metà, altre rinchiuse ne* muri ; alcuna di bellissimo cipollino, o marmo euboico, o caristio, la cui sostanza calcare offre lun- ghi e spessi strati di mica. Altre di granito orien- tale , o lapis sjeiiites. Queste colonne sorreggono un dei muri della biblioteca privata della Minerva , e veggonsi nel piccolo chiostro annesso, in forma dì antico cortile. Questo era una volta il monastero delle RR. monache di Campo Marzo, alle medesime con- cesso dal sommo pontefice s. Zaccaria, allorché fug- gendo da Costantinopoli per la. persecuzione degli iconoclasti, si ripararono in Roma verso la metà del secolo Vili. Vi abitarono fino al 1270, finche minac- ciando rovina, lo cedettero a' domenicani sotto Gre- gorio X , i quali vi edificarono il convento e la chiesa. Vedasi il Martinelli, Roma ex eihnica sacra pag. i88.jRowae i653; ove riporta la cronaca del venerabil monastero di Campo Marzo scritta da Gia- cinto de' Nobili de' predicatori , che con molta ac- curatezza svolse le antiche pergamene, che ancor con- servano quelle inclite religiose, che debbonsi perciò considerare come le più antiche e venerande clau- strali. Definito il luogo del Minervio, restano baslevolmen- te determinati l'Iseo e il Serapeo, i quali erano si vi- cini, che vi fu chi li credette un sol tempio (i). Ma è necessario distinguerli: perchè Dione nel descrivere il (i) Vedi Alban. Kircher, Obelis. egypt. cap. 2. Antico Iseo 3G3 terribile incendio, che distrusse tanta parte di Roma, dice che la fiamma si comunicò dall'Iseo al Serapeo. Eran dunque distinti, siccome abbiamo anche in Zifili- no: Serapidis et Isidis Fancr. e in Lampridlo, il qua- le di Alessandro Severo ricorda che : Isiàm et Sera- pium decenter ovnavit^ additis signis et deliciis, et omnibus mysticis (i). L'Iseo perciò può stabilirsi in tal guisa, che cominciando dal chiostro grande miner- vitano si prolungasse nello spazio occupato ora dalla casanatense , e confinasse col Serapeo, su di cui ora sorge la chiesa di s. Stefano del Cucco., il cui mon- ticello è sicuro vestigio di vetusto edifizio. Ciò con- fermano le statue del Nilo e del Tevere ivi dissot- terrate nel secolo XVI , che alludevano all'innesto della religione egizia e romana : e lo stesso nome di Cacca , che deriva dall' immagine del cinocefalo, ci guida quasi per mano a questa archeologica verità. .: Altra prova possiamo dedurne dalla posizione; de'famosi setpi^dX quali, secondo Giovenale, era pros- simo l'Iseo : . ... Si candida iasserit Io, Ibit ad Aegfpti fìnem, calidasque petitas A Meroe portabit aguas^ ut spargat in aedem j Isidis antiquo quae proxima surgit ovili (2). Questi versi, per comune sentimento de'conimenta- tori, indicano il tempio d'Iside prossimo all' ovile , o septi, come pensa Gasparo Veronese nelle sue an- notazioni inedite a Giovenale in un codice mano- (1) Lamprid. in Alex. Sev. (a) Salyr. VI. v. 5q5. 364 Letteratura scritto (i): Quia sepia similia sunt ovìlìbuSf duo heae invicem prò se ponuntur- Cosi Virgilio nella ecloga prima: Quamvis multa meis exiret victima septis\ e Lucano tratteggiando la guerra civile: Tumjlos Hesperiae^ Latii iam sola iuventus Concidit et mlserae maculavit ovilia Romae (2). Alludasi alla strage falla da Siila delle quattro le- gioni seguaci dal partito di Mario e di Cinna, spente a tradimento nella pubblica villa, che era in Cam- po Marzo, per cui i septi o ovili furono inondati d'italo sangue. Questi septi , che , come ognun sa, erano lo spazio ricinto di tavole, a guisa di ovile , e diviso in sezioni dove le tribìi e le centurie adu- navansi ne'comizi per dare il suffragio, dietro gl'ia- segnamenti de'pìù valorosi archeologi (3), si esten- devano assai prossimi al luogo occupato ora dalla casanalense. Poiché erano situati tra lo spazio di Ro- ma odierna circoscritto fra le vie dette del Caravila, del Corso, del Gesù, della Gatta, di s. Ignazio, for- mando un quadrilungo di mille piedi da nord a sud, e cinquecento da oriente a occidente , dove oggi sorgono gl'imponenti fabbricati del collegio romano, dell' oratorio del Caravita, de'palazzi de Carolis, Bo- ria e Verospi , le chiese di s. Ignazio e di s. Maria (1) Cod. MSS. Gas. Gaspar. Veron. in luven. Satyr. VI. (2) Lucati. Civ. Bell. L. 2. 197. (3) Vedi Nardini, Pilisco, Nibby ed altri. Antico Iseo 365 in Via-lata. Ne' frammenti capitolini due ne sono in- dicati, l'uno spettante all'altro, in cui leggesi SEPTA IULIAl: da' quali rilevasi, clic i septi propriamente erano costituiti da un magnifico portico oblongo retto da pilastri quadrati , e chiuso con muri interrotti da finestre. La lor forma poi viene rappresentata da- gli antichi nummi delle genti Licinia, Oslilia e Mus- sidia , e in altri , in cui vedesi ora il distributore delle tavolette , ora i romani togati in atto di dare il suffragio, ora in un ponte che mette nello stec- cato , il quale perciò era probabilmente circondato da un fosso, affinchè nessuno potesse accostarsi di troppo per impedire o turbare le azioni de' comizi. Inoltre ne' sopracilali frammenti si possono con- tare ventotto linee di pilastri, ciascuna composta di sette intercolunni o vani. Aderenti a questo portico da un lato sono fabbriche pubbliche, cioè grandi aree cinte da portici di colonne (i). Ora ognun vede come la posizione ào'septi de- termina quella dell' Iseo prossimo ad essi , e come la linea occidentale de'medesimi passasse vicina all' area casanatense quasi in punto di contatto, per cui un antico interprete di Giovenale in un codice ine- dito spiega la voce proxima per contigua. E tali sono gli spazi occupati dal collegio romano e dalla casanatense, in mezzo a cui prolungavansl que' sì celebri rinchiusi, che portati a perfezione da Agrip- pa furono, secondo Pitisco, in onore di Augusto chia- mati septa iulia (2). (i) Vedi Nil)l)y, Roma ant. p. II, pag. 837 ^ ^^'c (2) Piliscus, Lex. ant. verbo septa. 366 Letteratura Arroge , che anche i monumenti isiaci scavati intorno alla casanatense concordano a provare il no- stro assunto (i). Questi sono una statua di Serapide, e i due obelischi che adornano le piazze della Rotonda, e della Minerva. Quello esistente già sopra rustica base avanti alla chiesa di s. Manto vescovo, e sotto Cle- mente XI trasportato a decorar la fontana erettavi da Gregorio XIII. Questo ritrovato presso il muro meri- dionale della biblioteca accanto al coro della Miner- va, e da Alessandro VII con disegno dell' ingegnoso Bernini collocato su dorso elefantino nella piazza rai- nervitana. I due leoni trovali fra la Minerva e il Pan- theon posti prima dinanzi al Pantheon, quindi nella fontana Felice, e in ultimo trasportati al Valicano. E per tacere di tutti giova rinverdir la memoria dell' ara isiaca illustrata già dall'Oliva, dal Montfaucon, dal Ficoroni e nelle note al Nardini, perchè aggiunge tutta l'archeologica certezza al fin qui detto. Quel si famoso marmo fu scoperto nel 17 19 nello scavare le fondamenta della biblioteca , perchè se ne dovea am- pliare il locale a compierne il paralelogrammo, Leggesi nel primo lato ISIDI SACRVM sopra un'urna, nel cui punto centrale in crescente lunetta sorgono due spi- ghe, e nella superior parte si ravvolge con regolate spi- re il mistico serpe : in alto scorgesi alla sinistra il capo di Osiride, e di un uccello con tracce di tenue vaso. L'altro lato presenta Anubi con testa canina, con piedi alati, tenente nella sinistra la palma e il sec- chiello. Nel terzo fianco vedonsi il disco, la pialla, 0 coltello, colla slagnata, tutti instrumenti liturgici (I) Vedi Donali, Nardini, lib. VI, e. g, pag. 338- Antico Iseo 867 adoperati ne' sacrifici. Nei quarto lato mirasi Arpo- crate, che graziosamente avvicina la destra alla bocca, e colla sinistra sostiene il cornucopia. Quantunque il dottissimo Oliva nulla lasci a de- siderare intorno allo schiarimento della favola, che in quest'ara si rammenta, raccogliendo da profuni au- tori vasta ed acconcia erudizione, pure noi vogliamo addurne la spiegazione rilevata dai sacri apologisti, che facilmente videro il tempio d'Iside da noi de- scritto, e quest'ara medesima. Marco Minuzio Felice, che scrivea sotto l'imperatore Alessandro Severo, giu- sta il parere de'più saggi critici , con robusta elo- quenza e profonda fdosofia convertì Ottavio alla fe- de coli' esporgli la follìa degl'idolatri, e rapporto al culto egizio così discorre : Dispice Isidis ad hi' rundinem sistriun , et dispersis membris inanein tui Serapidis, sive OsiridiSy tiimuliim; considera ' deniqiie sacra ipsa mjsteria : ini>enies exitiis tri- j stes, fata^ funera^ et luctus atqiie plantus mise- ' rornni deorum. Isis perditum filium cum cjno- cephalo silo et calvis sacerdotibus laget , pian- giti inquirit : et isiaci miseri cedimi pectora^ et I dolor em infelicissiinae matris imitantur. I}fox in- vento pannilo gaudet Isis, exuUant sacerdotes , Cynocephalns inventor gloriatur ; nec desinimi annis omnibus vel perdere quod invernante vel in- venire qaod pevdunt. Nonne ridiculum est vel lu- gere qaod colas, vel colere quod luges? Haec ta. men aegyptia quondam, nane et sacra romana sunt (ij. In queste xxiiimQ \yd.vo\e nane et sacra ro- (1) M. Miuutii Fclicis, Oclayius pag. 14. 368 Letteratura mana sunt chiaramente allude alle feste, che nell'Iseo romano a' suoi tempi celebravansi. S. Agostino de- scrive parimenti i simboli e le pompe d'Iside in mo- do che apparisce averle copiate dal vero, e in pro- posito della nostra ara scioglie una difficoltà lascia- ta quasi indecisa dagli illustratori citati. Impercioc- ché nel quarto lato è scolpito Arpocrate, che sostiene il cornucopia con atteggiamento di avvicinare il dito alla bocca. Su di che hanno ideato sentenze con- traddittorie, altri credendolo il dio del silenzio, altri il dio della loquela. Ma il s. vescovo d'Ippona ne' mirabili libri della città di Dio spiega ed illustra quest'ara con termini tali , che ci fanno conoscere averla egli veduta quand'era in Roma: Ecco le sue pa- role : Constitutum etiam de ilio (Serapide), ut qui- squis eum hominem dixìssetfuisse^ capitalem pen- derei poenam. Et quoniam fere in omnibus tem~ pliSf ubi colebantur Isis et Serapis, erat etiam si- mulacrum quod digito labiis impresso admonere videretui', ut silentiumjieret, hoc significare idem Varrò existimat , ut homines eos fuisse tacere- tur (i). Ecco dileguala la nebbia dell'enimma: e per rap- porto al mito d'Iside scrive nel medesimo libro (2): Quid autem sapientiae esse potuit in Jegypto an- tequam eis Isis (3) , quam mortuam tamquam (i) S. August., De civil. Dei lib. 18, e 5. (2) Gap. 37. (3) Crede Dìodoro lib. I, che Iside sia stata un'antica regi- na dell' Egitto , perciò Isin itaXwm interpretetur forsilan ah (£?i\y'. Altri la derivano da D''DV a terrae succo. Altri dalla voce samaritana l'^DN nutrire alere. Vedi Oliva cap. IX^ p. 66. Antico Iseo 369 Deam magnam colendam putaverunt, ìitteras tra- deret ? Isis porro Jnachi Jilia fuisse proditiir , qui primiis regnare coepit argivis qiumdo Abra- hae iam nepotes reperiuntur exorti. Parla lo slesso s. padre anche degli altri simbo- lici segni, che in questo monumento abbiamo nota- to, come sono le spighe, il vaso cereale, il tortuoso serpente, allegorie della coltura e fecondità della ter- ra, che perciò convengono a Cerere, di cui dice: De Cerere malta in mysteriis eius tradii quae nisi ad frugum inventioneni non pertineant (i). Che i simboli d' Iside siano comuni a Cerere lo abbiamo da Apuleio, da Giuliano Florido, da un'iscrizione ri- portata dal Grutero : Isidi fructiferae (2): dai num- mi dell'isola Egialea vicina a Creta, dalla tavola mi- triaca di Lorenzo Pignori (3), in moltissime monete di Appio Claudio, di Alessandro Magno , di Lucio Vero e di- altri, ne'quali il serpente segno de'solchi, le spighe e il moggio segni della fecondità, vengono at- tribuiti a Cerere. E in ciò consentono Erodoto, Dio- doro e Plutarco. Quindi si spiegano que'rovesci nu- mismatici, in cui Iside e Bacco siedono nel medesi- mo cocchio, e incontransi le stesse cerimonie e at- tribuzioni d'Iside e di Cerere. Niun che versato sia nella mitologia negherà, che i segni simbolici non pongansi spesso per la stessa deità significata: quindi nelle rimote epoche della ido- latria rozzi sassi, informi metalli, ridicoli simulacri adoperavansi al culto de'numi. Non è perciò fuor di (i) Civit- Dei lib. 7, cap. 20. (2) Pag. 82, 6. (3) Mensa isiaca. Anislclodami 1669. G.A.T.CI. 24 3^0 Letteratura proposito inlenJere negli emblemi del primo fianco dell'ara Iside slessa, siccome presso il Natali (i), per immagine d'Iside portasi un solo vaso allegorico in una tavola di pompa islaca. Così la luna crescente è Iside adorata dagli egiziani in quell' astro , come Osiride nel sole: per tal motivo i loro templi furono congiunti, e talora erano adorati nel medesimo tem- pio. Da ciò rilevasi uno schiarimento del testo delle lamentose profezie di Geremia, ove dice : •^sn-DK nnya^ nin^m w^:$v n^Pìp^Q n'»;?'? a^'^^^n n?^n^ □''313 niii;^;^ p;^n nwb □'-uJam che la volgala traduce: Filiì collìgimtUgna, et pa- tres succenclut ignein, et muUeres conspergunt adi- pem ^ ut faciant placentas reginae caeli (2). La difficoltà si move sulle parole □''□"On DD'? D? re- ginae caeli, che ì settanta voltarono tv? gpxxKxrou spXvQ militiae caeli ; la parafrasi caldaica N|J13'i? n33ÌDp Sideri o sideribus caeli ; la siriaca I-joa*, ^ixo3-a. militiae caelesti. L'arabico L^^^^Jf Sx::^ ( ilagnadil sciamai) copiis caeli. Il rabbino Kimchi, seguito dal Buslorfio e da Walton, tradusse operi, vel opificio caelorum. Ma si dee stare onninamente alla volgata, comecché quelle varianti possano ammettere un senso probabile. Perchè la voce HD^p regina non deriva già dalla radice 7^^ ° "=1^^^^ legatus nuncius , e quindi nDX?^ opus, come sostengono Kimki e Bu- storfio, ma da "J^IQ regnavit, E infatti Geremia ob- bligato dai ribelli ed ostinati ebrei si portò in Egitto >■ — ■ ■ ^1 m (1) In Cerer. e. 14. (2) lereni. cap. 7, v. 18, e 44> v. 19. Antico Iseo S^i con essi. Ivi rimproverava con santo zelo quel po- polo di dura cervice, che non tardò a seguire il rito superstizioso degli egiziani, adorando Iside simboleg- giata nella luna, come vediamo anche in quest' ara casanatense. Ora gli egizi chiamavano Iside e la luna regina del cielo, perchè dopo il sole era riconosciuta per la più grande deità del paganesimo. Pindaro la chiama occhio della notte; Orazio regina del silen- zio. Essa perciò è l'Iside degli egizi, l'Astarte de'fe- nici, la Militta de'persiani, l'Alidat degli arabi, la Se- lene de'greci, la Diana e la Giunone de'romani. Per censeguenza viene chiaramente confermata la volgata a preferenza dì ogni altra versione, e si determina il significato radicale dell'ebraica voce riiD^'t; in senso di regina ne'vari testi biblici, in cui trovasi adope- rata. Il Grutero reca una lapide votiva alla luna e Iside , Lunae et Isidi. In pari guisa Osiride è lo stesso che Serapide, come riflette Plutarco (i) : Mi- nime equidem de nominibus est contendendum. Ego tamen Serapidis potius qaam Osiridis nomen ae- gjptios sibi ^indicare sinatn. Illud enim peregri- nunii hoc graecum ; ambo imius dei , seii facul- tatis, vocabula censeo. Da qui i tempii si trovano intitolati a Serapide, e non ad Osiride; e siccome ab- biamo detto, Serapide è lo slesso che il sole, cosi il di lui capo ritrovasi talora radiato. Anche Anubi ha de'simboli comuni a Mercurio, come vedesi nell'isiaco marmo ne'piedi alati. Il capo canino significa la sagacità, la vigilanza del perpetuo custode d'Iside e di Osiride. Forse nella destra ma- no avea il sistro tanto caro a quella dea , che dal »i — — (i) Plutar. in Harpocr. Sya Letteratura movimento tli quell'instrumento indicava le variazioni del Nilo. L'Oliva chiama palma quel ramo che tiene nella sinistra colla situla; ma io lo crederei meglio indicato nella ?nusa, specie di albero assai comune in Damiata, e che Teofrasto ha posto nella classe delle palme. Se è vero, come vogliono alcuni, che di tal musa germoglia un sol ramo in ogni lunazione, non recherà maraviglia, se gli egizi lo abbiano impiegato nella loro simbolica figura, e che le foglie di tal pianta facciano parte dell'acconciatura d'Iside, che non era punto differente dalla notturna luna. La situla pie- na d'acqua, che secondo Apuleio, Yitruvio e Plutar- co precedea nelle solennità isiache, può alludere alle fecondatrici onde del Nilo, ovvero, secondo la fisica orientale, al principio universale delle corporee sostan- ze indicato da Talete nelTacqua. Infine il disco , o patera, la pialla, il nappo e il calice argivo sono ar- nesi abbastanza noti ne'sacrifici pagani, ne richiedono ulteriore spiegazione , bastando a noi quanto abbia- mo detto per determinare la topografica posizione del- l'antico Iseo, Elogio storico di Sebastiano Ranghiasci Branca-t leoni, dedicato al eh. sig. cav. Giuseppe V^incen- zo Dentoni di Parma, socio di molti scientifici e letterari istituti. s e il Ranghiasci altro non fosse stato, che unte- nero amico ed ammiratore del Lanzi, basterebbe que- sto a far sì che il suo nome non si andasse a per- Elogio del Ranghiasci 3^3 dere con quello d'innumerevoli altri obliati per sem- pre. Ma egli non solo fu virtuoso, erudito e degno dell'affetto di tanto uomo : ma per se medesimo dot- tissimo, inteso in particolar modo agli studi archeo- logici, e sovente nelle sue ricerche o di giovamento 0 di sprone all'amico : sicché niun biografo ragiona a lungo del Lanzi senza ricordare il suo Sebastiano. Non riuscirà dunque fuor di proposito, se in questo giornale particolarmente consecrato a rifiorire i buoni sludi, e a mantenere viva ne'posteri la memoria de'sa- pienti, che onorarono la nostra età, dirò poche, e di- sadorne parole di sì illustre eugubino, ed ancor dopo la biografia pubblicatane dall'infaticabile monsignore Gian Carlo Gentili, cercherò alcuna spiga, che po- tesse essere sfuggita al suo sagacissimo occhio, accen- nando in ispecie quegl'inediti lavori, che prevenuto dalla morte o non potè compiere, o mettere in luce: lavori elle fanno non dubbia fede del suo profondo e non comune sapere. Nacque egli in Gubbio il dì 1 6 di luglio 1747 di patrizia famiglia, le cui memorie rimontano al prin- cipio del secolo XIII (i), ed in cui si consolidarono i conti Brancaleoni di Mercatello, dai quali insieme alle dovizie ereditarono i Ranghiasci un cognome per militari e civili imprese famoso. Né fu egli il solo, clie per sapere si rendesse illustre. Avealo preceduto il domestico esempio di molli uomini rinomati in giù- risprudenza , che specialmente nella Toscana eserci- tarono il cospicuo officio di potestà ; e con essolui (i) Veggansi le pergamene conservate nell'archivio di fami- glia, fra le quali è la bolla di erezione della compagnia de'bian- chi, fatta da Francesco vescovo di Gubbio il di 5 di aprile i3i3. 374 1^^ TTERATURA vivevano i due minori fratelli Luigi e Giacomo; es- sendo stato il primo abate nella congregazione late- ranense, procuratore generale, ed autore Della bi- bliografia di tutte le città dello stato pontificio (i), opera assai lodala ed utile ; il secondo canonico in Roma nella basilica liberiana , e vescovo quindi di Sanseverlno nella Marca, lasciando onorato e caro il nome per le beneficenze , che in venticinque anni versò nella intera diocesi (2). Sì avventuroso fu il matrimonio che Giuseppe contrasse colla nobile gio- vinetta Ipernestre Loccatelli patrizia assisana! Avendo Sebastiano sortito un ingegno penetrante e vivace, cominciò a svilupparlo ben presto. Soleva il padre con lui fanciullo visitare una sua sorella Vit- toria, vedova Lazzarelli, ov'era una scella libreria for- nita pure di stampe, di quadri, di anticaglie, di mi- nerali , e di strumenti di fisica i-accolti dal celebre Gio. Francesco, notissimo autore delle Cicceide. Il gio- vanetto udendo ogni giorno ripetersi dalla vecchia zia gli onori, che quel letterato avea ricevuti dalle corti, la stima in cui appo tutti era slato , la rinomanza che avea di se lasciata, anziché darsi a puerili pas- satempi fermavasi in quella biblioteca, estatico la con- templava , e fissando il guardo nel ritratto di Gio. (1) Mori in Roma il di 1 di gennaio del 1827, e fu sepolto nella chiesa di santa Maria della Pace. Lasciò alla pubblica biblio- teca di Gubbio la sua privata libreria, pregevolissima per quella parte, che riguarda gli scrittori delle città dello stato ecclesiasti- co, de'quali avea ragionato nella sua bibliografia. Quest' opera assai rara speriamo che verrà quanto prima ristampata. (2) Cessò di vivere nel maggio del i838. Veggasi il Diario di Roma, e l'elogio latino che ne scrisse il eh. monsignore Gio. Carlo Gentili nella sua opera De ecclesia seplempeclana. tom. III. Macerata iSSg. Elogio del Ranghusci Sj^ Francesco sentiasì potentemente infiammato ad imi- tarlo. Temistocle cosi accendevasi alla vista del ritrat- to di Milziade trionfatore di Maratona. Di undici anni passò alla scuola di eloquenza , di cui era professore in Gubbio il dottore Gio. Gi- rolamo Carli sanese , che in età assai inoltrata fu poi segretario perpetuo della reale accademia di Man- tova. Questi non solo lo erudì nell'amenità delle let- tere latine e greche, ma nella storia, nella cronolo- gia, nell'antiquaria e nelle arti belle, in cui era pro- fondissimo. Nel 1770 fu dal padre invialo a Roma per prose- guire gli studi : ed il Carli raccomandollo in parti- colar modo all'avvocato Salolini suo concittadino ed amico, professore di diritto canonico in questa uni- versità, ove ben presto percorse le scuole di ragione civile e canonica. Per unire le pratiche alle teoriche discipline frequentò gli studi del procuratore di col- legio Gaspare Scipioni, e degli avvocati concistoriali Costantini e Luigi Morelli. Né lasciò di udire teo- logia dommatica dal p. maestro Radetti dell' ordine de'predicatori. Urtò per altro ancor esso in quello scoglio, ove i migliori ingegni han quasi sempre naufragato. Quan- to gustava la profondità della sapienza raccolta nelle romane leggi, altrettanto annoiavanlo le forensi brighe. Laonde frequentando la scuola del Mora piacevasi di perfezionarsi nel disegno ( di cui aveva in patria ri- cevuti gli elementi da Giuseppe Reposati), di apparare l'architettura dal dottore Leonardo da Vegni, celebre inventore delle plastiche tartarose, di osservare nell' arciospedale di santo Spirito le sezioni anatomiche eseguite dal valente giovane dottore Pianzola, di usare 876 Letteratura alle blblioleclie, in ispecie alla vaticana e corsiniana: uè mai lasciava una congrega di letterati, che deno- minavasi dalVarco, per adunarsi ogni sera in un caffè presso l'arco de'Carbognani. Conveniva in essa il fiore de'letterati romani, i quali ammirando 1' ingegno di Sebastiano lo fecero ben presto ascrivere alle accade- mie degli arcadi, de'forti, e degli occulti, ove in prosa e in verso diede prove d'ingegno. Preso poi dalla bel- lezza de'romanl monumenti, e dall'amore delle arti, trovava alle occupazioni un sollievo ne'musei e nelle protomoteche, siccliè in breve tempo acquistò tale peri- zia da giudicarne al pari de'buoni archeologi e artisti. Passati quattro anni di studiosa vita, ripatriò nel 1774 per assistere al genitore vecchio ed infermiccio. Non è a dire con quanto dolore distaccandosi da sì dotti e cari amici abbandonasse una città, che pascolo va- stissimo apprestava alla sua avidità di sapere : ma tutto sagrificò ai doveri di figlio. Per due lustri attese in Gubbio alle bisogne domestiche, e gradatamente ora e in appresso tenne in quella città gli offici e le ma- gistrature tutte, che proprie sono de'nobili. Essendosi laureato in Macerata, esercitava l'avvocheria con co- mune soddisfazione, venendo nominato dal tribunale della santa inquisizione assessore legale, e ricevendo onorevolissime commissioni dai cardinali Rezzonico, Marcolini e Livizzani, il quale ultimo era in allora prelato e presidente di Urbino. Vago d'illustrare co- gli studi la patria, fece scavi, ricercò archivi, adunò manoscritti, spiegò iscrizioni, e nelle ore di ozio si ricreava co'pennelli e colla matita. Eragli già riuscito per soli otto mesi di tornare in Roma. Mortogli però il genitore, e provveduto agi' interessi della famiglia, vi si ricondusse nel 1 784 in Elogio del Ranghiasci 877 compagnia de'fratelli, e con maggiore ardore ripren- dendo gli studi applicò alla storia naturale. Fu quattro volte in Napoli scorrendo la maggior parte di quel regno, e nulla sfuggendo al perspicace suo occhio. Avendolo conosciuto monsig. Lopez, con- fessore del re Ferdinando e vescovo di INola, invitollo a presiedere agli studi, al museo e alla biblioteca del suo nuovo liceo diocesano, che accoglieva più di 3oo alunni; ma per poter egli piii liberamente studiare, ne ricusò l'offerta, come in appresso rifiutò la presi- denza delle antichità romane esibitagli dal cardinale Antonelli a nome di Pio VI. I romori di Francia, che cominciavano ad im- paurire anche l'Italia, gli fecero risolvere nel 1793 di restituirsi in patria, ove nel 1795 si congiunse in ma- trimonio alla nobile donzella Maria Galeazzi , dalla quale ebbe più figli. Nel 1797 per non essere in mo- do alcuno astretto a servire la patria che governavasi a repubblica, andò colla madre in Assisi, ove trat- tennesi per tre anni e mezzo studiando ne'raonuraenti antichi di quella città, e svolgendo il famoso archi- vio del sacro convento, da cui trasse la ragionata isto- ria del serafico santuario pubblicata dal eh. Fea nel 1820. Tranquillata l'Italia fu nel 1801 fatto avvocato del comune di Gubbio, e prefetto del pubblico ar- chivio; impieghi dai quali si dimise nel 1806. Du- rante il regno italico { cui era Gubbio soggetta ) non accettò ne magistrature, ne cariche, quantunque piìi d'una volta istantemente pregato : pacifico cittadino visse solo alle lettere. Nel i8i4 Pio VII a contrassegno di particolare benevolenza lo nominò al governo di Assisi, promo- SjS Letteratura vendolo dopo due anni a f|ueì!o distrettuale di Ana- gai, in ultimo alla presidenza del tribunale di prima istanza di Spoleto. Giunto all'età di yo anni, diman- dò ed ottenne onorato riposo. Rivide la sua Roma , ma niun beneficio ricevendo più da quell'aere, e mor- tigli quasi tutti gli anticbi amici, trovò sollievo nelle affettuose cure del suo fratello in Sanseverino, nella quale città spirò il 23 di maggio 1822. Ebbe nella catte- drale funebri onori convenienti al suo grado, e questa epigrafe ne ricorda ai posteri le virtù e il sapere. SEBASTIANO . RANGHIASCIO . BRANCALEONTO DOMO . EUGUBIO . EX . ORDINE . DECCRIONUM COGLITORI . ANTIQUITATIS . ET . HONESTAR . ARTIUM . PRAESTANTISSIMO UUMANI . DIVINIQDE . lURIS . CONSULTO ASISI . PRIMDM . DEIN . ANAGNIAE . GUBERNIO . PRAEFECTO SPOLETI . DEMUM . DIIUDICANDIS . CAUSIS . PHAESIDI SODALI . IN . MANTCANAM . CORTONENSEM . AC . PERUSINAM . ACADEMIAM ULTRO . COOPTATO A . MARIOTTO . LANZIO . TIRABOSCHIO . AGINCCRTIO . WINKELMANIO IN . PARTEM . LABORIS . ACCITO QUI . LIBRIS . PARTIM . EDITIS . PARTIM . MANU . EXARATIS PATRIAE . MONUMENTA . PRAESERTIM PRISCA . ETRUSCORUM . LINGUA . TRADITA FELICI . AUSU . ILLUSTRAVIT FRATRI . INTEGERRIMO . PIENTISSIMO . AMANTISSIMO lACOBUS . EPISCOPUS . SEPTEMPEDAE . LAPIDEM . PROSTRAT UBI. 0¥SURIA. CORREPTUS. MORTEM. OPPETIIT. X. KALIAN. AN. MDCCCXXII DUM . VITAE . ANNO . LXXV . EXPLENDO DIES . LIV . DUMTAXAT . SUPERESSENT AVE . ANIMA . DESIDERATISSIMA . IN . PACE Le opere, cbe stampò, non furono a dir vero molte; tutte però, se si eccettui quella Del carattere di Pie- tro Perugino e della sua scuola, e l'altra in cui descrisse la serafica basilica pubblicatta, come si è detto, dal Fea, mirano ad illustrare la patria, di cui fu te- Elogio del Ranghiasci 879 nerissimo, e per la profondità del sapere , e per la varietà delle cognizioni lasciano ben poco a deside- rare. Sono esse : La vita del Lazzarelli.^ di cui per rinnanzi poco o nulla sapevasi: L'antico teatro igii- pino, per le sue cure nel 1781 ritrovalo dalle foa- daraenla, e con molta perizia di arte non solo de- scritto, ma disegnato, aggiuntavi colla massima pre- cisione la pianta archi lellonlca , e spiegandovisi al- cuni passi di Vitruvio in addietro da altri non bene intesi : Due dissertazioni sul tempietto di Marte Ciprio, e sopra i suoi monumenti da lui rinvenuti anch' essi nella campagna di Gubbio nel 1781 , la prima fu inserita negli opuscoli scientifici del p, let- tore Mandelli pubblicati in Venezia, la seconda con nuove osservazioni riprodotta in Perugia nel 1784: e la Serie de^ pittori eugubini, posta nel tomo IV della edizione del Vasari che fece in Siena nel 1791 il padre maestro della Valle de'minori conventuali. Né vuoisi passare sotto silenzio la Storia della famiglia uindreoli di Gubbio, originaria di Pavia. Grande però è il numero delle inedite, ne solo in esse ritrovasi un Nuovo metodo per ravvivare i freschi e le tempre, la Descrizione del duomo di Siena, belle Notizie sulla tanto contraddetta pa- tria di Properzio, sovra Massa Treharia, ma ezian- dio sovra Gubbio medesimo: e tra queste primeggiano Le antichità umbro-i guvine , divise in otto eruditis- sime dissertazioni, che offrono l'antica istoria di que- sta nobilissima città d'Italia, su cui tante controver- sie hanno eccitalo i più profondi eruditi. Da cos'i gran- de e variato numero di cose inedite ben si rileva quanto egli fosse erudito, e come negli studi impie- gasse la maggior parte della vi!a. Non potendo noi 38o Letteratura per la brevità richiestaci fare l'analisi Ji somiglievoH scritti, ci contenteremo di dare in fine 1' indice de' piìi importanti, fiicendo voli cbe, se non tutti, alme- no nella miglior parte, vengano fatti di pubblico di- ritto. Del suo valore poetico fanno fede molti versi di vario argomento, di cui si abbellirono parecchie rac- colte di Roma, di Bologna, di Macerata, di Gubbio e di altri luoghi. Valente nella lingua latina, vi com- poneva con gusto, dilettandosi in particolar modo di far con essa concisi elogi d' uomini illustri, siccome sono quelli del p. Martini benemerito dell'arte mu- sicale, del dottor Leonardo da Vegni, del dottor Se- nesi scopritor felicissimo de'vasi linfatici: i quali elogi vennero stampati in Mantova e in Roma (i). Conoscitore della lingua etrusca avea non poco giovato anche al Lanzi, il quale grato fece di lui as- sai onorevole menzione nel tomo III del suo saggio su quella lingua: ne di ciò pago, gli volle dedicata la dis- sertazione intorno a Pausola città antica del Piceno, sulle cui mine vuoisi costruita Montolmo (2). L'a- micizia di questi due letterati contratta in Roma si sciolse solo colla morte. Dimorò l'illustre gesuita molto tempo in Gubbio ospite del Ranghiasci, illustrando le famose tavole ed altri monumenti eugubini : e Se- bastiano mal soffrendo di star lungi da tanto uomo, tornò più volte ad abbracciarlo in Firenze, e a stu- diar con esso lui in quella reale galleria, cui sì dot- (i) Inseriti in opere di diversi autori: cosi per es. dal ComoUi nel tom. I della bibliografia architettonica fu riportato quello del Carli. (2) Anche Baldassare Orsini gli dedicò la edizione dello Sca- mozzi da lui procurala. Elogio del Ranghiasci 38 ì tamenle presiedeva. Quanta stima l'uno dell'altro fa- cesse apparisce dalle molte lettere del Lanzi medesimo, che gelosamente custodisconsi nell'archivio del marche- se Francesco (i), insieme a quelle del Tiraboschi, del Passeri, dell'Olivieri, del Visconti, del Carli, del Seras- si, del Lazzarini, del Venuti, del Targioni, dell'Agin- court, che in molti suoi viaggi lo volle a compagno, e di altri dottissimi, potendosi con verità dire, ch'eb- be l'amicizia e la slima de'primi uomini della sua età. Ne ad onore di Gubbio posso tacere , che quel nobilissimo municipio, imitatore de'greci, i quali da- vano la cittadinanza ad uomini per virtù e per let- tere celebrati, volle con bella gratitudine tra i patrizi ascrivere il Lanzi, come già aggregato vi aveva, nello stesso secolo, il Maffei, l'Olivieri e il Passeri. Il Ran- ghiasci, che non poco contribuito vi aveva, ne dettò l'elegantissimo diploma, il quale piacque tanto al Lanzi che lo volle inserito nello suo saggio di latine iscri- zioni ( Firenze 1807 ) a carte 66 e segg. IlTiraboschi nell'Italia letteraria agli articoli Steu- co e Lazzarelli , il Winckelmann al tom. Ili della storia delle belle arti, il Marietti nelle lettere pitto- riche, il Marini negli archiatri pontificii, il Rubbi nel -tlizionario di antichità all'articolo Marte Ciprio, En- nio Quirino Visconti, il Serassi, il padre abate di Co- stanzo e altri insigni letterati parlarono con lode (i) Questo degnissimo figlio di Sebastiano, congiunto in ma- trimonio alla nobile dama inglese Matilde Hobhause, aggregato a molle accademie ancbe straniere, amantissimo della patria, delle lettere e delle arti, possiede un copioso museo di antichità etru- sclic, una preziosa galleria di quadri , ed una copiosa bibliote- ca ricca di manoscritti importantissimi. 382 Lette 11 ATURA delle sue opere, le quali vennero eziandio ricordate nella biblioteca picena, nel giornale romano di belle arti, nelle effemeridi romane, nelle novelle letterarie di Firenze, e ne'giornali di Venezia, di Pisa, di Mo- dena e di altri luoghi. Oltre le accademie, di cui si è fatta menzione, fu ascritto alla georgica di Treia, aU'elrusca di Corto- na, a quella di scienze, lettere ed arti di Mantova, agli ansiosi della sua patria, e meritò seggio tra i pro- fessori onorari dell'accademia del disegno di Perugia. Ebbe aurei costumi. Con eguale moderazione sop- portò la prospera e l'avversa fortuna. Il suo cuore fu sempre aperto all'amicizia. Vissuto in diftìcilissimi tem- pi, conservossi, come Pomponio Attico, alla quiete del- le lettere e delle arti, che fin quasi da fanciullo tolse ad amare: consumando per esse gran parte delle sue dovizie. La sua conversazione era oltremodo piacevole; rimanevasi a ragione maraviglialo a tanto sapere e a tanta modestia. Egli medesimo, sebbene non compiute, ci lasciò brevi notizie della sua vita. Il suo nobile e dotto concittadino abate don Agostino Marini l'onorò di un latino elogio, ne dobbiamo omettere, che la biografia di monsignor Gentili inserita nel tomo III delle Memorie di religione, di morale e di lettera- tura stampate in Modena, venne riprodotta dal eh, sig. De Tipaldo nella biografia degli italiani illustri del secolo XVIII e de'contemporanei. OPERE INEDITE DI SEBASTIANO RANGHIASCI 1. Del primitivo nome della città di Gubbio, e delle sue variazio- ni. Dissertazione recitata in patria nell'accademia del seminario. 2. Supplemento all'interpretazione delle tavole iguvine fatta dal Lanzi, ed equivoci presi dal medesimo. Elogio del Ranghiasci 383 3. Nutnismata priscorum ikuvinorum cuna novis illuslralionibus. 4. Della spontanea confederazione degl'iguvlni co'romani. Apo- logia contro il p. Prosperi, die la pretende de'fulignati. 5- Dell'antico agro ignvino e delle sue antiche curie e pagi. Dis- sertazione con tavola corografica. 6. Stato degl'iguvini ai tempi di Giulio Cesare Dissertazione. 7 Dell' antica e nuova letteratura eugubina. Dissertazioni due recitale nell'accademia del seminario cogli elogi de'più celebri suoi scrittori. 8. Storia diplomatica eugubina dal secolo IV al XVI dell' era cristiana. g. Stato presente del territorio eugubino. 10. Osservazioni importanti intorno alla vita e alle opere di Raf- facl d'Urbino, col ritratto di sua mano non più inciso. 11. Dissertazione sull'antichissimo quadro simbolico della venu- la in Italia delia santa casa di Nazaret, presso quel santuario esistente, e di cui fece trarre un fedelissimo calco, scritta ad istanza di monsignor Bellini vescovo di Loreto e di Macerata. 12. Le antichità umbro iguvine. Sono divise in otto dissertazioni, alcune delle quali si compongono di quelle di sopra indicate. Eccone a maggiore intelligenza il prospetto: Dissertazione 1. Degli umbri primi abitatori dell'agro iguvino, con riflessioni sul parere di monsignor Guarnacci, e su quello di coloro che li credono originari della Grecia. Dissertazione li. Della venuta degli umbri in Italia, e loro suc- cessivo stabilimento nell'agro iguvino presso l'epoca del dilu- vio di Deucalione. Dissertazione ITI. Degli avvenimenti che produsse il diluvio deu- calionico nelle parli occidentali dell'Europa, e situazione degli iguvini in quest'epoca. Dissertazione lY. Confutazione delle opinioni de'moderni filoso- fi, che pretendono esser seguite queste fisiche rivoluzioni deu- calioniche in tempi assai più remoli dell'epoca fissala dai greci scrittori. Dissertazione V. Del nuovo aumento di popolazione umbra, e dei successivi stabilimenti di famiglie pelasghe , e greco-Itale nell'agro ignvino. Dissertazione VI. Della spontanea confederazione degl' iguvini co'romani, loro vicende co'galli scnoni, e sialo de' medesimi ne'letnpi delia romana repubblica. Dissertazione VII. Del nome della nazione iguvina e della fon- dazione delia sua capitale colla descrizione cosmografica del suo agro. Disserliizione Vili. De'monumenti umbro-Iguvini, e numismati- ca, iscrizioni nelle celebri tavole di bronzo, ed avanzi de' lo- ro edifizi. Francesco Fabi Montani. IMPRIMATUR. _ Fr. D. Buttaoni O. P. S. P. A. Mac IMPRIMATUR. — loscph Canali Arch. Coloss. Vicesg. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO CI, VOLUMI 501, 502, 505 ^^-^^^à^'^^^DEL GIORNALE ARCADICO. ..> .vS'^W SCIENZE k^Ietodo per rendere permanenti gli anelli colorati prodotti dall'iodio pag. 3 Fahacappaj Discorso sulla cultura della robbia . . » i 0 Rudelj Malattìe curate nell'ospedale dell'ordine di Malta in Roma ec » 21 Cacciatore j Biografìa scrittasi da se stesso. ...» 33 Emiliani j Teorica della formazione dei censimenti. » 41 Ragazzini j Ricerche fisico-chimiche delle acque termali euganee ec » 47 Liebigj Chimica animale applicata alla fisiologia e pa- tologia » 145 Grassi, Quesiti sulla peste bubonica orientale. . , » 173 Deinneenzij Agricoltura milanese » 179 Mamianij Rapporto della cassa de^ risparmi in Pesaro. » 180 Steiner j Del baricentro di curvatura delle curve piane. » 257 Tonellij Rivista di lavori di medico argomento . . » 280 Perronej Praelcctiones theologicae. Art. X ed ultimo. » 292 LETTERATURA Venturi j In quale anno fosse da Dante dettato il Convito.» 50 Spezi j Orazioni d^ Iseo tradotte . . . . . » 191 e 303 Vaccolinij Delle iscrizioni cristiane » 208 Biografia del P. D. Raffaele Zelli » 2 1 : Marchetti, Odi X V di Orazio tradotte . . , . » 217 Odescalchij Orazione accademica » 223 Giuliani, Della riverenza che Dante portò alla somma autorità pontificia » 324 De-Ferrarij Sull'antico Iseo o tempio d'Iside in Roma.» 353 Fabi Montani j Elogio di Sebastiano Ranghiasci. . » 372 BELLE ARTI Fabri Scarpellinij Discorso intorno alla vita ed alle ope- re dell'architetto Giuseppe Pier mar ini .... » 92 Varietà. INDICE DEL VOLVME 303. SCIENZE Steiner, Del baricentro di curvatura delle curve piane » 257 Tonelli, Rivista di lavori di medico ar- gomento » 280 Terrone, Praelectiones theologicae. Art. X ed ultimo » 292 LETTERATURA Spezi, Orazione VI d'Iseo tradotta. . . » 303 Giuliani, Della riverenza che Dante portò alla somma autorità pontifìcia. . . ■.. » 324 tìe-Ferrari , Sull' antico Iseo o tempio d^Iside in Roma ...» 353 Fabi Montani, Elog^iò di Sebastiano Ran- ghiasci )) 372 .è^^'® GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Vot 304. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1845 GIORNALE ARCADICO D I Scienze , lettere ed arti TOMO CU GEIVNAIOy FEBBRAIO E MARZO 1845 ìiis ROMA Tipografia delle Belle Arti 1845 i8i®®ii@®@§i®®ìs®i®s®il@igsi@iftisSfe!iSi)atì! 'ìMMmmmsM^msiiSié.é. DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI, presi- dente della pontificia accademia di archeologia, membro del collegio filologico deiruniversilà romana. BETTI SALVATORE, professore di storia e mitologia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, accademico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della cru- sca , corrispondente della pontificia romana accademia di archeologia e del R. instituto di Francia , membro delle RR. accademie delle scienze di Berlino, Torino ce. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consulente della san. mera, di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. MAGGIORANI CARLO, membro e segretario dei collegio medico-chirurgico, professore sostituto di anatomia, li- fisiologia, terapeutica generale e materia medica , pa- tologia generale e semiotica , medicina teorico-pratica e medicina politico-legale nell'università romana. POLETTI cav. LUIGI, consigliere e professore di archi- tettura pratica nelT insigne e .pontificia accademia di s. Luca, professore ordinario di architettura nell'ospizio apostolico di s. Michele , professore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto diret- tore della riedificazione della basilica di san Paolo, mem- bro del collegio filosofico dell'università romana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia. TONELLI GIUSEPPE, dottore di medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE, commissario delle an- tichità romane, presidente onorario del museo capito- lino, segretario perpetuo e socio ordinario della ponti- ficia accademia di aicheologia, membro del collegio fi- lologico dell'università romana. ONORARI CAB PI PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto mi- neralogico dell'università romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina. FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene^ di terapeutica ge- nerale e materia medica, membro del collegio medico^ chirurgico e direttore del gabinetto di materia medica nell'università romana, membro della congregazione su- prema di sanità. GERARDI FILIPPO, dottore di leggi. COLLABORATORI ANTALDI marchese Antaldo, a Pesaro. ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Bologna. BARLOCCI Saverio, professore di fisica sperimentale, mem- bro del collegio filosofico e direttore del gabinetto fi- sico dell'università romana, segretario del consiglio am- ministrativo degli acquedotti, in Roma. BARTOLINI monsignor Domenico , camerier d' onore di Sua Santità, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. BIANCHINI Antonio, segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCITINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere ispettore, a Ravenna. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena. BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia. BUONAPARTE S. E. don Carlo, principe di Canino e dì Musignano, in Roma. BUONCOMPAGNI S. E. don Baldassare, in Roma. CAMILLI Stefano, giureconsulto, in Viterbo. CAMPANARI avv. Secondiano, socio ordinario della pon- tificia accademia romana di archeologia, in Viterbo. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CARDINALI cav. Luigi , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CASSI conte Francesco, a Pesaro. CASTRECA BRUNETTI Enrico, dottore di medicina, in Roma. V CHELINI padre Domenico , delle scuole pie , professore nel collegio nazareno, in Roma. CHIMENZ dott. Baldassare, chirurgo, in Roma. CIAMPI cav, Sebastiano, a Firenze. ^JJJ^SPr^'i*^"- ^^''^^' giureconsulto, in Roma. UCCONI ab. Tito, bibliotecario dell'Albani, pro-custode generale coadiutore di arcadia , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma rSSnJ <^^"-/'''PPO' medico, a s. Anatoglia di Camerino. LUPFl ab. Antonio, socio ordinario della pontificia acca- demia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia, a Torino. DE-LUCA monsig. Antonino, camerier d'onore di Sua San- tità, vice-presidente dell'accademia ecclesiastica, consul- tore delle sacre congregazioni dell'indice e di propa- ganda fide, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano, a Fermo. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma FARI de' conti MONTANI cav. Francesco, camerier d'ono- ra JSiTIi?,"^ ^.''"^'^^' ««"o-custodc di arcadia, in Roma. TERRARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de' predi- catori, prefetto della biblioteca casanatense, consultore de a sacra congregazione dell' indice , socio ordinario della pontificia accademia di archeologìa, in Roma. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Pisa FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. FQLCHI cav. Clemente, ex-presidente dell'insigne e pon- tificia accademia di s. Luca, ingegnere ispettore mem- bro del consiglio d'arte, membro del collegio filosofico dell università romana, socio ordinario della pontificia ; accademia di archeologia, in Roma. I FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Pisa. , GIACOLETTI padre Giuseppe, delle scuole pie, professore nel collegio nazareno, in Roma. I GIULIANI padre Giambatista, somasco, professore nel col- logio dementino, in Roma. GRIFI cav. Luigi, consigliere e segretario della commis- sione generale consultiva di antichità e belle arti presso Il camerlengato della S. R. C. , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VI GUZZONI DEGLI ANCARANI doti. Carlo, professore nel collogio, a Trevi. LABUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafista di cor- te, membro e segretario dcH'istituto, a Milano. LOPEZ cav. Michele, prefetto del ducal museo, a Parma. MALVIGA barone Ferdinando, socio ordinario del reale istituto d'incoraggimcnto, a Brindisi. MAMIANI DELLE ROVERE conte Giuseppe, censore del- l'accademia agraria, a Pesaro. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, pro- fessore nel collegio romano , prefetto del musco kir- cheriano, conservatore de' sacri cimiteri di Roma, mem- bro del collegio filologico dell'università, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MORDANI Filippo, professore, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore nel collegio, a Osirao. MORICHINI monsignor Carlo Luigi, chierico di camera, membro della congregazione di revisione de' conti, in Roma. MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele, uditore della sacra rota, consultore della sacra congregazione de' riti, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PAULUCCI Domenico, vicesegretario municipale, a Rimini. PERETTI Pietro, professore di farmacia e direttore del gabinetto farmaceutico dell'università, in Roma. PERUZZI monsignor Agostino, arciprete della metropoli- tana e rettore dell'università, a Ferrara. PIANCIANI padre Gio. Battista, della campagnia di Gesù, professore nel collegio romano , membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. POGGIOLI dott. Michelangelo, già medico ordinario della san. mem. di Leone XII ed ora della Santità di N. S., professore di botanica e membro del collegio medico-chi- rurgico della università, in Roma. PONTA padre Giovanni Marco, proposito generale de' so- maschij in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, professore nell'università , a Pisa. RAGGI avv. Oreste, in Roma. VII RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovanni in Persicelo. RAMELLl Camillo, professore, a Fabriano. KANALLI Ferdinando, a Firenze, RICCARDI doti. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, presidente della pontificia ac- cademia delle belle arti, a Rologiia. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua Santi- tà e delegato apostolico della città e provincia di Ancona. SALVI cav. Gaspare, consigliere e professore di architet- tura teorica nelFinsignc e pontificia accademia di s. Lu- ca, ingegnere, ispettore membro del consiglio d^arte, ar- chitetto de' ss. palazzi apostolici, membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. SANTARELLI dott. Michele , professore emerito di me- dicina, a Macerata. SANTINI dott. Angelo, medico piimario, a Montalboddo. SANTUCCI ab. Domenico, in Roma. SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro della reale accademia delle scienze, a Torino. SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Gesù, pro- fessore e bibliotecario del collegio romano , socio or- dinario e censore della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Monlolmo. SPEZI Giuseppe, in Roma. STEFANUCCI ALA dottor Antonio, giudice, a Civitavecchia- TESSIERI padre pietro, della compagnia di Gesù, sotto- prefetto del museo kircberiano , socio ordinario della pontificia aecademia di archeologia, in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba , professore di calcolo sublime nell'università, in Roma. TROMPEO cav. Benedetto, medico di corte di S. M. la regina vedova di Sardegna, a Torino. VACCOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco , membro del collegio medico- chirurgico , professore di sanità nella sacra consulta , in Roma. VENTUliOLI prof. Giuseppe, presidente del consiglio d'arte pe' lavori di acque e strade, accademico di merito di s. Luca nella classe dell'architettura, membro del col- legio filosofico dell'università, in Roma. vili VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore nell'univer- sità, direttore del museo antiquario, a Perugia. VESGOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia acca- demia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI dott. Carlo, professore sostituto di fisica spe- rimentale nell'università, in Roma. ZANELLI ab. Doiaenico,in Roma. scili li^S Del baricentro di curvatura delle curve piane, trattato del sig. cav. Steiner, professore neWu- niversità di Berlino ec. (Continuazione). §. XVI. xm fine di discutere più estesamente il teorema pro- posto, trasformiamo l'ultima equazione giusta il tipo dell'equazione (16) del §. VII; risulterà: 4[2V ~ (V)] = a,* sen2A H- b,' scn2B-|-c,» sen2C -V... ^^- ^ -H «''(seti 2A -H sen 2B -f- sen 2C -{- . . .) = ^a^' sen 2A) -h s^2 (sen 2A) , ove a, , è, , e, , ... ed 5 designano i raggi, che uni- li; scono il suddetto centro di gravità S co' vertici A, B, C, . . . e col punto arbitrario P. Dunque , se per v designiamo l'area del poli- gono de' piedi , corrispondente allo stesso centro di gravità S, essendo in questo caso ^ == o, avremo : 29. 4(2j/-(V)) = 2(a,»sen2A). G.A.T.CII. , 3 Scienze Sottraendo questa equazione dalla precedente,5Ì ricava 30. 4(V — t') --= è s' 2(sen2A). Da qui si vede : che V incremento delVarea del po- ligono y de^ piedi (a partire da S) è proporzio- nale al quadrato delia distanza s del rispettivo punto P dal centro di gravità S. E ne risulta: Chr^ generalmente , fra tutti i poligoni de* piedi quello v^ corrispondente al centro di gravità S, ha o Varca minima o Varca massima, secon- dochè la quantità costante 2( senaA) è positiva o negativa. Ma Io slato positivo o negativo di colesla quan- tità 2( sen2A) dipende dalle circostanze seguenti. Cioè, i) se gli angoli A, B, C, . . . sono tutti acuti, è palese die siffatta quantità riesce positiva, e però il poligono eie' piedi, relativo a S, avrà l'area mini- ma. 2). Nel caso opposto, che siano ottusi alcuni de- gli angoli A, B , C , . . . la quantità 2(sen2x\) potrà riuscire negativa; e per conseguente potrà diventare un massimo l'area del poligono de' piedi relativo a S. In particolare può avvenire questo caso , allor- ché il poligono dato (V) non è convesso; ma anche ne'poligoni convessi può aver luogo. Così nel trian- golo esiste sempre, perchè, supposto il poligono dato (V) un triangolo, almeno due de' tre angoli A, B, C, sono ottusi, e la quantità 2(sen2A) , come è facile a dimostrarsi, riesce sempre negativa. Quando risulta 2(sen2A) == o , non esiste ne minimo né massimo, e l'area del poligono V de' pie- di è costante per tutti i punti P. Baricentuo di curvatura 3 §. XVIf. Per le ricerche ulteriori, conviene spiegare il si- gnificato Jella espressione 3 1 . i.«^2(sen 2 A) ^ |s^ sen 2 A H- 1*= scn 2B H- is^ seii 2C -t- ... la quale rappresenta la quadruplice differenza tra le aree de' poligoni de' piedi, relativi al punto arbitra- no P e al punto S (3o). Per ora noi ci limiteremo al caso particolare, che il poligono dato (V) sia con- vesso, ed acuti tutti gli angoli esterni A, B, C, . . . e che però sia positiva la quantità ^(senaA). In que- sto caso la somma degli angoli esterni A, B, C, . . . diviene, com'è noto, = 27:; dunque si ha : 32. 2A H- 2B -t- 2C 4- 2D -h . . . = 4;r. Ora, poiché |5-^sen2A è l'arca di un triangolo isoscele, avente s per lato, e 2A per angolo al ver- tice, perciò deve considerarsi la quantità | s'' ^(seu 2 A) del n°3i, come la somma delle aree di n triangoli isosceli, di cui tulli i lati sono = .9, e gli angoli al vertice rispettivamente c= 2A, 2B, 2C, . . . Immagi- niamo un poligono (U) siffatto, che, inscrlllo in un circolo del raggio s, faccia in esso due giri (*), e che gli angoli centrali, opposti ai suoi lati {A}, (B), (C), . , . siano rispellivamente uguali a quegli angoli (*) 1 lettori, non famigliari con tali poligoni, potranno farse- ne luf idea, se, per esempio in un pentaijoiio inscritto m\ nn circo- lo, tirano con tratto continuo le cin-H — (U). 4 Ne risulta, nel presente caso, il teorema seguente : Conosciuta, rispetto ad un poligono dato (^)» Varea del poligono v de^ piedi, corrispondente al centro di gravità S : per trovare Varea di ogni altro poligono V de^ piedi , che corrisponda ad un punto arbitrario P, separato da S per la di- stanza 5, basterà aggiungere a cotest' area v la quarta parte delVarea di un altro poligono de- terminato (£/). Quest'altro poligono (U) è inscritto ad un circolo del raggio s, vi fa due giri, e gli angoli centrali, opposti ai lati di esso, eguagliano i doppi angoli, adiacenti agli angoli del poligono dato {F). §. XVIIl. Nota. Anche qui tralasciamo numerosi teoremi, che potrebbero derivarsi immediatamente da ciò che precede : solo riporteremo i seguenti di Querret , Sturm e Lhuilier, già mentovati nell'introduzione, sopra il triangolo e sopra il poligono regolare [n gono). Baricentro di curvatura. 5 1. In un triangolo (V) ABC, il eentro del cir- colo circonscritto coincide , com' è facile a provarsi direttamente, col centro di gravità S de' vertici ove si attribuiscano a questi vertici, come coefficienti, i seni de' doppi angoli adiacenti. La stessa conclusione può anche trarsi dal teorema precedente (§. XVII ). Infatti, ognivolta die il punto P coincide con uno de' vertici del triangolo, l'area del triangolo de'piedi diverrà =o; dunque i tre vertici sono nel cerchio, che ha per centro il detto centro di gravità S, e che è il luogo geometrico de' punti P, pe' quali V = o. Poi se ne raccoglie il teorema noto: « che, calate da un punto qualunque del circolo circoscritto al triangolo le per- pendicolari sopra i tre lati del triangolo, i piedi di siffatte perpendicolari saranno sempre situati in linea retta : » dovendo l'area del triangolo de' piedi risul- tare = o. 2. Ne segue pur facilmente il teorema citato , relativo al poligono regolare (V). Primieramente dal- l'essere uguali tra loro lutti gli angoli del poligono, e però anche lutti i coefficenti senaA, senaB, senaC, ec. si trae, che il centro del poligono è nello stes- so tempo il centro di gravità S. In secondo luogo, da ciò che trasportato il punto P in tutti i vertici del poligono (V), ai medesimi corrispondono poligoni V de' piedi di area uguale, siccome coincidibili evi- dentemente, si trae pure, che il centro del cerchio passante pe' vertici coincide col centro di gravità S. Nel modo medesimo si vede , che ai mezzi de' lati del poligono dato (V) corrispondono altrettanti po- ligoni coincidibili V de'piedi : il che dà luogo ad ana- loghe conclusioni. 6 Scienze S- XIX. Rispetto ad un poligono dato (V) cognite clie siano le aree de' poligoni V, V,, V^ de' piedi, rela- tivi a tre punti P, P^Pj dati ad arbitrio, designan- do per .?, ,v,, s^ le distanze di questi punti dal cen- tro di gravila S , si avranno 1' equazioni seguenti {i. XVII e XIII.) : 1 35. \ V — V^ r= — (s» — s»,) v(scn 2A), o V,-V, =- ^(s.'-.V)2(sen2A). Se si considerano .9, ^,, 5, come mutabili , ma V , V, , Va , e 2(sen2A) come coslanli , ed i punti P, Pi, P2 come lissi, verranno a delerminarsì per que- ste equazioni tre rette Xa, Xi, X, le quali sono per- pendicolari ai lati del triangolo PPjPa e s'interse- cano nel centro di gravità S (^. XIII). In generale adunque, per due di esse si trova il centro di gra- vità S. B. DELLE CVRFE BE' PIEDI. §. XX. Il poligono (V), trattato nel discorso precedente, si può concepire in istato di cangiamento, così che s'avvicini continuo ad una curva, e finalmente si tra- sformi in essa. Infatti , crescendo continuamente il Baricentro di curvatura « numero de' Iati del poligono, e scemando nello slesso tempo ogni lato, allorché il numero de'lali è dive nuto grandissimo ed ogni lato piccolissimo, il poli- gono SI avvicina evidenlemeute ad una certa curva- ed ove il numero de' lati divenga infinito ed ogni lato infinitesimo ( come suol dirsi ) , il poligono po- trà senza più riguardarsi come una curva. Viceversa ogni curva data (V) può riguardarsi come un poli- gono d'innumerevoli lati infinitesimi. Il che si fa evi dente da ciò, che i lati del poligono prolungati si trasformano nelle tangenti della curva, e che gli an- goh adiacenti A, B, C, . . . . sopra considerati, diven- tano infinitesimi nella curva, riducendosi agli angoli onde inclinano tra loro le tangenti consecutive: V pure, per dirlo brevemente, agli angoli che le singole tangenti ne'loro contatti fanno con la curva stessa.Tnol- tre è palese, che, nel trasformarsi che fa il poligono (V) in una curva, anche il poh'gono V de'piedi, cor- rispondente ad un punto P qualunque, si trasforma m una curva; la quale però sarà pur chiamala : ,. cnr- VcL^de' piedi del punto P relativa alla curva data (n ; „ siccome quella che è il luogo de'piedi di tutte le perpendicolari calate dal punto P sulle tangenti della curva (V). Che questi piedi formino infatti una curva continua, risulla pure immediatamente dalla in- tuizione. Imperocché, movendosi un angolo retto in tal maniera, che un suo lato attraversi costantemente il punto fisso P, mentre Tallro progredisce come tan- gente della curva (V) ; il vertice di siffatto angolo descriverà una curva : la nominata curva V de'piedi Poiché in tal guisa i poligoni (V) e V si trasfor- mano nelle curve (V) e V, è forza che i teoremi , sopra stabiliti per quelli , continuino a valere per g Scienze queste. Dunque si può conchiudere immediafamente per es., a): Che per ogni curva rientrante e convessa /V) debbe esistere un punto S, di cui la curva <; dei piedi , relativa a quella, chiude, fra tutte le altre , l'area minima, e che a tutti i punti P, equidistanti dell' intervallo s da S, corrispondono curve V dei piedi, aventi aree uguali, e viceversa; b) Che tra le dette quantità (V), v, 5, V, ec. sussistono pure le equazioni surriferite (§. XVI e XVII); e) Che inol- tre, avendo la curva data (V) un centro, il medesimo debbe essere quel punto singolare S (§. XVIIl 2), ec. Da questi che abbiamo accennato, potrebbe adesso derivarsi una moltitudine di altri teoremi, per es. ri- guardo al circolo ed alla ellisse. Imperocché essendo cognite, quanto al circolo , la curva (^ de' piedi del suo centro S; e nella ellisse, la curva V de'piedi di un suo fuoco P, nonché la distanza s tra questo e il centro S : è per ambedue facile a trovarsi l'area della curva de' piedi di ogni punto P. — Ma di ciò in altro luogo. Adesso conviene mettere in evidenza la proprietà definitiva del punto S rispetto ad una curva qualunque. §. XXI. Poiché i seni de' doppi angoli adiacenti 2A, 2B, aC, . . . . , onde dipende , nel poligono (V), la de- terminazione del punto S, svaniscono nella curva V, e però divengono inutili ; cerchiamo quali altre quan- tità si possono surrogare a questi seni. A tal fine supporremo equilatero il poligono pri- mitivo (V) : il che può farsi senza punto derogare alla generalità de' risultati finali. Sia dunque, per es,, ZABCD .... { fig. 5) una parte di un poligono equi- Baricentro di curvatura g Utero e convesso (V). Dai mezzi A, , Bj, Di, .... de' lati s'innalzino sopra i medesimi altrettante per- pendicolari Ai R, Bi RS, Ci ST, . . . . , ciascuna delle quali sia contata fino al punto R, S, T, . . . , ove s'in- terseca colla consecutiva , e suppongansi i segmenti A, R = «, , B,S= ^., C, T = Vi , . . . ; poi si tiri- no i raggi AR = «, BS = /3, CT = y, , e si designi per h il semilato del poligono, talché h = AAi = AB, = BCi ==....: allora si avrà, per es. nel quadrilatero AAi RBi (in cui RA,=RBi=«, , e gli angoli in Ai e Bx sono retti) l'equazione seguente: 36. sen (2A) = 4 ■ — ■ =4 — ( — -, r" ) • * «4 « Va' «^ / Del pari e quindi sen(2C) ~ «V «^ «^ / ' V 7^ ~y^')' Determiniamo adesso il valore di tale rapporto (Sy) nel caso, che il poligono (V) si trasformi in una curva. Per arrivare a questo caso-limite , il semi- lato h diminuisca continuo ed in fine svanisca ; in corrispondenza «, ed ce, 7, e y s'avvicinano con- tinuamente alla uguaglianza, finché risulta j^, =: (j;, e 7i = 7 ; e però Ui^ :a^ = i^ 7,3 ; 73 — i- ed, essen- do h infinitesimo rispetto ad a e y, si ha h^iXi : «3= o, ec. IO Scienze e /i'y, : 7^ = o. Così, nel limile del rapporto (Sy), ossia nella curva (V), riesce 38. san (2A) : sen (2C) = 7 : « = — : — . « 7 Ma in questo caso i raggi «, /3, 7, .... sono i raggi di curvatura di (V) ne' punti A, B, C, . . . ; ciò che si fa manifesto dalla costruzione. Imperocché , per es., R è il centro ed a il raggio del circolo, il quale, passando per tre vertici consecutivi Z, A, B del poligono (V) , al mutarsi che fa il poligono in una curva, diventa il circolo osculatore di essa nel punto A. Dunque : / seni degli angoli doppi iA^ 2B, 2C, . . . . , che né* contatti fanno le tangenti della curva [F") con la curva stessa (^ ossia, gli angoli onde decli" nano Vuna dalV altra le tangenti consecutive)^ stan- no tra loro inversamente come i raggi di curva- tura «, /3, 7, . . . e però direttamente come le cur- vature corrispondenti. Tale risultato può anche derivarsi dalla consi- derazione seguente. Poiché l'angolo designato per A ( angolo adiacente a ZA.B) è uguale all' angolo AiRBi dimezzato dal raggio RA =3= a : si ha 39. sen A = 2 sen (|A) cos(| A) = 2 ^ , e parimente sen B = 2 -P- ; sen C = 2 — ^— : ec. Dunque é, per es. , sen A 7 «17 senC oc «71 * Baricentro di curvatura i* e, nel caso clie il poligono si cangi in una curva , e che però diventi «i = a, e 7, = y , si ottiene : 1 i 41 . sen A ; sen C =-• 7 : a = — : — . « 7 Vale a dire : i ^eni degli angoli semplici , che che ne^ contatti fanno le tangenti con la curva [V)^ stanno tra loro come le curvature relative a que- sti punti. Questo risultato non è in opposizione al prece- dente (Sg); anzi l'uno coincide coli' altro in virtù di ciò, che angoli piccolissimi o infinitesimi, espressi per archi o per numeri, sono proporzionali ai loro seni. Cosi i due risultati si riducono a quest'uno : gli an- goli, che ne^contatti fanno le tangenti colla curva (/^), sono proporzionali alle curvature corrispon- denti. §. XXII. Pel ragionamento precedente, noi adesso siamo in isfato di determinare il punto S in ogni curva (V), mediante certe quantità visibili e finite. Perchè, nel determinare il punto S , possiamo prendere, invece de' coefficienti infinitesimi senaA, senaB, sen 2C, ..., 1 loro proporzionali — , — , — , ... , valori inversi a /3 7 de' relativi raggi dì curvatura «, /S, 7, ... nella curva (V) ( ^. XV ). Così il punto determinato S della cur- va si potrà definire: Il centro di gravità della cur- va {f^}, ove questa s'' immagini divisa in uguali ele- menti infinitesimi ed aggravata ne'punti di divisio- ne con pesi, proporzionali inversamente ai rela- 1(2 Scienze tivi raggi di curvatura, ovvero direttamente alle relative curvature. A cagione di questa definizione il punlo S, da qui in poi, si diià: baricentro di cur- vatura della curva (V). Si vede poi chiaramenre ( §. XX ) , che quan- do la curva (V) ha un centro di simmetria, il bari- centro di curvatura S coincide coi medesimo. §. XXIII. E manifesto, e fu sopra ( ^. XX ) notato , che l'equazioni ed i teoremi già dimostrati sul poligono (V) continuano a sussistere nel caso-limite , ove il poligono si trasmuta in una curva (V). Così per la curva sussistono, nel medesimo senso, le seguenti equa- zioni ( 27, 28 e 34 ) : 42. 4r2V— (V)] ■ = 2 ( «'sen 2A ), 43. 4[2V — (V)] = 2 ( a,^sen2A ) -+- s^2sen2A), 44. 4(V— v^ ) = è s\l ( sen 2A) = U. Queste equazioni, espresse in parole, sommini- strano immediatamente i seguenti teoremi : a) Se^ rispetto ad una curva data^ chiusa e convessa (^), Varea della curva 1^ de'piedi^ cor- rispondente ad un punto mutabile P, deve restare costante : il luogo del punto P sarà una circon- ferenza^ il cui raggio s cresce o diminuisce in- sieme con quelV area ^, mentre il centro rimane sempre lo stesso punto fisso ^ ed è il baricentro S di curvatura della curva data [V). E viceversa : descritta dal baricentro S di curvatura della cur- va data (F') una circonjerenza^ a tutti i punti P Baricentro di curvatura i3 della medesima corrisponderanno cnri>e T^ dé^piedi di area uguale. b) Fra tutte le cun>e f^ de'' piedi di una data curva, rientrante e com'essa [V]^ quella delVarea minima v corrisponde al baricentro di curvatura S della curva (K). Per assegnare più precisamente l'incremento dell' area, che riceve una curva V de' piedi, corrispondente ad un punto P, allorché questo si allontana dal ba- ricentro di curvatura S , fa mestieri di valutare la quantità ^ ^^2(sen2A) , ossia il poligono U. Poiché questo poligono U, giusta ciò che precede ( ^ XVII), è inscritto ad un circolo avente s per raggio, e fa in esso due giri , e poiché lutti gli angoli centrali 2A, 2B, 2C, . . . opposti ai lati (A), (B), (C) . . . . del poligono U, nel presente caso per la curva (V) svaniscono : perciò , in questo caso, svaniscono an- che lutti i lati (A), (B) , (C), ... ; e conseguente- mente il contorno del poligono coincide con quello del circolo, ma l'abbraccia due volte. Pertanto l'area del poligono U consiste nell' area doppia di tal cir- colo, ovvero si ha : 45. U == ^^^. 2(sen2A) = ins^'., e 2(sen2A)= 4t. Dunque, invece dell'equazioni (43) e (44)» sì hanno 46. 4 [2V— (V)] = 2(a.='sen2A ) -h 47:5» ; 47* V = p-H|;r5.« Da quest' ultima equazione (47) si conchiudono i se- guenti teoremi : li^; Scienze e) Rispetto alla data curva (/^), chiusa e con- vessUf Varea V della curva de'' piedi di un punto P è sempre uguale alV area v della curva dei piedi relativa al baricentro S di curvatura^ pia quella del semicircolo , avente per raggio la distanza PS == 5, che passa tra i due punti P ed S. Cognita dunque, rispetto alla curva data (V) , l'area v della curva de' piedi corrispondente al ba- ricentro S di curvatura , può subito trovarsi l'area V della curva de'piedi di ogni altro punto P, solchè la sua distanza s dal baricentro S sia cognita. E vice- versa : cognite che siano, rispetto ad una curva (V), e per uu punto P, le quantità V ed 5, si troverà su- bilo V, e conseguentemente l'area della curva de'piedi per ogni altro punto, solchè sia data la sua distan- za da S. d) Rispetto ad una curva data {/^), cognite che siano le aree V ^ Vi ^ Vi delle curve dei piedi di tre punti dati P, P^, P,, non situati in linea retta ^ sarà per ciò determinatole facile a trovarsi il baricentro S di curvatura, nonché Varea V della sua curva dei piedi. Imperocché , a quest'uopo, si hanno (^.XIX, 47) le tre seguenti equazioni. (V— V.=i;:(.^-5.3), 48. )v — V, = é^(^^-V), onde si determinano tre rette X2, X,, X, la cui in- tersezione comune sarà il cercato baricentro S di cur- vatura. Baricentro di curvatura i5 §. XXIV. C/ISI PJRTICOLJRl. Se, in particolare , la curva data è un circolo o un'ellisse, pe' teoremi precedenti sarà facile di as- segnare l'area V della curva de' piedi di ogni punto P. A. Se la curva data [V^) è un circolo. E palese, come sopra sì è detto ( §, XXII ), che il circolo ha nel centro il baricentro S di curvatura. Quindi la curva de' piedi del punto S coincide col circolo stesso. Dunque, designalo per /• il raggio del circolo dato (V), si ha 4g. V == nr^i e (47) 5o. V =1 ;rr^ -i- | 71^' ; cioè : Varea della curva V de'piedì dì un punto P, rispetto al circolo dato (/^), è uguale a que- sto circolo, più il seitiicircolo ^ n s-, avente per raggio la distanza del punto P del centro S del circolo dato. Sulla forma e sulle altre proprietà di questa cur- va V de' piedi si noli ciò che segue, e che d'altron- de è facile a vedersi. La curva V tocca il circolo (V) ne' due estremi del diametro passante per P, rispetto al quale è sim- metrica j giace tutta fuori di (V), e gira e chiude uno i6 Scienze spazio finito. E del quarto grado, ed ha in P un punto singolare, il quale è un punto doppio , ideale (a), o immaginai'io (/S), secondochè P è situato fuòri o dentro del circolo (V); ed è un punto (y) di regresso, se P cade sulla circonferenza (V). Nel caso («) la curva s'incrocia in P, e le due tangenti condotte da P al circolo (V), sono le normali della curva V nel punto P, e però determinano l'angolo, onde la curva s'incrocia in P. Se è s^=2r^, quest' angolo è retto. Inoltre la curva forma due foglie o cappi, tali, che si conta due volle lo spazio chiuso dal cappio pivi piccolo. Se è ^2=2r^, 1' area della curva è =27rr'. Rispetto a lutti e tre i casi , le diverse curve V, come si proverà plìi sotto (§. XXXVI), sono iden- tiche colle diverse epicicloidi, generate da un circolo del raggio ^/', ruotante sopra un altro circolo uguale. Nel caso particolare (y), ove P giace sulla circonfe- renza; ossia, ove j' = r, la curva V è la così detta Cardoidcy e l'area di essa è : cioè = una volta e mezzo il dato circolo (^), ov- vero, = sei volte il circolo del raggio ^r; il che s'ac- corda con la nota espressione, relativa alla cardoide. Ciascuno de' due spazi lunati, che, in questo caso , si stendono fra i contorni di (V) e V, è = —nf'^t 4 cioè un quarto dell' area circolare (V). Similmente nel caso (/3) occorrono fra (V) e V due spazi lunati, ciascuno de' quali è =s -^ I Baricentro di curvatura ly B. Se la data curva [V] è un'ellisse. Anche nella ellisse, il baricenli'o S di curva- tura coincide evidentemente col centro. Siano a e b i semiassi della ellisse, Si la distanza del fuoco P, dal centro S, e Vi l'area della curva de' piedi dell'uà o dell'altro fuoco, la quale è, come si sa, un circolo avente per diametro l'asse maggiore ^^=:2a: sarà però 52. V, = Tra* ; da qui si conchiude immediatamente (§. XXIII): Preso nella circonferenza ^.concentrica con mi ellisse e passante pe^ fuochi della medesima, un punto Pi qualunque : V area della sua curva V de* piedi, relativa alla ellisse, sarà uguale alVarea circolare avente per diametro Vasse maggiore 2a della ellisse. Adesso si potrà trovare l'area di ogni altra cur- va de' piedi, relativa alla ellisse. Infatti, per la curva Sf de' piedi del centro S, distante di s^ = [/'(a^ — b^) dal fuoco Pj, si ha, secondo il §. XXIV (47)« 53. V = V, — I TI sj* = i TT (a* -t- b^)z=Ttg\ vale a dire : Varea della curva v de' piedi relativa al cen- tro S della ellisse (f^),è uguale alla semisomma delle due aree circolari, aventi per diametri gli assi (2a, ai) della ellisse; ovvero, essa è uguale alVarea circolare, che ha per diametro Vuno pé* due diametri coniugati uguali {2g) della ellisse. G.xl.T.CII. 2 i8 Scienze La curva v tocca l'ellisse (V) ne' quattro vertici degli assi, giace tutta fuori di essa, e tra le due cur- ve s'infrappongono quattro spazi lunati, che sono ne- cessariamente uguali tra loro. Sia l'area di ciascuno di essi = m; si avrà, essendo l'area della ellise = nabf 54. 4 m = 5 T:(a^ -H ^^) — nab = u 7r(a — ^)% ^à m=-—n{a— b)^; cioè: la somma delle quattro lunule è la metà del- l'area circolare^ avente per diametro la differenza de* due assi della ellisse', e ciascuna delle mede- sime è la ottava parte di quesVarea circolare. Ora , per l'area V della curva de' piedi di un punto P qualunque, relativa alla ellisse, si trae dal- le (47) e (53) la seguente espressione : .55. V = |7:(a^-l-ò^H-s'); vale a dire : Varea V della curva de' piedi di un punto P qualunque^ rispetto ad una ellisse data {P^)i equivale alla metà di tre aree circolari^ aven- ti per raggi i due semiassi della ellisse e la di- stanza s del punto P dal centro S della ellisse. Questa curva generale V de' piedi della ellisse (V) ha forma e natura analoga alla curva de' piedi del circolo (A) , essendoché l'affinità della ellisse e del circolo ammette tal'analogia. Per esempio, la curva V gira e chiude uno spazio finito , è situata fuori della ellisse, e la tocca, in generale e per lo più , in quattro punti. Il punto P, allorché è situato fuori Baricentro di curvatura i g della ellisse (V), è un punto doppio reale della curva V; le tangenti condotte dal medesimo alla ellisse (V) sono normali alla curva V, e però determinano l'an- golo , onde questa s'interseca. L'area della curva V consiste nella somma degli spazi (o delle foglie) con- tenuti in ambedue i cappi da essa formati. In par- ticolare, se la curva nel punto P si deve intersecare ortogonalmente, il luogo del punto P sarà il circo- lo, luogo geometrico del vertice di un angolo retto i cui lati toccano l'ellisse , circolo concentrico alla ellisse e del raggio s = ^/'(a^-h&^j. In questo caso adunque sarà costante l'area della curva V, cioè, a causa della (55), 56. V = Trs' = n{a^ -h b^); vale a dire: essa è uguale alla somma delle due aree circolari, aventi per diametri gli assi della ellisse , ossia uguale alV area del circolo luogo geometrico di P. Inoltre, situato il punto P dentro l'ellisse (V) , non esiste più della curva V che un cappio solo, attorniante l'ellisse (V); e così nascono tra le due curve (secondo il numero de' loro contat- ti ) 4t ^ i o ^ spazi lunati, la somma M de' quali è sempre determinata dall'equazione 57. M = I yr(a — è)^ -t- | ttsS nella quale è anche compreso 1' esempio particolare di sopra (54)» cioè il caso, ove s diventa = o. Tutte le curve V, qui rappresentate come curve de' piedi della ellisse, possono anche generarsi come l'epicicloidi, facendo ruotare un'ellisse sopra un'altra ao Scienze uguale ad essa : il che si dimostrerà più sotto nel §. XXXVI. Nota. Si noti di passaggio ciò che segue. Se una data ellisse v si considera come la curva de' pie- di del suo centro S , rispetto ad una curva ignota (V): si potrà subito assegnare l'area V della curva de' piedi di un punto P qualunque, rispetto alla base ignota (V). Infatti, designando per a e b i semiassi della ellisse, e per s la distanza PS, si ha : 58. \ = V -h ^ns^ = n ab '^ ^ m^: giacche, nelle circostanze supposte, il punto S è chia- ro esser anche il centro della curva ignota (V). Al- tri ed altri teoremi si possono in modo analogo ri- trovare. §. XXV. Teoremi più estesi. I teoremi proposti sul poligono V de' piedi e sul- la curva V de' piedi, allorché vengono applicati ad un sistema di figure date, conducono a proposizioni più estese. In un piano siano, per esempio, date n curve ar- bitrarie, ma chiuse e convesse (V), , (V)2 . • . (V)«, disposte in modo qualunque; i loro baricentri di cur- vatura siano Si, Sa, . . . S«, ed il centro delle me- die distanze de' medesimi n punti si chiami S. Inol- tre si dinotino per (/i, ('a • . . (^^j le aree delle curve de' piedi di questo punto S, e per Vi, Va • • • V/j le aree delle curve de' piedi di un punto P qualunque, distante di s dal punto S { rispetto alle curve date Baricentro di curvatura 2 r (V)„ (V)^ - . . (V), ). Risulterà (§. VII e §. XXIII. 47) la seguente equazione V, + Va ...+ V„ = (;,_,_ p,^ ... ^ ^^ _j_ ^ ^^ ^^,^ . ossìa vale a dire ; a) Dati in un piano n curve qualun- que (V,) , (Va), ... (V„), arbitrariamente disposte^ ma rientranti e convesse : il luogo geometrico di tutti i punti P, rispetto ai quali sia costante la som- ma delle n curve decedi Fi , F, , V^, è sem. pre un circolo, di cui il raggio s cresce o dimi- nuisce insieme con quella somma, mentre il cen- tro è un punto fisso, ed è il centro Sdì gravità dei baricentri di curvatura S, , S, ... S„ delle curve date {Fj, , {F-), , ... {F}n , ove a questi ultimi si attribuiscano coefficienti uguali. Ed inoltre : b) La somma 2((^,) delle curve de' piedi, rela- tiva al suddetto centro di gravità S, è la minima di tutte; ed inferiore alla somma 2{F,) relativa ad un altro punto P, di n volte la mezz'area cir- colare, avente per raggio la distanza s del punto P da S. ^ Similmente si ha, allorché in vece delle curve sono dati n poligoni convessi qualunque (V),, (V)a... (V)„ : 61. V,4-V,... H-V«=».,+».,...4-j.^^4.u.-f-U,...4-U« , ove i poligoni U, , U^ ... U„ (siccome nel §. XVII il poligono [] ) sono tutti inscritti allo stesso circolo del raggio s, di modo che si ha 62. Ui-+-U,...H-lT„c=Ì5:>[2(sen2A.)+2(sen2A,)...-h2(sen2A„)]. 22 Scienze Esistono formole analoghe pel caso die le date figure siano parte poligoni, parte curve. DELLE FIGURE GENERATE PER UN MOTO ROTANTE. A. Se la data figura {V) ruota sopra una retta fissa G. §. XXVI. Un poligono convesso (V) qualunque, per es. il pentagono ABCDE (fig. 6.), ruoti sopra una retta fis- sa G, sino a compiere un giro intero, vale a dire ap- plichi sulla retta G tutti i suoi lati, l'uno dopo ed accosto dell'altro, finché in ultimo il poligono torni a riposare sullo stesso lato che in principio dopo di aver percorso sulla retta G una lunghezza AA, uguale al proprio contorno. In siffatto movimento ogni pun- to P, fissato al poligono , descriverà una linea PP, P^ P3 P4 P5 , composta di tanti archi circolari, quanti ha lati il poligono. Questi archi circolari PPi, Pi Pj, P, P5 hanno per centri i punti Ai, B^ , C, , ... Ei, dove i vertici A, B, ... E del poligono (Vj toccano la retta G; hanno per raggi le rette a, è, e, d, e , che vanno dal punto P ai verlici A, B, C, . . . del poligono, e per angoli centrali gli angoli supplemen- tari A, B, C, D, E degli angoli del poligono, situati in questi vertici. La linea PP, P^ ... Pg e le tre rette AP, A A, ed Ai P5 limitano una figura ÀPP, ...P5A1, che conviene riguardare come composta delle seguenti parli: i) Da una serie di (n) triangoli APiB,, BiPaCi... Baricentro nr curvatura 23 Ei P5 Ai rispettivamente uguali ai triangoli APB , BPC, ... EPA, ne'quali viene a decomporsi il dato poligono (V) da' raggi «!, Z>, e, d^ e, talché la somma delle aree di que'triangoli riesce uguale all' area di questo poligono; e 2) da un egual numero di settori circolari, i cui centri, raggi ed angoli centrali già si sono assegnati. Questa figura APPi P^ ... P5 Ai si dirà in appresso, c?e5cri7^fl! dal punto P. Designatane l'area per W, riesce manifesto da questo discorso, essere 63. W=(V)H- I a^AH- | i^'B-t- i c2C4-...=(V)-i-|2(a='A) , ove A, B, C, ... dinotano i suddetti angoli supple- mentari del poligono (V), espressi in numeri. Secondo il §. VII l'equazione proposta può tra- smutarsi nella seguente : ,64. W=(V)-Ma.='A-{-|5,=»B4-Aci='C-f-...H-|s^(A-4-BH-C-f-...) =(V)-M 2(ax»A) 4- I s-2(A) , ove «j , èi , Ci , ... s sono que'raggi che uniscono coi vertici A, B, C, ... del poligono e col punto P un punto singolare S, che dipende d'una maniera de- terminata dal poligono (V). Ove si avverta, che, secondo il §. XVII. 32, 65. 2(A) = A -4- B 4- C -H ... = 27r, risulterà (64) : 66. W = (V) M- I lifl^k) -H m^ ; e però l'area w della figura descritta dal punto S , 24 Scienze rispetto al quale è ^ = o , sarà data dall'equazione 67. w = (V) -H A l(a,- A) ; da qui e dalla (66) si ricava finalmente 68. W= IV 4- 715*. Da lutto questo si traggono i seguenti teoremi. a) Se un poligono convesso (V) ruota in un piano sopra una retta fissa G, finche abbia fatto un giro intero , esiste un punto singolare S , il quale fra tutti i punti P fissati al poligono, de- scrive la curva w di area minima. Questo punto S è il centro di gravità de\*ertici del dato poligo- no [P^)i ove a* medesimi si attribuiscano come coef- ficienti^ i relativi angoli supplementari del poli- gono. b) Ogni altro punto P descrive una figura, la cui area W sorpassa Varca di quella figura mi- nima w, precisamente dell'area circolare avente per raggio la distanza che intercede tra i punti P ed S. Pertanto : e) Tutti i punti P, situati sopra una circon- ferenza del centro S, descrivono altrettante figu- re W di eguale area', e viceversa : i punti P, che descrivono figure JV di eguaV area, sono tutti so- pra un circolo^ avente per centro il punto S. E palese che, in un poligono regolare (V), il cen- tro di gravità S dovrà coincidere col centro del po- ligono. Anche in altri casi particolari questo centro di gravità S si assegna o costruisce geometricamente, Baricentro di curvatura -25 senza difficollà, come per es. nel caso che gli angoli supplementari del poligono (V) siano commensura- bili tra loro. Nel triangolo, quadrigono, ec. s'incon- trano, sotto questo riguardo, de'notabili teoremi. §. XXVII. L'area della figura W, conservandone le parli com- ponenti, può rappresentarsi sotto altra forma o eoa altra figura (W) , senza far ruotare il poligono (V) sopra la retta G. Infatti, i settori circolari che si tro- vano nella figura W, possono applicarsi immediata- mente al poligono (V), descrivendoli negli angoli sup- plementari A, B, C, ... del medesimo, come per es. nella fig. 7, ove gli archi circolari (A)(A)i , (B)(B), , (C)(C)i . . . sono descritti dai vertici A, B, C, ... coi raggi «, b^ e, ... E manifesto, che in tal guisa la fi- gura (A)(A). (B)(B): (C)(C). (D)(D.) (E)fE). = (W),di- venta equivalente alla figura W, descritta dal punto P nel ruotare del poligono (V) sulla retta G (fig- 6). Sic- come i settori circolari possono applicarsi al poligono (V), ed attorniarlo nel medesimo senso in due ma- niere diverse, secondochè i lati prolungati, per for- mare gli angoli supplementari, vanno nell'una o nel- Taltra direzione; così risulteranno da questa costru- zione due figure (W) e (W),, di forma diversa, ma di area uguale. Quindi è manifesto, che le formole ed i teoremi sopra (^. XXVI) sviluppati per le figure W e w, sus- sisteranno del pari per le figure (W) e (w), ove (iv) si riferisce al centro di gravità S ed ha con tv l'area eguale. iìG Scienze Pertanto si avrà : 69. (W) — (V) = (W), — (V) = kl{a^^A) -{- ns^ , 70. (w) ~ (V) =^ {wU - (V) = h^c^Mh 71. (W) — (w) = (W),— (w),= ns' ; onde si traggono i teoremi : a) Tirate da'vertici A, B, C, .... di un poli- gono convesso (P^j altrettante rette a, b^c,...ad un punto P situato nel suo pianole descritti con le medesime^ come raggia settori circolari ne'' re- lativi angoli supplementarii A^ B^ C, ... del po- ligono {f^) : la somma {JV) — {V) delle aree di siffatti settori circolari sarà un minimo {w) ■— [V) allorché il punto P coincìde col punto S ^ centro di gravità desertici del poligono [V) , ove loro s'* attribuiscano coefficienti proporzionali ai relativi angoli supplementari. b) Rispetto ad ogni altro punto P la somma ijl^) — [V] delle aree de'' settori circolari sor- passa la somma [w) — [V) relativa al centro di gravità S, delVarea circolare ns"^, avente per rag- gio la distanza s tra i punti P ed S. e) Ai punti Py situati sopra un cerchio del centro 6", corrispondono somme uguali [IV) — (V) delle aree de^ settori circolari'., e viceversa : i pun- ti P, pe''quali la somma delle aree de' settori cir- colari è la mede sima i sono tutti sopra lo stesso cerchio avente S per centro. Baricentro di curvatura 27 §. XXVIII. Trasraulandosi il poligono (V) finora consideralo in una curva (V) come sopra (^. XX) , l'equazioni ed i teoremi stabiliti ( ^. XXVI e XXVII) continue- ranno a sussistere in questo caso~limite. In corrispon- denza, le altre figure W, (W) che ne dipendono, si trasformeranno in curve , ed il centro di gravità S acquisterà una proprietà caratteristica. Ecco le muta- zioni che avvengono. i) Rotando la curva chiusa e convessa (V) sulla retta G (fig. 6.), la linea PPi ... P„ descritta da un punto P ( fissato alla curva (V) ), la quale prima era composta di archi circolari, ora sarà una curva PP« ( ossia si comporrà d'innumerevoli archi circolari infi- nitesimi ). La figura W descritta dal punto P, sarà il quadrigono APP/2A1, chiuso dalla curva PPn e dalle tre rette AP, P/2A, ed AA, , ove (come già per il po- ligono) le due prime rette AP ed AiP„ saranno uguali e parallele tra loro, mentre la terza iVA, uguaglierà il contorno della curva rotante (V). 2) Dalla costruzione della figura (W) , descrìtta nel §. XXVII e rappresentala nella fig. (7), si rica- va facilmente, che nel presente caso il contorno di essa si trasmuta in una curva determinata (W). In- fatti, poiché in questo caso si fanno infinitesimi gli angoli supplementari ed i lati del poligono (V), i quali d'altronde si cangiano, prolungali, nelle tangenti della curva (V) : perciò diverranno pure infinitesimi sì gli archi circolari (A)(A)i , (B)(B), , (C)(C), , ... come le distanze (A),(B) , (B),(C) , (C).(D), ... ; e per conse- guente i punti consecutivi, come per es. (A), (A)i e (B), saranno tre a tre infinitamente vicini, e però la cur- 28 Scienze va (W) potrà riguardarsi, senz'altro, come luogo geo- metrico de'punli (A), (B), (C), ... Vale a dire: ripor- talo sopra ciascuna tangente A(A) della data curva (V) il raggio AP = a , relativo al conlatto A della me- desima ( preso A(A) = a ), il luogo dell'estremo (A) della tangente sarà la curva (W). Ma, a partire dal conlatto A, il raggio a può riportarsi sopra la tan- gente A(A) in due direzioni opposte. Quindi nascono dalla costruzione indicala due figure (W) e (W)i , le quali, benché in generale differiscano quanlo alla forma, son tuttavia di ugual'area, vale a dire è sem- pre (W) = (W),. Poiché gli angoli supplementari A , B, C, .... , pe'qnali nel poligono (V) si determinava il punto sin- golare S (§. XXVI.) diventano, nello svanire, propor- zionali alle relative curvature della curva (V), ovvero ai valori inversi de'relativi raggi di curvatura (§.XXI): perciò il punto singolare S si fa palese^ nel pre- sente caso , esser lo stesso di quello^ che sopra §. XXII.) venne chiamato baricentro di curvatura della curva {J^}. Benché i singoli angoli A, B, C, ... qui diventi- no infinitesimi, tuttavia la loro somma rimane la stes- sa di prima (§. XXVI. 65), e però 2(A)==27r; l'espres- sione 5 5^2(A) conserva il suo primo valore = ns\ Quindi per le figure (V), (W), W, or descritte, sus- sistono l'equazioni {^. XXVI e XXVII.), 72. W = (W) = (V) -h i 2(a-A) , 73. W = (W) = (V) -+- i I{aM) H- ns^ , 74. w = (w) = (V) H- i 2(a,=^A) , 75. W = (W) = w -i-ns^ = (w) -f- tts» 76. (W)=. (W), ; e (w) = (w), ; 77. (W) — (V) = (W), — (V) = (w)-(V)-hJrs» = (w)i— (V)4-7ii». Baricentro di curvatura aq Il paragone di queste formole con quelle del §. XXIII , se le riportiamo tutte quante alla stessa curva (V), ed osserviamo che per gli angoli infinite- simi si ha sen2A == asenA = aA, e però 2(a»sen2A) = 2I(a^X) : ci guida al seguente risultato interessante: 78. W ^ (W) = 2V , e ,v = (w) = 2»^. Da tutto questo si ottengono i seguenti teoremi: a) Rotando una curva chiusa e convessa (/^) , nel suo piaìio, sopra una retta fissa G finche ab- bia fatto un giro intero, ogni punto P unito con essa descrive una figura W {quadrigono di linee miste ) , la cui area dipende dalla posizione del punto P. La figura descritta dal baricentro S di curvatura della data curva {V) ha, fra tutte, Varea minima w. V area della figura W , descritta da ogni altro punto P, sorpassa questo minimo w, delVarea circolare, avente per raggio la distanza s che passa tra il punto P ed il baricentro S {j5}. Quindi tutti i punti P, situati sopra un cerchio il cui centro coincida col baricentro S, descrivono ■ altrettante figure W di e guai area; e viceversa, h) Tirati da un punto P nel piano di una cur- va chiusa e convessa [F) a tutti i punii J, B,C,... di essa altrettanti raggi a, b,c,... se, da ciascun punto, il relativo raggio vien trasportato sopra la tangente adiacente della curva sempre nel mede- simo verso : gli estremi {J), {B), (C), ... delie tan- genti formeranno una curva chiusa [W)' Fra tutte 3(0 Scienze le curve {fV), che in tal modo possono generarsi^ quella delVarea minima [w] , è relativa al bari- centro S di curvatura della data curva. Rispetto ad ogni altro punto P, la curva generata ha un* area {t^)ì che sorpassa quel minimo (w), dell'area circolare ns^ avente per raggio la distanza s tra il punto P e il baricentro S. Dunque appunti P, che sono situati sopra, un cerchio tirato intorno ad S ( come centro ), corrispondono curve {W) di eguaVarea; e viceversa. Inoltre: Secondochè i rag- gi «> b, e, si riportano nelVuno o nelV altro verso sopra le tangenti della curva (^), ne na- scono relativamente al medesimo punto P, (6"), due curve diverse (JV) e (^F),, [w] e (w),, le quali han- no tuttavia le aree uguali (76). Ed inoltre : Gli spazi (W) — {V), {TV)i — (^), rinchiusi tra le curve (y^)e{W)^[V) e {W)i, sono, per ogni punto P,ugualt tra loro^ e rimangono costanti per tutti i punti^ situati alla medesima distanza s del baricentro S di curvatura. Questi spazi hanno Varca minima {w) — {V), (w), — {^) , ^^ ^^ riferiscono al punto «S; ma se si riferiscono ad un altro punto P, sor- passano essi quel minimo {w\ — (^), delVarea circolare ns^ , che ha per raggio la distanza P^ = ^. (77)- e) Se consideriamo la medesima curva {V) ed il medesimo punto P riguardo ai due precedenti teoremi {a) e (b), la figura TV descritta dal punto P, giusta il teorema [a], ha sempre Varca eguale alla figura [PT) o {TV)i , corrispondente al pun- to P nel senso del teorema (b), cosicché sempre si ha TF=^{1V)= (/Tji. EJ inoltre : Baricentro di curvatura 3i d) Ciascuna delle due figure W e {W) ha pre- cisamente Varca doppia di quella della curva V da' piedi (78), relativa al medesimo punto P ed xl- la medesima curva data {V). Generalmente : a- Rotando la data curva {J^) sopra una retta fissa G, ogni punto P unito con essa descrive una figura TV^ la cui area è precisamente doppia del- l'area della curva V de'piedii relativa al medesi- mo punto P ed alla medesima curva data {,V)\ e |S. Movendosi un triangolo isoscele Pj4{j4) (PA =À[À))^ mutabile in tal modo che il suo ver- tice A scorra la data curva (f^), e V un lato 'A{J) la tocchi sempre in quel vertice A^ mentre il ver- tice opposto al lato A[A) rimane fisso in un pun- to P : il terzo vertice [A) del triangolo ed il piede Al della, perpendicolare, calata dal vertice fisso P sul lato A(A), descrivono due curve [TV) e Vj di cui la prima (FF) ha sempre Varca doppia di quella della seconda V, [Sarà continuato.) -^^ 32 Praelectiones theologlcae quas in coli, romano soc. lesu habebat Ioannes Ferrane e soc. lesit in eod. coli, theol. prof. Fol. VIII^p. 11^ continens tractatus de locis iheologìcis partes secundani et tertiam. Romae typis collegii urbani 1842. Articolo x , ed ultimo. ( Conti- nuazione e fine. ) E atto in tale guisa conoscere (i) come l'uomo avanti la rivelazione possa bene usare della ragione, viene nel secondo articolo il p. Perrone a parlare delVabuso della ragione avanti la fede. Per nome di abuso intendono que' sistemi filosofici, che non possono con- ciliarsi colla fede: o perchè direttamente le troncano ogni via, o perchè indirettamente producono il mede- simo effetto distruggendone di soppiatto il fondamen- to, cui ella si appoggia. Parlando de' sistemi che direttamente si oppon- gono ad abbracciare la fede, e tacendo dell'ateismo for- male da lui già confutato nel trattato De Deo (2), ra- giona in altrettanti paragrafi del panteismo, del mate- rialismo, ove in modo particolare favella della freno^ logia ^ dimostrandola opposta ai sani principii della psicologia e alle osservazioni patologiche, del fatali- smo e del determinismo i di quelli cioè che ricono- scono l'animo immune da ogni coazione, ma il vo- gliono sempre e necessariamente determinato da ra- gioni interne, cui non possa resistere. (1) Vedi Tom. CI. a e. 292. (2) Part. 1, cap. I, prop. 1 etprop. IV, cap. I, prop. unic. Teologia del Perrome 33 Mostra in appresso l'A. che indirettamente si op- pongono all'abbracciamento della fede il sensismo mi- stico, l'empirismo, e l'ermesianismo filosofico: il quale ultimo sistema è dal eh. professore in ogni maniera assalito e stretto per quella sola parte che riguarda la filosofia, avendo già egli altrove parlato degli errori di Ermes e de'suoi seguaci in fatto di religione. Considerata con tanta profondità di senno, con tanta varietà di filosofiche cognizioni, la ragione in- nanzi la fede, scende il Perrone ad esaminarla con- giunta colla fede, ossia viene a dimostrare nel secon- do capo quali debbano essere le parti della ragione, mentre abbraccia e professa gli oggetti della fede. E questo capitolo diviso in più articoli e proposizioni. Parlando nel primo articolo della fede riguardata nella sua natura^ dimostra nella prima proposizione, che la fede considerata nella sua natura e nel suo principio formale è essenzialmente distinta dalla scienza, di- pendendo quella, cioè la fed^, i dal principio che la genera, cioè dalla grazia, 2 dall'oggetto, 3 dal motivo formale, 4 dal fine: e derivandosi questa, cioè la ra- gione per cui si acquista la scienza ; i dalla costitu- zione stessa dell'uomo, il quale è ente fornito d'in- telligenza e ragione; 2 dall'avere gli oggetti consen- tanei alla sua intelligenza; 3 dall'acquistare le cogni- zioni di suo ordine mediante l'esercizio della sua in- telligenza medesima; 4 ^^^ non innalzarsi se non al- l'astrattiva cognizione di Dio e al suo naturale amore. Alle quali ragioni altre pure aggiunge di non lieve peso. Nella seconda proposizione fa vedere, che sebbe- ne i motivi di credibilità generino V evidenza degli oggetti della fede, tuttavia essi giammai non possono costituire un motivo jormale dell' atto della fede. Im- G.A.T.CII. 3 34 Scienze perocché dovendo questo farsi necessariamente, e do- vendo intrinsecamente essere sovrannaturale, mai non può avvenire che si ricavi, come da principioybr/waZe , dall'evidenza de' motivi di credibilità: la qual'evidenza è tutta naturale e' produce una persuasione e certezza naturale. Inoltre questa certezza deve essere effetto della divina grazia: deve l'atto di fede rivolgersi an- co a cose a noi oscure e soprannaturali: né deve es- sere di una certezza filosofica e razionale, altrimenti se la potrebbe ogni uomo dotto colle proprie forze acquistare, come dicevano i pelagiani e semipelagiani Nella terza proposizione attaccando coloro, i quali opinano che data una vera dimostrazione della fede cri- s.tiana l'assenso che ne consegue non sarebbe libero , ma necessario, e che tutti i motivi di credibilità potreb- bero rimuovere gì' impedimenti a credere , ma non indurre alcuna persuasione a farlo, il nostro A. sostie- ne, che la dimostrazione di cui è capace la verità del- la fede cristiana, ossia che.qualunque motivo di credi- bilità, non reca danno a quella libertà, con cui l'ani- ma deve imperare l'alto di fede. Imperocché questa di- mostrazione non produce per se stessa l'evidenza me- tafisica (quantunque possa spesso in essa risolversi pei principii che diconsi riflessi): ma l'evidenza, che può aversi per mezzo di motivi di credibilità non è ordi- nariamente se non morale^ e spesso fisica^ per coloro cioè che videro co' loro medesimi occhi i segni e i pro- digi. Ora ogni evidenza e certezza, che nasce dalla estrinseca dimostrazione della fede, non è tale da co- stringere l'intelletto a prestarle assenso, essendo la sola evidenza metafisica quella che costringe l' intelletto ad acconsentire. Laonde sebbene sia metafisicamente evidente essere Iddio veritiero , anzi la slessa verità Teologia del Perrone 35 per essenza che non può nò ingannare, ne essere in- gannata; sebbene sia metafisicamente certo doversi cre- dere ad un Dio rivelante ; tuttavolta se abbia o no Iddio parlato, se abbia questo o quello rivelato a noi non consta , se non pe' motivi di credibilità, i quali potendo sempre soggiacere a non poche difficoltà, ri- cercano in conseguenza una volontà ben disposta a ricevere il vero. Così, a modo di esempio, gli ebrei videro i miracoli di Cristo, non li negarono: se ne maravigliarono , avrebbero potuto e dovuto credere , eppure non solo non lo fecero, ma si misero in diffiden- za del Salvatore appunto perchè operava tali prodigi. Finalmente nella quarta proposizione dimostra , che di uno stesso oggetto può aversi la scienza e la fede. Infatti la scienza si appoggia a principii natu- ralmente cogniti, e la fede all'autorità di Dio rive- lante: la quale autorità, come si è detto, costituisce perciò il motivo , ossia l'oggetto formale della stessa fede. Pertanto la rivelazione non solo abbraccia le cose che superano la forza della ragione, ma anche le ve- rità che sono di ordine naturale: laonde un mede- simo oggetto può per diversi principii conoscersi. L'articolo secondo tratta del nesso e della mutua relazione tra la fede e la ragione. Dimostra l'autore questa concordia con due separate proposizioni. So- stiene nella i, che la fede ne eslingue il lume na- turale della ragione, ne può mai essergli contrario : prova nella 2 , ch'essa fede non solo non s'oppone all' accrescimento della umana ragione , ma che più tosto in slngolar modo lo favorisce; essendo la fede, se pur è lecito esprimersi così, a guisa di macchina elettri- ca ch'eccita il fluido della scienza, lo comunica ovun- que, e ^erba sempre vivo, ardente, ed alimentato un 36 Scienze tal fuoco. Non manca il Perrone di far notare il vero progresso che la società umana fece prima e dopo la propagazione della fede cristiana, lo stato delle scienze in quelle regioni dove o non entrò giammai o si è in appresso estinta la fede, paragonando pur anco gli ingegni di Atene e dell' antica Roma con quelli che diede il cristianesimo in ogni luogo e in ogni tempo ; e le città dell' Asia e dell' Affrica già fiorentissime per la religione cattolica, e venute poi in tanta barba- rie, o per l'eresia, o per l'islamismo. Nel capo terzo considera la ragione dopo la fede : ed è diviso in due articoli. Nel primo arti- colo , parlando del retto uso della ragione dopo che siasi ricevuta la fede, nella prima proposizione sostiene l'A. che anche dopo tale grazia può l'uma- na ragione investigare e difendere i fondamenti della stessa fede in genere, e di ciascun domma in par- ticolare. Imperocché, come si è detto, doppio è l'of- ficio del teologo, di fedele cioè e di dottore. Come fedele dev'egli prestare il suo assenso al domma come l'ultima femminella del volgo, credendo mercè della divina grazia unicamente all' autorità di Dio rive- lante e alla chiesa, che gli propone le verità sud- dette. Come teologo poi, ossia come dottore, può, anzi deve cercare i fondamenti della fede stessa e de'dommi, non tanto per erudire se, quanto per am- maestrare gli altri, i quali gli addimandano ragione della speranza ch'è in lui, nella guisa appunto che operarono i padri della Chiesa, dai quali si ebbero dottissime apologie della religione cristiana. Nella seconda proposizione poi sostiene, che può inoltre la umana ragione innalzare la dottrina della fede ad un trattato veramente scientifico. Per Teologia del Perrone 3^ meglio sconfiggerli divide il Perrone gli avversari in due classi. Colloca nella prima quelli che ammetter vorrebbero solo una fede istorica e positiva^ e dopo avere notato; i, che la suddetta fede istorica e posi- tiva proposta dalla Chiesa non può per tale motivo dipendere da qualsiasi scientifica investigazione; 2, che questa fede obbiettiva dev' essere inconcussa base per istabilire le nostre ricerche; dice in terzo luogo che nulla osta, perchè questa dottrina venga levata ad un metodo scientifico. In ultimo, a non cadere in abusi, avverte che non è proprio della scienza teologica 1' esaminare gì' intimi penetrali de' misteri per modo, che si possano con essa intrinsecamente conoscere e comprendere appieno. Le quali cose di- chiarate, toglie a dimostrare che un tal metodo scien- tifico conferisce alla dignità e all'onore della stessa dottrina, è richiesto dalla natura di essa, è persuaso del costante uso de'padri e de'dottori. Siccome però anche dopo ricevuta la fede por Irebbe la ragione abusare di se medesima, ne sot- toporsi alla fede proposta con infallibile autorità dalla Chiesa, ma avere anzi una fede subbiettivas o piuttosto quello che chiamasi spirito privato ^^ per cui renderebbesi essa fede suhbiettiva , così il eh. A. dimostra nella prima proposizione, che l'umana ra- gione non può per se stessa stabilire un'unica re- gola di fede senza distruggere la stessa fede che dipende dall'autorità. Colla quale proposizione viene a confutare Lutero e tutti gli altri novatori del se- colo XVI, i quali eressero in principio formale della fede l'indipendenza assoluta della ragione da qual- sivoglia autorità. Nella seconda proposizione fa ve- dere come dalla essenziale costituzione e natura del 38 Scienze protestantismo ne consegua necessariamente il ra- zionalismo, 0, per dirlo in altri termini, ne derivi che se il protestantismo è vero, è falso il cristiane- simo. Infatti il protestantismo, quale usci dal capo di Lutero, può sotto due aspetti considerarsi: cioè nella sua essenza^ vale a dire nella sua natura e costituzione ; ovvero nella sua forma esteriore ed accidentale. Nel primo caso fu razionalistico fin dalla sua origine; nel secondo fu supernaturali sti- co. La quale proposizione il dotto teologo prova a maraviglia: mostrando in primo luogo, essere il pro- testantismo razionalistico di sua natura ed essenza, e doverne da lui in conseguenza derivare necessa- riamente il razionalismo stesso: in secondo luogo fa- cendo vedere come per mezzo di questo stesso ra- zionalismo si distrugga tutto il cristianesimo, ossia tutto il fondamento della religione cristiana. Le quali cose ad evidenza egli prova in diritto e in fatto ^ ossia teoreticamente e praticamente. Sviluppata con tale forza di argomenti e con tanta profondità la parte, che ha la ragione innanzi la fede, colla fede e dopo la fede, viene l'A. nella seconda sezione a parlare della metodologia^ ossia dell' applicazione di tutte quelle regole di già pro- poste in questi luoghi teologici. Divide questa se- zione in tre capi. Ragiona nel primo, del dovere del teologo riguardato sotto tre aspetti: cioè, come dom- maticOi come speculativo, come polemico; dando opportuni canoni a ben regolarsi in ciascuno di questi tre generi d'insegnamento. Discorre nel secondo capo del metodo sì ana- litico, si sintetico: ossia del metodo d'invenzione e di dimostrazione; ed attesi i gravi pericoli che pos- ^k Teologia del Perrone Sg sono incontrarsi, opina essere più espediente adope- rare nelle trattazioni teologiche il metodo sintetico, non escludendo affatto, anzi in qualche controversia raccomandando, il metodo analitico. Parlando della lingua da adoperarsi, non lascia di dare la preferenza alla latina, e d'inculcarla quan- to può, perchè antichissima e divenuta liturgica nella Chiesa: perchè essendo essa lingua universale, me- glio di ogni altra compete alla Chiesa cattolica; per- chè se ne valsero i padri : perchè se s' insegnasse la teologia in lingua volgare, lo studio della lingua latina si restringerebbe a pochissimi del clero: e fi- nalmente per la gravissima ragione , che avendo i dommi cristiani i loro concetti e le loro forme e locuzioni consecrate dall'uso, sarebbe gravissimo e quasi inevitabile il pericolo , che nelle traduzioni non si andassero in qualche guisa a viziare, attesa la varietà e la natura delle lingue medesime, che non mai fra loro perfettissimamente si corrispondono. ^ Nel terzo capo tratta degl'istromenti, ossia dei mezzi di cui deve usare il teologo. Li divide in in- trinseci ed estrinseci. Ripone tra i primi la sacra scrittura, la tradizione, la cognizione de'padri, non solo per ciò che riguarda la loro dottrina, ma ben anco la vita , l'origine delle controversie ec. ec. Colloca fra i secondi quasi tutte le buone arti e discipline , non essendovi per così dire scienza al- cuna , dalla quale il teologo cattolico non possa trarre argomento a conferma della cristiana religione, siccome si è sempre praticato, ed a'nostri giorni con grandissimo frutto si costuma , bastando fra i mol- tissimi il ricordare il eh. monsig. Wiseman, vesco- vo di Mellipotamo e vicario apostolico in Inghilterra, ^o Scienze assai benemerito JcUa religione p'er le sue lodatia- sime conferenze sulla connessioue delle scienze e della religione ec. opera di già voltata in più lin- gue. E per dir tulio in poco, siccome non vi è cosa di cui non siasi in addietro e oggidì abusato per attaccare la religione di Gesù Cristo, così non vi è studio di scienza alcuna che il buon teologo debba omettere per difenderla: siccome far deve un corag- gioso ed esperto capitano, il quale si serve dì tutte quelle armi, che reputa più adattate a conquidere il nemico, e a riportarne piena vittoria. In tale guisa ha fine il trattato de'luoghi teo- logici, che, come già facemmo notare , nella prima edizione romana si è collocato per ultimo, ma nella ristampa con più diritto si pone dopo 11 trattato De vera religione^ dovendo essi luoghi teologici servire di fondamento a tutta la teologia. Non vi ha dubbio che ci siamo alquanto dif- fusi in rendere ragione di queste prelezioni teolo- giche^ avendoci adoperati più articoli: eppure, a dire il vero, non abbiamo se non toccato leggermente le cose principali , per cui questa opera ha avuto sì universale incontro. Infatti, a tacere quanto di es- se hanno detto i vari giornali, chiuderemo questo no- stro estratto traducendo dal francese le medesime pa- role, con cui il giornale di Liegi, tomo X, fase. 2, in data del i di marzo del prossimo passato anno, ter- minava un suo articolo: « Ci è impossibile di aggiun- » gere alcun che agli elogi che questa teologia ha )) meritato in tutti i paesi cattolici d'Europa, e anco n al di là dai mari. Undici edizioni (i ) di quesl'o])era, (1) In appresso se ne sono intraprese due allre, sicché sono 13. Teologia del Perrone 4' n intraprese nello spazio di otto o nove anni, fanno » solenne testimonianza della utilità, che i giovani » teologi possono ritrarne. Duecento scolari di ogni » nazione, accerchiati intorno alla cattedra del dotto » professore, addimostrano come l'insegnamento svi- » luppato in questi volumi sia acconcio ai bisogni del- » la Chiesa, e contribuisca alla difesa della religio- » ne. » Noi non sapremmo qual cosa aggiungere ad un elogio sì grande e sì veridico: e solo diremo che l'autore, per rendere anche più universale l'uso della sua opera, e adattarlo alla brevità de'corsi teo- logici de' seminari, ha tolto a farne un compendio, che non è con minore avidità aspettato dagli stu- diosi, e del quale torneremo a parlare quando sarà interamente posto alla luce. Francesco Fabi Montani. J^S^^S^ 42 Telologia del sistema urinifero vascolare scoperto da Jacobson nei pesci e nei rettili. Memoria di Ottavio Cappello letta alV accademia degli aspiranti naturalisti di Napoli nella seduta del di 20 di giugno i844' {Estratto. ) Jlacobson ha rinvenuto ne'pescl e ne' rettili un si- stema urinifero vascolare diverso da quello de'mara- miferi. Consiste in questo: che il sangue ritornando da- gli arti inferiori , dalla coda e dalle parti genitali , invece d' imboccare nella vena cava ascendente , co- me avviene in tutti gli animali a sangue caldo , si raccoglie in un vaso particolare: e , a modo di arte- ria, va direttamente ai reni, ove si ramifica in forma dicotoma, come fa la vena porta nel fegato. Questo fatto non ammette dubbio. La cagione di ciò non è stata indagala, o almeno le congetture non riusciron molto plausibili: perchè si ritiene comunemente, che quel sangue vada ai reni per portarvi i materiali del- l'urina.«Io credo che quest'errore era inevitabile, stante l'idea che generalmente si parteggia dai filosofi intor- no la funzione dei reni. Tanto ardisco dire, perchè in un lavoro che sto compilando, e che tra breve sa- rà fatto di pubblico diritto, dimostrerò che i materiali dell' urina non possono esser portati ai reni dalle ar- terie emulgenti, come da tutti si afferma; sol perchè non si è mai scoverto un altro sistema di vasi affe- renti che là si portassero. Ma farò vedere che questi materiali son presi direttamente dall'apparato digestivo, Sistema urinifero vascot.are ^3 e periati ai reni per vie tutte particolari , invisibili all'occhio del più esatto osservatore. » Nesli animali inferiori dotali del sistema di Ja- cobson , i reni non solo debbono considerarsi come organi uro-poietici^ ma anche come organi di ema- tosi, che suppliscono al polmone, alla cute ed al fe- gato. La ragione perchè esista il sistema dì Jacobson nei pesci e rettili sta nella imperfetta respirazione dei primi e nella difettosa circolazione dei secondi Dovendo i pesci per respirare svolgere la piccola quantità di aria che si trova unita all'acqua, e da quella trarre l'ossigeno, ognun vede che il respiro dee esser così limitatissimo. Oltre a ciò la cute, che è altr' or- gano di respirazione, malissimo si presta in questi, per- ché coriacea o squamosa; e, quel che è più, non vi- vono essi nell' aria , ma nell' acqua. Che se le rane respirano per la cute dentro l'acqua, è tanto debole questa loro respirazione, che dimorandovi lungo tem- po cadono in letargo, appunto perchè manca loro l'os- sigeno per vivificare il sangue: e d'altronde quando sono a contatto dell' aria, la sola respirazione cutanea ba- sta a mantenerle in vita. Se tanto avviene dunque alle rane, che hanno una respirazione cutanea atti- vissima, dobbiamo dire necessariamente che i pesci non sono capaci di attingere la menoma parte di ossigeno dalla superficie del loro corpo. E se lo Spallanzani ha trovato cambiala l'acqua, in cui eran vissuti i pesci, ciò è l'effetto dell' ossigene tolto dall'aria, che era im- mischiata coU' acqua , e del carbonio restituito dal- l'animale colla sua respirazione. A questi difetti la natura supplisce con wn fegato voluminosissimo , coi rejii , e col dare a molti là vessichetta natatoria , che ormai si crede dai più t^^ Scienze servire anch'essa di organo respiratorio, oltre al ren^ der più agevole il nuoto. « EJ era necessario che i reni prendessero questa incombenza, perchè il sangue re- duce dagli arti inferiori, dalla coda e dalle parli ge- nitali dopo aver servito alla metamorfosi de' tessuti , voglio dire alla nutrizione, ha dovuto accogliere in se gran copia di principii idrogenati e carbonati, come il Liebig ha dimostralo verificarsi nel sangue di tutti gli animali. Questo sangue deve ritornare per legge di circolazione al cuore , onde rientrare a far parte dell' arterioso; ma non potendo esso passare pel fegato, perchè sappiamo dalla notomia che solo il sangue delle intestine riceve la vena porta , e che quello reduce dal tronco inferiore si scarica direttamente nella cava ascendente: e d'altronde abbiam detto che non basta- no le branchie, e manca ai pesci la respirazione cu- tanea, perchè possa esser decarbonizzato; dunque era necessario, diceva, che vi fosse un altro laboratorio de- stinato a depurarlo pria che si rimescesse coll'arterio- so. Ecco appunto perchè entra nei reni; ecco l'ufficio che questi organi subiscono ; ecco perchè la natura gli ha fatti di un volume grandissimo; ecco in fine, perchè esiste ne'pesci il sistema di Jacobson.» La ragione dell'esistenza di questo apparalo ne' rettili dipende dalla circolazione difettosa, avendo essi il cuore con tre cavità solamente ( due orecchiette ed un ventricolo ). Dalla quale struttura dipende , che porzione del sangue venoso, non depurato , torna a circolare insieme coli' arterioso. Questo difetto è com- pensato dall' attivissima respirazione cutanea e dal si- stema di lacobson. Parrebbe d'altronde che la respi- razione cutanea, portando a contatto del sangue l'os- sigeno atmosferico, bastasse per depurarlo. Ma è da Sistema urinifero vascolare 45 osservare, che i soli batracini hanno questa facoltà, gli altri rettili non già; ed oltre a ciò questi, quando so- no immersi nell'acqua, si trovano a peggior condizione dei pesci, stante il circolo che dicono semplice. Ne- gli altri rettili poi questo compenso è diminuito no- tabilmente. Di fatti le testuggini hanno una corazza, ed i serpenti la cute squamosa. Se il sangue si reca ai reni per segregare l'urina, perchè questi animali, che gli hanno grandissimi, ne separano pochissima in paragone dei mammiferi ? Si crede generalmente che dal sangue arterioso si separi l'urina: e qui si attribuisce anche al venoso l'istesso ufficio ? Queste ragioni, che sono assai rilevanti, spe- ra l'autore che toglieranno dalla scienza quest'errore : e si porrà in chiaro, che l'ufficio del sistema venoso Scoperto da Jacobson non è quello di segregare l'urina. Ciò si prova eziandio dallo studio della vita embrio- genale de' mammiferi, ove si vede la più stretta ana- logia tra il sistema di Jacobson e quello dei reni suc- centuriati. « Ciò posto, non si creda che io escluda ai reni di questi animali la facoltà di segregare l'urina: per- chè direi un paradosso e mi opporrei non solo al fatto, ma anche ai principii che io professo intorno alla fun- zione di questi organi. Ma solo dico, che negli ani- mali inferiori dotati del sistema di Jacobson, i reni son deputati a fare una doppia secrezione. La prima, che io chiamo di eliminazione , è quella che si eser- cita sugli alimenti per isbarazzarli dalle sostanze ete- rogenee, ad emetterle in forma di urina, prima che gli alimenti diventino sangue; la seconda la chiamo di riduzione, perchè serve a sceverare dal sangue , diventato venoso , i principii idrogenati e carbonaii 46 Scienze combinandoli alle prime: d'onde nasce che le urine di questi animali sono più fetide e più cariche di ma- terie eterogenee. » Diceva Jacobson di avere scoperto questo appa- rato ancora negli uccelli: ma le sperienze di Mekel, di Carus, di De Martino, ed anche di Nicolai, han- no provato che non esiste. E se si fosse avuto riguardo al fine che nel formare tale apparalo si era profisso la natura, sarebbesi tosto escluso: perchè qual bisogno di quest' organo suppletorio di respiro negli uccelli, dove tutto è respirazione ? (i Dalle quali cose, qualora voglia ritenersi questa mia debole opinione, si può francamente dedurre non esservi altro animale sopra la sfera de' rettili, il quale sia dotato del sistema di Jacobson , perchè in tutti mancano le sorgenti da cui l'abbiam fatto emergere: ma sibbene può rinvenirsi, anzi io son d'avviso che deb- ba esistere, in quelli che al disotto dei pesci son do- tati di organi renali, - Di fatti, scendendo un gradi- no nella scala animale, ci si presentano i molluschi, che sono i primi esseri nei quali incomincia a por- gersi un rudimento di reni, massime ne' cefalopodi, e ne' gasteropodi. Neil' addome di questi animali, nell' ascidia p. e., si rinviene un organo secretore di una sostanza nera melanotica. Si è detto dal geologi , e con ragione, esser questi i reni, o per lo meno gli analoghi dei reni, e la sostanza segregata il rappre- sentante dell' urina. E in realtà l'argomentazione ana- logica corre in regola : ma la mia mente non resta appagata da questo modo d'intender la cosa; perchè io credo piuttosto che sibbene quegli organi possano dirsi renali, ma che stante la imperfettissima organiz- zazione di questi animali, i loro reni siano deputati Sistema, urinifero vascolare ^n esclusivamente alla emalosl e non alla uro-poiesi, come viceversa accade nei roamraali ; e però io credo che anche in questi molluschi esista un apparalo vasco- lare venoso, se non simile, almeno analogo a quello dell' lacobson, invisibile forse all'occhio dell'osserva- tore. Una ragione di questa mia assertiva la trovo nella sostanza melanotica,che gli organi renali di questi mol- luschi segregano : sostanza che non contiene affatto urina, ma sibbene gran quantità di carbonio. Un al- tro argomento lo desumo anch'io dall'analogia: mentre sappiamo che tutti gli organi nascono dapprima im- perfettissimi negli animali inferiori, e che poi, a mi- sura che si ascende nella scala animale, si vanno man mano perfezionando, fino a che raggiungono la loro perfettibilità nei mammali. Onde vorrei mi fosse le- cito inferire, che nei molluschi nascono ì reni per servire alla ematosi soltanto , e non alla uro-poiesi: perchè questo è il maggiore bisogno che hanno, stante la loro imperfetta organizzazione ematopoietica, e per- ciò segregano soltanto sostanza melanotica, e non uri- na. Passando ai pesci ed ai rettili, questi organi pren- dono un-a duplice incombenza ; perchè avevano essi bisogno e della ematosi e della uro-poiesi contem- poraneamente. Fino a che, raggiunta la loro perfetti- bilità nei mammali, si limitano i reni al solo fatto della uro-poiesi, perchè hanno questi bastanti mezzi per compiere la ematosi : ond' è che li vediamo di- minuir di volume , e sprovvisti del sistema di la- cobson. » E. C. B. 48 Compendio della storia della filosofia di C. L. Kdnnegieszer, tradotto dal tedesco ed am- pliato dal dottor Francesco Bertinaria. To- rino per Giuseppe Pomba e C. editori i843, in i6, di pag. 332. Jll poeta delle veneri e degli amori , dedicando i suoi versi a Cornelio INlpole , lo commendava di avere raccolto in poche pagine l'istoria di tutt'i se- coli, e ne faceva a ragione le maraviglie. Ma più dobbiamo maravigliare noi oggi, dopo tanta mole di anni e di vicende , quanta se n' è ammucchiata da quei fiore de'latini insino al fiore degl'italici, uden- do prometterci in poche carte la storia, benché com- pendiata, della scienza delle scienze, la filosofia. E pure dopo il manuale del Tennemann, dopo quello del Matthiae e qualche allro; dopo l'istoria compa- rala dei sistemi del Degerando; la nostra età vede donato all'Italia un nuovo compendio di storia della filosofia. Del rimanente chi ha veduto gli studi del Mazzolili sulle oi'igini italiche e sulla diffusione dell'incivilimento all'Egitto, alla Fenicia, alla Grecia ed alle nazioni asiatiche sul Mediterraneo (Mil. 1840), sa oggimai che l'Italia per Piltagora e per gli etruschi fu maestra dei popoli anche in fatto di vera filoso- fia. E Vico e Romagnosi e Poli, per tacere di altri, hanno tentato innanzi di scoprire il volto ad una verità, che la potenza straniera coprì quasi di ma- schera per invidia o per ambizione; e già gli storici Storia della Filosofia 49 tedeschi, sorvolando sopra il reale, e perdendosi nel- rideale, non si curano, parlando dell'antica sapienza, di mostrare che cosa potesse e sapesse la madre e tutrice delle nazioni più eulte; non ostante che il vero gli sforzi : e ne' tempi moderni più concedono ad altri, come a Bacone, di quello che a Galileo ed ai precedenti spirili d'Italia, de' quali toccò il Ma- miani (Parigi i835). Noi lasciamo volentieri ai te- deschi il loro trascendentalismo , lasciamo ai fran- cesi il sensismo, ad entramhi le utopie filosofiche : e diffidando a ragione , ripetiamo quel detto della prudenza: Timeo danaos et dona ferente s. Nò alcuno dica esser troppo il diffidare così ; poiché trattasi di stranieri sempre gelosi della glo- ria nostra : il che s'intenda però non di tutti, ma dei più ; che vi ha anche in questo da eccettuare. Parlo in generale, e mi dorrehhe c!ie taluno sospet- tasse di personalità. Ad ogni modo ha fatto bene il traduttore dell' annunciato compendio di supplire alla mancanza dell'autore tedesco, se non in tutto, almeno in qualche parte : e soprattutto quanto ai viventi nostri filosofi. Perchè poi veggasi un saggio del modo tenuto nella traduzione ampliata, porrò qui sotto un brano che riguarda il Gioberti fami- gerato (i). E farò voti che qualche italiano ingegno (1) Vincenzo Gioberti torinese, ben conoscendo il bisogno che ogni giorno va facendosi in Italia di una ristaurazione filoso- fica, e non contento abbastanza dei dettati rosminiani, pensò di cooperarvi ellicacemente col proporre un sistema suo proprio, che delineò nella sua Introduzione allo studio della filosofia pubblicala in due tomi a Brusselle nel 1840. In essa tenta sostituire il metodo ontologico al psicologico, accagionando questo della presente decli- nazione della filosofia. Secondo lui gli ultimi filosofi verament« deyni di questo nome furono Leibuitz, Malebranche e Vico, clie G.A.T.CII. 4 5© Scienze col favore di mecenati abbia tempo e coraggio di jlarci una istoria della filosofia con imparzialità e profondità; mentre non possiamo oggimai rimanerci contenti alle prove di Appiano Bonafede , erudito piuttosto che dotto: e paziente, piuttosto cbe sapien- te. Con che non si eslimi volersi da noi porre in dispregio l'opera faticosa di Agatopisto : quella fu egli considera come sommi ontologi; tiene all'incontro per cattiva la filosofia cartesiana, ripudiandone il metodo come causa del sen- sismo, che prepotentemente dominò il secolo scorso, e dell'avvili- mento degli studi filosofici. Egli paragona Cartesio a Lutero, affer- mando che come questi ruppe le tradizioni cattoliche sostituendo il libero esame all'autorità della Chiesa, quegli negò la vera tradi- zione scientifica sostituendo la psicologia alla ontologia. A fine di ricongiungere la rotta catena s'adopera il Gioberti a stabilire un principio ontologico, detto da lui forinola ideale, in cui debbonsi comprendere in potenza tutte le nozioni possibili. Egli esprime quel principio in questa proposizione: I'ente crea le esistenze. Ciascun membro di questa formola rappresenta una realità che sussiste ef- fettualmente in se stessa, fuori del nostro spirito. La quale realità è assoluta e necessaria nel primo membro, cioè nell' ente: relativa e contingente neirultimo, cioè nell'esistente. Il vincolo tra questi due membri è la creazione: cioè un'azione positiva e reale, ma li- bera , per cui r ente , cioè la sostanza e la cagion prima, crea le sostanze e le cause seconde, le regge e contiene in sé stesso, le conserva nel tempo coU'immanenza dell'azione causante, che, in or- dine al tempo in cui si termina, è una continua creazione. Abbia- mo dunque nella prefata formola tre realità indipendenti dallo spì- rito nostro : cioè una sostanza e una causa prima, una moltìplicità organica di sostanze e di cause seconde, e un atto reale e libero della sostanza prima e causante , in virtù del quale l'ente uno si collega colla moltiplicità delle esistenze. La .mente umana intuisce cotali realità con un atto semplice e simultaneo perfettamente, il quale precede ed accompagna insieme ogni intuizione particolare; onde essa in ogni momento osserva in modo diretto ed immediato l'ente creante l'universo, e con ciò gli attributi di Dio , quantun- que sinatta percezione avvenga solamente per via di vera rivela- zione. Pertanto l'uomoi no« può farsene oggetto di riflessione senza il linguaggio; il quale appunto dev'essere riveUto. Oltre alla facoltà i.1 Storia della Filosofia 5i buona pel secolo passato, non lo sarebbe pel no- stro, in cui il lume della filosofia entra in lutti gli occhi che una volta erano ciechi, ed empie non pure i licei e le accademie , ma le case e le capanne! dell' intelligibile, vi ha quella del soprintelligibile, che si riferisce alla faccia oscura dell'ente , come la prima alla faccia lucida; per ciò a compiere la nostra conoscenza viene in soccorso la rivela- zione, che ai concetti negativi del soprintelligibile aggiunge con- cetti positivi, quantunque avvolti nel velo del mistero. A mostrare poi la fecondità dell'enunciato principio ontologico viene toccando di non pochi problemi metafisici, ch'egli afferma insolvibili senza il medesimo. Considerandolo in seguito come primo filosofico, ne deduce tutta renciclopedia umana, distinguendola in tre grandi or- dini relativi ai tre membri della proposizione, assegnando all'ente la filosofia, all'atto della creazione la matematica, alle esistenze la fisica. Finalmente il Gioberti presenta la storia della sua formola ideale, avvisandosi di trovarla più o meno pura fra le opinioni e le crediMize dei popoli. Quantunque l'opera del Gioberti non sia ancora una tratta- zione sistematica della filosofia, pure l'indole del principio e del metodo proposti dichiarono abbastanza le opinioni dell' autore da poterne apprezzare il sistema secondo il suo giusto valore. Com- mendevolissima è certamente l'intenzione di lui nel restaurare la filosofia italiana tanto infiacchita dai volgari sistemi empirici: ma ponendovi mano, come egli fa, si chiude da se stesso la via per riuscirvi. Col suo principio tanto complesso suppone l'assoluto ed i suoi attributi, l'esistenza degli oggetti finiti colla sostanza loro propria, distinta da quella dell'assoluto, ed il nesso speciale della creazione dal nulla nel tempo e non necessaria fra 1' ente e l'esi- stenze; afferma gratuitamente il principio di sostanza e quello di causa , l'origine delle nozioni trascendenti, e la realità oggettiva del mondo esterno; e però si riduce ad un intemperante domma- tismo, contro cui riescono sempre vittoriose le armi degli scettici. Egli è vero che secondo il suo metodo sintetico tutti i postulati riceverebbero le loro prove legittime, se riuscissero a spiegare tutti i fatti che si presentano nel dominio della scienza in modo che il tutto formasse un vero solo; ma la possibilità di opera siffatta es- sendo lontana dalle forze umane, il metodo stesso vien colpito di impotenza e di falsità. Pertanto la filosofia nelle mani di lui si «onverte in teosofia , e rimane invalida per la proposta restaura- 5a Scienze Del reslo definisce l'autore del nuovo compen- dio la fdosofia la scienza delle ragioni ultime delle cose. Dio, il mondo e l'uomo sono gli oggetti offerti alla contemplazione. La filosofia cerca di co- noscere questi oggetti, e non può toccare la mela; benché pare all'A. possibile l'avanzarsi nel cammino. Il che non vorrei contrastargli; bensi mi pare di non potere adagiarmi con lui quando dice, che la scienza guadagna ogni qual volta si passa da un sistema ad un altro. Ciò non può essere sempre: e non è raro il caso che da un sistema men buono si passi ad uno cattivo, e da questo ad uno peggiore (i). Del resto sono tanti i sistemi che sonosi succeduti dalla mente di Pittagora sino a quella del Gioberti , che se la scienza avesse migliorato veramente ogni volta, sa- rebbe già tanto innanzi, che noi non avremmo an- cora a confessare con Socrate la nostra ignoranza, se non in tutte le parti della razionale filosofia, in molte almeno. Non è dunque reale questo progresso nella scienza; e piuttosto noi andiamo passando da sistema a sistema con poco profitto. La questione delle idee innate, a cagion d'esempio, è ancora in- soluta: e chi sta per esse, e chi le nega: chi vuole zione scientifica. Il merito principale delle scritture del Gioberti consiste in una bella elocuzione, rara a' giorni nostri nei libri fi- losofici, nella eloquenza che va dispiegando splendida ogni qual volta gli torna il destro, e nella savia erudizione di cui/arricchisce le sue ricerche. {Estratto daJrAppendice-filosofica-Jtaliana moderna, §. 205 , a pag. 288 e seg. del Compendio di storia suenunciato- ) (1) Ad ispiegare il commercio dell'auima col corpo non si provò Cartesio, e fece bene: provaronsi i suoi discepoli, e ne uscì il sistema delle cause occasionali. Il p. Miilebranche fu tratto a peg- gio, ciot a dire che noi vediamo tutto in Dio come in uno spec- chio: onde meritò quell'acuto epigramma, che in sostanza è cosi: - Colui che vede tutto in Dio, non vede poi di esser pazzo. - Storia deli>a Filosofia 53 tutto dalla ragione, chi tutto in prima origine dai sensi ; chi sta con Platone , chi con Aristotele. E comunque in quanto al metodo di filosofare noi ab- biamo guadagnato per le teorie dei fdosofi italiani anteriori a Galileo : e in quanto alla fisica per la buona applicazione del metodo fatta appunto da Galileo e dai discepoli e seguaci di quel famoso : non possiamo in quanto alla parte razionale van- tarci di molti trionfi nel campo della verità, che ri- mane ancora aperto alle battaglie degli studiosi, an- cora coperto di spine e inaccessibile in più di un luogo. I sistemi, secondo l'autore, altri partono da prin- cipii obiettivi , altri da principii subiettivi ; quelli detti principii materiali, questi formali. Lo spirito, se prende le mosse dal principio obiettivo^ cerca fra le cose presenti un oggetto supremo, generale, asso- luto, dal quale tutto derivi, tutto venga determina- to: nel qual caso il sistema riposa o sopra un og- getto primo, o sopra una materia prima della co- gnizione. Leibnizlo non si acquietò coi cartesiani, e venne fuori col sistema dell'armonia prestabilita assolutamente opposto alla libertà dell'anima, e tale che porta all'idealismo. Cudworth ed altri non si acquietarono né coi cartesiani, né coi leibniziani: e vennero fuori col mediatore plastico,- sostanza intermedia sognata da loro tra l'a- nima e il corpo, la quale sarebbe ad un tempo estesa ed inestesa, e la più strana cosa immaginabile o nulla. Si avvidero i filosoli della infelicità di tali sistemi, uno peg- giore dell'altro, e l'ultimo del suo precedente. Che fecero essi? Tor- narono al sistema dell' influsso fisico alla peripatetica ; se non che mutarongli il nome, chiamandolo della casualità o delle[cause efficienti. Dunque in questa serie di sistemi o siamo andati di male in peggio, o nulla abbiamo guadagnato; dunque dov'è quel si van- talo progresso? 54 Scienze Se desso lo spirilo prende invece le mosse dal principio subiettivo ■) allora si concentra in se stesso per trovare un' attività suprema, una facoltà prima che serva di legge a tutto l'ordine della conoscenza umana e da cui dipenda ogni verità. Da queste due fonti generali scaturiscono tutti i sistemi che sono la materia all'istoria della fdoso- fia. Tocca allo storico di porre i sistemi in tal mostra, che ne risulti la storia del progresso della ragione umana: il che nota l'A., credendo che in passando da un sistema all'altro la filosofia sempre migliori, ed acquisti per l'umanità nella via dell'incivilimento. Io dubito che l'amore del vantato progresso nella civilizzazione trasporti l'A., sino a fargli tra- vedere ciò che non si vede sempre realmente nella storia della scienza e delle nazioni (i). Comecché sia, uffizio si è dei filosofi veramente il cercare di far migliori gli uomini: al quale in- tendimento buona , anzi unica si è la tendenza di Altri esempi potrei addurre; ma questo ancora ci basti, ed è solenne. Loclie escluse le idee innate, e pose la prima pietra del sensismo , e solo a modo di dubbio osò ammettere possibile alla onnipotenza di Dio il far pensare la materia. Venne Condillac , e troppo si occupò della sensibilità, troppo poco della spiritualità dell' anima. Tracy pose il colmo sostenendo che pensare è sentire, con una contraddizione manifesta, e ridusse Tuomo ad un automa, facendo dipendere dall'organizzazione del c'orpo tutte le operazioni dello spirito. Si volle dai filosofi tedeschi correggere l'errore, e dal sensismo si passò all' idealismo: scordando quella sentenza del poeta, che vorrebbe essere scritta sulla porta di ogni liceo: Inter utrumque vola - medio tutissimus ibis. (D. V.) (1) Il viaggio metafisico non è progressivo ; ma piuttosto circolare per modo, che da Pittagora sino a Kant tanto ne sappia- mo ora, quanto ne sapevano quegli antichi. {Fedi Cavriani, Lettere filosofiche, e questo Giornale al tomo 64 dove della Confutazione dell'ideologia di Tracu a pag. 257 e segg) (D.V. ) Storia della Filosofia 55 rannodare la scienza umana colla religione: la quale mostra i cieli aperti ed accoglie nelle sue braccia l'umana famìglia per ridurla allo specchio della ret- titudine e della eternità. Ma se questo dicono i filosofi, cioè di sposare la scienza umana alla divi- na: deono dirlo sinceramente ; perchè se la lingua dice una cosa, e un'altra è nel cuore, un'altra nella mente: saranno eglino come ciechi, i quali guidan- do altri ciechi cadranno nel precipizio essi e i gui- dati da loro! Prof. D. Vaccolini. Memoria intorno al clavo-segalino considerato re~ latinamente alle sue cause e natura ^ non che ai perniciosi effetti che produce sulla eco- nomia animale^ di Giuseppe Martino di Ca^ stellone a J^olturno. Napoli i843 (i). Jl remesso tutto ciò che risguarda la botanica e l'uso della Secale cereale L., discorresi della malattia par- ticolare cui soggiace, con tanti nomi distinta e più comunemente con quello di segala cornuta o clavo- segalino. Periglioso, anzi nocivo, è l'uso di questo seme (1) Ci è duopo qui aggiungere una interessante avvertenza. Nel tom. XCVI di questo giornale pag. 83, parlando della Memoria sul bezoar degli animali ec. del medesimo sig. Martino, nel descrivere l'apparato fenomenico che offre il cavallo bersagliato dal bezoar si aggiunse che spesso vi era il vomito; ma respinta venne questa espres- sione di erramento , giacché per disposizione di struttura naturale del suo stomaco non è soggetto il cavallo a vomito, né può effet- 56 Scienze per chi o innocentemente o per necessità suole nu- trirsene esclusivamente. Poiché sviluppa malattia spo- radica o epidemica, insignita da senso di formicola- mento sotto la cute, stato vertiginoso, agitazione con- vulsiva dei membri, dolori violentissimi articolari ora periodici ora irregolari , e cancrena delle estremità. In vari articoli divide indi lo scopo di questa me- moria il N. A., dimostrando nel primo le cause e la natura del davo segalino. In mezzo però alle tante e svariate opinioni sul proposito, egli è di parere che tal produzione altro non sia se non l'alterazione del seme di segala , capace di fargli acquistare prodigioso allungamento senza perdita della primiera sua forma. Ripetendo colale alterazione però da cause generali e locali, specialmente dall'umido e piogge continuale, non vi risguarda un essere distinto, qual sarebbe un vegetale parassito, ma sibbene una graduata degene- razione del seme a forma degli stadi che questo va percorrendo e che VK. ci narra. Scendendo all'articolo secondo, in cui trattasi deU tuarlo. In sostegno dell' opposito nostro parere rammentammo con sincera tìispiacenza le autorità del valentissimo Cuvier e di Uccelli. Appena però fu divulgato il tomo predetto del nostro giornale, ci venne graziosamente indiritta dall'A. medesimo la correzione dell'oc- corso equivoco per colpa del tipografo, il quale aveva stampato la proposizione con le voci : non esclusa la nausea ed il vomito , cui spesso va \unito. Consiste ora la correzione dell' a. ( che ci affrettia- mo far conoscere ai nostri leggitori ) nelle voci seguenti, cioè: non esclusa la nausea che al vomito non va unita : quantunque preferi- bile sarebbe stata l'espressione di escludere e nausea e vomito. Che di vero quand'anche potesse per qualche sintoma ravvisarsi la nau- sea, sarebbe da soggiugnersi che se il cavallo per disposizione di struttura naturale del suo stomaco non soggiace né può effettua- re il vomito, ni; tampoco possa appalesar la nausea, la quale al- tro non è che una gradazione del primo. Clavo Segalino 5>j Vazìonc del segale allogliato sitila economia anima- le^ ci raramenla le molte e replicale esperienze ten- tate da sommi scrittori antichi e recenti, come da Sa- lerne, Read, Tuillien, Fissol, Tessier, Parmentier, Or- fila ed altri, fra' quali l'ultimo si lu il eh. prof. De Renzi. Deduce dagl' indicati esperimenti, che l'azione chimico-dinamica del clavo - segalino dehha ritenersi come inconcussa, consistendo la condizion patologica del morbo in un certo specifico attossicamento del sangue, con gittare la sua perniciosa influenza sopra i centri nervosi. E volendosi il N. A. sgombrare dalle opposizioni del solidisli, si occupa con molto senno in raccogliere autorità e ragionamenti, che fiancheg- giano la lesi delle primitive affezioni ed evidenti al- terazioni del sangue. Esaminati vengono nel terzo articolo i perni- ciosi effetti che il clavo-segalino produce sulV uo- mo ec. Sotto due forme singolarmente presentasi l'er- gotismo, sotto quella cioè dello spasmodico e del can- crenoso: e di queste ce ne offre un quadro sufficien- temente luminoso. Dettatane la prognosi, s'interessa del curativo trattamento il più convenevole, in cui con- viene in sulle prime far uso di emetici e purgativi , non che di antelmintici nelle complicanze di elmin- tiasi : ne riprova in alcune emergenze i salassi o ri- petuti sanguisugi. Giovan talvolta i bagni caldi , e i diaforetici, come altresì gli epispastici e le fregazioni spiritose. Che se fredde ed istupidite si rendano le mem- bra, utili riscontrò il Ramaglia a risolvere i grumi san- guigni l'uso dei sotlocarbonati di potassa, soda, ma- gnesia , acelato di potassa ec. Neil' evenienza final- mente di stabilita o percorrente cangrena non resta «he il dislacco delle parti privale di vita. 58 Scienze Seguono nel IV articolo i mezzi preservativi onde impedire lo sviluppo del segalo sperone , e delV ergotismo. E qui varie opportune avvertenze enumera da doversi agli agricoltori far note, come an- che la vigile ordinanza dei governi intorno al com- mercio , ed il pronto ricorso agli emetici e catartici ed agli altri opportuni presidi! dell'arte medica, qua- lora si fosse della segala speronata fatto uso. Al novero dei salutari effetti del segale allo- gliato rivolge il N. A. le sue mire nel V articolo. Occupa questo vegetabile oggidì un posto ben lumi- noso nella materia medica per la sua speciale azione sul midollo spinale, sul plesso sacrale, iscliiadico, ed in particolar modo sull' utero, su di cui non può im- pugnarsi che la segala speronala eserciti un'azione elet- tiva, senza darsi carico l'A. di precisarne l'azione dina- mica cotanto in opposizione nelle menti di sommi in- gegni. Le cautele pur si annunziano per il modo della retta amministrazione del farmaco. « Ora però ( chiu- » deremo colle parole del sig. Martino ) che le ricer- » che del sig. Bonjean, premiato dalla società farma- » ceutica di Parigi, han separato dal principio vene- » fico il principio medicinale , qual è 1' ergotina , » gioverà adoperar questo in preferenza. Il chimico » italiano fa sciogliere XXIV grani di ergotina in tre )) once di acqua comune, e vi fa aggiungere un' on- )) eia di sciroppo di fiori di arancio, facendola som- » ministrare a cucchiai, finché si arresta l'emorragia » e si attivano le contrazioni uterine. Ne forma an- » che pillole o sciroppo ». Quantunque nulla di nuovo sull' argomento ci abbia regalato il sig. Martino nella enunciata memo- ria ; tuttavia non è dispregevole il lavoro di questo Clavo Segalino Scj laborioso ed egregio scrittore , il quale come in un prezioso compendio ha qui voluto riunire tulio ciò che di pili necessario è a conoscersi sul proposito. Si può a tal effetto raccomandarne a chiunque la lettura, men- tre ci auguriamo posseder fra breve altre due memo- rie, nelle quali promette il sig. Martino occuparsi Del- la salute degli agricoltori ed arte di conservarla ^ come pure Delle malattie degli agricoltori e metodo di curarle. Encomiar quindi dobbiamo lo zelo di lui nell' utilmente adoperarsi a vantaggio di una classe sì necessaria dell' umana specie. Giuseppe Tonelli. Discorso agrario letto da A. Coppi nella accademia tiberina il dìZo di dicembre 1844. 1. Jln questo anno ho osservalo le seguenti cose agrarie, che risguardano, o possono risguardare l'Ita- lia e specialmente le campagne romane. 2. Atlualraenle si cerca di produrre molto in breve tempo e con poca spesa. Quindi applicazione di macchine dovunque sia possibile, e si trovò il modo di poterne adattare anche all' agricoltura. 3. Tra le faticose e dispendiose operazioni della cultura vi è quella dello sterpamento del terreno da vari anni incollo per ridurlo atto ad utile lavorazio- ne. Ed appunto per questa operazione gV inglesi in- 6o Scienze ventarono e adoprano una maccliina. Consiste in un telaio sostenuto da quattro ruote ed avente nella parte inferiore coltellacci che fendono la terra e ne svel- lono 1' erbe dalle radici. Calcolano che disposto in tal guisa il suolo, si riduce alla metà l'ulteriore fa- tica degli uomini, e degli animali nelle arature (i). 4. Molto si studiò e si composero volumi sul miglioramento degli antichi aratri. Io mi limiterò ad osservare, che l'aratro ora adoprato nelle campagne ro- mane è simile a quelli che si vedono nelle antiche medaglie etrusche, e forse è quello stesso che adoprò Cerere allorquando : Prima iiigo taiiros supponere colla coegit , Et veterem curvo dente revelUt humum (2). Rispettandone pertanto la veneranda antichità, e la gloria di essere stato adoprato nei tempi , in cui Jura dabat popiilis, posito modo consul aratro (3): riferirò che i rettori del collegio irlandese in Roma da vari anni ne adoprano uno scozzese in un vasto loro podere che hanno fuori la porta Salara , e ne ricavano molto vantaggio. In quest' anno il p. Tes- sieri gesuita lo introdusse nei fondi che possiede la compagnia nel territorio di Frasso in Sabina, e con esso seminò cinque rubbia di frumento in un terreno (1) Boitard, Nouveaii manuel des instruments d'agricolture. Pag. 196-201. (2) Ovid. Am. Ili oap, 13. (3) Id. Fast. I 207. Discorso Agrario 6r argilloso, sodo tlall' anno precedente, e rotto, o per dir meglio graffiato, nel mese di agosto. Coli' opera di quattro muli ottenne un lavoro eguale in esten- sione a quello che facevano contemporaneamente dieci buoi. Ma il solco fu assai più profondo e la terra molto più smossa. Si attende ora il risultamento della raccolta. ' 5. La falce da mietere fu eziandio innovata in alcune provincie della Francia e ridotta a guisa di falce fenaia , con un rastello che aduna e restringe le biade tagliale. Si assicura che abbrevia ed allegge- risce di molto la fatica della messe (i). 6. Nella metà del secolo XVIII in Iscozia s'in- cominciarono a fare tentativi per diminuire la fatica, le spese ed i danni nella trebbiatura. In fine si per- venne a costruire una macchina composta di ruote, di cilindri dentali, di un tamburo , di pale e di cri- velli, la quale mossa da animali batte economicamente il grano, e nel tempo stesso lo netta dalle mondiglie. Col tempo se ne propagò l'uso in tutte le isole bri- tanniche, e poscia in Francia ed in Germania. 7. Provvido Omboni mantovano pochi anni ad- dlelro portò da Francia in Lombardia il disegno di tal macchina. Giulio Sarti ingegnere la modificò e l'adattò eziandio alla trebbiatura del riso. Ne commise quindi la esecuzione al meccanici Muller e Schutz stabiliti m Milano, i quali ne costrussero diverse, lavorando il ferro nelle officine di IJongo sul lago di Como. In quesl' anno ne agirono due nei fondi di Litta a Bis- sone Pavese ed a Torre di Arese, una a Caravaggio in quelli di Besana, due nelle tenute di Casale pos- (1) Boitard, Nouveau manuel d'agricolture pag. 141, Bs' Scienze sedute nel mantovano dal duca di Modena, una nei campi di Mocenigo presso Este , ed altra in quelli di Papadopoli nelle vicinanze di Padova. Alcune sono mosse dall' acqua, e le altre da quattro o sei cavalli, e producono per lo meno quattro moggia ( circa rub- l)ia due ) all' ora. L'Omboni per tale introduzione eb- be una medaglia di onore dall' istituto di scienze , lettere ed arti di Venezia. L'autore di questo discorso nel mese di ottobre, per incarico del principe Rospi- gliosi, si recò a Milano per prendere cognizione di tali macchine, parlò con alcuni dei proprietari che le adoprarono, e fu assicurato della loro utilità ragguar- devole nel risparmio di spese, ed instimabile per la sanità dei lavoranti. 8. In Toscana 1' agronomo Ridolfi alcuni anni addietro ne acquistò una del metodo di Maikle pel suo podere modello. Il Frescobaldi ne recò altra dell' officina di Baker in Londra. Il gran duca l'acquistò e la regalò all'accademia dei georgofili , la quale la trasmise similmente al Ridolfi. Questi la modificò al- quanto : e colla forza di due buoi e coli' opera di otto uomini ottenne , nell' istituto agrario di Pisa , dodici sacchi ( circa quattro rubbia all'ora ). (i). g. Se tali macchine sono opportune dovunque, lo sono tanto più nel deserto agro romano, dove le spese della coltura sono gravi, e talvolta superano il valore del prodotto. Quivi in un'aia soglionsi impie- gare quattordici uomini e ventiquattro cavalli; e colla spesa di sedici scudi si hanno circa venti rubbia (cin- quantasei ettolitri ) di frumento. Nel 1840 il prin- (1) Atti dei georgofili tom. XXII, disp. 2. Giornale agrario tosca- Bo tom. XVIII pag. 206. Disborso Agrario 63 cipe Marcantonio Borghese ne fece costruire una da Kausbanner macchinista svizzero, che col disegno dell' architetto Canina gli aveva formato ingegnosi mulini in Frascati. Fu provata colla forza di cavalli nel la- tifondo di Pantano , e per mancanza di base solida non potè agire. Fu trasportata a Frascati , stabilita solidamente e mossa dall' acqua. Allora agì eccellen- temente: e dall' esperienza fatta ai 12 di agosto alla presenza di vari agronomi ( fra' quali l'autore di que- sto discorso ) si calcolò che poteva produrre un rub- bio all' ora (i). Posteriormente rimase in oblìo. In- tanto i rettori del collegio irlandesse ne fecero venire una dalla Scozia per il loro podere fuori la porta Sa- lara: e questa riuscì benissimo. I fratelli Santini af- fittuari della tenuta del Quarticciolo, al terzo miglio della via prenestina , nel i843 ne adoprarono una scozzese della tenue spesa di 56 sterline ( scudi ro^ mani 2^2 ) ; ma, la stagione essendo avanzata, pochi sperimenti si poterono fare. Si ripeterono però questi nella raccolta del cadente anno, e si ebbero da 12 a i5 rubbia al giorno. La spesa giornaliera fu di circa la metà dell' ordinaria. Il principe Borghese fece di già venire altra macchina della fabbrica di John Moss di Londra. I gesuiti ne attendono una dalla Scozia. Del risultamento darò ragguaglio , a Dio piacendo , nell'anno prossimo. IO. In quanto alle provincie napolitane, accen- nerò che Ferdinando II, con decreto dei 20 di agosto, concesse ad Ottavio Curtepassi la privativa della du- rata di anni dieci per una macchina inventata da lui alta a trebbiare, (i) (1) Notiiie del giorno dei 27 di agosto 1840. (2) Decreto nel giornale del i-egno delle due Sicilie 1844 n. 204. 64 Scienze 1 1. Intanto altra macchina, che può essere di uti- lità grandissima, fu inventata nello stesso stato. Fer» dinando II bramando diminuire le infezioni atmosfe- riche, che sono micidiali in alcuni luoghi de'suoi do- minii, aveva fatto incaricare l'isriiuto d'incoraggiamen- to di Napoli e le società economlclie del regno di fare tentativi per procurare la macerazione del lino sotto terra, invece di quella che si usa comunemente nt'ir acqua. Disgraziatamente gli esperimenti furono inutili. In quest'anno però Luca di Samuele Cagnazzi tentò di ottenere l'intento col vapore. Costrusse per- tanto una stufa con coperchio di legno, e dentro vi collocò una grata di ferro. Sopra di essa mise ma- nipoli di lino. Esternamente vi adattò una picciola ed economica caldaia a vapore, con un cannello che lo introducesse nella stufa sotto la grata. Lo intro- dusse quindi per tre ore, ripetendo la operazione per quattro giorni consecutivi. Vedendo allora che i tigli del lino si staccavano dalla lisca, desistette. Ma la- sciò che i manipoli rinchiusi fermentassero per altri quattro giorni. Scorso un tal termine, conobbe che la macerazione era compiuta: e nel giorno 1 1 di lu- glio portò i tigli del lino, in tal guisa estratti, nel- l'istituto d'incoraggiamento, al quale fece rapporto di quanto aveva operato. Si attendono ora ulteriori rag- guagli per conoscere se un tal processo, eseguito per •una picciola quantità, si possa applicare ad una gran- de massa, e se il vapore non noccia alla fortezza dei filo (i). 12. Del resto il lino e con esso la canape me- (1) Repertorio di agricoltura, tom. XX, num. 118, pag. 248 119, pag. 326. Discorso Agrario 65 ritano un' attenzione particolare degli agronomi e degli economisti italiani. Imperciocché, mentre sono articoli ragguardevoli di esportazione per la Fran- cia, per la Spagna ed anche per l'Inghilterra, le ri- chieste di quelle regioni diminuiscono notabilmen- te (i). L'uso sempre crescente del cotone nelle stof- fe, q nello delle catene di filo di ferro surrogate a molte corde dei bastimenti, diminuirono di molto il consumo del lino e della canape. D'altronde la Fran- cia, e molto più la Spagna, aumentano i loro pro- dotti di tali generi. L' Inghilterra ora si provvede di canape in Russia e nelle Indie ad un prezzo minore di un terzo a quello d'Italia. Ultimamente si videro nel porto di Livorno balle di canape russa portate da'bastimenti inglesi. Si calcolò che negli anni i835 e i836 la esportazione della canape e del lino dallo stato pontificio fu del valore di due milioni e quattrocentomila scudi (2). La canape delle legazioni, esportata dal porto di Livorno nel i835, fu di trentacinquemila balle. Dal 1840 al 1843 si ridusse ad annue venticinquemila (3). In questo anno vi furono da principio alcune ricerche, ma poi cessarono. Auguriamo che si rinnovino. i3. Accennando nell'anno precedente l'inva- sione delle locuste nell'agro romano, dissi essersi colla tenue spesa di scudi 8,000 ridotte le cose a termini tali da potersi con fondamento sperare di impedire una invasione vasta, e di estirparle in breve (1) Ivi, tom. XIX, num. 113, pag. 386; e toin. XX, mira. 118, pag. 279. (2) Galli, Cenni economici statistici pag. 294. (3) Memorie particolari. G.A.T.C1I. 5 66 Scienze tempo (I). In quest'anno se ne videro bensì in circa settanta tenute; ma a sciami così piccoli che noa recarono alcun danno significante. Colla spesa di scudi 3,5oo esse furono per la maggior parte distrut- te: e se alcune poche saranno rimaste, giova spe- rare che non isfuggiranno alle diligenze dell'anno prossimo. 14. La picciola società del podere sperimentale (assegnato generosamente dal principe Borghese nella sua villa) avendo perduto uno dei suoi membri (2), fu rinnovata, ed ora è composta di cinque indivi- dui. Sono N. Del Grande, G. Gallieno, M. G. Gu- glielmi, G. A. Scarinci e lo scrivente di questo di^ scorso. Nel cadente anno coltivò robbia, sesamo, soramacco e zafferano. i5. Nel mese di aprile del i843 era stala se- minata robbia in una mezza j)ezza di terreno (.3). Nel settembre di questo anno se ne raccolse una porzione nello spazio di circa un quartuccio e mezzo (are. 4, 34)) e si estrassero radici del peso di libre 210. Del resto sulla cultura di questa pianta discorse specialmente il nostro socio conte Casimiro Falza- cappa nell' adunanza dei 3o settembre. Egli riferì che coltivandone un rubbio di terreno nell' agro cornetano, in due anni spese scudi 3 io, 5o. Rac- colse 8,000 libbre di radice secca del valore di scu- di 400. Aggiuntovi il valore del seme riprodotto, ed il preparamento del terreno atto ad altre colti- vazioni, ne calcolò l'utile netto a scudi 146, 5o (4). (!) Discorso agrario del 1843, §. 10. (2) Ivi §. 13. (3) Discorso agrario del 1843, §. 16. (4) Discorso sulla collura della robbia nell'agro cornetano letto nell'accademia tiberina ai 30 sett. 1844, §. 17. Nel Giornale Arcadico tom. CI, fase. ott. 1844. ì Discorso Agrario 67 0/ 16. Fra le piante oleose la più ragguardevole divenne per avventura il sesamo [cUdjnamia angio- sperma di Linneo) detto altrimenti giuggiolena. È molto coltivata nell'Egitto e nella Siria, ed il seme si adopera specialmente nelle focacce. Nel 1828 e 1829 si tentò in Marsiglia di estrarne olio , ma la ope- razione non riuscì. Si rinnovarono però i tentativi nell'anno 1840 e nei seguenti, e si ebbe olio in tanta abbondanza e di tale qualità, da minacciare il prezzo degli altri oli estratti da semi oleosi e di quello stesso di olivo (i). Il sesamo nasce spontaneo in Calabria ed in Sicilia. Ma l'uso n' era limitato ad un superficiale condimento del pane e di qual- che pasta dolce del basso popolo. Allorquando però incominciossi ad estrarne olio, i siciliani furono sol- leciti a coltivarlo ed a spedirne con vantaggio una quantità considerevole in Francia ed in Inghilterra. Ciò avendo osservato l'autore di questa memoria nell'anno 1843 in Palermo, portò a Roma cinque libbre di quel seme, che sul principio del mese di maggio fu sparso in circa tre quartucci (are. 8, 21) di terreno nel podere sperimentale di villa Borghese. In settembre se ne raccolsero 70 libbre. 17. Annunziai che nel 1843 eransi piantati in quel podere 5o virgulti di sommacco (2). In questo anno se ne piantarono altri 100, e crebbero eccel- lentemente. Nel mese di agosto si tagliarono i rami del primo e se ne seccarono le foglie. Mentre poi i soci del podere sperimentale si adoperavano per naturalizzare in Roma il sommacco di Sicilia, inte- (1) G. Millenet, Riflessioni sulla guggiolene. Nel giornale del re- gno delle due Sicilie, 1843, num. 119. (2) Discorso agrario del 1843, §. Ib. 68 Scienze sero da uno dei giardinieri della villa Borghese che tale pianta nasceva spontanea nel monte Circeo. Ne fecero immediatamente venire alcuni fasci , e si trovò realmente una perfetta somiglianza, com e dalle fo- glie che ho l'onore di sottomettere ai vostri occhi. Si seppe poscia che gli abitanti di s. Felice talvolta raccolsero di quelle foglie e le vendettero nei pros- simi porti napolitani. In alcuni anni se n'esporta- rono circa 5o cantala al prezzo da scudi i6 a 24 il cantalo. Spesso però è trascurata e sì perde. 18. Si prosegui la coltivazione dello zafferano, ed in quest'anno se ne piantarono 62,000 cipolle. Spuntarono prosperosamente i fiori : ma le acque dirotte, cadute sul declinare di ottobre, ne impedi- rono in gran parte la raccolta. 19. Accennai nel precedente discorso la colo- nia stabilita nel i843 dal re del regno delle due Sicilie nell' isola di Lampedusa. Ora soggiungerò che questo monarca nel giorno 26 di giugno dello scorso anno approdò a quell'isola (nella quale pro- babilmente non era mai sbarcato alcun sovrano | e ne esaminò lo stato. Trovò che vi erano i4o abi- tanti, i quali godevano di una prosperità competen- te (i). Desiderando di accrescerne il numero, diede le disposizioni per la costruzione di 3oo casette, e per l'invio di mille pecore in aumento di 600 che di già avevano. Vi mandò inoltre 3o vacche. Sono di già stati rimondati 6,000 oleastri, e vari aratri solcano campi da più secoli incolti. Una pesca ab- bondantissima sopravvanza ai bisogni della popola- zione. Un parroco con un cappellano, un sindaco (!) Giornale del reguo delle due Sicilie 1844, num. 140. I Discorso Agrario 6g ed un deputato sanitario reggono coi loro rispettivi offici la plcciola colonia. Sanvincenll, tenente di va- scello, ne ha la direzione amministrativa e politica. Una barca corriera mantiene una periodica corris- pondenza con Girgenti. 20. Ferdinando II nello stesso giorno 26 di giugno approdò eziandio alla vicina e disabitata isola di Linosa. Vedendo essere similmente atta ad avere una popolazione, diede gli ordini per stabilirla. Giun- to quindi poco dopo a Palermo, dispose (nel giorno 11 di luglio) che il duca di Cumla, procuratore gene- rale della gran corte de' conti , provvedesse con pieni poteri a quanto concerneva la esecuzione de- gli ordini dati per le colonie delle due isole di Lampedusa e di Linosa. Secondo le ultime notizie che ho da Sicilia, una spedizione di 3o individui era pronta in Girgenti a partire per Linosa, e pro- babilmente ora vi è di già approdata (i). 21. E poiché, discorrendo di colonie, sono giunto presso le coste dell'Affrica, non sarà inopportuno di dare una scorsa su quel continente. I francesi dopo di avere conquistata l'Algeria, regione vastis- sima e poco popolata, favorirono la emigrazione de- gli europei che bramassero di andarvisi a stabilire. Nel 1840 ve n'erano di già 28 , 078 (2). Ma la maggior parte erano artieri, e d'altronde si deside- ravano specialmente contadini. Quindi nel 1841 il governo diede provvedimenti efficaci per istabilire colonie dì agricoltori. Dispose pertanto che chiun- que avesse almeno 1200 franchi in danaro potesse (1) Giornale delle due Sicilie 1844, num. 140. Memorie parti- eolari. (2) Moniteiir 16 juin 1844. 70 Scienze essere ammesso come colono concessionario in un nuovo villaggio. Una famiglia francese ammessa alla colonia avesse il diritto alle spese del viaggio dal suo paese al sito dell'imbarco, e quindi il tragitto gratuito da Marsiglia o da Tolone ad Algeri. Giunta in Affrica, ricevesse materiali del valore di 600 fran- chi per costruirsi una casa . Avesse quindi una o due etiare ( circa tre quarti di rubbio ) di terreno, piantoni di vari alberi, semi, aralri e buoi (a pre^ stito) per coltivare. In tal guisa negli anni 1842 e 1843 furono distribuite 5,644 ettare (circa 3, 000 rubbia) in 2010 partite. Si costrussero 817 case e si fondarono i5 villaggi popolati in tutto da 2671 individui. Lo stabilimento di ogni famiglia fu cal- colato al costo medio di i,3oo franchi, e quello di ogni villaggio ( detratte le fortificazioni ) a circa 85o,ooo franchi. Per facilitarne poi maggiormente l'operazione, nel 1842 si stabilì di far costruire i villaggi e dicioccare i terreni divisibili dai con- dannati militari , affinchè i nuovi coloni possano più sollecitamente applicarsi alla coltura. Di già ne sono stati costruiti d uè denominati s. Ferdinando e s. Amalia, e se ne costruiranno altri (i). Giova pertanto sperare che quella provincia affricana, po- c'anzi barbara ed abitata o piuttosto corsa da pochi ladroni, pel bene della umanità sarà col tempo ri- popolata da civili agricoltori. Auguriamo che quei villaggi siano di modello per altre regioni una volta popolate ed ora deserte. (1) Exposition du ministre de la guerre. Moniteur 12 aout 1844. 7» E.mTTmms^T'^mM, Orazione settima su Veredità di Jpollodoro. ARGOMENTO i-iupolide, TrasUlo e Mnesone erano fratelli: di cui Mnesone morì senza figliuoli; Trasillo, lascia- tone uno di nome Apollodoro; ed Eupolide, che solo rimase in vita, fu molto ingiusto verso il nipote. Laonde Archedamo, avo del dicitore, legatosi di ma- ritaggio colla madre di Apollodoro, vedova di Tra- siilo, e compassionando l'orfano figliuolo, molte fiate richiese Eupolide delle sustanze, di cui per sé te- nendosi il possesso, e'faceva danni al suo nipote. Il quale, ricordevole de' benefizi di Archedamo, con- duce innanzi ai fratori Trasiilo, suo adottivo e fi- gliuolo di esso x\rchedamo e della sua sorella. Sic- ché scritto nel libro de' fra tori e nel parentado del suo adottante il giovine Trasiilo , non però nello elenco di coloro , i quali sono usciti di pupillo ; Apollodoro manca di vita. Appresso questa morte, Trasillo viene annoverato in quella nota: ciò non ostante la figliuola di Eupolide, zio di Apollodoro, ^2 Letteratura contende don lui; affermando ch'egli non è addetto ai fratorì e alla parentela di lei per volontà di suo cugino, ma questa essere una finzione. Ecco l'argo- mento dell'orazione: ma la causa è congliietturale. Il perchè, partito il discorso con grazia ed artificio, si tocca qui della Inimicizia di Apollodoro con Eu- polide, la quale è grande segno della cagione, onde quegli non volle instituire erede di se medesimo la sua cugina. ORAZIOISE Io pensava, o giudici, che non si aspettasse mai a ninno di contrastare a quelle adozioni, cui fece chi era in vita e ben sano della sua mente; e poiché condusse ai sacri tempii e innanzi ai parenti il fi- gliuolo, lo dichiarò suo adottivo, e ne scrisse il nome nelle pubbliche scritture, compiendo ogni opera con- veniente: ma bene io pensava che bisognasse di solo impugnare gli adottamenti, operati da chi era presso al morire, e testava a cui, dopo la sua morte, aves- sero ad andare i propri beni; e suggellato il testa- mento, lo consegnava scritto ad altrui. Che quale adotta nel primo modo, rende chiare le sue inten- zioni; perchè conferma apertamente il fatto , consen- tendoglielo anche le leggi: ma chi adotta nell'altra guisa, cioè suggellando nel testamento la volontà sua , le dimostra dubbie ed oscure. Imperciocché molti dicendo che quello è simulato, credono di po- ter contendere agli adottati l'eredità. Eppure nem- meno mi par bastevole la diligenza di colui , che adotti nella prima forma. Poiché quantunque sieno sì manifesti gli alti della mia adozione, ecci nulla Orazione d' Iseo 73 ostante chi a favore della figliuola di Eupolìde viene oggi in questo tribunale, per impedirmi il retaggio di ApoUodoro. Ma se io vedessi voi, giudici, essere inchinati meglio a ricevere le contestazioni, che non i modi più diretti ad ottenere i propri diritti; io an- cora vi recherei testimoni, che provassero come non hassi a far piato su gli averi di ApoUodoro, il quale adottò me secondo le comuni leggi. Nondimeno sic- come è dato eziandio di conoscere le ragioni in que- sta guisa, or' io mi fo avanti a voi per istruirvi di ogni fatto risguardanle la causa; affinchè gli avver- sari non ci appongan la colpa di avere noi fuggito di trattare la lite con questo modo (t). Vi mostrerò dunque come ApoUodoro , non solamente non lasciò suoi eredi i più stretti parenti suoi, colpa di tante ingiurie mossegli da loro; ma come giustamente ebbe adottato me suo nipote materno ; e fu ricolmo di benefizi da' miei congiunti. Prego voi, o giudici, a dare ugualmente tutti un animo cortese alle parole mie; e se convincerò costoro del comparire qui con impudenza, affine di menarsi questa eredità, a soc- corrermi con giustizia. Sicché con quanta brevità maggiore si può da me patire, vi parlerò ammaestran- dovi di ogni successo fino dal suo principio. Eupolide, Trasillo e Mnesone, o giudici, erano fratelli, nati di medesimi genitori. Ad essi lasciava il padre tanta sustanza , da essere ognun di loro riputato da voi sufficiente a sostenere le spese pub- bliche verso la patria; e quel patrimonio fu divìso infra di loro. Di questi fratelli poi due morirono quasi in un tempo: Mriesone, qui nella sua patria, senza consorte e senza figli; Trasillo in Sicilia, de- putato guida di una trireme in compagnia di altri, 74 Letteratura e rimasto di lui un figlio, detto Apollodoro; il quale volle adottarmi in suo figliuolo. Eupolide adunque, che solo restò vivo, credè non pure di trarsi a casa un largo patrimonio; ma eziandio di quello di Mne- sone, di cui una egual parte scadeva ad Apollodo- ro, si fece signore in tutto; affermando che il fra- tello avealo donato lui: e governò per modo le for- tune domestiche del suo nipote, che cadde in pena di restituire tre talenti, a cagione di una tutela ma- lamente retta (2). Archedamo però, avo mio, impe- trato da Eupolide di ammogliarsi con la madre di Apollodoro ; e vedendo il suo figliastro spogliato e privo d'ogni suo avere, lui ancor fanciullo educava nella sua casa , dove pure ebbe recata la propria madre. E quando Apollodoro fu fuori di pubertà , cominciò Archedamo a contendere, e vendicare la me- tà de' beni di Mnesone e le altre facoltà, di cui il figliastro venne privato dal suo tutore Eupolide : e tolte a questo fine due azioni, potè ricuperare tutte le appartenenze di esso Apollodoro. Il perchè questi ed Eupolide vissero sempre tra loro in guerra; Tavolo mio per contrario e il suo figliastro furono in per- petua pace, come si conveniva. Ma dalle opere si potrà meglio scorgere come Apollodoro, per aver ri- cevuto dal suo patrigno un tanto benefizio, stimasse degnamente di contraccambiarlo. Perciocché quando Archedamo venne in mano degl'inimici, Apollodoro portava del suo avere a quelli per riscatto del pa- trigno; e poneva ostaggi, finché avesse potuto raccor la somma che prometteva. Inoltre poiché Archedarao di facoltoso venne in povertà, il figliastro ne prese cura sopra la casa, somministrando a utilità di lei il patrimonio suo. E Apollodoro medesimo, stando Orazione d' Iseo ^S itìi sul muovere per Corinto, dispose delle sue robe nel testamento, qualora venisse meno alla vita; e fece erede la figlia del suo patrigno, mia genitrice, con- giungendola in maritaggio con Lacratida, maestro di cose sacre. Tale fu egli verso noi; i quali da prima lo avevamo ritornato in libertà e in essere migliore. Che io poi abbia fin qui discorso il vero ; e che Apollodoro vincesse in giudizio due volte Eupolide, l'una sopra la rea tutela, e l'altra sopra la metà dei beni di Mnesone, aiutandolo il mio avo con dire in favor suo, per modo che ne riacquistò gli averi ; e che di tanti benefizi ci riportasse grazie , io voglio produrvi innanzi i testimoni. E tu li chiama in que- sto luogo. Testimoni Sì grandi adunque eran le grazie che ci ebbe Apol- lodoro. Quindi le inimicizie, che passavan tra lui ed Eupolide, si generarono dal ricco patrimonio che questi mal seppe indirizzare e ne frodò il nipote: le quali non si può dire che mai scadessero o si mu- tassero in benevolenze. Intorno a che vi porterò un grande documento. Imperciocché Eupolide, quantun- que padre di due figliuole, pur non sofferse di ac- compagnarne alcuna col suo nipote, nato di un fra- tello e benestante. Essendoché le nozze, come quelle che traltan cose che piìi delle altre valgono a ri- condurre comune amore, non solo i parenti, ma an- che gli strani sogliono pacificare. Sicché od Eupo- lide si fosse autore delle discordie col ritrarsi da così fatto maritaggio, o lo schivasse Apollodoro; certo è che le loro inimìsladi viveano ancora. y6 Letteratura Delle quali giudico avere favellato bastantemen- te. Poiché so , o giudici , come i più attempati di voi tengano tuttavia nella memoria, che quelli fu- rono rivali ne' giudizi. Che lo spesso loro contrasta- re, e il grande vincere di Archedamo, ne rivela aper- tamente gli opposti animi. Or poi vi mostrerò come Apollodoro vivendo adottò me; femmi signore delle sue cose, e mi scrisse tra i suoi congiunti e nel li- bro de'fralori; e in questo mio narrare vi prego ad essermi cortesi dell'attenzion vostra. Apollodoro avea generato un figlio, cui cresceva e tirava innanzi con grandi cure, come da uno affettuoso padre si debbe fare. Il qual figliuolo, finché duravagli la vita, era speranza di Apollodoro di averselo a successore in tutto il patrimonio : ma poiché infermò, e venne a morte nel passato anno del mese di mematterione; al genitore, cui cadde l'animo per questo infortunio, e che lamentava la grande età sua, non iscorse della memoria il numero de' benefizi avuti da' miei con- giunti. Però venuto al cospetto della mia madre, so- rella sua e da lui amata con grande affetto, disegnò di avermi in figliuolo: e fattane molta istanza, ciò venne ad effetto. Poiché dunque la mia madre fu indotta a questo passo, Apollodoro affrettò in modo la mia adozione , che subito che mi tolse per suo adottivo, mi menò nella sua propria casa, e mise in mie mani il governo di tutto il suo; quasi eh' egli non bastasse a tanto, e mi credette accomodato a sif- fatta opera. E come ritornarono le solennità targe- lie (3), mi condusse all'are avanti ai fratori ed a'pa- renti. Conciossiachè coloro i quali menano questi figliuoli legittimi o adottati, costumano di far fede con giuramento, che conducono solo chi è nato cit- Orazione n' Iseo n» tadlno e di legittimi modi; e che sia, come ho detto, o un figlio acquistato dalla sua sposa o un adotti- vo. E dopoché sono ivi recati , debbono i fralori trattare insieme, se quelli s'abbiano ad accettare; e quando che sì, non si scrivono tosto nel comun li- bro. Tanta diligenza ricercano gli uffizi de' nostri fratori. Di tale sorta essendo questa legge, tanto i fratori , quanto i congiunti dando fede alle parole di Apollodoro, e conoscendo me essere di una sorella di lui, pongono il mio nome nel comun libro; do- poché tutti porsero il voto, e Apollodoro giurando ag- giunse la sua fede. Per questa via mi adotta Apol- lodoro ; il quale ancor vivea e fioriva di sanità , e registra il mio nome" in quelle scritture « Trasillo di Apollodoro » innanzi ad esso adottante medesimo e conforme alle nostre leggi. Le quali mie parole non si scostano dalla verità, come tu lo farai noto, prendendone testimonianze. Testimonianze Io avviso, giudici , che delle cose testimoniate da ambedue le parti, voi dobbiate avere più fede in quelle, che i congiunti miei hanno detto, ed appro- vato palesemente co'loro fatti; come cioè Apollodoro abbia rettamente e secondo le leggi adempiuta la mia adozione. Imperocché Eupolide lasciò due figliuole;, una delle quali , che in questa contenzione è mil avversaria, fu moglie di Pronaplde; e l'altra, cui si tolse Eschine lusiese, morta è, rimasto di lei un figlio, Trasibulo appellato. É legge, che se un fratello sia passato del mondo senza prole e senza testamento, la sua sorella di uno stesso padre, la quale ancora n8 Letteratura viva e i nipoti dell'altra già defunta, gli succedano di pari diritto nelle sustanze. La qual legge non è oscui'a nemmeno ad essi avversari nostri ; poiché con chiarezza l'hanno mostrato nelle lor opere. Con- ciossiachè Trasibulo ha presa le metà de'beni di Apol- lodoi'o , figlìuol di Eupolide, e morto senza succes- sione legittima; i quali beni vanno facilmente a cin- que talenti. La legge adunque dà alle sorelle e figliuo- le una egual parte degli averi paterni e di quelli dei germani; ma delle robe de'cugini, o di chi è fuori da questo parentado, non concede eguale porzione; sibbene ordina che gli uomini avanzino in diritto le femmine a quella successione. Perchè la legge dice, i maschi e quale viene di loro per la medesima linea che le femmine, sopraslieno nelle ragioni, quantun- que si acoostin meno al parentado (4). Perciò non si appartiene alla figliuola di Eupolide di contender punto di questa eredità; ma sì a Trasibulo di essa tutta, quando egli non avesse creduto valida la mia adozione. Però questi non combattea conlra me dal primo punlo della causa , né portò ai giudici niun piato su questa eredità ; ma confessò che Apollo- doro ebbe ogni cosa operato dirittamente. Nulla di meno osaron costoro di far contesa in favore della figliuola di Eupolide sopra tutte le facoltà. A tanto ardire si son levati! E ora tu apri le leggi, contro alle quali essi hanno fatto; e le notifica. Leggi. Il perchè la sorella di Apollodoro, e il nipote dell'al- tra, già trapassata, sono in forza della legge uguali; e hanno pari ragioni alla eredità. Tu nondimeno reca [ eziandio questa legge ; e la palesa. Orazione d' Iseo 7^ Legge Dunque se non ci abbia cugini o i lor figliuoli, né altro parente dal paterno canto , la legge trasmette i beni a coloro» che sono consanguinei dal lato di madre , stabilendo quali debba seguitare maggior di- ritto. E tu porgi essa legge; e recita. Legge Essendo cosi fatti i voleri della legge, Trasibulo, co- me che uomo, pure non presentò niuna' domanda dell'ereditaggio; e costoro lo si chiedono tutto per una donna? Tanta confidenza ripongono nello essere sfac- ciati senza lor danno! E per questa eredità non lasce- rebbero indietro niente che non tentassero; colorando i lor disegni, dicendo in questa guisa. Ci convien do- mandare la eredità, perchè Trasibulo fu emancipato nella casa Ippolochide. E comechè dicano questo, nulla ostante ciò non aluta la causa loro. Imperclochè forse perciò Trasibulo vien meno al diritto, che ha da que- sta parentela? E anche ApoUodoro di Eupolide acqui- stò beni, non mica del padre, ma della madre. Dun- que era lecito a Trasibulo di fare sue istanze di un tale retaggio , per diritto di consobrino; e lo potea meglio che la figlia di Eupolide , quando egli ripu- tasse , che ciò cui fece ApoUodoro , non fosse va- lido e legittimo. Pure Trasibulo bene si par mode- sto. Nessuno poi è manclpato dalla madre , ma lei ritiene insieme colle ragióni, che gli muovon di essa; sebbene rimanga in casa del genitore, o ne sia an- dato fuori, come emancipato. Onde Trasibulo non 8o Letteratura. fu spogliato in tutto delle facoltà di Apollodoro, figlio che fu di Eupolide; ma ne menò seco la metà , e dispensò l'altra alla figliuola di esso Eupolide. Che io pronunzi cose vere, tu me ne appella qui i te- stimoni. Testimoni Dipoi non i consanguinei e i fratori solamente attestano la mia adozione, ma esso Trasibulo; il quale per non avere conteso meco della credila , ha dato a conoscere col fatto , che lien per legittime e va- lide le cose di Apollodoro. Poiché egli ne avrebbe taciuto, né lascialo passare in altrui mani cotanto patrimonio. Quindi ci ha eziandio più testimoni ad Apollodoro mio adottante. Imperocché prima che io me ne tornassi de' giuochi pilli (5), egli fu insieme co' popolani per trattare della mia adozione , per iscrivermi nel libro de' fratori , annoverarmi tra i suoi parenti , e consegnare nelle mie mani le robe sue : onde li pregò, che quando i giorni suoi aves- sero a mancare innanzi alla mia tornata, registras- sero il mio nome nelle scritture loro : Trasiilo di Apollodoro ; e mai non facessero contro a questa vo- lontà. E quelli avute queste parole, tuttoché Pro- napide e'suoi congiunti nel di della scelta de'magi- slrali movessero un lamento , e dicessono me non essere stalo tolto a figliuolo adottivo da Apollodoro; pure da ciò che udirono, e sepper da lui , giuran- do giusta le cirimonie sacre, m'ebbero scritto , se- condo che quegli aveva imposto loro. Si chiara ap- parse la mia adozione. E che io non esca dai ter- mini del vero in ragionando, tu me ne cita i testi- moni. Orazione d' Iseo 8i Testimoni. Avanti a questi testimoni, o giudici , accadde la mia adozione; avendo le vecchie inimicizie rotti gli animi di ApoUodoro e quelli della casa di Eu- polide; l'amore poi e il parentado avendo congiunti i nostri con quello di ApoUodoro. E tutto che né la inimicizia tra essi, ne lo amore tra noi ne fosse cagione; pure ApoUodoro non avrebbe mai patito di donare a quelli il patrimonio suo : ed io penso di potervelo pienamente significare. Perocché tutti noi , a cui convien morire, procuriamo che non rimanga deserta la nostra casa; ma resti dopo noi chi ne fac- cia le esequie e le altre funebri costumanze; laonde se non abbiamo erede, ci procacciamo uno adottivo. E non solo in privato conosciamo ciò essere ragio- nevole, ma pubblicamente la città lo ha voluto sta- bilire. Imperocché la legge ha commesso al magistrato la cura delle famiglie , acciocché non restin vo- te (6). E ApoUodoro ben sapeva, che avrebbe fatto vacua la sua, lasciando a questi il patrimonio: per- ciocché vedeva che le figliuole di Eupolide avrebbono posseduto i beni del lor fratello ApoUodoro , e in figliuolo non gli avrebbero sostituito alcuno de'pro- pri figli, avendone elle; e che i mariti loro avrian venduta cinque talenti la terra e gli altri beni ru- stici, cui lasciò ApoUodoro, e partirebbono insieme le riscosse: sicché vedeva la sua casa turpemente e con reo esempio lasciarsi vota. Per la qual cosa quegli che antivedeva, che uno benché fratello, avria nondimeno sofferto tanto da loro; come potea aspet- tarsi di conseguire i funebri onori da quelle, di cui G.A.T.CII. 6 82 Letteratura non germano, ma solo era cugino? Cerio è ch'egli non nutriva in petto questa speranza. E che i cognati di Apollodoro di Eupolide non abbiano sostituito alcun figliuolo in luogo di lui , il quale passò di vita senza erede , e che possiedano il suo ed una casa, che, come è noto a tutti, sosteneva gli uffizi del condur triremi (7) , tu me ne chiama le testi- monianze. Testimonianze S'eglino adunque eran fra loro di questo mo- do , e passavano tante inimicizie con Apollodoro mio adottante, che altro di meglio questi potea avere ne'suoi pensieri; se non quello che condusse a ef- fetto? Ma in verità, forse tu dirai, egli potevasi adot- tare in figliuolo un suo amico, che lo redasse. Era però ignoto a lui ed ai parenti del fanciullo , se questi per la picciola età sua saria divenuto un buono e temperante uomo, od il contrario. Di me poi aveva presa Apollodoro esperienza piena e suf- ficienti prove. Perciocché sapeva quante cure io ponea al padre e alla madre mia ; vedeami molto servente a'miei affini, e savio in ben guidare i fatti miei; conosceva che nel mio uffizio di giudice am- ministrai a tutti buona ragione, né appetii mai da- naro. Onde egli non isconoscendo queste cose, ma avendole chiaramente; e ricevuti da' miei di grandi benefizi, deputò signore di tutto il suo me solo, il quale non gli ero strano, ma un nipote. Mi teneva inoltre buon massaio; non distruttore delle sue fa- coltà , come furono costoro su l'eredità ; e pronto agli uffizi ilelle triremi e a quelli della guerra, del governo de'cori e di l'are ogni comando vostro, non Orazione d' Iseo 83 altrimenti che egli pur fece. Se io dunque gli era nipote , amico , benefattore , massaio, e per tale avuto sempre da lui, come si potrà stare in forse se sia venuta di un uomo sano la mia adozione ? Certamente ho io compiute alquante commissioni di lui: poiché ho portato in questo anno il ginna- siarcato nelle feste di Prometeo (8), siccome ne ha cognizione la intera tribù mia. E della verità di queste mie parole tu chiama i testimoni. Testimoni Ecco le ragioni per cui diciamo convenirci con giustizia, o giudici, questo retaggio: e vi preghiamo ad essere con noi, per risguardo si di Apollodoro e sì del suo genitore. Conciossiachè voi ripensando la vita loro, non li troverete disutili cittadini, ma paratissi- mi quanto poterono al vostro bene. Che Trasiilo si recava indosso fra le altre pubbliche spese ancora quella della guida de' triremi in tutta la vita sua; non fabbricando la nave in solido con altrui, come ora è usanza, ma del suo proprio avere ed in pri- vato; non ogni due anni, ma di continuo; non con miseria, ma splendidezza. Alle quali sue diligenze voi riferiste onore, quando ricordaste le buone opere sue; e or ne avete restituito il figlio in tutt'i beni di lui, donde venne rimosso ; costringendo coloro che li occupavano, a ritornarli nelle sue mani. Quindi Apollodoro, non a modo di Pronaplde si scrisse cit- tì tadino di breve censo; ma volle essere de'cavalieri, e sedere coi magistrati (9) : mai non procacciò di far suo quello degli altri; ma sempre attese a do- narvi le facoltà sue pubblicamente, quante volte ne 84' Letteratura. lo ricercaste; e tutto operava con animo caldo di gloria e di onoranza: non si allargò nel vivere con altrui danno; fermando sempre che a se convenlano spese temperate, e presentare la patria del suo so- perchio. Onde quale uffizio pubblico in favore di lei non sosteneva? Quale offerta non recava tra i primi cittadini? Che cosa mai lasciava indietro, la quale a un cittadino si aspettasse? Egli che reggitor de'cori vinceva in quello de'garzoni? E memoria di sua lar- ghezza è quel treppiè , dedicato in suo onore da esso coro. Quali poi sono i doveri di un buon cit- tadino? Non quelli forse di affrontare coloro, che danno in aver di pìglio, affinchè tutti conserviamo le suslanze nostre? Non quelli forse di levarsi su primi per donare alla patria, quando è sprovveduta; e non nasconderle ciò che possiedi? Tale si parve Apollo- doro. Alle cui virtù giustamente voi renderete que- sta grazia , facendo valido il suo consiglio intorno al patrimonio. Poscia neppure me troverete un reo e pigro cittadino. Che impugnate ho le armi ; uscito sono in campagna per la salvezza della patria, ed ub- bidisco a'vostri cenni: poiché queste sono opere dei pari miei. Per il che voi in grazia di Apollodoro, di Trasiilo e di noi, provvedete alla nostra causa : singolarmente perchè gli avversari una casa del valore di cinque talenti , la quale si addossava i pesi del soprastare a'triremi, disfecero, vendettero e fecer vota; noii per contrario abbiamo seguiti e seguiremo i co- muni nostri doveri, quando voi confortiate la mente di Apollodoro, concedendoci il suo retaggio. Ma per non parere che io voglia intrattenermi a darvi più parole di questo affare, debbo ora con brevità, per poi discendere di questo luogo, rammen- Orazione d'Iseo 85 larvi, e mettere dinanzi agli occhi le ragioni, a cui ciascun di noi si appoggi in questo piato. Io come figliuolo della sorella di ApoUodoro, tra' quali fu sem- pre pace e non mai guerra ; e perchè come suo ni- pote venni adottato da lui, che vivo e ben disposto era della mente, e poscia ascritto ne'suoì congiunti e nel libro de'fratori; chiedo il possesso di ciò che quegli mi donava, e che non si desoli per cagione degl' inimici la sua famiglia. Pronapide per l'oppo- sto, che reca qui in favore di sua consorte, mia ri- vale ? Domanda gli sia lecito di ritenersi il prezzo avuto della metà de' beni del 'fratello di lei , e di trarre a se anche un patrimonio, che per eredità sca- de giustamente a'più propinqui, che non è sua mo- glie : comechè in luogo di ApoUodoro, suo cogna- to , non abbia sostituito un figlio ; ne fatto riparo contro alla solitudine della sua casa ; né glielo so- stituisce ora, che è sotterra, per farne solitaria in- sieme la famiglia. Quegli inoltre porta in giudicio le grandi loro inimistà e la ninna concordia con ApoUodoro. I quali avvenimenti bisogna che voi con- sideriate, o giudici ; e serbiate in mente , come io sia nipote del mio adottante , e costei cugina sua : come ella studi menarsi due eredità, ed io solamente questa, in cui venni adottalo: come ella non fu mai benevola di cui lasciava quel patrimonio , ed io e l'avo mio facemmo sempre i suoi vantaggi. Dopo aver meditate tutte queste ragioni, e conferite con voi me- desimi; porgete finalmente conforme alla giustizia il vostro voto. Io poi non so che altri fatti mi convenga scorrere; giudicando che voi non ignoriate punto di ciò che ho ragionato. 86 Letteratura DICHIARAZIONI a — © _© -§^ - o 'o « Oh >M < s w 0) -- _ jg pc^iiri-S «>« ^jtXov ' EvavSpsj zoiq tv Toctoc? a òt^MouLOig-at nokv uodìzoì [xoiXiq-oi. (i) ec. Queste terme etrusche poi erano distanti cinquanta miglia da Roma, al dir di Scribonio Largo (2) e di Marcello (1) 2t|3«/3. TvjdYp. /3. £. (2) De compositionc mciUcament. cap. 146. g.a.tj:ll 7 gB Letteratura Burdigalfìnse (3) : la qual distanza corrisponde ap- punto al Bollicarne ed alle allre minori sorgenti. Ne' predetti scrittori antichi però, ed in altri della lor epoca, invano si cercherebbe qualche vo- cabolo corrispondente all'odierno Bollicarne: mentre altronde non è verisimile che una tal maraviglia naturale a pochi passi dalla via cassia non avesse un nome. Alcun immaginoso etimologista del secolo passato andò a rintracciarne l'origine nell'ebraico e nel greco, e perciò in Bel camma, Bui can, Vul- can o Vulcanus, e quindi per la noia analogia del V in B Bulcanus. A me sembra ben naturale, che nel medio evo essendosi dimenticato l'antico voca- bolo latino per le invasioni de'barbari, per lo spopola- mento del luogo e per deperimento dell'italica let- teratura, il vocabolo di bollicame siasi formato dal bollore delle acque slesse, senza alcuna provenienza eùmologica. In tali ricerche però una speciale circostanza mi ha fornito tracce assai opportune per giungere alla soluzione del quesito. Nell'anno 1^29 essendo in gran parte mancata l'acqua che figura nella spi - ciosa fontana gotica di Viterbo, delta fontana gran- de^ si giudicò necessario ispezionare la botte od ori- gine dell' acquedotto relativo, che si sapeva esistere in sul pendio della montagna, lungi dalla città cir- ca 5oo passi a sinistra della via nazionale che verge a Roma, ma in una considerevole profondità. Ap- prestate dagli operai le scale ed apparati opportuni per discendere quasi perpendicolarmente in quel sot- terraneo , fra vari curiosi anch' io mi vi recai ad (1) De incditam. cap. 26. Aquae Passeri^ gg osservare gli imponenti lavori antichi che si annun- ciavano. Vi vidi vari spaziosi cunicoli o viottoli di somma solidità formati di grandi lastre di peperino ( pietra vulcanica del luogo ) ne' lati sormontali da due di esse toccantisi in alto ad angolo acuto a foggia di gronda. Nel piano scorrono rivoli d'acqua che vanno a versarsi nel cunicolo principale , ove ha origine l'acquedotto. In due delle lastre laterali si videro iscrizioni incise, l'una delle quali quasi af- fatto obliterata ed illeggibile , 1' altra fa conoscere che (i) Mummio Negro e Valerio Vigeio allaccia- rono quell'acqua nel fondo annoniano maggiore di P. Varrone per condurla alla lor villa calvisiana, situata circa cinque miglia lontano alle acque pas- seriane, comprando il dritto di transito dai proprie- tari de'fondi pe'quali passava, costeggiando e traver- sando le vie ferentiense e cassia. Questa iscrizione venne in allora pubblicata dall' Orioli con alcune osservazioni. L' acquedotto calvisiano di lastre di peperino, (1) Publius Niger Valeriiis Vigeius aquam suam vigeilanam quae nascitur in fundo annoniano maiori P. Julii Varronis cum eo loco in quo is l'ons est emancipatus (lux . . . per millia passaum VDCCCL(?) in villam suain calvisiauam quae est ad aquas passerianas compara- tis et emaneipatls sibi loci itineribus eius aquae a possossoribus sui cuiusque fundi per quos aqua educta per latitudinem structuris pedes decem fistulis per latitudinem pedes sex per fundos anonia- num maior. et anonian min. P. Julii Varronis, et balbianum et plia. liniauum Aulei Commodi et petronianum P. Julii Varronis et volsi- nianum Herennii Polibii et fundonianum Cetenni Proculi et cattolo- nianum Cornelii Latialis et lerianuni inferiorem Quintini Verecxmdi et capitonianum Pistrani Gelsi, et per crepidinem sinisteriorem viae publicae l'ereutiensis et scirpianum Pistriniae Lepidae et per viam limitesque publicos ex permissu. S.C. (Annal. di corrispon. ar^heolog. 1829 p. 17o. 100 Letteratura al dir de'rauratori che lo lian percorso, continua sot- terraneainenle fino alla predetta fontana grande^ ed indi prolungasi ancora fino alla valle detta di Fdulle. Ivi assume la forma di un cunicolo scavato nel tufo , sovra il quale sorge la collina , ove fino al XII secolo esistette il castello iV Ercole, ed ora vedesi il palazzo episcopale. Parte di tal cunicolo è deperito da non molti anni, e parte fu non ha guari distrutto nella costruzione del nuovo macello. Fuori delle mura della città, la valle di Faulle si prolunga co' nomi di Valle delle caie e Valle de^ bagni, e presenta in vari punti della sinistra sponda le trac- ce dello stesso cunicolo o acquedotto della villa cal- visiana , che va costantemente deperendo a causa della friabilità e decomposizione del tufa. Paraieilo ad esso in fondo alla valle scorre il rivo, in cui alle altre acque sono riunite quelle reflue dalla fontana grande. Alla distanza poi di circa tre miglia dalla città trovansi non piccoli tratti della via cassia , la quale procedendo da Bolsena passa, come dicevo, vicino al cratere (o come volgarmente dicesi caldaia» del Bollicante, traversa la valle de''hagni e si di- rige verso Fillcasse presso Velralla. Nelle adia- cenze poi della via cassia esistono molte sorgenti di acqua termale, fra le quali alcune, racchiuse in magnifico edificio de'secoli meno antichi nella valle predetta, servono oggidì ad uso di bagni pubblici. Forse un'accurata indagine potrebbe far riconoscere l'ubicazione positiva della villa calvisiana: ma ciò nulla più interessa al mio scopo. Ciò che specialmente lo riguarda sono le Ac- que passeriane indicate nell' iscrizione come esi- stenti vicino alla via cassia , e non lungi dalla AQUAff" PaSSERIS 101 inaile (Wbagni. Io con altri rammento un epigram- ma (li Marziale, nel quale fra le ac<[ue termali etrus- che specifica le fervide acque del passero o passe- riane. Etruscis nisi termulis laveria lUotus morieris, Oppiane. Nullae sic tibi blandientur aquae, Nec fonles Aponi rudes puellis, Nec moUis S'wwxe&szi, feìvidiqiie Fluctiis passeris, aut superbus Anxur, Nec Phoebi vada principesque Baiae li). Se infatti le acque passeriane erano bollenti e scor- renti (fervidi fluclus) : se trovavansi presso la villa calvisiana a circa cinque miglia dal fondo anno- niano maggiore di P. Varrone, ossia dalla sorgente dell'odierna fontana grande: se erano prossime alla Cassia, lontane cinquanta rru'glia da Roma, qual al- tra sorgente meglio può essere indicata del Bolli- came ? Le acque di questo bollono , e sebbene la temperatura non giunga agli oo gradi reaumuiiani, cbe a senso de'moderni cbiiulci costituiscono la vera ebullizione, pure a causa del gas che sorge misto alle acque, e del loro gorgogh'amenlo, mostrano tutta l'apparenza del bollore. Anzi il vocabolo di fen'itU usato da Marziale esprime piuttosto il suono del gorgogliamento dell'acqua Ijollenle (2), cbe il grado del calore più elevato di essa. Le acque del Bollica- rne poi uscendo dal cratere scorrono presso il declivio della collina, come disse Dante , e Jluiint (fluclus), come disse Marziale, ne'luoghi citati. (1) Marlial. lib. VI epigr. 42. (2J VaiT. De lingu. latin lib. V. 102 Letteratura Nell'epigranima in discorso osservo, che le ter- mulae etruscae sono distinte dal fervidi Jluctiis passeris: e ciò mostra una speciale corrispondenza alle circostanze del luogo. Molte sorgenti infalli assai minori pel volume dell'acqua, e di una tem- peratura più Manda, esistono attorno al Bollicarne. Oggi se ne contano oltre a venti (i), e molle ro- vine di antiche terme si osservano a varie disianze: le Serpi, le Bussete, il Bacucco, la Regina, V Asi- nelio ec. A queste conviene il nome di termulae blandae {cjuae blandiuntur) a distinzione della sor- gente dei Jluctus fervidi passeris. Ad eliminare qualche dubbio, che rimanesse sul- l'identità delle Acjuae passeris coll'odierno Bolli- carne, posso produrre un'autorità assai perentoria. E notissima la pergamena topografica, delta tavola peutingerianUf la quale riporta le regioni, paesi, sta- zioni itinerarie, laghi, fiumi ec. dell'impero romano, e viene attribuita ai tempi di Teodosio fra il IV e V secolo dell'era volgare, non molto lungi dai tempi in cui scrissero Scribonio, Marcello e Mar- ziale sopraccitati. Or sebbene in essa tavola non siano conservale esaltamente le distanze proporzionali fra luogo e luogo, come nelle odierne carte geografiche, pure appunto fra la stazione di P^olsinis e Forocassi leggesi Aqiias passaris (così) nella guisa stessa, che il Bollicarne sta fra gli odierni Bolsena e bilicas- se (2). Da ciò deve inferirsi, che le Aquae passe- ris non indicavano solo una sorgente, ma una sta- zione itineraria , un paese. Ciò viene dimostrato doppiamente, 1° dalla grandezza di un edificio ret- (1) Bussi, Storia di Viterbo p. 77. (2) Peiitinger. tabula eclit. Vindob. 1753 secl. IV. Aquae Passeuis io3 tangolare disegnato nella tavola nel luogo delle jlqnae passavis, il quale manca nel luogo di Foro Cassi, ed è quasi quattro volte maggiore di quello sotto J^olsinis : 2» Dall' estensione die occupano oggidì le copiose rovine di abitazioni, terme ed altri edifici per qualche miglio. Che poi realmente le Aquae passeris fossero collocate sulla via cassia e formassero una stazione da Roma a Bolseno, ne abbiamo altra prova nella serie stessa delle stazioni degli antichi itinerari. Il dottissimo Cluverio la riporta in questa guisa : Roma Ad Sextam Veio VI Sutrium XII Vico Matrini Foro Cassi IIII Aquas passeris XI Volsinis Vini. Quindi è evidente, che fra Foro Cassi e Volsinis non eravi altra stazione, che Aquas passeris. Sul rapporto di questa stazione però il Cluve- rio opina che essa corrisponda al luogo che dicesi attualmente Le serpi. «At aquae passaris, seu pas- » seris, quarum Martialis etiam meminit, nullae aliae » esse poluerunt quam quae millia passuum qua- » tuor ultra Viterbium ab laevo cassiae viae, cuius » heic reliquiae etiam visuntur latere, vulgo nunc » dicuntur il bagno delle serpi, et alias bagno dei » palazzi , ubi insignia vetusti balnei ac templi )) conspiciuntur vestigia. A vulgari adpellatione bal- » nei la serpa templum Serapldis viri literati in- » terpretantur. Hic cum hodie XIII ferme nume- io4 Letteratura » renlur miliaria Vulsinii usque, scripta fuisse in » tabulis itineraria passuum millia XIII haud du- » bium est, quae postea viliata sunt in Villi (i).» L'Orioli conviene in quest'opinione, anche sul riflesso che il fondo scirpiano di Pistrinia Lepida, prossimo alla villa calvisiana, indica col suo nome che ivi sorgessero scirpi^ giunchi e piante palustri: il che osservasi oggidì nel piano delle serpi. Ma è ben noto che siffatte piante sorgono facilmente nei terreni acquitrinosi, i quali non mancano in quelle vicinanze, e precisamente al di sotto del Bollicarne verso la valle de'bagni, ove verosimilmente eslen- desi l'acquedotto calvisiano. Altronde quesl' acque- dotto non poteva giammai pervenire alle serpi ed alle palazze per difetto di conveniente declivio. di più , niun indizio può cavarsi dal cenno della via ferentiense , della quale non esistono ne vesti- gio, ne notizie. Ma senza anche tali riflessi può chiedersi: Ove sono nel luogo delle serpi le acque bollenti menzionate da Marziale ? Le serpi e i pa- lazzi presentano vestigie di antiche fabbriche, non una fonte d'acqua bollente. Dissi già che le aquae passeris, sebbene fos- sero una sorgente di acqua termale, formavano al- tresì una stazione itineraria , ove segnavansi le di- stanze milliarie tanto a Volsinis che a Foro Cassi. Dissi altresì che copiosi ruderi vi si rinvengono più o men prossimi. Ma ad una certa vicinanza il terreno trovasi nudo di rovine a cagione del gas epatico o solforoso che si svolge da quella sorgen- te: ed è non solo ingrato agli uomini, ma micidia- (1) L. e ! Aquae Passeris io5 le anche agli uccelli: onde dagli antichi si dissero simili luogìii Averni da greca etimologia, h-oova.'» senza uccelli /i). Una di tali tern)e, ai cui ruderi sembra volere alludere il Cluvenio, è forse quella che oggidì chiamasi del Bacucco, la quale è prossima alla cas- sia, presenta una mirabile eleganza e magnificenza di costruzione, e formava anch'essa parte dell'estesa stazione o borgo delle aquae passeris. Ivi eseguiro- no già varie escavazioni non mal sortite i sigg. corn- mend. Zelli Pazzaglia e march. Especo a mio sug- gerimento, e delle quali diedi ragguaglio a suo tem- po in una lettera al eh. Gerard (2). Ma neppur ivi sono la sorgente di acqua bollente, e le circostan- ze corrispondenti all'iscrizione: e perciò al solo Bol- licarne rimane, ovvero può restituirsi, il nome di fon- te aquae passeris. Sebben le terme nella città di Roma ne' tem- pi dell'impero formassero una delle grandi maravi- glie della capitale del mondo pel loro numero, ma- gnificenza ed estensione, ed il popolo quasi al pari dei moderni orientali vi si recasse per lavarsi ed immergersi nelle acque arlificialmenle scaldate o per mondezza del corpo, o per piacer fisico, o per pas satempo e ricreazione, nulladimeno molte ricche od agiate persone prediligevano , in ispecie nella pri- mavera, di recarsi o alle acque puleolane presso Na- poli , o alle terme etrusche delle quali tengo di- scorso, per godere il naturai tepore de'bagni Inngi dal fragore e dalle cure della gran città. La libertà (1) Lucret. De rer. nat. 1. VI. Eiistat. in Homer. raps. par. 3. pag. 410 edit. Basii. (2) .annali ctell' istit. di corrispondenza archeologica. Berlino 183S. io6 Letteratura campestre, la novella società, le nuove abitudini re- cavano ad esse nuovi piaceri. Il poeta Tibullo, die faceva parte del mondo galante di quel tempo, si la- gna cogli dei, percliè mentre gli amici stavano a sol- lazzarsi nelle acque etrusclie, egli era trattenuto in letto da acerba malattia: Vos tenete etruscis manat quae fontibus^ undut Unda sub aestivo non adeunda cane. Nunc autem sacris caiurum mainici lyniphis Clini se purpureo vere remittit humus. E fra gli altri piaceri, che essi godevano, accenna quel- lo della natazione: il che indica, che agiatezza e pas- satempi non mancassero in questi luoghi : At vobis tuscae celebrantur numina limphae , Et facili s lenta pellitur unda manu (i). I bagni, o terme etrusche, erano esclusivamente visitate ed usate per piacere e nettezza, almeno nei più antichi tempi: ne verosimilmente si pensava che potessero essere utili alle malattie. Forse quel tal ottimo Milone Broco pretore, che in que'luoghi era possessore di alcun terreno con acque termali , fu uno de'primi a conoscere, ed indicare altrui la vir- ili medica di esse : e Scribonio ne prese nota nel suo commentario terapeutico. Ed anche oggidì, seb- bene i bagni termali più famosi siano frequentati per pretesto di malattia, o come medicamento o curativo 0 preservativo, pure il maggior numero de'concor- (1) Tibul lib. HI eleg. V. Aquae Passeris 107 renli doviziosi, principi, ministri di stato ec. amano recarvisi per ricreazione , e per godere la libertà cam- pestre in mezzo a lieta brigata , e senza le etichet- te della corte e le esigenze de' più alti gradi della società. Quindi in siffatte più famose e magnifiche terme esiste ogni agiatezza di abitazione, ogni specie di divertimento: la lettura, la musica , la danza , il passeggio, i giuochi, i giardini, gli esercizi ginnastici, e simili. Gli odierni costumi pertanto hanno tuttora su tal particolare molta analogia cogli antichi, per- chè confacenti alla natura umana, ed allo stato di agiatezza e di civiltà. Se per più miglia attorno al cratere dell'odier- no BoUicame pertanto si osservano rovine de' mag- giori edifici, e moltissime altre de'minori intermedi, che non han lasciato ai nostri giorni alcun vestigio spe- ciale oltre le terme, abbiamo però una prova della co- piosa popolazione permanente o avventizia alle Aqiiae passeris de'terapi imperiali e dell'asserzione di Aramia- no Marcellino: cioè che i bagni degli antichi somiglias- sero piuttòsto a Provincie, che ad uno speciale stabili- mento. Si enumera in fatti una sorprendente quan- tità di attinenze de' bagni romani : i parisi ili , il teatridio, lo sferisterio, le cappelle, i ginnasi, l'ese- dra, gli emicicli, le scuole, i sisti, o ambulacri, le selve di platani, gli stadi , la natazione , le fonti , i musei, i portici, la basilica, la dieta, gli atrii, gli efebèi, il coricèo, il frigidario, l'apoditerio, l'ipocau- sto, il laconico, il conisterio, la palestra interna ec. (i) E se i bagni delle città avevano tutte queste perti- nenze, è ben verosimile che le terme etrusche non (1) Dacci, De ihermis 1. VH e. 6. io8 Letteratura fossero molto inferiori aJ essi, poiché rapporto alla magnificenza ne abbiamo qualche saggio nella terraa del Bacucco sopra nominata. Il fin qui scritto è dedicato a far conoscere una verità, od almeno un' opinione archeologica. Che se alcuno in essa non vede un'utilità pari a quelle che il progresso del nostro secolo ha recato, e va recan- do alla presente ed alle future società, alcun allro forse meco vi troverà una specie di compiacenza psi- cologica, come ad una scoperta filosofica o ad un con- cetto poetico. Né tali piaceri dell'immaginazione so- nosi resi in quantità od in qualità minori de' pia- ceri fisici dall' odierno positivismo: giacché l'influen- za dell'anima sui sensi non é menomata, e le idee del dominio , della celebrità, della beneficenza ec. sono fonti di felicità inesauribili. Così una mente abituata a percorrere le età che furono, ed osservarvi i fatti, le cose e le persone, si compiace nel rinvenire le re- miniscenze di un episodio, i fondamenti di un paese obliato: e mentre ascende i rovinosi ambulacri del co- lossèo, e s'inoltra fra i ruderi de' palazzi de' Cesari e del tabularlo capitolino, immagina reintegrate quelle moli , ed ivi ammira i grandi spettacoli de'romani, il lusso imperiale, e l'imponenza del senato, mentre i sensi restano digiuni d'ogni compiacenza. Forse av- verrà del pari, che taluno sul suolo delle Aquae pas- seris rimonti col pensiero a i5 o 20 secoli indie- tro, e vi scorga e terme, e stagni, e portici, e ville, e boschi, e palagi, e stuolo copioso di brillante gio- ventù, che variamente si sollazza. Ciò anche nel no- stro secolo sarà un piacere. Che se mai poi si rea- lizzasse il progetto, che va blandendosi dell' erezio- ne di una salubre, agiata, e deliziosa stazione bai- Aquae Passeris ,q^ nearia in sulla sponda che fronteggia l'attuai fabbrica de'bagni sottogiacente dall'altro lato del rivo, forman^ do fra i due edificii una comunicazione mediante una scala o rampa coperta: se boschetti, giardini, e viali e sale , e bigliardi ed analoghe agiatezze e diverti' menti fossero erette ivi al pari delle odierne son tuose terme d' Europa , onde ed italiani ed esteri avessero allettamento a passarvi qualche tempo- i 50 gni diverriano verità , e l'età presente emulerebbe ivi quella della romana grandezza. Ma ! fra l'innumere- vole quantità de'progetti il massimo numero perisce, ed il mimmo giunge fino all' esistenza. S. Camilli. 1 10 WM>WLEMTM.' Bette società letterarie del Piemonte. Libri due di Tommaso Fallauri professore di eloquenza latina nella regia università, membro della reale deputazione sopra gli studi di storia patria. 8 To- rino, tipografia dei fratelli Favale 1844. (Un voi. di pag. 322. ) LI dottissimo professore Vallauri pvibblicò nel 1841 in due volu- mi la Storia delta poesia in Piemonte. Or ecco, qual continuazione pressoché necessaria di essa , quest' altra sua opera Delle Società letterarie fiorite nella medesima regione d'Italia. Fra poco avremo da lui pur quella Belle università degli studi. E così avrà il Vallauri pagato un bel tributo di onore all' illustre sua patria, anzi all'Italia intera, di cui è nobilissima parte il Piemonte, là dove la munifi- cenza dei re a tanto splendore ha levato in Europa il nome così dell' università di Torino, come della reale accademia delle scien- ze. Qui non diremo con quanta soddisfazione abbiamo letto il pre- sente libro, pienissimo d'importanti notizie non solo letterarie, ma civili e politiche : perciocché le lettere seguono costantemente le condizioni de' principi e degli stati. Varietà' ih L'arte dello scrivere in prosa per esempi e per teoriche, di Basilio Puoti accademico della crusca. Parte prima, del genere narra- tivo. Volume primo. 8 Napoli, tipografia all' insegna di Diogene 1844. ( Sono carte LXXX e 203 ). V^uando si è detto che quest' opera è del marchese Basilio Puoti, non occorre in Italia aggiungere altra lode. Ella si raccomanda su- bito di per se a quanti sono savi e gentili italiani : a quanti cioè non istjmano dover tutte le cose in una civiltà fiorente avere un'arte che le governi, e solo essere a caso lo scrivere che dà vita a'nostri pensieri fra' presenti e fra gli avvenire. Quest' opera, dettala con isquisito giudizio e colla solita penna d'oro, diversifica da quante altre fin qui hanno trattato l'argomento medesimo del bello scrivere in prosa. Perciocché ne' libri l'ettorici così antichi come moderni non ragionasi per lo più «he del mo- do di comporre e di ornare un' orazione, quasiché tutto lo scri- vere stia neir arte oratoria; là dove il Puoti ha invece diviso as- sai filosoficamente il suo insegnamento in tre parti : trattando cioè nella prima del narrativo, nella seconda del didascalico , nella terza dell' oratoria. « Ancora ( die' egli nel cap. II de' bellissimi Prole- « gomeni), come la ragione e l'esperienza ci fa tuttodì manifesto, M le più sottili teoriche non bastano esse sole ad insegnare a com- » porre e adornar le nostre scritture di eleganza e di leggiadria; » e, per toccar sì nobile e difficil meta, è mestieri dì congiungere » con lo studio dei precetti quello altresì degli esempi de'pìù ec- » celienti scrittori. Perciocché essendo le arti operative e non ispe- » culative, non si può acquistare il magistero di una di esse, sen- » za molto considerarne i più eccelsi lavori, e senza sforzarsi » d'imitarli. Or non ci ha chi non intenda , che in assai minor » tempo e più sicuramente imparar si potrebbe 1' arte dello scri- » vere, se gli esempi si andassero proponendo ai giovani col me- » desimo ordine col quale lor si va sponendo le teoriche , e se )) nelle loro esercitazioni potessero essere ad un'ora rischiarati 112 Varietà' » dal lume delle teoriche, e guidati dagli esempi. Ma gli antichi » ed i moderni retori ancora non tennero questo modo: e, per » contrario, si valsero di esempi brevissimi ed in piccol numero, M e sol per dichiarar talvolta le loro teoriche. Or gli esempi, es- u scado necessari, o debbono essere proposti dai maestri, o i di- » scepoli debbono andare essi medesimi cercandoli. Ma nell' uno » e neir altro modo sarebbe diffìcil cosa, per non dire al tutto im- » possibile, che gii esempi l'ossero trascelti e porti ai giovani con » ordine concorde a quello delle teoriche, e che fossero pure di » tal natura, che potessero svegliare o correggere in essi il giu- » dizio ed il gusto. Onde per tutte queste ragioni credemmo che » l'osse mestieri di trasceglier noi stessi gli esempi, e distribuirli » secondo l'ordine che seguimmo in isvolgere e sporre le teori- » che : anzi dagli stessi esempi le teoriche facemmo emergere. E » così facendo, credemmo che non pur più utile ed acconcio, ma » più certo ancora riuscir dovesse il modo del nostro insegnamento: » che le teoriche in questa guisa tratte dagli esempi non possono » ingenerar dubbio che appariscano vere , e, poste in opera, non » si. trovino giuste. Né temeremo di qui aggiungere: che altro fallo » noi ci sforzammo ancor di causare , il quale è comune a tutti » ì retori. Quelli trassero sempre gli esempi da' poeti: e noi, non » obliando mai che ti'attavamo dell' arte di scrivere in prosa , e » che la prosa ha le sue proprie e particolari regole affatto diverse » da quelle della poesia, sempre da'prosatori traemmo gli esempi, u Cosi questo sommo filosofo e retore: al cui avviso interamente ci soscriviamo: e tanto più volentieri, quanto che nel leggere l'o- pera sua ne abbiamo in tutto ravvisata la eccellenza. Sicché non du- bitiamo che nell'aureo scritto del Puoti non debbano studiar conti- nui non pure i giovani, ma i provetti, i quali vogliano nelle lettere roantenere l'antica gloria della nostra nazione, S. Betti. Varietà' ii3 strenna pel nuovo anno. Esercitazioni filologiche. JVum. I. 8 Modena pei tipi della R. /. Camera 1844. (Un voi. di carie 98. ) J. nostri voti all' esimio e tanto benemerito prol'. Parenti non tor- narono vani. Ecco, col titolo di Esercitazioni filologiche, la con- tinuazione di un' eccellente opera sua, la quale raccomandiamo di nuovo e vivissimamente a quanti son teneri delle proprietà e gen- tilezze della lingua italiana, e saper vogliono il niun bisogno che abbiamo di coprirci de' cenci gallici ancor nello scrivere, come fan- no, e quasi con gala , tanti nostri non meno vili che scioperali. L'arte di scriver lettere dedotta dall' analisi de' classici scrittori latini ed italiani per opera di Giuseppe Ignazio Montanari professore di eloquenza italiana e latina nel venerabile seminario e no- bile collegio Campana in Osimo. Edizione seconda nuovamente ricorretta, riveduta, ampliata, e corredata d'esempli tolti dai migliori moderni in ogni genere di lettere. 8 Ancona presso Giu- seppe Aureli 1844. ( Un voi. di pag. 307. ) ile meno raccomandiamo questa nuova edizione d'una egregia ope- ra, e giada noi ne' passati volumi meritamente lodata, di altro nostro valentissimo e benemeritissimo, il quale in lutte le cose sue non pensa che ali'onor dell' Italia nella conservazione della nobi- lissima letteratura degli avi incomparabili, e nell' eccidio e fine della scuola straniera eh' è venuta a insozzarla. Non ha l'Italia uomo del Montanari più tenero de'classic», più nemico de' romantici: perchè non ha forse l'Italia chi più di lui sia penetrato ben addentro nelle vere sublimità e dolcezze di que' grandissimi scrittori, che ci han- no resi portento e maestri per tiuiti secoli di ragione. Quale per- ciò non dev'essere la comun gratitudine de' cortesi italiani verso di lui, quale la pubblica stima, qual infine l'amorevole accoglienza che vuol farsi ad ogni sno scritto P G.A.T.CII. 8 ii4 'Varietà' Delle opere e della vita del conte Giulio Perticari. Prosa di Federico 7'orre. ( Estratta dal Lucifero, giornale letterario di Napoli, anno VII. Sono pag. 27 ). iYlolti hanno scritto fra noi sul Perticari: perchè tutti sanno in Italia di qual polso, giudizio ed eleganza egli fosse nella nostra lettera- tura. Ecco entrar nell' arringo anche il signor Torre: e con tanto studio delle opere del sommo scrittore , con tanto criterio delle dottrine di lui, con tanta cognizione de' costumi veramente aurei del gentilissimo , che noi vogliamo assai lodare questa si bella scrittura. Elogio storico di monsig. Camillo Ranzani composto dal cav. Antonio Bertoloni, inserito nella par te fisica del tom. XXHI delle memorie della società italiana delle scienze residente in Modena. Modena, dai tipi della R. I. Camera 1844, in 4 di facce 39. lYlonsig. Ranzani nacque in Bologna a di 21 di giugno dell' anno 1773, ed ivi morì il 23 di aprile del 1841. Le opere e le scoperte di questo chiaro zoologo e naturalista sono mostrate nel presente elo- gio a' lettori con grande dottrina e chiarezza. Certo al Ranzani non poteano meglio venir tributate lodi per le sue^fatiche che dal già suo grande collega sig. cav. Bertoloni. Elogio storico di G- Battista Fico da servire ancora d' introduzione allo studio delle opere di questo scrittore, per Gennaro Hocco giudice soprannumerario di tribunal civile. Napoli , tip. del fu Migliaccio 1844^ in 8. gr. di facce 374. In quest' opera dotta e laboriosa del sig. cav. Gennaro Rocco ab- biamo lo spirito delle opere del sommo nostro Vico, e chi vor- rà studiarle dovrà consultare, e utilmente, quest'elogio che serve loro d'introduzione. Se il sig. Rocco avesse più curato in qual- che parte lo stile, questo suo scritto sarebbe perfetto: ma questa menda è ben piccola al confronto della profonda dottrina. Varietà' i i 5 Lezioni di agraria teorico-pratica, o corso completo di agricoltura del geometra Ugo Calindri di Perugia. Perugia, tipografia Santucci 1844^ in 8. In questo libretto il Calindri espone il piano per un corso di lezioni di agricoltura, che ci sembra molto buono, acconcio e com- pleto. Desideriamo che egli lo ponga interamente, a luce: e, se vale la voce nostra, preghiamo gli abitanti dello stato pontificio (a'quali in ispecial modo è diretto ) e tutti gli altri italiani a proteggere e favorire le lezioni agrarie del sig. Calindri, le quali riusciranno di solenne utilità si per togliere abusi, e sì per migliorare la coltiva- zione delle terre. Elogio storico di monsig. Carlo Maria Fabi vescovo di Amelia, scritto da Francesco Fabi Montani. Roma, tip. delle belle arti 1843, ' in 8. di facce 80 col rìtr. inciso da L. Barocci. xissai più brevemente altra volta il eh. A. scrisse intorno a que- sto vescovo (Biografia degl' italiani illustri compilata dal De Tipaldo, tom. VI. Venezia 1838 , in 8), ed ora più ampiamente con molta erudizione e con stile chiaro ne ha tessuto l'elogio, del quale gli deb- I ' be molto saper grado la storia ecclesiastica e civile. = trarlo M. Fabi nacque di nobile ed antica famiglia nella città di Santo Gemini il j 24 nov. 1744. Coperti dilicatissimi ed onorevoli uffici sacerdotali , j fu creato vescovo di Amelia nel 1783, e ne governò per più anni la diocesi. Negli scelleratissimi tempi della repubblicana dominazione Ij francese fu imprigionato e strascinato a Roma, ove morì nel con- I; vento detto delle Convertite il dì 31 di marzo 1798. Con singolare 1] rassegnazione e tranquillità di animo sopportò le più umilianti mor- ii lificazioni e gli scherni. Fu prelato dotto, mite, esempio di evan- ji gelica vigilanza e carità: e fu l'unico vescovo d'Italia, che in quelle luttuose circostanze morisse fra gli orrori d'un carcere. ii6 Varietà' Di due piedi torti raddrizzati con successo dal prof. Sante Sillani. Macerata, Cortesi, 1844, in 4. di facce 23, con due tav. litogr. J_/opo un breve cenno storico intorno alla ortopedia, in cui dimostra essere stala dai moderni non solo perfezionala, ma, può dirsi, creala del tutto, fa elogio dei tre stabilimenti ortopedici italiani, quelli cioè di Napoli , di Firenze e di Torino. Ecco un cenno delle due operazioni eseguite in Macerala dal eh. A., corredale di due tavole che mostrano a cicchessia il felicissimo risultamento di esse. La pri- ma fu in una bambina di anni 7 circa di età , nella quale oltre allo .scialancare , al barcolare ed al cader frequente (anche per lieve squilibro), l'arto sinistro fin dalla culla avea la forma somigliante al piede varo. 11 sig. Sillani , descritte tutta la particolarità, rife- risce il modo con cui venne al taglio del lendine di Achille , e quindi ai lendini dei peronei posteriori: e portato alla naturale di- rezione, curate le ferite e posta una macchinetta di sua invenzione, ebbe il contento di veder presto il piede risanalo, e la fanciulla camminare con agilità, correre e saltare. La seconda riguarda altra fanciulla della medesima età circa, la quale poggiava la sola punta del piede (piede equino), e causa di ciò fu un ostinato pedignone. Reciso il tendine d'Achille, applicò la sua macchinetta: ed anche costei potè in breve liberamente camminare. Di operazioni di al- tro genere eziandio dà cenno in questo scritto l'egregio A., ed in tulle è manifesta la sua perizia e 1' amore per la chirurgia. Enrico Castreca Brunetti. Varietà' 117 Elogio funebre del prof. Tommaso Casali, letto in Camerino il giorno delle solenni esequie 23 aprile 1844 nella chiesa di s. Elisabetta dal dott. Mariano Gaiani prof, di chimica, botanica ec. Sanseve- rino, stamp. di Benedetto Ercolani, 1844, in foglio, di fac 13. Biografia di Tommaso Casali , del medesimo. Dal Raccoglitore me- dico di Fano, an. VII voi, XIII, 4 marzo 1844 in 8 di facce 7. Ija città di Camerino ha fatto una vera perdita colla morte di un uomo utile: che di uomini utili pochissimi sono da per tutto. Il professore Casali meritossi questo, se non fastoso, certo gran ti- tolo, coli' opera, col senno, coll'istruire la gioventù. Amantissimo della chirurgia, la coltivò con successo luminoso, e l'adoperò con sincerità e con carità. Egli non istampò opere, non perchè non avesse genio e cognizioni, ma perchè tutto intento alla pratica, credette e volle esser più utile alla misera umanità. Era chirurgo e profes- sore dell' università di Camerino : ma la felicità delle operazioni e la cortese sua bontà il traevano spesso in varie città del Piceno, dove fu amatissimo e rispettatissimo. — INacque in Camerino il 22 di ottobre dell' anno 1779 , ed ivi morì il 4 di marzo 1844. Lode somma al sig. prof. Gaiani che con santo affetto ha scritto le lodi di quest' uomo operoso, a cui l'università camerte dee il gabinetto anatomico-patologico, e moltissimi la sanità e la vita. E. C. B. ii8 Varietà' CATALOGO DELLE OPERE STAMPATE NELLO STATO PONTIFICIO 1844. \>» entra un' opinione moderna intorno la formazione di una i!n- gxia universale, sermone per le nozze Beltrami-Folicaldi. Baguaca- vallo, dai tipi Serantoni e Grandi, 1844, in 8 di f. 13. È poesia del dott. Luca p'ivarelU. Al eh. sig. Gaetano avv. De-Minicis da Fermo, cicaleria di don Luigi Fa66n". Loreto, tip. Rossi, 1844, in 8, di facce 32. Pareri di alcuni valenti letterati e prof, di belle lettere intorno alla cicaleria di don Luigi Fabbri. Ivi, di facce 30. All'Emo, principe Antomaria Cagiano de Azevedo che nella città di Arcevia con solenne pompa celebrava il dì 6 ottobre del 1844. Fa- briano, 1844, pel Crocetti , in 8. Sono terzine del prof. Gabriele Fronduti. Statuto organico del pio istituto di soccorso pei medici e chi- rurgi della città e provincia di Bologna. Bologna , tip. Sassi , alle Spaderie , in 8 di facce 22. Antologia filosofica compilata da Gaetano Gibelli con discorso e annotazioni del medesimo. Bologna, Pizzoli, 1844, in 8. Marchetti Giovanni, Terzine per le nozze Pepoli-d'Hohenzollern Sigmaringen. Ivi, Sassi, 1844, in 4. Ghiribizzo suU'omiopatia del dott. Michele Bettelli. Bagnacavallo, Serantoni e Grandi, 1844, in 8 di Iacee 18. Ranaldi Giuseppe. Lettera e ode. Sanseverino, Ercolani, 1844 , in 8, La deposizione della croce, alto rilievo operato in marmo dal va- lente prof. cav. Pietro Tenerani, canto di A. M. Geva. Roma , 1844, in 8. II B. Giacomo elemosinarlo, panegirico del p. Alessandro Gavazzi. Orvieto, Pompei, 1844, in 8 di facce 32 Varietà' iig Bruti Liberati Filippo. Terza relazione sulla chiesa di s. Filippo. Ripatransone , Jaffei, 1844, in 8 di facce 10. — Cenni biografici di Maddalena Michettoni. Ivi di facce 10. Biografia del p. Luigi Antonio Vicione scritta con note dal march. Amico cav. Ricci, con annotazioni aggiunte dal march. Filippo Bruti Liberati. Ivi, di facce 18. Memorie istorico-critiche della città di Santo Arcangelo raccolte da monsig. Marino Marini, prefetto degli archivi vaticani. Roma, Bourliè, 1844, in 8 di facce 147, e XIV, con una tav. litogr, rap- presentante la veduta della città. Di due piedi torti raddrizzati con successo dal dottor Sante SH- lani. Macerata, Cortesi, 1844, in 4 di facce 23 con due tav. litogr. Elogio del prof. Gregorio Vecchi ingegnere scritto dal prof. Mau- rizio Brighenti. Lugo, Melandri , 1844, in 8 di facce 23. In morte del card, decano Bartolomeo Pacca orazione di Ettore Novelli. Velletri, per Domenico Ercole, 1844, in 8, di facce. 34. Alcune operazioni di tenotomia e miotomia fatte e descritte dal dolt. Francesco Sani con un cenno storico intorno alle sezioni len- dinose e muscolari. Roma, tip. di Crispino Puccinelli, 1844, in 8 di facce 38, con tav. litogr. Enrico Casxrec.\ Brunetti. IMPRIMATUR Fr. Dora. Buttaoni 0. P. S. P. A. M. IMPRIMATUR Joseph Canali Axchicp. Goloss. Vicesg. SCIENZE Steiner, Del baricentro di curvatura delle curve piane (continuazione) » 1 Perrone, Praelectiones theologicae. Art. X ed ultimo (cont. e fine) » 32 Cappello, Telologia del sistema urinifero vascolare » 42 Kannegieszer, Compendio della storia della filosofia » 48 Martino, Del davo segalino ec. ...» 55 Coppi, Discorso agrario » 59 LETTERATURA Spezi, Orazione VII d'Iseo tradotta. . » 89 Giovenale, Satire tradotte da Z. Re . » 89 Camini, Delle AquaePasseris degli antichi. » 95 Varietà GIORNALE ^ DI SCIENZE, LE^rXERE ED ARTI ^ ROMA ^ § TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1845 P ok ' ^^g> i ' 1 121 SCIlil?^^ Del baricentro di curvatura delle curve piane, trattato del sig. cav. Steiner, pi'ofessore nrlVu- niversità di Berlino ec. (Continuazione e fine). §. XXIX. ?cx CJSI PARTICOLARI. ( l ^?^»M '^\ Jl precedenti risultati generali ( ne'quali la data>^?^'~T! ^^^^ va (V), tranne la condizione d'esser chiusa e con vessa, può esser qualunque, e la sua equazione può, per esempio, esser algebrica o trascendente ; ed ove ne anche si ha riguardo all'equazioni delle curve ge- nerate V, W, (W) e (W), , che, come facilmente si vede, possono molto differire sì dall'equazione della data curva (V) come tra loro ) comprendono fra gli altri i seguenti teoremi ragguardevoli. «. Se la data curva [J^) è un cerchio. Rotando il cerchio (V) , il cui raggio = r , sulla retta fissa G , ogni punto P unito con esso descrive una cicloide ordinaria W, — comune, o al- lungata o accorciata, secondochè P è situato sopra o dentro o fuori del cerchio , — ed in virtù de* §. XXVIII. 78, e §. XXIV. 5o si ha : 79. W = 2nr^ -f- tts»; vale a dire: Varca di una cicloide ordinaria ugua- glia la somma delVarea doppia del cerchio ge- neratore [V) e delVarea di un altro ciì'colo con- G.A.T.CII. 9 122 Scienze centrico con quello e passante pel punto descri' venie P. Se in particolare j = r, cioè se il punto de- scrivente P giace sopra il cerchio (V), si ha 80. W = Znr^', vale a dire: l'area della cicloide comune è tre vol- te Varea del circolo generatore: teorema notissimo. Inoltre se 5 = 0, cioè se P coincide col cen- tro S del circolo (V), si ha : 81. w=-2;rr2; il che riesce pur manifesto dall' esser w in questo' caso un rettangolo, i cui lati sono rispettivamente uguali al raggio r ed al contorno 2nr del circolo generatore (V). Rispetto a questi tre casi si ha (§. XXVIII.) 82. (W) = 2nr^ H- ns^ 83.- jW)' = 37rrS 84. {ff)= 2nr^, vale a dire : V area or trovata della cicloide ÌV relativa al punto P, equivale alVarea della curva {f^)i luogo geometrico dell'estremo [A) di tutte le tangenti jé^J) del circolo generatore Vi ove sopra ciascuna delle medesime si trasporti il rag- gio PA = a, che va dal contatto A al polo fisso P. La curva (tv) è qui un circolo concentrico al dato circolo (V), ed ha ri/ 2 per raggio: il che si vede facilmente. Baricentro di curvatura 128 Anche l'area degli anelli compresi tra la curva (W) ed il circolo (V) si può qui facilmente asse- gnare ; essa è 85. (W) — (V)=;:r^ -h tts^ ; (W)' — (V) = 'Ir.r* ; {w) — (V) =:= Trr^. Nel secondo caso, (W)'- — (V), non esiste un vero anello, ma uno spazio lunato, i cui vertici si toc- cano nel punto P. Nota. Nella cicloide accorciata, — se, per esempio, il punto P è situato sul diametro passante pel conlatto primitivo A, al di sopra del circolo (V) e della base G, come nella fig. (8), — nasce un cappio QQ,, in- crociandosi la cicloide nel punto Q. Allora 1' area di essa, cioè W, si compone dei due spazi : APQP,A,Ah-QRQ,TQ, ovvero dei tre : APRA -H AxTP.A. -t- RQ.TR. In tutti i casi analoghi, qualunque sia la cur- va (Y), l'area della figura W deve determinarsi nella guisa medesima. Tirata la retta PPi , toccante la cicloide nei punti P e Pi, ne nasce l'arbelo PQP.P, la cui area differisce dal cappio QPQ,TQ per una quantità facile ad assegnarsi. Infatti questa differenza è sempre uguale a quella tra il rettangolo APP.AiA e la figura W. Ovvero, supposto BP = a', e però ^ = r-|-x, si ha: ar- belo (PQP.P)— cappio (QRQ.TQ) = APP.A.A— W = v:[q,ì's — s^] = n[r- — cT"), 124 Scienze vale a dire : La differenza tra Varea delVarbelo PQPi e quella del cappio QQii uguaglia pure la differenza tra V area del circolo rotante e Varea del circolo, il cui raggio è x s — r. Dunque, se x=r^ cioè5=2r,sIha PQP,=QQ,; ovvero : l'arbelo ha la slessa area che il cappio. ^. Se la data curva [F") è un'' ellisse. Dal §. XXVIII. 78. e §. XXIV. 55. si trae : 86. W == 7r{a* -4- i* 4- «*) ; vale a dire: Rotando un'ellisse {P^} nel suo pia- no sulla retta fìssa G, Jinchè abbia fatto un giro intero, ogni punto P unito con essa descrive una figura TV, la cui area uguaglia la somma di tre aree circolari, che hanno rispettivamente per rag- gi i semiassi a e b della ellisse, e la distanza s che passa tra il punto P ed il centro S della medesima. Se, in particolare, il punto descrivente P giace sopra il cerchio concentrico colla ellisse e passante pe' iuochi di essa, cioè se s^ = a^ — b^, si avrà 87. W=2na'; vale a dire: L'area della figura ff' descritta dal punto P è doppia delVarea circolare avente per diametro V asse maggiore 2a della ellisse [V). Quindi se il punto P coincide col centro S della ellisse, si ha 88. w = n{a^ 4- b^) = 2;r5'2 ; Baricentro di curvatura 12S vale a dire : la figura descritta dal centro S della ellisse ha un'area eguale alla somma di due aree circolari che hanno per diametri gli assi della ellisse (^); ovi^ero, essa è doppia dell'area cir- colare che ha per diametro Vuno de' due diame- tri coniugati uguali della ellisse (§. XXIV. B). Le tre formole precedenti rappresentano pure le aree delle curve rispettivamente corrispondenti (W), (W)', (tv), come sopra si è veduto nel circolo (a). Per gli spazi od anelli compresi Ira queste curve e l'ellisse (V), si ha : 89. (W) - (V) = n{a- -^b^^ab-^ .^); (W)'-.(V) = ;ra(2«-<5); (w) — (V) = n{a^ H- ^* — ab). B. Se una figura [V) ruota sopra un'altra figura fissa {U). §. XXX. Buoti in un piano un poligono convesso (V), per es. ABCD ( fig. 9 ), sopra la parte esterna di un altro poligono convesso fisso (U) = (D),(A)(Bj(C) (D)(A), , chiuso od aperto, col quale abhia per ordi- ne uguali i lati, ed applicando via via lato eguale a lato eguale, torni infine sulla base poligona (U) col medesimo lato (DA) che in principio, quale per e. nella posizione A.B.C.D, ( = ABCD). In tal movimento ogni punto P connesso col poligono ruotante (V) descriverà una figura W = PP. . . . P4(A).(D)(E) (B)(A)P, la quale (come sopra §. XXVI. ) si com- porrà di tanti triangoli e di tanti settori circolari. 126 Scienze quanli lia vertici il poligono rotante (V). I trian- goli sono rispettivamente uguali a quelli in cui viene decomposto il poligono (V) da' raggi «,&,c, .. . ti- rati dai vertici A,BX',t) al punto P, e però la loro somma uguaglia l'area di questo poligono (V). I set- tori circolari hanno rispettivamente per raggi le me- desime rette a^h^c. ..., per centri i vertici (A), (B), (C) , . . . del poligono (U), e per angoli cen- trali le somme de'correlalivi angoli supplementari di ambedue i poligoni (V) ed (U). Denotando però, come prima, per A, B, C, • . . , gli angoli supplementari del poligono (V), e que'del poligono (U) per (A), (B), (C), . . . , si ricava col discorso del ^. XXVI, 90. W=(V)-t-| a»(A+(A) )-hè^^(B-i-(B))-+-èc- {C4.(C) )H-, =(V)H-|2[a*(A-4-{A) ) ]. Dall' accordo di quest' equazione con quella di sopra ( §. XXVI. 63 ) si rileva subito, che nel pre- sente caso ed in quello sussistono leggi analoghe. In- fatti: Designando per (S) il centro di gravità de'ver- tici A, B, C, . . . del poligono (V) affetti da'coeffi- cienli (A-h(A)), (B-l-(B) ), (Ch-(C) ) , e per a,, 6., Ci , . . . ed [s) le distanze di (S) dai vertici A, B C , . . . del poligono (V) e dal punto P : 1' equa- zione (qo) si potrà cangiare nella seguente (§. VII e XXVI ) : 91 . W=(V)-M2[a^(A-i-(A) ) 3-hi(s)^(27r+(v) ) ; ove [q] nella fìg. (9) è uguale all' angolo (M)(Qi)(N), onde declinano 1' una dall' altra le perpendicolari Baricentro di curvatura 127 (M)(Q) ed (N) (Q) inalzate sopra il primo ed ultimo lato ((D),(A)e(D)(A). ) di (U). Da qui si ottiene per la figura w descritta dal centro di gravità (S) : 93. »'==(V)-hè2r«.MA-4-(A) )]; e ne segue : 94. W=7f-}-|(s)'(27r-+-(5') )• Quest' equazione contiene il teorema seguente : Rotando in un piano un poligono convesso (/^) sulla parte esterna di un altro poligono con- vesso fisso (C/), col quale esso ha rispettivamente uguali i lati^ finché torni a riposarvi col lato pri- mitivo : ogni punto P unito con esso descrive una figura TV., la cui area diventa un minimo = w , allorché il punto descrivente P coincide col cen- tro di gravità [S) desertici del poligono [V)^ove a questi si attribuiscano come coejficienti le cop- pie degli angoli supplementari corrispondenti dei due poligoni [V) ed [U). Tutti i punti P, equi- distanti da questo centro di gravità (5), descri- vono figure W di eguaV area', e viceversa. Per ogni punto P, Varea ÌV sorpassa quel minimo w del settore circolare., avente per raggio la distan- za [s) tra P ed [S) , e per angolo centrale la somma {27j:-h(^) ) di tutti quegli angoli supple- mentari. 128 Scienze §. XXXI. Per maggior chiarezza delle cose che ci propo- niamo di considerare- in appresso, cade in acconcio di far qui alcune osservazioni. 11 centro di gravità (S) si può trovare, si diretta- mente, sì per la via che segue. Cerchiamo pe' vertici A, B, C, . . . del poligono (V) due centri di gravità S ed S, , considerando dapprima, còme coefficienti rela- tivi a tali vertici, gli stessi angoli supplementari del poligono (V), e poscia, i rispettivi angoli supplemen- tari (A), (B), (C), . . • del poligono (U). Infine pren- diamo sulla retta SSi un punto (S) che la divida , giusta la proporzione 95. S(S):S, (S) = (y) :27r. Questo sarà evidentemente il centro (S) richiesto di gravità. Se gli angoli supplementari di ciascun poli- gono sono uguali tra loro, i tre punti S, S, , ed (S) coincidono; ma la medesima coincidenza può avve- nir pure solt' altre condizioni. Inoltre l'area della figura W può rappresentarsi sotto altra forma, cioè per due figure (W) e (T). Im- perocché, se decomponiamo l'espressione di W (90) come segue : 96. W = (V) -i- i I(a'A) -f- 1 1 (a»(A) ) = (W) -4- (T), supponendo 97. (V) H- i 2 («'A) = (W); i 2 (a^(A) ) = (T).; Baricentro di curvatura lag potremo Immaginare sotto (W) la medesima figura, che sopra si è già ( §. XXVII ) costruita ; e sotto (T) la figura composta di tutti i settori circolari, che ven- gono descritti negli angoli supplementari (A) , (B), (C), ... del poligono (U) dalle rette a, ^,c, . . . ., come raggi , e ciò sotto la condizione, che tutti i settori si dirigano nel medesimo verso ; il che, co- me in W, può farsi in due maniere diverse. Rispetto all' area della figura (W), le relazioni più essenziali si sono stabilite nel luogo citato; cioè essa diventa un minimo = {w) , se corrisponde al centro S di gravità; e per ogni altro punto P: 98. (W) = (w) -H Tcs\ essendo s la distanza del punto P da S. Considerando in se la figura (T), raccogliamo, che l'area ne riesce un minimo = (i), allorché si riferisce al centro di gravità Si, e che per ogni altro punto P si ha 99. (T)= (0-4- !(?)«'„ ove s, = PS, , e (^) = (A) 4- (C) . . ( §. XXX.) Quindi si ha (96) ; 100. W = (W) H- (T) = {w) H- ns- H- (0 H- é (?) *i» La formola (99) contiene il seguente teorema : L'area della figura {T} è un minimo = (t)i l3o 4f5'? S e 1 E N Z E allorché corrisponde al centro di gravità St : a punti qualunque P, equidistanti dal centro di gra- vità Si, corrispondono figure [T) di e guai area^ e viceversa : e la rispettiva area sorpassa quel minimo [t) di un settore circolare che ha per raggio la distanza del punto P da S^ e per an- golo centrale V angolo centrale {qì. $. XXXIL ir; olRitenute intorno ai poligoni (V) ed (U) tutte le supposizioni che sopra (§. XXX) , facciamo adesso ruotare il poligono (V), anziché sulla parte ester- na, sulla parte interna e concava di (U). Si avranno in ciò tre casi a distinguere. ce) 0 tutti gli angoli supplementari A, B, G, ... del poligono (V) sono maggiori de' loro corrispon- denti (A), (B), (C), ... in (U) ; /5) O i primi sono tutti minori de' secondi ; 7) O gli angoli supplementari A, B, C, -... di (V) sono parte minori, parte maggiori ( o parte, se si voglia , uguali) degli angoli supplementari (A) , (B), (C), ... di (U). Nel primo caso (il quale essendo il più facile a rappresentarsi e accordandosi più col precedente , j sarà qui solo considerato) ogni punto P unito col | poligono (V) descrive una figura W che, come so- j pra, si compone di triangoli la cui somma è = (V), j e di settori circolari , aventi a, b, e, ... per raggi , 1 nàa A — (A), B — (B), G — (G), .,. per angoli cen- 1 trali. Qui dunque si avrà I I 101. W:=(V)-+-|2i:a^(A-(A))]=(V)-H|2(aHA))-|I(a'(A))=(W)-(T), j Baricentro di curvatura i3i 1 02. W = (V) H- I 2[ ai=(A - (A))] +|(s)H2k - (?)). 1 03. w =-- (V) -f- ^ 2Ca»=(A — (A))] , 1 04. W = w -i- i (s)»(27r — (q)) (W) = (w) ■+■ TTSS 105. 106. W = (w) ■+- ns* — (0 — I (?) «i' » ove w ed i raggi a, (cioè ai, èi, e,, ...) si riferi- scono al punto (S), ma {w) ed s, {t) ed ^i ai punti S, Si, essendo i tre punti S, S,, (S) centri di gra- vità de' vertici A, B, C, ... del poligono (V), sup- posto successivamente che i coefficenti relativi di tali vertici siano gli angoli: i) A, B, C; ... 2) (A), (B), (C), ..., e 3) A — (A), B-(B), G - (C), ... - Il presente centro di gravità (S) differisce adunque es- senzialmente da quello di sopra dello stesso nome (§. XXX). Dalle precedenti equazioni si traggon per altro, come ivi, analoghi teoremi. 5. XXXIII. I poligoni (V) ed (U) , fin qui considerati, si cangino in curve (V) ed (U), delle quali (V) si deve supporre chiusa e convessa , mentre (U) debb'esser convessa solamente lunghesso l'arco (A) (A|p (fig. io), che sarà percorso da (V). L'equazioni precedenti sus- sistono pure, com'è palese, nel caso attuale^ e però i32 Scienze si ha Immediatamente per queste curve (§. XXX e XXXI) : 107. W = (V) -i- i 2C«^(A + (A))] = (W) -4- (T), 108. W = (V) -^ I 2[a.^(A -i- (A))] h- ì (A-)'(27r-l-(?)), 1 09. w = (V) H-P(a,'(A -i- (A))] , 110. W=w-+-i (.'!)'(27rH-(5')), 112. W = (w) -{- ns^ -H (f) -h i (^)s,». [1 cammino di ogni punto P unito con la cur- va (V) ( cammino che prima si componeva di una serie di archi circolari), qui diventa una curva PPi. Così la figura W descritta da P , sarà limitata da due rette uguali P(A), Pi(A),, e da due curve PP,, (A)(A),, di cui la seconda serve di base comune a tutte le figure W, ed uguaglia il contorno della cur- va (V). Il punto singolare (S), al quale corrisponde la figura w di area minima, conserva la proprietà pri- mitiva: vale a dire: esso è il centro di gravità della curva (V), ove ai singoli punti della medesima cor- rispondano coefficienti proporzionali alle coppie de- gli angoli infinitesimi che le curve (V) ed (U) fanno colla tangente ne'punti corrispondenti (**), ossia pro- (*) Per punti corrispondenti delle due curve (V) e (U) s'in- tendono cjiielli, ne'quali le due curve successivamente si toccano. Baricentro di curvatura i33 porzionali alle coppie delle corrispondeiili curvature di entrambe le curve (vedasi ^. XXV III e XXX). E giusta il §. XXXI, il punto (S) può trovarsi die- tro la seguente considerazione. De' due punti S ed Sj, che là abbiano presi come ausiliari, il primo S è qui il baricentro di curvatura della curva (V)(^.XXII), il secondo Si è il centro di gravità della medesima ove si attribuiscano ai singoli punti di essa coeffi- cienti inversamente proporzionali ai raggi di curva- tura della base (U) ne' punti corrispondenti ai punti di (V). In tale ipotesi il punto (S) è il centro di gra- vità de'puuti S ed S, , ove loro si diano rispettiva- mente i coefficienti 27: e [q)\ e però (S) è determinato, come prima, dalla proporzione S(S):S,(S) = (y):2;r, ove (q) designa l'angolo, onde declinano l'una dall' altra le normali (A)(Q) , (A),(Q) della base (U) , elevale negli estremi dell' arco percorso da (V) (§.XXX). La figura (VV) è la stessa, che quella già ca- ratterizzata nel ^. XXVIII. Secondo il §, XXXI, na- sce la figura (T) da ciò, che il raggio variabile PA =a ( cioè ogni retta tirata dal polo fisso P ad un punto A della curva (V) ) viene applicato sulla tangente (A)(P) nel punto corrispondente (A) della base (U), a partire dal contatto A e sempre dallo stesso lato della tangente. L'estremo (P) di questa tangente (A)(P)=a, descrive l'area della figura (T) = (P)(P),(A),(A)(P) , la quale però è limitala da due rette (A)(P), (A), (P), e da due curve (A) {A)i , (P) (P)i, di cui l'ultima è il luogo geometrico dell' estremo (P) della tangente i34 Scienze (A)(P). Per (w) e (t) si denolano le aree minime delle figure (W) e (T), allorché corrispondono rispettiva- mente ai centri di gravità S ed S,. Finalmente, s ed Si sono le distanze del punto P dai centri di gravità S ed S,. Le precedenti equazioni contengono, fra gli al- tri, il seguente teorema : ''^''"Botando in un piano una curva rientrante e com'essa \V) sopra una curva convessa fissa {U)i finche torni a toccar {U} col punto iniziale A : ogni punto P, unito con [V) , descrive una figura IV, la cui area diventa un minimo = Wy allorché il punto descrivente è il suddetto centro di gravità (S) della curva {f^}. I punti P, equidi- stanti da questo centro di gravità {S), descrivono figure W di e guai area , e viceversa', e sij fatta areft eccede quel minimo w precisamente di un set- tore circolare avente per raggio la distanza {s) che passa tra i punti P ed {S), e per angolo cen- trale V angolo costante iK-^'iq). (no). Intorno alla figura (T) verrà stabilito nel seguente C. un teorema generale. Nota. Rotando la curva (V) sulla parte con- cava della base (U), se, ne'punti corrispondenti, (V) ha curvatura maggiore di (U), si avranno equazioni analoghe alle dianzi ottenute. In fatti per aver le nuove equazioni basterà, nell' equazioni precedènti, surrogare rispettivamente — (A), — {q), — (T), — -[t) a -^(A), -H(9'), -V- (T), -I- {t) (§. XXXII). Anche nel caso che la curva (V) abbia in ciascun punto curvatura minore, che la base (U) nel punto corrispondente, si potranno stabilire analoghe formole. Baricentro di curvatura i35 $. XXXIV. Nel ragionamento precedente (§. XXXIII ) si può ottenere maggiore generalità, tralasciando la con- dizione, ce che la curva (V) sia chiusa e continui a ruotare finché torni ad applicarsi sulla base (U) col punto iniziale, » ossia supponendo che un arco qua- lunque della curva (V), per es. ACB (fìg. 1 1 ) ven- ga co* suoi punti in contatto successivo con un ar- co equivalente {A)(C)(B) della base (U) ; ferma tut- tavia la condizione, che in niunode'due archi, ruo- tante AB, e ruotato (A)(B), esista punto singolare. In questa ipotesi infatti i risultati acquistano mag- gior estensione , benché si dimostrino con metodo egualmente semplice ed intuitivo, che i precedenti. Cosi nel presente caso si ha, come prima, che l'area della curva W = PP,(B)(C)(A)P , descritta da un punto P unito con la curva ruotante AB ( o (V) ) , eguaglia la somma di due altre figure (W) = PA(P)(P)3BP e (T) = (A)(P)(P),(B)(C)(A) , che nascono nella guisa sopra indicata ( §. XXVIII e XXXVIII). Ora la figura (W) si compone pure di due altre figure F e T, delle quali la prima F = settore PACBP , e 1' altra T = A(P)(P),BCA ; e però si ha 113. W = F -4- T -4- (T). Per le figure T e (T), ciascuna considerata a par- te^ si rilevano subito dal discorso precedente que- ste formo le : i36 A.^' Scienze 114. T= |2(a='A) = A2(a,*A)H-AyAS 1 1 5- (T) = i I (a^(A))= L 2 (a.- (A)) -|- i(^) ,,s 116. < x= ^ 2 (a.^A), fe (0 = ^2 («.= (A)), 117. T = <-hH«Se(T) = (0-Hl(!?)*.S ove < e (^) designano i valori minimi di T e di (T), che hanno luogo, allorché il punto P coincide ri- spettivamente col centro di gravità S ed Si , cioè col baricentro di curvatura S dell' arco AB, e col cen- tro di gravità del medesimo arco, aggravato ne'suoi punti da pesi proporzionali alle curvature che ha r arco (A)(B) ne' punti corrispondenti. Il raggio a,, rappresenta le distanze sì del punto S, come del pun- to Si, dai singoli punti dell'arco AB; s ed Si sono le distanze del punto P da S eda S(;e fmalmente, q e (^7) sono gli angoli compresi tra le normali AQ e BQ, (A)(Q) e (B)(Q) condotte agli estremi degli archi AB, (A)(B). Nella retta SS, = d si prenda il punto (S) così che sia S(S) : S.(S) = (cj) : q; (S) sarà il centro di gravità di S ed S,, ove a que- sti si attribuiscano i coefficienti q e [q] (ovvero il centro di gravità dell'arco AB aggravato ne' singoli punti da pesi proporzionali alle coppie delle curva- ture che hanno gli archi AB ed (A)(B) ne' loro punti corrispondenti). Supposto inoltre P(S) =s (^), si ha Baricentro di curvatura iSy per la somma di ambedue le figure T e (T) : 118. T4-(T) = « + |5f«'4-i(?K^ 119. T, + (T). = /^(0-H^ g + (g)^'' 120. T H- (T) = T, H- (T),4- i (g -h (?) ) (5)% ove Ti e (T)i tengono le veci di T e (T) nel caso che P cada nel suddetto centro di gravità (S), caso, nel quale è manifesto che la somma T H- (T) di- venta un minimo (120). D'altronde il settore F può sempre riguardarsi come differenza /ovvero come somma) di due altre figure, cioè del segmento ACBDA = G e del trian- golo APB = 2^7"» avente la base data AB = 6, e Taltezza variabile PE =/; si ha quindi Per ciò ed in virlìi della (120), la formola (11 3) si cangia nella seguente : 121. W = G H- T, 4- (T). -M (? -H (?) ) (5)^ - I % ; ove alla destra tutte le quantità, toltene (s) ed j-, sono costanti. Ma queste due variabili si possono ri- durre ad una sola. Da (S) sulla corda AB si cali la perpendicolare (S)D =■ p ; nel prolungamento del- la medesima, dietro (S), si prenda il punto R, in G.A.T.CII. IO i38 Scienze modo che sia b 122- (S)R = AiMi)) ponendo PR = r, si avrà ( per mezzo della perpen- dicolare calala da P sopra (S)D ) r^^{sY = (RD - 2/)^ - ( (S)D-2/)S ne segue 1 23. !(?-*-({(])zì • • . ; ed inoltre si ha per un polo arbitrario P, supposto P(S) = r, l'uguaglianza. 127. TH-(T)H-(T)i-i-(T)3-t-...=m-Hé(S'4-(^)+f?).-+-(s')3H-..-)r^ Baricentro di curvatura 141 Queste proposizioni si verificano facilmente per via del §. VII. 3. Se, rispetto al precedente teorema (a), fra tulli i punti P situali sopra la curva rotante (V) ( di cui ACB è soltanto una parte limitata), deve trovarsi quello che descrive la figura W minima o massima, è manifesto, ch'esso sarà il piede di una normale, calata dal punto singolare R sopra la curva (V). Di- casi la medesima cosa, se il punto P debb'esser si- tualo sopra un'altra curva data nel piano della (V). Lo stesso può anche notarsi circa i teoremi (b). §. XXXV. Pel ragionamento che precede (^. XXXIV), sia- mo pervenuti ai risultati più generali. Imperocché non solamente comprendono essi i più de' precedenti come casi particolari, ma ne seguono ancora nume- rosi altri teoremi notabili, ponendo, rispetto agli ele- menti dati, certe limitazioni e modificazioni (*). Di tal genere sono, fra le altre, le condizioni : che gli angoli q e {q) abbiano valori determinali (come per es. g = 2n i la curva (V) chiusa , e però la corda AB = o, il che conduce ai risultati del 5. XXXIIIì; che l'una o 1' altra delle date curve /V) od (U) si cangi in una retta; che l'una o l'altra, o ambedue insieme si cangino in determinate curve semplici per es. in circoli; ec. Di tali teoremi notabili qui riporterò i seguenti : (*) Essendosi i geometri, sì antichi che moderni, tanto occupati delie curve generate dal moto rotante (Roulettes), farà maraviglia che la legge semplice e generale di sopra, a cui è soggetta la quadratura di un sistema di tali curve, siasi rimasta per sì lungo tempo nascosta. i42 Scienze /. Se la base {A){B) diventa una retta^ ed 1. ACB resta un arco di curva arbitrario. In questo caso diventa [q) = o, (T) ?= o, ed Sj svanisce o non è da considerarsi, cosicché (S) coin- cide con S. Quindi il punto singolare R si trova, calando dal baricentro S di curvatura dell'arco ro- tante AB , la perpendicolare SD sulla corda AB , e prendendo sul prolungamento di quella, dietro S, il punto R in modo che si abbia (122) b 128. RS = — 27 La formola di sopra (126) qui riducesi alla se- guente 129. W = w -f- A 5^2. Vale a dire : Rotando un arco di curva convesso AB so- pra una retta fissa (A^B) , ogni punto P unito con esso descrive una figura fV^ che diventa mi- nima = w allorché quQl punto è il suddetto punto B. Ogni punto P, situato sopra un cerchio del centro B, genera una figura JF^ la cui area sor- passa quelVarea minima w di un settore del me- desimo cerchio, avente q per angolo centrale. Nota. Poiché qui pure, siccome nel §. XXI, la figura W è sempre il doppio della figura V dei piedi, corrispondente al medesimo punto P rispetto all'arco dato AB ( il che dimostrasi in modo simile), perciò la figura V è soggetta alla stessa legge che la Baricentro di curvatura i43 figura W, cioè : Varea di essa diventa minima = V) allorché corrisponde al punto singolare /?; per un altro punto P, supposto PR =r= r, si ha 1 130. \ z=v~^-jqr^ ; dunque Vincremento d'area è precisamente la me- tà del rettore circolare che ha r per raggio e q per angolo centrale. 2. Se in particolare AB è un arco di circolo. Allora Q diventa il centro del circolo , q l'an- golo centrale all'arco AB, e il baricentro S di cur- vatura coincide evidentemente col centro di gravila ordinario dell'arco AB, e però la sua disianza dal centro riesce, com'è noto, 131. QS==— . i Questa retta QS è perpendicolare alla corda AB = b ; quindi sopra QS è pur situato il punto R; e la distanza di R dal centro Q si è (128 e i3i) 132. QR = QS + SR = ^, vale a dire : uguale al triplo della corda divisa pel doppio dell'angolo centrale. Ne segue, che R è dentro o fuori del circolo, secondochè 3b<^2qa , o 3è>»2^a , ove a designa il raggio del circolo. i/^^ Scienze Se 3b = 2qa = 2ACB , e però l'arco uguale a una volta e mezzo la corda, R cade sull'arco AB slesso, e lo dimezza. Poiché (T)= o (i), si ha (ii3) : W = F-f-T ; e, situalo P nel centro Q del circolo, si ha F=i2a% e (114) T = ^ qa^ -, . quindi in questo caso particolare si ha ( il che si deriva pure immediatamente da ciò, che la figura Wi descritta da Q è un rettangolo , i cui lati sono a e qa =. ACB ) donde sì desume per la figura minima descritta da R (129 e i32) /3A\2 9 . / 9 q\ 133. ,v=j««-J,(-) =j„>_^-J.=„=(,--sen'i; Ciò posto, per la figura descritta da un punto arbi- trario (129) P, si ha 9 134. W = ya2 Ì2-{-ijr«. Le figure W e cv sono qui parti determinate di cicloidi ordinarie ( allungate o accorciate ), e que- ste parti sono limitate da un arco di cicloide PP,, dalle due normali negli estremi di esso, P(A) e Pi(B), e dalla lunghezza ( rettilinea) (A)(B) della base, cora- Baricentro di curvatura i45 presa fra le due normali. Le forinole (i34 e i33) somministrano la quadratura di queste parti mediante gli elementi dati. Nel suddetto caso particolare, ove Sb = 2qay ed R cade sul mezzo dell'arco AB, la figura mini- ma w si compone di due settori uguali della così detta cicloide comune, ed allora si ha In particolare, può anche diventare tv = o, e ciò nel caso, che si abbia qa : b = 3 : [/"d (i33), vale a di- re, nel caso che l'arco ACB stia alla corda AB co- me 3 a i/^8. Allora è W = è ^r^ ; ed R è fuori del circolo. II. Se ACB si cangia in una retta , e 1. la base {A)[B) resta una curva arbitraria. In questo caso si ha evidentemente T=o, G=o, e q=o, e, a cagione dell'ultima uguaglianza, il punto S non esiste più ; e però il punto (S) si riunisce con Si ; ma questo giace sulla retta AB, essendo il centro di gravità della medesima, o v'essa si conce- pisca aggravata in lai guisa, che i pesi de'singoli suoi punti siano proporzionali alle curvature della base (A){B) ne'punti corrispondenti. Quindi il punto R si determina, elevando nel punto Si sulla retta AB=b una perpendicolare ( verso la base (A)(B) ), e pren- dendo sopra la medesima il punto R in modo che si abbia (122) 135, S-R=4)"=^- i46 Scienze Per conseguenza le precedenti formole (laS e 126) { essendo p =^ o , e giacendo Si nella AB ) si riducono alle seguenti 136. „,=(,)-.lA_Ì_ = (,)_i(y)^,^ 137. W=w^k(q)r''=-i()--^à-^k{qy=^(t)-i-k{q){r--^^) Dunque : Rotando una retta AB ( dalV un estremo A sino alV altro B ) sopra una curva con- vessa e fissa {A)[B), fra tatti i punti fermati con essa, il punto singolare R descrive la figura mi- nima w ; la figura W descritta da un altro pun- to P la sorpassa sempre di un settore circolare avente r = PR per raggioy e per angolo centra- le {q) Vangolo compreso tra le normali negli estre- mi della base [A)[B), Nel caso particolare, che r = /3 , e che però il punto P sia situato sul cerchio condotto col raggio ^ = RSi intorno al punto R, si ha (iSy); 138. W. = («); e infatti la figura descritta dal punto S^ , situato sul cerchio, coincide colla figura (t). Fra tutti i punii, situati sopra la retta AB, l'Si descrive la figura minima {t) ; ma ciascuno descrive una sviluppante della curva (A)(B) ( sviluppante che si compone in generale di due archi distinti per ogni punto intermedio tra A e B), talché in questo caso la figura W è un determinato settore della svilup- Baricentro di curvatua lAn panie ( composto in generale di due altri settori ); d'altronde W coincide con la figura designata per (T) (§. XXXIV) ; e infatti le formole (i 17) e (187) for- niscono per ambedue la medesim'area, essendo r, /3, ed Si i lati di un triangolo rettangolo, e però a. Se la base {^}{B) è un arco di cìrcolo. S, giace necessariamente nel mezzo della retta AB. Supposto il raggio della base = «, sarà l'arco scorso (A)(B) = (^)« = ^, e però (i35) : 139. /3 = |«, vale a dire : la distanza ^ del punto R dalla ret- ta AB e la metà del raggio « della base, e re- sta però costante , dato che sia questo raggio , qualunque sia la grandezza della retta rotante AB. Inoltre, R è situato verso la base {A)(B) , e la perpendicolare calata da esso sopra la AB^ incontra il punto medio Si della medesima. La figura {t) descritta dal punto S, (137) qui si compone di due settori uguali della sviluppante del circolo fondamentale, ove questo sia sviluppato a co- minciare dal mezzo (S), dell'arco dato (A)(B) fino agli estremi (A) e (B) di questo. Dunque si ha : 1 40. (0 « 1 [q)b^ = 1 ^(^)«y _ i. (yp ^3 , e (i36, 137): 141. w = MlrLi^,_ii)l=.3,,.,, ^^y—^^o 24(?) 24 W«^=--^W% i48 Scienze La figura miniala tv descritta dal punto R, può, come si vede (i40> passare dallo stato positivo al negativo; e diventa Wc=o, allorché l'angolo (^)=z[/^3y ossia b = a^/^3 ; in corrispondenza la figura descrit- ta da un punto P qualunque sarà 143. W:=ArV3, vale a dire : uguale al doppio del triangolo equi- latero costruito sopra la distanza tra il punto P ed R. Situato il punto P sulla retta rotante AB, e po- sto PS, = Si , si ha r^ = ^3^ 4- 5,2 , e però si ot- tiene (142) ' Il ove adesso W è un' area dentro la sviluppante del circolo fondamentale , limitata da un arco PP, di I essa, dalle normali P(A) e P,(B) ne'suoi estremi, e dall'arco corrispondente (A)(B) della base. L manifesto, che anche in altri casi il centro di gravità S, può cadere nel mezzo della retta AB , come per es. se la base (A)(B), rispetto ad un asse, è perpendicolarmente simmetrica, quale sarebbe l'arco Baricentro di curvatura 149 di una sezione couica, nel cui mezzo sia il vertice (li un asse principale. Di tali esempi consideriamo il seguente, ove 3. la base {J)(B) è un arco intero della cicloide comune. b In questo caso diventa (7) = t: , dunque /3= — , onde la posizione del punto R ( rispetto alla retta rotante AB) è pienamente conosciuta , giacendo S^ nel punto medio di AB. 11 raggio del circolo gene- ratore della cicloide (A)(B) sia a; è noto essere 8a = (A)(B) = AB = è = 2;:^ . Da un' altra proprietà, generalmente nota, della ci- cloide si deduce facilmente, die l'area della figura de- scritta da S, è 1 1 ^' 16 4 ' Segue da qui (i36 e iSy) : n^—2, n^—2 n^—2 . 16;; TC 4 ' Tr^-2 7r»-2 1 I47.W=— -— ó2_(-|;:r2=:4 a'-1-|7:r2=--(7r'-2)7r/3«-h|7rr=' 1 6;r Tc 4 Per la figura descritta dall' estremo A o B (la sviluppante della cicloide (A)(B) ) — per la quale n^ -¥- 1 r3 = /3^ 4.(1^)3 ______ ^., l5o Scienze sì ha : 3 3 148. W .-= — Tri^ = 1 2;r«* == — t:^ B\ lo 4 III. Se ACB è un arco di circolo y e I. la base {^)[B) una curva qualunque. S cade qui nel centro ordinario di gravità del- l'arco AB; gli altri punti essenziali S,, (S) ed R non si possono così in generale assegnare; ma anche senza conoscerli, potremo trovare l'area delle figure W e (T) corrispondenti al centro Q del circolo AB. Infatti, poiché in questo caso il raggio a nelle formole di sopra (ii4 e ii5) è costante, cioè uguale al raggio del circolo AB, perciò si ha T = |2(a*A) = I a'l{k) = ^qa^ , e 149- (T) = à(?)«S ed il settore F = i ya» ; c però {ii3) : 150. W=|(27-t-(?))a^ . Quindi si hanno i due seguenti teoremi : a) Una tangente costante (^)(P)=a, moven- tesi lungo una curva fissa e convessa (A){B), de- scrive una figura {T) , la cui area uguaglia un settore circolare = ^{q) a^ (i49)> ^'^^ ^^ '^ ^^"~ gente per raggio e per angolo centrale Vangolo compreso fra le normali negli estremi della cur- Baricentro di curvatura i5i va. Per questo mezzo, parecchie delle così dette trat- torie si possono immediatamente quadrare. jS) Rotando un cìrcolo sulla parte convessa di una curva fissa (■^)(5) (l'arco circolare AB=(A)(B) che viene in conlatto colla base, è arbitrario, e può esser minore o maggiore della circonferenza ), i7 ^mo centro Q descrive una figura W^ uguale ad un settore del medesimo circolo^ che ha per angolo centrale la somma del doppio angolo centrale op- posto alVarco rotante AB e delV angolo compre- so tra le normali negli estremi della base {A)[B) (i5o). La curva QQi descritta dal centro Q del cir- colo, e la base (A)(B) si dicono curve parallele. La figura W è una parte dell'anello fra esse, limitato dalle normali comuni Q(A) e Qt(B). La lunghezza della curva QQ, è = {q-^{q) ]a , il che si deriva facilmente da un'altra considerazione geometrica. (Ve- di una dissertazione di Creile negli Annal. de math. par Gergonne^ tom. XII. ) 2. Se la base (A)[B) è pure un arco circolare, il punto Si cade anch'esso nel centro di gravità or- dinario dell'arco AB, talché in questo centro saran- no riuniti i tre punti S, Si ed (S). II punto singo- lare R or giace nel diametro ( passante per (S) ) del circolo AB, e la distanza di R dal centro P di que- sto è (i3i e 122) : 151 QR=-^-l-— -^— =-^^-±-?^ ^__2a -H 3{a) b_ q 2{qM^l) ) '2q-h 2{q) ' q°2a'i- 2(«) ' q 3 -\- 2n b 2(1 -hn) q i52 Scienze ove (rt) designa il raggio della base (A)(B), e si sup- pone il rapporto de'raggi a : (a) == w, ( allora è pu- re {q)'q = n)y Poiché la distanza ri del centro Q dal punto R è data, ed è nota l'area della figura W, da esso de- scritta, quindi si trova pure l'area della figura mini- ma w descrìtta da R, ed è (126 e i5o) 1 (Za-\-2laW / b \ ' 1 52.^==|(2yH-(y))«^-H?+(?))rx3=|(2?+( è = o , e però anche QR od ri = o, vale a dire : il punto singolare R cade nel centro Q del circolo rotante , e dalle forinole (i.52) e (i 53) sva- niscono i termini affetti da b od ì\. Per accennare questa" evanescenza nelle formole stesse, basta sosti- tuire 2ascn^(7 a b. Supposto q = m.^m ove m de- signa un numero intero, si ha; w = m(2 -i-n)7ra^ ; W= )/i(2-Hw)7ra*-f-m(lH-w)n'r^; e se simultaneamente è [q) = {m).^n , e {in) altresì un numero intero, ma tuttavia in e {m) numeri pri- mi tra loro ; si ha 1 34. w = {2m 4- (m) ) ua'^ , e 155. W = (2m -H (m) JTra^ h- (m -+- {m) )nr^. In questo caso la curva ( epicicloide ) descritta dal punto P è rientrante, e il circolo (V) od AB si ri- volge precisamente m volte sul contorno della base (U) od (A)(B). Si noti ancora, che, essendo l'angolo q qualun- que come nella (iSa), l'area della figura minima w può esser positiva o negativa, e che, framezzo, diventa W = O, quando si ha ..^ wH-2 /ò\^ ^ {n-^])(n+2) 156. rx2= aS o ( — ) =4 ^ ~ — —-a^ G.A.T.CII. II i54 Scienze e che però le distanze r, e — de' punti R ed (S) dal centro Q del circolo rotante sono date dai raggi di ambedue i circoli. I valori di W sono allora : 157. W = ^{q + (q))r^ = I (1 H- n)qr^ . In questo caso, se inoltre si ha a={a), e però n=i, risulterà 3 / i \2 24 „, 158. r.»=yaS (— ) =25"'' W=yr Sono ancora ali ri casi di curve più generali, ove il punto singolare R può assegnarsi immediatamente, come per es. i seguenti : IV: Ciascuna delle due curve. [V), [U) sia rien- trante ^ e la rotante [V) abbia un centro; i con^ torni delle medesime stiano tra loro come due numeri interi v : m, privi di divisore comune^ dei quali il primo v sia pari ; e finalmente (/^) ruoti sino a tornare nella posizione primitiva^ cioè fin- che i medesimi punti A ed [A] delle due curve tornino a incontrarsi ( il che non avviene che do" pò V giri della [V) intorno alla (U) ; ed allora ogni punto P unito con [V) ritorna nella sua po- sizione primitiva ^ talché la curva IV da esso de- scritta rientra in se stessa ) : adempiute queste condizioni^ il punto singolare R coinciderà sempre col centro della curva rotante {P^). Infatti, i quattro punti S, Si, (S) ed R cadono tutti nel centro della curva (V). Primieramente è certo, che vi cade il punto S, poiché l'arco AB del- la (V), componendosi del contorno up^^'' di essa, ha Baricentro di curvatura i55 lo stesso baricentro S di curvatura, che il contorno semplice della (V), e lo ha però nel centro di que- sta (§. XXII). Quindi l'angolo q = u,in , e la cor- da Z> == o , coincidendo il fine B dell'arco col prin- cipio A. Parimente si ha l'angolo (cj) = p.a^r , giac- che l'arco percorso (A)(B) si compone del contorno ^pUce delia base (U). Affine di provare, che anche il centro di gravi- tà Si dell'arco AB, dipendente dalla curvatura della base (A)(B), cade nel medesimo centro; le curve (V) ed (U), a partire dalle origini loro A ed (A), si con- cepiscano rispettivamente divise in v ed u parti ugua- li; tutte queste parti saranno in ambedue le curve di egual lungiiezza. Le parti della (V) si denotino jier ordine, a partire da A, per(V)i, (Vjz, (V)3...(V),^ parti che a due a due sono opposte e coincidibili , essendoché (V) ha un centro, q v = in h \xw nu- mero pari. Dunque si ha (V). = (V),^, , (V), = (V),^, , ... (V). = (V),, , e un punto Xi qualunque in (V), e il punto omo- logo X„^i in (V)„^, saranno sempre gli estremi di un diametro della curva (V), e però il centro di que- sta giacerà nel mezzo della retta X,X,^^, . Le parti della base (U) a partire da (A), nel verso corrispon- dente alle parti (V), si dicano (U),, (Uj^, (U)3, ...(U)^. Ciascuna di queste parti sarà percorsa una volta da ciascuna delle v parti del contorno della (V), men- tre questa fa v giri intorno ad (U). In una parte qualunque di (U), per es. nella (U).r » si concepi- sca un punto qualunque (X) ; i v punti Xi , X2 , X3 , ... Xa^ della rotante (V) , co' quali questo (X) i56 Scienze verrà in contatto , sono distribuiti sopra le u parli (V), , (V)a , (V)3 ... (V).„ del coatorno (V) in modo da essere gli estremi di n diametri della (V). Quin- di i pesi , appartenenti a ciascun sistema di tali v punti Xi , Xa , X3 ... Xa^ in virtìi della curvatura della base (U) nel punto (X), hanno il proprio cen- tro di gravità nel centro della curva (V); e, per con- seguente, anche il centro comune di tutti i sistemi, cioè Si , debbe cadere in questo centro di simme- tria. Ma, coincidendo S ed Si , anche (S) si riunirà con loro; e poiché d'altronde la corda Z>=» o , per- ciò anche R giacerà nello stesso punto , cosicché i quattro punti S, Si , (S) ed R, tutti coincidono col centro di simmetria della curva rotante (V). Sostituiti nella formola (126) gli anzidetti va- lori degli angoli q e (^), si ottiene nel caso presente: 1 59. W= tv 4- (i^ -f- u)nr^ ; ▼ale a dire : Preso sopra un cerchio qualunque, avente lo stesso centro R che la curva rotante {V) , un punto P qualunque, la figura IV da esso descrit- ta sorpasserà sempre la figura w descritta dal centro R, del circolo {v-^u)?^^"'. Rispetto alle condizioni di sopra (IV) si possono ammettere diverse modificazioni, come per es. I. Se (V) è un circolo, e il numero v qua- lunque pari od impari {si eccettua solamente v=i) ma primo con u : il teorema continua a sussistere. Infatti, benché v sia impari , i punti Xi , X^ , X3 , ... Xv , dividendo necessariamente la circonfe- Baricentro di curvatura i5y renza (V) in v parli uguali, avranno tuttavia il loro centro di gravila nel centro del circolo. In questo caso, posto il raggio del circolo =a, si ha (i5o) : 1 60. w = {2w -\- u)na^ ; e 161. W = (2i^ -H u)na^ -i- (p- -1- wJTra^ , Rispetto a queste formole non che rispetto alla (iSg), è da notarsi: che la forma speciale della base {U), purché il contorno di essa soddisfac- cia alle condizioni richieste^ non influisce sulle aree delle figure TV e w. E lo stesso dicasi riguardo ad alcune formole pre- cedenti. 2. Se {V) è come dapprima {TV), ma {U)ha pure un centro ^ e se S numerai v ed u sono am- bedue impari^ ma sempre primi tra loro : il teo- rema, insieme con la formola (iSg), continuerà a sussistere. Infatti , quando (U) ha un centro , avrà pure curvature eguali negli estremi (X), (Y) di ciascun dia- metro ; ma tali due punti estremi s'incontrano con due serie di punti sopra (V), per esempio con Xj, X^ . . . X„ e con Y^, Y^, . . , Y^, i quali sono due a due gli estremi di diametri della (V), talché a cia- scun punto X corrisponde uno de'punti Y", (perchè V ed IL sono impari); dunque bisogna, che il centro di gravità di queste due serie di punti, egualmente aggravali a cagione delle curvature eguali in (X) ed (Y) , cada nel centro di simmetria della curva (V); i58 Scienze donde segue, die anche il centro di gravità S^^ cade nello stesso centro di simmetria.. Questo teorema sussiste pure, quando è i^ = ?i = i . §. XXXVI. Aggiungo, per ultimo, le seguenti osservazioni. I. Le due curve (V) ed (U) siano coincitìibilì. Se la rotante (V) tocca sempre la base (U) ne' punti omologhi, la curva W, descritta da un punto P fis- sato a (V), sarà sempre simile alla curva V de' piedi corrispondente al punto omologo (P) , rispetto alla base (U); ed esse avranno il punto fisso (P) per cen- tro esterno di similitudine, e le loro dimensioni cor- rispondenti staranno tra loro nel rapporto di 2:1. Imperocché la tangente comune delle curve (V) ed (U), nel loro contatto A(A), passa evidentemente in ogni istante pel punto medio della retta (P)P, e la taglia perpendicolarmente: donde segue la verità della pro- posizione. ^ E si ricava, che la curva W medesima può con- siderarsi come curva de' piedi, cioè, del punto (P), rispetto ad una curva (U)i, simile alla (U), avente con essa il punto (P) per centro di similitudine, ed inoltre le dimensioni doppie di questa. Così , per esempio, tutte le curve de'piedi relative ad un dato circolo non sono altro , che le diverse epicicloidi , che nascono , allorché il circolo rotante e la base sono uguali, ed hanno per diametro il raggio di quel circolo dato. Simili conclusioni si ottengono per le rimanenti sezioni coniche, e ne risultano più altri nuovi teoremi, che per brevità, tralascio di accennare *J. *) Parecchi di questi teoremi si trovano nel dizionario matema- tico di Klugel, art. Epicicloide. Baricentro di curvatura i5q In generale adunque hanno qui luogo per le figure W le medesime leggi che sopra per le figure V de'piedi ( Nota §. XXXV, I, i e §. XXI ) ; impe- rocché il punto S, , e conseguentemente anche (S), coincide sempre col baricentro di curvatura S; e lo stesso punto R, cui corrisponde la figura minima v de'piedi, descrive pure la figura minima w. 2. Sia AB un arco di un circolo (V) del rag- gio a, ed (A)(B) una curva convessa qualunque , sulla parte convessa della quale ruoti AB ; n punti qualunque P, , P^ , P3 , . . . P« , fissati al circolo nel suo piano, abbiano il loro centro di gravità nel centro O del circolo, e siano distanti dal medesimo, degli intervalli r^ , r^ , r^ , . . . . r« : supposto Ti^ H- r/ H- r^^ -+- [. r\ = s^ , e designata per S la somma delle figure W, , W^ , W3 , ... W„ , de- scritte dagli n punti, siccome per (S) la somma de- gli n settori circolari eccentrici P,AB, P^AB,... P«AB: si ha : 1 63. S = (S) + i w (y + (q) ) «3 ^_ |(^ _f. (y) ). 5, Situati gli n punti P, , P^ , ... sopra un cerchio concentrico col (V) ed avente r per raggio, si avrà: 164.' S = (S) -M n (q-i-iq) )(a^ -4- r^). La curva (A)(B) od (U) sia chiusa, i contorni di (V) ed (U) stiano tra loro come due numeri primi relativi v ed u^ e (V) faccia precisamente if giri in- torno ad (U), talché gli « punti ritornino nella po- sizione primitiva, e q diventi = u.am {q)=v.in : sarà ciascun settore = u.na^ , e si avrà (i63 e 164): 165. S=nM.7:a* -h n{u -{- v).na'' -\- n(u -l- »/);rsS e 1 66. S=n(2« -t- i').T:a^ -f- n[u H- j^j.rrr^ . i6o Scienze Se (V) eJ (U) hanno contorni eguali , talché (> = ?i =3 I , si ha rispettivamente : 167. S = 3n.7ra= -4- 27r.sa , e ■I 68. S = on.na^ -h In.nr^ , e se r = a , e però gli n punti giacciono sul cer- chio (V) stesso, si ha : 169. S = 5n.Tro=' . Se la base (U) lia un centro, le figure Wj, W^ ... \N n avranno, in ciascuno de'due ultimi casi (i68 e 169), aree uguali, e però si avrà per ciascuna rispeltiva- niente : 170 W = Zna'' -H 2nr^ , e 171. W = St:»^ . Anche queste formole sono, come si vede, indi- pendenti dalla natura speciale della base (U) ( dalla equazione di essa, ec. ) (Vedi §. XXXV, IV, i). i6i Continuazione della rivista di lavori di medico'chirurgico argomento ^ del doti. Giuseppe Tonelli. Sopra Gentile da Faligno medico illustre del se- colo XI J^. Discorso storico-critico del dottor Giuseppe Girolami medico in Civitavecchia. Napoli 1844. u. 'na generosa impresa per fermo è quella di ri- cercare le storie di coloro che hanno illustrato un paese o una scienza : perciocché la gloria di essi , religiosa cura pe' concittadini , è altrui pungente sprone ed esempio. Dal solo spirito di emulazione infatti ogni lode, o di lode ogni stimolo, mai sem- pre discese , siccome giustamente affermava con la reminiscenza di esempi il prof. Bertoloui di Bolo- gna, allorché, or son quasi tre lustri, ehbe a discor- rere le laudi, le virtù ed i meriti del sapiente Mal- pighi. Se non che l'aver vissuto in epoche men fe- lici di tempi , siccome ebhe a sventura il Gentili, rende senza fallo più benemerito della umanità co- lui che senza sfolgoregglante luce di meteora coo- perato abbia al progressivo perfezionamento morale ed intellettuale degli uomini. E per tali ragioni in- fra i viventi del secolo decimoquarto risplende Til- lustre medico Gentile da Fuligno, che a celebrare ora s'imprende dal valente sig. dolt. Girolami. i6a Scienze Nato egli da un altro Gentile della casa Gen- tili di quella città, recavasi in Bologna, che aveva allora la più fiorente cospicua università, ed ivi ap- parava la medicina dal cel. Taddeo da Firenze che fu sommo medico e letterato, e degli studi d'Ippo- crate caldo promotore. Le cognizioni per le quali si distinse sotto quel dotto maestro, ed il lustro col quale praticò quindi la medicina, gli acquistarono fra' suoi concittadini un grido che si diffuse tosto per tutta Italia. Le città di Bologna e di Perugia si pregiarono di avere il Gentili a professore di me- dicina nelle specchiate loro cattedre : e tanto egli vi risplendette e tanto vi si conobbero i suoi meri- ti, che quei municipii il vollero gratificare colla ono- revole concessione del diritto di cittadinanza, a cui in estimazione della sua sapienza aggiunse la città di Perugia il donativo di una casa. Il dotto medico Michele Savonarola afferma, che il Gentili insegnò per circa otto anni la medicina anche nella univer- sità di Padova, chiamatovi da Ubertino da Carrara signore di quella città. Il pontefice Giovanni XXII, uomo di gran sapere , amò estremamente e colmò in ispecial modo di beneficenze e di molti doni il Gentili: cosicché potè dirne il Mandosio, che in re- fum opulentia valde auxlt. Sviluppatasi però nel- 1' aprile i34B in Perugia la vera peste bubonica , scrisse poco dopo il Gentili il suo Consilium de pe- ste', ma nel seguente mese di giugno , intendendo a tutt'uomo alla cura degl'infermi insieme al colle- gio de' medici destinati alla città , per il frequente visitar gl'infermi fu preso anch'egli dal pestifero mor- bo, e nello spazio di sei giorni ne morì. Non varrebbe presso che un iota questo rapido Rf VISTA MEDICA l63 cenno di nozioni sul Gentili a designarlo qual fu, se le precipue doti dell'intelletto di quest' uomo e le tendenze del suo carattere morale non risultas- sero palesi. E a dirsi perciò, che nato di cospicua famiglia , ne quindi povero di mezzi , in tempi in cui, assai più che le scienze, la carriera delle armi e le civili magistrature offrivano assai pascolo al sod- disfacimento delle passioni ambiziose ed alle opu- lenze, si dedicò egli al sapere ed allo studio, pre- scegliendo in questo l'arido e difficile campo della medicina. La qual sua volontà , massime per quei tempi, è già una nota bastevole dell'indole gentile dell'animo suo e della qualità della sua mente ; il che più chiaro emerge nella evenienza della peste che desolò Perugia, ov'egli spiegò per dovere e per gra- titudine uno zelo ed una carità senza pari , tanto che vittima fu del contratto contagio. E ben vero d' altronde , che a chi voglia di un individuo, che abbia figurato notabilmente o nelle scienze o nelle arti, e delle opere sue, formarsi un'ade- guata notizia e rettamente giudicarne , incombe di necessità riportarsi al tempo in cui egli fioriva, e tutte considerare le circostanze della sua epoca sì dal lato del civile andamento, come dall'altro delle lettere, del- le scienze, ed in ispecie della filosofia. Or di questa verità persuaso il eh. Girolami, ci offre con accuratezza e disegno un conciso quadro dello stato civile, e del- le lettere e delle scienze al tempo in cui fioriva il Gentili, affin di annodarlo colle operazioni che far questi poteva e che fece: gareggiando in questa con- dotta la risultanza dei meriti del celebrato, e quella dei meriti dell'industre celebrante. Ma dovendo noi servire ad amor di brevità, ometter dobbiamo le tan- i64 Scienze te sagaci riflessioni del Girolami, e le tante analo-* glie dipinture che di que' tempi ci porge; limitan- doci a dire , che la medicina in tutte le sue epo- che ha subito sempre le fasi della filosofia e dell'an- damento civile. La medicina in oltre, dal decadere della scuola salernitana fino al tempo in cui visse e fiorì il Gentili, non si mutò menomamente nella sua essenzialità: e pochi distinti medici son ricor- dati dalla storia , ad eccezione di Pietro d' Abano celeberrimo per le sue disquisizioni mediche e filo- sofiche , e Taddeo fiorentino che di molto rimise in onore i precetti e le dottrine ippocratiche , e che fu, come si disse più sopra, maestro del nostro Gen- tile. Quindi « le condizioni sociali in genere, lo stato » bambino e povero della scienza medica in parfi- » colare, il rivolgimento degli studi umani di quell' » epoca , l'oblio della letteratura classica degli an- » tichi, e la mancanza dei puri originali greci nel » loro primitivo idioma, erano a mio avviso (son » parole del Girolami) cause essenzlalissime e potenti, » perchè all'epoca, in cui il Gentili fioriva, la scien- » za non fosse suscettibile di un sostanziale e pro- » gressivo mutamento: o in altri termini, questo non » fosse ancora maturo e propizio. In tal posizione )) non poteva egli dunque giovare alla scienza ed » alla umanità, che riferendoci le proprie osserva- » zioni e la propria esperienza, e conservandoci il » patrimonio delle cognizioni cbe in allora si pos- » sedevano, aggiuntavi qualche commentazione e giu- » dizio. Tale parevami potesse e dovesse essere la » sua missione: ed egli la compiè ». A queste ben vive espressioni del sig. Girolami s'aggiunge da lui il catalogo delle varie dotte opere Rivista medica i65 che il Gentili scrisse in medicina; al catalogo se ne unisce il compendio analitico, encomiandosi ancor la vastissima di lui erudizione , e dichiarandosi quelle « un pregevole monumento storico per la scienza in » genere, un soggetto importantissimo per la storia « della medicina italiana del medio evo , un ricco » materiale alle indagini dei dotti, una distinzione » di più per la sapienza italiana ». Ma ciò non è tutto ; poiché il Girolami in mezzo a quest' analisi ragionata delle cose scritte dal Gentili fa luminosa- mente risplendere, che quantunque ^inviluppato egli in alcune scolastiche sottigliezze incorresse in qual- che comune erramento, pur seppe esser esatto e lo- devole nella classificazione de' morbi e dei loro generi e singole individualità, nella enumerazione descrit- tiva dei morbosi fenomeni, non che degl'indizi va- lutabili e conducenti al retto pronosticare. Rilevansi da ultimo dal Girolami adombrate per il Gentili va- rie pratiche conoscenze, che dir si potrebbero ecci- tatrici delle odierne. Gosì, per non tutte tacerle, ci arrestiamo a dire che il Gentili ti-attando delle aber- razioni mentali « trovasi conforme alle idee dei mo- » derni nervologisti e scrittori dei morbi mentali, i » quali si uniformano nel dichiarare i medesimi in- » sorli neir encefalo istesso in modo assoluto e pri- » mitivo; o essere in attinenza colla lesione od al- » terazione di qualche viscere, o con una irritazio- » ne qualunque, o con vizio dell'assimilazione, co- » me opinano in genere il Puccinotti , il Monti, il u Buffa. I) Or la finquì contemplata forma di elogio ragio- nato e critico che il Girolami ha tenuto il favor del Gentili (figlio della sua patria istessa, ed a lui pur i66 Scienze affine per titolo di tuttora superstite discendenza) ne aggrada assai più delle Indi, che al Gentili non man- carono per parte del Platearlo, distinto medico nel secolo XV, che nel suo comento al Dispensatorio di Nicolò, facendo menzione degli scrittori più rinomati del secolo precedente, nomina principalmente Gen- tile da Fuligno : per parte del padre Frezzi domeni- cano, vescovo di Fuligno, che nella sua repulatissima opera poetica intitolata il Qaadriregio per molli versi si diffuse nelle lodi del Gentili: per parte del Savo- narola , che visse nel XV secolo, e che verso di lui usò queste parole - Divinus ille Gentilis fulgineus nostrae et suae aetatis medicorum princeps. Ma sia qui il fine : e le sincere congratulazioni nostre riceva di buon grado il valente sig. doti. Girolami per l'acutezza del suo ingegno e per l'erudizione della sua penna. Discorsi due del pr'of. Ippolito Borelli. Lucca 1 844* xmggirasi il primo di colali discorsi: « Sullo studio della notomla patologica, lezione delta alla reale ac- cademia lucchese nella tornata de'22 dicembre 1840.» Imprende quivi il prof. Borelli, con fior di eleganza e con robustezza di raziocinio, a dimostrare esser tanto l'ardore con cui a'tempi nostri si progredisce a col- tivare lo studio della notomia patologica, che da al- cuno crederebbesi destinato a far dimenticare ogni Rivista MEDICA 167 allro genere di medici sludi. Di tal natura infatti sono gli encomi , che lutto giorno si fanno alla no- tomia patologica, che udendoli un imperito dell'arte salutare sarebbe indotto di leggieri ad opinare, che nella medesima consista oggimai tutta quanta la me- dicina ; né debbe maravigliare la nausea , che pro- vano i giovani medici nel leggere le opere anche piìi accreditale degli antichi, perchè non olezzano di no- tomia patologica. Ma qui è dove il prof, lucchese s'im- pegna a far conoscere, che non sono tutti uguali al vero ed al giusto siffatti elogi : poiché se conoscia- mo ( il che è innegabile ) un poco meglio le alte- razioni morbose dell' organizzazione, non perciò pos- siam tenerci di gran lunga più fortunati dei nostri padri nella diagnosi, nella prognosi e nella cura dei morbi. Un' idea qui ci porge il Borelli del progresso, della utilità che dall' anatomia patologica ritrasse il fisiologo, il pratico, il chirurgo e perito forense; ma non perciò ei vorrebbe che in questo sludio si aves- sero a riporre le principali speranze di avanzamento generale dell' arte. Ed in conferma del suo assunto diverse ben gravi osservazioni imprende egli a fare, specialmente sul fine che ci propone l'anatomia pa- tologica. Un dei disegni di questa si è - di determi- nare le alterazioni di volume, di forma, di colore, di densità, di posizione , di relazioni d'intima tes- situra , cui va soggetta l'organizzazione vivente per causa delle malattie: - di spingere lo sguardo entro la compage più recondita delle parli, colla mira di congetturare, da ciò ch'elle sono nell'atto della dis- quisizione, ciò eh' esse furono nei loro primordi: - di indagare qual fu l'elemento organico, dal quale in- cominciò la mutazione:- di tentar di ridurre tutte i68 Scienze le alterazioni organiche a picco! numero di tipi fon- damentali, od anche ad un solo, se possibil fosse; e così via discorrendo. Non havvi però bisogno di es- ser medico ( soggiunge il Borelli ) per comprendere che tutte queste cose, aggirandosi intorno alla ma- teria morta , ed essendo effetti di condizioni e di proprietà della medesima, che furono e più non sono, di per se sole condurre non possono allo scopo su- blime, cui mirano i cultori della notomia patologica. Ma udiamone lo stesso prof, lucchese. « Perchè possiate convincervi di una tale im- » possibilità, consentite che io venga osservandovi, che » fra le malattie che diconsi universali, perchè pren- » dono di mira al tempo stesso 1' organismo ed il )) principio vitale, ve ne ha moltissime che non la- » sciano di sé traccia alcuna sul cadavere, neanche )) in que' casi, nei quali hanno durato per mesi ed » anni, percorrendo tutt' i gradi di loro gravezza , }) fino a recare la morte agli ammalati. Tali sono » per unanime consentimento dei medici tutte quelle » febbri, che non sono legate a condizione patolo- » gica visibile di alcun viscere o di alcun organo, » e che cedono sollecitamente all' uso della china- » china e del chinino ... Tali finalmente appariscono » e sono veracemente molte forme di nevrosi le più » micidiali, l'epilessia, la sincope , la prosopalgia , » l'amavrosi , la palpitazione di cuore ec. e simili. » E nella maggior parte degl'individui, che furono vit- n lima di lunga e pertinace alienazione mentale, quali » alterazioni ed in qual parte della organizzazione u si presentarono alle ricerche del clinico ? Che si » offerse agli occhi dell' osservatore nei cadaveri di » quegl' infelici, che soggiacquero airazione lenta di Rivista medica 1 69 )t patemi di animo deprimeuti, di copiose e repli- » cale perdile di sangue, di lunga e prolungata ine- » dia, se si prescinde dalle mutazioni occasionate dal- » la consunzione e dal marasmo ? » Coleste mutazioni per altro, cotesti turbamenti, non possono essere oggetto d'indagini, perchè sfuggono agli occhi del più sagace scrutatore, e di conseguenza l'anatomia patologica non può servire di lume alcuno. Non può impugnarsi d'altronde, che un numero con- siderevole di morbi universali lascia talvolta nei ca- daveri manifeste lesioni organiche, e più quando essi sieno di lunga durata, e rendasi cagione di morte : ma quanto malagevole riesce nella maggior parte di casi trarre da esse qualche utile corollario per es- sere o troppo scarse di numero , o troppo fra loro discordanti e contrarie le cose osservate e descritte, o troppo in collisione le argomentazioni medesime de- gli osservatori e degli scrittori ! Intorno a che vari esempi ne rammenta il Borelli , come dei tumori fungosi, dei cancerosi, della cirrosi, della melanosi. Né, oltre coleste incertezze, trova facile il N. A. , che possano le alterazioni organiche servirci di guida infallibile per giungere alla conoscenza delle cagioni occulte dei morbi : il che pur osserva egli verilEl- carsi nella considerazione dei mali locali: rimanendo sempre arduo, se non impossibile, il penetrare con prospero successo la natura dei segreti cambiamenti dei solidi o de'lluidi, per cui surse un morbo. Men felice non torna la scorta dell' anatomia patologica a determinare la cagion prossima o l'es- senza dei mali ; di che si lusingano i partigiani di quella , mostrandosi persuasi o tentando di persua- dere ad altri che identità di lesioni organiche argo- G.A.T.CII. 12 I yO b e I E N Z E menta inJentltà Ji rnalatlie. Intorno alche il N. A. dimostra anche più chiara in vari modi per la ra- gion dei contrari la verità della enunciata propo- sizione. E quand'anche fosse frequente, per quanto è raro, che alle malattie corrispondessero sempre al- terazioni organiche sensibili e chiare, non perciò sem- pre agevole sarebbe lo svelare la causa prossima o l'essenza dei morbi, opponendosi a questo scopo la difficoltà di conoscere le mutazioni subite dai fluidi o di sceverarle da quelle che opera sono dei morbi istessi. Ed anche le stesse lesioni organiche non pos- sono frequentemente ed agevolmente confondersi co- gli effetti della morte , con quelli cioè della cada- verica putrefazione ? Languido quindi è per verità il lume che l'anatomia patologica fornisce onde per- venire alla scoperta della caglon prossima od essenza dei mali. Eppure men male sarebbe ancor ciò, se la medesima almeno ne istruisse a terapìa piti tuta e più pronta : ma deluse pur qua rimangonsi per mala ventura le più belle speranze, siccome saggiamente il N. A. addimostra col mezzo di svariate ricerche. Giacché più folte anzi rinvengonsi le tenebre, e si è costretti a confessare, che, ad eccezione di poco, tutto quello che noi sappiamo ci è stato insegnato dalla pratica e dalla osservazione , dovendo al letto degl' infermi tenere quasi sempre in conto di mera erudizione ciò che si apprese dallo studio di quella scienza , cioè dell'anatomia patologica. Giovarsi mol- tissimo, più di qualunque altra scienza, avrebbe po- tuto la medicina forense: ma gravi dubitazioni spar- ge il Borelli su tale argomento, prendendo di mira l'indagine del veneficio, quella dell' annegamento, e l'altra dell' appiccamento. Facendo egli intorno alle Rivista medica 171 enunciate materie i più opportuni e sagaci riflessi, pochissime norme di certezza eì rinviene , variabi- lità nelle organiche alterazioni, incostanza nei risul- tamenti che guidar debbono al giudizio. Non perciò biasimar egli intende la cultura del- l'anatomìa patologica, o bandirne lo studio, il quale anì;i vuol proseguito con alacrità e con ardore; ma ove dalla contemplazione dei fatti indagali vogliasi innalzar la mente a considerazioni di un ordine su- periore , avverta ognuno a convincersi , che non è possibile di circoscriversi entro ai confini pur troppo angusti della morta materia. « Fa d'uopo allora (egli » conchiude) invocare l'aiuto di tutte le scienze me- » diche , e più particolarmente della fisiologia, della )) patologia , della semiotica, e della pratica medi- )) cina, ricordandosi che 1' anatomia patologica , in » onta dei suoi grandiosi avanzamenti , non pos- » siede finquì che pochi tatti , e questi ancora non )> ben concordi fra loro, ed anzi male coordinati. » Fa d'uopo allora considerare, che qualunque volta » si vede fra i medesimi valutata più del dovere , » può condurre a conseguenze false ed erronee appli- » cazioni ; che la pretesa identità di lesioni orga- » niche e di morbi per lo più non è che una chi- » mera: che fino a qui lo stato , in cui si trovano » le lesioni stesse , quasi mai non ci svelò ne l'ori- B gine, uè il progresso , né l'esito delle malattie , » dopo le quali si fece luogo ad osservarle; in sora- » ma che l'anatomia patologica, isolata dalle altre » scienze mediche, può molto poco. Quindi se i cul- » tori della medesima non vogliono limitarsi alla ste- » ril' opera di raccogliere i fatti, a me sembra che )» non possano esimersi dal metterli d'accordo coi sin- j_2 Scienze » tomi dei morbi, e giovarsene unicamente per in- » tenderli e per ispiegarli : appunto come fanno i » clinici più circospelli e più prudenti, che guardano » le cadaveriche alterazioni come argomenti che con- » fermano le loro diagnosi, le loro prognosi, o che » ne dimostrano la fallacia e l'errore ». Non può impugnarsi che di gran peso riescano le obiezioni tulle dall'erudito sig. Borelli promosse, onde invilire quel cieco entusiasmo, con cui e come nuova speculazione e come unica ed infallibile ri- sorsa ritiensi l'anatomia patologica da quei moltissi- mi che senza critico esame ne hanno esageralo il va- lore. Ma colle avvertenze dall' A. inculcate per te- nervi dietro , sorgerà questo ramo di medica scien- za più fecondo di utili risultanze, più corredato di fatti inconcussi , più ricco di veraci avanzamenti , che senza ulteriormente deludere le aspettative di tutl'i sapienti faran progredire con sodi e giganteschi passi l'arte medico-chirurgica. TONELU, ~o»;:»c*» 173 Sai criterio geologico , onde si confutano vari moderni sistemi. L'I . universo è un ampio volume delle maraviglie della sapienza e onnipotenza di Dio , che letto e consideralo profondamente in tutte le sue parti si collega con sorprendente unità al suo principio. Ovun- que contemplansi esseri successivi e raoventisi, che manifestando il lor movimento estrinseco, ci guida- no a un primo motore immobile. Se osservi scin- tillante la stella, bionda l'aurora, fiammeggiante il sole, subito ricorri sulle ali pronte del più pronto pensiero alla increata immensa luce, che seppe un vestigio di se imprimere nelle corporee inerti sostan- ze , di vari colori avvivarle ed abbellirle. L' equi- librio degli elementi, il lor reciproco congiungimento e insieme la loro intestina guerra nella mirabile tes- situra de' composti vegetali, organici, e sensitivi; le innumerevoli forme, a cui è soggetta la materia nel triplice regno della natura, comecché a moltiplici ra- mi dell'umano sapere somministrino inesauribile og- getto , pure neir analitico progredimento troviamo ogni cosa avvicinarsi come ra^gi al centro nell'unità della suprema cagione, che dà un estremo all'altro il tutto con possanza e soavitii dispone. Non altri- menti è costrutto il mondo visibile dall'invisibile ed intellettuale, in cui tutte le verità s'incatenano nella una verità universale ed infinita , da cui di- pendono giusta le sublimi speculazioni dell' ontolo- ;iij^ Scienze già. Da qui trassero origine la cosmologia, la geo- tlesia , la zoologia, la botanica , la geologia , e le altre di sofia illustri figlie ed ancelle. Ma i miei ri- flessi io rivolgo alla geologia tra quelle assai ono- rata e prestante. Essa si agira sulla struttura del glo- bo terraqueo , a quali vicende andasse soggetto nel succedersi de' secoli. Sulla formazione delle monta- gne, delle lave, delle nettuniche o vulcaniche con- crezioni. Va si|uillinaiido per le operazioni dell'ac- qua e del fuoco le varie epoche generali e parzia- li, che alterarono il primitivo stato de'monli, delle valli, de' contineuli, ilu' mari, de'laghi, de' fiumi, e tutto quanto ha relazione all'architettura del gran- dioso palazzo dell'uomo. Vastissima sfera, ardua im- presa invero, ma d'interesse ripiena, feconda di uti- lissime conseguenze per le scienze e le arti. Im- perciocché un' occhiata a scabra rupe granitica mi erudisce nella storia geologica più che Tucidide e Ta- cito; un esame sopra un vulcano assai più mi scuo- te, che Omero e Virgilio; la struttura di una roccia basaltina m'instruisce più che Vitruvio e Palladio ; le ridenti prospettive delle colline, e gli alpestri or- rori mi offrono quadri, a cui cedono Zeusi, Timante, e Apelle : ogni minimo punto della creazione è più eloquente de' greci e latini filosoli. Or per chiamare a un punto di unione i miei pensamenti, e parlare con chiarezza ed efficacia, ho divisato di stabilire un principio, che sia come il criterio della geologia, per- chè qual pietra di paragone ci farà scoprire i veri e i falsi sistemi, e tal principio viene da me enun- ciato brevemente così : Quello esser falso in geo- logia, che ripugna alle narrazioni bibliche. La importanza del tema dee conciliarmi d' aiuto Criterio GEOLOGICO ij5 e compalimento della vostra umanità. Perchè tale emmi paruto considerevole oggetto più acconcio allo scopo di questa antica ed illustre accademia, ordinala dalla eroina di Scozia e dal magnanimo Giovanni V al bene delle belle e buone lettere, onde primeg- gia e fiorisce sovra ogni altra società di Europa. Nel ly maggio del i843 la ecclesiastica acca- demia di Madrid, mentre di sangue cittadino rosseg- giava l'infelice ispanico suolo, osò proporre sotto for- me di dubbio questo argomento : Se la cronologia ebraica fosse conforme alle odierne scoperte geo- logiche. Tre accademici scesero sull'arena, con ani- mo sicuramente mal disposto per le bibliche verità. Conluttociò atterriti dalla difficoltà dell' idea , non vollero pronunciare: e si ritirarono dicendo , esser questo un tema da maturarsi e svilupparsi con gran- de serietà; né, che io mi sappia, ritornarono al pe- riglioso. cimento. Ora io dico, che doveasi piuttosto proporre , se le moderne scoperte geologiche si ac- conciassero alla sacra scrittura per dimostrarsi o vere O false dal confronto colla verità a priori : perchè non il principio dalla conseguenza , ma questa da quello deriva. In Francia i moderni geologi vanno risvegliando dall' ignobile oblìo i vieti errori seguiti da Lamark, Oken, Tuker, e tanto applaudili nt-Ua nuova enciclopedia che li chiama grande scoperta e verità suprema, che recherà salute al mondo. E riduconsi tali mostruosità a negare la creazione, ri- ponendola tra i miti ; alla trasformazione dell'uma- nità in successiva perfettibilità : a un' infinita serie di evoluzioni geologiche. P^oilà la decouverte mo- derne , voilà la supreme verità de la philoso- phie, la doctrine de la perfeciibilité, qui sauvera infi Scienze le monde { V. Bonnetly, Annales ). Io non sono però tanto acerbo e socratico da temperarmi, Jl non riconoscere nelle opere de' filosofi inglesi, germanici francesi e di ogni altra nazione alcun pregio o va- lore in fatto di geologia. So che Woodward osservò non ispregevoll fenomeni sulle petrificazioni e stra- tificazioni; Buffon si applicò a discernere una cer- ta regolarità nelle montagne, nella direzione delle vallate, per inoltrarsi a scoprire l'ossatura della terra; Lamelri, e spacciando la cristallizzazione del globo, esaminò le rocce ; Breislak ideò una generale combu- stione , e parlò degli elìetli della soluzione ignea ap- plicata alle sostanze terrose , a cui Hall aggiunse le sue sperienze; Lazzaro Moro, sostituendo il fuoco al- l'acqua nella formazione de' continenti, tolse ad esa- me i vulcani spenti; Brocchi ne' suoi laboriosi ed eruditi viaggi intorno agli appennini ne studiò la di- ramazione, i fossili, attenendosi particolarmente alla conchiologia. Nei che fu preceduto da Soldani, che scrisse nella testa ecografia e zoofilografia, dall'Olivi, dal Cavolini, dal Remeri, dal Bertoloni, dal Marsili, dal Donati , dal Ginnani ed altri , che molto in- fluirono al progresso della geologia : la quale però neir arricchirsi di scoperte e di fatti restò retrogra- da nello scientifico collegamento di essi, perchè im- maginarono ipotesi dissenzienti dalla bibbia, e giun- sero a negare anche l'esistenza dell' universal dilu- vio, che è la più grande, universale, e memoranda epoca geologica, che per tutta la terra ha lasciato di sé sicurissime ed evidentissime prove non periture. Infatti i fossili, che nel suolo italico incontran- si, ne sono incancellabili monumenti. Ivi petrificati rinvengonsi pesci, che abitano l'oceano australe, il Criterio geologico 177 liimpas delle Indie, il trìpterus di Batavia, il comutus d' Affrica , il m a geli ani cu s dello stretto di questo nome. Nelle marne de' colli subapcnnini racchiudon- si nìcchi di vermi testacei con altre spoglie organi- che, coralli, granchi rarissimi, costole, vertrebre, gran- di cetacei, e perfin quadrupedi che oggi vivono sotto i tropici, i quali già lapide fatti a lungo andare ri- duconsi in faliscenza e polvere. Tra queste itale an- ticaglie facilmenle veggonsi degli avanzi lapide fatti di cinghiali di Etolia e di Erimanto, di lupi d'Arca- dia, di tori selvaggi di Attica, di leoni di Argolide, oggetti della eroica mitologia, da cui appariamo che nel combattere e debellare quelle fiere consisteva l'eroismo favoloso di Ercole, di Teseo, di Meleagro. Cotali monumenti rimiransi nelle collezioni de' te- stacei del Reraeri, del Cortesi, del Gutlard. Il Boc- caccio fu il primo , che ricordò quella di Certaldo sua patria. Alessandro Alessandri si occupò delle con- chiglie della Calabria: ma Sisto V superò tutti ( e questo è stalo sempre proprio de' romani pontefici di essere in ogni tempo i primi e più grandi me- cenati delle scienze e delle arti). Raccolse quel gran gerarca molti di simili oggetti, che poi più tardi sotto Clemente XI dal Lancisi furon fatti di pubblico di- ritto. Noi pure nella casanatense ne abbiamo ordina- ta una tenue collezione. Dalle rapide memorie istoriche, da noi breve- mente discorse, passiamo all'ordinamento del pensie- ro: e domandiamo, se la terra abbia subito un'uni- versale allagamento ? Come possono spiegarsi i già esposti fenomeni ? Ecco il maggiore de' problemi geo- logici, e l'epoca più rimarchevole, intorno a cui prin- cipalmente si applicarono e si applicano gì' ingegni lyB Scienze de' fosslologi. Noi colla bibbia alla mano, leggendo un solo capitolo del Genesi, sappiamo la origine e gli effetti del diluvio: e appoggiati alla scritturale ve- rità , vediamo i deliri de' filosofi, che ardirono im- pugnarla , come chi sta sul lido mira naufragare te- merari navigli, che abbandonalo il porto si affidano al tempestoso oceano. Già fino dal risorgimento della greca filosofia Talete opinò esser l'acqua il princi- pio universale, Anasimandro ricorse al fuoco , De- mocrito nelle solitudini di Abdera accozzava atomi per comporre i corpi : i quali già decrepiti e pol- verosi sistemi furono da dotti scrittori confutati. On- de ci dispensiamo di parlarne, e ci rivolgiamo a ram- mentare rapidamente in quanti scogli urtassero co- loro, che obliato il criterio biblico, andarono in trac- cia di fole e di sogni con tanto discapito della scien- za ; e ciò facciamo perchè discoperti i loro molte- plici erramenti resti maggiormente consolidato il no- stro principio geologico. Si possono pertanto numerare circa trenta ipo- tesi fabricate per ispiegare i fenomeni diluviani. No- teremo le principali. Il Fracastoro, nell'illustrare i granchi impietriti ritrovati entro i macigni di Verona, ricusò di riconoscere il diluvio; il Cardano, rigettan- do l'autorità di Plinio e di Alberto Magno , pensò che il mare stanziasse un giorno in quelle monta- gne : e così, opponendosi al diluvio, lo conferma. Agricola in Germania ideò una materia pingue per causa di que' testacei. Andrea Mattioli, notissimo per la sua illustrazione di Dioscoride, adottò i mede- simi pregiudizi , immaginando che ogni capo poro- so fosse permeabile da un sugo lapideo, per cui con- verlivansi in pietra quelle organiche spoglie. Fallo- Criterio GEOLOGICO 179 pio dalla cattedra di Padova trattando delle zanne elefantine scavate in Puglia, delle conchiglie fossili del volterrano e di Costosa nel vicentino, negando temerariamente il diluvio, le crede quasi opera del caso, e naturale avvenimento, come le olle del monte testaceo in Roma, secondo esso, si sono naturalmen- te stampate. Col medesimo stile buffoneggiando l'O- livi favella delle telline, delle carne, de'pcttini, dei corni di ammone, e li chiama scherzi di natura. Altri poi col Vallisneri, volendo prender tuono cattedratico , si accinsero con serietà a fantasticare una inondazione del mare da occidente in oriente, e modernamente fu restaurata cotale strana opinione dal Brocchi. Ma ci dicano in grazia di qual moto e' parlino, di quale straripamento dell'oceano, quan- do vogliono escludere il diluvio? Riflette acutamente s. Tommaso, che chi nega la verità, Tafferma: e i ne- mici del vero finiscon sempre con iscorbacchiarsi e vituperarsi da se medesimi con inevitabili contraddi- zioni. In fatti quelli che negano il diluvio sono co- stretti a fingere un inondamento del mare, il quale dalla mosaica cosmogonia sappiamo essere stato una delle tremende concause di quel funestissimo avveni- mento. Se poi tu gl'interroghi, e come, e quando, e ia forza di quali agenti potea l'oceano tant'oltre sospin- gere i suoi flutti spumanti: questo quesito cosi na- turale , ovvio, e che porta al centro della questione e della scienza, la quale appunto è una notizia acqui- stata dagli effetti per le loro cause, come osserva Cle- nsente Alessandrino, questo quesito viene trascurato e negletto dai nostri saggi, che per una ignobile sfug- gila più su non vogliono rimontare , contentandosi di edificare sopra una proposizione, di cui ignorano i8o Scienze la verità : e suppongono stoltamente quello, di ctìi si muove questione. Vizio giustamente riprovato dai logici , che manifesta la debolezza e insussistenza della causa che patrocinar si vuole. Tralasciando ora di addurre le altre stravaganze, all'udir le quali per noia vi appisolereste, o signori, componghiamo a più fdosofico raziocinio l'orazione. O que' fenomeni provengono da inondazioni parziali, o universali: in tale proposizione disgiuntiva non avvi mezzo alcuno. Ora diclamo , che non possono de- rivare da inondazion parziale. Perchè, qualunque sia questo parziale allagamento, non potrà giammai giun- gere a superare i più alti gioghi de' monti , alcuni de' quali si sollevano oltre quattordici mila piedi sul livello del mare. E in essi rinvengonsi i medesimi avanzi geologici sopra descritti , come tutti i viag- giatori attestano, e quelli ancora che confutiamo. Ma l'onda marina non potea elevarsi sì alto senza span- dersi nelle valli, seguendo la legge de' fluidi di com- porsi a livello. Per conseguenza prima di coprire quel- le altissime vette , forz' era che inondasse e sepel- lisse le minori: a menochè non si inventasse un mi- racolo più grandioso del diluvio, che le acque cioè a guisa di monti senza fluire da tutti i sensi si ele- vassero contro ogni loro naturale proprietà. Ecco nuo- va contraddizione per quei che s'ingegnano di elimi- nare i miracoli, negandone la possibilità, o impugnan- done l' esistenza. Ripetiamo il gran principio di s. Tommaso, che chi nega la veri tà è costretto ad af- fermarla , e a servire alla sua maggiore evidenza e luce. Dunque non potea essere una inondazione, o inondazioni parziali, causa di universali effetti: altri- Criterio Geologico i8i menti sarebbe maggiore l'effello della sua causa ; ma è necessario ammettere un allagamento generale, che tutta sommergesse la terra. Ora un giustissimo cri- terio vuole, che prescindendo anche dall'ispirazione, si dia credito al più antico e sincero degli scrittori, quale è Mosè, che in ordine di tempo, di sapere, di cognizioni supera ogni altro autore a lui poste- riore. Io non m'inoltro in tale argomento portato al- l' ultima certezza da tante robuste penne de' santi padri e teologi, e dal torrente irresistibile di tutti i se- coli; ma semplicemente osservo quanto ingenua, e di per se stessa autorevole sia quella narrazione mo- saica. Iddio disse a Noè : « Distruggerò ogni crea- tura vivente sulla terra dall'uomo fino agli animali, dai rettili fino agli uccelli del cielo ...» E poi: « Il fine di ogni carne viene innanzi a me: distruggerò la terra, e i suoi abitanti. Fa un'arca per ritirarveli . . . Farò cadere le acque del diluvio sulla terra per distrug- gere ogni creatura, che vivo sotto il cielo. » Cosi av- venne dopo che le minacce di si tremendo castigo, che pur erano un amoroso invito ad evitarlo se ricor- revano alla penitenza , riuscirono iuulili per gli osti- nali e corrotti mortali già già naufraghi nel diluvio della iniquità. Non giovò loro la predicazione di un secolo, non gli ammonimenti, non i pianti del giu- sto gemente e sospiroso ; per cui spuntato l'ultimo sole dell'antico mondo, piombò di repente il terri- bile castigo. Allora le acque del grande abisso, se- guendo il movimento dell' ira ultrice di Dio , si scatenarono ovunque, e orgoliose e sonanti signo- reggiarono i più erti gioghi del mondo di quindi- ci cubiti. Chi ha vedute le furibonde tempeste del- l'oceano potrà da quelle formarsi qualche languida i82 Scienze immaginazione del movimento di fante tumultuoso e sconvolto inondamento di tutti i mari insieme rac- colti , che , eccettuato l' arca galleggiante sotto la protezione di Dio , che in mezzo alle vendette fa pure risplendere il raggio di sua bontà, tutto perì, tutto soggiacque a mutazione, a sconvolgimento, a ro- vina: e dicendo il sacro testo, che le acque inonda- rono sopra i monti di quindici cubiti, evidentemente parla di un diluvio universale- Al che allusero gli stessi gentili, che in ciò furono più fdosofi de' mo- derni naturalisti. Gioseffo, Eusebio, Sincello, Ales- sandro Polistore, dopo Beroso e Abideno, riferiscono le tradizioni degli assiri e de' caldei circa il diluvio, comecché di favole bruttassero la verità. Gli egizia- ni, con la loro ambizione di attribuirsi una eccedente antichità, non vanno più oltre di Menes, la cui sto- ria non altra fu che quella di Noè. I siri conser- varono la medesima opinione. In un vetusto tempio di Giunone mostravano la bocca di una profonda ca- verna, per la quale pretendeauo che fossero passate le acque di quel diluvio, nel quale il favoloso Deu- calione si salvò in un'arca. I cinesi ricordano il di- luvio di Yao, le cui acque fino al cielo si elevarono. Ezor Vedam afferma che gl'indiani tenessero per fer- mo, che la prima stirpe degli uomini fosse stermi- nata da un diluvio. E vuoisi anche che i selvaggi delle Antille conservassero di simili tradizioni. Il Bail- ly, nella storia dell'antica astronomia, prova che tulle le nazioni suppongono il diluvio. Mossi da queste popolari opinioni tradizionali, benché involte nelle tenebre della mitologia, molti geologi esplorarono la terra attentamente, per rin- tracciare coU'aiulo della sola filosofia il vero- Sco- Criterio Geologico i83 prirono in tutte le parti del mondo valloni stretti, circondati da entrambe le parti da macigni tagliati perpendicolarmente , e con certe prominenze , che formano angoli saglienti e rientranti , e danno alle valli la figura di un corso di antico precipitoso fiume. Turnefort, esaminando il canale di Costantinopoli, giudicò che fosse prodotto da una violenta tempesta del mediterraneo. In Grecia correva voce che il fiu- me Peneo avesse separato il monte Ossa dall'Olim- po per aprirsi un varco all'oceano. Erodoto, curioso d'illustrare questo fatto, pertossi a osservare que' luo- ghi , e confermò quella credenza. Lo stesso narrasi nella Beozia del fiume Colpia , eh' avesse rotto il monte Prous: e il grande scoscendimento fu ve- rificato da Weler. Dal che nacquero i miti di Er- cole , che separò i monti di Calpe e di Abila per introdurre le acque nel mediterraneo. Queste con- fuse e travisate memorie, unite a' monumenti di cui abbiamo parlato, che ritrovansi sulle alpi , su i pi- renei, su le Ande, su l'Atlante, su gli appennini , e sopra tutti i punti più alti del globo terraqueo , aggiungono peso per confondere gl'impugnatori della biblica verità , che perciò trionfa in ogni modo , e somministra sicura norma e solido criterio per di- stinguere i veri sistemi dai falsi. Imperocché per oscu- rare l'istoria di Mosè si vanno fantasticando ridicoli e insussistenti cavilli. Dicono, per esempio, che il mare non ha che mille piedi di profondità, e che perciò non potrà co- prire gli altissimi monti ; e che i fenomeni esposti si spiegano col movimento del mare dall' occidente all' oriente. Questa obiezione è sì vieta e decre- pila , che si rinviene preoccupata e distrutta nelle i»>4 Scienze opere di s. Agostino, e che ricade a ferire gli ag- gressori medesimi: poieliè, se la profondità del mare non è che di mille piedi, per qualunque lato si mova, non potrà inondare i monti elevati sopra il suo li- vello di dieci mila piedi. Sicché restano inviluppati ne' loro stessi lacci. Direttamente estendendo la ri- sposta, neghiamo la gratuita assertiva sulla profon- dità del mare. Ho alle mani un'opera moderna su tal rapporto, che riporta tutte le esperienze tentate per iscandagliare il fondo del mare , e infine con- clude, essere riuscito, dopo moltissimi calcoli e prove, vano ogni sforzo e tentativo, e tuttavia rimaner ascosa la misura dell'oceano. Inoltre la s. scrittura olire il mare ci parla delle acque smisurale cadute dal cielo. L'uomo può benissimo conoscere l'estensione del suo Campetto, misurare una botte di vino: ma gli manca l'arte di scandagliare la congerie dell' acque create da Dio. Soggiungono: « I corpi marini, le conchiglie, e altre petrificazioni , che rinvengonsi su i monti , con altri colossali fenomeni, non si possono spiegare col diluvio, che durò assai poco. » S. Agostino me- ritamente dice, che questi filosofi, che pesano e mi- surano gli elementi, e veggono i monti che da tanti secoli stanno ritti verso il cielo, qual ragione pos- sono avere per non ammettere, che le acque, le quali sono molto più leggiere, abbiano fatto lo stesso in breve spazio di tempo ? Per riguardo poi agli effetti giganteschi che osserviamo, tutto limpidamente si spie- ga da Mosè. Infatti, posta quell'immane vastità ster- minatrice di acqua agitata e sconvolta da violento tempestosissimo moto, facilmente s'intendono come traessero origine que' valloni stretti e profondi, l'enor- Criterio Geologico i85 mi crepature, i monti secondari e terziari. Si spiega come in una stessa catena di monti vi siano di quelli formati di semplice arena, di granilo, di pietra bi- gia, di materie vetrificabili, marmoree, calcaree; per- chè capricciosamente nei letti di marna rilrovinsi conchiglie di una o due specie, e molte negli strati di pietra; perchè le cave di certi luoghi siano piene di turbini grossi, altrove piccoli, altrove misti. Ora nessuno di questi problemi resta disciolto nel loro opinamento ; perchè quando pongono, che il mare dall'occidente movesse dall'oriente, tale direzione non dovrebbe essere intersecata da linee di contrari mo- vimenti. Ma vediamo strati condotti dal settentrione all'austro, dall'austro all'oriente ec. Laddove nella sto- ria del diluvio ogni cosa acquista scientifica ragione: le due sole parole, la immensa massa di acque andava e ritornava, euntes et redeuntes, ci disvelano una ir- requieta agitazione procellosa che produceva vortici e gurgili in ogni parte: Riipti siint onines fontes abjssi magnae, et cataractae caeli apertae siint ... vehementes inundaverunt (i).E nell'ebraico ha ancor più forza reaumain govrà meod meod al aaretZy cioè roboraverunt se validissime et vehementis- sime cantra terram. Nessuna mente mortale usa alle consuete vicende della natura può sottoporre a cal- colo la formidabil possanza di quell'irato elemento in produrre qua e là varie e profonde vestigie del suo passaggio. Però ben comprendesi come in seno al- l'acque crescessero i fianchi a' monti, e tanti depo- siti di conchiglie si formassero, che in varie marine abitano; e non essendo a noi nota la virtù di tante (1) Gen. e. 9. G.A.T.CII. i3 i86 Scienze cause, citi può ardire di rivocarne ia dubbio l'esistenza scorgendone gli effetti? Potrà l'uomo negar l'esistenza di suo padre, perchè non lo ha conosciuto, essendo morto quand'ancor vagiva infante ? Ecco pertanto dileguati 1 sofismi de' moderni fi- losofastri : eccoli costretti a servir di trionfo alla ve- rità da loro combattuta: ecco stabilita e dimostrata l'epoca pili strepitosa e miranda della geologia , ed ecco piantato il vero criterio geologico. Ne altro mi rimane se non eliminare una difficoltà, che alcuni schifiltosi potrebbero oppormi. Non dover cioè ricor- rere il filosofo alla sacra scrittura trattandosi di na- turali operati ; la bibbia convenire al teologo; la na- tura al geologo. Questa è più una sfuggita, che una difficoltà degna di seria confutazione. Primieramen- te, perchè nessun vero può opporsi a un altro vero, come insegna l'assioma di tutte le scuole; quindi non è lecito seguir in filosofia ciò che una facoltà su- periore dimostra falso. Secondo, certe questioni im- propriamente si pretendono di esclusivo diritto filo- sofico; la cosmologia, la cosmogonia, la geologia, la fisica del mondo, nelle principali questioni che im- portano scienza, appartengono certamente alle sacre discipline scritturali, come la creazione del mondo e dell'uomo , la dispersione delle genti, il diluvio, ed altre sono inseparabili dalla rivelazione: e perciò tutti i santi padri e dottori si occuparono a commentare e scrivere de opere sex dìerum, e di altre mate- rie che sembrano appartenere al filosofico regno. E poi, come abbiamo detto, la verità sempre galleggia per quanto si attenti a sommergerla; e que' saccenti, che ricusano fede a Mosè, non arrossiscono di ricor- rere alle favolose cosmogonie e teogonie de' medi , Criterio Geologico 187 de' caldei, de' greci, e di addottar fole, per rigettar la vera sapienza. Concliiudiamo adunque, che assai corto è l'umano intendimento, e vacillante nelle sue indagini, e che per rischiarare le sue tenebre, e rin- francarsi nella inquisizione del vero, è necessario il biblico sapere. p. M. GiAcuvTò DE Ferrari de' predicatori. i^mTTmwLAT'^mA Orazione ottava su Veredità di Cirene. li ARGOMENTO ^Puando Girone mancò dì vita, senza che di lui fosse rimasta prole legittima, un suo nipote fraterno, acquistatane l'eredità per diritto che gli venia dal pa- dre, la ricevè dalle mani della consorte di esso Gi- rone (i). Ma il dicitore si richiama in giudizio di quel nipote; affermando sé essere tale a Girone da parte di una figliuola, e che la moglie del defunto aveva spontaneamente porto il retaggio a quello, per- chè accomunandolo a lui , ne fosse anch' ella par- tecipante. Ecco l'argomento dell' orazione : lo stato poi della causa è conghielturale. Imperocché si cer- ca, se il nipote materno di Girone sia o no legitti- mo; e poi si aggiunge un esame intorno alla qualità del suo parentado coli' estinto avolo. Gonciossiachè il nipote fraterno gli si oppone dicendo; che quan- tunque noi concediamo che sia legittima la figliuola di Girone (poiché ella è morta), e il figliuolo di lei qui lo sostenga; è nondimeno da antiporre il nipote Orazione d' Iseo 189 fraterno al materno, in virtù della legge , la qual dispone, che i figliuoli discesi da linea mascolina avanzino di ragioni quelli che procedono da linea femminina. Però il dicitore, messa in silenzio artificio- samente quella legge, contende solo della differenza de' genitori; dimostrando che quanto per attinenza si avvicina al defunto una figliuola più che il fratello di lui, tanto più ne sta lontano un nipote fraterno. Egli adunque secondo il giusto ben si conforta nella sua causa, ma secondo la leggevi perde di valore (2). Inoltre le cose principali di questa orazione si trat- tano con artifizio conveniente. ORAZIONE Di necessità è, o giudici, che noi mal soppor- tiamo uomini, i quali non solo ardiscono di conten- dere l'altrui, ma sperano eziandio di sformar la giu- stizia colle parole ; siccome questi avversari nostri ora a ciò intendono colle lor opere. Imperocché estin- to Girone, nostro avolo materno , non senza figli , ma lasciato noi che siamo di una legittima figliuola sua; pure costoro ne chiedono l'eredità, non altri- menti che i più prossimi di sangue; e oltraggian noi, quasi non fossimo veri figliuoli di una sua, e lei quasi gli fosse nata di un adulterio. Del quale ardimento lo- ro è cagione l'immensa loro ingordigia, e la copia de- gli averi, cui lasciò esso Girone, e che da quelli sono usurpati. Inoltre osando dire, che del defunto non è rimasta cosa del mondo; non temono tuttavia di muovere un piato per appropriarsi quello di lui. Si deve adunque credere, che a me non bisogna pren- dere questa contenzione contro a chi ha domandata igo Letteratura reredìtà; ma contro a Dioclefliese, soprannomato Ore- ste. Poiché egli corrotto ha questo fanciullo per pre- sentarci una briga cosiffatta, e renderci ignudi delle sustanze che furono del nostro avolo innanzi alla sua morte ; e indurci a tanto di pericolo, affinchè quando possa ingannar voi, mossi dal suo discorrere, non restituisca punto del patrimonio da lui occu- pato. Sicché attendendo gl'inimici nostri a tanta frau- do, convien che voi conosciate ogni arte loro; ac- ciocché sapendole pienamente tutte, porgiate con cer- tezza il vostro voto. Che se mai deste attento animo a niuna altra causa, vi prego che del modo slesso l'applichiate a questa, secondo che è diritto. Peroc- ché in quanti giudizi si ebbero in questa nostra patria, ninno vide uomini di minor pudore di co- storo , né piìi dispregiatori del potere e della seve- rità vostra e delle leggi. Laonde ardua cosa è, giu- dici, che uno affatto nuovo del foro esca a combat- tere per tanta impresa contro a chi sa colorire il suo discorso, e contro a testimoni che si discoslano dal vero. Io nondimeno sto in grandi speranze che voi adoperiate in guisa, che parlando io con vostra sof- ferenza, sembri avere sufficientemente provala la ve- rità; purché non mi accada ciò, che ora temo non m'intervenga. Supplico adunque voi ad ascoltarmi be- nignamente ; e se vi paio che porti ingiuria, a di- liberarmene con giustizia. Prima vi additerò come mia madre era una fi- gliuola legittima di Girone, allegandone gli antichi fatti, cui so per udita e fede di testimoni ; e pro- ducendo certe testimonianze, le quali possono ricor- dare le passate cose; e seguendo que' documenti, che sono da più che i medesimi testimoni. Le quali cose Orazione d' Iseo igt dopo che avrò fatte manifeste, vi proverò come con- venga meglio a noi succedere a questa eredità. Il per- chè donde mossero a parlarne gli avversari, io pure là risalendo mi studlerò d'istruirvene compiutamente. Girone avolo mio , o giudici , tolse in moglie una cugina, figliuola di sua zia materna. La quale cu- gina, stata sua donna per picciol tempo e partori- tagli la mia madre, morissi dopo 3o anni di vita : e il suo consorte, che n'ebbe una figliuola senza più, poscia si mena a casa la sorella di Diocle, della quale gli uscirono due figliuoli. Egli poi educava la pri- ma figlia sotto gli occhi dell'altra moglie in un con quelli generati di questa. Quindi essa venuta in età d'ire a marito, vivi ancora i suoi fratelli, fu dal pa- dra impalmata a Nassiraene colargese con vestimenta ed oro da 25 mine. Nassimene però, fatto il terzo o quarto anno di maritaggio, morissi naturalmente, pri- ma di coglier frutto dal matrimonio. Onde Girone avendo ritornata la figliuola a casa, e non riscossane l'intera dote , per malo essere delle fortune del ma- rito, di nuovo la die per moglie al padre mio, do- tatala di mille dramme. Le quali cose da me toccate ripugnano alle ac- cuse degli avversari: ma io, cercando, ho trovato il modo a dimostrare la verità di que' fatti. Imperoc- ché se mia madre era, o no, figliuola di Girone; se appo lui viveva, e il genitore in ambedue le nozze di lei abbia imbandito il pubblico desinare, e se i suol mariti n'abbiano presa dote; tutti questi avve- nimenti debbono esser noti a' domestici e servi di esso Girone. Sicché volendo io a' testimoni, che ho tra mani, aggiugnere un documento tolto dalla tortura de' servi; affinchè voi diale maggior credenza a eiò iga Letteratura che ho narralo di mia madre (contro a cui i miei contrari non recherebbono fuori una opposizione, ma solamente proverebbero quello che già vollero con- testare); io riputai di chiedere Diocle e la sua germana di consegnarmi i familiari e le ancelle , perche mi dimostrassero il vero di tutto questo e di altro che conoscessero. Diocle però, il quale or vi domanda d'impegnare la vostra fede alle sue contestazioni, ri- fiutò la prova della tortura. Quantunque se egli ap- parirà di non aver messo mano a tanto segno di ve- rità, che altro resterà ai testimoni di lui, fuor so- lamente di scoprire il falso di ciò che affermano ? Io così penso; e che non menta, tu or mi logli que- sto testimonio, e lo recita. Testimonio. Voi, o giudici, in privato e in pubblico tenete per forte segno di verità il tormento: e quando i servi e gli uomini liberi si fanno ai tribunali, e conven- ga ritrovarsi il certo delle lor cose, voi non vi ap- pigliale ai testimoni dei secondi , ma ponendo alla tortura i primi, sì procacciate di mettere in luce al- cuna verità: e questo dirittamente. Poiché sapete che alquanti ne' loro testimoni si trovarono mentitori ; ma nessun servo fu mai convinto di falso sotto il tormento. Diocle nuUadimeno , audacissimo uomo, con accomodati parlari e false contestazioni crederà forse di trarre a sé la vostra fede , ritirandosi per questa guisa dalla grande prova della tortura ? Ma noi facciamo diversamente : che slimiamo di dover venire a tanto argomento di servi, i quali avranno a testimoniare, e fermiamo che per averlo quelli ri- Orazione d' Iseo 193 buttato, faccia duopo che così crederete meglio a' no- stri testimoni. Per la qual cosa tu rivela siffatte te- stimonianze, e le palesa a questi giudici. Testimonianze. Chi mai immaginiamo che saper possa tali autichi fatti ? Certo coloro che eran molto domestici dall'avo mio. Essi adunque hanno recato un testimonio d'u- dienza. Chi mai conghielluriarao che abbia a cono- scere il maritaggio della mia madre ? I due mariti suoi, e quale venne agli sponsali di lei. E ciò hanno te- stificato i parenti di Nassimene e di mio padre. Chi può affermare della mia genitrice, che ella era prole legittima di Cirone, e cresciuta in casa di lui ? Essi medesimi avversari, che qui contendono; i quali per avere schivala la prova del tormento, hanno fatto un chiaro testimonio di questa verità. Per il che voi , o giudici, non a' nostri testimoni, sibbene alle con- testazioni di costoro, nostri nemici, negate franca- mente al tutto la vostra fede, Quindi possiamo esporre molti segnali, perchè intendiate che noi siara nati della figliuola di Ci- rone. Conciossiachè, come ciascun avolo suole por- tarsi verso i nipoti, così Cirone non faceva mai sa- grifizio agli dei senza di noi: e quantunque offerisse loro piccioli 0 grandi doni, eravam noi di continuo al fianco suo in quegli atti religiosi; e insieme con lui attendevamo ad essi. E non solo ci chiamava a tali sagritìzi, ma nelle feste di Bacco ci conduceva sempre al contado (3); e noi, sedendogli intorno, guar- davamo con lui quegli spettacoli; ed in sua casa pas- savamo tutti i festivi giorni. Poscia sagrificando a Gio- 194 Letteratura ve, dispensatore di ricchezze (4), ( nel quale sagrifi- zio poneva singolare sludio ), non vi menava servi* né uomo libero forestiere; ma adempieva il tulio di per sé, e solamente noi ne pigliavam parte, metlen- doci a quelle sacre opere, componendo il sagrificio e che altro accompagnava quella religione; mentre egli supplicava al nume , perchè ci desse sanità e ricchezza buona, non allrimenli che farebbe ogni amo- roso avo. Che quando Girone non ci tenea per ni- poti, e soli rimasti a lui, non avrebbe operalo niente di quello che v'ho mostrato; ma tolto a compagno questo, il qual si dice un fraterno suo nipote. E che tali cose sleno vere , lo sanno i domestici dell'avo mio , cui Diocle non volle mettere alla tortura ; e gli amici di quello, i quali vi condurrò come testi- moni. Tu prendi queste testimonianze, e manifestale. Testimonianz e , Non però solo da questi particolari si conchiu- de , che la mia madre era legittimamente nata di Girone, ma anche dai fatti del padre mio e da quelli cui le consorti de' suoi popolani seppero intorno a lei. Poiché il mio genitore il dì che la ricevette in isposa, mise le tavole del nuzial desinare ; convitò tre amici co' suoi congiunti, e portò ai fratori l'of- ferta del maritaggio, secondo che domandano le loro leggi. Quindi le mogli de' popolani elessero la sua donna in compagnia di quella di certo Diocle pit- tese, affinchè fosse sopra le sacre di Cerere e sopra le solite cerimonie di quelle feste (5). Quando poi noi venimmo al mondo , il nostro padre recava ai fratori i nomi uoslri; giurando loro di averci gene- Orazione d'Iseo 19^ rati di una clJladina e legiuima consorte, giusta le leggi patrie. E niuno de' fratori gli si levava incon- tro per impugnare quanto e' diceva; sebbene quelli fileno molti di numero, e sottilmente sogliano ricer- care colesti fatti. Per la qual cosa se nostra madre era tale, quale hanno dipinta gli avversari, non do- vete credere, o giudici , che il suo marito avrebbe posto innanzi agli amici e attinenti suoi quel de- sinare; ne presentato i fratori della offerta maritale; ma nascosamente sarebbesi ammogliato: ne le spose degli altri popolani avrebbon chiamala la sua con la consorte di Diocle nell'ufficio di quelle solennità, è posto in sue mani il governo di esse feste; perchè si sariano volte ad altra donna: e i fratori non avreb- bero accettato noi per cittadini; ma sarebbonsi op- posti e fattisi anzi accusatori , se interamente non si potea trovare che nostra madre fosse figliuola le- gittima di Girone. Ora però di un fatto così palese, e che stava su le bocche di molti, nulla si ravvisò in contrario. E che lutto questo sia vero, tu ne chia- ma i testimoni. Testimoni. Dipoi, o giudici, anche da ciò che ebbe ope- ralo Diocle , detto Oreste , dopo la morte del no- stro avolo , si raccoglie agevolmente come noi per confessione di tutti siamo i nipoti materni di esso Girone. Imperocché io me ne veniva a casa dello estinto avo per trasportarne alla mia il suo cada- vere e quindi al sepolcro, avendo meco alcun pa- rente , cugino di mio padre. Diocle però non vi trovai , quando ponevo il piede in quelle soglie , ma ero accompagnato solamenle da' porlalori. Pre- 196 Letteratura gandoml poi la mia avola, che di sua casa menassi a seppellire il corpo del marito , e offerendomisi a compagna negli uffizi funebri e nel comporre la spo- glia di lui; essa accoppiando colle lagrime le sue pre- ghiere, mi ebbe tutto commosso: onde io condotto- mi a casa Diocle, parlai, presenti i testimoni, come di là volevo menare quel cadavere alla sepoltura ; avendomene la sorella di esso Diocle supplicato. Ma questi , udite le mie parole, non mi rispose ; solo soggiunse avere lui già comperato cosa per quel mor- torio, e postone un certo pegno. Sicché egli mi pre- gava a sclorlo da cotal debito, ed a restituirlo del danaro impegnato per quella compera: dicendomi che poscia mi metterebbe innanzi i creditori. Questo di- ceva Diocle, quasi fuori di quella mia domanda, co- me se del defunto non ci fosse niente da soddisfare a quel credito, sebbene io non facessi un motto delle sostanze sue. Ma quando non fossimo stati nipoti di Girone, Diocle non sarebbe mai disceso con me a quegli accordi; che anzi mi saria venuto incontro con parole amare , e di questa sorta : Chi se'' tu ? Quale necessitici di sangue ti muove a seppellire Girone ? Te non conosco io : ne tu entità la mia casa. Bene gli si addiceva di così rampognarmi; sic- come ora acconcia le bocche altrui a dire contro di me. E' nondimeno non profferse cosa di ciò; e or- dinò che al comparire del nuovo giorno io gli re- cassi quel danaro. E che da me si discorra il vero, tu me ne appella i testimoni. Testimoni. Adunque non solo Diocle, ma neppur questi, Orazione d' Iseo 197 che qui è mio avversario su l'eredità , ebbe siffatta lingua. E Diocle ricusando torre da me il danaro che io gli porgeva; con dire che l'ebbe il dì appresso da costui; pure mi riceveva agli uftizi del sepolcro, ed alle altre opere funebri : non ispendendovi essi del proprio avere, ma delle facoltà del defunto avo. Se dunque Girone non era avolo mio , conveniva a Diocle, mio contrario, di rispingermi , cacciarmi fuori , e impedirmi che io fossi di coloro che sep- pellivano il trapassato. Perciocché noi non eravamo pari di condizione. Che se io gli concedeva, come a nipote fraterno dell' estinto , di celebrare insieme quelle usanze pie ; egli poteva scostarne me, quan- do erano vei'aci i fatti, che ora ardiscono di pronun- ziare. Essi nulla ostante vennero percossi in modo dalla verità di ciò che noi qui favelliamo, che stan- do io in pergamo a discorrere la vita del trapassa- to, e riprendendo Diocle, che per frodarmi della ere- dità incitava chi me la impugnasse ; con lutto ciò il mio avversario non osò trarre fiato a formare un contrario motto sopra di me. E queste cose sono ve- rissime, come ora vi mostrerò, dopo che avrò chia- mati i testimoni. Testimoni. Ma donde si avrà fede alle mie parole ? Forse non dai testimoni ? Io cosi stimo. Come voi starete ai testimoni ? Forse non pel tormento ? Fuor d'ogni dubbio. E perchè non riputerete degne di fede le pa- role di costoro, miei nemici ? Forse non per essersi rivolti dalla tortura? Grande necessità vi ci costrin- ge. Come altronde potrebbesi indicare con più cer- tezza, essere figliuola legittima di Girone la mia ma- 198 Letteratura dre , che additaudolo per quell'esso modo ? E pri- mieramente quanto alle cose state per il passato , allegando i testimoni d' udita ; quanto alle pre- senti, quelli che le conoscon tutte : i quali sanno che in casa Girone si allevava la mia madre, riguar- data da esso Girone non altrimenti che una figliuo- la ; che due volte era impalmata non senza dote , e due volte fatta sposa: quindi recando pure in te- stimonio i miei medesimi oppositori, i quali si scu- sarono dal mettere alla tortura i servi, che aveano chiare notizie di quegli avvenimenti. Ed io, per gli dei del cielo, non avrei certamente a proporre altro di maggior fede che questo ; ma lo giudico essere assai bastevole. Or poi vi mostrerò , giudici , perchè si appar- tenga meglio a me, che al mio contrario, questa ere- dità. Io credo che pienamente vi sia noto, essere per sangue più divisi da un defunto i fratelli e le so- relle, che i figliuoli suoi. Essendoché quelli si ap- pellano collaterali di lui , e questi discendenti. E sebbene le cose si trovino su tali piedi, pure non si ha vergogna di contrastare qui con noi; i quali nuUadimeno v'informeremo più minutamente dei di- ritti de' cittadini. Conciossiachè quando la mia ma- dre spirasse ancora quest'aura di vita, e Girone fosse già corso a morte ab intestato; costui poi, che qui si oppone a me, fosse un fratello non un nipote di lui; avrebbesi egli dovuto togliere per sua donna la figlia dell'estinto; ma non rendersi signore delle su- stanze del suo germano, le quali sarebbono andate ai figliuoli del suo matrimonio, dopoché avessero tra- scorso l'anno secondo della pubertà: perciocché que- ste sono le volontà delle nostre leggi. Se dunque, Orazione d' Iseo 199 lei ancor viva, non ne avrebbe occupali il marito i propri averi, ma i lor figliuoli; cbiaro è cbe moria lei, lasciata prole di se, che siamo noi, solo a noi, non ad altrui si aspetta l'eredità. Ma tutto questo è ben palese non tanto da quelle leggi , quanto da ciò che è stabilito sopra la mala cura, che ai parenti pongono i lor figliuo- li. Imperciocché se stesse ancor nel mondo l'avolo nostro , e fosse disagiato di quello che a ben reg- gere la vita ci si conviene; non questi, ma noi sa- remmo condannati nella rea cura di lui. Che la leg- ge obbliga i figliuoli a procurare la vita de' lor pa- renti : e i parenti sono il padre, la madre, l'avolo, l'avola , e i genitori di questi, se «ci vivano tutta- via. Essi adunque sono il ceppo della famiglia; e il patrimonio loro debbe andare a tutti i suoi germo- gli. E però forza che quelli si alimentino, comechè non abbiano che lasciare ai propri eredi. Ora dun- que perchè si dirà giusto, che noi incorriam nella pena di non avere sostentati i congiunti nostri, tut- toché non lascino cosa dopo di loro; e per l'oppo- sto se ne rimangano le facoltà, le erediti costui, non noi ? Certamente qui è ingiustizia. Inoltre voglio ravvicinare insieme i germani e le germane di Cirone e i discendenti suoi; e poi chie- derò voi di giudizio intorno al più 0 al meno pa- rentado loro : e per tale via con molta agevolezza raggiungerete il vero di questa causa. Chi per pa- rentela sta più da presso a Cirone, la figliuola od il fratello ? Quella senza dubbio : poiché l' una è generata di lui ; l'altro è nato di uno stesso cor- po. Chi é più congiunto con Cirone, que' che so- no nati della figliuola , od il fratello ? Certamente 200 Letteratura i primi : perocché sono famiglia e generazione sua, non collaterali. Per la qual cosa se noi di tanto su- periamo il suo germano per affinità, quanto più van- taggeremo un nipote suo fraterno ? Io temo, giudi- ci , che fermandomi ora ad esporvi cose che ogni di vanno attorno, non vi riesca un rincrescevole di- citore. Che tutti voi entrale nelle paterne eredità e in quelle degli avoli e de' padri loro, possedendo una irrepugnabile parentela per discendenza : onde io non ho memoria , che prima di questo tempo sia venuto in giudizio affare di tale condizione. Tu adunque riferisci la legge della rea cura de' figliuoli verso i parenti; ed io procaccerò di ragguagliarvi, o giudici, di ogni jcagione, la quale ha partorita que- sta con lesa. ^esse. Girone possedeva questi beni : una terra appo i fliesi da un talento certamente : due case in cit- tà; l'una di affitto, situata presso al tempio di Bac- co in Llmne (6), da trovarne 20 mine; l'altra, ch'era la sua slanza, del prezzo di mine i3. Quindi aveva servi mercenari, due ancelle e altra fante ; e tutto l'altro insieme co' servi del valore di i3 mine : il resto poi degli averi che comparivano , montava a mine 00: e infine molto danaro a frutto. Alle quali sustanze Dlocle e la sorella poneano insidie, tosto che morirono i due figliuoli di Girone. Imperocché Diocle non rimaritò la sua germana, benché potente a portare tuttavia figliuoli da altro consorte, e non da Girone già vecchio d'anni: affinchè, lei allogata con altrui, il suo primiero sposo non disponesse delle Orazione o' Iseo 201 sue robe altrimenti, e come si conveniva; ma la in- dusse a durar con quello, e dire esserne grossa, e fare vista di averne sformalo il parto: acciocché que- gli, colle speranze di altri figliuoli, si rimanesse dallo adottare uno di noi. Esso Diocle poi accagionava il nostro padre d' insidiare le facoltà del suocero. Il perchè stimolava Girone a pone in sue proprie mani il freno di tutto quello di lui, e delle usure e dello intero mobile: né mai lasciò con arti servili e adu- latorie di sospignervelo, finche non vide essere ve- nuto in podestà sua quel patrimonio. Egli però con- siderando , che io avrei cercato di redare T avolo dopo la sua morte, non mi attraversava l'andare a ''quello, il servirlo, e conversare insieme: poiché teme- va, che quando mi fossi rotto con esso, non mi ac- cendessi d'ira contro a lui: ma sollecitò chi m'im- pedisse il dominio delle robe di Girone, regalandolo di una gran parte di quelle , dopo di avere savia- mente guidala la contesa ; e traendo a sé il rima- nente: ponendogli in bocca che il defunto non aveva lasciato cosa, né possedeva bene del mondo. E dopo che Girone si moriva , Diocle preparato il funeral vestimento al suo cognato estinto , mi commetteva che gliene recassi il danaro per averlo comperato ; come, o giudici, udiste già testificare : e poi dissi- mulando esserne stato rimborsato da questo mio op- positore, non sofferse che io' lo rinvestissi; operando chetamente cli'egli, non io, avesse a mettere nel se- polcro l'avolo mio. Per il che quistionando Diocle meco della casa di Girone e delle altre facoltà sue; e affermando non esserci rimasto nulla; io di con- siglio de' miei amici, i quali mi vi esortavano, non G.A.T.GII. 14 303 L ETTERATURA credetti che in occasioni così fatte rai convenisse trarre a forza, e menare in casa il corpo dello estin- to avolo ; ma in compagnia di Diocle e suoi con- sorti feci il funebre compianto sopra di lui, e il sep- pellii; spendendovi degli averi di esso defunto. Ecco il modo onde condussi quel mortorio in mezzo al mio dolore: e perchè questi non mi soverchiassero di niente in quell'esequie, con dire al cospetto vo- stro, che io non aveva porto nulla del proprio per seppellire Girone; interrogato un savio e accorto di queste usanze patrie, di suo parere spesi del mio , e sopra il sepolcro del trapassato celebrai i funerali uffizi il dì nono, che il corpo di quello fu compo- sto dentro, acconciatili da mio pari splendidamente; per togliermi da dosso ciascuna macchia di sacrile- gio, che gli avversari mi avrebbono appuntata; e per- chè eglino non comparissero d'aver posto mano ad ogni ufficio senza di me; ma che ancora io vi ri- volsi l'opera mia. Queste sono le cagioni, donde si generò fra noi tale contesa. Inoltre voi, se attenderete alle scellerag- gini di Diocle, e quale e' si parve in altre azioni, tutti darete fede alle mie parole. Imperocché egli ha te- nuto un patrimonio altrui, dal quale ora gli viene quello splendore di vita; e che si apparteneva a tre sorelle nate di una stessa madre, lasciate ereditarie: dicendo sé essere stato chiamato erede nel testamento dal padre loro, quando questi si moria intestato. E poiché due mariti di quelle si levarono a difendere per le consorti le ragioni, che esse aveano sopra le usurpate facoltà loro ; Diocle cinse per modo di false liti lo sposo della maggiore , che fattegli insi- die, l'ebbe infamato ; e quindi da lui accusato d'in- Orazione d' Iseo 2o3 lamia, tuttavìa non ne portò mai le meritale pene. Quanto all'altra, esso Diocle fece morire dì mano d'un servo il suo marito ; e trafugato di Aleue quell'uc- cisore, rivolse nella consorte l'omicidio : e con que- sto suo ardimento commossala di paura, rapiva al figlio dell'ucciso le suslanze; poiché si fece suo tu- tore, e n'occupava una terra, cui gli mutò in cara- pi tutto sassi e di minor pregio. E che io di ciò non sia bugiardo apportatore, posso chiamarvi, o giudici, i testimoni, se vogliano favellare, e non li ritenga niun timore della possanza di Diocle: altrimenti vi porgerò quelli di altri, i quali pur conoscono simili fatti. Tu mi appella primieramente questi. Testimoni. Diocle adunque si gagliardo ed insolente, or- bate del retaggio degli avi le tre germane, non riman lieto di quello di esse: ma perche non ha pagate an- cora le pene a lui soprastanti, qui si adopera di fare ignudi ancor noi dell'erediLà del nostro avolo. A que- sto mio avversario poi essendo largo di ben due mi- ne, siccome udiamo, acciocché ci contrasti quel pa- trimonio; ci mette eziandio in pericolo della stessa patria. Imperciocché se voi , ingannali da lui, cre- derete mai che nostra madre non era cittadina, nep- pur noi saremo tali; noi che nascemmo dopo il ma- gistrato di Euclide. Per la qual cosa vi sembra, o giudici, che Diocle ci ponga innanzi un contendere di poco affare ? Conciossiachè vivo l'avolo e il no- stro genitore, noi non sostenemmo mai piato di que- sta sorta; e menavamo tutto quel tempo fuor di li- tigi: ma poscia che quelli passarono , ci comporte- remo forse l'obbrobrio di avere un dì conteso del no- 2o4 Letteratura stro essere civile, quantunque restiamo superiori: col- pa di questo Oreste, che gl'idJii ci levino dinanzi agli occhi ? Questo Oreste che colto in adulterio , e sopportatane penitenza propria di cui quivi fallisca, pure non ha l'animo di uscire una volta dai brutti amori, come i consapevoli lo testimoniano? Laonde chi egli sia, ora intendete: meglio poi intenderete, quando noi avremo tolta azione contro di lui. Finalmente vi prego e supplico a non consentire, che io venga da voi giudicato ne' miei danni col l'essere tratto fuori di questa eredità; ma a soccorrermi, quanto si può da ognun di voi. Che ora avete innanzi agli occhi molta fede di testimoni, della tortura e d'esse leggi, le quali dicono che noi siamo della figliuola legittima di Gi- rone; e che l'eredità spetti a noi, che veniamo dì questo, non a costoro. Sicché ripensando il giura- mento, pel quale qui tenete ragione, il discorso no- stro e le leggi, pronunciate su questa causa una sen- tenza giusta. Non veggo poi che a me bisognino più parole, quando ho per fermo , che voi non prenderà niun dubbio di quello che ho ragionato. E in fine tu sco- pri a' giudici cotesta ultima testimonianza; come cioè Diocle venne trovato corrompitore della pudicizia al- trui; e la palesa. Orazione d' Iseo aolj DICHIARAZIONI Albero della famiglia di Girone. N Fratello di Girone I Figliuolo Avversario del dicitore Seconda Moglie =" Girone Prima Moglie Due figliuoli Figliuola Sposa già di Nassimene^ e poi di quello da cui nacque il dicitore e altro figliuolo (1) Seconda moglie di Girone, e sorella di Diocle, (2) In questa causa l'avversario ha un proprio diritto ai be- ni di Girone , secondo la legge attica, la quale è sopra le succes- sioni all' eredità , e che viene sposta nella dichiarazione 4 della settima orazione. E sebbene il dicitore rechi in mezzo forti argo- menti in suo vantaggio, essi nondimeno non sono tali da stare in- contro a quella legge. Però 1' orazione è preparata di un' arte la più sottile per aiutare in alcun modo la causa del dicitore. (3) Le feste di Bacco ritornavano agli ateniesi due volte Tanno: r una erano celebrale di primavera, dentro alla città , quando gli alleati pagavan loro il tributo : l'altra d' inverno, fuori al contado; quando i forestieri pei disagi della stagione non vi poteano essere. Carlo Sigonio, Della repubblica ateniese, 1, 4. Pietro Castellano, Delle feste de' greci AiovuVia. '4) A Giove dispensatore di ricchezze era fabbricato un tempio nel Pireo. Antifonte, nell'orazione contro alla matrigna. (8) Da questo passo e da quello dell'orazione terza d'Iseo noi conosciamo che le matrone ateniesi deputavano due donne, figlie di legittimi genitori, signore e presidenti delle solennità di Gerere e di Proserpina. (6) Luogo di Atene, dove Bacco aveva onori e tempio. Meursio, Delle principali antichità ateniesi 3, 4. Pietro Castellano, Delle feste de' greci AiovuVta. aoB Sopra alcune iscrizioni antiche trovate nel ter- ritorio riminese^ le più delle quali ancora ine- dite. Osservazioni di Domenico Paulucci. AL CHIARISSIMO AMICO AVV. GAETANO DE MINICIS DI FERMO. JJL iù volte in me stesso divisato avea, amico caris- simo , di presentarvi copia de' marmi scritti da me raccolti nell'agro riminese, perchè voleste esternare sui medesimi lo scientifico giudizio vostro: ben co- noscendo quanto nell'antica epigrafia siete valentis- simo, e come sj vari e preziosi monumenti vi sieno carissimi; ma le molte giornaliere mie occupazioni d'uffizio, che assai mi pesano, e più ancora l'obbligo che imposto eraml d'illustrare, per quanto era in me, la copiosa serie delle figuline che possiedo, m'hanno infino a questo punto dal farlo distolto. Ora però che trovoml con qualche briga di me- no, per aver condotto a termine il mio lavoro sulle figuline , e che nell'onorarmi nel novembre scorso di vostra graziosa visita vi piacque eccitarmi a non rilardare più oltre la pubblicazione de' marmi stessi, e spezialmente de' ventìcinque inediti, per non tenere di più la classe de' dotti priva della conoscenza di esse, sonomi determinato di appagare il vostro ed il I Iscrizioni riminesi 207 mìo desiderio. Nel far che credo ulil cosa corredare questa mia particolar collezione di alcuue osserva- zioni dirette a far conoscere, trattandosi delle lapidi inedite, il luogo ed il tempo della loro dissotlerra- zìone, non senza quelle notizie che intorno ad esse ho potuto raccogliere; e per le già edite porre sot- t'occhio le precise lezioni tolte dagli originali mar- mi che conservo; giacché i diversi collettori delle la- pidi riminesi, cioè l'Anonimo (i) conosciuto sotto il titolo di codice rigazziano, Sebastiano Bovio de Gherardi (2), Cesare Clemenlini (3), monsig. Gia- como Villani vescovo di Caiazzo (4), Giuseppe Ma- latesta Garuffi (5) , Tommaso Temanza (6) , Jano Planco (7), pubblicandone chi un numero chi un altro si copiarono fra loro, variando anche talvolta le lezioni, cangiando nomi, omettendo o aggiungendo parole ; il che vedesi altresì praticato nelle copiose collezioni del Grutero, del Fabretti, del Muratori , del Maffei, nelle quali le nostre iscrizioni trovansi in gran parte registrate. Eccovi pertanto, 0 amico, il mio qualunque siasi lavoro , che spero non solo vorrete accogliere con quella cortesìa che è propria del cuor vostro , ma vorrete dippiù esternarmi sul medesimo le sagge ri- flessioni vostre, che desidero assaissimo, come ane- lo quelle di chiunque credesse in ciò favorirmi. Se mai otterrà alcun favore presso gli intelli- genti, di voi solo mi terrò debitore; di voi che con tanta sollecitudine mi animaste ad occuparmene; di VOI che con tanta amorevolezza a correre si ardua palestra m'incoraggiaste. Continuate, vi prego, ad avermi nel novero dei vostri amici; tenetemi avvisato delle scientifiche sco- 2o8 Letteratura perle che tutto dì fate, per le quali diviene sempre più ricco il vostro museo, onore del piceno suolo : che io nella mia pochezza farò altrettanto con voi; e così l'un l'altro usando avremo soventemente oc- casione di ripeterci i leali sentimenti dell' amicizia nostra. Rimini 26 di gennaio 1845. (1) Codice M. S. nella MbllotPca Gambalunga in Riinini. (2) Codice inedito nella ptiblica biblioteca amadiizziana legata al comune di Savignano. (3) Raccolto istorico della fondazione di Rimini, voi. 2. Rimi- ni pel Simbeni. (4) M. S. nella biblioteca Gambalunga intitolato - De Vetusta Ci- vitate Arimini et eius episcop. - (5) Lucerna lapidaria. Arimini -1691. typ. Ferraris. (6) Delle antichit.'i di Rimini, libri 2. Venezia. (1) Novelle letterarie. I. Iscrizioni inedite HONORIE... FBMINAE... FAESELLIRV.... POSSESSION.... COLLEGI.... II. NASINIAE TITI . LABEONIS IN FBONTEM P XIIII IN AGRVM P XVI III. PVBLILTAETF IN FRONT . P . XX IN ACR • P . XX IV. Q • LOLLIVS OF AN VI. 209 V. L. PLE NIO. PRO FVTVR O ■ OVI VIXIT • A NN . XLI MENS VI DIES . V CON IV Gì INCOMPA RJBIL I TEDIA MAR CELE INA ET • LL • PLE Nll CRESCENS ET PROF VTVRVSIVN-PATRI VIL M IVRIO SEVERO FILI PATRI SVO BENEMEREN TI FECERVNT VIIL BONOSO . ORD . . . MACEDONICL . . . DRINA VXOR ETR . . . TIA FILIA BENEM M VN OS • XL • ME XII . . MIL DM FAESTE CONSERB MERENTI ITALICVS • PO SVIT IX. MTREBE LLIO ... HOMINI INNOCE LTGINI A miK.,.. CONWQ aio E T T E R A T X. U R A XIV. D ET SIGN « ARG • VII ET • MACINE EX • AVRI • P . II ET FILA II EX CYLINDRIS N XXXIII AVRÒ • CLVS TPI XI. CASSIAE . . . - LERIAE . . . AN . LX . . . ATRI . . . POS EIV . . . XII VRBAN . '. STATIA • D . . . FILIO ERNA FRATER XV. M • • . RNIN ... YSIS XVI. PAVL.... XVII. ....Q-F-AN L •BAR VIR . . . . VAL ESTORI . . . T. COLLEG . . , RAM • FID . . • XVIII. IS MAINIBV ASELLIA XIII. SS-NN NAE IXIT ANN MENS VII ELIVS RCVLVS G LIBE . . . XIX. . . . VIAR . . X • VIR • AV AVGVST TIMAM • FEC STA Iscrizioni riminesi 211 XX. XXV. DIS MANIBVS MVNATIAE ELPIDIS MVNAT IFS CHRYSEROSF XXI. . . . LICOP . . . XXII. C L . IDI . CV LIB xxm. H IC RECVBO Ove RE/V\'G)V NO.NPAS/ S WE DABAM-Vfi^ TALEAM0MIS50 f O V o >S © C r ISCRIZIONI INEDITE D GIR cmiv XXVI. FORO QEST. L FAESELLIO L ... MED-I AN.RVFIN0-J5:r... VEGIAE-C-E-TERTV. XXIV. PARENTIBVS PIENTI. T FAESELLIVSL-F-A. M • PSIVS . . . INVS • FIL . ET L FAES . ET AVGV . . ^ CIT • ETS . . XXVII. e GALERIVS ANTIOG ATILIA • EROTIS • SIRI SVIS HAVE DVCISSVM 212 L E T TERATURA XXVIII. XXXII. HAVE D. DM L-BABID . . . EVPHROSYNE CAESIAA . . . C . SENTIVS CONIV . . . PHRONIMVS ET SENTIA XXXIII. SATVRNINA PARENTES ... VPERC • LAVR • LA . FILIAE ... II VIR.III VIRAED • P PIENTISSIMAE ... ABR • ET • CENTONA VIXIT • ANN • XII -D -XXVI . . . T INDVSTRIA MI . . VALE XXIX. e • MARI • C • L • GATTAE XXX. GEN IO L ARVM ^ORR^/'P^PIANI LLEP ID/ VSP OLITICVS CPFP IV 5- 5LASTVS DD XXXI. Q • PVPIVS SALVIVS MINERVAI V-SLM XXXIV. D.M SABINIAE • VENERILE QVAE-VIXITANNXXXI MENS • VI • DIEB . XII SABINIA • AQVILINA MATER . FILIAE DVLCISSIMAE ' ET PIENTISSIMAE CONTRA- VOTVM.SVVIV POSVIT XXXV. D M GABINIAE • EVHODIAE COIVGIET.COLLIBERTi OPTIMAE IVVENALIS Iscrizioni RIMINESI XXXVI. XXXIX. D M DM AVILLIAE C • FANIO lANVARIAE THALLO L • AVILLIVS ET PAINI DIADVMENVS AE VERE VXORI OPTIM CVNDE M • G JLLI XXXVII. VERECVN DVS PAA IVSTINAE B M OSS XXXVIIL D. M C TITIO VA LENTINOP ATRI PIEN TISSIM TIT 2l3 \ jai4 Letteratura I. Questo frammento presso di me inedito , tro- vato l'anno 1828 nella villa di s. Mai-ia in Cerelo nel territorio riminese, villa che ne' romani secoli si credè facesse parte del vico dianense, sebbene, come alcuni la pensano, i sette vichi ricordali dalle lapi- di rirainesi potevano esistere nell'interno della città, ricorda, per quanto sembrami , la illusire matrona che fu moglie a Fesellio RuCfione patrono della co- lonia riminese, la cui iscrizione, che una volta esi- steva in questa città, da diversi istorici riportata, ma con molti errori, spezialmente dal Clementini tom i pa. 37, e che fa parte ancora delle collezioni del Grutero, del Fabretti, e del Muratori, è la seguente: C. FAESELLIO. C. F. AN RVFIOPsI. EQ. PVBL CVR. REIP. FORODR. PATR. COL. ARIM ITEMQ. VIGANORVM. VICORVM. VII ET. COLL. FABR. ET. CENT. OPTIMO. ET RARISSIMO. CIVI. QVOD. LIRERALITATES IN. PATRIA. CIVESQVE. A. MAIORIBVS SVIS. TRIBVTAS. EXEMPLIS. SVIS. SVPE RAVERIT. DVM. ET. AISNONAE. POPVLI INTER. CAETERA. RENEFICIA. SAEPE SVBVENIT. ET. PRAETEREA. SINGVLIS YICIS. MVNIFICENTIA. SVA. SS. XX. N. AD EMPTIONEM. POSSESSIONIS. CVIVS. DE REDITV. DIE. NATALIS. SVI. SPORTVLAR DIVISIO. SEMPER. CELEBRARETVR LARGITVS. SIT. OB. CVIVS. DEDICATIONEM SS. N. im. VICANIS. DIVISIT VICANI. VICI. DIANENSIS POSVERE Iscrizioni riminesi 2i5 Così di questa famiglia lasciò scritto il p^. Fiori nel- le sue schede esistenti nella succitata Gambalunga. ,, C. FAESELLIO Cai filio ex tribù ANiensi RV- » FIOJNI. Rufu cognomen romanum fuisse a colore » pilorum deductum , inde fortasse Rufionis agno- » men hic C. Faesellius traxit. » Dalla lapida dedicatagli dai vicani del vico dia- nense, qui sopra riportata, vedesi come Fesellio vo- lendo beneficare gli abitanti de' vichi riminesi la- sciò sestertium vigiliti millia minimum, che corri- sponde a scudi 35oo di nostra moneta, per l'acquisto di un fondo, colla cui rendita nell'anniversario del suo di natalizio si avessero a far largizioni. Ora dal nostro frammento ricaviamo: prima, che la moglie di Fesellio restò superstite al marito: se- condo, ch'essa die esecuzione alla volontà di lui nel- l'acquisto del podere, che forse assegnò al collegio de' vicani o de' centenari. Peccato che non ci sia dato di poter conoscere il nome di sì ragguardevole matrona , che tale es- ser dovea pel titolo di HONORIFIcentissiraa che le vien dato ! Titolo che si ha ancora nella lapida ri- minese di AVRELIA CAUGINIA riportata dal Cle- mentini nel voi I pag. 46» della cui famiglia poteva essere il medico di Filippo re di Macedonia ricor- dato da Tito Livio nel lib. XL cap. XXX in fine. Dei Feselli abbiamo diversi marmi, uno de'quali da me posseduto, ma edito, viene posto sotto il nu- mero XXVI. IL HI. Il chiarissimo arciprete Luigi Nardi nella de- scrizione autiquario-architettonica dell' arco di Au- 2i6 Letteratura gusto, ponte di Tiberio , e tempio malatestiano di Rimino , data in luce pei tipi Marsoner e Grandi nel i8i3 (che in sostanza non è che la ristampa con aggiunte dell'opera del Temanza edita in Vene- zia ed intitolata « Delle antichità di Rimini »), pub- blicò per inedita la lapida di NASIINIA, senza far sen- no che era già edita dal Rebellino nella Minerva o giornale di letteratura n. XLV, e dallo stesso Te- manza. Essi però ebbero sotl'occhio altra simile iscri- zione esistente nella casa di lano Plance, levata pa- rimenti dal sepolcro di Nasinia: poiché due ne esi- stevano, l'una rivolta all'Emilia, l'altra alla campagna. Ho creduto perciò porla fra le inedite, onde dar co- gnizione della esistenza di due simili lapidi. L'altra poi di PVBLILLA al n. Ili, tuttora ine- dita, fu dissotterrata nel iSJg in poca distanza dal luogo ov'era il sepolcro di Nasinia. Questo Labeone, che esser dovea uno de' patrizi, siccome quelli spesso il prenome di Tito assumevano , appartener poteva alla gente ACCIA della colonia pesarese a noi prossima; del cui casato si crede quel- l'Accio Labeone, che avendo goffamente trasportato dal greco in latino V Iliade di Omero, Persio irride nella satira I al verso 4 • )).... Et Troiades Labeonem » Praetulerint : ed al verso 20 : )) Ingentes trepidare Titos, cura carmina lumbum » latrant .... Iscrizioni riminesi 21 7 Erroneamente alcuni confusero Tito Labeone con quel Tito Labieno capitano di Giulio Cesare, che dicesi fondatore di Cingoli, perchè ritornato dalle Gal- lio aumentò di molte fabbriche quel paese. È inusitata la dizione IN FRONTEM , IN AGRVM, che leggesi nella lapida n. II, trovandosi sempre IN FRONTE, IN AGRO. IV. Fra tutti i marmi riminesi pubblicati da' col- lettori e storici niuno ve n'ha che la famiglia Lollia ricordi, la quale apparteneva alla tribù aniense, come dalle iniziali della seconda riga. Questo fu scoperto 1' ottobre 1824 nella villa di Casalecchio posta nel territorio riminese, dove mi si disse che altre iscrizioni si erano trovate, ma che invano ho cercato e cerco. Fu la famiglia Lollia una delle consolari, e battè due monete , la prima delle quali ha nel dritto la testa della libertà colla epigrafe LIBERTATIS, e nel rovescio i rostri e la leggenda PALIKANVS. La seconda poi nel dritto ha una testa laureata con leggenda HONORIS, e nel rovescio una sedia fra due spighe con epigrafe PiVLIKANVS. Sarebbe desiderabile di rinvenire di questo Q. Lollio qualche altra memoria a maggior lustro di que- sta città. V. Fin dal 1816 fu scoperto questo sasso nel cam- po Linardi presso Rixnini, dove lano Fianco tenne opinione che esistessero le fornaci pansiaue : su di G.A.T.CIL i5 2i8 Letterjvtura che ho esternato il parer mio nella illustrazione delle figuline dell'agro riminese, che quanto prima verrà alla luce, producendo in essa questa lapida a mag- gior prova che quel luogo non era altrimenti dove esistevano fornaci laterizie, ma bensì un pubblico cimitero. Nella 3 e 4 riga leggerei « Conserve Beneme- renti: » perchè la lettera B è iniziale del bene^ come dal Manuzio. Non è fuor d'uso questa dizione, avendosi an- cora negli Arvali di monsign. Marini pag. 34i5 D M lAOLENAE THYCENI NARCISSVS CONSERVA BENE MEHENTI FECIT VI, Nel 1825 in un campo del nobil uomo sig. Carlo Agli di questa città fu dissotterrata questa lapide in più pezzi ed alquanto mutilata; alle cui mancanze il chiarissimo sig. cav. Bartolomeo Borghesi supplì come alla seguente lezione: L- PLENIO- PRO FVTVRO- QVI VIXIT- ANN- XLI MENS. VI- DIES- V CONIVGI- INCOMPA RABILI- TEDIA- MAR CELLINA- ET- LL- PLE NII- CRESCENS- ET PROFVTVRVS- IVN- PATRI Iscrizioni riminesi 319 Il detto campo forma una vasta pianura lian- cheggiata da una parie dal fiume Conca, una volta CRVSTVMIVM, nella quale è tradizione esistesse l'antica città di Crustumio, che Francesco Pera da Imola nel suo ristretto della provincia di Romagna pone fra le sette città nella Romagna stessa rovinate. Io porto opinione che a ciò credere lo indu- cessero gli antichi monumenti , che spesso in que' dintorni si trovano; sehbene ne'tempi medi non eravi che un gruppo di case che veniva denominato Ca- strum Conchae. Così difatti è chiamato nel codice bavaro riportato dal Fantuzzl ne' monumenti raven- nati: il qual codice contiene atti dal VII al IX seco- lo. Alla pag. 19 del tora, I. « Tepr georgio archiepo » de omib pertinenciis suis pos in loco g dicit Conhe » ter arimines: » ed alla p. 82: « Pecias vinearu quas » tenuit qud scds draconarius cu suis iustis et cer- » tis in tra finib que loca s pos ter castro Conhe. n Nel privilegio di Ottone imperatore a favore di Uberto vescovo di Rimini, per alcune chiese e mo- nasteri dato l'anno 996, si legge: « Plebem s,Geor- » gii castri Concae cum oratorio s. Stephani.» Nell'atto col quale s. Pier Damiano nel 1071 assoggettò la chiesa di s. Gregorio in Conca al ve- scovo di Rimini, descrìvendo il suo cenobio disse : « Fundalum iuxfa fluvio Conca in territorio Castri » Conca plebe s. Gregorii. » E col nome di Castrum ,è chiamato in molte pergamene del XII e XIII se- colo esistenti presso di me, e nella bolla di Lucio II data l'anno ii44 ^^^ conservasi nell'archivio di que- sta cattedrale. Ai tempi del cardinal Anglico convien dire che fosse questo paese quasi perito^ giacché nella sua de- 220 Letteratura scrizione della provincia di Romagna del iSyi pose: (t Castrum Conchae in quo sunt focula X. » Se però non fuvvi la città di Crusluraio de- scritta da Viblo Sequestro, e che Biondo da Forlì nella sua Italia illustrala disse inghiottita dal mare per gli avanzi di una torre che a suo tempo vede- vansi nell'Adriatico, ove il fiume mette foce, certo è che furono in quella vasta ed amena pianura de* ricchi villaggi , facendone fede i niccoli, le corniole, i sigilli, gl'idoli, le monete, e fanti altri oggetti di archeologia che spesso si discoprono in quel suolo, senza considerare quelli che per incuria e negligenza de'coloni nel lavorare il terreno periscono. Non è mollo che si rinvenne il sigillo seguente, favoritomi dal nohil giovane sig. Giovanni Agli: F • A • N Questo sigillo è notabile per le due epigrafi che pre- senta, la maggiore nella tavoletta sottoposta al cer- chio, l'altra nella sommità del cerchio stesso. VII. Presso la via regia, che distaccandosi dalla Emi- lia presso Rimini conduce a Ravenna , fu rinvenuto nel 1828 nella villa di Bordonchio questo sasso. La semplicità della iscrizione, ed il sentimento d'affetto che in essa è espresso, ben dimostrano l'amo- re che i figli pel loro padre sentivano, e come vo- levano eternato il loro dolore. Iscrizioni rimingsi 291 Vili. Nel demolire il dì 24 luglio i83G un muro dell'antica casa Gridolfi, ora Romagnoli, situala presso il pubblico palazzo di questa città, si rinvenne que- sto marmo. Sarebbe stata util cosa se si fosse po- tuto conoscere sotto a clii militò questo Bonoso, che appartenne alla legione macedonica. La lapide è sepolcrale, ben rilevandosi dal BE- NEM nella 4 riga riferibile alla moglie e alla figlia del decesso. IX. Lungo l'antica flaminia, che dal maestoso arco di Augusto si dirige verso Pesaro, di continuo tro- vansi sassi sepolcrali, per l'uso ch'era ne' secoli ro- mani di dar sepoltura ai trapassati in vicinanza alle vie pubbliche , e spezialmente presso la flaminia , l'appia, e la latina, come osservò l'eruditissimo Por- cacchi ne'suoi funerali antichi. Fra i diversi, pochi anni sono, si rinvenne que- sto frammento che ci ricorda un individuo della fa- miglia Trabellia, e la moglie di lui Licinia Aezia. X. Nel mentre si gittavano nel dì 14 di novem- bre i833 i fondamenti di un fabbricato nel nuovo sobborgo di porta Montanara di questa città, fra mol- te pietre ivi ammassate raccolte ne'vicini campi tro- vai questo marmo. Sebbene in esso non si legga n che un frammento di testamentaria disposizione, tale 222 Letteratura polendesi giudicare dalle ire ultime iniziali indicanti la formola testainenlaria Testamento Poni lussìt', pu- re interessa assaissimo pei doni ivi indicati, fatti forse a qualche tempio, o crederei meglio a qualche divinità. E difatti , oltre alcuni ornamenti d'oro e d'ar- gento , prescrive V offerta di due fda di cilindri in numero di 33 chiusi in oro, o, come noi diremmo, con sue fermezze d'oro. Il cilindro, secondo Plinio, è una gemma verde lucida, ch'egli descrive al cap. V del libro XXXVII ove parla de'berilli, così esprimendosi: « Ideoque cj- »; lindros ex iis facere malunt quam gemmas, quo- » niam est summa comraendalio in longitudine. Qui- » dam et angulosos putant statini nasci , et perfo- » ratos graliores fieri raedulla candoris exempta,ad- » diloque auro repercussa aut omnino castigata cau- » sa perspicultatis ad crassiludinem.» Giovenale nella satira II, descrivendo gli orna- menti delle tlonne, dice: « Donant arcana cylindros »; su di che l'eruditissimo Giorgio Merula alessandri- no così si esprime: «( Lapilli sunt oblongi, quibus rau- » lieres et donabantur et ornabantur et » elephantorum selis religabant cylindros: ex his fa- » cere malunt quam gemmas. Quoniam est summa » commendatio in longitudine. » E Solino trattando de'cilindri scrisse: « Indicos reges gemmas in longis- » simos cylindros fingere consuevisse. » Ora questa qualità di gemma non è da noi co- nosciuta. Il vedere nel nostro marmo descritto, oltre oggetti d'oro e d'argento, le due fila di cilindri con fermezze d'oro, fa credere che il dono fosse di molta conseguenza, ed il donante o la donante appartenes- se a famiglia assai distinta di questa città. Iscrizioni riminesi 228 XI. In vicinanza a s. Arcangelo, una volta terra co- spicua del territorio riminese e da pochi anni dichia- rata città, venne scoperta questa parte d'iscrizione in un podere de' conti Baldini situato presso l'an- tica pieve, ove sonosi rinvenuti ancora vari cinerari, tegole scritte, lucerne sepolcrali, e diversi altri og- getti di antichità. Per essere la lapida mutilata non mi è dato determinare se in essa è ricordata una della famiglia Calerla, o Valeria, poiché e l'una e Taltra apparteneva alla colonia riminese, di cui si hanno diverse lapidi. La Valeria era assai più diramata, della quale esser poteva quel TVB- VALERIVS- SECVNDVS- ARIM registralo in uno de' latercoli pubblicati da monsig. Marini nella erudita opera degli Arvali alla pag. 827. Il fondo Acerboli, su cui è fondato s. Ar- cangelo, è creduto da alcuni istorici il VICVS- GER- MALVS ricordato nelle nostre lapidi ; per lo che tennero che i sette vichi riminesi si estendessero ne' paesi che fanno corona alla città nostra. Ma così non la pensò il succitato Nardi, il quale seguendo il Maf- fei, il Marini, e l'Amaduzzi volle provato che i vi- chi non si estendevano nell'agro, ma ripartivano la città in sette parti a simlglianza di Roma. Su di che in altra circostanza prenderò io pure ad ester- nare il parer mio. XII. Nel demolire un antico muro nel sobborgo di porla Romana di questa città, il di 8 aprile iBaS, 224 Letteratura si scoprì questo frammento che ci presenta gli atti dolorosi (leirafflitta madre per nome STATL\ verso il dilettissimo figlio VRBAINO. XIII. Parte di una iscrizione sepolcrale trovata nel febbraio i835, nella villa di Bordonchio, dove si rin- venne la lapide al n. VII. Sarebbe stato desiderabile aver per interi i no- mi de'liberti d'Augusto che il sasso posero, fra' quali possonsi annoverare Aurelio ed Ercole. XIV e XV. Questi due frammenti furono scoperti 1* an- no 1828 nella villa di s. Martino Monte l'Albate, due miglia circa dalla porta orientale. II primo sotto la iscrizione ha in rilievo la lesta di un giovanetto imber- be. Nell'altro sembra potersi leggere nella 2 riga SA- TVRNIINI: la qual famiglia è ricordala in altra la- pide che qui si dà sotto il n. XXVIII. XVI. In un pezzo di urna di marmo trovato presso il fiume Ausa o Aprusa , ove lambe le mura della città presso la porta orientale, in caratteri di belle forme si legge PAVL. La spezzatura dell'urna è pres- so la L, per cui non si ha l'intero nome. La sem- plicità però della iscrizione , giacche il frammento non dà indizio che si estendesse più di una riga , fa credere che sia antichissima. Iscrizioni riminesi 225. XVII. Ella è realmente una disgrazia che i marmi in- l€ressanti alla storia di un paese si abbiano sempre da rinvenire mutilati in modo da non poter esser certi della loro interpretazione. Tanto ci accade di quello che in due pezzi qui si riporta trovato in due volte; il superiore cioè nel 1822, e l'altro nel i823, a s. Maria di Carbognano, oratorio situato sul fiu- me Conca nel territorio riminese. Sembra che il sas- so contenesse due iscrizioni, le quali venissero di- vise da una palma. Dopo il primo nome a sinistra è ricordata la tribù aniense propria di Rimini, come dalle diverse iscrizioni sopradescritte. Alla destra potrebbe esser ri- cordato quel LVClO BABIDIO, di cui si ha la lapide sepolcrale dalla consorte dedicatagli, descritta al nu- mero XXXIII. Essendo corroso il marmo prima della I, nella terza si è incerto se abbia a leggersi duumviro: la qnal riga non sembra abbia relazione alcuna colle tre lettere dell'altra iscrizione. Il sostenersi dal sog- getto a sinistra la carica di questore ( carica che ai tempi della repubblica era molto onorevole, perchè consisteva nella custodia affidata a due magistrati del pubblico errario, che ancora dicevansi ispettori delle monete, oltre altre incumbenze per le provviste de'vi- veri per l'armata), mostra che era una persona assai ragguardevole; tanto più che apparteneva a diversi col- legi. Mi auguro la sorte di rinvenire in quelle vi- cinanze qualche altra parte del marmo a maggiore intelligenza e lume. 226 Letteratura XVIII. Mentre il conte Filippo Battaglini ( figlio del chiarissimo conte Gaetano che tanto onore portò a questa città sua patria coU'opera intitolala: « Memo- rie isteriche di Rimini e de' suoi signori per l'illu- strazione della zecca e moneta riminese: » oltre che è autore del commentario della vita e de' fatti di Si- gismondo Pandolfo Malatesta, pubblicalo colle opere di Basinio parmense poeta della corte di Sigismondo) atterrava nel i838 un muro di sua proprietà sulla strada maggiore presso la chiesa de' serviti, onde con una nuova fabbrica abbellire quella parte di città, si trovò questo frammento con bellissime lettere che ci presenta il nome di ASELLIA. XIX. Oltre al maestoso arco eretto in onore di Ot- taviano Augusto in questa città per aver fatte restau- rare e riparare tutte le strade d'Italia , come dagli avanzi della iscrizione che vedesi nella fronte a le- vante dell'arco slesso, sotto il loggiato del comunale palazzo si ha altra memoria dedicata a Caio Cesare per la riselciatura delle strade, che è la seguente: C . CAESAR AVGVST.F COS. VIAS . OMNES ARIMINI . STERN Iscrizioni riminesi 327 la quale venne pubblicata dal Maffei, Mus Veron. pag. 464 ; e dall' abate Gaetano Buganza nella sua epigrafia per modello d'iscrizione concisa, nella quale però con poche parole spiegasi tutto ciò che vuoisi dire. Il frammento, che qui si porta, si riferisce pure ai tempi d'Augusto, e forse portava una dedicatoria ai duumviri, che cura aveano delle pubbliche vie. E noto a ciascuno quanto al popolo romano slava a cuore il mantenimento di esse. Fra i decreti di Caio Grac- co è rimarchevole quello de'rislauri delle pubbliche strade : di che fa menzione Plutarco nella vita del medesimo. XX. Presso lano Planco esìsteva il frammento di que- sto marmo dalla parte destra, ritrovalo nel 1752 in questa città, che lo pubblicò nelle novelle fiorentine tom. XIV, fol. 410. Allorché verso la metà del i834 si demoliva barbaramente un antico tempietto fuori di Porta Romana, la cui costruzione a croce greca rimontava ai primi secoli dell'era cristiana, sebbene i musaici che ornavano la cupola del corpo di mez- zo, ne'cui angoli con segni simbolici erano rappre- sentali i quattro evangelisti, non potevano essere che del V o VI secolo, fu in un muro interno trovato l'al- tro pezzo della iscrizione, col quale ora si ha intera ed esiste presso di me. Nel succitato muro si rinvennero altri frammenti che appartener possono ai primi cristiani: cioè uno, in cui a rilievo sono rappresentate tre anitre ed un guerriero in atto di moversi all'opposto de'detti ani- mali : altro con un ariete a bassorilievo. Si rinvenne 228 Lejteratuiia pure un pezzo di tegola colta rappresentante un del- fino poggiato sopra un fregio di ordine ionico, sotto il quale in una fascia si legge l'epigrafe KOS . GALERI La famiglia Galeria apparteneva alla colonia rimi- nese, della quale si daranno notizie al n, XXVIL XXL XXIL XXIIL XXIV. XXV. Non ostante che i cinque frammenti sotto gl'in- dicali numeri non presentino alcun Inleresse, per es- sere assai mutilali, pure ho voluto farli noti al pub- blico, perchè inedili, colla fiducia di potere in ap- presso rinvenire qualche altro pezzo che ad essi ap- partenga, ed acquistare perciò nuove cognizioni per l'illustrazione della storia della mia patria. XXVI. L'Antonini, nel suo supplemento alla cronica di Verucchio edita in Bologna nel 1621 pel Benacci, pubblicò questo epitaffio a Lucio Fesellio Rufino fi- glio di altro Lucio della tribù aniense, ed a Vegia Tertulla di Caio, moglie del detto Lucio Rufino. Ven- ne questo dedicato da Tito B'esellio Rufino loro fi- gliuolo, e da Lucio Fesellio suo Uberto. Lo pubblicarono ancora il Gori ed il Teraanza. L'essersi questa lapida trovata presso Verucchio, co- spicua terra del riminese, ove forse la famiglia Fe- sellia tanto distinta in questa città, come si vede da molli marmi della medesima, avea ragguardevoli pos- Iscrizioni riminksi aag sessi, fece credere all'Antonini che il vico dlanense fino a quel paese si estendesse, e che colà Lucio Fe~ sellio dimorasse per aver cura del vico stesso. Ma troppo dubbie sono le prove che i detti vi- chi si estendessero fuori di città, come si è detto al num. XI. La Vegìa Tertulla, nominata in questa lapide, è facilmente del casato di quella L. Tertulla riminese, che nel formarsi il censo sotto Tito Vespasiano l'an- no di Cristo 74 avea anni iSy, come narra Plinio al lib. VII, cap. XLIX. NOTA. Non è cosa straordinaria in Rimini, seb- bene città posta presso l'Adriatico, e soggetta perciò ai venti marini, l'avere persone longeve ; poiché in Plinio nel luogo succitato abbiamo, che ai tempi del- l'imperatore suddetto vivea ancora Marco Apponio dì anni i5o. Il Clemenlini ( Raccolt. istor. tom. I, pag. 117) narra che certo Demostene liberto di Pu- blio passò di gran lunga in questa città l'anno cen- tesimo di sua vita; che Gio. Battista della contrada di s. Bartolomeo nel 161 1 morì di anni io45 che nel 16 12 Maddalena moglie di Pandolfo Zangi^ pescatore del borgo s. Giuliano , cessò di vivere di anni 106. L'Adimari pure ( Sito riminese parte I, pag. 4) lasciò scritto che una donna nel borgo suddetto, con- trada del fiume, per nome Giovanna madre di paron Giovanili, \ìsse anni 110. Un Zanone milite della nobil famiglia de'Laglis, ora Agli, che teneva la parte del papa nella rivolta accaduta in Firenze l'anno 121 5 (come si narra nel- la gior. VII, nov. I del Pecorone di ser Giovanni fiorentino, e fu poi cacciata da quella città l'anno 12 16 23o Letteratura conforme scrisse il Machiavelli nelle sue storie) sla- tilissi in Meleto paese del territorio di Rimini, e visse anni loo, la cui famiglia prese stanza in Rimini , ove tuttora esiste fra le patrizie. Nello scorso secolo certo Torsani oltrepassò gli anni lOO, compiuti i quali fu visitato in forma pub- blica dal magistrato, che volle in tal guisa fargli le maggiori congratulazioni. Sull'incominciare del corrente XIX secolo certa Urbinati, contadina della parrocchia di Casalecchio presso Rimini, oltrepassò gli anni cento. Sono pochi anni che il sacerdote don Giovanni Rocchi, cappellano maggiore di questa cattedrale, morì mentre entrava nel novantanovesimo anno. Vivono tuttora Antonio Rur- zati di anni 98; Giuseppe Codorelli di anni 97; il che mostra come l'aria che qui si respira sia sanis- sima per chi una vita ben regolata conduce. XXVII. lì Muratori ed il Temanza pubblicarono questo marmo di Caio Galerio, ma però con diversi errori. Il Maffei pure lo pubblicò e lo disse esistente nel museo arcivescovile di Ravenna: in che andò erra- to, essendo sempre slato in Rimini, ed ora presso di me. Ricorda raonsig. Villani succitato, che fu rinve- nuto sopra un monumento sepolcrale nella parroc- chia di s. Innocenzo. La famiglia Galeria, della quale abbiamo diverse memorie ne'marmi pubblicati dal Clemenlini e da- gli altri collettori, fu aggregata alla cittadinanza ri- minese ed ascritta alla tribù aniense, come lo erano le primarie riminesi, cioè la Fesellia, la Flavia, la Iscrizioni riminesi 23 i Meslria, la Lepldia, la Vegia, la Memmia, la Lol- lia, la Valeria e molle altre. Plinio, al llb. X, cap. XXI, ricorda la villa Ga- lena nel riminese colle seguenti parole: « Invenitur » in annalibus in ariminensi agro M. Lepido , Q. » Catulo coss. in villa Galèrii loculum gallinaceum, » semel, quod equidem sciam. » Questa villa, situata fra Savignano e Longiano, mantiene tuttora il nome di Monte il Gallo, non già, credo, pel favoloso rac- conto di Plinio; ma perchè, com'ha più del proba- bile, appartenne alla famiglia Galeria, e da essa ebbe il nome: come dalla Sabina, Sabiniano, poi Savignano. XXVIII. Giuseppe P'iavio nel libro II, cap. X delle guer- re giudaiche , ricorda ai tempi di Claudio un .S'ert- ilo Saturnino : « Senatus autem, referentibus con- » sulibus Sentio Saturnino et Pomponio Secundo, » mandat tribus cohortibus urbanis ut sinl praesi- » dio civitati, et ipse fretjuens in capitolium conve- » nit. » Sentia Saturnina^ ricordata nel nostro marmo, poteva esser di quella famiglia , ed il Senzio ram- mentato da Flavio appartenere alle famiglie rimìne- si; ma ci mancano prove sufficienti per poterlo as- serire. Questa lapida, com'è avvenuto di quasi tutte le altre di cui tengo gli originali, è stata pubblicata da diversi, ma con molti errori. Il Clementini (Rac. ist. tom. I, pag. Sa) nella quarta riga scrisse PHORIMVS. Il GarufE poi nella a32 Letteratura sua Lucerna lapidaria, sebbene potesse a suo bell'agio confrontarla, così la pubblicò : BAVE. EVFROSINA. G. STATIVS. PHORMIVS ET. SENTIA. SATVRJNINA. PARENTES FILI^ . PIENTISS. VIX. ANN. XIL D. XXVL VALE 11 Muratori pure ammise le iniziali della dedicazio- ne D. M., ed in luogo di C. SENTIVS scrisse, co- me il Clementini ed il Garuffi, C STATIVS. Il Gru- tero lasciò SENTJA. E da osservarsi in questa lapida come incomin- cia coU'HAVE, saluto del mattino, e finisce col VALE saluto della sera ; come se i parenti di Eufrosina avessero voluto dire: Salva sit mane ac vespere : cioè sempre, in eterno, come Virgilio, Aeneid. lib. XI, ver. 97: .... Salve aeternum mibi, maxime Palla, Aeternumque vale. XXIX. Questa iscrizione, die trovasi riportata ancora nel MS. Bovio, fu data in Ince dal Temanza, dal Mu- ratori, e dal Rebellino nella Minerva, die la corre- dò di annotazione di lano Planco. Il Muratori in luogo di MARI, come dall'originale presso di me, scrisse MAflCL XXX. Questo cippo, che una volta servì di base alla sta- tua di s. Biagio nella ex chiesa di s. Maria al Mare Iscrizioni riminesi 233 in questa città, die forse motivo ai nostri collettori di scrivere BLASIVS in luogo di BLASTVS. Con questo e con altri errori la pubblicarono il Clementini tom. I, p. 42; il Grutero p. MLXXIV i5; il Garuffi nella Lucerna lapidaria, e la riporta pure il Villani ne'suoi manoscritti. Difatli il Clementini nella 3 riga scrisse LEPIDVS POLLIGVS, e nella 4 BLASIVS: a che si uniformò il Garulfi. Il Gruferò invece nella riga 3 fece LEHDVS POLLINCVS , e nella 4 BLASIVS; di più formò una 5 riga con D. D. Nel codice rigazziano, dal quale si è desunto il supplemento , si legge POLLILCVS. Il Villani poi ha più stranamente POLINEVS, e nella 4 "§a BLA- SIVS. .,«1, Erano comuni presso le famiglie dei lari , ai quali si offerivano le primizie, perchè avessero cura delle cose tutte: il che diede argomento a Tibullo di scrivere nella eleg. I del libro I : » Vos quoque felices quondam, nunc pauperis agri » Custodes, fertis munera veslra, lares. Questa forma però di dedicazione non è comu- ne, poiché non si dedica al genio del granaio, ma bensì al genio de'lari del granaio della famiglia Pupia. Presso di me conservo la parie maggiore del cip- po. Porzione dell' altra parte m'è nota , e sebbene serva di fittone in un quadrivio, pure spero che un giorno farà parte della mia raccolta. G.A.T.CIL 234 Lette RATUR a XXXI. Non comuni sono le iscrizioni volive. Questa è stala pubblicata dal Cleinentini, dal Garuffi, dal Gori, dal Muratori, dal Maffei e da altri. Appartiene alla famiglia Pupia sopra citata. Il tempio di Minerva, secondo il parere di mon- signor Villani , esisteva sopra il monte d' Ercole in questa città, orti detto Montrone o Montirone, situato poco lungi da porta Montanara. Altri vogliono che il detto tempio fosse ov'è attualmente la chiesa d<ì' serviti. Ma di (juesto, come di molti altri che erano in questa città prima che si propagasse l'evangelo, avrò motivo di parlare io altra circostanza, xxxii, La gente Babidia apparteneva alla colonia rimi^ nese. Lucio Babidio è ricordato pure nell'altra iscri-^ zione inedita data al n. XVII. XXXIII, Questa iscrizione trovasi pubblicata nelle novelle letterarie iìorenline tom. VII, n. 7B9, e forse per cura di lano Plance. Erasi però perduta per trascuratezza di chi la possedeva; ma ho potuto farla risorgere, ed ora è presso di me, Si fa menzione in essa di un sacerdote luperca- le, forse addetto al culto di Pane in Laurente Lavi- nate città antichissima deiraolico Lazio, Iscrizioni nmiNESt a35 Il Fabretti alla pag. 770 ha : PATROJNO MV- NICIPI LAVRENTI : ed il Muratori alla pag. MLIII: PONTIFICI LAVRENTVM LAVINATIVM: e nella stessa pagina LAVRENTES LAVINATES. Sembra che il nostro luperco abbia sostenuto le cariche di duumviro e di triumviro che si trovano espresse nella 2 linea, nella quale in fine sì potreb- be leggere con lano Planco : Triumvir aediuni publicarum, vel procurandaviim', sebbene il p. Fiori vorrebbe che si legesse: Triurnvìr aedillcia potestate^ seguendo VOXWievì [Mar mora pisaurensia)c\iQ quae- Stores et duumviri vocabantar etiam aediles : ol- Irecchè fece parte di diversi collegi. XXXIV. Il Garuffi ed il Teraanza pubblicarono questo marmo trovato l'anno 1672 presso la via flaminìa. Il Garuffi lo dà diversamente lineato, e sempre col nesso M,. Lo riportano pure il Muratori , il Maffei ed il Temanza; i primi due però hanno SABINAE. Un Venerio riminese, e forse di questa famiglia, ne'secoli della cristiana persecuzione ebbe la palma del martirio in Rimini, il cui corpo giacca nelle in- signi catacombe del tempio di s. Gaudenzo fuori di porta Romana, ora nella più parte demolite, e ridotte ad uso privato. XXXV. Convien dire che molto prima del Clementini non fosse più visibile questa iscrizione ch'egli disse esistente in casa Arnolfi, che poi fu de'sig. Ganga- a36 L E T T K R A T U K A nelli' Falìlnj , se ogli la piibljlicò con molti errori, seguendo il codice rigazziano. Fra diversi sassi mi fu dato rinvenirla nel 1818, ed ora è presso di me. Oltre il Clementini la pubblicò il GarufG nella sua Lucerna lapidaria, e la riporta il Villani ne'suoi manoscritli: ma tutti con diversi errori. Difatti nel codice rigazziano: SABINIA EVPHODIA CONIVGI- RARISSIMjE IVVENE. Il Clementini seguì il co- dice rigazziano, a differenza che scrisse EVFODIA, ma fece i dittonghi regolari. Il Garuffi seguì il Cle- mentini, ma in luogo del dittongo AE scrisse il nesso .E alle voci COLIJBERTiE OPTIMI RARISSL MjE: la qual ultima voce o doveva allora esistere o la suppose. Il Muratori, che la dice trovata nelle schede far- nesiane, pubblicò SABINAE EVPHODIAN. Il Vil- lani poi stranamente scrisse : SABINAE EVPHRO- DISAE. Dalle tante varianti che hannosi di questa iscri- zione, e tutte lontanissime dal vero, si può dedurre quanto difticil sia trovare esatte lezioni nelle grandi collezioni lapidarie, ove è occorsa l'opera di tanti col- laboratovi o poco intelligenti, o molto inesatti, XXXVI. Nel 1823 presso la via destra che a Ravenna conduce, in poca distanza da Rimini, dissotterrai que- sto sasso che presso di me esiste. Il canonico Luigi Nardi nella sua erudita opera de'Corapiti, pubblicata in Pesaro l'anno 1827 pei tipi di Annesio Nobili, volle per primo darlo in luce alla pag. 99. Ma no» Iscrizioni riminksi aSy ostante ch'egli la leggesse in persona, errò In più co- se. Disse elle esisteva in casa di Antonio Bianchi sa- vignanese, forse con animo di far ciedere che la iscri- zione fosse -stata rinvenuta presso il compito ch'esso illustrava, ed invece era in casa mia ; disse che le lettere A non avean mai taglio . ed invece tre sol- tanto, cioè il secondo nella 2 riga, il primo nella 3, ed il primo nella 5 s>ono senza. Disse in fine che nel rovescio di questo marmo si leggeva IVSTINAE OSSxA : e questa seconda iscrizione è in altro mar- mo del tutto separato, trovato presso la porta orien- tale nel fiume Ausa, come in appresso. XXXVII. Scoperta il 14 ottobre 1824 nel fiume x\usa pres- so la porta orientale. Il Nardi, come si è detto di sopra, la pubblicò credendola unita all'antecedente. La semplicità di questa sepolcrale iscrizione, e la ni- tidezza e forma regolare delle lettere, la fanno cre- dere molto antica. XXXVIII. Quando questo marmo fu pubblicato per la pri- ma volta dal Temanza dovea non esser mutilato, per- chè nella 5 e 6 riga pose : TISSIMO . G TITIVS DEXTER Ora non posso dare che quella parte che conservo. La superficie del marmo è convessa. Il Muratori pure la riporta alla pag. MCCLXXXI i3; ma ha TITO 238 Letteratura nella 2 riga, TITVS nell'uUliria; ed il VA della se- conda riga è ripetuto anche nella terza. « XXXIX. Mentre ergevasi presso l'antico tempio d'Ercole nel 1814. in questa città il giuoco del pallone fu- rono trovate tre antiche iscrizioni, due delle quali vennero collocate sotto il loggiato del couuinale pa- lazzo, e la terza è quella che io possiedo. Il Nardi la puhhlicò nel giornale arcadico del di- cembre iBaG. Un Q. Plauzio Verecondo si ha in altra lapida riminese riportata dal Clementini pag. 45 del tom. I. Sulla morte dì Marco Mastrojlni. A PIETRO MASSmONI Mi Li duole, Pietro carissimo, che con meste parole abbia io da rompere il lungo silenzio, che le occu- pazioni vostre e i miei studi con gran dispiacere del nostro animo ci comandavano. Ma ne io posso al- trimenti, ne vorrei , quando veggo che col mio ta- cere non vi avrei perdonala la trista novella, e ol- traciò sarei stato da voi con ogni ragione ripreso. Marco Mastrofini più non vive. Quell'ingegno, sarei per dire, più che mortale, quel sommo teologo, fi- losofo, giurista, filologo, ci mancò alle ore quattro del giorno 3 di marzo nell'età di ottantadue anni. Voi for- nito di molta sapienza, e di un caldo affetto a tutto ciò che onori questa nostra Italia , mi è cerio che assai vivamente nel cuore sentirete siffatta calamità, e come di non riparabile danno ve ne piangerete. Vero è che i molti anni di lui dovrebbero mitigare il giusto dolore, e porci nella bocca quelle comuni parole: « Egli visse abbastanza: ninno di noi si può promettere, che tanto gli basti la vita. » Ma chi nella morte di tanto uomo oserà formare nell'animo co§i indegno giudizio, ed empiamente spingerlo sul labbro? Grande peso sono alla società gli uomini ignoranti e inutili: la grava il vederseli avanti gli occhi, il do' verli far parte dei pubblici beni: e sospira ardente- 24o Letteratura mente il tempo della loro dipartita. Ma quando per benigno provvedimento de'cieli alcuno ci nasce , il quale per la vastità dell'ingegno e per la bene acqui- stata sapienza tutti gli animi si prenda per Tammi- razione , allora ci pare che eterna gli debba essere la vita, e il suo mancare sempre acerbo riesce. Voi slesso poi, dolcissimo amico, potete giudicare se siano da credere bastanti ottanladue anni a quella gran mente del Mastrofini , Il quale non trovando , che queste cose e suslanze terrene gli terminassero l'in- tendimento, salì col pensiero perfino nel cielo, e (sup- ponendo sempre la rivelazione ) tentò umani argo- menti nel più sublime degli arcani religiosi. Forse taluno, nell'età che avranno noi per antichi, stenterà a credere che un solo animo abbia potuto abbrac- ciare tanto svariata sapienza: ma è da sperare altre- sì, che alcuna voce italiana alè;andosi a tramandare alle future generazioni durabile monumento di lode di questo ingegno voglia manifestare i maravigliosi suoi sludi, che incominciati fin da fanciullo, neppur tralasciò nel tempo canuto. Era bello il vederlo, cur- vo il capo per la vecchiezza fino a toccargli il ta- volino, tutto giorno applicato a profondissime inve- stigazioni : le quali però, a dir vero, assai bene gli hanno risposto, mentre ne abbiamo veduto frutto di tanti e sì stupendi scritti. Io penso dopo ciò che voi v'immaginiate, come al mancare di quest'uomo tutto il popolo si affaticasse a dargli onorate le prove ul- time dell'affetto umano, e crediate rinnovati al sa- piente di Monte Compalri gli onori dai romani stessi decretati o al Pinelli, o al Biondi, o al Camuccini, chiarissimi se volete, ma per opere da cui o solo un diletto si muove, o certamente assai minore utilità. Morte del Mastrofini 24* 0 voi bealo, che non avete veduto Tavarizia e in- gratitudine nostra ! Pochi pietosi frali accompagna- rono quel corpo, albergo di sì nobile animo, cui, si parli pur francamente, ben pochi avea Italia da pa- reggiare; e quando egli vivo ha de'suoi scritti gio- vato ogni generazione di scienziati, dai quali, a dir vero , era con altissimo affetto amalo e tenulo in luogo di una straordinaria eccellenza, morto non ha potuto trovare chi con mano amica e riverente fa- cesse le veci d' uomini prezzolati e inumani. Ma qui veggo che la mia lettera, proseguendo nel me- stissimo racconto, comincia a farvisi cagione di dop- pio dolore: «sarà dunque miglior senno, che rotte a mezzo le sdegnose parole vi preghi con lutto il cuo- re, acciocché non vogliate da queste ingrate e pur troppo frequenti scene spaventarvi nel cammino della sapienza, che con bell'onore correte : ricordatevi di portar sempre un animo eguale alla grandezza degli studi: persuadetevi, che al vero savio o presto o tar- di mai non è mancala la debita lode: e che il Ma- strofini, sebbene non abbia avuto gli onori del tumu- lo, tutta Europa occupa del suo nome, e la occu- perà nelle età avvenire, se a Dio piacerà che la sa- pienza non si scompagni dall'uomo. E con questo, raccomandandomi alla vostra ami- cizia, fo conto di finire. Di Roma ai 9 di marzo i845. Vostro affmo amico Filippo Cicconetti. 242 Poesie di don Domenico Battaglia rettore di Al'- fonsine. Bologna , tip. Tiocchi e comp. nelle Spaderie i844» "^ i6> di Jac. X, 285. editore don Bonafede Ferri ha donato il titolo di queste rime a S. E", il sig. marchese Francesco Estense Calcagnini, la cui famiglia nobilissima avendo da quasi tre secoli il giuspatronato della chiesa par- rocchiale di Alfonsine , l'autore don D.amiano Bat- taglia ebbe dal marchese Ercole III Estense Calca- gnini la nomina di rettore di detta chiesa, e ne en- trò al possesso del 1812. L'agricoltura e il commercio, che si danno mano a vicenda per dar anima e vita alle popolazioni, hanno reso il territorio alfonsinate in così prospero stato alle rive del fiume Senio, da non invidiare le più fertili pianure della Romagna. Ivi in una casa cantata dal Battaglia nacque il poeta del secolo, che vi passò i primi anni della fanciullezza dando lampi di un in- gegno, che dovea far onore all'Italia e risuscitare la gloria di Dante. Nacque Damiano da Alessandro Battaglia e Bar- bara Verlicchi in Masiera nel territorio di Bagnaca- vallo a'i5 gennaio 1769, ed alla vicina Fusignano andò a studiare le cose delle lettere, e passò poi al seminario faentino. Fatto uomo di chiesa, fermossi tre anni in Bagnacavallo confessore delle monache di s. Chiara: indi fu in Ravenna undici anni come edu- catore in casa del nobil uomo cavaliere Federico conte Poesie del Battaglia 2/|.3 Raspolli, che numerosa prole aveva dalla degna con- sorte marchesa Bradamante Guerrieri. Dessa fu che al Battaglia procurò la nomina di rettore di Alfon- sine, dove egli stette quasi beato, dividendo il suo tempo fra le cure pastorali e gli studi delle lettere. Inspiratosi alla vena del Monti, ne seguì in parie lo stile, ne tentò la traduzione del primo canto della Baswilliana in esametri latini, e rallegrò de'suoi ver:>i le feste ed ogni celebrità dei dintorni. In Ravenna , in Faenza ed in Lugo , e più in Bagnacavallo sua patria, molto era il grido che avea mosso di se il Battaglia, che riguardato era come il Teocrito della Romagnuola. Ma queste ed altre no- tizie della sua vita leggonsl raccolte dal professore Gianfrancesco Rambelli; onde non ne diremo più ol- ire, lamentando solo che un colpo di emiplegia to- gliesse nel 1842 il Battaglia, non dico alla vita, ma alle lettere. Ora egli non vive, ma vegeta : fu preso specialmente nel capo, e forse in conseguenza di avere applicato troppo; l'opera de'nervi, che fanno capo al cervello, è tanta, che poeti e letterati di gran lena vanno soggetti a cosiffatte malattie, dalle quali sono esenti per lo più quelli che vivono senza un pen- siero al mondo. Ma se scansassero anche quel male e peggio, non è forse la massima delle infermità l'es- sere scemi di mente , e non capaci di giovare a se ed ai simili ? Il Battaglia invece fu lutto a tutti, e l'opera di lui fu sempre prima ottenuta che chiesta dai parrocchiani singolarmente, che egli ebbe come figli, e con eguale amore fu corrisposto finché le for- ze gliel permisero. Tenne la via di mezzo fra i classici ed i roman- tici : da ultimo si accostò a Dante: e Dante si è un 244 Letteratura gran maestro, al quale non si dona mai abbastanza. Ma il Battaglia incontrò la sorte del Monti: fu inviato alle frasche del Frugoni e dei compagni, anziché ai frutti dell'Aligliieri, È a lodare però di aver sapulo secondare la ragione ed il cuore, due guide sicure, le quali direbbesi furono anche le guide di Dante, potendosi forse ammettere la ragione simboleggiala in yirgilio , ed il cuore significalo in Beatrice : quei due, che condussero il poeta de' poeti nel re- gno, anzi nei regni dell'altra vita. Ma questo è seme, che per allignare nel campo delle interpretazioni vorrebbe di molte cure, e dirò anche il riso della fortuna. Tornando adunque al Battaglia, non mi arrogo già io di giudicarne il merito; polendolo ancora non lo farei, trattandosi di un mio concitladi no, che ono- ro ed amo oltre ogni dire. Lascerò piuttosto ai savi lettori di giudicarlo dall'inno seguente, che tocca del pericolo dell'inondazione del fiume Lamone nel di- cembre del 1839. Libero allora il territorio di Ba- gnacavallo si fu a cagione della rotta detta delle Am- monite, la quale successe nell' argine opposto verso le valli di Ravenna. Come un fiore ed un altro dan- no indizio del giardino; una gemma ed un'altra danno mostra del monile : così pochi versi basteranno a dare una idea del poetare del Battaglia, le cui virtù sem- pre vive ne'suoi versi li raccomandano all'universa- le (*). (*) Era desiderabile più cura tipografica nella edizione di que- ste poesìe: noi noteremo fra gli altri due errori occorsi, l'uno nel- l'inno a s. Probo per la promozione alla sacra porpora dell'eminen- tissimo Falconieri arcivescovo di Ravenna: è a pag. 215 lin. 22: » Mercè la grazia, che dall'atto piove: » chiaro è doversi leggere dall'alto. \ Poesie del Battaglia , 245 L'altro errore è nella canzone ad onore deireminentissimo con- cittadino Antonfrancesco Orioli a pag, 139 lin. 26: » In braccio a povertà nascesti, il verso dev'essere endecassillabo, e qui mancano due sillabe; forse deve dire : » In braccio a dura povertà nascesti. Ma i savi e discreti leggitori non si offenderanno di quelle mende, che i tipografi non usano scansare con quella diligenza, che ni dovreb- be. Ora leggasi l'inno promesso di sopra, NelVannua solennità PI MARIA SANTISSIMA DELLA MISERICORDIA DI VILLANOVA NEL TERRITORIO DI BAGNACAVALLO INNO 1840 A te, gran donna, al cui bel crin corona Fanno le stelle, e sei di sol vestita, Sacro è quest'inno che devoto suona. A te, che sei dolce conforto e aita, All'errante mortai fidata stella !Nel tempestoso mar di questa vita : Per cui, fugato il nembo e la procella, Il sol ritorna, e ride il ciel sereno Di luce aspersa più vivace e bella. In mano a le, che nel tuo casto seno Donasti albergo di pietade al fonte, Degl'irati elementi è posto il freno; 246 . Letteratura E fu, madre pietosa, all'ire, alPonle Pronta ne togli, e ben tue grazie sono A questa villa manifeste o conte. Grata rammenta il tuo recente dono, Quando gonfio d'umori Amon scendea Con fronte altera e minaccioso suono. Già vinto ogni ritegno ornai cedea All'onda impetuosa ognor crescente, E morta ogni speranza in noi parca; E già lungo la sponda un suon dolente, Un mormorio confuso, ed il lamento S'udia d'afflitta e disperata gente. Correa il bifolco pieno di spavento, E frettoloso dalle aperte stalle Lagrimando spingea lo sciolto armento, E mentre il guida per dubbioso calle, Si volge ad or ad or; che per sospetto Gli par l'onda d'aver dietro le spalle. Abbandonando il mal sicuro tetto Fugge la madre sbigottita, e presta Fra le braccia si reca il pargoletto. Tutto è pianto e terror; ombra funesta La notte addensa, e cresce orror scompiglio, Deh ! chi ripax'o a tanti danni appresta ! Tu fosti, o donna, che amorosa il ciglio Invocata ver noi pronta volgesti, E si vide cessar tosto il periglio. All'orgoglio, al furor tu il fren ponesti Del gonfio fiume, che a un tuo cenno solo Spinse altrove sdegnoso i flutti infesti. Successe allor bella letizia al duolo : S'udì sonar tuo dolce nome intorno Per tutto questo a le devoto suolo. Poesie del Battaglia 247 Che grato al gran favor solenne giorno Sacro a te volle; ed oggi si raccoglie Urail nel tempio a lieta pompa adorno. Salve, o regina dell'eteree soglie : Già madre di pietade ognun ti dice : Deh ! l'inno ascolta, che a tuo onor si scioglie, O dell'egro mortai consolatrice. JSota sur impara votiva di Bollendorff interpre- tata dal cav. De la Basse Mouturie^ ne/Z'Inve- stìgatore, giornale delV istituto istorico dì Pari- gi [T. IV^ II serie 188, pag. i36.). ">4onoscevamo quest' ara e la incisavi epigrafe di- stribuita in tre linee nelle opere del Browero [j4n- tiq. Trevir,)i e del Muratori [Thes. insc. pag.36, 2); ma il cav. De la Basse-Moulurie, membro della pri- ma classe dell'istituto istorico, che fa credere d'averla veduta, la riferisce così ; PEAE.DIANAEQVINTVS. POSTVMIVS. POTENS. V. S. e in francese ; Le puissant Postume Va acquitté son voeu à la déesse Diane. Maravigliosi sono gli equivoci presi in sì poche parole da questo valenl' uomo, fornito di dottrina e d'ingegno, per non avere considerata la teorica dei nomi romani. Potendo tor- nare di qualche utilità l'osservarli, non gli sia grave §e glieli indichiamo. 248 liETTERATU RA 1. Panni i dic'egli, tous les Postumes qite nous présente Vhìstoire, qael est celia qui a erige cet autel ? Nessun Postumo, rlspondiciin noi: che l'au- tore del monumenlo è Postuinio, non Postumo ^ e fra queste due voci ha la stessa differenza che corre a'dì nostri tra il nome battesimale e il cognome. Po- stumo presso i latini fu primieramente prenome, poi cognome, e apponevasi a quello nato dopo mortogl il padre: Post humatum patremnatus (Geli. N, A II, 16; Serv. ad Virg. Aen. VI, yGS; Varr. De L L. Vili, 38); Postumio all'opposto è nome gentili zio d'una delle più illustri e più antiche famiglie d Roma. Publio Postumio Tuberto è il console del l'anno varroniano 299, prima di Cristo 5o5. Dal suo ceppo usciron consoli, censori e dittatori non pochi. Questa casa fiori per cinque o sei secoli, e il cospi» cuo suo nome si diffuse per lutto il romano impe- rio. Ne'tesori epigrafici abbiam magistrati, militari , e cittadini e liberti di nome Postumio in quantità : un di costoro è il Quinto Postumio Possente del- l'ara di Bollendorff. 2. Observons cPabord, ei prosegue, ^ue /e f /ire de puissant ne s^accordait qu^aux consulset quaux généraux^ alors que celui JÌbfJ '. n! ;>iio';.>! • nfj'i « Però che amor mi sforza E di saver mi spoglia. Parlo in rime aspre e di dolcezza ignude. Miri ciò che il cuor chiude Amor e i duo begli occhi, Ove si siede all'ombra. . . .» Ed altrove nel sonetto XV, part. 2, confessan- dosi pur insufficiente a ritrarre a parole sonanti o vive ciò che udiva e vedeva il suo spirito, disse : « E se come ella parla e come luce Ridir potessi, accenderei d'amore, Non dirò d'uom, un cor di tigre o d'orso. » Concetto in qualche modo somigliante a quello del sonetto in discorso : « Tacito vo, che le parole morte Farian pianger la gente; ed io disio Che le lagrime mie si spargan sole. » Interp. di Dantk e Petrarca 255 Perocché e nell'uno e nell'allro ci viene dicen- do, elle il suo parlare inlerno è tale, che comuni- candolo con voci sonore ed acconce impietosirebbe gli ascoltanti. Ma, meglio che qui, spiega il vero si- gnificato di quelle parole mortp nella canzone i della parte prima, dove ad avvertire il lettore che can- tava scrivendo , perchè gli mancava la forza (tanto era spaventato) di esternare colla voce le parole, che gli sonavano nella mente ( e quindi erano morte esistenti pei circostanti) disse: «Le vive voci m'era- no interditte: Ond'io gridai con carta e con inchio- stro: Non son mio, no: s'io moro, il danno è vostro. » Dal qual modo di scrivere è chiaro che, se gli erano interdette le vive e sonanti, non lo erano le voci morte, o sia parlate tacitamente colla scrittura, giac- ché egli gridò con carta e con inchiostro. Adunque pur qui si scorge come il poeta non potendo valersi delle voci o parole vive, avvivate cioè dal suono della voce, si valse delle parole morte, scrivendo sulla carta le parole, che gli sonavano in mezzo al cuore. Ora, prima che io venga alla conclusione, gio- verà forse il vedere quanto rettamente si adoperi dal Petrarca, sull'ammaestramento di Dante e del suo Pla- tone, il vocabolo parole ad esprimere il linguaggio, che l'anima usa tra sé e sé nel formare i raziocini senza esternarli. Ecco un brano tratto dalla Genea- logia del pensiero del Lallebasque tomo 3, fac. i43: e Non v'é nell'uomo abitudine si radicata e si forte, come quella che attacca l'espressione (i vocaboli) al pensiero. Platone avea già detto, che ogni nostro ra- ziocinio é un discorso taciturno. Rinchiusi infatti in noi stessi, e non ascoltati da alcuno, accoinpagniam perpetuamente la parola (il vocabolo) all'idea: e la 256 Letteratura nostra mcdilazione, atlenlamente riguardata , forma in ultima analisi una conversazione interiore, a Savio ammaestramento dall'esperienza quotidiana in quanti uomini pensano raffermato; e che già ben era nolo e con mirabile precisione esposto dal gran Lorenzo de Medici in questi termini. « Il pensare non è altro che un tacilo parlare: perchè chi pensa immagina quel- le cose in se medesimo, e le chiama pe' nomi loro. » Coni. 179. Però molte e variate sono le generazioni d'idee che altri può concepire nella mente; di guisa che altre sorgono liete o brillanti, altre soavi o se- rie; ne hanno delle meste, ma care, come quelle che ingenerano il piacere del pianto: ed altre angosciose e strazianti: i quali interni pensieri ad aprir fuori l'in- terna loro esistenza, anche prima di etsere esternati colla voce, l'asserenano od oscurano l'aspetto dell'uo- mo che gli concepisce; come appunto facevano i lumi in cui eran chiuse le anime dei beati, che in cielo parlavano a Dante; le quali a guisa che concepivano idee di letizia o di sdegno, così pingevano la fiamma colla stampa dell'interno concetto, o fiammeggiando più forte a guisa di baleno, o tingendosi in rosso, e via via come da valente maestro le descrive il di- vino poeta. Seguentemente è la da concedere, che le parole o i vocaboli, che esprimessero ([uegli interni pensieri col sonare della voce, sarebbero anche esse come quelle liete o nieste^ care o strazianti. Ma sinché non vennero scoccate dalla bocca all'orecchio dei circostanti, con vocabolo a tutte comune saranno ben denominate in genere parole morte, senza ri- spetto al parziale significato di esse: come le parole espresse con voce, in genere si dicono parole vive^ e quelle che suonano i sospiri, e quelle che portan Interp, di Dante e Petrarca qS^ le stampe delle più liete passioni di un'anima felice. Onde che rettamente parlerebbe chi dicesse parole morte quelle, di cui ragionando il Petrarca nel sonet- to VII, parte I, nel paragonare che fa Laura alla vir- tù del sole in primavera che veste il mondo di novel colore, disse: « Così costei, ch'è tra le donne un sole, In me movendo de' begli occhi i rai Crìa d'amor pensieri, atti e parole. » I quali pensieri e parole, non essendo ester- nati , possono ben esser delti parole morte. E parole morte potrebbersi dire gli amorosi pensieri di cui gì' ingombrava il cuore quell'usignuolo che can- tava dolcemente all'ombra di Valchiusa, in parte che il Petrarca stava immerso nella cara contemplazione di Laura ( son. n, part. 4' « Gloriosa colonna, in cui s'appoggia » ). E pur parole morte erano quelle che vestivano, ma senza suono, quell'amoroso pen- siero venuto da Laura, il quale, mentre lo seguiva, inviava il Petrarca al sommo bene (son. X, part. i); come erano tutte morte quell'altre del sonetto XVI, che invano aprendo più volte a dirle il labbro, pur le rimase la voce in mezzo al petto : ' i^' ^ ai « Più volte già per dir le labbra apersi, '^n Poi rimase la voce in mezzo al petto : ' «^ Ma qual suon potria mai salir lant'alto ?• f^nt Più volte incominciai di scriver versi : ^'■' Ma la penna e la mano e l'intelletto "* Rimaser vinti nel primiero assalto. » '•'" 258 Lette ratura Lr quali tutte parole sin qui indicate malamente sarebber delle Jl e bili e di mortale ambascia, mentre non vi ha cosa piìi dolce e lieta al Petrarca, quanto il contemplare, sospirare , penare e cantare le bel- lezze della SLia donna, E comeohè fossero in se lu- gubri e di mortale ambascia quei pensieri gelati, che intorno al cor gli avean fatto quasi adamantino smalto (canz. prima, part. i), (I Nel dolce tempo della prima etade » pure ben si direbbero parole morte per questo solo, perchè non ha mai potuto esternarli colla voce a sfogo dell'interna ambascia. E da ultimo parole morte, ma dolci e mesta- mente confortevoli , furono quelle che chiudono il son. LXXXIV, part, f (Quel vago impallidir, ec), pronunciate non dalia voce, ma da solo il cuore di Laura, la quale tacendo dice col {'ago impallidire del viso al Petrarca ; « Chi m'allontana il mio fedele amico ? « Però, chiudendo ora finabnente il raziocinio, a me par naturale che quel pai'ole morte, del verso in quislione, debbasl inlemlere per parole che suonano nel mezzo del mio c-uore, ma non le esprimo col suo- no della voce: per sentimenti delTanima mia non ester- nati colle parole sonore. Quasi dicesse il poeta: « Vò tacendo, perche, se parlassi, fai-ei piangere la gente, n Io vò senza parlare, perchè, se dicessi le parole del mio cuore, farei piangere. « Da indi è che quel vive vo- ci significa pensieri parlati, parole interne manifestate Interp. di Dante e Petrarca 25g col suono della voce. E quel parole morte signi- fica parole interne non esteimate, o non parlate col- la voce. E quel pensiero , che veste di color con- forme, è un pensiero o parlare interno, non anche esternato con vocaholi sonanti ed acconci alla pas- sione interna; o, a dirla con Dante, vocaholi o pa- role segnati dalla stampa della passione interna : o col Petrarca: Parole incarnanti a perfezione , e ri- traenti il linguaggio interno del cuore. Impercioc- ché il poeta in più luoghi ci assicura del suo vezzo (comune a tutti gli appassionati) di ragionare taci- tamente con se stesso ; ed in ispeclal modo lo av- verte nel chiudere della canzone Vili, part. i (Poi- ché per mio destino): :fé ovoh « Canzon, io sento già stancar la penna Del lungo e dolce ragionar con lei: 'fil> Ma non di parlar meco i pensier miei. » E prima del Petrarca, Dante in più luoghi, ma in ìspecie là dove significando la battaglia, che gli martellava lo spirito, avea già scritto : « Che sì e no nel capo mi tenzona. » ">^ E di tanta maggior voglia mi confermo, che il vero significato di parole morte nel verso in discorso sia parole non parlate , ma pur sonanti nel cuore; perchè dove così non fosse , e dovessimo intendere l^AToìe Jlebilij lugubri o slmili, che verrebbe mai a dire di bello il Petrarca? « Tacito vò, che le parole Jlebili farebbero piangere la gente. » In verità, che questo ben si sapea in genere, che le parole flebili, 26o Letterat ura se non fan sempre piangere, almeno raltrisfano sem- pre, e non mai allegrano chi le ascolta. Ma qui è da venire al caso particolare del poeta ; è da dire che queste sue parole, se fossero dette per esternar quelle che egli allora si parlava in se stesso , sa- rebbero stale tali da cavare, vogli o non vogli , le lagrime agli uditori: cosa che aumenta e nobilita il concetto dì ben mille cotanti. Il qual mio asserto parmi egregiamente comprovato dal soavissimo Ber- nardo Tasso, il devolo del Petrarca e suo felice imi- tatore , il quale fu appunto felicissimo imitatore e comentatore della terzina in discorso in quella sua chiudente il sonetto aSa (ediz. di Bergamo 1749)» dove spiegando che s'intenda per parole morte^ così cantò: « E se non che prudenza il duol ristrinse, E stagnò il dolce pianto in mezz'ai core, Piangea'l suo danno ogni elemento ». A miglior suggello del sin qui detto avvertire- mo alcune cose tratte dallo stesso dizionario della lingua italiana, e da altri autori classici, intorno al- l'addiettivo v'wo p morto. Il Dizionario della lingua italiana, Bologna i8ìì2, alla voce morto addiettivo, C 2, così scrive: « Lingua morta, lingua che non si parla dal volgo, e che si trova solo nei libri. » Ed alla dizione vivo addiettivo, vien registralo al § g: « Dicesi lingua viva quella che si parla comunemente dal popolo. » E nel vocabolario del chiarissimo Ma- nuzzi, voce medesima, ^ 6, fu aggiunto: «Lingua mez- za morta, dicesi quella che trovasi nei libri, e che si mantiene in parte viva nella bocca del popolo a cui è appartenuta.» E Dante, usando lingua per idio- ma, favella, già disse nel parad. 26: « La lingua, eh' io parlai, fu tutta spenta. » E il dizionario di Bolo- Inteup. di Dante e Petrarca 261 glia già detto alla voce lingua così ripete, § 8: « Non morire a uno la lingua in bocca, vale esser loquace, esser efficace nel parlare. » Nel che pare si dovesse prima avvertire, che per questa lingua non s'intende quel membro, che è nella bocca dell'animale, di cui disse Dante: « Se quella, con cbe i' parlo, non si sec- ca »; ma sì in senso metaforico s'intende il linguag- gio, la parola, come al § i5: ed allora tutti gli esera- pi allegati al suddetto § 8 sono altrettante prove del nostro asserto. Che più ? Il Manuzzi alla voce lingua, § 21, registra: a Lingua morta dicesi quella, che è stata parlata da un popolo, e che ora non si trova che nei libri, ec; ed è opposta a lingua viva, che è quella che parla presentemente un popolo ». Or dunque chi non riconosce qui il vero corrispon- dente tra r addiettivo vivo e morto in fatto di pa- role e voci ? Vocabolo o parola viva è quella , la quale non solo è parlata tacitamente nel nostro cuore nella formazione dei raziocini , o che è scritta sui libri , ma di più è anche rivestita del suono della voce, e resa sensibile per chi ci voglia ascoltare. E vocabolo o parola morta è quella che suona bensì nel mezzo del nostro cuore coi raziocini ed idee interne, ovvero che si legge scritta o stampata, ma non si esterna, non si parla, non si avviva col suono della voce. Vedasi ora il discreto lettore con quanta buo- na ragione gli autori del dizionario di Bologna al- l'addiettivo (uVo, § 8, dissero « che viva voce si dice del favellar di presenza: » recando in conferma il solo esempio del Petrarca « Le vive voci m'erano inter- ditte ». Io pur mei so, e troppo è comune, per non saperlo, la frase « c'intenderemo a viva voce » de- 262 Letteratura rivata dall'altra latina vwae vocis oraciilo, per si- gnificare un parlarsi di presenza, perchè io mi pos- sa lagnare dell' esattezza dell' ammaestramento ; la qual frase giova anzi, come ognun vede, a confer- mare il mio asserto; chiamandosi vivo quel tuono di voce, che si mette ai circostanti. Ma quello a che non mi so acquietare, è l'interpretazione data cosi male a proposito al verso del Petrarca; perocché in luogo di un nobil concetto, gli fan dire una delle più solenni freddure: « Non potendo parlare di pre- senza, scrivo: » mentre il vero concetto di quel di- vino è troppo più dolce, commovente, e sublime : « Non avendo forza, per l'eccessiva paura concetta, da mandar fuori la voce inlelliggibile e sonora, onde esprimere il mio stato doglioso, gridai con carta e con inchiostro. » Ecco le sue parole : « Morte mi s'era intorno al core avvolta; Ne tacendo potea di sua man trarla, O dar soccorso alle virtuti affitte ; Le vhe voci in evano interditte ; Ond' io gridai con carta e con inchiostro: Non son mio, no: s'io moro, il danno è vostro.» Canz. 1, p. I, (Nel dolce tempo). Che se ami vedere più chiaro lo stato infelice del poeta in tutta quella canzone , leggila attenta- mente per intero, e sì vi troverai clie stette « Mezzo lutto quel dì tra vivo e morto : E, fecemi, ohimè lasso. D'un quasi vivo e sbigottito sasso. » Dopo ciò comprenderai da che veniva l'interdetto delle vive voci: se dal non esser presente, onde parlar di pre- senza; o piuttosto, essendo presente, non potesse, per Interp. di Dante e Petrarca 263 lo spavento, dar suono alla voce per comunicare i pensieri e le parole die gli sonavano nella mente. E per meglio confermarci delle vere cagioni, da cui gli erano interdette le i^ive voci, basterà leggere tutto il sonetto. CXXXVII, part. i, (Più volte già ...)' che può essere chiaro commento a questo verso ; ove tra le altre belle si leggono queste bellissime parole ad imitazion felicissima del maestro dei poeti : « Ond'io non potei mai formar parola, Ch'altro che da me stesso fosse inlesa; Così m'ha latto amor tremante e fioco. Chi può dir com'egli arde, è in plcciol foco. » Parlar somigliante a quell'altro di Dante, Iiifer. canto 17: <( Io m'assettai in su quelle spallacce: Sì volli dir (ma la voce non venne Com'io credetti): Fa che tu m'abbracce. » Ovvero imitato da quegli altri pur dì Dante: « Confusione e paura insieme miste Mi pinsero un tal sì fuor della bocca; Al qual intender fur mestier le viste.» Purg, 3i, « Era la mia virtù tanto confusa, Che la voce si mosse e pria si spense Che dagli organi suoi fosse dischiusa.» Ivi. Imitato da quel di Virgilio : « Vox faucibus haesit ... » Aeneid. i3. 264 Letteratura Dal che n' emerge, che non poteva con voce vìva o sonante esternare le parole, che pur gli sonavano in core. Nell'uso comune sarebbesi detto che al Petrarca, trovandosi presente alla sua donna, morivano le pa- role tra i denti; come appunto avverte simile frase il vocabolario del Manuzzi al 63 di Parola: «Non mo- rire le parole tra' denti, dicesi di chi in ogni circostan- za sa ben dire il fatto suo. » Però da ottimo maestro in lingua disse il Boc- caccio della ingannatrice di Andreuccio (novella i5) : « Alla quale in niuno atto moriva la parola tra i denti. » Ciò ritenuto per vero , come è verissimo , se muoiono altrui le parole tra' denti quando non può o non sa pronunziare ciò che pur sente nel suo cuo- re, queste parole non pronunziate colla voce s'indi- cheranno rettamente col participio morte: e quelle altre che gli uscirono belle o sonanti fuor della chio- stra dei denti, appunto perchè pronunciate colla vo- ce, e quasi fonte scorrente, giustamente si appelle- ranno vive: precisamente in quella guisa che dicia- mo acqua viva l'acqua scorrente fuor della fontana a formare il ruscello, ed acqua morta quell' altra che , stagnando, si giace nel suo bacino. Il perchè non mancò tra' celebri scrittori chi disse fiume d'elo- quenza, e larga vena, il bello e facondo ragionare de- gli oratori; e lo stesso Dante al suo duca e maestro: « Or sei tu quel Virgilio, e quella fonte Che spande di parlar si largo, fiume ? » E di Beatrice su questo proposito, canto medesimo: Interpr. di Dante e Petrarca 265 (( Poi mi volsi a Beatrice , e quella pronte Sembianze femml, perchè io spandessi L'acqua di fuor del mio interno fonie» Par. Q.^. Ed il Petrarca del parlar della sua donna : « Usclan .... d'un cor saggio D'alta eloquenza si soavi fiumi.« Son. CC.pavt. i. Perchè non si dice viva colale acqua, se non in quanto scorre dalla fonte: e del pari il petto di un oratore è, a cosi dire , la fonte da cui sgorga a larga vena un fiume di parole^ ma quest'acqua della parola, se mi si consente il traslato, non sarà viva sinché rimane chiusa tra i denti, come quella che Dante accennava di Buonaggiunta : « Ei mormorava, e non so che genlucca Sentwa io là dov''ei sentia la piaga (la bocca). » Purg. 24. Però se viva è detta quell' acqua che emette una fonte inanimata e priva di vita, perchè non sarà viva quella voce o parola che per somiglianza emette un animale vivo e ragionevole ? e se moria è quel- l'acqua che stagna senza molo sensibile, perchè non sarà morta quella parola che si muore dentro il no- stro petto senza manifestarsi ? A meglio suggellare questo vero, è bene consi- derare un trailo il sonetto LXXXVII pari. 2, che comincia: G.A.T.CII. r8 266 Letteratura (( Spirto felice, che sì dolcemente ...» « E formavi i sospiri e le parole « Vive, che ancor mi suonan nella mente, » In questo sonetto parla il poeta dell'anima di Laura già beala, e che quindi non potevali più par- lare all'orecchio col vivo suon della voce, ma solo in visione , e con quelle « parole intellette da lor soli ambedui » (Son. LXIX, part. 2: Deh qual pietà): e rammentando que' tempi , in cui viva le parlava davvero all'orecchio in tuono sonante, dice che al- lora formava i sospiri e le parole vive, che anche di presente gli suonano tuttavia nella mente. Dunque se erano parole e sospiri vivi quelli che vivendo suonavan sul labbro di Laure: questi che spirati da Laura beata suonano solo nel cuore del poeta, saran parole e sospiri morti: quindi pur ci ripete le vive parole per parole veramente rive- stite del vero suon della voce, in contrapposto delle morte, che non han suono. E nel Trionfo d'Amore capii. 2, a dirci che la ninfa Eco si cangiò in voce sonante, così cantava : « E quella che, lui amando, in viva voce Fecesi il corpo un duro sasso asciutto » Il qual passo non so come altri potrebbe sospet- tare che debbasi intendere per un parlar di presen- za, quasi che Eco parli solo che quando altri è ad ascoltare. Ma a metter qui da ultimo un testimonio, che tulli acquieti , vedasi come Sperone Speroni nel Interpr. di Dante e Petrarca 26^ suo Dialogo stilla rettorica usi l'addiellivo vivo con parole a significare precisamente il parlar sonante di alcuno, come quello di un professore dalla cattedra: « Appigliatevi interamente ai consigli di messer Tri- fon Gabriele, nuovo Socrate di questa età: le cui vive parole^ bene inlese da voi, più di bene vi apporte- ranno in un giorno solo, che a me non fece in due mesi la lezion di Boccaccio. . . » Simile a questo è quel di Bernardo Tasso : Amad. e. i. « E '1 ringra- ziò con dolce atto e gentile , Ma più col cor che colla voce viva. » Qui le parole del vivente Trifone, come quelle che eran sonanti all'orecchio altrui, sono dette vive, a differenza di quelle del Boccaccio scritte sulla carta, che giustamente si potrebbero appellare morte, come quelle che il Petrarca portava scritte nel cuore , e non potea o non osava parlare. E questo per le pa- role vive, in significazion di parole pronunziate a vo- ce alta e sonante. Quanto alle parole morte, in signi- ficata di prive di suono, vedasene esempio in Ber- nardo Tasso al son. 2 2a , dove addolorato ed op- presso per la lontananza di sua moglie Porzia De- Rossi, di sé cantava : « Or coi muti sassi, or colle fronde Parlo con voce pur languida e tnorta.n Il qual morta non vuol già significare lugubre^ o mesta; ma così debole, e così poco sensibile, che al dir di Dante sia necessaria la vista della bocca parlante per intenderne dagli atti esteriori il signi- ficato, non sentendosi il tuono : e però il poeta la disse voce languida, anzi morta. Per verità nel si- 268 Letteratura gnificato slesso usò lai frase nel son. 17, ove a in- dicare quando sarà morto ^ cosi cantava: « E poscia che del dolce aere sereno Privi quest'occhi fien languidi e morti^ Non sarò ancor lassù d'amarvi stanco. » Ma che si direbbe se quanto osserviamo della viva voce, o viva parola in italiano, fosse pienamente conforme al loro uso nella frase latina ? Il Forcel- lini nel suo Lexicon totius latinitatis^ alla dizio- ne vivus così registra : « Viva vox est , quam au- ribus nostris ab ipso, qui loquitur , percipimus : et opponitur scriptls, leclioni, et narrationi aliorum. » Quindi, a conferma del suo asserto, tra i diversi te- sti ne riferisce uno di Quintiliano 2, 2, in queste precise parole: <( Licei enim satis exemplorum ad imitandum ex lectione suppeditet, tamen viva illa, ut dicilur, vox alit plenius, praecipueque eius praeceptoris, quem discipuli et amant et verentur. » E continuando anche sullo stesso § 8, dell'ad- diettivo morto, non par nemmanco da credere con- forme al vero, che in quel verso di Dante : « Ma qui la morta poesia risurga: » Purg. r. il morta significi lugubre, flebile, mesta: poiché in primo luogo non consonerebbe troppo l'allegoria, che la poesia morta risusciti, a voler dire, la poesia mesta diventi allegra , giacche converrebbe prendere come traslato e morto e risorgere', cosa che sarebbe più che enigmatica. In secondo luogo parmi potersi qui Interph. di Dante e Petrarca 269 intendere benissimo, ritenendo il morta e risurga nel senso letterale, senza offendere in nulla la dignità del poema. Di fatto puossi a buon diritto denominare morta, in significato letterale di morto, una poesia die canta la gente morta, di cui Caronte sgridava a Dante: « E tu che se' costì, anima viva, Partili da cotesti che son morti. » E nel canto 8 gridavano contro Dante i demo- ni della città di Dite : « Chi è costui che senza morte Va per lo regno della morta gente ? » In quella guisa che rettamente e comunemente si dice poesia nuziale, patriotica, filosofica, buccolica, pe- scatoria, amorosa, quella composizione poetica, la quale canta di cose nuziali, patriotiche , filosofi- che, pastorali, pescatone, ec. Anzi maggiormente mi conferma in questo pensiero un verso del Poli- ziano, religiosissimo seguace di Dante, il quale nolh; stanze, lib. i, così cantava: « Ritrovò Ceres giù nel morto regno. » Con che denominò morto il regno, dove dimo- ravano i morti. Onde a mio credere quel morta nel Verso di Dante null'altro significa che « la poesia, la quale ha contato la genie morta dell'inferno, ri- sorga a cantare la gente che va risorgendo alla vita eterna nel purgatorio. » Che in vero se la cantica del Purgatorio ne solleva l'animo al legger di ayo Letteratu ra » Color, che san contenti Nel foco, perchè speran di venire, Quando che sia, alle beate genti: » [Inf. cani. 2.) pure niuno dubiterà che l'acerbo ministero e'I modo, con che praticano la purgazione, non ci stringa il cuore di amarissiraa tristezza. Però nell'atto mal si ad- direbbe a quella cantica 1' epiteto di allegra^ come vorrebbe l'interpretazione del Monti. Per me direi che Dante volle dare alle sue tre cantiche degli epi- teli caratteristici; e che chiami poesia morta quella dello Inferno : risorgente quella del Purgatorio : e quella del Paradiso, dedicata alla sua Beatrice, la de- cori coll'epiteto di beata. E tenendo lo slesso principio, chi sa con quali ragioni i commentatori ed i vocabolari ci dicono che per quella scritta morta , di cui parla Dante nel canto 8, s'intende scrittura di colore smorto? lo veramente non vi trovo il vero senso: quello smorto mi par poca cosa, e non degna di ripetersi da Vir- gilio. Dante l'avea già detta di colore oscuro^ e quin- di subito la disse di senso duro; che è quanto dire, di significazione tremenda. Quindi io vi trovo anzi un'espressione tale , che deesi dire dura quanto la morte : cioè come se dicesse: « Sopr'essa vedeslù la sentenza di morte : » tale appunto è il vero signi- ficato di quella scritta morta : « Per me si va^ nella città dolente ec. Lasciate ogni speranza, 0 voi ch'entrate. » Canto 3. Interpr. di Dante e Petrarca 271 Però sien lodi al Manuzzi che saggiamente levò via il § IV del dizionario di Bologna. E di quel pietra viva e pietra morta della canzone 3, che comincia: «Di pensiero in pensler: » che si dice ? I dizionari tacciono , ed i commenta- tori non si curano. Io direi che quel viva^ aggiunto a pietra, signi- fichi pietra vera: e quel morta significhi pietra non vera, ma somigliante a pietra, com'era il poeta. « Pur lì assido me freddo, pietra morta in pietra viva : » cosi disse il poeta latino all'ignorante : Sedebis lapis saper lapidem: » Tu simile alla pietra, sederai sulla pietra vera. (( E ciò tanto piìa si può asserire, perchè il pietra viva non si usa mai che delle pietre dure, e resistenti alla forza , che come che sia tenti in- frangerle; e pietra morta sieno dette quelle che sono fragili e friabili : di natura che hanno ben il mate- riale della pietra, quanto che non vegetano, come le piante; e non vivono e non sentono, come gli ani- mali; e non sono duttili al martello, o solubili al fuoco, come i metalli; ma loro manca la consistenza, la durezza, la saldezza , come le rocche e le vere pietre. Però parrai che nel caso nostro pietra mor- ta sia somigliante a pietra immobile, insensibile co- me la vera pietra : e pietra viva sia pietra verace. Per verità Bernardo Tasso, il fido seguace del Petrar- ca, i cui versi non è raro che siano una vera spie- gazione di altri del divino cantor di madonna Laura, invece di morta pietra^ amò meglio dire insensibile pietra: « Tal ch'io restai quasi insensibil pietra. » (Bernardo Tasso, Rime, son. 267, ediz. Berg. 1749-) aya Letteratura E nel significalo stesso di vero è pur da pren- dere in quel verso di Dante : « . : ... Il tuo animo pieglii A dirne chi tu se', che i vivi piedi Così sicuro nell'inferno freghi. » Inf. e. 16. Infatti i dannati essendo « ombre vane fuorché nell'aspetto » ed avendo corpo fittizio , tenean solo la somiglianza, o l'apparenza de' piedi, come quelli che erano veri e puri spiriti: ma Dante, vivo in cor- po, aveva i piedi veri. Quanto è qui detto dei vivi piedi si dice del vivi occhi, del vivo respiro, che i dannali nell'inferno, le anime purganti nel purgatorio attribuiscono a Dan- te. In fatti Virgilio alle anime sorprese disse di Dante: « . . . . Voi potete andarne, E ritrarre a color che vi mandaro, Che'l corpo di costui è vera carne. » Purg. 5. Interpretazione della parola dilacco. Or giovami venire all'interpretazione della pa- rola dilacco in un verso di Dante. Un altro equivoco mi parve mai sempre di ri- levare nell'interpretazione data comunemente a quel- l'altro verso di Dante (Inf. can. XXVIII) dove in- duce Maometto a ragionare con lui: (i Dicendo: Or vedi come io mi dilacco, n Qui tutti i commentatori, e la crusca sul loro esempio, pretendono con gran serietà che quel dilac- co sia un verbo composto da di e lacca , coscia di Interpr. di Dante e PETRArxCA 2/3 animale: di natura che ne sorga il verbo dilaccare in significato di toglier via , o spartire le lac- che , o sia le cosce degli animali. Ma e se cosi è, come non è difatti, che v'entra il levar via le co- sce degli animali con Maometto che, aprendolo, mo- stra il rotto petto a Dante? Quale altro esempio ne hanno o ne ebbero essi di questo verbo dilaccare ? Chi potrebbe ritenere le più grasse risa leggendo, come alcuni con severa autorità ci avvertano, che per isquar- ciarsi il petto si usi un verbo ctie significa anzi squarciare le cosce degli animali ! E poi perchè, a servizio di un verbo inventato a capriccio , obbligare Maometto ad infierire in se medesimo , come vogliono molti dei commentatori , stracciandosi a pezzo a pezzo le carni dal petto per solo mostrarsi a Dante ? Vedansi i commenti a que- sto verso, e stia serio chi può. Non sarebbe egli per sorte più conseguente il sospettare in quel dilacco una piccola licenza poe- tica a servigio della rima ? Ed invece del misterioso e crudele dilacco , si avesse un dilaccio , e quindi il verbo notissimo dilacciare^ dislacciare^ in signi- ficato di sciorre i lacci ? Per verità, si legge che Maometto « Rotto dal mento sino all'inforcata » ve- dendo venir Dante : « .... Colle man s'aperse il petto Dicendo : Or vedi come io mi dilacco. » In un parlare così fatto non pare certo che Maometto infierisse contro sé squarciando il petto, nò molto meno le cosce , ma che solo aprendo il fesso petto dica : « Or vedi come il mio petto 2^4 Letteratura si slaccia: » appunto come gli abiti fanno sul petto quando loro siano tolti o tronchi i lacci che li ten- gono uniti. Pur simile parlare usa il Segneri a signi- ficarci che s. Filippo Neri portava i panni aperti sul petto, dove scrisse: « Di mezzo verno era costretto per la gran vampa a portare slacciato il seno. » E meglio ancora il Cesari fece nella vita del beato Ales- sandro Sauli, scrivendo, anzi mettendo, fui per dire, in prosa questo concetto di Dante: « S'inginocchia in mezzo a que' leoni, si slaccia i panni , e apre il petto. « Di vero chi non vede che , se Dante fa slacciare per similitudine il petto a Maometto ed aprire^ il Cesari fa tacciare i panni ed aprire il petto al beato Sauli ? L'azione in qualche guisa è la stessa. In vero Dante cosi si esprime : « : . . . Colle man s'aperse il petto Dicendo: Or vedi come io mi dilacco. » Che è quanto si può desiderar di naturale, aprendo- selo, dire: Vedi come si slaccia il mio petto: a guisa di un busto da donna, cui vengono tagliati i legacci. Dunque non pare più da tentennare sul vero signifi- cato e sulla vera origine del verbo dilacco, facendolo derivare dal verbo dilacciure, il quale coll'altro di- slacciare o slacciare era fre(juentissimo nei buoni autori. Così il Derni neìV Orlando innamorato l'usa più volte, come là in quel verso : « Abbraccia il corpo e Telmo gli dilaccia. /> E prima di lui il Sacchetti avea già scritto : « Dilacciarongli l'elmo, e quel grida, ec. » Vedasi il vocabolario al verbo dilacciare. I InterpjR. di Dante e Petratica ijS Ma forse i nostri lettori troveranno troppo ar- dita colai licenza di usare dilacco per dilaccio. Ad acquietarli basti rammentar loro, non esser più ardita di quell'altra, in cui si usa collegi invece dì colleghi: nascendo qui un equivoco se sia plurale di collegio o di collega, « Incontro agli altri principi e collegi. » Par. VI. O di queir altra dove usa piage per piaghe; lasciandoci sospettare che non da piaga^ ma si ven- ga da piaggia: « Che sia or sanator delle tue plage. » Par. 25. O di quella dove scrive punga per pugna^ a facile anzi necessaria confusione col verbo punge- re, o porre ec : « Pure a noi converrà vincer la punga. » Inf. g. O di quella, dove trovasi lumaccia per lumacca: « Come face le corna la lumaccia. Inf. O di quella, ove per servire alla rima si pone vinci per vinchi^ da vinco^ o vincolo: « Che mi legasse con sì dolci vinci. » Par. i4« O finalmente, lasciate le mille altre, di quella, dove con somigliantissima licenza, anzi ugualissima, volle servire alla rima scrivendo 5orco invece di sorcio: 376 Letteratura « Tra male gatte era venuto il sorco. » Inf. 22. Giacche in questo sorco per sorcio manca un i, appunto come nel dilacco per dilaccio. Che più ? Tanto è ragionevole e gustato ed approvato dall'ita- liano orecchio quest'uso di mutare il e ed il g- di suono acuto nell' altro di suono rotondo, che e gli oratori e i poeti lo usano senza altro ritegno pro- miscuamente nella stessa dizione, come: rocca e roc- cia; spicca e spiccia; guarnacca e guarnaccia ; biechi e bieci; mendichi e mendici; veggo e veg- gio; fuggo e fuggio ; piccolo e picciolo ec. Pe- rò non mancò tra gl'interpreti di maggior voce chi riconobbe in Dante questa licenza medesima usata in gentucca per gentaccia , diminutivo di gente , come che altri diversamente la senta: « Ei mormorava, e non so che gentucca. » Purg. 24. Dopo queste ragioni parmi da sperare che nell'ap- pendice, che il chiarissimo slg. abate Giuseppe Ma- nuzzi vorrà apporre al suo vocabolario, verranno cor- retti simili equivoci e male Interpretazioni delle voci morto, vivo, dilacco: lasciando a quelle il significato proprio, senza darne altro che mai non ebbero; e, tolto via di pianta il dilaccare, allogare al verbo dilacciare l'esempio di Dante : « Or vedi come io mi dilacco. » Notandovi: « Dilaccio, licenza poetica per dilaccio.» N- B. Già erano scritte queste cose, quando m'av- Interpr. di Dante e Petrarca ayy venni nel § 27 aggiunto all'addiellivo morto dal loda- to valentissimo filologo Giuseppe Manuzzi nel suo vo- cabolario, e con tutto mio piacere vi lessi l'interpre- tazione che dice: « Morto, è anco^ra aggiunto di com- posizione che tratta delle a/zìwe /^lor^e. » Però sieno lodi al valente autore, il quale, cime in questo, cosi vorrà correggere il morto ed il vivo come aggiunto di parole che sieno pronunciate o non pronunciate colla voce, P. D. Marco Giovanni Ponta Generale de' somaschì. 278, Di una poesia del conte Giovanni Marchetti. Let- tera di Pietro Giordani alla signora Giovane nina Lézzani nata Massani. K elle nozze del marchese Gioacchino Pepoli (i cui anletìaCi signoreggiarono Bologna) e di S. A. S. Fe- deriga d' Hoenzollern-Sigmaringen si sono stampo te molte poesie. E io le confesso, graziosissima giovane, che se io sapessi far versi, avrei in questa solennità voluto scriverne anch'io: tanto mi sento affezionato ai rari pregi di mente e di animo che abbelliscono il giovinetto sposo; e tanto sono obbligato servitore alla madre sua ; che da lutti celebrata degnissimi dell'alto luogo in che nacque, si è mostrata parzial- mente benevola a me, ignoto a quei grandi ai quali non sono odioso. Vero è che nella mia umile prosa lascerò qualche segno di rivei-ente ossequio e di cuor grato a quella casa , di cortesia pari alla eminente nobiltà: e qualche mio scrittarello si leggerà indiriz- zato all'ingegaoso e studioso quanto amabile mar- chesino, e qualcuno alla signora principessa Letizia. Ma nelle allegrezze nuziali pare che più volentieri e più meritamente sieno ascollati i poeti; e non du- bito che i loro canti saranno venuti o verranno an- che a Roma. Io per altro vorrei che per sua genti- lezza, e anche per amor mio, di tanta moltitudine ella, col suo studioso marito e cogli amici più eletti, facesse attenzione speciale a questa poesia dell'illu- stre e mio amicissimo conte Marchetti. Poesia, del Marchetti 279 — Semper ego auditor tantum? Giov. Sat. I. Oh tu, compagna al tosco verso antica, DI lui che sovra gli altri si sublima, Di Lodovico e di Torquato arnica^ Indarno, un tempo a me diletta rima, D'insolite lusinghe mi fai sprone Perch'io ti ponga a nuovi carmi in cima. Che de' tuoi blandimenti la cagione Ben so: chi de' palagi è fuor cacciato Picchia a la porta de J'umil magione. Ornai ti diero universal commiato Gl'incliti geni ; or ti condanna il saggio: Oggi ti parla d'ogni tuo peccalo. Né ti vai, se del mistico viaggio Narrò l'alto cantor, che al tuo concetto Unqua non festi in tanta prova oltraggio (i): Né ti giova il ridir, ch'entro uman petto, Quando il tuo suon subitamente scocca. Tu desti soavissimo diletto, Come natura vuol: natura è sciocca, E tu se' d'ogni vate empia tiranna Che tronchi a lui gli alti pensieri in bocca. Senza tua legge, che gl'ingegni affanna. Oh di quante andria cinto altre ghirlande Colui che s'ebbe in guiderdon sant'Anna (2)! Or non sai che nel molto è '1 bello e'I grande ? Che il canto de' poeti e il nome loro Tanto è degno d'onor, quanto si spande ? (1) Scrisse l' Anonimo avere ciò udito dalla vira voce dell' Alighieri. (2) Nome dello spedale di Ferrara, ia cui fu rinchiuso il Tasso. 28o Letteratura Padre Achillin, cli'ollr'Alpe, oUra Peloro Sonasti sì, che regnator temuto Per ciascun verso ti largì tan t'oro : E tu, padre Aretino, a cui tributo Porse d'Europa ogni regal corona, Principi de' poeti io vi saluto. Né te l'ardita ancor speme abbandona ?... Or via: poich'io levai teco alcun grido, Che dolce nella mente mi risuona, Estremo un carme nuzial ti fido : Ma lascia, ve', lascia Imeneo da oanlo, A capo un verso non condur Cupido. Amor cantiamo intemerato e santo : Beali noi, se consentisse il tema Toccar cristiana caritade alquanto ! Ma qual ne prende intempestiva tema ? Questa facil stagion tutto concede ; Si fa mescuglio e chiamasi poema. Direm del senno de' grand'avi erede Il felice garzon, che in vista or muove D'ineffabil contento all'ara il piede. Direm, ch'ogni gentil senso commove L'anima bella, e che di sua più chiara Luce nell'intelletto il elei gli piove. Che ad isdegnar de la progenie avara L'arti mentite ed i codardi esempli Dall'un dall'altro suo parente impara. Degno che di lassù lieta il contempli L'ombra del sommo di sua gente onore. Che morto dalla patria altari e templi : Degno che pel materno alvo in suo core Scendesse il sangue di chi tanta colse Gloria dal brando, e dallo scettro amore. Poesia del Marchetti aii Dlrem, che grazia e leggiadria s'accolse Nelle vergini membra di colei Cui '1 giovinetto col disio si volse : Ch'han modestia e decoro albergo in lei ; Né fia che l'una a se mai la richiami, Che mai l'altro abbia a dir: Pensa qual sei. Direm, che sorge ogni virtù pe' rami Di sua pianta natal, sotto il cui velo Poserebbero in pace ampli reami. Securamente dal novello stelo Frutti polrem vaticinar di quanto Pili adorna il mondo e più rallegra il cielo. Sonerà pari all'alto nodo il vanto ! Ma in sì gentile età fora, ben sollo, Vano alcuna sperar laude al mio canto, A squdllid'are di sicambro Apollo Itala fronte non chinai servile; Io di fama digiun, Mevio satollo : A te grazie, a te plauso, età gentile. Non ho coi molli anni tanto scemato il giudi- zio, che io presuma di fare accorta lei ei suoi amici ( quasi non potessero per proprio ingegno avvisarsi) delle fine bellezze di questa nobilissima poesia. Ma se io fossi in Roma, o s'ella qui, non la leggeremmo noi insieme ? non mi sarebbe lecito con lei, tanto graziosa a tutti, tanto amorevole a me, esprimere il piacer grande che io provo leggendola, e la conso- lazione che io piglio dall'ingegno e dalla fama del- l'autore ? Quel che io le direi a voce siami conce- duto significarle con qualche parola di scritto. Il mio Marchetti finisce dicendo se digiuno di fama^ satolli ì Mevii : e troppo è vero, che molti G.A.T. CU. ,9 q,y2 Letteratura Mevii sono pasturati anzi gonfiati di un remore, ch'io non so quanto sia per distendersi e durare. Ma la socratica ironia del suo digiuno farebbe torto a quelli che hanno ancora l'intelletto sano; e che da un pezzo celebrano lui, anzi ammirano, per tutta Italia, co- me ostinato a durare vero e degno italiano, e nulla smagarsi per tanto strimpellare del chitarrone di j4pol- lo sicambro o palestino. Ci sia perdonalo il voler conservata almeno la memoria di quel che fumino, e, se possibìl è, qualche reliquia. Né io credo che voi, leggiadrissima e cara giovane, pensiate mai a dolervi di essere cosi bella tra le romane, e vogliate invi- diare le teutoniche o le britanniche o le celtiche bellezze. Sia donato ai vagheggiatori delle muse amar le italiane. Non dubiterò di Bologna : finché non cada a vergognarsi de' suoi Manfredi e Zanotli. Né poca è la gloria presente, né sarà breve tra i futuri la fama di Giovanni Marchetti, per avere con alto e invitto animo, ad esempio, o se anche volete a rimprovero di questa età, mantenuto la forma di pensare e di scrivere che fece onore a' nostri maggiori; e disprez- zata o commiserata la temerità di coloro, che senza in- gegno e senza sludi contendono che sia ripudiata una gloriosa eredità. Quanto mi piace questa difesa ch'egli piglia della rima, che in Dante e ne' seguaci diede tanto di forza e di grazia a sublimi concelti ! Che m'inqiorta se le dan mala voce alcuni che schivano volentieri ogni fatica, e colla pigrizia presumono acqui- starsi nomi d'ingegni ? E se questa antica e buona compagna del verso italiano volevano scacciarla co- loro che nel passato secolo osarono bestemmiar Dante, Dante onore non di sola Firenze, o di sola Italia, né solamente del suo tempo, ma per tulli i tempi Poesia def. Marchetti 273 onore flel genere umano, che fa a noi? Quanta di- gnità poi nelle severe lodi che il nostro poeta com- parte ai due sposi ! quanto esempio e ai grandi e ai loro lodatori ! Non voglio vantarmi di avere veduto assai per tempo la futura grandezza del mio caro Marchetti, e di averlo pubblicamente nel 181 1 annunciato a quel buono Vincenzo Monti , che ai belli ingegni era tanto amorevole. Ma posso bene compiacermi, che per tanti anni m'abbia consolato e onorato d'amici- zia fedelissima chi da ogni vero italiano è riverito e amato. E confido che la sua amicizia sarà e sti- molo e aiuto al generoso successore dei Popoli, per conseguire dai buoni studi quell' altezza e potenza di solido e utile onore, che non gli lasci invidiare il principato de' suoi avoli. Confido che tutti i gio- vani, i quali hanno intendimento di buone lettere, e le donne gentili che sono caro ornamento d'Italia, riverenti amano ed ameranno questo dignitoso man- tenitore delle italiane lettere. A me vaglia presso di lei l'essere tanto affettuoso ammiratore del conte Mar- chetti, quanto a lei devoto e riconoscente servitore. Parma i di gennaio i845. •?8ìS8?- Intorno ad un^antica figuìina. A SUA ECCELLENZA DON LUIGI LUCIANO BONAPARTE m li congratulo meco stesso di poter contrassegnare l'onorevole visita di V. E- coll'inlerpretazione d'una pregevolissima figulina, che ella possiede in accurato disegno, relativa ad un soggetto supremamente con- giunto colla letteratura classica. Lascio all'È. V. l'eser- citare il suo moltiforme e perspicace ingegno sui ca- ratteri che porta l'orlo di questa figulina (se non sono essi già screpolature, anziché segni di scrittura antica) e mi limito alla storia rappresentata nel piano del disco. Un mare tranquillo porta delfini, roteanti al mo- do che li vediamo disposti in parecchie medaglie d'anti- co conio, e segnatamente intorno la testa della Ksov; siracusana: o come li descrive Virgilio nell'VIIl del- l'Eneide - Dclphines in orbem - Jequora verrebant caudìs, aestumque secabant, - Nel mezzo una nave, in forma appunto di vasto delfino, della testa fa pro- ra, e poppa fa della coda, sollevandola a sostenere l'aplustro. Un re coronato s'asside al piede dell'al- bero maestro con vela gonfiata da vento propizio, e Interp. d'una figulina 275 regolata da bene inteso sartiame. Appoggiasi all'al- bero una vite tortuosa , la quale per vari capi si diffonde in alto con rari pampani e grossi grappoli che ricordano il buniasto delle georgiche tumidis racemis. A prima giunta si direbbe Saturno che recasse al Lazio il dono della sacra vite. INè perchè l'anti- chità taccia in genere su questo predicato del nume esule dal cielo, apportatore del secol d'oro alla terra, manca Arnobio di notare (3. p. 117) : Iste quem coelo esse editum patre^ magnovum esse procrea- torem deorum^ vitisatorem , falciferurn^ vetustas edidit prisca. Ma si scorge agevolmente che Arno- bio riportò quei due epiteti da Virgilio per una tra- sposizione di verso affatto insolita allo stile del poe- ta altissimo. Nel lib. VII dell'Eneide, dove sono an- noverati i ritratti che adornavano il vestibolo della reggia di Latino, si legge : Italusque, pater qiie Sahinus ì^isltator curvam servans sub iniagine falcem^ Saturnusque senex .... Fu Sabino il patriarca o il re che a' popoli sabini , diramati dagli osci, diede l'appellazione. Altro non sapendosi di lui se non che fu figlinolo di Sanco o Semone, genio tutelare di codesta contrada d'Ita- lia, molti eruditi con arbitraria e falsa interpunzione levarono a Sabino gli attributi espressi nel verso che ne conseguita il nome, e li applicarono a Saturno. Però il P. La Rue annotando scrisse : Hunc vitem et segetes colidsse non liquet; quare multi l'ersum hunc totum Vitisator qìc. referunt ad Saturnum, An- . 376 Letteratura che il Sandby fu di codesta risma; e nella edizione di Londra lySo, illustrala eoa rami, introdusse ar- ditamente una virgola dopo Sabinus: cosi adagian- dosi ognuno nell'abbaglio preso da Arnobio. Ma l'He- yne perspicacissimo rilevò che quel contesto non po- teva turbarsi, sentenziando: Huicd dubie ad Sabi^ num spectant haec, quem nobis poeta ex antiqua aliqua eraditione declarat vinearum colendarum auctorem fuisse: e però il Brunk, pedissequo del- l'Heyne, nell'edizione di Argentina iy85 risparmiò avvedutamente quella virgola. Codesta antica erudi- zione è oggi prodotta in luce per la figulina posse- duta dall'E. V. Però sembra accertato, che la coltura della vite da paesi oltremarini introdotta nelle terre latine sia dovuta a codesto re. Ardirei anche dire, che gli scarsi pampani a fronte dei pieni grappoli fac- ciano cenno al metodo della spanipanazione , a cui ì meglio avvisati enofili sogliono assoggettare la vite nel maggior vigore della state, quando : Il calor del sole si fa vino-Dentro Vumor che dalla vite cola'. come dice il poeta teologo. I sabini certamente si distinguevano per una lo- ro particolare qualità di vino che Ateneo lib i. e. 21 dichiara Inter italica vina levissimum'. e Plinio H. N. 14» 3, lo dice fatto e vinaciola qitam soli nove- re sabini et laurentes. Né può cader dubbio che questo non fosse il vile sabinum offerto dal veno- sino a Mecenate, se nella sua gita in Puglia gli aves- se mantenuta la parola di fare una visita alla sua villa. Quel vino era forse proveniente da un'uva ori- ginaria del Berry, Sabinis coUibus familiaris , come avverte lo slesso Plinio (ìbid. cap. 2). Ma l'inter- punzione del luogo di Virgilio dovrebb'essere defi- Interp. d'una figulina 277 nllivamente riformata in maniera, che raggiunto di vitisator passasse a Sabino, e l'altro di servans fal- ceui iosse mantenuto a Saturno cosi : paterque Sahinus Vitisator i cuT'vam servans sub imagine falcem Satiirnusque senex. Queste cose io notava in molta fretta per servire non meno al desiderio dell' E. V., che al mio trasporto per tutto ciò che riguarda le opere del gran manto- vano, unico maestro dell'eloquenza poetica nel vec- chio latino e nel nuovo. Mi vagliano esse a prova dell'ossequio onde sono ec. '■ Dell'E. V. Luigi Cris. Ferrucci «<^l€l$^ 27* Elogio del cav. Giambattista Gamia persicetano^ letto a dì 3o di settembre 1842, in occasione di premi ditribuiti, da G. F. Rambelli. o tlinia e degna cosa fu sempre reputata il rin- frescare la memoria degli uomini che splendettero al mondo per dottrina, virtù, o grandi benemerenze ver- so la civile adunanza; fruttuosa poi al sommo il pro- porli alla imitazione de' giovanetti, crescenti speranze delle famiglie, delle patrie, delle nazioni: conciossia- chè quelle memorie si reputano stimoli e spruni ef- ficacissimi a risvegliare ne' freddi e addormentali petti quelle faville di emulazione, che li guidano a met- tersi animosamente su grandi sentieri, che que' ma- gnanimi ebbero aperti e calcati; e specialmente ove ciò sia fatto in que' luoghi che illustrarono co' na- tali, cogli scritti, colle virtù. E già per raggingnere tali effetti, e a maggiore onoranza della patria vo- stra, più volte da questo luogo vi toccai, studiosi gio- vani, le lodi di quegl' illustri che in essa vennero fiorendo, siccome i Masetti, gli Stefani, i Bencivenni, gli Olivieri, i Fangarezzi. Ben mi doleva che le brevi e generali contezze, che porgonsi dall'istorie lettera- rie intorno al cavaliere Giambattista Gornia, non mi concedessero ragionarvi alquanto di lui. Ne mi po- tè in ciò aiutare la tradizione: che l'aver vissuto il più del tempo lontano di qua toglieva a' suoi con- cittadini 1' averne piena conoscenza : al che grande Elogio del Gornia 279 impedimento era pure la modestia che ratliene un egregio dal parlare di se, e dal rammentare altrui le proprie glorie. I contemporanei ancora, che il cono- scono e ne veggono ogni particolarità, avvisano fal- samente che il somigliante abbia ad essere de' futuri: quindi trascurano affidarle al testimonio delle lettere e de' monumenti. L'invidia talora, l'ignoranza, la ma- lignità de' superstiti nun solo gode di spegnere quel solenne rimprovero, che è la ricordanza de' giganti che si levarono sov'essi miserabili pigmei, ma si stu- dia, si agita, si contorce, e s'affatica affinchè la tomba, la quale raccolse il corpo del benemerito, ne chiuda eternamente il nome. Ma oh quanto s'ingannano nel loro mal auguralo intendimento ! Da que' muli sassi, da quelle fredde ceneri, sorge una voce che parla ai secoli e alle generazioni venture: e dove la memo- ria de' tristi mi buio de' tempi va confusa e disper- sa, quella de' chiari dura, splende, risorge pii^i viva, perchè ha suo fondamento nella virtù delle vere uma- ne glorie perpetua conservatrice. Comecché adunque reputassi degnissimo d'ono- ranza e ricordazione il Gornia, difettando quasi d'o- gni contezza , mal mio grado fui stretto fin qui a tacermi di lui: se non che discopertosi, e venutomi avventurosamente a mano (i) un suo viaggio per mez- za l'Europa, potei spigolarvi alquante cose a lui ris^ guardanti: e quindi sciogliendo l'involontario silen- zio nella solennità di questo giorno, divisai venire spo- nendo in breve e con tutta semplicità qual si fosse (I) Il diario del viaggio del Gornia (: posseduto dal eultissi- mo e eh. cavaliere Co. Gianfrancesco Ferrari Moreni, che si piacque comunicarmi il pregevole manoscritto e darmi notizie riguartlanti quel celebre medico. aSo Letteratura il vivere del Gornia, e come in bella fama venisse. Poco potrò dirvi, cortesi signori: ma da questo var- rete ad argomentare il molto che mi è forza tace- re : sì scarsa è la messe de' fatti che a me fu dato rac- corre , e sì deboli ho l'ali per levarmi a tal volo. Deh voglia darmi lena quella benignità che invoco, e con cui spero mi porgerete attento l'orecchio ! Giambattista di Vittorio Gornia nasceva qui in Persicelo nel i633. Savio e dabben uomo era il padre : quindi si porgea educatore al figlioletto, co- noscendo essere primo e principal debito de' genito- ri l'ammaestrare essi medesimi i figliuoli, debito da cui né povertà, nò disavventura, ne ignoranza li po- trebbe scusare giammai. Né Vittorio intendeva uni- camente a ben dirìger l'animo del figliuolo, sicché rie- scisse pio, costumato , misericorde : ma nelle prime lettere lo addestrava, e valenti istitutori gli procac- ciava e in patria e in Bologna negli sludi rettorici e di poesia, cui tanto intesamente si applicava, che in verdissima età venuto in grido di valente la bo- lognese accademia de' gelati lo accogliea fra' suoi, e gli dava nome di Rinforzato. Ma che sono gli ame- ni studi, ove la face della retta filosofia non gì' il- lumini e ravvivi ? E Giambattista ne ode i precetti da Francesco Natali, che gli prova tutta la somma della filosofia essere volta a cercare la felicità del vi- vere: la sola, la vera, la più certa delle filosofie es- sere la morale: conciossiachè senza perdersi in astrat- tezze e fantasie tale si è mantenuta da Socrate in- fino a noi. E il savio giovane di quella fa le sue de- lizie, quella prende a sua guida, in quella immerge ed affina l'acuta sua mente. Ma già si toglie al Na- tali, e sotto la disciplina di Gio. Laureati tutto si Elogio del Gobnia 281 volge alla medicina, arte paterna, cui vuol dedicare la vita, e cui siffattamente intende che nel giugno lóSy cinge l'alloro dottorale; e, ciò che è più, a due col- legi medico e filosofico viene annoverato. Sa il Gor- nia la medicina essere l'arte sola, di cui tutti abbiam bisogno: perciocché nascono coU'uomo i mali, e tri- sta compagnia infino al sepolcro gli fanno ; quindi a meglio divenirne sperto si fa via e scorta agl'inde- fessi studi colle osservazioni e colle esperienze, nelle quali la vera dottrina e la fondata filosofia si rin- viene. Sa che la medicina ebbe dalla compassione suo cominciamento e progresso: ondechè non solo si dà a curare con amore i suoi simili, ma statuisce fare ad essi e alla scienza l'intero sagiificio di se, avendo la vita del povero e del debole cara nel modo isles- so che quella del potente e del ricco. Mentre que- sti bellissimi avviamenti prendeva alla scienza, ecco premerlo un grave infortunio : che nel iGSg venia a mancargli il padre , ed egli rimanea solo sostegno alla tenera madre Francesca e a tre sorelle. Quindi alternare le cure domestiche a quelle dell'arte, quindi or lo vedi soggiornare in patria, ora in Bologna (1662), ove splende di tanta luce la sua sapienza, che span- dendosene anche fuori chiarissimi i raggi, vacando una cattedra straordinaria di medicina nella pisana università , vi è chiamato dal gran duca Ferdinan- do II: onore altissimo e da pregiarsi sommamente : che Ferdinando fu colui, al quale l'Italia deve quel- Tadunanza, che tanto di celebrila acquistò sotto il nome di accademia del cimento; che accolti nel suo seno quanti erano più celebri investigatori delle na- turali cose, rinunziato costoro qualunque sistema, cer- cavano eoa animo libero per mezzo di attente os- 28a Letteratura servazioni e di sperimenti palpabili la verità. Nata quest'adunanza (in cui è fuor di dubbio che fosse pure il Gornia) a' 19 di giugno del 1657, non durava che nove anni; pure fu prima fra tutte le sperimentali accademie inglesi, francesi, alemanne, anzi quella da cui le altre ricevettero vita, spirito, e norma. 11 venire scelto a sì onorata cattedra da principe dottissimo , e cui debbon sì alto beneficio le scienze , forma l'e- logio più bello del medico persicetano , che sì va- lorosamente adempie l'incarico , da venire sei anni dopo promosso alla cattedra ordinaria : per arabe le quali scrivea dotte e forbite lezioni latine, dettando insieme un volume di mediche osservazioni', ope- re che allora, non essendo ancor surta quella sfre- nata smania de' moderni di voler tutto slampare, si giacquero lungamente manoscritte, e che ora affatto perdute potrebbono forse avere resi illustri i nomi d'alcuno de' corvi sfrontati che amano addossarsi le penne altrui. Che se crediamo al p. Orlandi, altre operette ei compose e die a luce, che tuttavia 0 ne- glette o sconosciute rimangono. Frattanto le belle doti del Gornia, il seme delle sue dottrine che sal- damente allignava nell'animo degli insegnali, la sin- golare perizia dell'anatomia di che avea date sicure mostre, e più la pratica fortunata nell'arte salutare, caro il rendevano a Ferdinando, carissimo poi al fi- gliuolo Cosimo III: il quale ad istruzione e diletta- raento amando percorrere viaggiando buona parie del- lo Europa, sceglieva a suo medico e compagno il Gor- nia. Parlivasi la principesca comitiva di Firenze il martedì 16 di settembre 1668, e imbarcatasi a Li- vorno , toccata la Francia , si volgeva direttamente alla Spagna. Ivi il Gornia conosce e pratica i me- FxOGIO PF.I. GORNIA 2B3 dici del re ed 1 più segnalali della nazione, i quali lo pregiano, lo accarezzano, lo presentano delle loro opere. Principi, ambasciatori, uomini di alto grado lo cercano, lo chiamano , e nelle loro infermità il consultano. Due volte assiste alla medica accademia di Madrid, e vi disputa con lode. Dalle Spagne pas- sa in Portogallo, ove l'aspettano gli onori medesi- mi, cui si aggiunse che comandato di consultare con nove medici intorno al pericolo di vita dell'amba- sciatore di Spagna, il re del buon esito satisfatto tutti e dieci cavalieri di Cristo gli ebbe creali. Dal Porto- gallo naviga in Inghilterra, dove l'accoglie fra' suoi la società reale, e dove conosce il Boile, stringe ami- cizia col Jakson, col Finkio, col Glissoivio, col Vil- lis. Visita le università di Oxford e di Cambrigde, e viene ad esse onorevolmente aggregalo. Vede ap- presso l'Olanda, e vi conosce l'Elzevir, il Tulpio, e Silvio De la Boe anatomico di fama chiarissima, re- putato inventore della clinica patologica, onore che gli stranieri sempre avidi di cingersi le nostre co- rone ebbei'o rubato all'Italia, e al veronese Montano specialmente. Scorre quindi la Francia e vi cono- sce gì' ingegni più belli, e sì v' è tenuto in pregio, che la reale accademia lo fa de' suoi. Né solo di me- diche cure si occupa nel suo viaggiare, ma di po- litica altresì: e Cosimo, che ne ravvisa la prudente saggezza, se ne vale non rade volle, e lo vediamo in Olanda gire ad ossequiare per lui i borgomastri di Amsterdam. Ma già il suo pellegrinare è felicemente compiuto: e la nave che porta il principe ed il suo seguito torna a toccare l'italico lido, e il 29 di otto- bre 1669 *"^*' ^" prospera salute rivedono Firenze. E di questo viaggio che il Gornia lasciò un dia- 284 Letteratura rio, ove minutamente descrive gli usi e costumi de' tempi suoi, dando contezza dello slato in che erano presso le nazioni visitate la letteratura e le scien- ze: parla delle università più celebrate, de' professo- ri di maggior nominanza, delle biblioteche più insigni, de' libri più rari ; riporta le iscrizioni degne di ri- cordo, nota le pitture e sculture più segnalate, ral- legrando il racconto dì vari e leggiadri annedoti, e di fatti di cui ora invano si cercherebbe altrove la memoria. Degni di singoiar menzione sono i luoghi ove divisa il palazzo reale a Madrid, l'Escuriale, l'Al- cazar, e lo studio di Toledo, la caccia del toro, le città di Granala e di Siviglia , lo studio di Coim- bra, il santuario di Corapostella, le corti d' Inghil- terra e di Francia, e le città di Londra e di Parigi. E nella descrizione delle corti, ove gli era dato in- ternarsi, è sempre sì minuto da averci serbato memo- ria delle fattezze, degli abiti, degli ornamenti, e delle parole ben anco dei re e delle regine, de' ministri e de' principali personaggi; e nuovo Svetonio fé pur tesoro di ciò che di buono o di tristo narrava di loro la fama. Si ha insomma nel viaggio del Gornia la fedele e spesso viva dipintura dello stato di quasi 200 anni addietro delle parti d'Europa ch'ei visitò. Laconica, semplice, ingenua è la maniera con cui ha dettato il suo viaggio; pur talvolta è si magra e smun- ta da reputarla meglio una preparazione a più am- pio lavoro, di quellochè un lavoro compiuto. Molto e molto è però a lodarsi il Gornia dell' aver man- tenuto casto, piano, e spontaneo lo stile, che mai non si mostra tinto di quella pece del seicento, al quale viveasi in mezzo. « Incontratosi a'tempi, in cui ai Virgili e ai Ciceroni dell'Italia erano succeduti i Er.OGIO DEL GoRNIA 285 Lucani ed i Seneca, i quali stoltamente credendo tro- vare il vero ed il bello per istrade diveise dalle calcale da chi gli avea preceduti, andavano in cerca di no- vità: e lasciata la chiarezza, la leggiadria, l'eleganza, la naturalezza de' classici, correano dietro alle stra- nezze, alle gonfiezze, alle lambiccature : » echi era più falso ed ampolloso veniva maggiormente pregiato, siccome il Preti, 1' Achillini , fra Ciro, il Battista. Certo io mi credo che forte giovassero in ciò al per- sicelano, non tanto i classici studi, cui ebbe inteso giovanetto, quanto la familiarità del Redi, del Mal- pighl (i),- dell'Uliva, del Borelli, del Segneri, e del (1) Venutomi a mano, per cortesia del eh. sìg. Gaetano Atti, una lettera del Gornia, e dne del Malpighi che di esso favellano, mi piace darle qui in aggiunta a conferma d'alcuna delle cose esposte nell'elogio. A Marcello Malpighi. Molto IH. ed Eccmo sig. Pron. Colmo- Venerdì sera prossimo il nostro dottore Uliva sarà in Bologna alloggiato in casa del sig. dott. Vigna. Ne porto questo avviso a V. S. Eccma, poiché egli desidera di vederla, e credo che ella al- trettanto veliere lui avrà caro. Il sig. Borelli è in Roma, e sta be- ne : il Finchio non è mai giunto , e quando verrà mi raccorderò di servirla. Che è quanto devo per ora, e la riverisco. Fiorenza 14 agosto 1673 Di V. S. molto IH. ed Eccma AIfmo ed obblig. serv. Gio. Batta Gorma. Illmo sig. mio sig. e pron. colmo. La cortesìa di V. S. Illma mi ha fatto godere delle nuove sue osservazioni, con la quali al solito pone in chiaro la verità, e di- singanna i troppo creduli. Ciò che ella prudentemente conclude è sinor, che, se il popolo per avvertimento d'Ippocrate un giorno l'intende, ai medici può levar il credito e il guadagno. Ma il mondo è tanto balordo , e vuol conservarsi tale , che i medici avranno sempre che fare. Se la scrittura fosse compita, mi saria più cara , mancandovi la seconda considerazione , che con due sole parole «: 286 Letteratura Magalotti, che pur ebbe compagno del suo viaggio. Assai notevole è poi il richiedere ch'ei facea ogni gran medico, in cui si avvenisse, de' rimedi in che ponea maggiori le fiducie, del modo di adoperarli e degli effetti che gli era sortito vederne. Dal che chiara- mente apparisce, com'ei conoscendo l'infinito esten- dersi della difficil arte di curare i morbi, poiché quel accennata , forse per errore di chi 1' ha copiata : onrle se così 1« piacesse , potria dare al nostro sig. Gornia ciò che manca , che a suo comodo me la trasmetteria. L'ho di già inviata al sig. Monta- nari , che si trova fuori di città: e rendendo vivissime grazie alla gentilezza di V. S. lUma, resto umilmente riverendola. Di V. S. Illma Obbmo servitore Marcello Malpighi. Sig. Francesco Redi, Firenze, 4 settembre 1673. ErudUissimo et praeclarissimn viro J). Ilenrico Oldcnburg regiae soc- y4ngliae saecretarto, Alurcdlus Malpighius S. P. Redux tandem Florentiam doctissimus Gornia commìssum tibi a regia hae societate diploma mihi transmisit, illudque, tuis iunctum litteris, addictissimo animo recepi, quod tantorum virorum munifi- centiae pignus perpetuo apud me stabit. Historiola mea de bombyce , quam luce iam pridem gaudere tuis epistolis significasti, nondum adhuc in domini Passerini manus devenit. Qiiam primum promissum opusculorum fasciculum ad do- mini Verbequiy dirigam, quum litteras meas tibi regiaeq. societati prò debita gratiarum actione elapsis mensibus datas reddidisse spero. Adhuc laboro in sollicitandis amicis prò naturae phoenomeno- rum coUeclioue, omneq. studi nm , ut domesticae rei negotium medi- corumque praesertim a me avertam, adhibeo, quo imperturbabili otio gaudenti prò viribus consimilia moliri mihi liceat. Sed proh dolor ! Qui natiiram perdite amant, cunclarum rerum inopia fatigant: eos vero, qui nec ipsius nomen oU'aciunt, omnium rerum cumulat affluentia. Fe- lix diu vivas, mequeamoris tui favore prosequi ne desistas, et valeas. Dabam Bononiae die 15 novembris 1669. Elogio del CìoRiVia 287 suo peregrinare per molti luoghi gli porgeva l'occa- sione (li far sue le sperienze di tanti uomini insi- gni, diversi per isludi , per sistemi, per età, per luo- ghi, per osservazioni, ci non lasciavala punto sfug- gire: quindi con prudente criterio sap3a scegliere le dottrine più ragionevoli e più appropriale, e di quel- le valersi a maggiore utilità de' curati da lui. Ma già, tornato a Pisa, riprende alacremente le consuete oc- cupazioni, dalle quali per la salute disCrancata da con- tinuati studi , e da dodici anni d'insugnamento, fu stretto a cessare chiedendo onorato riposo; il quale agevolmente ottenne dall'affezionato principe, che in- teri gli conserva lo stipendio e la benevolenza. Al- lora come in porlo tranquillo nella bene amata pa- tria si ripara, ove tutto vivendosi al pacifico seno del- la famiglia, scorsi appena quallr'anni, confortato dai presidii di qui Ha religione, che sempre stette in cima de' suoi pensil^ri, mancò di vita nell'ancor verde età d'anni 5i a dfi 6 di dicembre 1684, lasciando in do- loroso desldei'io la diletta consorte, e i figliuoli Ma- ria, Diamante, e Vittorio, il quale messosi per le orme paterne si fé poi medico valente deguato della bene- volenza del Card. Sculembac, che lo ebbe fra' suoi , e dell'amicizia di quel grandissimo de' pontefici Pro- spero Lambertini. Da quanto venni ragionando fin qui voi vedete, studiosi giovani, che il Gornia, nutrito di eletti slu- di , medico, anatomico di grido, compagno ed amico di principi, autore di scrini lodati, religioso, onesto concittadino, si ebbe onori, premi, lodi da' contempo- ranei: bella e grata ne serbarono la memoria le penne e le menti de' posteri; ed oggi si ha quest'onoranza, qualunque siasi. Studiatevi adunque di calcarne le ve- G.A.T. CU. 20 a88 Letteratura sligie per quanto è da voi ; e soprallulto amate di grande amore gli studi, a' quali vi siete dati: che senza questo amore, siate certi, non ne riuscirete a bene giam- mai. Quell'ardore, quell'entusiasmo, quel vivo desi- derio , quell'appassionato fervore con cui altri pone il suo cuore alle cacce, ai balli, alle musiche, ai de- strieri, agli spassi, e quasi che non dica alle oziosità ed al vizio , indirizzateli a' libri ed agli sludi. Oh quanti disagi sopporta l'uomo per raggiugnere la meta delle sue brame in quelle cose che più al materiale di- letto riguardano! Non vi sono dispendi, non cure, non pericoli, non cimenti, cui di buonissimo grado non si sottoponga. Le ali del vivo affetto, che ha loro, lo portano velocemente per le vie che vede atte a conseguirle, e nessuna intentata ne lascia. Deh sia lo stesso nella istruzione, che pur concerne lo spirilo, nobilissima parte di noi ! Amatela, amatela con ope- roso ed infocalo affetto: ed allora leggieri, dilettose, gioconde vi saranno le studiose fatiche, più certo e fruttuoso il prò che rilrar ne potrete. Abbiate sem- pre innanzi quanto v'assenna il poeta, che Seggendo in piuma In fama non si vien, né sotto coltre: Senza la qual chi sua vita consuma. Colai vestigio in terra di sé lascia Qual fumo in aere, od in acqua la schiuma. Vedete questi incliti magistrali, quest'ottimo e venerando pastore, questi dotti moderatori degli sludi, questi solerli ed onorandi miei colleghi, tutti volti a procurare il vostro migliore avviamento a quelle islilu^ioni che vi ponao rendere dolce e onorala la Elogio del Gornia 289 vita. Vedete come essi non risparmino industrie, dili- genze, premure, affinchè quel sacro deposilo di virtù, di sapienza e di religione lasciatoci dagli avi non vada a perire giammai, ma stia, cresca e passi a' tardi nipoti incontaminato ed intero. Deh loro nella solennità di questo giorno , voi cinti delle corone che riportaste nel glorioso arringo, e voi che sperate un giorno trat- tarvi valorosamente ogni arma , promettete che con ogni possa adoprerete a rispondere degnamente alle speranze che tutti in voi riponiamo ! Ma già bene au- gurando da' vostri volti, che veggo accesi dall'amore di gloria, oso fare in vostro nome questa solenne pro- messa: voi procacciate che presto la veggiamo felice- mente adempiuta. G. F. Rambelli. ago Poesie cosacche. Bilie cosa è un cosacco che ba una poesia ? L'Ita- lia non ha forse di esso altre nozioni di quelle udi- te o scritte da alcuno straniero: perchè contento il cosacco delle sponde del suo Don, o Tanai, e delle ampie regioni adiacenti, non suole recarsi in questi remoti, e per esso non interessanti paesi. Un illustre scrittore russo però, il principe Elia Mestcherski (i), il quale ha riunito molte notizie sull'origine e su' co- stumi di questo popolo tanto mal conosciuto, ci dice poeticamente, che il cosacco è una specie di animale fra l'uomo e l'orangotang : un ollentoio colla pelle bianca e la barba lunga : una bestia, che non si ad- domestica, che a colpi di bastone. Il cuore di esso non è accessibile che a due sentimenti ; all'avidità del bottino, ed al timore della sferza. Il cosacco col suo giubbetto rosso, pantalone bleu, e berretto che copre appena la mela della lesta, sembra una scim- mia vestila quale dai ciarlatani si mostra al volgo : ed il suo volto ed il suo corpo formano un Apollo di bruttezza. Questa razza altronde è una vanguar- dia della barberia, che colla lancia minaccia le reni dell'Europa incivilita. I cosacchi sono sudditi russi, ed appartengono al rito cristiano-greco. L'origine della loro nazione si (;!) Morto nel fior dell'eli in Parigi al cader del 1844. Porsi E cosacche 291 deve alla progressiva agglonierazione di avventurieri e coloni delle regioni meridionali. Il loro governo in principio era patriarcale: l'individuo più savio e più valoroso era eletto capo, od attaman. Questi giudi- cava le vertenze coU'assistenza de'vecchi e de'capi di famiglia di maggior considerazione. Una vita di av- venture, di guerre, di gloria, e costumi che rammen- tavano i primitivi tempi di Sparta, di Roma, e della Germania modificati dall' influenza del cristianesimo e dal contatto della barbarie asiatica, sono gli ele- menti dell'esistenza degli antichi cosacchi. Non amo diffondermi accennando al lettore i loro stabilimenti più o men precari sul Dnieper, sul Don, sul mar-nero, sul Caspio, nel Caucaso e perfino nella Siberia. Non narrerò le sanguinose lotte, e le imprese eroiche contro i turchi, i- tartari e vari popoli del- l'Asia, nelle quali sovente furono vincitori, vinti non mai. Ne pure li dipingerò, come nuovi crociati, sca- var colle picche la terra de' miscredenti per piantarvi il segno della resurrezione fra mucchi di cadaveri : o nuovi martiri che col lor sangue cristiano fecon- dano i germi di alcune verità, delle quali il complesso è riservato al caltolicismo: o cani vigilanti col collare d'acciaio, destinati dalla provvidenza alla guardia del gregge europeo contro le feroci belve dell'Asia. Non ometterò tuttavia di dire, che gli antichi co- sacchi erano quasi indipendenti dai czari. I loro co- stumi ed il loro modo di vivere avevano speciali li- nee di separazione, le quali si sono cancellate dopo che si sono più completamente incorporati alla Russia. Erano essi in ostilità perpetua colla città d'Azof, che allora spettava a' turchi, col kan de' tartari della Crimea e l'antica Tauride. S' imbarcavano su fragili schifi, di- 292 Letteratura scendevano il Don, attaccavano i vascelli turchi nel mar-nero, e devastavano le coste. Erano i filibustieri di quelle contrade: ma non erano pirati. Dichiara- vano la guerra nelle debite forme , e facevano tre- gue e paci, che quasi sempre erano violate dai loro nemici. Ecco la lelJerale traduzione di una di tali dichiarazioni di guerra: « Dalla parte dell'attaman del Don e di tutto 1' esercito al pascià di Azof salute. Per ordine del nostro gran sovrano noi siamo vis- suti in pace con voi : ora tutto l'esercito ha deciso di rompere la pace. Temeteci: che noi prendiamo le convenienti disposizioni. Perciò la presente ha il si- gillo dell'esercito. » Questo sentimento di dignità e fierezza nazio- nale era espresso in alcune locuzioni proverbiali dei cosacchi. « Noi accordiamo la pace, dicevano essi , ma non ci conviene di domandarla » Ed in fatti il sultano prescrisse alla città di Azof, che ogni volta che conchiudesse la pace con essi pagasse un certo tributo in sale, reti da pesca , e danaro. La caccia e la pesca erano la loro principale industria, ed ave-, vano pochi bisogni. La guerra però^ specialmente con- tro i turchi, era in essi quasi divenuta natura : ed allorché lo czar nel i63o gì' invitò ad unirsi come ausiliari ad un esercito ottomano, essi vi si rifiutarono dicendo che i turchi erano loro nemici naturali. In altre circostanze il sultano, stanco delle loro scorre- rie, propose di pagar loro un tributo annuo: ma essi ricusarono Tolferta, ed in vece assalirono e presero d'assalto Azof, ed uccisero l'inviato turco incaricato di tal negoziazione. I cosacchi, profondamente attaccali alla loro re- ligione, non intraprendevano alcuna escursione senza Poesie cosacche ag3 implorare l'aiuto divino. Cantavano il Te Deum nel- la chiesa, e nel partire apostrofavano il Don dicen- dogli addio. Il Don era per essi il rappresentante della patria; era un essere vivente, cui la loro imma- ginazione esprimeva una tenerezza fdiale: lo chia- mavano Ivanovitch, cioè figlio di Ivan ossia Giovan- ni, perchè san Giovanni è il protettore de' cosacchi. Ecco uno di questi canti diretto al Don, che ram- menta i canti popolari de' greci moderni, i quali fan^ no parlare gli oggetti inanimati. E che? nostro padre, nostro glorioso e placido Don, Tu che ci nutrisci, nostro Don Ivanovitch, Tu che hai una buona riputazione. Una buona riputazione e ben meritata, Una volta correvi rapido, Correvi rapido e limpido: Ed ora, o nostro ospite, tu scorri tutto torbido ! 0 Don, tu sei torbido dal basso all'alto. Il glorioso e placido Don rispose queste parole: « E come posso non esser torbido e triste ? Io ho lasciato i miei bravi falconi, 1 miei bei falconi» i miei cosacchi. Senza essi le mie sponde sono lavate dai flutti. Senza essi la sabbia gialla è deposta in trecce pei campi. Ritornati dalle spedizioni, la prima cura de' co- sacchi era di far parte ai monasteri ed alle chiese delle spoglie nemiche, come ne' paesi cattolici le fan- ciulle recano alla santissima Vergine i fiori colti colle loro mani. Questi uomini di corpo duro, ma di ani- ma sensibile, deponevano sulle urne de' lor santi e 294 Letteratura sugli altari l'oro, le perle, e le gemme concjuistale ne' campi della gloria, e fondevano i cannoni presi al nemico in campane per le loro chiese. Come i ca- valieri del medio evo consacravano una metà della lor vita alla guerra, l'altra a Dio. I monasteri erano il loro ospizio degrinvalidl. Il bottino comprendeva gli scliiavi de' due sessi; si divideva esso fra la truppa vittoriosa: la quale opera- zione chiamavasi il Duvann, ed eccitava sovente il genio de' loro poeti. Eccone un saggio. Dalle sponde del glorioso e placido Don Verso la contrada della parte d'oriente Questo prode valicò alte montagne, E dalla parte d'occidente traversò cupe foreste: Ora torna su questa sponda, ove vivono uomini liberi. Gli uomini liberi vivono: i cosacchi del Don, I cosacchi, gli amici, si riunirono in cerchio E impresero a fare il Duvann fra loro. L'un premio era di cinquecento rubli, L'altro era un migliaio intero. II terzo una bella giovane schiava. Il prode campione si lamenta, e geme: « O testa mia, mia povera testa, testa infelice ! Alla guerra, alla battaglia, tu ti presenti la prima: Al Duvann, alla divisione, ti si lascia l'ultima. » Ma la bella schiava disse al prode campione: (( Oh! non piangere, non lamentarti, mio prode: Io tesserò per te un tappeto di seta, che varrei 5oo rubli: Ne tesserò un altro, ohe ne varrà un migliaio intero: Ed il terzo tappeto, che ti tesserò, non avrà prezzo. Da questa poesia rilevasi che i cosacchi uou era- Poesie cosacche agS- no molto galanti, posponendo una bella sposa a, 5oa rubli. Forse gli spartani erano meno ruvidi. I co- sacchi erano stranieri all'amore, e colui che ne fosse attaccato era respinto dal cerchio de'corapagni, e fatto scopo di rimproveri e scherni. Simili ai romani trae- vano le loro sabine dai turchi, dai tartari, e sopra tutto dalla Circassia: e queste erano prima convertile al cristianesimo, indi fatte loro spose. Quindi fra i cosacchi si trovano belle carnagioni, e stature alte, capelli neri, e qualche profilo greco. Le femmine erano rispettose verso i vecchi ed i militari , ma vivevano assai ritirate, né vedevano gli uomini, che nelle chiese ed in qualche pubblica riunione, e si levavano dalla finestra all' aspetto di un uomo. Esse ambivano di parlare la lingua tartara: ma nel passato secolo però i rapporti fra i due sessi furono più frequenti, e le donne di qualità oggidì parlano la lingua d' India- na e di Lelia, La poesia, come la musica ed il ballo, sembra che sia quasi un attributo di tutti i popoli, de' quali qualche individuo in date circostanze sente quell'esal- tazione mentale che si disse estro. I cosacchi, come tutti i popoli slavi, ne facevano una speciale applica- zione alle lor guerre. Essi andavano all'assalto prece- duti da cantori e da rapsodi, o sia poeti destinati a riferire in versi la storia delle più importanti spedi- zioni, come nelle sedute degli odierni parlamenti gli stenografi sono destinati a trascrivere co' loro caratteri la storia delle allocuzioni pronunciate. Sarebbe inop- portuno riportare per esteso queste canzoni, ma par amo esibirne qualche altro breve saggio: QgG Lette RATUKA Non è un falco nelle nubi Che perseguita un minore avvoltoio : Non è una falce nei prati Che abatte le erbe rigogliose: Non è un lupo temerario Che si slancia su i montoni: È il cosacco intrepido Che si precipita sovra i nemici. Il suo cavallo leggiero e focoso E un uragano che scorre la campagna, Passa come una freccia a traverso i nemici: Ed i nemici disparvero. Alcune ripetizioni, alcune metafore prese nega- tivamente da'cosacchi hanno qualche analogia nei can- ti de' popoli slavi e de' greci moderni, come nel se- guente frammento: Era l'aurora, era la gentile aurora, Era l'aurora che precedeva un sole rosso e puro: Non fu il vento tempestoso che soffiò. Non il mare ceruleo-nero che muggì, Non la saetta che scrosciò nella campagna, Non il serpente perfido che sibilò fra i cespugli: Ma sibilò una palla di piombo. La palla non cadde in terra, Non cadde né in terra, nò in acqua. Ma la palla cadde in mezzo ai cosacchi Sovra una testa predestinata Sovra in primo essul (officiale): Colpi la palla fra i sopraccigli e gli occhi limpidi, Ed il valoroso cadde sulla nera criniera del cavallo. Poesie cosacche 297? Anche i tliminulivi sono una particolarità di qnesla singoiar poesia, ed esprimono sentimento dì af- fezione e di stima, dicendosi il piccolo sole^ il mio piccolo padre, il nostro piccolo attaman. Eccone qualche altro saggio: iCome l'erbetta e gli arbusti , che tremolano nella campagna Al soffio del vento in una sera d'estate, Così vacilla, ed a stento si avanza il prode guerriero: Porta una veste di colore ermisino: Le maniche sono rovesciale sulle braccia, E le falde gallonate pendenti sotto il dorso Sono macchiate di sangue musulmano. ;Si avanza il prode e vacilla, Si bagna di lacrime brucianti, E s'appoggia sull'arco, che non si piega: La doratura dell'arco si dislacca, E ninno va incontro al guerriero valoroso. Sua madre, la piccola madre, sola gli va incontro: Oh! figlio mio, mio caro fanciullo, mio diletto bambino, Perchè, caro mio, hai tu bevuto fuor di misura ? Tu sbilanci e declini verso l'umida terra: Tu ti avvicini all'erbetta, e ti appoggi sugli arbusti! Ma il prode guerriero dice a sua madre: Non sono io che mi sono versato da bere, Lo czar turco m'ha ubriacato, e tre volte mi ha fatto bere. Io ho in prima bevuto la sciabla tagliente, Ho bevuto dipoi il dardo penetrante. Ed ho bevuto in fine la palla di piombo ! 2q8 Letteratura Ma bastino questi saggi per un giornale. Giovi però l'osservare, che questi versi, come gli antichi canti popolari russi, non hanno ne rime, ne numero determinato di sillabe. La melodìa vien prodotta dal- l'appoggiare la voce sovra alcune parole, come una frase musicale. Questi versi chiamansi in Russia me- tro tonico. Forse la poesia degli antichi ebrei, di cui la forma materiale è tuttora soggetto di disputa, era di tal indole: e la versione latina dei salmi, tuttoché mancante di rima e di metro, presenta qualche me- lodia nelle nostre chiese. Mon credo fare speciali analisi di queste poesie altronde assai scolorate dalla traduzione. Tutti i canti popolari hanno una specie di magia inesprimibile , eccezionale , e trasfondono nell'anima sensibile una specie di elettricismo. I canti cosacchi offrono quella poesia primitiva e naturale , nuda d' ogni studiato artificio, simile al linguaggio barocco, ma pur grazioso d'un fanciullo, semplice ma piena d' immagini, spesso energica, sempre originale. Alcuno potrla ravvisarvi un eco lontano dell'arpa caledonica di Ossian, o del grido guerriero del Clefta albanese: ma io vi trovo almeno una peregrina novità letteraria. S. Camilli. «99 Pétrarqne, soTinets^ canzone s, ballades^ sextines traduits en verse per le conite AnatoUe de Montesqiiiou pair de France etc. Tom. I. II. Epitres, eglogues triomphes traduits en vers par le méme. Tom. III. Paris i843 Ubrairie d' Àmjot editeur etc. 2 édition. k^ebbene il nostro giornale non coslumi di rendere ragguaglio delle opere di lelleralura in prosa e in verso, che si pubblicano oltremonle, nondimeno non siamo noi stretti in guisa dalla consuetudine , che non ci sia permesso alcune volte il dipartircene, spe- cialmente se trattisi di lavoro, che in parlicolar modo ci riguardi, e sia anzi disdoro di non essere cono- sciuto dagl'italiani. Tale appunto è la versione del Pe- trarca ristampata nel i843 in Parigi dal sig. d'Amyot, e già eseguita dal eh. sig. conte Analolio di Monte- squieu, personaggio commendevolissimo non solo per l'antichità della sua famosa prosapia , e pe' civili e militari incarichi da lui sostenuti, ma eziandio per la fama di valente poeta acquistatasi nella sua na- zione co' versi originali , anch' essi posti in luce nel medesimo anno i843 in due volumi simili alla suddetta edizione dal ricordato sig, D' Amyot. ]Noi solo e con brevità diremo alcune parole del petrar- chesco lavoro, di cui si è arricchito il parnaso fran- cese : dal che si rileverà di leggieri a quale ardua impresa siasi posto il nobilissimo autore. Il Petrarca, come ne insegna il Gravina nella 3od Letteratura sua Bdgione poetica^ fu padre di una lirica, nella quale secondo le facoltà dell' idioma italiano addu- cendo le greche e le latine virtù dal loro centro , seppe superare la gravità delle canzoni di Dante, l'acu- me di Guido Cavalcanti, la gentilezza di Cine , e le virtù di ogni altro così nell'età sua, come nelle seguenti, nelle quali fra tanti a lui simili non è mai sorto l'uguale. Prosegue quel profondo maestro a dir- ci, che l'ingegno di messer Francesco ahbracciò nel suo canzoniere le principali parti della lirica, e che vi troviamo la imitazione delle elegie di Tibullo, di Catullo , di Properzio, di Ovidio, delle anacreonti- che e delle odi di Orazio e di Pindaro. Inoltre la natura dell'amore da lui cantato es- sendo platonico, ossia razionale (come portava l'in- dole della filosofia che co' buoni studi nel secolo XIV andava a risorgere, e ai quali tanto il Petrarca stesso contribuì), è un amore tutto onesto, separato cioè dal senso e dalla materia, amore che va ne' saggi ogni giorno più, qualmente avviene negli altri affetti, pu- rificandosi e riducendosi a virtù. Del che è legitti- ma conseguenza , che in tutto il canzoniere abbia messer Francesco bene spesso favellato di trasforma- zioni e di cose, secondo la dottrina di quel maestro che fu il divino Platone. Arroge la nobiltà, la eleganza, e la purezza della lingua: essendo stato il Petrarca il primo, giusta la bella frase di Ugo Foscolo (i), « Quel dolce di Calliope labro, « Che amore in Grecia nudo, e nudo in Roma, » D'un velo candidissimo adornando « Rendea nel grembo a Venere celeste. » (1) Carme Je'sepokri. Sonetti del Petrarca tradotti 3oi Somiglievoli considerazioni non al certo nuove, ma che di tratto in tratto non è mal di ripetere, ac- ciocché studiandosi negli antichi modelli si lascino una volta le ciance, né più si vada appresso ad uno stile falso ed indegno della letteratura italiana, con- viene fare sulla natura della poesia petrarchesca; né devesi in pari tempo tacere, che ancor egli qual uomo pagò il suo tributo all'umana natura, ed ebbe talora concelti e frasi da non ciecamente imitarsi. Questi nei peraltro non han mai tolto, ne mai toglieranno, il cantor dì Valchiusa da quell'altissimo seggio, in cui la posterità, giudice spassionalo e sincero, lo ha collocato: e coloro stessi, che a bello studio ne han voluto oscurare il nome, altro non hanno fallo, che rendersi dispregevoll, ed accrescergli quella gloria , che se non in lutto, voleano togliergli in parie. Da quanlo abbiamo discorso chiaramente appa- risce come debba esser dildclle il tradurlo in altro idioma, ed in ispecie in una lingua, siccom'è la fran- cese , assai differente dalla italiana per la giacitura delle parole, per l'ardilezza delle frasi, per la diversità de' metri, e per la natura del suo linguaggio poetico. Ogni classico autore ha alcune bellezze talmente pro- prie e sue, che Irasporlate in altra lingua senza fallo si perdono: imperocché ogni lingua ha il suo bello intrinseco, essenzialmente distinto e diverso da ciò che forma il bello di un'altra. Quindi è che sebbene innumerevoli ingegni siensi posti a volgarizzare il ve- nosino, e ce ne abbiano date commendevoli versio- ni nell'italiano, cioè in quella lingua sì affine alla latina, che per antonomasia se ne chiama la figliuo- la primogenita, Orazio ancora vuole esser letto ne. suo originale, e delle sue occulte ed infinite bellezze 3o^ Lettekatura ben poche ce ne hanno tramandale i volgarizzatori più stimati fra noi. Ciò che dicesi del venosino , dicasi di ogni classico antico e moderno. Chi, per esempio, potrà renderci in italiano le inimltahlli fa- vole di Lafontaine ? Chi le tragedie di Sakespeare ? Altro dunque non resta a chiunque arai di fare una buona traduzione, specialmente in versi, se non di studiare con profondità l'autore, d'immedesimarsi con esso lui, di trasportarlo ai suoi tempi, di farlo par- lare in quel modo stesso che può supporsi che avreb- b'egli parlato. Quindi il traduttore, ben conoscendosi dell'una e dell'altra lingua, deve sceglier le forme che più si avvicinano, o si assomigliano: esaminare se la bellezza venga o dal concetto, o dalla metafora, o dalla parola, o dalla giacitura di esse: schivare que' tropi che belli in una lingua potrebbero sembrare o deboli, o vani, o arditi in un altra: in una parola, quando non riesca dare la «tessa moneta, diasi pure, come vogliono Quintiliano ed Orazio, l'equivalente. Un così fatto metodo, se l'opinione non c'ingan- na, ci sembra essere stato tenuto dal signore di Monte- squiou: e con quanto accorgimento, e con quale suc- cesso si farà chiaro a chiunque vorrà togliere ad esa- minare questa elegante versione poetica mettendola al confronto delle altre già fattesi in Francia (i). (1) Veggasi il - Catalogo della raccolta che per la bibliografia del Petrarca e di Pio II è già posseduta, e si va continuando dal- l' avv. de Rossetti di Trieste. Trieste dalla tipografia di Giovanni Marenigh. 1834 , in 8, di pag. 96 - In questo catalogo si trovano le seguenti traduzioni francesi del Petrarca. I Trionfi stampati in Parigi nel 1545 da Giovanni di Marnef: i medesimi impressi nella stessa città nel 1534 da Stefano Croulleau. (Non so se sia una ri- stampa), n Petrarca con commentario ec. tradotto da Filippo de Mal- deghera signore di Leuschot. Dovay 1606; le opere amorose tradotte Sonetti del Petrarca trapotti 3i3 Non si è egli legato a tradurre l'originale o in so- netti, o negli altri metri dell'autore; ma ha scelto quelli che più gli sembravano acconci : e quanto ai concetti e alle frasi ne ha tolto di peso (per quanto poteva) lo spirito, e le ha adattate allo stile francese. La quale cosa ci fa egli medesimo sapere nel sonetto precedente alla versione indirizzato al suo maestro, nel quale si difende dalle incolpazioni dategli fin dalla prima edizione, di essersi cioè allontanato dai metri usati dal Petrarca. A far meglio comprendere e gustare quesla ver- sione riferiremo due sonetti, ponendoli a fronte del te- sto originale, e ne sceglieremo due fra di loro assai dif- ferenti per concetto e per forbitezza di stile. Ecco il primo, cioè il XXII della prima parte, secondo la lezione del Marsand, e che dal sig. Moutesquiou è contrassegnato col numero 28, avendo dato altr'or- dine al suo canzoniere. Solo e pensoso i più deserti campi Vo misurando a tardi passi e lenti; £ gli occhi porto per fuggir inlenti. Dove vestigio uman l'arena stampi. Altro schermo non trovo, che mi scampi Dal manifesto accorger delle genti : Perchè negli alti di allegrezza spenti Di fuor si legge come io dentro avvampi. da Placido Catanusi Parigi 1669, ristampate nel 1709: il Genio del Petrarca, ossia imitazione in versi francesi delle sue più belle poe- sie stampata dal sig. J. Fr. Bastien, Parma e Parigi 1778, e finalmente la traduzione fatta nel 1816 in Parigi dal sig. Leoncede Saint-Geniés. La biografia universale pubblicata in Venezia dal Missiaglia all'arti- colo Petrarca ricorda la versione di sei sonetti in morte di Laura l'atta da Clemente Marot, per tacere di altre versioni. G.A.T. CU. 21 3i4 Letteratura Si ch'io mi credo ornai, che monti e piagge E fiumi e selve sappian di quai tempre Sia la mia vita ch'è celata altrui. Ma pur si aspre vie, né si selvagge Cercar non so, ch'Amor non venga sempre Ragionando con meco, ed io con lui. SONNET Jlfult le monde^ et cherche la solitude^ mais sans affaiblir Vardeur qui le consume. Pensif et solilaire, à pas tardifs et lents, Je parcours les déserts, prét à fuir si le sable Dévoile, quelque part, à mes yeux vigilans De vestiges humains l'empreinte redoutable. Pour cacher mes secrets au monde curieux, Je n'ai pu rencontrer de plus sures retraites. Dans des raomens de joie, indiscrets interprètes, Tous les feux de mon coeur éclataient dans mes yeux. Ainsi, lorsque les monts, les plaines, Et les fleuves et les foréts Sont les confidens de mes peines, Je les dérobe aux indiscrets. Mais il n'est pas de lieu sauvage Où l'amour ait perdu ses droits : Partout il retrouvait ma voix, Et j' écoutais son doux langage. Il secondo, tolto anch'esso dalla prima parte, è Sonetti del Petrarca tradotti 3i5 il sonetto CXLII; e dal traduttore indicato col nu- mero 16 1. L'aura gentil, che rasserena i poggi Destando i fior per questo ombroso bosco, Al soave suo spirto riconosco; Per cui conven che in pena e in fama io poggi» Per ritrovare ove il cor lasso appoggi, Fuggo dal mio natio dolce aere tosco : Per far lume al pensier torbido e fosco, Cerco il mio sole e spero vederl'oggi ; Nel qual provo dolcezze tante e tali , Ch'Amor per forza a lui mi riconduce : Poi sì m'abbaglia, che il fuggir m'è tardo. Io chiederei a scampar non arme, anzi ali: Ma perir mi dà il ciel per questa luce; Cha da lunge mi struggo, e dapress*ardo. SONNET Reconduit par V Amour ^ de Toscane en Provence^ sans e tre moins heureux^ il y est plus tranquille. i'orageux (i) air provient d'une fontaine aimée; Il réveille les fleurs sous le bois ténébreux. Je reconnais cet air pur et volupteux D'où pour mol doivent naUre et peine et renommée. (1) « Le sonnet italien commence par : Vaura (la brise.) Dans U tómérité de ce son amphibologique, l'auteur a cherché un décloin* magement indiscret à la souft'rance que lui causait sa retenue ha- bituelle. J'ai tàché de rendre l'effet de ce jeu de mot par le son de la première syllabe: » cioè Caur, che i francesi pronunziano or> 3i6 Letteratura Pour donner un soutien à ma vie opprimée, J'ai vu fu ir la Toscane et ses bords gracieux. Viens dissipar tant d'ombre, ó soleil radieux ! Viens, viens, je veux te rendre à mon alme alarmée. Je renconlre en lui seul une ielle douceur Que vera lui sana effort l'Amour méme me guide. J'y reste, ou si je fuis, ce n'est qu'avec lenteur. Je devrais n'étre arme qne d'une aile rapide , Mais le ciel jusqu'au bout dirige mon malheur ; De loin, de près, pour mei cel astre et homicide. Ecco alcuni brani della versione della notissi- ma canzone. Chiare, fresche, e dolci acque, Ove le belle membra Pose colei, che sola a me par donna; Gentil ramo, ove piacque (Con sospir mi rimembra) A lei di fare al bel fianco colonna; Erba e fior, che la gonna Leggiadra ricoverse Con l'angelico seno: Aer sacro sereno , Ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: Date udienza insieme Alle dolenti mie parole estreme, CANZONE Désireux de mourir^ il adresse ses dernières pa- Sonetti del Petrarca tradotti 317 roles au site^ à Varbre^ auxjleurs^ aux her- beSt à fair giù lui semblérent participer à une divine apparition de la beauté. Onde fraìche, Jouce, limpide, Où le type de la beaulé Avec une gràce timide Fuyait les ardeurs de l'été; Rameau cber a ma souvenance, Et qu'en soupirant je revois, Pour la soutenir quelquefoìs ; Vous lui prétiez volre assistance. Gentilles fleurs au prompt déclin, A la gioire trop passagère, Que couvraient sa robe légère Et son jeune et candide sein : Air serein pur et délectable, Où l'Amour éclaira mon coeur, Donnez un accueil favorable Aux derniers cliants de ma douleur. Da be' rami scendea (Dolce nella memoria) Una pioggia di fior sovra il suo grembo: Ed ella si sedea Umile in tanta gloria, Coverta già dell'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, Qual sulle trecce bionde ; Ch'oro forbito e perle Eran quel dì a vederle; Qual si posava in terra e qual sull'onde, Qual con un vago errore Girando parea dir : Qui regna Amore. 3i8 Letteratura De l'arbre sur qui je m'appuìe, (Tendre et doux souvenir du coeur ! ) Las fleurs lombant corame une pluie De son sein voilaient la pudeur. Modeste et digne de mémoire, Elle était assise humblement. Et sous son nuage embaumant Paraissait ignorer sa gioire. Et l'on voyait tomber les fleurs Sur son voile, sur sa parure, Et sur l'or de sa chevelure; Et d'autres, après mille erreurs, Gisaient sur la terre ou sur l'onde. Et lout au sein de ce séjour, Que cliarmait une paix profonde, Disait: « lei regue l'Amour. » Ogni discreto dovrà al certo apprezzare una so- miglievole fatica incominciata per vezzo, con grande amore proseguita , con costanza tratta a fine, e alta- mente loderà lo scopo ch'ebbe in mira l'autore, procu- rando ai suoi nazionali una migliore se non piena in- telligenza del primo tra i canzonieri italiani. E quasi che ciò fossegli stato poco, ha tradot- to eziandio in versi l'epistole dal Petrarca indi- rizzate a Jacopo di Colonna, a Lelio , a Giovanni Boccaccio, all'amico transalpino, a Francesco priore di santo apostolo, a Barbato Solmontino: le egloghe inti- tolate l'amor pastorale, il querulo, il lauro che tramon- ta,la Galatea, apponendovi il testo Ialino, e facendo tali versioni seguire da quella di tutti i trionfi. Il nobile conte ha unito ad ogni composizione un breve ar- gomento, che ne ìndica l'oggetto, e nel terzo volu- Sonetti del Petrarca tradotti Big me ha collocate alcune noterelle per chiarire i passi più oscuri o incerti delle epistole e delle egloghe. An- che di questa versione daremo un breve saggio , e prenderemo appunto il principio della lettera indi- rizzata a Jacopo di Colonna vescovo di Lombez. Eccone per maggiore intelligenza il testo. Quid faciam, quae vita mihi, rerumque mearum Quis status est, audire petis; nec vera sileho, Nec tibi ficta loquor; mihi nam loquor. Absit inanis Gloria; nil cupio; contenta est vita paratis. Hoc primum : placitis mecum concordai egestas Aurea foederibus, non sordida nec gravis liospes; Si libet, exigui fines mihi servet agelli, Angustamque domum, et dulces fortuna libellos. Caetera secum habeat; vel, si libet, omnia nullo Auferat bine strepitu; sua sunt. Non rura requiro, Divitiasque patris, pondus grave celsa petenti, Vinclaque dura animi, et cunctorum alimenta malorum: Cyrrhaeas non tangat ope.s, neu nostra lacessat Olia, sollicito non ambitiosa paratu. Nil usquam invideo, nuUum ferventius odi, Nullum despicio, nisi me; licet hactenus idem Despicerem cunctos, et me super astra levarem. Sic res humanae volvuntur; plurima quid sira Jam documenta habeo; nisi me mea somnia fallunt. Nam mihi quid conferì musarum in fonte parumper Lenivisse sitim, si me sitis altera maior Urit, et aeternum subter praecordia saevit ? Quidve Helicone iuvat recubantera saepe profondo Erainus insanos volgi risisse labores, Si labor alter habet, cui merces nulla quiesve ? 3ao Letteratura Quid facies praeclara iuvat, si turbida mens est ? Multa quidem, meritasque Deo prò munere laudes Pendere, non noslrae fateor fiducia linguae est. Sunt quae fellcem facerent, nisi forte maligna Roderei infaustum pectus sua cura perennis. Jamque genas spedare tuas pietate madentes Hluc videor; longo bene si mihi cognitus usu es : Sed quia more patris nostra omnia nosse volebas, Urget amor calamum, nec fas obstare iubenti : Eloquar, et tu Consilio fortasse iuvabis : Est mihi dulce gravi mentem exonerare querela. Est mihi post animi mulier clarissima tergura Et virlute suis, et sanguine nota vetusto, Carminlbusque ornata meis, auditaque longe; Sed redit in frontem, et variis terroribus implet Insultans; nec adhuc solio cessura videtur. Artibus haec nuUis, sed simplicilate placendi Coeperat olim animum et rarae dulcedine formae. Jam duo lustra gravern fessa cervice catenam Pertuleram, indignans tanlupi in mea colla tot annis Faemineo licuisse iugo; iam tabe latenti Confectus, iamque alter eram, iam fomite molli Ignis ad extremas penelraverat usque medullas: Optabamque mori, vixque arida membra ferebam. Libertalis amor miseri dum pectus amantis Coepit, et aversas cordi suffigere curas; Erigor et multa iuga vi divellere nitor. Durum opus eveutu, dominam pepulisse decenni Hospitio, et fraclis bostem tentasse poteatem Viribus: aggredior taraen, et Deus ipse labori Affuit, et collum veteri dissolvere nodo Praebui, ac tanto vìctorem evadere bello. Iniicit illa manum profugo dum saucia servo, Sonetti del Petrarca tradotti 32 i Incursatque dolens, oculos dum dulce micantes Instruit et facibus tectis et cuspide blanda, Heu quoliens coepto dubium procumbere calle Compulit ! Ergo ilenim quid agam ? quibus artibus illi Occurram ? Vlncla illa iterura asperiora parabit; Diffugio, totoque vagus circumferor orbe, Adriacas, luscasque ausus sulcare procellas. Ereptumque iugo caput hoc committere cimbae Non veritus tremulae : quid enira properala noceret Mors mihi suppliciis vieto, vitamque peroso ? Vaucluse, iSSy. Ami, vous désirez savoir quelle est ma vie ? Je vais avec plaisir contenter votre envie. Je ne veux rien vous taire, et dls la vérilé : A son ami l'on parie avec sincerile. Et, toujours avec vous heureux de correspondre, Il semble que mon coeur à raon coeur va répondre. Je hais la vaine glorie et ses songes dorésj Le bonheur est facile aux désirs modérés. La pauvrelé n'est point une liofesse importune ; Et je n'ai demandò jamais à la fortune Que de garder mon champ, mes livres et mon toit. Qu'elle les prenne aussi; c'est son bien, c'est son droit. Je ne demande pas les trésors de mon pére, Incoramodes liens, ou l'esprit se resserre, Où le mal vient chercher un facile aliment. Du naufrage je veux arracher seulement Mes loisìrs studieux, ma paisible couronne, Les biens et les plaisirs que l'étude me donne. Il est un Seul mortel que je ne puis souffrir, Qui soul m'est imporlun, et que je dois hair ; 322 Letteratura Cesi moi. Mais jc n'ai pas toujours pensé de méme; Je méprisais autrui, je m'exaltais moi-méme. Ainsi cliangent les coeurs, enseignés par le temps; Aìnsi vont des humains les destins inconstaos. Du raoins j'eus le honheur d'apprendre à me connaUre, Je vois ce que je suis, ce que je devrais étre. A quoi me sert d'avolr dans les ruisseaux sacrés Etanché de ma soif les feux immodérés, Si d'une solf encor plus vive et plus cruelle Je ressens dans raon coeur la suffrance éternelle ! A quoi me sert d'avoir des sommets immortels Contemplé sans pitie les erreurs des raortels, Si raon coeur à son tour éprouve une souffrance Qui ne peut rencontrer de paix ni de clémence ? Qu'importe le dehors quand l'esprit est troublé ? Si des faveurs du ciel je me voyais comblé, Je n'en saurais jamais louer la providence. Du bonheur je pourrais goùter la jouissance, Si d'un malheur secret mon coeur n'était atteint. Mais dans tes yeux je vois que ta pitie me plaint; Que j'airae à retrouver celte amitié sincère, A te voir occupé de mes maux corame un pére ! Ainsi je t'obéis par un just retour, Et ma piume pour toi se soumet à l'amour. Ami, tu sauras tout, mais ma vive tendresse Veut à ce prix trouver un guide en ta sagesse. De la plainte mon àme attend quelque douceur. Une illustre beante brille encor dans mon coeur Par ses propres vertus et l'éclat de sa race. De l'immortaliser mes vers eurent l'audace. Et pour moi ce n'est pas un vague souvenir ; Cesi la réalité que je vois revenir, Sonetti del Petrarca tradotti 323 Pour me rempllr encor de crainle et de trìstesse, Et régner sur mon ame en despole sans cesse, Jadis elle surprit mon coeur par sa beaulé, Son aimable douceur et sa simplicité. Dupe de la faiblesse et de l'erreur, mon àme Languii pendant dix ans sous le joug d'une femme. Alteint secrèteraent du plus rusé des maux, Je le sentais trop bien percer jusqu'à raes os. Je souballais la mori, car mes membres arides Servaient pénibleraent mon àme et mon coeur vides. Enfin la liberté, me montrant sa douceur, Voulut de vains soucis débarrasser mon coeur. Je me relève alors, et veux briser ma chaine. Pénible effort ! dix ans avaient fail souveraine Ma terrible ennemie; et mon stèrile espoir N'avait plus ce qu'il faut pour vaincre un tal pouvoir. Pourfant vers le combat j'avance; Dieu lui-meme M'assiste, et me fournit son egide supreme. Il m'aide à m'affranchir de ma longue douleur; Il veut de ce combat que je sorte vainqueur. Elle se sent blessée, et se plaint de l'injure; Ses regards caressans irritent ma blessure. Ses arraes, son myslère et ses feux, centre moi Redublant leurs effort, me pénètrent d'effroi, Et me font demeurer incertain sur ma voie. Que dois-je faire ? hélas ! que faut-il que je croie ? Par quelles armes puis-je échapper aux périls ? Elle saura me prendre en des lacs plus subtils. Je m'élogne , je fuis sur la terre et sur l'onde, Sillonnant la tempéte et visilant le monde; Et sans crainle je fie au plus fréle vaisseau Celle lete échappée au plus cruel fléau. La mori est-elle un mal, après tant de souffrance ? Je ne puis, ici-bas, craindre que l'exislence. 32/ Letteratura Noi (li vivo cuore ci rallegriamo coli' egregio poeta francese, il quale ricantò gli amori verso la bella avignonese. e con essonoi debbono avergliene grado tutti coloro, che amano le buone lettere e 1 onore italiano. p p^^^ Montani. I »5aM8^ 32S SliliIaS MM!T1 Saverio Mercadante. s= Saverio Mercadante , nome carissimo a tutti gli italiani, nel ritorno che fece l'anno scorso i844 °cl mese di agosto in Altamura sua patria, fu ricevuto da'suoi concittadini con onori conceduti a pochis- simi. Fra le molte feste, che gli fecero que' generosi altaraurani, ne fu una nobilissima in casa del rag- guardevole uomo Tommaso Melodia, sindaco in quella occasione. Tutte le persone gentili di quella ricca città vi assistettero sì galantemente vestite ed ornate, spezialmente le donne, da fare quasi ombra al lusso delle grandi metropoli. Nel bello della festa furon detti a lode del grande maestro vari elegantissimi com- ponimenti, fra' quali fu detto eziandio il piccolo elo- gio che segue, che dovea essere recitato da un gio- vanetto di undici anni. Queste avvertenze ho voluto mettere innanzi , sì perchè apparisca che il seguente lavoro doveva esse- re recitato da un ragazzo, e si perchè sappiano gli 326 Belle Arti altamuranl che ho pubblicate io queste scritture, ben- ché rozzamente dettate, solo per memoria delle belle azioni che tanto generosamente usarono verso il loro grandissimo concittadino. A SAVERIO MERCADANTE. DIRETTORE DEL COLLEGIO DI UCSICA IN NAPOLI. Gran tempo è, Mercadante, che nella terra fer- ma d'Italia non sono state concedute le trionfali ad alcuno, il quale abbia della sua patria ben meritato o per forza di braccio, o per sublime altura d'inge- gno. La Sicilia, non sono molti anni passati, le ha date al Pacini ed al Bellini suoi figliuoli, e Parigi al Rossini pel raaravigliosissimo Teli. La quale colpa certamente è tutta di questi rei tempi , dove i vi- gliacchi e male arrivati han plauso e guiderdoni , quando a'valorosi non è neppur concedalo modo di divenir chiari , sendo loro chiusa ogni illustre via. Di molla lode però e di fama eterna son degni coloro, i quali, come voi fatto avete, superati e viali gli osta- coli tutti, si sono fatti signori degli animi malgrado d'invidia, il più perfido degli umani vizi. Noi italiani che non sappiamo più farci dagli stranieri temere, e sappiamo lultavia farci riverire, invidiosi che noi ci siamo, ci moviamo volentieri { o rea vergogna!) ci mo- viamo volentieri guerra di odio gli uni contro degli altri. E voi, mio concittadino, che foste gran tempo, e forse siete ancora segno all'invidia, sapete per prova, ehe quantunque abbiate empiuto del vostro nome Lettera del Mercadante 827 l'Europa, ancora livida, sebbene inutilmente, vi si avventa, e vi vorrebbe al tutto invilito e da nulla. Veramente chi è dotto, come voi, nelle antiche isto- rie di leggieri conosce che questa è sorte comune de'sommi ingegni; polche, per tacere di moltissimi, ci può essere di esempio Scipione il più grande fra gli uomini, che piìi abbia della sua patria ben me- ritato. Questi, giovanetto , dopo il sanguinoso fatto d'arme a Canne, sendogli riferito che molti cittadini romani voleansi per paura fuggire in Sicilia, si pre- senta a costoro colla sguainata spada in pugno, fie- ramente intimando loro, o giurassero di non si par- tire, o si apparecchiassero ad essere morti di ferro. Fatto, dopo breve tempo, capitano, ricupera con quat- tro vittorie la Spagna perduta in guerra co' cartagi- nesi : e voleddo far fine all'ultima guerra, la piìi pau- rosa e tremenda, per discacciare dell' Italia Annibale, va colle vittoriose sue legioni nell'Affrica, vince in tutte battaglie i nemici , e Annibale stesso ; ed al porto dell'emula di Roma fa bruciare più di cin- quecento vascelli, fondamento di potenza e di gloria della repubblica di Cartagine. Nondimeno, tornato in Roma, ebbe a patire di essere chiamato in giudizio e di essere condannato reo di quel solo che fa do- lente l'invidia. Cosi voi, uscito di quella famosa scuo- la, della quale uscirono i divini ingegni de' lomel- li, de' Piccini, de' Paisiello , de' Cimarosa , de' Fe- naroli, di quella santa anima del Zingarelli maestro vostro e di tanti altri valorosissimi: dopo di avere cacciato quasi al tutto d' Italia il falso gusto straniero, assai più barbaro di Annibale, e restituito il nostro italiano: dopo di avere scritto più di trenta spartiti, che sono per noi altrettante vittorie, dagl'in vidi e poi- 328 Belle Arti troni slete accusato e condannato solo di quello che fa dolente l'invìdia. Ma seguitate ad avere com- passione di questi infelici ; che confidato unicamente nella vostra virtù e gloria, concedutavi non pure dai buoni d'Italia, ma dalTEuropa intera, sarete sempre ammirato e immensamente riverito. Seguitate pure la vostra via: che già siete giunto tanto innanzi in que- sta vostra soavissima arte, che per forza trasportate e movete gli uomini, e le armoniose melodie, esegui- te a questi giorni nella chiesa, sono veramente quelle che possono strappare di roano all' Onnipotente i ful- mini dell'ira sua. A voi era serbato che al tutto fosse sbandeggiata da noi quella musica leziosa ed affemmi- nata, e ci fosse restituita la nostra, semplice, auste- ra, grave e vibrata, come quella che era destinata a cantare i divini inni al Signore e concitare dignito- samente gli animi. Perocché già di voi si dice, che così l'armonia stessa si farebbe sentire , se fosse un essere reale, come del divino e sdegnoso Alighieri fu detto che fece degnamente parlare Iddio stesso e Lu- cifero. Il teatro, come a voi gran maestro certamente è noto, da'sapien fissimi greci, che l'inventarono, fu ordinato ad emendare i costumi dilettando ; ma come ogni cosa quaggiù si muta e cambia col voltare di molti secoli, gli uomini l'han guasto e corrotto ; e quello, che essere sempre doveva scuola di disciplina, è stato fatto da taluni ritrovo di corruzione. Il Zin- garelli fulminò contro questa indegnità ; ma le grida di quella santa anima a nulla giovarono. Che a voi, divino ingegno di Mercadante, spettava di torci della nostra fronte pentita questa sciagurata infamia ; Ita- lia infelice lo vi raccomandava, atTmcbè potesse, se Lettera del Mercadante 829 stelle maligne noi vietassero, rivedere per voi gloriosi i suoi figliuoli. Or l'essere tornato in pregio tra noi il buon gusto in sulle scene, tutto a voi è dovuto; questo grida Europa che attonita ne parla, e l'Italia com- mossa ve ne rende grazie. Ed in questo vostro viag- gio ne avete avuti segni certissimi ; che quanti e quali onori non avete voi avuti in segno d'affetto ed animo grato? Tutti gli uomini gentili delle città eulte, dite, non vi si sono fatti incontro pieni del deside- rio di vedervi e farsi da voi vedere ? Questi, Merca- dante, sono i veri trionfi: non le moli, gli obelischi e gli archi, ma i cuori e gli animi commossi de'po- poli sono i veri segni di riconoscenza. Che non han fatto vedendovi i foggiani, i tranesi , i baresi, che tutti c'invidiano di essere noi tanto fortunati, aven- dovi per nostro concittadino? Finalmente l'umile vo- stra Altamura, che da voi ha lustro e fama, con quale affetto non vi è venuta ad incontrare, con quale il popolo minuto non vi ha aspettato alle porte, accen- dendo nell'imbrunir dell' aria alla rinfusa i lumi ? Non vi ha potuto innalzare monumenti che vi eternassero negli avvenire, perchè non è né Atene , ne Roma; ma tenete fermamente che la memoria di questi giorni non sarà meno durevole, poiché i padri la tramanderanno a' figliuoli, i figliuoli a' tardi nipoti. Senza che il comune di questa nostra città ha ordi- nato già, che nel pubblico palazzo la vostra marmo- rea immagine sia posta con una memoria, affinchè rag- guardandola i giovanetti altamurani si scuotano ed anelino di emulare alle virtù vostre, come già il trion- fo di Milziade nel Pecile non lasciava dormije Te- mistocle. G.A.T. CIl. 22 33o Belle Arti Iscrizione per Varco trionfale innalzato al Mer- cadante da rjue''suoi amorevoli concittadini nel SILO ritorno in patria. CITTADINI CHIUNQUE VOI SIATE DATE ONORE E LODE A SAVERIO MERCADANTE. SOLO carità' di patria raro ESEMPIO A QUESTI GIORNI l'hA CONDOTTO A NOI. IL GIURAMENTO l' ESALTo' LA VESTALE CHE TRASSE DAGLI OCCHI ITALIANI ROMANO PIANTO OTTENNE A LUI DALl' EUROPA FAMA IMMORTALE. A QUESTO I SAVI MAGGIORI ANTICHI PERCHÈ POTEVANO AVREBBERO INNALZATO UN TEMPIO, A NOI NON È DATO SE NON d'incuorare I NOSTRI NIPOTI AD IMITARLO. AB. GIOVANNI CASSINI o<385o 33 1 Notizie storiche su di una statua in bronzo eret- tasi dalla città di Ascoli nel secolo XVI al sommo pontefice Gregorio Hill, scritte da Giacinto Cantalamessa Carboni. expressi vultus per ahenea signa, mores animique virorum Clarorutn apparent. Horat. Epist. 1. lib. 2. A. 1 dotto e curioso viaggiatore che conducasi in Ascoli ad ammirarvi i templi, i palagi , le torri , i ponti e gli edifizl di ogni maniera così pubblici come privati, de'quali questa città è ornata e bella, e che rendonla degnissima di essere visitata, si presenterà in sulla piazza, che chiamano del popolo, un piede- stallo oggidì nudo e spogliato della statua bellissima, che già vi stava sovrapposta. Egli avrà caro, io penso, che se gli narri quale scolpita immagine quivi un dì stesse, a qual benefattore e per quale benefizio i riconoscenti nostri maggiori ve la collocassero, e come la stoltezza degli uomini distruggesse con barbarico e malto furore un monumento pregevolissimo , il quale onorava e l'arte e l'artista, non meno che il se- colo cui apparteneva ; prezioso monumento, nel cui lavoro scorgevansi l'ingegno e la spertezza, che di- notano il vero professore pienamente addottrinato negli studi del bello ftguralivo. Tali notizie io prò- 332 Belle Arti caccerò ia questa mia sciiltura di fornire, nella mi- glior guisa che per me si possa, a'culti e gentili fo- restieri, pe'quali mal basterebbe all' uopo la breve iscrizione, che pur leggesi nel ricordato piedestallo. E non saranno inopportune queste memorie per gli stessi ascolani , molti de' quali non hanno contezza di quel cittadinesco monumento , e gli udii spesso io medesimo dimandarne i più provetti, dopoché corse omai un mezzo secolo dall'epoca del suo distruggi-' mento, ne verun autore parlonne diffusamente: ed il Baldinucci, che ne fece menzione al tom. Vili delle Notizie de' professori del disegno^ nella vita dello scultore Antonio Calcagni ignorò sinanclie qual ne fosse stato il vero artefice. Ond' è che io narrando primamente la cagione, per cui quella statua fu eret- ta, riporterò dappoi ogni notizia che la risguardi, con diligenza forse troppo minuta, ma perdonabile in chi tolga a scrivere di cose patrie. Civili discordie, tumulti, pericoli, parlegglamenti continuavano a dilacerare la sventurata Ascoli nel secolo XVI, ed attossicavano ogni sorgente di pub- blico bene; e non modo ne provvedimento vi avea per potere la travagliata città ridurre a quiete, a con- cordia, ed a quella beatitudine di pace , ch'è il più grande e più desiderabile benefizio, di cui fruir pos->. sano i popoli. Inoltre ardevano tra Fermo ed Ascoli, vicine e rivali città, inimicizie acerbissime, che infe- licemente cominciate sulla metà del secolo XIII, du- rarono ostinatissime per sì lungo tempo, contaminan-^ do gli animi un feroce spirito di municipio, e stra- ziandosi gli abitatori dell'una e dell'altra città con sanguinosi e crudeli combattimenti. Torme di foru- &citi ed uomini di mal affare correvano le campagne Statua di Greg. XIII. 333 e mettevanlc a ruba ; e non solamente gl'isolati ca- solari, ma eziandio le borgate, i villaggi e le castella audacemente assalivano, taglieggiavano e con uccisioni insanguinavano ; siccome io stesso altre volte noa senza dolore narrava, di patrie memorie alcuna cosa scrivendo. Ne per colmo di sventure in que'lagrima- bili tempi mancarono ad Ascoli potenti ed ambiziosi patrizi, i quali agognavano di farsi tiranni della pa- tria, mettendola crudelmente in catene. La romana corte adoperava ogni mezzo percliè Ascoli quietasse, e vi si scbiacciasse l'idra della civile discordia, e se ne allontanassero i turbatori della pace, e vi si spe- gnesse il germe sempre ripullulante delle nimistà con Fermo, e vi s'infrenassero i prepotenti, che per isti- moli di ambizione rei disegni meditavano. Ma nep- pur bastarono ad ottenere il salutevole intendimento due rocche, le quali fecero a que'dl in Ascoli edi- ficare i sommi pontefici Paolo III e Pio IV : la pri- ma delle quali presenta anch'oggi nelle sue muraglie la minacciosa epigrafe contro le tirannidi e fazioni che in Ascoli regnavano : e l'altra, fabbricata su di una eminenza e sovrastante in forte sito, torreggiava quasi a spavento della sottoposta città. Finalmente l'anzidetto sommo ponteGce Pio IV, per dare alcun assetto ed ordine alle turbale cose di Ascoli, man- dovvi copiose milizie, e ad un tempo la inquieta e tumultuante città a punizione spogliò del dominio delle sue terre e castella con un breve del giorno 19 di maggio i564. Qual dispiacimento, qual pubblico dolore con- seguitasse a quel decreto pontificale , che privando Ascoli della giurisdizione sul suo territorio, le to- glieva ogni splendore e dignità , e riducevala quasi 334 Belle Arti alla condizione de'più umili ed abbietli villaggi, si può facilmente immaginare. E non le fu dato di ri- . cuperare i perduti suoi diritti e privilegi nel se- guente pontificato di Pio V, essendosi opposta alle supplicazioni degli ascolani oratori la rigidezza non del santo ed ottimo papa, ma di avversi e duri mi- nistri. Era riserbato al benefico e clementissimo Gre- gorio XIII l'esaudire i voti della città di Ascoli. Sa- lito questi dappoi sul pontificio trono, accolse beni- gnamente le pregliierc della medesima città presenta- tegli col mezzo di due ambasciadori che se gli man- darono : ed i tolti diritti ed il dominio sul contado e sulle terre e castella con breve del dì i3 di apri- le iSyS pienamenle e generosamente restituì. Pia- cemi di riportare una lettera, dalla quale si ravvisa che il cardinale Filippo Buoncompagni del titolo di san Sisto, nipote del pontefice, cooperò al consegui- mento della grazia. Ella è questa lettera indirizzata al cavaliere Flavio Muccliiarelli, uno degli anlidetti due ambasciadori inviati dalla città, e qui la trascrivo: Molto magnifico amico carissimo. - ^ò havuto li dot falconi^ li quali mi sono stati cari , e volen- tieri vi haverei visto à Roma in questa speditio- nCf che si è fatta di reintegrar lo stato alla città ^ acciò siccome foste principio à far questo bene~ Jitio alla vostra patria, così doveste trovarvi al fine di questo negotio, ma poiché la cosa è finita mandandosi questa sera il breve non ho voluto darvi questo disturbo de farvi movere , e vi ba- sterà per vostra consolatione di sapere cKio ho avorito questa prattica per Vaffetion particolare , che porto a voi, che sarà quanto posso dirvi per Statua m Gueg, Xlll. 335 hora^ e mi vi offro sempre. Di Roma li XXJ"\ iV aprile MDLXXIII. ÀI piacer vostro il card. S. Sisto. Grandissima fu la letizia, grandissimo il festeg- giamento di tutti gli ordini della città per que' ricu- perati diritti e privilegi. E, secondochè rimane notalo ne'libri de'pubblici consigli, che si conservano nel- l'archivio del comune, sotto il di 6 di aprile del- l'anno iSyS i maestrali, già sicuri per gli avvisi ri- cevuti del conseguimento di quella restituzione de- sideratissima, vollero che in rendimento di grazie a Dio ottimo massimo l'inno ambrosiano pubblicamente e solennemente pel faustissimo avvenimento si can- tasse. E nel seguente giorno 7 dello stesso mese di aprile i precitati libri registrano una ragunanza del consiglio, nella quale un Iacopo Palucci esclamava esultante: Erigatur sanctissimo domino nostro sta- tua lapidea ad perpetuam rei memoriam. I me^ desimi libri de'pubblici consigli annotano che in una riunione tenutasi nel di 11 di maggio dello stesso anno iSyS si deliberò : Essere debito della città no- stra, e convenirsi a sudditi fedeli e riconoscenti, di conservare perpetua ricordanza del benefizio compar- tito da papa Gregorio XIII, generoso restitutore della giurisdizione sul contado : doversi quindi celebrare siccome fausto e felice il giorno dell' assunzione di lui al sommo pontificato : fanciulli addobbati di can- dide vestimenta, ed aventi in mano ramoscelli di ulivo, movessero per le vie della città , innalzando preci al cielo , e supplicando che al benignissimo ponte- fice lunghi e beati giorni concedesse, esaltasse santa chiesa, e la patria in pace ed in istato di prosperità conservasse ; e con festose voci a papa Gregorio lodi 336 Belle Arti e plausi rendessero : nella sera poi con luminarie e con altri modi della pubblica gioia ed esultanza si dessero segni e dimostrazioni. Ma ben poco avrebbero fatto i maestrati del co- mune di Ascoli, se a queste piccole significazioni di gaudio e di riconoscenza si fossero limitati. E poco lau- devolmente adoperano , secondochè a me ne pare , que'reggltori delle cose pubbliche, i quali ne'felici e lieti avvenimenti della patria, ad argomento di letizia e per segno di grato e devoto animo inverso i per- sonaggi benefattori, profondono oro in passeggieri spet- tacoli e popolari festeggiamenti , de' quali presto va perduta la spesa, e presto perisce la ricordanza. Al contrario parmi cosa veramente commendevole ed ai nobili e generosi animi conveniente l'erigere alcun durabile monumento , che del fatto porti memoria a' posteri, ed accresca alla patria ornamento e splen- dore. E le belle arti ottimamente si prestano colle pregevoli loro produzioni ad esprimere i sentimenti di gratitudine, di ossequio, di benevolenza verso co- loro, che di noi si fecero benemeriti, e cari ci di- vennero ed accetti. Il culto, io penso , la pubblica ovvero privata riconoscenza, l'amicizia, l'amore, ricor- sero primamente alle nascenti arti d'imitazione , ed invocarono l'opera di esse per sigTiificare con fedeli rappresentanze la religiosa venerazione, l'animo grato e le più tenere affezioni ; e quindi le prime figure furono di un qualche nume, o di alcun benemerito, o di caro amico, ovvero di amata donna. E la scul- tura precipuamente, che a' marmi ed a'bronzi dà quasi anima e vita, e le cui produzioni meglio sono du- rabili e meno temono le ingiurie del tempo, fu de- stinata a perpetuare fra'venturi i grandi e memora- Statua di Ghec. XIII. SS; bili avvenimenti e la ricordanza di que' personaggi, che si rendettero meritevoli di onoranza e gloria im- mortale. E quindi ogni più eulta nazione, ogni più gentile e bene ordinata città chiamò gli scultori al nobilissimo officio di eternare e tener viva colle loro opere la ricordazione delle grandi virtù civili o mi- litari, e de' benefizi compartiti a' popoli da generosi principi, e la memoria degl'insigni e preclari uomi- ni ; e sorsei'o mausolei, archi, colonne e marmoree e metalliche statue e monumenti di ogni maniera. Bene pertanto e saggiamente divisarono i consiglieri del comune di Ascoli allorquando nella tornata del dì 26 di giugno iSyS, tutti assentendo concordi e niuno opponendosi , con determinazione degnissima di ogni maggior encomio statuirono che per pubblico decreto e a debitissima significazione di onore e di riverente gratitudine si ponesse una statua in bronzo al sommo pontefice Gregorio XIII , siccome a mu- nifico benefattore della patria. A me pare che i mo- numenti, i quali s'innalzano per onorare que' perso- naggi, da' quali provenne alcun pubblico e grande be- nefizio, dimostrino la gentilezza di un popolo, e for- mino argomento della sua civiltà. Ond'è che io mi congratulo colla mia patria, la quale col mezzo delle arti liberali seppe rendere condegno ed onorevole pre- mio al pontefice suo benefattore, decretando che se gli erigesse una statua, per la quale , oltreché tra- mandavasi alla posterità la rimembranza del fatto , questo di piìi in certo modo diventava popolare e meglio s'illustrava, aggiugnendosi la eccellenza del- l'arte e le impressioni del bello ad associare e ren- dere maggiormente piacevole quella storica memoria. E l'innalzamento, che facciasi di onorifiche statue ai 338 Belle Arti buoni principi, non è senza utilità: imperocché alla vista di que' marini e di que' bronzi effigiali, posti a serbare tra le venture generazioni durevole e perpe- tua la ricordanza de'pubblici benefizi, tutti coloro a'quali Iddio, elevandoli a grande stato e potenza , die modo di giovare le città e le provincie ed i re- gni, rimangono utilmente ammoniti che se con opere di beneficenza procacceranno la prosperità de' popoli, debito guiderdone e sempiterna lode ne avranno, e la memoria di essi vivrà onorata e benedetta mai sempre pur nella piìi lontana posterità. Da coloro, che reggevano in Ascoli le cose pub- bliche, voleasi che la statua da erigersi a Gregorio terzodecimo fosse una insigne opera monumentale , che tornasse degna del sommo pontefice cui s'innal- zava : che la riconoscenza del senato e popolo asco- lano degnamente manifestasse : se ne onorassei'o le arti italiane salite a tanta altezza di splendore e di gloria : e se ne decorasse e nobilitasse la patria, la quale di quella scultura doveva adornarsi. E quindi a condurre quella statua era mestiere prescegliere un artefice, il quale educato ed ammaestrato a classica scuola , e lungamente esercitato nella officine delle arti, tutti ne conoscesse i misteri e le teoriche. Aveva in quel secolo nel nostro Piceno levato alto grido di sé e dell'artistico suo valore Girolamo Lombardi fer- rarese, scultore e gettator di metalli, che fu discepolo di Andrea Contucci dal Monte a Sansavino , e del quale ci lasciò una breve biografia il Baldinucci nel tom. V delle sue Notizie de' professori del dise- gno. A' lavori ed alla gloria di questo eccellente ar- tista fu teatro nobilissimo il tempio di Nostra Donna in Loreto : dov'egli spiegando tutta la grandezza dello Statua or Greg. XIII. SSg stile, e dimostrando la più profonda scienza dell'arte, fu giudicato un de'meglio famosi scultori del seco- lo XVI, e giunse prestissimo a disputare la palma allo stesso suo celebre maestro, siccome narra il Ci- cognara nella sua Storia della scultura lib. V cap. 5 : il quale scrittore afferma essere Girolamo Lombardi meritevole di aver luogo fra i più classici artisti ita- liani ; non dissentendone il professore Betti, degnis- simo segretario della romana accademia di s. Luca, che nella sua illustre Italia par. II, dial. 7, num. VI, chiama Girolamo Lombardi onor chiarissimo della scuola del Contucci. Posciachè pertanto i lavori egre- giamente condotti dallo sfesso Lombardi nel santua- rio di Loreto aveano messo in bocca quel valentis- simo artefice a tutti gli abitatori del Piceno , che altamente il commendavano e pregiavanlo, con otti- mo pensiero gli ascolani statuirono di allogare a lui la fattura della statua di papa Gregorio XIII , va- lendosi dell'opera di uno scultore , del quale nella provincia nostra a que'dl correva sì chiara fama e rinomanza. Ed opportunamente il Lombardi continua- va a stanziare in Recanatì, laddove egli avea preso abitazione per potere comodamente attendere a' lavori del magnifico tempio di Nostra Signora in Loreto, e laddove era stato fatto cittadino ed era stato messo nel reggimento o sia consiglio insieme col fratel suo Lodovico il di 28 del mese di ottobre dell'anno i566. Leggesi ne' registri de' pubblici consigli di que- sta città di Ascoli sotto il dì 6 di novembre iSyS : Cum venerit huc accersitus quidam magister sta- tuariae de Recaneto prò facienda statua sanctis- simi domini nostri. Un tale statuario venuto in Ascoli fu certamente Lodovico Lombardi , fratello di 34o Belle Arti Girolamo : imperocché nel giorno 17 dello stesso mese fecesi la scrittura, che si conserva nel segreto archi- vio del comune, colla quale il detto Lodovico pro- mise di lavorare la statua del pontefice Gregorio XllI, obbligandosene a nome proprio e dell'assente suo fra- tello Girolamo, il quale sottoscrisse poi anch'egli le convenzioni stabilite nell'accennata scrittura che io qui riporto : Essendosi con il nome (Tldio e del beato Emidio protettor della magnifica città d^yJ- scoli a gloria et honor di papa Gregorio XllI , concluso Jra la magnìfica comunità d" Ascoli , e messer Lodovico Lombardi qual s^obbliga , et a nome di messer Hieronimo suo fratello promet- tendo de rato per lui^ che s''abbia a far la sta- tua di detto papa Gregorio da essi fratelli, soii venuti fra loro all' infrascritti capitoli , promet- tendo Vuna parte e Valtra d'' osservar gli inviola^- bilmentCi e queste conventioni saranno sottoscritte a nome di detta città da messer Gio. Francesco Vicceo^ messer Gio. Antonio Guiderocchi, capi- tano Gio. Filippo Cauti , messer Gio. Vincenzo Saladini deputati a far ciò da essa città, e da me Lodovico Lombardi nome proprio e del fra- tello. In prima che messer Lodovico promette in nome suo e del fratello che tutta la statua di me- tallo sarà senza il dado alta dieci palmi alla mi- sura d'Ascoli'.} e detta figura starà a sedere sopra una sedia pontificale pur di metallo. La statua si darà condotta in Ascoli a tutte spese e risico de' sudetti messer Lodovico e mes- ser Hieronimo eccetto che del mare, dove occor- rendo disgrazia i ch'Iddio non voglia, o di fior- Statua pi Greg. XIII. 841 tima, o di corsari in tal caso sia il danno della città. Promettono i suddetti messer Lodovico e mes- ser Hieroninio che la statua finita sarà giudicata da periti delVarte di maggior prezzo di detti mil- le scudi (così nella scrittura, quantunque i mille scu- di non siansi mentovali sopra, ma si notino più sot- to), altrimenti voglion essere tenuti ad ognHnte- resse honesto^ qual giuditio si debba far in Re- canati. Promettono li sudetti dar detta statua finita in Ascoli fra un anno^ cominciando da hoggiy il più tardi. DalV altra parte li sopra detti nominati mes- ser Già. Francesco Vicceo^ messer Gio. Antonio Guiderocchif capitano Gio. Filippo Cauti, messer Gio. J^incenzo Saladini in nome di detta città pro- mettono di dare alti sudetti messer Lodovico e messer Hieronimo migUara quattro di metallo con- dotto a Recanati e pia se più ne bisognerà che sia buono e recipiente^ a lor sotisfattione ; con questo che debbino restituire alla città pesando la statua quello che avanzasse, defalcando i cali debiti delle statue. Promettono li sopra detti deputati, in nome come di sopra, di pagare a messer Lodovico o messer Hieronimo per manifattura di detta sta- tua scudi mille di moneta corrente nella Marca in tre partite cioè scudi 400 al presente, scu- di 3 00 quando sarà da gettar la statua , et il resto sino alla somma di mille scudi quando la statua con il nome d'Idio sarà finita. Promettono ancora li sudetti deputati di prò- 342 Belle Artì vedere alli sudetti fratelli li bovi fune taglie et altri ordigni per condar la statua dal porto d^ A- scoli in Ascoli. E per osservanza di tutte le sopra dette con- ventioni li sudetti deputati e messer Lodovico pre- sente in nome suo , e di messer Hieronimo suo fratello assente, quale promette sottoscriverà que- ste conventioni, sottoscriveranno il presente obli- go con altro appresso di simil tenore di lor pro- pria mano questo dì 17 di novembre iSyS. Io Gio. Francesco V^icceo a nome della ma- gnifica comunità predetta affermo et m''obligo co- me di sopra. Io Già. Ant. Guiderocchi deputato de la ma- gnifica comunità affermo e me obligo come di sopra. Io lova. Filippo Cauti deputato de la ma- gnìfica comunità firmo e mi oblilo come di sopra. Io Gio. V^inc. Salladini a nome della magni- fica comunità prefata afermo et me obligo come de sopra. Io Lud. di Lombardi in nome di Hieronimo mio fratello e mio mi obligo quanto in questo fo- glio si contiene. Io Hieronimo di Lombardj prometo aiutar a mio fratello Lodovico sopscto in questa opera di metallo con ogni saper che mi darà il signor Iddio in seri'itio della preclara comunità d^ Ascoli. Questa scrittura fu già pubblicata dal sig. ca- valiere Amico de' marchesi Ricci maceratese, orna- tissirao gentiluomo che mi onora della sua preziosa amicizia , e che con tanto amore e con tanta dili- genza scrisse e mise in luce l'eruditissime sue Memo- rie storiche delle arti e degli artisti della Mar- Statua di Gheg. XIII. 343 ca di ancona ; come può vedersi al tom. II, pag. 73 e 74- Pare a me doversi render lode a' vriaestrati di Ascoli non solamente dell'aver saputo prescegliere va- lentissimi artefici, i quali la statua del sommo pon- tefice Gregorio XIII bellamente operar potessero , perguisacbè riuscisse eccellente pel magistero dell'arte, e non indegna dell'augusto e venerando personaggio che doveasi effigiarvi, ma li trovo eziandio meritevoli di encomio per aver voluto che quella statua con colossali dimensioni si costruisse, siccome appare dalla riportata scrittura. Veggiamo dalla storia che presso tutte le nazioni le belle arti si piacquero delle im- magini di eccedente grandezza, e quasi vollero nelle loro rappresentazioni ingigantire la natura. L'occhio de' riguardanti meglio spaziò in ogni parte delle ag- grandite e colossali forme, e n'ebbe sensazione gra- dita e piacevole, anche per la ragione che l'umano intelletto suole per sua natura provare compiaci- mento all'aspetto di quelle cose, le quali presentano immagine di grandezza. Ben videro ciò i più assen- nati e meglio dotti artisti , e volentieri e con ra- gionevole speranza di buon esito da'tempi delle arti egiziane insino a'nostri diedero opera a pìngere ov- vero scolpire colossi e gigantesche figure. E queste specialmente si prescelsero, allorquando si doveano rappresentare numi od eroi ; essendo veramente con- forme a' sanciti canoni della estetica che si adope- rino le piccole e minute forme allorché il dilicato e leggiadro abbiasi a configurare, e si adottino in vece le grandiose e colossali quando il dignitoso e l'eroico debbasi effigiare. E nelle opere di scultura, secon- dochc a me ne pare , se le naturali dimensioni si 344 Belle Arti oltrepassino, e debbansi formare statue d'ingrandite- proporzioni, crescono le difficoltà, e maggiore sper- tezza vuoisi nell'artista: imperciocché vengono a man- care le norme e regole tratte dal vero. Ma il peri- tissimo Lombardi era tal uomo e ricco di tale arti- stica dottrina, da fare in mezzo al difficile risplen- dere maggiormente il valor suo. E ne abbiamo testi- monianza ne'suoi grandiosi profeti, che pose nel san- tuario di INostra Donna in Loreto , i quali inoltre dovutisi dallo scultore rannicchiare in piccoli spazi misero a prova tutto l'ingegno di lui e tutte le ri- sorse dell'arte ; siccome a sua gran lode nota il Ci- cognara nella Storia della scultura lib. V cap. 5. Gli ascolani avean saputo prescegliere un arte- fice ottimo a condurre di metallo la statua di papa Gregorio terzodecimo, e con tutta ragione sperava- no che per l'opera del valentuomo sarebbesi in modo condegno manifestata a quel benemerito pontefice la pubblica gratitudine, e che Girolamo Lombardi avreb- be fatto cosa degnissima dell'ammirazione e degli enco- mi di chiunque sapesse nelle produzioni delle arti discernere e gustare il bello. Ma poco mancò che queste speranze non andassero a dileguo : impercioc- ché il vecchio artista nell'anno \S']l^ fu colpito da grave infermità, e venne in pericolo di perderne la vita ; di che si fa cenno in una lettera di Lodo- vico fratel di lui, che si conserva nell' archivio di questo comune di Ascoli , e che qui trascrivo : - Magnifici signori antiani padroni ossmi. - Da nies- ser Jlrpini et da messer Gio. Battista Seriannj hebbi una letera dalle signorie vostre scrittami sopra al conprar de metalli per la statua.^ non è mancato da li detti far quel tanto che le S. F. o Statua di Greg. XIII. 345 gli a imposto, et io assente con loro ne o fatto pratica, fin hova non s^è trovato cosa nisuna , se non un moschetto che a bocca li sopra detti dar- ranno alle S. P^. ragguaglio. Messer Persio mi a detto haver lasato 4^^ scudi in mano del si- gnor Angiollo de Giulia non mancare di far ogni diligentia per via di F^enetia over altrove aciò che si possa aver la conde clone e bontà de metalli che detti in notta al magnifico messer Gio. Bat~ tista Ucollinj : spero ancor a mezzo agosto an^ darmene a recanati et trovar Hieronimo mio fra- tello a star asai melglio de la infirmità che è pasato tre mesi che Va grandemente agravato, et si atenderà a dar fine a la figura et sodisfar in tutto che si saprà e potrà che il nostro signor Iddio le conservi e a me doni gratia di ben ser- virle. Di Jncona alli 27 luglio 1^']^. - Servitore Ludovico di Lombardj.- Al di fuori - Alli magnifici signori antianj d' Ascoli padroni miei sempre os- servandissimi. Ascoli.- Aveano accettato i fratelli Lombardi cou lieto e volenteroso animo quella onorevole commissione del comune di Ascoli, colla quale a' valenti artefici offrivasi moilo a dare nuova testimonianza della lor maestria, ed aprivasi campo a lasciare un altro mo- numento, che sarebbe per essi di gloria. Avean pro- messo di consegnar finita entro il termine di un anno al più tardi la statua di Gregorio XIII, ed eransi formalmente a ciò obbligati nella scrittura. Ma di- stratti dagli altri lavori, a'quali davan opera , non mantennero quella promessa. Scorgesi ne' libri de' con- sigli, che in una ragunanza del ([uarto giorno di no- vembre 1674 si delcruiiuò che si supplicasse per G.A.T. CU. 23 346 Belle Arti lettere il cardinale di s. Sisto , acciocché s'interpo- nesse per la ultimazione di quella statua , essendoché conoscevasi che questo lavoro veniva ritardato , tro- vandosi gli artefici in Ancona a fondervi artiglierie. Conservasi nell'archìvio del comune la risposta del cardinale, ed è la seguente : - Molto magnifici signo- ri. Ho visto quanto desiderano le SS. W. per finir presto la statua di bronzo, et ne ho scritto al sig. governatore d'Jncona , acciò si contenti oprare che quelli dui maestri nominati di loro possano attendere a quelV opera , et son sicuro che non mancarci di farlo. Et s"* altro occorre t'av- visino che mi sforzare di compiacerle sempre in tutto quel ch'io posso. Et si conservino sane. Di Roma alli V di Xbre MDLXXIII. - Al piacer di VV^. SS. - Il cardinale s. Sisto. - Al di fuori - Alli molto magnìfici signori li signori antiani di Ascoli. Si osservi che la riportata lettera ha vera- raenle la data del 5 di dicembre iSyS : ma è giuoco- forza ritenere che questa sia certamente errata, se si consideri che il cardinale di s. Sisto rispondeva alle premure indirizzategli dopo la sopraccennata ragu- nanza del giorno 4 tli novembre iSj^ e quindi si rende chiaro che in detta data in vece del iSi^ si scrisse per errore il i5y3. E non potevano i mae- strali ascolani nel dì 4 di novembre iSjÒ dolersi del ritardo, che frapponevasi a dar compimento alla sta- tua, per la formazione della quale non erasi ancor fatta la scrittura, che venne stabilita poi e sottoscritta nel giorno ij dello slesso mese di novembre iSyS, come si è veduto. Ritardavasi anche nel seguente anno i575 la ultimazione della statua, sia che gli artefici pur di- Statua di Greg. XIII. 3/^J morassero in Ancona occupati nell'opera del fondere le artiglierie, sia che altre faccende gì' intrattenessero in Recanati ; la qual città, dopoché tolsero a stan- ziarvi i fratelli Lomhardi nella occasione de' lavori per l'ornamento della santa casa di Loreto, era di- venula un emporio di opere d'arte ; e hen l'osserva, il chiarissimo Cicognara nella sua Storia della scul- tura lib. V cap. 5. Veggo ne' registri de'pubhlici con- sigli che in due tornate, l'una del 25, l'altra del 27 di giugno iSyS, rinnovavansi premure pel compimen- to della statua da innalzarsi a Gregorio XIII. Ma quanto più la città di Ascoli riconoscentissiraa in- verso quel benefico pontefice, e non contenta di mo- strarsegli grata solo di parole, ardentemente deside- rava che tantosto si ponesse durabile monumento a solenne e perpetua dimostranza e memoria di sua gratitudine, tanto più frapponevansi ostacoli e sor- gevano impedimenti alla ultimazione del sì bramalo ed affrettato lavoro. In una ragunanza del consiglio, tenutasi nell'ultimo giorno di luglio del iSyS, tro- vasi fatta menzione della morte di Lodovico Lom- bardi : Ludoi'icus de Lombardis (jui conjlabat sta- tuam S. D. N. obiit diem suuni : proponitur igitur quid agendam prò recuperatione pecu- niae , et rerum UH dataruni dieta de causa. Si statuì di mandare persona, cui si commettesse di far? quanto intorno a questo negozio fosse mestiere, ed eziandio di cercar modo per indurre Girolamo Lom- bardi a perfezionare la statua , a fronte dell' aiuto mancatogli per la morte di suo fratello. Trovo dap- poi che in allra riunione del 18 di agosto 1575 fe- cesi al consiglio la proposizione: Si placet accipere conditionein prò coti/landa statua per doni. Jnt. ^/y{] Belle Arti rccanatenscin. Iacopo PaluccJ, dottor di leggi, parlò in questa sentenza : I deputati presceltisi per l'af- fare della statua del sommo pontefice trattassero il negozio della profferta ricevutasi per parte dello sta- tuario di Recanati, e si avessero la medesima auto- rità del consiglio intorno a tal faccenda, e dispones- sero e procacciassero che la statua si facesse colla sollecitudine che sì potesse maggiore, negoziando a questo effetto e patteggiando con qualunque persona riputassero convenevole. Piacque a'consiglieri la rac- contata opinione del Palucci, e co' favorevoli lor voti adottaronla. Un Giovan Francesco Viccei, pur esso giureconsulto, dixìt quoti statua conficienda S. D. JV. detur facienda D. Antonio a Racaneto disci- pulo D. Hieroninii de Lomhardis^praecipue cum habeatur prò erudito et divite. Anche il nobile ser Giulio Gesare Alvitreli tenne doversi la statua allogare allo scultore di Recanati ; ma una tale pro- posizione da'ragunati consiglieri venne rigettala. Questo recanatese scultore e geltator di metalli era senza dubbio Antonio Calcagni, del quale abbiamo la biografia nel tom. Vili delle Notizie de'profes- sori del disegno dateci dal Baldinucci. E per l'ono- re del Calcagni deesi credere, ch'egli facesse quella profferta a'maestrati di Ascoli coll'assentimento e col- l'approvazione del suo maestro Girolamo Lombardi. Del resto nuovamente in una tornata del quarto giorno di settembre iSyS il consiglio trattava della statua di Gregorio XIII, e determinavasi che a con- cludere e definir questo negozio si desse ogni ne- cessaria ed opportuna autorità agli anziani e depu- tati, i quali insieme con altri officiali e cittadini ne consultassero, e potessero allogare la statua da per- Statua di Grec. XIII. 34^ fezlonarsl, com'cssi sllmassero più espediente , e ri- cuperare i danari ed i metalli datisi al defunto Lo- dovico Lombardi dagli eredi di lui, e stabilire patti e convenzioni, e tutto fare intorno a tale negozio, come avrebbe potuto farlo il consiglio stesso. Non si ha precisa memoria di ciò, clie adopera- rono i predetti anziani e deputati, acciocché si tirasse a compimento la statua di Gregorio XIII. E nell'ar- chivio del comune non si rinviene alcuna scrittura o contralto su di tale oggetto. Ma da quanto io pro- seguendo narrerò chiaro apparirà, che quella sfatua venne perfezionata per l'opera del valentissimo Gi- rolamo Lombardi aiutato dal suo bravo discepolo An- tonio Calcagni, E primieramente riporterò la seguente lettera, la quale il medesimo Girolamo Lombardi in- dirizzò agli anziani di Ascoli annunciando ad essi la ultimazione del getto della statua. - Laus Deo - Magnifici si^. antiani sig. miei osservandissimi. Benedetto sia il nostro signore Iddio qual per sua bontà infinita ci ha fatto grazia che la statua del papa si è finita di gettar di bellissima composi- tione di metallo et è uenuta tanto bene quanto sia possibile mai a desiderarsi da homo uiuente es- sendo nettissimamente uenuto quello che si era fatto nella cera hoggi si è cav>ata dalla fossa et si è portata al luoco doi>e si attenderà con dili- gentia al nettar le terre et espedir la opera al fine. Io mag. sig. sin qui son stato aspettando con desiderio quello che uedo esser fatto a glo- ria del signor Iddio per sdtisfattione di questa inclita città et no ho osato parlar troppo ne scri- ver molto a Vo. SSrie Mag. sino che non ho vi- sto questo gratissimo successo del che ne rcn- 35o B E L I. E Arti sratlo sitmmamcnte la Maestà Divina. Et hora prego le W. SSrie che si degnino racordarè che la conuentione è che finito di gettarsi Voperd con bona reuscita come é al presente che non pò esser la meglio che si habbia a sborsare il re- stante delli denari conucnati et certo son state tante le spese fatte per Vopera che con difficultà li denari hauuti han bastato a supplire. Et spe- vo che SSrie V^V. et quella preclarissima città hauerà in consideratione il pacco gu adagno che da noi si fa in opera tanta ardua e difficile co- me potran uedere. Et a quelle humilmente mi rac- comando. Di Recanati alli \ d'agosto iSjG. - D. yy.. SSrie Mag. - Senatore Hieronimo de Lom- bardj. - Al di fuori - jilli Ma gei SS ri suoi Ossmi Li SSri jéntianj de Ascolj. In ^scolj. -Ver que- sta lettera si rende manifcslo ed innegabile, che la statua di bronzo postasi in Ascoli al sommo ponte- fice Gregorio XIII fu opera dello scultore Girolamo Lombardi. D'altronde il Baldinucci nella vita di An- tonio Calcagni, inserita nel tom. Vili delle Notizie dei professori del disegno, afferma che questo re- canatese scultore e gettator di metalli fu l'autore del. la predetta statua, ed a prova adduce la seguente at- testazione fatta dagli anziani di Ascoli al medesimo "Calcag ni: Populi Civita tìs jinziani Asculi Così precisamente leggesi nell'opera del Baldinucci afl tomo precitato della edizione fiorentina del 1770. Ma io trovo che gli anziani della città di Ascoli in qne' tempi a capo delle attestazioni scrivevano in que- sto modo: Statua di Gueg. XIII. 35 1 Antiani .V.. ^ .', osculi [Civitatis] Facciamo fede a tutti e singoli, che vedranno la presente che aviamo ricevuto da M. Antonio Bernardini da Ricanati (la parola Bernardini non in- dica qui il casato, ma il nome del padre scritto latina» mente, e deesi intendere Antonio figlio di Bernardino) la bellissima statua a nome della città fatta alla ■santità di nostro signore papa Gregorio XIII, qua- le già tre anni sono locammo da farsi alla B. M. di M. Lodovico de^ Lombardi , e dopo la morte di M. Lodovico a detto M. Antonio, della quale restiamo pienamente sodisfatti, essendone riuscita in ogni sua parte conforme al nostro desiderio^ et aspettazione, come ampiamente si può vedere nella nostra piazza principale, dove a perpetua memoria delVobbligo infinito che avemmo a sj^a beatitudine, si vede d^ ordine pubblico eretta , e per questo in fede del vero e in testimonio della sua virtù aviamo voluto accompagnarlo con la presente; segnata del nostro maggior sigillo que- sto dì 6 dicembre iSjG- Mancano le sottoscrizio- ni. In questa carta riporlata dal Baldinucci osservo un grave errore , che me la rende molto sospetta. Secondo ciò che in essa dicesi, la statua di Grego- rio XIII, a' 6 di dicemhre dell'anno iSytì, trovavasi già innalzata nella principale piazza di Ascoli: quan- doché è certissimo che quella statua fuvvi eretta nel giorno 24 di luglio del iSyy, come con tutta verità affermasi in manoscritti di storia patria, che si con- servano nelTarchivio del comune, e come io stesso 352 Belle Arti notai nelle mie memorie Intorno i letterati e gli artisti ascolani. E la iscrizione che oggi pure si leg- ge nel piedestallo, al quale era sovrapposta la sfatua, dice la erezione di quella essere avvenuta nell'an- no iSyy : e ne son queste le parole : D.O.M. GREGORIO XIII. PONT . OPT . MAX . OB AGRI DITIONEM PRISTINAMQ. DIGNITATEM CIVIBVS RESTITVTAM SEN . POP . Q • ASCVL . EREXIT ANISO MDLXXVII. Come poi poteva essersi fallo l' innalzamento della statua nel di 6 di dicembre dell'anno iSyG, se da' li- bri de' pubblici consigli si ha che a' 28 di giugno del iSyy non erasi ancora eretta , e facevasi pure qualche controversia intorno al sito, in cui la si do- vesse collocare, non andando a sangue di alcuni- il luogo presceltosi : e che a' 9 di luglio dello stesso anno iSyy la medesima statua non si era sovrap- posta al piedestallo clie preparavasi ? Io concederò al Baldinucci, che Antonio Calca- gni avesse alcuna parie nella fattura della bellissima statua di bronzo erattasi in Ascoli al sommo ponte- fice Gregorio XIll, e ch'egli aiutasse in quella opera il suo benemerito e vecchio maestro Girolamo Lom- bardi ; ma negherogli ben io che il Calcagni fosse egli solo l'autore di quella statua, e gliel negheran- no con me tulli coloro, che vedranno la lettera da me riportata, colla quale il Lombardi annunciò agli Statua di Greg, XIII. 353 anziani eli Ascoli il compimento del getto di quel- l'egregio lavoro. E contro l'asserzione di quello scrit- tore stanno concordi gli storiografi municipali di Asco- li. Essi tutti, quant'io ne vidi, dissentono dal Bal- dinuccl nelle loro stampate ovvero manoscitte storie: né liavvene pur uno che attribuisca al Calcagni la statua di che parliamo, ma tutti ne fanno autore il Lombardi, e ad esso ne rendono ogni lode. Può mai credersi che tutti costoro s'ingannassero parlando della più bella opera di scultura che fregiasse la lor pa- tria, eretta in epoca non antica e per motivo tanto importante e con sì grande solennità, e grossamente s'ingannassero mentre aveano pur tante memorie e carte da vederne, e persone da interrogarne, e tanti modi per assicurarsi della verità, e tanti mezzi per non cader in errore ! E da considerarsi inoltre, che se il comune di Ascoli, allorquando contrattò con Lo- dovico Lombardi, volle che questi si obbligasse pel suo assente fratello Girolamo, chiaramente dimostran- do che sul valor di costui principalmente confidava, non dovea poi per l'avvenuta morte di Lodovico ri- volgersi interamente al Calcagni, e per tal guisa an- teporre il discepolo al maestro (e maestro sì speri- mentato e sì celebre) ; e solamente contenlossi che nell'opera di quella statua, il compimento della qua- le ardentemente desideravasi da tutti gli ordini della città , il medesimo Calcagni desse mano e coadiu- vasse il suo provetto ed affaticato precettore. Se Giro- lamo Lombardi avesse apposto il suo nome a quella scultura, imitando l'esempio di molti artisti antichi e moderni (ciocché rendesl utilissimo per la storia delle arti), i quali non omisero di notare nelle lor opere i propri nomi , condotti a ciò fare dal desi- 354 Belle Arti (lerio di gloria, e dal timore che venissero attribuite ad altri le nobili lor fatiche, non sarebbe nata qui- stione sul vero autore della statua erettasi in Asco- li a Gregorio XIII. Ma il vecchio e modesto arte- fice, meglio l'onore dell'arte che la propria fama cu- rando, non appose veruna cifra od epigrafe a quel- l'esimio suo lavoro, abbenchè di esso molto si com- piacesse, e degno di lode il riputasse, come abbiam veduto dalla sua lettera. Se a fronte dell'errore, che osservai nell'attestazione degli anziani di Ascoli ri- portata dal Baldinucci, vogliasi questa ritener vera, convien dire che il Calcagni, quando venne in Asco- li a portarvi la statua ed a regolarne il colloca- mento, mal potendo recarvisi il vecchio ed infermic- cio Lombardi, che non poteva durar gl'incomodi e la fatica del viaggio, si procacciò quel documento sì favorevole avendo in mira più l' onore proprio che quello del suo maestro; ovvero se questi ne fu con- sapevole, deesi credere che il canuto artista, non bi- sognoso ne desideroso di accrescere la sua già sta- bilita e diffusa riputazione e celebrità, si tenesse con- lento che al valente e caro discepolo si attribuisse la gloria dell'avere egregiamente lavorata quella sta- tua , cosicché il giovane scultore ne venisse in fa- ma , e ne acquistasse bella rinomanza. E ben egli il Calcagni acquistolla grandissima colla statua di bronzo postasi al pontefice massimo Sisto V, di glo- x'iosa ed immortale memoria, nella piazza di Loreto, e sommamente laudata da coloro che scrissero in- torno le opere di scultura. Se peraltro allo statua- rio recanatese non può darsi la gloria di essere l'au- tore della statua di Gregorio XIII erettasi in Asco- li, certo ed indubitato egli è che il Calcagni aiutò Statua di Greg. XIII. 355 in questa bellissima opera il suo maestro Girolamo Lombardi : e parrai ciò scorgesi anche dalla costui lettera che io riportai, e nella quale egli dice quella preclarissinia città ìiauerà in consideratione il pocco guadagno che da noi si fa : parole che in- dicano altra persona avere avuto parte in quel la- voro insieme col Lombardi. Ed ancor meglio ciò si ravvisa da' libri de' pubblici consigli, ne' quali sotto il di 24 di agosto 1 5 76 si legge: Magistris, qui con- Jlarunt statuam S. D, N. Cosi medesimamente in una tornata del giorno ultimo di settemare del detto anno iSyG dicesi : Et opus sit etiam soU>ere reli- quum merce dis magistris, qui conjlarunt statuam S. D. N. Ed altrove pure ne' medesimi registri de' consigli vengono menzionati gli scultori, che fecero la statua di papa Gregorio, mostrandosi chiaramente che non fu un solo artefic.e che lavorasse in tale ope- ra. In questa peraltro avendo avuto parte il maestro insieme ed il discepolo, tutti .confesseranno che al primo se ne debba rendere la principale e maggior lode, come quegli che l'opera stessa immaginò e mo- dellò, e ne diresse e regolò la esecuzione, e fu duce e guida al suo allievo, cui volle aiutatore; e ne ave- va mestiero, provetto negli anni, siccom'egli era, e travagliato dalle infermità, che sogliono accompagnar la vecchiezza, E ne dica in contrario ciò ch'egli vuole il Baldinucci, il quale parlando della statua postasi in Ascoli a Gregorio XIII, non mostrò certamente esattezza; e ne sia prova l'asserire ch'ei fa, come oc- corse che avendo la città di Ascoli determinano d'in- nalzare nella sua maggior piazza una statua di papa Gregorio XIII, ed avendone allogalo il lavoro a Lo- dovico Lombardi , mancato questi a' vivi, oommise 3jd Belle Arti una tal opera ad Antonio Calcagni, che vi pose ma- no nell' ottobre del i5y3. Or come poteva ciò es- sere, se nel detto mese non erasi ancor fatta la scrit- tura con Lodovico Lombardi, la quale, come abbia- mo veduto, fecesi a'iy di novembre di quell'anno, e se Lodovico Lombardi era pur vìvente a' 27 di luglio del i574> sotto il qual giorno egli indirizzò agli anziani di Ascoli una sua lettera, che sopra io riportai ! Afferma inoltre il Baldinucci, che Antonio Calcagni diede finita la statua nell'aprile del 1876: e d'altronde non prima del dì 4 di agosto dello stesso anno iSyG Girolamo Lombardi, colla sua lettera che fu pure da me riferita, annunziava essersi la statua gettata e rimanere a farsi alcuna cosa, percliè il la- voro si trovasse condotto a pieno compimento. Or continuando queste memorie narrerò come, giunta in Ascoli la statua, mosse ad ammirazione chiun- que la vide, giudicando tutti { e correva secolo di sì buon gusto e tanto splendido e glorioso per le arti belle) essere lavoro immaginato e condotto per modo e con tal magisterio, da rendere pienamente pago l'oc- chio non meno che la ragione de'riguardanti, ed aver saputo il valente Lombardi in quel nobilissimo simu- lacro adoperare quella prodigiosa efficacia e potenza dell'arte, da che la mente degli spettatori è indotta a sentire tutta la illusione ed il prestigio, che la mae- strìa e l'ingegno de' grandi artisti seppero generare e produrre col pennello e collo scarpello, sì vivamente e con tanta verità ed evidenza imitando o rappre- sentando gli oggetti , che le persone e le cose effi- giate per istupondo artifizio paiono quasi reali e pre- senti. Soddisfattissimi i consiglieri di Ascoli di un sì bello e commendato lavoro, ragunavansi a' 4 tli dicem- Statua di Greg. XIII. 357 bre 1576,0 cllsculevasl: Ubi locanda statua santis- simi domini nostri Gregorii papae XIII, nuper advecta, et per qnos ciwandiun ut fiat basis con- lecens pulcherrinio huic operi. L'altre volte ri- cordato Iacopo Palucci manifestava il parer suo , e con liete parole diceva : Posciachè per la bontà del signor Iddio la statua di nostro signore è venuta a salvamento, ed è riuscita di sì grande bellezza die niuno è sazio di vagheggiarla, pongasi essa ed accon- ciamente si collochi nel più bello e meglio cospicuo luogo della città, cioè nella piazza superiore, e le si faccia un piedestallo corrispondente alla leggiadrìa di sì nobile ed egregia scultura , perguisachè si possa questa da ogni parte e per tutti i lati da'riguardanli vedere ed ammirare. Ed acciocché sappia il mondo e conosca qual sia la fedeltà e quanta la devozione del senato e popolo ascolano inverso l'augusta persona di nostro signore e la santa sede apostolica , incon- tanente mettasi mano all'opera, e diasi carico a'ma- gnifici signori anziani di eleggere quattro nuovi de- putati, i quali con ogni diligenza e sollecitudine prov- vedano a quanto sarà d'uopo: e donde potranno me- glio, traggano i danari de'quali sarà mestiere. Adot- tatasi da' riuniti consiglieri l' opinione del Palucci , convalidata eziandio dall'uniforme parere del giuri- sta Felice Febei , nel medesimo giorno 4 ^^ dicem- bre 1576 gli anziani, per l'autorità ad essi datane dal consiglio, prescelsero a deputati Gio. Vincenzo Sa- ladini, Tommaso Rocca , Girolamo Cataldi e Vin- cenzo Ficcadenli, invitandoli a disporre quanto oc- corresse per la costruzione del piedestallo ; intorno a che dovessero conferire collo statuario Antonio Ber- nardini, cioè Antonio Calcagni. Bene e saviamente 3S8 Belle Arti avvisarono ,, secondochè a me ne pare , i consiglieri di Ascoli nello statuire che la scolpita immagine del benefico Gregorio XIII si ponesse nella principale e piìi frequentata piazza della città : sembrandomi buono ed utile il pensiero di coloro, i quali vollero collocati i patrii monumenti e le statue degl'illustri e benemeriti personaggi sotto 1' aperto cielo ed in pubblico luogo, e per tal guisa li tennero mai sem- pre esposti allo sguardo de'cittadini : così avviene che l'occhio torni più frequentemente a riguardarli, più spesso la mente li consideri, più sovente nell'animo si ridestino i debiti sentimenti di ammirazione e di gratitudine. Ma collocandosi in vece que'monumenti e quelle immagini entro le chiuse mura di palagi, di musei o di templi, e quivi rimanendosi esposti agli occhi di pochi, pare per certo modo che mano invi- diosa abbia voluto sottrarre la gloria di que'preclari alla gioia dell' aperta luce, alla pubblica lode, al po- polare festeggiamento, condannandola a circondarsi di oscurità e di silenzio. Fu già osservato come gli an- tichi, nulla facendo a caso e senz'avvedimento e buon giudizio, nello scegliere il sito alla collocazione di alcun monumento, non perdevano di vista le consi- derazioni morali , procacciando documenti di pietà ovvero di gratitudine e lezioni di patrio amore e di altre virtù. Le rive del mare, i lati delle principali strade e gli altri più frequentati luoghi preferivansi pel collocamento delle tombe e de'mausolei, accioc- ché i passeggieri imparassero un nome di cara me- moria che si voleva sottrarre alla obblivione, e dalle sepolcrali iscrizioni traessero nobili esempi ed utili ammaestramenti. Ed i greci principalmente, solenni maestri di civiltà e di gentilezza, con bella e pro- fittevole costumanza solevano a' degni e celebri uo- Statua di Gueg. XIII. SSg mini rendere h-ibuto di giustissima onoranza, innal- zando ad essi marmoree o melalliche slatue, e queste con ottimo e prudentissimo consiglio collocavano in que'luoghi, che meglio fossero a vista del popolo : affinchè all'aspetto di que'gloriosi ed onorevoli mo- numenti negli animi de'giovaai si destassero Tarn* mirazione e l'amore della virtù , e nobile desiderio di gloria s'ingenerasse. E relativamente alia statua di Gregorio XIII, della quale io torno a dire, per com- mendare la determinazione de'consiglieri di Ascoli intorno al luogo destinatosi a collocarla si aggiugne inoltre la considerazione, ch'entro le sale e le gal- lerie bene stanno le immagini di forme gentili e gra- ziose, ma piazze voglionsi in vece e larghi ed aperti spazi per le figure di grandiose e colossali dimensioni. Quella statua, in cui stava Gregorio XIII nella più animata ed espressiva maniera configurato, cosic- ché sforzava quasi i riguardanti a curvare la fronte riverente al cospetto del pontefice ottimo massimo , fu innalzata nella principale piazza di Ascoli il di 24 di luglio dell'anno iSyy, come sopra si accennò , e se ne fece la solenne inaugurazione ; e fu quello un giorno di pubblica letizia, mentrechè accorrevano le persone di ogni ordine a quel cittadinesco festeggia- mento. E tostochè videro sorgere sul piedestallo e grandeggiarvi la colossale e nobilissima statua, nel cui aspetto avea saputo lo scultore improntare vera- mente la vita, ed in ogni parte della quale avea con eccellenza di artificio imitato egregiamente la natu- ra e la verità , si elevò una generale voce di lode all'artefice di quell'opera , che fu encomiata anche dai più schifiltosi ed austeri , essendosene a colpo d'occhio ravvisata la bellezza e perfezione; e quella 36o B E L L E A R T I scultura prestantissima Iirimantlnente attraeva a sé gl'incantati -Sguardi di lutti gli astanti, i plausi una- nimi di tutti gli spettatori , e come l'ignaro volgo de' riguardanti, così grintelligenti e dotti conoscitori dell'arte non iscorgevano in quell'esimio lavoro al- cuna menda, niente vi trovavano che biasimo e cen- sura meritasse. E l'esultante e plaudente popolo men- tre lodava e celebrava la valentia dell' artista e la eccellenza dell'opera espostasi alla pubblica ammira- zione, e la quale accresceva nobile ornamento e de- coro alla patria, rendeva medesimamente elogi e gra- tulazioni a' maeslrati, i quali aveano decretato che quel monumento si scolpisse e si ponesse, ed a con- durlo avean saputo prescegliere uno statuarlo di tan- ta virtù; e ricordando poi e con parole dì grato e riconoscente animo magnificando i benefizi di Gre- gorio, porgeva supplicazioni al cielo, affinchè il pon- tefice clementlsslmo, e degnissimo di essere tenuto pre- sente a' posteri con quella statua, s'avesse ogni ma- niera di prosperità e di onori, e sui devoti suoi sud- diti lungamente e felicemente regnasse. Girolamo Lombardi, volendo dare al soggetto la maggior dignità, con quello stile che si accosta più al severo e robusto che al gentile e grazioso, e che vuoisi tenere allorché debbansi effigiare personaggi di alto grado e di austeri e santi costumi , foggiò Gregorio XIII maestosamente arredato in tutta la magnifica e religiosa pompa delle pontificali vestlmen- ta ( le quali prestansi ottimamente alla scultura , come a' di nostri fece vedere l'immortale e celeber^ rimo Canova), e fregiato in capo del papale triregno, ed assiso su di nobile seggio pur di bronzo in at- teggiamento di benedire. Ammlravansi ed altamente Statua di Greg. XIII. 36 1 commendavansi in quella figura stupenda e piena di espressione e di vita il concetto, il disegno, il buono e puro gusto, la gradevole simmetria, la maestà del sembiante e della movenza, la nobiltà delle forme, la grazia de' contorni, il bel piegare de' panni con- formantisi con piena imitazione del vero alle sotto- poste membra, l'anatomica intelligenza, la proprietà infine e la conveniente dignità e la incomparabile esattezza adoperatasi in ogni parte dall'esimio scul- tore educato a lezioni di ottima scuola. Perfetti e leggiadrissimi tenevansi da ogni intendente i bassi- rilievi istoriati nel cappuccio del piviale, cbe vede- vansi elaborati con isquisito garbo e con dilicalissi- ma eleganza, avendovi 1' insigne scultore profuso a larga mano tutte le diligenze e bellezze dell'arte, per tal maniera mostrando la sua grandissima perizia in questo genere di lavori, che primo pose in buon uso il fiorentino Donatello. E meritevoli non meno di lode e condotti con una preziosa accuratezza di fi- nitissima esecuzione erano gli altri adornamenli, co- me i tritoni dal Lombardi scolpili ne' ripiani della sedia, e i draghi (alludenti allo stemma della bolo- gnese nobilissima famiglia de' Buoncompagni, cui ap- parteneva papa Gregorio) , i quali colle loro teste ed ali formavano i bracci noli e pomi della medesima se- dia ; avendo saputo gli artisti del secolo XVI otti- mamente e con giudiziosa distribuzione molliplicare gli ornati senza cadere nel pesante o nel bizzarro. Elevato sopra un piedestallo di travertino, tutto di un masso, fregiato di cornici, riquadri e base, nel quale fu scolpita eziandio l' arma del pontefice colla iscrizione cbe ho riportalo, faceva di se bella e ma- gnifica mostra il simulacro di papa Gregorio XIlIj G.A.T.C1I. 24 362 B E L I. E A R T I nel cui aspello vedeasi tal Uomo, cLe avea menle e cuore all'altissima dignità Qorrispondenli, e sulla fron- te apparivano la clemenza e la benignità, e ne ve- devi le labbra dischiudersi a pronunziare parole di benedizione, talmentechò ti sentivi colpito nell'ani- mo da ossequio e religioso' rispetto ; e parea quasi die da quella maestosa ed onoranda figura escisse un non so che di sacro, die forzasse i riguardanti alla riverenza ed alla venerazione , e che quella effigie rompendo'! silenzi del muto bronzo, ond'era scol- pila, dicesse: Piegate le ginocchia, o devote genti di Ascoli, prostratevi al sommo tra' sacerdoti, al pon- tefice ottimo massimo : egli vi benedice amorevole : e supremo pastore e padre di tutti i fedeli, e vica^ rio d'Iddio in terra, chiama sulla patria vostra le gra- zie ed i benefizi del cielo; e jiel tempo medesirno egli, vostro temporale monarca e clementissimo prin- cipe, alla patria stessa le perdute giurisdizioni e la primiera dignità generosamente reslitnisce. Così l'ar- tefice valentissimo quel metallo egregiamente confor- mando ed animando avea fatto sì, che sulla cogita- bonda e maestosa fronte dell'effigiato pontefice si di- mostrasse il personaggio, che alte e sovrumane cose meditava, eletto da Dio a prendere le sue veci in-» fra gli uomini ; ne quindi rnancava a quella statua il sublime, che spicca si eminentemente nel Mosè celebratissimo di Michelangelo Buonarroti: quel sen, timento cioè che tutta ad un tratto occupandoci e riempiendoci la mente, la innalza sopra la sfera de'co» munì ed ordinari concetti. Quella iconica statua di Gregorio XIII, adorna di tanti meriti artistici e peregrine bellezze, rimase esposta per tutto il secolo XVII, e per quasi tutto Statua DI Greg. XIIL 363 il secolo XVIII, nella principale, piazza di Ascoli airammirazione de' cittadini e de' forestieri , i cjuali non potevano arrestar l'occhio in alcuna parte di tale scultura senza maraviglia. E quanto più quella sta- tua col volgere degli anni fosse divenula antica, tanto' più avrebbe acquistato pregio e lode nelle più tardis! venture età : imperocché vero è troppo che la umahà> invidia, meglio favoreggiando le vetuste che le mo-- derne cose, scema e diminuisce a queste, ed aumenta' all'opposto ed aggrandisce a quelle la rinomanza e gli encomi. E sarebbe stata cara e gradita cosa a'fu->. turi cittadini di Ascoli il ricevere da generazione in generazione sino alla più lontana posterità la imma- gine di quel benefattore della patria, ad essi lasciala' da'loro antenati quasi oggetto di pubblico retaggio, e quasi parte preziosa dì popolare |civicto;patrimo-. nio. Io penso poi che nobile intendimento delle arti liberali esser dee quello di apportare alcun giovamento' agli uomini , suscitando in essi morali sensazioni ,. che possano essere semenza da prodnrsene buono ed' utile frutto. A tale scopo debbono mirare gli artisti ■ maneggiando gli scarpelli ovvero i pennelli, e deesi' nelle sculture e nelle dipinture mescere al vantag- gioso il dilettevole : mercechè troppo ignobile propo- nimento si avrebbero le belle ed ingenue arti, se do- V€ssero unicamente indirizzarsi a darne colla loro- opera piacevoli rappresentanze, e destare negli animi de' riguardanti la sola dileltazionCi B' merita}neilte yer- rebbero esse tacciate di sterilità e di niùn'ipuìjbliCoS profitto. La statua, della quale io vado eompilando' queste memorie storiche, col rammemorare il bene- fizio e hi clemenza di Gregorio XIII^ ed insieme là gratitudine de'beueficali e riconoscenti ascolani, servi 364 Belle Arti allorché fu eretta a suscitare negli animi sentimenti dolci ed affettuosi, e rannodare in certo modo i vin- coli di reciproca benevolenza e vicendevole affezione Ira il sovrano ed i sudditi : benevolenza ed affezione tanto più da valutarsi ove trattisi di principe , che oltre il temporale governamento è reggitore e capo della religione e supremo gerarca della chiesa. £ man- calo poi a'vivi Gregorio XIII, dovea quella sua sta- tua servire ne'posleriori secoli, come a tener viva la onoranda memoria di lui e la ricordanza de'suoi be- nefizi , così non meno al politico utilissimo scopo di assodare ognor più le basi del pontificale dominio , ch'essendosi dimostrato si clemente e benigno inverso la patria, doveano negli animi de' cittadini sorgerne sentimenti sempre più forti di attaccamento e devo- zione a' romani pontefici, e farsene più saldi i legami di amorevole sudditanza, che stringer debbono i buo- ni popoli a'ior sovrani. Le statue de'grandi personag- gi, ove l'arte dello scultore abbia saputo bene ed in espressiva maniera ed in convenevoli atteggiamenti effigiarli, hanno, direi quasi, una visibile favella, equi- valente alla narrazione degli storici : favella che i ri- guardanti intendono, e ne prendono maravigliosa di- lettazione : imperocché quel muto linguaggio dice pur tante cose in sì corto tempo, anzi ad un colpo d'oc- chio: e le dice talvolta con tanta significazione, quanta non ne avrebbero le parole, cosicché vale talora lo scarpello quanto non varrebbe la penna dello scril-r lore. E pochi leggono le istorie, pochissimi i poemi ; ma si stanno a vista di tutte le sculture e le dipin- ture, e signoreggiano gli animi più frequentemente che la stessa eloquenza e sopra una maggior copia di persone : esse, percoteodo i sensi con efficacia, fan Statua di Greg. XIII. 3G5 senlire rapidamente e potentemente , e fan sentire come i eulti e gentili spettatori, così pur la rozza e numerosa schiera de'volgari. Dovremmo rammaricarci e dolerci meno se il tempo, che non placahile per voti le umane cose di- strugge ed estingue, pur nimico tremendo alle arti- stiche produzioni, avesse disfatta la statua bellissima erettasi dagli ascolani a Gregorio XIII : ma dee dis- piacerne ed increscerne maggiormente, che la stoltezza degli uomini abbia atterrato e distrutto quel monu- mento nobilissimo, che poteva per lunghi secoli essere di fregio e decoro a questa città. Funestissime poli- tiche vicissitudini sul tramonto del varcato seco- lo XVIII per la rivoluzione di Francia sorsero a tur- bare ed insanguinare 1' Europa ; ed anche il nostro Piceno, che da lunghi anni riposava nella beatitudi- ne della pace, a que' dì infelicissimi vide feroci sol- dati di stranieri eserciti metter piede nelle fiorenti sue campagne. E vide nelle piazze delle sue città dai deliranti repubblicani rizzarsi gli alberi chiamati della libertà , e udì promettersi beni di ogni maniera, e prosperità e gloria, e un dolce e lieto vivere: pro- messe che tantosto si scopersero bugiardissime ; impe- rocché in luogo delle sognate felicità, mali soprav- vennero e mali gravissimi e calamità di ogni genere. Lamentavano i sacerdoti l'impedito culto e la oltrag- giata religione : dolevansi i patrizi de' cessati privi- legi, de' cresciuti balzelli e sin de'cavalli rapiti a'ior cocchi in servigio delle milizie : scontentavansi i vec- chi delle turbate abitudini : schiamazzava il popolo pel rincarare delle vettovaglie : fremevano gli agricol- tori per l'esorbitanze delle sbandate soldatesche, dalle quali non erano sicuri i lor bestiami e le masseri- 366 B ELLE A R T I zie eà il pudor delle femmine : attristaviansl tulli della perduta aulica quiete, e piangevano e trema- vano circondati in tanto strepito di guerra da tur- bazioni, da terrori e da molti e grandi perìcoli. Gli ascolani avendo con dolorosa esperienza veduto quali acerbissimi frutti si producessero dalla repubblicana libertà e dalla decantata eguaglianza, stanchi di quel torbidissimo e gravosissìmo governo , festeggiarono grandemente ed accolsero con ogni dimostrazione di pubblica esultanza le milizie di Kapoli, che nume- rose occuparono Ascoli nel novembre del 1798 , ed il; re Ferdinando IV fu celebrato a cielo e gridato liberatore. Ma sventuratamente fu brevissima quella letizia : il turbine non era ancor dissipato, ed avea disposto Iddio che le sciagure d'Italia non dovessero cessar cosi presto. L'esercito napolitano, capitanato dal maresciallo Micheroux, combatteva infelicemente a Torre di Palma sulle rive dell'adriatico : e le vin- citrici schiere francesi e cisalpine, guidate dagli arri- sicali generali Rusca e Casabianca, tornavano ad impa- dronirsi di Ascoli, q minacciose e fiere della vitto- ria vi giungevano nel primo giorno del dicembre 1798, e la innocente città non andò immune dal saccheg- giamento e dai tristi effetti della militare licenza. Fu in quel giorno di funestissima ricordanza che a'de- mocratici, a'quali davasi in que' tempi il nome di giacobini, in mezzo al matto tripudio ed alle orgie invereconde venne in pensiero di abbattere la statua di Gregorio XIII. Trovo scritto in memorie di quel tempo, le quali si conservano nell'archivio del co- mune , che in quell'inaspettato trambusto , in quel tutnultuoso commovimento di soldatesche e di farne- tici parteggianti, a fronte della subitezza del caso , Statua di Greg. Xlll. 36^ pur v'ebbe chi provvedendo al decoro della patria e delle arti belle cercò modo di stornare con interpo- sti offici quella bruttissima vandalica distruzione, e di ritorre l'egregio monumento dalle mani di que'for- sennati, ed ottenerne il salvamento e la conservazio- ne. E quindi non si omise di porgere supplicazioni al supremo duce di quelle francesi milizie , affinchè coU'autorità sua contenesse ed infrenasse i soldati e la concitata moltitudine, ed impedisse l'atterramento e la rovina di quella statua, insigne opera di loda- lissimo artefice, e facesse rispettare quel nobilissimo patrio monumento, la cui distruzione da tutti gli as- sennati cittadini sarebbe riguardata come pubblica gravissima iattura e calamità. Ma il capitano di Fran- cia a quelle preghiere il duro e feroce animo non piegò, forse placabile solamente per orò : e volle 6 con minacciose parole comandò che la scure ed il martello abbattessero e disfacessero quella statua. Ed al fiero comandamento conseguitava non tardo l'effet- to, essendosi tantosto quella esimia scultura divella dalla sua base e messa a terra ( grande invero e me- morabile vergogna! ) ed infranta e disfatta. Profane e scellerate io dico le mani, che scagliarono colpi a distruggere quella statua, se riguardo il merito e pre- gio artistico di essa: più profane e più scellerate io le grido , se considero il sacro ed onorando perso^ naggio, che per la medesima statua rappresentava si.' Ed è pur narrato nelle memorie di quel tempo che i primi colpi ( vedi detestabile empietà ! ) si vollero^ diretti alla mano dell'effigiato pontefice, la quale sol- levavasì all'atteggiamento del benedire. Da ogni po- polo, che barbaro e selvaggio non sia, tengonsi care e pregiate le ammirande opere dell'umano ingegno, 368 Belle Arti e le rispetta e le ha in onore e ne cura e prolegge la conservazione. Avrebbero dovuto i capitani di quel- le francesi milizie, almeno per un pudore di civiltà ( e di civiltà e di gentilezza e di progresso il borioso secolo altamente vantavasi), impedire che quella scul- tura eccellentissima si distruggesse : noi fecero , ed abbiansi nelle pagine della storia macchia di vergo- gna e d'infamia : essi meritarono la gloria di Ero- strato. E con pazzo e scellerato furore vennero co- stretti alcuni venerabili sacerdoti , crudelmente ed empiamente svillaneggiati , a strascinare con funi i divelti brani della statua : questo pure aggiugnendosi oltraggio impudentissimo. Il metallo della medesima distrutta statua fu in parte derubato, ed in porzione fu adoperato a coniarne monete , delle quali gran- dissimo era il bisogno a que' di : perciocché tutto in- goiavano le avide ed intemperanti soldatesche della repubblica. Ho sott'occhio la lettera che i magistrati municipali indirizzavano al cittadino Carlo Lenti, proprietario della zecca ascolana, perchè quella co- niazione incontanente si facesse , come il ministro delle finanze e l'amministrazione dipartimentale ordi- navano. Fu inoltre disfatta l'arma di Gregorio XIII, scolpita nel piedestallo, sul quale sorgeva la statua, più non volendosi vedere in quella politica demenza stemmi gentilizi, e mattamente pensandosi di stabi- lire la eguaglianza infra gli uomini e di conseguire l'appetita libertà, radendo e cancellando ogni arma , ogni araldica insegna, che adornasse i monumenti e le tombe, o pendesse dalle muraglie de'signorili palagi. Vollero poi gli stolti demagoghi che nel sito, in cui stava già eretta la spezzala ed atterrala statua, con sostituzione indegaissima si elevasse un nuovo albero Statua di Greg. XIII. 3 69 della libertà, un nuovo trofeo della torbida e san- guinosa repubblica. Io penso che dal cielo il buon papa Gregorio XIII vedesse e compiangesse gli uma- ni deliri. Nella raccontata maniera andò mìseramente per- duta e distrutta una scultura eccellentissima, la quale sotto l'egida della pubblica venerazione doveàsi per- petuamente conservare, siccome un monumento no- bilissimo della clemenza e benignità di un ottimo pon- tefice, una significazione del riconoscente e grato ani- mo degli ascolani, una testimonianza della maestria di un celebre artista. Non è da stupire che da' re- pubblicani in Parigi non sì potesse tollerare la statua equestre di Luigi XIV, rappresentato in atto di cal- pestare le immagini di soggiogate ed incatenate Pro- vincie. Ma non può non recare alcuna maraviglia che a que' democratici, i quali promettevano agli uomini ogni più desiderabile prosperità, e facevano quasi spe- rare un nuovo secolo d'oro, dovesse tanto increscere la vista del simulacro di un pontefice di mitissime sembianze e benedicente il diletto suo popolo in at- teggiamento di amorevolezza e di benignità. Senon- chè all'altare non meno che al trono in que* giorni si facea guerra; ed un'empia avversione nudrivasi e mostravasi a tutte le cose di religione, e specialmente a' pontefici supremi reggitori di essa. Ed Ascoli, che a que' dì sciaguratissimi soggiacque più volte al furore delle repubblicane falangi , vide posta in derisione e in dileggiamento ogni più santa e veneranda cosa, sfregiate e guaste le religiose dipinture, rapite le sup- pellettili delle chiese , fatto mercato infame de' sa- cri arredi, usati a mensa i calici profanati per tazze Syo Belle Arti di soldatesche avvinazzate, messi a ruba i conventi, i raonisteri contaminati da orrende lascivie, i templi fatti segno a turpitudini, a sacrilegi , a nefandezze di ogni maniera. Ed a fare che i seguaci della fran- cese rivoluzione rispettassero i pregevoli monumenti delle arti belle non valevano i nobili esempi della storia, la quale ci narra che Demetrio soprannomi- nato l'espugnatore non volle appiccar il fuoco all'as- sediata Rodi, e per tal guisa impadronirsene , per- ché non perisse nell'incendio un famoso dipinto di Protogene, rinunziando generosamente alla occasione della vittoria per conservare l'opera di un celebrato artista [C. Plin. Hlst, Nat. lib. VII, e Dati nelle vite de'' pittori ant., vita di Protog). Se avessero que' disfrenati novatori imitato il fatto de' siracusa- ni, i quali accusarono e sottoposero a formale giù. dizio le statue , come fassi co' rei citali innanzi ai tribunali a rendervi conto delle loro azioni, secon- dochè racconta Plutarco nella vita di Timoleonte , non avrebbero potuto certamente condannare la sta- tua di un pontefice, il quale fu veramente esemplo splendidissimo di benignità, di clemenza e di ogni più alta e nobil virtù, ed elevato al soglio pontifi- cale dimostrossi padre amorevolissimo di tutto il mon- do cristiano, ad ogni parte di esso estendendo le sue paterne beneficenze, zelantissimo per la pace d'Ita- lia e per la prosperità de' suoi sudditi, e da questi amatissimo pel suo placido e dolce governo, soccor- ritore de' poveri generoso e largo più ch'altri mai , benemerito fondatore di pii ed utilissimi stabilimenti, perguisachè il romano popolo innalzogli una statua nel campidoglio, ne certo per adulazione e cortigia- nesco blandimento : imperocché fu quella statua eretta Statua di Greg. XTIt. Syi allorquando Gregorio più non era ira' vivi. Ma i fa- ziosi degli ultimi anni del secolo XVIII non ope- ravano con alcuna ragionevolezza : e vide l'Italia per fatto loro, mentre bugiardamente pretendevano pa- role di umanità, di gentilezza, di civiltà, atterrata e rotta pur essa la statua di Andrea Dorla della ge- novese libertà magnanimo restitutore. Muove il obia- rissimo Cicognara nella sua Storia della scultura lib. IV, cap. 7, lamento giustissimo sulle molte pro- duzioni degl'italiani scarpelli , che in qua' lagrima- bili tempi vennero mutilate, infrante e disperse: co- me quelle cb'essendo più esposte e visibili, più dif- ficilmente si possono sottrarre alla rabbia dei distrut- tori , olle alle gloriose falicbe degli antenati fan guerra, e quelle ardiscono di ridurre a nulla. Ben seppe Ravenna, allorquando correvano giorni di tu- multo e di pericolo , salvare una statua di bronzo dal sommo pontefice Alessandro VII; il percbè quel- la nobilissima città ne riportò debite laudi dalle Ef- femeridi letterarie di Roma (XIV f ascia. ^ novem- bre 1821). E ricomposte dappoi le cose pubbliche a quiete ed a tranquillità, fu rialzata la statua colla seguente epigrafe : i i.-; TEMPORVM • GLABE l • INVIDIAE . SVBTRAGTAM RAVEISISA . FELIX PATRIO . DECORI . RESTITVIT AlN . M . D . CCCXXl Non così Ascoli ebbe la buona ventura di poter con- servare la statua di Gregorio XIII, la quale splen- dente di molte e grandi bellezze era meritevole di Sya Belle Arti attrarre gli sguardi e l'ammirazione di ogni viaggia- tore, che dì cultura e di gentilezza si pregiasse , e fosse ricercatore ed amatore di quelle opere artisti- che, per le quali l'Italia è terra privilegiata più che altra qualsiasi. Un matto e barbarico furore in tempi di funestissima politica insania atterrò e disfece per mano di sbrigliate o farneticanti soldatesche e di se- dotta plebaglia quel monumento eretto dagli ascolani ad un pontefice benefattore in omaggio debitissimo ed a perenne significazione di pubblica gratitudine; ed ora di quell'esimio lavoro non ci rimane che il desiderio , non ci resta che il dolore del suo van- dalico distruggimento; a ricordanza del quale sta e starà in sugli occhi de' venturi il piedestallo dispo- gliato della figura già sovrappostavi. La fama di Gre- gorio XIII niente ha perduto per essersi distrutta quella sua statua : imperocché bastano le istorie a mantenere mai sempre vivo ed illustre il nome di quel pontefice, ed a conservare fra i più tardi posteri per- petuamente venerata ed immortale la sua memoria: sì bene han perduto le arti liberali una classica ed insigne scultura, ha perduto la città di Ascoli un mo- numento prezioso e degno veramente del secolo XVI, sì famoso negl'italici fasti e bello per tanto splen- dore delle più nobili discipline, le quali fregiarono la nostra Italia di somma ed incomparabile gloria. ►?8>2585o 373 YM,UlMTÉk^ InsHtuHonum iuris pubUci cccleiiastici libri tret.^Editio altera ab ipso auctore recognita et aucta. 8. Laureti ex typoqrapheo rossio- rum 1844. (Un voi. di pag, 357.) 0 gun sa che autore di queste dottissime istituzioni è un porpo- rato insigne, che ci Horisce, cioè l'eminentissimo signor cardinale Giovanni Soglia vescovo d'Osimo e Cingoli II nostro giornale ne ha già parlato ne' passati volumi : e quindi non ci resta che di con- gratularci di vederne resa necessaria una seconda edizione. 5opro la lettera XXX di mano MCCCXIII a Guido Novello da Po- lenta signore di Ravenna attribuita a Dante, osservazioni di Giu- seppe Bernardoni al signor conte Cristoforo Sola. 8. Milano coi tipi di Giuseppe Bernardoni di Gio. 1848- (Sono carte 35.J Oi è molto disputato sull'autore di questa lettera: avendola attri- buita alcuni a Dante, altri a Gìambalisla Doni, che primo la pub- blicò senza notare d'onde la trasse. 11 sig. cav. Bernandoni ha tolto sopra di se la veramente difficile impresa di difenderla per cosa ori- ginale dell'Alighieri: né vuol dirsi quante sieno intorno a ciò le sue sottigliezze ed industrie. Nondimeno a noi sembra che la qui- stione non possa stimarsi ancor risoluta : a noi che nello stile della lettera (lasciando stare il non essersi mai trovata in verun codice antico) non sappiamo ravvisar ninno spirito di quelle di Dante : e D^ pur vi troviamo le prette maniere dello scrivere del trecento. Opuscoli inedili o rari di classici o approvati scrittori, raccolti per cura della società poligrafica italiana. Tomo primo. 8. Firenze , società poligrafica italiana 1844. (Sono carte XV e 351.) J7arà l'Italia buon viso a questa scelta dì tante preziose operette, le quali o giacevano inedite, o erano divenute rarissime : e ne ren- derà una degna lode alla società poligrafica italiana, e per essa ai 374 dotti e benemeriti Filippo Luigi PoliJori , Giuseppe Aiazzi , Carlo Milanesi e Tommaso Gar, che di savissime annotazioni -liaiuio -orna- to gli scritti che in questo tomo son pubblicati. E sì che ve n ha del Borghini, del Salviati, del Varchi, di Bernardo Tasso, di Marco Foscarini. Notabilissima è una lettera del gran cardinale Passionei ad esso Foscarini, d'onde ci piace, per certo mài vezzo introdottosi da un secolo e mezzo nella nostra letteratura,' di trarre questo av- viso così opportuno, che il vogliamo assai raccomandato a tanti no- stri scrittori di oggidì : « Un'altra cosa però debbo soggiungnere , » alla quale non è rimedio : e questa è la usanza introdotta dagli » autori della selva ercinia , vale a dire dai tedeschi : di fare le » note, ovvero i commenti al testo de' libri: il che riesce lastidio- » sissimo a chi legge , dovendosi a ogni tratto ricorrere alle note » in leggendosi il testo. E perchè non mettHre successivamente nel » testo a luogo per luogo tutte le notizie che occorrono ? Il Gi- 1» raldi, e autori simili di grido, come avete veduto, non hanno ab- " ^^{jAì'tl^^^ questo costinne: il quale, come dico , è venuto a r^^' ». dalla 'Germania. Le note debbono servire ai testi originali degli 3) iiutpri antichi per intenderli meglio : ma in una storia leltera- » ria, quale è la vostra, mi pare che faccia confusione, e che Iral- » tenga il lettore con incomodo, e forse anche con distrazione.» La lettera, che godiamo qui pubblicare, onora del pari e l'au- gusto principe che di proprio pugno l'ha scritta, ed il celebre ma- tematico ed astronomo Giacomo Ricchebach, non ha molti anni de- funto, che seppe meritarla. Essa è diretta in Roma al signor Carlo Ricchebach. » Caro Richebach, . » Lucca 10 febbraio 1845. « Vi scrivo nel desiderio che il mio lungo silenzio non vi fs^c- » eia credere la mia stima per voi essere in modo alcuno diminuita,' » né quell'attaccamento che mi lega al fratello di già ottimo mict » maestro. Se le mie occupazioni e le frequenti mie assenze mi han-, » no tolto di farvi pervenire i miei caratteri, voglio che siate per-' » suaso, che voi sieste sempre uno de' primi nel mio cuore, e che » ho gradito moltissimo quella memoria che avete voluto dedicar- » mi delle virtù e dell'alta capacità di colui, che a me per all'etto, » a voi per sangue congiunto, tutti e due deploriamo perduto. Vi » assicuro che sono commosso e riconoscente di questa vostra at- u tenzione. « Prego Dio pel vòstro b'èi\"essere ," e vi ^.Vorto ^ credermi " ; \i.V. •) // '•li);-j ono'r') .ììf.i •5'vAi' ' ti;' ■ ' » Affmo vostro . ., ., Carlo di Borbone duc3 di Liicca. »i uà itigli 375 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IVEL TOMO CI, VOLUMI 504, 303, 506 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Steiner, Del baricentro di curvatura delle curve piane {Continuazione e fine.) . . . pag. 1 e 121 Perrone, Praelectiones tlieologicae. Art. X ed ul- timo ( cont. e fine. ) » 32 Cappello, Telologia del sistema urinifero vasco- lare » 42 Kannegieszer, Compendio della storia della filo- sofìa " 48 Martino, Del davo segalino ec » 55 Coppi, Discorso agrario ....-...» 59 Tonelli, Continuazione della rivista di lavori di medico chirurgico argomento » 161 De Ferrari, Sul criterio geologico . . . . » 173 LETTERATURA Spezi, Orazioni Vile Vili d'Iseo tradotte. » 89 e 188 98 99 > 206 . 239 . 242 Giovenale, Satire tradotte da Z. Re Camilli, Delle Aquae Passeris degli antichi Paulucci, Alcune antiche iscrizioni riminesi Cicconetti, Sulla morte di Marco Mastrofini Battaglia, Poesie ......... Labus, Nota sull'ara votiva di Bollendorjf ec. « 247 Ponta, Interpretazione di alcune parole di Dante e del Petrarca » 252 Giordani, D'una poesia di G. Marchetti . . » 278 Ferrucci^ Intorno ad Mi'antica figulina . . » 284 376 Jìambelli, Elogio di G. B. Gornia .... » 288 Camilli, Poesie cosacche » 30O Petrarca tradotto in francese dal conte jinatolio di Montesquiou » 309 BELLE ARTI Cassini, Discorso a Saverio Mercadante . . » 325 Cantalamessa Carboni, Intorno una statua eretta in Ascoli a Gregorio XIII » 331 Varietà. IMPRIMATUR Fr. A. V. Modena 0. P. S. P. A. M. Soc. IMPRIMATUR Joseph Canali Patriarcha Constantinop. Vìcesg. -€®$S$(I»- lIXDICE DEL VOLUME 304, 305. SCIENZE Steiner , Del baricentro di curvatnra delle curve piane (continuazione e fine.). . . » 121 Tonelli; Continuazione della rivista di lavori di medico chirurgico argomento . , . . » 161 De Ferrari, Sul criterio geologico .... » 175 LETTERATURA Iseo, Orazione Vili tradotta da G. Spezi. » 188 Paulucci, Alcune antiche iscrizioni riminesi.» 206 Cicconelti, Sulla morte di Marco Mastrofini.» 239 Battaglia, Poesie.. » 242 Labus, Nota sull'ara votiva di Bollendorff ec.» 247 Ponta, Interpretazione di alcune parole di Dante e del Petrarca a 2S2 Giordani, D'una poesia di G. Marchetti. . » 278 Ferrucci, Intorno ad un'antica figulina. . » 284 Rambelli, Elogio di G. B. Gornia » 288 Camini, Poesie cosacche » 300 Petrarca tradotto in francese dal conte Ana- tolio di Montesquieu » 309 BELLE ARTI Cassini, Discorso a Saverio Mercadante. . » 32 S Cantalamessa Carboni , Intorno una statua eretta in Ascoli a Gregorio XIII .... » 331 Varietà.