(!mm GIORNALE m SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 184S 1} nrf fi 4 ARCADICO D I SCIErVZE, LETTERE ED ARTI Voi. CXV. Aprile, Maggio e Giugno 1848 \ RoniA Tipografia delle Belle Arli 1848 SSl^lf^^ Alcune formole sul calcolo dei residui e loro applicazione. Memoria di Ercole Roselli. (Continuazione.) §• !'• Prime proprietà generali dell'equazioni algebriche appartenenti alle radici reali. V edule le prime proprietà generali comuni alle radici reali ed immaginarie, l'ordine vuole che si proceda a quelle, che si appartengono esclusivamente alle ra- dici reali. Quindi questo paragrafo conterrà due pro- posizioni coi corollari 5 ove spero che saranno de- gne di qualche considerazione le nuove dimostrazio- ni, che uso per dimostrare le proposizioni. Siccome credo che l'antecedente paragrafo non sia stato no- ioso sì per la novità del metodo, sì ancora per qual- che nuova proposizione; presentemente ancora credo che questo non sarà disgradevole pel metodo nuo- vo, di cui si arricchisce l'analisi algebrica. Proposizione 7. = La equazione S- ^ C(__1__C O y(^) -n ^({x =+: a)) ^\<; d= ò)) ^'"'^{(x =t h)) i\ 4 Scienze avrà laute radici reali positive , quante alternazioMi di segni s'incontrano tra i suoi termini; tante radici reali negative, quante sono le successioni. Dimostrazione. =: Chiamando n il numero delle radici reali positive n- quelle delle radici reali negative, così che n = n -i- ìi' dalla proposta equazione avremo le seguenti donde per la prop. 3 e dal coroll. 1, saranno valendo il segno superiore quando u è pare, l'infe- riore quando è dispare; ^({x -t- 6)) ^((^ -h d)) ■ ■^'"' -*- A"a;""-« -t- BV"-2 -h .. 4- K'^a; + H ma vedemmo nella prop. 3, coroll. 7 sempre sussi- stere la equazione Calcolo de'residui 5 ^((.^ - «)) ^(T.?+i7r "^ (C^^Ta)) ^ *^ dunque conseguiremo Ix"'— X'x'"~' -+■ B'x"'-'— . .K'a7 d= H'] X ^((x-a)) ^'((x-6)/^-^ ({^ - A)) ^ ^((x-fl)) ^{(.r-è))^-^ ((^ - h)) la quale dimostra che avremo n' alternazioni, ed n" successioni di segni, cioè l'une quante sono le radici reali positive e le altre radici reali negative. CoroU. 1. «Essendo tutte le radici reali positi- ve, avremo alternazioni di segni, essendo tutte ne- gative successioni : lo somma poi delle alternazioni e successioni dei segni eguaglia il numero delle ra- dici. Coroll. 2. »=» Se nella equazione \{a: rt a)) ^ ({x rfc ò)]^'"^{.x ±z /,)) compiuta nel suo numero dei termini, in cui i se- gni di questi si succedono con qualunque ordine di alternazioni e di successioni, si prenda un altro re- siduo in quanto ad X =: m, la nuova formola dovrà avere necessariamente un'al- ternazione di segni di più della proposta : e se pren- 6 Scienze desse il residuo in quanto ad x = — m la nuova formola avrebbe una successione di più della proposta. Lo stesso corollario si estenderà a qua- lunque numero dei residui, che si volessero prendere. CoroU. 3. =! Se una equazione ha tutti i segni alternativi, non potrà avere nessuna radice reale ne- gativa; e se ha tutti i segni positivi, non potrà avere nessuna radice reale positiva. CoroU. 4. — Avendosi la formola 1 1 „ a:" -4- a;»-' 4- ^""^ -t— -1- ^ -^ ^ C//7 A\\C/-0 n^ __ lu -^ ^{{x- a)) ^({x - b))^ ^ {{X - h)) otterremo per la proposizione 4 1 1 \{x—ah))^{{x-bk)) x" -4- Aa;«-i -t- A'a^"-2 + .. 4- A"-'a: -H A" _ 1 1 ^{{^^^^) ^{{x-~b^)) ^-^^~ {{X - AB)) <-'((x— «H)) ^((T-m)) ^"•^ ((x~3-AH))~' ^ Calcolo dei residui 1 donde ponendo che la prima data avesse tutti i re- sidui binomali positivi, ossia tutte successioni di se- gni, se alcuno dei coefficienti e. g. A fosse negativo, si cambieranno di segno i valori, pei quali prendonsi i residui: quindi si dovranno avere tutte alternazioni di segni, come in fatti si verifica. Lo stesso discorso si ripeta sui coefficienti A, B, C, . . . , K, H. Proposizione Vili. — Nella equazione ^/7:7zrz^ ^//,. _ /A\^-'^ (p{j essendo una funzione reale della variabile ar, contiene fra X = Xo ed oc ==^ x„ : posti i coefficienti reali , e prendendo i residui in quanto a due valori similmente reali, da uno dei qua- li venga fuori un risultato positivo, e dall' altro un risultato negativo, dico che la equazione dovrà avere un residuo intermedio, che dia un risultato = 0. Dimostrazione. — Dai dati della proposizione ab- biamo l'intervallo Xfl ^ Xg SÌ divida in parti, le quali si rappresentino per m S Scienze Xi — Xq , X^ ~~' Xi , . . . Xfi — JC/j_j e prendendo quindi i residui in quanto Ou OCi ^ OC sss OC^ 'j • "■'• • * fl/ ^"" •*'//' avremo p.Un ^,^.^-*^(-) ^(ì7^„,,=-^<-' donde :J'.;)iinyjiii v. ((x — x^)) ((a; —a;,)) e più brevemente secondo la notazione, che dimo- strerò in altro luogo non inutile , di una memoria inedita, sarà Calcolo dei residui 9 e == x'^^'^^ = - ^(-^'^^ - 5^ - ^( ^ 0 ] Ora a due a due i termini di questi residui o saran- no positivi, o saranno negativi, o uno positivo e l'al- tro negativo. Dai due primi casi dedurremo che so- no compresi solamente nei termini intermedi fra lo- ro; però che essendo continui tutti i termini positivi e negativi saranno gli uni nel principio, e gli altri alla fine di quelle diffe- renze, come deducesi ancora dalle condizioni della proposizione. Nel terzo caso rinnoveremo la divisione di questo intervallo in più piccole porzioni, e faremo di nuovo la stessa operazione , e così continuando tutte quelle differenze che svaniranno al limite per un valore oc :=z a intermedio fra •^0 ed a^„ , sarà quello che verifica la equazione (p(x) = 0, 10 Scienze Coroll. 1.= Potendovi essere uno o due o più di questi valori, che convergendo verso i limiti b , e , . . . facciano sì che quei residui binomiali rimangono di segni contrari, egli è chiaro che vi possono essere più valori reali della x compresi fra Xo ed Xn , che verifichino la equazione (p{x) = 0 Coroll. 2. — Godendo questo metodo la proprietà di dare tutte le radici reali comprese fra Xo ed Xn , avremo più sistemi di residui fra che verificheranno la dimostrata proposizione; e quin- di sarà facile riconoscere quale di questi sistemi darà la più grande e la più piccola radice della equazio- ne, di cui trattasi. Coroll. 3. Se la non avesse alcuna radice reale compresa fra j-o ed Xn , allora i residui O 9i^) r^ 9{^ ^((X -~X„)) ^{{X -Xn)) avremo costantemente il medesimo segno: e lo stesso dicasi dei residui intermedi. Coroll. 4. Nel caso che la funzione Calcolo bei residui 11 ammettesse una radice reale solamente, il che avver- rebbe allora quando essa crescesse o decrescesse co- stantemente dopo X =1 Xg Ano ad x =^ x„, avremo solamente fra i residui '^X=^Xo X=iXi ^x=x„. uno che desse una differenza; se ammettesse due ra- dici reali, avremo due di questi residui, che dessero difièrenze; e così in appresso. CoroU. 5. =i Se s'indica per h, b\ . . . . quantità intermedie fra che verificano la proposizione , si potranno sempre soddisfare le seguenti equazioni (p{x) = b , (p[x) =b', . . . Coroll. 6. ==s Essendo avremo che 12 Scienze sono due valori l'uno maggiore e l'altro minore e, g. di a radice reale della equazione; ora sia o la più piccola differenza fra la radice «, e ciascuno delle altre radici reali, così che però sia a)(x„ ~ ù) . . . . (u;„ — hj^O a)(xo — ù).... {x, — /i)^0 "p« — « 5 ed x,, — a sono di segni contrari od Xn— h , Xn — 0 , . ... X,i — h sono dello stesso segno; non potendo essere i , e , . . , h avremo f{Xn} == (Xn 9Ì^o) = (■ro poiché intermedi fra per la condizione Xo ed q= 0-0 dr x„ < p :• donde il teorema cognito, se in una qualunque equa- zione, che abbia una o più radici reali o disuguali, sostituiscansi successivamente due quantità , 1' una maggiore e l'altra minore di una delle radici reali, le quali quantità differiscono fra loro per una quan- tità minore della differenza fra questa radice reale. ' Calcolo dei residui 13 e ciascuna delle altre della equazione; tali due sosti- tuzioni daranno necessariamente risultamenti di se- gno contrario. CoroU, 7. = La esposta dimostrazione con la sua generalità (Prop. Vili) dando tutte le radici di vina data equazione per coroll. 2, potremo conoscere la massima radice reale positiva e negativa; e quindi prendendo una quantità immediatamente superiore e. g. Xo per le positive, ed Xn per le negative, per la enunciata proposizione dovrà verificarsi il criterio nel qual caso avremo determinato i due limiti, fra i quali sono compresi tutte le radici reali di una data equazione ^(x) = 0 Coroll. 8. — Essendosi veduto che generalmente ^(r) = a:" H- Aa;""' H-Bx""^ -f- . . -+- Ka; H- H = 0: ne dedurremo dalla dimostrata proposizione, ch'es- sendo n dispare, senza dubbio questa equazione avrà almeno una radice reale . Infatti prendiamo per x un valore negativo tanto grande, che sia f( '■) < 0 il che può farsi, essendo n dispare; similmente per x prendiamo un valore positivo tanto grande che sia ^[x] > 0 , • '- f4 Scienze quindi per la proposizione 9(x) avrà un residuo intermedio fra questi valori che faccia (p{x) = 0, che sarà la radice cercata. CorolL 9. = Essendo n pare ed H< 0, la equazione (f{x) = 0 ha per lo meno due radici reali, l'una positiva e l'al- tra negativa; infatti facendo aj = 0 , sarà f(x) < 0; facendo poi x primieramente molto grande positiva- mente, e quindi negativamente, e chiamando X, — X questi valori, poiché n è pare, sarà (p{x) > 0 : quindi avremo che fra X = 0 ed X = X X = 0 ed X = ■ — X vi saranno residui intermedi, che renderanno (p{.i') = 0 , che saranno le radici cercate, l'una positiva e l'altra negativa per lo meno. Calcolo dei residui i 5 CoroU. 10. — Essendo l'ultimo termine negativo, ed il primo positivo, la equazione ha necessariamen- te una radice reale positiva . Infatti per x=0 avremo (p{x) < 0 ; per un valore jc = X abbastanza grande, sarà dunque fra a; = 0 od a; = X \ •«'"» ali oiÌH vi sarà una radice positiva di oMàqgB'i oJJog oloh . .jjiiìiii ^ùìtioi «mi («Jr-, affo ,ÌDÌbc'i albop 9("^)='0- •„.,;>..,...,..'[ Coroll. 11. — Essendo n dispare e l'ultimo ter- mine positivo, la ,, , . , ^T ^ , ■ .j> lisd'i .«liJnfifjp 9ob i fZ obuaafc'j 9889qe oireup 9if.Ji?3 -iDq oJJbÌ é ie ha necessariamente una radice reale negativa. Infatti per 0? == 0, avremo -- - ;<-:■ (p{x) >0 , 9l per un valore irlib ir; I- a? = — X ' '' { : ■: :iÌ!)in abbastanza grande lèoiioil ©(x) < 0 ; dunque fra X r= 0 ed j; = _ X vi sarà una radice reale negativa. Scolio. — Egli è facile riconoscere la generalità delle date dimostrazioni dal numero dei corollari. 16 S e I E N Z B ' che sono stati dedotti: questo è un cenno delle pro- prietà dell'equazioni; poiché lo scopo è di dimostra- re il metodo nuovo e l'uso delle formole date. In ap- presso con altre memorie estenderò questi trattati. IH. Prime proprietà generali cleW equazioni algebriche appartenenti alle radici immaginarie. Tutte le proposizioni e corollari dedotti nel pa- rag. I appartenendo tanto alle radici reali , quanto alle imma{jinarie, non si dovrà ivi fare altro, volen- dolo sotto l'aspetto immaginario , che in luogo di quelle radici, che sono sotto forma reale, mettervi l'espressioni „^^ ,,^,.;,|,,'| . ,,„; ,X -H Yi/-— ^ft,._ j ^ fTo.o^ essendo X, Y due quantità reali qualunque : e questo si è fatto per evitare quelle spesse ripetizioni , che leggonsi non senza noia in qualche trattato. Al pre- sente paragrafo ho ricercato applicare le formole al- le proprietà del tutto specifiche delle radici imma- ginarie: e ciò per dimostrare la estensione delle for- mole e la generalità del presente metodo. Proposizione IX. — La equazione '^'*^ ^(ix - a)) ^{(a: - b)r'"^{{x - h)) se ammette la radice immaginaria i';]ilG'i9i!'>r> r.ì o-i'iOfiiìiw Calcolo dei residui 17 ammetterà ancora la sua coniugata u — vi/' — 1 Dimostrazione, => Nella proposizione 5 delle no- zioni preliminari abbiamo ottenuto che se a?-— tt -^- «t/"— 1, la condizione che adempie la posta equazione è {x—u — c[/ — 1 )(r--r-MH-fj/'r— 1)^j; .r I .-^ 0 Calcolo dei residui 10 essendo 9,(.r) , 9j(,r) , 9p,( ) il prodotto degli altri fattori. Coroll. h. = Avendosi {x — « — vy^ — 1)(j? — u -t- v[.^ — 1 ]--- U' — u)"- -H r- prodotto sempre positivo, diremo che una equazione avente due radici immaginarie sarà divisibile per un fattore reale di secondo grado. Coroll. 5. = Se ha quattro radici immaginarie, sarà divisibile per due fattori reali di secondo grado; se ha sei radici immaginarie, sarà divisibile per tre fattori reali di secondo grado; se ne ha w, sarà divi- sibile per fattori reali di secondo grado. Coroll. 6. = Se una equazione ha tutte le radici immaginarie, sarà decomponibile in tanti fattori reali di secondo grado, ma metà di numero delle radici stesse: se ne ha parte reali e parte immaginarie, sarà decomponibile in tanti fattori reali di primo e se- condo grado. Coroll. 7. = I coefficienti del secoudo termine dell'equazioni che hanno radici immaginaria o tutte o parte saranno sempre reali , però che la somma delle coniugate n 4- ?'[/■— 1 , u — v[/'—^ è sempre reale. 20 Scienze CoroU. 8. =■ L'ultimo termine dell'equazionti, che hanno radici immaginarie tutte o in parte, sarà sem- pre reale; perchè il prodotto delle coniugate u -h v[/' — 1 , u =:--. vy^ 1 è sempre reale. Coroll. 9. — Il coefficiente del terzo termine, e- guagliando la somma di tutti i binari delle radici della equazione, sarà reale, s'essa ammette un paio di coniugate: imperocché il prodotto delle coniugate (li _f_ r\/'—]){u — r|/" — 1 ) =■■ u" ■+- t>' sarà reale, come reale sarà il prodotto di ciascun' altra radice per « -4- rj/'"— 1 ed n — ri/" — 1, ammettendosi le parti immaginarie. Se all'incontro la equazione ammette più paia di radici immaginarie, questo coefficiente sarà immaginario; però che sup- poniamo che vi siano due paia J?-i- l'i/" — 1 , u — r^/" — 1; m'-j- m'i/" — 1 , u—u[/ — 'ì: il prodotto delle coniugate, il prodotto delle reali con le immaginarie sarà sempre reale , ma rimarrà immaginaria la espressione |u-Htl/' — 1)(«'-Hv'l/"~1) ì (w— «'l/— l)(M'~f'l /' — 1). Questo discorso vale per tutti gli altri termini, meno per l'ultimo, che sarà sempre reale positivo (Corol- lario 2 e 8). Donde dedurremo, che se una equazio- Calcolo dei residui ^21 5ie ammette un paio solamente di coniugate, i coef- ficienti saranno sempre reali: se più paia, il secondo e l'ultimo reali e gli altri immaginari. Coroll. 10. — Nell'equazioni che hanno radici ìmmaginerie, se si annulla una di esse, si deve an- nullare la sua coniugata, come discende dalla dimo- strazione della presente proposizione; quindi diremo che per 1' annullamento di una radice immaginaria si deve abbassare di due gradi l'equazione. Proposizione X. — Rappresentare una equazione ■contenente qualunque numero di radici reali ed im- maginarie in modo che le radici reali siano separate dalle immaginarie, e formino un prodotto. Dimostrazione. — Chiamiamo ri il numero delle radici reali « , b , e ^ . . . m «d n" quello delle immaginarie così che n -+- ri' rr^ n : dalla proposizione 6, coroll. 2, sarà 1 ^^ 1 ^ ,j;" -h A^"~' 4-..H- Kx-t- H \ (^ -ri)^: ^((x - f,))^-^ {(j: - A)) 1 V \ (X _ a){x — b)...{x — m) ^^^^—; ^— yi xX" "-I- A 'a?""-' -4- . . -t- 2"-' K,a; ■+- Hj ~{{x - h)) 22 Scienze raa per lo stestìo corollario quindi ^((x — a)f^"'^ {{x — m)) ^((.v -"n}) ^x""-^- A, r""-' H- . . -4- K,x -H H, ch'è la forinola cercata. Coroll. 1 . — Pel fattore ^ __!___ O ■• o rvX"'-HAV-'-+-..-f-K/-4-H ^(V - a)) ^{(x-'-^èjf'-"^ ((:r=-^)) -^ ^ dovrà valere quanto dicemmo nel §• II; e per l'altro quanto si deduce nel presente; e per ambedue quan- to si disse nel §. I. Dunque mediante quella decom- posizione siamo in facoltà di dimostrare le proprietà delle radici reali e quelle delle immaginarie in se- parati fattori. Coroll. 2 Il fattore e L, 9 e "*'■"" "^" ^^ .•"^" '"' • ■- •• H- K ,.r -f- li , Calcolo dei residui 23 avendo tutte le radici immaginarie, ìf sarà pare e, essendo il prodotto a due a due delle n' radici, questo sarà composto e delle coniugate e delle non coniugate: quindi avranno la forma Il quarto Ci sarà il prodotto a tre a tre di tutte le radici; le quali saranno il prodotto di due coniugate ed una no, ed il prodotto di tre non ceniugate: quin- di saranno D, sarà la somma della n" radici prese a quattro a quattro, e saranno questi composti di quattro con- iugate, poi di due sì e due no, ed infine di quat- tro non coniugate: onde avrà la forma (X^H-Y^)(X.^-HY,^)-l-(X=^4-Y^)(X.-hY,)^^— 14-X,-J-Y,i/--1 L'ultimo termine essendo il prodotto di tutte le radici immaginarie, avrà la forma d=(X^-HY^)(Y.^-+-X.')(X3'-^Y/) . . . (X/'-hY,,-') CoroU. 4. — Sostituendo i valori dei coefficienti nella respettiva equazione, sarà l'equazione avente tutte le radici immaginarie della forma a7"''-X;r'"--h(X. ' H-Y , '■-;-X-4- Y^/ -1 \r""-^'..=tz 1 o ,. (XVY^)(X,^-fY,'-) ■ . ■ ■ (\\, ^ Y';) _ O^f^^^^^^-u OCC--Ì)) ove devesi avvertire che si potrebbero dare diverse altre forme a questi coefficienti, e dedurne altre con- seguenze su queste radici; ma essendo 1' oggetto di questo scritto vedere una qualche applicazione alge- brica delle date formole, pongo qui fine a questo capitolo. //( pri'ìii'ìiti' mpiìinrin sarà n,nlinnala. 25 Discorso sopra le finanze di Roma nei secoli di mezzo^ letto da A. Coppi nell'accademia romana dì ar- cheologia il di 25 novembre 1847. 1 . Uiscorsi altra volta « Sopra alcune tasse ed ope- » razioni di finanze degli antichi Romani (1) >». Mi venne poscia in pensiero di protrarre lo stesso ar- gomento ai secoli di mezzo; ma per qualche tempo ne rimasi in dubbio, spaventato dalla mancanza di certe ed interessanti notizie. Finalmente riflettendo non doversi tralasciare di fare quello che si può per quello che si vorrebbe, mi accinsi ail'opera, unendo quel poco che potei raccogliere. 2. Per intelligenza degli avvenimenti posteriori è indispensabile il premettere, che la chiesa romana sino dai primi secoli del cristianesimo possedette be- ni considerabih. Eusebio ci racconta che Costantino decretò generalmente: a Omnia quae ad ecclesias recte » visa fuerinf pertinere, sive domus, sive possessio » sit, sive agri, sive horti, seu quae alia, nullo iure >> quod ad dominum pertinet iraminuto , sed salvis » omnibus atque integris manentibus, restitui iube- » mus (2) ». Quell'imperatore poi arricchì special- mente la chiesa romana, non di regni, come inven- tarono alcuni falsi zelanti; ma di terreni in Italia, in Affrica, in Grecia, in Oriente ed in Egitto, come ne attesta l'antico autore della vita di s. Silvestro (3). (1) Discorso (lei 4 maggio 1843 (2) Euseb. ii, Vit. Conslant. lib. II, cap. XXXIX. (3) Num. XV.XIXet X. R. I. S. tom HI, part. 1. p. lOollo. !i6 Scienze È notissimo che il pagano Pretestato, prefetto di Ro- nja e console designato, soleva dire al pontefice san Daniaso (eletto nel 336;: « Facite me romanae ur- » bis episcopum, et ero protimus christianus (1) ». Crebbero nei secoli posteriori i beni della romana chiesa : e Paolo diacono nella vita di s. Gregorio Magno nomina gl'individui che quel pontefice (elet- to nel 500) inviò ad amministrare i patrimoni ap- pio, carseolano, campano, napolitano, sannitico, ap- pulo, calabrese, palermitano, siracusano, siculo, sa- bino, norcino, toscano, ravennate, sardo, corso, li- gure, delle alpi cozie , gallo, istro, dalmatino, il- lirico e germanico (2). La chiesa romana perdette col tempo molti di questi beni: ma ne acquistò al- tri, e certamente molti ne possedeva nei secoli un- dccimo e duodecimo, come si legge nel registro che il cardinale Deusdedit compilò a' tempi di Pasqua- le II eletto nel 1099 (3), e nel famoso codice di Cencio Camerario scritto nel 1192 (4). 3. Di più: in quei secoli crebbe talmente la con- siderazione della chiesa romana che molti sovrani di Europa le offrirono i loro regni, corrispondendo- ne talvolta un annuo censo. Vi furono fra essi quelli di Portogallo, di Spagna, di Francia, d'Inghilterra, d'Irlanda, di Danimarca, di Boemia, di Ungheria, di Polonia e di Russia (5). Gli stati delle due Sici- . (1) Ammian. Marceli. Ilist. lib. XXVII. --(2) Lib. if, cap. 23. (3) CoJ. msst. vat. 3833. Rorgia, Breve ist. del domili, lomp. della santa sede nelle dne Sicilie, doc. N. 1. (4) Haion ;in. 1192. §. 19. A. M. E. t. V, di.ss. LXIX, col 777. (o) S. Greg. VII, epist. lib. f, H, V, Vii. Gretserns, De imperai. lejTiim in sed. apost. munificentia. A. .M. E. tom. VI. Uissert. LXXI. Finanze di Roma 27 lie divennero un feudo della s. sede (1). Nell'anno 800 Leone III ristabilì l' impero di occidente , af- finchè negli augusti sovrani del medesimo la chiesa avesse un protettore e difensore. E per lo spazio di sei secoli gl'imperatori non assunsero un tale ono- rifico titolo, se non ne ricevevano la corona dai ro- mani pontofici (2). 4. S. Gregorio II, circa l'anno 730, acquistò il dominio temporale di Roma, e sul declinare dello stesso secolo i suoi successori lo estesero sopra va- rie province (3). Questo però fu per molto tempo agitalissimo. Imperciocché i pontefici furono spesso vessati da imperatori prepotenti, dai romani che ten- tavano di ristabilire la repubblica, dai conti di Tus- scolo e di Galera, poscia dai Colonnesi e dagli Or- sini che ambivano all'impero di Roma; dai capitani di ventura infesti alle province ed alla stessa capi- tale: e finalmente dai re di Napoli che aspiravano al dominio d' Italia. Alcune province governaronsi per molto tempo indipendenti dalla capitale, che ri- mase talvolta isolata. Si aggiunse la dimora dei papi in Avignone dal 1305 al 1377. Quindi lo scisma di occidente dal 1378 al 1417. In somma trascorsero circa sette secoli prima che il governo pontificio col. 3-190. Bortjia, Breve ist. del dotn. temporale della sede apost. nelle due Sicilie, dee. >i. 11. (1) Muratori, An. 1059. Borgia, Breve ist. del dom. temporale della sede apost. nelle due Sicilie. (2) Baron. An. 800. Marat, et Raynald. An. 1338. 1432. 1493. 1519. Kocli, Tableau des revol. par. IV et V. Essai sur la puissance des papes, tom. I, p 311 et tom. If, p. 156-171. (3) Baron. e Murat. Anna!. 730, 733,755, 757, 774. Orsi, Del dom. temp. de'romani pontefici cap. I-IV. 28 Scienze siasi potuto ordinare in una forma regolare e sta- bile. Finalmente si consolidò da Alessandro VI e da Giulio II sul fine del secolo decimoquinto e sul prin- cipio del decimosesto (1). 5. Fra le antiche ricchezze e grandezze della chiesa probabilmente divennero insignificanti le ren- dite dello stato temporale spesso agitato e sconvolto. Che che ne sia, la prima notizia veramente finanziera che mi sia venuta sott'occhio è un pedaggio messo da Gregorio VII, circa l'anno 1080, in Roma sopra il ponte di s. Angelo, per la esigenza del quale vi ave- va fatto costruire un'alta torre (2). 6. Cencio Camerario ci conservò la memoria dei tributi che gli abitanti della terra di Ninfa (nella provincia di Marittima ) dovevano al ponte- fice, scrivendo: « Haec sunt quae facient nymphissi- mi, hostem et parlamentum cum curia praecepe- rint. Servitium, quod assueti sunt facere et placi- tum et bannum, faciant beato Petro et papae. Quartam, quam reddere debent, deinceps reddant ad mensuram romani modii; et si minister prae- cipit, conducant eam usque Tiberiam vel Cister- nam. Glandaticum solvant in festo sancii Martini; bradones bonos in festo sancti Thomae. De ca- rico unicuiusque sandali solvent denarios sex. Fi- dantiam in unoquoque anno. In mense madio li- bra» triginta de papia honorum. Placieticum, quod extranei debent solvere curiae, solvatur. Foderum, quod debuerant domno papae uno die, dent duo • bus (1j ». (1) Baron. e Murai. Annal. 800-1513. (3) Murai Aiitich ita!, diss. XIX, toni I, pait 1. iS) A M. K Dis». XIX tom. Il, pag. 112. Finanze di Roma 29 7. Neil' alto di concordia fatto nel 1188 fra Clemente III ed il senato e popolo romano , i se- natori dichiararono al pontefice: « Ad praesens red- » dimus vobis senatum et urbem et monetami ta- » men de moneta habebimus tertiam partem; » Reddimus omnia regalia tam intra , quam extra » urbem quae tenemus, praeter pontem lucanum, » quem tamen non refutatis .... dabitis singulis » annis prò restauraiione murorum huius excellen » tissimae urbis C. lib. bonorum provenien .... » monetam facietis fieri intra urbem, ubi vobis pla- » cuerit, de qua tertiam partem dabitis senatoribus » per tempora (1) » 8. Nel 1198 il popolo di Rieti « promisit red- » dere domino papae et ecclesiae romanae medieta- » tem de placitis et bannis et de forisfactis et de » sanguine et de plaza et scorta et passagio et ponte 11 reatinae civitatis (2) ». 9. Fra' proventi di fisco vi erano le multe per i delitti : ed in una bolla diretta da Gregorio IX nel 1230 agli abitanti del castello di Serrone (nella provincia di Campagna) si dispone: « Si aliquis cora- li mittit omicidium vel fecit alicuius membri occi- 11 sionem , debet solvere curiae XX solidos prova- li nienses: et ille qui est specialis dominus eius de- li bet facere inde iustitiam et vindictam. De san- 11 guine vero debet solvere curiae X solidos. Item 11 si aliquis committit furtum intra castrum de die, » debet solvere curiae V solidos*, si de nocte, X so- (t) Dal codice vat. di Cencio Camerario num. LXXXIX. Barou. an. 1188. (2) Murat. Antich. Hai. Diss. XIX. 30 SCIENZE »> liclos. Item si quis furatur mas vel eonf^imilia de- » bel solvere curiae XII denarios (1) ». 10. Nel 1300 i romani sottomisero la città di Toscanella che si era ribellata, e le imposero il ca- none di due mila rubbia di fjrano all' anno ; colle facoltà di esigere invece mille lire , nel caso che r agro romano somministrasse frumento sufficiente alla capitale. Fu inoltre imposto ^obbligo ai tosca- nellesi di mandare « octo ludentes romanis ludis (2) ». 11. Nello stesso anno 1300 Bonifazio Vili sta- bilì il giubileo: e Guglielmo Ventura, che fu tra'pel- legrini, ci racconta essersi calcolato che in tale cir- costanza venissero a Roma due milioni di persone . Quindi soggiunge: « Papa innumerabilem pecuniam » ab eisdem recepit, quia die ac nocte duo clerici » stabant ad altare sancti Pauli tenentes in eorum » manibus rasiellos , rastellantes pecuniam infini-? » tam (3) ». Naturalmente un tale racconto è più oratorio che storico. Del resto abbiamo documenti, dai quali risulla che Bonifazio Vili impiegò una porzione almeno di quel danaro per acquistare nel- l'anno seguente fondi per la basilica vaticana. Fra questi fu la tenuta di Valca (4) , che il capitolo possiede tuttora, con altra confinante denominata Val- chetta. Ambedue sono del valore di scudi 161,631. 12. Nel 1305 Clemente V trasferì la residenza pontificia in Avignone. Giovanni XXII suo succes- sore, che governò la chiesa dal 1316 al 1334, am- (1) Murat. Antic. Hai. Dlss. XIX. (2) Iscrizione in Cainpiclop,lio nel palazzo dei conservatori. ^ itale, S(or. dipi, dei senatori di Homa, lom. I, pag. 206. (:ì) Chron. .\slen. U. I. S. toni. M, pag. 192 (V Bnll. Vat. lom. !, pag. 228. Finanze di Roma 31 pliò lo riserve pontifìcie nella collazione elei benefici ecclesiastici, e raglino molto danaro, del quale im- piegò una porzione nel ridurre all'obbedienza mol- te terre dello slato ecclesiastico che si. erano ribel- late, e riservava l'altro per una nuova impresa di ter- ra santa. Il Monaldesco, autore contemporaneo , nar- ra che quel pontefice " lasciò grand'oro che valeva » da XV milioni di fiorini d'oro (1) ». Giovanni Villani, anch' esso contemporaneo, scrisse: « E no- 1) lo che dopo la sua morte si trovò nella chiesa n del tesoro in Avignone in moneta d' oro coniata » il valere computo in diciotto milioni di fiorini )) d'oro e più: in vasellamenti, croci, corone e mi- >) tre e altri gioielli d' oro con pietre preziose , la » stima di largo di valuta di sette milioni di fiorini » d'oro. Sicché in tutto fu il tesoro di valuta più T) di venticinque milioni di fiorini d'oro: che ogni » milione è mille migliaia di fiorini d'oro la valuta. )) E noi ne possiamo fare piena fede e testimonianza )) vera: che il nostro fratello carnale, uomo degno )) di fede , che allora era in corte mercatante di )) papa, che da'tesorieiri, e da altri furono diputati » a contare e pesare il detto tesoro, gli fu detto e » accertato, e in somma recato per farne relazione » al collegio de'cardinali per mettere in inventario: » e così il trovarono. Il detto tesoro fu ragunato » la maggior parte per lo papa Giovanni per sua » industria e sagacità; che infìno l'anno 1319 puose » le riservazioni di tutti i benefici collegiati di cri- » stianità, e tutti gli voleva dare egli, dicendo il » faceva per levar le simonie. Di questo trasse e (1) R. 1. S. tom. XH, p. 537. 32 Scienze » raglino infinito tesoro . . . Però clje il detto te- » soro diceva papa Giovanni radunava per fornire » il santo passaggio di oltre mare : e forse aveva » quella intenzione. Molto tesoro consumò in Lom- » bardia in guerre e in osti per abbattere i tiran- » ni (1) ». Venticinque milioni di fioriri d' oro , cioè di zecchini fiorenti i;i (che appunto faceva co- niare quel pontefice (2) ) formano una somma rag- guardevole non solo per le finanze pontificie di qual- sivoglia epoca (e piacesse al cielo che si avesse nella nostra!) ma per quelle di qualunque grande impero. Ripeterò col Rainaldi: « Cuius rei fides sit penes au- ctorem (3) ». Ma certamente possiamo credere che Giovanni XXII abbia lasciato una considerevole quan- tità di danaro. 13. Cola di Rienzo allorquando nella primavera del 1347, ancora semplice privato, eccitava sull'Aven- tino il popolo romano a ricuperare l'antico splendo- re, diceva: « De la moneta non dubitate: che la ca- » mera di Roma ha molte rendite inestimabili. In » prima per lo focatico pagano per fumante quat- » tro soldi; comenzando dal ponte di Ceprano sino » al ponte de la paglia, montano cento mila fiorini; » e più di sale cento mila fiorini; anco li porti di » Roma e le rocche di Roma cento mila fiorini, li » quali hanno mandato a messere lo papa: e ciò sa » '1 vicario suo (4) ». 14. Asceso poscia nel di 20 di maggio di quel- (1) Gio. Villani, Istoria fiorentina lib. XI, cap. XX. (2) Ivi lib. IX, caj). CLXIX. (3) Annal. Eccl. i334, §. 40. (4) Vita di Cola di Rienzo lib. \, cap. IV. Finanze bi Roma 33 r molumenta camerae urbis more solito (2) ». 18. In un codice vaticano ottoboniano si con- serva la memoria, che nell'anno 1379 il popolo ro- mano, per redimere il castello di Vetralla occupato da un Guglielmo capitano di ventura tedesco, ven- dette quattro mila riibbia di sale (3). 19. Urbano VI avendo bisogno di danaro per combattere colle armi temporali contro 1' antipapa che denominavasi Clemente VII, sul principio del 1380, mise ima inaposizione sul clero, e specialmente sopra quello di Roma , dal quale « tria aureorum » millia exegit (4) ». 20. Crescendo poscia i bisogni, ai 30 di mag- gio dello stesso anno commise ai cardinali di santa (1) Anonimo, Vita tli Cola ili Rienzo lili. Il, cap. XXIV, (?) Raynald. Annal. ecci. 1370, §. II. (3) Coti. msst. Vat. Othob. N. 255:j lilt. T. p. 13. (4) Raynald. Annal. Eccl 1380, i 7. Finanze di Roma 35 Susanna e di san Clemente di vendere qualunque sorta di beni ecclesiastici, dovunque esistenti, eccet- tuati soltanto i castelli: e ciò sino alla somma che avessero creduto conveniente (1). 21. Ma intìne né anche questi furono rispar- miati. Imperciocché nel 1385 dovendo soddisfare i jjenovesi per averlo soccorso con dieci galere, onde liberarsi dalle armi di Carlo Durazzo re di Napoli e trasferirsi dalla spiaggia di Salerno a Genova, die- de loro in pegno la città di Corneto per la som- ma di ottanta mila fiorini d' oro (2). Nell'anno se- guente però afFrettossi di liberarla, cedendo a quella repubblica in pagamento del credito varie terre e beni della chiesa di Albenga, di Noli e di Savona (3). 22. Bonifazio IX, per sostenere gl'interessi di Ladislao re di Napoli contro Lodo7Ìco di Angiò crea- to re dall' antipapa, nel 1390 vendette molti fondi che la chiesa romana possedeva nell'agro beneven- tano e neir Abbruzzo. Quindi concesse in vicariato per diverso tempo varie città e province dello stato ecclesiastico, stabilendone un annuo canone e deter- minando un certo numero di soldati da spedirsi in caso di guerra. Fra gli altri luoghi concedette Ri- mini, Fossombrone e Fano ai Malatesti; Urbino ad Antonio conte di Montefeltro per anni dodici; Faen- za ad Astorre Manfredi per anni dieci ; Forlì agli Ordelafli; Imola a Bertrando degli Alidosi per anni cinque; e Ferrara ad Alberto marchese d' Este (4). (1) Id. §. 8. (2) Id. 1383 §. 8. (3) Ascheri, Notizie storiche delle famiglie di Genova [i. 5S (4) Raynaid. Anna!. Ecd. 1390, $. 17, 18. 36 Scienze * 23. Continuando poscia il bisogno del danaro, nel 1392 \endette alcuni fondi ecclesiastici, altri ne pignorò , e riserbò all' erario pontificio una mezza annata dei frutti dei beneficii che conferiva (1). 24. Presso l' antico porto romano fu innalzata una chiesa al martire sant'Ippolito, e nei secoli di mezzo trovasi menzione di una gabella detta del- l'ampolla che si pagava alla medesima. Bonifazio IX nel 1392 la concesse in appodiazione vitalizia a Buc- ciarone di Napoleone per l'annuo censo di un paio di pernici (2): ed Eugenio IV nel 1441 ne confer- mò l'amministrazione a Ciccobella e Lodovica degli Stefaneschi (3). 25. Nel 1392 Bonifazio IX, disgustato per al- cune insolenze fattegli dai banderensi romani , aveva trasferito la sua residenza a Perugia (4). Presto però gli officiali ed il popolo romano lo pregarono di ri- tornare alla sua sede: ed egli vi acconsenti con al- cune condizioni. Fra le altre cose si stabilì (addì 8 di agosto 1393), che per le spese del viaggio i ro- mani prestassero al papa sei mila fiorini : le chiese di Roma, gli ospedali e gli altri luoghi pii fossero esenti dai dazi e dalle collette ; fossero similmente immuni e liberi dalle gabelle, tanto per terra che per mare, il papa ed i cardinali per le cose di loro uso: ed in ciò si dovesse credere, in quanto al papa « Camerario sanctitatìs suae: » in quanto poi ai car- dinali, alle cedole munite dei propri sigilli, col giu- ramento « camerariorum suorum (5) ». (1) Ivi. 1392, §. i et 4. (2) Cod. nisbt. Vat. 8046, fol. 38. (3) Ivi. pag. 42. (4). Chron. E.steii. R. S I. tom. XV. Muratori. Aniial. 1392. (5) Raynald. Aiiiial. Eccl. 1393, |j. Si. Vitali, St«r. dipi, dei se- natori di Roma, tom. Il, psf; tì02. Finanze di Roma 37 2G. Ai 30 di settembre dal 1308 Malatesla de' Malatesti di Rimini senatore di Roma, Paolo di Stazio , Checco della Moyo e Giovanni di Alessio conservatori « ad laudera Bonifacii papae IX, et ad ;> honorem ac statum reipublieae romanorum . . . » auctoritate sacri senatus, et vigore et auctoritate » nostrorum ofiìciorum » compilarono una tariffa che denominarono « Statula gebellarum urbis. » Si stabilirono in essa i dazi sopra vari generi, e fra gli altri i seguenti: Quattro soldi per ogni rubbio di grano del peso di seicento libre che si mandasse a macinare. Sei danari per lira sul valore del vino vendi- bile, esistente nelle vigne o venduto a minuto. Sette danari per quello venduto all'ingrosso. Otto danari per lira sul valore delle bestie grosse. Si annoverarono cinquanta specie di panni, e poi su quello de grana si stabilì il dazio di un fiorino e mezzo, e sugli altri di soldi trentacinque e mezzo. Nelle vendite dei fondi si fissò che il dazio fosse di sei danari sopra ciascuna lira del prezzo, ossia del valore, sino a cinque fiorini; Di quattro sino a mille. Di due per le somme maggiori (1). 27. Nel 1404 morì Bonifazio IX e fu eletto In- nocenzo VII. Intanto vi furono tumulti popolari: e Ladislao re di Napoli, col pretesto di sedarli, venne in Roma con un esercito. Colla sua mediazione ai 27 di ottobre si fece una concordia fra il pontefice ed il senato romano. Si confermò quella del 1393 e si aggiunsero vari articoli. In uno di questi si stabilì (1) Nella biblioteca corsiniana in Roma. Cod, Msst. 1316, N. 6, 38 Scienze ohe il salo esistente nei magazzini di campidoglio e nel campo salino spellasse alla camera della città colla limitazione che mille rubbia appartenessero al papa ed alla camera apostolica. Dichiarò poscia il pontefice che « de omnibus et singulis sexterliis ga- » bellarum et proventuura debi- » lorum camerae praefatae urbis, et non » solutarum » se ne dovesse fare il pagamento u per » emptores huiusmodi gabellarum: » e la camera apostolica ne avesse l'introito in quella quantità che si dovevano pagare alla camera della città (1). 28. Giovanni XXIII, eletto nel 1410, secondo al- cuni scrittori aggravò il popolo di gabelle e perciò divenne a molti esoso ('!). Nel 1413 fu costretto ad allontanarsi da Roma occupata dalle armi del re La- dislao, e nel partire diminuì della terza parte il da- zio sul vino (3) che probabilmente aveva aumentato. 29. Lo stato sconvolto dalle civili discordie ac- quistò qualche ordine nel pontificato di Martino V eletto nel 14 IT: ed abbiamo indizi che le finanze sieno divenule floride. Il concilio di Costanza aveva decretato,che pel mantenimento del sommo pontefice e dei cardinali si pagassero le annate dalle chiese e dai monasteri degli uomini, secondo le stabilite ru- briche. Aveva eziandio determinalo che il numero dei cardinali fosse moderalo, aflinchè non fosse grave alla chiesa <» nec superflua numerositale vilescat: » di modo che non fossero più di ventiquattro, scelli (1) Vitale, Storia ili plom. de'senatori di Roma, (oin. II, p.ip,. 596, 600-611. (2) Raynald. Annal. cccl, 1413, §. 19 (3) H. 1. S. lom. XXIV, col. 1Q34. Finanze di Roma 39 io lullo l'orbe cattolico (1). E di fatti dobbiamo cre- depe che vivessero con j^^ran decoro: poiché il pontefice raccomandando loro la sobrietà, li avvertiva che uscen- do di casa « non conducessero seco più di venti fa- )» niig^liari cavalieri , chierici e laici loro continui » commensali (2) ». 30. Martino V eccitò vari principi cattolici a combattere colle armi gli eretici detti boemi: e per incoraggiarli, con breve dei 5 agosto 1423 assegnò loro la quinta parte di tutti gl'iutroiti della sua ca- mera, unitamente alla decima di tutti gli offici della romana curia e di tutti i beueficii ecclesiastici (3). Nel 1423 poi, promovendo altre guerre contro gli eretici ussiti e vicleffiti, vi assegnò la decima di tutto Torbe cattolico, e la quinta parte delle rendite del- l'erario pontifìcio (4). 31. Non ostante tali largizioni, nella sua morte (accaduta nel 1431) lasciò considerevoli tesori. Non ne conosciamo la somma; ma sappiamo essere stati tali da somministrare cagioni di guerra fra i suoi eredi Colonnesi ed il successore Eugenio IV. Nella pace si convenne che i Colonnesi versassero nell'era- rio pontificio settantacinqne mila fiorini d'oro (5). 32. La prosperità, della quale si godette nel pon- tificato di Martino V, cessò in quello del suo suc- cessore Eugenio IV, che regnò dal 1431 al 1447. Questi nel primo anno accrebbe di tre soldi e mez- (1) Labbè, Collect. concil. toni. XVI, pag. 722-730. (2) Contelor, Vita Martini V. Raynald. Annal eccl. 1324 Jj. 4. (3) Raynald. Annal. eccl. 1423 §. 13, p. 61. (4) Raynald. Annal eccl. 1427, §. 9. (8) Vita Eugeni! IV, R. I. S. toni. Ili, part. II, col. 869, «72. 873. 40 Scienze zo il ciazio sul vino, che dianzi era di sei danari per ciascuna lira di valore. E questo aunnento fu desti- nato allo stipendio dei professori nella università de- gli studi di Roma (1). Sostenendo poscia guerre in- terne ed esterne, accrebbe, e secondo l'Infessura, rad- doppiò le gabelle (2). 33. Nel 1434 egli fu costretto a fuggire da Roma e dimorare vari anni in Firenze o in Bolo- gna. In tal tempo, e precisamente nel 1440, vendet- te al conte Everso dell'Anguillara i castelli di Vico e di Caprarola pel prezzo di 73^75 fiorini d'oro (3). 34. Nel 1443 ritornò a Roma: e llnfessura ci narra che il popolo essendo malcontento per l'au- raento dei dazi e specialmente del terzo sul vino, « quando il Pontefice fu a Colonna fu strillato : Vi- )) va la chiesa e mora lo terzo. Allora il papa Eu- » genio fece questa grazia e levò lo terzo (4) ». 35. Fra' condottieri di armi, che Eugenio IV aveva assoldato, fu Antonio di Redo padovano, nel quale aveva tanta fiducia che gli affidò pei* vari anni la custodia di Castel Sant' Angelo. Questi col tempo chiese molti compensi per danni sofferti e spese fatte: ed il pontefice, per soddisfarlo, nel 1445 gli concesse a terza generazione i castelli di Bor- ghetto e di s. Pietro in Fornis (ora Campo morto) pel canone di due libre di cera all'anno (5). 3^5. Del resto sul fine del suo pontificato i da- (1) Bulla, In supremo VI, id oct. 1431, Renazzi, Storia dcirimi- versilà di Roma, voi. I, app. N. 11. (2) R. I. S. tom. Ili, part. II, p. 1130. (3) Cod. msst. Vat. 8030, fol. 133. (4) R. I. S. tom. Ili, part. II, p. 1130. (K) Bull. Basii. Vat. tom. II, pag. lOS. Finanze di Roma Ai zi di consumo furono ridotti in Ronfia ad un saggio tenuissimo e di mera norma. Imperciocché nello statuto del 1446 fra le altre si stabilì quanto segue : Per ogni soma di olio, di pesce e cose simili , boi. 1. Per ogni soma di capretti e di pordietti, dan. quattro Per ciascuna soma di \ino forestiere, sol. uno Per ogni soma di vino romano, per ciascuna bestia danari due Per pane ed unto per i pastori non si paghi- no gabelle (1). 37. Nicolò V nel 1450 celebrò il giubileo, ed immenso fu il concorso de' pellegrini a Roma. Il Manetti, scrittore della di lui vita, ci racconta che « tanto dai dazi di consumo, che dalle oblazioni, si » riscosse una grandissima e quasi infinita quantità » di danaro: » soggiunge però che « il pontefice im- » piegò tali somme a costruire nuovi edifizi in Ro - » ma , a comprare una quantità di codici greci e I) latini, ed a chiamare e trattenere presso di se per- » sonaggi insigni negli studi (2) ». 38, Calisto III , giustamente costernato per la conquista di Costantinopoli fatta dai turchi nel 1453, appena asceso al trono esortò a tutto potere i prin- cipi cristiani ad unirsi ed armarsi contro quei for- midabili nemici. Nel 1456 poi procurò egli stesso di armare alcune navi per quella santa intrapresa. E per supplire alle spese convertì in danaro tutti i (1) Slatuta Urbis ann. 1446. (2) Manetti, Vita Nicolai V, lib. ll.RaynalJ. an. 14!tO, §. 4. Mu- ratori, an. 1450, 1451. 42 SCIENZfi suoi o{*geUÌ di oro e di argento, pignorò le gioie e vendette alcune terre. Ma le sue esortazioni non fu-* rono intese, e perciò i suoi armamenti rimasero va- ni (^)- 39 I cardinali entrati in Conclave nel 1464, do- po la morte di Pio II, giurarono fra le altre cose di continuare a promuovere una lega contro il tur- co , per la quale tanto si era adoprato il defunto pontefice. Promisero specialmente d' impiegare per quella inliapresa tutto il danaro che si sarebbe esat- to dalie vendile dell' allume ( la cui miniera era stata recentemente scoperta nei monti della Tolfa ) che superava annui ducati trecento mila. Paolo II, che allora fu eletto, rinnovò tale promessa: ed intan-* to annunziò ai rappresentanti dei diversi stali ita- liani presso di se ragunati, che per quell'anno avreb- be contribuito cento mila ducati d'oro (2). 40. Da che le campagne romane rimasero fa- talmente deserte , vi discesero a pascolare nell' in- verno le pecore dai monti abbruzzesi, come sino dai tempi di Varrone scendevano in Puglia quelle del Saunio (3). Per l'erba che pascevano lungo le vie pagavano una tassa detta fida della dogana del pa- trimonio , la quale poi serviva ad indennizzare i proprietari dei fondi soggetti alla servitù di tale transito. Paolo II, Sisto IV, ed Alessandro VI, sul (1) Haynald., Ann. enei, i^ììù, §. 10 et 49, 1437, !J.40. Muratori, ann. 1456. (2) Card. Papien, Cornai, lih. 11 et epist. 34. RaynalJ. .\nir. CCCl, 1464 §. 51 et 62. (3) Varrò de R. H. lib. Il, eap. I, $. 16. Finanze di Roma 43 declinare del secolo XV regolarono con leggi spe- ciali quella tassa (1). 41. Nel 14G9 si riformarono in parte gli sta- tuti di Roma : ed in quanto ai dazi , fra le altre cose si promulgò quanto segue : Gli stranieri che conducessero pecore a pasco- lare nei fondi di Roma e del distretto , pagassero alla camera della città due fiorini ( o ciò che col tempo si sarebhe stabilito ) per ciascun centinaio , metà a natale e metà a pasqua (2). Per estrarre da Roma e dal distretto buoi, vac- che, pecore, capre, cavalli e somari, si pagassero sul valore otto danari per lira dagli stranieri, e quat- tro dai romani. E ciò s'intendesse per bestiame con- dotto a montagna (3). Per estrarre qualche mercanzia i forestieri pa- gassero otto danari per libra, ed i romani quattro. Nell'estrazione però dei panni vecchi si pagasse un danaro per libra (4). 42. Sisto IV, per soccorrere il popolo romano angustiato dalla carestia nel 1477, prese a mutuo dal cardinale di Rohan venticinque mila fiorini d'oro di camera. Q uindi nell'anno seguente per soddisfarlo gli concesse in salviano per se e suoi, sei castelli , cioè Frascati, Soriano, Corchi ano, Gallese, Albano e Cervetri: e di più cinque tenute, che furono Vico, Casamale, Sasso, Carcara e santa Severa (5). (1) Bulla Alexandri VI fìomani ponti ficis, VI kal. nov MCCCCXCV. Memorie particolari. (2) Lib. II, cap. LXXXXVIIII. (3) Id. cap. CCLVII. (4) 1(1. cap. CCLVll. (3) Hiilla Sixli IV. Id. febr. anno Vili, Arch. coliimn. an. F, fase. XXil, N. 154. 44 Scienze 43. Quel pontefice fece varie guerre, e perciò dovette ricorrere a mezzi straordinari per aver da- naro. Aumentò le contribuzioni, e l'Infessura giudicò degno di memoria che accrebbe quella del maci- nato di un grosso papale per ogni sacco (1). Creò nuovi offici nella romana curia e poi li vendette (2). Contribuì con poderose forze a scacciare i turchi da Otranto: e quindi eccitando i collegati cristiani a continuare la guerra contro quel formidabile ne- mico, dichiarò di concorrervi con venticinque ga- lere Nel tempo stesso promise cinquanta mila fiorini d' oro al re di Ungheria, e quaranta mila a quello di Napoli. Partecipava a questi « essere esausto l'era- » rio pontificio, i dazi essere pignorati ed i sudditi » per le contribuzioni essere ridotti ad uno stato » compassionevole. Del resto per quella santa intra- » presa avrebbe venduto le gioie della sua mitra e » gli argenti della sua tavola (3) ». 44. Morto Sisto IV nel 1484, i cardinali adu- nati in conclave convennero in alcuni capitoli pel bene della chiesa e dello stato, e fra le altre cose stabilirono che « i cardinali non fossero più di ven- » tiquattro : e se mai eccedessero im tal numero , » alla morte del pontefice non avessero voce at- » tiva e passiva nella elezione dell'altro, e non fos- » sero considerati come cardinali; né se ne creasse- » ro altri, fintantoché il collegio non fosse ridotto » ad un numero inferiore ai ventiquattro (4). Quelli (1) R. I. S. toni. IH, part, II, p. 1183. (2) Infess. pag. 1942 ed. Lips. 1723. (3) Raynald. An. 1481, §. 3 et 30-34. CO Ihitl. 1484, §. 31- Finanze di Roma 45 » poi che dai proventi ecclesiastici non avessero » quattro mila fiorini annuali^ ricevessero dalle ren- )> dite della camera apostolica cento fiorini d' oro » al mese, fintantoché non fossero proveduti di pro- » venti nell'indicata somma (I). » 45. Si determinò eziandio « che nel caso di » sussidi per la guerra co'turchi , il pontefice som- » ministrasse cinquanta mila ducati provenienti dal- )> le rendite delle allumiere della Tolfa. E se a tal » somma esse non ascendessero, si supplisse con al- » tre dello stato. Se poi si trattasse di una spedizio- )) ne della maggior parte de'principi cristiani con- » tro quell'inimico comune, allora, oltre la detta som- » ma, ne somministrasse un' altra di ducati cento » mila (2) ». 46. Innocenzo Vili nel 1486, avendo bisogno di danaro per un armamento, creò cinquantadue of- ficiali piombatori delle bolle pontificie che furono detti volgarmente licenzatori. Concesse loro la metà dei proventi di tale officio, e vendette ciascuno di quei posti cinquecento ducati d'oro (3). 47. Sul fine di settembre del 1490, essendo quel pontefice gravemente infermo , Franceschetto Cibo tentò d' impadronirsi dei tesori di lui : ma non vi riuscì. Allora i cardinali credettero conveniente di farne un inventario e consegnarli in custodia al car- dinale Savelli. Si disse essersi trovati in una cassa ottocento mila ducati d'oro, ed in un'altra trecento mila (4) (1) Ibidem i 28. al. eccl. 1484 ^ 31. pai^ fips. 1723. (1) Ibidem i 28. (2) Raynald., Annal. eccl. 1484 $ 31, pag. 331. (3) Infessura, Dìarium pag. 1965, edit. lips. lY (4) Ibid. pag. 1997. 46 Scienze ìS. Alfssandro VI, salito al trono nel 1492, do- po alcune operazioni preliminari, intraprese a libe- rare varie province pontificie dai vicari temporali, ai quali erano state concesse in diversi tempi e le reggevano da feudatari quasi indipendenti (1). Fon- dandosi sul motivo che non pagavano gli stabiliti canoni, mosse loro la guerra. E nel 1499, avendo bisogno di danaro per stipendiare soldati mercenari, prese a prestito dal comune di Milano quarantacin- que mila ducati. Gli riuscì difatti ( in tre anni ) di scacciare i Riari da Imola e da Forlì, i Manfredi da Faenza, i Malatesta da Rimini, i conti di Montefel- tro da Urbino, gli Sforza da Pesaro ed i Varano da Camerino (2). 49. Nel 1500 celebrò il giubileo. Grande fu in tale circostanza il concorso dei fedeli a Roma, e rag- guardevoli introiti ne vennero all'erario. Il pontefi- ce spedì eziandio internunzi in vari regni colle fa- coltà di concedere le indulgenze dell' anno santo a coloro che non potevano recarsi a Roma, purché pa- gassero il terzo di quello che avrebbero speso nel viaggio (3). Scrive il Bembo che in tale circostanza nei dominii veneti si raccolsero settecento e nove libre d'oro, le quali dal pontefice furono lasciate a quel senato per la guerra contro i turchi (4). 50. Intanto nella primavera di quell'anno i tur- chi avendo spinto le loro correrie nella Polonia, nel- (t) V. §. 22. (2) Burchard, Diar. Raynald. ann. eccl, 1499, §. 22 et 2:5, 1300, $, 27, 1502, 10-14. Muratori, an. 1499-1303. (3) Raynald. 1300, § 1, 2. Muratori an. 1500. (4) Bembo, Hist. Yen., lib. V. Raynald. an. eccl. 1500, § 22. Finanze di Roma 47 l'Ungheria, nella Croazia e nel Peloponneso, tulta la cristianità ne fu spaventata e l'Italia specialmente ne fu costernata. Quindi Alessandi'o, eccitando tutti i principi ad armarsi contro quell'inimico comune, im- pose per loro sussidio una decima sulle rendite del clero in tutto l'orbe cattolico (1). Gli sforzi del pon- tefice non furono certamente inutili ad impedire mol- ti progressi di quei barbari (2). 51. In tale circostanza si pubblicò e si conservò una nota delle rendite, sulle quali fu stabilita la de- cima da pagarsi dal sacro collegio e dagli utfìziali della romana curia. La rendita di quaranta cardinali fu collocata in 389,000 ducati d'oro, e per conse- guenza la decima in ducati 38,900. Nove cardinali avevano annui ducati 10,000. Altri dieci avevano come segue (3) : Di Recanati due. 11,000 » S. Angelo » 12,000 » Madrid. ........ 12,000 » Sanseverino » 13,000 .. Este ...» 14,000 n S. Maria in Portico ...» 15,000 » S. Giorgio » 18,000 » S. Pietro in Vincoli . . . » 20,000 )) Ascanio » 30,000 52. Le decime degli ufììziali della romana cu- ria furono calcolate in ducati 10,792 (4). (i) RaynalcJ. an.eccl. lòOO, §. 8. (2) Ibid. §. 10-21, 1.501, §. 19, 1502 §. 12, 17-24. (3) Burchard. diar. ann. MD, lib- 1, part II, pag. 2118 2119. ed. Lips. Raynald. ann. eccl. 1J500, §. 9, 488, 489. (4) Burch. loc. cit. 2118 2119. 48 Sciente 53. Il pericolo dei cristiani essendo comune an» che agli ebrei fra loro tollerati , nello stato della chiesa anche sopra di essi fu imposta una contribu- zione, e fu calcolata alla vigesima dei loro beni (1). 54. Allorquando nel 1.^03 Alessandro VI cessò di vivere, il duca Valentino che occupava il Vati- cano colle sue truppe, e meditava d'impadronirsi del- lo stato, incominciò dall'appropriarsì il pubblico da- naro. Affidò tale impresa a Micheletto, principale ministro delle sue scelleratezze , il quale mettendo un pugnale alla gola al cardinale Casanova, prefetto dell'erario, rapi quanto in esso esisteva (2). 55. Ciò non ostante però il duca non potè ese- guire i suoi disegni. Iddio vegliava sulla sua chiesa e su Roma, e pochi giorni dopo la morte di Ales- sandro VI fu eletto il pacifico Pio III (3). 56. Ma giunto il discorso a questo punto, deg- gjo tacere: non permettendo le leggi archeologiche di trattare materie posteriori al secolo XV. Mi ri- serbo pertanto di discorrere, piacendo al cielo , in altri ragionamenti ed in altr'accademia delle finan- ze pontificie dal principio del secolo XVI al 1810. Quindi dal 1814 sino all'epoca in cui il regnante sommo pontefice le avrà ordinate, come da tutti si spera, e di vero cuore si augura per maggior glo- ria sua e bene dello stato. (1) Burcharci loc. cit. pag. 2118. Raynald. an. ecc. 1300, J. 9. (2) Rayiiald an. ecc. 1503, §. 12. (3) Raynalcl. Muratori anno 1503. ^9 Andrea Cesalpino d'Arezzo scuopre il primo la circo- lazione del sangue nell'uomo Vanno 1571 neW an- fiteatro anatomico di Pisa. Et dubitatnus adhuc virtutem extendere factis ? Virg. Aeneid. lib. VI. N. lei secolo del decimo Leone le scienze e le lette- Ve attraevano a se tutte le forze intellettuali della colta Italia: e la filosofia, che doveva pur almeno en- trare nel corso di una perfetta educazione, rimaneva tuttavia sterile e tenebrosa. Si voleva conoscere la na- tura negli scritti d'Aristotile, e non nelle produzioni di cui essa è feconda. Stando queste opposte agli occhi degli studiosi, non poteva non avvenire che si afifacciasse ad essi alcuna loro qualità fino allora inosservata: e ciò, o per mero accidente, o per l'attività ingenita allo spirito umano, che come scrisse un dottissimo italiano: mai non si appaga dé^ suoi possessi., e aspira sempre a nuove conqui- ste. Ma questi non furono che lampi assai rari, ten- denti ad illuminare qualche minimo ripostiglio della gran madre degli esseri, mentre la sua totalità ri- manea sempre avvolta nel buio del peripato. Trascorse mezzo secolo prima che lo splendore della esperienza giungesse a dileguarlo, e creare una nuova filosofia. La scienza anatomica dovea formare un'epoca lumi- nosa e di gloria per la nostra Italia con aver dato l'insigne scopritore, cioè Andrea Cesalpino d'Arezzo professore di notomia umana nel liceo di Pisa. Questo grande notomista fioriva nel principio del G.A.T.CXV. 4 50 Scienze secolo XV L Succedette alla prefettura del giardino botanico a Francesco Calzolari. Uomo di profondo sa- pere, conosceva tutti gli scrittori che ayeano vissuto prima di lui, e la sua eloquenza era universalmente esaltata. L'autore ci ha lasciato tre trattati. La prima edizione di essi fu impressa nel 1569 in Firenze. Nella vastità dei suoi ragionamenti si trovano importanti riflessioni, in ispecie su i polmoni e la re- spirazione. Fu dunque il primo che dopo Colombo di Cremona spiegasse chiaramente la circolazione del sangue nell'uomo. La scoperta della circolazione non è dovuta air inglese Harvey , ma al nostro italiano Cesalpino: giacché gli anatomici di quel tempo cre- devano che il sangue avesse origine dal cervello, al- tri dai polmoni, e la maggior parte dal fegato. Co- lombo, quando scrive De corde et de arteriis^ spiega la situazione del cuore sì del bruto e sì dell'uomo , parla del pericardio, dei nervi, della superficie e pin- guedine del cuore. Cesalpino segue le tracce del cre- monese. Gli vien negato dal maligno francese Taurel l'adipe che è intorno al cuore: e Cesalpino nell'an- fiteatro anatomico di Pisa brucia alla presenza di tutti il grasso estratto dal cuore di un cadavere che era sulla mensa anatomica. Colombo dice che questo gras- so è necessario al cuore, come lo è per il globo del- l'occhio: e Cesalpino conferma le sue asserzioni. Ari- stotile affermava che i ventricoli del cuore erano tre: Colombo, e poi Cesalpino, li negarono: ammettendone questo due soli, destro cioè e sinistro. Prima dì que- sto celebre anatomico credevasi che il sangue passasse dal ventricolo destro al sinistro : Inter hos ventriculos septum adest^ per quod fere omnes existimant sanguiìii. Circolazione del sangue 51 o dextro ventriculo ad sinistrum adìtum patefieri: sed longa errant via. Egli prova che erano in errore , e che dal destro va per l' arteria polraonale , entra nei polmoni, qui si assottigha, e passa per la vena pol- monale al sinistro. Sanguis per arteriosam venam ad pulmonem fertur^ ihique attenualur., deinde per arte- riam venalem ad sinistrum cordis ventriculum dè- fertur. Nel capitolo II, De pulmone, parlò più chiaramen- te della circolazione che fa il sangue nei vasi polmo- nali, ritrovò le rnembrane, le valvole, divise i tron- chi venosi dagli arteriosi, corresse il Vesalio perchè non descrisse qualche interessante arteria. Dopo l'e- same delle grandi arterie descrive l'aorta discendente colle diramazioni che si distribuiscono ai visceri ad- dominali. Finalmente nel suo libro 5 delle questioni peripatetiche così scrive questo straordinario genio aretino : Fugit enìm sanguis ad cor tamquam ad suum principium., non ad hepar.^ aut cerebrum. Quod sì cor prineipium est saguinis^ venarum quoque et arteriarum principium esse necesse est: vasa enim haec sanguini sunt destinala. Ut igitur rivuli ex fonte aquam hau- riunt^ sic venae et o,rteriae ex corde: oporiet praeterea omnes continuas esse cum corde., ut sanguis contentus in ipsis eius calore conservetur., (rigore enim congo" latur quod patitur iibicumque fuerit extra venas. Pa- tet autem ex disseetione omnes venas soli cordi conti- nuas esse: nam quae in pulmones transeunt ex corde., nulli aia visceri sunt continuae: Ime enim desinunt in cordis ventriculos., nec ulterius transmeant. Vena cava et arteria aorta, reliqua viscera, excepto corde., post- quam adierint transmeant ulterius: aut si quae desi- 52 Scienze nunt^ in capillamenta resolvuntur^ non in ventrem ali* quem transfundunt sanguinem: nullihi enim continetur sanguis in ventre extra venas^ praeterquam in corde. Così il Cesalpino scuopre il primo il ritorno che fa il sangue al cuore mediante le vene, e le anastomosi fra le arterie e le vene. Nella questione h : Idcirco pulmo per venam ar- teriis similem ex dextro cordis ventriculo fervìduni hauriens sanguinem^ cumque per anastomosim arteriae venali reddens^ quae in sinistrum cordis ventriculuni tenditi transmisso interim aere frìgido per asperae ar- teriae canales , qui iuxta arteriam venalem proten- duntur^ non tamen osculis communicantes ( ut puta- vit Galenus ) solo tactu temperai. Huic sanguinis cir- culationi ex dextro cordis ventriculo per pulmones in sinistrum eiusdem ventriculum optime respondent ea quae ex dissectione apparent. Nam duo sunt vasa in dexlrum ventriculum desinentia , duo etiam in sini- strum. Duorum autem unum intromittit tantum., alte-' rum educit membranis eo ingenio constitutis. Vas igi- tur intromìttens vena est magna quidem in dextero^ quae cava appellatur: parva autem in sinistro ex puV mone introdueens.) cuius unita est tunica ut caetera^ rum venarum. Vas autem educens arteria est magna quidem in sinistro quae aorta appellatur^ parva au- tem in dextero ad pulmones derivans.) cuius similiter duae sunt tunicae ut in caeteris arteriis. Con quest' ordine Cesalpino continua a descrivere le ramifica- zioni delle arterie e delle vene: e pervenuto alle estre- mità, così termina: Arteriarum ramusculos extremis cum venis minimis commini , atque homine dormiente sanguinem cum spiritu ex arteriis in venas deferri., ve- Circolazione del sangue 53 nae siquìdem ilio tempore intumescunt^ arteriarum ve- ro pulsics minor est. Finalmente facendo conoscere a perfezione il ritorno che fa il sangue al cuore me- diante le vene , e le anastomosi fra le arterie e le vene, conviene leggere la questione 3, 4 e 5 del quinto libro del Cesalpino. Qui schiuse quell'immen- sa e preziosa suppellettile d'investigazioni anatomi- che, che fu la più brillante epoca per l'anatomia e per l'Italia. Dice l'A., che il cuore viene paragonato ad un mantice d'organo, il quale caccia l'aria per tutti i canali del medesimo : così ancora il cuore come mantice dei vasi del corpo umano caccia in essi il sangue. Il cuore è il principio della vita: e nel mo- mento che manca la vita , cessano le funzioni del corpo e di questa. Dice ancora col cremonese Colom- bo , che le arterie si dilatano , allorché il cuore si Contrae: che vi siano le valvole nel cuore, delle quali alcune s'innalzano, altre s'abbassano: quelle delle ve- ne lasciano entrare il sangue nel cuore, e non per- mettono l'egresso. Ostio venae cavae tres membraiiu- lae coaptalae siint^ ita ut concedatur ingressus san- guini in cor , egressus autem nequaquam. Le val- vole delle arterie poi lasciano uscire il sangue, e gli impediscono il regresso; la vena cava scarica il sangue nel ventricolo destro, e l'afteria venosa, cioè la vena polmonale, nel ventricolo sinistro. Sonovi due arterie che riprendono il sangue dal cuore: la vena arteriosa, ossia arteria polmonare, che lo riceve dal ventricolo destro , e lo porta ai polmoni : 1' arteria aorta, che lo riceve dal ventricolo sinistro, e lo di- stribuisce a tutte le parti del corpo. All'intorno del- l'orificio dei vasi sono delle aierabrane che servono 54 Scienze a chiuderlo, o ad aprirlo, secondo il diverso uso dei vasi; quelli che ricevono il sangue dal cuore si chiu- dono, e non permettono più eh' egli vi rientri. Gli orificii di quei vasi, che portano il sangue al cuore, al contrario si aprono. Segue l'incomparabile anatomico a parlare delle anastomosi, dei vasi, dei polmoni e delle ramifica- zioni capillari. Il moto del cuore e delle arterie è moto involontario : il suo sentimento è in molte parti éonforme a quello di Colombo: parlando però dell' aria, non ammette che essa confondasi col sangue, ma che per solo contatto lo inaffi. Quelli che prima di Cesalpino credevano che l'aria entrasse nel cuore col sangue , ammettevano che nelle vene vi fosse uno spazio voto. Cesalpino considera le orecchiette come le altre vene del corpo : v' aggiunge che la vena cava ha la stessa struttura che i vasi che portano il sangue dai polmoni al cuore: l'arteria ha ancora la mede- sima struttura che il vaso che porta il sangue del ventricolo destro ai polmoni: e ci assicura che l'ar- teria polmonale, che esce dal ventricolo destro, ab- bia la pulsazione egualmente che l'aorta. In questi due vasi il numero delle tuniche è uguale a quello di tutte le arterie del corpo umano. Gli anatomici antichi, prima della scoperta del Cesalpino, pensa- vano che la natura dei vasi dovesse cangiarsi nei polmoni, di maniera che 1' arteria facesse ufficio di vena^ e la vena ufficio d'arteria: ed ecco l'origine del nome che davano a questi vasi di vena arteriosa, e di arteria venosa. Davano il nome d'arteria a tutti quei vasi che vanno al ventricolo destro, e il nome Circolazione del sangue 55 dì vena a quelli che vanno al ventricolo sinistro. Cesalpino fa conoscere il grande errore che essi aveano: e scrive, che invece d'accordare il loro si- stema alle leggi di natura, hanno preteso che la na- tura si accomodasse al loro sistema. Tale abbaglio ha fatto immenso danno alla medicina. È cosa bea rimarcabile, dice l' autore , il saper la ragione per cui le vene si gonfiano nella parte inferiore della legatura , e non sopra di essa. Quelli che cavano sangue , fanno tale esperienza , facendo la legatura sopra il luogo ove vogliono salassare : con questa impediscono che il sangue possa ritornare al cuore, e l'arrestano per il momento nell'estremità della ve- na. Quindi passa all'esame della vena porta, e del« la vena cava superiore nel fegato : sostiene che il cuore è la riunione e l'origine delle arterie , delle vene, del calore, degli spiriti animali, e della vita, la sede del cordoglio e del piacere. Ecco il sistema certo e fondato di questo in- gegno sottilissimo sulla circolazione del sangue, che spiegò meglio assai di Colombo che cosa sia vena, e che cosa arteria. Prima del Colombo e del Cesal- pino , niun anatomico conosceva che il sangne si scaricava nel ventricolo destro del cuore per la vena cava: credevano che il sangue (come dissi) della vena cava andasse immediatamente ai polmoni per nutrirli per mezzo dell'arteria polmonare, senza entrare nel cuore: e che da questa poi passasse nella vena pol- monale, per la quale scaricavasi nel ventricolo sini- stro, ove poi viene spinto nell' aorta. I due fratelli Hunter, anatomici inglesi, si sono maravigliati come abbiasi attribuito la scoperta della circolazione del 56 Scienze sangue ad Harvey. Nell'opera omnia d'Harvey, fatta pubblicare dal collegio medico di Londra 1776, alle pagine De Harvey vita leggesi che questo anatomico passò dall'Inghilterra in Italia ove apprese la noto- mia, la chirurgia, la medicina dal celebre italiano Fabrizio d' Acquapendente lettore nell' università di Pisa. Fu ancora scolare l'inglese Harvey di Casserio e di Tommaso Minadoos archiatro del duca di Man- tova, dotto in chirurgia, ed anatomia, in ispecie per un aureo suo trattato intitolato De ptisana eiusve cremore^ pleuriticis proponendo^ dialogus. Harvey ri- mase in Italia cinque anni , e fu laureato in Pisa . Da ciò si comprende che se Harvey avea fatta sì lunga dimora per i suoi studi in Italia, qui trovò però tutti i mezzi per istruirsi. Impossibile dunque a. credersi che non avesse scoperto la circolazione del sangue, e che ne avesse menato trionfo in In- ghilterra ove era affatto ignota la memorabile sco- perta. I nazionali di Harvey, fra'quali Adaras, scris- sero contro la sua prima dissertazione - De motu cordìs - pubblicata nel 1628 in Londra, laddove era già stata conosciuta settanta anni prima che l'in- glese Harvey ponesse il piede in Italia. L'opera ana- tomica di Colombo cremonese fu impressa l' anno 1559, e quella di Cesalpino 1571. Ridano di Pa- dova, che dettava l'anatomia in Parigi nel 1680, de- clamava altamente contro 1' impudenza dell'Harvey, avendo usurpato la gloria a Cesalpino con enormi falsità stampate, poi fatte circolare per l'Italia. Si legge nella vita d'Harvey che questo nobile ciurmatore abbandonasse l'Italia nel 1606: né mai potrà dubitarsi che Fabrizio d' Acquapendente non Circolazione pel sangue 57 avesse fin d'allora le cognizioni scoperte in Italia so- pra le distribuzioni dei vasi sang^uigni, e sopra la cir- colazione del sangue, poiché lo dimostra abbastanza nei trattati De venarum ostiolis, De respiratione. Ac- quapendente, insigne chirurgo ed anatomico, cam- minando per le vie delle scoperte fatte dai due ita- liani Colombo di Cremona e Cesalpino d'Arezzo, giunse a scoprire le valvole che rinvengonsi nelle vene a lui incognite , come si vedono dimostrate nelle tavole incise della sua immortale opera di chi- rugìa: si scorgono ancora quelle del cuore , come si è osservato più chiaramente nell'estratto del pre- loclato Acquapendente maestro d'Harvey. I dizionari inglesi con i loro rimbombanti articoli attribuiscono impunemente la scoperta della circolazione del san- gue al loro connazionale Harvey: ed i giornalisti di Londra parlando di Colombo e Cesalpino ( essendo questi italiani) hanno mutilato gli squarci interi del- le loro opere, in ispecie di Cesalpino quando pro- va la circolazione del sangue, e l'arteria aorta che nasce dal ventricolo sinistro del cuore. Vani sforzi, e temeraria impostura! .... La scoperta della cir- colazione del sangue è della nostra Italia, ossia d' Andrea Cesalpino d'Arezzo Un ambasciatore di Venezia a Londra donò l'opuscolo di Harvey al padre Paolo Sarpi servita. Costui parlò orrendamente della circolazione : che perciò pretendesi che la scoperta possa attribuirsi a questo frate, e che dopo la sua morte avesse la- sciato questo stesso trattato al celeberrimo Fabrizio d'Acquapendente, prendendone dei lumi per fare la scoperta delle valvole delle vene. Sogni e follie . . . 58 S e 1 E N Z B Acquapendente pubblicò la scoperta delle valrole nel 1603 quando morì Cesalpino in Roma : ab- bandonò la cattedra essendo mal disposto di salu- te neir anno 1604, e morì nel 1619 in Pisa. Harvey pubblicò la sua memoria nel 1628. Non mancaro- no scrittori infedeli e maligni , che attribuirono la brillante scoperta a Michele Serveto , quel famoso medicastro che scrivendo da empio eresiarca in teo- logia, cioè Dialogorum de triniiate libri duo: De tu- slitta regni Christi eapilula qualuor: De trinitatis er- roribus libri septem per Michelem Servelo^ 1531-1532, fu per vendetta di Calvino bruciato vivo in Ginevra il 28 ottobre 1553. Questo mostro di eresie le più esecrande scrisse confusamente in queste opere sulla circolazione del sangue anche in barbaro latino. Con- chiuderò dunque con Tommaso Bartolini, con Van- der-Linden, colle autorità di Freindrio, di Delame- Irie, di Dutens, che Cesalpino sia stato il primo a scoprire la circolazione del sangue nell' uomo , co- me fu Acquapendente delle valvole delle vene. Se- nac, dottissimo scrittore francese, scrive così : Har- vey marche sur les traces de Cisalpin^ comme un vo- yageur , qui va parcourrir un pays deia decouvert. Portai, parlando delle scoperte italiane, dice: Sembra che oggidì V Italia riposi sopra i suoi allori^ e non pensi ad altri onori ; la gloria della scoperta della circolazione del sangue dell'uomo è per l'italiano Ce- salpino d'Arezzo. Questa sorprendente teorìa, unita ad altre luminose indagini anatomiche, scintilla da tutte le parti agli occhi del Cesalpino : ed egli la tocca, la palpa, e »ta sul punto di alzare il velo : Circolazione del sangue 59 ma tanto indugia, che un destro inglese gliele strap- pa di mano: e ponendo a profitto l'altra brillantis- sima scoperta italiana, cioè quella delle valvole delle vene, e schiamazzando per il primo circolazione^ ne raccoglie in un punto tutta la gloria a spese del nostro illustre italiano. Il sommo anatomico, conoscendo tutte le teorie sulla respirazione, sulla vera circolazione del sangue, con le replicate analisi praticate nei visceri del torace, ehbe grandi lumi per curare le malattie del petto e del cuore, come rilevasi dall'opera che ha per titolo: Spe- culum artis medicae hippoeraticiim . Romae 1595- Francofurti 1596. Scrivendo dell'angina, osserva che l'imbarazzo de'polmoni è uno dei più comuni effetti di tal malattia. Osserva egli che la parte superiore della trachea è libera: la bocca ed il naso, per dove pas- sa l'aria per insinuarsi nella trachea , sovente non soffrono lesione alcuna. Dopo questo raziocinio con- chiude, che la tracheotomia è inutile, giacché l'im- barazzo dei polmoni è un effetto: non pensando pe- rò che questa operazione impedisce che l' infermo rimanga soffocato, poiché apre una strada alla re- spirazione: cura i mali venerei con i decotti di le- gno guaiaco , di sassofrasso , brodi viperini , col mercurio dolce (cui l'inglese Harvey con impudenza ha usurpato il nome chiamandolo calomelano ) : raccomanda le fumigazioni e la pomata mercuriale col mercurio vivo, come praticava Mesue nella scab- bia. Insegnando il metodo di preparare tutti questi medicamenti, parla delle malattie esterne ed interne dell'organo della visione e di quelle dell' orecchio. Questo straordinario ingegno fu il primo a ridurre GO Scienze la scienza erbaria a sistema filosofico, essendo in quel temi oscuro ed incolto , ma sparso in pochi bota- nici d'Italia. Odoardo Smith, fondatore e presidente delia società linneana di Londra, parlando del me- rito di Cesalpino sulla sua botanica scrive : che ha portato maggior luce sulla struttura e sulle affinità dei vegetabili^ che qualunque altro prima di lui^ aven- do fatto distintamente una classificazione dei sessi e delle famiglie e delle piante. Sotto la disciplina di Luca Ghini, direttore dei giardini botanici di Pisa e Firenze, dettava il Cesalpino in questa città le isti- tuzioni: creò un' accademia ed immaginò quell'in- dustrioso metodo di dividere i corpi vegetabili in generi e specie: li ridusse a classi, prendendo i ca- ratteri distintivi , non già dalle qualità accidentali della durata, ne dalla grandezza, né dalle virtù me- diche favolosamente magnificate dall'antichità, e da Dioscoride fino ai tempi nostri, ma dalle immuta- bili parti della fruttificazione. La di lui grande at- tenzione e r immenso vantaggio che recò alla bo- tanica fu quello di distribuire comodamente le pian- te, ed all'esame delle esterne apparenze: finalmente con profondo criterio ne rintracciò l'interna struttu- ra, la nutrizione, la germinazione e l'uso in medi- cina. Né fu contento di esaminare le piante d'Italia, ma estender volle le sue dotte ricerche su quelle che il commercio dell'America e delle Indie Orien- tali somministravano al lusso ed alle delizie dei giar- dini. Osservò quindi il primo la situazione e le im- percettibili radici nei semi: notò il numero del pri- mo sviluppo dell'embrione: paragonò i semi alle ova degli animali: distinse i ricettacoli dei frutti, le di- Circolazione del sàngue 0 1 Tisionì delle silique: pose il nome di corolla, e ri- cettacolo al fiore: e così dalla sagace industria e fa- tiche di questo genio, riconosce la botanica il prin- cipio de'suoi grandi progressi. Quest'opera aurea fu impressa con universale applauso col titolo: De pian- tis libri XVI. Florentiae 1583 in folio. Quindi stam- pata in Roma con preziosa appendice nel 1602. In Francfort nel 1613 intitolata: Speculum artis medi' cae. Un lavoro cotanto insigne gli meritò l'incarico di archiatro del pontefice Clemente Vili, poi di let- tore di medicina teorico-pratica nell' archiginnasio romano. Nell'opera si leggono descritte undici mila e quattrocento erbe illustrate dal dottissimo Micheli. L'illustre scienziato travagliò con indicibile ardore per comporre due erbari secchi, l'uno per comando del gran duca Cosimo I che lo donò al suo figlio successore Francesco I, ed a cui dedicò l'opera del- le piante: l'altro che regalò al vescovo Alfonso Tor- nabuoni della botanica indefesso cultore. Il Cesalpino, dopo aver percorso la superficie della terra nella investigazione delle sostanze vege- tabili, rivolse le sue filosofiche ricerche ad esami- nare minutamente tutti i fossili e formarne un trat- tato : De metallicis libri UT. Romae 1596. Avea di- visato l'autore di pubblicare un più ampio trattato, se un suo amico e dotto collega Michele Mercati non l'avesse prevenuto con la sublime opera Metal- lotheca Vaticana. Giudicò inutile l'ideato progetto, e credette più conveniente di compilare la detta opera che la grandezza delle tavole in rame rendeva agli amatori di troppo dispendio, e di completare quel- la parte che risguarda i marmi e le gemme per 62 Scienze r immatura morte del Mercati rimasta imperfetta. Travagliò dunque su quel codice delle materie me- talliche, scritto con stile, regolarità d'ordine ed ele- ganza latina , come avea praticato nei libri della botanica. Allorquando vide la luce l'ultima opera celeber- rima del nostro insigne Cesalpino, che fu Quaestiones peripateticae , comparve una cicalata del medico francese Nicolao Taurel che portava in fronte: Alpes caesae^ hoc est Andreae Cesalpini monstruosa dogmata discussa et excussa. Il grande autore disprezzò tal bassa malignità del ridicolo ed ignorante francese Cesalpino è stato giudicato da tutte le nazioni per gran maestro nelle scienze naturali, scrutatore profondo dell'animale economia, sommo conoscitore delle funzioni sane e turbate del corpo umano, pro- motore oculato ed ardente delle nobili ed utili scienze salutari, cioè della notomia, chirurgia , medicina e botanica. La storia vuole stabilire i veri scopritori ed inventori delle cose, e scriverli nel gran libro con indelebili caratteri per tramandarli a tutti i secoli : e la storia sa illuminare sì brillante e strepitosa sco- perta , onde non sia strappata alla nostra Italia la palma di questo incomparabile anatomista ; e Pisa ed Arezzo sua patria s'abbiano rivendicata la gloria, la quale con inaudita impudenza gli venne usurpata dall'emulo e turbolento pirata inglese Harvey. Dottor Chimenz. Morì in Roma il 15 marzo 1603: fu seppellito nella chiesa di ». Giovanni dei fiorentini, come si è letto nell'archivio della parroc- efaia di ». Eustachio. Non si k rinvenuto segno alcuno di distinzione e monumento in s. Giovanni, non avendo lascialo che una fama im- mortale del suo nome, e un inonorato sepolcro. 63 Zi^gW^lSl&i^TirilA Tracce storiche sul dominio greco dopo Alessandro nell'Asia centrale. M. Lalgrado la vita solinga ed oscura che circa venti anni indietro traeva in Roma l'erudito vecchio conte Palin , dopo compiuta la sua carriera diplomatica come ministro di Svezia presso le corti europee, era pure ben cognito a molti e specialmente agli archeo- logi. Ma era scritto nelle disposizioni della Previden- za che non prestasse orecchio ai timori da me rei- terate volte manifestatigli sul pericolo che poteva correre di alcun agguato assassino nel recondito asilo presceltosi vicino alla Trinità de'Monti, e che restasse appunto vittima della sua fiducia: sebbene l'uccisore pagasse il fio del suo delitto sul patibolo. Questo infaticabile vecchio, specialmente appas- sionato per la filologia ed archeologia orientale, nel- l'incendio che soflfrì il palazzo della legazione sve- dese in Costantinopoli, mentre era colà ministro, vide fra gli altri oggetti distrutta una ricchissima colle- zione numismatica di monete principalmente greche, egiziane , asiatiche ec. Fra queste ne rammentava con affetto alcune, nelle quali Irovavansi nomi greci di alcun re dell'Asia centrale appartenente al domi- nio di Alessandro. Questa reminiscenza in esso non 64 Letteratura era infrequente: ma poiché, unita ad un mirabile cor- redo di peregina erudizione, nutriva egli una fervi- da imraapinazione, che sovente trascendeva i confini della sana critica, come rilevasi da non poche di lui opere anonime (1), così l'asserzione dell'esistenza delle (1) Fra le molte oporette del sig. Palin conservo una illustrazione di molte monete egiziane mediante un di lui sistema tutto simbolico e fantastico: come conservo un tipo della famosa tavola trilingue di Rosetta coirilluslrazione dei geroglifici mediante gli antichi principii del simbolismo. Quest'opera non fu posta in commercio: ma le copie impresse furono dal Palin donate al suo dottissimo amico e collega Jacopo Graberg di Hemso, non ha guari mancato alle scienze in Firen- ze, dal quale fui favorito d'una copia. A dimostrare intanto l'erudita archeomania del Palin amo ripor- tare un di lui singolare episodio. Fra le .stoviglie insigni rinvenute dal sig. principe Luciano nel 1839 nelle necropoli etrusche di Vulci presso Canino presentò speciale interesse all'illustre discopritore una coppa avente nel fondo giallo, esprimente il mar tirreno colle note in- segne dei delfini, una nave, di cui albero ed antenna erano sormonta- ti da una vite co'pampini e grappoli. Al pie sedeva Bacco coronalo di edera, e portante in mano il corno potorio, o bicchiero. Il margine della tazza aveva un orlo nero di circa mezzo pollice, sul quale si ve- devano alcune cifre di sottili linee rette, che spesso si intersecavano in vari angoli, e mostravano qualche analogia ai caratteri cuneiformi, od anche cinesi. Or il principe^ che opinava le origini italiche doversi piuttosto alle dirette immigrazioni di asiatici, anziché di greci, ed es- sere perciò r etrusca anteriore alla civiltà greca, vide in quei segui irregolari un'iscrizione di antichi ed inesplicabili caratteri orientali. Quindi nel catalogo di scelte iscrizioni etrusche da esso pubblicate in Viterbo, del quale io diressi redizione,volle che in linee più membrute dell'originale venisse riportata la pretesa iscrizione. Il sig. Palin, che diceva conoscere molti caratteri orientali, senza consultare l'originale si occupò d' interpretare i caratteri impressi. A tutti i paleografi ed etimologisti quali stupende metamorfosi, e quali fauste scoperte possano ottenersi dalle antiche leggende ora curvando, ora mutilando, ora aggiungendo qualche lineola, ed ora modificando con dittonghi e dieresi e sincopi il valore fonetico delle parole per ottenere dallo Dominio greco 65 prefate medajjlie non mi ispirò intera fiducia: e piut- tosto mi persuadeva , che le tracce della storia del dominio de'successori d'Alessandro nella Persia e nel- l'Indie fossero ormai preda irreparabile di un oblio eternale. E ben \ero, che nel secolo passalo il Bayer aveva riunito tutti i documenti desunti dagli storici dell' antichitcì, e stabilito i nomi di sei re di greca origine nella Batlriana, regione bagnata dal l'Oxus: ma questi nomi nudi di alcun rapporto cronologico ge- nealogico e storico non presentavano grande interesse. La zelante società asiatica di Calcutta da circa quindici anni si è dedicata con ispeciale ardore, non solo allo studio delle lingue e scrittori , ma anche alla ricerca de' monumenti: ed ha ottenuto preziosi resultamenti, de'quali giova presentare vni sunto. E ciò con tanta maggiore alacrità, in quanto il nostro italiano generale Ventura, che trovavasi a militare servigio presso il re di Labore, fece parte di quella società diretta dal dotto ed intraprendente inglese Giacomo Prinsep Prima di parlare però di tali sco- perte è indispensabile il rammentare alcuni dati sto- rici sul dominio del grande Alessandro nelle regioni asiatiche. scritto misterioso qualche oracolo archeologico! Il Palili scrisse in proposilo una memoria, che io conservo, tanto trascendentalmente erudita, che poneva a contribuzione lo stesso lao de'cinesi, ed al tre nazioni indo-persiane per ottenere nn senso all'iscrizione. Per iiiforlunio però dell'illustratore, coloro, che avevano visto l'origi- nale, si persuasero che le lineole non erano scritte, ma accidentali screpolature della vernice nera sovrapposta alla gialla , come può ben rilevarsi dal Cac simile della pittura di quella tazza pubblicala iu litografia dal Mandolini in Roma. G.A.T.CXV. 5 66 Letteratura Dopo la morie di Dario, Alessandro l'anno 330 prima di G. Cristo tornò verso il mar Caspio, e sta- bili colonie neir Ircania e nella Media che formaro- no il nucleo del regno de'parti fondato 80 anni dopo da Arsace. L'anno stesso entrò nell'Aria (regione di cui l'Herat è la capitale attuale) , pose guarnigione in Susia, città che credesi corrispondere all' odierna Subzar al sud di Herat, Marciando quindi verso la valle di Cabul, passò l'inverno in Alexandria-ad-caU' casum^ che si crede trovare nella pianura di Beghram vicino a Sciarikar a 30 o 40 miglia da Cabul, ove è slata scoperta una gran quantità di medaglie de' re greco-battriani, e de'loro successori sciti : circostan- za che sembra indicare questa località come la capi- tale della regione bagnata dal fiume Cabul. Nel 329 Alessandro passò l'Imao (Hindu-Koh), prese Dipsaco (ludrab), giunse airOxus, stabilì colo- nie fra questo fiume e le montagne : indi passando per Samarcanda sul Sir o laxartes , che traversò , vinse sopra gli sciti una gran battaglia avanti a Ko- iung. Avendo colonizzato le sponde di questo fiume, passò l'inverno in Ariaspe, che credesi l'attuale città di Hararasp. L'anno 328 fu consacrato a soggiogare tutto il paese fra l'Oxus ed il laxartes, ed a stabilire guai' nigioni nella Sogdiana, Nel seguente anno Alessan- dro passo di nuovo l'Hindu-Koh, marciò lungo il Cabul fino all' Indo, disfece Poro e s' impadronì di tutto il Puniab, Nel 326 discese l' Indo sovra una flotta, e ridusse la popolazione sulle di lui sponde. Ricondusse la sua armata per la Gediosia (Belluc- cislan) in Caramania (Persia meridionale), ed arrivò Dominio greco 67 in Susa al cadere del 325. Così fu stabilito l'impero gl'eco in Asia dal Mediterraneo all'Indo, e dal Caspio e lo laxartes lino al mare delle Indie. Le colonie e le guarnì {jioni assicuravano ovunque l'influenza e la [)reponderanza del governo greco; e lingue, isti- tuzioni, religione tutto fu riorganizzato sul sistema greco. Alessandro mori di febre due anni dopo il suo ritorno a Susa. E cosa sorprendente l'osservare, che un impero di dieci anni appena, lasciato senza suc- cessore, e smembrato immediatamente dopo la morte del suo fondatore, abbia impresso in queste regioni orientali tracce tanto profonde , che occorsero più di cinque secoli per obliterarle interamente. Alla morte d'Alessandro i capi dei governi resi indipendenti si attaccarono gli uni cogli altri. Nel 322 av. Cr. Eumene governatore di Cappadocia vin- se ed uccise in battaglia Cratero. Eumene fu vinto quindi, e fatto prigioniero da Antigono , che prese il nome di re. A questi si opposero Seleuco gover- natore di Babilonia, e Tolomeo capo d'Egitto: e si impadronirono dell'Ircania, della Battriana e di tutto il paese fino all'Indo. Intanto Sundra Gupta (San- dracotlo ) nel 303 cacciò i greci dal Puniab , e si rese indipendente. Seleuco però regnò su tutta l'Asia occidentale fino all' Indo, e lasciò l' impero ai suoi successori. Sotto Antioco Teo, di lui nipote, la Bat- triana si dichiarò indipendente col suo re Teodoto nel 256 A. C, e la Partia fece lo stesso sei anni do- po sotto Arsace, che riunì a questo paese l'Ircania, e fondò un regno che si estendeva dall' Hcrat al mar caspio. Arsace, d'origine ignota, impiegò la lin- 68 Letteratura glia greca sola nelle monete ed atti pubblici. Le monete arsacidi-partiche hanno una testa dall'una parte senza iscrizione, dall' altra una figura sedente in mezzo ad un' iscrizione greca formante un qua- drato. L'iscrizione contiene il nome del sovrano col titolo di re dere^ e qualche epiteto, come giusto, vincitore, filelleno ec. Alcune di tali monete trovate nel Afganistan sono iscritte in due lingue, e sembra essere slate battute da governatori indipendenti. Nel palazzo della compagnia delle Indie è una gran col- lezione di tali monete arsacidi , la quale compren- de 27 re per il tratto di 489 anni, cioè 254 A. C. e 235 dopo. In quanto alle medaglie trovate nel Cabul, delle quali quasi tutte presentano nomi di sovrani fin qui incogniti, il prof. Lassen ne ha fatto diverse catego- rie. Le une di bella impressione oflfrono teste gre- che da un lato, ed un emblema mitologico con un' iscrizione greca nell' esergo; e queste appartengono ai re più antichi. I re successivi, oltre le monete pu- ramente greche, hanno battuto monete con iscrizioni in due lingue, delle quali una , cioè l'ariena, non sempre può intendersi. Fra le prime un piccolo nu- mero ha lasciato tracce nella storia. Così Teodoto I si dichiarò indipendente nella Battriana verso l'anno 256 A. C, secondo Strabene. Eutidemo fece allean- za con Antioco il grande, che die sua figlia in moglie al di lui figlio Demetrio. Sono stati trovati editti di Antioco scolpiti sulle rupi e sulle colonne in molti luoghi delle Indie, e specialmente a Girnar. Le me- daglie di Eucratide, riportalo da Giustino come con- te mpoianeo di Mitridate I re de' parti , sono nu- Dominio greco 69 raerosissime, e di tipi ed iscrizioni diverse. Alcune sono greche, ora col titolo di re, ora con quello di gran re : altre hanno, oltre l'iscrizione greca, anche una leggenda ariena. Eucratide sembra essere stato il primo sovrano greco che abbia introdotto nelle monete l'idioma indigeno: e dalle località, nelle quali sono state trovate le sue monete, sembra aver regnato nella Battriana, nel Cabul, nell'Afganistan, nel Puniab, dal regno dei parti fino all'Indo. Il sig. Lassen sup- pone, che al tempo stesso regnasse nel Cabulistan Agatocle, di cui si trovano pur anco medaglie bilin- gui, ma col sanscritto in vece dell' arieno unito al greco. Deve esser ad esso succeduto un Pautaleone, di cui le medaglie hanno gli stessi caratteri. Una terza categoria di medaglie male impresse hanno nomi barbari con iscrizioni greche. Si attri- buiscono a dinastie scitiche, che invasero la Battria- na prima dell'era cristiana. Il più gran numero di medaglie appartiene alla quarta categoria. Sono bene impresse , presentano belle teste greche ed iscrizioni in greco ed in pra- crit o sanscritto popolare, scrìtte semiticamente da dritta a sinistra. Per classificare tutte queste meda- glie, il prof. Lassen suppone oltre alla Battriana l'esi- stenza di tre altri regni : cioè 1' uno composto del Puniab, la valle delle Indie, il Cabul ed il Candahar nei tempi della sua prosperità: il secondo dell'Herat e del Sedjistan: ed il terzo della parte centrale dell' Afganistan. Questa divisione è assai probabile. ) Sulla disposizione in serie de' nomi di princìpi; in tal modo quasi risuscitati non vi sono che con-r. getture. Così v'è una lunga lista di re aventi un epi- 70 Letteratura telo comune Soler (salvatore) con linn^ua ariana e g^eea: e questa si crede spettare ad una stessa di- nastia. Se ne contano nove: Menandro , Apollodoto, Diomede, Zoilo, Ippostrato, Stratone, Dionisio, Ni- cia ed Ermèo. Sei altri hanno l'epiteto di vittorioso: e sono Antimaco, Arphelio, Antalcide, Licia, Filosse- no ed Aminta. Tre, di cui uno femmina, non hanno non>e marziale,: Eliocle, Telefo, Agatocleia, Di tutti questi re soltanto Menandro ed Apollodoto sono no- minati dai classici come regnanti nella Battriana, nell' Aria- o nel Puniab due secoli prima dell'era cristia^ na. I tipi, gli emblemi e l'impressione delle monete sono affatto greci, I caratteri arieni, su i quali i dotti hanno molto esitato, sono slati riconosciuti apparte^ nere al sanscritto. La natura degli emblemi indica spesso il luogo ove sono stale battute le monete; così l'elefante annuncia il dominio dell'Indie, come il bu- falo. L' asino selvaggio ed il camelo a due gobbe la Battriana. I re sciti, successori de'greci, sembra che adot- tassero la loro forma di monete, iscrizioni e lingua, Mia co' propri nomi, titoli ed emblemi. Quelle di Mane sono rare e talvolta sono simili a quelle dello scila Azes, che pare essere stato il più gran re di sua stirpe. Le di lui monete numerosissime portano ia leggenda: Azes gran re dei re. I tipi sono vari , ma non vi si trova alcun busto, ed invece un ca- valiere armato, e che sta cacciando: e sul rovescio un animale, o una figura mascolina o femminina che non appartiene alla mitologìa classica. Talvolta vi sono animali nelle due facce. Tutto annuncia urta nuova dinastia o razza, e forse una nuova religitìtie. Dominio gbeco Ti Wilson riguarda Azes come un indiano buddhista : e Lassen come uno scita saciano, che aveva condot- to nel Cabulistan un' orda di tartari cacciati dagli unni : ed appoggia la sua congettura sulla fede di storici cinesi, e sopra un passo di Strabone* Questo avvenimento dovrebbe riportarsi a 150 anni a. C. Prinsep suppone, secondo la storia cronologica de' tartari di Abul-gazi-kan, che questo Azes è lo stesso che Oguskan che fece grandi conquiste nell'Asia cen- trale, le quali terminarono colla disfatta e colla morte di lagma (Ermèo?) che regnava a Cabul e Casce- mira. Azes pare che avesse per successore Azilise, di cui le monete portano i medesimi titoli ed iscrizio- ni bilingui. A questa dinastia appartengono forse le monete €li Vonone, che non possono riferirsi ad alcun re del- la razza degli arsacidi. Un'altra serie di monete scile porta il nome di Kodes , Yrkodes , e qualche altro illeggibile, sebbene scritta in greco. Non hanno iscri- zione ariena, e sembrano appartenere alla Battriaua o Sogdiana, ove questi principi vivevano da satrapi indipendenti, come avviene anche attualmente. Forse questi precedettero la conquista del Puniab e del Ca- bulistan fatta dall'eroe indiano Viciamaditia, che dis- fece gli sciti nell'anno 56 a. C. Non si sono trovate monete di questo conquistatore: ma le monete suc- cessive presentano divinità indiane in luogo di quelle della mitologia greca. • Dopo la morte di Vieramaditia pare che gli sciti di nuovo occupassero il Cabulistan, trovandosi medaglie di greco corrotto ed arieno con emblemi indiani, come Siva, le quali portano i nomi di Ko- 72 Letteratura soulo-Kadphises, Zathos-Kaclphises e Vokerao-Kad- phises. Tali monete si trovano tanto in rame, che in argento ed in oro. Questa dinastia de'primi anni del- l' era nostra era verosimilmente contemporanea ai greco^parti Undoferres , Gondeferres , Abagaso ed iVbalgasio , de' quali pure esistono monete di greco corrotto ed arieno. oa?.; La' dinastia de'Kanerclii, che susseguì, ebbe mo- nete con caratteri greci di pessima forma, e con bu- sti e figure vestite in abito tartaro o indiano: e sul rovescio una rappresentanza mitriaca del sole e della luna co'nomi mistici in greco. Dopo questa dinastia i caratteri i gieci han dato luogo ai sanscritti sotto principi di razza indiana. t>J9{ii)Il!**g- l'TÌPaep termina il suo compendio delle nio'nete grecjhe scoperte nell'Asia centrale con alcune osservazioni sulla lingua arieua , che sebbene noa cognita che in piccola parte, sembra aver molta ana- logia col sahscritto, col mezzo del quale si spera spie- gare le iscrizioni su i vasi, pietre, e colonne, e tom- be antiche del Puniab e Cabulistan, e specialmente quelle trovate nelle tombe di Manikale presso Labore fatte scavare dai generali Ventura e Court. Il villaggio di Manikale sembra posto sopra le mine di un'antica ed importante città. I due predet- ti generali italiano e francese fecero scavare un gran tumulo o sepolcro della più alta antichità , e quindici piccoli. Uno di questi ultimi in particolare ha fornito ricchi materiali, e specialmente molte me- dagUe di Kadfìsi e Kaneichi, ed un' urna d'argento racchiusa in altro vaso di rame e contenente una pasta ancor umida. Nell'urna d' argento un vasetto Dominio greco 73 d'oro immerso nella pasta conteneva alcuni anelli eJ alcune medaglie, fra le quali ve n'erano anche ro- mane. Le urne e molte pietre interne erano coperte di caratteri arieni. Il gran tumulo conteneva meda- glie di dinastie tanto greche che sassanidi, ambra , anelli, pezzi d'oro, ed una pasta animale, racchiusi in vasi d'oro contenuti in cassette di rame. Tre di tali cassette furono scoperte l'una sotto l'altra a diverse profondità, accompagnate da iscrizioni ariene o peh- lavi (perso antico). La cassetta più bassa (64- piedi sotterra) conteneva monete greche. Il sig. Masson ha scavato sepolcri vicino a Gellalabad e nel Cabulistan, e vi ha trovato urne e caratteri arieni. Sebbene tali tombe contengano, secondo 1' uso greco, alcune monete, pure non vi si è trovata alcu- na iscrizione in lingua greca, né traccia di elleniche costumanze. Sembrano di origine scitica, ed analo- ghe ai monticelli funerari che tro valisi ovunque è penetrato il popolo scila, > , t»iiv^ Tutte queste notizie accumulate già dal signor Giacomo Prinsep, segretario della società asiatica di Calcutta unitamente al fac- simile di molte iscrizio- ni e monete, nonché dei saggi da esso fatti per in- terpretarle e formare gli alfabeti relativi, non hanno recato alla scienza archeologica tutti quei vantaggi che se ne attendevano: perchè l'inclemenza del cli- ma rapì a mezzo de' suoi studi 1' esimio autore. Il di lui fratello però si die cura di pubblicare in Lon- dra i materiali, de'quall abbiamo dato il sunto. Ma frattanto le ricerche e gli studi si proseguono : ed in Oliente il tenente del genio Cunningam prepara un'opera sulle antichità iu proposito, mentre in Eu- k 74 Letteratura ropa i professori Wilson e Lassen vanno illustrando i resultati di tali investi(}azioni, e studiando di in- terpretare le iscrizioni e riunire qualche brano di storia antica dell'Asia centrale- S. Camilli. Biografìe diverse. I. PIETRO BAGNOLI. A monsignor Carlo E. MuzzareUi. - Ronin, rima di rispondere alla pregiatissima sua del de- corso ottobre ho dovuto venire dalla mia patria,, ove mi ritrovava a terminare le vacanze, a Pisa per la riapertura degli studi, per rivedere alcuni appunti che qua aveva lasciati , i quali riguardano la vita mia per quel tempo che la passai in servigio de' miei li. e RR. sovrani , e per i quali , essendomi state domandate ugualmen'e che da lei, alcune no- tizie di me, per servire alla compilazione del di- zionario dei viventi, che si fa, credo io, a Parigi, credei dovermi premunire della permissione del mio augustissimo signore e padrone, prima di darle, co- me feci. Si aggiunse, qua venuto, l'occupazione gior- naliera e quasi continua degli esami di ammissione, nei quali pur tuttavia mi tiovo, dirò, ingolfato. Ed anco pensai, che non vi fosse necessità di molta fretta per le notizie che ella per sua sola bontà, non per mio merito alcuno, ha voluto domandarmi, che Biografie diverse 75 forse anco potrebbero essere meglio corredate di cose che mi restano da dar fuori : per le quali altresì dirò, che come solatia senectulis riguardandole, pen- sava d' impiegare quegli anni di vita , che a Dio piacerà di concedermi, cominciando probabilmente da quest'anno. Tutto questo basti per scusa del ri- tardo della l'isposta. Ora di me le dirò, che sono verso i 60 anni. Nacqui in Samminiato di Antonio Bagnoli e di Anna Castelli, di condizione onesti, di stato mediocri. Feci i primi sludi nel seminario vescovile della mia patria, preso avendo da giovinetto l'abito ecclesiastico: e pure da giovinetto fui scelto per segretario dal mio vescovo quel tempo monsig. Brunone Fazzi. Passai poi a que- sta università agli studi dell'una e dell'altra legge, non già per esser legale, essendomi ordinato prete, ma per- ché il posto di grazia del mio paese, che ottenni, esige- va il conseguimento della laurea dottoiale Quello stu- dio scelsi per compiere il dovere: nel resto mi dedicai lutto alle lettere ed allo studio del greco. Fui dotto- rato nel 1795. Appena dottorato, e richiesto dal march. Federigo Manfredini allora maggiordomo magg. di S. A. R. il gran duca Ferdinando III di gloriosa memoi ia, mi trattenni con esso più in qualità di per- sona di sua compagnia che di segretario: finche nel- r occupazione della Toscana, e nella partenza del mio R. sovrano, da lui invitato, lo seguii e nel viag- gio e nella dimora in Vienna, dipoi in Salisburgo: e nell'invasione anco di quel suo stato, in Ungheria: fintantoché in Wiirzburgo dopo pochi mesi mi per- mise per sua R. clemenza di ritornare in Toscana , con suo decreto ritenendomi nella dipendenza, e di- 7G Letteratura spensanclomi dall' attuai servizio. Questo mio servi-' zio era eli precettore dei RR. aiciduclii, trai quali, nella sua fanciullezza, di questo mio a! presente [. e K. padrone felicemente regnante , e di esecutore di qualunque altro suo ordine di cose letterarie, in specie di poesie per musica, essendo già a stampa alcuni drammi ( i più sacri ) ed altri inediti. Nella dimora in Vienna fui anco scelto per fare esercizio di latino con S. A. R. il principe Leopoldo di Na- poli, per un'ora di ciascun giorno: e ciò fu, mi pare, per un anno. Nel mio primo ritorno in Toscana ebbi dalla regina reggente il decreto di professore di storia e letteratura nell'università di Pisa: ma non esercitai per la mia dipendenza dal R. gran duca mio padrone. Durò circa un anno la mia dimora in Toscana , e ritornai in Germania , dove da Vienna aveva incombenza dall' imperatrice Maria Teresa di alcuni drammi che io feci, e che sono colà rimasti inediti, e mi trattenni dopo la morte di quell'impe- ratrice in Vienna fiao al 1811, quando ritornai sta- bilmente in Toscana. In quel tempo, coll'assenso del mio R. padrone, presedeva all' educazione letteraria dei figli del sig. principe don Tommaso Corsini, e mi occupava delle mie povere composizioni, già d'avanti cominciate, di poesia. In quel tempo medesimo fui per titolo di onore eletto can. della mia cattedrale di Samminiato. Piacque poi alla divina provvidenza di richiamare il nostro augusto amatissimo padrone in Toscana ; ed allora, vacata la cattedra di lettere latine e greche in questa università, fui io fatto pro- fessore nel 1816, dove finora mi ritrovo, e fui dopo anco eletto accademico della crusca, saranno già, mi Biografie diverse 77 pare, sette anni. Questo, dirò, è il breve sommario della mia vita, lasciando molle particolarità, per esem- pio e di scuole dal 1. e R. granduca Ferdinando HI ottenute e stabilite in mia patria, e dell' accademia di scienze e lettere riformata, e di altre ec. Fui anco onorato di commissioni poetiche, da quando era gran principe di Toscana , da questo I. e R. granduca. Delle mie povere cose, che sono pubblicate, nulla di- rò. Quél mio poema forse una volta sarà meglio co- nosciuto. Vi sono le poesie varie , e le prose sulla lingua italiana , ed altre cose nel giornale pisano. Le latine, in specie le orazioni inaugurali, che sono stale ogni anno, dirò, compatite, saranno, se Dio mi dà vita, ancora una volta fatte pubbliche. Ed aviei idea di cominciare dentro quest'anno dalle cose gio- vanili: giacché, mi permetta che dica e fìnisco, che una disposizione naturale mi faceva fare i versi fino dall'età infantile di 6 anni. Credo, che questo potrà bastarle: poiché ella ha la generosa bontà di volermi onorare co' suoi scritti, dai quali ripeterò, quello che per me e per le cose mie non avrei potuto conseguire, quel nome cioè al quale aspirano per natura in special modo coloro che si danno all'esercizio delle lettere, e del quale le anticipo la mia riconoscenza unita all' alla stima e distinta, colla quale mi segno. Di lei sig. e padrone venerai. Pisa 23 novembre 1829 Devmo: AfFmo: servitore Pietro Bagnoli. N. B. Il celebre letterato, nato nel 17G4, passò agli eterni riposi il 22 di ottobre I84T. 78 Letteratura II. Antonio Lombardi A monsignor C. E. Muzzarelli. Ella mi onora troppo collocandomi fra gli il- lustri viventi, ben consapevole a me stesso di quanto tenue portata io sia; ciò nulla meno, per obbedirla, eccole in pochi tratti le desiderate notizie. Modena mi è patria: dove nacqui da onesti ge- nitori il dì 22 settembre dell'anno 1 768. Entrai nella estense biblioteca nell' anno 1790, vivendo allora il chiarissimo cav. Girolamo Tiraboschi, da cui fui no- minato esecutore testamentario: e presto pur troppo eseguir dovetti le tristi relative incombenze , poi- ché egli mori nel 1794 ! Allora io divenni bibliote- cario in solido coH'egregio sig. ab. don Carlo Cioc- chi, che aveva già sotto Zaccaria faticato all'impianto della sunnominata biblioteca, e col eh. padre Pom- pilio Pozzetti che poi passò nel 1807 bibliotecario a Bologna. Io sono sempre restato in biblioteca, ed il graziosissimo mio sovrano Francesco IV, allor- quando ricuperò il trono de' suoi avi, si degnò di nominarmi nel 1814 primo bibliotecario: carica che copro tuttora Fin dal 1801 divenni il segretario am- ministratore della società italiana delle scienze; e quan- do la sede di questa, dopo di essere restata in Mo- dena dal 1797 al 1807, interpellatane però, fu re- stituita a Verona, io cessai da tale incombenza, ri- presa poi nel 1815, allorquando la sede suddetta si restituì a Modena. All'epoca poi della morte del segte- Biografie diverse .Tì9 tarlo di essa società P Sante Fattori, avvenuta nel 1811), io fui eletto segretario,come lo sono attualmente, soLto la presidenza del eh. nnatematico sua eccellenza il si^j-. march. Luigi Rangoni ministro di S. A. R, il duca di Modena. Alcuni anni prima del 1819 io era già stato scelto a socio attuale. Le poche cose da me stampate consistono nelle seguenti: Elogio del cav. Tiraboschi pubblicato nel 1796 a Modena. Tre memorie, una sulle aste per le livellazioni, un'altra sui ripari dei fiumi, e l'ultima, in cui pren- do a confutare gli stravaganti principi! idraulici del francese Bernard, sono inserite nei tomi della società stessa: dove pure trovansi gli elogi di Malacarne , Bonati e Fabbroni, soci defunti, da me composti e pubblicati. Finalmente l'opera intitolata: Storia della letteratura del secolo XVIII; di cui ho già pubbli* cali tre volumi: e il quarto ed ultimo uscirà, a Dio piacendo, fra pochi mesi. La lunga mia permanenza nella biblioteca estense mi ha dato campo di arricchirla de'molti cataloghi ragionati: e questi sono quelli della matematica, della fisica, della giurisprudenza, dei codici latini in parte, e degli italiani per intero. Adesso mi occupo a com- pilare il catalogo delle edizioni del secolo XY, di cui è ricca per la sovrana munificenza la biblioteca R. di Modena. Eccole, pregiatissimo signore, quanto dirle posso in breve della mia persona. Ella poi faccia quell'uso, che più crederà opportuno , di simili notizie: e mi onori de' suoi comandi, mentre passo a dichiararmi con profonda stima ce. Antonio Lombardi. 80 ag- Letteratura fC. ìimsvvB- >ino«Raaf»ib fii jM.i- r;:> ;.!i;'i;ij;'. ji^i medesimo. Io me le professo molto tenuto per le anno- tazioni alla mia storia che ella ha avuto la genti- lezza di spedirmi nell'ultima favorita sua lettera: ed io le disporrò al loro posto , quantunque per ora non possa aver luogo per parte mia una ristampa di questa mia opera, e ciò per il motivo che vado brevemente ad esporle, onde anche V. S. sia infor- mata della buona fede che regna presentemente nel ceto librario. Io ebbi nello scorso luglio una pulita lettera da uno stampator veneziano, in cui mi espri- meva la sua intenzione di ristampar la mia storia della letteratura italiana del secolo XVIII, e mi chie- deva se avessi giunte e correzioni da somministrar- gli per questa nuova edizione. Io non mancai di ri- spondergli prontamente, che aveva già raccolto va- rie correzioni e giunte, e che io gliele avrei som- ministrate a patto che fossero messe appiedi della nuova edizione, con gli asterischi come praticò il cav. Tiraboschi, e che se ne tirassero copie a parte per quelli che possiedono la mia edizione di Modena. Soggiungevo poi , che siccome io ho poco più di trenta copie in 4 di detta storia invendute , così prima di somministrargli le dimandate giunte io de- siderava che mi aiutasse nell'esitarle. Quale risposta crede V. S. che mi abbia dato costui? Mi ringrazia di queste mie offerte, ma non può accettare il par- tito: e contemporaneamente, o forse anche prima di scrivermi la prima lettera, aveva già pubblicato un manifesto in data di luglio; manifesto, che sarà forse giunto anche costì, in cui dice di ristampare la sud- Biografie diverse 81 delta storia con giunte correzioni ecc. che gli som- ministrava un valente scrittore. Ecco come trattano oggi giorno i librai! Io gli ho risposto che faccia come più gli piace ; ma che non avrà sicuramente le mie giunte e annotazioni; e si guardi dal toccare il testo nella sua nuova stampa ; perchè allora mi saprò far render giustizia in faccia al pubblico. Ec- cole le ragioni, per cui io adesso non posso pen- sare a ristampare questo mio lavoro: ma se un di lo facessi, non mancherei di far uso di molte delle sue correzioni. Io convengo nella massima parte delle medesime. Mi perdoni questa lunga chiacchierata e nuovamente ringraziandola mi protesto con tutta la stima ec. Modena 22 settembre 1831. Antonio Lombardi. III. Luigi Ciampolini. Dal fu Giovanni Ciampolini, cancellier maggiore della corte criminale, e dalla signora Laura Banchi, nacque primogenito in Firenze il dott. cav. Luigi; e siccome il padre per ragion d* impiego non avea quivi ferma stanza, passò Luigi in Empoli gli anni dell'adolescenza con l'avo paterno, il quale fu sol- lecito di coltivare con buoni elementi lo svegliato ed attento ingegno del giovinetto. Resosi poi in Fi- renze, piosegui il cosi detto corso letterario presso 1 PP. delle scuole pie: e guadagnatosi per concorso uu posto gratuito nel collegio Ferdinando di Pisa, G.A.T.GXV. 6 82 Letteratura yi dette opera alacremente alle discipline filosofiche e legali. A queste però tenne dietro contro sua vo- glia e solo per compiacere al padre; ma appena ri- portatane la laurea dottorale, i digesti e le chiose ebbero eterno addio , perchè si sentiva rapito dal proprio ascendente verso i laureti del Parnaso ed i portici dell' accademia; benché conoscesse che que- sto era campo che non poteva produrgli che qual- che fiore; e l'altro, cui voltava le spalle, poteva dar- gli in pugno messe ubertosa di frutti, che tanto ap- prezza se non la più sana , certo la maggior parto degli uomini. Tutto dunque si dedicò alle lettere umane sotto la disciplina del P. Pagnini, che lo av- viava con franchezza a penetrare e gustare le bel- lezze dei latini scrittori; ed il professor cav. Gio. Ro- sini, con efficace esempio, in ogni ramo della ita- liana eloquenza gli additava la via per giungere a nobil meta. La fortuna gli fu propizia a questa età col presentargli in Francesco Benedetti un degno condiscepolo ed emulo, quantunque più provetto ne- gli studi: ed ebbe in venerazione di padre e mae- stro il Pignotti, che conosciuto l'ingegno e la buona indole del giovine, gli dimostrava parziale affezione, animandolo con severa critica nella bene intrapresa carriera. E di questa bontà, e di queste amorevoli cure, egli conservò gratissiaia ricordanza finché gli bastò la vita. Lasciata la pisana università, Luigi ritornava al paterno tetto colla mente rischiarata da nuovo lume e fornita di sani e retti insegnamenti, i quali col- l'applicazione dovevano mostrare apertamente qual genio e qual animo si avesse. Egli s'imbattè in tempi, Biografie diverse 83 in cui tutta Europa era agitata dallo spirito di cose nuove, ed una sola mano faceva tremar le corone sulla fronte dei monarchi: talché gli sguardi dell'uni- versale stavano intentamente rivolti al sole che spun- tava, e tutti plaudevano all'ordine degli insoliti eventi che prognosticavano. Laonde cambiate le sorti pur della Toscana, fu chiamato il Ciampolini a coprire un delicato se non luminoso impiego, che però gli lasciava agio sufficiente di continuare i suoi studi prediletti, ponendosi con metodo a fare dei sugosi estratti di quegli autori che s'eia resi assai familiari, e che gli furono sempre compagni alla buona e alla mala ventura. Di questo suo costante ed esemplare esercizio fauno fede le molte carte lasciate, nelle quali pure rinvengonsi le versioni eleganti e fedeli de'più belli squarci che negli scrittori greci, latini ed in- glesi, lo avevano nel meditarli colpito. A questi anni devesi riferire 1' edizione che insieme al professor Vincenzio Nannucci procurò delle rime d' Angiolo Poliziano , con aggiunta di alcune di esse rimaste fino allora inedite, corredandole di brevi ed oppor- tunissime annotazioni. Ingenuo per carattere e di semplici e delicate maniere, la poesia pastorale a sé lo attrasse; e dettò molti componimenti di vario me- tro in questo stile, che se il più umile ti appare, ti riescirà all'opera il più laborioso, ove tu voglia che le selve sien degne delle eulte e gentili persone. Tra queste poesie egli trascelse quelle che credè poter fare in pubblico miglior comparsa , e le conseguo alla stampa. Però 1' età per tal genere di rime era passata ; e l' autore, benché lodato , non ne ritrasse incoraggiamento condegno alla fatica. 84 Letteratura Caldo amatore di questa nostra Italia, ne visitò le città capitali ; e Roma, che ben quattro volte lo ebbe ammiratore, così gli s'impresse nell'animo, che con vivo entusiasmo amava intrattenersi delle sue grandezze come di cosa veramente divina. Quivi strinse amicizia col Biondi, l'Amati, il Sestini ed il cav. Salvatore Betti, i quali 1' ebbero carissimo ed in gran conto. Frattanto la Grecia avea innalzato il sacro vessillo, sotto il quale accorr evasi d'ogni banda per redimersi dalla servitù musulmana a libera vita, o seppellirsi nelle proprie ruine. Allora fu che il Giampolini si rese a Corfù, ove si dedicò all' inse- gnamento della letteratura latina ed italiana in com- pagnia del professor Nannucci, che l'avea colà pre- ceduto di alcuni anni ; e quivi preferì dare lezioni a proprio talento ai molti giovani che ne lo richie- devano, piuttostochè accettare la cattedra che a Zante o a s. Maura dal governo gli venne esibita. Così ebbe ogni comodità di raccogliere notizie particolari e sicure sui casi della guerra che ardeva tra i tur- chi e varie province elleniche, e queste da testimoni di fatto o da sorgenti non dubbie gli erano som- ministrate; quindi fattone tesoro, rivolse il pensiero a tessere la storia del risorgimento della Grecia, ed esordì abbozzando il commentario della guerra de' Sulliotti. Il tristo clima, per altro, di Corfù sin dal suo giungervi gli si mostrò avverso alla salute: e ve- dendosi deperire gravemente , nella primavera del 1826 risolse dopo quattr' anni restituirsi in patria: ove poco dopo il suo ritorno pubblicò con plauso generale il commentario qui ricordato , che parve scritto, al dire di un valentissimo critico, con gra- Biografie diverse 85 ykh più romana che greca (1). Nel 1832 dette fuori, senza il suo nome, un romanzo storico: « La presa di Ravenna: » che fu letto con molta avidità; e poco dopo un' altra operetta che gli piacque chiamare « Viaggio di tre giorni. » In essa dipinge alcune scene della moderna società, spargendole d'attico sale da chiamar sulle labbra un riso urbano, temperato, non mai cinico. Nel mentre che andava dettando dei brevi scritti, peichè la debole salute non gli concedeva darsi a gravi e lunghe meditazioni, si applicava del pari a limare e forbire i componimenti già conosciuti sì in prosa e si in rima, e ne dava una più accurata edizione in due volumetti. A tali letterarie eserci- tazioni univa il Ciampolini a questi giorni una oc- cupazione santa e filantropica per eccellenza: questa si fu la colletta che , alle preghiere della commis- sione dell'università d' Atene, imprese , onde prov- vederla caritatevolmente di libri d' ogni specie, che servir potessero all' istruzione della greca gioventù. Di tutto cuore abbracciò il nobile ufficio: e facendo istanze a principi, a privati, ad amici e ad ogni ge- nerosa persona, raccolse più e più casse di utili opere antiche e moderne, che avviò colà d'onde a noi de- rivò per l'avanti la gentilezza, il sapere, ed i semi d'ogni arte ingenua e del viver civile. Talché il go- verno ellenico , in ricompensa del di lui zelo per aver corrisposto all'invito oltre ogni speranza, lo de- corò della croce aurea di cavaliere dell' ordine del Salvatore, e gli rese pubblicamente quelle grazie che seppe maggiori. (1) Tommaseo, Sludi critici, P. I, pag. 418. 86 Letteratura Restava sempre al Ciampolini un antico voto da sciogliere , onde porre in chiara e sincera luce gli viltimi casi che dopo tante stragi , tanta tenace crudeltà , tanti tradimenti sofferti dalla musulmana tirannide, produssero all'ElIenia un governo umano, giusto e secondo il sacro dettame del diritto e della sana ragione, ed assicurarono il libero esercizio della religione e del culto di quelle contrade, che da ben oltre tre secoli la feroce ottomana ignoranza avea pervertito e contaminato. A questo scopo avea l'ami- co nostro mirato da vari anni, leggendo, conside- rando maturamente e tra loro raffrontando tutte le opere che sul doloroso e nobile argomento eran com- parse dai primi moti fino al presente; e giovandosi delle giuste critiche che ad esse venivano opposte, e dei sicuri documenti che da sé stesso a puri fonti avea attinto, si pose alacremente all'ardua impresa di tessere in dieci libri la storia del risorgimento della Grecia. Questa sua estrema fatica, frutto di vari anni di coscienziose indagini e di lunghe meditazioni, sa- rebbe già da molto tempo di pubblica ragione, se r esser egli rigidissimo anzi incontentabile censore di sé stesso, non n'avesse con severchia lentezza fatta procedere la stampa ; forse anche si opponeva alla bramata speditezza la vacillante e mal ferma salute, che di giorno in giorno vieppiù declinando, dava gra- vissimi timori sulla sua vita. Né questi sventurata- mente riuscirono vani : poiché fatta indomabile la tise che l'avea insidiosamente assalito, la mattina del 30 aprile del corrente anno, con rara ed invidiabil tranquillila , confortato dai soccorsi della religione , rendeva l' anima all' amplesso amoroso del Creatore. Biografie diverse 8t La fortuna , che non si mostrò mai seconda al buon Ciampolini nel fior deg^li anni e delle speranze, se gli manifestò avversa anche sul finire dell'età, negando- gli la soddisfazione di veder pubblicata per intero la sua storia (1), e moriva ignorando con quali cor- tesi parole S. M. il re Ottone concedeva che questo estremo lavoro gli venisse intitolato (2). Varie accademie e società letterarie d'Italia lo inscrissero nei loro ruoli, ed in quella della crusca det- te esempio di zelo ed operosità al maggior uopo la- sciandovi bella ricordanza del sapere e del suo fino gusto in fatto di lingua. Contò amici ed estimatori quanti lo conobbero e seppero apprezzarlo ; né può fra questi tacersi Labindo, Foscolo, Larapredi, Giorda- ni e Leopardi, coi quali in modo speciale godeva ram- mentarsi avere avuto la più cara domestichezza. Da tre anni egli avea condotta in moglie la si- gnora Margherita Casini, già vedova del capitano A- lessandro degli Alsssandri, che ebbe carissima; ed amò come vero padre la di lei figlia Marianna, che segui- va la madre sotto il tetto del secondo marito. Le ul- time disposizioni testamentarie del nostro Luigi pale- sarono qual cuore ei s'avesse, e quanto gli fosse cara (1) Dopo avefne affidato il mauoscritlo completo al di lui amico Giuseppe A'iaziì per condurne la stampa, egli non giunse a rivederne le prove che a tutto il terzo libro Ora l'opera, composta di 2 voi. in 8 , è in vendita alla libreria di Guglielmo Piatti al prezzo di L. 30, ossia franchi 10. 80. (2) Nel di 12[24 maggio del corrente anno, il sig. dott. Filippo di Giovanne, professore all'università di Atene e direttore della bi- blioteca particolare di S. M. il re di Grecia, partecipava con lettera al cav. Ciampolini, a nome del re, la permissione di dedicargli la sto- ria del risorgimento della tìi'ecia qui allegata 88 Letteratura la memoria dei parenti e degli amici suoi, quali vol- le gratificarsi. Nel chiostro dei PP. domenicani di san Marco un modesto titolo accenna che quivi la pietà della moglie componeva le ossa del lacrimato Ciam- polini. G. A. IV- GIOVANNI BATTARRA. Vi ha degli uomini d' ingegno e di dottrina ; ad estimare i quali basta il nome e il valore di chi li pose e accompagnò nella via del sapere. A co- noscere l'abate Giovanni Batiarra basta sapere, che fu suo maestro ed amico quel Giovanni Bianchi di Rimino, che nel passato secolo fu lume alle scienze naturali; e aggiunse alla patria nativa, aggiunse al- l'Italia, una schiera di generosi , che tennero vivo fra noi il sacro fuoco della sapienza: quel fuoco , che gli esterni nemici, i quali disertarono tante vol- te e tanto barbaramente queste belle contrade, mai non seppero toglierci, con tutta la prepotenza della tirannide. Giovanni Antonio Battarra nacque in Rimini a' 9 giugno 17 14 di Domenico e di Giovanna Fran- cesca Fabbri: studiò e professò poscia filosofìa, e fu ecclesiastico, botanico, e idraulico quando il clero, intendendo la sua missione sulla terra, tutto volge- vasi con operosa carità a giovare i simili si nella morale e si nelle scienze e nelle arti. Egli aiutato pili dal suo buon volere che dalla fortuna , spesso avversa ai migliori , trovò modo di occuparsi mai sempre negli utili studi , come fa chi conosce il Biografie diverse 89 pregio del tempo, e sa bene usarne a bene proprio e della umanità. Un suo viaggio in Toscana , fatto per amore delle scienze naturali , lo invogliò poi di darsi più specialmente ad illustrare una parte di botanica, che voleva occhi di lince e maturità di giudizio nell'os- servare. Nei dintorni di Rimini crescono funghi (1) in copia: ed egli, confortato ben anche dal suo mae- stro, si mise a studiarli con tanta cura , che potè darne acconciamente la storia. Li presentò ordinati in classi, e nuove specie ancora ne fece conoscere con figure disposte in 40 tavole : le quali figure, disegnate da lui stesso con esattezza, fannosi perdo- nare la mediocrità dell'incisione. Egli si oppose ra- gionevolmente al pregiudizio allora quasi comune ; provando ad evidenza , che non dal fracidume na- scono i funghi, ma da semente. E siccome fra quelli da lui scoperti uno sopra gli altri si distingue per caratteri particolari ; cosi non è maraviglia , se un gran botanico a' nostri giorni s' indusse a farne un nuovo genere sotto il nome di Battarra (2). Il dotto ecclesiastico pubblicò ancora due opu- scoli tra gli altri: Litterae ad C. Toninium, negli atti dell'accademia di Siena tom. IV; ed Epistola selecta de re naturali observationes complectens^ cum tabulis aeneis (Rimini 1774 in 4). Né gli parve dovere esser contento di aver nome e merito distinto tra gli scienziati. Mirando a giovare (1) Fungorum agri ariminensis histoi'ia (Faenza 1785 e 1759 ia 4. con 200 figure. ) (2) Biografia Universale voi- IV, Venezia per Missiaglia, art. Battarra a pag. 454. 00 Letteratura i più idioti diede per questo la Pratica agparìa. in dialoghi intellig{jibili agli stessi più rozzi agricol- tori (1): de' quali io pure feci un cenno in queste carte (2). E prima ne fu lodato da quel sano giu- dizio di Filippo Re ( mio onorevole maestro ) nella Bibliografia georgiea. Sono degni di osservazione due dialoghi, i quali mostrano come ei valesse an- cora nelle cose di geodesia e d'idraulica (e lo aveva fatto conosceie a'tresi in cose gravissime attinenti al porto di Rimini). Toccano precisamente de'Ripari et rivi^ torrenti e fiumi nelle loro corrosioni ai campi adiacenti. Né sono da tacere altri due dialoghi Delle fraudi e maliziose costumanze de" contadini roma-" gnuoli. Rilevantissimo poi si è il dialogo Della col- tura delle patate: coltura consigliata da tanto tem- po, e non ricevuta ancora generalmente quanto si potrebbe, e dirò anzi sì dovrebbe. Tante fatiche del Batta rra a pubblico bene do- vevano meritargli l'amore di tutti, e i premi degni al sapere ed alla conosciuta bontà; incontrò invece l'invidia cittadina (peccato antico) , cui i più dotti sono esposti pur troppo! Il giorno 8 novembre 1789 fu l'ultimo di sua vita , della quale buon conto diede il degno suo concittadino D. Michelangelo Rosa nella biografia con ritratto uscita con quelle d' illustri romagnuoli in Forlì , per cura del benemerito conte Antonio Hercolani: un cenno ancora ne diede la Biografia universale antica e moderna', né la lode di lui, ope- (1) 1. edizione Roma 1778: 2. Cesena 1782: 3. Faenza 1794, voi. 2. in 8. con figure. (2) Giornale arcadico, ottobre 1832 a pag. 31 e segg- Biografie diverse 91 roso cultore degli utili studi, per tempo o per invi- dia può scemare oggimai nelle bocche e nel cuo- re di tutti i savi. Tarda , ma degna ricompensa al merito riconosciuto ! PROF. DOMENICO VACCOLINI. FRANCESCO BERTELLI. In Panzano, umile luogo della provincia di Bo- logna, nacque a'24 febbraio del 1794 Francesco Ber- telli dagli onesti coniugi Antonio e Giustina Roncati: i quali accortisi ai primi lampi del buono ingegno del giovinetto, lo posero ad imparare un pò d'ita- liano e di latino da un abate Medici napoletano; poi dall'egregio Camillo Minarelli bolognese ad ap- prendere gli elementi di aritmetica, algebra e geo- metria. Maravigliò il Minarelli, spartissimo institu-' tore, alla prontezza di Francesco nell'entrare ai mi- steri delle scienze esatte: e di 13 anni lo mandò all'università a fare il corso di matematica in classe d'ingegnere architetto. Io gli fui compagno ed amico per quei tre anni di studio, né lo abbandonai fin- che egli ebbe colto il premio di sue fatiche, dico il grado accademico nel giugno del 1811 con somma lode e con menzione al governo tra i più distinti allievi delle scuole in quel tempo, in cui i giovani anelavano alla gloria degli studi con quell' ardore, onde altri anelavano agli allori di Marte capitanati da Napoleone. Le lunghe veglie , i brevi sonni , la continua applicazione meritarono a me pure lo 92 Letteratura stesso onore del Bertelli. Da quel momento ci divi- demmo con dolore: ma circostanze imperiose di fa- miglia richiamavano me a casa, dove esercitai l'ani- mo istruendo nelle matematiche e nella fisica e nel- l'universa filosofìa i giovani concittadini. Ma il Ber- telli attese e più intensamente alle teoriche , e ag- giunse per quattro anni la pratica; onde nel 1815 fu abilitato solennemente all' esercizio d' ingegnere civile Prestò 1' opera sua alle così dette assunterie degli scoli con tanta sollecitudine e intelligenza, che ha pochi esempi. Frattanto la sapienza di Pio VII col consiglio dell'egregio professore Giuseppe Ven- turoli (che nomino con devozione di discepolo) ebbe dato il nuovo regolamento delle acque. Così del 1817 il corpo degli ingegneri d'acque e strade in- stituito, il Bertelli vi fu nominato; fugli offerta an- che la cattedra d' idronietria in Roma: e da ultimo impiego d'ingegnere in Ravenna. Ma egli modesta- mente ringraziava di tutto il governo, non sapendo risolversi di abbandonare Bologna : dove ordinate le congregazioni consorziali, egli fu eletto ingegnere di quella ragguardevolissima del canale delle botte, non che di quella del Desolo: cui prestò onorata servigio sino agli ultimi della vita. Così potè sem- pre congiungere la pratica alla teorica : ciò che è al tutto necessario a perfetto ingegnere. Così venne in fama di buon giudizio : talché tutti volevano o l'opera od il consiglio di lui nelle cose gravi e dif- ficili, e contenti ne ritornavano. Quindi non è ma- raviglia, se del 1826 la società agraria lo volle de' suoi membri ordinari: e del 1831 dal governo fu ascritto al collegio filosofico dell'università, del 34 Biografie diverse 0.3 fu fatto socio ordinario dell'accademia delle scienze dell'istituto, che ricorda i beneficii e le glorie del- l'immortale Benedetto XIV: del 37 fu de'pensionari dell'accademia stessa. Egli a tutto soddisfaceva senza iattanza, e colla modestia vinceva l'invidia e sforzava all'ammirazione del suo merito: perchè mancato il prof. Lupi alla scuola d'introduzione al calcolo, e va- cando quella di matematica applicata, egli il Bertelli fu chiamato dal governo spesso a supplire all'uno e all'altro insegnamento del 1834 e 35. E non andò guari, che la sacra congregazione degli studi lo no- minò astronomo aggiunto alla specola con dargli il peso delle lezioni di astronomia propriamente detta, e di ottica nella università, e di attendere in parte anche alle effemeridi celesti. L'anno appresso fu ac- clamato socio d'onore dall'insigne accademia di belle arti: ed era già consigliere del comune di Bologna, e membro della commissione incaricata del 1838 dell'ordinamento della scuola Aldini di fisico-chimi- ca applicata alle arti. Il tempo che gli rimaneva da tante e tante va- rie occupazioni lo impiegava il Bertelli a dettare me- morie ed opere di grande pubblica utilità : tale si fu il Saggio di una nuova teoria suW equilibrio delle volte^ applicabile generalmente alla pratica: e la me- moria SulV importanza di condurre a maggior perfe- zione le effeìneridi celesti. L' accademia benedettina degnò dell'onore della stampa que' giudiziosi lavori di una mente giudiziosissima, di cui l'accademia me- desima ebbe altre riprove quando udiva leggere da lui la Storia delle osservazioni astronomiche eseguite nella specola di Bologna dalla sua erezione fino al 94 Letteratdra 1835, e due memorie di ottica^ ed altre ancora so- pra argomenti fisico-matematici della più alta im- portanza. Ma questi erano piccoli voli , che prelu- devano al majTgior volo: parlo degli Elementi di mec- canica celeste degni di venire in ischiera cogli Ele- menti di meccanica ed idraulica di quel sommo mae- stro, professore Venturoli; il quale rallegrandosi del- l'opera del Bertelli, come di quelle del Castelli l'im- mortale Galileo, giudicava che ai futuri progressi del- l'astronomia fisica servirà l'incitamento e l'aiuto che il Bertelli ne ha dato con tale opera , che sotto il modesto titolo di elementi abbraccia tutta l'estensione di una scienza^ che ben a ragione è considerata come il massimo sforzo dell'umano intelletto^ e la più alta prova delle sue forze. Ed il Santini, astronomo di Pa- dova, sentenziava l'opera stessa di sommo vantaggio agli studiosi della meccanica celeste, rallegrandosene coU'autore e coU'Italia: ed il Bianchi di Modena en- comiava l'autore medesimo di aver dato un così bel testo d'istruzione, che ci mancava. E per tacere più altre testimonianze di senno italiano basti quest'una: ed è , che il professore Bertini , segretario per le scienze dell'accademia di Lucca, presentava il libro del Bertelli al congresso degli scienziati nell'ottobre del 1843, e ne scriveva a lui molte Iodi a nome dei dotti ivi raccolti. Queste lodi si riferiscono al primo tomo degli Elementi di meccanica celeste. Quanto al secondo, egli ne aveva in punto la ma- teria, che andava riordinando quando io lo vidi il 1 di dicembre 1843, e lo pressavo a darlo alla lu- ce per maggior bene della gioventù e della scienza altresì: ed egli troppo buono mi ringraziava d' alcuni Biografie diverse 95 suggerimenti datigli sino da principio intorno allo stile, che gli raccomandavo fosse chiaro, piano, fa- cile, senza trasposizioni, senza artifizi ; ma semplice e ingenuo, e foggiato al tutto su quel modello de- gli Elementi di meccanica ed idraulica del già com- mendato maestro prof. Venturoli. Io mi dividevo da lui dopo la solennità dei premi di belle arti : spe- ravo rivederlo quest' anno alla medesima festa : lo invitavo anzi a venire egli prima da me nella beata Romagna: ed egli in fiore di salute e tutto cuore mi abbracciava, e non sapeva risolversi a lasciarmi andare. Chi avrebbe detto allora, che egli sarebbe volato ai premi desiderati, ed io sarei rimasto a pian- gere in questo esiglio! Ma tronchisi ogni querela: e sia a me ed agli uomini d'Italia argomento di consolazione il ripen- sare, che non tutto morì il Bertelli, che vive nelle sue opere: tra le quali il Progetto di scolo generale alla destra del fiume Reno , che da chi può cono- scersi di queste cose fu giudicato frutto di estese diligenti e profonde indagini , il quale ridonda di scelta erudizione idraulica^ ed è plausibile nella mas- sima^ accurato nei dettagli^ e sicuro nei risidtamenti. Il quale progetto anteriore al 1826 rimane inedito, e meriterebbe l'onore della stampa: nulla essendovi di più giovevole alla presente condizione delle nostre acque quanto il porre in comune gli studi de' più sottili intelletti a cercar modo di provvedere alla incolumità delle nostre belle campagne, e delle città ancora più belle. Ma noi siamo contenti al mandare lamenti, e non moviamo un dito, non che una mano, per pubblicare opere idrauliche di tale e tanta uli- 96 LEtTERATUR.4. lità. Fossero romanzi storici, fossero drammi sangui- nolenti oh allora, allora ! Tant'è, la lingua vuole sfogarsi; benchi ha Pilalia ? K non er(hilo un poeta, e l'abbiamo perduto in tal tempo ch<; si pare; la vena della buona poesia essere diseccala o pei- di- seccare al lutto: la fpial cosa è c(;rl,o gran dolore a chi ama l'onore delle lettere e della nazione. Non ha molti anni che in giovine età mancò forsardi: og{;i junc in verdissimi anni passa di fpj<;sta vita il Cagnoli , il quale solo quella iattni'a fac riscono dalle lente e penose ricerche de'falti, miran- do unicamente alla scienza delle idee, la quale non avendo d'ordinario bastevole riprova in quelli, più a sogno d'inferqii che a scienza somiglia. Un legame naturale esiste fra l'antiquaria e la storia. Di^versa è in certo modo L'uffizio dell'una da quello dell'attrai ma tendoao araendue senza dubbio allo stesso fine; a schiuderci gli arcani del sapere de'no^lri maggiori, a farci conoscere come e quanto abbia esso confe- rito ^L progresso umano. E se per avventura mos- sero talvolta in diverso cammino, avendo l'esperienza mostrata alcuni sommi ingegni essere valenti archeo- logii, ma storici rpediocri : ed altri storici preclari, ma se non stranieri dalle cose di archeok)gia, poco esperti di esse per le meno : ciò è provenuto non daUa materia di entrambi questi studti , ma sibbene dall'idea imperfetta che gli uni e gli altri, gli ar- cheologi e gli storici, aveano della materia che pro- fessavano. A. scusar questa imperfezione, che si rav- visa per lo- passato;, ci vieoe in pronto quella nota causa che la filologia strìnse assai tardi alleanza con l'4 filosofia: ii che certamenle nacque dall'andamento y, Importanza dell'archeologia 1 1 5 medesimo, secondo il quale procedono le nostre idee; Ma dal momento, in cui la mente umana trovò una scienza nuova , e innanzi a lei si aprì il maravi- glioso sistema del mondo civile, su quel famoso prin- cipio, che se esso lo hap fatto gli uomini, ne pos- sono aver la scienza gli uomini: lo studio di tutti i fatti umani è da reputar tanto grave e sublime, quanto lo studio delle idee che sotto l' involucro de'fatti si nascondono (***). Le cose della civiltà che un tempo ebbero atto al di fuori, e ad intender le quali sarebbe indarno il rintracciarne le cagioni nella nostra coscienza ; questo passato, cui l'intelletto nel suo corso sempre più fugge e sempre più cerca di aggiugnere, qual lume non tuttora riceve dall'antiquaria,'^ La mancanza d'un mezzo che avesse diffuso le opere degli scrit- tori e renduta la vita di esse più stabile e meno sottoposta alle cause di rovina; le nuove idee che indussero i popoli prima a non curanza, indi a di- spregio del passato, il cui momento non erano ab- bastanza illuminati per valutare; le invasioni de'bar- bari, innanzi a'quali nulla ha valore e propria esi- stenza, tranne il presente; i fisici sconvolgimenti, le pestilenze e gì' incendi che arsero per caso o per malignità degli uomini; queste ed altre molte uni- versali e particolari cagioni han fatto dell'antichità uno spettacolo di rovine lugubre, ma sempre gran- de, sempre maraviglioso. Pochi autori campati dal miserevole naufragio ci sono giunti: ma come di- versi da quello che furono, atteso l'incuria e l'igno- ranza de'tempi medesimi che ce li conservarono ! Po- che e disordinate pagine racchiudono del gran li- 116 Letteratura bro del mondo, in cui ha scritto i suoi decreti la provvidenza ; e quante pregiudicale opinioni con- tengono, che han poi avuto tanto impero sopra i moderni! Quanto dovrebbero pure conteneie, e man- ca in esse! Lo smodato amor della patria, la man- canza di critica, la mania de'sisterai e le strane fan- tasie degli scrittori, hanno sparso di maggiori te- nebre l'antichità, per se stessa già molto oscura. Ma l'ardore di tutti i popoli presenti che sono innanzi nel disotterrare i monumenti antichi, le leggi a que- st'uopo sancite, i musei fondati per raccoglierli, le accademie ordinate ad illustrarli , il lavoro di tanti dotti che spendono la loro vita nella ricerca e spo- sizione di essi, non è poi questo il trionfo della ci- viltà sulla barbarie, sul tempo, sull'ignoranza, sull'in- curia e sulla malizia umana? Sarebbe assai lunga e malagevole impresa il voler per lo minuto raccontare le varie scoperte che in fatto di archeologia ebbero luogo a'dì nostri; e certamente che offrirono per lo avanti le antichità istesse romane (****^ greche ed etru- sche, per non dir le tedesce, le scandinave, le in-» diane, le egizie, le americane ec? Indarno mi farei ad enumerare quanto abbiam conosciuto e quello che di giorno in giorno si spera poter conoscere con l'aiuto di tali scoperte. I soli monumenti letterati ci hanno appreso innumerevoli cose quanto alla cro- nologia e la geografìa, che invano si cercherebbero negli autori. Qual campo non ha per essi guada- gnato la storia ! che non si è dimostrato falso ! qua' dubbi non sono dileguati ! quante cose incerte non si sono irrevocabilmente fermate ! La teogonia pa- gana «i è arricchita di divinità, di riti, di religioni Importanza dell'archeologia 117 innanzi ignorale; la ragion de'governi rende ora tiU- l'altra sembianza; molte quistioni ne sono state dif- finite; grandi errori insegnati dagli antichi, e passati ai moderni come articoli di fede, sono caduti. Con l'aiuto de'marmi si sono emendati innumerevoli luo- ghi degli scrittori , corrotti dalla bessagine de' co- pisti ovvero dalla burbanza de' falsi critici; i pub- blici e privati costumi, le idee de'popoli e degli uo- mini particolari, così lontani da noi, così diverse dalle nostre, ora ci son divenute famigliari. Lo studio delle antichità ha ovviato a grandi sconci, a tutte quelle false idee sulla civiltà delle genti, che l' autorità di coloro che le tramandarono e quella del tempo aveaa coperto d'uno scudo impenetrabile. Tutti que'favo- losi sistemi, tutte quelle strane fantasie che signo- reggiarono le menti lunga pezza di tempo, e di cui non mancano esempli sino ne' più recenti scrittori, forse non rovinano in faccia a'monumenti, a queste parole reali che i nostri lontani progenitori parla- rono? E sì, che siccome la scienza non basta a sé stessa per farci intendere il passato, in quanto può solo trovar le cagioni de'fatti, ma non crearli, così lo studio de' monumenti è tanto necessario, quanto è necessaria la scienza: è tanto indivisibile da essa, quanto la materia lo è dalla forma. Le idee presenti dell'umanità sono talmente cre- sciute a petto di quelle delle altre generazioni, tante sono pure quelle che traguardiamo nell' avvenire , che le idee del passato , le idee storiche non pos- sono avere un luogo conveniente nel nostro intel- letto, se non ci soccorre un metodo atto a presen- tarle in una guisa, per cui torni facile all' intelletto 118 Letteratura. il comprenderle insieme. Per conoscere la civiltà umana è forza in primo luogo sceverare quegli ele- menti di essa, che sono testimoni delle idee de'po- poli, dagli altri che sono testimoni delle idee degli scrittori. In secondo luogo quegli elementi che rap- pi'esentano idee, alle quali i popoli medesimi det- tero un atto, una forma esteriore, cui diciamo mo- numenti , è forza altresì che sien distinti da quelli che rappresentano idee che la viva voce de' padri trasmise a'figli e conservò nelle nazianì. A separare i monumenti dalle tradizioni, quelli e queste da'giu- dizi degli scrittori, cioè da ciò che pensarono cglin(> intorno agli uni ed alle altre; a determinare l'indole^ la natura e lo stato de' monumenti o delle tradizioni^ ovvero delle opinioni degli scrittoli, quale aiuto no» porgono e qtiale non debbono porgere di più tutte quante sono le partii dell' archeologia ? Questo me- desimo aiuto riesce soprammodo utile nel fermare l'autenticità de'predetti elementi della civiltà, ed in corredare ciascuno di essi di tutte quelle prove, di che può far doviziosa copia 1' archeologia. Di ma- niera che allogati tali elementi nell'età e luoghi di* versi, a cui appartennero, dando essa una mano alla geografìa , noi giungiamo per gradi a stabilire là certezza de' fatti, cioè delle idee come *i «ono mq* strate al di fuori nel tempo e nello spazio-, Certezza che poi dà luogo a farci intendere il vero, che sic- come è il naturale obbietto di tutte le scienze, lo è cosi parimente di quella Scienza miovn., a cui è congiunta e per sempre la gloria di tutta T Italia. Questo sceverar i monumenti dalle tradizioni, ed en- trambe da'giudizi degli scrittori: questo determinarne Importanza dell'archeologia 139 rindolé, la natura, Io stato e rauteoticità: quesito allo- garli ne'.rispettivi teinpi e luoghi, usando a lai u&po di lutti i mezzi deirarcheologia, ci potrebbe :fej" ^venire nella speranza di conoscere mediante prove indubi- tate il diverso andamento deJÌ€ idee di cìascurn pow polo e poi di tutta Tumanità, dandoci «nodo a poter comparare le varie età d' un popolo particolare , e fcomparare eziaodio le storie di tutti i popoli le une con le altre. Dopo quest' analisi adunque, che non è dato altrimenti ottenere che dagli indefessi e va- stissimi studi dell' archeologia , solo è possibile che seguiti quella sintesi, di cui sentiamo il bisogno in un secolo di sociale avanzamento. Le necessità presenti domandano che tutti i col- tivatori dell'antiquaria indirizzino la laro opera a distinguere, determinare ed allogare gli elementi del- l'umana civiltà; imperocché il bisogno di possederne la scienza è universale; e però tutti quanti sono quelli che possono conferire a renderne agevole la noti- zia, debbono porvi ogni lor cura. Le cose dell'an- tichità richieggono, massime in questo momento, un apposito lavoro d'analisi, essendo pure le menti tra- sportate ora più che mai allo studio del medio-evo, la cui storia, così importante com'è, non si può af- fatto intendere e dichiarare, senz'aver prima un'esatta idea di quella famosa epoca dell'umanità rappresen- tata dalle antiche nazioni. Quindi è da desiderare che gli studi archeologici, che per questa via han dato grandissimi frutti, sieno ancora sempre più in Italia, d'onde mossero i loro primi passi e progressi, rivolti a sifFatt'analisi; e sempre più ad essa pongano r animo tutti coloro che vacano alla lezione degli 120 Letteratura 'scrittori antichi, ed a'monumenti già esistenti, ovvero a quanto la solerzia e l'instancabile zelo de'moderni possa ricomperare dall'obblio. Ma perchè i miei voti giungano alle diverse accademie archeologiche, a'com- pilatori delle varie opere periodiche di archeologia, a quanti infine v' ha coltivatori di questa materia , sarà pure di bisogno eh' io qui rammenti i famosi nomi di tanti antiquari che non che l' Italia , ma l'Europa intera onorarono ? dovrò forse ricordare i più celebri e meno da noi lontani, il Maffei, il Fa- bretti, il Muratori, il Passeri, il Mazzocchi, il Viscon- ti etc? No: queste memorie della gloria nostra vivono nella coscienza degl'italiani. Felice quel suolo, in cui una rimembranza si desti di ciò che fu altra volta! Dove i padri furono generosi, ivi non sempre nasce- ranno imbelli i figli; e là dalle rovine sorga la vita più bella, più polente, e sia sempre dinanzi agli oc- chi il sagritìzio di quelli che mancarono., e il prezzo glorioso del sagrifizio, l'iramortalità b iij/iiiji. Federico Bursottk iìti ..h -IS'l ' .\u .... ....... UÌÌBkù'lMJ fiUlilCi -UdBfJK; (ÌW?^ ì; t» li . . OH. ih IMPORTANZA dell'archeologia 121 NOTE (*) Ved. in princip. Dono dell'accademia ponta- iitana agli scienziati d'Italia del VII congresso. No- tizia de lavori dell' accademia pontaniana per gli anni 1835 e segg. sino al 1844, del cav. F. M. Avellino segretario perpetuo. (**) L'infausta nuova della morte di questo va- lentuomo pervenne a noi nel tempo istesso che te- nevasi il congresso. ('**) Nel nostro ragionamento del Debito d'ono- rare gl'ingegni che fiorirono in Napoli^ accennammo alle opere di questo insigne uomo, onde provare noi non aver perduto il campo della storia, ma tenerlo in gran parte. I lavori da lui condotti su' gerogli- fici, quelli sulla ierografia criptica delle genti anti- che, non che sulla lingua etrusca ed osca, lasciano abbastanza scorgere il momento ch'egli avrebbe avuto nel congresso , dove tante volte il cupido sguardo d'ognuno lo ha cercato, ma invano. (1) Monuments anciens et modernes de l'Inde. (2) Orientai memoirs selected and abridged from a series of familiar letters written during se- venteen years residence in India. (3) The history of Persia from the most early period to the present time , containing an account of the religion, gouvernement, usages and character of ihat Kingdom. (4) Die heilige sage und das gesiimte, religions system der alten Boktrer, Meder, und Perser oder des Zendvolkes. 1 22 Letteratura (5) Ueber das Alter und die Aechtheid der Zendsprache imd Herstellung des Zend. Alphabets etc. Gramalica della lingua sanscrita. Tavola compa- rativa delle lingue madri dell'Europa e del sud-ovest dell'Asia. (6) Dsiemschid, Feridun, Gustarp, Zoroasfer etc. (7) Fragmente uber die religion des Zoroaster. (8) Commentaire sur le Yacna (9) Das alte Indien, mit besonderer Rucksicht auf Aegypten etc. (10) Account of the cave-tempie of elephanta, with a pian and drawings of the principal tìgures etc. (H) liaudeskuode von Indien etc^ (12) Storia del Giappone. (13) Histoire du lapou. (44) Viaggio al Giappone. (15) Asia polyglotta, ou classification des péu- ple» de l'Asie d'apre» l'affinitè de leurs langues. Me- moire relatifs à l'Asie etc-^Nouv. Mitridate, ou clas- sification systèmatique de toutes les langues connues. (16) Dell'incremento e stato presente delle no- stre cognizioni nell'India. na aJo" 1) (17) Della lingua Kawi nell'isola di lava, core una introduzione intorno alla differenza della strut- tura degl'idiomi e la loro elTicacia a svolgere l'in- tellìgenza del genere umano. (18) Atlante etnografico di tutte le lingue. ' 1 (19) Traduzione del poema sanscrito Wlamiki (20) Del sanscrito. r..; (21) Prolegomeni ad una gramatica ebraica. ■ (22) Illustrazione della sacra scrittura etc. (23) Lessico turco francese e francese-turco IMPORTANZA dell'archeologia 123 (24) Traduzione del rituale armeno. (25) Viaggio nella Nubia. (26) Viaggio in Abissinia. (27) Antiquitès de la Nubie. (28) Ved. Description de l' Égypte , ou recueil des observations et des recherches qui ont ètè faites en Égypte pendant l'expèdition de l'armèe francaise. (29) Reisen in Nubien, Kordofan und dem pe- traischen arabien eie. /i.-oioil : (30) Viaggio a Meroe. (31) Lexicon linguae copticae. (32) Grammatica copta (33) Lessici etiopici. "i (34) Monumenti di scrittura antica araba (e- miarita). (35) Antiche lingue arabe eie. (36) Études gèographiques et historiques sur l'Arabie etc. (37) Saggio sull'antico dialetto ehkili. (38) Grammaire de la langue ec. (39) Museum criticum N. 6. — Hieroglyphics. Account of some recent disco veries in hieroglyphi- cas literature. '"' (40) Rudimenta hieroglyphices. De astronomica Aegypti geografia. Systema astronomiae aegyptiacae. (41) Lettres à M. Letronne sur les papyrus bi- lingues et grecs et Sii^ quelques autres monuments greco-ègyptiens. ■ (42) Monumenti dell'Egitto e della Nubia dise- gnati dalla spedizione scientifico-letteraria di To- écarta étc. (43) Lettre à M. Dacier etc. Prècis du systeme hièroglyphique des ancìens aegyptiens etc. t24 Letteratura (44) Essais sur le pian et la disposition gene- rale du labyrinthe d'Egypte «te. (45) Les hièroglyphiques et la langue ègyptien- ne, Leltres de M. de Saulcy à M. Letronne, sur le» proscynémes redigès en langue ègyptienne. (46) Archeologie ègyptienne. (47) Fundamenta herraeneutica hlerographiae crypticae veterum gentium. Hiroglyphica aegyptia ex Horo-Apolline, aliisque veteribusque scriptoribus etc selecta. Tabulae Rosetlanae hieroglyphicae interpre- tatio etc. (48) Manners and custorns of ihe ancient Egy- ptians eie. (49) Operations carried on at the pyraroids o* Gizeh. ,..;,..,f^; (50) Spedizione prussiana in Egitto e nella Nu- bia dirizzata allo studio de'caratteri e de'monumenti egiziani. (51) Illustrazione delle monete cufiche del gaf- binetto numismatico di Milano. (52) Monete cufiche battute da'principi longo- bardi normanni e svevi nel regno delle Due Sicilie interpretate e illustrate etc. (53) Illustrazione de'monumenti sepolcrali cufici. (54) Raccolta degli antichi monumenti scandi- navi, annui i:).l M /; ?.oi«)n>l (55) Scandinaviskà" Nordens urinvonare. (56) Stato primitivo della Scandinavia. — Mi- tologia e migrazioni de'popoli scandinavi. (57) Svanska Folkvisor from Forntiden (de'canti popolari della Scandinavia) — Svea Rikes Hoefder (dello stato antico della Svezia). iriUoil IMPORTANZA dell'archeologia 125 (58) Traduzione dell'Edda. (59) Traduzione dell'Edda di Soemund. (60) Eddalaren og dens Oprindelse, cller no- iagting etc. (Sistema dell'Edda e sua origine etc.) (61) Mythologie du nord d' après l'Edda et les poèsies d'Oelenschlager. (62) Nordische mytologie. (63) Saga bibliolek nied an merle vlnger og in- dledende afhandliger. (64) Introduzione alla conoscenza della lingua islandese, o dell' antico nord, luoerche sull' origine della lingua islandese. (64) Dizionario islandese. (66) Periculum runologicum. (67) Antiquitates americanae. (68) Quadro del Messico. (69) Histoire de la conquète du Mexique. (70) Collection des documents amèricains. (71) Antichità messicane con una prefazione di A. Humboldt. (72) Antichità del Messico. (*) Molti manoscritti scandinavi si posseggono, i quali concernono i viaggi fatti dagli scandinavi dal secolo X al XIV per l' America del nord; con questo aiuto ed altri si confida venire ad una più larga intelligenza delle cose del nuovo-mondo. Ci piace qui ancora notare che l'egregio cav. Gio. Bat- tista Finali, direttore della stamperia reale ec, pre- sentò al congresso alcune sue osservazioni intorno alle antichità dell'America. (**) Lieta esser dee pure T Italia di annoverar fra costoro il conte Francesco Miniscalchi, stato nel 126 Letteratura VII congresso,^ uomo in cui la gentilezza signorile è vagamente congiunta con la dotti^ina. Ci fa egli spe- rare di qui a poco la pubblicazione di talune sue importanti ricerche sopra la Siria; e non dubitiamo di affermare che dallo studio che ha posto nelle lin- gue orientali, debba venirne non piccolo aiuto alla scienza. (***) Di cose somiglianti spero poter dire più a lungo in un Proemio della storia del governo antico di Roma,, il quale mi propongo pubblicare, condotto che avrò a termine un Saggio storico intorno alla nobiltà^ che ho per le mani. (****) Il conte Borghesi, noto all'universc^le per l'alto suo valore in fatto d' antiquaria, prepara un lavoro su' fasti romajii^ il quale per i nuovi e sinora non illustrati monumenti che racchiude, porrà la storia del Lazio in aspetto assai diverso da quello che ha mostrato insino a'd) nostri. Vero è che la critica so- pra gli autori, che trattano delle cose romane, ha sparso molti dubbi su di esse e tentato sopperire co'giudizi alla mancanza de' fatti; ma somiglianti giu- dizi sono d' ordinario essi medesimi semi di dub- biezze e controversie, non che di vari sistemi , da cui la storia più che ogni altra scienza debbe te- nersi lontana. Quale non sarebbe la gioia d' Italia , se molte divinazioni del Vico su la storia romana venissero confermale da '^^ monumenti che mai non conobbe ? 127 Sulle acque termali della Porretta, Osservazioni patologico- cliniche del D. Marco Paolini. Bologna alla Volpe in 8. di pag. 85. Intorno l'efficacia delle acque termali della Porretta contro le malat- tie della pelle. Considerazioni pratiche del D. Marco Paolini me- dico dirctt. delle terme. Discorso letto alVinstituto di Boi. a 2o Ifib. 1848. Bologna 1845 alla Volpe (Sono pag. 29 in 8). Appena il eh. sig. D. Paolini venia chiamato a medico diretlore (le.'bagni delia Porretta, ch'ci si die cura d'andar registrando le isto- rie di que'morbi che per la loro singolarit;"» ed importanza gli sem- brarono sopra gli altri meritevoli di ricordazione. E queste istorie avrebbero poi prestata materia ad ampio lavoro tutto volto ad illu- strare le terme porrettane; ma un superiore comando avendolo stretto a pubblicare alcuno scritto sull'efEcacia di quell'acque, diede la rela- zione delle malattie, alle quali nel 1841 tornarono benefiche le terme, facenda ad essa saviamente precedere un breve cenno delle vicende metereologiche , e della costituzione morbosa che dominò in Por- retta nel tempo delle bagnature. Il libro del Paolini è scritto con chiaro e spontaneo stile, molta dottrini^ medica, e cpn quel filosofico senno che tutto si confà a tali utilissimi lavori. Il eh. A., non contento a ciò, raccolse nell'altro pregevolissimo opuscolo quelle considerazioni , che mostrano quanto valgano le acque porrettane a guarimento delle malattie della pelle. Perchè si abbia un saggio dell'operetta e dello stile del Paolini , e perchè si parla d'una gloria d'Italia, mi è grato recare la osservazione 3, che dice; « Deplorava l'Italia, piangevano le arti belle, e soprattutto la " scultura, l'infausto caso onde era gravemente oppresso un uomo » celebratissimo, il cay. Lorenzo Bartolini di Firenze. Avvegnaché » quest'egregio, di tempra bilio.so linfatica, avanzato nell'età, ammalò ,1 di tormentoso e terribile morbo. In seguito di due risipoie apparse » circa un anno innanzi nella gamba sinistra, e di un ascesso in » prossimit.i dell'articolazione tibio-femorale, gli arti inferiori dal 1 sommo delle cosce fino all'estremità delle dita del piede gli si co- » prirono di una sordida iippetigine avente la forma di piccole pu- » stole, o meglio vescichette , alcune fra loro divise, ed altre ag- w glomerate, le quali formavano rompendosi delle ulceri, o piaghelte, V, gementi umore sieroso-puriforme. Erano amendue gli arti gonfi, » edematosi, e deformi a vedersi; e quelle vescichette, mentre con 128 Varietà' ■il uà continuo avvicendarsi disseccavansi a brevi intervalli, e ricom- » parivano, erano cagione di incomportabile prurito. Del resto, niun :i disordine funzionale nell'universale della sua macchina, se togli » frequenti incomodi di gastricismo, il quale era probabilmente lo « stato, da cui era mantenuta quella discrasia erpetico-vescicolare. » Da dieci mesi il morbo infieriva pertinacissimo: e quel corpo, usato » jjià ad una vita operosa, era venuto nella triste condizione o di ;•. giacersi nel letto, o di starsi su d' una sedia seduto. Vani erano ■» tornali i moltissimi rimedi prescritti: vani i bagni d'acqua dolce e » col fegato di zolfo portati (ino al numero di cinquanta: sicché in » ultimo, per alleviare pure il doloroso prurito che lo tormentava, » gli era stato suggerito di tenere gli arti alFetti quasi di continuo ^1 avviluppati in panni unti di poma.ta di semifreddi. In tale stato alla 5) metà del luglio del 18-43 giunse il Bartolini ai bagni della Porretta. > Gli ordinai di abbandonare tosto qualunque topica applicazione, » massime della pomata, e gli prescrissi V immersione nell* acqua '; de'bovi la mattina, e n'-lla sera un bagno parziale alle parti offese ri coll'acqua della Puzzola sufficientemente riscaldata. Il quale ultimo » espediente egregiamente mi corrispose, come suole d'ordinario cor- » rispondere, per moderare il prurito che accompagna tali malattie. » i/acqua leonina presa internamente ne'primi giorni, e ripigliata a » seconda del bisogno, e delle circostiinze; poscia quelle della Puz- » zola, ed infine l'acqtia della Porretta vecchia, furono i rimedi cui » s'attenne V illustre infermo durante il suo soggiorno alle terme, » che non oltrepassò lo spazio di un mese. Dopo quindici bagni con » gioia e con istupore di tutti si vide passeggiare il Bartolini per ;; le Strade di Porretta, il quale pieno di coraggio e di speranze co- « minciò in appresso a prendere un giorno sì e un giorno no un ba- » gno la mattina, ed uno la sera. Che i nostri bagni hanno ancora » cotesta bella prerogativa, di dare loro cioè e rinvigorire le forze ' anziché stremarle, siccome succede facendo immersioni nell'acqua » comune. In una parola egli lasciò guarito e pieno di riconoscenza 55 la Porretta, ni; altro soffrì nell'inverno susseguente, che un forun- » colo ad un malleolo, e poche vescichette ad una gamba, che in bre- » ve si dileguarono. Potè quindi attendere con tutta quella attività 0 che gli è propria ai prediletti lavori dell'arte sua, e nello scorso <■•■ anno sano e giovialissimo egli rivide le porrettane fonti a maggiore » conferma deirottenutoj;isauamento. » y"^^^"^ \ G- '■ RAMBELLI. 5y IL DIRETTORE ^&^^'^^ D. PIETRO ODESCAtCHI Hoselli, alcune formale sul calcolo de residui, (Continuazione.) . . 3 Coppi, Sulle finanze di Roma ... 25 Chimenz, Intorno ad yéndrea Ce- salpino scopritore della circola- zione del sangue 49 LETTERATURA Camilli, Tracce storiche sul domi- nio greco dopo Alessandro nelV Asia centrale 63 Biografie di Pietro Bagnoli, Anto- nio Lombardi , Luigi Ciampolini^ Giovanni Battarra , Francesco Bertelli, Gian andrea Magri, Ago- stino Cagnoli 74 Bursotti, Dell' importanza dell' ar- cheologia 107 f'^arietà. 10 yÈID(^@0|l©00ÈlÈI00 01 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLK BELLE ARTI 1848 129 Sulla dipendenza delle due variabili x, y. Memoria di Ercole Roselli. INTRODUZIONE J-Ja memoria, che pubblico ora, doveva essere una digressione necessaria per applicare le date formole all'equazioni, che sono funzioni di due variabili, os- sia dell'equazioni indeterminate ; ma portando seco l'aspetto di una nuova teoria, e mostrandosi questa capace di mag^giore (jeneralità, come dimostrerò in altre memorie scritte sulla dipendenza delle varia- bili; ho stimato stamparle non già sotto l'aspetto di digressione, ma sotto quello che vedesi, cioè di me- morie separate, imitando l'esempio di tanti illustri matematici. Questo dico per fare conoscere, che seb- bene sembri avere io pel momento tralasciata la con- tinuazione dell'antecedente memoria, gentilmente pub- blicatami in questo giornale; pure non egli è così, essendo questa a quella in modo connessa, che sen- za la presente difficilmente potrei dimostrare una par- ticolare proprietà, che hanno le formole pubblicate, cioè di connettere in qualche parte l'analisi algebrica determinata ed indeterminata; e che mediante .que- sta memoria potrò io dare delle nuove formole, le G.A.T.CV. 9 130 Scienze quali, appartenendo all'analisi indeterminata, conser- vino una particolare analo^jia con quelle già date. Dalle cose dette discende, che dopo questa memoria dovrò io dare la continuazione di quella, che sta in- serita nei tomi 1 14 e 115 del nominato giornale. Ed infatti così sarà: e questa continuazione sarà in gran parte l'applicazione della teoria della dipendenza delle quantità alle formole già date. E venendo al particolari del contenuto in que- sta memoria, dico che parlo da una formola, la qua- le dimostrerò in appresso ; ma essendo facile cosa concepirla, per ora la suppongo cognita. Trasfor-^ mando questa foi mola, si ottiene una equazione ge- nerale a due incognite, ossia indeterminata. Ora fi^ai queste due incognite deve intercedere un dato rap^ porto. Infatti sieno le due funzioni incognite: avremo generalmente /(!/) == A -H ? (f{x) essendo A , ? quantità qualunque o costanti o variabili. Questo rappoctq,4Ì dipendenza fra le funzioni , « „ xhj) > Z(!/) 2 A (mod. ,vry) , Xi(^) 1 B (mo<^> -^'JÌ » sarà DIPENDENZA DELLE VARL4B1LI 145 donde X{y) - (A - B) +- x.(2) ossia ■/jtj) 3 (A — B)(mod. j1) 7. II modulo essendo la unità, due funzioni di- pendenti da una terza sono dipendeati fra loro, con- servandosi il modulo infatti X(y)!2 A(mod. .J) , X'(-) ^ B(mod. J) danno X(2/) = A -i- (f{x) , ;^,(z) =. B + (f{x) quindi X(j/)={A-B) + x.(=), ossìa similmente /(y)2 (A-B)(mod.J): quindi una dipendenza di modulo si può decomporre in due dipendenze o di modulo =» 1 , ovvero qualunque altro; purché la costante si riduca ad una differenza. Infatti sieno le serie «t, A, e, rf,e, m **! » "l > ^I ? '^I » *!»• • • l'I <*II1 ? Olii 5 C,,| , tt,,i , C,,, .... ec. G.A.T.CXV. 10 246 Scienze in cui b — a =■ ai ^ e — b = b , d — e = Ci , . . . bi — 01^:= Oli , Ci — bi —- bij . (/, — e, -^ Ci ... 6/2-1 — " dn-i'^^^ttm f/i-i — P«-i-~-'"«) W/j-i~~*C/j-i=C/j,.-' Egli è chiaro che date le dipendenze Xiy)"^ ««(mod. ,1) , 'xiy) "^ bn{moA. J) avremo ancora X(2/)2 (V, — a„-,)(inod. ;i) 'x{y) Ì2 i^"-^ — Vi)(inod. /1 ) . . , . ec. ossia pel n. 6 X.{y)^ i„-,(mod. j,y) , /.f^') 3 ««-. (mod. ^.i?) ec. ed anche per le cose dette nel principio di questo numero X(2/)2 ^/2-i(mod. j,1) , X,(s);« 0;;_,(raod.y,1) ora prescindendo dalle dipendenze di modulo X,(l/) S B(mod. ,Y) , Xzi^) 3 C(mod.^?'') donde ;^(2) = A H- jB -V- jg'C -f qq'q'lM , e quindi X(:) 15 (A 4- yB 4- ^^C) fmod. ^qqj'ì - E se 6arà X(2) ;* (A 4- ?B 4- j^C) [mod, ^q^-\ Similmente dalle dipendenze X(x)3 A(mod.//) , x,(y);Z B(raod. .^i/'), x^i^) iS C (mod. ^q") , - X3(w) 3 D(mod. J") avremo X(3) !« (A -*-. 7B 4- j7'C -h y^V'D) [mod. y'ig'g'q ì E se y = ^' = /' t= <7"' sarà X(-) ^ (A 4- ?B H- fC -h q^D) [mod. ^743 . Così continuando dalle dipendenze X(3) 3 A(mod. y7) , Xi(y) i^ B(mod. ^ty) , . DIPENDENZA DELLE VARIABILI 149 X"(^) 3 M(mod. «7(")) otterremo yjz) :5 (X-{-qìÌ^qq'C-h . . -^ qq' . . q{''-'ìM)[_moA.u(jq..g^'') 1 : e fatti q = q'=...=qr) sarà X(2) !^ (AH-yB-f-y^C -h ..•+■ (/"-«M) [mod. «?"] DuiK^ue date n dipendente di modulo diverso, in cui le funzioni sono fra loro connesse, avremo che la pri- ma dipenderà dal prodotto delle q i q\ . . . ^C) : e se sono dello stesso modulo , quella funzione di- penderà dal modulo della potenza W'™^ della q. i 10. Se nelle dipendenze del n. 6 in luogo dello stesso modulo y, si avesse il modolo di 9*(y) eguale a ^ ; e quello di X{z) eguale a q\ avremo 9(y) 5 A (mod. x?) , X(^) !2 ^ (™°'J- *?') donde (p{y) =t x(z) 2 (A rfc B) Craod. 4q =fc ?') ] : Quindi se si hanno due dipendenze di differente mo- dulo, si possono sommare o sottrarre membro a mem- bro, avvertendo di porre la somma o la diflferenza dei moduli entro la parentesi. 15Ò' Scienze 11. Valendo il segno inferiore, poniamo q ^-- q' avremo che mod- x{i3J(;i/)<3'*('A.ì — ^B)(QÌod. ,i) iijpnuU ■ fi >■( ■ f-i (.(7,. .. •,;-•■:..•>,,,..; ,, jisnuì a! formola cognita pel jm 6. ,oho-T(| IrI. Kiohnoqih sm 12. Prendasi la formola ?(y) — x(2) 2 (^ — ^) t™o^- ■-('/ — ?')]> ' r.!;:i! {.il'. ir. e pongasi ?, r-n^j; '..M-'h ■ A c= B,^ ^ sarà ?'(2/)— X(^) 2 o traod. ,(? — 9') 3 ; e facendo per l'antecedente numero, otterremo in questo caso la uguaglianza Infatti ì.SQ, nel n. 6 si faccia ' '!,:, ' ' A = B avremo la stessa formola. DIPENDENZA DELLE VARIABILI 151 13. Valga ora il segno positivo : e si faccia che i moduli delle due funzioni sieno i medesimi, cioè >boui o\ q^ q ì dVrémo ■■"'l Sii..!; 9(!/)-*- Z(^) :5 (A -ì- B) [raod. x2g], e se abbiasi q^q'^■^ $ara Similmente avremmo ; aaipsJ iJ6iJ«o«i 9 generalmente 9Ìy) "+" /(^) -^ • • H- ?(^) ii (A H- B -i- . . -t- H) [mod. ^ny] e posto q[= 1, otterremo (p{y) ■+■ (-) H- . . 4- |(ìv) ;2 (A H- B -h . . -1- H)(mod. .r«) 1 4 . Mediante le cose dimostrate possiamo somma- re o sottrarre qualsiansi dipendenze dello stesso o differente modulo prese relativamente a qualsiasi va- riabile. Si prendano infatti le due dipendenza (p{x) -^ A(mod. „f7) , x(v) ;« B (mod. ^q) avremo 9{^) -»- /(y) li (A -i- B)(raod. „ , J) : Infatti dalle cp{x) c=, A 4- qf,{u) , x.{y) = B -+- ?x.(«) ''^'"^ 152 Scienze avremo ,(«) -H /x,(w) che si può rappresentare con quella dipendenza. Se si dovessero sottrarre quelle dipendenze, avrem- mo ottenuto 9(^) — Kiy) 3 (A - B) [mod. (j — ^q') ] : similmente se fossero da sommarsi o sottrarsi le tre dipendenze f{x) 2 A(mod. „7), /((/) 2 B(mod. ,//') , ?(z) ^ C(mod.„y') sarà dr9(a^)=PX(\ì i>: 'tf. Da questo discende che dalla dipendenza (^{x) :H A(mod. „7) avremo ancora la seguente (f{x) — A 3 0 (mod. ^7) 17. Non solo si può aggiungere o sottrarre le stesse quantità dai due membri della dipendenza, ma ancora moltiplicandoli o dividendoli per uno stesso valore non si cambia la dipendenza: però che aven- dosi M li A(mod. ^7) sarà ancora B2)(a;) I* AB(mod. ,//). Infatti quella dipendenza convertendosi nella equa- zione 9(ar) = A 4- 79, (m) sarà B9(a^)=ABH- 7B9i(m) che si può rappresentare con quella dipendenza, av- vertendo che il quoto q è determinato sempre dalla B(p(x) — AB __ (p{x) — A DIPENDENZA DELLE VARIABILI 155 Si deve osservare che questa dipendenza ammette ancora la seguente equivalente hiv(x) ;« AB(mod. ,//B) , ma ponendo Bfi{u) = j0{u) ;, sarà similmente Bip(x) "^ AB(mod. ^^q) : Ma egli è facile a conoscersi che tutte queste dipen- denze, quantunque si presentino sotto forme diverse, pure in sostanza sono le medesime; perchè si ridu- cono a trovare il valore di r ; H/' 'fi'^ì . .... ... ..-;, corrispondente ad utìb o più valori dellà^ ^^ 9(«) in una data dipendenza. Similmente avremo ancora la seguente o(x) ^ A ^ , ■ ■.yju'i 'Mi ove dovrà applicarsi la stessa osservazione fatta in- nanzi. 18. Venendo alla moltiplicazione delle dipendenze dello stesso modulo, sieno date le due dipendente (p{x) :^ A (moti. ,//) , y^{y) J, B(inod. ^q) 156 Scienze avremo cioè il prodotto delle due dipendenze eguaglia il pro- dotto delle costanti pel modulo della seconda dipen- denza moltiplicata per là costante della prima : più il modulo della prima dipendenza moltiplicata per la costante della seconda : più il quadrato dei due moduli nelle respettive variabili. Infatti avremo ^{x) = A -h qeù,{u) , -^y) = B -H f/X.(«) onde ?(^}-X(y) = AiB -I- Xq)C,{v) H- B7'^,(M)-t- 7^^,(M)x,(t'}' che si riduce alla dipendenza notata. Egli è da notarsi che la moltiplicazione di quel- le dipendenze può indicarsi per t^)-l{ìl) 1 AB(mo(J. „7)(mod. ^7), quindi nella moltiplicazione di due dipendenze avremo (mod. ,/i){moA. ^q) = mod.(,,-7A + „?B -\- ,,, jt^} . Devesi qui notare, che facendo A = o , B ^= o ; dalle dipendenze 9 {x) 2 o(mod. ufi) ' X^y) 1 o{n\ùà. ^7) avremo ©(x).x(•• ■ ■'■', ' • '.IfD'.-'/ttih »>l<>hoffl il; '■p{jo) li 0 (moH. ,/y) , /(^■; ^ m (ux»^ ^5»'<)jib 3ul> dipenderà dal prodotto dei moduli presi jelativamen- te alle rispettive variabili. , , ., . , Se fossero da moltiplicarsi fra loro le Ire dipen- denze ■ \\j ...'liis ;;\,_!»"!:rj«jt.-.. £. i^.X-'. .; J «(a;) :« A(mod. ,^q) ,''x(y) il S(w«d. ^|/')r?(*)^Gf»Ppd> :ù,7") ' otterreraOr-^i, -♦' <'-\ 'joiìs I 9 /^ DIPENDENZA DELLE VARIABILI 163 ^{x].x(,j].^ z) ^ ABC(mod. ,,q){n\0(ì. „?',(moiI. ^^,q") e ijvolfjeiido i moduli sarà donde diremo che ancora nei prodotti delle dipen- denze di modulo differente dovrà ritenersi la egua- lianza (mod. i,q){mo(i. j,q'\mod. ^q ) = niod.(,^5r.BC -h ^gr'.AC -+- ^^".AB-t- v(^)-X(y) • • '^i'^) 3 AB • • Z(mocl. ^^)(mod. j,q') . . (mod. ^^f!"-")) e. COI?, le, due regole date, svolgendo i moduli sarà ©(a.-)./(i/) . . ù[oì) "^ AB . . Z [raod. ( ,,?.BG..Zh- -+- .yl—UB . . Yh- ^y.^^' . CD . . Z + . . . . -h 5?!«-^).,gr;''-M.AB. . X 4- ,g.,q\,q'.D . . Z ^- . . . . H- ,^('-3).,?("-)., i - Facen;dQ ( ,; .- iiifj o onlJ .1 -""■'- .. i.jO>9r. A..;pS'B ==^G ===!^v'.v.'fi*'!2»[r. oibb iJiafiJf» otterremo qqi^ 'ù '■. ;!d fiJaB)- f(^)'X(y) •'••'<»N!5 A'"[mod.{('^^ -h . rf:^ ,5f;"-''))A"'-'-+- i 9j'a3iiniJÒi".ì" ow^'doo aìinhÓD Ì7yr.T| ol-. e supponendo ora A=-o •sj^ otterrà % DIPENDENZA DELLE VARIABILI 167 Queste saranno le formole generali della ràoUiplica- zione dello dipendenze di modulo diverso, quando le costanti sono qualunque, o sono eguali fra loro, ovvero eguagliano zero. Può avvenire che fra queste dipendenze alcune abbiano i moduli eguali ed altre no: similmente che alcune costanti sieno zero ed altre eguali fra loro: ma la moltiplicazione di queste dipendenze riducen- dosi ad essere casi particolari delle formole date, po- tremo facilmente determinare i valori. 21. Per dare qui una facile applicazione di que- ste dipendenze vogliasi conoscere immediatamente lo svolgimento degli n binomi {x, H- y,)(j?3 -f-y^Kcs -+- 2/3) • • • (r/z-i H- 2^/,-.)(av, 4- yn) Incominciando dai ponendo avremo - 9(x).x(.'/) IZ X, y^Cmod.fa-, X,. -hy^y^-^ y, x.,) ] che si decompone nelle due dipendenze ?{x)3 ^i(mod. (/,), x^(y) ^ y^fmod. ar,) , di cui il prodotto s'indicherà per ?l^)-X{y) 3 ^1 ya(mn{i. ?/;)(mod. x.,\ 168 Scienze onde simbolicamente avremo (mod. y,)(mod. x^) => raod.(ar, x^ -+- y, ya 4- y, iTa). Prendendo tre fattori binomìali 9' {xi ■+- y,)(a:, •+- y^)(x3 -4- t/3) ponendo " ~^ ^A^x, , Bz^x^y C:^x^ , ?9»(«*)^2/» > ?'X«(«')=J/3 ' y''?(w)=yj avremo f(^)'X(y)-^(*) 2 ^« ^2 ^3Emod.{y, x^ «3 H-y* a:» % H- ya ^i a-2 H- y I ya «2 -t- y2 yn ^1 -h y. y^ ar, -t- y, y, yajl che si può decomporre nelle tre dipendenze 9(x)2 a:,(mod.y,), x(y) 2 ^^(mod. y^), |(s) 2 rj (mod. yj) ed indicandosi ancora il loro prodotto per ?(^)-X(y)?W 2 J!;,a?3a?3(raod.y,)(mod. y^Kiaod. yj) otterremo che in queste dipendenze dovrà sussistere simbolicamente (mod.y,)(raod. y2)(naod. y3)= mod.(y, x, xj -f y^ a;, 0:3 -h ys ^i ^2 -*- yi y3 a^^ -f- y, ys ^» -v- yi ya ^3 -f- Viyz ys) Generalmente da quella formola generale , avremo lo svolgimento degli n fattori binomiali (^1 -+- yi)K + yO • • (^/. -^ y«) • DIPENDENZA DELLE VARIABILI 169 Infatti prendendo A — .«, , B =» Xj , C — X3 , . . . Z = ar„ avremo ?(^)-X(y) • • ■ '^i^y I2 ^i -s^z • • a^rt e mod. ( y, Xj a-3 . . x„ 4- y, a:, X3 . . .r,^ -+- . . + (/„ a-, .r^ . . .r,^-, •+• t/, 1/2 0-3 . . a;^ -f- y, 2/3 X, 374 . . a;« 4- . . -i- «/;,_, , e fece similmente palese che negli alvei aperti non potevano sussistere. A conclusioni di tanto momento in quel tem- po, per le dispute e per le dubbietà che tenevano divisa ed incerta l' autorità degl' idraulici , giunse nel primo passo il nostro geometra, con calcoli spe- ditissimi e con limpidi ragionamenti, manifestando: di avere misurata tutta quanta la scienza del corso de'fiumi. Nei due anni seguenti lesse altre due dis- sertazioni gravissii)ae,=f= §u,l pendolo idrometrico e sU' g-li efflussi — •-. '<•»•)•>■.; • Il Bonati aveva notato di errore la stima della velociià delle correnti dedotta, col pendola semplice, dall'osservazione dell'angolo del filo sopracqua: per- chè la parte immersa del pendolo s'incurva appun- to secondo l'impulso vario dei filetti d'acqua che la investono, e però l'infimo latercolo di questa curva ha l'inclinazione ben diveisa dall'osservata. Per de- terminare la qualità di si fatto errore, il Venturoli prese a considerare la curva del filo , supponendo conosciuta la scala delle velocità: e ne trasse che , qualunque sia. questa seal^, la velociti* stimata dall' angolo apparente .sarà sempre maggiore del vero. Dopp; la, qjualje conclusione add:itQ anche ja corr<ìzio- ne da fofsj, alla misura dèli' uuloi de* fluiti^ ottenuta da Gregorio Fontana collo stessa istrumentOé Immaginaifdo poi, invece di una palla sospesa ad un fiiu, un'asta cilindrica girevole iutoiuo al cen- tro, di spspensione;, compose il pendolo da lui de- ìiouiinato composto, atto a determinare 1^ ^ala delle \76 Scienze velocità, nel primo caso supposta, mediante una se- rie d' immersioni dell' asta stessa , in ciascuna delle quali si tien conto della deviazione dalla verticale. Dimostrò inoltre come lo stesso ingegno può servire a misurare l'urto dei fluidi contro l'asta, assai me- glio del pendolo semplice, purché nell' una e nell' altra ricerea la divergenza dalla verticale non superi I 25 o 30". Cosi fin da quel tempo proponeva la bella teoria di questo nuovo tachimetro, interamente a lui dovuta, da lui ampliata in seguito, e ricevuta con unanime approvazione dai dotti. Nella seconda memoria trattò — Degli efflussi dai vasi semplici — per le piccole luci nude, o ar- mate di breve tubo, e dai vasi interrotti da diafram- mi. Ne determinò 1' erogazione e le pressioni inte- riori , deducendo tutta la foronomia dall'equazioni generali del moto lineare , con un metodo unico e rigoroso, mentre altri ne facevano dipendere i teo- remi da considerazioni particolari ad ogni problema, creando nuove ipotesi: o, disperati d'ogni teoria, li ammettevano empiricamente. owìiukiu* Onde è che il Venturoli , non ancora compiti i 25 anni, ebbe il merito insigne di far dipendere tutta quanta l'idraulica razionale dalla generale teo- ria in un modo semplicissimo; e vi adoperò l'analisi algebrica la più elegante e spedita , con soluzioni concise ed evidenti, che dopo di lui sono state se- guite in tutte le scuole. A non lasciar nulla indietro, aveva nell' aprile 179^ tassata vittoriosamente, nell'accademia stessa, di paralogismo la dimostrazione data dal Bossut del teorema fondamentale « che la velocità dell'efflusso Elogio del prof. Vemuroli 177 si debba valutare dal peso della colonna d'acqua in- combente al foro ». Nel che i trattatisti seguivano quasi cecamente l'Ermanno, immemori che il New- ton, \edeiKlo in latto essere la velocità dell'efflusso dovuta all'altezza del battente, n'aveva dedotto do- versi riguardare cagionata dal peso di una colonna d'altezza doppia di quella. E sebbene Gregorio Fon- tana volesse più lardi puntellare la dimostrazione del Bossut, non mancò il Venturoli di scoprire l'ingan- no del sottilissimo difensore, tutto riposto nella ipo- tesi, non conforme al vero, da cui quella dimostra- zione «i faceva dipendere. Poiché la velocità finita dell' efflusso non è prodotta da una forza finita in UH tempo infinitesimo, ma da una serie dì minimi impulsi in un tempo finito. In tanta gioventù leggeva ancora, nel 1792, air accademia solita a tenersi nella casa del conte Carlo Rusconi, altre due memorie — Sulla forza del cuore, e Sulla elettricità atmosferica — . La forza del cuore era stimata da preclari fi- losofi di misura diversissima. Il Borelli la credeva potente ad equilibrare un peso di libbre 180, l'Hales di 50, il Keill di otto once. Il Venturoli chiari co- me la tanta discrepanza provenisse unicamente dall' avere que'sapienti male definita la cosa che voleva- no stimare, e data la misura di forze fra loro na- turalmente differenti. Cosi il Borelli proferisce la som- ma delle forze tutte, che si spendono nelle contrazio- ni del cuore; l' Hales la resistenza vinta dal cuore nel contrarsi; il Keill la forza dell' onda sanguigna che il cuore sospinge nell' aorta. Laonde concluse che, fatte tali distinzioni, quelle opinioni, tanto va- (i.A.T.CXV. 42 178 Scienze rie, possono stare insieme senza contraddizione alcu- na; poiché non vi ha controversia sugli effetti, dai quali ciascuna è derivata. Erano registrate negh atti dell' accademia di Pa- rigi del 1781 Tesperienze del Volta, e de'Lavoìsier e Laplace, per le quali fu allora fermato che i li- quidi nel convertirsi in fluidi aeriformi acquistano una grande capacità pel fuoco elettrico, e lo assor- bono dai corpi circostanti. Da queste deduzioni il Venturoli prese l'argomento della seconda memoria, e ne cavò la semplicissima spiegazione sullo stato elettrico dell' atmosfera, della quale niun' altra per lungo tempo fu al certo più soddisfacente. E mostrò di compiacersene, avendola ad altre accademie pre- sentata, e molti anni dopo lasciata andare due volte alle stampe. Che se per le più recenti esperienze del Pouillet è mancato, colla suddetta dottrina della ca- pacità, un Fondamento su cui quella spiegazione er- gevasi, vi resta però immobile anch'oggi il concetto cardinale di assegnare, in questa specie di fenomeni, una gran parte a quella elettricità che dicono di pres- sione, o attuata per influenza. Vi parrà gran cosa, o signori , eh' egli , tanto giovine, fosse già singolarmente dotto in matemati- ca e in fìsica ; avesse ordinata la scienza razionale delle acque a dipendere tutta dalle teorie più gene- rali e sicure; fosse adorno di lettere in tante lingue, e in taluna scrittore di tanto perfetta eleganza da non potersi bramare di più. Compose in quegli anni la vita del Montefani, che un giudice, fra i pochis- simi, competente ai dì nostri, reputa delle più bel- le prose latine di quel secolo. Ed anche allora n'ebbe Elogio del prof. Venturoli 17<) \e lodi somiglianti. Di che basterà l'oracolo del Tes- suti, il quale, neW Effemeridi di Roma, annovera già il Veuturoli - fra quei rari e nominati geni « queis meliore luto finxit praecordia Titan » : e affermava che quell'aureo commentario sarebbe senz'altro ba- stato a perpetuare ne'posteri il nome del Montefani. Usciva qui anonimo per le stampe della Volpe nel 4794. Ma ciò non valse a lui, ripugnante anco agli amici d'esserne autore, per tenerlo celato. Che il pa- lesava la fama del sapere, e dello squisito latino del- le suddette dissertazioni accademiche , sebbene tutte inedite , già di voce in voce diffusa largamente in Italia. Chi non lo paragonerebbe al Newton, il quale trovò giovanissimo i Principii^ VOttica e le Flussioni^ e non se ne fece autore al pubblico che in età ma- tura d'oltre AO anni ? Per tanti e si conosciuti meriti ottenne nel 1795 la lettura onoraria di matematiche nella università, e tre anni dopo la stipendiaria. E il vediamo nell' istituto, fino dal 1790, membro onorario; e l'anno appresso segretario dell'accademia aggiunto al Gan- terzani; indi pensionalo nel 1797; in quest'anno stes- so professore sostituto di storia naturale, e ne'secondi uffici della biblioteca. Ma già era venuta la stagione burrascosa, nella quale questa troppo bella Italia fu invasa dalle su- bite armi di Francia, e patì un insolito rivolgimento di stati, di fortune, di leggi e di opinioni. Il quale, durato fluttuoso qualche anno, prese poi fórma di stabilità dalla spada e dal senno di Napoleone unico. Il popolo intanto, ed anco i letterati, fra le feste della libertà s'ingannavano volentieri della servitù 180 Scienze impostaci dai vincitori ; che all' uno promettevano l'egualità, agli altri le glorie degli studi, E di vero le nostre istituzioni sul principio si mantennero; indi ricevettero ingrandimento; e l'uni- versità e l'accademia dell'istituto , accresciuti di cat- tedre, di membri e di stipendi, divennero, non più del municipio solo, ma di tutta la nazione. A Giuseppe Venturoli, reduce appena dai comizi di Lione, ov'era stato dai colleghi inviato a rappre- sentare l'istituto di Bologna, fu nel 1 802 conferita la cattedra di matematiche applicate nell'ampliata uni- versità nazionale. L'uffizio poi di segretario dell'ac- cademia, nel quale era succeduto al Paleani in quel- l'anno medesimo, gli fu restituito, con molto mag- gior emolumento, quando, trasferita nel 1812 a Mi- lano la sede dell' istituto nazionale, qui ne rimase una sola sezione. Egli non cessò mai né prima né dopo dalla in- defessa opera de'suoi studi. Lesse all'accademia Ru- sconi una memoria, tuttora manuscritta, - Sulla mu- tazione del senso del colorito, che succede nell'oc- chio stanco dall'avere lungamente riguardato uno de' principali colori del prisma - : e con quel suo fino criterio, e con quella sua invincibil dialettica, sem- pre piena di luce, mostrò come, al rallentarsi delle vibrazioni nelle fibrille della retina, la sensazione del color principale degeneri in quella del suo affine, secondo che accade de' suoni nella scala diatonica. Onde gli effetti delle sperienze del Buffon ebbero da lui una bella dichiarazione, e la teoria delle ondu- lazioni dell'Eulero una notevole conferma. Fece e pubblicò la sola traduzione dell'opera Sul calore ani- Elogio del prof. Venturoli 181 male ec. del Crawford che abbia veduta Tltalia : e l'accrebbe di copiose postille, piene di tanto sapere nella chimica, nella fisica e nella storia naturale, da disgradarne talora il testo, seaipre poi atte a chia- rirlo e ad ampliarlo. Seguitò ancora a perfezionare le sue investiga- zioni sul moto dell'acque nei vasi discontinui, e nei tubi addizionali, e sul ritardo che soffrono in quelli di condotta. E ne fanno fede le memorie stampate dalla società italiana, che si onorava di lui sino dal 1804. Né dopo di lui questa difficile materia potè collocarsi più al sicuro; salvo che colla determina- zione di coefficienti numerici atti a rappresentare me- glio anche gli esperimenti posteriori. Fin da quando leggeva pel Canterzani nell'antico studio, poneva ogni cura a raccogliere ed ordinare un compito corso di meccanica e d' idraulica. Ora l'occasione dell'accresciuta frequenza degli uditori lo stimolava più forte; ne tardò troppo a compiere il proposito^ Nel 1806 dava fuori il 1 volume del suo trat- tato, cogli Elementi della meccanica -, nell'anno suc- cessivo il secondo, con quelli dell' idraulica. Il fa- vore incontrato da quest' opera fu straordinario. I dotti la giudicarono concordemente magistrale, e la esaltarono sopra tutti i trattati anteriori. Gli studiosi, essendo addottata per testo in tutte le università d' Italia, la cercarono avidamente: talché la prima edi- zione, quantunque copiosa, fu prestamente esaurita. L'autore nel 1809 la ristampò accresciuta di un ter- zo volume di supplimenti , colle teorie principali della meccanica sublime; e fra quei supp^iimenti com- 182 Scienze prese anche la teoria del moto delle acque a due coordinate, nella quale , integrata 1' equazione della continuità, e determinate le funzioni arbitrarie, die- de la prima soluzione diretta del moto d' un velo d'acqua lateralmente contenuto da due pareti retti- linee concorrenti.il Tadini trovò anch'esso, per al- tra via, la stessa soluzione , e voli' esserne salutato inventore. Ma non gli fu concesso ; e il Venturoli medesimo nella terza edizione de'suoi elementi, uscita nel 181T, mostrò la conformità delle formole da lui date sei anni prima con quelle dell'insigne idraulico bergamasco. Questa terza edizione, che ottenne l'onore di dotti commenti da professori di Bologna, di Roma, e di Pavia, fu grandemente avvantaggiata sopra le due precedenti, per esservi ridotto a maggiore unità l'insegnamento (incorporatavi la materia dei suppU- menti colla parte elementare), e per molte aggiunte, massime sull'argomento delle macchine. Vi splende fra queste la teoria dell'ariete idrau- lico, che era stata poco innanzi cagione di calorose controversie fra il Brunacci e il Tadini. Egli la fece discendere con acute e nuove considerazioni dal- l'equazioni del moto dell' acqua pei lunghi tubi: e vi stampò un' altra orma di quella dirittura della mente e della difficile facilità che si ammirano in tutto il suo trattato. Del quale mi passerò senz'altre parole; poiché sì di questi pregi, come della vastità della dottrina , dell' ordine , e del dettato conciso , esattissimo ed elegante , è conosciuto in Italia non solo, ma fuori; essendo presso i francesi, e in Ger- mania autorevole; e dagl'inglesi, per consiglio del- ELOGIO DEL PROF. VeNTUROLI 183 l'Herschel e del Babbage , voltato nella lingua loro a servigio degli studi ; e di là passato anciie negli Stati Uniti di America. Noterò solamente che fu il primo fra noi, nel quale sia partitamente trattata la meccanica specu- lativa e la pratica; e nell' una si deduce dal minore numero possibile di principii tutta quanta la scienza; nelPaltra è aperta la via, e misurata la fiducia delle applicazioni ad ogni subietto della professione d'in- gegnere: di queste poi si veggono migliorate bene spesso le conosciute, e aggiunti esempi di non ten- tate ancora. Laonde se non fu dato al Venturoli di creare alcun ramo di nuovo sapere, ottenne di far crescere e fruttificare gli adulti: né solo cogli scritti, ma colla viva voce nel quadrilustre insegnamento dalla cat- tedra. Sono innumerevoli i testimoni della speciale eccellenza di lui nel tragittare i propri pensieri nella mente dei giovani. Citerò uno dei più autorevoli, il professore Gregorio Vecchi, che, dopo essergli stato qui discepolo , andò a Pavia uditore del Brunacci e del Volta, tanto famosi anco per l'abilità dell'in- segnare; e mi affermava che se que*due grandissimi ebbero maggiore la copia del dire, non l'evidenza maggiore. Né al Venturoli mancò la facondia: che aveva la mente salda nel concetto che tutto abbrac- ciava; vi scorgeva la via più facile a raggiungerlo; e, non che additarla, vi conduce per mano i disce- poli. Anch'io fui de'fortunati ; e i molti compagni ed io dicevamo fra noi: « È impossibile non inten- dere da lui le cose più ardue ». Qual maraviglia, 184 S e I E N Z E'^'>'>^ con tante lettere , e colla materia pronta , per gli studi e l'ingegno tanto potenti, la brevità in lui fa- conda, e l'ordine lucidissimo ! A più alti uffici ne'bisogni dello stato la santità di nostro signore Pio VII, d'immortale e benedetta memoria , destinava il Venturoli col motu proprio del 23 ottobre 1817 , ehiamatidolo a Roma presi- dente del consiglio idraulico, e direttore della scuola degl'ingegneri. Egli vi andò in quell'anno medesimo: e fu subito preposto a scegliere i più abili fra tutti i nostri ingegneri invitati a far parte del miovo corpo d'acque e strade. Fece il regolamento di quella scuola; nel quale propose il numero delle cattedre, il modo e la du- rata della istruzione, i premi annui, la scala di me- rito degli allievi, e l'ammissione nel corpo a quelli che ne toccassero i primi gradi. Le proposizioni di lui furono tutte approvate; e Roma ebbe dalla sapienza di Pio VII quello che Milano aveva sperato da un decreto di Napoleone, ma con conseguito. Sorse allora la prima scuola de- gl'ingegneri in Italia. Sull'esempio di quella di Roma l'ebbero, in seguito, anche Napoli e la Lombardia. Non dirò del bene che vi facesse e vi faccia. La professione dell'ingegnere sali in grande onore; e gli ammaestramenti di quella scuola, oggi fioren- tissima , non solo crearono fra noi allievi dotti in ogni parte della scienza e dell'arte, ma, fatti di ra- gione pubblica dai professori, ne portarono il nome e i profitti anche fuori. Il che torna a merito prin- cipale del Venturoli, che^ V allevò con amore dalla nascita, e l'aiutò a crescere fino al colmo. Volle an- Elogio del prof. Venturoli 185 che illustrarla con alcuno de'suoi scritti: Sulla por- tata dei tubi addizionali d'imboccatura conica diver- gente^ 0 diversamente inclinati alla presa deWacquCy SulVuso della forniola di Eytelwein nel proporzionare la sezione agli scoli, e nel trovar la portata dei fiumi uniti; e finalmente Sull'efflusso dai vasi conici^ e Sulla curva del pelo d'acqua regurgitato, o accelerato dalla chiamata dello sbocco. Queste due ultime ricerche sono delle più lo- date del Venturoli. In quella dei vasi conici sciolse il problema, decifrando le funzioni arbitrarie del- l'integrale dell'equazione della continuità a tre coor- dinate; il che non era riuscito ad alcuno innanzi a lui: onde se ne levò un grido di generale appro- vazione fra gli scienziati. E piacque sV al Bidone ,^ esimio professore e sperimentatore in idraulica a To- rino, che da quella soluzione volle dedurre la de- terminazione teorica della contrazione della vena, con apparente mirabile accordo derlle sue forraole colle osservazioni. Che se quella teoria trovò dopo dilFicoìtà gravi in molti, ha però ancora propugna- tore il Piola; e ciò solo basta a mantenerle cele- brità (1). Neil' altra, che il chiarissimo prof. Mos- sotti, prescindendo dalle resistenze, aveva teorica- mente promossa, volle il Venturoli ridurre le cose alla pratica; e vi riuscì da maestro. Trovò la curva, d'indole logaritmica, nella quale si dispone la su- perficie dell'acqua corrente in un alveo aperto, so- stenuta che sia da lieve impedimento, q resa da lieve cascata più rapida; onde fu veduto essere in questi (1) reggasi la ìwfa in fine- 186 Scienze casi indefinita l'estensione del rigurgito e della chia- mata dello sbocco. Ricomparve in Italia, e di là dai monti quella curva, come trovata da altri; ma s'ap- partiene a lui, che la pubblicò il primo nel 1823. Seguitando ora il Venturoli nelPufiìzio solenne di presidente del consiglio sulle acque, e poscia sulle strade ancora, la materia al mio discorso si allarga a confini troppo lontani, e la stringerò quanto im- porta alla presente occasione. Lo precedette a Roma la fama non solo d'in- signe idraulico teorico, ma di pratico ancora. Non di sapiente nimico alla minuta trattazione degli af- fari, ma di esperto nelle pubbliche amministrazioni. Poiché giravano per le mani di tutti i suoi pareri sul drizzagno di Calcara nella Samoggia, sulla im- missione delle acqua Bevilacqua negli scoli centesi , sullo scolo del comprensorio fra Poatello e Reno; e molti altri. Era stato non solo censore della stampa, mem- bro del collegio elettorale dei dotti, e due volte reg- gente dell'università, ma deputato per gli affari d'ac- que a Milano, e fra noi consigliere del dipartimen- to e del comune. Quindi fu intera la fiducia di tut- ti, che non mancherebbe all'aspettazione del pub- blico nel reggere i consigli e l'amministrazione dei lavori dello stato. Sopra tutto si esaltava il principe della elezione di lui, che avendo superate, anzi di- sperate r emulazioni e le invidie, era dai colleghi riverito: dai minori, la massima parte suoi discepoli, venerato. Dovere del consiglio d'arte è il determinare le proposte delle opere di acque e strade negli annui Elogio del prof. Venturoli 187 preventivi; il giudicarue i piooetti, che so» commes- si agi' ingegneri delle province ; il rivederne V ese- cuzione e l'amtninistrazione-, il rispondere alle con- sulte d^l governo in ogni cosa d'arte o di contro- versie, o di spese che vi siano attenenti, ^llla mole di cure si gravi si sobbarcò il Venturoli colle spalle poderose : e la sostenne fino all' ultimo di sua vita con tal valore, che al mancare di lui restò ognuno sfidato del potersi sostituirgli l'uguale. Tutti gli affari più intricati rendeva agevoli colla maravigliosa facoltà di vedervi subito il nodo principale, e da qual capo risolverlo. Laonde, ri- dotte le questioni ai minimi termini, proponeva il suo parere con tale brevità ed evidenza , con tale forza del discorso , facile , convincentissimo , che il persuadeva ai colleghi, agli avversari, ai giudici, a chiunque vi avesse parte. A tanto giunse nella opi- nione di padroneggiare l' altrui giudizio, che nelle cose disputabili ciascuno dei contendenti l'avrebbe voluto difensore: e quando non potevano averlo, chiedevano che fosse escluso dall'interloquirvi. Neil' arte nulla gli era mai nuovo: e la di lui approva- zione alle opere progettate era una gloria, l'emenda senza contraddizione accettata. Si ragguagliano a so- pra trecento l' anno gli opinamenti che fece in sei lustri al consiglio; e tutti sì opportuni, si splendidi ne'pregi delle sue opere maggiori generalmente dif- fuse, che se non compenessero un volume soverchio, né tutti di argomenti da cercarsi passata l'occasione, sarebbero degni di stampa; ad esempio nobilissimo, e forse unico, del perfetto scrittore, e consigliere in materia di amministrflzione e di arte. La eccellen- 188 Scienze za dello stile sarà felicemente creduta da coloro che ammirarono la perfettissima trasparenza del pensie- ro negli elogi del Galvani e del Malfatti , e nelle sue dissertazioni accademiche , e nel suo libro , o che udirono dalla sua voce le promozioni alle lau- ree in questa università, o videro le sue lettere fa- migliari. Chi della vastità dell' ingegno e del sape- re dubiterebbe? Nondimeno, per toccare di alcuni degli scrit- ti al consiglio d' arte , rammenterò quelli sui cir- condari di scolo nelle legazioni nuovamente circo- scritti e riordinati; la relazione sulle paludi pontine^ nella quale appare la stato a cui era condotta la grande opera di Pio VI nel 1836, e quanto rima- nesse a perfezionarla; il progetto del traversante al ramo d'Ostia per migliorare la foce navigabile del Tevere a Fiumicino; il parere sul modo di riabili- tare il porto d'Anzio, che si legge fra gli atti della società italiana; la proposizione di un sostegno, ove raccogliere e rialzare le acque del diversivo della Liscia, indi liberarle, a beneficio del canale di Fa- no; finalmente la informazione sul Reno dopo i di- sastri del 1842, che comprende in succinto le vicen- de e i pericoli della nuova inalveazione, il proba- bile pronostico dello stabilimento non remoto del fìume, le imperfette proposizioni dei rimedi imma- ginati, e la necessità di studi ben fatti a dichiararne la linea attuale possibile o no a sostenersi. Che se aggiungessi a questa enumerazione i voti, e tutti lodevoli, sopra nuovi andamenti di stra- de, sopra la revisione dol catasto, o per controver- *ie private di acque, di servitù, di giurisdizione, o Elogio del prof. Ventoroli 189 per commissioni di comunità , mi dilungherei dal proposito. Mi fa ben forza, o signori, il ricordarvi come non dimenticò la nostra accademia fra quelle moltiplici ed incessanti occupazioni. Fin da quando risorse (ed operò efficacemente anch'esso a farla risorgere) non la privò quasi mai della dissertazione annuale, raccomandata dalle re- gole antichissime agli accademici pensionati. Laonde i nostri commentari furono arricchiti della teoria de- gli estuari, non tocca prima di lui; delle applica- zioni che ne fece ai porti di riflusso ; e dell' effe- meridi tiberine. L'altezza del flusso e riflusso negli estuari dipende dalla loro ampiezza, tragrande, mez- zana o minima; e nel primo caso il loro livello non si altera sensibilmente per le maree; nel secondo si eleva o si abbassa con legge dipendente da quan- tità logaritmiche trascendenti; nel terzo segue in tut- to quello del mare. Quindi si fa manifesto che solo ne'piccoli bacini, come al Cesenatico, può utilmente raccogliersi l' alta marea , e chiudersi in tempo di riflusso, per isprigionarla a correre sul piano della secca a beneficio della foce; mentre negli amplissi- mi conviene lasciare aperta la comunicazione dell' estaurio col mare, come al porto Corsini. Tutte le vicende del movimento alternativo del mare e degli estuari sono espresse da formole semplicissime , e chiarite con esempi di fatto ; per cui questa parte della scienza dell'ingegnere riconosce da lui l'inse- gnamento che gli bisognava. Fu similmente primo in Italia a promuovere le statistiche de'fiumi; e dalle quotidiane altezze, osser- vate per 24 anni all'idrometro di Ripetta, compose 190 Scienze le tavole della portata quotidiana, media ed annua del Tevere; quindi dall'acqua che vi passa un anno per l'altro ricavò II rapporto con quella piovuta sul- la tributaria campagna. Notò specialmente il fatto che, negli anni asciutti, il rapporto dell'acqua tras- corsa pel fiume colla piovuta è maggiore che negli anni umidi e piovosissimi. Onde potè il nostro egre- gio Bertelli trarne, fino dal 1841, che dalle interne sorgenti , più che dalle piogge , dovea ripetersi la perennità del corso dei fiumi. E dopo di lui il be- nemerito Lombardini, confrontandone il deflusso me- dio con quello del Po, insciente della opinione del Bertelli, arguì essere questa una condizione al tutto speciale del Tevere, il quale, attese le piene altissi- me sul pelo perenne , tiene del lacuale e del tor- rentizio. La vita operosa del Venturoli, bastevole ad ono- rare qualunque insigne letterato, qualunque sommo filosofo speculativo e pratico, fu cara a tutti per le virtù dell'animo. E che vale il sapere, se da quelle si scompagna ? Amò teneramente la famiglia , e adempì alle ottime parti di figlio, di marito e di padre. Amò e servì indefessamente la patria, lo stato, la nazione. Pio, benefico, cortese, d'incorrotta coscienza, di tenore costante nella volubilità dei te mpi di mo- destia sincera ed amabile, non ebbe a soffrire ini- micizie. Gli onori non cercò mai, e gli ottenne da liberi suffragi, e comandati dal voto pubblico. Le accademie di Torino, di Milano, di Venezia , di Roma, di Napoli, e ogni altra delle più C98picue d'Italia lo aggregarono ai loro soci. Anche quella Elogio del prof. Venturoli 19 f <\i Parigi ne mostrò desiderio due voltej ma a lui, ohe stava sempre in disparte, prevalsero i più spor- genti. Non mai , se non chiamato , si accostava ai potenti, per dignità di sapiente, non per burbanza; il che gli accrebbe la riverenza. Quante volte 1' ho inteso dire: « che l'uomo dev'essere ,'ollecito di me- ritare, non de'premi del merito »; « d' avere caldo il cuore, e fredda la ragione! ». Talora avresti giu- dicata indifferenza quella che veramente era costanza d'animo nei travagli domestici; come nelle perdite amarissime del fratello ingegnere fper soverchio zelo affogato in una rotta del Reno ) , di due figliuole sul fiore della età, della buona e fedele sua com- pagna. Ma quando ne parlava , quel suo sobrio e facile eloquio veniva meno, la sua serenità si annu- volava, e faceva forza visibilmente a se stesso. Che diremo deirultìma sua infermità di sì violenta iscu' ria, che in dieci giorni lo estinse? Non un lamento, non un sospiro fu udito da lui; non accusò dolori, né al fratello medico, né alla sorella, né al dilettis- simo figliuolo , né alla nuora , che lo assistevano amorosissimamente. Ricevette gli estremi conforti della religione con accesa fiducia in Dio, e con animo in- vitto fece la dipartita del giusto. Sebbene di s) temperata natura, si mostrò, quando occorse, infiammato di coraggio civile, e di grande amore di patria. Levò nel ginnasio querele nobi- lissime contro le straniere usurpazioni dei trovati d'ingegno italiano. Rappresentò liberamente al car- dinale Consalvi come gli studi e i professori, dopo la restaurazione, erano caduti in basso, e convenisse rialzarli. E allorché il ministro Sebastiani spargeva i92 Scienze per r Europa tante ingiurie degl' italiani, gli dava, in suo scritto, tale una sdegnosa disdetta ad ogni parola, da farnelo pentire e ripentire. Fu di mediocre statura, di volto amabile e ve- nerando. Il cranio grande, la fronte vasta, il guardo sereno ed espressivo erano taciti , ma non fallaci segni della capacità della mente e della bontà del cuM'e. Visse felice quanto è possibile quaggiù. E aitante della persona fino all'ultimo, volle vedere il ponte sulla veneta laguna, e la strada ferdinandea. Vi andò di qui col figliuolo e colla nuora, accom- pagnato fino a Vicenza, per fargli onore, da molti de' suoi ingegneri. I professori di Padova e di Mi- lano gli fecero festa , e se ne rallegrarono ; parve loro uno stupore quella verde vecchiaia, quella inal- terata potenza dell'intelletto: e nell'altezza della fama e del grado quell'umilissimo contegno! Presso a toccare i 78 anni morì contento in patria, fra i congiuntissimi: non essendogli mancato al chiudere degli occhi che la figliuola e i nipotini di Roma. ! oroìa Era poco prima tutto lieto dell' era beata che vedeva prepararsi dalla santità di nostro signore , mandato da Dio. Dal quale, appena salito al trono, ricevette, assente, le insegne di commendatore di s. Gregorio Magno. E piacquero a lui, ma più all'uni- versale , come luminoso principio di sapientissimo regno. Avrà dal municipio degno luogo fra i se- polcri dei bolognesi illustri, da' colleghi il monu- mento nell'università. Se non che più delle immagini durerà il desiderio e 1* esempio delle sue virtù e delle opere immortali. Elogio del prof. Venturoli 193 NOTA Il chiarissimo Bidone, volendo applicare la teo- rìa dell'efflusso dai vasi conici del Venturoli alla ri- cerca della contrazione della vena, suppone (Memo- rie delV accademia di Torino^ voi. 34, pag. 363 e seg.^ an. 1830): 1. Che debba essere costante la pressione e la velocità lungo la traiettoria d' ogni molecola , nel brevissimo tronco della vena compreso fra l'origine e il termine della contrazione; 2. Che la direzione della velocità assoluta V alla prima sezione, ove comincia a formarsi la vena contratta, sia normale all'ultima sezione piana della massima contrazione. Quindi osserva che, essendo in generale il piano della luce del vaso obliquo alla direzione della ve- locità assoluta, si avrà la portata di questa luce mol- tiplicandone l'elemento della superficie dzdy per la velocità relativa normale al piano di essa luce, os- sia per V sen. X: indicando con X l'angolo della ve- locità assoluta col piano medesimo , e debitamente integrando. L poiché nella sezione piana della mas- sima contrazione la velocità assoluta V si ritiene nor- male all' elemento della di lei superficie, se questo lo chiami d^oj, ne avrai la portata Fd^cj = dzdy V sen. X ; da cui d'o = dzdy sen. h Da questa equazione si deduce subito, senz'al- tro calcolo, che se X — 90, l'area del foro sarà uguale all'area della sezione contratta. Supponendo poi che la sezione, ove comincia G.A.T.CXV 13 194 Scienze a formarsi la vena, sia sferica di raggio R , come nel vaso conico, secondo la teoria del Ventiiroli, se si prende l'asse del cono per asse delle x, e le z^ y ortogonali, coll'origine nel vertice, l'equazione pre- cedente diviene: d^a «es dzdy —-=:dzdy — R R Pel caso di una luce circolare di raggio r inte- grando, ed estendendo l'integrale da y, e da z=^^ fino ad yz=s{[/'r'^-z'^)^ e a zs=«r, si ottiene 2nrHR^ >R^-r\^t r\\ 27rr* r =5, si ha w == ~ — onde il Bidone conclude: l'area della contrazione due terzi dell'area del foro circolare, come risulta dalla misura effettiva. Ma su questa ingegnosa applicazione osservo : \. Che l'assumere la pressione costante nel breve tronco della vena contratta è contrario al fatto, che dimostra essere minima la pressione nella sezione estrema della contrazione, appvmto perchè ivi è mas- sima la velocità; 2. Che r assumere a priori che la velocità as- soluta diminuisca al presentarsi dei fili d' acqua al foro del vaso, e divenga dovuta al battente nella se- zione della massima contrazione, è un fatto noto per esperienza: ammesso il quale per altro l' area della sezione contratta riesce minore di due terzi di quel- le della luce, cioè prossimamente uguale a sei de- cimi di essa. Ma , prescindendo anche da queste considera- i Elogio del prof. Venturoli 195 zioni , a me sembra che quando si fa r >==■/? il lato del cono divenga normale all'asse, e il vaso conico verticale si riduca ad un piano orizzontale indefini- to, non già ad un vaso qualunque, come assume l'Aut., e che allora non abbia luogo né la contrazione, né l'efflusso. L'analisi in questo caso presenta la solidità del- l'emisfero insistente sulla luce, uguale cioè a due ter- zi del cilindro circoscritto; e se si divide per l'altezza r==/J, come ha fatto il Bidone, si ottiene l'area me- dia uguale a due terzi dell' area della luce, che è la base su cui l'emisfero insiste. Questo rapporto é al tutto accidentale ; e di- pende unicamente dall'avere assunte per la soluzio- ne del problema proposto le stesse condizioni che occorrono per determinare la solidità della sfera. Fino dal settembre 1823 mandai al prof. Ven- turoli la mia nota - Sul movimento delle acque a due coordinate -, che lasciai andare al pubblico nel 1828 colle stampe del Nobili a Pesaro: e la lasciai andare, anche perchè mi fu supposto che sarebbe uscita fra le cose inedite del prof. Giambattista Masetti, allora allora defunto, il quale l'aveva avuta da me mano- scritta nell'anno precedente. In essa mossi alcun dub- bio sulla teoria del moto a due coordinate, che si legge nella seconda edizione degli Elementi ecc. di quel mio insigne maestro, e su quella dell' - Efflusso delV acqua dai vasi eonici - pubblicata nelle - Ri' cerche della scuola di Roma - per l'anno 1821. A me parve che tanto nell'una, che nell' altra soluzione la traiettoria rettilinea dalle assunte ipotesi fosse già prescritta; che la soluzione dei vasi conici 196 Scienze fosse un caso particolare di quella del moto a due coordinate; e che, posta la cognizione di quella tra- iettoria , tutte le conseguenze dell'autore potessero ricavarsi dalla teoria del moto lineare, convertendo in circolari o sferici gli strati che discendono nor- malmente alla direttrice del moto. Aggiunsi le con- siderazioni generali, per le quali mi parve che niun profitto potesse cavarsi dall'equazioni generali del- l' idrodinamica , senza il soccorso delle ipotesi , o perchè quell'equazioni siano in se complete, o per- chè siano insufficienti. Il signor Bruschetti nella sua memoria sulla - Teoria del moto delle acque -, stampata nel 1829 dal Bernardoni a Milano, accennò d'aver letta quella mia nota, e giudicò che io avessi confusa la forma col valore delle funzioni arbitrarie. Io tentai di di- singannarlo in una mia lettera inserita nella Biblio- teca italiana dello stesso anno , e più estesamente con alcune avvertenze pubblicate fra gli atti della accademia agraria di Pesaro del 1830. Poi non ne intesi parlare più. Finché il prof. Turazza negli An- nali delle scienze del regno lomb. veneto (bimestre V e VI an. 1840, pag. 237 e seg. ), confutando la soluzione dell'efflusso dai vasi conici del prof. Ven- turoli, citò di sfuggita la mia opinione, e si valse del mio stesso argomento per dimostrare che la tra- iettoria rettilinea era supposta. Si provò a miglio- rare quella soluzione. E ciò fece anche dopo più ampiamente con una seconda memoria, che uscì fra gli atti dell'istituto veneto nel 1844. Ma tanto que- sto professore nel suo trattato di idrometria, uscito pel 1845, come, innanzi a lui, il professore Vincen- Elogio del prof. Ventiuoli 197 zo Amici , nel suo primo volume di meccanica e idraulica^ stampato a Firenze nel 1840, concorsero nel parere che nella teoria del moto a due e tre coordinate del Venturoli la traiettoria rettilinea fosse supposta a prioria Il professore Giusto Bellavitis presentò fin dal 1845 alla nostra accademia dell'istituto una sua dis- sertazione su questo grave argomento (uscita in que- st' anno fra i commentari della stessa accademia ) , nella quale, oltre convenire nella stessa sentenza, in- tende a mostrare che tutte le soluzioni finora pub- blicate sul moto delle acque non sono che casi par- ticolarissimi contenuti nelle generali equazioni della idrodinamica, e di niun profitto alla pratica, perchè troppo lontani dalle condizioni naturali del problema. Anche ne'congressi scientifici di Napoli e di Ge- nova furono riproposte e ammesse le stesse difficol- tà sulle soluzioni del moto delle acque a due e tre coordinate, e sulle generali equazioni dell'idrodina- mica, e non ebbero in contrario che 1' autorità, per altro solenne, del Piola. Si leggono nel 1 e 2 vo- lume degli atti dell'istituto lombardo due profonde di lui dissertazioni sull'argomento in discorso, che lo qualificano uno dei più grandi analisti del no- stro tempo. Egli parte dal principio che, nel moto perma- nente, le molecole percorrano traiettorie varie da una molecola all'altra, ma stabili per le stesse molecole. Posto ciò, nel caso più semplice del moto a due coordinate ( e in modo simile nel più composto a tre ): 1. Se avverrà che le prime molecole prendano 498 Scienze corso lungo le pareti esterne , durando per ipotesi le stesse cagioni, le successive dovranno di necessi- tà correre lungo la stessa via. 2. Che se vuole considerarsi il detto velo fluido composto di tante fila o linee di molecole, moven- tesi nello stesso senso, quante ne posson capire fra quelle pareti, l'equazione di quelle linee non potrà differire da quella delle pareti, se non che pel va- lore del parametro ; altrimenti rimarrebbero degli spazi vuoti da una fila all'altra. E però anco le due pareti, per soddisfare al supposto, debbono conver- tirsi l'una neir altra per la sola variazione del pa- rametro. 3. Supponendosi poi nello stato iniziale simili ed uguali tutte le molecole , ogni traiettoria dovrà contenerne lo stesso numero: e quelle che si trova- no negli strati discendenti non potranno mutare, di- scendendo, la posizione rispettiva, senza passare, con- tro r ipotesi, da una traiettoria nell' altra; ond' essi strati riescono di forma determinata, e tagliano lun- ghezze uguali delle traiettorie. Così nel velo fluido compreso fra due pareti rettilinee concorrenti, quegli strati divengono circo- lari, perchè le traiettorie sono rette concorrenti: e per contenere un egual numero di molecole convie- ne che siano raggi dello stesso circolo. Queste cose, che a me, nella citata nota, sem- brarono discendere evidentemente dal supposto (e tuttavia mi sembrano ) sono poi conformi al fatto ? Credo di no. Nel velo conico se il foro è minimo, e mas- sima la divergenza dei lati, supposta =sì 1 la dimen- Elogio del prof. Venturoli 199 sione orizzontale della molecola presso al foro, po- trà l'altra omologa alla superficie divenire =« oo ! L* intima costituzione dei fluidi è tuttavia uà mistero , a decifrare il quale mancano gli elementi di fatto per applicarvi con successo il potente istru- mento dell'analisi. L'insistente studio su i fenomeni complessi, e le replicate osservazioni di essi, sono, per mio umile avviso, l'unico modo di allargare la scienza del moto delle acque» Della difJìeoUà degli studi medici. Prolusione del pro- fessore Vincenzo Valorani recitata a'suoi disce- poli il dicembre 1831 neW ascendere la prima volta la cattedra di medicina teorico-pratica. X]i potentissima inclinazione naturale quella che ci porta con tutto il desiderio dell'animo, chi ad una, e chi ad un'altra professione di vita. La quale in- clinazione, che pura pura procede dall' individuale temperamento, quando non sia né ritenuta, né volta in contrario, è non fallace promettitrice che s'abbia a conseguire la maggiore eccellenza in quell'eser- cizio medesimo, a che ella con secreto impulso per istinto ne chiama. E tanto vale il conoscere e tan- to importa il secondare il suo naturale talento, che indarno si spera veder giugnere a lodevole meta co- lui che mal suo grado é costretto ad applicarsi ad '200 Scienze alcun genere di professione, al quale non sia per natura ordinato e disposto. Che se, come a qualsia*- si altra facoltà e disciplina, così pure alla medica , difficilissima, solo intendesse chi riunisce in sé il de- siderabile complesso di tutte le qualità fisiche e mo- rali che a quella dispongono e rendono atto, noi non avremmo ancora a lamentare ciò, onde lagnavasi quel miracolo d'ingegno e di sapere, Giuseppe Antonio Te- sta. Il quale nel principio di questo secolo naaravi- gliava seco medesimo come nell' immensa copia di cognizioni, o interamente relative, o almeno diretta- mente connesse alla medicina, in mezzo a tante scuole di clinico insegnamento, fra veri e solidi principii di medicare, quest'arte così portentosa nelle mani di alcuni de' sommi nostri maestri, non ricomparisse se non che quasi a salti esercitata con tutta quella pie- na prosperità di successi che le è propria. Di che veramente è a dolere e pel decoro dell'arte che pro- fessiamo, e per quel sentimento d'amore grandissi- mo che senza eccezione alcuna ci stringe ai nostri simili. Ma alle cagioni di così giusta doglianza non par- teciperete voi, elettissimi giovani, de'quali tengo per fermo, che ciascuno prima di venire alla presente ele- zione di vita, sia disceso entro sé stesso, s'abbia cer- cato in fondo all'animo, e quivi attentamente spiata la propria indole e la propria natura. Ond'è che io debbo già rendermi certo della vostra dispostezza, molto da quella aspettarmi, e presagire egregiamente de'vostri ingegni. Anzi il mio convincimento in fa- vore di questa crescente generazione di studiosi di medicina arriva tant'oltre, che se alcuno tra voi fosse Studi medici 201 mai meno contemperato di natura a così ardua e lunga disciplina: di quello oso io promettere, che con r assiduità, e con ostinatamente durarla studiando , saprà appoco appoco vincere le naturali ripugnanze, rinascere di sé medesimo tutt'altro da quel ch'egli è, venire in fama di ottimo, non ad altri che a se de- bitore de'suoi felici progredimenti. Alla guisa istessa di Demostene, che superati gli ostacoli della contra- ria complessione, a ritroso della natura madrigna di- venne il più grande oratore della sua nazione. Le quali mie parole d'oggi, se erano a voi per molti rispetti opportune , opportunissime e degne che a tutt' altre si anteponessero le mi parvero in risguardo all'istituto mio. Imperocché parendomi do- vervi esporre svelatamente dal bel principio le a- sprezze e gli ostacoli che nello studio della medi- cina , e più neir esercizio della medesima avrete a superare; io non avrei creduto potere a pieno rag- giungnere il mio scopo senza avervi fatto prima al vivo sentire la indispensabile necessità o di un' at- titudine somma de'vostrt animi e de' vostri corpi, o di uno sforzo immenso straordinario di studio che ne adempisse le veci. Chiunque ha delle cose mediche alcuna super- ficiale notizia comprenderà di leggieri quanto sia dif- ficile l'esser medici: che è quanto dire « interpor- » re costantemente con fortuna il più che è pos- ») sibile la propria opera in vantaggio degl'infermi. » Ed arduo invero, o sommamente malagevole, questo per me si giudica. Che anzi ov' io delle varie arti e scienze avessi quel fino conoscimento, che sareb- be mestieri a far di esse un accurato e compiuto 202 Scienze paragone, forse avrei donde pronunciare con fon- damento , essere la scienza della medicina di tutte le altre diffìcilissima. Ma lasciando ad alti intelletti un così vasto confronto e la grandezza di sì gra- ve giudizio, bastimi ora dire, perchè v'abbiate su- bito intorno a ciò un'opinione la meno lontana dal vero : che la medicina ha le più importanti e le piii strette attenenze con ogni altro e qualunque ramo dell' umano sapere; che la intera storia della natu- ra e tutta la fisica la seguono sì da presso, che ap- punto ella incomincia dove le altre hanno fine. Di che facilmente sarà ognuno persuaso quando sap- pia, che la conoscenza delle leggi cardinali, onde si regola tutta questa smisurata stupenda mole dell'u- niverso, dee necessariamente precedere l'esame dei fenomeni degli esseri organizzati , per indi risalire fidatamente alla contemplazione degli attributi di quella specifica universale attività, che quantunque variamente modificata nei diversi organismi , sem- pre semplice, sempre indecomponibile, sempre simile a sé medesima, fa sentire dove più, dove meno dif- fusa la sua presenza. Prenderà però vigore e s' ingrandirà nelle vo- stre menti il concetto delle difficoltà che si discor- rono, se vi farete dappresso alla considerazione del- l'uomo, scopo principalissimo de' vostri studi e delle vostre meditazioni. Lo studierete voi solo fisicamen- te? Nel complicato ordinamento della macchina u- mana, nella struttura delle parti che la compongono, nel loro sito, nelle connessioni, nella figura, negli usi, nelle corrispondenze di meccanismo e di azio- ni , nelle speciali attività dei diversi organi e de' Studi medici 203 vari sistemi , tutte fra di loro cospiranti ed armoni- che, avrete un campo vastissimo di penosa e lunga istruzione; per la quale unicamente verrete da tanta d'acquistare i veri criteri della- integrità e del di- sordine delle funzioni della vita, d'istituire una dia- gnosi meno dubbia ne'più difficili casi di condizioni patologiche occulte, e di avere aiutatrice al bisogno la molteplice dottrina dei morbosi consentimenti. Lo studierete moralmente e fisicamente ad un tempo ? Quale aggregato di misteri e di maraviglie non si presenta ad un tratto alla vostra immaginazione ! Quale complesso di attività e di potéri, derivanti da questo secreto collegamento di due proprietà così tra loro dissomiglianti! Quali elementi di azioni di op- posta origine, efficacissime a mantenere la salute, a suscitare la malattia, a ingenerare le opportunità del- l'una e dell'altra, a variare e modificare all' infinito l'esteriore de'vostri infermi, e ad indurre nell'inter- no de' loro poteri vitali, cangiamenti sommi, straor- dinari , inenarrabili ! E chi potrà con certa norma dividerle ed ordinarle in classi queste potenze del- l'animo? Chi potrà dare nel segno nel determinare il grado di approssimazione delle loro attività? Chi con un calcolo il meno improbabile misurarne e com- putarne gli effetti ? Per me vi confesso mi si sgo- menta il pensiero, quantunque volte si fa addentro nell'intricato labirinto delle umane passioni. Ma uscendo da questo cammino pieno di vie tanto dubbie e fallaci, e procedendo innanzi, piace- rai, prima di condurvi più oltre fra le molestie e le asprezze dell' arte, di non ritardarvi un conforto ser- bato a voi dalla benignità della fortuna e del tera- 204 Scienze pò. Voi invidiabili, voi privilegiati d' esser nati nel secolo della medica restaurazione, secolo che ne vai molti, per i progressi e per le glorie dell'arte! Nel quale) richiamati a disamina gli studi di tutte le età precedenti, messi in comune gli acquisti e gli avan- zamenti d'ogni maniera di filosofìa^ fatto giudizioso tesoro delle felici ed uniformi pratiche di medica- re di Baglivi, di Sydenam, di Boerhaave, di De-Haen^ di Hoffmann , di Borsieri , e di GuUen ; confermati i più generali principii della dottrina di Brown, con- futati trionfalmente tutti gli errori della medesima , fu vista la medicina teorico - pratica riprendere le austere divise nell'antica semplicità, collocarsi in un seggio di luce, e cui fanno base duratura non le vane ipotesi e le false supposizioni, ma l'osservazione ed i fatti, lo studio delle cagioni senza trascendere i con- fini dell' umano intendere, e sopra tutto il computo e la misura degli effetti quanto più assoluta e deter- minata può conseguirsi per criterio di analisi e di in- duzione severissime. Cosi la dottrina de' contro-sti- molanti, la teorica dell' irritazione, il fondo senipre identico de'processi flogistici, la condizione patolo- gica delle febbri continue, l'infiammazione che spes- so s'insinua di soppiatto nelle più dilicate fibre del solido, e costituisce il segreto elemento d' una mol- titudine di infermità, e di quante non avrebbe po- tuto non dico prevedersi, ma neppure sospettarsi ne' secoli addietro, i poteri dinamici e gli organici nei loro confini e nelle loro attenenze più evidentemen- te contrassegnati , le virtù e le attribuzioni de' so- lidi e de'fluidi nella economia degli atti vitali me- glio chiarite e distinte, le forze medicatrici della Studi medici 205 natura dal fatto clinico rivendicate e protette, for- mano altrettanti infallibili conoscimenti , dai quali potrete facilmente ricavare , oltre i dettami di più soda e severa patologia, una maggiore sicurezza di operare nelle curagioni dei morbi. Voi invidiabili, voi privilegiati, io ripeto, a cui di tanto appianaro- no la via, che fu sì erta e sdrucciolevole per altri, le fatiche e i trovati di sommi ingegni italiani , il nome de' quali durerà chiaro finché i benefizi fatti air umano genere meriteranno alcun ricordo nel inondo ! Nella semplicità però de'nuovi principii, in que- sto persuadevole aspetto di filosofìa medica, non cre- diate già di trovare vm letto di riposo ai vostri slu- di ed alle vostre fatiche. No, E. G., l'arte è ancora assai lunga, e Io spazio della vita troppo breve per apprenderla e professarla interamente. I pesi im- posti alla vostra istruzione sono egualmente gran- di: e li giudicherete facilmente maggiori e più enor- mi che non incombevano ai medici delle passate età, se porrete mente alla farragine immensa delle dot- trine e dei fatti, moltiplicati omai senza numero, che direttamente appartengono alla fisica animale , alla chimica, alla farmacia, alla materia medica. Potre- te voi dispensarvi dal conoscerli, se non tutti, quella parte almeno maggiore che v'è possibile senza man- care all' obbligo che contraeste fortissimo verso V umanità quando assumeste quello d' esser medici ? E similmente, in mezzo a tanti nuovi e sempre cre- scenti oggetti di medicina che, qual più, qual meno esigono la nostra attenzione, dimenticherete voi lo studio de'nostri maggiori? Vi lascerete dopo le spai- 206 Scienze le il frutto di tanti secoli? Starete contenti ad essere gli uomini solo de'nostri giorni, potendo essere quel- li di tutti i tempi ? Intorno a che già non verrò io soggiungendo se non fosse più prudente consiglio r accumulare nuove ricchezze, senza perdere quelle che già si possedevano ; e nemmeno dirò a quale segno sia ingiurioso alla memoria di chi visse pri- ma di noi il dannare alla dimenticanza tutto quanto operarono in beneficio della posterità , gettando i primi rudimenti di quelle cose che con tanto utile crebbero e si propagarono fino a lei. Sol che dia- te un'occhiata, anche rapida, alla storia dell'arte, vi chiarirete per insino all'evidenza, che se è antico l'errore, la verità non è venuta oggi nel mondo. Tutto questo, che è pur qualche cosa per di- mostrarvi r ampiezza della istruzione che vi abbi- sogna, è poco, incredibilmente poco, per argomen- tarne le arduità della pratica medicina. Al letto degli infermi doveva io chiamarvi: colà, dove abbandonati alla guida dell'osservazione e del fatto, dovrete ret- tificare le vostre teoriche e le vostre dottrine ; là, dove il ragionamento , la filosofia e tutti i risultati dell'ingegno vi abbandoneranno, se non avrete per iscorta la natura, se non sarete da tanto di spiegar la natura colla natura medesima. Là si farà palese l'importanza e la grandezza del fine, al quale come ad unica ed ultima conseguenza sono rivolti tutti i vostri studi. Là si parrà l' aggregato delle naturali ed acquisite qualità, per che sarete degni d'innal- zarvi al gravissimo ufficio d' esser medici. Quivi è duopo di lucida mente , di fatica ìnstancabi le , di pazienza senza confini: quivi la prudenza dee porsi Studi medici 207 alle più difficili prove, la bontà dell' animo far di sé certa fede , l' amor de'suoi simili scoprire inesauste le fonti della pietà. E la eloquenza che persuade , e la grazia delle parole che molce 1' affanno , e il coraggio non temerario che fortunato tocca gli estre- mi, e la previdenza che non è mai soprappresa, co- glie il momento e giova, e quante altre sono de- siderabili doti umane , a questo termine niuna è soperchia. Ecco la pietra lidia dell'arte e la compiu- ta forma del perfetto artefice; ecco le vie, per le quali incedendo sicuri que'primi sapienti s'attrassero la ma- raviglia de'popoli e si meritarono onori quasi divini. Ma quanto non è difficile e malagevole il possedi- mento di quest'arte maravigliosa! Attraverso di qua- li ostacoli non conviene passare per giugnere a con- seguire questo salutevole magisterio! Entra il giovane alunno la prima volta le sale cliniche: e lui fortu- nato, se può entrarvi coll'invidiabile corredo di fini e delicati sensori! Più fortunato se v'entrerà sgom- bro la mente da false persuasioni ! Quelli, perfezio- nati dall'uso, gli faranno sentire intorno agli infermi ogni cosa d'importante che loro appartenga; questa, non vincolata dall'errore, accoglierà i fatti nudi qua- li sono in sé stessi, non quali un anticipato giudizio o uno spirito di parte comanderebbe che fossero. Che questo debb' essere suo intendimento principa- lissimo, non so se più raccomandato dall'arte o me- glio ispirato dalla natura , il cercare di scolpirsi profondamente nell'animo l'immagine fedelissima dei diversi aspetti delle malattie con tutto quel com- plesso di caratteristici segni, che a ciascheduna pro- priamente compete. Il quale studio condotto per 208 Scienze gradi al sommo della sua perfettibilità, non può dirsi a parole quanta parte costituisca della medica ra- zionale esperienza, ne fino a che segno abbia potere di sovvenire alle più terribili urgenze. E forse da questo sopra ogni altro , per non mi dire unica- mente, trae principio quello specifico modo di sen- tire de' medici intorno le malattie , quella specie di subito presentimento che essi hanno sulla vera in- dole delle medesime, che è detto sensorio dell'arte o tatto pratico. Tatto che non si crea in noi per precetti: che non si trasmette per eredità a'succes- sori: che è tardo frutto di lunghe e continue me- ditazioni sul vario procedere de'morbi: che fa diflfe- rente il vedere, che è di tutti, dal bene osservare che è di pochissimi. Tatto, pel quale alcuni sommi maestri parvero quasi trascendere la natura comune, allorché afferrando colla mente certi istantanei e fug» gevoli mutamenti dello stato morboso, poterono con sicurezza, rotto il velame dell' avvenire , antivedere interni non temuti disfacimenti, o il possibile e non lontano rinnovellarsi d'una salute già disperata. A raccogliere per altro puramente nell' animo le forme specifiche di tanti affetti morbosi , quali appunto se gli offrono a'sensi, quanta difficoltà non dee trovare il giovane alunno, considerando alle in- numerevoli sembianze loro, forse altrettante quante sono le fisonomie degli uomini ! Imperocché, ossia fecondità di natura , o infinita variabilità di fisiche circostanze, come due corpi perfettamente simili nel- la moltitudine degli esseri non s' incontrano , cosi nemmanco due malattie interamente conformi. Lo stato vario e sempre cangiante degli individui , le Studi medici 209 «JifFerenti loro costituzioni e idiosincrasie, la molti- plicità delle morbose cagioni, il vario lor grado d'a- nione esercitato sui corpi, e cent'altre combinazioni subordinate ora all'uno, ora all'altro di questi ele- menti, imprimeranno costantemente ne'mali un nu- mero pressoché infinito di specifiche differenze. £ rimarrà sempre arduo il discernere le reali dalle ap- parenti differenze : lo sceverare i consensi morbosi per necessità insieme congiunti , da quelli che noi sono se non in alcuni casi e tempi della malattia : il distinguere, come dicono, l'epifenomeno acciden- tale dal segno patognomonico, i risultamenti simpa- tici dai sintomi diretti, i fenomeni di lieve conto da quelli onde s'hanno propriamente a desumere i veri criteri della diagnosi. E insino a che una fallace ap- parenza di fenomeni potrà ravvicinare e confondere insieme malattie fra loro diversissime: insino a che il complesso di minute cose, anzi talvolta un leg- giero ed unico segno, basterà a scoprire 1' aspetto vero d'un morbo velato sott' altre forme: insino a che per morbose complicazioni avranno molti punti fra loro di contatto , e pochi saranno i segni a che si riconoscano l' ematuria renale, a modo d' esempio, dalla vescicale , la psoite dall'ischiatite, l'infiamma- zione stessa dello stomaco da quella del diafragma; non sarà mai detto abbastanza, quanto sia e mala- gevole e necessaria ad un tempo la diligente in- vestigazione di queste specifiche differenze. Dalle qua- li mentre vuoisi con sottile e profittevole accorgi- mento ricavare motivi a temperare il regime e la cura, e averne fondamento buono di più sicuro pro- nosticare , non si cessa mai dal mirare primamente G.A.T.CXV. 14 210 Scienze alle reali essenze del morbo, né mai si pone in non cale che la massima parte delle infermità, o insor- te per cagioni esterne accidentali qualunque, o ema- nate]^da interni speciali disordini, trovano in sé stesse lafragione sufficiente per isvilupparsi e discorrere i loro stadi. Ben altrimenti dall' inefficace proposito dei ciechi empirici, i quali stortamente ragionando la virtù del mercurio contro la sifilide, della china- china contro le febbri intermittenti, del vaccino con- tro il vaiuolo, dei cloruri di calce e di soda contro i miasmi contagiosi, pretenderebbero di rinvenire 1* antidoto e lo specifico ad ogni male. Se però avvenga che l'osservare con assidua at- tenzione il corso ed i fenomeni delle malattie, e V aiuto di sincere istorie e di accreditate monogra- fie arrivino ad agevolare al giovine medico il com- prendimento della maggior parte di quelle speciali morbose varietà che gli passeranno sotto de' sensi , nondimeno quanto pur difficoltoso e raalagavole non dovrà riuscirgli l'investigare il grado, e se è lecito così ei^primersi, la quantità della malattia ? Ricerca verissimamente grave ed importantissima, dalla qua- le singolarmente dipende il non oltrepassare medi- cando quella giusta proporzionevole misura nel sot- trarre e neir aggiungere, che determina il perfetto esercizio dell' arte, e separa di grande intervallo 1' indotto dal sapiente della natura. E quale raggio di benigna luce gli rischiarerà questo ancor più in- tralciato e più oscuro cammino? A quali fidate scor- te si al)bandonerà per progredirvi sicuro? Ricorrerà all' esame delle cagioni? Ma come sperare di poter sempre rintracciarle? E rintracciate, con che animo Studi medici 211 in lutto affidarvisi? A non moltiplicare i pericoli del- l'errore per quei mezzi medesimi che cerca d'cTÌ- tarli, non vorrà porre in dimenticanza : non sempre potersi rimettere adequato il rispondere degli infer- mi alle interrogazioni del medico : a ciò fare con- trasto il pudore e la timidezza di alcuni, di altri la stupidità e una certa naturale insesataggine, quanto ad altri l'estremo abbattimento delle forze e la mor- bosa turbazione dello spirito, e per tal altro ancora , non di rado, la malizia e la frode. Quella infelice fanciulla, che ardendo di secreto sfortunatissimo amo- re, vede ornai spento col fiore della bellezza quello più pregevole ancora della salute, è prima disposta a morire di quell' occulto veleno che la consuma , che confidare al suo medico la recondita cagione del suo soffrire. E quando pure si potessero tutte sco- prire le vere origini de' mali, come non dovrà ri- cordarsi, niun computo assoluto e determinato po- tersene fare a priori: gl'impeti della vita, e piiV i preternaturali e morbosi, governarsi con altre leggi da quelle della materia non viva: nelle cose dell'ani- male economia gli effetti non sempre proporzionarsi alle esterne cagioni; e poca favilla secondare spesso • gran fiamma: gran fiamma non essere sempre segui- tata da grande incendio. Quante volte la senìplice impressione d'una fragranza soave, la vista d'un pic- colo insetto, 1' orrore d' una sanguigna, non furono potenti a suscitare ansietà, deliqui, freddi sudori, sincopi, lipotimie? Quante convulsioni, quali orrendi insulti di epilessia, rinnovellati poi mille volte, non furono mossi da prima solo da un esalamento .sgra- devole, da un aspetto ributtante, dà un suono ingra- 212 Scienze lo! Ridondano le storie mediche dì si fatti esempi, ed io mi tengo dispensato dal raccontarli. Che sarà ora a dirsi de' sintomi , àncora forse unica di salvamento , alla quale il giovane alunno si affiderà in questo pelago pieno di scogli? Che del- l' esperimento de'farmachi, a cui da ultimo mirerà, quando ogni altro lume torni ottenebrato? Gli uni ora soYerchiamente paventosi, ora troppo miti e ri- messi , rade volte riescono interpreti fedeli e veri- dici di quel vero grado, di quell'assoluta quantità, che tanto importerebbe di riconoscere. Gli altri . spesso variabili nella misura della loro azione, più spesso incerti nelle loro modali ed elettive facoltà , e talor anco stranamente operanti, e in senso inver- so delle virtù proprie, o non soccorreranno nel mag- gior bisogno l'ingegno, o gli somministreranno prin- cipii di troppo tardo ragionamento. L'aspetto pauroso del tifo, che tante volte a certi determinati periodi si dilegua, solo per poche rifrattissime dosi di tar- taro stibiato, e con l'uso di larghe tartarizzate be- vande; i polsi filiformi della gastrite, che si rialzano, e prendono vigor nuovo coU'aiuto di ripetute san- guigne; il sale purgante che diventa emetico: la radice astringente che si trasmuta in las.sativa; la mistura diu- retica che assume officio di sudorifera; e cento altri somiglievoli fatti daranno all'asserto fede amplissima, irrefragabile. E quali saranno dunque le norme a che egli si atterrà per adeguare questo scopo delle sue investigazioni? . . . » Si guarderà dal sottoporre il suo giudizio « alla parzialità d' un solo calcolo esaminando gli u oggetti da un solo lato; sarà altamente compreso « dell'indispensabile debito di esaminarli complessi- Studi medici 213 « ramente in tutti i punti possibili. E dopo avere n indagata separatamente la forza d'azione delle po- >< tenze nocive , misurata separatamente 1' intensità « dei vari fenomeni morbosi, calcolate pur separa- « tamente tutte le risultanze delle attività medicatri- t< ci, ne farà computo complessivo, e ne ragguaglie- « rà il valore con una analisi la più rigorosa alla <• condizione delle speciali attitudini organiche , e <« delle reazioni specifiche dei corpi infermi ». A questo modo adoperando vedrà maravigliato scatu- rire la sorgente del vero di là medesimo, donde troppo frequentemente si derivano gli inganni e le erronee persuasioni. Per contrario, dimenticata la essenzialis- sima circostanza delle speciali predisposizioni di ca- dauno, non computato quant'era necessario lo stato d'individualità, disperi di mai approssimarsi al co- noscimento del grado e della quantità de' morbosi processi; la quale finché rimarrà oscura, rimarran- no pure oscuri i giudizi, i metodi incerti, gli eventi pericolosi. E a farsi concetto il più vicino al vero di que- sta che io chiamerei volentieri diatesi individuale , che non pure costituisce la maggiore o minore op- portunità alle malattie, ma ingenera tra loro insigni e sterminate differenze di grado e di forza, lo aiu- terà sopra ogni altro la considerazione diligentissi- ma delle consuetudini del vivere de' suoi infermi , della tempra de'loro animi, dell'impeto e dell'indole delie loro passioni. Che bene altramente si avviserà del pleuritico , che tenne vita oziosa ed agiata , da quello che la logorava negli stenti e nella fatica: al lamentare di sensibile e delicata persona darà va- 214 Scienze lore diverso dai gemiti d'un uomo intrepido e sof- ferente; della epatite d'antico bevitore porterà giu- dizio tutt' altro da quella che sordamente consuma un nostalgico che risospira piangendo la terra na- tale. Condotte le parole a questo termine, che altro- più mi rimane perchè si paia in tutto raggiunto il mio tema? Nulla per avventura; nulla, secondo che a me ne pare. Ondechè porto fiducia, sia già ognu-^ no di voi intimamente convinto della somma ardui- tà della nostr'arte, e in pari tempo appieno consa- pevole di quali attitudini di mente e di corpo abbia mestieri, e di quanto sforzo di studio abbisogni pe» guadagnarne la meta. La quale verità, che ezian- dio nel corso de'nostri scolastici trettenimenti avrò spesse occasioni di confermare, anziché atterrirvi e disanimarvi, vi accresca lena alla fatica, e v'inspiri ardore proporzionato all' imprendioaento. Quanto a me, io vi porgo la mano, e mi fo guida de' vostri passi. E quantunque 1' insegnare pubblicamente la medicina, cosa per sé malagevole sempre difficilis- sima, non abbia forse più mai incontrate tante dif- ficoltà quante oggi per quel continuo rivolgimento di sistemi e d'opinioni che si succedono e s'incal- zano senza posa , pure avendo innanzi al pensiero l'aurea sentenza di Gaubio-che è meglio arrestarsi nel cammino^ che procedere oltre nel buio-non sarà mai che ìó vi conduca per vie non battute ed igno- te fra le incertezze e le tenebre. Il terreno, sul qua- le dovfete meco imprimere le vostre orme, è terreno- provato , è terreno impresso dalle vestigie dei più grandi maestri dell'antico tempo e del nuovo. Quel- Studi medici 215 lo spirito d'i nvesligazioni e di ricerche, che va al di là dei fatti , non si confà colla ragione intrinseca dei nostri studi: le astrazioni metafisiche, i misteri on- tologici, le entità scerete ed occulte, tanto vagheg- giate dai razionalisti e dai platonici de'nostri giorni, non sarà mai che per noi si conducano nella pa- lestra dal nostro medico insegnamento. Vi ha gran- de differenza, abbiatelo ben fìtto alla mente, E. G. , vi ha grande differenza, in fatto di mediche disci- pline, tra il precettore che istruisce, e il genio fi- losofante che si propone comunque di far progre- dire la scienza. L' uno reca a materia delle sue didascaliche esercitazioni quanto si sa di più precla- ro e distinto nell'arte sua, cioè a dire le nozioni ele- mentari e classiche della medesima e il modo più acconcio di farne con rara sagacità l'applicazione al letto degl' infermi. L' altro all' incontro , scrutatore curioso, ed avido sempre di nuovi acquisti, si piace di spaziare per luoghi nebulosi e reconditi : e in ogni questione qual siasi , dopo avere accennato ai propositi già manifesti, e considerato i punti più co- nosciuti, cerca di penetrare più oltre, e fa opera di conquistare ciò che resta ancora a sapersi. La qua- le maniera di pericolosi cimenti se è commendevole , che è pure commendevolissima, se ad essi più che ad altro è dovuto per avventura l' incremento del- l'umano sapere, non è men vero però, che coloro cui è affidato al geloso deposito della pubblica istru- zione, quando non vogliano tradire il santo fine del proprio ministero, anziché correre in traccia di cose insolite, anziché vagare colla immaginazione per re- gioni ipotetiche e nel mondo degli invisibili, avran- 216 Scienze no debito di i imaneisi sul dimostrato e sul «odo : di non trascendere mai i limiti delle provate e con- fermate cognizioni: e in mezzo a tanto strepito e tan- to fermento di novità , di quanto non v' ha forse esempio ne' passati secoli, a quelle sole di esse far g;razia , che il tempo e la esperienza dimostrarono ingenuamente proficue, e conducenti daddovero agli utili e non fallaci avanzamenti della scienza. Ma io non mi partirò da questo luogo senza prima rendere un ampio omaggio di lode e di ri- conoscenza a te, già mio istitutore e maestro G.. An- tonio Testa; da questo luogo, parlante ancora delle tue glorie: da dove tu, medico grandissimo e nobi- lissimo, con una facondia pari alla immensità del tuo sapere discorrevi la grandezza e la dignità della me- decina. Vanno celebrate pel mondo le tue opere, e vi andranno insino a che saranno in onore fra gli uomini i dettami della esperienza e della ragione. Peristi immaturo alla scienza, e lasciasti di te desi- derio ardentissimo nel cuore de' tuoi discepoli che tu sì amorevolmente ammaestrasti. Ed io, come che ultimo fra loro, conservo nella più intima e rieor- devol parte dell'animo con la tua diva immagine i tuoi dotti e sublimi ammaestramenti. Ed emmi caro in singoiar guisa questo luogo e questo giorno, per- chè posso pubblicamente inspirare a questa gioven- tù , crescente alle speranze ed al decoro dell' arte , r ammirazione dovuta ai monumenti della tua sa- pienza. 2 IT liUTTlill^TUmA Delle età che in sua persona Danfe m/figura nella divina commedia. Ragionamento di Marco Giovanni Fonia. PARTE PRIMA. iVurelio Teodosio Macrobio disse già ne'suoi con- viti saturnali , esser fuor di contesa , che senza la scienza dell'umano e divino diritto non si può co- noscere la profondità di Marone (1). Elogio grande verannente e degnissimo di un tanto poeta egli è questo; il quale vie più si fa grande al considerare che dai lettori di Virgilio di ogni tempo venne ri- conosciuto per vero. Non altrimenti più tardi av- venne a quell'incomparabile fiorentino, che con quel- la lingua che chiama mamma e babbo seppe de- scriver fondo a tutto l'universo. Io dico Dante Al- ighieri , che tanto e s) beli' uso fece ne' suoi versi non pur delle tradizioni volgari e della storia d'ogni specie, ma e si anche delle scienze umane e divine, (1) « Videlur ne vobis piohaliini , sine divini et Inniiani iuiis seientia non posse profuntlitatem Maronis intelligi.' » Satiirnal iil 3, cap. 7, innanzi al mezzo. 218 Letteratura ila potersi meritamente ripetere, che senza la piena cognizione dell'umano e divino diritto non può l'uo- mo comprendere la profondità del suo ve.so. Questo onorevol parere su Dante, che fu di tutti gli inter- preti più antichi, venne elegantemente espresso dal Boccaccio , allorché applicando alla commedia una sentenza di s. Gregorio, riguardante la sacra Bibbia, disse: « Questo libro essere un fiume piano e pro- » fondo, nel quale l'agnello puote andare, e il leo- » fante notare: cioè che in esso si possono i rozzi » dilettare, e i gran valenti uomini esercitare » (1), Col Certaldese la sentirono così uniformemente i susseguiti commentatori, che lunga ugualmente che vana fatica tornerebbe il qui riferirne le proprie sen- tenze: ma v'ha tra essi Filippo Villani che, mani- festata uguale ammirazione pel sacrato poenna, seppe accennarne i pregi in concetti anche più onorifici ed espressivi. Poiché, afferrata certa sentenza del rab- bino Mosè Beniaimon (così leggesi nel codice chi- giano) (2; estratta dal libro dei Proverbii, dice che la Commedia di Dante somiglia ad un pomo d'oro chiuso in una rete d'argento, i cui fori siano tanto minuti e stretti che un aspetto un poco lontano, per non poterli trapassare, non si accorge dell'oro con- tenuto, e quello estima ed ammira come se non al- tro fosse che argento. Se non che , attratto dalla bellezza argentea, l'uomo vi fissa più e più il viso: tanto che, penetrando finalmente pei non prima av- vertiti forellini, discopre e conosce l'aureo pomo nella (1) Conim. i;. I, ini. nell'allegoriii . i2j CoJ L. VJI, 253 Divini Commeiia: Divina Commedia 219 rete nascoso, e ne fa tanto maggiore stima, quanto più l'oro è pregevole sopra V argento. Tale per Io appunto è la Divina Commedia intessuta a doppio significato: la lettera , splendienle ed allettante ogni lettore per l'armonia del verso, il brio delle sentenze e la finzione poetica, è la rete finissima di argento che comprende e cela al guardo mentale l' aureo pomo dell'allegorica sentenza. Tutti e dotti e indotti ammirano e levano a cielo 1' argentea sfavillante bellezza della lettera: ma intanto quei soli ch'hanno mente da ciò in questo guardare ed ammirare fis- sano le acute luci dello intelletto in quel divino det- tato; e penetrando pei minuti forami, che in essa let- tera son disseminati, si deliziano trasecolati nell'au- reo pomo della vera sentenza, che la poetica finzio- ne gelosamente nasconde. Tutti i lettori s'allietano nell'argento della lettera che a tutti si manifesta; i più acuti si sentono divinizzare dall'oro della nascosa verità. Facile è l'intelligenza della lettera, e tanto ci vuole a conoscerla, quanto a vederla; difficilissima è l'allegoria, che soltanto chi attentamente scruta la storia letterale, va lieto di cominciarla a vedere. Ma tra queste due letterale e spirituale, v'ha nella com- media una terza sentenza, la quale spetta esclusiva- mente alla favola poetica, che, per mantenere la fi- gura del Villani, potrebbesi dire una immagine im- pressa nella esteriore superficie della argentea rete. La quale immagine, perchè di lieve impressione, e troppo vivi essendo i raggi che l' argento rifrange negli occhi, non è sensibile a tutti, ma a quei soli che con qualche attenzione vi fermano sopra il guar- do. Questa nuova «enlenza non abbisogna ad esser 220 Letteratura avverlita e siifficientemenle compresa né di lungo studio, né di pi-ofondità e moltiplicilà di scienze; a lei basta pure la ferma ed investigante attenzione di ehi legge , la quale accoppi al mezzo della favola il principio ed il suo fine, per essere con distinzione avvertita e compresa. Io parlo qui di quella terza allegoria, per la quale Dante, fìntosi viatore a secolo immortale sotto la scorta successiva di Virgilio, di Beatrice e di s. Bernardo, figura se stesso come un adolescente, che passa dalla prima alle tre susseguenti età della vita umana. Questa parte, che non fu (ch'io sappia) per alcuno avvertita, sarà ora per noi accen- nata brevemente sì , ma pur confido con sì certi e decisivi argomenti dimostrata, che voi tutti, valorosi tiberini e nobilissimi signori, ne andrete (spero) pie- namente convinti (1). Tenea Dante per fermo, e n' avea ben onde, che i poeti latini abbian figurato nelle azioni dei loro personaggi qnal una, qual altra delle età della vita umana. Così, per figura d'esempio, ei dice che nel quarto, quinto e sesto dell'Eneide figurisi in Enea la giovinezza (Conv. tr. 4, cap. 26). Che Marzia nel secondo della Far.saglia significhi successivamente tutte e quattro le età. Che Eaco nel settimo delle Metamorfosi dia esempio delle virtù che alla vecchiaia più sono richieste. L' artificio ch'ei trovò, o trovar credette in altrui, ha poi voluto da buono imitatore opportunamente introdurre nel suo poema. Quivi (1) Questo iap,ionameiito eiM preparalo ppr 1' adunanza tiberina del 29 ili magjjio ilei eorrente 1848. Ma fu con piacere ceduto il po~ 'to ad altro commendevolissiino prosatore. Divina Commedia 221 stitnò dover lornar utile a'propii lettori il condurre il suo protagonista, che è Dante stesso, dalla adole- scenza a tutte le tre seguenti età dell' uomo. Peiò diede a se medesimo successivamente le azioni e le qualità che a quelle più sono conformi. Figurasi nell' adolescenza nei primi sessantun canto: in gioventù e vecchiezza da questo canto al novantottesimo : e nel senio per gli ultimi tre canti. Io ben so che la novità del mio asserto lo rendeià a prima giunta raen credibile a questa nobile udienza: ma le prove, ch'io sono per desumei'e non altronde che dal Convito e dalla Commedia, me ne faranno in breve, certa ed aperta fede. E vengo senza più all'assunto primiero dicendo, che il viatore nelle due prime cantiche è simbolo della prima età, che età novella e adole- scenza dal nostro autore si appella. Questa primiera parte della nostra vita comin- cia per Dante dalla nascita e basta sino a tutto il XXV anno; dal quale ha principio la giovinezza, che durando soli venti anni si compie al XXXXV, in cui entra la vecchiezza che finisce al LXX, ove su- bentra la senettù, o .senio, per chiudersi poco più po- co meno dopo l'LXXX anno. Ma tornando alla pri- ma età , si noti con Dante che nella adolescenza , perchè la natura si studia nel crescere e nell'ador- nare il corpo (detta per ciò accrescimento di vita, età imperfetta ) l' adolescente non ha vera volontà, né gode di una piena libertà di arbitrio. Ondechè giustamente la legge vuole, che l'uomo in tale tempo non possa certe cose fare senza curatore di perfetta età ( Conv. tr. 4, e. 24 ) e pone l'adolescente sotto l'altrui tutela sino al termine prestabilito, quando Tuo- 222 Letteratura mo è già entrato nella gioventù, detta ed avuta dall* umana ragione per età perfetta. Quindi lo adolescen- te ha da essere obbediente^ snave e vergognoso. Ob- bediente al padre, ai maggiori, al maestro: soave per farsi degli amici con atti e reggimenti graziosi: ver- gognoso., cioè pudico., ammiratore e verecondo (Gonv. tr. 4, e. 25). Tale appunto è il mistico viatore dell' inferno e del monte che salendo altrui dismala. Im- perciocché chi mai vorrà dire che egli non fosse ob- bedientissimo a Virgilio con tanto di rispetto, amore, e devozione, che certo più non dee a padre alcun figliuolo ? . Non lo chiama egli frequentemente, e fui per dire ad ogni muover d' anca, or duca , or si- gnore, or pedagogo, or padre ? E Virgilio non si diporta ver lui sempre come tale, e non lo chiama, così una come le dieci volte, coU'affettuosissimo no- me di figlio ? Né questo solo , ma in ogni azione , in ogni occasione non troviam noi Dante prontissi- mo ed obbedientissimo ad ogni parola, ad ogni cen- no e pensiero del mantovano poeta ? E questi forse che non si mostra tale, ognivolta che a lui sovviene di istruzione e di consiglio, di incoraggiamento e di freno, di blandimento , di riprensione e di difesa ? quando colle braccia lo sostiene, quando col petto lo trasporta, colle mani gli chiude gli occhi, con cenni lo fa inginocchiare, e lo rende opportunamen- te ri.spettoso innanzi agli alti personaggi che per via gli si fanno incontro ? Per me non ho mai potuto leggere le prime due parti della Commedia, senza che mi si pingesse alla mente il viatore quasi un nobile adolescente che non muove occhio, non pie- de, non labbro se pria ciò non gli è dal venerato mae- Divina. Commedia 223 stro permesso, voluto o comandato ; che se l' ine- sperienza, il fuoco giovanile e la curiosità, cotanto pro- prie dolla età novella, gli fanno dire , chiedere ed agire alcuna cosa oltre i rigorosi limiti del conve- niente, tosto ad un lieve cenno del maestro, eccolo là mortificato, ripentito e vergognoso implorare pei fatto, e per atti , o parole quel perdono, di che ai giovanetti non può l'uomo discreto far nego giam- mai. Che dirassi poi, ove alle già addotte osserva- zioni si aggiungano col pensiero (che io non li pren- do a numerare) tutti quegli atti di trepidazione, di timore e di fuga repentina ed inconsiderata del ma- le; nei quali, non altramente che il fanciullo che ri- corre sempre là dove più si confida, il nostro via- tore a cessare i pericoli veri o immaginari si ritrae tutto gelato alle fidate spalle del suo dolce pedagogo? 1! contegno da noi ravvisato nelle rispettive azio- ni di Dante e di Virgilio è senza fallo propriissimo di giovane obbediente, soave e vergognoso; in una parola è proprio di fanciullo ingenuo, e di valente maestro e giudizioso pedagogo inteso al vero e mag- gior bene dell'educato alunno. Quindi se il discente, bramoso d'apprendere, interroga, o si affissa alle no- vità in che s'abbatte per via, il maestro gentile e prontamente soddisfa, e lieto accondiscende a qual sia richiesta e curiosità lodevole ed onesta: ma con- tegnoso e grave ne riprende le intempestive doman- de, ed i precipitati giudizi, e forte e severamente ne sgrida anche con ira le smodate e indecorose ten- denze. Ora se Dante non figurasse in tutti e singoli questi fatti 1' uomo d' imperfetta età , a qual buon prò avrebbe il poeta introdotte ne'suoi versi le mi- te '2'ì'i LETTtRAtuRA unte descrizioni di così piccole premure e puerili ditetti solamente proprie di un vero pedagogo, e di uno che sia veranaente fanciullo ? Tanto più che talune ve ne ha così urtanti il dilicato sentire, che i men rispettosi leltori ardirono dar loro la taccia di gravissimi difetti ? Io intendo quivi parlare del se- vero rimprovero che Virgilio fa a Dante quando questi, veduta un'immensa turba di anime accorrenti al fiume Acheronte, gli chiedeva chi elle siano e perchè sì pronte a trapassarlo; a cui severo il mae- stro soggiunse: « Le cose ti fien conte Quando noi fer- roerem li nostri passi Sulla trista riviera d'Acheronte (Inf. e. 3,v. 76). »)Io intendo del severo contegno del pedagogo verso l'alunno, allorché questi inteso ad ascollare il basso e scurrile alterco di mastro Ada- mo e del falso Sinon da Troia, con piglio più che mai sdegnoso e minacciante gli scoccò all'improv- viso come tonar che tosto segua un : Or pur mira Che per poco è che leeo non mi risso (Inf. 30, 132), Parole dure e tremende tanto, che sonaron per lun- ghi anni dentresso il cuore di Dante; che più tardi ponendole tra l'altre note, sentiasi tuttavia concitare a non indecorosa vergogna: sebbene il prudente ed affettuoso maestro non avesse tardato un istante a farlo certo del suo pieno perdono. Questi e simili fatti non rari, anzi frequentissimi nelle prime due cantiche, e di cui non trovasi più esempio nella ter- za, mi hanno avvertito che non erano essi orna- menti né capricci poetici nella Commedia introdotti per sola novità e mutazioni spiritose di scena, come il più si fa dai recenti poeti: ma sì li dovetti rico- noscere per essenzialmente opportuni all'utile e cora- Divina Commedia 225 pinta educazione del benemerito adolescente; e dal poeta artatamente usati per offrire ad altri in se stes- so quella buona lezione che alla novella età gli par- ve conveniente e decorosa. Conciossiacosaché se cosi non fosse, noi dovrem- mo riconoscere in questo pellegrino un uomo di 35 anni, che a rigor di termine è il colmo della età per- fetta, quando la nobile anima adorna de'più squisiti pregi fisici e morali brilla nella maggior luce della temperanza, della lealtà e della fortezza. Or qui co- me si difende il poeta, che ad un protagonista di sì perfette doti abbia assegnato un pedagogo tale che lo rampogna di tanti falli, gli insegna anche a par- lare e a muovere il passo , gli chiude gli occhi, gli piega le ginocchia, la testa e le mani innanzi a Ca- tone ed agli angeli del sacro monte ? lo conforta , lo incoraggia le cento volte ? Lo prende in braccio, e per fino lo cinge ai fianchi, e gli lava con sue mani la faccia ? Ed avrem noi siffatto viatore per giovane temperato, forte e leale , come Dante nel suo Con- vito lo descrive e lo vuole? 0 non ci parrà piuttosto un bel fanciullone, cresciuto non si saprebbe come, e cascatoci giù dalla luna per cominciare il viaggio della sua educazione, quando già dovrebbe compa- rire adorno di tutti quei nobili e cortesi tratti che fanno l'uomo amabile, dotto e perfetto? Ma se cosi strana contraddizione è vietato di ravvisare tra gli ammaestramenti, onde il saggio pedagogo largheggia col protagonista della Commedia; gioco forza è che noi riconosciamo in Dante raffigurata quella età no- vella, in cui simili premure son giudicate necessarie, non pur convenienti e buone. Il che fatto , ecco G.A.T.CXV. 15 226 Letteratura spontanea sorgere e commendevole la contegnosa condotta di Virgilio verso l'alunno ; doverosa e de- gna la riverenza che l'alunno usa al maestro : ed i suoi difetti, e le sue curiosità, e le sue paure dive- nir altrettante prove, sia dell'eccellenza del maestro, sia della nobiltà del viatore, sia della natura di un' età che per la sua tenerezza è dai moralisti deno- minata imperfetta. Imperciocché a questa età non è difetto, ma è anzi fatto « necessario di essere reve- rente e desideroso di sapere : a questa età è neces- sario d'essere rifrenato, sicché non trasvada : a que- sta età è necessario d'essere penitente del fallo, sic- ché non s'ausi a fallare: a questa età è finalmente necessario obbedire al maestro (Conv. tr. 4, e. 25).» In una parola, a questa età é necessaria vergogna, come si vede stabilito nel Convito; e vergogna trion- fa in molti e molti dei fatti del nostro Dante pelle- grino nei regni del secolo immortale. Dalle cose ragionate finora, della cui verità esat- tissima io mi appello a tutti i lettori del Dante per non annoiare questa gentile udienza con lunghi estrat- ti di ogni canto , già sarebbe fatto certo e manife- sto, che il protagonista nelle prime cantiche figura la adolescenza : onde a compimento della emessa pro- posizione più non mi rimarrebbe che prendere ad esame la cantica del Paradiso, per riconoscere il suo passaggio alle altre parti della vita umana. Ciò non- dimeno siccome non tutti vorran così di leggieri con- venir meco, né tornerà vano al mio ragionamento l'addurre alcuni di quei tratti più solenni, ove il poe- ta squarciato il velo si offre al lettore colla vera de- nominazione di giovinetto; cosi è che io mi intrat- Divina Cnmmedia 2^7 terrò un poco a mostrarvi colle formali parole del testo quanto al pellegrino fosse comune quella pas- sione, che a suo detto non è lodevole in nessuna età, fuor che nella adolescenza. Io mi accing^o a parlare della vergogna: dal che spero sia per rifrangersi snl nostro argomento sì nuova luce , che imbiancherà al sommo grado quel vero, cui vado illustrando. Nel Convito l'autore con magistrale eloquenza ne fa scorti, che certi reggimenti, certe passioni, certi errori, che sono propri e condonabili in una età, devono essere gelosamente riprovati e fuggiti in un' altra. Di questa classe viene espressamente dichia- rata quella passione che detta è vergogna o tema di disonoranza; la quale però col quarto libro dell'etica determinasi come riprovevole nella vecchiaia e nella gioventù, perchè a chi è entrato in esse si conviene di guardare da quelle cose che altrui inducono a vergogna : ma a chi è tuttavia nella età novella non è tanto richiesto, dico tale riguardo. E però negli adolescenti è laudabile la paura del disonore ricevere per colpa, il che da nobiltà viene : e nobiltà si può credere il loro timore , e chiamare siccome viltà e innobililà la sfacciatezza. Laonde buono e ottimo se- gno di nobiltà è nelli pargoli e imperfetti d' etade quando dopo il fallo, nel viso loro vergogna si di- pinge, che è allora frutto di vera nobiltà. Così in concetto la pensava Dante sulla natura ed uso della vergogna : ella è riprovevole in tutti, salvo che in quelli che sono ancora nella etade imperfetta. Ora questa passìon buona noi la troviamo non solo ri^- petutamente dipinta sul volto del pellegrino, ma e si pure a lui ne sentiam fatte lodi solenni dal solerle 228 Letteratura pedagogo. Imperciocché eccone subitatnenle al co- minciar della visione un tratto indubitato. Il traviato Dante è sorpreso da Virgilio mentre già rovinava in basso loco : e da esso interpellato perchè ritorni a tanta noia , egli arrossendo espone la propria scusa e chiede soccorso , come fa chi è sorpreso in una laida azione : " Risposi lui con vergognosa fronte : Vedi la bestia, per la qual mi volsi; Aiutami da lei, famoso saggio. Ch'ella mi fa tremar le vene e i pol- si. )> Ecco Dante , è vergognoso al primo incontro del famoso saggio : ei cerca scuse al suo fallo, mo- strando la gravissima cagione del suo indietreggiare dal colle, che è principio e cagion di tutta gioia. Né molto andrà che per la troppa voglia d' imparare fattosi quasi importuno al maestro, domandando le condizioni delle anime che correvano all'Acheronte, uditosi in risposta : « Le cose ti fien conte. Quando noi fermerem li nostri passi Sulla trista riviera d' Acheronte. Allor con gli occhi vergognosi e bassi (son sue parole) , Temendo nò '1 mio dir gli fusse grave, Infino al fiume del parlar mi trassi. » E la- sciatine altri luoghi meno solenni , passo a quella forte sgridata che toccò a Dante quando era del tutto fisso ad ascoltare la vilissima e scurrile contesa di mastro Adamo e del falso Sinon greco da Troia , per cui così dipinge il suo conturbamento: « Ad ascoltarli er'io del tutto fisso, Quando'l maestro dìì disse : Or pur mira. Che per poco é che teco non mi risso. Quand'io'l sentì a me parlar con ira, Volsimi verso lui con tal vergogna^ Che ancor per la memoria mi si gira. E quale è quei che suo dannaggio so- gna, Che sognando desidera sognare , Sì che quel Divina Commedia ^9 ch*è, come non fosse agogna: Tal mi fec'io, non po- tendo parlare, Che disiava scusarmi , e scusava Me tuttavia, e noi mi credea fare. Maggior difetto^ men vergogna lava^ Disse'l maestro, che'l tuo non è stato: Però d'ogni tristizia ti disgrava; E fa ragion ch'io ti sia sempre allato, Se più avvien che fortuna t' ac- coglia Dove sien genti in simigliante piato: Che vo- ler ciò udire è bassa voglia. » (Canto 30 in fine.) Nulla io toccherò della solenne vergogna e paura, cui soggiacque quando il maestro, già seduto sulle spalle forti di Gerione, lo invitò a salire ei pure colà: di che parla così: « Qual è colui, ch'ha si presso il ri- prezzo Della quartana, ch'ha già l'unghie smorte, E triema tutto pur guardando il rezzo : Tal divenn'io alle parole porte ; Ma vergogna mi fer le sue mi- nacce., Ch'innanzi a buon signor fa servo forte. » Ei pur vi montò, spintovi dalla vergogna: ma il suo ani- mo come stava a coraggio ? « Io m'assettai (conti- nua Dante) in su quelle spallacce: Sì volli dir, ma la voce non venne Com'io credetti, fa che tu m'ab- bracce. » Ma non voglio passare a pie secco ciò che gli addivenne alle falde del Purgatorio, quando al- lentava il passo per udir le anime benedette mara- vigliarsi di lui, che, vivo ancora, andava per quelle marche : poiché quivi, come altrove, si ravvisa ma- nifestamente il pedagogo che sa cogliere quante si presentano occasioni per sovvenire di ottime lezioni civili e morali il proprio alunno. Ecco il passo che dà principio al quinto canto della seconda parte : « Io era già da quell'ombre partito, E seguitava l'or- me del mio duca, Quando diretro a me, drizzando il dito, Una gridò : Ve'che non par che luca Lo rag- 230 Letteratura g'io da sinistra a quel di sotto, E come vivo par che si cotìdtìdà! Gli occhi rivolsi al silon di questo motto, E vidile guardar per meraviglia Pur me, pur me, e il lume ch'era rotto. Perchè l'animo tuo tanto s'im- pigliji, DisséU taaestrò, che l'andare allenti ? Che ti fa ciò che quivi si pispiglia? Vien dietro a me, e la- scia dir le genti ; Sta come torre ferma, che non Crolla Giammài la cima per soffiar de' venti. Che setópre l'uomo, in cui pensier rampolla Sovra pen- sier, dà se dilunga il segno, Perchè la foga l'un dell' altro insoUa. » Così giusta, rtia pur non troppo dolce ammonizione punse ed accelerò il passo del discen- te, che, non senza sua vergogna, tutta compresane la forza, in queste altre parole esprime il suo slato e la docilità onde s'accirlse ad obbec^ire : « Che potev'io i^idir, se non: Io vegno ! Bissilo^ alquanto del color cóspeifso Che fa Vuom di perdon talvolta degno. » -(fn: j\|a più decisi e più rilevati noi tróviam i tratti della adolescenza in due altri fatti non diversi da- gli antecedenti, ove l'accorto poeta volle inserire an- che la parità dei fanciulli, perchè tutti sappessimo che l'età raffigurata dal suo primo personaggio non è la fòrte del giovane, non la prudente del vecchio, non l'eroica del guerriero, ma quella soltanto di un no- bile adolescente che s'avvia ainonorevole soglia della gioventù, detta per antonomasia l'età che giova, l'età perfetta. Ma veniamo al testo. Virgilio ha finalmente condotto il suo alunno salvo e bene educato sino al- la settima cornice del Purgatorio, ove la ripa fiam- me infuori balestra: lo ha fatto scorto che per non cadere dall'orlo tenga bene stretti gli occhi ai piedi; e perchè qui potrebbesi errare per poco, gli ripeteva Divina Commedia 231 spesso: GUARDA : giovi ch'io ti scaltro. Ed eccoli da ultimo a quel punto, che per ascendere all'ultima sca- letta convien di necessità traversare la fiamma. Qui la paura invade talmente Panima del pellegrino , che egli prova lo spaventoso tormento di colui che nella fossa è messo. A tale oppressione di cuore soccorre pronto il maestro con opportune parole; e ripetuta- mente assicuratolo da qualunque pericolo o danno, lo invita ad entrar nelle vive fiamme; ed ei pur fer- mo : da ultimo gli disse. <■ Or vedi, tìglio, Tra Bea- trice e te è questo muro . » Al che potentemente scosso e vinto il viatore, così dipinge il suo stato e la sua obbedienza : « Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte e riguardolla. Allor- ché il gelso diventò vermiglio : Così la mia durezza falta solla, Mi volsi al savio duca, udendo il nome, Che nella mente sempre mi rampolla. Ond'ei crollò la testa, e disse: Come! Volemci star di qua? indi sorrise, Come al fanciul si fa ch'è vinto al pome. » Non so che altri ne veda o creda; ma per me quel farsi denominare figlio del maestro con sì ardente amore, quel fargli crollare il capo, e dire afifettuoso Come ? volemci star di qua ? e finalmente quel pa- ragonarsi con espresso vocabolo al fanciul ch'è vinto al pome., richiama veramente al mio pensiere che il pellegrino sia tuttora nella età novella: e non mi so persuadere che il contegno di Virgilio con Dante sia altro che quello di un maestro, e di un vero peda- gogo: che non sarebbe una gemma opportuna quol supporre che un uomo di 35 anni fosse vinto dalle istanze lusinghiere del pedagogo cosi come fanciul ch'è vinto AL POME. Quindi mostrasi coerente e na- 532 Letteratura turale in ogni sua parte l'econonaia di tutte le azioni di Virgilio e del viatore; poiché se Dante arrossisce ad ogni suo fallo, se mostrasi di molto riverente alla sua guida, se curioso la interpella di mille cose, se verso lui ricorre ad ogni atto di grande o piccolo timore come i fanciulli fanno verso la madre , se finalmente lo appella padre, maestro, pedagogo : se altresì Virgilio lo conforta, lo sgrida, lo abbraccia, lo trasporta, gli lava la faccia, lo cinge, lo ammae- stra in civiltà, in etica ed in ogni scienza, e di più lo compone colle proprie mani nei più reverenti atti e gli delta le aggraziate dimande che ad un nobile adolescente son convenienti; se non rista mai di chia- marselo figliuolo, e dolce figlio : questo non è che una stretta conseguenza della età imperfetta, di che il pellegrino si è fatto figura. Or questo ch'io dico parmi tanto conforme alla vera intenzione del poeta, che, posta questa supposizione, a me tutta la condotta di Virgilio e del viatore si fa lodevole e conseguente: tolta via questa, Virgilio divienmi un austero ed im- portuno condottiero che tratta cogli uomini saggi, né più né meno che come cogli inesperti fanciulli so- glia fare il pedagogo : e Dante diviene in ogni atto, in ogni detto, in ogni domanda, un vero fanciullo^ un imberbe scolaro : ed il poeta in tutti i suoi canti, in tutti i suoi versi, si mostra in una spiacevole ed aperta contraddizione col nobile carattere dei due protagonisti della prima e della seconda canzone. Tanto é vero questo nosti o pensiero, che molti dei più recenti espositori, non fatta avvertenza che le prime cantiche siano l'educazione del nobile adole- scente, si scagliarono senza pietà contro l'autore con Divina Commedia 233 ■varie severissime censure. Chi ha voluto annoverare la Commedia tra gli epici poemi, giudicò men belle certe scene e certe descrizioni e parole, che si mo- strano indegne dell'eroica poesia : chi voluto creder il pellegrino per un uomo fatto ed erudito, non sa perdonare certe basse o aride erudizioni, certe lun- ghe lezioni morali e scientifiche di ogni genere : né comportare certe riprensioni e certe premure troppo minute, che il mar dì tutto il senno ha voluto rega- lare al già barbuto e sapiente suo compagno. In som- lùa chi rinvenne uno, chi altro, e chi altro difetto in questa misteriosa poesia ; e chi invece altri ne scopre, ma nega quelli che altri prima ne vide; sino a mettere l'uno alle stelle per naturale bellezza poe- tica e scientifica quei versi, quei tratti medesimi che un altro condanna quasi turpissime nubi, che anneb- biano la serena luce di questo portentoso lavoro. Da che mai tanta divergenza e contrarietà di pareri ? eccolo secondo il mio vedere : tutto deriva dal non aver i critici e gli encomiatori di Dante fissato in- nanzi tratto qual fosse propriamente la meta, a cui la fantasia poetica era diretta. E poiché mal tragge al segno chi quello non vede, o non chiaro e distinto: così tutti partirono bensì col guardo della mente da uno stesso punto, che è la favola del poema; ma fintasi poi ciascuno una propria meta, che non era quella di Dante , tutti da ultimo colpirono collo strale di loro intenzione in punto qual più , qual meno di- stante dalla meta ; ma tutti fuori del vero centro dall'autore fissato. Da questa deviazione procede, e che i pareri sieno diversi, e che quelle che perfe- fezioni sono veramente nella via stabilita dall'autore, 234 Letteratura nella supposizione di tali espositori, divengano anzi deviazioni ed errori. Così è, né può essere diversa- mente. Sola una interpretazione ricalca esattamente le orme ingegnose del poeta : chi a questa non s'at- tiene, come l'uomo che tortisce pei pruni e pei di- rupi, è poi stretto da mille diflicoltà ed incoerenze , che egli, anzi che a se, attribuisce all'autore. In tal circostanza è certo più sano consiglio il tenere per bello, retto e buono il magistero del poeta, e chiamar noi interpreti ciechi, fuorviati, e peggio. E per tor- narci là onde siamo partiti, ei pare a me, che se tutti i difetti scompaiono da questo poema: e se si fa adorno di un'aggradevole chiarezza riconoscendolo quale isti- tuzione di un nobile adolescente che a gradi a gradi passa dalla prima alla seconda, e alle susseguenti età: parrai, ripeto , certa e manifesta prova che questa senza meno e non altra fosse la intenzione di chi lo immaginò e seppelo con sì utili dottrine intessere e perfezionare. Né credo sia lecito ad uom di sana critica il farsi a censurarla come difetto, se alcuna parte al veder suo come tale si mostra, ossia perchè egli non ne intende le parole, ossia perchè ei non ne conosce la riposta dottrina, ossia perchè non di- scopre il fine che ebbe il poeta quando tali cose in esse volle racchiuse. In tali spinose circostanze, ed in sì complicati incontri accusi l' interprete se stesso o di inavvertenza , o di poco sapere , e si ponga a lutto uomo a rendersi idoneo di comprendere il som- mo poeta; e certo non molto andrà che or questa, or quest'altra sentenza, prima incomprensibile ed oscura, gli apparirà mano mano meno incomprensibile e meno oscura, sino a che alla perfine, lieto ed am- Divina Commedia 235 mirato farà un'ecatombe alla scoperta di un prezio- sissimo vero colà stesso ove efjli avrebbe giurato che fosse un errore. Così è : Dante ha degli ammira- tori, Dante ha dei biasimatori : e questi pur troppo eccedono d'assai il numero di quelli ! Ma a propor- zione che vien riletto le tre e le quattro volte, di- minuiscono i secondi con forte accrescimento dei primi. Anzi dirò cosa che, tutto che dalla esperien- za diurna avverata, pur sembrerà a non pochi in- credibile. Quelli dei lettori di Dante trovano men difettoso il suo poema , che più son valenti nelle scienze e nella erudizione d'ogni maniera: di forma che, chi volesse la pietra del paragone per decidere secondo vero chi sa e chi no, chi sa più e chi me- no , gli basterebbe pure di esaminare come questi la sentono intorno al merito e bellezza di quel por- tentoso volume, al quale ha posto mano e cielo e terra. Ma gli anni in questa breve vita, che è un cor- rer alla morte, s'inseguono, s'incalzano : la seconda età scaccia la prima con tal prontezza, che quando raen lo ti aspetti già l'adolescente è entrato nella so- glia della seconda età; e scosso naturalmente il fre- no dei tutori, è per legge fatto padrone di se stesso; sì che, già annoverato cittadino, tiene in sua mano lo intraprender checche gli aggrada senza le pastoie dell'altrui volontà. Così inaspettata ventura sopren- de l'attento lettore della Commedia: il quale pieno tuttavia l'orecchio del severo e magistrale suono del pedagogo, che dà principio al ventisettesimo del Pur- gatorio, di già sul fine dello stesso canto, mutata questi voce e contegno, dichiara l'alunno libero ed 236 Letteratura "^ assoluto da qualche sia soggezione, così che fallo fora non fare a suo senno. Ecco un manifesto pas- saggio dalla età imperfetta , dalla età della tutela , all'altra della perfezione e dell' arbitrio speciale di chi dall'educazione passa nei debiti modi alla piena e giusta libertà del proprio volere. Ma tal passag- gio non dee farsi senza qualche solennità determinante l'epoca ben avventurata. Pertanto ecco in quali atti ed in quali parole il conseguente autore descrive il compimento di sì grave circostanza. I due poeti già stanno ritti su l'ultimo grado della scala in atto di entrare nel Paradiso terrestre: quando Virgilio, rivolti e fissi gli occhi sopra Dante, gli disse: « Il terapo- » ral fuoco e l'eterno Veduto hai, tìglio, e se'venuto » in parte Ov'io per me più oltre non discerno. Tratto » t'ho qui con ingegno e con arte. Lo tuo piacere or- )> mai prendi per duce. Fuor se'dell'erte vie, fuor se' » dell'arte. Vedi là il sol che in fronte ti riluce: Vedi » l'erbetta, i fiori e gli arboscelli, Che questa terra » sol da se produce. Mentre che vegnon lieti gli oc- » chi belli , Che lagrimando a te venir mi fenno , » Seder ti puoi, e puoi andar tra elli. Non aspettar » mio dir più, né mio cenno: Libero, dritto, sano » è tuo arbitrio, E fallo Fora non fare a suo senno: » Perch'io te sopra te corono e mitrio. » Stupende parole veramente sono queste ! Se altra prova non ci fosse, quest'una basterebbe a metter sul sodo la no- stra proposizione. Imperciocché Virgilio, stato finora padre, pedagogo, duca, signore e maestro del via- tore , or si dimette da tutte le sì alte e reverende qualità : anzi confessando di averle esercitate quanto era d'uopo, adesso afferma che questo non è più con- Divina Commedia 23T veniente, e perchè ora l'alunno è fuori dell'erte vie, è fuori delle arte, e perchè il suo arbitrio è fatto li- bero dritto e sano: per cui sarebbe fallo il non fare a suo senno. Non è egli ciò un dirgli di rimbalzo; Poiché tu eri guasto e torto e schiavo nell'arbitrio; poiché tu non valevi a disbrigarti dalle vie erte ed arte, sarebbe stato gran danno alla tua salute se tu avessi operato a tuo senno : ma uopo ti era che ti concedessi obbediente al padre, al maestro, al duca, al pedagogo, sinché tu da questi incagli fossi così deliberato, che da ultimo si potesse dire che tu puoi e devi fare a tuo senno ? Questo appunto significa la solenne licenza di Virgilio a Dante: e dicendogli: M Non aspettar mio dir più né mio cenno, Perch'io te sopra te corono e mitrio: » lo costituì maestro, duca e signore di se stesso; vale a dire lo dichiarò così perfetto di mente e di età, che potesse e dovesse a proprio senno operare qual cosa fia per tornargli a grado. Così la intese Dante: e siccome prima andava riverente dietro al maestro come il discente fa, così ora muove il passo pel primo innanzi: e Virgilio e Stazio gli vengono appresso quasi amorevoli com- pagni, Qual cosa dunque or più ci rimane se non di conchiudere, che senza fallo il contegno di Virgilio verso al viatore, e l'ossequiosa obbedienza di questo a Virgilio, sono irrefragabil prova che Dante dal pri- mo canto dell' Inferno sino a tutto il ventottesimo del Purgatorio raffigura e pinge in se stesso la prima parte dell'umana vita, che adolescenza e vita nuova si appella ? Così parve mai sempre a me : e giova 238 Letteratura sperare che dopo le addotte ragioni non sia per sen- tirla diversamente chi mi fa si onorata corona. Se non che potrebbe forse alcuno entrare in pen- siere, che questa medesima età Dante continui a fi- gurare anche per tutto il canto 31: perchè alle am- monizioni di Beatrice ei si diporta né più, né meno di quella forma che ei facesse a quelle di Virgilio: che in fatti e si vergogna de' propri faUi, e piange, e come un fanciullo pentito confessa i suoi errori. Questo è vero: ma chi ben consideri troverà che ciò non avviene, come sin ora facea, per falli commessi all'istante colà medesimo nella divina foresta; ma sì per quelli, in cui Dante era caduto innanzi alla por- tentosa visione. In conseguenza siccome Beatrice lo sgrida e rampogna dei tempi anteriori al mistico viaggio, e con espresso sermone gli dice di volerlo eccitare al pentimento degli antecedenti errori : cosi chiaro è che se ora Dante piange vergognoso e pen- tito, se confessa le andate mancanze, ivi non significa più l'adolescente, ma si bene il giovane che detesta i falli dell' anteriore vita, per tosto entrare inteme- rato e puro nella seconda età dell' uomo. Pertanto ne' due canti anteriori era egli entrato nella gioven- tù, ma non era ancor totalmente dimentico dei pre- cedenti errori: il che dovealo contristare alquanto : ma qui, purgatosi nelle acque di Lete, che tolgono sin la memoria dei trascorsi difetti , egli mondo e puro da ogni macchia entra a far parte della vera e perfetta società, significata nella santa milizia del Grifone, che a destra del sacro fiume moveva per la fiorita campagna. Laonde, sciolta l'opposizione fatta, resta maggiormente confermato, che l'adolescenza del Divina Commedia 239 viatore ebbe fine allor quando il dolce pedagogo, il maestro, il duca, il signore, gli disse: « Libero, dritto, sano è tuo arbitrio: E fallo fora non fare a tuo sen- no. Perch'io te sopra te corono e mitrio.» (Continua.) Discorso detto da Vincenzo Gioberti aW accademia della crusca nell'adunanza ordinaria del 30 giugno 1848. N on a caso la voce fante sinonima con uomo , e favella con nazione, nello stile del divino poema; si- mile essendo per ogni verso il corso naturale e ci- vile dei popoli e quello delle lingue da loro usate. Come il consorzio umano comincia dal municipio e termina nella nazione, che ne è l'ultimo incremento e perfezionamento, così il parlare è da principio un dialetto orale , plebeo e municipale , e in fine una lingua scritta, nobile e nazionale. Dialetto e lingua sono due estremi, che rappresentano due stati di- sparatissimi della cosa medesima: e diffe("iscono fia loro, come il germe ed il frutto, l'origine e il com- pimento, la puerizia e la maturezza. Cosi l' idioma illustre, onde l'Italia si gloria, non fu altro ne'suoi inizi che il dialetto fiorentino; il quale antiposto di mano in mano ai parlari delle altre città e provin- ce, e culto dai poeti, dai dotti, dagli scrittori per la sua unica bellezza nelle varie parti della penisola, divenne in fine l'idioma proprio delle nostre lettere, e il vincolo comune dell' italiana famiglia. Per tal 240 Letteratura modo si aggiustano e compongono insieme le oppo- ste sentenze rese assai celebri da molti nomi illustri, e in ispecie da quelli di Benedetto Varchi e di Giu- lio Perticari; il primo dei quali ravvisò nella lingua patria il sermone proprio di Firenze, e 1' altro il parto di tutta la nazione. La ripugnanza delle due opinioni svanisce, se si distinguono le età; imperoc- ché il fiorentino ha ragione, discorrendo delle ori- gini; e il pesarese non ha torto, parlando dei tempi che seguirono. E accoppiando insieme i due pareri, se ne riseca ciò che ciascuno di essi ha di falso e di esagerato; e si riesce ad una conclusione vera- mente dialettica e conciliatrice, che può vantare in suo favore il più gran nome d'Italia; giacché, se mal non mi appongo, la soluzione di cui vi parlo fu ac- cennata dall' Alighieri nel suo libro della volgare eloquenza, secondo che m'ingegnerei di mostrare, se le angustie del tempo lo comportassero. Questo processo del nostro sermone è conforme a quello degli altri idiomi, e di tutte le cose umane e create universalmente; le quali passano dall' indi- viduale e dal particolare al generale, mediante uno svolgimento graduato, che nasce dall'intrinseca na- tura di ogni forza: ed è una legge suprema della vita cosmica. Esso perciò é comune non solo alle lingue, ma altresì alle consorterie letterate , che le educano, le coltivano, le mantengono o le rimettono in fiore ; le quali nate in una città, si allargano a poco a poco, e si stendono in fine per tutto un po- polo. Non è perciò maraviglia se altrettanto sia av- venuto a cotesta insigne accademia conservatrice del bel parlare italico; la quale fu ne' suoi primi prin- Discorso del Gioberti 241 cipii un crocchio toscano , anzi fiorentino , ed è al dì d'oggi un' assemblea nazionale. Ecco , che non contenti di dare cittadinanza nel vostro seno agli uo- noini illustri di tutta la penisola, vi degnaste di fare lo stesso onore a me, si poco meritevole di tanto consorzio ; e io non saprei spiegarmi un tal favore, né la benigna accoglienza che in questo punto ri- cevo da voi, se non dicendo che volete così dichia- rare la vostra fratellanza, non solo cogl'italiani uniti, ma eziandio cogl' italiani dispersi dalla fortuna e dall'esilio. ii;;! Affermando che la nostra bella lingua collo svol- gersi e ampliarsi passò dallo stato municipale al na- zionale , e che la vostra celebre adunanza ebbe le stesse veci , sono però lontanissimo dal torre alla Toscana in genere , e a Firenze in particolare , il lustro che loro torna dall'essere il risedio dell' una e dell'altra. Durevole e non perituro è il privilegio delle origini ; e dove si trova la culla di un'inven- zione ingegnosa e di un'instituzione , ivi risiede in perpetuo il centro di esse. Firenze, che diede al mon- do la più soave delle lingue moderne, è tuttavia e sarà sempre capo e cuore della medesima; e l'acca- demia che tanto fece per mantenerla e abbellirla^ benché sia oggi italiana, non lascerà mai di essere in modo speciale toscana e fiorentina. Qui pertanto verranno sempre coloro che vorranno attingere alle pure fonti del nostro eloquio; che vorranno erudirsi alla facondia e all'eloquenza col senno squisito dei savi, e colla vena copiosa e incorrotta del popolo. Benché pertanto, o signori, il vostro consesso sia na- zionale; il raagisterio che esercita sarà sempre pro- G.A.T.CV. 16 242 Letteratura «rio e nativo di questa città. Permettete adunque che io, nato e nudrito in parte meno privilegiata d' Italia, a voi ricorra come a maestri ; e vi preghi a ristorare colla vostra sapienza le cadenti fortune delle lettere italiane. Voi conservaste le buone tradizioni della lingua e poneste un argine insuperabile alle sue corruttele , quando tempi men lieti correvano per la patria nostra; tocca dunque a voi l'impedire che la lingua si perda , mentre risorge la civiltà. Troppo strano sarebbe se nel tempo stesso che sco- liamo in politica il giogo forestiero , diventassimo barbari più che in addietro per la favella. Non ve- dete l'indegno gergo che contamina le nostre scrit- ture ? Non udite il frastuono barbarico che assorda le nostre orecchie, non solo nelle adunate geniali e scientifiche, ma persino nei parlamenti ? Rimediate, o signori, a tanto disordine, e compirete la vostra gloria ; facendo opera non solo letteraria , ma fi- losofica e civile; perchè non si può pensare o ope- rare italianamente, se si parla e si scrive coi modi stranieri. Perdonate l'ardire della mia preghiera alla zelo che m'infiamma per la comune patria; la quale non sarà degna dell'antico nome , finché la vostra gentilezza non si diffonda per ogni sua parte, e tutta Italia non paia una Fii-enzc pel culto della favella. uvìmio ontifì'i , ì 9ioq 243 J)l una condizione necessaria per ben riuscire negli sludi. Discorso di G. F. Ramhelli letto in Persi- celo per la jjremiazione scolastica. S. fé gli uomini a guisa di fiere errassero ancora per la vasta selva della terra, se contenti ancora al vitto delle ghiande e al vestir delle pelli, de' cavi tronchi e degli antri profondi si fiicessero scherano all'ingiurie delle stagioni, niun bisogno sentirebbero al certo degli studi e delle arti. Ma posciachè sta- bilitasi: l'umana comunanza, o vogliasi dall'ingenita forza, o dall'eloquenza, o dall'amore, germogliarono nel cuore umano i dolci affetti, levarousi alla divi- nità le are, si strinsero le nozze, le città si cinsero di mura, s'armarono di leggi i costumi , nacquero nuovi desiderii, bisogni non pria provati : la perspi- cacia dell'umano ingegno da tante necessità pressata e sospinta, qual selce che dà le scintille, fu d'ignote arti generatrice feconda ; sursero allora e lettere e scienze; e tanti strumenti, ordigni, spedienti mara- viglinosi si rinvennero a rendere più civile, più gio- conda, e quasi ch'io non dica più felice quest'uma- na generazione. Or col volger de' secoli crescendo viemaggior mente le cupidità e. i bisogni ; e fattosi più vasto il mar delle scienze, sempre più fu Stretto l'uomo a darvi studio a giovamento di sé, delle fa- miglie, delle patrie, e dell'intera umanità. Ondechè saviamente aprirono i nostri ma;ggiori scuole, gin-^ nasi , licei, accademie, facili e gloriose palestre, ove 244 Letteratura faticandosi al continuo i giovani nel sapere e nella virtù, acconci e disposti a diversi stati della vita ci- vile diventassero. Ma affinchè cosiffatti mezzi raggiun- gano la fine che si propongono , è opportuno che con alacre ed operosa volontà si diano i garzonetti agli studi , acciò la buona semenza dagli istitutori gittata non cada infruttuosa, ma in animi bene ap- parecchiati allignando cresca e maturi a bene: al che gioverà soprattutto il vincere i gravi opponimenti che offrono le male inchinate volontà: il che io re- puto molto agevole, sempre che ne'giovani si avveri una condizione necessaria a ben riuscire negli studi. E questo io confido mostrare, cortesi signori, fra la letizia di sì bel giorno, nel quale questi ottimi e be- nemeriti magistrati, questo vigilantissimo e amoroso pastore, questi dotti presidi agli studi, guiderdonano di lodi e di premi que'giovani che bene di sé pro- mettendo si fanno avventurosamente altrui specchio e sprone a raggiungere la meta gloriosa. Deh la vo- stra attenzione mi sostenga nel difficile arringo *, e dove mi manchino l' ingegno e la lena , la vostra gentilezza benignamente supplisca ! Bene e saviamente disse già Quintiliano, lo studio dipendere interamente dalla nostra volontà, la quale non può essere tratta da forza alcuna. Or ciò che in essa operar non può la forza , è a procurare il faccia un allettamento, un impulso, un incentivo che valendo ad ispronarla e sospingerla la determini a darsi ardentemente allo studio. Ma qual fia l'alletta- mento più opportuno ed efficace a muovere la vo- lontà, se non l'amore ? Lo zelo infatti, la diligenza, l'ardore, che poniamo per conseguire le cose che in- Discorso del Rambelli 245 lensamente amiamo, non ci fa riescir meglio in esse che nelle indifFerend e forzate, in cui l' animo non ha quella espansione , quell' energia, quel volo che non conosce difficoltà , vince ogni ostacolo , rende dolce ogni disagio, tollerabile ogni fatica. L'amore allora presta le forze , il soccorso , le ali ; sorpassa l'uomo questa debole e caduca natura; la face del genio lo anima, lo avviva: opera, suda, travaglia con piacere , e il frutto di sue fatiche è il più bello e caro premio che sperare ne possa. Dite voi, che ponete il cuore ne'balli, ne'destrieri^ nelle cacce, ne'sollazzi, non sono morte per voi tutte le cose in paragone dell' oggetto che amate ? Ogni virtù, ogni beltà è in quello : non leggiadrìa, non pregio, non letizia nell'altre cose : appena si degnano d'un languido sguardo, e al disprezzo e all'abban- dono si lasciano. Or quest'affetto, che tanto ne aiuta al conseguimento di ciò che abbiamo carissimo, non dovrà valerci negli studi apportatori sicuri di utilità e giocondità grandissima ? Ingenito, signori ^ è nel cuor nostro l'amor del sapere. E infatti che è quel desiderio che fanciulli ci muove a cercar la ragione di tutto? Non nasce dall'immensa curiosità che cia- scuno sente in sé per quanto gli può essere di prò e di diletto ? E tal curiosità non è il primo mo- vente dell'operazioni de'fanciuUi , pe'quali è nuova ogni cosa del mondo ? Questo sole che ne illumina e né scalda, quest'aria che ne circonda e ne alimen- ta la vita, questa terra , vestita di erbe, colorata di fiori, di biade e di frutta feconda, la vasta estensione degli oceani, l'altezza immensa delle montagne , il guizzar de'baleni, il romoreggiar de'tuoni, il frago- 24G Letteratura roso cader delle folgori, quanti pensieri non destano nel vergine animo de' garzonetti , quanti desiderii, quante curiosità ! E chi varrà a pascerli, chi ad ap- pagarh, chi potrà rivelare le alte e recondite cagioni di tante maraviglie della creazione, di fenomeni sì grandi, sì terribili, sì maestosi ? Lo studio, signori, quella fonte de'più bei lumi dell'animo che dispiega ed accresce la naturale attitudine dell' uomo e alla sapienza lo guida, la quale benigna e amorevole a lui, nato cieco, apre gli occhi della mente, e d'un raggio superno illuminandolo gli chiarisce e dimo- stra, per quanto vale il suo debole intelletto, tutto- ché quaggiuso in terra di bello e di grande si am- mira. Ma non s'arresta no la sapienza a dargli que- sti conoscimenti della morta natura: che anzi colle accolte tradizioni e colle divine rivelazioni spegnen- do abbondevolmente la fervida sete che gli arde il cuore, gì' impara chi plasmò 1' ammirevol struttura dell'uomo, chi ebbe creato questo mondo visibile, quali ne furono i primi abitatori, le vicende, le sor- ti che ebbero : le disianze de'tempi fra essi e noi : che voglion dire tante diversità di popoli, di leggi^ di costumi, tanta varietà di climi e di favelle: per- chè sì di (Ferenti e spesse le successioni de' regni e degli imperi, le guerre, le stragi, le ruine; e i tanti avvenimenti che resero or lieta , or disavventurata questa nostra schiatta mortale. Testimoni di ciò mo- stra la sapienza archi, medaglie, colonne, statue, i- scrizioni, tele, marmi, bronzi, carte, e la faccia stes- sa del suolo in cui serbò l'impronta de'secoli, e re- gistrò i fortunosi eventi delle generazioni, invitando le avvenire a farsi specchio del passato per ben di- DlSCOBSO DEL Rambelli 247 ri^jerne i passi fra i triboli e i bronchi, che tanto impediscono il cammin disagiato della vita. La sa- pienza, come face che più s' avviva quanto più ne cresce l'alimento, dalle notizie delle cose sensibili gui- dato l'animo di grado in grado alle spirituali, e in quelle pasciuto e addentrato, lo fa salire dalle fat- ture al Facitore divino, che è Luce intellettual piena d'amore, Amor di vero ben pien di litizia. Letizia che trascende ogni dolzore. (Par. 30, 38.) E non fia dunque da pregiare e da amare lo studio, mezzo sì facile e sì grande, per cui si spe- gne e si soddisfa la curiosità immensa di che arde naturalmente il cuore dell'uomo ? Ma non men grande della giocondezza è la uti- lità che ne arrecano gli studi con procedimento uguale a quello che la natura tien colle piante, le quali spiegata fiorendo ogni beltà e vaghezza di co- lori, sparsa ogni soavità di odori, fanno poi gustare le frutta, e quindi la semenza ne cade a perpetuarle a nostro continuato vantaggio. Avviene anzi di più negli studi: che la dilettazione medesima in vera uti- • lità si trasmuta. Siamo noi oppressi da pene, da an- ■ gosce, da affanni ? ecco le lettere e l' arti dilettan- doci recarne il sollievo, il conforto, il balsamo più ' soave. Siamo vestiti di rozzezza e barbarie nativa ? '■ ed ecco la rappresentazione del bello e del grande,^ che ammiriamo nell'opere de'sapienti, donarci tale' abito di gentilezza e di grazia da farci tntt'altr'uo- '^ 248 Letteratura mini apparire. Qual luogo , qiial tempo , qual' età , qual congiuntura richieggono gli studi , che non sono a clima, non a stagione , non a città , non a campagne ristretti; ma vi può l'animo intendere per tutto e sempre, nutricatori, come sono della giovi- nezza, soUazzatori della vecchiaia, adornamento della prospera ; scampo ed alleggiamento della trasversa fortuna, che non vengono tolti da violenza, non cor- rotti dall'antichità, né da nascondimento menomati! Più lungo sembra per essi il correr del tempo, che pur sì fuggevolmente trapassa: tanto mettono a pro- fitto ogni momento ! E non è l'amor dello studio la passione più durevole e più rimossa da ogni sazietà? La cagione del venir meno manca alla sollecitudine e alla vaghezza dell'apprendere : e nell'infinità e im- mensità delle cose ha sempre l'animo di che occu- parsi perpetuamente. Fuggano pure e manchino nella vecchiezza i sollazzi della gioventù: l'amor degli stu- di renderà anche più dolce e più lieta la canuta età, e non ci farà punto accorti del declinar della vita. Riempie oltre a ciò quest'amore sì fattamente il cuore umano, e lo avvezza a gustare i nobili e pu- ri diletti della sapienza, che lo dilunga dalle matte ambizioni, da' regni della maldicenza, dagli sciagu- rati godimenti della dissolutezza, dalle lusinghe del- l'opulenza, dalle consuetudini, dagli spettacoli, e fin ch'io non dica dalle dolcezze del viver socievole e dimestico, E con tutto ciò solo non è mai il sapien- te; seco ha tutti i beni presenti e passati, porta l'a- nimo libero per tutto ove vuole: e ciò che non puo- te col corpo, col pensiero l'abbraccia che fino al cielo ed al nume lo eleva. Trova egli ne'buoni libri leali Discorso del Ramrelli 249 e sinceri amici , che la verità gli dicono aperta e smascherata: non hanno passioni che li velino, non timori che li trattengono, non isperanze, non inte- ressi per ingannarlo. E mentre mostrano aperto il vero bene, il male non gli ascondono : consiglieri fedeli la diritta via gli additano, e nelle dubbiezze e nelle tribolazioni di ottimi conforti e di soavi am- monimenti il soccorrono : non simulano di parteci- pare alle sue sventure, non lo adulano con melate parole, non lo fuggono e l'abbandonano nei bisogni. Ondechè nessuno è più presso alla felicità di chi è dato agli studi: mentre a chi ha l'animo armato di virtù e sapienza (e quando dico sapienza intendo dir religione, principio e fonte d'ogni sapienza) non reca affanno e scontentezza la mala fortuna, trovando op- portvuie consolazioni alla varietà de'casi nelle apprese dottrine: e conoscente, com'è, della vanità delle cose mondane, non è allettato da false speranze, né assa- lito da noia ed affanni, ove i suoi desiderii vadan falliti. Infinita è poi la distanza che mettono gli studi fra uomo e uomo. Non sa l'ignorante considerare la natura, né i propri doveri ; chi é illuminato dallo studio forma lo spirito e il cuore sull'esempio e su- gli ammaestramenti de'savi di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e così sui volgari si estolle. Avvezzo il sa- vio alla innocenza e alla quiete de'solitari recessi, sa fuggire e farsi schermo contro le turbolenze e gli assalimenti delle ree passioni; né mai lo disanima e opprime quel miserabile stato di noia e di oziosità, da cui ogni vizio procede; e tutti i tormenti che la- cerano l'animo di que'frivoli e stolti, di cui è sì ri- 250 Letteratura pieno il mondo. Arroge , che il sapiente, al dir di Tullio, non è più un semplice cittadino, ma sì bene un magistrato, che nel mondo ha un autorità tanto più possente, quanto ella ha sulla verità il suo fon- damento. oìRta ji Laonde se gli studi tornano tanto di diletto e di prò all' umana stirpe , sarà nostro il darvi intensa opera, per adornarsene l'animo: al che ci varrà otti- mamente l'amore, o ne piaccia di riguardarlo sicco- me causa o siccome effetto; dicendo il poeta, Ogni scienza, a cui s'intende, Cosi accende amore, e tanto maggio Quanto più di boutade in se comprende. (Par. 26, 29.) Ma è chi pensa cessar l'amore di essere condi- zione necessaria a ben riuscire negli studi, ove man- chi all'uomo l'attitudine ad essi. Egli è fuor d'ogni dubbio che a divenir eccellente in un'arte o scien- za si richiede l'attitudine; ma che per porvi studio, e amarla di grande amore, vi abbia a voler l'attitu- dine è ciò ch'io nego al tutto. Mercechè ove si con- sideri che l'amor proprio lusinga spesso e falsamente gli uomini di sapere e potere ciò che non sanno e ponno, e talmente questa persuasione s'immedesima negli animi loro da esserne eglino stessi illusi fino alla follia, si vedrà tosto quanto insussistente sia la difficoltà che si move. Quanti sanno appena formare un verso, e si danno a credere d'essere eccellentis- simi poeti, e amano e pregiano forte la poesia, con- sumandovi l'ingegno e la vita ? Quanti strimpellano Discorso del Rambelli 251 malamente due corde, e si tengono i yalentissimi de' sonatori? quanti cantori, quanti dipintori vivono nel medesimo inganno? Che anzi tutti, quanti siamo, an- diamo errati il più delle volte nel conoscimento di noi stessi e dell' opere nostre. Vide già ancor Tullio nell' oratore poter essere obbiettato quest'argomento dell'attitudine, e vittorio- samente vi rispose colle seguenti notevoli parole : « Sono molti che, disfrancati dalla disperatezza, non » vogliono fare sperimento di ciò che diffidano di )) conseguire: ma opportuna cosa è che tutti gli spe- » rimenti si tentino da tutti coloro, che hanno in » pensiero grandi e grandemente desiderabili cose. » Che se ad alcuno o la propria natura, o quella » potenza di eccellente ingegno, verrà mancando ; » o meno instrutto si porgerà nelle discipline delle » grandi arti : tenga costui quel corso che potrà. A » chi brama conseguire i primi onori è laudevol )» cosa fermarsi ne'secondi e ne'terzi. Non solo ne' » poeti fu dato luogo ad Omero, ad Archiloco , a » Sofocle, o a Pindaro; ne l'immensa facondia di Pla- » tone distolse dallo scrivere Aristotele, la cui am- » mirevol scienza non ispense punto gli studi altrui. » Né codesta mancanza rattenne soltanto gli eccellen- » ti uomini dagli ottimi studi, ma né anche gli arte- » fici dall'arti loro. Conciosiacosachè coloro che non » raggiunsero l'imitazioni del Gialiso, o della Venere »> di Coo, né furono disanimati dal simulacro di Gio- » ve Olimpico o dalla statua del Dorìforo, non la- » sciarono meno di tentare qual cosa potessero fare » essi medesimi, e fin dove fosse lor dato di progre- » dire: dei quali fu tanta la moltitudine, e si grande 252 Letteratura » la lode di ciascuno nel suo genere, che mentre » ammiriamo le somme opere, lodiamo nulladimeno » le inferiori. E quindi non è ragione per cui ri- » manga abbattuta la speranza o languisca l'indu- >» stria degli studiosi; non essendo a disperar punto » in ciò stesso che è ottimo : che nelle cose eccel- » lenti grandi sono sempre quelle che alle ottime si » accostano. » Ma vengono altri in campo , e sostengono che chi non può conoscere il pregio degli studi e dell' arti non può prendervi amore. E non s'avvede chi ^'uesto afferma quanto in ciò la ragion s'arretra « Movendo l'ali sue credendo oltrarsi? (Par. 32, 146.) E per verità non si ama pressoché sempre al mon- do un ben che non ci è pienamente noto ? Non si apprezza una gemma al solo vederla sfolgorare, sen- za comprenderne l'intimo valore ? Non si loda una statua, un dipinto, al primo sguardo, contuttoché non se ne sappiano rilevar le bellezze ? si pregia, si ama un personaggio talvolta al solo vederlo; e, ciò che è più, sulla fama e sulla stima altrui. Plaude il volga al facondo oratore, all'immaginoso poeta, al valente istrione: e non gl'intende. Qual conoscenza abbiamo dunque di tali cose da tenerle in conto, da sentirne piacere, da accendersi nell'animo subitamente per es- se ? È insito in noi, signori, un intimo senso del bello e del vero, che ci sforza a que'plausi, a quelle maraviglie, a quegli affetti. Domina questo senso sul- la volontà, sulle abitudini, sulle passioni, a modo che Discorso del Rambelli 253 ci stringe a plaudire ed ammirare eziandio l' opere de'nostri emuli e de'nostri nimici, anche allorquando vorremmo pur trovarle deboli, errate, spregevoli. Né credasi ch'io intenda che questo amore ab- bia a condur tutti a diventar sapienti e letterati di vaglia. Folle sogno, vano desiderio, inutile pretesa sarebbe questa. Il raggiungere la cima del tempio della immortalità è dato soltanto a quell'anime pri- vilegiate, cui il nume infuse più di divina scintilla. Pur ciascheduno è in debito di ben usare dell'inge- gno, secondo suo potere: ed ove in esso abbialo mal- trattato la natura, un cuore formar si debbe pio, buono, amante della virtù e degli uomini, e compo- sto a civile ed onorato costume. "i4tW>>ni Ancora ignorando l'uomo l'avvenire potrebbe, quando che sia, cessare in lui la tardità dell' intelletto, aprire le ali all'ingegno, e riescire tardo si nel suo intendimento, ma forse tanto più grande, quanto più tardo. Impiega la natura molto di tempo a formar le querce e gli elefanti, ma durano per lunghi secoli; laddove le farfallette dipinte e le rose odorate non hanno che la vita passeggiera d'un giorno. Falso poi al tutto è l'argomento di coloro, che dicono non doversi amare né abbracciare gli studi per l'abuso che di essi fare si può. Anche le armi trovate a difendere si fanno strumento d'offesa e di delitti; anche i farmachi più semplici divengon letali veleni; anche le faci destinate ad illuminare sono se- menza d' incendi devastatori. Il mal uso del mezzo non farà mai che esso divenga essenzialmente cat- tivo. Nudriscono gli studi le buone menti al bene, come i cibi nudriscono i buoni stomachi, che non 254 Letteratur.4 ne abusano: e l'averli alcuno volti a male, punto non isminuisce ed oscura la loro bontà e perfezione. Ondechè non posso tenermi dallo sclamare : 0 sa-r pienza conducitrice della vita, e de'vizi dissipatrice, che dovea poter essere senza te il vivere degli uo- mini ! tu hai rinvenute le leggi: tu maestra de'co^ stumi e della disciplina : per te nacquero la pace, e la felicità della vita ! Fortunato chi abbracciar iti puote nel suo intelletto 1 misero chi dal divino tuo lume si fugge ed asconde 1 Oh quanto innamorarono di te que'divini ingegni che negli studi e nell'arti salirono in ogni età a gloria immortale ! Non vi fu-* rono stenti, non pericoli, pon disagi, non cimenti, che non incontrassero volonterosi, non fatiche cui non si sottomettessero, non difficoltà che ardimentosi non tentassero di vincere. L'amor del sapere, che li guida e sostiene, scende nel fondo della carcere, e gli squallori ne allieta, rende leggiere le catene allo schiavo, gioconda l'amarezza dell' esilio, fa dolci le povertà, le persecuzioni, le ignominie; toglie l'orrore e l'atrocità alla morte istessa. Filosofeggia Cleante po^ vero portator d'acqua, volge le macine Plauto, vi- vono schiavi Esopo, Terenzio, Fedro. Vedete Demo- crito trarsi gli occhi per meglio contemplar le cose divine, gittar Grate nell* onde le ricchezze impedi- mento alla sapienza, dimenticar cibo e sonno Camea- de, correre Antistene quaranta stadi ogni dì per udi- re un Socrate, volare Euclide la notte in veste mu- liebre da Atene a Megara rischiando la vita. Qua gli Empedocli si gittano tra le vampe dell'Etna, là i Flinii vengono soffocati dalle ceneri del Vesuvio, ca- dono gli Archimedi sotto il ferra romano. Tacerò io Discorso del Rambelli 255 la cicuta data a Socrate, le catene di Anassagora , le sventure di F^raclito, la fuga e l'avvelenamento di Aristotele ? Ah non già, che tutto e con forte ani- mo patirono coloro che amando la sapienza vennero per essa in voce d'uomini! Ma qual ricompensa, qual premio, qual guiderdone ebbero mai questi valenti da tanti sudori, da tante veglie, da tanti travagli ? Il più piccol frutto di lor menti, la più lieve riuscita, il più piccol trovato, la menoma verità discoperta, fu balsamo alle ferite, rifugio alle sventure, consolazio- ne alle perdite e agli affanni. Rinviene Archimede la frode celata nell'aurea corona di Terone, e nudo scorre per le vie di Siracusa gridando: Vho trovata^ Vho trovata. Scopre Pittagora la relazione fra il qua- drato dell'ippotenusa, e quello dei cateti; e tosto ne ringrazia i nume con ecatombe festiva. Premio è a se stessa pur in questa vita la virtù Che vista sola sempre amore accende; E s' altra cosa nostro amor seduce. Non è se non di quella alcun vestigio Mal conosciuto che quivi traluce. (Par. 5, 8.) E perciò contro coloro che non la seguitarono ebbe gridato il poeta della rettitudine : Ahi anime ingannate, e fatue ed empie. Che da sift'atto ben torcete i cuori Drizzando in vanità le vostre tempie ! (Par. 9, 10.) 256 Letteratura Ma voi, giovani valorosi, ponete vivo l'amore agli sludi, che gioconda e vantaggiosa vi renderanno la vita: e se ne provaste amare le radici , dolci e saporose ne gusterete le frutta, quand'anche al par de'Demosteni e de'TuUi superar doveste gli opponi- menti della natura. Un campo è il vostro ingegno , ma inculto ed infecondo : ponete ogni studio in ben sarchiarlo, e non lasciare che le male erbe vi alli- gnino e mettan le barbe. Adoperate anzi che il cam- po divenga giardino: ma non sì però che la pompa occupi la utilità, talché fra i belli e cari fiori anche ì frutti abbiano luogo. Non vi spaventi, che la sa-r pienza sia un pelago, di cui a solcar breve tratto tutta non basta l'umana vita. Pigliate amor per noc- chiero: e volgendo ad esso tutto il vostro cuore, giun- gerete a nobilitarvene gl'ingegnj. Deh datevi ad amar- la: che fia questo Amor sementa in voi d'ogni virtute ! (Purg. 17, v. 104.) IL DIRETTORE PRINCIPE D. PIETRO ODESCALCHI. INDICE DEL VOL. 344. SCIENZE rAG. Roseìli, Sulla dipendenza delle due variabili x^ y 129 Brighenti, Elogio di Giuseppe Ven- turoli 170 Fàlorani^ Della difficoltà degli studi medici 199 LETTERATURA Penta, Della età che in sua persona Dante raffigura nella divina com- media. Parte prima 2l 7 Gioberti , Discorso aW accademia della Crusca 239 Rambelli, Di una condizione neces- saria per ben riuscire negli studi. 243 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA i/?*^ TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1848 257 SCHilfH^ Di alcuni teoremi del sig. F. Gauss relativi alle «u- perficie curve. Memoria di D. Chelini d. S. P. jLia bella teoria del sig. Gauss intorno alla curva- tura delle superficie (1) , stampata sino dall' anno 1827 nel volume VI delle memorie della società reale delle scienze di Gottinga, ha fatto nascere, per la sua importanza, il desiderio in più geometri di farne discendere i teoremi principali nell' insegna- mento. I calcoli, onde il sig. Gauss dimostra la pro- posizione che è il fondamento delle altre , sebbene condotti con molta simmetria ed eleganza, nondime- no riescono alquanto lunghi e penosi. Quindi si so- no tentate altre vie più facili e brevi per arrivare ai risultamenti finali. Il teorema risguardante la cur- vatura di una porzione di superficie compresa fra tre linee geodesiche fu dimostrato geometricamente dal sig. lacobi. Recentemente il sig. Liouville (2) (1) Disquisitiones generales circa superficie» curvas F. Gauss. Commeiitaliones societatis gottingensis, voi. VI. (2) Liouville, lournal des mathematiques tom. XII, pag. 291, an. 1847. G.A.T.GXV. 17 258 Scienze ha dimostrato per mezzo dell'analisi algebrica que- st'altro teorema, che il prodotto op de'raggi di cur- vatura principali in un punto qualunque M di una superficie si mantiene invariabile, allorquando la su- perficie , supposta flessibile a guisa di un velo ma infcstendibile, prende successivamente diverse forme. Ma i calcoli di questo chiarissimo geometra fran- cese se sono preferibili a quelli del sig. Gauss dal lato della brevità, noi sono, secondochè a me sem- bra , dal lato della chiarezza : e ciò per difetto di quell'idea direttrice che. nel metodo del sig. Gauss, rischiara tutta la via che dal punto di partenza con- duce direttamente alla meta. E parmi che si possa af- fermare la medesima cosa delle tre altre dimostrazio- ni analitiche (quantunque un pò più semplici e bre- vi) che dello stesso teorema sono state date in ap- presso dai sigg. I. Bertrand, Diguet, Poiseux (1). Considerando il teorema di cui si tratta, io ho trovato che si può dimostrare facilissimamente colla pura geometria, e che inoltre si possono render bre- vissimi i calcoli che producono la formula generale, onde il sig. Gauss ha espresso la curvatura di un elemento superficiale in funzione delle sole quantità che entrano nell'espressione di un elemento lineare ds = ( Pàp"" 4- Qdf H- 2Rdpdq )» preso sulla stessa superfìcie. L'oggetto però, cui mi- ro principalmente in questa memoria , è di far di- scendere neir insegnamento tutta la sostanza della (1) Liouville, iournal tom- XIII, an. IS-iS. Alcuni teoremi del Gauss 259 importante dissertazione del sig. Gauss sulla cui- vatura delle superfìcie. A tal fine, dopo di aver ten- tato di recar qualche nuovo grado di luce nel con- cetto degl'infinitesimi, e nella definizione di ciò che fa la curvatura delle linee e delle superficie, io pro- fitto del bel lavoro geometrico del sig. lacobi in- torno al triangolo formato da tre linee geodesiche; e della dissertazione del sig. Gauss, la quale non è certamente nelle mani di molti (1), io riporto tutto quello che è affatto semplice ed elementare. Che cosa è l'infinitesimo ? Forse una quantità minore di ogni assegnabile? Ma è troppo evidente che una quantità, per esser minore di ogni assegna- bile, è mestieri che non possa più diminuire, e che però si confonda col puro zero. L'infinitesimo è forse una quantità variabile, i cui valori numerici successivi decrescono indefinita- mente in modo da scendere al di sotto di ogni as- segnato valore ? 0, in altri termini, è una quantità variabile che ha lo zero per limite ? Ma non tutte le quantità variabili, che hanno lo zero per limite, son dette infinitesime. Se, per esempio , un angolo cresce da zero sino a 90°, il coseno di quest'angolo, che certamente ha per limite lo zero, si chiama for- se infinitesimo ? E dunque da desiderarsi che una nuova defi- (1) A me è stata favorita dalla cortesia del chiarissimo signor principe D. Baldassarb Boihcompagm. 260 Scienze nizione faccia quello che le precedenti defìnizioni non fanno; e ciò è di mettere in chiaro lume il ve- ro carattere, onde le quantità chiamate infinitesime ài disting^uono da tutte le altre. A questo fine cominciamo dall' osservare , per mezzo di un esempio semplicissimo, ciò che nel fat- to sono gl'infinitesimi. Sia y = a'-'; quando la variabile x riceve un incremento rfar, la variabile y riceverà in corrispondenza un incremen- to dy^ e 8Ì avrà dy ~- (x -i- dxy — x', ossia e quindi (iy "-■ 2xdx -+- 1, corrisponde all'arco = 1, e per unità degli angoU solidi l'angolo solido centrale che, nella sfera del raggio = 1, cor- risponde ad una superficie sferica equivalente al qua- drato che ha per lato l'unità lineare = 1. Ciò posto, sia Q. la superficie del poligono sfe- rico che suppongo di n lati e convesso; sia A la som- ma de'suoi angoli interni, e C la somma de'suoi an- goli esterni , ossia la somma delle declinazioni de' suoi lati (somma che non bisogna confondere con la curvatura del perimetro , perchè i lati essendo archi hanno anch'essi la loro curvatura). Si ha dalla geometria 272 Scienze Qr^A — {n — 2)n, A -h C = w;r , e però C -+- Q = 27r , dunque C =* 2;: — Q. Ed è facile a rilevare che questa formula, ove si abbia il debito riguardo ai segni (=t 1), sussiste anche nel caso del poligono non convesso. Teorema di lacohi. Data nello spazio una cur- va ux a doppia curvatura, ed una sfera del raggio = 1, dal centro 0 di questa sfera si tirino de'rag- gi paralleli ai raggi osculatori consecutivi di ««' , ed in quel senso che diremo nella dimostrazione : tali raggi formeranno dentro la sfera una superficie conica. Al principio e al termine di questa super- fìcie conica si conducano due piani paralleli ai pia- ni osculatori della curva «.oc relativi l' uno al suo principio e/, e l'altro al suo termine \, , . . . formato da due quadranti consecuti- vi qualunque «A, a, A, , . . . e corrispondente acl un angolo di contingenza de' piani osculatori della curva Cix\ è rappresentato (trascurando gl'infinite- simi di second'ordine) dalla superficie compresa fra i detti due quadranti. Dunque la somma e di tutti cotesti angoli di contingenza, die hanno luogo da a in a' , è uguale alla superficie sferica S compresa nelquadrilatero («A, AA', A'a' , aa), talché si ha S = e. Ma S , pel teor. prec. , è pure = 2t: meno la curvatura della superficie dell'angolo solido che corrisponde a siffatto quadrilatero. Ora, se giriamo il quadrilatero nel senso aAA'aa, costruita od im- maginata la figura, si vedrà che la declinazione del- la superficie dell'angolo solido in OA è = A, da OA andando in OA' la curvatura è C, in OA la decli- nazione è t: — A', da OA in Oa' la declinazione è zero, in Oa' è — tt , da Oa' in Oa le declinazioni di- ventano negative, e la loro somma è = — e. Cosi la curvatura totale della superficie dell'angolo soli- do OaA A'a'a è == 27i h- A — A -h C — e. Dunque la (*) Convien supplire coli' immaginazione alle linee che mancan» nella figura. G.A.T.CXV. ^^,uv-,..:. 274 Scienze superficie S del quadrilatero akk'a'a , già espressa per e, è pure espressa per 2n — ^^2n-i-\ — A'-f C — e) =^c-i-A' — A — C. Dunque e— e — G +-A' — A, e però C = A — A. Curvatura delle superficie secondo (a (fe/iniziuiic del signor Gauss. Premetto alcune considerazioni, che mi sem-^ brano assai proprie a rischiarare e a far compren- dere la definizione del sig. Gauss, o a mostrare l'in- tima corrispondenza della curvatura delle superficie con quella delle linee. Ogni superficie presenta due lati o bande ris- petto allo spazio che divide. Ne'nostri ragionamenti è d'uopo di fissare il pensiero piuttosto sopra l'uno di questi lati che sull'altro, o almeno di non scam- biare l'uno con l'altio. Converremo di chiamar l'uno lato esterno della superficie, e l'altro lato inteì^o., e di considerare le normali alla supeifìcie situate tutte e dirette dal lato esterno. Data una superficie curva ( che riguarderemo sempre come una superficie poliedrica infinitesima- le), ed una sfera del laggio ^= 1, dal centro di que- sta sfera conduciamo de'raggi paralleli alle normali esterne della superficie, e diretti nel medesimo sen- so; e supponiamo, per maggior chiarezza, che cia- scuno di questi raggi corrisponda ad una faccetta unica della superficie curva, E palese che Vangalo compreso tra due raggi consecutivi sarà eguale alla declinazione delle faccette corrispondenti nella super- fìcie curva, e che, per conseguente, l'angolo solido &j formato da un fascio conico qualunque di cotesti rag- Alcuni teorkmi del Gauss 275 yì rappresenterà lei, cbb,vatura totale della porzio- ne 0 dì sujjerfieie^ cui detti raij(ji ''.orrispondono. All' angolo solido ,in\ v^> Si avverta però che, nel determinare la curva- tura totale di una data porzione di superficie cur- va, conviene di por sempre attenzione all'andamento di questa, e di ben distinguere i luoghi ( quando esistono) dove ad una medesima porzione della su- perficie sferica corrispondono più porzioni distinte della superficie cuiva. Intorno a ciò le regole da seguirsi sono suggerite dalla natura de' casi parti- colari, e variano con essi. Si comprende per altro potersi dividere la superficie curva in più porzioni a tali, che la curvatura di ciascuna di queste por- zioiH abbia, in ogni elemento, una rappresentazione diversa sulla superficie corrispondente w della sfera. Se la superficie non è curva in tutti i sensi, ma 276 Scienze sviluppabile, come le superficie cilindriche e coni-r che, è palese che i raggi condotti dal centro 0 della sfera parallelamente alle normali esterne di una por» zione (7 della superficie sviluppabile, non riempiono più un angolo solido, ma costituiscono una super- ficie conica, che sulla sfera è misurata da una li" nea X. Così questa linea A rappresenta , in questo caso, la curvatura totale, ossia là somma delle de- clinazioni, onde si succedono le fecce nella super-' ficie sviluppabile «7. Teoremi del sigìior Gauss intorno alla curvatura delie superficie. L Teorema. Se un triangolo «^y, porzione di una data superficie S, ha per lati tre linee geode- niche della superficie , la sua curvatura totale T è uguale alVeccesso della, somma de'suoi angoli interni a, /5, 7, su quella di due retti (ny. cioè T :^ a -t- /5 H- 7 — 7r. Dimostrazione (da presso il sig. Jacobi (1) ) ( ì Sia ABC (Fig. 2) il triangolo T che sulla sfera (0) del raggio = 1 corrisponde al triangolo a/Sy e ne rappresenta la curvatura. Chiamata K la curvatura della superficie dell'angolo solido OABC, si avrà T = 27: — K. (1) loiini.trononni(]U« du Schntnacher, Jin. iSi2. Alcuni teoremi del Gauss 277 Himaiifì dunque a determinare K. Si osservi dap- prima che le linee geodesiche j^^, /3y, y«, essendo le linee più brevi che sulla data superfìcie S uni- scono i punti a, /3, y, hanno i loro piani osculatori normali alla superfìcie S, e che però le normali alla superfìcie S lungo le linee a/3 , ;3y -, ya -, hanno le stesse direzioni che i corrispondenti raggi oscula- tori di siffatte linee. Ciò posto, i tre lati BC, CA, AB si designino per a, 6, e, e per -aò, -oc, -ca gli angoli onde le di- rezioni de'tre lati o^ 6, e ne' punti C^ A, B decli- nano l'una dall'altra. Gli angoli che la superficie conica OBC forma in OB ed in OC coi piani condotti da 0 parallela- mente ai piani osculatori della curva /3y ne' punti /3, y, si designino per 'pa , 'p'a. Gli angoli analoghi^ relativi ai lali CA « 6, AB -, e, siano designati da ■qb ^ •qb ; -fc , -re. Le lettere p, p', g, g', r, r' si dovranno riguar- dare come esprimenti le direzioni che hanno ne'pun- ti B , C , A , gli archi incisi sulla sfera (0) da' sei piani condotti dal centro 0 parallelamente ai piani osculatori relativi all'estremità delle curve ^y, y«, a/3. In questa ipotesi è facile a vedere che i sìmboli Tp, -p'q ^ -qr rappresentano i supplementi degli an- goli interni /3, y, a del triangolo a/Sy, e che però 278 SCIE N 7. K si ha '^ ^-^ " Le curvature delle superficie OBC, OCA, OAB, sa- ranno espresse, in virtù del teorema prec. del sig. lacobi, da •p'a — -pa t= -p'a -\~ 'ap , ■q'b — -qb = 'q'b -+• 'bq , •re r— -re =a Tc •+■ 'cr . Quindi pen la icurvatura totale K della superfìcie dell'angolo solido OBCA avremo K =^ 'p'a -{- 'ap •+■ 'ab ■+■ -q'b -t- -bq -f- 'bc •+- t'c -+' -cr -\~ 'ca . Ora è palese che, nell'addizione di questi angoli, abbiamo intorno all'angolo B( =< ^ — 'cà) del trian^ golo (a, 6, e) la somma 're -f- -ca -+- ap =^ -/p ■— u — /5 . E similmente intorno agli angoli C(=» tt — '«&)? A(= ^ — •he) abbiamo le somme •p'cé H-i' 'ati 'H- -bq = -p'q --— n — 7 , •q'b '•4^ 'bc -+- 'cr = -qr =^ Wi-r- « . Dunque -'ijiM'-:;: ■' ìj' -'' t\iL ,»v -\'-. '' ■' -K == 37r — « — /3 — 7 , • JOJsfiiDtìt ■ ) •-■ Iti; • ;i bJZSUp tl( fpejT cou^eguqttza.j^n; —- K, ossia . ^^ ^ ^, V •>■ ■s '■■■■' 'J fVsT=fci«tti4^--^-H7 — TT . •'-''"' ''^. Alcuni teoremi del Gauss 270 II. Teorema. Se una superfìcie S, supposta fles-" sibile ma inestendibile, cangia di forma, in questo cangiamento una figura qualunque a delineata sulla superficie serberà costante^ insieme con la grandez- za, la sua curvatura totale &). Dimostrazione. Poiché la superfìcie flessibile S, che cambia di forma, si suppone inestendibile, ogni linea segnata sulla medesima serba costante la pro- pria lunghezza, e però resterà geodesica se dappri- ma era geodesica. Divisa quindi la superfìcie S in triangoli infinitesimi, si vede chiaramente che essa nel cambiare di forma non varia di grandezza, e che ogni angolo segnato sulla medesima si mantiene co- stante. Ma la curvatura di un triangolo «/Sy , for- mato sulla superficie S da tre linee geodesiche, non varia che colla somma de'suoi angoli : dunque sif- fatta curvatura si mantiene anch'essa invariabile. Ciò posto , se la superficie si suppone divìsa in trian- goli infinitesimi, formati da linee geodesiche, si con- chiuderà che la curvatura di una porzione qualun- que della superficie S non varia in mezzo ai suoi cangiamenti di forma- III. Teorèma. Se intorno ad un punto dato M di una superficie S si prende un elemento qualun- que superficiale rfcr, il rapporto di esso alla sua cur- vatura totale d'j) è uguale al prodotto de'raggi di cur- vatura principali p, p, , relativi al punto M : cioè da Dimostrazione, Cominciamo dal ricordare che 280 Scienze nella superfìcie sferica la curvatura è uniforme, e joroporzionale a ciò che si prenda di essa superficie. Immaginiamo una sfera che tocchi in M la superfì- cie data S : il luogo del contatto si potrà riguardare (secondo lo spirito del calcolo infinitesimale) conie una faccetta infinitesima comune alla superfìcie ed alla sfera, e però come una porzione infinitesima di superficie sferica di un certo raggio. Da questa con- siderazione s' inferisce che la curvatura dw di un elemento superficiale dn infinitesimo di second'ordi- ne, si può trattare come se fosse uniforme in tutta l'estensione dell'elemento, e però come proporzionale a ciò che si prenda dell'elemento medesimo. Quindi il rapporto — - non vanerà se l'elemento rfa, intì- dcù ' nitesimo di second'ordine, si prende ad arbitrio in- torno ad M, e gli si dà quella figura che più ag- grada. Supponiamo che da sia un triangolo rettangolo che abbia per lati due archetti rfs, ds^ , presi sulle sezioni normali fatte in M nella superficie S secon- do le direzioni delle due linee di curvatura. I rag- gi osculatori p , p, di questi due archi saranno i raggi di curvatura principali della superficie, rela- tivi al punto M. Siano rf5 , ^5, le curvature di que- sti due archi ds , dsi : sarà ds = pd9 , rfs, = pid9t . Inoltre, essendo gli archi d« , ds, perpendicolari tra loro, il triangolo da sarà rettangolo, e però avrentw 2dentanea ope- razione, marcano un passo al di là della prudenza, e stabiliscono ciò che si chiama estro, ovvero occhio pratico. L'uomo prudente acquista dalle circostanze esteriori queste oscure sensazioni che gli danno il dono della previdenza. Esse entrano sempre per i sensi, toccano ila sensibilità, colpiscono la immagi- nazione, riguardano la reminiscenza. Questa facoltà di divinizzare, o meglio di prevedere, si scorge tan- to più sviluppata in quelle persone che esercitano Arte medica 297 sopra una infinità di oggetti i loro sensi. I viaggia- tori, la gente di piacere e del gran mondo preve- dono maggiormente; e i medici di molte faccende predicono più vero, come i negozianti di grandi af- fari. Si vede ancora, che quanto maggiore è la sen- sibilità, altrettanto la previdenza è più grande. Le donne sensibili prevedono le disgrazie, i piaceri, e la storia diletta nel leggere le avventure di tali pre- sentimenti. Un medico sensibile, premuroso prevede i pericoli del suo infermo, come una madre aflfet- tuosa sente le disgrazie del proprio figlio. Ma se la esperienza e la sensibilità muovono la previdenza ; nullameno noi loro non concederemo tutto il merito delle avverate profezie. La fortuna ne vuole anche essa la sua parte, e le grandi riputazioni pratiche, i medici semi-dei tanto cominciano a diminuire, quan- to il progresso cancella la credulità e la ignoranza. Se il medico non potrà sempre ispirarsi alla verità degli avvenimenti futuri, potrà però possedere il valore pratico, quello che abbiamo detto dipen- dere da un calcolo delle maggiori probabilità. La educazione è una delle circostanze più favorevole a svilupparlo. I pregiudizi della prima età difficilmente si cancellano, e il medico spesso porta nel suo eser- cizio gli errori della famigiia. Quindi anticamente le celebrità mediche venivano per generazioni. Ip- pocrate non avrebbe posseduto tanto merito, né Giu- seppe Frank sarebbe salito a tanta riputazione senza l'esempio e la scuola degli avi. La pratica è un es- perimento difficile che non si crede senza invecchia- re neir esercizio; perciò quelli che sono dispensati di apprendere le misure di questa fede dalla espe- 298 Scienze rienza, perchè ne sono istruiti sin da*primi anni, Ieri- gono sugli altri un considerevole vantaggio. E la[ istruzione della famiglia è ben diversa dalla istru- zione delle scuole. Queste insegnano a credere, l'a- micizia a diffidare; ma per diffidare bisogna sapere, la persuasione non essendo la virtù della ignoranza. La clinica insegna a trattare le malattie negli spe- dali, e non apprende a conoscere i bisogni sanitari delle famiglie. L'infermo vuol essere curato in ra- gione delle proprie abitudini ; e le situazioni degli uomini sono tanto diverse, che le stesse leggi non possono convenire a tutti. Quindi il miglior medico sarà l'uomo il più sociale, quegli che più conosce i bisogni del suo secolo; e in ciò la istruzione an- tica superava la presente; poiché avanti 1' aperturai delle cliniche, il medico imparava l' arte in detta- glio nella società e non nelle sale; conosceva allora, ciò che si vuole, gli uomini e gli infermi. Alla educazione si deve aggiugnere la esperien- aa. Alcune circostanze della vita, alcune osservazioni fatte rendono un medico capace più che un altro di apprezzare il giusto valore di alcune forme oscu- re, e di ordinare il metodo più conveniente di cura. E il solo azzardo quello che fornisce questa espe- rienza. Si crede che questo merito sia proprio della età matura; ma falsamente^ mentre si può dare d'a- vere invecchiato senza essersi incontrato in simili cir- costanze, può darsi d'averle vedute e non rammentar- le; può essere ancora di averle trovate senza mai comprenderle. Baglivi fu grande osservatore e gran medico nel fiore degli anni. Per altro le circostan- ze che più sviluppano il genio, ossia che più lo ma- Arte medica 290 nifestdno^ sono gli errori del secolo e la novità di alcuni bisojjni sociali. Un medico che s'incontra in un'epoca, ove un qualche errore sia molto diffuso, sarà un genio se lo affronta e lo abbatte. II falso non dura quando è molto sparso, e lo stesso fana- tismo è quello che distrugge l'errore. Senza la dif- fusione del sistema browniano Rasori non sarebbe salito all' alta riputazione ; egli nella nuova teorica espresse il voto della pubblica opinione già riforma- ta. Se per altro il sistema browniano fosse stato cir- coscritto e non avesse avuto quell'incontro ch'ebbe, sarebbe ancora in vita, e il nome di debolezza ver- rebbe da molti vagheggiato; perchè la esperienza, quando sia circoscritta, non è mai norma del vero, e il giudizio del pubblico rimane indeciso. Così è caduto da se stesso il sistema di Tommassini per es- sere troppo sperimentato ; e 1' errore di Hanemann non finisce, per essere favorito da una limitata espe* rienza. Se questo errore fosse accaduto in un tempo più credulo e men positivo del nostro , se si fosse propagato con le doti della credulità e della dol- cezza di cura, che realmente possiede , non esiste- rebbe più che nella storia delle imposture. Hane- mann sarebbe ridotto alla stessa condizione di Brown, se le sue pillole atomistiche avessero incontrato la esperienza dei mescugli alcolici: e la pratica, caduta nel più stravagante delirio di una bizzarra inven- zione, avrebbe già procurato una nuova riputazione ed innalzato un altro genio sulle rovine del novel- lo errore. La novità di alcuni bisogni sociali contribuisce allo sviluppo del genio. Che sarebbe stato Sydhenaro 300 Scienze senza le epidemie che patì a'suoi tempi l'Inghilter- ra? Chi avrebbe conosciuto lo Strambio senza la pellagra eh' egli fu destinato a curare ? Senza la china il nome di Torti sarebbe oscuro. Adunque ab- biamo provato che il talento medico esiste diverso da quello che i filosofi chiamano genio: che questo talento è innato e si sviluppa dalle circostanze. Tutto questo ingegno si riduce alla prudenza: e questa prudenza esige nell'esercizio una continua modificazione delle leggi salutari. Questa modificazione è difficile, ma la difficoltà non toglie la esistenza della medicina. Quali sono le arti che non richiedano dei talenti e delle fatiche ? Quali quelle di un esito sempre certo ? L' agricol- tura ha certamente le sue leggi: e pure tutte le pre- cauzioni, tutti i mezzi riconosciuti utili in circostan- ze analoghe non bastano ad assicurarne il ricolto. La fortuna entra in tutte le cose umane: ed una se- rie di vicende spesso abortisce il disegno meglio con- cepito e le speranze più fondate. Quanti progetti di politica han fallito, quanti calcoli di economia han mancato: or dunque si dovrà conchiudere che que- ste scienze sono senza leggi e che non esistono ? Lo stesso dicasi della pratica medica. Alcune promesse fallite , alcune disgrazie non prevedute , dovranno muovere alla incredulità, dovranno distruggere la scienza? L'uomo è ingiusto in tale giudizio. E^so è troppo interessato per giudicare freddamente. Quan- do condanna l'arte, non sente la voce della ragione^ bensì della natura che a garanzia della propria con- servazione non perdona neppur 1' ombra di errore. Se vi hanno alcuni punti tuttora dubbi, alcune ma- Arte medica 301 laide incurabili che sfidano ogni mezzo conosciuto, non perciò diffonderanno il dubbio alla serie delle certezze. I litigi, le questioni, le varie opinioni de' medici nulla provano. Quale è la scienza dove non si abbia mai quistionato ? Per assicurare la nullità di una scienza non basta addurre che si è mal ra- gionato, bisogna provare che non si possa ragionare. Luigi Giovannini. Della antecedenza degV ilaliani nella istituzione de- gli asili deir infanzia. Discorso di Gian -Francesco Rambelli letto in Persicelo per la solenne premia- zione del 3 di ottobre 1847. jL\ntico e comune è il malvezzo degli stranieri di appropriare a se stessi ogni bello ed utile trovato , come antico è in Italia il lamento de' furti e sopru- si fattici sfacciatamente: per cui alcun benemerito, tenero delle patrie glorie, è insorto talora ad assicu- rare alla nostra nazione quegli allori che erano di- rettamente suoi. Ed oggi che la sapienza del sovrano pontefice, tutta volta al progredimento della cultura degl' intelletti, vuole che la scientifica istruzione si diffonda largamente per tutto e a tutti, a guisa del sole che spande i benefìci suoi raggi sul creato u- niverso; e a guisa della terra, madre comune, che dal menomo musco della parete alimenta infìno il più sublime cedro del Libanoj e perciò vuole, che 302 Scienze anche fra noi sorgano, si stendano e si accomuni- no quanti utili e begl'instituti riguardano la educa- zione, la morale, le lettere e le scienze; si rimetto- no in campo intorno ad essi le straniere pretensioni, risuscitano le false asseveranze , si rinnovellano le antiche menzogne; e all'Italia, eterna maestra del bello e del vero , si nega ogni vanto in codesti ; e pressoché tutti dall'invidia o dall'ignoranza alle gen- ti alienigene si vogliono indebitamente attribuiti. Ma noi noi dobbiamo tollerare di queto, anzi è a le- varsi alla rivendicazione delle gloriose italiane an- tecedenze; che nostri sono i metodi di mutuo inse- gnamento; nostre le scuole del povero; nostre quelle della domenica; nostre l'altre a foggia di giuria no- stro il concetto d' insegnare a' sordo -muti ; nostro quello di addottrinare i ciechi ; come ebbi già a chiarire a lungo laddove svolsi in gran parte l'am- pia tela degl'italiani trovati (1). Ciò stante; e perchè nella odierna celebrità, in cui la munificenza de'ma- gistrati cinge questi eletti giovani delle meritate co- rone; parendomi, che anziché parlare a pompa e a sfoggio di eloquenza torni meglio ragionare di cosa veramente utile all'umana famiglia, verrò mostran- do che italiane sono pure le scuole dell'infanzia^ che anche asili si chiamano ; dalla quale assicurazione vedremo scendere quasi come un obbligo in noi di dar loro vita, incremento e propagazione a miglio- rare r educamento del popolo, parte della nazione ingiustamente e stoltamente reputata fin qui da mol- ti la meno rilevante e degna di essere lasciata nell' abbandono e nell'abbrutimento. Pari all'importanza del soggetto, tutto glorioso all'Italia, tutto utile al- Asili dell'infanzia 303 I' umanità , spero che sarà la cortese vostra atten- zione. Se io spingo lo sguardo fino nel medio evo , trovo fra noi saggi d' infantile tirocinio indiritto a religione ed a cultura; se lo rivolgo a'tempi meno antichi , veggo Innocenzo III aprire in Roma nel 1198 una casa, tuttora fiorente, pe'fancìnlli abban- donati; Girolamo Miani nel 1500 prendere a rac- cogliere , istruire , ed alimentare orfani bambinelli; Angiola Merici fondando nel 1537 le orsoline ob- bligarle a gratuito insegnamento di figliuole neces- sitose; Eleonora d'Austria, duchessa di Mantova, e- rigere nel 1564 pubblica e numerosa scuola di povere verginelle anch'esse gratuitamente insegnate, nudri- te e ne' femminili lavori addestrate. Al che si ag- giunga, che primo padre di sì pietosa opera nella moderna età è a tenere il Calasanzio , comechè a- ragonese, perchè in questa Italia facevasi fondato- re delle scuole pie nel 1617. Ondechè nostro, e non istraniero, sarebbe non solo l'aver trovato il concetto di tali scuole, ma l'averlo da gran tempo effettuato. Che se movesse difficoltà l'essersi allevati in esse fanciulli e fanciulle di età maggiori a quelli che or si adunano negli asili , parmi che non si possano dire totalmente inventate le nuove scuole per essersi disceso a ricoverarvi ed educarvi bambolini di età minore , adattando loro le regole confacenti; mercechè troppo è facile ag- giugnere al già trovato. E se riguardando a sola 1' età infantile si volesse darne merito alla marchesa di Pastoret, che in Francia ebbe adunati, non sono molti anni, e fatti allevare 12 fantolini; abbiamo il 304 Scienze Datèo, che fra noi nel 1787 tentò introdurre le scuo- le infantili. Ma se non riesci nell' intrapresa, se le forze gli fallirono, se gli vennero meno gli aiuti de' ricchi e potenti, se fu contrariato dall' invidia, dal- l'ignoranza, o da coloro che per disordinato appe- tito dell'ottimo guastano il bene ed il meglio; è per- ciò che non avesse anteceduto altrui nel santo e nobile pensiero e nell'operarsi a praticarlo? Non dunque all' Owen o al Bucanan, e non an- co alla Pastoret, vorrà darsi il pregio del concepi- mento e della esecuzione di simili scuole , le quali in brevissimo spazio dalla Senna passate al Tamigi, di là si stesero per 1' Alemagna e per la Svizzera , d'onde, varcate le alpi , si tornarono a noi in vesta tutta estranea, trombate e credute pianta e frutto ol- tramontano ; e con quanto diritto, Iddio cel dica 1 Se il Lana non ebbe danaro a costruire ed innalza- re il globo areostatico, che primo immaginò, non ne sarà stato per questo l'inventore? se né esso, né il Cardano istrussero sordo-muti o ciechi , è perciò che non ne concessero la possibilità, e non lascias- sero le idee , le tracce e gli abbozzi delle odierne teoriche e delle pratiche altresì? Malamente adunque SI gridano inglesi, francesi o svizzeri que' puerili in- stituti; essi sono veramente italiani: e avviene di loro, come delle nostre sete , che mandiamo grezze in Francia, in Olanda, in Inghilterra; e tornate a noi in rasi a onde, lustrini, sto fife, blonde, dommaschi, velluti, le compriamo a gran prezzo, come cose ol- tramarine le pregiamo , e ne adorniamo pomposa- mente le case e le persone- Non sono meno di Gol- conda i diamanti che Parigi e Londra foggiarono Asili dell'infanzia 305 in g^ioielli smaniglìe , anella e sfolgoranti collane : quegli splendidi caDgiaraenli, quelle finezze e beltà di lavori non fanno perder loro 1' origine , la de- rivazione, la nascita. Che se dunque nostri sono gli asili, perchè non solo ce ne siamo lasciati usurpare la priorità , ma non li abbiamo messi in opera fra noi e sparsi per tutto a grandissimo beneficio della nazione e della civile comunanza? Mi duole a dirlo; ma pregiudizi di cieche ed ostinate menti, mentre non li vollero piantati in questo ferace terreno , li hanno lasciati attecchire, prosperare e propagarsi in altri lidi, ove le nazioni, cui non se ne dovea il santo pensiero, ne cavarono e cavano universalmente i frutti e van- taggi che nostri esser doveano da gran tempo. E quando i due sacerdoti cremonesi Alessandro Galli' na e Ferrante Aporti priori in Italia rinnovarono 9 rinfrescarono il concetto delle scuole infantili, colla sola opera il primo, co'fatti e co' pregiati scritti il secondo, quante persecuzioni non sostennero, quante calunnie , quante tacce non si diedero loro, quanti scogli non ebbero a superare ? Ma 1' Aporti, fattosi schermo della pura coscienza, pugnò saldamente con- tro l'orgoglio, l'ignoranza e l'invidia; e non con al- Ir'armi trionfava, che colla sapienza, colla longani- mità, colla carità, colla pazienza; laonde oggi, sua mercè, nella Lombardia, nella Toscana, nel Piemon- te e altrove fioriscono proficuamente gli asili e si diramano tuttodì, con isperanza che anche qui negli stati della chiesa, ove PIO IX fa loro belle e gene- rose accoglienze, siano per toccare felicissima meta b bene della presente e della ventura età. Ma mentre G.A.T.CXV. 20 306 Scienze io vo siffattamente discorrendo parmi sorger possa desiderio di con oscere quali difficoltà ed opponimenti tardarono fra noi ed impedirono opera sì bella e pro- fittevole ? Dirolle in breve , e in breve verrò pure ad esse rispondendo. Trovato di protestanti, e che covava mal seme furono giudicate le scuole infantili; e quindi ai cat- tolici perniciose. Lasciando stare, che esse hanno culla nostrale e cattolica, come testé diceva, e i prote- stanti o le crebbero e perfezionarono soltanto, o non diedero a quelle che il nome che hanno al presente, accordiamo anche loro l'origine eterodossa: questo, come scrive Teloquentissimo de'moderni filosofi Vin- cenzo Gioberti (1) « non pregiudica alla bontà loro, « perchè le instituzioni si debbono considerare in « se stesse , non misurare dal merito degli autori. « Tanto più, che sebbene i protestanti siano divisi « dalla chiesa ed errino nella fede , non lasciano «« però di consentire coi cattolici in una parte delle M loro credenze, specialmente intorno a quelle ma- « terie che alla morale appartengono; e si trovano « fra loro uomini eccellenti , che onorerebbero il « cattolicismo, se fossero arrolati sotto le sue inse- M gne . . . Ora bisognerebbe vedere, se le opere fì- « lantropiche siano nate da quelle opinioni, intorno « a cui i protestanti sono eretici, e per industria di « coloro che disonorano la loro setta , ovvero se « hanno avuto principio dai residui della dottrina ! « cattolica e da quegli uomini onorati, il cui erro- « re è piuttosto una sventura fatale di nascita , di ' « allevamento o di fortuna, che un effetto di libera j » «lezione o dì malizia. L' ultimo caso sembra più i Asili dell'infanzia 307 n probabile del primo : perchè i maliziosi non so- « gliono occuparsi eli filantropia , e le imprese di « questa son un'applicazione della morale, che tutti « i cristiani professano in comune, non degli articoli « dommatici di Ginevra e di Augus:a. Lo stesso no- « me di opere benefiche ha un suono più cattolico « che protestante, e non licorda il domma di co- « loro, che giustificano l' uomo colla fede spogliata « dal corredo di quelle. Quanto a dire che i trova- « ti filantropici siano cattivi solo perchè fioriti pres- '< so popoli partiti dalla chiesa , la conclusione è « più presto temeraria, che altro. » Ma voglio con- cedere che il mal seme ci covi ; noi dovrà levare e spegnere al tutto la vigilanza de' cattolici che pre- siedono agli asili, non potrà e dovrà convertirne iu buon frumento il loglio e la zizzania, e mutare in puro e retto l'insegnamento, ove per verità fosse vi- zioso o tralignato? Dicasi lo slesso, quando mostras- se false radici a' governanti contrarie. Ma le scuole infantili , proseguono ad opporre gli avversi, spengono ne' figli l'affetto verso le loro madri. Eppure tutt'altro debb' essere: che la buona educazione accrescerà sempre quest'affetto instillato da natura, e la disciplina morale degli asili, anziché diminuire la pietà filiale dovrà viemaggiormente avvalorarla. << Forsechè un fanciullo male allevato « farà miglior prova d'uno che sia bene instituito? «' Si vantaggia forse l'amor filiale dallo starsi tutto '< giorno un ragazzo appeso al collo o appiccato «« alla gonna materna? Anzi un putto, che venga su ^ in tal modo, riesce per ordinario un malvizio. E ' quando ciò non fosse, cotrie volete che nelle clas- 308 Scienze « si povere le madri , obbligate a faticare e ru8ti- « carsi da mattina a sera, possano aver cura de'fì- M gli? M Come custodirli, come istruirli, come cre- scerli uel bene? E se a ciò sopperisce la beneficen- za degli asili, ne dovrà poi conseguitare 1' affievoli- mento della filiale affezione? Ma non vedete, che se 10 starsi lungi dalle madri e dalle famiglie rompes- se veramente od allentasse i vincoli del sangue, nes- sun affetto a'genitori serberebbero i garzoncelli che vissero nei collegi, ne'seminari, nelle università, o le donzellette allevate ne* monisteri ; mercechè in tale affezione di natura non ha che fare la poca o molta età: essa è ingenita in noi, e lo star lungi dai pa- renti più o meno ore del dì, 1' averne più o meno le cure , non vale a spegnerla o a raffreddarla mai. Ma ciò è nulla; che trovanfii nocenti gli asili, per- chè destano nuovi bisogni nelle classi popolane e le distolgono dallo stato loro. Risponde qui (3) il som- mo filosofo che citai: « Ma di quali bisogni parlan 11 costoro? Se intellettuali e morali, essi fanno l'elo- »( gio di ciò che voglion criticare: poiché il desta- « re tali bisogni nella plebe è un nobilitarne Tin- « dole, migliorarne i costumi, perfezionarne l'animo, <( ingentilirne la vita. Se materiali, vi nego che la « filantropia susciti bisogni nuovi e fattizi; essa ser- •< ve bensì ad appagare i bisogni naturali ed anti- « chi. Fra questi bisogni sacrosanti vi ha quello di »> condurre senza dolori e stenti la vita ; e a ciò « mira la filantropia operosa , procacciando di ren- « dere più agiate e tollerabili le condizioni della n misera plebe. Falso è poi che la plebe miglioran- ÀSILI DELLlNFAN^ilA 309 t< dosi si distolga dal proprio slato: che l'esperienza « universale prova il contrario. Vero è bensì che la « crescente cultura agevola a molti plebei il modo « di salir bel bello pei vari gradi della scala socia- « le: e questo, nonché essere un inconveniente, è un « pregio del nostro vivere moderno , e fino ad un u certo segno è condizione perpetua d'ogni vivere « comune: perchè la plebe in tutti i tempi è il se- « raenzaio del popolo, ed assurda, per non dir altro, < è la dottrina della immutabilità degli stati, la qua- « le se Iddio avesse voluta plasmando Tumana na- « tura non avrebbe variate le vocazioni, ponendole « spesso in disaccordo col fato della nascita e della «< fortuna. Questo disaccordo è divino ^ perchè na- >» turale e salutare , perchè è il principio di quei « moto incessante e perenne che agita la nostra spe- « eie, ne volge le attitudini e le potenze recondite, «< la guida verso il termine che la provvidenza le ha « prescritto, e fa parte integrale della vita del mon- M do. Non perciò si ha da temere che venga meno «< la condizione plebeia, in quanto è necessaria al « vivere civile: giacché in virtù di quello stesso moto « ella acquista da un lato ciò che perde dall' altro, « e mediante il libro conflitto de' contrari la vita « comune si preserva. Succede bensì che tal con- « dizione si migliora; e ciò, non che essere un male, M si dee recare a vantaggio. Imperocché gli stati « degli uomini non sono in se medesimi né grandi, " né piccoli, né nobili, né vili: ma tale è ciascuno « di essi quale l'individuo che l'occupa e lo espri- « me. Quindi è che l' uomo grande, come diceva u un grandissimo antico, ha virtù di nobilitare au' 3(0 Scienze « che i. piccoli carichi: perchè se il grado prova T K uomo, non è men vero che l'uomo prova e qua- «< lifica il grado : e questo antico è Epaminonda , « che dopo aver vinto a Leultra e liberata la pa- <( tria , accettò in essa e rese illustre 1' ufficio umi- « lissimo di telearca. Che se oggi le arti e i mestieri « dei meccanici son tenuti bassi e vili , ciò nasce »< dalla rozzezza e abbiezione di coloro che li eser- « citano: onde quando la plebe sarà meglio institu- « ita e raffazzonata , le occupazioni , in cui ella si « travaglia, piglieranno un altro aspetto e verran- « no in istima. Dicasi dunque che la filantropia non « mira già a distogliere le classi popolane dal loro « stato, ma sì a sollevarlo e nobilitarlo; e si dirà il « vero a grande onore di quelli che apparecchiano « la mutazione; e a grande infamia di coloro che le w si attraversano? » Sia pure tuttociò, insorgono a dire i combattitori di tanto beneficio; codesta vantala utilità degli asili è più immaginaria che vera; mentre i tapinelli che si allevano tuttodì in essi ne'più sani precetti di so- brietà, temperanza e costumatezza, giunti la sera alle lor case hanno innanzi gli occhi il mal esempio di padri rotti ne' vizi, dati all'ebbrezza, alla bestemmia e ad ogni nefandità; di madri scioperate, rissose, e Dio non voglia mal oneste! Dunque le brevi ore che rimangono presso ai parenti, per la forza efficacis- sima dell' esempio e della imitazione, abbattono ed estinguono l' edificio del bene con tante laboriose cure dalle savie istitutrici in tutto il giorno innal- zato.— Forte sembra di vero questa obbiezione, che pur troverassi moltamente illusoria , se dirittamente Asili dell'infanzia 3'I'1 t'àgionare si voglia. Poiché, ammessa anche gene- ralmente la trista qualità de'padri, non sarà sempre meglio che i bambini convivano il minor tempo pos- sibile con uomini viziati e dissoluti; di quello che abbiano continua scuola di empietà e malizia ? non sarà meglio che sia un luogo, ove se ne appartino il più del tempo, e ove vengano avviati al bene e alla virtù, farmachi potentissimi al veleno degli oc- chi e degli orrecchi? non sarà meglio che da menti savie ed instruttc imparino le santissime verità della religione, ignorate o mal apprese da'parenti poco o nulla curanti istruirne le proli? E non potrebbe darsi talora che le semenze del bene, radicate ne'figliuo- letti degli asili, fruttificassero eziandio ne'cuori de'ge- nitori, che a poco e poco apparassero da quelle te- nere labbra verità rilevantissime civili e religiose ^ da loro disconosciute o trascurate al tutto? Gli a- sili ancora, togliendo a'padri in gran parte il peso del mantenimento de' lor piccolini , rimovono una delle potissime cagioni del pessimo allevamento del- le figliolanze. Che se già uomini di rea e perdu- ta vita, tornandosi a casa dalle crapule e dai bagor- di delle osterie , e non avendo di che sfamare le digiune e lagrimose famiglinole, rompevano con esse in isdegni ed eccessi enormissimi ; il trovarle ora quiete, pasciute, e già in dolce sonno immerse, noa dovrà valere, se non a mansuefarne in tutto i cuori ferini, ad intrattenerli almeno dalle consuete dete- stevoli escandescenze; e quindi il pravo esempio non rara più né tanto assiduo , né tanto gagliardo. Ma insisto di più, ed affermo che siffatta obbiezione non tanto ferisce gli asili , quanto gli altri luoghi tutti 312 Scienze di educazione, in cui sia vicenda di casa e scuota; che in tutte le classi ponno essere i cattivi genitori, in tutte le case vedersi scandali e funesti esempi ; colla differenza, che più prossimi alla imitazione sono i garzonetti adulti, che non i piccoli bambini. Con- chiudiamo adunque, che non è a ristarsi dallo in- stituire gli asili per tema d' un ombra che rapida- mente si dilegua. E neanche avrà a cessarsene per ciò che affer- mano altri: perdersi cioè ogni vantaggio degli asiU, se al compiersi dell'ottavo anno i fanciuUetti si li- cenziano da essi e si abbandonano, quando appunto sorge in loro maggiore il bisogno d'istruzione e di custodia. Ma se nati di poveri sono i bimbi raccol- ti negli asili, non sarà dato ai parenti lasciarveli ol- tre il settimo o 1' ottavo anno : che potendo allora sostenere la disciplina d' alcun' arte vorranno avvi- arli ad essa per impazienza di guadagno ; e quindi non solo sarebbe nocevole, ma neppur possibile te- nerveli ulteriormente; che sano consiglio è lo av- vezzare per tempo i figliolini a quelle fatiche , di cui dovranno campare la vita. E neanche è vero, che disperdansi le semenze della buona morale : che en- trate ed abbarbicate tenacemente in que'vergini cuo- ri, non fallirà che vi prendan piede, vigore ed au- mento; e quando si avesse cosiffatta temenza, hanno a tenersi d'occhio da'presidi degli asili, a raccoman- darsi a' capi d'arte che li accettino in tutela specia- le e ne veglino i portamenti ; si possono instituire scuole festive o notturne (4), a cui usino, per con- tinuare, raffermare ed ampliare le cure educative de- gli asili. E quelli che sono raen poveri, che mostrano Asili dell'infanziì. 313 belli e acuti gì' intelletti, perchè non si avranno ad inviare a scuole maggiori per darvisi a quegli eser- cizi di lettere o scienze, cui li chiamasse la provvi- denza? Ma perchè tante opposizioni, tante parole, tanto spavento in proposito degli asili dell' infanzia ? che cosa sono essi mai ? Gli asili sono stanze salubri di aria lieta , ove schierati in beli' ordine seggono in banchi i putti che dal terzo non passano l'ottavo anno; ed ivi anziché essere intrattenuti oziando, o in vani cicalamenti, vengono iniziati alla pulitezza, e giusta r età ammaestrati in quanto riguarda il vivere cat- tolico e civile; apprendendo pure a leggere, scrive- re e un po' d' aritmetica; altaiche da rozzi, indomi- ti, ignudi d'ogni senso urbano, rifacendosi totalmente negli asili, diventino pài, buoni, temperanti e mutua- mente benevoli. E acciò non li gravi la noia, savie regole compartono l'ore fra il canto della preghie- ra, la scuola, il refettorio e l'orticello, o prato vicino, ove si conducono a moderati trastulli. La istitutri- ce non è donna venale, che vegga ne'suoi bamboletti soli strumenti di guadagno; non è inumana da per- cuoterli o maltrattarli al continuo; ma savia, intel- ligente, amorevole, tenendo loro ufficio di madre, li ammonisce, corregge e ravvia sul buon sentiero con pazienza e dilezione infinita. Sovra di essa ve- gliano pii sacerdoti , nobili e culti signori , pietose dame visitatrici , accesi tutti dell'operosa e magna- nima carità del vangelo, e non di quella falsa che Empie a mille la bocca^ a dieci il petto. 314 Scienze Gratuita è poi questa scuola • perchè la pietà fra^ terna dà l'obolo onde si mantenga, e affinchè que' tapinelli abbiano nell'asilo una minestra e un pane quotidiano, al doppio intendimento di togliere il di- sagio a' parenti di ripigliarli sul mezzodì , massime nel verno; di alleviare i bisogni delle famiglie, e di preservare i pargoletti dal divagamento e dalle in- quietudini che congiungonsi a quell 'alternare di casa e scuola. Dunque non sarà egli meglio tenere in sif- fatta cristiana e civile tutela i bambinelli miserabili^ che lasciarli gire accattando; darli in mano a spen- sierate vicine, e laidi, laceri, immalsaniti abbando- narli per le vie e pe' trivi , spettatori di scandali e di risse in seno alla corruttela e alla malizia; o chiu- si in case o camere corrervi pericoli terribilissimi? Laonde, signori, dacché nostra, cattolica, utilissima vediamo la istituzione degli asili, anche noi procac- ciar dobbiamo di concorrere unanimi a quest'opera salutare e promuoverla e avviarla a beneficio di tan- ti miserelli. E lo abbiamo a fare ad ogni modo, an- corché non sia dato condurla subito a quella per- fezione che taluno intravedesse in idea. Tutti i prin* cipii delle cose sono piccoli al nascer loro; ma cre- scendo, nella loro progressione grandi e vigorosi si fanno. E a sì bella istituzione, che quant'altra mai più ferve e più s'avviva Nell'alito di Dio e nei costumi (5) ne sia sprone eflìcacissimo il sapere che è amata, pro- tetta , voluta da questo miracolo di pontefice , che tante e tante sublimi cose ha già operate, e molto Asili dell'infanzia 3^5 maggiori nel benefico suo pensiero ne matura , di cui sono alla e fresca pro\a queste elette milizie cittadine, che sì bel grido hanno in ogni parte le- gato. Deh! coir aprire generosi un asilo, secondia- mo anche noi gl'inviti dell'immortal PIO , Dietro a' cui passi estatica ed amante Affrettarsi vediani VEuropa intera^ forme baciando dell'auguste piante (6) l NOTE (1) Intorno invenzioni e scoperte italime, lettere di Gian -l-Van- cesco Rainbelli ec. — Modena tipogr. Vincenzi e Rossi 1844. V. prin- cipalmente le let. IV pag. 25, XXXIX, pag. 189 e seguenti , LXlX pag. 344 e XCIU pag. 476. (2) II G. M. per Vincenzo Gioberti voi. Il pag. 323 e 524. — Losanna per Bonamici e C. 1847. (3) Gioberti, op. e. p. 323. (4) Utilissima institu/,ione è quella delle scuole notturne e fe- stive tuttavoka a rendere al popolo facile, vantaggioso, e caro Ta- (Icmpimento de' propri doveri. Gli artisti, anche inoltrali nell'età, che non usarono mai alle scuole , o non ne compirono il corso , nelle ore serali in cui cessano dai lavori, o nelle domeniche, rice- vono in es.se istruzione religiosa e morale; e vi apprendono legge- re, scrivere, principii di lingna italiaiua, di fisica popolare, di sto- ria naturale, l'epistolografia e le cognizioni pratiche dello .scrivere opportune specialmente alle arti; daudovisi anche i più semplici do- cumenti di questa o quella scienza, che può essere più direttamen- te applicala alla manuale professione, cui si sono dedicati. (5) Dante, Farad, e. 23 v. 113, 114. (6) iMonli, Pellegrino Apostolico e. 11. -^J5(Ì->- 316 Delle età che in sua persona Dante raffigura nella divina Commedia. Ragionamento di Marco Giovanni Ponta. PARTE SECONDA. Di 'isse Salomone nell'Ecclesiaste: « Beata la terra, lo cui re è nobile : » che non è altro a dire se non: lo cui re è perfetto, secondo la perfezione del- l' anima e del corpo : e così manifesta per quello che dice dinanzi quando dice : <• Guai a te, terra , Io cui re è pargolo : » cioè non perfetto uomo : e non è pargolo uomo pur per etade, ma per costu- mi disordinati, e per difetto di vita; siccome ne am- maestra il filosofo nel primo dell'etica (Conv. Tratt. A, cap. 16). " Queste parole, che Dante produce nel quarto del Convito, là ove ei cerca della natura di nobiltà, fanno mirabilmente al caso nostro discorren- do delle età, di cui egli è figura nel suo poema: co- me quelle che ci forniscono bella e vittoriosa rispo- sta a chi ne opponesse, che mal può il simbolico pellegrino della Commedia significare 1' adolescenza; dacché sino dal primo verso del suo trattato dice di Divina Commedia 317 essere nel mezzo del cammin di nostra vita, il quale risponde al diritto colmo della {gioventù, secondo la sentenza del medesimo Dante. Imperciocché abbia pure il pellegrino per sua vera etade raggiunto il colmo dell'umana vita, che questo non vieta punto alla favola di descriverlo colle tendenze ed i costumi che dell' adolescenza son propri in un poema che alla completa informazione morale intende di qua- lunque parte della vita umana: in un poema, io dico, dove non della vegetale del corpo, ma fassi ragione suprema della morale età dello spirito. In questo ri- guardo , quell'anima è nel colmo della età morale che è giunta al sommo grado della virtù : e solo chi nel colmo della gioventù di questa è in pieno possesso dicesi ed è senza meno veramente nobile : ciò è a dire, è uomo secondo il corpo e secondo lo spirito in ogni cosa perfetto. Ma chi per contrario giunto al sommo dell'arco della vita animale ha co- stumi disordinati, animo servo e schiavo del vizio, questi può ben dirsi, ed è tuttora pargolo, secondo la gravissima sentenza di Salomone, di Aristotele e di Dante, che d'entrambi si volle fare seguace. Ora il protagonista della Commedia, che all'incontro delle tre fiere attraversantigli il buon cammin testé rinve- nuto spaventasi tanto e si vilmente che preferisce ri- maner fuorviato, anzi che durar lunga e grave ma nobil battaglia ; questi sebbene già toccasse il suo XXXV anno, quando nell'uomo è nella sua maggior forza quella civile virtù , che fortezza dai morali «i chiama, non fa egli prova certa e manifesta ai «uoi lettori che i di lui costumi, le sue qualità, lo stato morale del suo animo non aveva proseguito a 3IS Letteratura crescere colla carne per giugnere a quella perfezione civile, che all'altra del corpo doveva essere orna- mento e compagna ? Laonde egli era certo nella per- fezione corporale: ma quanto allo spirito , quanto alla mente soggiaceva ancora a tutte le imperfezioni che dell'età novella il più soglion esser compagne. Ondechè gli tornava buono ancora, gli tornava utile e necessario, e il pedagogo e il maestro ed il duca , che, come all'adolescente si fa, lo scorgesse tuttavia per tanto tempo, e lo addottrinasse fin che final- mente rinsavito, cresciuto e rinforzato così nell'animo, come già lo era nella persona, fosse e sì potesse chia- mare veramente nobile ; vale a dire finché avesse raggiunto la compiuta perfezione dell' anima e del corpo : siccome leggiamo essere avvenuto sul chiu- dere della seconda canzone. Ma oltre a ciò un altro argomento si raccoglie da questa gravissima senten- za: essa, chi bene addentro la guardi, rompe d'un irreparabile colpo tu:te le immaginarie supposizioni, di che tanto si credono forti coloro che nel prota- gonista della Commedia voglion vedere l'uomo cos'i perfetto, così brillante d'ogni pregio e baldo di ogni virtù, che nulla manchi per doverlo riconoscere sa- vio, incolpabile e vergine da qualunque difetto. Con- ciossiacosaché come dir senza difetti morali (almeno nella poetica finzione) un uomo che nella pienezza dell'età si confessa così smarrito della diritta via, che per tornare a casa dee scorrer l'inferno ed il pur- gatorio ? un uomo che nel suo XXXV anno per tornare in patria dee quasi smemorato fanciullo dar- si al pedagogo ed al maestro che gli additi la stra- da, lo tenga per mano, lo incoraggi, lo sostenga, Divina Commedia 319 Io prenda in braccio, lo cinga, lo lavi, lo riprenda, lo ammaestri, lo ammonisca e per fino tanto dura- raenle lo sgridi da porlo in sì gran confusione e vergogna; che non più sappia trovar via né verso né parola che diminuisca il suo fallo ? E questi si dirà uomo perfetto ? E questi si dirà essere uomo immune da vizi, ricco ed adorno di tutte le più vigo- rose virtù, che dan pruova d'uom grande ? Senonchè non essendo questo il luogo da discutere questione sì grande, io ben contento d' averla solo accennata , passo a riconoscere nei nuovi costumi, e nelle paro- le del mistico viatore le perfezioni e le qualità stesse che egli prescrive a chi entrò sulla soglia della se conda età, che per età, di perfezione fu da Dante e da Aristotele commendata. La quale età colla senettù ed il senio fa speciale argomento della terza can- tica; al cui esame, per cessar noia a chi sì gentil- mente mi fa corona, senza più preamboli m'accingo. Ma Dante non è più imperfetto di età. II suo maestro dichiaratolo libero , dritto e sano di arbi- trio, inviatolo a seguir sicuro il suo piacere, siccome ottimo regolatore delle proprie azioni, per entro alla divina foresta , lui stesso coronò e mitriò sopra se .stesso. La sua dolce amica, incomparabile Beatrice, dopo quelle salutari ammonizioni, che doveano spre- mere dal suo ciglio le lagrime della penitenza accom- pagnate dalla ingenua , piena e libera confessione del giovanile suo traviamento, lo accolse affabile e ridente sulla destra riva di Lete, tutto molle e gron- dante ancora dell'onda della purgazione, ma circon- dato dalla festosa danza delle sette ninfe , tipo di quelle stesse morali e teologiche virtù, che innanzi 31iO Letteratura che ella discendesse al mondo furono ordinate a lei per sue ancelle. In corte parole, egli è quivi fatto, è dichiarato, è costituito uomo perfetto, e sì secondo la perfezione dell'anima e sì secondo la perfezione del corpo. Egli entrato nella seconda parte della vita, nel- la età deila gioventù, fa or bella e felice mostra di sua persona movendo in angelica nota i suoi passi per la fiorita landa colla gente verace del Grifone (mito della società perfettissima innanzi e dopo la ve- nuta del Redentore) avente a destro lato la ben ama- la sua donna, corteggiato e cinto da tutte le virtù, non senza la preziosa comitiva di Matelda figurante la vita attiva, e di Stazio che l'immagine rappresen- ta della classica poesia. Ben è vero che egli, uso sin qui a muover i suoi dietro i passi del maestro co- me discepolo docile, riverente ed ingenuo, non osa mettersi a paro di Beatrice: ben è vero che tutta- via, come i nobili fanciulli costumano, spinge timi- da la voce, la parola, il gesto ed il piede; ma quella Beatrice beata, la cui divina bellezza era qui in terra il paradiso della sua mente, gli terrà poco stante co- deste ed altre adolescenti costumanze, e liberalmente maestosa e con tranquillo aspetto chiamerallo a se vicino : « Vien più tosto ( diralli ) tanto che s' io parlo teco Ad ascoltarmi tu sic ben disposto. •- Né tarderà gran fatto: che egli accostumato a sentirsi chiamare figlio e figliuolo, maraviglierà per conso- lazione udendo finalmente la sua donna tutto amore che dolcemente lo rimprovera in quest'altre parole: <( Frate, perchè non t'attenti A dimandarmi omai ve- nendo meco ?» E poiché egli ciò nondimeno ancor troppo rispettoso risponderà parole senza intero suo- Divina Commedia 3'2i no, ella cos'i lieta come bella riprenderà con dire : « Da tema e da vergogna Voglio che tu ornai li disviluppe, Sì che non parli più com'iiom ehe so- gna. » Io dico che da indi in là questi due cuori amanti di Dante e Beatrice sono posti in perfetta e confidente relazione. Dante, abbandonatosi tutto al dominio del più ardente e del più santo amore, pende dagli occhi belli di Beatrice, così come fa l'amante dall'amata. Interroga esso ? ella dolce risponde : do- manda ella ? ci libero seconda colla parola : e le- iiendosele ognora al fianco con vicendevole e cele- stiale fiamma di affetto sorvola di stella in stella per tutti i mobili celesti, sinché scortato dalla sua don- na penetra nel ciel che è pura luce intellettual pie- na d'amore e di letizia che trascende ogni dolsore: io dico nell'empireo, dove in forma di candida rosa lieto e maravigliato contempla quanto sia il convento delle bianche stole. Così è, miei valorosi signoria il protagonista spogliato nel ventottesimo del Purgatario qualunque atto e parola e passione alla adolescenza dicievole, è fatto simbolo della gioventii: quando il nobile uomo già perfetto di anima e di corpo è costituito per diritto libero di se stesso , ed in piena osservanza della legge. Ei pertanto si mostra in ogni atto , in ogni detto, in ogni cosa fornito de'più pregiati co- stumi, senza che persona a lui ne faccia comando: egli franco e nobile in tutte le occorrenti quistioni: egli adorno di tutte le virtù: egli forte, egli giu- sto, temperato e prudente: dà prova agli apostolici esaminatori a quale eroico grado ei possegga le ì ti'e sante virtù, che teologali venner chiamate: raan- 1 G.A.T.CXV. 21 322 Letteratura tiensi fido compagno della sospirata sua donna, cui obbedisce non come alunno al pedagogo, non come discepolo al maestro, ma come amico all'amica, ai cui cenni più indovinati che uditi , si presta con quelPardente gara di rispetto e di amore che sola fa certa prova di un cuore veramente nobile ed amante. E tanto diletto ei prende dai santi occhi e dall'ondeggiare del santo riso di Beatrice, che seb- ben fosse in cielo, pure ei trovala il paradiso sol- tanto nel suo volto divino. In somma egli è unito in spirituale coniugio colla mirabile sua donna. Che più bramate, o che altro vi debbo aggiungere, ve- nerati signori , ad accertarvi che in questa ultima cantica le azioni del viatore sono quelle, onde si adorna la seconda e la terza età ? età nata fatta per la società perfettissima, di cui il matrimonio è il tipo più conveniente? Certo qui Dante fingesi quei no- bile amante fortunato che, seguiti i casti influssi del- la Venere celeste, ben conosce di essere giunto al cielo della umana beatitudine : ma non sapendo se ciò gli avvenisse col corpo o senza, esclama tutto inebbriato di dolcezza: « S'io era sol di me quel che creasti Novellamente, Amor che '1 ciel governi, Tu il sai che col tuo lume mi levasti. » La conclusione da noi sostenuta è , sia per le ragioni dette, sia per quello che sul contegno del yiàtore si legge qui qua e colà nel paradiso, così certa che per lutiti coloro che conoscono a fondo questa cantica crederemmo vano il rinforzarlo di nuòvi argomenti. Nondimeno siccome non v'ha ve- rità chiara e certa tanto che da alcuno o per di- fetto di vista, o per uso di contraddire, non sia ri» Divina Commedia 323 vocata in dubbio: così non avrem la taccia di im- portuni adducendo qui un solennissimo luojjo della Concimedia, ove direttamente è toccato delle spiri- tuali nozze di Dante con Beatrice. Imperciocché si ha dal 30 del Purgatorio che la gente verace del Grifone, venuta ad incontrare il pellegrino , quan- do questi stava di contro al misterioso carro, figu- ra della chiesa militante , udito uno dei suoi che cantando gridò tre volte veni sponsa de Libano ; es- sa tutta ha ripetuto il veni sponsa de Libano. Al quale mistico invito, levatisi cento degli angelici spi- riti, fecero seguire l'acclamazione non men lieta e solenne dicendo: Benedictus qui venis. In questa gara di inviti e felicitazioni, eccoti tra una nuvola di fiori « Sovra candido vel cinta d'oliva Donna apparire sul carro sotto verde ammanto Vestita del color di fiam- ma viva. » Ella è riconosciuta per Beatrice, che invi- tata scende quasi sposa novella ad incontrare il fe- dele amante; a cui tra breve si unirà compagna per introdurlo ben tosto in quella città eterna, di cui ella è già beata cittadina. Premesse queste parole noi la ragioniamo così. Codesto invito alla sposa. Veni sponsa: codesta benedizione a colui che viene, Bene- dictus qui venis: a chi credi am noi che fossero di- retti ? Quanto a me non esito a riconoscer queste indirizzate al testé sopraggiunto pellegrino, e l'altro a quella donna che poco stante sotto una nuvola di fi^ori scese nell' arca del carro solenne , quasi che trionfalmente venga a presentarsi allo sposo. Vera- mente io mei so che molti, e forse tutti gli antichi interpreti, riferirono il Veni sponsa alla chiesa, ed il Benedictus qui venis al Grifone : ma ciò a che raon- 324 Letteratura ta? essi hanno il testo contrario. Il carro immagi- ne della chiesa, ed il Grifone simbolo del Redentore, erano ambidue colà giunti colla gente verace, però non par conveniente invitare alla venuta chi già tro- vasi in nostra compagnia di viaggio. Arroge che ad vm'arca, in quanto arca si mostra, non mai compe- terà né misticamente , né letteralmente il festevole nome di sposa. E poiché chi invita la sposa dee già aver veduto giugner lo sposo, chi dirà che nel Gri- fone, in quanto sotto tal figura si presenta, possa de- nominarsi lo sposo; e quel che è più, sposo dell'ar- ca da esso tirata ? Ma vuoi tu dileguare d'un sof- ffio cosi strane conseguenze ? rifiuta questa interpre- tazione, e dì col Poggiali, col Cesari, col Biagioli e con altri chiosatori dei nostri tempi, dì col Tom- maseo (nota alla terzina 29 del e. 29) che la sposa invitata a venire dal Libano è quella stessa donna che in virtù dell'invito scese all'istante dal cielo con tanta angelica festa nell'arca della divina Basterna: e dì che il benedetto a venire é quel Dante che per veder Beatrice ha mossi passi tanti : e siccome tu vedrai di corto ambedue queste anime innamorate farsi compagne nella santissima via che all'empireo conduce, così non penerai gran fatto a riconoscerle e benedirle inebbriate della santa gioia delle nozze celesti. Nozze veramente beate, perchè celebrate (co- •jQe si ha dal canto 31) tra le sante carole delle set- te ninfe: le quali, condotto il purificato amante in- nanzi agli occhi dell'amata donna, gli dissero: Fa che le viste non risparmi. Invidiabile istante ! Qual al- tro più fortunato mortale può le proprie paragonare alle delizie del nostro sposo, allorché mille desiri Divina Commedia 325 più che fiamma caldi gli strinsero gli occhi agli oc- chi rilucenti, onde amor già gli trasse mille dardi? Provi altri se sa, provi di conciliare, senza contor- cere il testo, queste parole e questi fatti colla ante- cedente spiegazinne ; che io per quanto sappia solo così vedo naturale , nobile e pieno il compimento del fine di un viaggio cotanto meraviglioso. E parmi in vero fuor d'ogni dubbio che a questo modo, in- tanto che legasi l'antecedente ed il conseguente del sacro poema, si abbia l'altro bene grandissimo, che cioè ad ogni atto , ad ogni parola dei due amanti si appresti quella santa onestà che ne giustifica spi- ritualmente la susseguita e costante compagnia e di- mestichezza. Né men certo parmi che in questa nostra in- terpretazione si rifaccia bello di santa onestà, sia V invito delle quattro ninfe con cui dissero a Dante, già da loro condotto alla presenza di Beatrice: « Fa » che le viste non risparmi : Posto t' avem dinanzi » agli smeraldi (gli occhi dell'amica) Onde amor già » ti trasse mille dardi : » sia la tenera preghiera delle tre altre ninfe a Beatrice scongiurandola a di- svelarsi innanzi al diletto amico : « Volgi, Beatrice, » volgi gli occhi santi. Era la lor canzone, al tuo » fedele. Che per vederti ha mossi passi tanti: Per » grazia, fa noi grazia, che disvele A lui la bocca » tua, sì che discerna La seconda bellezza che tu- » cele. )) Né in ciò questa mirabile donna si tenne dura o perplessa alla pietosa canzone; poiché il poe- ta a mostrare che di presente diede compimento al lor desiderio; così esclama: « Oisplendor di viva luc« » eterna ! Chi pallido si fece sotto V ombra Sì di 326 Letteratura » Parnaso, o bevve in sua cisterna , Che non pa- » resse aver la mente ingombra Tentando render te » qual tu paresti, Là dove armonizzando il eiel t' » adombra, Quando nell'aere aperto ti solvesti ? » Poste e ben ponderate queste cose, ammetti lo spo- salizio, è onesto è spiegato è ragionevole tutto: togli questo, tutto è fuor dell' onesto , è irragionevole è strano è sconvolto. Non tanta franchezza e rapidità a conchiudere, dirà qui forse taluno, che per avventura ben sa che nelle allegate parole nascondesi un prezioso concet- to allegorico, da cui (chi ben conosce addentro le scritture polisense del nostro poeta) quel l' invito al viatore di guardare gli occhi della mistica donna, e la preghiera a questa, che a lui disveli la sua secon- da bellezza, hanno tutt'allro che il significato pretesa di occhi e di bellezza corporale. Laonde siccome in tai luoghi l'autor volle parlare di ben diverso og- getto da quello che la lettera ai lettori presenta; così questi medesimi poco , anzi nulla possono giovare alla sostenuta interpretazione dello sposalizio di Dan- te e Beatrice. A cosi pronta ed aperta instanza io certo nulla dirò, salvo che qualunque esser possa il concetto che altri supponga racchiuso nella lettera , e qualunque sia per dover essere quello che il po- eta v'abbia veramente occultato, per nulla si oppo- ne o nuOcé alla «ostria sentenza. Imperocché la na- scosa verità, quale ehe ella sia per essere, non mai offende o distrugge la letterale sentenza che nella fa- vola del testo è narrata. Ma qui nel caso nostro la lettera parìa di amanti antichi, che dopo lungo vi- cendevol desio s' incontrano, si riconoscono, si ri- t)iviNA Commedia 4'i7 Ijiettono in amorosa e confidente relazione, intrapren- dendo r uno di costa all' altro un lungo e geniale cammino : dunque chi mai vieterà di affermare che secondo la testuale sentenza codesti due cuori aman- ti ebbero pur una volta la da lungo sospirata fortuna di farsi comuni e indivise le sorti e le delizie di una «anta amicizia ? Cosi avvenne senza fallo, secondo la favola, a questi invidiati fiorentini: e tanto a noi ba- sta per mostrar vana la proposta obiezione, e dichia- rar vera e non immaginaria la nostra opinione; co- me quella che alla semplice lettera quasi a princi- pale anzi unico argomento intende. Ritorniamo sulla proposta materia. Ma intanto siccome all' adolescenza succedette là gioventù, la quale senza posa incalzata è dalla se- netta; così a questa vien dietro il senio, che è l'ul- tima parte di nostra vita. In questa età non è più tempo d'operare : abbandonato il corpo dal vigore naturale, spossata la mente del nobile cittadino dalle intellettuali fatiche per le utilissime opere ed azioni col senno e colla spada fatte a prò della società e ad aumento delle scienze e delle arti ; ricca la na- vicella dell'umana vita del prezioso procaccio delle esercitate civili ed intellettuali virtù, l'uomo in que- sto resto di sua mortale carriera dee calare le vele delle mondane operazioni, per entrare dolcemente in quel porto, ond'è partito : vale a dire, ei dee ces- sare dalle cure civili, e contento della pura contem- plazione, tornare a Dio con tutto suo intendimento; sicché per opera delle assidue speculazioni sulla natura divina e suoi eflfetti , a quel porto ei venga con tutta soavità e con tutta pace fConv. tr, 4, e. 28). 328 Letteratura Questa né più né meno è la sorte che attende i! misterioso pellegrino sul cominciare del terz'ultimo canto. La sua mente si è deliziata abbastanza alla disamina di tutte le virtù sia politiche, sia dimesti- che, sia intellettuali, il che in thie parole ei disse: in seguir viriute e eonoseenza (Inf. e. 26, v. 120) : i suoi occhi, i suoi orecchi ebbero a godere per lunga via tutta l'inefFabile dolcezza che bramar potesse dal viso e dalla voce della sua mirabilissima donna ed imanime compagna: il suo' corso materiale volgendo col cielo è già pervenuto all'occaso (Farad, e. 27 , V, 77-81) simbolo della fine dell'umana vita (Conv. ir 4, e, 23 e 24): che più ? egli già in mezzo alla città santa ha percepito quanta e qual sia la forma della beata città che canta encomiando a queirim- perator che lassù regna : figura parlante che, già tutti percorsi i diversi stadi della vita operosa, è compiu- to il suo lungo viaggio, e che per conseguenza tutto cospira ad ammonirci che la giovinezza e la senetta già partite, Dante ha fatto ingresso sulla soglia di quell'ultima età in cui (per giovarmi di una sua fra- se): « L'anima a Dio si rimarita Contemplando la fine che l'aspetta (Conv., Tr. 4, e. 28). » In corte parole, Dante non sì tosto condotto è dall'adorata sua compagna nel dritto mezzo del giallo della candida rosa, che dalla slessa, come se da morte rapita gli fosse, é già abbandonato: ed in sua vece già mise al fianco dell' amico quel beatissimo Bernardo, che contemplando gustò quaggiù di quella pace. Né questo abbandono di Beatrice, né questo sopiavvenire di Bernardo, fu voluto eseguirsi dal poe- ta senza qualche solennità di atti e di parole : onde, Divm.4 Commedia 329 cred'io, farne ben attenti i lettori, che alla partenza della senetta, fijjurata col partir di Beatrice, soprav- venne il senio che da Bernardo è rajjionevolmente tìgurato. Così è, miei riverenti signori: il pellegrino ha compiuto i tre primi stadi del cammin di nostra vita, narrato nel viaggio per l' inferno, pel purga- torio, e per tutti i mobili celesti: entrato nell'empi- reo, è sulla soglia di quella età quando l'uomo ab- bandonate le cure e gh affetti terreni tornasi tutto col cuore e colla mente a Dio contemplando la fine che lo attende. Dunque è ben giusta non solo la se- parazione dei due amanti , ma è pur giusto che il pellegrino ammiri il trono che i suoi meriti sortirono all'amica nella corte celeste. Dante è fatto vedovo : unico suo conforto è la contemplazione dei santi, e di quel ben ch'ad ogni cosa è tanto. Laonde egli privile- giato viatore a secolo immortale non seguirà più le lide piante del dolce pedagogo : non avrà più di co- sta il conforto di Beatrice; non più rivolgerà la men- te alle cose terrene : ma ritto nel mezzo della città santa, siccome chi attende a profonda speculazione, si troverà allato s. Bernardo, Bernardo il fedele di Maria, Bernardo il contemplante, che vivendo colle sue speculazioni gustò quaggiù della celeste pace. Così è veramente: s. Bernardo, mito della contempla- zione, è l'ultimo assistente al pellegrino, che entrato nel tempio de'suoi lungh i voti abbandonasi ora tutto colla mente e coU'affetto alla più grata speculazione di quella Essenza una e trina, in cui s'acquieta ogni intelletto ed ogni volere. Ed ecco nel più conveniente significato la propria ragione delle tre guide che as- sistettero Dante nel prodigioso cammino. Virgilio pe- ^30 Letteratura dagogo e maestro nell'adolescenza : Beatrice, che fd donna prediletta della sua mente, lo conforta ed allieta nella seconda e terza parte della vita ; e finalmente Bernardo che per alta speculazione eleva e rimarita a Dio l'anima del viatore entrato nel senio, appren- dendole a contemplare il fine che a se l'aspetta. Se il detto sin ora, come a me, paresse giusto a questa nobile udienza, potremmo dar fine al pro- cesso di questa prosa conchiudendo, che dal sin qui ragionato sta fermo e dimostrato, che Dante pelle- grino pei regni spirituali in se stesso ralfigura tutte e quattro le parti della vita umana. Ma da così buon proposito ci distrae il pensiero, che altri non convinto ancora ne voglia opporre alcuni dubbi ch'ei crede di qualche forza, e che a noi innanzi di chiudere fia bello esaminare. Imperocché concederà forse alcuno dei più discreti de'raiei uditori, che dalla Commedia si paia distintamente nel viatore significata la adole- scenza e la gioventù : ammetterà pure che vi si traveda anche lievemente la significazione del senio: ma dirà ciò non ostante, che perchè egli fiso ne ag- guardasse la condotta e ne ponderasse le parole, non mai seppe avvedersi che questi dia sentore di quella parte che per senetlù si conosce. Altri poi sarà per avventura che terrà per men certe le nostre argo mentazioni tutte, perchè la Commedia da noi fu sem- pre intesa ed interpretata nell'unico senso letterale; mentre tutti sanno che questa, come scrittura poli- sensa, altro intelletto ha nella letterale corteccia, ed altro nel midollo della stessa. Onde sembrerebbe che gli allegati luoghi del testo, se si prendessero in con- siderazione allegorica, condurrebbero a conclusioni DIVINA Commèdia 331 diverse dalle da noi raccolte. Laonde quando pure si concedesse che Dante nella letterale senteni^a sem- bri raffigurare l'uomo nelle diverse età : nondimeno ciò sarebbe sempre molto dubbio, anzi insussistente nella significazione allegorica e vera di tutto il poema. Ragionevole la prima, indubitabile mi sembra la prima parte della seconda istanza; ma pure niuna distrugge, né indebolisce la difesa proposizione: anzi ambedue mirabilmente concorrono a darle conferma più solenne. Imperciocché venendo alla prima , è buono per noi che nella persona del protagonista appaia manifestamente il mito della prima, e della se- conda età : né meno ci serve il travedervisi anche quel della quarta. Quindi infatti conseguita che non debba mancare la terza età, là ove già si conosce la antecedente e la susseguente: e con molta buona ragione si arguisce l'esistenza della senetta sebbene lievemente rilevata; perchè somigliando assai questa parte dell'umana vita all'anteriore, che è la giovinez- za, quanto all'eseicizio delle morali virtù, hanno tra loro cortiune e l'occuparsi ambedue delle intellettuali e civili virtù, ed il durare ambedue nella società coniugale; il che dal quarto del Convito viene espres- samente aflfermato di Marzia moglie di Catone. Laon- de non è strana cosa ammettere che Dante per tutto quel tempo che ebbe la dolce compagnia di Beatrice, sposata spiritualmente sulla vetta del Purgatorio, sia fatto figura della seconda e della terza età di nostra vita. A ciò poi concorre benissimo, per mia sentenza, e la gravità delle risposte di Dante alle alte doman- de che sulle virtù teologali gli fecero i tre apostoli Pietio, Giacomo e Giovanni, e la speciale devozione 332 Letteratura mostrata al due archimandriti dei relifjiosi s. Fran- cesco e s. Domenico , e finalmente il trasporto di grande affetto manifestato alla vista dei santi mo- naci Pier Damiano e Benedetto. Imperciocché queste perfezioni religiose, che poco sogliono attendersi nella adolescenza per leggerezza di mente, e lievemente nella giovinezza per ardore di spirito, che a grandi cognizioni e gloriosi fatti aspira, divengono poi am- mirande e grate nei maturi anni della vecchiaia. Che se ciò non ostante maravigliasse alcuno che cotal parte della vita, che è età di somma venerazione, sìa stata così lievemente adombrata, che debbasi munire di microscopio, per così dire, l'occhio della mente per riconoscerne le debili tracce : io non esiterei affer- mare che questa non mancanza, ma fu arte finissi- ma del poeta. Fu arte molto assennata, per mia fé, questo tocco leggiero per non ripetere una seconda fiata nella terza ciò stesso che nelle prime due can- tiche erasi a lungo e magistralmente in ogni guisa compiuto. In vero per Dante sono pregi singolari ed essenziali alla terza età prudenza, giustizia, lar- ghezza, affabilità (Conv., Tr. 4, e. 26). Conviensi a questa età essere prudente, cioè savio; poiché, se ben si mira, dalla prudenza vengono i buoni consigli, i quali conducono se ed altrui a buon fine nelle uma- ne operazioni : e chi non ammirò questo pregio in Virgilio maestro e duca di Dante ? Conviensi a que- sta etade essere giusto, acciocché i suoi giudizi e la sua autoritade sia un lume e una legge agli altri : e chi non s'avvide essere questa giustizia in grado sommo in Virgilio ? Conviensi a questa etade essere affabile, ragionare lo bene e quello udire volentierii Divina Commedia 333 imperciocché allora è buono ragionare lo bebé quan- do elio è ascoltato : e qual altro maggior conforto rendevasi a Dante dal maestro gentile, se questo non era il bene dei venerati suoi ragionamenti? E sic- come questa etade ha seco un'ombra di autorità: chi ne dirà quale altro personaggio abbia avuto più au- torità sul cuore del giovane di quella di Virgilio su Dante ? Or dopo tante, certe e sfavillanti prove che mostrano essere stata figurata la senettù nel maestro, duca e signore, dovrò io dire che non conveniva ri- peterle tutte, né con forti tratti e vive tinte presen- tarle da capo nel discepolo giunto a figurare questa etade medesima? Niente adunque la prima istanza incaglia, od oflfende la da noi difesa proposizione. Molto meno poi la incaglia od offende la se- conda, la quale piuttosto le é in sì piena conformità che giova non poco ad irradiarla di nuova e viva- cissima luce. Imperciocché vero é che noi abbiamo sempre esaminata la Commedia ed allegatine i testi- moni pur nel piano significato della lettera : ma ben lungi dal temere che il loro intelletto mistico ci possa far contro, vogliamo da tutti saputo che la significazione delle quattro età nella persona di Dante è così unicamente riposta nella favola poetica dalla lettera ritratta , che questa dal mistico intelletto è rigorosamente esclusa. Del che valga a testimonio la natura stessa dell'allegoria. La quale escludendo la favola della superfìcie, e constando puramente della nuda e schietta verità, manda a monte tutto ciò che nella Commedia la critica più severa come non vero esclude e condanna. Ma chi di noi crede che Dante abbia sensibilmente, cioè in corpo ed anima, percorso 334 Letteratura i tre regni della morta gente ? Ninno. Chi crede che quella cara anima di Beatrice sia discesa dal ciel al limbo a trarne l'anima del mantovano poeta, e farnelo maestro, signore e duca di Dante? Ninno. Che se Dante con quella fascia che la morte discio- glie non andò a secolo immortale ; se in conseguen- za neppur ebbe per guida l'ombra vera di Virgilio: a che mai si riduce in faccia alla critica la favola dei vicendevoli riguardi e premure stale tra il di- scepolo e'I maestro ? A nulla: come a nulla si ridu- <:ono tutte le materiali difficoltà rinvenute nel ma- teriale cammino, alto e silvestre dell'inferno e del purgatorio. L'allegoria, vale a dire il senso vero, la verità nascosa nella Commedia, rigorosamente si ri- stringe ad un viaggio mentale di Dante giovato dal- la filosofia, cioè da tutte le scienze, vo' dire , onde questa si compone. Questo viaggio dell'intelletto, per me, quanto alla sostanza , è simile , anzi uno con quello che Severino Boezio nel suo libro della Con- solazione descrive fatto dalla sua mente. E siccome questo filosofo col puro aiuto della filosofìa levasi mentalmente contemplando le miserie morali e fi- siche dì questo mondo terreno sino alla somma bea- titudine del cielo, sino alla immediata intuizione del- l'essenza divina, senza che abbia dato pure un sol passo fuori della sua prigione, senza che nemmeno abbandonasse un istante pure il suo letto di dolore: così per istretta e magistrale imitazione fece Dante col solo ed unico sussidio della poesia virgiliana e della filosofia. Ma e che altro avea fatto Boezio sce- gliendosi per maestra, guida e conforto quella insi- gne matrona di ambigua dimensione, la quale ora Divina Commedia 335 agguagliava la comune statura dell'uomo, ora toc- cava col capo il cielo, ed ora cotanto s'ingrandiva che spinta la testa al di sopra dei cieli s' involava all'umana \eduta (*) ? La portentosa donna è la fi- losofia (così egli ne avverte il lettore) che nelle varie dimensioni della sua parvenza significa le sue tre parti principali, ciò sono scienza delle cose corrutti- bili o sublunari, scienza dalle incorruttibili o spiri- tuali e celesti, e scienza della divinità. La prima fu as- segnata per Dante a Virgilio, la seconda a Beatrice, ed a Bernardo la terza ed ultima. In tal guisa intesa la finzione poetica, Dante (come Boezio) ha potuto senza miracoli, senza pure una mossa di piede, discoi-- rere ed ammirare quanto per occhio o per mente si gira. Dunque come è indubitato che l'allegoria esclu- de da questo viaggio la materialità degli strepitosi miracoli, ed i veri e materiali movimenti del corpo: COSI fermo è altresì che il mito delle quattro età da noi disaminate non puote essere, non può tro- varsi che nella superficie della letterale sentenza, e così fermo è del pari che il testo in questo argo- (') Ecco le parole di Boezio : « Haec dum mecum tacitus repu- tarem .... aslilisse mihi supra verticem visa est mulier reverendi admodum vultus, oculis ardeiitibus, et ultra coramunem vaienliani perspicacibus, colore vivido, atque inexhausti vigoris, quamvis ila aevi piena foret, ut nullo modo nostrae crederetur aetatis, « statu- » ra discretionis ambiguae. Nam nuiic quidem ad communem se se » hominutn mensuram cohibebat : nunc vero pulsare coelum snmini » verticis caòumine videbalur ; quae cum caput altius extulisset_, )j ipsum eliam coelum penetrabal, respicientiumque sese hominum •1 frustrabatur intuitu.s. i> Lih. I, par. I. 336 Letteratura mento non deesi allegare in altro significato, salvo quello della lettera, come noi abbiam fatto. Il perchè oh come ora trionfa ed esulta l'ora- zion mia di poter una volta affermare con vostra persuasione, o valorosi tiberini, o gentili signori, che veramente nelle diverse maniere tenute dal simbolico pellegrino sono ad una ad una figurate le quattro parti della vita umana! Imperciocché quindi la di- vina commedia, come se investita fosse dai raggi di splendentissimo sole, dispiega alla mente dei lettori le divine bellezze e gli immensi tesori, onde a prò d'ogni età fu dal discreto poeta anche nella lettera arricchita. Per questa ogni età può ammaestrarsi di quei reggimenti belli, che all'umano consorzio più so- no in pregio. Per questa ogni individuo dell'umana società apprende a qual vero e santo fine devono tendere le azioni della nobile persona. Chi in fatti non commenderà, non ammirerà, non amerà , non imiterà a suo potere la gioviale gravità, onde quel savio gentil che tutto seppe ammaestrò, incoraggiò, difese ed aiutò il discente nella spinosa carriera della nobile educazione ? Chi non ammirerà, chi non farà plauso, chi non porterà affetto alla gentile docilità, alla delicatezza, avidità d'imparare, gratitudine esem- plare, soavità di modi, acutezza di mente dell'inge- nuo viatore? Chi non vorrà farsi imitatore di Dante, se mai fortuna lo accolga nelle uguali circostanze ove egli si rinvenne? Quale tra le femmine di cuor gentile non si augurerà le geniali, le compagnevoli, le gravi, le rette maniere di Beatrice Portinari: di cui se non sai determinare quale tra la bellezza del corpo, e la nobiltà dello spirito sia maggiore , sei Divini Commedia 337 però stretto a dire che 1' una e l'altra sfavillano in sommo grado da quella angelicata persona. Quale tra gii uomini di sana mente non invidierà al via- tor fiorentino la ventura di tanta amicizia, onde ad un'ora gli proveniva un paradiso all'occhio ed all' orecchio, ed una dolce potentissima spinta che quasi per una scala di rose lo elevava alla somma felicità dei beati e degli angeli ? Deh così ogni vecchio fosse un altro Virgilio! deh così ogni adolescente ed ogni giovane, ogni uomo fosse un'altro Dante ! così ogni femmina un'altra Beatrice! e noi vedremmo ad uno ad uno gl'individui dell'umana famiglia correre dritti « lieti alla città de! ben vivere, e con buona pace farsi imitatori di quella vera ed eterna Roma, ove i santi sono i patrici, onde Cristo è romano, ove ogni volontà è liberamente felice di prestare ossequio ed obbedienza piena e pronta all'Amore che muove il sole e le altre stelle. G.A.T.CXV. 32 338 Il primo libro delle quistioni accademiche di M. Tullio Cicerone fatto volgare da Gianfrancesco Ramhelli, M. CHIARISSIMO CAV. SALVATORE BETTI accademico deila crusca professore e segretario perpetuo dtlVinsigne e pontificia accademia dì s. Luca. jIà grandissimo tempo che ho in animo di mo- strarvi con pubblico segno l'altissima stima in che sempre vi ebbi ; il che la mala fortuna, la quale da lunghi anni mi persegue tenendomi avvolto in tante e si moleste cure, ha fatto che io non abbia potuto giammai. Ora però che alquanto me ne veggo strigalo , venutomi alle mani un volgarizzamento del primo libro delle quistioni accademiche di M. Tullio da me fatto, or sono più anni, ho dato mano a riforbirlo ; e quindi oso intitolarlo a voi , chia- rissimo sig. cavaliere, non già perchè io tenga che la parola volgare, che vi ho posta di mio, valga punto: ma perchè eversione d'uno scritto del sommo arpinate, lume principalissimo di questa Italia, alla quale voi pure avete accresciuto tanto di gloria , non solo colle dotte ed elegantissime scritture d'ogni maniera, in cui colla purezza delle dottrine e colla potenza dell'esempio avete mantenuto casto ed illeso il santo patrimonio della lingua nazionale, ma spe- qialmente colla insigne vostra opera dell'ilALiA iL- *^ QUISTIONI ACCADEMICHE 339 LUSTRE, la quale in brevi pagine ponendoci innanzi quanti dell'antica e moderna Italia fiorirono massi- mamente per fama di scienze e di arti, è poi per altezza di pensieri, nobiltà di sentenze, squisita bontà di favella , per T argomento e la trattazione , tutte italianissime, tanto classica ed altamente civile che nulla più. Ben lo han mostro le bellissime accoglienze che si ebbe per tutto, e le tante lodi e ristampe che le si diedero j e che vieppiù cresceranno presso le ge- nerazioni future; tanta è la sapienza, la dottrina, l' acuta critica e il compiuto magistero dell' arte che usaste in quel nazionale lavoro, veramente degno della condizione de'tempi presenti. Il che se tutti possono e debbono ammirare ed apprezzare, ninno lo può conoscere e sentire al pari di me, che acceso il petto della gloria e civiltà d'Italia discesi già da più anni a trattare l'argomento medesimo in quella sola parte che riguarda V itali- che invenzioni (1) e i furti fattici dagli stranieri, che ci ruberebbero lo alito , giusta l' energica frase del segretario fiorentino, E parmi ancora che l'altrui benignità dovesse mostrarsi vieppiù inchinala alle nostre fatiche : che tante sentenze, ch'or si gridano novelle, tante dot- trine che voglionsi nate l'altro dì, tanti fatti che si dicono testé diseppelliti, noi li trombavamo alla sorda Italia già da più lustri, e ne bandivamo a tutta voce la gloria e la potenza^ e ciò spontaneamente, senza (1) V. Lettere intorno invenzioni e scoperte italiane di G.F. Rambelli, ediz. sesta. Modena, per Vincenzio Rossi 1844 in 8. gr. 340 Letteratura nissuna speranza, senza nissun premio, e senza que- gli aiuti ed incoraggiamenti che sovente valgono a fare le opere grandi e degne. Perdonate, chiarissimo cavaliere, se il pensiero della grandezza d'Italia m'ha tratto fuor di via , e a dire anco di me. Conservatevi all'onore della pa- tria comune , che avete sì altamente illustrata ; ed accogliete con benigno animo l'offerta della tradu- zione d'un libro che fu trascurato in addietro, non avendolo neanche italianato la contessa Malvezzi, che pur fe'tutte volgari le opere filosofiche di M. Tullio. Ed alla vostra grazia vivamente mi raccomando sic- come Tutto vostro Gianfrancesco RamhelU. Cicerone saluta Varrone Comechè l'esigere un dono , ancorché alcuno ce l'abbia promesso, non soglia farsi neppure dal po- polo , se non concitato , pure io dall' aspettazione della tua promessa sono spinto a ricordartelo, non a pretenderlo. Mandoti perciò quattro rammentatori, non troppo modesti: ma tu ben conosci di che fac- cia sia quella giovinetta accademia; e te li mando tratti dal bel mezzo di essa; ma non vorrei che per avventura t'importunassero, quand'io commisi loro di pregare soltanto. Io slava aspettando già da gran pezza , e mi riteneva dallo scriverti innanzi d' aver ricevuta da te alcuna cosa, a intendimento di rimu- nerarti con dono assai somigliante. Ma facendo tu ciò- più tardi, o com'io l'interpreto, con più diligenza, QUISTIONI ACCADEMICHE 34 ^ non mi son potuto tenere di non mostrare la con- giunzione dello studio ed affetto nostro con quel genere di scrittura che potei. Scrissi adunque il dia- logo da noi tenuto in Cumano , quand'era nosco Pomponio. Diedi a te le parti di Antioco, le quali mi pareva aver compreso che ti piacessero, e presi per me quelle di Filone. Penso che allorquando leg- gerai, ti maraviglierai che fra noi siasi ragionato di ciò che non mai fu: ma tu conosci il costume de' dialoghi. Quind'innanzi, o mio Varrone, se ti piacerà parleremo fra noi di moltissime cose, e de'casi no- stri, tardi forse; ma ce ne scusi la passata fortuna della repubblica. Ora a noi è richiesto il dar conto del presente. Ed oh , ridotte a pace le cose , e a qualche stato se non buono, almen fermo la città, potessimo fra noi coltivare questi studi? Sebbene al- lora cert'altre occorrenze ci darebbono forse oneste cure e faccende; laddove ora qual ragione abbiamo di voler vivere senza codesti studi ? Quanto a me certo, appena c'è con essi , tolti i quali neppur ci sarebbe. Ma di ciò parleremo a bocca e più di «o- vente. Piaccia a Dio che il trasportamento e la com- pera bene e felicemente ti riescano! e in ciò molto mi piace la tua deliberazione. Attendi a star sano. Il primo libro delie quistioni accademiche di M> Tullio Cicerone a M. Terenzio Varrone. i. Non ha molto, che essendo meco il nostro Attico m Cumano, ci fu annunciato per parte di 342 Letteratura M. A^arrone, eh' egli era venuto da Roma ìa sera innanzi, e che, se non fosse stato stanco dal viag- gio, sarebbesi direttamente recato da noi. Il che avendo udito , reputammo non doversi frapporre alcun indugio per vedere un uomo a noi congiunto e per somiglianza di studi e per antica amicizia. Subito per tanto imprendemmo ad andare a lui : ed essendo poco lontani alla sua villa, lo vedemmo che veniva alla nostra volta: ed avendolo abbrac- ciato, com'è costume degli amici, lo riconducemmo alla sua villa per assai lungo spazio. Qui avendo egli primo dette poche parole, e domandando io qual cosa per avventura fosse di nuovo in Roma; Attico allora: Tralascia codesto, disse, che non pos- siamo né domandare né udire senza molestia: chiedi e ricerca piuttosto che mai egli componga di nuovo, giacché tacciono le muse di Varrone da più lungo tempo che non solevano: né stimo eh' egli si ri- manga dallo scrivere, ma che tenga celato ciò che scrive. Non già, rispos'egli, pensando io essere da intemperante lo scrivere ciò che l'uomo voglia oc- cultare; ma ho per le mani una grand'opera, di cui già da buon pezzo dedicai alcune parti a costui (e diceva a m.e), le quali e sono grandi per verità, e si limano da me più politamente. Ed io: Queste ap- punto, o Varrone, aspetto già da gran tempo: pur non ardisco chiederle: avendo avuto dal nostro Li- bone, di cui conosci l'affetto (e non possiamo na- scondere alcuna di siffatte cose), che tu non le la- sci a parte, ma più accuratamente le tratti, né mai le deponi dalle mani. Innanzi a questo tempo poi non mi cadde giammai in pensiero di ricercar que- QUISTIONI ACCADEMICHE 343 slo da te; ma poiché ora mi son posto a traman- dare a'posteri quelle dottrine che imparai insieme con te, ed illustrare con latine lettere quell'antica filosofìa che da Socrate ebbe il nascimento, domando perchè iaccadà, che tu scrivendo molte cose, trala- sci questo genere: massime che tu sei in esso ec- cellente, sorpassando inoltre quello studio e tutta quella scienza dì gran lunga le altre arti e disci- pline tutte. 2. Allora Varrohe: Mi riceròhi di cosà da me sovente deliberata, e molto considerata. Pertanto ri- sponderò francamente: ma dirò solo quanto ho in pronto, avendo io, come ho detto, su questa istessa materia meditato molto e lungamente. Vedendo io la filosofia venire spiegata molto accuratamente per via delle lettere greche, avvisai che se alcuno dei nostri fossero presi dall' amore di lei , se fossero dotti nelle greche discipline , avrebbero letti più presto gli scritti greci che i nostri. Se poi fossero stati alieni dalle arti e discipline greche, non avreb- bero curato neppur queste, le quali non si possono intendere senza greca erudizione. Ondechè io non volli scrivere quello, che né gl'itidotti potessero in- tendere, né i dotti si curassero di leggere. E ben tu stesso vedi queste medesime cose; poiché appren- desti non poter noi esser simili ad Araafanio od a Rabirio, i quali senza uso di arte alcuna disputano in volgar sermone intorno alle cose che hanno di- nanzi agli occhi, nulla definiscono, nulla dividono, nulla concludono da una adattata interrogazione; e pensano infine che non ci sia arte alcuna di favel- lare e di disputare. Ma obbedendo noi, siccome a SA'^f Letteratura leggi, a'precetti de'dialettici e degli oratori (poiché" pensano essere in noi l'una e l'altra facoltà e virtù) in guisa che siamo costretti a servirci di parole tal- volta nuove, le quali i dotti, come dissi, amano di togliere più presto da'greci; gl'indotti non ricevereb- bero neanche da noi: quindi s'intraprenderebbe in- darno ogni fatica. Or poi s'io approvassi Epicuro , cioè Democrito, potrei scrivere delle cose fisiche così pianamente, come Amafanio. E qual cosa di grande, tolte le cause efficienti delle cose, è nel parlare del fortuito combinarsi de'corpuscoli, che cosi chiama gli atomil Tu conosci la nostra fìsica, che del^e//e^ tuazione si forma, e di quella materia la quale dalla effettuazione viene fìnta e formata. Usar si deve an- cora la materia (1): mentre con quali parole potrà r uomo o far intendere ad altri quelle stesse dot- trine della vita e de'costumi, dell'appetire e fuggire le cose? Nel che queglino pensano semplicemente, lo stesso bene essere proprio dell'uomo e della bestia: presso i nostri poi non ignori quale e quanta s^ia la sottigliezza. 0 sia che tu seguiti Zenone, sarà un por- tento il fare in modo che alcuno intenda qual cosa sia quel bene puro e semplice, che non può sepa- rarsi dalla onestà : il qual bene nega al tutto Epi- curo potersi neanche sospettare qual sia, senza i pia- ceri che muovono il senso. Se poi ci terremo all' antica accademia, la quale approviamo, come sai , quanto quelle materie avranno a spiegarsi acuta- mente da noi ! con quanta arguzia, e con quanto di oscurità ancora si dovrà disputare contro gli stoici'. -i-^7iM iiv ; I (1) AUri qui legge Ja geometria- fii.i.np. QuiSTIom ACCADEMICHE 345 Tutto adunque quello studio della filosofia io stessa adopero per me ; e a costanza di vita, per quanto posso, e a dilettazione dell' animo : e penso , come scrive Platone , che gli dei non abbiano fatto agli uomini maggiore o miglior dono di essa : ma i miei amici, che ne han desiderio, li mando in Grecia: vo- glio cioè che abbiano ricorso a'greci, acciò attin- gano più presto quelle materie alle fonti, di quello che tengano dietro a rivoletti. Quelle dottrine poi che ninno avea per anche insegnate, ne era libro onde gli studiosi potessero apprenderlo, quelle per quanto potei (che non mi do vanto de' miei scritti) procacciai che da'nostri fossero conosciute, non po- tendosi ricavare da'greci; e, dopo la morte del no- stro L. Elio , né anche da' latini. E nondimeno io que'miei antichi scritti sparsi d'una certa ilarità, in cui ebbi imitato e non tradotto Menippo, molte cose sono frammischiate tratte dall'intima filosofìa, molte dette dialetticamente; le quali acciò i men dotti più agevolmente intendessero, invitati a leggere da una certa giocondczza, volli scrivere ancora filosofica- mente nelle lodi e negli stessi proemi delle anti- chità, se però tanto giunsi a conseguire. 3. Allora dico io : Queste sono veramente le cose che bramo, o Varrone : mercechè i tuoi libri condussero quasi a casa noi peregrinanti ed erran- ti, come stranieri, affinchè pur una volta ne fosse dato conoscere quali fossimo e dove. Tu disvelasti 1' età della patria , tu gli ordini de'tempi, tu le leggi de'sagrifici e de'sacerdoti , tu la domestica e militare disciplina, tu la sede delle regioni e de 'luoghi, tu i nomi, i generi, gli uffici. 346 Letteratura e le cagioni di tutte le divine ed umane cose; è moltissimo lume recasti a' nostri poeti , totalmente poi alle lettere e parole latine: e tu stesso compo- nesti un poema vario e splendente d'ogni eleganza; e in molti luoghi imprendesti a scrivere di filoso- fìa: il che se era bastevole a sospingere ad abbrac- ciarla , era assai poco per insegnarla. Vero è che tu rechi di ciò probabil cagione, dicendo: o i dot- ti in greco ameranno meglio di leggere le cose scritte in tal lingua, o gì' ignoranti di greco nep- pur leggeranno queste latine. Ma porgimi orecchio ora, e vedi se tu il provi abbastanza ? poiché par- rai anzi che e leggeranno tali materie coloro che non potranno leggere le greche; e queglino che il potranno non isprezzeranno le proprie. È perchè mai gli eruditi in greco leggono i poeti latini, e non i filosofi? Avviene forse questo perchè recano diletto Ennio, Pacuvio, Accio, e molti altri, i qua- li espressero non le parole, ma lo spirito de' greci poeti? quanto più diletter.-ìnno i filosofi, se al par di quelli, che imitarono Eschilo, Sofocle, Euripide, così imiteranno questi Platone, Aristotele, Teofrasto? Ben veggo commendarsi gli oratori , ma fra nostri i soli imitatori d' Iperide o di Demostene. Io poi (dirò la cOvSa com'è) mentre l'ambizione, gli onori, le cause; mentre non solo la cura della re- pubblica, ma una certa amministrazione ancora mi tenevano involto e stretto in molti uffici, io ser- bava chiuse in me queste filosofiche dottrine: e a non obbliarle col tempo, leggendole quando il po- teva , ne rinnovava la memoria. Or poi e percosso di grave ferita della fortuna, e liberato dall' am- QUISTIONI ACCADEMICHE 34t tninistrare la repubblica, ripeto dalla filosofia la me- dicina del dolore , e giudico onoratissima questa tranquilla dileltazicMiJ. Mercechè o ciò è in ispe- cial modo confacenle a questa età , o è massima- mente consentaneo a quelle azioni, se niuna n'ope- rammo degna di lode; o eziandio nulla è più utile ad istruire i nostri cittadini , o se ciò non è così , non \eggo nessun'altra cosa, che noi possiamo fare. Il nostro Bruto invero, eccellente per ogni genere di lode, tratta la filosofia latinamente per modo che nulla resta a desiderare alla Grecia delle medesi- me materie: ed è della medesima opinione che tu, essendo egli una volta stato in Atene discepolo di Aristo, e tu di Antioco suo fratello; ondechè ti pre- go ad applicarti a codesto ramo di letteratura. 4. Allora egli ripigliò: E questo pure prenderò a considerare , ma non senza te. Ma di te stesso , proseguì, che è quello che sento a dire ? In qual materia, rispondo? Sento, replicò, che lasciata ornai da te r antica filosofia tratti ora la nuova. E che dunque (interruppi io)? sarà egli pi<\ lecito ad An- tioco, nostro famigliare, il passare da una nuova casa ad una vecchia, che a me nella nuova dalla vec- chia accademia? E di vero le più recenti cose sono le più corrette ed emendate. Comecché Filone mae- stro d'Antioco, grand' uomo, come tu stesso stimi, neghi ne' libri ( il che avevam anche sentito dalla sua bocca ) due essere le accademie , redarguendo l'errore di coloro che tennero questa sentenza. La cosa è come dici, ripigliò Varrone : ma non credo che tu ignori quanto Antioco scrisse contro Filo- ne. Vorrei anzi ( io dico se non t'è grave ) che e 348 Letteratura queste cose e tutta la dottrina dell'antica accademia, cui da gran pezza non ho dato opera, fosser ora rinnovate da te , e perciò sediamoci insieme , se ti piace. Piacemij ei disse: poiché mi sento assai debo- le; ma vediamo se Attico acconsenta ei pure al de- siderio d' ambedue noi. E Attico: Molto volentieri, disse : e che è mai eh' io più presto desideri che rammentare le cose già un tempo udite da Antioco, e vedere insieme se quelle possano dirsi latinamen- te in modo abbastanza facile? Il che essendosi detto, sedemmo tutti l'uno in faccia dell'altro. Allora Varrone così prese a dire: Egli mi pare che Socrate, come tutti sanno, pel primo da cose occulte e dalla stessa natura involute, in cui innan- zi ad esso furono occupati tutti i filosofi, richiamas- se la filosofia , e alla vita comune la conducesse , acciocché e delle virtù e de'vizi, e al tutto del bene e del male si desse a far ricerche; pensando poi le cose celesti o esser molto lungi dalla nostra cogni- zione , o se in particolar modo fossero conosciute , non giovar nondimeno al ben vivere. Costui in qua- si tutti i ragionamenti, che da'suoi discepoli varia- mente e diffusamente furono scritti, disputa in modo ch'egli stesso nulla affermi, ma combatta gli altri, e dica altro non sapere che quello solo, che ei nul- la sa: superare per ciò gli altri, mentre essi repu- tano di saper quello che non sanno, esso quest'u- no sapersi di nulla sapere; e quindi pensare d'essere stato chiamato da Apollo il più sapiente di tutti , perchè questa era la sola di tutte le sapienze, non credere di sapere ciò che s' ignoia. Il che dicendo costantemente, e in quella sentenza durando, spendeva QUISTIONI ACCADEMICHE 340 Ogni ragionamento nel commendare la virtù, e nel confortar gli uomini tutti a seguitarla studiosamente, siccome può intendersi da'libri socratici, e massime di Platone. Ma per 1' autorità di Platone, il quale fu \ario , molteplice ed abbondante , quella sola e consenziente forma di filosofia si cominciò a chia- mare con due vocaboli, di accademici cioè e peri- patetici , i quali convenendo nella sostanza differi- vano nei nomi. Appresso avendo Platone lasciato quasi erede della filosofìa Speusippo,, figliuolo d'una sorella, ed inoltre due uomini prestantissimi per i- studio e dottrina Zenocrate di Calcedonia e Ari- stotele di Stagira: quelli che seguitavano Aristotele furon chiamati peripatetici, perchè disputavano pas- seggiando nel liceo : queglino poi, che secondo l' istituto di Platone erano soliti ad aver adunanze e ragionamenti nell'accademia, che è un altro ginna- sio, furon chiamati dal nome del luogo. Ma ripie- ni entrambi tli quella ubertà platonica , una certa lai qual formula di disciplina composero piena e ridondante, lasciato al tutto quel socratico dubitare di tutte le cose e quel modo dì disputare senza af- fermar nulla. E per tal modo si fé' ( cosa che non punto approvava Socrate ) della filosofia una cert* arte, e un ordine di cose e descrizione di disciplina. La quale d' apprima (come dissi) era una sola con due nomi, nulla differendo fra loro i peripatetici e quell'antica accademia. Maggioreggiava poi Aristo- tile, come parmi, per certa abbondanza d' ingegno: ma beveano ambidue alla stessa fonte , ed era per essi uguale la partizione delle cose da desiderare e da fuggire. Ma che fo io? ei disse: ben sono fuori 358 Letteratura di senno ad insegnare queste cose a voi: poiché seb- bene non debbano i paperi menar e bere le oche, come dicono, tuttavia da taluno s'insegna sciocca- mente ai dotti. 5. Allora rispose Attico: Prosegui, o Varrone: perchè porto grandissimo amore a' nostri ed alle cose nostre , e siffatte materie dilettanmi allorché sono dette latinamente e per tal modo. E che cosa, ripigliai io, pensi che possa offrire al popolo no- stro io che già ho professata la filosofìa? Or segui- tiamo, ei riprese, poiché t'è in piacere. Fu dunque già cara a Platone una triplice maniera di filosofa- re: la prima intorno la vita ed i costumi, I' altra intorno la natura e le cose occulte , e la terza sul disputare ciò che fosse vero o falso ; che retto o pravo nel discorso ; che consenziente o repugnante nel giudicare. E quella prima parte del ben vivere ripetevano dalla natura; e a lei dicevano aversi ad obbedire; e in niun altra cosa che nella natura a-« versi a ricercare quel sommo, a cui tutte si riferi- scono le cose: e stabilivano essere l' estremo delle brame ed il fine dei beni 1' aver tutto conseguito dalla natura dell'animo, dal corpo e dalla vita. Dei beni corporali altri ponevano essere in tutto il cor- po, altri nelle parti. Una robusta sanità nel tutto : nelle parti poi i sensi interi, ed una certa eccellen- za in alcune delle singole parti , come la velocità nei piedi , la forza nelle mani , la chiarezza nella voce, e nella lingua una distinta articolazione dei suoni. Air animo poi appartenevano que' beni che per mezzo degli ingegni erano acconci alla com- prensione di alcune virtù: e questi dividevano in QUISTIONI ACCADEMICHE 351 beni di natura e eh costume. Accordavano alla na- tura la prontezza dell'imparare e la memoria, l'u- na e l'altra delle quali è propria della natura e dell' ingegno; riputando poi appartenere a' costumi gli studi e quasi la consuetudine, la quale formavano parte coU'assiduità dell'esercizio, parte colla ragio- ne. E in questi beni era la filosofia istessa , nella quale ciò che è incominciato e non finito chiamasi istradamento alla virtù; il finito, cioè la virtù, chia- masi quasi perfezione di natura, e fra tutte le cose che ripongono negli animi la sola ottima. E questi sono i beni degli animi. Colla vita poi ( che è la terza parte della divisione) dicevano andar congiunti i beni giovevoli all'uso della virtù. Oggimai vedesi la virtù in certi beni di animo e di corpo, i quali non tanto sono uniti alla natura, quanto ad una vita beata. Avvisavano l' uomo essere quasi una certa parte della città e di tutto l'uman genere, ed esser congiunto cogli uomini per una certa umana socie- tà. In tal modo essi trattano del bene sommo , e naturale: tutte le altre cose poi pensano appartene- re o ad aumento o a conservazione de' beni , sic- come le ricchezze, la potenza, la gloria, la- grazia. Così vengono da loro tripartite le maniere dei beni. (Continua.) 352 Alcune considerazioni sulla fortuna de lessici della lingua italiana^ del dottore Antonio Racheli. Sermo est veluti mentis nuncius, qui ex ea procediti nec alia exsistit vocis erigo. Galeno. x u già detto da molti , e ripetuto da un moder- no scrittore, doversi reputare lo studio della lingua il primo dopo quello della religione: e andar errati coloro, i quali giudicano le parole non più che u- «a veste dei pensieri. Perocché sendoci data la ra- gione in quanto massimamente noi possiam comu- nicare con altrui parlando e scrivendo, la parola ne riesce per cosi dire una parte essenziale : e non i- studiandola, verremo a scemare in noi i frutti di quell'altissima dilFicoltà. Ecco perchè dall'osservanza, in che la ritiene un popolo, ne inferiamo la civile grandezza, o la civile miseria; e venuta meno ogni altra potenza od ordine di cose, basti ancor la fa- vella a rappresentare la scaduta nazione. Né a pro- teggere dallo insulto de' tempi questo prezioso re- taggio possono gran fatto l' uso e la viva consue- tudine del favellare: da che ogni età e generazione seco recando proprie leggi arbitrarie, o a lei venu- te da esterno commercio, da prepotenza di nemico, non avremmo il più che un'ampia, ma spesso adul- tera somma di voci, non punto capace d'una veste Lessici dkli.a lingua ital. 353 «azionale , disordinata , incerta: la quale al mutarsi di questo a quel luogo varierebbe continuamente di giacitura e di sembianze; e quindi i pensieri si par- rebbero quando pigri e diffusi in una puerile spe- cialità; o quando alla fazione sconciamente smozzati. Per lo che l'apprendimento della :patria favella non può meglio venirci fatto, die studiando nella scrit- ta sapienza del passato, dove le diverse e dotte gen- ti procacciarono di dare ad infiniti conceftti , infi- nite e benadalle le forme. E frontosa superbia quel- la sarebbe di torcere dalle orme de'più sovrani in- gegni , air eccellenza de' quali nessuno ancora salì dopo il volgere di quasi cinque secoli, per farla, come suol dirsi, co'nostri feri'i, e per illaidire e spe- gnere sovente, troppo allargandone il freno, le mi- gliori inspirazioni dell' anima. Lo studio de'<;lassici non circoscrive gli abiti della libera mente, che anzi dà meglio facile uscita a'pensieri : ne quegli scer- vellati novatori possonlo sapere, che di tutto sie- dono a banco , e non hanno fiore di dottrina ; ma si que' generosi solamente, che vi hanno faticato per entro lo ingegno dal primo mettere il pelo sulle gote infino a maturità, a vecchiezza; ingegni, come direbbe il Giordani, sobri ed asciutti, che a scrivere pei secoli osteggiano il secolo; ben sapendo che è vecchia , quanto solenne , la impudenza di svilire tutto che non si pensi aggiungere o non si possa. Nondimeno al conoscimento della lingua, per quanto lo studio de'classici sia di grande importan- za, anzi il principalissimo, pare a me, che siccome fa duopo a leggergli, e a toglierne il senso di sa- per già di grammatica, cosi a profondamente cora- G.A.T.CXV. 23 354 Letteratu&a ' prendergli^ ed imprimerne,' per ■•ttio' <}i dire,' denti-o noi le forme, sia bisogno de' lessici , i quali dili- gentemente compilati non altro Tenendo ad essere che quasi un seguito della ragion grammaticale, sen- za una lunga intenzione di mente giovano, che più importa , a meglio dichiarare e porre in sodo il preciso e netto valor delle scritture. Anzi dicasi, a ben dire, non presentare le grammatiche che le ge- neriche leggi è come l'orditura della lingua, e solo i dizionari offrircene bella e maniata la materia a compiere ogni nostra gran tela; tantoché ferman- done al possibile ogni particolarità , e dove avvi- sandone le apparenti dissonanze e le svariate fat- tezze, dove i più accomodati partiti e le pili arcane maraviglie, e quali indivisibili maestri scorgendoci avanti adf ogni lettura , sopperiscono per intero ai bisogni dello studioso. Ma per questi ed altri sif^ fatti pregi il lessico non ci tornerebbe più che un me- todo d'abbreviazione nello studio del linguaggio, se capitale sua dote quella non fosse di venire a mano a mano come di ritegno al rompente ingegno , e alla violenza della età contrastando, all'oro de'clas- siei non richiamasse la licenza degli scrittori. Ciascuna nazione pertanto , che più isappia di civiltà, a buon diritto vanta un lessico della propria favella: e la nostra, che di tutte fu tenuta mai sem- pre la maestra , sei prese a lavorare col maggior caldo dell' animo, quando per ancora le altre non ne avevano fatto pensiero. E tra le città d' Italia, non so per quale abbattimento, non ad alcuna del- la Toscana, sì a Napoli tocca la gloria di schiudere la prima il cammino alla compilazione di un'opera, Lessici della lingua ital. 355 alla quale la Grecia sola riparar volendo in qualche guisa il perduto onor della nazione, s' era, benché fiaccamente , un tempo cimentata. Onde 1' apparire del piccolo dizionario di Fabrizio de Lena fi 536) fu come un lamponi ,ma{jgiori speranze, ch'ebbe a balenare alla mente degli italiani. Non però qui diremo delle stentate compilazioni di certo Acaiisio, pessimo scrittore ch'egli era e di nessuna vena; il quale di poco avanzando col numero delle voci il dizionario di Lena, né conoscendo per avventura il pregio del suo proprio lavoro, mise in campo la pri- ma volta sulla bonlà dei vocaboli da lui registrati miserande quistioni; le quali appresso divennero fie- ramente accanite, e fino a noi divietarono che fosse adempiuto il voto d'ogni vero italiano. Ma seguita- mente la raccolta di frasi del Montemerlo (1566) , e i tentativi, benché miseri, del Politi ( 1614), e la mal digesta fabbica dell'Alunno, troppo forse mes- sa in beffe dal Tassoni, ebbero finalmente im feli- ce esito nella prima edizione del vocabolario , che gli accademici della Crusca diedero all'Italia l'anno 1612; preceduti però nella esecuzione, se non nel- la stampa, dal Pergamini, il quale sebbene abbia ca- nonizzate nel suo lessico per buone assai mediocri scritture, consentì tuttavolta al grande Torquato 1' onore negatogli poi si caparbiamente dagli accade- mici, che è a dive quello delle citazioni. Che se però avventurosamente noi fummo i primi tra tutte le moderne nazioni a mostrarci in questo forte arrin- go, siamo poi rimasi poco meno gii ultimi alle prove; dappoiché il vocabolario in quella sua prima mo- stra non era che appena sbozzato, e l'invidia e non 35G Letteratura so quale altra peggior maledizione pose in discordia i più savi d'Italia, i quali per intero un secolo, da chi pretendendosi che tutti i letterati in un com- preso, da chi la sola Crusca ne sedesse legislatrice, e perfino questionandone il titolo, se lessico italiano o toscano, dormirono sulla importanza di tant'opera: onde poi risentendosi accamparono a stuolo le loro forze, e talora uno solo d'essi, zelando pel reale bi- sogno della nazione , con gigantesco pensiero pose le mani nel lavoro di tanti, e osò di compierlo. Pure le sei varie ristampe fatte della vecchia Crusca non mai senza aggiunte e ammendamenti , in più tanti provarono essere quella un' opera , che il tempo solo, secondo pure fu detto nella prefazione del 1612, avrebbe recato a perfetto finimento : e gli accade- mici dopo l'edizione del Piterri (1763) mal furono infine seguiti nell'impresa dall'Alberti, che assai da loro discorde aveva l'animo ed il concetto. Gli uni fino allo scrupolo incettatori di classiche gemme , dove loro falliva di trovare autorevoli esempi di scrittori, passavansi di maniere e vocaboli classicis- simi e, che è più, necessari. L'altro, sguinzagliando i bracchi, legislatore prosuntuoso della bontà delle voci, e come non purgato scrittore egli stesso, cosi fu troppo corrivo a donare la cittadinanza ad al- cune voci e modi nati novellamente, o dal caso, o dalla corruzione, senza alcun sentore di toscana na- tura , e radissimi voluti dal bisogno. Né a questo solo si stette la licenza dell'Alberti; avvegnaché dan- dosi egli a credere, che nella lingua, non altrimen- ti che nelle filosofiche discipline, debba pigliar gran campo r analogia , produsse in seguito ai vocaboli Lessici della lingua ital. 357 eh' egli stimò legittimi, perchè d'uso, anche le cosi dette voci di regola; per le quali a posta di qualun- que uomo si caverebbero da tutti i nomi indistinta- mente i verbi rispettivi , e cosi da' verbi i propri nomi : il che assai poco pratico lo mostra nelle ma- terie stesse, eh' ci maneggiava. Nelle cose della lin- gua non possono punto i sottili argomenti e le tra- file della metafisica, o d'una logica scrupolosa, salvo che a spiegale quello che la favella è in eflfetto: ma non a porvi legge o limite veruno, e meno a mu- tarla anche d'un menomo. Conciossiachè il linguag- gio non è il trovato d'alcun filosofo o d'altro scien- tifico personaggio : ma, secondo pur ne rafferma il chiarissimo marchese Puoti , opera solo di provvi- denza e di popolo , la cui favella è aggentilita , non alterata da'peregriui e savi scrittori. Sentiva però V Alberti fino d'allora, ne in parte senza ragione, che l'arte della guerra, la marineria, le forme conven- zionali della legislazione o innovate o cresciute, e, quel che più monta, il progresso delle scienze fìsi- siche e meccaniche volevano di nuove parole. Ma prima di credersi così sicuramente allo spoglio d'o- pere di scienza, nazionali e tradotte, non pensò che l'avvertire questo solenne bisogno è forse di molti; ma il soccorrerlo di colui solamente che ha cercato e per poco veduto il fondo dell' intero linguaggio, e specialmente nel trecento provveduto l'intelletto; e che neppure i puristi hanno giammai preteso di ban- dire altre voci, dove l'ingegno umano, ardendo nel desiderio di poggiar più sublime , trova di do- ver fermare con non pili intesi segni i suoi non più iotesi concepimenti. Né meglio l'Alberti e'suoi par- 35^ Letteratura tigiani s'accorsero, essere codesti vocaboli, di fresco»' coniati e voluti dall'umano progresso, una pur mi- sera cosa verso l'intero tesoro della lingua cosi sva- riatamente filosofico, così profondamente infinito: che non già nel vocabolo nudo, ma nelle frasi e ne'co- strutti siede la dovizia e nazional figura dello idio- ma. Né voglio tacere che quando in luogo di vili- penderlo si studiasse meglio 1' aureo secolo dell'ita- lico linguaggio, assai pochi vocaboli, seguitando altresì i vantaggi delle scienze , resterebbero a crearsi ; e quando ciò pur bisognasse, non si potrebbero ag- giungere al tesoro della patria favella che dizioni , non frasi, la cui dovizia è cosa tutta sacra, né vuol essere menomamente offesa da profano ingegno. Per tutto questo adunque una disputa fu confusa o scam- biala con altra, le ciance sottentrarono al luogo del- la ragione, nulla si definì: ed il vocabolario, che è il massimo punto d' una ben dottrinata nazione, si rimase per anche un desiderio. Così la lingua passò' nelle scritture non osservata. Nessun pensiero venne dispeso per questa soavissima eredità, per cui le no- stre lagrime, i nostri voti, la vita de'padri nostri e de'figli trapassano alla memoria de'popoli più tardi. I quali pel fatale levarsi e venir meno delle nazioni, vinti così nella lingua come nelle armi , parleran forse altrimenti, che non sia colle sacre note deri- vate dalle fonti d'Arno e Valchiusa, ma tuttavia cu- ranti e capevoli ancora del passato, ricorrendo colla mente alle gloriose nostre lettere, non meno che al- le nostre sventure , fortemente se ne ammireranno. Pure questo soavissimo retaggio , ripeto , che solo divisa una nazione , ove un codice universale noa Lessici della lingua ital. 359 venga a crescergli pregio ed autorità , vagherà per perduto; perocché non può essere fermo e stabihto dalle scritture e dalla voce de' viventi letterati, né sono abbastanza gli ultimi lessici,. nei quali per quan- te sieno le poste correzioni e le giunte, ne avanza tuttora un moltiplico a fare. , Il Bartoli aveva notato, ed il poteva in una ji^oijr sa d'occhio, come gli stessi accademici, sì religiosi nella prima edizione e successive ristampe da non ammettere alcun vocabolq seìnza autorità d'esempio tolto da' classici , facendo poi la prefazione al loro lessico, usarono voci non messe a registro; e con tut- to questo si rizzavano a gridar selvaggi di lettere chi non più che tanto dilunga vasi da loro , e pieni di stomaco e di fierezza bandivansi maestri del dire. Tuttavia qui voglio avvertito come il Bartoli , il quale vide necessario un rifacimento di quell'opera, andasse poi errato della verità dichiarando che il vo- cabolario a differenza delle cose animate dovesse au- mentare per posizione ; onde , secondo lui malfatto avrebbe la Crusca d'aver, cosi, conje scoria, gittate e mandate a confini tutte le voci d' uso. Ma tutto a converso. Imperocché i difetti de' lessici si vole- vano allora riconoscere per upo spoglio non. accu- rato de'classici; per le edizioni di questi tuttayia po- vere, né ben raffrontate colle lezioni de'codici; , per gli strani abbagli nello interpretaai€>fltQ d'alcuni modi, e più che per altro dall'usurpata bali^ degli accade- mici di ripudiare con indegno animo à cooperatori lutti que' valorosi italiani, che nati non fossero sulle rive d'Arno; di maniera che nessuno d'essi avrebbe potuto recare al tempio della materna lingua un 360 Letteratura proprio lapillo di buon cavo. Perchè certo dalla mU' tabilità' del voljjo e dalla svarianza de' provinciali dialetti, la quale cospira, pili che rtiai altra cosa noi faccia, ad innovellare e crescere vocaboli e maniere, si debbe, chi ben vede, ribadire in noi il pensiero, non poter l' uso da sé legittimare le voci, e perciò metter bene che finalmente sia compiuto un codice, nel quale, come antico e sacro statuto, segnato ven- ga il linguaggio che i veramente purgatissimi scrit- tori adoperarono; scrittori che dopo secoli d'imita- zione nessuno giunse a superare e né tampoco ad uguagliare giammai, ed in cui la possession del lin- guaggio tutta si è ftwa, e acquistatasi il pregio ezian- dio delle due spente lingue greca e di Roma , che è quello ch'essa non sia più oscillante, né di pre- sente soggetta a variazione alcuna. Non è però eh' io voglia disconoscere all'uso que'diritti, che natu- ralmente e quasi assolutamente esercita sul linguag- gio. So bene che ogni maniera, ogni frase, e i vo- caboli medesimi ricevettero il valore non già dagli scrittori, ma dall'uso: parlata essendo prima una lin- gua, che scritta; pure, se non la potenza, io vorrei bene ristretto il senso , sotto cui può essere intesa quella parola. E primieramente per uso delia lin- gua italiana non s'intende già quello de'parziali dia- letti d' ogni nostra provincia, ma di quel paese sol- tanto che ottimamente parla; del che, a lasciar pure la storia delle moderne nazioni, troviamo esempio nell'antica Grecia, le leggi della cui favella non già indistintamente da tutte le province a lei vennero , ma dall' Attica soltanto : intantochè attlcc seribere valse altresì presso i latini scrivere per eccellenza. Lessici della lingua ital. 36f Racchiusa in questi termini la così detta consuetu'' dine della favella, egli è poi da osservare che, non altrimenti di tutte le umane cose, pure il linguag- gio conta r epoca della propria splendidezza , dopo la quale Tenne di grado in grado oscurandosi e corrompendosi^. Per la qual cosa a farlo rifiorire e cessarne possibilmente le cagioni che it mandano a perdizione, nulla è più proficuo del risoàpingere gli studi al tempo, in' cui tutta spiegò la naturale sua dote; e dall'uso, che allora se ne fece da ogni ge- nere scrittori, dobbiamo fare ritratto delie sue bel- lezze , e medesimamente apprenderne i diritti. Lad- dove, se a fermare il linguaggio ricorrere dovessimo senza distinzione e riserbo all' uso ed alle opere d' ogni età, dicalo chi ha fior d'intelletto, quanta con- fusione e laida mistura non ne verrebbe , massime quando le norme dello scrivere si dovessero impa- rare nel gergo di naoltissime odierne scritture! Pare il sapientissimo avviso di ricondurre Io studio della lingua agli scrittori del trecento ebbe fino a noi accaniti nemici; e già il Lami e l'Alga- rolti ed altri prima, accademici essi medesimi, ma diversi fra loro , avevano fatto le grasse risa sulle fatiche de'compilatori: ed il Gelli stesso ebbe con- fessata la scarsità di vocaboli di leggi e di scienze fisiche e meccaniche, poche opere avendosi in que- ste facoltà tradotte nel secolo d'oro; ma tuttavolta questi uomini di peso, peggio che ridere, rion sa- pevano mettersi in concordia , e s' abbandonavano anzi di dare all'opera l'ultima e necessaria mano. A queste dispute tenne dietro una follia, confine alla corruzione, d'assegnar voci latine alla nostra favella; 362 Letteratura follia che fallasi poi secolare licenza, dallo scrittore più scadente montando infìno al Redi ed al Salvini ebbe forza di legge. La lingua latina disse il Lon- gobardi essere la miniera della italiana ; il che si potrebbe almeno pensare, se tutti oggimai non si co- noscessero della origine della favella nostra, non fa- cendo anche ragione che un idioma toccato del per- fezionamento^ da uno stretto bisogno in fuori, ma- lamente accatta pur dalla materna lingua le voci : ed il Longobardi stesso^ nel punto di licenziare in (Questo fatto gli scrittori, non fece di latino giammai italiano, che mi sappia, un solo vocabolo, ed anzi in qualunque innovazione serbato raccomandava il dovere al giudìzio ed.alVuèo', il che palesamente si- gnifica non potersi arbitrare nel linguaggio né pun- to, né poco. A più veduta ragione il Varchi nel suo Ercolano , il Lami ed il Buomraattei misero fuori argomenti sulle diversissime guise di derivar voci dai primitivi. Cosi anche dalla viva favella del vol- go toscano, ad esempio del Redi e dello stesso An- ton Maria Salvini, si cavarono vocaboli e motti da esemplificarsi poi al possibile con qualche classica autorità; ma un'altra volta si die' nell'attribuir trop- po alla consuetudine; e del resto queste contese, che si tenean divisi gli animi de'meglio saputi, non e- rano che leggieri cose a quelle, di che accadeva si occupassero i savi a mandar pure a termine il les- sico dell' italico linguaggio. Il quale appresso pro- cede innanzi impoverendo tra le anfanie de' catte- dranti; e già s'era avuta una miseranda disfatta nel •seicento, dalle cui ciuffole e vesciche mal sapeva levarsi, dormiglioso com' era, alla primiera gloria f Lessici della lingua Hal. 36^ hullà o poco giovandogli poi gli sforzi e le pre- inure che nel secolo antecedente al nostro si mol- tiplicarono per le dottrine di molti. Dimenticanza di quanto s'era compiuto da'sovrani scrittori, e non so qual altro maligno spirito, sia di sprezzo, sia di grossa ignavia, diedero vita a que'rimbombanti pa- rolai, i quali, credendo di potere col numero porger rimedio alla poverezza de' loro studi , scambiarono le metafore e gli stranissimi deliramenti del seicen- to alle loro ciancrose arcadie, da cui, fattene poche eccezioni, il buon gusto errava a pezza sbandito. Il cannone della rivoluzione francese disciolse i con- gressi e le controversie letterarie; si lasciò quel vano sperpero di parole e quelle eterne inevitabili divi- nità, che a troppa strage furono poi tratte a' gior- ni nostri; e la poesia pigliò un canto guerresco, cre- scendo così anni alla sua rifinita esistenza. Ma quel canto guerresco esciva il più spesso da un cuor fiac- co: e si potevano poetare le armi, i forti e" le feri- te, ma non alzare all'antica e nobile baldezza l'animo del cittadino, che stupidamente vagava a rotta for- tuna col secolo, desioso a forti, ma fatui successi , e gridando libertà, solo in quanto due nazioni fa- cevano lo stesso. La poesia, che non meglio è com- mossa a' suoi voli, né meglio s' infiamma che tra V ira de'combattenti, lodava, lodava e non sapeva chi. errata nel sentimento, non poteva non errar nella pa- rola' per cui lungi dalle purissime sorgenti, da cui attinse l'Alighieri le sue immortali ire e generosi di- sdegni, venduta e misera sposava alla cetra de'nostri padri una canzone come nel pensiero così neir ac- cento bastarda. Ma appunto quando la corruzione è 364 Letteratura cimata e perFetta, sembra la stessa provvidenza ne additi un mezzo di salvamento: così quando il seco- lo furiava nelle gUerre , e le politiche opinioni in- formemente si rimestavano Colle letterarie, il Cesari più potente del secolo, riparato nel tranquillo de- gli studi , non badò punto alla voce de' tristi , non a quel vampiro di gloria che si presunsero e pro- cacciarono alcuni poveri spiriti : vampiro elettrico , ma che pur illude ed è caro alla vita. Sfidò il ma- lignare de' più discreti , siccome 1' abbaiamento del volgo; e mentre il cuore italiano non dava più se- gni di generoso, salva e' ne volle almeno la parola, e nelle sue bellissime scritture , oggidì ricerche e più volte ristampate, incarnò il grande pensiero. Da solo indi argomentossi di appuntare il lessico dell' italiano linguaggio, e coli' opera di pochi d'aggiun- gerlo di assai migliaia di voci e maniere, la massi- ma parte splendentissime e necessarie , sdimenticate dai primi compilatori , e non già, come vien senten- ziando il chiarissimo Cesare Cantù, omesse dal loro giusto discernimento. Da solo infine il Cesari otten- ne, se non toccò alla meta, ouanto i cento scienti- fici uomini, e pressoché tre secoli non avevano sa- puto , logorando la vita in continue e spaventevoli fatiche, che poi gli vennero gittate in volto da quel- la stessa nazione, in prò della quale le aveva soste- nute. Tutti sanno le gare ed i miserabili dileggi , che la celebre proposta del Monti risvegliò contro quel grande uomo: proposta, di cui non è oramai che un ricordo, laddove nella regina delle città, sul Vaticano, ad eterno monumento, la tarda, ma grata Lessici della lingua ital. 365 nazione \olle eretto il busto del ristoratore delVita- lico idioma. Tutte le antiche accuse agi' infelici tempi del Cesari si rinnovarono: essersi dato luogo nel dizio- nario a quelle voci di gergo, o di tal lingua iona- dattica e furfantina, di che i bianti solo, i monelli, i berrovieri e simile lordura vantansi a trovatori : non essersi lasciate quelle frasi di provincia e pro- verbi fiorentineschi, ignoti a molta parte del paese italiano, quando il bisogno era non della sola To- scana, o d'una delle sue province, ma sì dell' Ita- lia intera : doversi bandire la croce a certe parole antiquate, e già sepolte nella oblivione , idiotismi, o .^mozzature di toschi dialetti , non già nate dalla cosa, ma sue rappiccature; e, vedi scrupolo! fino a certe parole che non sentivano a bastanza di pu - diche; menlrechè d'esse appunto servesi la pudici- zia a velare tal falla di cose, che altrimenti dette l' avrebbero più in vero fatto sconciata. E nota altre^ sì, che nello stante che i pudibondi facevansi co- scienza di quelle voci, si dichiarò (concetto ripetuto oggidì da un grande filologo) che non da' vocabo- lari si denno apprendere que'laidi imbratti, quando alla cantoniera ed al chiasso conveniva perdonar come cosa propria questa sapienza, ed ivi solo appararla. Essersi molte locuzioni male interpretate, registrati a caso molti vocaboli e maniere, e talora senza uopo: non ordine nelle spiegazioni, o manche: non aiuta- te le scienze e le arti bastantemente di termini ap- propriati, e spesso andarne senza; ed il volgo infine crearsegli a sua posta, perchè appunto i dotti non facevano tra loro ad eleggerli. Ma tutte queste ac- 366 Letteratura «use, che in buona parie si tengono al vero, era- no abbanflonate, il più, della prima dote del critico, la gentilezza: e più innanzi pure di uno sterile ri- spetto alle fatiche d'altrui; ben essendo presuntuoso giudice in questo ordine di studi quegli che non sa, o non vuole accingersi a fare altrettanto , né me- glio. Si noti poi che quegli schifiltosi aristarchi, al tempo dì mordere il gergo, com'essi dicono, de'cic- ciai di Fonlebranda e de' Culonti dell' arte di lana ed in genere del minuto popolo in Firenze, che in lingua ne sarà mai sempre maestro , scrivevano in tal gergo, che non era né francese, né italiano, ma quale il detta una fantasia di tratto levata e stra- nianle, ed espresso secondo uno stile che per poco ne disgradava la chioccia favella di Malebolge: sac- «entelli che pur oggi rivivono e tempestano e va- neggiano, perchè solo ebbero a capo un uomo, che sebbene d' alto ingegno , non è però che fosse né affatto intero, né forte. La proposta del Monti, che certo ninno assen- nato vorrà in pieno lodare, non è da tacere però che valse, se non ad altro, a mettere in amore lo studio deiridioma, quando essa pure all'abito ed a' parati non mostra tutta secondo l'oro ed il conio de'clas- sici; ma più assai che altri il Perticar! col suo libro sul Trecento venne confortando questo studio. Se non che questo scrittore, che per avventura poteva dare alcun assoluto giudicio sul conto delle buone let- tere, forse per soverchia reverenza al Monti, che gli era suocero, stette mezzo tra le ' contrarie parti: e se pure si ridusse ad una sentenza, mostrò anzi inchi- nare a concedere, come necessario, certo mutamen- Lessici della lingua ital. 36? lo nella lingua; opinione che qui non occorre dire a qual pessimo fine natuialmente riesca. Al detto dello stesso scrittore il tempo logora sordamente , quanto ogni altra cosa, così il linguaggio; ma egli è appunto per questa quasi invincibile potenza delle età, che si debbe porre ogni cura a fermarlo, e i savi tutti di conserto debbonsi unire a fulminarne i rei corrompitori. Né può esseie , pur secondo il Perlicari, né sarà giammai, che il moto della lingua tardar si possa e non distruggere. Che se le permu- tazioni del linguaggio fossero di lor natura inevita- bili, da Dante in qua si sarebbe esso innovellato le cento volte. Ma noi sappiamo le gravi crisi ed ab- battimenti sofferti; e mettete ragione, che se pur si mutò, fu in piccola parte; in quella parte, generale- mente parlando, dove il disuguale costume de'tem- pi dava ad un vocabolo altro valore, o ne immagi- nava un nuovo; non già nel fondo della lingua che sta fermo tuttavia, ed ove mai desse a traverso, ne andrebbe la più bella delle nostre glorie. Ondechè que'grandi tra gli italiani che a quando a quando sorsero a porre, quasi direi, argine alla coiruzióne, ben misero in palese potersi di cento le novanta- nove sostarne non pure, ma cessarne il moto; e al questo, non ad altro, mirano i lessici. Che dove in' una nazióne si moltiplichino gli studiosi ; dove la classe de'letterati, fortificatasi di sane opinioni, appren- da al popolo , e castighi a lui sul labro le forme è' le guise del dire; e i principi propaghino e proteg- gano le scuole della plebe, tanto indispensabili alla quiete e benessere dell'universale; avverrà che indar- no la plebe medesima imperversi , o riducendosi a 368 Letteratura buono slato, loro si dia renduta e convinta. Che più? Non è la plebe forse, non disviata che sia, la ser- batrice più tenace, vuoisi dei costumi, vuoisi dello idioma de'nostri padri ? La lingua del Boccaccio e di Dante e degli scrittori in genere del secolo dell' oro è quasi tutta ancora per la bocca del volgo to- scano, il quale cosi ingratamente è da molti pro- fani ributtalo; per cui oggigiorno a me parrebbe il contrario di quello che ebbe a dire a'suoi tempi il Salviati, che da' parlari della plebe cioè sia passato il contagio nelle vScritture dei dotti. Conciossiachè la plebe, non*1asciata posar ne'suoi voli, può figurarsi di nuove parole^ ma non cangiarne mai l' indole: ciò che per converso non avviene in moltissime scrit- ture di toscani viventi, le quali non hanno d'italiano che le vocali cadenze; e nuUadimeuo si tengono e si vanno incensando.. Il vjoc^bolario pertanto di Bologna nel 1819 giovandosi di tutte le censure fino a quel tempo di- volgate^ e delle parziali compilazioni di modi e di voci, che gli accademici accapigliati fra loro non avevano saputo mettere insieme, parve che sulla scor- ta del Cardinali, dell' Orioli e di quel grand' uomo eh' era il Costa, a suggellar venisse un' infinità di quistioni. Ma le forze erano ancora impari al sub-r. bietto, e lo disse ed il dimostrò dal 1820 in appres- so colle sue osservazioni il Parenti; per cui la pa- dovana Minerva (1827) entrò all'arringo e certo con più di potenza. Il lessico albertiano ebbe buon pie- de in quella nuova fatica: ma scemato però in gran parte di quella scoria fatalmente pescata nell' uso de' diversi dialetti; si confortarono d'autorità molte lo- Lessici DELLA lingua ir al. 369 cuzioni che nel vocabolario di Verona n' andavano abbandonate ; ed oltracciò le stesse annotazioni del Parenti al vocabolario di Bologna, e lo spirito della proposta del Monti in esso consacrato, ed una mol- titudine d' aggiunte mandate da tutte parti, e pre- state peculiarmente dal Carrer e dal Federici, com- pirono di rifare un lessico , il quale vinceva della mano tutti quanti i precedenti. Ma pure non e rasi lavorato secondo il bisogno. 11 valente comasco ab. Giuseppe Brambilla, poeta vivacissimo e tutto pelle- grini abbellimentL, in cui è sangue e non liscio o- gni magistero d'arte, pose in luce nel 1831 il suo Saggio d'uno spoglio filologico^ dove gli argomenti del pensiero e le correzioni sul lessico sono così pro- prie e sottili , che poche migliori fino allora. Né minor lode in seguito a lui si meritò con aggiunte ed osservazioni Giacinto Carena (1831), né una mi- «ore il cavaliere Pezzana (1833): oltreché Napoli fino dal 1829 col suo Vocabolario universale italiano aspirò a disgradare tutte le fatiche de'passati compi- latori e riveditori. Ma un affaste Ila mento, una zep- pa di geografiche denominazioni , di titoli arabi e mamelucchi, il più per noi ridicoli, una mala dispo- sizione di paragrafi, e la poca fede nell'autorizzarne le voci per lo più desunte dalle consuetudini com- merciali d'oggidì, tolgono a quell'opera l'importan- za, che pur seppero acquistar sempre al vocabolario della crusca i suoi rifacitori. Meglio Verona sull'e- sempio del Cesari avrebbe rinnovellato per Paolo Zanolti 11 dizionario, se la morte dell'autore non lo avesse lasciato, poco appresso il priùcipio, incom- pleto. Torino e Milano poco dopo ammassarono le G.A.T.CXV. 24 370 Letteratura agg^iunte. Al Gherardini che stampò, né mi falla it dirlo, la capital opera iti fatto d' aggiunte e corre- zioni di poi la proposta e le giunte veronesi, furo- no rendati dalla biblioteca italiana poco meno che gli onori della infallibilità. E certo ei vide molto addentro nelle bisogne dei lessici, ed in profondi- tà le sue vedute passano via quelle d'ogni altro; ma se di molto e giustamente ha diminuito il vanto di novità alla proposta, e ne sciorinò anzi i badiali er- rori, non mi sa punto capire nella mente come poi non ritennesi, ch'era il meglio, dall 'usar di una cri- tica soverchiamente aspra, e alla bandita abbia vo- luto mordere , alcuna volta senza cagione , coloio che il precessero nelle generose fatiche. Alla testa però di tutti cosiffatti studiosi egli è da porre senza dubbio Giuseppe Manuzzi , forte propugnacolo del purgalo scrivere, il quale fino dall'anno 1840 in Firenze die Compimento alla stampa d'un nuovo les- sico, r unico ancora, a cui si possa avviare senza pericolo la gioventù, ed il più copioso di tutti. Con poteo fruito a lui seguitarono dieci mila aggiunte del signor Nicolò Tommaseo , comunemente avute non troppo felici e le più di non legittimo fonda- mento, mentrechè in Mantova si metteva in punto da parecchi lelterati una ristampa del Traniater , non senza una larga promessa di crescerne il ca- pitale, sia di giunte, sia di miglioramenti. Ma fu- rono parole. Che nulla pur dicendo del poco savio pensiero di ristampare un lessico per molti rispetti non commendevole, e che oltre quello della Crusca non sarà mai il proprio dell' italiana favella ; nulla dicendo della meschinissima prefazione appostavi in Lessici della lingua ital, 371 ;gìunla all' altra non meno rude ed indigesta della società di Napoli, disfido chiunque, per vista acuta che si abbia, a trovarvi dentro un ventesimo di quel- la immensa suppellettile di ag{jiunte e di ammende bandita nel manifesto, e che altri fin qui con trop- po maggiori fatiche non seppero, che in parte, tri- t)uir€ ai loro rifacimenti. Ben è vero che i professori Bernardo Bellini ed Anton Enrico Mortara , nomi chiai'issimi nella i-epubblica delle lettere, apparvero in fronte alla quattordicesima puntata come nuovi cooperatori
  • aggiore ragion di lode che ri donarci ad un sacrificio spontaneo per tutto che affascina di presente; che il parer nati per ostare ad un secolo, sia anche in piccola parte, che tale non è lo studio del patrio idioma ? E qual gìoria più splendida che lo schivarci da quella corrente che tanti ne trasporta, e sulle care poste e tra le opinioni de' grandi giganteggiare ? Udire dalla lunga le villanie delle turbe scempiate, e presi allo incanto della vera sapienza, non allentare la guerra ? Forse vedrai ar- riderti d'intorno un partito; perocché le popolazioni non sono mai sì nuove o sì corrotte, che non sen- tano a quando a quando il proprio decoro : se no, raccogliti nelle tue stesse speranze, e contentali d'aver 378 Letteratura fatto al possibile ii bene, e miglior ventura prega su quelli che verranno. Non dicasi che solamente gì' ingegni privilegiati possono tanto ; che i medio- cri debbono Starsene paghi del mediocre. Egli è que- sta la voce o dell' indolenza o della corruttela. Ai ben volenterosi, non briachi d'ingiuste lodi, seguita sempre una tnaggior forza: adoprati quanto sai: che follìa, se non colpa^ è quella di correre una via di perdizione, perchè molti camminano su di essa: e di piaggiare un secolo, perchè non bastiamo a svolgerlo dal mal gusto, ed a ridurlo sul retto. Da quel po- polo stesso, che sfrontatamente nella sua propria co- dardia abbiamo blandito, aspettiamoci la condanna. Egli che levò plausi al nostro vivente, sepolti ne co- prirà d'infamia o d'oblivione; ed è ben grande colui, il quale abborrendo dalle disoneste lodi che si ba- rattano tanti quaggiù, superiore ai dileggi ed alle povere brighe degl'invidi, o della boriante ignavia, vagheggia, più alzando il pensiero, una gloria, eh' ei forse non vedrà, ma che sta pur certo d'ottenere. Lettera al conte Annibale Vincenzo Ranuzzi nel di avventuroso delle sue nozze colla contessa Elena Turrini. Mio dolcissimo amico, lo ho sempre riguardato i matrimoni siccome uno degli atti più importanti della vita, ed un argomento principalissimo di pubblica prosperità; perciocché da essi dipende la domestica pace, la quale è pur ne- I.ETTERA AL CONTE RANUZfZl 379^ cessai ia a chi pone l'ingegno e l'opera iil selcVigio della patria, e da essi dipende la buona istituzione della giovenlA, su cui riposano le speranze e i de- stini delle nazioni. Per la qual cosa a me pare che si dovrebbe da quelli, che voglionsi unire in ma- trimonio , andare più rf rilento , ect tisare maggior cura in cercare diligentemente conformità d* indole e di costumi, acciocché non venissero troppo di so- vente insieme congiunti svariati e discordi voleri , tra'quali è malagevolezza conservare quella pace, che de'beni di sopra detti è producitrice. Ed ora che la divina provvidenza ha confortata di lietissime speran- ze ritalia, è più che mai necessario cl*e onesti, va- lenti e tranquilli cittadini sorgano a dar mano a co- lui, che il vasto e nobile edifìcio della pubblica co- sa ha preso a riformare. Il che non potranno coloro, i quali perturbati ed infiacchiti dalle continue dome- stiche discordie si disfrancano, e neghittosi o mal- vagi non san che distruggere; essendoché, come scri- ve il Tommaseo, la famiglia contaminata corrompe la patria; perchè talamo, foro, altare insieme consa- cransi, profanansi insieme. Ed oh! mio dilettissimo amico, quanta gioia mi scende neiranimo in questo bel giorno che ti veggo porgere la mano e la fede di sposo alla contessina Elena Turrini adorna di sì care ed amabili prerogative, che dalla pubblica opi- nione, la quale non cade in fallo, è stimata un fio- re d'onestà e di virtù ben degno d'essere trapianta- to nella tua nobilissima casa. In questa scelta tu hai recato in atto l'assennatezza di quelle cose che più volte meco ragionavi: cioè non essere di poco mo- mento l'eleggere sposa fornita d'un' anima, che in 380 Letteratura lutto si accordi colla nostra. Ond'io, che t'amo d'mi amore sviscerato e sincero, a te me ne congratulo , e tutto racconsolato precorro Col rapido pensiero gli anni avveniie, e vagheggio fin d' ora le pure gioie che ti sono meritamente preparate. Stanco delle fa- tiche sostenute a reggere le cose private o pubbli- che, tu troverai in seno della famiglia quel tranquillo riposo, que'dolci alleviamenti, quelle care consola- zionii, onde l'umana vita si riconforta e ravvalora ; gareggiando colla tua sposa d'amore e di fede, gu- sterai quelle dolcezze ineffabili che non le può in- tendere se non chi le prova; e se per avventura qual- che nube oiFuscherà il sereno del tuo sembiante, oh! ohi potrà dire il ristoro e i conforti che ti porge- ranno le soavi parole della tua fedele compagna ! E in ciò non m'inganno, perchè a questa mia consuona l'universale estimazione. Di questo tuo avventurato imeneo non solo prendono letizia la tua famiglia, i tuoi parenti ed amici, ma se ne rallegra ancora la patria, la quale di questo connubio spera generazione disciplinata nell'amore degli ottimi studi, accostumata ad altezza di sentimenti, tutta ripiena della santa ca- rità della patria. Così sono i figliuoli come i padri vogliono ch'essi siano, dice Terenzio negli Adelfi , dicono i savi, e più che altri può dire la tua ama- tissima genitrice, che te e i fratelli tuoi secondo il concetto della sua mente e il desiderio del suo cuore ha cresciuti ed informati ad ogni sorta di virtù. La- onde la patria ha ben di che allietarsi, sicura com'è che tu vorrai i tuoi figli onesti, addottrinati ed amanti d'essa. Non è mio intendimento di erigermi a censore Lettera al conte Kanuzzi 381 de'lempi trascorsi, ma solo vo' dirti che indirizzate quasi per miracolo le opinioni e tendenze di noi tutti in una \ia che non fallirà il segno, a cui in- tendiamo, della pubblica prosperità, si è aperto un vastissimo campo a'genitori d'essere di sommo gio- vamento alla civile comunanza , se nell' educazione non più si dimentichi la patria e l'avvenire, si am- maestrino i figliuoli a sapere essere governati, perchè sieno poi meglio atti ad adempiere il gravissimo uf- ficio di magistrati, e si avvezzino a porre nella pub- blica cosa quello studio, quella industria ed assiduità che per loro si possa maggiore. Per tal modo non saranno un giorno i figli nostri costretti a dismettere alcune prese abitudini, a spogliare i pregiudizi, im- pedimento al verace progresso, e ad imparare adulti le cose che si dovrebbero instillare nella infanzia. E in quest'opera stupenda dell' educazione tu avrai a compagna la tua sposa, o veramente tu ti unirai a, lei, perciocché la donna è nata adamare... a educare; ma nell'amare e nell'educare ella regge e governa (*). Per la qual cosa io stimo che anco la donna, oltre es- ; sere religiosa e prudente, debba riscaldarsi dell'amore della patria, ed esserne conoscente de'bisogni: perchè in mettendo nel vergine cuore de'fanciulli i primi semi degli affetti, e nella tenera mente i primi pensieri, non ponga in obblio quanto la patria ha ragione di domandarle. Se ancor si volesse tenere lontana la donna non pur dall' inframmettersi delle cose pub- bliche , ma eziandio dal conoscerle e favellarne , la giovinezza verrebbe su digiuna di quell'educazione civile inspiratrice di azioni generose, e distruggitri- ' ' (*) N. Tommaseo, Pensieri morali. '^ ^82 Letteratura ce di que'funesli errori, che hanno purtroppo tante Tolte accagionati gravissimi nriah' ! Ma non è a temer questo ora, che la donna è stata ricollocata nel luo- go in cui il creatore la pose, e si è fatto giusto giu- dizio di quanta parte ella abbia nel ben essere delle fanaiglie e degli stati. L'opera tua pertanto è quella della tua sposa, ordinate al medesimo santissimo fine, daranno alla civile famiglia, che desiderosa gli aspet- ta, figli anamaestrati ed accesi della nostra religione fondamento d'ogni virtù, operosi pel pubblico bene, consolazione della famigl ia , decoro della patria. E cosi meglio che negli stemmi e nei nomi perpetue- rassi la memoria de'padri, travasandosi per l'effica- cissimo esempio l'avita virtù ne'più lontani nipoti. So , o mio carissimo Annibalino , di non aver detto alcun che di nuovo o d'utile, né di avere con nuove fogge cose vecchie rappresentato; so che ta- luno mi griderà all'orecchio, non doversi la stampa fare ministra di cose inutili e di vane parole ; ma so pure che agevolmente otterrà perdono un amico, il quale ha voluto porgere all'amico un pubblico se- gno di esultanza e di amore nella piena degli affetti, che gli trabocca in seno. Chi non intende la forza dell'amicizia ? chi non sente questo purissimo affetto? chi perciò vorrà negarmi perdono ? Ma sia pure che altri me lo nieghi; io mi conforto nullameno in pen- sando che tu e la tua gentile sposa cortesemente ri- ceverete questa lettera, non già per verun merito che ella s'abbia , ma perchè è scritta da chi è , e sarà sempre Biuiob il tuo affmo amicò' ' Enrico Sassoli. '.r'ilrfvci '_ -^ •'.-:,■' . IL DIRETTORE — PRINCIPE D. P. ODES€ALCHI 383 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO CXV, VOLUaiI r,45, 344, 345 DEI. GlORlSALI! ARCADICO SCIENZE Uose Hi, Alcune forniole sul calcolo de residui , (Continuazione.) , . . . . 3 Coppi, Sulle finanze di Roma 25 Chitnenz, Intorno ad Andrea Cesalpino scopri- tore della circolazione del sangue ... 49 Roselli, Sulla dipendenza delle due variabili x,j. 1 29 Brighenti, Elogio di Giuseppe f^enturoli . . .170 P^aloranì, Della diff colta degli studi medici. . .199 Chelinì, Alcuni teoremi del Gauss relativi alle superficie curve 257 Giovannini, Il giusto valore deWarte medica , 285 Rambelli, Antecedenza degV italiani nelV istitu- zione degli asili d'infanzia .301 LETTERATURA Camiìli, Tracce storiche sul dominio greco dopo Alessandro nell'Asia centrale 63 Biografie di Pietro Bagnoli, Antonio Lombardi , Luigi Ciampolini.^ Giovanni Battarra, Fran- cesco Bertelli, Gianandrea Magri, Agostino Cagnoli 74 Bursotti, Dell' importanza dell' archeologia . .107 Ponta, Della età che in sua persona Dante raf^- gura nella divina commedia. Parte prima . 217 Parte seconda. 316 Gioberti , Discorso all'accademia della Crusca, 239 0 384 Bambelli, Di una condizione necessaria per ben riuscire negli studi 243 Cicerone, Il primo libro delle quistioni accade- miche volgarizzato da Gianfrancesco Ranv- belìi ..338 Bacheli, Mcune considerazioni sulla fortuna de lessici della lingua italiana 352 Sassoli j Lettera al conte lìanuzzi. . . • . > 378 T'^arietch Chelinij Alcuni teoremi del Gauss reta- pag. tioi alle superfìcie curve . . . .257 Giovanninij II giusto valore dell'arte medica 285 Rambelli j Antecedenza degV italiani nell'istituzione degli asili d'infanzia. 301 LETTERATURA Ponta, Delle età che in sua persona Dante rai^ura nella Divina Com- media ("Parte seconda.J . . . .316 Cicerone j II primo libro delle quistio- ni accademiche volgarizzato da Gianfrancesco Rambelli . . . 338 Racheli j Alcune considerazioni sulla fortuna de'lessici della lingua ita' liana 352 Sassolij Lettera al conte JRanuzzi. . 378 il lOilfi Ili il® ©i Ww§ ARCADICO D I SCIErVZE, LETTERE ED ARTI Voi. CXVI. Luglio, Agosto e Selteoibre 1848 ROMA TlPUGfiAFIA DELLE BELLE ARTI S^I^lfES Di alcuni teoremi del sig. F. Gauss relativi alle su- perfide curve. Memoria di D. Chelini d. S. P. (Continuazione e fine.) Della fformnla del sig. Ganss la quale esprime la curvatura di un elemento superficiale , e si mantiene costante quando la superficie j divenuta flessibile ma inestendibile j cangia di forma. Sia V = F(r, 2/, 2) = 0, l'equazione di una superficie, la quale venga segata in un'infinità di linee dalle due superficie ip) /(^v y^ -, p) = 0 (?) /.(^vJ/5 2,?) = 0 , varianti dì posizione e di forma al variar de'para- metri p, q. Ogni punto M (ar, y., z)., o (p, q) di (V) si potrà considerare come la intersezione di una li- nea del primo sistema (p) con una linea del secon- do sistema (q); e le tre coordinate x, y, z saranno funzioni delle due variabili p, q. Sia ds yn elemento lineare, preso in M ad arbi- trio sulla superficie (V) , il quale abbia sugli assi ortogonali a;, y, z le proiezioni dar, dy, dz, corri- spondenti alle variazioni dp, dg. Avremo , ojjn3*«r» djj =r adp -+- a'df , df/ ==: hàp -\- b'Aq , dz = cdp -+- c'àq , 4 Scienze ove, a cagione di brevità, si è posto dx dp a àp~ =.b, dz dp £= e dx a dy dq- ^-b', dz = e Poniamo inoltre ( aa H- bb -4- ce =- P, i aa -t-b'b' •+■ ce = Q 5 aa -{-bb' H- ce .= R Dalla formula cl«> «« da;"* -f" ày^ -f- dr" si ricaverà ds=» -= Pdp^ H-- ^dq-' + 2Rdpdy , Nel punto M siano S\ , s^ le linee d'intersezione della superfìcie (V) colle due superficie (g), (p), declinanti in M l'una dall'altra coll'angolo i. L'elemento ds si potrà considerare come la diagonale di un paralle- logrammo di cui i lati , secondo le linee Si , 5,, siano dsi , dsa , tìfiche si avrà ds» = ds,» -H ds^ -\- 3cose d«i ds^ . d«, sarà in M l'elemento di «, corrispotidente alla variazione dp , essendo dg =: 0 ; e ds^ sarà in M Telemento di Ss corrispondente alla variazione d^ , essendo dp a=9 0. Avremo dunque di, = dp/P , dia i== d^t/^Q , Alcuni teoremi del Gauss 9 i coseni degli angoli che le direzioni de' due eie-» menti ds, , ds^ formano cogli assi x, i/, z saranno espressi rispettivamente da ab e a 1/ e' i^V ' /P ' i/P ' i/Q ' l/Q ' l/^Q ■ Quindi^ se per M si conducono due retttì tangenti a dsi , dSa , dirette nel medesimo senso di dSj , ds^ , ed eguali l'una a j/P , e l'altra a l/"Q; queste due rette avranno sugli assi a:, y, z le proiezioni (a, 6, e), (à', 6', e'). Si concepisca in M una nuova retta A perpendicolare alle due precedenti, ossia alla super- ficie (V), e sia A == seni (/ PQ = l/(PQ — R") t questa retta A avrà sugli assi x, t/, z, com'è noto dalla geometria analitica, le proiezioni ic' — b'c , ca — c'a , ab' — ab , le quali designerò rispettivamente per A , B , C . Sarà A» H- B* -f- C" = A» i Aa ~h Bb -\- Ce = 0 y Ao'+ Bè'-i- Ce' = 0 ; donde aàX 4- ^dB -j- cdC = -- (Ada -+- Bdb -t- Cdc) , « dA -I- i'dB -4- c'dC -= — (Ada' + Bdi' -h Cdc'). 6 Scienze Ciò posto, all'equazione differenziale della superficie (V) si potrà surrogare la seguente Adx -H Bdy -J- Cdz = 0 , donde si ricava (*) ds^ dAda? -+- dBdj/-hdCd2 =à — , dove r^ designa il raggio di curvatura di una linea qualunque ds il cui piano osculatore sia in M per- pendicolare alla superfìcie (V), ovvero di una sezio- ne normale in M alla superfìcie (V). Quest' ultima equazione, se si sostituiscono i valori di da?, d^/, d% espressi in funzione di /), g, diventa (odA+èdB+cdC)d;)4-(a'dA+ò'dB+c'dC)dy=^A — , ossia (Ada-hBd5-^Cdc)d/)+(Ado'-^-Bdò'+Cdc')dg'= —A -*-. Ma da = ùcdp •+• oi'dq , /da = a'dp -+• a'dq , hb = /Sdp 4- iS'dy , < dò' c= jS'dp -i- /3"dgr , de ^= yd/) -h y'dji , V de' == /dp -i- y'd jf ; dove, per abbreviare, si è fatto d^x dp^- = a, d^x dpdq dy" ""^ d/?2 = /3» dpdq ^ ' --=7» d'2 dpdjf d^z (*) RAfiCOLiA sciEWliFiCA di Roma, tom. I, pag. 134. Alcuni teoremi del Gauss T Se a queste notazioni aggiungiamo le seguenti : A« -4- B/3 -H Cy = D , A«' 4- BjS' -+- Ci = D' , A«"4-B/3"-f-C/ =D"; ^equazione or trovata si cangerà in Ddp== -H D"d?^ -f. 2D'dpd9 = — A ^\ r e quindi in _ d.. -*- ò" d^, + — Q d.. d.. = - A - . A partire dal punto M(a;, 2/1 ^) della superfìcie (V) tiriamo nella direzione di ds un raggio =*= r , e si consideri come diagonale di un parallelogrammo di cui i lati M, V siano sulle tangenti degli elementi àsi , dSa t e queste tangenti si riguardino come due assi coordinati. Avremo r u V ' Nella precedente equazione , omogenea rispetto a d^i , d$2 , às , sostituiamo a queste quantità le ri- spettivamente proporzionali u^ v, r. Sì otterrà D D" 2D Questa nuova equazione rappresenta, sul piano tan- 8 Scienze gente in M di (V), una conica i cui raggi vettori r^ toccanti in M le sezioni normali della superficie (V), sono rispettivamente proporzionali alle radici de'rag- gi r" di curvatura di tali sezioni. Siano f, p i raggi di curvatura principali nel punto M della superficie (V), eguali ai quadrati de' raggi principali della conica. Dalla teoria delle co-^ niche si trae, che l'equazione /D D' D' V < DD' — D^ /* -i-( 7- -i- 2 cost' ) 1 = 0, \P Q l/PQ lAsenH A?PQsen'a la quale, fatte le sostituzioni a A, sèm, cosi^ si ri- duce alla seguente P + (DO -^ D"P — 2D R) '—^ -i- ""— ~ «= & , (PQ_t-R-)2 1 1 ha per radici — , -^. Da qui la formula P P DD"— D" 1 (PQ-R*)^ p/ già trovata dal sig. Gauss dopo un calcolo assai pro- lisso. A questa medesima formula si arriva ancora, e facilmente, quando si cerca il valore inverso del rapporto tra un elemento superficiale da e la sua curvatura totale dw. Infatti si considerino sulla su- perficie (V) il triangolo infinitesimo da che ha per vertici i punti (». y, «). i^-hdx, y4-9y, «-t-az), (r-h5r, y-J-Sy, z+^z). Alccni teoremi del Gauss 9 Supponendo che le lettere 3 , d siano i simboli delle dift'erenziazioni parziali, prese l'una rispetto a p , e l'altra rispetto a 5 , gì' infinitesimi (3x, 9y , 3z) , (^a;, ^t/, 5z) rappresenteranno le proiezioni degli ar- chi dsi , dsz sugli assi a;, y, z^ ed avremo 2d(T = dsidsasetij-^sent [/'VQ.dpàq = Adpd^» . Poniamo per abbreviare --X, -_Y, -_Z, sarà X» -f- Y^ -f- Z^ =; 1 . Nella superficie sferica del raggio «a-l, destinata ad offrir la misura della curvatura della superficie (V) (vale a dire, cosi connessa con (V) che, ne'punti corrispondenti delle due superficie, le normali siano parallele ), i punti che corrisponderanno ai punti (x, y, 2), (a;-^^a;, y-h9i/, z-i-dz) , (r+Sx, t/+5i/, 2-+-5ì;) della superfìcie (V), saranno rappresentati da (X, Y, Z), (X4-aX, Y4-3Y, Z-4-3Z), (X+5X, Y-h$Y, Z-h$Z); e il triangolo da formato sulla sfera da questi tre punti corrisponderà al triangolo d<7 di (V). Ora si sa dalla geometria analitica che una retta perpendi- colare all'elemento sferico dw, e numericamente =»2d4), ha sugli assi x, t/, z, le proiezioni 3Y$Z — 9Z5Y , 9ZdX — 3XSZ , 3X$Y — 3X5Y , io S G I £ N Z £ e che però si ha 2dM=X(aY3Z— 3Z5Y)-|-Y(3Z5X— 3X$Z)4-Z(3X5Y— 3Y5X) =ax(Yaz-zaY) -i- dY(Z3x — xaz) h-sz(X3Y^Y9X). Ma A k A A'' A j A A az = -- \ ^^=A-^À-^- Da qui, e daireliminar che si faccia dall'equazioni adk 4- bdB 4- c3C = — Ddp , adX -+- i'3B 4- c'dC = — D'dp , successivamente 3A , 3B , 3C , si ricaverà BaC — C3B — o'D -+- oD' . Y3Z — Z3Y = = -— — d»; A* A' e si conchiuderà che le quantità Y3Z — Z3Y , Z3X — X3Z , X3Y — Y3X , sono eguali rispettivamente a — a'D -haD\ — ò'D -h bD\ — cD 4- clY , ^. dp, óp, dp. Quindi, ponendo mente all'equazioni Alcuni teoremi del Gauss li Aa -+- Bó -i- Ce = 0 , Ao'-4- Bb'-h Cc' = 0, 61 troverà — a'§A_|-è'SB+-c'SC D -h (a§A-4-i5B-»-c5C)D' , 2dw = — ^ '—-. dp, ossia DD" — D'^ 2àca =^ —^ dp dq . Ma abbiamo trovato 2d(7 =* Adpdg ; dunque dw DD— D^ DD— D" 1 da A4 (PQ_R2)^ pp Chiamato K questo rapporto, misura della curvatura nel punto M(x, 2/, ^)» sarà (PQ _ R=)='K = DD'' — D'^' . Arrivato a questa formula per una via laboriosa an- zi che no, il sig. Gauss si propone di esprimer K per mezzo delle sole funzioni P, Q, R. Si riesce ra- pidamente a simile scopo camminando sulle orme del sig. Gauss nel modo che segue. Partiamo dall'equazioni Aa-h B/S-+- Cy c= D , aoc -\- 6(3 -^- cy = m , a a. -h i'/3 -h c'y •= n , dove »7i, n sono due nuove notazioni; ed immagi- 12 Scienze niamo ancora le altre sei equazioni in che si con- vertono queste tre apponendo prima un accento ' , e poi due", alle lettere a, /S, y, D, m, n. Eliminando da queste tre equazioni le quantità ^, 7, il che si fa moltiplicandole rispettivamente per be'— b'c , b'C^c'B, cB — AC j e poi sommandole, nasce U{bc —J'c) -f- a {b'c — cB) -^ a'(cB — bC)'\ ot =D(ic' — b'c) ■+■ m(b'C — c'B) -+- n(cB — bC) . Ma qui il coefficiente di « si riduce a A* 4- B[ca—c'a) 4- C(ab'— a'b) = A^-f B» -h C» = A^j ed il secondo membro, essendo b'c — c'B c= a(è'^ H- r.i, ,->ii ^Jhnj, e quindi .,,,;.. m = , dP , » dP ,, dR , dQ »= dR , dP , dQ „ ^dQ _ E facilmente si conferma essere // ^r^.., Il , r, , dn dìi' d^'R . / d^'P d^Q >, -*(^ djodg' \ dgr^ dp^ / Sostituendo queste diverse espressioni nella formula per la misura della curvatura trovata di sopra, ot- terremo il seguente risultato notabile del sig. Gauss: \dq } dpVdp dq I „/dP dQ dP dQ dR dR dP dR dQ dE -4-R( — .— . h4 — . 2 — . 2— .— ' dp dg' dq dp àp dq dq dq dp dp l d^P d'Q d^R X Alcuni teoremi del Gauss 45 Quando la superficie (V), supposta flessibile ma ine- stendibile cangia di forma, è palese che l'elemento lineare ds == (Pdp^ -h Qdq^ -t- 2Ràpdq)^ , non varia, né però le quantità P, Q, R; e cosi ri- troviamo per via analitica il teorema già dimostrato per via geometrica. Ed è in questa maniera che il sig. Gauss lo ha dimostrato. Quando i due sistemi di linee s, , s^, si segano dapertutto ad angolo retto sopra la superficie (V) , nel modo che fanno le linee principali di curvatu- ra; allora R =^ 0 , e la formula precedente diviene PQ«= f((t,) ^d-p-d7hQ ((d7 ) -*-d7-d7r(dr^ dp) Se inoltre si fa P =» Q (il che secondo le con- siderazioni del sig. Liouville è sempre permesso ) , cotesta formula fornisce 2PK = J-^^V- 1^^ 1/4£V_ 1 i-L . > Pnd/>/ P"dp' PAdq/ P* d^^ __/ d%g.P dMog.P \ La dimostrazione di questa formula particolare è l'oggetto precipuo della memoria del sig. Liouville intitolata: Sur un téorème de M. Gauss concernant le produit des deux rayons de courbure prineipaux en chaque point d'une surface. Supponiamo adesso che le linee Si del primo si- 16 Scienze stema siano le diverse posizioni di una linea geo- desica, che si muove conservandosi di continuo per- pendicolare, nel suo punto iniziale, ad una data li- nea fissa. Chiamiamo linea delle ascisse questa linea fissa , ed ordinate quelle diverse posizioni della li- nea mobile. Supponiamo inoltre che le linee s^ del secondo sistema siano le linee generate da ciascun punto della linea geodesica mobile. Questi due si- stemi di linee, per un teorema del sig. Gauss , si taglieranno sulla superficie ad angolo retto. Fissata V origine della linea delle ascisse in un suo punto scelto ad arbitrio, ogni punto della superficie corri- sponderà ad una certa ascissa ed ordinata', come ad una certa ascissa ed ordinata corrisponderà un punto unico. Un punto M nella superficie (V) abbia p per ordinata^ e designiamo per q Vascissa corrispondente^ o, per più generalità , una funzione qualunque di quest'ascissa, prendendo l'ordinata e l'ascissa nel si- gnificato or dichiarato. Un elemento lineare ds, pre- so sulla superficie a partire dal punto M, si potrà riguardare come la diagonale di un parallelogrammo rettangolo, di cui uno de'lati è dp, e l'altro si potrà esprimere per dgi/Q, designando Q una certa fun- zione di jt), q. Sarà pertanto ds^ = àp-+- Qdq . Lo stesso risultato ha luogo se le due serie di linee s, , s^ che si segano sulla superficie (V) ad an- golo retto, sono : da una parte, le diverse posizioni di un raggio geodesico p , girante intorno al suo punto iniziale 0; e dall'altra, le linee descritte da' diversi punti di questo raggio mobile p. Fissala una Alcuni teoremi del Gauss IT posizione di questo raggio come luogo di partenza o linea delle ascisse^ ogni punto M sulla superficie (V) determinerà la lunghezza p del raggio geode- sico corrispondente, e l'angolo onde questo raggio declina nel suo punto iniziale dalla linea delle ascis- se. La lunghezza p di questo raggio e l'angolo no- minato (ovvero una funzione cognita q di quest'an- golo ) si possono chiamare coordinate polari del pun- to M. In questo nuovo sistema di coordinate, l'ele- mento ds si trova espresso evidentemente come nel sistema precedente. In questi due sistemi di coordinate si sempli- fica oltremodo la formula che dà la misura K di curvatura. Risulta d« 1 /dQy 1 à'Q 1 tF.i/Q Vdp/ 20 da 4Q^\dp/ 20 d/)' i/^Q dp'- Prendiamo d(7 — dpdqy'^Q ; allora la formula a ^^ Kda che determina la cur- vatura, diviene Se p e q designano sulla superficie (V) le coor- dinate polari di un punto M (essendo p il raggio vettore geodesico e q V angolo che tale raggio fa nell'origine colla linea delle ascisse), allora per p = 0, sarà ds=* dp , e però Q = 0; e per un valore in- finitesimo di /), r elemento ds^ della linea del se- G.A.T.CXVI. 2 18 Scienze condo sistema (la qual linea si può considerare co- me un cerchio descritto col raggio p) sarà d,S2==pdg, ed in conseguenza per un valore infinitesimo di p , sarà p =» l/"Q ; donde, per p =»0, si avrà nel mede- simo tempo Da quest'osservazione si deduce che nella formula che dà la curvatura oj, la costante è = 1 , e che però si ha Ritorniamo col sìg. Gauss, per un momento, all'espressione generale dell'elemento ds di^ = Pàp"" -H Qdy" -h 2Rdpd^ = dà^ -+- dsl -i- 2cosi dsi ds^ , dove R . I//PQ- R'\ cose = Sia 0 l'angolo che ós fa con ds, . Se proiettia- mo ds prima sulla direzione di dsi , e poi sopra una direzione perpendicolare a dsi , avremo Pdp-hMq ds cos9 = ds, -f- cose ds^ ^V , . .. lA(PQ-R^), ds scny = sent ds^ '-= dp . Cerchiamo ancora qual'è la condizione, perchè questa linea 5 sia la più breve o geodesica. La lun- Alcuni teoremi del Gauss 19 ijhezza s essendo espressa per l'integrale ,i \ s --. y^i^dp' -h Qdq' H- 2R Jr/d^) , la condizione del minimo richiede che la variazione dì quest'integrale, nata da un cangiamento infìnite- 5Ìmo di un tratto della linea s, sia = 0. Il calcolo si rende più semplice, se una j) delle due quantità p, 5, si considera come funzione dell'altra. Indicando la variazione per la caratteristica 5, avremo ( — do^'-t— - d(7"H-« —^ — (IpdyW ■+■ 2(Pd/j -f- Rdtf)d$p /ap ap ap ' 21; dP, , dO, , dR, , — dy~-4 dfl -+-2 — d»d(/ Pd/j-hRdfl - f^ l^V ^9 '^P Pd/j-hRdtf\ e sappiamo che ciò, che qui sta sotto il segno inte- grale, deve svanire indipendentemente da ^"p. Viene pertanto dP j , dQ . , dR . , . . Pd;^ -f- Rd« — dp~-h -Ji do' -+- 2 — dpdtf =.^ 2ds.d. -^~- — dp dp ' dp '^ ^ ds cos9 dsdP = 2d5.d.l/^P cos9 = 2 seoS d5 d*./"? Pdp-hRdfl .^ « —^ ^ dP - 2|/^(PQ— R^)dyd5 -^ (dp -+- \ dr/)(-j? dp-H ^ dy)- 2l/-(PQ-R^)d?d9 . Da qui si ricava la seguente equazion condizionale per la linea geodesica : 20 Scienze Quando R = 0 , cotesta equazione diventa d^' dp e quando d5'= dp"" -hQdp'', e però P=1, fornisce ap Ecco una bella applicazione che il sig. Gauss fa delle formule or trovate. Si debba determinare la curvatura totale w di una porzion di superficie ABC compresa fra tre linee geodes'iche AB, BC, CA. Sia A il polo intorno a cui gira il raggio geo- desico /), e sia q l'angolo onde questo raggio decli- na in A da Ab, ed in tal guisa che, per (jf=0, corra secondo AB , e , per q=^A, corra secondo AC. Gli elementi di BC siano designati per ds, e sia 0 l'an- golo onde un elemento qualunque ds declina dall' elemento corrispondente djj del l'aggio p. Finalmente siano 5", 5' i valori dell'angolo 0 ne'punti B, C. Sarà è, nel nostro caso, — d5. Dunque Nella formula a = J i\ -— ~ — W, la parte -^^—-—dq 0) = (dgr -h (15) . pjStendendo l'integrazione da q=0 sino a * simo stato, quanto perchè costituiva i moli egual- mente sporgenti; lo che era viziosissimo come si espri- me il sullodato consiglio d'arte. Resta ora a vedere cosa si deve pretendere da- gli altri venti metri di protrazione ridotta come era la foce. Si trovava adunque viziosissima la costituzione dei moli nel luglio 1845, ed era viziosissima non solo Lavori a Fiumicino 41 per lo stato di protrazione de' moli , ma benanche perchè lo sbocco era diretto alla traversìa, ossia ai venti infesti, e perchè esso era divergente relativa- mente al canale interno. Difetti cardinali tuttora esi- stenti , di cui ho diffusamente parlato nel capitolo suddetto. La protrazione de'venti metri, ordinata in luglio 1845, fu compita non prima del maggio 1S46 ira seguito di una disposizione pressante del consiglio d'arte data il 21 aprile 1846 nura. 566. Quindi la spiaggia, che già trovavasi a collo alla protrazione O T A \A) Su i primi dello scorso luglio l'armatura della suddetta pro- trazione, stabilita in 30 metri pel braccio sinistro detto di levante, era al suo termine : mancava la riempitura. 11 giorno lo del detto mese i piloti si avvidero che dentro il canale, presso la intestatu- ra della nuova protrazione colla vecchia, frangeva della maretta. Ue- catisi colà a scandagliare, vi trovarono un interrimento di cinque palmi di fondo, ove prima ve n' erano 18: e questo interrimento di giorno in giorno andò crescendo. 11 28 dello stesso mese questo banco era fuori di acqua, e con prontezza aumentò ancora fino ad avere mia lunghezza di 60 metri: la cui metà era 35 metri distante dal guardiano protratto; sporgeva in larghezza metri 8, ed era ele- vato fuori d'acqua circa 30 centimetri sopra il pelo dell'alta marea nel lato aderente alla palafitta, scendendo con dolce declivio a zero nel livello dell'acqua, e da questo punto rapidamente discendeva nel fondo con base clie sbarrava circa la metà di tutta la larghezza del «anale. Mentre si andava formando l'alluvione o questodosso, l'idro- metro di Ripetta si mantenne prossimamente nello stato poco su- periore alla magra ordinaria, cioè in una media di mei: 6, 02; ed il vento soffiò dolcemente nelle direzioni proprie di quella bella stagione, chiamato girasole dai navigatori delle nostre coste. Temen- dosi perfino che il canale di Fiumicino venisse chiuso interamente, si fece premura perche al più presto fosse riempita questa nuova palizzata che in gran parte di già lo era per l'arena entratavi; non si tardò a farlo, e di mano in mano che aumentava la riempitura , diminuiva 1' alluvione: il perchè ai primi di settembre compita la lavorazione, senza che né il fiume né il mare si fossero mossi dal suddetto loro stato ordinario, tornò il canale qual era prima. Alcuni assicurano di aver veduto altra volta un simile incon- veniente: che anzi in allora giunse a ridurre il canale interno presso lo sbocco con tre o quattro palmi soltanto di fondo; il che ci pro- verebbe che la prolungazione maggiore della punta dalla parte de- stra, detta di ponente, potrebbe essere anche causa che si chiudesse quasi interamente la bocca di Fiumicino. Lavori a Fiumicino 49 Da questi fatti , e specialmente da quellp di cui ho trac- ciato la storia, è facile scorgere la .provenienza di detta, grande ammasso di arna formatosi in sì poco tempo dentro il canale di Fiumicino, e la necessità di opporre da, quel lato un valido ripa.v ro; poiché non si può negare che tale arena provenisse dalla sini- stra, «ioè dalla iìumara grandi;; che ivi sia stata recata dal corso radente animalo dai venti da levante a libeccio che soffiarono gior- nalmente per un numero più grande di ore di quello degli altri venti; e che il solo rimedio sia il prolungamento maggiore dalla parte di levante, che <.la quella tU ponente, di palafitle a più file e ben col- mate nell'interno. I pratici tutti con fondamento di una incontrastabile espe- rienza xtmmeltono la provenienza delle arene dalla parte della fiu- mara grande, ed iisseriscono e confermano di più , che quando il buon tempo si prolunga molti giorni , s' innalza maggiormente lo scanno o prano presso la foce dalla parte sinistra, e che in q^uesto caso la fossa si approfonda, e quindi il canale di navigazione miglio- ra: ma al primo sconvolgimento deJ mare, alla prima tempesta , il canale subito peggiora. Questo fatto, che io stesso ho più volte verificato, viene sem- pre più in appoggio del Brighenti, in conferma del mio assunto , ed a condannare l'opinione dei pratici reclamanti. E di vero l'in- nalzamento dello scanno è l'effetto de'nuovi strati d'arena ivi de- positati dalla corrente generale del litloraie , che da scirocco porta a maestro, come ho dimostrato^ e come tutti convengono. L' anzidet- ta corrente , incontrando per via le sospese torbe della fiumara di Ostia , ha forza per trasportarle : ma non avendone abbastanza da fare oltrepassare lo scanno alle dette arene convogliate, per l'intop- po che la corrente di Fiumicino e lo scanno stesso loro presenta, è obbligata a depositarle in gran parte sullo scanno medesimo. Que- sto effetto ripetuto per più giorni innalza talmente lo scanno , che facendo questo V ufficio di una diga sommersa , sempre più ritiene le arene ed aumenta in altezza. Ora la corrente del fiume appoggia- ta , ristretta e difesa da quella parte , scava la fossa e migliora il canale di navigazione. Al sopraggiungere della tempesta si rompe la diga, si sconvolge il recente e poco resistente lavoro della natura, le arene invadono la fossa, la corrente dei fiume presa di fronte hi sparpaglia, perde la sua forza escavatrice, ed il canale di navigazio- ne peggiora. G.A.T.CXVI. 4 ^è Scienza '^^'^'BTa di grazia quel rialzamento dello scanno , quella specie di diga, queir ostacolo iniìne, che cosa è? Non è dessa un imperfetto prolungan^ento del molo sinistro? Con ciò la natura ad evidenza ci piostra che cos^ dohbiamo fare; essa stessa ci chiama in suo soccorso per difendere il suo fragile lavoro della furia delle onde ; è dessa che vuole, che si prolunghi la punta o guardiano da questa parte , acciò il capale navigabile non pegggiori quovainente al ritorno del nemico. Sopra queste infallibili leggi , sopra questi chiarissimi fatti , che confermano quanto nel testo ho riportato , è dunque basata la semplicissima questione, cioè se Tuna o l'altra delle due punte deb- ba essere più prolungata io mare. Ebbene, vi è bisognato niente meno che tutta l'autorità di un Brighenti per correggere questo sacrilegio d'arte; ma non è stata sufficiente, mentre ancora vi soifo de'contrari ad una verità tanto manifesta. Si E^mTTMWkATUUA Ragionamento del p. Antonio da Rignano intorno il Cristoforo Colombo di X. Costa ; recitatane parte in Roma nella tornata del di 21 di agosto 1848 nelV accadem>ia tiberina. .... Arrivato il Colombo .... Fiammeggiò più sereno il sole istes8o . > Quando a fraterno amplesso Stese Europa ad America le braccia; E sui cupi dei mar gorghi profondi Allora in fronte si baciar due mondi. Celesta, Cristoforo colombo. Milano, 1843. dnus erat mundus: duo sint, ait ipse ; fuere. Gagliufji. Uno era il mondo : e', duo sien, disse: e furo. Traduzione dell'egregio mons. Muzzarelli. Scosse ai portenti di sì belle imprese Posar vedrai qui molte intrepid'alme; Qui surgeran del tuo spirito accese A nuove palme. Panciera di Schio, al sepolcro di c. Genova 1846. Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo Lontane sì le fortunate antenne, Che appena seguirà con gli occhi il volo La fama, ch'ha mille occhi e mille penne. Canti ella Alcide e Pacco; e di te solo Basti a'posteri tuoi ch'alquanto accenne : Che quel poco darà lunga memoria Di poema degnissima e d'istoria. Tasso, Gerus. lib. e. ib »t. 32. 52 Letteratura 1^ facile il pensiero, e viemmi in acconcio d' in-' cominciare questo mio discorso con tal concetto, che è in sostanza il principal divisamento, a cui mira il Cristoforo Colombo, del quale or tolgo, quant' io so e posso, ad esporre dinanzi a voi, illustri accade- mici , gì' intendimenti , la tessitura ed il valore. Il pensiero è che sopra tutt'i vantaggi, i quali arrecò ad umanità con la sua sublime scoperta del nuovo mondo il Colombo, vuoisi specialmente considerare il maggiore, che è come la cagione o la fecondità di tutti; cioè quello, ond'ei si propose ed ottenne di portare la divina salute del Cristo delle genti a quei ... miseri fratei non perdonati Dell'antica malizia . • ? \ quali nelle opposte parti del mondo, che scoperse, da tanti secoli si giacevano non che a tutto il mon- do civile ed alla chiesa di Cristo, nja sino a se me- desimi sconosciuti, E ben si può dire che recando nuova vita a quei meschini, fece eziandio di quella tanta parte della terra dono all'umanità, al vecchio inondo : più ad europa : massimamente alla chiesa, Che l'umana famiglia acquistò, o, direm più vero, trovò fratelli , che erano cotanto straniati non che dalla comunanza, ma dall'indole -di umanità; non uo- mini veri, sì animali veramente insensati ; selvaggi viventi ed erranti a rao' di bestie, in regioni bellis- sime non allegrate dagli splendori dell'intelligenza, Il Colombo del Costa 53 non consoKite dalle armonie e dalle beatitudini della civiltà e della religione. E '1 vecchio mondo, dianzi sì angusto e quasi misero, certo rispettivo e come spaventato al cospetto delle colonne d'Ercole e dell' ultima Tule^ allargò di subito i suoi confini, e con essi alzò i concetti e le speranze, e si accrebbe le grandezze ed i tesori; dischiusa l'infinità dell'Oceano all'ardire delle imprese, ed alle ansietà degli umani affetti: e l'Europa più che altra regione della terrai n'è sì lieta, sì potente e magnifica: e 'I divin gregge di Cristo ampliò il suo ovile , più veramente che non innanzi^ dall'orto all'occaso, dall' uno all' altro confine dell'orbe terraqueo; la chiesa in effetto chia- rita universale , superati i ricinti di Europa , dell' Affrica e dell'Asia. Certamente (e chi innalzerà il velo, onde si avvolge il mistero de'divini giudizi ?) per innumerabili secoli quelle terrei e quei mari e quelle isole , travolte nelle tenebre dell' ignoranza , segregate dal civil mondo, quasi non mondo di uma- nità, non figli del comun padre Adamo, non regno di redenzione, non capaci di umano consorzio, non destinati alle grandezze ed alle soavità della civile comunanza dell'uman genere; non sentirono e non videro, e, senza un Colombo che fosse la lor colom- ba noetica, non sentirebbero ancora e non vedreb- bero la benefica e splendida luce del cristianesimo e della civiltà. Il Colombo salvò quelle genti mi- sere: pel Colombo quelle genti cominciarono ancora esse il lor movimento di vita civile : pel Colombo l'azione della civiltà principiò propagarsi liberamen- te, rapidamente ed universalmente per tutta la ter- ra: da lui gli auspici della universale unità e fra- SA Letteratura tellauza deiruiuaiia famiglia; cresciuta ove era, in- sinuatasi ove non ardeva e si rimaneva come scin- tilla nella selce, la potenza del progressivo svolgi- mento dell'umanità. Imperocché la civiltà, o signori, (non è mai abbastanza che si ripeta e dichiari un tanto vero ! ) sì come per moti di scambievoli azio- ni simpatiche degli umani affetti (tale è l'indole di vimanità), non si svolge e non rampolla dagli ani- mi, dentro da' quali n' è riposto il germe, se non allo scontro, e vuol dire allo scambievole vedersi ed intendersi e toccarsi degli uomini. I quali, soli, son sempre animali salvalichi; in unione ed usanza fra loro, l'uno all'altro si porgono incitamento, inspira- zione ed informazione ad intelligenza e ad amore: e però chi gli uomini disunisce promove la barba- rie; chi li disgrega, e l'un dall'altro separa ed al- lontana, sospinge l'umanità allo stato , alla miseria, allo spaventevole dicadiniento del suo essere nobi- lissimo; che quindi si travolge nel primitivo guscio, d'onde è suo destinato che si sviluppi per rappre- sentare su la terra la potenza del pensiero, l'armo- nia dell'ambre, la grandezza e la bellezza della im- magine di Dio. Che se l'individuo è chiuso ne'sacri ricinti della famiglia , 1' armonia e le scambievoli amorose corrispondenze delle famiglie compongono- in mirabili «nità morali le grandi famiglie degli stati: i quali per simil modo, per condizioni (po- ste da natura inviolabili) di terre, di monti e di marìf ristretti in certi confini , ed allargandosi e giugnen-. dosi tutti r uno all' altro , come vuol necessità od utilità pubblica , con mutue relazioni e comunica- zioni di grande società, raccolgo nsi in fìne tutti ia Il Colombo del Costa ,55 Urja ^ola ed immensa famìglia , qual' è la solenne famiglia di tutto Tuman genere, avveratasi l'univer- sale fratellanza di tutti gli uomini. Ed a questa ine- narrabile felicità dell'isimano genere a punto si operò, e, come per un apostolato de'più stupendi che vi» dersi compiere nel mondo , lei augurò primo , ed in gran parte felicemente e maravigliosamente ef- fettuò , Cristoforo Colombo : imperocché ( se altro non fosse ) l'apostolato della parola e della fede di Cristo , che ancor si fruttifero continua in quelle regioni, e s\ il progresso della civiltà ivi e da per tutto in se stessa crescente e per sua medesima vir- tù diffondentesi e propagantesi, a che mai riuscireb- bero , se , chiuse ed insuperabili le sue porte , un mezzo mondo si giacesse nelle dense sue tenebre , a rischiarare le quali, tanto più impenetrabili quan- to ignote, neppur cadevane in pensiero il generoso desiderio nel mondo illuminato? E tale impresa ed apostolato del Colombo descrive e canta Lorenzo Costa; sì a laude di un tanto eroe, che per istudio, e non a caso operò tal prodigio, ma sì ad un tem- po a conforto degl'italiani (e n'hanno, e n'avranno lungamente bisogno), che, ad esempio di tanto ardi- mento d'un'anima italiana, anch'essi, viva Dio, ù, sveglino ad operar cose grandi. Quest*uomo tanto grande, quanto è famoso, il. quale empie del suo nome e della sua gloria (4), non una provincia, non un regno né una nazione^ e non una parte, ma 1' uno e l' altro emisfero 4<&l '56 Letteratura globo che abitiamo, bene è gloria somma di Ge- nova altera, in cui par certo che nascesse ; bene è singoiar vanto d'Italia, che sì giustamente in sé stes- sa se ne esalta; bene è grandezza di tutta Europa, da'cui porti mosse e giunse portatore di nuovi de- stini agli antipodi: ma dico il vero, che più d'assai che le materiali estensioni del mondo; della fama e del nome e del solenne beneficio ed ardimento del medesimo;, vuole empirsi e si empie, e vuole cele- brarsi e si celebra l'ideale immensità delle beatitu- dini dell'uman genere e de'progressi e de'eonquisti e delle manifestazioni del Cristo di tutte le genti: che a tali immensità a punto aprì il guado la stu- penda impresa del Colombo. E dissi testé ardimen- to : imperocché , quantunque ei sorgesse in mezzo» agli uomini in tempi che per moti di lettere e d'im- prese i semi del nuovo avvetiire di umanità comin- ciavano potentemente a' svolgersi-, ed ogni dV più (gli uomini l'uno all'altro accostantisi ) procedeva uma- nità a collegarsi in unità di una sola famiglia, un gregge solo Tu man genere, un solo ovile la chiesa, un solo vincolo di fraterna concordia la civiltà san- tificata dalla carità; pure ancora sì poco eransi i popoli a quei dì allargati fuori e lungi de'natlvi lor covili, che a mala pena principiavano Tun l'altro conoscersi sin quelli, che pur di fama almeno eran noti; tutti già ristretti, ed anco mal noti, dentro da' confini ancor essi mal diffiniti, e non ben conosciuti del veéiihio mondo: Ondechè sì largo campo di mari e di altri continenti, e di isole, rimaneva non che a percorrere^ ma a sapersi che esistessero, oltre ib Catài j 'e le isfolè del mar etiopico , ultimo ardire Il Colombo del Costa 57 del marittimo coraggio de' portoghesi. Chiudevano i mari del nord (di ponente) le colonne d' Ercole, l'Islanda, la Groenlandia, l'Estotiland, la Vinlandìa; nomi a'navigatori più temuti che noti , argomento di ammirazione in uno e di favole e di paure. Ma veruno si osava di credere alla esistenza di un al- tro mondo al di sotto (di antipodi) al vecchio mon- do; antipodi maladetli, e sino come quasi -^ scomu- nicati; impossibili a pur concepire, quando la terra tenevasi essere una grande estensione anzi piana che sferica; lonlanissiaii le millanta miglia tutti gli uomini dal (non che altro) suspicarla sferoidale, e tutta come cinta di mari, così sparsa d' isole e di continenti, abitata da uomini nostri fratelli. Il più grande de' pensieri e degli sforzi dell' ardir delle imprese di quel tempo, era, che per mercar spe- cicrk . come parla il celebre Toscanelli (consultato dal re di Portogallo, e quindi anche dal nostro Co- lombo) , si chiedeva d' ire alle Indie per via me» lunga di quella che era lunghissima pe'mari dell'Af- frica in levante. E nonché la scoperta degli antipo- di, ma ire alle Indie a mercar s[)ezierie pe' mari Ai ponente, pel grande Oceano, per l'Atlantico, era Sogno d'infermo e fola da romanzo (2). Ora il Colombo in mezzo a quegli ardiri, hi quel tanto commovimento degli animi , in quelle questioni di alto aft'are marittimo, vero Galileo, vera Newton della scienza della navigazione , grande e sòjetìne d'intelletto, d'animo capace della immensità de'mari che circondano la terra, là ove altri vedeva ss Letteratcra limiti insuperabili della superficie del globo, o inorai ridiva paure e spaventevoli abissi dell' Oceano , ei vedeva o indovinava isole e terre e tesori di natura nuovi; ed uomini nostri fratelli disgregati dal con- sorzio del civil mondo, al quale si per natura ap- partenevano , e sì per redenzione civile e religiosa eran da aggiugnere e guadagnare. Insin da fanciulla (sì fatto era da natura) è fama (e tal il dipinge i{ nostro poeta) che l'impeto forte e come prepotente delle inclinazioni e delle inspirazioni del suo spirito, spesso spingevagli e lanciava in colali o simiglianti strane e nuove lontananze i sentiti ed ancora mal noti desideri. Onde in fin da prima il mestiero del navi- gare non è per lui che l'arte e lo studio di tentare le forze, le vicende, le direzioni, i nuovi regni del mare: e'I genio, che il menava, già una volta il con- dusse verso ponente, fin oltre 1' Islanda; che a quei nuovi pericoli sospingevalo l'inspirazione del nuova ardire. E si afforzava dì e notte ogni dì più , di meditazioni^ e di studi (3). Udiva gli ammaestramenti del fratel suo Bartolomeo , a quei dì cosmografo eccellente; rapiva le memorie del suocero Perestrello, arditissimo de'portoghesi navigatori; ficcava e volge- va l'occhio nelle carte ed attorno i globi geografici; faceva tesoro de'racconti e degli esperimenti di que- sto e di quello; poi guardava alla facile convessità del mare; viaggiava col rapido pensiero; tentava co' desideri le sue imprese ; segnava le esperienze, gli errori, e le speranze; notava e in mille e cento modi correggeva e addirizzava nella carta le vie dell'Oceano; interrogava in secreto il suo animo, le tradizioni, gli oracoli, le sospizioni degli antichi; delle favole rideva; Il Colombo del Costa 59 (Ielle paure e de'mostri marittimi e degli abissi del- l'Atlantico non si spaventava; Vorbeni terrarum^ che pur dicono le stesse divine scritture, non isfuggiva di considerare: e, quali che e'fossero, pigliati i con- forti dell'italiano Toscanelli (4) astronomo rinoma- tissimo, vinto lo spavento di essere, non riuscendo, raumiliato e come infamato quasi vano avventuriere (5) i affidato del suo presentimento che V alta idea non fallirebbe alla gloriosa meta; dopo tanti studi e tante cure e tanti marittimi saggi , d' altrui nuovi ed arrischiati e notissimi, e suoi propri nuovissimi ed arrischiatissimi; si risolve del pensiero che alto e continuo lo premeva; ond'eccolo sicuro navigare con tutta la potenza del suo genio il grande Ocea- no, infino agli antipodi che indovina, anzi vede e lien per certissimi, divinatore del nuovo mondo. Le quali conclusioni del suo mirabile speculare non' sogni di farnetico senza intelletto, non ambizioni di animo vano senza carità dell'uman genere, ma era- no inspirazioni del suo genio che sentiva la verità innanzi la dimostrazione, e si apriva ed allargava con gli affetti a beneficare e ad abbracciare fratelli che e' non conosceva, e de'quali par udisse in fon- do del suo cuore i dolorosi gemiti, onde implora- vano il lume della civiltà e le consolazioni della fede di Cristo. Le quali rivelazioni a soli i supremi geni si aprono: e'I Colombo fu de'grandissimi; tanto più sopra tutti grande e solenne, che e' solo a quei dì al mondo, contro alla ignoranza superstiziosa de'sa- pienti del suo tempo e contro alla orgogliosa igna- via de'potenti, e concepì e tenne l'indomabile ardire di lanciarsi attraverso ignoti mari, guidato dal sola 60 Letteratura pensiero e dal corag^gio della sua idea, ad un iftòn-» do che e' non sapeva di sicuro, e solo indovinava, o piuttosto immaginava, ma certo chiarissimo vede- va nella immensità del suo concetto. Ma a vremrae-' glio conoscere l'economia degli ordini della provvi- denza nello svolgere l'intelligenza e le sorti dell'uma- nità, vorremo da ultimo qui avvertire che per animo singolarmente grande che sortisse il Colombo, non sì venne però alla vita, e non talmente augurò il solenne e nuovo avvenire di tutta la famiglia del-^ l'uman genere, che innanzi a lui studi, ed uomini, e preparamenti non fossero, onde si alto quindi spic- casse il volo per le vie della speculazione il suo rara intelletto. I rapsodi in Grecia produssero Omero: i cento giullari e poetellr provenzali ed italiani del- Tundecimo e duodecimo secolo, precessori di Dante, ci condizionarono ad avere, o piuttosto ci annun- ziarono la venuta, cioè l' apparizione di quest'astro miracoloso della nuova letteratura, nonché d'Italia, ma di Europa: la smania e'I progresso del filosofare del decimosesto secolo ci fecer lieti e sì ricchi dei Galilei e dei Newton: e sì il volgo de'navigatori mas- simamente portoghesi ; e gli studi di Marco Polc italiano ; e le ansietà di quel tempo di portar oltre in nuovi mari le vele ; e' I dado gittato del gran giuoco degl'intelletti a trovar nuove vie alle Indie, senza neppur pensare a scoperta di un nuovo mon- do; ci condussero alla gloria del Colombo, che, po- sto quel problema, oltre ogni espettazione più am- piamente che non altri si divisava , lo prosciolse ^ indovinando e scoprendo un nuovo mondo. Jl COLO.^IBO DEL CoSTA 61 IH. Or poste e chiarite queste cose in su i generali, a tutti certamente note, ma qui necessarie a ricor- dare, per entrar nel raagislerio del poema che canta questi ardiri di Cristoforo Colomho; potremo innanzi tutto domandare: In prima, Lorenzo Costa, cantore del Colombo, si è bene apposto in rispetto a'bisogni ed a(jli amori d'Italia del suo tempo, prima del 1846, quando tolse a scrivere tal poema, scegliendo mate- ria alla sua poesia le imprese di un navigatore? Se- condo : E soggetto eroico e da poema veramente epico il Colombo? Terzo: Ha soddisfatto il Costa e al debito di poeta civile verso la patria, e sì a quello che la patria avea a soddisfare verso il Colombo, ed alle necessisà infine e al decoro dell'arte poetica? E da quel che diremo (s'io non m'inganno) si cono- scerà ad evidenza, che il Costa ponendo mano all' opera, infin dal principio , anzi dal concetto e da- gli studi del suo lavoro, ottimamente e da se si sod- disfece del st alle due or dianzi da noi premesse interrogazioni ; e bene a tutte le parti della terza corrispose nello eseguimento del poema, come si farà manifesto dall'analisi critica che ne daremo nel pre^ sente discorso. §. 1. Studi ed intendimenti del Costa. Interviene soventemente di alcune poesie, anzi ad ogni maniera di opere d'arti, tutto forbite e ap- puntate ad ogni rigore di regole, che, a vedere, non 62 Letteratura puoi non dirle perfette in quanto alla forma esteriore; che di verun neo non trovi da accagionarle; e quasi t'indurresti a chiamarle belle ; coneiossiachè- vilavl denique culpam: par che ad ogni cosa ti senti gri- dar dall'autore. Ma ad aOisarle con tutta l'intenzione degli occhi e dello intelletto, badando a quello che non Tarte, ma dà l'ingegno e l'inspirazione, ti avvedi che le sono anzi non deformi che belle, e se belle, una bellezza non viva: contro a cui non hai forse da apporre, ma non ti tocca, non ti scalda, non t'inna- mora: dinanzi dalla quale sosti sì come dinanzi ad un cadavero, ben composto delle membra, ma senj z'anima. E peiò con tutto lo studio adoperatovi in-^ torno, a quell'autore, soddisfatto da una parte dell' avere sfuggita ogni colpa , gli accade che la sua opera non piaciuta a nessuno, od a pochissimi, non frutti veruna consolazione di laude; onde gli è for- za infin che se ne pianga: Non laudem merui. Or il venosino , accennato a tale sconcio di opere non vi' ziose, ma sì ad un tempo non lodate, si avvisò per avventura d'insegnare quello che è sì vero, e di fre- quente incontra agli uomini di avvertire, che non è laude se non dalla perfezione; la quale non è, ove manca la sostanziai forma della verità e della vita che spiri spontanea, pronta, vivace, chiarissima da ogni punto e sin dalle ombre, dal colore e dalla moven- za della esterior forma. E per ciò conseguire, a fin che gl'ingegni non vagassero smarriti nell'ampiezza della tanta e tanto fuggevole e dilicata e poco men che impercettibile varietà e verità della natura ; la qual sola vuoisi togliere ed è a sommo tipo d'ogni verità e bellezza nelle opere dell'arte ; quel leggida- Il Colombo del Costa 63 tore della poesia proponeva senza più a' roonani : Vos exeniplaria graeca nocturna versate manu^ ver- sate diurna-, i quali sì al vero della natura si avvi- cinarono; del quale si rinaasero in opere d'arte tipi, quanto forse la natura, inarrivabili, ma, come fat- ture d'uomo, all'umano ingegno più accostevoli. E sì il Costa, togliendo a tessere e colorire la sua tela poetica, la qual figurasse agl'italiani in vol- gare eloquio un fatto italiano , dichiaratamente ci dice che ebbe dinanzi da'suoi occhi, sì in prima il final proposito di eccitare gl'italiani all'ardire delle grandi ijmprese con l'esempio d'un fatto « dove alle » glorie casalinghe e speciali si accoppiasse l'impor- » tanza d'avvenimenti gloriosi a tutto il genere uma- » no » : ma sì ancora intendendo « che la sostanza » dell'opera e gli stessi particolari, in cui l' ufficio ») dell'arte si manifesta, ritraessero dalla castità degli » scrittori, che l'antica Roma illustrarono (6) ». I quali se furono a'greci inferiori come discepoli, ben, imitando quelli, si meritarono di venire anch' essi, come quelli, da'Ior nipoti imitati: recenti, ma egregi modelli, a noi più vicini e forse più propri; lor fi- gliuoli che siamo ed eredi, non pur nella forma del dire (7), ma ancor più per avventura dell'essere, e nella gloria del nome. E ciò vuoisi intendere in quan- to almeno per mutar tanto di stagione e di vicende non ci disformammo dal tipo di tal progenie latina; «cherniti (pur troppo !), come da quella tralignanti, dagli stranieri; e sovente anche da' nostri ; a' quali nondimeno a quando a quando egregi fatti rispose- ro, ed ora ( benché forse infelici ) recentissimi ris- pondono che, al dire del Petrarca: « L'antico valore 64 Letteratura negVitalici petti non è ancor morto )». Ed a quella forma e a quel vigore ci richiamano i savi ; ed a quella energia par che ritornino le generazioni. Ed innanzi che a tal vitale potenza si riscotesse il no- stro bel paese, uomini erano, i quali forraavansi in lor silenzio a quel tipo antico, educando e nudrendo con generosi studi la nativa tempera, pelasgica, od italogreca, ajl dir del Gioberti; uomini del passato e del tempo avvenire (8): nel numero de'quali sì per lo torte animo e si per la solennità de' forti studi, io non dubito, signori accademici, di contare fra i primi, certamente non ultimo, Lorenzo Costa, ligure poeta. Imperocché a punto un sentir forte e digni- toso, un andar grave ed altero, ed alcuna volta sde- gnoso anche e quasi fiero, un parlar tondo e ma- gniloquente e, quando accade , dolce ed amoroso, ma non sempre facile, non mai femminile, sì piut- tosto arduo e profondo, quale si acconciò sì mira- bilmente alla romana toga ; se il corto veder mio non m'inganna; io posso ben dire di ammirare nel poema del ligure illustre. Io certo sì l'ammiro. Anzi qui voglio saper grado pubblicamente all'egregio e diligente ricercatore di occulti veri nel nostro gran Dante; voglio dire al P. Ponta, onore della congre- gazion somasca, il quale priino diertimi amorevole invito e stimolo, eh' io volessi (come già egh nel Dante) ricercare e disascondere le intime bellezze del Cristoforo Colombo. Perciocché veramente, guar- dando bene addentro in tale opera d' ingegno , in tutte sue parti per minuto e nella composizione ed armonia e forma interna ed estrinseca del tutto, in*- tendimento e condotta, colori e sostanza, opportu- Il Colombo del Costa 65 nità del final concetto dell' autore, ed eseguimento dell'opera; non posso a men di dire che mi sortì ca- (ylone di piacer non comune. E tornandovi sopra do- po lungo intervallo di tempo, ed udito anche intor- no a tal poema alcun giudici© sì autorevole ma per alcune sue parti sinistro, confesso il vero che né il t<3mpo mutato, né le preoccupazioni di tal voce po- tettero impedire che eguale ed anzi maggior diletto non mi arrecasse all'animo la lettura e, dirò meglio, la contemplazione e lo studio ch'io vi posi per ge- losia del vero. E dissi adunque, in quanto a me: Que- sta è tal poesia, ludicis argutum, quae non formidat acumen. Haec placuit semel: haec decies repetita iuvabit. Non essendo lontano né pur io dall' asserire, come altri del C. Colombo asserì dottamente in lungo e sottile Comenlo'^ tali versi e tal poesia del Costa tanto riuscire e riuscirà in piacere a'veri amatori dell'alta poesia, quanto più si legga e si mediti; e più forse che a' presenti sia poema che grandemente gusterà a' futuri (9). Già da molt'anni volgeva il Costa in sua men- te il generoso proposito di eccitare con nobili esem- pi a magnanimo sentire gl'italiani. Gli parve ed era magnifica l'immagine d'un Andrea Boria, tanta glo- ria d'Italia; e vi applicò l'animo, avvisandosi dipin- gerne le gesta con l'armonia de'versi latini; tanto si- miglìante che fu quegli di opere e di tempera agli antichi eroi del campidoglio. Ma egli italiano volea scrivere per italiani, pe'molti, non pe'pochi: e scelse G.A.T.CXVI. 5 66 Letteratura più ampia tela poetica di comune e facile inteIlel-> lo: e benché di alto proposito per forza d'animo a tal fine necessaria , pur in documento di prudenza e di sapienza, a qualunque gran fatto opportune e convenevoli: adoperativi colori, dirò così, popolari in linguaggio che tutti intendessero, e per eroe a tutti Venerando e notissimo, in impresa che tutta com-r prendesse l'umana famiglia, e gl'interessi dell'uma- nità , e quelli del cristianesimo. Il Costa si trava-^ gliava affannato intorno a tale immenso lavoro (che consacrava al bene d'Italia), quando ogni verso per avventura, ogni immagine, a cagione della tristi- zia de'tempi, costava'jii un sospiro, una lagrima, ed un pericolo! Se non che alcuno qui domanderà: A che nuove poesie ? E veramente se noi consideria- mo ì versi come ornamenti e gioie o nenie delle accademie: Versus inopes rerum^ nugaeque canorae: (e tali in un fascio , troppo ingratamente, io credo, altri sentenziò che fossero!); con ragione la poesia vorrebbesi bandire da ogni ben ordinata repubblica, la quale non canonizzi i beati ozi, ma solo attenda a' gravi fatti della civile sapienza: ed assai meno op-^ portuno accaderebbe il poetare in tempi di maggior uopo, se ciò non fosse per isfogameuto di pianto : né da tal parere è da credere al tutto alieno quel \ divino Platone clie la trattazione delle pubbliche e sociali faccende non volea turbata dal canto de'poeti. E certo ove è d'uopo d'azione, é importuno il par- lare, e'I parlare, si in prosa e si in verso*, se ciò non fosse ne' gravi e legittimi consigli : si che ben disse testé alcuno d«' fatti nostri « Meno oratori, e più soldati » ; ed è ancora oggidi solenne quel detto Il Colombo* del Costa 67 antico: Dum Romae consulitur^ Saguntum expugnatur. Ma lutto ciò non ostante , senza dire che Omero poetando, nel suo Achille ed in tutl'i suoi eroi, non porse disutile tipo degli uomini e casi di (Vuerrà a' valorosi greci; e'I magno Alessandro si recava seco sin ne'campi di guerra quel poema indivisibile mae- stro e compagno; né meno alla prudenza della vita privata giovò con l'Odissea quel « signor deWaltis- simo canto » : e lasciato stare che nella infanzia e nell'adolescenza della umanità ogni civile non che religioso insegnamento ed inspirazion di coraggio si chiudeva nelle armonìe della poesìa .... dirò solamente che in men rimoti tempi eran gran, parte eziandio delle imprese di guerra , per eccitarle e condurle , i non antichissimi bardi. Ond' io son di concludere che la poesìa, armonìa delle immagini del pensiero, espressione de' popolari affetti, mani- festazione in veste vaga e sensibile de' grandi veri ci de'beni che meglio importino all'umanità, non vuoléi scompagnarsi né abbonire: anzi, com'è sua indole generosa ed alto suo destinato, vuole aggiungersi così alle più nobili inspirazioni dell' intelligenza , i cui oracoli deve divulgare, come a'più santi affetti di religione e di patria, che deve accendere e nudrire. Alla quale incombenza civile, che ha a compiere nei mondo la poesìa , guardò a punto Lorenzo Costa , quando applicò l' animo ed intese tutt' i nervi del suo robusto ingegno a ricordare agl'italiani con l'im- luagine e l'esempio di C. Colombo di quali imprese e di quanto nobile ardire, e con quali arti di ma- gnanima prudenza, e con qual ricchezza di studia- te speculazioni, ove voglia, sia capace il genio ita* 68 Letteratura liano: cui pertanto a sua naturai grandezza e virtù ( intendeva ad eccitare ne'giorni dell'alto sonno, che vilmente da tanti secoli si dormiva questa vecchia ocio^ sa e lerUa^ come con figliale e generosa rampogna chiamò e riscoteva a' suoi dì Italia il cigno di Valchiusa, §, 2. Poesia della vita e delV impresa del Colombo. Sarà dunque un Colombo degno argomento di alta poesìa? Di poesìe liriche si porse degno obbiet- to a tanti; testé a quel nobile ingegno del Celesia , che qui vogliam nominato per cagion di onore. Né fia mai che un volatore per su l' ampia ed infinita estension dell'Oceano abbia da invidiare a' giocato- ri olimpici il suo Pindaro. Ma in quanto all'épopeia mi ricorderò della storia che diventò un mito , e si porse subbietto ad ogni maniera di epici canti; vo" glio dire la famosa , ma pur sì tenue spedizione degli argonauti alla conquista del vello d' oro in Coleo. Certo più ampio, nuovo, immenso, e terri- bil mare fu quello che tentò primo il Colombo. E veramente la navigazione del Colombo non conqui- sto di poche terre ambite, non commerci di studia- te usure, non possanza ed ampliamenti di stati, non fortuna di agiatézze, non glorie vane e dannose; ma ebbe in mira ed in effetto aggiunse lo scopo di am- pliare il regno della scienza, di armonizzare gli af- fetti scambievoli di tutte le razze dell'umana proge- nie, di rendere all'umanità e al suo Cristo salvatore tanta parte de' figliuoli di Adamo che n' erano sì straniati, ,e di svolgere in somma e moltiplicare in Il Colombo del Costa 69 tutta la ferra, con apostolato novissimo e straordina- rio., la civiltà e la religione della croce (10). Poi di vero la civiltà di Europa vi recò nuove miserie; ma i semi del vero, che si sparsero ivi^ non peri- rono; e gli oppressori di quei nuovi fratelli dalla civiltà contro lor voglia cresciuta vennero oppressi, o piuttosto, come bruttissima schiuma, da quei nuo- vi mari ributtati; sol glorioso e salvo in tanto nau- fragio il nome del cristiano Giasone, che non mor- rà mai^ anzi infinattantoché il mondo non si dissolve sarà l'onore della grandezza dell'umanità, e 'l van- to, senza invidia, de'due emisferi. Ma in che pro- priamente sta la poesia di lai personaggio, e di tale impresa ? Nella immensità, nella novità, nell'altezza inarrivabile di tal concetto , che pur in mezzo ed attraverso d'infinite difficoltà, vero fato insuperabi- le per umana potenza , si mandò ad effetto contro ogni aspettazione da tal uomo. Il quale sì piccola creatura , ma tutto vita indomabile ^ cozza con la povertà, con l'invidia, con l'ignoranza, con l'insop- portabile tirannide della derisione degli sciocchi po- tenti e fortunati del mondo; e vince sua idea, tra- passando mari che e' non conosce, e i quali misura e doma innanzi di conoscere; volando a piantare lo stendardo della civiltà e della croce, il segno della vita e della libertà , là dove la turba degl' idioti e quella de' sapienti accennavano come a' regni della morte. Ecco il carattere di tal uomo missionario del- la Provvidenza: « Povero e sconosciuto gran tem- )» pò; vagò per istrane regioni procacciando e li- » mosinando la vita, non inteso dalla plebe, rifiu- » tato da'signori, ludibrio de' savi e degl' idioti , e 70 Letteratura » specdiio eli bontà e di costanza incredibile ». Oh ! sì, ia veruno mai forse tanto si avverò, essere una idea vera sentita e passionata , che volgesi in un grande intelletto, una potenza vera insuperabile : e davvero divine forze son le idee ; quando sì come verità empiono di luce gl'intelletti, che quindi s'in- nalzano oltre gli usati termini delle comuni intelli- genze; e sì come affetti, discese a commuovere ed a scaldare i cuori, conducono l'uom che le possiede a'miracoli dell'azione, a cui non è forza che resista, non ostacolo che dinanzi non isvanisca. E tale idea; e simile affetto brillava in mente, e ferveva in cuore all'eroe de'due mondi: poesìa, alla quale altra non fu, e non è, e non sarà mai che agguagli: degnis- simo del più sublime poema che mai fosse , nel quale non è tromba di guerra che introni gli orec- chi, ma dev'essere armonia di vita e d'intelletto, di civiltà e di religione, che, arbor grande e divino, ampiamente copra tutta la terra. Ma il Costa colse a sì alto segno ? Dittici le tornava al medesimo il cogliere e stringere il principale e come a dire fatai nodo della tela poetica che, sendo la storia del- l'eroe a tutti notissima, egli disponea e dovea scio- gliere, servendo in un medesimo ed alla verità trop- po volgare della storia , ed al lavoro in cui cam- peggiasse io splendore della immaginazione e della poetica invenzione. L'animo del Colombo gli porse la cognizione del gran nodo della favola; ed a tal animo misteriosamente solenne tutte le fila e' vide che si appuntano dell' ampio tessuto. Era tal forza in queir animo, che alle resistenze tante delle vol- gari superstizioni, delle imperfezioni della scienza , Il Colombo del Costa 71 e delTorgoglio infingardo delle corti, che mai non crede all'ardire dei genio; sol potente della sUa idea ìq contrasto come a dire con l'universo , un mare immenso e spaventoso a cui abbandonarsi, un nuo- vo mondo al vecchio già incredulo promettendo , l'umanità, la religione, e^ per possibili tesori a tro- vare, sin il riscatto e'I conquisto proponendosi della tomba di Cristo; oh ! tale idea, io dicea, tal propo- sito ed animo, se alle sempre nuove difficoltà in cui ad ogni ora si avveniva, come uomo, alcuno instan- te sentivasi venir meno; quindi, quasi divino, ogno. ra più s'accendeva ed ingagliardiva, che il pensier suo si derivava da certa lai quale suprema rivela- zione. E qui dunque , cioè sol quando pare che il concetto e l'impresa si facciano e per semplice uma- na potenza siano insuperabili , avvisatamente , ove accade , il poeta introduce e adopera ^ a sciogliere ogni nodo, la divina intervenzione; secondo il pre- cetto oraziana: Nec Deus intersit^ nisi dignus vindice nodus Incidefit. La quale non è per fermo sì fre- quente come negli eroi di Omero , ma soccorre al Colombo , uomo e non semideo , allora che virtù umana d'intelligenza a concepire, o di coraggio ad eseguire, non arriva l'altezza d'un pensiero più pro- fetico che dimostratore, e non si adegua a diflicoltà umanamente non superabile. Ma e in questi interve- nimenti divini o per inspirazione dell'animo, o per beneficio di visione, o per apparizione di fantasime manifestati nel poema, viemmeglio si chiarisce l'ani- mo altamente pio del Colombo , che è fatto degno e s' innalza agli splendori delle supernali comuni- cazioni; onde l'impresa e l'eroe pigliano eziandio di- 72 Letteratura gnità e carattere di sacro. E sì vedianti chiaro che il Colombo è da più che Achille, cui fatai decreto aìlon" lanava, e fatai decreto infm conduceva alla fatai guer- ra di Troia: da più che Ercole alle prese co'raostri ch'era suo destinato di distruggere: da più che Enea, che i fati trasportavano in lunga e travagliata peregri- nazione di nuovi regni e mari, per fondar nuovo e quasi eterno imperio nella terra dé'latini. Ecco qual fu e qual veramente il Costa si pennelleggiò in sua mente U Colombo. « E chi non maraviglerebbe (e' « dice) ... considerando che un uomo di piccolo na- » scimento, ed allevato tra le pastoie di mestieri mec- » canici, per la propria energia si levasse in altezza » SI portentosa da sovrastare come gigante al suo .' secolo? Egli indovinò le avverse parti del mondo, » non mari ciechi ed innavigabili, sì campi ameni, » e visitali dal sole che li riempie di fertilità e di n bellezza. Vide una diversa moltitudine vagolarvi I) efferata, e non conoscente del Cristo, roa devota )> alle false divinità con sacrificio di sangue. Gl'ina » crebbe de'miseri fratelli travolti dalle prime ori- » gini in tanta maledizione, e desiderio accesissimo » lo divorò di salvarli. Chiese soccoi*so a' potenti , » si tragittò di terra in terra dietro quella forza » divina che per ostacoli s' accresceva spandendo » l'ali più superbe e più generose, e corse l'oceano » sterminato, di là da'segni all'antico ardimento pre- » fissi; né cattività di compagni, né verni atroci, » né calme infedeli, né miracoli di natura impedi- » rono che due mondi non rannodasse in corris- » pondenza di religione, di commerci, e di civiltà ». E sì, lui ministro, noi diremo che i decreti del eie- Il Colombo del Costa 73 lo s'adempirono: sempre e da per tutto e' dicendo^ quel che il cuore gli parlava sì alto esser divino; divino il pensiero; divina la sua missione : e di là veramente venivagli « ove si puote ciò che si vuole »: e però fermo in sua fede, vinse il proposito; ben- ché SI duro ed incredibile, ma non mai disperato infino alla terribile notte, a cui successe il più stu- pendo e glorioso de'suoi giorni; giorno per tutt' i' secoli futuri a tutto l' uman genere gloriosamente memorando. E '1 poeta dipinse assai maestrevolmente tanto animo, e le dilìicoltà tante che gli si attra- versarono per terra e per mare , e nelle corti de* principi, e presso le ciurme del suo naviglio, e in- nanzi e nelle gioie e dopo la gloriosa scoperta del nuovo mondo; figurandoci l'uomo anzi unico e di- vino al mondo che raro ed umano : di cuore e dr presenza, e saviezza, e di modi regalmente sublime: e pur imitabile; sempre serena e nobilmente altero; sempre impavido e prudente, benché talvolta dub- bioso; ne'casi inopinati avveduto ; umano e digni- toso e, accadendo, terribile, ma giusto e discreto co' ribelli ed audaci; semplice, ma non men de'regi mae- stoso dinanzi a're; sorridente, amenissimo, veramente padre a'selvaggi; e in Dio confidente, alla fede di Cristo nell'amore dell' umanità religioso, d' aspetto sempre venerando e patriarcale. La qual sem^plice e grande idea dell'eroe, concetto generatore massimo del poema, il poeta quindi veste di squisita varietà, pari al soggetto , limpida e sgombra d' impacci , raccogliendo e rannodando in armonica vmità di pensiero e di forma quanti mai di tempo o di luo- go o di persone e cose cotanto diverse, incontra di 74 Letteratura ritrovare per via, e vede giugnersi accidenti che cìiant lume e rilievo al massimo pensiero. E quindi ab- bondano come le scene della narrazione, così i mo- rali e politici documenti, onde dilettando si avvisa di ammaestrare; Ma linai divisamento ^ a cui mira la composizione del poema , è sì certo la scoperta d'un mondo ignoto e nuovo, ma per giugnerlo al consorzio ond'era sequestrato del resto dell' umana famiglia; e più avvisatamente perchè il nome e l'im- perio di Cristo non più sostasse alle antiche bar- riere, cui segnava l'oceano^ ma oltre, sino alle op- poste sponde^ si allargasse, e girasse^ ed accerchias- se, e facesse lieto, come già il sole , dall' orto all' occaso , e dall' occaso all' orto il mondo. La quale impresa, pia tanto e generosa, vince il Colombo: e vinta, a Dio con mirabile inno la consacra: e trion* fatore ritorna, non tanto, come ben descrive il poe- ma, alle meritate gioie de' regali torneameati, che gli festeggiarono in Spagna i monarchi Ferdinando ed Isabella, quanto ai dolore immeritato delle ca- tene, che la storia va esacrando, le quali preparo- gli e gli strinse la calunnia sempre nemica d'ogni merito infino a che noi subissi. E la storia, i mo- numenti, i due mondi bene in mille e cento modi vendicarono e continuamente vendicheranno tale on- ta: infamia agli avversari d'ogni grande virtù ! Ma sopra tutti col suo magnifico poema di sì lunga e robusta lena, non che il sommo eroe, ma 1' amore e l'onore del mondo, e piii dell'Italia, onorò il Co- sta; sì placando le giuste ire d'un Giordani, che del Colombo in patria sua non abbastanza onorato non ha guari amaramente si piangeva. Ora deen amente è Il Colombo del Costa 75 onoralo il Colombo; almeno, come il Costa si andò divisando, in augurio di maggior tromba, che dopo la sua per avventura sonerà. Imperocché egli è vero che sopra tutti i ricordi e i monumenti, i canti de' poeti immortalano le geste degli eroi. La parola, fi- glia ed immagine del pensiero, è immortale, e la poesia, virtù divina della parola, parola di celeste inspirazione, non è sola immortale, ma consacrazio^ ne e tromba d'immortalità che suona perenne « quaii~' to il mondo lontana ». §. 3. Analisi del poema. Ma quantunque il fin qui discorso non sia in* somma che la ragion ideale ch'io ho .scorto nel con- cetto e nella condotta del poema del Costa, non pos- so ciò non pertanto fare a mena di entrare nelle minute cose di esso, e l'una dopo l'altra considerar- ne le parti,^ in prima per rilevarne le speciali bellez- ze, e quali e quante esse siano, poi per coglierne le ri.spondenze in armonia di varietà che accenna e si stringe nell'unità dell'azione e della espressione del poema. • Primamente impertanto avvertiremo ( come or' dianzi toccavamo ) la modestia del Costa , quando accintosi a tal' opera di descrivere in poema le ge- ste del più solenne uomo che mai fosse nella storia moderna in Italia, e'non per tuttociò credette di ar- rivarne l'altezza; ma sì bene « con piceiol siiono., e' dice, farò pi'eludio a quell'eroica armonìa » onde al- tri con più largo tesoro di poesia, quando che fosse, all' italico , non so s' io dica Ulisse o Giasone , che 1r6 Letteratura l'uno e l'altro fu il Colombo, sorgerebbe a cantarlo' Omero novello. Ma veramente siam di dire che an- che sorgendo la felice tromba , che pur tanto un Alessandro invidiò ad un Achille , in quella tanta e nuova gloria del Colombo non sarà senza lode e senza gratitudine degli animi ben fatti 1' ardimento non infelice, e lo studio di sì bella opera fecondo del ligure cantore. Il Costa parli in Vili libri il suo canto. Fine occulto e come anima del poema, l'informare di vari e grandi veri ed affetti gì' italiani, a fin che si ec- citino ed innalzino a grandezza: e questo fine è se* gno a cui mira ogni morale e politico documento, e l'esempio delle tante virtù del Colombo,^ e d'altri personaggi che figurano nel poema ; non dischiusi gli orrori di quei vizi che in alcuni altri condanna. E'I poeta però a punto si elesse eroe di pace, non di guerra ; per cui più largo spazio gli si parasse davanti , da più largamente informar gli animi di civile coraggio nel proposito di una grande idea : onde ogni possibile ammaestramento, sino per donna, sposa d'un virtuoso, inchìuse nel suo concetto : nò mancano rampogne a' molli; né rista dallo svergo- gnare o l'ignoranza de'falsi sapienti, o le turpitudini de'cortigiani; e'I vizio oltracotante flagella inesora- bile; ed esalta magnanimo il trionfo della bontà e del vero. Fine poi aperto, e dell'arte, è la redenzione del* le genti del nuovo mondo, e sì in uno l'ampliamento del regno di Cristo, e l'affrettarsi e crescere all'unità d'una sola famiglia la gran famiglia dell'uman ge- nere. Pone il Colombo apostolo a tanta missione , Il Colombo del Costa 77 d'animo singolarmente grande e sublime. Ma uom per grande che e'sia, non basta a tanto straordina- rio apostolato: e però il poeta l'afforzò e'I fece mi- racoloso per celeste inspirazione, anzi visione; la quale gli si giunse mallevadrice dell'impresa, e porse ir- repugnabile certezza ed evidenza al solenne pensiero: il quale e' ben sentiva fortemente vero nel suo ani- mo; e n'udiva dalla storia qualche languida tradi- zione, e da'naviganti e dalla filosofia qualche incerto accennamento; ma tutto ciò era nulla a volerne far intendere alcun senso agli uomini, i quali l' ignoto piglian sempre o per impossibile (il meno) , o per ridicoloso, o, che peggio è, per empio. E questo è come l'anima, e l'indice, e la macchina del poema. La cui azione adunque apre il poeta con una teo- logica, ma stupenda dipintura della creazione , ove non è men filosofo pio e sapiente, che poeta. Incominci da te l'italo canto Che l'unità misteriosa intrei Nelle dive persone, eterno padre. Eterna sapienza, eterno amore. Tu solo in te medesmo eri beato, Perfettissima idea, sommo principio De'possibili effetti, e voce alzasti, Che dentro rimbombò dal freddo nulla, 0 padre onnipotente. Udian le prime Angeliche nature ancor non nate Il comando supremo, e una giuliva Corona ti cingea di contemplanti L'ineffabil virtù che senza tempo Il mar dell'improvviso essere apria. T8 Letteratura Allor balzò nel solitario vano , ; (, L'indigesta materia, adro caosse. Ad ognuno è dato qui il vedere non solo la solen- nità della poesia, si difficile a mantenere in argo- mento di tanta astrazione dalle cose particolari, ma l'ammirare ancora i puri e profondi sensi cattolici dell'autore, che sì distrettamente nel fatto della crea- zione si è attenuto alle forme della cosmogonia mo- saica. E pur con scienza geologica moderna; toccan- do de'moti e delle trasformazioni indotte dalla legge cosmica nella materia informe, d'onde Uscian i monti come gregge in danza E Gioivano le glebe su per l'ampie Convalli ignude e per gli aerei poggi Odorato di molto aprile un verde Manto si distendea, cui bionde messi E dipinti fioretti e rugiadose Poma soavi eran le gemme e l'oro , e un infinito Popolo di yiventi affaticava Le mute solitudini de'campi E l'aria e Tonda .... mira da ultimo estatico all' uomo, re della natura ; dicendo: E l'uom dritto levato e riguardando Il suo tranquillo e gaudioso regno Il Colombo del Costa 79 La fronte rivelò che di se stesso ;" Il clivo esemplo suggellar si piacque. Ma per ciò che l'opera vuoisi affrettare al suo se- gno, qui il poeta si esclama, accennando al fallo di Eva: iu isq '3n) 0 fortunato ! se colei che troppo Fu d'ogn'orabra e divieto impaziente, Non l'avesse giammai con un sospiro Fatto agl'inganni suoi pietoso e reo. Onde ecco i mali inondare tutta la terra, sì che infiu la rapina De'convulsi elementi, in stranio loco Disseminò per lo raondan deserto La disgiunta famiglia . . . \ Che qui dovea condurre i nostri pensieri , cioè a quei nostri fratelli dell'opposto emisferio tanti secoli già lungi da ogni civile consorzio, e da ogni spe- ranza o segno di redenzione. Ma il dì verrà . i (Si continua; accennando a' benefizi dell'umano ris- catto dopo lunghi anni di servitù e di errore, ope- rato dalla sapienza eterna, incarnata per « rinnova- re r umana gente » ancor brancolante di notte in selva fonda Fra mille inciampi » ) . . . il dì verrà che tutti noi da tutte Patrie de' venti ci unirem fratelli 80 Letteratura tutti rilevati alla prima altezza « DeWorigin beata » tutti in un santo ovile accolti « Sotto le vincitrici ali » di Colui « che ne creò^ redense, ed ama » ed A cui tutta la spiritai vita « dispersa in tanto cielo » di vero in vero e di prece in prece innalzando i pensieri e gli affetti, fia che per ultimo « levi in- terminato inno di lode » ; compilo il progresso dalla provvidenza del creatore assegnato all' umanità. E cantato il poeta tale inno augurale, quasi Vagito allor di bambinello in fasce ( in sul nascere del divino accoglitore delle genti ) e poi) Lamento estremo di campion, che solo Per altrui libertà si vota inerme, (nel Calvario); onde infine, V . . Idolo della forza e dell'inganno Cadde sotto le ceneri dell'ara Che immane gli sorgea nel Campidoglio; ed ivi pertanto . . . di segni murato, e in bel rubino Dalla vena de'martiri dipinto. Il palazzo di Dio vi radicò Su pietra inconsumabile voltando Le quattro facce a'quattro venti, ed oltre Le radiose stelle il suo pinacolo Tanto levò che fu terreno olimpo canta con magnifici versi il nuovo e più spiritale Il Colombo del Costà 81 apostolato iVogni salute e (Togni verità, per che gran- deggia rimpennata a più mirabil volo Cora' aquila real De'popoli regina Italia e Roma. Donde esce ed escirà continuo il giido della uni- versale civiltà del mondo: e sì naanda e segue i propagatori d'ogni principio del bene dicendo: Itene . . per diversa plaga, Sommi intelletti, e collegate in uno, I membri dell'uman corpo divisi. Ed a tal fede a punto s'inspirò, ed in tale missione confortossi « un gran messo di Dio » la cui grand' anima Finse fuor delle cieche ombre mortali II guardo rapidissimo E pietà gli fu sprone, e dritto zelo De'miseri fratei non perdonati Dell'antica malizia e fuori apparve Con insoliti rai ...... . portando infin da natura animo singolarmente tem- perato nel genio di pensare e fingersi eziandio fan- ciullo « la mondial figura » in « volatili carte in- siem conteste » G.A.T.CXVI. 6 82 Letteratura E i fiumi e i laghi e le marine e i poggi E l'isole notarvi, e i quattro venti Con veloce intelletto Ed ancora fu visto Lungo i lidi vagar presso la sera, 0 starsi in cima del veron paterno Tacito e solo i roscidi tramonti Contemplando così quasi dicesse: Quanta invidia ti porto, o sol, che vai A gente che di là piange in disio, E una luce da me più viva aspetta! Con tali pensieri pone il Costa il suo eroe agli slu- di dell'arte, a cui si consacra. Poi lo abbandona a* viaggi, alla dura pròva de'mari diversi, ne'quali 1 larghi flutti misurò che suonano Per la maggior mediterranea conca Fra la Tana e lo Stretto, e poi l'estrema Vide barbara Islanda Sì che, condottolo al cimento eziandio d'una guer- ra marittima co'viniziani ; iji iìty vi' . . quand'ecco Teneriffa Oilliiifi M) IK iiF Piramide che tutta si' dislaga E cresce e vola e si raccoglie ed alza Tanto, che il tuono a lei mugge ne'fìanchi. Maestosa e terribile apparizione in quella immensa solitudine di mare! Onde scoppia fra le ciurme lo spavento sino ad ora chiuso ne' petti , a vulcano tetro che quindi veggono pt^ecipitoso irrompere, e non sanno, e « un qualche negra » diceano impaurando un qualche negro Dimon vi sta con le sue furie, e il dorso Livido è l'arme che s'affibbia in guerra. Il Colombo del Costa 95 Ve' che solleva i pujjni e che si pianta Su'ferrei piedi, e vomita saette Dalle fauci roventi Per la qual cosa, Jncautil gridò il Colombo, fia lunge In picciol tempo e la paruta e il vampo Dell'innocuo vulcano e quetolli. Siccome si dice di quel gran capitano che isbigottite le soldatesche per subitanea e non intesa ecclissi del sole , le rasserenò tostamente , tal fenomeno lor ispiegando con pratico ingegno , po- sto tra i loro occhi e il sole un mantello. Se non che Ora s'allarga Senza intermission, senza confine L'atlantico, distesa e sconsolata Landa di flutti, in cui si perde il guardo, Impaura il pensier E quindi « alti sospiri . . fremeano . . . tumul- tuando la ciurmaglia ribelle ... » Ma quegli che « nacque alVimperio » e la rampogna gli . . . uscia da'labbri con voce soave. Con L'altero piglio ed il regal sembiante Domò la contumace ira de'servi. Pur nuove e più veementi paure soccorrono per 96 Letteratura . . . Sconosciuti mostri e immani corpi Di natanti balene, e attraversate Alghe sospette e lievi simulacri D'isole che sen van disciolte in fumo. Ond'è nuovo tumultuar delle ciurme, e nuove pro- ve risplendono del ferreo lìetto del Colombo, che Solca il vasto elemento, e amore e fede, Gemina stella, ne conduce i passi. Intanto che meditando ne'giri e negli ordini delle costellazioni, e lo sguardo al cielo ed alla bussola « lode prima d'Amalfi » alternando (e in questi luo- ghi brilla la scienza profonda e limpida astronomica del Costa); il Colombo, con insolita e nuova mara- viglia che pare spavento, vide, ed egli primo al mon- do vide, perfezione poi somma della scienza della navigazione, che Colà dove non getta ombra la terra L'ago magnetico Fuor del meridian cerchio repente deviò . . Sì Chiese, ma indarno, la ragion che attinse De'moderni l'acume ed è nelle Cognate correntìe (dell'aura elettrica, le quali) in lor movenza Fan dall'orto all'occaso una corona Il Colombo del Costa 97 Tal, che si crea subita forza, e alquanto Dall'usato tenor l'ago trasmoda. Ed in tale come quasi sbalordimento pie ga religio- so r eroe « in mezzo alla sua famiglia » il ginoc- chio alla preghiera, ond'è negli smarriti ogni lume jed ogni conforto: e . l'anima assorta Quasi nell'infinito era più grande E volava all'Eterno Noteremo qui per tutt'i simili luoghi, che se a qual- che schifiltoso non gustassero del tutto quei versi e locuzioni del poeta come poco men che aspre e qua- si prosaiche espressioni di scientifiche astrattezze, là ove tratta scientifica materia; noi lo pregheremmo a volersi ricor dare della malagevolezza della scienza a piegarsi alle forme poetiche. Qui è poesìa dida- scalica, che non abborrisce da qualche durezza, pur- ché alle idee si serbi la lor proprietà ed evidenza: ed è tale la poesia del Costa in si fatti argomenti; come tale si ammira in Lucrezio Caro, nell'Alaman- ni, ed in tanti altri. Ma ripigliando la nostra ana- lisi , da quel punto che il Colombo in quei suoi come quasi smarrimenti dell'animo si consolava ed invigoriva il coraggio nella preghiera all'Eterno; il poeta , rannodando i torbidi pensieri delle ciurme fieramente ed ora più che mai mormoranti a quel portento che cresce e fa superstiziose le paure, in- nesta il tetro episodio dell' ispano Alfonso; macchi- G.A.T.CXVI. 7 98 Letteratura nator infernale di quelle discordie. Le quali, vii ciur- madore , quasi il Tersile di Omero , o piuttosto l'Argillano del Tasso, eccita cupamente, ed in esse eccitate soffia, fino a che in mi Ile modi e cento me- scendo quegli animi plebei, egli audace Rubator di castella ed omicida fra tesori ed agi Mollemente nudrito prosuntuoso e superbo quanto indegno degli avi, e impaziente, o sì veramente invidioso della gloria, e più del comando del Colombo, proruppe d'infesta Gente seguace, istigatore e duca E assaliva l'eroe: « Vanne tu solo, 0 compagni ti sieno, anzi del ventre Ti facciano la nave i filiteri, A cui fra poco ti darem per cibo, Se non volgi le vele e non t'affretti Di solcar le arretrale onde infinite.» Onde tra dolce e grave, e più, preghevole, patteg- gia il Colombo almeu lo spazio Di tre sole giornate Ed ognuno s'immagini, e' l Costa maestrevolmente dipinge, le ansietà di si fatali giornate; duranti ìfi Il Colombo del Costa 99 guali fu un continuo spiare ; ij p-j^j^tx^ii ; V j<< e una lontana liva ,3 ^ ^ Spiato indarno avean gli occhi digiuni. ,^ •fi Per che più forsennati infuriano e s' imperversano ì ribelli, che , , , . . * r^^rtr -rt da tutt'i lati: Gli fan impeto e forza: « Indietro, indietro: . . . . . . . e il ferro ignudo Alfonso gli puntava alla gorgiera Minaccevole in atto; e muoia, muoia, mi ^ Gridavano i compagni ■:,, Al quale sconcio , come Omero gli eroi dell' Iliade poneva sotto allo scudo di propizia divinità nel gran pericolo accorsa, così il Costa provvede per Colom- bo , dandogli invisibile alcun divino che' 1 copriva « col nitid'orbe dell'eterno pavese: » e'I « guardo ful- minante di Cesare: » e la voce che simile al tuono uscendo di bocca a Mario mettea spavento nel cim- bro. Ed alto disse: Che presumete voi? Stornar l'impresa Scritta nel libro che non muta verbo? Stolti, non anco dileguò la notte * ,*• • E SI come Virgilio con quel fatale: vuoisi così colà dove si puote ciò che si vuole, o con altro simiglian- te, salvò Dante nella peregrinazione dell'orribil mare dell* inferno ; cosi il Costa fa salvar il Colombo : e come Virgilio stesso per Dante medesimo, che non 100 Letteratura gli s'impedisca il fatai viaggio, cibando Cerbero dì vii pasto di terra gli ebbe chiuse le orrende fauci; cosi Colombo con maestrevole e fatai piglio , lanciando pasto di nuova promessa a que'cerberi novelli, gU acquetò. . . . . Non anco dileguò la notte e forse Non la vedrete dileguar intera Che un aperto miracolo non brilli '-' In quest'orrido buio e non vi sganni. • Or in questo terribile punto il misero, ma pur sem-! pre alto e magnanimo, e non mai del tutto scora- to eroe, sol turbato ed ansioso quanto uom e non un Dio si dimostri, si avvolge ne'suoi pensieri: spe-^ ra e teme, si rincora e rattrista, non posa, si di-r mena, e guarda, guarda, Quanto potea distendere la vista Pel dubbio raggio che piovon le stelle Alcun segno cercando, alcun prospetto Di mortale soggiorno, e fuggitive Immagini che addensa il vario giuoco Di fantastico lume, e sparsa nebbia Che ha di piagge talor sito e contegno, Gli davano incessante esca d'errore nu)' Quando all'estrema curva orizzontale -ni Una chiarezza vacillò . . »j-j ^Jviyiij \(. om £ s'incanta, dubita, non crede a sua vista: ma infine jion mìo .oiiiigoj Il Colombo del Costà 101 • Ei grida: Terra Terra, terra^ o compagni Ed era già il mondo degli antipodi ! Ónde, bando alle ire, in mezzo alle comuni esultazioni, trionfan- te di sua idea, il Colombo, eroe è sacerdo te de'due mondi, intuona l'inno ài Signor degli ardui giri, (al sole) . . . o tu che imbianchi L'una faccia alla terra, e l'altra avvolta Lasci nel manto di colei che fugge ,Quando movi a rincontro, e vien seguace Quando lungi ne vai scherzosa amica', Esci dall'oriente, e la gioconda Vista dell'avverato orbe palesa È sfolgorando suoi raggi nell' orizzonte il ministro maggior della natura^ ecco tutti intenti a vagheg- giare attoniti le prossime spiagge, e i piani, e le valli, e i monti. Ognun riguarda E i profumi ne spira, e iti quell'ambiente Violato s'ineibbria tì par che voli! E già prese le rive, e lanciatidosi a terra. Di giù di su per la campagna in fretta Vengono e van letiziando quelle ciurme testé maledicenti al Colombo, or tut- f 02 Letteratura te nella gioia presente giubilanti. E Colombo inal- bera le regie bandiere, e'i vessillo di Cristo: e . . . fra i doppieri e il fumo ' Degl'ineensi ch'esalano . .'..''.';' '" ^>i>T>"->t* / ri^-iiiiCiwJ il fi.-' . :.ìi?. jl> '>ì presti al rito religioso, onde i!" tói ni stro dell' altare benedice al glorioso conquisto, vedi UHJtn iijj.-iij 'loiiyiè . . la croce • Grandeggiarvi sublime .... ■'.''- . • ^ ti> . • • . . E'I gran conquistatore canta; *>^ 0 primigenia terra, ove si piacque >- Stampar del suo valore alti vestigi' '''^^'' L'artefice sovran, come superba T'ingemma i crini delle balze intatte ' L'ardua corona, come lieto è il riso C)'iVó«;\ I>ell'eterno smeraldo in cui verdeggi! i ^ Ed ih' pi^o^jtiea estasi; innalzando i sublimi seiièf'^l gioioso del tanto acquisto che si aggiugne all'urna-'^ na famiglia, e al gregge di Cristo, tanto nello avve- nire si profonda di quei nuovi regni (e ne'presenti vede la qualità de' futuri spagnuoli'.j, che n'intra- vede, e se ne piange, ed esecra lo scellerato scem- pio che sete d'oro e d' imperio farebbe di quelle pacifiche genti: ed cJJo'ii ai nnjjnqmo'j rJ laq jìjj iJ3 jii^j i(£ ... . . oh ihaladetti! (Si esclama) Fia pesato quel sangue ad oncia ad oncia -l»J lo fOdtfjpfoL) In iUi'iOJÌyjìf:,:^ pQj bollente ' Suiriberia cadrà Il Colombo del Costa Ì03 E tal si conchiude il libro IH , e l'azione princi- pale del poema; che, a detta d'un dotto comentato- re, qui forse meglio che altrimenti potea il poema conchiudersi. Quantunque , a dir vero, altre prove sarebbero cosi mancate del valore del Colombo, e'I final trionfo della virti\ di lui, e'I diletto d'altri mo- rali o politici documenti, e d'altre scene bellissime, onde il poeta si avvisava ammaestrare con dolci ver- si l'Italia, segreto scopo d'un tanto suo lavoro. Il IV e il V libro si allargano in vario tessuto di dipinture or curiose , or amene , or amorose , e quando terribili e brutte, e quando utili e gloriose: ampia tela , che come in miniature gentili , ed in auspici ed esempi ripresenta il nuovo stato che a quei selvaggi incomincia di civiltà nuova, e di nuove mi- serie, che alla civiltà s'accompagnano. Curioso è il vedere accorrere e sbucare dalle lor caverne e fo- reste queir orrido gregge Di strani abitatori, irto le chiome. Nudo la pelle rinvergata e tinta In sanguigno color quasi di rame Ch'esce dal fuoco . . ..... E Colombo li guata e li conforta D'avvicinarsi . .... Ma poi Viltà li tocca, e fra i compagni indietro Movon sull'orme carolando eguali. Sinché amorevole il pacifico domatore -104 Letterat ffifx Lor fea di vetri e lucidi oricalchi Subita mostra e quelli a tal nuovo splendore si arrendevano do-^ olii come agnelletti. Onde gli si serrano intorno sV tempestosamente che e' . . . barcollando va sotto il povescio Belle turbe selvagge ...... Le quali quindi si slacciano e sbaragliano , presi df subito e nuovo spavento all'udir primo che fecero del romoreggiar del cannone che in quella tonava dalle navi su l'ancore in mare, . spandendo- Lungo i lidi echeggiami un suon lontano Qual di nera tempesta ...... Dopo ciò vaghissimo, come q«el di Olinto e Sofro- nia nel Tasso, è l'episodio (credo simbolico) di Die- go e di Azema^ cui quel garzoncello in quel fuggire de' selvaggi insegne, raggiugne, e di lei, bellissima, s'innamora: fior di bellezza, alla quale . . . . . . . . . . dilicato Vel d'innocenza ricopria la bella Nudità delle sue membra bambine. ..■il'- È degno di leggersi : forse troppo gentile , troppo vaga, troppo forbita bellezza per selvaggia che era Azema. Ma non sarà questa mai una colpa: che Aze- Il Colombo del Costa 105 tua è sangue italiano , bellezza custodita e rifiorita da un Tedisio, venerando vecchio; che terzo veni- va da un Tedisio genovese, vinto in naval battaglia « alla fatai Meloria » (cittadina guerra lamentabile tra Genova e Pisa), e balzato in quelle spiagge de- serte da tempesta di mare ; del quale già ricordano le istorie; salpato dal mar di Genova, e non mai pili tornatovi. 0! quella barba del canuto e cieco Tedi- sio, quell'aspetto, quella grotta, quell'angiolo di Azema; che pittura^ che incantesimo al tenero e bal- do figliuol di Colombo! Quel Tedisio mi sa un Evan- dro del Lazio : quella scena mi è tutto virgiliana : quegli orti della vergine natura, quelle amenità dei sacri boschi che chiudono quell'antro, quelle deli- zie, quegli amori (quantunque li vorresti più ca- sti e rispettivi!) non ti san punto de'molli e leziosi piaceri degl'incantesimi di Circe, de'giardini di Al- cina, e di Armida, de'quali pur hanno tutte le fra- granze purissime della incontaminata natura. E non sai qual più fosse se tenero o maestoso l'incontro e l'abbracciarsi nel nuovo mondo, del Colombo e del discendente da Tedisio Doria, amendue sangue ita- liano, amendue gloriosi, questi di antiche memorie, l'altro di presente grandezza. E in questi dialoghi, in prima tra Tedisio e Diego nella grotta, poi col Co- lombo in mezzo al fior delle sue genti , risplende come il bello e fecondo ingegno del Costa in pen- nelleggiare con preziose tinte quelle scene, così l'a- mor suo magnanimo e sapiente verso della patria, a cui fa rampogna degli antichi errori, e invito con dolci sproni a correre migliore arringo di nuova grandezza, alla qual deve agognare. 106 Letteratura Nel V libro sono ad ammirale eziandio, l'affan- no del Colombo , che teste credeva smarrito nelle selve, anzi mortogli, il suo Diego; di che quindi tanto più dolcemente confortossi al presentar che il baldo giovinetto gli fece della cara selvaggia e del venerando Tedisio, come già toccammo. Più, la su?; bita e feroce comparizione di orda orrenda adora- ' Ilice del demone Canduri (dipintura delle america- ne superstizioni); spaventevole l'aspetto, e l'irapre-. care di »i terribile spettro, dalla cui « incavata orbita (usciva) il lampo delle sue lucerne sanguigne e torve » bestemmiando, e qual, pur troppo, incontrò vera-» mente di poi al Colombo: > E tu morrai Non lacrimato in barbaro confine Lungi da' cari tuoi col guardo incerto Il sereno cercando italo sole .... non jI .biuJb» elenin (come il vaticinio del suo grande infortunio a Dante i dà un de'dannati). Ancora è degno di commemora-l zione il truce scempio che della bella Azema fecC) Alfonso, colta in vicino bosco, e ghermitala per la treccia estrema Del biondissimo crin che sventolava ^bn Dietro la fuga . . . :t,lB.o\. . intanto che semplicetta quella ninfa cercando invo-i cava il suo Diego; martire di sua castità; augurio infelice delle ferocie spagnuole contro alla vergine- America: e' l seguito dolorare dello sposo: e'I pie-' toso perdonare di Azema: e lo sdegno delle ciur-; * Il Colombo del Costa 107 Ine e di Colombo: e'I morirne improvviso di Tedi- sio, che a tal nuova ; 'c^J < 4 rìzzossi Con tremito mortai, poi diede un urlo E stramazzò . . . ojkì . i« .aH-j j'j;v»'> vmvm Quindi succedono belli, pietosi, e melanconici i ver- si del VI libro. I conforti del facondo oratore che si fa ed è maestosamente il Colombo: e le solenni esequie a mo'degli europei della sfortunata e vaga Azema e di Tedisio. Alle quali si mischiano gli orridi riti funerei de' selvaggi , a tal lutto in varie torme dalle lor cave e da'monti accorrenti in danze ed urli e modi diversi fieramente paurosi: ed essi rapiscono quei feretrii'f^i' ^ fMotgB» Biqm?» Ii»b Bvvitu ,'»^')/( ♦» iv^". !'. . e su peVocchiii^^ oiK.tj-, ifob Della montagna ripivan leggieri"^ »^ aioJBim ,. ; . ..' ■ ]n-j E Tal di siffatto giogo era l'altezza ' '■ Che si stendeva in forma d'una valle Piantata di gran bosco, e lì dispersa' Religion di cippi e moniraenti Ne variava il giro . . . . •. . .'(fjiioni obnrJiKb oik|07U9 olficcriiB'l fiiH Cimiteri© de'selvaggi; e là Gittarono l'incarco e fieramente ojcloJna/H Ricominciaron grida e balli e colpi. In tanto che il sacerdote del Cristo, intonando tra ^08 Letteratoììa i nostri^ Dal profondo mio petto alzo la voce E ti chiamo, o Signor (bella yersionedél de profundis )^henedicey a a quelle anime care, che sì ben le chiama il poeta: le quali erano cristiane dalla eredità del rito battesimale che lasciò il primo Tedisio: Ed amen risonò di lingua in lingua La cattolica schiera, e da più lati Lungo l'aspre pendici e le caverne Amen, amen, fremè l'eco dogliosa. Le quali consolazioni religiose contristate dalla me- moria dell'empia cagione, e dallo spettacolo orrendo de' tristi casi e della scellerata e giustissima morte dell'ispano Alfonso nemico degli uomini e bestem- miatore di Dio , dieder luogo e motivo e fretta al Colombo ed alle ciurme raccapricciate di partirsi da quei lidi: E su presto fuggiamo^ o dolorosi Testimoni di colpe e di castighi, Esclamava .......... . . . ..... Né maladetto Sia l'armato europeo dall'indo inerme. E sì scioglie dalle piagge ; lasciatovi nondimeno a sventolare sublime il vessillo della croce. Ed ora co- minciano le nuove scene del ritorno: ed ecco in prima Le innanellate Oasi, che fioriscono Il Colomào del Costà 109 L'equoreo vezzo occidental dai gioghi Di Guanaani alla superba Aiti. E il condottier le salutò passando' Con be'nonai solenni, e qual da Cristo Redentore appellò, qual da Maria Senza labe concetta Ed ecco Cuba, Cara sede ospitai, dove commisto Tra barbarica gente in comunanza Di reciproci aflFetti e di colloqui, Partecipò le mense ed i covili Delle ruvide case, e quell' alterna Gioia d'amor che dell'amore è seme. (è queir « amore che a nullo amato amar perdo- na » certo, parmì, non brutta copia) E disiato e pianto ìndi si mosse Dì lido in lido E qui a punto, per sete d'oro già da pezza straniatosi ribelle , infin il raggiunse Colombo, o quegli rag' giunse Colombo, che senza lui volgea ad Europa; Pinzon ribelle. Esacerbando le sue piaghe antiche Di torbido veleno ...... -i^ presso a'regni favolosi d'Aiti: forse V Ofir eletta di Salomone, come si avvisa o favoleggia il nostro pò- 110 Letteratura ta. Ove pone il piede il Colombo, e vi ricoglie « lamine e merci ricambiate a prezzo Di poca vanità co' dolci inganni » : onde sì carco d' oro e d' ogni maniera dovizie, qual gli porgea quella nàiniera, spe- ra r eroe, sempre pio, d' adunar quindi in Europa armi ed armati, e uìììh^ì^uìh .ì>vìu «ìu;^ pugneremo (dicea), e il sasso Dove il Figlio deU'Uom dormì tre giorni Fia tolto all'infedele arabo cane : -<-... .'■>: ìT che era il gran sospiro e la vagheggiata impresa de'cavalieri eziandio del suo tempo; la qual conces- se tanta gloria alla tromba del maggior epico ita- liano, che cantò Varmi pietose eH capitano della prima sì stupenda crociata. Ma da Aiti, volte le vele, in- tende diritto e move il suo corso inverso Europa il grande navigatore ìJJukì : • • • già pago Della prima corona che gli cinge La vittoria del pelago Ed ora sì che nuovi argomenti il mare, benché sì monotono, ma nella siia immensità, e nella mobi- lità delle onde, sempre poetico, appresta all' alta e facile fantasìa del Costa. La tempesta atra e tremen- da; sì che la lingua del sì non porti invidia di tal descrizione all' antico idioma del Lazio , che tanto romoreggia e rimbomba in bocca a Virgilio. Ecco- ne un saggio. >ju .uuuniuliii Il Colombo del Costa 1 ì 1 Ecco dinanzi dal crudel girone In liquid'alpe la marea conversa Procede ismaniando e s'abbarruffa E con tutto il crescente arco sovrasta Alla misera flotta. Andaro i legni , ;U Qua e là sbrancati, e come può l'orrendo Soffiar della procella, altri fu spinto In fughe rapidissime ...... ec. ec. E la calma più che la tempesta orribile succede; sì che tanto opportunamente a tal pausa invincibile del- le navi nuova forma di bellezza ci crei l'italica poe- sìa in temprar con parole l'armonìa a'dì nostri no- vissima de'maravigliosi ingegni de'rapidi piroscafi, che vincono le tempeste , e non patiscono le fastidiose dimore delle calme. E qui, illustri accademici, ci ri- corda, e facciam debita ed onorata commemorazione di simil dipintura vaghissima in latini versi, ha già qualche anno, nelle nostre ordinarie tornate recataci in mezzo, in queste medesime sale, dall'egregio col- lega nostro filosofo e poeta P. Giacoletti, che sì dol- ce ancora me ne suona l'armonìa agli orecchi! Lun- ga è la descrizione lavoratane dal Costa, e lunga è pure la descrizione della mortai caluja; della quale darem qui solo un cenno, come di t^l bonaccia, peg- giore della tempesta, che fece venir ip mente al po- eta il beneficio dell'ingegno del vapore con tanto van- taggio sopperito all' incomoda vicenda e mancanza de'venti. La calma incontrata al Colombo è questa : ìiSitiiw oJncJ onuisho*»b é1 ^ oilo 112 Letteratura L'aura che i legni sospingea tranquilla E intavolata s'arrestò, non diede Alito pur che ventilasse o fiocco D'esigue lane o di lucerna il sommo. Ondechè il mare è una pianura Vasta, uniforme, immobile, pulita, Quasi deserto che dardeggia i lampi Dell'acceso equatore Ed a rimirarsi Giurerebbe ciascun che le carene Fosser di piombo: non andava un palmo La più leggiera, non movea le coste. orribil pausa, Solitudine infame, ove non suona Voce d'essere nato, ove lo stesso Dolorar de'tormenti eco non trova. E quindi si scorge come naturale ricorse alla mente del poeta l'immagine delle macchine a vapore, onde incomincia: E qui la stanca poesia rinforzi L'itala musa, i ritrovati ingegni Ed il principio genitor m'impari Del moto ch'avvicina ogni favella E fa il mondo una patria che è la descrizione tanto artistica e non men poetica Il Colombo del Costa 113 tle'pii'oscafi. Ma torniamo al nostro nocchiero in pri- ma travafjliato dalla terribil procella, sì che a sal- vare r onore del suo nome e della impresa , vicini a morir tutti, getta in mare sacri fogli di tal ricor- do, rotolati e chiusi, ijmpegolati di cera, in alvo di leggier barletto Spalmandone gl'incastri, e sul mezzale Il noto marchio dell'anello imprime. ^'^ Imperocché d'assai più che la vita, a lui cale, se mai può salvarsi , 1' utile gloria d' un nuovo mondo già scoperto! E poscia ancora più caduto d'animo dalla più che mortale calma, come inchiodato in mezzo di gran tavolone della solitudine immensa ed infame (come ben la sentenzia ii poeta). Se non che dopo sì lungo morire succede la vicenda della fresc'aura del zeffiro: ed oh quindi il giubilo: . . . . . or che le vele Portan la classe come augello i vanni! >b iyi' E trapassate sì lietamente le Azzorre, e di nuovo mi- naccianti ed imperversantisi Euro e Noto, che bale- strano i navigli sin alle foci del Tago; di là, queta la nemica fortuna, alla dolce aura in cui si confor- tano i naviganti dell' eterna primavera di Almeda , volti a dritta lungo le spiagge lusitane, lasciato da tergo il promontorio e i campi d'Algarvia . . . . . . , ;- sull'occaso G.A.T.CXVI. .wlBt fu.rpi 8 ■114 Letteratura Ancorarono alfin pieni di gioia {^tt Là dove al fiero corso lisciano in pianto, «f'' Maestria di versi, e perizia di scienza geografica, e della difficile arte de'mari, sempre facile e pome sua propria nel valoroso cantore del Colombo : che da ingegnoso artista, in p^ni, benché al volgo degli uo- mini impercettibile, accidente, ed in ogni minimo pautar di forma del cielo, o delle onde del mare, o degU animi de'naviganti, e sin negli occulti pensieri o bisogni del Colombo , al medesimo anche ignoti ma opportuni a servirsene se li conoscesse; ritrova^ e vede , e immagina ed opera un ingegno nuovo , che incastra e fa servire all' armonia della macchina del suo poema. Noi, egregi signori, non c'intratter- remo di vantaggio a contemplare le gioie de'novel- li argonauti allo appressarsi, e al metter piede, glo- riosi cotanto, neir umile terra di Palo , d' onde già mossero all' inaudito navigare , sì ben detto fiero corso dal poeta : lasceremo il festeggiar pronto e quasi impetuoso , impeto di allegrezza e di mara- viglia , di quegli abitanti ; e ì' accorrervi delle genti vicine; e le varie dipinture che il poeta v'in- frammette degli usi vari degli uomini di contado o di città; e i zeffiri oltre 1' usato più ricreanti ; e le campagne fiorenti; e'I volare per ogni bocca il nome del Colombo, empirsene ogni città, esultarne, alla nuova, i re protettori dell'impresa, che infine capaci Rimaser dell'evento, e sì gran gioia Li rinnovò che fu men alta piena Quando l'ispan valore aperse il varco Il Colombo del Costa 1 1 5 Della vinta Granata, e nella polve Trasse l'arabo Mela a pie del trono. Onde per tali varietà ben composte e finamente co- lorate è non raen bello e dilettoso degli antecedenti il libro VII : ove è bellezza, come di araldo olim- pico, il messo degli augusti, che chiamano a corte l'eroe de'due mondi: ne cede a maestà di real cor- teggio la magnifica cavalcata del Colombo che at- traversa per lunga tratta quelle immense piuttosto solitudini che campagne della ispana penisola, rotte da valli e monti, per dove, da per tutto, e più in Barcellona regalmente festeggiato^ va, trapassando, a rassegnare a' monarchi il grande acquisto. E gli sta bene la seguente similitudine , onde 1' onora il poeta. - - L'alta Roma così con festa e gioco ''^5 Forse vedea tumultuar la plebe Degli augusti quiriti allorché Scipio O il forte domator di Siracusa Tra i cantici spronava ed i trofei Delle genti captive il coechio aurato ;i> Per la nobil Capena, e i lauri illustri Deponea trionfante in Campidoglio. Ed entrando anco noi nelle regie sale, ove nel mezzo Alle splendide veglie ed alle pompe Di solenni messaggi apparecchiata S'addentra la sublime aula del trono, slam presi d'incantesimo in mirare le finestre adorne^ 1 1 6 Letteratura i trofei nobili, e i drappi Che fluttuando a padiglion ripresi Fasciano in giro le dorate imposte: ma ci empie 1' animo di reverenza la maestà degli augusti » ivi in sul trono composti Di placida grandezza in bei velluti e il serto insigne Jj' eburnea verga e la stellata clamide, i.i -4 . .. -jujj 'loq i 5oq ,unoai : $otfo veli fiammanti di luce che rimbalza leggiadra da'vetrÌL istoriati, e dolce balena per le sale .......... e tutti Colora d'inquieta iride i fregi Del soglio E pur vie meglio ci piace e rapisce l'umile presen- za del Colombo , l' eroe di tanta gloria : il quale dinanzi a quei potenti: Ringrazio (tolse a parlare dignitosamente , in stile d'uonj semplice e grave) Ringrazio ....;....« Dopo Lui che principia e ben consuma Nella serie mutabile de'casi banlqii eli A Quanto a perfezion qui s'avvicenda, Ringrazio voi che me stanco ed oppresso Già dalla soma dell'immenso officio Sollevaste cortesi, e lena e impulso aiq aiiA<' Il CoioMBO DEL Costa 417 Mi deste e vanni da salir potenti. Presentando alfine , testimonio e primizie dell' im- presa, e speranze e vanto del nuovo mondo scoperto, il « selvatica drappel » che Qurvi prostrati al sodo paviménto „ . . supplici batteano il capo e gesti Faceano ed urli di preghiere istrani. Ed è a vederne tutta la bella ed orridaf dipintura, quale a tal gente si afFacea: curiosità tanta e dilet- to e maraviglia e giubilo incredibile e nuovo a quel regale consesso! Se non che più caldi affetti e vari commosse, quando il Colombo . . . . .in lamine oft'rìa terse ed in polve I più ricchi metalli; e quel che raggia Come l'occhio del sole, e quel che imita' La placida beltà di sua sorella (che sono anche belle perifrasi dell' oro e dell' ar- gento). Che allora I circostanti protehdean la testa Aguzzando le ciglia, e con ingorda Fame rapace divoravan l'esca Di sì largo tesoro , . . . . . (che meglio, ci pare, non si potrebbero ritrarre le ansietà della sacra fame deWoro.) 118 Letteratura Ma lasciati a considerar per minuto agli amatori del- le varie e vaghe poesìe gli argomenti e le merci ed ogni maniera obbietti novissimi, i quali recò ed of- ferse del nuovo , all' ammirazione e grandezza del vecchio mondo il Colombo; e n' aperse le miniere, n'augurò i commerci, cresciuta sì grandemente l'uma- na famiglia, ed ampliato sì il campo delle missioni degli apostoli di Cristo: posto dall'un de'lati lo spet- tacolo de'torneamenti e delle feste, onde gli spagnuoli monarchi vollero regalmente onorato il nome, e ce- lebrata la vinta impresa del glorioso ligure, in che la musa italiana amò rinnovare le gioie e gli atle- tici ardiri dell' antico valore de' secoli cavallereschi di Europa: conchiuderemo, accennando al mirabile inno che sciolse Cristoforo Colombo, acceso di pietà immensa davanti agli augusti, che magnanimi e pii gli secondarono quell'idea, che egli dal cielo attinse ed a bene dell' umanità , benedetta dal cielo , dopo tanta guerra d'impedimenti condusse ad effetto. Pel suo Diego, che vinse nel torneo, palpitò di bella gioia l'animo del Colombo. Ma la sua immensa gioia era la vittoria della sua celeste idea. Ed in tali esulta- zioni sta tutto l'animo dell'eroe. Onde vediamo che in tanto che là dinanzi a'monarchi delle Spagne, be- nefattori dell'impresa, e primi signori dell'America, per tanto acquisto spettatori e monarchi a tali nuo- ve cose e grandezze trasognati « Dio laudiamo » e- cheggiavano con unanime grido le regie sale; i u ìa Dio laudiamo. -i ji II Padre, il Figlio e lo Spirito Santo ■« Magnifìchi la terra, e nuovo attempri It Colombo del Costa 119 Salmo la chiesa che la sua milizia Dai colliri alle zone omai dilata Co'salmi che la chiesa erge in trionfo .... estatico così imprese a cantare il gran vincitore del- l'Atlantico: . . < . . . 0 del mistero Che l'È distingue, e non isparte il sono Ipostasi verace, o tu del Padre E del Figlio possente Amor che d'ambi Non generato e coegual procedi Senza prima ne poi, levi la terra A te gli osanna, ed in te solo incenso Abbia Geova impenetrabil uno È SI lungamente , e magnificamente , e veramente discorrendo ed isvolgendo i misteri di natura e dt grazia, interrompendosi Cbù l'intercalare . . . . . . . levi la terra A te gli osanna, ed in te solo incènso^ Abbia Geova impenetrabil uno . . ^ ., .i usciva in tale conchiusione con profetico accento ad Italia propizio: Ultima a tanto memorabil regno (il regno deWunità e della civil franchezza dell'uni- versale famiglia dell'umano genere) '.] linqitjnnq o sio^nie 9ii»b 9 oJ)99o; 120 Letteratura Ultima a tanto memorabil regno Verrà l'Italia, che sin qui la somma De'gran mali sofferti ancor non vince Il carico de'suoi debiti enorme; E non tardi verrà perch'ella indugi Espiando ogni labe e rivestendo La virtù che al poter consiglio ammanna; Ma più saggia, più forte e radiosa II matronal contegno infra l'amiche Nazioni vedrem questa elevarsi Primonata sorella: i negri panni Vedova si circonda e sola, ahi ! sola Con altèra umiltà pausa e non dorme: Che l'etere vivace e le marine, E il tripudio de'campi, e l'ostinata (e parmì sì grande questo ostinata !) Memoria del miglior tempo la desta. Oh ! se la piaga . . . Ma la fronte e il core E i pie che adima nelle sue bell'acque Son fermi e sani, e non ingiusto è il cielo. E tale il canto si conchiude ; ove in somma mirò sin da prima il patrio amore del nostro poeta. IV. Giudizio sul poema in generale, e più specialmente in quanto alla elocuzione. Della grande azione ed unità ed armonia di tut- to il concetto e delle sìngole o principali parti di Il Colombo del Costa 1*21 questo poema; siccome de'fìni apparenti ed estèrni, in quanto è opera d' arte; ed occulti ed interni' di essa, in quanto mira a pubblico ammaestramento morale e politico: abbastanza, se non andiamo erra- ti, si è per noi discorso, e nelle considerazioni che preponemmo, e nell'analisi che per quanto ci fu da- to breve e limpida eseguimmo di tutta l'orditura dell'opera. Otto libri voi vedeste, egregi accademici, essere siccome una piccola ma assai vaga e ricca galleria, in cui l'autore colorì e dispose belli e va- rissimi quadri e non pochi ; i quali rappresentano scene tante, terrene e celesti e marittime, ed umane e divine; alcune in miniature certo finissime, e tatito più belle a vedere, quanto per non so qual mistura di colori e di luce e di ombre e di chiaroscuri e in prospetto e di profilo, ti accennano e allargarlo e distendono in lontananza mirabilmente la veduta nell'orizzonte dell'infinito. Per ciò poi che si riguarda al carattere', in solitudine, o in civile usanza , fan- ciullo, adolescente, od uom grave d'anni e di senno, assorto negli studi de'suoi sublimi amori, o dato a' viaggi, e tra le ciurme, ed al cospetto de'potenli, e ramingo cercando il destin suo, o commesso alla ven- tura d'incognito oceano; tu vedi nel Colombo l'uom grande sempre <■ qualis ab ìneepto processerit^ et sibi constet » come vuole il venosino. E sì tutti i- per- sonaggi: fiero sempre ed iniquo Alfonso ; baldo e ingenuo Diego: venerando Tedisio; Azema, 8Ìn mor- ta, bellissima; bella generosa e magnanima Isabella; prode, re Ferdinando; la corte misteriosa e vile; le ciurme rozze ed instabili. E i colori, e le sentenze, e \o stile, piegano e si acconciano a quelle varietà^ 122 LETtERÀTTRÀ manca quella vaga semplicità ed eleganza limpidis- sima del Tasso, e dell'Ariosto, ma il nuovo argo- mento^ e le materie scientifiche non sol ne lo scu- sano, ma cel fanno ammirare : che pure in quelle astruserie, chi ben n'intende la frase, è chiarézza ed anche eleganza, quanta basti: onde come quegli dis- se in lode de' lati ni: nec minimum meruere decus^ ve- stigia yraeca Ausi deserere , et celebrare domesticai faeta: tal possiam noi lodarci d'ui* fatto nuovo e pa- trio, sì ben ornato ed ordito, ad onor nuovo delle* italiane lettere, dall'ingegno di Lorenzo Costa. Il qua- le seppe far d'un ardito navigatore un eroe da poe- ma, cavando da tutti i possibili accidenti degli ani- mi e delle cose quel carattere maraviglioso, che è fondamento anima e veste ad epica poesia. In risguar- do poi alle speciali bellezze ed al merito della elo- cuzione; episodi, descrizioni, similitudini, figure d'o- gni maniera e colore , sono innumerevoli : varietà stupenda, la qual sarebbe opera infinita a volerne pur toccare, oltre a quello che recammo qua e là in mezzo in questo ragionamento, Noterem sola che è opportuna copia di accennamenti dottissimi ad arti e scienze, e ad antiche istorie o tradizioni, e ad erudizioni moderne; di cui sapientemente si profitta: ìion fumum ex fulgore^ sed ex fumo dare lucem: per ornare ed arricchire di sempre nuovi e rari pregi i suoi otto libri, e la poesia d'Italia; anche nella sì ardua impresa di descrivere la difficile e buia armo- nia del congegno delle macchine creatrici della tanta potenza del vapore. Alcuni schifiltosi n' accusarono in ciò il Costa , accagionandolo di oscuri labirinti di elocuzione: ma tali saran sempre codeste non voi'- Il Colombo del Costa 123 gari bellezze a quelli che alle opere d'ingegno ben- ché descrittive e poetiche si accostano con volgari o scemi inteflelti, scarsi delle cognizióni delle cose^. e non usi alla pratica de'dizionari della lingua. Ha inoltre similitudini vaghissime; descrizioni, o sì ve- ramente ipotiposi frequenti e piene di evidenza; delle quali è sì ricco che di esse pare come ambizioso il suo ingegno: ma è tal soprabbondanza che nasce da vigore, e non rompe l'armonica unità e la splendida semplicità del poema: delle quali non farem colpa al Costa, siccome nissuno riputò macchie dell'Iliade quelle tante e sì minute, e sempre ammirabili de- scrizioni degli scudi de'suoi eroi. Similitudini belle paionmi, per mo' d'esempio, queste; come allor che disse i marosi « simili a torme di lioni in caccia » ; e là dove i castelli posti a tener in freno le città chiama « torrioni Qua e là dispersi e minaccianti in guisa Di sicario che sta colf armi occulte E guerreg- gia le vie ». Delle sentenze fra l'altre mi piacciotio, questa della storia « che non paventa ostri né toghe'y e l'altra degli stranieri, il soccorso de'quali « è lun- go oltraggio a chi inai si confida ». Le metafore sono sempre rapidi lampi di luce che e' sparge, e per la quale or dà vigore agli argomenti, or inleggia- drisce le tinte de'suoi quadri, or fa vivissime le men visibili e le più buie parti del poetico tessuto. È a notare il ferreo petto del Colombo; e l'altra, ove di- ce del medesimo « chiusa V anima sua nel diamante Che ìion teme percossa ». Nondimeno di alcune cose né io pure mi contento: come dirò che non mi pa- iono compite similitudini, né quella ove nel I libro il Colombo, campato in una tavola a' lidi lusitani, t24 lETTERÀtURA si paragona a Mosè e a Giona, benché ancor queUi', ma per meglio dichiarata messione divina, salvi dalle acque; e né l'altra nni va a versi nel YII, dell'ac- J correre le genti in Palo al suor ritornarvi dall'Ame- rica , siccome le genti di Parigi accorrevano in su la Senna a vedérvi il convoglio delle ceneri di Na- poleone il grande, trasportatevi da s. Elena ; cliè a Palo era trionfo festivo e di gloria, a Parigi pom- posità di funerali: là uom vivo, qvia ceneri ritorna- vano: quantunque, a vero dire, a comporre simili- tudini basti un lato solo di simiglianza degli obbietti che si avvicinano nel paragone. NeU'trso degli epi- teti poi è non sol proprio e riciso, ma sovente feli- ce, ingegnoso ed arguto. Ma non mi passo volonte- roso di quel luogo, là ove nel libro Vili toglie d'im- paccio il suo eroe (e né tal impaccio molto mi ag- grada); dalla somma reverenza onde dinanzi a Fer- dinando ed Isabella in trono pone il gran domatore de'mari come mutulo à prima giunta; con fargli por- gere conforto dalla pietosa regina che in quella il rinfrancò guardandolo, come dice il poeta, donne- scamente: il quale avverbio in tal congiuntura, dico il vero, che a me non va a sangue; né credo che il Petrarca, il quale tanti conforti trovava ne'begli oc- chi della sua Laura, il volger dolce e pietoso di quelli avrebbe con simigliante parola significato, che nulla ha di gentile, s'io non m'inganno. Incontra del pari qua e là ma raramente che t' imbatti in versi senza armonia, e paròle altre e modi per avventura noterai che non vorresti dir poetici ; i quali certo (a quel che sappiamo delle altre sue poesie) avreb- be il poeta ben saputo cambiare in altri più belli Il Colombo del Costà 425 ,ed armoniosi, se in luogo dello Sciolto^ avesse, co- inè potea , adoperata la Hima ; armonia esteriore , senza la quale in grande ed epica poesia sì difìiT cilmenle si esprime e sostiene l'armonia interna delr le idee e de'concetti: e noi sì, contenti al numero poetico che, quantunque non finissimo, non manca negli sciolti, non badando alla musica della rima , vogliamo, a ben giudicarlo, sol ammirare nel Co- lombo del Costa l'armonia dei pensieri e delle im- magini. Ma in sì bello e grande lavoro ti ricor- derai che non per tal mancameoto, né per sì fatti nei, come c'insegna il venosino, vorrai offenderti ,> e quindi miscredere le vere e molte bellezze, onde risplende tutto il poema: nel resto anche Omero ai- Cuna volta dormicchia: anche nel Tasso ha concet- tuzzi ed artifizi che non piacciono: anche nel ma- raviglioso Ariosto ha soprabbondanza e lusso di co- lori e di figure e giri e rigiri ed accidenti, ne'quali si smarrisce come in un labirinto una non abba- stanza forte e diritta immaginazione. Ma non posso far a meno di notare per ultimo che non minor prer gio del Cristoforo Colombo è la proprietà esquisita e l'uso sapiente della patria lingua, di che l'A. si ad- dimostra non pur sollecitissimo, ma peritissimo, nelle parole e forme di dire che con tanto fino criterio volle e seppe scegliere e adoperare sì diverse come richiedevano la natura e gli usi de'subbietti che trat- tava; scientifici, ove di scienza, in cosa d'arte arti- stici, marinereschi o militari là dove tocca di stro- raenti e ingegni di mare o di armi e di guerre. Nel che è ricchezza tanta, che ad alcuni parve lusso stra- bocchevole, ad altri amore di peregrinità soverchio, 126 Letteratura » il ad altri argomento di oscurità. A' quali tutti, se l'a- more e r ammirazione di tal poema non mi fanno velo all'intelletto, ottimamente si può e vuoisi rispon- dere, che que'modi e que'yocaboli soa là, non cas-? sati o proscritti , ma registrati e come canonizzati , e nel gran dizionario della nostra favella, e ne'par- ziali dizionari delle arti diverse e delle scienze, e ne' trattati degli autori che versarono in quelle materie^ e ne'poemi od epici o lirici o didascalici latini e ita- liani che cantarono armi, o il mondo, o la natura, o i cieli , o i mari , o le terre , o checché si fosse oggetto di canto di sapienza e d'arte. Per la qual cosa congratuleremo qui alfine volentieri e ad Italia e al Costa, di sì bello e ricco e magnifico poema; onde quella s'inghirlanda di nuova gloria, che ad un tempo rinfresca le sue glorie antiche, e'I Costa può fregiarsi dell' onore di essere del bel numero uno di coloro, a'quali è duca e maestro lì signore dell'altissimo canto, ;Il Colombo del Costì )'^7 NOTE (1) Nuda (gloria, maggiore d'ogni compenso, come purissima: cfUe .gli uomini poi, loro usanza, fecero più grande, ornandola di catene; come il medesimo Colombo se ne pregiò, volendole compagne infiij nella tomba; ove trovò da ultimo quell'asiloj che invano cercò su la lerr^, ei scopritore d'una metà della terra! . . . cW divinò dell'orbe i regni ascofii Non ha zolla ove il capo egro riposi! <]ome ben disse il Crocco; Ultime parole di C. C. . . . ottave^ Torino, 1843. Così sempre gli eroi; per l'umanità, non per se com- piono le loro mirabili missioni nel mondo. Se non che ben possiamp eon le belle parole della Guacci conchiudere, siccome già ella delio sventure di tutti i grandi ingegni e del Colombo cantò sì mirabil- mente in una delle sue sublimi inspirazioni: Vìttima sia la polve, Ma spunti vita libera e serepa Àll'iptelletto che del Ciel è figlio. (2) Nel mondo cionnostante è ?tata sempre appresso a' sapienti una credenza, avuta come per tradizione dell'antichità, della esisten- za degli antipodi. Seneca in eco a tale tradizione cantò nelle tragedie, all'atto li. della Medea: . . . yenient annis Saecula seris, quibus Oceauus Vincula rerum laxet, et ingens Pateat tellus, Typhistjue novos Detegat orbes, nec sit terris Ultima Thule. E Virg. lib. I Georg, v. 247 .. . Illic, ut perhibcnt, aut intempesta silet nox Semper, et obtenta densantur nocte lenebrae; ;;'•'•■' 128 Letteratura Aut redit a nobis aurora, diemque reducit, Nosque ubi primus equis oriens afilavit anhelis, Ulic sera rubens accendit lumina Vesper. Ma ancora in quei tempi il volgo ne rideva, come ci attesta Cicerone ( Acad. Quaest. Lucullus, e 123) , che intanto, quanto a se, diceva: ista non aspernor. E tanto p^ù dunque a' tempi del Colombo , onde c^ulò il Testi: JDel ligustico eroe derise i vanti Italia (e sì l'Europa!) allor ch'ei disse Trovarsi ignoto un nuovo mondo al mondo. Pur non mancarono eziandio de' ss. padri molti che vi credettero: e fa ben maraviglia che non se ne persuadesse il grande Agostino. Ma bisogna confessare che per la ignoranza di quei secoli la questione non si poneva con limpida espressione di discrete parole: vi s'impi- gliavano questioni dilicale di credenze religiose. Come a'tempi di papa Zaccaria^ che non della sentenza degli antipodi, ma si d'altri uomi- ni non adamitici, che alcuno pareva ammettesse, ombrò: quando un tal prete tedesco Virgilio (e non, come altri, il vescovo di Tapso Vi- gilio) , tenendo a questa opinione, male si esprimeva, quasi accen- nasse che ben altri uomini da quei del nostro vivessero nell'opposto emisferio. E degno sopra tali cose da vedersi nel Cancellieri nelle sue brevi ma d'infinita erudizione A^o i suoi nemici', a,mici avajrissimi dell'oro dell'Arp^rica- Hs» iflfino una lette' r^ di quei re , 4ei l^O? da Valenza , nella qijsle gli si coniiolgonpj della sua pri{jio,nÌ3 , PÌferroa«vlogli la loro grazia e i privilegi con- cedutigli, l^ppure essi re avean ipand^to i^ commjendatore Bovadili^ in quei nuovi conqui^tii, pon sappiamo se Sipia pusXa addosso aX Cc»-t lombo , o, cowe giu(;l«:e e regio magi$tr4q , il quale certo rovini), le fortufie df quell'er^j^e ! (11) Equi siano coPitepJti i leggitoiri QQF^esii, che p«r ainoFe del mio seraBco oi^lipe di trt^nsito io aoti che tal Giovanni da Mar- Il Colombo del Costa 131 cena, come dicono le nostre istorie, e, come ben pose in chiaro il P. Pizzorni in un suo recente opuscolo presentato in Genova a quel congresso degli scienziati del 1846 (Genova, tip. Como), era un fi- gliuolo di colui che Dante si mirabilmente appellò serafico in amore' al quale onorando ricevitore, anzi confortatore, e poi anche guida del grande ed infelice ligure alla regina Isabella; oltre le belle e me- lanconiche scene di solitario e sicuro ostello che vi dipinge il Co- sta; consacra il moral poeta sonori e lieti v£rsi di gratitudine e di memoria immortale. II Pizzorni nel citato libro dimostra, che non il solo Gio: da IWarcena, ma più francescani aiutarono con forti e pietosi offici in corte il Colombo. ( 12 ) Non vorremmo fraudare il nostro Dante della lode d'aver anch'egli creduto all'esistenza degli antipodi; poiché sembra avere in questi versi del I canto del paradiso veduto e descritto chiara- mente come il girar del sole intorno la terra , secondo la volgar yeduta, così la sfericità e i due emisperi di essa: Surge a'mortaii per diverse foci .{ i diversi punti della fascia dello zodiaco, che percorre ) La lucerna del mondo Fatto avea di là mane e di qua sera Tal foce quasi, e tutto era là bianco Quello emisperio, e l'altra parte nera. 132 Il primo libro delle quistìoni accademiche di M. Tullio Cicerone fatto volgare. ( Continuazione e fine. ) 6. M-4 questi sono que'tre generi, de'quali la mag^ giop parte estima che ragionino i peripatetici: e non falsamente, mentre qyesta è la lor divisione. Hanno bensì inconsiderata opinione, se tengono che altri fossero allora chiamati accademici, altri peripatetici. Questa dottrina fu loro comune: ed agli uni e agli altri pareva questo il fine de'beni, l'acquistare cioè que'beni che fossero principali in natura, e o desi^ derabili per se stessi, o tutti, o i massimi. Massimi poi son quelli che si trovano nello stesso animo e nella stessa virti). Pertanto tutta quell'antica filoso- fia tenne sentenza, nella sola virtiì esser riposta la vita beata: non però la beatissima, se non vi si agt giungano i beni del corpo e gli altri, di cui sopra è detto, idonei all'uso della virtù. Da questa descri- zione traevasi eziandio il principio di fare alcuna cosa nella vita, e il principio del dovere istesso; il che consisteva nella conservazione di quelle cose che prescriveva la natura. Quindi nasceva la fuga dell'ozio, e lo sprezzo de'piaceri, da cui e l'intra- prendimento di laboriose imprese, e di molti e gran- di affanni per cagione del retto o dell'onesto, e di quelle cose che erano congruenti alla descrizione del- QUISTIONI ACCADEMICHE 133 la natura. Onde veniano e ramìci;;ia e la giustizia e l'equità, e queste anteponevansi a'piaceri ed alle molte comodità della vita. Tale fu appo loro la scien- za de' costumi , e la forma e descrizione di quella parte (1) che io posi siccome prima. La natura poi (il che veniva in seguito) divi- devano in due parti: dicendo che l'una è efficiente, l'altra, che quasi si offre a questa, essere quella di cui alcuna cosa si fa. Nella efficiente pensavano es- sere una potenza, in ciò che venia formato una cer- ta materia, in amendue poi l'uno e l'altro : merce - che né la materia avrebbe potuto starsi unita, ove non fosse rattenuta da alcuna forza; né alcuna forza avrebbe potuto operare senza materia; poiché non è cosa che non sia stretta ad esistere in qualche luogo. Ciò poi che deriva dall'uno e dall'altro chia- mavano corpo, e quasi una certa qualità. E mi con- cederete per vero, che nelle cose insolite, come fan- no i greci stessi , che già da lunga pezza trattano di tali materie, a quando a quando io mi serva di non più udite parole. 7. Per quanto spetta a noi, disse Attico^ ti sarà lecito far uso anche di parole greche quando vor- rai, se per caso ti mancassero le latine. Bene sta ; ma studierommi di parlare latino, salvochè in pa- role, come sono filosofia, o rettorica, o fisica, o dia- lettica, delle quali, come di molt'altre, si vale l'uso come fossero latine. Chiamai adunque qualità quelle che i greci dicono poiotetas {noiovoxaq): la qual pa- rola medesima appo i greci non è del volgo , ma (1) Altri leggono artis, Ji quell'arte. fS'/t Letteratura dei filosofi: e ciò avviene pure di molte altre. Oltre ciò niuna parola de' dialettici è di pubblico uso , ma servonsi delle loro proprie: il che appunto è co- mune a quasi tutte le arti. Poiché, o debbonsi dare nuovi nomi a cose nuove, o tra«port»rveli da altre cose. E se ciò adoperano i greci che trattano siffatte materie da tanti secoli, quanto più si ha da conce- dere a noi che tentiamo trattarne per la prima vol- ta! Tu poi, o Varrone, seguitai io, mi sembra che bene meriterai de' tuoi cittadini , se non solamente li arricchisci coll'abbondanza delle idee, come face- sti negli scritti, ma eziandio coli' abbondanza delle parole. Ardiremo quindi, ripigliò egli, dietro la tua autorità far uso opportunamente di parole nuove. Di quelle qualità adunque altre sono prime : altre che nascono da esse. Le prime son tutte ad un mo- do e semplici: le nate da loro varie, e quasi mol- tiformi. Pertanto Varia ancora ( uso questa parola, come latina) il fuoco, l'acqua e la terra sono pri- me: nate da queste sono le forme degli animali, e di ciò che la terra produce. Laonde quei principi! (per tradurre il greco vocabolo) diconsi elementi] de^ quali l'aria e il fuoco hanno forza di movere e di operare, gli altri quella di ricevere le azioni in sé, e d' esser quasi passivi: 1' acqua dico e la terra. Il quinto genere, cui spetterebbero gli astri e l'anime de'singoli viventi, teneva Aristotele che fosse alcun che dissomiglianle da'quattro sovradetti. Ma pensano esservi una certa materia soggetta a tutti, senza al- cuna specie, e priva di tutta quella qualità (e ser- vendoci di questa parola facciamo che ella divenga più trita ed usitata ), dalla quale materia (utte le Qdistioni accademiche 135 cose siano state tratte e formate ; la quale dicono possa ricevere tutte le forme, e in ogni modo can- giarsi, e per ogni parte; e quindi anche risolversi, non in nulla, ma nelle sue parti, le quali possono separarsi e dividersi in infinito; non essendo cosa al- cuna, per menoma che sia, in natura che non possa dividersi: quelle cose poi, che muovonsi, tutte dice- vano muoversi per intervalli^ i qilali del pari pos- sono dividersi in infinito* E così movendosi qufella forza, che dicemmo qualità; e volgehdia&i così pei- ogni parte; pensano che anche tutta la liaàlèrià istes- »a possa mutarsi onninatrientfe^ é forhna^e quelle co^ se che chiamano quali , da cui in tutta là natura unita e continuata con tutte le sue parti ài è for- mato il mondot fuori del quale ni una parte di ma- teria esista, e niun corpo: tutto ciò pòi, che è nel medesimo, essere parti del mondo, le quali sono con- tenute nella sentente natura, in cui vogliono sia ine- rente una perfetta ragione, la quale sia la stessa ca- gione sempiterna. ASerraano poi nulla essere così valente, da cui possa esser fatta perire; la qUal forza dicono essere 1' anima del mondo, e la «tessa mente e sapienza perfetta, la quale chiamano Dio; e come a dire una certa provvidenza di tutte le cose che gli sono soggette; la quale ha principalmente cura delle cose celesti, quindi sulla terra di quelle che appartengono agli uomini: e queUa alcuna volta chiamano necessità, perchè nuli' altro può fare da quanto ha stabilito nella quasi fatale ed iitimtUabile continuazione dell'ordine sempiterno: alcun' altra la dicono fortuna, perchè mólte dOse fa improvvise e fuor d'ogni nostro pensiero per la oscurità ed igno- ranza delle cagioni. ,Ì3!B :": Letteratura [ 8. Appresso la terza parte della filosofìa, che ri- guardava la ragione e il disputare, così trattavasi dagli uni e dagli altri; e sebbene originava da'sensi, pure il giudicio della verità no» consisteva ne'sensi. Volevano che la mente fosse giudice delle cose; av- visando essere la sola, cui si avesse a credere; per- chè sola discerneva ciò che sempre è semplice,- uni- forme, e tale quale si trova. E questa chiamano idea^ già da Platone così nominata: noi dirittamente la possiam dire immagine. Pensavano poi, tutti i sensi essere ottusi e tardi^ attalchè non percepissero in mo* do alcuno quelle cose che sembravano soggette a' sensi, le quali, & erano tanto piccole, che non po- tessero cader sotto a'sensi, o così mobili e concitate che nulla mai avessero di fermo e costante, né me- no una cosa stessa, perchè tutte erano continuamen- te scorrevoli e fluide. E quindi tutta questa parte di cose chiamano opinabile. La scienza poi pensa- vano non essere in nessun altro luogo, se non se nelle nozioni dell' anima e nelle ragioni : il perchè approvavano le definizioni delle cose, e le adopera- vano in tutte le disputazioni. Approvavano ancora lo spiegare le parole, cioè il dichiarare perchè ciar scuna cosa fosse così nominata*, la quale spiegazione chiamavano etimologia. Di poi si giovavano degli ar- gomenti , e quasi note guide delle cose, a provare e conchiudere ciò che volevano spiegare: nella qual parte insegnavasi tutta la disciplina dialettica, cioè del discorso ragionato. A ciò arrogevasi, quasi d'al- tra parte, la oratoria eloquenza di ragionare, espla- natrice del continuato discorso acconcio a persua- dere. Questa era la prima filosofìa insegnala loro da QUISTIONI ACr.ADEMlCUÉ 129 Platone; della quale, se vi piaccia, esporrò le dispute che ascoltai. Bene il vogliamo, io dico , a rispon - dere anche per Attico. 9. E bene hai risposto, ei soggiunse; perocché ottimamente spiegasi l'autorità de'peripatetici e dell' antica accademia. Aristotele pel primo atterrò le spe- cie o immagini^ di cui parlai poc'anzi, le quali Platone avea mirabilmente adottate in modo che diceva es- sere in quelle alcuna cosa di divino. Teofrasto poi, uomo e soaviloquente e costumato in guisa che mo- strava una certa probità ed ingenuità, infranse in cer- to modo vieraaggiormente ancora l'autorità dell'an- tica disciplina; mentrechè spogliò la virtù del suo decoro, e più debile la rese: negando che in lei sola fosse riposto il viversi beatamente. Essendo che Stra- tone a lui discepolo, comechè uomo di vivo inge- gno, pur debbesi al tutto separare da quella disci- plina: come colui, che avendo lasciala la parte della filosofìa sommamente necessaria, che è riposta nella virtù e nei costumi, ed essendosi dato tutto alla in- vestigazione della natura, in questa medesima mol- tissimo dissentì da'suoi. Speusippo poi e Sonocrate, i quali per primi aveano presa a sostenere la ra- gione e l'autorità di Platone , e dopo questi Pole-^ mone e Grate, insieme con Crantore congregati in accademia, ditendevano con diligenza quelle dottrine che da'precedenti loro maestri avean ricevute. Già Zenone ed Arcesila aveano frequentata di continuo la scuola di Polemone. Ma Zenone superando Ar- cesila di età, e disputando assai sottilmente, e di- battendosi acutissimamente, si sforzò di correggere la disciplina. La qual correzione vi spiegherò ancora 130 Letteratura come soleva fare Antioco, se vi piace. A me certo, gli dissi: e vedi Pomponio accennare lo stesso. 10. Zenone adunque per niun modo era tale, che come Teofrasto tagliasse i nervi alla virtù, ma all'incontro riponeva nella soIjT virtù tutto che ap- parteneva alla vita beala: né altro annoverava fra i beni, e null'altro chiamava onesto , se non ciò che è semplice, solo ed unico bene. Le altre cose, quan- tunque non fossero né beni, né mali, nullameno al- tre diceva essere secondo natura, altre a natura con- trarie; altre cose poi contava a queste frapposte ed intermedie- Quelle poi che erano secondo natura , quelle insegnava essere da intraprendere e da ripu- tar degne d'una certa estimazione: delle contrarie diceva all'incontro; lasciava in mezzo quelle che non partecipavano d'alcuna di queste, nelle quali non ponea importanza alcuna. Di quelle che erano ad intraprendersi, altre diceva aversi a stimare più, al- tre meno. Quelle che più, le chiamaci preposte: quel- le che meno, le diceva rigettate. E come avea can- giate queste non tanto nella sostanza che ne'voca- boli, così fra il bene fatto ed il peccato, il dovere e il contro dovere, collocava alcune cose di mezzo, riponendo il sol bene fatto fra le buone azioni, il male, cioè il peccato , fra le cattive : i doveri poi, ed osservati e intralasciati collocava in mezzo, co- me dissi, E poiché i precedenti filosofi avean detto non consistere ogni virtù nella ragione, ma che al- cune virtù originavano da natur a e dal costume : questi le riponeva tutte nella ragione; e mentre essi avvisavano non potersi separare que'generi di virtù, di cui ho detto di sopra, sost eneva costui neppiu* QUISTIONI ACCADEMICHE 131 questo potersi fare in modo alcuno : né solamente l'uso della virtù, come opinarono i precedenti, ma l'abito ancora essere preclaro per sé stesso: ma che però la virtù non si trova in alcuno ., ove sempre non la pratichi. E non togliendo quelli le passioni dell'animo dell'uomo; e dicendo esso per natura aver dolore, desiderio^ timore o allegrezza, le raffrenava- no e restringevano nondimeno ; volle costui che il sapiente fosse privo di tutte codeste, quasi fossero morbi. E dicendo gli antichi, questi affetti essere na- turali e privi di ragione, e collocando in altra parte dell'animo la cupidigia: in altra la ragione; egli non assentiva neppure a costoro, mentre riputava anche gli affetti essere volontari, e suscitarsi per giudici© dell'opinione; e teneva che ogni affezione fosse ma- dre d' una certa smoderata intemperanza. E queste cose diceva a un dipresso de'costumi. 11. Intorno alla natura poi era di tal senti- mento: primieramente a quei quattro principii delle cose non aggiungeva per quinta questa natura, da cui pensavano formarsi i sensi superiori e la mente. Perocché stabiliva il fuoco essere la stessa natura che genera tutto, anche la mente e i sensi. Dissen- tiva pure dai medesimi, perchè pensava per ni un modo potersi formare alcuna cosa dalla natura che fosse priva di corpo (del cui genere Senocrate e gli altri sopraddetti dissero essere ancora 1' anima , né però dicevano che ciò che fa alcuna cosa , o vien fatto, potesse essere non corpo. Mutò eziandio mol- tissimo in quella terza parte di filosofìa, in cui spo- se di prima alcune nuove cose intorno a' medesimi sensi: i quali giudicò essere congiunti da una certa 1 32 Letteratura quasi impulsione fatta loro all'esterno: la quale égli chiamò fantasia^ e a noi ben lice chiamare visione: e riteniamo pure questa parola, poiché avremo a giovarcene sovente nel rimanente del discorso. A que- ste cose, poiché sono state vedute e ricevute dai sen- si, aggiunge l'assenso degli animi, il quale vuole che sia riposto in noi e volontario. Né a tutte le visioni avea fede, ma soltanto a quelle che avessero alcuna propria dichiarazione delle cose stesse che erano ve- dute: e questa visione, nell'atto che scorgevasì, chia- mavala comprensibile. Mi passerete voi questa paro- la ? Certamente , risposi: e in qual altro modo di- resti catalepton (xicTaXvjTrtjy)? Ma essendo cosa già ri- cevuta ed approvata, la chiamava comprensione a so- miglianza di quelle che prendonsi colla mano 5 da cui aveva ancora tratto questo nome; della qual pa- rola ninno prima di lui aveva fatto uso in tale ma- teria; ed il medesimo adoperò moltissime nuove pa- role , trattando egli di nuove cose. A ciò poi clie era compreso dal senso, dava pur nome di senso ; e se era compreso talmente, che non si potesse trar- re che colla ragione, lo diceva scienza^ se altrimen- ti, nescienza lo nominava, dalla quale derivava l'o- pinione che fosse debole, e comune col falso e coli' incognito. Ma fra la scienza e la nescienza collocava quella comprensione che dissi , e non 1' annoverava né fra le cose rette, né fra le prave; ma diceva do- versi credere a lei sola. Ond'è che dava fede ezian- dio a' sensi : perché , come dissi superiormente , la comprensione fatta da'sensi vera e fedele gli si mo- strava, non perchè comprendesse tuttoché era nella cosa; ma perché nulla intralasciava che potesse ca- QUISTIONI ACCADEMICHE 133 dere in quella; e perchè la natura avesse dato quasi una norma della scienza e del principio di sé stes- sa, acciò s'imprimessero poscia negli animi le no- zioni delle cose, per mezzo delle quali non solo si «coprirebbero i principii, ma certe vie più ampie a trovar la ragione. Rimoveva poi dalla virtù e dalla sapienza l'errore, la temerità, l'ignoranza, l'opinione e il sospetto, e in una parola tuttociò che fosse alie- no da un fermo e costante assentimento. E in ciò consistette pressapoco tutto il cambiamento, e il di» sentire di Zenone dagli antecedenti filosofi. 12. Le quali cose avendo egli dette, ripigliai io: E in breve in vero, e non oscuramente, hai espo- sto, o Varrone, la dottrina dell'antica accademia e de- gli stoici; e stimo esser vero, come piaceva ad An- tioco nostro famigliare, che codesta abbia piuttosto a tenersi una correzione dell' antica accademia , di quello che una nuova disciplina. Allora Varrone ; Tocca ora a te, disse, che da non molto ti diparti dal sistema degli antichi assentendo alle innovazioni di Arcesila , l' insegnarci come e per qual cagione sia avvenuta la divisione , affinchè vediamo se co- desto allontanamento sia bastevolmente giusto. Allo-» ra io: Arcesila, come udiamo, assunse tale contesa con Zenone, non per pertinacia o per desio di vin- cerlo, come pare anche a me, ma per la oscurità di quelle cose che alla confessione della loro ignoranza aveanp indotto Socrate, e già innanzi a Socrate, De- mocrito, Anassagora , Empedocle e quasi tutti gli antichi, i quali asserirono nulla potersi conoscere , nulla percepire, nulla sapere: i sensi essere angusti, deboli gli animi, breve il córso della vita; e Ccome t34 Letteratura diceva Democrito) la verità starsi sepolta in un pro- fondo pozzo: tutte le cose essere preoccupate dalle opinioni e dagli educamenti : niun luogo lasciarsi alla verità: quindi affermarono il tutto essere cir- condato da tenebre. Pertanto Arcesila negava essere alcuna cosa che si potesse sapere , neppure quello che Socrate avea fasciato a se. Così opinava tutto esser nascosto in occulto: né essere cosa alcuna che vedere od intendere si potesse: per le quali cagioni non esser mestieri ne professare né affermare cosa veruna; né affermarla coU'assenso: e sospendere sem- pre il giudicio, e ritenere da ogni caduta la teme- rità, la quale allora sarebbe somma, quando appro» vasse o false od incognite cose. Né essere alcuna cosa più turpe del premettere l'assenso e l'approva- zjone alla cognizione e percezione. I. Quello che era consentaneo a siffatto sistema fa- ceva che contro le sentenze di tutti si disputasse molti giorni; talché nella medesima materia trovan- dosi ragioni e contrarie e di pari peso , più age- volmente si sospendesse il consentimento da ambe le parti. Questa chiamavano nuova accademia , la quale a me sembra vecchia, seppure in quella vec- chia contiamo Platone, ne'cui libri nulla si afferma, e molto si disputa da ambe le parti, si tratta di tutto e nulla si aflferma per certo. Ma chiamisi pure^aa- tica quella che esposi , e questa nuova si nomini , la quale condotta infìno a Cameade, che fu quarto dopo Arcesila, nel medesimo sistema di Arcesila du- rò. Cameade poi non ignaro d'alcuna parte di filo- sofìa) e come seppi da quelli che n' aveano uditi i precetti, e massimamente da Zenone epicureo , che Questioni accademiche 135 dissentendo da lui moltissimo, pure lo ammirava so- vra gli altri, fu di una certa incredibile facoltà . . . (E molte parti di questo primo libro, e de' tre rimanenti, si desidermo) GlANFRANCESCO RamBELLI traduceva, INDICE DEL VOL. 546. SCIENZE Chelmij Di alcuni teoremi del Gauss relativi alle superficie curve f Conti- nuazione e fine.J .... pag, 3 Cialdi, Ultime disposizioni date ai la- vori sul porto Canale di Fiumicino, n 2 1 LETTERATURA ^^3> Da RignanOj Ragionamento intorno al Cristoforo Colombo del Costa. » 51 RambelU, Traduzione del primo libro delle quistioni accademiche di Cice- rone {Continuazione e fine.). . . » 132 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ■}^. J. //• ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1848 13T SSmif^li Sulla riduzione di alcuni integrali definiti ai tra- scendenti ellitticiyed applicazione a differenti prò- bleini di geometria e di meccanica razionale. Me- moria di Barnaba TortoUni. 1 •' vXriategrali definiti, che ci proponiamo ridurre ai trascendenti ellittici potranno tutti dipendere dal valore dell'integrale definito nel quale A , come intende Legmdre , sia il radicale 1/^(1 — Fsen^y), ed m denoti una costante reale minore, o maggiore dell'unità : quando la costante m si presenti sotto forma immaginaria, il logaritmo iperbolico si tra- sforma in un arco di tangente eguale ad un multiplo dell' irrazionale A. In qualunque ipotesi U^;, dipenderà dai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. Quan- tunque ai geometri sia già bastantemente nota la ridu- zione di questi integrali per qualche caso particolare , contuttociò crediamo utile di presentare qui delle for- mole generali, le quali trovano eleganti applicazioni a differenti questioni di geometria supcriore, e di mecca- G.A.T.CXVI. 9 138 Scienze nìca razionale, come si vedrà , da quanto verrenao ad esporre. 2.° II metodo del quale faremo uso per la ridur zione di questi integrali consiste nella differenziazione e derivazione sotto il segno f relativamente alle costanti ivi racchiuse. Sia dunque .^n f'^ sen'Y /1 ■+■ mA\, pve per A ■< 1 si abbia A ss= ^/'(l — Fsen^y). Differeur ziando il valore di V^n relativamente alla costante n^ abbiamo J o 1 — m'A -^ o 1 — àm ■^ o 1 — m'A^ ^ o 1 — »»'' H- m^Fsen'ig Tutto l'artificio di riduzione consiste nella ricerca dei nuovo integrale definito, e quindi nelPintegrarione rela- tiva ad m. L'integrazione relativa all'augolo 9 non si può (eseguire senza la separazione dei termini per la divisior ne, in modo che l'ultimo degli integrali sia quello che converrebbe nella supposizione di « = 0. Sia primiera- mente m «< 1 é chiaro che ponendo m = sen0, avremq sen''"© cos*("-O0/ A;=»"tang»" Ssen*"9 / «-"lang'"' osen^''^ \ i\l -i- A^tang^^ sen^'a)/ 1__»»*-|.m^A'sen^9 ft''"sen^''$\l -i- A^tang^S sen^'qj/' Osservando ora che in generale s« 1 — : — = z"-» — 2''-* ■+■ z"-5 — «"-^ + . . . db 1 ::+: 1 -h z 1-h? pve l'ultimo termine et; 1 proveniente dalla 4ivisione Integrali definiti 139 sarà positivo per valori impari di n, e negativo per va- lori pari, si avrà . 5 iT5 = -, ;r((/ctang0senffl)»(«-') ^—m-hm^k^seitf &^»sea^"5 V^ ^ ^' .(toggseny)'("-'').+(Atan^9seny)^(''-3).g-...d::1q=^_^^,^^J^,g^^^^^) Si moltiplichi ciascun termine del secondo membro per fattore comune .cot='t"-^)9 - otterremo anche sen"^ 1 /,, V , , (Asen(p)2(''-2) .1-m"-H«i^Fsen> A^^'sen^sV^ ^^ tang^^ (Asen©)^(''-3) _ , ,. cot'C-»)© \ tang45 1 -H Ftang^0sen>J Moltiplicando il primo e secondo membro per dip, inte- grando entro i limiti 9=0, 9^= |7r , ed osservando che / '"^ 1. 3. 5. . . 2r-- 1 TT sen^'^ffldffl == 2. 4. 6. . . 2r "2 /«'^ d9 n \ 0 a^cos^9 H- /3''sen^9 2 «/3 avremo primieramente col fare 1 — A^ = k'^ ^"^"^ d9 7rcos9 /2" « T 0 1 -H i^ang''esen'9 2l^(1 — ft'*sen^0) 140 Scienze e quindi /'^ scn»"9dy jz /(1. 3. 5.. . 2n— 3)A'l"-' " 1 — wi^ 4- m^rsen^9 ~ 2F''sen'e V 2. 4. 6. . . 2« — 2 (1. 3. 5. . . 2ra — 5)ifc^("-') (1. 3. 5. . . 2n — 7)A'('*-3) ~~ (2. 4. 6. . . 2« — 4)tang^9 "*" (?. 4. 6. , . 2n— ejtang'iQ cot2(''-')cos5 icot^C-'lSip [/■(l — A'^sen^S) ) II doppio di questa espressione rappresenta la derivata dell'integrale H^n relativa alla costante m, perciò abbiamo dU;.« rr /(1.3.5...2n— 3)AM"-') (l.3.5...2n— 5)A;'>-=')cos*9 "dm" ^ Ìfc^A(2.4.6...2n — 2)sen^? "" (2.4.6...2/Ì— 4)sen49 (1 .3.5....2n '- ?)A»("-3)cos49 cos'I"-' )9 "^ (2.4.6...2» — 6)sen<^5 " sen^''^ cot^^-'S V sen5l/'(1 — F'-sen^S) ' dunque naolliplicando per dm := cos0d5, ed integrando si trova __ TT /(1. 3. 5... 2ft — 3)^^1"-'] fcosUQ ^"~M 2. 4. 6... 2» — 2 -^ sen"5 (1.3.5...2n— 5)/t*(»-=') rcos^eàB (1.3.5...2ra— 7)H"-3) /^cosSgdg 2. 4. 6... 2n — 4 -^ sen49 "*" 2. 4. 6... 2n — 6 J sgd.^9 /cos»"-i5d9 __ /■ cot'"gd9 \ S)en^"9 "*"*/ [/-(l — k'seuW Integrali definiti 141 Tutti gl'integrali ad eccezione dell'ultimo s'integrano al- gebricamente, e l'ultima dipende dai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. 3.° La riduzione dei primi integrali si eseguisce con estrema facilità, col sostituire nuovamente m t== send, per cui /cos9d9 rdm _^ 1 sen*0 ,. e perciò sostituendo nella riportata' formola di Legendre — 2n invece di 2n, otterremo per gli integrali Yan la nuova formola di riduzione A'cos9 l^^ii^O -= - (2« -H 3)Y,„^4 -f- (1 4- min H- 2)Y,„^, --ft'^(2«-M)Y,>, óve si vede che Y4 dipenderà in fine da Y» , Y,. Vet ridurre la formola ad indici minori di 2n, od eguali gt ^n si sostituisca 2n — 4 a 2n, si avrà A'C0S9 /:!•.:•..,)■; -r(2«-.3)Y,„^ Sarà dunque dimostrata la riduzione dell'integrale de- finito Uart ai trascendenti ellittici di prima , e seconda* (*) FoBctions elliptiques tom. 1, pag, 12. Hi^U Scienze specie. Pongasi in quest'ultima forinola n => 2; otterremo 3Y4 == 2(1 4- A-)Y, - A'^Yo - ^^ e sostituiti i valori di Yo , Y, si ridurrà ad 3Y4==(2+ft'")F(&',0)-2(1 -hk'^)E{k',e) - A'cote(2(1-hA'*)4, -^) Nella stessa guisa per i valori di Ye - ■ - dai quali tutti converrà passare per ottenere i valori degli altri inte- grali Uo , U2 , U4 , Uè , . . • come vedremo da quanto segue. 4." Per il valore di Uo si ha «-l -4- mA\sen9 ""=/:k:-^j quindi l'ultima foratola generale del parag. 2." porge im- mediatamente per n = 0 r d9 ove m == seno , A'^ = 1 — F. Nella medesima formola generale pongasi n =: 1 , si avrà TT / rcosgdg __ r cot'gdg \ ' "^ F V sen^0 ♦^t/"(1 — rsen=»5)/ ovvero Integrali definiti 445 e sostitaendoci i valori di ¥„ , Y^ sì trova j, n /\ — A'cos$ \ Sia inoltre n = 2 , otteniamo egualmente U _ " /^ rcosOdO _ rcos39d9 z' col^ode \ ^ M \ 2 -^ sen^^S ^ 7e^4r '*"i ^/'(i-A'^sen^e)) d'onde per le formole già stabilite nel principio del pre- cedente parag. 3.°, il valore di U4 diviene U =— /JTL^ L_ _J V * M \ 2sen9 sene "^ SsenSe "^ ^4 — 2 Y^ H- Y„ ^ Rappresentiamo per maggior semplicità con i due sim- boli F, E i due trascendenti ellittici di prima, e seconda specie, allora per i valori dei trascendenti ¥„, Y^, Y4 , abbiamo Yo= F , Y, = F - E - A'coto 3Y4=:-2(H-A'^)E+(2+A'3)F~2(H-r)A'coto-^^ seo^'e d'onde si trae 3(Y4-2Y,H.Yo)=:2(2-A-)E-/t^F-h2(2-A'^)A'cot9- '^^ sen^'o Di qui deduciamo per la sostituzione U4 « -( — £^. -J L_ ^ 2(2-r)A'cot9 A'col» M V2sen9 3sen39 seno "* ~3 3^^e 3 ' 3 / 146 Scienze In tutte queste espressioni le quantità A^ 6 soiio sem^ pre determinate dall'equazioni m = sene , A'= |i/^(1 — k'^ sen^Q). 5° I differenti integrali di sopra riportati trovane^ utili applicazioni nella riduzione di qualche integrale de- finito duplicato ad integrali definiti semplici. Sia per brevità u = cosp , V = senpcosy , w =s senpsen*/ e consideriamo l'integrale definito duplicato S = 8 y J senpàpé^(b^c^u'' -h aVv^ -{• aH^w^} il quale come è noto rappresenta la quadratura dì un ellissoide a semiassi ineguali a, 3, e. Per integrare rela- tivamente alla variabile p pongasi per brevità A = aVcos''^ -+• a^'bhen^q , B s= i^^c^ — (a^c^cosq '^a'b'^sen'q)' e si faccia ,_ Si =J ^ seapdp[/'{h. -+- Bcos^p) si avrà per l'integrale definito duplicato S =» Sf^ Siàq Ciò posto dall' integrazione indefinita per cosp = a? Il<(T£GRALI DEFINITI 147 abbiamo Jsenpdp\^{k 4- Bcos»= — /dx|/'(A -|- Bx^) •' ' ' 2 2''i/-(Ah-Bt") d'onde /senpdp(/'(A-f-Bcos» = — ^ ^ "^ ^ Di qui integrando fra i limiti p=0, p«= A;jj otteniamo S, =J senpdp\^{X H- Bcos»= ^^^"^"^ A /l/BH-l/(A-^Bh ^2l/B ^V i^A / Dei valori di A, B abbiamo A -»- B = ò^c^ , B = b^c^ — a^c^ — a\ò^ — c'jsenV e perciò supponendo i>c, an^« 148 Scienze con le quali i valori di A, B si trasformano ìa B==c^b'' - a"j(1 — Fsen"^) = c^{b^ — a^'jA^ A = b^c^ — B = b'c' — c\b'' — a')A" Da queste nuove espressioni di A, B si trae senza dif- ficoltà t/'B H- l/"(A 4- B) = c\/-{b^ — a").A -¥ bc i/-A = Uc -h ci^{b' — a"). a)^(óc — ci/^(r — a')Ay è quindi t/-B + t/(A 4-B) __ t//bc -H ct^(y — a").A\ ÌTa ""J^ Uc — ci/-{b^ — o').A/ Se dunque facciasi l/(è^ — a*) = bm avremo j/B-i- 1/'(Ah-B) I //1 -f- wiA^ [TI Il valore di S^ diverrà ■ //1 + mA\ y Vi — mA/ 5c a^(c''cos''5' -^ ò^'sen^gr) /l -H mA \ ^' "^ T"*" 4ci/(6^'^="?]:A~ Hi - wA / Sostituito nell'integrale definito S, darà U'^^ a" />^Vcos^?-t-*'sen^fl.), /1-i-mA\^ - '''^'^2c^r-aiL ■ ^^A '^' Integrali definiti 449 Sostituiscasi 1 — sen^q=cos^q , e ponendo come sopra otterremo __^(c'u,.-r-«'H,.)j Riprendiamo pertanto i valori di Uo , U2 dei parag. 4." nei quali come si verifica in qnesto caso »i<;i , abbiamo T,,./ /^^ XT 77/ ^,,, «V 1— cos5i/'(l— /c"'sen^(3)) vivremo evidentemente da sostituire e (0 -^a ) e (0 — a ) 0 cos9 = -^ , A'= 1/(1 -- /c'^sen'©) = — 6 fi quindi _T:d£—bc)\A(^--ar) Tcc^b^ — fl')E(^', 9) ^-- a\b'-c') '^ fx\b'-c') Sostituendo si ha S — 4/i^ na'crjk', 9) n{a^ ^bc) nci/jb^ — a").E(//, 9)\ (2 '^2\/^(b^—a')^ 2 ' 2 / Infine osservando che a^c bc cos^9 ^rsen^9 150 S e I E ;N Z E dedurremo per Tintera quadratura deirellissoide S = 2;:a»-4- ^^(cos'$F{k', 9) -{- sen'©E(A', 9)) sen& V / Questa espressione trovata per la prima volta da Le- gendre fu iu appresso nuovamente dimostrata da diversi geometri con metodi diSerentissimi. Non è però la sola super^cie ellissoidica alla quale per la sua quadratura convenga la precendente espressione, ma come dimostrai per la prima volta nel giornale di matematica del sìg. Creile di Berlino , la quadratura anche della superficie di quarto ordine conosciuta in Ottica sotto il nome di Superficie di elasticità coincide con la quadratura di un ellissoide di semiassi bc ^ ac ab ^ «=s — , ^= — , 7 = — a b ' e •ove a i b f e sieno i semiassi della nuova superfìcie, la quale come è noto, è il luogo geometrico della projc- zione ortogonale del centro dell'ellissoide sui piani tan-^ genti. 6.° La quadratura delPellissoide trova un' applica- zione notabile al problema delle attrazioni di una stessa ellissoide. Riprendiamo infatti la primitiva espressione dell'integrale definito, essa potrà mettersi sotto la forma S=^Sabcf^ Jl senpipàq [/(^-^-h ^ + !^) e proseguiamo ad indicare con S la superficie di un el- iissoide di semiassi — , -7- , — > vale a dire reci- a 0 e Integrali definiti 151 proca all'antecedente, la precedente forraola diviene 8 A^ A^ S = / / senpdpdg^l/"(a^M^ ■+• b^'v" -+■ c"w-) abc J '> J o Ciò posto osserviamo primieramente che l'integrale de- finito che ha per coefficiente — - — rappresenta la qua- abc dratura di un' ellissoide nella quale i quadrati dei sa- miassi sono espressi con ab 0,0 ÒG e 0 aV/3(R + P-Q) Resta dunque dimostrato che l'attrazione di un ellissoi- de dipende dalla quadratura di un ellissoide reciproca. Questa osservazione è dovuta al geometra di Dublino sig. Jellett (**). I valori di P, Q. R sono espressi, come è chiaro, per altrettanti integrali definiti semplici: ma ri- salendo al primitivo valore di S per l'ellissoide recipro- ca, potranno anche esprimersi per integrali definiti durr plicati, in modo da essere 8 r*^ r^^ cos^psenpdpdy ~ abc J o J o [/'{a'u^ ■+- AV H-cV^) ' "^" ^.2?: sen^pcos^gidpdj 8 /'* f^ sen^pcos qdpdq ^^~ab7J 0 J ° i/(aV-t-6VTfrcS7) ' __ 8 r'^ r'^ sen^psen''qdpdq Infine i medesimi si ridurranno a trascendenti ellittici, che per brevità tralasciamo di fare. (') Lioiivijle, lournal de math: tom. 12 pag. 92. 1847. Integrali definti 155 7." Occorrendo per altri problemi la determinazione del valore di \]q , facciamo nell'ulliiaa formola generale del parag. 2.» « = 3 : risulterà 77 /1.3.A4 rcosMO __ F r cos'aedo rcos^OAO 1 primi tre integrali di forma algebraica sono già de- terminati nel principio del parag. 3.°, come per l'ulti- mo di forma trascendente si avrà J l/"(1 = Yg — 3Ya -h 3Y, Per il valore di Yg pongasi nella formola generale data alla fine del parag. 3.% n = 3: si trova 5Y6 = 4(1 H- nY^ - 3A'^Y,- -^ sen^9 Eliminando adesso Yg fra queste due ultime dopo dì aver moltiplicato per 15, otteniamo ove sostituendo il valore di 3Y4 espresso per Y^ , Y^ come nella fine dello stesso parag. 3.% si ha ancora (4fe"^11)A^cos9 sen'5 156 Scienze Finalmente la sostituzione dei valori di Y„ , Y^ per i trascendenti ellittici di prima e seconda specie, darà l:il^=={4fc'4-.l2;t'^-t-8)F-(8r4-h23fc')E-(8^'4-h23fc'-)A'cot5 A SA'cosg (3fc" — 11)A'cos$ sen^S sen^5 d'onde e per gli indicati integrali algebrici, e per que? sto alticno di forma trascendente, otteniamo ;j/_45fc4^l5fc^ I5fc^ 15 30 15 h^\ 8sen0 ~'2sen9 3sen39~5sen59 Ssen^S"" sen^ , ,„ ,, ,, ^ 3A'cos9 4^'^ — 11)A'cos9 4-(8/£ 4 -H 23ft")A'coie H ^ — h ^ -J ^ sen^y sen^S —{Ak'i — rik'^ ■+• 8)F{ft', 6) — (8fe'4 4- 23k^)E{h\ e)\ Queste formolo trovano dello utili applicazioni a nuovi problemi di geometria superiore. 8.° Rilenendo come sopra u =s cosp , V = sénpcosy , w = senpseny sia da ridursi rintegrale definito duplicato V ~ —J ^ J sen/)d/jd x, A -hBj?^=X avremo per gli inte- grali indefiniti le diverse formole |senpd/)[/^(A -H Bcos»3=_ f'àx\^{k -{■'Qxy Pa .AY3 /^-<-^A 3A\ .., „ 3^ 3 A' /-da: quindi per l'integrale indefinito ysen/jdpl/'(A-f-Bcos»3=— ^-±_— ^'4-— Vos;)l/^(A-f-Bcos» 3A^ . / ^ V — sTTb ^^\^°^^^ "^ ^^^ "^ Bcos»\ Integrando adunque fra i limiti p ^^ 0, p = |y:, si tro- verà 8l^B n 1/-A ^ 158 Scienze Per poter ridurre il secondo membro alla forma loga- ritmica di sopra stabilita, poniamo c>»5 , a>-5, c-t/'(A-HBcos^p)' =— (Si^cos^'g' -f- Sc^'sen^jf -h 2a) 8 3(ó''cos'flf -I- c^sen^fl)^ , /1-|-mA\ „, g Moltiplicando adanqne per -— ed integrando entro i IUTEGRAM DEFINITI ^59 limiti 7=0, y==|7r, otteniamo pel richiesto volume TTfl V = _(4o"-i-3i=' + 3c") '^"(ó^cos^flH-c^sen^y)^, /1-i-mA\. 4' ' ^ 2t/-(o^-6= /'* 6 cos ffH-c sen 0) , /i-i-mz\\. Infìne richiamando il significalo degli integrali definiti Uz^» avremo V = —{W 4- 3è" -1- 3c") 6 Dal secondo membro di questa formola si vede che il volume Y, dipendente dagli integrali definiti Uo, U^, U4, si potrà ridurre in fine ai trascendenti ellittici di pri- ma e seconda specie. Questa riduzione si eseguisce fa- cilmente col sostituire i respettivi valori di quelle quan- tità, che trovansi nei secondi membri di Uo , Uj , U4 già riportati nel parag. 4.° Infatti nel nostro caso la costante m è minore dell'unità: e preso m == sen@ , abbiamo sene=-5-i ', cos9=— , k^=—^ r^, a a a — 6 '" " ~~ "^ A'==-. i/-(1 -;t'^sen='e)=i— a — ù a d^onde si trae 3 ^ ' 3sen^0 3al^(a' — by 2sen9 3sen35 sen9 "~ 6i^(a' — b'f 460 Scienze Con questi valori, le espressioni citate di Uq , U^ , U4 divengono _ 7r(a'— &^)%a(9&^ — 4a^ — 3c') &c(a^ — 43^ -h 2c') ^'i ~ (? — è^)4 6l/(a^ — è")3 "^ 3a[/'{a^ — by a" — 0=^) / 3(a=' — è") Di qui componiamo l'espressione j;^^.)(a*U„ + 26^ (c^ - ó^) U. -t- (c^ - ^=1^04) /a(9è^ ^ 4a^ — 3c^) óc(a" — 46" -f- 2c") — 6A^(a"— 6c). n ^ -^ i^ ) H"" 3 ^ 3i^(a^ — ó^) ^ Sostituendo finalmente questo valore nel secondo mem- bro di V, dopo facili riduzioni troviamo V = lZlLr^^-^___^ 4 o" /"^ 6 Questo risultamento è d'accordo con quanto io trovai per la prima volta nel parag. 11.° della mia Memoria inserita nel tom. 31 del giornale del sig. Creile con un metodo al tutto differente dall'esposto, come in appresso lENTEGRAti DEFINITI 261 ftel giornale del sig. Liouville per l'anno 1846 verificò nuovamente con altre formole il sig. William Roberts di Dublino. 9.° Applicazioni ulteriori delle medesime formole possono trarsi dalla meccanica razionale nella ricerca dei momenti d'inerzia. E noto, che se X, Y, Z sieno i momenti d'inerzia di un corpo, relalivamante agli assi ortogonali delle a", «/, z, e dm sia l'elemento della mas- sa, si avrà X =* ^(y'-f-z'jdm , Y= r(x='H--=')dm, Z ==-- /"(ic'-hy^jdm Supponendo la densità costante, e ridotta all'unità, al- lora all'elemento della massa potrà sostituirsi dall' ele- mento di volume: sicché scegliendo il consueto paralle- lepipedo rettangolare, si ha dm = dxàydz e quindi per una tripla integrazione X =///(y' + z')àxdyàz, Y=^Jff(x'^z')dxdyAz Z =ffA^'-hy')dxàydz . Gli integrali dovranno essere estesi fra i limiti della su- perficie occupata dal corpo. Le precedenti formole tro- vano una facile applicazione al parallelepipedo rettango- lare, alla sfera, all'ellissoide , quando anche le integra- zioni si eseguiscano relativamente alle stesse variabili Xy y, z; ma riescono generalmente di un'estrema com- plicazione per le superficie di un ordine elevato; il che 162 Scienze rende in molli casi più facile la trasformazione polare^ Ponendo adunque per x, y, z, i valori X => rcosp , y = rsenpcosq , z = rsenpsen^ all' elemento òxdydz si dovrà sostituire 1' eicment» r^senpdpdqdr , d'onde X = / / I r'istii^pdpdqdr , Y= / I I (cos^p •+■ sen^pseìi''^)r'isenpd/)d5fdV Z E=s f / / (cos^p -+- sen^pcos^5^)r'»seiipdpd5'dr Se l'integrazione relativa ad r, potrà eseguirsi a partire' da r = 0 , da una prima integrazione si otterrà X = — / / rhen^pdpdq Y = — / / r5(cos'p ■+■ seu*psen^g^)sen/)dpd^ Z = — / / r^{cos^p •+■ sen^pcos^yjsenpdpd^' Se la massa viene terminata da una superficie chiusa, le integrazioni potranno eseguirsi in molti casi fra i lìmiti p=0 , p=7r , q=^n , q= — n. Nel caso di un'ellissoide il coefficiente di dpd^ rimane invariabile, quando all'aa- golo p si sostituisca t: — p, ed all'angolo q, n ziz q; e Integrali definiti 163 perciò si potrà eseguire l'integrazione fra i limiti p=0, p=^n , y=|7r , purché si moltiplichi l'integrale per 8. Operando in questa guisa , od anche facendo uso delle coordinate sferico-polari , i momenti d' inerzia, come è noto, saranno espressi da funzioni algebriche dei semiassi a, b, e. 10." Affinchè le precedenti formole generali trovino un'applicazione ai trascendenti ellittici, prendiamo, come già si è fatto nel precedente parag. 8.°, la superfìcie di ela- sticità e di equazione polare r* = a^cos^p <+• b^sen^pcos^q -H c^sen^psèn^^ quindi ponendo per Brevità u = cosp , V = senpcosg» , tv = senpscnq ed integrando entro i limiti p=0, p=|7r, Y=0, 5'=s|7r gl'integrali X , Y , Z, eslesi all'intera superficie, diver- ranno 8 At^ pan t=a-— y ^ J (1— cos^p)sen/)dpdj'l/"(o»M»-f-iV-f-cV^)5 8 r^^ A^ V =~J ^ J (sen^5r-i-cos''pcos*gr)sen/>d/)d5'i/(a^M^H-ó^t?^-4-cW)5 5 lt=--l J (sen^5'+cos^psen^jf)senpdpdg'l/^(aVH-i^t)^-4-cV^)5 Una prima integrazione relativa all'angolo p, è sempre facile: quindi gli integrali definiti relativamente all'an- golo q si ridurranno a trascendenti ellittici di prima e seconda specie. In una massa adunque omogenea terminata dalla superficie di elasticità, i momenti d'inerzia relali* 464 Scienze vainenle ai tre suoi assi sono espressi da funzioni ellit- tiche di prima e seconda specie : ma i coeflicieuti però ultimi di queste funzioni non potendosi ottenere , che dopo lunghe operazioni analitiche, non faremo che indi- care queste riduzioni per il primo integrale. Poniamo come sopra . , . A = b^cos'^q -f- c^sen'^^ , B = a^ — (^^cos^^- -H t^szt^q) CQsp = a? , d'onde senp&p = — dx ' éJioiJii si avrà primieramente (1— cos"/))sen/)d/)^/(A-J-Bcos^p)5=-- f{\ —x'jàx[/^(\-^B]o^)^' Ora dafle integrazioni indefìnite abbiamo /xM^l/-(A+Bx^)5 .-=^l£l^±?£)'_^/dxi/(AH-B^^)^ ' per cui xl/'(A H- B^')7 , _ /(1 —x^)dx\^{k-\-Bjc^j 5 8B ove sostituendoci 8B J d-l/(AH-B.T= (— e— -^ -4H^ T^) 5A3 /^ dx -'^^"' ""'""^ •^"'-' .. ,„,..i.i'n)hn 18 \; oio>2 Integrali definiti 16^ quindi — f{\ ^ x^xi/^iX -H hxy^ ^i^ Bx^]7 8B 8B 5A3 128B|/'B /{A-hUx^y 5A A+Bx^ì 5A^\ , „ ,. Iog(a;l/''B -f- j[/-|4 4- Bx^)Y(A ~f-8B) All'ipotesi X =^ 0 corrisponde /)== |7r ; cossicché chia- mando X' l'integrale, avremo 5Ai(A + 8B), come per 07 = 1 si ha, p --= 0 ; e denotando l'integrale per Xo , abbiamo „ |/(A-f-B)7 5A3(A-f-8B), / ,„ , „ v Xo = ^^- -^log(t/B H- i/'(A H- B)) (A-t-8B) /-(A^-B) /(A-4- Bf 5A(A-hB) 5A= \ 8B A~6 ' 24 *""T6~/ d'onde dalla differenza X' — Xo , e dalla sostituzione nella prima serie di termini, di A-hB= a^, ricaviamo ^ ^ (1 — cos^p)sen/3d/)i/"(A -H Bcos"*/))^' = -8B— (t+ -2r+ ir)- 8B- + («> 166 Scienze ove per brevità 5A3(A-t-8B) /t/^B 4- ^/-(A -^^ B)^ ^^)=^ -T28Bi7rM — 7a ) Rappresentiamo colla lettera S V integrale definito che trovasi nel primo membro ; sostituendo nel numeratore dei termini indipendenti da (R) il valore A = o^ — B, e nel numeratore del coefficiente del logaritmo nel va- lore di (R) i valori di A e B ottenuti nel principio di questo paragrafo, si avrà S = -V(l91a4 — 265a"BH-l05B' — 1|1.)h-{R) 8. 48V B / ove per le indicate riduzioni sarà ^ '"^ T28'Vbì7b jTb (e»— ò')(o4-t-2a'&'~21 54)sen'7 {c^—by(a'— 21 5^)sen4y i/^B JTb 7(c* — b^sen^q \ /l/B -f- i/'(A -^ B)\ •)lo,(.' l/B / °V l/^A / Se, come si è praticato nel parag. 8.°, si prenda a — 0 a — 0 B=(a=— i==)A^ , A=a*-(a'— è^)A^ , [^{a^—b^) = Ma Integrali definiti 167 il valore di (R) si potrà porre sotto la forma 5 j 8 ^ (A.+B,g'-4- C.^4-hDt26) /i_+mA\\ ove sia z = sen^r. Moltiplicando il valore della S per — - , e per dq ed inte- grando entro i limiti 9 = 0, >1. Dalla derivazione relativa ad m abbiamo dUa^ __ r^^ sen"9d<3) '^^ dffi «^ o (m^ — 1 — m^k^sexì^f) qaindi, come abbiamo fatto precedentemente, il coeffi- ciente di àf sì potrà porre sotto la forma sen»"y {[/'m^ — 1)^" 1\p^(w,^_l) n mk V — ly* lV(m^— 1ì/ sen*"?? w^_1_m^rsen"(p m^"F"(w^— 1)) 7 m^ ^-(^^^))«-r Ciò posto, chiamando k' il complemento di A; in modo da essere 4» -f- ^'^ = 1 , pongasi mA'= — - , A' = 1/^(1 — ^'"sen'5) sen9 G.A.T.CXVL n 170 S C I B N Z S avremo "•'-A-seqS- '^("'* '> A' ^ ^'senS e quindi ( ft*"sen*"5) sen*''9 A'^^-^k'^sen^O] A'^" tnt_-, _m'ft*sen^9 F" j A^sen*9 Ma dalla divisione si ba -— — = -— (1 -H z 4- «^ +z^-i- , . H-z"-') 1 — zi — 2 ' ■ per ciò m*— 1 — m''ft'sen''(p ft'" < _ [ i+(*f?)' + (*p/ + . . . ^.(*p)"- j j Moltiplicando adunque il primo e secondo membro per d^, integrando entro i limiti fssaOj ^ tsq |;f, ed os- servando che 2.4.6. . . . 2r * 2 / sen^'^yd^ SS! r^^ dy _yr A^ ttA^ Integrali definiti 47i si otterrà •?!.;] h.h 'iLaiii;;'* onìia-.'ii omhq II |_A; / i_ì^ ]3k^ dm k^" 1,3.5 fcs 1.3.5. . .2n — 3fc"-» \ "*" 2X6'A^6 ■* "*" 2.4.6. ..2«-- 2' A"^»] Moltiplicando per dw = — •; — ^, ed integrando ter- mine a termine, si troverà per l'integrale in questione H- -~-- /cosOdeA'^-^ 4- ^^^ /cos9d5A'"-8+ . . . 2.4 ^^ 2. 4. 6 '' ' 1. 3. 5. 7. . . 2« — 3.^="»-^ r ^ \) '-n'?'' •? ■^ 2.4.6. ■■2» -2 >^^''^)} Tutti i termini, ad eccezione del primo, sono integrabili algebraicamente, ed in termini razionali, mentre in que- sti le potenze di A' sono tutte pari, e basterebbe porre 8en9 = u , cosddd == du : quindi se il primo termine en- tro il vincolo integrale si moltiplichi e divida per A' , avremo senza difficoltà "-=*- F^ aH (yd«(^ -^V)"- 'k'"\k 1. 4- • ydu(i — k"uy-^ -v- ytJ^^^^ "* *"'*')'"^ 2 -/^ ' 2.4 1.3.5. . 2»— 3.fc^"-2 r v) ■ 2.4.6.. 2«- 2 >)] 172 Scienze Il primo termine dipende dai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. Infatti formando Io sviluppo (1 — k'hea'Bp «= 1 r-«^^'sen=^g4-"^'^ "" ^ V4seD4g 1,0 . . .?,; 2 H-.,. . =t^'^''sen2"e e ponendo per brevità 'sen^^^^dS rsen^"( SÌ ricaverà j(i^i:^ = z. - „r z.-^. ^^ k'^z, .,.. lì segno -h è per n pari, ed il segno — per n impari. Ora è noto che gli integrali della forma Z2„ si ridu^ cono a trascendenti ellittici di prima e seconda specie, e questa riduzione si eseguisce per mezzo di una for- mola data da Legendre, e già riportata al parag. 3.° , per mezzo della quale con una successiva sostituzione Z4 si farà dipendere da Z,, e Z, che si esprimono spon- taneamente in trascendenti ellittici. Resta pertanto di- mostrata una somigliante riduzione non solo per l'inte- grale, che trovasi nel primo membro, ma ben anche per gli integrali denotati con il simbolo Uà» per m > 1 , 12." Nell'applicare le precedenti formolo generali a qualche caso particolare, riteniamo con Legendre U consueta notazione dei trascendenti ellittici IeRTEGRALI DBFIli faccia n = 2, avremo A'cos5sen5 «= Z» — 2(1 -f. A'% ^ ik^^ d'onde sostituendo i valori di 2o e Z, deduciamo sengcosgt^(1 — y^sen'g) __ 2(1 4- k'^)W, ^ (2-hA")F(F, 5) ^ 3&'4 quindi 3- 3 i^sengcosgt/'(1 — A'^sen^g) "*" 3 e perciò _ / 1 1 J_ !/•(>»' --1)/"(m'^"'—1)- , i ^^*^'^( 3^P"" 2m*;f »~mM"** 3i»3M 2(H-fc^)E(ft', 5) FF(r,5) 3A4 3M / Poniamo ancora nella formola generale n == 3, si trae -*4/d„(,-rv)-l:ij^/du) Integrali definiti Ì7B Integrando e sostitaito umk' = i , otteniamo ^ _ /_ 1 2 113 1 ^j^(Zo - srz, 4- 3^'4Z4 - A'ezg)) - - Per calcolare Ze pongasi nella citata formola del par. 3.o n cs 3, otterremo Sh'^Ze «= 4(1 -+. A"')Z4 — 3Z;, -I- A'cos5seft39 quindi per una successiva sostituzione dei valori di Zs e Z4 , . . . . otteniamo 1 5(Zo — 3^'^Z, -h zk% — kn^) « (1 5 — 1 U'» H- 4A'4}Z„ — 3A'4A'cos5sen3^ ^" ! H- (23A'4 - 8^'6 ^ 23*'^)Z, ^ k'^^ 1 - 4V«)A'cos9sen9 ovvero per relìminazione di Zo e Z, e riduzione 15(Z„ — 3A'% -f 3^4Z4 - A'ezg) " ' ' '"* = *"(1 1 — 4fc'*)A'cos5sen9 — 3A'4A'cos0sen35 - 4ft*(1 -f- ft^)F(A', e) H- (23P — 8;fc'4)E(A', 9) La parte algebraica per la sostituzione di m porge ^'^(11 — 4fc'')A cosasene— 3A'4A'cos5sen30 KK-l^l^Cm^fc'^»— 1)/ . 176 Scienze per ciò il definitivo valore di Ug sarà , V Sm^i 5m5ft6 Sm^k^ 6m^k^ mhP imk'' 2mU _ 4^^ '•HA')F(r, g) (23F ~ 8^^4)E(fe/, 0\ Le riportate formole trovano delle applicazioni. 13.° Consideriamo la superficie del quarto ordine la quale, come è noto, rappresenta il luogo geometrico della proiezione ortogonale del centro dell'iperboloide a due falde su i piani tangenti. Se per la sostituzione po- lare si faccia z f=a TU f a:= rt> , y c= nv u = cosp , «= senpcosj' , w = senpseny otteniamo r^ = c'cos^p — o^sen^pcos*jf — i^sen^/jsen^gf Volendo l'espressione del solido terminato da questa su-^ perficie, si dovrà calcolare l'integrale esteso fra certi limiti che verremo a determinare. In- fatti dal valore di r^ si ha la condizione ì ,- c*cos^/? > (o'cos^j' 4- i^sen^^)senY Integrali definiti 177 ossia COXp >. e e perciò eseguendo una prima integrazione relativamente all'angolo p , i limili dell'integrale per valori positivi delle coordinate saranno p =a 0 , p, = arctang/ -— — — — —\ ° \l/(a^cos^jr ^- ^^sen^j-)/ e quindi q compreso fra i limili y = 0, q== ^k: di qui molllplicando per 8 l'integrale, avremo l'espressione del- Tintero volume terminato dalla superficie in questione , eioè j '5 9Ìtt9ia V =t/o' /o' »en/)dpd?i^( c^u' - a^v^ - b^w^ Sia cóme sopra A = — (a^cos^j' 4- bhen'q) , B=c^-Ha^cos^5'H-5^sen*jr e pongasi senpd|JK(A -H Bcos»3 o »arà . ir 3 Ma, come si è riportato al parag. 8, e per m=scos/) yseDpd/Jl/-(AH-Bcos»3= — ( -ÌJL-h^ W( a-hBm' ) 178 SCIÈNZE quindi la differenza dei valori, che si olliene dalla suc- cessiva sostituzione di ;? = p, , p = 0, darà l'integrale definito W. Ora il valore di pi porge per mezzo delle quantità A, B, [/•—A cespi = —-— — — , senpi ssa e siccome A -f- B = c^ , cosi anche l/^— A d *^°*''' ^ ITb'' ^^"'''"^ITb ' ^^^ ■*" ^<=^ P«) = ^ perciò la sostituzione di p =pj , p = 0 dà successiva-» mente per W i valori ^"^ - (^+FK(A+B)-8-^''>«(l^B+l^(*-f-B)) Dalla differenza V, — Vo si ha K(AH-B)3 3At^(AH"B) 3A" /KB-4-l/^(AH-B)\ "^ 4 ■*" 8 '^S\^B^^\ l/^—A / la quale per la sostituzioue dei valori di A, B diverrà _. c3 3c(aHos^q -+• 6'sen^q) 3(a''cos''5'-Hi''sen25r)=^ /c-+-[/'{c^^a''cos''q-\-bhen''q)\ "^8i/^(c^H-a*cos^y-i-i^scn^j') °^\ ^^(o^cos»^ ■+- b^setì'q) / Integrali definiti 179 Mohiplichiamo il primo e secondo membro per Ag, e per 8 -~- ; facciamo l' integrazione eniro i limiti gr = 0 , jr = |rr , e po&iamo per brevità Q Qi (g'cos'y -4- ^^sep'g)'' ^/'(c^ -{■ a^cùs^'q -+■ b^'seu'q) avremo facilmente pel richiesto volume 3 4 A questa espressione giunsi in una mia Memoria, che trovasi nel tom. 31 del giornale del sig. Creile di Ber- > lino. Ora vengo a mostrare, che Fintegrale definito del secondo membro dipende dagli integrali definiti della nota forma H^n t e quindi si può ridurre ai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. 14." Supponiamo a >• ò, e si prenda a -^^ e a -\^ e A«l/^(1— Fsen"9) avremo l^(c' -^ a'cos^j 4- *"sen"j) = Al/(«" -4- e' d'onde a'cos^^f + i'sen^'jf = (a* H- c'')A'' — e ' 180 Scienze «jaindi facendone di questo valore la soslituzione nella sola Q, otteniamo 0 = g •+- ^1^(«^ ■+■ g") Q _ (g'cos^!? -f- 6'sen'y)' Osserviamo inoltre che d'onde segue cfie fatto l/'(a^ H- c^) «=» me, si avrà e facendone la soslilnzione Infine ponendo «'-/: ^s:4^K si trae Osserveremo qui che l'integrale definito Ùj;, non can- gerà di valore , quando anche in luogo di mA — ^ 1 si sostituisca 1 — mA, e per conseguenza gli integrali, cho s'incontrano in questo caso, sono identici a quei già de- tcrminati negli antecedenti parag. 11 e 12 per m^l. Integrali definii 181 Pniique il vplume ¥ sarà per ora espresso da (? ~~3 4 * W^"'"" ~ '"'^''' ~ *''"• "^ <"' ~ *"^""*) Non resta pertanto che a riprendere gli integrali \J„ , Uà > U4 . . . già calcolati nel parag, 12.°, e sostituirvi i relativi valori di m , ^ , ^', ciò che darà \ a — * a — Q / _ n /c{2ab — 4c^ — 9(f -+• 3b^)\ '^~~ 2\ 3(a^ — by / ^\ Z[a^ — by 3{a'-~by ) Fattane la sostituzione nel precedente valore di W, do- po brevi riduzioni si ottiene in fine _ naòc_ ^/3a4 - (g- - b^)(a^ -H c^). ri- -^'^-fc'— ^' — a^)\r{p^ -¥- e). E{h', 0) L'ampiezza S delle due funzioni ellittiche sarà determj^ nata dall'equazione scnS = — —= 182 Scienze Questo risultamento trovasi già esposto in ana mia Nota composta nello scorso novembre, e che verrà pubblicata nelle Memorie della società italiana. Il primo termine del valore di V rappresenta l'ottava parte di un volume ellissoidico. Quando a = i , allora ^' = 1 , e perciò d'onde 2 2 2l/-(a"-Hc^) *V a / Io questo caso Y sarà il volume generato dalla rotazione dell'area della curva attorno all'asse rettilineo 2c, la qual curva è il luogo geometrico della proiezione ortogonale del centro dell' iperbola sulle sue tangenti. Qui pure, volendo procedere alla ricerca dei momenti d'inerzia, s'incontrano nel caso generale degli integrali considerati nel parag. 12.°, e quindi riducibili ai trascendenti ellittici di prima e se- conda specie. 1 5.° Veniamo ora ad esaminare il caso, nel quale la costante m sia sostituita da mi/" — 1, allora avremo r"^sen="'9 , /1 -J- mAp^— 1 v . "»"=A -r-'°Ki-m^iA-ir Dalle relazioni fra le espressioni logaritmiche e le fun- zioni trigonometriche si ha in generale arctang(z) ^^^ Iog(|-±^£ll) Integrali definiti 183 e perciò U^n si trasforma in r»^sen'"'<».arctang(mA), Nelle applicazioni questo passaggio indica un cangia- mento di grandezza nei valori dei parametri : per ciò non avrebbe luogo il coefficiente j/" — 1, e verrebbe a scomparire da se medesimo, il problema adunque si ri- duce alla considerazione degli integrali =/ '^sen^''ffl.arctang(7»A) d? Pern = 0, e per potenze impari, e superiori alla prima di A, questi integrali sono stati già esaminati dal sig. W. Roberts nel giornale del sig. Liouville per 1' anno 1 846, il quale di piii ha fatto conoscere la dipendenza di essi con altri integrali dati da Legendre. Venendo adunque ai proposti si avrà dalla differeuziazione rela- tiva ad m d.Va„ _ r«"sen"'9dy f^^ sen'V? r* sen'"ydy_ r dm *^ » l-f-m'A'' J « (1-t-m^ — m**^sen^9) ove per l'integrazione converrà eseguire la divisione dei termini nel coefficiente di d^. Facciamo primieramente 1 tii^k^ m=tang$, ed, m»H- 1 = — ~ , -^ = k'sea^O ^ cos'0 ' in^'-v-l si troverà facilmente sen*''9 cos'US /fc-''sen="'0sen^'' MoUiplican4Q il primo e secondo membro per dip ed in^ tegrando entro i limiti ffl-0, 9— l/r, ed avvertendo che / 1 o 1 — fc^sen^^sen^ip 2 ' 1^(1 —k^'sea'Q) sen^^^^dip = ^^ 1.3. 5..2r — 1 n 2. 4. 6 ..2r 2 otterremo 1V,„_ TTCOs'S f 1 /^ , (AsenS)' _ 1.3(Aseng)4 "24 iVa„_ TTCos'y I 1 / (ftseny) dm "'2l^VÌ^li7(T^?t's^n¥) \ "* 2 •" ene)2"-2x'i 1.3.5.asen5)6 1.3.5. . . 2w— S.f^csene)^"-^ 2.4.6 ' 1.2. 4.6... 2n d9 . C Facendo la moltiplicazione per dm = — rr , ed inte- cos 9 grando, avremo il valore di V^^, il quale dipenderà e da un sistema di termini algebraicamente integrabili, e da altri esprimibili in trascendenti ellittici di prima e seconda specie, vale a dire inawj 1 *''~"2fc^''(7sen'"$l/"(1-^^sen'e) -^sen^^g 2 J sQn^'^-^Q 1.3.M p d9 1.3.5...2n— 3.*'»-=^ /-d5 j 2.4 Jsen^O — • - ""2.4.6 ... 2» •— 2^s"èn^j Il primo integrale denotato per Y^/, è già occorso nel parag. 3.°, ove si è dimostrata la riduzione ai trascen-^ denti ellittici: i rimanenti poi son tutti algebrici, ed inte- grabili con le note formole elementari dei calcolo late-" graie. {Sarà continuato.) 18J JDelV economia pubblica in accordo colla morale.'th Discorso del prof. Domenico Vaccolini. )i|j A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR PRINCIPE VICE PRESIDENTE DELl'aLTO CONSIGLIO SOCIO ORDINARIO DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DI ARCHEOLOGIA MEMBRO DEL COLLEGIO FILOLOGICO dell'università' ROMANA ECC. ECC. Eccellenza Oe di ogni ben locato ufficio tutti si allegrano gli amici della pubblica felicità, più si allegrano i sin- ceri cultori delle scienze e delle lettere, i quali per esse sono maestri ai popoli di vera civiltà. Io non oserei darmi questo vanto, che sarebbe soverchio per quanto io ami gli studi (e per verità gli amo im- mensamente ); ma non cedo ad alcuno nell'ammi- rare i grandi pregi della mente e del cuore di vo- stra eccellenza: dei quali ho avuto ed ho prove con- tinue io medesimo da cinque e più lustri, dacché ella si degna accogliere con tanta cortesia in questi G.A.T.CXVI 13 ^86 Scienze volumi i poveri frutti del qualunque mio ingegno, dichi/arandoli non al tutto indegni della pubblica luce. Ciò, lo confesso, mi è stato novello stimolo e sprone alja continua fatica in quegli ardui studi , che occuparono la mia prima giovinezza, e i più bei giorni della mia vita. Dai quali parrai avere raccolr to assai, benché altro premio mancasse : essi mi val- sero l'amore 4» que'lumi del Monti, del Perticari e del Biondi , che ancora desideriamo , non che del Betti, del Muzzarelli e di V. E. e di più altri spiriti gentili in Ropaa e fuori. Ai quali tutti io mi pro- testo obbligato, troppo bene conoscendo la insufficien- za pnia. E di gratitudine tanta parte dovendo io a V. E., che mi onora sopra ogni mio merito, non pos^ so tenermi di darlene alcun segno palesemente. E ciò intendo di fare col presente discorso, in cui si fa aperto che la pubblica economia torna fallace^ se sì dilunghi dalla morale, colla quale è congiunta es» senzialmente allo specchio dell'ordine: tema che non può non tornarle gradito sopra gli altri ora, tanto più che siede con tanto onore e con coniune soddisfazio- ne neir alto consiglio dopo quella cima d' ingegno dell'ottii^do nostro monsignor Muzzarelli: al quale ed agli altri benevoli se vorrà ricordarmi, io le ne avrò obbligo grande; nulla premendomi più, che d| es- sere in grazia di tali uomini, che sono il fiore della presente civiltà. Gradisca il mio buon volere, ed ac- colga i sensi di stima e di ossequio, con cui ho I'q- nore di confermarmi Di vostra eccellenza Bagnacavallo 10 giugno 1848 Umo dmo ob. servitore Prof. Domenico Vaccouni Economia pubblica. 187 \^uella {jran mente di Tullio , che in se raccolse tutta l'antica sapienza, considerando le varie opinio- ni degli uomini, e come altre siano passeggere e flut- tuanti; altre stabili e ferme: sentenziava, il tempo spe- gnere le fantasie delle opinioni; confermare i giudizi della natura. Lo stesso dirennmo noi, considerando le vicende della filosofìa, che è pure o dovrebb' es- sere la scienza delle scienze: e come tale aversi sem- pre dinanzi la luce dell' ordine per ispecchiarvisi. Ma che ? i filosofi del passato secolo (almeno i più) troppo donando ai sensi e all' organismo ridussero l'uomo ad una macchina inanimata; mostrando vero quel detto di Dante - che dietro ai sensi la ragione ha corte Tali. - Da un estremo passando ad un al- tro, dal cieco sensismo al puro idealismo , i filosofi oggidì troppo forse concedono allo spirito ; e per- duti nel mondo delle astrazioni, escono dai veri con- fini, urtando in non so quale soprannaluralismo; per cui altri de'nostri vagheggia l' universalissima delle idee, quella di ente', altri predilige il principio, Vente crea le esistenze ; altri si accosta al panteismo. E (co- sa incredibile , ma vera ) tra gli stessi corifei della filosofia vi ha chi parteggia oggi con Platone, che ieri stava con Aristotele 1 Dal quale ondeggiamento si scorge, che nel mare dello scibile, errando senza stella, niuno de'naviganti tocca al porto della verità: donde i più si dilungano per battagliare aspramente fra loro; quando sotto una bandiera; quando sotto un'altra, senza volere o potere nel tumulto ascoltare 188 Scienze la voce di chi grida - pace pace pace. - Almeno fa- cessero tregua inchinando a quella sentenza del Pal- lavicini, che parlando del bene conchiude: « La buo- » na filosofia non dee afl'aticarsi in altro, che in di- » spiegare agli uomini quello, che in una cer£a ma- » niera confusa è noto naturalmente a ciascuno; fa- » cendo ella quasi la ripetizione e il comento alla » lezione ed al testo , dettato ad ogni uomo dalla » natura ». Grande insegnamento , che a chi ben guarda mostra nell'ordine fisico, intellettuale e mo- rale il testo della natura: la quale ponendo nell'uo- mo la propensione ed il piacere dell' ordine, dà in ciò stesso una breve, ma solenne lezione; quasi dica espressamente - ama l'ordine. - Il quale per poco simile al sole splende alla mente , ed essa vigile e presta al raggio amico va dissipando attorno a se le nubi dell'ignoranza e dell'errore, e si dispone e passa di grado in grado a vera scienza, secondo il più o meno di acume e di attenzione. Ma se esiste gra- duazione e disposizione ad un fine, esiste l' ordine: se esiste l'ordine, esister dee quasi una catena di fatti tta loro connessi e dipendenti in modo, che ciascu- no anello abbia a risentirsi della concorrenza degli altri : e chi lo distacca per istudiarlo isolatamente , senza poi riunirlo come prima per considerarne i rapporti co'precedenti e susseguenti, e con tutto l'in" sieme, quegli rompe la catena, fa contro la natura, e non abbraccia la scienza ; la vera scienza , che è un complesso di cognizioni disposte allo specchio dell'ordine. Quindi abbagli e travisamenti, tanto più perniciosi dove trattisi di scienza morale: di che un esempio ne sia quella, che dicono Pubblica Econo- Economia pcbtilicIa 18D mia : della quale og^ì Terrò accennando in parte come torni fallace^ se si dilunghi dalla morale^ cui è intimamente congiunta, L' argomento si raccomanda ad ogni cortese intelletto; ma non vi aspettale, o gio- vani generosi, alcun fiore di seducente eloquenza : io sarei lieto di oflfrirvi, come a voi meglio si ad- dice, alcun frutto sincero di quella, che Tullio chia- mò ben parlante sapienza. Come che sia, voi guar- derete, più che alla scorza, al midollo, ed accoglie- rete benevoli più l'animo che le parole ! L'uomo, secondo gli economisti, è un animale commerciante ; se non che tale già non può essere quando non sia previdente e provvidente: cioè quan- do non usi della ragione combinata colla loquela , onde i patti ; e colle mani altresì , onde il lavoro utile. Ma nulla potere esser utile, se non è onesto, lo insegna M. Tullio negli uffici : e veramente un bene non può esser tale agli uomini, non può es- serlo compiutamente, se abbia solo apparenza di be- ne, e non realtà; se conduca ad alcun male reale; e se giovando ad un individuo nuoca poi ad un altro, e peggio alla generalità: nel mentre in colui, che lo cerca con ansietà, appena 1' ottiene, anzi che com- piacenza desta rimorsi con turbamento di animo. Questa appunto è la pena imposta dalla natura a chi manca alle leggi dell'ordine, e tra esse a quella prin- ci|5alissima, che prescrive l'amore dei simili. Chiun- que entra bene addentro ne'segreti del proprio cuo- re, se non accieca, vi troverà scolpito profondamen- te questo dettato d'amore, che vuole gli uomini tutti fratelli; così la felicità dell' uno }wsta in necessaria armonia colla felicilà degli altri chiedendo essenzial- 190 S e I E N Z E mente l'esercizio dell'umanità, la beneficenza vuol rei' gnare dovunque sotto il sole. Che se la natura esi- ge il più, cioè che si doni; esige di necessità anche il meno, cioè che si lasci a ciascuno il suo, seconda giustizia. Ecco i caratteri dell'orarne, che dicemmo socia- le , beneficenza e giustizia : per cui si distingue di gran lunga fra le creature sparse sulla terra l'uomo, capace non solo di conoscere il vero, ma di prati- care il bene. A eia lo ha fatto la natura; laonde se non si specchia nell'ordine, se non vive più agli al- tri che a se stesso , se non è benefico e giusto , se non si conforma di tal guisa sA prototipo, manca alla legge, e non può essere conlento e felice. Ora quando gli economisti ci parlano della scien- za della ricchezza , e felice dicono un popolo no» in quanto è costumato , ma solamente in quanto è più ricco, snaturano l'uomo. Non avendo in tutto e sempre riguardo a beneficenza e giustizia, fanno del mondo quasi un mercato, dove la parte che vende^ come quella che compra, cerca ingannar 1' altra: e purché guadagni, non monta. Così quel fratellcvole nodo, che lega gli uomini; quel vincolo d' amore , che fé natura ( per dirlo coli' Alighieri ), verrebbe sciolto: così un popolo di fratelli, quale dev' essere l'umana generazione, sarebbe un popolo di nemici: e tornerebbe il caso dei figli di Cadmo , che nati fratelli uccidevansi l'un l'altro: così il più di scienza, che come è nell'ordine dee rivolgersi a comune uti- lità, perchè natura è madre comune e non matri- gna, tornerebbe a danno dei singoli e dell'univer- sale: e il soggiorno della pace si volgerebbe in cam- Economia pubblica 191 pò di guerra, la guerra di tutti contro tutti ^ va- gheggiata da Hobbes, che ritraeva il suo paese ed il suo cuore, non il mondo e la natura : la quale vuole anzi la pace di tutti con tutti, e non ammette la guerra, che òome ultimo mezzo a racquistare la pace. Tornando al proposito, noi superbiamo in fac- cia all'antica Grecia, perchè essa non ebbe, siccome fìoi^ lai scienza economica distinta dall'arte di rego- lare le famiglie e lo stato. Ma che? il popolo di Atene rifiutar seppe il partito di Temistocle, che gli prometteva la ruina di Sparta, sua eterna nemica ^ solo perchè Aristide disse: Utile il pairtito, ma non onesto. Ed un mercante di Alessandria, portando gra- no a Rodi in tempo di carestia , stava in forse di poter vendere a Caro prezzo il suo grano; perocché sapeva egli solo, che in abbondanza ne sarebbe pre- sto arrivato nel porto. 0 veramente delicata coscien- za ! o antica probità, che non sapeva né voleva di- videre l'economia dalla filantropia, né l'utile dall'o- nesto, né quanto alla nazione il bene materiale dal morale ! Ed essi i greci avevano colonie; ma quanto diverse dalle romane e dalle moderne ! Le greche colonie fondavansi la più parte da emigrati, i quali portavano con seco sulle terre de' barbari non tri- boli e spine, mia i germi di nuova civiltà. Invece le colonie romane, stabilite coll'impero della forza, erano più o meno tributarie e dipendenti: e le mo- derne altresì, fondate sullo stesso modello, o per am- bizione, o per amore di guadagno, o per tutt'altro che per sentimento di umanità, non furono che un mezzo di far pin ricche e potenti le metropoli. Qua- 192 Scienze ste adottandole per figlie traltavanle invece da schia- •ve ; in quanto che il più delle volte con un com- mercio tutto passivo le facevano servire ad un mer- cato per esse inutile, anzi dannoso; checché gridas- sero a cielo giustizia e umanità. Ma nulla di vio- lento può esser durevole: così le colonie, perchè non legate alla madre col vincolo d'amore in eccellenza di ordine, riuscirono di esse sovente le prime nemi- che. Somiglianti ad un muro, che per manco d'ap- poggio o di cemento già crolla ; o meglio ad un frutto giunto a maturità: non aspettavano più che od un lieve urto per cadere, od un soffio per di- staccarsi; se pure, a sostenerle e conservarle, il po- tere proteggitore non seppe circondarsi di umanità e di giustizia, quasi colonna di ogni civile ordina» mento. Stanca già di conquiste l'Italia, non di sapien- za , fecesi maestra di umanità al mondo intero : e nella beatitudine degli studi produsse la scienza della civile economia: la quale allo specchio dell' ordine si occupò conscienziosa della ricchezza, non pur ma- teriale, ma morale. Questo solenne esempi» dovea giovare alle nazioni, aggiunto ai precetti. Invece ol- tremare ed oltremonte si pensò non più che a ric- chezza materiale, quasi unico mezzo di privata e pub- blica felicità ! Così col nome di economia politica o pubblica non altro s'intese, che la teorica della pro- duzione e distribuzione delle ricchezze puramente materiali: così in cerca di questo unico mezzo non si guardò al fine, che è per l'appunto la felicità de' singoli e dell'universale; felicità, che il danaro, per quanto rappresenti tutte le merci, non può produrre Economia pubbl^v 193 senza il concorso di un altro elemento quasi divino: dico la virtù in generale, ed in ispecie della uma- nità e della giustizia, amiche e custodi di ogni bene al mondo. Cosi ebbe lode il lusso smodato , a vizi compagno: e ciò si fu col pretesto di animare le ar- ti: così moltiplicate si ^fiderò le imposte sotto colore di promuovere coi bisogni l'industria: così all'opera dell'uomo vidersi sostituite generalmente le macchi- ne: così il pauperismo , ruina degli stali , divenne trista necessità ! E che ? non siamo noi tutti uomini ? nati non siamo di un padre ? non siamo tutti fratelli ? E si vorrà dai dotti stranieri fare una scienza di arric- chire solo un pugno di gente, e impoverire tutto il mondo ? E l'utile all'onesto non si vorrà più con- giunto allo specchio dell'ordine per la comune feli- cità ? A quello mirarono intensamente gli economisti italiani,, occupandosi (a dift'erenza degli estrani, che vennero dopo) della ricchezza con vedute non astrat- te e assolute, ma relative al ben essere generale. Ciò appunto osserva Blanqui nell'istoria della scienza: ed a lode dei nostri aggiunge altresì , che essi fecero dell' uomo l'oggetto precipuo de' loro studi e delle loro sollecitudini: osservazione non isfuggita all'in- gegno del Pecchio, il quale notando i caratteri, che più distinguono gli economisti delle diverse nazioni, guardò in prima alla definizione e trattazione della scienza. « Per gì' inglesi , egli dice, è una scienza •) isolata , è le scienza di arricchire le nazioni : è '> questo l'oggetto esclusivo delle loro ricerche. Per » lo contrario gì' italiani la riguardano come una » scienza complessiva, come la scienza dell' amrai- 194 Scienze » nistratore , e la trattano in tutte le sue relazioni' » colla morale e colla felicità pubblica ». Così egli nella storia clell'economia pubblica in Italia. Ed è a questo modo, che i nostri considerano tutto l'uomo, dotato com'è di mente, di cuore e di braccia: l'uo- mo veramente filantropo , pensoso non pure di se , ma degli altri , formanti insieme tutta una grande" famiglia. Invece i dotti stranieri non veggono real- mente nell'uomo, che un animale commerciante, che sciolto da legge morale diviene agevolmente egoista. Quindi approvano le immense proprietà, senza riflet- tere ai tristi effetti morali colà, dove la moltitudine estremamente povera non conosce ritegno, se la fame od altro la spinga a tumultuare: testimonio la mi- sera Irlanda, che non è sola in così funesta vicen-" da ! Quindi esaltano le manifatture , senza badare' che vi va spesso della salute e del vigore della po- polazione più numerosa , che a lungo andare si fa molle ed eiFemminata, posta com'è eternamente al te- laio, e chiusa comunque in un'officina. Quindi prò-» muovono le macchine, senza badare che il minimo di spesa e il più di guadagno per esse lascia oian-f care il lavoro alle braccia , e produce rigiurgiti ài commercio. Quindi approvano imposte eccedenti, sen- za guardare, che vi ha un limite da non sorpassarsi a volere che reggano le famiglie. Quindi lodano per lo più l'accrescimento illimitato della popolazione e del lusso, senza pensare che pel bene individuale e universale, quella vuol essere non solo agiata e co- stumata; e questo nei termini della moderazione, e dannato nell'individuo, se permesso pure nella classe. Ora quali buoni cffetli ponno aspettarsi da una ECONOMIA PUBBLICA 195 «cìétìza tutta calcolo , contenta al materiale pro- gresso, senza una cura al mondo del morale; e in- tenta solo a guardar l'uomo, non il filantropo? 0 profondo giudizio di Gianrinaldo Carli, ben riflettevi, che « la scienza della economia, ridotta a mera arit- » metica, inaridisce il cuore aumentando quell'egois- » mo e quello spirito di calcolo, che è anche trop- rt pò esteso, ed è subentrato a' sentimenti generosi » i quali ricevono 1' impulso del cuore e non del » computo e del bilancio del dare ed avere » ! 0 greca sapienza, bene scolpivi sulle porte del tempio di Delfo quell'aureo dettato - Nulla di troppo ! - E Ycramente anche le cose buone, tra le quali ponia- mo pure le ricchezze, abusate si fanno pessime; e vi ha de'certi confini, da non trapassare, a volere che l'utile dall' onesto non si scompagni. Una prudente misura allo specchio dell'ordine seguirono sapiente- mente gli economisti italiani ; pensando che mente e cuore siamo noi uomini , che siamo tutti fratelli, che il più ricco dee spargere sul povero le sue be- neficenze, ma con vicenda perpetua: per cui 1' uno non dee stancarsi di meritare, l'altro di donare con senno ed amore: così ricchezza materiale non fu di- visa da ricchezza morale ; anzi entrambe accoppia- Fonsi a maggior bene comune: così dal commercio è bandito l'egoismo, dalla potenza l'ambizione, dalle città il pauperismo: così agricoltura ed industria for- mano come una grande catena, che unisce tra loro tutti gli uomini. Il che è nell'ordine sì fattamente, che chi lo togliesse dal mondo civile farebbe peg- gio, che se al globo terraqueo, anzi al sistema ce- leste, togliesse r attrazione ; ei ridurrebbe l'uomo a 196 Scienze condizione peggio che i bruti; quando egli, cora-- pagnevole per natura, tanto su quelli s' innalza da partecipare del divino ! « Negli uomini ( bene os-' I) servò quel fiore di senno del Genovesi ) vi è qual- » cosa di più sublime e divino , che dee farne un » vincolo più forte: e questa è la pietà . . . e la ra- » gione ». Sovvenire ai bisogni fisici non sarebbe un sovvenir tutto l'uomo; quindi l'economia manche- rebbe all'uomo e a se stessa, qualora non guardasse altresì ai bisogni intellettuali e morali. Che sia sa- cra la proprietà sulle cose materiali, non basta: sacra vuol essere altresì la proprietà dell'ingegno: non ba- sta ricchezza materiale; vuoisi dipplù ricchezza intel- leltuale e morale: attività di braccia non basta; vuoisi dippiù attività di mente e di cuore pel ben essere de'singoli e dell'universale. Che se Platone in quella sua sognata repubblica assomigliava l' oro e la vita a due pesi di una bilancia, l'uno de'quali non può ascendere senza che l'altro declini, preso 1' oro per simbolo di ricchezza puramente materiale, e la virtù per mera astinenza, chiaro si vede, che se alla virtù avesse aggiunta la qualità morale, ed estesa la virtù a tutto il suo regno , trovato avrebl:>e que' due pesi riguardo alla felicità dover essere in ragione diretla- tra loro; onde al crescere dell'uno cresca anche l'al- tro, e si aiutino e sorreggano scambievolmente 1 Per fermo la scienza della pubblica economia non sarà piena, se non congiunga l'utile all'onesto; perocché essa, per confessione di un dotto francese (Devilters) è una scienza essenzialmente morale. Pei primi mo- straronlo gli economisti italiani, quando di un'aurea catena un anello od un altro vennero scoprendo, e Economia pubblica 197 gemme aggiunsero a geràme per formare quasi il monile della scienza allo specchio dell'ordine. Lo ha mostrato tra essi bellamente lo Scialoia ne'suoi Prin- cipii di economia sociale: dove seguendo quel gran maestro della rettitudine , Dante Alighieri , distinse il valore reale dal potenziale nelle produzioni, e sep- pe aprirsi di nuove strade nel laberinto della scien- za: seppe portare la fiaccola della ragione singolar- mente ne'ripostigli del credito pubblico e delle im- poste. Certamente egli non perde mai di vista il be- ne morale; i desiderii dell'uomo ( notava ) formano uno dei termini di tutti i rapporti economici ; la morale ne ricerca V origine, la natura, lo sviluppo e le conseguenze : la morale adunque vuol essere legata intimamente all' economia. La prima dirige , rettifica, spiritualizza, per dir così, l'idea di utilità, ponendola in concordia coU'idea di virtù: la seconda vede con compiacenza questa concordia , e servesi della utilità come di un punto di partenza nella spie- gazione de'suoi fenomeni: l' una e l' altra vogliono, che ciò che è veramente utile sia preferito a ciò che non ha di utile che l'apparenza. L'economia lo consiglia e se ne giova; la morale lo ha per iscopo e lo comanda: ambe lodano V uomo attivo, nemico dell' oziosità , inteso a dissipare pregiudizi nocevoli alla comune felicità , ed a migliorare la condizione e le facoltà de'nostri simili: l'una riguarda più spe- cialmente l'uomo come un essere morale e virtuoso; l'altra come un essere economico ed utile. Ma vera utilità non può essere senza virtù; come non può senza equità, né lusso senza misura, né guiderdone essere nell'ordine permuta senza giustizia, né feUcità senza beneficenza. 198 Scienze Grave danno alle scienze apportarono que'fìlo- sofi, che vollero separarli, considerandoli isolatamen- te; senza guardare che sono tutti rami di un albero, j quali non potranno mai prosperare se uniti agli altri e alla pianta non danno e ricevono scambie- volmente vigore e vita. Ma peggio fecero e fanno coloro, che divisero l'economia dalla morale, alla quale è intimamente congiunta allo specchio dell' ordine, onde le città si conservano e crescono, e l'u- mana società si mantiene a comune utilità. Meno male farebbe colui , che ad un albero lasciasse la scorza e ne levasse in parte il midollo. Ricompo- niamo di grazia ciò che fu pur troppo scomposto: e tutto ritorni nell'ordine ! Cosi la pubblica econo- mia trovi pure i suoi rapporti colla fìsica nel suo fenomeno fondamentale della produzione: e colla mec- canica quanto allo scopo di ottenere il massimo ef- fetto col mìnimo di forza e di tempo: e colle mate- matiche nell'azione reciproca de' rapporti tra le cose e i bisogni ! Ma più di tutto colleghisi alla morale ed alle scienze affini; in quanto l'utile non può di- vidersi dall' onesto , né ricchezza da giustizia e da umanità, ne il bene de'singoli dal bene di tutti, né quello di un popolo dal bene universale. Altrimenti dovrebbe dirsi, averlo Iddio e la natura fatto capace di scienza per suo danno e tormento; non per propria e comune utilità, siccome vuole eccellenza di ordi- ne: ordine, che a chiare note è scritto non pure in questo gran libro dell'universo, ma in un altro li- bro ancora più intimo, il libro del cuore umano. Ivi è il dettato dell' amore , che la religione santissima ha consecrato colla legge di carità per compirne nto Economia pubblica 199 e perfezione maggiore della legge naturale : legge comune a quanti sono uomini, che vivono sotto il cielo, ed aspirano vigualmente alla felicità. L'econo^ mia , che si propone di sodisfare colle ricchezze i bisogni dell'uomo, se vuol toccare la meta, non può non guardare al primo ed ultimo de'bisognì, quello appunto della felicità, che in se abbraccia e com- prende tutti gli altri bisogni. Essa V economia si stringa adunque più forte alla morale in amplesso d^amore, come le insegna la gran maestra delle scien^ ze, l'Italia: e tengasi continuamente allo specchio dell' ordine, che Dio pose chiarissimo nell'universo quan- do col fìat lo trasse dal nulla, e quando col fiat se- condo lo redense. Così fia chiaro ciò, che parlando della tranquillità deiranimo accennava il filosofo di Cheronea: questo noondo essere un tempio santissi- pao e degnissimo di Dio, iiel quale è introdotto Tuo» mo nascendo; tempio, nel quale a noi dopo la solen- ne rip^arazione risplende più vivo lo specchio dell' ordine jmorale, A quello specchio, giova in fine ripeterlo, mi- rarono mai sempre gli economisti italiani, e più e più a'nostri giorni il Valeriani-Molinari ed il Bo- sellini , maestri di eletta scuola : il primo de' quali notò espressamente il legame, che hanno tra loro la legislazioae civile e la economia mediante gli eterni principi! di giustizia: l'altro consigliò una direzione migliore alle ricerche di pubblica economia, giusta il principio altresì del perfezionamento sociale , e colla mira del benessere generale ; affermando egli di più, che la morale, la legislazione, 1' economia, le finanze non potranno mai progredire felicemente, se 200 Scienze non venga giorno, che tutte le nazioni si ammettano ad una generale comunicazione dei rispettivi prodotti del suolo e dell'industria eolla massima fondamen- tale , che non solo i nostri e i limitrofi , ma tutti i popoli della terra, possono e devono essere felici sic- come noi; intanto che la comune felicità viene a ri- dondare in maggiore felicità di ciascuno. Così il mon- do in eccellenza di ordine economico-morale, anzi- ché un vile mercato, diverrà come un grande con- vito, a cui partecipino veramente tutti gli uomini, che vivono sotto il sole: il quale la Dio mercè dif- fonde ugualmente il suo lume benefico sul filo d'er- ba della eonvalle., e sulla quercia della montagna. Ma in così bello e universale convito ciascuno dee mettere la sua parte coli' opera non mai intermessa sì del corpo, e sì della mente e del cuore: tutti gli uomini come àpi industriose fabbrichino il miele, né fuchi ignavi e rapaci dividansi quella dolce sostan- za, fruttò di, continua fatica. Questo vuole natura, madre e maestra dell' ordine , non solo materiale , ma intellettuale e morale: regni dovunque 1' attività con giustizia e con beneficenza: e la morale si ab- bracci e .stringa con nodo eterno alla pubblica eco- nomia, non pure tra l'alpi e il mare nel bel paese ; ma ovunque respira l' umanità, ovunque alligna la sapienza a render lieta e felice sì la presente, sì le future generazioni : che Dio ottimo massimo lo ci conceda ! -^ssm- 201 Relnzione di A. Coppia membro della sezione annona- ria del consiglio comunale, di Roma^ sulla tariffa e la libertà di fare e di 'vendere il pane^ letta nel- V adunanza dei 16 giugno 1848. \. Ilei secoli di mezzo, allorquando le comunica- zioni erano difficili, e le guerre esterne ed intestine frequentissime, tutti i governi procurarono di avere magazzini pubblici per provvedere all' annona , e fissarono inoltre una speciale attenzione ad impe- dire il monopolio. Questi ordini continuarono ezian- dio allorquando i lumi erano di già risorti: ma le scienze economiche erano ancora trascurate. 2. In Roma, nello statuto del 1580, si dispose che i conservatori invigilassero sopra i venditori delle cose commestibili (1), e s' infliggessero pene fortissime contro i fornai che vendessero pane di un peso minore di quello stabilito dalla legge (2). 3. Eravi inoltre un prelato che invigilava al- l'annona frumentaria tanto della capitale, che dello stato (3). Sisto V poi stabilì una congregazione car- dinalizia su questo ramo di pubblica amministra- zione (4). Diede anche alla medesima scudi 200,000, (1) Lib. V cap. IV. (2) Lib. Ili cap. V. (3) Bulla Gregor. XIII Inter citerai, 7 mai 1576. Bull. Rom. tom. IV part. Ili pag. 15. (4) Bulla-immensa- undecimo kal. iau. MDLXXXVII. Bui. rom. tom. IV part. HI p. 392. G.A.T.CXVI. 14 202 Scienze affinchè l'impiegasse nel modo pii'i opportuno per mantenere l'abbondanza in Roma (1). 4. Questa congregazione som ministrava prestan- ze ai mercanti di campagna , affinchè seminassero una determinata quantità di grano; dava sussidi ai fornai, affinchè vendessero il pane ad un prezzo in- feriore al valore del frumento. Ciò peraltro non im- pedì che il prezzo del grano ascendesse nel 1798 a scudi 30 al rubbio, cioè al quadrupolo del va- lore ordinario (2). 5. L'amministrazione dell'annona divenne im- potente à soccorrere tali angustie. Dal 4766 al 4798 fece perdite continue, ed infine un fallimento nella somma di scudi 3,293,865 (3). 6. In Toscana erano leggi annonarie simili a quelle di tutta l'Europa. Nel 4766 vi fu minaccia di carestia. L'erario esausto non permetteva di prov- vedere grani esteri per conto del governo. Leopoldo vi provvide in altro modo. Tolse tutti i vincoli alla libera circolazione dei grani nell'interno; accordò a tutti la facoltà di fare e di vendere il pane ; vietò agli UbbondarnsiBri d'ingerirsi nel fissare i prezzi sui pubblici mercati, o in qualunque altra maniera (4): ed il risuìlamento fu che i mercanti fecero venire a proprio rischio e ad esuberanza i grani; i fornai moltiplicarono, e dovunque si trovò pane da com- (1) Bui. ^bbundantes decimoseptimo kal. aprilis MDCXXXVHI. (2) Ann. d'Italia 1798, §. 43, 46, 1799, §. 79. (3J Nicolai, Memorie sulle campagne cH Roma, part. Ili pag. 186, lS9. (4) Editti «lei 6 agosto e IS settembre 1766. SULL4 TARIFFA EC. 203 prare e di qualità salubre , ed i prezzi del grano scemarono invece di aumentare (1). 7. Incoraggiato dall'esperienza il gran duca Leo- poldo ampliò nel 1775 la libertà del commercio fru- mentario, promulgando che fosse assoluta tanto per l'interno, che per l'esterno (2). 8. Pio VII, per consiglio del card. Fabrizio Ruf- fo, con moto-proprio dei 2 settembre 1800 , pro- mulgò per Roma e per le province suburbane, dette annonarie^ la libertà interna del commercio de'grani (§. 1 e 2); proibì peraltro 1' estrazione fuori dello stato ( §. 3 ) ; dispose che tutti i grani trasportati a Roma per vendersi si dovessero contrattare nei so- liti giornalieri mercati di Campo di fiore e di Ri- pagrande. Il venditore poi dentro le 24 ore fosse tenuto di darne l'assegna, indicando la quantità ed il prezzo ( §. 4). Soggiunse poscia: « Sebbene l'uni- » formila del sistema e la felice esperienza degli al- » tri dominii sembrassero suggerire che la libertà » potesse estendersi eziandio alla vendita del pane, » nulla di meno per un maggior riguardo agl'in- » teressi de' consumatori, e soprattutto della .classe » più bisognosa del popolo, vogliamo che la ven- » dita di qualsivoglia specie di pane, non escluso » quello di lusso, ossia bianco, debba rimanere nel- »» la dipendenza della legge. E a tale effetto dalla M deputazione dovrà nella sera di ciascuna dome- » nica pubblicarsi in stampa il calmiere o tariffa » de' prezzi , e rispettivamente de' pesi di tutte le » specie particolari di pane da desumersi da prezzi (1) Zoli, Manuale storico dì economia toscana §. 80. (2) Loc. cit. §. 86. 204 Scienze » del grano che sì saranno fatti nel corso della set- » timana nei due pubblici mercati di Campo di fio- » re e Ripagrande (§. 10). » 9. Conservò peraltro agli attuali fornai il di- ritto di privativa di vendita del pane come sino al- lora avevano goduto; ma coll'obbligo di avere con- tinuamente una provvista proporzionata al consumo ed allo spaccio di due mesi (§. 13). 10. Per la esecuzi one di tal legge istituì una deputazione composta di un prelato e di sei cava- lieri , ed inoltre di un assessore con voto e di un segretario , onde impedire gli abusi che potessero derivare in pregiudizio della legge (§. 20) (1). 11. Nel 1801 la libertà interna del commer- cio di grani fu poscia estesa a tutto lo stato (2). Nello stesso anno si stabilì quindi una tariffa per regolare l' estrazione , e si dichiarò che se il prezzo del frumento fosse di scudi cinque arubbio, l'estraente avesse un premio di bai. 50. Dagli scudisciagli undici pagasse un dazio come «egue: Prezzo Dazio 6 Se. 0 05 7 » 0 20 8 0 50 9 . u -Mhi.;. i.. *i{;>é-.: .(.Ii.ii"- . . » 1 50 fP, , •.;.i)OiJBÌ:> «ih l.l'W n^''- •""•'• • » 2 50 M^^^^\ f» f>V>'5m\0'> li liflMiT ' ' ' , ' " ^ ^^ 12 divieto di estrazione (3). (1) Moto-proprio dei 2 sett. 1800. (2) Editto del cardinale camerlpnjjo dei 10 aprile 1801. (3) Molu-proprio dei 4 nov. 1801. .;)g -• Sulla takiffa ec. 205 13. Nell'anno 1817 fu carestia in tutta Ita- lia. Il governo di Toscana (dove il granò ascese a lire 63 il sacco^ cioè a scudi , ... il rubbio), co- stante ne'suoi principii di libertà illimitata, altro non fece che ordinare pubblici lavori, onde abilitare i poveri a comprare i grani forestieri. E con questo rimediò, per quanto gli fu possibile, alla fame (1). 14. In Roma nel 1817 il prezzo del frumento salì sino a scudi 20. 83 il rubbio. Si temette che nel 1818 accadesse l'istesso, ed allora si fece un al- tro passo verso la libertà commerciale. Impercioc- ché il cardinale Consalvi, segretario di stato, con notificazione dei 15 maggio 1818, pubblicò che « in .> conformità di quanto è stato praticato in altri » anni in questa capitale, era permesso a chiunque » di fabbricare e vendere il pane di qualunque spe- » eie tanto bianco, quanto baioccante, a peso, ca- » sereccio, o misto, purché sia di buona qualità. .. 15. Nel tempo stesso la deputazione annonaria pubblicò r indicato regolamento per impedire , per quanto fosse possibile, le frodi. 16. Promulgata tale libertà, non vi fu punto aumento di prezzo del pane. Anzi crebbe l'industria. I forni, che per lo innanzi erano 72, si aumentaro- no in poco tempo a 130, e si trovò dovunque pane buono ed abbondante. 17. Nel 1823 si credette opportuno di fare al- cuni cangiamenti nella tariffa pel commercio ester- no dei grani. Si determinò che allorquando il prezzo fosse inferiore a scudi quattordici nei porti dell'A- li) Zoli, Manuale storico di economia toscana J. 213. 206 Scienze diiatico, ed a scudi sedici in quello del Mediterra- neo, fosse jiermessa la esportazione e vietata l'impor-' fazione. Giunto a tali mete, fosse all'opposto vietata la esportazione e permessa la importazione (1). 18. Scorsi venti anni , vi fu chi pensò essere opportuno di ristabilire l'antica tariffa. La deputa- zione annonaria fece riflettere non essere sperabile alcun giovamento al pubblico. Osservò specialmen- te che le spese di un forno sono minori, quanto è maggiore la quantità del pane che cuoce in un gior- no. Quindi, essendosi aumentato quasi al doppio il numero dei forni, le basi dell'antica tariffa non era- no più adottabili ad una moderna- Non essere pos- sibile di ridurre il numero dei forni: ma l'industria e r economia privata supplisca agli antichi ealcoli basati sul monopolio, 19. Da tutto ciò ne derivò un mezzo termine. Una congregazione speciale a tal uopo deputata ai 25 di gennaio del 1838 discusse il dubbio: 20. > Se e come convenisse adottare per Roma » un calmiere da tenere nella proporzione più van- ') taggiosa al pubblico il prezzo del grano con quel- » lo del pane. >» 21. La risposta fu che « per Roma si fissasse » subito il calmiere sulla norma delle tre rubbia <> di spiano giornaliero per ogni forno. » 22. Si fecero allora gli analoghi calcoli. Fra le altre cose si determinò, che la spesai dei fornai (com- preso il dazio del macinato in scudi 2. 20 ) sono per ciascun rubbio: (1) Editto del camerlengo dei 13 febbraio 1823. Sulla tariffa ec. 207 l*er il pane detto a stufa ... se. 5 25 Per i casareccianti » 4 11 5 23. La deputazione annonaria pubblicò una notificazione analoga alla risoluzione della congre- gazione (1), e si ristabilì la vendita a tariffa. 24. Tale è lo stato delle cose, nel quale si cer- ca se e quale miglioramento possa farsi nella ven- dita del pane. 25. Sembra che in primo luogo debba pre- mettersi, che la base dell'attuale sistema consiste nel- le contrattazioni dei grani che si devono fare nei mercati di Campo di fiore e di Ripagrande e rela- tive assegne dei prezzi. 26. È noto però che le grandi masse del grano che si consuma a Roma sono depositate in magaz- zini di più centinaia e talvolta di migliaia di rub- bia, ed in essi si contrattano senza esporsi al pub- blico mercato di Campo di fiore. 27. I grani che provengono dalle province, e s'introducano per il Tevere, generalmente sono com- messi, e contrattati prima del loro arrivo, o pure si sbarcano e si depositano similmente in grandi ma- gazzini, senza esporsi al mercato di Ripagrande. 28. Quindi la base dei prezzi dei mercati di- venne nulla. 29. Difatti nelle assegne settimanali, mentre do- vrebbero esservi generalmente contrattazioni di cir- ca 1700 rubbia, talvolta ve ne sono che poche cen- tinaia, ed alcune fra speculatori, fornari ec, e perciò sospettosissime. (1) Notificazione del 1 febbraio 1798. 208 Scienze 30. I fornai, secondo il moto-proprio del 1800, dovrebbero tenere una provvista per due mesi. Se- condo posteriori disposizioni, questa dovrebbe esse- re metà in grano e metà in farina. 31. L'osservanza di una tal legge riposa uni^ camente sulle assegne della vendita giornaliera del pane e delle esistenze in magazzino che danno set- timanalmente i fornai ai commissari. Non è duopo rammentare che talvolta, essendosi visitati i magaz- zini dai deputati, si trovarono notabili mancanze. 32. Di più, un forno che spacci tre rubbia al giorno, dovrebbe avere di scorta novanta rubbia di farina. Tanta massa nella state si riscalderebbe , e perciò ne avrebbe pane cattivo. 33. Il ragguaglio tra i prezzi del grano ed il peso del pane importa necessariamente delle frazioni. Talvola la pagnotta dovrà essere p. e. di once tre ^|io. E possibile che il garzone del fornaio abbia l'occhio di fare sempre la pagnotta di un peso cosi esatto? Essendovi divario, questo sarà sempre a danno del consumatore. 34. Da tutto ciò risulta essere difettoso il me- todo, col quale si formano le tariffe. 35. Il senato, sulla relazione della sezione an- nonaria, con notificazioni del 27 febbraio eli giu- gno , emanò varie disposizioni per migliorarlo. Si ottennero de' forti notevoli vantaggi, ma non suffi- cienti all' uopo. Converrà dunque pensare ad altri , rimedi. 36. Il primo sarebbe quello di abolire il da- zio del macinato, che in Roma si paga in scudi 2. 20 per ogni rubbio. Imperciocché esso aumenta di u» Sulla tariffa ec. 2p^ sesto, e talvolta di un quinto, il prezzo del p.ine. I danni che da ciò derivano all' industria, e speci- almente alla campestre , sono immensi. Ma questa dazio produce all'erario annui scudi 3t3,500,e nelle attuali angustie tale somma è intangibile. 37. Quindi per ora si potrebbe forse adottare un altro rimedio, ristabilendo la libertà assoluta del- la fabbricazione e della vendita del pane. Crederei pertanto che si sottoponesse al con- siglio e senato la seguente proposizione: « Se convenga abolire 1' attuale tarifta, e pro- mulgare la piena libertà di fare e di vendere il pane ». 310 E^mTTmmM^TwmM. Quando e da chi sia composto l'ottimo comentó a Dante^ Lettera al sig. Seymour Kirkup^ pittore inglese a Firenze, di Carlo Witte. Colla giunta di alcuni supplementi alla bibliografia dantesca del sig. vi' sconte Colomb de Batines. Poich'io non trovo chi meco ragioni Del signor che serviam e voi ed io. DANTE. Getìtilissìmo signore, Halle sulla Sala 20 nov. 1846- N, on occorrerà dirle con qual piacere io abbia let- to l'insigne opuscolo del sig. visconte Colomb de Ba- tines sopra due antichi comenti della Divina Cona- media, non pervenutomi che il giorno 11 di questo mese; opuscolo , al quale questo dotto dantofilo ha saputo aggiungere nuovo ornamento, mettendogli in fronte il di lei nome, caro a tutti i cultori del som- mo vate che ebbero il bene di conoscerla. Pochi lustri sono, che lo studio di quei buoni antichi, più o meno imbuti di quella sapienza del medio evo, nella quale l'Allighieri, come nessun al- tro si era inoltrato, giacque negletto e sepolto. Ne ÈIBLIOGRAFIA DANTESCA 2H il Lombardi, né il Biagioli^ né gli altri coevi a co- storo, consultarono gli interpreti, che per la viva va ce di Dante, o per prossima tradizione avevano po- tuto conoscere qual senso l'istesso autore aveva vo- luto attribuire al misterioso suo poema. Quando , ventitré anni sono, per richiamare a questo studio l'attenzione dei dotti, diedi nel primo dei piccoli miei lavori relativi a Dante (1) un catalogo di 14 antichi comenti, aggiungendovi l' enumerazione dei codici, nei quali inediti giacevano, non pochi lettori si ma- ravigliarono di un tal numero. Ora le ricerche dei letterati hanno talmente arricchito le nostre cogni- zioni , che quel catalogo per le tante sue imperfe- zioni non può giudicarsi che una miseria. Alessandro Torri , ottimamente merito di tutti gli studi danteschi , ci diede la prima edizione del cemento che sino a quel tempo fu giudicato il più antico di tutti: lavoro che, se riuscì meno perfetto di quello che forse si sarebbe potuto desiderare, cer- tamente impone 1' obbligo al nuovo editore ( sig. Francesco Cerrotti a Roma) di corregger i non po- chi errori e di riempir le molte lacune. Grato regalo ci fece poco dopo il sig. Ignazio Moutier ristampando il comento, nel quale il cer- taldese già quasi decrepito sfogò l'ardentissimo suo amore pel padre Allighieri, e levandone molte delle macchie, di cui va lorda la prima edizione fioren- tina o veramente napolitana (2). (1) Nel » Hermes, oder Kritisches Jahrbuch cler Literatur. » 1824, voi. XXIV f. 134—06. Il calalogo accennato nel testo si trova a e. 139,40. (2) Non dico già tutte, e sarebbe slato da desiderarsi che'l chia- 212 Letteratura Né priva d'interesse diremo la pubblicazione del cemento sopra la prima cantica, composta verso la metà del quattrocento da Guiniforto delli Bargigi, che dobbiamo al s'ig. avvocato Zaeheronì^ e che forse avrebbe incontrato anche maggiori applausi^ se l'or- natissimo editore non avesse giudicato opportuno di sopprimere quelle parti dell' opera ^ che secondo il suo modo di pensare gli sembrarono baie e vane cicalerìe. Di maggior rilievo però, di quanto per tutti que- sti altri valenti fu pubblicato, si è senza dubbio il comento attribuito a Pietro figlio di Dante, dall'il- lustre di lei compatriota, e magnifico mecenate degli studi relativi al sommo Allighieri , milord Warren Vernon^ ultimamente dato alla luce , ed adorno di dottissime osservazioni di quel profondo conoscitore delle antiche lettere italiane, del Nannucci (1). rissimo editore avesse fatto uso di alcune correzioni già prima delta sua ristampa proposte. Si confrontino per esempio gli annedoti del Dionisi (IV, 30, 99) col testo del Moulier a e. 8, 49 e 50. Maggior- mente ancora dispiace di vedere nella nuova stampa alcuni errori, de'quali la prima era rimasta Ì!';mune, come più sotto ne ■vedremo degli esempi. (1) Cinque sono i codici, esattamente confrontati dal sig. Nan- nucci per poter renderne più corretto il testo. Se ne citano inol- tre due altri. Copia del codice di s. Giustina , perduto in quanto sembra, si sarebbe potuta trovare fra i libri del Dionisi alla biblio- teca capitolare di Verona. Due altri manoscritti di Pietro di Dante esistono alla barberiniana di Roma ( Pelli, Memorie per la vita di Dante, ed. 2 p. 174. Na. S3. Bezzi, Lettera sopra i comeuti mss. bar- beriniani p. 6, 27 ) , ed «no ancora si trova fra i codici parigini (Fonds de riserve No. 4 ). Dicesi nella dotta prefazione a e. 13, il comento di Pietro esser composto nel 1340; e sta benissimo per la maggior parte dell'opera (vedi anche a e. 656). Le chiose sugli ul- timi canti del Paradiso, per quanto si desume dalla e. 704, non fu- rono però scritte che nel 13'»t. Bibliografia dantesca 213 Passo sotto silenzio alcuni eleganti opuscoli re- lativi a tale o a tal altro antico comentatore, e mi rivolgo subito alla lettera direttale dal sig. visconte de Batines (4). Ripeterei, se non fossero troppo gen- tili, le parole colle quali quel chiarissimo bibliogra- fo dantesco parla a e. 141 di un mio lavoro sul- l' istesso oggetto , stampato 1 9 anni addietro negli annali di Vienna (5). Somma soddisfazione veramen- te dovetti provare, vedendo che i profondi studi, da un dotto cosi distinto condotti a termine nel bel cen- tro dei tesori riuniti nelle biblioteche di Firenze, V abbiano fatto confermar per veri quasi tutti quei pun- ti ch'io in allora, quasi dall'ultimo confine della Ger- mania fda Breslavia), mi era arrischiato d' asserire. Quattro sono i resultati del suo lavoro, rilevati per tali dal sig. visconte a e. 156 e 157: l.llcomento di Iacopo della Latia^ stampato nella vindeliniana e nella nidobeatina , è identico col così detto comento Vi- sconti. 2. H comento del Laneo è differente daW Ot- timo e da quello di Iacopo di Dante. 3. Egli è pro- babilmente di più antica data che V Ottimo. A. L'Ot- timo non merita che in parte Tantonomastica deno- minazione di Antico a lui conferita ( Per quanto si dice a e. 145, il sig. de Batines reputa il testo pub- blicato dal Torri, almeno in parte, più recente del Chi, seguendo l'esempio di milord Femori, volesse donar alla pubblicità il comento attribuito a Jacopo di Dante , oppur quello di Francesco da Buti, il più disteso di tutti, e più degli altri ado- perato dai compilatori del vocabolario, o finalmente l'intero comen- to dell'imolese, farebbe senza dubbio cosa gralissima a tutti gli amato- ri di questi studi. (4) Negli « Studi inediti su Dante. » Voi I. Fir. 1846, p. 133-36. CS)i5 Wienner lahrbucherderLitcratur." Voi. XLlV 1828,p.i-43. 214 Letteratura J351). None un comento primitivo, ma un'epitome d'altrui comenti, fatta da tre o almeno da due di- versi compilatori. Ora i tre primi di questi punti convengono e- sattamente coli' opinione nel citato opuscolo da me «messa. La sola differenza che forse rilevar si potreb- be si è , che mentre il dotto francese cerca di di- mostrare che Iacopo della Lana abbia scritto avanti al 1349, credo di avergli attribuito con certezza sto- rica una data anteriore al 1328. D'accordo siamo an- cora che VOttimo non si possa dire un comento pri- mitivo. L' unico punto dunque , nel quale gli studi del sig. visconte gli hanno fatto abbracciar un pa- rere diflferente dal mio, si è la data dell'Ottimo co- mento, da me, conformemente agli anteriori autori, creduta del 1333 o 34, e dal sig. de Batines giu- dicata più recente di una ventina d'anni. Non esiterei né anche un momento di ritrattare un'opinione, tanti anni sono da me emessa, o per dir meglio più sull'altrui fede che sulle proprie mie ri- cerche da me adottata , se gli argomenti, con cui quell'opinione fu combattuta, mi sembrassero suffi- cienti (1). Mi dispiace in fatto che non me lo sem- (1) Fra gli errori, che non sono pochi nell'opuscolo citato, vi è anche quello rilevato dal sig. De Batines a e. 135 , che Alberico da Rosciate, morto nel 1334, abbia già cessato di vivere nel 1345. Sbaglia però il sig. visconte, se contro la precisa mia asserzione (An- nali di Vienna 1. e. f. 39), attribuisce ad Alberico la traduzione la- tina del Laneo contenuta nel codice ambrosiano D. 539. Non pochi sono i manoscritti dell'Olmo scoperti dal sig. De Batines, ed ag- giunti al catalogo ch'io ne avea dato nel 1828 , quantunque alcuni fra essi non abbiano che dei frammenti di questo comento, ed iù parte siano stati indicati per tali anche nella %ia dissertazione a Bibliografia dantesca 215 brino: e la prego che da quell' accorto intendente ch'ella è , o mi rettifichi , oppure mi confermi nel mio parere. Però prima di esporle le mie ragioni^ la prego di compatirmi, se privo come sono di tutt'i sussidi letterari , non somminislratimi dalla povera mia biblioteca , mi fossi lasciato sfuggire qualche importante notizia. Gli argomenti, sopra i quali fondai l'opinione, che l'Ottimo comento sia composto nel 1333 e 34, sono i seguenti : 1. L'autore di questo comento dice di aver as- sistito personalmente ad un fatto accaduto poco dopo i 2 di giugno 1307 (1). Inf. XXVIII, 55. « Questo fra Dolcino ... fu preso e nella sopradetta terra (di Novara) con suora Margherita e molti e molti de' suoi fu arso. E io scrittore ne vidi de' suoi ardere a Padova in nu- mero di ventidue a una volta ; gente di vile condi- zione, idioti e villani. » 2. Riferisce di aver conosciuto personalmente il poeta : Inf. X, 8-^. « Io scrittore udii dire a Dante^ che mai rima noi trasse a dire altro che quello, e. 34, No. 8, e. 36, No. 28. Se poi desidera (a e. 133) « la terza pe- rizia » a farsi per i due codici di San Daniele del Frinii e di Ve- nezia (Libreria marciana No. 56) , posso assicurarlo clie tutti due contengono Vottimo comento somigliante a quello che si trova nel codice riccardiano 1004. (1) Sembra dunque che nel 1334 egli non abbia potuto essere tanto giovane. Il Torri crede il contrario (Prefazione p. XIII ) , ap- poggiandosi sulla chiosa al verso 89 del canto VII dell' inferno; ma sembra ch'egli non abbia osservato, che chi vi parla della « sua gio- vanezza » non è già 1' anonimo comentatore , ma ser Graziolo de' Bambagioli, cancelliere di Bologna. 216 Letteratura eh' avea in suo proponimento ; ma eh' elli molte e spesse volte facea li vocaboli dire nelle sue rime al- tro che quello, ch'erano appo gli altri dicitori usati di sprimere. >> Inf. XIII, 144. « Elli (Dante) fu di Firenze, e però qui recita una falsa opinione ch'ebbero gli an- tichi di quella cittade, la quale io scrittore doman- dandoneliele udii così raccontare. » 3. Il eomentatore dice vivente Giovanni re di Boemia^ che morì nella battaglia di Crecy a dì 26 agosto 1326. Farad. XIX, 124. « A nuovi estrani successori pervenne il regno (di Boemia), prima ad Alberto poi ad Enrico imperadore, del quale oggi porta la co- rona Giovanni suo figliuolo. » 4. L'autore anonimo del comento cita come vi- y^nle il pittore Giotto^ morto nel 1336. Purgai. XI, 94. « Fu, ed è Giotto intra li pin- tori che gli uomini conoscono, il piii sommo, ed è della medesima città di Firenze , e le sue opere il testimoniano a Roma, a Napoli, a Vinegia, a Padova e in più parti del mondo. » 5. Il così detto buon eomentatore nell' ultima parte del suo lavoro cita l'anno 1333 come corren- te o appena passato. Farad. XII, 79. « Al quale (a s. Domenico) nel ministerio generale succedette .... decimosesto fra- te Ugo di Valsamano, al presente eletto nel 1333.» 6. Lo dice prossimo passato in una chiosa dell' inf. XIII, 144. « Cadde (il ponte vecchio) la notte del dì quat- tro di novembre nel mille trecento trentatrè ». (Il cod. Bibliografia dantesca 217 Laurenz. XL, 19 dice ventitré, ma vedi la cronica di Gio. Villani XI , 1 ; e Dionisi , Anedd. V , 86 , Na. 1; Aless. Torri nella prefazione al comento dell' Ottimo p. XIII, Na. 3) « anno prossimo passato. » — È da notarvi che l'anno 1333, all'uso fiorentino, non finì che colla fine di marzo del 1334. 7. Parimenti all'anno 1334 si riferisce un'altra chiosa sopra un verso dell'istessa cantica XIX, 115. (( Piccola Orsini ... si fece privilegiare la Ro- magna e Bologna a Ridolfo imperadore : l'eflFetto del cui privilegio toccò mentre eh' io scriveva questa chiosa, anni 1333 » (all'uso fiorentino, ossia 1334 dell'era volgare) « a dì 17 di marzo, Bertrando ve- scovo tVOslia e di Vellelro^ legato della chiesa apo- stolica, il quale sozzamente da' bolognesi fu gittato della signoria. » Vedi Villani, Cronica XI, 6. q 8. Un apografo della prima prefazione all' 01' timo comento del Paradiso, fatto , per quel che mi sembra, dal Pinelli^ e serbatoci in un codice veneto della biblioteca di s. Marco (No. 55) vi appone la data dell'ultimo di febbraio 1333, cioè 1334 dell' era volgare. Somigliantissima è la notizia che l'ano- nimo autore di una lettera contenuta nel cod. am- brosiano di Milano (s infra 94) dice di aver estratto da un suo manoscritto, del quale, dopo che Pier del Nero si sia portato via l'inferno e'I purgatorio (sa- rebbe mai quello del sig. Libri ?) non gli sia rima- sto che'l paradiso. Ecco la notizia, quale si legge nel codice : « Al nome di Dio, amen, e della ver- gine madre, madonna santa Maria, e dì tutti e'suoi benedetti santi, anni Dm. M. CCC. XXX. HI n (Sem- bra che il manoscritto dica piuttosto VII) « die ult, GA.T.CXVI. 15 218 Letteratura mensis fbr. Qui comincia la dispositione (leggi o spiega sposizione) del terzo libro di Dante Alighieri di Firenze, il quale tratta di quegli che sono in Pa^ radiso. » Segue la prefazione del comcnto al Para- diso. Tutti questi passi, in gran parte per altro già citati dagli autori , che anteriormente al mio opu- scolo aveano scritto suW Ottimo comento, concorrono a farcelo credere lavoro di un contemporaneo del poeta, cominciato, in quanto pare, per le due ultime cantiche, e terminato per l'inferno; essendoché i luo* ghi riferiti ai num. 6 e 7 si riferiscano a un tempo posteriore alta data della prefazione del Par. (n. 8), Confesseremo ohe un passo solo, o pur due , per-^ metterebbero forse di supporre che un compilatore più recente, compendiando l'altrui lavoro, abbia co- piato alla spensierata anche le parole relative all'epo^ ca dello scritto originale; ma nove o dieci autorità, tutte in perfettissima armonia fra di loro , devono convincerci che l'opera, da cui furono tolte, sia tutta dell'istesso autore, o che non vi si trovino almeno che alcune giunte posteriormente innestate al primo lavoro. Se ciò non ostante convenni più sopra col sig. De Batines^ che VOttimo non sia un comento primi- tivo, lo feci per aver dimostrato già nella prima mia dissertazione che l'anonimo suo autore abbia preso per fondamento del suo lavoro il comento del La^ neo^ parte copiandolo testualmente, parte abbreviane dolo, parte aggiungendovi delle proprie sue fatiche, oppar delle notizie prese da altri interpreti. Ma un' Opera fatta coll'aiuto degli altrui lavori è pure tuli' Bibliografia dantesca 219 una, e non si potrà mai dire un composto di squarci qua e là ripescati da qualche ignorante copista. Egli è vero per altro che l'autore dell' Ottimo comento non abbia seguito sempre l'istesso sistema. Troviamo, per esempio, nel purgatorio alcuni capitoli material- mente copiati dal Laneo (come il comento ai primi sei canti ): altri che non ne hanno che alcuni estratti combinati col proprio lavoro dell'autore ( come ai canti 7, 11-19): altri finalmente, in cui nessuna trac- cia si trova del comentator bolognese (al e. 8-10, 20-33 j (1). Quale possa essere la cagione di una di- sparità tale, mi sembra cosa troppo difficile ad in- dovinarsi. Alle autorità riportate di sopra , e dal sig. vi-' conte De Batines non citate che in piccola parte, egli oppone alcuni altri passi ch'oramai dovranno esami- narsi. Il primo si trova in quell'istessa chiosa sopra un verso dell'inferno (XIII, 144) della quale anch' io per ben due volte mi sono servito per provar il mio assunto. Il sig. De Batines ce la riporta in tal modo : « Caduto il ponte, sopra '1 quale era la statua, siccome cadde la notte del dì 4 di novembre 1333 anno prossimo passato , la detta statua caduta nel detto fiume d'Arno vi stette dentro per molti anni.» Se dunque, dice il sig. visconte^ il comentatore può riferirci che la statua di Marte sia rimasa nel fiume per molti anni dopo il 1333 , bisogna che molti anni dopo questo tempo egli abbia vissuto e (I) Credo questa notizia più esatta di quella data dal sig. De Batines a e. i^Z e 1S4. 220 Letteratura ^ scritto. Di fatto a prima vista questo argomento non sembra ammettere replica. Sarebbe dunque fondato il rimprovero fatto da! 8Ì{j. De Batines a tutti coloro , che ( prima di lui ) aveano citato questo passo per giustificare l'antichità dell' Ottimo : vale a dire , di « non aver osservato l'altre parole, che ivi appresso immediate si leggono ( « la detta statua » ec.)? « Vediamo*, ma prima di giudicarne in definitiva, rileggiamo lutto il passo, ri- montando un poco più allo: « Li antichi ebbero opinione, che la città di Fi- renze fosse fondata, essendo .... Marte signore dell' ora; onde fu fatto padrone d'essa Marte, e al suo onore ... fu fatta una statua di pietra alla quale rendeano certa reverenza e onore idolatri©. E dicevano che ogni mutamento, ch'avesse la detta sta- tua, sì l'avrebbe la cittade; onde caduto il ponte, so- pra 'l quale era la statua (siccome cadde la notte del di 4 di novembre nel 1333 anno prossimo passato) (e) la della statua caduta nel detto fiume d'Arno, vi stette dentro per molti anni. Infra '1 qual tempo la città predetta ebbe più guerre ... e in tutte fu per- dente : in tanto che consiglio si tenne, che da mu- tare era luogo .... Un medico giovane raccontò ciò che avea udito . ... di questa statua, e consigliò .... che fosse ritrovata e riposta in suo luogo .... : cosi fu fallo. La cosa andò poi prosperevole, d'onde l'o- pinione SI rinnovellò . . . che quando la statua avesse mutamento, che la città di Firenze l'abbia. » I « molli anni » dunque, durante i quali la statua di Marte slette nell'Arno, non precedettero im- mediatamente l'epoca in cui scrisse l'anonimo comen- Bibliografia dantesca 221 latore, ma si passarono fra la caduta del ponte e'I ben augurato consiglio pel quale il medico, quale altro Camillo, seppe ritenere gli abitanti di Firen- ze, già risoluti di emigrare. Seguirono poi degli al- tri tempi, ricchi pei fiorentini di prosperi successi : ed anche questi erano passati, quando fu scritto V Ottimo comento , nel quale tante e tante disgrazie incontrate dal fiorentini si leggono riferite. Sembra inoltre che ognuna di queste tre epoche non sia stata limitata ad alcuni anni, ma che abbia compreso de' secoli. Ora, cosa diremo ? Se tutte queste cose non accadettero che dopo il 1333, faremo forse seicenti- sta l'anonimo coraentatore? oppure, dubiteremo se, chi suppose quei « molti anni » posteriori al 1333 « abbia osservato l'altre parole che ivi appresso im- mediate si leggono ? » Se non isbaglio, non manchiamo di testimoni, che, appena esaminati, renderanno cosa fecile il de- cider la lite. Sentiamo prima la cronica di Giovanni Villani : II, I. « L'idolo dello iddio Marti,' ch'e' fioren- tini levarono del tempio e puosono sopra una torre » (La città che nel Battista Cangiò '1 primo padrone , dice Dante), « allora cadde in Arno, e tanto vi stette quanto la città stette disfatta » (molti anni). « E cosi fu distrutta la nobile città di Firenze dal pessimo Totile a dì 28 di giugno negli anni di Cristo 450.» Ili, I. « Certi gentili e nobili del contado di Firenze .... ordinarono di mandare a Roma am- bascìadori . . a Carlo imperadore, e a papa Leone, e a' romani . . . pregandogli che si dovessono ri- cordare ... di Firenze . . . accìocch'ella si rifaces- 22!2 Letteratura se La loro petizione (fu) accettata . . .- E così cominciaro a rifare la città di Firenze' . . . e ciò fu negli anni di Cristo §04 all'entrata del mese d'aprile ». (Quei citladin, che poi la rifondarne So- Yra'l eener che d'Attila rimase, dice Dante). «Edi- cesi che gli antichi» (il medico g'iovane) (( aveano oppinione, che di rifarla non s'ebbe potere, se prima' non fu ritrovata e tratta d'Arno l'imagine di marmo, consecrata per li primi edificatori pagani per nigro- manzia a Marti, la quale era stata nel fiiune d'Arno dalla distruzione di Firenze infìno a quello tempo ( Molti anni ) ; e ritrovata la può sero in su uno pi- liere in su la riva del detto fiume, ov'è oggi il capo del ponte vecchio. « (In sul passo d' Arno Rimane ancor di lui alcuna vista, dice Dante) ... « Vol- garmente si dicea per gli antichi , che mutandola^ convenìa che la citlà avesse grande mutazione ». XI, L « Negli anni di Cristo 1333 ... il gio- vedì ... a dì 4 di novembre l'Arno giunse sì gros- so alla città di Firenze, ch'egli coperse tutto il piano di S. Salvi . . . Nell'ora del vespro . . . ruppe la pe- scaia d'Ognissanti . . . incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia ... E incontanente appresso . * . cadde il ponte da Santa Trinità ... e poi il ponte vecchio. ... E cadde in Arno la statua di Marie ch'era in sul pilastro a pie del detto ponte vecchio di qua. E nota di Mar(e, che gli antichi dìceano e lasciarono in iscritto, che quando la statua di Marte cadesse o fosse mossa , la città di Firenze avrebbe gran pericolo e mutazione ». Se mai si volesse dinegar fede al miglior cro- nista italiano, chiamiamo in suo aiuto messer Giovan- ni da Cer laido. felBLIOGRAFIA DANTESCA 223 Comento a Dante XIII 144, ediz. Moutier^ III 148, 49. « Lasciato da*cittàcliai divenuti cristiani l' èrror gentilizio, fu questa statua di Marte tratta del detto tempio, e . i . fatto sopra la coscia del ponte vecchio un pilastro, la vi poser suso ... E in su quella torre dimorò insino al tempo che Attila di- sfece la città, e allora . . . questa statua cadde in Arno, e in quello dimorò tanto, quanto la città si penò a riedificare. Poi riedificata al tetnpo ... di Carlo Magno, fu ripescata e ritrovata, ma non intera; per- ciocché dalla cintola in su la immagine di Marte era rotta ( » quella pietra scema Che guarda'l ponte, die* Dante) ... E così diminuita, dicono che fu posta . . . ad un pilastro in capo del ponte vecchio: del qua- le poi, essendo negli anni di Cristo 1333 » ( Cosi correttamente l' edizione del 1 724 , mentrechè nella ristampa moderna si legge 1343) . . . » cresciuto M (questa voce manca nell'ediz. Moutier) » Arno . . . ne menò via il ponte vecchio, e il pilastro e la sta- tua, la qual mai poi né si trovò né si ricercò ». Somigliantissima è ancora la chiosa di Benve- nuto da Imola nelle antichità del Muratori I. 1056. Sono persuaso che anche senza questi passi pa- ralelli, che sembrano terminar la controversia, V' S. avrà perfettamente inteso il vero senso delle parole dell' Of^mo cementatore: avrà veduto come, parlando della prima caduta del ponte vecchio, avvenuta al tempo di Attila, quell'antico autore abbia interrotto la sua narrazione, per frammettervi a guisa di pa- rentesi brevissima menzione di un consimile, ma re- centissimo fatto: e dall'istessa di lei casa, situata al- l'altra estremità del ponte, V. S. avrà determinato il ?24 Letteratura punto, dove elevarsi doveva la torre abbattuta da At-» tila, ed avrà ri conosciuto il silo del pilastro, il quale, quando dopo tre secoli e mezzo quella statua eque- stre fu ripescata, le servì di piedistallo, sinché dopo altri cinque secoli e quel che vi avanza, cadde un' altra volta per non ritrovarsi mai più. Convengasi dunque , che le parole dal sig. Visconte de Baiines addotte in prova di una più recente data deWOttimo comento, da kii supposta, purché siant) intese bene, servono di fortissimo argomento all'opinione contra- ria, mostrando chiaramente che quel passo non pos- sa essere scritto che nell'anno immediatamente suc- cessivo' all'inondazione dei 1333. Non voglio però passar sotto silenzio, che un altro passo dell'istesso comento potrebbe far nascer il dubbio, se la prima caduta, mentovata dall'ano- nimo autore, non sìa di una data assai posteriore. Nella chiosa sopra quell'altro verso della divina com- media, in cui Dante riparla della statua di Marte (Fa- rad. XVI, 145), si leggono queste parole: «E dice scema , però che rotta e corrosa per lo lungo stare che iece nell' acqua d' Arno, quando il ponte vecchio cadde, anni 1)78 a dì 25 di no- vembre, e fu riposta per li circostanti di Semifonte ». Di fatto sappiamo anche altronde, che intorno a quel tempo una grandissima piena dell' Arno fece cadere il ponte vecchio: .■;!:; . ■ '■Ricordano Makspini ^ istoria fiorentina e. 80: Txf'^i )>'. questo fu di giugno anni di Cristo mille cen- to settanta sette . . . E questo medesimo anno per soperchio d'abbondanza d'acqua d'Arno cadde il pon- Bibliografia dantesc v 22J> ie Vecchio, che ancora fu segno di future aVversitadi alla nostra città ». Le stesse parole letteralmente ripètute si: Iteg^o- no anche nella cronica di Giov. Villani (V. 8).— A dirle schiettamente quel ch'io ne credo, m'immagi- no che nella chiosa del Paradiso l'antico comenta- tore riporti un fatto storico, e che illustrando i ver- si dell'Inferno, posti in bocca a chi « fé gibetto a se delle sue case, » si attenga alla tradizione popolare, riferitagli, per quel ch'e' ci dice, dall' Allighieri stes- so. Sia però comunque si voglia, siansi passati i mol- ti anni dal tem[)0 di Attila sino a quello di Carlo Magno, oppure dal 1178 sino al giorno in cui gli circostanti di Semifonte ripescarono la pietra scema, sempre rimarrà cosa certissima eh' essi furono non posteriori, ma anteriori al 1333. Passiamo adesso al secondo argomento del sig. de Batines , fondato sulla seguente chiosa al verso 100 del canto XIII del Purgatorio- « Fia bisogno che li frati e li religiosi . . . co- mandino >» ( alle donne fiorentine ) « che portino ta- li panni, eh' elle non mostrino per dileggiatezza le mammelle e'I petto. E cosi fu, che fu nel 1351, es- sendo vescovo un messer Agnolo Acciaioli ». Potrei ris[K)ndere, che' 1 sig. visconte, avendo asseverato a e. 1 54, che le chiose al canto XIII del Purgatorio non appartengano alla « parte veramen- te originale del prefato comento » , non sia più in diritto di tirarne degli argomenti relativi alla data dell'opera intera; ma mi pare che, anche credendo quelle chiose parto legittimo dell'anonimo interpre- te, si possa restar persuasi che V Ottimo comento sia 2!Ì6 LlETTERATUk.4 composto prima del 1351. Ejjli è certissimo che' Ì codice làurenziano ( XL, 19), dal quale il professo- re torri tolse il testo da lui stampato , rappresenta assai infedelmente l' opera originale. Molte vi sono le lacune^ non solamente di alcune parole , ma di chiose intiere (a cagion d'esempio: Purg. XXA'^III, 115, 127, 134 ), e nel medesimo tempo non po- che le altrui chiose posteriormente aggiunte ( come al Purg. VII 61 67, XI 109 in f., XV, 87, XXIÌ 430 in f. ). Or sembra che con moltissima verìsimi- glianza si possa supporre che anche le ultime parole della sopradetta chiosa siano una tal giunta di mano più recente. L'istesso modo di dire ( « E così fu che fu » ) sembra assai più rozzo che quello AeWOltimo. Inoltre le notizie dateci dall'anonimo si distinguono per la gran precisione de'fatti riportati: mentreòhè, Angelo Acciaioli non avendo occupato la sedia ve-^ scovile di Firenze che sino al 1345 ( Visc. de Ba~ tines 1. e. p. 149, na. 37), vi è errore aperto nella chiosa che crediamo aggiunta. Sembra che' 1 vestire delle fiorentine sia stato indecentiésimo nel trecento, come a tacere di più altre prove si rileva da quan- to 'l Boccaccio assai pateticamente dice contro il co- stume degli uomini del suo tempo (Comento a Dante, Alleg. dei canto V, ed. Moutier II, 72, sq. ). Un tale scandalo avrà provocato più volte delle censure ec- clesiastiche, e vi è ogni ragione di credere, che la profezia contenuta nel preallegato passo del Purga- torio, come le altre profezie della div. com. , si ri- ferisca ad un fatto già accaduto quando scriveva il poeta. Rammenta il Villani (IX, 245) che gli ar- bitri eletti nel mese d'aprile 1324, « feciono molti Bibliografia ftANtEscA 227 Capitoli e forti ordini contra i disordinati ornamenti delie donne di Firenze ». Altre leggi ed altri inter- detti , dei quali ci naancano i ricordi , saratino stati emanati. Nulla dunque di più naturale che di ve- der un possessore del libro di Dante aggiungere aliai chiosa sopra quel verso profetico la menzione di un consimile decreto di data recente. Sarebbe da esaminarsi ancora .se gli argomenti, sull'autorità de'quali V Ottimo comento fu giudicato composto nel 1334, siano o non siano refutati dal sig. visconte de Batines. Non trovo però ch'egli ne alleghi più di uno solo (quello riportato di sopra sotto il no. 5 ), ed anche questo non mi sembra Con- futato, ma tutto al più infievolito. Dice il dotto fran- cese ( a e. 149), « questo passo non esser bene in- terpunto dall'editore dell'Opimo, e doversi locar me- glio la virgola dopo la parola al presente , sinché il senso e la lezione sia: Ugo di Valsa mano al pre- sente generale dell'ordine sanfrancescano, eletto nel 1333 ». Correggo di passaggio l'errore, per cui in vece di s. Domenico fu scritto s. Francesco^ e rimet- to nell'arbitrio de'dotti connazionali dell' Ottimo di decidere se un parlare ellittico, come quello suppo- sto dal sig. de Batines^ corrisponda al genio della lingua italiana; iti ogni caso però è cosa evidente, che se la detta chiosa talmenle interpretata non im- porta più la necessità di supporla scritta nel 1333, o subito dopo, egli resta pure incontrastabile ch'ella non possa esser composta dopo la morte del Valsa- mano, cioè che sia anteriore non solamente al 1351, ma puranche al 1341 (De Batines 1. e. na. 38). Se V. S. conviene meco, che sfnora non si sia 228 Letteratura veduto argomento alcuno, per cui V Ottimo comen- to dovesse dirsi composto dopo il '334, non rima-* ne da esaminarsi che la quistione , se mai 1' autore del comento sul Paradiso sia differente da quello delle chiose sopra l'inferno e'I purgatorio. Dice a questo riguardo il sig. de Batines a e. 149: « Dimostrerò f)iù innanzi colla sottoscrittura di due codici, che il comento del Paradiso è compilazione di diversi co- menti e fatta inoltre da tutt' altro autore, « ed a e. 454: » Quanto al comento al Paradiso, egli è ad e- videnza d'autore diverso; è ciò che concorre a pro- varlo non è unicamente il numero . . . dei codici che lui solo contengono , ma inoltre la soscrittura seguente, colla quale si chiude il comento nel co- dice magliabecchiano del sec. XIV in f., scritto in carta velina (codd. di s. Marco, no. 121): « Finiscono le glose accolte et compilate per A. L, N. F. sopra la commedia di Dante alleghieri fiorentino in laude di Cristo, amen ». E soscrittura interamente simile sta appiè del codice vaticano no. 4776, della fine del sec. XIV, in f^ e su carta velma (9) ». (9) Corrisponde a questa notizia sopra'l codice vaticano anche quella che alcuni anni sono mi pervenne da Roma» Semhra però che il codice sia membranaceo e non cartaceo. La soscrizione è material- mente compagna di quella del cod. magliabecchiano^ e non differisce che in cose senza rilievo: « Finite le chiose accolte e compilate per A. L. N. F. sopra la commedia di Dante Alleghieri della cittade di Firence. Ad honoreet laude di Cristo, amen ». Alcune postille interlineari in lingua spagnuola, per quanto sem- bra delFistesso amanuense del codice, fanno credere, che spagnuolo *«ia stato ovvero il copista, oppure il primo possessore del libro. Bibliografia dantksca 229 L'asserzione del sig. de Batines, che il comenta del Paradiso sia compilazione di diversi comenti, sem- bra dunque unicamente fondata sulle parole « accol- te e compilate », che nella soscrizione dei due codi- ci si legg^ono. Credo però che questi termini non siano che un modo di parlare più modesto invece di dire « composte e scritte », e me lo provano gli esempi recati dalla crusca alla voce « compilare »- Vedemmo per altro, che anche il e omento sopra l'in* ferno, l'autenticità del quale è fuori di dubbio, non è a tal segno primitivo, che ogni eh iosa sia proprio parto dell' ingegno di chi scrisse /' Ottimo comento; anzi indicai già sopra, qual'uso l'anonimo interprete abbia fatto del comento di Iacopo della Lana^ e si sa d'altronde ch'egli profittò pur anche delle chiose di Grazialo de' Bambagioli e di Accorso Bonfantini. Se dunque insister si dovesse sulle parole « accolte e compilate », intendendole al modo del sig. de Bali- wes, si potrebbe dire con ogni ragione, anche'l co- mento dell'inferno esser una compilazione di diver- si comenti. Ora esaminando con attenzione le chiose òcW Ottimo sopra il Paradiso, credo di riconoscervi l'istessa mano e'I medesimo modo di procedere come nel comento sulla prima cantica. Anche quìi lavoro del Laneo serve come di base: anctje qui le chiose da lui tolte sono in parte abbreviate, in parte cor- rette da uno scrittore più intendente della storia e de- gli autori classici latini : anche qui si ritrova , tanto nella prefazione del codice veneto di san Marco, quanto nelle chiose, la data del 1334, che ricorre nelle tre parti principali dell'opera. Non vedo dun- 230 Letteratura que perchè il comento sul Paradiso ad altro auto. re attribuir si debba. Ottiuiamente però, seguitandole pedate del Me- hus osserva il sig. visconte a e. 1 54, che supponen- do le lettere ricorrenti nei due codici dell' epilogo riferito di sopra, essere le iniziai i del nome dell' au- tore, esse non senza probabilità si possano intepretare; Andrea Lancia Notar Fiorentino. Mi sembra bellissima questa congettura, e cre- do che se ne debba molta lode al dotto francese; ma non vedo perchè , se pel comento al Paradiso si è scoperto il nome dell'autore, le chiose sopra le altre due cantiche debbano rimanersene senza. Già prima di conoscere la scoperta del sig. de Batines , giudi- cai erronea l' opinione che l' anonimo comentatore sia stato religioso. Ecco la chiosa, sulla quale il Tor- ri cercò di appoggiarla : Purg. XXVI 97. « Dicesi padre per generazio- ne , siccome Abraam fu padre d' Isaac ; padre per etade , come noi diciamo li santi padri ; padre per professione, siccome qui è l'abate padre de'monaci ». Crede il Torri, che questo « qui » si riferisca al monastero, in cui scriveva il chiosatore; ma mi sem- bra che l'andamento del pensiero sia questo: Dicia- mo padri anche quelli che non lo sono per gene- razione, come i santi padri, già da tanti secoli pas- sati a vita migliore; ma anche qui, in questa vita, diciamo padri gli abati. Le molte ed accurate ci- tazioni del corpo di diritto romano, che in tutte le parti dell'opera si ritrovano, già da molto tempo mi fecero credere, che giurisconsulto sia stato l'autore deW Ottimo comento (purg. Vili 70, XIII 106, XIX Bibliografia dantesca 231 133, Paracl. VI, 10). Se poi, per asserire ch'ei sia stato toscano, non bastasse la purità della sua lin^ gua , credo che ne abblanao una prova più positiva nella chiosa seguente: Purg. XIII. 112. "Oh quante volte in questa provincia di Toscana colali prieghi sono stati fatti per mali cittadini, perocché non hanno lo stato che elli vorrebbono » ! Tutto dunque concorre a farci credere che Aìi- (Irea Lancia nolaro fiorentino vivente nel trecento ( u ineunte saeculo XIV, » dice Mehus vita Ambr, Camald p. 183), del quale ci pervennero molte tra- duzioni di poeti e di prosatori latini, sia quel giu- risconsulto toscano, tanto ben versato nella classica letteratura , che nel 1434 compose V Ottimo co^ mento (1). V. S. accolga graziosamente queste piccole os^ servazioni, e mi creda per sempre, il di lei devotissima ed alfezionatissimo servitore Carlo Witte^ professor^ di leggi (1) Mi prevalgo del piccolo spazio, appiè di questa facciata rl^ maslo, per rivendicar ad un illustre defunto la bella emendazione proposta dal sig. f^elio Arbib in un altro articolo degli studi inediti (face. 161-66). 11 marchese Gian Giacomo Trivulzio, dopo quindici anni die ora manca ai vivi, non mepo caldamente che al giorno Ae\- la sua morte dai cuori gentili compianto, mi dimostrò già molti an- ni sono, che nel penultimo verso della quarta strofa della prima fra le canzoni della vita nuova sia da leggersi: « Voi le vedete Amor pinto nel riso. » Rendendone poi il merito a chi si doveva, pubblicai questa emen- dazione nel mio comento sopra le poesie liriche di Dante ( Dante AUghierVs lyrische Gedichte. Lipsia 1842, voi. II, f. 24). 232 LETTERATCR4 POSCRITTA Quando sul principio del mese decorso, appena ristabilito da fieiissima malattia, risalutai per pochis- simi giorni la dolce italica terra, sua eccellenza il sig. marchese Giorgio Teodoro Trivulzio, con quella liberalità che nell'illustre di lui famiglia è eredita- ria, mi favori una copia della « Bibliografia dantes- ca » del sig. visconte Colomb de Batines. Quantunque il tempo avanzatomi dagli affari, da cui rimpatria- to dopo lunga ed involontaria oziosità mi vidi quasi oppresso , non abbia potuto essere che poco , pure mi è pienamente bastato, per farmi ammirar le la- boriose ricerche e la somma diligenza di quell' in- defesso dantofilo , e per rendermi gratissima un'ope- ra da tanti anni universalmente desiderata. Vedo che la scelta di lei libreria dantesca, ric- ca di tanti oggetti preziosi e rari, abbia sommini- nistrato al sig. de Batines non poche belle notizie : e credo un dovere d' ogni ricoglitore , di contri- buire per quanto può al compimento di un lavoro così insigne, come quello del dotto di lei amico. Sup- pongo perciò che forse le possa essere cosa non dis- cara, s'io le copio alcune osservazioncelle, che pas- sando in rivista la piccola mia raccolta, e limitan- domi per ora al solo catalogo delle edizioni della divina Commedia, notai sui margini dell' opera del sig. de Batines. Se V. S. poi dovesse giudicare, che in maggior parte esse non siano che delle minuzie, la prego di riflettere, che in fatto di bibliografia an- che le minuzie sono essenziali. BlBLIOGRÀFI.4 DANTESCA 233 Alcuni supplementi alla bibliografìa dantesca del sig. visconte Colomb de Batines. (Parte prima §. /. Serie delle edizioni della divina commedia.) F. 24, lin. 3 1477. Venezia. Vendelino da Spira. Il numero dei versi non è uniforme ad ogni colonna. Poche ne arrivano a 49 versi; la maggior parte varia fra 46 e 48. Lin. 7, 8. Gli spazi lasciati in bianco non do- vevano esser riempiti da miniature, ma bensì dalle figure geometriche, alle quali si riferisce il comen- to, e che sì trovano in non pochi codici manoscritti del Laneo F. 25, lin. 6. La protesta del comentatore non si legge dopo la sottoscrizione, ma la precede , co- me parimenti le va innanzi il credo del comenta- tor bolognese. F. 26, lin. 15. L'ultimo verso della seconda quartina dice: « per cui il texlo a noi è intellectivo ». Lin. 24. Non trovo veramente che'l testo della vendeliniana sia più scorretto di quello della mag- gior parte delle altre edizioni stampate nel quattro- cento. Egli è però vero, che'l settimo canto dell'in- ferno è mancante della sesta terzina. F. 28, lin. 16. Non conosco appresso i vocabo- laristi che pochissime citazioni dell' (( Ottimo comen- to » che al Laneo si debbono riferire (come a cagion d'esempio alle voci « acciainolo » e « cancelliere »). G.A.T.CXVL 16 234 Letteratura Anche i deputati addussero alcuni pochi passi come provenienti dal « buon comentatore », che apparten- gono a Iacopo della Lana ( a e. 16, 86 e 116 del- l' edizione originale. Inf. XX, 116;Purg. XXX, 43; Inf. XIX, 5 ). Il Salviati poi confonde assolutamen- te i due cementi (Avvertimenti della lingua. Ediz. del 1584,1. 114-16). Non vedo però che in alcuna di queste opere sia fatto uso dell'edizione vendeliniana; anzi la sola stampa nominata dal Salviati è quella del Nidobeato. 1491. Venezia. Pietro Cremonese. F. 54, ìin. 22. Le incisioni sono quadrate , di 3 pollici parigini. Alcune sono più piccole di una mezza linea o poco più. F. 55, lin. 10. Quantunque la numerazione non oltrepassi il 14, sono veramente 17 canzoni, essen- do che ciascuno dei numeri 8, 10, 14 ne compren- de due. Lin. 18. La terzina omessa è la decima nona. In contracambio i versi 24-28 del Purg. e. XXV sono stampati due volte. 1502. Venezia. Aldo. F. 60. Inf. Non vedo per qual ragione il sig. de Batines dica, che'l Volpi nell' edizione comirdana abbiti adottato il testo aldino, essendosi sempre cre- duto, che questa stampa riproduca il testo degli ac- cademici^ purgandolo solamente dalle mende dell'e- dizione del Manzani. Lo stesso Volpi dice nella sua prefazione a'ieltori: « Abbiamo scelto il testo fatto im- primere dagli accademici della crusca fin l'anno 1595, Bibliografia dantesca 235 in Fiorenza presso Domenico Manzani » ; e più avanti: « Gli altri testi stampati presso che tutti, anciie Valdi- no a proporzione, . . . sono difettuosi, sparsi di grossi errori di stampa e di cattive lezioni, rozzi in quanto all'ortografia, e in somma da non potersene valere senza pericolo d'abbaglio ». Che poi il Volpi abbia corrisposto col fatto a queste sue promesse, lo provai ogni più piccolo confronto. In un mio articolo, pubblicato negli annali dì letteratura, che si stampano a Berlino ( 1838, col. 638-40), ho cercato d'indicare i codici, dai quali il Bembo abbia potuto attingere il testo seguito nell* edizione aldina. 1506. Firenze. Giunta. F. 65, lin. 15. Sono due i dialoghi di Giro- lamo Benivieni; l'uno composto a norma dei propri detti di Antonio Manetti, che ne forma l'interlocutore principale: l'altro (che principia a e. 393) aggiun- tovi dal Benivieni per suppliraento ai lavori del Ma- netti interrotti dalla di lui morte. Le figure, che il- lustrano questi dialoghi, sono sette, e non sei. Il testo dell'edizione giuntina differisce assai da quello dell aldina. Sembra però che il Giunta si sia limitato a ricorreggere quest'ultimo suU' autorità di buoni codici , senza seguirne uno a preferenza , e senza formarsi un testo tutto nuovo. Senza data. Alessandro Paganino. Fog. 67, lin. 8. Il mio esemplare non ha che quattro incisioni in legno : vale a dire il sito e la 236 Letteratura forma dell'inferno, e gli alberi dei peccatori per l' inferno e per il purgatorio. Lo spaccato dell' inferno somiglia moltissimo a quello della seconda aldina- ma. è meno nitido, e manca di alcuni nomi e mi- sure che in quello si trovano. £■ Si suppone universalmente, che questa stampa dei Senacensì sia contraffazione della prima aldina : ma degli accurati e ripetuti esami mi hanno piena^ mente convinto, che'l Paganino abbia letteralmente copiato l'edizione del 1515, colla quale il di lui te- sto consuona dapertutto, dove le due aldine differi- scoqo fra di loro. Si cessi dunque di assegnare a questa stampa la data del 1506, e le se ne dia una posteriore al mese di agosto 1515. dT'oliiif» i fìi^^^^- ;..,„•..■ . : Venezia. Bart. de Zanne. , F^ 68, inf. Alla fine della commedia, oltre al Credo^ si leggono anche il Pater e l'Ave attribuiti a Dante. L'ultima carta, che è bianca nel verso, è ve- ramente numerata, e porta il numero CCXCVHL È, giustissima l'osservazione del sig. de Batines che le stampe accompagnale del comento landinia- no, ma posteriori alla prima a/d/nct, contengono quasi tutte il testo di questa, assai di spesso differentissi- mo da quello adottato dal Landino. Sbaglio però il sig. visconte applicando un tal rimprovero all' edi- zione del Zanne.) unica, per quel ch'io sappia , fra quelle del cinquecento a riprodurre il testo laudi-' niano^ o più precisamente quello dell'edizione di Pie- tro Cremonese. Bibliografia dantésca 237 1515. Venezia. Aldo. F. TI, lin. 19. Trovo qualche piccola differenza fra'l mio esemplare e quelli descritti dal chiarissimo autore. La soscrizione della mia copia è tale : « Impressi in Vinegia nelle case d'Aldo (") d' M Andrea di Asola suo suocero nell'anno M. D. XV. i> del mese di agosto >». Quanto poi a f. 72, lin. 2, si attribuisce al ver- so della terza carta, sta sul retto del mio esemplare, e viceversa* 1520. Venezia. StagnirlOi F. 78, lin. 17. Manca la parola « novamenle » da inserirsi fra « diligentia » e « in littera ». Ivi, in f. L'ultima carta è segnata 441, ma do- vrebbe dire 440, essendo saltato il 439. Il testo di questa edizione è quello della prima aldina. 1544. Venezia. Marcolini, col com. del Vellutello. F. 83, lin. 10, 11. Le figure occupano sempre tutta la larghezza, e sono inserite a quel luogo del testo, al quale si riferiscono: dimodoché non istanno che di rado al principio dei canti. L'ortografia è tutta rimodernata a confronto delle edizioni aldine : e molte buone varianti , attinte ad autorevoli codici, si vedono introdotte nel testo. (*) Altri esempi, da me veduti hanno veramente : « Impresso in V. n. C. d'Aldo ec. « 238 Letteratura t55l, 52. Lione, Royillio. F. 86, 87. Dei due esemplari miei, l'uno porta la data del 1551, l'altro quella del 1552 Per il re- sto il frontispizio è perfettamente identico, cioè con- forme a quello riferito dal sig. de Batines a face. 87. Dei reiterati confronti mi hanno provato , che con tutta ragione asserisca Ajwstolo Zeno (Annotaz. alla bibliot. dell'eloquenza ita!, di monsig. Giusto Fonta- nini I, 299, nota 1) le copie con data diversa non appartenere che ad una sola edizione. Non solamente i più manifesti errori tipografici ricorrono senza mai esser corretti (come a f . 6 « e chiarezza » invece di « e chiar » : a f. 9 « Capaldino » per « Cam- paldino » : a f. 231 « SEGGA » in luogo di SEC- CA » ): ma puranche le lettere mal riuscite e mozze negli esemplari colla data del 1551, hanno la stessa stroppiatura nelle copie, che sul frontispizio portano il 1552 (Così, per esempio, 1' l nella parola « picciol » a f. 6). Per quanto al testo, le edizioni rovilliane ripro- ducono quello della seconda aldina. 1564. Venezia. Sessa. F. 92, Un. 1, 2. Le figure incise in legno sono identiche con quelle della ediz. del 1544. Ivi, lin- 7. Il proemio alla repubblica fiorentina è quello del Landino. Il testo è copiato dall' aldina, e raramente cor- retto sulle indicazioni del coment© del Vellutello. Bibliografia dantesca 239 1568. Venezia. Fino, col com» del Daniello. Face. 93, lin. 21. Nel naie esemplare lo stem- ma delio stampatore non si trova sull' ultima delle carte preliminari, ma bensì sull'ultima dell'opera. Anche il Daniello prese per fondamento del suo testo quello dell' aldina , introducendovi però gran numero di notabili correzioni. 1569. Venezia. Farri. F 95, lin. 9. Il sonetto attribuito al Boccaccio è quello stesso, stampato da Vindelino da Spira , e riferito dal chiar. autore a f. 25. Quantunque ci dica il Dolce della diligenza colla quale, sulla fede di « un esemplare trascritto dal pro- prio scritto di mano del figliuolo di Dante » (vedi sopra a f. 91), egli abbia emendato il testo, le sue edizioni non sono che ristampe delle aldine coH'or- tografia rimodernata un poco, e con qualche raris- simo esempio di lezione variata. 1571. Lione. Rovinio. F. 95, lin. 16. Il frontispizio è questo: « Dante con nuove , et vtili ispositioni. Aggiuntoui di più una tauola di tutti i vocaboli più degni d'osserua- tione, che à i luoghi loro sono dichiarati. In Lione^ appresso Guglielmo Rouillio 1571. 627 facce nu- merate, e 12 non num. » È mera ripetizione dell'ediz. del 1551, meno il privilegio che non è ristampato. 240 LEtTERATURA 1572. Firenze. Sermai telli, col com. dei Buonanni. F. 96, Un. 6. Si ag^giungano alla fine altre & face, non numerate che contengono l'indice. Non essendomi riuscito sinora di ppocurarmr l'opera del sig. Bernardom'., che forse renderà inu- tile la mia osservazione, aggiungo che , oltre alle stravaganze dell'ortografia, adottala dal Buonanni^ anche le varianti da lui introdotte nel testo, quan- tunque fondate sull'autorità di codici, se se ne eccet- tuino alcune poche, non sono tali da soddisfare una sana critica, 1595. Firenze. Manzani, ediz. degli accademici. F. 99, Un. 7. Oltre ai 52 testi di ragione pri- vata, Bastiano de'Rossi cita << intorno a quaranta » codici della libreria di s. Lorenzo. Ivi, lin. 14. Il foglio Nn non è quaderno, ma mezzo foglio. Non occorrerà poi di osservare che alla dedicatoria (lin. 22) l'anno 1495 non abbia po- tuto essere assegnato che per mero errore tipogra- fico. Nell'articolo degli annali di Berlino, già di so- pra citato col. 643-48, ho cercato di rintracciar il metodo seguito dagli accademici per la correzione del testo. 1629. Padova. Pasquardi. F. 102, lin. 15. Le prime carte sono contiprese nella numerazione, di modo che la prima facciata del poema è contata per quinta. Ivi, lin. 19. L'edizione del Pasquardi corrispon- de facciata per faccia^^ -," ' Bibliografia dantesca 247 1629. Venezia. Misserini. Ivi. Tutte tre le edizioni del seicento riprodu- cono il testo del Dolce. 171G. Napoli. Laino. F. 103, lin. 25. Non sono che 570 facciate. F. 104, lin. 6. Le annotazioni sono prese dalk stampe rovilliane. 1726. Padova. Cornino. F. lO-'i, lin. 24. Il secondo volume ha 557 face. Ivi, lin. ulL F. 105, lin. 1, 2. Il ritratto di Dante, dipinto da Bernardino India , si conservava nel museo di Daniele Lisca. Le carte, non le facce , preliminari sono in numero di 16- 1749. Verona. Berno. F. 109, lin. 8, 9. L'autore del comenlo (padre Pompeo Venturi) non è nominato sul frontispizio. Le facciate del primo volume sono LXII e 336. Ivi, lin. 15. Il ritratto di Dante sembra tirato dall'istesso rame, che servì per l'edizione cominiana. Ivi, lin. 22. L'articolo (sopra Dante e i suoi po- steri) tratto dagli « Scrittori veronesi » è di Scipione Maffei. 1752. Bergamo. Lancellotli. F. 1 11 in f. Sono facciate 640. - Non vedo per altro che 'l Serrassi abbia riveduto il testo sopra il codice Albani; anzi egli asserisce nella dedicatoria di 24^2 Letteratura non essersi « voluto scostar pur un punto » dalla le- zione cominiana, e vi aggiunjjfe « benché l'avessi po- tuto fare -^ con la scorta » del suddetto codice. Fra le appendici, non menzionate dal sig. de Batìnes, le due tavole « de'vocaboli più oscuri usati da Dante » e « de' nomi propri e cose contenute nell'opera » sono prese dalle edizioni procurate dal Dolce. Aflferma però il Serrassi di aver fatto delle aggiunte notabili alla prima di esse. Il « Rimario di tutte le desinenze » , che occupa l'ultimo luogo, fu dal medesimo Serassi compilato di nuovo. 1755. Lipsia. Heinsio. F. 112. La Divina Comedia di Dante Alighieri dell'Inferno, poemetto morale e filosofico; colle an- notazioni distinte, ch'esplicano chiaramente il testo. Da Nicolo Ciangulo poeta cesareo, e lettor pubblico italiano. Lipsia, appresso Giov. Samuel Heinsio he- redi, 1755. I voi. in 8, di 256 face. È la prima edizione, stampata in Germania, de- dicata al conte Holzendorf ed al sig. de Globig. Sul principio il Ciangulo non ne avea pubblicato , che i primi quattro canti; poco dopo però vi aggiunse il rimanente dell'inf. La stampa è piuttosto bella per quel secolo, ma poco corretta. Il testo è quello de- gli accademici. Le note sembrano propria fatica del Ciangulo, fatta sulle pedate del Venturi. 1760. Venezia, Zatta. F. 114, lin. 20. La Divina Commedia di Dante BtBLlOGRAPIA DANTESCA 24.^ Alighieri, edizione corretta, illustrata ed accresciuta, siccome dalla seguente prefazione apparisce. Venezia^ Zana, 1760. 3 voi. in 8 di XXX e 414; Vili e 423; Vili, AIO e 420 facciate Le ultime 120 face, del terzo Tolume conten- gono le <( Osservazioni di Filippo Rosa Morando » e le tre dissertazioni del padre Gian Lorenzo Berti^ agostiniano « Della dottrina teologica, contenuta nel- la Divina Comedia. » Il testo delle edizioni del Zatta è quello degli accadennici. 1768. Parigi. Prault. F. 115. Il prinao volume comprende, oltre alle 192 facciate preliminari, l'Inferno in 212 face. Il se- condo volume (Purgatorio e Paradiso) è di 432 f. Gli editori seguirono il testo della crusca. 1784. Norimberga. Schneider. F. 1 18. L'inferno della Divina Commedia di Dan- te Alighieri, tratto da quella che pubblicarono gli accademici della crusca l'anno MDXCV. Col comento del M. R. P. Pompeo Venturi della compagnia di Gesiì. Norimbergo. Presso Adamo Theofilo Schneider, 1784. 8, di 302 face. Le 22 f. preliminari contengono un « Avviso agli studiosi della lingua toscana», la prefazione del padre Venturi, e la vita di Dante di Leonardo Bruni. L'avviso non parla che dell'inferno solo, e sembra che l'editore vi si sia limitalo. 244 Letteratura '1787. Parigi. lacob, F. 118^ in f. Ogni volume ha'l suo frontispizio separalo ( « Inferno, poema di Dante » ec. ) , senza che ve ne sia uno comune a tutta l'opera. Il numero delle facciate è di 236, 236 e 233. Il testo degli accademici, riprodotto in questa edizione, vi è sfigurato di ben molti errori tipogra- tìci. 1788. Berlino. Lange. F. 118 in. f. La t)ivina Commedia di Dante Alighieri. Edizione di Giuseppe déValenti. Berlino e Stralsunda, presso Amadeo Augusto Lange, 1788. 8. VIII e 462 face, ed una carta di Errata-corrige. Le 8. face, preliminari contengono la « Vita e costumi di Dante Alighieri, e diverse notizie sopra di esso e le sue opere > , meschinissimo lavoro del- l'editore. Anche gli argomenti sembrano da lui com- posti. Il testo è quello della crusca. Ignoro se le due altre edizioni del Valenti (Beri, e Strals. 1797, 1799-1804) esistino come tali, o se forse non abbiano che'l solo frontispizio cambiato. 1804. Milano. Tipografìa dei classici ^ F. 125, lin. 5. II primo volume è di LXVII e 336, il secondo di LI e 441 face. Ivi, lin. 20, 21. In un canto, da me confron- tato per saggio , non ho trovato che quattro vere varianti della nidobeatina (lasciando fuori di conto le Bibliografia, dantesca ^45 sole differenze di ortografia) adottate dal padre Lom^ bardi] mentrechè in quell'istesso canto il PoHirelli^ oltre a queste, ne ha introdotto nel suo testo non meno di quattordici altre. Contuttociò rimangono an- cora ben molte buone lezioni della nidobeatina, Ira^ scurate dall'uno e dall'altro di questi editori. NaesJei'iJ: 1804.. nsoftko'vtì. li Penig. Dienemann, F. 127, lin. 10. Il terzo volume è di 236 face. Ivi, lin. 13. Mi sembra cosa più che dubbia, che'l Fernotv abbia avuto cura di questa edizione. Ivi, lin. 18. E verissimo che « Gli editori •> di- cono nella prefazione a f. XVII, di aver « esatta- mente riscontrato » l'edizióne romana con quella del Zatta; sbaglierebbe però chi credesse che questi ri- scontri abbiano servito ad introdurne delle correzioni nel lesto. Gli editori, assicurando di aver fedelmente copiata la stampa veneta, e di esservisi attenuti an- che nell'ortografia, promettono di dare in un quarto volume, che tuttora si sta aspettando, tutte le va- rianti delle due edizioni, e di aggiungervi un cora -• pendio delle note storiche del cemento Lombardi , omettendone le chiose filologiche. -4>Ui'ù mÌ) .<; - wK'.iiUp. Siv inoihuìi] l "'' ' ■'' ' • 1804,"'" ■ ìì'^oh oiUìH ir f'/jH Penig, Dienemann.^'^ .'>'r';'!i! il; r.tii F. 127, in f. Le due edizioni dell'istesso tipo- grafo, citate dal sig. de Batines, non sono veramente che una sola con variata disposizione delle colonne. Non solamente la disposizione delle colonne è variala, ma la stampa, quantunque copia fedele dell' "246 Letteratura edizione in quarto, è di un carattere più nainuto. Il numero delle facciate è di XIV, 267, 265 e 265. È Yerissimo per altro, che l'edizione del 1843 (Breslavia, Schletter) sia identica con quella del 1804. Gli esemplari non venduti di questa edizione, fatta con qualche lusso, passarono più volte in altre mani, e suppongo che una stampa, annunziata colla data di Breslavia 1843, sia di quell'istessa prove- nienza. 1807. Livorno. Masi. F. 128. Adottò il Poggiali^ come lo dice il fron- tispizio, il testo degli accademici, riformandone però in alcuni punti l'ortografia, e rendendola in qualche modo più somigliante all'uso del secolo di Dante. 1807. Gotha. Steudel e Keil. F. 129. Il frontispizio è questo: «< La Divina Commedia di Dante Alighieri. Edi- zione di Giov. Giorgio Keil. Cantica I. Gotha^ appr. Steudel e Keil 1807, di 236 face. » Forma il duodecimo volume della bibl. ital. del Keil A giudicar da quanto riferisce il sig. de Bati- nes.) vi sono degli esemplari che portano un'altra fir- ma di libraio, essendosi vendute, in quanto sembra, le copie non ispacciate dal primo editore. Ignoro, se le altre due cantiche siano o non sia- no pubblicate. Il testo è quello della crusca, con gli argomenti del Gozzi. Bibliografia dantesca 24T 1807. Iena. Frommami. F. 130. «« La Divina Commedia di Dante Ali- jjhieri » ec. I tre volumi sono di XLU-e 324; XVI e 348; XXII e 352 face. 1809. Milano. Mussi. F. 133, lin: 29. Le facciate sono in numero di XIV e 623. Ivi, lin. 30, 31. Le varianti non si riferiscono che all'Inferno ed al Purjjatorio, le due sole cantiche contenute nel codice, che fu del Bossi (Vedi a f. 132 1. 22). Il testo è quello della crusca. ■Ì810. Brescia. Bettoni. F. 134, lin. 12., Il primo volume di LUI e 487 face, abbraccia l'Inferno e '1 Pur^jatorio. Le prime 245 face, del secondo volume contengono il Para- diso. L' aggiunta critica del Dionisi comprende le face. 247 a 335. Le rime di Dante formano il rima- nente del volume. 1810. f /ja ii£;'i, Roma. De Romanis. F. 13'5, lin. 4. La Divina Commedia è prece- duta dalla vita di Dante del Serassi. 1811. Venezia, Vitarelli. F. 135, Hn. 14. Il primo volume (di VII, XXVII e 613 face), nel quale sono contenute tutte le tre 248 Letteratura canliche non ha per frontispizio che le parole: « La Divina Commedia di Dante Alighieri. Edizione for- mata sopra quella di Cornino del 1727 ». Il resto del titolo, riportato dal sig. de Batines^ forma il fron- tispizio del secondo volume. Il mio esemplare di questo (II e 539 face.) porta la data di « Venezia, 1819. Molinari >. Sembra però fuori di dubbio, eh' esso faccia parte della ripetizione della stampa vita- relliana, citata a f. 145 in f. l .(?£ .nil jt .Ul^U y / : 1815^17, • ..il ;/I Roma. De Romanis. F. 139, lin. 35. L' «Esame della Divina Com- media di Dante » del degnissimo cav. Gius, di Co- sare^ pubblicato (a Napoli ?) nel 1807, in 4 picc, è composto di tre discorsi, l'ultimo de'quali (« Tratti lìlosofìci della Divina Commedia ») fu omesso a gran torto, tanto dal De Romanis , quanto dagli editori padovani. Vedi più sotto a e. 155, lin. 35. 1816. Avignone. Seguin. F. 140 in f. I tre volumi sono di XII e 287; 287 e 311 face. Il testo è quello della crusca. Un gran numero di contrassegni , ideati dall' editore per facilitar la pronunzia, rende questa stampa dispiacevolissima al- l'occhio. Ogni cantica è preceduta di ben lunghi argo- menti. Appiè di pagina si trovano delle brevissime note, estratte, per quanto si dice nella prefazione, dai comenti di Landino^ Vellutello^ Volpi e Venturi. Bibliografia dantesca 249 1817. Firenze. Ancora. F. 142, lin. 6. Sono incerto se l'articolo sulP « Allegorìa della Divina Commedia » possa esser la- Toro dell'illustre conte Marchetti^ al quale non ve- > sopra le tre cantiche. « Note non vi sono. Il testo è quello del padre Lombardi. 1821. Firenze. Pallade. F. 152, lin. 27. Il ritratto di Dante non è co- piato da quello del Morghen^ ma l'incisione dello Scoti fu diretta dal di lui maestro Morgìien. Le note sono prese dalla sola edizione romana del 1810 e non da quella dell'Ancora. 1822. Padova. Minerva. F. 153, lin. 9. Il primo volume è di XXXV e 747, i* quarto di IV e 430 face. feiBLIOGRAFIA DANTESCA 251 F. 154, lin. 23. Il mio esemplare non ha ri- tratto di Dante. F. 156. Promisero g^li editori di dare nel volu- me degli appendici le varianti dei codici romani pei primi XII canti, e quelli del codice anialdìno pei primi XIX canti del Paradiso, omesse nel terzo volume; sembra però che non se ne siano più ri- cordati. 1822. Prato. Vannini. F- 156, lin. 29. Le annotazioni, poste alla fine*, non già de' volumi , ma dei singoli canti , sono i- dentiche con quelle del quarto volume dell'edizione dell'Ancora, cioè sono estratte dai comenti dell' OWt- JHO, di Pietro di Dante^ di Francesco da Buli^ e del falso Boccaccio^ e dalle postille del Lami e del Gori. Avendo però gli editori dell'Ancora riferita qualche rarissima volta tale o tal altra osservazione di un comentatore più recente, il Vannini^ per toglier la taccia di rancidume, data al lavoro da lui ristam- pato, potè dire, nel breve suo avviso ai lettori, quelle annotazioni essere « state raccolte da' migliori co- mentatori, compreso il comento del padre Venturi.» 1823. Londra. Corrai e Pickering. F. 156 in f. Sembra che a questa graziosissi- ma edizioncina, che ben a ragione vien detta « Dia- mond-edition », sia da attribuirsi la data del 1822, che riccorre sui due frontispizi stampati, mentrechè il 1823 non si trova che sul frontispizio intagliato in rame ed ornato di fregi (secondo del primo vo- lume). 252 Letteratura 1823. Parigi. Lefèvre. F. 157, lin. 11. La Divina Commedia è con- tenuta nelle face. 237-510 del primo, e nelle 494 f. del secondo volume. Il testo è quello del Lombardi. lyi, Un. 18 . Dagli accademici della crusca il Buttura non prese né potè prendere delle note di- chiarative, ma bensì delle varianti. Oltre agli autori mentovali dal sig. de Batincs , la tavola delle ab- breviature (f. VII) cita come spogliati per la com- pilazione delle note, scarsissime per altro, Vanonimo cassinese., un incerto (non so chi sia, ma non è V Ot- timo), il Muratori (?), il Portirelli, Rosa Morando^ il Soave, il Tassoni, il Venturi e'I Volpi. 1823. Udine* Mattiuzzi. F. 157, lib 27. Dovrebbe dire: « tipogr. Pecile. » Ivi, lin. 31. Ho dimostrato negli annali di Ber- lino (1838, col. 651, 52), che'l Viviani , invece di dare un'edizione « fatta sul codice hartoliniano » , si è limitato di sceglierne ad arbitrio un piccolo nu- mero di varianti, convenienti al suo capriccio, ta- cendone i molli spropositi, e trascurandone un bel numero di buone varianti. Si dica dunque che'l te- sto di questa edizione è veramente quello della cru- sca, qua e là cambiato sull'autorità del codice bar- toliniano. F. 158, lin. 21. Il rame della grotta di Tol- minp è disegno di Giov. Derif, ed incisione deWAli-: prandi sotto la direzione del Miliara. Bibliografia Dantesca 255 1823. Venezia. Andreola F. 159, in f. La Divina Commedia di Dante Alighieri, illustrata di note da vari autori. Venezia^ 1823. F. Andreola. 3 voi. in 16, di 236, 252 e 256 face. Il testò è copiato da quello degli accademici. Gli argomenti del Gozzi precedono i singoli canti, Le note sono scai^'sissittjfe' e di nessuna impor- tanzaì. 1824. Londra. ICnight. F. 160, Un. 3. Si aggiunga al frontispizio: « Dif- ficili, e delle voci antiquate e fuor d'uso. Il tutto riscontrato sulle migliori edizioni della Divina Com- media da /. C. Tarver » ec. II primo volume, che contiene il testo colla tra- duzione, è di XVI e 375 face. Il secondo volume, tutto di note, ha 404 f. Il testo è quello della crusca. 1824. Verona. Libanti. F. 160, Viti. 18. Il frontispizio non dice « Di- vina Commedia », ma « Commedia di Dante Ali- ghieri ». 1825. Firenze. F. 162, lin. 7. Editore fu il Magheri. Le note sono quelle dell' edizione romana del 1810, e tutta la stampa corrisponde a quella dell' insegna di Pallade 1821 (Vedi sopra a f. 152). 254 LetteratuRì^ 1825. Londra. Pickering. F. 162, lin. 12. A norma del manifesto d'^as- scciazione, che si trova unito al mio esemplare, il prezzo per gli associati non era che di 12 scell. pep volume. Non credo però che un discorso critico sul te- sto di Dante possa trovar luogo nel catalogo delle edizioni della Divina Commedia. 1826. Firenze. Ciardetti. F. 163, lin. 22. I tre volumi sono 400, 373- e 403 face. 1826. Bologna. Cardinali. F. 1 64, lin. 4. L'avviso dei librai editori « a chi legge » non parla di nuove annotazioni per que- sta ristampa somministrate da Salvator Betti e da Luigi Biondi , ma dice solamente che il comento del Costa vi sia riveduto ed arricchito di varie giun- te. La lettera, del Perticavi^ inserita nell' appendice del Purgatorio, è di molto anteriore a questa edi- zione, e troverassi, per quel ch'io credo, già nella stampa del 1819. Vedi sopra f. 146. Il testo è quello del Lombardi. 1826. Lipsia. Ern. Fleischer. F. 154, lin. 15. I versi intitolati a Goethe non sono sciolti ma terzine . Essi sono compresi nell'istes- sa numerazioue di facciate coW Introdìizionei men- Bibliografia dantesca 255 trechè per il Saggio sopra Dante ne comincia un' altra. Il rame dei quattro poeti fa faccia al fronti- spizio. Un piccolo mio articolo, sull'epoca in cui fu- rono pubblicate le tre cantiche, è inserito net detto Saggio f. XVI-XVIII. Ivi, lin. 27. Giudicherebbe male dell'indefesso e coscienzioso lavoro di Adolfo Wagner^ ora già da' più anni defunto, chi volesse fidarsi alla bilioisa* ed ingiusta critica della Biblioteca italiànay articolo al quale oggimai nessuno dfei tanti e tianti' italiani, che' sono non meno colti e gentili che dotti , vorrebbe apporre il suo nome. Non ho trovato scorretto il te- sto, ma si può dire che l'editore seguì pur ti*oppo ciecamente l'autorità del codice bartoliniano! Giudiziosamente, e con maggior cortesia che la Bibliot. ital., pailò di questa edizione il professore Blanc nella « Allgemein^ literatur-Zeitung. » 1827. No. 312, 13. Un esemplare unico della sola Divina Gómme-' dia col suo coraento in carta velina stragrande «ta presso di me. 1826, 27. Londra. Murray col comento del Rossetti. F. 165, lin. 11. La parafrasi non è posta in pie di pagina, ma precede il comento di ogni terzina. Ivi, lin. 22. Mancano nel secondo volume, ol- tre la parafrasi, anche le sposizioni (che così, e non dichiarazioni, sono dette nel tomo primo). Le note aggiunte non procedono oltre i canti Xll e XIII. Ivi, lin. 31. Si aggiungano il Quarterly Review, 1828. LXXIII. lan,, e l'importante articolo di Au- gusto Guglielmo Schlegel nella Revue des deux mon- 256 Letteratura des. Agosto 1 836, ristampato nelle « Oeuvres de M. A. G. Schlegel écrites ea francai* )r. T. Il, p. 307- 332. Un mio articolo fu pubblicato nei fogli di con- versazione letteraria (Blatter fiir literarische Unter- haltung, 1829. No. 57, 58 p, 225-31.) Ivi, in f. L'articolo del Foreign Review fu tra- dotto dall' istesso autore, il sig. professore Antonio Panizzi. I paradossi del Rossetti trovarono benevolo in- terprete nella persona del sig. Giuseppe Mendelssohn, negoziante di Berlino non meno dotto che agiato : « Berieht iiher Rossetta s Ideen zu einer neuen ErlàU' terung des Dante und der Dichter seiner Zeìt. » Ber- lino. Al. Duneker, 1840, 8 gr. 1827. Pisa. Capurro, col com. dell'Ottimo; F. 166. Il primo e'I terzo volume sono di 668 e di 679 face. 1827. Firenze. Borghi. F. 169, lin. 6. Il testo è quello della crusca , cambiato alcune rarissime volte sulla fede di altre edizioni. I ben lunghi argomenti e le brevi note sono proprio e lodevole lavoro di Gìvseppe Borghi. 1827. Milano. Bonfanti. Lin. 169, lin. 12. I frontispizi dicono: « Dalla tipografìa di Angelo Bonfanti^ presso Gaetano Schie- pati ». I tre volumi sono di XXIV e 283, 349 e 331 face. Bibliografia mntesca 257 Il testo è quello del Lombardi, già seguito dal Costa; dice però la prefazione che gli editori in qual- che raro caso abbiano giudicato opportuno di allon- tanarsene. 1828. Milano. Bettoni. F. 170, lin. 23. Anche questa edizione ripro- duce lì testo del Lombardi^ correggendolo in alcuni pochi passi. Le note sono propria compilazione degli editori. 182». Napoli. Criscuolo. F. 170. La Divina Commedia di Dante Aldi- ghieri. Napoli^ dalla tipografia di Criscuolo 1828, in 4, a due colonne, di 179 face. È una ripetizione letterale del testo della ni- dohealina^ fatta in ristrettissimo numero di esemplari a spese del rev. Giov. Feder. Nott^ canonico di Win- chester (editore dell' « Avventuroso Ciciliano » , e , per quanto visse , svisceratissimo cultore di Dante). Le due carte non numerate, che seguono il fronti- spizio, contengono la dedicatoria del Nidobeato, come anche alla fine di ogni cantica si legge la soscrizione della stampa milanese. Le molte correzioni di pro- prio pugno del Nott^ inscritte nello splendido esem- plare, ch'io tengo qua! preziosissimo dono di S. E. il sig. cavaliere Bunsen^ ambasciatore prussiano pres- so S. M. britannica, provano che gli stampatori na- • politani abbiano tradito pur troppo le premure del- l'accuratissimo editore! 258 Letteratura 1830. Firenze. Insegna di Dante. F. 172, \ìn. 8. Questa edizione è mancante della vita di Dante, che si trova nelle anteriori di Bolo- gna e di Milano. 1832. Halle. Schwetschke. F. 178, lin. 6. Il frontispizio, al pari degli al- tri titoli riportati in lingua tedesca, crudelmente sfi- gurato nella Bibliografia Dantesca^ dovrebbe star così: « Die beiden ersten Gesange der gottlichen Ko- modie, mit Riicksicht auf alle frùheren Erkliirungs- versuche erlautert von Luci. G. Blanc. » In questo insigne opuscolo del sig. professore Blanc, che spiegò già da molti anni, e spiega tut- tora la Divina Commedia a scelta adunanza di bra- mosi scolari, non si trova né il testo dei primi due canti, né quel che propriamente si chiama un co- mento, ma bensì un accurato ragguaglio sulle diffe- renti opinioni relative all'allegoria principale del poe- ma, e non poche nuove interpretazioni, alcune delle quali furono posteriormente da altri spacciate per tìuove scoperte, fatte da lora. 1837. Firenze. FormigU. F. 181 , lin. 19. Il primo volume è di XL e 432 face. Il testo è quello della crusca, qualche volta va- riato, ma non sempre migliorato (Vedi, a cagion di esempio, l'errata-corrige dell' Inf. V. 6-9). Bibliografia dantesca 250 1837. Venezia. Gondoliere, col eom. del Tommaseo. F. 183. Sembra che'l testo del Lombardi abbia servito per base*, ma si conosce benissimo, che l'ac- corto editore abbia maturamente ponderato le va- rianti degli altri testi, fra i quali preferì di spesso la lezione del Dionisio dagli altri editori moderni quasi sempre trascurata. 4837. Firenze, he Monnier. F. 484, Un. A. Quantunque si legga sul fronti- spizio: <» Firenze. Felice Le Mounier e compagni, ti- pografi », l'ultima carta del primo volume (di IV e 600 face.) dice: « Coi tipi Borghi e compagni ». Ivi, lin. 17. I codici del march. Pucci, consul- tati per questa celebre ed eccellente edizione, sono in numero di dieci. Ivi, lin. 26. Il mio articolo, citato dal sign. de Batines, sì trova negli annali di Berlino, 1838. No. 78-80. Col. 638-56. 1838. Marsiglia. Mossy^ F. 186, lin. 17. Sembra che gli esemplari dif- feriscano anche più di quel che si dice a f 187 , lin. 17. Il mio porta questo frontispizio : « Lo Inferno della Commedia di D. Al. col co- mento di Guinif. d. Barg. tratto da due MS. ined. del sec. XV con introduzione e note dell' avv. Gius. Zacheroni. Di cinque earte, XXIV f., altre quattro carte, e 766 face. Quantunque la mia copia abbia la data del 1838, •vi manca pure, oltre alla dedicatoria ed all'introdu- 260 Letteratura zione alla gioventù italiana , l'articolo francese èuW )riginalilà di Dante. 1838. Parigi. Lefevre. F. 48T, Irn. 28. Sono 683 face. La prefazione e le considerazioni sono identiche con quelle dell'ediz. del 1820. Vedi sopra a f. 151. 1840. Torino. Poniba. F. 188, in f. Per quanto mi fu detto a Torino, questa edizione non esiste, e non fu citata che per iscambio con quella del 1830 sopra f. j75. 1840. Firenze. Passigli. F. 189, lin. 20. Questa graziosa edizioncina e ristampa della grande edizione del 1838 , ricca di tutt'i comenti della padovana, ma, come già s'inten- de, per il solo testo. 1841. Napoli. Chiari. F. 191. La Divina Commedia di Dante Alighie- ri con note di Paolo Costa. Nàpoli. L. Chiari. 3. voi. in 12, di 355, 331 e 362 face. Dice r editore nel suo avvertiménto di essersi attenuto a preferenza all'edizione del JSettóni, Milano 1825 (sopra a f. 161) , consultando però anche le edizioni padovana {t 153) ed udinese (f. 157). Le note si dicono riprodotte suU' edizione « pubblicata in quest'anno a Firenze per cura del tipografo Mo- lini )>j edizione ch'io non conosco, e che non è re- Bibliografia dantesca 261 gistrala dal sig. de BaLims. Vi furono ag^giunte, per quanto riferisce l'avvertimento, alcune note, inserite ia que'luoghi che meritavano maggior dilucidiazione, G restavano tuttora oscuri. 1842. Firenze. Piatti. F. 192, lin. 26. Nel mio esemplare il nome deU l'illustre editore è stampato a tutte lettere : « per uso degli stranieri da lord Vernon. » Ivi, lin. penult. I preliminari cominciano colla dedica al sig. Mariano Armellini e colla prefazione ^l lettore. 1842. Benevento. Tipogr. camerale. F. 193. La Divina Commedia di Dante Alighie- ri, secondo la lezione del padre Lombardi. Volume unico, Benevento., tipografia camerale. In 4 a 2 col, di 156 face. Il poema è preceduto dalla vita di Dante del Serassi.) ed è corredato di brevissime annotazioni di poca importanza. 1844. Firenze. Le Monnier. F. 199, lin. 18. Il frontispizio, eia figura che gli sta dirimpetto, sono identici con quelli dell' edi- zione all'insegna di Dante del 1830. Le note del Bianchi, che sono ben molte ed otr lime, sono in parte al suo luogo frapposte a quelle del Costa: in parte, come appendice , aggiunte alU fine de'rispettivi canti. 262 Letteratura 1846. Firenze. Le Monnier. F. 200. La Divina Commedia di Dante Alighieri col comento dì Paolo Costa notabilmente accresciuto da Br. Bianchi. Seconda edizione con nuove giunte e correzioni. Firenze^ Felice Le Monnier 1846, 12 gr. di XXXIV e 837 f. Nitida edizione, fatta sul modello di quella del 1844 , con economia di stampa anche maggiore ; mancante del frontispizio ornato di fregi e della fi- gura incisa in acciaio, ma arricchita di nuovi argo- menti , e di gran numero di nuove e sensatissime annotazioni del dotto editore. Anche la lezione del testo fu migliorata in alcuni luoghi. 1846, Brusselles. Meline. La Commedia di Dante Alighieri con illustra- zioni antiche o moderne, pubblicata da Marco Au- relio Zani de' Ferranti. Parigi^ Baiidry ; Londra^ P. Rolandi ; Brusselles , Meline., 1 846 ; 8 grandiss. di XXIV e 231 f. Questa prima dispensa non comprende che i primi tre canti. L'opera intiera non deve però ol- trepassare le 1500 face. Per l'emendazione del testo il chiar. editore, ol- tre alle varianti riferite nelle stampe anteriori, si ser- vì di alcuni codici parigini^ di un codice di Brus^ selles., e di uno ardilliano. Il comento è in gran parte eistratto da lavori anteriori, fra i quali è anche il comento inedito di Jacopo di Dante. Le proprie note del sig. Zani sono Bibliografia dantesca 263 ricche di nuove interpretationi (fra le quali non po- che saranno applaudite dagli intendenti), e spirano un caldissimo amore per la bella Italia, ed un santo, benché non sempre giusto , sdegno contra tutti co- loro, ch'egli crede gli autori deUe di lei disgrazie. PRINCIPE D. PIETRO ODESCALCHl DIRETTORE RESPONSABILE INDICE DEL VOL. 347. SCIENZE TortoUnij Sulla riduzione di alcuni in- tegrali definiti ai trascendenti ellitti- ci ec. ■ PAG. 129 Vaccolinij Dell' economia pubblica in accordo colla morale. . . . » 185 Coppij Relazione sulla tariffa e suUa libertà di fare e di vendere il pane. » 201 LETTERATURA WittBj Quando e da chi sia composto Vottimo cemento di Dante . . » 310 — Alcuni supplementi alla bibliografìa dantesca del visconte Colomb de Ba~ tines » 233 GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1848 26B Sulla riduzione di alcuni integrali definiti ai ira- scendenti ellittici^ ed applicazione a differenti pro- blemi di geometria e di meccanica razionale. Me- moria di Barnaba Tortolini {Continuaz. e fine). 16. X^oniamo, » = 0 , n «= 1 si ha ^ TT / r dg r dg V V ossia sen^g^(1 — Fsen^5) ma dalle formole d«I parag. 3.° facendo A, =i/-(1 —fc^sen^g) SI trae perciò y.= F(A-, 5) — E(ft, 5) — A.C015 V^ =» ^^t(^(^' ^) - E(^, S) — A,col9 H- cote) Sia w = 4, avremo ^ 2^4 V ^ J sen'ie 2 J sen^^/ G.A.T.CXVI. 18 266 Scienze ma dallo stesso parag. 3.° 3Y4 = (2 -h P)F(A, 5) — 2(1 + k')E{k, 0) \ sen Qf I — — ; = — cot5, / — - = — colS dunque _ j^j (2 -f- F)F(^, g) _ 2(1+F)E(fe, g) ^ ~ 2/c4 ( 3 ' 3 Nello slesso modo calcoliamo il valore di Ve , che ci occorrerà in un problema di geometria, e sia n = 3 , allora la consueta formola generale darà ^ "~ "2ft6"V 6 — J ggjj65 2 J sen45 2.4 -^ sen^'^/ ove osservando che /A9 ^ 2col3e C0159 -— - := — cote -- sen60 3 5 si avrà per i precedenti integrali 7:1' . 2cot39 C0I55 Ve = -2^[Y6 +0019 4.-^+ — k^ / , cot^Sv 2,k^co{B\ Integrali DEnNiTi 267 Tralasciamo di fare la sostituzione del valore di Yg , ,che ci occorrerà in appresso. 17. I problemi di sopra risolati sulle differenti qua- drature, e cubature possono anche risolversi per mezzo ,dei nuovi integrali Y^n, perchè si faccia un cangiamento nell'ordine di grandezza sulle costanti racchiuse negli stessi integrali, ciò che verremo a mostrare con qual- ■cuno dei medesimi esempii. Così ritenendo u = cos;? , V = senjocosg' , w = sen/jsen^r la quadratura dell'ellissoide dipende dall'integrale defi- nito duplicato o ponendo come sopra A=!:a^(c''cos^5'-hA^sen'g') h=b^c*—a\c^cos'^q-^b''sQTi^q) Si = I scnpdp[/'{X -j- Bcos^p) si ha Ora integrando per archi di tangente si ha J V{k H- B^^)- TT^Tb • arclang^^^^^g_^,^j 268 Scienze quindi troveremo facilmente ,è;r seiìpdp[/^(h. -h Bcos'p) Di più abbiamo A -H B .t= ò V , — B = c\a^ — ó") — a^c^— b^~)sen^g d'onde supposto a <^c ^ e c>»ò, o>-ó, e poncndq e ^^'-) ' ^=l^(^ -khen'^l) , m = ^ SI avrà l/*— B = A.c|/((»» — *') , A = a%e^ 4- (4^— c^jsen'jl e perciò oc a\é^ H- (è* — c=»)sen^»c, a<;c, vale a dire che a fosse il se- miasse medio, mentre qui abbiamo supposto esser b. Sarà utile di far vedere come una sostituzione immaginaria per l'ampiezza di una funzione ellittica possa ricondurre un'espressione alfaltra. Supponiamo adunque , che per 270 Scienze la quadratura delfellissoide siasi trovato come al paràg. S S B= 27ra* H ^ ( cos^5.F(A-', e)4-sen'5.E{^', 5)) ove seas - j , cose- ^ , *> - Jijjiiz^ Se ora vogliamo supporre è -< o è evidente che senS sarà un' espressione immaginaria, perciò come già per altre ricerche fece il sig. lacobi (*) porremo sen5 = [Z' — 1 . tang!|> Di qui ponendo troviamo cos5=, -_, de = -^ , costp COS(/< 1/^(1 — A'sen^^/) (/■(i—r^sen"S)= trUBuy cos ^ cost|« /i/(1-Fsen^(i), Integrando per parti si ha successivamente •-' 1/(1 — /c sen (/^) (') Fundanenta nova theoriae funct. ellipt. pag. 34. Integrali definiti 'l7l così avremo E(£', e)=l/^— i(f(A, ^)—E{k, ip) H- tangt//l/'(ì-ft'sen^M Ora la quadratura delle superficie curve consideranda* Z, come funzione delle X, Y dipende dall'integrale du- plicato s = //axavK-(i)V(l|/ Quando X, Y, Z sieno funzioni di due variabili p , q, allora indicando con X', Y', Z' le derivate parziali delle X, Y, Z relativamente a p, e per le X, , Y, , Zj , le derivate delle medesime relativamente a, y, e si faccia per brevità u=x% — x,Y, v^-x.z' — rz„ w=rz. — YxZ', L'integrale proposto si trasforma in s ==ffàpàqy {u^ + v^ -+- w^) Formando adunque pel proposto esempio le derivatie par- ziali delle X, Y , Z relativamente a p e q , e facendo (') Raccolta scientifìca, maggio 1846. Creile, lournal de mathe. Berlin, tom. 34. Integrali definì ti 273 per brevità senq = z M=(2c--Ó)(2a— i)-i-2(c— 5)(25-c— 3fl)z'-+-3(e-5)^z4 Mi=(A— a)(3cH-a— 23)-H(c— *)(c— 56-i-6a)z»— 3(c— i)*z4 R = M -H 2MiCos> 4- 3B'cos4p si troverà dopo tutte le ridazioni richieste jj _ Bsenyt/"c.senpseny _ B.senpi/'b.senpcosq; i/^abc ' " i/^abc ^ _^ Bsenpi/^a.cosp Sostituendo questi valori nei valore generale di S, ed integrando entro i limiti p= 0 , p==^7: , q=0, q=^n si otterrà l'ottava parte della superficie , e perciò ri- flettendo ai valori di u, v ,w l'intera quadratura sarà espressa dall'integrale definito ^'" ÌT^cJ o J o Rsenpdpdt/i/-(aM"H-éy-H-CTv^). Aggiungendo ai valori di M , M, , B A t= bcos^'q -+- csen^q = A -(- (e — b)sen'q sì trova A — B = a , ed A = a -f- B, ed il valore dì S diviene 8 /«' rz"- ^ ^ \7^J o J ., Rsenpdpd!/l/(A - Bcos» 274 Scienze Eseguiamo una prima integrazione relativa all'angolo p, e posto cosp= X, senpdp= — dx, ai limiti p=0, p=^7: corrisponderà x = i , x = 0 , e perciò ravesciando i limiti dell'integrazióne col cangiare iì segno, si avrà S= —V- / "^ f (M4-2M.x'-t-3B'x4)da:dffl/(A— Bx") yabc »-' o »> o Pongasi X =l^(A — Bx2) avremo le differenti formolc d'integrazione simultanea' r Xx A fax /Xx^d.=-^-f-A_/xda: fxx'^dx = _ ( i- 4- 4^\X3 -h 4^ /Xdx •^ V 6B 8BV 8B^ J Integrando fra i limiti x =■. 0 , x = i si ha primiera- mente ed osservanijo che per a; = 1 il radicale X si riduce Integrali definiti 275 ad [/'{X — B) = [/'a, avremo da una successiva sosti- tuzione /' i/"a A /l^B\ ^Xda.=-2-H-— arctang(— ) Jo^''*^^ 16B^ -88^ 6B A3 / i/B V -^TÌBvF^^^'^"ni7l) Moltiplichiamo adesso la prima per M, la seconda per 2Mi , e la terza per 3B^ e pongasi risulterà dalla sostituzione ' 2 ^ 4B ~2B "^ 16~ 8 3Bi/"a3 / MA MiA^' SA^ \ /K"B\ H- -^ (2Ì7b-^ ìbìT^ -^ fei/^B) '""^^^"^ ( i7^) Per mezzo dell'equazione A — B = a si elimini A nel secondo termine, e B nel quinto, e facciamo inoltre L = ^(sM •+• 4M, H- 3A^ — 14aA -f- 8o^\ _ 1 /AM M,A^ SA' V ' ~ ~2\J7b "^ 2B|/B "*" 8Ì7b/ 276 Scienze verrà R,=:L- 4B -*-^'-^ ;^^...i. L..arc.ang(^) Quando il valore di R, ridotto ad ana sola funzione dell'angolo gr, si moltiplichi per dg' e si eseguisca l'in- tegrazione fra i limiti y = 0, g = ì;t , sostituito nelF espressione di S, darà S = 8 -«'^ [/^aòc /. R.*/ tal'é l'integrale definito semplice che éòrtìe vedremo di- pendendo dagli inlegrali della forma Yzn si ridurrà ia fine ai trascendenti ellittici di prima e seconda specie. 19.» Ripresi i valori di M, M, , A, e sostituiti nel secondo membro della L, si troverà per seng <=» z L = \~(20ac — \Sab — 4bc H- 4a^ + 3^» -f- 2(c — b){9ò — 6c — i9a)z^ + 1 5(c — ^)2z4\ Nella stessa guisa dai valori di M, e B abbiamo Mr__ (A— a)(3c-i-a— 2ó)-l-(c— 5)(c— 5Ì4-6a)2^— 3(c— i)2z4' 4B ~ 4 [6 _ a -V- (e — ó)sen='g'3 Estraendo ì termini per mezzo della divisione eseguita relativamente alle potenze di senq otteniamo M, c—2b-h3a 3{c— b)z'' 2[b—a){c—a) 4B 4 4 ^ib—a-\-(c-^b)s&xi'q\ Integrali definiti 277 quindi L — 4B 16 \ ' ri- 1 6(c — ^ì^sen^y -f. 2(c — è)(9è — 6c — 1 ?a)sen^g _ 8a(ó — .g)(c — a) \ (6 — ajcos^^f H- (<^ — a)sea^ql Moltiplicando per àq ed integrando entro i limiti jf = 0 , 5^ = 1::, ed osservando, che Air ^7T J ^ sen^'j.d^ = - - j ^ sen^jd? = 274 T 1 r^'^ dj '^jr^. »^ ° (3 — o)cos'g'-4-(c — a)sen''gr 2 \/"{b — a).[/'{c-'a) Dopo tutte le riduzioni si ha ;.')S»=WA In ,, .^„i. 7il^a/2Aac-^2Aab-2bc-6ia''-3b^-'3c^ 8 Snal/'ay^b — al/" (e — a)\ 32 / Questi termini di forma algebrica dovranno aggiungersi a quei, che si troveranno nella riduzione degli integrali trascendenti 20." Per calcolare la parte trascendente dell'inte- grale si sostituisca nel terzo termine del valore di Li , A = o 4- B , si avrà 1 /BAM-HBaM, -h4M,BH- 3A3 MiO^ \ Li =:^ — ■ I ■ " '->'<«• < .Ululili I ■■■! I — — — l 2\ 8l/^B 2Bi/B/ 278 S e f E N z E quindi ripresi i valori di M, M, del parag. 18.° e pejr mezzo dclFequazioae B = 6 — a 4- (e — ò)sen^q Sì elimini la quantità (e r- èjsen^ jf = B — {b — a) JQ modo che M , M, sieno espressi per le potenze di B, otterremo M = 2ac -f- 2ab — 3a^ — 2(6 -+- c)B ■+- 3B* M, = 2{b — a){c — a)-h{l>-h c)B — 3h^ Ciò posto rammentandoci che A = « ■+• B , formiamo i somiglianti prodotti e potenze AM=o^(2c^2è-3a)-3a"B — {2b + 2c— 3a)B^ •+• SB^ A3 =a «5 H- 3a'B H- 3a,B^ -t- B^ quali tutti sostituiti nel valore di Li , esso diviene 1 /(4o'c-l-4a»i— 5a'H-16aéc) (8óc— 19a^)B ^-tX l^B l^B (9a— 126— 12c)B=' 15B\ o^(6— o)(c— a) "* ÌTb *■ I7F/ "^ 2bj7b Supponiamo ora 6>»c, 6>>o, ec<;a, e poniamo k^ = tzi , A" == I ~ k^sen'q 0 — a Integrali definiti 279 il valore di B si potrà porre solto la forma B = (i — a)(1 — ^'sen^'^) ^ {b — a) A» d''onde facendo anche per brevità jH = Aa^c-h^a^ò—Sa^ -^ ^6abc, H,— (8i, A «= , quindi eseguite ^e riduzioni V„-3FV,-f-3fc4V4-ft6V6== |-(y„ - 3Y3 -+. 3Y4 - Ye (45i2_l-45c2-+-i84a^— I40a^— 140ac4-30èc). l/'o \ 2. 3. 4. 5 17(0^;^) Con gli ottenuti valori è manifesto che l'integrale col quale termina il precedente parag. 20.° è composto di due parti, una trascendente e 1' altra algebrica , e per quest'ultima si vede, che in forza dei valori H , H, , H3 , H3 le potenze , ed i radicali ài b — a scompari- scono, d'onde chiamando P la parte algebrica, l'integrale in questione prenderà la forma o L.arctang(— )dj ^-(hYo4-H,(Y„-Y,)-hH,(Y„-2Y,-ì-Y4) 2.161/(6 H3(Yo-3Y,-H3Y4-Y6))4-P- ' 2 1/(6—0} G.A.T.CXVI 19 282 S e I E N Z E ove ^\^'^/ oL An 2 (9o— 12A— 12c)(3^H-3c— 8«) 2. 1&\ 86c-l-1 9a ?. 1&\ 2.3 15(45i^-è- 45c=»H- 184a'-— l40aA-H 30èc— l40ac)Y 2.3.4.5 " "/ Riducendo si ha nl^ai 2 6c-h fi4a'— 24a5 — 24ac-f- 3i^-f- 3c^v "^ 2A&\ 8 / Rapprtóenliamo per maggior semplicilk co'sofi simboFi F, E i trascendenti ellittici di prima e seconda specie di modulo kf e. di ampiezza 9, e pongasi costantemente A, «= J/'(1 — /t'sen'5), avremo dalle diverse formole de{ parag. 3.° ' . Y„ =;= F , Y^ == F - E — A^cql? ed Yo — Y^ = E H- A.cotS AiCosS 3Y4=2(1-|./e^)Y.-ft^Yo— ^ 5Y6« 4(1 -i-F)Y4 - 3k'Y, - ^''''''^ sen^9 dalla prima delle qaali potremo formare per l'elirarna-: zione di 3Y4 , 3(Yo-2Y34-Y4)-(3-A^)Yo+2(/£^-2)Y,-.^^' d'onde per j valori di Yo , Yj , 3(Y„ — 2Y, -h Y4) = - (1 - A^)F -H 2(2-S^)E -- -\- A,coie(2(2-r) Vn) ;y> \ ' sen Q' Integrali definiti 283 Nello stesso modo per l'eliminazione di SYe , avremo i 5(Yo"- 3Y, H- 3Y4 — Ye) = ;l SY» 4- (9k^ - 45)Y, , . „ 3AiCos9 ed eliminando nuovamente 3Y4J risulterà 1 5(Y„ - 3 Y, H- 3 Y4 - Ye) = ( 1 5 - 1 a' -H 4fc4)Y„ 3 (ii_4fc^)\ •(23^—23'- 8^4) Y4 + A,cot5(- ed infine l5(Yo-3Y,H-3Y4-Y6) = A^cote/-^-*- ^^ ~J^+ 23 4- 8A4 -. 23/?=' ) Vsen'iS sen 0 / H- 4(3^' — 2 — M)F — (23A'-— 8fc4— 23)E in tutte queste espressioni generali conviene pel caso in questione sostituirci i propri valori di fc^, sen9 , Aj. Ora per i valori di sopra accennati, abbiamo 1_)t^=l_?, sen^5=^^ A,=l/(1-;c»sen^e)=:i^ 0— a 0 yh 284 Scienze quindi le precedenti formole diverranno {/"ac i/'b{b—a) ^ 6— a 0 — a {è -f. 2c — 4a)[/^a0 ^ ' i^b(b — a)3~ 4(3ac-hab—bc—c'—2a^)¥ I5(y«-3Y,^-3Y4-Y6) = -^ ^^—^^ '- (8*^4- Sc^-h 23o^-i- 7ic— 23a5— 23ac)E 4r t/^ac -j-(45='^ 35c+ 8c='— 23ac-t- 23a'— 12a3)-f- Con questi valori il noto integrale porge un nuovo si- stema di termini algebrici, i quali uniti ai trascendenti sostituiremo nel secondo membro dopo aver calcolato i| valore dell'integrale Wo che rappresenteremo per W- 22." Si prenda pertanto W =i ^ arctang(wjA)dy A3 e differenziando relativamente ad m, si ha »A, dw_ r^^ àq Am ~ J ° A^(1 -i-m»A^) Integrali definiti 285 ^er Io spezzamento della frazione si ottiene >kn 3. r'krt ed integrando dW ;r hm^ dm 2i/(1— A^) 2i/'(1 4-m-')/^[1 -i-m^(1 — A^)] Pongasi coinè sopra nel secondo membro m = tangd verrà dW Ti TTsen^'e dm 2i/'(1— A^) 2l/'(1— i'sen'^) àO quindi moltiplicando per dm ^= — ^ , ed integrando . si trova ^^/_tang9__ r tang»gd9 v 2 \t/'(1 — k') J \^{\ —l^setì'Q)} Ora si ha P tang'9d9 = t|^T3? - ,-^.((2^^^-"^~«^)F 321/^(6 — a)V 288 S e I E N Z E -1 Ma dai valori di P, P', P" si trae dunque -(4-«)(<.J+a.+k)E)- '^ij*:^+J_^)i^ f 32l/~b La quadratura S della Dostra superficie si otterrà adun- que col moltiplicare per 8 il precedente integrale, e col dividerlo per [/'abc. Eseguile queste operazioni, e rista» biliti i simboli per le due trascendenti ellittiche di mo- dulo k, e di ampiezza Q, si ha _ n[2\bc — ab — ac)[/^a. F(k, 9] '^' 4l^bc{b—a) niab 4- oc -H bc)l/'(b — a).E{k, 0} 4[/'abc T:{ab -\-ac -^^ bc) U Tai'é l'espressione ultima della quadratura della nuova superficie derivata dall'ellissoide coll'indicata legge. Quan- do nelfellissoide invece di prendere a, &, e quadrati dei Intégrali definiti 289^ semiassi, si prendano o* , 6^ , e^ , il valore di S, sarà _ 7:a(2UV — a^b^ — a'c^)¥{k, B) ~ 4^1^(6" — a') " • ' • ^ ^ 4a6c 4Ó^ Il modulo A:, e l'ampiezza B sono determinati dall'equff- zioni '^ = Ti — -i , tatigS = d'onde sent^ = , B = arc.sen/ — ^ i La superficie S si ridurrà a quella della sfera per a= A = e ; supponendo infalli ó = e , si ha /e = 0, e P(A-, B) = arc.sen(^^^) ^ E{k, B] (*) In una nota pubblicata nella raccolta scientifica per l'otto- bre 1846 mi proposi la risoluzione dello stesso problema con in- tegrali diversi da questi. Trovo una differenza nel coefficiente di E(fe, 6), e nella parte algebrica. Penso che allora mi sia passato un qualche errore di calcolo, mentre con le nuove formole ho più vol- te diligentemente riveduto tutte le operazioni analitiche. 290 Scienze Che Se di più a = ^, si avrà ■ ; -- — B=3 Ano' Queste sono le più importanti applicazioni, che si pos- sono fare di tulli gli integrali deHtiiti da noi conside- rati, e el fermeremo per un'instante sulla riduzione di un integrale definito duplicato, il quale comprenderà di- versi altri già esaminati, e che si potrà riferire o agir integrali XJ^n di forma logaritmica, o agli integrali Va„ di forma circolare. 23." Ritenuto il significato della quantità. A, B, ■vale a dire A = ó -i-(c— A)sen''y , B = (i— a)-f-(c — b)s,&\\^q^ ^ietio M, M' , M', . . . delle funzioni razionali ed in- tere di sen'^r , e si componga , col ritenere « =* cosp , Tintegrale definito duplicato J ^ (M-+-M'M^-HM"M4-h...)sen/)d/jdjfl^(A-Bcos>) Ora da quanto si è esposto dal parag. 18." é evidente, che eseguendo una prima integrazione relativa all' an- golo p, e ponendo ^-»^"V2^lB 6B" ~4r"^16B=' 8B^7 ' '" 2178"*" BB^TB "*" 1 6B VB INTEGRALI DEFINITt 291 é^ $ì atra R. =K-*-K.arctang(^J la prima parte di questo integrale e tutta esprimibile in termini algebrici, e la seconda si ridurrà agli inte- grali Yzn , Wo già esaminati nei parag. 1 5 e seguenti. È facile ora il conoscere che il nuovo integrale com- prende più casi particolari. Così supposto M==8, M'=aO, M*'= 0 , ... e sostituito a4, b^, c'f invece di a^ò, e ^ l'integrale S rappresenta la quadratura della superficie di elasticità di semiassi a, b, e, ed anche la quadratura di un'ellissoide, quando si sostituisca b'^c^ , a^c^ , a^P in- vece di a, b, e. Sia di più M =-A, M'=--, M"-=0 . . . o ó allora sostituendo a^, b^, c^, ad o, A, e il nuovo inte- grale darà il volume terminato dalla superficie di ela- sticità di semiassi a, b, e. Similmente prendendo 5 5 e qui pure sostituito a^ , i^ , c"^ in luogo dì a, b , e , l'integrale definito porgerà, come si è veduto al parag. 10 il momento d' inerzia di un corpo terminato dalla 292 SCIENZE superficie di elasticità, relativo all'asse 2a. Ritenuto pei* M il valore attribuitogli al parag. 1 8. o e fatto come allo stesso parag. M'=M, , M"--= 3B^ l'integrale moltiplicato per 8, e diviso per i/'abc darà la superficie ivi considerata. Termineremo questa Me- moria col mostrare, come l'uso di alcune coordinale cur- vilinee possa riportare qualche integrale definito dupli- cato o triplicato ad integrali definiti semplici. 24." Alle coordinate ortogonali x,yi z di un punta qualunque dell' ellissoide si sostituiscano le coordinale ellittico-polari, e delle quali fece uso per la prima volta il sig. lacobi ; allora ritenendo che a.^ b ^ e rappresen- tino i quadrati dei semiassi, l'equazione dell' ellissoide sarà verificata dai valori X = l/'a.senip[/'{ì — k^sen^co) , y = [/'b' . cos9cosi> z -=■ i/'c.seni/i/'(1 — A'^sen^^y Le costanti /«, A' sono soggette alla condizione A*-hA*^=1. Volendo che A, K sieno funzioni di o , é , e, potremo supporre 4 >• a , e >► i, e quindi e — a e — a Ciò posto riprendiamo i valori delle coordinate X, Y, Z di un punto qualunque della superfìcie curva, inviluppo dei piani perpendicolari all'estremità dei semidiametri di Integrali definiti -2^3 ua'eliissoide data; avremo dalle formole del parag. 18." X = -r-(^<^^' — c(^ — 2a}f — ò{c — 2a)z^\ Y = -f-(«f2/' — <« — 2ò)x^— a[c — 2ò)z^\ % =^ -T-(«^-^ — ^(« — 2c)x' — a(b ~ 2c)f\ ove sostituendoci gli indicati valori di a: , y , z e pò-: nendo per brevità A = (1 — A'sen^'cj) , A'= \r[\ — A'^sen» si troverà Asensj/ v X =■ — — ((è — -|- 3(c — bf&Qw^^^ ff- 3{b — o)^sen'55j otterrenao Rsenw(1 — A'^sen*^ — A'sen'^w) x,Y -xy,= ài/'ab •v'r, V i> Rcosrovati filosofi, specialmente {rostrali. Dico de' piCi approvati; perchè dovendo darsi ai giovani quasi il latte della sapienza, è da cercare Soprattutto negli elementi, che sia sano, e immune da ogni impurità contagiosa. E giacché la storia della filosolìa (che qui è data in ultimo con savio divi- saraehto e bene ordinata) ci ha fatti accorti, che noi italiani per volere essere ligi agli stranieri abbiamo battuto in iscogli a pregiudizi della verità, della morale, e del progresso altresì; e giacché abbiamo ed avemmo in passato filosofi, che vanno per la mag- giore, e tali da tener fronte agli estrani: io non so perchè nell'istruire i novelli noi vogliamo farci schiavi a questi ultimi, dimenticando le proprie nostre ric- chezze- E ciò che abbiamo in casa e sicuro, perchè cercarlo altrove con danno o pericolo ? Né io vorrei peccare di nazionalità nella scienza; ma mi dorrebbe, che, come facciamo della moda, vestissimo alla fran- cese, o all'inglese, o alla tedesca con ispendio e de- trimento sì grande : e non anzi ci componemmo ne- gli abiti alla usanza italiana, servata moderazione e decenza , e senza odio di nazione. Siamo uomini , non pecore matte, per dirlo coli' Alighieri ; ma ces- siamo una volta quella brutta abitudine di apparire stranieri nella patria nostra ; stranieri, dico, quanto alla lingua, quanto alle vesti, quanto al pensare e all'agire, al modo di scimie. Ciò che è vero, ciò che Corso DI FILOSOFIA SGi è buono, ci piaccia unicameotc: le stranezze e le uto- pie, e peggio i deliri, non fanno per noi, che siamo e vogliamo essere degni nipoti de' padri nostri, che per forza di mente e di cuore dominarono già l'uni- verso; di noi che colla forza morale della religione santissima possiamo dominarlo ancora con potere che vince ogni potere; siccome quello che tiene del ce- leMe, ed è sovrumano ! ,, IV. Ecco fatto luogo alla mora/e, scienza direttrice della facoltà dell'uomo nella ricerca del bene. L'au- tore, parlando de'principii d' azione, avea detto alla fine; « Ma la psicologia morale, la quale non ha al- » cuna veduta sistematica che caratterizzi ciò che n è, e tutto ciò che è, raccoglie i differenti sistemi )• e gli descrive con i caratteri che loro sono propri, )> ravvicina tutti gli uomini virtuosi, spiegandone le » differenze dei sentimenti e dei principii che li se- » parano, e concilia tutte le dottrine morali in ui\ » centro comune, ove ciascuna di esse ritrova il suo » compimento e la sua perfezione. » Qui mi. cade in acconcio di mentovare una mia opinione esposta nelle osservazioni sul bello, che furono accolte con buoni suffragi dapprima in questo giornale: e questa opinione si è la più amica della pace e concordia tra l'umana famiglia; perchè pone nell'ordine il se- greto della bellezza, intellettuale o fìsica o morale, e nota nella natura la madre dell'ordine, della filo- sofia la maestra dell'ordine: nel che mi trovai con- sentire col Gplizzi, professore già chiaro nella univer- 302 Sci fi n z e sita di Perwgia , benché non ne conoscessi il corso* per la diflìcckà delle comunicazioni letterarie e scien- tifiche non solo dall' un capo all'altro di questa bella, quanto infelice penisola; ma eziandio tra le province di uno stato medesimo, e molto più dagli altri stati, che sono tanti in Italia per farla men forte e meno conscia di essere una nazione. Che se non mi apposi al vero, mi scuserà appo i discreti il buon animo nel ridurre la scienza al principio dell' ordine per contribuire all'ordinato vivere civile e sociale tanto desiderato. Ed al traduttore deggio esser grato, che nelle note alla teoria del bello^ data imperfettamente dall'autore,! accennò fra le altre anche la mia, quella déWordine. '.cuiic ';j i ' ; Tornando ai = proposito, dopo definita morale, la distingue in individuale^ sociale^ religiosa: e così fa Iiiog'o alla esposizione de' doveri naturali dell'uomo "viersG sé stesso, verso i suoi simili, verso Dio. E I. dei doveri rispetto all'anima, 2. di quelli l'ispetto al corpo; concludendo, che il suicidio non potrà esser permesso ad alcuno , e che il duello è contrario agl'interessi comuni della patria, contrario alla ragione, ciò riguarda la morale individuale. bì' Quanto alla socm/e, tratta 1. della benevolenza, Ov 'della giustizia, 3. dalla buona fede. éJ»' Quanto alla re/J5!«o*tt, tratta (dopo svolto il prin- cìpio della religione naturale) 1. dell'esistenza di Dio, 2. de' suoi attributi, 3. della immortalità dell'anima traendone le prove d^l la santità e sapienza dì Dio, e dai desiderio che abbiaimo di conoscere la verità. ' Ma la trattazione è cosi in succinto, che ci viiole grave ispiegazione dal nàaestro : il traduttore, come Corso di filosofia 303 ho accennato, ha cercato supplire con note ed ag- giunte copiose. Farmi, che della religione rivelala si dovesse pur toccare quanto basta a volere far pieno il concetto diìll'autore, che il compimento e la perfezione della morale è da tenersi appunto nella religione; ed a volere altresì che la morale sia l'anello che lega la filosofìa colla più sublime teologia. Da ultimo viene il compedio della storia della filosofia, che abbisognò anch' esso di note e di ag- giunte dal traduttore. In altro articolo ne sarà fatta parola. ART. II. Se anima e corpo siamo noi, se dee ammettersi io spirito e la materia , congiunte nel microcosmo dell'uomo, miracolo dell' ordine; se la scienza delle scienze la filosofia dee abbracciare tutti i fatti della natura sensibile , razionale , morale, e collegarli in quell'armonia, che balenò alla mente del fondatore della scuola italica, Pittagora : essa per procedere ordinatamente al suo scopo di farsi maestra dell'or- dine, fisico intellettuale morale, non può e noq dee senza mancare a se stessa trascurare alcun elemento: non il fisico riguardo alla materia, non il razionale ed il morale riguardo allo spirito. Ma quest'ultimo non può esser pieno senza 1' elemento religioso : e poiché la religione altra è naturale, altra rivelata; poiché la rivelata universale è senza eccezione la cattolica^ che ha trono in Italia e colla sua luce do- mina tutto Torbe europeo in vincolo d'amore per renderlo felice nel tempo e nella eternità , unendo 304 S e I E N Z É l'uomo a Dio, creatore conservatore, riparatore in ec^ cellenza di ordine; non può e non dee la gran mae- stra dell'ordine, filosofia , passarsi così leggermente della religione. E se col lume della ragione si fa de- vota alla religione naturale, con quello della rivela- zione dee elevarsi alla religione véramente divina ; massime dopo le sottili vedute del glorioso, ma sfor- tunato Mastrofini: il quale colla mente del Vico, e òon lo zelo dell'Aquinate, poniamo che troppo osasse argomentando internarsi ne' misteri inaccessibili a mente umana, diede ai filosofi esempio imitabile in quanto a completamente servirsi dell'elemento reli- gioso, non ristretto all'individuo, o ad una nazione; ma esteso a tutta l'umanità. Uopo è dunque a chi scrive l'istoria della filosofia rammentarsi, che siccome la scienza per essere compiuta, non solo dee osser- Tare, paragonare, e classificare tutti i fatti intellet- tuali limitatamente all'individuo; ma eziandio notare, comparare, e concordare tutti quelli, che ci rivela la storia dell'umanità (*): così nella storia dei sistemi non può lo scrittore passarsi della origine dell'uomo. e del suo fine ultimo; non di Dio creatore, conser- vatore, riparatore; non dell'eternità: non dei rapporti di Dio coU'uomo, e dell'uomo con Dio: e nella ca- tena dei fatti non può non toccare di queir anello supremo, che è quello della religione rivelata, vero dono celeste a rintegrare 1' uomo , che non è fatto per la morte, ma per la vita: non pel tempo, ma per la eternità ; non per le pene strazianti , ma per la beatitudine ! Senza ciò, come ogni sistema filosofico {*) [Amice, Manuali 4i filosofia sperimentale. Milano 1832, a pag. 200 e seg. ) GOUSO DI FILOSOFIA 305 sarebbe manco e dannoso all' umanità : così ogni storia della filosofia, che prescinde dalla rivelazione, sarebbe incompiuta e nocevole all' universale : cui dee riguardare allo specchio dell'ordine fisico, intel- lettuale, e morale. Altrimenti farebbe come colui , che descrivendo la storia degli astri si passasse del sole, di quel ministro maggiore della natura , che del suo lume e del suo valore empie, anzi colma, l'universo. » ••«ju,'.^: •* Una storia cosi piena della filosofia non so- bhe abbiamo noi italiani, non so che l'abbiano le altre nazioni. Egli è il vero , che il Campiglio ci diede nel 1841 la storia dei progressi delle scienze filo- sofiche in 3 volumi (Milano in \ 6). Ed il Romagnosi ed il Poli, forse dieci anni innanzi, ci aveano dato con note e supplimenti il Manuale della storia della filo- sofia del Tennemann (Milano per Antonia Fontana in 16), dove rivendicammo all'Italia l'onore di mae- stra delle nazioni. Ed assai prima il Galuppi nelle sue Lettere filosofiche ne avea dato una storia dei sistemi da Cartesio ìnsino a Kant; il Mamiani ne met- teva in aperto l'antica filosofia degl'italiani; altri al>- tro fecero, come accennavo in questo giornale (gen- naio 1845 a pag. 48 e segg,)^ toccando del com- pendio della teoria della filosofia di C. L. Kannegieszer tradotta ed ampliata (Torino 1843); il Rosmini e il Gioberti , per tacere di altri nostri che vanno per la maggiore, tengano fronte agli stranieri nella scienza delle scienze e nella disamina de' sistemi e nelPin- nalzare la filosofìa all'altezza della religione: tuttavia una istoria completa della filosofia è ancora nel de- siderio di tutti; completa, dico, e tale non può essere, 306 Scienze $e ponga in non cale le prove del magnanima Ma^ strofini in quanto concerne la religione rivelata, in cui ha il suo compimento e la sua perfezione ogni sistema psicologico, e morale propriamente detto. Essa, a\ dire del p. Zelli, è l'ainello estremo, che connette le verità metafisiche ("). Intanto siccome giova agli artefici di macchine il guardare ai primi esperimenti dell'agente poten- tissimo, qual è fra le materiali cose il vapore, per perfezionare le macchine, e farne l'applicazione più utile per mare, per terra, e per le regioni dell'aria altresì ; tanto che già già tocchiamo quasi il cielo col dito : così io stimo non inutile V accennare il compendio di storia della filosofìa, c tàccia di trascurare l'eredità dei loro maggiol'i in in; fatto di nazionale filosofia, nel mentre i che co»- '■!: • ■• , . : ' : . m;- :^; i.tpr (*) Elementi di filosofìa metafisica. /Wa^o pag. 167 éSef^ì''- Corso di filosofia 307 fi tatto un Genovesi , uno Stellini , un GaUippi, e » qualche altro. Col rendersi ciecamente devoti ai » ritrovati stranièri, obliando i propri , contentano w forse quel pieno buon senso e quella vittoriosa »; coscienza, di cui fu loro largo il cielo ? L' umi- » liaziòne, che ne ritraggono, forma la pena di que- » feta sconsigliata e funesta degenerazione. Si degnino » di riandare le tradizioni avite, e coi lumi del se^ » colo ne pongano in valore i tesori nascosti »). Cosi egli: né io seppi mai altra sentenza, non ebbi altro desiderio; ma né egli né io fummo giam- mai avversi alle speculazioni degli stranieri. Giova al certo conoscerle per la storia della filosofia, che è la storia dello scibile in atto, ma di tutto lo sci- bile ; non di una parte di esso , né dello scibile di una nazione, ma di tutta l'umana famiglia. Con que- ste premesse eccomi a riferire il sunto della intro- duzione al compendio di storia della filosofia, onde rilevansi il divisamento e i pensieri dell' autore nel porlo alla fine del corso, che in due volumi si com- prende. ' L'istoria della filosofia' è il quadro del progresso dello spirito umano; ne comprende le sue opere più nobili i, le sue meditazioni più profonde: abbraccia ricerche di ogni maniera, che più influirono su tutti i rami delle conoscenze. Ogni uomo d'intelletto sarà curioso innanzi alle tradizioni, alle scoperte, alle con- troversie più importanti .. ..egli si rappresenterà sòito- forma sensibile le operazioni dell' intelligènza, osserverà gli aiuti scambievoli prestatisi dalle scienze fra loro, la loro subordinazione alla scienza madre: COSI giudicherà le diverse dottrine non pure dai loro 308 S e I E N 2 E principii, tns dai loro effetti: e saprà riconoscere e circoscrivere il domiaio reale della filosofia^ scoprirne le lacune, e distinguere la vera filosofìa dalla falsay e rilevare altresì il viaggio che resta a farsi per mi- surare e scandagliare il mondo delle idee e quello de' sensi col lume innanzi della ragione: vedere in somma il fatto, ed arguire almeno, se non» vedere, il da farsi nel domìnio dell'intelligenza a volere per- fetta scienza, concordia, felicità in eccellenza dì ordine. Se traggono a sé l'attenzione de' savi i piccoli fenomeni della natura materiale, che sarà dei più belli della natura morale, delle operazioni della ra- gione, che è come il riflesso dell'intelligenza suprema, e sembra di mezzo tra il creatore e la creatura per rivelare l'uno all'altra, per ispiegar questa con l'idea di quello? Chi non applaudir» ai trionfi dello spirito umano sopra la materia? Chi non ammirerà il mi- racolo dell'ordine? massime a questo tempo, in cui abbiamo schierate dinanzi le opere della sapienza umana di oltre venti secoli. Passa r autore alla questione del metodo piw sicuro da tenersi a toccare lo scopo desiderato: di- stinguere il metodo sperimentale, detto a "posterio* ri^ dal metodo speculativo detto a priori: trova più vantaggiosa la riunione prudente dei due metodi, e fissa la divisione della filosofìa in tre periodi, == Filosofìa antica da Talete fìno a Socrate, tralasciando, non si sa bene il perchè, la filosofìa orientale, per la quale tenta supplire in parte il traduttore. — Fi- losofìa del medioevo, o scolastica. — • Filosofia mo- derna. E qui è ingiusto il silenzio, che si tiene dal- l'autore della filosofia italiana. Deve supplire al di- Corso di filosofia 309 fetto il traduttore con alcune parole del Gioberti sul primato degl' italiani nelle scienze filosofiche. Più altre cose in parte aggiunge, e più altre poteva ag- giungerne, ajvendo a mano anche solo la storia del Campiglio summeatovata, e le note del Poli alla storia del Tennemano pure mentovata. Se qualche spirito italiano si moverà a compas- sione di questa patria nostra, tanto bella quanto in- felice, saprà con senno ed amore redimerla dal mar- chio di servitù e dall' oblio che gli stranieri ( che lagnansi di esser detti barbari dai nipoti di Romolo) la condannano indegnamente. Ma questa redenzione non basta; uopo è mostrarne le glorie di quell' era novella, che si apre alle scienze (di cui fu madre e fia regina, se i tempi volgano propizi) questa Ita- lia; già maestra di civiltà a tutto il mondo, il quale con insigne contraddizione la vagheggia ad un tempo, e la disprezza ingiustamente ! D. Vacgolini. 310 tni'i'^iii^ir^ma Sulle antiche milizie romane ,'■'» Memoria di Francesco Capozzi lughese'.iuu\\ii\ all'ingegnoso e bennatq giovinetto ,.? ETTORE JIAMERI .' LTJGHESE Nipote mio Lugo 26 ottobre 1848. v/ggi che studio prediletto degl'italiani sembra fi- nalmente sia quello dell'armi, unico mezzo a ritor- nar grande e signora la patria; e che una parte dei nostri eserciti ha nome di legioni ; ho avvisato non sia inutile cosa per questa memoria il ricordare d'onde venne tal nome alle milizie, con che ordine si formasser esse in antico, e a quale disciplina fos- sero tenute. A te poi, carissimo nipote mio, ho vo- luto far dono di questo lavoro, perchè entrando tu ora agli sludi storici, ed avendo nel tempo stesso 314 fnplto amore alle militari cose, come addimostrano le tue giovanili attitudini; nel leggere questo scritto, t' invogli di entrare a piena cognizione altresì delle glorie degli avi , e di sapere come da dominatori delle nazioni cademmo nella schiavitù ed in ogni civile miseria. Da cui però ne rileva or quella mano Sacerdotale e sovrana che addita la croce qual ves- sillo il più degno e glorioso di lil^ertà. Abbi dunque come una cara cosa questa mia piccola offerta, se non per altro in fine, perchè parte ^dall'animo del tuo amorosissimo zip FRANCESCO C^POZ»? -.- ■'".¥'^«»< 312 iiojjsniffinf) JX. questi giorni^ in che ogni petto italiano anela al riacquisto della indipendenza e dignità nazionale, cade in acconcio tener discorso del mezzo princi- palissinio onde l'antica Roma e quindi l'Italia no- stra giunse a quella vastità d'impero ed elevatezza di gloria, che attestata viene da ogni scrittore, e la comprovano pienamente tante monumentali reliquie. Questo si fu l'ordine e la militar disciplina tenuta nelle legioni, mercè di cui soggiogò Roma la fortezza de'galli, la robustezza de'germani, l'astuzia degli spa- gnuoli , le cautele degli afiricani , la prudenza de* greci ; delle quali milizia mi stwdierò intrattenere i leggitori miei, non perchè io li creda spogli di tali erudite nozioni, che arrecano tutte le antiche isto- rie, ma unicamente perchè è dolce il risovvenirsi delle cose buone operate da'nostri maggiori. E met- terà bene il dire in prima del modo tenuto dai ro- mani nella scelta de' militi. In questa elezione , da cui presero nome gli eserciti, poneasi mente all' età ed all' aspetto , e ciò chiamavasi eleggere per congettura. Cesare volea nel soldato occhio grande e franco lo sguardo , collo nervoso, stomaco prominente, lunghe le mani, piat- to il ventre, gambe e piedi asciutti; le quali cose veramente sogliono rendere l'uomo a ciò più dispo- sto e più forte, Pirro re d'Epiro lodava in lui la Milizie romane 313 perdonale grandezza. NuHameno io mi penso, non si avesse in ciò a riguardare alle esterne e fallaci disposizioni più presto, che alla grandezza del cuo- re: essendo che la magnanimità e forza di esso vince d'assai l'apparenza delle membra. Ancora parmi ri- cercar si dovesse il buon costume, da cui nascen^ do la virtù, e da questa il pudore e la vergogna, è quella che il guarda dal fuggire e produce la vittoria: altrimenti operando, si viene ad elepgere uno strumento di scandalo e un principio di ruini na. Il solo cittadino romano poteva essere ascritlorj alla milizia, il qtiale possessore fosse di alcuna^ ffi4) colta: chi nulla avea, atto non era che alla marine-; ria; ed uno schiavo che osato avesse dare il nome' con frode , era punito di morte. Faceasi dessa nel foro alla presenza de'capitani e de'censori: e com- piuta ch'eli era, emetter doveva ogni soldato il giu- ramento: dato il quale, era egli soggetto a tutto il rigore della militar disciplina, che sospendeva i pri- vilegi stessi della cittadinanza a modo, che potevasi nelle milizie da un capo dannare a imorte quello,, che un littore in Roma non avrebbe avuta neanche facoltà di arrestare. Al tempo degli imperatori però vi fecero parte molti delle altre province conqui- state; il che tornò a danno dell'impero. L' età pre-^; scritta a potere appartenervi era dagli .anni dicias-; sette fino agli anni quarantasei; e non veniva il mi-? lite licenziato che dopo sedici anni di servizio nella fanteria, o dieci nella cavalleria: e negli straordinari casi i fanti ritenuti erano fino a venti aiini. E questo voglio sappia il lettore che fu parimenti sotto la monar- chia. Si ha nelle istorie, che il magno Pompeo esercita-» G.A.T.CXVI. 21 314 Letteratura, Ta i soldati correndo coi più lejjgeri, saltando coi più destri, corabaltendo coi più forti, e pigliando piacere nel giltar di pietra o di dardo, e così nel fare alle braccia. Lo stesso modo adoperava Scipione Affrica" no: dal <^e si apprende, quanta parte delle cure di que' condottieri si fosse l'invigorirli per via d'eser- cizi, e il fuggirli dall' ozio : per cui ne venne. «6 exerceirido il titolo di esercito. 0T> Ora dirò quali fossero i maggiori e minori uf- ficiali del campo romano, e verrò esponendo l'ordi- ne che teneano le diverse milizie nelle legioni. Capi degli eserciti erano i re, poi i consoli^ dignità mas- sima nella repubblica, istiluita dietro la cacciata dei Tarquini, ed allogata prima in gente patrizia, e pro- miscua poi alla plebea. Il loro potere durava un solo anno, e lo esercitavano a vicenda un mese per vmo. Quello che aveva l' imperio andava preceduto da dodici littori , ciascuno armato di un fascio di verghe legate intorno ad una scure, coperto il capo da una pelle di leone, il petto di una corazza, e i piedi da calzari; l'altro teneva innanzi un accenso ^ e dietro i littori con fasci senza scuri. Erano essi che convocavano il senato, ragunavano il popolo per proporre le leggi, trattavano i negozi coi legati estCf ri, eleggevano i senatori; erano a dir breve i capi della repubblica; ed ebbero sul principio tutto il po- tere dei re, il quale poscia venne diminuito. Dai giu- dizi dell'uno potevasi all' altro appellare, tosto che egli avesse asK>unto l'imperio. Vestivano la porpora, sedevano sulla sedia curule d'avorio, e portavano i segni tutti della reale dignità, eccetto lo scettro e la corona. Nei grandi bisogni della repubblica altra Milizie romàne 515 dignità venne istituita pari alla consolare, la quale faceva anzi quella cessare , e 4urava sei mesi : era questa la digintà del dittatore , cioè magistrato al cui detto tutti dovrejabero seuz^ g^ppello obbedire. Eleggeva egli qhj essere dpvev^ secondo alla sua autorità, e questi si chiajnc^v^ nme&Lro de' camlieriy perchè ai cavalieri , con sommissione a} dittatore , aveva a presiedere. Il dittatore veniva scelto fra i pa- dri coscritti, ed appartener doveva all'ordine patri- zio o consolare. Ogni console aveva il suo luogote- nente generale nel campo: cioè il pretore^ che era ordinariamente a lui secondo nella autorità, ed un legato^ cioè commissario di guerra. N'ebbe pero alle volte anche due. Venivano poi i tribuni militari , che eranp i capitani dell'esercito, e si creavano di qualunque ordine , prima dai re , poi dai consoli ; purché avessero per anni dieci, o almeno per anni cinque, frequentata la guerra : in seguito vennero anche scelti dai soldati e dal popolo, e fu allora che ad essi per qualche tempo ebbesi attribuita altresì la podestà consolare. Il perchè sotto la monarchia, quando il principe voleva di suo beneplacito creare un tribuno , gli poneva la spada in mano: signifi- car volendo con ciò il potere ch'egli aveva per ra- gion militare sopra i soldati. Vi avea pure il questo- re^ o sia custode dell'erario e delle vettovaglie, grado autorevole che s^empre era dato a specchiati e riputa- tissimi uomini. Due legioni fornìavano l'esercito di un console: e la repubblica non ne avea che quattro, le quali dall'ordine con qui venivano elette chiamavansi prì-^ ma^seconday terza-, quarta'r, e questo fu sino alla bat- 316 Letteratura'^ taglia di Canne: dopo n'ebbero i consoli quattro per ciascuno ed anche più. Al tempo degli imperatori furono molte, e appellaronsi o dai luoghi ove stan- ziavano, o dal nome del principe o delle province conquistate, o da qualche deità protettrice, o da qual- che gran fatto; e rinnovavano il giuramento al prin- cipio d' ogni anno. Fino al 348 di Roma non eb- bero queste pubblico stipendio: furono i patrizi che loro decretarono paghe per farsi piti amica la plebe: ed è a notarsi che il milite a cavallo giunse in pro- gresso al triplice soldo di un fante. Ogni legione aveva sei tribuni che la comandavano per un mese ciascuno, e collo stesso ordine tenuto nella loro elezione : porta- Tano essi il paludamento-, sedevano in una sedia appo- sita, e facevano alla lor volta giustizia sui delinquenti soldati, ai quali indicevano la punizione col tatto di una verga, e vigilavano su tutte le cose del campo. La legione era composta di quattromila uomini, e fu detta così dalla elezione che Romolo fece dei pri- mi tremila fanti, e dei trecento cavalieri: venne poi dallo stesso cresciuta a quel numero quando i sabi- ni i fecero popolo coi romani, e fu perciò anche det- ta legione quadrata: in seguito fu aumentata a cin- quemila, e questo fu dalla seconda guerra punica sino a Mario , che la fece ascendere a seimila. Su tale proposito però discordano insieme Tito Livio, Plutarco, e Dionigi d'Alicarnasso. Divisa era la le- gione in dieci coorti^ la coorte in tre manipoli, il manipolo in due centurie^ la centuria in contuberni dì dieci uomini l'uno , quando un tale esercito fu di seiTnila soldati; quando però fu di quattromila o di cinquemila, il numero di questi nei contuberni e Milizie romane 317 quindi nelle centurie fu a proporzione minore. Ad ogni dieci centurie presiedeva un tribuno, ad ogni centuria un centurione^ il primo dei quali in ordine alla elezione presiedeva al manipolo, e cosi i decu- rioni ai contuberni. Il vestire di questi ufHciali era simile a quello del generale; se non che un anello d'oro distingueva il tribuno, ed una verga di vite il centurione: ed ognuno di loro aveva il suo luo- gotenente. E da avvertire che quando per la legge attilia nell'anno 443 fu dato al popolo il diritto di eleggere due terzi dei tribuni, questi si appellaro- no perciò eomiziati , e rutuli V altro terzo rimasto alla scelta de'consoli : dritto che negli straordinari casi ritornava però intero a questi o al dittatore. Ne' primi secoli di Roma i latini scrittori pon- gono tre ordini di fanti. Questi tre ordini erano gli astati^ i principi e i triari. Gli astati furono il primo corpo di fanteria leggera che ebbero i romani , e vennero istituiti dallo stesso Romolo: erano essi ar- mati di un'asta delta velitaria^ da cui presero il nome, e tennero al tempo de'suoi successori l'officio, a cui furono destinati in appresso i rorari^ gli aecensi e per ultimo i veliti. L'epoca , nella quale cessarono di appartere alle truppe leggere, fu sul principio della repubblica. Novità di governo civile die nuove forme altresì alle militari cose, e s'ebbero le legioni a corpi espediti i rorari e gli aecensi. I rorari , detti cosi perchè lanciavano dardi leggeri, che so- migliavano alle rugiade cadanti prima delle dense piogge, e questi si ritiravano poscia dietro ai corpi pesanti : gli aecensi , cioè sopranumerari ascritti al censo delle legioni , perchè si ascrivevano inermi , 3 1 8 Letteratura ónde succèdere agli armati che venivano spenti, eé eiriano l'iestreilQa fila de' soldati. Le compagnie di que- sti ultimi erano composte di sessanta uomini, e non portavano sorte alcuna di scudi, sibbene, secondo Var* rone due aste , e cinque secondo Lucilio , le quali adoperavano essi, e nell'uopo trasmettevano ai legio-' nari. Lo stesso Varrone accenna un'altra specie d'ac- censi^ i quali erano dati al servigio dell'esercito, ed erano appellati anche ferentari o exculcatori. Que^ sta seconda forma di duplice fanteria leggera ag- giunta alle legioni durò circa trecento anni, e fino al 542. Nell'aissedio cl>e i bomani fecero in quell'anno della città di Capua, visto che la cavalleria nemica era alla propria superiore assai, da cui venivano for- temente molestali, il eentul'ione Q. Nevio scelse da- gli eserciti i solcati di lutatura mediocre piò corag- giosi e destri, e li pose in groppa ai cavalieri, ar- mati di un piccolo scudo , d' una spada e di sette giavellotti con punta acuta, insegnando loro di rat- tamente discendere , giunti a petto del nemico. Il che tornò di gran giovamento a'romani, che ne alle- stirono Un corpo nelle legióni Col titolo di veliti &> precursori: ed in allora si vidfero esse composte di quattro ordini di fanti, aggiunto questo ai tre primi, de' quali parleremo in breve. Ebberopoi i vetili va- rie attribuzioni: traevano parte con archi, e questi erano deài arceri ; parte con fronibè , e venivano chiamati /imdiYbn; parte con dardi, ed erano i ia- etf^fit^o?^?: combattevano fuori delle ordinanze^ facevano bòri^èrié innanzi alle linee, spiavano il 'nemico, pro- vocavano la battaglia, e duravano pòi 'ik'él cittiento a' fianchi dell'esercito. Queste truppe leggere si mi- Milizie romane 31 9 schiavano allresi fra la cayalleria, di cai accompa- gnavano i movimenti fcon somma destrezza: non ave- vano capi particolari, ma erano ripartiti in egual nu- mero fra i tre successivi ordini, Polibio li descrive armati il capo dell'elmo, il sinistro braccio di uno scudo di tre piedi di diametro detto parma^ il lato destro d'una corta daga, coperti il petto di un cor- saletto, e con calzari ai piedi. E da notarsi che que- sto scrittore dà loro per arma anche il pilo: il che non ci è avvenuto di riscontrare in verun altro, e che ripugna a credersi, ove si pensi che quest'arma era la più pesante delle legioni, e di cui altrocorpo era fornito, come vedremo. Dietro l' istituzione dei veliti^ tennero il second'ordine gli astati, tutto .fiore di gioventù, che formavano la fronte dell'esercito , ed usavano a combattere l'asta e la sipada. La mag- gior parte di essi portava il saio con una piastra di rame larga un palmo innanzi il petto, chiamata guar- dacuore. Quelli poi che ne' loro beni passavano il valore di millecinquecento lire, come avvisa Gugliel- tno Choul lionese, insieme alle altre armi, cioè el- metto, scudo, ocrea, calzare, tenevano giacchi ferrei. 1 principi^ uomini nel vigore dell'età, forniti di cli- peo e di spada, starano dopo questi, disposti a modo, che se gli astati nmk .potessero reggere, si ritiravano dietro a loro, ed essi entravano nella battaglia. Fu- rono chiamati pWwc/p?, perchè allorquando ig\i ustati erano truppe leggere, questi si presentavano ppiini a sostenere l'impeto avversario. Erano guerniti d'armar tura più grave, con in testa un elmo, o celata, che calava dinanzi sin sopra gli occhi , e dietro sopra le spalle: stavano chiusi in una corazza con brac^t 320 ^A Letteratura ciaii» 'che sino ai ginocchi colle sue falde giungeva»: le garabe avevano coperte di stivaletti. Oltre allo scudo, sopra il sinistro fianco cingevano una spada, e sopra il destro un largo pugnale tagliente da ambe le parti, colla punta aguzza, che denominato era spa- giìàolo. Venivano ultimi i triari^ chiamati a questo modo, io mi penso, dai primi tre ordini di cui fu com- posta la legione, e de' quali formavano essi il terza: furono chiamati nel tempo istesso anche pilani., dal pilo che oltre alia spada tenevano. Quest' arma era simile a un dardo , della lunghezza di tre piedi e mezzo per ordinario , ma fu anche di quattro e di sei, e della grossezza d'uno, di forma quadrata, con ferro di un palmo alla estremità della stessa forma ed anche tEÌangoiare,. e come vogliono Polibio, Ve- gezio,. e Dionigi, di maggior lunghezza a' loro tempi,, sottile e aguzzo in naodo, che lanciandolo non potea fare che nel colpire non si piegasse, e che rilanciato dal nemico non divenisse inutile. D'esso non si ser- vivano che per mandare un colpo, e tosto mettean mano alle spade. Riguardati erano r triari siccome il. nerbo della legione, e dietro loro ritiravansi pure i principi^ ove la nemica forza sostener non potes- sero : godevano i loro ulTiciali non lievi privilegi , fra' quaH era quello che il primo loro centurione , detto picimipìlo^ assisteva ai consigli di guerra, ove sedeva n^l primo luogo dopo i tribuni , col diritto di divenir membro^ dell'ordine equestre. Cade qui in acconcio r avvertire, che dall' ultimo centurione degli astati fino al prima centurione triario v'erano tanti gradi a salire quante le centurie, pe' quali ogni ufficiale doveva passare; quante volte non avesse a Milizie romane 321 CIÒ derogato l'altrui favore, come dar ra Vegezio, Sul- l'elmo di ogni centurione era posto un segno par-^ ticolare, il quale serviva a raccorre i n un istante tutti i soldati della centuria: e ciò vuoisi dire egualmente pei soldati dei diversi ordini legionari, il cui titolo e numero progressivo sugli scudi vedevasi decifrato. Le armature dei triari erano pressoché eguali a quelle dei princip'iy eccetto che gli scudi, alti quat- tro piedi, e larghi due o mezzo. Tito Livio narra che i triari nella battaglia dei latini pugnarono prima colle aste: ed affermano altri che gli astati in varie circostanze si valsero dei pili; ma che però manten- nero sempre le prime loro denominazioni. Né questo per noi é si difficile a credersi, come lo è in riguardo ai veliti soldati espediti. Questi tre ordini gravi poi erano ripartiti in dieci compagnie ciascuno, ed ogni compagnia in due centurie. j'.;^ Il pretore, che era il generale del campo, cir- condavano scelti militi d'infanteria armati di scudo rotondo od ovale, e della lancia: ed al tempo del- l'impero, alcuni altri che avevano lunghi scudi ed alabarde, e questi erano i pretoriani^ che tanto creb- bero in potere nella decadenza dell' antica romana virtù: la loro istituzione fu all' epoca di Ottaviano Augusto, il quale pensò per tal modo di vieppiù as- sicurarsi la corona sul capo. Li privilegiò di doppio stipendio, e di altri onori che li poueano. sopra le legionarie milizie. A poco a poco ei ne assoldò molte migliaia, che poi divise in altrettante coorti, tenen- done tre in Roma, e distribuendo le rimanenti nelle circonvicine città. Crebbe a tanto l'audacia loro, da rendersi i despoti della corona imperiale, la quale 322 Letteratura patteggiarono obbrobriosamente per Roma con chi era loro più largo di doni. Que' soldati per ultima che appartenevano al corpo di riserva, di cui ogni legione «ra fornita, durante la pugna stavano seduti in terra, d'donde il nome di subsidia. l suddescritti ordini di fanteria erano poi gui- dali dalle loro insegne, le quali presentavansi diverse secondo le coorti e compagnie a cui appartenevano; a portar le quali venivano scelti due dei più corag- giosi e nerboruti uomini col titolo di alfieri^ o capitani di bandiera. Le prime insegne che usò Romolo fu- rono sermenti od ei'be legale a forma di una corona, infitte sulla punta di un'asta: in seguito v'ebber le aquile, che furono poi sempre la prima insegna dei romani , come stata la era de' persi. Attesta Plinio ch'esse furono per ordinario d'argento più che d'oro; essendoché l'argento più da lungi si vede: e quelli che le tenevano, detti aquiliferi^ eratio riputati i più nobili degli alfieri. V'ebbero gV immaginiferi^ i dra- (jonari^ i laboriferi ed altri. In luogo dell'elmo por- tavano sul capo pelli con facce di leone a spavento de' nemici, ed avevano corazze, daghe , schinieri e paludamento acconcio. Grande fu la venerazione dei romani alle insegne, le quali erano riguardate sacre: giuravano per esse, mettevano loro appresso, come in sicuro luogo, i danari, il bottino ed i prigionieri: in tempo di pace venivan depositate nel pubblico erario. Era funesto augurio, se a stento si fosse svelta un'insegna, e quel giorno non si dava la battaglia: perciò è uopo sapere, che l'asta, da cui era ella so- stenuta, aveva nel basso una forma acuta, che serviva a conficcarla nel suolo. Infame ed empia cosa sii- Milizie romane 323 ttiavasi abbandonare le aquile nel tempo del pericolo: erano le deità della guerra^ conme dice Tacito, e inr mezzo al campo venivano adorate al pari degli altri dei: il perchè perdere un'insegna era delitto di morte. Vestimento eguale a quello degli alfieri avevano i sonatori, se non che mancavano del paludamento: essi precedevano i soldati nel cammino. Quelli, che sonavano le trombette, erano chiamati tubici; quelli dalle trombe torte liticiìd ; ed altri che sonavano corni appellavansi cornicini. Ad ogni strumento era però destinato il suo proprio uso. Le trombe davand il segno dell' attacco e della ritirata; la buccina ser- viva per cambiare le scolte, sonava all'atto di ese- guirsi una giustizia di morte negli accampamenti, e ricordava ai soldati in qualunque ora del giorno i loro doveri; il corno annunziava qualsifosse comando ai posti lontani. Il lituo poi era dato alla cavalleria. Tutti questi strumenti erano di rame, d'onde venne il nome di aeneatores a quelli che li sonavano. Ecco ciò che brevemente può dirsi della fanteria roma- na, la quale fu sempre la parte principale della le- gione pel numero de' soldati, e per l'importanza del loro servizio; quantunque la cavalleria fosse il corpo più ragguardevole in essa per la qualità di coloro che la formavano. La cavalleria chiamavasi a/fl, stando sempre ai fianchi di quella nelle battaglie. La sua insegna era una banderuola quadrata di color azzurro messa tra- sversalmente alla sommità di vm'asta, detta vexillnm da velum. Esistono però monumenti antichi dove si Tede che la cavalleria ebbe pure le aquile. Divide- vasi in torme e le torme in decurie. La dee uri a, «o me 324 Letteratura si è detto, era di dieci uomini e di un decurione: la torma di tré decurie. Il primo eletto de' decu- rioni comandava la torma, ed era detto prefetto della cavalleria. Fu poscia la torma di trentadue cavalieri e un decurione solo. Sul principio la cavalleria com- batteva in saio senza corazza , e per questo ( ben- ché più destra a cavallo) era più esposta a' pericoli ne' fatti d'arme, essendo quasi ignuda, ed avendo i soli pili o dardi, inutili pel movimento del destriero. Gli scudi sì de' fanti e sì de' cavalieri erano di cuoio, i quali alla pioggia gonfiavano, e rendevansi quindi inefficaci; il che dappoi conosciuto, fece de- porne l'uso, e pigliare la forma delle armi greche. La cavalleria veniva divisa in leggera e grave. Appartenevano alla prima gli arcieri, i quali por- tavano piccol elmo, corsaletti, gambali, dietro le spalle un turcasso con f rocce, un arco nella sinistra mano , una freccia nella destra, la spada pendente al lato manco, e al destro un pugnale: i iaculatori., o git- tatori di dardi, coperti il capo dell' elmo, il corpo di una corazzina simile a quella de' fanti, calzaretti, un grande scudo e tre dardi d' assai lunga punta nella sinistra , ed uno nella destra. Appartenevano alla seconda i lanciferi armati di lancia e scudo, con elmo portante alto cimiero, maglia sino ai gi- nocchi con bracciali, guanti di ferro e gambali. I loro cavalli erano sovente difesi in parte da lamine di ferro, o da maglie messe per ordine all'uso dei soldati. Tale costume era venuto dai persiani, come narra Q. Curzio. Oltre alla fanteria e cavalleria romana erano negli eserciti consolari i soci : dir vuoisi i soldati Milizie romàne 325 ausiliari o confederati, e questi formavano corpo da se , né venivano compresi nelle legioni. Il numero de' loro fanti era qual de' romani; il numero poi dei cavalieri più del doppio. Avevano dodici capitani eguali nell'autorità ai tribuni, denominati prefetti, ed un questore. E tutti questi fiancheggiavano l'esercito coU'ordine istesso. Chiamati erano poi voterani quei soldati che duravano nel servigio dopo le venti cam- pagne : ed evocati gli stessi veterani chiamati di nuovo sotto le armi. In questa guisa erano composte le milizie che sparsero per tanti secoli il terrore in tutto il mondo, fi che riportarono si segnalate vittorie; finche il lusso e gli smodati piaceli non giunsero a spegnere ogni desiderio d'onore e di gloria, ad infiacchire le mem- bra, ed a far piombare sulla bella Italia tante e « Junghe calamità. ■ì : 'IP dU .Sulla corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio deduzioni di Marco Giovanni Ponta. !rófì> SOMMARIO palla corrispondenza poetica latina di Dante con Maestro Giovanni del Virgilio si raccoglie che la Divina Comme- dia nel 1319 era tutta pubblicata , salvo che gli ultimi 13 canti del Paradiso. iTiolti (lei più recenti encomiatori della divina Commedia, fatto codazzo a monsignor canonico Ia- copo dei marchesi Dionisi di Verona , danno per certo che Dante Allighieri non abbia pubblicato al- cuna parte di essa innanzi il 1319 : ed Ugo Fo~ scolo non dubitò con lungo ragionamento asserire che questa, vivendo l'autore, non abbia ne in tutto né in parte veduto mai la pubblica luce (1). Egli è il vero che il Dionisi tenne due opinioni di epoca tra se molto diverse: concorre nell'una coli' epistola di frate Ilario del Corvo, e dice l'Inferno divulgato nel 1309 (2) : ma avendo nell'altra pesto per base che il veltro significa lo Scaligero Cane Grande, il quale non ebbe grido di grande se non dopo il 1318, conchiude , afferma , ed a tutt' uomo sostiene che questa prima cantica non potè uscire dalle mani del (1) F.a Commedia di Dante Allighieri illustrata da Ugo Foscolo. Lugano 1829 vedi i §§. XXV, CLIV, CLVII. (2) Aneddoti num. IV cap. XVI tutto e specialmente la nota (5). CORRISPOND. POETICA DI DaNTE 327 poeta al pubblico prima del 1319 (1). Se non che non volendo contraddire a se stesso, si affaccenda quanto sa e può per conciliare a suo senno le cose, supponendo (ottimo ripiego) supponendo che l'Io- ferno siasi pubblicato due volte: la prima senza la profezia del veltro; che poi sarebbesi aggiunta nella seconda pubblicazione per gratificare all'amor pro- prio del signor da Verona (2). Tanto anche nei let- terati monsignori può l'amor della propria opinione! Io qui non prenderò a sostenere che l'Inferno siasi divulgato nel 1309: nel che, oltre monsignore, avrei l'appoggio del primo storico italiano che è il chia- rissimo sig. conte Cado Troya: nemmeno dirò che ciò avvenisse innanzi il 1314: nel che fare mi avrei molte e ben forti ragioni: ma dico bene e sostengo, che non pur la prima e la seconda parte della Com- media era divulgatissima molto prima del 1319 , quando ebbe principio la poetica corrispondenza tra Dante e maestro Giovanni del Virgilio; ma che molti canti dovean pur anche esser noti della cantica ter- za. Laonde non solo andò, per mio giudizio, eriato monsignor Dionisi, ma fu travolto in assoluto er- rore il Foscolo quando, per asserire che Dante cor- rèsse le mille fiate i suoi versi, affermò con lunghe declamazioni che per paura delle gravi persecuzioni civili ed ecclesiastiche 1' autore non pubblicò mai verso del tripartito poema. Della qual mia sentenza, perchè altri non sospetti aver io ciò detto illuso dalla propria opinione, e indotto da puro talento di (1) Ivi medesimo, cap. XVIF. {2i Ivi medesimo, cap. XVI e XVII. 3^8 LeiteraturI contraddire a due classici scrittori, intendo qui ad- , durre le prove principali, non d'altronde che dalle ' stesse poesie latine di Dante e di maestro del Vir-'' gilio raccolte e dedotte. , i ''- Il Carmen di maestro Giovanni da Bologna (pei*' la sua valentia nel poetare latino detto del Virgi-t lio) il quale comincia: « Pieridum vox alma, novis qui cantibus : » come io è al 4318, così pare che non debba e.isere posteriore al 1319. Imperocché toccasi in detta poesia la vittoria della flotta e del-^ l'armata di re Roberto di Napoli nelle acque e neU* suolo di Genova contro le schiere di Matteo Vi- '' sconti, avvenuta felicemente nel 5 febbraio di que-' st'anuo medesimo (1). Però assennatamente assegnano il Dionisi e tutti i crìtici a questo dettato l' epoca della prima metà dello stesso 1319. Ciò premesso ed avuto qual base incontrastata dei seguenti ra'* ziocini, io prendo ad argomentare così. ij|( Era noto a Giovanni del Virgilio nel 1319 che fine precipuo del poema , intorno a cui da lunghi anni lavorava Dante Allighieri , era la conversione morale della civile società: laonde ha potuto al car- men^ che a lui diresse, dar questo franco esplicito e nobile cominciamento. <» Pieridum vox alma, novis qui canlibus orbem Mulces lethifluum, vitali tollere ramo Dum cupis, evolvens triplicis confinia sortis Indila prò meritis animar um, sontibus Orcum, etc. » (1) Diouisi aneti. IV; cap. XU. CORRISPOND. POETICA DI DaNTÉ 329 Balla cognizione di questo rettamente si argomenta che maestro Giovanni avesse già ponderata una gran parte della divina Commedia: che di vero il pieno intendinnento di una poesia allegorica difficilmente, per non dire impossibilmente, si discopre dalla sem- plice lettura di pochi versi, o di alquanti terzetti. Anzi ove ne piaccia seguire attenti le sue parole , ci avvedremo senza fallo , che egli così scrivendo aveva letto non pvire tutto l'Inferno, non pure tutto il Purgatorio, ma ed altresì molti canti del Para- diso, Imperocché supponiamo un istante che il poeta bolognese, allorché s'accinse a dettare questi versi a Dante, non avesse ancor letto parola della sua Com- media, ma che per altrui relazione soltanto gli fosse noto che l'Allighieri descriveva in un poema volgare un viaggio a secolo immortale ; siccome già fatto avea Virgilio in persona di Enea ed in quella d'Or- feo, e come prima di lui avea praticato Omero in persona di Ulisse , ed altri poeti greci e latini in quella di Ercole di Piritooj di Teseo, di Castore e Polluce non che di altri. Supposto questo, comecché molto improbabile sia che un uomo saggio, qual era veramente maestro Giovanni, volesse scrivere , sic- come di cosa a lui ben cognita, di un poema ch3 egli mai non vide : sorgerebbe naturalmente l' illa- zione che, udita simile notizia, ei dovesse colla mente figurarsi che il protagonista del nuovo poema avrà visitato un inferno, avrà veduto un eliso non diverso molto da quello che descrisse Virgilio , e gli altri poeti vetusti, che a questo han preparato l'idea. Io ritengo questo per così naturale e certo, che oso af- fermare presso che incredibile che un poeta a quella G.A.T.CXVI. 22 330 Letteratura stagione potesse ( senza conoscere il trattato della Commedia ) farsi altra idea del mondo di là da quella di tutti i poeti della classica antichità. La cosa per altro addivenne all'opposto nel poeta bolognese. Gio-r vanni trascura Virgilio, non fa conto d'alcuno degli antichi vati greci e latini : ma, secondo la fede cri" stiana, riparte il dettato di Dante in tre parti: né si tiene, che per circonlocuzione fa saputo queste essere Inferno, Purgatorio e Paradiso : né ciò solo; ma seb- bene Virgilio abbia allogato a contatto e quasi nel medesimo piano dell'Inferno i suoi campi elisi, pure il nostro maestro Giovanni dà a ciascun dei tre re- gni posizione al tutto propria e distinta, sia di luogo, sia di elevazione; né omette che lor non assegni pre- cisamente quegli stessi confìni che il fiorentino poeta ebbe a quelli nella Commedia prefìsso. In vero ec- coti in quai parole il bolognese amico determina il postip,4@i daanatt, dei purganti e degli spiriti beati, » . , . . evolvens triplicis confinia sortis Il » Indila prò meritis aniraarura, sontibus Orcum, xìi » Astripetis Lethen, epiphoebia regna beatis. » Ora si noti di grazia : é assegnato per luogo ai dan- nati l'Orco, il quale per Dante, né più né meno che pdr Virgilio, è nel centro della terra: ai purganlisi (o astripetis^ come qui son detti ad imitazione di Dan- te, che definì il Purgatorio pel secondo regno « Ove l'umano spirito si purga, E di salire al ciel diventa degno » ) si adegua per confine Lete : il quale è per buona ventura il primo dei fiumi, in «he sa la-, vano le anime purgate all'atto di avviarsi alla gloria tL .I7/.3.T./,.0 CORRISPOND. POETICA DI DaNTB 331 celeste. Ma e come mai seppe il Del Virgilio che Lete , posto da tutti i poeti e non poeti gentili e cristiani nel profondo baratro, pel cantor di Beatrice non uno dei fiumi infer nali, ma era uno di quei santi rivi ove s'inebbriano coloro : « Che son Puri e di- sposti a salire alle stelle? » Per me dica altri che sa e vuole : ma io ritengo per indubitato che chi questo disse, ei lesse e rilesse tutta quanta è la pri- ma e la seconda parte del sacrato poema. Colai mia credenza riceve la massima delle conferme (se pur non erro) dai seguenti versi di maestro Giovanni. Egli, mal prevenuto della volgar poesia tenta, ogni via e ragione di rivocar da quella l'amico fiorentino, sino a consigliarlo e scongiurarlo per ciò che i poeti più alletta, la gloria, a desistere pur una volta dialla continuazione della sua Commedia volgare, co- me quella che primieramente violentava le muse ad assumere una veste indegna, e secondamente veniva senza riserva alcuna sprezzata da tutta la schiera dei saggi: j^. od » Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo, •«« 1 )» Et nos pallentes nihil ex te vate legemus ? "P bf-.-^.n.:. . . , clerus vulgaria temnit. » i ' > . -fii iido^r '■ MIT, óurr nof .o-'hr Ed a éolennemente rinforzare la sua sentenza, ed ot- tenere il pronto effetto del suo consiglio, non teme gio- varsi del gravissimo argomento della veneranda e classica autorità degli antichi verseggiatori : v: ■■: . 'di. w Praeterea nulius, quos inter es agmine sextusv 'i^ » Nec quem consequeris coelo, sermone forensi 'H 332 Letteratura n Descripsit: quare, censor liberi ime vatum, ti)) Fabor, si fendi paulum concedis habenas. v»; Nec margaritas profliga prodigus apris, '»^ Nec preme castalias indigna veste sorores. » Qui sono due formali Dilazioni della Commedia; la prima, Quos Inter es agmine sextus^ accenna e traduce quel trinaro del quarto dell'Inferno, ove accolto Dante nella compagnia di Omero, di Orazio, di Virgilio, di Ovidio e di Lucano, di se stesso dice: « E più d'onore ancora assai mi fenno, Ch' essi mi fecer della loro schiera^ Si che fui sesto tra cotanto senno » (Inf. e. IV, V. 100). E la seconda , iVec quem consequeris coelo^ si riferisce manifestamente alla compagnia di che l'onora Stazio in persona dal ventunesimo canto a tutto il fine del Purgatorio. Si vuol di più? supposto, che il Del Virgilio non abbia veduto mai la Commedia , come sa egli che Dante stesso ne è il protagonista? In fatti egli ciò mostrò di saper molto bene quando scrisse, che esso era sesto coi poeti antichi nel Lim- bo, e che ebbe a compagno Stazio nella salita del sacro monte. Dunque^, olii sostener non voglia cho questi due amici (Dante, dico, e maestro Giovanni) avessero, per un miracolo non più udito, le stesse idee, non può ammettersi l'ipotesi testé proposta, che il poeta bolognese dettasse il Carmen prima d'aver letto e ponderato tutto, quanto si estende, ^'Inferao. ed il Purgatorio^^ih oin'unojnn «wf;;-., v;;n» I-I* ìvin'ì Ma chi mai, dopo intese le seguenti ragioni, non affermerà meco, lui aver già letto altresì un buon tratto dello stesso Paradiso ? Continuandosi quel da Bologna ad indicare ili proprio confine posto dal CORRISPOND. POETICA DI DATATE 333 fiorentino poeta a ciascun dei tre regni, dice : « In- dila .... epiphoebia regna beatis. » (luesCepiphoehia regna determina senza manco nessuno il proprio luogo, ove comincia, e donde s'innalza tutto l'im- menso spazio del Paradiso di Dante. Per verità in que- sta terza canzone, elevatosi il viatore dalla divina fo- resta ver le celesti sfere, traversa l'aria, traversa il fuoco e nulla persona incontra sul portentoso cam- mino : finalmente addentratosi nella sfera lunare (la più a noi vicina tra i sette pianeti) ecco che co- mincia ad afFacciarsegli alcuna schiera di beati: pro- segue il suo volo verso il cielo di Mercurio, di Ve- nere, del Sole e di tutti gli altri pianeti e stelle su- periori sino all' empireo, sempre beandosi in nuove feste ed in nuovi tripudi distinti delle tante classi dei lieti comprensori. Ond' è che veramente il re- gno dei beati, principiato dalla luna, comprendendo tutto quel tratto che di qui si eleva sino all'empi- reo, esso pure compreso, poteasi con esatta proprietà di concetto affermare che ai beati fu assegnato il regno sopra lunare^ che tanto vale V epiphoebia regna beatis. Ma siccome innanzi a Dante ninno (salvo Pla- tone) immaginò il regno celeste ripartito in tal mo- do ; così non saprebbesi ammettere che Giovanni del Virgilio assegnasse con pari franchezza e verità que- sti confini stessi al Paradiso dell'alta fantasia di Dante senza averne prima esaminata, non che veduta, la sua formale descrizione. Adunque, io ripeto una volta ancora, chi disse al Paradiso della Commedia epi- phoebia regna , questi già ne avea tenuto lunga- mente sott' occhio una buona porzione. Laonde, ri- capitolando il sin ora provato, si raccoglie, che mae- 334 Letteratura. »tro Giovanni al tempo che dettava il suo Carmew a Dante avea di già letto e tutto l'Inferno , e tutto il Purgatorio, e non pochi dei canti che fan glo- rioso principio al Paradiso. Veramente non mancherà tra' miei lettori chi possa farmi questa od altra simile istanza. Tutti sap- piamo essere volgar credenza dc'cristiani, che le ani* me sante si raccolgano nel cielo, e precisamente nel decimo, il più elevato, che deoomìinano empireo.^ Co>- nosciuta la sì fatta opinione , chiunque senza aver letto verso del Paradiso di Dante potea di lieve sup- porre, che questi, grave poeta e buon cristiano, abbia assegnata ai beati i regni sopra lunari: che in ve- rità come tutte le altre sfere celesti, l'empireo è su- periore a quello dello luna. Non è certo adunque y come qui si sostiene, che dRÌVepiphoebia regna beati& si argomenti con tanta; certezza, quanta altri erede, che maestro Giovanni avesse già veduto uè molta riè poco del Paradiso dantesco. Riconosco là forza dell'oppostomii argomento, e concedo che, nella volgare opinione palliando, il Pa^ radiso Credesi collocato al di sopra della luna: agr^^ giungo anche volontieri, che col volgo potea uno scrittore affermare, che il Paradiso è un regno sopra lunare. Ma appunto perchè questa è la opinione vol- gare, né fii seguita mài da alcutìo dei classici poèti né latini,, he greci, dico e sostengo che questo non potea, che questo non dovea supporsi del Paradiso di Dante: Imperocché mi si fa, se non inòorapren- sìbile, molto improbabile almeno, che un poeta scri- vendo ad altro celeberrimo poeta intorno alla mec- canica economia da esso adottata in un suo poema CORRISPOND. POETICii DI llANtE 335 volesse affermare, lui aver colla poetica fantasia se- guita ed incarnata la conìi unissi ma opiniohe che i volgari credono sul regno degli eletti. Chi sa quanto sia dilicata e quanto amante della novità e della propria gloria un'anima poetica non ammetterà si fa- cilmente codesta supposizione. Vero è non pertanto di meno, che puossi affermare da chi già l'ebbe ve- duta, che Dante ha dato per fondamento all'altissima sua fantasia del Paradiso quasi la nuda e pretta opi- nione del volgo: ma che Giovanni del Virgilio, senza averla veduta in verso, ardisse scrivere all'autore tal cosa, non sommelo proprio persuadere. Ma pur così è: l'amico Giovanni scrisse in tal modo all'Allighieri, né temette di offenderlo: dunque ben ei sapeva, e di certa scienza conosceva se, e come, e quanto fosse questo conforme al vero. La nostra conclusione (che quando altri scriveva al poeta fiorentino aver lui assegnato epìphoebia re- gna heatis^ questi avea di già veduto un lungo tratto dell'ultima parte della Commedia) comecché già certa, si fa poi certissima per quello che nel medesimo Carmen si aggiunge. Imperocché ivi si procede in sì profonde distinzioni della struttura dell'Inferno e del Paradiso; che per poco è affermato con espressa loquela, che se Dante, ponendo la valle dolorosa nel centro della terra, ed il regno beato nell' empireo cielo, ha tenuto dietro al credere del popolo -, non però fu tale quando assegnò e distinse in ciascun re- gno le parti , l'economia e l'architettura rispettiva. In questo fare diede tale una prova di scienza, di criterio e di magistrale infrenazioue all' arditissima sua fantasia, che non pochi letterati, nonché il volgo, 336 Letteratura s'aflfaiicherebbero in vano a volerla in alcun moda comprendere. Ondechè , al dire del vate bolognese^ non è pei volgari l'intelligenza della prima e terza cantica , quantunque scritte in versi volgari , ed il poeta indarno per loro a cotanta fatica si accinse;. Ecco i suoi detti: » Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo 7 •i««:Et nos pallentes nihil ex te vate legemus? » Ante quidem cythara pandum delphina movebit » Davus, et ambiguae Sphingos problemata solvei^ » Tartareus praeceps quam gens idiota figuret, » Et secreta poli vix experata Fiatoni : » Ora vorremo, o^ potrenr noi credere che il Del Virgilio scrivesse di questa forma sulla difficoltà a comprendere l'Inferno ed il Paradiso della- Comme- dia come fa chi scrive di libri e poesie ch*^ ei noa ha letta? Se cosi fosse per avveatura ^ che cioè il poeta da Bologna avesse esposto questo su di una semplice e vaga bucinazione, che Dante da lungo tempo intendesse a tutt'uomo a comporre un poema sui tre regni spirituali, con quale animo e con qual buon criterio avrebb'egli talmente esagerato la dif- ficoltà che gli idioti ed i savi giugnessero mai ad immaginare quel suo poetico edifizio? Ed anche per- chè mai si parla cotanto della difficoltà a figurarsi l'Inferno ed il Paradiso, intanto che nulla , affatto nulla, si dice sull'intelligenza del Purgatorio? E vero in fatti che lievissima è la intelligenza di questo se- condo regno montano, intanto che difficilissima ve- rameiUe' è quella del primo e dell' ultimo. Ma se CORRISPOND POETICA DI DANTE 337 Giovanni non avesse innanzi tratto veduto la com- posizione della prima, della seconda, ed anche della terza cantica, come bastava egli, non dico ad imma- ginare, ma ne anche solo a sognare la sì strana di- versità? Per mia fé, se l'uomo avesse voluto supporre che Dante in questa poesia abbia preso a modello Virgilio (come far dovea chi mai non lesse la propria descrizione della Commedia ) facile era ai lettori l'intendere ed immaginare la struttura dell'Erebo e degli elisi visitati dal pio Enea, più che facile poi l'immaginare l'Inferno che Omero fa visitare al pru- dente Ulisse : né non difficile sarebbe stato l'imma- ginare tutte le goffe costruzioni dell'inferno descritte dai romanzi e dalle varie leggende, che in ogni paese a quei dì correano per mano della plebe. Ma per contrario con assennato ragionare si afferma dal poe- ta, che più facilmente avrebbe Davo colla lira tratto a se il delfino, e disciolti i forti enimmi della Sfin- ge, di quello che la gente idiota riesca mai a figu- rarsi l'Inferno ed il Paradiso di Dante. Come asse- rire questo , io ripeto , se chi dice non aveane co' propri occhi riconosciuta la difficoltà? La quale in vero è tale, e tanta pel solo Inferno, che i più gran- di uomini ed i più profondi architetti e matematici vi penarono molto e molto per intenderla ed adom- brarne la fìguia in carte. Ne questa difficoltà, che già sembra massima nell'Inferno, si fa minore: che anzi cresce a mille doppi nella cantica del Paradiso. Il perchè assennatamente disse maestro Giovanni : » Et secreta poli vix experala Platoni. » 338 Letteratura Certo sì, il secreto ineccanisino di tutto il Paradiso dantescjo è così recondito e seminato di tai difficoltà ed astruserìe scientifiche d'ogni fatta, che il Del Vir- gilio così poco ne intendeva quanto alla struttura ce-* lestiale) che non risparmiato se stesso, tutto che let- terato e poeta, affermò che soltanto, anzi appena Pla- tone basterebbe a quella comprendere tutta ed am- mirare : vix exsperata Fiatoni. La qual frase dall'an- tico postillatore si risolve in ex spera tracia, quasi a dire tratta fuori dalla oscurità che involve la scienza della sfera celeste. In fatti Dante non descrisse solo che lo stato delle anime beate in Paradiso, ma facendosele venire incontro in ciascuna delle nove sfere mobili, seppe meglio che gli antichi poeti in- nestare alla descrizione della beatitudine anche la scienza fìsica, metafisica ed astrologica ( così allor s'appellava la scienza dei cieli) in tutta la sua esten- zione, secondo che a quei tempi era conosciuta. Però chi non è bene addentro nella cognizione della uni- versale scienza filosofica antica, è niente che riesca a figurarsi il dantesco Paradiso. Né qui havvi per noi esagerazione alcuna: è Dante che di questo ne fa scorti là sul cominciare del secondo capitolo di questa ultima parte. « 0 voi che siete in piccioletta barca (ei grida ad ogni lettore) Desiderosi d'ascoltar seguiti Dietro al mio legno che cantando varca. Tor- nate a riveder li vostri liti, Non vi mettete in pela- go*, che forse Perdendo me, rimarreste smarriti. L' acqua, ch'io prendo, giammai nonlsi corse, Minerva spira, e conducemi Apollo, E nove muse mi dimo- stran l'Orse. Voi altri pochi, che drizzaste il collo Per tempo al pan degli angeli, del qual Vivesi qui, CORRISPOND. PMITICA DI DANTE 339 tna non sen vien satollo, Metter potete ben per l'alto «ale Vostro naviglio, servando mio solco Dinanzi all' acqua che ritorna eguale. Quei gloriosi che passaro a Coleo, Non s'ammiraron, come voi farete, Quando lason vider fatto bifolco ». A sì solenne, a sì cal- zante ammonizione, mirava di fermo maestro Gio- vanni quando disse del Paradiso : « Et secreta poli vix experata Fiatoni. » Imperocché traducendo ben tosto in latino questi medesimi concelti, a mostrare che Dante nei versi volgari invano si promette l'attenzione dei sapienti, pei quali, e non per gli idioti, si dichiara aver det- tato il Paradiso, così parla in persona di lui; e tosta gli risponde : • w Non loquor his, immo studio callentibus^ inquis\ H Carmine sed laico : clerus vulgaria temnit, <-») Etsi non varient, quum sint idiomata mille. » Dissi che qui è traduzione : in fatti il non loquor his^ che son gli idioti, risponde all'O voi che siete in piceioktla barca ..,. Tornate a riveder li vostri liti, che io non parlo a voi. E queìVimmo studio callen- tibus è il voi pochi, che per tempo drizzaste il eolio al pan degli angeli, metter potete vostro navigio ec. Avvertasi in conferma di questo che l'amico da Bo- logna non scrisse tu dirai , inquies , come usa chi vuol prevenire una risposta che gli possa venir fatta; ma assolutamente inquis, tu dici, al modo di chi at- tende a ribattere l'altrui espresse ragioni. Dunque 340 Letteratura non rimane dubbio che maestro Giovanni g'ik sa- peva di certa e propria conoscenza, che nel poema di Dante, e massime nel Paradiso, era volgare il ver- so, ma ricco di profonda dottrina il concetto , così che appena Platone avrebbe saputo ammirarne la piena bellezza. Però non meravigli alcuno che noi dopo tali argomenti e premesse passiamo a conchiu- dere definitivamente, che l'autore del Carmen esami- nato conosceva per propria lettura, non pure le pri- me due, ma si anche una non breve porzione dei canti dell'ultima parte della Commedia. Il processo da noi seguito per giugnere a que- sta conclusione fu per guisa rigoroso nei raziocini, grave nelle testimonianze allegate e concatenato nelle susseguite deduzioni , da prometterci favorevole il suffragio di tutti i nostri lettori. Conciossiacosaché certo è che niun uomo assennato si accinge a par- lare di un poema ch'egli non conosca; molto meno ciò farà discorrendo con altra persona valente; e me- no ancora quando di quello ne parli, anzi quando ne scriva al proprio autore, e ad un autore della tempera che fu Dante Allighieri. Laonde tutti saraa inéco ad afFermare, che poiché maestro Giovanni del Virgilio entra con franca parola sul minuto giudi- zio dello spirito principale di ciascuna parte della Commedia con un solenne poemetto latino al poeta autore, é tra le cose ragionevoli il dire e sostenere, che egli ebbene innanzi avuta chiara, distinta e piena cognizione : questo però non potè essere che previa una posata lettura di quella composizione : dunque è tra le cose certe che maestro Giovanni, all'epoca del 1319, ebbe tra mano, oltre tutti quelli della pri» CoRRISONND. POETICA Di DANTE 341 ma e della secenda, anche parecchi canti dell'uliima parte del sacrato poema. Né ciò solo oso dire , ma quindi mi spingo ad asseverare che a quell'epoca stessa già era universalmente divulgata la Commedia, non pure nelle intere prime cantiche, ma ed oltre alla metà anche nella terza. Ondechè probabile si fa e la narrazione del Sacchetti della severa lezione data al ferraio, e della forte batacchiata che Dante adi- rato diede al mulattiere che dicean male il suo li- bro (1) : e il fattarello delle femmine di Verona che, udendo lui, « Ecco dicevano, verso Dante, colui che va per l'inferno e torna quando a lui piace, e qua reca novelle di quelli che laggiù sono ». Di vero anche Filippo delli Stabili, più noto sotto il nome di Cecco d'Ascoli, nel suo poema l'Acerba, pubbli- cato molto innanzi dell'anno 1327, in cui morì, non lascia di criticare l'Inferno di Dante come se questi fosse vivente ad udirlo, né si dimentica di dire che Beatrice conduce seco il suo amante in Paradiso (2). E messer Cino da Pistoia non prima intese la morte del suo amico Dante, avvenuta in Ravenna, che to- sto dettò una caldissima canzone in sua lode, nella cyi licenza, imprecando a Firenze le dice: « ....Ben puo'trar guai, Ch' omai ha' ben da lungi al becco l'erba. Ecco la profezia che ciò sentenza: Or é com- piuta, Fiorenza, e tu'l sai . . . » (3). Ma senza ciò fa cenno al santo fine di tutta la Commedia dicen- dola « L'acqua, nella quale si polca specchiare Cia- (i) Novelle di Francesco Sacchetti. Novella 114. (2) L'Acerba lib.2, cap. 1.; lib. 3, cap. 10 e iib. 1, cap. 2- (3) Canzone : « Su per la costa, amor de l'alto monte. 342 Letteratura scun del suo errare, Se ben volem guardar nel dritto segno » (1). E qui, per tacer di altre men : decisive, si aggiunga la validissima testimonianza dell'Ottimo Commento (come da molti si appella), il cui autore, già amico e famigliare di Dante , con- forta alcuna fiata le sue chiose come se le avesse udite dallo stesso poeta a tal uopo espressamente in- terpellato (2). Cose tutte, fatti e parole che presu- mono nel 1319 l'universale divulgazione di presso che tutta la divina Commedià.'^^'»^'^''''* I»'j9.;(;' ' o '• Ben so io che a sì forti ed esplicite conclusioni si opporrà da taluno la sentenza di Ugo Foscolo: il quale sostenendo a suo modo, che Dante non ptìb" blicò mai verso del poema, sia per cessare la per- secuzione del clero e dei potenti e delle città in quello infamati, sia per poter innestare nel suo la- voro tutti quei nuovi fatti, che mano mano si pre- sentavano, ad infamia degli avversari, ed a commen-» dazione degli amici : pure concede che Gino da Pi- stoia possa « aver indotto l'autore a lasciarli cono- » scere alcuni tratti sconnessi del suo gran poema; » e più forse che non erano noti a moltissimi. >» Inoltre lascia comprendere che più ancora ne cono- scesse Cecco d'Ascoli (3). Né dissente dal supporre che alcuni canti del Paradiso fossero anchef mostrati a Can Grande della Scala (4). Ora soggiungeranno gli ìMiìì tl> 9nii oJnnfc ir. onnoo «1 f ■ • . ' I , I . ! . (!) « l'penso ch'egli è secca quella fonte — Nella cui acqua si potea spacchiare — Ciascun del suo errare, — Se ben volem guar- dar nel dritto segno. » — (2) Inf. e. X, V. 85, e e. XIII, v. 144. (3) La Commedia ec. illustrata § CLXIV. (4) Ivi $ LXXXIX. CORRISPOND. POETICA DI DANTr 343 oppositori, come l'ebbe Gino da Pistoia, Cecco d'A- soli e Cangrande , cosi potè averne notizia privata e ristretta anche l'amico maestro Giovanni Del Vir- gilio; e su questa lieve cognizione privata di alcuni canti separati poteva agevolmente ragionarli, come nel suo Carmen fa, di tutta la Commedia e della in- superabile arduità a pienamente comprenderla. Il perchè non è vero che dalla poesia latina di mes- ser Giovanni si arguisca la pubblicazione della Com- media, vivente l'autore. Questa opposizione , comecché appoggiata alla sentenza di un rinomato autore , è più debole che altri non crede. Ugo Foscolo , a quanto rilevo dal suo discorso sul testo della Commedia, ove non ne fa parola , non seppe di questa poetica corrispon- denza tra Dante e maestro Giovanni. Se l'avesse co- nosciuta, certo avrebbe o mutata opinione, o studiato nuovi sotterfugi per evadersi dalle potentissime dif- ficoltà che indi gli si attraversano. Perocché visto come in esso carnieri si toccano distintamente certe cose che fan certo arguire la cognizione di tutto il poema, avrebbe trovato qualche scappatolo come fece coU'ascolano dicendo , che gli fu comunicata la commedia segretamente, il quale fu condannato nel 1327 dal santo uffìzio. Facendo così sospet- tare che questi fosse in secretissima lega di setta con Dante. Ma questo non è che un gettare una spa- ventosa nube agli occhi dei lettori perchè non veg- gano più avanti. Vano sotterfugio: l'Ascolano critica e deride nell' Acerba non uno , non due canti , ma quasi tutto l'Inferno: e lo fa con quella sua naturai albagia, che Io svela invidioso della fama, che pel 344 Letteratura poema Dante universalmente godeva : il che distrug- ge affatto il supposto consorzio di setta. Gino poi parla del libro di Dante per guisa, che fa compren- dere essere stato cognito non pure a se, ma comu- nemente ai letterati di quel tempo. « Io penso eh' egli è secca quella fonte (cosi lamenta la morte dell' Autore) Ne la cui acqua si polca specchiare Ciascun del suo errare. Se ben volem guardar nel dritto se- guo. » Qui s' intende senza meno della Commedia, e se ne parla come di libro non riservato, non raro, ma alla mano di tutti : « Nella cui acqua sì potea speechiare Ciascun del suo errare. » In mia fé diffi- cilmente ciascuno potrà specchiarsi in un'acqua ge- losamente occultata. Dunque di niuna forza è contro noi la fatta obiezione , come quella che poggia su delle false supposizioni. Qui però non mancherà chi nuovamente instan- do ripeta, che ben si concede che il testo della Com- media fosse a cognizione di alcuni amici dell' au- tore, tra' quali maestro Giovanni, ai quali fosse dal poeta con somma riservatezza mostrato, o anche man- datane copia : ma che pur tuttavia la natura stessa del libro fa chiunque persuaso, che non dovesse mai venir pubblicato dal proprio autore, se pur vo- leva cessare le più gravi persecuzioni. Né questo pure si concede. Primieramente chi crederà che Dante, supposto dal Foscolo cosi guar- dingo e timoroso da nascondere il poema per non arrischiare la vita , volesse poi lasciarne copia ad alcuni amici ? E non era questo l'esporsi a certo ri-_ sico che, discoperto il satirico suo lavoro da quella esagerata moltitudine di nemici, che il Foscolo enu- CORRISPOND. POETICA DI DaNTE 345 mera, fosse quando che sia, e quando raen l'aspet- tava compromesso nella pace e nella vita ? Era in- fatti tra i possibili eventi, e che il trasmesso ma- noscritto cadesse tra via nelle mani degli invidi : e che in quei tempi dalle parti travagliatissirai, quando molti mutavan parte dalla state al verno , l'amico stesso, cangiatosi d'opinione, producesse contro l'au- tore, qual corpo di accusa, alla parte avversa l'esem- plare della Commedia. Il perchè non è chi non ve- da che inammissibili in qualunque modo ritornano tutte quante le fatte opposizioni. Se non che a qual dei lettori non tornassero suffi- cienti le addotte risposte, quasi che gli sembrassero intessute di gratuite lagioni; abbiane qui altre che a quelle faranno opportuno ed incrollabile appog- gio. Né queste traggonsi altronde che dalla stessa poetica corrispondenza, di che abbiamo cominciato e continuato a ragionare. Io dico adunque che dalle poesie di maestro Giovanni si desume con tutta la desiderabile certezza, che nel 1319 al volgo, non che ai letterati, era noto e saputo quasi tutto il sacrato poema. In fatti opinando l'amico Giovanni che non sia da comporre di cose scientifiche nel verso vol- gare trascurato dai letterati, aveagli detto che il volgo non intende, e che per arroto colla mala pronunzia espone sulle piazze alla pubblica derisione il suo dettato : )» Quae tamen in triviis numquam dìgesta coaxat » Comicomus nebulo, qui Flaccum pelleret orbe ». Non è questo un aperto dire : Il tuo poema è pei G.A.T.CXVI. 23 346 Letteratura trivi ignorantemente gracidato da tai buffoni comici che costringerebbero Fiacco, se ci fosse, a fuggire del mondo ? Certa cosa è che il latino usa verbo sprez- zativo e di tempo presente ( coaxat ) : certa cosa è che questo fatto, come a tutti noto, lo scrivea Gio- vanni direttamente a Dante; il quale se, come testé venne supposto, a lui solo avesse confidato un esem- plare della Commedia, poteva e dovea dirgli indi- gnato : Se il buffone lo gracchia pei trivi, il primo buffone fosti tu, messer Giovanni mio, che hai fatto pubblico uno scritto che a tutto rischio della mia persona confidai al tuo più alto segreto. Questa ri- sposta sarebbe stata ben naturale : ma Dante non la fece, e l'amico senza temerla, e senza offender l'a- micale segreto, ha potuto dirgli che la sua poesia: In triviis comicomus nebulo coaxat. Laonde abbiasi per fermo che nel 1319 quasi tutta la divina Com- media era e pubblicata, e divulgata, e cantata dai buffoni pei trivi e sulle piazze. In verità che se gli uomini fatti men cavillosi fossero più docili alla voce del vero, non sarebbero abbisognate tante parole a far riconoscere ed accet- tare per genuina la nostra illazione. Bastava pure l'ingenua lettura dei versi di maestro Giovanni per udirsi confermare dal proprio intimo senso, che quivi parlasi della Commedia come di un libro notissimo a tutti i letterati, ma poco da essi apprezzato , ed universalmente così divulgato nel popolo che correa per la bocca di tutti i zanni. Di fermo non era que- sto il principio del Carmen ? CORRISPOND. POETICA DI DANTE 347 » Pieridutn vox alma, novis qui cantibus orbem )t Mulces lethifluum, vitali tollere ramo »► Dum CLipis, evolvens triplicis confinia sortis .... » Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo ? » Et nos palleutes nihil ex te vate legemus ? » Vale a dire : « 0 tu che da tanti anni vai blan- dendo il mondo corrotto ( ove i sapienti non eran cerapresi) con versi di nuovo idioma , perchè con- tinuerai tu ancora a gettare le preziose tue sentenze al volgo; e noi, fatti pallidi all'ombra di Parnaso, non leggerem mai nulla di tuo nel linguaggio dei dotti? » « Tanta quid heu semper iactabis seria vulgo? » In verità che è ormai tempo di finirla con questo tuo continuo cantare della Commedia. » Tale è il com- pendiato, ma vero concetto dei versi allegati. Ove però alcuno (ammesso questo per verissimo, quale ce lo presentano le parole), dubitasse tuttavia se il libro gracidato pei trivi e a tutti noto comprendesse tutta la Commedia, o alcuni tratti soltanto , giugnerebbe opportuno quel brano, con che Dante nell' egloga risponde all'amico da Bologna: »... Quum mundi circumflua corpora cantu, » Astricolaeque meo, velut infera regna, patebunt, » Devincire caput hedera lauroque iuvabit. » Che in sentenza viene a dire: «i Allorquando col mio canto avrò reso a tutti cogniti e manifesti i corpi celesti, ed i loro abitatori (Quum mundi circumflua corpora, astricolaeque patebunt ), come già lo si sono i due regni inferiori, il Purgatorio e l'Inferno (ve* 348 - ì;^/(i mLetteratura ì8Wiio3 hit infera regna), allora, dico, io penserò a coronarmi di edera e di alloro. Quindi l'autor dichiara all'ami- co che l'Inferno già era pubblicato , e che simil- mente già lo era il Purgatorio, ma che a quel tem- po era tutto sul metter fine al Paradiso per tosto mandarlo alla luce. Dunque nel 1319 per attesta- zione espressa dell'autore, già essendosi fatta quella delle prime due, più non mancava che la pubbli- cazione della cantica terza ed ultima. Se non che noi ci siamo testé avveduti per le sue parole e sen- tenze, che il Del Virgilio avea già conosciuto alcuna cosa anche del Paradiso , solo però ci era dubbio se in tutto, o lo conoscesse soltanto in alcuni de'suoi canti. Ora nel sentire dal poeta che questa parte non era ancor cosi manifesta come le prime due, siara fatti scorti che di vero il Paradiso non era intera- mente né pubblicato, né finito, ma che pur ciò non ostante neppur era al tutto sconosciuto. Tanto si rac- coglie dalle parole di Dante, il quale non dice che il Paradiso non era al tutto noto; ma che non lo era al modo stesso, ciò è interamente, come lo erano e l'Inferno ed il Purgatorio : u Quum mundi cir- » cumflua corpora, astricolaeque, velut infera regna^ patebimt ». In tal modo ci si mostran d'accordo e l'amico che discorre coli' autore sulla difficoltà di questa cantica, e l'autore che risponde all' amico : « Sono occupato a terminarla per farla tutta pubblica essa pure, come le prime due già lo sono ». Però dicono vero ambidue insieme, e noi da loro appren- diamo, che poco più mancava al pubblico per al- lietarsi nell'armonia dell'intera Commedia. Parrà di qualche rilievo (certo io lo spero) que- CORRISPOND, POETICA DI DANTE 349 Sta asserzione, come quella che, mantenutasi confor- me alla sentenza di maes^rio Giovanni , ha .ottenuto l'esplicito suffragio dello stesso Allighieri. Ma ove un mio giudizio fosse approvato, noi potremmo af- fermare, con molta probahilita^di bene apporci, che il poeta era di quei giorni inteso agli ultimi dieci canti. Dirò in breve per quali indizi mi lascio con- durre a cosi fatto pensare. Esternato che ebbe Dan- te^ sotto nome di Titiro, all' amico Melibeo , come egli non volea pensare al poetico alloro se non com- piuta la Commedia, si rifa destramente sulle oppo- sizioni che in disprezzo del suo poema volgare gli scrisse l'amico Del Virgilio : e ripetutele tutte una per una, quasi che gli fossero parute forti si, m^ tali ad ogni modo che ei potesse a soprabbondanza su- perarle colla maestria degli ultimi canti del Paradiso, così, in risposta a Melibeo, continua: » >ii,-^(.j •filli pi j« Tit. « .... Quum mundi circumfluri corpora cantu if^ » Astricolaeque meo, velut infera regna, patebunt, » Devincire caput hedera lauroque iuvabit. » Concedat Mopsus ? ( Melib: ) Mopsus, tunc ille, quid? inquit. TU. « Comica nonne vides ipsum reprehendere yerba, ») Tum quia foemineo resonant ut trita |abell Tum quia castalias pudet acceptare sorores ? » Ipse ego respondi : versus iterumque relegi, , » Mopse, tuos. Tunc ille humeros contraxitj et,, Melib. Ergo ;•■. ■•. i.., óìj ,. .nu-nii .r. n » Quid faciemus, ait, Mopsutn retii^eaire vtAétìtes-?'' TU. » Est mecum, quam noscìs, ovis gratissima, ctixji, » Ubera vix quae ferre potest, tara lactis abuudans, 350 Letteratura » (Rupe sub ingenti carptas modo runrvìnat herba*) '-»!» Nullo iuncta gregi, nuilis assuetaque caulis, » Sponte venire solet^nuroquam vi posceie mulctran»: » Hanc ego praeslolor manibus mulgere paratis- ■ ^»' Hac implebo decena missurus vascula Mopso ». La pecorella fecondissima di latte, docile a Titiro, e sopra ogn'altra a lui cara, la quale ruminava allora allora le colte erbette alPombra d'^una rupe ingente, io la interpreto per la feconda fantasia, cioè la musa italiana, di Dante: la quale prontissima ad ogAi sua brama poetica si prestava usualmente al suo verseg- giare. Or questa fantasia, raccolte già le cognizioni opportune, stavasi meditandole all' ombra d'un'alta montagna, che è la filosofia, cioè tutto il corpo delle scienze. In fatti ruminare figuratamente significa ri- passare colla mente le concepite idee: e questo non si fa utilmente che all'ombra, cioè coU'aiuto, della filosofia, che è la vera .sapienza ordinatrice, propria ed unica delle mentali nostre operazioni (1). Il per- chè Dante rispose a Melibeo, che attendeva la sua mistica pecorella, da cui mungerà tosto dieci ma- stelletti di latte, simbolo di altrettanti canti della Com- media, per mandarli a Mopso: acciocché, sottintendi, veduto sì bel dono muti pensiero per modo sulla (1) Dice monsignor Dionisi (nota a questo verso, Aned. IV): " Con questa rupe smisurata volle il poeta accennare il monte al- n tissimo del Purgatorio, a fornir la cantica del quale egli allora » era intento. » Ciò mi è veramente inconcepibile. Poichft la can- tica seconda, così come la terza e la prima, è un latte proceduto dal ruminare dell'agnella di Dante; or come stavasi questa ruminando all'ombra del monte del Purgatorio, il quale fa parte integrale del medetimo latte ? fi mn3 f}«;)Joq O'il^i Oftfjp xi/ Ijioulj > CORRISPOND. POETICA DI DANTE 351 Commedia, da dover credere il suo autore degno della poetica corona. Che questa fosse la intenzione di Dante in quelle parole simboliche, di far ricre- dere l'amico Del Virgilio (sotto nome di Mopso) in- torno al merito della sua commedia col misterioso dono del latte, lo si rileva necessariamente dall'es- sere essa r unica risposta a Melibeo , che udita la contrarietà di lui alla rima volgare chiedeva a Ti- tiro: (( Quid faciemus Mopsum revocare voletitesì Ec- co che faremo, disse Titiro : Est meeum ovis gra~ tissima^ hac implebo deeem missurus vascula Mopso. Lo convertirò, gli farò mutar parere, con questo nuo- vo regalo. Che se a questo non fosse stata diretta l'intenzione di Dante con quelle parole, egli ( cosa incredibile) non avrebbe dato risposta al quid facie- mus Mopsum revocare volentes di Melibeo : che in vero altra non ne trovi per tutta l'egloga esaminata, lo pertanto, persuaso che i dieci vasetti di latte regalati a Mopso per rivocarlo siano figura di al- quanti capitoli del Paradiso, che le prime cantiche, come provato è, già eran compiute e pubblicate : e ritenuto che già era nota in parte anche questa, ma non interamente ; e considerato che Dante vo- leva pur convincere 1' amico che la poesia volgare può quanto la greca e la latina farsi degna dell'al- loro : aggiunto pure che Dante questo non volea ( e lo dice espressamente) se non compiuta la Com- media : io per tutto questo rilevo che le dieci mi- sure di latte della carissima agnella di Titiro siano il vero simbolo degli ultimi dieci canti che ancor mancavano al pieno compimento del poema sacrato: i quali però non erano a quei giorni composti, ma 352 lY/y'; Letteratura > /ì l'autore intentamente vi si era occupato : Rupe sub ingenti carptas modo ruminai herbas: hanc praestolor manibus mulgere paratis. La nostra dedu zione sembra in parte conforme, ed in parte contrar ia alla costante tradizione del poe- ma. Dalla quale sappiamo che l'autore mori senza aver pubblicato gli ultimi tredici canti del Paradiso: i q,uali pur nondimeno erano composti essi pure, ma giacevan cosi gelosamente celati, che fu quasi mira- colo il rinvenirli. Laonde come può dirsi con verità^ che il poeta promette gli ultimi dieci canti all'ami- co, quando sappiamo, che non solo questi, ma ben tredici ne mancavano a far compiuto il volume? Que- sto par vero: ma chi sottilmente consideri le parole dell'egloga s'avvedrà, che Tiliro non afferma espres- samente , che manderà questi soli dieci vaselli di latte, ma si che ni ugnerà dieci vaselli da mandare a Mopso; colle quali parole non vieta che con que- sti dieci da mugnere tra bieve sia per mandarne tre altri munti nella stessa giornata. In somma Dante transuntivamente fa noto che attendeva alla tessitura degli ultmi dieci canti da inviare all'amico: mala-, scia luogo a supporre che a questi avrebbene ag- giunto alcun altro , poco prima ultimato , per dar compimento a tutto il poetico lavoro. .iNioun óm\ ;: Non so se tutti i miei lettori ammetteranno, laf fwesente interpretazione, la quale per verità deter- minerebbe in quale stato fossie tutta la Commedia nel '13<19j So pur nondimeno che ad alcuno potran s,orgqre itii mente due obiezioni, che, comechè a me sewferiÌpo,,)jeyi:^4;. inammissibih da una critica rigpn ¥9^j,!pvvrPi ppapnancherà chi le creda forti ed in- CORRISPOND. POETICA DI DANIE 353 superabili. Per tanto a questo luogo non so dispen- sarmi che dell' una e dell' altra non faccia parola. La prima opposizione può essere contro al senso ch'io diedi a\ mundi circumfliia eorpora^ astric.olae-^ que^ che io interpreto per una circonlocuzione della sola cantica del Paradiso: contro la opinione di mon- signor Dionisi, che coU'antico postillatore dell'egloga la intende del Paradiso e del Purgatorio. La seconda è contro alla spiegazione dei dieci ^-asetti di latte , nei quali monsignore non ravvisa che pur il mito della stessa egloga prima. In fatti, per farci alla pri- ma difficoltà , il postillatore, e con esso il Dionisi, spiega così : > Serta parata libi; nulla est cessura voluplas. » Huc ades: bue venient, qui te pervisere gliscent » Parrhasii iuvenesque senes, et car mina laeti » Qui nova mirarl, cupianlque antiqua doceri. >» Non è egli questo un dirgli; Gradisco il dono nel latfe della tua pecora simboleggiato, ma sarammi assai 372 Letteratura più grato se a me Io recherai tu stesso ? tu vieni alla casa del tuo amico, porta la promessa poesia con teco, e nel recitarla riscuoterai la maraviglia dei sa- pienti, che qui trarranno a farti corona. Essendo ferma pertanto l'asserzion mia, che me- glio dell'egloga, come dice il Dionisi, il latte rega- lato da Titiro a Mopso sia mito di alquanti capitoli del Paradiso : mi giova sperare che non pochi de' miei lettori converranno con meco. Ma ove contro l'aspettazion mia ei la sentissero diversamente , sìa pure con loro pace : e non per questo ne avverrebbe danno veruno al mio assunto principale ; che cioè Dante abbia pubblicato innanzi il 1319 tutto il poe- ma, salvo gli ultimi tredici cauti. In questo la mia proposizione fu sostenuta da argomenti tali, e mi si mostra in ogni sua parte così naturale, così conse- guente, e così voluta da tutto il contesto della cor- rispondenza di Dante e di maestro Giovanni; che io penso doversi registrare tra le notizie più certe e più utili ai chiosatori, che intorno alla divina com- media ci siano pervenute. (Sarà continuato) 373 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO CXVI, VOL. 346, 347, 348 DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Chelint, Dì alcuni teoremi del Gwss relativi alle sm- perfide curve (^Continuazione e fine.) . . . pag. 3 Cialdi, Ultime diaposizioui date ai lavori sul porto canale di Fiumicino » 21 Tortolinij Sulla riduzione di alcuni integrali definiti ai trascendenti ellittici ec » 137 e 265 Vaccolini j DelV economia pubblica in accordo colla morale , ...» 185 Coppi, Relazione sulla tariffa e sulla libertà di fare e di vendere il pane » 201 Caro^ Corso elementare di fdosofia , . . . . » 297 LETTERATURA Pa RignanOj Ragionamento intorno al Cristoforo Co- lombo del Costa ...» 51 Rambellij Traduzione del primo libro delle quistioni accademiche di Cicerone f Continuazione e fine.) » 132 WittCj Quando e da chi sia composto l'ottimo comento di Dante » 210 — Alcuni supplementi alla bibliografia dantesca del vi- sconte Colomb de Batines » 233 Capozzij Sulle antiche milizie romane . . . . » 310 Ponta j Sulla corrispondenza poetica di Dante e di Giovanni del Virgilio » 326 SCIENZE *7"V Tortolinij Sulla riduzione di alcuni in- tegrali definiti ai trascendenti ellitti- ci ec. . , . . pag. 265 CarOj Corso elementare di filosofia, d 297 LETTERATURA Capozzij Sulle antiche milizie romane.» 310 Pontttj Sulla corrispondenza poetica di Dante e di Giovanni del Virgilio. » 326 li^^^