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GIORNALE
m SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
184S
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ARCADICO
D I
SCIErVZE, LETTERE ED ARTI
Voi. CXV.
Aprile, Maggio e Giugno
1848
\
RoniA
Tipografia delle Belle Arli
1848
SSl^lf^^
Alcune formole sul calcolo dei residui
e loro applicazione.
Memoria di Ercole Roselli.
(Continuazione.)
§• !'•
Prime proprietà generali dell'equazioni algebriche
appartenenti alle radici reali.
V edule le prime proprietà generali comuni alle radici
reali ed immaginarie, l'ordine vuole che si proceda
a quelle, che si appartengono esclusivamente alle ra-
dici reali. Quindi questo paragrafo conterrà due pro-
posizioni coi corollari 5 ove spero che saranno de-
gne di qualche considerazione le nuove dimostrazio-
ni, che uso per dimostrare le proposizioni. Siccome
credo che l'antecedente paragrafo non sia stato no-
ioso sì per la novità del metodo, sì ancora per qual-
che nuova proposizione; presentemente ancora credo
che questo non sarà disgradevole pel metodo nuo-
vo, di cui si arricchisce l'analisi algebrica.
Proposizione 7. = La equazione
S- ^ C(__1__C O y(^) -n
^({x =+: a)) ^\<; d= ò)) ^'"'^{(x =t h))
i\
4 Scienze
avrà laute radici reali positive , quante alternazioMi
di segni s'incontrano tra i suoi termini; tante radici
reali negative, quante sono le successioni.
Dimostrazione. =: Chiamando
n il numero delle radici reali positive
n- quelle delle radici reali negative, così che
n = n -i- ìi'
dalla proposta equazione avremo le seguenti
donde per la prop. 3 e dal coroll. 1, saranno
valendo il segno superiore quando u è pare, l'infe-
riore quando è dispare;
^({x -t- 6)) ^((^ -h d))
■ ■^'"' -*- A"a;""-« -t- BV"-2 -h .. 4- K'^a; + H
ma vedemmo nella prop. 3, coroll. 7 sempre sussi-
stere la equazione
Calcolo de'residui 5
^((.^ - «)) ^(T.?+i7r "^ (C^^Ta)) ^ *^
dunque conseguiremo
Ix"'— X'x'"~' -+■ B'x"'-'— . .K'a7 d= H'] X
^((x-a)) ^'((x-6)/^-^ ({^ - A))
^ ^((x-fl)) ^{(.r-è))^-^ ((^ - h))
la quale dimostra che avremo n' alternazioni, ed n"
successioni di segni, cioè l'une quante sono le radici
reali positive e le altre radici reali negative.
CoroU. 1. «Essendo tutte le radici reali positi-
ve, avremo alternazioni di segni, essendo tutte ne-
gative successioni : lo somma poi delle alternazioni
e successioni dei segni eguaglia il numero delle ra-
dici.
Coroll. 2. »=» Se nella equazione
\{a: rt a)) ^ ({x rfc ò)]^'"^{.x ±z /,))
compiuta nel suo numero dei termini, in cui i se-
gni di questi si succedono con qualunque ordine di
alternazioni e di successioni, si prenda un altro re-
siduo in quanto ad
X =: m,
la nuova formola dovrà avere necessariamente un'al-
ternazione di segni di più della proposta : e se pren-
6 Scienze
desse il residuo in quanto ad
x = — m
la nuova formola avrebbe una successione di più
della proposta. Lo stesso corollario si estenderà a qua-
lunque numero dei residui, che si volessero prendere.
CoroU. 3. =! Se una equazione ha tutti i segni
alternativi, non potrà avere nessuna radice reale ne-
gativa; e se ha tutti i segni positivi, non potrà avere
nessuna radice reale positiva.
CoroU. 4. — Avendosi la formola
1 1 „ a:" -4- a;»-' 4- ^""^ -t— -1- ^ -^ ^
C//7 A\\C/-0 n^ __ lu -^
^{{x- a)) ^({x - b))^ ^ {{X - h))
otterremo per la proposizione 4
1 1
\{x—ah))^{{x-bk))
x" -4- Aa;«-i -t- A'a^"-2 + .. 4- A"-'a: -H A" _
1 1
^{{^^^^) ^{{x-~b^))
^-^^~ {{X - AB))
<-'((x— «H)) ^((T-m))
^"•^ ((x~3-AH))~' ^
Calcolo dei residui 1
donde ponendo che la prima data avesse tutti i re-
sidui binomali positivi, ossia tutte successioni di se-
gni, se alcuno dei coefficienti e. g. A fosse negativo,
si cambieranno di segno i valori, pei quali prendonsi
i residui: quindi si dovranno avere tutte alternazioni
di segni, come in fatti si verifica. Lo stesso discorso
si ripeta sui coefficienti A, B, C, . . . , K, H.
Proposizione Vili. — Nella equazione
^/7:7zrz^ ^//,. _ /A\^-'^
(p{j
essendo
una funzione reale della variabile ar, contiene fra
X = Xo ed oc ==^ x„ :
posti i coefficienti reali , e prendendo i residui in
quanto a due valori similmente reali, da uno dei qua-
li venga fuori un risultato positivo, e dall' altro un
risultato negativo, dico che la equazione dovrà avere
un residuo intermedio, che dia un risultato = 0.
Dimostrazione. — Dai dati della proposizione ab-
biamo
l'intervallo
Xfl ^ Xg
SÌ divida in parti, le quali si rappresentino per m
S Scienze
Xi — Xq , X^ ~~' Xi , . . . Xfi — JC/j_j
e prendendo quindi i residui in quanto
Ou OCi ^ OC sss OC^ 'j • "■'• • * fl/ ^"" •*'//'
avremo
p.Un
^,^.^-*^(-)
^(ì7^„,,=-^<-'
donde
:J'.;)iinyjiii v.
((x — x^)) ((a; —a;,))
e più brevemente secondo la notazione, che dimo-
strerò in altro luogo non inutile , di una memoria
inedita, sarà
Calcolo dei residui 9
e == x'^^'^^ = - ^(-^'^^ - 5^ - ^( ^ 0 ]
Ora a due a due i termini di questi residui o saran-
no positivi, o saranno negativi, o uno positivo e l'al-
tro negativo. Dai due primi casi dedurremo che so-
no compresi solamente nei termini intermedi fra lo-
ro; però che essendo
continui tutti i termini positivi e negativi saranno gli
uni nel principio, e gli altri alla fine di quelle diffe-
renze, come deducesi ancora dalle condizioni della
proposizione. Nel terzo caso rinnoveremo la divisione
di questo intervallo in più piccole porzioni, e faremo
di nuovo la stessa operazione , e così continuando
tutte quelle differenze che svaniranno al limite per
un valore
oc :=z a
intermedio fra
•^0 ed a^„ ,
sarà quello che verifica la equazione
(p(x) = 0,
10 Scienze
Coroll. 1.= Potendovi essere uno o due o più
di questi valori, che convergendo verso i limiti
b , e , . . .
facciano sì che quei residui binomiali rimangono di
segni contrari, egli è chiaro che vi possono essere
più valori reali della x compresi fra Xo ed Xn , che
verifichino la equazione
(p{x) = 0
Coroll. 2. — Godendo questo metodo la proprietà
di dare tutte le radici reali comprese fra Xo ed Xn ,
avremo più sistemi di residui fra
che verificheranno la dimostrata proposizione; e quin-
di sarà facile riconoscere quale di questi sistemi darà
la più grande e la più piccola radice della equazio-
ne, di cui trattasi.
Coroll. 3. Se la
non avesse alcuna radice reale compresa fra
j-o ed Xn ,
allora i residui
O 9i^) r^ 9{^
^((X -~X„)) ^{{X -Xn))
avremo costantemente il medesimo segno: e lo stesso
dicasi dei residui intermedi.
Coroll. 4. Nel caso che la funzione
Calcolo bei residui 11
ammettesse una radice reale solamente, il che avver-
rebbe allora quando essa crescesse o decrescesse co-
stantemente dopo
X =1 Xg Ano ad x =^ x„,
avremo solamente fra i residui
'^X=^Xo X=iXi ^x=x„.
uno che desse una differenza; se ammettesse due ra-
dici reali, avremo due di questi residui, che dessero
difièrenze; e così in appresso.
CoroU. 5. =i Se s'indica per
h, b\ . . . .
quantità intermedie fra
che verificano la proposizione , si potranno sempre
soddisfare le seguenti equazioni
(p{x) = b , (p[x) =b', . . .
Coroll. 6. ==s Essendo
avremo che
12 Scienze
sono due valori l'uno maggiore e l'altro minore e, g.
di a radice reale della equazione; ora sia o la più
piccola differenza fra la radice «, e ciascuno delle
altre radici reali, così che però sia
a)(x„ ~ ù) . . . . (u;„ — hj^O
a)(xo — ù).... {x, — /i)^0
"p« — « 5 ed x,, — a
sono di segni contrari od
Xn— h , Xn — 0 , . ... X,i — h
sono dello stesso segno; non potendo essere
i , e , . . , h
avremo
f{Xn}
==
(Xn
9Ì^o)
=
(■ro
poiché
intermedi fra
per la condizione
Xo ed
q= 0-0 dr x„ < p :•
donde il teorema cognito, se in una qualunque equa-
zione, che abbia una o più radici reali o disuguali,
sostituiscansi successivamente due quantità , 1' una
maggiore e l'altra minore di una delle radici reali,
le quali quantità differiscono fra loro per una quan-
tità minore della differenza fra questa radice reale.
' Calcolo dei residui 13
e ciascuna delle altre della equazione; tali due sosti-
tuzioni daranno necessariamente risultamenti di se-
gno contrario.
CoroU, 7. = La esposta dimostrazione con la sua
generalità (Prop. Vili) dando tutte le radici di vina
data equazione per coroll. 2, potremo conoscere la
massima radice reale positiva e negativa; e quindi
prendendo una quantità immediatamente superiore
e. g. Xo per le positive, ed Xn per le negative, per
la enunciata proposizione dovrà verificarsi il criterio
nel qual caso avremo determinato i due limiti, fra
i quali sono compresi tutte le radici reali di una
data equazione
^(x) = 0
Coroll. 8. — Essendosi veduto che generalmente
^(r) = a:" H- Aa;""' H-Bx""^ -f- . . -+- Ka; H- H = 0:
ne dedurremo dalla dimostrata proposizione, ch'es-
sendo n dispare, senza dubbio questa equazione avrà
almeno una radice reale . Infatti prendiamo per x un
valore negativo tanto grande, che sia
f( '■) < 0
il che può farsi, essendo n dispare; similmente per x
prendiamo un valore positivo tanto grande che sia
^[x] > 0 , • '-
f4 Scienze
quindi per la proposizione
9(x)
avrà un residuo intermedio fra questi valori che
faccia
(p{x) = 0,
che sarà la radice cercata.
CorolL 9. = Essendo n pare ed
H< 0,
la equazione
(f{x) = 0
ha per lo meno due radici reali, l'una positiva e l'al-
tra negativa; infatti facendo aj = 0 , sarà
f(x) < 0;
facendo poi x primieramente molto grande positiva-
mente, e quindi negativamente, e chiamando X, — X
questi valori, poiché n è pare, sarà
(p{x) > 0 :
quindi avremo che fra
X = 0 ed X = X
X = 0 ed X = ■ — X
vi saranno residui intermedi, che renderanno
(p{.i') = 0 ,
che saranno le radici cercate, l'una positiva e l'altra
negativa per lo meno.
Calcolo dei residui i 5
CoroU. 10. — Essendo l'ultimo termine negativo,
ed il primo positivo, la equazione ha necessariamen-
te una radice reale positiva . Infatti per x=0 avremo
(p{x) < 0 ;
per un valore
jc = X
abbastanza grande, sarà
dunque fra
a; = 0 od a; = X \ •«'"»
ali oiÌH
vi sarà una radice positiva di oMàqgB'i oJJog oloh
. .jjiiìiii ^ùìtioi «mi («Jr-, affo ,ÌDÌbc'i albop
9("^)='0- •„.,;>..,...,..'[
Coroll. 11. — Essendo n dispare e l'ultimo ter-
mine positivo, la ,, , . , ^T ^ ,
■ .j> lisd'i .«liJnfifjp 9ob i fZ obuaafc'j
9889qe oireup 9if.Ji?3 -iDq oJJbÌ é ie
ha necessariamente una radice reale negativa. Infatti
per 0? == 0, avremo --
- ;<-:■ (p{x) >0 , 9l
per un valore irlib ir; I-
a? = — X ' '' { : ■: :iÌ!)in
abbastanza grande lèoiioil
©(x) < 0 ;
dunque fra
X r= 0 ed j; = _ X
vi sarà una radice reale negativa.
Scolio. — Egli è facile riconoscere la generalità
delle date dimostrazioni dal numero dei corollari.
16 S e I E N Z B '
che sono stati dedotti: questo è un cenno delle pro-
prietà dell'equazioni; poiché lo scopo è di dimostra-
re il metodo nuovo e l'uso delle formole date. In ap-
presso con altre memorie estenderò questi trattati.
IH.
Prime proprietà generali cleW equazioni algebriche
appartenenti alle radici immaginarie.
Tutte le proposizioni e corollari dedotti nel pa-
rag. I appartenendo tanto alle radici reali , quanto
alle imma{jinarie, non si dovrà ivi fare altro, volen-
dolo sotto l'aspetto immaginario , che in luogo di
quelle radici, che sono sotto forma reale, mettervi
l'espressioni
„^^ ,,^,.;,|,,'| . ,,„; ,X -H Yi/-— ^ft,._ j ^ fTo.o^
essendo X, Y due quantità reali qualunque : e questo
si è fatto per evitare quelle spesse ripetizioni , che
leggonsi non senza noia in qualche trattato. Al pre-
sente paragrafo ho ricercato applicare le formole al-
le proprietà del tutto specifiche delle radici imma-
ginarie: e ciò per dimostrare la estensione delle for-
mole e la generalità del presente metodo.
Proposizione IX. — La equazione '^'*^
^(ix - a)) ^{(a: - b)r'"^{{x - h))
se ammette la radice immaginaria
i';]ilG'i9i!'>r> r.ì o-i'iOfiiìiw
Calcolo dei residui 17
ammetterà ancora la sua coniugata
u — vi/' — 1
Dimostrazione, => Nella proposizione 5 delle no-
zioni preliminari abbiamo ottenuto che se
a?-— tt -^- «t/"— 1,
la condizione che adempie la posta equazione è
{x—u — c[/ — 1 )(r--r-MH-fj/'r— 1)^j; .r I
.-^ 0
Calcolo dei residui 10
essendo
9,(.r) , 9j(,r) , 9p,( )
il prodotto degli altri fattori.
Coroll. h. = Avendosi
{x — « — vy^ — 1)(j? — u -t- v[.^ — 1 ]--- U' — u)"- -H r-
prodotto sempre positivo, diremo che una equazione
avente due radici immaginarie sarà divisibile per
un fattore reale di secondo grado.
Coroll. 5. = Se ha quattro radici immaginarie,
sarà divisibile per due fattori reali di secondo grado;
se ha sei radici immaginarie, sarà divisibile per tre
fattori reali di secondo grado; se ne ha w, sarà divi-
sibile per
fattori reali di secondo grado.
Coroll. 6. = Se una equazione ha tutte le radici
immaginarie, sarà decomponibile in tanti fattori reali
di secondo grado, ma metà di numero delle radici
stesse: se ne ha parte reali e parte immaginarie, sarà
decomponibile in tanti fattori reali di primo e se-
condo grado.
Coroll. 7. = I coefficienti del secoudo termine
dell'equazioni che hanno radici immaginaria o tutte
o parte saranno sempre reali , però che la somma
delle coniugate
n 4- ?'[/■— 1 , u — v[/'—^
è sempre reale.
20 Scienze
CoroU. 8. =■ L'ultimo termine dell'equazionti, che
hanno radici immaginarie tutte o in parte, sarà sem-
pre reale; perchè il prodotto delle coniugate
u -h v[/' — 1 , u =:--. vy^ 1
è sempre reale.
Coroll. 9. — Il coefficiente del terzo termine, e-
guagliando la somma di tutti i binari delle radici
della equazione, sarà reale, s'essa ammette un paio
di coniugate: imperocché il prodotto delle coniugate
(li _f_ r\/'—]){u — r|/" — 1 ) =■■ u" ■+- t>'
sarà reale, come reale sarà il prodotto di ciascun'
altra radice per
« -4- rj/'"— 1 ed n — ri/" — 1,
ammettendosi le parti immaginarie. Se all'incontro la
equazione ammette più paia di radici immaginarie,
questo coefficiente sarà immaginario; però che sup-
poniamo che vi siano due paia
J?-i- l'i/" — 1 , u — r^/" — 1; m'-j- m'i/" — 1 , u—u[/ — 'ì:
il prodotto delle coniugate, il prodotto delle reali
con le immaginarie sarà sempre reale , ma rimarrà
immaginaria la espressione
|u-Htl/' — 1)(«'-Hv'l/"~1) ì (w— «'l/— l)(M'~f'l /' — 1).
Questo discorso vale per tutti gli altri termini, meno
per l'ultimo, che sarà sempre reale positivo (Corol-
lario 2 e 8). Donde dedurremo, che se una equazio-
Calcolo dei residui ^21
5ie ammette un paio solamente di coniugate, i coef-
ficienti saranno sempre reali: se più paia, il secondo
e l'ultimo reali e gli altri immaginari.
Coroll. 10. — Nell'equazioni che hanno radici
ìmmaginerie, se si annulla una di esse, si deve an-
nullare la sua coniugata, come discende dalla dimo-
strazione della presente proposizione; quindi diremo
che per 1' annullamento di una radice immaginaria
si deve abbassare di due gradi l'equazione.
Proposizione X. — Rappresentare una equazione
■contenente qualunque numero di radici reali ed im-
maginarie in modo che le radici reali siano separate
dalle immaginarie, e formino un prodotto.
Dimostrazione. — Chiamiamo ri il numero delle
radici reali
« , b , e ^ . . . m
«d n" quello delle immaginarie
così che
n -+- ri' rr^ n :
dalla proposizione 6, coroll. 2, sarà
1 ^^ 1 ^ ,j;" -h A^"~' 4-..H- Kx-t- H
\ (^ -ri)^: ^((x - f,))^-^ {(j: - A))
1
V \
(X _ a){x — b)...{x — m) ^^^^—; ^— yi
xX" "-I- A 'a?""-' -4- . . -t- 2"-' K,a; ■+- Hj
~{{x - h))
22 Scienze
raa per lo stestìo corollario
quindi
^((x — a)f^"'^ {{x — m)) ^((.v -"n})
^x""-^- A, r""-' H- . . -4- K,x -H H,
ch'è la forinola cercata.
Coroll. 1 . — Pel fattore
^ __!___ O ■• o rvX"'-HAV-'-+-..-f-K/-4-H
^(V - a)) ^{(x-'-^èjf'-"^ ((:r=-^)) -^ ^
dovrà valere quanto dicemmo nel §• II; e per l'altro
quanto si deduce nel presente; e per ambedue quan-
to si disse nel §. I. Dunque mediante quella decom-
posizione siamo in facoltà di dimostrare le proprietà
delle radici reali e quelle delle immaginarie in se-
parati fattori.
Coroll. 2 Il fattore
e L, 9 e "*'■"" "^" ^^ .•"^" '"' • ■- •• H- K ,.r -f- li ,
Calcolo dei residui 23
avendo tutte le radici immaginarie, ìf sarà pare e, essendo il prodotto a due a due delle n'
radici, questo sarà composto e delle coniugate e delle
non coniugate: quindi avranno la forma
Il quarto Ci sarà il prodotto a tre a tre di tutte le
radici; le quali saranno il prodotto di due coniugate
ed una no, ed il prodotto di tre non ceniugate: quin-
di saranno
D, sarà la somma della n" radici prese a quattro a
quattro, e saranno questi composti di quattro con-
iugate, poi di due sì e due no, ed infine di quat-
tro non coniugate: onde avrà la forma
(X^H-Y^)(X.^-HY,^)-l-(X=^4-Y^)(X.-hY,)^^— 14-X,-J-Y,i/--1
L'ultimo termine essendo il prodotto di tutte le radici
immaginarie, avrà la forma
d=(X^-HY^)(Y.^-+-X.')(X3'-^Y/) . . . (X/'-hY,,-')
CoroU. 4. — Sostituendo i valori dei coefficienti
nella respettiva equazione, sarà l'equazione avente tutte
le radici immaginarie della forma
a7"''-X;r'"--h(X. ' H-Y , '■-;-X-4- Y^/ -1 \r""-^'..=tz
1 o ,. (XVY^)(X,^-fY,'-) ■ . ■ ■ (\\, ^ Y';) _
O^f^^^^^^-u OCC--Ì))
ove devesi avvertire che si potrebbero dare diverse
altre forme a questi coefficienti, e dedurne altre con-
seguenze su queste radici; ma essendo 1' oggetto di
questo scritto vedere una qualche applicazione alge-
brica delle date formole, pongo qui fine a questo
capitolo.
//( pri'ìii'ìiti' mpiìinrin sarà n,nlinnala.
25
Discorso sopra le finanze di Roma nei secoli di mezzo^
letto da A. Coppi nell'accademia romana dì ar-
cheologia il di 25 novembre 1847.
1 . Uiscorsi altra volta « Sopra alcune tasse ed ope-
» razioni di finanze degli antichi Romani (1) >». Mi
venne poscia in pensiero di protrarre lo stesso ar-
gomento ai secoli di mezzo; ma per qualche tempo
ne rimasi in dubbio, spaventato dalla mancanza di
certe ed interessanti notizie. Finalmente riflettendo
non doversi tralasciare di fare quello che si può per
quello che si vorrebbe, mi accinsi ail'opera, unendo
quel poco che potei raccogliere.
2. Per intelligenza degli avvenimenti posteriori
è indispensabile il premettere, che la chiesa romana
sino dai primi secoli del cristianesimo possedette be-
ni considerabih. Eusebio ci racconta che Costantino
decretò generalmente: a Omnia quae ad ecclesias recte
» visa fuerinf pertinere, sive domus, sive possessio
» sit, sive agri, sive horti, seu quae alia, nullo iure
>> quod ad dominum pertinet iraminuto , sed salvis
» omnibus atque integris manentibus, restitui iube-
» mus (2) ». Quell'imperatore poi arricchì special-
mente la chiesa romana, non di regni, come inven-
tarono alcuni falsi zelanti; ma di terreni in Italia, in
Affrica, in Grecia, in Oriente ed in Egitto, come ne
attesta l'antico autore della vita di s. Silvestro (3).
(1) Discorso (lei 4 maggio 1843
(2) Euseb. ii, Vit. Conslant. lib. II, cap. XXXIX.
(3) Num. XV.XIXet X. R. I. S. tom HI, part. 1. p. lOollo.
!i6 Scienze
È notissimo che il pagano Pretestato, prefetto di Ro-
nja e console designato, soleva dire al pontefice san
Daniaso (eletto nel 336;: « Facite me romanae ur-
» bis episcopum, et ero protimus christianus (1) ».
Crebbero nei secoli posteriori i beni della romana
chiesa : e Paolo diacono nella vita di s. Gregorio
Magno nomina gl'individui che quel pontefice (elet-
to nel 500) inviò ad amministrare i patrimoni ap-
pio, carseolano, campano, napolitano, sannitico, ap-
pulo, calabrese, palermitano, siracusano, siculo, sa-
bino, norcino, toscano, ravennate, sardo, corso, li-
gure, delle alpi cozie , gallo, istro, dalmatino, il-
lirico e germanico (2). La chiesa romana perdette
col tempo molti di questi beni: ma ne acquistò al-
tri, e certamente molti ne possedeva nei secoli un-
dccimo e duodecimo, come si legge nel registro che
il cardinale Deusdedit compilò a' tempi di Pasqua-
le II eletto nel 1099 (3), e nel famoso codice di
Cencio Camerario scritto nel 1192 (4).
3. Di più: in quei secoli crebbe talmente la con-
siderazione della chiesa romana che molti sovrani
di Europa le offrirono i loro regni, corrispondendo-
ne talvolta un annuo censo. Vi furono fra essi quelli
di Portogallo, di Spagna, di Francia, d'Inghilterra,
d'Irlanda, di Danimarca, di Boemia, di Ungheria,
di Polonia e di Russia (5). Gli stati delle due Sici-
. (1) Ammian. Marceli. Ilist. lib. XXVII.
--(2) Lib. if, cap. 23.
(3) CoJ. msst. vat. 3833. Rorgia, Breve ist. del domili, lomp.
della santa sede nelle dne Sicilie, doc. N. 1.
(4) Haion ;in. 1192. §. 19. A. M. E. t. V, di.ss. LXIX, col 777.
(o) S. Greg. VII, epist. lib. f, H, V, Vii. Gretserns, De imperai.
lejTiim in sed. apost. munificentia. A. .M. E. tom. VI. Uissert. LXXI.
Finanze di Roma 27
lie divennero un feudo della s. sede (1). Nell'anno
800 Leone III ristabilì l' impero di occidente , af-
finchè negli augusti sovrani del medesimo la chiesa
avesse un protettore e difensore. E per lo spazio di
sei secoli gl'imperatori non assunsero un tale ono-
rifico titolo, se non ne ricevevano la corona dai ro-
mani pontofici (2).
4. S. Gregorio II, circa l'anno 730, acquistò il
dominio temporale di Roma, e sul declinare dello
stesso secolo i suoi successori lo estesero sopra va-
rie province (3). Questo però fu per molto tempo
agitalissimo. Imperciocché i pontefici furono spesso
vessati da imperatori prepotenti, dai romani che ten-
tavano di ristabilire la repubblica, dai conti di Tus-
scolo e di Galera, poscia dai Colonnesi e dagli Or-
sini che ambivano all'impero di Roma; dai capitani
di ventura infesti alle province ed alla stessa capi-
tale: e finalmente dai re di Napoli che aspiravano
al dominio d' Italia. Alcune province governaronsi
per molto tempo indipendenti dalla capitale, che ri-
mase talvolta isolata. Si aggiunse la dimora dei papi
in Avignone dal 1305 al 1377. Quindi lo scisma di
occidente dal 1378 al 1417. In somma trascorsero
circa sette secoli prima che il governo pontificio
col. 3-190. Bortjia, Breve ist. del dotn. temporale della sede apost.
nelle due Sicilie, dee. >i. 11.
(1) Muratori, An. 1059. Borgia, Breve ist. del dom. temporale
della sede apost. nelle due Sicilie.
(2) Baron. An. 800. Marat, et Raynald. An. 1338. 1432. 1493.
1519. Kocli, Tableau des revol. par. IV et V. Essai sur la puissance
des papes, tom. I, p 311 et tom. If, p. 156-171.
(3) Baron. e Murat. Anna!. 730, 733,755, 757, 774. Orsi, Del
dom. temp. de'romani pontefici cap. I-IV.
28 Scienze
siasi potuto ordinare in una forma regolare e sta-
bile. Finalmente si consolidò da Alessandro VI e da
Giulio II sul fine del secolo decimoquinto e sul prin-
cipio del decimosesto (1).
5. Fra le antiche ricchezze e grandezze della
chiesa probabilmente divennero insignificanti le ren-
dite dello stato temporale spesso agitato e sconvolto.
Che che ne sia, la prima notizia veramente finanziera
che mi sia venuta sott'occhio è un pedaggio messo
da Gregorio VII, circa l'anno 1080, in Roma sopra il
ponte di s. Angelo, per la esigenza del quale vi ave-
va fatto costruire un'alta torre (2).
6. Cencio Camerario ci conservò la memoria
dei tributi che gli abitanti della terra di Ninfa
(nella provincia di Marittima ) dovevano al ponte-
fice, scrivendo: « Haec sunt quae facient nymphissi-
mi, hostem et parlamentum cum curia praecepe-
rint. Servitium, quod assueti sunt facere et placi-
tum et bannum, faciant beato Petro et papae.
Quartam, quam reddere debent, deinceps reddant
ad mensuram romani modii; et si minister prae-
cipit, conducant eam usque Tiberiam vel Cister-
nam. Glandaticum solvant in festo sancii Martini;
bradones bonos in festo sancti Thomae. De ca-
rico unicuiusque sandali solvent denarios sex. Fi-
dantiam in unoquoque anno. In mense madio li-
bra» triginta de papia honorum. Placieticum, quod
extranei debent solvere curiae, solvatur. Foderum,
quod debuerant domno papae uno die, dent duo •
bus (1j ».
(1) Baron. e Murai. Annal. 800-1513.
(3) Murai Aiitich ita!, diss. XIX, toni I, pait 1.
iS) A M. K Dis». XIX tom. Il, pag. 112.
Finanze di Roma 29
7. Neil' alto di concordia fatto nel 1188 fra
Clemente III ed il senato e popolo romano , i se-
natori dichiararono al pontefice: « Ad praesens red-
» dimus vobis senatum et urbem et monetami ta-
» men de moneta habebimus tertiam partem;
» Reddimus omnia regalia tam intra , quam extra
» urbem quae tenemus, praeter pontem lucanum,
» quem tamen non refutatis .... dabitis singulis
» annis prò restauraiione murorum huius excellen
» tissimae urbis C. lib. bonorum provenien ....
» monetam facietis fieri intra urbem, ubi vobis pla-
» cuerit, de qua tertiam partem dabitis senatoribus
» per tempora (1) »
8. Nel 1198 il popolo di Rieti « promisit red-
» dere domino papae et ecclesiae romanae medieta-
» tem de placitis et bannis et de forisfactis et de
» sanguine et de plaza et scorta et passagio et ponte
11 reatinae civitatis (2) ».
9. Fra' proventi di fisco vi erano le multe per
i delitti : ed in una bolla diretta da Gregorio IX
nel 1230 agli abitanti del castello di Serrone (nella
provincia di Campagna) si dispone: « Si aliquis cora-
li mittit omicidium vel fecit alicuius membri occi-
11 sionem , debet solvere curiae XX solidos prova-
li nienses: et ille qui est specialis dominus eius de-
li bet facere inde iustitiam et vindictam. De san-
11 guine vero debet solvere curiae X solidos. Item
11 si aliquis committit furtum intra castrum de die,
» debet solvere curiae V solidos*, si de nocte, X so-
(t) Dal codice vat. di Cencio Camerario num. LXXXIX. Barou.
an. 1188.
(2) Murat. Antich. Hai. Diss. XIX.
30 SCIENZE
»> liclos. Item si quis furatur mas vel eonf^imilia de-
» bel solvere curiae XII denarios (1) ».
10. Nel 1300 i romani sottomisero la città di
Toscanella che si era ribellata, e le imposero il ca-
none di due mila rubbia di fjrano all' anno ; colle
facoltà di esigere invece mille lire , nel caso che
r agro romano somministrasse frumento sufficiente
alla capitale. Fu inoltre imposto ^obbligo ai tosca-
nellesi di mandare « octo ludentes romanis ludis (2) ».
11. Nello stesso anno 1300 Bonifazio Vili sta-
bilì il giubileo: e Guglielmo Ventura, che fu tra'pel-
legrini, ci racconta essersi calcolato che in tale cir-
costanza venissero a Roma due milioni di persone .
Quindi soggiunge: « Papa innumerabilem pecuniam
» ab eisdem recepit, quia die ac nocte duo clerici
» stabant ad altare sancti Pauli tenentes in eorum
» manibus rasiellos , rastellantes pecuniam infini-?
» tam (3) ». Naturalmente un tale racconto è più
oratorio che storico. Del resto abbiamo documenti,
dai quali risulla che Bonifazio Vili impiegò una
porzione almeno di quel danaro per acquistare nel-
l'anno seguente fondi per la basilica vaticana. Fra
questi fu la tenuta di Valca (4) , che il capitolo
possiede tuttora, con altra confinante denominata Val-
chetta. Ambedue sono del valore di scudi 161,631.
12. Nel 1305 Clemente V trasferì la residenza
pontificia in Avignone. Giovanni XXII suo succes-
sore, che governò la chiesa dal 1316 al 1334, am-
(1) Murat. Antic. Hai. Dlss. XIX.
(2) Iscrizione in Cainpiclop,lio nel palazzo dei conservatori. ^ itale,
S(or. dipi, dei senatori di Homa, lom. I, pag. 206.
(:ì) Chron. .\slen. U. I. S. toni. M, pag. 192
(V Bnll. Vat. lom. !, pag. 228.
Finanze di Roma 31
pliò lo riserve pontifìcie nella collazione elei benefici
ecclesiastici, e raglino molto danaro, del quale im-
piegò una porzione nel ridurre all'obbedienza mol-
te terre dello slato ecclesiastico che si. erano ribel-
late, e riservava l'altro per una nuova impresa di ter-
ra santa. Il Monaldesco, autore contemporaneo , nar-
ra che quel pontefice " lasciò grand'oro che valeva
» da XV milioni di fiorini d'oro (1) ». Giovanni
Villani, anch' esso contemporaneo, scrisse: « E no-
1) lo che dopo la sua morte si trovò nella chiesa
n del tesoro in Avignone in moneta d' oro coniata
» il valere computo in diciotto milioni di fiorini
)) d'oro e più: in vasellamenti, croci, corone e mi-
>) tre e altri gioielli d' oro con pietre preziose , la
» stima di largo di valuta di sette milioni di fiorini
» d'oro. Sicché in tutto fu il tesoro di valuta più
T) di venticinque milioni di fiorini d'oro: che ogni
» milione è mille migliaia di fiorini d'oro la valuta.
)) E noi ne possiamo fare piena fede e testimonianza
)) vera: che il nostro fratello carnale, uomo degno
)) di fede , che allora era in corte mercatante di
)) papa, che da'tesorieiri, e da altri furono diputati
» a contare e pesare il detto tesoro, gli fu detto e
» accertato, e in somma recato per farne relazione
» al collegio de'cardinali per mettere in inventario:
» e così il trovarono. Il detto tesoro fu ragunato
» la maggior parte per lo papa Giovanni per sua
» industria e sagacità; che infìno l'anno 1319 puose
» le riservazioni di tutti i benefici collegiati di cri-
» stianità, e tutti gli voleva dare egli, dicendo il
» faceva per levar le simonie. Di questo trasse e
(1) R. 1. S. tom. XH, p. 537.
32 Scienze
» raglino infinito tesoro . . . Però clje il detto te-
» soro diceva papa Giovanni radunava per fornire
» il santo passaggio di oltre mare : e forse aveva
» quella intenzione. Molto tesoro consumò in Lom-
» bardia in guerre e in osti per abbattere i tiran-
» ni (1) ». Venticinque milioni di fioriri d' oro ,
cioè di zecchini fiorenti i;i (che appunto faceva co-
niare quel pontefice (2) ) formano una somma rag-
guardevole non solo per le finanze pontificie di qual-
sivoglia epoca (e piacesse al cielo che si avesse nella
nostra!) ma per quelle di qualunque grande impero.
Ripeterò col Rainaldi: « Cuius rei fides sit penes au-
ctorem (3) ». Ma certamente possiamo credere che
Giovanni XXII abbia lasciato una considerevole quan-
tità di danaro.
13. Cola di Rienzo allorquando nella primavera
del 1347, ancora semplice privato, eccitava sull'Aven-
tino il popolo romano a ricuperare l'antico splendo-
re, diceva: « De la moneta non dubitate: che la ca-
» mera di Roma ha molte rendite inestimabili. In
» prima per lo focatico pagano per fumante quat-
» tro soldi; comenzando dal ponte di Ceprano sino
» al ponte de la paglia, montano cento mila fiorini;
» e più di sale cento mila fiorini; anco li porti di
» Roma e le rocche di Roma cento mila fiorini, li
» quali hanno mandato a messere lo papa: e ciò sa
» '1 vicario suo (4) ».
14. Asceso poscia nel di 20 di maggio di quel-
(1) Gio. Villani, Istoria fiorentina lib. XI, cap. XX.
(2) Ivi lib. IX, caj). CLXIX.
(3) Annal. Eccl. i334, §. 40.
(4) Vita di Cola di Rienzo lib. \, cap. IV.
Finanze bi Roma 33
r molumenta camerae urbis more solito (2) ».
18. In un codice vaticano ottoboniano si con-
serva la memoria, che nell'anno 1379 il popolo ro-
mano, per redimere il castello di Vetralla occupato
da un Guglielmo capitano di ventura tedesco, ven-
dette quattro mila riibbia di sale (3).
19. Urbano VI avendo bisogno di danaro per
combattere colle armi temporali contro 1' antipapa
che denominavasi Clemente VII, sul principio del
1380, mise ima inaposizione sul clero, e specialmente
sopra quello di Roma , dal quale « tria aureorum
» millia exegit (4) ».
20. Crescendo poscia i bisogni, ai 30 di mag-
gio dello stesso anno commise ai cardinali di santa
(1) Anonimo, Vita tli Cola ili Rienzo lili. Il, cap. XXIV,
(?) Raynald. Annal. ecci. 1370, §. II.
(3) Coti. msst. Vat. Othob. N. 255:j lilt. T. p. 13.
(4) Raynald. Annal. Eccl 1380, i 7.
Finanze di Roma 35
Susanna e di san Clemente di vendere qualunque
sorta di beni ecclesiastici, dovunque esistenti, eccet-
tuati soltanto i castelli: e ciò sino alla somma che
avessero creduto conveniente (1).
21. Ma intìne né anche questi furono rispar-
miati. Imperciocché nel 1385 dovendo soddisfare i
jjenovesi per averlo soccorso con dieci galere, onde
liberarsi dalle armi di Carlo Durazzo re di Napoli
e trasferirsi dalla spiaggia di Salerno a Genova, die-
de loro in pegno la città di Corneto per la som-
ma di ottanta mila fiorini d' oro (2). Nell'anno se-
guente però afFrettossi di liberarla, cedendo a quella
repubblica in pagamento del credito varie terre e
beni della chiesa di Albenga, di Noli e di Savona (3).
22. Bonifazio IX, per sostenere gl'interessi di
Ladislao re di Napoli contro Lodo7Ìco di Angiò crea-
to re dall' antipapa, nel 1390 vendette molti fondi
che la chiesa romana possedeva nell'agro beneven-
tano e neir Abbruzzo. Quindi concesse in vicariato
per diverso tempo varie città e province dello stato
ecclesiastico, stabilendone un annuo canone e deter-
minando un certo numero di soldati da spedirsi in
caso di guerra. Fra gli altri luoghi concedette Ri-
mini, Fossombrone e Fano ai Malatesti; Urbino ad
Antonio conte di Montefeltro per anni dodici; Faen-
za ad Astorre Manfredi per anni dieci ; Forlì agli
Ordelafli; Imola a Bertrando degli Alidosi per anni
cinque; e Ferrara ad Alberto marchese d' Este (4).
(1) Id. §. 8.
(2) Id. 1383 §. 8.
(3) Ascheri, Notizie storiche delle famiglie di Genova [i. 5S
(4) Raynaid. Anna!. Ecd. 1390, $. 17, 18.
36 Scienze *
23. Continuando poscia il bisogno del danaro,
nel 1392 \endette alcuni fondi ecclesiastici, altri ne
pignorò , e riserbò all' erario pontificio una mezza
annata dei frutti dei beneficii che conferiva (1).
24. Presso l' antico porto romano fu innalzata
una chiesa al martire sant'Ippolito, e nei secoli di
mezzo trovasi menzione di una gabella detta del-
l'ampolla che si pagava alla medesima. Bonifazio IX
nel 1392 la concesse in appodiazione vitalizia a Buc-
ciarone di Napoleone per l'annuo censo di un paio
di pernici (2): ed Eugenio IV nel 1441 ne confer-
mò l'amministrazione a Ciccobella e Lodovica degli
Stefaneschi (3).
25. Nel 1392 Bonifazio IX, disgustato per al-
cune insolenze fattegli dai banderensi romani , aveva
trasferito la sua residenza a Perugia (4). Presto però
gli officiali ed il popolo romano lo pregarono di ri-
tornare alla sua sede: ed egli vi acconsenti con al-
cune condizioni. Fra le altre cose si stabilì (addì 8
di agosto 1393), che per le spese del viaggio i ro-
mani prestassero al papa sei mila fiorini : le chiese
di Roma, gli ospedali e gli altri luoghi pii fossero
esenti dai dazi e dalle collette ; fossero similmente
immuni e liberi dalle gabelle, tanto per terra che
per mare, il papa ed i cardinali per le cose di loro
uso: ed in ciò si dovesse credere, in quanto al papa
« Camerario sanctitatìs suae: » in quanto poi ai car-
dinali, alle cedole munite dei propri sigilli, col giu-
ramento « camerariorum suorum (5) ».
(1) Ivi. 1392, §. i et 4.
(2) Cod. nisbt. Vat. 8046, fol. 38.
(3) Ivi. pag. 42.
(4). Chron. E.steii. R. S I. tom. XV. Muratori. Aniial. 1392.
(5) Raynald. Aiiiial. Eccl. 1393, |j. Si. Vitali, St«r. dipi, dei se-
natori di Roma, tom. Il, psf; tì02.
Finanze di Roma 37
2G. Ai 30 di settembre dal 1308 Malatesla
de' Malatesti di Rimini senatore di Roma, Paolo di
Stazio , Checco della Moyo e Giovanni di Alessio
conservatori « ad laudera Bonifacii papae IX, et ad
;> honorem ac statum reipublieae romanorum . . .
» auctoritate sacri senatus, et vigore et auctoritate
» nostrorum ofiìciorum » compilarono una tariffa
che denominarono « Statula gebellarum urbis. » Si
stabilirono in essa i dazi sopra vari generi, e fra gli
altri i seguenti:
Quattro soldi per ogni rubbio di grano del peso
di seicento libre che si mandasse a macinare.
Sei danari per lira sul valore del vino vendi-
bile, esistente nelle vigne o venduto a minuto. Sette
danari per quello venduto all'ingrosso.
Otto danari per lira sul valore delle bestie grosse.
Si annoverarono cinquanta specie di panni, e poi
su quello de grana si stabilì il dazio di un fiorino
e mezzo, e sugli altri di soldi trentacinque e mezzo.
Nelle vendite dei fondi si fissò che il dazio fosse
di sei danari sopra ciascuna lira del prezzo, ossia del
valore, sino a cinque fiorini;
Di quattro sino a mille.
Di due per le somme maggiori (1).
27. Nel 1404 morì Bonifazio IX e fu eletto In-
nocenzo VII. Intanto vi furono tumulti popolari: e
Ladislao re di Napoli, col pretesto di sedarli, venne
in Roma con un esercito. Colla sua mediazione ai
27 di ottobre si fece una concordia fra il pontefice
ed il senato romano. Si confermò quella del 1393 e si
aggiunsero vari articoli. In uno di questi si stabilì
(1) Nella biblioteca corsiniana in Roma. Cod, Msst. 1316, N. 6,
38 Scienze
ohe il salo esistente nei magazzini di campidoglio e
nel campo salino spellasse alla camera della città
colla limitazione che mille rubbia appartenessero al
papa ed alla camera apostolica. Dichiarò poscia il
pontefice che « de omnibus et singulis sexterliis ga-
» bellarum et proventuura debi-
» lorum camerae praefatae urbis, et non
» solutarum » se ne dovesse fare il pagamento u per
» emptores huiusmodi gabellarum: » e la camera
apostolica ne avesse l'introito in quella quantità che
si dovevano pagare alla camera della città (1).
28. Giovanni XXIII, eletto nel 1410, secondo al-
cuni scrittori aggravò il popolo di gabelle e perciò
divenne a molti esoso ('!). Nel 1413 fu costretto ad
allontanarsi da Roma occupata dalle armi del re La-
dislao, e nel partire diminuì della terza parte il da-
zio sul vino (3) che probabilmente aveva aumentato.
29. Lo stato sconvolto dalle civili discordie ac-
quistò qualche ordine nel pontificato di Martino V
eletto nel 14 IT: ed abbiamo indizi che le finanze
sieno divenule floride. Il concilio di Costanza aveva
decretato,che pel mantenimento del sommo pontefice
e dei cardinali si pagassero le annate dalle chiese e
dai monasteri degli uomini, secondo le stabilite ru-
briche. Aveva eziandio determinalo che il numero
dei cardinali fosse moderalo, aflinchè non fosse grave
alla chiesa <» nec superflua numerositale vilescat: »
di modo che non fossero più di ventiquattro, scelli
(1) Vitale, Storia ili plom. de'senatori di Roma, (oin. II, p.ip,. 596,
600-611.
(2) Raynald. Annal. cccl, 1413, §. 19
(3) H. 1. S. lom. XXIV, col. 1Q34.
Finanze di Roma 39
io lullo l'orbe cattolico (1). E di fatti dobbiamo cre-
depe che vivessero con j^^ran decoro: poiché il pontefice
raccomandando loro la sobrietà, li avvertiva che uscen-
do di casa « non conducessero seco più di venti fa-
)» niig^liari cavalieri , chierici e laici loro continui
» commensali (2) ».
30. Martino V eccitò vari principi cattolici a
combattere colle armi gli eretici detti boemi: e per
incoraggiarli, con breve dei 5 agosto 1423 assegnò
loro la quinta parte di tutti gl'iutroiti della sua ca-
mera, unitamente alla decima di tutti gli offici della
romana curia e di tutti i beueficii ecclesiastici (3).
Nel 1423 poi, promovendo altre guerre contro gli
eretici ussiti e vicleffiti, vi assegnò la decima di tutto
Torbe cattolico, e la quinta parte delle rendite del-
l'erario pontifìcio (4).
31. Non ostante tali largizioni, nella sua morte
(accaduta nel 1431) lasciò considerevoli tesori. Non
ne conosciamo la somma; ma sappiamo essere stati
tali da somministrare cagioni di guerra fra i suoi
eredi Colonnesi ed il successore Eugenio IV. Nella
pace si convenne che i Colonnesi versassero nell'era-
rio pontificio settantacinqne mila fiorini d'oro (5).
32. La prosperità, della quale si godette nel pon-
tificato di Martino V, cessò in quello del suo suc-
cessore Eugenio IV, che regnò dal 1431 al 1447.
Questi nel primo anno accrebbe di tre soldi e mez-
(1) Labbè, Collect. concil. toni. XVI, pag. 722-730.
(2) Contelor, Vita Martini V. Raynald. Annal eccl. 1324 Jj. 4.
(3) Raynald. Annal. eccl. 1423 §. 13, p. 61.
(4) Raynald. Annal eccl. 1427, §. 9.
(8) Vita Eugeni! IV, R. I. S. toni. Ili, part. II, col. 869, «72. 873.
40 Scienze
zo il ciazio sul vino, che dianzi era di sei danari per
ciascuna lira di valore. E questo aunnento fu desti-
nato allo stipendio dei professori nella università de-
gli studi di Roma (1). Sostenendo poscia guerre in-
terne ed esterne, accrebbe, e secondo l'Infessura, rad-
doppiò le gabelle (2).
33. Nel 1434 egli fu costretto a fuggire da
Roma e dimorare vari anni in Firenze o in Bolo-
gna. In tal tempo, e precisamente nel 1440, vendet-
te al conte Everso dell'Anguillara i castelli di Vico
e di Caprarola pel prezzo di 73^75 fiorini d'oro (3).
34. Nel 1443 ritornò a Roma: e llnfessura ci
narra che il popolo essendo malcontento per l'au-
raento dei dazi e specialmente del terzo sul vino,
« quando il Pontefice fu a Colonna fu strillato : Vi-
)) va la chiesa e mora lo terzo. Allora il papa Eu-
» genio fece questa grazia e levò lo terzo (4) ».
35. Fra' condottieri di armi, che Eugenio IV
aveva assoldato, fu Antonio di Redo padovano, nel
quale aveva tanta fiducia che gli affidò pei* vari
anni la custodia di Castel Sant' Angelo. Questi col
tempo chiese molti compensi per danni sofferti e
spese fatte: ed il pontefice, per soddisfarlo, nel 1445
gli concesse a terza generazione i castelli di Bor-
ghetto e di s. Pietro in Fornis (ora Campo morto)
pel canone di due libre di cera all'anno (5).
3^5. Del resto sul fine del suo pontificato i da-
(1) Bulla, In supremo VI, id oct. 1431, Renazzi, Storia dcirimi-
versilà di Roma, voi. I, app. N. 11.
(2) R. I. S. tom. Ili, part. II, p. 1130.
(3) Cod. msst. Vat. 8030, fol. 133.
(4) R. I. S. tom. Ili, part. II, p. 1130.
(K) Bull. Basii. Vat. tom. II, pag. lOS.
Finanze di Roma Ai
zi di consumo furono ridotti in Ronfia ad un saggio
tenuissimo e di mera norma. Imperciocché nello
statuto del 1446 fra le altre si stabilì quanto segue :
Per ogni soma di olio, di pesce e cose simili ,
boi. 1.
Per ogni soma di capretti e di pordietti, dan.
quattro
Per ciascuna soma di \ino forestiere, sol. uno
Per ogni soma di vino romano, per ciascuna
bestia danari due
Per pane ed unto per i pastori non si paghi-
no gabelle (1).
37. Nicolò V nel 1450 celebrò il giubileo, ed
immenso fu il concorso de' pellegrini a Roma. Il
Manetti, scrittore della di lui vita, ci racconta che
« tanto dai dazi di consumo, che dalle oblazioni, si
» riscosse una grandissima e quasi infinita quantità
» di danaro: » soggiunge però che « il pontefice im-
» piegò tali somme a costruire nuovi edifizi in Ro -
» ma , a comprare una quantità di codici greci e
I) latini, ed a chiamare e trattenere presso di se per-
» sonaggi insigni negli studi (2) ».
38, Calisto III , giustamente costernato per la
conquista di Costantinopoli fatta dai turchi nel 1453,
appena asceso al trono esortò a tutto potere i prin-
cipi cristiani ad unirsi ed armarsi contro quei for-
midabili nemici. Nel 1456 poi procurò egli stesso
di armare alcune navi per quella santa intrapresa.
E per supplire alle spese convertì in danaro tutti i
(1) Slatuta Urbis ann. 1446.
(2) Manetti, Vita Nicolai V, lib. ll.RaynalJ. an. 14!tO, §. 4. Mu-
ratori, an. 1450, 1451.
42 SCIENZfi
suoi o{*geUÌ di oro e di argento, pignorò le gioie e
vendette alcune terre. Ma le sue esortazioni non fu-*
rono intese, e perciò i suoi armamenti rimasero va-
ni (^)-
39 I cardinali entrati in Conclave nel 1464, do-
po la morte di Pio II, giurarono fra le altre cose
di continuare a promuovere una lega contro il tur-
co , per la quale tanto si era adoprato il defunto
pontefice. Promisero specialmente d' impiegare per
quella inliapresa tutto il danaro che si sarebbe esat-
to dalie vendile dell' allume ( la cui miniera era
stata recentemente scoperta nei monti della Tolfa )
che superava annui ducati trecento mila. Paolo II,
che allora fu eletto, rinnovò tale promessa: ed intan-*
to annunziò ai rappresentanti dei diversi stali ita-
liani presso di se ragunati, che per quell'anno avreb-
be contribuito cento mila ducati d'oro (2).
40. Da che le campagne romane rimasero fa-
talmente deserte , vi discesero a pascolare nell' in-
verno le pecore dai monti abbruzzesi, come sino dai
tempi di Varrone scendevano in Puglia quelle del
Saunio (3). Per l'erba che pascevano lungo le vie
pagavano una tassa detta fida della dogana del pa-
trimonio , la quale poi serviva ad indennizzare i
proprietari dei fondi soggetti alla servitù di tale
transito. Paolo II, Sisto IV, ed Alessandro VI, sul
(1) Haynald., Ann. enei, i^ììù, §. 10 et 49, 1437, !J.40. Muratori,
ann. 1456.
(2) Card. Papien, Cornai, lih. 11 et epist. 34. RaynalJ. .\nir.
CCCl, 1464 §. 51 et 62.
(3) Varrò de R. H. lib. Il, eap. I, $. 16.
Finanze di Roma 43
declinare del secolo XV regolarono con leggi spe-
ciali quella tassa (1).
41. Nel 14G9 si riformarono in parte gli sta-
tuti di Roma : ed in quanto ai dazi , fra le altre
cose si promulgò quanto segue :
Gli stranieri che conducessero pecore a pasco-
lare nei fondi di Roma e del distretto , pagassero
alla camera della città due fiorini ( o ciò che col
tempo si sarebhe stabilito ) per ciascun centinaio ,
metà a natale e metà a pasqua (2).
Per estrarre da Roma e dal distretto buoi, vac-
che, pecore, capre, cavalli e somari, si pagassero
sul valore otto danari per lira dagli stranieri, e quat-
tro dai romani. E ciò s'intendesse per bestiame con-
dotto a montagna (3).
Per estrarre qualche mercanzia i forestieri pa-
gassero otto danari per libra, ed i romani quattro.
Nell'estrazione però dei panni vecchi si pagasse
un danaro per libra (4).
42. Sisto IV, per soccorrere il popolo romano
angustiato dalla carestia nel 1477, prese a mutuo
dal cardinale di Rohan venticinque mila fiorini d'oro
di camera. Q uindi nell'anno seguente per soddisfarlo
gli concesse in salviano per se e suoi, sei castelli ,
cioè Frascati, Soriano, Corchi ano, Gallese, Albano
e Cervetri: e di più cinque tenute, che furono Vico,
Casamale, Sasso, Carcara e santa Severa (5).
(1) Bulla Alexandri VI fìomani ponti ficis, VI kal. nov MCCCCXCV.
Memorie particolari.
(2) Lib. II, cap. LXXXXVIIII.
(3) Id. cap. CCLVII.
(4) 1(1. cap. CCLVll.
(3) Hiilla Sixli IV. Id. febr. anno Vili, Arch. coliimn. an. F,
fase. XXil, N. 154.
44 Scienze
43. Quel pontefice fece varie guerre, e perciò
dovette ricorrere a mezzi straordinari per aver da-
naro. Aumentò le contribuzioni, e l'Infessura giudicò
degno di memoria che accrebbe quella del maci-
nato di un grosso papale per ogni sacco (1). Creò
nuovi offici nella romana curia e poi li vendette (2).
Contribuì con poderose forze a scacciare i turchi
da Otranto: e quindi eccitando i collegati cristiani
a continuare la guerra contro quel formidabile ne-
mico, dichiarò di concorrervi con venticinque ga-
lere Nel tempo stesso promise cinquanta mila fiorini
d' oro al re di Ungheria, e quaranta mila a quello
di Napoli. Partecipava a questi « essere esausto l'era-
» rio pontificio, i dazi essere pignorati ed i sudditi
» per le contribuzioni essere ridotti ad uno stato
» compassionevole. Del resto per quella santa intra-
» presa avrebbe venduto le gioie della sua mitra e
» gli argenti della sua tavola (3) ».
44. Morto Sisto IV nel 1484, i cardinali adu-
nati in conclave convennero in alcuni capitoli pel
bene della chiesa e dello stato, e fra le altre cose
stabilirono che « i cardinali non fossero più di ven-
» tiquattro : e se mai eccedessero im tal numero ,
» alla morte del pontefice non avessero voce at-
» tiva e passiva nella elezione dell'altro, e non fos-
» sero considerati come cardinali; né se ne creasse-
» ro altri, fintantoché il collegio non fosse ridotto
» ad un numero inferiore ai ventiquattro (4). Quelli
(1) R. I. S. toni. IH, part, II, p. 1183.
(2) Infess. pag. 1942 ed. Lips. 1723.
(3) Raynald. An. 1481, §. 3 et 30-34.
CO Ihitl. 1484, §. 31-
Finanze di Roma 45
» poi che dai proventi ecclesiastici non avessero
» quattro mila fiorini annuali^ ricevessero dalle ren-
)> dite della camera apostolica cento fiorini d' oro
» al mese, fintantoché non fossero proveduti di pro-
» venti nell'indicata somma (I). »
45. Si determinò eziandio « che nel caso di
» sussidi per la guerra co'turchi , il pontefice som-
» ministrasse cinquanta mila ducati provenienti dal-
)> le rendite delle allumiere della Tolfa. E se a tal
» somma esse non ascendessero, si supplisse con al-
» tre dello stato. Se poi si trattasse di una spedizio-
)) ne della maggior parte de'principi cristiani con-
» tro quell'inimico comune, allora, oltre la detta som-
» ma, ne somministrasse un' altra di ducati cento
» mila (2) ».
46. Innocenzo Vili nel 1486, avendo bisogno
di danaro per un armamento, creò cinquantadue of-
ficiali piombatori delle bolle pontificie che furono
detti volgarmente licenzatori. Concesse loro la metà
dei proventi di tale officio, e vendette ciascuno di
quei posti cinquecento ducati d'oro (3).
47. Sul fine di settembre del 1490, essendo quel
pontefice gravemente infermo , Franceschetto Cibo
tentò d' impadronirsi dei tesori di lui : ma non vi
riuscì. Allora i cardinali credettero conveniente di
farne un inventario e consegnarli in custodia al car-
dinale Savelli. Si disse essersi trovati in una cassa
ottocento mila ducati d'oro, ed in un'altra trecento
mila (4)
(1) Ibidem i 28.
al. eccl. 1484 ^ 31. pai^
fips. 1723.
(1) Ibidem i 28.
(2) Raynald., Annal. eccl. 1484 $ 31, pag. 331.
(3) Infessura, Dìarium pag. 1965, edit. lips. lY
(4) Ibid. pag. 1997.
46 Scienze
ìS. Alfssandro VI, salito al trono nel 1492, do-
po alcune operazioni preliminari, intraprese a libe-
rare varie province pontificie dai vicari temporali,
ai quali erano state concesse in diversi tempi e le
reggevano da feudatari quasi indipendenti (1). Fon-
dandosi sul motivo che non pagavano gli stabiliti
canoni, mosse loro la guerra. E nel 1499, avendo
bisogno di danaro per stipendiare soldati mercenari,
prese a prestito dal comune di Milano quarantacin-
que mila ducati. Gli riuscì difatti ( in tre anni ) di
scacciare i Riari da Imola e da Forlì, i Manfredi da
Faenza, i Malatesta da Rimini, i conti di Montefel-
tro da Urbino, gli Sforza da Pesaro ed i Varano da
Camerino (2).
49. Nel 1500 celebrò il giubileo. Grande fu in
tale circostanza il concorso dei fedeli a Roma, e rag-
guardevoli introiti ne vennero all'erario. Il pontefi-
ce spedì eziandio internunzi in vari regni colle fa-
coltà di concedere le indulgenze dell' anno santo a
coloro che non potevano recarsi a Roma, purché pa-
gassero il terzo di quello che avrebbero speso nel
viaggio (3). Scrive il Bembo che in tale circostanza
nei dominii veneti si raccolsero settecento e nove
libre d'oro, le quali dal pontefice furono lasciate a
quel senato per la guerra contro i turchi (4).
50. Intanto nella primavera di quell'anno i tur-
chi avendo spinto le loro correrie nella Polonia, nel-
(t) V. §. 22.
(2) Burchard, Diar. Raynald. ann. eccl, 1499, §. 22 et 2:5, 1300,
$, 27, 1502, 10-14. Muratori, an. 1499-1303.
(3) Raynald. 1300, § 1, 2. Muratori an. 1500.
(4) Bembo, Hist. Yen., lib. V. Raynald. an. eccl. 1500, § 22.
Finanze di Roma 47
l'Ungheria, nella Croazia e nel Peloponneso, tulta la
cristianità ne fu spaventata e l'Italia specialmente ne
fu costernata. Quindi Alessandi'o, eccitando tutti i
principi ad armarsi contro quell'inimico comune, im-
pose per loro sussidio una decima sulle rendite del
clero in tutto l'orbe cattolico (1). Gli sforzi del pon-
tefice non furono certamente inutili ad impedire mol-
ti progressi di quei barbari (2).
51. In tale circostanza si pubblicò e si conservò
una nota delle rendite, sulle quali fu stabilita la de-
cima da pagarsi dal sacro collegio e dagli utfìziali
della romana curia. La rendita di quaranta cardinali
fu collocata in 389,000 ducati d'oro, e per conse-
guenza la decima in ducati 38,900. Nove cardinali
avevano annui ducati 10,000. Altri dieci avevano
come segue (3) :
Di Recanati due. 11,000
» S. Angelo » 12,000
» Madrid. ........ 12,000
» Sanseverino » 13,000
.. Este ...» 14,000
n S. Maria in Portico ...» 15,000
» S. Giorgio » 18,000
» S. Pietro in Vincoli . . . » 20,000
)) Ascanio » 30,000
52. Le decime degli ufììziali della romana cu-
ria furono calcolate in ducati 10,792 (4).
(i) RaynalcJ. an.eccl. lòOO, §. 8.
(2) Ibid. §. 10-21, 1.501, §. 19, 1502 §. 12, 17-24.
(3) Burchard. diar. ann. MD, lib- 1, part II, pag. 2118 2119. ed.
Lips. Raynald. ann. eccl. 1J500, §. 9, 488, 489.
(4) Burch. loc. cit. 2118 2119.
48 Sciente
53. Il pericolo dei cristiani essendo comune an»
che agli ebrei fra loro tollerati , nello stato della
chiesa anche sopra di essi fu imposta una contribu-
zione, e fu calcolata alla vigesima dei loro beni (1).
54. Allorquando nel 1.^03 Alessandro VI cessò
di vivere, il duca Valentino che occupava il Vati-
cano colle sue truppe, e meditava d'impadronirsi del-
lo stato, incominciò dall'appropriarsì il pubblico da-
naro. Affidò tale impresa a Micheletto, principale
ministro delle sue scelleratezze , il quale mettendo
un pugnale alla gola al cardinale Casanova, prefetto
dell'erario, rapi quanto in esso esisteva (2).
55. Ciò non ostante però il duca non potè ese-
guire i suoi disegni. Iddio vegliava sulla sua chiesa
e su Roma, e pochi giorni dopo la morte di Ales-
sandro VI fu eletto il pacifico Pio III (3).
56. Ma giunto il discorso a questo punto, deg-
gjo tacere: non permettendo le leggi archeologiche
di trattare materie posteriori al secolo XV. Mi ri-
serbo pertanto di discorrere, piacendo al cielo , in
altri ragionamenti ed in altr'accademia delle finan-
ze pontificie dal principio del secolo XVI al 1810.
Quindi dal 1814 sino all'epoca in cui il regnante
sommo pontefice le avrà ordinate, come da tutti si
spera, e di vero cuore si augura per maggior glo-
ria sua e bene dello stato.
(1) Burcharci loc. cit. pag. 2118. Raynald. an. ecc. 1300, J. 9.
(2) Rayiiald an. ecc. 1503, §. 12.
(3) Raynalcl. Muratori anno 1503.
^9
Andrea Cesalpino d'Arezzo scuopre il primo la circo-
lazione del sangue nell'uomo Vanno 1571 neW an-
fiteatro anatomico di Pisa.
Et dubitatnus adhuc virtutem extendere factis ?
Virg. Aeneid. lib. VI.
N.
lei secolo del decimo Leone le scienze e le lette-
Ve attraevano a se tutte le forze intellettuali della
colta Italia: e la filosofia, che doveva pur almeno en-
trare nel corso di una perfetta educazione, rimaneva
tuttavia sterile e tenebrosa. Si voleva conoscere la na-
tura negli scritti d'Aristotile, e non nelle produzioni
di cui essa è feconda.
Stando queste opposte agli occhi degli studiosi, non
poteva non avvenire che si afifacciasse ad essi alcuna
loro qualità fino allora inosservata: e ciò, o per mero
accidente, o per l'attività ingenita allo spirito umano,
che come scrisse un dottissimo italiano: mai non si
appaga dé^ suoi possessi., e aspira sempre a nuove conqui-
ste. Ma questi non furono che lampi assai rari, ten-
denti ad illuminare qualche minimo ripostiglio della
gran madre degli esseri, mentre la sua totalità ri-
manea sempre avvolta nel buio del peripato. Trascorse
mezzo secolo prima che lo splendore della esperienza
giungesse a dileguarlo, e creare una nuova filosofia.
La scienza anatomica dovea formare un'epoca lumi-
nosa e di gloria per la nostra Italia con aver dato
l'insigne scopritore, cioè Andrea Cesalpino d'Arezzo
professore di notomia umana nel liceo di Pisa.
Questo grande notomista fioriva nel principio del
G.A.T.CXV. 4
50 Scienze
secolo XV L Succedette alla prefettura del giardino
botanico a Francesco Calzolari. Uomo di profondo sa-
pere, conosceva tutti gli scrittori che ayeano vissuto
prima di lui, e la sua eloquenza era universalmente
esaltata. L'autore ci ha lasciato tre trattati. La prima
edizione di essi fu impressa nel 1569 in Firenze.
Nella vastità dei suoi ragionamenti si trovano
importanti riflessioni, in ispecie su i polmoni e la re-
spirazione. Fu dunque il primo che dopo Colombo
di Cremona spiegasse chiaramente la circolazione del
sangue nell'uomo. La scoperta della circolazione non
è dovuta air inglese Harvey , ma al nostro italiano
Cesalpino: giacché gli anatomici di quel tempo cre-
devano che il sangue avesse origine dal cervello, al-
tri dai polmoni, e la maggior parte dal fegato. Co-
lombo, quando scrive De corde et de arteriis^ spiega
la situazione del cuore sì del bruto e sì dell'uomo ,
parla del pericardio, dei nervi, della superficie e pin-
guedine del cuore. Cesalpino segue le tracce del cre-
monese. Gli vien negato dal maligno francese Taurel
l'adipe che è intorno al cuore: e Cesalpino nell'an-
fiteatro anatomico di Pisa brucia alla presenza di tutti
il grasso estratto dal cuore di un cadavere che era
sulla mensa anatomica. Colombo dice che questo gras-
so è necessario al cuore, come lo è per il globo del-
l'occhio: e Cesalpino conferma le sue asserzioni. Ari-
stotile affermava che i ventricoli del cuore erano tre:
Colombo, e poi Cesalpino, li negarono: ammettendone
questo due soli, destro cioè e sinistro. Prima dì que-
sto celebre anatomico credevasi che il sangue passasse
dal ventricolo destro al sinistro : Inter hos ventriculos
septum adest^ per quod fere omnes existimant sanguiìii.
Circolazione del sangue 51
o dextro ventriculo ad sinistrum adìtum patefieri: sed
longa errant via. Egli prova che erano in errore ,
e che dal destro va per l' arteria polraonale , entra
nei polmoni, qui si assottigha, e passa per la vena pol-
monale al sinistro. Sanguis per arteriosam venam ad
pulmonem fertur^ ihique attenualur., deinde per arte-
riam venalem ad sinistrum cordis ventriculum dè-
fertur.
Nel capitolo II, De pulmone, parlò più chiaramen-
te della circolazione che fa il sangue nei vasi polmo-
nali, ritrovò le rnembrane, le valvole, divise i tron-
chi venosi dagli arteriosi, corresse il Vesalio perchè
non descrisse qualche interessante arteria. Dopo l'e-
same delle grandi arterie descrive l'aorta discendente
colle diramazioni che si distribuiscono ai visceri ad-
dominali. Finalmente nel suo libro 5 delle questioni
peripatetiche così scrive questo straordinario genio
aretino : Fugit enìm sanguis ad cor tamquam ad suum
principium., non ad hepar.^ aut cerebrum. Quod sì cor
prineipium est saguinis^ venarum quoque et arteriarum
principium esse necesse est: vasa enim haec sanguini
sunt destinala. Ut igitur rivuli ex fonte aquam hau-
riunt^ sic venae et o,rteriae ex corde: oporiet praeterea
omnes continuas esse cum corde., ut sanguis contentus
in ipsis eius calore conservetur., (rigore enim congo"
latur quod patitur iibicumque fuerit extra venas. Pa-
tet autem ex disseetione omnes venas soli cordi conti-
nuas esse: nam quae in pulmones transeunt ex corde.,
nulli aia visceri sunt continuae: Ime enim desinunt in
cordis ventriculos., nec ulterius transmeant. Vena cava
et arteria aorta, reliqua viscera, excepto corde., post-
quam adierint transmeant ulterius: aut si quae desi-
52 Scienze
nunt^ in capillamenta resolvuntur^ non in ventrem ali*
quem transfundunt sanguinem: nullihi enim continetur
sanguis in ventre extra venas^ praeterquam in corde.
Così il Cesalpino scuopre il primo il ritorno che fa
il sangue al cuore mediante le vene, e le anastomosi
fra le arterie e le vene.
Nella questione h : Idcirco pulmo per venam ar-
teriis similem ex dextro cordis ventriculo fervìduni
hauriens sanguinem^ cumque per anastomosim arteriae
venali reddens^ quae in sinistrum cordis ventriculuni
tenditi transmisso interim aere frìgido per asperae ar-
teriae canales , qui iuxta arteriam venalem proten-
duntur^ non tamen osculis communicantes ( ut puta-
vit Galenus ) solo tactu temperai. Huic sanguinis cir-
culationi ex dextro cordis ventriculo per pulmones in
sinistrum eiusdem ventriculum optime respondent ea
quae ex dissectione apparent. Nam duo sunt vasa in
dexlrum ventriculum desinentia , duo etiam in sini-
strum. Duorum autem unum intromittit tantum., alte-'
rum educit membranis eo ingenio constitutis. Vas igi-
tur intromìttens vena est magna quidem in dextero^
quae cava appellatur: parva autem in sinistro ex puV
mone introdueens.) cuius unita est tunica ut caetera^
rum venarum. Vas autem educens arteria est magna
quidem in sinistro quae aorta appellatur^ parva au-
tem in dextero ad pulmones derivans.) cuius similiter
duae sunt tunicae ut in caeteris arteriis. Con quest'
ordine Cesalpino continua a descrivere le ramifica-
zioni delle arterie e delle vene: e pervenuto alle estre-
mità, così termina: Arteriarum ramusculos extremis
cum venis minimis commini , atque homine dormiente
sanguinem cum spiritu ex arteriis in venas deferri., ve-
Circolazione del sangue 53
nae siquìdem ilio tempore intumescunt^ arteriarum ve-
ro pulsics minor est. Finalmente facendo conoscere a
perfezione il ritorno che fa il sangue al cuore me-
diante le vene , e le anastomosi fra le arterie e le
vene, conviene leggere la questione 3, 4 e 5 del
quinto libro del Cesalpino. Qui schiuse quell'immen-
sa e preziosa suppellettile d'investigazioni anatomi-
che, che fu la più brillante epoca per l'anatomia e
per l'Italia. Dice l'A., che il cuore viene paragonato
ad un mantice d'organo, il quale caccia l'aria per tutti
i canali del medesimo : così ancora il cuore come
mantice dei vasi del corpo umano caccia in essi il
sangue. Il cuore è il principio della vita: e nel mo-
mento che manca la vita , cessano le funzioni del
corpo e di questa. Dice ancora col cremonese Colom-
bo , che le arterie si dilatano , allorché il cuore si
Contrae: che vi siano le valvole nel cuore, delle quali
alcune s'innalzano, altre s'abbassano: quelle delle ve-
ne lasciano entrare il sangue nel cuore, e non per-
mettono l'egresso. Ostio venae cavae tres membraiiu-
lae coaptalae siint^ ita ut concedatur ingressus san-
guini in cor , egressus autem nequaquam. Le val-
vole delle arterie poi lasciano uscire il sangue, e
gli impediscono il regresso; la vena cava scarica il
sangue nel ventricolo destro, e l'afteria venosa, cioè
la vena polmonale, nel ventricolo sinistro. Sonovi due
arterie che riprendono il sangue dal cuore: la vena
arteriosa, ossia arteria polmonare, che lo riceve dal
ventricolo destro , e lo porta ai polmoni : 1' arteria
aorta, che lo riceve dal ventricolo sinistro, e lo di-
stribuisce a tutte le parti del corpo. All'intorno del-
l'orificio dei vasi sono delle aierabrane che servono
54 Scienze
a chiuderlo, o ad aprirlo, secondo il diverso uso dei
vasi; quelli che ricevono il sangue dal cuore si chiu-
dono, e non permettono più eh' egli vi rientri. Gli
orificii di quei vasi, che portano il sangue al cuore,
al contrario si aprono.
Segue l'incomparabile anatomico a parlare delle
anastomosi, dei vasi, dei polmoni e delle ramifica-
zioni capillari. Il moto del cuore e delle arterie è
moto involontario : il suo sentimento è in molte parti
éonforme a quello di Colombo: parlando però dell'
aria, non ammette che essa confondasi col sangue,
ma che per solo contatto lo inaffi. Quelli che prima
di Cesalpino credevano che l'aria entrasse nel cuore
col sangue , ammettevano che nelle vene vi fosse
uno spazio voto.
Cesalpino considera le orecchiette come le altre
vene del corpo : v' aggiunge che la vena cava ha
la stessa struttura che i vasi che portano il sangue
dai polmoni al cuore: l'arteria ha ancora la mede-
sima struttura che il vaso che porta il sangue del
ventricolo destro ai polmoni: e ci assicura che l'ar-
teria polmonale, che esce dal ventricolo destro, ab-
bia la pulsazione egualmente che l'aorta. In questi
due vasi il numero delle tuniche è uguale a quello
di tutte le arterie del corpo umano. Gli anatomici
antichi, prima della scoperta del Cesalpino, pensa-
vano che la natura dei vasi dovesse cangiarsi nei
polmoni, di maniera che 1' arteria facesse ufficio di
vena^ e la vena ufficio d'arteria: ed ecco l'origine
del nome che davano a questi vasi di vena arteriosa,
e di arteria venosa. Davano il nome d'arteria a tutti
quei vasi che vanno al ventricolo destro, e il nome
Circolazione del sangue 55
dì vena a quelli che vanno al ventricolo sinistro.
Cesalpino fa conoscere il grande errore che essi
aveano: e scrive, che invece d'accordare il loro si-
stema alle leggi di natura, hanno preteso che la na-
tura si accomodasse al loro sistema. Tale abbaglio
ha fatto immenso danno alla medicina. È cosa bea
rimarcabile, dice l' autore , il saper la ragione per
cui le vene si gonfiano nella parte inferiore della
legatura , e non sopra di essa. Quelli che cavano
sangue , fanno tale esperienza , facendo la legatura
sopra il luogo ove vogliono salassare : con questa
impediscono che il sangue possa ritornare al cuore,
e l'arrestano per il momento nell'estremità della ve-
na. Quindi passa all'esame della vena porta, e del«
la vena cava superiore nel fegato : sostiene che il
cuore è la riunione e l'origine delle arterie , delle
vene, del calore, degli spiriti animali, e della vita,
la sede del cordoglio e del piacere.
Ecco il sistema certo e fondato di questo in-
gegno sottilissimo sulla circolazione del sangue, che
spiegò meglio assai di Colombo che cosa sia vena,
e che cosa arteria. Prima del Colombo e del Cesal-
pino , niun anatomico conosceva che il sangne si
scaricava nel ventricolo destro del cuore per la vena
cava: credevano che il sangue (come dissi) della vena
cava andasse immediatamente ai polmoni per nutrirli
per mezzo dell'arteria polmonare, senza entrare nel
cuore: e che da questa poi passasse nella vena pol-
monale, per la quale scaricavasi nel ventricolo sini-
stro, ove poi viene spinto nell' aorta. I due fratelli
Hunter, anatomici inglesi, si sono maravigliati come
abbiasi attribuito la scoperta della circolazione del
56 Scienze
sangue ad Harvey. Nell'opera omnia d'Harvey, fatta
pubblicare dal collegio medico di Londra 1776, alle
pagine De Harvey vita leggesi che questo anatomico
passò dall'Inghilterra in Italia ove apprese la noto-
mia, la chirurgia, la medicina dal celebre italiano
Fabrizio d' Acquapendente lettore nell' università di
Pisa. Fu ancora scolare l'inglese Harvey di Casserio
e di Tommaso Minadoos archiatro del duca di Man-
tova, dotto in chirurgia, ed anatomia, in ispecie per
un aureo suo trattato intitolato De ptisana eiusve
cremore^ pleuriticis proponendo^ dialogus. Harvey ri-
mase in Italia cinque anni , e fu laureato in Pisa .
Da ciò si comprende che se Harvey avea fatta sì
lunga dimora per i suoi studi in Italia, qui trovò
però tutti i mezzi per istruirsi. Impossibile dunque
a. credersi che non avesse scoperto la circolazione
del sangue, e che ne avesse menato trionfo in In-
ghilterra ove era affatto ignota la memorabile sco-
perta. I nazionali di Harvey, fra'quali Adaras, scris-
sero contro la sua prima dissertazione - De motu
cordìs - pubblicata nel 1628 in Londra, laddove
era già stata conosciuta settanta anni prima che l'in-
glese Harvey ponesse il piede in Italia. L'opera ana-
tomica di Colombo cremonese fu impressa l' anno
1559, e quella di Cesalpino 1571. Ridano di Pa-
dova, che dettava l'anatomia in Parigi nel 1680, de-
clamava altamente contro 1' impudenza dell'Harvey,
avendo usurpato la gloria a Cesalpino con enormi
falsità stampate, poi fatte circolare per l'Italia.
Si legge nella vita d'Harvey che questo nobile
ciurmatore abbandonasse l'Italia nel 1606: né mai
potrà dubitarsi che Fabrizio d' Acquapendente non
Circolazione pel sangue 57
avesse fin d'allora le cognizioni scoperte in Italia so-
pra le distribuzioni dei vasi sang^uigni, e sopra la cir-
colazione del sangue, poiché lo dimostra abbastanza
nei trattati De venarum ostiolis, De respiratione. Ac-
quapendente, insigne chirurgo ed anatomico, cam-
minando per le vie delle scoperte fatte dai due ita-
liani Colombo di Cremona e Cesalpino d'Arezzo,
giunse a scoprire le valvole che rinvengonsi nelle
vene a lui incognite , come si vedono dimostrate
nelle tavole incise della sua immortale opera di chi-
rugìa: si scorgono ancora quelle del cuore , come
si è osservato più chiaramente nell'estratto del pre-
loclato Acquapendente maestro d'Harvey. I dizionari
inglesi con i loro rimbombanti articoli attribuiscono
impunemente la scoperta della circolazione del san-
gue al loro connazionale Harvey: ed i giornalisti di
Londra parlando di Colombo e Cesalpino ( essendo
questi italiani) hanno mutilato gli squarci interi del-
le loro opere, in ispecie di Cesalpino quando pro-
va la circolazione del sangue, e l'arteria aorta che
nasce dal ventricolo sinistro del cuore. Vani sforzi,
e temeraria impostura! .... La scoperta della cir-
colazione del sangue è della nostra Italia, ossia d'
Andrea Cesalpino d'Arezzo
Un ambasciatore di Venezia a Londra donò
l'opuscolo di Harvey al padre Paolo Sarpi servita.
Costui parlò orrendamente della circolazione : che
perciò pretendesi che la scoperta possa attribuirsi
a questo frate, e che dopo la sua morte avesse la-
sciato questo stesso trattato al celeberrimo Fabrizio
d'Acquapendente, prendendone dei lumi per fare la
scoperta delle valvole delle vene. Sogni e follie . . .
58 S e 1 E N Z B
Acquapendente pubblicò la scoperta delle valrole
nel 1603 quando morì Cesalpino in Roma : ab-
bandonò la cattedra essendo mal disposto di salu-
te neir anno 1604, e morì nel 1619 in Pisa. Harvey
pubblicò la sua memoria nel 1628. Non mancaro-
no scrittori infedeli e maligni , che attribuirono la
brillante scoperta a Michele Serveto , quel famoso
medicastro che scrivendo da empio eresiarca in teo-
logia, cioè Dialogorum de triniiate libri duo: De tu-
slitta regni Christi eapilula qualuor: De trinitatis er-
roribus libri septem per Michelem Servelo^ 1531-1532,
fu per vendetta di Calvino bruciato vivo in Ginevra
il 28 ottobre 1553. Questo mostro di eresie le più
esecrande scrisse confusamente in queste opere sulla
circolazione del sangue anche in barbaro latino. Con-
chiuderò dunque con Tommaso Bartolini, con Van-
der-Linden, colle autorità di Freindrio, di Delame-
Irie, di Dutens, che Cesalpino sia stato il primo a
scoprire la circolazione del sangue nell' uomo , co-
me fu Acquapendente delle valvole delle vene. Se-
nac, dottissimo scrittore francese, scrive così : Har-
vey marche sur les traces de Cisalpin^ comme un vo-
yageur , qui va parcourrir un pays deia decouvert.
Portai, parlando delle scoperte italiane, dice: Sembra
che oggidì V Italia riposi sopra i suoi allori^ e non
pensi ad altri onori ; la gloria della scoperta della
circolazione del sangue dell'uomo è per l'italiano Ce-
salpino d'Arezzo. Questa sorprendente teorìa, unita
ad altre luminose indagini anatomiche, scintilla da
tutte le parti agli occhi del Cesalpino : ed egli la
tocca, la palpa, e »ta sul punto di alzare il velo :
Circolazione del sangue 59
ma tanto indugia, che un destro inglese gliele strap-
pa di mano: e ponendo a profitto l'altra brillantis-
sima scoperta italiana, cioè quella delle valvole delle
vene, e schiamazzando per il primo circolazione^ ne
raccoglie in un punto tutta la gloria a spese del
nostro illustre italiano.
Il sommo anatomico, conoscendo tutte le teorie
sulla respirazione, sulla vera circolazione del sangue,
con le replicate analisi praticate nei visceri del torace,
ehbe grandi lumi per curare le malattie del petto e del
cuore, come rilevasi dall'opera che ha per titolo: Spe-
culum artis medicae hippoeraticiim . Romae 1595-
Francofurti 1596. Scrivendo dell'angina, osserva che
l'imbarazzo de'polmoni è uno dei più comuni effetti di
tal malattia. Osserva egli che la parte superiore della
trachea è libera: la bocca ed il naso, per dove pas-
sa l'aria per insinuarsi nella trachea , sovente non
soffrono lesione alcuna. Dopo questo raziocinio con-
chiude, che la tracheotomia è inutile, giacché l'im-
barazzo dei polmoni è un effetto: non pensando pe-
rò che questa operazione impedisce che l' infermo
rimanga soffocato, poiché apre una strada alla re-
spirazione: cura i mali venerei con i decotti di le-
gno guaiaco , di sassofrasso , brodi viperini , col
mercurio dolce (cui l'inglese Harvey con impudenza
ha usurpato il nome chiamandolo calomelano ) :
raccomanda le fumigazioni e la pomata mercuriale
col mercurio vivo, come praticava Mesue nella scab-
bia. Insegnando il metodo di preparare tutti questi
medicamenti, parla delle malattie esterne ed interne
dell'organo della visione e di quelle dell' orecchio.
Questo straordinario ingegno fu il primo a ridurre
GO Scienze
la scienza erbaria a sistema filosofico, essendo in quel
temi oscuro ed incolto , ma sparso in pochi bota-
nici d'Italia. Odoardo Smith, fondatore e presidente
delia società linneana di Londra, parlando del me-
rito di Cesalpino sulla sua botanica scrive : che ha
portato maggior luce sulla struttura e sulle affinità
dei vegetabili^ che qualunque altro prima di lui^ aven-
do fatto distintamente una classificazione dei sessi e
delle famiglie e delle piante. Sotto la disciplina di
Luca Ghini, direttore dei giardini botanici di Pisa
e Firenze, dettava il Cesalpino in questa città le isti-
tuzioni: creò un' accademia ed immaginò quell'in-
dustrioso metodo di dividere i corpi vegetabili in
generi e specie: li ridusse a classi, prendendo i ca-
ratteri distintivi , non già dalle qualità accidentali
della durata, ne dalla grandezza, né dalle virtù me-
diche favolosamente magnificate dall'antichità, e da
Dioscoride fino ai tempi nostri, ma dalle immuta-
bili parti della fruttificazione. La di lui grande at-
tenzione e r immenso vantaggio che recò alla bo-
tanica fu quello di distribuire comodamente le pian-
te, ed all'esame delle esterne apparenze: finalmente
con profondo criterio ne rintracciò l'interna struttu-
ra, la nutrizione, la germinazione e l'uso in medi-
cina. Né fu contento di esaminare le piante d'Italia,
ma estender volle le sue dotte ricerche su quelle
che il commercio dell'America e delle Indie Orien-
tali somministravano al lusso ed alle delizie dei giar-
dini. Osservò quindi il primo la situazione e le im-
percettibili radici nei semi: notò il numero del pri-
mo sviluppo dell'embrione: paragonò i semi alle ova
degli animali: distinse i ricettacoli dei frutti, le di-
Circolazione del sàngue 0 1
Tisionì delle silique: pose il nome di corolla, e ri-
cettacolo al fiore: e così dalla sagace industria e fa-
tiche di questo genio, riconosce la botanica il prin-
cipio de'suoi grandi progressi. Quest'opera aurea fu
impressa con universale applauso col titolo: De pian-
tis libri XVI. Florentiae 1583 in folio. Quindi stam-
pata in Roma con preziosa appendice nel 1602. In
Francfort nel 1613 intitolata: Speculum artis medi'
cae. Un lavoro cotanto insigne gli meritò l'incarico
di archiatro del pontefice Clemente Vili, poi di let-
tore di medicina teorico-pratica nell' archiginnasio
romano. Nell'opera si leggono descritte undici mila
e quattrocento erbe illustrate dal dottissimo Micheli.
L'illustre scienziato travagliò con indicibile ardore
per comporre due erbari secchi, l'uno per comando
del gran duca Cosimo I che lo donò al suo figlio
successore Francesco I, ed a cui dedicò l'opera del-
le piante: l'altro che regalò al vescovo Alfonso Tor-
nabuoni della botanica indefesso cultore.
Il Cesalpino, dopo aver percorso la superficie
della terra nella investigazione delle sostanze vege-
tabili, rivolse le sue filosofiche ricerche ad esami-
nare minutamente tutti i fossili e formarne un trat-
tato : De metallicis libri UT. Romae 1596. Avea di-
visato l'autore di pubblicare un più ampio trattato,
se un suo amico e dotto collega Michele Mercati
non l'avesse prevenuto con la sublime opera Metal-
lotheca Vaticana. Giudicò inutile l'ideato progetto, e
credette più conveniente di compilare la detta opera
che la grandezza delle tavole in rame rendeva agli
amatori di troppo dispendio, e di completare quel-
la parte che risguarda i marmi e le gemme per
62 Scienze
r immatura morte del Mercati rimasta imperfetta.
Travagliò dunque su quel codice delle materie me-
talliche, scritto con stile, regolarità d'ordine ed ele-
ganza latina , come avea praticato nei libri della
botanica.
Allorquando vide la luce l'ultima opera celeber-
rima del nostro insigne Cesalpino, che fu Quaestiones
peripateticae , comparve una cicalata del medico
francese Nicolao Taurel che portava in fronte: Alpes
caesae^ hoc est Andreae Cesalpini monstruosa dogmata
discussa et excussa. Il grande autore disprezzò tal
bassa malignità del ridicolo ed ignorante francese
Cesalpino è stato giudicato da tutte le nazioni
per gran maestro nelle scienze naturali, scrutatore
profondo dell'animale economia, sommo conoscitore
delle funzioni sane e turbate del corpo umano, pro-
motore oculato ed ardente delle nobili ed utili scienze
salutari, cioè della notomia, chirurgia , medicina e
botanica. La storia vuole stabilire i veri scopritori
ed inventori delle cose, e scriverli nel gran libro con
indelebili caratteri per tramandarli a tutti i secoli :
e la storia sa illuminare sì brillante e strepitosa sco-
perta , onde non sia strappata alla nostra Italia la
palma di questo incomparabile anatomista ; e Pisa
ed Arezzo sua patria s'abbiano rivendicata la gloria,
la quale con inaudita impudenza gli venne usurpata
dall'emulo e turbolento pirata inglese Harvey.
Dottor Chimenz.
Morì in Roma il 15 marzo 1603: fu seppellito nella chiesa di
». Giovanni dei fiorentini, come si è letto nell'archivio della parroc-
efaia di ». Eustachio. Non si k rinvenuto segno alcuno di distinzione
e monumento in s. Giovanni, non avendo lascialo che una fama im-
mortale del suo nome, e un inonorato sepolcro.
63
Zi^gW^lSl&i^TirilA
Tracce storiche sul dominio greco dopo Alessandro
nell'Asia centrale.
M.
Lalgrado la vita solinga ed oscura che circa venti
anni indietro traeva in Roma l'erudito vecchio conte
Palin , dopo compiuta la sua carriera diplomatica
come ministro di Svezia presso le corti europee, era
pure ben cognito a molti e specialmente agli archeo-
logi. Ma era scritto nelle disposizioni della Previden-
za che non prestasse orecchio ai timori da me rei-
terate volte manifestatigli sul pericolo che poteva
correre di alcun agguato assassino nel recondito asilo
presceltosi vicino alla Trinità de'Monti, e che restasse
appunto vittima della sua fiducia: sebbene l'uccisore
pagasse il fio del suo delitto sul patibolo.
Questo infaticabile vecchio, specialmente appas-
sionato per la filologia ed archeologia orientale, nel-
l'incendio che soflfrì il palazzo della legazione sve-
dese in Costantinopoli, mentre era colà ministro, vide
fra gli altri oggetti distrutta una ricchissima colle-
zione numismatica di monete principalmente greche,
egiziane , asiatiche ec. Fra queste ne rammentava
con affetto alcune, nelle quali Irovavansi nomi greci
di alcun re dell'Asia centrale appartenente al domi-
nio di Alessandro. Questa reminiscenza in esso non
64 Letteratura
era infrequente: ma poiché, unita ad un mirabile cor-
redo di peregina erudizione, nutriva egli una fervi-
da imraapinazione, che sovente trascendeva i confini
della sana critica, come rilevasi da non poche di lui
opere anonime (1), così l'asserzione dell'esistenza delle
(1) Fra le molte oporette del sig. Palin conservo una illustrazione
di molte monete egiziane mediante un di lui sistema tutto simbolico
e fantastico: come conservo un tipo della famosa tavola trilingue di
Rosetta coirilluslrazione dei geroglifici mediante gli antichi principii
del simbolismo. Quest'opera non fu posta in commercio: ma le copie
impresse furono dal Palin donate al suo dottissimo amico e collega
Jacopo Graberg di Hemso, non ha guari mancato alle scienze in Firen-
ze, dal quale fui favorito d'una copia.
A dimostrare intanto l'erudita archeomania del Palin amo ripor-
tare un di lui singolare episodio. Fra le .stoviglie insigni rinvenute
dal sig. principe Luciano nel 1839 nelle necropoli etrusche di Vulci
presso Canino presentò speciale interesse all'illustre discopritore una
coppa avente nel fondo giallo, esprimente il mar tirreno colle note in-
segne dei delfini, una nave, di cui albero ed antenna erano sormonta-
ti da una vite co'pampini e grappoli. Al pie sedeva Bacco coronalo di
edera, e portante in mano il corno potorio, o bicchiero. Il margine
della tazza aveva un orlo nero di circa mezzo pollice, sul quale si ve-
devano alcune cifre di sottili linee rette, che spesso si intersecavano
in vari angoli, e mostravano qualche analogia ai caratteri cuneiformi,
od anche cinesi. Or il principe^ che opinava le origini italiche doversi
piuttosto alle dirette immigrazioni di asiatici, anziché di greci, ed es-
sere perciò r etrusca anteriore alla civiltà greca, vide in quei segui
irregolari un'iscrizione di antichi ed inesplicabili caratteri orientali.
Quindi nel catalogo di scelte iscrizioni etrusche da esso pubblicate in
Viterbo, del quale io diressi redizione,volle che in linee più membrute
dell'originale venisse riportata la pretesa iscrizione. Il sig. Palin, che
diceva conoscere molti caratteri orientali, senza consultare l'originale
si occupò d' interpretare i caratteri impressi. A tutti i paleografi
ed etimologisti quali stupende metamorfosi, e quali fauste scoperte
possano ottenersi dalle antiche leggende ora curvando, ora mutilando,
ora aggiungendo qualche lineola, ed ora modificando con dittonghi
e dieresi e sincopi il valore fonetico delle parole per ottenere dallo
Dominio greco 65
prefate medajjlie non mi ispirò intera fiducia: e piut-
tosto mi persuadeva , che le tracce della storia del
dominio de'successori d'Alessandro nella Persia e nel-
l'Indie fossero ormai preda irreparabile di un oblio
eternale. E ben \ero, che nel secolo passalo il Bayer
aveva riunito tutti i documenti desunti dagli storici
dell' antichitcì, e stabilito i nomi di sei re di greca
origine nella Batlriana, regione bagnata dal l'Oxus: ma
questi nomi nudi di alcun rapporto cronologico ge-
nealogico e storico non presentavano grande interesse.
La zelante società asiatica di Calcutta da circa
quindici anni si è dedicata con ispeciale ardore, non
solo allo studio delle lingue e scrittori , ma anche
alla ricerca de' monumenti: ed ha ottenuto preziosi
resultamenti, de'quali giova presentare vni sunto. E
ciò con tanta maggiore alacrità, in quanto il nostro
italiano generale Ventura, che trovavasi a militare
servigio presso il re di Labore, fece parte di quella
società diretta dal dotto ed intraprendente inglese
Giacomo Prinsep Prima di parlare però di tali sco-
perte è indispensabile il rammentare alcuni dati sto-
rici sul dominio del grande Alessandro nelle regioni
asiatiche.
scritto misterioso qualche oracolo archeologico! Il Palili scrisse in
proposilo una memoria, che io conservo, tanto trascendentalmente
erudita, che poneva a contribuzione lo stesso lao de'cinesi, ed al
tre nazioni indo-persiane per ottenere nn senso all'iscrizione. Per
iiiforlunio però dell'illustratore, coloro, che avevano visto l'origi-
nale, si persuasero che le lineole non erano scritte, ma accidentali
screpolature della vernice nera sovrapposta alla gialla , come può
ben rilevarsi dal Cac simile della pittura di quella tazza pubblicala iu
litografia dal Mandolini in Roma.
G.A.T.CXV. 5
66 Letteratura
Dopo la morie di Dario, Alessandro l'anno 330
prima di G. Cristo tornò verso il mar Caspio, e sta-
bili colonie neir Ircania e nella Media che formaro-
no il nucleo del regno de'parti fondato 80 anni dopo
da Arsace. L'anno stesso entrò nell'Aria (regione di
cui l'Herat è la capitale attuale) , pose guarnigione
in Susia, città che credesi corrispondere all' odierna
Subzar al sud di Herat, Marciando quindi verso la
valle di Cabul, passò l'inverno in Alexandria-ad-caU'
casum^ che si crede trovare nella pianura di Beghram
vicino a Sciarikar a 30 o 40 miglia da Cabul, ove è
slata scoperta una gran quantità di medaglie de' re
greco-battriani, e de'loro successori sciti : circostan-
za che sembra indicare questa località come la capi-
tale della regione bagnata dal fiume Cabul.
Nel 329 Alessandro passò l'Imao (Hindu-Koh),
prese Dipsaco (ludrab), giunse airOxus, stabilì colo-
nie fra questo fiume e le montagne : indi passando
per Samarcanda sul Sir o laxartes , che traversò ,
vinse sopra gli sciti una gran battaglia avanti a Ko-
iung. Avendo colonizzato le sponde di questo fiume,
passò l'inverno in Ariaspe, che credesi l'attuale città
di Hararasp.
L'anno 328 fu consacrato a soggiogare tutto il
paese fra l'Oxus ed il laxartes, ed a stabilire guai'
nigioni nella Sogdiana, Nel seguente anno Alessan-
dro passo di nuovo l'Hindu-Koh, marciò lungo il
Cabul fino all' Indo, disfece Poro e s' impadronì di
tutto il Puniab, Nel 326 discese l' Indo sovra una
flotta, e ridusse la popolazione sulle di lui sponde.
Ricondusse la sua armata per la Gediosia (Belluc-
cislan) in Caramania (Persia meridionale), ed arrivò
Dominio greco 67
in Susa al cadere del 325. Così fu stabilito l'impero
gl'eco in Asia dal Mediterraneo all'Indo, e dal Caspio
e lo laxartes lino al mare delle Indie. Le colonie
e le guarnì {jioni assicuravano ovunque l'influenza e
la [)reponderanza del governo greco; e lingue, isti-
tuzioni, religione tutto fu riorganizzato sul sistema
greco.
Alessandro mori di febre due anni dopo il suo
ritorno a Susa. E cosa sorprendente l'osservare, che
un impero di dieci anni appena, lasciato senza suc-
cessore, e smembrato immediatamente dopo la morte
del suo fondatore, abbia impresso in queste regioni
orientali tracce tanto profonde , che occorsero più
di cinque secoli per obliterarle interamente.
Alla morte d'Alessandro i capi dei governi resi
indipendenti si attaccarono gli uni cogli altri. Nel
322 av. Cr. Eumene governatore di Cappadocia vin-
se ed uccise in battaglia Cratero. Eumene fu vinto
quindi, e fatto prigioniero da Antigono , che prese
il nome di re. A questi si opposero Seleuco gover-
natore di Babilonia, e Tolomeo capo d'Egitto: e si
impadronirono dell'Ircania, della Battriana e di tutto
il paese fino all'Indo. Intanto Sundra Gupta (San-
dracotlo ) nel 303 cacciò i greci dal Puniab , e si
rese indipendente. Seleuco però regnò su tutta l'Asia
occidentale fino all' Indo, e lasciò l' impero ai suoi
successori. Sotto Antioco Teo, di lui nipote, la Bat-
triana si dichiarò indipendente col suo re Teodoto
nel 256 A. C, e la Partia fece lo stesso sei anni do-
po sotto Arsace, che riunì a questo paese l'Ircania,
e fondò un regno che si estendeva dall' Hcrat al
mar caspio. Arsace, d'origine ignota, impiegò la lin-
68 Letteratura
glia greca sola nelle monete ed atti pubblici. Le
monete arsacidi-partiche hanno una testa dall'una
parte senza iscrizione, dall' altra una figura sedente
in mezzo ad un' iscrizione greca formante un qua-
drato. L'iscrizione contiene il nome del sovrano col
titolo di re dere^ e qualche epiteto, come giusto,
vincitore, filelleno ec. Alcune di tali monete trovate
nel Afganistan sono iscritte in due lingue, e sembra
essere slate battute da governatori indipendenti. Nel
palazzo della compagnia delle Indie è una gran col-
lezione di tali monete arsacidi , la quale compren-
de 27 re per il tratto di 489 anni, cioè 254 A. C.
e 235 dopo.
In quanto alle medaglie trovate nel Cabul, delle
quali quasi tutte presentano nomi di sovrani fin qui
incogniti, il prof. Lassen ne ha fatto diverse catego-
rie. Le une di bella impressione oflfrono teste gre-
che da un lato, ed un emblema mitologico con un'
iscrizione greca nell' esergo; e queste appartengono
ai re più antichi. I re successivi, oltre le monete pu-
ramente greche, hanno battuto monete con iscrizioni
in due lingue, delle quali una , cioè l'ariena, non
sempre può intendersi. Fra le prime un piccolo nu-
mero ha lasciato tracce nella storia. Così Teodoto I
si dichiarò indipendente nella Battriana verso l'anno
256 A. C, secondo Strabene. Eutidemo fece allean-
za con Antioco il grande, che die sua figlia in moglie
al di lui figlio Demetrio. Sono stati trovati editti di
Antioco scolpiti sulle rupi e sulle colonne in molti
luoghi delle Indie, e specialmente a Girnar. Le me-
daglie di Eucratide, riportalo da Giustino come con-
te mpoianeo di Mitridate I re de' parti , sono nu-
Dominio greco 69
raerosissime, e di tipi ed iscrizioni diverse. Alcune
sono greche, ora col titolo di re, ora con quello di
gran re : altre hanno, oltre l'iscrizione greca, anche
una leggenda ariena. Eucratide sembra essere stato
il primo sovrano greco che abbia introdotto nelle
monete l'idioma indigeno: e dalle località, nelle quali
sono state trovate le sue monete, sembra aver regnato
nella Battriana, nel Cabul, nell'Afganistan, nel Puniab,
dal regno dei parti fino all'Indo. Il sig. Lassen sup-
pone, che al tempo stesso regnasse nel Cabulistan
Agatocle, di cui si trovano pur anco medaglie bilin-
gui, ma col sanscritto in vece dell' arieno unito al
greco. Deve esser ad esso succeduto un Pautaleone,
di cui le medaglie hanno gli stessi caratteri.
Una terza categoria di medaglie male impresse
hanno nomi barbari con iscrizioni greche. Si attri-
buiscono a dinastie scitiche, che invasero la Battria-
na prima dell'era cristiana.
Il più gran numero di medaglie appartiene alla
quarta categoria. Sono bene impresse , presentano
belle teste greche ed iscrizioni in greco ed in pra-
crit o sanscritto popolare, scrìtte semiticamente da
dritta a sinistra. Per classificare tutte queste meda-
glie, il prof. Lassen suppone oltre alla Battriana l'esi-
stenza di tre altri regni : cioè 1' uno composto del
Puniab, la valle delle Indie, il Cabul ed il Candahar
nei tempi della sua prosperità: il secondo dell'Herat
e del Sedjistan: ed il terzo della parte centrale dell'
Afganistan. Questa divisione è assai probabile. )
Sulla disposizione in serie de' nomi di princìpi;
in tal modo quasi risuscitati non vi sono che con-r.
getture. Così v'è una lunga lista di re aventi un epi-
70 Letteratura
telo comune Soler (salvatore) con linn^ua ariana e
g^eea: e questa si crede spettare ad una stessa di-
nastia. Se ne contano nove: Menandro , Apollodoto,
Diomede, Zoilo, Ippostrato, Stratone, Dionisio, Ni-
cia ed Ermèo. Sei altri hanno l'epiteto di vittorioso:
e sono Antimaco, Arphelio, Antalcide, Licia, Filosse-
no ed Aminta. Tre, di cui uno femmina, non hanno
non>e marziale,: Eliocle, Telefo, Agatocleia, Di tutti
questi re soltanto Menandro ed Apollodoto sono no-
minati dai classici come regnanti nella Battriana, nell'
Aria- o nel Puniab due secoli prima dell'era cristia^
na. I tipi, gli emblemi e l'impressione delle monete
sono affatto greci, I caratteri arieni, su i quali i dotti
hanno molto esitato, sono slati riconosciuti apparte^
nere al sanscritto. La natura degli emblemi indica
spesso il luogo ove sono stale battute le monete; così
l'elefante annuncia il dominio dell'Indie, come il bu-
falo. L' asino selvaggio ed il camelo a due gobbe
la Battriana.
I re sciti, successori de'greci, sembra che adot-
tassero la loro forma di monete, iscrizioni e lingua,
Mia co' propri nomi, titoli ed emblemi. Quelle di
Mane sono rare e talvolta sono simili a quelle dello
scila Azes, che pare essere stato il più gran re di
sua stirpe. Le di lui monete numerosissime portano
ia leggenda: Azes gran re dei re. I tipi sono vari ,
ma non vi si trova alcun busto, ed invece un ca-
valiere armato, e che sta cacciando: e sul rovescio
un animale, o una figura mascolina o femminina che
non appartiene alla mitologìa classica. Talvolta vi
sono animali nelle due facce. Tutto annuncia urta
nuova dinastia o razza, e forse una nuova religitìtie.
Dominio gbeco Ti
Wilson riguarda Azes come un indiano buddhista :
e Lassen come uno scita saciano, che aveva condot-
to nel Cabulistan un' orda di tartari cacciati dagli
unni : ed appoggia la sua congettura sulla fede di
storici cinesi, e sopra un passo di Strabone* Questo
avvenimento dovrebbe riportarsi a 150 anni a. C.
Prinsep suppone, secondo la storia cronologica de'
tartari di Abul-gazi-kan, che questo Azes è lo stesso
che Oguskan che fece grandi conquiste nell'Asia cen-
trale, le quali terminarono colla disfatta e colla morte
di lagma (Ermèo?) che regnava a Cabul e Casce-
mira. Azes pare che avesse per successore Azilise, di
cui le monete portano i medesimi titoli ed iscrizio-
ni bilingui.
A questa dinastia appartengono forse le monete
€li Vonone, che non possono riferirsi ad alcun re del-
la razza degli arsacidi. Un'altra serie di monete scile
porta il nome di Kodes , Yrkodes , e qualche altro
illeggibile, sebbene scritta in greco. Non hanno iscri-
zione ariena, e sembrano appartenere alla Battriaua
o Sogdiana, ove questi principi vivevano da satrapi
indipendenti, come avviene anche attualmente. Forse
questi precedettero la conquista del Puniab e del Ca-
bulistan fatta dall'eroe indiano Viciamaditia, che dis-
fece gli sciti nell'anno 56 a. C. Non si sono trovate
monete di questo conquistatore: ma le monete suc-
cessive presentano divinità indiane in luogo di quelle
della mitologia greca. •
Dopo la morte di Vieramaditia pare che gli
sciti di nuovo occupassero il Cabulistan, trovandosi
medaglie di greco corrotto ed arieno con emblemi
indiani, come Siva, le quali portano i nomi di Ko-
72 Letteratura
soulo-Kadphises, Zathos-Kaclphises e Vokerao-Kad-
phises. Tali monete si trovano tanto in rame, che in
argento ed in oro. Questa dinastia de'primi anni del-
l' era nostra era verosimilmente contemporanea ai
greco^parti Undoferres , Gondeferres , Abagaso ed
iVbalgasio , de' quali pure esistono monete di greco
corrotto ed arieno.
oa?.; La' dinastia de'Kanerclii, che susseguì, ebbe mo-
nete con caratteri greci di pessima forma, e con bu-
sti e figure vestite in abito tartaro o indiano: e sul
rovescio una rappresentanza mitriaca del sole e della
luna co'nomi mistici in greco. Dopo questa dinastia
i caratteri i gieci han dato luogo ai sanscritti sotto
principi di razza indiana.
t>J9{ii)Il!**g- l'TÌPaep termina il suo compendio delle
nio'nete grecjhe scoperte nell'Asia centrale con alcune
osservazioni sulla lingua arieua , che sebbene noa
cognita che in piccola parte, sembra aver molta ana-
logia col sahscritto, col mezzo del quale si spera spie-
gare le iscrizioni su i vasi, pietre, e colonne, e tom-
be antiche del Puniab e Cabulistan, e specialmente
quelle trovate nelle tombe di Manikale presso Labore
fatte scavare dai generali Ventura e Court.
Il villaggio di Manikale sembra posto sopra le
mine di un'antica ed importante città. I due predet-
ti generali italiano e francese fecero scavare un
gran tumulo o sepolcro della più alta antichità , e
quindici piccoli. Uno di questi ultimi in particolare
ha fornito ricchi materiali, e specialmente molte me-
dagUe di Kadfìsi e Kaneichi, ed un' urna d'argento
racchiusa in altro vaso di rame e contenente una
pasta ancor umida. Nell'urna d' argento un vasetto
Dominio greco 73
d'oro immerso nella pasta conteneva alcuni anelli eJ
alcune medaglie, fra le quali ve n'erano anche ro-
mane. Le urne e molte pietre interne erano coperte
di caratteri arieni. Il gran tumulo conteneva meda-
glie di dinastie tanto greche che sassanidi, ambra ,
anelli, pezzi d'oro, ed una pasta animale, racchiusi in
vasi d'oro contenuti in cassette di rame. Tre di tali
cassette furono scoperte l'una sotto l'altra a diverse
profondità, accompagnate da iscrizioni ariene o peh-
lavi (perso antico). La cassetta più bassa (64- piedi
sotterra) conteneva monete greche. Il sig. Masson ha
scavato sepolcri vicino a Gellalabad e nel Cabulistan,
e vi ha trovato urne e caratteri arieni.
Sebbene tali tombe contengano, secondo 1' uso
greco, alcune monete, pure non vi si è trovata alcu-
na iscrizione in lingua greca, né traccia di elleniche
costumanze. Sembrano di origine scitica, ed analo-
ghe ai monticelli funerari che tro valisi ovunque è
penetrato il popolo scila, > , t»iiv^
Tutte queste notizie accumulate già dal signor
Giacomo Prinsep, segretario della società asiatica di
Calcutta unitamente al fac- simile di molte iscrizio-
ni e monete, nonché dei saggi da esso fatti per in-
terpretarle e formare gli alfabeti relativi, non hanno
recato alla scienza archeologica tutti quei vantaggi
che se ne attendevano: perchè l'inclemenza del cli-
ma rapì a mezzo de' suoi studi 1' esimio autore. Il
di lui fratello però si die cura di pubblicare in Lon-
dra i materiali, de'quall abbiamo dato il sunto. Ma
frattanto le ricerche e gli studi si proseguono : ed
in Oliente il tenente del genio Cunningam prepara
un'opera sulle antichità iu proposito, mentre in Eu-
k
74 Letteratura
ropa i professori Wilson e Lassen vanno illustrando
i resultati di tali investi(}azioni, e studiando di in-
terpretare le iscrizioni e riunire qualche brano di
storia antica dell'Asia centrale-
S. Camilli.
Biografìe diverse.
I.
PIETRO BAGNOLI.
A monsignor Carlo E. MuzzareUi. - Ronin,
rima di rispondere alla pregiatissima sua del de-
corso ottobre ho dovuto venire dalla mia patria,, ove
mi ritrovava a terminare le vacanze, a Pisa per la
riapertura degli studi, per rivedere alcuni appunti
che qua aveva lasciati , i quali riguardano la vita
mia per quel tempo che la passai in servigio de'
miei li. e RR. sovrani , e per i quali , essendomi
state domandate ugualmen'e che da lei, alcune no-
tizie di me, per servire alla compilazione del di-
zionario dei viventi, che si fa, credo io, a Parigi,
credei dovermi premunire della permissione del mio
augustissimo signore e padrone, prima di darle, co-
me feci. Si aggiunse, qua venuto, l'occupazione gior-
naliera e quasi continua degli esami di ammissione,
nei quali pur tuttavia mi tiovo, dirò, ingolfato. Ed
anco pensai, che non vi fosse necessità di molta
fretta per le notizie che ella per sua sola bontà, non
per mio merito alcuno, ha voluto domandarmi, che
Biografie diverse 75
forse anco potrebbero essere meglio corredate di cose
che mi restano da dar fuori : per le quali altresì
dirò, che come solatia senectulis riguardandole, pen-
sava d' impiegare quegli anni di vita , che a Dio
piacerà di concedermi, cominciando probabilmente
da quest'anno. Tutto questo basti per scusa del ri-
tardo della l'isposta.
Ora di me le dirò, che sono verso i 60 anni.
Nacqui in Samminiato di Antonio Bagnoli e di Anna
Castelli, di condizione onesti, di stato mediocri. Feci
i primi sludi nel seminario vescovile della mia patria,
preso avendo da giovinetto l'abito ecclesiastico: e pure
da giovinetto fui scelto per segretario dal mio vescovo
quel tempo monsig. Brunone Fazzi. Passai poi a que-
sta università agli studi dell'una e dell'altra legge, non
già per esser legale, essendomi ordinato prete, ma per-
ché il posto di grazia del mio paese, che ottenni, esige-
va il conseguimento della laurea dottoiale Quello stu-
dio scelsi per compiere il dovere: nel resto mi dedicai
lutto alle lettere ed allo studio del greco. Fui dotto-
rato nel 1795. Appena dottorato, e richiesto dal march.
Federigo Manfredini allora maggiordomo magg. di
S. A. R. il gran duca Ferdinando III di gloriosa
memoi ia, mi trattenni con esso più in qualità di per-
sona di sua compagnia che di segretario: finche nel-
r occupazione della Toscana, e nella partenza del
mio R. sovrano, da lui invitato, lo seguii e nel viag-
gio e nella dimora in Vienna, dipoi in Salisburgo:
e nell'invasione anco di quel suo stato, in Ungheria:
fintantoché in Wiirzburgo dopo pochi mesi mi per-
mise per sua R. clemenza di ritornare in Toscana ,
con suo decreto ritenendomi nella dipendenza, e di-
7G Letteratura
spensanclomi dall' attuai servizio. Questo mio servi-'
zio era eli precettore dei RR. aiciduclii, trai quali,
nella sua fanciullezza, di questo mio a! presente [.
e K. padrone felicemente regnante , e di esecutore
di qualunque altro suo ordine di cose letterarie, in
specie di poesie per musica, essendo già a stampa
alcuni drammi ( i più sacri ) ed altri inediti. Nella
dimora in Vienna fui anco scelto per fare esercizio
di latino con S. A. R. il principe Leopoldo di Na-
poli, per un'ora di ciascun giorno: e ciò fu, mi pare,
per un anno. Nel mio primo ritorno in Toscana
ebbi dalla regina reggente il decreto di professore
di storia e letteratura nell'università di Pisa: ma non
esercitai per la mia dipendenza dal R. gran duca
mio padrone. Durò circa un anno la mia dimora in
Toscana , e ritornai in Germania , dove da Vienna
aveva incombenza dall' imperatrice Maria Teresa di
alcuni drammi che io feci, e che sono colà rimasti
inediti, e mi trattenni dopo la morte di quell'impe-
ratrice in Vienna fiao al 1811, quando ritornai sta-
bilmente in Toscana. In quel tempo, coll'assenso del
mio R. padrone, presedeva all' educazione letteraria
dei figli del sig. principe don Tommaso Corsini, e mi
occupava delle mie povere composizioni, già d'avanti
cominciate, di poesia. In quel tempo medesimo fui
per titolo di onore eletto can. della mia cattedrale
di Samminiato. Piacque poi alla divina provvidenza
di richiamare il nostro augusto amatissimo padrone
in Toscana ; ed allora, vacata la cattedra di lettere
latine e greche in questa università, fui io fatto pro-
fessore nel 1816, dove finora mi ritrovo, e fui dopo
anco eletto accademico della crusca, saranno già, mi
Biografie diverse 77
pare, sette anni. Questo, dirò, è il breve sommario
della mia vita, lasciando molle particolarità, per esem-
pio e di scuole dal 1. e R. granduca Ferdinando HI
ottenute e stabilite in mia patria, e dell' accademia
di scienze e lettere riformata, e di altre ec. Fui anco
onorato di commissioni poetiche, da quando era gran
principe di Toscana , da questo I. e R. granduca.
Delle mie povere cose, che sono pubblicate, nulla di-
rò. Quél mio poema forse una volta sarà meglio co-
nosciuto. Vi sono le poesie varie , e le prose sulla
lingua italiana , ed altre cose nel giornale pisano.
Le latine, in specie le orazioni inaugurali, che sono
stale ogni anno, dirò, compatite, saranno, se Dio mi
dà vita, ancora una volta fatte pubbliche. Ed aviei
idea di cominciare dentro quest'anno dalle cose gio-
vanili: giacché, mi permetta che dica e fìnisco, che
una disposizione naturale mi faceva fare i versi fino
dall'età infantile di 6 anni.
Credo, che questo potrà bastarle: poiché ella
ha la generosa bontà di volermi onorare co' suoi
scritti, dai quali ripeterò, quello che per me e per
le cose mie non avrei potuto conseguire, quel nome
cioè al quale aspirano per natura in special modo
coloro che si danno all'esercizio delle lettere, e del
quale le anticipo la mia riconoscenza unita all' alla
stima e distinta, colla quale mi segno.
Di lei sig. e padrone venerai.
Pisa 23 novembre 1829
Devmo: AfFmo: servitore
Pietro Bagnoli.
N. B. Il celebre letterato, nato nel 17G4, passò
agli eterni riposi il 22 di ottobre I84T.
78 Letteratura
II.
Antonio Lombardi
A monsignor C. E. Muzzarelli.
Ella mi onora troppo collocandomi fra gli il-
lustri viventi, ben consapevole a me stesso di quanto
tenue portata io sia; ciò nulla meno, per obbedirla,
eccole in pochi tratti le desiderate notizie.
Modena mi è patria: dove nacqui da onesti ge-
nitori il dì 22 settembre dell'anno 1 768. Entrai nella
estense biblioteca nell' anno 1790, vivendo allora il
chiarissimo cav. Girolamo Tiraboschi, da cui fui no-
minato esecutore testamentario: e presto pur troppo
eseguir dovetti le tristi relative incombenze , poi-
ché egli mori nel 1794 ! Allora io divenni bibliote-
cario in solido coH'egregio sig. ab. don Carlo Cioc-
chi, che aveva già sotto Zaccaria faticato all'impianto
della sunnominata biblioteca, e col eh. padre Pom-
pilio Pozzetti che poi passò nel 1807 bibliotecario
a Bologna. Io sono sempre restato in biblioteca, ed
il graziosissimo mio sovrano Francesco IV, allor-
quando ricuperò il trono de' suoi avi, si degnò di
nominarmi nel 1814 primo bibliotecario: carica che
copro tuttora Fin dal 1801 divenni il segretario am-
ministratore della società italiana delle scienze; e quan-
do la sede di questa, dopo di essere restata in Mo-
dena dal 1797 al 1807, interpellatane però, fu re-
stituita a Verona, io cessai da tale incombenza, ri-
presa poi nel 1815, allorquando la sede suddetta si
restituì a Modena. All'epoca poi della morte del segte-
Biografie diverse .Tì9
tarlo di essa società P Sante Fattori, avvenuta nel 1811),
io fui eletto segretario,come lo sono attualmente, soLto
la presidenza del eh. nnatematico sua eccellenza il si^j-.
march. Luigi Rangoni ministro di S. A. R, il duca
di Modena. Alcuni anni prima del 1819 io era già
stato scelto a socio attuale. Le poche cose da me
stampate consistono nelle seguenti:
Elogio del cav. Tiraboschi pubblicato nel 1796
a Modena.
Tre memorie, una sulle aste per le livellazioni,
un'altra sui ripari dei fiumi, e l'ultima, in cui pren-
do a confutare gli stravaganti principi! idraulici del
francese Bernard, sono inserite nei tomi della società
stessa: dove pure trovansi gli elogi di Malacarne ,
Bonati e Fabbroni, soci defunti, da me composti e
pubblicati. Finalmente l'opera intitolata: Storia della
letteratura del secolo XVIII; di cui ho già pubbli*
cali tre volumi: e il quarto ed ultimo uscirà, a Dio
piacendo, fra pochi mesi.
La lunga mia permanenza nella biblioteca estense
mi ha dato campo di arricchirla de'molti cataloghi
ragionati: e questi sono quelli della matematica, della
fisica, della giurisprudenza, dei codici latini in parte,
e degli italiani per intero. Adesso mi occupo a com-
pilare il catalogo delle edizioni del secolo XY, di
cui è ricca per la sovrana munificenza la biblioteca
R. di Modena.
Eccole, pregiatissimo signore, quanto dirle posso
in breve della mia persona. Ella poi faccia quell'uso,
che più crederà opportuno , di simili notizie: e mi
onori de' suoi comandi, mentre passo a dichiararmi
con profonda stima ce.
Antonio Lombardi.
80 ag- Letteratura
fC. ìimsvvB- >ino«Raaf»ib fii
jM.i- r;:> ;.!i;'i;ij;'. ji^i medesimo.
Io me le professo molto tenuto per le anno-
tazioni alla mia storia che ella ha avuto la genti-
lezza di spedirmi nell'ultima favorita sua lettera: ed
io le disporrò al loro posto , quantunque per ora
non possa aver luogo per parte mia una ristampa
di questa mia opera, e ciò per il motivo che vado
brevemente ad esporle, onde anche V. S. sia infor-
mata della buona fede che regna presentemente nel
ceto librario. Io ebbi nello scorso luglio una pulita
lettera da uno stampator veneziano, in cui mi espri-
meva la sua intenzione di ristampar la mia storia
della letteratura italiana del secolo XVIII, e mi chie-
deva se avessi giunte e correzioni da somministrar-
gli per questa nuova edizione. Io non mancai di ri-
spondergli prontamente, che aveva già raccolto va-
rie correzioni e giunte, e che io gliele avrei som-
ministrate a patto che fossero messe appiedi della
nuova edizione, con gli asterischi come praticò il cav.
Tiraboschi, e che se ne tirassero copie a parte per
quelli che possiedono la mia edizione di Modena.
Soggiungevo poi , che siccome io ho poco più di
trenta copie in 4 di detta storia invendute , così
prima di somministrargli le dimandate giunte io de-
siderava che mi aiutasse nell'esitarle. Quale risposta
crede V. S. che mi abbia dato costui? Mi ringrazia
di queste mie offerte, ma non può accettare il par-
tito: e contemporaneamente, o forse anche prima di
scrivermi la prima lettera, aveva già pubblicato un
manifesto in data di luglio; manifesto, che sarà forse
giunto anche costì, in cui dice di ristampare la sud-
Biografie diverse 81
delta storia con giunte correzioni ecc. che gli som-
ministrava un valente scrittore. Ecco come trattano
oggi giorno i librai! Io gli ho risposto che faccia
come più gli piace ; ma che non avrà sicuramente
le mie giunte e annotazioni; e si guardi dal toccare
il testo nella sua nuova stampa ; perchè allora mi
saprò far render giustizia in faccia al pubblico. Ec-
cole le ragioni, per cui io adesso non posso pen-
sare a ristampare questo mio lavoro: ma se un di
lo facessi, non mancherei di far uso di molte delle
sue correzioni. Io convengo nella massima parte delle
medesime. Mi perdoni questa lunga chiacchierata e
nuovamente ringraziandola mi protesto con tutta la
stima ec.
Modena 22 settembre 1831.
Antonio Lombardi.
III.
Luigi Ciampolini.
Dal fu Giovanni Ciampolini, cancellier maggiore
della corte criminale, e dalla signora Laura Banchi,
nacque primogenito in Firenze il dott. cav. Luigi;
e siccome il padre per ragion d* impiego non avea
quivi ferma stanza, passò Luigi in Empoli gli anni
dell'adolescenza con l'avo paterno, il quale fu sol-
lecito di coltivare con buoni elementi lo svegliato
ed attento ingegno del giovinetto. Resosi poi in Fi-
renze, piosegui il cosi detto corso letterario presso
1 PP. delle scuole pie: e guadagnatosi per concorso
uu posto gratuito nel collegio Ferdinando di Pisa,
G.A.T.GXV. 6
82 Letteratura
yi dette opera alacremente alle discipline filosofiche
e legali. A queste però tenne dietro contro sua vo-
glia e solo per compiacere al padre; ma appena ri-
portatane la laurea dottorale, i digesti e le chiose
ebbero eterno addio , perchè si sentiva rapito dal
proprio ascendente verso i laureti del Parnaso ed i
portici dell' accademia; benché conoscesse che que-
sto era campo che non poteva produrgli che qual-
che fiore; e l'altro, cui voltava le spalle, poteva dar-
gli in pugno messe ubertosa di frutti, che tanto ap-
prezza se non la più sana , certo la maggior parto
degli uomini. Tutto dunque si dedicò alle lettere
umane sotto la disciplina del P. Pagnini, che lo av-
viava con franchezza a penetrare e gustare le bel-
lezze dei latini scrittori; ed il professor cav. Gio. Ro-
sini, con efficace esempio, in ogni ramo della ita-
liana eloquenza gli additava la via per giungere a
nobil meta. La fortuna gli fu propizia a questa età
col presentargli in Francesco Benedetti un degno
condiscepolo ed emulo, quantunque più provetto ne-
gli studi: ed ebbe in venerazione di padre e mae-
stro il Pignotti, che conosciuto l'ingegno e la buona
indole del giovine, gli dimostrava parziale affezione,
animandolo con severa critica nella bene intrapresa
carriera. E di questa bontà, e di queste amorevoli
cure, egli conservò gratissiaia ricordanza finché gli
bastò la vita.
Lasciata la pisana università, Luigi ritornava al
paterno tetto colla mente rischiarata da nuovo lume
e fornita di sani e retti insegnamenti, i quali col-
l'applicazione dovevano mostrare apertamente qual
genio e qual animo si avesse. Egli s'imbattè in tempi,
Biografie diverse 83
in cui tutta Europa era agitata dallo spirito di cose
nuove, ed una sola mano faceva tremar le corone
sulla fronte dei monarchi: talché gli sguardi dell'uni-
versale stavano intentamente rivolti al sole che spun-
tava, e tutti plaudevano all'ordine degli insoliti eventi
che prognosticavano. Laonde cambiate le sorti pur
della Toscana, fu chiamato il Ciampolini a coprire
un delicato se non luminoso impiego, che però gli
lasciava agio sufficiente di continuare i suoi studi
prediletti, ponendosi con metodo a fare dei sugosi
estratti di quegli autori che s'eia resi assai familiari,
e che gli furono sempre compagni alla buona e alla
mala ventura. Di questo suo costante ed esemplare
esercizio fauno fede le molte carte lasciate, nelle quali
pure rinvengonsi le versioni eleganti e fedeli de'più
belli squarci che negli scrittori greci, latini ed in-
glesi, lo avevano nel meditarli colpito. A questi anni
devesi riferire 1' edizione che insieme al professor
Vincenzio Nannucci procurò delle rime d' Angiolo
Poliziano , con aggiunta di alcune di esse rimaste
fino allora inedite, corredandole di brevi ed oppor-
tunissime annotazioni. Ingenuo per carattere e di
semplici e delicate maniere, la poesia pastorale a sé
lo attrasse; e dettò molti componimenti di vario me-
tro in questo stile, che se il più umile ti appare, ti
riescirà all'opera il più laborioso, ove tu voglia che
le selve sien degne delle eulte e gentili persone. Tra
queste poesie egli trascelse quelle che credè poter
fare in pubblico miglior comparsa , e le conseguo
alla stampa. Però 1' età per tal genere di rime era
passata ; e l' autore, benché lodato , non ne ritrasse
incoraggiamento condegno alla fatica.
84 Letteratura
Caldo amatore di questa nostra Italia, ne visitò
le città capitali ; e Roma, che ben quattro volte lo
ebbe ammiratore, così gli s'impresse nell'animo, che
con vivo entusiasmo amava intrattenersi delle sue
grandezze come di cosa veramente divina. Quivi
strinse amicizia col Biondi, l'Amati, il Sestini ed il
cav. Salvatore Betti, i quali 1' ebbero carissimo ed
in gran conto. Frattanto la Grecia avea innalzato il
sacro vessillo, sotto il quale accorr evasi d'ogni banda
per redimersi dalla servitù musulmana a libera vita,
o seppellirsi nelle proprie ruine. Allora fu che il
Giampolini si rese a Corfù, ove si dedicò all' inse-
gnamento della letteratura latina ed italiana in com-
pagnia del professor Nannucci, che l'avea colà pre-
ceduto di alcuni anni ; e quivi preferì dare lezioni
a proprio talento ai molti giovani che ne lo richie-
devano, piuttostochè accettare la cattedra che a Zante
o a s. Maura dal governo gli venne esibita. Così
ebbe ogni comodità di raccogliere notizie particolari
e sicure sui casi della guerra che ardeva tra i tur-
chi e varie province elleniche, e queste da testimoni
di fatto o da sorgenti non dubbie gli erano som-
ministrate; quindi fattone tesoro, rivolse il pensiero
a tessere la storia del risorgimento della Grecia, ed
esordì abbozzando il commentario della guerra de'
Sulliotti. Il tristo clima, per altro, di Corfù sin dal
suo giungervi gli si mostrò avverso alla salute: e ve-
dendosi deperire gravemente , nella primavera del
1826 risolse dopo quattr' anni restituirsi in patria:
ove poco dopo il suo ritorno pubblicò con plauso
generale il commentario qui ricordato , che parve
scritto, al dire di un valentissimo critico, con gra-
Biografie diverse 85
ykh più romana che greca (1). Nel 1832 dette fuori,
senza il suo nome, un romanzo storico: « La presa
di Ravenna: » che fu letto con molta avidità; e poco
dopo un' altra operetta che gli piacque chiamare
« Viaggio di tre giorni. » In essa dipinge alcune
scene della moderna società, spargendole d'attico sale
da chiamar sulle labbra un riso urbano, temperato,
non mai cinico.
Nel mentre che andava dettando dei brevi scritti,
peichè la debole salute non gli concedeva darsi a
gravi e lunghe meditazioni, si applicava del pari a
limare e forbire i componimenti già conosciuti sì
in prosa e si in rima, e ne dava una più accurata
edizione in due volumetti. A tali letterarie eserci-
tazioni univa il Ciampolini a questi giorni una oc-
cupazione santa e filantropica per eccellenza: questa
si fu la colletta che , alle preghiere della commis-
sione dell'università d' Atene, imprese , onde prov-
vederla caritatevolmente di libri d' ogni specie, che
servir potessero all' istruzione della greca gioventù.
Di tutto cuore abbracciò il nobile ufficio: e facendo
istanze a principi, a privati, ad amici e ad ogni ge-
nerosa persona, raccolse più e più casse di utili opere
antiche e moderne, che avviò colà d'onde a noi de-
rivò per l'avanti la gentilezza, il sapere, ed i semi
d'ogni arte ingenua e del viver civile. Talché il go-
verno ellenico , in ricompensa del di lui zelo per
aver corrisposto all'invito oltre ogni speranza, lo de-
corò della croce aurea di cavaliere dell' ordine del
Salvatore, e gli rese pubblicamente quelle grazie che
seppe maggiori.
(1) Tommaseo, Sludi critici, P. I, pag. 418.
86 Letteratura
Restava sempre al Ciampolini un antico voto
da sciogliere , onde porre in chiara e sincera luce
gli viltimi casi che dopo tante stragi , tanta tenace
crudeltà , tanti tradimenti sofferti dalla musulmana
tirannide, produssero all'ElIenia un governo umano,
giusto e secondo il sacro dettame del diritto e della
sana ragione, ed assicurarono il libero esercizio della
religione e del culto di quelle contrade, che da ben
oltre tre secoli la feroce ottomana ignoranza avea
pervertito e contaminato. A questo scopo avea l'ami-
co nostro mirato da vari anni, leggendo, conside-
rando maturamente e tra loro raffrontando tutte le
opere che sul doloroso e nobile argomento eran com-
parse dai primi moti fino al presente; e giovandosi
delle giuste critiche che ad esse venivano opposte,
e dei sicuri documenti che da sé stesso a puri fonti
avea attinto, si pose alacremente all'ardua impresa di
tessere in dieci libri la storia del risorgimento della
Grecia. Questa sua estrema fatica, frutto di vari anni
di coscienziose indagini e di lunghe meditazioni, sa-
rebbe già da molto tempo di pubblica ragione, se
r esser egli rigidissimo anzi incontentabile censore
di sé stesso, non n'avesse con severchia lentezza fatta
procedere la stampa ; forse anche si opponeva alla
bramata speditezza la vacillante e mal ferma salute,
che di giorno in giorno vieppiù declinando, dava gra-
vissimi timori sulla sua vita. Né questi sventurata-
mente riuscirono vani : poiché fatta indomabile la
tise che l'avea insidiosamente assalito, la mattina del
30 aprile del corrente anno, con rara ed invidiabil
tranquillila , confortato dai soccorsi della religione ,
rendeva l' anima all' amplesso amoroso del Creatore.
Biografie diverse 8t
La fortuna , che non si mostrò mai seconda al buon
Ciampolini nel fior deg^li anni e delle speranze, se gli
manifestò avversa anche sul finire dell'età, negando-
gli la soddisfazione di veder pubblicata per intero
la sua storia (1), e moriva ignorando con quali cor-
tesi parole S. M. il re Ottone concedeva che questo
estremo lavoro gli venisse intitolato (2).
Varie accademie e società letterarie d'Italia lo
inscrissero nei loro ruoli, ed in quella della crusca det-
te esempio di zelo ed operosità al maggior uopo la-
sciandovi bella ricordanza del sapere e del suo fino
gusto in fatto di lingua. Contò amici ed estimatori
quanti lo conobbero e seppero apprezzarlo ; né può
fra questi tacersi Labindo, Foscolo, Larapredi, Giorda-
ni e Leopardi, coi quali in modo speciale godeva ram-
mentarsi avere avuto la più cara domestichezza.
Da tre anni egli avea condotta in moglie la si-
gnora Margherita Casini, già vedova del capitano A-
lessandro degli Alsssandri, che ebbe carissima; ed amò
come vero padre la di lei figlia Marianna, che segui-
va la madre sotto il tetto del secondo marito. Le ul-
time disposizioni testamentarie del nostro Luigi pale-
sarono qual cuore ei s'avesse, e quanto gli fosse cara
(1) Dopo avefne affidato il mauoscritlo completo al di lui amico
Giuseppe A'iaziì per condurne la stampa, egli non giunse a rivederne
le prove che a tutto il terzo libro Ora l'opera, composta di 2 voi.
in 8 , è in vendita alla libreria di Guglielmo Piatti al prezzo di L.
30, ossia franchi 10. 80.
(2) Nel di 12[24 maggio del corrente anno, il sig. dott. Filippo
di Giovanne, professore all'università di Atene e direttore della bi-
blioteca particolare di S. M. il re di Grecia, partecipava con lettera
al cav. Ciampolini, a nome del re, la permissione di dedicargli la sto-
ria del risorgimento della tìi'ecia qui allegata
88 Letteratura
la memoria dei parenti e degli amici suoi, quali vol-
le gratificarsi. Nel chiostro dei PP. domenicani di san
Marco un modesto titolo accenna che quivi la pietà
della moglie componeva le ossa del lacrimato Ciam-
polini. G. A.
IV-
GIOVANNI BATTARRA.
Vi ha degli uomini d' ingegno e di dottrina ;
ad estimare i quali basta il nome e il valore di chi
li pose e accompagnò nella via del sapere. A co-
noscere l'abate Giovanni Batiarra basta sapere, che
fu suo maestro ed amico quel Giovanni Bianchi di
Rimino, che nel passato secolo fu lume alle scienze
naturali; e aggiunse alla patria nativa, aggiunse al-
l'Italia, una schiera di generosi , che tennero vivo
fra noi il sacro fuoco della sapienza: quel fuoco ,
che gli esterni nemici, i quali disertarono tante vol-
te e tanto barbaramente queste belle contrade, mai
non seppero toglierci, con tutta la prepotenza della
tirannide.
Giovanni Antonio Battarra nacque in Rimini a'
9 giugno 17 14 di Domenico e di Giovanna Fran-
cesca Fabbri: studiò e professò poscia filosofìa, e fu
ecclesiastico, botanico, e idraulico quando il clero,
intendendo la sua missione sulla terra, tutto volge-
vasi con operosa carità a giovare i simili si nella
morale e si nelle scienze e nelle arti. Egli aiutato
pili dal suo buon volere che dalla fortuna , spesso
avversa ai migliori , trovò modo di occuparsi mai
sempre negli utili studi , come fa chi conosce il
Biografie diverse 89
pregio del tempo, e sa bene usarne a bene proprio
e della umanità.
Un suo viaggio in Toscana , fatto per amore
delle scienze naturali , lo invogliò poi di darsi più
specialmente ad illustrare una parte di botanica, che
voleva occhi di lince e maturità di giudizio nell'os-
servare. Nei dintorni di Rimini crescono funghi (1) in
copia: ed egli, confortato ben anche dal suo mae-
stro, si mise a studiarli con tanta cura , che potè
darne acconciamente la storia. Li presentò ordinati
in classi, e nuove specie ancora ne fece conoscere
con figure disposte in 40 tavole : le quali figure,
disegnate da lui stesso con esattezza, fannosi perdo-
nare la mediocrità dell'incisione. Egli si oppose ra-
gionevolmente al pregiudizio allora quasi comune ;
provando ad evidenza , che non dal fracidume na-
scono i funghi, ma da semente. E siccome fra quelli
da lui scoperti uno sopra gli altri si distingue per
caratteri particolari ; cosi non è maraviglia , se un
gran botanico a' nostri giorni s' indusse a farne un
nuovo genere sotto il nome di Battarra (2).
Il dotto ecclesiastico pubblicò ancora due opu-
scoli tra gli altri: Litterae ad C. Toninium, negli atti
dell'accademia di Siena tom. IV; ed Epistola selecta
de re naturali observationes complectens^ cum tabulis
aeneis (Rimini 1774 in 4).
Né gli parve dovere esser contento di aver nome
e merito distinto tra gli scienziati. Mirando a giovare
(1) Fungorum agri ariminensis histoi'ia (Faenza 1785 e 1759 ia
4. con 200 figure. )
(2) Biografia Universale voi- IV, Venezia per Missiaglia, art.
Battarra a pag. 454.
00 Letteratura
i più idioti diede per questo la Pratica agparìa. in
dialoghi intellig{jibili agli stessi più rozzi agricol-
tori (1): de' quali io pure feci un cenno in queste
carte (2). E prima ne fu lodato da quel sano giu-
dizio di Filippo Re ( mio onorevole maestro ) nella
Bibliografia georgiea. Sono degni di osservazione
due dialoghi, i quali mostrano come ei valesse an-
cora nelle cose di geodesia e d'idraulica (e lo aveva
fatto conosceie a'tresi in cose gravissime attinenti al
porto di Rimini). Toccano precisamente de'Ripari et
rivi^ torrenti e fiumi nelle loro corrosioni ai campi
adiacenti. Né sono da tacere altri due dialoghi Delle
fraudi e maliziose costumanze de" contadini roma-"
gnuoli. Rilevantissimo poi si è il dialogo Della col-
tura delle patate: coltura consigliata da tanto tem-
po, e non ricevuta ancora generalmente quanto si
potrebbe, e dirò anzi sì dovrebbe.
Tante fatiche del Batta rra a pubblico bene do-
vevano meritargli l'amore di tutti, e i premi degni
al sapere ed alla conosciuta bontà; incontrò invece
l'invidia cittadina (peccato antico) , cui i più dotti
sono esposti pur troppo!
Il giorno 8 novembre 1789 fu l'ultimo di sua
vita , della quale buon conto diede il degno suo
concittadino D. Michelangelo Rosa nella biografia
con ritratto uscita con quelle d' illustri romagnuoli
in Forlì , per cura del benemerito conte Antonio
Hercolani: un cenno ancora ne diede la Biografia
universale antica e moderna', né la lode di lui, ope-
(1) 1. edizione Roma 1778: 2. Cesena 1782: 3. Faenza 1794,
voi. 2. in 8. con figure.
(2) Giornale arcadico, ottobre 1832 a pag. 31 e segg-
Biografie diverse 91
roso cultore degli utili studi, per tempo o per invi-
dia può scemare oggimai nelle bocche e nel cuo-
re di tutti i savi. Tarda , ma degna ricompensa al
merito riconosciuto !
PROF. DOMENICO VACCOLINI.
FRANCESCO BERTELLI.
In Panzano, umile luogo della provincia di Bo-
logna, nacque a'24 febbraio del 1794 Francesco Ber-
telli dagli onesti coniugi Antonio e Giustina Roncati:
i quali accortisi ai primi lampi del buono ingegno
del giovinetto, lo posero ad imparare un pò d'ita-
liano e di latino da un abate Medici napoletano;
poi dall'egregio Camillo Minarelli bolognese ad ap-
prendere gli elementi di aritmetica, algebra e geo-
metria. Maravigliò il Minarelli, spartissimo institu-'
tore, alla prontezza di Francesco nell'entrare ai mi-
steri delle scienze esatte: e di 13 anni lo mandò
all'università a fare il corso di matematica in classe
d'ingegnere architetto. Io gli fui compagno ed amico
per quei tre anni di studio, né lo abbandonai fin-
che egli ebbe colto il premio di sue fatiche, dico il
grado accademico nel giugno del 1811 con somma
lode e con menzione al governo tra i più distinti
allievi delle scuole in quel tempo, in cui i giovani
anelavano alla gloria degli studi con quell' ardore,
onde altri anelavano agli allori di Marte capitanati
da Napoleone. Le lunghe veglie , i brevi sonni ,
la continua applicazione meritarono a me pure lo
92 Letteratura
stesso onore del Bertelli. Da quel momento ci divi-
demmo con dolore: ma circostanze imperiose di fa-
miglia richiamavano me a casa, dove esercitai l'ani-
mo istruendo nelle matematiche e nella fisica e nel-
l'universa filosofìa i giovani concittadini. Ma il Ber-
telli attese e più intensamente alle teoriche , e ag-
giunse per quattro anni la pratica; onde nel 1815
fu abilitato solennemente all' esercizio d' ingegnere
civile Prestò 1' opera sua alle così dette assunterie
degli scoli con tanta sollecitudine e intelligenza, che
ha pochi esempi. Frattanto la sapienza di Pio VII
col consiglio dell'egregio professore Giuseppe Ven-
turoli (che nomino con devozione di discepolo) ebbe
dato il nuovo regolamento delle acque. Così del
1817 il corpo degli ingegneri d'acque e strade in-
stituito, il Bertelli vi fu nominato; fugli offerta an-
che la cattedra d' idronietria in Roma: e da ultimo
impiego d'ingegnere in Ravenna. Ma egli modesta-
mente ringraziava di tutto il governo, non sapendo
risolversi di abbandonare Bologna : dove ordinate
le congregazioni consorziali, egli fu eletto ingegnere
di quella ragguardevolissima del canale delle botte,
non che di quella del Desolo: cui prestò onorata
servigio sino agli ultimi della vita. Così potè sem-
pre congiungere la pratica alla teorica : ciò che è
al tutto necessario a perfetto ingegnere. Così venne
in fama di buon giudizio : talché tutti volevano o
l'opera od il consiglio di lui nelle cose gravi e dif-
ficili, e contenti ne ritornavano. Quindi non è ma-
raviglia, se del 1826 la società agraria lo volle de'
suoi membri ordinari: e del 1831 dal governo fu
ascritto al collegio filosofico dell'università, del 34
Biografie diverse 0.3
fu fatto socio ordinario dell'accademia delle scienze
dell'istituto, che ricorda i beneficii e le glorie del-
l'immortale Benedetto XIV: del 37 fu de'pensionari
dell'accademia stessa. Egli a tutto soddisfaceva senza
iattanza, e colla modestia vinceva l'invidia e sforzava
all'ammirazione del suo merito: perchè mancato il
prof. Lupi alla scuola d'introduzione al calcolo, e va-
cando quella di matematica applicata, egli il Bertelli
fu chiamato dal governo spesso a supplire all'uno e
all'altro insegnamento del 1834 e 35. E non andò
guari, che la sacra congregazione degli studi lo no-
minò astronomo aggiunto alla specola con dargli il
peso delle lezioni di astronomia propriamente detta,
e di ottica nella università, e di attendere in parte
anche alle effemeridi celesti. L'anno appresso fu ac-
clamato socio d'onore dall'insigne accademia di belle
arti: ed era già consigliere del comune di Bologna,
e membro della commissione incaricata del 1838
dell'ordinamento della scuola Aldini di fisico-chimi-
ca applicata alle arti.
Il tempo che gli rimaneva da tante e tante va-
rie occupazioni lo impiegava il Bertelli a dettare me-
morie ed opere di grande pubblica utilità : tale si
fu il Saggio di una nuova teoria suW equilibrio delle
volte^ applicabile generalmente alla pratica: e la me-
moria SulV importanza di condurre a maggior perfe-
zione le effeìneridi celesti. L' accademia benedettina
degnò dell'onore della stampa que' giudiziosi lavori
di una mente giudiziosissima, di cui l'accademia me-
desima ebbe altre riprove quando udiva leggere da
lui la Storia delle osservazioni astronomiche eseguite
nella specola di Bologna dalla sua erezione fino al
94 Letteratdra
1835, e due memorie di ottica^ ed altre ancora so-
pra argomenti fisico-matematici della più alta im-
portanza. Ma questi erano piccoli voli , che prelu-
devano al majTgior volo: parlo degli Elementi di mec-
canica celeste degni di venire in ischiera cogli Ele-
menti di meccanica ed idraulica di quel sommo mae-
stro, professore Venturoli; il quale rallegrandosi del-
l'opera del Bertelli, come di quelle del Castelli l'im-
mortale Galileo, giudicava che ai futuri progressi del-
l'astronomia fisica servirà l'incitamento e l'aiuto che
il Bertelli ne ha dato con tale opera , che sotto il
modesto titolo di elementi abbraccia tutta l'estensione
di una scienza^ che ben a ragione è considerata come
il massimo sforzo dell'umano intelletto^ e la più alta
prova delle sue forze. Ed il Santini, astronomo di Pa-
dova, sentenziava l'opera stessa di sommo vantaggio
agli studiosi della meccanica celeste, rallegrandosene
coU'autore e coU'Italia: ed il Bianchi di Modena en-
comiava l'autore medesimo di aver dato un così bel
testo d'istruzione, che ci mancava. E per tacere più
altre testimonianze di senno italiano basti quest'una:
ed è , che il professore Bertini , segretario per le
scienze dell'accademia di Lucca, presentava il libro
del Bertelli al congresso degli scienziati nell'ottobre
del 1843, e ne scriveva a lui molte Iodi a nome
dei dotti ivi raccolti. Queste lodi si riferiscono al
primo tomo degli Elementi di meccanica celeste.
Quanto al secondo, egli ne aveva in punto la ma-
teria, che andava riordinando quando io lo vidi il
1 di dicembre 1843, e lo pressavo a darlo alla lu-
ce per maggior bene della gioventù e della scienza
altresì: ed egli troppo buono mi ringraziava d' alcuni
Biografie diverse 95
suggerimenti datigli sino da principio intorno allo
stile, che gli raccomandavo fosse chiaro, piano, fa-
cile, senza trasposizioni, senza artifizi ; ma semplice
e ingenuo, e foggiato al tutto su quel modello de-
gli Elementi di meccanica ed idraulica del già com-
mendato maestro prof. Venturoli. Io mi dividevo da
lui dopo la solennità dei premi di belle arti : spe-
ravo rivederlo quest' anno alla medesima festa : lo
invitavo anzi a venire egli prima da me nella beata
Romagna: ed egli in fiore di salute e tutto cuore
mi abbracciava, e non sapeva risolversi a lasciarmi
andare. Chi avrebbe detto allora, che egli sarebbe
volato ai premi desiderati, ed io sarei rimasto a pian-
gere in questo esiglio!
Ma tronchisi ogni querela: e sia a me ed agli
uomini d'Italia argomento di consolazione il ripen-
sare, che non tutto morì il Bertelli, che vive nelle
sue opere: tra le quali il Progetto di scolo generale
alla destra del fiume Reno , che da chi può cono-
scersi di queste cose fu giudicato frutto di estese
diligenti e profonde indagini , il quale ridonda di
scelta erudizione idraulica^ ed è plausibile nella mas-
sima^ accurato nei dettagli^ e sicuro nei risidtamenti.
Il quale progetto anteriore al 1826 rimane inedito,
e meriterebbe l'onore della stampa: nulla essendovi
di più giovevole alla presente condizione delle nostre
acque quanto il porre in comune gli studi de' più
sottili intelletti a cercar modo di provvedere alla
incolumità delle nostre belle campagne, e delle città
ancora più belle. Ma noi siamo contenti al mandare
lamenti, e non moviamo un dito, non che una mano,
per pubblicare opere idrauliche di tale e tanta uli-
96 LEtTERATUR.4.
lità. Fossero romanzi storici, fossero drammi sangui-
nolenti oh allora, allora !
Tant'è, la lingua vuole sfogarsi; bench è voce
quasi nel deserto. Si grida pur troppo ai sordi ! Noi
scenderemo nella tomba j-enza essere forse ascoltati;
ma però senza il rimorso di avere taciuto, quando
bisognava parlare! Agli uomini di lettere manchi pure
il potere, non dee almeno mancare il volere: e come
individui di questa grande umana famiglia devono
contribuire, quant'e da loro, al bene di tutti: i quali
poniamo siano ingrati, largheggiando solo ai mimi,
ai cantanti, e alla ballerine, sono però nostri fratelli,
e nemici ancora dobbiamo amarli, e tanto più quanto
meno essi ci amano. Bellissimo consiglio, anzi pre-
cetto di quella eterna sapienza, in faccia alla quale
si oscurano le sentenze e i dogmi di Pittagora e di
Platone, e di quanti sono filosofi e saranno.
Tornando al Bertelli, egli fu della commissione
pel nuovo estimo della provincia di Bologna, e fu
operoso e ingegnoso quanto altri mai. Fu deside-
rato altresì consultore al censimento di Roma, invi-
tato anzi da chi vi presedeva con tanto senno; ma
la morte non invitata colse il Bertelli, quando era
meno da aspettarsi. A cinquant'anni non compiuti do-
vette cedere alla forza di un male antico, di cui si
dolse fino da giovane: vennegli impedito il respiro si
fattamente, che già confortato dai sussidi di religione
mancò il 7 febbraio 1844 prima delle ore 9 della
mattina; lasciando in lagrime la sua donna Teresa
Pallotti stimabilissima per la nascita, e piiì per l'in-
gegno e pel cuore: che di quattro figliuoli lo avea
fatto padre. Egli moriva consolandosi di vivere nei
Biografie diverse 97
maschi da lui educati a virtù ed a sapienza , uno
de'quali in cose di belle arti si distingue. Desiderava
compiere la loro educazione, come avea già fatto delle
femmine: ma il cielo disponeva altrimenti, ed egli fa-
ceva sua volontà della volontà di chi tutto dispone
al nostro meglio. Questa santa rassegnazione mi au-
guro io, che ho perduto in quest'anno infelicissimo
prima un amico nel Bertelli: poi un fratello, Anto-
nio Vaccolini^ che mi ha lasciato in pianto da non
rasciugarsi che nella eternità!
PROF. DOMENICO VACCOLINI.
VI.
GIANANDREA MAGRI.
Gianandrea Magri, professore di medicina teo-
rico-pratica nella pontificia università di Ferrara ,
nacque il 1760 nel distretto di Ferrara , da one-
sti parenti , e di fortuna mediocre. Fu educato nel
seminario arcivescovile di Ferrara; e vi compiè gli
studi di belle lettere e di filosofia. Quindi intra-
prese il corso degli studi medici in quella univer-
sità, e vi ottenne la laurea dottorale. Nel patrio spe-
dale civico fece tre anni la pratica, regnando allora
una epidemia, e vi aggiunse la pratica privata col
dotto signor dottore Lorenzo Lenti , allora profes-
sore di patologia. Per consiglio del eh. chimico sig.
dolt. Petronio Ignazio Zecchini , suo precettore di
clinica, con somma diligenza descrisse le storie delle
malattie curate negli anni di pratica. Per volere del
padre passò di poi alla illustre terra del Bondeno,
G.A.T.CXV. 7
98 Letteratura
sostituto del sig. tlott. Antonio Giacobelli medico con-
dotto di rinomata celelDrità , e con indefessa fatici^
curò la dominante epidemia con prospero successo.
Per comando ancora del padre assunse la disastrosa
carriera delle mediche condotte , e la durò inter-
rottamente pel corso di venti anni.
Nel 1800 pubblicò una apologia della nuova
dottrina di Brown col titolo di Medicina senza im-r
postura, colla risposta alle gravi obiezioni del A'^ac-r
cà Berlinghieri di Pisa.
Per la morte del padre dovè prestarsi alla di-r
visione, voluta dai fratelli, del comune patrimonio,
già molto scemato, e gravato di pesi eccessivi. Kì-
cercato dalla comune di Migliaro, ripigliò ivi la con-
dotta medica nel 1808, alla quale nel 1811 gli fu
aggiunta quella di Massa-fìscaglia.
Nel 181G dall'ora cardinale Bernetti, allora pro-
legato della città e provincia di Ferrara, fu chiama^-
to alla cattedra di clinica nella ripristinata univer-
sità. Lungo sarebbe il dire quanto in quella occa-^
sione ebbe a tollerare dalla invidia e dalla cabala
de 'suoi emoli. Ebbe il coraggio di disprezzarli.
Nel 1818 pubblicò il suo compendio dell' arlei
sfigmica, ossia pulsiologia, di cui esiste un estratto
nel secondo fascicolo del repertorio medico chirur-
gico di Perugia. Quest' opuscolo latino fu censurato
in lingua italiana. Dovette rispondere per comando
superiore. Gli fu contra risposto ancora; ed egli sde-
gnò di altro replicare agi' indecenti modi, co' quali
veniva attaccato.
Fu onorato costantemente della corrispondenza
e della amicizia del celebre Tommasiiii, che ne'suoi
à
Biografie diverse 99
libri non una volta fece di lui onorata menzione. Uo-
mo dotto, professore diligentissimo, altrettanto fu sfor-
tunato durante tutto il corso della sua vita, bersa-
glio alle avversità, alla Invidia , alle basse passioni
de'suoi emuli; nuovo esempio da aggiungersi alla sto-
ria della infelicità de'letterati.
Le opere da lui pubblicale sono : 1. Apo-
logia della dottrina di Brown , 1810 Ferrara per
Bianclii è Neri: 2. Artis spliygmicae, sive pulsiologlae
compendium, 1818 Ferrara Bresciani: 3. Sui carat-
teri fisici e morali degli uomini , 1824 Ferrara pel
Pomatelli: 4. Sullo stato presente della medicina in
Italia , discorso pubblicato dal eh. sig. prof. Tom-
masini, 1828, 1829 Bologna per Annesio Nobili. -
Molte altre sono le opere inedite di lui, delle quali
non facciamo menzione per la speranza che si pos-
sano un giorno pubblicare. Amò ancora la lettera-
tura, e si hanno di lui non poche produzioni in ver-
so e in prosa.
Questo egregio medico cessò di vivere in Fer-
rara per malattia epatoperitoniale il giorno 15 luglio
dell'anno 184T.
VII.
AGOSTINO GAGNOLI.
Sciagura che tira lagrime dagli occhi sopra
ogni altra a me pare codesta, che ne fa deplorare
ogni di la perdita dei buoni ingegni e dei valenti;
i quali per forza di mente o di animo nati ad il-
lustrare la patria, appena hanno dato fuori segno di
lor valentezza, vengono meno, o non lasciano che una
100 Letteratura
bella memoria di sé, ed una fallila speranza a chi
(ante n'aveva concepite. Quanti sono mancati in po-
chi anni all'Italia ! quanto ella oquì dì più impove-
risce, e si vede deserta! Agostino Cajjnoli, nato sul
tramontar dell'anno 1810, manca sull'entrar dell'au-
tunno del 1846, toccando appunto il trentesimo se-
sto anno della sua vita, e lasciando in pianto i pa-
renti suoi Luigi e Lucia Orlandini, e la ben' amata
moglie Matilde Paolucci de' Calboli, e gli amici, e
Reggio sua terra natale , e tutti quelli che i buoni
studi ed i cultori loro hanno a cuore. E perchè nel
novero degli amici suoi io sono stato , e forse non
ultimo (1), ho sì fattamente anch'io l'anima trafìtta,
(1) A suggello (lei vero, e perchè sia manifesto quanto mi amò
il buon Agostino, reco qui l'ultima lettera ch'egli mi scrìsse di Gua-
stalla, la quale non ha data, ma e dal contesto della lettera e dal
marchio della posta è chiaro che è del 13 di settembre: un mese in-
nanzi ch*«gli si morisse!
€ Mio caro,
» A te, che in tante occasioni mi hai significato un vero affetto,
11 spero non sarà discaro che io possa finalmente dare di me conso-
» lanti notizie, dopo di aver battuto all' uscio di morte. Se tu però
» mi vedessi, mi terresti ancora per pericolante, giacché sono più
» ombra che uomo vero: ma i medici veggono rimosso il germe della
» distruzione, e mi accertano che col tempo tornerò sano e ad alle-
« gri giorni. Ma quanto non ho sofferto! più non speravo Di mirar
» questa (erra ornata e bella, e credevo quindi per me sempre morti
« la gioconda luce degli astri, e gli amici, e la musica del nostro dol-
» cissimo idioma. Ora prendiamo speranze più serene, e ancora si at-
» tenda il giorno del canto. Ma tutto il verno quanta cura dovrò
» avermi, e come abbandonare ogni studio! A consolare il silenzio
11 e la malinconia della solinga mia celia, io spero che voi, buoni
•1 amici, verrete a visitarmi qualche volta in iscritto, e mi manderete
)) notizie di voi, e scritture per occasioni particolari, mentre io vi
Biografie diverse 101
che non posso ricordarmi lui senza lag^rime, né ho
parole che bastino ad esprimere il mio dolore. S'egli
non altro fosse stato che una dolce amicizia , pure
per quelle rare doli che gli ornarono la vita io do-
vrei sentirmene compunto: perchè ne anima più can-
dida, ne più delicata io mi conobbi, né mente me-
glio disposta a bene, né cuor più caldo di que'santi
affetti che onorano l'uomo, e che oggi o sono in po-
chi, o, se paiono in molti, sono falsati a gran parte,
checché altri possa vantare. Perchè oggi in sommo
d'ogni bocca é la patria; ma pochissimi l'hanno in
cuore, e tengono modo che lei onori : anzi, a in-
tendimento di ritornarla all' antica grandezza, mo-
vono macchine e pensieri o mal misurati, o non sani,
o non opportuni al tempo ed alla bisogna. Agosti-
no amava, e di qual tenerezza non è a dire, la glo-
ria italica, che vai quanto la patria; ma ben vede-
va quali argomenti erano da ciò, e, desiderando a
lei splendore , non preparava ruine agli altri , non
offese , non sangue. Sapeva 1' Italia essere pur essa
nella mente e nel cuore di Dio, nelle mani del quale
solo stanno le sorti delle nazioni: e quindi la cura di
lei raccomandava e fidavagli rassegnato, e conlento
operava egli per modo, che la tralignata ritornasse
degna d'uno sguardo benigno del padie e re degli
uommi. E anziché rinfrescare passioni, e aggiunger
» benedirò d'un officio sì pietoso. Ti scrivo da Guastalla, ma sarò
» a Reggio il giorno IS. Tu a Reggio rispondimi, ed ama sempre il
» tuo tuissimo
« A. CAGinOLI.
Al eh. sig. professore
«.lUSEPPE IGNAZIO MONXAKARI
Osimo.
102 Letteratura
fuoco a fuoco, piangeva i danni della madre comune,
e gridava agli uomini che tornassero la mente a'retti
pensieri, e alla meschina togliessero la vergogna del
vedersi madre di figliuoli tanto lontani da quelli eh'
ella ebbe in antico. E il suo dolore e i suoi concetti
metteva in versi così soavi, che io non mi so se il
secol nostro altri ne abbia che i suoi possano fron-
teggiare. Che la poesia sua è d'una vena sì dolce, sì
soave , che ti empie 1' anima in sulle prime, e ti
scende al cuore con una delicata malinconia; la quale,
senza darti lo strazio onde sono vaghi tormentare le
menti que' che di delitti e di suplìzi soltanto hanno
diletto, ti muove a svariati e sempre cari affetti. Chi
non ha letto e riletto i suoi Versi alla luna^ e non
ha in quella lettura sentito nell'anima una soavità che
nei greci solo e non in altri ha radice ? E le sue
Ricordanze reggiane non sono elleno la più cara cosa
del mondo? Le Ballate di Guido Cavalcanti a Man-
delia di Tolosa non ti mostrano esse un'anima dol-
cissima, soavissima, delicatamente poetica ? Taccio i
Versi a Carolina Ungher : a Saverio Mercadante: Le
rose: Lettere di Flavio Filostrato: Imelda Lamber lazzi;
ma come tacere Le colline reggiane^ nelle quali è tutta
riunita la grazia del Peirarca, la mollezza del Me-
lastasio, l'ingenuità e l'eleganza del Poliziano? Dante
alla pietra di Bismantua non è forse componimento
da onorarsene qual vuoi de' meglio poeti nostri, o
antichi, o moderni? Quale robustezza di pensieri, al-
tezza di sentimenti, forza di colori trovi tu altrove
che qui non sia? Non ti par'egli sentire il ghibel-
lino sovrano tonar in que' versi or di pietà , or di
sdegno , ora di amore? E nelle Traduzioni bibliche,,
Biografie diveiisk 103
«pezialmcntc della QuUica, non v«!tK;.si rjfli la inac^stà
e la sublimità ebraica vcslila nella .s|)l<;n(ji(le//a d'una
poesia, di cui pochi (;.s(Mn|>i ha Pilalia ? K non er(hilo un
poeta, e l'abbiamo perduto in tal tempo ch<; si pare;
la vena della buona poesia essere diseccala o pei- di-
seccare al lutto: la fpial cosa è c(;rl,o gran dolore
a chi ama l'onore delle lettere e della nazione. Non
ha molti anni che in giovine età mancò forsardi: og{;i junc in
verdissimi anni passa di fpj<;sta vita il Cagnoli , il
quale solo quella iattni'a fac
riscono dalle lente e penose ricerche de'falti, miran-
do unicamente alla scienza delle idee, la quale non
avendo d'ordinario bastevole riprova in quelli, più
a sogno d'inferqii che a scienza somiglia. Un legame
naturale esiste fra l'antiquaria e la storia. Di^versa è
in certo modo L'uffizio dell'una da quello dell'attrai
ma tendoao araendue senza dubbio allo stesso fine;
a schiuderci gli arcani del sapere de'no^lri maggiori,
a farci conoscere come e quanto abbia esso confe-
rito ^L progresso umano. E se per avventura mos-
sero talvolta in diverso cammino, avendo l'esperienza
mostrata alcuni sommi ingegni essere valenti archeo-
logii, ma storici rpediocri : ed altri storici preclari,
ma se non stranieri dalle cose di archeok)gia, poco
esperti di esse per le meno : ciò è provenuto non
daUa materia di entrambi questi studti , ma sibbene
dall'idea imperfetta che gli uni e gli altri, gli ar-
cheologi e gli storici, aveano della materia che pro-
fessavano. A. scusar questa imperfezione, che si rav-
visa per lo- passato;, ci vieoe in pronto quella nota
causa che la filologia strìnse assai tardi alleanza con
l'4 filosofia: ii che certamenle nacque dall'andamento
y,
Importanza dell'archeologia 1 1 5
medesimo, secondo il quale procedono le nostre idee;
Ma dal momento, in cui la mente umana trovò una
scienza nuova , e innanzi a lei si aprì il maravi-
glioso sistema del mondo civile, su quel famoso prin-
cipio, che se esso lo hap fatto gli uomini, ne pos-
sono aver la scienza gli uomini: lo studio di tutti
i fatti umani è da reputar tanto grave e sublime,
quanto lo studio delle idee che sotto l' involucro
de'fatti si nascondono (***).
Le cose della civiltà che un tempo ebbero atto
al di fuori, e ad intender le quali sarebbe indarno
il rintracciarne le cagioni nella nostra coscienza ;
questo passato, cui l'intelletto nel suo corso sempre
più fugge e sempre più cerca di aggiugnere, qual
lume non tuttora riceve dall'antiquaria,'^ La mancanza
d'un mezzo che avesse diffuso le opere degli scrit-
tori e renduta la vita di esse più stabile e meno
sottoposta alle cause di rovina; le nuove idee che
indussero i popoli prima a non curanza, indi a di-
spregio del passato, il cui momento non erano ab-
bastanza illuminati per valutare; le invasioni de'bar-
bari, innanzi a'quali nulla ha valore e propria esi-
stenza, tranne il presente; i fisici sconvolgimenti, le
pestilenze e gì' incendi che arsero per caso o per
malignità degli uomini; queste ed altre molte uni-
versali e particolari cagioni han fatto dell'antichità
uno spettacolo di rovine lugubre, ma sempre gran-
de, sempre maraviglioso. Pochi autori campati dal
miserevole naufragio ci sono giunti: ma come di-
versi da quello che furono, atteso l'incuria e l'igno-
ranza de'tempi medesimi che ce li conservarono ! Po-
che e disordinate pagine racchiudono del gran li-
116 Letteratura
bro del mondo, in cui ha scritto i suoi decreti la
provvidenza ; e quante pregiudicale opinioni con-
tengono, che han poi avuto tanto impero sopra i
moderni! Quanto dovrebbero pure conteneie, e man-
ca in esse! Lo smodato amor della patria, la man-
canza di critica, la mania de'sisterai e le strane fan-
tasie degli scrittori, hanno sparso di maggiori te-
nebre l'antichità, per se stessa già molto oscura. Ma
l'ardore di tutti i popoli presenti che sono innanzi
nel disotterrare i monumenti antichi, le leggi a que-
st'uopo sancite, i musei fondati per raccoglierli, le
accademie ordinate ad illustrarli , il lavoro di tanti
dotti che spendono la loro vita nella ricerca e spo-
sizione di essi, non è poi questo il trionfo della ci-
viltà sulla barbarie, sul tempo, sull'ignoranza, sull'in-
curia e sulla malizia umana? Sarebbe assai lunga e
malagevole impresa il voler per lo minuto raccontare
le varie scoperte che in fatto di archeologia ebbero
luogo a'dì nostri; e certamente che offrirono per lo
avanti le antichità istesse romane (****^ greche ed etru-
sche, per non dir le tedesce, le scandinave, le in-»
diane, le egizie, le americane ec? Indarno mi farei
ad enumerare quanto abbiam conosciuto e quello
che di giorno in giorno si spera poter conoscere con
l'aiuto di tali scoperte. I soli monumenti letterati ci
hanno appreso innumerevoli cose quanto alla cro-
nologia e la geografìa, che invano si cercherebbero
negli autori. Qual campo non ha per essi guada-
gnato la storia ! che non si è dimostrato falso ! qua'
dubbi non sono dileguati ! quante cose incerte non
si sono irrevocabilmente fermate ! La teogonia pa-
gana «i è arricchita di divinità, di riti, di religioni
Importanza dell'archeologia 117
innanzi ignorale; la ragion de'governi rende ora tiU-
l'altra sembianza; molte quistioni ne sono state dif-
finite; grandi errori insegnati dagli antichi, e passati
ai moderni come articoli di fede, sono caduti. Con
l'aiuto de'marmi si sono emendati innumerevoli luo-
ghi degli scrittori , corrotti dalla bessagine de' co-
pisti ovvero dalla burbanza de' falsi critici; i pub-
blici e privati costumi, le idee de'popoli e degli uo-
mini particolari, così lontani da noi, così diverse dalle
nostre, ora ci son divenute famigliari. Lo studio delle
antichità ha ovviato a grandi sconci, a tutte quelle
false idee sulla civiltà delle genti, che l' autorità di
coloro che le tramandarono e quella del tempo aveaa
coperto d'uno scudo impenetrabile. Tutti que'favo-
losi sistemi, tutte quelle strane fantasie che signo-
reggiarono le menti lunga pezza di tempo, e di cui
non mancano esempli sino ne' più recenti scrittori,
forse non rovinano in faccia a'monumenti, a queste
parole reali che i nostri lontani progenitori parla-
rono? E sì, che siccome la scienza non basta a sé
stessa per farci intendere il passato, in quanto può
solo trovar le cagioni de'fatti, ma non crearli, così
lo studio de' monumenti è tanto necessario, quanto
è necessaria la scienza: è tanto indivisibile da essa,
quanto la materia lo è dalla forma.
Le idee presenti dell'umanità sono talmente cre-
sciute a petto di quelle delle altre generazioni, tante
sono pure quelle che traguardiamo nell' avvenire ,
che le idee del passato , le idee storiche non pos-
sono avere un luogo conveniente nel nostro intel-
letto, se non ci soccorre un metodo atto a presen-
tarle in una guisa, per cui torni facile all' intelletto
118 Letteratura.
il comprenderle insieme. Per conoscere la civiltà
umana è forza in primo luogo sceverare quegli ele-
menti di essa, che sono testimoni delle idee de'po-
poli, dagli altri che sono testimoni delle idee degli
scrittori. In secondo luogo quegli elementi che rap-
pi'esentano idee, alle quali i popoli medesimi det-
tero un atto, una forma esteriore, cui diciamo mo-
numenti , è forza altresì che sien distinti da quelli
che rappresentano idee che la viva voce de' padri
trasmise a'figli e conservò nelle nazianì. A separare
i monumenti dalle tradizioni, quelli e queste da'giu-
dizi degli scrittori, cioè da ciò che pensarono cglin(>
intorno agli uni ed alle altre; a determinare l'indole^
la natura e lo stato de' monumenti o delle tradizioni^
ovvero delle opinioni degli scrittoli, quale aiuto no»
porgono e qtiale non debbono porgere di più tutte
quante sono le partii dell' archeologia ? Questo me-
desimo aiuto riesce soprammodo utile nel fermare
l'autenticità de'predetti elementi della civiltà, ed in
corredare ciascuno di essi di tutte quelle prove, di
che può far doviziosa copia 1' archeologia. Di ma-
niera che allogati tali elementi nell'età e luoghi di*
versi, a cui appartennero, dando essa una mano alla
geografìa , noi giungiamo per gradi a stabilire là
certezza de' fatti, cioè delle idee come *i «ono mq*
strate al di fuori nel tempo e nello spazio-, Certezza
che poi dà luogo a farci intendere il vero, che sic-
come è il naturale obbietto di tutte le scienze, lo
è cosi parimente di quella Scienza miovn., a cui è
congiunta e per sempre la gloria di tutta T Italia.
Questo sceverar i monumenti dalle tradizioni, ed en-
trambe da'giudizi degli scrittori: questo determinarne
Importanza dell'archeologia 139
rindolé, la natura, Io stato e rauteoticità: quesito allo-
garli ne'.rispettivi teinpi e luoghi, usando a lai u&po
di lutti i mezzi deirarcheologia, ci potrebbe :fej" ^venire
nella speranza di conoscere mediante prove indubi-
tate il diverso andamento deJÌ€ idee di cìascurn pow
polo e poi di tutta Tumanità, dandoci «nodo a poter
comparare le varie età d' un popolo particolare , e
fcomparare eziaodio le storie di tutti i popoli le une
con le altre. Dopo quest' analisi adunque, che non
è dato altrimenti ottenere che dagli indefessi e va-
stissimi studi dell' archeologia , solo è possibile che
seguiti quella sintesi, di cui sentiamo il bisogno in
un secolo di sociale avanzamento.
Le necessità presenti domandano che tutti i col-
tivatori dell'antiquaria indirizzino la laro opera a
distinguere, determinare ed allogare gli elementi del-
l'umana civiltà; imperocché il bisogno di possederne
la scienza è universale; e però tutti quanti sono quelli
che possono conferire a renderne agevole la noti-
zia, debbono porvi ogni lor cura. Le cose dell'an-
tichità richieggono, massime in questo momento, un
apposito lavoro d'analisi, essendo pure le menti tra-
sportate ora più che mai allo studio del medio-evo,
la cui storia, così importante com'è, non si può af-
fatto intendere e dichiarare, senz'aver prima un'esatta
idea di quella famosa epoca dell'umanità rappresen-
tata dalle antiche nazioni. Quindi è da desiderare
che gli studi archeologici, che per questa via han
dato grandissimi frutti, sieno ancora sempre più in
Italia, d'onde mossero i loro primi passi e progressi,
rivolti a sifFatt'analisi; e sempre più ad essa pongano
r animo tutti coloro che vacano alla lezione degli
120 Letteratura
'scrittori antichi, ed a'monumenti già esistenti, ovvero
a quanto la solerzia e l'instancabile zelo de'moderni
possa ricomperare dall'obblio. Ma perchè i miei voti
giungano alle diverse accademie archeologiche, a'com-
pilatori delle varie opere periodiche di archeologia,
a quanti infine v' ha coltivatori di questa materia ,
sarà pure di bisogno eh' io qui rammenti i famosi
nomi di tanti antiquari che non che l' Italia , ma
l'Europa intera onorarono ? dovrò forse ricordare i
più celebri e meno da noi lontani, il Maffei, il Fa-
bretti, il Muratori, il Passeri, il Mazzocchi, il Viscon-
ti etc? No: queste memorie della gloria nostra vivono
nella coscienza degl'italiani. Felice quel suolo, in cui
una rimembranza si desti di ciò che fu altra volta!
Dove i padri furono generosi, ivi non sempre nasce-
ranno imbelli i figli; e là dalle rovine sorga la vita
più bella, più polente, e sia sempre dinanzi agli oc-
chi il sagritìzio di quelli che mancarono., e il prezzo
glorioso del sagrifizio, l'iramortalità b
iij/iiiji. Federico Bursottk
iìti ..h
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UÌÌBkù'lMJ fiUlilCi
-UdBfJK; (ÌW?^ ì;
t» li . .
OH.
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IMPORTANZA dell'archeologia 121
NOTE
(*) Ved. in princip. Dono dell'accademia ponta-
iitana agli scienziati d'Italia del VII congresso. No-
tizia de lavori dell' accademia pontaniana per gli anni
1835 e segg. sino al 1844, del cav. F. M. Avellino
segretario perpetuo.
(**) L'infausta nuova della morte di questo va-
lentuomo pervenne a noi nel tempo istesso che te-
nevasi il congresso.
('**) Nel nostro ragionamento del Debito d'ono-
rare gl'ingegni che fiorirono in Napoli^ accennammo
alle opere di questo insigne uomo, onde provare noi
non aver perduto il campo della storia, ma tenerlo
in gran parte. I lavori da lui condotti su' gerogli-
fici, quelli sulla ierografia criptica delle genti anti-
che, non che sulla lingua etrusca ed osca, lasciano
abbastanza scorgere il momento ch'egli avrebbe avuto
nel congresso , dove tante volte il cupido sguardo
d'ognuno lo ha cercato, ma invano.
(1) Monuments anciens et modernes de l'Inde.
(2) Orientai memoirs selected and abridged
from a series of familiar letters written during se-
venteen years residence in India.
(3) The history of Persia from the most early
period to the present time , containing an account
of the religion, gouvernement, usages and character
of ihat Kingdom.
(4) Die heilige sage und das gesiimte, religions
system der alten Boktrer, Meder, und Perser oder
des Zendvolkes.
1 22 Letteratura
(5) Ueber das Alter und die Aechtheid der
Zendsprache imd Herstellung des Zend. Alphabets
etc. Gramalica della lingua sanscrita. Tavola compa-
rativa delle lingue madri dell'Europa e del sud-ovest
dell'Asia.
(6) Dsiemschid, Feridun, Gustarp, Zoroasfer etc.
(7) Fragmente uber die religion des Zoroaster.
(8) Commentaire sur le Yacna
(9) Das alte Indien, mit besonderer Rucksicht
auf Aegypten etc.
(10) Account of the cave-tempie of elephanta,
with a pian and drawings of the principal tìgures etc.
(H) liaudeskuode von Indien etc^
(12) Storia del Giappone.
(13) Histoire du lapou.
(44) Viaggio al Giappone.
(15) Asia polyglotta, ou classification des péu-
ple» de l'Asie d'apre» l'affinitè de leurs langues. Me-
moire relatifs à l'Asie etc-^Nouv. Mitridate, ou clas-
sification systèmatique de toutes les langues connues.
(16) Dell'incremento e stato presente delle no-
stre cognizioni nell'India. na aJo"
1) (17) Della lingua Kawi nell'isola di lava, core
una introduzione intorno alla differenza della strut-
tura degl'idiomi e la loro elTicacia a svolgere l'in-
tellìgenza del genere umano.
(18) Atlante etnografico di tutte le lingue. '
1 (19) Traduzione del poema sanscrito Wlamiki
(20) Del sanscrito.
r..; (21) Prolegomeni ad una gramatica ebraica.
■ (22) Illustrazione della sacra scrittura etc.
(23) Lessico turco francese e francese-turco
IMPORTANZA dell'archeologia 123
(24) Traduzione del rituale armeno.
(25) Viaggio nella Nubia.
(26) Viaggio in Abissinia.
(27) Antiquitès de la Nubie.
(28) Ved. Description de l' Égypte , ou recueil
des observations et des recherches qui ont ètè faites
en Égypte pendant l'expèdition de l'armèe francaise.
(29) Reisen in Nubien, Kordofan und dem pe-
traischen arabien eie. /i.-oioil
: (30) Viaggio a Meroe.
(31) Lexicon linguae copticae.
(32) Grammatica copta
(33) Lessici etiopici. "i
(34) Monumenti di scrittura antica araba (e-
miarita).
(35) Antiche lingue arabe eie.
(36) Études gèographiques et historiques sur
l'Arabie etc.
(37) Saggio sull'antico dialetto ehkili.
(38) Grammaire de la langue ec.
(39) Museum criticum N. 6. — Hieroglyphics.
Account of some recent disco veries in hieroglyphi-
cas literature. '"'
(40) Rudimenta hieroglyphices. De astronomica
Aegypti geografia. Systema astronomiae aegyptiacae.
(41) Lettres à M. Letronne sur les papyrus bi-
lingues et grecs et Sii^ quelques autres monuments
greco-ègyptiens. ■
(42) Monumenti dell'Egitto e della Nubia dise-
gnati dalla spedizione scientifico-letteraria di To-
écarta étc.
(43) Lettre à M. Dacier etc. Prècis du systeme
hièroglyphique des ancìens aegyptiens etc.
t24 Letteratura
(44) Essais sur le pian et la disposition gene-
rale du labyrinthe d'Egypte «te.
(45) Les hièroglyphiques et la langue ègyptien-
ne, Leltres de M. de Saulcy à M. Letronne, sur le»
proscynémes redigès en langue ègyptienne.
(46) Archeologie ègyptienne.
(47) Fundamenta herraeneutica hlerographiae
crypticae veterum gentium. Hiroglyphica aegyptia ex
Horo-Apolline, aliisque veteribusque scriptoribus etc
selecta. Tabulae Rosetlanae hieroglyphicae interpre-
tatio etc.
(48) Manners and custorns of ihe ancient Egy-
ptians eie.
(49) Operations carried on at the pyraroids o*
Gizeh. ,..;,..,f^;
(50) Spedizione prussiana in Egitto e nella Nu-
bia dirizzata allo studio de'caratteri e de'monumenti
egiziani.
(51) Illustrazione delle monete cufiche del gaf-
binetto numismatico di Milano.
(52) Monete cufiche battute da'principi longo-
bardi normanni e svevi nel regno delle Due Sicilie
interpretate e illustrate etc.
(53) Illustrazione de'monumenti sepolcrali cufici.
(54) Raccolta degli antichi monumenti scandi-
navi, annui i:).l M /; ?.oi«)n>l
(55) Scandinaviskà" Nordens urinvonare.
(56) Stato primitivo della Scandinavia. — Mi-
tologia e migrazioni de'popoli scandinavi.
(57) Svanska Folkvisor from Forntiden (de'canti
popolari della Scandinavia) — Svea Rikes Hoefder
(dello stato antico della Svezia). iriUoil
IMPORTANZA dell'archeologia 125
(58) Traduzione dell'Edda.
(59) Traduzione dell'Edda di Soemund.
(60) Eddalaren og dens Oprindelse, cller no-
iagting etc. (Sistema dell'Edda e sua origine etc.)
(61) Mythologie du nord d' après l'Edda et les
poèsies d'Oelenschlager.
(62) Nordische mytologie.
(63) Saga bibliolek nied an merle vlnger og in-
dledende afhandliger.
(64) Introduzione alla conoscenza della lingua
islandese, o dell' antico nord, luoerche sull' origine
della lingua islandese.
(64) Dizionario islandese.
(66) Periculum runologicum.
(67) Antiquitates americanae.
(68) Quadro del Messico.
(69) Histoire de la conquète du Mexique.
(70) Collection des documents amèricains.
(71) Antichità messicane con una prefazione di
A. Humboldt.
(72) Antichità del Messico.
(*) Molti manoscritti scandinavi si posseggono,
i quali concernono i viaggi fatti dagli scandinavi
dal secolo X al XIV per l' America del nord; con
questo aiuto ed altri si confida venire ad una più
larga intelligenza delle cose del nuovo-mondo. Ci
piace qui ancora notare che l'egregio cav. Gio. Bat-
tista Finali, direttore della stamperia reale ec, pre-
sentò al congresso alcune sue osservazioni intorno
alle antichità dell'America.
(**) Lieta esser dee pure T Italia di annoverar
fra costoro il conte Francesco Miniscalchi, stato nel
126 Letteratura
VII congresso,^ uomo in cui la gentilezza signorile è
vagamente congiunta con la dotti^ina. Ci fa egli spe-
rare di qui a poco la pubblicazione di talune sue
importanti ricerche sopra la Siria; e non dubitiamo
di affermare che dallo studio che ha posto nelle lin-
gue orientali, debba venirne non piccolo aiuto alla
scienza.
(***) Di cose somiglianti spero poter dire più a
lungo in un Proemio della storia del governo antico
di Roma,, il quale mi propongo pubblicare, condotto
che avrò a termine un Saggio storico intorno alla
nobiltà^ che ho per le mani.
(****) Il conte Borghesi, noto all'universc^le per l'alto
suo valore in fatto d' antiquaria, prepara un lavoro
su' fasti romajii^ il quale per i nuovi e sinora non
illustrati monumenti che racchiude, porrà la storia
del Lazio in aspetto assai diverso da quello che ha
mostrato insino a'd) nostri. Vero è che la critica so-
pra gli autori, che trattano delle cose romane, ha
sparso molti dubbi su di esse e tentato sopperire
co'giudizi alla mancanza de' fatti; ma somiglianti giu-
dizi sono d' ordinario essi medesimi semi di dub-
biezze e controversie, non che di vari sistemi , da
cui la storia più che ogni altra scienza debbe te-
nersi lontana. Quale non sarebbe la gioia d' Italia ,
se molte divinazioni del Vico su la storia romana
venissero confermale da '^^ monumenti che mai non
conobbe ?
127
Sulle acque termali della Porretta, Osservazioni patologico- cliniche
del D. Marco Paolini. Bologna alla Volpe in 8. di pag. 85.
Intorno l'efficacia delle acque termali della Porretta contro le malat-
tie della pelle. Considerazioni pratiche del D. Marco Paolini me-
dico dirctt. delle terme. Discorso letto alVinstituto di Boi. a 2o
Ifib. 1848. Bologna 1845 alla Volpe (Sono pag. 29 in 8).
Appena il eh. sig. D. Paolini venia chiamato a medico diretlore
(le.'bagni delia Porretta, ch'ci si die cura d'andar registrando le isto-
rie di que'morbi che per la loro singolarit;"» ed importanza gli sem-
brarono sopra gli altri meritevoli di ricordazione. E queste istorie
avrebbero poi prestata materia ad ampio lavoro tutto volto ad illu-
strare le terme porrettane; ma un superiore comando avendolo stretto
a pubblicare alcuno scritto sull'efEcacia di quell'acque, diede la rela-
zione delle malattie, alle quali nel 1841 tornarono benefiche le terme,
facenda ad essa saviamente precedere un breve cenno delle vicende
metereologiche , e della costituzione morbosa che dominò in Por-
retta nel tempo delle bagnature. Il libro del Paolini è scritto con
chiaro e spontaneo stile, molta dottrini^ medica, e cpn quel filosofico
senno che tutto si confà a tali utilissimi lavori.
Il eh. A., non contento a ciò, raccolse nell'altro pregevolissimo
opuscolo quelle considerazioni , che mostrano quanto valgano le
acque porrettane a guarimento delle malattie della pelle. Perchè si
abbia un saggio dell'operetta e dello stile del Paolini , e perchè si
parla d'una gloria d'Italia, mi è grato recare la osservazione 3, che dice;
« Deplorava l'Italia, piangevano le arti belle, e soprattutto la
" scultura, l'infausto caso onde era gravemente oppresso un uomo
» celebratissimo, il cay. Lorenzo Bartolini di Firenze. Avvegnaché
» quest'egregio, di tempra bilio.so linfatica, avanzato nell'età, ammalò
,1 di tormentoso e terribile morbo. In seguito di due risipoie apparse
» circa un anno innanzi nella gamba sinistra, e di un ascesso in
» prossimit.i dell'articolazione tibio-femorale, gli arti inferiori dal
1 sommo delle cosce fino all'estremità delle dita del piede gli si co-
» prirono di una sordida iippetigine avente la forma di piccole pu-
» stole, o meglio vescichette , alcune fra loro divise, ed altre ag-
w glomerate, le quali formavano rompendosi delle ulceri, o piaghelte,
V, gementi umore sieroso-puriforme. Erano amendue gli arti gonfi,
» edematosi, e deformi a vedersi; e quelle vescichette, mentre con
128 Varietà'
■il uà continuo avvicendarsi disseccavansi a brevi intervalli, e ricom-
» parivano, erano cagione di incomportabile prurito. Del resto, niun
:i disordine funzionale nell'universale della sua macchina, se togli
» frequenti incomodi di gastricismo, il quale era probabilmente lo
« stato, da cui era mantenuta quella discrasia erpetico-vescicolare.
» Da dieci mesi il morbo infieriva pertinacissimo: e quel corpo, usato
» jjià ad una vita operosa, era venuto nella triste condizione o di
;•. giacersi nel letto, o di starsi su d' una sedia seduto. Vani erano
■» tornali i moltissimi rimedi prescritti: vani i bagni d'acqua dolce e
» col fegato di zolfo portati (ino al numero di cinquanta: sicché in
» ultimo, per alleviare pure il doloroso prurito che lo tormentava,
» gli era stato suggerito di tenere gli arti alFetti quasi di continuo
^1 avviluppati in panni unti di poma.ta di semifreddi. In tale stato alla
5) metà del luglio del 18-43 giunse il Bartolini ai bagni della Porretta.
> Gli ordinai di abbandonare tosto qualunque topica applicazione,
» massime della pomata, e gli prescrissi V immersione nell* acqua
'; de'bovi la mattina, e n'-lla sera un bagno parziale alle parti offese
ri coll'acqua della Puzzola sufficientemente riscaldata. Il quale ultimo
» espediente egregiamente mi corrispose, come suole d'ordinario cor-
» rispondere, per moderare il prurito che accompagna tali malattie.
» i/acqua leonina presa internamente ne'primi giorni, e ripigliata a
» seconda del bisogno, e delle circostiinze; poscia quelle della Puz-
» zola, ed infine l'acqtia della Porretta vecchia, furono i rimedi cui
» s'attenne V illustre infermo durante il suo soggiorno alle terme,
» che non oltrepassò lo spazio di un mese. Dopo quindici bagni con
» gioia e con istupore di tutti si vide passeggiare il Bartolini per
;; le Strade di Porretta, il quale pieno di coraggio e di speranze co-
« minciò in appresso a prendere un giorno sì e un giorno no un ba-
» gno la mattina, ed uno la sera. Che i nostri bagni hanno ancora
» cotesta bella prerogativa, di dare loro cioè e rinvigorire le forze
' anziché stremarle, siccome succede facendo immersioni nell'acqua
» comune. In una parola egli lasciò guarito e pieno di riconoscenza
55 la Porretta, ni; altro soffrì nell'inverno susseguente, che un forun-
» colo ad un malleolo, e poche vescichette ad una gamba, che in bre-
» ve si dileguarono. Potè quindi attendere con tutta quella attività
0 che gli è propria ai prediletti lavori dell'arte sua, e nello scorso
<■•■ anno sano e giovialissimo egli rivide le porrettane fonti a maggiore
» conferma deirottenutoj;isauamento. »
y"^^^"^ \ G- '■ RAMBELLI.
5y IL DIRETTORE
^&^^'^^ D. PIETRO ODESCAtCHI
Hoselli, alcune formale sul calcolo
de residui, (Continuazione.) . . 3
Coppi, Sulle finanze di Roma ... 25
Chimenz, Intorno ad yéndrea Ce-
salpino scopritore della circola-
zione del sangue 49
LETTERATURA
Camilli, Tracce storiche sul domi-
nio greco dopo Alessandro nelV
Asia centrale 63
Biografie di Pietro Bagnoli, Anto-
nio Lombardi , Luigi Ciampolini^
Giovanni Battarra , Francesco
Bertelli, Gian andrea Magri, Ago-
stino Cagnoli 74
Bursotti, Dell' importanza dell' ar-
cheologia 107
f'^arietà.
10 yÈID(^@0|l©00ÈlÈI00 01
GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ROMA
TIPOGRAFIA DELLK BELLE ARTI
1848
129
Sulla dipendenza delle due variabili x, y.
Memoria di Ercole Roselli.
INTRODUZIONE
J-Ja memoria, che pubblico ora, doveva essere una
digressione necessaria per applicare le date formole
all'equazioni, che sono funzioni di due variabili, os-
sia dell'equazioni indeterminate ; ma portando seco
l'aspetto di una nuova teoria, e mostrandosi questa
capace di mag^giore (jeneralità, come dimostrerò in
altre memorie scritte sulla dipendenza delle varia-
bili; ho stimato stamparle non già sotto l'aspetto di
digressione, ma sotto quello che vedesi, cioè di me-
morie separate, imitando l'esempio di tanti illustri
matematici. Questo dico per fare conoscere, che seb-
bene sembri avere io pel momento tralasciata la con-
tinuazione dell'antecedente memoria, gentilmente pub-
blicatami in questo giornale; pure non egli è così,
essendo questa a quella in modo connessa, che sen-
za la presente difficilmente potrei dimostrare una par-
ticolare proprietà, che hanno le formole pubblicate,
cioè di connettere in qualche parte l'analisi algebrica
determinata ed indeterminata; e che mediante .que-
sta memoria potrò io dare delle nuove formole, le
G.A.T.CV. 9
130 Scienze
quali, appartenendo all'analisi indeterminata, conser-
vino una particolare analo^jia con quelle già date.
Dalle cose dette discende, che dopo questa memoria
dovrò io dare la continuazione di quella, che sta in-
serita nei tomi 1 14 e 115 del nominato giornale. Ed
infatti così sarà: e questa continuazione sarà in gran
parte l'applicazione della teoria della dipendenza delle
quantità alle formole già date.
E venendo al particolari del contenuto in que-
sta memoria, dico che parlo da una formola, la qua-
le dimostrerò in appresso ; ma essendo facile cosa
concepirla, per ora la suppongo cognita. Trasfor-^
mando questa foi mola, si ottiene una equazione ge-
nerale a due incognite, ossia indeterminata. Ora fi^ai
queste due incognite deve intercedere un dato rap^
porto. Infatti sieno
le due funzioni incognite: avremo generalmente
/(!/) == A -H ? (f{x)
essendo
A , ?
quantità qualunque o costanti o variabili. Questo
rappoctq,4Ì dipendenza fra le funzioni
, « „
xhj) >
Z(!/) 2 A (mod. ,vry) , Xi(^) 1 B (mo<^> -^'JÌ »
sarà
DIPENDENZA DELLE VARL4B1LI 145
donde
X{y) - (A - B) +- x.(2)
ossia
■/jtj) 3 (A — B)(mod. j1)
7. II modulo essendo la unità, due funzioni di-
pendenti da una terza sono dipendeati fra loro, con-
servandosi il modulo
infatti
X(y)!2 A(mod. .J) , X'(-) ^ B(mod. J)
danno
X(2/) = A -i- (f{x) , ;^,(z) =. B + (f{x)
quindi
X(j/)={A-B) + x.(=),
ossìa similmente
/(y)2 (A-B)(mod.J):
quindi una dipendenza di modulo
si può decomporre in due dipendenze o di modulo
=» 1 , ovvero qualunque altro; purché la costante
si riduca ad una differenza. Infatti sieno le serie
«t, A, e, rf,e, m
**! » "l > ^I ? '^I » *!»• • • l'I
<*II1 ? Olii 5 C,,| , tt,,i , C,,,
.... ec.
G.A.T.CXV. 10
246 Scienze
in cui
b — a =■ ai ^ e — b = b , d — e = Ci , . . .
bi — 01^:= Oli , Ci — bi —- bij . (/, — e, -^ Ci ...
6/2-1 — " dn-i'^^^ttm f/i-i — P«-i-~-'"«) W/j-i~~*C/j-i=C/j,.-'
Egli è chiaro che date le dipendenze
Xiy)"^ ««(mod. ,1) , 'xiy) "^ bn{moA. J)
avremo ancora
X(2/)2 (V, — a„-,)(inod. ;i)
'x{y) Ì2 i^"-^ — Vi)(inod. /1 )
. . , . ec.
ossia pel n. 6
X.{y)^ i„-,(mod. j,y) , /.f^') 3 ««-. (mod. ^.i?)
ec.
ed anche per le cose dette nel principio di questo
numero
X(2/)2 ^/2-i(mod. j,1) , X,(s);« 0;;_,(raod.y,1)
ora prescindendo dalle dipendenze di modulo , se
DIPENDENZA DELLE VAI^IABILI 147
conliiiueremo a sostituire in luogo di quelle costanti
i valori loro desunti da quella tabella, avremo che
ciascuna dipendenza di modulo = i, si può trasfor-
mare in due, e così continuare tanto, che si esau-
riscano tutti i valori possibili.
8. Se una funzione z dipende da una funzione y
relativamente al modulo g, e la funzione y dipende
da un'altra relativamente al modulo q'; dico che la
funzione z dipenderà dalla finizione x relativamente
al peodotto dei moduli
Sieno infatti
le tre funzioni, dall'enunciato sarà
liz) 5 A(mod. //) , X'('y) H B(mod-.Y)
ossia
X(2) == A + ^ i,{,j) , ;^.(^) =.= B -f- q'y^,{.x)
donde
X(2) = A -H ? B -h qq'x.ix)
e finalmente
X(2) S (A -h «/B)(inod. ^qj) .
Ora se si ponga
cioè se tanto z dipenderà da ?/, come y Aa x rela-
tivamente al modulo «/, avremo
X(-) ;;^ (A -h (?BXrnod. xq^). ,
148 Scienze
Quindi diremo che in questo caso la funzione z di-
penderà da quella di x , relativamente al quadrato
dei moduli
9. Se la funzione yi^{x) dipenderà dalla yfj,^) re-
lativamente al modulo q|", avremo le tre dipendenze
/(z) 3l A(mod. y7) > X,(l/) S B(mod. ,Y) , Xzi^) 3 C(mod.^?'')
donde
;^(2) = A H- jB -V- jg'C -f qq'q'lM ,
e quindi
X(:) 15 (A 4- yB 4- ^^C) fmod. ^qqj'ì -
E se
6arà
X(2) ;* (A 4- ?B 4- j^C) [mod, ^q^-\
Similmente dalle dipendenze
X(x)3 A(mod.//) , x,(y);Z B(raod. .^i/'), x^i^) iS C (mod. ^q") , -
X3(w) 3 D(mod. J")
avremo
X(3) !« (A -*-. 7B 4- j7'C -h y^V'D) [mod. y'ig'g'q ì
E se
y = ^' = /' t= <7"'
sarà
X(-) ^ (A 4- ?B H- fC -h q^D) [mod. ^743 .
Così continuando dalle dipendenze
X(3) 3 A(mod. y7) , Xi(y) i^ B(mod. ^ty) , .
DIPENDENZA DELLE VARIABILI 149
X"(^) 3 M(mod. «7("))
otterremo
yjz) :5 (X-{-qìÌ^qq'C-h . . -^ qq' . . q{''-'ìM)[_moA.u(jq..g^'') 1 :
e fatti
q = q'=...=qr)
sarà
X(2) !^ (AH-yB-f-y^C -h ..•+■ (/"-«M) [mod. «?"]
DuiK^ue date n dipendente di modulo diverso, in cui
le funzioni sono fra loro connesse, avremo che la pri-
ma dipenderà dal prodotto delle
q i q\ . . . ^C) :
e se sono dello stesso modulo , quella funzione di-
penderà dal modulo della potenza W'™^ della q. i
10. Se nelle dipendenze del n. 6 in luogo dello
stesso modulo y, si avesse il modolo di
9*(y) eguale a ^ ; e quello di
X{z) eguale a q\ avremo
9(y) 5 A (mod. x?) , X(^) !2 ^ (™°'J- *?')
donde
(p{y) =t x(z) 2 (A rfc B) Craod. 4q =fc ?') ] :
Quindi se si hanno due dipendenze di differente mo-
dulo, si possono sommare o sottrarre membro a mem-
bro, avvertendo di porre la somma o la diflferenza
dei moduli entro la parentesi.
15Ò' Scienze
11. Valendo il segno inferiore, poniamo
q ^-- q'
avremo che
mod- x{i3J(;i/)<3'*('A.ì — ^B)(QÌod. ,i) iijpnuU
■ fi >■( ■ f-i (.(7,. .. •,;-•■:..•>,,,..; ,, jisnuì a!
formola cognita pel jm 6. ,oho-T(| IrI. Kiohnoqih sm
12. Prendasi la formola
?(y) — x(2) 2 (^ — ^) t™o^- ■-('/ — ?')]>
' r.!;:i! {.il'. ir.
e pongasi ?, r-n^j;
'..M-'h ■ A c= B,^ ^
sarà
?'(2/)— X(^) 2 o traod. ,(? — 9') 3 ;
e facendo
per l'antecedente numero, otterremo in questo caso
la uguaglianza
Infatti ì.SQ, nel n. 6 si faccia
' '!,:, ' ' A = B
avremo la stessa formola.
DIPENDENZA DELLE VARIABILI 151
13. Valga ora il segno positivo : e si faccia che
i moduli delle due funzioni sieno i medesimi, cioè
>boui o\
q^
q
ì
dVrémo
■■"'l
Sii..!;
9(!/)-*-
Z(^)
:5 (A
-ì-
B) [raod.
x2g],
e se abbiasi
q^q'^■^
$ara
Similmente avremmo ; aaipsJ iJ6iJ«o«i
9 generalmente
9Ìy) "+" /(^) -^ • • H- ?(^) ii (A H- B -i- . . -t- H) [mod. ^ny]
e posto q[= 1, otterremo
(p{y) ■+■ (-) H- . . 4- |(ìv) ;2 (A H- B -h . . -1- H)(mod. .r«)
1 4 . Mediante le cose dimostrate possiamo somma-
re o sottrarre qualsiansi dipendenze dello stesso o
differente modulo prese relativamente a qualsiasi va-
riabile. Si prendano infatti le due dipendenza
(p{x) -^ A(mod. „f7) , x(v) ;« B (mod. ^q)
avremo
9{^) -»- /(y) li (A -i- B)(raod. „ , J) :
Infatti dalle
cp{x) c=, A 4- qf,{u) , x.{y) = B -+- ?x.(«) ''^'"^
152 Scienze
avremo
,(«) -H /x,(w)
che si può rappresentare con quella dipendenza.
Se si dovessero sottrarre quelle dipendenze, avrem-
mo ottenuto
9(^) — Kiy) 3 (A - B) [mod. (j — ^q') ] :
similmente se fossero da sommarsi o sottrarsi le tre
dipendenze
f{x) 2 A(mod. „7), /((/) 2 B(mod. ,//') , ?(z) ^ C(mod.„y')
sarà
dr9(a^)=PX() =ti(^) 12 (:^Az;::B=±:C) [mod. {zìz^qz^J^^fn
e generalmente si otterrà
=t y(x) zp x(!/) =t: . . rir ..)(w) j^ (=t A =;= B rk. . -fc s)
[ mod.(db ji zp ^7' dz . , d= ,?(")) ]
16. Nulla occorre di avvertire, che se aggiun-
giamo o togliamo le stesse quantità ai due membri
della dipendenza, non si cambia la dipendenza stessa:
però che avendosi
(p{x) ^ A(raod. ji)
conseguiamo ancora
(f\x) rt B ;5 1 A zfc B)(mod. ^q).
Infatti la equazione
154 - Scienze
f[x) = A -f- \ì i>: 'tf.
Da questo discende che dalla dipendenza
(^{x) :H A(mod. „7)
avremo ancora la seguente
(f{x) — A 3 0 (mod. ^7)
17. Non solo si può aggiungere o sottrarre le
stesse quantità dai due membri della dipendenza, ma
ancora moltiplicandoli o dividendoli per uno stesso
valore non si cambia la dipendenza: però che aven-
dosi
M li A(mod. ^7)
sarà ancora
B2)(a;) I* AB(mod. ,//).
Infatti quella dipendenza convertendosi nella equa-
zione
9(ar) = A 4- 79, (m)
sarà
B9(a^)=ABH- 7B9i(m)
che si può rappresentare con quella dipendenza, av-
vertendo che il quoto q è determinato sempre dalla
B(p(x) — AB __ (p{x) — A
DIPENDENZA DELLE VARIABILI 155
Si deve osservare che questa dipendenza ammette
ancora la seguente equivalente
hiv(x) ;« AB(mod. ,//B) ,
ma ponendo
Bfi{u) = j0{u) ;,
sarà similmente
Bip(x) "^ AB(mod. ^^q) :
Ma egli è facile a conoscersi che tutte queste dipen-
denze, quantunque si presentino sotto forme diverse,
pure in sostanza sono le medesime; perchè si ridu-
cono a trovare il valore di r ; H/'
'fi'^ì . .... ... ..-;,
corrispondente ad utìb o più valori dellà^ ^^
9(«)
in una data dipendenza.
Similmente avremo ancora la seguente
o(x) ^ A ^ ,
■ ■.yju'i 'Mi
ove dovrà applicarsi la stessa osservazione fatta in-
nanzi.
18. Venendo alla moltiplicazione delle dipendenze
dello stesso modulo, sieno date le due dipendente
(p{x) :^ A (moti. ,//) , y^{y) J, B(inod. ^q)
156 Scienze
avremo
cioè il prodotto delle due dipendenze eguaglia il pro-
dotto delle costanti pel modulo della seconda dipen-
denza moltiplicata per là costante della prima : più
il modulo della prima dipendenza moltiplicata per
la costante della seconda : più il quadrato dei due
moduli nelle respettive variabili. Infatti avremo
^{x) = A -h qeù,{u) , -^y) = B -H f/X.(«)
onde
?(^}-X(y) = AiB -I- Xq)C,{v) H- B7'^,(M)-t- 7^^,(M)x,(t'}'
che si riduce alla dipendenza notata.
Egli è da notarsi che la moltiplicazione di quel-
le dipendenze può indicarsi per
t^)-l{ìl) 1 AB(mo(J. „7)(mod. ^7),
quindi nella moltiplicazione di due dipendenze avremo
(mod. ,/i){moA. ^q) = mod.(,,-7A + „?B -\- ,,, jt^} .
Devesi qui notare, che facendo
A = o , B ^= o ;
dalle dipendenze
9 {x) 2 o(mod. ufi) ' X^y) 1 o{n\ùà. ^7)
avremo
©(x).x():5 o [mod.(„, ,,7^) ]
ed anche
(mod. „7)(mod. ^7) ^ mod^, ,,7=")
DIPENDENZA DELLE VARIÀBILI 157
cioè in questo caso il prodotto dejle due dipendenze
dipende dal quadrato del modulo nelle respeltivc va-
riabili.
19. Sieno date le tre dipendenze
(p{x) 5 A(mod. „7) , x(y) ^ B(mod. .^q) , ^{z) :« C(mod. ,^y)
potremo indicare la loro moltiplicazione per
9(^)-X(y)-?(-) 2 ABC(mod. „?)(mod. ^?)(mod. ,^q)
dalla quale facilmente otterremo
?(*0-X(!/)-?(^)i:ABCLmod(
^q^C 4- //AC -t-„,yAB -H «, „.?'B -4- ,„ ,^?^A 4- ,„^?^C -4-„, „, „,7-^)]
e quindi
{mod.^q){moò.^qXmoi.^^q) = mod.{^qBC -+- ^^AC -h ^^^AB 4-
«» iv?^B -4- a,» w?'A -i- ,,. ^qX 4- „, a,, „,?^) »
cioè il prodotto di tre dipendenze dipende dal pro-
dotto delle tre costanti pei moduli di ciascuna dipen-
denza moltiplicati per le due costanti delle altre di-
pendenze : più il quadrato dei moduli di due dipen-
denze per la costante della terza, e finalmente il cu-
bo dei moduli delle tre dipendenze.
Si osservi il caso di
Ac:=B=:C
nel quale avremo le seguenti eleganti formole
158 Scienze
9l*)-Z(!/)-^(-)^ ^^ Cmod. j (,^q -^ ^q -f- ^^^/)A^ -1-
(mod. ^^Xmod. ^q\vaoA. ^q) ^ mod.[(^<7 + ..?+ w?)^''-*-
ove devesi notare, che per fissare questa seconda
egualianza devesi avere riguardo alle dipendenze,
donde è provenuto il prodotto.
Facendo in queste
A=o
Avremo che il prodotto delle dipendenze
•• ■ ■'■', ' • '.IfD'.-'/ttih »>l<>hoffl il;
'■p{jo) li 0 (moH. ,/y) , /(^■; ^ m (ux»^ ^5»'<)jib 3ul>
dipenderà dal prodotto dei moduli presi jelativamen-
te alle rispettive variabili. , , ., . ,
Se fossero da moltiplicarsi fra loro le Ire dipen-
denze ■ \\j ...'liis ;;\,_!»"!:rj«jt.-.. £. i^.X-'. .; J
«(a;) :« A(mod. ,^q) ,''x(y) il S(w«d. ^|/')r?(*)^Gf»Ppd> :ù,7") '
otterreraOr-^i, -♦' <'-\ 'joiìs I 9
/^
DIPENDENZA DELLE VARIABILI 163
^{x].x(,j].^ z) ^ ABC(mod. ,,q){n\0(ì. „?',(moiI. ^^,q")
e ijvolfjeiido i moduli sarà
donde diremo che ancora nei prodotti delle dipen-
denze di modulo differente dovrà ritenersi la egua-
lianza
(mod. i,q){mo(i. j,q'\mod. ^q ) = niod.(,^5r.BC -h ^gr'.AC -+- ^^".AB-t-
v(^)-X(y) • • '^i'^) 3 AB • • Z(mocl. ^^)(mod. j,q') . . (mod. ^^f!"-"))
e. COI?, le, due regole date, svolgendo i moduli sarà
©(a.-)./(i/) . . ù[oì) "^ AB . . Z [raod. (
,,?.BG..Zh- -+- .yl—UB . . Yh-
^y.^^' . CD . . Z + . . . . -h 5?!«-^).,gr;''-M.AB. . X 4-
,g.,q\,q'.D . . Z ^- . . . . H- ,^('-3).,?("-).,(''-).AB..V-h
Questa sarà' la forraola generale della moltiplicazione
di n dipendenze di modulo diversou-^^'j u11jì> i
- Facen;dQ ( ,; .- iiifj o onlJ .1
-""■'- .. i.jO>9r. A..;pS'B ==^G ===!^v'.v.'fi*'!2»[r. oibb iJiafiJf»
otterremo qqi^ 'ù '■. ;!d fiJaB)-
f(^)'X(y) •'••'<»N!5 A'"[mod.{('^^ -h . rf:^ ,5f;"-''))A"'-'-+-
i 9j'a3iiniJÒi".ì" ow^'doo aìinhÓD Ì7yr.T| ol-.
e supponendo ora
A=-o
•sj^ otterrà
%
DIPENDENZA DELLE VARIABILI 167
Queste saranno le formole generali della ràoUiplica-
zione dello dipendenze di modulo diverso, quando
le costanti sono qualunque, o sono eguali fra loro,
ovvero eguagliano zero.
Può avvenire che fra queste dipendenze alcune
abbiano i moduli eguali ed altre no: similmente che
alcune costanti sieno zero ed altre eguali fra loro:
ma la moltiplicazione di queste dipendenze riducen-
dosi ad essere casi particolari delle formole date, po-
tremo facilmente determinare i valori.
21. Per dare qui una facile applicazione di que-
ste dipendenze vogliasi conoscere immediatamente
lo svolgimento degli n binomi
{x, H- y,)(j?3 -f-y^Kcs -+- 2/3) • • • (r/z-i H- 2^/,-.)(av, 4- yn)
Incominciando dai
ponendo
avremo -
9(x).x(.'/) IZ X, y^Cmod.fa-, X,. -hy^y^-^ y, x.,) ]
che si decompone nelle due dipendenze
?{x)3 ^i(mod. (/,), x^(y) ^ y^fmod. ar,) ,
di cui il prodotto s'indicherà per
?l^)-X{y) 3 ^1 ya(mn{i. ?/;)(mod. x.,\
168 Scienze
onde simbolicamente avremo
(mod. y,)(mod. x^) => raod.(ar, x^ -+- y, ya 4- y, iTa).
Prendendo tre fattori binomìali
9' {xi ■+- y,)(a:, •+- y^)(x3 -4- t/3)
ponendo " ~^
^A^x, , Bz^x^y C:^x^ , ?9»(«*)^2/» > ?'X«(«')=J/3 ' y''?(w)=yj
avremo
f(^)'X(y)-^(*) 2 ^« ^2 ^3Emod.{y, x^ «3 H-y* a:» % H-
ya ^i a-2 H- y I ya «2 -t- y2 yn ^1 -h y. y^ ar, -t- y, y, yajl
che si può decomporre nelle tre dipendenze
9(x)2 a:,(mod.y,), x(y) 2 ^^(mod. y^), |(s) 2 rj (mod. yj)
ed indicandosi ancora il loro prodotto per
?(^)-X(y)?W 2 J!;,a?3a?3(raod.y,)(mod. y^Kiaod. yj)
otterremo che in queste dipendenze dovrà sussistere
simbolicamente
(mod.y,)(raod. y2)(naod. y3)= mod.(y, x, xj -f y^ a;, 0:3 -h
ys ^i ^2 -*- yi y3 a^^ -f- y, ys ^» -v- yi ya ^3 -f- Viyz ys)
Generalmente da quella formola generale , avremo
lo svolgimento degli n fattori binomiali
(^1 -+- yi)K + yO • • (^/. -^ y«) •
DIPENDENZA DELLE VARIABILI 169
Infatti prendendo
A — .«, , B =» Xj , C — X3 , . . . Z = ar„
avremo
?(^)-X(y) • • ■ '^i^y I2 ^i -s^z • • a^rt e mod. (
y, Xj a-3 . . x„ 4- y, a:, X3 . . .r,^ -+- . . + (/„ a-, .r^ . . .r,^-, •+•
t/, 1/2 0-3 . . a;^ -f- y, 2/3 X, 374 . . a;« 4- . . -i- «/;,_, „ .Ci . • x^.j-H
!/i y2 !/■? • ■ y»
che sì potrà decomporre nelle n dipendenze
f'x) "^ .r, (mod. y,) , /(//) ^ j. (luod. i/.^) , . . . .
w((V))S •5?« (mod. y,,) ,
nelle quali 11 prodotto dei moduli si potrà rappresen-
tare per quello svolgimento, che vedesi nella Formo-
la generale.
Ponendo
avremo senza difficoltà il binonio newtoniano: il che
pròva la esattezza della formola generale data per
le dipendenze. (Continua)
ITO
;o iMfi'i. '
Elogio (li Giuseppe Venttiroli scritto dal professore
Maurizio JBrighenti^ ispettore generale di acque e
strade, e recitato all'accademia delle scienze deli'
istilvto di Bologna il 27 maggio 1847.
V
olg^e al suo termine un anno, chiarissimi acca-
demici, da che il prof. Giuseppe Venturoli giungeva
qui desiderante, e desideratissimo. E già prima aveva
fatto sapere, dalla sua cospicua sede di Roma, che
si sarebbe presa la fatica di verificare 1' esecuzione
dei pubblici lavori delle acque e delle strade al di
qua dell'apennino, per rivedere i congiunti, gli ami-
ci, e questa sua carissima patria; ond'era non meno
grande in tutti l'aspettazione e l'ansietà di rivederlo.
Quantunque in età grave , e stanco dai lunghi
giri e rigiri nelle Marche, e nelle legazioni di Pe-
saro e di Forlì, nulla aveva rimesso dell' aspetto di
sanità , che per la complessione eccellente mostrò
sempre in quel suo corpicciuolo piuttosto gracile.
L'indole abitualmente tranquilla, nelle conversazioni
gioviale, seria negli affari, e quel perspicuo potente
dottissimo intelletto non erano in lui mutati : ci pro-
metteva una vita lunghissima. — Ma era scritto che
cinque mesi dopo l'avremmo perduto ; e ci mancò
nel 19 ottobre sull'ora terza. Che sono mai le spe-
ranze e i giudizi degli uomini !
La fama di tanto lume spento corse per la pub-
blica voce l'Italia, e si dilatò fuori in un subito. E
già molti ne scrissero e scriveranno. Nondimeno a
me suo affezionato discepolo, e quasi domestico da
Elogio del prof. Venturoli 171
30 anni, non comportava l'animo di tacere più lun-
gamente l'ammirazione del sapere e della vita di tant'
uomo. II quale ufficio di gratitudine sarà scusato da
temerità in questo luogo da voi, signori prestantis-
simi, i quali, guardando unicamente a' suoi meriti ,
avete voluto, quasi a materiale ricordo di tanta per-
dita, e a tributo di amore postumo verso di lui, che
il discepolo occupasse il seggio del defunto maestro.
Egli nacque in questa città nel di 21 gennaio
1768 di Domenico e di Anna Persiani , bolognesi
anch^essi, di civilissima condizione, di virtù antica,
e di fortuna sufficiente per attendere, liberi d'altre
cure, al buon allevamento della numerosa figliolan-
za. Dalla quale ebbero piene contentezze; perchè tutti,
maschi e femmine, di capace ingegno e di natura
temperata, crebbero accetti e riputati nell'universale.
Giuseppe, secondo genito, mostrò per tempo a che
dovesse riuscire. Istruito dal babbo e dalla mamma
nei primi rudimenti delle lettere italiane e latine,
fu mandato di sette anni alle .scuole del seminario:
e ne'quattordici era già divenuto glorioso all' abate
Magnani, che ivi le professava con riputazione di
scrittore coltissimo nell'una e nell'altra lingua. Alle
quali aggiunse, per gl'insegnamenti del celebre don
Emanuele Aponte, la cognizione del greco : e poco
dopo, quasi senza aiuto di maestri, quella dello spa-
gnuolo, dell'inglese e del francese. Fin dalla pueri-
zia studiosissimo, e simile, né in ciò solo, a Galileo,
non pigliava altre ricreazioni, che della musica; e
si era composta una tastiera di legno, sulla quale
fìngeva di eseguire suoni che aveva uditi, o veniva
creandosi nella fantasia. Di che accortasi la madre
172 Scienze
attentissima, a consolarlo di questo desiderio lo die-
de ad istruire al maestro Cavedagni: e da lui messo
in via, apprese con mirabile facilità il leggere a pri*
ma vista l'accompagnamento, e acquistò abilità di
praticare e d'intendersi d'ogni maniera di musicali
composizioni. io/ yH
Fatto già maturo agli studi maggiori, lo tro-
viamo uditore in filosofìa del Vogli , che reggeva
allora il convitto di Montalto, e in matematiche del
Canterzani, professore dell'università e dell' istituto.
Nomino questi due soli che bastano per un colle-
gio di sapienti. E il Venturoli ne diede buon conto
anch'esso, il 16 aprile del 1789, allorché sostenne
le pubbliche tesi, che gli fruttarono, coli' applauso
che ancor risuona, la laurea filosofica, alla quale fu
promosso dal Canterzani medesimo.
Quando considero al secolo in cui nacque il
Venturoli, mi prende un cupo dolore e sdegno dei
vanti di questa età, la quale ccrre inquieta gridando
il progresso, e pare che voglia tutto rinnovare il sa-
jcro edificio della sapienza eretto dai nostri maggio-
ri. Vide quel secolo fiorire Isacco Newton e Pier-
Simone Laplace; Leonardo Eulero e Lodovico La-
grangia; e tanti altri sommi, senza numero, in tutta
l'Europa: i quali raccolsero i frutti perpetuamente
gloriosi, germinati dalla semenza sparsa a larga ma-
no nel secolo precedente dal Galilei e dal Cavalie-
ri su i campi di tutte le meccaniche e della su-
blime geometria. E fra noi vide a Giandomenico Gu-
ghelmini succedere i due Manfredi, poco dopo i due
Zanotti, e ultimamente il Canterzani, che vedemmo
anclie noi. Chi oserebbe sperare possibili maggiori,
Elogio del prof, Venturoli 173
altezze nel sapere? o giudicare men buona la via
da essi battuta per arrivarvi ?
Io vi confesso, o signori, che credo bellissima
sorte del Venturoli l' essere venuto a quel tenapo ,
nel quale gli studi si facevano per amore del vero
eterno, e non per tratlìco della fuggevole fama pre-
sente; quanto faticosi e lunghi, tanto profondi e du-
raturi, incoraggiati, com'egli slesso diceva (1), di
onori e premi ^ tenui bensi^ ma pur sicuri e solleciti:
e a lui toccarono, che seppe meritaili.
Stette alquanto in forse a qual professione spe-
cialmente applicarsi. Attinse alle dottrine della ra-
gion civile; ma presto se ne disgustò, avverso, co-
m'era, alle gare forensi. Più lo invitavano le scienze
fìsiche, nelle quali si versò avidamente. E innamo-
rato della fama del Galvani, si sarebbe dato, come
il Guglielmini, alla medicina, se non lo avesse as-
salito una singolare apprensione della malattia del
diabete, della quale studiando i sintomi pareagli di
essere affetto; e se ne rattristava a modo, che il pru-
dente genitore e i medici ne lo ritrassero. Fin d'ai-/
lora, senz* altro dubitare, si diede a tutt'uomo ali/
matematiche applicate.
Era giovine di 23 anni, e già lodato per l'am-
pia ei udizione nelle lettere di tante nazioni, quando
in questo istituto lesse agli accademici delle scienze,
ai quali era stato aggregato l'anno innanzi, la prima
memoria =?= De amnium cursu. -■-■ Assunse di prova-
fi) Vedi l'eloffio del Galvani pag. 4, nella roUezinne delle sue
opere pubblicala per cura della nostra accademia. Boioyna, lipogra-
ria Dall'Olmo, 18 H.
174 Scienze !
re l'utilità delle formole generali dell' idrodinamica
proposte dal d'Alembert, e rese dall'Eidero più sem-
plici e generali negli atti dell'accademia di Berlino.
Chiarì di fatti che, ben Inngi dall'essere a sola pom-
pa di calcoli, come uomini gravi le credettero perchè
non possibili ad integrarsi, eran atte a saggiare la
bontà delle teorie che correvano allora sul movimen-
to delle acque.
Considerò prima il supposto che , in un alveo
aperto ed inclinato, le molecole fluide si muovano
parallele al fondo : e , confrontandone gli accidenti
colle condizioni che derivano dalle generali equa-
zioni suddette, mise in aperto non essere possibile
quella specie di movimento, fuorché nel caso degli
alvei orizzontali; il che è fuor del naturale. Poi esa-
minò la teoria del Bonati , secondo la quale ogni
elemento fluido dovrebbe muoversi per linee rette
concorrenti nel punto d'incontro del fondo e della
superfìcie, similmente rappresentati da due rette fra
loro inclinate. Ricavò che con queste supposizioni
può, tutto al più, soddisfarsi alla equazione della con-
tinuità, non mai a quella delle forze sollecitanti, e
della pressione costante alla superfìcie. Onde conclu-
se: « L'ipotesi dei Bonati non potersi ammettere ne'
fiumi, ma solo negli alvei chiusi, come sono i tubi
e gli acquedotti ». Piacque al Venturoli di dedurre
per questi casi la scala delle velocità; e notate al-^
cune mende nelle conseguenze del Bonati, s'imbattè
negli stessi risultamenti che, molti anni dopo , ot-
tenne dalla soluzione diretta del problema, integran-
do l'equazioni del moto a due coordinate di un velo
fluido compreso fra pareti rettilinee. Seguitò per ul-
Elogio del prof. Venturoli 175
timo a dlscort'ei'e delle note supposizioni stabilite
dal Guglielniini nel libro della =: l/j-swa delle acque
correnti => , e fece similmente palese che negli alvei
aperti non potevano sussistere.
A conclusioni di tanto momento in quel tem-
po, per le dispute e per le dubbietà che tenevano
divisa ed incerta l' autorità degl' idraulici , giunse
nel primo passo il nostro geometra, con calcoli spe-
ditissimi e con limpidi ragionamenti, manifestando:
di avere misurata tutta quanta la scienza del corso
de'fiumi. Nei due anni seguenti lesse altre due dis-
sertazioni gravissii)ae,=f= §u,l pendolo idrometrico e sU'
g-li efflussi — •-. '<•»•)•>■.; •
Il Bonati aveva notato di errore la stima della
velociià delle correnti dedotta, col pendola semplice,
dall'osservazione dell'angolo del filo sopracqua: per-
chè la parte immersa del pendolo s'incurva appun-
to secondo l'impulso vario dei filetti d'acqua che la
investono, e però l'infimo latercolo di questa curva
ha l'inclinazione ben diveisa dall'osservata. Per de-
terminare la qualità di si fatto errore, il Venturoli
prese a considerare la curva del filo , supponendo
conosciuta la scala delle velocità: e ne trasse che ,
qualunque sia. questa seal^, la velociti* stimata dall'
angolo apparente .sarà sempre maggiore del vero.
Dopp; la, qjualje conclusione add:itQ anche ja corr<ìzio-
ne da fofsj, alla misura dèli' uuloi de* fluiti^ ottenuta
da Gregorio Fontana collo stessa istrumentOé
Immaginaifdo poi, invece di una palla sospesa
ad un fiiu, un'asta cilindrica girevole iutoiuo al cen-
tro, di spspensione;, compose il pendolo da lui de-
ìiouiinato composto, atto a determinare 1^ ^ala delle
\76 Scienze
velocità, nel primo caso supposta, mediante una se-
rie d' immersioni dell' asta stessa , in ciascuna delle
quali si tien conto della deviazione dalla verticale.
Dimostrò inoltre come lo stesso ingegno può servire
a misurare l'urto dei fluidi contro l'asta, assai me-
glio del pendolo semplice, purché nell' una e nell'
altra ricerea la divergenza dalla verticale non superi
I 25 o 30". Cosi fin da quel tempo proponeva la
bella teoria di questo nuovo tachimetro, interamente
a lui dovuta, da lui ampliata in seguito, e ricevuta
con unanime approvazione dai dotti.
Nella seconda memoria trattò — Degli efflussi
dai vasi semplici — per le piccole luci nude, o ar-
mate di breve tubo, e dai vasi interrotti da diafram-
mi. Ne determinò 1' erogazione e le pressioni inte-
riori , deducendo tutta la foronomia dall'equazioni
generali del moto lineare , con un metodo unico e
rigoroso, mentre altri ne facevano dipendere i teo-
remi da considerazioni particolari ad ogni problema,
creando nuove ipotesi: o, disperati d'ogni teoria, li
ammettevano empiricamente. owìiukiu*
Onde è che il Venturoli , non ancora compiti
i 25 anni, ebbe il merito insigne di far dipendere
tutta quanta l'idraulica razionale dalla generale teo-
ria in un modo semplicissimo; e vi adoperò l'analisi
algebrica la più elegante e spedita , con soluzioni
concise ed evidenti, che dopo di lui sono state se-
guite in tutte le scuole.
A non lasciar nulla indietro, aveva nell' aprile
179^ tassata vittoriosamente, nell'accademia stessa,
di paralogismo la dimostrazione data dal Bossut del
teorema fondamentale « che la velocità dell'efflusso
Elogio del prof. Vemuroli 177
si debba valutare dal peso della colonna d'acqua in-
combente al foro ». Nel che i trattatisti seguivano
quasi cecamente l'Ermanno, immemori che il New-
ton, \edeiKlo in latto essere la velocità dell'efflusso
dovuta all'altezza del battente, n'aveva dedotto do-
versi riguardare cagionata dal peso di una colonna
d'altezza doppia di quella. E sebbene Gregorio Fon-
tana volesse più lardi puntellare la dimostrazione del
Bossut, non mancò il Venturoli di scoprire l'ingan-
no del sottilissimo difensore, tutto riposto nella ipo-
tesi, non conforme al vero, da cui quella dimostra-
zione «i faceva dipendere. Poiché la velocità finita
dell' efflusso non è prodotta da una forza finita in
UH tempo infinitesimo, ma da una serie dì minimi
impulsi in un tempo finito.
In tanta gioventù leggeva ancora, nel 1792,
air accademia solita a tenersi nella casa del conte
Carlo Rusconi, altre due memorie — Sulla forza del
cuore, e Sulla elettricità atmosferica — .
La forza del cuore era stimata da preclari fi-
losofi di misura diversissima. Il Borelli la credeva
potente ad equilibrare un peso di libbre 180, l'Hales
di 50, il Keill di otto once. Il Venturoli chiari co-
me la tanta discrepanza provenisse unicamente dall'
avere que'sapienti male definita la cosa che voleva-
no stimare, e data la misura di forze fra loro na-
turalmente differenti. Cosi il Borelli proferisce la som-
ma delle forze tutte, che si spendono nelle contrazio-
ni del cuore; l' Hales la resistenza vinta dal cuore
nel contrarsi; il Keill la forza dell' onda sanguigna
che il cuore sospinge nell' aorta. Laonde concluse
che, fatte tali distinzioni, quelle opinioni, tanto va-
(i.A.T.CXV. 42
178 Scienze
rie, possono stare insieme senza contraddizione alcu-
na; poiché non vi ha controversia sugli effetti, dai
quali ciascuna è derivata.
Erano registrate negh atti dell' accademia di Pa-
rigi del 1781 Tesperienze del Volta, e de'Lavoìsier
e Laplace, per le quali fu allora fermato che i li-
quidi nel convertirsi in fluidi aeriformi acquistano
una grande capacità pel fuoco elettrico, e lo assor-
bono dai corpi circostanti. Da queste deduzioni il
Venturoli prese l'argomento della seconda memoria,
e ne cavò la semplicissima spiegazione sullo stato
elettrico dell' atmosfera, della quale niun' altra per
lungo tempo fu al certo più soddisfacente. E mostrò
di compiacersene, avendola ad altre accademie pre-
sentata, e molti anni dopo lasciata andare due volte
alle stampe. Che se per le più recenti esperienze del
Pouillet è mancato, colla suddetta dottrina della ca-
pacità, un Fondamento su cui quella spiegazione er-
gevasi, vi resta però immobile anch'oggi il concetto
cardinale di assegnare, in questa specie di fenomeni,
una gran parte a quella elettricità che dicono di pres-
sione, o attuata per influenza.
Vi parrà gran cosa, o signori , eh' egli , tanto
giovine, fosse già singolarmente dotto in matemati-
ca e in fìsica ; avesse ordinata la scienza razionale
delle acque a dipendere tutta dalle teorie più gene-
rali e sicure; fosse adorno di lettere in tante lingue,
e in taluna scrittore di tanto perfetta eleganza da
non potersi bramare di più. Compose in quegli anni
la vita del Montefani, che un giudice, fra i pochis-
simi, competente ai dì nostri, reputa delle più bel-
le prose latine di quel secolo. Ed anche allora n'ebbe
Elogio del prof. Venturoli 17<)
\e lodi somiglianti. Di che basterà l'oracolo del Tes-
suti, il quale, neW Effemeridi di Roma, annovera già
il Veuturoli - fra quei rari e nominati geni « queis
meliore luto finxit praecordia Titan » : e affermava
che quell'aureo commentario sarebbe senz'altro ba-
stato a perpetuare ne'posteri il nome del Montefani.
Usciva qui anonimo per le stampe della Volpe nel
4794. Ma ciò non valse a lui, ripugnante anco agli
amici d'esserne autore, per tenerlo celato. Che il pa-
lesava la fama del sapere, e dello squisito latino del-
le suddette dissertazioni accademiche , sebbene tutte
inedite , già di voce in voce diffusa largamente in
Italia. Chi non lo paragonerebbe al Newton, il quale
trovò giovanissimo i Principii^ VOttica e le Flussioni^
e non se ne fece autore al pubblico che in età ma-
tura d'oltre AO anni ?
Per tanti e si conosciuti meriti ottenne nel 1795
la lettura onoraria di matematiche nella università,
e tre anni dopo la stipendiaria. E il vediamo nell'
istituto, fino dal 1790, membro onorario; e l'anno
appresso segretario dell'accademia aggiunto al Gan-
terzani; indi pensionalo nel 1797; in quest'anno stes-
so professore sostituto di storia naturale, e ne'secondi
uffici della biblioteca.
Ma già era venuta la stagione burrascosa, nella
quale questa troppo bella Italia fu invasa dalle su-
bite armi di Francia, e patì un insolito rivolgimento
di stati, di fortune, di leggi e di opinioni. Il quale,
durato fluttuoso qualche anno, prese poi fórma di
stabilità dalla spada e dal senno di Napoleone unico.
Il popolo intanto, ed anco i letterati, fra le feste
della libertà s'ingannavano volentieri della servitù
180 Scienze
impostaci dai vincitori ; che all' uno promettevano
l'egualità, agli altri le glorie degli studi,
E di vero le nostre istituzioni sul principio si
mantennero; indi ricevettero ingrandimento; e l'uni-
versità e l'accademia dell'istituto , accresciuti di cat-
tedre, di membri e di stipendi, divennero, non più
del municipio solo, ma di tutta la nazione.
A Giuseppe Venturoli, reduce appena dai comizi
di Lione, ov'era stato dai colleghi inviato a rappre-
sentare l'istituto di Bologna, fu nel 1 802 conferita la
cattedra di matematiche applicate nell'ampliata uni-
versità nazionale. L'uffizio poi di segretario dell'ac-
cademia, nel quale era succeduto al Paleani in quel-
l'anno medesimo, gli fu restituito, con molto mag-
gior emolumento, quando, trasferita nel 1812 a Mi-
lano la sede dell' istituto nazionale, qui ne rimase
una sola sezione.
Egli non cessò mai né prima né dopo dalla in-
defessa opera de'suoi studi. Lesse all'accademia Ru-
sconi una memoria, tuttora manuscritta, - Sulla mu-
tazione del senso del colorito, che succede nell'oc-
chio stanco dall'avere lungamente riguardato uno de'
principali colori del prisma - : e con quel suo fino
criterio, e con quella sua invincibil dialettica, sem-
pre piena di luce, mostrò come, al rallentarsi delle
vibrazioni nelle fibrille della retina, la sensazione del
color principale degeneri in quella del suo affine,
secondo che accade de' suoni nella scala diatonica.
Onde gli effetti delle sperienze del Buffon ebbero da
lui una bella dichiarazione, e la teoria delle ondu-
lazioni dell'Eulero una notevole conferma. Fece e
pubblicò la sola traduzione dell'opera Sul calore ani-
Elogio del prof. Venturoli 181
male ec. del Crawford che abbia veduta Tltalia : e
l'accrebbe di copiose postille, piene di tanto sapere
nella chimica, nella fisica e nella storia naturale, da
disgradarne talora il testo, seaipre poi atte a chia-
rirlo e ad ampliarlo.
Seguitò ancora a perfezionare le sue investiga-
zioni sul moto dell'acque nei vasi discontinui, e nei
tubi addizionali, e sul ritardo che soffrono in quelli
di condotta. E ne fanno fede le memorie stampate
dalla società italiana, che si onorava di lui sino dal
1804. Né dopo di lui questa difficile materia potè
collocarsi più al sicuro; salvo che colla determina-
zione di coefficienti numerici atti a rappresentare me-
glio anche gli esperimenti posteriori.
Fin da quando leggeva pel Canterzani nell'antico
studio, poneva ogni cura a raccogliere ed ordinare
un compito corso di meccanica e d' idraulica. Ora
l'occasione dell'accresciuta frequenza degli uditori lo
stimolava più forte; ne tardò troppo a compiere il
proposito^
Nel 1806 dava fuori il 1 volume del suo trat-
tato, cogli Elementi della meccanica -, nell'anno suc-
cessivo il secondo, con quelli dell' idraulica. Il fa-
vore incontrato da quest' opera fu straordinario. I
dotti la giudicarono concordemente magistrale, e la
esaltarono sopra tutti i trattati anteriori. Gli studiosi,
essendo addottata per testo in tutte le università d'
Italia, la cercarono avidamente: talché la prima edi-
zione, quantunque copiosa, fu prestamente esaurita.
L'autore nel 1809 la ristampò accresciuta di un ter-
zo volume di supplimenti , colle teorie principali
della meccanica sublime; e fra quei supp^iimenti com-
182 Scienze
prese anche la teoria del moto delle acque a due
coordinate, nella quale , integrata 1' equazione della
continuità, e determinate le funzioni arbitrarie, die-
de la prima soluzione diretta del moto d' un velo
d'acqua lateralmente contenuto da due pareti retti-
linee concorrenti.il Tadini trovò anch'esso, per al-
tra via, la stessa soluzione , e voli' esserne salutato
inventore. Ma non gli fu concesso ; e il Venturoli
medesimo nella terza edizione de'suoi elementi, uscita
nel 181T, mostrò la conformità delle formole da lui
date sei anni prima con quelle dell'insigne idraulico
bergamasco.
Questa terza edizione, che ottenne l'onore di
dotti commenti da professori di Bologna, di Roma,
e di Pavia, fu grandemente avvantaggiata sopra le
due precedenti, per esservi ridotto a maggiore unità
l'insegnamento (incorporatavi la materia dei suppU-
menti colla parte elementare), e per molte aggiunte,
massime sull'argomento delle macchine.
Vi splende fra queste la teoria dell'ariete idrau-
lico, che era stata poco innanzi cagione di calorose
controversie fra il Brunacci e il Tadini. Egli la fece
discendere con acute e nuove considerazioni dal-
l'equazioni del moto dell' acqua pei lunghi tubi: e
vi stampò un' altra orma di quella dirittura della
mente e della difficile facilità che si ammirano in
tutto il suo trattato. Del quale mi passerò senz'altre
parole; poiché sì di questi pregi, come della vastità
della dottrina , dell' ordine , e del dettato conciso ,
esattissimo ed elegante , è conosciuto in Italia non
solo, ma fuori; essendo presso i francesi, e in Ger-
mania autorevole; e dagl'inglesi, per consiglio del-
ELOGIO DEL PROF. VeNTUROLI 183
l'Herschel e del Babbage , voltato nella lingua loro
a servigio degli studi ; e di là passato anciie negli
Stati Uniti di America.
Noterò solamente che fu il primo fra noi, nel
quale sia partitamente trattata la meccanica specu-
lativa e la pratica; e nell' una si deduce dal minore
numero possibile di principii tutta quanta la scienza;
nelPaltra è aperta la via, e misurata la fiducia delle
applicazioni ad ogni subietto della professione d'in-
gegnere: di queste poi si veggono migliorate bene
spesso le conosciute, e aggiunti esempi di non ten-
tate ancora.
Laonde se non fu dato al Venturoli di creare
alcun ramo di nuovo sapere, ottenne di far crescere
e fruttificare gli adulti: né solo cogli scritti, ma colla
viva voce nel quadrilustre insegnamento dalla cat-
tedra.
Sono innumerevoli i testimoni della speciale
eccellenza di lui nel tragittare i propri pensieri nella
mente dei giovani. Citerò uno dei più autorevoli, il
professore Gregorio Vecchi, che, dopo essergli stato
qui discepolo , andò a Pavia uditore del Brunacci
e del Volta, tanto famosi anco per l'abilità dell'in-
segnare; e mi affermava che se que*due grandissimi
ebbero maggiore la copia del dire, non l'evidenza
maggiore. Né al Venturoli mancò la facondia: che
aveva la mente salda nel concetto che tutto abbrac-
ciava; vi scorgeva la via più facile a raggiungerlo;
e, non che additarla, vi conduce per mano i disce-
poli. Anch'io fui de'fortunati ; e i molti compagni
ed io dicevamo fra noi: « È impossibile non inten-
dere da lui le cose più ardue ». Qual maraviglia,
184 S e I E N Z E'^'>'>^
con tante lettere , e colla materia pronta , per gli
studi e l'ingegno tanto potenti, la brevità in lui fa-
conda, e l'ordine lucidissimo !
A più alti uffici ne'bisogni dello stato la santità
di nostro signore Pio VII, d'immortale e benedetta
memoria , destinava il Venturoli col motu proprio
del 23 ottobre 1817 , ehiamatidolo a Roma presi-
dente del consiglio idraulico, e direttore della scuola
degl'ingegneri. Egli vi andò in quell'anno medesimo:
e fu subito preposto a scegliere i più abili fra tutti
i nostri ingegneri invitati a far parte del miovo
corpo d'acque e strade.
Fece il regolamento di quella scuola; nel quale
propose il numero delle cattedre, il modo e la du-
rata della istruzione, i premi annui, la scala di me-
rito degli allievi, e l'ammissione nel corpo a quelli
che ne toccassero i primi gradi.
Le proposizioni di lui furono tutte approvate;
e Roma ebbe dalla sapienza di Pio VII quello che
Milano aveva sperato da un decreto di Napoleone,
ma con conseguito. Sorse allora la prima scuola de-
gl'ingegneri in Italia. Sull'esempio di quella di Roma
l'ebbero, in seguito, anche Napoli e la Lombardia.
Non dirò del bene che vi facesse e vi faccia.
La professione dell'ingegnere sali in grande onore;
e gli ammaestramenti di quella scuola, oggi fioren-
tissima , non solo crearono fra noi allievi dotti in
ogni parte della scienza e dell'arte, ma, fatti di ra-
gione pubblica dai professori, ne portarono il nome
e i profitti anche fuori. Il che torna a merito prin-
cipale del Venturoli, che^ V allevò con amore dalla
nascita, e l'aiutò a crescere fino al colmo. Volle an-
Elogio del prof. Venturoli 185
che illustrarla con alcuno de'suoi scritti: Sulla por-
tata dei tubi addizionali d'imboccatura conica diver-
gente^ 0 diversamente inclinati alla presa deWacquCy
SulVuso della forniola di Eytelwein nel proporzionare
la sezione agli scoli, e nel trovar la portata dei fiumi
uniti; e finalmente Sull'efflusso dai vasi conici^ e Sulla
curva del pelo d'acqua regurgitato, o accelerato dalla
chiamata dello sbocco.
Queste due ultime ricerche sono delle più lo-
date del Venturoli. In quella dei vasi conici sciolse
il problema, decifrando le funzioni arbitrarie del-
l'integrale dell'equazione della continuità a tre coor-
dinate; il che non era riuscito ad alcuno innanzi a
lui: onde se ne levò un grido di generale appro-
vazione fra gli scienziati. E piacque sV al Bidone ,^
esimio professore e sperimentatore in idraulica a To-
rino, che da quella soluzione volle dedurre la de-
terminazione teorica della contrazione della vena,
con apparente mirabile accordo derlle sue forraole
colle osservazioni. Che se quella teoria trovò dopo
dilFicoìtà gravi in molti, ha però ancora propugna-
tore il Piola; e ciò solo basta a mantenerle cele-
brità (1). Neil' altra, che il chiarissimo prof. Mos-
sotti, prescindendo dalle resistenze, aveva teorica-
mente promossa, volle il Venturoli ridurre le cose
alla pratica; e vi riuscì da maestro. Trovò la curva,
d'indole logaritmica, nella quale si dispone la su-
perficie dell'acqua corrente in un alveo aperto, so-
stenuta che sia da lieve impedimento, q resa da lieve
cascata più rapida; onde fu veduto essere in questi
(1) reggasi la ìwfa in fine-
186 Scienze
casi indefinita l'estensione del rigurgito e della chia-
mata dello sbocco. Ricomparve in Italia, e di là dai
monti quella curva, come trovata da altri; ma s'ap-
partiene a lui, che la pubblicò il primo nel 1823.
Seguitando ora il Venturoli nelPufiìzio solenne
di presidente del consiglio sulle acque, e poscia sulle
strade ancora, la materia al mio discorso si allarga
a confini troppo lontani, e la stringerò quanto im-
porta alla presente occasione.
Lo precedette a Roma la fama non solo d'in-
signe idraulico teorico, ma di pratico ancora. Non
di sapiente nimico alla minuta trattazione degli af-
fari, ma di esperto nelle pubbliche amministrazioni.
Poiché giravano per le mani di tutti i suoi pareri
sul drizzagno di Calcara nella Samoggia, sulla im-
missione delle acqua Bevilacqua negli scoli centesi ,
sullo scolo del comprensorio fra Poatello e Reno; e
molti altri.
Era stato non solo censore della stampa, mem-
bro del collegio elettorale dei dotti, e due volte reg-
gente dell'università, ma deputato per gli affari d'ac-
que a Milano, e fra noi consigliere del dipartimen-
to e del comune. Quindi fu intera la fiducia di tut-
ti, che non mancherebbe all'aspettazione del pub-
blico nel reggere i consigli e l'amministrazione dei
lavori dello stato. Sopra tutto si esaltava il principe
della elezione di lui, che avendo superate, anzi di-
sperate r emulazioni e le invidie, era dai colleghi
riverito: dai minori, la massima parte suoi discepoli,
venerato.
Dovere del consiglio d'arte è il determinare le
proposte delle opere di acque e strade negli annui
Elogio del prof. Venturoli 187
preventivi; il giudicarue i piooetti, che so» commes-
si agi' ingegneri delle province ; il rivederne V ese-
cuzione e l'amtninistrazione-, il rispondere alle con-
sulte d^l governo in ogni cosa d'arte o di contro-
versie, o di spese che vi siano attenenti, ^llla mole
di cure si gravi si sobbarcò il Venturoli colle spalle
poderose : e la sostenne fino all' ultimo di sua vita
con tal valore, che al mancare di lui restò ognuno
sfidato del potersi sostituirgli l'uguale.
Tutti gli affari più intricati rendeva agevoli
colla maravigliosa facoltà di vedervi subito il nodo
principale, e da qual capo risolverlo. Laonde, ri-
dotte le questioni ai minimi termini, proponeva il
suo parere con tale brevità ed evidenza , con tale
forza del discorso , facile , convincentissimo , che il
persuadeva ai colleghi, agli avversari, ai giudici, a
chiunque vi avesse parte. A tanto giunse nella opi-
nione di padroneggiare l' altrui giudizio, che nelle
cose disputabili ciascuno dei contendenti l'avrebbe
voluto difensore: e quando non potevano averlo,
chiedevano che fosse escluso dall'interloquirvi. Neil'
arte nulla gli era mai nuovo: e la di lui approva-
zione alle opere progettate era una gloria, l'emenda
senza contraddizione accettata. Si ragguagliano a so-
pra trecento l' anno gli opinamenti che fece in sei
lustri al consiglio; e tutti sì opportuni, si splendidi
ne'pregi delle sue opere maggiori generalmente dif-
fuse, che se non compenessero un volume soverchio,
né tutti di argomenti da cercarsi passata l'occasione,
sarebbero degni di stampa; ad esempio nobilissimo,
e forse unico, del perfetto scrittore, e consigliere in
materia di amministrflzione e di arte. La eccellen-
188 Scienze
za dello stile sarà felicemente creduta da coloro che
ammirarono la perfettissima trasparenza del pensie-
ro negli elogi del Galvani e del Malfatti , e nelle
sue dissertazioni accademiche , e nel suo libro , o
che udirono dalla sua voce le promozioni alle lau-
ree in questa università, o videro le sue lettere fa-
migliari. Chi della vastità dell' ingegno e del sape-
re dubiterebbe?
Nondimeno, per toccare di alcuni degli scrit-
ti al consiglio d' arte , rammenterò quelli sui cir-
condari di scolo nelle legazioni nuovamente circo-
scritti e riordinati; la relazione sulle paludi pontine^
nella quale appare la stato a cui era condotta la
grande opera di Pio VI nel 1836, e quanto rima-
nesse a perfezionarla; il progetto del traversante al
ramo d'Ostia per migliorare la foce navigabile del
Tevere a Fiumicino; il parere sul modo di riabili-
tare il porto d'Anzio, che si legge fra gli atti della
società italiana; la proposizione di un sostegno, ove
raccogliere e rialzare le acque del diversivo della
Liscia, indi liberarle, a beneficio del canale di Fa-
no; finalmente la informazione sul Reno dopo i di-
sastri del 1842, che comprende in succinto le vicen-
de e i pericoli della nuova inalveazione, il proba-
bile pronostico dello stabilimento non remoto del
fìume, le imperfette proposizioni dei rimedi imma-
ginati, e la necessità di studi ben fatti a dichiararne
la linea attuale possibile o no a sostenersi.
Che se aggiungessi a questa enumerazione i
voti, e tutti lodevoli, sopra nuovi andamenti di stra-
de, sopra la revisione dol catasto, o per controver-
*ie private di acque, di servitù, di giurisdizione, o
Elogio del prof. Ventoroli 189
per commissioni di comunità , mi dilungherei dal
proposito. Mi fa ben forza, o signori, il ricordarvi
come non dimenticò la nostra accademia fra quelle
moltiplici ed incessanti occupazioni.
Fin da quando risorse (ed operò efficacemente
anch'esso a farla risorgere) non la privò quasi mai
della dissertazione annuale, raccomandata dalle re-
gole antichissime agli accademici pensionati. Laonde
i nostri commentari furono arricchiti della teoria de-
gli estuari, non tocca prima di lui; delle applica-
zioni che ne fece ai porti di riflusso ; e dell' effe-
meridi tiberine. L'altezza del flusso e riflusso negli
estuari dipende dalla loro ampiezza, tragrande, mez-
zana o minima; e nel primo caso il loro livello non
si altera sensibilmente per le maree; nel secondo si
eleva o si abbassa con legge dipendente da quan-
tità logaritmiche trascendenti; nel terzo segue in tut-
to quello del mare. Quindi si fa manifesto che solo
ne'piccoli bacini, come al Cesenatico, può utilmente
raccogliersi l' alta marea , e chiudersi in tempo di
riflusso, per isprigionarla a correre sul piano della
secca a beneficio della foce; mentre negli amplissi-
mi conviene lasciare aperta la comunicazione dell'
estaurio col mare, come al porto Corsini. Tutte le
vicende del movimento alternativo del mare e degli
estuari sono espresse da formole semplicissime , e
chiarite con esempi di fatto ; per cui questa parte
della scienza dell'ingegnere riconosce da lui l'inse-
gnamento che gli bisognava.
Fu similmente primo in Italia a promuovere le
statistiche de'fiumi; e dalle quotidiane altezze, osser-
vate per 24 anni all'idrometro di Ripetta, compose
190 Scienze
le tavole della portata quotidiana, media ed annua
del Tevere; quindi dall'acqua che vi passa un anno
per l'altro ricavò II rapporto con quella piovuta sul-
la tributaria campagna. Notò specialmente il fatto
che, negli anni asciutti, il rapporto dell'acqua tras-
corsa pel fiume colla piovuta è maggiore che negli
anni umidi e piovosissimi. Onde potè il nostro egre-
gio Bertelli trarne, fino dal 1841, che dalle interne
sorgenti , più che dalle piogge , dovea ripetersi la
perennità del corso dei fiumi. E dopo di lui il be-
nemerito Lombardini, confrontandone il deflusso me-
dio con quello del Po, insciente della opinione del
Bertelli, arguì essere questa una condizione al tutto
speciale del Tevere, il quale, attese le piene altissi-
me sul pelo perenne , tiene del lacuale e del tor-
rentizio.
La vita operosa del Venturoli, bastevole ad ono-
rare qualunque insigne letterato, qualunque sommo
filosofo speculativo e pratico, fu cara a tutti per le
virtù dell'animo. E che vale il sapere, se da quelle
si scompagna ?
Amò teneramente la famiglia , e adempì alle
ottime parti di figlio, di marito e di padre. Amò e
servì indefessamente la patria, lo stato, la nazione.
Pio, benefico, cortese, d'incorrotta coscienza, di
tenore costante nella volubilità dei te mpi di mo-
destia sincera ed amabile, non ebbe a soffrire ini-
micizie. Gli onori non cercò mai, e gli ottenne da
liberi suffragi, e comandati dal voto pubblico. Le
accademie di Torino, di Milano, di Venezia , di
Roma, di Napoli, e ogni altra delle più C98picue
d'Italia lo aggregarono ai loro soci. Anche quella
Elogio del prof. Venturoli 19 f
<\i Parigi ne mostrò desiderio due voltej ma a lui,
ohe stava sempre in disparte, prevalsero i più spor-
genti. Non mai , se non chiamato , si accostava ai
potenti, per dignità di sapiente, non per burbanza;
il che gli accrebbe la riverenza. Quante volte 1' ho
inteso dire: « che l'uomo dev'essere ,'ollecito di me-
ritare, non de'premi del merito »; « d' avere caldo
il cuore, e fredda la ragione! ». Talora avresti giu-
dicata indifferenza quella che veramente era costanza
d'animo nei travagli domestici; come nelle perdite
amarissime del fratello ingegnere fper soverchio zelo
affogato in una rotta del Reno ) , di due figliuole
sul fiore della età, della buona e fedele sua com-
pagna. Ma quando ne parlava , quel suo sobrio e
facile eloquio veniva meno, la sua serenità si annu-
volava, e faceva forza visibilmente a se stesso. Che
diremo deirultìma sua infermità di sì violenta iscu'
ria, che in dieci giorni lo estinse? Non un lamento,
non un sospiro fu udito da lui; non accusò dolori,
né al fratello medico, né alla sorella, né al dilettis-
simo figliuolo , né alla nuora , che lo assistevano
amorosissimamente. Ricevette gli estremi conforti della
religione con accesa fiducia in Dio, e con animo in-
vitto fece la dipartita del giusto.
Sebbene di s) temperata natura, si mostrò, quando
occorse, infiammato di coraggio civile, e di grande
amore di patria. Levò nel ginnasio querele nobi-
lissime contro le straniere usurpazioni dei trovati
d'ingegno italiano. Rappresentò liberamente al car-
dinale Consalvi come gli studi e i professori, dopo
la restaurazione, erano caduti in basso, e convenisse
rialzarli. E allorché il ministro Sebastiani spargeva
i92 Scienze
per r Europa tante ingiurie degl' italiani, gli dava,
in suo scritto, tale una sdegnosa disdetta ad ogni
parola, da farnelo pentire e ripentire.
Fu di mediocre statura, di volto amabile e ve-
nerando. Il cranio grande, la fronte vasta, il guardo
sereno ed espressivo erano taciti , ma non fallaci
segni della capacità della mente e della bontà del
cuM'e. Visse felice quanto è possibile quaggiù. E
aitante della persona fino all'ultimo, volle vedere il
ponte sulla veneta laguna, e la strada ferdinandea.
Vi andò di qui col figliuolo e colla nuora, accom-
pagnato fino a Vicenza, per fargli onore, da molti
de' suoi ingegneri. I professori di Padova e di Mi-
lano gli fecero festa , e se ne rallegrarono ; parve
loro uno stupore quella verde vecchiaia, quella inal-
terata potenza dell'intelletto: e nell'altezza della fama
e del grado quell'umilissimo contegno!
Presso a toccare i 78 anni morì contento in
patria, fra i congiuntissimi: non essendogli mancato
al chiudere degli occhi che la figliuola e i nipotini
di Roma. ! oroìa
Era poco prima tutto lieto dell' era beata che
vedeva prepararsi dalla santità di nostro signore ,
mandato da Dio. Dal quale, appena salito al trono,
ricevette, assente, le insegne di commendatore di s.
Gregorio Magno. E piacquero a lui, ma più all'uni-
versale , come luminoso principio di sapientissimo
regno. Avrà dal municipio degno luogo fra i se-
polcri dei bolognesi illustri, da' colleghi il monu-
mento nell'università. Se non che più delle immagini
durerà il desiderio e 1* esempio delle sue virtù e
delle opere immortali.
Elogio del prof. Venturoli 193
NOTA
Il chiarissimo Bidone, volendo applicare la teo-
rìa dell'efflusso dai vasi conici del Venturoli alla ri-
cerca della contrazione della vena, suppone (Memo-
rie delV accademia di Torino^ voi. 34, pag. 363 e
seg.^ an. 1830):
1. Che debba essere costante la pressione e la
velocità lungo la traiettoria d' ogni molecola , nel
brevissimo tronco della vena compreso fra l'origine
e il termine della contrazione;
2. Che la direzione della velocità assoluta V
alla prima sezione, ove comincia a formarsi la vena
contratta, sia normale all'ultima sezione piana della
massima contrazione.
Quindi osserva che, essendo in generale il piano
della luce del vaso obliquo alla direzione della ve-
locità assoluta, si avrà la portata di questa luce mol-
tiplicandone l'elemento della superficie dzdy per la
velocità relativa normale al piano di essa luce, os-
sia per V sen. X: indicando con X l'angolo della ve-
locità assoluta col piano medesimo , e debitamente
integrando. L poiché nella sezione piana della mas-
sima contrazione la velocità assoluta V si ritiene nor-
male all' elemento della di lei superficie, se questo
lo chiami d^oj, ne avrai la portata Fd^cj = dzdy V
sen. X ; da cui d'o = dzdy sen. h
Da questa equazione si deduce subito, senz'al-
tro calcolo, che se X — 90, l'area del foro sarà uguale
all'area della sezione contratta.
Supponendo poi che la sezione, ove comincia
G.A.T.CXV 13
194 Scienze
a formarsi la vena, sia sferica di raggio R , come
nel vaso conico, secondo la teoria del Ventiiroli, se
si prende l'asse del cono per asse delle x, e le z^ y
ortogonali, coll'origine nel vertice, l'equazione pre-
cedente diviene:
d^a «es dzdy —-=:dzdy —
R R
Pel caso di una luce circolare di raggio r inte-
grando, ed estendendo l'integrale da y, e da z=^^
fino ad yz=s{[/'r'^-z'^)^ e a zs=«r, si ottiene
2nrHR^ >R^-r\^t r\\
27rr*
r =5, si ha w == ~ —
onde il Bidone conclude: l'area della contrazione due
terzi dell'area del foro circolare, come risulta dalla
misura effettiva.
Ma su questa ingegnosa applicazione osservo :
\. Che l'assumere la pressione costante nel breve
tronco della vena contratta è contrario al fatto, che
dimostra essere minima la pressione nella sezione
estrema della contrazione, appvmto perchè ivi è mas-
sima la velocità;
2. Che r assumere a priori che la velocità as-
soluta diminuisca al presentarsi dei fili d' acqua al
foro del vaso, e divenga dovuta al battente nella se-
zione della massima contrazione, è un fatto noto per
esperienza: ammesso il quale per altro l' area della
sezione contratta riesce minore di due terzi di quel-
le della luce, cioè prossimamente uguale a sei de-
cimi di essa.
Ma , prescindendo anche da queste considera- i
Elogio del prof. Venturoli 195
zioni , a me sembra che quando si fa r >==■/? il lato
del cono divenga normale all'asse, e il vaso conico
verticale si riduca ad un piano orizzontale indefini-
to, non già ad un vaso qualunque, come assume l'Aut.,
e che allora non abbia luogo né la contrazione, né
l'efflusso.
L'analisi in questo caso presenta la solidità del-
l'emisfero insistente sulla luce, uguale cioè a due ter-
zi del cilindro circoscritto; e se si divide per l'altezza
r==/J, come ha fatto il Bidone, si ottiene l'area me-
dia uguale a due terzi dell' area della luce, che è
la base su cui l'emisfero insiste.
Questo rapporto é al tutto accidentale ; e di-
pende unicamente dall'avere assunte per la soluzio-
ne del problema proposto le stesse condizioni che
occorrono per determinare la solidità della sfera.
Fino dal settembre 1823 mandai al prof. Ven-
turoli la mia nota - Sul movimento delle acque a due
coordinate -, che lasciai andare al pubblico nel 1828
colle stampe del Nobili a Pesaro: e la lasciai andare,
anche perchè mi fu supposto che sarebbe uscita fra
le cose inedite del prof. Giambattista Masetti, allora
allora defunto, il quale l'aveva avuta da me mano-
scritta nell'anno precedente. In essa mossi alcun dub-
bio sulla teoria del moto a due coordinate, che si
legge nella seconda edizione degli Elementi ecc. di
quel mio insigne maestro, e su quella dell' - Efflusso
delV acqua dai vasi eonici - pubblicata nelle - Ri'
cerche della scuola di Roma - per l'anno 1821.
A me parve che tanto nell'una, che nell' altra
soluzione la traiettoria rettilinea dalle assunte ipotesi
fosse già prescritta; che la soluzione dei vasi conici
196 Scienze
fosse un caso particolare di quella del moto a due
coordinate; e che, posta la cognizione di quella tra-
iettoria , tutte le conseguenze dell'autore potessero
ricavarsi dalla teoria del moto lineare, convertendo
in circolari o sferici gli strati che discendono nor-
malmente alla direttrice del moto. Aggiunsi le con-
siderazioni generali, per le quali mi parve che niun
profitto potesse cavarsi dall'equazioni generali del-
l' idrodinamica , senza il soccorso delle ipotesi , o
perchè quell'equazioni siano in se complete, o per-
chè siano insufficienti.
Il signor Bruschetti nella sua memoria sulla
- Teoria del moto delle acque -, stampata nel 1829
dal Bernardoni a Milano, accennò d'aver letta quella
mia nota, e giudicò che io avessi confusa la forma
col valore delle funzioni arbitrarie. Io tentai di di-
singannarlo in una mia lettera inserita nella Biblio-
teca italiana dello stesso anno , e più estesamente
con alcune avvertenze pubblicate fra gli atti della
accademia agraria di Pesaro del 1830. Poi non ne
intesi parlare più. Finché il prof. Turazza negli An-
nali delle scienze del regno lomb. veneto (bimestre V
e VI an. 1840, pag. 237 e seg. ), confutando la
soluzione dell'efflusso dai vasi conici del prof. Ven-
turoli, citò di sfuggita la mia opinione, e si valse
del mio stesso argomento per dimostrare che la tra-
iettoria rettilinea era supposta. Si provò a miglio-
rare quella soluzione. E ciò fece anche dopo più
ampiamente con una seconda memoria, che uscì fra
gli atti dell'istituto veneto nel 1844. Ma tanto que-
sto professore nel suo trattato di idrometria, uscito
pel 1845, come, innanzi a lui, il professore Vincen-
Elogio del prof. Ventiuoli 197
zo Amici , nel suo primo volume di meccanica e
idraulica^ stampato a Firenze nel 1840, concorsero
nel parere che nella teoria del moto a due e tre
coordinate del Venturoli la traiettoria rettilinea fosse
supposta a prioria
Il professore Giusto Bellavitis presentò fin dal
1845 alla nostra accademia dell'istituto una sua dis-
sertazione su questo grave argomento (uscita in que-
st' anno fra i commentari della stessa accademia ) ,
nella quale, oltre convenire nella stessa sentenza, in-
tende a mostrare che tutte le soluzioni finora pub-
blicate sul moto delle acque non sono che casi par-
ticolarissimi contenuti nelle generali equazioni della
idrodinamica, e di niun profitto alla pratica, perchè
troppo lontani dalle condizioni naturali del problema.
Anche ne'congressi scientifici di Napoli e di Ge-
nova furono riproposte e ammesse le stesse difficol-
tà sulle soluzioni del moto delle acque a due e tre
coordinate, e sulle generali equazioni dell'idrodina-
mica, e non ebbero in contrario che 1' autorità, per
altro solenne, del Piola. Si leggono nel 1 e 2 vo-
lume degli atti dell'istituto lombardo due profonde
di lui dissertazioni sull'argomento in discorso, che
lo qualificano uno dei più grandi analisti del no-
stro tempo.
Egli parte dal principio che, nel moto perma-
nente, le molecole percorrano traiettorie varie da una
molecola all'altra, ma stabili per le stesse molecole.
Posto ciò, nel caso più semplice del moto a due
coordinate ( e in modo simile nel più composto a
tre ):
1. Se avverrà che le prime molecole prendano
498 Scienze
corso lungo le pareti esterne , durando per ipotesi
le stesse cagioni, le successive dovranno di necessi-
tà correre lungo la stessa via.
2. Che se vuole considerarsi il detto velo fluido
composto di tante fila o linee di molecole, moven-
tesi nello stesso senso, quante ne posson capire fra
quelle pareti, l'equazione di quelle linee non potrà
differire da quella delle pareti, se non che pel va-
lore del parametro ; altrimenti rimarrebbero degli
spazi vuoti da una fila all'altra. E però anco le due
pareti, per soddisfare al supposto, debbono conver-
tirsi l'una neir altra per la sola variazione del pa-
rametro.
3. Supponendosi poi nello stato iniziale simili
ed uguali tutte le molecole , ogni traiettoria dovrà
contenerne lo stesso numero: e quelle che si trova-
no negli strati discendenti non potranno mutare, di-
scendendo, la posizione rispettiva, senza passare, con-
tro r ipotesi, da una traiettoria nell' altra; ond' essi
strati riescono di forma determinata, e tagliano lun-
ghezze uguali delle traiettorie.
Così nel velo fluido compreso fra due pareti
rettilinee concorrenti, quegli strati divengono circo-
lari, perchè le traiettorie sono rette concorrenti: e
per contenere un egual numero di molecole convie-
ne che siano raggi dello stesso circolo.
Queste cose, che a me, nella citata nota, sem-
brarono discendere evidentemente dal supposto (e
tuttavia mi sembrano ) sono poi conformi al fatto ?
Credo di no.
Nel velo conico se il foro è minimo, e mas-
sima la divergenza dei lati, supposta =sì 1 la dimen-
Elogio del prof. Venturoli 199
sione orizzontale della molecola presso al foro, po-
trà l'altra omologa alla superficie divenire =« oo !
L* intima costituzione dei fluidi è tuttavia uà
mistero , a decifrare il quale mancano gli elementi
di fatto per applicarvi con successo il potente istru-
mento dell'analisi. L'insistente studio su i fenomeni
complessi, e le replicate osservazioni di essi, sono,
per mio umile avviso, l'unico modo di allargare la
scienza del moto delle acque»
Della difJìeoUà degli studi medici. Prolusione del pro-
fessore Vincenzo Valorani recitata a'suoi disce-
poli il dicembre 1831 neW ascendere la prima
volta la cattedra di medicina teorico-pratica.
X]i potentissima inclinazione naturale quella che ci
porta con tutto il desiderio dell'animo, chi ad una,
e chi ad un'altra professione di vita. La quale in-
clinazione, che pura pura procede dall' individuale
temperamento, quando non sia né ritenuta, né volta
in contrario, è non fallace promettitrice che s'abbia
a conseguire la maggiore eccellenza in quell'eser-
cizio medesimo, a che ella con secreto impulso per
istinto ne chiama. E tanto vale il conoscere e tan-
to importa il secondare il suo naturale talento, che
indarno si spera veder giugnere a lodevole meta co-
lui che mal suo grado é costretto ad applicarsi ad
'200 Scienze
alcun genere di professione, al quale non sia per
natura ordinato e disposto. Che se, come a qualsia*-
si altra facoltà e disciplina, così pure alla medica ,
difficilissima, solo intendesse chi riunisce in sé il de-
siderabile complesso di tutte le qualità fisiche e mo-
rali che a quella dispongono e rendono atto, noi non
avremmo ancora a lamentare ciò, onde lagnavasi quel
miracolo d'ingegno e di sapere, Giuseppe Antonio Te-
sta. Il quale nel principio di questo secolo naaravi-
gliava seco medesimo come nell' immensa copia di
cognizioni, o interamente relative, o almeno diretta-
mente connesse alla medicina, in mezzo a tante scuole
di clinico insegnamento, fra veri e solidi principii
di medicare, quest'arte così portentosa nelle mani di
alcuni de' sommi nostri maestri, non ricomparisse se
non che quasi a salti esercitata con tutta quella pie-
na prosperità di successi che le è propria. Di che
veramente è a dolere e pel decoro dell'arte che pro-
fessiamo, e per quel sentimento d'amore grandissi-
mo che senza eccezione alcuna ci stringe ai nostri
simili.
Ma alle cagioni di così giusta doglianza non par-
teciperete voi, elettissimi giovani, de'quali tengo per
fermo, che ciascuno prima di venire alla presente ele-
zione di vita, sia disceso entro sé stesso, s'abbia cer-
cato in fondo all'animo, e quivi attentamente spiata
la propria indole e la propria natura. Ond'è che io
debbo già rendermi certo della vostra dispostezza,
molto da quella aspettarmi, e presagire egregiamente
de'vostri ingegni. Anzi il mio convincimento in fa-
vore di questa crescente generazione di studiosi di
medicina arriva tant'oltre, che se alcuno tra voi fosse
Studi medici 201
mai meno contemperato di natura a così ardua e
lunga disciplina: di quello oso io promettere, che con
r assiduità, e con ostinatamente durarla studiando ,
saprà appoco appoco vincere le naturali ripugnanze,
rinascere di sé medesimo tutt'altro da quel ch'egli è,
venire in fama di ottimo, non ad altri che a se de-
bitore de'suoi felici progredimenti. Alla guisa istessa
di Demostene, che superati gli ostacoli della contra-
ria complessione, a ritroso della natura madrigna di-
venne il più grande oratore della sua nazione.
Le quali mie parole d'oggi, se erano a voi per
molti rispetti opportune , opportunissime e degne
che a tutt' altre si anteponessero le mi parvero in
risguardo all'istituto mio. Imperocché parendomi do-
vervi esporre svelatamente dal bel principio le a-
sprezze e gli ostacoli che nello studio della medi-
cina , e più neir esercizio della medesima avrete a
superare; io non avrei creduto potere a pieno rag-
giungnere il mio scopo senza avervi fatto prima al
vivo sentire la indispensabile necessità o di un' at-
titudine somma de'vostrt animi e de' vostri corpi, o
di uno sforzo immenso straordinario di studio che
ne adempisse le veci.
Chiunque ha delle cose mediche alcuna super-
ficiale notizia comprenderà di leggieri quanto sia dif-
ficile l'esser medici: che è quanto dire « interpor-
» re costantemente con fortuna il più che è pos-
») sibile la propria opera in vantaggio degl'infermi. »
Ed arduo invero, o sommamente malagevole, questo
per me si giudica. Che anzi ov' io delle varie arti
e scienze avessi quel fino conoscimento, che sareb-
be mestieri a far di esse un accurato e compiuto
202 Scienze
paragone, forse avrei donde pronunciare con fon-
damento , essere la scienza della medicina di tutte
le altre diffìcilissima. Ma lasciando ad alti intelletti
un così vasto confronto e la grandezza di sì gra-
ve giudizio, bastimi ora dire, perchè v'abbiate su-
bito intorno a ciò un'opinione la meno lontana dal
vero : che la medicina ha le più importanti e le piii
strette attenenze con ogni altro e qualunque ramo
dell' umano sapere; che la intera storia della natu-
ra e tutta la fisica la seguono sì da presso, che ap-
punto ella incomincia dove le altre hanno fine. Di
che facilmente sarà ognuno persuaso quando sap-
pia, che la conoscenza delle leggi cardinali, onde si
regola tutta questa smisurata stupenda mole dell'u-
niverso, dee necessariamente precedere l'esame dei
fenomeni degli esseri organizzati , per indi risalire
fidatamente alla contemplazione degli attributi di
quella specifica universale attività, che quantunque
variamente modificata nei diversi organismi , sem-
pre semplice, sempre indecomponibile, sempre simile
a sé medesima, fa sentire dove più, dove meno dif-
fusa la sua presenza.
Prenderà però vigore e s' ingrandirà nelle vo-
stre menti il concetto delle difficoltà che si discor-
rono, se vi farete dappresso alla considerazione del-
l'uomo, scopo principalissimo de' vostri studi e delle
vostre meditazioni. Lo studierete voi solo fisicamen-
te? Nel complicato ordinamento della macchina u-
mana, nella struttura delle parti che la compongono,
nel loro sito, nelle connessioni, nella figura, negli
usi, nelle corrispondenze di meccanismo e di azio-
ni , nelle speciali attività dei diversi organi e de'
Studi medici 203
vari sistemi , tutte fra di loro cospiranti ed armoni-
che, avrete un campo vastissimo di penosa e lunga
istruzione; per la quale unicamente verrete da tanta
d'acquistare i veri criteri della- integrità e del di-
sordine delle funzioni della vita, d'istituire una dia-
gnosi meno dubbia ne'più difficili casi di condizioni
patologiche occulte, e di avere aiutatrice al bisogno
la molteplice dottrina dei morbosi consentimenti. Lo
studierete moralmente e fisicamente ad un tempo ?
Quale aggregato di misteri e di maraviglie non si
presenta ad un tratto alla vostra immaginazione !
Quale complesso di attività e di potéri, derivanti da
questo secreto collegamento di due proprietà così tra
loro dissomiglianti! Quali elementi di azioni di op-
posta origine, efficacissime a mantenere la salute, a
suscitare la malattia, a ingenerare le opportunità del-
l'una e dell'altra, a variare e modificare all' infinito
l'esteriore de'vostri infermi, e ad indurre nell'inter-
no de' loro poteri vitali, cangiamenti sommi, straor-
dinari , inenarrabili ! E chi potrà con certa norma
dividerle ed ordinarle in classi queste potenze del-
l'animo? Chi potrà dare nel segno nel determinare
il grado di approssimazione delle loro attività? Chi
con un calcolo il meno improbabile misurarne e com-
putarne gli effetti ? Per me vi confesso mi si sgo-
menta il pensiero, quantunque volte si fa addentro
nell'intricato labirinto delle umane passioni.
Ma uscendo da questo cammino pieno di vie
tanto dubbie e fallaci, e procedendo innanzi, piace-
rai, prima di condurvi più oltre fra le molestie e le
asprezze dell' arte, di non ritardarvi un conforto ser-
bato a voi dalla benignità della fortuna e del tera-
204 Scienze
pò. Voi invidiabili, voi privilegiati d' esser nati nel
secolo della medica restaurazione, secolo che ne vai
molti, per i progressi e per le glorie dell'arte! Nel
quale) richiamati a disamina gli studi di tutte le età
precedenti, messi in comune gli acquisti e gli avan-
zamenti d'ogni maniera di filosofìa^ fatto giudizioso
tesoro delle felici ed uniformi pratiche di medica-
re di Baglivi, di Sydenam, di Boerhaave, di De-Haen^
di Hoffmann , di Borsieri , e di GuUen ; confermati
i più generali principii della dottrina di Brown, con-
futati trionfalmente tutti gli errori della medesima ,
fu vista la medicina teorico - pratica riprendere le
austere divise nell'antica semplicità, collocarsi in un
seggio di luce, e cui fanno base duratura non le vane
ipotesi e le false supposizioni, ma l'osservazione ed
i fatti, lo studio delle cagioni senza trascendere i con-
fini dell' umano intendere, e sopra tutto il computo
e la misura degli effetti quanto più assoluta e deter-
minata può conseguirsi per criterio di analisi e di in-
duzione severissime. Cosi la dottrina de' contro-sti-
molanti, la teorica dell' irritazione, il fondo senipre
identico de'processi flogistici, la condizione patolo-
gica delle febbri continue, l'infiammazione che spes-
so s'insinua di soppiatto nelle più dilicate fibre del
solido, e costituisce il segreto elemento d' una mol-
titudine di infermità, e di quante non avrebbe po-
tuto non dico prevedersi, ma neppure sospettarsi ne'
secoli addietro, i poteri dinamici e gli organici nei
loro confini e nelle loro attenenze più evidentemen-
te contrassegnati , le virtù e le attribuzioni de' so-
lidi e de'fluidi nella economia degli atti vitali me-
glio chiarite e distinte, le forze medicatrici della
Studi medici 205
natura dal fatto clinico rivendicate e protette, for-
mano altrettanti infallibili conoscimenti , dai quali
potrete facilmente ricavare , oltre i dettami di più
soda e severa patologia, una maggiore sicurezza di
operare nelle curagioni dei morbi. Voi invidiabili,
voi privilegiati, io ripeto, a cui di tanto appianaro-
no la via, che fu sì erta e sdrucciolevole per altri,
le fatiche e i trovati di sommi ingegni italiani , il
nome de' quali durerà chiaro finché i benefizi fatti
air umano genere meriteranno alcun ricordo nel
inondo !
Nella semplicità però de'nuovi principii, in que-
sto persuadevole aspetto di filosofìa medica, non cre-
diate già di trovare vm letto di riposo ai vostri slu-
di ed alle vostre fatiche. No, E. G., l'arte è ancora
assai lunga, e Io spazio della vita troppo breve per
apprenderla e professarla interamente. I pesi im-
posti alla vostra istruzione sono egualmente gran-
di: e li giudicherete facilmente maggiori e più enor-
mi che non incombevano ai medici delle passate età,
se porrete mente alla farragine immensa delle dot-
trine e dei fatti, moltiplicati omai senza numero, che
direttamente appartengono alla fisica animale , alla
chimica, alla farmacia, alla materia medica. Potre-
te voi dispensarvi dal conoscerli, se non tutti, quella
parte almeno maggiore che v'è possibile senza man-
care all' obbligo che contraeste fortissimo verso V
umanità quando assumeste quello d' esser medici ?
E similmente, in mezzo a tanti nuovi e sempre cre-
scenti oggetti di medicina che, qual più, qual meno
esigono la nostra attenzione, dimenticherete voi lo
studio de'nostri maggiori? Vi lascerete dopo le spai-
206 Scienze
le il frutto di tanti secoli? Starete contenti ad essere
gli uomini solo de'nostri giorni, potendo essere quel-
li di tutti i tempi ? Intorno a che già non verrò io
soggiungendo se non fosse più prudente consiglio
r accumulare nuove ricchezze, senza perdere quelle
che già si possedevano ; e nemmeno dirò a quale
segno sia ingiurioso alla memoria di chi visse pri-
ma di noi il dannare alla dimenticanza tutto quanto
operarono in beneficio della posterità , gettando i
primi rudimenti di quelle cose che con tanto utile
crebbero e si propagarono fino a lei. Sol che dia-
te un'occhiata, anche rapida, alla storia dell'arte,
vi chiarirete per insino all'evidenza, che se è antico
l'errore, la verità non è venuta oggi nel mondo.
Tutto questo, che è pur qualche cosa per di-
mostrarvi r ampiezza della istruzione che vi abbi-
sogna, è poco, incredibilmente poco, per argomen-
tarne le arduità della pratica medicina. Al letto degli
infermi doveva io chiamarvi: colà, dove abbandonati
alla guida dell'osservazione e del fatto, dovrete ret-
tificare le vostre teoriche e le vostre dottrine ; là,
dove il ragionamento , la filosofia e tutti i risultati
dell'ingegno vi abbandoneranno, se non avrete per
iscorta la natura, se non sarete da tanto di spiegar
la natura colla natura medesima. Là si farà palese
l'importanza e la grandezza del fine, al quale come
ad unica ed ultima conseguenza sono rivolti tutti
i vostri studi. Là si parrà l' aggregato delle naturali
ed acquisite qualità, per che sarete degni d'innal-
zarvi al gravissimo ufficio d' esser medici. Quivi è
duopo di lucida mente , di fatica ìnstancabi le , di
pazienza senza confini: quivi la prudenza dee porsi
Studi medici 207
alle più difficili prove, la bontà dell' animo far di sé
certa fede , l' amor de'suoi simili scoprire inesauste
le fonti della pietà. E la eloquenza che persuade ,
e la grazia delle parole che molce 1' affanno , e il
coraggio non temerario che fortunato tocca gli estre-
mi, e la previdenza che non è mai soprappresa, co-
glie il momento e giova, e quante altre sono de-
siderabili doti umane , a questo termine niuna è
soperchia. Ecco la pietra lidia dell'arte e la compiu-
ta forma del perfetto artefice; ecco le vie, per le quali
incedendo sicuri que'primi sapienti s'attrassero la ma-
raviglia de'popoli e si meritarono onori quasi divini.
Ma quanto non è difficile e malagevole il possedi-
mento di quest'arte maravigliosa! Attraverso di qua-
li ostacoli non conviene passare per giugnere a con-
seguire questo salutevole magisterio! Entra il giovane
alunno la prima volta le sale cliniche: e lui fortu-
nato, se può entrarvi coll'invidiabile corredo di fini
e delicati sensori! Più fortunato se v'entrerà sgom-
bro la mente da false persuasioni ! Quelli, perfezio-
nati dall'uso, gli faranno sentire intorno agli infermi
ogni cosa d'importante che loro appartenga; questa,
non vincolata dall'errore, accoglierà i fatti nudi qua-
li sono in sé stessi, non quali un anticipato giudizio
o uno spirito di parte comanderebbe che fossero.
Che questo debb' essere suo intendimento principa-
lissimo, non so se più raccomandato dall'arte o me-
glio ispirato dalla natura , il cercare di scolpirsi
profondamente nell'animo l'immagine fedelissima dei
diversi aspetti delle malattie con tutto quel com-
plesso di caratteristici segni, che a ciascheduna pro-
priamente compete. Il quale studio condotto per
208 Scienze
gradi al sommo della sua perfettibilità, non può dirsi
a parole quanta parte costituisca della medica ra-
zionale esperienza, ne fino a che segno abbia potere
di sovvenire alle più terribili urgenze. E forse da
questo sopra ogni altro , per non mi dire unica-
mente, trae principio quello specifico modo di sen-
tire de' medici intorno le malattie , quella specie di
subito presentimento che essi hanno sulla vera in-
dole delle medesime, che è detto sensorio dell'arte
o tatto pratico. Tatto che non si crea in noi per
precetti: che non si trasmette per eredità a'succes-
sori: che è tardo frutto di lunghe e continue me-
ditazioni sul vario procedere de'morbi: che fa diflfe-
rente il vedere, che è di tutti, dal bene osservare
che è di pochissimi. Tatto, pel quale alcuni sommi
maestri parvero quasi trascendere la natura comune,
allorché afferrando colla mente certi istantanei e fug»
gevoli mutamenti dello stato morboso, poterono con
sicurezza, rotto il velame dell' avvenire , antivedere
interni non temuti disfacimenti, o il possibile e non
lontano rinnovellarsi d'una salute già disperata.
A raccogliere per altro puramente nell' animo
le forme specifiche di tanti affetti morbosi , quali
appunto se gli offrono a'sensi, quanta difficoltà non
dee trovare il giovane alunno, considerando alle in-
numerevoli sembianze loro, forse altrettante quante
sono le fisonomie degli uomini ! Imperocché, ossia
fecondità di natura , o infinita variabilità di fisiche
circostanze, come due corpi perfettamente simili nel-
la moltitudine degli esseri non s' incontrano , cosi
nemmanco due malattie interamente conformi. Lo
stato vario e sempre cangiante degli individui , le
Studi medici 209
«JifFerenti loro costituzioni e idiosincrasie, la molti-
plicità delle morbose cagioni, il vario lor grado d'a-
nione esercitato sui corpi, e cent'altre combinazioni
subordinate ora all'uno, ora all'altro di questi ele-
menti, imprimeranno costantemente ne'mali un nu-
mero pressoché infinito di specifiche differenze. £
rimarrà sempre arduo il discernere le reali dalle ap-
parenti differenze : lo sceverare i consensi morbosi
per necessità insieme congiunti , da quelli che noi
sono se non in alcuni casi e tempi della malattia :
il distinguere, come dicono, l'epifenomeno acciden-
tale dal segno patognomonico, i risultamenti simpa-
tici dai sintomi diretti, i fenomeni di lieve conto da
quelli onde s'hanno propriamente a desumere i veri
criteri della diagnosi. E insino a che una fallace ap-
parenza di fenomeni potrà ravvicinare e confondere
insieme malattie fra loro diversissime: insino a che
il complesso di minute cose, anzi talvolta un leg-
giero ed unico segno, basterà a scoprire 1' aspetto
vero d'un morbo velato sott' altre forme: insino a che
per morbose complicazioni avranno molti punti fra
loro di contatto , e pochi saranno i segni a che si
riconoscano l' ematuria renale, a modo d' esempio,
dalla vescicale , la psoite dall'ischiatite, l'infiamma-
zione stessa dello stomaco da quella del diafragma;
non sarà mai detto abbastanza, quanto sia e mala-
gevole e necessaria ad un tempo la diligente in-
vestigazione di queste specifiche differenze. Dalle qua-
li mentre vuoisi con sottile e profittevole accorgi-
mento ricavare motivi a temperare il regime e la
cura, e averne fondamento buono di più sicuro pro-
nosticare , non si cessa mai dal mirare primamente
G.A.T.CXV. 14
210 Scienze
alle reali essenze del morbo, né mai si pone in non
cale che la massima parte delle infermità, o insor-
te per cagioni esterne accidentali qualunque, o ema-
nate]^da interni speciali disordini, trovano in sé stesse
lafragione sufficiente per isvilupparsi e discorrere
i loro stadi. Ben altrimenti dall' inefficace proposito
dei ciechi empirici, i quali stortamente ragionando
la virtù del mercurio contro la sifilide, della china-
china contro le febbri intermittenti, del vaccino con-
tro il vaiuolo, dei cloruri di calce e di soda contro
i miasmi contagiosi, pretenderebbero di rinvenire 1*
antidoto e lo specifico ad ogni male.
Se però avvenga che l'osservare con assidua at-
tenzione il corso ed i fenomeni delle malattie, e V
aiuto di sincere istorie e di accreditate monogra-
fie arrivino ad agevolare al giovine medico il com-
prendimento della maggior parte di quelle speciali
morbose varietà che gli passeranno sotto de' sensi ,
nondimeno quanto pur difficoltoso e raalagavole non
dovrà riuscirgli l'investigare il grado, e se è lecito
così ei^primersi, la quantità della malattia ? Ricerca
verissimamente grave ed importantissima, dalla qua-
le singolarmente dipende il non oltrepassare medi-
cando quella giusta proporzionevole misura nel sot-
trarre e neir aggiungere, che determina il perfetto
esercizio dell' arte, e separa di grande intervallo 1'
indotto dal sapiente della natura. E quale raggio di
benigna luce gli rischiarerà questo ancor più in-
tralciato e più oscuro cammino? A quali fidate scor-
te si al)bandonerà per progredirvi sicuro? Ricorrerà
all' esame delle cagioni? Ma come sperare di poter
sempre rintracciarle? E rintracciate, con che animo
Studi medici 211
in lutto affidarvisi? A non moltiplicare i pericoli del-
l'errore per quei mezzi medesimi che cerca d'cTÌ-
tarli, non vorrà porre in dimenticanza : non sempre
potersi rimettere adequato il rispondere degli infer-
mi alle interrogazioni del medico : a ciò fare con-
trasto il pudore e la timidezza di alcuni, di altri la
stupidità e una certa naturale insesataggine, quanto
ad altri l'estremo abbattimento delle forze e la mor-
bosa turbazione dello spirito, e per tal altro ancora ,
non di rado, la malizia e la frode. Quella infelice
fanciulla, che ardendo di secreto sfortunatissimo amo-
re, vede ornai spento col fiore della bellezza quello
più pregevole ancora della salute, è prima disposta
a morire di quell' occulto veleno che la consuma ,
che confidare al suo medico la recondita cagione del
suo soffrire. E quando pure si potessero tutte sco-
prire le vere origini de' mali, come non dovrà ri-
cordarsi, niun computo assoluto e determinato po-
tersene fare a priori: gl'impeti della vita, e piiV i
preternaturali e morbosi, governarsi con altre leggi
da quelle della materia non viva: nelle cose dell'ani-
male economia gli effetti non sempre proporzionarsi
alle esterne cagioni; e poca favilla secondare spesso •
gran fiamma: gran fiamma non essere sempre segui-
tata da grande incendio. Quante volte la senìplice
impressione d'una fragranza soave, la vista d'un pic-
colo insetto, 1' orrore d' una sanguigna, non furono
potenti a suscitare ansietà, deliqui, freddi sudori,
sincopi, lipotimie? Quante convulsioni, quali orrendi
insulti di epilessia, rinnovellati poi mille volte, non
furono mossi da prima solo da un esalamento .sgra-
devole, da un aspetto ributtante, dà un suono ingra-
212 Scienze
lo! Ridondano le storie mediche dì si fatti esempi,
ed io mi tengo dispensato dal raccontarli.
Che sarà ora a dirsi de' sintomi , àncora forse
unica di salvamento , alla quale il giovane alunno
si affiderà in questo pelago pieno di scogli? Che del-
l' esperimento de'farmachi, a cui da ultimo mirerà,
quando ogni altro lume torni ottenebrato? Gli uni
ora soYerchiamente paventosi, ora troppo miti e ri-
messi , rade volte riescono interpreti fedeli e veri-
dici di quel vero grado, di quell'assoluta quantità,
che tanto importerebbe di riconoscere. Gli altri .
spesso variabili nella misura della loro azione, più
spesso incerti nelle loro modali ed elettive facoltà ,
e talor anco stranamente operanti, e in senso inver-
so delle virtù proprie, o non soccorreranno nel mag-
gior bisogno l'ingegno, o gli somministreranno prin-
cipii di troppo tardo ragionamento. L'aspetto pauroso
del tifo, che tante volte a certi determinati periodi
si dilegua, solo per poche rifrattissime dosi di tar-
taro stibiato, e con l'uso di larghe tartarizzate be-
vande; i polsi filiformi della gastrite, che si rialzano,
e prendono vigor nuovo coU'aiuto di ripetute san-
guigne; il sale purgante che diventa emetico: la radice
astringente che si trasmuta in las.sativa; la mistura diu-
retica che assume officio di sudorifera; e cento altri
somiglievoli fatti daranno all'asserto fede amplissima,
irrefragabile. E quali saranno dunque le norme a
che egli si atterrà per adeguare questo scopo delle
sue investigazioni? . . .
» Si guarderà dal sottoporre il suo giudizio
« alla parzialità d' un solo calcolo esaminando gli
u oggetti da un solo lato; sarà altamente compreso
« dell'indispensabile debito di esaminarli complessi-
Studi medici 213
« ramente in tutti i punti possibili. E dopo avere
n indagata separatamente la forza d'azione delle po-
>< tenze nocive , misurata separatamente 1' intensità
« dei vari fenomeni morbosi, calcolate pur separa-
« tamente tutte le risultanze delle attività medicatri-
t< ci, ne farà computo complessivo, e ne ragguaglie-
« rà il valore con una analisi la più rigorosa alla
<• condizione delle speciali attitudini organiche , e
<« delle reazioni specifiche dei corpi infermi ». A
questo modo adoperando vedrà maravigliato scatu-
rire la sorgente del vero di là medesimo, donde troppo
frequentemente si derivano gli inganni e le erronee
persuasioni. Per contrario, dimenticata la essenzialis-
sima circostanza delle speciali predisposizioni di ca-
dauno, non computato quant'era necessario lo stato
d'individualità, disperi di mai approssimarsi al co-
noscimento del grado e della quantità de' morbosi
processi; la quale finché rimarrà oscura, rimarran-
no pure oscuri i giudizi, i metodi incerti, gli eventi
pericolosi.
E a farsi concetto il più vicino al vero di que-
sta che io chiamerei volentieri diatesi individuale ,
che non pure costituisce la maggiore o minore op-
portunità alle malattie, ma ingenera tra loro insigni
e sterminate differenze di grado e di forza, lo aiu-
terà sopra ogni altro la considerazione diligentissi-
ma delle consuetudini del vivere de' suoi infermi ,
della tempra de'loro animi, dell'impeto e dell'indole
delie loro passioni. Che bene altramente si avviserà
del pleuritico , che tenne vita oziosa ed agiata , da
quello che la logorava negli stenti e nella fatica: al
lamentare di sensibile e delicata persona darà va-
214 Scienze
lore diverso dai gemiti d'un uomo intrepido e sof-
ferente; della epatite d'antico bevitore porterà giu-
dizio tutt' altro da quella che sordamente consuma
un nostalgico che risospira piangendo la terra na-
tale.
Condotte le parole a questo termine, che altro-
più mi rimane perchè si paia in tutto raggiunto il
mio tema? Nulla per avventura; nulla, secondo che
a me ne pare. Ondechè porto fiducia, sia già ognu-^
no di voi intimamente convinto della somma ardui-
tà della nostr'arte, e in pari tempo appieno consa-
pevole di quali attitudini di mente e di corpo abbia
mestieri, e di quanto sforzo di studio abbisogni pe»
guadagnarne la meta. La quale verità, che ezian-
dio nel corso de'nostri scolastici trettenimenti avrò
spesse occasioni di confermare, anziché atterrirvi e
disanimarvi, vi accresca lena alla fatica, e v'inspiri
ardore proporzionato all' imprendioaento. Quanto a
me, io vi porgo la mano, e mi fo guida de' vostri
passi. E quantunque 1' insegnare pubblicamente la
medicina, cosa per sé malagevole sempre difficilis-
sima, non abbia forse più mai incontrate tante dif-
ficoltà quante oggi per quel continuo rivolgimento
di sistemi e d'opinioni che si succedono e s'incal-
zano senza posa , pure avendo innanzi al pensiero
l'aurea sentenza di Gaubio-che è meglio arrestarsi
nel cammino^ che procedere oltre nel buio-non sarà
mai che ìó vi conduca per vie non battute ed igno-
te fra le incertezze e le tenebre. Il terreno, sul qua-
le dovfete meco imprimere le vostre orme, è terreno-
provato , è terreno impresso dalle vestigie dei più
grandi maestri dell'antico tempo e del nuovo. Quel-
Studi medici 215
lo spirito d'i nvesligazioni e di ricerche, che va al di
là dei fatti , non si confà colla ragione intrinseca
dei nostri studi: le astrazioni metafisiche, i misteri on-
tologici, le entità scerete ed occulte, tanto vagheg-
giate dai razionalisti e dai platonici de'nostri giorni,
non sarà mai che per noi si conducano nella pa-
lestra dal nostro medico insegnamento. Vi ha gran-
de differenza, abbiatelo ben fìtto alla mente, E. G. ,
vi ha grande differenza, in fatto di mediche disci-
pline, tra il precettore che istruisce, e il genio fi-
losofante che si propone comunque di far progre-
dire la scienza. L' uno reca a materia delle sue
didascaliche esercitazioni quanto si sa di più precla-
ro e distinto nell'arte sua, cioè a dire le nozioni ele-
mentari e classiche della medesima e il modo più
acconcio di farne con rara sagacità l'applicazione al
letto degl' infermi. L' altro all' incontro , scrutatore
curioso, ed avido sempre di nuovi acquisti, si piace
di spaziare per luoghi nebulosi e reconditi : e in
ogni questione qual siasi , dopo avere accennato ai
propositi già manifesti, e considerato i punti più co-
nosciuti, cerca di penetrare più oltre, e fa opera di
conquistare ciò che resta ancora a sapersi. La qua-
le maniera di pericolosi cimenti se è commendevole ,
che è pure commendevolissima, se ad essi più che
ad altro è dovuto per avventura l' incremento del-
l'umano sapere, non è men vero però, che coloro
cui è affidato al geloso deposito della pubblica istru-
zione, quando non vogliano tradire il santo fine del
proprio ministero, anziché correre in traccia di cose
insolite, anziché vagare colla immaginazione per re-
gioni ipotetiche e nel mondo degli invisibili, avran-
216 Scienze
no debito di i imaneisi sul dimostrato e sul «odo :
di non trascendere mai i limiti delle provate e con-
fermate cognizioni: e in mezzo a tanto strepito e tan-
to fermento di novità , di quanto non v' ha forse
esempio ne' passati secoli, a quelle sole di esse far
g;razia , che il tempo e la esperienza dimostrarono
ingenuamente proficue, e conducenti daddovero agli
utili e non fallaci avanzamenti della scienza.
Ma io non mi partirò da questo luogo senza
prima rendere un ampio omaggio di lode e di ri-
conoscenza a te, già mio istitutore e maestro G.. An-
tonio Testa; da questo luogo, parlante ancora delle
tue glorie: da dove tu, medico grandissimo e nobi-
lissimo, con una facondia pari alla immensità del tuo
sapere discorrevi la grandezza e la dignità della me-
decina. Vanno celebrate pel mondo le tue opere, e
vi andranno insino a che saranno in onore fra gli
uomini i dettami della esperienza e della ragione.
Peristi immaturo alla scienza, e lasciasti di te desi-
derio ardentissimo nel cuore de' tuoi discepoli che
tu sì amorevolmente ammaestrasti. Ed io, come che
ultimo fra loro, conservo nella più intima e rieor-
devol parte dell'animo con la tua diva immagine i
tuoi dotti e sublimi ammaestramenti. Ed emmi caro
in singoiar guisa questo luogo e questo giorno, per-
chè posso pubblicamente inspirare a questa gioven-
tù , crescente alle speranze ed al decoro dell' arte ,
r ammirazione dovuta ai monumenti della tua sa-
pienza.
2 IT
liUTTlill^TUmA
Delle età che in sua persona Danfe m/figura
nella divina commedia.
Ragionamento di Marco Giovanni Fonia.
PARTE PRIMA.
iVurelio Teodosio Macrobio disse già ne'suoi con-
viti saturnali , esser fuor di contesa , che senza la
scienza dell'umano e divino diritto non si può co-
noscere la profondità di Marone (1). Elogio grande
verannente e degnissimo di un tanto poeta egli è
questo; il quale vie più si fa grande al considerare
che dai lettori di Virgilio di ogni tempo venne ri-
conosciuto per vero. Non altrimenti più tardi av-
venne a quell'incomparabile fiorentino, che con quel-
la lingua che chiama mamma e babbo seppe de-
scriver fondo a tutto l'universo. Io dico Dante Al-
ighieri , che tanto e s) beli' uso fece ne' suoi versi
non pur delle tradizioni volgari e della storia d'ogni
specie, ma e si anche delle scienze umane e divine,
(1) « Videlur ne vobis piohaliini , sine divini et Inniiani iuiis
seientia non posse profuntlitatem Maronis intelligi.' » Satiirnal iil
3, cap. 7, innanzi al mezzo.
218 Letteratura
ila potersi meritamente ripetere, che senza la piena
cognizione dell'umano e divino diritto non può l'uo-
mo comprendere la profondità del suo ve.so. Questo
onorevol parere su Dante, che fu di tutti gli inter-
preti più antichi, venne elegantemente espresso dal
Boccaccio , allorché applicando alla commedia una
sentenza di s. Gregorio, riguardante la sacra Bibbia,
disse: « Questo libro essere un fiume piano e pro-
» fondo, nel quale l'agnello puote andare, e il leo-
» fante notare: cioè che in esso si possono i rozzi
» dilettare, e i gran valenti uomini esercitare » (1),
Col Certaldese la sentirono così uniformemente i
susseguiti commentatori, che lunga ugualmente che
vana fatica tornerebbe il qui riferirne le proprie sen-
tenze: ma v'ha tra essi Filippo Villani che, mani-
festata uguale ammirazione pel sacrato poenna, seppe
accennarne i pregi in concetti anche più onorifici
ed espressivi. Poiché, afferrata certa sentenza del rab-
bino Mosè Beniaimon (così leggesi nel codice chi-
giano) (2; estratta dal libro dei Proverbii, dice che
la Commedia di Dante somiglia ad un pomo d'oro
chiuso in una rete d'argento, i cui fori siano tanto
minuti e stretti che un aspetto un poco lontano, per
non poterli trapassare, non si accorge dell'oro con-
tenuto, e quello estima ed ammira come se non al-
tro fosse che argento. Se non che , attratto dalla
bellezza argentea, l'uomo vi fissa più e più il viso:
tanto che, penetrando finalmente pei non prima av-
vertiti forellini, discopre e conosce l'aureo pomo nella
(1) Conim. i;. I, ini. nell'allegoriii .
i2j CoJ L. VJI, 253 Divini Commeiia:
Divina Commedia 219
rete nascoso, e ne fa tanto maggiore stima, quanto
più l'oro è pregevole sopra V argento. Tale per Io
appunto è la Divina Commedia intessuta a doppio
significato: la lettera , splendienle ed allettante ogni
lettore per l'armonia del verso, il brio delle sentenze
e la finzione poetica, è la rete finissima di argento
che comprende e cela al guardo mentale l' aureo
pomo dell'allegorica sentenza. Tutti e dotti e indotti
ammirano e levano a cielo 1' argentea sfavillante
bellezza della lettera: ma intanto quei soli ch'hanno
mente da ciò in questo guardare ed ammirare fis-
sano le acute luci dello intelletto in quel divino det-
tato; e penetrando pei minuti forami, che in essa let-
tera son disseminati, si deliziano trasecolati nell'au-
reo pomo della vera sentenza, che la poetica finzio-
ne gelosamente nasconde. Tutti i lettori s'allietano
nell'argento della lettera che a tutti si manifesta; i
più acuti si sentono divinizzare dall'oro della nascosa
verità. Facile è l'intelligenza della lettera, e tanto ci
vuole a conoscerla, quanto a vederla; difficilissima
è l'allegoria, che soltanto chi attentamente scruta la
storia letterale, va lieto di cominciarla a vedere. Ma
tra queste due letterale e spirituale, v'ha nella com-
media una terza sentenza, la quale spetta esclusiva-
mente alla favola poetica, che, per mantenere la fi-
gura del Villani, potrebbesi dire una immagine im-
pressa nella esteriore superficie della argentea rete.
La quale immagine, perchè di lieve impressione, e
troppo vivi essendo i raggi che l' argento rifrange
negli occhi, non è sensibile a tutti, ma a quei soli
che con qualche attenzione vi fermano sopra il guar-
do. Questa nuova «enlenza non abbisogna ad esser
220 Letteratura
avverlita e siifficientemenle compresa né di lungo
studio, né di pi-ofondità e moltiplicilà di scienze; a
lei basta pure la ferma ed investigante attenzione di
ehi legge , la quale accoppi al mezzo della favola
il principio ed il suo fine, per essere con distinzione
avvertita e compresa. Io parlo qui di quella terza
allegoria, per la quale Dante, fìntosi viatore a secolo
immortale sotto la scorta successiva di Virgilio, di
Beatrice e di s. Bernardo, figura se stesso come un
adolescente, che passa dalla prima alle tre susseguenti
età della vita umana. Questa parte, che non fu (ch'io
sappia) per alcuno avvertita, sarà ora per noi accen-
nata brevemente sì , ma pur confido con sì certi e
decisivi argomenti dimostrata, che voi tutti, valorosi
tiberini e nobilissimi signori, ne andrete (spero) pie-
namente convinti (1).
Tenea Dante per fermo, e n' avea ben onde,
che i poeti latini abbian figurato nelle azioni dei
loro personaggi qnal una, qual altra delle età della
vita umana. Così, per figura d'esempio, ei dice che
nel quarto, quinto e sesto dell'Eneide figurisi in Enea
la giovinezza (Conv. tr. 4, cap. 26). Che Marzia nel
secondo della Far.saglia significhi successivamente
tutte e quattro le età. Che Eaco nel settimo delle
Metamorfosi dia esempio delle virtù che alla vecchiaia
più sono richieste. L' artificio ch'ei trovò, o trovar
credette in altrui, ha poi voluto da buono imitatore
opportunamente introdurre nel suo poema. Quivi
(1) Questo iap,ionameiito eiM preparalo ppr 1' adunanza tiberina
del 29 ili magjjio ilei eorrente 1848. Ma fu con piacere ceduto il po~
'to ad altro commendevolissiino prosatore.
Divina Commedia 221
stitnò dover lornar utile a'propii lettori il condurre
il suo protagonista, che è Dante stesso, dalla adole-
scenza a tutte le tre seguenti età dell' uomo. Peiò
diede a se medesimo successivamente le azioni e le
qualità che a quelle più sono conformi. Figurasi nell'
adolescenza nei primi sessantun canto: in gioventù
e vecchiezza da questo canto al novantottesimo : e
nel senio per gli ultimi tre canti. Io ben so che la
novità del mio asserto lo rendeià a prima giunta raen
credibile a questa nobile udienza: ma le prove, ch'io
sono per desumei'e non altronde che dal Convito e
dalla Commedia, me ne faranno in breve, certa ed
aperta fede. E vengo senza più all'assunto primiero
dicendo, che il viatore nelle due prime cantiche è
simbolo della prima età, che età novella e adole-
scenza dal nostro autore si appella.
Questa primiera parte della nostra vita comin-
cia per Dante dalla nascita e basta sino a tutto il
XXV anno; dal quale ha principio la giovinezza, che
durando soli venti anni si compie al XXXXV, in
cui entra la vecchiezza che finisce al LXX, ove su-
bentra la senettù, o .senio, per chiudersi poco più po-
co meno dopo l'LXXX anno. Ma tornando alla pri-
ma età , si noti con Dante che nella adolescenza ,
perchè la natura si studia nel crescere e nell'ador-
nare il corpo (detta per ciò accrescimento di vita,
età imperfetta ) l' adolescente non ha vera volontà,
né gode di una piena libertà di arbitrio. Ondechè
giustamente la legge vuole, che l'uomo in tale tempo
non possa certe cose fare senza curatore di perfetta
età ( Conv. tr. 4, e. 24 ) e pone l'adolescente sotto
l'altrui tutela sino al termine prestabilito, quando Tuo-
222 Letteratura
mo è già entrato nella gioventù, detta ed avuta dall*
umana ragione per età perfetta. Quindi lo adolescen-
te ha da essere obbediente^ snave e vergognoso. Ob-
bediente al padre, ai maggiori, al maestro: soave per
farsi degli amici con atti e reggimenti graziosi: ver-
gognoso., cioè pudico., ammiratore e verecondo (Gonv.
tr. 4, e. 25). Tale appunto è il mistico viatore dell'
inferno e del monte che salendo altrui dismala. Im-
perciocché chi mai vorrà dire che egli non fosse ob-
bedientissimo a Virgilio con tanto di rispetto, amore,
e devozione, che certo più non dee a padre alcun
figliuolo ? . Non lo chiama egli frequentemente, e fui
per dire ad ogni muover d' anca, or duca , or si-
gnore, or pedagogo, or padre ? E Virgilio non si
diporta ver lui sempre come tale, e non lo chiama,
così una come le dieci volte, coU'affettuosissimo no-
me di figlio ? Né questo solo , ma in ogni azione ,
in ogni occasione non troviam noi Dante prontissi-
mo ed obbedientissimo ad ogni parola, ad ogni cen-
no e pensiero del mantovano poeta ? E questi forse
che non si mostra tale, ognivolta che a lui sovviene
di istruzione e di consiglio, di incoraggiamento e di
freno, di blandimento , di riprensione e di difesa ?
quando colle braccia lo sostiene, quando col petto
lo trasporta, colle mani gli chiude gli occhi, con
cenni lo fa inginocchiare, e lo rende opportunamen-
te ri.spettoso innanzi agli alti personaggi che per via
gli si fanno incontro ? Per me non ho mai potuto
leggere le prime due parti della Commedia, senza
che mi si pingesse alla mente il viatore quasi un
nobile adolescente che non muove occhio, non pie-
de, non labbro se pria ciò non gli è dal venerato mae-
Divina. Commedia 223
stro permesso, voluto o comandato ; che se l' ine-
sperienza, il fuoco giovanile e la curiosità, cotanto pro-
prie dolla età novella, gli fanno dire , chiedere ed
agire alcuna cosa oltre i rigorosi limiti del conve-
niente, tosto ad un lieve cenno del maestro, eccolo
là mortificato, ripentito e vergognoso implorare pei
fatto, e per atti , o parole quel perdono, di che ai
giovanetti non può l'uomo discreto far nego giam-
mai. Che dirassi poi, ove alle già addotte osserva-
zioni si aggiungano col pensiero (che io non li pren-
do a numerare) tutti quegli atti di trepidazione, di
timore e di fuga repentina ed inconsiderata del ma-
le; nei quali, non altramente che il fanciullo che ri-
corre sempre là dove più si confida, il nostro via-
tore a cessare i pericoli veri o immaginari si ritrae
tutto gelato alle fidate spalle del suo dolce pedagogo?
1! contegno da noi ravvisato nelle rispettive azio-
ni di Dante e di Virgilio è senza fallo propriissimo
di giovane obbediente, soave e vergognoso; in una
parola è proprio di fanciullo ingenuo, e di valente
maestro e giudizioso pedagogo inteso al vero e mag-
gior bene dell'educato alunno. Quindi se il discente,
bramoso d'apprendere, interroga, o si affissa alle no-
vità in che s'abbatte per via, il maestro gentile e
prontamente soddisfa, e lieto accondiscende a qual
sia richiesta e curiosità lodevole ed onesta: ma con-
tegnoso e grave ne riprende le intempestive doman-
de, ed i precipitati giudizi, e forte e severamente
ne sgrida anche con ira le smodate e indecorose ten-
denze. Ora se Dante non figurasse in tutti e singoli
questi fatti 1' uomo d' imperfetta età , a qual buon
prò avrebbe il poeta introdotte ne'suoi versi le mi-
te
'2'ì'i LETTtRAtuRA
unte descrizioni di così piccole premure e puerili
ditetti solamente proprie di un vero pedagogo, e di
uno che sia veranaente fanciullo ? Tanto più che
talune ve ne ha così urtanti il dilicato sentire, che
i men rispettosi leltori ardirono dar loro la taccia di
gravissimi difetti ? Io intendo quivi parlare del se-
vero rimprovero che Virgilio fa a Dante quando
questi, veduta un'immensa turba di anime accorrenti
al fiume Acheronte, gli chiedeva chi elle siano e
perchè sì pronte a trapassarlo; a cui severo il mae-
stro soggiunse: « Le cose ti fien conte Quando noi fer-
roerem li nostri passi Sulla trista riviera d'Acheronte
(Inf. e. 3,v. 76). »)Io intendo del severo contegno del
pedagogo verso l'alunno, allorché questi inteso ad
ascollare il basso e scurrile alterco di mastro Ada-
mo e del falso Sinon da Troia, con piglio più che
mai sdegnoso e minacciante gli scoccò all'improv-
viso come tonar che tosto segua un : Or pur mira
Che per poco è che leeo non mi risso (Inf. 30, 132),
Parole dure e tremende tanto, che sonaron per lun-
ghi anni dentresso il cuore di Dante; che più tardi
ponendole tra l'altre note, sentiasi tuttavia concitare
a non indecorosa vergogna: sebbene il prudente ed
affettuoso maestro non avesse tardato un istante a
farlo certo del suo pieno perdono. Questi e simili
fatti non rari, anzi frequentissimi nelle prime due
cantiche, e di cui non trovasi più esempio nella ter-
za, mi hanno avvertito che non erano essi orna-
menti né capricci poetici nella Commedia introdotti
per sola novità e mutazioni spiritose di scena, come
il più si fa dai recenti poeti: ma sì li dovetti rico-
noscere per essenzialmente opportuni all'utile e cora-
Divina Commedia 225
pinta educazione del benemerito adolescente; e dal
poeta artatamente usati per offrire ad altri in se stes-
so quella buona lezione che alla novella età gli par-
ve conveniente e decorosa.
Conciossiacosaché se cosi non fosse, noi dovrem-
mo riconoscere in questo pellegrino un uomo di 35
anni, che a rigor di termine è il colmo della età per-
fetta, quando la nobile anima adorna de'più squisiti
pregi fisici e morali brilla nella maggior luce della
temperanza, della lealtà e della fortezza. Or qui co-
me si difende il poeta, che ad un protagonista di sì
perfette doti abbia assegnato un pedagogo tale che
lo rampogna di tanti falli, gli insegna anche a par-
lare e a muovere il passo , gli chiude gli occhi, gli
piega le ginocchia, la testa e le mani innanzi a Ca-
tone ed agli angeli del sacro monte ? lo conforta ,
lo incoraggia le cento volte ? Lo prende in braccio,
e per fino lo cinge ai fianchi, e gli lava con sue mani
la faccia ? Ed avrem noi siffatto viatore per giovane
temperato, forte e leale , come Dante nel suo Con-
vito lo descrive e lo vuole? 0 non ci parrà piuttosto
un bel fanciullone, cresciuto non si saprebbe come,
e cascatoci giù dalla luna per cominciare il viaggio
della sua educazione, quando già dovrebbe compa-
rire adorno di tutti quei nobili e cortesi tratti che
fanno l'uomo amabile, dotto e perfetto? Ma se cosi
strana contraddizione è vietato di ravvisare tra gli
ammaestramenti, onde il saggio pedagogo largheggia
col protagonista della Commedia; gioco forza è che
noi riconosciamo in Dante raffigurata quella età no-
vella, in cui simili premure son giudicate necessarie,
non pur convenienti e buone. Il che fatto , ecco
G.A.T.CXV. 15
226 Letteratura
spontanea sorgere e commendevole la contegnosa
condotta di Virgilio verso l'alunno ; doverosa e de-
gna la riverenza che l'alunno usa al maestro : ed i
suoi difetti, e le sue curiosità, e le sue paure dive-
nir altrettante prove, sia dell'eccellenza del maestro,
sia della nobiltà del viatore, sia della natura di un'
età che per la sua tenerezza è dai moralisti deno-
minata imperfetta. Imperciocché a questa età non è
difetto, ma è anzi fatto « necessario di essere reve-
rente e desideroso di sapere : a questa età è neces-
sario d'essere rifrenato, sicché non trasvada : a que-
sta età è necessario d'essere penitente del fallo, sic-
ché non s'ausi a fallare: a questa età è finalmente
necessario obbedire al maestro (Conv. tr. 4, e. 25).»
In una parola, a questa età é necessaria vergogna,
come si vede stabilito nel Convito; e vergogna trion-
fa in molti e molti dei fatti del nostro Dante pelle-
grino nei regni del secolo immortale.
Dalle cose ragionate finora, della cui verità esat-
tissima io mi appello a tutti i lettori del Dante per
non annoiare questa gentile udienza con lunghi estrat-
ti di ogni canto , già sarebbe fatto certo e manife-
sto, che il protagonista nelle prime cantiche figura
la adolescenza : onde a compimento della emessa pro-
posizione più non mi rimarrebbe che prendere ad
esame la cantica del Paradiso, per riconoscere il suo
passaggio alle altre parti della vita umana. Ciò non-
dimeno siccome non tutti vorran così di leggieri con-
venir meco, né tornerà vano al mio ragionamento
l'addurre alcuni di quei tratti più solenni, ove il poe-
ta squarciato il velo si offre al lettore colla vera de-
nominazione di giovinetto; cosi è che io mi intrat-
Divina Cnmmedia 2^7
terrò un poco a mostrarvi colle formali parole del
testo quanto al pellegrino fosse comune quella pas-
sione, che a suo detto non è lodevole in nessuna età,
fuor che nella adolescenza. Io mi accing^o a parlare
della vergogna: dal che spero sia per rifrangersi snl
nostro argomento sì nuova luce , che imbiancherà
al sommo grado quel vero, cui vado illustrando.
Nel Convito l'autore con magistrale eloquenza
ne fa scorti, che certi reggimenti, certe passioni, certi
errori, che sono propri e condonabili in una età,
devono essere gelosamente riprovati e fuggiti in un'
altra. Di questa classe viene espressamente dichia-
rata quella passione che detta è vergogna o tema di
disonoranza; la quale però col quarto libro dell'etica
determinasi come riprovevole nella vecchiaia e nella
gioventù, perchè a chi è entrato in esse si conviene
di guardare da quelle cose che altrui inducono a
vergogna : ma a chi è tuttavia nella età novella non
è tanto richiesto, dico tale riguardo. E però negli
adolescenti è laudabile la paura del disonore ricevere
per colpa, il che da nobiltà viene : e nobiltà si può
credere il loro timore , e chiamare siccome viltà e
innobililà la sfacciatezza. Laonde buono e ottimo se-
gno di nobiltà è nelli pargoli e imperfetti d' etade
quando dopo il fallo, nel viso loro vergogna si di-
pinge, che è allora frutto di vera nobiltà. Così in
concetto la pensava Dante sulla natura ed uso della
vergogna : ella è riprovevole in tutti, salvo che in
quelli che sono ancora nella etade imperfetta. Ora
questa passìon buona noi la troviamo non solo ri^-
petutamente dipinta sul volto del pellegrino, ma e
si pure a lui ne sentiam fatte lodi solenni dal solerle
228 Letteratura
pedagogo. Imperciocché eccone subitatnenle al co-
minciar della visione un tratto indubitato. Il traviato
Dante è sorpreso da Virgilio mentre già rovinava in
basso loco : e da esso interpellato perchè ritorni a
tanta noia , egli arrossendo espone la propria scusa
e chiede soccorso , come fa chi è sorpreso in una
laida azione : " Risposi lui con vergognosa fronte :
Vedi la bestia, per la qual mi volsi; Aiutami da lei,
famoso saggio. Ch'ella mi fa tremar le vene e i pol-
si. )> Ecco Dante , è vergognoso al primo incontro
del famoso saggio : ei cerca scuse al suo fallo, mo-
strando la gravissima cagione del suo indietreggiare
dal colle, che è principio e cagion di tutta gioia. Né
molto andrà che per la troppa voglia d' imparare
fattosi quasi importuno al maestro, domandando le
condizioni delle anime che correvano all'Acheronte,
uditosi in risposta : « Le cose ti fien conte. Quando
noi fermerem li nostri passi Sulla trista riviera d'
Acheronte. Allor con gli occhi vergognosi e bassi
(son sue parole) , Temendo nò '1 mio dir gli fusse
grave, Infino al fiume del parlar mi trassi. » E la-
sciatine altri luoghi meno solenni , passo a quella
forte sgridata che toccò a Dante quando era del tutto
fisso ad ascoltare la vilissima e scurrile contesa di
mastro Adamo e del falso Sinon greco da Troia ,
per cui così dipinge il suo conturbamento: « Ad
ascoltarli er'io del tutto fisso, Quando'l maestro dìì
disse : Or pur mira. Che per poco é che teco non
mi risso. Quand'io'l sentì a me parlar con ira, Volsimi
verso lui con tal vergogna^ Che ancor per la memoria
mi si gira. E quale è quei che suo dannaggio so-
gna, Che sognando desidera sognare , Sì che quel
Divina Commedia ^9
ch*è, come non fosse agogna: Tal mi fec'io, non po-
tendo parlare, Che disiava scusarmi , e scusava Me
tuttavia, e noi mi credea fare. Maggior difetto^ men
vergogna lava^ Disse'l maestro, che'l tuo non è stato:
Però d'ogni tristizia ti disgrava; E fa ragion ch'io
ti sia sempre allato, Se più avvien che fortuna t' ac-
coglia Dove sien genti in simigliante piato: Che vo-
ler ciò udire è bassa voglia. » (Canto 30 in fine.)
Nulla io toccherò della solenne vergogna e paura, cui
soggiacque quando il maestro, già seduto sulle spalle
forti di Gerione, lo invitò a salire ei pure colà: di
che parla così: « Qual è colui, ch'ha si presso il ri-
prezzo Della quartana, ch'ha già l'unghie smorte, E
triema tutto pur guardando il rezzo : Tal divenn'io
alle parole porte ; Ma vergogna mi fer le sue mi-
nacce., Ch'innanzi a buon signor fa servo forte. » Ei
pur vi montò, spintovi dalla vergogna: ma il suo ani-
mo come stava a coraggio ? « Io m'assettai (conti-
nua Dante) in su quelle spallacce: Sì volli dir, ma
la voce non venne Com'io credetti, fa che tu m'ab-
bracce. » Ma non voglio passare a pie secco ciò che
gli addivenne alle falde del Purgatorio, quando al-
lentava il passo per udir le anime benedette mara-
vigliarsi di lui, che, vivo ancora, andava per quelle
marche : poiché quivi, come altrove, si ravvisa ma-
nifestamente il pedagogo che sa cogliere quante si
presentano occasioni per sovvenire di ottime lezioni
civili e morali il proprio alunno. Ecco il passo che
dà principio al quinto canto della seconda parte :
« Io era già da quell'ombre partito, E seguitava l'or-
me del mio duca, Quando diretro a me, drizzando
il dito, Una gridò : Ve'che non par che luca Lo rag-
230 Letteratura
g'io da sinistra a quel di sotto, E come vivo par che
si cotìdtìdà! Gli occhi rivolsi al silon di questo motto,
E vidile guardar per meraviglia Pur me, pur me,
e il lume ch'era rotto. Perchè l'animo tuo tanto s'im-
pigliji, DisséU taaestrò, che l'andare allenti ? Che ti fa
ciò che quivi si pispiglia? Vien dietro a me, e la-
scia dir le genti ; Sta come torre ferma, che non
Crolla Giammài la cima per soffiar de' venti. Che
setópre l'uomo, in cui pensier rampolla Sovra pen-
sier, dà se dilunga il segno, Perchè la foga l'un dell'
altro insoUa. » Così giusta, rtia pur non troppo dolce
ammonizione punse ed accelerò il passo del discen-
te, che, non senza sua vergogna, tutta compresane la
forza, in queste altre parole esprime il suo slato e la
docilità onde s'accirlse ad obbec^ire : « Che potev'io
i^idir, se non: Io vegno ! Bissilo^ alquanto del color
cóspeifso Che fa Vuom di perdon talvolta degno. »
-(fn: j\|a più decisi e più rilevati noi tróviam i tratti
della adolescenza in due altri fatti non diversi da-
gli antecedenti, ove l'accorto poeta volle inserire an-
che la parità dei fanciulli, perchè tutti sappessimo che
l'età raffigurata dal suo primo personaggio non è la
fòrte del giovane, non la prudente del vecchio, non
l'eroica del guerriero, ma quella soltanto di un no-
bile adolescente che s'avvia ainonorevole soglia della
gioventù, detta per antonomasia l'età che giova, l'età
perfetta. Ma veniamo al testo. Virgilio ha finalmente
condotto il suo alunno salvo e bene educato sino al-
la settima cornice del Purgatorio, ove la ripa fiam-
me infuori balestra: lo ha fatto scorto che per non
cadere dall'orlo tenga bene stretti gli occhi ai piedi;
e perchè qui potrebbesi errare per poco, gli ripeteva
Divina Commedia 231
spesso: GUARDA : giovi ch'io ti scaltro. Ed eccoli da
ultimo a quel punto, che per ascendere all'ultima sca-
letta convien di necessità traversare la fiamma. Qui la
paura invade talmente Panima del pellegrino , che
egli prova lo spaventoso tormento di colui che nella
fossa è messo. A tale oppressione di cuore soccorre
pronto il maestro con opportune parole; e ripetuta-
mente assicuratolo da qualunque pericolo o danno,
lo invita ad entrar nelle vive fiamme; ed ei pur fer-
mo : da ultimo gli disse. <■ Or vedi, tìglio, Tra Bea-
trice e te è questo muro . » Al che potentemente
scosso e vinto il viatore, così dipinge il suo stato e
la sua obbedienza : « Come al nome di Tisbe aperse
il ciglio Piramo in su la morte e riguardolla. Allor-
ché il gelso diventò vermiglio : Così la mia durezza
falta solla, Mi volsi al savio duca, udendo il nome,
Che nella mente sempre mi rampolla. Ond'ei crollò
la testa, e disse: Come! Volemci star di qua? indi
sorrise, Come al fanciul si fa ch'è vinto al pome. »
Non so che altri ne veda o creda; ma per me quel
farsi denominare figlio del maestro con sì ardente
amore, quel fargli crollare il capo, e dire afifettuoso
Come ? volemci star di qua ? e finalmente quel pa-
ragonarsi con espresso vocabolo al fanciul ch'è vinto
al pome., richiama veramente al mio pensiere che il
pellegrino sia tuttora nella età novella: e non mi so
persuadere che il contegno di Virgilio con Dante sia
altro che quello di un maestro, e di un vero peda-
gogo: che non sarebbe una gemma opportuna quol
supporre che un uomo di 35 anni fosse vinto dalle
istanze lusinghiere del pedagogo cosi come fanciul
ch'è vinto AL POME. Quindi mostrasi coerente e na-
532 Letteratura
turale in ogni sua parte l'econonaia di tutte le azioni
di Virgilio e del viatore; poiché se Dante arrossisce
ad ogni suo fallo, se mostrasi di molto riverente alla
sua guida, se curioso la interpella di mille cose, se
verso lui ricorre ad ogni atto di grande o piccolo
timore come i fanciulli fanno verso la madre , se
finalmente lo appella padre, maestro, pedagogo : se
altresì Virgilio lo conforta, lo sgrida, lo abbraccia,
lo trasporta, gli lava la faccia, lo cinge, lo ammae-
stra in civiltà, in etica ed in ogni scienza, e di più
lo compone colle proprie mani nei più reverenti atti
e gli delta le aggraziate dimande che ad un nobile
adolescente son convenienti; se non rista mai di chia-
marselo figliuolo, e dolce figlio : questo non è che
una stretta conseguenza della età imperfetta, di che
il pellegrino si è fatto figura. Or questo ch'io dico
parmi tanto conforme alla vera intenzione del poeta,
che, posta questa supposizione, a me tutta la condotta
di Virgilio e del viatore si fa lodevole e conseguente:
tolta via questa, Virgilio divienmi un austero ed im-
portuno condottiero che tratta cogli uomini saggi, né
più né meno che come cogli inesperti fanciulli so-
glia fare il pedagogo : e Dante diviene in ogni atto,
in ogni detto, in ogni domanda, un vero fanciullo^
un imberbe scolaro : ed il poeta in tutti i suoi canti,
in tutti i suoi versi, si mostra in una spiacevole ed
aperta contraddizione col nobile carattere dei due
protagonisti della prima e della seconda canzone.
Tanto é vero questo nosti o pensiero, che molti dei
più recenti espositori, non fatta avvertenza che le
prime cantiche siano l'educazione del nobile adole-
scente, si scagliarono senza pietà contro l'autore con
Divina Commedia 233
■varie severissime censure. Chi ha voluto annoverare
la Commedia tra gli epici poemi, giudicò men belle
certe scene e certe descrizioni e parole, che si mo-
strano indegne dell'eroica poesia : chi voluto creder
il pellegrino per un uomo fatto ed erudito, non sa
perdonare certe basse o aride erudizioni, certe lun-
ghe lezioni morali e scientifiche di ogni genere : né
comportare certe riprensioni e certe premure troppo
minute, che il mar dì tutto il senno ha voluto rega-
lare al già barbuto e sapiente suo compagno. In som-
lùa chi rinvenne uno, chi altro, e chi altro difetto
in questa misteriosa poesia ; e chi invece altri ne
scopre, ma nega quelli che altri prima ne vide; sino
a mettere l'uno alle stelle per naturale bellezza poe-
tica e scientifica quei versi, quei tratti medesimi che
un altro condanna quasi turpissime nubi, che anneb-
biano la serena luce di questo portentoso lavoro. Da
che mai tanta divergenza e contrarietà di pareri ?
eccolo secondo il mio vedere : tutto deriva dal non
aver i critici e gli encomiatori di Dante fissato in-
nanzi tratto qual fosse propriamente la meta, a cui la
fantasia poetica era diretta. E poiché mal tragge al
segno chi quello non vede, o non chiaro e distinto:
così tutti partirono bensì col guardo della mente da
uno stesso punto, che è la favola del poema; ma fintasi
poi ciascuno una propria meta, che non era quella
di Dante , tutti da ultimo colpirono collo strale di
loro intenzione in punto qual più , qual meno di-
stante dalla meta ; ma tutti fuori del vero centro
dall'autore fissato. Da questa deviazione procede, e
che i pareri sieno diversi, e che quelle che perfe-
fezioni sono veramente nella via stabilita dall'autore,
234 Letteratura
nella supposizione di tali espositori, divengano anzi
deviazioni ed errori. Così è, né può essere diversa-
mente. Sola una interpretazione ricalca esattamente
le orme ingegnose del poeta : chi a questa non s'at-
tiene, come l'uomo che tortisce pei pruni e pei di-
rupi, è poi stretto da mille diflicoltà ed incoerenze ,
che egli, anzi che a se, attribuisce all'autore. In tal
circostanza è certo più sano consiglio il tenere per
bello, retto e buono il magistero del poeta, e chiamar
noi interpreti ciechi, fuorviati, e peggio. E per tor-
narci là onde siamo partiti, ei pare a me, che se tutti i
difetti scompaiono da questo poema: e se si fa adorno
di un'aggradevole chiarezza riconoscendolo quale isti-
tuzione di un nobile adolescente che a gradi a gradi
passa dalla prima alla seconda, e alle susseguenti età:
parrai, ripeto , certa e manifesta prova che questa
senza meno e non altra fosse la intenzione di chi lo
immaginò e seppelo con sì utili dottrine intessere e
perfezionare. Né credo sia lecito ad uom di sana
critica il farsi a censurarla come difetto, se alcuna
parte al veder suo come tale si mostra, ossia perchè
egli non ne intende le parole, ossia perchè ei non
ne conosce la riposta dottrina, ossia perchè non di-
scopre il fine che ebbe il poeta quando tali cose in
esse volle racchiuse. In tali spinose circostanze, ed
in sì complicati incontri accusi l' interprete se stesso
o di inavvertenza , o di poco sapere , e si ponga a
lutto uomo a rendersi idoneo di comprendere il som-
mo poeta; e certo non molto andrà che or questa, or
quest'altra sentenza, prima incomprensibile ed oscura,
gli apparirà mano mano meno incomprensibile e
meno oscura, sino a che alla perfine, lieto ed am-
Divina Commedia 235
mirato farà un'ecatombe alla scoperta di un prezio-
sissimo vero colà stesso ove efjli avrebbe giurato che
fosse un errore. Così è : Dante ha degli ammira-
tori, Dante ha dei biasimatori : e questi pur troppo
eccedono d'assai il numero di quelli ! Ma a propor-
zione che vien riletto le tre e le quattro volte, di-
minuiscono i secondi con forte accrescimento dei
primi. Anzi dirò cosa che, tutto che dalla esperien-
za diurna avverata, pur sembrerà a non pochi in-
credibile. Quelli dei lettori di Dante trovano men
difettoso il suo poema , che più son valenti nelle
scienze e nella erudizione d'ogni maniera: di forma
che, chi volesse la pietra del paragone per decidere
secondo vero chi sa e chi no, chi sa più e chi me-
no , gli basterebbe pure di esaminare come questi
la sentono intorno al merito e bellezza di quel por-
tentoso volume, al quale ha posto mano e cielo e
terra.
Ma gli anni in questa breve vita, che è un cor-
rer alla morte, s'inseguono, s'incalzano : la seconda
età scaccia la prima con tal prontezza, che quando
raen lo ti aspetti già l'adolescente è entrato nella so-
glia della seconda età; e scosso naturalmente il fre-
no dei tutori, è per legge fatto padrone di se stesso;
sì che, già annoverato cittadino, tiene in sua mano lo
intraprender checche gli aggrada senza le pastoie
dell'altrui volontà. Così inaspettata ventura sopren-
de l'attento lettore della Commedia: il quale pieno
tuttavia l'orecchio del severo e magistrale suono del
pedagogo, che dà principio al ventisettesimo del Pur-
gatorio, di già sul fine dello stesso canto, mutata
questi voce e contegno, dichiara l'alunno libero ed
236 Letteratura "^
assoluto da qualche sia soggezione, così che fallo
fora non fare a suo senno. Ecco un manifesto pas-
saggio dalla età imperfetta , dalla età della tutela ,
all'altra della perfezione e dell' arbitrio speciale di
chi dall'educazione passa nei debiti modi alla piena
e giusta libertà del proprio volere. Ma tal passag-
gio non dee farsi senza qualche solennità determinante
l'epoca ben avventurata. Pertanto ecco in quali atti
ed in quali parole il conseguente autore descrive il
compimento di sì grave circostanza. I due poeti già
stanno ritti su l'ultimo grado della scala in atto di
entrare nel Paradiso terrestre: quando Virgilio, rivolti
e fissi gli occhi sopra Dante, gli disse: « Il terapo-
» ral fuoco e l'eterno Veduto hai, tìglio, e se'venuto
» in parte Ov'io per me più oltre non discerno. Tratto
» t'ho qui con ingegno e con arte. Lo tuo piacere or-
)> mai prendi per duce. Fuor se'dell'erte vie, fuor se'
» dell'arte. Vedi là il sol che in fronte ti riluce: Vedi
» l'erbetta, i fiori e gli arboscelli, Che questa terra
» sol da se produce. Mentre che vegnon lieti gli oc-
» chi belli , Che lagrimando a te venir mi fenno ,
» Seder ti puoi, e puoi andar tra elli. Non aspettar
» mio dir più, né mio cenno: Libero, dritto, sano
» è tuo arbitrio, E fallo Fora non fare a suo senno:
» Perch'io te sopra te corono e mitrio. » Stupende
parole veramente sono queste ! Se altra prova non ci
fosse, quest'una basterebbe a metter sul sodo la no-
stra proposizione. Imperciocché Virgilio, stato finora
padre, pedagogo, duca, signore e maestro del via-
tore , or si dimette da tutte le sì alte e reverende
qualità : anzi confessando di averle esercitate quanto
era d'uopo, adesso afferma che questo non è più con-
Divina Commedia 23T
veniente, e perchè ora l'alunno è fuori dell'erte vie,
è fuori delle arte, e perchè il suo arbitrio è fatto li-
bero dritto e sano: per cui sarebbe fallo il non fare
a suo senno. Non è egli ciò un dirgli di rimbalzo;
Poiché tu eri guasto e torto e schiavo nell'arbitrio;
poiché tu non valevi a disbrigarti dalle vie erte ed
arte, sarebbe stato gran danno alla tua salute se tu
avessi operato a tuo senno : ma uopo ti era che ti
concedessi obbediente al padre, al maestro, al duca,
al pedagogo, sinché tu da questi incagli fossi così
deliberato, che da ultimo si potesse dire che tu puoi
e devi fare a tuo senno ? Questo appunto significa
la solenne licenza di Virgilio a Dante: e dicendogli:
M Non aspettar mio dir più né mio cenno, Perch'io te
sopra te corono e mitrio: » lo costituì maestro, duca
e signore di se stesso; vale a dire lo dichiarò così
perfetto di mente e di età, che potesse e dovesse a
proprio senno operare qual cosa fia per tornargli
a grado.
Così la intese Dante: e siccome prima andava
riverente dietro al maestro come il discente fa, così
ora muove il passo pel primo innanzi: e Virgilio e
Stazio gli vengono appresso quasi amorevoli com-
pagni, Qual cosa dunque or più ci rimane se non di
conchiudere, che senza fallo il contegno di Virgilio
verso al viatore, e l'ossequiosa obbedienza di questo
a Virgilio, sono irrefragabil prova che Dante dal pri-
mo canto dell' Inferno sino a tutto il ventottesimo
del Purgatorio raffigura e pinge in se stesso la prima
parte dell'umana vita, che adolescenza e vita nuova
si appella ? Così parve mai sempre a me : e giova
238 Letteratura
sperare che dopo le addotte ragioni non sia per sen-
tirla diversamente chi mi fa si onorata corona.
Se non che potrebbe forse alcuno entrare in pen-
siere, che questa medesima età Dante continui a fi-
gurare anche per tutto il canto 31: perchè alle am-
monizioni di Beatrice ei si diporta né più, né meno
di quella forma che ei facesse a quelle di Virgilio:
che in fatti e si vergogna de' propri faUi, e piange,
e come un fanciullo pentito confessa i suoi errori.
Questo è vero: ma chi ben consideri troverà che ciò
non avviene, come sin ora facea, per falli commessi
all'istante colà medesimo nella divina foresta; ma sì
per quelli, in cui Dante era caduto innanzi alla por-
tentosa visione. In conseguenza siccome Beatrice lo
sgrida e rampogna dei tempi anteriori al mistico
viaggio, e con espresso sermone gli dice di volerlo
eccitare al pentimento degli antecedenti errori : cosi
chiaro è che se ora Dante piange vergognoso e pen-
tito, se confessa le andate mancanze, ivi non significa
più l'adolescente, ma si bene il giovane che detesta
i falli dell' anteriore vita, per tosto entrare inteme-
rato e puro nella seconda età dell' uomo. Pertanto
ne' due canti anteriori era egli entrato nella gioven-
tù, ma non era ancor totalmente dimentico dei pre-
cedenti errori: il che dovealo contristare alquanto :
ma qui, purgatosi nelle acque di Lete, che tolgono
sin la memoria dei trascorsi difetti , egli mondo e
puro da ogni macchia entra a far parte della vera
e perfetta società, significata nella santa milizia del
Grifone, che a destra del sacro fiume moveva per la
fiorita campagna. Laonde, sciolta l'opposizione fatta,
resta maggiormente confermato, che l'adolescenza del
Divina Commedia 239
viatore ebbe fine allor quando il dolce pedagogo, il
maestro, il duca, il signore, gli disse: « Libero, dritto,
sano è tuo arbitrio: E fallo fora non fare a tuo sen-
no. Perch'io te sopra te corono e mitrio.»
(Continua.)
Discorso detto da Vincenzo Gioberti aW accademia
della crusca nell'adunanza ordinaria
del 30 giugno 1848.
N
on a caso la voce fante sinonima con uomo , e
favella con nazione, nello stile del divino poema; si-
mile essendo per ogni verso il corso naturale e ci-
vile dei popoli e quello delle lingue da loro usate.
Come il consorzio umano comincia dal municipio e
termina nella nazione, che ne è l'ultimo incremento
e perfezionamento, così il parlare è da principio un
dialetto orale , plebeo e municipale , e in fine una
lingua scritta, nobile e nazionale. Dialetto e lingua
sono due estremi, che rappresentano due stati di-
sparatissimi della cosa medesima: e diffe("iscono fia
loro, come il germe ed il frutto, l'origine e il com-
pimento, la puerizia e la maturezza. Cosi l' idioma
illustre, onde l'Italia si gloria, non fu altro ne'suoi
inizi che il dialetto fiorentino; il quale antiposto di
mano in mano ai parlari delle altre città e provin-
ce, e culto dai poeti, dai dotti, dagli scrittori per
la sua unica bellezza nelle varie parti della penisola,
divenne in fine l'idioma proprio delle nostre lettere,
e il vincolo comune dell' italiana famiglia. Per tal
240 Letteratura
modo si aggiustano e compongono insieme le oppo-
ste sentenze rese assai celebri da molti nomi illustri,
e in ispecie da quelli di Benedetto Varchi e di Giu-
lio Perticari; il primo dei quali ravvisò nella lingua
patria il sermone proprio di Firenze, e 1' altro il
parto di tutta la nazione. La ripugnanza delle due
opinioni svanisce, se si distinguono le età; imperoc-
ché il fiorentino ha ragione, discorrendo delle ori-
gini; e il pesarese non ha torto, parlando dei tempi
che seguirono. E accoppiando insieme i due pareri,
se ne riseca ciò che ciascuno di essi ha di falso e
di esagerato; e si riesce ad una conclusione vera-
mente dialettica e conciliatrice, che può vantare in
suo favore il più gran nome d'Italia; giacché, se mal
non mi appongo, la soluzione di cui vi parlo fu ac-
cennata dall' Alighieri nel suo libro della volgare
eloquenza, secondo che m'ingegnerei di mostrare, se
le angustie del tempo lo comportassero.
Questo processo del nostro sermone è conforme
a quello degli altri idiomi, e di tutte le cose umane
e create universalmente; le quali passano dall' indi-
viduale e dal particolare al generale, mediante uno
svolgimento graduato, che nasce dall'intrinseca na-
tura di ogni forza: ed è una legge suprema della
vita cosmica. Esso perciò é comune non solo alle
lingue, ma altresì alle consorterie letterate , che le
educano, le coltivano, le mantengono o le rimettono
in fiore ; le quali nate in una città, si allargano a
poco a poco, e si stendono in fine per tutto un po-
polo. Non è perciò maraviglia se altrettanto sia av-
venuto a cotesta insigne accademia conservatrice del
bel parlare italico; la quale fu ne' suoi primi prin-
Discorso del Gioberti 241
cipii un crocchio toscano , anzi fiorentino , ed è al
dì d'oggi un' assemblea nazionale. Ecco , che non
contenti di dare cittadinanza nel vostro seno agli uo-
noini illustri di tutta la penisola, vi degnaste di fare
lo stesso onore a me, si poco meritevole di tanto
consorzio ; e io non saprei spiegarmi un tal favore,
né la benigna accoglienza che in questo punto ri-
cevo da voi, se non dicendo che volete così dichia-
rare la vostra fratellanza, non solo cogl'italiani uniti,
ma eziandio cogl' italiani dispersi dalla fortuna e
dall'esilio. ii;;!
Affermando che la nostra bella lingua collo svol-
gersi e ampliarsi passò dallo stato municipale al na-
zionale , e che la vostra celebre adunanza ebbe le
stesse veci , sono però lontanissimo dal torre alla
Toscana in genere , e a Firenze in particolare , il
lustro che loro torna dall'essere il risedio dell' una
e dell'altra. Durevole e non perituro è il privilegio
delle origini ; e dove si trova la culla di un'inven-
zione ingegnosa e di un'instituzione , ivi risiede in
perpetuo il centro di esse. Firenze, che diede al mon-
do la più soave delle lingue moderne, è tuttavia e
sarà sempre capo e cuore della medesima; e l'acca-
demia che tanto fece per mantenerla e abbellirla^
benché sia oggi italiana, non lascerà mai di essere
in modo speciale toscana e fiorentina. Qui pertanto
verranno sempre coloro che vorranno attingere alle
pure fonti del nostro eloquio; che vorranno erudirsi
alla facondia e all'eloquenza col senno squisito dei
savi, e colla vena copiosa e incorrotta del popolo.
Benché pertanto, o signori, il vostro consesso sia na-
zionale; il raagisterio che esercita sarà sempre pro-
G.A.T.CV. 16
242 Letteratura
«rio e nativo di questa città. Permettete adunque
che io, nato e nudrito in parte meno privilegiata d'
Italia, a voi ricorra come a maestri ; e vi preghi a
ristorare colla vostra sapienza le cadenti fortune delle
lettere italiane. Voi conservaste le buone tradizioni
della lingua e poneste un argine insuperabile alle
sue corruttele , quando tempi men lieti correvano
per la patria nostra; tocca dunque a voi l'impedire
che la lingua si perda , mentre risorge la civiltà.
Troppo strano sarebbe se nel tempo stesso che sco-
liamo in politica il giogo forestiero , diventassimo
barbari più che in addietro per la favella. Non ve-
dete l'indegno gergo che contamina le nostre scrit-
ture ? Non udite il frastuono barbarico che assorda
le nostre orecchie, non solo nelle adunate geniali e
scientifiche, ma persino nei parlamenti ? Rimediate,
o signori, a tanto disordine, e compirete la vostra
gloria ; facendo opera non solo letteraria , ma fi-
losofica e civile; perchè non si può pensare o ope-
rare italianamente, se si parla e si scrive coi modi
stranieri. Perdonate l'ardire della mia preghiera alla
zelo che m'infiamma per la comune patria; la quale
non sarà degna dell'antico nome , finché la vostra
gentilezza non si diffonda per ogni sua parte, e tutta
Italia non paia una Fii-enzc pel culto della favella.
uvìmio ontifì'i , ì 9ioq
243
J)l una condizione necessaria per ben riuscire negli
sludi. Discorso di G. F. Ramhelli letto in Persi-
celo per la jjremiazione scolastica.
S.
fé gli uomini a guisa di fiere errassero ancora
per la vasta selva della terra, se contenti ancora al
vitto delle ghiande e al vestir delle pelli, de' cavi
tronchi e degli antri profondi si fiicessero scherano
all'ingiurie delle stagioni, niun bisogno sentirebbero
al certo degli studi e delle arti. Ma posciachè sta-
bilitasi: l'umana comunanza, o vogliasi dall'ingenita
forza, o dall'eloquenza, o dall'amore, germogliarono
nel cuore umano i dolci affetti, levarousi alla divi-
nità le are, si strinsero le nozze, le città si cinsero
di mura, s'armarono di leggi i costumi , nacquero
nuovi desiderii, bisogni non pria provati : la perspi-
cacia dell'umano ingegno da tante necessità pressata
e sospinta, qual selce che dà le scintille, fu d'ignote
arti generatrice feconda ; sursero allora e lettere e
scienze; e tanti strumenti, ordigni, spedienti mara-
viglinosi si rinvennero a rendere più civile, più gio-
conda, e quasi ch'io non dica più felice quest'uma-
na generazione. Or col volger de' secoli crescendo
viemaggior mente le cupidità e. i bisogni ; e fattosi
più vasto il mar delle scienze, sempre più fu Stretto
l'uomo a darvi studio a giovamento di sé, delle fa-
miglie, delle patrie, e dell'intera umanità. Ondechè
saviamente aprirono i nostri ma;ggiori scuole, gin-^
nasi , licei, accademie, facili e gloriose palestre, ove
244 Letteratura
faticandosi al continuo i giovani nel sapere e nella
virtù, acconci e disposti a diversi stati della vita ci-
vile diventassero. Ma affinchè cosiffatti mezzi raggiun-
gano la fine che si propongono , è opportuno che
con alacre ed operosa volontà si diano i garzonetti
agli studi , acciò la buona semenza dagli istitutori
gittata non cada infruttuosa, ma in animi bene ap-
parecchiati allignando cresca e maturi a bene: al che
gioverà soprattutto il vincere i gravi opponimenti
che offrono le male inchinate volontà: il che io re-
puto molto agevole, sempre che ne'giovani si avveri
una condizione necessaria a ben riuscire negli studi.
E questo io confido mostrare, cortesi signori, fra la
letizia di sì bel giorno, nel quale questi ottimi e be-
nemeriti magistrati, questo vigilantissimo e amoroso
pastore, questi dotti presidi agli studi, guiderdonano
di lodi e di premi que'giovani che bene di sé pro-
mettendo si fanno avventurosamente altrui specchio
e sprone a raggiungere la meta gloriosa. Deh la vo-
stra attenzione mi sostenga nel difficile arringo *, e
dove mi manchino l' ingegno e la lena , la vostra
gentilezza benignamente supplisca !
Bene e saviamente disse già Quintiliano, lo studio
dipendere interamente dalla nostra volontà, la quale
non può essere tratta da forza alcuna. Or ciò che
in essa operar non può la forza , è a procurare il
faccia un allettamento, un impulso, un incentivo che
valendo ad ispronarla e sospingerla la determini a
darsi ardentemente allo studio. Ma qual fia l'alletta-
mento più opportuno ed efficace a muovere la vo-
lontà, se non l'amore ? Lo zelo infatti, la diligenza,
l'ardore, che poniamo per conseguire le cose che in-
Discorso del Rambelli 245
lensamente amiamo, non ci fa riescir meglio in esse
che nelle indifFerend e forzate, in cui l' animo non
ha quella espansione , quell' energia, quel volo che
non conosce difficoltà , vince ogni ostacolo , rende
dolce ogni disagio, tollerabile ogni fatica. L'amore
allora presta le forze , il soccorso , le ali ; sorpassa
l'uomo questa debole e caduca natura; la face del
genio lo anima, lo avviva: opera, suda, travaglia con
piacere , e il frutto di sue fatiche è il più bello e
caro premio che sperare ne possa.
Dite voi, che ponete il cuore ne'balli, ne'destrieri^
nelle cacce, ne'sollazzi, non sono morte per voi tutte
le cose in paragone dell' oggetto che amate ? Ogni
virtù, ogni beltà è in quello : non leggiadrìa, non
pregio, non letizia nell'altre cose : appena si degnano
d'un languido sguardo, e al disprezzo e all'abban-
dono si lasciano. Or quest'affetto, che tanto ne aiuta
al conseguimento di ciò che abbiamo carissimo, non
dovrà valerci negli studi apportatori sicuri di utilità
e giocondità grandissima ? Ingenito, signori ^ è nel
cuor nostro l'amor del sapere. E infatti che è quel
desiderio che fanciulli ci muove a cercar la ragione
di tutto? Non nasce dall'immensa curiosità che cia-
scuno sente in sé per quanto gli può essere di prò
e di diletto ? E tal curiosità non è il primo mo-
vente dell'operazioni de'fanciuUi , pe'quali è nuova
ogni cosa del mondo ? Questo sole che ne illumina
e né scalda, quest'aria che ne circonda e ne alimen-
ta la vita, questa terra , vestita di erbe, colorata di
fiori, di biade e di frutta feconda, la vasta estensione
degli oceani, l'altezza immensa delle montagne , il
guizzar de'baleni, il romoreggiar de'tuoni, il frago-
24G Letteratura
roso cader delle folgori, quanti pensieri non destano
nel vergine animo de' garzonetti , quanti desiderii,
quante curiosità ! E chi varrà a pascerli, chi ad ap-
pagarh, chi potrà rivelare le alte e recondite cagioni
di tante maraviglie della creazione, di fenomeni sì
grandi, sì terribili, sì maestosi ? Lo studio, signori,
quella fonte de'più bei lumi dell'animo che dispiega
ed accresce la naturale attitudine dell' uomo e alla
sapienza lo guida, la quale benigna e amorevole a
lui, nato cieco, apre gli occhi della mente, e d'un
raggio superno illuminandolo gli chiarisce e dimo-
stra, per quanto vale il suo debole intelletto, tutto-
ché quaggiuso in terra di bello e di grande si am-
mira. Ma non s'arresta no la sapienza a dargli que-
sti conoscimenti della morta natura: che anzi colle
accolte tradizioni e colle divine rivelazioni spegnen-
do abbondevolmente la fervida sete che gli arde il
cuore, gì' impara chi plasmò 1' ammirevol struttura
dell'uomo, chi ebbe creato questo mondo visibile,
quali ne furono i primi abitatori, le vicende, le sor-
ti che ebbero : le disianze de'tempi fra essi e noi :
che voglion dire tante diversità di popoli, di leggi^
di costumi, tanta varietà di climi e di favelle: per-
chè sì di (Ferenti e spesse le successioni de' regni e
degli imperi, le guerre, le stragi, le ruine; e i tanti
avvenimenti che resero or lieta , or disavventurata
questa nostra schiatta mortale. Testimoni di ciò mo-
stra la sapienza archi, medaglie, colonne, statue, i-
scrizioni, tele, marmi, bronzi, carte, e la faccia stes-
sa del suolo in cui serbò l'impronta de'secoli, e re-
gistrò i fortunosi eventi delle generazioni, invitando
le avvenire a farsi specchio del passato per ben di-
DlSCOBSO DEL Rambelli 247
ri^jerne i passi fra i triboli e i bronchi, che tanto
impediscono il cammin disagiato della vita. La sa-
pienza, come face che più s' avviva quanto più ne
cresce l'alimento, dalle notizie delle cose sensibili gui-
dato l'animo di grado in grado alle spirituali, e in
quelle pasciuto e addentrato, lo fa salire dalle fat-
ture al Facitore divino, che è
Luce intellettual piena d'amore,
Amor di vero ben pien di litizia.
Letizia che trascende ogni dolzore.
(Par. 30, 38.)
E non fia dunque da pregiare e da amare lo
studio, mezzo sì facile e sì grande, per cui si spe-
gne e si soddisfa la curiosità immensa di che arde
naturalmente il cuore dell'uomo ?
Ma non men grande della giocondezza è la uti-
lità che ne arrecano gli studi con procedimento
uguale a quello che la natura tien colle piante, le
quali spiegata fiorendo ogni beltà e vaghezza di co-
lori, sparsa ogni soavità di odori, fanno poi gustare
le frutta, e quindi la semenza ne cade a perpetuarle
a nostro continuato vantaggio. Avviene anzi di più
negli studi: che la dilettazione medesima in vera uti- •
lità si trasmuta. Siamo noi oppressi da pene, da an- ■
gosce, da affanni ? ecco le lettere e l' arti dilettan-
doci recarne il sollievo, il conforto, il balsamo più '
soave. Siamo vestiti di rozzezza e barbarie nativa ? '■
ed ecco la rappresentazione del bello e del grande,^
che ammiriamo nell'opere de'sapienti, donarci tale'
abito di gentilezza e di grazia da farci tntt'altr'uo- '^
248 Letteratura
mini apparire. Qual luogo , qiial tempo , qual' età ,
qual congiuntura richieggono gli studi , che non
sono a clima, non a stagione , non a città , non a
campagne ristretti; ma vi può l'animo intendere per
tutto e sempre, nutricatori, come sono della giovi-
nezza, soUazzatori della vecchiaia, adornamento della
prospera ; scampo ed alleggiamento della trasversa
fortuna, che non vengono tolti da violenza, non cor-
rotti dall'antichità, né da nascondimento menomati!
Più lungo sembra per essi il correr del tempo, che
pur sì fuggevolmente trapassa: tanto mettono a pro-
fitto ogni momento ! E non è l'amor dello studio la
passione più durevole e più rimossa da ogni sazietà?
La cagione del venir meno manca alla sollecitudine
e alla vaghezza dell'apprendere : e nell'infinità e im-
mensità delle cose ha sempre l'animo di che occu-
parsi perpetuamente. Fuggano pure e manchino nella
vecchiezza i sollazzi della gioventù: l'amor degli stu-
di renderà anche più dolce e più lieta la canuta
età, e non ci farà punto accorti del declinar della
vita. Riempie oltre a ciò quest'amore sì fattamente
il cuore umano, e lo avvezza a gustare i nobili e pu-
ri diletti della sapienza, che lo dilunga dalle matte
ambizioni, da' regni della maldicenza, dagli sciagu-
rati godimenti della dissolutezza, dalle lusinghe del-
l'opulenza, dalle consuetudini, dagli spettacoli, e fin
ch'io non dica dalle dolcezze del viver socievole e
dimestico, E con tutto ciò solo non è mai il sapien-
te; seco ha tutti i beni presenti e passati, porta l'a-
nimo libero per tutto ove vuole: e ciò che non puo-
te col corpo, col pensiero l'abbraccia che fino al cielo
ed al nume lo eleva. Trova egli ne'buoni libri leali
Discorso del Ramrelli 249
e sinceri amici , che la verità gli dicono aperta e
smascherata: non hanno passioni che li velino, non
timori che li trattengono, non isperanze, non inte-
ressi per ingannarlo. E mentre mostrano aperto il
vero bene, il male non gli ascondono : consiglieri
fedeli la diritta via gli additano, e nelle dubbiezze
e nelle tribolazioni di ottimi conforti e di soavi am-
monimenti il soccorrono : non simulano di parteci-
pare alle sue sventure, non lo adulano con melate
parole, non lo fuggono e l'abbandonano nei bisogni.
Ondechè nessuno è più presso alla felicità di chi è
dato agli studi: mentre a chi ha l'animo armato di
virtù e sapienza (e quando dico sapienza intendo dir
religione, principio e fonte d'ogni sapienza) non reca
affanno e scontentezza la mala fortuna, trovando op-
portvuie consolazioni alla varietà de'casi nelle apprese
dottrine: e conoscente, com'è, della vanità delle cose
mondane, non è allettato da false speranze, né assa-
lito da noia ed affanni, ove i suoi desiderii vadan
falliti.
Infinita è poi la distanza che mettono gli studi
fra uomo e uomo. Non sa l'ignorante considerare la
natura, né i propri doveri ; chi é illuminato dallo
studio forma lo spirito e il cuore sull'esempio e su-
gli ammaestramenti de'savi di tutti i tempi e di tutti
i luoghi, e così sui volgari si estolle. Avvezzo il sa-
vio alla innocenza e alla quiete de'solitari recessi, sa
fuggire e farsi schermo contro le turbolenze e gli
assalimenti delle ree passioni; né mai lo disanima e
opprime quel miserabile stato di noia e di oziosità,
da cui ogni vizio procede; e tutti i tormenti che la-
cerano l'animo di que'frivoli e stolti, di cui è sì ri-
250 Letteratura
pieno il mondo. Arroge , che il sapiente, al dir di
Tullio, non è più un semplice cittadino, ma sì bene
un magistrato, che nel mondo ha un autorità tanto
più possente, quanto ella ha sulla verità il suo fon-
damento. oìRta ji
Laonde se gli studi tornano tanto di diletto e di
prò all' umana stirpe , sarà nostro il darvi intensa
opera, per adornarsene l'animo: al che ci varrà otti-
mamente l'amore, o ne piaccia di riguardarlo sicco-
me causa o siccome effetto; dicendo il poeta,
Ogni scienza, a cui s'intende,
Cosi accende amore, e tanto maggio
Quanto più di boutade in se comprende.
(Par. 26, 29.)
Ma è chi pensa cessar l'amore di essere condi-
zione necessaria a ben riuscire negli studi, ove man-
chi all'uomo l'attitudine ad essi. Egli è fuor d'ogni
dubbio che a divenir eccellente in un'arte o scien-
za si richiede l'attitudine; ma che per porvi studio,
e amarla di grande amore, vi abbia a voler l'attitu-
dine è ciò ch'io nego al tutto. Mercechè ove si con-
sideri che l'amor proprio lusinga spesso e falsamente
gli uomini di sapere e potere ciò che non sanno e
ponno, e talmente questa persuasione s'immedesima
negli animi loro da esserne eglino stessi illusi fino
alla follia, si vedrà tosto quanto insussistente sia la
difficoltà che si move. Quanti sanno appena formare
un verso, e si danno a credere d'essere eccellentis-
simi poeti, e amano e pregiano forte la poesia, con-
sumandovi l'ingegno e la vita ? Quanti strimpellano
Discorso del Rambelli 251
malamente due corde, e si tengono i yalentissimi de'
sonatori? quanti cantori, quanti dipintori vivono nel
medesimo inganno? Che anzi tutti, quanti siamo, an-
diamo errati il più delle volte nel conoscimento di
noi stessi e dell' opere nostre.
Vide già ancor Tullio nell' oratore poter essere
obbiettato quest'argomento dell'attitudine, e vittorio-
samente vi rispose colle seguenti notevoli parole :
« Sono molti che, disfrancati dalla disperatezza, non
» vogliono fare sperimento di ciò che diffidano di
)) conseguire: ma opportuna cosa è che tutti gli spe-
» rimenti si tentino da tutti coloro, che hanno in
» pensiero grandi e grandemente desiderabili cose.
» Che se ad alcuno o la propria natura, o quella
» potenza di eccellente ingegno, verrà mancando ;
» o meno instrutto si porgerà nelle discipline delle
» grandi arti : tenga costui quel corso che potrà. A
» chi brama conseguire i primi onori è laudevol
)» cosa fermarsi ne'secondi e ne'terzi. Non solo ne'
» poeti fu dato luogo ad Omero, ad Archiloco , a
» Sofocle, o a Pindaro; ne l'immensa facondia di Pla-
» tone distolse dallo scrivere Aristotele, la cui am-
» mirevol scienza non ispense punto gli studi altrui.
» Né codesta mancanza rattenne soltanto gli eccellen-
» ti uomini dagli ottimi studi, ma né anche gli arte-
» fici dall'arti loro. Conciosiacosachè coloro che non
» raggiunsero l'imitazioni del Gialiso, o della Venere
»> di Coo, né furono disanimati dal simulacro di Gio-
» ve Olimpico o dalla statua del Dorìforo, non la-
» sciarono meno di tentare qual cosa potessero fare
» essi medesimi, e fin dove fosse lor dato di progre-
» dire: dei quali fu tanta la moltitudine, e si grande
252 Letteratura
» la lode di ciascuno nel suo genere, che mentre
» ammiriamo le somme opere, lodiamo nulladimeno
» le inferiori. E quindi non è ragione per cui ri-
» manga abbattuta la speranza o languisca l'indu-
>» stria degli studiosi; non essendo a disperar punto
» in ciò stesso che è ottimo : che nelle cose eccel-
» lenti grandi sono sempre quelle che alle ottime si
» accostano. »
Ma vengono altri in campo , e sostengono che
chi non può conoscere il pregio degli studi e dell'
arti non può prendervi amore. E non s'avvede chi
^'uesto afferma quanto in ciò la ragion s'arretra
« Movendo l'ali sue credendo oltrarsi?
(Par. 32, 146.)
E per verità non si ama pressoché sempre al mon-
do un ben che non ci è pienamente noto ? Non si
apprezza una gemma al solo vederla sfolgorare, sen-
za comprenderne l'intimo valore ? Non si loda una
statua, un dipinto, al primo sguardo, contuttoché non
se ne sappiano rilevar le bellezze ? si pregia, si ama
un personaggio talvolta al solo vederlo; e, ciò che è
più, sulla fama e sulla stima altrui. Plaude il volga
al facondo oratore, all'immaginoso poeta, al valente
istrione: e non gl'intende. Qual conoscenza abbiamo
dunque di tali cose da tenerle in conto, da sentirne
piacere, da accendersi nell'animo subitamente per es-
se ? È insito in noi, signori, un intimo senso del
bello e del vero, che ci sforza a que'plausi, a quelle
maraviglie, a quegli affetti. Domina questo senso sul-
la volontà, sulle abitudini, sulle passioni, a modo che
Discorso del Rambelli 253
ci stringe a plaudire ed ammirare eziandio l' opere
de'nostri emuli e de'nostri nimici, anche allorquando
vorremmo pur trovarle deboli, errate, spregevoli.
Né credasi ch'io intenda che questo amore ab-
bia a condur tutti a diventar sapienti e letterati di
vaglia. Folle sogno, vano desiderio, inutile pretesa
sarebbe questa. Il raggiungere la cima del tempio
della immortalità è dato soltanto a quell'anime pri-
vilegiate, cui il nume infuse più di divina scintilla.
Pur ciascheduno è in debito di ben usare dell'inge-
gno, secondo suo potere: ed ove in esso abbialo mal-
trattato la natura, un cuore formar si debbe pio,
buono, amante della virtù e degli uomini, e compo-
sto a civile ed onorato costume. "i4tW>>ni
Ancora ignorando l'uomo l'avvenire potrebbe,
quando che sia, cessare in lui la tardità dell' intelletto,
aprire le ali all'ingegno, e riescire tardo si nel suo
intendimento, ma forse tanto più grande, quanto più
tardo. Impiega la natura molto di tempo a formar le
querce e gli elefanti, ma durano per lunghi secoli;
laddove le farfallette dipinte e le rose odorate non
hanno che la vita passeggiera d'un giorno.
Falso poi al tutto è l'argomento di coloro, che
dicono non doversi amare né abbracciare gli studi
per l'abuso che di essi fare si può. Anche le armi
trovate a difendere si fanno strumento d'offesa e di
delitti; anche i farmachi più semplici divengon letali
veleni; anche le faci destinate ad illuminare sono se-
menza d' incendi devastatori. Il mal uso del mezzo
non farà mai che esso divenga essenzialmente cat-
tivo. Nudriscono gli studi le buone menti al bene,
come i cibi nudriscono i buoni stomachi, che non
254 Letteratur.4
ne abusano: e l'averli alcuno volti a male, punto non
isminuisce ed oscura la loro bontà e perfezione.
Ondechè non posso tenermi dallo sclamare : 0 sa-r
pienza conducitrice della vita, e de'vizi dissipatrice,
che dovea poter essere senza te il vivere degli uo-
mini ! tu hai rinvenute le leggi: tu maestra de'co^
stumi e della disciplina : per te nacquero la pace, e
la felicità della vita ! Fortunato chi abbracciar iti
puote nel suo intelletto 1 misero chi dal divino tuo
lume si fugge ed asconde 1 Oh quanto innamorarono
di te que'divini ingegni che negli studi e nell'arti
salirono in ogni età a gloria immortale ! Non vi fu-*
rono stenti, non pericoli, pon disagi, non cimenti,
che non incontrassero volonterosi, non fatiche cui
non si sottomettessero, non difficoltà che ardimentosi
non tentassero di vincere. L'amor del sapere, che li
guida e sostiene, scende nel fondo della carcere, e
gli squallori ne allieta, rende leggiere le catene allo
schiavo, gioconda l'amarezza dell' esilio, fa dolci le
povertà, le persecuzioni, le ignominie; toglie l'orrore
e l'atrocità alla morte istessa. Filosofeggia Cleante po^
vero portator d'acqua, volge le macine Plauto, vi-
vono schiavi Esopo, Terenzio, Fedro. Vedete Demo-
crito trarsi gli occhi per meglio contemplar le cose
divine, gittar Grate nell* onde le ricchezze impedi-
mento alla sapienza, dimenticar cibo e sonno Camea-
de, correre Antistene quaranta stadi ogni dì per udi-
re un Socrate, volare Euclide la notte in veste mu-
liebre da Atene a Megara rischiando la vita. Qua
gli Empedocli si gittano tra le vampe dell'Etna, là
i Flinii vengono soffocati dalle ceneri del Vesuvio, ca-
dono gli Archimedi sotto il ferra romano. Tacerò io
Discorso del Rambelli 255
la cicuta data a Socrate, le catene di Anassagora ,
le sventure di F^raclito, la fuga e l'avvelenamento di
Aristotele ? Ah non già, che tutto e con forte ani-
mo patirono coloro che amando la sapienza vennero
per essa in voce d'uomini! Ma qual ricompensa, qual
premio, qual guiderdone ebbero mai questi valenti
da tanti sudori, da tante veglie, da tanti travagli ? Il
più piccol frutto di lor menti, la più lieve riuscita,
il più piccol trovato, la menoma verità discoperta, fu
balsamo alle ferite, rifugio alle sventure, consolazio-
ne alle perdite e agli affanni. Rinviene Archimede
la frode celata nell'aurea corona di Terone, e nudo
scorre per le vie di Siracusa gridando: Vho trovata^
Vho trovata. Scopre Pittagora la relazione fra il qua-
drato dell'ippotenusa, e quello dei cateti; e tosto ne
ringrazia i nume con ecatombe festiva. Premio è a
se stessa pur in questa vita la virtù
Che vista sola sempre amore accende;
E s' altra cosa nostro amor seduce.
Non è se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto che quivi traluce.
(Par. 5, 8.)
E perciò contro coloro che non la seguitarono ebbe
gridato il poeta della rettitudine :
Ahi anime ingannate, e fatue ed empie.
Che da sift'atto ben torcete i cuori
Drizzando in vanità le vostre tempie !
(Par. 9, 10.)
256 Letteratura
Ma voi, giovani valorosi, ponete vivo l'amore
agli sludi, che gioconda e vantaggiosa vi renderanno
la vita: e se ne provaste amare le radici , dolci e
saporose ne gusterete le frutta, quand'anche al par
de'Demosteni e de'TuUi superar doveste gli opponi-
menti della natura. Un campo è il vostro ingegno ,
ma inculto ed infecondo : ponete ogni studio in ben
sarchiarlo, e non lasciare che le male erbe vi alli-
gnino e mettan le barbe. Adoperate anzi che il cam-
po divenga giardino: ma non sì però che la pompa
occupi la utilità, talché fra i belli e cari fiori anche
ì frutti abbiano luogo. Non vi spaventi, che la sa-r
pienza sia un pelago, di cui a solcar breve tratto
tutta non basta l'umana vita. Pigliate amor per noc-
chiero: e volgendo ad esso tutto il vostro cuore, giun-
gerete a nobilitarvene gl'ingegnj. Deh datevi ad amar-
la: che fia questo
Amor sementa in voi d'ogni virtute !
(Purg. 17, v. 104.)
IL DIRETTORE
PRINCIPE D. PIETRO ODESCALCHI.
INDICE DEL VOL. 344.
SCIENZE
rAG.
Roseìli, Sulla dipendenza delle due
variabili x^ y 129
Brighenti, Elogio di Giuseppe Ven-
turoli 170
Fàlorani^ Della difficoltà degli studi
medici 199
LETTERATURA
Penta, Della età che in sua persona
Dante raffigura nella divina com-
media. Parte prima 2l 7
Gioberti , Discorso aW accademia
della Crusca 239
Rambelli, Di una condizione neces-
saria per ben riuscire negli studi. 243
GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ROMA i/?*^
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1848
257
SCHilfH^
Di alcuni teoremi del sig. F. Gauss relativi alle «u-
perficie curve. Memoria di D. Chelini d. S. P.
jLia bella teoria del sig. Gauss intorno alla curva-
tura delle superficie (1) , stampata sino dall' anno
1827 nel volume VI delle memorie della società
reale delle scienze di Gottinga, ha fatto nascere, per
la sua importanza, il desiderio in più geometri di
farne discendere i teoremi principali nell' insegna-
mento. I calcoli, onde il sig. Gauss dimostra la pro-
posizione che è il fondamento delle altre , sebbene
condotti con molta simmetria ed eleganza, nondime-
no riescono alquanto lunghi e penosi. Quindi si so-
no tentate altre vie più facili e brevi per arrivare
ai risultamenti finali. Il teorema risguardante la cur-
vatura di una porzione di superficie compresa fra
tre linee geodesiche fu dimostrato geometricamente
dal sig. lacobi. Recentemente il sig. Liouville (2)
(1) Disquisitiones generales circa superficie» curvas F. Gauss.
Commeiitaliones societatis gottingensis, voi. VI.
(2) Liouville, lournal des mathematiques tom. XII, pag. 291, an.
1847.
G.A.T.GXV. 17
258 Scienze
ha dimostrato per mezzo dell'analisi algebrica que-
st'altro teorema, che il prodotto op de'raggi di cur-
vatura principali in un punto qualunque M di una
superficie si mantiene invariabile, allorquando la su-
perficie , supposta flessibile a guisa di un velo ma
infcstendibile, prende successivamente diverse forme.
Ma i calcoli di questo chiarissimo geometra fran-
cese se sono preferibili a quelli del sig. Gauss dal
lato della brevità, noi sono, secondochè a me sem-
bra , dal lato della chiarezza : e ciò per difetto di
quell'idea direttrice che. nel metodo del sig. Gauss,
rischiara tutta la via che dal punto di partenza con-
duce direttamente alla meta. E parmi che si possa af-
fermare la medesima cosa delle tre altre dimostrazio-
ni analitiche (quantunque un pò più semplici e bre-
vi) che dello stesso teorema sono state date in ap-
presso dai sigg. I. Bertrand, Diguet, Poiseux (1).
Considerando il teorema di cui si tratta, io ho
trovato che si può dimostrare facilissimamente colla
pura geometria, e che inoltre si possono render bre-
vissimi i calcoli che producono la formula generale,
onde il sig. Gauss ha espresso la curvatura di un
elemento superficiale in funzione delle sole quantità
che entrano nell'espressione di un elemento lineare
ds = ( Pàp"" 4- Qdf H- 2Rdpdq )»
preso sulla stessa superfìcie. L'oggetto però, cui mi-
ro principalmente in questa memoria , è di far di-
scendere neir insegnamento tutta la sostanza della
(1) Liouville, iournal tom- XIII, an. IS-iS.
Alcuni teoremi del Gauss 259
importante dissertazione del sig. Gauss sulla cui-
vatura delle superfìcie. A tal fine, dopo di aver ten-
tato di recar qualche nuovo grado di luce nel con-
cetto degl'infinitesimi, e nella definizione di ciò che
fa la curvatura delle linee e delle superficie, io pro-
fitto del bel lavoro geometrico del sig. lacobi in-
torno al triangolo formato da tre linee geodesiche;
e della dissertazione del sig. Gauss, la quale non è
certamente nelle mani di molti (1), io riporto tutto
quello che è affatto semplice ed elementare.
Che cosa è l'infinitesimo ? Forse una quantità
minore di ogni assegnabile? Ma è troppo evidente
che una quantità, per esser minore di ogni assegna-
bile, è mestieri che non possa più diminuire, e che
però si confonda col puro zero.
L'infinitesimo è forse una quantità variabile, i
cui valori numerici successivi decrescono indefinita-
mente in modo da scendere al di sotto di ogni as-
segnato valore ? 0, in altri termini, è una quantità
variabile che ha lo zero per limite ? Ma non tutte
le quantità variabili, che hanno lo zero per limite,
son dette infinitesime. Se, per esempio , un angolo
cresce da zero sino a 90°, il coseno di quest'angolo,
che certamente ha per limite lo zero, si chiama for-
se infinitesimo ?
E dunque da desiderarsi che una nuova defi-
(1) A me è stata favorita dalla cortesia del chiarissimo signor
principe D. Baldassarb Boihcompagm.
260 Scienze
nizione faccia quello che le precedenti defìnizioni
non fanno; e ciò è di mettere in chiaro lume il ve-
ro carattere, onde le quantità chiamate infinitesime
ài disting^uono da tutte le altre.
A questo fine cominciamo dall' osservare , per
mezzo di un esempio semplicissimo, ciò che nel fat-
to sono gl'infinitesimi. Sia
y = a'-';
quando la variabile x riceve un incremento rfar, la
variabile y riceverà in corrispondenza un incremen-
to dy^ e 8Ì avrà dy ~- (x -i- dxy — x', ossia
e quindi
(iy "-■ 2xdx -+- 1, corrisponde
all'arco = 1, e per unità degli angoU solidi l'angolo
solido centrale che, nella sfera del raggio = 1, cor-
risponde ad una superficie sferica equivalente al qua-
drato che ha per lato l'unità lineare = 1.
Ciò posto, sia Q. la superficie del poligono sfe-
rico che suppongo di n lati e convesso; sia A la som-
ma de'suoi angoli interni, e C la somma de'suoi an-
goli esterni , ossia la somma delle declinazioni de'
suoi lati (somma che non bisogna confondere con
la curvatura del perimetro , perchè i lati essendo
archi hanno anch'essi la loro curvatura). Si ha dalla
geometria
272 Scienze
Qr^A — {n — 2)n, A -h C = w;r ,
e però
C -+- Q = 27r ,
dunque
C =* 2;: — Q.
Ed è facile a rilevare che questa formula, ove
si abbia il debito riguardo ai segni (=t 1), sussiste
anche nel caso del poligono non convesso.
Teorema di lacohi. Data nello spazio una cur-
va ux a doppia curvatura, ed una sfera del raggio
= 1, dal centro 0 di questa sfera si tirino de'rag-
gi paralleli ai raggi osculatori consecutivi di ««' ,
ed in quel senso che diremo nella dimostrazione :
tali raggi formeranno dentro la sfera una superficie
conica. Al principio e al termine di questa super-
fìcie conica si conducano due piani paralleli ai pia-
ni osculatori della curva «.oc relativi l' uno al suo
principio e/, e l'altro al suo termine \, , . . . formato da due quadranti consecuti-
vi qualunque «A, a, A, , . . . e corrispondente acl
un angolo di contingenza de' piani osculatori della
curva Cix\ è rappresentato (trascurando gl'infinite-
simi di second'ordine) dalla superficie compresa fra
i detti due quadranti. Dunque la somma e di tutti
cotesti angoli di contingenza, die hanno luogo da a
in a' , è uguale alla superficie sferica S compresa
nelquadrilatero («A, AA', A'a' , aa), talché si ha
S = e. Ma S , pel teor. prec. , è pure = 2t: meno
la curvatura della superficie dell'angolo solido che
corrisponde a siffatto quadrilatero. Ora, se giriamo
il quadrilatero nel senso aAA'aa, costruita od im-
maginata la figura, si vedrà che la declinazione del-
la superficie dell'angolo solido in OA è = A, da OA
andando in OA' la curvatura è C, in OA la decli-
nazione è t: — A', da OA in Oa' la declinazione è
zero, in Oa' è — tt , da Oa' in Oa le declinazioni di-
ventano negative, e la loro somma è = — e. Cosi
la curvatura totale della superficie dell'angolo soli-
do OaA A'a'a è == 27i h- A — A -h C — e. Dunque la
(*) Convien supplire coli' immaginazione alle linee che mancan»
nella figura.
G.A.T.CXV. ^^,uv-,..:.
274 Scienze
superficie S del quadrilatero akk'a'a , già espressa
per e, è pure espressa per 2n — ^^2n-i-\ — A'-f C — e)
=^c-i-A' — A — C. Dunque e— e — G +-A' — A, e però
C = A — A.
Curvatura delle superficie
secondo (a (fe/iniziuiic del signor Gauss.
Premetto alcune considerazioni, che mi sem-^
brano assai proprie a rischiarare e a far compren-
dere la definizione del sig. Gauss, o a mostrare l'in-
tima corrispondenza della curvatura delle superficie
con quella delle linee.
Ogni superficie presenta due lati o bande ris-
petto allo spazio che divide. Ne'nostri ragionamenti
è d'uopo di fissare il pensiero piuttosto sopra l'uno
di questi lati che sull'altro, o almeno di non scam-
biare l'uno con l'altio. Converremo di chiamar l'uno
lato esterno della superficie, e l'altro lato inteì^o., e
di considerare le normali alla supeifìcie situate tutte
e dirette dal lato esterno.
Data una superficie curva ( che riguarderemo
sempre come una superficie poliedrica infinitesima-
le), ed una sfera del laggio ^= 1, dal centro di que-
sta sfera conduciamo de'raggi paralleli alle normali
esterne della superficie, e diretti nel medesimo sen-
so; e supponiamo, per maggior chiarezza, che cia-
scuno di questi raggi corrisponda ad una faccetta
unica della superficie curva, E palese che Vangalo
compreso tra due raggi consecutivi sarà eguale alla
declinazione delle faccette corrispondenti nella super-
fìcie curva, e che, per conseguente, l'angolo solido &j
formato da un fascio conico qualunque di cotesti rag-
Alcuni teorkmi del Gauss 275
yì rappresenterà lei, cbb,vatura totale della porzio-
ne 0 dì sujjerfieie^ cui detti raij(ji ''.orrispondono. All'
angolo solido ,in\ v^>
Si avverta però che, nel determinare la curva-
tura totale di una data porzione di superficie cur-
va, conviene di por sempre attenzione all'andamento
di questa, e di ben distinguere i luoghi ( quando
esistono) dove ad una medesima porzione della su-
perficie sferica corrispondono più porzioni distinte
della superficie cuiva. Intorno a ciò le regole da
seguirsi sono suggerite dalla natura de' casi parti-
colari, e variano con essi. Si comprende per altro
potersi dividere la superficie curva in più porzioni
a tali, che la curvatura di ciascuna di queste por-
zioiH abbia, in ogni elemento, una rappresentazione
diversa sulla superficie corrispondente w della sfera.
Se la superficie non è curva in tutti i sensi, ma
276 Scienze
sviluppabile, come le superficie cilindriche e coni-r
che, è palese che i raggi condotti dal centro 0 della
sfera parallelamente alle normali esterne di una por»
zione (7 della superficie sviluppabile, non riempiono
più un angolo solido, ma costituiscono una super-
ficie conica, che sulla sfera è misurata da una li"
nea X. Così questa linea A rappresenta , in questo
caso, la curvatura totale, ossia là somma delle de-
clinazioni, onde si succedono le fecce nella super-'
ficie sviluppabile «7.
Teoremi del sigìior Gauss
intorno alla curvatura delie superficie.
L Teorema. Se un triangolo «^y, porzione di
una data superficie S, ha per lati tre linee geode-
niche della superficie , la sua curvatura totale T è
uguale alVeccesso della, somma de'suoi angoli interni
a, /5, 7, su quella di due retti (ny. cioè
T :^ a -t- /5 H- 7 — 7r.
Dimostrazione (da presso il sig. Jacobi (1) )
( ì Sia ABC (Fig. 2) il triangolo T che sulla sfera
(0) del raggio = 1 corrisponde al triangolo a/Sy e ne
rappresenta la curvatura. Chiamata K la curvatura
della superficie dell'angolo solido OABC, si avrà
T = 27: — K.
(1) loiini.trononni(]U« du Schntnacher, Jin. iSi2.
Alcuni teoremi del Gauss 277
Himaiifì dunque a determinare K. Si osservi dap-
prima che le linee geodesiche j^^, /3y, y«, essendo
le linee più brevi che sulla data superfìcie S uni-
scono i punti a, /3, y, hanno i loro piani osculatori
normali alla superfìcie S, e che però le normali alla
superfìcie S lungo le linee a/3 , ;3y -, ya -, hanno le
stesse direzioni che i corrispondenti raggi oscula-
tori di siffatte linee.
Ciò posto, i tre lati BC, CA, AB si designino
per a, 6, e, e per -aò, -oc, -ca gli angoli onde le di-
rezioni de'tre lati o^ 6, e ne' punti C^ A, B decli-
nano l'una dall'altra.
Gli angoli che la superficie conica OBC forma
in OB ed in OC coi piani condotti da 0 parallela-
mente ai piani osculatori della curva /3y ne' punti
/3, y, si designino per
'pa , 'p'a.
Gli angoli analoghi^ relativi ai lali CA « 6, AB -, e,
siano designati da
■qb ^ •qb ; -fc , -re.
Le lettere p, p', g, g', r, r' si dovranno riguar-
dare come esprimenti le direzioni che hanno ne'pun-
ti B , C , A , gli archi incisi sulla sfera (0) da' sei
piani condotti dal centro 0 parallelamente ai piani
osculatori relativi all'estremità delle curve ^y, y«, a/3.
In questa ipotesi è facile a vedere che i sìmboli
Tp, -p'q ^ -qr rappresentano i supplementi degli an-
goli interni /3, y, a del triangolo a/Sy, e che però
278 SCIE N 7. K
si ha '^ ^-^ "
Le curvature delle superficie OBC, OCA, OAB, sa-
ranno espresse, in virtù del teorema prec. del sig.
lacobi, da
•p'a — -pa t= -p'a -\~ 'ap ,
■q'b — -qb = 'q'b -+• 'bq ,
•re r— -re =a Tc •+■ 'cr .
Quindi pen la icurvatura totale K della superfìcie
dell'angolo solido OBCA avremo
K =^ 'p'a -{- 'ap •+■ 'ab
■+■ -q'b -t- -bq -f- 'bc
•+- t'c -+' -cr -\~ 'ca .
Ora è palese che, nell'addizione di questi angoli,
abbiamo intorno all'angolo B( =< ^ — 'cà) del trian^
golo (a, 6, e) la somma
're -f- -ca -+- ap =^ -/p ■— u — /5 .
E similmente intorno agli angoli C(=» tt — '«&)?
A(= ^ — •he) abbiamo le somme
•p'cé H-i' 'ati 'H- -bq = -p'q --— n — 7 ,
•q'b '•4^ 'bc -+- 'cr = -qr =^ Wi-r- « .
Dunque -'ijiM'-:;: ■' ìj' -''
t\iL ,»v -\'-. '' ■' -K == 37r — « — /3 — 7 , • JOJsfiiDtìt
■ ) •-■ Iti; • ;i bJZSUp tl(
fpejT cou^eguqttza.j^n; —- K, ossia . ^^ ^ ^, V
•>■ ■s '■■■■' 'J fVsT=fci«tti4^--^-H7 — TT . •'-''"' ''^.
Alcuni teoremi del Gauss 270
II. Teorema. Se una superfìcie S, supposta fles-"
sibile ma inestendibile, cangia di forma, in questo
cangiamento una figura qualunque a delineata sulla
superficie serberà costante^ insieme con la grandez-
za, la sua curvatura totale &).
Dimostrazione. Poiché la superfìcie flessibile S,
che cambia di forma, si suppone inestendibile, ogni
linea segnata sulla medesima serba costante la pro-
pria lunghezza, e però resterà geodesica se dappri-
ma era geodesica. Divisa quindi la superfìcie S in
triangoli infinitesimi, si vede chiaramente che essa
nel cambiare di forma non varia di grandezza, e che
ogni angolo segnato sulla medesima si mantiene co-
stante. Ma la curvatura di un triangolo «/Sy , for-
mato sulla superficie S da tre linee geodesiche, non
varia che colla somma de'suoi angoli : dunque sif-
fatta curvatura si mantiene anch'essa invariabile. Ciò
posto , se la superficie si suppone divìsa in trian-
goli infinitesimi, formati da linee geodesiche, si con-
chiuderà che la curvatura di una porzione qualun-
que della superficie S non varia in mezzo ai suoi
cangiamenti di forma-
III. Teorèma. Se intorno ad un punto dato M
di una superficie S si prende un elemento qualun-
que superficiale rfcr, il rapporto di esso alla sua cur-
vatura totale d'j) è uguale al prodotto de'raggi di cur-
vatura principali p, p, , relativi al punto M : cioè
da
Dimostrazione, Cominciamo dal ricordare che
280 Scienze
nella superfìcie sferica la curvatura è uniforme, e
joroporzionale a ciò che si prenda di essa superficie.
Immaginiamo una sfera che tocchi in M la superfì-
cie data S : il luogo del contatto si potrà riguardare
(secondo lo spirito del calcolo infinitesimale) conie
una faccetta infinitesima comune alla superfìcie ed
alla sfera, e però come una porzione infinitesima di
superficie sferica di un certo raggio. Da questa con-
siderazione s' inferisce che la curvatura dw di un
elemento superficiale dn infinitesimo di second'ordi-
ne, si può trattare come se fosse uniforme in tutta
l'estensione dell'elemento, e però come proporzionale
a ciò che si prenda dell'elemento medesimo. Quindi
il rapporto — - non vanerà se l'elemento rfa, intì-
dcù '
nitesimo di second'ordine, si prende ad arbitrio in-
torno ad M, e gli si dà quella figura che più ag-
grada.
Supponiamo che da sia un triangolo rettangolo
che abbia per lati due archetti rfs, ds^ , presi sulle
sezioni normali fatte in M nella superficie S secon-
do le direzioni delle due linee di curvatura. I rag-
gi osculatori p , p, di questi due archi saranno i
raggi di curvatura principali della superficie, rela-
tivi al punto M. Siano rf5 , ^5, le curvature di que-
sti due archi ds , dsi : sarà
ds = pd9 , rfs, = pid9t .
Inoltre, essendo gli archi d« , ds, perpendicolari tra
loro, il triangolo da sarà rettangolo, e però avrentw
2dentanea ope-
razione, marcano un passo al di là della prudenza,
e stabiliscono ciò che si chiama estro, ovvero occhio
pratico. L'uomo prudente acquista dalle circostanze
esteriori queste oscure sensazioni che gli danno il
dono della previdenza. Esse entrano sempre per i
sensi, toccano ila sensibilità, colpiscono la immagi-
nazione, riguardano la reminiscenza. Questa facoltà
di divinizzare, o meglio di prevedere, si scorge tan-
to più sviluppata in quelle persone che esercitano
Arte medica 297
sopra una infinità di oggetti i loro sensi. I viaggia-
tori, la gente di piacere e del gran mondo preve-
dono maggiormente; e i medici di molte faccende
predicono più vero, come i negozianti di grandi af-
fari. Si vede ancora, che quanto maggiore è la sen-
sibilità, altrettanto la previdenza è più grande. Le
donne sensibili prevedono le disgrazie, i piaceri, e
la storia diletta nel leggere le avventure di tali pre-
sentimenti. Un medico sensibile, premuroso prevede
i pericoli del suo infermo, come una madre aflfet-
tuosa sente le disgrazie del proprio figlio. Ma se la
esperienza e la sensibilità muovono la previdenza ;
nullameno noi loro non concederemo tutto il merito
delle avverate profezie. La fortuna ne vuole anche
essa la sua parte, e le grandi riputazioni pratiche, i
medici semi-dei tanto cominciano a diminuire, quan-
to il progresso cancella la credulità e la ignoranza.
Se il medico non potrà sempre ispirarsi alla
verità degli avvenimenti futuri, potrà però possedere
il valore pratico, quello che abbiamo detto dipen-
dere da un calcolo delle maggiori probabilità. La
educazione è una delle circostanze più favorevole a
svilupparlo. I pregiudizi della prima età difficilmente
si cancellano, e il medico spesso porta nel suo eser-
cizio gli errori della famigiia. Quindi anticamente
le celebrità mediche venivano per generazioni. Ip-
pocrate non avrebbe posseduto tanto merito, né Giu-
seppe Frank sarebbe salito a tanta riputazione senza
l'esempio e la scuola degli avi. La pratica è un es-
perimento difficile che non si crede senza invecchia-
re neir esercizio; perciò quelli che sono dispensati
di apprendere le misure di questa fede dalla espe-
298 Scienze
rienza, perchè ne sono istruiti sin da*primi anni, Ieri-
gono sugli altri un considerevole vantaggio. E la[
istruzione della famiglia è ben diversa dalla istru-
zione delle scuole. Queste insegnano a credere, l'a-
micizia a diffidare; ma per diffidare bisogna sapere,
la persuasione non essendo la virtù della ignoranza.
La clinica insegna a trattare le malattie negli spe-
dali, e non apprende a conoscere i bisogni sanitari
delle famiglie. L'infermo vuol essere curato in ra-
gione delle proprie abitudini ; e le situazioni degli
uomini sono tanto diverse, che le stesse leggi non
possono convenire a tutti. Quindi il miglior medico
sarà l'uomo il più sociale, quegli che più conosce
i bisogni del suo secolo; e in ciò la istruzione an-
tica superava la presente; poiché avanti 1' aperturai
delle cliniche, il medico imparava l' arte in detta-
glio nella società e non nelle sale; conosceva allora,
ciò che si vuole, gli uomini e gli infermi.
Alla educazione si deve aggiugnere la esperien-
aa. Alcune circostanze della vita, alcune osservazioni
fatte rendono un medico capace più che un altro
di apprezzare il giusto valore di alcune forme oscu-
re, e di ordinare il metodo più conveniente di cura.
E il solo azzardo quello che fornisce questa espe-
rienza. Si crede che questo merito sia proprio della
età matura; ma falsamente^ mentre si può dare d'a-
vere invecchiato senza essersi incontrato in simili cir-
costanze, può darsi d'averle vedute e non rammentar-
le; può essere ancora di averle trovate senza mai
comprenderle. Baglivi fu grande osservatore e gran
medico nel fiore degli anni. Per altro le circostan-
ze che più sviluppano il genio, ossia che più lo ma-
Arte medica 290
nifestdno^ sono gli errori del secolo e la novità di
alcuni bisojjni sociali. Un medico che s'incontra in
un'epoca, ove un qualche errore sia molto diffuso,
sarà un genio se lo affronta e lo abbatte. II falso
non dura quando è molto sparso, e lo stesso fana-
tismo è quello che distrugge l'errore. Senza la dif-
fusione del sistema browniano Rasori non sarebbe
salito all' alta riputazione ; egli nella nuova teorica
espresse il voto della pubblica opinione già riforma-
ta. Se per altro il sistema browniano fosse stato cir-
coscritto e non avesse avuto quell'incontro ch'ebbe,
sarebbe ancora in vita, e il nome di debolezza ver-
rebbe da molti vagheggiato; perchè la esperienza,
quando sia circoscritta, non è mai norma del vero,
e il giudizio del pubblico rimane indeciso. Così è
caduto da se stesso il sistema di Tommassini per es-
sere troppo sperimentato ; e 1' errore di Hanemann
non finisce, per essere favorito da una limitata espe*
rienza. Se questo errore fosse accaduto in un tempo
più credulo e men positivo del nostro , se si fosse
propagato con le doti della credulità e della dol-
cezza di cura, che realmente possiede , non esiste-
rebbe più che nella storia delle imposture. Hane-
mann sarebbe ridotto alla stessa condizione di Brown,
se le sue pillole atomistiche avessero incontrato la
esperienza dei mescugli alcolici: e la pratica, caduta
nel più stravagante delirio di una bizzarra inven-
zione, avrebbe già procurato una nuova riputazione
ed innalzato un altro genio sulle rovine del novel-
lo errore.
La novità di alcuni bisogni sociali contribuisce
allo sviluppo del genio. Che sarebbe stato Sydhenaro
300 Scienze
senza le epidemie che patì a'suoi tempi l'Inghilter-
ra? Chi avrebbe conosciuto lo Strambio senza la
pellagra eh' egli fu destinato a curare ? Senza la
china il nome di Torti sarebbe oscuro. Adunque ab-
biamo provato che il talento medico esiste diverso
da quello che i filosofi chiamano genio: che questo
talento è innato e si sviluppa dalle circostanze.
Tutto questo ingegno si riduce alla prudenza:
e questa prudenza esige nell'esercizio una continua
modificazione delle leggi salutari.
Questa modificazione è difficile, ma la difficoltà
non toglie la esistenza della medicina. Quali sono
le arti che non richiedano dei talenti e delle fatiche ?
Quali quelle di un esito sempre certo ? L' agricol-
tura ha certamente le sue leggi: e pure tutte le pre-
cauzioni, tutti i mezzi riconosciuti utili in circostan-
ze analoghe non bastano ad assicurarne il ricolto.
La fortuna entra in tutte le cose umane: ed una se-
rie di vicende spesso abortisce il disegno meglio con-
cepito e le speranze più fondate. Quanti progetti di
politica han fallito, quanti calcoli di economia han
mancato: or dunque si dovrà conchiudere che que-
ste scienze sono senza leggi e che non esistono ? Lo
stesso dicasi della pratica medica. Alcune promesse
fallite , alcune disgrazie non prevedute , dovranno
muovere alla incredulità, dovranno distruggere la
scienza? L'uomo è ingiusto in tale giudizio. E^so è
troppo interessato per giudicare freddamente. Quan-
do condanna l'arte, non sente la voce della ragione^
bensì della natura che a garanzia della propria con-
servazione non perdona neppur 1' ombra di errore.
Se vi hanno alcuni punti tuttora dubbi, alcune ma-
Arte medica 301
laide incurabili che sfidano ogni mezzo conosciuto,
non perciò diffonderanno il dubbio alla serie delle
certezze. I litigi, le questioni, le varie opinioni de'
medici nulla provano. Quale è la scienza dove non
si abbia mai quistionato ? Per assicurare la nullità
di una scienza non basta addurre che si è mal ra-
gionato, bisogna provare che non si possa ragionare.
Luigi Giovannini.
Della antecedenza degV ilaliani nella istituzione de-
gli asili deir infanzia. Discorso di Gian -Francesco
Rambelli letto in Persicelo per la solenne premia-
zione del 3 di ottobre 1847.
jL\ntico e comune è il malvezzo degli stranieri di
appropriare a se stessi ogni bello ed utile trovato ,
come antico è in Italia il lamento de' furti e sopru-
si fattici sfacciatamente: per cui alcun benemerito,
tenero delle patrie glorie, è insorto talora ad assicu-
rare alla nostra nazione quegli allori che erano di-
rettamente suoi. Ed oggi che la sapienza del sovrano
pontefice, tutta volta al progredimento della cultura
degl' intelletti, vuole che la scientifica istruzione si
diffonda largamente per tutto e a tutti, a guisa del
sole che spande i benefìci suoi raggi sul creato u-
niverso; e a guisa della terra, madre comune, che
dal menomo musco della parete alimenta infìno il
più sublime cedro del Libanoj e perciò vuole, che
302 Scienze
anche fra noi sorgano, si stendano e si accomuni-
no quanti utili e begl'instituti riguardano la educa-
zione, la morale, le lettere e le scienze; si rimetto-
no in campo intorno ad essi le straniere pretensioni,
risuscitano le false asseveranze , si rinnovellano le
antiche menzogne; e all'Italia, eterna maestra del
bello e del vero , si nega ogni vanto in codesti ; e
pressoché tutti dall'invidia o dall'ignoranza alle gen-
ti alienigene si vogliono indebitamente attribuiti. Ma
noi noi dobbiamo tollerare di queto, anzi è a le-
varsi alla rivendicazione delle gloriose italiane an-
tecedenze; che nostri sono i metodi di mutuo inse-
gnamento; nostre le scuole del povero; nostre quelle
della domenica; nostre l'altre a foggia di giuria no-
stro il concetto d' insegnare a' sordo -muti ; nostro
quello di addottrinare i ciechi ; come ebbi già a
chiarire a lungo laddove svolsi in gran parte l'am-
pia tela degl'italiani trovati (1). Ciò stante; e perchè
nella odierna celebrità, in cui la munificenza de'ma-
gistrati cinge questi eletti giovani delle meritate co-
rone; parendomi, che anziché parlare a pompa e a
sfoggio di eloquenza torni meglio ragionare di cosa
veramente utile all'umana famiglia, verrò mostran-
do che italiane sono pure le scuole dell'infanzia^ che
anche asili si chiamano ; dalla quale assicurazione
vedremo scendere quasi come un obbligo in noi di
dar loro vita, incremento e propagazione a miglio-
rare r educamento del popolo, parte della nazione
ingiustamente e stoltamente reputata fin qui da mol-
ti la meno rilevante e degna di essere lasciata nell'
abbandono e nell'abbrutimento. Pari all'importanza
del soggetto, tutto glorioso all'Italia, tutto utile al-
Asili dell'infanzia 303
I' umanità , spero che sarà la cortese vostra atten-
zione.
Se io spingo lo sguardo fino nel medio evo ,
trovo fra noi saggi d' infantile tirocinio indiritto a
religione ed a cultura; se lo rivolgo a'tempi meno
antichi , veggo Innocenzo III aprire in Roma nel
1198 una casa, tuttora fiorente, pe'fancìnlli abban-
donati; Girolamo Miani nel 1500 prendere a rac-
cogliere , istruire , ed alimentare orfani bambinelli;
Angiola Merici fondando nel 1537 le orsoline ob-
bligarle a gratuito insegnamento di figliuole neces-
sitose; Eleonora d'Austria, duchessa di Mantova, e-
rigere nel 1564 pubblica e numerosa scuola di povere
verginelle anch'esse gratuitamente insegnate, nudri-
te e ne' femminili lavori addestrate. Al che si ag-
giunga, che primo padre di sì pietosa opera nella
moderna età è a tenere il Calasanzio , comechè a-
ragonese, perchè in questa Italia facevasi fondato-
re delle scuole pie nel 1617.
Ondechè nostro, e non istraniero, sarebbe non solo
l'aver trovato il concetto di tali scuole, ma l'averlo
da gran tempo effettuato. Che se movesse difficoltà
l'essersi allevati in esse fanciulli e fanciulle di età
maggiori a quelli che or si adunano negli asili ,
parmi che non si possano dire totalmente inventate
le nuove scuole per essersi disceso a ricoverarvi ed
educarvi bambolini di età minore , adattando loro
le regole confacenti; mercechè troppo è facile ag-
giugnere al già trovato. E se riguardando a sola 1'
età infantile si volesse darne merito alla marchesa
di Pastoret, che in Francia ebbe adunati, non sono
molti anni, e fatti allevare 12 fantolini; abbiamo il
304 Scienze
Datèo, che fra noi nel 1787 tentò introdurre le scuo-
le infantili. Ma se non riesci nell' intrapresa, se le
forze gli fallirono, se gli vennero meno gli aiuti de'
ricchi e potenti, se fu contrariato dall' invidia, dal-
l'ignoranza, o da coloro che per disordinato appe-
tito dell'ottimo guastano il bene ed il meglio; è per-
ciò che non avesse anteceduto altrui nel santo e
nobile pensiero e nell'operarsi a praticarlo?
Non dunque all' Owen o al Bucanan, e non an-
co alla Pastoret, vorrà darsi il pregio del concepi-
mento e della esecuzione di simili scuole , le quali
in brevissimo spazio dalla Senna passate al Tamigi,
di là si stesero per 1' Alemagna e per la Svizzera ,
d'onde, varcate le alpi , si tornarono a noi in vesta
tutta estranea, trombate e credute pianta e frutto ol-
tramontano ; e con quanto diritto, Iddio cel dica 1
Se il Lana non ebbe danaro a costruire ed innalza-
re il globo areostatico, che primo immaginò, non ne
sarà stato per questo l'inventore? se né esso, né il
Cardano istrussero sordo-muti o ciechi , è perciò
che non ne concessero la possibilità, e non lascias-
sero le idee , le tracce e gli abbozzi delle odierne
teoriche e delle pratiche altresì? Malamente adunque
SI gridano inglesi, francesi o svizzeri que' puerili in-
stituti; essi sono veramente italiani: e avviene di loro,
come delle nostre sete , che mandiamo grezze in
Francia, in Olanda, in Inghilterra; e tornate a noi
in rasi a onde, lustrini, sto fife, blonde, dommaschi,
velluti, le compriamo a gran prezzo, come cose ol-
tramarine le pregiamo , e ne adorniamo pomposa-
mente le case e le persone- Non sono meno di Gol-
conda i diamanti che Parigi e Londra foggiarono
Asili dell'infanzia 305
in g^ioielli smaniglìe , anella e sfolgoranti collane :
quegli splendidi caDgiaraenli, quelle finezze e beltà
di lavori non fanno perder loro 1' origine , la de-
rivazione, la nascita.
Che se dunque nostri sono gli asili, perchè non
solo ce ne siamo lasciati usurpare la priorità , ma
non li abbiamo messi in opera fra noi e sparsi per
tutto a grandissimo beneficio della nazione e della
civile comunanza? Mi duole a dirlo; ma pregiudizi
di cieche ed ostinate menti, mentre non li vollero
piantati in questo ferace terreno , li hanno lasciati
attecchire, prosperare e propagarsi in altri lidi, ove
le nazioni, cui non se ne dovea il santo pensiero, ne
cavarono e cavano universalmente i frutti e van-
taggi che nostri esser doveano da gran tempo. E
quando i due sacerdoti cremonesi Alessandro Galli'
na e Ferrante Aporti priori in Italia rinnovarono 9
rinfrescarono il concetto delle scuole infantili, colla
sola opera il primo, co'fatti e co' pregiati scritti il
secondo, quante persecuzioni non sostennero, quante
calunnie , quante tacce non si diedero loro, quanti
scogli non ebbero a superare ? Ma 1' Aporti, fattosi
schermo della pura coscienza, pugnò saldamente con-
tro l'orgoglio, l'ignoranza e l'invidia; e non con al-
Ir'armi trionfava, che colla sapienza, colla longani-
mità, colla carità, colla pazienza; laonde oggi, sua
mercè, nella Lombardia, nella Toscana, nel Piemon-
te e altrove fioriscono proficuamente gli asili e si
diramano tuttodì, con isperanza che anche qui negli
stati della chiesa, ove PIO IX fa loro belle e gene-
rose accoglienze, siano per toccare felicissima meta
b bene della presente e della ventura età. Ma mentre
G.A.T.CXV. 20
306 Scienze
io vo siffattamente discorrendo parmi sorger possa
desiderio di con oscere quali difficoltà ed opponimenti
tardarono fra noi ed impedirono opera sì bella e pro-
fittevole ? Dirolle in breve , e in breve verrò pure
ad esse rispondendo.
Trovato di protestanti, e che covava mal seme
furono giudicate le scuole infantili; e quindi ai cat-
tolici perniciose. Lasciando stare, che esse hanno culla
nostrale e cattolica, come testé diceva, e i prote-
stanti o le crebbero e perfezionarono soltanto, o non
diedero a quelle che il nome che hanno al presente,
accordiamo anche loro l'origine eterodossa: questo,
come scrive Teloquentissimo de'moderni filosofi Vin-
cenzo Gioberti (1) « non pregiudica alla bontà loro,
« perchè le instituzioni si debbono considerare in
« se stesse , non misurare dal merito degli autori.
« Tanto più, che sebbene i protestanti siano divisi
« dalla chiesa ed errino nella fede , non lasciano
«« però di consentire coi cattolici in una parte delle
M loro credenze, specialmente intorno a quelle ma-
« terie che alla morale appartengono; e si trovano
« fra loro uomini eccellenti , che onorerebbero il
« cattolicismo, se fossero arrolati sotto le sue inse-
M gne . . . Ora bisognerebbe vedere, se le opere fì-
« lantropiche siano nate da quelle opinioni, intorno
« a cui i protestanti sono eretici, e per industria di
« coloro che disonorano la loro setta , ovvero se
« hanno avuto principio dai residui della dottrina !
« cattolica e da quegli uomini onorati, il cui erro-
« re è piuttosto una sventura fatale di nascita , di '
« allevamento o di fortuna, che un effetto di libera j
» «lezione o dì malizia. L' ultimo caso sembra più i
Asili dell'infanzia 307
n probabile del primo : perchè i maliziosi non so-
« gliono occuparsi eli filantropia , e le imprese di
« questa son un'applicazione della morale, che tutti
« i cristiani professano in comune, non degli articoli
« dommatici di Ginevra e di Augus:a. Lo stesso no-
« me di opere benefiche ha un suono più cattolico
« che protestante, e non licorda il domma di co-
« loro, che giustificano l' uomo colla fede spogliata
« dal corredo di quelle. Quanto a dire che i trova-
« ti filantropici siano cattivi solo perchè fioriti pres-
'< so popoli partiti dalla chiesa , la conclusione è
« più presto temeraria, che altro. » Ma voglio con-
cedere che il mal seme ci covi ; noi dovrà levare
e spegnere al tutto la vigilanza de' cattolici che pre-
siedono agli asili, non potrà e dovrà convertirne iu
buon frumento il loglio e la zizzania, e mutare in
puro e retto l'insegnamento, ove per verità fosse vi-
zioso o tralignato? Dicasi lo slesso, quando mostras-
se false radici a' governanti contrarie.
Ma le scuole infantili , proseguono ad opporre
gli avversi, spengono ne' figli l'affetto verso le loro
madri. Eppure tutt'altro debb' essere: che la buona
educazione accrescerà sempre quest'affetto instillato
da natura, e la disciplina morale degli asili, anziché
diminuire la pietà filiale dovrà viemaggiormente
avvalorarla. << Forsechè un fanciullo male allevato
« farà miglior prova d'uno che sia bene instituito?
«' Si vantaggia forse l'amor filiale dallo starsi tutto
'< giorno un ragazzo appeso al collo o appiccato
«« alla gonna materna? Anzi un putto, che venga su
^ in tal modo, riesce per ordinario un malvizio. E
' quando ciò non fosse, cotrie volete che nelle clas-
308 Scienze
« si povere le madri , obbligate a faticare e ru8ti-
« carsi da mattina a sera, possano aver cura de'fì-
M gli? M Come custodirli, come istruirli, come cre-
scerli uel bene? E se a ciò sopperisce la beneficen-
za degli asili, ne dovrà poi conseguitare 1' affievoli-
mento della filiale affezione? Ma non vedete, che se
10 starsi lungi dalle madri e dalle famiglie rompes-
se veramente od allentasse i vincoli del sangue, nes-
sun affetto a'genitori serberebbero i garzoncelli che
vissero nei collegi, ne'seminari, nelle università, o le
donzellette allevate ne* monisteri ; mercechè in tale
affezione di natura non ha che fare la poca o molta
età: essa è ingenita in noi, e lo star lungi dai pa-
renti più o meno ore del dì, 1' averne più o meno
le cure , non vale a spegnerla o a raffreddarla
mai.
Ma ciò è nulla; che trovanfii nocenti gli asili, per-
chè destano nuovi bisogni nelle classi popolane e le
distolgono dallo stato loro. Risponde qui (3) il som-
mo filosofo che citai: « Ma di quali bisogni parlan
11 costoro? Se intellettuali e morali, essi fanno l'elo-
»( gio di ciò che voglion criticare: poiché il desta-
« re tali bisogni nella plebe è un nobilitarne Tin-
« dole, migliorarne i costumi, perfezionarne l'animo,
<( ingentilirne la vita. Se materiali, vi nego che la
« filantropia susciti bisogni nuovi e fattizi; essa ser-
•< ve bensì ad appagare i bisogni naturali ed anti-
« chi. Fra questi bisogni sacrosanti vi ha quello di
»> condurre senza dolori e stenti la vita ; e a ciò
« mira la filantropia operosa , procacciando di ren-
« dere più agiate e tollerabili le condizioni della
n misera plebe. Falso è poi che la plebe miglioran-
ÀSILI DELLlNFAN^ilA 309
t< dosi si distolga dal proprio slato: che l'esperienza
« universale prova il contrario. Vero è bensì che la
« crescente cultura agevola a molti plebei il modo
« di salir bel bello pei vari gradi della scala socia-
« le: e questo, nonché essere un inconveniente, è un
« pregio del nostro vivere moderno , e fino ad un
u certo segno è condizione perpetua d'ogni vivere
« comune: perchè la plebe in tutti i tempi è il se-
« raenzaio del popolo, ed assurda, per non dir altro,
< è la dottrina della immutabilità degli stati, la qua-
« le se Iddio avesse voluta plasmando Tumana na-
« tura non avrebbe variate le vocazioni, ponendole
« spesso in disaccordo col fato della nascita e della
«< fortuna. Questo disaccordo è divino ^ perchè na-
>» turale e salutare , perchè è il principio di quei
« moto incessante e perenne che agita la nostra spe-
« eie, ne volge le attitudini e le potenze recondite,
«< la guida verso il termine che la provvidenza le ha
« prescritto, e fa parte integrale della vita del mon-
M do. Non perciò si ha da temere che venga meno
«< la condizione plebeia, in quanto è necessaria al
« vivere civile: giacché in virtù di quello stesso moto
« ella acquista da un lato ciò che perde dall' altro,
« e mediante il libro conflitto de' contrari la vita
« comune si preserva. Succede bensì che tal con-
« dizione si migliora; e ciò, non che essere un male,
M si dee recare a vantaggio. Imperocché gli stati
« degli uomini non sono in se medesimi né grandi,
" né piccoli, né nobili, né vili: ma tale è ciascuno
« di essi quale l'individuo che l'occupa e lo espri-
« me. Quindi è che l' uomo grande, come diceva
u un grandissimo antico, ha virtù di nobilitare au'
3(0 Scienze
« che i. piccoli carichi: perchè se il grado prova T
K uomo, non è men vero che l'uomo prova e qua-
«< lifica il grado : e questo antico è Epaminonda ,
« che dopo aver vinto a Leultra e liberata la pa-
<( tria , accettò in essa e rese illustre 1' ufficio umi-
« lissimo di telearca. Che se oggi le arti e i mestieri
« dei meccanici son tenuti bassi e vili , ciò nasce
»< dalla rozzezza e abbiezione di coloro che li eser-
« citano: onde quando la plebe sarà meglio institu-
« ita e raffazzonata , le occupazioni , in cui ella si
« travaglia, piglieranno un altro aspetto e verran-
« no in istima. Dicasi dunque che la filantropia non
« mira già a distogliere le classi popolane dal loro
« stato, ma sì a sollevarlo e nobilitarlo; e si dirà il
« vero a grande onore di quelli che apparecchiano
« la mutazione; e a grande infamia di coloro che le
w si attraversano? »
Sia pure tuttociò, insorgono a dire i combattitori
di tanto beneficio; codesta vantala utilità degli asili
è più immaginaria che vera; mentre i tapinelli che
si allevano tuttodì in essi ne'più sani precetti di so-
brietà, temperanza e costumatezza, giunti la sera alle
lor case hanno innanzi gli occhi il mal esempio di
padri rotti ne' vizi, dati all'ebbrezza, alla bestemmia
e ad ogni nefandità; di madri scioperate, rissose, e
Dio non voglia mal oneste! Dunque le brevi ore che
rimangono presso ai parenti, per la forza efficacis-
sima dell' esempio e della imitazione, abbattono ed
estinguono l' edificio del bene con tante laboriose
cure dalle savie istitutrici in tutto il giorno innal-
zato.— Forte sembra di vero questa obbiezione, che
pur troverassi moltamente illusoria , se dirittamente
Asili dell'infanzia 3'I'1
t'àgionare si voglia. Poiché, ammessa anche gene-
ralmente la trista qualità de'padri, non sarà sempre
meglio che i bambini convivano il minor tempo pos-
sibile con uomini viziati e dissoluti; di quello che
abbiano continua scuola di empietà e malizia ? non
sarà meglio che sia un luogo, ove se ne appartino
il più del tempo, e ove vengano avviati al bene e
alla virtù, farmachi potentissimi al veleno degli oc-
chi e degli orrecchi? non sarà meglio che da menti
savie ed instruttc imparino le santissime verità della
religione, ignorate o mal apprese da'parenti poco o
nulla curanti istruirne le proli? E non potrebbe darsi
talora che le semenze del bene, radicate ne'figliuo-
letti degli asili, fruttificassero eziandio ne'cuori de'ge-
nitori, che a poco e poco apparassero da quelle te-
nere labbra verità rilevantissime civili e religiose ^
da loro disconosciute o trascurate al tutto? Gli a-
sili ancora, togliendo a'padri in gran parte il peso
del mantenimento de' lor piccolini , rimovono una
delle potissime cagioni del pessimo allevamento del-
le figliolanze. Che se già uomini di rea e perdu-
ta vita, tornandosi a casa dalle crapule e dai bagor-
di delle osterie , e non avendo di che sfamare le
digiune e lagrimose famiglinole, rompevano con esse
in isdegni ed eccessi enormissimi ; il trovarle ora
quiete, pasciute, e già in dolce sonno immerse, noa
dovrà valere, se non a mansuefarne in tutto i cuori
ferini, ad intrattenerli almeno dalle consuete dete-
stevoli escandescenze; e quindi il pravo esempio non
rara più né tanto assiduo , né tanto gagliardo. Ma
insisto di più, ed affermo che siffatta obbiezione non
tanto ferisce gli asili , quanto gli altri luoghi tutti
312 Scienze
di educazione, in cui sia vicenda di casa e scuota;
che in tutte le classi ponno essere i cattivi genitori,
in tutte le case vedersi scandali e funesti esempi ;
colla differenza, che più prossimi alla imitazione sono
i garzonetti adulti, che non i piccoli bambini. Con-
chiudiamo adunque, che non è a ristarsi dallo in-
stituire gli asili per tema d' un ombra che rapida-
mente si dilegua.
E neanche avrà a cessarsene per ciò che affer-
mano altri: perdersi cioè ogni vantaggio degli asiU,
se al compiersi dell'ottavo anno i fanciuUetti si li-
cenziano da essi e si abbandonano, quando appunto
sorge in loro maggiore il bisogno d'istruzione e di
custodia. Ma se nati di poveri sono i bimbi raccol-
ti negli asili, non sarà dato ai parenti lasciarveli ol-
tre il settimo o 1' ottavo anno : che potendo allora
sostenere la disciplina d' alcun' arte vorranno avvi-
arli ad essa per impazienza di guadagno ; e quindi
non solo sarebbe nocevole, ma neppur possibile te-
nerveli ulteriormente; che sano consiglio è lo av-
vezzare per tempo i figliolini a quelle fatiche , di
cui dovranno campare la vita. E neanche è vero, che
disperdansi le semenze della buona morale : che en-
trate ed abbarbicate tenacemente in que'vergini cuo-
ri, non fallirà che vi prendan piede, vigore ed au-
mento; e quando si avesse cosiffatta temenza, hanno
a tenersi d'occhio da'presidi degli asili, a raccoman-
darsi a' capi d'arte che li accettino in tutela specia-
le e ne veglino i portamenti ; si possono instituire
scuole festive o notturne (4), a cui usino, per con-
tinuare, raffermare ed ampliare le cure educative de-
gli asili. E quelli che sono raen poveri, che mostrano
Asili dell'infanziì. 313
belli e acuti gì' intelletti, perchè non si avranno ad
inviare a scuole maggiori per darvisi a quegli eser-
cizi di lettere o scienze, cui li chiamasse la provvi-
denza?
Ma perchè tante opposizioni, tante parole, tanto
spavento in proposito degli asili dell' infanzia ? che
cosa sono essi mai ? Gli asili sono stanze salubri di
aria lieta , ove schierati in beli' ordine seggono in
banchi i putti che dal terzo non passano l'ottavo anno;
ed ivi anziché essere intrattenuti oziando, o in vani
cicalamenti, vengono iniziati alla pulitezza, e giusta
r età ammaestrati in quanto riguarda il vivere cat-
tolico e civile; apprendendo pure a leggere, scrive-
re e un po' d' aritmetica; altaiche da rozzi, indomi-
ti, ignudi d'ogni senso urbano, rifacendosi totalmente
negli asili, diventino pài, buoni, temperanti e mutua-
mente benevoli. E acciò non li gravi la noia, savie
regole compartono l'ore fra il canto della preghie-
ra, la scuola, il refettorio e l'orticello, o prato vicino,
ove si conducono a moderati trastulli. La istitutri-
ce non è donna venale, che vegga ne'suoi bamboletti
soli strumenti di guadagno; non è inumana da per-
cuoterli o maltrattarli al continuo; ma savia, intel-
ligente, amorevole, tenendo loro ufficio di madre,
li ammonisce, corregge e ravvia sul buon sentiero
con pazienza e dilezione infinita. Sovra di essa ve-
gliano pii sacerdoti , nobili e culti signori , pietose
dame visitatrici , accesi tutti dell'operosa e magna-
nima carità del vangelo, e non di quella falsa che
Empie a mille la bocca^ a dieci il petto.
314 Scienze
Gratuita è poi questa scuola • perchè la pietà fra^
terna dà l'obolo onde si mantenga, e affinchè que'
tapinelli abbiano nell'asilo una minestra e un pane
quotidiano, al doppio intendimento di togliere il di-
sagio a' parenti di ripigliarli sul mezzodì , massime
nel verno; di alleviare i bisogni delle famiglie, e di
preservare i pargoletti dal divagamento e dalle in-
quietudini che congiungonsi a quell 'alternare di casa
e scuola. Dunque non sarà egli meglio tenere in sif-
fatta cristiana e civile tutela i bambinelli miserabili^
che lasciarli gire accattando; darli in mano a spen-
sierate vicine, e laidi, laceri, immalsaniti abbando-
narli per le vie e pe' trivi , spettatori di scandali e
di risse in seno alla corruttela e alla malizia; o chiu-
si in case o camere corrervi pericoli terribilissimi?
Laonde, signori, dacché nostra, cattolica, utilissima
vediamo la istituzione degli asili, anche noi procac-
ciar dobbiamo di concorrere unanimi a quest'opera
salutare e promuoverla e avviarla a beneficio di tan-
ti miserelli. E lo abbiamo a fare ad ogni modo, an-
corché non sia dato condurla subito a quella per-
fezione che taluno intravedesse in idea. Tutti i prin*
cipii delle cose sono piccoli al nascer loro; ma cre-
scendo, nella loro progressione grandi e vigorosi si
fanno. E a sì bella istituzione, che quant'altra mai
più ferve e più s'avviva
Nell'alito di Dio e nei costumi (5)
ne sia sprone eflìcacissimo il sapere che è amata, pro-
tetta , voluta da questo miracolo di pontefice , che
tante e tante sublimi cose ha già operate, e molto
Asili dell'infanzia 3^5
maggiori nel benefico suo pensiero ne matura , di
cui sono alla e fresca pro\a queste elette milizie
cittadine, che sì bel grido hanno in ogni parte le-
gato. Deh! coir aprire generosi un asilo, secondia-
mo anche noi gl'inviti dell'immortal PIO ,
Dietro a' cui passi estatica ed amante
Affrettarsi vediani VEuropa intera^
forme baciando dell'auguste piante (6) l
NOTE
(1) Intorno invenzioni e scoperte italime, lettere di Gian -l-Van-
cesco Rainbelli ec. — Modena tipogr. Vincenzi e Rossi 1844. V. prin-
cipalmente le let. IV pag. 25, XXXIX, pag. 189 e seguenti , LXlX
pag. 344 e XCIU pag. 476.
(2) II G. M. per Vincenzo Gioberti voi. Il pag. 323 e 524. —
Losanna per Bonamici e C. 1847.
(3) Gioberti, op. e. p. 323.
(4) Utilissima institu/,ione è quella delle scuole notturne e fe-
stive tuttavoka a rendere al popolo facile, vantaggioso, e caro Ta-
(Icmpimento de' propri doveri. Gli artisti, anche inoltrali nell'età,
che non usarono mai alle scuole , o non ne compirono il corso ,
nelle ore serali in cui cessano dai lavori, o nelle domeniche, rice-
vono in es.se istruzione religiosa e morale; e vi apprendono legge-
re, scrivere, principii di lingna italiaiua, di fisica popolare, di sto-
ria naturale, l'epistolografia e le cognizioni pratiche dello .scrivere
opportune specialmente alle arti; daudovisi anche i più semplici do-
cumenti di questa o quella scienza, che può essere più direttamen-
te applicala alla manuale professione, cui si sono dedicati.
(5) Dante, Farad, e. 23 v. 113, 114.
(6) iMonli, Pellegrino Apostolico e. 11.
-^J5(Ì->-
316
Delle età che in sua persona Dante raffigura
nella divina Commedia.
Ragionamento di Marco Giovanni Ponta.
PARTE SECONDA.
Di
'isse Salomone nell'Ecclesiaste: « Beata la terra,
lo cui re è nobile : » che non è altro a dire se
non: lo cui re è perfetto, secondo la perfezione del-
l' anima e del corpo : e così manifesta per quello
che dice dinanzi quando dice : <• Guai a te, terra ,
Io cui re è pargolo : » cioè non perfetto uomo : e
non è pargolo uomo pur per etade, ma per costu-
mi disordinati, e per difetto di vita; siccome ne am-
maestra il filosofo nel primo dell'etica (Conv. Tratt.
A, cap. 16). " Queste parole, che Dante produce nel
quarto del Convito, là ove ei cerca della natura di
nobiltà, fanno mirabilmente al caso nostro discorren-
do delle età, di cui egli è figura nel suo poema: co-
me quelle che ci forniscono bella e vittoriosa rispo-
sta a chi ne opponesse, che mal può il simbolico
pellegrino della Commedia significare 1' adolescenza;
dacché sino dal primo verso del suo trattato dice di
Divina Commedia 317
essere nel mezzo del cammin di nostra vita, il quale
risponde al diritto colmo della {gioventù, secondo la
sentenza del medesimo Dante. Imperciocché abbia
pure il pellegrino per sua vera etade raggiunto il
colmo dell'umana vita, che questo non vieta punto
alla favola di descriverlo colle tendenze ed i costumi
che dell' adolescenza son propri in un poema che
alla completa informazione morale intende di qua-
lunque parte della vita umana: in un poema, io dico,
dove non della vegetale del corpo, ma fassi ragione
suprema della morale età dello spirito. In questo ri-
guardo , quell'anima è nel colmo della età morale
che è giunta al sommo grado della virtù : e solo
chi nel colmo della gioventù di questa è in pieno
possesso dicesi ed è senza meno veramente nobile :
ciò è a dire, è uomo secondo il corpo e secondo lo
spirito in ogni cosa perfetto. Ma chi per contrario
giunto al sommo dell'arco della vita animale ha co-
stumi disordinati, animo servo e schiavo del vizio,
questi può ben dirsi, ed è tuttora pargolo, secondo
la gravissima sentenza di Salomone, di Aristotele e
di Dante, che d'entrambi si volle fare seguace. Ora
il protagonista della Commedia, che all'incontro delle
tre fiere attraversantigli il buon cammin testé rinve-
nuto spaventasi tanto e si vilmente che preferisce ri-
maner fuorviato, anzi che durar lunga e grave ma
nobil battaglia ; questi sebbene già toccasse il suo
XXXV anno, quando nell'uomo è nella sua maggior
forza quella civile virtù , che fortezza dai morali
«i chiama, non fa egli prova certa e manifesta ai
«uoi lettori che i di lui costumi, le sue qualità, lo
stato morale del suo animo non aveva proseguito a
3IS Letteratura
crescere colla carne per giugnere a quella perfezione
civile, che all'altra del corpo doveva essere orna-
mento e compagna ? Laonde egli era certo nella per-
fezione corporale: ma quanto allo spirito , quanto
alla mente soggiaceva ancora a tutte le imperfezioni
che dell'età novella il più soglion esser compagne.
Ondechè gli tornava buono ancora, gli tornava utile
e necessario, e il pedagogo e il maestro ed il duca ,
che, come all'adolescente si fa, lo scorgesse tuttavia
per tanto tempo, e lo addottrinasse fin che final-
mente rinsavito, cresciuto e rinforzato così nell'animo,
come già lo era nella persona, fosse e sì potesse chia-
mare veramente nobile ; vale a dire finché avesse
raggiunto la compiuta perfezione dell' anima e del
corpo : siccome leggiamo essere avvenuto sul chiu-
dere della seconda canzone. Ma oltre a ciò un altro
argomento si raccoglie da questa gravissima senten-
za: essa, chi bene addentro la guardi, rompe d'un
irreparabile colpo tu:te le immaginarie supposizioni,
di che tanto si credono forti coloro che nel prota-
gonista della Commedia voglion vedere l'uomo cos'i
perfetto, così brillante d'ogni pregio e baldo di ogni
virtù, che nulla manchi per doverlo riconoscere sa-
vio, incolpabile e vergine da qualunque difetto. Con-
ciossiacosaché come dir senza difetti morali (almeno
nella poetica finzione) un uomo che nella pienezza
dell'età si confessa così smarrito della diritta via, che
per tornare a casa dee scorrer l'inferno ed il pur-
gatorio ? un uomo che nel suo XXXV anno per
tornare in patria dee quasi smemorato fanciullo dar-
si al pedagogo ed al maestro che gli additi la stra-
da, lo tenga per mano, lo incoraggi, lo sostenga,
Divina Commedia 319
Io prenda in braccio, lo cinga, lo lavi, lo riprenda,
lo ammaestri, lo ammonisca e per fino tanto dura-
raenle lo sgridi da porlo in sì gran confusione e
vergogna; che non più sappia trovar via né verso
né parola che diminuisca il suo fallo ? E questi si
dirà uomo perfetto ? E questi si dirà essere uomo
immune da vizi, ricco ed adorno di tutte le più vigo-
rose virtù, che dan pruova d'uom grande ? Senonchè
non essendo questo il luogo da discutere questione sì
grande, io ben contento d' averla solo accennata ,
passo a riconoscere nei nuovi costumi, e nelle paro-
le del mistico viatore le perfezioni e le qualità stesse
che egli prescrive a chi entrò sulla soglia della se
conda età, che per età, di perfezione fu da Dante e
da Aristotele commendata. La quale età colla senettù
ed il senio fa speciale argomento della terza can-
tica; al cui esame, per cessar noia a chi sì gentil-
mente mi fa corona, senza più preamboli m'accingo.
Ma Dante non è più imperfetto di età. II suo
maestro dichiaratolo libero , dritto e sano di arbi-
trio, inviatolo a seguir sicuro il suo piacere, siccome
ottimo regolatore delle proprie azioni, per entro alla
divina foresta , lui stesso coronò e mitriò sopra se
.stesso. La sua dolce amica, incomparabile Beatrice,
dopo quelle salutari ammonizioni, che doveano spre-
mere dal suo ciglio le lagrime della penitenza accom-
pagnate dalla ingenua , piena e libera confessione
del giovanile suo traviamento, lo accolse affabile e
ridente sulla destra riva di Lete, tutto molle e gron-
dante ancora dell'onda della purgazione, ma circon-
dato dalla festosa danza delle sette ninfe , tipo di
quelle stesse morali e teologiche virtù, che innanzi
31iO Letteratura
che ella discendesse al mondo furono ordinate a lei
per sue ancelle. In corte parole, egli è quivi fatto, è
dichiarato, è costituito uomo perfetto, e sì secondo la
perfezione dell'anima e sì secondo la perfezione del
corpo. Egli entrato nella seconda parte della vita, nel-
la età deila gioventù, fa or bella e felice mostra di
sua persona movendo in angelica nota i suoi passi
per la fiorita landa colla gente verace del Grifone
(mito della società perfettissima innanzi e dopo la ve-
nuta del Redentore) avente a destro lato la ben ama-
la sua donna, corteggiato e cinto da tutte le virtù,
non senza la preziosa comitiva di Matelda figurante
la vita attiva, e di Stazio che l'immagine rappresen-
ta della classica poesia. Ben è vero che egli, uso sin
qui a muover i suoi dietro i passi del maestro co-
me discepolo docile, riverente ed ingenuo, non osa
mettersi a paro di Beatrice: ben è vero che tutta-
via, come i nobili fanciulli costumano, spinge timi-
da la voce, la parola, il gesto ed il piede; ma quella
Beatrice beata, la cui divina bellezza era qui in terra
il paradiso della sua mente, gli terrà poco stante co-
deste ed altre adolescenti costumanze, e liberalmente
maestosa e con tranquillo aspetto chiamerallo a se
vicino : « Vien più tosto ( diralli ) tanto che s' io
parlo teco Ad ascoltarmi tu sic ben disposto. •- Né
tarderà gran fatto: che egli accostumato a sentirsi
chiamare figlio e figliuolo, maraviglierà per conso-
lazione udendo finalmente la sua donna tutto amore
che dolcemente lo rimprovera in quest'altre parole:
<( Frate, perchè non t'attenti A dimandarmi omai ve-
nendo meco ?» E poiché egli ciò nondimeno ancor
troppo rispettoso risponderà parole senza intero suo-
Divina Commedia 3'2i
no, ella cos'i lieta come bella riprenderà con dire :
« Da tema e da vergogna Voglio che tu ornai li
disviluppe, Sì che non parli più com'iiom ehe so-
gna. » Io dico che da indi in là questi due cuori
amanti di Dante e Beatrice sono posti in perfetta e
confidente relazione. Dante, abbandonatosi tutto al
dominio del più ardente e del più santo amore, pende
dagli occhi belli di Beatrice, così come fa l'amante
dall'amata. Interroga esso ? ella dolce risponde : do-
manda ella ? ci libero seconda colla parola : e le-
iiendosele ognora al fianco con vicendevole e cele-
stiale fiamma di affetto sorvola di stella in stella per
tutti i mobili celesti, sinché scortato dalla sua don-
na penetra nel ciel che è pura luce intellettual pie-
na d'amore e di letizia che trascende ogni dolsore:
io dico nell'empireo, dove in forma di candida rosa
lieto e maravigliato contempla quanto sia il convento
delle bianche stole.
Così è, miei valorosi signoria il protagonista
spogliato nel ventottesimo del Purgatario qualunque
atto e parola e passione alla adolescenza dicievole,
è fatto simbolo della gioventii: quando il nobile uomo
già perfetto di anima e di corpo è costituito per
diritto libero di se stesso , ed in piena osservanza
della legge. Ei pertanto si mostra in ogni atto , in
ogni detto, in ogni cosa fornito de'più pregiati co-
stumi, senza che persona a lui ne faccia comando:
egli franco e nobile in tutte le occorrenti quistioni:
egli adorno di tutte le virtù: egli forte, egli giu-
sto, temperato e prudente: dà prova agli apostolici
esaminatori a quale eroico grado ei possegga le
ì ti'e sante virtù, che teologali venner chiamate: raan-
1 G.A.T.CXV. 21
322 Letteratura
tiensi fido compagno della sospirata sua donna, cui
obbedisce non come alunno al pedagogo, non come
discepolo al maestro, ma come amico all'amica, ai
cui cenni più indovinati che uditi , si presta con
quelPardente gara di rispetto e di amore che sola
fa certa prova di un cuore veramente nobile ed
amante. E tanto diletto ei prende dai santi occhi e
dall'ondeggiare del santo riso di Beatrice, che seb-
ben fosse in cielo, pure ei trovala il paradiso sol-
tanto nel suo volto divino. In somma egli è unito
in spirituale coniugio colla mirabile sua donna. Che
più bramate, o che altro vi debbo aggiungere, ve-
nerati signori , ad accertarvi che in questa ultima
cantica le azioni del viatore sono quelle, onde si
adorna la seconda e la terza età ? età nata fatta per
la società perfettissima, di cui il matrimonio è il tipo
più conveniente? Certo qui Dante fingesi quei no-
bile amante fortunato che, seguiti i casti influssi del-
la Venere celeste, ben conosce di essere giunto al
cielo della umana beatitudine : ma non sapendo se
ciò gli avvenisse col corpo o senza, esclama tutto
inebbriato di dolcezza: « S'io era sol di me quel che
creasti Novellamente, Amor che '1 ciel governi, Tu
il sai che col tuo lume mi levasti. »
La conclusione da noi sostenuta è , sia per le
ragioni dette, sia per quello che sul contegno del
yiàtore si legge qui qua e colà nel paradiso, così
certa che per lutiti coloro che conoscono a fondo
questa cantica crederemmo vano il rinforzarlo di
nuòvi argomenti. Nondimeno siccome non v'ha ve-
rità chiara e certa tanto che da alcuno o per di-
fetto di vista, o per uso di contraddire, non sia ri»
Divina Commedia 323
vocata in dubbio: così non avrem la taccia di im-
portuni adducendo qui un solennissimo luojjo della
Concimedia, ove direttamente è toccato delle spiri-
tuali nozze di Dante con Beatrice. Imperciocché si
ha dal 30 del Purgatorio che la gente verace del
Grifone, venuta ad incontrare il pellegrino , quan-
do questi stava di contro al misterioso carro, figu-
ra della chiesa militante , udito uno dei suoi che
cantando gridò tre volte veni sponsa de Libano ; es-
sa tutta ha ripetuto il veni sponsa de Libano. Al
quale mistico invito, levatisi cento degli angelici spi-
riti, fecero seguire l'acclamazione non men lieta e
solenne dicendo: Benedictus qui venis. In questa gara
di inviti e felicitazioni, eccoti tra una nuvola di fiori
« Sovra candido vel cinta d'oliva Donna apparire sul
carro sotto verde ammanto Vestita del color di fiam-
ma viva. » Ella è riconosciuta per Beatrice, che invi-
tata scende quasi sposa novella ad incontrare il fe-
dele amante; a cui tra breve si unirà compagna per
introdurlo ben tosto in quella città eterna, di cui
ella è già beata cittadina. Premesse queste parole noi
la ragioniamo così. Codesto invito alla sposa. Veni
sponsa: codesta benedizione a colui che viene, Bene-
dictus qui venis: a chi credi am noi che fossero di-
retti ? Quanto a me non esito a riconoscer queste
indirizzate al testé sopraggiunto pellegrino, e l'altro
a quella donna che poco stante sotto una nuvola di
fi^ori scese nell' arca del carro solenne , quasi che
trionfalmente venga a presentarsi allo sposo. Vera-
mente io mei so che molti, e forse tutti gli antichi
interpreti, riferirono il Veni sponsa alla chiesa, ed il
Benedictus qui venis al Grifone : ma ciò a che raon-
324 Letteratura
ta? essi hanno il testo contrario. Il carro immagi-
ne della chiesa, ed il Grifone simbolo del Redentore,
erano ambidue colà giunti colla gente verace, però
non par conveniente invitare alla venuta chi già tro-
vasi in nostra compagnia di viaggio. Arroge che ad
vm'arca, in quanto arca si mostra, non mai compe-
terà né misticamente , né letteralmente il festevole
nome di sposa. E poiché chi invita la sposa dee già
aver veduto giugner lo sposo, chi dirà che nel Gri-
fone, in quanto sotto tal figura si presenta, possa de-
nominarsi lo sposo; e quel che è più, sposo dell'ar-
ca da esso tirata ? Ma vuoi tu dileguare d'un sof-
ffio cosi strane conseguenze ? rifiuta questa interpre-
tazione, e dì col Poggiali, col Cesari, col Biagioli
e con altri chiosatori dei nostri tempi, dì col Tom-
maseo (nota alla terzina 29 del e. 29) che la sposa
invitata a venire dal Libano è quella stessa donna
che in virtù dell'invito scese all'istante dal cielo con
tanta angelica festa nell'arca della divina Basterna:
e dì che il benedetto a venire é quel Dante che per
veder Beatrice ha mossi passi tanti : e siccome tu
vedrai di corto ambedue queste anime innamorate
farsi compagne nella santissima via che all'empireo
conduce, così non penerai gran fatto a riconoscerle
e benedirle inebbriate della santa gioia delle nozze
celesti. Nozze veramente beate, perchè celebrate (co-
•jQe si ha dal canto 31) tra le sante carole delle set-
te ninfe: le quali, condotto il purificato amante in-
nanzi agli occhi dell'amata donna, gli dissero: Fa che
le viste non risparmi. Invidiabile istante ! Qual al-
tro più fortunato mortale può le proprie paragonare
alle delizie del nostro sposo, allorché mille desiri
Divina Commedia 325
più che fiamma caldi gli strinsero gli occhi agli oc-
chi rilucenti, onde amor già gli trasse mille dardi?
Provi altri se sa, provi di conciliare, senza contor-
cere il testo, queste parole e questi fatti colla ante-
cedente spiegazinne ; che io per quanto sappia solo
così vedo naturale , nobile e pieno il compimento
del fine di un viaggio cotanto meraviglioso. E parmi
in vero fuor d'ogni dubbio che a questo modo, in-
tanto che legasi l'antecedente ed il conseguente del
sacro poema, si abbia l'altro bene grandissimo, che
cioè ad ogni atto , ad ogni parola dei due amanti
si appresti quella santa onestà che ne giustifica spi-
ritualmente la susseguita e costante compagnia e di-
mestichezza.
Né men certo parmi che in questa nostra in-
terpretazione si rifaccia bello di santa onestà, sia V
invito delle quattro ninfe con cui dissero a Dante,
già da loro condotto alla presenza di Beatrice: « Fa
» che le viste non risparmi : Posto t' avem dinanzi
» agli smeraldi (gli occhi dell'amica) Onde amor già
» ti trasse mille dardi : » sia la tenera preghiera
delle tre altre ninfe a Beatrice scongiurandola a di-
svelarsi innanzi al diletto amico : « Volgi, Beatrice,
» volgi gli occhi santi. Era la lor canzone, al tuo
» fedele. Che per vederti ha mossi passi tanti: Per
» grazia, fa noi grazia, che disvele A lui la bocca
» tua, sì che discerna La seconda bellezza che tu-
» cele. )) Né in ciò questa mirabile donna si tenne
dura o perplessa alla pietosa canzone; poiché il poe-
ta a mostrare che di presente diede compimento al
lor desiderio; così esclama: « Oisplendor di viva luc«
» eterna ! Chi pallido si fece sotto V ombra Sì di
326 Letteratura
» Parnaso, o bevve in sua cisterna , Che non pa-
» resse aver la mente ingombra Tentando render te
» qual tu paresti, Là dove armonizzando il eiel t'
» adombra, Quando nell'aere aperto ti solvesti ? »
Poste e ben ponderate queste cose, ammetti lo spo-
salizio, è onesto è spiegato è ragionevole tutto: togli
questo, tutto è fuor dell' onesto , è irragionevole è
strano è sconvolto.
Non tanta franchezza e rapidità a conchiudere,
dirà qui forse taluno, che per avventura ben sa che
nelle allegate parole nascondesi un prezioso concet-
to allegorico, da cui (chi ben conosce addentro le
scritture polisense del nostro poeta) quel l' invito al
viatore di guardare gli occhi della mistica donna, e
la preghiera a questa, che a lui disveli la sua secon-
da bellezza, hanno tutt'allro che il significato pretesa
di occhi e di bellezza corporale. Laonde siccome in
tai luoghi l'autor volle parlare di ben diverso og-
getto da quello che la lettera ai lettori presenta; così
questi medesimi poco , anzi nulla possono giovare
alla sostenuta interpretazione dello sposalizio di Dan-
te e Beatrice. A cosi pronta ed aperta instanza io
certo nulla dirò, salvo che qualunque esser possa il
concetto che altri supponga racchiuso nella lettera ,
e qualunque sia per dover essere quello che il po-
eta v'abbia veramente occultato, per nulla si oppo-
ne o nuOcé alla «ostria sentenza. Imperocché la na-
scosa verità, quale ehe ella sia per essere, non mai
offende o distrugge la letterale sentenza che nella fa-
vola del testo è narrata. Ma qui nel caso nostro la
lettera parìa di amanti antichi, che dopo lungo vi-
cendevol desio s' incontrano, si riconoscono, si ri-
t)iviNA Commedia 4'i7
Ijiettono in amorosa e confidente relazione, intrapren-
dendo r uno di costa all' altro un lungo e geniale
cammino : dunque chi mai vieterà di affermare che
secondo la testuale sentenza codesti due cuori aman-
ti ebbero pur una volta la da lungo sospirata fortuna
di farsi comuni e indivise le sorti e le delizie di una
«anta amicizia ? Cosi avvenne senza fallo, secondo la
favola, a questi invidiati fiorentini: e tanto a noi ba-
sta per mostrar vana la proposta obiezione, e dichia-
rar vera e non immaginaria la nostra opinione; co-
me quella che alla semplice lettera quasi a princi-
pale anzi unico argomento intende. Ritorniamo sulla
proposta materia.
Ma intanto siccome all' adolescenza succedette
là gioventù, la quale senza posa incalzata è dalla se-
netta; così a questa vien dietro il senio, che è l'ul-
tima parte di nostra vita. In questa età non è più
tempo d'operare : abbandonato il corpo dal vigore
naturale, spossata la mente del nobile cittadino dalle
intellettuali fatiche per le utilissime opere ed azioni
col senno e colla spada fatte a prò della società e
ad aumento delle scienze e delle arti ; ricca la na-
vicella dell'umana vita del prezioso procaccio delle
esercitate civili ed intellettuali virtù, l'uomo in que-
sto resto di sua mortale carriera dee calare le vele
delle mondane operazioni, per entrare dolcemente in
quel porto, ond'è partito : vale a dire, ei dee ces-
sare dalle cure civili, e contento della pura contem-
plazione, tornare a Dio con tutto suo intendimento;
sicché per opera delle assidue speculazioni sulla
natura divina e suoi eflfetti , a quel porto ei venga
con tutta soavità e con tutta pace fConv. tr, 4, e. 28).
328 Letteratura
Questa né più né meno è la sorte che attende i!
misterioso pellegrino sul cominciare del terz'ultimo
canto. La sua mente si è deliziata abbastanza alla
disamina di tutte le virtù sia politiche, sia dimesti-
che, sia intellettuali, il che in thie parole ei disse: in
seguir viriute e eonoseenza (Inf. e. 26, v. 120) : i
suoi occhi, i suoi orecchi ebbero a godere per lunga
via tutta l'inefFabile dolcezza che bramar potesse dal
viso e dalla voce della sua mirabilissima donna ed
imanime compagna: il suo' corso materiale volgendo
col cielo è già pervenuto all'occaso (Farad, e. 27 ,
V, 77-81) simbolo della fine dell'umana vita (Conv.
ir 4, e, 23 e 24): che più ? egli già in mezzo alla
città santa ha percepito quanta e qual sia la forma
della beata città che canta encomiando a queirim-
perator che lassù regna : figura parlante che, già tutti
percorsi i diversi stadi della vita operosa, è compiu-
to il suo lungo viaggio, e che per conseguenza tutto
cospira ad ammonirci che la giovinezza e la senetta
già partite, Dante ha fatto ingresso sulla soglia di
quell'ultima età in cui (per giovarmi di una sua fra-
se): « L'anima a Dio si rimarita Contemplando la
fine che l'aspetta (Conv., Tr. 4, e. 28). »
In corte parole, Dante non sì tosto condotto è
dall'adorata sua compagna nel dritto mezzo del giallo
della candida rosa, che dalla slessa, come se da
morte rapita gli fosse, é già abbandonato: ed in sua
vece già mise al fianco dell' amico quel beatissimo
Bernardo, che contemplando gustò quaggiù di quella
pace. Né questo abbandono di Beatrice, né questo
sopiavvenire di Bernardo, fu voluto eseguirsi dal poe-
ta senza qualche solennità di atti e di parole : onde,
Divm.4 Commedia 329
cred'io, farne ben attenti i lettori, che alla partenza
della senetta, fijjurata col partir di Beatrice, soprav-
venne il senio che da Bernardo è rajjionevolmente
tìgurato. Così è, miei riverenti signori: il pellegrino
ha compiuto i tre primi stadi del cammin di nostra
vita, narrato nel viaggio per l' inferno, pel purga-
torio, e per tutti i mobili celesti: entrato nell'empi-
reo, è sulla soglia di quella età quando l'uomo ab-
bandonate le cure e gh affetti terreni tornasi tutto
col cuore e colla mente a Dio contemplando la fine
che lo attende. Dunque è ben giusta non solo la se-
parazione dei due amanti , ma è pur giusto che il
pellegrino ammiri il trono che i suoi meriti sortirono
all'amica nella corte celeste. Dante è fatto vedovo :
unico suo conforto è la contemplazione dei santi, e di
quel ben ch'ad ogni cosa è tanto. Laonde egli privile-
giato viatore a secolo immortale non seguirà più le
lide piante del dolce pedagogo : non avrà più di co-
sta il conforto di Beatrice; non più rivolgerà la men-
te alle cose terrene : ma ritto nel mezzo della città
santa, siccome chi attende a profonda speculazione,
si troverà allato s. Bernardo, Bernardo il fedele di
Maria, Bernardo il contemplante, che vivendo colle
sue speculazioni gustò quaggiù della celeste pace.
Così è veramente: s. Bernardo, mito della contempla-
zione, è l'ultimo assistente al pellegrino, che entrato
nel tempio de'suoi lungh i voti abbandonasi ora tutto
colla mente e coU'affetto alla più grata speculazione
di quella Essenza una e trina, in cui s'acquieta ogni
intelletto ed ogni volere. Ed ecco nel più conveniente
significato la propria ragione delle tre guide che as-
sistettero Dante nel prodigioso cammino. Virgilio pe-
^30 Letteratura
dagogo e maestro nell'adolescenza : Beatrice, che fd
donna prediletta della sua mente, lo conforta ed allieta
nella seconda e terza parte della vita ; e finalmente
Bernardo che per alta speculazione eleva e rimarita
a Dio l'anima del viatore entrato nel senio, appren-
dendole a contemplare il fine che a se l'aspetta.
Se il detto sin ora, come a me, paresse giusto
a questa nobile udienza, potremmo dar fine al pro-
cesso di questa prosa conchiudendo, che dal sin qui
ragionato sta fermo e dimostrato, che Dante pelle-
grino pei regni spirituali in se stesso ralfigura tutte
e quattro le parti della vita umana. Ma da così buon
proposito ci distrae il pensiero, che altri non convinto
ancora ne voglia opporre alcuni dubbi ch'ei crede
di qualche forza, e che a noi innanzi di chiudere fia
bello esaminare. Imperocché concederà forse alcuno
dei più discreti de'raiei uditori, che dalla Commedia
si paia distintamente nel viatore significata la adole-
scenza e la gioventù : ammetterà pure che vi si
traveda anche lievemente la significazione del senio:
ma dirà ciò non ostante, che perchè egli fiso ne ag-
guardasse la condotta e ne ponderasse le parole, non
mai seppe avvedersi che questi dia sentore di quella
parte che per senetlù si conosce. Altri poi sarà per
avventura che terrà per men certe le nostre argo
mentazioni tutte, perchè la Commedia da noi fu sem-
pre intesa ed interpretata nell'unico senso letterale;
mentre tutti sanno che questa, come scrittura poli-
sensa, altro intelletto ha nella letterale corteccia, ed
altro nel midollo della stessa. Onde sembrerebbe che
gli allegati luoghi del testo, se si prendessero in con-
siderazione allegorica, condurrebbero a conclusioni
DIVINA Commèdia 331
diverse dalle da noi raccolte. Laonde quando pure
si concedesse che Dante nella letterale senteni^a sem-
bri raffigurare l'uomo nelle diverse età : nondimeno
ciò sarebbe sempre molto dubbio, anzi insussistente
nella significazione allegorica e vera di tutto il poema.
Ragionevole la prima, indubitabile mi sembra
la prima parte della seconda istanza; ma pure niuna
distrugge, né indebolisce la difesa proposizione: anzi
ambedue mirabilmente concorrono a darle conferma
più solenne. Imperciocché venendo alla prima , è
buono per noi che nella persona del protagonista
appaia manifestamente il mito della prima, e della se-
conda età : né meno ci serve il travedervisi anche
quel della quarta. Quindi infatti conseguita che non
debba mancare la terza età, là ove già si conosce
la antecedente e la susseguente: e con molta buona
ragione si arguisce l'esistenza della senetta sebbene
lievemente rilevata; perchè somigliando assai questa
parte dell'umana vita all'anteriore, che è la giovinez-
za, quanto all'eseicizio delle morali virtù, hanno tra
loro cortiune e l'occuparsi ambedue delle intellettuali
e civili virtù, ed il durare ambedue nella società
coniugale; il che dal quarto del Convito viene espres-
samente aflfermato di Marzia moglie di Catone. Laon-
de non è strana cosa ammettere che Dante per tutto
quel tempo che ebbe la dolce compagnia di Beatrice,
sposata spiritualmente sulla vetta del Purgatorio, sia
fatto figura della seconda e della terza età di nostra
vita. A ciò poi concorre benissimo, per mia sentenza,
e la gravità delle risposte di Dante alle alte doman-
de che sulle virtù teologali gli fecero i tre apostoli
Pietio, Giacomo e Giovanni, e la speciale devozione
332 Letteratura
mostrata al due archimandriti dei relifjiosi s. Fran-
cesco e s. Domenico , e finalmente il trasporto di
grande affetto manifestato alla vista dei santi mo-
naci Pier Damiano e Benedetto. Imperciocché queste
perfezioni religiose, che poco sogliono attendersi nella
adolescenza per leggerezza di mente, e lievemente
nella giovinezza per ardore di spirito, che a grandi
cognizioni e gloriosi fatti aspira, divengono poi am-
mirande e grate nei maturi anni della vecchiaia. Che
se ciò non ostante maravigliasse alcuno che cotal
parte della vita, che è età di somma venerazione, sìa
stata così lievemente adombrata, che debbasi munire
di microscopio, per così dire, l'occhio della mente per
riconoscerne le debili tracce : io non esiterei affer-
mare che questa non mancanza, ma fu arte finissi-
ma del poeta. Fu arte molto assennata, per mia fé,
questo tocco leggiero per non ripetere una seconda
fiata nella terza ciò stesso che nelle prime due can-
tiche erasi a lungo e magistralmente in ogni guisa
compiuto. In vero per Dante sono pregi singolari
ed essenziali alla terza età prudenza, giustizia, lar-
ghezza, affabilità (Conv., Tr. 4, e. 26). Conviensi a
questa età essere prudente, cioè savio; poiché, se ben
si mira, dalla prudenza vengono i buoni consigli, i
quali conducono se ed altrui a buon fine nelle uma-
ne operazioni : e chi non ammirò questo pregio in
Virgilio maestro e duca di Dante ? Conviensi a que-
sta etade essere giusto, acciocché i suoi giudizi e la
sua autoritade sia un lume e una legge agli altri :
e chi non s'avvide essere questa giustizia in grado
sommo in Virgilio ? Conviensi a questa etade essere
affabile, ragionare lo bene e quello udire volentierii
Divina Commedia 333
imperciocché allora è buono ragionare lo bebé quan-
do elio è ascoltato : e qual altro maggior conforto
rendevasi a Dante dal maestro gentile, se questo non
era il bene dei venerati suoi ragionamenti? E sic-
come questa etade ha seco un'ombra di autorità: chi
ne dirà quale altro personaggio abbia avuto più au-
torità sul cuore del giovane di quella di Virgilio su
Dante ? Or dopo tante, certe e sfavillanti prove che
mostrano essere stata figurata la senettù nel maestro,
duca e signore, dovrò io dire che non conveniva ri-
peterle tutte, né con forti tratti e vive tinte presen-
tarle da capo nel discepolo giunto a figurare questa
etade medesima? Niente adunque la prima istanza
incaglia, od oflfende la da noi difesa proposizione.
Molto meno poi la incaglia od offende la se-
conda, la quale piuttosto le é in sì piena conformità
che giova non poco ad irradiarla di nuova e viva-
cissima luce. Imperciocché vero é che noi abbiamo
sempre esaminata la Commedia ed allegatine i testi-
moni pur nel piano significato della lettera : ma
ben lungi dal temere che il loro intelletto mistico
ci possa far contro, vogliamo da tutti saputo che la
significazione delle quattro età nella persona di Dante
è così unicamente riposta nella favola poetica dalla
lettera ritratta , che questa dal mistico intelletto è
rigorosamente esclusa. Del che valga a testimonio la
natura stessa dell'allegoria. La quale escludendo la
favola della superfìcie, e constando puramente della
nuda e schietta verità, manda a monte tutto ciò che
nella Commedia la critica più severa come non vero
esclude e condanna. Ma chi di noi crede che Dante
abbia sensibilmente, cioè in corpo ed anima, percorso
334 Letteratura
i tre regni della morta gente ? Ninno. Chi crede
che quella cara anima di Beatrice sia discesa dal
ciel al limbo a trarne l'anima del mantovano poeta,
e farnelo maestro, signore e duca di Dante? Ninno.
Che se Dante con quella fascia che la morte discio-
glie non andò a secolo immortale ; se in conseguen-
za neppur ebbe per guida l'ombra vera di Virgilio:
a che mai si riduce in faccia alla critica la favola
dei vicendevoli riguardi e premure stale tra il di-
scepolo e'I maestro ? A nulla: come a nulla si ridu-
<:ono tutte le materiali difficoltà rinvenute nel ma-
teriale cammino, alto e silvestre dell'inferno e del
purgatorio. L'allegoria, vale a dire il senso vero, la
verità nascosa nella Commedia, rigorosamente si ri-
stringe ad un viaggio mentale di Dante giovato dal-
la filosofia, cioè da tutte le scienze, vo' dire , onde
questa si compone. Questo viaggio dell'intelletto, per
me, quanto alla sostanza , è simile , anzi uno con
quello che Severino Boezio nel suo libro della Con-
solazione descrive fatto dalla sua mente. E siccome
questo filosofo col puro aiuto della filosofìa levasi
mentalmente contemplando le miserie morali e fi-
siche dì questo mondo terreno sino alla somma bea-
titudine del cielo, sino alla immediata intuizione del-
l'essenza divina, senza che abbia dato pure un sol
passo fuori della sua prigione, senza che nemmeno
abbandonasse un istante pure il suo letto di dolore:
così per istretta e magistrale imitazione fece Dante
col solo ed unico sussidio della poesia virgiliana e
della filosofia. Ma e che altro avea fatto Boezio sce-
gliendosi per maestra, guida e conforto quella insi-
gne matrona di ambigua dimensione, la quale ora
Divina Commedia 335
agguagliava la comune statura dell'uomo, ora toc-
cava col capo il cielo, ed ora cotanto s'ingrandiva
che spinta la testa al di sopra dei cieli s' involava
all'umana \eduta (*) ? La portentosa donna è la fi-
losofia (così egli ne avverte il lettore) che nelle varie
dimensioni della sua parvenza significa le sue tre
parti principali, ciò sono scienza delle cose corrutti-
bili o sublunari, scienza dalle incorruttibili o spiri-
tuali e celesti, e scienza della divinità. La prima fu as-
segnata per Dante a Virgilio, la seconda a Beatrice,
ed a Bernardo la terza ed ultima. In tal guisa intesa
la finzione poetica, Dante (come Boezio) ha potuto
senza miracoli, senza pure una mossa di piede, discoi--
rere ed ammirare quanto per occhio o per mente si
gira. Dunque come è indubitato che l'allegoria esclu-
de da questo viaggio la materialità degli strepitosi
miracoli, ed i veri e materiali movimenti del corpo:
COSI fermo è altresì che il mito delle quattro età
da noi disaminate non puote essere, non può tro-
varsi che nella superficie della letterale sentenza, e
così fermo è del pari che il testo in questo argo-
(') Ecco le parole di Boezio : « Haec dum mecum tacitus repu-
tarem .... aslilisse mihi supra verticem visa est mulier reverendi
admodum vultus, oculis ardeiitibus, et ultra coramunem vaienliani
perspicacibus, colore vivido, atque inexhausti vigoris, quamvis ila
aevi piena foret, ut nullo modo nostrae crederetur aetatis, « statu-
» ra discretionis ambiguae. Nam nuiic quidem ad communem se se
» hominutn mensuram cohibebat : nunc vero pulsare coelum snmini
» verticis caòumine videbalur ; quae cum caput altius extulisset_,
)j ipsum eliam coelum penetrabal, respicientiumque sese hominum
•1 frustrabatur intuitu.s. i> Lih. I, par. I.
336 Letteratura
mento non deesi allegare in altro significato, salvo
quello della lettera, come noi abbiam fatto.
Il perchè oh come ora trionfa ed esulta l'ora-
zion mia di poter una volta affermare con vostra
persuasione, o valorosi tiberini, o gentili signori, che
veramente nelle diverse maniere tenute dal simbolico
pellegrino sono ad una ad una figurate le quattro
parti della vita umana! Imperciocché quindi la di-
vina commedia, come se investita fosse dai raggi di
splendentissimo sole, dispiega alla mente dei lettori
le divine bellezze e gli immensi tesori, onde a prò
d'ogni età fu dal discreto poeta anche nella lettera
arricchita. Per questa ogni età può ammaestrarsi di
quei reggimenti belli, che all'umano consorzio più so-
no in pregio. Per questa ogni individuo dell'umana
società apprende a qual vero e santo fine devono
tendere le azioni della nobile persona. Chi in fatti
non commenderà, non ammirerà, non amerà , non
imiterà a suo potere la gioviale gravità, onde quel
savio gentil che tutto seppe ammaestrò, incoraggiò,
difese ed aiutò il discente nella spinosa carriera della
nobile educazione ? Chi non ammirerà, chi non farà
plauso, chi non porterà affetto alla gentile docilità,
alla delicatezza, avidità d'imparare, gratitudine esem-
plare, soavità di modi, acutezza di mente dell'inge-
nuo viatore? Chi non vorrà farsi imitatore di Dante,
se mai fortuna lo accolga nelle uguali circostanze
ove egli si rinvenne? Quale tra le femmine di cuor
gentile non si augurerà le geniali, le compagnevoli,
le gravi, le rette maniere di Beatrice Portinari: di
cui se non sai determinare quale tra la bellezza del
corpo, e la nobiltà dello spirito sia maggiore , sei
Divini Commedia 337
però stretto a dire che 1' una e l'altra sfavillano in
sommo grado da quella angelicata persona. Quale
tra gii uomini di sana mente non invidierà al via-
tor fiorentino la ventura di tanta amicizia, onde ad
un'ora gli proveniva un paradiso all'occhio ed all'
orecchio, ed una dolce potentissima spinta che quasi
per una scala di rose lo elevava alla somma felicità
dei beati e degli angeli ? Deh così ogni vecchio fosse
un altro Virgilio! deh così ogni adolescente ed ogni
giovane, ogni uomo fosse un'altro Dante ! così ogni
femmina un'altra Beatrice! e noi vedremmo ad uno
ad uno gl'individui dell'umana famiglia correre dritti
« lieti alla città de! ben vivere, e con buona pace
farsi imitatori di quella vera ed eterna Roma, ove
i santi sono i patrici, onde Cristo è romano, ove ogni
volontà è liberamente felice di prestare ossequio ed
obbedienza piena e pronta all'Amore che muove il
sole e le altre stelle.
G.A.T.CXV. 32
338
Il primo libro delle quistioni accademiche
di M. Tullio Cicerone
fatto volgare da Gianfrancesco Ramhelli,
M. CHIARISSIMO
CAV. SALVATORE BETTI
accademico deila crusca
professore e segretario perpetuo
dtlVinsigne e pontificia accademia dì s. Luca.
jIà grandissimo tempo che ho in animo di mo-
strarvi con pubblico segno l'altissima stima in che
sempre vi ebbi ; il che la mala fortuna, la quale
da lunghi anni mi persegue tenendomi avvolto in
tante e si moleste cure, ha fatto che io non abbia
potuto giammai. Ora però che alquanto me ne veggo
strigalo , venutomi alle mani un volgarizzamento
del primo libro delle quistioni accademiche di M.
Tullio da me fatto, or sono più anni, ho dato mano
a riforbirlo ; e quindi oso intitolarlo a voi , chia-
rissimo sig. cavaliere, non già perchè io tenga che
la parola volgare, che vi ho posta di mio, valga
punto: ma perchè eversione d'uno scritto del sommo
arpinate, lume principalissimo di questa Italia, alla
quale voi pure avete accresciuto tanto di gloria ,
non solo colle dotte ed elegantissime scritture d'ogni
maniera, in cui colla purezza delle dottrine e colla
potenza dell'esempio avete mantenuto casto ed illeso
il santo patrimonio della lingua nazionale, ma spe-
qialmente colla insigne vostra opera dell'ilALiA iL-
*^
QUISTIONI ACCADEMICHE 339
LUSTRE, la quale in brevi pagine ponendoci innanzi
quanti dell'antica e moderna Italia fiorirono massi-
mamente per fama di scienze e di arti, è poi per
altezza di pensieri, nobiltà di sentenze, squisita bontà
di favella , per T argomento e la trattazione , tutte
italianissime, tanto classica ed altamente civile che
nulla più.
Ben lo han mostro le bellissime accoglienze che
si ebbe per tutto, e le tante lodi e ristampe che le
si diedero j e che vieppiù cresceranno presso le ge-
nerazioni future; tanta è la sapienza, la dottrina, l'
acuta critica e il compiuto magistero dell' arte che
usaste in quel nazionale lavoro, veramente degno della
condizione de'tempi presenti.
Il che se tutti possono e debbono ammirare
ed apprezzare, ninno lo può conoscere e sentire al
pari di me, che acceso il petto della gloria e civiltà
d'Italia discesi già da più anni a trattare l'argomento
medesimo in quella sola parte che riguarda V itali-
che invenzioni (1) e i furti fattici dagli stranieri, che
ci ruberebbero lo alito , giusta l' energica frase del
segretario fiorentino,
E parmi ancora che l'altrui benignità dovesse
mostrarsi vieppiù inchinala alle nostre fatiche : che
tante sentenze, ch'or si gridano novelle, tante dot-
trine che voglionsi nate l'altro dì, tanti fatti che si
dicono testé diseppelliti, noi li trombavamo alla sorda
Italia già da più lustri, e ne bandivamo a tutta voce
la gloria e la potenza^ e ciò spontaneamente, senza
(1) V. Lettere intorno invenzioni e scoperte italiane di G.F.
Rambelli, ediz. sesta. Modena, per Vincenzio Rossi 1844 in 8. gr.
340 Letteratura
nissuna speranza, senza nissun premio, e senza que-
gli aiuti ed incoraggiamenti che sovente valgono a
fare le opere grandi e degne.
Perdonate, chiarissimo cavaliere, se il pensiero
della grandezza d'Italia m'ha tratto fuor di via , e
a dire anco di me. Conservatevi all'onore della pa-
tria comune , che avete sì altamente illustrata ; ed
accogliete con benigno animo l'offerta della tradu-
zione d'un libro che fu trascurato in addietro, non
avendolo neanche italianato la contessa Malvezzi, che
pur fe'tutte volgari le opere filosofiche di M. Tullio.
Ed alla vostra grazia vivamente mi raccomando sic-
come
Tutto vostro
Gianfrancesco RamhelU.
Cicerone saluta Varrone
Comechè l'esigere un dono , ancorché alcuno
ce l'abbia promesso, non soglia farsi neppure dal po-
polo , se non concitato , pure io dall' aspettazione
della tua promessa sono spinto a ricordartelo, non
a pretenderlo. Mandoti perciò quattro rammentatori,
non troppo modesti: ma tu ben conosci di che fac-
cia sia quella giovinetta accademia; e te li mando
tratti dal bel mezzo di essa; ma non vorrei che per
avventura t'importunassero, quand'io commisi loro
di pregare soltanto. Io slava aspettando già da gran
pezza , e mi riteneva dallo scriverti innanzi d' aver
ricevuta da te alcuna cosa, a intendimento di rimu-
nerarti con dono assai somigliante. Ma facendo tu
ciò- più tardi, o com'io l'interpreto, con più diligenza,
QUISTIONI ACCADEMICHE 34 ^
non mi son potuto tenere di non mostrare la con-
giunzione dello studio ed affetto nostro con quel
genere di scrittura che potei. Scrissi adunque il dia-
logo da noi tenuto in Cumano , quand'era nosco
Pomponio. Diedi a te le parti di Antioco, le quali
mi pareva aver compreso che ti piacessero, e presi
per me quelle di Filone. Penso che allorquando leg-
gerai, ti maraviglierai che fra noi siasi ragionato
di ciò che non mai fu: ma tu conosci il costume de'
dialoghi. Quind'innanzi, o mio Varrone, se ti piacerà
parleremo fra noi di moltissime cose, e de'casi no-
stri, tardi forse; ma ce ne scusi la passata fortuna
della repubblica. Ora a noi è richiesto il dar conto
del presente. Ed oh , ridotte a pace le cose , e a
qualche stato se non buono, almen fermo la città,
potessimo fra noi coltivare questi studi? Sebbene al-
lora cert'altre occorrenze ci darebbono forse oneste
cure e faccende; laddove ora qual ragione abbiamo
di voler vivere senza codesti studi ? Quanto a me
certo, appena c'è con essi , tolti i quali neppur ci
sarebbe. Ma di ciò parleremo a bocca e più di «o-
vente. Piaccia a Dio che il trasportamento e la com-
pera bene e felicemente ti riescano! e in ciò molto
mi piace la tua deliberazione. Attendi a star sano.
Il primo libro
delie quistioni accademiche
di M> Tullio Cicerone
a M. Terenzio Varrone.
i. Non ha molto, che essendo meco il nostro
Attico m Cumano, ci fu annunciato per parte di
342 Letteratura
M. A^arrone, eh' egli era venuto da Roma ìa sera
innanzi, e che, se non fosse stato stanco dal viag-
gio, sarebbesi direttamente recato da noi. Il che
avendo udito , reputammo non doversi frapporre
alcun indugio per vedere un uomo a noi congiunto
e per somiglianza di studi e per antica amicizia.
Subito per tanto imprendemmo ad andare a lui :
ed essendo poco lontani alla sua villa, lo vedemmo
che veniva alla nostra volta: ed avendolo abbrac-
ciato, com'è costume degli amici, lo riconducemmo
alla sua villa per assai lungo spazio. Qui avendo
egli primo dette poche parole, e domandando io
qual cosa per avventura fosse di nuovo in Roma;
Attico allora: Tralascia codesto, disse, che non pos-
siamo né domandare né udire senza molestia: chiedi
e ricerca piuttosto che mai egli componga di nuovo,
giacché tacciono le muse di Varrone da più lungo
tempo che non solevano: né stimo eh' egli si ri-
manga dallo scrivere, ma che tenga celato ciò che
scrive. Non già, rispos'egli, pensando io essere da
intemperante lo scrivere ciò che l'uomo voglia oc-
cultare; ma ho per le mani una grand'opera, di cui
già da buon pezzo dedicai alcune parti a costui (e
diceva a m.e), le quali e sono grandi per verità, e
si limano da me più politamente. Ed io: Queste ap-
punto, o Varrone, aspetto già da gran tempo: pur
non ardisco chiederle: avendo avuto dal nostro Li-
bone, di cui conosci l'affetto (e non possiamo na-
scondere alcuna di siffatte cose), che tu non le la-
sci a parte, ma più accuratamente le tratti, né mai
le deponi dalle mani. Innanzi a questo tempo poi
non mi cadde giammai in pensiero di ricercar que-
QUISTIONI ACCADEMICHE 343
slo da te; ma poiché ora mi son posto a traman-
dare a'posteri quelle dottrine che imparai insieme
con te, ed illustrare con latine lettere quell'antica
filosofìa che da Socrate ebbe il nascimento, domando
perchè iaccadà, che tu scrivendo molte cose, trala-
sci questo genere: massime che tu sei in esso ec-
cellente, sorpassando inoltre quello studio e tutta
quella scienza dì gran lunga le altre arti e disci-
pline tutte.
2. Allora Varrohe: Mi riceròhi di cosà da me
sovente deliberata, e molto considerata. Pertanto ri-
sponderò francamente: ma dirò solo quanto ho in
pronto, avendo io, come ho detto, su questa istessa
materia meditato molto e lungamente. Vedendo io
la filosofia venire spiegata molto accuratamente per
via delle lettere greche, avvisai che se alcuno dei
nostri fossero presi dall' amore di lei , se fossero
dotti nelle greche discipline , avrebbero letti più
presto gli scritti greci che i nostri. Se poi fossero
stati alieni dalle arti e discipline greche, non avreb-
bero curato neppur queste, le quali non si possono
intendere senza greca erudizione. Ondechè io non
volli scrivere quello, che né gl'itidotti potessero in-
tendere, né i dotti si curassero di leggere. E ben tu
stesso vedi queste medesime cose; poiché appren-
desti non poter noi esser simili ad Araafanio od a
Rabirio, i quali senza uso di arte alcuna disputano
in volgar sermone intorno alle cose che hanno di-
nanzi agli occhi, nulla definiscono, nulla dividono,
nulla concludono da una adattata interrogazione; e
pensano infine che non ci sia arte alcuna di favel-
lare e di disputare. Ma obbedendo noi, siccome a
SA'^f Letteratura
leggi, a'precetti de'dialettici e degli oratori (poiché"
pensano essere in noi l'una e l'altra facoltà e virtù)
in guisa che siamo costretti a servirci di parole tal-
volta nuove, le quali i dotti, come dissi, amano di
togliere più presto da'greci; gl'indotti non ricevereb-
bero neanche da noi: quindi s'intraprenderebbe in-
darno ogni fatica. Or poi s'io approvassi Epicuro ,
cioè Democrito, potrei scrivere delle cose fisiche così
pianamente, come Amafanio. E qual cosa di grande,
tolte le cause efficienti delle cose, è nel parlare del
fortuito combinarsi de'corpuscoli, che cosi chiama
gli atomil Tu conosci la nostra fìsica, che del^e//e^
tuazione si forma, e di quella materia la quale dalla
effettuazione viene fìnta e formata. Usar si deve an-
cora la materia (1): mentre con quali parole potrà
r uomo o far intendere ad altri quelle stesse dot-
trine della vita e de'costumi, dell'appetire e fuggire
le cose? Nel che queglino pensano semplicemente, lo
stesso bene essere proprio dell'uomo e della bestia:
presso i nostri poi non ignori quale e quanta s^ia la
sottigliezza. 0 sia che tu seguiti Zenone, sarà un por-
tento il fare in modo che alcuno intenda qual cosa
sia quel bene puro e semplice, che non può sepa-
rarsi dalla onestà : il qual bene nega al tutto Epi-
curo potersi neanche sospettare qual sia, senza i pia-
ceri che muovono il senso. Se poi ci terremo all'
antica accademia, la quale approviamo, come sai ,
quanto quelle materie avranno a spiegarsi acuta-
mente da noi ! con quanta arguzia, e con quanto di
oscurità ancora si dovrà disputare contro gli stoici'.
-i-^7iM iiv ;
I (1) AUri qui legge Ja geometria- fii.i.np.
QuiSTIom ACCADEMICHE 345
Tutto adunque quello studio della filosofia io stessa
adopero per me ; e a costanza di vita, per quanto
posso, e a dilettazione dell' animo : e penso , come
scrive Platone , che gli dei non abbiano fatto agli
uomini maggiore o miglior dono di essa : ma i miei
amici, che ne han desiderio, li mando in Grecia: vo-
glio cioè che abbiano ricorso a'greci, acciò attin-
gano più presto quelle materie alle fonti, di quello
che tengano dietro a rivoletti. Quelle dottrine poi
che ninno avea per anche insegnate, ne era libro
onde gli studiosi potessero apprenderlo, quelle per
quanto potei (che non mi do vanto de' miei scritti)
procacciai che da'nostri fossero conosciute, non po-
tendosi ricavare da'greci; e, dopo la morte del no-
stro L. Elio , né anche da' latini. E nondimeno io
que'miei antichi scritti sparsi d'una certa ilarità, in
cui ebbi imitato e non tradotto Menippo, molte cose
sono frammischiate tratte dall'intima filosofìa, molte
dette dialetticamente; le quali acciò i men dotti più
agevolmente intendessero, invitati a leggere da una
certa giocondczza, volli scrivere ancora filosofica-
mente nelle lodi e negli stessi proemi delle anti-
chità, se però tanto giunsi a conseguire.
3. Allora dico io : Queste sono veramente le
cose che bramo, o Varrone : mercechè i tuoi libri
condussero quasi a casa noi peregrinanti ed erran-
ti, come stranieri, affinchè pur una volta ne fosse
dato conoscere quali fossimo e dove.
Tu disvelasti 1' età della patria , tu gli ordini
de'tempi, tu le leggi de'sagrifici e de'sacerdoti , tu
la domestica e militare disciplina, tu la sede delle
regioni e de 'luoghi, tu i nomi, i generi, gli uffici.
346 Letteratura
e le cagioni di tutte le divine ed umane cose; è
moltissimo lume recasti a' nostri poeti , totalmente
poi alle lettere e parole latine: e tu stesso compo-
nesti un poema vario e splendente d'ogni eleganza;
e in molti luoghi imprendesti a scrivere di filoso-
fìa: il che se era bastevole a sospingere ad abbrac-
ciarla , era assai poco per insegnarla. Vero è che
tu rechi di ciò probabil cagione, dicendo: o i dot-
ti in greco ameranno meglio di leggere le cose
scritte in tal lingua, o gì' ignoranti di greco nep-
pur leggeranno queste latine. Ma porgimi orecchio
ora, e vedi se tu il provi abbastanza ? poiché par-
rai anzi che e leggeranno tali materie coloro che
non potranno leggere le greche; e queglino che il
potranno non isprezzeranno le proprie. È perchè
mai gli eruditi in greco leggono i poeti latini, e
non i filosofi? Avviene forse questo perchè recano
diletto Ennio, Pacuvio, Accio, e molti altri, i qua-
li espressero non le parole, ma lo spirito de' greci
poeti? quanto più diletter.-ìnno i filosofi, se al par
di quelli, che imitarono Eschilo, Sofocle, Euripide,
così imiteranno questi Platone, Aristotele, Teofrasto?
Ben veggo commendarsi gli oratori , ma fra
nostri i soli imitatori d' Iperide o di Demostene.
Io poi (dirò la cOvSa com'è) mentre l'ambizione, gli
onori, le cause; mentre non solo la cura della re-
pubblica, ma una certa amministrazione ancora mi
tenevano involto e stretto in molti uffici, io ser-
bava chiuse in me queste filosofiche dottrine: e a
non obbliarle col tempo, leggendole quando il po-
teva , ne rinnovava la memoria. Or poi e percosso
di grave ferita della fortuna, e liberato dall' am-
QUISTIONI ACCADEMICHE 34t
tninistrare la repubblica, ripeto dalla filosofia la me-
dicina del dolore , e giudico onoratissima questa
tranquilla dileltazicMiJ. Mercechè o ciò è in ispe-
cial modo confacenle a questa età , o è massima-
mente consentaneo a quelle azioni, se niuna n'ope-
rammo degna di lode; o eziandio nulla è più utile
ad istruire i nostri cittadini , o se ciò non è così ,
non \eggo nessun'altra cosa, che noi possiamo fare.
Il nostro Bruto invero, eccellente per ogni genere
di lode, tratta la filosofia latinamente per modo che
nulla resta a desiderare alla Grecia delle medesi-
me materie: ed è della medesima opinione che tu,
essendo egli una volta stato in Atene discepolo di
Aristo, e tu di Antioco suo fratello; ondechè ti pre-
go ad applicarti a codesto ramo di letteratura.
4. Allora egli ripigliò: E questo pure prenderò
a considerare , ma non senza te. Ma di te stesso ,
proseguì, che è quello che sento a dire ? In qual
materia, rispondo? Sento, replicò, che lasciata ornai
da te r antica filosofia tratti ora la nuova. E che
dunque (interruppi io)? sarà egli pi<\ lecito ad An-
tioco, nostro famigliare, il passare da una nuova casa
ad una vecchia, che a me nella nuova dalla vec-
chia accademia? E di vero le più recenti cose sono
le più corrette ed emendate. Comecché Filone mae-
stro d'Antioco, grand' uomo, come tu stesso stimi,
neghi ne' libri ( il che avevam anche sentito dalla
sua bocca ) due essere le accademie , redarguendo
l'errore di coloro che tennero questa sentenza. La
cosa è come dici, ripigliò Varrone : ma non credo
che tu ignori quanto Antioco scrisse contro Filo-
ne. Vorrei anzi ( io dico se non t'è grave ) che e
348 Letteratura
queste cose e tutta la dottrina dell'antica accademia,
cui da gran pezza non ho dato opera, fosser ora
rinnovate da te , e perciò sediamoci insieme , se ti
piace. Piacemij ei disse: poiché mi sento assai debo-
le; ma vediamo se Attico acconsenta ei pure al de-
siderio d' ambedue noi. E Attico: Molto volentieri,
disse : e che è mai eh' io più presto desideri che
rammentare le cose già un tempo udite da Antioco,
e vedere insieme se quelle possano dirsi latinamen-
te in modo abbastanza facile? Il che essendosi detto,
sedemmo tutti l'uno in faccia dell'altro.
Allora Varrone così prese a dire: Egli mi pare
che Socrate, come tutti sanno, pel primo da cose
occulte e dalla stessa natura involute, in cui innan-
zi ad esso furono occupati tutti i filosofi, richiamas-
se la filosofia , e alla vita comune la conducesse ,
acciocché e delle virtù e de'vizi, e al tutto del bene
e del male si desse a far ricerche; pensando poi le
cose celesti o esser molto lungi dalla nostra cogni-
zione , o se in particolar modo fossero conosciute ,
non giovar nondimeno al ben vivere. Costui in qua-
si tutti i ragionamenti, che da'suoi discepoli varia-
mente e diffusamente furono scritti, disputa in modo
ch'egli stesso nulla affermi, ma combatta gli altri,
e dica altro non sapere che quello solo, che ei nul-
la sa: superare per ciò gli altri, mentre essi repu-
tano di saper quello che non sanno, esso quest'u-
no sapersi di nulla sapere; e quindi pensare d'essere
stato chiamato da Apollo il più sapiente di tutti ,
perchè questa era la sola di tutte le sapienze, non
credere di sapere ciò che s' ignoia. Il che dicendo
costantemente, e in quella sentenza durando, spendeva
QUISTIONI ACCADEMICHE 340
Ogni ragionamento nel commendare la virtù, e nel
confortar gli uomini tutti a seguitarla studiosamente,
siccome può intendersi da'libri socratici, e massime
di Platone. Ma per 1' autorità di Platone, il quale
fu \ario , molteplice ed abbondante , quella sola e
consenziente forma di filosofia si cominciò a chia-
mare con due vocaboli, di accademici cioè e peri-
patetici , i quali convenendo nella sostanza differi-
vano nei nomi. Appresso avendo Platone lasciato
quasi erede della filosofìa Speusippo,, figliuolo d'una
sorella, ed inoltre due uomini prestantissimi per i-
studio e dottrina Zenocrate di Calcedonia e Ari-
stotele di Stagira: quelli che seguitavano Aristotele
furon chiamati peripatetici, perchè disputavano pas-
seggiando nel liceo : queglino poi, che secondo l'
istituto di Platone erano soliti ad aver adunanze e
ragionamenti nell'accademia, che è un altro ginna-
sio, furon chiamati dal nome del luogo. Ma ripie-
ni entrambi tli quella ubertà platonica , una certa
lai qual formula di disciplina composero piena e
ridondante, lasciato al tutto quel socratico dubitare
di tutte le cose e quel modo dì disputare senza af-
fermar nulla. E per tal modo si fé' ( cosa che non
punto approvava Socrate ) della filosofia una cert*
arte, e un ordine di cose e descrizione di disciplina.
La quale d' apprima (come dissi) era una sola con
due nomi, nulla differendo fra loro i peripatetici e
quell'antica accademia. Maggioreggiava poi Aristo-
tile, come parmi, per certa abbondanza d' ingegno:
ma beveano ambidue alla stessa fonte , ed era per
essi uguale la partizione delle cose da desiderare e
da fuggire. Ma che fo io? ei disse: ben sono fuori
358 Letteratura
di senno ad insegnare queste cose a voi: poiché seb-
bene non debbano i paperi menar e bere le oche,
come dicono, tuttavia da taluno s'insegna sciocca-
mente ai dotti.
5. Allora rispose Attico: Prosegui, o Varrone:
perchè porto grandissimo amore a' nostri ed alle
cose nostre , e siffatte materie dilettanmi allorché
sono dette latinamente e per tal modo. E che cosa,
ripigliai io, pensi che possa offrire al popolo no-
stro io che già ho professata la filosofìa? Or segui-
tiamo, ei riprese, poiché t'è in piacere. Fu dunque
già cara a Platone una triplice maniera di filosofa-
re: la prima intorno la vita ed i costumi, I' altra
intorno la natura e le cose occulte , e la terza sul
disputare ciò che fosse vero o falso ; che retto o
pravo nel discorso ; che consenziente o repugnante
nel giudicare. E quella prima parte del ben vivere
ripetevano dalla natura; e a lei dicevano aversi ad
obbedire; e in niun altra cosa che nella natura a-«
versi a ricercare quel sommo, a cui tutte si riferi-
scono le cose: e stabilivano essere l' estremo delle
brame ed il fine dei beni 1' aver tutto conseguito
dalla natura dell'animo, dal corpo e dalla vita. Dei
beni corporali altri ponevano essere in tutto il cor-
po, altri nelle parti. Una robusta sanità nel tutto :
nelle parti poi i sensi interi, ed una certa eccellen-
za in alcune delle singole parti , come la velocità
nei piedi , la forza nelle mani , la chiarezza nella
voce, e nella lingua una distinta articolazione dei
suoni. Air animo poi appartenevano que' beni che
per mezzo degli ingegni erano acconci alla com-
prensione di alcune virtù: e questi dividevano in
QUISTIONI ACCADEMICHE 351
beni di natura e eh costume. Accordavano alla na-
tura la prontezza dell'imparare e la memoria, l'u-
na e l'altra delle quali è propria della natura e dell'
ingegno; riputando poi appartenere a' costumi gli
studi e quasi la consuetudine, la quale formavano
parte coU'assiduità dell'esercizio, parte colla ragio-
ne. E in questi beni era la filosofia istessa , nella
quale ciò che è incominciato e non finito chiamasi
istradamento alla virtù; il finito, cioè la virtù, chia-
masi quasi perfezione di natura, e fra tutte le cose
che ripongono negli animi la sola ottima. E questi
sono i beni degli animi. Colla vita poi ( che è la
terza parte della divisione) dicevano andar congiunti
i beni giovevoli all'uso della virtù. Oggimai vedesi
la virtù in certi beni di animo e di corpo, i quali
non tanto sono uniti alla natura, quanto ad una vita
beata. Avvisavano l' uomo essere quasi una certa
parte della città e di tutto l'uman genere, ed esser
congiunto cogli uomini per una certa umana socie-
tà. In tal modo essi trattano del bene sommo , e
naturale: tutte le altre cose poi pensano appartene-
re o ad aumento o a conservazione de' beni , sic-
come le ricchezze, la potenza, la gloria, la- grazia.
Così vengono da loro tripartite le maniere dei beni.
(Continua.)
352
Alcune considerazioni sulla fortuna de lessici della
lingua italiana^ del dottore Antonio Racheli.
Sermo est veluti mentis nuncius,
qui ex ea procediti nec alia
exsistit vocis erigo.
Galeno.
x u già detto da molti , e ripetuto da un moder-
no scrittore, doversi reputare lo studio della lingua
il primo dopo quello della religione: e andar errati
coloro, i quali giudicano le parole non più che u-
«a veste dei pensieri. Perocché sendoci data la ra-
gione in quanto massimamente noi possiam comu-
nicare con altrui parlando e scrivendo, la parola ne
riesce per cosi dire una parte essenziale : e non i-
studiandola, verremo a scemare in noi i frutti di
quell'altissima dilFicoltà. Ecco perchè dall'osservanza,
in che la ritiene un popolo, ne inferiamo la civile
grandezza, o la civile miseria; e venuta meno ogni
altra potenza od ordine di cose, basti ancor la fa-
vella a rappresentare la scaduta nazione. Né a pro-
teggere dallo insulto de' tempi questo prezioso re-
taggio possono gran fatto l' uso e la viva consue-
tudine del favellare: da che ogni età e generazione
seco recando proprie leggi arbitrarie, o a lei venu-
te da esterno commercio, da prepotenza di nemico,
non avremmo il più che un'ampia, ma spesso adul-
tera somma di voci, non punto capace d'una veste
Lessici dkli.a lingua ital. 353
«azionale , disordinata , incerta: la quale al mutarsi
di questo a quel luogo varierebbe continuamente di
giacitura e di sembianze; e quindi i pensieri si par-
rebbero quando pigri e diffusi in una puerile spe-
cialità; o quando alla fazione sconciamente smozzati.
Per lo che l'apprendimento della :patria favella non
può meglio venirci fatto, die studiando nella scrit-
ta sapienza del passato, dove le diverse e dotte gen-
ti procacciarono di dare ad infiniti conceftti , infi-
nite e benadalle le forme. E frontosa superbia quel-
la sarebbe di torcere dalle orme de'più sovrani in-
gegni , air eccellenza de' quali nessuno ancora salì
dopo il volgere di quasi cinque secoli, per farla,
come suol dirsi, co'nostri feri'i, e per illaidire e spe-
gnere sovente, troppo allargandone il freno, le mi-
gliori inspirazioni dell' anima. Lo studio de'<;lassici
non circoscrive gli abiti della libera mente, che anzi
dà meglio facile uscita a'pensieri : ne quegli scer-
vellati novatori possonlo sapere, che di tutto sie-
dono a banco , e non hanno fiore di dottrina ; ma
si que' generosi solamente, che vi hanno faticato per
entro lo ingegno dal primo mettere il pelo sulle
gote infino a maturità, a vecchiezza; ingegni, come
direbbe il Giordani, sobri ed asciutti, che a scrivere
pei secoli osteggiano il secolo; ben sapendo che è
vecchia , quanto solenne , la impudenza di svilire
tutto che non si pensi aggiungere o non si possa.
Nondimeno al conoscimento della lingua, per
quanto lo studio de'classici sia di grande importan-
za, anzi il principalissimo, pare a me, che siccome
fa duopo a leggergli, e a toglierne il senso di sa-
per già di grammatica, cosi a profondamente cora-
G.A.T.CXV. 23
354 Letteratu&a '
prendergli^ ed imprimerne,' per ■•ttio' <}i dire,' denti-o
noi le forme, sia bisogno de' lessici , i quali dili-
gentemente compilati non altro Tenendo ad essere
che quasi un seguito della ragion grammaticale, sen-
za una lunga intenzione di mente giovano, che più
importa , a meglio dichiarare e porre in sodo il
preciso e netto valor delle scritture. Anzi dicasi, a
ben dire, non presentare le grammatiche che le ge-
neriche leggi è come l'orditura della lingua, e solo
i dizionari offrircene bella e maniata la materia a
compiere ogni nostra gran tela; tantoché ferman-
done al possibile ogni particolarità , e dove avvi-
sandone le apparenti dissonanze e le svariate fat-
tezze, dove i più accomodati partiti e le pili arcane
maraviglie, e quali indivisibili maestri scorgendoci
avanti adf ogni lettura , sopperiscono per intero ai
bisogni dello studioso. Ma per questi ed altri sif^
fatti pregi il lessico non ci tornerebbe più che un me-
todo d'abbreviazione nello studio del linguaggio, se
capitale sua dote quella non fosse di venire a mano
a mano come di ritegno al rompente ingegno , e
alla violenza della età contrastando, all'oro de'clas-
siei non richiamasse la licenza degli scrittori.
Ciascuna nazione pertanto , che più isappia di
civiltà, a buon diritto vanta un lessico della propria
favella: e la nostra, che di tutte fu tenuta mai sem-
pre la maestra , sei prese a lavorare col maggior
caldo dell' animo, quando per ancora le altre non
ne avevano fatto pensiero. E tra le città d' Italia,
non so per quale abbattimento, non ad alcuna del-
la Toscana, sì a Napoli tocca la gloria di schiudere
la prima il cammino alla compilazione di un'opera,
Lessici della lingua ital. 355
alla quale la Grecia sola riparar volendo in qualche
guisa il perduto onor della nazione, s' era, benché
fiaccamente , un tempo cimentata. Onde 1' apparire
del piccolo dizionario di Fabrizio de Lena fi 536)
fu come un lamponi ,ma{jgiori speranze, ch'ebbe
a balenare alla mente degli italiani. Non però qui
diremo delle stentate compilazioni di certo Acaiisio,
pessimo scrittore ch'egli era e di nessuna vena; il
quale di poco avanzando col numero delle voci il
dizionario di Lena, né conoscendo per avventura il
pregio del suo proprio lavoro, mise in campo la pri-
ma volta sulla bonlà dei vocaboli da lui registrati
miserande quistioni; le quali appresso divennero fie-
ramente accanite, e fino a noi divietarono che fosse
adempiuto il voto d'ogni vero italiano. Ma seguita-
mente la raccolta di frasi del Montemerlo (1566) ,
e i tentativi, benché miseri, del Politi ( 1614), e
la mal digesta fabbica dell'Alunno, troppo forse mes-
sa in beffe dal Tassoni, ebbero finalmente im feli-
ce esito nella prima edizione del vocabolario , che
gli accademici della Crusca diedero all'Italia l'anno
1612; preceduti però nella esecuzione, se non nel-
la stampa, dal Pergamini, il quale sebbene abbia ca-
nonizzate nel suo lessico per buone assai mediocri
scritture, consentì tuttavolta al grande Torquato 1'
onore negatogli poi si caparbiamente dagli accade-
mici, che è a dive quello delle citazioni. Che se però
avventurosamente noi fummo i primi tra tutte le
moderne nazioni a mostrarci in questo forte arrin-
go, siamo poi rimasi poco meno gii ultimi alle prove;
dappoiché il vocabolario in quella sua prima mo-
stra non era che appena sbozzato, e l'invidia e non
35G Letteratura
so quale altra peggior maledizione pose in discordia
i più savi d'Italia, i quali per intero un secolo, da
chi pretendendosi che tutti i letterati in un com-
preso, da chi la sola Crusca ne sedesse legislatrice,
e perfino questionandone il titolo, se lessico italiano
o toscano, dormirono sulla importanza di tant'opera:
onde poi risentendosi accamparono a stuolo le loro
forze, e talora uno solo d'essi, zelando pel reale bi-
sogno della nazione , con gigantesco pensiero pose
le mani nel lavoro di tanti, e osò di compierlo. Pure
le sei varie ristampe fatte della vecchia Crusca non
mai senza aggiunte e ammendamenti , in più tanti
provarono essere quella un' opera , che il tempo
solo, secondo pure fu detto nella prefazione del 1612,
avrebbe recato a perfetto finimento : e gli accade-
mici dopo l'edizione del Piterri (1763) mal furono
infine seguiti nell'impresa dall'Alberti, che assai da
loro discorde aveva l'animo ed il concetto. Gli uni
fino allo scrupolo incettatori di classiche gemme ,
dove loro falliva di trovare autorevoli esempi di
scrittori, passavansi di maniere e vocaboli classicis-
simi e, che è più, necessari. L'altro, sguinzagliando
i bracchi, legislatore prosuntuoso della bontà delle
voci, e come non purgato scrittore egli stesso, cosi
fu troppo corrivo a donare la cittadinanza ad al-
cune voci e modi nati novellamente, o dal caso, o
dalla corruzione, senza alcun sentore di toscana na-
tura , e radissimi voluti dal bisogno. Né a questo
solo si stette la licenza dell'Alberti; avvegnaché dan-
dosi egli a credere, che nella lingua, non altrimen-
ti che nelle filosofiche discipline, debba pigliar gran
campo r analogia , produsse in seguito ai vocaboli
Lessici della lingua ital. 357
eh' egli stimò legittimi, perchè d'uso, anche le cosi
dette voci di regola; per le quali a posta di qualun-
que uomo si caverebbero da tutti i nomi indistinta-
mente i verbi rispettivi , e cosi da' verbi i propri
nomi : il che assai poco pratico lo mostra nelle ma-
terie stesse, eh' ci maneggiava. Nelle cose della lin-
gua non possono punto i sottili argomenti e le tra-
file della metafisica, o d'una logica scrupolosa, salvo
che a spiegale quello che la favella è in eflfetto: ma
non a porvi legge o limite veruno, e meno a mu-
tarla anche d'un menomo. Conciossiachè il linguag-
gio non è il trovato d'alcun filosofo o d'altro scien-
tifico personaggio : ma, secondo pur ne rafferma il
chiarissimo marchese Puoti , opera solo di provvi-
denza e di popolo , la cui favella è aggentilita , non
alterata da'peregriui e savi scrittori. Sentiva però V
Alberti fino d'allora, ne in parte senza ragione, che
l'arte della guerra, la marineria, le forme conven-
zionali della legislazione o innovate o cresciute, e,
quel che più monta, il progresso delle scienze fìsi-
siche e meccaniche volevano di nuove parole. Ma
prima di credersi così sicuramente allo spoglio d'o-
pere di scienza, nazionali e tradotte, non pensò che
l'avvertire questo solenne bisogno è forse di molti;
ma il soccorrerlo di colui solamente che ha cercato
e per poco veduto il fondo dell' intero linguaggio,
e specialmente nel trecento provveduto l'intelletto; e
che neppure i puristi hanno giammai preteso di ban-
dire altre voci, dove l'ingegno umano, ardendo nel
desiderio di poggiar più sublime , trova di do-
ver fermare con non pili intesi segni i suoi non più
iotesi concepimenti. Né meglio l'Alberti e'suoi par-
35^ Letteratura
tigiani s'accorsero, essere codesti vocaboli, di fresco»'
coniati e voluti dall'umano progresso, una pur mi-
sera cosa verso l'intero tesoro della lingua cosi sva-
riatamente filosofico, così profondamente infinito: che
non già nel vocabolo nudo, ma nelle frasi e ne'co-
strutti siede la dovizia e nazional figura dello idio-
ma. Né voglio tacere che quando in luogo di vili-
penderlo si studiasse meglio 1' aureo secolo dell'ita-
lico linguaggio, assai pochi vocaboli, seguitando altresì
i vantaggi delle scienze , resterebbero a crearsi ; e
quando ciò pur bisognasse, non si potrebbero ag-
giungere al tesoro della patria favella che dizioni ,
non frasi, la cui dovizia è cosa tutta sacra, né vuol
essere menomamente offesa da profano ingegno. Per
tutto questo adunque una disputa fu confusa o scam-
biala con altra, le ciance sottentrarono al luogo del-
la ragione, nulla si definì: ed il vocabolario, che è
il massimo punto d' una ben dottrinata nazione, si
rimase per anche un desiderio. Così la lingua passò'
nelle scritture non osservata. Nessun pensiero venne
dispeso per questa soavissima eredità, per cui le no-
stre lagrime, i nostri voti, la vita de'padri nostri e
de'figli trapassano alla memoria de'popoli più tardi.
I quali pel fatale levarsi e venir meno delle nazioni,
vinti così nella lingua come nelle armi , parleran
forse altrimenti, che non sia colle sacre note deri-
vate dalle fonti d'Arno e Valchiusa, ma tuttavia cu-
ranti e capevoli ancora del passato, ricorrendo colla
mente alle gloriose nostre lettere, non meno che al-
le nostre sventure , fortemente se ne ammireranno.
Pure questo soavissimo retaggio , ripeto , che solo
divisa una nazione , ove un codice universale noa
Lessici della lingua ital. 359
venga a crescergli pregio ed autorità , vagherà per
perduto; perocché non può essere fermo e stabihto
dalle scritture e dalla voce de' viventi letterati, né
sono abbastanza gli ultimi lessici,. nei quali per quan-
te sieno le poste correzioni e le giunte, ne avanza
tuttora un moltiplico a fare.
, Il Bartoli aveva notato, ed il poteva in una ji^oijr
sa d'occhio, come gli stessi accademici, sì religiosi
nella prima edizione e successive ristampe da non
ammettere alcun vocabolq seìnza autorità d'esempio
tolto da' classici , facendo poi la prefazione al loro
lessico, usarono voci non messe a registro; e con tut-
to questo si rizzavano a gridar selvaggi di lettere
chi non più che tanto dilunga vasi da loro , e pieni
di stomaco e di fierezza bandivansi maestri del dire.
Tuttavia qui voglio avvertito come il Bartoli , il
quale vide necessario un rifacimento di quell'opera,
andasse poi errato della verità dichiarando che il vo-
cabolario a differenza delle cose animate dovesse au-
mentare per posizione ; onde , secondo lui malfatto
avrebbe la Crusca d'aver, cosi, conje scoria, gittate
e mandate a confini tutte le voci d' uso. Ma tutto
a converso. Imperocché i difetti de' lessici si vole-
vano allora riconoscere per upo spoglio non. accu-
rato de'classici; per le edizioni di questi tuttayia po-
vere, né ben raffrontate colle lezioni de'codici; , per
gli strani abbagli nello interpretaai€>fltQ d'alcuni modi,
e più che per altro dall'usurpata bali^ degli accade-
mici di ripudiare con indegno animo à cooperatori
lutti que' valorosi italiani, che nati non fossero sulle
rive d'Arno; di maniera che nessuno d'essi avrebbe
potuto recare al tempio della materna lingua un
360 Letteratura
proprio lapillo di buon cavo. Perchè certo dalla mU'
tabilità' del voljjo e dalla svarianza de' provinciali
dialetti, la quale cospira, pili che rtiai altra cosa noi
faccia, ad innovellare e crescere vocaboli e maniere,
si debbe, chi ben vede, ribadire in noi il pensiero,
non poter l' uso da sé legittimare le voci, e perciò
metter bene che finalmente sia compiuto un codice,
nel quale, come antico e sacro statuto, segnato ven-
ga il linguaggio che i veramente purgatissimi scrit-
tori adoperarono; scrittori che dopo secoli d'imita-
zione nessuno giunse a superare e né tampoco ad
uguagliare giammai, ed in cui la possession del lin-
guaggio tutta si è ftwa, e acquistatasi il pregio ezian-
dio delle due spente lingue greca e di Roma , che
è quello ch'essa non sia più oscillante, né di pre-
sente soggetta a variazione alcuna. Non è però eh'
io voglia disconoscere all'uso que'diritti, che natu-
ralmente e quasi assolutamente esercita sul linguag-
gio. So bene che ogni maniera, ogni frase, e i vo-
caboli medesimi ricevettero il valore non già dagli
scrittori, ma dall'uso: parlata essendo prima una lin-
gua, che scritta; pure, se non la potenza, io vorrei
bene ristretto il senso , sotto cui può essere intesa
quella parola. E primieramente per uso delia lin-
gua italiana non s'intende già quello de'parziali dia-
letti d' ogni nostra provincia, ma di quel paese sol-
tanto che ottimamente parla; del che, a lasciar pure
la storia delle moderne nazioni, troviamo esempio
nell'antica Grecia, le leggi della cui favella non già
indistintamente da tutte le province a lei vennero ,
ma dall' Attica soltanto : intantochè attlcc seribere
valse altresì presso i latini scrivere per eccellenza.
Lessici della lingua ital. 36f
Racchiusa in questi termini la così detta consuetu''
dine della favella, egli è poi da osservare che, non
altrimenti di tutte le umane cose, pure il linguag-
gio conta r epoca della propria splendidezza , dopo
la quale Tenne di grado in grado oscurandosi e
corrompendosi^. Per la qual cosa a farlo rifiorire e
cessarne possibilmente le cagioni che it mandano a
perdizione, nulla è più proficuo del risoàpingere gli
studi al tempo, in' cui tutta spiegò la naturale sua
dote; e dall'uso, che allora se ne fece da ogni ge-
nere scrittori, dobbiamo fare ritratto delie sue bel-
lezze , e medesimamente apprenderne i diritti. Lad-
dove, se a fermare il linguaggio ricorrere dovessimo
senza distinzione e riserbo all' uso ed alle opere d'
ogni età, dicalo chi ha fior d'intelletto, quanta con-
fusione e laida mistura non ne verrebbe , massime
quando le norme dello scrivere si dovessero impa-
rare nel gergo di naoltissime odierne scritture!
Pare il sapientissimo avviso di ricondurre Io
studio della lingua agli scrittori del trecento ebbe
fino a noi accaniti nemici; e già il Lami e l'Alga-
rolti ed altri prima, accademici essi medesimi, ma
diversi fra loro , avevano fatto le grasse risa sulle
fatiche de'compilatori: ed il Gelli stesso ebbe con-
fessata la scarsità di vocaboli di leggi e di scienze
fisiche e meccaniche, poche opere avendosi in que-
ste facoltà tradotte nel secolo d'oro; ma tuttavolta
questi uomini di peso, peggio che ridere, rion sa-
pevano mettersi in concordia , e s' abbandonavano
anzi di dare all'opera l'ultima e necessaria mano. A
queste dispute tenne dietro una follia, confine alla
corruzione, d'assegnar voci latine alla nostra favella;
362 Letteratura
follia che fallasi poi secolare licenza, dallo scrittore
più scadente montando infìno al Redi ed al Salvini
ebbe forza di legge. La lingua latina disse il Lon-
gobardi essere la miniera della italiana ; il che si
potrebbe almeno pensare, se tutti oggimai non si co-
noscessero della origine della favella nostra, non fa-
cendo anche ragione che un idioma toccato del per-
fezionamento^ da uno stretto bisogno in fuori, ma-
lamente accatta pur dalla materna lingua le voci :
ed il Longobardi stesso^ nel punto di licenziare in
(Questo fatto gli scrittori, non fece di latino giammai
italiano, che mi sappia, un solo vocabolo, ed anzi
in qualunque innovazione serbato raccomandava il
dovere al giudìzio ed.alVuèo', il che palesamente si-
gnifica non potersi arbitrare nel linguaggio né pun-
to, né poco. A più veduta ragione il Varchi nel suo
Ercolano , il Lami ed il Buomraattei misero fuori
argomenti sulle diversissime guise di derivar voci
dai primitivi. Cosi anche dalla viva favella del vol-
go toscano, ad esempio del Redi e dello stesso An-
ton Maria Salvini, si cavarono vocaboli e motti da
esemplificarsi poi al possibile con qualche classica
autorità; ma un'altra volta si die' nell'attribuir trop-
po alla consuetudine; e del resto queste contese, che
si tenean divisi gli animi de'meglio saputi, non e-
rano che leggieri cose a quelle, di che accadeva si
occupassero i savi a mandar pure a termine il les-
sico dell' italico linguaggio. Il quale appresso pro-
cede innanzi impoverendo tra le anfanie de' catte-
dranti; e già s'era avuta una miseranda disfatta nel
•seicento, dalle cui ciuffole e vesciche mal sapeva
levarsi, dormiglioso com' era, alla primiera gloria f
Lessici della lingua Hal. 36^
hullà o poco giovandogli poi gli sforzi e le pre-
inure che nel secolo antecedente al nostro si mol-
tiplicarono per le dottrine di molti. Dimenticanza
di quanto s'era compiuto da'sovrani scrittori, e non
so qual altro maligno spirito, sia di sprezzo, sia di
grossa ignavia, diedero vita a que'rimbombanti pa-
rolai, i quali, credendo di potere col numero porger
rimedio alla poverezza de' loro studi , scambiarono
le metafore e gli stranissimi deliramenti del seicen-
to alle loro ciancrose arcadie, da cui, fattene poche
eccezioni, il buon gusto errava a pezza sbandito. Il
cannone della rivoluzione francese disciolse i con-
gressi e le controversie letterarie; si lasciò quel vano
sperpero di parole e quelle eterne inevitabili divi-
nità, che a troppa strage furono poi tratte a' gior-
ni nostri; e la poesia pigliò un canto guerresco, cre-
scendo così anni alla sua rifinita esistenza. Ma quel
canto guerresco esciva il più spesso da un cuor fiac-
co: e si potevano poetare le armi, i forti e" le feri-
te, ma non alzare all'antica e nobile baldezza l'animo
del cittadino, che stupidamente vagava a rotta for-
tuna col secolo, desioso a forti, ma fatui successi ,
e gridando libertà, solo in quanto due nazioni fa-
cevano lo stesso. La poesia, che non meglio è com-
mossa a' suoi voli, né meglio s' infiamma che tra V
ira de'combattenti, lodava, lodava e non sapeva chi.
errata nel sentimento, non poteva non errar nella pa-
rola' per cui lungi dalle purissime sorgenti, da cui
attinse l'Alighieri le sue immortali ire e generosi di-
sdegni, venduta e misera sposava alla cetra de'nostri
padri una canzone come nel pensiero così neir ac-
cento bastarda. Ma appunto quando la corruzione è
364 Letteratura
cimata e perFetta, sembra la stessa provvidenza ne
additi un mezzo di salvamento: così quando il seco-
lo furiava nelle gUerre , e le politiche opinioni in-
formemente si rimestavano Colle letterarie, il Cesari
più potente del secolo, riparato nel tranquillo de-
gli studi , non badò punto alla voce de' tristi , non
a quel vampiro di gloria che si presunsero e pro-
cacciarono alcuni poveri spiriti : vampiro elettrico ,
ma che pur illude ed è caro alla vita. Sfidò il ma-
lignare de' più discreti , siccome 1' abbaiamento del
volgo; e mentre il cuore italiano non dava più se-
gni di generoso, salva e' ne volle almeno la parola,
e nelle sue bellissime scritture , oggidì ricerche e
più volte ristampate, incarnò il grande pensiero. Da
solo indi argomentossi di appuntare il lessico dell'
italiano linguaggio, e coli' opera di pochi d'aggiun-
gerlo di assai migliaia di voci e maniere, la massi-
ma parte splendentissime e necessarie , sdimenticate
dai primi compilatori , e non già, come vien senten-
ziando il chiarissimo Cesare Cantù, omesse dal loro
giusto discernimento. Da solo infine il Cesari otten-
ne, se non toccò alla meta, ouanto i cento scienti-
fici uomini, e pressoché tre secoli non avevano sa-
puto , logorando la vita in continue e spaventevoli
fatiche, che poi gli vennero gittate in volto da quel-
la stessa nazione, in prò della quale le aveva soste-
nute. Tutti sanno le gare ed i miserabili dileggi ,
che la celebre proposta del Monti risvegliò contro
quel grande uomo: proposta, di cui non è oramai
che un ricordo, laddove nella regina delle città, sul
Vaticano, ad eterno monumento, la tarda, ma grata
Lessici della lingua ital. 365
nazione \olle eretto il busto del ristoratore delVita-
lico idioma.
Tutte le antiche accuse agi' infelici tempi del
Cesari si rinnovarono: essersi dato luogo nel dizio-
nario a quelle voci di gergo, o di tal lingua iona-
dattica e furfantina, di che i bianti solo, i monelli,
i berrovieri e simile lordura vantansi a trovatori :
non essersi lasciate quelle frasi di provincia e pro-
verbi fiorentineschi, ignoti a molta parte del paese
italiano, quando il bisogno era non della sola To-
scana, o d'una delle sue province, ma sì dell' Ita-
lia intera : doversi bandire la croce a certe parole
antiquate, e già sepolte nella oblivione , idiotismi,
o .^mozzature di toschi dialetti , non già nate dalla
cosa, ma sue rappiccature; e, vedi scrupolo! fino a
certe parole che non sentivano a bastanza di pu -
diche; menlrechè d'esse appunto servesi la pudici-
zia a velare tal falla di cose, che altrimenti dette l'
avrebbero più in vero fatto sconciata. E nota altre^
sì, che nello stante che i pudibondi facevansi co-
scienza di quelle voci, si dichiarò (concetto ripetuto
oggidì da un grande filologo) che non da' vocabo-
lari si denno apprendere que'laidi imbratti, quando
alla cantoniera ed al chiasso conveniva perdonar come
cosa propria questa sapienza, ed ivi solo appararla.
Essersi molte locuzioni male interpretate, registrati
a caso molti vocaboli e maniere, e talora senza uopo:
non ordine nelle spiegazioni, o manche: non aiuta-
te le scienze e le arti bastantemente di termini ap-
propriati, e spesso andarne senza; ed il volgo infine
crearsegli a sua posta, perchè appunto i dotti non
facevano tra loro ad eleggerli. Ma tutte queste ac-
366 Letteratura
«use, che in buona parie si tengono al vero, era-
no abbanflonate, il più, della prima dote del critico,
la gentilezza: e più innanzi pure di uno sterile ri-
spetto alle fatiche d'altrui; ben essendo presuntuoso
giudice in questo ordine di studi quegli che non sa,
o non vuole accingersi a fare altrettanto , né me-
glio. Si noti poi che quegli schifiltosi aristarchi, al
tempo dì mordere il gergo, com'essi dicono, de'cic-
ciai di Fonlebranda e de' Culonti dell' arte di lana
ed in genere del minuto popolo in Firenze, che in
lingua ne sarà mai sempre maestro , scrivevano in
tal gergo, che non era né francese, né italiano, ma
quale il detta una fantasia di tratto levata e stra-
nianle, ed espresso secondo uno stile che per poco
ne disgradava la chioccia favella di Malebolge: sac-
«entelli che pur oggi rivivono e tempestano e va-
neggiano, perchè solo ebbero a capo un uomo, che
sebbene d' alto ingegno , non è però che fosse né
affatto intero, né forte.
La proposta del Monti, che certo ninno assen-
nato vorrà in pieno lodare, non è da tacere però che
valse, se non ad altro, a mettere in amore lo studio
deiridioma, quando essa pure all'abito ed a' parati
non mostra tutta secondo l'oro ed il conio de'clas-
sici; ma più assai che altri il Perticar! col suo libro
sul Trecento venne confortando questo studio. Se non
che questo scrittore, che per avventura poteva dare
alcun assoluto giudicio sul conto delle buone let-
tere, forse per soverchia reverenza al Monti, che gli
era suocero, stette mezzo tra le ' contrarie parti: e se
pure si ridusse ad una sentenza, mostrò anzi inchi-
nare a concedere, come necessario, certo mutamen-
Lessici della lingua ital. 36?
lo nella lingua; opinione che qui non occorre dire
a qual pessimo fine natuialmente riesca. Al detto
dello stesso scrittore il tempo logora sordamente ,
quanto ogni altra cosa, così il linguaggio; ma egli
è appunto per questa quasi invincibile potenza delle
età, che si debbe porre ogni cura a fermarlo, e i
savi tutti di conserto debbonsi unire a fulminarne
i rei corrompitori. Né può esseie , pur secondo il
Perlicari, né sarà giammai, che il moto della lingua
tardar si possa e non distruggere. Che se le permu-
tazioni del linguaggio fossero di lor natura inevita-
bili, da Dante in qua si sarebbe esso innovellato le
cento volte. Ma noi sappiamo le gravi crisi ed ab-
battimenti sofferti; e mettete ragione, che se pur si
mutò, fu in piccola parte; in quella parte, generale-
mente parlando, dove il disuguale costume de'tem-
pi dava ad un vocabolo altro valore, o ne immagi-
nava un nuovo; non già nel fondo della lingua che
sta fermo tuttavia, ed ove mai desse a traverso, ne
andrebbe la più bella delle nostre glorie. Ondechè
que'grandi tra gli italiani che a quando a quando
sorsero a porre, quasi direi, argine alla coiruzióne,
ben misero in palese potersi di cento le novanta-
nove sostarne non pure, ma cessarne il moto; e al
questo, non ad altro, mirano i lessici. Che dove in'
una nazióne si moltiplichino gli studiosi ; dove la
classe de'letterati, fortificatasi di sane opinioni, appren-
da al popolo , e castighi a lui sul labro le forme è'
le guise del dire; e i principi propaghino e proteg-
gano le scuole della plebe, tanto indispensabili alla
quiete e benessere dell'universale; avverrà che indar-
no la plebe medesima imperversi , o riducendosi a
368 Letteratura
buono slato, loro si dia renduta e convinta. Che più?
Non è la plebe forse, non disviata che sia, la ser-
batrice più tenace, vuoisi dei costumi, vuoisi dello
idioma de'nostri padri ? La lingua del Boccaccio e
di Dante e degli scrittori in genere del secolo dell'
oro è quasi tutta ancora per la bocca del volgo to-
scano, il quale cosi ingratamente è da molti pro-
fani ributtalo; per cui oggigiorno a me parrebbe il
contrario di quello che ebbe a dire a'suoi tempi il
Salviati, che da' parlari della plebe cioè sia passato
il contagio nelle vScritture dei dotti. Conciossiachè la
plebe, non*1asciata posar ne'suoi voli, può figurarsi
di nuove parole^ ma non cangiarne mai l' indole:
ciò che per converso non avviene in moltissime scrit-
ture di toscani viventi, le quali non hanno d'italiano
che le vocali cadenze; e nuUadimeuo si tengono e si
vanno incensando..
Il vjoc^bolario pertanto di Bologna nel 1819
giovandosi di tutte le censure fino a quel tempo di-
volgate^ e delle parziali compilazioni di modi e di
voci, che gli accademici accapigliati fra loro non
avevano saputo mettere insieme, parve che sulla scor-
ta del Cardinali, dell' Orioli e di quel grand' uomo
eh' era il Costa, a suggellar venisse un' infinità di
quistioni. Ma le forze erano ancora impari al sub-r.
bietto, e lo disse ed il dimostrò dal 1820 in appres-
so colle sue osservazioni il Parenti; per cui la pa-
dovana Minerva (1827) entrò all'arringo e certo con
più di potenza. Il lessico albertiano ebbe buon pie-
de in quella nuova fatica: ma scemato però in gran
parte di quella scoria fatalmente pescata nell' uso de'
diversi dialetti; si confortarono d'autorità molte lo-
Lessici DELLA lingua ir al. 369
cuzioni che nel vocabolario di Verona n' andavano
abbandonate ; ed oltracciò le stesse annotazioni del
Parenti al vocabolario di Bologna, e lo spirito della
proposta del Monti in esso consacrato, ed una mol-
titudine d' aggiunte mandate da tutte parti, e pre-
state peculiarmente dal Carrer e dal Federici, com-
pirono di rifare un lessico , il quale vinceva della
mano tutti quanti i precedenti. Ma pure non e rasi
lavorato secondo il bisogno. 11 valente comasco ab.
Giuseppe Brambilla, poeta vivacissimo e tutto pelle-
grini abbellimentL, in cui è sangue e non liscio o-
gni magistero d'arte, pose in luce nel 1831 il suo
Saggio d'uno spoglio filologico^ dove gli argomenti
del pensiero e le correzioni sul lessico sono così pro-
prie e sottili , che poche migliori fino allora. Né
minor lode in seguito a lui si meritò con aggiunte
ed osservazioni Giacinto Carena (1831), né una mi-
«ore il cavaliere Pezzana (1833): oltreché Napoli fino
dal 1829 col suo Vocabolario universale italiano
aspirò a disgradare tutte le fatiche de'passati compi-
latori e riveditori. Ma un affaste Ila mento, una zep-
pa di geografiche denominazioni , di titoli arabi e
mamelucchi, il più per noi ridicoli, una mala dispo-
sizione di paragrafi, e la poca fede nell'autorizzarne
le voci per lo più desunte dalle consuetudini com-
merciali d'oggidì, tolgono a quell'opera l'importan-
za, che pur seppero acquistar sempre al vocabolario
della crusca i suoi rifacitori. Meglio Verona sull'e-
sempio del Cesari avrebbe rinnovellato per Paolo
Zanolti 11 dizionario, se la morte dell'autore non lo
avesse lasciato, poco appresso il priùcipio, incom-
pleto. Torino e Milano poco dopo ammassarono le
G.A.T.CXV. 24
370 Letteratura
agg^iunte. Al Gherardini che stampò, né mi falla it
dirlo, la capital opera iti fatto d' aggiunte e corre-
zioni di poi la proposta e le giunte veronesi, furo-
no rendati dalla biblioteca italiana poco meno che
gli onori della infallibilità. E certo ei vide molto
addentro nelle bisogne dei lessici, ed in profondi-
tà le sue vedute passano via quelle d'ogni altro; ma
se di molto e giustamente ha diminuito il vanto di
novità alla proposta, e ne sciorinò anzi i badiali er-
rori, non mi sa punto capire nella mente come poi
non ritennesi, ch'era il meglio, dall 'usar di una cri-
tica soverchiamente aspra, e alla bandita abbia vo-
luto mordere , alcuna volta senza cagione , coloio
che il precessero nelle generose fatiche. Alla testa
però di tutti cosiffatti studiosi egli è da porre senza
dubbio Giuseppe Manuzzi , forte propugnacolo del
purgalo scrivere, il quale fino dall'anno 1840 in
Firenze die Compimento alla stampa d'un nuovo les-
sico, r unico ancora, a cui si possa avviare senza
pericolo la gioventù, ed il più copioso di tutti. Con
poteo fruito a lui seguitarono dieci mila aggiunte
del signor Nicolò Tommaseo , comunemente avute
non troppo felici e le più di non legittimo fonda-
mento, mentrechè in Mantova si metteva in punto
da parecchi lelterati una ristampa del Traniater ,
non senza una larga promessa di crescerne il ca-
pitale, sia di giunte, sia di miglioramenti. Ma fu-
rono parole. Che nulla pur dicendo del poco savio
pensiero di ristampare un lessico per molti rispetti
non commendevole, e che oltre quello della Crusca
non sarà mai il proprio dell' italiana favella ; nulla
dicendo della meschinissima prefazione appostavi in
Lessici della lingua ital, 371
;gìunla all' altra non meno rude ed indigesta della
società di Napoli, disfido chiunque, per vista acuta
che si abbia, a trovarvi dentro un ventesimo di quel-
la immensa suppellettile di ag{jiunte e di ammende
bandita nel manifesto, e che altri fin qui con trop-
po maggiori fatiche non seppero, che in parte, tri-
t)uir€ ai loro rifacimenti. Ben è vero che i professori
Bernardo Bellini ed Anton Enrico Mortara , nomi
chiai'issimi nella i-epubblica delle lettere, apparvero
in fronte alla quattordicesima puntata come nuovi
cooperatori aggiore ragion di lode che
ri donarci ad un sacrificio spontaneo per tutto che
affascina di presente; che il parer nati per ostare ad
un secolo, sia anche in piccola parte, che tale non
è lo studio del patrio idioma ? E qual gìoria più
splendida che lo schivarci da quella corrente che tanti
ne trasporta, e sulle care poste e tra le opinioni de'
grandi giganteggiare ? Udire dalla lunga le villanie
delle turbe scempiate, e presi allo incanto della vera
sapienza, non allentare la guerra ? Forse vedrai ar-
riderti d'intorno un partito; perocché le popolazioni
non sono mai sì nuove o sì corrotte, che non sen-
tano a quando a quando il proprio decoro : se no,
raccogliti nelle tue stesse speranze, e contentali d'aver
378 Letteratura
fatto al possibile ii bene, e miglior ventura prega
su quelli che verranno. Non dicasi che solamente
gì' ingegni privilegiati possono tanto ; che i medio-
cri debbono Starsene paghi del mediocre. Egli è que-
sta la voce o dell' indolenza o della corruttela. Ai
ben volenterosi, non briachi d'ingiuste lodi, seguita
sempre una tnaggior forza: adoprati quanto sai: che
follìa, se non colpa^ è quella di correre una via di
perdizione, perchè molti camminano su di essa: e di
piaggiare un secolo, perchè non bastiamo a svolgerlo
dal mal gusto, ed a ridurlo sul retto. Da quel po-
polo stesso, che sfrontatamente nella sua propria co-
dardia abbiamo blandito, aspettiamoci la condanna.
Egli che levò plausi al nostro vivente, sepolti ne co-
prirà d'infamia o d'oblivione; ed è ben grande colui,
il quale abborrendo dalle disoneste lodi che si ba-
rattano tanti quaggiù, superiore ai dileggi ed alle
povere brighe degl'invidi, o della boriante ignavia,
vagheggia, più alzando il pensiero, una gloria, eh'
ei forse non vedrà, ma che sta pur certo d'ottenere.
Lettera al conte Annibale Vincenzo Ranuzzi
nel di avventuroso delle sue nozze
colla contessa Elena Turrini.
Mio dolcissimo amico,
lo ho sempre riguardato i matrimoni siccome uno
degli atti più importanti della vita, ed un argomento
principalissimo di pubblica prosperità; perciocché da
essi dipende la domestica pace, la quale è pur ne-
I.ETTERA AL CONTE RANUZfZl 379^
cessai ia a chi pone l'ingegno e l'opera iil selcVigio
della patria, e da essi dipende la buona istituzione
della giovenlA, su cui riposano le speranze e i de-
stini delle nazioni. Per la qual cosa a me pare che
si dovrebbe da quelli, che voglionsi unire in ma-
trimonio , andare più rf rilento , ect tisare maggior
cura in cercare diligentemente conformità d* indole
e di costumi, acciocché non venissero troppo di so-
vente insieme congiunti svariati e discordi voleri ,
tra'quali è malagevolezza conservare quella pace, che
de'beni di sopra detti è producitrice. Ed ora che la
divina provvidenza ha confortata di lietissime speran-
ze ritalia, è più che mai necessario cl*e onesti, va-
lenti e tranquilli cittadini sorgano a dar mano a co-
lui, che il vasto e nobile edifìcio della pubblica co-
sa ha preso a riformare. Il che non potranno coloro,
i quali perturbati ed infiacchiti dalle continue dome-
stiche discordie si disfrancano, e neghittosi o mal-
vagi non san che distruggere; essendoché, come scri-
ve il Tommaseo, la famiglia contaminata corrompe
la patria; perchè talamo, foro, altare insieme consa-
cransi, profanansi insieme. Ed oh! mio dilettissimo
amico, quanta gioia mi scende neiranimo in questo
bel giorno che ti veggo porgere la mano e la fede
di sposo alla contessina Elena Turrini adorna di sì
care ed amabili prerogative, che dalla pubblica opi-
nione, la quale non cade in fallo, è stimata un fio-
re d'onestà e di virtù ben degno d'essere trapianta-
to nella tua nobilissima casa. In questa scelta tu hai
recato in atto l'assennatezza di quelle cose che più
volte meco ragionavi: cioè non essere di poco mo-
mento l'eleggere sposa fornita d'un' anima, che in
380 Letteratura
lutto si accordi colla nostra. Ond'io, che t'amo d'mi
amore sviscerato e sincero, a te me ne congratulo ,
e tutto racconsolato precorro Col rapido pensiero gli
anni avveniie, e vagheggio fin d' ora le pure gioie
che ti sono meritamente preparate. Stanco delle fa-
tiche sostenute a reggere le cose private o pubbli-
che, tu troverai in seno della famiglia quel tranquillo
riposo, que'dolci alleviamenti, quelle care consola-
zionii, onde l'umana vita si riconforta e ravvalora ;
gareggiando colla tua sposa d'amore e di fede, gu-
sterai quelle dolcezze ineffabili che non le può in-
tendere se non chi le prova; e se per avventura qual-
che nube oiFuscherà il sereno del tuo sembiante, oh!
ohi potrà dire il ristoro e i conforti che ti porge-
ranno le soavi parole della tua fedele compagna ! E
in ciò non m'inganno, perchè a questa mia consuona
l'universale estimazione. Di questo tuo avventurato
imeneo non solo prendono letizia la tua famiglia, i
tuoi parenti ed amici, ma se ne rallegra ancora la
patria, la quale di questo connubio spera generazione
disciplinata nell'amore degli ottimi studi, accostumata
ad altezza di sentimenti, tutta ripiena della santa ca-
rità della patria. Così sono i figliuoli come i padri
vogliono ch'essi siano, dice Terenzio negli Adelfi ,
dicono i savi, e più che altri può dire la tua ama-
tissima genitrice, che te e i fratelli tuoi secondo il
concetto della sua mente e il desiderio del suo cuore
ha cresciuti ed informati ad ogni sorta di virtù. La-
onde la patria ha ben di che allietarsi, sicura com'è
che tu vorrai i tuoi figli onesti, addottrinati ed amanti
d'essa.
Non è mio intendimento di erigermi a censore
Lettera al conte Kanuzzi 381
de'lempi trascorsi, ma solo vo' dirti che indirizzate
quasi per miracolo le opinioni e tendenze di noi
tutti in una \ia che non fallirà il segno, a cui in-
tendiamo, della pubblica prosperità, si è aperto un
vastissimo campo a'genitori d'essere di sommo gio-
vamento alla civile comunanza , se nell' educazione
non più si dimentichi la patria e l'avvenire, si am-
maestrino i figliuoli a sapere essere governati, perchè
sieno poi meglio atti ad adempiere il gravissimo uf-
ficio di magistrati, e si avvezzino a porre nella pub-
blica cosa quello studio, quella industria ed assiduità
che per loro si possa maggiore. Per tal modo non
saranno un giorno i figli nostri costretti a dismettere
alcune prese abitudini, a spogliare i pregiudizi, im-
pedimento al verace progresso, e ad imparare adulti
le cose che si dovrebbero instillare nella infanzia. E
in quest'opera stupenda dell' educazione tu avrai a
compagna la tua sposa, o veramente tu ti unirai a,
lei, perciocché la donna è nata adamare... a educare;
ma nell'amare e nell'educare ella regge e governa (*).
Per la qual cosa io stimo che anco la donna, oltre es- ;
sere religiosa e prudente, debba riscaldarsi dell'amore
della patria, ed esserne conoscente de'bisogni: perchè
in mettendo nel vergine cuore de'fanciulli i primi semi
degli affetti, e nella tenera mente i primi pensieri,
non ponga in obblio quanto la patria ha ragione di
domandarle. Se ancor si volesse tenere lontana la
donna non pur dall' inframmettersi delle cose pub-
bliche , ma eziandio dal conoscerle e favellarne , la
giovinezza verrebbe su digiuna di quell'educazione
civile inspiratrice di azioni generose, e distruggitri-
' ' (*) N. Tommaseo, Pensieri morali. '^
^82 Letteratura
ce di que'funesli errori, che hanno purtroppo tante
Tolte accagionati gravissimi nriah' ! Ma non è a temer
questo ora, che la donna è stata ricollocata nel luo-
go in cui il creatore la pose, e si è fatto giusto giu-
dizio di quanta parte ella abbia nel ben essere delle
fanaiglie e degli stati. L'opera tua pertanto è quella
della tua sposa, ordinate al medesimo santissimo fine,
daranno alla civile famiglia, che desiderosa gli aspet-
ta, figli anamaestrati ed accesi della nostra religione
fondamento d'ogni virtù, operosi pel pubblico bene,
consolazione della famigl ia , decoro della patria. E
cosi meglio che negli stemmi e nei nomi perpetue-
rassi la memoria de'padri, travasandosi per l'effica-
cissimo esempio l'avita virtù ne'più lontani nipoti.
So , o mio carissimo Annibalino , di non aver
detto alcun che di nuovo o d'utile, né di avere con
nuove fogge cose vecchie rappresentato; so che ta-
luno mi griderà all'orecchio, non doversi la stampa
fare ministra di cose inutili e di vane parole ; ma
so pure che agevolmente otterrà perdono un amico,
il quale ha voluto porgere all'amico un pubblico se-
gno di esultanza e di amore nella piena degli affetti,
che gli trabocca in seno. Chi non intende la forza
dell'amicizia ? chi non sente questo purissimo affetto?
chi perciò vorrà negarmi perdono ? Ma sia pure che
altri me lo nieghi; io mi conforto nullameno in pen-
sando che tu e la tua gentile sposa cortesemente ri-
ceverete questa lettera, non già per verun merito che
ella s'abbia , ma perchè è scritta da chi è , e sarà
sempre Biuiob
il tuo affmo amicò' '
Enrico Sassoli.
'.r'ilrfvci '_ -^ •'.-:,■' .
IL DIRETTORE — PRINCIPE D. P. ODES€ALCHI
383
INDICE DELLE MATERIE
CONTENUTE
NEL TOMO CXV, VOLUaiI r,45, 344, 345
DEI. GlORlSALI! ARCADICO
SCIENZE
Uose Hi, Alcune forniole sul calcolo de residui ,
(Continuazione.) , . . . . 3
Coppi, Sulle finanze di Roma 25
Chitnenz, Intorno ad Andrea Cesalpino scopri-
tore della circolazione del sangue ... 49
Roselli, Sulla dipendenza delle due variabili x,j. 1 29
Brighenti, Elogio di Giuseppe f^enturoli . . .170
P^aloranì, Della diff colta degli studi medici. . .199
Chelinì, Alcuni teoremi del Gauss relativi alle
superficie curve 257
Giovannini, Il giusto valore deWarte medica , 285
Rambelli, Antecedenza degV italiani nelV istitu-
zione degli asili d'infanzia .301
LETTERATURA
Camiìli, Tracce storiche sul dominio greco dopo
Alessandro nell'Asia centrale 63
Biografie di Pietro Bagnoli, Antonio Lombardi ,
Luigi Ciampolini.^ Giovanni Battarra, Fran-
cesco Bertelli, Gianandrea Magri, Agostino
Cagnoli 74
Bursotti, Dell' importanza dell' archeologia . .107
Ponta, Della età che in sua persona Dante raf^-
gura nella divina commedia. Parte prima . 217
Parte seconda. 316
Gioberti , Discorso all'accademia della Crusca, 239
0
384
Bambelli, Di una condizione necessaria per ben
riuscire negli studi 243
Cicerone, Il primo libro delle quistioni accade-
miche volgarizzato da Gianfrancesco Ranv-
belìi ..338
Bacheli, Mcune considerazioni sulla fortuna de
lessici della lingua italiana 352
Sassoli j Lettera al conte lìanuzzi. . . • . > 378
T'^arietch
Chelinij Alcuni teoremi del Gauss reta- pag.
tioi alle superfìcie curve . . . .257
Giovanninij II giusto valore dell'arte
medica 285
Rambelli j Antecedenza degV italiani
nell'istituzione degli asili d'infanzia. 301
LETTERATURA
Ponta, Delle età che in sua persona
Dante rai^ura nella Divina Com-
media ("Parte seconda.J . . . .316
Cicerone j II primo libro delle quistio-
ni accademiche volgarizzato da
Gianfrancesco Rambelli . . . 338
Racheli j Alcune considerazioni sulla
fortuna de'lessici della lingua ita'
liana 352
Sassolij Lettera al conte JRanuzzi. . 378
il lOilfi Ili il® ©i Ww§
ARCADICO
D I
SCIErVZE, LETTERE ED ARTI
Voi. CXVI.
Luglio, Agosto e Selteoibre
1848
ROMA
TlPUGfiAFIA DELLE BELLE ARTI
S^I^lfES
Di alcuni teoremi del sig. F. Gauss relativi alle su-
perfide curve. Memoria di D. Chelini d. S. P.
(Continuazione e fine.)
Della fformnla del sig. Ganss
la quale esprime la curvatura di un elemento superficiale ,
e si mantiene costante quando la superficie j
divenuta flessibile ma inestendibile j cangia di forma.
Sia
V = F(r, 2/, 2) = 0,
l'equazione di una superficie, la quale venga segata
in un'infinità di linee dalle due superficie
ip) /(^v y^ -, p) = 0
(?) /.(^vJ/5 2,?) = 0 ,
varianti dì posizione e di forma al variar de'para-
metri p, q. Ogni punto M (ar, y., z)., o (p, q) di (V)
si potrà considerare come la intersezione di una li-
nea del primo sistema (p) con una linea del secon-
do sistema (q); e le tre coordinate x, y, z saranno
funzioni delle due variabili p, q.
Sia ds yn elemento lineare, preso in M ad arbi-
trio sulla superficie (V) , il quale abbia sugli assi
ortogonali a;, y, z le proiezioni dar, dy, dz, corri-
spondenti alle variazioni dp, dg. Avremo , ojjn3*«r»
djj =r adp -+- a'df ,
df/ ==: hàp -\- b'Aq ,
dz = cdp -+- c'àq ,
4 Scienze
ove, a cagione di brevità, si è posto
dx
dp
a
àp~
=.b,
dz
dp
£=
e
dx
a
dy
dq-
^-b',
dz
=
e
Poniamo inoltre
(
aa
H- bb
-4- ce
=-
P,
i
aa
-t-b'b'
•+■ ce
=
Q
5
aa
-{-bb'
H- ce
.=
R
Dalla formula cl«> «« da;"* -f" ày^ -f- dr" si ricaverà
ds=» -= Pdp^ H-- ^dq-' + 2Rdpdy ,
Nel punto M siano S\ , s^ le linee d'intersezione della
superfìcie (V) colle due superficie (g), (p), declinanti
in M l'una dall'altra coll'angolo i. L'elemento ds si
potrà considerare come la diagonale di un paralle-
logrammo di cui i lati , secondo le linee Si , 5,,
siano dsi , dsa , tìfiche si avrà
ds» = ds,» -H ds^ -\- 3cose d«i ds^ .
d«, sarà in M l'elemento di «, corrispotidente alla
variazione dp , essendo dg =: 0 ; e ds^ sarà in M
Telemento di Ss corrispondente alla variazione d^ ,
essendo dp a=9 0. Avremo dunque
di, = dp/P , dia i== d^t/^Q ,
Alcuni teoremi del Gauss 9
i coseni degli angoli che le direzioni de' due eie-»
menti ds, , ds^ formano cogli assi x, i/, z saranno
espressi rispettivamente da
ab e a 1/ e'
i^V ' /P ' i/P ' i/Q ' l/Q ' l/^Q ■
Quindi^ se per M si conducono due retttì tangenti a
dsi , dSa , dirette nel medesimo senso di dSj , ds^ ,
ed eguali l'una a j/P , e l'altra a l/"Q; queste due
rette avranno sugli assi a:, y, z le proiezioni (a, 6, e),
(à', 6', e'). Si concepisca in M una nuova retta A
perpendicolare alle due precedenti, ossia alla super-
ficie (V), e sia
A == seni (/ PQ = l/(PQ — R") t
questa retta A avrà sugli assi x, t/, z, com'è noto
dalla geometria analitica, le proiezioni
ic' — b'c , ca — c'a , ab' — ab ,
le quali designerò rispettivamente per
A , B , C .
Sarà
A» H- B* -f- C" = A» i
Aa ~h Bb -\- Ce = 0 y
Ao'+ Bè'-i- Ce' = 0 ;
donde
aàX 4- ^dB -j- cdC = -- (Ada -+- Bdb -t- Cdc) ,
« dA -I- i'dB -4- c'dC -= — (Ada' + Bdi' -h Cdc').
6 Scienze
Ciò posto, all'equazione differenziale della superficie
(V) si potrà surrogare la seguente
Adx -H Bdy -J- Cdz = 0 ,
donde si ricava (*)
ds^
dAda? -+- dBdj/-hdCd2 =à — ,
dove r^ designa il raggio di curvatura di una linea
qualunque ds il cui piano osculatore sia in M per-
pendicolare alla superfìcie (V), ovvero di una sezio-
ne normale in M alla superfìcie (V). Quest' ultima
equazione, se si sostituiscono i valori di da?, d^/, d%
espressi in funzione di /), g, diventa
(odA+èdB+cdC)d;)4-(a'dA+ò'dB+c'dC)dy=^A — ,
ossia
(Ada-hBd5-^Cdc)d/)+(Ado'-^-Bdò'+Cdc')dg'= —A -*-.
Ma
da = ùcdp •+• oi'dq , /da = a'dp -+• a'dq ,
hb = /Sdp 4- iS'dy , < dò' c= jS'dp -i- /3"dgr ,
de ^= yd/) -h y'dji , V de' == /dp -i- y'd jf ;
dove, per abbreviare, si è fatto
d^x
dp^-
= a,
d^x
dpdq
dy" ""^
d/?2
= /3»
dpdq ^ '
--=7»
d'2
dpdjf
d^z
(*) RAfiCOLiA sciEWliFiCA di Roma, tom. I, pag. 134.
Alcuni teoremi del Gauss T
Se a queste notazioni aggiungiamo le seguenti :
A« -4- B/3 -H Cy = D ,
A«' 4- BjS' -+- Ci = D' ,
A«"4-B/3"-f-C/ =D";
^equazione or trovata si cangerà in
Ddp== -H D"d?^ -f. 2D'dpd9 = — A ^\
r
e quindi in
_ d.. -*- ò" d^, + — Q d.. d.. = - A - .
A partire dal punto M(a;, 2/1 ^) della superfìcie (V)
tiriamo nella direzione di ds un raggio =*= r , e si
consideri come diagonale di un parallelogrammo di
cui i lati M, V siano sulle tangenti degli elementi
àsi , dSa t e queste tangenti si riguardino come due
assi coordinati. Avremo
r u V '
Nella precedente equazione , omogenea rispetto a
d^i , d$2 , às , sostituiamo a queste quantità le ri-
spettivamente proporzionali u^ v, r. Sì otterrà
D D" 2D
Questa nuova equazione rappresenta, sul piano tan-
8 Scienze
gente in M di (V), una conica i cui raggi vettori r^
toccanti in M le sezioni normali della superficie (V),
sono rispettivamente proporzionali alle radici de'rag-
gi r" di curvatura di tali sezioni.
Siano f, p i raggi di curvatura principali nel
punto M della superficie (V), eguali ai quadrati de'
raggi principali della conica. Dalla teoria delle co-^
niche si trae, che l'equazione
/D D' D' V < DD' — D^
/* -i-( 7- -i- 2 cost' ) 1 = 0,
\P Q l/PQ lAsenH A?PQsen'a
la quale, fatte le sostituzioni a A, sèm, cosi^ si ri-
duce alla seguente
P + (DO -^ D"P — 2D R) '—^ -i- ""— ~ «= & ,
(PQ_t-R-)2
1 1
ha per radici — , -^. Da qui la formula
P P
DD"— D" 1
(PQ-R*)^ p/
già trovata dal sig. Gauss dopo un calcolo assai pro-
lisso. A questa medesima formula si arriva ancora,
e facilmente, quando si cerca il valore inverso del
rapporto tra un elemento superficiale da e la sua
curvatura totale dw. Infatti si considerino sulla su-
perficie (V) il triangolo infinitesimo da che ha per
vertici i punti
(». y, «). i^-hdx, y4-9y, «-t-az), (r-h5r, y-J-Sy, z+^z).
Alccni teoremi del Gauss 9
Supponendo che le lettere 3 , d siano i simboli delle
dift'erenziazioni parziali, prese l'una rispetto a p , e
l'altra rispetto a 5 , gì' infinitesimi (3x, 9y , 3z) ,
(^a;, ^t/, 5z) rappresenteranno le proiezioni degli ar-
chi dsi , dsz sugli assi a;, y, z^ ed avremo
2d(T = dsidsasetij-^sent [/'VQ.dpàq = Adpd^» .
Poniamo per abbreviare
--X, -_Y, -_Z,
sarà
X» -f- Y^ -f- Z^ =; 1 .
Nella superficie sferica del raggio «a-l, destinata
ad offrir la misura della curvatura della superficie
(V) (vale a dire, cosi connessa con (V) che, ne'punti
corrispondenti delle due superficie, le normali siano
parallele ), i punti che corrisponderanno ai punti
(x, y, 2), (a;-^^a;, y-h9i/, z-i-dz) , (r+Sx, t/+5i/, 2-+-5ì;)
della superfìcie (V), saranno rappresentati da
(X, Y, Z), (X4-aX, Y4-3Y, Z-4-3Z), (X+5X, Y-h$Y, Z-h$Z);
e il triangolo da formato sulla sfera da questi tre
punti corrisponderà al triangolo d<7 di (V). Ora si
sa dalla geometria analitica che una retta perpendi-
colare all'elemento sferico dw, e numericamente =»2d4),
ha sugli assi x, t/, z, le proiezioni
3Y$Z — 9Z5Y , 9ZdX — 3XSZ , 3X$Y — 3X5Y ,
io S G I £ N Z £
e che però si ha
2dM=X(aY3Z— 3Z5Y)-|-Y(3Z5X— 3X$Z)4-Z(3X5Y— 3Y5X)
=ax(Yaz-zaY) -i- dY(Z3x — xaz) h-sz(X3Y^Y9X).
Ma
A
k A A''
A
j A A
az = --
\ ^^=A-^À-^-
Da qui, e daireliminar che si faccia dall'equazioni
adk 4- bdB 4- c3C = — Ddp ,
adX -+- i'3B 4- c'dC = — D'dp ,
successivamente 3A , 3B , 3C , si ricaverà
BaC — C3B — o'D -+- oD' .
Y3Z — Z3Y = = -— — d»;
A* A'
e si conchiuderà che le quantità
Y3Z — Z3Y , Z3X — X3Z , X3Y — Y3X ,
sono eguali rispettivamente a
— a'D -haD\ — ò'D -h bD\ — cD 4- clY ,
^. dp, óp, dp.
Quindi, ponendo mente all'equazioni
Alcuni teoremi del Gauss li
Aa -+- Bó -i- Ce = 0 ,
Ao'-4- Bb'-h Cc' = 0,
61 troverà
— a'§A_|-è'SB+-c'SC D -h (a§A-4-i5B-»-c5C)D' ,
2dw = — ^ '—-. dp,
ossia
DD" — D'^
2àca =^ —^ dp dq .
Ma abbiamo trovato 2d(7 =* Adpdg ; dunque
dw DD— D^ DD— D" 1
da A4 (PQ_R2)^ pp
Chiamato K questo rapporto, misura della curvatura
nel punto M(x, 2/, ^)» sarà
(PQ _ R=)='K = DD'' — D'^' .
Arrivato a questa formula per una via laboriosa an-
zi che no, il sig. Gauss si propone di esprimer K
per mezzo delle sole funzioni P, Q, R. Si riesce ra-
pidamente a simile scopo camminando sulle orme
del sig. Gauss nel modo che segue.
Partiamo dall'equazioni
Aa-h B/S-+- Cy c= D ,
aoc -\- 6(3 -^- cy = m ,
a a. -h i'/3 -h c'y •= n ,
dove »7i, n sono due nuove notazioni; ed immagi-
12 Scienze
niamo ancora le altre sei equazioni in che si con-
vertono queste tre apponendo prima un accento ' ,
e poi due", alle lettere a, /S, y, D, m, n.
Eliminando da queste tre equazioni le quantità
^, 7, il che si fa moltiplicandole rispettivamente per
be'— b'c , b'C^c'B, cB — AC j
e poi sommandole, nasce
U{bc —J'c) -f- a {b'c — cB) -^ a'(cB — bC)'\ ot
=D(ic' — b'c) ■+■ m(b'C — c'B) -+- n(cB — bC) .
Ma qui il coefficiente di « si riduce a
A* 4- B[ca—c'a) 4- C(ab'— a'b) = A^-f B» -h C» = A^j
ed il secondo membro, essendo
b'c — c'B c= a(è'^ H- r.i, ,->ii ^Jhnj,
e quindi .,,,;..
m =
, dP , » dP ,, dR , dQ
»=
dR , dP , dQ „ ^dQ _
E facilmente si conferma essere
// ^r^.., Il , r, , dn dìi'
d^'R . / d^'P d^Q >,
-*(^
djodg' \ dgr^ dp^ /
Sostituendo queste diverse espressioni nella formula
per la misura della curvatura trovata di sopra, ot-
terremo il seguente risultato notabile del sig. Gauss:
\dq } dpVdp dq I
„/dP dQ dP dQ dR dR dP dR dQ dE
-4-R( — .— . h4 — . 2 — . 2— .—
' dp dg' dq dp àp dq dq dq dp dp
l d^P d'Q d^R X
Alcuni teoremi del Gauss 45
Quando la superficie (V), supposta flessibile ma ine-
stendibile cangia di forma, è palese che l'elemento
lineare
ds == (Pdp^ -h Qdq^ -t- 2Ràpdq)^ ,
non varia, né però le quantità P, Q, R; e cosi ri-
troviamo per via analitica il teorema già dimostrato
per via geometrica. Ed è in questa maniera che il
sig. Gauss lo ha dimostrato.
Quando i due sistemi di linee s, , s^, si segano
dapertutto ad angolo retto sopra la superficie (V) ,
nel modo che fanno le linee principali di curvatu-
ra; allora R =^ 0 , e la formula precedente diviene
PQ«= f((t,) ^d-p-d7hQ ((d7 ) -*-d7-d7r(dr^ dp)
Se inoltre si fa P =» Q (il che secondo le con-
siderazioni del sig. Liouville è sempre permesso ) ,
cotesta formula fornisce
2PK = J-^^V- 1^^ 1/4£V_ 1 i-L . >
Pnd/>/ P"dp' PAdq/ P* d^^
__/ d%g.P dMog.P \
La dimostrazione di questa formula particolare è
l'oggetto precipuo della memoria del sig. Liouville
intitolata: Sur un téorème de M. Gauss concernant
le produit des deux rayons de courbure prineipaux en
chaque point d'une surface.
Supponiamo adesso che le linee Si del primo si-
16 Scienze
stema siano le diverse posizioni di una linea geo-
desica, che si muove conservandosi di continuo per-
pendicolare, nel suo punto iniziale, ad una data li-
nea fissa. Chiamiamo linea delle ascisse questa linea
fissa , ed ordinate quelle diverse posizioni della li-
nea mobile. Supponiamo inoltre che le linee s^ del
secondo sistema siano le linee generate da ciascun
punto della linea geodesica mobile. Questi due si-
stemi di linee, per un teorema del sig. Gauss , si
taglieranno sulla superficie ad angolo retto. Fissata
V origine della linea delle ascisse in un suo punto
scelto ad arbitrio, ogni punto della superficie corri-
sponderà ad una certa ascissa ed ordinata', come ad
una certa ascissa ed ordinata corrisponderà un punto
unico.
Un punto M nella superficie (V) abbia p per
ordinata^ e designiamo per q Vascissa corrispondente^
o, per più generalità , una funzione qualunque di
quest'ascissa, prendendo l'ordinata e l'ascissa nel si-
gnificato or dichiarato. Un elemento lineare ds, pre-
so sulla superficie a partire dal punto M, si potrà
riguardare come la diagonale di un parallelogrammo
rettangolo, di cui uno de'lati è dp, e l'altro si potrà
esprimere per dgi/Q, designando Q una certa fun-
zione di jt), q. Sarà pertanto
ds^ = àp-+- Qdq .
Lo stesso risultato ha luogo se le due serie di
linee s, , s^ che si segano sulla superficie (V) ad an-
golo retto, sono : da una parte, le diverse posizioni
di un raggio geodesico p , girante intorno al suo
punto iniziale 0; e dall'altra, le linee descritte da'
diversi punti di questo raggio mobile p. Fissala una
Alcuni teoremi del Gauss IT
posizione di questo raggio come luogo di partenza
o linea delle ascisse^ ogni punto M sulla superficie
(V) determinerà la lunghezza p del raggio geode-
sico corrispondente, e l'angolo onde questo raggio
declina nel suo punto iniziale dalla linea delle ascis-
se. La lunghezza p di questo raggio e l'angolo no-
minato (ovvero una funzione cognita q di quest'an-
golo ) si possono chiamare coordinate polari del pun-
to M. In questo nuovo sistema di coordinate, l'ele-
mento ds si trova espresso evidentemente come nel
sistema precedente.
In questi due sistemi di coordinate si sempli-
fica oltremodo la formula che dà la misura K di
curvatura. Risulta
d« 1 /dQy 1 à'Q 1 tF.i/Q
Vdp/ 20
da 4Q^\dp/ 20 d/)' i/^Q dp'-
Prendiamo
d(7 — dpdqy'^Q ;
allora la formula a ^^ Kda che determina la cur-
vatura, diviene
Se p e q designano sulla superficie (V) le coor-
dinate polari di un punto M (essendo p il raggio
vettore geodesico e q V angolo che tale raggio fa
nell'origine colla linea delle ascisse), allora per p = 0,
sarà ds=* dp , e però Q = 0; e per un valore in-
finitesimo di /), r elemento ds^ della linea del se-
G.A.T.CXVI. 2
18 Scienze
condo sistema (la qual linea si può considerare co-
me un cerchio descritto col raggio p) sarà d,S2==pdg,
ed in conseguenza per un valore infinitesimo di p ,
sarà p =» l/"Q ; donde, per p =»0, si avrà nel mede-
simo tempo
Da quest'osservazione si deduce che nella formula
che dà la curvatura oj, la costante è = 1 , e che
però si ha
Ritorniamo col sìg. Gauss, per un momento,
all'espressione generale dell'elemento ds
di^ = Pàp"" -H Qdy" -h 2Rdpd^
= dà^ -+- dsl -i- 2cosi dsi ds^ ,
dove
R . I//PQ- R'\
cose =
Sia 0 l'angolo che ós fa con ds, . Se proiettia-
mo ds prima sulla direzione di dsi , e poi sopra
una direzione perpendicolare a dsi , avremo
Pdp-hMq
ds cos9 = ds, -f- cose ds^
^V
, . .. lA(PQ-R^),
ds scny = sent ds^ '-= dp .
Cerchiamo ancora qual'è la condizione, perchè
questa linea 5 sia la più breve o geodesica. La lun-
Alcuni teoremi del Gauss 19
ijhezza s essendo espressa per l'integrale ,i \
s --. y^i^dp' -h Qdq' H- 2R Jr/d^) ,
la condizione del minimo richiede che la variazione
dì quest'integrale, nata da un cangiamento infìnite-
5Ìmo di un tratto della linea s, sia = 0. Il calcolo
si rende più semplice, se una j) delle due quantità
p, 5, si considera come funzione dell'altra. Indicando
la variazione per la caratteristica 5, avremo
( — do^'-t— - d(7"H-« —^ — (IpdyW ■+■ 2(Pd/j -f- Rdtf)d$p
/ap ap ap '
21;
dP, , dO, , dR, ,
— dy~-4 dfl -+-2 — d»d(/
Pd/j-hRdfl - f^ l^V ^9 '^P Pd/j-hRdtf\
e sappiamo che ciò, che qui sta sotto il segno inte-
grale, deve svanire indipendentemente da ^"p. Viene
pertanto
dP j , dQ . , dR . , . . Pd;^ -f- Rd«
— dp~-h -Ji do' -+- 2 — dpdtf =.^ 2ds.d. -^~- —
dp dp ' dp '^ ^ ds
cos9 dsdP
= 2d5.d.l/^P cos9 = 2 seoS d5 d*./"?
Pdp-hRdfl .^
« —^ ^ dP - 2|/^(PQ— R^)dyd5
-^ (dp -+- \ dr/)(-j? dp-H ^ dy)- 2l/-(PQ-R^)d?d9 .
Da qui si ricava la seguente equazion condizionale
per la linea geodesica :
20 Scienze
Quando R = 0 , cotesta equazione diventa
d^' dp
e quando d5'= dp"" -hQdp'', e però P=1, fornisce
ap
Ecco una bella applicazione che il sig. Gauss
fa delle formule or trovate. Si debba determinare la
curvatura totale w di una porzion di superficie ABC
compresa fra tre linee geodes'iche AB, BC, CA.
Sia A il polo intorno a cui gira il raggio geo-
desico /), e sia q l'angolo onde questo raggio decli-
na in A da Ab, ed in tal guisa che, per (jf=0, corra
secondo AB , e , per q=^A, corra secondo AC. Gli
elementi di BC siano designati per ds, e sia 0 l'an-
golo onde un elemento qualunque ds declina dall'
elemento corrispondente djj del l'aggio p. Finalmente
siano 5", 5' i valori dell'angolo 0 ne'punti B, C. Sarà
è, nel nostro caso, — d5. Dunque
Nella formula a = J i\ -— ~ — W, la parte -^^—-—dq
0) = (dgr -h (15) .
pjStendendo l'integrazione da q=0 sino a =A, si
avrà
_, _. &)=- A-H$'— e° = A H-B H-C— ;:;
teorema dimostrato geometricamente dal sig. lacobi.
21
Sopra le ultime disposizioni date ai lavori sul porto
canale di Fiumicino. Al sig. eav. Fabrizio Giorgi
ingegnere del Tevere. Lettera del comm. Alessandro
Cialdi tenente colonnello di marina.
Illmo signore
c
ol foglio dei 14 dello scorso aprile ella mi co-
municava essere stata decretata la protrazione mag-
giore nel molo destro alla foce di Fiumicino. An-
dammo insieme due giorni dopo a quel porto , e
durante la gita lungamente parlammo di questa
interessante questione, e dei motivi che aveva po-
tuto indurre il dotto consiglio d' arte a tornare a
decretare, come pel passato, la protrazione più inol-
trata in mare nel braccio destro.
Non poteva non interessarmi altamente il co-
noscere appieno le basi di tale risoluzione, che si
dicevano formate dagli scandagli fatti alla foce, dallo
stato attuale della medesima , e dalla opinione dei
pratici. Quindi mi feci a dimandare una copia della
posizione costituente la detta risoluzione; e sua ec-
cellenza reverendissimaa monsignor tesoriere gene-
rale si compiacque farmela rimettere.
Presi seriamente ad esame i documenti in essa
contenuti, mi propongo ora comunicarle le mie ri-
flessioni. Peraltro siccome si tratta di far delle os-
servazioni concernenti una risoluzione distruttiva
22 Scienze
di vm'altra presa tla prima in senso contrario, credo
necessario , prima di entrare nell' esame dei detti
documenti, richiamarle alla mente i fatti e le ragioni
che avevano prodotto quella contraria risoluzione.
Ella rammenterà , che quantunque prima del
1842 si fosse sempre costumato protarre a Fiumi-
cino il molo destro più del sinistro, erano ciò non
ostante continui e ripetuti i reclami intorno all'in-
felice stato di quella foce; e che essi divenuti an-
cora più energici alTepoca del 1842 obligarono a
spedii e colà il chiarissimo ispettor Brighenti, onde
maturamente esaminarla. Egli infatti visitò quel porto,
studiò la sua costituzione , sentì quanto ella seppe
dirgli, e tutto ben ponderalo, riflettendo a quanto si
era ivi ed in altri porti-canali praticato , propose
che il molo sinistì'o dovesse esser più sporgente in.
mare del destro, confermando così che il molo deve'
essere sempre più sporgente hi acqua da quella parfCy
d'^onde provengono le burrasche-^ assioma trito tritissi-
mo, che solo in Fiumicino non veniva rispettato.
Ed in vero era una cosa assai strana il vedere
in Fiumicino, prima della visita Brighenti, prolun-
gato in mare il molo destro più del sinistro, in per-
fetta opposizione a quanto praticavasi in altri porti-
canali del nostro stato non solo, ma di ogni altro;
il che costituiva il curioso dilemma, o che l'arma-
tura degli altri porti del mondo era sbagliata , o
sbagliata era quella di Fiumicino. Con savio con-
sìglio pertanto agiva il Brighenti riguardo alla foce
di Fiumicino^ non solo perchè proponeva la protra-
Lavori a Fiumicino 23
zione maggiore della parte onde viene il vento di
traversìa, naa ben anche perchè da questa parte stessa
era d'uopo difendere lo sbocco da un potente, tor-
bido, e prossimo fiume sopravvento, quale è la fiu-
mara grande. Ed egli in tal suo divisamento irova-
vasi in perfetta armonìa non solo colla pratica osser-
vata in altri porti, ma sibbene colle convincenti teorie
degli illustri idraulici Guglielmi, Castelli, Frisi, Bo-
scovich, Ximenes, Zannotti, Zendrini, Zuliani, Lor-
gna, Mari, Mengotti, Cavalieri etc.
Oltreacciò ella rammenterà ancora che, cono-
sciutasi la disposizione del Brighenti tendente ad
introdurre una innovazione, surse un partito contra-
rio cosidetto dei pratici, da lei sostenuto , il quale
giunse a fare dei reclami al governo contro il dispo-
sto del Brighenti ; ossia contro tutto ciò che si era
fatto in altri porti, e che aveva ottenuto la sanzio-
ne dell'esperienza, e l'approvazione della stessa clas-
se de'pratici. Ed il più specioso in quel reclamo si
era, che i ricorrenti gridavano, come pratici del luO'
go^ conti'o una cosa che non essendosi ivi mai pra-
ticala non era mai caduta, ne aveva mai potuto ca-
dere sotto la loro pratica, la quale soltanto costituiva
tutta la loro scienza ed autorità.
Intanto, trovandomi io nella classe dei pratici,
ma non, la Dio mercè, nel numero di quelli che
agivano contro senso, e trovandomi eziandio in fa-
vorevolissima posizione di officio , volli studiare la
quistione, e nel 1845 pubblicai il mio libro sulla
Navigazione del Tevere (1), ove nel lungo terzo ca-
(1) Vedi giornale arcadico volume 105, 106, 107, 108. i
24 Scienze
pitolo non mi occupai di altro. Ivi adunai tutte le
teorìe e 1' esperienze che hanno costituito il gran
nuMiero de'porti-canah esistenti , e più specialmente
mi occupai dei fatti e degli studi che ci forniscono
una piena conoscenza della vera costituzione della
foce di Fiumicino e sue adiacenze,, e non trascurai
affatto di analizzare il reclamo suddetto. Da quest'as-
sieme ella avrà scorto, che non poteva non conve-
nirsi sulla giustezza della proposta Brighenti , cioè
(mi giova il dirlo colle parole dell'illustre Cavalieri
meritamente oggi presidente del suUodalo consiglio)
cioè che deve essere più prolungata dell'altra quella
diga, o molo, che è dalla parte del vento più poten-
te d' ogni altro a spingere le arene verso lo sbocco del
canale; la qual parte per Fiumicino niuno ha mai
negato, né negheià giammai, essere la sinistra^
Dietro tali fatti, e colla scorta di queste ragion
ni, mi feci a dimandare alla signoria vostra illustris-
sima cosa mai in arte vedeva nella protrazione mag-
giore del molo destro, da farle rigettare tanti ele-
menti contrari: ed ella mi rispose: In questa protra-
zione veggo l'ufficio di un repellente, il quale obbliga
la corrente a volgersi verso il lato destro per solcare
il prano, che i venti di fuori ed il corso indente co^
stantemente formano da quel lato; unico e possente
ostacolo al facile ingresso nel porto. Una tale rispo-
sta in arte non può passarsi senza osservazione : e
quantunque io non mi sia proposto che il tessere una
semplice storia dei fatti passati prima di entrare a
discutere i nuovi documenti, causa della nuova di-
Ij AVORI A Fiumicino 25
sposizione, qui mi Teggo costretto ad una necessaria
digressione per esporre le mie contrarie ragioni.
Tre cose mi sembrano a vedersi in questo suo
sentimento: 1. se esso possa verificarsi: 2. se si veri-
fichi in effetto: 3. se siavi altro modo onde ottenere
l'intento.
So per prova che ella tuttavia favoreggia i re-
pellenti che giustamente lo Zendrini chiama peste dei
filimi ed i danni che questo suo prediletto sistema
produce nel nostro Tevere sono manifesti, ed io ho
incominciato ad accennarli nel detto mio libro dalla
pagina 'IG5 a 1 '^O del testo, e dalla 202 a 206 delle
note. Ma non è questo il momento ed il luogo di
tornare su tal condannato sistema. Vediamo piutto-
sto se possa verificarsi, che la maggior protrazione
del braccio destro sia atta a produrre l'azione di un
repellente sul prano alla foce.
Ella m'insegna, che per pennello o repellente
si deve intendere un liparo che ripercuote il filone
del fiume per deviarlo dalla sua tendenza. Ora per-
chè questo effetto possa prodursi , il riparo dovrà
slaccarsi dalla linea che costituisce l'andamento della
sponda ed inoltrarsi ad angolo più o meno aperto
verso la parte opposta, secondo il maggiore o mi-
nore effetto che si desidera. Ma io osservo che tutte
le protrazioni si sono fatte e si fanno in continua-
zione de'moli antecedenti; dunque la protrazione, non
prendendo forma di repellente, non può come tale
agire. Mancando la causa , non può non mancare
r effetto.
26 Scienze
Che poi questo effetto manchi interamente ce lo ha
sempre provato e ce lo prova anche oggi (quantunque
il molo sinistro sia più protratto del destro, ma inetto
all'uopo per la cattiva giacitura e per la brevità di
questa protrazione), ce lo prova, dico, anche oggi;
primo il vedere che il fìlone del fiume si conserva
appoggiato al braccio destro, e giunto al suo guar-
diano si getta subito a maestro, cioè precisamente
in direzione opposta a quella che ella pretende. E
questo fatto innegabile è proprio della legge dell'ac-
qua corrente , per la quale prima si appoggia allo
ostacolo verticale, e poi si volge ove trova minor
resistenza. E minor resistenza trova certamente a mae-
stro: perchè questo vento non essendo nocivo alla
foce, non vi crea banco, e perchè dal lato opposto
trova l'ostacolo di quel banco stesso che ella pre-
tende sia distrutto; prodotto, come benissimo ella
dice, dai venti di fuori, i quali non sono da verun
riparo difesi. Ce lo prova poi in secondo luogo il
vedere che dietro il riparo non .si verifica alzamen-
to di fondo, cioè quella riempitura che produce il
repellente lungo l'alveo del fiume, ma sibbene uno
spurgo maggiore che nel lato opposto. Dunque la
maggior protrazione da questo lato, per quanto lun-
ga essa sia , non potrà mai produrre l' effetto che
deve attendersi da un repellente che si costruisce
in un fiume: ed il fatto prova che non lo produce.
Osservato adunque che né possa verificarsi, né
si verifichi in effetto lo scopo da lei preteso, resta
a vedersi se vi sia altro modo per ottenere l'intento.
Lavori a Fiumicino 27
Sappiamo che la teoria e la pratica che coman-
tlano la maggior protrazione del braccio di sopra-
vento, che nel nostro caso è il sinistro, hanno per
iscopo la maggior difesa possibile da darsi allo sboc-
co del fiume: e non \i è dubbio che questo siste-
ma è quello che più di ogni altro possa riuscirvi.
Rimarrà dunque soltanto ad esaminarsi se il giuoco
dell' acqua interna, ossia della corrente del fiume,
venga ad essere meglio condotto di quello lo sia
colla maggior protrazione del braccio destro.
Protratto il braccio sinistro con regolare dire-
zione, e con conveniente lunghezza (delle quali con-
dizioni lungamente parlai nel libro suddetto), uiuno
potrà mai negare , che quella stessa legge propria
dell'acqua corrente, la quale agisce sulla protrazione
maggiore del braccio destro, dovrà agire anche sul
sinistro : quindi noi abbiamo per infallibile che il
filone del fiume si appoggerà all' ostacolo verticale
e più piotralto, che nella nostra ipotesi sarebbe il
braccio sinistro.
Ora sì ammetta pure, se si vuole, che la mag-
gior protrazione del braccio sinistro nulla influisca
ad allontanare il prano della foce, e che perciò la
corrente seguendo la slessa legge del primo caso deb-
ba dirigersi a destra, cioè ove trova minor resisten-
za; sarà sempre vcio però che questa corrrente, pri-
ma che dal guardiano del braccio sinistro passi a
maestro, dovrà passare dinanzi a tutto lo sbocco, de-
scrivendo una curva che sarà tanto più sviluppala
verso l'alto mare, quanto maggiore .sarà la forza della
28 Sci è n z e
corrente e quanto più la foce sarà diretta ai venti
benetìci. Quindi è che in ogni pessimo caso dovrà
conservarsi un canale navigabile molto più retto alla
direzione dell'asse dello sbocco e più profondo di
quel che possa verificarsi colla protrazione maggio-
re del braccio destro; perchè in questo caso, come
abbiani veduto, la corrente è obbligata a dirigersi
subito dietro lo sbocco , ossia in direzione inutile
alla conservazione del canale navigabile.
Non istarò qui poi a ripetere quanto già dissi
nel mio libro sulla molto maggior convenienza della
protrazione maggiore del braccio di sopravento, os-
sia di sinistra, per le manovre di navigazione e si-
curezza de' legni, perchè questa digressione già trop-
po lunga non mi permette di estendermi maggior-
mente, e mi è d'uopo tornare all'intento.
Dai fatti fin qui richiamati alla mente racco^
gliesi: ì. che la protrazione maggiore del molo de-
stro, sempre per Taddietro praticata, non ha potuto
mai migliorare la condizione della foce di Fiumi-
cino, ed ha lasciato sempre luogo agli stessi recla-
mi: 2. che studiata la cosa sulla faccia del luogo
si è trovato consentaneo a tutte le teorie dei più
celebri idraulici , e a tutte le esperienze di quanti
sono i porti-canali, ed alla stessa peculiare costitu-
zione della foce, di cui si tratta, il volgersi al con-
trario partito e decretare la protrazione del molo si-
nistro: 3. che le ragioni da lei addotte per l'avverso
sentimento al chiarissimo ispettore Brighenti non
furono stimate valevoli a persuadere la continua-
Lavori a Fiumicino 20
zione del metodo antico, e che al nuovo metodo non
altri si opposero che i cosi detti pratici, i quali non
altra scienza avendo che la pratica, niuna autorità
potevano opporre ad una cosa che in pratica non
avevano veduto giammai.
Bisognerà adunque dopo ciò convenire, che io
una questione sì grave, ove trattasi dell'interesse del
porto , dell' umanità , del commercio ed anche dei
principii stessi della scienza idraulica, i nuovi do-
cumenti prodotti, onde ottenere che dall'illustre con-
siglio d' arte si tornasse al già abbandonato antico
metodo, debbano essere di tale e tanto peso da far
fronte ad ogni contraria ragione, anzi al fatto stessa
ed alla generale esperienza di tutti i porti-canali.
Osserviamo se sia così, seguendo 1' ordine con cui
questi documenti vengono citati dal sullodato con-
siglio nel suo rapporto risolutivo dei 7 aprile 1847,
num. G58. Essi sono:
1. Un rapporto del pilota del porto-canale di
Fiumicino, Francesco Venturini , dei 29 settembre
1846 a lei diretto.
2. Un reclamo dei padroni di bastimento di-
retto a sua eccellenza reverendissima, senza data e
senza firme.
3. Un reclamo del commissario di sanità diret--
to a sua eccellenza reverendissima monsignor teso-
riere generale in data 27 settembre 1846.
4. Uno specchio delle osservazioni a tutto ot-
tobre passato, accompagnato da una dimostrazione
grafica degli scandagli della foce di Fiumicino, firma-
30 Scienze
to dalla signoria vostra in data del 25 ottobre
1846, e
5. Un rapporto da lei diretto alla venerata ec-
cellenza sua monsignor tesoriere, col quale ella fa
nuove premure per la esecuzione della protrazione
del molo destro^ sotto la data del 12 marzo 1847,
num. 43.
Veniamo al primo, ossia al rapporto del pilota
Venturini. In esso rilevasi con verità lo stato cat-
tivo della foce, e le lagnanze dei capitani e del com-
mercio per i danni che ne risentono. Ma nulla vi
si legge, che questo infelice stato si debba alla mag-
gior protrazione del braccio sinistro: anzi si nota che
i reclami si basano sul niun carico che il governo
prende per un punto come questo tanto interessante
per il pubblico erario. Quindi un tal documento non
favorisce affatto l'opinione di vostra signoria , anzi
la pregiudica.
Nel secondo si legge : / sottoscritti padroni e
capitani di bandiera romana ed estera am-
maestrati da lunga esperienza e dalla gran pratica
che hanno di questa località^ possono con certezza as-
sicurare Veccellenza vostra^ che per avere alla bocca
di questo porto canale il fondo necessario non vi è
altro mezzo, che prolungare la passonata di ponente.
Stando alla conclusione di questo foglio, i sot^
tùscritti sarebbero pienamente con lei d'accordo: ma
di grazia come essi si chiamano ? In detto foglio
nessuno si legge, né firmato, né crocesegnato. Dun-
que a questo documento dovremo dare almeno il ti-
Lavori à Fiumicino 31
tolo di nullo. Ed è doppiamente nulloj imperocché
quando anche fosse legalmente firmato, si proverebbe
falso che essi, come dicono, sono per tal protrazione
ammaestrati da lunga esperienza: ed ella stessa mi
ha sempre ripetuto, che poco o nulla si può rica-
vare da detti pratici per la nostra quistione, perchè
non sono d'accordo, e spesso il medesimo individuo
si contraddice. Ed in vero essi non possono essere
uniformi che in ciò che riguarda il moto dell'onde,
e la direzione della corrente littorale, ma non già in
ciò che coticerne la legge delle acque correnti, se
non vi sono condotti da uno studio speciale sulle
medesime. Dunque per ogni rapporto, come diceva,
questo documento è nullo; ne ha però esistito in se-
guito uno legale esibito il sedici aprile firmato da
cinquantatrè capitani. In questo foglio però, che è
veramente autentico e che può vedersi in ammini-
strazione quinta n. 73623, nulla vi ha che riguarda
la richiesta del prolungamento del destro molo a
preferenza del sinistro; ed in esso, in cui realmente
parlano i pratici, si vede che i medesimi si restrin-
gono a ciò che veramente è di pratica, a querelarsi
cioè che i danni alla foce provengano dal non man-
tenersi ivi bastantemente prolungate le passonate
( senza indicare la destra più che la sinistra) e dalla
divergenza dell' acqua a capo due rami derivata
dalla mancanza del restauro di quella passonata. Dalla
qual cosa possiamo apprendere, che quando hanno
parlato i pratici non hanno in alcun modo appog-
giato il suo parere.
32 Scienze
H terzo documento, a giudicarlo dalla apparen-
za, prende un tuono di oflicialità da sembrare con-
cludente a di lei vantaggio, ma in fatto lo è meno
degli altri. Ivi è detto dal sig. Ciriaco Gemini com-
missario di sanità, che la costanza del basso fondo
alla foce^ che mi si assicura daW esperienza dei mal'
ti pratici del luogo^ non che dalla gente di mare che
continuamente frequentano questo porto-canale. possa
essere derivato in seguilo del prolungamento della
punta di levante^ mi si aggiunge dai piloti della me-
desima foce^ che non allungandosi ora quella di po-
nente nel modo che l'arte e V esperienza aveva det-
tato nel passato ( quest' arte e quest'esperienza ab-
biamo veduto che non sussiste-, ed uno dei due pi-
loti, che ricorre due giorni dopo il commissario ,
nulla dice di tutto ciò) potrà essere di funeste con-
seguenze alla proprietà dei naviganti e del commercio.
Fin qui il sullodato commissario si basa su cose
che dice aver intese a dire , non entrando esso a
farsi giudice, che in vero sarebbe stato incompeten-
tissimo. Ma poi, da quanto ha di sopra esposto, egli
vuole farne derivare, con poca delicatezza, una con-
seguenza che nell'animo dei superiori ha potuto es-
sere di non piccolo peso a dare legalità a quanto
ha detto.
Di fatti (egli prosegue) di fatti ancor lontani
dalla stagione invernale., pure si è dovuto verificare
che il 25 andante mese il piccolo paranzello toscano
denominato la cesariana^ mutando col timone il banco
di arena., perdette il governo al legno anzidetto^ ob-
bligandolo a naufragare sulla spiaggia ....
Lavori a FmaiiciNO 33
Ov dunque la protrazione maggiore del molo
sinistro, secondo il signor commissario, avrebbe cau-
sato la perdita del piccolo paranzello toscano.
Vediamo s'è vera la sua conseguenza. Non si
può -certamente accordare al suUodato si^g. Gemini
alcuna fiducia come uomo d'arte, non essendo alla
signoria vostra ignoto che egli non è uomo di mare,
e nemmeno appartiene alla classe idraulica. Resta
a vedere qual fede meriti come storico.
Il 25 settembre 1846 il paranzello toscano di
vecchia età, scartato dalla pesca, e che tutto carico
pesca nove palmi napoletani, si presentò per entrate
in Fiumicino. Il mare era agitato dalla parte di li-
beccio, ed il vento soffiava da ponente fresco. Il pi-
loto mise la bandiera rossa, indizio che, per il grosso
mare, egli non poteva andare a bordo per condurre
il bastimento.
Il capitano, non curando l'avvertimento del pi-
loto , volle eft'ettuare l'entrata: e non potendo co-
noscere il preciso andamento del canale navigabile
lungo il prano, incagliò. Il grosso mare rendeva im-
possibile l'andarvi a bordo con una lancia, e si potè
non pertanto far giungere da bordo alla spiaggia
una sottile corda, alla quale ne venne attaccata una
grossa di proprietà del capitano Cosimo Vergilio.
Così legato, colla forza dell'argano, e con gittare in
mare una parte del carico, fu tirato presso la foce:
ma il mare di libeccio lo fece cadere sottovento del
molo di ponente- Attaccato a questo molo si sca-
ricò gran parte del rimanente carico, e nella notte,
G.A.T.CXVI. 3
34 Scienze
abbonacciato alquanto il mare e calmato il vento ,
si condusse dentro il porto sano e salvo.
Riconobbe poscia il capitano il suo torto , in
guisa che non fece verun atto legale, col quale ,
se la sua avarea fosse stata il risultato di una forza
maggiore, avrebbe potuto ottenere dal proprietario
del carico il compenso , che la legge stabilisce ai
bastimenti che fanno delle spese a ragion veduta.
Anzi dovette al poco valore del carico, essendo gesso,
ed alla sua miseria, che il proprietario delia merce,
signor Galletti, non facesse a lui pagare la parte di
carico perduta.
Con ciò non intendo di condannare il capita-
nq: egli avrà avuto i suoi giusti motivi di agire co-
si; peraltro al suo ritorno in Livorno il proprietario
del legno glie ne tolse il confando. Né voglio in-
tendere, che la bocca di Fiumicino fosse in buono
stato: ma non sarà mai giusto il dire , che per la
protrazione maggiore del braccio sinistro sia acca-
duta la perdita del bastimento, perchè non è vero
che esso naufragasse, ed un arenamento di questa
natura può avvenire anche in un porto, che abbia
un, canale navigabile di una profondità infinita.
Dunque la conseguenza del sullodato sig. Ge-
mini non è giusta, ma è bensì parto di quella bo-
riosa Q, fanatica contrarietà , che egli ha contro il
progetto Brigbenti. E niuno meglio di lei ciò cono-
sce; imperocché ella stessa è giunta a dirnfti, che il
Gemini scrivendole sul progetto Brighentj, lo chia-
ma progetto Briganti !! Ed ella, siccome il Gemini,
<: .1 V/J.T./'
Lavori a Fiumicino 35
favorisce la sua opinione, ammette in iscritto questa
ingiuria ad un ispettore de'più benemeriti del con-
siglio d'arte, e la riproduce come un'autorità a di
lei favore ! !
Passiamo al quarto documento. Questo consiste
in uno specchio di osservazioni eseguite alla foce
di Fiumicino , il quale abbraccia i mesi di settem-
bre ed ottobre 4846. Ammessi per, veri i dati che
esso racchiude, pure non potrebbe mai ritenersi per
sufficiente dato, onde risolvere la nostra questione;
imperocché un risultato conveniente dovrebbe essere
il prodotto di una lunga serie di osservazioni nelle
diverse stagioni dell'anno, ed anche per più anni ri-
petute, confrontate con altrettante fatte all'epoca della
protrazione noaggiore del braccio destro. Il suo .spec-
chio invece ci dà soltanto otto scandagli, e questi
in una sola epoca. Manca inoltre il detto specchio di
dati interessantissimi, cioè della giorn aliera direzione
della corrente, del moto delle onde, della direzione
e forza del vento, e della massa dell'acqua convo-
gliata per la foce.
Ma passiamo alla ricerca della verità dei dati
esposti.
Gli scandagli si dicono in palmi romani di pas-
setto : il massimo fondo ivi marcato è di palmi 6
oncie 5 : il minimo pai. 5 on. 3. La signorìa vostra
illustrissima ha legalizzato colla sua firma quello sta-
to, quindi dovrebbe ritenersi che ella stessa avesse
fatti quegli scandagli. Ma ella non ignora che io po-
trei provarle, che nei detti due mesi non mai fu ia
36 Scienze
Fiumicino: e che quando anche vi fosse stata, essendo
per lei il mare un elemento che le altera il morale ed
il fisico, mai e poi mai ella di persona non avrebbe
fatti quegli scandagli. Né si può dire che li facesse
l'assistente di quel tronco del Tevere, perchè sappia-
mo che da più anni per infermità non si occupa di
acqua.
Dunque chi ha fatti quegli scandagli ? Io po-
trei rispondere, nessuno: ma se pure non è così, non
può non essere stata una persona interessata a non
rappresentare la verità. Più volle le manifestai, che
i principali impiegati di quella foce hanno interesse
a tenerla in pessimo stato, onde lucrino ^ loro na^
vicelli d'alleggio', quindi sono sempre del partito di
quei lavori, che riconoscono non benefici al canale
navigabile ! Ma eccole un' altra prova , che quegli
scandagli sono falsi, o sono una spiritosa invenzione:
ed ella potrà sempre verificarlo, non altrimenti che
se il fondo del mare da quell' epoca in qua fosse
stato sempre costante ed invariabile.
Il giorno 15 ottobre, quantunque si portino a
palmi 6 on. 5 di pa.ssetto, pure essi sono almeno mi-
nori di un quarto del vero valore. Difatti se ella
avrà la bontà di riassumere i registri di approdo,
troverà che in quel giorno entiarono otto bastimenti
con pieno carico: e non scorgerà ivi, od altrove, che
essi abbiano alleggerito fuori la bocca. Ed in vero
non sarebbe stato possibile che ( senza calcolare il
numero dei legni usciti) gli otto entrati in quel
giorno avessero avuto tempo e mezzi per alleggerirsi.
Lavori a Fiumicino 37
Ora i più piccoli di questi legni hanno portato oltre
le 40 tonnellate di peso , e ve ne ha di quelli di
50 e fino a 70. Or bene, ella potrà sempre verificare
che per effettuare l'entrata di detti legni con pieno
carico è stato necessario che alla foce vi fossero non
meno di dieci palmi di passetto. Sicché o sono falsi
gli scandagli, o sono falsi i registri sanitari, e do-
ganali ; imperocché da questi risulta che qnei le-
gni entrarono in quel giorno in Fiumicino.
Speciosi sono poi gli scandagli del 25 settem-
bre e le particolari avvertenze della giacitura del
prano in quel giorno : mentre abbiamo veduto che
nello stesso giorno, per essere il mare grosso, non
potè la lancia dei piloti andare a bordo del basti-
mento toscano che si é voluto far credere naufraga-
to, ma invece soltanto incagliò. Dunque come si po-
terono fare i scandagli? Potrei dimostrarle egualmen-
te falsi gli scandagli degli altri sei giorni : ma per
ora mi basterà prevenirla, che in quei giorni, che da
lei si dicono scandagliati, entrarono diciotto legni, e
nel rimanente dei due mesi ne entrarono nienteme-
no che cento e quattro^ dei quali due soli ne allegge-
rirono fuori la bocca, cioè uno nel settembre e l'al-
tro neir ottobre. Ma in fronte al suo specchio di
osservazioni si legge, che gli scandagli da lei pre-
sentali sono stati fatti nei giorni che il mare lo per-
metteva. Or bene, se la cosa è così ne segue, che
negli altri giorni, meno gli otto da lei usati per gli
scandagli, il mare era agitato e cattivo: e posto ciò,
bisognerebbe ammettere o che non avessero potuto
38 Scienze
entrar legni, mentre sappiamo che in fatto ne sono
entrati *
simo stato, quanto perchè costituiva i moli egual-
mente sporgenti; lo che era viziosissimo come si espri-
me il sullodato consiglio d'arte.
Resta ora a vedere cosa si deve pretendere da-
gli altri venti metri di protrazione ridotta come era
la foce.
Si trovava adunque viziosissima la costituzione
dei moli nel luglio 1845, ed era viziosissima non solo
Lavori a Fiumicino 41
per lo stato di protrazione de' moli , ma benanche
perchè lo sbocco era diretto alla traversìa, ossia ai
venti infesti, e perchè esso era divergente relativa-
mente al canale interno. Difetti cardinali tuttora esi-
stenti , di cui ho diffusamente parlato nel capitolo
suddetto.
La protrazione de'venti metri, ordinata in luglio
1845, fu compita non prima del maggio 1S46 ira
seguito di una disposizione pressante del consiglio
d'arte data il 21 aprile 1846 nura. 566. Quindi la
spiaggia, che già trovavasi a collo alla protrazione
O T A
\A) Su i primi dello scorso luglio l'armatura della suddetta pro-
trazione, stabilita in 30 metri pel braccio sinistro detto di levante,
era al suo termine : mancava la riempitura. 11 giorno lo del detto
mese i piloti si avvidero che dentro il canale, presso la intestatu-
ra della nuova protrazione colla vecchia, frangeva della maretta. Ue-
catisi colà a scandagliare, vi trovarono un interrimento di cinque
palmi di fondo, ove prima ve n' erano 18: e questo interrimento
di giorno in giorno andò crescendo. 11 28 dello stesso mese questo
banco era fuori di acqua, e con prontezza aumentò ancora fino ad
avere mia lunghezza di 60 metri: la cui metà era 35 metri distante
dal guardiano protratto; sporgeva in larghezza metri 8, ed era ele-
vato fuori d'acqua circa 30 centimetri sopra il pelo dell'alta marea
nel lato aderente alla palafitta, scendendo con dolce declivio a zero
nel livello dell'acqua, e da questo punto rapidamente discendeva nel
fondo con base clie sbarrava circa la metà di tutta la larghezza del
«anale.
Mentre si andava formando l'alluvione o questodosso, l'idro-
metro di Ripetta si mantenne prossimamente nello stato poco su-
periore alla magra ordinaria, cioè in una media di mei: 6, 02; ed
il vento soffiò dolcemente nelle direzioni proprie di quella bella
stagione, chiamato girasole dai navigatori delle nostre coste. Temen-
dosi perfino che il canale di Fiumicino venisse chiuso interamente,
si fece premura perche al più presto fosse riempita questa nuova
palizzata che in gran parte di già lo era per l'arena entratavi; non
si tardò a farlo, e di mano in mano che aumentava la riempitura ,
diminuiva 1' alluvione: il perchè ai primi di settembre compita la
lavorazione, senza che né il fiume né il mare si fossero mossi dal
suddetto loro stato ordinario, tornò il canale qual era prima.
Alcuni assicurano di aver veduto altra volta un simile incon-
veniente: che anzi in allora giunse a ridurre il canale interno presso
lo sbocco con tre o quattro palmi soltanto di fondo; il che ci pro-
verebbe che la prolungazione maggiore della punta dalla parte de-
stra, detta di ponente, potrebbe essere anche causa che si chiudesse
quasi interamente la bocca di Fiumicino.
Lavori a Fiumicino 49
Da questi fatti , e specialmente da quellp di cui ho trac-
ciato la storia, è facile scorgere la .provenienza di detta, grande
ammasso di arna formatosi in sì poco tempo dentro il canale di
Fiumicino, e la necessità di opporre da, quel lato un valido ripa.v
ro; poiché non si può negare che tale arena provenisse dalla sini-
stra, «ioè dalla iìumara grandi;; che ivi sia stata recata dal corso
radente animalo dai venti da levante a libeccio che soffiarono gior-
nalmente per un numero più grande di ore di quello degli altri venti;
e che il solo rimedio sia il prolungamento maggiore dalla parte di
levante, che <.la quella tU ponente, di palafitle a più file e ben col-
mate nell'interno.
I pratici tutti con fondamento di una incontrastabile espe-
rienza xtmmeltono la provenienza delle arene dalla parte della fiu-
mara grande, ed iisseriscono e confermano di più , che quando il
buon tempo si prolunga molti giorni , s' innalza maggiormente lo
scanno o prano presso la foce dalla parte sinistra, e che in q^uesto
caso la fossa si approfonda, e quindi il canale di navigazione miglio-
ra: ma al primo sconvolgimento deJ mare, alla prima tempesta , il
canale subito peggiora.
Questo fatto, che io stesso ho più volte verificato, viene sem-
pre più in appoggio del Brighenti, in conferma del mio assunto ,
ed a condannare l'opinione dei pratici reclamanti. E di vero l'in-
nalzamento dello scanno è l'effetto de'nuovi strati d'arena ivi de-
positati dalla corrente generale del litloraie , che da scirocco porta
a maestro, come ho dimostrato^ e come tutti convengono. L' anzidet-
ta corrente , incontrando per via le sospese torbe della fiumara di
Ostia , ha forza per trasportarle : ma non avendone abbastanza da
fare oltrepassare lo scanno alle dette arene convogliate, per l'intop-
po che la corrente di Fiumicino e lo scanno stesso loro presenta, è
obbligata a depositarle in gran parte sullo scanno medesimo. Que-
sto effetto ripetuto per più giorni innalza talmente lo scanno , che
facendo questo V ufficio di una diga sommersa , sempre più ritiene
le arene ed aumenta in altezza. Ora la corrente del fiume appoggia-
ta , ristretta e difesa da quella parte , scava la fossa e migliora il
canale di navigazione. Al sopraggiungere della tempesta si rompe la
diga, si sconvolge il recente e poco resistente lavoro della natura,
le arene invadono la fossa, la corrente dei fiume presa di fronte hi
sparpaglia, perde la sua forza escavatrice, ed il canale di navigazio-
ne peggiora.
G.A.T.CXVI. 4
^è Scienza
'^^'^'BTa di grazia quel rialzamento dello scanno , quella specie di
diga, queir ostacolo iniìne, che cosa è? Non è dessa un imperfetto
prolungan^ento del molo sinistro? Con ciò la natura ad evidenza ci
piostra che cos^ dohbiamo fare; essa stessa ci chiama in suo soccorso
per difendere il suo fragile lavoro della furia delle onde ; è dessa
che vuole, che si prolunghi la punta o guardiano da questa parte ,
acciò il capale navigabile non pegggiori quovainente al ritorno del
nemico.
Sopra queste infallibili leggi , sopra questi chiarissimi fatti ,
che confermano quanto nel testo ho riportato , è dunque basata la
semplicissima questione, cioè se Tuna o l'altra delle due punte deb-
ba essere più prolungata io mare.
Ebbene, vi è bisognato niente meno che tutta l'autorità di un
Brighenti per correggere questo sacrilegio d'arte; ma non è stata
sufficiente, mentre ancora vi soifo de'contrari ad una verità tanto
manifesta.
Si
E^mTTMWkATUUA
Ragionamento del p. Antonio da Rignano intorno il
Cristoforo Colombo di X. Costa ; recitatane parte
in Roma nella tornata del di 21 di agosto 1848
nelV accadem>ia tiberina.
.... Arrivato il Colombo ....
Fiammeggiò più sereno il sole istes8o . >
Quando a fraterno amplesso
Stese Europa ad America le braccia;
E sui cupi dei mar gorghi profondi
Allora in fronte si baciar due mondi.
Celesta, Cristoforo colombo.
Milano, 1843.
dnus erat mundus: duo sint, ait ipse ; fuere.
Gagliufji.
Uno era il mondo : e', duo sien, disse: e furo.
Traduzione dell'egregio mons. Muzzarelli.
Scosse ai portenti di sì belle imprese
Posar vedrai qui molte intrepid'alme;
Qui surgeran del tuo spirito accese
A nuove palme.
Panciera di Schio, al sepolcro di c.
Genova 1846.
Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo
Lontane sì le fortunate antenne,
Che appena seguirà con gli occhi il volo
La fama, ch'ha mille occhi e mille penne.
Canti ella Alcide e Pacco; e di te solo
Basti a'posteri tuoi ch'alquanto accenne :
Che quel poco darà lunga memoria
Di poema degnissima e d'istoria.
Tasso, Gerus. lib. e. ib »t. 32.
52 Letteratura
1^ facile il pensiero, e viemmi in acconcio d' in-'
cominciare questo mio discorso con tal concetto, che
è in sostanza il principal divisamento, a cui mira il
Cristoforo Colombo, del quale or tolgo, quant' io so
e posso, ad esporre dinanzi a voi, illustri accade-
mici , gì' intendimenti , la tessitura ed il valore. Il
pensiero è che sopra tutt'i vantaggi, i quali arrecò
ad umanità con la sua sublime scoperta del nuovo
mondo il Colombo, vuoisi specialmente considerare
il maggiore, che è come la cagione o la fecondità
di tutti; cioè quello, ond'ei si propose ed ottenne di
portare la divina salute del Cristo delle genti a quei
... miseri fratei non perdonati
Dell'antica malizia . • ?
\ quali nelle opposte parti del mondo, che scoperse,
da tanti secoli si giacevano non che a tutto il mon-
do civile ed alla chiesa di Cristo, nja sino a se me-
desimi sconosciuti, E ben si può dire che recando
nuova vita a quei meschini, fece eziandio di quella
tanta parte della terra dono all'umanità, al vecchio
inondo : più ad europa : massimamente alla chiesa,
Che l'umana famiglia acquistò, o, direm più vero,
trovò fratelli , che erano cotanto straniati non che
dalla comunanza, ma dall'indole -di umanità; non uo-
mini veri, sì animali veramente insensati ; selvaggi
viventi ed erranti a rao' di bestie, in regioni bellis-
sime non allegrate dagli splendori dell'intelligenza,
Il Colombo del Costa 53
non consoKite dalle armonie e dalle beatitudini della
civiltà e della religione. E '1 vecchio mondo, dianzi
sì angusto e quasi misero, certo rispettivo e come
spaventato al cospetto delle colonne d'Ercole e dell'
ultima Tule^ allargò di subito i suoi confini, e con
essi alzò i concetti e le speranze, e si accrebbe le
grandezze ed i tesori; dischiusa l'infinità dell'Oceano
all'ardire delle imprese, ed alle ansietà degli umani
affetti: e l'Europa più che altra regione della terrai
n'è sì lieta, sì potente e magnifica: e 'I divin gregge
di Cristo ampliò il suo ovile , più veramente che
non innanzi^ dall'orto all'occaso, dall' uno all' altro
confine dell'orbe terraqueo; la chiesa in effetto chia-
rita universale , superati i ricinti di Europa , dell'
Affrica e dell'Asia. Certamente (e chi innalzerà il
velo, onde si avvolge il mistero de'divini giudizi ?)
per innumerabili secoli quelle terrei e quei mari e
quelle isole , travolte nelle tenebre dell' ignoranza ,
segregate dal civil mondo, quasi non mondo di uma-
nità, non figli del comun padre Adamo, non regno
di redenzione, non capaci di umano consorzio, non
destinati alle grandezze ed alle soavità della civile
comunanza dell'uman genere; non sentirono e non
videro, e, senza un Colombo che fosse la lor colom-
ba noetica, non sentirebbero ancora e non vedreb-
bero la benefica e splendida luce del cristianesimo
e della civiltà. Il Colombo salvò quelle genti mi-
sere: pel Colombo quelle genti cominciarono ancora
esse il lor movimento di vita civile : pel Colombo
l'azione della civiltà principiò propagarsi liberamen-
te, rapidamente ed universalmente per tutta la ter-
ra: da lui gli auspici della universale unità e fra-
SA Letteratura
tellauza deiruiuaiia famiglia; cresciuta ove era, in-
sinuatasi ove non ardeva e si rimaneva come scin-
tilla nella selce, la potenza del progressivo svolgi-
mento dell'umanità. Imperocché la civiltà, o signori,
(non è mai abbastanza che si ripeta e dichiari un
tanto vero ! ) sì come per moti di scambievoli azio-
ni simpatiche degli umani affetti (tale è l'indole di
vimanità), non si svolge e non rampolla dagli ani-
mi, dentro da' quali n' è riposto il germe, se non
allo scontro, e vuol dire allo scambievole vedersi ed
intendersi e toccarsi degli uomini. I quali, soli, son
sempre animali salvalichi; in unione ed usanza fra
loro, l'uno all'altro si porgono incitamento, inspira-
zione ed informazione ad intelligenza e ad amore:
e però chi gli uomini disunisce promove la barba-
rie; chi li disgrega, e l'un dall'altro separa ed al-
lontana, sospinge l'umanità allo stato , alla miseria,
allo spaventevole dicadiniento del suo essere nobi-
lissimo; che quindi si travolge nel primitivo guscio,
d'onde è suo destinato che si sviluppi per rappre-
sentare su la terra la potenza del pensiero, l'armo-
nia dell'ambre, la grandezza e la bellezza della im-
magine di Dio. Che se l'individuo è chiuso ne'sacri
ricinti della famiglia , 1' armonia e le scambievoli
amorose corrispondenze delle famiglie compongono-
in mirabili «nità morali le grandi famiglie degli
stati: i quali per simil modo, per condizioni (po-
ste da natura inviolabili) di terre, di monti e di marìf
ristretti in certi confini , ed allargandosi e giugnen-.
dosi tutti r uno all' altro , come vuol necessità od
utilità pubblica , con mutue relazioni e comunica-
zioni di grande società, raccolgo nsi in fìne tutti ia
Il Colombo del Costa ,55
Urja ^ola ed immensa famìglia , qual' è la solenne
famiglia di tutto Tuman genere, avveratasi l'univer-
sale fratellanza di tutti gli uomini. Ed a questa ine-
narrabile felicità dell'isimano genere a punto si operò,
e, come per un apostolato de'più stupendi che vi»
dersi compiere nel mondo , lei augurò primo , ed
in gran parte felicemente e maravigliosamente ef-
fettuò , Cristoforo Colombo : imperocché ( se altro
non fosse ) l'apostolato della parola e della fede di
Cristo , che ancor si fruttifero continua in quelle
regioni, e s\ il progresso della civiltà ivi e da per
tutto in se stessa crescente e per sua medesima vir-
tù diffondentesi e propagantesi, a che mai riuscireb-
bero , se , chiuse ed insuperabili le sue porte , un
mezzo mondo si giacesse nelle dense sue tenebre ,
a rischiarare le quali, tanto più impenetrabili quan-
to ignote, neppur cadevane in pensiero il generoso
desiderio nel mondo illuminato? E tale impresa ed
apostolato del Colombo descrive e canta Lorenzo
Costa; sì a laude di un tanto eroe, che per istudio,
e non a caso operò tal prodigio, ma sì ad un tem-
po a conforto degl'italiani (e n'hanno, e n'avranno
lungamente bisogno), che, ad esempio di tanto ardi-
mento d'un'anima italiana, anch'essi, viva Dio, ù,
sveglino ad operar cose grandi.
Quest*uomo tanto grande, quanto è famoso, il.
quale empie del suo nome e della sua gloria (4),
non una provincia, non un regno né una nazione^
e non una parte, ma 1' uno e l' altro emisfero 4<&l
'56 Letteratura
globo che abitiamo, bene è gloria somma di Ge-
nova altera, in cui par certo che nascesse ; bene è
singoiar vanto d'Italia, che sì giustamente in sé stes-
sa se ne esalta; bene è grandezza di tutta Europa,
da'cui porti mosse e giunse portatore di nuovi de-
stini agli antipodi: ma dico il vero, che più d'assai
che le materiali estensioni del mondo; della fama e
del nome e del solenne beneficio ed ardimento del
medesimo;, vuole empirsi e si empie, e vuole cele-
brarsi e si celebra l'ideale immensità delle beatitu-
dini dell'uman genere e de'progressi e de'eonquisti
e delle manifestazioni del Cristo di tutte le genti:
che a tali immensità a punto aprì il guado la stu-
penda impresa del Colombo. E dissi testé ardimen-
to : imperocché , quantunque ei sorgesse in mezzo»
agli uomini in tempi che per moti di lettere e d'im-
prese i semi del nuovo avvetiire di umanità comin-
ciavano potentemente a' svolgersi-, ed ogni dV più (gli
uomini l'uno all'altro accostantisi ) procedeva uma-
nità a collegarsi in unità di una sola famiglia, un
gregge solo Tu man genere, un solo ovile la chiesa,
un solo vincolo di fraterna concordia la civiltà san-
tificata dalla carità; pure ancora sì poco eransi i
popoli a quei dì allargati fuori e lungi de'natlvi lor
covili, che a mala pena principiavano Tun l'altro
conoscersi sin quelli, che pur di fama almeno eran
noti; tutti già ristretti, ed anco mal noti, dentro da'
confini ancor essi mal diffiniti, e non ben conosciuti
del veéiihio mondo: Ondechè sì largo campo di mari
e di altri continenti, e di isole, rimaneva non che
a percorrere^ ma a sapersi che esistessero, oltre ib
Catài j 'e le isfolè del mar etiopico , ultimo ardire
Il Colombo del Costa 57
del marittimo coraggio de' portoghesi. Chiudevano
i mari del nord (di ponente) le colonne d' Ercole,
l'Islanda, la Groenlandia, l'Estotiland, la Vinlandìa;
nomi a'navigatori più temuti che noti , argomento
di ammirazione in uno e di favole e di paure. Ma
veruno si osava di credere alla esistenza di un al-
tro mondo al di sotto (di antipodi) al vecchio mon-
do; antipodi maladetli, e sino come quasi -^ scomu-
nicati; impossibili a pur concepire, quando la terra
tenevasi essere una grande estensione anzi piana
che sferica; lonlanissiaii le millanta miglia tutti gli
uomini dal (non che altro) suspicarla sferoidale, e
tutta come cinta di mari, così sparsa d' isole e di
continenti, abitata da uomini nostri fratelli. Il più
grande de' pensieri e degli sforzi dell' ardir delle
imprese di quel tempo, era, che per mercar spe-
cicrk . come parla il celebre Toscanelli (consultato
dal re di Portogallo, e quindi anche dal nostro Co-
lombo) , si chiedeva d' ire alle Indie per via me»
lunga di quella che era lunghissima pe'mari dell'Af-
frica in levante. E nonché la scoperta degli antipo-
di, ma ire alle Indie a mercar s[)ezierie pe' mari Ai
ponente, pel grande Oceano, per l'Atlantico, era
Sogno d'infermo e fola da romanzo (2).
Ora il Colombo in mezzo a quegli ardiri, hi
quel tanto commovimento degli animi , in quelle
questioni di alto aft'are marittimo, vero Galileo, vera
Newton della scienza della navigazione , grande e
sòjetìne d'intelletto, d'animo capace della immensità
de'mari che circondano la terra, là ove altri vedeva
ss Letteratcra
limiti insuperabili della superficie del globo, o inorai
ridiva paure e spaventevoli abissi dell' Oceano , ei
vedeva o indovinava isole e terre e tesori di natura
nuovi; ed uomini nostri fratelli disgregati dal con-
sorzio del civil mondo, al quale si per natura ap-
partenevano , e sì per redenzione civile e religiosa
eran da aggiugnere e guadagnare. Insin da fanciulla
(sì fatto era da natura) è fama (e tal il dipinge i{
nostro poeta) che l'impeto forte e come prepotente
delle inclinazioni e delle inspirazioni del suo spirito,
spesso spingevagli e lanciava in colali o simiglianti
strane e nuove lontananze i sentiti ed ancora mal noti
desideri. Onde in fin da prima il mestiero del navi-
gare non è per lui che l'arte e lo studio di tentare
le forze, le vicende, le direzioni, i nuovi regni del
mare: e'I genio, che il menava, già una volta il con-
dusse verso ponente, fin oltre 1' Islanda; che a quei
nuovi pericoli sospingevalo l'inspirazione del nuova
ardire. E si afforzava dì e notte ogni dì più , di
meditazioni^ e di studi (3). Udiva gli ammaestramenti
del fratel suo Bartolomeo , a quei dì cosmografo
eccellente; rapiva le memorie del suocero Perestrello,
arditissimo de'portoghesi navigatori; ficcava e volge-
va l'occhio nelle carte ed attorno i globi geografici;
faceva tesoro de'racconti e degli esperimenti di que-
sto e di quello; poi guardava alla facile convessità
del mare; viaggiava col rapido pensiero; tentava co'
desideri le sue imprese ; segnava le esperienze, gli
errori, e le speranze; notava e in mille e cento modi
correggeva e addirizzava nella carta le vie dell'Oceano;
interrogava in secreto il suo animo, le tradizioni, gli
oracoli, le sospizioni degli antichi; delle favole rideva;
Il Colombo del Costa 59
(Ielle paure e de'mostri marittimi e degli abissi del-
l'Atlantico non si spaventava; Vorbeni terrarum^ che
pur dicono le stesse divine scritture, non isfuggiva
di considerare: e, quali che e'fossero, pigliati i con-
forti dell'italiano Toscanelli (4) astronomo rinoma-
tissimo, vinto lo spavento di essere, non riuscendo,
raumiliato e come infamato quasi vano avventuriere
(5) i affidato del suo presentimento che V alta idea
non fallirebbe alla gloriosa meta; dopo tanti studi e
tante cure e tanti marittimi saggi , d' altrui nuovi
ed arrischiati e notissimi, e suoi propri nuovissimi
ed arrischiatissimi; si risolve del pensiero che alto
e continuo lo premeva; ond'eccolo sicuro navigare
con tutta la potenza del suo genio il grande Ocea-
no, infino agli antipodi che indovina, anzi vede e
lien per certissimi, divinatore del nuovo mondo. Le
quali conclusioni del suo mirabile speculare non'
sogni di farnetico senza intelletto, non ambizioni di
animo vano senza carità dell'uman genere, ma era-
no inspirazioni del suo genio che sentiva la verità
innanzi la dimostrazione, e si apriva ed allargava
con gli affetti a beneficare e ad abbracciare fratelli
che e' non conosceva, e de'quali par udisse in fon-
do del suo cuore i dolorosi gemiti, onde implora-
vano il lume della civiltà e le consolazioni della fede
di Cristo. Le quali rivelazioni a soli i supremi geni
si aprono: e'I Colombo fu de'grandissimi; tanto più
sopra tutti grande e solenne, che e' solo a quei dì
al mondo, contro alla ignoranza superstiziosa de'sa-
pienti del suo tempo e contro alla orgogliosa igna-
via de'potenti, e concepì e tenne l'indomabile ardire
di lanciarsi attraverso ignoti mari, guidato dal sola
60 Letteratura
pensiero e dal corag^gio della sua idea, ad un iftòn-»
do che e' non sapeva di sicuro, e solo indovinava,
o piuttosto immaginava, ma certo chiarissimo vede-
va nella immensità del suo concetto. Ma a vremrae-'
glio conoscere l'economia degli ordini della provvi-
denza nello svolgere l'intelligenza e le sorti dell'uma-
nità, vorremo da ultimo qui avvertire che per animo
singolarmente grande che sortisse il Colombo, non
sì venne però alla vita, e non talmente augurò il
solenne e nuovo avvenire di tutta la famiglia del-^
l'uman genere, che innanzi a lui studi, ed uomini,
e preparamenti non fossero, onde si alto quindi spic-
casse il volo per le vie della speculazione il suo rara
intelletto. I rapsodi in Grecia produssero Omero: i
cento giullari e poetellr provenzali ed italiani del-
Tundecimo e duodecimo secolo, precessori di Dante,
ci condizionarono ad avere, o piuttosto ci annun-
ziarono la venuta, cioè l' apparizione di quest'astro
miracoloso della nuova letteratura, nonché d'Italia,
ma di Europa: la smania e'I progresso del filosofare
del decimosesto secolo ci fecer lieti e sì ricchi dei
Galilei e dei Newton: e sì il volgo de'navigatori mas-
simamente portoghesi ; e gli studi di Marco Polc
italiano ; e le ansietà di quel tempo di portar oltre
in nuovi mari le vele ; e' I dado gittato del gran
giuoco degl'intelletti a trovar nuove vie alle Indie,
senza neppur pensare a scoperta di un nuovo mon-
do; ci condussero alla gloria del Colombo, che, po-
sto quel problema, oltre ogni espettazione più am-
piamente che non altri si divisava , lo prosciolse ^
indovinando e scoprendo un nuovo mondo.
Jl COLO.^IBO DEL CoSTA 61
IH.
Or poste e chiarite queste cose in su i generali,
a tutti certamente note, ma qui necessarie a ricor-
dare, per entrar nel raagislerio del poema che canta
questi ardiri di Cristoforo Colomho; potremo innanzi
tutto domandare: In prima, Lorenzo Costa, cantore
del Colombo, si è bene apposto in rispetto a'bisogni
ed a(jli amori d'Italia del suo tempo, prima del 1846,
quando tolse a scrivere tal poema, scegliendo mate-
ria alla sua poesia le imprese di un navigatore? Se-
condo : E soggetto eroico e da poema veramente
epico il Colombo? Terzo: Ha soddisfatto il Costa e
al debito di poeta civile verso la patria, e sì a quello
che la patria avea a soddisfare verso il Colombo, ed
alle necessisà infine e al decoro dell'arte poetica? E
da quel che diremo (s'io non m'inganno) si cono-
scerà ad evidenza, che il Costa ponendo mano all'
opera, infin dal principio , anzi dal concetto e da-
gli studi del suo lavoro, ottimamente e da se si sod-
disfece del st alle due or dianzi da noi premesse
interrogazioni ; e bene a tutte le parti della terza
corrispose nello eseguimento del poema, come si farà
manifesto dall'analisi critica che ne daremo nel pre^
sente discorso.
§. 1. Studi ed intendimenti del Costa.
Interviene soventemente di alcune poesie, anzi
ad ogni maniera di opere d'arti, tutto forbite e ap-
puntate ad ogni rigore di regole, che, a vedere, non
62 Letteratura
puoi non dirle perfette in quanto alla forma esteriore;
che di verun neo non trovi da accagionarle; e quasi
t'indurresti a chiamarle belle ; coneiossiachè- vilavl
denique culpam: par che ad ogni cosa ti senti gri-
dar dall'autore. Ma ad aOisarle con tutta l'intenzione
degli occhi e dello intelletto, badando a quello che
non Tarte, ma dà l'ingegno e l'inspirazione, ti avvedi
che le sono anzi non deformi che belle, e se belle,
una bellezza non viva: contro a cui non hai forse da
apporre, ma non ti tocca, non ti scalda, non t'inna-
mora: dinanzi dalla quale sosti sì come dinanzi ad
un cadavero, ben composto delle membra, ma senj
z'anima. E peiò con tutto lo studio adoperatovi in-^
torno, a quell'autore, soddisfatto da una parte dell'
avere sfuggita ogni colpa , gli accade che la sua
opera non piaciuta a nessuno, od a pochissimi, non
frutti veruna consolazione di laude; onde gli è for-
za infin che se ne pianga: Non laudem merui. Or il
venosino , accennato a tale sconcio di opere non vi'
ziose, ma sì ad un tempo non lodate, si avvisò per
avventura d'insegnare quello che è sì vero, e di fre-
quente incontra agli uomini di avvertire, che non è
laude se non dalla perfezione; la quale non è, ove
manca la sostanziai forma della verità e della vita che
spiri spontanea, pronta, vivace, chiarissima da ogni
punto e sin dalle ombre, dal colore e dalla moven-
za della esterior forma. E per ciò conseguire, a fin
che gl'ingegni non vagassero smarriti nell'ampiezza
della tanta e tanto fuggevole e dilicata e poco men
che impercettibile varietà e verità della natura ; la
qual sola vuoisi togliere ed è a sommo tipo d'ogni
verità e bellezza nelle opere dell'arte ; quel leggida-
Il Colombo del Costa 63
tore della poesia proponeva senza più a' roonani :
Vos exeniplaria graeca nocturna versate manu^ ver-
sate diurna-, i quali sì al vero della natura si avvi-
cinarono; del quale si rinaasero in opere d'arte tipi,
quanto forse la natura, inarrivabili, ma, come fat-
ture d'uomo, all'umano ingegno più accostevoli.
E sì il Costa, togliendo a tessere e colorire la
sua tela poetica, la qual figurasse agl'italiani in vol-
gare eloquio un fatto italiano , dichiaratamente ci
dice che ebbe dinanzi da'suoi occhi, sì in prima il
final proposito di eccitare gl'italiani all'ardire delle
grandi ijmprese con l'esempio d'un fatto « dove alle
» glorie casalinghe e speciali si accoppiasse l'impor-
» tanza d'avvenimenti gloriosi a tutto il genere uma-
» no » : ma sì ancora intendendo « che la sostanza
» dell'opera e gli stessi particolari, in cui l' ufficio
») dell'arte si manifesta, ritraessero dalla castità degli
» scrittori, che l'antica Roma illustrarono (6) ». I
quali se furono a'greci inferiori come discepoli, ben,
imitando quelli, si meritarono di venire anch' essi,
come quelli, da'Ior nipoti imitati: recenti, ma egregi
modelli, a noi più vicini e forse più propri; lor fi-
gliuoli che siamo ed eredi, non pur nella forma del
dire (7), ma ancor più per avventura dell'essere, e
nella gloria del nome. E ciò vuoisi intendere in quan-
to almeno per mutar tanto di stagione e di vicende
non ci disformammo dal tipo di tal progenie latina;
«cherniti (pur troppo !), come da quella tralignanti,
dagli stranieri; e sovente anche da' nostri ; a' quali
nondimeno a quando a quando egregi fatti rispose-
ro, ed ora ( benché forse infelici ) recentissimi ris-
pondono che, al dire del Petrarca: « L'antico valore
64 Letteratura
negVitalici petti non è ancor morto )». Ed a quella
forma e a quel vigore ci richiamano i savi ; ed a
quella energia par che ritornino le generazioni. Ed
innanzi che a tal vitale potenza si riscotesse il no-
stro bel paese, uomini erano, i quali forraavansi in
lor silenzio a quel tipo antico, educando e nudrendo
con generosi studi la nativa tempera, pelasgica, od
italogreca, ajl dir del Gioberti; uomini del passato e
del tempo avvenire (8): nel numero de'quali sì per
lo torte animo e si per la solennità de' forti studi,
io non dubito, signori accademici, di contare fra i
primi, certamente non ultimo, Lorenzo Costa, ligure
poeta. Imperocché a punto un sentir forte e digni-
toso, un andar grave ed altero, ed alcuna volta sde-
gnoso anche e quasi fiero, un parlar tondo e ma-
gniloquente e, quando accade , dolce ed amoroso,
ma non sempre facile, non mai femminile, sì piut-
tosto arduo e profondo, quale si acconciò sì mira-
bilmente alla romana toga ; se il corto veder mio
non m'inganna; io posso ben dire di ammirare nel
poema del ligure illustre. Io certo sì l'ammiro. Anzi
qui voglio saper grado pubblicamente all'egregio e
diligente ricercatore di occulti veri nel nostro gran
Dante; voglio dire al P. Ponta, onore della congre-
gazion somasca, il quale priino diertimi amorevole
invito e stimolo, eh' io volessi (come già egh nel
Dante) ricercare e disascondere le intime bellezze
del Cristoforo Colombo. Perciocché veramente, guar-
dando bene addentro in tale opera d' ingegno , in
tutte sue parti per minuto e nella composizione ed
armonia e forma interna ed estrinseca del tutto, in*-
tendimento e condotta, colori e sostanza, opportu-
Il Colombo del Costa 65
nità del final concetto dell' autore, ed eseguimento
dell'opera; non posso a men di dire che mi sortì ca-
(ylone di piacer non comune. E tornandovi sopra do-
po lungo intervallo di tempo, ed udito anche intor-
no a tal poema alcun giudici© sì autorevole ma per
alcune sue parti sinistro, confesso il vero che né il
t<3mpo mutato, né le preoccupazioni di tal voce po-
tettero impedire che eguale ed anzi maggior diletto
non mi arrecasse all'animo la lettura e, dirò meglio,
la contemplazione e lo studio ch'io vi posi per ge-
losia del vero. E dissi adunque, in quanto a me: Que-
sta è tal poesia,
ludicis argutum, quae non formidat acumen.
Haec placuit semel: haec decies repetita iuvabit.
Non essendo lontano né pur io dall' asserire, come
altri del C. Colombo asserì dottamente in lungo e
sottile Comenlo'^ tali versi e tal poesia del Costa tanto
riuscire e riuscirà in piacere a'veri amatori dell'alta
poesia, quanto più si legga e si mediti; e più forse
che a' presenti sia poema che grandemente gusterà
a' futuri (9).
Già da molt'anni volgeva il Costa in sua men-
te il generoso proposito di eccitare con nobili esem-
pi a magnanimo sentire gl'italiani. Gli parve ed era
magnifica l'immagine d'un Andrea Boria, tanta glo-
ria d'Italia; e vi applicò l'animo, avvisandosi dipin-
gerne le gesta con l'armonia de'versi latini; tanto si-
miglìante che fu quegli di opere e di tempera agli
antichi eroi del campidoglio. Ma egli italiano volea
scrivere per italiani, pe'molti, non pe'pochi: e scelse
G.A.T.CXVI. 5
66 Letteratura
più ampia tela poetica di comune e facile inteIlel->
lo: e benché di alto proposito per forza d'animo a
tal fine necessaria , pur in documento di prudenza
e di sapienza, a qualunque gran fatto opportune e
convenevoli: adoperativi colori, dirò così, popolari in
linguaggio che tutti intendessero, e per eroe a tutti
Venerando e notissimo, in impresa che tutta com-r
prendesse l'umana famiglia, e gl'interessi dell'uma-
nità , e quelli del cristianesimo. Il Costa si trava-^
gliava affannato intorno a tale immenso lavoro (che
consacrava al bene d'Italia), quando ogni verso per
avventura, ogni immagine, a cagione della tristi-
zia de'tempi, costava'jii un sospiro, una lagrima, ed
un pericolo! Se non che alcuno qui domanderà: A
che nuove poesie ? E veramente se noi consideria-
mo ì versi come ornamenti e gioie o nenie delle
accademie: Versus inopes rerum^ nugaeque canorae:
(e tali in un fascio , troppo ingratamente, io credo,
altri sentenziò che fossero!); con ragione la poesia
vorrebbesi bandire da ogni ben ordinata repubblica,
la quale non canonizzi i beati ozi, ma solo attenda
a' gravi fatti della civile sapienza: ed assai meno op-^
portuno accaderebbe il poetare in tempi di maggior
uopo, se ciò non fosse per isfogameuto di pianto :
né da tal parere è da credere al tutto alieno quel \
divino Platone clie la trattazione delle pubbliche e
sociali faccende non volea turbata dal canto de'poeti.
E certo ove è d'uopo d'azione, é importuno il par-
lare, e'I parlare, si in prosa e si in verso*, se ciò
non fosse ne' gravi e legittimi consigli : si che ben
disse testé alcuno d«' fatti nostri « Meno oratori, e
più soldati » ; ed è ancora oggidi solenne quel detto
Il Colombo* del Costa 67
antico: Dum Romae consulitur^ Saguntum expugnatur.
Ma lutto ciò non ostante , senza dire che Omero
poetando, nel suo Achille ed in tutl'i suoi eroi, non
porse disutile tipo degli uomini e casi di (Vuerrà a'
valorosi greci; e'I magno Alessandro si recava seco
sin ne'campi di guerra quel poema indivisibile mae-
stro e compagno; né meno alla prudenza della vita
privata giovò con l'Odissea quel « signor deWaltis-
simo canto » : e lasciato stare che nella infanzia e
nell'adolescenza della umanità ogni civile non che
religioso insegnamento ed inspirazion di coraggio
si chiudeva nelle armonìe della poesìa .... dirò
solamente che in men rimoti tempi eran gran, parte
eziandio delle imprese di guerra , per eccitarle e
condurle , i non antichissimi bardi. Ond' io son di
concludere che la poesìa, armonìa delle immagini
del pensiero, espressione de' popolari affetti, mani-
festazione in veste vaga e sensibile de' grandi veri ci
de'beni che meglio importino all'umanità, non vuoléi
scompagnarsi né abbonire: anzi, com'è sua indole
generosa ed alto suo destinato, vuole aggiungersi così
alle più nobili inspirazioni dell' intelligenza , i cui
oracoli deve divulgare, come a'più santi affetti di
religione e di patria, che deve accendere e nudrire.
Alla quale incombenza civile, che ha a compiere nei
mondo la poesìa , guardò a punto Lorenzo Costa ,
quando applicò l' animo ed intese tutt' i nervi del
suo robusto ingegno a ricordare agl'italiani con l'im-
luagine e l'esempio di C. Colombo di quali imprese
e di quanto nobile ardire, e con quali arti di ma-
gnanima prudenza, e con qual ricchezza di studia-
te speculazioni, ove voglia, sia capace il genio ita*
68 Letteratura
liano: cui pertanto a sua naturai grandezza e virtù (
intendeva ad eccitare ne'giorni dell'alto sonno, che
vilmente da tanti secoli si dormiva questa vecchia ocio^
sa e lerUa^ come con figliale e generosa rampogna
chiamò e riscoteva a' suoi dì Italia il cigno di
Valchiusa,
§, 2. Poesia della vita e delV impresa del Colombo.
Sarà dunque un Colombo degno argomento di
alta poesìa? Di poesìe liriche si porse degno obbiet-
to a tanti; testé a quel nobile ingegno del Celesia ,
che qui vogliam nominato per cagion di onore. Né
fia mai che un volatore per su l' ampia ed infinita
estension dell'Oceano abbia da invidiare a' giocato-
ri olimpici il suo Pindaro. Ma in quanto all'épopeia
mi ricorderò della storia che diventò un mito , e si
porse subbietto ad ogni maniera di epici canti; vo"
glio dire la famosa , ma pur sì tenue spedizione
degli argonauti alla conquista del vello d' oro in
Coleo. Certo più ampio, nuovo, immenso, e terri-
bil mare fu quello che tentò primo il Colombo. E
veramente la navigazione del Colombo non conqui-
sto di poche terre ambite, non commerci di studia-
te usure, non possanza ed ampliamenti di stati, non
fortuna di agiatézze, non glorie vane e dannose; ma
ebbe in mira ed in effetto aggiunse lo scopo di am-
pliare il regno della scienza, di armonizzare gli af-
fetti scambievoli di tutte le razze dell'umana proge-
nie, di rendere all'umanità e al suo Cristo salvatore
tanta parte de' figliuoli di Adamo che n' erano sì
straniati, ,e di svolgere in somma e moltiplicare in
Il Colombo del Costa 69
tutta la ferra, con apostolato novissimo e straordina-
rio., la civiltà e la religione della croce (10). Poi
di vero la civiltà di Europa vi recò nuove miserie;
ma i semi del vero, che si sparsero ivi^ non peri-
rono; e gli oppressori di quei nuovi fratelli dalla
civiltà contro lor voglia cresciuta vennero oppressi,
o piuttosto, come bruttissima schiuma, da quei nuo-
vi mari ributtati; sol glorioso e salvo in tanto nau-
fragio il nome del cristiano Giasone, che non mor-
rà mai^ anzi infinattantoché il mondo non si dissolve
sarà l'onore della grandezza dell'umanità, e 'l van-
to, senza invidia, de'due emisferi. Ma in che pro-
priamente sta la poesia di lai personaggio, e di tale
impresa ? Nella immensità, nella novità, nell'altezza
inarrivabile di tal concetto , che pur in mezzo ed
attraverso d'infinite difficoltà, vero fato insuperabi-
le per umana potenza , si mandò ad effetto contro
ogni aspettazione da tal uomo. Il quale sì piccola
creatura , ma tutto vita indomabile ^ cozza con la
povertà, con l'invidia, con l'ignoranza, con l'insop-
portabile tirannide della derisione degli sciocchi po-
tenti e fortunati del mondo; e vince sua idea, tra-
passando mari che e' non conosce, e i quali misura
e doma innanzi di conoscere; volando a piantare lo
stendardo della civiltà e della croce, il segno della
vita e della libertà , là dove la turba degl' idioti e
quella de' sapienti accennavano come a' regni della
morte. Ecco il carattere di tal uomo missionario del-
la Provvidenza: « Povero e sconosciuto gran tem-
)» pò; vagò per istrane regioni procacciando e li-
» mosinando la vita, non inteso dalla plebe, rifiu-
» tato da'signori, ludibrio de' savi e degl' idioti , e
70 Letteratura
» specdiio eli bontà e di costanza incredibile ». Oh !
sì, ia veruno mai forse tanto si avverò, essere una
idea vera sentita e passionata , che volgesi in un
grande intelletto, una potenza vera insuperabile : e
davvero divine forze son le idee ; quando sì come
verità empiono di luce gl'intelletti, che quindi s'in-
nalzano oltre gli usati termini delle comuni intelli-
genze; e sì come affetti, discese a commuovere ed
a scaldare i cuori, conducono l'uom che le possiede
a'miracoli dell'azione, a cui non è forza che resista,
non ostacolo che dinanzi non isvanisca. E tale idea;
e simile affetto brillava in mente, e ferveva in cuore
all'eroe de'due mondi: poesìa, alla quale altra non
fu, e non è, e non sarà mai che agguagli: degnis-
simo del più sublime poema che mai fosse , nel
quale non è tromba di guerra che introni gli orec-
chi, ma dev'essere armonia di vita e d'intelletto, di
civiltà e di religione, che, arbor grande e divino,
ampiamente copra tutta la terra. Ma il Costa colse
a sì alto segno ? Dittici le tornava al medesimo il
cogliere e stringere il principale e come a dire
fatai nodo della tela poetica che, sendo la storia del-
l'eroe a tutti notissima, egli disponea e dovea scio-
gliere, servendo in un medesimo ed alla verità trop-
po volgare della storia , ed al lavoro in cui cam-
peggiasse io splendore della immaginazione e della
poetica invenzione. L'animo del Colombo gli porse
la cognizione del gran nodo della favola; ed a tal
animo misteriosamente solenne tutte le fila e' vide
che si appuntano dell' ampio tessuto. Era tal forza
in queir animo, che alle resistenze tante delle vol-
gari superstizioni, delle imperfezioni della scienza ,
Il Colombo del Costa 71
e delTorgoglio infingardo delle corti, che mai non
crede all'ardire dei genio; sol potente della sUa idea
ìq contrasto come a dire con l'universo , un mare
immenso e spaventoso a cui abbandonarsi, un nuo-
vo mondo al vecchio già incredulo promettendo ,
l'umanità, la religione, e^ per possibili tesori a tro-
vare, sin il riscatto e'I conquisto proponendosi della
tomba di Cristo; oh ! tale idea, io dicea, tal propo-
sito ed animo, se alle sempre nuove difficoltà in cui
ad ogni ora si avveniva, come uomo, alcuno instan-
te sentivasi venir meno; quindi, quasi divino, ogno.
ra più s'accendeva ed ingagliardiva, che il pensier
suo si derivava da certa lai quale suprema rivela-
zione. E qui dunque , cioè sol quando pare che il
concetto e l'impresa si facciano e per semplice uma-
na potenza siano insuperabili , avvisatamente , ove
accade , il poeta introduce e adopera ^ a sciogliere
ogni nodo, la divina intervenzione; secondo il pre-
cetto oraziana: Nec Deus intersit^ nisi dignus vindice
nodus Incidefit. La quale non è per fermo sì fre-
quente come negli eroi di Omero , ma soccorre al
Colombo , uomo e non semideo , allora che virtù
umana d'intelligenza a concepire, o di coraggio ad
eseguire, non arriva l'altezza d'un pensiero più pro-
fetico che dimostratore, e non si adegua a diflicoltà
umanamente non superabile. Ma e in questi interve-
nimenti divini o per inspirazione dell'animo, o per
beneficio di visione, o per apparizione di fantasime
manifestati nel poema, viemmeglio si chiarisce l'ani-
mo altamente pio del Colombo , che è fatto degno
e s' innalza agli splendori delle supernali comuni-
cazioni; onde l'impresa e l'eroe pigliano eziandio di-
72 Letteratura
gnità e carattere di sacro. E sì vedianti chiaro che il
Colombo è da più che Achille, cui fatai decreto aìlon"
lanava, e fatai decreto infm conduceva alla fatai guer-
ra di Troia: da più che Ercole alle prese co'raostri
ch'era suo destinato di distruggere: da più che Enea,
che i fati trasportavano in lunga e travagliata peregri-
nazione di nuovi regni e mari, per fondar nuovo e
quasi eterno imperio nella terra dé'latini. Ecco qual
fu e qual veramente il Costa si pennelleggiò in sua
mente U Colombo. « E chi non maraviglerebbe (e'
« dice) ... considerando che un uomo di piccolo na-
» scimento, ed allevato tra le pastoie di mestieri mec-
» canici, per la propria energia si levasse in altezza
» SI portentosa da sovrastare come gigante al suo
.' secolo? Egli indovinò le avverse parti del mondo,
» non mari ciechi ed innavigabili, sì campi ameni,
» e visitali dal sole che li riempie di fertilità e di
n bellezza. Vide una diversa moltitudine vagolarvi
I) efferata, e non conoscente del Cristo, roa devota
)> alle false divinità con sacrificio di sangue. Gl'ina
» crebbe de'miseri fratelli travolti dalle prime ori-
» gini in tanta maledizione, e desiderio accesissimo
» lo divorò di salvarli. Chiese soccoi*so a' potenti ,
» si tragittò di terra in terra dietro quella forza
» divina che per ostacoli s' accresceva spandendo
» l'ali più superbe e più generose, e corse l'oceano
» sterminato, di là da'segni all'antico ardimento pre-
» fissi; né cattività di compagni, né verni atroci,
» né calme infedeli, né miracoli di natura impedi-
» rono che due mondi non rannodasse in corris-
» pondenza di religione, di commerci, e di civiltà ».
E sì, lui ministro, noi diremo che i decreti del eie-
Il Colombo del Costa 73
lo s'adempirono: sempre e da per tutto e' dicendo^
quel che il cuore gli parlava sì alto esser divino;
divino il pensiero; divina la sua missione : e di là
veramente venivagli « ove si puote ciò che si vuole »:
e però fermo in sua fede, vinse il proposito; ben-
ché SI duro ed incredibile, ma non mai disperato
infino alla terribile notte, a cui successe il più stu-
pendo e glorioso de'suoi giorni; giorno per tutt' i'
secoli futuri a tutto l' uman genere gloriosamente
memorando. E '1 poeta dipinse assai maestrevolmente
tanto animo, e le dilìicoltà tante che gli si attra-
versarono per terra e per mare , e nelle corti de*
principi, e presso le ciurme del suo naviglio, e in-
nanzi e nelle gioie e dopo la gloriosa scoperta del
nuovo mondo; figurandoci l'uomo anzi unico e di-
vino al mondo che raro ed umano : di cuore e dr
presenza, e saviezza, e di modi regalmente sublime:
e pur imitabile; sempre serena e nobilmente altero;
sempre impavido e prudente, benché talvolta dub-
bioso; ne'casi inopinati avveduto ; umano e digni-
toso e, accadendo, terribile, ma giusto e discreto co'
ribelli ed audaci; semplice, ma non men de'regi mae-
stoso dinanzi a're; sorridente, amenissimo, veramente
padre a'selvaggi; e in Dio confidente, alla fede di
Cristo nell'amore dell' umanità religioso, d' aspetto
sempre venerando e patriarcale. La qual sem^plice e
grande idea dell'eroe, concetto generatore massimo
del poema, il poeta quindi veste di squisita varietà,
pari al soggetto , limpida e sgombra d' impacci ,
raccogliendo e rannodando in armonica vmità di
pensiero e di forma quanti mai di tempo o di luo-
go o di persone e cose cotanto diverse, incontra di
74 Letteratura
ritrovare per via, e vede giugnersi accidenti che cìiant
lume e rilievo al massimo pensiero. E quindi ab-
bondano come le scene della narrazione, così i mo-
rali e politici documenti, onde dilettando si avvisa
di ammaestrare; Ma linai divisamento ^ a cui mira
la composizione del poema , è sì certo la scoperta
d'un mondo ignoto e nuovo, ma per giugnerlo al
consorzio ond'era sequestrato del resto dell' umana
famiglia; e più avvisatamente perchè il nome e l'im-
perio di Cristo non più sostasse alle antiche bar-
riere, cui segnava l'oceano^ ma oltre, sino alle op-
poste sponde^ si allargasse, e girasse^ ed accerchias-
se, e facesse lieto, come già il sole , dall' orto all'
occaso , e dall' occaso all' orto il mondo. La quale
impresa, pia tanto e generosa, vince il Colombo: e
vinta, a Dio con mirabile inno la consacra: e trion*
fatore ritorna, non tanto, come ben descrive il poe-
ma, alle meritate gioie de' regali torneameati, che
gli festeggiarono in Spagna i monarchi Ferdinando
ed Isabella, quanto ai dolore immeritato delle ca-
tene, che la storia va esacrando, le quali preparo-
gli e gli strinse la calunnia sempre nemica d'ogni
merito infino a che noi subissi. E la storia, i mo-
numenti, i due mondi bene in mille e cento modi
vendicarono e continuamente vendicheranno tale on-
ta: infamia agli avversari d'ogni grande virtù ! Ma
sopra tutti col suo magnifico poema di sì lunga e
robusta lena, non che il sommo eroe, ma 1' amore
e l'onore del mondo, e piii dell'Italia, onorò il Co-
sta; sì placando le giuste ire d'un Giordani, che del
Colombo in patria sua non abbastanza onorato non
ha guari amaramente si piangeva. Ora deen amente è
Il Colombo del Costa 75
onoralo il Colombo; almeno, come il Costa si andò
divisando, in augurio di maggior tromba, che dopo
la sua per avventura sonerà. Imperocché egli è vero
che sopra tutti i ricordi e i monumenti, i canti de'
poeti immortalano le geste degli eroi. La parola, fi-
glia ed immagine del pensiero, è immortale, e la
poesia, virtù divina della parola, parola di celeste
inspirazione, non è sola immortale, ma consacrazio^
ne e tromba d'immortalità che suona perenne « quaii~'
to il mondo lontana ».
§. 3. Analisi del poema.
Ma quantunque il fin qui discorso non sia in*
somma che la ragion ideale ch'io ho .scorto nel con-
cetto e nella condotta del poema del Costa, non pos-
so ciò non pertanto fare a mena di entrare nelle
minute cose di esso, e l'una dopo l'altra considerar-
ne le parti,^ in prima per rilevarne le speciali bellez-
ze, e quali e quante esse siano, poi per coglierne le
ri.spondenze in armonia di varietà che accenna e si
stringe nell'unità dell'azione e della espressione del
poema. •
Primamente impertanto avvertiremo ( come or'
dianzi toccavamo ) la modestia del Costa , quando
accintosi a tal' opera di descrivere in poema le ge-
ste del più solenne uomo che mai fosse nella storia
moderna in Italia, e'non per tuttociò credette di ar-
rivarne l'altezza; ma sì bene « con piceiol siiono., e'
dice, farò pi'eludio a quell'eroica armonìa » onde al-
tri con più largo tesoro di poesia, quando che fosse,
all' italico , non so s' io dica Ulisse o Giasone , che
1r6 Letteratura
l'uno e l'altro fu il Colombo, sorgerebbe a cantarlo'
Omero novello. Ma veramente siam di dire che an-
che sorgendo la felice tromba , che pur tanto un
Alessandro invidiò ad un Achille , in quella tanta
e nuova gloria del Colombo non sarà senza lode e
senza gratitudine degli animi ben fatti 1' ardimento
non infelice, e lo studio di sì bella opera fecondo
del ligure cantore.
Il Costa parli in Vili libri il suo canto. Fine
occulto e come anima del poema, l'informare di vari
e grandi veri ed affetti gì' italiani, a fin che si ec-
citino ed innalzino a grandezza: e questo fine è se*
gno a cui mira ogni morale e politico documento,
e l'esempio delle tante virtù del Colombo,^ e d'altri
personaggi che figurano nel poema ; non dischiusi
gli orrori di quei vizi che in alcuni altri condanna.
E'I poeta però a punto si elesse eroe di pace, non
di guerra ; per cui più largo spazio gli si parasse
davanti , da più largamente informar gli animi di
civile coraggio nel proposito di una grande idea :
onde ogni possibile ammaestramento, sino per donna,
sposa d'un virtuoso, inchìuse nel suo concetto : nò
mancano rampogne a' molli; né rista dallo svergo-
gnare o l'ignoranza de'falsi sapienti, o le turpitudini
de'cortigiani; e'I vizio oltracotante flagella inesora-
bile; ed esalta magnanimo il trionfo della bontà e
del vero.
Fine poi aperto, e dell'arte, è la redenzione del*
le genti del nuovo mondo, e sì in uno l'ampliamento
del regno di Cristo, e l'affrettarsi e crescere all'unità
d'una sola famiglia la gran famiglia dell'uman ge-
nere. Pone il Colombo apostolo a tanta missione ,
Il Colombo del Costa 77
d'animo singolarmente grande e sublime. Ma uom
per grande che e'sia, non basta a tanto straordina-
rio apostolato: e però il poeta l'afforzò e'I fece mi-
racoloso per celeste inspirazione, anzi visione; la quale
gli si giunse mallevadrice dell'impresa, e porse ir-
repugnabile certezza ed evidenza al solenne pensiero:
il quale e' ben sentiva fortemente vero nel suo ani-
mo; e n'udiva dalla storia qualche languida tradi-
zione, e da'naviganti e dalla filosofia qualche incerto
accennamento; ma tutto ciò era nulla a volerne far
intendere alcun senso agli uomini, i quali l' ignoto
piglian sempre o per impossibile (il meno) , o per
ridicoloso, o, che peggio è, per empio. E questo è
come l'anima, e l'indice, e la macchina del poema.
La cui azione adunque apre il poeta con una teo-
logica, ma stupenda dipintura della creazione , ove
non è men filosofo pio e sapiente, che poeta.
Incominci da te l'italo canto
Che l'unità misteriosa intrei
Nelle dive persone, eterno padre.
Eterna sapienza, eterno amore.
Tu solo in te medesmo eri beato,
Perfettissima idea, sommo principio
De'possibili effetti, e voce alzasti,
Che dentro rimbombò dal freddo nulla,
0 padre onnipotente. Udian le prime
Angeliche nature ancor non nate
Il comando supremo, e una giuliva
Corona ti cingea di contemplanti
L'ineffabil virtù che senza tempo
Il mar dell'improvviso essere apria.
T8 Letteratura
Allor balzò nel solitario vano , ; (,
L'indigesta materia, adro caosse.
Ad ognuno è dato qui il vedere non solo la solen-
nità della poesia, si difficile a mantenere in argo-
mento di tanta astrazione dalle cose particolari, ma
l'ammirare ancora i puri e profondi sensi cattolici
dell'autore, che sì distrettamente nel fatto della crea-
zione si è attenuto alle forme della cosmogonia mo-
saica. E pur con scienza geologica moderna; toccan-
do de'moti e delle trasformazioni indotte dalla legge
cosmica nella materia informe, d'onde
Uscian i monti come gregge in danza
E Gioivano le glebe su per l'ampie
Convalli ignude e per gli aerei poggi
Odorato di molto aprile un verde
Manto si distendea, cui bionde messi
E dipinti fioretti e rugiadose
Poma soavi eran le gemme e l'oro
, e un infinito
Popolo di yiventi affaticava
Le mute solitudini de'campi
E l'aria e Tonda ....
mira da ultimo estatico all' uomo, re della natura ;
dicendo:
E l'uom dritto levato e riguardando
Il suo tranquillo e gaudioso regno
Il Colombo del Costa 79
La fronte rivelò che di se stesso ;"
Il clivo esemplo suggellar si piacque.
Ma per ciò che l'opera vuoisi affrettare al suo se-
gno, qui il poeta si esclama, accennando al fallo di
Eva: iu isq '3n)
0 fortunato ! se colei che troppo
Fu d'ogn'orabra e divieto impaziente,
Non l'avesse giammai con un sospiro
Fatto agl'inganni suoi pietoso e reo.
Onde ecco i mali inondare tutta la terra, sì che infiu
la rapina
De'convulsi elementi, in stranio loco
Disseminò per lo raondan deserto
La disgiunta famiglia . . .
\
Che qui dovea condurre i nostri pensieri , cioè a
quei nostri fratelli dell'opposto emisferio tanti secoli
già lungi da ogni civile consorzio, e da ogni spe-
ranza o segno di redenzione.
Ma il dì verrà . i
(Si continua; accennando a' benefizi dell'umano ris-
catto dopo lunghi anni di servitù e di errore, ope-
rato dalla sapienza eterna, incarnata per « rinnova-
re r umana gente » ancor brancolante di notte in
selva fonda Fra mille inciampi » )
. . . il dì verrà che tutti noi da tutte
Patrie de' venti ci unirem fratelli
80 Letteratura
tutti rilevati alla prima altezza « DeWorigin beata »
tutti in un santo ovile accolti « Sotto le vincitrici
ali » di Colui « che ne creò^ redense, ed ama » ed
A cui tutta la spiritai vita « dispersa in tanto cielo »
di vero in vero e di prece in prece innalzando i
pensieri e gli affetti, fia che per ultimo « levi in-
terminato inno di lode » ; compilo il progresso dalla
provvidenza del creatore assegnato all' umanità. E
cantato il poeta tale inno augurale, quasi
Vagito allor di bambinello in fasce
( in sul nascere del divino accoglitore delle genti )
e poi)
Lamento estremo di campion, che solo
Per altrui libertà si vota inerme,
(nel Calvario); onde infine, V
. . Idolo della forza e dell'inganno
Cadde sotto le ceneri dell'ara
Che immane gli sorgea nel Campidoglio;
ed ivi pertanto
. . . di segni murato, e in bel rubino
Dalla vena de'martiri dipinto.
Il palazzo di Dio vi radicò
Su pietra inconsumabile voltando
Le quattro facce a'quattro venti, ed oltre
Le radiose stelle il suo pinacolo
Tanto levò che fu terreno olimpo
canta con magnifici versi il nuovo e più spiritale
Il Colombo del Costà 81
apostolato iVogni salute e (Togni verità, per che gran-
deggia
rimpennata
a più mirabil volo
Cora' aquila real
De'popoli regina Italia e Roma.
Donde esce ed escirà continuo il giido della uni-
versale civiltà del mondo: e sì naanda e segue i
propagatori d'ogni principio del bene dicendo:
Itene . . per diversa plaga,
Sommi intelletti, e collegate in uno,
I membri dell'uman corpo divisi.
Ed a tal fede a punto s'inspirò, ed in tale missione
confortossi « un gran messo di Dio » la cui grand'
anima
Finse fuor delle cieche ombre mortali
II guardo rapidissimo
E pietà gli fu sprone, e dritto zelo
De'miseri fratei non perdonati
Dell'antica malizia
e fuori apparve
Con insoliti rai ...... .
portando infin da natura animo singolarmente tem-
perato nel genio di pensare e fingersi eziandio fan-
ciullo « la mondial figura » in « volatili carte in-
siem conteste »
G.A.T.CXVI. 6
82 Letteratura
E i fiumi e i laghi e le marine e i poggi
E l'isole notarvi, e i quattro venti
Con veloce intelletto
Ed ancora fu visto
Lungo i lidi vagar presso la sera,
0 starsi in cima del veron paterno
Tacito e solo i roscidi tramonti
Contemplando così quasi dicesse:
Quanta invidia ti porto, o sol, che vai
A gente che di là piange in disio,
E una luce da me più viva aspetta!
Con tali pensieri pone il Costa il suo eroe agli slu-
di dell'arte, a cui si consacra. Poi lo abbandona a*
viaggi, alla dura pròva de'mari diversi, ne'quali
1 larghi flutti misurò che suonano
Per la maggior mediterranea conca
Fra la Tana e lo Stretto, e poi l'estrema
Vide barbara Islanda
Sì che, condottolo al cimento eziandio d'una guer-
ra marittima co'viniziani ; iji iìty vi' . .
quand'ecco Teneriffa
Oilliiifi M) IK iiF
Piramide che tutta si' dislaga
E cresce e vola e si raccoglie ed alza
Tanto, che il tuono a lei mugge ne'fìanchi.
Maestosa e terribile apparizione in quella immensa
solitudine di mare! Onde scoppia fra le ciurme lo
spavento sino ad ora chiuso ne' petti , a vulcano
tetro che quindi veggono pt^ecipitoso irrompere, e
non sanno, e « un qualche negra » diceano impaurando
un qualche negro
Dimon vi sta con le sue furie, e il dorso
Livido è l'arme che s'affibbia in guerra.
Il Colombo del Costa 95
Ve' che solleva i pujjni e che si pianta
Su'ferrei piedi, e vomita saette
Dalle fauci roventi
Per la qual cosa, Jncautil gridò il Colombo,
fia lunge
In picciol tempo e la paruta e il vampo
Dell'innocuo vulcano
e quetolli. Siccome si dice di quel gran capitano
che isbigottite le soldatesche per subitanea e non
intesa ecclissi del sole , le rasserenò tostamente , tal
fenomeno lor ispiegando con pratico ingegno , po-
sto tra i loro occhi e il sole un mantello. Se non
che
Ora s'allarga
Senza intermission, senza confine
L'atlantico, distesa e sconsolata
Landa di flutti, in cui si perde il guardo,
Impaura il pensier
E quindi « alti sospiri . . fremeano . . . tumul-
tuando la ciurmaglia ribelle ... » Ma quegli
che « nacque alVimperio » e la rampogna gli
. . . uscia da'labbri con voce soave.
Con L'altero piglio ed il regal sembiante
Domò la contumace ira de'servi.
Pur nuove e più veementi paure soccorrono per
96 Letteratura
. . . Sconosciuti mostri e immani corpi
Di natanti balene, e attraversate
Alghe sospette e lievi simulacri
D'isole che sen van disciolte in fumo.
Ond'è nuovo tumultuar delle ciurme, e nuove pro-
ve risplendono del ferreo lìetto del Colombo, che
Solca il vasto elemento, e amore e fede,
Gemina stella, ne conduce i passi.
Intanto che meditando ne'giri e negli ordini delle
costellazioni, e lo sguardo al cielo ed alla bussola
« lode prima d'Amalfi » alternando (e in questi luo-
ghi brilla la scienza profonda e limpida astronomica
del Costa); il Colombo, con insolita e nuova mara-
viglia che pare spavento, vide, ed egli primo al mon-
do vide, perfezione poi somma della scienza della
navigazione, che
Colà dove non getta ombra la terra
L'ago magnetico
Fuor del meridian cerchio repente
deviò . .
Sì Chiese, ma indarno, la ragion che attinse
De'moderni l'acume
ed è nelle
Cognate correntìe (dell'aura elettrica, le quali)
in lor movenza
Fan dall'orto all'occaso una corona
Il Colombo del Costa 97
Tal, che si crea subita forza, e alquanto
Dall'usato tenor l'ago trasmoda.
Ed in tale come quasi sbalordimento pie ga religio-
so r eroe « in mezzo alla sua famiglia » il ginoc-
chio alla preghiera, ond'è negli smarriti ogni lume
jed ogni conforto: e
. l'anima assorta
Quasi nell'infinito era più grande
E volava all'Eterno
Noteremo qui per tutt'i simili luoghi, che se a qual-
che schifiltoso non gustassero del tutto quei versi e
locuzioni del poeta come poco men che aspre e qua-
si prosaiche espressioni di scientifiche astrattezze, là
ove tratta scientifica materia; noi lo pregheremmo
a volersi ricor dare della malagevolezza della scienza
a piegarsi alle forme poetiche. Qui è poesìa dida-
scalica, che non abborrisce da qualche durezza, pur-
ché alle idee si serbi la lor proprietà ed evidenza:
ed è tale la poesia del Costa in si fatti argomenti;
come tale si ammira in Lucrezio Caro, nell'Alaman-
ni, ed in tanti altri. Ma ripigliando la nostra ana-
lisi , da quel punto che il Colombo in quei suoi
come quasi smarrimenti dell'animo si consolava ed
invigoriva il coraggio nella preghiera all'Eterno; il
poeta , rannodando i torbidi pensieri delle ciurme
fieramente ed ora più che mai mormoranti a quel
portento che cresce e fa superstiziose le paure, in-
nesta il tetro episodio dell' ispano Alfonso; macchi-
G.A.T.CXVI. 7
98 Letteratura
nator infernale di quelle discordie. Le quali, vii ciur-
madore , quasi il Tersile di Omero , o piuttosto
l'Argillano del Tasso, eccita cupamente, ed in esse
eccitate soffia, fino a che in mi Ile modi e cento me-
scendo quegli animi plebei, egli
audace
Rubator di castella ed omicida
fra tesori ed agi
Mollemente nudrito
prosuntuoso e superbo quanto indegno degli avi, e
impaziente, o sì veramente invidioso della gloria,
e più del comando del Colombo, proruppe
d'infesta
Gente seguace, istigatore e duca
E assaliva l'eroe: « Vanne tu solo,
0 compagni ti sieno, anzi del ventre
Ti facciano la nave i filiteri,
A cui fra poco ti darem per cibo,
Se non volgi le vele e non t'affretti
Di solcar le arretrale onde infinite.»
Onde tra dolce e grave, e più, preghevole, patteg-
gia il Colombo
almeu lo spazio
Di tre sole giornate
Ed ognuno s'immagini, e' l Costa maestrevolmente
dipinge, le ansietà di si fatali giornate; duranti ìfi
Il Colombo del Costa 99
guali fu un continuo spiare ; ij p-j^j^tx^ii ; V j<<
e una lontana liva ,3
^ ^ Spiato indarno avean gli occhi digiuni. ,^
•fi
Per che più forsennati infuriano e s' imperversano
ì ribelli, che , , ,
. . * r^^rtr -rt da tutt'i lati:
Gli fan impeto e forza: « Indietro, indietro:
. . . . . . . e il ferro ignudo
Alfonso gli puntava alla gorgiera
Minaccevole in atto; e muoia, muoia, mi ^
Gridavano i compagni ■:,,
Al quale sconcio , come Omero gli eroi dell' Iliade
poneva sotto allo scudo di propizia divinità nel gran
pericolo accorsa, così il Costa provvede per Colom-
bo , dandogli invisibile alcun divino che' 1 copriva
« col nitid'orbe dell'eterno pavese: » e'I « guardo ful-
minante di Cesare: » e la voce che simile al tuono
uscendo di bocca a Mario mettea spavento nel cim-
bro. Ed alto disse:
Che presumete voi? Stornar l'impresa
Scritta nel libro che non muta verbo?
Stolti, non anco dileguò la notte * ,*• •
E SI come Virgilio con quel fatale: vuoisi così colà
dove si puote ciò che si vuole, o con altro simiglian-
te, salvò Dante nella peregrinazione dell'orribil mare
dell* inferno ; cosi il Costa fa salvar il Colombo : e
come Virgilio stesso per Dante medesimo, che non
100 Letteratura
gli s'impedisca il fatai viaggio, cibando Cerbero dì
vii pasto di terra gli ebbe chiuse le orrende fauci; cosi
Colombo con maestrevole e fatai piglio , lanciando
pasto di nuova promessa a que'cerberi novelli, gU
acquetò.
. . . . Non anco dileguò la notte
e forse
Non la vedrete dileguar intera
Che un aperto miracolo non brilli '-'
In quest'orrido buio e non vi sganni. •
Or in questo terribile punto il misero, ma pur sem-!
pre alto e magnanimo, e non mai del tutto scora-
to eroe, sol turbato ed ansioso quanto uom e non
un Dio si dimostri, si avvolge ne'suoi pensieri: spe-^
ra e teme, si rincora e rattrista, non posa, si di-r
mena, e guarda, guarda,
Quanto potea distendere la vista
Pel dubbio raggio che piovon le stelle
Alcun segno cercando, alcun prospetto
Di mortale soggiorno, e fuggitive
Immagini che addensa il vario giuoco
Di fantastico lume, e sparsa nebbia
Che ha di piagge talor sito e contegno,
Gli davano incessante esca d'errore
nu)'
Quando all'estrema curva orizzontale
-ni Una chiarezza vacillò . . »j-j ^Jviyiij \(. om
£ s'incanta, dubita, non crede a sua vista: ma infine
jion mìo .oiiiigoj
Il Colombo del Costà 101
• Ei grida: Terra
Terra, terra^ o compagni
Ed era già il mondo degli antipodi ! Ónde, bando
alle ire, in mezzo alle comuni esultazioni, trionfan-
te di sua idea, il Colombo, eroe è sacerdo te de'due
mondi, intuona l'inno ài
Signor degli ardui giri, (al sole) . . .
o tu che imbianchi
L'una faccia alla terra, e l'altra avvolta
Lasci nel manto di colei che fugge
,Quando movi a rincontro, e vien seguace
Quando lungi ne vai scherzosa amica',
Esci dall'oriente, e la gioconda
Vista dell'avverato orbe palesa
È sfolgorando suoi raggi nell' orizzonte il ministro
maggior della natura^ ecco tutti intenti a vagheg-
giare attoniti le prossime spiagge, e i piani, e le valli,
e i monti.
Ognun riguarda
E i profumi ne spira, e iti quell'ambiente
Violato s'ineibbria tì par che voli!
E già prese le rive, e lanciatidosi a terra.
Di giù di su per la campagna in fretta
Vengono e van letiziando
quelle ciurme testé maledicenti al Colombo, or tut-
f 02 Letteratura
te nella gioia presente giubilanti. E Colombo inal-
bera le regie bandiere, e'i vessillo di Cristo: e
. . . fra i doppieri e il fumo '
Degl'ineensi ch'esalano . .'..''.';' '"
^>i>T>"->t* / ri^-iiiiCiwJ il fi.-' . :.ìi?. jl> '>ì
presti al rito religioso, onde i!" tói ni stro dell' altare
benedice al glorioso conquisto, vedi
UHJtn iijj.-iij 'loiiyiè
. . la croce •
Grandeggiarvi sublime .... ■'.''- .
• ^ ti> . • • . .
E'I gran conquistatore canta; *>^
0 primigenia terra, ove si piacque >-
Stampar del suo valore alti vestigi' '''^^''
L'artefice sovran, come superba
T'ingemma i crini delle balze intatte '
L'ardua corona, come lieto è il riso
C)'iVó«;\ I>ell'eterno smeraldo in cui verdeggi! i ^
Ed ih' pi^o^jtiea estasi; innalzando i sublimi seiièf'^l
gioioso del tanto acquisto che si aggiugne all'urna-'^
na famiglia, e al gregge di Cristo, tanto nello avve-
nire si profonda di quei nuovi regni (e ne'presenti
vede la qualità de' futuri spagnuoli'.j, che n'intra-
vede, e se ne piange, ed esecra lo scellerato scem-
pio che sete d'oro e d' imperio farebbe di quelle
pacifiche genti: ed
cJJo'ii ai nnjjnqmo'j rJ laq jìjj iJ3 jii^j i(£
... . . oh ihaladetti! (Si esclama)
Fia pesato quel sangue ad oncia ad oncia
-l»J lo fOdtfjpfoL) In iUi'iOJÌyjìf:,:^ pQj bollente '
Suiriberia cadrà
Il Colombo del Costa Ì03
E tal si conchiude il libro IH , e l'azione princi-
pale del poema; che, a detta d'un dotto comentato-
re, qui forse meglio che altrimenti potea il poema
conchiudersi. Quantunque , a dir vero, altre prove
sarebbero cosi mancate del valore del Colombo, e'I
final trionfo della virti\ di lui, e'I diletto d'altri mo-
rali o politici documenti, e d'altre scene bellissime,
onde il poeta si avvisava ammaestrare con dolci ver-
si l'Italia, segreto scopo d'un tanto suo lavoro.
Il IV e il V libro si allargano in vario tessuto
di dipinture or curiose , or amene , or amorose , e
quando terribili e brutte, e quando utili e gloriose:
ampia tela , che come in miniature gentili , ed in
auspici ed esempi ripresenta il nuovo stato che a quei
selvaggi incomincia di civiltà nuova, e di nuove mi-
serie, che alla civiltà s'accompagnano. Curioso è il
vedere accorrere e sbucare dalle lor caverne e fo-
reste queir
orrido gregge
Di strani abitatori, irto le chiome.
Nudo la pelle rinvergata e tinta
In sanguigno color quasi di rame
Ch'esce dal fuoco . . .....
E Colombo li guata e li conforta
D'avvicinarsi . ....
Ma poi
Viltà li tocca, e fra i compagni indietro
Movon sull'orme carolando eguali.
Sinché amorevole il pacifico domatore
-104 Letterat ffifx
Lor fea di vetri e lucidi oricalchi
Subita mostra
e quelli a tal nuovo splendore si arrendevano do-^
olii come agnelletti. Onde gli si serrano intorno sV
tempestosamente che e'
. . . barcollando va sotto il povescio
Belle turbe selvagge ......
Le quali quindi si slacciano e sbaragliano , presi df
subito e nuovo spavento all'udir primo che fecero
del romoreggiar del cannone che in quella tonava
dalle navi su l'ancore in mare,
. spandendo-
Lungo i lidi echeggiami un suon lontano
Qual di nera tempesta ......
Dopo ciò vaghissimo, come q«el di Olinto e Sofro-
nia nel Tasso, è l'episodio (credo simbolico) di Die-
go e di Azema^ cui quel garzoncello in quel fuggire
de' selvaggi insegne, raggiugne, e di lei, bellissima,
s'innamora: fior di bellezza, alla quale
. . . . . . . . . . dilicato
Vel d'innocenza ricopria la bella
Nudità delle sue membra bambine.
..■il'-
È degno di leggersi : forse troppo gentile , troppo
vaga, troppo forbita bellezza per selvaggia che era
Azema. Ma non sarà questa mai una colpa: che Aze-
Il Colombo del Costa 105
tua è sangue italiano , bellezza custodita e rifiorita
da un Tedisio, venerando vecchio; che terzo veni-
va da un Tedisio genovese, vinto in naval battaglia
« alla fatai Meloria » (cittadina guerra lamentabile
tra Genova e Pisa), e balzato in quelle spiagge de-
serte da tempesta di mare ; del quale già ricordano
le istorie; salpato dal mar di Genova, e non mai pili
tornatovi. 0! quella barba del canuto e cieco Tedi-
sio, quell'aspetto, quella grotta, quell'angiolo di
Azema; che pittura^ che incantesimo al tenero e bal-
do figliuol di Colombo! Quel Tedisio mi sa un Evan-
dro del Lazio : quella scena mi è tutto virgiliana :
quegli orti della vergine natura, quelle amenità dei
sacri boschi che chiudono quell'antro, quelle deli-
zie, quegli amori (quantunque li vorresti più ca-
sti e rispettivi!) non ti san punto de'molli e leziosi
piaceri degl'incantesimi di Circe, de'giardini di Al-
cina, e di Armida, de'quali pur hanno tutte le fra-
granze purissime della incontaminata natura. E non
sai qual più fosse se tenero o maestoso l'incontro e
l'abbracciarsi nel nuovo mondo, del Colombo e del
discendente da Tedisio Doria, amendue sangue ita-
liano, amendue gloriosi, questi di antiche memorie,
l'altro di presente grandezza. E in questi dialoghi,
in prima tra Tedisio e Diego nella grotta, poi col Co-
lombo in mezzo al fior delle sue genti , risplende
come il bello e fecondo ingegno del Costa in pen-
nelleggiare con preziose tinte quelle scene, così l'a-
mor suo magnanimo e sapiente verso della patria,
a cui fa rampogna degli antichi errori, e invito con
dolci sproni a correre migliore arringo di nuova
grandezza, alla qual deve agognare.
106 Letteratura
Nel V libro sono ad ammirale eziandio, l'affan-
no del Colombo , che teste credeva smarrito nelle
selve, anzi mortogli, il suo Diego; di che quindi
tanto più dolcemente confortossi al presentar che il
baldo giovinetto gli fece della cara selvaggia e del
venerando Tedisio, come già toccammo. Più, la su?;
bita e feroce comparizione di orda orrenda adora- '
Ilice del demone Canduri (dipintura delle america-
ne superstizioni); spaventevole l'aspetto, e l'irapre-.
care di »i terribile spettro, dalla cui « incavata orbita
(usciva) il lampo delle sue lucerne sanguigne e torve »
bestemmiando, e qual, pur troppo, incontrò vera-»
mente di poi al Colombo: >
E tu morrai
Non lacrimato in barbaro confine
Lungi da' cari tuoi col guardo incerto
Il sereno cercando italo sole ....
non jI .biuJb» elenin
(come il vaticinio del suo grande infortunio a Dante i
dà un de'dannati). Ancora è degno di commemora-l
zione il truce scempio che della bella Azema fecC)
Alfonso, colta in vicino bosco, e ghermitala
per la treccia estrema
Del biondissimo crin che sventolava
^bn Dietro la fuga . . . :t,lB.o\. .
intanto che semplicetta quella ninfa cercando invo-i
cava il suo Diego; martire di sua castità; augurio
infelice delle ferocie spagnuole contro alla vergine-
America: e' l seguito dolorare dello sposo: e'I pie-'
toso perdonare di Azema: e lo sdegno delle ciur-;
* Il Colombo del Costa 107
Ine e di Colombo: e'I morirne improvviso di Tedi-
sio, che a tal nuova ; 'c^J
< 4 rìzzossi
Con tremito mortai, poi diede un urlo
E stramazzò . . . ojkì . i« .aH-j j'j;v»'> vmvm
Quindi succedono belli, pietosi, e melanconici i ver-
si del VI libro. I conforti del facondo oratore che
si fa ed è maestosamente il Colombo: e le solenni
esequie a mo'degli europei della sfortunata e vaga
Azema e di Tedisio. Alle quali si mischiano gli
orridi riti funerei de' selvaggi , a tal lutto in varie
torme dalle lor cave e da'monti accorrenti in danze
ed urli e modi diversi fieramente paurosi: ed essi
rapiscono quei feretrii'f^i' ^ fMotgB» Biqm?» Ii»b Bvvitu
,'»^')/( ♦» iv^". !'. . e su peVocchiii^^ oiK.tj-, ifob
Della montagna ripivan leggieri"^ »^ aioJBim
,. ; . ..' ■ ]n-j
E Tal di siffatto giogo era l'altezza ' '■
Che si stendeva in forma d'una valle
Piantata di gran bosco, e lì dispersa'
Religion di cippi e moniraenti
Ne variava il giro . . . . •. .
.'(fjiioni obnrJiKb oik|07U9 olficcriiB'l fiiH
Cimiteri© de'selvaggi; e là
Gittarono l'incarco e fieramente ojcloJna/H
Ricominciaron grida e balli e colpi.
In tanto che il sacerdote del Cristo, intonando tra
^08 Letteratoììa
i nostri^
Dal profondo mio petto alzo la voce
E ti chiamo, o Signor
(bella yersionedél de profundis )^henedicey a a quelle
anime care, che sì ben le chiama il poeta: le quali
erano cristiane dalla eredità del rito battesimale che
lasciò il primo Tedisio:
Ed amen risonò di lingua in lingua
La cattolica schiera, e da più lati
Lungo l'aspre pendici e le caverne
Amen, amen, fremè l'eco dogliosa.
Le quali consolazioni religiose contristate dalla me-
moria dell'empia cagione, e dallo spettacolo orrendo
de' tristi casi e della scellerata e giustissima morte
dell'ispano Alfonso nemico degli uomini e bestem-
miatore di Dio , dieder luogo e motivo e fretta al
Colombo ed alle ciurme raccapricciate di partirsi da
quei lidi:
E su presto fuggiamo^ o dolorosi
Testimoni di colpe e di castighi,
Esclamava ..........
. . . ..... Né maladetto
Sia l'armato europeo dall'indo inerme.
E sì scioglie dalle piagge ; lasciatovi nondimeno a
sventolare sublime il vessillo della croce. Ed ora co-
minciano le nuove scene del ritorno: ed ecco in prima
Le innanellate Oasi, che fioriscono
Il Colomào del Costà 109
L'equoreo vezzo occidental dai gioghi
Di Guanaani alla superba Aiti.
E il condottier le salutò passando'
Con be'nonai solenni, e qual da Cristo
Redentore appellò, qual da Maria
Senza labe concetta
Ed ecco Cuba,
Cara sede ospitai, dove commisto
Tra barbarica gente in comunanza
Di reciproci aflFetti e di colloqui,
Partecipò le mense ed i covili
Delle ruvide case, e quell' alterna
Gioia d'amor che dell'amore è seme.
(è queir « amore che a nullo amato amar perdo-
na » certo, parmì, non brutta copia)
E disiato e pianto ìndi si mosse
Dì lido in lido
E qui a punto, per sete d'oro già da pezza straniatosi
ribelle , infin il raggiunse Colombo, o quegli rag'
giunse Colombo, che senza lui volgea ad Europa;
Pinzon ribelle.
Esacerbando le sue piaghe antiche
Di torbido veleno ...... -i^
presso a'regni favolosi d'Aiti: forse V Ofir eletta di
Salomone, come si avvisa o favoleggia il nostro pò-
110 Letteratura
ta. Ove pone il piede il Colombo, e vi ricoglie
« lamine e merci ricambiate a prezzo Di poca vanità
co' dolci inganni » : onde sì carco d' oro e d' ogni
maniera dovizie, qual gli porgea quella nàiniera, spe-
ra r eroe, sempre pio, d' adunar quindi in Europa
armi ed armati, e uìììh^ì^uìh .ì>vìu «ìu;^
pugneremo (dicea), e il sasso
Dove il Figlio deU'Uom dormì tre giorni
Fia tolto all'infedele arabo cane :
-<-... .'■>: ìT
che era il gran sospiro e la vagheggiata impresa
de'cavalieri eziandio del suo tempo; la qual conces-
se tanta gloria alla tromba del maggior epico ita-
liano, che cantò Varmi pietose eH capitano della prima
sì stupenda crociata. Ma da Aiti, volte le vele, in-
tende diritto e move il suo corso inverso Europa il
grande navigatore ìJJukì :
• • • già pago
Della prima corona che gli cinge
La vittoria del pelago
Ed ora sì che nuovi argomenti il mare, benché sì
monotono, ma nella siia immensità, e nella mobi-
lità delle onde, sempre poetico, appresta all' alta e
facile fantasìa del Costa. La tempesta atra e tremen-
da; sì che la lingua del sì non porti invidia di tal
descrizione all' antico idioma del Lazio , che tanto
romoreggia e rimbomba in bocca a Virgilio. Ecco-
ne un saggio.
>ju .uuuniuliii
Il Colombo del Costa 1 ì 1
Ecco dinanzi dal crudel girone
In liquid'alpe la marea conversa
Procede ismaniando e s'abbarruffa
E con tutto il crescente arco sovrasta
Alla misera flotta. Andaro i legni , ;U
Qua e là sbrancati, e come può l'orrendo
Soffiar della procella, altri fu spinto
In fughe rapidissime ......
ec. ec.
E la calma più che la tempesta orribile succede; sì
che tanto opportunamente a tal pausa invincibile del-
le navi nuova forma di bellezza ci crei l'italica poe-
sìa in temprar con parole l'armonìa a'dì nostri no-
vissima de'maravigliosi ingegni de'rapidi piroscafi, che
vincono le tempeste , e non patiscono le fastidiose
dimore delle calme. E qui, illustri accademici, ci ri-
corda, e facciam debita ed onorata commemorazione
di simil dipintura vaghissima in latini versi, ha già
qualche anno, nelle nostre ordinarie tornate recataci
in mezzo, in queste medesime sale, dall'egregio col-
lega nostro filosofo e poeta P. Giacoletti, che sì dol-
ce ancora me ne suona l'armonìa agli orecchi! Lun-
ga è la descrizione lavoratane dal Costa, e lunga è
pure la descrizione della mortai caluja; della quale
darem qui solo un cenno, come di t^l bonaccia, peg-
giore della tempesta, che fece venir ip mente al po-
eta il beneficio dell'ingegno del vapore con tanto van-
taggio sopperito all' incomoda vicenda e mancanza
de'venti. La calma incontrata al Colombo è questa :
ìiSitiiw oJncJ onuisho*»b é1 ^ oilo
112 Letteratura
L'aura che i legni sospingea tranquilla
E intavolata s'arrestò, non diede
Alito pur che ventilasse o fiocco
D'esigue lane o di lucerna il sommo.
Ondechè il mare è
una pianura
Vasta, uniforme, immobile, pulita,
Quasi deserto che dardeggia i lampi
Dell'acceso equatore
Ed a rimirarsi
Giurerebbe ciascun che le carene
Fosser di piombo: non andava un palmo
La più leggiera, non movea le coste.
orribil pausa,
Solitudine infame, ove non suona
Voce d'essere nato, ove lo stesso
Dolorar de'tormenti eco non trova.
E quindi si scorge come naturale ricorse alla mente
del poeta l'immagine delle macchine a vapore, onde
incomincia:
E qui la stanca poesia rinforzi
L'itala musa, i ritrovati ingegni
Ed il principio genitor m'impari
Del moto ch'avvicina ogni favella
E fa il mondo una patria
che è la descrizione tanto artistica e non men poetica
Il Colombo del Costa 113
tle'pii'oscafi. Ma torniamo al nostro nocchiero in pri-
ma travafjliato dalla terribil procella, sì che a sal-
vare r onore del suo nome e della impresa , vicini
a morir tutti, getta in mare sacri fogli di tal ricor-
do, rotolati e chiusi, ijmpegolati di cera, in alvo di
leggier barletto
Spalmandone gl'incastri, e sul mezzale
Il noto marchio dell'anello imprime. ^'^
Imperocché d'assai più che la vita, a lui cale, se mai
può salvarsi , 1' utile gloria d' un nuovo mondo già
scoperto! E poscia ancora più caduto d'animo dalla
più che mortale calma, come inchiodato in mezzo
di gran tavolone della solitudine immensa ed infame
(come ben la sentenzia ii poeta). Se non che dopo
sì lungo morire succede la vicenda della fresc'aura
del zeffiro: ed oh quindi il giubilo:
. . . . . or che le vele
Portan la classe come augello i vanni!
>b iyi'
E trapassate sì lietamente le Azzorre, e di nuovo mi-
naccianti ed imperversantisi Euro e Noto, che bale-
strano i navigli sin alle foci del Tago; di là, queta
la nemica fortuna, alla dolce aura in cui si confor-
tano i naviganti dell' eterna primavera di Almeda ,
volti a dritta lungo le spiagge lusitane, lasciato da
tergo il promontorio e i campi d'Algarvia
. . . . . . , ;- sull'occaso
G.A.T.CXVI. .wlBt fu.rpi 8
■114 Letteratura
Ancorarono alfin pieni di gioia {^tt
Là dove al fiero corso lisciano in pianto, «f''
Maestria di versi, e perizia di scienza geografica, e
della difficile arte de'mari, sempre facile e pome sua
propria nel valoroso cantore del Colombo : che da
ingegnoso artista, in p^ni, benché al volgo degli uo-
mini impercettibile, accidente, ed in ogni minimo
pautar di forma del cielo, o delle onde del mare, o
degU animi de'naviganti, e sin negli occulti pensieri
o bisogni del Colombo , al medesimo anche ignoti
ma opportuni a servirsene se li conoscesse; ritrova^
e vede , e immagina ed opera un ingegno nuovo ,
che incastra e fa servire all' armonia della macchina
del suo poema. Noi, egregi signori, non c'intratter-
remo di vantaggio a contemplare le gioie de'novel-
li argonauti allo appressarsi, e al metter piede, glo-
riosi cotanto, neir umile terra di Palo , d' onde già
mossero all' inaudito navigare , sì ben detto fiero
corso dal poeta : lasceremo il festeggiar pronto e
quasi impetuoso , impeto di allegrezza e di mara-
viglia , di quegli abitanti ; e ì' accorrervi delle
genti vicine; e le varie dipinture che il poeta v'in-
frammette degli usi vari degli uomini di contado o
di città; e i zeffiri oltre 1' usato più ricreanti ; e le
campagne fiorenti; e'I volare per ogni bocca il nome
del Colombo, empirsene ogni città, esultarne, alla
nuova, i re protettori dell'impresa, che infine capaci
Rimaser dell'evento, e sì gran gioia
Li rinnovò che fu men alta piena
Quando l'ispan valore aperse il varco
Il Colombo del Costa 1 1 5
Della vinta Granata, e nella polve
Trasse l'arabo Mela a pie del trono.
Onde per tali varietà ben composte e finamente co-
lorate è non raen bello e dilettoso degli antecedenti
il libro VII : ove è bellezza, come di araldo olim-
pico, il messo degli augusti, che chiamano a corte
l'eroe de'due mondi: ne cede a maestà di real cor-
teggio la magnifica cavalcata del Colombo che at-
traversa per lunga tratta quelle immense piuttosto
solitudini che campagne della ispana penisola, rotte
da valli e monti, per dove, da per tutto, e più in
Barcellona regalmente festeggiato^ va, trapassando,
a rassegnare a' monarchi il grande acquisto. E gli
sta bene la seguente similitudine , onde 1' onora il
poeta. - -
L'alta Roma così con festa e gioco ''^5
Forse vedea tumultuar la plebe
Degli augusti quiriti allorché Scipio
O il forte domator di Siracusa
Tra i cantici spronava ed i trofei
Delle genti captive il coechio aurato ;i>
Per la nobil Capena, e i lauri illustri
Deponea trionfante in Campidoglio.
Ed entrando anco noi nelle regie sale, ove nel mezzo
Alle splendide veglie ed alle pompe
Di solenni messaggi apparecchiata
S'addentra la sublime aula del trono,
slam presi d'incantesimo in mirare le finestre adorne^
1 1 6 Letteratura
i trofei nobili, e i drappi
Che fluttuando a padiglion ripresi
Fasciano in giro le dorate imposte:
ma ci empie 1' animo di reverenza la maestà degli
augusti » ivi in sul trono composti
Di placida grandezza in bei velluti
e il serto insigne
Jj' eburnea verga e la stellata clamide,
i.i -4 . .. -jujj 'loq i 5oq ,unoai :
$otfo veli fiammanti di luce che rimbalza leggiadra
da'vetrÌL istoriati, e dolce balena per le sale
.......... e tutti
Colora d'inquieta iride i fregi
Del soglio
E pur vie meglio ci piace e rapisce l'umile presen-
za del Colombo , l' eroe di tanta gloria : il quale
dinanzi a quei potenti:
Ringrazio (tolse a parlare dignitosamente , in
stile d'uonj semplice e grave)
Ringrazio ....;....«
Dopo Lui che principia e ben consuma
Nella serie mutabile de'casi banlqii eli A
Quanto a perfezion qui s'avvicenda,
Ringrazio voi che me stanco ed oppresso
Già dalla soma dell'immenso officio
Sollevaste cortesi, e lena e impulso aiq aiiA<'
Il CoioMBO DEL Costa 417
Mi deste e vanni da salir potenti.
Presentando alfine , testimonio e primizie dell' im-
presa, e speranze e vanto del nuovo mondo scoperto,
il « selvatica drappel » che
Qurvi prostrati al sodo paviménto
„ . . supplici batteano il capo e gesti
Faceano ed urli di preghiere istrani.
Ed è a vederne tutta la bella ed orridaf dipintura,
quale a tal gente si afFacea: curiosità tanta e dilet-
to e maraviglia e giubilo incredibile e nuovo a quel
regale consesso! Se non che più caldi affetti e vari
commosse, quando il Colombo
. . . . .in lamine oft'rìa terse ed in polve
I più ricchi metalli; e quel che raggia
Come l'occhio del sole, e quel che imita'
La placida beltà di sua sorella
(che sono anche belle perifrasi dell' oro e dell' ar-
gento).
Che allora
I circostanti protehdean la testa
Aguzzando le ciglia, e con ingorda
Fame rapace divoravan l'esca
Di sì largo tesoro , . . . . .
(che meglio, ci pare, non si potrebbero ritrarre le
ansietà della sacra fame deWoro.)
118 Letteratura
Ma lasciati a considerar per minuto agli amatori del-
le varie e vaghe poesìe gli argomenti e le merci ed
ogni maniera obbietti novissimi, i quali recò ed of-
ferse del nuovo , all' ammirazione e grandezza del
vecchio mondo il Colombo; e n' aperse le miniere,
n'augurò i commerci, cresciuta sì grandemente l'uma-
na famiglia, ed ampliato sì il campo delle missioni
degli apostoli di Cristo: posto dall'un de'lati lo spet-
tacolo de'torneamenti e delle feste, onde gli spagnuoli
monarchi vollero regalmente onorato il nome, e ce-
lebrata la vinta impresa del glorioso ligure, in che
la musa italiana amò rinnovare le gioie e gli atle-
tici ardiri dell' antico valore de' secoli cavallereschi
di Europa: conchiuderemo, accennando al mirabile
inno che sciolse Cristoforo Colombo, acceso di pietà
immensa davanti agli augusti, che magnanimi e pii
gli secondarono quell'idea, che egli dal cielo attinse
ed a bene dell' umanità , benedetta dal cielo , dopo
tanta guerra d'impedimenti condusse ad effetto. Pel
suo Diego, che vinse nel torneo, palpitò di bella gioia
l'animo del Colombo. Ma la sua immensa gioia era
la vittoria della sua celeste idea. Ed in tali esulta-
zioni sta tutto l'animo dell'eroe. Onde vediamo che
in tanto che là dinanzi a'monarchi delle Spagne, be-
nefattori dell'impresa, e primi signori dell'America,
per tanto acquisto spettatori e monarchi a tali nuo-
ve cose e grandezze trasognati « Dio laudiamo » e-
cheggiavano con unanime grido le regie sale;
i u ìa
Dio laudiamo.
-i ji II Padre, il Figlio e lo Spirito Santo ■«
Magnifìchi la terra, e nuovo attempri
It Colombo del Costa 119
Salmo la chiesa che la sua milizia
Dai colliri alle zone omai dilata
Co'salmi che la chiesa erge in trionfo ....
estatico così imprese a cantare il gran vincitore del-
l'Atlantico:
. . < . . . 0 del mistero
Che l'È distingue, e non isparte il sono
Ipostasi verace, o tu del Padre
E del Figlio possente Amor che d'ambi
Non generato e coegual procedi
Senza prima ne poi, levi la terra
A te gli osanna, ed in te solo incenso
Abbia Geova impenetrabil uno
È SI lungamente , e magnificamente , e veramente
discorrendo ed isvolgendo i misteri di natura e dt
grazia, interrompendosi Cbù l'intercalare
. . . . . . . levi la terra
A te gli osanna, ed in te solo incènso^
Abbia Geova impenetrabil uno . . ^ ., .i
usciva in tale conchiusione con profetico accento ad
Italia propizio:
Ultima a tanto memorabil regno
(il regno deWunità e della civil franchezza dell'uni-
versale famiglia dell'umano genere)
'.] linqitjnnq o sio^nie 9ii»b 9 oJ)99o;
120 Letteratura
Ultima a tanto memorabil regno
Verrà l'Italia, che sin qui la somma
De'gran mali sofferti ancor non vince
Il carico de'suoi debiti enorme;
E non tardi verrà perch'ella indugi
Espiando ogni labe e rivestendo
La virtù che al poter consiglio ammanna;
Ma più saggia, più forte e radiosa
II matronal contegno infra l'amiche
Nazioni vedrem questa elevarsi
Primonata sorella: i negri panni
Vedova si circonda e sola, ahi ! sola
Con altèra umiltà pausa e non dorme:
Che l'etere vivace e le marine,
E il tripudio de'campi, e l'ostinata
(e parmì sì grande questo ostinata !)
Memoria del miglior tempo la desta.
Oh ! se la piaga . . . Ma la fronte e il core
E i pie che adima nelle sue bell'acque
Son fermi e sani, e non ingiusto è il cielo.
E tale il canto si conchiude ; ove in somma mirò
sin da prima il patrio amore del nostro poeta.
IV.
Giudizio sul poema in generale, e più specialmente
in quanto alla elocuzione.
Della grande azione ed unità ed armonia di tut-
to il concetto e delle sìngole o principali parti di
Il Colombo del Costa 1*21
questo poema; siccome de'fìni apparenti ed estèrni,
in quanto è opera d' arte; ed occulti ed interni' di
essa, in quanto mira a pubblico ammaestramento
morale e politico: abbastanza, se non andiamo erra-
ti, si è per noi discorso, e nelle considerazioni che
preponemmo, e nell'analisi che per quanto ci fu da-
to breve e limpida eseguimmo di tutta l'orditura
dell'opera. Otto libri voi vedeste, egregi accademici,
essere siccome una piccola ma assai vaga e ricca
galleria, in cui l'autore colorì e dispose belli e va-
rissimi quadri e non pochi ; i quali rappresentano
scene tante, terrene e celesti e marittime, ed umane
e divine; alcune in miniature certo finissime, e tatito
più belle a vedere, quanto per non so qual mistura
di colori e di luce e di ombre e di chiaroscuri e
in prospetto e di profilo, ti accennano e allargarlo
e distendono in lontananza mirabilmente la veduta
nell'orizzonte dell'infinito. Per ciò poi che si riguarda
al carattere', in solitudine, o in civile usanza , fan-
ciullo, adolescente, od uom grave d'anni e di senno,
assorto negli studi de'suoi sublimi amori, o dato a'
viaggi, e tra le ciurme, ed al cospetto de'potenli, e
ramingo cercando il destin suo, o commesso alla ven-
tura d'incognito oceano; tu vedi nel Colombo l'uom
grande sempre <■ qualis ab ìneepto processerit^ et sibi
constet » come vuole il venosino. E sì tutti i- per-
sonaggi: fiero sempre ed iniquo Alfonso ; baldo e
ingenuo Diego: venerando Tedisio; Azema, 8Ìn mor-
ta, bellissima; bella generosa e magnanima Isabella;
prode, re Ferdinando; la corte misteriosa e vile; le
ciurme rozze ed instabili. E i colori, e le sentenze,
e \o stile, piegano e si acconciano a quelle varietà^
122 LETtERÀTTRÀ
manca quella vaga semplicità ed eleganza limpidis-
sima del Tasso, e dell'Ariosto, ma il nuovo argo-
mento^ e le materie scientifiche non sol ne lo scu-
sano, ma cel fanno ammirare : che pure in quelle
astruserie, chi ben n'intende la frase, è chiarézza ed
anche eleganza, quanta basti: onde come quegli dis-
se in lode de' lati ni: nec minimum meruere decus^ ve-
stigia yraeca Ausi deserere , et celebrare domesticai
faeta: tal possiam noi lodarci d'ui* fatto nuovo e pa-
trio, sì ben ornato ed ordito, ad onor nuovo delle*
italiane lettere, dall'ingegno di Lorenzo Costa. Il qua-
le seppe far d'un ardito navigatore un eroe da poe-
ma, cavando da tutti i possibili accidenti degli ani-
mi e delle cose quel carattere maraviglioso, che è
fondamento anima e veste ad epica poesia. In risguar-
do poi alle speciali bellezze ed al merito della elo-
cuzione; episodi, descrizioni, similitudini, figure d'o-
gni maniera e colore , sono innumerevoli : varietà
stupenda, la qual sarebbe opera infinita a volerne
pur toccare, oltre a quello che recammo qua e là
in mezzo in questo ragionamento, Noterem sola che
è opportuna copia di accennamenti dottissimi ad
arti e scienze, e ad antiche istorie o tradizioni, e ad
erudizioni moderne; di cui sapientemente si profitta:
ìion fumum ex fulgore^ sed ex fumo dare lucem: per
ornare ed arricchire di sempre nuovi e rari pregi
i suoi otto libri, e la poesia d'Italia; anche nella sì
ardua impresa di descrivere la difficile e buia armo-
nia del congegno delle macchine creatrici della tanta
potenza del vapore. Alcuni schifiltosi n' accusarono
in ciò il Costa , accagionandolo di oscuri labirinti
di elocuzione: ma tali saran sempre codeste non voi'-
Il Colombo del Costa 123
gari bellezze a quelli che alle opere d'ingegno ben-
ché descrittive e poetiche si accostano con volgari
o scemi inteflelti, scarsi delle cognizióni delle cose^.
e non usi alla pratica de'dizionari della lingua. Ha
inoltre similitudini vaghissime; descrizioni, o sì ve-
ramente ipotiposi frequenti e piene di evidenza; delle
quali è sì ricco che di esse pare come ambizioso il
suo ingegno: ma è tal soprabbondanza che nasce da
vigore, e non rompe l'armonica unità e la splendida
semplicità del poema: delle quali non farem colpa
al Costa, siccome nissuno riputò macchie dell'Iliade
quelle tante e sì minute, e sempre ammirabili de-
scrizioni degli scudi de'suoi eroi. Similitudini belle
paionmi, per mo' d'esempio, queste; come allor che
disse i marosi « simili a torme di lioni in caccia » ;
e là dove i castelli posti a tener in freno le città
chiama « torrioni Qua e là dispersi e minaccianti in
guisa Di sicario che sta colf armi occulte E guerreg-
gia le vie ». Delle sentenze fra l'altre mi piacciotio,
questa della storia « che non paventa ostri né toghe'y
e l'altra degli stranieri, il soccorso de'quali « è lun-
go oltraggio a chi inai si confida ». Le metafore
sono sempre rapidi lampi di luce che e' sparge, e per
la quale or dà vigore agli argomenti, or inleggia-
drisce le tinte de'suoi quadri, or fa vivissime le men
visibili e le più buie parti del poetico tessuto. È a
notare il ferreo petto del Colombo; e l'altra, ove di-
ce del medesimo « chiusa V anima sua nel diamante
Che ìion teme percossa ». Nondimeno di alcune cose
né io pure mi contento: come dirò che non mi pa-
iono compite similitudini, né quella ove nel I libro
il Colombo, campato in una tavola a' lidi lusitani,
t24 lETTERÀtURA
si paragona a Mosè e a Giona, benché ancor queUi',
ma per meglio dichiarata messione divina, salvi dalle
acque; e né l'altra nni va a versi nel YII, dell'ac- J
correre le genti in Palo al suor ritornarvi dall'Ame-
rica , siccome le genti di Parigi accorrevano in su
la Senna a vedérvi il convoglio delle ceneri di Na-
poleone il grande, trasportatevi da s. Elena ; cliè a
Palo era trionfo festivo e di gloria, a Parigi pom-
posità di funerali: là uom vivo, qvia ceneri ritorna-
vano: quantunque, a vero dire, a comporre simili-
tudini basti un lato solo di simiglianza degli obbietti
che si avvicinano nel paragone. NeU'trso degli epi-
teti poi è non sol proprio e riciso, ma sovente feli-
ce, ingegnoso ed arguto. Ma non mi passo volonte-
roso di quel luogo, là ove nel libro Vili toglie d'im-
paccio il suo eroe (e né tal impaccio molto mi ag-
grada); dalla somma reverenza onde dinanzi a Fer-
dinando ed Isabella in trono pone il gran domatore
de'mari come mutulo à prima giunta; con fargli por-
gere conforto dalla pietosa regina che in quella il
rinfrancò guardandolo, come dice il poeta, donne-
scamente: il quale avverbio in tal congiuntura, dico
il vero, che a me non va a sangue; né credo che il
Petrarca, il quale tanti conforti trovava ne'begli oc-
chi della sua Laura, il volger dolce e pietoso di
quelli avrebbe con simigliante parola significato, che
nulla ha di gentile, s'io non m'inganno. Incontra del
pari qua e là ma raramente che t' imbatti in versi
senza armonia, e paròle altre e modi per avventura
noterai che non vorresti dir poetici ; i quali certo
(a quel che sappiamo delle altre sue poesie) avreb-
be il poeta ben saputo cambiare in altri più belli
Il Colombo del Costà 425
,ed armoniosi, se in luogo dello Sciolto^ avesse, co-
inè potea , adoperata la Hima ; armonia esteriore ,
senza la quale in grande ed epica poesia sì difìiT
cilmenle si esprime e sostiene l'armonia interna delr
le idee e de'concetti: e noi sì, contenti al numero
poetico che, quantunque non finissimo, non manca
negli sciolti, non badando alla musica della rima ,
vogliamo, a ben giudicarlo, sol ammirare nel Co-
lombo del Costa l'armonia dei pensieri e delle im-
magini. Ma in sì bello e grande lavoro ti ricor-
derai che non per tal mancameoto, né per sì fatti
nei, come c'insegna il venosino, vorrai offenderti ,>
e quindi miscredere le vere e molte bellezze, onde
risplende tutto il poema: nel resto anche Omero ai-
Cuna volta dormicchia: anche nel Tasso ha concet-
tuzzi ed artifizi che non piacciono: anche nel ma-
raviglioso Ariosto ha soprabbondanza e lusso di co-
lori e di figure e giri e rigiri ed accidenti, ne'quali
si smarrisce come in un labirinto una non abba-
stanza forte e diritta immaginazione. Ma non posso
far a meno di notare per ultimo che non minor prer
gio del Cristoforo Colombo è la proprietà esquisita e
l'uso sapiente della patria lingua, di che l'A. si ad-
dimostra non pur sollecitissimo, ma peritissimo, nelle
parole e forme di dire che con tanto fino criterio
volle e seppe scegliere e adoperare sì diverse come
richiedevano la natura e gli usi de'subbietti che trat-
tava; scientifici, ove di scienza, in cosa d'arte arti-
stici, marinereschi o militari là dove tocca di stro-
raenti e ingegni di mare o di armi e di guerre. Nel
che è ricchezza tanta, che ad alcuni parve lusso stra-
bocchevole, ad altri amore di peregrinità soverchio,
126 Letteratura » il
ad altri argomento di oscurità. A' quali tutti, se l'a-
more e r ammirazione di tal poema non mi fanno
velo all'intelletto, ottimamente si può e vuoisi rispon-
dere, che que'modi e que'yocaboli soa là, non cas-?
sati o proscritti , ma registrati e come canonizzati ,
e nel gran dizionario della nostra favella, e ne'par-
ziali dizionari delle arti diverse e delle scienze, e ne'
trattati degli autori che versarono in quelle materie^
e ne'poemi od epici o lirici o didascalici latini e ita-
liani che cantarono armi, o il mondo, o la natura,
o i cieli , o i mari , o le terre , o checché si fosse
oggetto di canto di sapienza e d'arte. Per la qual
cosa congratuleremo qui alfine volentieri e ad Italia
e al Costa, di sì bello e ricco e magnifico poema;
onde quella s'inghirlanda di nuova gloria, che ad
un tempo rinfresca le sue glorie antiche, e'I Costa
può fregiarsi dell' onore di essere del bel numero
uno di coloro, a'quali è duca e maestro
lì signore dell'altissimo canto,
;Il Colombo del Costì )'^7
NOTE
(1) Nuda (gloria, maggiore d'ogni compenso, come purissima: cfUe
.gli uomini poi, loro usanza, fecero più grande, ornandola di catene;
come il medesimo Colombo se ne pregiò, volendole compagne infiij
nella tomba; ove trovò da ultimo quell'asiloj che invano cercò su la
lerr^, ei scopritore d'una metà della terra!
. . . cW divinò dell'orbe i regni ascofii
Non ha zolla ove il capo egro riposi!
<]ome ben disse il Crocco; Ultime parole di C. C. . . . ottave^
Torino, 1843. Così sempre gli eroi; per l'umanità, non per se com-
piono le loro mirabili missioni nel mondo. Se non che ben possiamp
eon le belle parole della Guacci conchiudere, siccome già ella delio
sventure di tutti i grandi ingegni e del Colombo cantò sì mirabil-
mente in una delle sue sublimi inspirazioni:
Vìttima sia la polve,
Ma spunti vita libera e serepa
Àll'iptelletto che del Ciel è figlio.
(2) Nel mondo cionnostante è ?tata sempre appresso a' sapienti
una credenza, avuta come per tradizione dell'antichità, della esisten-
za degli antipodi. Seneca in eco a tale tradizione cantò nelle tragedie,
all'atto li. della Medea:
. . . yenient annis
Saecula seris, quibus Oceauus
Vincula rerum laxet, et ingens
Pateat tellus, Typhistjue novos
Detegat orbes, nec sit terris
Ultima Thule.
E Virg. lib. I Georg, v. 247 .. .
Illic, ut perhibcnt, aut intempesta silet nox
Semper, et obtenta densantur nocte lenebrae; ;;'•'•■'
128 Letteratura
Aut redit a nobis aurora, diemque reducit,
Nosque ubi primus equis oriens afilavit anhelis,
Ulic sera rubens accendit lumina Vesper.
Ma ancora in quei tempi il volgo ne rideva, come ci attesta Cicerone
( Acad. Quaest. Lucullus, e 123) , che intanto, quanto a se, diceva:
ista non aspernor. E tanto p^ù dunque a' tempi del Colombo , onde
c^ulò il Testi:
JDel ligustico eroe derise i vanti
Italia (e sì l'Europa!) allor ch'ei disse
Trovarsi ignoto un nuovo mondo al mondo.
Pur non mancarono eziandio de' ss. padri molti che vi credettero: e
fa ben maraviglia che non se ne persuadesse il grande Agostino. Ma
bisogna confessare che per la ignoranza di quei secoli la questione
non si poneva con limpida espressione di discrete parole: vi s'impi-
gliavano questioni dilicale di credenze religiose. Come a'tempi di papa
Zaccaria^ che non della sentenza degli antipodi, ma si d'altri uomi-
ni non adamitici, che alcuno pareva ammettesse, ombrò: quando un
tal prete tedesco Virgilio (e non, come altri, il vescovo di Tapso Vi-
gilio) , tenendo a questa opinione, male si esprimeva, quasi accen-
nasse che ben altri uomini da quei del nostro vivessero nell'opposto
emisferio. E degno sopra tali cose da vedersi nel Cancellieri nelle sue
brevi ma d'infinita erudizione A^o i suoi
nemici', a,mici avajrissimi dell'oro dell'Arp^rica- Hs» iflfino una lette'
r^ di quei re , 4ei l^O? da Valenza , nella qijsle gli si coniiolgonpj
della sua pri{jio,nÌ3 , PÌferroa«vlogli la loro grazia e i privilegi con-
cedutigli, l^ppure essi re avean ipand^to i^ commjendatore Bovadili^
in quei nuovi conqui^tii, pon sappiamo se Sipia pusXa addosso aX Cc»-t
lombo , o, cowe giu(;l«:e e regio magi$tr4q , il quale certo rovini),
le fortufie df quell'er^j^e !
(11) Equi siano coPitepJti i leggitoiri QQF^esii, che p«r ainoFe
del mio seraBco oi^lipe di trt^nsito io aoti che tal Giovanni da Mar-
Il Colombo del Costa 131
cena, come dicono le nostre istorie, e, come ben pose in chiaro il
P. Pizzorni in un suo recente opuscolo presentato in Genova a quel
congresso degli scienziati del 1846 (Genova, tip. Como), era un fi-
gliuolo di colui che Dante si mirabilmente appellò serafico in amore'
al quale onorando ricevitore, anzi confortatore, e poi anche guida
del grande ed infelice ligure alla regina Isabella; oltre le belle e me-
lanconiche scene di solitario e sicuro ostello che vi dipinge il Co-
sta; consacra il moral poeta sonori e lieti v£rsi di gratitudine e di
memoria immortale. II Pizzorni nel citato libro dimostra, che non
il solo Gio: da IWarcena, ma più francescani aiutarono con forti e
pietosi offici in corte il Colombo.
( 12 ) Non vorremmo fraudare il nostro Dante della lode d'aver
anch'egli creduto all'esistenza degli antipodi; poiché sembra avere
in questi versi del I canto del paradiso veduto e descritto chiara-
mente come il girar del sole intorno la terra , secondo la volgar
yeduta, così la sfericità e i due emisperi di essa:
Surge a'mortaii per diverse foci
.{ i diversi punti della fascia dello zodiaco, che percorre )
La lucerna del mondo
Fatto avea di là mane e di qua sera
Tal foce quasi, e tutto era là bianco
Quello emisperio, e l'altra parte nera.
132
Il primo libro delle quistìoni accademiche
di M. Tullio Cicerone fatto volgare.
( Continuazione e fine. )
6. M-4 questi sono que'tre generi, de'quali la mag^
giop parte estima che ragionino i peripatetici: e non
falsamente, mentre qyesta è la lor divisione. Hanno
bensì inconsiderata opinione, se tengono che altri
fossero allora chiamati accademici, altri peripatetici.
Questa dottrina fu loro comune: ed agli uni e agli
altri pareva questo il fine de'beni, l'acquistare cioè
que'beni che fossero principali in natura, e o desi^
derabili per se stessi, o tutti, o i massimi. Massimi
poi son quelli che si trovano nello stesso animo e
nella stessa virti). Pertanto tutta quell'antica filoso-
fia tenne sentenza, nella sola virtiì esser riposta la
vita beata: non però la beatissima, se non vi si agt
giungano i beni del corpo e gli altri, di cui sopra
è detto, idonei all'uso della virtù. Da questa descri-
zione traevasi eziandio il principio di fare alcuna
cosa nella vita, e il principio del dovere istesso; il
che consisteva nella conservazione di quelle cose
che prescriveva la natura. Quindi nasceva la fuga
dell'ozio, e lo sprezzo de'piaceri, da cui e l'intra-
prendimento di laboriose imprese, e di molti e gran-
di affanni per cagione del retto o dell'onesto, e di
quelle cose che erano congruenti alla descrizione del-
QUISTIONI ACCADEMICHE 133
la natura. Onde veniano e ramìci;;ia e la giustizia
e l'equità, e queste anteponevansi a'piaceri ed alle
molte comodità della vita. Tale fu appo loro la scien-
za de' costumi , e la forma e descrizione di quella
parte (1) che io posi siccome prima.
La natura poi (il che veniva in seguito) divi-
devano in due parti: dicendo che l'una è efficiente,
l'altra, che quasi si offre a questa, essere quella di
cui alcuna cosa si fa. Nella efficiente pensavano es-
sere una potenza, in ciò che venia formato una cer-
ta materia, in amendue poi l'uno e l'altro : merce -
che né la materia avrebbe potuto starsi unita, ove
non fosse rattenuta da alcuna forza; né alcuna forza
avrebbe potuto operare senza materia; poiché non
è cosa che non sia stretta ad esistere in qualche
luogo. Ciò poi che deriva dall'uno e dall'altro chia-
mavano corpo, e quasi una certa qualità. E mi con-
cederete per vero, che nelle cose insolite, come fan-
no i greci stessi , che già da lunga pezza trattano
di tali materie, a quando a quando io mi serva di
non più udite parole.
7. Per quanto spetta a noi, disse Attico^ ti sarà
lecito far uso anche di parole greche quando vor-
rai, se per caso ti mancassero le latine. Bene sta ;
ma studierommi di parlare latino, salvochè in pa-
role, come sono filosofia, o rettorica, o fisica, o dia-
lettica, delle quali, come di molt'altre, si vale l'uso
come fossero latine. Chiamai adunque qualità quelle
che i greci dicono poiotetas {noiovoxaq): la qual pa-
rola medesima appo i greci non è del volgo , ma
(1) Altri leggono artis, Ji quell'arte.
fS'/t Letteratura
dei filosofi: e ciò avviene pure di molte altre. Oltre
ciò niuna parola de' dialettici è di pubblico uso ,
ma servonsi delle loro proprie: il che appunto è co-
mune a quasi tutte le arti. Poiché, o debbonsi dare
nuovi nomi a cose nuove, o tra«port»rveli da altre
cose. E se ciò adoperano i greci che trattano siffatte
materie da tanti secoli, quanto più si ha da conce-
dere a noi che tentiamo trattarne per la prima vol-
ta! Tu poi, o Varrone, seguitai io, mi sembra che
bene meriterai de' tuoi cittadini , se non solamente
li arricchisci coll'abbondanza delle idee, come face-
sti negli scritti, ma eziandio coli' abbondanza delle
parole. Ardiremo quindi, ripigliò egli, dietro la tua
autorità far uso opportunamente di parole nuove.
Di quelle qualità adunque altre sono prime : altre
che nascono da esse. Le prime son tutte ad un mo-
do e semplici: le nate da loro varie, e quasi mol-
tiformi. Pertanto Varia ancora ( uso questa parola,
come latina) il fuoco, l'acqua e la terra sono pri-
me: nate da queste sono le forme degli animali, e
di ciò che la terra produce. Laonde quei principi!
(per tradurre il greco vocabolo) diconsi elementi] de^
quali l'aria e il fuoco hanno forza di movere e di
operare, gli altri quella di ricevere le azioni in sé,
e d' esser quasi passivi: 1' acqua dico e la terra. Il
quinto genere, cui spetterebbero gli astri e l'anime
de'singoli viventi, teneva Aristotele che fosse alcun
che dissomiglianle da'quattro sovradetti. Ma pensano
esservi una certa materia soggetta a tutti, senza al-
cuna specie, e priva di tutta quella qualità (e ser-
vendoci di questa parola facciamo che ella divenga
più trita ed usitata ), dalla quale materia (utte le
Qdistioni accademiche 135
cose siano state tratte e formate ; la quale dicono
possa ricevere tutte le forme, e in ogni modo can-
giarsi, e per ogni parte; e quindi anche risolversi,
non in nulla, ma nelle sue parti, le quali possono
separarsi e dividersi in infinito; non essendo cosa al-
cuna, per menoma che sia, in natura che non possa
dividersi: quelle cose poi, che muovonsi, tutte dice-
vano muoversi per intervalli^ i qilali del pari pos-
sono dividersi in infinito* E così movendosi qufella
forza, che dicemmo qualità; e volgehdia&i così pei-
ogni parte; pensano che anche tutta la liaàlèrià istes-
»a possa mutarsi onninatrientfe^ é forhna^e quelle co^
se che chiamano quali , da cui in tutta là natura
unita e continuata con tutte le sue parti ài è for-
mato il mondot fuori del quale ni una parte di ma-
teria esista, e niun corpo: tutto ciò pòi, che è nel
medesimo, essere parti del mondo, le quali sono con-
tenute nella sentente natura, in cui vogliono sia ine-
rente una perfetta ragione, la quale sia la stessa ca-
gione sempiterna. ASerraano poi nulla essere così
valente, da cui possa esser fatta perire; la qUal forza
dicono essere 1' anima del mondo, e la «tessa mente
e sapienza perfetta, la quale chiamano Dio; e come
a dire una certa provvidenza di tutte le cose che
gli sono soggette; la quale ha principalmente cura
delle cose celesti, quindi sulla terra di quelle che
appartengono agli uomini: e queUa alcuna volta
chiamano necessità, perchè nuli' altro può fare da
quanto ha stabilito nella quasi fatale ed iitimtUabile
continuazione dell'ordine sempiterno: alcun' altra la
dicono fortuna, perchè mólte dOse fa improvvise e
fuor d'ogni nostro pensiero per la oscurità ed igno-
ranza delle cagioni.
,Ì3!B :": Letteratura
[ 8. Appresso la terza parte della filosofìa, che ri-
guardava la ragione e il disputare, così trattavasi
dagli uni e dagli altri; e sebbene originava da'sensi,
pure il giudicio della verità no» consisteva ne'sensi.
Volevano che la mente fosse giudice delle cose; av-
visando essere la sola, cui si avesse a credere; per-
chè sola discerneva ciò che sempre è semplice,- uni-
forme, e tale quale si trova. E questa chiamano idea^
già da Platone così nominata: noi dirittamente la
possiam dire immagine. Pensavano poi, tutti i sensi
essere ottusi e tardi^ attalchè non percepissero in mo*
do alcuno quelle cose che sembravano soggette a'
sensi, le quali, & erano tanto piccole, che non po-
tessero cader sotto a'sensi, o così mobili e concitate
che nulla mai avessero di fermo e costante, né me-
no una cosa stessa, perchè tutte erano continuamen-
te scorrevoli e fluide. E quindi tutta questa parte
di cose chiamano opinabile. La scienza poi pensa-
vano non essere in nessun altro luogo, se non se
nelle nozioni dell' anima e nelle ragioni : il perchè
approvavano le definizioni delle cose, e le adopera-
vano in tutte le disputazioni. Approvavano ancora
lo spiegare le parole, cioè il dichiarare perchè ciar
scuna cosa fosse così nominata*, la quale spiegazione
chiamavano etimologia. Di poi si giovavano degli ar-
gomenti , e quasi note guide delle cose, a provare
e conchiudere ciò che volevano spiegare: nella qual
parte insegnavasi tutta la disciplina dialettica, cioè
del discorso ragionato. A ciò arrogevasi, quasi d'al-
tra parte, la oratoria eloquenza di ragionare, espla-
natrice del continuato discorso acconcio a persua-
dere. Questa era la prima filosofìa insegnala loro da
QUISTIONI ACr.ADEMlCUÉ 129
Platone; della quale, se vi piaccia, esporrò le dispute
che ascoltai. Bene il vogliamo, io dico , a rispon -
dere anche per Attico.
9. E bene hai risposto, ei soggiunse; perocché
ottimamente spiegasi l'autorità de'peripatetici e dell'
antica accademia. Aristotele pel primo atterrò le spe-
cie o immagini^ di cui parlai poc'anzi, le quali Platone
avea mirabilmente adottate in modo che diceva es-
sere in quelle alcuna cosa di divino. Teofrasto poi,
uomo e soaviloquente e costumato in guisa che mo-
strava una certa probità ed ingenuità, infranse in cer-
to modo vieraaggiormente ancora l'autorità dell'an-
tica disciplina; mentrechè spogliò la virtù del suo
decoro, e più debile la rese: negando che in lei sola
fosse riposto il viversi beatamente. Essendo che Stra-
tone a lui discepolo, comechè uomo di vivo inge-
gno, pur debbesi al tutto separare da quella disci-
plina: come colui, che avendo lasciala la parte della
filosofìa sommamente necessaria, che è riposta nella
virtù e nei costumi, ed essendosi dato tutto alla in-
vestigazione della natura, in questa medesima mol-
tissimo dissentì da'suoi. Speusippo poi e Sonocrate,
i quali per primi aveano presa a sostenere la ra-
gione e l'autorità di Platone , e dopo questi Pole-^
mone e Grate, insieme con Crantore congregati in
accademia, ditendevano con diligenza quelle dottrine
che da'precedenti loro maestri avean ricevute. Già
Zenone ed Arcesila aveano frequentata di continuo
la scuola di Polemone. Ma Zenone superando Ar-
cesila di età, e disputando assai sottilmente, e di-
battendosi acutissimamente, si sforzò di correggere
la disciplina. La qual correzione vi spiegherò ancora
130 Letteratura
come soleva fare Antioco, se vi piace. A me certo,
gli dissi: e vedi Pomponio accennare lo stesso.
10. Zenone adunque per niun modo era tale,
che come Teofrasto tagliasse i nervi alla virtù, ma
all'incontro riponeva nella soIjT virtù tutto che ap-
parteneva alla vita beala: né altro annoverava fra i
beni, e null'altro chiamava onesto , se non ciò che
è semplice, solo ed unico bene. Le altre cose, quan-
tunque non fossero né beni, né mali, nullameno al-
tre diceva essere secondo natura, altre a natura con-
trarie; altre cose poi contava a queste frapposte ed
intermedie- Quelle poi che erano secondo natura ,
quelle insegnava essere da intraprendere e da ripu-
tar degne d'una certa estimazione: delle contrarie
diceva all'incontro; lasciava in mezzo quelle che non
partecipavano d'alcuna di queste, nelle quali non
ponea importanza alcuna. Di quelle che erano ad
intraprendersi, altre diceva aversi a stimare più, al-
tre meno. Quelle che più, le chiamaci preposte: quel-
le che meno, le diceva rigettate. E come avea can-
giate queste non tanto nella sostanza che ne'voca-
boli, così fra il bene fatto ed il peccato, il dovere
e il contro dovere, collocava alcune cose di mezzo,
riponendo il sol bene fatto fra le buone azioni, il
male, cioè il peccato , fra le cattive : i doveri poi,
ed osservati e intralasciati collocava in mezzo, co-
me dissi, E poiché i precedenti filosofi avean detto
non consistere ogni virtù nella ragione, ma che al-
cune virtù originavano da natur a e dal costume :
questi le riponeva tutte nella ragione; e mentre essi
avvisavano non potersi separare que'generi di virtù,
di cui ho detto di sopra, sost eneva costui neppiu*
QUISTIONI ACCADEMICHE 131
questo potersi fare in modo alcuno : né solamente
l'uso della virtù, come opinarono i precedenti, ma
l'abito ancora essere preclaro per sé stesso: ma che
però la virtù non si trova in alcuno ., ove sempre
non la pratichi. E non togliendo quelli le passioni
dell'animo dell'uomo; e dicendo esso per natura aver
dolore, desiderio^ timore o allegrezza, le raffrenava-
no e restringevano nondimeno ; volle costui che il
sapiente fosse privo di tutte codeste, quasi fossero
morbi. E dicendo gli antichi, questi affetti essere na-
turali e privi di ragione, e collocando in altra parte
dell'animo la cupidigia: in altra la ragione; egli non
assentiva neppure a costoro, mentre riputava anche
gli affetti essere volontari, e suscitarsi per giudici©
dell'opinione; e teneva che ogni affezione fosse ma-
dre d' una certa smoderata intemperanza. E queste
cose diceva a un dipresso de'costumi.
11. Intorno alla natura poi era di tal senti-
mento: primieramente a quei quattro principii delle
cose non aggiungeva per quinta questa natura, da
cui pensavano formarsi i sensi superiori e la mente.
Perocché stabiliva il fuoco essere la stessa natura
che genera tutto, anche la mente e i sensi. Dissen-
tiva pure dai medesimi, perchè pensava per ni un
modo potersi formare alcuna cosa dalla natura che
fosse priva di corpo (del cui genere Senocrate e gli
altri sopraddetti dissero essere ancora 1' anima , né
però dicevano che ciò che fa alcuna cosa , o vien
fatto, potesse essere non corpo. Mutò eziandio mol-
tissimo in quella terza parte di filosofìa, in cui spo-
se di prima alcune nuove cose intorno a' medesimi
sensi: i quali giudicò essere congiunti da una certa
1 32 Letteratura
quasi impulsione fatta loro all'esterno: la quale égli
chiamò fantasia^ e a noi ben lice chiamare visione:
e riteniamo pure questa parola, poiché avremo a
giovarcene sovente nel rimanente del discorso. A que-
ste cose, poiché sono state vedute e ricevute dai sen-
si, aggiunge l'assenso degli animi, il quale vuole che
sia riposto in noi e volontario. Né a tutte le visioni
avea fede, ma soltanto a quelle che avessero alcuna
propria dichiarazione delle cose stesse che erano ve-
dute: e questa visione, nell'atto che scorgevasì, chia-
mavala comprensibile. Mi passerete voi questa paro-
la ? Certamente , risposi: e in qual altro modo di-
resti catalepton (xicTaXvjTrtjy)? Ma essendo cosa già ri-
cevuta ed approvata, la chiamava comprensione a so-
miglianza di quelle che prendonsi colla mano 5 da
cui aveva ancora tratto questo nome; della qual pa-
rola ninno prima di lui aveva fatto uso in tale ma-
teria; ed il medesimo adoperò moltissime nuove pa-
role , trattando egli di nuove cose. A ciò poi clie
era compreso dal senso, dava pur nome di senso ;
e se era compreso talmente, che non si potesse trar-
re che colla ragione, lo diceva scienza^ se altrimen-
ti, nescienza lo nominava, dalla quale derivava l'o-
pinione che fosse debole, e comune col falso e coli'
incognito. Ma fra la scienza e la nescienza collocava
quella comprensione che dissi , e non 1' annoverava
né fra le cose rette, né fra le prave; ma diceva do-
versi credere a lei sola. Ond'è che dava fede ezian-
dio a' sensi : perché , come dissi superiormente , la
comprensione fatta da'sensi vera e fedele gli si mo-
strava, non perchè comprendesse tuttoché era nella
cosa; ma perché nulla intralasciava che potesse ca-
QUISTIONI ACCADEMICHE 133
dere in quella; e perchè la natura avesse dato quasi
una norma della scienza e del principio di sé stes-
sa, acciò s'imprimessero poscia negli animi le no-
zioni delle cose, per mezzo delle quali non solo si
«coprirebbero i principii, ma certe vie più ampie a
trovar la ragione. Rimoveva poi dalla virtù e dalla
sapienza l'errore, la temerità, l'ignoranza, l'opinione
e il sospetto, e in una parola tuttociò che fosse alie-
no da un fermo e costante assentimento. E in ciò
consistette pressapoco tutto il cambiamento, e il di»
sentire di Zenone dagli antecedenti filosofi.
12. Le quali cose avendo egli dette, ripigliai
io: E in breve in vero, e non oscuramente, hai espo-
sto, o Varrone, la dottrina dell'antica accademia e de-
gli stoici; e stimo esser vero, come piaceva ad An-
tioco nostro famigliare, che codesta abbia piuttosto
a tenersi una correzione dell' antica accademia , di
quello che una nuova disciplina. Allora Varrone ;
Tocca ora a te, disse, che da non molto ti diparti
dal sistema degli antichi assentendo alle innovazioni
di Arcesila , l' insegnarci come e per qual cagione
sia avvenuta la divisione , affinchè vediamo se co-
desto allontanamento sia bastevolmente giusto. Allo-»
ra io: Arcesila, come udiamo, assunse tale contesa
con Zenone, non per pertinacia o per desio di vin-
cerlo, come pare anche a me, ma per la oscurità di
quelle cose che alla confessione della loro ignoranza
aveanp indotto Socrate, e già innanzi a Socrate, De-
mocrito, Anassagora , Empedocle e quasi tutti gli
antichi, i quali asserirono nulla potersi conoscere ,
nulla percepire, nulla sapere: i sensi essere angusti,
deboli gli animi, breve il córso della vita; e Ccome
t34 Letteratura
diceva Democrito) la verità starsi sepolta in un pro-
fondo pozzo: tutte le cose essere preoccupate dalle
opinioni e dagli educamenti : niun luogo lasciarsi
alla verità: quindi affermarono il tutto essere cir-
condato da tenebre. Pertanto Arcesila negava essere
alcuna cosa che si potesse sapere , neppure quello
che Socrate avea fasciato a se. Così opinava tutto
esser nascosto in occulto: né essere cosa alcuna che
vedere od intendere si potesse: per le quali cagioni
non esser mestieri ne professare né affermare cosa
veruna; né affermarla coU'assenso: e sospendere sem-
pre il giudicio, e ritenere da ogni caduta la teme-
rità, la quale allora sarebbe somma, quando appro»
vasse o false od incognite cose. Né essere alcuna
cosa più turpe del premettere l'assenso e l'approva-
zjone alla cognizione e percezione.
I. Quello che era consentaneo a siffatto sistema fa-
ceva che contro le sentenze di tutti si disputasse
molti giorni; talché nella medesima materia trovan-
dosi ragioni e contrarie e di pari peso , più age-
volmente si sospendesse il consentimento da ambe
le parti. Questa chiamavano nuova accademia , la
quale a me sembra vecchia, seppure in quella vec-
chia contiamo Platone, ne'cui libri nulla si afferma,
e molto si disputa da ambe le parti, si tratta di tutto
e nulla si aflferma per certo. Ma chiamisi pure^aa-
tica quella che esposi , e questa nuova si nomini ,
la quale condotta infìno a Cameade, che fu quarto
dopo Arcesila, nel medesimo sistema di Arcesila du-
rò. Cameade poi non ignaro d'alcuna parte di filo-
sofìa) e come seppi da quelli che n' aveano uditi i
precetti, e massimamente da Zenone epicureo , che
Questioni accademiche 135
dissentendo da lui moltissimo, pure lo ammirava so-
vra gli altri, fu di una certa incredibile facoltà . . .
(E molte parti di questo primo libro, e de' tre
rimanenti, si desidermo)
GlANFRANCESCO RamBELLI
traduceva,
INDICE DEL VOL. 546.
SCIENZE
Chelmij Di alcuni teoremi del Gauss
relativi alle superficie curve f Conti-
nuazione e fine.J .... pag, 3
Cialdi, Ultime disposizioni date ai la-
vori sul porto Canale di Fiumicino, n 2 1
LETTERATURA
^^3>
Da RignanOj Ragionamento intorno al
Cristoforo Colombo del Costa. » 51
RambelU, Traduzione del primo libro
delle quistioni accademiche di Cice-
rone {Continuazione e fine.). . . » 132
GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
■}^. J.
//•
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1848
13T
SSmif^li
Sulla riduzione di alcuni integrali definiti ai tra-
scendenti ellitticiyed applicazione a differenti prò-
bleini di geometria e di meccanica razionale. Me-
moria di Barnaba TortoUni.
1 •' vXriategrali definiti, che ci proponiamo ridurre ai
trascendenti ellittici potranno tutti dipendere dal valore
dell'integrale definito
nel quale A , come intende Legmdre , sia il radicale
1/^(1 — Fsen^y), ed m denoti una costante reale minore,
o maggiore dell'unità : quando la costante m si presenti
sotto forma immaginaria, il logaritmo iperbolico si tra-
sforma in un arco di tangente eguale ad un multiplo
dell' irrazionale A. In qualunque ipotesi U^;, dipenderà
dai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. Quan-
tunque ai geometri sia già bastantemente nota la ridu-
zione di questi integrali per qualche caso particolare ,
contuttociò crediamo utile di presentare qui delle for-
mole generali, le quali trovano eleganti applicazioni a
differenti questioni di geometria supcriore, e di mecca-
G.A.T.CXVI. 9
138 Scienze
nìca razionale, come si vedrà , da quanto verrenao ad
esporre.
2.° II metodo del quale faremo uso per la ridur
zione di questi integrali consiste nella differenziazione e
derivazione sotto il segno f relativamente alle costanti
ivi racchiuse. Sia dunque
.^n
f'^ sen'Y /1 ■+■ mA\,
pve per A ■< 1 si abbia A ss= ^/'(l — Fsen^y). Differeur
ziando il valore di V^n relativamente alla costante n^
abbiamo
J o 1 — m'A -^ o 1 —
àm ■^ o 1 — m'A^ ^ o 1 — »»'' H- m^Fsen'ig
Tutto l'artificio di riduzione consiste nella ricerca dei
nuovo integrale definito, e quindi nelPintegrarione rela-
tiva ad m. L'integrazione relativa all'augolo 9 non si può
(eseguire senza la separazione dei termini per la divisior
ne, in modo che l'ultimo degli integrali sia quello che
converrebbe nella supposizione di « = 0. Sia primiera-
mente m «< 1 é chiaro che ponendo m = sen0, avremq
sen''"© cos*("-O0/ A;=»"tang»" Ssen*"9
/ «-"lang'"' osen^''^ \
i\l -i- A^tang^^ sen^'a)/
1__»»*-|.m^A'sen^9 ft''"sen^''$\l -i- A^tang^S sen^'qj/'
Osservando ora che in generale
s« 1
— : — = z"-» — 2''-* ■+■ z"-5 — «"-^ + . . . db 1 ::+:
1 -h z 1-h?
pve l'ultimo termine et; 1 proveniente dalla 4ivisione
Integrali definiti 139
sarà positivo per valori impari di n, e negativo per va-
lori pari, si avrà
. 5 iT5 = -, ;r((/ctang0senffl)»(«-')
^—m-hm^k^seitf &^»sea^"5 V^ ^ ^'
.(toggseny)'("-'').+(Atan^9seny)^(''-3).g-...d::1q=^_^^,^^J^,g^^^^^)
Si moltiplichi ciascun termine del secondo membro per
fattore comune .cot='t"-^)9 - otterremo anche
sen"^ 1 /,, V , , (Asen(p)2(''-2)
.1-m"-H«i^Fsen> A^^'sen^sV^ ^^ tang^^
(Asen©)^(''-3) _ , ,. cot'C-»)© \
tang45 1 -H Ftang^0sen>J
Moltiplicando il primo e secondo membro per dip, inte-
grando entro i limiti 9=0, 9^= |7r , ed osservando che
/
'"^ 1. 3. 5. . . 2r-- 1 TT
sen^'^ffldffl ==
2. 4. 6. . . 2r "2
/«'^ d9 n \
0 a^cos^9 H- /3''sen^9 2 «/3
avremo primieramente col fare 1 — A^ = k'^
^"^"^ d9 7rcos9
/2"
« T
0 1 -H i^ang''esen'9 2l^(1 — ft'*sen^0)
140 Scienze
e quindi
/'^ scn»"9dy jz /(1. 3. 5.. . 2n— 3)A'l"-'
" 1 — wi^ 4- m^rsen^9 ~ 2F''sen'e V 2. 4. 6. . . 2« — 2
(1. 3. 5. . . 2ra — 5)ifc^("-') (1. 3. 5. . . 2n — 7)A'('*-3)
~~ (2. 4. 6. . . 2« — 4)tang^9 "*" (?. 4. 6. , . 2n— ejtang'iQ
cot2(''-')cos5
icot^C-'lSip
[/■(l — A'^sen^S)
)
II doppio di questa espressione rappresenta la derivata
dell'integrale H^n relativa alla costante m, perciò abbiamo
dU;.« rr /(1.3.5...2n— 3)AM"-') (l.3.5...2n— 5)A;'>-=')cos*9
"dm" ^ Ìfc^A(2.4.6...2n — 2)sen^? "" (2.4.6...2/Ì— 4)sen49
(1 .3.5....2n '- ?)A»("-3)cos49 cos'I"-' )9
"^ (2.4.6...2» — 6)sen<^5 " sen^''^
cot^^-'S V
sen5l/'(1 — F'-sen^S) '
dunque naolliplicando per dm := cos0d5, ed integrando
si trova
__ TT /(1. 3. 5... 2ft — 3)^^1"-'] fcosUQ
^"~M 2. 4. 6... 2» — 2 -^ sen"5
(1.3.5...2n— 5)/t*(»-=') rcos^eàB (1.3.5...2ra— 7)H"-3) /^cosSgdg
2. 4. 6... 2n — 4 -^ sen49 "*" 2. 4. 6... 2n — 6 J sgd.^9
/cos»"-i5d9 __ /■ cot'"gd9 \
S)en^"9 "*"*/ [/-(l — k'seuW
Integrali definiti 141
Tutti gl'integrali ad eccezione dell'ultimo s'integrano al-
gebricamente, e l'ultima dipende dai trascendenti ellittici
di prima e seconda specie.
3.° La riduzione dei primi integrali si eseguisce con
estrema facilità, col sostituire nuovamente m t== send, per
cui
/cos9d9 rdm _^ 1
sen*0 «i* m
/cos3ed9 __ jp(1--m*)dwt 1 l
sen49 «^ m4 3wt' m"
/cosSgdg r(1— m^)'dw
1 _2 £
sen^^ -^ w^ Sm^ 3w^ m
ri
ed infine dallo sviluppo si otterrebbe I^integrale generale
di forma algebraica
/cos»«^'0d9 r
sen*'»9 J
Per 1 integrale trascendente osserviamo, che ponendo per
brevità
A' = |/-(1 — ft'^sen»0) ,,.^^
avremo
'cot^"0d9 r{\ — sen»5)''d9 ^,.
rcot=»"0d9 __ r(
A' «/ sen=»"0.A'
Essendo
(1 — sen^^)" = 1 — nsen^5-i- ^^'^"T sen49
^'"''-'"''-''sen6St....:^seo"6» "
Hi S e I E N Z 1
e facendo ìnollre
Y,
= /.
otterremo
rcot"'5d0 ^ ^ w(»— 1)^
J '—-; = Ia« — nYz{n-i) H ^ *2(«-3) — ""'-
=t:nY,q=Yo
Gl'integrali Y. , Yj , Y4 . . . Yj^ son tutti esprimibili in
trascendenti ellittici di prima e seconda specie, e di più
basterà conoscere i valori di Yo , Y2 , per avere i ri-
manenti. Secondo la notazione di Legendre
abbiamo
Il valore di Y2 ci vien dato per la differenziazione nella
formola identica
cot^Sde d.col0l^(1— ifc'^sen^e)— d0i/^(1— ft'"sen^0)
1/^(1— rsen^e)
A.e "119;
e perciò
Y, =. F(it', 9) — E{h\ $) - A'cot9
A'
i'onde
Integrali definiti 143
Pei» la determinazione generale degli integrali Y^n pre-
Cnettiamo, che per il nuovo trascendente
abbiamo da Legendre la formola generale (*)
A'cosS sen^«-3e = (2n-3)Z,„.4 — (1 +A"){2n - 2)1,^-^
nella quale per tina successiva sostituzione Z4 dipenderà
finalmente da Z^ , Z^ , Ora se nel valore generitò Z,„
poniamo —2n invece di 2n si avrà la relaiiótie Z?^j;i'==Ya>,.
e perciò sostituendo nella riportata' formola di Legendre
— 2n invece di 2n, otterremo per gli integrali Yan la
nuova formola di riduzione
A'cos9
l^^ii^O -= - (2« -H 3)Y,„^4 -f- (1 4- min H- 2)Y,„^,
--ft'^(2«-M)Y,>,
óve si vede che Y4 dipenderà in fine da Y» , Y,. Vet
ridurre la formola ad indici minori di 2n, od eguali gt
^n si sostituisca 2n — 4 a 2n, si avrà
A'C0S9 /:!•.:•..,)■;
-r(2«-.3)Y,„^
Sarà dunque dimostrata la riduzione dell'integrale de-
finito Uart ai trascendenti ellittici di prima , e seconda*
(*) FoBctions elliptiques tom. 1, pag, 12.
Hi^U Scienze
specie. Pongasi in quest'ultima forinola n => 2; otterremo
3Y4 == 2(1 4- A-)Y, - A'^Yo - ^^
e sostituiti i valori di Yo , Y, si ridurrà ad
3Y4==(2+ft'")F(&',0)-2(1 -hk'^)E{k',e) - A'cote(2(1-hA'*)4, -^)
Nella stessa guisa per i valori di Ye - ■ - dai quali tutti
converrà passare per ottenere i valori degli altri inte-
grali Uo , U2 , U4 , Uè , . . • come vedremo da quanto
segue.
4." Per il valore di Uo si ha
«-l -4- mA\sen9
""=/:k:-^j
quindi l'ultima foratola generale del parag. 2." porge im-
mediatamente per n = 0
r d9
ove m == seno , A'^ = 1 — F.
Nella medesima formola generale pongasi n =: 1 ,
si avrà
TT / rcosgdg __ r cot'gdg \
' "^ F V sen^0 ♦^t/"(1 — rsen=»5)/
ovvero
Integrali definiti 445
e sostitaendoci i valori di ¥„ , Y^ sì trova
j, n /\ — A'cos$ \
Sia inoltre n = 2 , otteniamo egualmente
U _ " /^ rcosOdO _ rcos39d9 z' col^ode \
^ M \ 2 -^ sen^^S ^ 7e^4r '*"i ^/'(i-A'^sen^e))
d'onde per le formole già stabilite nel principio del pre-
cedente parag. 3.°, il valore di U4 diviene
U =— /JTL^ L_ _J V
* M \ 2sen9 sene "^ SsenSe "^ ^4 — 2 Y^ H- Y„ ^
Rappresentiamo per maggior semplicità con i due sim-
boli F, E i due trascendenti ellittici di prima, e seconda
specie, allora per i valori dei trascendenti ¥„, Y^, Y4 ,
abbiamo
Yo= F , Y, = F - E - A'coto
3Y4=:-2(H-A'^)E+(2+A'3)F~2(H-r)A'coto-^^
seo^'e
d'onde si trae
3(Y4-2Y,H.Yo)=:2(2-A-)E-/t^F-h2(2-A'^)A'cot9- '^^
sen^'o
Di qui deduciamo per la sostituzione
U4 « -( — £^. -J L_ ^ 2(2-r)A'cot9 A'col»
M V2sen9 3sen39 seno "* ~3 3^^e
3 ' 3 /
146 Scienze
In tutte queste espressioni le quantità A^ 6 soiio sem^
pre determinate dall'equazioni
m = sene , A'= |i/^(1 — k'^ sen^Q).
5° I differenti integrali di sopra riportati trovane^
utili applicazioni nella riduzione di qualche integrale de-
finito duplicato ad integrali definiti semplici. Sia per
brevità
u = cosp , V = senpcosy , w =s senpsen*/
e consideriamo l'integrale definito duplicato
S = 8 y J senpàpé^(b^c^u'' -h aVv^ -{• aH^w^}
il quale come è noto rappresenta la quadratura dì un
ellissoide a semiassi ineguali a, 3, e. Per integrare rela-
tivamente alla variabile p pongasi per brevità
A = aVcos''^ -+• a^'bhen^q , B s= i^^c^ — (a^c^cosq '^a'b'^sen'q)'
e si faccia ,_
Si =J ^ seapdp[/'{h. -+- Bcos^p)
si avrà per l'integrale definito duplicato
S =» Sf^ Siàq
Ciò posto dall' integrazione indefinita per cosp = a?
Il<(T£GRALI DEFINITI 147
abbiamo
Jsenpdp\^{k 4- Bcos»= — /dx|/'(A -|- Bx^)
•' ' ' 2 2''i/-(Ah-Bt")
d'onde
/senpdp(/'(A-f-Bcos» = — ^ ^ "^ ^
Di qui integrando fra i limiti p=0, p«= A;jj otteniamo
S, =J senpdp\^{X H- Bcos»= ^^^"^"^
A /l/BH-l/(A-^Bh
^2l/B ^V i^A /
Dei valori di A, B abbiamo
A -»- B = ò^c^ , B = b^c^ — a^c^ — a\ò^ — c'jsenV
e perciò supponendo i>c, an^«
148 Scienze
con le quali i valori di A, B si trasformano ìa
B==c^b'' - a"j(1 — Fsen"^) = c^{b^ — a^'jA^
A = b^c^ — B = b'c' — c\b'' — a')A"
Da queste nuove espressioni di A, B si trae senza dif-
ficoltà
t/'B H- l/"(A 4- B) = c\/-{b^ — a").A -¥ bc
i/-A = Uc -h ci^{b' — a"). a)^(óc — ci/^(r — a')Ay
è quindi
t/-B + t/(A 4-B) __ t//bc -H ct^(y — a").A\
ÌTa ""J^ Uc — ci/-{b^ — o').A/
Se dunque facciasi
l/(è^ — a*) = bm
avremo
j/B-i- 1/'(Ah-B) I //1 -f- wiA^
[TI
Il valore di S^ diverrà
■ //1 + mA\
y Vi — mA/
5c a^(c''cos''5' -^ ò^'sen^gr) /l -H mA \
^' "^ T"*" 4ci/(6^'^="?]:A~ Hi - wA /
Sostituito nell'integrale definito S, darà
U'^^ a" />^Vcos^?-t-*'sen^fl.), /1-i-mA\^
- '''^'^2c^r-aiL ■ ^^A '^'
Integrali definiti 449
Sostituiscasi 1 — sen^q=cos^q , e ponendo come sopra
otterremo
__^(c'u,.-r-«'H,.)j
Riprendiamo pertanto i valori di Uo , U2 dei parag. 4."
nei quali come si verifica in qnesto caso »i<;i , abbiamo
T,,./ /^^ XT 77/ ^,,, «V 1— cos5i/'(l— /c"'sen^(3))
vivremo evidentemente da sostituire
e (0 -^a ) e (0 — a ) 0
cos9 = -^ , A'= 1/(1 -- /c'^sen'©) = —
6 fi
quindi
_T:d£—bc)\A(^--ar) Tcc^b^ — fl')E(^', 9)
^-- a\b'-c') '^ fx\b'-c')
Sostituendo si ha
S — 4/i^ na'crjk', 9) n{a^ ^bc) nci/jb^ — a").E(//, 9)\
(2 '^2\/^(b^—a')^ 2 ' 2 /
Infine osservando che
a^c bc cos^9 ^rsen^9
150 S e I E ;N Z E
dedurremo per Tintera quadratura deirellissoide
S = 2;:a»-4- ^^(cos'$F{k', 9) -{- sen'©E(A', 9))
sen& V /
Questa espressione trovata per la prima volta da Le-
gendre fu iu appresso nuovamente dimostrata da diversi
geometri con metodi diSerentissimi. Non è però la sola
super^cie ellissoidica alla quale per la sua quadratura
convenga la precendente espressione, ma come dimostrai
per la prima volta nel giornale di matematica del sìg.
Creile di Berlino , la quadratura anche della superficie
di quarto ordine conosciuta in Ottica sotto il nome di
Superficie di elasticità coincide con la quadratura di un
ellissoide di semiassi
bc ^ ac ab ^
«=s — , ^= — , 7 = —
a b ' e
•ove a i b f e sieno i semiassi della nuova superfìcie, la
quale come è noto, è il luogo geometrico della projc-
zione ortogonale del centro dell'ellissoide sui piani tan-^
genti.
6.° La quadratura delPellissoide trova un' applica-
zione notabile al problema delle attrazioni di una stessa
ellissoide. Riprendiamo infatti la primitiva espressione
dell'integrale definito, essa potrà mettersi sotto la forma
S=^Sabcf^ Jl senpipàq [/(^-^-h ^ + !^)
e proseguiamo ad indicare con S la superficie di un el-
iissoide di semiassi — , -7- , — > vale a dire reci-
a 0 e
Integrali definiti 151
proca all'antecedente, la precedente forraola diviene
8 A^ A^
S = / / senpdpdg^l/"(a^M^ ■+• b^'v" -+■ c"w-)
abc J '> J o
Ciò posto osserviamo primieramente che l'integrale de-
finito che ha per coefficiente — - — rappresenta la qua-
abc
dratura di un' ellissoide nella quale i quadrati dei sa-
miassi sono espressi con
ab 0,0 ÒG
e 0 aV/3(R + P-Q)
Resta dunque dimostrato che l'attrazione di un ellissoi-
de dipende dalla quadratura di un ellissoide reciproca.
Questa osservazione è dovuta al geometra di Dublino
sig. Jellett (**). I valori di P, Q. R sono espressi, come
è chiaro, per altrettanti integrali definiti semplici: ma ri-
salendo al primitivo valore di S per l'ellissoide recipro-
ca, potranno anche esprimersi per integrali definiti durr
plicati, in modo da essere
8 r*^ r^^ cos^psenpdpdy
~ abc J o J o [/'{a'u^ ■+- AV H-cV^) '
"^" ^.2?: sen^pcos^gidpdj
8 /'* f^ sen^pcos qdpdq
^^~ab7J 0 J ° i/(aV-t-6VTfrcS7) '
__ 8 r'^ r'^ sen^psen''qdpdq
Infine i medesimi si ridurranno a trascendenti ellittici,
che per brevità tralasciamo di fare.
(') Lioiivijle, lournal de math: tom. 12 pag. 92. 1847.
Integrali definti 155
7." Occorrendo per altri problemi la determinazione
del valore di \]q , facciamo nell'ulliiaa formola generale
del parag. 2.» « = 3 : risulterà
77 /1.3.A4 rcosMO __ F r cos'aedo rcos^OAO
1 primi tre integrali di forma algebraica sono già de-
terminati nel principio del parag. 3.°, come per l'ulti-
mo di forma trascendente si avrà
J l/"(1
= Yg — 3Ya -h 3Y,
Per il valore di Yg pongasi nella formola generale data
alla fine del parag. 3.% n = 3: si trova
5Y6 = 4(1 H- nY^ - 3A'^Y,- -^
sen^9
Eliminando adesso Yg fra queste due ultime dopo dì
aver moltiplicato per 15, otteniamo
ove sostituendo il valore di 3Y4 espresso per Y^ , Y^
come nella fine dello stesso parag. 3.% si ha ancora
(4fe"^11)A^cos9
sen'5
156 Scienze
Finalmente la sostituzione dei valori di Y„ , Y^ per i
trascendenti ellittici di prima e seconda specie, darà
l:il^=={4fc'4-.l2;t'^-t-8)F-(8r4-h23fc')E-(8^'4-h23fc'-)A'cot5
A
SA'cosg (3fc" — 11)A'cos$
sen^S sen^5
d'onde e per gli indicati integrali algebrici, e per que?
sto alticno di forma trascendente, otteniamo
;j/_45fc4^l5fc^ I5fc^ 15 30 15
h^\ 8sen0 ~'2sen9 3sen39~5sen59 Ssen^S"" sen^
, ,„ ,, ,, ^ 3A'cos9 4^'^ — 11)A'cos9
4-(8/£ 4 -H 23ft")A'coie H ^ — h ^ -J ^
sen^y sen^S
—{Ak'i — rik'^ ■+• 8)F{ft', 6) — (8fe'4 4- 23k^)E{h\ e)\
Queste formolo trovano dello utili applicazioni a nuovi
problemi di geometria superiore.
8.° Rilenendo come sopra
u =s cosp , V = sénpcosy , w = senpseny
sia da ridursi rintegrale definito duplicato
V ~ —J ^ J sen/)d/jd x, A -hBj?^=X avremo per gli inte-
grali indefiniti le diverse formole
|senpd/)[/^(A -H Bcos»3=_ f'àx\^{k -{■'Qxy
Pa .AY3 /^-<-^A 3A\ .., „ 3^ 3 A' /-da:
quindi per l'integrale indefinito
ysen/jdpl/'(A-f-Bcos»3=— ^-±_— ^'4-— Vos;)l/^(A-f-Bcos»
3A^ . / ^ V
— sTTb ^^\^°^^^ "^ ^^^ "^ Bcos»\
Integrando adunque fra i limiti p ^^ 0, p = |y:, si tro-
verà
8l^B n 1/-A ^
158 Scienze
Per poter ridurre il secondo membro alla forma loga-
ritmica di sopra stabilita, poniamo c>»5 , a>-5, c-t/'(A-HBcos^p)' =— (Si^cos^'g' -f- Sc^'sen^jf -h 2a)
8
3(ó''cos'flf -I- c^sen^fl)^ , /1-|-mA\ „,
g
Moltiplicando adanqne per -— ed integrando entro i
IUTEGRAM DEFINITI ^59
limiti 7=0, y==|7r, otteniamo pel richiesto volume
TTfl
V = _(4o"-i-3i=' + 3c")
'^"(ó^cos^flH-c^sen^y)^, /1-i-mA\.
4' ' ^
2t/-(o^-6=
/'* 6 cos ffH-c sen 0) , /i-i-mz\\.
Infìne richiamando il significalo degli integrali definiti Uz^»
avremo
V = —{W 4- 3è" -1- 3c")
6
Dal secondo membro di questa formola si vede che il
volume Y, dipendente dagli integrali definiti Uo, U^, U4,
si potrà ridurre in fine ai trascendenti ellittici di pri-
ma e seconda specie. Questa riduzione si eseguisce fa-
cilmente col sostituire i respettivi valori di quelle quan-
tità, che trovansi nei secondi membri di Uo , Uj , U4 già
riportati nel parag. 4.° Infatti nel nostro caso la costante
m è minore dell'unità: e preso m == sen@ , abbiamo
sene=-5-i ', cos9=— , k^=—^ r^,
a a a — 6
'" " ~~ "^ A'==-. i/-(1 -;t'^sen='e)=i—
a — ù a
d^onde si trae
3 ^ ' 3sen^0 3al^(a' — by
2sen9 3sen35 sen9 "~ 6i^(a' — b'f
460 Scienze
Con questi valori, le espressioni citate di Uq , U^ , U4
divengono
_ 7r(a'— &^)%a(9&^ — 4a^ — 3c') &c(a^ — 43^ -h 2c')
^'i ~ (? — è^)4 6l/(a^ — è")3 "^ 3a[/'{a^ — by
a" — 0=^) /
3(a=' — è")
Di qui componiamo l'espressione
j;^^.)(a*U„ + 26^ (c^ - ó^) U. -t- (c^ - ^=1^04)
/a(9è^ ^ 4a^ — 3c^) óc(a" — 46" -f- 2c") — 6A^(a"— 6c).
n ^ -^ i^ )
H"" 3 ^ 3i^(a^ — ó^) ^
Sostituendo finalmente questo valore nel secondo mem-
bro di V, dopo facili riduzioni troviamo
V = lZlLr^^-^___^ 4
o" /"^ 6
Questo risultamento è d'accordo con quanto io trovai
per la prima volta nel parag. 11.° della mia Memoria
inserita nel tom. 31 del giornale del sig. Creile con un
metodo al tutto differente dall'esposto, come in appresso
lENTEGRAti DEFINITI 261
ftel giornale del sig. Liouville per l'anno 1846 verificò
nuovamente con altre formole il sig. William Roberts di
Dublino.
9.° Applicazioni ulteriori delle medesime formole
possono trarsi dalla meccanica razionale nella ricerca
dei momenti d'inerzia. E noto, che se X, Y, Z sieno i
momenti d'inerzia di un corpo, relalivamante agli assi
ortogonali delle a", «/, z, e dm sia l'elemento della mas-
sa, si avrà
X =* ^(y'-f-z'jdm , Y= r(x='H--=')dm, Z ==-- /"(ic'-hy^jdm
Supponendo la densità costante, e ridotta all'unità, al-
lora all'elemento della massa potrà sostituirsi dall' ele-
mento di volume: sicché scegliendo il consueto paralle-
lepipedo rettangolare, si ha
dm = dxàydz
e quindi per una tripla integrazione
X =///(y' + z')àxdyàz, Y=^Jff(x'^z')dxdyAz
Z =ffA^'-hy')dxàydz .
Gli integrali dovranno essere estesi fra i limiti della su-
perficie occupata dal corpo. Le precedenti formole tro-
vano una facile applicazione al parallelepipedo rettango-
lare, alla sfera, all'ellissoide , quando anche le integra-
zioni si eseguiscano relativamente alle stesse variabili
Xy y, z; ma riescono generalmente di un'estrema com-
plicazione per le superficie di un ordine elevato; il che
162 Scienze
rende in molli casi più facile la trasformazione polare^
Ponendo adunque per x, y, z, i valori
X => rcosp , y = rsenpcosq , z = rsenpsen^
all' elemento òxdydz si dovrà sostituire 1' eicment»
r^senpdpdqdr , d'onde
X = / / I r'istii^pdpdqdr ,
Y= / I I (cos^p •+■ sen^pseìi''^)r'isenpd/)d5fdV
Z E=s f / / (cos^p -+- sen^pcos^5^)r'»seiipdpd5'dr
Se l'integrazione relativa ad r, potrà eseguirsi a partire'
da r = 0 , da una prima integrazione si otterrà
X = — / / rhen^pdpdq
Y = — / / r5(cos'p ■+■ seu*psen^g^)sen/)dpd^
Z = — / / r^{cos^p •+■ sen^pcos^yjsenpdpd^'
Se la massa viene terminata da una superficie chiusa, le
integrazioni potranno eseguirsi in molti casi fra i lìmiti
p=0 , p=7r , q=^n , q= — n. Nel caso di un'ellissoide
il coefficiente di dpd^ rimane invariabile, quando all'aa-
golo p si sostituisca t: — p, ed all'angolo q, n ziz q; e
Integrali definiti 163
perciò si potrà eseguire l'integrazione fra i limiti p=0,
p=^n , y=|7r , purché si moltiplichi l'integrale per 8.
Operando in questa guisa , od anche facendo uso delle
coordinate sferico-polari , i momenti d' inerzia, come è
noto, saranno espressi da funzioni algebriche dei semiassi
a, b, e.
10." Affinchè le precedenti formole generali trovino
un'applicazione ai trascendenti ellittici, prendiamo, come
già si è fatto nel precedente parag. 8.°, la superfìcie di ela-
sticità e di equazione polare
r* = a^cos^p <+• b^sen^pcos^q -H c^sen^psèn^^
quindi ponendo per Brevità
u = cosp , V = senpcosg» , tv = senpscnq
ed integrando entro i limiti p=0, p=|7r, Y=0, 5'=s|7r
gl'integrali X , Y , Z, eslesi all'intera superficie, diver-
ranno
8 At^ pan
t=a-— y ^ J (1— cos^p)sen/)dpdj'l/"(o»M»-f-iV-f-cV^)5
8 r^^ A^
V =~J ^ J (sen^5r-i-cos''pcos*gr)sen/>d/)d5'i/(a^M^H-ó^t?^-4-cW)5
5
lt=--l J (sen^5'+cos^psen^jf)senpdpdg'l/^(aVH-i^t)^-4-cV^)5
Una prima integrazione relativa all'angolo p, è sempre
facile: quindi gli integrali definiti relativamente all'an-
golo q si ridurranno a trascendenti ellittici di prima e
seconda specie. In una massa adunque omogenea terminata
dalla superficie di elasticità, i momenti d'inerzia relali*
464 Scienze
vainenle ai tre suoi assi sono espressi da funzioni ellit-
tiche di prima e seconda specie : ma i coeflicieuti però
ultimi di queste funzioni non potendosi ottenere , che
dopo lunghe operazioni analitiche, non faremo che indi-
care queste riduzioni per il primo integrale. Poniamo
come sopra . , .
A = b^cos'^q -f- c^sen'^^ , B = a^ — (^^cos^^- -H t^szt^q)
CQsp = a? , d'onde senp&p = — dx
' éJioiJii
si avrà primieramente
(1— cos"/))sen/)d/)^/(A-J-Bcos^p)5=-- f{\ —x'jàx[/^(\-^B]o^)^'
Ora dafle integrazioni indefìnite abbiamo
/xM^l/-(A+Bx^)5 .-=^l£l^±?£)'_^/dxi/(AH-B^^)^ '
per cui
xl/'(A H- B^')7 ,
_ /(1 —x^)dx\^{k-\-Bjc^j
5
8B
ove sostituendoci
8B
J d-l/(AH-B.T= (— e— -^ -4H^ T^)
5A3 /^ dx -'^^"' ""'""^ •^"'-'
.. ,„,..i.i'n)hn 18 \; oio>2
Integrali definiti 16^
quindi
— f{\ ^ x^xi/^iX -H hxy^ ^i^
Bx^]7
8B
8B
5A3
128B|/'B
/{A-hUx^y 5A A+Bx^ì 5A^\ , „ ,.
Iog(a;l/''B -f- j[/-|4 4- Bx^)Y(A ~f-8B)
All'ipotesi X =^ 0 corrisponde /)== |7r ; cossicché chia-
mando X' l'integrale, avremo
5Ai(A + 8B),
come per 07 = 1 si ha, p --= 0 ; e denotando l'integrale
per Xo , abbiamo
„ |/(A-f-B)7 5A3(A-f-8B), / ,„ , „ v
Xo = ^^- -^log(t/B H- i/'(A H- B))
(A-t-8B) /-(A^-B) /(A-4- Bf 5A(A-hB) 5A= \
8B A~6 ' 24 *""T6~/
d'onde dalla differenza X' — Xo , e dalla sostituzione
nella prima serie di termini, di A-hB= a^, ricaviamo
^ ^ (1 — cos^p)sen/3d/)i/"(A -H Bcos"*/))^'
= -8B— (t+ -2r+ ir)- 8B- + («>
166 Scienze
ove per brevità
5A3(A-t-8B) /t/^B 4- ^/-(A -^^ B)^
^^)=^ -T28Bi7rM — 7a )
Rappresentiamo colla lettera S V integrale definito che
trovasi nel primo membro ; sostituendo nel numeratore
dei termini indipendenti da (R) il valore A = o^ — B,
e nel numeratore del coefficiente del logaritmo nel va-
lore di (R) i valori di A e B ottenuti nel principio di
questo paragrafo, si avrà
S = -V(l91a4 — 265a"BH-l05B' — 1|1.)h-{R)
8. 48V B /
ove per le indicate riduzioni sarà
^ '"^ T28'Vbì7b jTb
(e»— ò')(o4-t-2a'&'~21 54)sen'7 {c^—by(a'— 21 5^)sen4y
i/^B JTb
7(c* — b^sen^q \ /l/B -f- i/'(A -^ B)\
•)lo,(.'
l/B / °V l/^A /
Se, come si è praticato nel parag. 8.°, si prenda
a — 0 a — 0
B=(a=— i==)A^ , A=a*-(a'— è^)A^ , [^{a^—b^) = Ma
Integrali definiti 167
il valore di (R) si potrà porre sotto la forma
5 j 8 ^ (A.+B,g'-4- C.^4-hDt26) /i_+mA\\
ove sia z = sen^r.
Moltiplicando il valore della S per — - , e per dq ed inte-
grando entro i limiti 9 = 0, = |;:, otterremo il mo-
mento d'inerzia X; quindi sostituendo nella prima parte
del valore di S il valore di B, ed osservando, cbe
""^ d^ n
J o B ~J o [a^
0 (a='-ó^)cos25'H-(a^-c^)sen='gf 2\/'{a^-b'').\/'{a''-c'^)
si avrà dopo differenti riduzioni
na
na 06 ^ r'^mA
"^2,16* i/-(a» — ni/-(a^ — c^)"^ ^Jo^m
Infine nell'ultimo integrale presentandosi integrali delle
jfprme
" »/ o A °\1 — mA/ ■
r»7rsen2»ff /1 -4- mA \ ,
otterremo
ni
240.48
X=j^^(248a4+3l5(i4+c4) 4- 320(a'é^-|ra^c^)
1/ «8V^ (A,U,-ì-B.U,+C.U4-hD.U6)\
46^ Scienza
Il valore adunque del momento d'inerzia dipenderà da-
gli integrali Uo , Uà , U4 , Uè , che, come abbiamo di-
mostrato, si riducono tutti ai trascendenti ellittici di pri-
ma e seconda specie, come egualmente si verifica per l'in-
tegrale Vo. Per brevità tralasciamo di fare questa ridu-
zione, ed osserviamo soltanto che nell'estrazione dei ter-
mini algebrici dagli integrali Uo , • • • svanirà la parte
algebrica di forma irrazionale. E facile poi la riduzione
dell'integrale
rM
mA \dgr
ma /A'
Infatti diiTerenziando relativamente al parametro m si ha
dm '^ «^ ° A''(1 — m'A^)
e facendo la decomposizione in fattori eoo la sostitu-
zione del valore di A,
= 2 P - — r| •-t-2m2 /
dm *^ o (1 — fc^sen^g) *J ° (1 — m^H-m^ft^sen^y)
Ora siccome k^^h'^ = i , così avremo
dVp /^ «^ \
dm "" ^ \k' 1/^(1 — m^)[/'(\ — m'ky
Moltiplicando infine per m=sen5, ed integrando, si avrà
per le formole date da Legendre
/sen9 ¥{k',e)-E{k\9)\
Integrali definiti 16^
InGne la so&tiluzione del valori di d, k\ k, porge
V.=^i ^;r^.. + ^-£^^(F(r, 9) - E(k', «))j
a» — b^
a\/-{a^ — e') ' {e
Formole ed integrali somiglianti s'incontreranno per gli
altri dae momenti d'inerzia Y, Z nella superfìcie di ela-
sticità.
11.° Riprendiamo ora Tintegrale definito
e sapponiamo m>>1. Dalla derivazione relativa ad m
abbiamo
dUa^ __ r^^ sen"9d<3) '^^
dffi «^ o (m^ — 1 — m^k^sexì^f)
qaindi, come abbiamo fatto precedentemente, il coeffi-
ciente di àf sì potrà porre sotto la forma
sen»"y {[/'m^ — 1)^" 1\p^(w,^_l)
n mk V
— ly* lV(m^— 1ì/
sen*"??
w^_1_m^rsen"(p m^"F"(w^— 1)) 7 m^
^-(^^^))«-r
Ciò posto, chiamando k' il complemento di A; in modo
da essere 4» -f- ^'^ = 1 , pongasi
mA'= — - , A' = 1/^(1 — ^'"sen'5)
sen9
G.A.T.CXVL n
170 S C I B N Z S
avremo
"•'-A-seqS- '^("'* '>
A'
^ ^'senS
e quindi
(
ft*"sen*"5)
sen*''9 A'^^-^k'^sen^O]
A'^"
tnt_-, _m'ft*sen^9 F" j
A^sen*9
Ma dalla divisione si ba
-— — = -— (1 -H z 4- «^ +z^-i- , . H-z"-')
1 — zi — 2 ' ■
per ciò
m*— 1 — m''ft'sen''(p ft'" <
_ [ i+(*f?)' + (*p/ + . . . ^.(*p)"- j j
Moltiplicando adunque il primo e secondo membro per
d^, integrando entro i limiti fssaOj ^ tsq |;f, ed os-
servando che
2.4.6. . . . 2r * 2
/ sen^'^yd^ SS!
r^^ dy _yr A^ ttA^
Integrali definiti 47i
si otterrà •?!.;] h.h 'iLaiii;;'* onìia-.'ii omhq II
|_A; / i_ì^ ]3k^
dm k^"
1,3.5 fcs 1.3.5. . .2n — 3fc"-» \
"*" 2X6'A^6 ■* "*" 2.4.6. ..2«-- 2' A"^»]
Moltiplicando per dw = — •; — ^, ed integrando ter-
mine a termine, si troverà per l'integrale in questione
H- -~-- /cosOdeA'^-^ 4- ^^^ /cos9d5A'"-8+ . . .
2.4 ^^ 2. 4. 6 '' '
1. 3. 5. 7. . . 2« — 3.^="»-^ r ^ \) '-n'?'' •?
■^ 2.4.6. ■■2» -2 >^^''^)}
Tutti i termini, ad eccezione del primo, sono integrabili
algebraicamente, ed in termini razionali, mentre in que-
sti le potenze di A' sono tutte pari, e basterebbe porre
8en9 = u , cosddd == du : quindi se il primo termine en-
tro il vincolo integrale si moltiplichi e divida per A' ,
avremo senza difficoltà
"-=*- F^ aH (yd«(^ -^V)"-
'k'"\k
1.
4-
• ydu(i — k"uy-^ -v- ytJ^^^^ "* *"'*')'"^
2 -/^ ' 2.4
1.3.5. . 2»— 3.fc^"-2 r v)
■ 2.4.6.. 2«- 2 >)]
172 Scienze
Il primo termine dipende dai trascendenti ellittici di
prima e seconda specie. Infatti formando Io sviluppo
(1 — k'hea'Bp «= 1 r-«^^'sen=^g4-"^'^ "" ^ V4seD4g
1,0 . . .?,; 2
H-.,. . =t^'^''sen2"e
e ponendo per brevità
'sen^^^^dS
rsen^"(
SÌ ricaverà
j(i^i:^ = z. - „r z.-^. ^^ k'^z, .,..
lì segno -h è per n pari, ed il segno — per n impari.
Ora è noto che gli integrali della forma Z2„ si ridu^
cono a trascendenti ellittici di prima e seconda specie,
e questa riduzione si eseguisce per mezzo di una for-
mola data da Legendre, e già riportata al parag. 3.° ,
per mezzo della quale con una successiva sostituzione
Z4 si farà dipendere da Z,, e Z, che si esprimono spon-
taneamente in trascendenti ellittici. Resta pertanto di-
mostrata una somigliante riduzione non solo per l'inte-
grale, che trovasi nel primo membro, ma ben anche per
gli integrali denotati con il simbolo Uà» per m > 1 ,
12." Nell'applicare le precedenti formolo generali
a qualche caso particolare, riteniamo con Legendre U
consueta notazione dei trascendenti ellittici
IeRTEGRALI DBFIli
faccia n = 2, avremo
A'cos5sen5 «= Z» — 2(1 -f. A'% ^ ik^^
d'onde sostituendo i valori di 2o e Z, deduciamo
sengcosgt^(1 — y^sen'g) __ 2(1 4- k'^)W, ^
(2-hA")F(F, 5)
^ 3&'4
quindi
3- 3
i^sengcosgt/'(1 — A'^sen^g)
"*" 3
e perciò
_ / 1 1 J_ !/•(>»' --1)/"(m'^"'—1)-
, i ^^*^'^( 3^P"" 2m*;f »~mM"** 3i»3M
2(H-fc^)E(ft', 5) FF(r,5)
3A4 3M /
Poniamo ancora nella formola generale n == 3, si trae
-*4/d„(,-rv)-l:ij^/du)
Integrali definiti Ì7B
Integrando e sostitaito umk' = i , otteniamo
^ _ /_ 1 2 113 1
^j^(Zo - srz, 4- 3^'4Z4 - A'ezg)) - -
Per calcolare Ze pongasi nella citata formola del par. 3.o
n cs 3, otterremo
Sh'^Ze «= 4(1 -+. A"')Z4 — 3Z;, -I- A'cos5seft39
quindi per una successiva sostituzione dei valori di Zs
e Z4 , . . . . otteniamo
1 5(Zo — 3^'^Z, -h zk% — kn^)
« (1 5 — 1 U'» H- 4A'4}Z„ — 3A'4A'cos5sen3^ ^" !
H- (23A'4 - 8^'6 ^ 23*'^)Z, ^ k'^^ 1 - 4V«)A'cos9sen9
ovvero per relìminazione di Zo e Z, e riduzione
15(Z„ — 3A'% -f 3^4Z4 - A'ezg) " ' ' '"*
= *"(1 1 — 4fc'*)A'cos5sen9 — 3A'4A'cos0sen35
- 4ft*(1 -f- ft^)F(A', e) H- (23P — 8;fc'4)E(A', 9)
La parte algebraica per la sostituzione di m porge
^'^(11 — 4fc'')A cosasene— 3A'4A'cos5sen30
KK-l^l^Cm^fc'^»— 1)/ .
176 Scienze
per ciò il definitivo valore di Ug sarà
, V Sm^i
5m5ft6 Sm^k^ 6m^k^ mhP imk'' 2mU
_ 4^^ '•HA')F(r, g) (23F ~ 8^^4)E(fe/, 0\
Le riportate formole trovano delle applicazioni.
13.° Consideriamo la superficie del quarto ordine
la quale, come è noto, rappresenta il luogo geometrico
della proiezione ortogonale del centro dell'iperboloide a
due falde su i piani tangenti. Se per la sostituzione po-
lare si faccia
z f=a TU f a:= rt> , y c= nv
u = cosp , «= senpcosj' , w = senpseny
otteniamo
r^ = c'cos^p — o^sen^pcos*jf — i^sen^/jsen^gf
Volendo l'espressione del solido terminato da questa su-^
perficie, si dovrà calcolare l'integrale
esteso fra certi limiti che verremo a determinare. In-
fatti dal valore di r^ si ha la condizione
ì ,-
c*cos^/? > (o'cos^j' 4- i^sen^^)senY
Integrali definiti 177
ossia
COXp >.
e
e perciò eseguendo una prima integrazione relativamente
all'angolo p , i limili dell'integrale per valori positivi
delle coordinate saranno
p =a 0 , p, = arctang/ -— — — — —\
° \l/(a^cos^jr ^- ^^sen^j-)/
e quindi q compreso fra i limili y = 0, q== ^k: di qui
molllplicando per 8 l'integrale, avremo l'espressione del-
Tintero volume terminato dalla superficie in questione ,
eioè
j '5 9Ìtt9ia
V =t/o' /o' »en/)dpd?i^( c^u' - a^v^ - b^w^
Sia cóme sopra
A = — (a^cos^j' 4- bhen'q) , B=c^-Ha^cos^5'H-5^sen*jr
e pongasi
senpd|JK(A -H Bcos»3
o
»arà . ir
3
Ma, come si è riportato al parag. 8, e per m=scos/)
yseDpd/Jl/-(AH-Bcos»3= — ( -ÌJL-h^ W( a-hBm' )
178 SCIÈNZE
quindi la differenza dei valori, che si olliene dalla suc-
cessiva sostituzione di ;? = p, , p = 0, darà l'integrale
definito W. Ora il valore di pi porge per mezzo delle
quantità A, B,
[/•—A
cespi = —-— — — , senpi ssa
e siccome A -f- B = c^ , cosi anche
l/^— A d
*^°*''' ^ ITb'' ^^"'''"^ITb ' ^^^ ■*" ^<=^ P«) = ^
perciò la sostituzione di p =pj , p = 0 dà successiva-»
mente per W i valori
^"^ - (^+FK(A+B)-8-^''>«(l^B+l^(*-f-B))
Dalla differenza V, — Vo si ha
K(AH-B)3 3At^(AH"B) 3A" /KB-4-l/^(AH-B)\
"^ 4 ■*" 8 '^S\^B^^\ l/^—A /
la quale per la sostituzioue dei valori di A, B diverrà
_. c3 3c(aHos^q -+• 6'sen^q)
3(a''cos''5'-Hi''sen25r)=^ /c-+-[/'{c^^a''cos''q-\-bhen''q)\
"^8i/^(c^H-a*cos^y-i-i^scn^j') °^\ ^^(o^cos»^ ■+- b^setì'q) /
Integrali definiti 179
Mohiplichiamo il primo e secondo membro per Ag, e per
8
-~- ; facciamo l' integrazione eniro i limiti gr = 0 ,
jr = |rr , e po&iamo per brevità
Q
Qi
(g'cos'y -4- ^^sep'g)''
^/'(c^ -{■ a^cùs^'q -+■ b^'seu'q)
avremo facilmente pel richiesto volume
3 4
A questa espressione giunsi in una mia Memoria, che
trovasi nel tom. 31 del giornale del sig. Creile di Ber- >
lino. Ora vengo a mostrare, che Fintegrale definito del
secondo membro dipende dagli integrali definiti della
nota forma H^n t e quindi si può ridurre ai trascendenti
ellittici di prima e seconda specie.
14." Supponiamo a >• ò, e si prenda
a -^^ e a -\^ e
A«l/^(1— Fsen"9)
avremo
l^(c' -^ a'cos^j 4- *"sen"j) = Al/(«" -4- e'
d'onde
a'cos^^f + i'sen^'jf = (a* H- c'')A'' — e '
180 Scienze
«jaindi facendone di questo valore la soslituzione nella
sola Q, otteniamo
0 = g •+- ^1^(«^ ■+■ g") Q _ (g'cos^!? -f- 6'sen'y)'
Osserviamo inoltre che
d'onde segue cfie fatto l/'(a^ H- c^) «=» me, si avrà
e facendone la soslilnzione
Infine ponendo
«'-/: ^s:4^K
si trae
Osserveremo qui che l'integrale definito Ùj;, non can-
gerà di valore , quando anche in luogo di mA — ^ 1 si
sostituisca 1 — mA, e per conseguenza gli integrali, cho
s'incontrano in questo caso, sono identici a quei già de-
tcrminati negli antecedenti parag. 11 e 12 per m^l.
Integrali definii 181
Pniique il vplume ¥ sarà per ora espresso da (?
~~3 4
* W^"'"" ~ '"'^''' ~ *''"• "^ <"' ~ *"^""*)
Non resta pertanto che a riprendere gli integrali \J„ ,
Uà > U4 . . . già calcolati nel parag, 12.°, e sostituirvi
i relativi valori di m , ^ , ^', ciò che darà
\ a — * a — Q /
_ n /c{2ab — 4c^ — 9(f -+• 3b^)\
'^~~ 2\ 3(a^ — by /
^\ Z[a^ — by 3{a'-~by )
Fattane la sostituzione nel precedente valore di W, do-
po brevi riduzioni si ottiene in fine
_ naòc_ ^/3a4 - (g- - b^)(a^ -H c^).
ri- -^'^-fc'— ^' — a^)\r{p^ -¥- e). E{h', 0)
L'ampiezza S delle due funzioni ellittiche sarà determj^
nata dall'equazione
scnS = — —=
182 Scienze
Questo risultamento trovasi già esposto in ana mia Nota
composta nello scorso novembre, e che verrà pubblicata
nelle Memorie della società italiana. Il primo termine
del valore di V rappresenta l'ottava parte di un volume
ellissoidico. Quando a = i , allora ^' = 1 , e perciò
d'onde
2 2 2l/-(a"-Hc^) *V a /
Io questo caso Y sarà il volume generato dalla rotazione
dell'area della curva
attorno all'asse rettilineo 2c, la qual curva è il luogo
geometrico della proiezione ortogonale del centro dell'
iperbola sulle sue tangenti. Qui pure, volendo procedere
alla ricerca dei momenti d'inerzia, s'incontrano nel caso
generale degli integrali considerati nel parag. 12.°, e
quindi riducibili ai trascendenti ellittici di prima e se-
conda specie.
1 5.° Veniamo ora ad esaminare il caso, nel quale
la costante m sia sostituita da mi/" — 1, allora avremo
r"^sen="'9 , /1 -J- mAp^— 1 v .
"»"=A -r-'°Ki-m^iA-ir
Dalle relazioni fra le espressioni logaritmiche e le fun-
zioni trigonometriche si ha in generale
arctang(z) ^^^ Iog(|-±^£ll)
Integrali definiti 183
e perciò U^n si trasforma in
r»^sen'"'<».arctang(mA),
Nelle applicazioni questo passaggio indica un cangia-
mento di grandezza nei valori dei parametri : per ciò
non avrebbe luogo il coefficiente j/" — 1, e verrebbe a
scomparire da se medesimo, il problema adunque si ri-
duce alla considerazione degli integrali
=/
'^sen^''ffl.arctang(7»A)
d?
Pern = 0, e per potenze impari, e superiori alla prima
di A, questi integrali sono stati già esaminati dal sig.
W. Roberts nel giornale del sig. Liouville per 1' anno
1 846, il quale di piii ha fatto conoscere la dipendenza
di essi con altri integrali dati da Legendre. Venendo
adunque ai proposti si avrà dalla differeuziazione rela-
tiva ad m
d.Va„ _ r«"sen"'9dy f^^ sen'V?
r* sen'"ydy_ r
dm *^ » l-f-m'A'' J « (1-t-m^ — m**^sen^9)
ove per l'integrazione converrà eseguire la divisione dei
termini nel coefficiente di d^. Facciamo primieramente
1 tii^k^
m=tang$, ed, m»H- 1 = — ~ , -^ = k'sea^O
^ cos'0 ' in^'-v-l
si troverà facilmente
sen*''9 cos'US /fc-''sen="'0sen^''
MoUiplican4Q il primo e secondo membro per dip ed in^
tegrando entro i limiti ffl-0, 9— l/r, ed avvertendo che
/
1
o 1 — fc^sen^^sen^ip 2 ' 1^(1 —k^'sea'Q)
sen^^^^dip =
^^ 1.3. 5..2r — 1 n
2. 4. 6 ..2r 2
otterremo
1V,„_ TTCOs'S f 1 /^ , (AsenS)' _ 1.3(Aseng)4
"24
iVa„_ TTCos'y I 1 / (ftseny)
dm "'2l^VÌ^li7(T^?t's^n¥) \ "* 2 •"
ene)2"-2x'i
1.3.5.asen5)6 1.3.5. . . 2w— S.f^csene)^"-^
2.4.6 ' 1.2. 4.6... 2n
d9 . C
Facendo la moltiplicazione per dm = — rr , ed inte-
cos 9
grando, avremo il valore di V^^, il quale dipenderà e
da un sistema di termini algebraicamente integrabili, e
da altri esprimibili in trascendenti ellittici di prima e
seconda specie, vale a dire inawj 1
*''~"2fc^''(7sen'"$l/"(1-^^sen'e) -^sen^^g 2 J sQn^'^-^Q
1.3.M p d9 1.3.5...2n— 3.*'»-=^ /-d5 j
2.4 Jsen^O — • - ""2.4.6 ... 2» •— 2^s"èn^j
Il primo integrale denotato per Y^/, è già occorso nel
parag. 3.°, ove si è dimostrata la riduzione ai trascen-^
denti ellittici: i rimanenti poi son tutti algebrici, ed inte-
grabili con le note formole elementari dei calcolo late-"
graie. {Sarà continuato.)
18J
JDelV economia pubblica in accordo colla morale.'th
Discorso del prof. Domenico Vaccolini. )i|j
A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR PRINCIPE
VICE PRESIDENTE DELl'aLTO CONSIGLIO
SOCIO ORDINARIO DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA
DI ARCHEOLOGIA
MEMBRO DEL COLLEGIO FILOLOGICO
dell'università' ROMANA
ECC. ECC.
Eccellenza
Oe di ogni ben locato ufficio tutti si allegrano gli
amici della pubblica felicità, più si allegrano i sin-
ceri cultori delle scienze e delle lettere, i quali per
esse sono maestri ai popoli di vera civiltà. Io non
oserei darmi questo vanto, che sarebbe soverchio
per quanto io ami gli studi (e per verità gli amo im-
mensamente ); ma non cedo ad alcuno nell'ammi-
rare i grandi pregi della mente e del cuore di vo-
stra eccellenza: dei quali ho avuto ed ho prove con-
tinue io medesimo da cinque e più lustri, dacché
ella si degna accogliere con tanta cortesia in questi
G.A.T.CXVI 13
^86 Scienze
volumi i poveri frutti del qualunque mio ingegno,
dichi/arandoli non al tutto indegni della pubblica
luce. Ciò, lo confesso, mi è stato novello stimolo e
sprone alja continua fatica in quegli ardui studi ,
che occuparono la mia prima giovinezza, e i più bei
giorni della mia vita. Dai quali parrai avere raccolr
to assai, benché altro premio mancasse : essi mi val-
sero l'amore 4» que'lumi del Monti, del Perticari e
del Biondi , che ancora desideriamo , non che del
Betti, del Muzzarelli e di V. E. e di più altri spiriti
gentili in Ropaa e fuori. Ai quali tutti io mi pro-
testo obbligato, troppo bene conoscendo la insufficien-
za pnia. E di gratitudine tanta parte dovendo io a
V. E., che mi onora sopra ogni mio merito, non pos^
so tenermi di darlene alcun segno palesemente. E
ciò intendo di fare col presente discorso, in cui si
fa aperto che la pubblica economia torna fallace^ se
sì dilunghi dalla morale, colla quale è congiunta es»
senzialmente allo specchio dell'ordine: tema che non
può non tornarle gradito sopra gli altri ora, tanto più
che siede con tanto onore e con coniune soddisfazio-
ne neir alto consiglio dopo quella cima d' ingegno
dell'ottii^do nostro monsignor Muzzarelli: al quale ed
agli altri benevoli se vorrà ricordarmi, io le ne avrò
obbligo grande; nulla premendomi più, che d| es-
sere in grazia di tali uomini, che sono il fiore della
presente civiltà. Gradisca il mio buon volere, ed ac-
colga i sensi di stima e di ossequio, con cui ho I'q-
nore di confermarmi
Di vostra eccellenza
Bagnacavallo 10 giugno 1848
Umo dmo ob. servitore
Prof. Domenico Vaccouni
Economia pubblica. 187
\^uella {jran mente di Tullio , che in se raccolse
tutta l'antica sapienza, considerando le varie opinio-
ni degli uomini, e come altre siano passeggere e flut-
tuanti; altre stabili e ferme: sentenziava, il tempo spe-
gnere le fantasie delle opinioni; confermare i giudizi
della natura. Lo stesso dirennmo noi, considerando
le vicende della filosofìa, che è pure o dovrebb' es-
sere la scienza delle scienze: e come tale aversi sem-
pre dinanzi la luce dell' ordine per ispecchiarvisi.
Ma che ? i filosofi del passato secolo (almeno i più)
troppo donando ai sensi e all' organismo ridussero
l'uomo ad una macchina inanimata; mostrando vero
quel detto di Dante - che dietro ai sensi la ragione
ha corte Tali. - Da un estremo passando ad un al-
tro, dal cieco sensismo al puro idealismo , i filosofi
oggidì troppo forse concedono allo spirito ; e per-
duti nel mondo delle astrazioni, escono dai veri con-
fini, urtando in non so quale soprannaluralismo; per
cui altri de'nostri vagheggia l' universalissima delle
idee, quella di ente', altri predilige il principio, Vente
crea le esistenze ; altri si accosta al panteismo. E (co-
sa incredibile , ma vera ) tra gli stessi corifei della
filosofia vi ha chi parteggia oggi con Platone, che
ieri stava con Aristotele 1 Dal quale ondeggiamento
si scorge, che nel mare dello scibile, errando senza
stella, niuno de'naviganti tocca al porto della verità:
donde i più si dilungano per battagliare aspramente
fra loro; quando sotto una bandiera; quando sotto
un'altra, senza volere o potere nel tumulto ascoltare
188 Scienze
la voce di chi grida - pace pace pace. - Almeno fa-
cessero tregua inchinando a quella sentenza del Pal-
lavicini, che parlando del bene conchiude: « La buo-
» na filosofia non dee afl'aticarsi in altro, che in di-
» spiegare agli uomini quello, che in una cer£a ma-
» niera confusa è noto naturalmente a ciascuno; fa-
» cendo ella quasi la ripetizione e il comento alla
» lezione ed al testo , dettato ad ogni uomo dalla
» natura ». Grande insegnamento , che a chi ben
guarda mostra nell'ordine fisico, intellettuale e mo-
rale il testo della natura: la quale ponendo nell'uo-
mo la propensione ed il piacere dell' ordine, dà in
ciò stesso una breve, ma solenne lezione; quasi dica
espressamente - ama l'ordine. - Il quale per poco
simile al sole splende alla mente , ed essa vigile e
presta al raggio amico va dissipando attorno a se le
nubi dell'ignoranza e dell'errore, e si dispone e passa
di grado in grado a vera scienza, secondo il più o
meno di acume e di attenzione. Ma se esiste gra-
duazione e disposizione ad un fine, esiste l' ordine:
se esiste l'ordine, esister dee quasi una catena di fatti
tta loro connessi e dipendenti in modo, che ciascu-
no anello abbia a risentirsi della concorrenza degli
altri : e chi lo distacca per istudiarlo isolatamente ,
senza poi riunirlo come prima per considerarne i
rapporti co'precedenti e susseguenti, e con tutto l'in"
sieme, quegli rompe la catena, fa contro la natura,
e non abbraccia la scienza ; la vera scienza , che è
un complesso di cognizioni disposte allo specchio
dell'ordine. Quindi abbagli e travisamenti, tanto più
perniciosi dove trattisi di scienza morale: di che un
esempio ne sia quella, che dicono Pubblica Econo-
Economia pcbtilicIa 18D
mia : della quale og^ì Terrò accennando in parte
come torni fallace^ se si dilunghi dalla morale^ cui è
intimamente congiunta, L' argomento si raccomanda
ad ogni cortese intelletto; ma non vi aspettale, o gio-
vani generosi, alcun fiore di seducente eloquenza :
io sarei lieto di oflfrirvi, come a voi meglio si ad-
dice, alcun frutto sincero di quella, che Tullio chia-
mò ben parlante sapienza. Come che sia, voi guar-
derete, più che alla scorza, al midollo, ed accoglie-
rete benevoli più l'animo che le parole !
L'uomo, secondo gli economisti, è un animale
commerciante ; se non che tale già non può essere
quando non sia previdente e provvidente: cioè quan-
do non usi della ragione combinata colla loquela ,
onde i patti ; e colle mani altresì , onde il lavoro
utile. Ma nulla potere esser utile, se non è onesto,
lo insegna M. Tullio negli uffici : e veramente un
bene non può esser tale agli uomini, non può es-
serlo compiutamente, se abbia solo apparenza di be-
ne, e non realtà; se conduca ad alcun male reale; e
se giovando ad un individuo nuoca poi ad un altro,
e peggio alla generalità: nel mentre in colui, che lo
cerca con ansietà, appena 1' ottiene, anzi che com-
piacenza desta rimorsi con turbamento di animo.
Questa appunto è la pena imposta dalla natura a chi
manca alle leggi dell'ordine, e tra esse a quella prin-
ci|5alissima, che prescrive l'amore dei simili. Chiun-
que entra bene addentro ne'segreti del proprio cuo-
re, se non accieca, vi troverà scolpito profondamen-
te questo dettato d'amore, che vuole gli uomini tutti
fratelli; così la felicità dell' uno }wsta in necessaria
armonia colla felicilà degli altri chiedendo essenzial-
190 S e I E N Z E
mente l'esercizio dell'umanità, la beneficenza vuol rei'
gnare dovunque sotto il sole. Che se la natura esi-
ge il più, cioè che si doni; esige di necessità anche
il meno, cioè che si lasci a ciascuno il suo, seconda
giustizia.
Ecco i caratteri dell'orarne, che dicemmo socia-
le , beneficenza e giustizia : per cui si distingue di
gran lunga fra le creature sparse sulla terra l'uomo,
capace non solo di conoscere il vero, ma di prati-
care il bene. A eia lo ha fatto la natura; laonde se
non si specchia nell'ordine, se non vive più agli al-
tri che a se stesso , se non è benefico e giusto , se
non si conforma di tal guisa sA prototipo, manca alla
legge, e non può essere conlento e felice.
Ora quando gli economisti ci parlano della scien-
za della ricchezza , e felice dicono un popolo no»
in quanto è costumato , ma solamente in quanto è
più ricco, snaturano l'uomo. Non avendo in tutto e
sempre riguardo a beneficenza e giustizia, fanno del
mondo quasi un mercato, dove la parte che vende^
come quella che compra, cerca ingannar 1' altra: e
purché guadagni, non monta. Così quel fratellcvole
nodo, che lega gli uomini; quel vincolo d' amore ,
che fé natura ( per dirlo coli' Alighieri ), verrebbe
sciolto: così un popolo di fratelli, quale dev' essere
l'umana generazione, sarebbe un popolo di nemici:
e tornerebbe il caso dei figli di Cadmo , che nati
fratelli uccidevansi l'un l'altro: così il più di scienza,
che come è nell'ordine dee rivolgersi a comune uti-
lità, perchè natura è madre comune e non matri-
gna, tornerebbe a danno dei singoli e dell'univer-
sale: e il soggiorno della pace si volgerebbe in cam-
Economia pubblica 191
pò di guerra, la guerra di tutti contro tutti ^ va-
gheggiata da Hobbes, che ritraeva il suo paese ed
il suo cuore, non il mondo e la natura : la quale
vuole anzi la pace di tutti con tutti, e non ammette
la guerra, che òome ultimo mezzo a racquistare la
pace.
Tornando al proposito, noi superbiamo in fac-
cia all'antica Grecia, perchè essa non ebbe, siccome
fìoi^ lai scienza economica distinta dall'arte di rego-
lare le famiglie e lo stato. Ma che? il popolo di
Atene rifiutar seppe il partito di Temistocle, che gli
prometteva la ruina di Sparta, sua eterna nemica ^
solo perchè Aristide disse: Utile il pairtito, ma non
onesto. Ed un mercante di Alessandria, portando gra-
no a Rodi in tempo di carestia , stava in forse di
poter vendere a Caro prezzo il suo grano; perocché
sapeva egli solo, che in abbondanza ne sarebbe pre-
sto arrivato nel porto. 0 veramente delicata coscien-
za ! o antica probità, che non sapeva né voleva di-
videre l'economia dalla filantropia, né l'utile dall'o-
nesto, né quanto alla nazione il bene materiale dal
morale ! Ed essi i greci avevano colonie; ma quanto
diverse dalle romane e dalle moderne ! Le greche
colonie fondavansi la più parte da emigrati, i quali
portavano con seco sulle terre de' barbari non tri-
boli e spine, mia i germi di nuova civiltà. Invece
le colonie romane, stabilite coll'impero della forza,
erano più o meno tributarie e dipendenti: e le mo-
derne altresì, fondate sullo stesso modello, o per am-
bizione, o per amore di guadagno, o per tutt'altro
che per sentimento di umanità, non furono che un
mezzo di far pin ricche e potenti le metropoli. Qua-
192 Scienze
ste adottandole per figlie traltavanle invece da schia-
•ve ; in quanto che il più delle volte con un com-
mercio tutto passivo le facevano servire ad un mer-
cato per esse inutile, anzi dannoso; checché gridas-
sero a cielo giustizia e umanità. Ma nulla di vio-
lento può esser durevole: così le colonie, perchè non
legate alla madre col vincolo d'amore in eccellenza
di ordine, riuscirono di esse sovente le prime nemi-
che. Somiglianti ad un muro, che per manco d'ap-
poggio o di cemento già crolla ; o meglio ad un
frutto giunto a maturità: non aspettavano più che
od un lieve urto per cadere, od un soffio per di-
staccarsi; se pure, a sostenerle e conservarle, il po-
tere proteggitore non seppe circondarsi di umanità
e di giustizia, quasi colonna di ogni civile ordina»
mento.
Stanca già di conquiste l'Italia, non di sapien-
za , fecesi maestra di umanità al mondo intero : e
nella beatitudine degli studi produsse la scienza della
civile economia: la quale allo specchio dell' ordine
si occupò conscienziosa della ricchezza, non pur ma-
teriale, ma morale. Questo solenne esempi» dovea
giovare alle nazioni, aggiunto ai precetti. Invece ol-
tremare ed oltremonte si pensò non più che a ric-
chezza materiale, quasi unico mezzo di privata e pub-
blica felicità ! Così col nome di economia politica o
pubblica non altro s'intese, che la teorica della pro-
duzione e distribuzione delle ricchezze puramente
materiali: così in cerca di questo unico mezzo non
si guardò al fine, che è per l'appunto la felicità de'
singoli e dell'universale; felicità, che il danaro, per
quanto rappresenti tutte le merci, non può produrre
Economia pubbl^v 193
senza il concorso di un altro elemento quasi divino:
dico la virtù in generale, ed in ispecie della uma-
nità e della giustizia, amiche e custodi di ogni bene
al mondo. Cosi ebbe lode il lusso smodato , a vizi
compagno: e ciò si fu col pretesto di animare le ar-
ti: così moltiplicate si ^fiderò le imposte sotto colore
di promuovere coi bisogni l'industria: così all'opera
dell'uomo vidersi sostituite generalmente le macchi-
ne: così il pauperismo , ruina degli stali , divenne
trista necessità !
E che ? non siamo noi tutti uomini ? nati non
siamo di un padre ? non siamo tutti fratelli ? E si
vorrà dai dotti stranieri fare una scienza di arric-
chire solo un pugno di gente, e impoverire tutto il
mondo ? E l'utile all'onesto non si vorrà più con-
giunto allo specchio dell'ordine per la comune feli-
cità ? A quello mirarono intensamente gli economisti
italiani,, occupandosi (a dift'erenza degli estrani, che
vennero dopo) della ricchezza con vedute non astrat-
te e assolute, ma relative al ben essere generale. Ciò
appunto osserva Blanqui nell'istoria della scienza: ed
a lode dei nostri aggiunge altresì , che essi fecero
dell' uomo l'oggetto precipuo de' loro studi e delle
loro sollecitudini: osservazione non isfuggita all'in-
gegno del Pecchio, il quale notando i caratteri, che
più distinguono gli economisti delle diverse nazioni,
guardò in prima alla definizione e trattazione della
scienza. « Per gì' inglesi , egli dice, è una scienza
•) isolata , è le scienza di arricchire le nazioni : è
'> questo l'oggetto esclusivo delle loro ricerche. Per
» lo contrario gì' italiani la riguardano come una
» scienza complessiva, come la scienza dell' amrai-
194 Scienze
» nistratore , e la trattano in tutte le sue relazioni'
» colla morale e colla felicità pubblica ». Così egli
nella storia clell'economia pubblica in Italia. Ed è a
questo modo, che i nostri considerano tutto l'uomo,
dotato com'è di mente, di cuore e di braccia: l'uo-
mo veramente filantropo , pensoso non pure di se ,
ma degli altri , formanti insieme tutta una grande"
famiglia. Invece i dotti stranieri non veggono real-
mente nell'uomo, che un animale commerciante, che
sciolto da legge morale diviene agevolmente egoista.
Quindi approvano le immense proprietà, senza riflet-
tere ai tristi effetti morali colà, dove la moltitudine
estremamente povera non conosce ritegno, se la fame
od altro la spinga a tumultuare: testimonio la mi-
sera Irlanda, che non è sola in così funesta vicen-"
da ! Quindi esaltano le manifatture , senza badare'
che vi va spesso della salute e del vigore della po-
polazione più numerosa , che a lungo andare si fa
molle ed eiFemminata, posta com'è eternamente al te-
laio, e chiusa comunque in un'officina. Quindi prò-»
muovono le macchine, senza badare che il minimo
di spesa e il più di guadagno per esse lascia oian-f
care il lavoro alle braccia , e produce rigiurgiti ài
commercio. Quindi approvano imposte eccedenti, sen-
za guardare, che vi ha un limite da non sorpassarsi
a volere che reggano le famiglie. Quindi lodano per
lo più l'accrescimento illimitato della popolazione e
del lusso, senza pensare che pel bene individuale e
universale, quella vuol essere non solo agiata e co-
stumata; e questo nei termini della moderazione, e
dannato nell'individuo, se permesso pure nella classe.
Ora quali buoni cffetli ponno aspettarsi da una
ECONOMIA PUBBLICA 195
«cìétìza tutta calcolo , contenta al materiale pro-
gresso, senza una cura al mondo del morale; e in-
tenta solo a guardar l'uomo, non il filantropo? 0
profondo giudizio di Gianrinaldo Carli, ben riflettevi,
che « la scienza della economia, ridotta a mera arit-
» metica, inaridisce il cuore aumentando quell'egois-
» mo e quello spirito di calcolo, che è anche trop-
rt pò esteso, ed è subentrato a' sentimenti generosi
» i quali ricevono 1' impulso del cuore e non del
» computo e del bilancio del dare ed avere » ! 0
greca sapienza, bene scolpivi sulle porte del tempio
di Delfo quell'aureo dettato - Nulla di troppo ! - E
Ycramente anche le cose buone, tra le quali ponia-
mo pure le ricchezze, abusate si fanno pessime; e vi
ha de'certi confini, da non trapassare, a volere che
l'utile dall' onesto non si scompagni. Una prudente
misura allo specchio dell'ordine seguirono sapiente-
mente gli economisti italiani ; pensando che mente
e cuore siamo noi uomini , che siamo tutti fratelli,
che il più ricco dee spargere sul povero le sue be-
neficenze, ma con vicenda perpetua: per cui 1' uno
non dee stancarsi di meritare, l'altro di donare con
senno ed amore: così ricchezza materiale non fu di-
visa da ricchezza morale ; anzi entrambe accoppia-
Fonsi a maggior bene comune: così dal commercio
è bandito l'egoismo, dalla potenza l'ambizione, dalle
città il pauperismo: così agricoltura ed industria for-
mano come una grande catena, che unisce tra loro
tutti gli uomini. Il che è nell'ordine sì fattamente,
che chi lo togliesse dal mondo civile farebbe peg-
gio, che se al globo terraqueo, anzi al sistema ce-
leste, togliesse r attrazione ; ei ridurrebbe l'uomo a
196 Scienze
condizione peggio che i bruti; quando egli, cora--
pagnevole per natura, tanto su quelli s' innalza da
partecipare del divino ! « Negli uomini ( bene os-'
I) servò quel fiore di senno del Genovesi ) vi è qual-
» cosa di più sublime e divino , che dee farne un
» vincolo più forte: e questa è la pietà . . . e la ra-
» gione ». Sovvenire ai bisogni fisici non sarebbe
un sovvenir tutto l'uomo; quindi l'economia manche-
rebbe all'uomo e a se stessa, qualora non guardasse
altresì ai bisogni intellettuali e morali. Che sia sa-
cra la proprietà sulle cose materiali, non basta: sacra
vuol essere altresì la proprietà dell'ingegno: non ba-
sta ricchezza materiale; vuoisi dipplù ricchezza intel-
leltuale e morale: attività di braccia non basta; vuoisi
dippiù attività di mente e di cuore pel ben essere
de'singoli e dell'universale. Che se Platone in quella
sua sognata repubblica assomigliava l' oro e la vita
a due pesi di una bilancia, l'uno de'quali non può
ascendere senza che l'altro declini, preso 1' oro per
simbolo di ricchezza puramente materiale, e la virtù
per mera astinenza, chiaro si vede, che se alla virtù
avesse aggiunta la qualità morale, ed estesa la virtù
a tutto il suo regno , trovato avrebl:>e que' due pesi
riguardo alla felicità dover essere in ragione diretla-
tra loro; onde al crescere dell'uno cresca anche l'al-
tro, e si aiutino e sorreggano scambievolmente 1 Per
fermo la scienza della pubblica economia non sarà
piena, se non congiunga l'utile all'onesto; perocché
essa, per confessione di un dotto francese (Devilters)
è una scienza essenzialmente morale. Pei primi mo-
straronlo gli economisti italiani, quando di un'aurea
catena un anello od un altro vennero scoprendo, e
Economia pubblica 197
gemme aggiunsero a geràme per formare quasi il
monile della scienza allo specchio dell'ordine. Lo ha
mostrato tra essi bellamente lo Scialoia ne'suoi Prin-
cipii di economia sociale: dove seguendo quel gran
maestro della rettitudine , Dante Alighieri , distinse
il valore reale dal potenziale nelle produzioni, e sep-
pe aprirsi di nuove strade nel laberinto della scien-
za: seppe portare la fiaccola della ragione singolar-
mente ne'ripostigli del credito pubblico e delle im-
poste. Certamente egli non perde mai di vista il be-
ne morale; i desiderii dell'uomo ( notava ) formano
uno dei termini di tutti i rapporti economici ; la
morale ne ricerca V origine, la natura, lo sviluppo
e le conseguenze : la morale adunque vuol essere
legata intimamente all' economia. La prima dirige ,
rettifica, spiritualizza, per dir così, l'idea di utilità,
ponendola in concordia coU'idea di virtù: la seconda
vede con compiacenza questa concordia , e servesi
della utilità come di un punto di partenza nella spie-
gazione de'suoi fenomeni: l' una e l' altra vogliono,
che ciò che è veramente utile sia preferito a ciò
che non ha di utile che l'apparenza. L'economia lo
consiglia e se ne giova; la morale lo ha per iscopo
e lo comanda: ambe lodano V uomo attivo, nemico
dell' oziosità , inteso a dissipare pregiudizi nocevoli
alla comune felicità , ed a migliorare la condizione
e le facoltà de'nostri simili: l'una riguarda più spe-
cialmente l'uomo come un essere morale e virtuoso;
l'altra come un essere economico ed utile. Ma vera
utilità non può essere senza virtù; come non può
senza equità, né lusso senza misura, né guiderdone
essere nell'ordine permuta senza giustizia, né feUcità
senza beneficenza.
198 Scienze
Grave danno alle scienze apportarono que'fìlo-
sofi, che vollero separarli, considerandoli isolatamen-
te; senza guardare che sono tutti rami di un albero,
j quali non potranno mai prosperare se uniti agli
altri e alla pianta non danno e ricevono scambie-
volmente vigore e vita. Ma peggio fecero e fanno
coloro, che divisero l'economia dalla morale, alla
quale è intimamente congiunta allo specchio dell'
ordine, onde le città si conservano e crescono, e l'u-
mana società si mantiene a comune utilità. Meno
male farebbe colui , che ad un albero lasciasse la
scorza e ne levasse in parte il midollo. Ricompo-
niamo di grazia ciò che fu pur troppo scomposto:
e tutto ritorni nell'ordine ! Cosi la pubblica econo-
mia trovi pure i suoi rapporti colla fìsica nel suo
fenomeno fondamentale della produzione: e colla mec-
canica quanto allo scopo di ottenere il massimo ef-
fetto col mìnimo di forza e di tempo: e colle mate-
matiche nell'azione reciproca de' rapporti tra le cose
e i bisogni ! Ma più di tutto colleghisi alla morale
ed alle scienze affini; in quanto l'utile non può di-
vidersi dall' onesto , né ricchezza da giustizia e da
umanità, ne il bene de'singoli dal bene di tutti, né
quello di un popolo dal bene universale. Altrimenti
dovrebbe dirsi, averlo Iddio e la natura fatto capace
di scienza per suo danno e tormento; non per propria
e comune utilità, siccome vuole eccellenza di ordi-
ne: ordine, che a chiare note è scritto non pure in
questo gran libro dell'universo, ma in un altro li-
bro ancora più intimo, il libro del cuore umano. Ivi
è il dettato dell' amore , che la religione santissima
ha consecrato colla legge di carità per compirne nto
Economia pubblica 199
e perfezione maggiore della legge naturale : legge
comune a quanti sono uomini, che vivono sotto il
cielo, ed aspirano vigualmente alla felicità. L'econo^
mia , che si propone di sodisfare colle ricchezze i
bisogni dell'uomo, se vuol toccare la meta, non può
non guardare al primo ed ultimo de'bisognì, quello
appunto della felicità, che in se abbraccia e com-
prende tutti gli altri bisogni. Essa V economia si
stringa adunque più forte alla morale in amplesso
d^amore, come le insegna la gran maestra delle scien^
ze, l'Italia: e tengasi continuamente allo specchio dell'
ordine, che Dio pose chiarissimo nell'universo quan-
do col fìat lo trasse dal nulla, e quando col fiat se-
condo lo redense. Così fia chiaro ciò, che parlando
della tranquillità deiranimo accennava il filosofo di
Cheronea: questo noondo essere un tempio santissi-
pao e degnissimo di Dio, iiel quale è introdotto Tuo»
mo nascendo; tempio, nel quale a noi dopo la solen-
ne rip^arazione risplende più vivo lo specchio dell'
ordine jmorale,
A quello specchio, giova in fine ripeterlo, mi-
rarono mai sempre gli economisti italiani, e più e
più a'nostri giorni il Valeriani-Molinari ed il Bo-
sellini , maestri di eletta scuola : il primo de' quali
notò espressamente il legame, che hanno tra loro la
legislazioae civile e la economia mediante gli eterni
principi! di giustizia: l'altro consigliò una direzione
migliore alle ricerche di pubblica economia, giusta
il principio altresì del perfezionamento sociale , e
colla mira del benessere generale ; affermando egli
di più, che la morale, la legislazione, 1' economia, le
finanze non potranno mai progredire felicemente, se
200 Scienze
non venga giorno, che tutte le nazioni si ammettano
ad una generale comunicazione dei rispettivi prodotti
del suolo e dell'industria eolla massima fondamen-
tale , che non solo i nostri e i limitrofi , ma tutti i
popoli della terra, possono e devono essere felici sic-
come noi; intanto che la comune felicità viene a ri-
dondare in maggiore felicità di ciascuno. Così il mon-
do in eccellenza di ordine economico-morale, anzi-
ché un vile mercato, diverrà come un grande con-
vito, a cui partecipino veramente tutti gli uomini,
che vivono sotto il sole: il quale la Dio mercè dif-
fonde ugualmente il suo lume benefico sul filo d'er-
ba della eonvalle., e sulla quercia della montagna.
Ma in così bello e universale convito ciascuno dee
mettere la sua parte coli' opera non mai intermessa
sì del corpo, e sì della mente e del cuore: tutti gli
uomini come àpi industriose fabbrichino il miele, né
fuchi ignavi e rapaci dividansi quella dolce sostan-
za, fruttò di, continua fatica. Questo vuole natura,
madre e maestra dell' ordine , non solo materiale ,
ma intellettuale e morale: regni dovunque 1' attività
con giustizia e con beneficenza: e la morale si ab-
bracci e .stringa con nodo eterno alla pubblica eco-
nomia, non pure tra l'alpi e il mare nel bel paese ;
ma ovunque respira l' umanità, ovunque alligna la
sapienza a render lieta e felice sì la presente, sì le
future generazioni : che Dio ottimo massimo lo ci
conceda !
-^ssm-
201
Relnzione di A. Coppia membro della sezione annona-
ria del consiglio comunale, di Roma^ sulla tariffa
e la libertà di fare e di 'vendere il pane^ letta nel-
V adunanza dei 16 giugno 1848.
\. Ilei secoli di mezzo, allorquando le comunica-
zioni erano difficili, e le guerre esterne ed intestine
frequentissime, tutti i governi procurarono di avere
magazzini pubblici per provvedere all' annona , e
fissarono inoltre una speciale attenzione ad impe-
dire il monopolio. Questi ordini continuarono ezian-
dio allorquando i lumi erano di già risorti: ma le
scienze economiche erano ancora trascurate.
2. In Roma, nello statuto del 1580, si dispose
che i conservatori invigilassero sopra i venditori
delle cose commestibili (1), e s' infliggessero pene
fortissime contro i fornai che vendessero pane di
un peso minore di quello stabilito dalla legge (2).
3. Eravi inoltre un prelato che invigilava al-
l'annona frumentaria tanto della capitale, che dello
stato (3). Sisto V poi stabilì una congregazione car-
dinalizia su questo ramo di pubblica amministra-
zione (4). Diede anche alla medesima scudi 200,000,
(1) Lib. V cap. IV.
(2) Lib. Ili cap. V.
(3) Bulla Gregor. XIII Inter citerai, 7 mai 1576. Bull. Rom.
tom. IV part. Ili pag. 15.
(4) Bulla-immensa- undecimo kal. iau. MDLXXXVII. Bui. rom.
tom. IV part. HI p. 392.
G.A.T.CXVI. 14
202 Scienze
affinchè l'impiegasse nel modo pii'i opportuno per
mantenere l'abbondanza in Roma (1).
4. Questa congregazione som ministrava prestan-
ze ai mercanti di campagna , affinchè seminassero
una determinata quantità di grano; dava sussidi ai
fornai, affinchè vendessero il pane ad un prezzo in-
feriore al valore del frumento. Ciò peraltro non im-
pedì che il prezzo del grano ascendesse nel 1798
a scudi 30 al rubbio, cioè al quadrupolo del va-
lore ordinario (2).
5. L'amministrazione dell'annona divenne im-
potente à soccorrere tali angustie. Dal 4766 al 4798
fece perdite continue, ed infine un fallimento nella
somma di scudi 3,293,865 (3).
6. In Toscana erano leggi annonarie simili a
quelle di tutta l'Europa. Nel 4766 vi fu minaccia
di carestia. L'erario esausto non permetteva di prov-
vedere grani esteri per conto del governo. Leopoldo
vi provvide in altro modo. Tolse tutti i vincoli alla
libera circolazione dei grani nell'interno; accordò a
tutti la facoltà di fare e di vendere il pane ; vietò
agli UbbondarnsiBri d'ingerirsi nel fissare i prezzi sui
pubblici mercati, o in qualunque altra maniera (4):
ed il risuìlamento fu che i mercanti fecero venire
a proprio rischio e ad esuberanza i grani; i fornai
moltiplicarono, e dovunque si trovò pane da com-
(1) Bui. ^bbundantes decimoseptimo kal. aprilis MDCXXXVHI.
(2) Ann. d'Italia 1798, §. 43, 46, 1799, §. 79.
(3J Nicolai, Memorie sulle campagne cH Roma, part. Ili pag.
186, lS9.
(4) Editti «lei 6 agosto e IS settembre 1766.
SULL4 TARIFFA EC. 203
prare e di qualità salubre , ed i prezzi del grano
scemarono invece di aumentare (1).
7. Incoraggiato dall'esperienza il gran duca Leo-
poldo ampliò nel 1775 la libertà del commercio fru-
mentario, promulgando che fosse assoluta tanto per
l'interno, che per l'esterno (2).
8. Pio VII, per consiglio del card. Fabrizio Ruf-
fo, con moto-proprio dei 2 settembre 1800 , pro-
mulgò per Roma e per le province suburbane, dette
annonarie^ la libertà interna del commercio de'grani
(§. 1 e 2); proibì peraltro 1' estrazione fuori dello
stato ( §. 3 ) ; dispose che tutti i grani trasportati a
Roma per vendersi si dovessero contrattare nei so-
liti giornalieri mercati di Campo di fiore e di Ri-
pagrande. Il venditore poi dentro le 24 ore fosse
tenuto di darne l'assegna, indicando la quantità ed
il prezzo ( §. 4). Soggiunse poscia: « Sebbene l'uni-
» formila del sistema e la felice esperienza degli al-
» tri dominii sembrassero suggerire che la libertà
» potesse estendersi eziandio alla vendita del pane,
» nulla di meno per un maggior riguardo agl'in-
» teressi de' consumatori, e soprattutto della .classe
» più bisognosa del popolo, vogliamo che la ven-
» dita di qualsivoglia specie di pane, non escluso
» quello di lusso, ossia bianco, debba rimanere nel-
»» la dipendenza della legge. E a tale effetto dalla
M deputazione dovrà nella sera di ciascuna dome-
» nica pubblicarsi in stampa il calmiere o tariffa
» de' prezzi , e rispettivamente de' pesi di tutte le
» specie particolari di pane da desumersi da prezzi
(1) Zoli, Manuale storico dì economia toscana §. 80.
(2) Loc. cit. §. 86.
204 Scienze
» del grano che sì saranno fatti nel corso della set-
» timana nei due pubblici mercati di Campo di fio-
» re e Ripagrande (§. 10). »
9. Conservò peraltro agli attuali fornai il di-
ritto di privativa di vendita del pane come sino al-
lora avevano goduto; ma coll'obbligo di avere con-
tinuamente una provvista proporzionata al consumo
ed allo spaccio di due mesi (§. 13).
10. Per la esecuzi one di tal legge istituì una
deputazione composta di un prelato e di sei cava-
lieri , ed inoltre di un assessore con voto e di un
segretario , onde impedire gli abusi che potessero
derivare in pregiudizio della legge (§. 20) (1).
11. Nel 1801 la libertà interna del commer-
cio di grani fu poscia estesa a tutto lo stato (2).
Nello stesso anno si stabilì quindi una tariffa
per regolare l' estrazione , e si dichiarò che se il
prezzo del frumento fosse di scudi cinque arubbio,
l'estraente avesse un premio di bai. 50.
Dagli scudisciagli undici pagasse un dazio come
«egue:
Prezzo Dazio
6 Se. 0 05
7 » 0 20
8 0 50
9 . u -Mhi.;. i.. *i{;>é-.: .(.Ii.ii"- . . » 1 50
fP, , •.;.i)OiJBÌ:> «ih l.l'W n^''- •""•'• • » 2 50
M^^^^\ f» f>V>'5m\0'> li liflMiT ' ' ' , ' " ^ ^^
12 divieto di estrazione (3).
(1) Moto-proprio dei 2 sett. 1800.
(2) Editto del cardinale camerlpnjjo dei 10 aprile 1801.
(3) Molu-proprio dei 4 nov. 1801. .;)g -•
Sulla takiffa ec. 205
13. Nell'anno 1817 fu carestia in tutta Ita-
lia. Il governo di Toscana (dove il granò ascese a
lire 63 il sacco^ cioè a scudi , ... il rubbio), co-
stante ne'suoi principii di libertà illimitata, altro non
fece che ordinare pubblici lavori, onde abilitare i
poveri a comprare i grani forestieri. E con questo
rimediò, per quanto gli fu possibile, alla fame (1).
14. In Roma nel 1817 il prezzo del frumento
salì sino a scudi 20. 83 il rubbio. Si temette che
nel 1818 accadesse l'istesso, ed allora si fece un al-
tro passo verso la libertà commerciale. Impercioc-
ché il cardinale Consalvi, segretario di stato, con
notificazione dei 15 maggio 1818, pubblicò che « in
.> conformità di quanto è stato praticato in altri
» anni in questa capitale, era permesso a chiunque
» di fabbricare e vendere il pane di qualunque spe-
» eie tanto bianco, quanto baioccante, a peso, ca-
» sereccio, o misto, purché sia di buona qualità. ..
15. Nel tempo stesso la deputazione annonaria
pubblicò r indicato regolamento per impedire , per
quanto fosse possibile, le frodi.
16. Promulgata tale libertà, non vi fu punto
aumento di prezzo del pane. Anzi crebbe l'industria.
I forni, che per lo innanzi erano 72, si aumentaro-
no in poco tempo a 130, e si trovò dovunque pane
buono ed abbondante.
17. Nel 1823 si credette opportuno di fare al-
cuni cangiamenti nella tariffa pel commercio ester-
no dei grani. Si determinò che allorquando il prezzo
fosse inferiore a scudi quattordici nei porti dell'A-
li) Zoli, Manuale storico di economia toscana J. 213.
206 Scienze
diiatico, ed a scudi sedici in quello del Mediterra-
neo, fosse jiermessa la esportazione e vietata l'impor-'
fazione. Giunto a tali mete, fosse all'opposto vietata
la esportazione e permessa la importazione (1).
18. Scorsi venti anni , vi fu chi pensò essere
opportuno di ristabilire l'antica tariffa. La deputa-
zione annonaria fece riflettere non essere sperabile
alcun giovamento al pubblico. Osservò specialmen-
te che le spese di un forno sono minori, quanto è
maggiore la quantità del pane che cuoce in un gior-
no. Quindi, essendosi aumentato quasi al doppio il
numero dei forni, le basi dell'antica tariffa non era-
no più adottabili ad una moderna- Non essere pos-
sibile di ridurre il numero dei forni: ma l'industria
e r economia privata supplisca agli antichi ealcoli
basati sul monopolio,
19. Da tutto ciò ne derivò un mezzo termine.
Una congregazione speciale a tal uopo deputata ai
25 di gennaio del 1838 discusse il dubbio:
20. > Se e come convenisse adottare per Roma
» un calmiere da tenere nella proporzione più van-
') taggiosa al pubblico il prezzo del grano con quel-
» lo del pane. >»
21. La risposta fu che « per Roma si fissasse
» subito il calmiere sulla norma delle tre rubbia
<> di spiano giornaliero per ogni forno. »
22. Si fecero allora gli analoghi calcoli. Fra le
altre cose si determinò, che la spesai dei fornai (com-
preso il dazio del macinato in scudi 2. 20 ) sono
per ciascun rubbio:
(1) Editto del camerlengo dei 13 febbraio 1823.
Sulla tariffa ec. 207
l*er il pane detto a stufa ... se. 5 25
Per i casareccianti » 4 11 5
23. La deputazione annonaria pubblicò una
notificazione analoga alla risoluzione della congre-
gazione (1), e si ristabilì la vendita a tariffa.
24. Tale è lo stato delle cose, nel quale si cer-
ca se e quale miglioramento possa farsi nella ven-
dita del pane.
25. Sembra che in primo luogo debba pre-
mettersi, che la base dell'attuale sistema consiste nel-
le contrattazioni dei grani che si devono fare nei
mercati di Campo di fiore e di Ripagrande e rela-
tive assegne dei prezzi.
26. È noto però che le grandi masse del grano
che si consuma a Roma sono depositate in magaz-
zini di più centinaia e talvolta di migliaia di rub-
bia, ed in essi si contrattano senza esporsi al pub-
blico mercato di Campo di fiore.
27. I grani che provengono dalle province, e
s'introducano per il Tevere, generalmente sono com-
messi, e contrattati prima del loro arrivo, o pure si
sbarcano e si depositano similmente in grandi ma-
gazzini, senza esporsi al mercato di Ripagrande.
28. Quindi la base dei prezzi dei mercati di-
venne nulla.
29. Difatti nelle assegne settimanali, mentre do-
vrebbero esservi generalmente contrattazioni di cir-
ca 1700 rubbia, talvolta ve ne sono che poche cen-
tinaia, ed alcune fra speculatori, fornari ec, e perciò
sospettosissime.
(1) Notificazione del 1 febbraio 1798.
208 Scienze
30. I fornai, secondo il moto-proprio del 1800,
dovrebbero tenere una provvista per due mesi. Se-
condo posteriori disposizioni, questa dovrebbe esse-
re metà in grano e metà in farina.
31. L'osservanza di una tal legge riposa uni^
camente sulle assegne della vendita giornaliera del
pane e delle esistenze in magazzino che danno set-
timanalmente i fornai ai commissari. Non è duopo
rammentare che talvolta, essendosi visitati i magaz-
zini dai deputati, si trovarono notabili mancanze.
32. Di più, un forno che spacci tre rubbia al
giorno, dovrebbe avere di scorta novanta rubbia di
farina. Tanta massa nella state si riscalderebbe , e
perciò ne avrebbe pane cattivo.
33. Il ragguaglio tra i prezzi del grano ed il
peso del pane importa necessariamente delle frazioni.
Talvola la pagnotta dovrà essere p. e. di once tre
^|io. E possibile che il garzone del fornaio abbia
l'occhio di fare sempre la pagnotta di un peso cosi
esatto? Essendovi divario, questo sarà sempre a danno
del consumatore.
34. Da tutto ciò risulta essere difettoso il me-
todo, col quale si formano le tariffe.
35. Il senato, sulla relazione della sezione an-
nonaria, con notificazioni del 27 febbraio eli giu-
gno , emanò varie disposizioni per migliorarlo. Si
ottennero de' forti notevoli vantaggi, ma non suffi-
cienti all' uopo. Converrà dunque pensare ad altri ,
rimedi.
36. Il primo sarebbe quello di abolire il da-
zio del macinato, che in Roma si paga in scudi 2. 20
per ogni rubbio. Imperciocché esso aumenta di u»
Sulla tariffa ec. 2p^
sesto, e talvolta di un quinto, il prezzo del p.ine. I
danni che da ciò derivano all' industria, e speci-
almente alla campestre , sono immensi. Ma questa
dazio produce all'erario annui scudi 3t3,500,e nelle
attuali angustie tale somma è intangibile.
37. Quindi per ora si potrebbe forse adottare
un altro rimedio, ristabilendo la libertà assoluta del-
la fabbricazione e della vendita del pane.
Crederei pertanto che si sottoponesse al con-
siglio e senato la seguente proposizione:
« Se convenga abolire 1' attuale tarifta, e pro-
mulgare la piena libertà di fare e di vendere il
pane ».
310
E^mTTmmM^TwmM.
Quando e da chi sia composto l'ottimo comentó a Dante^
Lettera al sig. Seymour Kirkup^ pittore inglese a
Firenze, di Carlo Witte. Colla giunta di alcuni
supplementi alla bibliografia dantesca del sig. vi'
sconte Colomb de Batines.
Poich'io non trovo chi meco ragioni
Del signor che serviam e voi ed io.
DANTE.
Getìtilissìmo signore,
Halle sulla Sala 20 nov. 1846-
N,
on occorrerà dirle con qual piacere io abbia let-
to l'insigne opuscolo del sig. visconte Colomb de Ba-
tines sopra due antichi comenti della Divina Cona-
media, non pervenutomi che il giorno 11 di questo
mese; opuscolo , al quale questo dotto dantofilo ha
saputo aggiungere nuovo ornamento, mettendogli in
fronte il di lei nome, caro a tutti i cultori del som-
mo vate che ebbero il bene di conoscerla.
Pochi lustri sono, che lo studio di quei buoni
antichi, più o meno imbuti di quella sapienza del
medio evo, nella quale l'Allighieri, come nessun al-
tro si era inoltrato, giacque negletto e sepolto. Ne
ÈIBLIOGRAFIA DANTESCA 2H
il Lombardi, né il Biagioli^ né gli altri coevi a co-
storo, consultarono gli interpreti, che per la viva va
ce di Dante, o per prossima tradizione avevano po-
tuto conoscere qual senso l'istesso autore aveva vo-
luto attribuire al misterioso suo poema. Quando ,
ventitré anni sono, per richiamare a questo studio
l'attenzione dei dotti, diedi nel primo dei piccoli miei
lavori relativi a Dante (1) un catalogo di 14 antichi
comenti, aggiungendovi l' enumerazione dei codici,
nei quali inediti giacevano, non pochi lettori si ma-
ravigliarono di un tal numero. Ora le ricerche dei
letterati hanno talmente arricchito le nostre cogni-
zioni , che quel catalogo per le tante sue imperfe-
zioni non può giudicarsi che una miseria.
Alessandro Torri , ottimamente merito di tutti
gli studi danteschi , ci diede la prima edizione del
cemento che sino a quel tempo fu giudicato il più
antico di tutti: lavoro che, se riuscì meno perfetto
di quello che forse si sarebbe potuto desiderare, cer-
tamente impone 1' obbligo al nuovo editore ( sig.
Francesco Cerrotti a Roma) di corregger i non po-
chi errori e di riempir le molte lacune.
Grato regalo ci fece poco dopo il sig. Ignazio
Moutier ristampando il comento, nel quale il cer-
taldese già quasi decrepito sfogò l'ardentissimo suo
amore pel padre Allighieri, e levandone molte delle
macchie, di cui va lorda la prima edizione fioren-
tina o veramente napolitana (2).
(1) Nel » Hermes, oder Kritisches Jahrbuch cler Literatur. » 1824,
voi. XXIV f. 134—06. Il calalogo accennato nel testo si trova a e.
139,40.
(2) Non dico già tutte, e sarebbe slato da desiderarsi che'l chia-
212 Letteratura
Né priva d'interesse diremo la pubblicazione del
cemento sopra la prima cantica, composta verso la
metà del quattrocento da Guiniforto delli Bargigi,
che dobbiamo al s'ig. avvocato Zaeheronì^ e che forse
avrebbe incontrato anche maggiori applausi^ se l'or-
natissimo editore non avesse giudicato opportuno di
sopprimere quelle parti dell' opera ^ che secondo il
suo modo di pensare gli sembrarono baie e vane
cicalerìe.
Di maggior rilievo però, di quanto per tutti que-
sti altri valenti fu pubblicato, si è senza dubbio il
comento attribuito a Pietro figlio di Dante, dall'il-
lustre di lei compatriota, e magnifico mecenate degli
studi relativi al sommo Allighieri , milord Warren
Vernon^ ultimamente dato alla luce , ed adorno di
dottissime osservazioni di quel profondo conoscitore
delle antiche lettere italiane, del Nannucci (1).
rissimo editore avesse fatto uso di alcune correzioni già prima delta
sua ristampa proposte. Si confrontino per esempio gli annedoti del
Dionisi (IV, 30, 99) col testo del Moulier a e. 8, 49 e 50. Maggior-
mente ancora dispiace di vedere nella nuova stampa alcuni errori,
de'quali la prima era rimasta Ì!';mune, come più sotto ne ■vedremo
degli esempi.
(1) Cinque sono i codici, esattamente confrontati dal sig. Nan-
nucci per poter renderne più corretto il testo. Se ne citano inol-
tre due altri. Copia del codice di s. Giustina , perduto in quanto
sembra, si sarebbe potuta trovare fra i libri del Dionisi alla biblio-
teca capitolare di Verona. Due altri manoscritti di Pietro di Dante
esistono alla barberiniana di Roma ( Pelli, Memorie per la vita di
Dante, ed. 2 p. 174. Na. S3. Bezzi, Lettera sopra i comeuti mss. bar-
beriniani p. 6, 27 ) , ed «no ancora si trova fra i codici parigini
(Fonds de riserve No. 4 ). Dicesi nella dotta prefazione a e. 13, il
comento di Pietro esser composto nel 1340; e sta benissimo per la
maggior parte dell'opera (vedi anche a e. 656). Le chiose sugli ul-
timi canti del Paradiso, per quanto si desume dalla e. 704, non fu-
rono però scritte che nel 13'»t.
Bibliografia dantesca 213
Passo sotto silenzio alcuni eleganti opuscoli re-
lativi a tale o a tal altro antico comentatore, e mi
rivolgo subito alla lettera direttale dal sig. visconte
de Batines (4). Ripeterei, se non fossero troppo gen-
tili, le parole colle quali quel chiarissimo bibliogra-
fo dantesco parla a e. 141 di un mio lavoro sul-
l' istesso oggetto , stampato 1 9 anni addietro negli
annali di Vienna (5). Somma soddisfazione veramen-
te dovetti provare, vedendo che i profondi studi, da
un dotto cosi distinto condotti a termine nel bel cen-
tro dei tesori riuniti nelle biblioteche di Firenze, V
abbiano fatto confermar per veri quasi tutti quei pun-
ti ch'io in allora, quasi dall'ultimo confine della Ger-
mania fda Breslavia), mi era arrischiato d' asserire.
Quattro sono i resultati del suo lavoro, rilevati per
tali dal sig. visconte a e. 156 e 157: l.llcomento di
Iacopo della Latia^ stampato nella vindeliniana e nella
nidobeatina , è identico col così detto comento Vi-
sconti. 2. H comento del Laneo è differente daW Ot-
timo e da quello di Iacopo di Dante. 3. Egli è pro-
babilmente di più antica data che V Ottimo. A. L'Ot-
timo non merita che in parte Tantonomastica deno-
minazione di Antico a lui conferita ( Per quanto si
dice a e. 145, il sig. de Batines reputa il testo pub-
blicato dal Torri, almeno in parte, più recente del
Chi, seguendo l'esempio di milord Femori, volesse donar alla
pubblicità il comento attribuito a Jacopo di Dante , oppur quello
di Francesco da Buti, il più disteso di tutti, e più degli altri ado-
perato dai compilatori del vocabolario, o finalmente l'intero comen-
to dell'imolese, farebbe senza dubbio cosa gralissima a tutti gli amato-
ri di questi studi.
(4) Negli « Studi inediti su Dante. » Voi I. Fir. 1846, p. 133-36.
CS)i5 Wienner lahrbucherderLitcratur." Voi. XLlV 1828,p.i-43.
214 Letteratura
J351). None un comento primitivo, ma un'epitome
d'altrui comenti, fatta da tre o almeno da due di-
versi compilatori.
Ora i tre primi di questi punti convengono e-
sattamente coli' opinione nel citato opuscolo da me
«messa. La sola differenza che forse rilevar si potreb-
be si è , che mentre il dotto francese cerca di di-
mostrare che Iacopo della Lana abbia scritto avanti
al 1349, credo di avergli attribuito con certezza sto-
rica una data anteriore al 1328. D'accordo siamo an-
cora che VOttimo non si possa dire un comento pri-
mitivo. L' unico punto dunque , nel quale gli studi
del sig. visconte gli hanno fatto abbracciar un pa-
rere diflferente dal mio, si è la data dell'Ottimo co-
mento, da me, conformemente agli anteriori autori,
creduta del 1333 o 34, e dal sig. de Batines giu-
dicata più recente di una ventina d'anni.
Non esiterei né anche un momento di ritrattare
un'opinione, tanti anni sono da me emessa, o per dir
meglio più sull'altrui fede che sulle proprie mie ri-
cerche da me adottata , se gli argomenti, con cui
quell'opinione fu combattuta, mi sembrassero suffi-
cienti (1). Mi dispiace in fatto che non me lo sem-
(1) Fra gli errori, che non sono pochi nell'opuscolo citato, vi
è anche quello rilevato dal sig. De Batines a e. 135 , che Alberico
da Rosciate, morto nel 1334, abbia già cessato di vivere nel 1345.
Sbaglia però il sig. visconte, se contro la precisa mia asserzione (An-
nali di Vienna 1. e. f. 39), attribuisce ad Alberico la traduzione la-
tina del Laneo contenuta nel codice ambrosiano D. 539. Non pochi
sono i manoscritti dell'Olmo scoperti dal sig. De Batines, ed ag-
giunti al catalogo ch'io ne avea dato nel 1828 , quantunque alcuni
fra essi non abbiano che dei frammenti di questo comento, ed iù
parte siano stati indicati per tali anche nella %ia dissertazione a
Bibliografia dantesca 215
brino: e la prego che da quell' accorto intendente
ch'ella è , o mi rettifichi , oppure mi confermi nel
mio parere. Però prima di esporle le mie ragioni^
la prego di compatirmi, se privo come sono di tutt'i
sussidi letterari , non somminislratimi dalla povera
mia biblioteca , mi fossi lasciato sfuggire qualche
importante notizia.
Gli argomenti, sopra i quali fondai l'opinione,
che l'Ottimo comento sia composto nel 1333 e 34,
sono i seguenti :
1. L'autore di questo comento dice di aver as-
sistito personalmente ad un fatto accaduto poco dopo
i 2 di giugno 1307 (1).
Inf. XXVIII, 55. « Questo fra Dolcino ... fu
preso e nella sopradetta terra (di Novara) con suora
Margherita e molti e molti de' suoi fu arso. E io
scrittore ne vidi de' suoi ardere a Padova in nu-
mero di ventidue a una volta ; gente di vile condi-
zione, idioti e villani. »
2. Riferisce di aver conosciuto personalmente
il poeta : Inf. X, 8-^. « Io scrittore udii dire a Dante^
che mai rima noi trasse a dire altro che quello,
e. 34, No. 8, e. 36, No. 28. Se poi desidera (a e. 133) « la terza pe-
rizia » a farsi per i due codici di San Daniele del Frinii e di Ve-
nezia (Libreria marciana No. 56) , posso assicurarlo clie tutti due
contengono Vottimo comento somigliante a quello che si trova nel
codice riccardiano 1004.
(1) Sembra dunque che nel 1334 egli non abbia potuto essere
tanto giovane. Il Torri crede il contrario (Prefazione p. XIII ) , ap-
poggiandosi sulla chiosa al verso 89 del canto VII dell' inferno; ma
sembra ch'egli non abbia osservato, che chi vi parla della « sua gio-
vanezza » non è già 1' anonimo comentatore , ma ser Graziolo de'
Bambagioli, cancelliere di Bologna.
216 Letteratura
eh' avea in suo proponimento ; ma eh' elli molte e
spesse volte facea li vocaboli dire nelle sue rime al-
tro che quello, ch'erano appo gli altri dicitori usati
di sprimere. >>
Inf. XIII, 144. « Elli (Dante) fu di Firenze, e
però qui recita una falsa opinione ch'ebbero gli an-
tichi di quella cittade, la quale io scrittore doman-
dandoneliele udii così raccontare. »
3. Il eomentatore dice vivente Giovanni re di
Boemia^ che morì nella battaglia di Crecy a dì 26
agosto 1326.
Farad. XIX, 124. « A nuovi estrani successori
pervenne il regno (di Boemia), prima ad Alberto poi
ad Enrico imperadore, del quale oggi porta la co-
rona Giovanni suo figliuolo. »
4. L'autore anonimo del comento cita come vi-
y^nle il pittore Giotto^ morto nel 1336.
Purgai. XI, 94. « Fu, ed è Giotto intra li pin-
tori che gli uomini conoscono, il piii sommo, ed è
della medesima città di Firenze , e le sue opere il
testimoniano a Roma, a Napoli, a Vinegia, a Padova
e in più parti del mondo. »
5. Il così detto buon eomentatore nell' ultima
parte del suo lavoro cita l'anno 1333 come corren-
te o appena passato.
Farad. XII, 79. « Al quale (a s. Domenico) nel
ministerio generale succedette .... decimosesto fra-
te Ugo di Valsamano, al presente eletto nel 1333.»
6. Lo dice prossimo passato in una chiosa dell'
inf. XIII, 144.
« Cadde (il ponte vecchio) la notte del dì quat-
tro di novembre nel mille trecento trentatrè ». (Il cod.
Bibliografia dantesca 217
Laurenz. XL, 19 dice ventitré, ma vedi la cronica
di Gio. Villani XI , 1 ; e Dionisi , Anedd. V , 86 ,
Na. 1; Aless. Torri nella prefazione al comento dell'
Ottimo p. XIII, Na. 3) « anno prossimo passato. »
— È da notarvi che l'anno 1333, all'uso fiorentino,
non finì che colla fine di marzo del 1334.
7. Parimenti all'anno 1334 si riferisce un'altra
chiosa sopra un verso dell'istessa cantica XIX, 115.
(( Piccola Orsini ... si fece privilegiare la Ro-
magna e Bologna a Ridolfo imperadore : l'eflFetto del
cui privilegio toccò mentre eh' io scriveva questa
chiosa, anni 1333 » (all'uso fiorentino, ossia 1334
dell'era volgare) « a dì 17 di marzo, Bertrando ve-
scovo tVOslia e di Vellelro^ legato della chiesa apo-
stolica, il quale sozzamente da' bolognesi fu gittato
della signoria. » Vedi Villani, Cronica XI, 6. q
8. Un apografo della prima prefazione all' 01'
timo comento del Paradiso, fatto , per quel che mi
sembra, dal Pinelli^ e serbatoci in un codice veneto
della biblioteca di s. Marco (No. 55) vi appone la
data dell'ultimo di febbraio 1333, cioè 1334 dell'
era volgare. Somigliantissima è la notizia che l'ano-
nimo autore di una lettera contenuta nel cod. am-
brosiano di Milano (s infra 94) dice di aver estratto
da un suo manoscritto, del quale, dopo che Pier del
Nero si sia portato via l'inferno e'I purgatorio (sa-
rebbe mai quello del sig. Libri ?) non gli sia rima-
sto che'l paradiso. Ecco la notizia, quale si legge
nel codice : « Al nome di Dio, amen, e della ver-
gine madre, madonna santa Maria, e dì tutti e'suoi
benedetti santi, anni Dm. M. CCC. XXX. HI n (Sem-
bra che il manoscritto dica piuttosto VII) « die ult,
GA.T.CXVI. 15
218 Letteratura
mensis fbr. Qui comincia la dispositione (leggi o
spiega sposizione) del terzo libro di Dante Alighieri
di Firenze, il quale tratta di quegli che sono in Pa^
radiso. » Segue la prefazione del comcnto al Para-
diso.
Tutti questi passi, in gran parte per altro già
citati dagli autori , che anteriormente al mio opu-
scolo aveano scritto suW Ottimo comento, concorrono
a farcelo credere lavoro di un contemporaneo del
poeta, cominciato, in quanto pare, per le due ultime
cantiche, e terminato per l'inferno; essendoché i luo*
ghi riferiti ai num. 6 e 7 si riferiscano a un tempo
posteriore alta data della prefazione del Par. (n. 8),
Confesseremo ohe un passo solo, o pur due , per-^
metterebbero forse di supporre che un compilatore
più recente, compendiando l'altrui lavoro, abbia co-
piato alla spensierata anche le parole relative all'epo^
ca dello scritto originale; ma nove o dieci autorità,
tutte in perfettissima armonia fra di loro , devono
convincerci che l'opera, da cui furono tolte, sia tutta
dell'istesso autore, o che non vi si trovino almeno
che alcune giunte posteriormente innestate al primo
lavoro.
Se ciò non ostante convenni più sopra col sig.
De Batines^ che VOttimo non sia un comento primi-
tivo, lo feci per aver dimostrato già nella prima mia
dissertazione che l'anonimo suo autore abbia preso
per fondamento del suo lavoro il comento del La^
neo^ parte copiandolo testualmente, parte abbreviane
dolo, parte aggiungendovi delle proprie sue fatiche,
oppar delle notizie prese da altri interpreti. Ma un'
Opera fatta coll'aiuto degli altrui lavori è pure tuli'
Bibliografia dantesca 219
una, e non si potrà mai dire un composto di squarci
qua e là ripescati da qualche ignorante copista. Egli
è vero per altro che l'autore dell' Ottimo comento
non abbia seguito sempre l'istesso sistema. Troviamo,
per esempio, nel purgatorio alcuni capitoli material-
mente copiati dal Laneo (come il comento ai primi
sei canti ): altri che non ne hanno che alcuni estratti
combinati col proprio lavoro dell'autore ( come ai
canti 7, 11-19): altri finalmente, in cui nessuna trac-
cia si trova del comentator bolognese (al e. 8-10,
20-33 j (1). Quale possa essere la cagione di una di-
sparità tale, mi sembra cosa troppo difficile ad in-
dovinarsi.
Alle autorità riportate di sopra , e dal sig. vi-'
conte De Batines non citate che in piccola parte, egli
oppone alcuni altri passi ch'oramai dovranno esami-
narsi. Il primo si trova in quell'istessa chiosa sopra
un verso dell'inferno (XIII, 144) della quale anch'
io per ben due volte mi sono servito per provar il
mio assunto. Il sig. De Batines ce la riporta in tal
modo :
« Caduto il ponte, sopra '1 quale era la statua,
siccome cadde la notte del dì 4 di novembre 1333
anno prossimo passato , la detta statua caduta nel
detto fiume d'Arno vi stette dentro per molti anni.»
Se dunque, dice il sig. visconte^ il comentatore
può riferirci che la statua di Marte sia rimasa nel
fiume per molti anni dopo il 1333 , bisogna che
molti anni dopo questo tempo egli abbia vissuto e
(I) Credo questa notizia più esatta di quella data dal sig. De
Batines a e. i^Z e 1S4.
220 Letteratura ^
scritto. Di fatto a prima vista questo argomento non
sembra ammettere replica.
Sarebbe dunque fondato il rimprovero fatto da!
8Ì{j. De Batines a tutti coloro , che ( prima di lui )
aveano citato questo passo per giustificare l'antichità
dell' Ottimo : vale a dire , di « non aver osservato
l'altre parole, che ivi appresso immediate si leggono
( « la detta statua » ec.)? « Vediamo*, ma prima di
giudicarne in definitiva, rileggiamo lutto il passo, ri-
montando un poco più allo:
« Li antichi ebbero opinione, che la città di Fi-
renze fosse fondata, essendo .... Marte signore dell'
ora; onde fu fatto padrone d'essa Marte, e al suo
onore ... fu fatta una statua di pietra alla
quale rendeano certa reverenza e onore idolatri©. E
dicevano che ogni mutamento, ch'avesse la detta sta-
tua, sì l'avrebbe la cittade; onde caduto il ponte, so-
pra 'l quale era la statua (siccome cadde la notte del
di 4 di novembre nel 1333 anno prossimo passato)
(e) la della statua caduta nel detto fiume d'Arno, vi
stette dentro per molti anni. Infra '1 qual tempo la
città predetta ebbe più guerre ... e in tutte fu per-
dente : in tanto che consiglio si tenne, che da mu-
tare era luogo .... Un medico giovane raccontò ciò
che avea udito . ... di questa statua, e consigliò ....
che fosse ritrovata e riposta in suo luogo .... : cosi
fu fallo. La cosa andò poi prosperevole, d'onde l'o-
pinione SI rinnovellò . . . che quando la statua avesse
mutamento, che la città di Firenze l'abbia. »
I « molli anni » dunque, durante i quali la
statua di Marte slette nell'Arno, non precedettero im-
mediatamente l'epoca in cui scrisse l'anonimo comen-
Bibliografia dantesca 221
latore, ma si passarono fra la caduta del ponte e'I
ben augurato consiglio pel quale il medico, quale
altro Camillo, seppe ritenere gli abitanti di Firen-
ze, già risoluti di emigrare. Seguirono poi degli al-
tri tempi, ricchi pei fiorentini di prosperi successi :
ed anche questi erano passati, quando fu scritto V
Ottimo comento , nel quale tante e tante disgrazie
incontrate dal fiorentini si leggono riferite. Sembra
inoltre che ognuna di queste tre epoche non sia stata
limitata ad alcuni anni, ma che abbia compreso de'
secoli. Ora, cosa diremo ? Se tutte queste cose non
accadettero che dopo il 1333, faremo forse seicenti-
sta l'anonimo coraentatore? oppure, dubiteremo se,
chi suppose quei « molti anni » posteriori al 1333
« abbia osservato l'altre parole che ivi appresso im-
mediate si leggono ? »
Se non isbaglio, non manchiamo di testimoni,
che, appena esaminati, renderanno cosa fecile il de-
cider la lite. Sentiamo prima la cronica di Giovanni
Villani :
II, I. « L'idolo dello iddio Marti,' ch'e' fioren-
tini levarono del tempio e puosono sopra una torre »
(La città che nel Battista Cangiò '1 primo padrone ,
dice Dante), « allora cadde in Arno, e tanto vi stette
quanto la città stette disfatta » (molti anni). « E cosi
fu distrutta la nobile città di Firenze dal pessimo
Totile a dì 28 di giugno negli anni di Cristo 450.»
Ili, I. « Certi gentili e nobili del contado di
Firenze .... ordinarono di mandare a Roma am-
bascìadori . . a Carlo imperadore, e a papa Leone,
e a' romani . . . pregandogli che si dovessono ri-
cordare ... di Firenze . . . accìocch'ella si rifaces-
22!2 Letteratura
se La loro petizione (fu) accettata . . .-
E così cominciaro a rifare la città di Firenze' . . .
e ciò fu negli anni di Cristo §04 all'entrata del mese
d'aprile ». (Quei citladin, che poi la rifondarne So-
Yra'l eener che d'Attila rimase, dice Dante). «Edi-
cesi che gli antichi» (il medico g'iovane) (( aveano
oppinione, che di rifarla non s'ebbe potere, se prima'
non fu ritrovata e tratta d'Arno l'imagine di marmo,
consecrata per li primi edificatori pagani per nigro-
manzia a Marti, la quale era stata nel fiiune d'Arno
dalla distruzione di Firenze infìno a quello tempo
( Molti anni ) ; e ritrovata la può sero in su uno pi-
liere in su la riva del detto fiume, ov'è oggi il capo
del ponte vecchio. « (In sul passo d' Arno Rimane
ancor di lui alcuna vista, dice Dante) ... « Vol-
garmente si dicea per gli antichi , che mutandola^
convenìa che la citlà avesse grande mutazione ».
XI, L « Negli anni di Cristo 1333 ... il gio-
vedì ... a dì 4 di novembre l'Arno giunse sì gros-
so alla città di Firenze, ch'egli coperse tutto il piano
di S. Salvi . . . Nell'ora del vespro . . . ruppe la pe-
scaia d'Ognissanti . . . incontanente rovinò e cadde
il ponte alla Carraia ... E incontanente appresso . * .
cadde il ponte da Santa Trinità ... e poi il ponte
vecchio. ... E cadde in Arno la statua di Marie
ch'era in sul pilastro a pie del detto ponte vecchio
di qua. E nota di Mar(e, che gli antichi dìceano e
lasciarono in iscritto, che quando la statua di Marte
cadesse o fosse mossa , la città di Firenze avrebbe
gran pericolo e mutazione ».
Se mai si volesse dinegar fede al miglior cro-
nista italiano, chiamiamo in suo aiuto messer Giovan-
ni da Cer laido.
felBLIOGRAFIA DANTESCA 223
Comento a Dante XIII 144, ediz. Moutier^ III
148, 49. « Lasciato da*cittàcliai divenuti cristiani l'
èrror gentilizio, fu questa statua di Marte tratta del
detto tempio, e . i . fatto sopra la coscia del ponte
vecchio un pilastro, la vi poser suso ... E in su
quella torre dimorò insino al tempo che Attila di-
sfece la città, e allora . . . questa statua cadde in
Arno, e in quello dimorò tanto, quanto la città si penò
a riedificare. Poi riedificata al tetnpo ... di Carlo
Magno, fu ripescata e ritrovata, ma non intera; per-
ciocché dalla cintola in su la immagine di Marte era
rotta ( » quella pietra scema Che guarda'l ponte, die*
Dante) ... E così diminuita, dicono che fu posta . . .
ad un pilastro in capo del ponte vecchio: del qua-
le poi, essendo negli anni di Cristo 1333 » ( Cosi
correttamente l' edizione del 1 724 , mentrechè nella
ristampa moderna si legge 1343) . . . » cresciuto
M (questa voce manca nell'ediz. Moutier) » Arno . . .
ne menò via il ponte vecchio, e il pilastro e la sta-
tua, la qual mai poi né si trovò né si ricercò ».
Somigliantissima è ancora la chiosa di Benve-
nuto da Imola nelle antichità del Muratori I. 1056.
Sono persuaso che anche senza questi passi pa-
ralelli, che sembrano terminar la controversia, V' S.
avrà perfettamente inteso il vero senso delle parole
dell' Of^mo cementatore: avrà veduto come, parlando
della prima caduta del ponte vecchio, avvenuta al
tempo di Attila, quell'antico autore abbia interrotto
la sua narrazione, per frammettervi a guisa di pa-
rentesi brevissima menzione di un consimile, ma re-
centissimo fatto: e dall'istessa di lei casa, situata al-
l'altra estremità del ponte, V. S. avrà determinato il
?24 Letteratura
punto, dove elevarsi doveva la torre abbattuta da At-»
tila, ed avrà ri conosciuto il silo del pilastro, il quale,
quando dopo tre secoli e mezzo quella statua eque-
stre fu ripescata, le servì di piedistallo, sinché dopo
altri cinque secoli e quel che vi avanza, cadde un'
altra volta per non ritrovarsi mai più. Convengasi
dunque , che le parole dal sig. Visconte de Baiines
addotte in prova di una più recente data deWOttimo
comento, da kii supposta, purché siant) intese bene,
servono di fortissimo argomento all'opinione contra-
ria, mostrando chiaramente che quel passo non pos-
sa essere scritto che nell'anno immediatamente suc-
cessivo' all'inondazione dei 1333.
Non voglio però passar sotto silenzio, che un
altro passo dell'istesso comento potrebbe far nascer
il dubbio, se la prima caduta, mentovata dall'ano-
nimo autore, non sìa di una data assai posteriore.
Nella chiosa sopra quell'altro verso della divina com-
media, in cui Dante riparla della statua di Marte (Fa-
rad. XVI, 145), si leggono queste parole:
«E dice scema , però che rotta e corrosa per
lo lungo stare che iece nell' acqua d' Arno, quando
il ponte vecchio cadde, anni 1)78 a dì 25 di no-
vembre, e fu riposta per li circostanti di Semifonte ».
Di fatto sappiamo anche altronde, che intorno a
quel tempo una grandissima piena dell' Arno fece
cadere il ponte vecchio: .■;!:; .
■ '■Ricordano Makspini ^ istoria fiorentina e. 80:
Txf'^i )>'. questo fu di giugno anni di Cristo mille cen-
to settanta sette . . . E questo medesimo anno per
soperchio d'abbondanza d'acqua d'Arno cadde il pon-
Bibliografia dantesc v 22J>
ie Vecchio, che ancora fu segno di future aVversitadi
alla nostra città ».
Le stesse parole letteralmente ripètute si: Iteg^o-
no anche nella cronica di Giov. Villani (V. 8).— A
dirle schiettamente quel ch'io ne credo, m'immagi-
no che nella chiosa del Paradiso l'antico comenta-
tore riporti un fatto storico, e che illustrando i ver-
si dell'Inferno, posti in bocca a chi « fé gibetto a se
delle sue case, » si attenga alla tradizione popolare,
riferitagli, per quel ch'e' ci dice, dall' Allighieri stes-
so. Sia però comunque si voglia, siansi passati i mol-
ti anni dal tem[)0 di Attila sino a quello di Carlo
Magno, oppure dal 1178 sino al giorno in cui gli
circostanti di Semifonte ripescarono la pietra scema,
sempre rimarrà cosa certissima eh' essi furono non
posteriori, ma anteriori al 1333.
Passiamo adesso al secondo argomento del sig.
de Batines , fondato sulla seguente chiosa al verso
100 del canto XIII del Purgatorio-
« Fia bisogno che li frati e li religiosi . . . co-
mandino >» ( alle donne fiorentine ) « che portino ta-
li panni, eh' elle non mostrino per dileggiatezza le
mammelle e'I petto. E cosi fu, che fu nel 1351, es-
sendo vescovo un messer Agnolo Acciaioli ».
Potrei ris[K)ndere, che' 1 sig. visconte, avendo
asseverato a e. 1 54, che le chiose al canto XIII del
Purgatorio non appartengano alla « parte veramen-
te originale del prefato comento » , non sia più in
diritto di tirarne degli argomenti relativi alla data
dell'opera intera; ma mi pare che, anche credendo
quelle chiose parto legittimo dell'anonimo interpre-
te, si possa restar persuasi che V Ottimo comento sia
2!Ì6 LlETTERATUk.4
composto prima del 1351. Ejjli è certissimo che' Ì
codice làurenziano ( XL, 19), dal quale il professo-
re torri tolse il testo da lui stampato , rappresenta
assai infedelmente l' opera originale. Molte vi sono
le lacune^ non solamente di alcune parole , ma di
chiose intiere (a cagion d'esempio: Purg. XXA'^III,
115, 127, 134 ), e nel medesimo tempo non po-
che le altrui chiose posteriormente aggiunte ( come
al Purg. VII 61 67, XI 109 in f., XV, 87, XXIÌ
430 in f. ). Or sembra che con moltissima verìsimi-
glianza si possa supporre che anche le ultime parole
della sopradetta chiosa siano una tal giunta di mano
più recente. L'istesso modo di dire ( « E così fu che
fu » ) sembra assai più rozzo che quello AeWOltimo.
Inoltre le notizie dateci dall'anonimo si distinguono
per la gran precisione de'fatti riportati: mentreòhè,
Angelo Acciaioli non avendo occupato la sedia ve-^
scovile di Firenze che sino al 1345 ( Visc. de Ba~
tines 1. e. p. 149, na. 37), vi è errore aperto nella
chiosa che crediamo aggiunta. Sembra che' 1 vestire
delle fiorentine sia stato indecentiésimo nel trecento,
come a tacere di più altre prove si rileva da quan-
to 'l Boccaccio assai pateticamente dice contro il co-
stume degli uomini del suo tempo (Comento a Dante,
Alleg. dei canto V, ed. Moutier II, 72, sq. ). Un tale
scandalo avrà provocato più volte delle censure ec-
clesiastiche, e vi è ogni ragione di credere, che la
profezia contenuta nel preallegato passo del Purga-
torio, come le altre profezie della div. com. , si ri-
ferisca ad un fatto già accaduto quando scriveva il
poeta. Rammenta il Villani (IX, 245) che gli ar-
bitri eletti nel mese d'aprile 1324, « feciono molti
Bibliografia ftANtEscA 227
Capitoli e forti ordini contra i disordinati ornamenti
delie donne di Firenze ». Altre leggi ed altri inter-
detti , dei quali ci naancano i ricordi , saratino stati
emanati. Nulla dunque di più naturale che di ve-
der un possessore del libro di Dante aggiungere aliai
chiosa sopra quel verso profetico la menzione di un
consimile decreto di data recente.
Sarebbe da esaminarsi ancora .se gli argomenti,
sull'autorità de'quali V Ottimo comento fu giudicato
composto nel 1334, siano o non siano refutati dal
sig. visconte de Batines. Non trovo però ch'egli ne
alleghi più di uno solo (quello riportato di sopra
sotto il no. 5 ), ed anche questo non mi sembra Con-
futato, ma tutto al più infievolito. Dice il dotto fran-
cese ( a e. 149), « questo passo non esser bene in-
terpunto dall'editore dell'Opimo, e doversi locar me-
glio la virgola dopo la parola al presente , sinché
il senso e la lezione sia: Ugo di Valsa mano al pre-
sente generale dell'ordine sanfrancescano, eletto nel
1333 ». Correggo di passaggio l'errore, per cui in
vece di s. Domenico fu scritto s. Francesco^ e rimet-
to nell'arbitrio de'dotti connazionali dell' Ottimo di
decidere se un parlare ellittico, come quello suppo-
sto dal sig. de Batines^ corrisponda al genio della
lingua italiana; iti ogni caso però è cosa evidente,
che se la detta chiosa talmenle interpretata non im-
porta più la necessità di supporla scritta nel 1333,
o subito dopo, egli resta pure incontrastabile ch'ella
non possa esser composta dopo la morte del Valsa-
mano, cioè che sia anteriore non solamente al 1351,
ma puranche al 1341 (De Batines 1. e. na. 38).
Se V. S. conviene meco, che sfnora non si sia
228 Letteratura
veduto argomento alcuno, per cui V Ottimo comen-
to dovesse dirsi composto dopo il '334, non rima-*
ne da esaminarsi che la quistione , se mai 1' autore
del comento sul Paradiso sia differente da quello delle
chiose sopra l'inferno e'I purgatorio. Dice a questo
riguardo il sig. de Batines a e. 149: « Dimostrerò
f)iù innanzi colla sottoscrittura di due codici, che il
comento del Paradiso è compilazione di diversi co-
menti e fatta inoltre da tutt' altro autore, « ed a e.
454: » Quanto al comento al Paradiso, egli è ad e-
videnza d'autore diverso; è ciò che concorre a pro-
varlo non è unicamente il numero . . . dei codici
che lui solo contengono , ma inoltre la soscrittura
seguente, colla quale si chiude il comento nel co-
dice magliabecchiano del sec. XIV in f., scritto in
carta velina (codd. di s. Marco, no. 121):
« Finiscono le glose accolte et compilate per
A. L, N. F. sopra la commedia di Dante alleghieri
fiorentino in laude di Cristo, amen ».
E soscrittura interamente simile sta appiè del
codice vaticano no. 4776, della fine del sec. XIV, in
f^ e su carta velma (9) ».
(9) Corrisponde a questa notizia sopra'l codice vaticano anche
quella che alcuni anni sono mi pervenne da Roma» Semhra però che
il codice sia membranaceo e non cartaceo. La soscrizione è material-
mente compagna di quella del cod. magliabecchiano^ e non differisce
che in cose senza rilievo:
« Finite le chiose accolte e compilate per A. L. N. F. sopra la
commedia di Dante Alleghieri della cittade di Firence. Ad honoreet
laude di Cristo, amen ».
Alcune postille interlineari in lingua spagnuola, per quanto sem-
bra delFistesso amanuense del codice, fanno credere, che spagnuolo
*«ia stato ovvero il copista, oppure il primo possessore del libro.
Bibliografia dantksca 229
L'asserzione del sig. de Batines, che il comenta
del Paradiso sia compilazione di diversi comenti, sem-
bra dunque unicamente fondata sulle parole « accol-
te e compilate », che nella soscrizione dei due codi-
ci si legg^ono. Credo però che questi termini non
siano che un modo di parlare più modesto invece
di dire « composte e scritte », e me lo provano gli
esempi recati dalla crusca alla voce « compilare »-
Vedemmo per altro, che anche il e omento sopra l'in*
ferno, l'autenticità del quale è fuori di dubbio, non
è a tal segno primitivo, che ogni eh iosa sia proprio
parto dell' ingegno di chi scrisse /' Ottimo comento;
anzi indicai già sopra, qual'uso l'anonimo interprete
abbia fatto del comento di Iacopo della Lana^ e si
sa d'altronde ch'egli profittò pur anche delle chiose
di Grazialo de' Bambagioli e di Accorso Bonfantini.
Se dunque insister si dovesse sulle parole « accolte e
compilate », intendendole al modo del sig. de Bali-
wes, si potrebbe dire con ogni ragione, anche'l co-
mento dell'inferno esser una compilazione di diver-
si comenti. Ora esaminando con attenzione le chiose
òcW Ottimo sopra il Paradiso, credo di riconoscervi
l'istessa mano e'I medesimo modo di procedere come
nel comento sulla prima cantica. Anche quìi lavoro
del Laneo serve come di base: anctje qui le chiose
da lui tolte sono in parte abbreviate, in parte cor-
rette da uno scrittore più intendente della storia e de-
gli autori classici latini : anche qui si ritrova , tanto
nella prefazione del codice veneto di san Marco,
quanto nelle chiose, la data del 1334, che ricorre
nelle tre parti principali dell'opera. Non vedo dun-
230 Letteratura
que perchè il comento sul Paradiso ad altro auto.
re attribuir si debba.
Ottiuiamente però, seguitandole pedate del Me-
hus osserva il sig. visconte a e. 1 54, che supponen-
do le lettere ricorrenti nei due codici dell' epilogo
riferito di sopra, essere le iniziai i del nome dell' au-
tore, esse non senza probabilità si possano intepretare;
Andrea Lancia Notar Fiorentino.
Mi sembra bellissima questa congettura, e cre-
do che se ne debba molta lode al dotto francese; ma
non vedo perchè , se pel comento al Paradiso si è
scoperto il nome dell'autore, le chiose sopra le altre
due cantiche debbano rimanersene senza. Già prima
di conoscere la scoperta del sig. de Batines , giudi-
cai erronea l' opinione che l' anonimo comentatore
sia stato religioso. Ecco la chiosa, sulla quale il Tor-
ri cercò di appoggiarla :
Purg. XXVI 97. « Dicesi padre per generazio-
ne , siccome Abraam fu padre d' Isaac ; padre per
etade , come noi diciamo li santi padri ; padre per
professione, siccome qui è l'abate padre de'monaci ».
Crede il Torri, che questo « qui » si riferisca al
monastero, in cui scriveva il chiosatore; ma mi sem-
bra che l'andamento del pensiero sia questo: Dicia-
mo padri anche quelli che non lo sono per gene-
razione, come i santi padri, già da tanti secoli pas-
sati a vita migliore; ma anche qui, in questa vita,
diciamo padri gli abati. Le molte ed accurate ci-
tazioni del corpo di diritto romano, che in tutte le
parti dell'opera si ritrovano, già da molto tempo mi
fecero credere, che giurisconsulto sia stato l'autore
deW Ottimo comento (purg. Vili 70, XIII 106, XIX
Bibliografia dantesca 231
133, Paracl. VI, 10). Se poi, per asserire ch'ei sia
stato toscano, non bastasse la purità della sua lin^
gua , credo che ne abblanao una prova più positiva
nella chiosa seguente:
Purg. XIII. 112. "Oh quante volte in questa
provincia di Toscana colali prieghi sono stati fatti
per mali cittadini, perocché non hanno lo stato che
elli vorrebbono » !
Tutto dunque concorre a farci credere che Aìi-
(Irea Lancia nolaro fiorentino vivente nel trecento
( u ineunte saeculo XIV, » dice Mehus vita Ambr,
Camald p. 183), del quale ci pervennero molte tra-
duzioni di poeti e di prosatori latini, sia quel giu-
risconsulto toscano, tanto ben versato nella classica
letteratura , che nel 1434 compose V Ottimo co^
mento (1).
V. S. accolga graziosamente queste piccole os^
servazioni, e mi creda per sempre, il di lei
devotissima ed alfezionatissimo servitore
Carlo Witte^
professor^ di leggi
(1) Mi prevalgo del piccolo spazio, appiè di questa facciata rl^
maslo, per rivendicar ad un illustre defunto la bella emendazione
proposta dal sig. f^elio Arbib in un altro articolo degli studi inediti
(face. 161-66). 11 marchese Gian Giacomo Trivulzio, dopo quindici
anni die ora manca ai vivi, non mepo caldamente che al giorno Ae\-
la sua morte dai cuori gentili compianto, mi dimostrò già molti an-
ni sono, che nel penultimo verso della quarta strofa della prima fra
le canzoni della vita nuova sia da leggersi:
« Voi le vedete Amor pinto nel riso. »
Rendendone poi il merito a chi si doveva, pubblicai questa emen-
dazione nel mio comento sopra le poesie liriche di Dante ( Dante
AUghierVs lyrische Gedichte. Lipsia 1842, voi. II, f. 24).
232 LETTERATCR4
POSCRITTA
Quando sul principio del mese decorso, appena
ristabilito da fieiissima malattia, risalutai per pochis-
simi giorni la dolce italica terra, sua eccellenza il
sig. marchese Giorgio Teodoro Trivulzio, con quella
liberalità che nell'illustre di lui famiglia è eredita-
ria, mi favori una copia della « Bibliografia dantes-
ca » del sig. visconte Colomb de Batines. Quantunque
il tempo avanzatomi dagli affari, da cui rimpatria-
to dopo lunga ed involontaria oziosità mi vidi quasi
oppresso , non abbia potuto essere che poco , pure
mi è pienamente bastato, per farmi ammirar le la-
boriose ricerche e la somma diligenza di quell' in-
defesso dantofilo , e per rendermi gratissima un'ope-
ra da tanti anni universalmente desiderata.
Vedo che la scelta di lei libreria dantesca, ric-
ca di tanti oggetti preziosi e rari, abbia sommini-
nistrato al sig. de Batines non poche belle notizie :
e credo un dovere d' ogni ricoglitore , di contri-
buire per quanto può al compimento di un lavoro
così insigne, come quello del dotto di lei amico. Sup-
pongo perciò che forse le possa essere cosa non dis-
cara, s'io le copio alcune osservazioncelle, che pas-
sando in rivista la piccola mia raccolta, e limitan-
domi per ora al solo catalogo delle edizioni della
divina Commedia, notai sui margini dell' opera del
sig. de Batines. Se V. S. poi dovesse giudicare, che
in maggior parte esse non siano che delle minuzie,
la prego di riflettere, che in fatto di bibliografia an-
che le minuzie sono essenziali.
BlBLIOGRÀFI.4 DANTESCA 233
Alcuni supplementi alla bibliografìa dantesca
del sig. visconte Colomb de Batines.
(Parte prima §. /. Serie delle edizioni
della divina commedia.)
F. 24, lin. 3 1477.
Venezia. Vendelino da Spira.
Il numero dei versi non è uniforme ad ogni
colonna. Poche ne arrivano a 49 versi; la maggior
parte varia fra 46 e 48.
Lin. 7, 8. Gli spazi lasciati in bianco non do-
vevano esser riempiti da miniature, ma bensì dalle
figure geometriche, alle quali si riferisce il comen-
to, e che sì trovano in non pochi codici manoscritti
del Laneo
F. 25, lin. 6. La protesta del comentatore non
si legge dopo la sottoscrizione, ma la precede , co-
me parimenti le va innanzi il credo del comenta-
tor bolognese.
F. 26, lin. 15. L'ultimo verso della seconda
quartina dice:
« per cui il texlo a noi è intellectivo ».
Lin. 24. Non trovo veramente che'l testo della
vendeliniana sia più scorretto di quello della mag-
gior parte delle altre edizioni stampate nel quattro-
cento. Egli è però vero, che'l settimo canto dell'in-
ferno è mancante della sesta terzina.
F. 28, lin. 16. Non conosco appresso i vocabo-
laristi che pochissime citazioni dell' (( Ottimo comen-
to » che al Laneo si debbono riferire (come a cagion
d'esempio alle voci « acciainolo » e « cancelliere »).
G.A.T.CXVL 16
234 Letteratura
Anche i deputati addussero alcuni pochi passi come
provenienti dal « buon comentatore », che apparten-
gono a Iacopo della Lana ( a e. 16, 86 e 116 del-
l' edizione originale. Inf. XX, 116;Purg. XXX, 43;
Inf. XIX, 5 ). Il Salviati poi confonde assolutamen-
te i due cementi (Avvertimenti della lingua. Ediz. del
1584,1. 114-16). Non vedo però che in alcuna di
queste opere sia fatto uso dell'edizione vendeliniana;
anzi la sola stampa nominata dal Salviati è quella del
Nidobeato.
1491.
Venezia. Pietro Cremonese.
F. 54, ìin. 22. Le incisioni sono quadrate , di
3 pollici parigini. Alcune sono più piccole di una
mezza linea o poco più.
F. 55, lin. 10. Quantunque la numerazione non
oltrepassi il 14, sono veramente 17 canzoni, essen-
do che ciascuno dei numeri 8, 10, 14 ne compren-
de due.
Lin. 18. La terzina omessa è la decima nona.
In contracambio i versi 24-28 del Purg. e. XXV sono
stampati due volte.
1502.
Venezia. Aldo.
F. 60. Inf. Non vedo per qual ragione il sig.
de Batines dica, che'l Volpi nell' edizione comirdana
abbiti adottato il testo aldino, essendosi sempre cre-
duto, che questa stampa riproduca il testo degli ac-
cademici^ purgandolo solamente dalle mende dell'e-
dizione del Manzani. Lo stesso Volpi dice nella sua
prefazione a'ieltori: « Abbiamo scelto il testo fatto im-
primere dagli accademici della crusca fin l'anno 1595,
Bibliografia dantesca 235
in Fiorenza presso Domenico Manzani » ; e più avanti:
« Gli altri testi stampati presso che tutti, anciie Valdi-
no a proporzione, . . . sono difettuosi, sparsi di grossi
errori di stampa e di cattive lezioni, rozzi in quanto
all'ortografia, e in somma da non potersene valere
senza pericolo d'abbaglio ». Che poi il Volpi abbia
corrisposto col fatto a queste sue promesse, lo provai
ogni più piccolo confronto.
In un mio articolo, pubblicato negli annali dì
letteratura, che si stampano a Berlino ( 1838, col.
638-40), ho cercato d'indicare i codici, dai quali il
Bembo abbia potuto attingere il testo seguito nell*
edizione aldina.
1506.
Firenze. Giunta.
F. 65, lin. 15. Sono due i dialoghi di Giro-
lamo Benivieni; l'uno composto a norma dei propri
detti di Antonio Manetti, che ne forma l'interlocutore
principale: l'altro (che principia a e. 393) aggiun-
tovi dal Benivieni per suppliraento ai lavori del Ma-
netti interrotti dalla di lui morte. Le figure, che il-
lustrano questi dialoghi, sono sette, e non sei.
Il testo dell'edizione giuntina differisce assai da
quello dell aldina. Sembra però che il Giunta si sia
limitato a ricorreggere quest'ultimo suU' autorità di
buoni codici , senza seguirne uno a preferenza , e
senza formarsi un testo tutto nuovo.
Senza data.
Alessandro Paganino.
Fog. 67, lin. 8. Il mio esemplare non ha che
quattro incisioni in legno : vale a dire il sito e la
236 Letteratura
forma dell'inferno, e gli alberi dei peccatori per l'
inferno e per il purgatorio. Lo spaccato dell' inferno
somiglia moltissimo a quello della seconda aldina-
ma. è meno nitido, e manca di alcuni nomi e mi-
sure che in quello si trovano.
£■ Si suppone universalmente, che questa stampa
dei Senacensì sia contraffazione della prima aldina :
ma degli accurati e ripetuti esami mi hanno piena^
mente convinto, che'l Paganino abbia letteralmente
copiato l'edizione del 1515, colla quale il di lui te-
sto consuona dapertutto, dove le due aldine differi-
scoqo fra di loro. Si cessi dunque di assegnare a
questa stampa la data del 1506, e le se ne dia una
posteriore al mese di agosto 1515.
dT'oliiif» i fìi^^^^-
;..,„•..■ . : Venezia. Bart. de Zanne.
, F^ 68, inf. Alla fine della commedia, oltre al
Credo^ si leggono anche il Pater e l'Ave attribuiti a
Dante. L'ultima carta, che è bianca nel verso, è ve-
ramente numerata, e porta il numero CCXCVHL
È, giustissima l'osservazione del sig. de Batines
che le stampe accompagnale del comento landinia-
no, ma posteriori alla prima a/d/nct, contengono quasi
tutte il testo di questa, assai di spesso differentissi-
mo da quello adottato dal Landino. Sbaglio però il
sig. visconte applicando un tal rimprovero all' edi-
zione del Zanne.) unica, per quel ch'io sappia , fra
quelle del cinquecento a riprodurre il testo laudi-'
niano^ o più precisamente quello dell'edizione di Pie-
tro Cremonese.
Bibliografia dantésca 237
1515.
Venezia. Aldo.
F. TI, lin. 19. Trovo qualche piccola differenza
fra'l mio esemplare e quelli descritti dal chiarissimo
autore. La soscrizione della mia copia è tale :
« Impressi in Vinegia nelle case d'Aldo (") d'
M Andrea di Asola suo suocero nell'anno M. D. XV.
i> del mese di agosto >».
Quanto poi a f. 72, lin. 2, si attribuisce al ver-
so della terza carta, sta sul retto del mio esemplare,
e viceversa*
1520.
Venezia. StagnirlOi
F. 78, lin. 17. Manca la parola « novamenle »
da inserirsi fra « diligentia » e « in littera ».
Ivi, in f. L'ultima carta è segnata 441, ma do-
vrebbe dire 440, essendo saltato il 439.
Il testo di questa edizione è quello della prima
aldina.
1544.
Venezia. Marcolini, col com. del Vellutello.
F. 83, lin. 10, 11. Le figure occupano sempre
tutta la larghezza, e sono inserite a quel luogo del
testo, al quale si riferiscono: dimodoché non istanno
che di rado al principio dei canti.
L'ortografia è tutta rimodernata a confronto delle
edizioni aldine : e molte buone varianti , attinte ad
autorevoli codici, si vedono introdotte nel testo.
(*) Altri esempi, da me veduti hanno veramente : « Impresso
in V. n. C. d'Aldo ec. «
238 Letteratura
t55l, 52.
Lione, Royillio.
F. 86, 87. Dei due esemplari miei, l'uno porta
la data del 1551, l'altro quella del 1552 Per il re-
sto il frontispizio è perfettamente identico, cioè con-
forme a quello riferito dal sig. de Batines a face. 87.
Dei reiterati confronti mi hanno provato , che con
tutta ragione asserisca Ajwstolo Zeno (Annotaz. alla
bibliot. dell'eloquenza ita!, di monsig. Giusto Fonta-
nini I, 299, nota 1) le copie con data diversa non
appartenere che ad una sola edizione. Non solamente
i più manifesti errori tipografici ricorrono senza mai
esser corretti (come a f . 6 « e chiarezza » invece
di « e chiar » : a f. 9 « Capaldino » per « Cam-
paldino » : a f. 231 « SEGGA » in luogo di SEC-
CA » ): ma puranche le lettere mal riuscite e mozze
negli esemplari colla data del 1551, hanno la stessa
stroppiatura nelle copie, che sul frontispizio portano
il 1552 (Così, per esempio, 1' l nella parola « picciol »
a f. 6).
Per quanto al testo, le edizioni rovilliane ripro-
ducono quello della seconda aldina.
1564.
Venezia. Sessa.
F. 92, Un. 1, 2. Le figure incise in legno sono
identiche con quelle della ediz. del 1544.
Ivi, lin- 7. Il proemio alla repubblica fiorentina
è quello del Landino.
Il testo è copiato dall' aldina, e raramente cor-
retto sulle indicazioni del coment© del Vellutello.
Bibliografia dantesca 239
1568.
Venezia. Fino, col com» del Daniello.
Face. 93, lin. 21. Nel naie esemplare lo stem-
ma delio stampatore non si trova sull' ultima delle
carte preliminari, ma bensì sull'ultima dell'opera.
Anche il Daniello prese per fondamento del suo
testo quello dell' aldina , introducendovi però gran
numero di notabili correzioni.
1569.
Venezia. Farri.
F 95, lin. 9. Il sonetto attribuito al Boccaccio
è quello stesso, stampato da Vindelino da Spira , e
riferito dal chiar. autore a f. 25.
Quantunque ci dica il Dolce della diligenza colla
quale, sulla fede di « un esemplare trascritto dal pro-
prio scritto di mano del figliuolo di Dante » (vedi
sopra a f. 91), egli abbia emendato il testo, le sue
edizioni non sono che ristampe delle aldine coH'or-
tografia rimodernata un poco, e con qualche raris-
simo esempio di lezione variata.
1571.
Lione. Rovinio.
F. 95, lin. 16. Il frontispizio è questo: « Dante
con nuove , et vtili ispositioni. Aggiuntoui di più
una tauola di tutti i vocaboli più degni d'osserua-
tione, che à i luoghi loro sono dichiarati. In Lione^
appresso Guglielmo Rouillio 1571. 627 facce nu-
merate, e 12 non num. »
È mera ripetizione dell'ediz. del 1551, meno il
privilegio che non è ristampato.
240 LEtTERATURA
1572.
Firenze. Sermai telli, col com. dei Buonanni.
F. 96, Un. 6. Si ag^giungano alla fine altre &
face, non numerate che contengono l'indice.
Non essendomi riuscito sinora di ppocurarmr
l'opera del sig. Bernardom'., che forse renderà inu-
tile la mia osservazione, aggiungo che , oltre alle
stravaganze dell'ortografia, adottala dal Buonanni^
anche le varianti da lui introdotte nel testo, quan-
tunque fondate sull'autorità di codici, se se ne eccet-
tuino alcune poche, non sono tali da soddisfare una
sana critica,
1595.
Firenze. Manzani, ediz. degli accademici.
F. 99, Un. 7. Oltre ai 52 testi di ragione pri-
vata, Bastiano de'Rossi cita << intorno a quaranta »
codici della libreria di s. Lorenzo.
Ivi, lin. 14. Il foglio Nn non è quaderno, ma
mezzo foglio. Non occorrerà poi di osservare che
alla dedicatoria (lin. 22) l'anno 1495 non abbia po-
tuto essere assegnato che per mero errore tipogra-
fico.
Nell'articolo degli annali di Berlino, già di so-
pra citato col. 643-48, ho cercato di rintracciar il
metodo seguito dagli accademici per la correzione
del testo.
1629.
Padova. Pasquardi.
F. 102, lin. 15. Le prime carte sono contiprese
nella numerazione, di modo che la prima facciata
del poema è contata per quinta.
Ivi, lin. 19. L'edizione del Pasquardi corrispon-
de facciata per faccia^^ -," '
Bibliografia dantesca 247
1629.
Venezia. Misserini.
Ivi. Tutte tre le edizioni del seicento riprodu-
cono il testo del Dolce.
171G.
Napoli. Laino.
F. 103, lin. 25. Non sono che 570 facciate.
F. 104, lin. 6. Le annotazioni sono prese dalk
stampe rovilliane.
1726.
Padova. Cornino.
F. lO-'i, lin. 24. Il secondo volume ha 557 face.
Ivi, lin. ulL F. 105, lin. 1, 2. Il ritratto di
Dante, dipinto da Bernardino India , si conservava
nel museo di Daniele Lisca. Le carte, non le facce ,
preliminari sono in numero di 16-
1749.
Verona. Berno.
F. 109, lin. 8, 9. L'autore del comenlo (padre
Pompeo Venturi) non è nominato sul frontispizio. Le
facciate del primo volume sono LXII e 336.
Ivi, lin. 15. Il ritratto di Dante sembra tirato
dall'istesso rame, che servì per l'edizione cominiana.
Ivi, lin. 22. L'articolo (sopra Dante e i suoi po-
steri) tratto dagli « Scrittori veronesi » è di Scipione
Maffei.
1752.
Bergamo. Lancellotli.
F. 1 11 in f. Sono facciate 640. - Non vedo per
altro che 'l Serrassi abbia riveduto il testo sopra il
codice Albani; anzi egli asserisce nella dedicatoria di
24^2 Letteratura
non essersi « voluto scostar pur un punto » dalla le-
zione cominiana, e vi aggiunjjfe « benché l'avessi po-
tuto fare -^ con la scorta » del suddetto codice.
Fra le appendici, non menzionate dal sig. de
Batìnes, le due tavole « de'vocaboli più oscuri usati
da Dante » e « de' nomi propri e cose contenute
nell'opera » sono prese dalle edizioni procurate dal
Dolce. Aflferma però il Serrassi di aver fatto delle
aggiunte notabili alla prima di esse. Il « Rimario di
tutte le desinenze » , che occupa l'ultimo luogo, fu
dal medesimo Serassi compilato di nuovo.
1755.
Lipsia. Heinsio.
F. 112. La Divina Comedia di Dante Alighieri
dell'Inferno, poemetto morale e filosofico; colle an-
notazioni distinte, ch'esplicano chiaramente il testo.
Da Nicolo Ciangulo poeta cesareo, e lettor pubblico
italiano. Lipsia, appresso Giov. Samuel Heinsio he-
redi, 1755. I voi. in 8, di 256 face.
È la prima edizione, stampata in Germania, de-
dicata al conte Holzendorf ed al sig. de Globig. Sul
principio il Ciangulo non ne avea pubblicato , che
i primi quattro canti; poco dopo però vi aggiunse
il rimanente dell'inf. La stampa è piuttosto bella per
quel secolo, ma poco corretta. Il testo è quello de-
gli accademici. Le note sembrano propria fatica del
Ciangulo, fatta sulle pedate del Venturi.
1760.
Venezia, Zatta.
F. 114, lin. 20. La Divina Commedia di Dante
BtBLlOGRAPIA DANTESCA 24.^
Alighieri, edizione corretta, illustrata ed accresciuta,
siccome dalla seguente prefazione apparisce. Venezia^
Zana, 1760. 3 voi. in 8 di XXX e 414; Vili e 423;
Vili, AIO e 420 facciate
Le ultime 120 face, del terzo Tolume conten-
gono le <( Osservazioni di Filippo Rosa Morando »
e le tre dissertazioni del padre Gian Lorenzo Berti^
agostiniano « Della dottrina teologica, contenuta nel-
la Divina Comedia. »
Il testo delle edizioni del Zatta è quello degli
accadennici.
1768.
Parigi. Prault.
F. 115. Il prinao volume comprende, oltre alle
192 facciate preliminari, l'Inferno in 212 face. Il se-
condo volume (Purgatorio e Paradiso) è di 432 f.
Gli editori seguirono il testo della crusca.
1784.
Norimberga. Schneider.
F. 1 18. L'inferno della Divina Commedia di Dan-
te Alighieri, tratto da quella che pubblicarono gli
accademici della crusca l'anno MDXCV. Col comento
del M. R. P. Pompeo Venturi della compagnia di
Gesiì. Norimbergo. Presso Adamo Theofilo Schneider,
1784. 8, di 302 face.
Le 22 f. preliminari contengono un « Avviso
agli studiosi della lingua toscana», la prefazione del
padre Venturi, e la vita di Dante di Leonardo Bruni.
L'avviso non parla che dell'inferno solo, e sembra
che l'editore vi si sia limitalo.
244 Letteratura
'1787.
Parigi. lacob,
F. 118^ in f. Ogni volume ha'l suo frontispizio
separalo ( « Inferno, poema di Dante » ec. ) , senza
che ve ne sia uno comune a tutta l'opera.
Il numero delle facciate è di 236, 236 e 233.
Il testo degli accademici, riprodotto in questa
edizione, vi è sfigurato di ben molti errori tipogra-
tìci.
1788.
Berlino. Lange.
F. 118 in. f. La t)ivina Commedia di Dante
Alighieri. Edizione di Giuseppe déValenti. Berlino e
Stralsunda, presso Amadeo Augusto Lange, 1788. 8.
VIII e 462 face, ed una carta di Errata-corrige.
Le 8. face, preliminari contengono la « Vita e
costumi di Dante Alighieri, e diverse notizie sopra
di esso e le sue opere > , meschinissimo lavoro del-
l'editore. Anche gli argomenti sembrano da lui com-
posti.
Il testo è quello della crusca.
Ignoro se le due altre edizioni del Valenti (Beri,
e Strals. 1797, 1799-1804) esistino come tali, o se
forse non abbiano che'l solo frontispizio cambiato.
1804.
Milano. Tipografìa dei classici ^
F. 125, lin. 5. II primo volume è di LXVII e
336, il secondo di LI e 441 face.
Ivi, lin. 20, 21. In un canto, da me confron-
tato per saggio , non ho trovato che quattro vere
varianti della nidobeatina (lasciando fuori di conto le
Bibliografia, dantesca ^45
sole differenze di ortografia) adottate dal padre Lom^
bardi] mentrechè in quell'istesso canto il PoHirelli^
oltre a queste, ne ha introdotto nel suo testo non
meno di quattordici altre. Contuttociò rimangono an-
cora ben molte buone lezioni della nidobeatina, Ira^
scurate dall'uno e dall'altro di questi editori.
NaesJei'iJ: 1804.. nsoftko'vtì. li
Penig. Dienemann,
F. 127, lin. 10. Il terzo volume è di 236 face.
Ivi, lin. 13. Mi sembra cosa più che dubbia,
che'l Fernotv abbia avuto cura di questa edizione.
Ivi, lin. 18. E verissimo che « Gli editori •> di-
cono nella prefazione a f. XVII, di aver « esatta-
mente riscontrato » l'edizióne romana con quella del
Zatta; sbaglierebbe però chi credesse che questi ri-
scontri abbiano servito ad introdurne delle correzioni
nel lesto. Gli editori, assicurando di aver fedelmente
copiata la stampa veneta, e di esservisi attenuti an-
che nell'ortografia, promettono di dare in un quarto
volume, che tuttora si sta aspettando, tutte le va-
rianti delle due edizioni, e di aggiungervi un cora -•
pendio delle note storiche del cemento Lombardi ,
omettendone le chiose filologiche.
-4>Ui'ù mÌ) .<; - wK'.iiUp. Siv inoihuìi] l
"'' ' ■'' ' • 1804,"'" ■ ìì'^oh oiUìH ir f'/jH
Penig, Dienemann.^'^ .'>'r';'!i! il; r.tii
F. 127, in f. Le due edizioni dell'istesso tipo-
grafo, citate dal sig. de Batines, non sono veramente
che una sola con variata disposizione delle colonne.
Non solamente la disposizione delle colonne è
variala, ma la stampa, quantunque copia fedele dell'
"246 Letteratura
edizione in quarto, è di un carattere più nainuto. Il
numero delle facciate è di XIV, 267, 265 e 265.
È Yerissimo per altro, che l'edizione del 1843
(Breslavia, Schletter) sia identica con quella del 1804.
Gli esemplari non venduti di questa edizione,
fatta con qualche lusso, passarono più volte in altre
mani, e suppongo che una stampa, annunziata colla
data di Breslavia 1843, sia di quell'istessa prove-
nienza.
1807.
Livorno. Masi.
F. 128. Adottò il Poggiali^ come lo dice il fron-
tispizio, il testo degli accademici, riformandone però
in alcuni punti l'ortografia, e rendendola in qualche
modo più somigliante all'uso del secolo di Dante.
1807.
Gotha. Steudel e Keil.
F. 129. Il frontispizio è questo:
«< La Divina Commedia di Dante Alighieri. Edi-
zione di Giov. Giorgio Keil. Cantica I. Gotha^ appr.
Steudel e Keil 1807, di 236 face. »
Forma il duodecimo volume della bibl. ital. del
Keil
A giudicar da quanto riferisce il sig. de Bati-
nes.) vi sono degli esemplari che portano un'altra fir-
ma di libraio, essendosi vendute, in quanto sembra,
le copie non ispacciate dal primo editore.
Ignoro, se le altre due cantiche siano o non sia-
no pubblicate.
Il testo è quello della crusca, con gli argomenti
del Gozzi.
Bibliografia dantesca 24T
1807.
Iena. Frommami.
F. 130. «« La Divina Commedia di Dante Ali-
jjhieri » ec.
I tre volumi sono di XLU-e 324; XVI e 348;
XXII e 352 face.
1809.
Milano. Mussi.
F. 133, lin: 29. Le facciate sono in numero di
XIV e 623.
Ivi, lin. 30, 31. Le varianti non si riferiscono
che all'Inferno ed al Purjjatorio, le due sole cantiche
contenute nel codice, che fu del Bossi (Vedi a f. 132
1. 22). Il testo è quello della crusca.
■Ì810.
Brescia. Bettoni.
F. 134, lin. 12., Il primo volume di LUI e 487
face, abbraccia l'Inferno e '1 Pur^jatorio. Le prime
245 face, del secondo volume contengono il Para-
diso. L' aggiunta critica del Dionisi comprende le
face. 247 a 335. Le rime di Dante formano il rima-
nente del volume.
1810.
f /ja ii£;'i, Roma. De Romanis.
F. 13'5, lin. 4. La Divina Commedia è prece-
duta dalla vita di Dante del Serassi.
1811.
Venezia, Vitarelli.
F. 135, Hn. 14. Il primo volume (di VII, XXVII
e 613 face), nel quale sono contenute tutte le tre
248 Letteratura
canliche non ha per frontispizio che le parole: « La
Divina Commedia di Dante Alighieri. Edizione for-
mata sopra quella di Cornino del 1727 ». Il resto
del titolo, riportato dal sig. de Batines^ forma il fron-
tispizio del secondo volume. Il mio esemplare di
questo (II e 539 face.) porta la data di « Venezia,
1819. Molinari >. Sembra però fuori di dubbio, eh'
esso faccia parte della ripetizione della stampa vita-
relliana, citata a f. 145 in f. l .(?£ .nil jt
.Ul^U y / :
1815^17, • ..il ;/I
Roma. De Romanis.
F. 139, lin. 35. L' «Esame della Divina Com-
media di Dante » del degnissimo cav. Gius, di Co-
sare^ pubblicato (a Napoli ?) nel 1807, in 4 picc, è
composto di tre discorsi, l'ultimo de'quali (« Tratti
lìlosofìci della Divina Commedia ») fu omesso a gran
torto, tanto dal De Romanis , quanto dagli editori
padovani. Vedi più sotto a e. 155, lin. 35.
1816.
Avignone. Seguin.
F. 140 in f. I tre volumi sono di XII e 287;
287 e 311 face.
Il testo è quello della crusca. Un gran numero
di contrassegni , ideati dall' editore per facilitar la
pronunzia, rende questa stampa dispiacevolissima al-
l'occhio.
Ogni cantica è preceduta di ben lunghi argo-
menti. Appiè di pagina si trovano delle brevissime
note, estratte, per quanto si dice nella prefazione,
dai comenti di Landino^ Vellutello^ Volpi e Venturi.
Bibliografia dantesca 249
1817.
Firenze. Ancora.
F. 142, lin. 6. Sono incerto se l'articolo sulP
« Allegorìa della Divina Commedia » possa esser la-
Toro dell'illustre conte Marchetti^ al quale non ve-
> sopra le tre
cantiche. « Note non vi sono.
Il testo è quello del padre Lombardi.
1821.
Firenze. Pallade.
F. 152, lin. 27. Il ritratto di Dante non è co-
piato da quello del Morghen^ ma l'incisione dello
Scoti fu diretta dal di lui maestro Morgìien.
Le note sono prese dalla sola edizione romana
del 1810 e non da quella dell'Ancora.
1822.
Padova. Minerva.
F. 153, lin. 9. Il primo volume è di XXXV
e 747, i* quarto di IV e 430 face.
feiBLIOGRAFIA DANTESCA 251
F. 154, lin. 23. Il mio esemplare non ha ri-
tratto di Dante.
F. 156. Promisero g^li editori di dare nel volu-
me degli appendici le varianti dei codici romani
pei primi XII canti, e quelli del codice anialdìno
pei primi XIX canti del Paradiso, omesse nel terzo
volume; sembra però che non se ne siano più ri-
cordati.
1822.
Prato. Vannini.
F- 156, lin. 29. Le annotazioni, poste alla fine*,
non già de' volumi , ma dei singoli canti , sono i-
dentiche con quelle del quarto volume dell'edizione
dell'Ancora, cioè sono estratte dai comenti dell' OWt-
JHO, di Pietro di Dante^ di Francesco da Buli^ e del
falso Boccaccio^ e dalle postille del Lami e del Gori.
Avendo però gli editori dell'Ancora riferita qualche
rarissima volta tale o tal altra osservazione di un
comentatore più recente, il Vannini^ per toglier la
taccia di rancidume, data al lavoro da lui ristam-
pato, potè dire, nel breve suo avviso ai lettori, quelle
annotazioni essere « state raccolte da' migliori co-
mentatori, compreso il comento del padre Venturi.»
1823.
Londra. Corrai e Pickering.
F. 156 in f. Sembra che a questa graziosissi-
ma edizioncina, che ben a ragione vien detta « Dia-
mond-edition », sia da attribuirsi la data del 1822,
che riccorre sui due frontispizi stampati, mentrechè
il 1823 non si trova che sul frontispizio intagliato
in rame ed ornato di fregi (secondo del primo vo-
lume).
252 Letteratura
1823.
Parigi. Lefèvre.
F. 157, lin. 11. La Divina Commedia è con-
tenuta nelle face. 237-510 del primo, e nelle 494
f. del secondo volume.
Il testo è quello del Lombardi.
lyi, Un. 18 . Dagli accademici della crusca il
Buttura non prese né potè prendere delle note di-
chiarative, ma bensì delle varianti. Oltre agli autori
mentovali dal sig. de Batincs , la tavola delle ab-
breviature (f. VII) cita come spogliati per la com-
pilazione delle note, scarsissime per altro, Vanonimo
cassinese., un incerto (non so chi sia, ma non è V Ot-
timo), il Muratori (?), il Portirelli, Rosa Morando^
il Soave, il Tassoni, il Venturi e'I Volpi.
1823.
Udine* Mattiuzzi.
F. 157, lib 27. Dovrebbe dire: « tipogr. Pecile. »
Ivi, lin. 31. Ho dimostrato negli annali di Ber-
lino (1838, col. 651, 52), che'l Viviani , invece di
dare un'edizione « fatta sul codice hartoliniano » ,
si è limitato di sceglierne ad arbitrio un piccolo nu-
mero di varianti, convenienti al suo capriccio, ta-
cendone i molli spropositi, e trascurandone un bel
numero di buone varianti. Si dica dunque che'l te-
sto di questa edizione è veramente quello della cru-
sca, qua e là cambiato sull'autorità del codice bar-
toliniano.
F. 158, lin. 21. Il rame della grotta di Tol-
minp è disegno di Giov. Derif, ed incisione deWAli-:
prandi sotto la direzione del Miliara.
Bibliografia Dantesca 255
1823.
Venezia. Andreola
F. 159, in f. La Divina Commedia di Dante
Alighieri, illustrata di note da vari autori. Venezia^
1823. F. Andreola. 3 voi. in 16, di 236, 252 e 256
face.
Il testò è copiato da quello degli accademici.
Gli argomenti del Gozzi precedono i singoli
canti,
Le note sono scai^'sissittjfe' e di nessuna impor-
tanzaì.
1824.
Londra. ICnight.
F. 160, Un. 3. Si aggiunga al frontispizio: « Dif-
ficili, e delle voci antiquate e fuor d'uso. Il tutto
riscontrato sulle migliori edizioni della Divina Com-
media da /. C. Tarver » ec.
II primo volume, che contiene il testo colla tra-
duzione, è di XVI e 375 face.
Il secondo volume, tutto di note, ha 404 f.
Il testo è quello della crusca.
1824.
Verona. Libanti.
F. 160, Viti. 18. Il frontispizio non dice « Di-
vina Commedia », ma « Commedia di Dante Ali-
ghieri ».
1825.
Firenze.
F. 162, lin. 7. Editore fu il Magheri.
Le note sono quelle dell' edizione romana del
1810, e tutta la stampa corrisponde a quella dell'
insegna di Pallade 1821 (Vedi sopra a f. 152).
254 LetteratuRì^
1825.
Londra. Pickering.
F. 162, lin. 12. A norma del manifesto d'^as-
scciazione, che si trova unito al mio esemplare, il
prezzo per gli associati non era che di 12 scell. pep
volume.
Non credo però che un discorso critico sul te-
sto di Dante possa trovar luogo nel catalogo delle
edizioni della Divina Commedia.
1826.
Firenze. Ciardetti.
F. 163, lin. 22. I tre volumi sono 400, 373-
e 403 face.
1826.
Bologna. Cardinali.
F. 1 64, lin. 4. L'avviso dei librai editori « a
chi legge » non parla di nuove annotazioni per que-
sta ristampa somministrate da Salvator Betti e da
Luigi Biondi , ma dice solamente che il comento
del Costa vi sia riveduto ed arricchito di varie giun-
te. La lettera, del Perticavi^ inserita nell' appendice
del Purgatorio, è di molto anteriore a questa edi-
zione, e troverassi, per quel ch'io credo, già nella
stampa del 1819. Vedi sopra f. 146.
Il testo è quello del Lombardi.
1826.
Lipsia. Ern. Fleischer.
F. 154, lin. 15. I versi intitolati a Goethe non
sono sciolti ma terzine . Essi sono compresi nell'istes-
sa numerazioue di facciate coW Introdìizionei men-
Bibliografia dantesca 255
trechè per il Saggio sopra Dante ne comincia un'
altra. Il rame dei quattro poeti fa faccia al fronti-
spizio. Un piccolo mio articolo, sull'epoca in cui fu-
rono pubblicate le tre cantiche, è inserito net detto
Saggio f. XVI-XVIII.
Ivi, lin. 27. Giudicherebbe male dell'indefesso
e coscienzioso lavoro di Adolfo Wagner^ ora già da'
più anni defunto, chi volesse fidarsi alla bilioisa* ed
ingiusta critica della Biblioteca italiànay articolo al
quale oggimai nessuno dfei tanti e tianti' italiani, che'
sono non meno colti e gentili che dotti , vorrebbe
apporre il suo nome. Non ho trovato scorretto il te-
sto, ma si può dire che l'editore seguì pur ti*oppo
ciecamente l'autorità del codice bartoliniano!
Giudiziosamente, e con maggior cortesia che la
Bibliot. ital., pailò di questa edizione il professore
Blanc nella « Allgemein^ literatur-Zeitung. » 1827.
No. 312, 13.
Un esemplare unico della sola Divina Gómme-'
dia col suo coraento in carta velina stragrande «ta
presso di me.
1826, 27.
Londra. Murray col comento del Rossetti.
F. 165, lin. 11. La parafrasi non è posta in pie
di pagina, ma precede il comento di ogni terzina.
Ivi, lin. 22. Mancano nel secondo volume, ol-
tre la parafrasi, anche le sposizioni (che così, e non
dichiarazioni, sono dette nel tomo primo). Le note
aggiunte non procedono oltre i canti Xll e XIII.
Ivi, lin. 31. Si aggiungano il Quarterly Review,
1828. LXXIII. lan,, e l'importante articolo di Au-
gusto Guglielmo Schlegel nella Revue des deux mon-
256 Letteratura
des. Agosto 1 836, ristampato nelle « Oeuvres de M.
A. G. Schlegel écrites ea francai* )r. T. Il, p. 307-
332. Un mio articolo fu pubblicato nei fogli di con-
versazione letteraria (Blatter fiir literarische Unter-
haltung, 1829. No. 57, 58 p, 225-31.)
Ivi, in f. L'articolo del Foreign Review fu tra-
dotto dall' istesso autore, il sig. professore Antonio
Panizzi.
I paradossi del Rossetti trovarono benevolo in-
terprete nella persona del sig. Giuseppe Mendelssohn,
negoziante di Berlino non meno dotto che agiato :
« Berieht iiher Rossetta s Ideen zu einer neuen ErlàU'
terung des Dante und der Dichter seiner Zeìt. » Ber-
lino. Al. Duneker, 1840, 8 gr.
1827.
Pisa. Capurro, col com. dell'Ottimo;
F. 166. Il primo e'I terzo volume sono di 668
e di 679 face.
1827.
Firenze. Borghi.
F. 169, lin. 6. Il testo è quello della crusca ,
cambiato alcune rarissime volte sulla fede di altre
edizioni.
I ben lunghi argomenti e le brevi note sono
proprio e lodevole lavoro di Gìvseppe Borghi.
1827.
Milano. Bonfanti.
Lin. 169, lin. 12. I frontispizi dicono: « Dalla
tipografìa di Angelo Bonfanti^ presso Gaetano Schie-
pati ». I tre volumi sono di XXIV e 283, 349 e
331 face.
Bibliografia mntesca 257
Il testo è quello del Lombardi, già seguito dal
Costa; dice però la prefazione che gli editori in qual-
che raro caso abbiano giudicato opportuno di allon-
tanarsene.
1828.
Milano. Bettoni.
F. 170, lin. 23. Anche questa edizione ripro-
duce lì testo del Lombardi^ correggendolo in alcuni
pochi passi.
Le note sono propria compilazione degli editori.
182».
Napoli. Criscuolo.
F. 170. La Divina Commedia di Dante Aldi-
ghieri. Napoli^ dalla tipografia di Criscuolo 1828,
in 4, a due colonne, di 179 face.
È una ripetizione letterale del testo della ni-
dohealina^ fatta in ristrettissimo numero di esemplari
a spese del rev. Giov. Feder. Nott^ canonico di Win-
chester (editore dell' « Avventuroso Ciciliano » , e ,
per quanto visse , svisceratissimo cultore di Dante).
Le due carte non numerate, che seguono il fronti-
spizio, contengono la dedicatoria del Nidobeato, come
anche alla fine di ogni cantica si legge la soscrizione
della stampa milanese. Le molte correzioni di pro-
prio pugno del Nott^ inscritte nello splendido esem-
plare, ch'io tengo qua! preziosissimo dono di S. E.
il sig. cavaliere Bunsen^ ambasciatore prussiano pres-
so S. M. britannica, provano che gli stampatori na-
• politani abbiano tradito pur troppo le premure del-
l'accuratissimo editore!
258 Letteratura
1830.
Firenze. Insegna di Dante.
F. 172, \ìn. 8. Questa edizione è mancante della
vita di Dante, che si trova nelle anteriori di Bolo-
gna e di Milano.
1832.
Halle. Schwetschke.
F. 178, lin. 6. Il frontispizio, al pari degli al-
tri titoli riportati in lingua tedesca, crudelmente sfi-
gurato nella Bibliografia Dantesca^ dovrebbe star così:
« Die beiden ersten Gesange der gottlichen Ko-
modie, mit Riicksicht auf alle frùheren Erkliirungs-
versuche erlautert von Luci. G. Blanc. »
In questo insigne opuscolo del sig. professore
Blanc, che spiegò già da molti anni, e spiega tut-
tora la Divina Commedia a scelta adunanza di bra-
mosi scolari, non si trova né il testo dei primi due
canti, né quel che propriamente si chiama un co-
mento, ma bensì un accurato ragguaglio sulle diffe-
renti opinioni relative all'allegoria principale del poe-
ma, e non poche nuove interpretazioni, alcune delle
quali furono posteriormente da altri spacciate per
tìuove scoperte, fatte da lora.
1837.
Firenze. FormigU.
F. 181 , lin. 19. Il primo volume è di XL e
432 face.
Il testo è quello della crusca, qualche volta va-
riato, ma non sempre migliorato (Vedi, a cagion di
esempio, l'errata-corrige dell' Inf. V. 6-9).
Bibliografia dantesca 250
1837.
Venezia. Gondoliere, col eom. del Tommaseo.
F. 183. Sembra che'l testo del Lombardi abbia
servito per base*, ma si conosce benissimo, che l'ac-
corto editore abbia maturamente ponderato le va-
rianti degli altri testi, fra i quali preferì di spesso la
lezione del Dionisio dagli altri editori moderni quasi
sempre trascurata.
4837.
Firenze, he Monnier.
F. 484, Un. A. Quantunque si legga sul fronti-
spizio: <» Firenze. Felice Le Mounier e compagni, ti-
pografi », l'ultima carta del primo volume (di IV e
600 face.) dice: « Coi tipi Borghi e compagni ».
Ivi, lin. 17. I codici del march. Pucci, consul-
tati per questa celebre ed eccellente edizione, sono
in numero di dieci.
Ivi, lin. 26. Il mio articolo, citato dal sign. de
Batines, sì trova negli annali di Berlino, 1838. No.
78-80. Col. 638-56.
1838.
Marsiglia. Mossy^
F. 186, lin. 17. Sembra che gli esemplari dif-
feriscano anche più di quel che si dice a f 187 ,
lin. 17. Il mio porta questo frontispizio :
« Lo Inferno della Commedia di D. Al. col co-
mento di Guinif. d. Barg. tratto da due MS. ined.
del sec. XV con introduzione e note dell' avv. Gius.
Zacheroni. Di cinque earte, XXIV f., altre quattro
carte, e 766 face.
Quantunque la mia copia abbia la data del 1838,
•vi manca pure, oltre alla dedicatoria ed all'introdu-
260 Letteratura
zione alla gioventù italiana , l'articolo francese èuW
)riginalilà di Dante.
1838.
Parigi. Lefevre.
F. 48T, Irn. 28. Sono 683 face.
La prefazione e le considerazioni sono identiche
con quelle dell'ediz. del 1820. Vedi sopra a f. 151.
1840.
Torino. Poniba.
F. 188, in f. Per quanto mi fu detto a Torino,
questa edizione non esiste, e non fu citata che per
iscambio con quella del 1830 sopra f. j75.
1840.
Firenze. Passigli.
F. 189, lin. 20. Questa graziosa edizioncina e
ristampa della grande edizione del 1838 , ricca di
tutt'i comenti della padovana, ma, come già s'inten-
de, per il solo testo.
1841.
Napoli. Chiari.
F. 191. La Divina Commedia di Dante Alighie-
ri con note di Paolo Costa. Nàpoli. L. Chiari. 3. voi.
in 12, di 355, 331 e 362 face.
Dice r editore nel suo avvertiménto di essersi
attenuto a preferenza all'edizione del JSettóni, Milano
1825 (sopra a f. 161) , consultando però anche le
edizioni padovana {t 153) ed udinese (f. 157). Le
note si dicono riprodotte suU' edizione « pubblicata
in quest'anno a Firenze per cura del tipografo Mo-
lini )>j edizione ch'io non conosco, e che non è re-
Bibliografia dantesca 261
gistrala dal sig. de BaLims. Vi furono ag^giunte, per
quanto riferisce l'avvertimento, alcune note, inserite
ia que'luoghi che meritavano maggior dilucidiazione,
G restavano tuttora oscuri.
1842.
Firenze. Piatti.
F. 192, lin. 26. Nel mio esemplare il nome deU
l'illustre editore è stampato a tutte lettere : « per uso
degli stranieri da lord Vernon. »
Ivi, lin. penult. I preliminari cominciano colla
dedica al sig. Mariano Armellini e colla prefazione
^l lettore.
1842.
Benevento. Tipogr. camerale.
F. 193. La Divina Commedia di Dante Alighie-
ri, secondo la lezione del padre Lombardi. Volume
unico, Benevento., tipografia camerale. In 4 a 2 col,
di 156 face.
Il poema è preceduto dalla vita di Dante del
Serassi.) ed è corredato di brevissime annotazioni di
poca importanza.
1844.
Firenze. Le Monnier.
F. 199, lin. 18. Il frontispizio, eia figura che
gli sta dirimpetto, sono identici con quelli dell' edi-
zione all'insegna di Dante del 1830.
Le note del Bianchi, che sono ben molte ed otr
lime, sono in parte al suo luogo frapposte a quelle
del Costa: in parte, come appendice , aggiunte alU
fine de'rispettivi canti.
262 Letteratura
1846.
Firenze. Le Monnier.
F. 200. La Divina Commedia di Dante Alighieri
col comento dì Paolo Costa notabilmente accresciuto
da Br. Bianchi. Seconda edizione con nuove giunte
e correzioni. Firenze^ Felice Le Monnier 1846, 12
gr. di XXXIV e 837 f.
Nitida edizione, fatta sul modello di quella del
1844 , con economia di stampa anche maggiore ;
mancante del frontispizio ornato di fregi e della fi-
gura incisa in acciaio, ma arricchita di nuovi argo-
menti , e di gran numero di nuove e sensatissime
annotazioni del dotto editore. Anche la lezione del
testo fu migliorata in alcuni luoghi.
1846,
Brusselles. Meline.
La Commedia di Dante Alighieri con illustra-
zioni antiche o moderne, pubblicata da Marco Au-
relio Zani de' Ferranti. Parigi^ Baiidry ; Londra^ P.
Rolandi ; Brusselles , Meline., 1 846 ; 8 grandiss. di
XXIV e 231 f.
Questa prima dispensa non comprende che i
primi tre canti. L'opera intiera non deve però ol-
trepassare le 1500 face.
Per l'emendazione del testo il chiar. editore, ol-
tre alle varianti riferite nelle stampe anteriori, si ser-
vì di alcuni codici parigini^ di un codice di Brus^
selles., e di uno ardilliano.
Il comento è in gran parte eistratto da lavori
anteriori, fra i quali è anche il comento inedito di
Jacopo di Dante. Le proprie note del sig. Zani sono
Bibliografia dantesca 263
ricche di nuove interpretationi (fra le quali non po-
che saranno applaudite dagli intendenti), e spirano
un caldissimo amore per la bella Italia, ed un santo,
benché non sempre giusto , sdegno contra tutti co-
loro, ch'egli crede gli autori deUe di lei disgrazie.
PRINCIPE D. PIETRO ODESCALCHl
DIRETTORE RESPONSABILE
INDICE DEL VOL. 347.
SCIENZE
TortoUnij Sulla riduzione di alcuni in-
tegrali definiti ai trascendenti ellitti-
ci ec. ■ PAG. 129
Vaccolinij Dell' economia pubblica in
accordo colla morale. . . . » 185
Coppij Relazione sulla tariffa e suUa
libertà di fare e di vendere il pane. » 201
LETTERATURA
WittBj Quando e da chi sia composto
Vottimo cemento di Dante . . » 310
— Alcuni supplementi alla bibliografìa
dantesca del visconte Colomb de Ba~
tines » 233
GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1848
26B
Sulla riduzione di alcuni integrali definiti ai ira-
scendenti ellittici^ ed applicazione a differenti pro-
blemi di geometria e di meccanica razionale. Me-
moria di Barnaba Tortolini {Continuaz. e fine).
16. X^oniamo, » = 0 , n «= 1 si ha
^ TT / r dg r dg V
V
ossia
sen^g^(1 — Fsen^5)
ma dalle formole d«I parag. 3.° facendo
A, =i/-(1 —fc^sen^g)
SI trae
perciò
y.= F(A-, 5) — E(ft, 5) — A.C015
V^ =» ^^t(^(^' ^) - E(^, S) — A,col9 H- cote)
Sia w = 4, avremo
^ 2^4 V ^ J sen'ie 2 J sen^^/
G.A.T.CXVI. 18
266 Scienze
ma dallo stesso parag. 3.°
3Y4 = (2 -h P)F(A, 5) — 2(1 + k')E{k, 0)
\ sen Qf
I — — ; = — cot5, / — - = — colS
dunque
_ j^j (2 -f- F)F(^, g) _ 2(1+F)E(fe, g)
^ ~ 2/c4 ( 3 ' 3
Nello slesso modo calcoliamo il valore di Ve , che ci
occorrerà in un problema di geometria, e sia n = 3 ,
allora la consueta formola generale darà
^ "~ "2ft6"V 6 — J ggjj65 2 J sen45 2.4 -^ sen^'^/
ove osservando che
/A9 ^ 2col3e C0159
-— - := — cote --
sen60 3 5
si avrà per i precedenti integrali
7:1' . 2cot39 C0I55
Ve = -2^[Y6 +0019 4.-^+ —
k^ / , cot^Sv 2,k^co{B\
Integrali DEnNiTi 267
Tralasciamo di fare la sostituzione del valore di Yg ,
,che ci occorrerà in appresso.
17. I problemi di sopra risolati sulle differenti qua-
drature, e cubature possono anche risolversi per mezzo
,dei nuovi integrali Y^n, perchè si faccia un cangiamento
nell'ordine di grandezza sulle costanti racchiuse negli
stessi integrali, ciò che verremo a mostrare con qual-
■cuno dei medesimi esempii. Così ritenendo
u = cos;? , V = senjocosg' , w = sen/jsen^r
la quadratura dell'ellissoide dipende dall'integrale defi-
nito duplicato
o ponendo come sopra
A=!:a^(c''cos^5'-hA^sen'g') h=b^c*—a\c^cos'^q-^b''sQTi^q)
Si = I scnpdp[/'{X -j- Bcos^p)
si ha
Ora integrando per archi di tangente si ha
J V{k H- B^^)- TT^Tb • arclang^^^^^g_^,^j
268 Scienze
quindi troveremo facilmente
,è;r
seiìpdp[/^(h. -h Bcos'p)
Di più abbiamo
A -H B .t= ò V , — B = c\a^ — ó") — a^c^— b^~)sen^g
d'onde supposto a <^c ^ e c>»ò, o>-ó, e poncndq
e
^^'-) ' ^=l^(^ -khen'^l) , m = ^
SI avrà
l/*— B = A.c|/((»» — *') , A = a%e^ 4- (4^— c^jsen'jl
e perciò
oc a\é^ H- (è* — c=»)sen^»c, a<;c, vale a dire che a fosse il se-
miasse medio, mentre qui abbiamo supposto esser b. Sarà
utile di far vedere come una sostituzione immaginaria
per l'ampiezza di una funzione ellittica possa ricondurre
un'espressione alfaltra. Supponiamo adunque , che per
270 Scienze
la quadratura delfellissoide siasi trovato come al paràg. S
S B= 27ra* H ^ ( cos^5.F(A-', e)4-sen'5.E{^', 5))
ove
seas - j , cose- ^ , *> - Jijjiiz^
Se ora vogliamo supporre è -< o è evidente che senS
sarà un' espressione immaginaria, perciò come già per
altre ricerche fece il sig. lacobi (*) porremo
sen5 = [Z' — 1 . tang!|>
Di qui ponendo
troviamo
cos5=, -_, de = -^ ,
costp COS(/<
1/^(1 — A'sen^^/)
(/■(i—r^sen"S)=
trUBuy
cos ^
cost|«
/i/(1-Fsen^(i),
Integrando per parti si ha successivamente
•-' 1/(1 — /c sen (/^)
(') Fundanenta nova theoriae funct. ellipt. pag. 34.
Integrali definiti 'l7l
così avremo
E(£', e)=l/^— i(f(A, ^)—E{k, ip) H- tangt//l/'(ì-ft'sen^-))
Falle le sostituzioni nel valore dì S, ed osservando che
per la parte algebraica
sì otterrà in fine
S =i ^nb^ ■+* ^ {cos^ih.F{k, <|/) -h sen"(/^.E(fe, /)\
Qucst^éspressione è quella a cui siam giunti per mezzo
degli integrali Y^n-
18." Per un'altra applicazione proponiamoci di de-
terminare la quadratura della superficie curva, invilup-
po dei piani perpendicolari condotti all' estremità dei
diametri di un'ellissoide data, e della quale io già feci
indagini con altri integrali {*). Sieno a, 6, e i quadrati
dei semiassi di un'ellissoide, e sieno X, Y, Z le coor-
dinate della nuova superficie corrispondenti ad un punto
(a?, t/, z) dell'ellissoide; se per l'equazione dell'ellissoide
pongasi
x=[/~a . cosp , y = [/'b . senpcos^ , z = [/'e . senpseuy
e si faccia per brevità
u = cosp , V = senpcos^' , w = senpsen^
(*} Raccolta scientifica. Roma; ottobre 184G.
272 Scienze
si avrà come ho dimostrato altrove (*)
Y = -r^(*y' + (2^ — aX ■+■ (2b — c)w^\
Z = -T^i^^^ -H (2c — a)M^ -H (2c — i>M
Ora la quadratura delle superficie curve consideranda*
Z, come funzione delle X, Y dipende dall'integrale du-
plicato
s = //axavK-(i)V(l|/
Quando X, Y, Z sieno funzioni di due variabili p , q,
allora indicando con X', Y', Z' le derivate parziali delle
X, Y, Z relativamente a p, e per le X, , Y, , Zj , le
derivate delle medesime relativamente a, y, e si faccia
per brevità
u=x% — x,Y, v^-x.z' — rz„ w=rz. — YxZ',
L'integrale proposto si trasforma in
s ==ffàpàqy {u^ + v^ -+- w^)
Formando adunque pel proposto esempio le derivatie par-
ziali delle X, Y , Z relativamente a p e q , e facendo
(') Raccolta scientifìca, maggio 1846. Creile, lournal de mathe.
Berlin, tom. 34.
Integrali definì ti 273
per brevità senq = z
M=(2c--Ó)(2a— i)-i-2(c— 5)(25-c— 3fl)z'-+-3(e-5)^z4
Mi=(A— a)(3cH-a— 23)-H(c— *)(c— 56-i-6a)z»— 3(c— i)*z4
R = M -H 2MiCos> 4- 3B'cos4p
si troverà dopo tutte le ridazioni richieste
jj _ Bsenyt/"c.senpseny _ B.senpi/'b.senpcosq;
i/^abc ' " i/^abc
^ _^ Bsenpi/^a.cosp
Sostituendo questi valori nei valore generale di S, ed
integrando entro i limiti p= 0 , p==^7: , q=0, q=^n
si otterrà l'ottava parte della superficie , e perciò ri-
flettendo ai valori di u, v ,w l'intera quadratura sarà
espressa dall'integrale definito
^'" ÌT^cJ o J o Rsenpdpdt/i/-(aM"H-éy-H-CTv^).
Aggiungendo ai valori di M , M, , B
A t= bcos^'q -+- csen^q = A -(- (e — b)sen'q
sì trova A — B = a , ed A = a -f- B, ed il valore dì
S diviene
8 /«' rz"-
^ ^ \7^J o J ., Rsenpdpd!/l/(A - Bcos»
274 Scienze
Eseguiamo una prima integrazione relativa all'angolo p,
e posto cosp= X, senpdp= — dx, ai limiti p=0, p=^7:
corrisponderà x = i , x = 0 , e perciò ravesciando i
limiti dell'integrazióne col cangiare iì segno, si avrà
S= —V- / "^ f (M4-2M.x'-t-3B'x4)da:dffl/(A— Bx")
yabc »-' o »> o
Pongasi
X =l^(A — Bx2)
avremo le differenti formolc d'integrazione simultanea'
r Xx A fax
/Xx^d.=-^-f-A_/xda:
fxx'^dx = _ ( i- 4- 4^\X3 -h 4^ /Xdx
•^ V 6B 8BV 8B^ J
Integrando fra i limiti x =■. 0 , x = i si ha primiera-
mente
ed osservanijo che per a; = 1 il radicale X si riduce
Integrali definiti 275
ad [/'{X — B) = [/'a, avremo da una successiva sosti-
tuzione
/' i/"a A /l^B\
^Xda.=-2-H-— arctang(— )
Jo^''*^^ 16B^ -88^ 6B
A3 / i/B V
-^TÌBvF^^^'^"ni7l)
Moltiplichiamo adesso la prima per M, la seconda per
2Mi , e la terza per 3B^ e pongasi
risulterà dalla sostituzione
' 2 ^ 4B ~2B "^ 16~ 8
3Bi/"a3 / MA MiA^' SA^ \ /K"B\
H- -^ (2Ì7b-^ ìbìT^ -^ fei/^B) '""^^^"^ ( i7^)
Per mezzo dell'equazione A — B = a si elimini A nel
secondo termine, e B nel quinto, e facciamo inoltre
L = ^(sM •+• 4M, H- 3A^ — 14aA -f- 8o^\
_ 1 /AM M,A^ SA' V
' ~ ~2\J7b "^ 2B|/B "*" 8Ì7b/
276
Scienze
verrà
R,=:L-
4B -*-^'-^
;^^...i.
L..arc.ang(^)
Quando il valore di R, ridotto ad ana sola funzione
dell'angolo gr, si moltiplichi per dg' e si eseguisca l'in-
tegrazione fra i limiti y = 0, g = ì;t , sostituito nelF
espressione di S, darà
S =
8 -«'^
[/^aòc
/. R.*/
tal'é l'integrale definito semplice che éòrtìe vedremo di-
pendendo dagli inlegrali della forma Yzn si ridurrà ia
fine ai trascendenti ellittici di prima e seconda specie.
19.» Ripresi i valori di M, M, , A, e sostituiti nel
secondo membro della L, si troverà per seng <=» z
L = \~(20ac — \Sab — 4bc H- 4a^ + 3^»
-f- 2(c — b){9ò — 6c — i9a)z^ + 1 5(c — ^)2z4\
Nella stessa guisa dai valori di M, e B abbiamo
Mr__ (A— a)(3c-i-a— 2ó)-l-(c— 5)(c— 5Ì4-6a)2^— 3(c— i)2z4'
4B ~ 4 [6 _ a -V- (e — ó)sen='g'3
Estraendo ì termini per mezzo della divisione eseguita
relativamente alle potenze di senq otteniamo
M, c—2b-h3a 3{c— b)z'' 2[b—a){c—a)
4B 4 4 ^ib—a-\-(c-^b)s&xi'q\
Integrali definiti 277
quindi
L —
4B 16 \ '
ri- 1 6(c — ^ì^sen^y -f. 2(c — è)(9è — 6c — 1 ?a)sen^g
_ 8a(ó — .g)(c — a) \
(6 — ajcos^^f H- (<^ — a)sea^ql
Moltiplicando per àq ed integrando entro i limiti
jf = 0 , 5^ = 1::, ed osservando, che
Air ^7T
J ^ sen^'j.d^ = - - j ^ sen^jd? = 274 T
1
r^'^ dj '^jr^.
»^ ° (3 — o)cos'g'-4-(c — a)sen''gr 2 \/"{b — a).[/'{c-'a)
Dopo tutte le riduzioni si ha ;.')S»=WA
In ,, .^„i. 7il^a/2Aac-^2Aab-2bc-6ia''-3b^-'3c^
8
Snal/'ay^b — al/" (e — a)\
32 /
Questi termini di forma algebrica dovranno aggiungersi
a quei, che si troveranno nella riduzione degli integrali
trascendenti
20." Per calcolare la parte trascendente dell'inte-
grale si sostituisca nel terzo termine del valore di
Li , A = o 4- B , si avrà
1 /BAM-HBaM, -h4M,BH- 3A3 MiO^ \
Li =:^ — ■ I ■ " '->'<«• < .Ululili I ■■■! I — — — l
2\ 8l/^B 2Bi/B/
278 S e f E N z E
quindi ripresi i valori di M, M, del parag. 18.° e pejr
mezzo dclFequazioae
B = 6 — a 4- (e — ò)sen^q
Sì elimini la quantità
(e r- èjsen^ jf = B — {b — a)
JQ modo che M , M, sieno espressi per le potenze di B,
otterremo
M = 2ac -f- 2ab — 3a^ — 2(6 -+- c)B ■+- 3B*
M, = 2{b — a){c — a)-h{l>-h c)B — 3h^
Ciò posto rammentandoci che A = « ■+• B , formiamo i
somiglianti prodotti e potenze
AM=o^(2c^2è-3a)-3a"B — {2b + 2c— 3a)B^ •+• SB^
A3 =a «5 H- 3a'B H- 3a,B^ -t- B^
quali tutti sostituiti nel valore di Li , esso diviene
1 /(4o'c-l-4a»i— 5a'H-16aéc) (8óc— 19a^)B
^-tX
l^B l^B
(9a— 126— 12c)B=' 15B\ o^(6— o)(c— a)
"* ÌTb *■ I7F/ "^ 2bj7b
Supponiamo ora 6>»c, 6>>o, ec<;a, e poniamo
k^ = tzi , A" == I ~ k^sen'q
0 — a
Integrali definiti 279
il valore di B si potrà porre solto la forma
B = (i — a)(1 — ^'sen^'^) ^ {b — a) A»
d''onde facendo anche per brevità
jH = Aa^c-h^a^ò—Sa^ -^ ^6abc, H,— (8i-— 19a*)(è— o)
P, = (9« _ 1 2i — 1 2c){b — ay- , Ha = 1 5(i — a)'
Jl valore di L, si trasforma in
1 ;H H,(I ~ Fsen^(/)
^' ^ 16l/'(5~o)(A ' A
H,(1__^\sen"^)" Hgd— Fsen'9)3
j"*"2l/-(6-o).
A3
Poniamo inoltre 1/(0 — o) = ml/'"a , e moltiplichiamo
il primo e secondo membro di ti per
Essendo
(I ''' R
-— jdy = arctang(mA)dy
V _ r*'^sen^"y.arctang(mA)dy
w.
.=/
^ sen='"gr.arctang(mA)dy
o ~ ~T3
si avrà dall'iotegrazione
/:\,arctang(0d,= ,^^(HV„-f.H.(V„-FV.
4-H,(Vo-2FV,-hV4)4-H3(Vo-3FV,+ 3MV4-A6V6)) ,
21^(6 — o)
280 Scienze
Ognun vede adunque che il nostro integrale dipende non
solo dagli integrali Vo, Va , V4 , Ve tutti riducibili ai
trascendenti ellittici di prima e seconda specie, ma an-
che dal nuovo integrale Wo che si dimostra assai facilr
mente potersi esprimere da un trascendente ellittico di
seconda specie dello stesso modulo, e della stessa ami-
piezza dei precedenti.
21." Per procedere con ordine nella riduzione di
tutti questi integrali, e conoscere in fine, 1 coefficienti
delle due funzioni elliltiche , rammentiamoci primiera-
mente, che gli integrali V^^ dipendono dagli integrali
Yj», ove
Y ^f—JÌ—
^" J sen""0l/(1 — fc^sen^^)
perciò ripresi i valori di V^ , V3 , V4 , Vg del para-r
^rafo 16.", e fatto per brevità
tang9 m
SI avrà
Vo-2fc^V,H-MV4<= yj Y0-2Y3 -\- Y4-/x(l ~*^)+^ |
Vo-3rV3-j-3MV4-/£6V6=. ^Jy„-3Y,H- 3Y4 - Ye
/ 3M V a3. ]^. „5\
-''0-*'-*-ìx)+t('-t)-t1
Integrali definiti 28 1
IVcl caso in cui siamo
i/^(b—a) ^ \/', A «= ,
quindi eseguite ^e riduzioni
V„-3FV,-f-3fc4V4-ft6V6== |-(y„ - 3Y3 -+. 3Y4 - Ye
(45i2_l-45c2-+-i84a^— I40a^— 140ac4-30èc). l/'o \
2. 3. 4. 5 17(0^;^)
Con gli ottenuti valori è manifesto che l'integrale col
quale termina il precedente parag. 20.° è composto di
due parti, una trascendente e 1' altra algebrica , e per
quest'ultima si vede, che in forza dei valori H , H, ,
H3 , H3 le potenze , ed i radicali ài b — a scompari-
scono, d'onde chiamando P la parte algebrica, l'integrale
in questione prenderà la forma
o L.arctang(— )dj
^-(hYo4-H,(Y„-Y,)-hH,(Y„-2Y,-ì-Y4)
2.161/(6
H3(Yo-3Y,-H3Y4-Y6))4-P-
' 2 1/(6—0}
G.A.T.CXVI 19
282 S e I E N Z E
ove
^\^'^/ oL An 2 (9o— 12A— 12c)(3^H-3c— 8«)
2. 1&\
86c-l-1 9a
?. 1&\ 2.3
15(45i^-è- 45c=»H- 184a'-— l40aA-H 30èc— l40ac)Y
2.3.4.5 " "/
Riducendo si ha
nl^ai 2 6c-h fi4a'— 24a5 — 24ac-f- 3i^-f- 3c^v
"^ 2A&\ 8 /
Rapprtóenliamo per maggior semplicilk co'sofi simboFi
F, E i trascendenti ellittici di prima e seconda specie
di modulo kf e. di ampiezza 9, e pongasi costantemente
A, «= J/'(1 — /t'sen'5), avremo dalle diverse formole de{
parag. 3.°
' . Y„ =;= F , Y^ == F - E — A^cql?
ed
Yo — Y^ = E H- A.cotS
AiCosS
3Y4=2(1-|./e^)Y.-ft^Yo— ^
5Y6« 4(1 -i-F)Y4 - 3k'Y, - ^''''''^
sen^9
dalla prima delle qaali potremo formare per l'elirarna-:
zione di 3Y4 ,
3(Yo-2Y34-Y4)-(3-A^)Yo+2(/£^-2)Y,-.^^'
d'onde per j valori di Yo , Yj ,
3(Y„ — 2Y, -h Y4) = - (1 - A^)F -H 2(2-S^)E
-- -\- A,coie(2(2-r) Vn)
;y> \ ' sen Q'
Integrali definiti 283
Nello stesso modo per l'eliminazione di SYe , avremo
i 5(Yo"- 3Y, H- 3Y4 — Ye) = ;l SY» 4- (9k^ - 45)Y,
, . „ 3AiCos9
ed eliminando nuovamente 3Y4J risulterà
1 5(Y„ - 3 Y, H- 3 Y4 - Ye) = ( 1 5 - 1 a' -H 4fc4)Y„
3 (ii_4fc^)\
•(23^—23'- 8^4) Y4 + A,cot5(-
ed infine
l5(Yo-3Y,H-3Y4-Y6)
= A^cote/-^-*- ^^ ~J^+ 23 4- 8A4 -. 23/?=' )
Vsen'iS sen 0 /
H- 4(3^' — 2 — M)F — (23A'-— 8fc4— 23)E
in tutte queste espressioni generali conviene pel caso in
questione sostituirci i propri valori di fc^, sen9 , Aj.
Ora per i valori di sopra accennati, abbiamo
1_)t^=l_?, sen^5=^^ A,=l/(1-;c»sen^e)=:i^
0— a 0 yh
284 Scienze
quindi le precedenti formole diverranno
{/"ac
i/'b{b—a)
^ 6— a 0 — a
{è -f. 2c — 4a)[/^a0
^ ' i^b(b — a)3~
4(3ac-hab—bc—c'—2a^)¥
I5(y«-3Y,^-3Y4-Y6) = -^ ^^—^^ '-
(8*^4- Sc^-h 23o^-i- 7ic— 23a5— 23ac)E
4r
t/^ac
-j-(45='^ 35c+ 8c='— 23ac-t- 23a'— 12a3)-f-
Con questi valori il noto integrale porge un nuovo si-
stema di termini algebrici, i quali uniti ai trascendenti
sostituiremo nel secondo membro dopo aver calcolato i|
valore dell'integrale Wo che rappresenteremo per W-
22." Si prenda pertanto
W
=i
^ arctang(wjA)dy
A3
e differenziando relativamente ad m, si ha
»A,
dw_ r^^ àq
Am ~ J ° A^(1 -i-m»A^)
Integrali definiti 285
^er Io spezzamento della frazione si ottiene
>kn 3. r'krt
ed integrando
dW ;r hm^
dm 2i/(1— A^) 2i/'(1 4-m-')/^[1 -i-m^(1 — A^)]
Pongasi coinè sopra nel secondo membro m = tangd
verrà
dW Ti TTsen^'e
dm 2i/'(1— A^) 2l/'(1— i'sen'^)
àO
quindi moltiplicando per dm ^= — ^ , ed integrando .
si trova
^^/_tang9__ r tang»gd9 v
2 \t/'(1 — k') J \^{\ —l^setì'Q)}
Ora si ha
P tang'9d9
= t|^T3? - ,-^.((2^^^-"^~«^)F
321/^(6 — a)V
288 S e I E N Z E -1
Ma dai valori di P, P', P" si trae
dunque
-(4-«)(<.J+a.+k)E)- '^ij*:^+J_^)i^
f 32l/~b
La quadratura S della Dostra superficie si otterrà adun-
que col moltiplicare per 8 il precedente integrale, e col
dividerlo per [/'abc. Eseguile queste operazioni, e rista»
biliti i simboli per le due trascendenti ellittiche di mo-
dulo k, e di ampiezza Q, si ha
_ n[2\bc — ab — ac)[/^a. F(k, 9]
'^' 4l^bc{b—a)
niab 4- oc -H bc)l/'(b — a).E{k, 0}
4[/'abc
T:{ab -\-ac -^^ bc)
U
Tai'é l'espressione ultima della quadratura della nuova
superficie derivata dall'ellissoide coll'indicata legge. Quan-
do nelfellissoide invece di prendere a, &, e quadrati dei
Intégrali definiti 289^
semiassi, si prendano o* , 6^ , e^ , il valore di S, sarà
_ 7:a(2UV — a^b^ — a'c^)¥{k, B)
~ 4^1^(6" — a') " • ' • ^ ^
4a6c
4Ó^
Il modulo A:, e l'ampiezza B sono determinati dall'equff-
zioni
'^ = Ti — -i , tatigS =
d'onde
sent^ = , B = arc.sen/ — ^ i
La superficie S si ridurrà a quella della sfera per
a= A = e ; supponendo infalli ó = e , si ha /e = 0, e
P(A-, B) = arc.sen(^^^) ^ E{k, B]
(*) In una nota pubblicata nella raccolta scientifica per l'otto-
bre 1846 mi proposi la risoluzione dello stesso problema con in-
tegrali diversi da questi. Trovo una differenza nel coefficiente di
E(fe, 6), e nella parte algebrica. Penso che allora mi sia passato un
qualche errore di calcolo, mentre con le nuove formole ho più vol-
te diligentemente riveduto tutte le operazioni analitiche.
290 Scienze
Che Se di più a = ^, si avrà
■ ; -- — B=3 Ano'
Queste sono le più importanti applicazioni, che si pos-
sono fare di tulli gli integrali deHtiiti da noi conside-
rati, e el fermeremo per un'instante sulla riduzione di
un integrale definito duplicato, il quale comprenderà di-
versi altri già esaminati, e che si potrà riferire o agir
integrali XJ^n di forma logaritmica, o agli integrali Va„
di forma circolare.
23." Ritenuto il significato della quantità. A, B,
■vale a dire
A = ó -i-(c— A)sen''y , B = (i— a)-f-(c — b)s,&\\^q^
^ietio M, M' , M', . . . delle funzioni razionali ed in-
tere di sen'^r , e si componga , col ritenere « =* cosp ,
Tintegrale definito duplicato
J ^ (M-+-M'M^-HM"M4-h...)sen/)d/jdjfl^(A-Bcos>)
Ora da quanto si è esposto dal parag. 18." é evidente,
che eseguendo una prima integrazione relativa all' an-
golo p, e ponendo
^-»^"V2^lB 6B" ~4r"^16B=' 8B^7
' '" 2178"*" BB^TB "*" 1 6B VB
INTEGRALI DEFINITt 291
é^
$ì atra
R. =K-*-K.arctang(^J
la prima parte di questo integrale e tutta esprimibile
in termini algebrici, e la seconda si ridurrà agli inte-
grali Yzn , Wo già esaminati nei parag. 1 5 e seguenti.
È facile ora il conoscere che il nuovo integrale com-
prende più casi particolari. Così supposto M==8, M'=aO,
M*'= 0 , ... e sostituito a4, b^, c'f invece di a^ò, e ^
l'integrale S rappresenta la quadratura della superficie di
elasticità di semiassi a, b, e, ed anche la quadratura di
un'ellissoide, quando si sostituisca b'^c^ , a^c^ , a^P in-
vece di a, b, e. Sia di più
M =-A, M'=--, M"-=0 . . .
o ó
allora sostituendo a^, b^, c^, ad o, A, e il nuovo inte-
grale darà il volume terminato dalla superficie di ela-
sticità di semiassi a, b, e. Similmente prendendo
5 5
e qui pure sostituito a^ , i^ , c"^ in luogo dì a, b , e ,
l'integrale definito porgerà, come si è veduto al parag. 10
il momento d' inerzia di un corpo terminato dalla
292 SCIENZE
superficie di elasticità, relativo all'asse 2a. Ritenuto pei*
M il valore attribuitogli al parag. 1 8. o e fatto come allo
stesso parag.
M'=M, , M"--= 3B^
l'integrale moltiplicato per 8, e diviso per i/'abc darà
la superficie ivi considerata. Termineremo questa Me-
moria col mostrare, come l'uso di alcune coordinale cur-
vilinee possa riportare qualche integrale definito dupli-
cato o triplicato ad integrali definiti semplici.
24." Alle coordinate ortogonali x,yi z di un punta
qualunque dell' ellissoide si sostituiscano le coordinale
ellittico-polari, e delle quali fece uso per la prima volta
il sig. lacobi ; allora ritenendo che a.^ b ^ e rappresen-
tino i quadrati dei semiassi, l'equazione dell' ellissoide
sarà verificata dai valori
X = l/'a.senip[/'{ì — k^sen^co) , y = [/'b' . cos9cosi>
z -=■ i/'c.seni/i/'(1 — A'^sen^^y
Le costanti /«, A' sono soggette alla condizione A*-hA*^=1.
Volendo che A, K sieno funzioni di o , é , e, potremo
supporre 4 >• a , e >► i, e quindi
e — a e — a
Ciò posto riprendiamo i valori delle coordinate X, Y, Z
di un punto qualunque della superfìcie curva, inviluppo
dei piani perpendicolari all'estremità dei semidiametri di
Integrali definiti -2^3
ua'eliissoide data; avremo dalle formole del parag. 18."
X = -r-(^<^^' — c(^ — 2a}f — ò{c — 2a)z^\
Y = -f-(«f2/' — <« — 2ò)x^— a[c — 2ò)z^\
% =^ -T-(«^-^ — ^(« — 2c)x' — a(b ~ 2c)f\
ove sostituendoci gli indicati valori di a: , y , z e pò-:
nendo per brevità
A = (1 — A'sen^'cj) , A'= \r[\ — A'^sen»
si troverà
Asensj/ v
X =■ — — ((è — -|- 3(c — bf&Qw^^^
ff- 3{b — o)^sen'55j
otterrenao
Rsenw(1 — A'^sen*^ — A'sen'^w)
x,Y -xy,=
ài/'ab
•v'r, V i> Rcosrovati filosofi, specialmente
{rostrali. Dico de' piCi approvati; perchè dovendo darsi
ai giovani quasi il latte della sapienza, è da cercare
Soprattutto negli elementi, che sia sano, e immune da
ogni impurità contagiosa. E giacché la storia della
filosolìa (che qui è data in ultimo con savio divi-
saraehto e bene ordinata) ci ha fatti accorti, che noi
italiani per volere essere ligi agli stranieri abbiamo
battuto in iscogli a pregiudizi della verità, della
morale, e del progresso altresì; e giacché abbiamo ed
avemmo in passato filosofi, che vanno per la mag-
giore, e tali da tener fronte agli estrani: io non so
perchè nell'istruire i novelli noi vogliamo farci schiavi
a questi ultimi, dimenticando le proprie nostre ric-
chezze- E ciò che abbiamo in casa e sicuro, perchè
cercarlo altrove con danno o pericolo ? Né io vorrei
peccare di nazionalità nella scienza; ma mi dorrebbe,
che, come facciamo della moda, vestissimo alla fran-
cese, o all'inglese, o alla tedesca con ispendio e de-
trimento sì grande : e non anzi ci componemmo ne-
gli abiti alla usanza italiana, servata moderazione e
decenza , e senza odio di nazione. Siamo uomini ,
non pecore matte, per dirlo coli' Alighieri ; ma ces-
siamo una volta quella brutta abitudine di apparire
stranieri nella patria nostra ; stranieri, dico, quanto
alla lingua, quanto alle vesti, quanto al pensare e
all'agire, al modo di scimie. Ciò che è vero, ciò che
Corso DI FILOSOFIA SGi
è buono, ci piaccia unicameotc: le stranezze e le uto-
pie, e peggio i deliri, non fanno per noi, che siamo
e vogliamo essere degni nipoti de' padri nostri, che
per forza di mente e di cuore dominarono già l'uni-
verso; di noi che colla forza morale della religione
santissima possiamo dominarlo ancora con potere che
vince ogni potere; siccome quello che tiene del ce-
leMe, ed è sovrumano ! ,,
IV.
Ecco fatto luogo alla mora/e, scienza direttrice
della facoltà dell'uomo nella ricerca del bene. L'au-
tore, parlando de'principii d' azione, avea detto alla
fine; « Ma la psicologia morale, la quale non ha al-
» cuna veduta sistematica che caratterizzi ciò che
n è, e tutto ciò che è, raccoglie i differenti sistemi
)• e gli descrive con i caratteri che loro sono propri,
)> ravvicina tutti gli uomini virtuosi, spiegandone le
» differenze dei sentimenti e dei principii che li se-
» parano, e concilia tutte le dottrine morali in ui\
» centro comune, ove ciascuna di esse ritrova il suo
» compimento e la sua perfezione. » Qui mi. cade
in acconcio di mentovare una mia opinione esposta
nelle osservazioni sul bello, che furono accolte con
buoni suffragi dapprima in questo giornale: e questa
opinione si è la più amica della pace e concordia
tra l'umana famiglia; perchè pone nell'ordine il se-
greto della bellezza, intellettuale o fìsica o morale,
e nota nella natura la madre dell'ordine, della filo-
sofia la maestra dell'ordine: nel che mi trovai con-
sentire col Gplizzi, professore già chiaro nella univer-
302 Sci fi n z e
sita di Perwgia , benché non ne conoscessi il corso*
per la diflìcckà delle comunicazioni letterarie e scien-
tifiche non solo dall' un capo all'altro di questa bella,
quanto infelice penisola; ma eziandio tra le province
di uno stato medesimo, e molto più dagli altri stati,
che sono tanti in Italia per farla men forte e meno
conscia di essere una nazione. Che se non mi apposi
al vero, mi scuserà appo i discreti il buon animo
nel ridurre la scienza al principio dell' ordine per
contribuire all'ordinato vivere civile e sociale tanto
desiderato. Ed al traduttore deggio esser grato, che
nelle note alla teoria del bello^ data imperfettamente
dall'autore,! accennò fra le altre anche la mia, quella
déWordine. '.cuiic ';j i ' ;
Tornando ai = proposito, dopo definita morale, la
distingue in individuale^ sociale^ religiosa: e così fa
Iiiog'o alla esposizione de' doveri naturali dell'uomo
"viersG sé stesso, verso i suoi simili, verso Dio.
E I. dei doveri rispetto all'anima, 2. di quelli
l'ispetto al corpo; concludendo, che il suicidio non
potrà esser permesso ad alcuno , e che il duello è
contrario agl'interessi comuni della patria, contrario
alla ragione, ciò riguarda la morale individuale.
bì' Quanto alla socm/e, tratta 1. della benevolenza,
Ov 'della giustizia, 3. dalla buona fede.
éJ»' Quanto alla re/J5!«o*tt, tratta (dopo svolto il prin-
cìpio della religione naturale) 1. dell'esistenza di Dio,
2. de' suoi attributi, 3. della immortalità dell'anima
traendone le prove d^l la santità e sapienza dì Dio, e
dai desiderio che abbiaimo di conoscere la verità. '
Ma la trattazione è cosi in succinto, che ci viiole
grave ispiegazione dal nàaestro : il traduttore, come
Corso di filosofia 303
ho accennato, ha cercato supplire con note ed ag-
giunte copiose.
Farmi, che della religione rivelala si dovesse pur
toccare quanto basta a volere far pieno il concetto
diìll'autore, che il compimento e la perfezione della
morale è da tenersi appunto nella religione; ed a
volere altresì che la morale sia l'anello che lega la
filosofìa colla più sublime teologia.
Da ultimo viene il compedio della storia della
filosofia, che abbisognò anch' esso di note e di ag-
giunte dal traduttore. In altro articolo ne sarà fatta
parola.
ART. II.
Se anima e corpo siamo noi, se dee ammettersi
io spirito e la materia , congiunte nel microcosmo
dell'uomo, miracolo dell' ordine; se la scienza delle
scienze la filosofia dee abbracciare tutti i fatti della
natura sensibile , razionale , morale, e collegarli in
quell'armonia, che balenò alla mente del fondatore
della scuola italica, Pittagora : essa per procedere
ordinatamente al suo scopo di farsi maestra dell'or-
dine, fisico intellettuale morale, non può e noq dee
senza mancare a se stessa trascurare alcun elemento:
non il fisico riguardo alla materia, non il razionale
ed il morale riguardo allo spirito. Ma quest'ultimo
non può esser pieno senza 1' elemento religioso : e
poiché la religione altra è naturale, altra rivelata;
poiché la rivelata universale è senza eccezione la
cattolica^ che ha trono in Italia e colla sua luce do-
mina tutto Torbe europeo in vincolo d'amore per
renderlo felice nel tempo e nella eternità , unendo
304 S e I E N Z É
l'uomo a Dio, creatore conservatore, riparatore in ec^
cellenza di ordine; non può e non dee la gran mae-
stra dell'ordine, filosofia , passarsi così leggermente
della religione. E se col lume della ragione si fa de-
vota alla religione naturale, con quello della rivela-
zione dee elevarsi alla religione véramente divina ;
massime dopo le sottili vedute del glorioso, ma sfor-
tunato Mastrofini: il quale colla mente del Vico, e
òon lo zelo dell'Aquinate, poniamo che troppo osasse
argomentando internarsi ne' misteri inaccessibili a
mente umana, diede ai filosofi esempio imitabile in
quanto a completamente servirsi dell'elemento reli-
gioso, non ristretto all'individuo, o ad una nazione;
ma esteso a tutta l'umanità. Uopo è dunque a chi
scrive l'istoria della filosofia rammentarsi, che siccome
la scienza per essere compiuta, non solo dee osser-
Tare, paragonare, e classificare tutti i fatti intellet-
tuali limitatamente all'individuo; ma eziandio notare,
comparare, e concordare tutti quelli, che ci rivela
la storia dell'umanità (*): così nella storia dei sistemi
non può lo scrittore passarsi della origine dell'uomo.
e del suo fine ultimo; non di Dio creatore, conser-
vatore, riparatore; non dell'eternità: non dei rapporti
di Dio coU'uomo, e dell'uomo con Dio: e nella ca-
tena dei fatti non può non toccare di queir anello
supremo, che è quello della religione rivelata, vero
dono celeste a rintegrare 1' uomo , che non è fatto
per la morte, ma per la vita: non pel tempo, ma per
la eternità ; non per le pene strazianti , ma per la
beatitudine ! Senza ciò, come ogni sistema filosofico
{*) [Amice, Manuali 4i filosofia sperimentale. Milano 1832, a
pag. 200 e seg. )
GOUSO DI FILOSOFIA 305
sarebbe manco e dannoso all' umanità : così ogni
storia della filosofia, che prescinde dalla rivelazione,
sarebbe incompiuta e nocevole all' universale : cui
dee riguardare allo specchio dell'ordine fisico, intel-
lettuale, e morale. Altrimenti farebbe come colui ,
che descrivendo la storia degli astri si passasse del
sole, di quel ministro maggiore della natura , che
del suo lume e del suo valore empie, anzi colma,
l'universo. » ••«ju,'.^: •*
Una storia cosi piena della filosofia non so- bhe
abbiamo noi italiani, non so che l'abbiano le altre
nazioni. Egli è il vero , che il Campiglio ci diede
nel 1841 la storia dei progressi delle scienze filo-
sofiche in 3 volumi (Milano in \ 6). Ed il Romagnosi
ed il Poli, forse dieci anni innanzi, ci aveano dato con
note e supplimenti il Manuale della storia della filo-
sofia del Tennemann (Milano per Antonia Fontana
in 16), dove rivendicammo all'Italia l'onore di mae-
stra delle nazioni. Ed assai prima il Galuppi nelle
sue Lettere filosofiche ne avea dato una storia dei
sistemi da Cartesio ìnsino a Kant; il Mamiani ne met-
teva in aperto l'antica filosofia degl'italiani; altri al>-
tro fecero, come accennavo in questo giornale (gen-
naio 1845 a pag. 48 e segg,)^ toccando del com-
pendio della teoria della filosofia di C. L. Kannegieszer
tradotta ed ampliata (Torino 1843); il Rosmini e il
Gioberti , per tacere di altri nostri che vanno per
la maggiore, tengano fronte agli stranieri nella scienza
delle scienze e nella disamina de' sistemi e nelPin-
nalzare la filosofìa all'altezza della religione: tuttavia
una istoria completa della filosofia è ancora nel de-
siderio di tutti; completa, dico, e tale non può essere,
306 Scienze
$e ponga in non cale le prove del magnanima Ma^
strofini in quanto concerne la religione rivelata, in cui
ha il suo compimento e la sua perfezione ogni sistema
psicologico, e morale propriamente detto. Essa, a\
dire del p. Zelli, è l'ainello estremo, che connette le
verità metafisiche (").
Intanto siccome giova agli artefici di macchine
il guardare ai primi esperimenti dell'agente poten-
tissimo, qual è fra le materiali cose il vapore, per
perfezionare le macchine, e farne l'applicazione più
utile per mare, per terra, e per le regioni dell'aria
altresì ; tanto che già già tocchiamo quasi il cielo
col dito : così io stimo non inutile V accennare il
compendio di storia della filosofìa, c tàccia di trascurare l'eredità dei loro maggiol'i
in in; fatto di nazionale filosofia, nel mentre i che co»-
'■!: • ■• , . : ' : . m;- :^; i.tpr
(*) Elementi di filosofìa metafisica. /Wa^o pag. 167 éSef^ì''-
Corso di filosofia 307
fi tatto un Genovesi , uno Stellini , un GaUippi, e
» qualche altro. Col rendersi ciecamente devoti ai
» ritrovati stranièri, obliando i propri , contentano
w forse quel pieno buon senso e quella vittoriosa
»; coscienza, di cui fu loro largo il cielo ? L' umi-
» liaziòne, che ne ritraggono, forma la pena di que-
» feta sconsigliata e funesta degenerazione. Si degnino
» di riandare le tradizioni avite, e coi lumi del se^
» colo ne pongano in valore i tesori nascosti »).
Cosi egli: né io seppi mai altra sentenza, non
ebbi altro desiderio; ma né egli né io fummo giam-
mai avversi alle speculazioni degli stranieri. Giova
al certo conoscerle per la storia della filosofia, che
è la storia dello scibile in atto, ma di tutto lo sci-
bile ; non di una parte di esso , né dello scibile di
una nazione, ma di tutta l'umana famiglia. Con que-
ste premesse eccomi a riferire il sunto della intro-
duzione al compendio di storia della filosofia, onde
rilevansi il divisamento e i pensieri dell' autore nel
porlo alla fine del corso, che in due volumi si com-
prende. '
L'istoria della filosofia' è il quadro del progresso
dello spirito umano; ne comprende le sue opere più
nobili i, le sue meditazioni più profonde: abbraccia
ricerche di ogni maniera, che più influirono su tutti
i rami delle conoscenze. Ogni uomo d'intelletto sarà
curioso innanzi alle tradizioni, alle scoperte, alle con-
troversie più importanti .. ..egli si rappresenterà
sòito- forma sensibile le operazioni dell' intelligènza,
osserverà gli aiuti scambievoli prestatisi dalle scienze
fra loro, la loro subordinazione alla scienza madre:
COSI giudicherà le diverse dottrine non pure dai loro
308 S e I E N 2 E
principii, tns dai loro effetti: e saprà riconoscere e
circoscrivere il domiaio reale della filosofia^ scoprirne
le lacune, e distinguere la vera filosofìa dalla falsay
e rilevare altresì il viaggio che resta a farsi per mi-
surare e scandagliare il mondo delle idee e quello
de' sensi col lume innanzi della ragione: vedere in
somma il fatto, ed arguire almeno, se non» vedere,
il da farsi nel domìnio dell'intelligenza a volere per-
fetta scienza, concordia, felicità in eccellenza dì ordine.
Se traggono a sé l'attenzione de' savi i piccoli
fenomeni della natura materiale, che sarà dei più
belli della natura morale, delle operazioni della ra-
gione, che è come il riflesso dell'intelligenza suprema,
e sembra di mezzo tra il creatore e la creatura per
rivelare l'uno all'altra, per ispiegar questa con l'idea
di quello? Chi non applaudir» ai trionfi dello spirito
umano sopra la materia? Chi non ammirerà il mi-
racolo dell'ordine? massime a questo tempo, in cui
abbiamo schierate dinanzi le opere della sapienza
umana di oltre venti secoli.
Passa r autore alla questione del metodo piw
sicuro da tenersi a toccare lo scopo desiderato: di-
stinguere il metodo sperimentale, detto a "posterio*
ri^ dal metodo speculativo detto a priori: trova più
vantaggiosa la riunione prudente dei due metodi, e
fissa la divisione della filosofìa in tre periodi, ==
Filosofìa antica da Talete fìno a Socrate, tralasciando,
non si sa bene il perchè, la filosofìa orientale, per
la quale tenta supplire in parte il traduttore. — Fi-
losofìa del medioevo, o scolastica. — • Filosofia mo-
derna. E qui è ingiusto il silenzio, che si tiene dal-
l'autore della filosofia italiana. Deve supplire al di-
Corso di filosofia 309
fetto il traduttore con alcune parole del Gioberti sul
primato degl' italiani nelle scienze filosofiche. Più
altre cose in parte aggiunge, e più altre poteva ag-
giungerne, ajvendo a mano anche solo la storia del
Campiglio summeatovata, e le note del Poli alla storia
del Tennemano pure mentovata.
Se qualche spirito italiano si moverà a compas-
sione di questa patria nostra, tanto bella quanto in-
felice, saprà con senno ed amore redimerla dal mar-
chio di servitù e dall' oblio che gli stranieri ( che
lagnansi di esser detti barbari dai nipoti di Romolo)
la condannano indegnamente. Ma questa redenzione
non basta; uopo è mostrarne le glorie di quell' era
novella, che si apre alle scienze (di cui fu madre e
fia regina, se i tempi volgano propizi) questa Ita-
lia; già maestra di civiltà a tutto il mondo, il quale
con insigne contraddizione la vagheggia ad un tempo,
e la disprezza ingiustamente !
D. Vacgolini.
310
tni'i'^iii^ir^ma
Sulle antiche milizie romane ,'■'»
Memoria di Francesco Capozzi lughese'.iuu\\ii\
all'ingegnoso e bennatq giovinetto ,.?
ETTORE JIAMERI .'
LTJGHESE
Nipote mio
Lugo 26 ottobre 1848.
v/ggi che studio prediletto degl'italiani sembra fi-
nalmente sia quello dell'armi, unico mezzo a ritor-
nar grande e signora la patria; e che una parte dei
nostri eserciti ha nome di legioni ; ho avvisato non
sia inutile cosa per questa memoria il ricordare
d'onde venne tal nome alle milizie, con che ordine
si formasser esse in antico, e a quale disciplina fos-
sero tenute. A te poi, carissimo nipote mio, ho vo-
luto far dono di questo lavoro, perchè entrando tu
ora agli sludi storici, ed avendo nel tempo stesso
314
fnplto amore alle militari cose, come addimostrano
le tue giovanili attitudini; nel leggere questo scritto,
t' invogli di entrare a piena cognizione altresì delle
glorie degli avi , e di sapere come da dominatori
delle nazioni cademmo nella schiavitù ed in ogni
civile miseria. Da cui però ne rileva or quella mano
Sacerdotale e sovrana che addita la croce qual ves-
sillo il più degno e glorioso di lil^ertà.
Abbi dunque come una cara cosa questa mia
piccola offerta, se non per altro in fine, perchè parte
^dall'animo del tuo amorosissimo zip
FRANCESCO C^POZ»?
-.- ■'".¥'^«»<
312
iiojjsniffinf)
JX. questi giorni^ in che ogni petto italiano anela
al riacquisto della indipendenza e dignità nazionale,
cade in acconcio tener discorso del mezzo princi-
palissinio onde l'antica Roma e quindi l'Italia no-
stra giunse a quella vastità d'impero ed elevatezza
di gloria, che attestata viene da ogni scrittore, e la
comprovano pienamente tante monumentali reliquie.
Questo si fu l'ordine e la militar disciplina tenuta
nelle legioni, mercè di cui soggiogò Roma la fortezza
de'galli, la robustezza de'germani, l'astuzia degli spa-
gnuoli , le cautele degli afiricani , la prudenza de*
greci ; delle quali milizia mi stwdierò intrattenere i
leggitori miei, non perchè io li creda spogli di tali
erudite nozioni, che arrecano tutte le antiche isto-
rie, ma unicamente perchè è dolce il risovvenirsi
delle cose buone operate da'nostri maggiori. E met-
terà bene il dire in prima del modo tenuto dai ro-
mani nella scelta de' militi.
In questa elezione , da cui presero nome gli
eserciti, poneasi mente all' età ed all' aspetto , e ciò
chiamavasi eleggere per congettura. Cesare volea nel
soldato occhio grande e franco lo sguardo , collo
nervoso, stomaco prominente, lunghe le mani, piat-
to il ventre, gambe e piedi asciutti; le quali cose
veramente sogliono rendere l'uomo a ciò più dispo-
sto e più forte, Pirro re d'Epiro lodava in lui la
Milizie romane 313
perdonale grandezza. NuHameno io mi penso, non
si avesse in ciò a riguardare alle esterne e fallaci
disposizioni più presto, che alla grandezza del cuo-
re: essendo che la magnanimità e forza di esso vince
d'assai l'apparenza delle membra. Ancora parmi ri-
cercar si dovesse il buon costume, da cui nascen^
do la virtù, e da questa il pudore e la vergogna,
è quella che il guarda dal fuggire e produce la
vittoria: altrimenti operando, si viene ad elepgere
uno strumento di scandalo e un principio di ruini
na. Il solo cittadino romano poteva essere ascritlorj
alla milizia, il qtiale possessore fosse di alcuna^ ffi4)
colta: chi nulla avea, atto non era che alla marine-;
ria; ed uno schiavo che osato avesse dare il nome'
con frode , era punito di morte. Faceasi dessa nel
foro alla presenza de'capitani e de'censori: e com-
piuta ch'eli era, emetter doveva ogni soldato il giu-
ramento: dato il quale, era egli soggetto a tutto il
rigore della militar disciplina, che sospendeva i pri-
vilegi stessi della cittadinanza a modo, che potevasi
nelle milizie da un capo dannare a imorte quello,,
che un littore in Roma non avrebbe avuta neanche
facoltà di arrestare. Al tempo degli imperatori però
vi fecero parte molti delle altre province conqui-
state; il che tornò a danno dell'impero. L' età pre-^;
scritta a potere appartenervi era dagli .anni dicias-;
sette fino agli anni quarantasei; e non veniva il mi-?
lite licenziato che dopo sedici anni di servizio nella
fanteria, o dieci nella cavalleria: e negli straordinari
casi i fanti ritenuti erano fino a venti aiini. E questo
voglio sappia il lettore che fu parimenti sotto la monar-
chia. Si ha nelle istorie, che il magno Pompeo esercita-»
G.A.T.CXVI. 21
314 Letteratura,
Ta i soldati correndo coi più lejjgeri, saltando coi più
destri, corabaltendo coi più forti, e pigliando piacere
nel giltar di pietra o di dardo, e così nel fare alle
braccia. Lo stesso modo adoperava Scipione Affrica"
no: dal <^e si apprende, quanta parte delle cure di
que' condottieri si fosse l'invigorirli per via d'eser-
cizi, e il fuggirli dall' ozio : per cui ne venne. «6
exerceirido il titolo di esercito.
0T> Ora dirò quali fossero i maggiori e minori uf-
ficiali del campo romano, e verrò esponendo l'ordi-
ne che teneano le diverse milizie nelle legioni. Capi
degli eserciti erano i re, poi i consoli^ dignità mas-
sima nella repubblica, istiluita dietro la cacciata dei
Tarquini, ed allogata prima in gente patrizia, e pro-
miscua poi alla plebea. Il loro potere durava un
solo anno, e lo esercitavano a vicenda un mese per
vmo. Quello che aveva l' imperio andava preceduto
da dodici littori , ciascuno armato di un fascio di
verghe legate intorno ad una scure, coperto il capo
da una pelle di leone, il petto di una corazza, e i
piedi da calzari; l'altro teneva innanzi un accenso ^
e dietro i littori con fasci senza scuri. Erano essi
che convocavano il senato, ragunavano il popolo per
proporre le leggi, trattavano i negozi coi legati estCf
ri, eleggevano i senatori; erano a dir breve i capi
della repubblica; ed ebbero sul principio tutto il po-
tere dei re, il quale poscia venne diminuito. Dai giu-
dizi dell'uno potevasi all' altro appellare, tosto che
egli avesse asK>unto l'imperio. Vestivano la porpora,
sedevano sulla sedia curule d'avorio, e portavano i
segni tutti della reale dignità, eccetto lo scettro e
la corona. Nei grandi bisogni della repubblica altra
Milizie romàne 515
dignità venne istituita pari alla consolare, la quale
faceva anzi quella cessare , e 4urava sei mesi : era
questa la digintà del dittatore , cioè magistrato al
cui detto tutti dovrejabero seuz^ g^ppello obbedire.
Eleggeva egli qhj essere dpvev^ secondo alla sua
autorità, e questi si chiajnc^v^ nme&Lro de' camlieriy
perchè ai cavalieri , con sommissione a} dittatore ,
aveva a presiedere. Il dittatore veniva scelto fra i pa-
dri coscritti, ed appartener doveva all'ordine patri-
zio o consolare. Ogni console aveva il suo luogote-
nente generale nel campo: cioè il pretore^ che era
ordinariamente a lui secondo nella autorità, ed un
legato^ cioè commissario di guerra. N'ebbe pero alle
volte anche due. Venivano poi i tribuni militari ,
che eranp i capitani dell'esercito, e si creavano di
qualunque ordine , prima dai re , poi dai consoli ;
purché avessero per anni dieci, o almeno per anni
cinque, frequentata la guerra : in seguito vennero
anche scelti dai soldati e dal popolo, e fu allora che
ad essi per qualche tempo ebbesi attribuita altresì
la podestà consolare. Il perchè sotto la monarchia,
quando il principe voleva di suo beneplacito creare
un tribuno , gli poneva la spada in mano: signifi-
car volendo con ciò il potere ch'egli aveva per ra-
gion militare sopra i soldati. Vi avea pure il questo-
re^ o sia custode dell'erario e delle vettovaglie, grado
autorevole che s^empre era dato a specchiati e riputa-
tissimi uomini.
Due legioni fornìavano l'esercito di un console:
e la repubblica non ne avea che quattro, le quali
dall'ordine con qui venivano elette chiamavansi prì-^
ma^seconday terza-, quarta'r, e questo fu sino alla bat-
316 Letteratura'^
taglia di Canne: dopo n'ebbero i consoli quattro per
ciascuno ed anche più. Al tempo degli imperatori
furono molte, e appellaronsi o dai luoghi ove stan-
ziavano, o dal nome del principe o delle province
conquistate, o da qualche deità protettrice, o da qual-
che gran fatto; e rinnovavano il giuramento al prin-
cipio d' ogni anno. Fino al 348 di Roma non eb-
bero queste pubblico stipendio: furono i patrizi che
loro decretarono paghe per farsi piti amica la plebe:
ed è a notarsi che il milite a cavallo giunse in pro-
gresso al triplice soldo di un fante. Ogni legione aveva
sei tribuni che la comandavano per un mese ciascuno,
e collo stesso ordine tenuto nella loro elezione : porta-
Tano essi il paludamento-, sedevano in una sedia appo-
sita, e facevano alla lor volta giustizia sui delinquenti
soldati, ai quali indicevano la punizione col tatto di
una verga, e vigilavano su tutte le cose del campo.
La legione era composta di quattromila uomini, e
fu detta così dalla elezione che Romolo fece dei pri-
mi tremila fanti, e dei trecento cavalieri: venne poi
dallo stesso cresciuta a quel numero quando i sabi-
ni i fecero popolo coi romani, e fu perciò anche det-
ta legione quadrata: in seguito fu aumentata a cin-
quemila, e questo fu dalla seconda guerra punica
sino a Mario , che la fece ascendere a seimila. Su
tale proposito però discordano insieme Tito Livio,
Plutarco, e Dionigi d'Alicarnasso. Divisa era la le-
gione in dieci coorti^ la coorte in tre manipoli, il
manipolo in due centurie^ la centuria in contuberni
dì dieci uomini l'uno , quando un tale esercito fu
di seiTnila soldati; quando però fu di quattromila o
di cinquemila, il numero di questi nei contuberni e
Milizie romane 317
quindi nelle centurie fu a proporzione minore. Ad
ogni dieci centurie presiedeva un tribuno, ad ogni
centuria un centurione^ il primo dei quali in ordine
alla elezione presiedeva al manipolo, e cosi i decu-
rioni ai contuberni. Il vestire di questi ufHciali era
simile a quello del generale; se non che un anello
d'oro distingueva il tribuno, ed una verga di vite
il centurione: ed ognuno di loro aveva il suo luo-
gotenente. E da avvertire che quando per la legge
attilia nell'anno 443 fu dato al popolo il diritto di
eleggere due terzi dei tribuni, questi si appellaro-
no perciò eomiziati , e rutuli V altro terzo rimasto
alla scelta de'consoli : dritto che negli straordinari
casi ritornava però intero a questi o al dittatore.
Ne' primi secoli di Roma i latini scrittori pon-
gono tre ordini di fanti. Questi tre ordini erano gli
astati^ i principi e i triari. Gli astati furono il primo
corpo di fanteria leggera che ebbero i romani , e
vennero istituiti dallo stesso Romolo: erano essi ar-
mati di un'asta delta velitaria^ da cui presero il nome,
e tennero al tempo de'suoi successori l'officio, a cui
furono destinati in appresso i rorari^ gli aecensi e
per ultimo i veliti. L'epoca , nella quale cessarono
di appartere alle truppe leggere, fu sul principio
della repubblica. Novità di governo civile die nuove
forme altresì alle militari cose, e s'ebbero le legioni
a corpi espediti i rorari e gli aecensi. I rorari ,
detti cosi perchè lanciavano dardi leggeri, che so-
migliavano alle rugiade cadanti prima delle dense
piogge, e questi si ritiravano poscia dietro ai corpi
pesanti : gli aecensi , cioè sopranumerari ascritti al
censo delle legioni , perchè si ascrivevano inermi ,
3 1 8 Letteratura
ónde succèdere agli armati che venivano spenti, eé
eiriano l'iestreilQa fila de' soldati. Le compagnie di que-
sti ultimi erano composte di sessanta uomini, e non
portavano sorte alcuna di scudi, sibbene, secondo Var*
rone due aste , e cinque secondo Lucilio , le quali
adoperavano essi, e nell'uopo trasmettevano ai legio-'
nari. Lo stesso Varrone accenna un'altra specie d'ac-
censi^ i quali erano dati al servigio dell'esercito, ed
erano appellati anche ferentari o exculcatori. Que^
sta seconda forma di duplice fanteria leggera ag-
giunta alle legioni durò circa trecento anni, e fino
al 542. Nell'aissedio cl>e i bomani fecero in quell'anno
della città di Capua, visto che la cavalleria nemica
era alla propria superiore assai, da cui venivano for-
temente molestali, il eentul'ione Q. Nevio scelse da-
gli eserciti i solcati di lutatura mediocre piò corag-
giosi e destri, e li pose in groppa ai cavalieri, ar-
mati di un piccolo scudo , d' una spada e di sette
giavellotti con punta acuta, insegnando loro di rat-
tamente discendere , giunti a petto del nemico. Il
che tornò di gran giovamento a'romani, che ne alle-
stirono Un corpo nelle legióni Col titolo di veliti &>
precursori: ed in allora si vidfero esse composte di
quattro ordini di fanti, aggiunto questo ai tre primi,
de' quali parleremo in breve. Ebberopoi i vetili va-
rie attribuzioni: traevano parte con archi, e questi
erano deài arceri ; parte con fronibè , e venivano
chiamati /imdiYbn; parte con dardi, ed erano i ia-
etf^fit^o?^?: combattevano fuori delle ordinanze^ facevano
bòri^èrié innanzi alle linee, spiavano il 'nemico, pro-
vocavano la battaglia, e duravano pòi 'ik'él cittiento
a' fianchi dell'esercito. Queste truppe leggere si mi-
Milizie romane 31 9
schiavano allresi fra la cayalleria, di cai accompa-
gnavano i movimenti fcon somma destrezza: non ave-
vano capi particolari, ma erano ripartiti in egual nu-
mero fra i tre successivi ordini, Polibio li descrive
armati il capo dell'elmo, il sinistro braccio di uno
scudo di tre piedi di diametro detto parma^ il lato
destro d'una corta daga, coperti il petto di un cor-
saletto, e con calzari ai piedi. E da notarsi che que-
sto scrittore dà loro per arma anche il pilo: il che
non ci è avvenuto di riscontrare in verun altro, e
che ripugna a credersi, ove si pensi che quest'arma
era la più pesante delle legioni, e di cui altrocorpo
era fornito, come vedremo. Dietro l' istituzione dei
veliti^ tennero il second'ordine gli astati, tutto .fiore
di gioventù, che formavano la fronte dell'esercito ,
ed usavano a combattere l'asta e la sipada. La mag-
gior parte di essi portava il saio con una piastra di
rame larga un palmo innanzi il petto, chiamata guar-
dacuore. Quelli poi che ne' loro beni passavano il
valore di millecinquecento lire, come avvisa Gugliel-
tno Choul lionese, insieme alle altre armi, cioè el-
metto, scudo, ocrea, calzare, tenevano giacchi ferrei.
1 principi^ uomini nel vigore dell'età, forniti di cli-
peo e di spada, starano dopo questi, disposti a modo,
che se gli astati nmk .potessero reggere, si ritiravano
dietro a loro, ed essi entravano nella battaglia. Fu-
rono chiamati pWwc/p?, perchè allorquando ig\i ustati
erano truppe leggere, questi si presentavano ppiini a
sostenere l'impeto avversario. Erano guerniti d'armar
tura più grave, con in testa un elmo, o celata, che
calava dinanzi sin sopra gli occhi , e dietro sopra
le spalle: stavano chiusi in una corazza con brac^t
320 ^A Letteratura
ciaii» 'che sino ai ginocchi colle sue falde giungeva»:
le garabe avevano coperte di stivaletti. Oltre allo
scudo, sopra il sinistro fianco cingevano una spada,
e sopra il destro un largo pugnale tagliente da ambe
le parti, colla punta aguzza, che denominato era spa-
giìàolo. Venivano ultimi i triari^ chiamati a questo
modo, io mi penso, dai primi tre ordini di cui fu com-
posta la legione, e de' quali formavano essi il terza:
furono chiamati nel tempo istesso anche pilani., dal
pilo che oltre alia spada tenevano. Quest' arma era
simile a un dardo , della lunghezza di tre piedi e
mezzo per ordinario , ma fu anche di quattro e di
sei, e della grossezza d'uno, di forma quadrata, con
ferro di un palmo alla estremità della stessa forma
ed anche tEÌangoiare,. e come vogliono Polibio, Ve-
gezio,. e Dionigi, di maggior lunghezza a' loro tempi,,
sottile e aguzzo in naodo, che lanciandolo non potea
fare che nel colpire non si piegasse, e che rilanciato
dal nemico non divenisse inutile. D'esso non si ser-
vivano che per mandare un colpo, e tosto mettean
mano alle spade. Riguardati erano r triari siccome
il. nerbo della legione, e dietro loro ritiravansi pure
i principi^ ove la nemica forza sostener non potes-
sero : godevano i loro ulTiciali non lievi privilegi ,
fra' quaH era quello che il primo loro centurione ,
detto picimipìlo^ assisteva ai consigli di guerra, ove
sedeva n^l primo luogo dopo i tribuni , col diritto
di divenir membro^ dell'ordine equestre. Cade qui
in acconcio r avvertire, che dall' ultimo centurione
degli astati fino al prima centurione triario v'erano
tanti gradi a salire quante le centurie, pe' quali ogni
ufficiale doveva passare; quante volte non avesse a
Milizie romane 321
CIÒ derogato l'altrui favore, come dar ra Vegezio, Sul-
l'elmo di ogni centurione era posto un segno par-^
ticolare, il quale serviva a raccorre i n un istante tutti
i soldati della centuria: e ciò vuoisi dire egualmente
pei soldati dei diversi ordini legionari, il cui titolo
e numero progressivo sugli scudi vedevasi decifrato.
Le armature dei triari erano pressoché eguali a
quelle dei princip'iy eccetto che gli scudi, alti quat-
tro piedi, e larghi due o mezzo. Tito Livio narra
che i triari nella battaglia dei latini pugnarono prima
colle aste: ed affermano altri che gli astati in varie
circostanze si valsero dei pili; ma che però manten-
nero sempre le prime loro denominazioni. Né questo
per noi é si difficile a credersi, come lo è in riguardo
ai veliti soldati espediti. Questi tre ordini gravi poi
erano ripartiti in dieci compagnie ciascuno, ed ogni
compagnia in due centurie.
j'.;^ Il pretore, che era il generale del campo, cir-
condavano scelti militi d'infanteria armati di scudo
rotondo od ovale, e della lancia: ed al tempo del-
l'impero, alcuni altri che avevano lunghi scudi ed
alabarde, e questi erano i pretoriani^ che tanto creb-
bero in potere nella decadenza dell' antica romana
virtù: la loro istituzione fu all' epoca di Ottaviano
Augusto, il quale pensò per tal modo di vieppiù as-
sicurarsi la corona sul capo. Li privilegiò di doppio
stipendio, e di altri onori che li poueano. sopra le
legionarie milizie. A poco a poco ei ne assoldò molte
migliaia, che poi divise in altrettante coorti, tenen-
done tre in Roma, e distribuendo le rimanenti nelle
circonvicine città. Crebbe a tanto l'audacia loro, da
rendersi i despoti della corona imperiale, la quale
322 Letteratura
patteggiarono obbrobriosamente per Roma con chi
era loro più largo di doni. Que' soldati per ultima
che appartenevano al corpo di riserva, di cui ogni
legione «ra fornita, durante la pugna stavano seduti
in terra, d'donde il nome di subsidia.
l suddescritti ordini di fanteria erano poi gui-
dali dalle loro insegne, le quali presentavansi diverse
secondo le coorti e compagnie a cui appartenevano;
a portar le quali venivano scelti due dei più corag-
giosi e nerboruti uomini col titolo di alfieri^ o capitani
di bandiera. Le prime insegne che usò Romolo fu-
rono sermenti od ei'be legale a forma di una corona,
infitte sulla punta di un'asta: in seguito v'ebber le
aquile, che furono poi sempre la prima insegna dei
romani , come stata la era de' persi. Attesta Plinio
ch'esse furono per ordinario d'argento più che d'oro;
essendoché l'argento più da lungi si vede: e quelli
che le tenevano, detti aquiliferi^ eratio riputati i più
nobili degli alfieri. V'ebbero gV immaginiferi^ i dra-
(jonari^ i laboriferi ed altri. In luogo dell'elmo por-
tavano sul capo pelli con facce di leone a spavento
de' nemici, ed avevano corazze, daghe , schinieri e
paludamento acconcio. Grande fu la venerazione dei
romani alle insegne, le quali erano riguardate sacre:
giuravano per esse, mettevano loro appresso, come
in sicuro luogo, i danari, il bottino ed i prigionieri:
in tempo di pace venivan depositate nel pubblico
erario. Era funesto augurio, se a stento si fosse svelta
un'insegna, e quel giorno non si dava la battaglia:
perciò è uopo sapere, che l'asta, da cui era ella so-
stenuta, aveva nel basso una forma acuta, che serviva
a conficcarla nel suolo. Infame ed empia cosa sii-
Milizie romane 323
ttiavasi abbandonare le aquile nel tempo del pericolo:
erano le deità della guerra^ conme dice Tacito, e inr
mezzo al campo venivano adorate al pari degli altri
dei: il perchè perdere un'insegna era delitto di morte.
Vestimento eguale a quello degli alfieri avevano
i sonatori, se non che mancavano del paludamento:
essi precedevano i soldati nel cammino. Quelli, che
sonavano le trombette, erano chiamati tubici; quelli
dalle trombe torte liticiìd ; ed altri che sonavano
corni appellavansi cornicini. Ad ogni strumento era
però destinato il suo proprio uso. Le trombe davand
il segno dell' attacco e della ritirata; la buccina ser-
viva per cambiare le scolte, sonava all'atto di ese-
guirsi una giustizia di morte negli accampamenti, e
ricordava ai soldati in qualunque ora del giorno i
loro doveri; il corno annunziava qualsifosse comando
ai posti lontani. Il lituo poi era dato alla cavalleria.
Tutti questi strumenti erano di rame, d'onde venne
il nome di aeneatores a quelli che li sonavano. Ecco
ciò che brevemente può dirsi della fanteria roma-
na, la quale fu sempre la parte principale della le-
gione pel numero de' soldati, e per l'importanza del
loro servizio; quantunque la cavalleria fosse il corpo
più ragguardevole in essa per la qualità di coloro
che la formavano.
La cavalleria chiamavasi a/fl, stando sempre ai
fianchi di quella nelle battaglie. La sua insegna era
una banderuola quadrata di color azzurro messa tra-
sversalmente alla sommità di vm'asta, detta vexillnm
da velum. Esistono però monumenti antichi dove si
Tede che la cavalleria ebbe pure le aquile. Divide-
vasi in torme e le torme in decurie. La dee uri a, «o me
324 Letteratura
si è detto, era di dieci uomini e di un decurione:
la torma di tré decurie. Il primo eletto de' decu-
rioni comandava la torma, ed era detto prefetto della
cavalleria. Fu poscia la torma di trentadue cavalieri
e un decurione solo. Sul principio la cavalleria com-
batteva in saio senza corazza , e per questo ( ben-
ché più destra a cavallo) era più esposta a' pericoli
ne' fatti d'arme, essendo quasi ignuda, ed avendo i
soli pili o dardi, inutili pel movimento del destriero.
Gli scudi sì de' fanti e sì de' cavalieri erano di
cuoio, i quali alla pioggia gonfiavano, e rendevansi
quindi inefficaci; il che dappoi conosciuto, fece de-
porne l'uso, e pigliare la forma delle armi greche.
La cavalleria veniva divisa in leggera e grave.
Appartenevano alla prima gli arcieri, i quali por-
tavano piccol elmo, corsaletti, gambali, dietro le spalle
un turcasso con f rocce, un arco nella sinistra mano ,
una freccia nella destra, la spada pendente al lato
manco, e al destro un pugnale: i iaculatori., o git-
tatori di dardi, coperti il capo dell' elmo, il corpo
di una corazzina simile a quella de' fanti, calzaretti,
un grande scudo e tre dardi d' assai lunga punta
nella sinistra , ed uno nella destra. Appartenevano
alla seconda i lanciferi armati di lancia e scudo,
con elmo portante alto cimiero, maglia sino ai gi-
nocchi con bracciali, guanti di ferro e gambali. I
loro cavalli erano sovente difesi in parte da lamine
di ferro, o da maglie messe per ordine all'uso dei
soldati. Tale costume era venuto dai persiani, come
narra Q. Curzio.
Oltre alla fanteria e cavalleria romana erano
negli eserciti consolari i soci : dir vuoisi i soldati
Milizie romàne 325
ausiliari o confederati, e questi formavano corpo da
se , né venivano compresi nelle legioni. Il numero
de' loro fanti era qual de' romani; il numero poi dei
cavalieri più del doppio. Avevano dodici capitani
eguali nell'autorità ai tribuni, denominati prefetti, ed
un questore. E tutti questi fiancheggiavano l'esercito
coU'ordine istesso. Chiamati erano poi voterani quei
soldati che duravano nel servigio dopo le venti cam-
pagne : ed evocati gli stessi veterani chiamati di
nuovo sotto le armi.
In questa guisa erano composte le milizie che
sparsero per tanti secoli il terrore in tutto il mondo,
fi che riportarono si segnalate vittorie; finche il lusso
e gli smodati piaceli non giunsero a spegnere ogni
desiderio d'onore e di gloria, ad infiacchire le mem-
bra, ed a far piombare sulla bella Italia tante e «
Junghe calamità.
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dU
.Sulla corrispondenza poetica di Dante e Giovanni
del Virgilio deduzioni di Marco Giovanni Ponta.
!rófì> SOMMARIO
palla corrispondenza poetica latina di Dante con Maestro
Giovanni del Virgilio si raccoglie che la Divina Comme-
dia nel 1319 era tutta pubblicata , salvo che gli ultimi
13 canti del Paradiso.
iTiolti (lei più recenti encomiatori della divina
Commedia, fatto codazzo a monsignor canonico Ia-
copo dei marchesi Dionisi di Verona , danno per
certo che Dante Allighieri non abbia pubblicato al-
cuna parte di essa innanzi il 1319 : ed Ugo Fo~
scolo non dubitò con lungo ragionamento asserire
che questa, vivendo l'autore, non abbia ne in tutto
né in parte veduto mai la pubblica luce (1). Egli
è il vero che il Dionisi tenne due opinioni di epoca
tra se molto diverse: concorre nell'una coli' epistola
di frate Ilario del Corvo, e dice l'Inferno divulgato
nel 1309 (2) : ma avendo nell'altra pesto per base
che il veltro significa lo Scaligero Cane Grande, il
quale non ebbe grido di grande se non dopo il 1318,
conchiude , afferma , ed a tutt' uomo sostiene che
questa prima cantica non potè uscire dalle mani del
(1) F.a Commedia di Dante Allighieri illustrata da Ugo Foscolo.
Lugano 1829 vedi i §§. XXV, CLIV, CLVII.
(2) Aneddoti num. IV cap. XVI tutto e specialmente la nota (5).
CORRISPOND. POETICA DI DaNTE 327
poeta al pubblico prima del 1319 (1). Se non che
non volendo contraddire a se stesso, si affaccenda
quanto sa e può per conciliare a suo senno le cose,
supponendo (ottimo ripiego) supponendo che l'Io-
ferno siasi pubblicato due volte: la prima senza la
profezia del veltro; che poi sarebbesi aggiunta nella
seconda pubblicazione per gratificare all'amor pro-
prio del signor da Verona (2). Tanto anche nei let-
terati monsignori può l'amor della propria opinione!
Io qui non prenderò a sostenere che l'Inferno siasi
divulgato nel 1309: nel che, oltre monsignore, avrei
l'appoggio del primo storico italiano che è il chia-
rissimo sig. conte Cado Troya: nemmeno dirò che
ciò avvenisse innanzi il 1314: nel che fare mi avrei
molte e ben forti ragioni: ma dico bene e sostengo,
che non pur la prima e la seconda parte della Com-
media era divulgatissima molto prima del 1319 ,
quando ebbe principio la poetica corrispondenza tra
Dante e maestro Giovanni del Virgilio; ma che molti
canti dovean pur anche esser noti della cantica ter-
za. Laonde non solo andò, per mio giudizio, eriato
monsignor Dionisi, ma fu travolto in assoluto er-
rore il Foscolo quando, per asserire che Dante cor-
rèsse le mille fiate i suoi versi, affermò con lunghe
declamazioni che per paura delle gravi persecuzioni
civili ed ecclesiastiche 1' autore non pubblicò mai
verso del tripartito poema. Della qual mia sentenza,
perchè altri non sospetti aver io ciò detto illuso
dalla propria opinione, e indotto da puro talento di
(1) Ivi medesimo, cap. XVIF.
{2i Ivi medesimo, cap. XVI e XVII.
3^8 LeiteraturI
contraddire a due classici scrittori, intendo qui ad- ,
durre le prove principali, non d'altronde che dalle '
stesse poesie latine di Dante e di maestro del Vir-''
gilio raccolte e dedotte. , i ''-
Il Carmen di maestro Giovanni da Bologna (pei*'
la sua valentia nel poetare latino detto del Virgi-t
lio) il quale comincia: « Pieridum vox alma, novis
qui cantibus : » come io è al 4318, così pare che
non debba e.isere posteriore al 1319. Imperocché
toccasi in detta poesia la vittoria della flotta e del-^
l'armata di re Roberto di Napoli nelle acque e neU*
suolo di Genova contro le schiere di Matteo Vi- ''
sconti, avvenuta felicemente nel 5 febbraio di que-'
st'anuo medesimo (1). Però assennatamente assegnano
il Dionisi e tutti i crìtici a questo dettato l' epoca
della prima metà dello stesso 1319. Ciò premesso
ed avuto qual base incontrastata dei seguenti ra'*
ziocini, io prendo ad argomentare così.
ij|( Era noto a Giovanni del Virgilio nel 1319 che
fine precipuo del poema , intorno a cui da lunghi
anni lavorava Dante Allighieri , era la conversione
morale della civile società: laonde ha potuto al car-
men^ che a lui diresse, dar questo franco esplicito
e nobile cominciamento.
<» Pieridum vox alma, novis qui canlibus orbem
Mulces lethifluum, vitali tollere ramo
Dum cupis, evolvens triplicis confinia sortis
Indila prò meritis animar um, sontibus Orcum, etc. »
(1) Diouisi aneti. IV; cap. XU.
CORRISPOND. POETICA DI DaNTÉ 329
Balla cognizione di questo rettamente si argomenta
che maestro Giovanni avesse già ponderata una gran
parte della divina Commedia: che di vero il pieno
intendinnento di una poesia allegorica difficilmente,
per non dire impossibilmente, si discopre dalla sem-
plice lettura di pochi versi, o di alquanti terzetti.
Anzi ove ne piaccia seguire attenti le sue parole ,
ci avvedremo senza fallo , che egli così scrivendo
aveva letto non pvire tutto l'Inferno, non pure tutto
il Purgatorio, ma ed altresì molti canti del Para-
diso, Imperocché supponiamo un istante che il poeta
bolognese, allorché s'accinse a dettare questi versi
a Dante, non avesse ancor letto parola della sua Com-
media, ma che per altrui relazione soltanto gli fosse
noto che l'Allighieri descriveva in un poema volgare
un viaggio a secolo immortale ; siccome già fatto
avea Virgilio in persona di Enea ed in quella d'Or-
feo, e come prima di lui avea praticato Omero in
persona di Ulisse , ed altri poeti greci e latini in
quella di Ercole di Piritooj di Teseo, di Castore e
Polluce non che di altri. Supposto questo, comecché
molto improbabile sia che un uomo saggio, qual era
veramente maestro Giovanni, volesse scrivere , sic-
come di cosa a lui ben cognita, di un poema ch3
egli mai non vide : sorgerebbe naturalmente l' illa-
zione che, udita simile notizia, ei dovesse colla mente
figurarsi che il protagonista del nuovo poema avrà
visitato un inferno, avrà veduto un eliso non diverso
molto da quello che descrisse Virgilio , e gli altri
poeti vetusti, che a questo han preparato l'idea. Io
ritengo questo per così naturale e certo, che oso af-
fermare presso che incredibile che un poeta a quella
G.A.T.CXVI. 22
330 Letteratura
stagione potesse ( senza conoscere il trattato della
Commedia ) farsi altra idea del mondo di là da quella
di tutti i poeti della classica antichità. La cosa per
altro addivenne all'opposto nel poeta bolognese. Gio-r
vanni trascura Virgilio, non fa conto d'alcuno degli
antichi vati greci e latini : ma, secondo la fede cri"
stiana, riparte il dettato di Dante in tre parti: né si
tiene, che per circonlocuzione fa saputo queste essere
Inferno, Purgatorio e Paradiso : né ciò solo; ma seb-
bene Virgilio abbia allogato a contatto e quasi nel
medesimo piano dell'Inferno i suoi campi elisi, pure
il nostro maestro Giovanni dà a ciascun dei tre re-
gni posizione al tutto propria e distinta, sia di luogo,
sia di elevazione; né omette che lor non assegni pre-
cisamente quegli stessi confìni che il fiorentino poeta
ebbe a quelli nella Commedia prefìsso. In vero ec-
coti in quai parole il bolognese amico determina il
postip,4@i daanatt, dei purganti e degli spiriti beati,
» . , . . evolvens triplicis confinia sortis
Il » Indila prò meritis aniraarura, sontibus Orcum,
xìi » Astripetis Lethen, epiphoebia regna beatis. »
Ora si noti di grazia : é assegnato per luogo ai dan-
nati l'Orco, il quale per Dante, né più né meno che
pdr Virgilio, è nel centro della terra: ai purganlisi
(o astripetis^ come qui son detti ad imitazione di Dan-
te, che definì il Purgatorio pel secondo regno « Ove
l'umano spirito si purga, E di salire al ciel diventa
degno » ) si adegua per confine Lete : il quale è
per buona ventura il primo dei fiumi, in «he sa la-,
vano le anime purgate all'atto di avviarsi alla gloria
tL .I7/.3.T./,.0
CORRISPOND. POETICA DI DaNTB 331
celeste. Ma e come mai seppe il Del Virgilio che
Lete , posto da tutti i poeti e non poeti gentili e
cristiani nel profondo baratro, pel cantor di Beatrice
non uno dei fiumi infer nali, ma era uno di quei santi
rivi ove s'inebbriano coloro : « Che son Puri e di-
sposti a salire alle stelle? » Per me dica altri che
sa e vuole : ma io ritengo per indubitato che chi
questo disse, ei lesse e rilesse tutta quanta è la pri-
ma e la seconda parte del sacrato poema. Colai mia
credenza riceve la massima delle conferme (se pur
non erro) dai seguenti versi di maestro Giovanni.
Egli, mal prevenuto della volgar poesia tenta, ogni
via e ragione di rivocar da quella l'amico fiorentino,
sino a consigliarlo e scongiurarlo per ciò che i
poeti più alletta, la gloria, a desistere pur una volta
dialla continuazione della sua Commedia volgare, co-
me quella che primieramente violentava le muse ad
assumere una veste indegna, e secondamente veniva
senza riserva alcuna sprezzata da tutta la schiera dei
saggi: j^.
od
» Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo, •««
1 )» Et nos pallentes nihil ex te vate legemus ? "P
bf-.-^.n.:. . . , clerus vulgaria temnit. » i ' > . -fii
iido^r '■ MIT, óurr nof .o-'hr
Ed a éolennemente rinforzare la sua sentenza, ed ot-
tenere il pronto effetto del suo consiglio, non teme gio-
varsi del gravissimo argomento della veneranda e
classica autorità degli antichi verseggiatori :
v: ■■: . 'di.
w Praeterea nulius, quos inter es agmine sextusv 'i^
» Nec quem consequeris coelo, sermone forensi 'H
332 Letteratura
n Descripsit: quare, censor liberi ime vatum,
ti)) Fabor, si fendi paulum concedis habenas.
v»; Nec margaritas profliga prodigus apris,
'»^ Nec preme castalias indigna veste sorores. »
Qui sono due formali Dilazioni della Commedia; la
prima, Quos Inter es agmine sextus^ accenna e traduce
quel trinaro del quarto dell'Inferno, ove accolto Dante
nella compagnia di Omero, di Orazio, di Virgilio, di
Ovidio e di Lucano, di se stesso dice: « E più d'onore
ancora assai mi fenno, Ch' essi mi fecer della loro
schiera^ Si che fui sesto tra cotanto senno » (Inf. e. IV,
V. 100). E la seconda , iVec quem consequeris coelo^
si riferisce manifestamente alla compagnia di che
l'onora Stazio in persona dal ventunesimo canto a tutto
il fine del Purgatorio. Si vuol di più? supposto, che il
Del Virgilio non abbia veduto mai la Commedia ,
come sa egli che Dante stesso ne è il protagonista?
In fatti egli ciò mostrò di saper molto bene quando
scrisse, che esso era sesto coi poeti antichi nel Lim-
bo, e che ebbe a compagno Stazio nella salita del
sacro monte. Dunque^, olii sostener non voglia cho
questi due amici (Dante, dico, e maestro Giovanni)
avessero, per un miracolo non più udito, le stesse
idee, non può ammettersi l'ipotesi testé proposta, che
il poeta bolognese dettasse il Carmen prima d'aver
letto e ponderato tutto, quanto si estende, ^'Inferao.
ed il Purgatorio^^ih oin'unojnn «wf;;-., v;;n» I-I* ìvin'ì
Ma chi mai, dopo intese le seguenti ragioni, non
affermerà meco, lui aver già letto altresì un buon
tratto dello stesso Paradiso ? Continuandosi quel da
Bologna ad indicare ili proprio confine posto dal
CORRISPOND. POETICA DI DATATE 333
fiorentino poeta a ciascun dei tre regni, dice : « In-
dila .... epiphoebia regna beatis. » (luesCepiphoehia
regna determina senza manco nessuno il proprio
luogo, ove comincia, e donde s'innalza tutto l'im-
menso spazio del Paradiso di Dante. Per verità in que-
sta terza canzone, elevatosi il viatore dalla divina fo-
resta ver le celesti sfere, traversa l'aria, traversa il
fuoco e nulla persona incontra sul portentoso cam-
mino : finalmente addentratosi nella sfera lunare (la
più a noi vicina tra i sette pianeti) ecco che co-
mincia ad afFacciarsegli alcuna schiera di beati: pro-
segue il suo volo verso il cielo di Mercurio, di Ve-
nere, del Sole e di tutti gli altri pianeti e stelle su-
periori sino all' empireo, sempre beandosi in nuove
feste ed in nuovi tripudi distinti delle tante classi
dei lieti comprensori. Ond' è che veramente il re-
gno dei beati, principiato dalla luna, comprendendo
tutto quel tratto che di qui si eleva sino all'empi-
reo, esso pure compreso, poteasi con esatta proprietà
di concetto affermare che ai beati fu assegnato il
regno sopra lunare^ che tanto vale V epiphoebia regna
beatis. Ma siccome innanzi a Dante ninno (salvo Pla-
tone) immaginò il regno celeste ripartito in tal mo-
do ; così non saprebbesi ammettere che Giovanni del
Virgilio assegnasse con pari franchezza e verità que-
sti confini stessi al Paradiso dell'alta fantasia di Dante
senza averne prima esaminata, non che veduta, la sua
formale descrizione. Adunque, io ripeto una volta
ancora, chi disse al Paradiso della Commedia epi-
phoebia regna , questi già ne avea tenuto lunga-
mente sott' occhio una buona porzione. Laonde, ri-
capitolando il sin ora provato, si raccoglie, che mae-
334 Letteratura.
»tro Giovanni al tempo che dettava il suo Carmew
a Dante avea di già letto e tutto l'Inferno , e tutto
il Purgatorio, e non pochi dei canti che fan glo-
rioso principio al Paradiso.
Veramente non mancherà tra' miei lettori chi
possa farmi questa od altra simile istanza. Tutti sap-
piamo essere volgar credenza dc'cristiani, che le ani*
me sante si raccolgano nel cielo, e precisamente nel
decimo, il più elevato, che deoomìinano empireo.^ Co>-
nosciuta la sì fatta opinione , chiunque senza aver
letto verso del Paradiso di Dante potea di lieve sup-
porre, che questi, grave poeta e buon cristiano, abbia
assegnata ai beati i regni sopra lunari: che in ve-
rità come tutte le altre sfere celesti, l'empireo è su-
periore a quello dello luna. Non è certo adunque y
come qui si sostiene, che dRÌVepiphoebia regna beati&
si argomenti con tanta; certezza, quanta altri erede,
che maestro Giovanni avesse già veduto uè molta
riè poco del Paradiso dantesco.
Riconosco là forza dell'oppostomii argomento, e
concedo che, nella volgare opinione palliando, il Pa^
radiso Credesi collocato al di sopra della luna: agr^^
giungo anche volontieri, che col volgo potea uno
scrittore affermare, che il Paradiso è un regno sopra
lunare. Ma appunto perchè questa è la opinione vol-
gare, né fii seguita mài da alcutìo dei classici poèti
né latini,, he greci, dico e sostengo che questo non
potea, che questo non dovea supporsi del Paradiso
di Dante: Imperocché mi si fa, se non inòorapren-
sìbile, molto improbabile almeno, che un poeta scri-
vendo ad altro celeberrimo poeta intorno alla mec-
canica economia da esso adottata in un suo poema
CORRISPOND. POETICii DI llANtE 335
volesse affermare, lui aver colla poetica fantasia se-
guita ed incarnata la conìi unissi ma opiniohe che i
volgari credono sul regno degli eletti. Chi sa quanto
sia dilicata e quanto amante della novità e della
propria gloria un'anima poetica non ammetterà si fa-
cilmente codesta supposizione. Vero è non pertanto
di meno, che puossi affermare da chi già l'ebbe ve-
duta, che Dante ha dato per fondamento all'altissima
sua fantasia del Paradiso quasi la nuda e pretta opi-
nione del volgo: ma che Giovanni del Virgilio, senza
averla veduta in verso, ardisse scrivere all'autore tal
cosa, non sommelo proprio persuadere. Ma pur così
è: l'amico Giovanni scrisse in tal modo all'Allighieri,
né temette di offenderlo: dunque ben ei sapeva, e di
certa scienza conosceva se, e come, e quanto fosse
questo conforme al vero.
La nostra conclusione (che quando altri scriveva
al poeta fiorentino aver lui assegnato epìphoebia re-
gna heatis^ questi avea di già veduto un lungo tratto
dell'ultima parte della Commedia) comecché già certa,
si fa poi certissima per quello che nel medesimo
Carmen si aggiunge. Imperocché ivi si procede in
sì profonde distinzioni della struttura dell'Inferno e
del Paradiso; che per poco è affermato con espressa
loquela, che se Dante, ponendo la valle dolorosa nel
centro della terra, ed il regno beato nell' empireo
cielo, ha tenuto dietro al credere del popolo -, non
però fu tale quando assegnò e distinse in ciascun re-
gno le parti , l'economia e l'architettura rispettiva.
In questo fare diede tale una prova di scienza, di
criterio e di magistrale infrenazioue all' arditissima
sua fantasia, che non pochi letterati, nonché il volgo,
336 Letteratura
s'aflfaiicherebbero in vano a volerla in alcun moda
comprendere. Ondechè , al dire del vate bolognese^
non è pei volgari l'intelligenza della prima e terza
cantica , quantunque scritte in versi volgari , ed il
poeta indarno per loro a cotanta fatica si accinse;.
Ecco i suoi detti:
» Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo 7
•i««:Et nos pallentes nihil ex te vate legemus?
» Ante quidem cythara pandum delphina movebit
» Davus, et ambiguae Sphingos problemata solvei^
» Tartareus praeceps quam gens idiota figuret,
» Et secreta poli vix experata Fiatoni : »
Ora vorremo, o^ potrenr noi credere che il Del
Virgilio scrivesse di questa forma sulla difficoltà a
comprendere l'Inferno ed il Paradiso della- Comme-
dia come fa chi scrive di libri e poesie ch*^ ei noa
ha letta? Se cosi fosse per avveatura ^ che cioè il
poeta da Bologna avesse esposto questo su di una
semplice e vaga bucinazione, che Dante da lungo
tempo intendesse a tutt'uomo a comporre un poema
sui tre regni spirituali, con quale animo e con qual
buon criterio avrebb'egli talmente esagerato la dif-
ficoltà che gli idioti ed i savi giugnessero mai ad
immaginare quel suo poetico edifizio? Ed anche per-
chè mai si parla cotanto della difficoltà a figurarsi
l'Inferno ed il Paradiso, intanto che nulla , affatto
nulla, si dice sull'intelligenza del Purgatorio? E vero
in fatti che lievissima è la intelligenza di questo se-
condo regno montano, intanto che difficilissima ve-
rameiUe' è quella del primo e dell' ultimo. Ma se
CORRISPOND POETICA DI DANTE 337
Giovanni non avesse innanzi tratto veduto la com-
posizione della prima, della seconda, ed anche della
terza cantica, come bastava egli, non dico ad imma-
ginare, ma ne anche solo a sognare la sì strana di-
versità? Per mia fé, se l'uomo avesse voluto supporre
che Dante in questa poesia abbia preso a modello
Virgilio (come far dovea chi mai non lesse la propria
descrizione della Commedia ) facile era ai lettori
l'intendere ed immaginare la struttura dell'Erebo e
degli elisi visitati dal pio Enea, più che facile poi
l'immaginare l'Inferno che Omero fa visitare al pru-
dente Ulisse : né non difficile sarebbe stato l'imma-
ginare tutte le goffe costruzioni dell'inferno descritte
dai romanzi e dalle varie leggende, che in ogni paese
a quei dì correano per mano della plebe. Ma per
contrario con assennato ragionare si afferma dal poe-
ta, che più facilmente avrebbe Davo colla lira tratto
a se il delfino, e disciolti i forti enimmi della Sfin-
ge, di quello che la gente idiota riesca mai a figu-
rarsi l'Inferno ed il Paradiso di Dante. Come asse-
rire questo , io ripeto , se chi dice non aveane co'
propri occhi riconosciuta la difficoltà? La quale in
vero è tale, e tanta pel solo Inferno, che i più gran-
di uomini ed i più profondi architetti e matematici
vi penarono molto e molto per intenderla ed adom-
brarne la fìguia in carte. Ne questa difficoltà, che
già sembra massima nell'Inferno, si fa minore: che
anzi cresce a mille doppi nella cantica del Paradiso.
Il perchè assennatamente disse maestro Giovanni :
» Et secreta poli vix experala Platoni. »
338 Letteratura
Certo sì, il secreto ineccanisino di tutto il Paradiso
dantescjo è così recondito e seminato di tai difficoltà
ed astruserìe scientifiche d'ogni fatta, che il Del Vir-
gilio così poco ne intendeva quanto alla struttura ce-*
lestiale) che non risparmiato se stesso, tutto che let-
terato e poeta, affermò che soltanto, anzi appena Pla-
tone basterebbe a quella comprendere tutta ed am-
mirare : vix exsperata Fiatoni. La qual frase dall'an-
tico postillatore si risolve in ex spera tracia, quasi
a dire tratta fuori dalla oscurità che involve la
scienza della sfera celeste. In fatti Dante non descrisse
solo che lo stato delle anime beate in Paradiso, ma
facendosele venire incontro in ciascuna delle nove
sfere mobili, seppe meglio che gli antichi poeti in-
nestare alla descrizione della beatitudine anche la
scienza fìsica, metafisica ed astrologica ( così allor
s'appellava la scienza dei cieli) in tutta la sua esten-
zione, secondo che a quei tempi era conosciuta. Però
chi non è bene addentro nella cognizione della uni-
versale scienza filosofica antica, è niente che riesca
a figurarsi il dantesco Paradiso. Né qui havvi per
noi esagerazione alcuna: è Dante che di questo ne
fa scorti là sul cominciare del secondo capitolo di
questa ultima parte. « 0 voi che siete in piccioletta
barca (ei grida ad ogni lettore) Desiderosi d'ascoltar
seguiti Dietro al mio legno che cantando varca. Tor-
nate a riveder li vostri liti, Non vi mettete in pela-
go*, che forse Perdendo me, rimarreste smarriti. L'
acqua, ch'io prendo, giammai nonlsi corse, Minerva
spira, e conducemi Apollo, E nove muse mi dimo-
stran l'Orse. Voi altri pochi, che drizzaste il collo
Per tempo al pan degli angeli, del qual Vivesi qui,
CORRISPOND. PMITICA DI DANTE 339
tna non sen vien satollo, Metter potete ben per l'alto
«ale Vostro naviglio, servando mio solco Dinanzi all'
acqua che ritorna eguale. Quei gloriosi che passaro
a Coleo, Non s'ammiraron, come voi farete, Quando
lason vider fatto bifolco ». A sì solenne, a sì cal-
zante ammonizione, mirava di fermo maestro Gio-
vanni quando disse del Paradiso :
« Et secreta poli vix experata Fiatoni. »
Imperocché traducendo ben tosto in latino questi
medesimi concelti, a mostrare che Dante nei versi
volgari invano si promette l'attenzione dei sapienti,
pei quali, e non per gli idioti, si dichiara aver det-
tato il Paradiso, così parla in persona di lui; e tosta
gli risponde :
• w Non loquor his, immo studio callentibus^ inquis\
H Carmine sed laico : clerus vulgaria temnit,
<-») Etsi non varient, quum sint idiomata mille. »
Dissi che qui è traduzione : in fatti il non loquor
his^ che son gli idioti, risponde all'O voi che siete
in piceioktla barca ..,. Tornate a riveder li vostri liti,
che io non parlo a voi. E queìVimmo studio callen-
tibus è il voi pochi, che per tempo drizzaste il eolio
al pan degli angeli, metter potete vostro navigio ec.
Avvertasi in conferma di questo che l'amico da Bo-
logna non scrisse tu dirai , inquies , come usa chi
vuol prevenire una risposta che gli possa venir fatta;
ma assolutamente inquis, tu dici, al modo di chi at-
tende a ribattere l'altrui espresse ragioni. Dunque
340 Letteratura
non rimane dubbio che maestro Giovanni g'ik sa-
peva di certa e propria conoscenza, che nel poema
di Dante, e massime nel Paradiso, era volgare il ver-
so, ma ricco di profonda dottrina il concetto , così
che appena Platone avrebbe saputo ammirarne la
piena bellezza. Però non meravigli alcuno che noi
dopo tali argomenti e premesse passiamo a conchiu-
dere definitivamente, che l'autore del Carmen esami-
nato conosceva per propria lettura, non pure le pri-
me due, ma si anche una non breve porzione dei
canti dell'ultima parte della Commedia.
Il processo da noi seguito per giugnere a que-
sta conclusione fu per guisa rigoroso nei raziocini,
grave nelle testimonianze allegate e concatenato nelle
susseguite deduzioni , da prometterci favorevole il
suffragio di tutti i nostri lettori. Conciossiacosaché
certo è che niun uomo assennato si accinge a par-
lare di un poema ch'egli non conosca; molto meno
ciò farà discorrendo con altra persona valente; e me-
no ancora quando di quello ne parli, anzi quando
ne scriva al proprio autore, e ad un autore della
tempera che fu Dante Allighieri. Laonde tutti saraa
inéco ad afFermare, che poiché maestro Giovanni del
Virgilio entra con franca parola sul minuto giudi-
zio dello spirito principale di ciascuna parte della
Commedia con un solenne poemetto latino al poeta
autore, é tra le cose ragionevoli il dire e sostenere,
che egli ebbene innanzi avuta chiara, distinta e piena
cognizione : questo però non potè essere che previa
una posata lettura di quella composizione : dunque
è tra le cose certe che maestro Giovanni, all'epoca
del 1319, ebbe tra mano, oltre tutti quelli della pri»
CoRRISONND. POETICA Di DANTE 341
ma e della secenda, anche parecchi canti dell'uliima
parte del sacrato poema. Né ciò solo oso dire , ma
quindi mi spingo ad asseverare che a quell'epoca
stessa già era universalmente divulgata la Commedia,
non pure nelle intere prime cantiche, ma ed oltre
alla metà anche nella terza. Ondechè probabile si fa
e la narrazione del Sacchetti della severa lezione data
al ferraio, e della forte batacchiata che Dante adi-
rato diede al mulattiere che dicean male il suo li-
bro (1) : e il fattarello delle femmine di Verona
che, udendo lui, « Ecco dicevano, verso Dante, colui
che va per l'inferno e torna quando a lui piace, e
qua reca novelle di quelli che laggiù sono ». Di vero
anche Filippo delli Stabili, più noto sotto il nome
di Cecco d'Ascoli, nel suo poema l'Acerba, pubbli-
cato molto innanzi dell'anno 1327, in cui morì, non
lascia di criticare l'Inferno di Dante come se questi
fosse vivente ad udirlo, né si dimentica di dire che
Beatrice conduce seco il suo amante in Paradiso (2).
E messer Cino da Pistoia non prima intese la morte
del suo amico Dante, avvenuta in Ravenna, che to-
sto dettò una caldissima canzone in sua lode, nella
cyi licenza, imprecando a Firenze le dice: « ....Ben
puo'trar guai, Ch' omai ha' ben da lungi al becco
l'erba. Ecco la profezia che ciò sentenza: Or é com-
piuta, Fiorenza, e tu'l sai . . . » (3). Ma senza ciò
fa cenno al santo fine di tutta la Commedia dicen-
dola « L'acqua, nella quale si polca specchiare Cia-
(i) Novelle di Francesco Sacchetti. Novella 114.
(2) L'Acerba lib.2, cap. 1.; lib. 3, cap. 10 e iib. 1, cap. 2-
(3) Canzone : « Su per la costa, amor de l'alto monte.
342 Letteratura
scun del suo errare, Se ben volem guardar nel
dritto segno » (1). E qui, per tacer di altre men :
decisive, si aggiunga la validissima testimonianza
dell'Ottimo Commento (come da molti si appella), il
cui autore, già amico e famigliare di Dante , con-
forta alcuna fiata le sue chiose come se le avesse
udite dallo stesso poeta a tal uopo espressamente in-
terpellato (2). Cose tutte, fatti e parole che presu-
mono nel 1319 l'universale divulgazione di presso
che tutta la divina Commedià.'^^'»^'^''''* I»'j9.;(;' ' o '•
Ben so io che a sì forti ed esplicite conclusioni
si opporrà da taluno la sentenza di Ugo Foscolo:
il quale sostenendo a suo modo, che Dante non ptìb"
blicò mai verso del poema, sia per cessare la per-
secuzione del clero e dei potenti e delle città in
quello infamati, sia per poter innestare nel suo la-
voro tutti quei nuovi fatti, che mano mano si pre-
sentavano, ad infamia degli avversari, ed a commen-»
dazione degli amici : pure concede che Gino da Pi-
stoia possa « aver indotto l'autore a lasciarli cono-
» scere alcuni tratti sconnessi del suo gran poema;
» e più forse che non erano noti a moltissimi. >»
Inoltre lascia comprendere che più ancora ne cono-
scesse Cecco d'Ascoli (3). Né dissente dal supporre
che alcuni canti del Paradiso fossero anchef mostrati a
Can Grande della Scala (4). Ora soggiungeranno gli
ìMiìì tl> 9nii oJnnfc ir. onnoo «1
f ■ • . ' I , I . ! .
(!) « l'penso ch'egli è secca quella fonte — Nella cui acqua si
potea spacchiare — Ciascun del suo errare, — Se ben volem guar-
dar nel dritto segno. » —
(2) Inf. e. X, V. 85, e e. XIII, v. 144.
(3) La Commedia ec. illustrata § CLXIV.
(4) Ivi $ LXXXIX.
CORRISPOND. POETICA DI DANTr 343
oppositori, come l'ebbe Gino da Pistoia, Cecco d'A-
soli e Cangrande , cosi potè averne notizia privata
e ristretta anche l'amico maestro Giovanni Del Vir-
gilio; e su questa lieve cognizione privata di alcuni
canti separati poteva agevolmente ragionarli, come
nel suo Carmen fa, di tutta la Commedia e della in-
superabile arduità a pienamente comprenderla. Il
perchè non è vero che dalla poesia latina di mes-
ser Giovanni si arguisca la pubblicazione della Com-
media, vivente l'autore.
Questa opposizione , comecché appoggiata alla
sentenza di un rinomato autore , è più debole che
altri non crede. Ugo Foscolo , a quanto rilevo dal
suo discorso sul testo della Commedia, ove non ne
fa parola , non seppe di questa poetica corrispon-
denza tra Dante e maestro Giovanni. Se l'avesse co-
nosciuta, certo avrebbe o mutata opinione, o studiato
nuovi sotterfugi per evadersi dalle potentissime dif-
ficoltà che indi gli si attraversano. Perocché visto
come in esso carnieri si toccano distintamente certe
cose che fan certo arguire la cognizione di tutto il
poema, avrebbe trovato qualche scappatolo come
fece coU'ascolano dicendo , che gli fu comunicata
la commedia segretamente, il quale fu condannato
nel 1327 dal santo uffìzio. Facendo così sospet-
tare che questi fosse in secretissima lega di setta
con Dante. Ma questo non è che un gettare una spa-
ventosa nube agli occhi dei lettori perchè non veg-
gano più avanti. Vano sotterfugio: l'Ascolano critica
e deride nell' Acerba non uno , non due canti , ma
quasi tutto l'Inferno: e lo fa con quella sua naturai
albagia, che Io svela invidioso della fama, che pel
344 Letteratura
poema Dante universalmente godeva : il che distrug-
ge affatto il supposto consorzio di setta. Gino poi
parla del libro di Dante per guisa, che fa compren-
dere essere stato cognito non pure a se, ma comu-
nemente ai letterati di quel tempo. « Io penso eh'
egli è secca quella fonte (cosi lamenta la morte dell'
Autore) Ne la cui acqua si polca specchiare Ciascun
del suo errare. Se ben volem guardar nel dritto se-
guo. » Qui s' intende senza meno della Commedia,
e se ne parla come di libro non riservato, non raro,
ma alla mano di tutti : « Nella cui acqua sì potea
speechiare Ciascun del suo errare. » In mia fé diffi-
cilmente ciascuno potrà specchiarsi in un'acqua ge-
losamente occultata. Dunque di niuna forza è contro
noi la fatta obiezione , come quella che poggia su
delle false supposizioni.
Qui però non mancherà chi nuovamente instan-
do ripeta, che ben si concede che il testo della Com-
media fosse a cognizione di alcuni amici dell' au-
tore, tra' quali maestro Giovanni, ai quali fosse dal
poeta con somma riservatezza mostrato, o anche man-
datane copia : ma che pur tuttavia la natura stessa
del libro fa chiunque persuaso, che non dovesse
mai venir pubblicato dal proprio autore, se pur vo-
leva cessare le più gravi persecuzioni.
Né questo pure si concede. Primieramente chi
crederà che Dante, supposto dal Foscolo cosi guar-
dingo e timoroso da nascondere il poema per non
arrischiare la vita , volesse poi lasciarne copia ad
alcuni amici ? E non era questo l'esporsi a certo ri-_
sico che, discoperto il satirico suo lavoro da quella
esagerata moltitudine di nemici, che il Foscolo enu-
CORRISPOND. POETICA DI DaNTE 345
mera, fosse quando che sia, e quando raen l'aspet-
tava compromesso nella pace e nella vita ? Era in-
fatti tra i possibili eventi, e che il trasmesso ma-
noscritto cadesse tra via nelle mani degli invidi : e
che in quei tempi dalle parti travagliatissirai, quando
molti mutavan parte dalla state al verno , l'amico
stesso, cangiatosi d'opinione, producesse contro l'au-
tore, qual corpo di accusa, alla parte avversa l'esem-
plare della Commedia. Il perchè non è chi non ve-
da che inammissibili in qualunque modo ritornano
tutte quante le fatte opposizioni.
Se non che a qual dei lettori non tornassero suffi-
cienti le addotte risposte, quasi che gli sembrassero
intessute di gratuite lagioni; abbiane qui altre che
a quelle faranno opportuno ed incrollabile appog-
gio. Né queste traggonsi altronde che dalla stessa
poetica corrispondenza, di che abbiamo cominciato e
continuato a ragionare. Io dico adunque che dalle
poesie di maestro Giovanni si desume con tutta la
desiderabile certezza, che nel 1319 al volgo, non che
ai letterati, era noto e saputo quasi tutto il sacrato
poema. In fatti opinando l'amico Giovanni che non
sia da comporre di cose scientifiche nel verso vol-
gare trascurato dai letterati, aveagli detto che il volgo
non intende, e che per arroto colla mala pronunzia
espone sulle piazze alla pubblica derisione il suo
dettato :
)» Quae tamen in triviis numquam dìgesta coaxat
» Comicomus nebulo, qui Flaccum pelleret orbe ».
Non è questo un aperto dire : Il tuo poema è pei
G.A.T.CXVI. 23
346 Letteratura
trivi ignorantemente gracidato da tai buffoni comici
che costringerebbero Fiacco, se ci fosse, a fuggire del
mondo ? Certa cosa è che il latino usa verbo sprez-
zativo e di tempo presente ( coaxat ) : certa cosa è
che questo fatto, come a tutti noto, lo scrivea Gio-
vanni direttamente a Dante; il quale se, come testé
venne supposto, a lui solo avesse confidato un esem-
plare della Commedia, poteva e dovea dirgli indi-
gnato : Se il buffone lo gracchia pei trivi, il primo
buffone fosti tu, messer Giovanni mio, che hai fatto
pubblico uno scritto che a tutto rischio della mia
persona confidai al tuo più alto segreto. Questa ri-
sposta sarebbe stata ben naturale : ma Dante non la
fece, e l'amico senza temerla, e senza offender l'a-
micale segreto, ha potuto dirgli che la sua poesia:
In triviis comicomus nebulo coaxat. Laonde abbiasi
per fermo che nel 1319 quasi tutta la divina Com-
media era e pubblicata, e divulgata, e cantata dai
buffoni pei trivi e sulle piazze.
In verità che se gli uomini fatti men cavillosi
fossero più docili alla voce del vero, non sarebbero
abbisognate tante parole a far riconoscere ed accet-
tare per genuina la nostra illazione. Bastava pure
l'ingenua lettura dei versi di maestro Giovanni per
udirsi confermare dal proprio intimo senso, che quivi
parlasi della Commedia come di un libro notissimo
a tutti i letterati, ma poco da essi apprezzato , ed
universalmente così divulgato nel popolo che correa
per la bocca di tutti i zanni. Di fermo non era que-
sto il principio del Carmen ?
CORRISPOND. POETICA DI DANTE 347
» Pieridutn vox alma, novis qui cantibus orbem
)t Mulces lethifluum, vitali tollere ramo
»► Dum CLipis, evolvens triplicis confinia sortis ....
» Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo ?
» Et nos palleutes nihil ex te vate legemus ? »
Vale a dire : « 0 tu che da tanti anni vai blan-
dendo il mondo corrotto ( ove i sapienti non eran
cerapresi) con versi di nuovo idioma , perchè con-
tinuerai tu ancora a gettare le preziose tue sentenze
al volgo; e noi, fatti pallidi all'ombra di Parnaso, non
leggerem mai nulla di tuo nel linguaggio dei dotti? »
« Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo? » In
verità che è ormai tempo di finirla con questo tuo
continuo cantare della Commedia. » Tale è il com-
pendiato, ma vero concetto dei versi allegati. Ove però
alcuno (ammesso questo per verissimo, quale ce lo
presentano le parole), dubitasse tuttavia se il libro
gracidato pei trivi e a tutti noto comprendesse tutta
la Commedia, o alcuni tratti soltanto , giugnerebbe
opportuno quel brano, con che Dante nell' egloga
risponde all'amico da Bologna:
»... Quum mundi circumflua corpora cantu,
» Astricolaeque meo, velut infera regna, patebunt,
» Devincire caput hedera lauroque iuvabit. »
Che in sentenza viene a dire: «i Allorquando col mio
canto avrò reso a tutti cogniti e manifesti i corpi
celesti, ed i loro abitatori (Quum mundi circumflua
corpora, astricolaeque patebunt ), come già lo si sono
i due regni inferiori, il Purgatorio e l'Inferno (ve*
348 - ì;^/(i mLetteratura ì8Wiio3
hit infera regna), allora, dico, io penserò a coronarmi
di edera e di alloro. Quindi l'autor dichiara all'ami-
co che l'Inferno già era pubblicato , e che simil-
mente già lo era il Purgatorio, ma che a quel tem-
po era tutto sul metter fine al Paradiso per tosto
mandarlo alla luce. Dunque nel 1319 per attesta-
zione espressa dell'autore, già essendosi fatta quella
delle prime due, più non mancava che la pubbli-
cazione della cantica terza ed ultima. Se non che
noi ci siamo testé avveduti per le sue parole e sen-
tenze, che il Del Virgilio avea già conosciuto alcuna
cosa anche del Paradiso , solo però ci era dubbio
se in tutto, o lo conoscesse soltanto in alcuni de'suoi
canti. Ora nel sentire dal poeta che questa parte non
era ancor cosi manifesta come le prime due, siara
fatti scorti che di vero il Paradiso non era intera-
mente né pubblicato, né finito, ma che pur ciò non
ostante neppur era al tutto sconosciuto. Tanto si rac-
coglie dalle parole di Dante, il quale non dice che
il Paradiso non era al tutto noto; ma che non lo
era al modo stesso, ciò è interamente, come lo erano
e l'Inferno ed il Purgatorio : u Quum mundi cir-
» cumflua corpora, astricolaeque, velut infera regna^
patebimt ». In tal modo ci si mostran d'accordo e
l'amico che discorre coli' autore sulla difficoltà di
questa cantica, e l'autore che risponde all' amico :
« Sono occupato a terminarla per farla tutta pubblica
essa pure, come le prime due già lo sono ». Però
dicono vero ambidue insieme, e noi da loro appren-
diamo, che poco più mancava al pubblico per al-
lietarsi nell'armonia dell'intera Commedia.
Parrà di qualche rilievo (certo io lo spero) que-
CORRISPOND, POETICA DI DANTE 349
Sta asserzione, come quella che, mantenutasi confor-
me alla sentenza di maes^rio Giovanni , ha .ottenuto
l'esplicito suffragio dello stesso Allighieri. Ma ove
un mio giudizio fosse approvato, noi potremmo af-
fermare, con molta probahilita^di bene apporci, che
il poeta era di quei giorni inteso agli ultimi dieci
canti. Dirò in breve per quali indizi mi lascio con-
durre a cosi fatto pensare. Esternato che ebbe Dan-
te^ sotto nome di Titiro, all' amico Melibeo , come
egli non volea pensare al poetico alloro se non com-
piuta la Commedia, si rifa destramente sulle oppo-
sizioni che in disprezzo del suo poema volgare gli
scrisse l'amico Del Virgilio : e ripetutele tutte una
per una, quasi che gli fossero parute forti si, m^ tali
ad ogni modo che ei potesse a soprabbondanza su-
perarle colla maestria degli ultimi canti del Paradiso,
così, in risposta a Melibeo, continua: » >ii,-^(.j
•filli pi j«
Tit. « .... Quum mundi circumfluri corpora cantu if^
» Astricolaeque meo, velut infera regna, patebunt,
» Devincire caput hedera lauroque iuvabit.
» Concedat Mopsus ? ( Melib: ) Mopsus, tunc ille,
quid? inquit.
TU. « Comica nonne vides ipsum reprehendere yerba,
») Tum quia foemineo resonant ut trita |abell Tum quia castalias pudet acceptare sorores ?
» Ipse ego respondi : versus iterumque relegi,
, » Mopse, tuos. Tunc ille humeros contraxitj et,,
Melib. Ergo ;•■. ■•. i.., óìj ,. .nu-nii .r. n
» Quid faciemus, ait, Mopsutn retii^eaire vtAétìtes-?''
TU. » Est mecum, quam noscìs, ovis gratissima, ctixji,
» Ubera vix quae ferre potest, tara lactis abuudans,
350 Letteratura
» (Rupe sub ingenti carptas modo runrvìnat herba*)
'-»!» Nullo iuncta gregi, nuilis assuetaque caulis,
» Sponte venire solet^nuroquam vi posceie mulctran»:
» Hanc ego praeslolor manibus mulgere paratis-
■ ^»' Hac implebo decena missurus vascula Mopso ».
La pecorella fecondissima di latte, docile a Titiro, e
sopra ogn'altra a lui cara, la quale ruminava allora
allora le colte erbette alPombra d'^una rupe ingente,
io la interpreto per la feconda fantasia, cioè la musa
italiana, di Dante: la quale prontissima ad ogAi sua
brama poetica si prestava usualmente al suo verseg-
giare. Or questa fantasia, raccolte già le cognizioni
opportune, stavasi meditandole all' ombra d'un'alta
montagna, che è la filosofia, cioè tutto il corpo delle
scienze. In fatti ruminare figuratamente significa ri-
passare colla mente le concepite idee: e questo non
si fa utilmente che all'ombra, cioè coU'aiuto, della
filosofia, che è la vera .sapienza ordinatrice, propria
ed unica delle mentali nostre operazioni (1). Il per-
chè Dante rispose a Melibeo, che attendeva la sua
mistica pecorella, da cui mungerà tosto dieci ma-
stelletti di latte, simbolo di altrettanti canti della Com-
media, per mandarli a Mopso: acciocché, sottintendi,
veduto sì bel dono muti pensiero per modo sulla
(1) Dice monsignor Dionisi (nota a questo verso, Aned. IV):
" Con questa rupe smisurata volle il poeta accennare il monte al-
n tissimo del Purgatorio, a fornir la cantica del quale egli allora
» era intento. » Ciò mi è veramente inconcepibile. Poichft la can-
tica seconda, così come la terza e la prima, è un latte proceduto dal
ruminare dell'agnella di Dante; or come stavasi questa ruminando
all'ombra del monte del Purgatorio, il quale fa parte integrale del
medetimo latte ? fi mn3 f}«;)Joq O'il^i Oftfjp xi/ Ijioulj >
CORRISPOND. POETICA DI DANTE 351
Commedia, da dover credere il suo autore degno
della poetica corona. Che questa fosse la intenzione
di Dante in quelle parole simboliche, di far ricre-
dere l'amico Del Virgilio (sotto nome di Mopso) in-
torno al merito della sua commedia col misterioso
dono del latte, lo si rileva necessariamente dall'es-
sere essa r unica risposta a Melibeo , che udita la
contrarietà di lui alla rima volgare chiedeva a Ti-
tiro: (( Quid faciemus Mopsum revocare voletitesì Ec-
co che faremo, disse Titiro : Est meeum ovis gra~
tissima^ hac implebo deeem missurus vascula Mopso.
Lo convertirò, gli farò mutar parere, con questo nuo-
vo regalo. Che se a questo non fosse stata diretta
l'intenzione di Dante con quelle parole, egli ( cosa
incredibile) non avrebbe dato risposta al quid facie-
mus Mopsum revocare volentes di Melibeo : che in
vero altra non ne trovi per tutta l'egloga esaminata,
lo pertanto, persuaso che i dieci vasetti di latte
regalati a Mopso per rivocarlo siano figura di al-
quanti capitoli del Paradiso, che le prime cantiche,
come provato è, già eran compiute e pubblicate :
e ritenuto che già era nota in parte anche questa,
ma non interamente ; e considerato che Dante vo-
leva pur convincere 1' amico che la poesia volgare
può quanto la greca e la latina farsi degna dell'al-
loro : aggiunto pure che Dante questo non volea
( e lo dice espressamente) se non compiuta la Com-
media : io per tutto questo rilevo che le dieci mi-
sure di latte della carissima agnella di Titiro siano
il vero simbolo degli ultimi dieci canti che ancor
mancavano al pieno compimento del poema sacrato:
i quali però non erano a quei giorni composti, ma
352 lY/y'; Letteratura > /ì
l'autore intentamente vi si era occupato : Rupe sub
ingenti carptas modo ruminai herbas: hanc praestolor
manibus mulgere paratis.
La nostra dedu zione sembra in parte conforme,
ed in parte contrar ia alla costante tradizione del poe-
ma. Dalla quale sappiamo che l'autore mori senza
aver pubblicato gli ultimi tredici canti del Paradiso:
i q,uali pur nondimeno erano composti essi pure, ma
giacevan cosi gelosamente celati, che fu quasi mira-
colo il rinvenirli. Laonde come può dirsi con verità^
che il poeta promette gli ultimi dieci canti all'ami-
co, quando sappiamo, che non solo questi, ma ben
tredici ne mancavano a far compiuto il volume? Que-
sto par vero: ma chi sottilmente consideri le parole
dell'egloga s'avvedrà, che Tiliro non afferma espres-
samente , che manderà questi soli dieci vaselli di
latte, ma si che ni ugnerà dieci vaselli da mandare
a Mopso; colle quali parole non vieta che con que-
sti dieci da mugnere tra bieve sia per mandarne
tre altri munti nella stessa giornata. In somma Dante
transuntivamente fa noto che attendeva alla tessitura
degli ultmi dieci canti da inviare all'amico: mala-,
scia luogo a supporre che a questi avrebbene ag-
giunto alcun altro , poco prima ultimato , per dar
compimento a tutto il poetico lavoro. .iNioun óm\
;: Non so se tutti i miei lettori ammetteranno, laf
fwesente interpretazione, la quale per verità deter-
minerebbe in quale stato fossie tutta la Commedia
nel '13<19j So pur nondimeno che ad alcuno potran
s,orgqre itii mente due obiezioni, che, comechè a me
sewferiÌpo,,)jeyi:^4;. inammissibih da una critica rigpn
¥9^j,!pvvrPi ppapnancherà chi le creda forti ed in-
CORRISPOND. POETICA DI DANIE 353
superabili. Per tanto a questo luogo non so dispen-
sarmi che dell' una e dell' altra non faccia parola.
La prima opposizione può essere contro al senso
ch'io diedi a\ mundi circumfliia eorpora^ astric.olae-^
que^ che io interpreto per una circonlocuzione della
sola cantica del Paradiso: contro la opinione di mon-
signor Dionisi, che coU'antico postillatore dell'egloga
la intende del Paradiso e del Purgatorio. La seconda
è contro alla spiegazione dei dieci ^-asetti di latte ,
nei quali monsignore non ravvisa che pur il mito
della stessa egloga prima. In fatti, per farci alla pri-
ma difficoltà , il postillatore, e con esso il Dionisi,
spiega così : > Serta parata libi; nulla est cessura voluplas.
» Huc ades: bue venient, qui te pervisere gliscent
» Parrhasii iuvenesque senes, et car mina laeti
» Qui nova mirarl, cupianlque antiqua doceri. >»
Non è egli questo un dirgli; Gradisco il dono nel latfe
della tua pecora simboleggiato, ma sarammi assai
372 Letteratura
più grato se a me Io recherai tu stesso ? tu vieni
alla casa del tuo amico, porta la promessa poesia con
teco, e nel recitarla riscuoterai la maraviglia dei sa-
pienti, che qui trarranno a farti corona.
Essendo ferma pertanto l'asserzion mia, che me-
glio dell'egloga, come dice il Dionisi, il latte rega-
lato da Titiro a Mopso sia mito di alquanti capitoli
del Paradiso : mi giova sperare che non pochi de'
miei lettori converranno con meco. Ma ove contro
l'aspettazion mia ei la sentissero diversamente , sìa
pure con loro pace : e non per questo ne avverrebbe
danno veruno al mio assunto principale ; che cioè
Dante abbia pubblicato innanzi il 1319 tutto il poe-
ma, salvo gli ultimi tredici cauti. In questo la mia
proposizione fu sostenuta da argomenti tali, e mi si
mostra in ogni sua parte così naturale, così conse-
guente, e così voluta da tutto il contesto della cor-
rispondenza di Dante e di maestro Giovanni; che io
penso doversi registrare tra le notizie più certe e
più utili ai chiosatori, che intorno alla divina com-
media ci siano pervenute.
(Sarà continuato)
373
INDICE DELLE MATERIE
CONTENUTE
NEL TOMO CXVI, VOL. 346, 347, 348
DEL GIORNALE ARCADICO
SCIENZE
Chelint, Dì alcuni teoremi del Gwss relativi alle sm-
perfide curve (^Continuazione e fine.) . . . pag. 3
Cialdi, Ultime diaposizioui date ai lavori sul porto
canale di Fiumicino » 21
Tortolinij Sulla riduzione di alcuni integrali definiti ai
trascendenti ellittici ec » 137 e 265
Vaccolini j DelV economia pubblica in accordo colla
morale , ...» 185
Coppi, Relazione sulla tariffa e sulla libertà di fare
e di vendere il pane » 201
Caro^ Corso elementare di fdosofia , . . . . » 297
LETTERATURA
Pa RignanOj Ragionamento intorno al Cristoforo Co-
lombo del Costa ...» 51
Rambellij Traduzione del primo libro delle quistioni
accademiche di Cicerone f Continuazione e fine.) » 132
WittCj Quando e da chi sia composto l'ottimo comento
di Dante » 210
— Alcuni supplementi alla bibliografia dantesca del vi-
sconte Colomb de Batines » 233
Capozzij Sulle antiche milizie romane . . . . » 310
Ponta j Sulla corrispondenza poetica di Dante e di
Giovanni del Virgilio » 326
SCIENZE
*7"V Tortolinij Sulla riduzione di alcuni in-
tegrali definiti ai trascendenti ellitti-
ci ec. . , . . pag. 265
CarOj Corso elementare di filosofia, d 297
LETTERATURA
Capozzij Sulle antiche milizie romane.» 310
Pontttj Sulla corrispondenza poetica di
Dante e di Giovanni del Virgilio. » 326 li^^^