u . / ! C! u . GIORNALE ARCADICO DI scienzeTlettere, ed arti TOMO XXL GENNAIO, FEBBRAIO , E MARZO MDCCGXXIV. V ROMA WELLA STAMPERIA DEL GIORNALE PRESSO ANTONIO BOULZALER Con licenza de Superiori» 1824. e 0 M PILATO RL AMATI AB. Girolamo, scrittor greco alla vaticana' BETTI Salvatore. BIONDI CAV. Luigi. BORGHESI Bartolomeo. CARPI Pietro , professore aggiunto di chimica e mineralogia nelV archiginnasio romano. DE CROLLIS Domenico , dottore in medicina- FOLCHI Giacomo , professore di materia medica terapeutica ed igiene nelV archiginnasio romano. DEL MEDICO Ghiseppe , professore d^anatomia neir insigne accademia di s* Luca. RUGA Avv. Pietro , professore di diritto civile neir ardii ginnasio romano. TONELLI Giuseppe , dottore in medicina. Pietro de'principi ODESGALGHI , direttore» t SCIENZE Analisi de fondamenti della materia medica , e proposta di riforma de' medesimi D'Ippolito Bo- relli dottore in medicina e chirurgia. ( Conti- nuazione , e fine. ) PROPOSTA DI RIFORMA. JL-ia riforma , della quale intendo io qui di par- lare, riguarda principalmente il linguaggio da adot- tarsi per indicare l'azione onde i farmaci sono do- tati , e la piiì acconcia classificazione de' medesi- mi . La necessita di una tale riforma , altamente re- clamata dai grandiosi avanzamenti che ha fatto la patologia , è oggi vivamente sentita da'migliori me- dici d'Italia. Siccome però anche in Italia non man- ca chi crede doversi piuttosto attenere alle antiche dottrine , e siccome i libri che ci pervengono dal- le estere nazioni mostrano assai chiaramente , che ivi neppur si sente il bisogno di una tale rifor- ma, cosi non sarà discaro al lettore ch'io venga ricordando alcuna delle ragioni , che la rendono in- dispensabile. Troppo lungo , e forse nelle attuali circostan- ze privo affatto di utilità sarebbe il riandare le tante azioni che i medici antichi accordarono ai medica- menti , e ridire di quali deuomiuazioui vaghe , in- G.A.T.Xll. 1 2 Scienze determinate , e qualche volta ridicole si servissero ad indicarle. Perciocché l'erronee dottrine, alle qua- li le medesime si appoggiavano , sono di già con- dannate irrevocabilmente all' ohlio. Per conseguen- za io credo , che bastar possa all' intento il trat- tenersi alquanto sopra due sbagli , che furono as- sai comuni ai medici anteriori all' epoca del brow- nianismo. Il primo fu di arrestarsi agli organi ed ai si- stemi, poco o nulla curando quelle condizioni ge- nerali che presiedono all' organismo , senza del- le quali concepir non potrebbesi veruna funzione animale , e di ricercare l'azione de' farmaci non in que' fenomeni che producono nello stato di sa- lute , e che sono l'espressione la meno equivoca delle intrinseche mutazioni cagionate sulla fibra vi- vente , ma negli effetti salutari e nocivi che producevano nello stato di malattia. Perciocché co- testi effetti non sono a propriamente parlare il risultato della forza attiva de' rimedj , ma piutto- sto de' cangiamenti prodotti sull' organismo , e suU' eccitamento insieme da una tal forza. E purché una sostanza si mostrasse efficace a vincere le malattie , non si curavano di saperne più innanzi. Quindi non riconobbero ne' rimedj altra azione che quolla che si manifesta sugli organi mediante qualche sensibile mutazione , siccome sono Vemetica^ V espet- torante , la purgativa , la diuretica , V emmenago^ ga , la sudori/era ec. Ora siccome coteste azioni sono variabili quan- to le circostanze nelle quali si amministrano i ri- medj , cosi que' medici erano necessariamente con- dotti alla confusione ed all' errore . Chi non sa di fatti che quasi tutte le sostanze ( ove sieno op- portunamente amministrate ) possono produrre que* Materia medica 3 gli efietti , che si credono esclusivi di alcune sa- Umente ? A quante mai non appartiene la facoltà di sedare il dolore , di procurare il sonno , di avvivare la traspirazione^ di calmare la tosse ^ di agevolare l'espettorazione ? Ewi egli più bisogno di ripetere ( almeno in Italia ) che i narcotici , a modo d'esempio , sono anodini , che i nauseanti sono sudoriferi , che i vomitivi sono espettoranti , che gli aperitivi sono hechichi , che i catartici so- no emmenagoghi ec. ec ? D'altra parte noi sap- piamo che quelle sostanze , che si credono dota- te di speciali azioni , Lene spesso ci mancano a miglior uopo , perchè dove i bisogni dell' ammalato esigerebljero , che le orine colassero liberamente , che la cute fosse bagnata di sudore , che il do- lore si mitigasse , che si estinguesse la sete , invano si ricorre a que' rimedj , che in ogni tempo si risguardarono siccome opportunissimi a produr- re cotesti effetti. Anzi , quasiché si prendessero giuo- co di coloro che pur vorrebbero negli organi del- le mutazioni sensibili , que' pretesi rimedj non di rado producono effetti diametralmente contrarj a quelli che si attendevano . Di fatti gli emetici qualche volta si convertirono in anti - emetici , i narcotici anziché procurare il sonno destarono la veglia o la mantennero , i diuretici moderarono il flusso delle orine , e perfino i drastici costipa- rono il ventre (Sa) . E ( ciò che più rileva pel (32) Una serie sempre crescente di faltl ha messo fuor d'ogni dubbio cotesla verilà , clie ha di tanto avvantaggiato i progressi della filosofia medica in Italia. Diasi l'oppio , a cagione d' esempio , per procurare il sonno ad un infermo che sia tormentato da veglia per infiammazione di cervello. Ove non s'abbia la lemerilà di procurarlo con un turgo- re fatale di vasi , allargando la mano nella dose , U ve» 1 f- '" " 4 Scienze nostro scopo ) quei rimedj furono ne più ne me- no efficaci , anzi talora lo furono più prontamente di quello se avessero prodotto de' cangiamenti sen- sibili. Ognun vede pertanto , che se il criterio , di che qui si ragiona , potesse aversi per una guida sicura nelle ricerche di materia medica , noi sarem- mo autorizzati bene spesso ad accordare ai farmaci non solo delle azioni che non posseggono, ma delle azioni che sono in aperta contraddizione con quelle , di che realmente sono forniti. Perchè non si avreb- be diritto di accordare , a cagione d'esempio, una virtù corrohoraìite al rabarbaro, subitochè riordinan- do le digestioni rimette lo stomaco in grado di ri- parare a quella debolezza , che da difetto di nu- trizione derivava ? Chi mi vieterebbe di guardare glia si farà invece ostinata e ribelle. Diasi al rontiario a persona estenuala per inedia , o per freddo eccessivo. Se ira i fenomeni di un tale stato si annovera la veglia , cotesto farmaco non solo non raccresce ma sibbeue la toglie. Si faccia prendere una soluzione di tartaro stlbiato ad indi- viduo travaglialo da vomito per gastrite , o per enterite. Ove la malattia non oltrepassi que'l imiti , che sono all'ar- te segnati , non solo il vomito non si farà più smodato , ma ne sarà sicuramente moderato , e forse aucora frenato. Chi non sa d'altra parte , che ne' flussi enterici prodotti e manienuti da diatesi di slimolo , la gomma golia , la sciarappa , e il diagrldlo non solo non accrescono la co- pia del mucco intestinale , ma costantemente la moderano *! la riducono alio stalo normale ? Egli è pure notissimo onche ul volgo , che la scilla e il nitro in qualche caso di diabete ( che noi diciamo da eccesso di stimolo ) arrestano Uiirabilmenie la copia siruboccheyole de^le orine. Materia medica 5 come eccitanti la squilla e il nitro , se rianiman- do l'energia de' linfatici gì' invitano ad assorbire quel fluido , che , accumulato nel petto o nell' addome, totalmente o parzialmente impediva le fun- zioni di tanti visceri ? Chi non sarebbe forza- to , per così dire , a considerare siccome stimo- lanti l'aloe e il ferrc , che richiamando in una fan- ciulla la mestruazione soppressa , le ridonano col colorito perduto agilità e forza ne'muscoli , e pron- tezza nelle funzioni dell' animo ? Ed una volta che cotesto criterio si menasse buono , perchè non si potrebbero dire egualmente stimolanti , tonici , cor- roboranti la gialappa ed il solfato di magnesia , che mi liberano dalla nausea , dall' abbattimento , dal mal essere universale cagionato da saburre ga- striche , o da gas intestinali; l'assa fetida, la va- leriana , e l'olio di ricino , che fugando i vermi , od uccidendoli , mi sottraggono da quello stato dì controstimolo in che mi avea gettato il dolore ; la dieta, il salasso, le bevande subacide, il lau- ro-ceraso , il giusquiamo , e la cicuta , che mi ri- donano il senso e il moto perduto per apoplessia e per paralisi ? E COSI di fatti la pensavano gli antichi rap- porto alla maniera di agire di molte droghe medi- cinali. E, coerenti ai loro principi , quante volte avevano a curare qualche prevalente sintoma di ma- lattia ricorrevano ai loro farmaci preconizzati, sen- za pùnto badare , anzi senza sospettar nemmeno , che i medesimi potessero aggravare la malattia stes- sa. Quante volte nella cura de'morbi si videro ri- gettate alcune sostanze perchè portavano un no- me , che le mostrava contrarie all'indole de'mor- bi stessi , per adottarne altre che producevano gli Stessi e forse maggiori danni ma che non mcu- Q Scienze tcrvano alcun timore pel nome ond' erano rivesti- te ? Quante volte mi toccò a vedere sbanditi dal- la cura di certe malattie la china , l'etere , il vi- no , e l'alcoole temuti siccome stimoli , per veder poscia totalmente affidata la cura all' oppio ? Ma questa droga, rivestita dello specioso nome di pa- regnrico^ di sedativo^ di analeptico^ non era più stimolante (33). Egli non è malagevole il compren- dere , clic se cotesto nomenclature vaglie e incon- cludenti non avessero rassicurato l'animo de' pra- (33) Io non potrò dimenticare j^Iammai la pratica scon- sigliata di uno de'più valenti chirurgi della Francia. Sole- va questi operare con tale destrezza e con tanta maestria che avrebbe destato l'invidia di chiunque pretendesse il van- to di operatore chirurgo. Ma se per somma sventura di co- loro , che venivano affidati alle sue cure , sopravveniva in- fiammazione non affatto leggiera (ed è facile il vedere quan- to spesso ciò accadesse ) riguardarsi potevano come perduti senza riparo , o certo almeno come persone destinate a cor- rere de'gravl risrhj. Perciocché raro avveniva , che non si avesse ricorso a dosi generose di laudano o colla mira di sedare il doloro , o colPIdea di opporsi alla veglia , o ve- ramente di ricomporre il sistema nervoso e muscolare agi- Liti da sussulti di tendhil e da convulsioni . Io sono fer- mo liei credere , che tante vittime scampate alle più gravi operazioni chirurgiche fossero per la massima parte Immo- late all'errore , di che qui si laglona ; perciocché , lagnan- dosi quell'esimio profcisore di dover perdere tanti operali, soleva dire , che nella cura de'medesimi si era sempre cau- tamente guardalo da tutto quello , che stimolando poteva accrescere l'infiammazione. Con che dava chiaro a dividere di non ravvisar nel laudano che un* viriù sonnifera od anodina. Ma-teria medica j tici non avrehbono consigliato ripecacuana nella di- arrea e nella dissenteria , la valeriana nelle aftezio- ni del sistema nervoso , i fiori di zinco nell' epi- lessia , i fiori d'arnica nella paralisi , la cicuta e l'aconito contro le affezioni del sistema linfatico ec. ec senza distinzione alcuna, siccome fecero. E ., giacche il discorso ci ha spontaneamen- te condotti, avvertiremo qui di passaggio , che da, questo stesso criterio derivarono per la massima par- te le contraddizioni della cura che si propone pe' casi di avvelenamento. Percorrendo le opere degli scrittori di tossicologia è cosa facile l'osservare , che quasi tutti si limitano alle generali indicazio- ni di evacuar dal corpo il veleno , o di neutraliz- zarlo con mezzi opportuni. E , quasiché gli evacuan- ti , gli emetici , ed i contravveleni non avessero un' azione generale , che si manifesta coli' accresce- re e col diminuire l'eccitamento , non si ristanno dair adoperarli anche quando tutto cospira a far credere che l'assorbimento del veleno si è di già fatto. Raccomandasi è vero talora l'uso di rimedj capaci di correggerne gli effetti ; ma in primo luo- go fi-a questi effetti non si prendono di mira che i più sensibili e pii!i allamianli , e fra le azioni non si attendono , generalmente parlando , che quel- le che si manifestano sugli organi , siccome l'azio- ne aere , la caustica , la corroswa , V astringente ec. E purché si risappia , che tale o tal altro vele- no a certe dosi e sotto certe preparazioni ne pos- siede alcuna di queste , si trasanda intieramente la dinamica , che tante volte riesce fatale innanzi che l'altra riescir possa nociva. In secondo luogo i ri- medj che si propongono per dissipare gli effetti del veleno per lo più si distruggono a vicenda ; e questo errore è comune anche agli scrittori più. 8 Scienze corretti di tossicologia. Che direni poi di que' ri- medj , die invece di togliere cotesti effetti sono anzi opportunissimi ad aggravarli ? Chi potrà sen- za ribrezzo veder raccomandati l'emetico , i purgan- ti , l'infusione di cafìe , gli acidi , § perfino i sa- lassi contro il narcotismo destato dal giusquiamo , dal lauro-ceraso , dalle mandorle amare , dal sola- no nero , dal taxus Laccata , dalla lattuga virosa , ed altri siffatti veleni ! ! ! L'altro errore , da cui derivarono tanti danni non so se più alla materia medica od alla pratica , consisteva nel credere , che qualunque malattia fos- se un' alterazione parziale degli organi e dc'siste- mi , e che però richiedesse, per esser vinta , par- ticolari rimedj. E quantunque non potessero igno- rare gli antichi , che qualche volta le cagioni che produssero due forme differenti di malattie , ed i rimedj che si mostrarono efficaci nelle medesime , avessero una maniera identica di agire , tuttavolta la dissomiglianza de'sintomi mantenne salda quell' jdea nella loro testa , e fece si che non si pen- sasse neppure a tenere a calcolo quelle generali condizioni della vita che pur tanto interessano nel governo dei morbi. Cotesto principio però comin- ciò a perdere di credito quando Gio\>anni Broìvn manifestò la sua maniera di pensare intorno al- la vita ed all' eccitamento , e fece vedere quanta parte avesse nella produzione delle malattie. E già swUe tracce dal medesimo segnate si aveva forma- to in Italia una dottrina interessante sulle altera- zioni del movimento vitale , su' caratteri che le distinguono dalle alterazioni dell' organismo , e sul- la maniera più acconcia di rimediarvi. Ma quan- do eotesta dottrina incominciava ad estendersi per tutta Italia, e forse, mascherata sotto il velo di un direrso linguaggio, ancora oltre monti, sorsero fra Materia medica. 9 lioi alcuni medici che pretesero di ricondurci alle idee d(|gli antichi col sostenere, che le malattie so- no processi specifici di alterata mistione organica , e che per conseguenza curar non si possono che con mezzi particolari e tutt' affatto specifici. Un de' più caldi sostenitori di una tale dot- trina si e mostrato il sig. Buffalini per noi supe- riormente citato. Egli non esclude , a vero dire , da' morbi l'eccitamento, ma lo risguarda come co- sa tanto accessoria in paragone dell' organismo, che non può a meno che non ne risultino degli er- rori gravissimi per la pratica. Di fatti se nelV emo- lisi dei Jenomehi vitali si dee portare il pensiero sino allo stato organico ; se questo veramente è r ultimo termine delle nostre considerazioni'^ se la forza vitale si dee riguardare come un effetto^ e nulla piàj se ogni sua azione non è die ca?igia- mento di stato organico'^ se le malattie soìio ve" ramente materiali non dinamiche ^ essendo prodot- te da una mutazione dello stato materiale nata per effetto di azioni chimico - orghaniche ^ e mec- canico-organiche ; se le alterazioni del movimen- to vitale , anziché primarie e generatrici , sono secondarie e ingenerate , dovendo sempre alValte" razione deW organica mistione ricondurre Vorigin prima di tutti i fenomeni vitali ; se l'eccitamento non è che figlio delV alterazione organica'^ se a questo debbonsi riferire tutti i fenomeni morbo- si ; se ad essa sola hanno da essere principalmen- te rivolte le attenzioni del paio golo'^ in fine, se / ri- medj debbono essere specifici^ benché la vitalità (nota bene) non si possa alterare che in più o in meno (34); che altro di grazia rimane se non (54) Veggasi tutta l'opera quanto ella è grande , ma si consultino in modo speciale le paglue 67 e 58 • ^ IO Scienze conclùndere, che l'eccitamento si ritiene unicamente a parole. A dimostrare cotesta sua tesi favorita impiega Fautore un apparato tale di argomenti , die , ove non peccassero in una o in altra parte, resterebbe poca speranza di dimostrare il contrario. Neil' ori- gine , nel corso , e nell' esito delle malattie si av- visa di ritrovare argomenti inconcussi per dimostra- re una tal tesi ; ma egli non è difficile l'osserva- re , che da fatti particolari e staccati pretende di trarre dalle conseguenze generali. E di vero, par- lando dell' origine delle malattie , chi vorrà oggi accordare al sig. Biiffallni , che tutte le malattie quant' elle sono riguardar si debbano come una. mutazione dello stato materiale nate per effetto di azioni chimico - organiche , o meccanico - organi^ che ? Tutte le ragioni dal medesimo addotte a di- mostrare cotesta origine, Saranno , se vuoisi , specu- lazioni sottili ed ingegnose , ma troveranno sem- pre ne' fatti delle validissime opposizioni. Cosi nel- lo stabilire , che l'eccitamento non è alterato che in conseguenza delle alterazioni dell* organismo , come mai dimenticò 1' acuto patologo , che in al- cune circostanze, anche a volerlo , non è possibile l'immaginare cotesta successione di alterazioni ? Io vorrei che mi fosse detto di buona fede se nelle per- sone che caddero a terra colpite da fulmine o da fortissimo veleno , se in coloro cui si rilasciarono suir istante gli sfinteri dell' ano o della vescica , egli è possibile il supporre alterato l'eccitamento ia conseguenza di cambiata mistione organica. *J 9^ - 97 ~ 99 - *o3 - Ì17 - dei tomo primo ; 0 nel secondo» dalla pagina 12 fino alia 16. Materia medica ii E quanto al decorrere de'morbi non può negar- si , che in molti si vegga un' alterazione dell' orga- nismo; ma oltreché bene spesso ella è preceduta dall' alterazione del movimento vitale , non e raro di riscontrar malattie, l'andamento delle quali ten- de anzi ad escludere la pretesa mistione org^anica. Per tacere di molte malattie originate dall' azione positiva di sotanze controstimolanti , dal corso del- le quali si sarebbe molto imbarazzati ad argomen- tare la mistione org-anica , dimanderei volentieri al sig. Burlimi da quali ragioni fu indotto a riguar- darla inerente a quelle che trassero origine dalla deficienza degli stimoli necessarj a mantenere la vi- ta, cioè del sangue , del calorico , del moto del cor- po , e degli alimenti. Perocché coleste malattie a me pajono così poco dipendenti dall' organismo , e così strettamente legate al movimento vitale , che , ove si giunga a riparare il perduto con quella gra- dazione di stimoli che è piìi adattata ai bisogni dell' individuo , non siavi malattia così facibnent« e così prontamente guaribile. Ma quello che più direttamente si oppone ai principj , che si vogliono stabilire dal nostro au- tore, si è l'esito delle malattie. Perciocché se mol- te fra queste non si possono debellare se prima non togliesi la mistione organica , ne troverei mol- tissime che si dissipano suU' istante , senza che suppor si possa tolta in un tratto quella condizio- ne organica , che secondo 1' autore necessariamente doveva esistere , ed alimentare la malattia medesima. Io parlo di quelle febbri , che dopo essersi mante- nute ribelli per mesi ed anni a tutti que' rimedj , che si riputavano efficacissimi a vincerle , spariro- no affatto all'improvviso annunzio di una lieta no- vella j di quelle manie , che si mostrarono refratta- la S e I N È É. rie a qualunque droga, e cedettero poscia d'Im- provviso all' influenza di mezzi puramente locali ; di quelle epilessie , che scomparvero spontaneamente per l'azione subitanea dello spavento , avvegnaché pe? la loro durata , e per la ferocia de'parossismi temer facessero di voler terminare co'giorni dell' ammala- to. E taccio un argoinento fortissimo , che bene spes- so si trova nella sezione de'cadaveri. Se la pre- tesa mistione organica fosse una condizione , senza della quale concepir non si potesse stato di malat- tia , come mai potrebbe addivenire che si trovas- sero de'cadaveri , nell' organismo de'quali neanche al più acuto anatomico, ed al piìi diligente fisiolo- go non vien fatto di riscontrare alterazione di sorta ? Ei bisogna pur convenire, che in molti casi l'am- metterla non oltrepassa i limiti d'un'ipotesi. Sia pur vero , che i nostri sensi grossolani ed ottusi sie- 110 inetti a discuoprirla ; ma perchè mai ci ostinere- mo ad ammetterla quando tante ragioni ci sforzano ed escluderla , e finche possiamo senza di essa in- tendere l'origine , il corso , e l'esito delle malattie ? Del resto a me pare di ravvisare , nel concetto che di queste si e formato il sig. Buffalini , molti di que' caratteri che i moderni patologi assegnano alle malattie cosi dette irritative. Di fatti anche queste sono prodotte da azioni chimico-organiche, o meccanico-organiche ; in queste le alterazióni del mo- vimento vitale ( quando hanno luogho ) anziché pri- marie e generatrici , sono secondarie e ingenera- te ; anche in queste finalmente all' organismo hanno da essere principalmente rivolte le attenzioni dell' pa- tologo. Ma se è cosi , d'onde avviene che in mol- te malattie possiamo trasandare le alterazioni dell' or- ganismo per occuparci unicamente del movimento vi- tale ? £ ( ciò che più monta ) perchè mai possiamo Materia medica. i3 non solo Impunemente , ma con deciso vantaggio so- stituire gii uni farmaci agli altri ? Ne' quali, se ad onta di quante ragioni cel divietano , riguardar vo- lessimo azioni specifiche od elettive , chi mai s'av- visò di ritrovarle nella dieta , nel salasso , e nelle emozioni dell' animo ? Ma supponiamo per un istante , che le malattie consistano realmente in un'alterazione dell' organis- mo. Quali vantaggj sarebbero per tornare alla pra- tica sopra la maniera comune di medicare ? Noi sa- remmo per diritta e legittima conseguenza con- dotti al pili sfrenato empirismo. Di fatti se dall' una parte : di che sustanziale alterazione si facciano questi processi , e di quanti modi , e con qual or- dine a nascere , ella e cognizione alla quale indar- no vorremmo pervenire colle nostre induzioni ana- litiche ; e se bisogna star contenti a riconoscere questi processi per una maniera di specifica alte- razione orgajiica , ma no?i arrogarsi a volerla in alcun modo definire (35) ; se dall' altra parte igno- riamo interamente le segrete mutazioni cagionate sul- la fibra dagli agenti esterni , e se le facoltà genera- li e comuni non ci possono somministrare alcun lu- me ; chi è che non vede , che sarem dunque costret- ti ad usare de'rimedj , che non sapremo per nulla se convengano al genio specifico delle medesime , o, per parlare il linguaggio del nostro autore , se sie- no ili relazione con le condizioni del processo mor- boso ? Ammesso il principio ch'egli si sforza di sta- bilire , ne le cause progresso ne il metodo curati- vo servir ci possono di alcuna guida per ricono- (35) Ved. oper, cil. lojn. 1. cap. XI. pag. gì. 92. ]4 Scienze scere e fissare l' essenza ed indole delle malatlid. Non le cause pregresse , perciocché Lisognerebte aver prima provato , che le medesime manifestano la stessa azione su tutti gli organi e su tutti i si- stemi ; che fanno la stessa impressione sulla fihra del bambino e su quella dell' adulta , sulla don- na debole e delicata e sul robusto e forte con- tadino. Non il metodo curativo , perciocché chi po- trà mai assicurar con certezza , che i rimedj che hanno giovato in una forma di malattia riescano efficaci anche in altra ! Non è egli vero , che co- testi processi specifici cambiando solo in rapporto all' organismo , debbono di necessita differenziare non solamente per la diversità degli organi e de' sistemi , ma eziandio per l'età , pel sesso , pe'tem- peramenti , e per mille altre consimili circostanze ? Quindi l'encefalitide , a cagione d'esempio , dovrà es- ser diversa dalla peripneumonia non solo per la di- versità dell' organismo , ma per tutte le altre cause qui sopra ricordate. Resterebbe adunque la sola risorsa de's intomi . Ma qual evvi medico di fino criterio che li reputi di qualche valore per assicurarsi della diatesi delle ma- lattie , massimamente quando non sono fiancheggia- ti dalle cause pregresse , e dal metodo curativo ? Non so quindi capire come il &\g.Buffalini. , che avea dichiarato (36) una petizione di principio l'argomen- tare l'azione de'medicamenti dall' indole della diate- si, e la natura di questa dalla cognita azione di quelli , non abbia poi veduto che petizione di prin- cipio sarebbe pura e pretta il dichiarare specifica l'azione ignota d'un rimedio , perchè ha giovato in (36) Vcd. oj), cil. lom. I. cap. XVI pag. 203, Materia medica i5 una malattia die si crede di processo specifico , e il ritenere di processo specifico una malattia , nella quale ha giovato un rimedio che si crede di azio- ne specifica. Perchè tornando ora dopo questa discussione, per avventura un po'troppo lunga , ma forse non inu- tile affatto, a quello che più da vicino interessa le presenti nostre ricerche , ognun vede quanta ragio- ne avesse il sig. Buffalini di pretendere che spe- cifica debba essere V azione de'rimedj atti a toglie- re le malattie (Sy). A me pare , che la questione acerrima agitata in Italia in questi ultimi tempi , se debbansi o no riconoscere ne' rimedj delle azioni specifiche od elettive si sarebbe potuta agevolmente finire col determinare l'idea , che a questa parola specifico ed elettivo si vuole annettere . Se vuoisi intendere una sostanza , che l'azion sua manifesta più particolarmente sopra un organo che sopra l'al- tro , ninno sarà cosi ardito da negarlo , dacché ciò riposa su fatti , e questi non vanno soggetti a con- troversia. Noi per altro nell' ammettere cotesto azio- ni la pensiamo assai diversamente dagli antichi; perchè dove questi credevano , che i farmaci dotati di azione elettiva non ne possedessero verini' altra , noi ritenghiamo che ne posseggano un'altra più ge- nerale capace di accrescere e diminuire 1' eccitamen- to. Anzi noi siam d'avviso , che quest' ultima azio- ne , perchè sempre una e costante, meriti sopra del- le altre la preferenza nelle classificazioni di mate- ria medica. Ma i medici , che tanto vagheseiarono ' coteste azioni elettive , accordarono loro un impe- ro assai più esteso di quello non comportassero i (3;) Ved. op. cit. lom. I cap. XVI pag. 112. i6 Scienze fatti f e si diedero a credere che 1' agire di prefe- renza sopra un organo fosse lo stesso che vince- re le malattie , che al medesimo potevano soprav- venire. Quindi l'agire sugi' intestini era lo stesso che dire anti-dissenterico : su reni , anti - idropico : suir utero , eramenagogo. Non vuol negarsi , che qualche volta coteste azioni elettive scambiar non si possano colle cura- tive di qualche morbo.Ma in primo luogo coteste cu- re non sono l'effetto immediato di quell' azione elet- tiva , ma sono l'etTetto della operazione de'farma- ci , ossia di quelle mutazioni salutari che hanno prodotto suir eccitamento e sulla vita . In secon- do luogo v'è cosi poca relazione fra queste azioni locali e le malattie che si credono esclusive di dati organi , che , ove non possedessero un'altra azio- ne che noi chiamiamo dinamica , intender non si potrebbe come le medesime valgano ad operare la guarigione delle malattie. Di fatti se non si ricor- re ad un' azione che moderi l'eccitamento eccessi- vo o difettivo , da cui trassero origine quelle pre- tese malattie locali , chi potrà intendere come la digitale e la squilla operino la guarigione dell' idrope , come il nitro guarisca il diabete , come il solfato di ferro abbia efficacia di richiamare i me- strui ? Tantopiù che la dieta , il salasso , i pate- mi d'animo , ed altre siffatte potenze riescono effi- caci al pari de'più famigerati specifici. Affinchè si potesse accordare il concetto , che si erano forma- ti gli antichi di questi agente bisognerebbe prova- re, i.° che l'eccitamento non prende alcuna parte nel- le malattie, che si manifestano sopra un organo od un sistema; 2.*' che ove queste sono curabili , lo sono sempre per essi soli ; 3.° che quegli agenti non mai riescono dannosi. Fincliè lutto questo ( ch'io Materia medica ly non veda come diinostrare si possa ) non sarh po- sto fuori di controversia , non so chi potrà toglier- ne il diritto di guardare cotesti pretesi specifici sic- come sostanze dotate di facoltà comuni • e generali . Fu appunto a queste facoltà generali e comu- ni che rivolgendo l'attenzione sua Giovaìini Browìi^ venne a sta])ilire la piìi filosofica dottrina che si fosse fino allora veduta intorno alla maniera di agi- re delle potenze esterne applicate al corpo umano. E avvegnaché non fosse sfuggito ali* osservazione di alcuni medici, che il precedettero, che oltre quel- le tante azioni speciali e sintomatiche , ne possede- vano alcuni un' altra più generale e in qualche mo- do a molti comune , ([uella cioè di rinfrescare , di moderare i movimenti untali , di opporsi alla Jlo-^ gosi, di eccitare^di rialzar leforze^ di riscaldare ec; tuttavolta occupati di soverchio degli organi e de' sintomi de' morbi non seppero dare a quella osserva- zione l'importanza che meritava , cosicché può dirsi senza tema di errare , che quegli , da cui ripetiamo l'interessante azione dinamica de' rin>ed}, è appunto Gio\>anni Brown. Perciocché , a propriamente par- lare , quelle tante azioni locali e sintomatiche non perdettero di credito se non a proporzione che si difiusero le dottrine di quel medico filosofo ; e san- no anche le persone del volgo quale rivoluzione sia succeduta nelle scienze mediche da quell'epoca in poi. Se non che lo scozzese riformatore nello stabi- lire che quanto esiste in natura , se venga positi-^ vamente applicato alla fibra vivente, manifesta l'azio- ne sua stimolando , o non vide o non curò quello sostanze che da tutta l'antichità si conoscevano per fredde , narcotiche , stupefacenti ec. Alle quali se non si accordava quell' azione , di che in epoche po- steriori si sono riconosciute dotate , ninno s'avvisò G.A.T.XXI. a l5 Scienze mai d'accordare un' azione analoga a quella del vi- no , dell' oppio , dell' alcoole , dell'etere , e dell'am- moniaca. Sii questi fatti appunto fissando l'attenzio- ne quel sublime ingegno di Giovaimi Rasori , ven- ne a discuoprire , e dimostrò fino all'ultima eviden- za , che molte sostanze sono fornite di una potenza non solo di stimolo negativo , ma positivamente e direttamente allo stimolo contraria , e la disse azio- ne di contro - stimolo. Ella però , quasi fosse una voce barbara , ben lungi dall'essere accolta siccome pochi anni prima la dottrina dello stimolo , dovette dentro e fuori d' Italia sostenere una guerra così accanita , che , ove non avesse avuto il più saldo sostegno de'fatti , creduto avresti dover morire sul suo bel nascere. I troppo ligj delle massime ricevu- te dal Bromi negarono a dirittura il fatto , e pre- tesero che l'azione contro - stimolante fosse un so- gno' e una chimera . Vedendo altri moltiplicarsi a dismisura le prove di un tal fatto , e non potendo più ragionevolmente dubitarne , si sforzarono di da- re ad intendere , che gli antichi avevano una chia- ra e distinta idea di ciò che quell' illustre italia- no significar volle colla parola contro-stimolo , e che cotesto vocabolo non era un nuovo ritrovamento , ma sibbene una riproduzione di cose antiche (38). E quan- (38) In ciò nioslravauo chiaramente di non aver ca- pito abbastanza ciò che intendevi con quel vocabolo , e ciò che volevano sigaiflcaro i medici anlcriori al Brown colle parole di che si servivano ad indicare quella generale azio- no , di cui si è parlato superlormentf, I vocaboli nareoti^ co , slupefcicienle , sedativo , debililantK , anti - flogùlico f deprimente ec, tanto sono sinonimi di conlroslimolante , quanto le parole tonico ,_ irritante , corroboranie sono di Mirnolanie, Materia medica iq tlo pareva che i nemici di quella dottrina finalmen- te lasciar volessero qualche triegua , sorsero do'me- dici esigenti , i quali ( avvegnaché delle intrinseche mutazioni cagionate da'fermaci sulla fibra vivente ne sapessero ne più ne meno , qua nlo il medico di Molière (39) , aggrottarono le ciglia , e spinti da soverchio zelo dichiararono al pubblico esser gran- de stoltezza quella di ammettere l'esistenza di un'azio- ne non ancora ben definita e spiegata. Tutte pe- rò queste objezioni , e mille altre di minor conto , nel breve giro di pochi anni si dissiparono in mo- do, che questionasi oggi fra di noi se tale o tal' al- tra sostanza collocar si debba piuttosto fra i con- tro - stimoli , che fra gli stimoli ; ma che si diano delle potenze decisamente contro - stimolanti non v'è buon medico che il ponga in dubbio. Resta dunque per noi fermato , che l'azione di- namica delle potenze esterne può di due guise total- mente opposte manifestarsi sul corpo umano . Con- viene ora qui aggiungere , che i fatti hanno dimo- strato cotesta azione sempre una e costante ^ e che però noi possiam riguardarla come l'espressione la più sincera delle mutazioni segrete , che succedono nell'organismo e nella vita . Potrà bensì per indivi- duale idiosincrasia , od in forza d'inveterata abitu- (Sg) Interrogalo il medico di Molière perehè l'oppio ovcste la facoltà di far dormire , rispose ; Quia est in eo Virtus dormltiya » Cujas est natura Scnsus assopire. Ved. Molière nell'Ammalato immaginario , atto terzo , Inter- mezzo terzo. 20 Scienze dine parere equivoca a persona inesperta , potrà ezi- andio nello stato di malattia non dar di se veruna mostra ; ma non sarà mai vero , che vada soggetta a quelle tante anomalie , che abbiam notato nelle azioni elettive e sintomatiche . Ella merita quindi sopra di queste la preferenza. Perciocché, quantun- que il pratico ne possa trarre qualche partito per la cura de'mor])i , non potrà giammai sulle medesime basare il patologo i fondamenti di una fdosofica e ragionata classificazione di materia medica. L'azione dinamica però non è la sola che si ritrovi ne'farmaci. Havvi un'altra classe di potenze assai più numerosa di quello che credesi da taluno, la quale l'azione sua primaria e principale manife- sta sugli organi e sui sistemi. Co testa azione , cono- sciuta sotto il nome di irritativa , pertuhatrice , o fisi co -chimica^ è soggetta a tante variazioni quante sono le sostanze che la posseggono. Ad essa si rife- riscono tutti quegli agenti , che vellicano, irritano , pungono , stirano , lacerano , contundono , premono , torcono , distendono , corrodono , abbruciano , am-^ molliscono , restringono ec. o che in qualunque al- tro modo cambiano i rapporti dell'organismo , e tur»- hano quell'armonia di parti e di funzioni , dalla qua- le risulta la vita e la salute . Noi dobbiamo una ta- le azione a due italiani grandemente benemeriti del- le scienze mediche i sigg. Guani e Rubini , i quali quantunque non avessero delle sostanze irritative , e delle malattie che ne risultano , idee totalmente esat- te e precise , avranno sempre 1' onore di avervi i primi richiamato l'attenzione de'medici. La quale azio- ne , poiché riesce sempre sgradevole, incomoda, per- turbatrice, poiché tende sempre a turbar l'ordine del- le funzioni ed a proclur malattia , poiché non da ori- giije che per accidente e secondariamente agli effet* Materia medica ^j ti che sono proprj degli agenti dinamici , essenzial- mente differisce dalle or ora ricordate stimolante e controstimolante. Ma più di tutto ne la distinguo- no le malattie, che alla medesima tengono dietro , non solo perchè rimossa la cagione ordinariamente ce- dono sull'istante , ma perchè i mezzi curativi e vo- gliono esser diretti alla parte dove agì l'irritante, e perchè curar non si possono per via di compenso'. Dalle quali cose tutte agevolmente rilevasi qual deb- La essere il linguaggio da tenersi per indicar le azio- ni de' rimedj , e quale la classificazione più accon- cia di materia medica. Noi dividiamo quante poten- ze agiscono sul corpo umano , sieno interne sieno esterne, in agenti ^m«m/c/, in agenti chimici , ^à in agenti meccanici. I primi si suddividono in stimoli ed in controstimoli , e di questi si è parlato abba- stanza . I secondi o distruggono, corrodono, abbru- ciano 1 tessuti , e si chiamano caustici ; o formano COI principi ■> che esistono nel nostro corpo , e che Jtiorbosamente vi si sviluppano , de'nuovi componen- ti , e si dicono anti-acidi od anti-alcalini , secon- dochè SI combinano a sostanze acide, od alcaline- o filialmente disciolgono i prodotti calcari che si rac- chiudono in qualche viscere , e diconsi litontrintici seppure questa classe di agenti ebbe mai azione ve- ra e reale . De' meccanici poi difficilmente si fareb- be un' esatta suddivisione , essendoché a ciaschedu- no compete facoltà propria di agire . Nondimeno è piaciuto di chiamare emollienti quelli, che rilasciano la fibra troppo stipata , e densa , astringeiiti quelli Che accrescono la coesione de' tessuti , e meccajiico- idraulici quelli che per la loro maniera di agire non solo SI fanno sentire ai solidi, ma influiscono aneli.- su fluidi , siccome sono per la massima parte i com- pensi
  • ; cosi a buon diritto si fa la medesima da lui precedere all' intiera serie dei trat- tati dell'opera di cui ragioniamo . Ed in vero che vantaggio hall recato, se non ostacoli, alla perfezio- ne della scienza le futilità di Paracelso , i deliri di Elmonzio , i . . . ? qual vantaggio l'impegno sover- chio in illustrare le scienze ausiliarie fin a rendere di esse schiava la medicina? qual vantaggio il rapi- do avvicendarsi dei sistemi cotanto svariati fra loro e cotanto celebri divenuti per le fazioni che ne han- no lacerato i partiti, per le vittime immolate , per le derisioni del volgo più che pel loro merito rea- le? L'essersi dunque declinato dalle orme segnate dal divino Ippocrate( orme che tutti preconizzano di se- guire , e che sol col pretesto di sceverarne i bene scarsi teoretici principi ripugnanti ai lumi del seco- lo, pochi il sieguono senza travisare i dettami pra- tici) è stata ed è pur anche la cagione del ritardo di queir apice di perfezione, a cui al pari delle al- tre scienze innalzate al sommo grado di eccellenza, avrebbe pur potuto esser condotta la medicina. Si veggono in appresso riferite le tre prefazio- ni dell'istess o Borsieri, fatte da lui precedere la pri- ma al trattato delle febbri , la seconda alle malattie esantematiche febbrili, la terza al trattato delle ma- lattie che assaliscono le singole parti del corpo uma- no. Ad esse succede la prefazione del dott. Gugliel- mo Cullen-Brown, il quale pubblicò nell'anno 1801 in Edimburgo, e nel 1806 in Londra una traduzione inglese del Borsieri sotto il titolo cV Istituzioni del-' aG Scienze la pratica della medicina , presentate in un corso di lezioni ec . ad oggetto di rendere più famiglia- re e più acconcia a portata di tutti i n'azionali un opera che ancor cola in si gran pregio avcasi da quei valenti clinici, e che quindi divulgatasi in tutta l'In- ghilterra e negli stati uniti di America, serve , sic- come in Francia, in Germania, ed in Italia, di nor- ma agli scrittori più insigni delle cose cliniche. Viene finalmente la eruditissima prefazione di Brei-a j ove il pregio esimio risalta di qucst' opera non solo per gli allievi utilissima come per i provet- ti neir arte salutare. E se nell' elogio che tesse Cul- len-BroAvn alle istituzioni del Borsieri ci fa conosce- re, che gli argomenti vi si ravvisano tutti esamina- ti tranquillamente , senza passione , e colla mira di condurre il leggitore nella conoscenza dei fonti prin- cipali dai quali è tratta la materia che serve di ba- se alla pratica della medicina; rilevati altresì da Bre- ra trovansi quivi la filosofia egregiamente congiunta alla erudizione, la logica all' esperienza, i fatti feli- cemente provati , le conseguenze accuratamente de- dotte , profondo sapere , franco e sicuro ragionare , più candore di animo che vivacità d'immaginazione, più sapienza che vano fulgore. D*aItronde siccome i fatti ed i precetti, che ne formano l'essenziale conte- sto, rimangono ogni giorno dall' esperienza convali- dati; perciò altro pregio di quest* opera si è di es- sersi mantenuta in credito anche frammezzo all' urto caldissimo dei sistemi dominanti e dominati, di aver vittoriosamente resistito agli errori ed alle contraddi- zioni dei tempi, di venirne da tutt'i partiti invocato l'appoggio, e di farsi l'autorità sua servir di base ai moderni lavori in tutta la colta Europa. Così, men- tre Clark , Armstrong , Scudamore , llodgson, Pem- Lcrton , Willan, Batmann, Thomas ,Wilson-Philip nel- BURSERII INSTITUTIONES 2^ la gran Brettagna rendono al Borsieri omaggj di ve- nerazione come ad un Sidenam , ad un Huxham, ed a tanti altri medici di somma celebrità; Rush, Coxe , Mitchill, Smith, Coffin mostrano di possederne assai bene le dottrine e di tenerle in pregevole onoranza; Carminati in Italia vi profonde elogj, ed il dottissi- mo Tommasini dichiara queste istituzioni un' opera clinica, di cui non trovasi esempio presso le altre na- zioni. Siccome però gli attuali avanzamenti della scien- za clinica esigevano , che la presente edizione di- stribuiti venisse in trattati , dee perciò avvertirsi , clie questa nuova divisione induce qualche cangia- mento nella nosologia dell' A., il quale secondo il co- stume invalso ai suoi tempi avea coordinato le mor- bose affezioni a norma delle singole regioni del cor- po umano. Giacche ripugnando una tal partizione al- le odierne ricevute dottrine fisiologico - patologiche dei sistemi organici , egli è che la pratica classifica- zione delle malattie viene su di essi stabilita , per- chè in essi ha luogo la primitiva mutazion patolo- gica , Tessenzial forma della malattia ; e per tali ragioni si riscontrerà talvolta una certa trasposizio- ne degli ordini delle malattie declinante dall' ordi- ne borsierano. Altro cambiamento avrk pur luogo , di vedere cioè a' principi chimici , idraulici , e meccanici dal Barsieri adottati sostituirsi ora i pre- cetti e le illustrazioni dei recenti chimici, fisiologi, e patologi a maggior lustro della scienza. E per rende- re il sig. Brera pii^i istruttivi i differenti capitoli di quest' opera , non mancherà di giovarsi delle dottri- ne del traduttore inglese, il quale volle insieme ac- cordare sotto l'egida del Borsieri le proposizioni le meno controverse del di lui padre e di Cullen. 38 Scienze Siegue clòpo tali avvertenze di Brera la raglo-^ nata esposizione dei dodici trattati , nei quali di- vide egli la presente edizione a norma di quanto venne accennato nel Prodroìnus , di cui fu espo- sto altrove un brevissimo saggio (i), e che ora per ■Vantaggio dei nostri l'aggi tori farem conoscere alquan- to pivi difiusarriente , onde vieppiù si possa giudi- care sul vero merito delle istituzioni clie in tal fog- gia compiute ed illustrate si riproducono. Il primo trattato è dedicato alla dottrina delle febbri semplici , le quali vengono poi in riguardo al tipo divise in intermittenti, continue remittenti , G continue-continenti : ed in rispetto alle Condizioni di- namiche dell' organismo sono ripartite in ipersteni- che , iposteniche , ed irritative , e ciascuna specie di esse in semplici composte e complicate. Abbrac- cia il secondo trattato la dottrina dei contagj feb- brili. Ivi dopo varie generali premesse sull' indole , origine , dillusioni , azione dei contagj sull' orga- nismo , ed effetti patologici risvegliati dai processi fisico - chimici, saranno delineati i sintomi parogno- monici spettanti alla diagnosi ed alla prognosi dal- le affezioni febbrili , che dai contagj risultano ; le più opportune indicazioni terapeutiche , il più ben inteso regime profilattico ; e le considerazioni noso- graflco-cliniche delle affezioni febbrili contagiose ri- partite in febbri tifiche ( suddivise in cinque gene- ri ), ed in esantemi d'indole specifica o contagiosa come i levigati , i pustulosi , ed i latenti , nei qua- li ultimi la pertosse ha luogo e l'idrofobia. Com- prodonsi nel terzo trattato le infiammazioni febbri- li , ove dopo l'esposizione del prestantissimo com- '■ b I I ■ I ■ ■ (») Volume di Ottobre 1822 di quciio Giornale pag. 111. sono l'Anicolo J^arietà. BURSERII INSTIT,UTIÓNES 29 mentario De ìh/lammatiune' del Borsieri illustrato con le osservazioni e con le sentenze dei piiì recenti , verranno descritte le monografie delle infiammazip* ni del sistema cutaneo , di quelle del sistema ence- falo-nervoso , delle altre del sistema sanguifero , e degli organi alla respirazione destina,ti , del linfati- co e degli organi secerncnti ; degli organi alla dcr glutizione inservienti , e del sistema gastro-^enteri- co ; del sistema muscolare ; dell' osseo ; e di quel- lo infine della riproduzione nell' un sesso e nell' altro. Consecrato viene il quarto trattato alla dot- trina delle malattie del sistema cutaneo , che men- tre appalesano una propria e singoiar forma non posseggono i caratteri delle febbrili affezioni. Quivi dopo varie generali nozioni intorno alle funzioni na- turali ed alterate della cute , ed intorno alle influen- ze patologico-cliniche di esse , succede la istoria del- le varie decolorazioni, quella delle malattie cutanee risviltanti per bolle , di quelle consistenti in papule o pustule, delle affezioni costituite da serie di tubercoli, delle impetigini per squamme , delle efllorescenze eoa processo depascente nella cute , delle indisposizini cutanee derivanti da insetti , vermi ec, dei vizj del- la traspirazione cutanea , e perfine di quelli delle unghie , poli , e capelli. Saranno nel quinto trattato descritte le malattie del sistema cerebrale-nervoso , e perciò dopo alcune considerazioni sulle varie leg- gi della vita e sulle di lei patologiche manifesta- zioni e sopra le più generiche idee di simili mor- bosità , succedono le singole istorie di tali alFezic- ni a norma della monografia dell' ili. Borsieri , che a giudizio anche dell' egregio Clark è ritenuta per la migliore, specialmente in genere di terapia. Vien destinato il sesto trattato per la dottrina dei morbi del sistema sanguifero e degli organi della respira* 3o Scienze zione: sono ivi rilevate le connessioni ed i consen- timenti fra quello e questi; vengono riferiti i giu- dizj di Avenbrugger , Corvisart , e Laennec dalla per- cussione ed ascoltazione toracica dedotti per isco- prire e distinguere le malattie del cuore e dei pol- moni ; vien esposta la dottrina fisiologico-patologi- ca dei polsi già dall' istesso Borsieri delineata , ed óra delle più recenti nozioni in tal genere arric- chita , specialmente dall' esimio Sacher (2) ; e ven- gono espresse le singole affezioni del torace e del sistema angiologico. La descrizione delle malattie del sistema linfatico e degli organi secernenti ed escre- tori con le loro particolari varietà occupa il set- timo trattato ; e nell' ottavo contiensi la dottrina de' malori degli organi della deglutizione, e del sistema gastro-enterico considerati specialmente sot- to l'aspetto di profluvj , di ritenzioni , di spasmi , di dolori , di piorragie , e di ectopie. Contemplasi nel nono trattato la dottrina dei morbi del siste- ma delle riproduzioni organiche in ambi i sessi , ove troverassi inserito il trattato De morbis venereis dell' istesso Borsieri aumentato delle ulteriori dottrine e cliniche nozioni dei piìi recenti e dell' editore me- desimo. Le malattie del sistema muscolare in un con la dottrina sulle condizioni delle fibre muscolari avran luogo nel decimo trattato , mentre nell' un- decirao sono riservate le morbosità delle ossa , le qua- li dopo varie generali considerazioni sulla struttu- ra , uso , connessione , e relazioni degli ossi , e sul- le patologiche condizioni di quest' organico siste- ■ ■ ■ ■ ■■ I ' ' ' ■ ■ »■ (2) Specimen de pulsibtis organlcls diagnosiicis et pro- guosiicis, nec non de eorum Insigni ulililalc in raoiborura Uicrapeja dirigenda. Angusto Tauriuoram 91 ì.^iS , 8* cuni iconlbust BURSERII INSTITUTIONES 3l ma , verranno ripartite in osteodinie, in lesioni dell* intima sostanza degli ossi , in escrescenze , in distor- sioni , in vizj delle articolazioni , ed in malattie dei seni come dei frontali e de' mascellari . L'ultimo trattato poi abbraccia levarie malattie derivanti dalle posizioni , dall' età , dal genere di vita , dal me-, stiere, dalle professioni , dai climi , ec. Dopo tale sensatissima partizione , cui per bre- vità non si è potuto più estesamente tener dietro , potrà ognuno essere al caso di giudicare sul meri- to distintissimo della medesima. Previene quindi l'edi- tore , e rimuove alcune difficolta che potessero in tale incontro venir promosse : fra le quali non e dispregevole quella di toglier cosi nell' arte medi- ca quella semplicità, che da alcuni fra' moderni gli viene tribuita, su di che sarà meglio ascoltare le istcsse espressioni del clinico di Padova. „ Nec ve- „ ro sit qui exclamet , velie nos hoc modo arti „ medicoe eam auferre simplicitatem , quae a recen- „ tioribus quibusdam illi tandem donata est , te- „ nebrasque iteruni data opera ofFundere per am- „ biguitatem et dubitationera. Sed is , quaeso , pa- „ rumper attendai. Quum medici officium sit per- „ turbationes investigare , atque dignoscere morbo- „ sae nostrae machinse quae in singulis et simplicio- „ ribus elementis apparet valde implicata , eritne „ satis , dii boni , ascensum ac descensum incita- „ nienti^ actionum nempe reactionumque vitalium , „ in morbis dignoscendis et pertractandis unice spe- „ ctare ? Hae nugae inexpertis poterunt fortasse obtru- „ di , minime vero iis , qui plurium annorum expe- „ rientia edocti apertissime fateri debent , medicinam „ natura ipsa summis diflìcultatibus involvi, et ad „ eam assequendam per scopulos quandoque arduos « atque insuparabiles iter esse faciendum. Non est 32 Scienze „ antem dissimulandum, medicinge sciipfores Iiomi- „ num patientia multum abusos esse se ntentiarum opr ,) jpositione , et sibi aliisque niiper et olim miris ,, ineptiis imposuisse. Factum bine est , et jure qiii- „ dem in speciem , ut multi sibi persua seiint , me- „ dicinam prorsus vanam et futilera esse, et non „ modo non prodesse , sed ctiam valde nocere , quum „ nempe ipsa aninium a veris eogiiitionibus , qute „ sola , ut volunt, experientia disci debent , avoeet, „ et flctam scientiam substituat.Hau d facile igitur est „ negotium , tirones per vastissimam conjccturaruni „ seriem ducere , in quibiis perraix) verse ac soli- ,, dae latent doctrinse • . . „ Compiuta questa dottissima prefazione discende il sig. Brera ad assumere discorso sulle materie del primo trattato . E ben conoscendo egli la contratta obbligazione di render cioè convinto il pubblico del peso delle ragioni , sulle quali fondato era il di lui giudizio sulla preminenza del merito delle istituzio- ni del Borsieri , ha voluto in questo istesso trattato rilevare la superiorità dei pregj della piretologia bor- seriana mercè d'un breve si, ma distinta e ragionalo paragone con gli scritti anteriori , coevi, e posterio- ri al Borsieri. Ciò forma l'oggetto di questo primo capitolo , che abbiamo nella presente puntata , e che porta il titolo di- Febrium ductrince historica aduni-' hratiO' Dichiara primamente essere incerta l'essenza della condizione febbrile , si perchè a varie forme mor- bose essa appartenga , si perchè a queste si asso- cia or nel principio , or nel corso , ed ora nel lo- ro fine , si anche perchè sotto di essa traggono svilup- po, aumento e declinazione le varie affezioni e di- namiche ed organiche , e locali ed universali. Che anzi variabilissima offerendosi pel suo proteifor- BORSERII INSTITUTIONES 33 me aspetto , e riuscendo ora letale , ora utilissima , e talvolta pur desiderata , appartener non può al- la semplice condizion patologica delle malattie es- senziali , e viene da Brera definita : nonnullarunv salutis abnormitatum vel quasi umbra , vel mani- festatio suis formi s notata. Imprende quindi l'esar- me della dottrina d'Ippocrate di Coo , al quale pro- fonde meritamente elogj per trovarsi la di lui di- sciplina sulle febbri quasi immutabile presso i me- dici osservatori ed imitatori della natura , avendo egli ben conosciuto i caratteri delle febbri , ben posseduto l'istoria delle successioni dei fenomeni febbrili e delle crisi affin di reltamcnte istituirne la prognosi e la terapia , come lo appalesano le varie opere di esso , ma specialmente gli aforis- mi , i presagi , e le prenozioni coaclie . Veggiam dipoi in qual modo si rendesse incerta la prati- ca medica sotto le dottrine dei dogmatici, oscura ed intralciata sotto i principj teoretici degli em- pirici , quantunque dai precetti d'Ippocrate nella patologia non dissentissero; fra' quali ultimi si leg- ge annoverato il eh . Hahnemann pel suo omoio- patico sistema medico ; ed in qual modo di non lie- ve detrimento riuscisse la dottrina dei metodici , che si è fatta a' giorni nostri rivivere nella teoria brow- niana ed in quella dei controstimolisti. Conosciamo altresì che Celso , medico di grandissimo merito , aurei precetti sparse intorno la diagnosi e progno- si delle febbri , e che può dirsi aver gettato i fon- damenti delle febbri derivanti dalla diatesi o condi- zione irritativa , che parlò delle perniciose e special- mente della letargica, avendo cosi somministrato al Torti i materiali per compilare il suo scritto ; e che rilevò assai bene l'indole perniciosa di quelle felibri che sopravvengono alle ferite : precotto ben illuslra- G.A.T.XXI. 3 34 Scienze to in oggi dalla penna di Dumas , e confermato dall'esperienza , come luminoso esempio di una co- matosa ne abbiamo ne' prospetti clinici di Bre- ra (3) dall' A. arricchito di sagacissime riflessioni. Pro- seguendo l'editore il suo osarne analitico , siamo addottrinati , die qualche lustro fu ancor dato alla medicina dai pneumatici , ma la lor mista manie- ra di medicare era troppo disconveniente: che Ga- leno co' suoi precetti relativi alla dottrina del- le febbri ampliò i principi della medicina ippo- cratica , ma che soverchiamo ntc trascurò la conside- razione delle forze vitali e del loro impero : che sterile si rimase dipoi sotto i calcoli de' saraceni e de^li arabi , e sotto le magiche ed astrologiche superstizioni dei verbosi avadisti : che , dopo l'in- venzion gloriosa della slampa per munificenza del cran Lorenzo De'Medici divulgatasi , essendosi col mezzo de' torchj diffuse le opere d' Ippocrate , di Galeno , e di Celso ; dopo Tapparizione e lo stu- dio di nuovi malori ; dopo lo studio ed i progressi dell' anatomia, potè vedersi ristaurata la pristina medicina ippocratica: che nuovi lumi si ottennero dappoi nella disciplina delle febbri dagli scritti di Foresto , giacche questi accuratissimo nella coordi- nazione delle istorie morbose a norma del metodo ippocratico non ebbe difficolta di asserire , che t'e- rarum indicationwnfontes Uinpidissimos in Hippo~ cratls scriptis tantummodo reperiehat , e cosi potè rendere ben fertili di cognizioni le sue opere sulle febbri , nelle quali ravvisasi pur adombrata quella specie di febbri intermittenti , che alla diatesi o con- (5) Piospetli dei rliuliameiiil ec. nel sei anni scolastici *iJ09 - ibió , ec. pag. %\ e scg. BURSERII IKSTITUTIONES 35 dizione irritativa riferisconsi oggicVi , oltre le molle sue osservazioni sulla pcniiciosa indole di loro come della sincopale. Percorse in seguito le dottrine de- gli scrittori del secolo XVII , siamo informati co- me si arrestassero i veri progressi della medicina, e specialmente dipoi in grazia delle superstizioni di. Elmonzio , degli assurdi dei chimiattici , delle in-* coerenze de' jatromattematici a riserva della vera cognizione delle forze vitali e dei salutari effetti in- dotti nelle febbri dai movimenti delle forze della na- tura istessa : e come all'incontro si procacciasse la medicina maggiori avanzamenti per la dottrina ed ingegno di Stahl , di Hoflmann , di Boerliaave , di Haller. Assai convenientemente la discorre quijidi il sig. Brera sulla teoria di Sauvages illustrata da Bor- den e da Fabre ; sul sistema spliditlico o meglio di- namico di "Wliytt eretto mercè dell' innesto delle dottrine di Stahl e dei precetti di Haller , abbrac- ciato da Macbride e da Gregores, emendato da Cul-t len co'suoi ragionamenti sullo spasmo , seguito da Brown nelle già decadute massime , illustrato per- fine o ancor deformato da varj altri , come Eirtan- ner , Reil , Pinci , Frank seniore , Giannini , e dal- la setta dei controstimolisti. Ne minor vivacità rile- viamo e diligenza nella pittura dei meriti del cel. Torti , il quale forma epoca avventurosa e di glo- ria negli annali del secolo XVIII per la dimostrata virtù febbrifuga della china china , e per gli aurei di lui precetti sulla essenza e sulla natura delle feb- bri perniciose; dottrina poi a' nostri giorni assai be- ne rischiarata dagli studj di Gomparetti, di Aliber- ti, e dalle pivi recenti osservazioni di Puccinotti (4). (4) Istoria delle febbri perniciose di Roma negli an- ni 1819- 1820. 1821. 3 * 36 Scienze Esposte in appreso le dottrine di Wan-Swieten , e di De Haen passa in rivista i lodevolissimi precetti di Sloll meritamente risguardato qual clinico insigne, che alla dottrina delle febbri ha dato luminoso svi- luppo ed incremento con la dilucidazione specialmen- te dei principi d'Ippocrate, di Sidenham , e di Hu- xham da StoU seguiti e dall' illustre Quarin ri- dotti in ordine clinico. Dalle quali contemplazioni tutte rilevata evidentemente la preminenza della dot- tiina delle febbri fondata sulla osservazione e sulla esperienza in confronto dell' altra sosten uta da siste- matici raziocinj^ imprende a convalidar l'a ss ertiva il sig. Brera con la esposizione della piretologia del sommo Borsieri , in cui rinviene la maggior parte dei pregi ^^^^ ^^ *^^^ argomento convengonsi. Ac- curata vi riconosce e giusta la divisione delle feb- bri ; esatta la descrizione dei morbosi fenomeni al- le varie di lei specie spettanti; lodevolissima l'espo- sizione dei segui che guidano ad una sicura progno- si, inviolabili i precetti della terapia perchè destituita di sistematiche speculazioni. E recando cosi una com- pediata analisi della intiera dottrina delle febbri di queir esimio clinico si vi riscontra interessante il la- voro, ammirabile lo studio , felice la pratica, sana l'esperienza, nuda l'osservazione, che a buon diritto ne conchiude che » excellat Inter tot fehrium tra- ctatus quos vel ante Barserinin editos , vel ejus teni" poribiis emissosj vel post ipsiim iisque ad hanc diem expositos medicina conspexit. n E se lievi pur vi occorrono mende, son queste di tal indole che niui- na dir si possono indurre alterazione nella ragiona- ta serie della piretologica dottrina di lui, e verran- no pur a suo luogo dall' editore partitamentc emen- date. Dopo tali avvertenze accui'atamente esposte si chiude questa prima puntata con l'esame della teoria BURSERII INSTITUTIONES 87 di Cullen ridondante di gravi difficolta, e clie piiì di nocumento recò alla scienza che di profitto, sic- come con varie riflessioni all' uopo dimostrasi. Rimane ora di congratularsi col valente edi- tore non già pe' meriti del presente di lui lavoro , poiché cosi facendo urtar potrebbesi la di lui mo- destia, ne d'altronde abbisogna egli di elogio qual- siasi risuonando troppo chiara la di lui fama ovun- que ; ma sibbene congratular ne giova per l'impegno che appalesa nella esecuzione dell' intrapreso assun- to, il quale con la pronta successione delle altre pun- tate ci auguriamo veder prestamente condotto a fine. TONELLI. Osservazioni sul sistema di successione delle leggi inglesi» I I sistema delle successioni stabilito presso la na- zione inglese non può , a mio avviso , se non destare sorpresa. Io non entrerò nelle speciali di- sposizioni sulle successioni riguardanti le leggi feu- dali , e la natura di alcuni beni che hanno par- ticolari modi di trasmissione , e reputo soverchio il tessere la storia delle leggi inglesi fatte ne'dif- ferenti tempi sulle medesime , imperciocché posso- no rilevarsi queste nell' opera del Blakston sulle leg- gi inglesi ; e solo mi farò ad esaminare il siste- ma generale di successioni attualmente adottato in pratica riguardo ai terreni e fondi , che hanno ot- tenuta una certa liberta negli atti e nelle convenzioni. I beni in Inghilterra non si dividono , sicco- me in molti inciviliti stati dell' Europa , in egua- 3S S e 1 È N iz È li porzioni fia tutti i figli. La maggior parte del* le gracidi tenute, e si può dire quasi tutte le campa- gne, rimangono generalmente affette a vincoli di deter-* minate sostituzioni, cosicché in tutte le classi della so- cietà, dal lord sino al più oscuro cittadino, la legge esclude dall' eredita non solo le donne, ma da al mag- giore dei figli i beni tutti immobili della medesima ^ non lasciando dividere fra gli altri figli se non che i beni mobili. È vero clic le stesse leggi accordano ai genitori e parenti il potere illimitato di disporre de^ la totalità dei loro fondi e beni come lo giudicano conveniente , per cui sembra che il favore dei figli maschj , e vieppii!i dei maggiori dovesse al sommo mo- dificarsi dalle testamentarie disposizioni; ma l'esperien- za comprova essere cosa sommamente rara, che i te-* statori profittino di questa facoltà per eguagliare le porzioni fra i membri delle famiglie. Da alcuno fu av- vertito rendersi bensì difficile t'assegnare in una ma- nièra precisa le porzioni dei cadetti, poiché queste di- pendono dall' opinione dei testatori, o dalle loro pas-- sioni, e talvolta dal capriccio; ma potersi asseverare^ rimaner sempre inferiore la porzione che tocca a tut- ti gli altri figli a fronte di quella del figlio maggio- re. Anzi, per dare a sì fatto sistema una più grande estensione, rendesi di uso riservare nei patti nuziali e nei matrimonj i beni immobili al suddetto figlio mag- giore. Laonde i costumi della nazione, lungi di esse- re in opposizione alla legge ed a tanta eccessiva ine- guaglianza, sono quasi pienamente conformi al suo spi- rito ed allo stabilimento delle primogeniture, in ogni famiglia. . Se si vuole esaminare sì fatto sistema secondo le massime dei filosofi e degli scrittori del naturale di- ritto, sembra doversi il medesimo ricusane all'atto. Ep- pure Ilume nel suo discorso sopra il numero degli abi- Sistema DI SUCCESSIONE Éc. 3^ tanti attribuì allo stesso alcuni vantaggi; ed uno scrit- tore moderno francese, che si portò in Inghilterra pet esaminare l'amministrazione giudiziaria, M. Cotìi (i)» v^lle giustificare e lodare un simile ordine di succes* sioiìi e tali costumi, pretendendo essere questi fecon- di di tre grandi ed utili risultamenti. I. Egli trova rendersi questo modo di succe- dere il. più importante per attaccare ciascuna fami- glia alle sue proprietà , ed anche alla provincia nella quale sono situati i fondi. Questo attaccamen- to diviene , dic'egli , alcuna volta un sentimento co- sì vivo , e per cosi dire religioso , eh' esiste un gran numero di terre che appartengono alle stesse famiglie dal tempo della conquista. E prosieguo : cia- scuno si compiace di migliorare , e di abbellire fondi che sa dover passare alla sua posterità la più re- mota. Aggiunge , che non vi sono campagne che of- frano un aspetto piiì seducente siccome le inglesi « tutte coperte di parchi mantenuti colla più grande ricercatezza , ed animati dal movimento e dai giuo- chi di una moltitudine di animali domestici che vi pascolano in liberta ; ciascun proprietario avendo cu- ra del suo giardino siccome della sua casa, e sa- rebbe cosa vergognosa presentarli ad uno stranie- ro in uno stato di abbandono e di negligenza. L'oc- chio del padrone ha sempre la stessa vigilanza, per- chè il padrone non invecchia giammai. Allorché l'età poi comincia a renderlo indifferente ai godimenti di questo mondo , e la terra gli offre invano tutte le 'seduzioni , e quando non attacca più importanza se non a ciò che può avere rapporto all' eternità < viene rimpiazzato dal figlio maggiore, il quale nella . giovinezza o nel fior di vita rimane legato alle co- (») De lai jus. crimm« d« i'Anglet. P«ris i^aa* ^o Scienze se qui in terra , e chiamato al prossimo possesso de'beni della famiglia, dispiega nella loro amministra- zione una sorveglianza tanto più attiva , quanto piìi suo padre si avanza rapidissimamente verso il ter- mine di sua carriera. Il secondo vantaggio che apporta, a parere dell* accennato scrittore, un simile sistema si è, che la gran- de ed importante classe dei proprietai'j si ritrova quasi uniformemente ripartita sopra tutta la super- ficie dell' impero , e contribuisce a spandere nei luo- ghi più lontani l'istruzione , le buone maniere , le invenzioni utili ed aggradevoli che la medesima va a cercare nelF inverno alla capitale , e porta in tut- te le classi costumi, abitudini, proprietà, usi, lin- guaggio più culti , e tutta la nazione non presenta che un insieme , e non già , siccome presso gli al- tri regni , un composto di differenti popolazioni se- parate per usi e costumanze. In tutte le citta e pro- vincie l'inglese comparisce un solo popolo sottomes- so alle stesse leggi , animato dalle medesime istitu- zioni , fiero de'medesimi diritti , e legato dagli stessi interessi , voti , pregiudizi . Un terzo vantaggio vi rinviene inoltre il mede- simo , quello cioè di legare in uno stesso interesse i grandi e ricchi con le classi inferiori ; giacche se per una parte i grandi e ricchi per le loro ricchezze ot- tengono tutta la considerazione , tutti gli onori mu- nicipali , e i posti più distinti nelle provincie ; se hanno la preferenza nella scelta dei grandi 'giura- rati, vengono nello stesso tempo eccitati dal bisogno della comune stima ad avere una condotta esemplare nelle loro famiglie , e una grande esattezza nell' adem- pire ai doveri di cittadino : siccome anche vengono i grandi ed i ricchi inspirati da una viva benevo- lenza per le classi infcrioii , per le quali fanno Sistema di successione ec. 4* a gara di distinguersi in vaste intraprese di colti- vazione che ridondano a profitto degli agricoltori e dei travagliatori , i quali ottengono salarj più cer- ti e proficui. Parimente i grandi e ricchi si fanno una obbligazione di contribuire nel più possibile modo alla magnificenza delle feste che si danno nel- le Provincie , procurano concerti , corse di cavalli , e balli al popolo nel tempo delle assise ; e riguar- dando questi grandi proprietarj simili feste come di famiglia , fanno per esse le più estese soscrizioni e spose , aumentano in simili circostanze la pompa delle medesime con equipaggj i più eleganti , vi con- ducono e mogli e figli nel maggiore sfarzo quando poi essi nelle assemblee si mostrano a vantaggio del popolo ora come magistrati , ora come oratori , e sempre come cittadini versati nella conoscenza delle leggi e nei veri interessi del loro paese. Cosi, dice l'autore, una tanta ineguaglianza di fortune provenien- te generalmente da questo sistema delle successioni, e simili privilegi esclusivi vengono rattemperati con van- taggio del popolo da una si fatta condotta studiosa , applicata , e benefica , senza cui quelli si rendereb- bero oggetto di gelosia e di odio universale: ed in tal modo, aggiungerò io , le leggi inglesi avrebbero seguita una delle massime proposte da Platone e da altri filosofi e da alcuni legislatori dell' anti- chità , che volevano ritenere le terre costantemente presso le stesse famiglie. Confido , che nell' espo- sizione di questi supposti vantaggi non ne avrò affie-- volita la forza ; ma per conoscere la fallacia di que- sta istituzione dei maggiorati mi farò ad esaminare ad uno ad uno tali vantaggi. Quanto al primo, dirò : il pretendere che qu&F sto sistema di successioni porti l'attaccamento degli inglesi alle loro terre e al miglioramento delle me» 42 Scienze desime è un opporsi a quanto rautorita , l'esperien- za , la ragione dimostrano. Tutti gli scrittori i più illustri in legislazione hanno sostenuto al contrario , che le sostituzioni e primogeniture , e tutte le isti- tuzioni che tendono , fuori dei mezzi dell' industria e dell' utilità sociale , ad ammassare i beni in po- chi , non possono a meno di non ingenerare abban- dono delle terre e negligenza nella loro coltura ; che generalmente tali grandi proprietarj non conosco- no che il A'autaggìo del momento, e sacrificano a que- sto l'utile il più esteso della tarda posterità , per cui non possono se non mancare quegli ubertosi stabilimenti che formano di alcune colture le più fe- conde manifatture ; quando poi forniti di tutti i mez- zi di godimento non solo , ma di dissipazione e di vago lusso preteriscono la dimora delle citta , e par- ticolarmente delle grandi capitali , ove trovano pia- ceri i pili seducenti in mezzo agli spettacoli, alle gran- dezze , alla magnificenza , disdegnando generalmente la permanenza nelle loro grandi possidenze. Ho detto poi riguardo a tali accumulamenti , fuori di quanto può imporre l'utilità sociale : e ciò per non esclu- dere quanto può esigere la conservazione delle mo- narchie temperate , dovendosi convenire essere ele- mento della medesima che le famiglie che prestarono i più importanti servigi alle nazioni, cioè le fami- glie stoiiche, come le chiama un'illustre donna, Mad. Stael, abbiano costanti ed estesi possedimenti di ter- reni onde poter concorrere a sostenere l'onore e la dignità di una legale aristocrazia , chiamate cioè a far parte dii'p.ìrlamenti , riservando loro i maggioraschi e le primogeniture ; possedimenti che per non toglie- re alla circolazione e alla miglior coltivazione una troppo estesa quantità di terre , potrebbero appog- giarsi a fondi emfiteutici , o livellar] , od a rendite Sistema di succeìssìone èc. 4^ péi-petue , o a fondi pubblici inalienabili ; onde in tal modo non si verrcbbò a pregiudicare in veru- na maniera ai progressi dell' agricoltura , rimanendo incaricato poi il governo della loro distribuzione il tut- to in conformità ed entro i limiti di detta utilità socia- le ; ma fuori dell' accennata eccezione e dell* accu- mulamento , effetto necessario di una libera indu- stria , reputo cosa dannosa ogni maggiorato ed ogni primogenitura . Ho detto poi che la ragione e la esperienza si oppongono al preteso attaccamento de*- gli inglesi. Un tale sistema certamente non può at- taccare alle terre ed al loro miglioramento ne le donne, ne la generalità dei figli, cioè i cadetti, ne le altre persone escluse dalle sostituzioni, e per- ciò non una grande maggiorità della nazione. Che poi non sia l'ordine di successioni sopracci- tato a cui possa attribuirsi l'uso che hanno gì' in- glesi di passare la piìi gran parte dell' anno nelle lo- ro terre , si comprova da ciò che afferma lo stesso Cotù dell' uso opposto di altri stati sotto un egua- le sistema di successioni. Nelle provincie di Francia , ove il medesimo ordine successoi'io si vide altre Vol- te stabilito , i gran proprietarj erano anzi nell'abitu- dine di abbandonare le campagne, e rinserrarsi nelle citta stabilendovi la principal sede di loro perma- nenza. Or devesi un tal'uso in Inghilterra attribuire piuttosto alle istituzioni provinciali e municipali , che conferiscono ai grandi e ricchi cittadini in cia- scuna provincia e contea gli onori, le dignità , l'am- ministrazione quasi intiera delle medesime , afil- daudo loro lo stabilimento , la ripartizione , e l'im- piego di una gran parte delle tasse , siccome anche il mantenimento della tranquillità pubblica , e la di- stribuzione della giustizia. Non solo l'attuale possedi- mento , ma l'aspettativa di simili onori dignità e 44 S e I E N Z K vantaggi ritiene i gran proprietarj sopra i loro do- minj e gliene fanno preferire il soggiorno ; quando altrove, ove mancano simili istituzioni vantaggi ed ec- citamenti, i grandi e ricchi abbandonano le lorb va- stissime tenute, e conservano i palagi nelle campagne per semplice pompa ostentazione o vanita. Riguardo al secondo supposto vantaggio , cioè della distribuzione de'proprietarj nelle provincie, van- taggio che non si vuol negare , siccome anche al- cuni progressi neiragricoltura ; se pure questo risul- tamento esistesse per tal cagione , si può dire che sa- rebbe un tenue riparo ai molti mali che seco apporta un eccessivo forzato accumulamento di terreni presso poche famiglie. Se i gran proprietarj sono in Inghil- terra pili istruiti , se possono portare T istruzione e gli utili esempj prei>so le altre classi , si deve però riconoscere anche che col togliere il possesso delle terre alla maggiorità delle famiglie, si sottraggono a que- sta molte delle estese fonti di ricchezza', le quali sareb- Lero atte a procurare istruzione ai piìi , che con mezzi proprj potrebbero portarsi nelle citta per acquistare le più utili cognizioni , e concorrere in modi più certi e più diretti ai progressi non solo dell'agri- coltura , ma di tutte le arti e scienze : progressi che diverrebbero sommamente più energici per molti- plice gara ed emulazione sotto le sue libere istituzio- ni. Ne da pochi ricchi proprietarj illuminati dalla filo- sofia e dalle scienze , ed anche da pochi altri citta- dini che possono procurarsi una distinta istruzione , devesi giudicare di questi progressi. Oh quanti mag- giori progressi , almeno per una maggiore] estensione, potrebbero sperarsi su 1' appoggio di un possedi- mento di terra , se potesse un sommamente maggior numera d'inglesi agire in un proprio stabilimento ! Come mai sporwe maggiori progressi dall'agricoltura Sistema di successione ec. 4^ nella dipendenza dei coltivatori , che sono costretti a ricevere tutte le condizioni e tutti i patti dai gran proprietarj , che preferiscono le grandi affittanze tanto dannose ad un'utile distribuzione di ricchezze , e che impediscono la liberta delle coltivazioni , quando all'opposto il maggior numero fatto possessore v' im- piegherebbe nell'agricoltura e ne'terreni un travaglio meglio diretto , un' industria più attiva , un impiego di capitali meglio inteso , e quando moltiplici tran- sazioni ravviverebbero in ogni campo tutte le forze della natura ? Non sono poi magnifici palagi , vasti parchi , e floridi giardini che possano formare la ve- ra prosperità di una nazione ; non è una coltura ge- neralmente indirizzata a ritenere vastissimi terreni in un variato aspetto di eminenze , di valli , di piani , selve , e laghi per sorprendere l'occhio con la bellezza dei gruppi di alberi , e delle vedute interminabili ; non estese campagne poste a pascolo , che possano dare idea dei maggiori progressi dell'agricoltura. Quantunque si mostrino i gran proprietarj in Inghil- terra generalmente illuminati, benefici , umani, è que- sto un vantaggio troppo tenue a fronte della preter- missione generale di quelli che sarebbero successori e possessori di gran parte di tali terre, siccome non era un vantaggio sufficiente l'esistenza di alcuni feu- datari umani e generosi a fronte dei massimi danni che apportava la feudalità in generale alle nazioni ; giac- che poi ne la giustizia , ne il bene del maggior nu- mero degli individui potrà mai sanzionare la preter- missione medesima presso la maggiorità delle fami- glie , non potendosi ciò riguardare se non come ca- gione di estese sterilita , ne l'utilità sociale potrà giammai ammettere limiti tanto estesi alla circola- zione de'terreni. L'esperienza poi delle altre nazio- ni dimostra, esistere miglioramenti ed abbellimenti 4G Scienze di terreni , e progressi ndl' agricoltura non solo, eguali , ma anche superiori a quelli dell' Inghilter- ra, perchè più proficui e multiplicati , e proprj di tutte le classi de'coltivatori, e questo succede particolar mente dovei popoli vivono sotto libere istituzioni,© sot- to saggi e giusti governi, vantaggio che si accresce ap- punto per aver adottato generalmente un sistema del tutto opposto di successioni. Potrei ricorrere alla sto- ria per mostrare la veritk dell' esposto, ma le Fian- dre , l'Olanda , la Svizzera ne oil'rirono raultiplici esempi . L'istituzione delle nuove leggi che hanno, ammessa l'eguale successione dei figli maschj e del- le femmine ha piuttosto promossi i progressi dell* agricoltura in Italia ed in Francia : e fino molti padri di famiglia, anche della primaria nobiltà han- no renduto omaggio a tal principio di giustizia ri- guardo a tutti i figli nelle successioni , non pre- valendosi della facoltà data da nuove leggi di co- stituir maggioraschi. Che se quanto asserisce il Co- tù delle successioni inglesi cosi fixvo revoli ai figli maggiori , fosse vero , cioè che portassero realmen- te i da lui supposti risultamenti a favore dell' agri- coltura , questo sistema in pratica per tanti seco- li avrebbe dovuto avere la più utile influenza so- pra le terre inglesi , le quali dovrebbero ritrovarsi tutte in istato , se non di maggiore, almeno di or- dinaria coltura ; il che e falso , come attestano non solo i viaggiatori stranieri , ma i suoi scrittori più distinti di agricoltura , e di economia , e lo stesso Cutur Young , ritrovandosi millioni e millioni di acri di terra in uno stato di ninna coltura. Riguardo poi al terzo preteso risultamento, quel- lo cioè di legare in reciproco interesse i grandi , e ricchi colle classi inferiori , quantunque vi siano ap- parenze di un tale vantaggio , ciò però non sussiste Sistema di successione ec. 47 ne"* suoi più utili e reali rapporti eli prosperità ; giac- che i vantaggi a favore dei grandi e dei ricchi sono sommamente superiori a fronte dei vantaggi che può ottenere il popolo inglese dalle loro cure , affezio- ni , e da' loro sacrifizj ; simili ai grandi , ed ai ric- chi di Roma, che quantunque. contribuissero del tut- to a sostenere lo stato colle loro fortune , ciò però non compensava la perdita che faceva il popolo nel rima- nere realmente escluso da tutti i diritti di cittadinan- za, e da tutti i vantaggi dello stato . Come mai la mag- giorità della nazione privata per tal sistema di succes- sioni d' ogni proprietà delle terre , potrà venir com- pensata per le beneficenze dei grandi ? E a chi non è noto il picciol numero dei proprietarj de' terreni in Inghilterra ? Si osservi , che una porzione della maggiorità , allorquando non ha potuto aspirare col- la sua industria o colla fortuna a tutti i vantaggi delle sue libere istituzioni , essa si trova costituita in uno stato di privazione e di disagio , superiore ad ogni povera popolazione degli altri regni europei: in modo che per riparare a questa infelicità e a tanta in- digenza, cagionate appunto dalla maggior parte del- le terre presso poche famiglie , fu il suo governo co- stretto a stabilire i tributi più gravi , cioè la tassa dei poveri , che se si deve credere agli scrittori di statistica inglese , arriva fino ai dieci od undici mi- lioni sterlini , senza contare quanto si versa di ricchez- ze dagl' istituti di pietà , e dalle private liberalità e beneficenze sopra del popolo , che forse raddoppiano i soccorsi. Onde può dire che ad onta di cosi estese largizioni a favore dei poveri, tutti questi sussidj ri- mangono anche insufficienti pei bisogni della intera popolazione. Malthus (i) che pretese censurare asso- C*; De la popolai. 48 Scienze lutamente questa tassa, cioè non per la sua natura viziosa ma per il suo oggetto , doveva però ricono- scere precedentemente questa causa di povertà a dan- no del popolo, causa che merita un diretto compensa mediante un pubblico soccorso , almeno per i più in- felici. Fortunatamente che ciò viene riparato in par- te ad altissima lode del suo illuminato governo nell* aver favorito ogni sorta di sorgente di privata ric- chezza , travaglio, industria , capitali , transazioni ; neir aver dirette tutte le sue cure e saggezza , tutte le forze, e tutti i nuovi e più estesi sacrifizj per sostenere l'attività agricola , e manifatturiera della sua popola- zione, oltre l'aumento indefinito ottenuto dal suo com- mercio interno ed esterno, la più potente molla e il più forte strumento di pubblica prosperità, vantaggi e benefizj che hanno sommamente diminuiti i mali di questo esclusivo sistema di successioni , ma che non potranno giammai toglierli se non si passa ad un viti" le e saggia rifonna del medesimo, senzia cui esisterà sempre in questo impero un genere di odio, di gelo- sia, di malcontento che potrebbe rendersi il più fune-, sto ne gli straordinarj tempi di calamita. Quantunque le ragioni esposte possano smentire i risultamenti vantati dall' autore riguardo a questo sistema, reputo inoltre potervi aggiungere altre ragio- ni di non minore rilievo per escluderlo, e per applau- dire al sistema di successione generalmente stabilito da Giustiniano per le successioni tanto testamentarie , che intestate ; ma di ciò mi riservo un esame speciale in altro luogo. Concedasi ancora che il sistema inglese sulle suc- cessioni porti i supposti vantaggi. Reputo poter di- mostrare, il medesimo andar soggetti a superiori incon- venienti e mali. Deve ritenersi come massima* di na- turale giustizia, ed equità, che salva la proprietà Sistema di successione ec. /q e la giustizia aljbiasi procuravo che il maggior nu- mero tic' cittacliui resti partecipe ai IxMicflzi sociali ed allo stesso possedimento delie terre, e perciò che tutti i figli aventi gli stessi rapporti e bisogni vengano alla morte dei loro genitori, allorclic questi non credano di dover disporre per mantenere l'equilibrio nella fami- glia, ad aver parte del retaggi^» paterno in eguali por- zioni anche per meglio legare in un comune interes- se e nella pii!i utile reciprocità di servigj i membri delle famiglie. Ho detto che la giustizia naturale, fon- data essa pure sopra l'utilità sociale, sembra imporre un* eguale divisione a favore dei maschj : giacche lo stésso principio dell' utilità potrebbe imporre , oltre l'eccezione accennata di sopra , un diverso modo di partecipare ai beni delle famiglie per le figlie, giovan- do piuttosto a queste il diritto di una congruità di dote per facilitar loro i matrimonj ed uno sta- to , cioè per meglio servire al sostegno di nuove famiglie. Con simili temperamenti la divisione delle terre non sarebbe eccessivanKMite grande, né si op- porrebbe all' opulenza di una nazioue. Se minori sa- rebbero gli aumenti in ciascun individuo, si accre- scerebbe però indefinitamente la massa delle ricchez- ze presso una nazione. Qual confionto mai si po- trebbe fare fra 1' opulenza di alcune famiglie favori- te dalle primogeniture e sostituzioni, e la povertà del- le altre? Imperciocché per esso tre quarti o quat- tro ^quinli di persone che diverrebbero, nel sistema dell' eguaglianza di successioni, proprietarie di fon- di e terreni , restano del tutto escluse da ogni lo- ro possedimento in Inghilterra, e quindi una plu- ralità di tale nazione, invece di ottenere vantaggio, VI fa le maggiori perdite. Ma quali sono i veiì suoi risultati , se non questo, che un tah? sistema non è fat- to che per risvegliare negli animi le passioni più G.A.T.XXI. l 5o Scienze ingiuste sia ne'flgli maggiori, sia presso gli altri figli? Ma, per meglio conoscere questi risultamenti, sia- mi lecito di esaminare l'influenza del medesimo siste- ma sulle diverse classi della nazione ; e i . riguardo ai grandi ed ai ricchi. Certamente questo non pos- sesso della proprietà territoriale presso le medesime famiglie sembra non apportare un grave danno, ri- manendo naturalmente esse tutte fornite anche di una ricchezza mobile molto estesa che può portare vantaggi quasi uguali ai cadetti ; nulla ostante non potrà a meno il medesimo di non promuovere la licenza negli uni , e la non curanza pel bene delle famiglie negli altri. Siccome poi queste primarie fa- miglie fornite di mezzi e di aderenze facilmente possono procurarsi una nuova estesa fortuna nelle armi , nella marina , e negli impieghi publjlici , e possono applicarsi ad altre professioni civili le più lucrose , perciò ne risentono meno disgusto. Ma ])uossi ritenere , un tale vantaggio generalmente venir fatto in danno delle altre classi che ne hanno maggior uopo , ed anche senza ciò si può osservare suU* appoggio dell' istoria che le classi primarie con la speranza di questi posti ed impieghi vi promuovo- no talvolta guerre le più dispendiose e micidiali senza un vero principio di giustizia , e perciò con vero danno della nazione ; provocando inoltre lo sde- gno degli altri popoli , giacche quando le guerre non sono sostenute da una giusta difesa ma fatte soltanto per oggetto d'ingrandimento o di cupidigia, si ren- dono sempre agli altri popoli odiose , ed alimenta- no i vizj della propria nazione , ed un funesto lus- so che ha per termine una fatale decadenza. Riguardo poi alle classi medie sembra un tale sistema avere più sinistri risultamenti. Privati ge- neralmente i figli di ogni proprie la delle terre fuo- Sistema di successione ec. 5i ri (lei maggiori , questi vengono costituiti general- mente in uno stato d'indipendenza dai loro genitori e perciò in uno stato d'insubordinazione, quando poi tutti gli altri figli separati d'interessi dalle loro fa- miglie rimangono indifferenti al comun bene , e si desta in loro uno spirito di avventure , e di specu- lazioni azzardate e pericolose , e talvolta avidi all' eccesso di fortune si gettano all' immoralità e ca- dono nel fallimento. Simile cupidigia si accresce viep- più nelle guerre , onde anclie tali classi risentono un potente eccitamento a queste per più estese spe- culazioni, particolarmente negli oggetti di armamenti anche all' estero. Nulla dirò dell' infelice condizio- ne delle donne. La maggiorità di esse senza dote ri- mangono, vittima ingiusta di sifiatto sistema, in un in- grato abbandono e sempre nella maggiore dipeii- denza d(^lle famiglie e direi quasi in ischiavitvt: e le loro madri vengono tenute sempre nel!' inquietudi- ne per tema che prive esse di mezzi rimangano nubili senza appoggio , e in preda al disprezzo , al- la miseria , ed ai vi^* Ma un simile sistema di sixccessioni mi sem- bra avere un'influenza anche estesa sopra le classi più numerose del popolo. Chi tiene una proprietà sen- te più fortemente il bisogno di esser giusti , e co- me sia utile il rispettare quella degli altri , sia per timore della pu])blica vendetta , o per non perdere la propria fortuna , o per isfuggir ripresaglie , o per non dar luogo a pretesti di compensi , ed anche per- chè la mala fede porterebbe a sospetti , a diilidenze, a dispendi , e ad altri discapiti ; ma quando la mag- gior parte della nazione rimane dalle stesse leggi in- giustamente spogliata della più pr.-ziosa e più cara proprietà, cioè delle terre , da quelle leggi , le qua- li esser dovrebbero fatte per il bene di tulli ,quai 4^ 53 Scienze sentimenti non deve ciò risvegliare negli animi non ritenuti bastantemente da' principi di dignità, di ono- ratezza , e da una sorvegliata educazione ? Parlando delle classi superiori dissi che un tale sistema vi ec- citava le guerre. Ciò ha luogo vieppiù nelle classi in- feriori. Private generalmente della proprietà dei ter- reni , e perciò del fondamento il più esteso per Tescr- cizio drlle facoltà fisiche e morali atte a procurarsi una ricchezza , esse trovano nelle accennate guerre mezzi estesi di fortuna pioprj ancìie ad alimentare la loro cupidigia con nuove speranze. Cosi presso tali classi inferiori si ascoltano spessi lamenti in tem- po di pace , riguardata questa come cagione di per- dita di ricchezza e di bcnessere,e sovente si sentono mol- ti del popolo invocare il ritorno dei combattimenti, (i) Generalmente poi nulla avendo questi dispogliati da perdere, come arrestare l'odio e la rabbia contro la società , e frenare negli animi fieri i sentimenti della vendetta che li provoca a riacquistare le rapite for- tune ? Ecco in quale maniera si scorgono presso la nazione inglese, e particolarmente nelle classi non proprietarie, molte persone che si gettano in braccio a* vizj: ecco dirò io il motivo più forte per cui co- la, tante migliaja di persone sussistono senza asilo , senza tetto , e precariamente , o di soli mezzi col- pevoli.(2) Gran fortuna, ripeto,per questa nazione che esistono istituzioni le più saggie ed eccitanti la più utile attività nel popolo inglese , per cui molti in onta all'inconveniente suddetto trovano nell' indu- stria e nel commercio ubertose fonti di fortuna e temberga ; ed ora affissa al muro nel castello di M Scliaer» APOLLINI GRANNO ETNYMPHIS C. VIDIVS IVLTVS PROSE ET SVIS V. S. L. L. M. M Altra ora incastrata nel muro della chiesa di Rìs- n clissen , vicino ad EJiingen sul Danubio , ove 6o Letteratura » sì cìede doversi trovare tracce della citta roma- « na Aqidleja. IN . H . D , D . 1. O. M. ET DANV vio . j:x. VOT O PHIVIANYS SECVNDVS V. S. L. L. MVCIANO ET FABI 5) Il resto e cancellalo ad arte. « Potrei)]»; dirn clie l'epiteto di Gnmno dato ad ApoUiue l'osse conosciuto a' veri eruditi fm dal se- colo XVI , almeìio p(!'marmi allora comparsi di sot- terra, fra' quali uno anche rinvenuto in Roma. Tut- tavia il celebre Valesio letterato francese ne rima- iiea air oscuro ; ed in un famoso passo di Cassio Dione (i), volea sostituire a G/rt/i/io alcuno de' tan- ti aggiunti topici o di altro, co'quali da'greci si ador- na quel nume. Prevalse però l'evidenza della dot- trina e della lettera presso gli altri sapienti ; e nel citato luogo del grande autore , unico fra' classici elle rammenti simile divinità , leggesi ora die ali* empio Caracalla , agitato dalle furie fra gli alaman- ni , nulla giovava ricoìrere a' tempj ed agli oraco- li del paese , fra' quali ò 'attJaa&i' ó r^aVi'j? pone- si prima di Esculapio e di Serapide. Il più delle lapidi col nome di Apolline Granno essendo venu- to in luce nelle contrade germaniche , dove diede occasione a dispute ; ci torna in acconcio riman- dane i lettori air uomo più versalo in questi stu- dj che abbian mai pivjdolto i paesi franco-germa- ni , lo SehoepHino (2). Egli confuta particolarmente (1) Koni, hiii. lib. LXXVil. cap. i5. (2) Alsaila lUucilraU , tomo I. pag. 437. et 462. I S e R 1 Z 1 0 ^• I ANTICHE Gt l'Eckhart , che in una inscritta APOLLINl GRANNO MOGOVNO trovava le deità onomasticlie di Jqnis Granili e di Moguntiae. L'Apolline Granno e il dio sinedro Mogonte appariscono anche in marmi della Scozia e della grande Brettagna ; e ciò , più che la privativa di due citta , mostra la somiglianza in- signe di religione e di linguaggi , che regnar dovea tra nazioni cotanto sparse ed innestate le une so- pra le altre. Più fondata e forse vera sarà l'opinio- ne del Salmasio (i) , che granuus addjellivo signi- fichi solo cirraiiLS , o piuttosto cinclmuLtus^ qualità, di capigliatura onde trasse il cognome una famiglia di romani eroi. I cirri erano a nostro parere spire compresse di capegli , ed i cincinni quelle spire più allungate in cannello e pendenti. La etimologia probaLilmente scitica va sostenuta da Isidoro e da altri gravi scrittori. Dicousi anche in Italia granoni c[ue'llli di oro e di argento , attorcigliati in cilin- dro , che i nostri uffiziali militari portano sulle spal- le. Maraviglioso effetto della commistione di tutte le lingue sulla superfìcie di quell' impero , che per tan- ti secoli dominò le genti di Europa e d'Asia , e poi le indusse a dominare ! Se alcuni oljbj citassero , la radice gran ritrovarsi nel nome di luoghi e correnti d'acque a settentrione specialmente del Danubio , ri- sponderemmo che ciò non combatte , ed anzi favori- sce l'appellativo del nume celebrato ; e che sopra tut- to ci arride il ragionato riflesso , per cui notarousi i popoli soggiogati da' romani aver unito a quella de' vincitori la nomenclatura de' loro dei patrii più si- mili: sentenza egregiamente dimostrata quanto agli al- pigiani da S. E. il sig. conte Napione in quelle eru- (i) Eiercitat. plinian. ad SoUnuiu, pag. 535. et aecj. 62 Letteratura ditissirae lettere , con le quali si compiace adornar tanto quest' istesso giornale. Ma sulla prima delle nostre novizie tedesche })asti ora questo poco. Della seconda , di cui si accresce il pregio pel consolato notatovi, facemmo parte al sig. Borghesi , ch'è sempre tutto sulla romana cronologia , grande lavoro al quale prender deblwno tanto d'interesse la religione ed ogni scienza ; ed egli ci rispose in que- sta guisa. Per molte e belle ragioni mi è stata gra~ tiswna riscrizione della chiesa di Risdissen. Sa- rà per la mia ignoranza nelle cose tedesche ; ma ella è per me il primo monumento di culto divi- no prestato al Danubio. Vedo che la memoria vi serve assai bene (^ly^ perchè effettivamente Prima- nio Secondo trovasi memorato anche nella gruter ta- na DLVIII. C, esistente una volta costì in ca- sa i Maffèi nobili romani, D . M l . primanio . l . f sperato . vet avg . aram cvm monimì-:nto prtmanivs segvndvs . lib cvr . et . siri . lib libertabvsqve EORVM (i) Gli avevamo scrino , non giiuigeici nuova la specio- sa nom anche in ur secolo a noi sì vicino. (0 Blaliel, inu5. veron. pag. CLVI. 5. Donali , lupplem. ad tlics. DIuralor. psg. 274. a. ISCRIZIONIANTICHE G5 mala sua mogliera NATIONE AGVICESEM; e qtie' signori asseriscono , eh' ella , era di Ad vicesimiun , luogo vicino a Roma. Avessero saputo del rinoma- tissimo ACVINCO ; che il sasso , con grossolani sba- gli d'ogni sorta , bene attesta l'origine barbara degl' inscriventi. Non può quindi cader dubbio a chi co- nosca la dottrina de'monuraenti e de'codici e l'ac- cento greco , che XAcilia dell' Ortelio non sia VAqui-< leja cercata , seconda ed anzi terza in Europa; poi- ché ve ne avca un'altra in Alsazia. La nostra era non molto lungi dall' Augusta Vindelicorum, ; e tio- vasi segnata con l'ortografia più etimologica sulla tavola del Peutingcro. A conforto di queste acque , osserveremo che anche nella prima delle nu.ove nostre danubiane , Apolline con esempio raro vedesi unito alle Ninfe , le quali senza altro aggiunto esser vogliono quelle che credeansi avere in tutela ciascuna fonte. Affoiun- geremo , che le fonti annoverar si doveano infinite colìx; e per ciò vengono assai opportune le seguen- ti scelte gemmulw di quelle parti , somministrate- ci dallo Zamosio, e che fanno doppiamente al caso (i). APOLLINI . GRANNO ET . SIRONAE . DIS . PRAESENTIBVS Q . AXIVS . AELIANVS V . E . PROG . AVG . G . (i) Zamos. Aiialecla lapldura vetastor, in Dacia , posi La- zil commenl. de re pub. romana, pagg. 29. et 5i. Graler. XXXV fi. 11. et DCL 9. GA.T.XXI. S 66 Letteratura D . M M . VIBIO . M . F . TER . FONTIS . RVBICONIS CASTELLARIO AGRIPPINA . CONIVX MARITO . DILEGTO SIRI . ET . SVIS . P . Chiunque aLbia senso e criterio esercitato in que- ste cose rileverà con piacere , come nella splendi- da colònia Ulpia Trajana Sarmizegetusa, che ricca sappiamo di acquedotti e di fontane , uno di que' re- rum dammi , un italiano della più amena provin- cia rinnuovasse di nome sorgenti a lui native , se non copiose , perenni però e limpidissime , quelle cioè del memorando Rubicone , del fiumicino di Savi- gnano. Abbiara voluto qui toccare a bella posta «n punto dimostrato e notissimo da tanti anni ; poiché a certuni piacque ultimamente d'introdurre , ove pur non conveniva , potersi umiliare l'onor del Rubico- ne al torrente Luso di sant' Arcangelo. Ciò non al- tro e a nostro avviso che un oltraggiare Plinio , sommamente fedele nel segnare le foci de'fiumi muo- vendo da levante a ponente ; un oltraggiar noi , che curiosi abbastanza delle antichità patrie , abbiam veduto in più carte de'tcmpi di mezzo , nominar- si Petra Jprusae un castello posto alla origine di quel torrente. Ne degna del celebre Marini ci cor- re la congettura , che Acerhidus sant' Arcangelo sia il Germaìus , uno de'famosi sette vici della splen- didissima colonia Arimino. Il valente nostro collabo- ratore e collega sig. arciprete Nardi da'suoi sludj ben raccolse , i detti vici essere stati interni della cit- ta , non a distante grandi , coni' erasi creduto fino- ra ; e noi l'esortiamo a voler pubblicare una s\ bel- la ed erudita scoperta. Acerhidus non vale die acer- vulust uà acervolo o mucclùelto di «r^na^ ed il col- Iscrizioni ANTICHE G'j le di sant' Arcangelo presenta questo aspetto dalla via Emilia, che scorrendo retta quanto l'Appia, da esso passava e passa lontana quasi tre miglia. Può ben dir- si, che il grande Marini fosse liuhicoiiis ainoeni in- cola : eh' egli prese il nobile ardore negli studj ar- cheologici sul Compito ad coiìfluentes^ da Pietro .Bor- ghesi e Pasquale Amati savignanesi, che n'erano mae- stri eccellentissimi. Questa cosa a noi nota dal rac- conto de' genitori, e dalle domestiche carte, ci fu per lui confermata le mille volte a voce, con la espres- sione della più viva tenerezza e gratitudine. Quale ingiuria quindi alla memoria di que'valentuomini , o jìiuttosto a quella dell' istesso presosi ad encomia- re, il non averli nemmeno nudamente nominati nel no- vero degli amici! Il Marini fu grand' uomo, non per- chè lodato da' giornali di allora, ne per lo studio di Bologna , o per la formalissima laurea di Ravenna ; ma perchè tutto investito de' lumi e del superior ta- lento de' due compitensi, potè poscia laboriosamente produrre il modello e le istituzioni della vera scien- za di antica epigrafia, la quale noi seguitando non er- riamo, errano solamente coloro che la ignorano, o se ne discostano. Dio avesse volato, che le di lui lette- rarie sustanze, le scritture piij. intrinseche e private, non fossero ite cosi vilmente disperse, o gittate a'cani! Frattanto ammoniremo alcune persone amorevoli nostre, che non presumano scherzare di Savignan,o, mentre cadono in brutto errore sul nome ridicolo di un altro fiumicello del territorio cesenate, e per ciò as- sai discosto dal Compito e dal decoroso marmoreo pon- te. Rispettino quel ponte, come il rispettò Cesare: veg- gano, con l'attenzione ed il contegno proprio delle ani- me gentili, la sparuta ma onorevol casupola, elicgli è quasi attigua. Da essa uscirono tanti parti del più alto sapere, e della più inaspettata erudizione e disa- 5* 68 Letteratura. mina di tutto l'antico; fra' quali si conta insigne quel- lo che palesò e difese invittamente il Rubicone. Po- treLbe da essa uscir pure alcun altro, che mostrasse le siffatte persone cuculi abili a gran segno, e le cian- ce loro apocrife quanto il jussu mandatuve ^ ricollo- cato scioccamente su quelle sponde limitrofe; cosa da muovere in questi tempi a compassione, piuttosto che alle risa. Troppo è turpe ed opprobrioso , che italiani colti e scienziati vadano cosi digiuni di quanto formò la gloria e l'illuminato esercizio de' padri; che non co- noscano le memorie più belle più facili ed illustri del paese loro : se poi , cicalando di buona istituzione , sosterrebbono doversi recitare a mente i nomi orribi- li di quanti fiumi sboccano appunto nella Danoja. Con queste allegazioni abbiam già fatto un suf- ficiente corteggio alle due pellegrine vittemberghesi : ma elleno per la loro dignità richiedono un accompa- cnamento anche più distinto; quello almeno di due na- zionali forosette, le quali escano com' esse alla luce la prima volta. In Roma certamente non può accade- re, che un vero ed attento ainatore non sappia addi- tar subito le meritevoli. Eccole però belle e pi'onte. Andiam tenuti delle medesime all' egregio collabora- tore nostro sig. Luigi Polctti, che mostra cotanto di aver letto in Vitruvio, ed operato in se stesso , qua- le uomo esser debba un vero ù^yjr&KTCor. Ora collocata in Castelmadama diocesi di Tivo- li, per le premure dello studioso sig. dottore medico Rossi ; e scoperta raiiiio 18 15. in luogo detto Monte PapesQ' Iscrizioni antiche G9 D . M. M . MESSI . M . F . GAL RVSTIGI . AEMILI AFRI . GVTI . ROMVLI PRISGIAiNI AFRI . PROGVLI X . VIR . STILITIBVS iVDICANDIS AEMILIVS . PAPVS ■ ET . CVTIA . PRISCA PARENTES INFELIGISSIMI FILIO . OPTIMO 2. In Castelmadama ; trovata vicino al casino del sig. canonico Pappi o Papi. G . GELLIVS . GELLIANVS VIKIT . ANNIS . XXItn MENSIBVS . VIII 11 . S . EST Scm])ra che il territorio tilmrtino voglia conser- vare il primato in una classe preziosissima di monu- menti, cli'è andata finora negletta, ed anzi sconosciu- ta, quella de' polionimi. Giò die siamo per dire giun- eera nuovo ed incredibile alla moltitudine anche di co- 1 ■ TT loro che scrivono comunque di queste cose. Un gio- vinetto con dieci nomi nobilissimi si accosta a quel Pompeo Senecione 0 Sosio Prisco, ben degno d'essere celebrato pe' suoi trentacinque belli e contati, la di cui lapida esiste ancora al duomo di Tivoli. Ghe ma- raviglia, se non potremo in brevi cenni persuader gli eruditi di un portento si strano? Il buono Spon, che unico de' collettori la reca, trova in essa quindici o se- dici personaggi: il Mafliji, mentre almeno compone- 70 Letteratura va la sua mal credutasi attendibile arte critica lapi- daria, non sapea smaltire un assai minor numero di nomi: ed il Muratori cade in confusione e deliquio an- che a pochi di essi. Le guide usuali de' ciceroni , se ce ne sovvien rettamente, si contentano di tagliare quel povero signore in tre, come s'è' fosse un lombrico. Toc- chi miglior sorte al nostro caro, sia Messio, sia Emi- lio. La morte acerba gì' impedì oltrepassare il decem- vii'ato alle liti (comunemente Tarcaismo d'uso fa STLI- TIBVS), ch'era il primo grado per la questura e gli al- tri onori urbani, non che pei militari maggiori, a' qua- li portavalo la nascita. Chi ama d'iniziarsi ad una par- te SI bella dello studio archeologico, pongasi a con- irontare dalle collezioni tutti questi nomi e cognomi di Emilj, Messj, e Guzj: aggiunga il Marini (i), che non dubita di tanti polionimi; e solo volea. indicare, che le lapidi spagnuole della illustre famiglia erano non fedelmente incise o copiate: ed egli poscia godrà molto, e riderà della comune ignoranza. Lo stipite de' Messj giunse all' impero con Trajano Decio; e dal Reinesio ci vicn esibito un Messio Romolo, cui riconoschia- mo per uno de' grandi e buoni che primi abbracciaro- no il cristianesimo.^ Lungo sarebbe voler qui parlare del ramo de- gli Emilj Papi , altissimo fin da' tempi migliori del- la romana repubblica. Avvertiremo , non doversi am- mettere di sorta Emilio Papo console l'anno di Cri- sto signore 2 43* Egli fu intruso ne' fasti per uno de'consueti arbitrj del Pauvinio , confutato e cor- retto dal grande Marini in quelle sue pandette del- la scienza ( opera citata pag. 487. ) , ove dimostra essere stato un Cervonio Papo. Noi frattanto potre- mo arguire , che la famiglia derivata dalla gente » ■ ■ ,. I I. (1) Moiium. degli Arvali , pag. 1^2, e 23^. Iscrizioni antiche «i Emilia , più nota pel cognome Papi , avesse il pre- dio nativo , o almeno villa salubre per l'estate , su quelle montagne. È piacevole ad osservarsi , che in simili provinole , poste fuori delle grandi strade , co- me nella sabina e fra gli ernici , rimangono anco- ra gli anticlii nomi , non che le usanze ed i co- stumi. Ma che dovrem poi credere , se un tal no- me pare proveniente dalla culla comune delle let- tere , delle scienze e delle arti , T Egitto ? Un Papo , con l'aggiunto di eEOrNOETJi , incontrasi nella interessante descrizione del museo Drovetti , dataci dal eh. sig. conte Corderò di San Quintino (i.). Inclineremmo a tenerlo per una divinità , seppure fra gli egizj non si fosse costumato d' erger memo- rie in ringraziamento al sacerdote del nume. La forma- zione da Apis , col prefisso pa , fu già fermata dal dotto danese vivente sig. Schow (2.) Quindi Pa- apis , e simili nomi agli uomini : ed in Pappo , ce- leberrimo matematico , egiziano anch'esso , noteremo come altrove , ch'era pura moda , o piacimento di chi scrivea , il raddoppiare o no le consonanti. E qui , oltre l'antichissima gente italica romana Pa- apia , ci occorre alla mente, ma trapassar conviene, il vocabolo di ufficio papas , che ignorato pur do- po clamorosa quistione , produsse ultimamente un ab- baglio più ridicolo, di cui l'esposizione rallegrerebbe troppo . Rilevisi ancora che al nostro Messio il cogno- me di Afro vien dato duo volte ; poiché dovea aver- lo ricevuto ereditariamente da due lati degli ascen- denti suoi paterni e materni. Noi torneremo un gior- (i) Glorn ale Arcadico , voi. di Agosto iBaS. > pag. 206. (2) Charta papyracea musei Borglani, Romac 1788., pag. 8(). •^2 Letteratura no a trattare su questi fogli delle relazioni che pas- savano fra il superhuììi Tibur ed il continente dcl- rAffrica , ne'tempi di Roma imperiali. Accertiamo intanto che l'articolo della polionimia de'roraani si merita tutta quanta l'attenzione de'dotti. Esso è un intatto e vasto campo, di cui la fertilità non fu mai posta a pruova. Le iscrizioni di qiiesto genere supe- rano in pregio diretto d'istoria e di solido sapere le altre tutte ; per la moltiplicita degli oggetti, de' da- ti, e delle conseguenze che presentano. A raccoglier- ne però convenientemente il frutto, richiedesi un uo- mo dotato del piìi profondo studio, criterio, ed espe- rienza. Sì fatte difilcili (piali ta sono possedute a per- fezione dal eh." nostro sig. Borghesi. Egli, come nel- le altre classiche opere sue , dark certamente saggi maravigliosi di simile nuova scienza , ne'fasti romani universali , restituiti ed illustrati appieno. La nostra Leila monltepapense grida di volere ricoverarsi sul suo tavolino , fra le altre sorelle. In essa egli potrà vedere molto più avanti che noi s egli sapra dedur- ne varj ed utilissimi risultati , fissarne le attinenze e l'età con ogni certezza '-, e per ciò a lui liberaiineute jia consegniamo. I COMPILATORI, Tragedie di Sofocle recate in vej^si italiani dei Mas- similiano Angelelli bolognese, con note e dichia- razioni ec. Tomo primo. 4- Bologna , presso An- nesio Nobili iSaS. Sono cart. X e 3o4, col ritrat- to di Sofocle , e due tavole in rame. jLj sempre bella l'opera di coloto che si faticano d'esser utili alle nostre lettere facendo italiani gli scritti di que' grandi greci o latini , che fondaro- no la civiltà e la sapienza , o loro diedero l'ulti- ma perfezione. Ma degno poi d'una lode grandissi- ma è chi nella diffìcile impresa segue valentemente il consiglio de' buoni , di che neppure in fatto di ben tradurre vuol essere chiamata povera quest' Ita- lia ; quando piuttosto non abbiasi a dir primiera fra le altre eulte nazioni pe' numeri cosi varii ed armo- niosi della favella. Per la qual cosa ci parrebbe som- ma discortesia se tacessimo qui del marchese Massi- miliano Angelelli cavalier bolognese , il quale aven- do preso a volgarizzare le tragedie di Sofocle, lo ha fatto con tale onor suo , che già n' è corsa la fama a quanti sono in Europa sottili conoscitori della no- stra bella poesia. Uomo veramente dotto e gentile , che fattosi nobil campione a difendere le dottrine de' buoni antichi , ha saputo vincere tutte le prove : e quella perfino, stimata ornai fra le più ardite , della recitazione : credendo alcuni che l'antico teatro non. sia più pe' moderni dia una cosa d'ozio e di pura cu- riosità letteraria , piuttosto che una grave ed utile scuola di terrore e di compassione. Quasiché gli uo- mini mutando la religione avessero pur mutata del tutto la loro natura : ne il cuore umano s'aprisse più a ninna di quelle forti e calde passioni , onde i no- stri avoli erano strascinati a sdegnarsi od a piangere. ^4 Letteratura Ma il marcliese Angelelli ha voluto coU'esempIo mo- strare a tutta Italia il contrario : sì che facendo ope- ra che venisse rappresentato in Bologna da quegli accademici filodrammatici VEdippo re , petè vedere SI piene le sue speranze da non esservi stato niuno che non uscisse dalla rappresentazione tutto altamen- te compreso di pictk e di spavento. Quattro sono le tragedie di Sofocle puhWicate in questo primo volume : le Trachinie , VJjace^ VEdip- po re , e VEdippo a Colono. Ora non porre mo qui niun confronto grammaticale fra '1 testo greco e la traduzione : tra perchè la fatica sarebbe forse mag- giore che le nostre schiene non portano , e perchè lo ha gih fatto di bel proposito a qu esti ultimi giorni un uomo in tali studi riputatissimo qual è il si- gnor marchese Cesare Lucchesini. Ben però tocchere- mo qualche parola intorno al modo del verseggiare ; il quale è veramente nel nostro volgarizzatore de'più chiari e più semplici : non così tuttavia , che qual- che volta non sembri aver lui troppo dimenticata la sentenza d'Ermogene che dice, essere la dolcezza e la leggiadria uno abbellimento della semplicità. Del quale nostro ardire voglia il dottissimo cavaliere averci per iscusati : perchè tenendo egregia in tutte le altre parti l'opera sua, solo in questa ci pare ch'egli abbia talor mancato d'essere quel solenne scrittore ch'egli è. Ne piace a noi il far vili d'alcuna menzo- gna le giustissime lodi .sue ; così per molte ragioni di cortesia , come acciocché non ci accada quello che in parlare d'Agesilao ebbe a temer Senofonte; che cioè non lode a lui col mentire , ma si darebbe il biasimo grande a se stesso. E veramente , oltre al do- vere che tutti gli scrittori hanno di sacrificare alle grazie , insegna Aristotele che la locuzione convene- vole alla tragedia vuol esser chiara e semplice, e in- sieme non umile , siccome quella che è del maggio- SO^FOCLE DELL'AnGELELII ^f, re e più grave di tutti i poetici componimenti. E il medesimo pare che dica Orazio nell'Arte Ik dove scriver Versibus exponì tragicis res comica non vult; Indignatur item privatis , ac prope socco Dignis carminibus narrari coena Thyestae. Singula quaeque locum teneat sortita decenter. Ma in mezzo le tante e così fine bellezze di questa traduzione chi mai stimerà nobilmente semplici e chia- ri , cioè a dir tragici , questi modi di favellare , che noi cosi per cagione d* esempio siamo andati quivi cercando ? Edippo re , atto 1 1 1 , se. i. » E vero o non è vero « Che il preclaro indovino io chiamar feci» Ivi , atto III, se. IV. M Per lui prestamente » Manderò. Intanto ritorniamo a casa. Edippo a Colono ì atto iv , se. ii. 5) Fate n Che Teseo venga presto. Imperocché , se mal non vediamo , quell' È vero o non è vero , quel Intanto ritorniamo a casa , quel Fa^ te che venga presto , e simili altre, sono locuzioni piuttosto comiche , che convenienti a tragedia : ne sappiamo in qual altro piìi basso modo userebbero parlare le persone di plebe che stanno in mercato. Or da che mai è potuto succeder questo, se non da ciò che pochi poeti gurano, ed è a bene scrivere essenzialis- simo: che cioè la grandezza e la nobiltà del parlare si de- rivano principalmente dalle voci peregrine e traslate, e non dalle proprie e da quelle che sono dette per Aristo- tele nel terzo della Retorica signoreggianti la cosa? Ma l'Angelelli, se pure vorrà consentirci che noi non siamo in errore , dira che di questi versi ha egli fatto un uso ben raro : e noi stimiamo pure il medesimo : anzi crediamo che pochissimo ofìèndano la bontà del ^6 Letteratura suo volgarizzamento. La quale neppure sarà mac- cliiata di niente per quegli altri versi, fors' anche più rari , dove non ahl)iamo potuto sentii- del tivtto a«li orerolii il bel suono ilaliano : come nelle Trachi- nle , atto in , se. i. 55 Nella Itile ■)■> Amara dell'idra di Lerna è tinto. E ndVluIippo re, atto iv, se. i. » Valorosi 5) Non lian gli argivi colui tranne. Tolti però questi piccioli nei , se pur voglio- no aversi tali , osservisi ora di che veste nobile e scliictta ha saputo egli generalmente vestire i con- cetti di questo gran principe della tragedia. Impe- rocché i greci non parlano quivi , secondo il pessi- mo uso di molti servili e freddi volgarizzatori , un. parlar quasi greco con voci italiane , ma si favel- lano perfettamente italiano ; avendo l'Angelelli segui- to il dettato d'oro che si ha in Cicerone : che nel tra- durre non deblja tornare il numero , ma il peso delle parole. Ecco nella scena 1 1 dell'atto v delle Tra- ehinie come la nutrice narra la morte della misera De Jan ir a : ?) Se tu m'odi n Vedrai come fu cruda la sua morte. jj Ella entrò nella casa, tntta sola, 5» E qnando vide noi primo ricinto M II figlio, che il feretro apparecchiava 5) Al padre , andò a celarsi in solitaria 51 Parte remota dalla vista altrui. 55 Ivi, abbracciando Tare, ])ria si mise 5» Con gran cordoglio a d;'ploi-ar l'abbietto- ?j Stato di vedovanza; indi, movendo jj Pietosamente gli occhi intorno, tutte w Le casarccce cose alla sua mano Sot^OCLE dell' AjiTGEtELLI 7-/ « Più note ad una ad una e vesti e lane 5) Venia toccando si , che aver parca » Di quella vista intenerito il core 5) Allora più che mai. Poi , soi^-aggiunta 7> Al dolore la smania, ad aggirarsi ?» Cominciò per la casa, dcrvc i servi ■>■> Veeseiido ritornava a far compianto Il Di suo destino avverso, onde per sempre 5) Si rimarrebbe abbandonata e sola. 5) Poiché ristette ahjuanto di lagnarsi, V) Veggio repente che s'affisa al letto 55 D' Ercole, ed io celatamente osservo 5> Ogni atto suo. Nel talamo distende jj I tappeti la donna, su vi sale, 55 In mezzo vi s'asside; e muove a pena 55 Queste parole rotte nei singhiozzi ■>■) Di molto pianto: « 0 maritai mio letto, n Io ti saluto per l'ultima volta, ■}•> Che sovra te non giacerò più mai. ■>•> 35 Com' ebbe detto ciò, disciolse ratto 5) La fibbia d'oro ond' era stretto il peplo , 55 E discoverse tutto il manco lato 3' E il fianco. Allora, a mio poter movendo SI I passi, m'aiFrettai per dire al figlio 3) Lo stato della madre. Torno seco, •>•> E vediamo che già s'era ferita, 35 Con ferro a doppio taglio , sotto il core. lì A quella vista il figlio trasse guai, 33 II qual conobbe tardi che la fiera 33 Avea condotto con gì' inganni suoi 35 L'innamorata donna in tanti mali. 3) Però d'affetto pieno non cessava 33 Di lamentarsi , piangere , baciarla, 33 E tutto abbandonato sul materno y> Corpo eliiedca perdono all' innocente 78 Letteratura » Spirto d'averlo olTeso con pensieri j> Ingiusti, e querelavasi al destino j) Che in questo dì gli toglie ambo i parenti. » Udiste i gravi casi. Oh stolti noi , n Che nel pensici ci prolunghiara la vita M Incerti di goderne un giorno solo ! Ne men Lene è volgai'i zzato quel luogo della sce- na III dell' atto V dell' Edippo /-e, dove il cieco pa- dre parla pietosamente a Creonte: Edippo ?> Dei maschi figli miei nulla ti prendi » Cura, o Creonte. Son uomini , e mai j) Non mancheran di cibo. Le infelici » Vergini figlie mie , clie sempre a mensa j) Sedetter meco , ed io di propria mano » Porgeva ad esse parie del mio cibo, « Queste SI queste ti commendo. Lascia 3j Che ancor le tocchi, lascia che del padre » Ascoltino il compianto. O generoso, ìì Se tanto mi concedi io crederommi ?) Anche vederle.- Chi piange ? La voce w Odo delle mie care. Oh dei ! Creonte , j> Pietoso del mio duci, manda a me queste j) Figlie dilette più di lutti i figli ? ?) E vero ? Creonte » Si. Conobbi 'l gran desìo » Che tu avevi di loro \ però volli M Farti contento. Edippo ' " Sii felice ognora, 5> E per tal beneficio ti conceda ?> Giove sereni giorni ])Ìli de' miei, w O figlie , dove siete ? V'accostate, w Le mani vostre a queste mie fraterne « Ponete , per le quali or sono guasti » Gli occhi del padre vostro. Egli non vide, ìì 0 figlie , 8 non comprese di qual donna Sofocle dell'Angelelh rjg V Fosse marito. Con questi occhi io posso 7> Compiangervi , se non vedervi. Acerbo j) Dolor m'attrista , pensando la vita ?) Che trar dovrete in avvenire. A tutto >» Il popolo , che a feste si rauna , 5? Favola diverran le figlie mie , 5> Che tornando all'allìergo , in coro avranno 75 Tristezza e non diletto. E quando il tempo M Fia delle nozze , chi , figlie , chi mai 55 Vorrà porre in non cale il vituperio, « Di die la stirpe mia , di die i parenti, » Di che voi stesse siete guaste ? Nullo ?) Male a noi manca. Il vostro genitore j) Al padre suo die morte ; della madre w Fu marito , e di questa voi nasceste. 55 Tali casi dira tutta la gente V Per vostro disonore. Troverete w Chi a voi s'unisca ? No , mie figlie , no. j5 Vergini sempre e ignare d'imenei « V'è forza consumar tutta la vita. J5 O figlio di Meneceo , rimani ?5~ Padre ad esse tu solo. Già perirò jj I lor parenti. Non soffrir ch'erranti ?5 Vadano per la terra , mendicando, 55 Prive di sposo. Son pur del tuo sangue. 55 Fa che sorte migliore abbian del padre. 55 Pietà di queste misere , che sono » In verde età da tutti abbandonate , 5) Se tu non le soccorri. O generoso , 5) Dammi la mano in pegno di tua fede. 55,0 figlie, a voi darei molti consigli, 5> Se chiaro aveste di ragione il lume. 55 Intanto io pregherò perchè , dovunque 55 II ciel v'adduca , più del padre vostro 55 Vi sia dato goder vita serena. So Letteratura Che poi diremo de'cori , cos\ pieni di spiriti , d^ar- monia , d'eleganze ? Essi nel testo greco non sono punto inferiori ad alcun'altra più calda e nolnle poe- sia lirica degli antichi : e tali ci sembrano pure neiritaliano. Ecco quello dell'atto iv dell'yi/ace. Strofe fritta. j) Qual mai sarà l'estremo n Degli anni molti di cotanta guerra ? » Quando di travagliarci cesseremo » Per questa Troja , che pietà disserra ? » Ne toglie il tempo lungo ogni speranza , » E solo ai greci il disonore avanza. Antistrofe prima. M Tu che , l'armi di Marte :» Fra noi recando , innanzi tempo apristi » All'uom la via che di quaggiù '1 diparte, » Perchè prima all'inferno o al ciel non gisti ? >5 Tno tristo ingegno spande orrendi mali, 5> E cresce la miseria do'mortali. Strofe seconda. ?» Ei do'capaci calici , « Di flauti , di corone , » E di notturni gaudii V Ne tolse ogni diletto. V Per lui spento è nell'anima V Ogni amoroso a fletto. M Crudtile ! A nulla gioja si raccoglie >) Il mio pcnsiejo. Io mai non mulo loco ?> Per volvere di tempo o di stagione , j) E n>i Lagno le chiome alla rugiada , w Si che a me fatto di fortuna gioco ?5 Sol di piangere aggrada , Sofocle DELL* Angelelli Si y Ed avverrà che serbi ognora in mente 3) Li memoria di quel che or m*è piesent*. Antistrofe seconda. ì> Dalle notturne insidie » E dai nemici strali 3» ii,ra con forte braccio « A noi riparo Ajace. j> Per opra di terribile »> Fato ora spanto giace. »> Dov'è dov'è colui , che del mio piangere s) P;; ;si tor la cagione ^ o di conforto » Me sovvenire in mezzo a tanti mali ? ?) Ah pò lessi io , dov'è '1 capo selvoso » Di Suiiio , come in riposato porto » Starmi , e del cor doglioso jj Temprando in parte l'aspre e lunghe pene » Vedere e salutar la sacra Atene. Sona in questo volume anche i Prolegomeni , dove il sig. Angelf^Ui ragiona di Sofocle , delle tra* gedie di lui , e di questo volgarizzamento. Cosa grave , e tutta piena di savi cousigli e di buon sapere di lettere greche , non che di nuove e giu- diciose opinioni. Una delle quali è questa: che o^nì tragedia di Sofocle sia specialmente adattata .t ciiial" che bisogno degli ateniesi nei >arii casi delle guer- re di qne^ tempi. Per prova di che reca in m^zzo l'ingegnosissima allegoria dell' Jjace , intorno la qua- le discorre egli in tal modo : „ E parlando così ir» „ generale , parmi che il poeta intenda continuamen- „ te ad ammonire gli ateni'^sì , levati allora per U „ guerra persiana in altissimo stato , che in ogni „ cosa , ch-^ si pertienc all' uso umano , fa bisogno „ ristringere e riifrenare il desiderio s.7tto la misu* „ ra della giustizia : che la superbia è comincianieM*- G.A.T.XXT. « 8? Letteratura „ to e cagione di tutti i vizi, ed è malo peggiore ,t di ogni altro , perocché è preso dalle grandi per- „ sona e nasce d'opera di virtù e di giustizia , e la fy sua colpa è meno conosciuta ; che tutte le virtii „ hanno contrario il male dell' invidia , e non so- «, no invidiati coloro , i quali discretamente usando t> 1 heni della fortuna non fanno come VJte d'Ome- 7, ro , che va per la terra a gran passi e tutti avan- 5J za nel corso e tutti calpesta ; che finalmente i fa- 33 vori della sorte sono mutabili , e che tutte lo 33 cose , le cjuali noi chiamiamo nostre , sono nelle ?3 sue mani e per couse^^uente sono da lei success n sivamente permutato d'uno in altro e d'altro in 33 uno senza alcuno ordine conosciuto da noi. 3» Così il nostro signor marchese : e noi anzi siamo d'avviso che Sofocle abbia qualche volta nelle tra-» gedie ritratto pure se stesso: come a dire neìVEdip-' pò a Colono^ Ik dove ci pose a vedere quel vecchio re, povero, afflitto , esule della patria , abbandona--. to da tutti , e perseguitato Uno da'parenti e figliuo- li. Perchè sappiamo da Cicerone e da s. Girolamo, che Sofocle, essendo già vecchio , recitò quella tragedia a coloro che dovevano giudicarlo in Atene , quando per nequizia de' suoi stessi figliuoli fu riputato stolto e in«« capace a poter guidare le cose della famiglia. Chi dunque non crederà probaljile, eh' egli sotto la per-< sona d'Edippo abbia toccato anche le sue presenti sciagure ? Egli carico d'anni come quel re , e pove-. ro e sventurato, e, quel che più vale , sapientissimo e giustissimo fra tutti i greci di quell' età; intantochè, come narra Plutarco (in Nitma) , si credeva comune-i mente che il dio I^sculapio fosse stato una volta ad albergo in sua casa : e che, dopo esser morto, un al- tro iddio amorevole avesse avuto cura ch'egli potesr» SO giacere nel sepolcro de' suoi maggioi'i, Sofocle dell' Angelelli 83 Seguono indi le iJote alle tragedie, e le tavole in rame di sei medaglie ove sono rapppresentati.varii fat- ti delle tragedie medesime; non che una dotta lette- ra del sig. Girolamo Bianconi sopra certa medaglia singolarissima degli oeti. Per le quali cose tutte con-, siglicremo sinceramente ogni studioso delle cose gre- che e italiane a far tesoro d'un' opera cos'i degna del- le gravi scuole de' nostri antichi; sapendo grado nel tempo medesimo agli egregi signori dottor IgnazioBor- zaghi e Gaetano Conta valli che ne hanno dato al pubblico questa bella ristampa. Salvatore Betti* G A N Z O N E. JT iù la pac« non spero. Io vo pugnanda Una tenzon che non finisce mai i E' di strale e di brando Più di me forte assai Il mio nemico , che mi giunse dentiyx Tra per mia poca guardia e men potere , 1% tien la piazza e '1 centro , E mi vuol vinto avere : Io ridotto sui merli , e in -pie mal fermo ' Non ho più fuga ne vigor ne schermo. Io tengo i sensi , amor mi tiene il core Per una donna che a mio strazio è nata , Che ha beltk con rigore Si mal giunta e temprata , Gho se il perder la sua d'amor rubella G * 84 LETTERATURA Dlsposizion che in lei natura impresse , Quel divino esser bella Da lei sgombrar dovesse , Fora sembiante ali'angiol dell'empiezza Di SI lucente eh' è la sua bellezza. Non so qual incantesrao , o qual potenza Che di me freno e signoria rai tolse » Mi scurò conoscenza Che pria ragion soffolse ; Ma so che da quel di che pria soffersi Dal costei sguardo agli occhi la percossa , Di fuoco e tosco aspersi Sentimi i nervi e l'ossa , E sol desio penso deliro e sogno Lei che amo ed ardo , e d'arder mi vergogno» Che d'esser vinto uom forte ha con seco onta, E perdi' io forte non paressi altrui , Non cade il ver ne monta , Che , se non parvi , fui : Ed io che in tutto vinsi ognor mia sorte. Che buona o rea non ferami altier ne vile , Perchè stimai la morte Cosa onesta e gentile ; Qui solo ogni arte a ricovrarmi usai In liberta , ne mi successe mai. E poiché scelsi di fuggir me stesso , Cercando fuori medicina e scampo , Pria tutto mi son messo Per lo fruttevol campo Che vernar Plato ed Aristotel fenno « Indi i rivi d'Euclide e Galilei Gustando feci senno , Ne il folle amor perdei Benché intendessi all' altro amor che suole Far vaganti i pianeti e fermo il sole. Canzone $$ Ma quel furor , che si pascea mia vita , Mai non mi venne meno ; e put discorsi Per quanta è storia ordita Dei tempi a noi precorsi ; Ancor mi diedi fra le muse , ed esse Mi menarono armato entro le corti , E fer eh' io ritraesse Le regie colpe e morti , Ne il morbo mi allentò che m* ange e sugge Il sangue , come assillo al bue che fugge . X ({Uando sol mi appar la bella faccia , Son qual fanciullo che per verga trema, E il cor che quasi agghiaccia Il suo vibrarsi scema : E. s' ella ne' miei ficca i suoi begli occhi , Dico per caso sol , non per sua voglia « par che una folgor tocchi Me quasi arida foglia , Che s'incende e s'incenera : e si , lasso , Di fuoco in gel, di gelo in fuoco io passo. Che febbre è questa ? E di che Libia spira Si maligno vapor ? Chi è costei , Che cangia quel che mira , In quanto a' sensi miei ? Pien di beltà , ma perituro objetto , Disposto ^nche a vanir menti' è piiì vivOr Meno a ragion subietto Più di pàssion captivo. E ( valga esperienza ed argomento ) Non , se mio fosse , mi faria contento. Dunque che vuol questo desir mio folle , Questo spirtale ardor che mi possiede Le fibre e le midolle , . j . E la mente mi fiede ? ' '. Da che J^ dona» , ond' io son egro tanto. i'^ ?4--^.' ^" I^ E T T E R A T U. R A D'amoixjsa pietà si mostra ignuda; E i miei preghi, e il mio pianto La mi rendon più cruda. E che mai per durezza ella guadagna ? Non e virtù senza pietà compagna. Anzi , chi dritto estima , h sol pietade Che le virtù , suoi germi , a frutto preme; Come inumanitade Dei lor contrari è seme. Onde in questa spietata ed inumana Donna che me non vuol ne può far lieto , Tutta mia speme e vana , E solco ove non mieto. Ma qual vi avrò rimedio? Uno -al dasezzo r Virile a salvar me, sdegno e disprezzo. Canzon , prosontuosa ed arrogante Pospon chi non t'intende, e jtrel mio core Suona ognor per innante D*ira , non mai d'amore : Sì ch'io di te mi Iodi al fin del giuoco. Se potrò VITO uscir di tanto fuoco. 87 Nou\>eaiL mode de versification francaise^ A SON EXCELLENCE LE PRINGE D. PIERRE ODESGALGHI Directeur dit Journal Arcadico* MonSieur le Directeur « I ly a loiig-tenis que j'aurais ,(lii voiis envoycr ìeA e.vtraits dés dernieis essai-s de Composition sur le nouveail mode de versiflcation ff an^aise que j'ai prò* pose ; liion absence m'a empédié de teuir ma pro- messe ; mais l' hi ver me ramèiie a la ville , et jtì viens m^acqiiitter envers voUs et vos savans Colle'- giies , comme envcrs Ics juges competeiis de la que* stion qui m'oCcupe. J'ai douué des essais de vers de toutcs sor- tes , que vous avez bien votìlu inse'rer dans votr^ journal ; il me rcstait a proUver par le fait qué ces sortes de vers s' adaptent parfaitemcnt aux graiides compositions podtiqUes ; eu conse'quence, j'ai Compose un opera , une tragedie , et j'ai osé met- tre en vers la comedie de Tavare de Molière : je Vous ad resse aujourd' Imi des extraits de ces trois Compositions. Il ne resterà donc plus qu*un seul genre ( le poe'me ) aUquel je n'aurai pas essaye' d'ada- pter le mode de versifìcation propose' ; et j'ignoré si j'aurai la force , le tems et la sante' nécessaires j)our entrcprendre ce dernier essai. Je vous prie , Prince , de ne pas condamner la te'merite qui me fait entreprendre des essais qui devraient ètre faits seulement par les maìtres de l'art et non par un homme du monde , puisquc , coni- 88 Letteratura me je l'ai deja cleclare aillours , je passe Volontiers condamnation sur le inerite de ces vers , mon Lut €t mon amour propre se hornent a Icur forme cu eonstruction , et je m'a^ijolique volontiers ici le prò» pos du celebre Cliude Lorrain qui , en veadant ses paysages , ne manquait pas d'observer qu'il ■•'n- tendait pas vendre les figures. Gomme lui , je ne sou- inets a rous , a vos colle'gues et au\ autres savins, que la proposition que je me suis efrurce' de d^- montrer , et qui me paraìt incontestable , savoir t que la larigue francai se n'a pas plu^ Iwsoin de la time dans sa veriiilcatìon que les autres lauf^ur-s m - dernes , et peut etre moins ; que la rime n'est point iridispensable a la versifìcation qui ne peut et ne doit consister que dans la distribution liarmonique el sjmetrique des accens. Mon opinion sVst formee en cbercliant inutile- ment à introduire dans les vers francais le rytlime d'Horace , et le non-.'^uccès m*a ce pendant fait voir jusqu'où et comment la langue franraise , a l'instar des autres langues modernes , pouvait s'approclier de la versifìcation de sa langue-raère , et se passer de la rime. Je puìs me tromper , mais ma proposition a tous les cai-xclères de la ve'rite' , puisque, depuis qu'elle est decide'e a mes yeux , tous les ouvrages, tcutes les opinions sur ce sujet , ne font que con- firmer la mienne , et me fournissent sans cesse de nouvelles preuves qui m'étaient e'chappe'es. Je crois bien plus , que l'on pourrait se pas- Ser de la rime mème dans les cirapositions italien- nes qui semblent uniquement fond<''^'s sur elle ; tei- les (\uc le sonnet , les terzines et les octaves. Je saia que d'abord de nombreuses critiques s'e'leveront con- tre cette proposition , mais si l'on y re'fle'cbit bien , oa trouvera que le «onnet ( et l'on peut appliquei; VÉRSIPWATÌOBf FhAKCAlS 8^^ lé ménie raisonaement aux terzines et am OctaT'^s ) n'eit pis seiùeiiieixi une cumbmaison ingeuieuse de quatre rimes dans quitorze vers , mais principale» ment une distribulion aiissi harmonieiise qu'ingénieusje de quatorze vers en quatre stances inegales. Pour me prouver a raoi-raéme cette proposition je me suis essa j e' , pour la première fois , "a composer des vers italiens ; je fis , un sounet avec la rime , et aus- sitót après un autre sans rime. Je vous soumets ce dernier , Monsieur le Directeur , parceque , qn«k[uc faible qu'il soit , il me semble prouvfr que Fon peut faire des sonnets italiens sans rime ft con* firmar mon opinion , que cette rime , quelque il- lu trff^ quVlle ait e'te' par les chef-d'oeuvres de. grands poetes modernes, est parfaitement inutile a totite espè- ce de composition poe'tique. S o N E T T 0. ^ual stella mattutina ai primi albori Timida SI , ma rilucente e pura. D'un ciel sereno amabil messagera , Speme e piacere in ogni petto spande ; Tal splendi agli occhi miei e'mperial cuore, O tu che di veder non son mai pago. Felice al fianco tuo chi per te vive ! Sol può dirsi beato e sol glorioso. Se l'invidia per lui ognór mi punge; Mentre sento p'^r te maggior desio , Convien però che mi raffreni e cahni ; Glie del sommo piacer quii è la meta ? E stanchezza e vecchiaja e morte al fine .... Ah ! pur troppo quaggiù tutto è mensogna ! I| Extrnits iVun Opera , dhine Tragedie et d\in Co' medie francai ses , composées sans rime. L'opera de Ruth et Noemi a e'te' mis en Musique r)0 LfiTTEftATjilA pas ^te jouc , les morceaux que d'excellens clianteUfS en ont fait connaitre ont prolive qlie ce mode noti senlement s'adapte jiaifaitenient a la musique , mais qu'il aide mciveilleusemeiit le OunipositeUr. Voici quel- qiles passages de cet opera. AC TE PREMIER. ScÈiVE Première. Oreb 1, Obe'ùle , Choeur de Moissonneurs et Molssuìineuses* O B E I D E» La clialeur a ccss(^ : l'air du soir vicnt enfili Dissiper de nos sens la fatigiie et rettiiui i, Compagiies , rendons grace ail maitre gc'iiereux ^ Qui velile a nos besoins comme a notre bonlietìr. O B E I D E. Mais d'où vient qit'un morte! si justfimcnt cliéri Du tendre hyraen fait les douceiirs ? Des tribus dlsral'l la plus aimable fiUe A vainement brigue son choix. Pouf l'amour , pour Fhymen , d*oii vient sa ( repUgnaiicc? Un coeur sensible , un coeur bien fait , Compagnes , dites moi , comment peut-il unir L'indifférence a la boiilt^ ? Scène Deuxième. Les précedens , Ruth et Noemi* Versification francai» 91 Noemi. Puisse le del , le juste ciel , Becompcnser , aimaLle enfant , L'amour , les soins , et les bienfaits Que tu vouas k ton e'poux , Et me prodigues nuit et jour ! Mais , près de mpi , ton sort est triste ; 11 faut , il faut , nous se'parer ; Vas k Moab , a tes parens t Mettons un terme k tes malheurs. Ruth. Cessez , cessez , k mon devoir ^ Ma mère , de vous opposer ; J^irai partout ou vous irez t Bien ne saurait nous désunir. Noemi. Pourquoi dono t'otstiner a partager mes maux? Dois je par ma soufìfrance augmenter ta souffrance ? Ai-je encore mon fds k t'offrir pour e'poux ? Il faut , il faut , nous se'parer ; Le ciel j ma fiUe , ainsi le veut» Ruth. Koii : il m*ordonne de rempllr Les soins , la place d*un e'poux ; J'irai partout où vons irez : Rien ne saurait nous de'sunir. Noemi. Tu préfe'ras mon sort pe'nible Au sort brillant du Moabite , Et mon exil ^ et ma misere , gj^ Letteratura Au riclie hymen de ses enfans ; Mais il est tems de mettre un terme A ton bon coeur , ta piete' : Tes jours sont un long sacriflce , , Il faut , il faut le terminer. Ruth. Cessex ^ cessez , a mon devoir « Ma mère , de vous opposer ; J'irai partout où vous irez : Rica ne saurait nous de'sunir. Scène Cinquième. Oreb ensnite le Choeiiri O R E B. Accourez , mes amis , Accourez proraptement ; Le signal du repos , -J Le signal est donne. Arrivez , arrivez , Et ctiantez avec moi f ^ '' ■ ' Qu'il est doux de goùter , ' ' Après tant de travail , ' ' ' ' . Après tant de chaleur , • ' , Le repos bienfaisant ' I Un repas salutaire , Et les doux entretiens . Du foyer paternel. 1 Le choeur arrive en chantanf^ Qu*il est doux de goùter , Après tant de travail , Après tant de chaleur ^ Le repos bienfaisant, .,, Un repas salutaire , Et les doux entretiens Pu foyer paternel ! VeRSIFICATION FRANCAIft ^,, O R E B, Bonsoir , bonsoir ; S'éparons nous ; Jusqu'au revoir , Juscju'a demain. Le choeiir des Moissonneurs s'éloigne en répétant ce refrain. Bonsoir , bonsoii: r Séparoas nous ; Jusqu'au revoir , Jusqu'k demain. ACTE SECOND. Scène Première. Ruth. Ruth seule est assise à la porte de Boz ..... 0 toi , qui dors en paix sous le toit domestique , Homme de bien chéri du ciel : La veuve d'un parent, isole'e et tremblanle, Erre a cette heure auprès de toi. Viens k son aide , accours , et console son coetit Par l'amitie' que tu lui dois. Il lui faut un appui qu elle attend de toi seul. Je ne saurais te remplacer. Je Taime , je Thonore , et vis pour la servir ; Mais que peuveut mes faibles mains ? Viens , accours a son aide , et console son coeur Par l'amitie' que tu lui dois. Etends jusques a nous ton pouvoir tutelaire , Un Saint devoir te le préscrit. Digne appui de la vcuve , ami de Torplielin « Ton coeur ici peut les trouver. Viens à leur aide , accours ; daigne les consoler Par l'amitie que tu leur dois. g^ Letteratura Scène Quatrième. Ruth Seul e. De'ja , la nuit tremblc et faiblit Devant raiirore raatinale ; Et de son astre la pàleur Sous mille feux va succomber, O Noemi , ma bonne mere , Eufiri verrai-je l'heureux jour Qui doit finir tes longs malheiirs ! Ah ! combieii pcu seioiciit fidcles A leurs devoirs commc a leur Dieii , Si la peine , de la vertu Devait toujours ètre lo sort ! O Noemi , ma bornie mère , Olii , je verrai le jour si doiu Qui doit cbaiiger ta destinee , Et pour jamais tarir tes pleurs. Scène G I n q u Ì ji m E;. Qbeide et le Clioeur des Moissonneurs^ Q B E I D E. Enteiidez-vous sur «os pabiiei^s Le frais zepliir se l)alaiicer ? I^st-co Taurore cjui l'éveillo , Ou hieu la nUit a son depart Jcunes filles , voici Tinstaiit De reprendrc nos durs travaux ? Mais la boiite de no tre maitre Adoucira de la jouruóe Et la fatigue et les besoins. • : Un doux salaire, un l>on repas , Serout le prix de nos travaux, Puis , a la fin de la s^aison , Plus d'un liymen s(r formerà ; De nutre nwiUo satisfaik Versification fuancais q5 C'est riiabitiide et le soucis. Le Clioeur s'éloigne et traverse la scène CTI chantant : Entenclez-vous sur nos palmiers Le doux ze'pliir se Lalaiicer ? Est-ce l'aurore qui re'veillc , Ou Liei! la nuit k soii de'part ? Un doux salairc , un bon repas , Seront le prix de nos travaux : Puis , a la fin de la saison , Plus d'un hymen se formerà. Scène Septième. Boz , Noemi ^ Ruth , Rahnh , dix ancien s d'Israel ^ Oreb , Obc'ide et le Choeur. O R E B. La maison d'Israel jadis fut ctablie Et par Rachel et par Lia : Gomme elles maintenant puisse Taimable Ruth Taire sa gioire et son bonheur, O B É I D E. Exeraple de vertu dans l'antique Israel , Fuisse son nom , clier a Juda , Celebre a Betlde'em comme dans l'univers , Vivre et briller dans l'avenir \ Les Anciens et le Choeitr. Que de Boz la maison prospère cliaque jour , Semblable a celle de Pharès , Par cette jeune épouse et par les descendans Que le Seigneur leur donnera ! Honneur et gioire a l'e'pojis^ nouvelle ! Amour , bonheur a s^ìi heureux epoux. 0^ Lettì;ratur4 L U C R G G E, ^RAGtaiE EN CINQ ACTES. Je citerai de la Tragedie de Lucrèc9 le pnssnges sui-jans: AC TE PREMIER. Scène Sixième. Sejctus, Gnbinus, et Virsinie. G A B I N IJ 8. Virgiilie a rinstant s'avance vers ces lieur. Se X T u s. Virginie est , dit-on , moins la soeur de Lucrèce Que son guide Constant , son appai , son modèle ; Quel sujet près de nous la raraène aussitót? ( à f^irginie a\>ec empresemeìtt ) Envers-raoi de Lucrèce ètes-vous raessagère ? Virginie. Ignorez vous encor (jii'il n'est plus entre vous P'entretien , de messige, ou discours necessaires ? Ah ! de grace veuillez re->p^cter son repos. Lucrèce est inUpvible et vous seul en doutez. Puisque l'occasion a moi s^oH're opportune , Seigneur , permettez-moi de vous parler , icl , Pouf Rome et les rom ins et plus encor pour vous. Prétresse de Vesta, dans son tempie vieillie, Après trente aus pis.e's aux pieds de ses autels , Peut - otre il m'.-st permis d'interceder pour Rome». Rom? qu' elle protcge, et quo tant de malheurs Meaacent aujourd' liui d'une cliute prochaine ! S E K T u s ( fiérement^ Gl'i sont-ils ces mallipurs qu'on se plait a forger ? ■ Serait-ce iiotre gloixe et vlq& coostans 3h,cc8« ? VeRSIFICATION FRANCAISE ]f)Tt VlRGINlE ' La gioire est dangereuse où la verta n*est pas. Vous avez de'gracle' les fils de Quirinus, Les vaiiiqueurs des Sabins et des peuples latlns. Ces Roraains , que six Rois elevèrent si liaut , Qiie font-ils enferme's sous ces canaux profonds, Ces e'goùts , ces conduits , ces indignes travaux Pour leurs guerricres mairis ? Ces raonumens font-ils La gioire des vrais rois, rjuand de sang et de pleurs IIs furent anoses ? S'il doit étre permis De confier sa gioire aux prodiges des arts , C'est 'qivaiid la liberte' , Tabondance et la paix D'un surcroit de bonheur inondent la Patrie Mais qtt'elle offre a nos yeiix un aspect difTe'rent ! Le prince a concentre' le pouvoir dans ses mains; Le peuple n'est plus rien , le Sénat avili. Les sages re'glemens du meilleur de nos rois De Numa , cet ami du bonbenr des humains , Sont robjet du mepris des plus vils courtisans. Notre arme'e au deliors est encor digne d*ellé , Elle sait maintenir la gioire de son nom ; Màis c'èst un fier lion que la gioire aisément De'tourne de nos maux ; redoutez son réveil. Vous peindrai-je Seigneur, les temples de nos Dienx? Les prétres avilis , les autels profane's ? La licence des moeurs ^ et la pudeur bannie ! ! ! Ah ! puissé-je , Sextus, corame une autre Cassandre A votre esprit trouble' ne point parler envain ... Sextus (en V interrompant ) Prétresse , vos discoUrs ne sont qu\in long outrage Il est tems de borner leur insolente aigreur. Retournez a Lucrèce , et diles-lui , Madame , Qu'un Prince , tei quo raoi , malaisemenl supportc G.A/r.XXL 7 r)8 Letteratura Et l'outrage et rìnjure , et qu'il doit par devoir S'cn venger tòt ou taid ( avec intention ) ou plutót ( les punir. A G T E S E G O N D. Scène Première. Lucrèie et f^irginie. V 1 u G I N I E. Le Prince nous menace ; et son orgeuil hlessé S'ofletise contre toi de mes libres discours. Eh \ comment de'guiser les craintes de mon amo ! Rome ne fut jamais aussi près de sa pcrte ; Et je dois craindre encor pour toi , olière Lucrècc ^ Toi f que j'aime au delk de la simple amitié. Pour toi , tu le sais bien , je suis plus(ju*une soeur ; Ton epoux , tes enfans , font ta gioire et la mienne : Mes jours et mon bonheur sont compris dans les tiens. L u e R È e E, Celle que tu clie'ris , que protegent tes soins , N'a rien a redouter , incomparable amie ! Ah ! tant que je t'aurai pour guide et pour appui Mon cocur est assure' du bonheur le plus pur. C'est toi qui m'cnseignas a connaìtre U vie, Par le tableau naif de l'aimable vertu ; G'est toi qui m'arrachas a l'aveugle tristesse , Au profond desespoir qui mena9a mes jours , Quand je perdis le eoeur du volage Sextus. Je l'aimais .... Je me crus , dans mon accablement , Sans secours sur la terre , isole'e et victime Des A'ices , des méchans , des plus perverses lois. Dans ma douleur profonde, et loin de Virginie, Le jour mcme k mes yeux n'avail plus aucun charme; L% terre , me disais-je , est un Ueu de raalhcur , VeRSIFICATION FRANCAISE Qf) De soufFrance , cl'exil , de celeste courroux. Aux auteurs de mes jours je demandais raison De ces jours superflus au seuI malheur en pròle; J accusala ili.,,,..-^- -.^ ^ -, , , .* T^ 1 ^ I !-• > ♦ ^',""^,^0: la. vie : De la vie , ou le bien n est qu un leurre troinpeur : Ainsi je languissais et j© tombais courbee Sous le poids des regrets et de mes sentimens. Gomme la jeune piante a qui Tardent e'te' Ravit incessamment la force et la fraiclieur .... Qnand soudain tu revins. Vesta que tu servais Te rendit a nos voeux après trente ans; passe's. Oui : c'est plus qu'une soeur que je connus en toi« Je t'aimai , t'adm-irai , tu parus a mes^ yeux Gomme une Deité de mon salut chargée. Par tes soins , tes discours, je sentìs dans mon swn Renaitre le courage et l'amour de la vie ; C'est Diane , disais-je , et Mmciìve et Vesta Qui s'exptiquent a moì , par la voix de ma soeur» Mes regards devant toì devìnrent ]Jus actifs ; Gè terrestre se'jour me parut ce qu'il est r Réel par la vertu » supportable par elle. G'est de toi que j*appris la douceur d'étre aimée Je posse'dai ton coeur , je te donnai le mien. Par tes soins rhymene'e embellit mon destin , Un he'ros capti va mon amour et mes voeux., Bìentót je reconnus que la ve'rité méme S'exprimait par ta boiiclie et Fordre du destin. Mon époux , mes enfans y me charmant k l'envi : A peine , depuis lors , je sulll& au bonheur. O toi ! qui m*enseignas les vrais biens de ce monde. Par quelle gratitude et quel digne retour Puis-|e jamais re'pondre a de si grands bieufaits. f 100 Letteratura v i r g i n i e. Ton bonheur est pour mei la saule récompenc- ^ , , . -t.^iie et uigae rte ta soeur. Mais souffre qu'aujourd'hiii j'ose t'interroger. Je ne puis exprimer l'excès de ma surprise En songeant que jadis Lucrèce a pii che'rir Ce Sextus insense' , ce despote orgueilleux , Sans raison , sans nul frein dans ses déreglemens , Et pour dire en un mot tous les crimes ensemble , Le fìls , le digne fils , de Tinfàme Tullie. Lucrèce. Jadis , Sextus avait une ame vertucuse. Tu n'as pù le connaitre et Taimer cornine mei ; Tu n^ctais pas alors sous le toit paternel ; Vesta, depuis long-tcms, t' avait soustraite au monde. Tu sais Ics noeuds du sang qui Tattaclient k noiis. Eleve's tous les deux dans le mème palais , Dès nos plus jeunes ans , Tun a l'autre promis , J'e'tais babitue'e a le conside'rer Gomme un frère , un ami , mon e'poux designe. Helas ! quand il était dans cet àge charmant Où l'ame encor novice est e'trangère au monde , A ses maux , ses travers , ses profondes erreurs , Et garde encore intacts les traits de la nature , Que Sextus te'moignait de nobles sentimens ! La bonte' , la candeur , la plus noble francliise , Précieux ornemens d'une valeur brillante , A la crainte , aux revers , toujours inaccessible. Il te'moignait, enfin , une vertu si haute Que sans aucun efFort , sans peinc , et sans rcserve, Chacun , a son egard , oublia conslainmcnt Et le crime et le iiom de non uliicuse more. Versification francai.se lOl V I R G I N I E. Ta Loiichc malgre toi seniLle cn faire l'cloge Auiais-tu conserve quelque peiichant pour lui ? L u e R È e E. Ma soeur , qu'ose-tii dire , et connais-tu Lucrèce ? Je ne crains point Tamour, je ne crains nul mortel; Je ne vois en Sextus qu'iin étre infortune' Qui dut m'appartenir , qu'alors je cherissais , Qu'aujourd'hui je me'prise et je hais encor plus Depuis qu'il s'est rendu tyran et criminel. Mais , je te l'avouerai , je ne puis concevoir Que l'homme unique objet de nos premiers penclians Puisse nous devenir comme un autre e'tranger. Quels que soyent mon mepris, ma haine, pour Sextus Je le vois d'un autre oeil que les autres mortels. Servilie(^ part ) Qu'entends-je ! cet aveu doit étre clier au Prince Et calnier les fureurs de son cocur irrite. Lucrèce. J'espère desormais qu'il nous laisse en repos , Ma reponse est precise autant que decisive ; Et s'il a conserve quclque juste fierte' , Il mettra son orgueil a s'eloigner de moi .... ( Pendant la fin de cet Le scene , Sextus pavait dans lejvnds da tliédtre conduit par NarGÌsse ) Scène Deuxième. Les prece'dens ^ Sextus et Gahinus Lucrèce ( avec surprìse et dignite') Eli quoi ! le palais méme où reside le Roi, N'est plus pour des Roiwains un asile . assuré ?. 102 LetterattrA S E X T u s ( m'cc emotioìi' ) Je vieiis vous demander uu reste d'eiitietien» L u e R È e E. Est-ce le demander , de m'y contraindre ainsi ? S E X T u s. Ab ! pardonnez; , madame , a Tamour le plus vif Pourquoi refusez-vous de vous unir a moi , Kt de serrer , enfiu , des noeuds jadis promis ? L'amour que j'ai pour vous , est-il un si ^rand tort , Pour me trailer , madame , avec un tei mepris ? L u e R É e E. Etrange aveuglement des tyrans oLstinc's ! De ceux doni le pouvoir a troublc la raison ! Quoi , Prince ! vous osez me forcer a vous voir ? Et d'étre le temoin de discours inscnses , Que je n'e'coute point et ne puis e'couter , Et vous voulez encor me forcer k rcpondre ! Quel droit avez-vous donc d'interrogcr Lucrèce , Et de hraver ainsi les droits des citoyens ? Craignez , seigneur , craignez de me pousser a Lout , Et qu'enfin je n'implore un peuplc ge'nercux Contro la tyrannie et vos emportemens. S E X T u s. Il n*est d'autre tyran ici quo vous , Lucrèce ; Ah ! que vous abusez de vos droits sur mon coeur ! Vous avez tout pouvoir sur l'ame de Sextus. Lucrèce. Eh hien donc! s'il est vrai, prouvez le moi, seigneur, Veuillez me laisser libre en ma propre demeure. Vous seni pouviez oser enfreindre , ainsi , nos lois , Et des droits aux Romains bien plus chers que le jour. i VeRSIFIC VTIOX FRANCAISE !o3 S E X T U S. Je voiis laisse , Lucrèce ; et veux vous obéir. Cepenclant , dites-moi qui peut vous inspirer La haiue de Sextus , eu re tour d'un amour Le plus vif , le plus fort , qu'on ait jamais senti f Lucrèce. Un coupaLle , un me'chant , me'riterait sans doute Et la baine et riiorreur du reste des huniaius; Quaiit a mei , je le trouve assez infortune' Pour savoir me horner a plaindie son etat. S E X T u s. Quoi ! 1 a mort , le malheur de celui qui vous aime Ne sauraient attendrir un coeur si gént'reux ? Lucrèce. Pourquoi vous abaisser a de faux Sentimens ? Sextus. ( invement ) Ils sont faux , dites vous , et la preuve , Lucrèce ? Lucrèce ( tranquillement ). Elle est irrecusable , et je n'en puis deuteri La vertu les condamnc . .... Sextus. Eb quoi! vous adorer» Serait-ce douc cesser de suivre la vertu ?, Lucrèce. {^fmement ). Cesser! . . non . . c'est jamais ne l'avoir bien connue. Un coeur ferme , seigneur , et vraiment vertueux , Ne s'abandonne poiut a des dcsirs bonteux ; Et tei est votre amour que condamne l'bonneur , Io4 L E T T E fv A T U E. A ' S E X T U S. Voti-e fioide raison juge mal de l'amour : Ah ! vous ne sentez pòint, vous ne pouvez sentir, Ce que peut un amour a l'extréme porte' , Vous u'ainiàtes jamais. : *'• '"'• Lu GRECE. Prince , vous vous trompez : J'atlore mon epoux, jatlis je vous aimais. S E X T u s. ( a\'ec la plus grande jote ). Eli! qui doric,envers moi,put vous cliangcr, madame? L u e R È e E. Vous-mémc. S E X T u s {^dans la plus grande agitaiion), Expliqucz-vous .... L U e R È e E. Ne le demandez pas. S E X T u s {iwement) Je le veux! je l'exige ! L u e R È e E. Eh! seigneur , je suis franche. S E X T U S. Ah S n*importc , parlez ; qui vous a pù changer? L u e R È e E. Yos crimes ! . . . . S E X T u s {se relevaìit fieremcnt) Arrétez : dites plutót ma gioire , Et mes constans succcs. Versi FI cAT lON francai se io5 L U e R È e E. Succès bien malìieureux , S'ils ressemblent a céux des Latins abusés. S E X T u s {Jiéreinent). Nous les avons soumis. L u e R È e E. Par la ruse,seigneur. Et par Tassassinat. S E X T u s. Vous n'en pouvez juger ; Et d'aiìleurs, n'aurais-je eu que de pareils succès ? L u e R È e E i^finement et ironiquement ) Non , sans doute ; et Gabie à vos exploits est due, S E X T u s ( avec forcey Quelle que soit Taigreur des discours d'une femme, La guerre et la victoire ont de si hautes loìs Qu'il n'est point de succès pour qui n*ose les suivre. Il faut savoir tromper , punir , et , sans effroi , Abattre l'ennemi quel qu'en soit le moyen. Lucrèce( très sèchement ) De si hautes legons me sont trop étrangères , J'aime trop mon pays pour ne les point hair. Je suis epouse , mère , et fille de romains ; Je de'plore , Seigneur , des gerraes de vengeance ; Jamais impune'ment l'on n'offense les Dieux , Et de l'humanite la douce et sainte loi. S E X T u s ( V Inter rompant ) Madame , ces discours ne sont plus de saison. C'en est trop , a la fin , je veux étre obe'i. A mes projets sur vous le roi consentirà ; De son autorité je suis depositaire. Il faut romprc en ce jour un indigno hymeuee. loCJ Letteratura Et conclure a la fin celili que Jios Parens Al rétèrcnt pour nous , dès notic plus jeunc àge. Déja tout est prevu , tout preparé d'avance ; Dans la salle royale , aux coiiseils destinée , Les ofilciers puììlics n'attendent plus que vous. Venez , A^enez , Lucrèce , appaiser mon ardeur t Mes sermens , mon amour , vous repondent de moi. Lucrèce( riant ) Je plains votie fureur , et ris de vos discours : De giace , re venez d'un tei aveuglement. S E X T U S. Je veiix étrc ohei , je ne respecte rien s Je ne me connois plus. ( Il s' avance Et l'on dut lui ceder un terrain tfop uni , j) Pcu propre \ retenir des soldats etonnés, ti Entreraélcs , confus , qui ne discernaient point » Ni pouvaient retìonnaitre , en ìeur vive sùrprise « >5 Ni d'où venaient Ics traits , ni les coups qu'ils ( portaient. V Par l'ennemi press e's ils ne purent d'abord « Jòindre , ni reconnaitre et les cliefs et le roi^ « Envain dans le de'sordre on enlendait leur voix, j> Les cfForts, mal d'accord, augmentaient l'embarras, « On dit que Tarquin méme , entoure' dVnnemis >» Ne se fut pas sauve' , malgre tant de valeur ! j> Mais il dut son salut à la treinpe celeste io8 Letteratura n De re casquc famoux , clans Lpmnos fal>ri([ut' , ?) Qui , jadis , appai tint au clivin fìls d'Aiichise. > » Il le dut eiicor plus au vaillaut Gollatiu , » Qui sauva nolve joi , par sa rare valeiir ; ?j l^t ce raème hc'ros plus tard sauva le Princc. }> Jj'enjierai . Jtriomphaat , avoc des cris affreux , ?> Voulaiit cevucr la gaucho, enlourait nos gucrriers, ;) Lcs proriaut eutre dcux .... Ils se crurent perdus, ?» Ils allaient tous perir ou mettre bas les armes : - 55 Si pourtant des romaius pouvaieiit vivre a ce prix ! 5) Quaiid soudain , a ieurs yeux , paraìt dans la ( poussière j) Uu mobile ramas d'armes e'tincelantes , « De chars et de guerriers, qui se raeuvent dans ( l'omljre , » Et c'c'tait le sccours quo le Prince guidait ; ■ n J'etais a ses cotos. Aussitót quo nous vìmes • 5> Nos gens dans Tenibarras nous volàmes vers eux ; M Sextus fut le premier : fler, et bouillant d'ardeur, » Il connut que les chefs dc'montes , confondus, » Ne pouvaient commander ni se faire connaitre. w II s'arrète d'abord ; il observe la droitc , ìì La droite intaele encor , mais qu'allaicnt entourer M Des eunemis vainqueurs* Il reconnaìt leur force, » Et s'élance bientòt tei qu'un lion fougueux. M Sur soa casque uu panache aux combattans le ( mori tre. »> Il dcploie aux regards son glaive qu'il brandi t; 3> Et s' ecric avec foice en s'adressant a tous : « lìomains je siiis à voiis , ^>ous nétes point sans ( chef-, w Accourez et hieiitót la K'ictoire est à Rome » 35 Cependant son coursier rapide, furieux , 35 Atteint en un instaiit la colonne cnnemie , . 55 Qui s'arrcte et combat, ctouuec a son tour. Versification francaise 109 5> De se voir attacfuée au milieu dii tiiomplie. M A.h ! de combien d'exploits mes yeux furent ( témoins ! « J'ai vu , j'ai vu Sextus , entoure' d'ennerais , » Se faire un long rempart de cadavres press e's , n Par lui Seul abattus ; il le franchit bientót , » Et traverse les rangs des nombreùses cohortes , 5) Me'prisant leur poursuite ; et malgré leurs efforts « Il abovde nos gens a la droite postes , » Les anime , dispose, et revient avec eux, 3t Fondre sur l'ennemi qn il acliève d'abattre. n Le terrein cstvQoiivcrt de morts et de blesses ; » De sang et de de'bris la plaine de'goùtante » Annonce la victoire et la mort aux fuyards. » Les soldats disperse's rejoignent notre arme'e ; M Le Roi se montre a tous , Collatin avec lui ; » Tous les cliefs a Fenvi reparaissent soudain: « Cbacun k soi rallie un nombre de guerriers ; M Tout se forme et s'anime , et nos rangs retablis « S'e'tendent dans la plaine, et menacent Arde'e. 5> Mais Sextus , qui precède avec son corps d' Elite » Lui Seul a triompbe ; notre arme'e après lui 3» N' a fait que recueillir les de'bris qu' il forma » Poursuivant sans danger un ennemi vaincu, 4, Par l'approcbe et l'aspect de ce Prince terrible. 5> Tel on dit, que jadis, Achille aux murs de Troie , » En paraissant tout seul, ramena la victoire, « Dispersa nos aì'eux et flt tomber Hector. 3> Nous reprimes le camp ; et jusque dans ses ròurs. » Chassàmes l'ennemi , bonteux et confondu. Scène Septi è m e. Lucrèce^ Vir^inie^ Servilie et Narchse. no Letteratura {f^irginie et les femmes de Lucrece entrenty el- les chauteiit les striìpìies siù\'ai\tes imitées du poeme séculaire d'IIorace ) O toi ! brillant soleil , dont le cliar radieux Nous montrc tour a tour et nous cache le jour; Toi qui nais Gonstamraenl et le mcme et divers. Ahi piiisse tu, jamais, ne ricn voir d'aussi grand Que Rome aux sept cóteauxl De'esses , dont la voix ne nous trompc jamais , O Parques, aux llumains conscivez vos favcursr Que la terre feconde eit troupeaux , en moissoiis , Puisse offrir , ehaque annóe, k la blonde Cérès , Sa cou\"oniie dVpis! Puissent do ces tresors Ics g(5rmes bienfaisans, Sous la terre nourris, se consorver pour eux; Qu'unc ondo salutaìi-c et que Pair le plus pur Protogeiit leur asife et leur prompte croissance, Au gre de nos desirs \ Apollon , toi si doux quand tu poses ton are ! De nos jeunc^s Romains daigne exaucer les voeux. Et toi , chastc Diane, écouLe nos accens, A cette Iieure où ton front doublement acéré» Vicnt surmonter la nuit. O Dieux \ a la docile et charmante jcunesse Accordez la vertu, les mocurs , la probità' ! De la faihle vieillesse assurez le repos : Dos Romains assurez la h)ngue dcsceadaiice, \jfis bicns ci Ics houneurs» VrRSIFICATION FRANCAtSF lil A GTE CINQUIÈME. Scène'Dèuxième. f^irginie et Sennlie» V I R G I N I E. Polir moi je fuis mon lit. Un efifoyahle songe altère mon repos. Mon trouble vainement s'adoucit au reveil , Je revois , quancl mes sens ont rcpris Icur esser , Ces fantas(|ue ohjets par le sommeil produits. Tantót il me semblait que ma soeur , ma Liicrèce , Par deux monstres affreux a la fois attaquce , Implorali , sans effet , le secotjrs le plus prompt. L'un , liorrible serpent , sur sa taille acliarne' , L'entourait de ses noeuds , et pressait ses spupirs ; Il offusquait nos yeux , il infectait les airs , Par le venin subtil que sa bomche exlialait. Je ne puis eflfacer cette image importune , Qui mobile s'eloigne et plus prompte rcvient. L'autre , liarpie afFreuse , et d'un aspcct sinistre , Se tenait a l'ecart et semblait se repaìtre Des larmes et du sang qu'elle voyait repandre. Effroyable a la fois et railleuse , je vis Ses regards e'pier le moment favorable Pouv trancher tous les fils d'une si belle vie . . . Il faut noiis assurcr si Lucrcce repose , Si mon pressentiment nait de quclqiie malbeur. Scène Huitième. Lucrèce Vir^uùe , Collatin , Bnuus , Lucrltiics , /^«/ere , Narcisse , G«r^e^ , i>e«/,/e. . . . 13 R U T U S. «J'ai poursuivi l'infame et l'ai bienlót atteilt/ » Le peuple qm siùvait, s^approchait k grands cris: « Anete , criait-on , digne «Is de TulUe » Assa.s.m domestique et bourreau des Romams. « fon sang est a Lucrèce et nous le demandons. „' .. A ce noni de Lucrèce , k ce noir souvenir , . I arrete ses pas, et ..on trouble est extréme. '» Il se volt promptement entoure de Romains V Qui lui lancent d'abord mille traifs acéres* « Intrepido, il nous brave, il nous parcourt del'oeil- « Mais .son orgueil blosse, mais des coups redoublcs, .> Les blaspbemes , surtout, dont un peuple unanimr> « L outrag(; avidoment , Taccablèrent enfin - » Son courage et son corps tombèrent expirés. Le c. de s. l. i^Sarà continuato) ii3 VARIETÀ' Odi. cCAnacreonle volgarizzale da Paolo Costa e da Gio-* vanni Marchetti, H'^Bologna, dalla tipografia JSobili 1824. ( Sono cari. 71. ) I signori Costa e Marchetti non mettono mai peana In carta , che subito non ispargano , per dir così , di moli'oso. II che siccome abbiamo potuto molle volle vedeie in tutti gli scritti loro , che sono venuti fin qui sotto i nostri ©echi , così ora con piacere vediamo in questa traduzione d'Ana- Creonte , la quale , se talora ne togli il metro che a noi non sembra il più facile ed armonioso , o per meglio di- re il più anaeroonlico , è veramente una cosa da onorarse- ne assai ritaliana poesia. Perciocché noi non conosciamo grazie più scJiIelle di queste , né veneri più nude o leg- giadre. Eccone alcuni esempj. ODE IV. Sopra se stessa. Sul verde trifoglio Sedendo fra tenere Monelle ber voglio ; E il figlio di Venere In veste che sorga Leggiadra su gli omeri La lazza mi porga. L'elalc si volve Qual rola fugace » G.A.T.XXI. 8 ij4 Varietà' E l'uom poca polve Fra breve si giace , O poche arid'ossa Che asconde nell'orrido Suo ventre la fossa. Non sparger l'unguenlo N«a spargere i vini Sul mio monumenlo : Ma questi mìei crini , Amor , finché ho vita Profuma , ed in lessemi Glirlanda fiorita. Qui siedi , qui chiama Fra i dolci diletti La donna che m'ama : Che pria ch'io m'affretti Per entro le ojcure Carole dell'erebo Vò spegner le care. ODE XXXIII. DEL COSTA. Sopra la moUiludine de^suoi amori. Tu , cara rondinella , Ogni anno , quando riede primavera, A noi pronta e leggiera Vieni e qui fai tuo nido : Poi tosto che appressar senti la bruma Torni volando a piii felice lido. Ma , lasso me ! che sempre nel mio core Sempre fa nido Amore, Un amorino motte già la piuma , L'altro già quasi di suo guscio è fuori , Varietà' ii5 Un altro all'oTO già picchiar si sente ; E continuamente Avvi un conCuso pigolar d'amori : i grandicelli curano 1 minori , I quai cresciuti ad altri poi dan vitU. Deh ! Chi mi porge aita ? Come dentro al cor mìo Cotanti amori nutricar poss'io ? IffiL IVIAKCHETTI ODE LIV. Sopra se stesso. Quando mi veggo intorno Allegro stuol di giovani , In gioventù ritorno; Ed a snella carola II pie già vecchio si dlsciogUe e Tola. Le rose perporine Su su , mia donna , apprestami , IVrorna il canuto crine. Fuora ornai dal mio petto , Fredda vecchiezza , fuor ; son giovinetto Son giovinetto anch'io , che sullo e canta Fra lieto stuol di giovani. Chi desia di yedere Quale ha yirtù nel canto , Quale ha virtù nel bere Questo vegliardo , e quanto L^'ggiadramente impazza Colmi di pretto yin questa mia lazza. DEI. COSTA. ti6 Varietà' ODE LVI. Sopra In sua vecchiezza. Ornai di t'orza scemo Son fatto •. incanutita E' l'una e l'altra tempia , ho bianco il crine, I demi ho radi e tremoli ; Non più la ':ara gioventù nell* anima Mi ride t e sento queUa dolce vita A poco a poco girsene al suo fine. Ond'è ch'io piango a tremo Kipensando le orrende Iiil'ernali caverne. Ahi ! com'è tetro E spaventoso il Tartaro ; Ahi l com'è grave all'aom laggiù discendere. Per mille strade all'orco si discende , ]\è per alcuna mai si torna indietro. DEL MAKCIIETTI. li sig. dottor Mayer ha tradotto In tedesco, e pubblicalo a Brandeburgo con molle note , Il celebre trattato clinico su'metodi curativi della rabbia scritto dui sig. consigliere Brera, professore nell'università di Padova. Xl eh. signor marchese Gio. Cari® di - Negro volendo celebrare le lodi della valente eaiilalrlce Gioseiiina Tillot, lia scritto questa gentile stanza : ,, Vidi offrirsi al mio sguardo una donzella „ Di rosea guancia e di pupilla nera , ,, Gentil nella persona , che a vedefla ,, Mi scese all'alma una dolcezza vera ; ,, Ma quando apri l'arigflica favella „ J,n dubbio stetti se mortale ell'era , Varietà' ii-y ), Se non che l'eco sussurrar s'udìa: ,, 0 è questa Gioselfina o è rArmonia. La quale il celebre prof. Gaglluiti ha voltato cosi hi versi latini :. ,, Aspexi roseamque geuas , oculosque nigranleni ,, Nympliam , qua visa suaviter obstupui. „ Quum vero ceclnit : Siva haec ToUotia , dixi, ,, Sive est a superis sedibus Harraonia. - -* Aloisii Chrisostomi Ferruzzii carmsn de jintonie Canova sculptoruirt principe ec» 8." Luci in Aeinilia ex officina nielandriana ann, iB23. Abbiamo più volte parlato dal sig. arv. Ferruzzl , e del suo gran valore nelle cose Ialine. Sicché non diyemo nulla di lui ; ma si ci rallegreremo in vedere com'egli ci consoli sì spesso co' versi suoi , cantando cose alte e piene dell a lode degli ottimi. E cei'to ha qui un tale «apor virgiliano, che li fa goder tutta l'anima , se Thai usata a quella tanta dolcezza e soavità : ed eecone un bell'esempio nella descri- zione del gruppo di fslche. ,, At non quisquam horainum ncque dlvum aequaverlt ullus „ Complexum Psyches , dignamque Cupldiue formam ; ,1 Quamquam Ingens latis humeris Tyrinlhius exstet , ,, Atque Hebe aeterno laeletur flore inventae ,, Ambrosiamque Jovi subieclo nilsceat auro. ,, Illa iacet , dloque slnus dum pandit amanti t .,, Blandilur capile , et venienti brachia teudil , ,, Brachia , namqne oculos iiox et lex dura vetabant. y, Interea pressis adslans a vertice pennis ,, Corvicem niveam flagranlia ad oscula flectit ,, Nudus Amor , positaeque promit iam virgìnis ora : ,t Obducit Veneri invlsas deus aethere flamnias. Non è questo un nobilissimo verseggiare ? Ci consenta però il sjg. Perruzzi di dirgli , che laddove egli pensasse di fare una ristampa di questo carme , emendi que'versi in che ii8 Varietà' parla dal raarcliesato d'Ischia clie si possedea dal Canova i ,, lana libi se scopulls longe adsurgeniibus addet ,, Inarime , domlnlque feret sub sidera nomeu > i, Vixque lovem et vaslì memorabìt iala Typhoel. Percioccliè l'Ischia del marchese Canova non è l'Isola della dai latini Aenaria » e da Omero Inarimen , posta rim- peiio a Napoli , ma si una plcciola terra vicino alla cit- tà di Viterbo. loannis Nuvoli epitaphiuni prò obilu Aloisii Contri ec. 8'" Luci in Aeniilia i824< Excudebat Melandri. Jl' un libricclno di quattro carte : due di dedica al sig. marchese Giuseppe Caraudini ciambellano di S, A, R. Il du- ca di Modena , e due di epitaffio. JNon potendo annoverar- ne i pregi , noteremo ciò che a noi sembra assai al di sotto dell'eleganza i e in confine cogli errori di grammatica e coi più golii peccati d'epigrafia. Pa^'. 3. losepho marchioni Carandiiii , equiti , camiti f regio mutinensis aulae cosmetae. Il MorcellI insegnò che i titoli di dignlli o d'ufficj non debbono già framezzarsl al nome e al cognome , ma scriversi tutti dopo di questi , fossero anche una centuria- Cosmeta aulae poi è forma af- fatto nuova , come a dire cameriere della camera. Il Mor- cellI ehlamò i ciambellani a cubiculo : altri invece li dis- sero admisUonales e ab admissionibus ; sicché veda l'autore quanto gli era facile far bene , se il prurito di far di nuo- vo non lo avesse ingannalo. Pag. 4- ^ -A^' Da Cadmo fino a' dì nostri VA ha sem- pre preceduto V Ci . Ivi. Ad tumuluni Aloisii Contri , domo Caferoniana » integerrimi sacerdotìs. Si noti che questo s'intitola epila~ phium , e però si finge scritto sul sepolcro del defunto. Dun- que la formula missiva ad tumulum è da lasciarsi al verso. Varietà* iiq la Garfagnana poi ( Caferoniana ) è una provincia ben esle- sa , onde il domo è posto male, percliè non determina dì che patria sia il Contri: come se dicendosi di qualcuno do" mo Pieeno , non si saprebbe Intendere quale città o luogo del Piceno gli l'osse patria , ciò che Importa II nome domus. Ivi , lin. i5 , 16. Rerum ^estariun gloria inter coelites eooplalo. Un agente di casa è quasi equiparato ad un ge- nerale o a qualche gran capo di repubblica : e , come se ciò fosse poco, Il nostro sig. ìNuvolI addirittura ce lo canonizza. Tag. 6 , lin. 7 , g. Tanto fuacto volventiliis sex pene lustris miniere. Se II sig. Nuvoli Intende di raccomandare alla posterità II suo buon sacerdote Contri con un partici- pio di verbo deponente l'alto passivo , può dubitarsi assai che la grammatica così malmenata non allraversl il suo di- segno : e che non gridi sua ragione al tribunale delTobblIo, tanto che i posteri non abbiano seniore del brutto fallo per gran, ventura di clil lo commise e del nome suo. Ivi , Un. i4 , 16. Cui nunc karus acceptus alque gra- tissirnus exislebat. Oltrecchè questi aggiunti non accresco- no nulla l'uno all'altro , il nunc avverbio di tempo presen- te non consuona aHatlo coìV exìstebat passalo Imperfetto. Pdg. 7 , lin 2 , 4' Si'ite , vialor , lugubria indue , moe- rensque da lacryinas. Oh non basta che II passegglèro si fermi ! Deve anche aver seco un drappo nero , e Indossar- lo prima ancora di larsi mesto ? ^Liallro versi chiudono repltaffio ; dove Tautoi-e , pen- tito torse d'aver così Iramamente collocato II suo defunto fra'sanll , lutto si scioglie In lacrimo perchè egli regni e si goda in cielo. E pone per primo questo esametro; Ori felix salve spiritus , le iitaec tua vìrlus ; Ignorando così bratiamenle che lo spi di spiritus non. è breve ma lungj. E nella luce del nostro secolo , dopo le ferme leggi dettale daH'imTnortale Morcelli , nella patria e sollo gli occhi de'i'ratelli Ferruzzi , si scrivono iscrizioni la-» line di questa sor le ! ! .. ,, D. G. laa Varietà' Ode all'amicizia , di Catt crina Franceschi, ii" Macellala delU tipografia Cortesi 1824. A>a KÌg. Franceschi è una glovlnetla gentile , che tutta pres- sa del piacere de* nostri classici scrive con tanta bonlà da farci (mirare in liete speranze di doverla fra pochi anni ono- rare qual nuovo lume delle lettere e del suo sesso . Noi abbiamo lelto parecchie altre volle 1 suoi versi , e sempre con gran diletto : essendoci sembralo di trovarci un pelia- te tutto alto e virile congiunto ad una non comune mae>. stria di sapere usar bene le eleganze de'nostri del secol d'oro. B che ciò sia il vero , guardale com'ella cantando dell'ami- eizia nelle nozze del marchese Borbon del Monte colla con- tosse Gatti ha saputo egregiamente introdurre replsodlo di I^iso ed £urialo t rJiso , poiché suo fido amico al suolo Cadde , né contro all'armi avea difesa , Pieno , diya , di te selamar s'udia : Me , me ferite ; è mia La fraudo ; il ciel , gli astri n'attesto : i*solo« Rutoli , osava , i'consumai l'impresa. Che l'alma a tanto ci non avea possente. Md indarno in suon dolente ^ Leva il grido pietoso ; Eurialo cade Fra le nemiche spade Qual fior chinato sul materno stelo Da piogga estiva o da notturno gelo. Come lion che insanguinar lo labbia Feroce agogna , nel peno ferito , Rugge e gli occhi di bragia intorno gira , Sì acceso in foco d'ira Varietà' I3I NIso allor fremo di" pioti , di rabbia ; Poi per affanno disperato ardito Ruota la spada , e folgor di battaglia Fra'l fero stuol si scaglia. Ei cade al fin , ma gli é il morir beato» Che al dolce amico a lato Versa lo spino , e languido vien meno Stringendo pur Tamala spoglia al seno. Segna sempre la signora Franceschi ad usare sì dolci rìrae cantando la fortezza e l'amor della patria , virtù sem- pre care , ma carissime poi sulle labbra d' una donzella eulta e leggiadra. [apologia de'secoli barbari , di F. Costantino Battini. Seconda ediziofici H" Bologna per Aanesio Nobili 4824; tomi due. dhe quest'opara di frate Battini servila piena zeppa di beslìalilà, e senza niun fiore di filosofia e di grazia , sia stata pure stampata una volta in una piccola città di Valdelsa, vada frale stoltezze che par si vedono lutto il giorno ; ma che in una città del- le principali d'Italia « in una città fiorentissima di buoni stu- di » e tutta ornata di persone gentili e d'alto sapere , ven- ga ora da un illustre tipografo ristampata , oh, questo dav- vero noi credevamo , e ci è fatica il crederlo anche pre- sentemente. Ma la cosa è così per vituperio eterno di tutte le cÌTÌllà. At vos interea venite in ignem . pieni ruris et infìcetiarum , Annales volasi , cacata charla. 122 Varietà' KOTIZIA DI LONGEVITÀ ,, Merita la riflessione dei fisici e la considerazione del doni l'esempio non comune di una parlicela rissima lon- gevità che in Senigallia , provincia d'Urbino e Pesaro , ci presenta il nuovo anno 1824* Vive in essa città la sjg. Faustina Gabrielli Ancajaui di Spoleti , nata colà nel dì 3 di geiiuajo 172+ » quindi giunta all'età di anni cerilo , che per la libica costituzione attuale de'nostri còrpi si può ra- rissima dicliiarare. Codesta matrona , dopo di aver passata Ja prima gioventù nel monastero di Spoleti , uscinne al diciannove.Mmo anno , e compiuto il sesto lustro , maritos- si al sig. Giaseppe Anrajani di quel luogo. Percorsi poscia altri cinipie lustri nello slato conjugale ( che di prole non la fece lieta , ma di soli due aborti l'alflissc ) ebbe a per- dere il compagno e lo sposo cui teneramente amava. Me- in'>re allora la medesima d'un suo nipote amorevole per nome Silvestro (che, già da un anno defonto , lasciò cara ed onorata memoria di se stesso ) , pensò di unirsi a lui, e nell'età di anni 72 portossi in Senigallia ove attualmente dimora presso il di lei parente sig. Pietro Ballaglioui. ,, Fin qui si è discorso ciò che spetta all'insieme e alla durata di sua vita. Ma siccome ella è pur troppo con- seguenza irreparabile delia decrepitezza , e legge di natura, e massima registrata ne'sacri libri , che oltra gli anni ot- tanta abbia l'uomo ad esistere Ira I dolori e gli allarmi, cosi merita assai più di rlllesso lo slato prospero di sa- lute in cui trovasi codesta signora. Niuno impedimento nel- le sue lutizioni organiciie ; vista perfetta che non richiede soccorso di lenti , oLli/na digestione , udito prontissimo , es- co le particolari qualità del suo fisico non alterato. Legge- re ; scriverà ; cucire ; levarsi a matlutino ; desinare a un'ora pojnoridiaua sèiiza prendere mai nulla prima ; coricaroi alla Vari r t a' laS mezza «olle e dormire placidamente tìno all' alzala , ecco le speciali e rarissime potenze della 5ua macchina , che sem- bra sfidare il tempo e la morte a pid lontana e vigoro- sa battaglia. ,, Si è quindi stimato opportuno di registrare un lai latto fra quelli meno frequenti di longevità , i quali arric- chir possono le memorie nosologiche dello slato pontificio. G. Mamiani Sono pregati gli editori del celebre Giornale Arcadico di Roma d'in<;erire negli annnnzj de^Uhri nuovi il seguente articolo. ' Nuova EDizroNE delle Opere Epigrafiche DELL'AB. MORCELLl. Il chiarissimo abate Stelano Antonio MorcellI , prevosto di Chiari , mancato a'vivi nel di i dall' anno 1821 , iielpan- no 1781 pubblicò in Roma la grande opera sua , prima ed unica in simll genere , sullo stile delle latine iscrizioni , De stilo ìnscriptioniim latinaruni ; dove colla scorta delle an- tiche lapidi , della più vasta erudizione e della critica più severa fece conoscere che non è in arbitrio di alcuno il dettare a proprio talento una epigrafe , ma che certe de- terminate regole denno osservarsi a norma dell'argomento, su cui riscrizione si aggira. E siccome non mancarono in ogni età gli uomini veramente dotti che sanno conoscere il pregio degli altrui lavori , cosi é facile a credersi che il merito di quell'opera , a buon dritto immortale , si dif- fondesse rapidamente per la colta Europa insieme colla fa- ma di chi la immaginò e la scrisse. Conosciuta cosi la pe- rizia del MorcellI legislatore della epi grafia , molti furono quelli , che nella città eterna di Romolo e nell' Italia a 124 Varietà.' lui si addirizzarono , quando o ad onore della religiou san» ta , o ad eternare colmarmi la memoria di un principe, o ad alleslare in un cplialfio il merito di un defunto bra- mavano una latina iscrizione. L'Ab. Morcelli soddisfece sem- pre da suo puri alle inchieste , e raccolto un buon nume- ro di quelle epigrafi ad ulcun'altra le unì che sopra qual- che Irariiagiiiaiio argomento e per esercizio proprio gli ca- deano dalla pernia , e formò di tutte un nuovo libro, in cui aggiunse ad ogni iscrizione que'brevi od utili comen- ti , de'qaall gli parve abbisognasse o per Tlntelllgenza di qualche voce da esso lui adoperala , o per convalidare coli' àulorilà de'classici autori l'uso ed il significaol di un'altra. Questa set-onda opera del Rlorcelli vide egualmente la luce in Roma l'anno 1780 col titolo : Inscriptiones e onimenlariis subjectis. Crebbero allora le istanze di quelli , i quali non da altri che dall'aureo stile del Morcelli comunicato voi* lero alla posterilà un prodigio , l'erezione di un tempio , la munlficc:iza di un sovrano > le lodevoli gcste di un tra- passato : ed ecco una nuova raccolta di belle epigrafi , che l'autore intitolò Parergon inscripLionuni no^'issimuruni , e che pensava di pubblicare una volta o l'altra. Né ciò ba- sta ancora. Avendo egli ottenuto dalla santa sede a fregio del suo principal tempio di Chiari le reliquie della mar- tire Agape , ad onore di essa esercitò la sua penna con molte iscrizioni e col lallnlsslmo libretto A^apeia ; siccome a promuovere il culto dell' arcangelo a. Michele diede alle stampe la Michaelia , opuscolo sparso pure d'iscrizioni d'e- gual tempra. Le due opere in primo luogo accennate e stampale lu Roma ebbero sì rapido smercio , che già da qualcho anno furono annoverate fra' libri rari ed ascesero a gran prezzo, quantunque l'edizione e per la stampa troppo minuta e pc' molti errori tipografici , speclalaiente nelle cita-ioui delle opere altrui, non abbia un distinto pregio. Varietà' I35 Pervenuto essendo a notizia di tre lellerale persene , che il MorcellI avea In pronto il Parergon , per dimojtrare a quel grand' uOmo la grande estimazione che gli professava- no , e più ancora all' oggetto di eccitare il buon gusto in co- loro che tutto giorno dettano le iscrizioni invita Minerva , addimandarono queir opera all' autore , promettendogli di procurarne una decente e ben coi-retta edizione . i\on fu dilficile di ottenere il consenso ed il manoscritto dal Morcel- lI , e per le cure de' chiarissimi signori Floriano Caldani pro- fessore di anatomia nella I. R. università di Padova , ab. Giuseppe Furlanello professore In quel ccl. seminari» , ed ab. don Fortunato Federici vice-blbliolecarlo della slessa I. K, università , vide la luce in Padova nel i8i8. A quel volume di bella forma in 4 grande premisero gl'illustri editori tin'auljpoita col titolo : Sleyihani ^nl. Mor^ celli operimi epigraphiccruni voliunen V, e nel tèmpo stes- so con separato manitesto notificarono al pubblico essere lor mente di ristampare l'opera De siilo inscripLionum lalina- rum , le Imcriptiones commenlariis subieclis , e quanto aves- sero potuto raccogliere de'lavori epigrafici del MorcellI, Ten- nero essi parola , e non solamente quelle opere con indici copiosissimi sono nitidamente, e con qualche splendore ilprodol- te; ma a merito singolarmente del sullodato sig. ab. Furlanel- to (oltre qualche rara e brevissima annotazione ) l'edizione di Padova è purgata dai moltissimi errori ch'erano corsi In quel- la di Roma, e specialmente nelle citazioni de'dlfferenli autori. Ecco adunque a nosti'a gloria le opere epigrafiche del MorcellI , che tanto onorano l'italiana letteratura , decente- mente stampate , corrette ed in un solo corpo riunite. I tre primi volumi sono destinali ai tre libri De stilo iiiscri- ptinum latinctrum , nel volume quarto abbiamo le Inserì- pliones commeniariis subiectis coli' appendice di tutte le iscrizioni falle dal Blorcelli dopo il Parergon, con quelle che »i trovano nell' Agoijìeia e nella Michaelia e con lo Tef- igrae pascliales ; il quinto finalmente contiene il sopracita^' laG Varietà' to Parergon. Olire la parie islruttlva, ch'è sommamente in- teressarne, di quante nollzle non abbondano que'volumi ! Qui gli elogi di molli sovrani , qui la memoria abbiamo delle strade rislaurale , de'ponli creiti , de'tempj edificati , e co- me al di d'oggi un'antica lapide ci avverte del nome da- to ad una colonia o della esistenza di una illustre l'amigllay cosi tempo verrà che di molli personaggi e di molte la- miglie celebri al presente e rispellate non si avrà documen- to che in una epigrafe del Morcelll. Al cinque indicali volumi una grande aggiunta prepa- parano gli editori , avidamente attesa dagli eruditi , cioè il Lexicon epigraphicuni morcelliaiium con intenso studio ed inesprimibile accuratezza composto dal eh. signor ca- nonico Filippo Schiassi, professore della scienza antiquaria e numismatica nella poniificia università di Bologna , aureo scrit- tore di opere applaudltisslme e delle più terse iscrizioni latine. jNoi sappiamo esserne già incominciala la stampa , e sapp/amo ancora che lo stesso cclebralissimo autore pre- porrà al suo lessico la vita del Morceili , che sarà ac- compagnala dal ritratto somigliantissimo di quel grande uo- mo da perita mano intagliato. Ci congratuliamo cogli edi- tori di cosi bel divisamente che tanto onora gl'italiani , ed eccitiamo i dotti , i possessori delle splendide biblioteche , e quelli a' quali stanno a cuore i domcslici fasti , a ]ion ritardare la provvista di un'opera che tra non molto diver- rà rara. 1 cinque volumi delle opere epigrafiche del Morceili si Tendono in Padova co'pronli contanti a'prezzi seguenti» In carta fina ..... franchi 82 ig Sopraflna 92 71 Velina : : . . iJ2 84 Sotto-imperiale soprafiua . . . • 112 84 Sotto-imperiale velina , e sole 5 copie in carta cerulea i49 68 Varietà' 127 E l'amore della patria e la giustizia esigono che qui puhhli- chiamo la ■seguente lettera inviataci da Parigi. A VAuteur dola Notile biograpkique da patriarche isacharus J ai lu, monsieur , votre Notice, et je ne piils, en consclence, passer sous silcnce qiielques observalions qu' elle m'a sugge'iécs, D' abord vous ditcs , page 12: // préféra ( le patriarclie ) /a franchise , la droiture , Vaff abilitò qui distingwmt les fran~ gais , d la pantomime f nasse d^ Vitalien. Ei plus loia , pa- ge i4' i^ recevait souvent , chez lui , un italien nommé An- tonio Brocchetti, qu^il avait connu à Rome , et qui , bien. que sa mise n'annoncat pas la misere , eoit par incon- duile , soit par paresse ou manque d'industrie, avait souvent hesoin d'avoir recours au charitable vieillard. Pour nourrir cet in ter et si projitabile que lui por tal t Isaacharug , il lui rendali de petits services , élait son alare lorsqu'il disaii la messe dans son modeste appartenient , et avec cetle qf- fectation doucerense, ces flatteries decevantes qu'emploient la plus grande partie des italiens. D'où. vous vieni, monsieur, une telle haiue oontre les ilaiiens ? Est - ce un Irancais qui doli dénigrer alnsi un peuple que Ics francais onl, pour ainsi dire , rendu malheureux ; et que penseries-vous d"un liomme qui Irailerait d'assassins, d'empoisonneurs , la plus grande par- ile des francais , en lisant les procès de Custaing, Lecouf- fe , etc. , etc. ? ne le Irailerier-vous pas d'cxlravagant , de fanalique ? Que voules-vous donc qu'on pense de vous si parce qu'il se trouve un Broccheli parmi les italiens, vous as- similez les italiens au meme de gre d'avilissemenl. La méme hainé vous conduit dans le reste de votre ouvrage ; plus loin , vous dltes que le patriarche préféra la franchise , la droiture , Vaffabililé qui dislinguenl les fran- cali , à la panloniinie fausse de Vitalien. Je ne vous par- lerai pas de riujustice que vous corameltcz lonjours selon ia8 Varietà* Toire méme sysième , mais je rous ieral remarquer qu'en dénigrant ìes UalicBs , vou5 étes loln de faire* Telone du pa- triarche el que vous le désignez au conlraire corame in- grat , puisque ce ne fui pas la France , mais un gouverne- msnt d'Italie qui Tassista si £;daéreusaraent ; puisque ce ne fui pas la France , [mais un souverain italien qui le fit sortir du cachol où il se trouvait peul-etie par sa faute. Vous dites encore , page 7 ; Dès long-tcmps il avait eu le desir de faire un voyage en France , mais à celle epoque la terreur rèf;nait dofis nolve belle patrie , «te, , eie. , et le sage Isaacharus aurait certainement tronvè , à celle epoque de désolaiion , des homines plus barbares que les turcs qui le re- jelaient. Il pril le parli de s^embarquer pour L'halle, i^près avoir lu ce passage , j'ai é\6 peu surpris de vos diatribes «on- tre les italiens ; lorsqu'on iail des monslres de ses compalrlo- tes , on peut bien calomnier une autre nation, et, en passàni, je vous prierai d'obscrver quo ce u'èlaient pas des Itallcas avec une fausse pantomime , une affeclation doueereuse et dei fialteries dccevanles qui comraettaient de pareilles scélé- ralessos , mais plutót volre franche , droiie et affable nailon. Enfìn , apre lous vos beaux cloges , vous concluet quo le patriarche » au milieu de cette néme nation francaise, est rc- duit à demandcr l'aumóne , landis qu'en Italie il a éié secou- ru généreusemeut el sans l'avilir. Puissenl ces courtes ohservalions vous reiidre plus circon-i speci à r avenir , plus conséquenl avec vous - mémc , yoiis aprendre qu'on n'insulte pas une nalion impuntfmenl , el qu'on ne chcrche pas à l'avilir sans acccpier le liuc ^^de calonuiialeur , à moins qu' oa ne veuillc passer pour fou. Jc vous laisse le maitre de voir si l'une ou Tautre de ces qualifications vous conrient. Paris, i5 dicembre i823. P. MlRKl, halicn. Chef, de bataiilon cu non aclivilé. Y A R I K T A* 139 NECROLOGIA. Una graye perdila hanno tallo le lellere la arti belle nel cav. Giuseppe Tambroni , uomo di horilissimo ingegno ed uno de 'più amichi nostri compilatori , morto la sera de' 1^ di que- sto Hicse . Dei quale basterà ora il toccar sold alcune pa- role; peichè più molle se ne dovranao lar« ira poco quan- do pubblicheremo coii l'elogio somposlogli dai suo iliuslre cu-r giuo conte Leopoldo Arniaroli di macerala ; come la vita che ^li stg scrivendo con penna d'oro il celebre cay. Luigi Liondi. Veniva il l'amLroni d'una ouesla laiuìglia originaria ^i Parma; ma egli eia nato in iìoiogna nei I/74 iriiieiio mi- nore della sì celebrala Clotilde, lissendo ancor giovinetlo , p dando di se grandi prove d ingegno, volevano i bolo- gnesi suoi proiettori , e specialmente il Ravioli e i s. 0 a5 cr. gr. 1 S. p. 11. tra. 1 m s. tra. 3 brin. ]j. p. n. 2 0 tra. 2 m S. il. gr.lev. 1 s. tra. 1 s. 1 3o 0 4o tra. i in s. tra. 1 m s. tra. 1 neh. n. ir. gr. 1 il. p. s. tra, 1 S, il. tra» 1 m II. 0 5i tr. gr. 1 m S. p. 71. tr.nia. 1 s. p. il. tra» 2 11. p. s. 1 20 irft. 2 t. p. II. tra. 1 m s. tra. 1 s. i 0 ^/■a* 1 s. tra. 1 s. trw 1 ì\eh. s. n. 0 5o O-a. 1 IH s. p. n. tr.ma. i s. tra. 0 s. 0 25 '/■«. 1 s. ir. gr. i s. ira. 0 fcrjn. gel. St 1 i6 a- ti. 1 s. tr. gr. 1 s. tra. I , 1 s. 1 10 ir«. ni s. tra. 1 s. poii. m gè. ne.* 2.' • i 0 ira. 1 S. p. il. tr.ma. o s. trw 1 gelo • 0 34 tra. 1 s. p. n. tra. 1 s, p. 11. tra. 1 gelo 2 0 era. 2 s. tr.ma, 2 s. tra. 2 ni gelo • 1 24 "•«. 1 ni S. il, s. v; gr. i il. p, s. mez. 0 gelo . 0 24 7 1 1 a 6 5 2^ 6. 27 10 2 6 0 V ^1 3 27 9 8 4 0 5 0 -7 9 ^ 7 9 4 41 27 9 8 6 0 fu' 4 27 IO ò' 2 8 172 27 n 0 ■ 8 7 45 i 27 11 4 6 9 4b 9 5 28 0 0 4 2 49 7 28 0 5 8 i 5(5 1 118 1 4 4 2 52 0 6 28 1 8 2 2 46- 4 38 q •28 1 4 8 4 54 3 £8 1 0 4 4 8 48 3 4i 2 44 0 7 27 1 1 2 3 0 27 10 4 8 7 48 9 27 10 2 8 27 10 9 5 4 4i 2 27 11 2 8 2 53 4 27 1 1 4 4 b f) 28 0 4 5 0 372 i8 0 5 ■ 7 6" 42 2 28 I 5 4 b j8 2: !• 28 1 6 2 0 22 4 28 I 5 7 4 35 0 28 1 2 5 0 3i 3: 11 28 0 7 3 8 24 3 28 0 6 7 4 373 28 I 8 4 3 26 2 ■ = 28 2 0 I 0 19 2 28 2 0 6 8 35 1 28 3 0 4 B 26- 3 i3 28 3 5 I 0 23 1 28 4 2 7 2 4u 8 28 3 7 3 8 29 2 li 28 4 0 0 5 22 5 28 3 5 6 2 38 8 28 3 0 4 0 21 3 i5 28 X q I 0 2« 6 28 . 3 5 8136 1 28 1 0 4 6- 28 2 .6 27 11 7 0 5 21 0 27 11 6 6 2 346 27 1 1 9 5 4 43 9 r7 28 0 2 4 0 42 3 28 2 4 8 2 59 4 28 0 0 4 2 49 0 l8 '4 28 1 7 5 I 1 3 0 38 4 3q 2 28 i 7 6 4 46 0 28 I 2 4 6" 39 3 42 0 28 1 28 I 4 6 1 44 3 28 I I 4 0 ;n 23 0 6 2 0 28 2 28 0 3 6 2 3.Ì 8 28 0 3 2 5 3ó q i 1 28 0 1 0 5 29 0 28 1 7 5 6' 33 9 27 10 4 3 2 36' 'à 29 3 22 -7 9 5 0 0 27 4 27 8 9 6' 2 39 0 27 7 2 7 2 ;;3 27 6 3 4 0 21 2 27 5 8 6 3 16 2 27 4 9 5 2 i4 3 24 27 3 0 7 0 Il 2 27 3 ff 6' 8 10 1 27 5 8 6- 5 3o 1 25 27 1 1 3 9 0 42 0 ; 27 I I 5 12 2 53 0 28 0 0 9 2 54 I i6 28 4 0 ò- 0 43 2 28 3 7 9 8|53 2 28 3 5 8 0 .42 27 28 3 0 4 0 36' 2 28 3 6 8 6 42 6 28 0 5 ^ 3 3l :. 28 27 10 4 4 0 29 1 27 9 8 9 4 43 7 27 7 2 è 3 29 2 29 27 5 5 b 0 i4 2 27 5 0 10 7 16 8 27 6 5 2 9 2. 3 3o 27 7 2 2 0 27 1 27 7 6 5 7 34 2 27 9 4 5 0 42 2 3i 27 11 3 4 3 39 2 27 li 3 « 3 54 6 27 «1 8 4 2 54 , Tabella dello stato del Te\>ere , desunto dall'altezza del pelo d^ acqua sull'orizzontale del mare^ osservato ali Idrometro di Ripetta , al mezzo giorno. Gennajo 1824- GlOKNI. METRI. PALMI ROMANI OSSERVAZIONI. 1 6, i4 27 5 4 •2, d 6, 5i 6, 25 29 i s 27 11 5 27 5 4 Altezza litiassima me- 4 S, i4 tri ò" 5i. 6 S; 95" 2e) 8 0 6 6, 00 26 10 1 ' 7 5, 06 26 8 0 Altezza minima me- 8 5, 92 26' S 0 tri 5 70. 9 5, «9 26 4 2 10 5, 8t) 25 2 4 26 1 s 11 5, 84 AliCEza media me- T2 5, 84 ^(S 1. ò tri 5 go. lò 5, 85 26 0 1 u S, 81 26 0 0 i5 5. 80 25 il 3 i6 5. 79 25 1 1 0 n ^' 79 25 il 0 i8 5, 78 25 iO 2 »9 5, 76 25 9 i 20 S, 74 25 8 1 21 5, 75 25 7 4 22 5, 71 25 i> 0 20 5, 70 25 6 0 24 5, 80 25 il 3 25 5, 87 25 3 1 26 5, 98 5, 80 26 9 i «7 26 2 4 28 5, 8i 2$ e 0 29 5, 81 25 0 e 3o 5, 80 25 il 3 Ol 5, 81 2^ 0 0 1 IMPRIMATUR. Sì videbitur Reverendissimo Patri Sacri Palatii Apostolici Magistro. Jos^ della Poità Patr. Constanti/top. Vicìsgereiis, IMPRIMATUR. Fr. Tli. Dominicus Piazza Ord. Prjed. Sacri Falatii Apostolici Magister. Soc. i35 SCIENZE Saggio di osservazioni sulle malattie epidemiche che regnarono nella città diSansei^erino dal princi^ pio di aprile sino alla fine di ottobre del 1817; del dottor L. Fenturi med, prim. di detta città , e socio corrispondente deWLeR. accademia di scien- za <, lettere ed arti di Padova Ancona^ 1818. jnLllorcliè venne da noi esibito un estratto della in- teressante prolusione del eh. sig. prof. Gozzi sulle azioni generali dei rimedj ec. nel volume di inago^lia agente interno o esterno è sempre relativo al tes- suto , o air organo sul quale esercita la sua prima azione ; per cui ne avviene , che ques€ organo reg- gendo diversamente debba anche di necessità varia- re Veffetto di quelle sostanze , che gli sono por- tate a contatto' Basata questa massima si occupa a provare , con argomenti tratti dall' età, dal temperamento, dal- la maniera di vivere , dall' azione de' patemi di ani- mo, e dalle malattie sofferte, che le suddette asciti era- no malattie di languore ; e conchiude di nuovo a posteriori , che non possono le unzioni oleose averne operato la guarigione , che in forza della loro fo- coltà eccitante. Vuole il sig. professore avvalorare questo suo as- serto col produrre alcune costumanze , e opinioni , e pratiche religiose e superstiziose degli ebrei, de' feaci de' macedoni, degli ateniesi, de' tebani, degli spartani , degli spagnuoli , degli africani , de' sicilia- ni , e de' romani in i^pecie , i quali ultimi aveano formato dell' olio e degli unguenti un oggetto di lusso nelle loro tanto celebi-ate terme. Finalmente , dopo di essersi raluto dell' autorità d'Ippocrate , eli Celso e di Avicenna, fa osservare, che l'olio , co- Unzioni oleose ec. i45 me cosmetico, ammorbidisce la pelle ; che usato in forma di bagni e di linimenti molte volte rinfiam- ma ; e die esso in ultimo , dietro l'autorità di Pli- nio , di Ramazzini , di Marcard , di Waidy , del p. Luigi da Pavia , e di Rubini , agisce come poten- te sudorifero su i tegumenti del nostro corpo. Discorrendo il sig. dott. Zavagli dello stato pato- logico della cute nell'idropisia, riflette giudiziosamen- te con Tissot, che la cute ìiegV idropici è aspra^ sec- ca ■, dura^ alcune volte callosa^ ed incapace di ese- guire regolarmente quelle funzioni ^ che le apparten- gono. Soggiunge, die essa neW idrope sitihoìida può assorbire V umido atmosferico in grandissima copia:, e che quantunque un tale fenomeno presenti le appa- renze di un accresciuta energia nel sistema assor- bente, pure,, accompagnando esso molte volte le idro- pisie per debbolezzn^ si deve curare con rimedj ecci- tanti e per conseguenza con le unzioni oleose. Addu- ce in comprova di ciò la pratica di alcuni medici an- tichi e moderni d'irritare e di ungere la pelle degl* idropici, e conchiude in ultimo, che questo mezzo non può giovare, che nelle idropisie asteniche, che pur son quelle che meno frequentemente si osservano nel no- stro ciclo Riandando sulle cose esposte dal sig. professore nel suo opuscolo, e confrontandole con ciò che tutto dì occorre vedere e sperimentare, non possiamo non dissentire dalla sua opinione, nel!' attribuire che egli fa un'azione stimolante all' olio ed alle sostanze grasse. E di vero, se le orecchie dolgono, se ne tempera lo spasmo con dilicate fila [intrise nell'olio: con olio un- gonsi le narici esterne, e le labbra screpolate ed infiam- mate dal freddo; con iingimenti oleosi in poco d'ora si dissipano i dolori e gì' ingorg^hi delle mammelle ; e quante piaghe, quante ulceri, quante ferite non si i46 Scienze medicano mai cogli unguenti, o con altro tale? I mi- litari conoscono a prova quanto le unzioni di grasso sulla pianta de' piedi tornino loro a profitto, onde pre- venirne le fonditure cagionate dal lungo camminare ;. e gli abitanti della zona torrida e della gelata non serbano miglior mezzo dell' olio onde contenere in co- testi climi gli effetti smodati e del caldo e del fred- do. Cosi se uno è preso improvisamente da violenta colica ( di qualunque specie essa siasi ) anche l'inesper- ta donnicciuola e lo zotico contadino sanno consiglia- re al malato le unzioni oleose, e gli omenti di castra- to sul basso ventre; e tutti sanno, che accadendo di dovere allenire lo stringimento dell' anello inguina- le neir ernia incarcerata e degl' intestini crassi nella costipazione di ventre , l'olio e uno dei mezzi il più efficace, il più sicuro e il più adoprato. Eppure tut- ti questi fatti (tanto è vero, che i nostri raziociuj non sono sovente che la ragione de' nostri capricci) non bastano a rassicurare all' olio la sua antica virtù mol- lificante e leniti va, e con linguaggio tutto nuovo, in og- gi in cui si va tanto boriosi e caldi delle moderne idee mediche, si osa proferire, che Volio infievolisce lo stomaco ed invigorisce le membra. Se da noi si fosse dovuto ragionare col sig. dott. Zavagli alla moderna, cioè col diatesimetro alla mano, avremmo detto: I corroboranti nell' idrope del Mare- scalchi non han giovato, gì' irritanti (giacche nessu- no contrasta un' azione irritante alla Scilla , al marcu- rio, alla digitale, ed ai drastici) gì' irritanti anch'es- si non hanno arrecato migliori vantaggi; dunque l'olio con che si è riuscito a curare le idropisie suddette non è rimedio certamente irritante o stimolante, ma è quella tal sostanza, che col rammorbidare la cute, e col vincere l'eretismo de' vasi minimi, ne apre i po- ri ad una traspirazione più facile e copiosa; è quel- Unzioni oleose ec. i^« la sostanza che , sottraendo la pelle dall' immediato contatto dell' aria atmosferica, impedisce che troppo essa si corrughi e si dissecchi; ed infine è quella so- stanza, che insinuandosi lentamente nel tessuto cuta- neo, gli ritorna quel grado di sensibilità e contrattili- tà organica ed animale , che più all' esercizio delle proprie funzioni compete. Ed ecco perchè l'aumento della traspirazione sierosa, cagionato forse dalla dimi- nuzione del traspiro cutaneo, decrebbe appoco appoco coll'accrescersi di quest'ultimo; ecco in fine una spiega- zione, se non vera almen probabile, del come sia riu- scito al sig. Za vagli di guarire coli' olio tre idropi- ci. Cosi almeno noi avremmo ragionato, così si sareb- be reso conto da noi di un fatto, clie quantunque non istravagante si è pur voluto sopraccaricarlo di strava- ganze; per lo che si è detto, che erano asteniche le suddette asciti, perchè non aveano voluto cedere ai corroboranti ed agV irritanti'^ che l'olio di olivo sti- mola la pelle, ed illanguidisce e deprime lo stoma- co-^ come appunto il tartaro stibiato accende la cute e raffredda il ventricolo, e come il tabacco ravviva la mucosa delle narici, ed amortizza quella del tubo di- gestivo. Notando queste cose nell' opHSct>lo del sig. Zava- gli noi non aderapiamo che a quanto è di nostro do- Tere, cioè di notare la verità per verità, e le strava- ganze per stravaganze, come appunto ne avverte Lu- crezio: Si tibi vera videtur Dede manus , si falsa, accingere centra. Del resto siamo ben contenti, che il dotto sig. professore ci abbia dato un nuovo mezzo di medica- re la ribelle idrope, il quale se non saia de' più si- i48 Scienze curi, non avrà certo l'indole sospetta e rea di tanti farmaci troppo in oggi famigerati; e che d'altronde non sarebbero da' medici con tanta confidenza adopra- ti , se dopo fattane la ricetta fossero astretti a tran- gugiarne i primi sorsi. « Accipe calicem , pharmaca pota tu prius, raox et » aegris deglutienda propina. Osservazioni critiche intorno alle ricerche sopra Vin- tendimento del cane a degli altri bruti ^ precedu- te da una raccolta di fatti relativi alla intclligen- za^ alla sagacità, alla fedeltà, alla industria di molti cani celebri. NeW occasione che si è me- strato in molti paesi d'Italia , e recentemente in Bologna, ed ora in Senigallia, un cane molto be- ne educato a maravigliose operazioni . Operetta di F. Orioli professore pubblico di fisica nelVuni- \>ersità di Bologna ec Pesaro 1S2Z. presso Annesio Nobili stampatore camerale „ Edizione seconda. Q.. , \ uesta seconda edizione è dedicata a S. E. il sig. principe Astorre Hercolani. Segue un preambolo del eh. A. dove innanzi di dar prova del molto suo sape- re, la da, siccome suole, della singolare sua modestia; non meno implorando quella indulgenza di cui non ha d'uopo , che invitando le persone scienziate ad ulte- riori fisiologiche investigazioni. Io, che non ho la sor- te di essere nel loro numero, non farò che alquante osservazioni all'operetta , tenendole dietro passo passo con lo stesso ordine, il quale e questo; i.** Descrive l'indolo e le prerogative del cane in genere; 2. ''Ram- Intendimento del cane lAg menta i fasti de' cani più celebri; 3." Tratta quella parte di filosofia, che appellasi psicologia; 4*° Colla scorta degli stabiliti principj cerca di render ragione delle pia sorprendenti cose operate dai suddetti cani. E dovere dell' uomo sapiente d'illuminare il volgo si che o non cada in errore, o cadutovi si rialzi. Il cane Fido era cresciuto in tanta fama di essere e arit- metico , e geometra, e indovino , che da non pochi si metteva in camerata con Pitagora, con Archimede, con Tiresia. Ben s'avide FA. che se nella sua operetta avesse subito dato mano all' argomento , assai leggito- ri sarebbero rimasi sconfortati della metafisica sotti- lità con la quale è pur necessario di trattarlo: perciò prese il gentile ripiego di premettere la storia di al- cuni cani celebri; di che preudendo ognuno diletto, tanto più s'invogli di sapere in qual maniera si spie- gano i tanti canini portenti. L'elogio del cane è scrit- to con tanta grazia da non lasciarne desiderare mag- giore- Ma dove l'A. chiama il cane intelligentissimo di tutti i bruti si proccaccia l'odio per lo meno dell* orangotang e dell' elefante, di cui Plinio scrisse-,, Ma- 3) ximuni est elephas, proximumque humanis sensibus: " ^^ÌPP6 intellectus illis sermonis patrii , et imperio- w rum obbedientia , officiorumque quae didicere me- n moria: amoris et gloriae voluptas: immo vero (quae » etiam in homine rara) probitas, prudentia, aequi- j) tas : religio quoque sidcrum, solisque ac lunae ve- j> neratio. Auctores sunt, in Mauritaniae saltibus ad w quamdam amnem, cui nomen est Amilo, nitescente « luna nova, greges eorum discendere: ibique se pu- jj rificantes solemniter aqua circumspergi , atque ita j) salutato sidere in silvas reverti , vitulorum fatiga- » tos prae se ferentes. Alienae quoque religionis in- ■>■> tellectu , creduntur maria transituri non ante naves 5) consccudere , quam invitati rcctoris jurcjurando do l5o S 05?!' E N Z E ?j reditu. Visique sunt fessi aegritudine ( quando et » illas moles iufestant morbi ) herbas supini in cac- j> lum jacientes, veluti tellure precibus adlegata.Nam, » quod ad docilitatem attinet , regem adorant, genua T) submittunt, coronas porrigunt. » Se Plinio oltrepas- sò ogni limite nel lodare l'elefante, al segno di far nascere il desiderio che tutti gli uomini sieno elefan- ti , chi vorrà accusare TA. perchè eccedesse nel commen- dare il cane , sapendosi da tutti , non esservi panegi- rista , il quale non esalti sopra d'ogni altro il suo eroe , anche quando non è? Ne tutti saranno facilmente in concordia con l'A. nella sentenza posta in principio all' operetta, w Tra ?) quanti animali servono all' uomo nelle regioni che « abitiamo nessuno certamente vince l'intelligenza del » cane. ?> Chi v'ha clie del cane non istimi più assai il cavallo ? E clii non è sorpreso del suo brio , della sua mansuetudine in pace, della sua intrepidezza in guer- ra , del suo discernere il suono che Io invita al bal- lo , da quello che lo spinge alla zuiFa? De' tanti pre- gj però de' quali è adorno , e pe' quali non v'ha poe- ta , non prosatore di vaglia che di lui parlando non l'abbia assaissimo commendato , ninno avanza la sua sincerità e l'implacabile suo odio all' adulazione. Im- perciocché egli sbalza di sella qualsiasi cavaliere im- perito; sdegnando di obbedire a chi non sa reggerlo. Che se egli non avesse a vile le effeminate carezze che si prodigalizzano ai cani , e conversasse con noi al pa- ri di essi famigliarmente , si vedrebbe essere il caval- lo tanto più intelligente del cane, quanto è di lui più avvenente, più leggiadro, più maestoso. Ond' è da cre- dere che il cane si reputi onorato , quando il caval- lo talvolta lo degni di uno sguardo, come un plebeo JxMiignamente salutalo da qualche discendente di Gio- ve. A])l)astaiiza , se non troppo , del primo punto del lihriccino' Eccomi al secondo. Intendimento del cane i5i Siccome v'ebbe chi scrisse le vite degli uomini e delle donne celebri, così altri ha scritto della celebri- tà dei cani prestando loro il cortese officio senza la vista di poterne avere ugual contraccambio. Se ciò non fosse , di quanti illustri cani perduto si sarebbe pur troppo la gloriosa memoria ! È da sperare che nasca, quando pur non sia nato , chi a nostra grande ven- tura raccolga i fasti d'altri animali, come sarebbe del- le gatte celebri , facendo onorata menzione di quella che amò il Petrarca in modo da dar gelosia a madon- na Laura ; come sarebbero i passeri celebri , facendo onorata menzione di quello che fu la delizia di Les- bia , la quale ne pianse amaramente la morte ; e come sarebbero i papagalli celebri , facendo onorata men- zione di quello che scandalizzò le buone monache , e di cui scrisse con tanta leggiadria il Graisset. Ma lasciate da parte le gatte , i passeri , e i papagalli , ritorno ai cani celebri , il panegirico de'quali forma neir opuscolo un festevole episodio , che a guisa di amenissimo viale guida al laberinto , d'onde ninno e per anche uscito, ne più si ebbero novelle di chi v'entrò. Tratterrommi io pure alcun poco nel viale per ren- derlo, se varrò tanto, più ameno con alcune osserva- zioni critico - psicologico -inorali sopra le gesta de* cani celebri prescelti dall' A.; le quali se oscureran- no in parte le loro glorie , basterà però la parte di cui rimarranno in possesso, perchè risplenda sempre e dovunque la loro celebrità. Il primo cane encomiato dall' A. scoprì il cada- vere dell' ucciso padrone; poi diede in mano della giu- stizia l'uccisore, e da ultimo con la invincibile elo^ quenza del digrignare i denti ^ del latrare^ e del mor- dere lo convinse del commesso delitto. Qual premio crederai tu , cortese lettore , che avesse un cane sì be- nemerito della società ? Leggi. » Secando il costume di GA.T.XXL IO i52 Scienze « que' tempi per un regale decreto raccusato dovette w venire a singolare battaglia col cane in campo cliiu- » so, e la vittoria restò all'animale, confessando il vin- » to innanzi di morire il suo fallo, n Se il fatto fosse vero , bisognerebbe dire clic i regali decreti di que' tempi fossero piiì bestiali delle azioni dei cani, giaccliè punivano ugualmente l'innocente che il reo , mettendo- li ambidue in lotta nello steccato a guisa de' gladiatori. Il cane clie mori dopo di avere accompagnato al supplizio Tito Sabino precipitato dalle scale gemonie , mostrò il suo affetto al padrone, |norendo di dolore; ma poi non diede grande prova d'intendimento, quan- do accostò alla bocca dell' estinto il pane a lui gitta- to , perchè non perisse di fame. Quanto a me resto in gran dubbio che il cane , anziché di dolore, morisse di appoplesia. E nel vero portentoso il fatto narrato da Delabe- re Blaine di un cane che addentando il suo padrone ora in una spalla , ed ora nel collo , lo trasse dalle acque di un torrente impetuoso ; ma sembrami che l'A. onori di troppo il cane , quando accenna più ra- gioni che poterono determinarlo a variare il luogo del morso ; cioè per regolare il sostenuto corpo del suo padrone nel modo che epigono le leggi infallibili dell' idrostatica. Que' ducento cani che stretti a foggia di batta- glione misero in piena rotta la schiera nemica di un re de' garamanti ( di cui si è perduto disgraziatamen- te il nome , ma non la speranza che un qualche va- lente archeologo quando che sia lo ritrovi ) eccitano nelle anime bennate il desiderio che per risparmia- re la vita degli uomini si pensi oramai a ragunare molti battaglioni di cani da spedire alla guerra. Chi può sapere che anche i cani fossero per avere un gior- no , se non un macedone , almeno un Carlo XII .** Intendimento del cane i53 Fra i cani che , al dire dell' A. , quasi direhbon- si forniti di vero senno , v'ebbe quello che in un mo- nistcro di Francia (di cui pure, non so come, si è per- duto il nome ) dopo di avere ingegnosamente rubato una misura del pane che si distribuiva ai poveri , colto fragranti , e conosciuto eh' egli era senza pa- drone e senza impiego , e che quindi poteva eserci- tare il diritto di natura prendendo da se il necessa- rio al proprio sostentamento , fu pietosamente dal por- tinajo annoverato per sempre fra gli altri poveri . Dil qual fatto si V'accoglie che il bruto si valse dell' assioma , secondo cui la necessita non lia legge ; e che il portinajo tolse il pane di bocca all' uomo per far- ne dono al ventre del bruto . Per tal modo il cane operò da uomo , e il portinajo da cane. Molte sono , e tutte stupende , le gesto dell' illu- stre Bezzerillo tradotto dall'isola spagnuola a quella di s. Giovanni. Basta dire che di lontano conosceva perfettamente i cristiani dai bar])ari , ed accoglieva i primi con ogni maniera di cagnesca gentilezza , co- ma se fosse gentiluomo di camera , e si avventava contro i secondi rabbiosamente, sino ad ucciderne al- cuni . Tanto può Yodora canwn vis , da sentire per- sino il puzzo della barbarie ! Se si dicesse che il ca- ne conosceva gli uni dagli altri per la diversità del vestiario, s'incorrerebbe nello scoglio che nu cane do- tato di tanta sapienza , ignorasse il proverbio che V abito non fa il monaco- Il cane che porta il vanto sopra ogni altro è il cane spagnuolo che si faceva vedere in Yorck. Di- fendeva egli ardue tesi filosofzclie in francese , in in- glese , in latino : scioglieva problemi di algebra , qua- si un altro Eulero : e parlava del moto quasi un al- tro Newton , sino a meritare da un fisico irlandese il seguente elogio. « Nunc concedo molum communi- io l54 Scienze » cari in ratione velocitatis corporis percutientis ; » nam responsionum tuarum facilis velocitas , cordi n meo communicavit magnum admirationis raotura et » letitiae. « Bisogna Lea dire clie il fisico irlandese fosse meno scienziato del cane , se ignorava clie il moto non si comunica in ragione, della sola velocita, ma in ragione di questa moltiplicata per la massa. Essendo che nulla v'abbia di pii^i facile che l'ag- giungere o inventare altri simili escmpj , io ne ri- ferirò qui due singolarissimi ; uno tolto dal Magalot- ti ( Lett. 24 ), l'altro udito da persona degna di fe- de. Racconta il primo che una levrierina, da lui con- dannata air astinenza in pena della sua ghiottoneria, si ritirò sotto un letto tutta mortificata , piangendo amaramente la sua sventura. Una bracchetta francese, di lei acerrima nemica , avendo trovato a caso un toz- zo di pane divenuto nuìUiLS , ne fece la occupazio- ne , e recollo alla sua rivale : dal qual fatto lo stes- so Magalotti sarà rimaso sorpreso vedendo tanta vir- tù nella sua bracchetta. Visse gik un cane , a cui il nome di Arlecchino fu cangiato in Bartolo , perchè interrogato la mattina in qualunque punto legale rispondeva egregiamente la sera al pari di Bartolo. Aveva costui grande con- corso di clienti , i quali ora con un nero e duro tozzo di pane , ora con un osso dimenticato in ma- celleria , soddisfacevano all' onorario dovuto al giu- reconsulto pe' suoi congressi. Era egli a sua grande sventura ( perchè anche fra* cani v' ha chi nasce disgraziato ) grande conoscitore di coloro che vendono frottole , Non si tosto si avveniva in alcuno di essi, che lo addentava ferocemente nelle polpe delle gam- J)e ; e non lasciava la preda senza strapparne alcun poco . L'ultimo addentato fu un giovane infermo di quel male che altri vogliono che venisse d'oltreiiion» Intendimento del cane i5^ te , ed altri d'oltremare. La piaga divenne ben pre- sto cangrena , e trasse il ferito al sepolcro. Non par- ve vero agli avvocati di quella terra di accusare Bar- tolo di omicidio , e tanto fecero , che l'infelice , ben- ché avesse trangugiato il corpo di delitto , fu irre- misibilmente condannato ad essere appeso per la jgo- la . La barbara sentenza venne eseguita da un cane mastino , egregiamente all' uopo ammaestrato da cele- bre professore nell' arte. Qui si che il pietoso Dante chiederebbe: « E se non piangi , di che pianger suoli ? « Lo storico , che narra il fatto tragico distesamente , fa una considerazione , ed aggiunge alquante notizie. Considera che il detto magistrato o non aveva ab- bracciato la massima che excellcns in arte non de- bet mori ^ o non credeva che si potesse essere eccel- lente neir arte esercitata dal cane . Racconta poscia ( inutilissima notizia ! ) che il difensore del reo era un gobbo , e che non gli valse il provare con atte- stati del protomedicato che la morte dell' ucciso era derivata , non tanto dalla ferita , che dall' essere in- fetto il suo sangue . Aggiunge dippiili che essendosi manifestato nel cane prigioniero lo stesso male , fu accelerato il processo ; perchè morendo egli di mor- te naturale , il delitto non rimanesse impunito in on- ta della giustizia. Era la padrona del cane una gen- tilissima dama , a cui perciò fu agevole di ottenere per grazia speciale da quel magistrato il corpo dell' estinto Bartolo per .dargli orrevole sepoltura , come fe- ce : essendo anche stato scritto ai piedi dell' urna fa- tale il seguente epitaffio : " Q"^i giace un cane , il quale fu impiccato 5J In pena d'esser cane ed avvocato. Chi non volesse prestar fede alla riferita stona, l56 S e I E N' Z E sarebbe costretto di non prestrarla uè al cane spagnuo- lo che disputò co' giureconsulti {pag- 3o e seg.), uh al cane celebrato da Niceforo ( pag. 3o ) , il quale conosceva gli scapestrati , 'gli adulteri , gli avari all' odore, giacche essendo cieco non poteva conoscerli alla vista ; nò agli elefanti del Mogol che sono i car- nefici de' condannati ( Virey , Nuitveau dictionaire iVhistoire naturelle^ /^. Eléphant ). Quanto sarebbe a desiderarsi che fra noi pure vi avessero simili carne- fici , onde togliere alla natura l'orrore di vedere che l'uomo uccida l'uomo per mestiere con quella stessa indiflerenza che il fabln-o batte il ferro sulla incudi- ne , e il legnajuolo sega la quercia divelta dal suolo! L'ultimo cane, di cui discorre l'A. , è il vivente (e viva pure gli anni di Nestore) cane Fido. I rari suoi pregj sono per la massima parte raccolti in poche pa- role e chiaramente dall' A. in questo modo: « Dispo- ?> ste in giro, a qualche distanza l'una dall'altre, senz* 5) ordine le carte da giuoco od altre , nelle quali 3) erano scritte le lettere dell' abbicci o le cifre ara- ?j be , od erano delineate le forme geometriche, o di- 5> pinti colori ec; prima il padrone, che era presente, 5) secondato spesso da una spezie di servo faceva 5) invito di parole al Fido articolandogli la proposta , j> e, come dire, sillabandogliela; poscia il Fido scoiie- » va in tondo la serie lentamente anzicchenò , e spes- « so pii!i d'una e di quattro volte : ed alla fine ar- » restandosi innanzi ad una o ad un'altra delle car- » te , secondo il bisogno , la recava tra le labbra ?) d'avanti al padrone depositandone il numero occor- « rente in linea da sinistra a destra , senza che trop- ?5 pò sia riuscito conoscere il segno con che lo si de- ?> termina alla scelta. " A non istare sempra fra* cani passo sotto silenzio i Capparri , gì' Isepi , ed assai altri gloriosissimi ante- IlVTENDIMENTO DEL CANE iSj nati di Fido , da' quali non lia degenerato it tardo ni- pote. Che se egli non è per anche giunto alla loro celebrità , non è da maravigliare ; perocché puer est , aetas raollis , et apta regi. Il perchè noi facendo uso opportunamente della re- gola aurea , possiamo argomentare quale fra poco di- verrà. A buon conto in si tenera età , al pari de' vir- tuosi nel canto , nel ballo , nei salti , nel recitar com- medie e tragedie , nel manipolar balsami , nel cavar denti ec. , gira per le principali citta dell' Italia , e fra poco passera in Francia , poi in Inghilterra , poi in Germania , in Polonia, in Russia , e se potrà ave- re i passaporti s'inoltrerà anche fino alla China. M Sed tamen amoto quaeramus seria ludo; scherzo di cui ninno può a ragione dolersi, perocché ì soli cani ne hanno foi'mato il subietto ; il ridersi dei quali e della loro celebrità è a tutti impunemente e cortesemente concesso. Siamo certi che l'A. nello scri- vere le maravigliose geste canine, rise prima di noi; e che nel raccontarle non altro intese, come già av- vertimmo , che di trattenere lepidamente i leggitori innanzi d'introdurli all' esame di uno de' più. ardui problemi di metafisica. Ed avendo egli già posto fine alla parte quan- do storica e quando favolosa della sua operetta , comincia la parte , ch'egli chiama psicologica , dal dire : non essere necessario di confutare in campo aperto la sentenza di Renato 'Cartesio , il quale il- lustrando la dottrina di Gomez Pereira insigne so- stenitore di assurdi , nel che riponeva egli ogni sua delizia , volle far credere che i bruti fossero pure macchine , a somiglianza di quelle che segnano le ore , il corso dei pianeti , il sistema copernicano. l58 Scienze Forse que' due filosofi ebbero in animo di porre in iscredito la opinione degli scolastici , i quali ani- maeslrati dagli arabi opinavano , che ne' bruti vi avesse una sostanza materiale al tutto separata dal corpo , la quale per mezzo d'istinto conoscesse gli ot^^etti materiali , amasse , concepisse odio ; opinio- ne che durò sino al secolo XVIL Ma se è gran- de assurdo che la materia pensi , conosca , e s'inna- mori , non lo è minore che avendo i bruti e tatto e udito e vista ed olfato , siccome hanno gli uomini , siano ciò non pertanto le loro azioni assomigliate a quelle dell' aquila volante di Archita , della te- sta di Alberto magno , dell' oca di Vancanson , e del vezzoso canarino veduto dall' A. nella fiera di Senigallia questo stesso anno {pass;. 3^ ). Non è meno assurda delle anzidette sentenze quel- la di Platone e di Enasideme , e forse di Parmeni- de , di Empedocle , di Democrito , i quali attribui- rono ai bruti un' anima^ragionevole ; perchè, secondo essi , il sentire non può essere disgiunto dal ragio- nare ( f^ossius , de origine et progressi idolatriae. Z. ^C' 4 )• Pittagora tenne la stessa opinione , ed in- segnò di più il perpetuo passaggio delle anime in altri corpi , non pure della stessa specie , ma ben anche di specie differenti. Egli stesso , se prestiamo fede ad Ovidio , si rammentava di essere stato alla guerra di Troja : Morte careni animae , semperque priore relieta Sede novis habitant domibus , vivuntque receptae. Ipse ego ( nam memini trojani tempore belli ) Phantonides Euphorbus eram {Met. iSfab. 3) I druidi furono pittagorici quanto alla trasmi- grazione delle anime da uno ad altro corpo uma- no , secondo che lasciò scritto di loro Giulio Cesa- Intendimento del cane i5g re : « In primis hoc voliint persuadere, non interire « animas, sed ab aliis post mortem transire ad alios ; 5} atque hoc maxime ad yirtutem excitari pntant me- 5j tu mortis neglecto {De beli. gali. IF"). « Tibul- lo fu pittagorico perfettissimo , perchè temendo di non compiere innanzi di morire il poema in lode di Mecenate , gli promise di compierlo quando , do- po di essere stato cavallo , e poi toro , e poi uc- cello , avesse in fine fatto ritorno in corpo umano: i . Mutata figura Seu me fìngat aequum gyro percurrere campos Doctum , seu tardi pecoris sim gloria taurus ; Sive ego per liquidum volucri vehar aere penna; Quandoquidem hominem me longa receperit aetasr, Inceptis de te subtexam carmina chartis. ( IV, 2oO. ) Girolamo Rorario , se fu pittagorico , avrà sospi- rato il momento che la sua anima prendesse congedo dal corpo per entrare nel corpo di un cane o di al- tro bruto , ne'quali egli ammirava un uso della ragio- ne assai migliore di quello che fanno gli uomini, co- me intese di provare nel libro che ha per titolo „ Quod M animalia bruta utantur ratione melius homine. » Par- rebbe impossibile , se non fosse verissimo, che un fi- losofo , per far pompa d'ingegno e per adulare Car- lo V, volesse essere tenuto di minor senno de' bruti. Ognuno ora comprenderà che alla sentenza de' mento- vati filosofi si attennero que' giudici che dannarono il povero cane Bartolo , come se fosse stato reo di de- liberato omicidio. Simili condanne, ma giustissime', era- no un tempo frequenti nell' Affrica. Nel secolo XVI Rorario vide appesi alle forche due lupi per commesso assassinio : n Solent in Africa crucifigere leones si quis s» dcprehendatur urbes obsidere; quod in senecta fa- 7) ciunt, quoniam ad persequendas feras vires non su- i6o Scienze » petunt ; cujus poenac meta , licet urgeat famos, de- 3) sinuut. Et nos ab Agrippina colonia Duram versus 5) ecpiitantes , in illa vasta sjlva vicliraus duos col- n ligatos lupos , non secus quarn duos latrones fur- j) cae suspensos , quo slmilis poenae formidine a ma- » leficio reliqui deterreantur. » (Lib. 2 pag. 109. ) Ma se egli è impossibile che i bruti, essendo al tutto privi di ragione, meglio ne usino dell' uomo, co- me il Rorario volle dar ad intendere, non pochi pe- rò sono gli uomini che ne abusano. Gli scellerati , e singolarmente coloro » Qui Gurios simulant , et bacchanalia vivunt » ( Juv. ) non si valgono della ragione che per coprire i delit- ti , onde sottrarsi dalla pena , ammaestrati alla scuo- la di uno de' più insigni libertini , secondo cui V Non peccat quaecumque potest peccasse negare, m (O..) Ed io penso che l'uomo abusi della ragione anche ver- so i bruti quando , a cagion d'esempio, accieca gli uc- celli e li cangia in traditori della propria specie , e quando tormenta l'oca prima di strapparle il collo; e quando espone il toro benemerito alla rabbia de' ca- ni ; e quando batte a morte il pazientissimo giumento perchè stanco dal viaggio , oppresso dalla soma, este- nuato dalla fame , è costretto a sdrajarsi e ad implo- rare qualche ristoro dalla benigna polvere. È notissi- ma la condanna di morte data dall' Areopago ad un fanciullo che privò della vista un augellino. Del qual fatto parlando il Montesquieu, gli sta a cuore:?? Qu* » on fasse attention que ne s'agit point la d'une con- 7) damnation pour crime, mais d'un jugeraent de moeur j> dans une republique fondee sur les mocurs. » (ZiV. r chap. XIX. ) JNon essendovi dosa alcuna tanto strana che non Intendimento del cane i6i sia caduta in pensiero all'uomo, non mance taluno di credere die i bruti fossero animati dagli spiriti infer- nali .Vosliam noi dire che Nice stancasse con tanti Laci la graziosa Lillina, se la riputasse un demonio ? Io sono d'avviso che la detta sentenia sia invenzione per appunto di qualche bella tradita dagl' importuni latrati di Lillina nel maggior uopo di silenzio. Sembra che il Gassendo tener volesse una via di mezzo , opi- nando che l'anima de' bruti non altro sia che una sot- \tilissiraa fiamma formata dal sangue più puro e da- gli spiriti animali. Torno all' A. da cui mi sono al- quanto discostato. Cerca egli sino a qual segno i bruti intendano t ed afferma » non essere gran fatto difficile il dichiarar- jj lo , dove attentamente si esamini quello che e' fan- no {pag. 3o ). j) S'introduce in questa disamina pro- vando ne' bruti quella intelligenza che dianzi avea sol- tanto supposta. Trascorre egli per ciascheduno de'sensi umani comuni anche ai bruti , per mezzo de' quali conoscono ogni cosa sensibile ; che è quanto dire , le specie visive^ auditive^ olfattive ^ gustative ^ e tattili ( /oc tò.); ed in tal guisa, per mezzo dell' argomento di analogia fra le azioni dell' uomo e quelle de' bru- ti , cerca di convincere che questi pure dotati sieno d'intelligenza. Io avviso che non si possa raccorre in pochi tratti di penna l'accennato argomento meglio di quello che fece l'A. , di cui ecco le parole. •>•> Certa- 5> mente se mai v' ebbe induzione od analogìa che a j> tutto rigore di logica valesse , gli animali che han ?> presso a poco la nostra stessa struttura, e non 3» pur ossa e musculi e vasi ma e cervello e ner- jj vi ed organi sensorj , come dire occhi , orecchie , 5j naso , palato , e parti atte al tatto al pari e me- n glio di noi, rispetto almeno ad alcuni; essi che mo- j5 strano chiaramente di servirsi come noi di questi i6:ì Scienze » organi, o di cavarne buon servigio e migliore clt^ 5j noi medesimi ; essi che in ogni loro atto esterno , « men quello della voce articolata di die mancano 5) apertamente, si conformano al nostro modo d'agire, 55 e dimostrano con tutta quanta la schiera delle azio- 55 ni loro d'avere accorgimento delle impressioni ester- 55 ne , e di giudicarne per certe lor guise , e di trar- 5) ne diletto o disgusto , e d' esserne provocati ed a 55 richiamarle, e ad operare , e di cavarne infine ino- 5) tivi d'amori , di sdegni , ed altrettali affezioni che 55 psichiche si nomano ; essi , diceva io , per una in- 55 duzioue ed analogia tra tutte le analogie o le in- 5) duzioni la più forte , denno essere creduti operan- 55 ti e mo ventisi con intendimento, e non perciò pu- 5) re macchine a molla n ( pag. 87 ). L' analogia che ha indotto l'A. a stabilire ne' bru- ti l'intendimento , lo ha altresì indotto a conoscere che nel cane v'è quella specie di nesso chiamato assocìa- zioiie^ la quale lo conduce a ricordarsi non pure, ma ad attendere e riflettere , a giudicare , ed anche fi- no a un certo segno a ragionare. Egregiamente: per- chè se tutto ciò si avvera neir uomo che intende, av- verar si debbe altresì ne' bruti , ne' quali pure si é dimostrata la intelligenza , benché assai più limitata ed imperfetta. Di questa imperfezione facendosi l'A. a ragionare , insegna che quantunque ne' bruti , e più nel cane, le determinazioni dell' analogum voluntatis appajano lucidissime ; debbono però essere oscure an- ziché no ; e più da riferirsi, secondo il linguaggio di Erasmo Darwin, a naturali catenazioni di movimene ti sensoriali ^ che a volontarie e ben avvertite asso- ciazioni d^idee , secondo logico modo. In fatto, pro- segue l'A. , i giudizj ed i ragionamenti de' bruti pos- sono ben avere indole molto diversa dai veri giudizj e raziocinj nostri. Siccome noi , in quanto siamo ani' Intendimento del cane iG3 mali attivi , abbiamo , oltre la parte speculativa de' giuclizj e de' ragionamrnti , anche la parte pratica , COSI quantunque in noi per ordinario // motore di que- sta seconda parte sia il ragionare ed il giudicare , non è però che spesso il motore stesso non si decida senza ragionare e giudicare , quasi per vincolo di naturale e facile associazione ^ o di artifiziale e abi- tuata (pag. 49 )• Quanta oscurità ! (Mi perdoni l'egregio A.) Qua- li densissime tenebre ! Che inviluppo di parole , d'i- dee , di giudizi ! L'A. a schiarimento di tutto allega prima l'esempio del neonato bambino, che in forza del- la legge meccanica vitale delVorganismo delle sue labbra stringe il capezzolo delle mammelle , e ne sug- ge il latte Xpag. 5o ) , e poi l'esempio del cane , a cui si presenti un boccone incognito , che è quanto dire ( perciò che io ne penso ) il boccone x. n II ca- » ne è chiamato a fiutarlo dall' intrinseca tendenza » dell' organo. E stante la grande affinità tra il gu- ?) sto e l'odorato , la fatta impressione trasmessa da » questo promuove per organico consentimento l'c- M sercizio dell'organica tendenza della bocca a gu- j) starlo. La piacevole impressione rapida eccita , co- w me stimolo specifico , all'operazione del trangugia- 3) re. E sin qui niente è che di necessita 'porti seco j) giudizio speculativo. Questo è il caso del neonato ?) lattante. - Il secondo boccone è ingojato senz'altro 5j esame per la simiglianza esterna col primo : e qui 3) vi è aspetto d'induzione , nonché di giudizio : as- 3) petto per altro , ìion realtà. Poiché nel fatto non 55 v'è altro che una ripetizione passiva delle opera-r ») zioni precedenti^ compendiata solamente per la ca- 35 tenazione che già si stabili fra loro. L'eccitamento ?) della gola, e la disposizione ad inghiottire qui sue- 33 cede alU spia vista del secondo boccone , soppres« 164 Scienze 5) sa ornai l'operazione intermedia del fiutarlo e dcl- » lo sperimentarne il gusto ; perche per legge di ca- » tenazione ornai stabilito in questo secondo caso la }> vista della stessa spezie visiva desta subito le re- » miniscenze dell'odore e del sapore , e son queste » elle propriamente irritano e provocano] all'azione j) fisiologica dell' inghiottimento ( pag. Sa ). Non è la sola vista , la quale trattenga il cane dal fiutare il secondo boccone : ma è una serie di re- miniscenze , che a ciò lo determina. Non si tosto ve- de egli il secondo boccone, che lo ravvisa per simile al primo. Ecco la prima reminiscenza, indivisibile dal confronto del boccone che ha innanzi agli occhi con quello che un tempo trangugiò. Se non gli sovvenis- se inoltre che egli non trangugiò se non dopo di averlo fiutato : che il fiuto lo invitò a gustarlo , e il gusto a cibarsene , tornerel)be a fiutare ed a gusta- re il secondo boccone , come fece il primo. L'associa- zione dunque delle dette reminisceuze lo affidano in guisa, che egli risolve d'ingojare il secondo boccone tralasciando di fiutarlo e gustarlo ; il che non può accadere senza avvertimento e discorso. In somma il cane argomenta cosi : Questo è un boccone simile a quello che altre volte fiutai e gustai ; ma quello mi piacque: dunque mi piacerà questo pure , senza ch'io lo fiuti e gusti. Argomento di cui ci valiamo noi pure per mangiar le vivande simili alle gii gustate e piaciute. Mostra l'A. un certo ribrezzo nel togliere al ca- ne nelle dette operazioni ogni traccia di raziocinio e di giudizio , e perciò afferma che in lui l'uno e l'altro e cosa secondaria. Se non che io gli chieggo: Fa , o no il cane il premesso discorso .'' so non lo fa- cesse, b certo, come abbiamo poco stante avvertito , che tornerebbe a fiutare ed a gustare il secondo boc- Intendimento del cane i65 cone , come il primo ; se lo fa , sarà il suo giudizio tanto primario , quanto è l'astenersi dal fiutare e gustare il boccone in forza delle passate reminiscen- ze. Della qual verità ninno è atto a convincere FA. più di lui stesso , il quale dopo di avere introdotto ne' bruti // nesso di operazioni artificiose ed inge- gnose , qìianto pero alla sola apparenza ; che nelle scuole de'/ilosofi si direbbero (luasl rucUmentaria ; dopo di aver detto di vedere ne' bruti piuttosto ^li elementi^ del ragionare e del giudicare che quell'^c- cozzamento attivo e sensitivo clie è veramente ra- gionare ; dopo di aver insegnato che certe idee desta- te dagli obbjetti e dagl'interni sentimenti , e ricor- dati neir encefalo , sono come uno stimolo specifico che muove l'animo ad operare passivamente : dopo di avere introdotto si ne' bruti che nell'uomo Pat^ trazione morale , con la differenza che questa può es- sere comandata dalla ragione , e l'altra no , è da ul- timo costretto di confessare quanto segue: •>•> Confesso « che le analogie spno anzi apertamente contro a que- j) sta ipotesi ; poiché le operazioni simili in esseri si- » milraente organizzati denno avere per legittima pre- jj sunzione cagioni simili , tutte le operazioni prece- ?) dentemente descritte , somiglianti a tant' altre che ?} l'uomo fa per forza di discorso , denno anche dal » cane per lo stesso modo essere fatte. Non si tosto però ha l'A. pronunciato la detta confessione , che pentito già di essersi pentito non aspetta un nuovo paragrafo per soggiungere: •>•> Ma ?) replico ; allorché si tratta di operazioni che si rife- 3) riscono ad azione anziché a pura specidazione, con- J5 vien diffidare delle apparenze, le quali indurrebbero 3) a credere che perch'elle sono legate ad alcune idee o 3j sentimenti , onde pajono promosse , perciò neces- n sariamente ne derivino , per intermedio di razio- i66 Scienze » ciiiii e di giudizii. E non è forse ( proslocjiic » l'A.), per consentimento de'teologi non che de'fi- n losofi , un'operaie senza intermedio di vero discor- » so quel che facciamo macchinahnente ne'movimcn- » ti che chiamansi primo primi? « Ma veniamo oramai alla pia chiara enuncia- zione di quanto sente l'A. intorno all' intendimento dei bruti , la quale egli restringe nel modo seguen- te: « Restringendosi nel cane ed in ogni bruto , se- 5> condo tutte le apparenze , ogni presumibile di- n scorso in quello che serve a dirigerlo nelle azio- n ni , e potendo il principio intelligente e moven- » te in cosi fatti animali , come molte volte si os- j) serva anche nell' uomo, essere mosso ad agire per 55 la sola presenza d' una o di molte idee forti , 55 o sentimenti che a lui servono di stimolo deter- 55 minato , senza che queste idee, sentimenti ec. siano 55 propriamente in combinazione , forma , e sostanza 55 ài. giudizio e di ragionamento , e senza che il 55 loro nesso , e per cosi dire il loro incatenamcuto 55 reciproco sia del principio intelligente e volente 55 avvertito : e non dimostrandosi al contrario giam- 55 mai nel cane e ne' bruti per mezzo di segni esterni 55 la presenza de' giudizj e raziocinj puramente spe- 55 culativi , ne' quali soli non può cadere inganno, 55 od equivoca interpretazione : la svipposizioue piii ?5 naturale che possa farsi sul proposito di che si trat- 55 ta è che il cane ed i bruti operano non per 55 discorso ch'e' s'abbiano veramente, ma per imme- 55 diato stimolo delle idee d'oggetti presenti , remi" 55 niscenze ec. sul principio motore , e per associa- 55 zioni d'abitudine tra l'azione di quelle e di que- J5 sto ( pag. 58 ). Prima della trascritta dottrina aveva già detto l'A. , sembrargli che la vita de'bruti si riduca a pò- Intendimento del cane in«7 co più che al sentire elementare , al ricordarsi , all' attendere , al riflettere ; il tutto mancante di quello elle veramente è ragione , al che supplisce la leg- ge organica delle imitazioni e delle associazio- ni sensoriali ; nel che è propriamente l'istinto e le facoltà delle deduzioni instintive {pa^. 53). Io sono d'avviso che l'A. al pari del Gassendo abbia vo- luto calcare una qualche via di mezzo difficile ad indovinarsi ; ma forse piìi inclinata al materialismo ; raccomandandosi ad ogni tratto al nesso di opera- zioni , air attrazione morale , all' abitudine , allo stimolo specifico , al sentire elementare , alle natu- rali concatenazioni di mo<>>imento , alla organica tendenza , alla pratica , alla ripetizione passiva , agi' interni sentimenti ricordati nell' encefalo , all' accozzamento attivo , alle deduzioni istintive ^ al mo- to primo primo , e a che so io. Ma d'onde mai tanta perplessità nell'. A. quan- do parla dell' intendimento de'bruti ? Se mal non mi appongo , dal timore d'incorrere , noi volendo , in qualche errore rispetto alla fede . Ma si dia egli pace , perchè anzi la fede gi'mgiunge a tener per fermo quant' egli ha detto per analogia intorno air intendimento de'bruti. Non è forse di fede che Dio, traendo dal nulla tutte le bestie che vivono sulla terra, diede loro e vita e anima? « Dixit Deus: ?> producat terra animam viventem in genere suo , « jumenta , et rcptilia , et bestias terrae. Factumque » est , et fecit Deus bestias terrae secundum species n suas , et jumenta , et omne reptile terrae secun- « dum species suas. « Così nel principio della Gene- si. Non è forse di fede che Dio diede ai bruti la co- gnizione , se in Isaia ( ivi ) è scritto:?? Cognovit bos 5j possessorem suum , et asinus praesepe domini sui ?>» Ed in Geremia (e. i ): » Milvus in cacio cognovit lem- G.A.T.XXI. II i-jS Scienze » pus suum? Il Non è forse di fede die Dio dopo la creazione de' bruti creò nel giorno stesso l'uomo ad immagine e somiglianza di se medesimo , e lo fece signore di tutti gli animali? 5) Et dixit: faciamus lio- » rainem ad imaginem et similitudinem nostrani ; et n praesit piscibus maris , et volatilibus aquae, et be- n stie universae terrae , et omni repliti cjuod inve- n nitur in terra ; et creavit Deus hominem ad imagi- nem suam. n Non è forse di fede , che Dio creando l'uomo non fece menzione ne di anima ne d'immor- talità , pcrcliè l'una è l'altra necessariamente era com- presa nella divina immagine dall' uomo rappresenta- ta ? Non è forse di fede che Dio accordando all' uo- mo il dominio sopra i bruti , gli disse quasi aggioga il bue , imbriglia il cavallo , carica di soma il giumento , addestra il cane alla caccia ? Come potrebbero i bruti obbedire in tutto ciò all'uomo senza anima , senza vita , senza cognizione? In una parola: i bruti hanno l'intelletto necessario per servire all' uomo ; e l'uomo ha l'intelletto neccessario per contemplare la magnificenza di tutto il creato; e per dedurne la cognizione del Dio creatore , e per rendergli ogni tributo di lode , di gratitudine , e di obbedienza. Non è forse evidente che l'immagine di Dio impressa nell'uomo forma un' immensa distanza fra lui e i bruti, e, per adoperare i termini volgari, segna la linea di demarcazione fra l'anima dell' uomo e quella delle bestie ? Le parole secunduni species suas^ piiì volte ripe- tute nella santa Genesi , danno alìbastanza a divedere che le anime de' bruti hanno una intelligenza addatta- ta alla loro specie. L'intelligenza della nottola non e simile a quella dell' aquila. L'intelligonza del giumen- to non e simile a quella dell' elefante. Anche nella stes- sa specie e diversa riulelligeuza. Chi metterà del pa- Intendimento del cane i'jq ri Bezzerillo , Cappano , Iscpo , Barfblo col cane del dottor Giorgi , e la cagnuola dell' editore, die al- tra scienza non ebbero che di conoscere i loro padro- ni ? E tra gli uomini: chi darà uguale intendimento a Gherilo e ad Omero, a Fannio e ad Orazio, a Ca- landrino ed a Galileo ? Sia dunque l'A. persuaso che la religione obbliga l'uomo a tener per fermo che i bruti dotati sieno di queir intendimento che il filosofo loro attribuisce per analogìa. Il di più potrà sempre cercarsi , ma senza alcuna speranza di rinvenirlo giammai; perchè sta scrit- to nelle sacre carte: » Et intelle.xi , quod omnium ope- K rum Dei nullam possit homo invertire rationem eo- 55 rum, quae llunt sub sole: et quanto plus laboraverit 5) ad quaerendum, tanto minus invcniet: etiamsi dixeiit 55 sapiens se nosse, non poterit reperire 5? {Ecclesiast. cap. 8 V. 17). Non errò dunque nella fede FA. af- fermando che i bruti intendono, sebbene ignorino d'in- tendere ; d'onde agevole è il dedurre che non hanno volontà , ne uso di ragione ; costretti a viva forza di obbedire al bisogno ed alle passioni delle quali so- no schiavi. Vedemmo dianzi che 1' A., dopo di aver accorda- to ai bruti la intelligenza ( sebbene con tante limita- zioni, che è da stupire se ne rimanga loro alcun po- co), venendo a ragionare del loro giudizio toglie a di- mostrare come i bruti nelle operazioni mentali ne han- no bensì le apparenze e gli effetti, ma non la sostan- za. Ma ciò non esclude forse da essi il giudizio? Pe- rò è nella bocca di tutti che le apparenze ingannano. Sara ben difficile il comprendere come l'A. deduca il giudizio di apparenza ne' bruti da quegli atti slessi , dai quali negli uomini si deduce il giudizio di sostan- za ; di cui siccome io penso che i bruti pure dotati sieno, cosi dubito non l'A. siasi lasciato sedurre ad opi- 11^ i8o Scienze nare diversamente dalla diffeltuosa definizione del giu- dizio , il quale per lui è rali'ermaziono o la negazio- ne speculativa della convenienza avvertita fra un su- Lietto ed un predicato , o , come altri dicono per es- sere intesi da tutti , fra due idee quali die sieno ( pag. 48 ). L'A. prima di dellnire il giudizio avrebbe dovuto per via d'analisi dimostrarne la natura , e non seguire in ciò i metafisici delle Tcccliie scuole, i qua- li di sovente stabilirono i loro sistemi sopra defini- zioni composte di vocaboli indeterminati, assai più ac- conci a guidare all' errore che allo scoprimento del- ' la verità. Io non comprendo come l'ingegnosissimo A. non siasi accorto, che per mezzo delle parole compo- nenti la sua definizione egli definisce il giudizio col giudizio , e che la definizione e una cosa stessa col de- finito ? Anche la forza elastica si definisce essere quel- la che rende al corpo compresso la primiera sua for- za ; ma ciò stesso non è forse quello che si domanda- va ? Per ugual modo non si fa che replicare la do- manda , quando alla interrogazione che cosa sia giu- dizio si risponde , essere l'afTermazione o negazione speculativa della convenienza fra sulnetto e predicato. Io non so se fosse mai ragionato del giudizio con tanta esattezza con quanta ne ragionò l'abate di Ciondillac. « Non possiamo provare , dice egli , duo » sensazioni ad un tempo senza sentire che esse so- j> no o somiglianti o differenti . Il sentire que- 3j sto somiglianze o differenze è giudicare. « Po- sta la quale dottrina del filosofo francese , veg- gasi quanto poco basti ad vm filosofo italiano mio amico, eccellente metafisico , per convincere ne'bru- ti il giudizio , o sia la sensazione de'rapporli tra le reminiscenze ed i loro aggr-egati ; senza però confondere il giudizio dc'bruli con quello dell' uo- mo , il quale ha anche la facoltà di comporre le Intendimbnto del cane i8i idee e di astiarle. « Tutte le sensazioni di rap- « to ( se e lecito di cliiamaile così ) sono dalla 7j scuola condillacìiiana chiamate giudizj , e quan- M do i rapporti sono tra sensazioni pure e remi- 5j niscenze , e quando tra sole reminiscenze o tra 5) i loro aggregati che idee si appellano ; o sie- » no precedute da quegli effetti di antecedente giu- 5) dizio , che si dicono atti volontarj. Un cane sen- n te egli la differenza che è dall' aspetto del suo j> padrone a quello di uno straniero/? Questo sen- ■>■> time?ito, secondo le teoriche condiftachiane, è un 5) giudizio. L'uomo poi sente , oltre i rapporti di )j simil fatta , anche quelli d'idee assai composte? , jj e formate per via d'astrazione ; ma non per taii- n to in lui camLiasi la natura del giudizio , il qua- jj le rimane sempre una sensazione di rapporto , o JJ vogliam dire un rapporto sentito. Se cosi è, co- » me io tengo per fermo che sia , si potrà hen j5 dubitare se i giudizj de'hruti si estendano allo 3> idee composte in virti^i della facoltà di astrane; 5) ma non già se i bruti sieno capaci di giudic:i- 55 re. Chi negasse loro la facoltà di sentire le so- M miglianze e le dissomiglianze , o le identità ec JJ delle sensazioni e delle idee potrebbe negar lo- 3) ro pur anche la semplice facoltà di sentire , e JJ convertire in automati tutti gli animali. « P. C È nel vero maravigliosa questa teorica per isco- prire tutte le operazioni mentali de'bruti. Ne do un esempio. Il cane, che non avesse mangiato giam- mai che pane , altra idea non avrebbe che del gu- sto prodotto in lui dalla sensazione di questo cibo. Se in seguito mangi carne, acquista nel tempo stes- so due altre idee ; una del gusto che ha il nuovo cibo , l'altra della differenza fra i due gusti. Nel fare il detto acquisto forma anche due giudizj; pe^ i82 Scienze rocche , riflettendo al gusto che dalla carne ri trac , sente che non e il gusto del pane , e che il nuo- vo gusto e a lui più gradito. Dove gli si appre- stino due ciLi in poca distanza fra loro , ho ve- duto io stesso die egli fiutò accidentalmente prima il pane ; ma che poi senza mangiarlo addentò la carne , e trangugiolla. Perchè ciò ? Se non perchè l'aggregato delle reminiscenze , cioè dei due gusti e dei due giudizj, lo determinarono ? Ecco dunque come i rapporti sentiti fra gli aggregati delle sue reminiscenze e le attuali sue sensazioni lo deter- minarono a cibarsi anzi della carne che del pane. Si deduce tutto ciò limpidissimamente dal premes- so discorso del mio amico , il quale non andrà guari tempo che farà noto al puLLlico quanto egli sia eccellente anche nella sublimissima scienza della metafisica. Se diffettuosa mi è sembrata la definizione da- ta dall' A. al giudizio , tale pur anche mi sembra quella data all' istinto , il quale, se si ascolti lui, non è se non la legge organica della imitazione e delle associazioni sensoriali. L'istinto agisce sen- za imitazione ed associazione anche talvolta nell' uomo , il quale , a cagion d'esempio , quando cade fa puntello delle braccia al tronco per difendere dal colpo il petto e la testa. E né anche mi pia- ce la definizione del Coudillac: « L'instinct n'est que ?j l'abitud prive' de reflexion ; e la verite n'est en j) reflcxissant que le bets l'acquirent « ( Traile des animaux cJiap. 5. ); perchè non è l'abitudine che conduca l'agnello ad accostarsi la prima volta alle poppe materne per esprimerne il latte. E non ac- cade anzi di sovente che l'istinto agisca per man- canza di riflessione , come quando la madre, veg- gendo cadere il parto delle sue viscere in preci- Intendimento del cane i83 pltoso torrente , vi si slancia ella pura senza tlarsi tempo di considerare che va ad incontrare la mor- te senza salvare il figlio ? Ne da ultimo mi contenta o la definizione di Herman Samuel Reimar {^Ohsewation phisiques et morales sur Vmstinct des animaux tom» i e. i §. 2); « Le mot instinct dans le sens le plus etendu si- « gnifie un pcncliant naturel pour certaines action , 5> et designe un force agissant ; <■<■ o quella di M. Vi- rcy : <■<■ L'instinct n'est autre cliose q'une fonction de j) la vie chi tend à la conservation et a la re- 5j pruduction de l'individu vivant " ( Nouveau di-^ ctionaire d^istoive naturell. V' instinct ). Di qua- le definizione sarei io dunque contento ? Della se- guente , di cai ignoro se ogni altro lo sarà : " L'islin- ->•> to è un'azione dell' animale che tende alla con- jj servazione e riproduzione di se stesso senza che 5j vi abbia parte l'intendimento ; « perocché da que- sto nascono le nostre riflessioni e le nostre abitu- dini. E il solo istinto che spogliato affatto di ogni intelligenza apre le labbra al neonato bambino al tatto del capezzolo , e che lo obbliga a stringerlo per suggerne il latte. È il solo istinto che obbli- ga il ragno appena uscito dell' uovo di tessere la rete insidiatrice della mosca , d'invillupparla quan- do v'c colta » e di trarla di vita succhiandone il sangue. Talora l'animale agisce ( mi si permetta l'espressione ) in ragion composta dell' istinto e delle reminiscenze relative alle cose ch'egli adope- ra. Sia di esempio il castoro , il quale fabbrica la maravigliosa sua abitazione ne' mesi di luglio e d'agosto ^ v'introduce il vitto nel settembre , e poi vi si nasconde l'inverno per godervi di un dolce riposo , e cogliervi amando il frutto delle tollera- te fatiche. i84 Scienze È incontrastabile la dottrina dell' A. clie la in- telligenza de'bruti si distende sino dove indicano le loro operazioni. Non è però che all' una e alle altre segnare non si possa un solo confine , voglio dire i soli oggetti che riguardano la loro con- servazione e propagazione. Il cane non è geome- tra , non aritmetico , non giuocatore che a forza di bastonate e di digiuno ; co'quali mezzi onnipossen- ti conosce que'segni e que'moti o quelle parole che lo ammaestrano quando si debba muovere , e quando arrestarsi , e quando porre il piede sopra una figura geometrica od arabica , o sopra una carta. Ogni altra azione , alla quale costretto egli non sia dall' uomo industrioso più affamato di lui , egli la fa o per istinto , o per bisogno , a cui soddisfa con intelligenza. Neil' ultima parte dell' operetta l'A. applica al- le maravigliose azioni de'cani i timidi principj fi- siologici da lui stabiliti {pai^ G4); de' quali avendo io abbastanza ragionato , non mi farò qui a rical- care le impresse pedate. Dirò solo ( in conferma dell* argomento di analogia ) una parola di quel cane del convento de' pp. domenicani in Bologna , il quale passand© per onesto suo diporto dal lontano insti- tuto della scienze , ed ivi essendo stato malconcio dal cane custode di quel luogo , corse al convento a prendere il suo compagno , e fatto ritorno all' in- stituto diede le pacche al suo rivale , insegnandogli di lasciar andare i viandanti pe'fatti loro. Se il portinajo del convento avesse ricevuto dal portinajo dell' instituto l'afTionto , e a farne vendetta fosse an- dato in traccia del cuoco del convento , e con es- so lui recato si fosse all' instituto a punire quel portinajo , che si direbbe egli ? Forse che i due colleglli avessero agito senza intendimento .'' Mai no. Intei^Dimento del cane i85 E perchè tìunrjue dovrà dirsi altramente dei due cani , quasi fra gli uni e gli altri non vi restas- se non per tanto grandissima differenza ? Perchè i cani furono spinti dalla sola passione , a cui non potevano a meno di non obbedire , non avendo egli- no l'uso di ragione che li ritraesse dalla vendet- ta ; laddove i due serventi de*pp. domenicani si sa- rebbero ad essa determinati per non aver voluto as- coltar la ragione che gl'invitava A tollerare l'ingiuria, e avrebbero seguito l'esempio della più parte degli uomini , i quali potendo agire virtuosamente prescel- gono di agire come bestie. Mi piace assaissimo quando l'A., inteso a togliere dal volgo le maraviglie de'cani celebri , discorre del mimico loro linguaggio , e dell' onomastico vocabola- rio della lingua che intendono ; d'onde si raccoglie i.° Che i loro padroni furono i loro centauri ; i libri d'onde appresero le scienze , il bastone e la fame; 2.° Che si fermano sulle carte , sulle cifre arabe", sul- le figure geometriche senza sapere ne giuoco , né arit- metica , ne geometria; ò° Che tutti i cani diverrebbe- ro più o meno celebri se tutti fossero educati pazien- temente alla celebrità; e che la sola ignoranza del vol- go li rende dotti : ignoranza che produce due beni , premiando l'industria dei centauri , e mettendo in gi- ro il denaro. Oh come bene 1' A. , favellando specialmente di Fido che è l'eroe dell' opera , ragiona di tutto ciò! » Ei parla cogli occhi e con tutto il corpo, coU'agi- 55 tare o il dimettere della coda , col saltellare o jj l'accosciarsi, col ringhio, col latrato, e con mille al- « tri atti esterni. Ma se questa è lingua , e certo lo jj è , non può negarsi eh' ella è tale da farci chiara la J5 imperfezione dell' intendimento canino , e la insuf- 5j licenza in tale specie di bruti al genere d'operazio- i8G Scienze » ni eli' enumerammo. Quegli infatti che componesse 3> il dizionario della lingua mimica del cane, s'accor- » gerebbe di leggieri che tutto in essa riduccsi ad espri- j> mere sentimenti , idee , reminiscenze elementari e 5) di cose tutte sensibili, come dire go conoscerebbe stringersi l'onomastico di ciò ch'ei sa ?j dire. Asciunto a tale onomastico l'altro vocabolario 5> della lingua che intende e non parla , troverebl)e 3> eh' ella si compone di non molte altre voci della » stessa categoria, come dire KHeni^ partii sta^ cerca y n aizza^ giaci ^ e di tutti gli altri pochi voca])oli per- ?) tinenti a cose od azioni anch' elle sensibili , il cui 33 suono, per virtù di lunga pazienza in educare , il 5) padrone fece che mille volte rimormorando all' orec- 3) chio del .suo alievo, s'associasse finalmente per abi- n tudine all' idea delle cose ed azioni rappresentate, w Se io dovessi coli' ajiito di facile filosofia stringe- re in breve l'intero trattato Sopra V intendimento de* bruti ^ la discorrerei di questo modo. Quel sommo gra- do d'intelligenza dell' uomo, che si chiama la ragione, si palesa per mezzo delle sue azioni : ma i bruti ne lianno delle somiglianti ; dunque per mezzo di queste palesar si dee pure quella tenue parte d'intelligenza a cui per anche non è stato dato nome che le conven- ga. Vero è che dalla bocca de' bruti non sappiamo che intendono, ma nò anche dalla bocca dell'uGMio sordo e muto dalla nascita sappiamo ch'egli intenda ; ciò non pertanto noi lo deduciamo dalle sue operazioni. In un motto : la intelligenza ne' bruti si prova a priori e a posteriori' A priori^ per la conformazione de' loro or- gani agli organi dell' uomo, i quali colpiti dagli objet- li estrinseci eccitano nell' anima le sensazioni e la se- guace intelligenza. A posteriori^ per la somiglianza di Intendimento del cane 187 azioni . In due maniere l'uomo fa conoscere la propria intelligenza , operando e analizzando col mezzo dei segni che esprimono le idee. Se ai Lruti manca l'ana- lisi, non manca l'operazione; quella stessa per cui il Jjambino di latte, che ride dopo il quarantesimo gior- no dacché nacque , mostra di avere intelligenza : dun- que a provare un picciol grado d'intelligenza non e assolutamente necessario ne il favellare ne lo scrive- re. Che se mai vi fosse taluno sì dappoco che ciò non. comprendesse , io non so qual altra cosa potesse spe- rar di comprendere. Ninno , o sia fisiologo o noi sia , dinega oggi ai bruti la reminiscenza : ma quando questi se ne val- gono per agire, allora è necessariamente congiunta ali* intendimento. A quel cane che da Firenze fece ritor- no all'antico suo padrone in Bologna, riflettendo al suo stato attuale , tornò in mente lo stato primie- ro , e ne senti il rapporto , o sia la differenza ; pe- rocché questo era per lui più di quello piacevple. Di ciò la pena che gli cagionava la mancanza della cosa piacente . Una tal pena eccitò in lui quel commovi- mento , o sia desiderio , che mette in azione tutte le potenze animali per cercare ogni mezzo onde raccqui- stare il perduto piacere, di cui subito va in traccia , lo trova , e trovato ne fruisce. Se questa non è intel- ligenza che cosa altra sarà ella mai ? Vale dunque l'entimema : i bruti hanno la reminiscenza : dunque intendono. I bruti non conoscono il valore ne della forza che hanno , ne di altre qualità o del corpo o de' sensi , alcuna delle quali è più perfetta in essi che negli uomini. Se le conoscessero , vogliam noi crede- re che il bue , invece di lasciarsi condurre pacata- mente al macello , non iscegliesse d'infilzare colle cor- na il macella] o , e lanciarlo in alto : o vogliam noi l88 S e I E N Z K credere clie i lioni , invece di trarre il carro in cui era assiso Marc' Antonio con la sua Citeride, non aves- sero prescelto di fare d'ambidue uno di que'pasti che a saziare la sua fame si facevano da Ercole ? E se il cavallo sapesse quaut' è veloce nel corso , crede- remo noi che invece di fuggirsene in traccia della per- duta liberta , si lasciasse svenare nel mentre che all' estìnto guerriero presta il pietoso uffizio di accom- pagnarlo alla tomba ? Che se i bruti non cono- scono le attive proprietà de' loro corpi , molto meno conosceranno quelle della loro anima; e quindi non sapranno d'intendere quantunque intendano , come non sanno di avere la forza e l'agilità quantunque ne usino , perchè altro è avere una facoltà , e ben altro il rillettere di averla t al che non so quanti pon- gano mente. Alle altre nozioni che mancano al bruto v' è quella dell* avvenire : tal che nella zuffa col suo rivale pensa bensì a prender vendetta di lui , ma egli non teme la morte. Non porrà piìi il piede do- ve ebbe percosse , sfuggirà l'incontro del percussore; ma per timor del male , non già della morte che non conosce. Viaggiava Pirone per mare : quando sopra la flotta n Astitit imber' 3) Noctemque hyememque fercns: et inhorruit ( unda tenebiis ) ( Fig- Aencid. XI, f)\. ) Ogni volto era tinto dal pallore di morte ; il solo Pi- rone conservava il natio colore. Onde richiesto come in SI grande pericolo ^ella vita fosse intrepido : Ec- co , ripose , accennando un majale che tranquillamen- te si mangiava la ghianda , ecco quel filosofo che in- segna a non paventare la morte. La ignoranza ne' bruti delle accennate e d'infi- nite altre nozioni fa conoscere quanto imperfetto sia Intendimento del cane 189 il loro intendimento , e quanto sia vero che le loro azioni non sono che ima cieca obbedienza o agl'invi- ti della jiatura , o alla violenza delle passioni , dal- le quali sono tiranneggiati .... Ma qui mi sovvie- ne in buon punto che " homo quanto plus labora- „ verit ad quaerendum, tanto minus inveniet." Conchiu- do : rimarra sempre incerto quale sia la vera indole dell' intelletto de' bruti ; ma sarà sempre vero che l'uomo , il quale ad altro nen pensa fuorché a prov- vedere ai bisogni delia propria natura, è simile ai bru- ti ; e che l'uomo il quale inoltre cerca che le cose tutte ad altro non servano che a saziare i bisogni delle proprie passioni , è un mostro. Quanti mostri ! Noi ora scherzando , ed ora seriamente scriven- do , abbiamo i." scoperto i nei, commendato le bel- lezze delle Ricerche sopra V intendimento cWliruti'^ 2". liberato FA. da ogni scrupolo; 3." confermato la sua opinione; 4''' assegnato i confini al detto intendimen- to; 5." riferite in fine le principali sentenze de' fi- losofi intorno ad esso. Vincenzo degli antonj. Le leggi del moto richiamate ai loro principi del ca^^' Leopoldo Nobili. I corpi della natura son dotati di varie proprietà. La materia però onde sono formati non ne ha che una so- la à' essenziale , ed è Vimpenetrahilità. Nel presente scritto non si considera ne' corpi che qucst' unica proprietà : si prescinde da tutte le altre 190 Scienze come sono la gravità, V elasticità, la mollezza, ce. qc, conformo all' uso dei primi elementi di meccanica. La materia può trovarsi in quiete oppure in dw- vimento. Ma si mova o no, essa è sempre tale da non guadagnare o perder nulla di ciò che la costituisce ma- teria. È dunque di sua natura indifferente al moto co- me alla quiete; giacche quella sua natura consiste nell' esser impenetrabile : impenetrabilità che sussiste la me- desima in amendue gli stati. Non v'ha meccanico il quale tacitamente od aper- tamente non accordi alla materia un tale carattere d'eguale indifferenza per amendue gli stati di (juiete e di moto. Ninno per altro, che mi sappia, conside- ra quel carattere come una conseguenza del di lei mo- do d'essere: se non per tutti, per la più parte alme- no e un3L proprietà ijisita, un soprappiù che si rico- nosce nella materia oltre alla sua im])enctraLilita. Sin qui nulla o Len poco di male ; poiché non ne deriva altro sconcerto che quello di ricevere in assioma la pri- ma legge del moto, mentre può dimostrarsi a tutto ri- gore. Ecco infatti questa legge colla sua dimostrazione. LEGGE L Ogni corpo persevera nel suo sta- te di quiete o di moto rettilineo uniforme, sinché una cagione esterna non Vobhlighi a mutazione. Ogni corpo, nella sua condizione di semplice maS" sa impenetrabile, non può non essere indifferente al moto ed alla quiete. Ora s'egli è indifferente, bisogna appunto, per non cessar d'esserlo , che si mantenga ri- gorosamente in quello stato che ha. LEGGE IL II cangiamento di stato iìi un coi^ pò è proporzionale alla cagione che lo determina', e si fa nella direzione secondo cui opera quella mede- sima cagione. Questa legge è divisa in due parti egualmente evi- denti, egualmente degne del nome di assiomi. Non si è Leggi del moto iqi riferita die al soggetto di servire all' ordine con cui soglionsi esporre le leggi del moto. LEGGE HI* Due masse che si urtino^ sia ve- nendosi incontro , sia camminando Vuna dietro aW altra , alV atto delV urto si scoinpartono per modo la differenza o la somma de" loro movimenti da proce~ dere in seguito unite insieme z scompartono la diffe- renza nel primo caso del venirsi incontro , la som~ ma nel secondo del raggiungersi marciando per lo stesso verso» Questa è proprio la legge fondamentale della mec- canica; legge la quale, come ognun vede di per se, ha tutt' altro che l'aspetto d'un assioma, l'aspetto d'una verità per se medesima evidente. Come la spieghino i meccanici non è cosa tanto facile da dire : anzi per me impossibile , che non ho mai pututo comprendere i loro concetti a questo riguardo. So solo che tutti de- rivano la transfusione del movimento da un corpo nell*. altro dal resistere che fa il corpo urtato all' urtante; e che una tale resistenza non esiste per certo , per- chè incompatibile col carattere d'indifferenza che la ma- teria ha per amendue gli stati di quiete e di moto. Ba- sti per ora questa osservazione ; ne faremo in segui- to delle altre dopo di aver dimostrata la legge, di cui si tratta, ne' due casi più semplici. Dimostrati questi, è così facile d'applicarla a tutti gli altri che non vai la pena d'occuparcene in questo scritto. PIIOP. I. Due punti materiali A^ B che maj^ cino rimo contro V altro con eguale velocità, si ur- tano nel mezzo C del loro intervallo , G e si fermano in quel punto. A ( B Che l'urto abbia ad aver luogo nel mezzo C , è cosa evidente ; perchè i due punti A, B si suppongo- no marciare con eguale velocita, e vi arrivano però con- tf^mporancaraente. Che delibano poi arrestarsi in quel punto, e cosa che si prova nel seguente modo. if)2 Scienze Ciò die accade nell'urto ad uno dei due punti , deve sicuramente accadale anche all'altro; perchè l'uno non possiede cosa che non possegga anche l'altro. Ora d'accidenti eguali per araendue non v'ha che quello di fermarsi o di ritornare indietro; non potendo per es- sere impenetrabili proseguire nel primitivo cammino. Ma questo secondo caso di ritornare indietro non può accadere , perchè presuppone una cosa impossibile , qual si è quella che i punti A» B ritornino indietro dopo che niuno dei due ha più movimento. Non po- trebbero infatti i punti A, B retrocedere che dopo di essersi urtati. Ora nell' atto in cui si urtano non van- no per certo né innanzi ne indietro. Son dunque fer- mi in quel momeikto che basta a fermarli j)cr sempre, non potendo quella lor quiete d'un momento esser al- tro che la conseguenza della totale estinzione del mo- yimento che avevano dapprima, estinzione prodotta dall' impenetrabilità della materia. Dunque ec. (*). PROF- IL Se un punto materiale in quiete A venga urtato secoìido la direzione BA da un altro punto materiale B che si mova contro di lui , io dico che ne n ascerà il seguente effetto ; cioè che do- A pò l'urto i due punti B^ A se ne mar- B. X ceranno insieme uniti verso X, sul prolungamento di BA^ con una velo- cità eguale alla metà di quella con cui marciava il punto B prima delV urtO' (•) Questa dimostrazione ci sembra rigorosa al segno d'esse- TC al ooperlo d'ogni cavillo. Quella clie D' Alemhert dà neirfin- clrjopndia alla parola percutiion , contiene una petizione di principio ; è l'unica clic cono»tiamOj Leggi del moto i83 Il punlo B arriva in A dove ritrova un intoppo. Ma questo intoppo non è tale da fermarlo nel suo cor- so, perchè A, che è in quiete, non presenta veruna re- sistenza. Dunque B dovrà, indubitatamente continuare il suo viaggio nella direzione di prima. Ma non lo può continuare senza spingere innanzi A , che gli sbarra il cammino. Dunque lo spingerà innanzi. Ma A, che era in quiete, non può essere spinto innanzi che da un'azione impiegata a bella posta per lui. Ora quest* azione non può nel nostro caso trovarsi altrove che nel movimento di B. Dunque il movimento di B non può dopo l'urto essere più tutto in B, ma parte anche in A. Ma qual parte? La meta in punto, per le seguen- ti due ragioni ; la i.» perchè non vi ha nell' urto al- cuna cagione che tenda a diminuire o crescere la cau- sa attiva del movimento; la 2. « perchè egli è certo che il primo primissimo passo che fanno i punti A, B im- mediatamente dopo l'urto , lo fanno insieme . Ora se lo fanno insieme , hanno in quel momento lo stesso moto : e se l'hanno in quel momento, l'avran- no anche per l'avvenire ; perchè il punto anterio- re A , ridotto per un solo istante alla velocita del posteriore B , non esercita piiì su questo alcuna in- fluenza colla propria impenetrabilità. Dunque ec. OSSERV. L Di qui si vede chiaramente che il punto in quiete A s'appropria nell' urto la meta del movimento di B, non già perchè resista a quell' urto ma perchè B non può andar innanzi senza mover A , ed A non si può movere senza togliere del movimen- to a B. Altrimenti se non ne togliesse, egli si trove- rebbe mosso senza l'impiego d'una causa attiva; il che € impossibile, perchè tìfe nihilo nihil fit. Resterebbe a vedere come si opera la transfusione del movimento di B in A ; ma questo è un arcano che non si arriverà mai a penetrare. È già molto a poter G.A.T.XXL 12 i84 Scienze francamente collecare il fatto nel numero delle verità contingenti^ come sono tutte quelle che si dimostra- no col solo ajuto del principio della ragion succiente. OSSERV. II. La dimostrazione della seconda pro- posizione fa palese l'abbaglio che han preso i mec- canici nel punto più importante della loro scien- za. Essi han creduto che la transfusione del movi- mento da un corpo nell' altro non potesse aver luo- go senza l'esercizio d'una resistenza per parte del corpo urtato. Ora questo è assolutamente falso ; il corpo urtato non ricevendo movimento dall' urtan- te per altra ragione che perchè non si può muo- vere che a spese di questo , e bisogna pur che si muova , perchè la sua impenetrabilità lo associa al destino dell' altro. Tutto ciò , come ben si vede , si opera senza che v'entri, dirò così , nemmeno il sospetto di una resistenza. Guai se ve ne entrasse un'ombra sola , che sarebbe in allora sbagliata tutta la mecca- nica. Imperocché , non più dopo l'urto , sarebbe la quantità di movimento eguale a quella che aveva- no i corpi prima dell' urto , ma minore di quel tan- to che importerebbe la resistenza superata. OSSERV. III. Il vocabolo inerzia^ cosi comu- ne in bocca dei meccanici , va proscritto dalla scien- za , perchè non necessario. Abbiamo la indifferenza che significa lo stesso e ci risparmia una definizione. Non ignoro che molti meccanici , alla cui te- la si trova Newton , assegnano un altro senso all' inerzia ^ definendola per quella proprietà che han~ no i corpi di RESISTERE alla mutazione del loro stato» Ma questo senso non è giusto ; perchè i cor- pi non RESISTONO punto alla mutazione del lo- ro stato; vi PERSISTONO sempUcemeute, perchè so- no indiiFerenti al moto ed alla quiete. Leggi del moto i85 CONGLUSIO NE. Dopo tutto questo non farò altro che trascrive- re qui sotto la terza legge del moto come suolsi d'ordinario esprime e spiegare , affinchè col confron- to risalti meglio la verità delle cose esposte. Pren- derò il tutto dagli Elementi di fisica generale del sig. Mozzoni^ non per altro motivo che perchè cre- do quel testo più degli altri fra noi conosciuto. Del rimanente quel che dice un fisico , lo dice a un di- presso anche l'altro, niuno essendosi radicalmente sco- stato: dalle prime idee di Newton. Dopo l'esposizio- ne del citato squarcio mi permetterò una sola riflessione. 5) LEGGE in. La reazione è uguale e contra- V ria alV azione , cioè a dire , le azioni di due cor- » pi Vuìio contro V altro sono sempre eguali e si di- n rigano in parti opposte. n Infatti i corpi in virtù della loro inerzia re- » sistono in tutti i sensi al cangiamento del loro « stato: e questa resistenza è sempre proporzionale j) alla loro massa. Dunque quando un corpo agisce » in un altro , questo per la sua forza d*inerzia re- » siste a quello , e perciò distrugge in lui una quan- w tita di forza proporzionale alla sua massa. Ora la » porzione della forza distrutta chiamasi azione^ e la » resistenza che la distrugge dicesi reazione ; dun- M que la reazione è contraria ed eguale all' azione. w Di qui si scorge che la forza d'inerzia è il 3) mezzo per cui si comunica il moto da un cor- « pò ad un altro. Ogni corpo resiste al moto, e nel w resistervi lo riceve ; e poiché la reazione è con- n traria ed eguale all' azione , un corpo riceve pre- 7) cisamente tanto moto quanto ne distrugge nel w corpo che glielo da. jj 12* i86 Scienze Nella osservazione riservata per quest* ultimo luogo non vuoisi insistere sull* oscurità , per non dire insignificanza del trascritto squarcio : vuoisi so- lo avvertire, che ncll' urto dei corpi considerati co- me semplici masse impenetrabili non ha luogo che uno scompartimento d'azioni , e niuna ninnisssima reazione'^ di modo che la terza legge del moto espres- sa colla solita locuzione di Newton =3 La reazione è uguale e contraria alV azione ==l è una legge im- maginaria. Ne ci rimove da questa conseguenza il pen- sare ai fatti che soglionsi riferire a sostegno di una tal legge ; i piìi speciosi dei quali consistono in quello del barcajuolo che per allontanarsi dalla spon- da punta col remo contro di questa ; e nell' altro delle due barche che si vengono incontro , quan- do un uomo seduto in una delle due tira a se l'altra col mezzo d'una fune. La barca infatti si scosta dalla riva , non già perchè questa riva puntata dal remo reagisca con- tro la barca , ma perchè questa barca è realmen- te spinta indietro dal barcajuolo , il quale nel far forza contro la sponda preme coi piedi in direzio- ne opposta il fondo della barca medesima. Non è quindi , come ritiensi comunemente , una sola l'azio- ne ch'eserciti il barcajuolo in questa circostanza , ma due contrarie di direzione ; l'una senza efiatto sensibile contro la sponda , che attaccata alle vi- scere della terra costituisce con queste un sistema di sì gran mole da moversi un nonnulla sotto l'azione , non solo d'una spinta , ma nemmeno delle percosse le più violenti ; l'altra contro la barca coli' elfetto sensibile del di lei rinculo. E che il fatto passi real- mente COSI , ce lo assicura lo stesso barcajuolo , quan- do invece di puntare contro una gran massa , punta Leggi del moto i8^ contro d'una che esiga poca forza per moversi a vi- sta d'occhio , come p. e. contro d'un' altra barca che cede in allora e rincula sotto la spinta del remo, co- me fa la sua propria sotto la spinta contraria dei piedi. Parimenti nell' esempio delle due barche che si vengono incontro non è punto da credere , che la barca tirata chiami a se per reazione quella dov' ti l'uomo che tira la fune. Quest' ultima va senza dub- bio contro dell' altra , ma ci va perchè vi è realmen- te spinta dall' uomo in essa seduto, il qual uomo im- piega tanta forza a tirare la fune attaccata alla se- conda barca , quanta in direzione contraria ne impie- ga col suo corpo a spingervi contro quella in cui è. Il contadino che attacca una fune alla sommità, d'un albero , coli' idea d'atterrarlo dopo d'averlo scal- zato alle radici , ben si guarda dal collocarsi, per far forza , sopra un terreno bagnato e scorrevole : perchè sa che nel puntarvi contro coi piedi , vi strisciereb- be sopra e stramazzerebbe per terra. Od io m'ingan- no d'assai , od è pur vero , che ogni persona del vol- go poteva , in questo genere d'azioni , farla da mae- stro a noi altri fisici , ed insegnarci che pescavamo in una reazione., che non esiste, la spiegazione d'effetti dovuti unicamente all' esercizio delle forze animali. Chieggasi infatti al primo barca] uolo il motivo per cui si allontana dalla sponda quando vi punta contro col remo , e non mancherà certo di rispondere , che si scosta in grazia della spinta che da co' suoi piedi alla propria barca. Taluni hanno anche portello più oltre l'abuso del- la reazione , e preteso che ad essa vada attribuito l'inutilità degli sforzi che un uomo , collocato p. e. dentro una barca , fa per isprofondarla puntando con un pezzo di legno contro il di lei fondo , oppure ti- rando a se una corda stabilmente attaccata alla som- i88 Scienze mita d'un' antenna. L'errore che si commette in que- sto caso è tVun indole particolare , e proviene dal non osservare che un uomo non può esercitare con- tro il pavimento , che lo sostiene , più forza di quel che comporta il proprio peso. Sia mo eh' egli si ten- ga sopra una sola gamba o sopra due , sia che si so- sjienda in tutto o in parte a qualche sostegno confic- cato sullo stesso suo pavimento , egli pesa sempre egualmente sopra di questo , altro non facendo che dividere il proprio peso sopra i varj punti a cui si appoggia , e combinare altrettanti sistemi che non dif- feriscono gli lini dagli altri se non che nella posizio- ne del centro di gravita. La reazione^ bisogna persuadersene , è un ente chimerico in tutti quegli accidenti dove il corpo che softre l'azione non ha da contrapporre a quest'azione una forza reale sua propria. Ve ne ha per certo di tali corpi ( sì allude agli elastici ) ; ma non e di essi che s'intende parlare quando si stabiliscono le leggi generali del moto. Queste leggi vanno derivate da una sola proprietà fisica e da un solo principio fi- losofico : la proprietà fisica consiste neW impenetrabi- lità della materia ; il principio filosofico in quello della ragion sufficiente. Tosto che si oltrepassano i confini di questa prescrizione, e s'introduce nelle leg- gi del moto una o più idee estranee , si perde il filo di quelle che sono proprie al soggetto , e s'inol- tra in un laberinto di difficile e non decorosa uscita. Leopoldo Nobili. Orto botanico di Bologna i8a Piante delV orto botanico di Bolosna. 5' É lodevole costume di parecchi Lotanici, incarica- ti della cura d'orti accademici , di compilare annual- mente e mandare in giro gli elenchi delle piante duplicate dei giardini respettivi , le quali essi ofiVo- no agli esteri in cambio d'altre piante ; e da ciò sogliono prendere occasione di esporre pubblicamen- te quelle osservazioni o scoperte che ad essi sia riuscito di fare nel corso dell' anno precedente. Di tale natura è lo scritto giuntoci ultimamente alle mani col titolo : Viridarii hononiensis i>egitabilia cum aliis vegetahilibus commutanda ad annum MDCCCXXIV^ steso dal chiarissimo sig. dott. Ber- toloni professore di botanica nella pontificia univer- sità di Bologna , uno dei piìi benemeriti naturali- sti che vanti l'Italia nostra. Per comodo di quei cultori della scienza, nelle cui mani non fosse per giungere questo interessan- te catalogo , crediamo opportuno di qui riportare le descrizioni delle specie nUove , e le illustrazioni che vi si contengono. 1. Agave lurida. TV, Elapsa aestate haec spe- cies floruit apud nos. Scapus plusquam humanae al- titudinis. Corolla pallida, ejusque tubus nectare dia- phano tenaci plenus. Stamina longe exerta. Stylus passim staminibus brevior , sed in nonnullis floribus stamina aequantem vidi. Longe post peractas nu- ptias panicula ejus capsutifera vivipara quoque facta est. 2. Agave vivipara. Z, Floruit et haec in cali- dario horti nostri , decedente anno 1822 et venien- i()o Scienze te anno iSaS. Scapus in olla vix liumanae altitu- clinis. Flores lutei , maximam partem gemmis vivi- paiis intcrmixti. Hujus loci est Agave Theometel Zucc. Cent, in Roem.GoU. p. i38 n.63tab. 3. Bert. Elench.p.3. 3. AtoE LINGUA «/!• Camp. ined. Missa est a ci. prof. Campana ad illustrem Salmiura sub nomine aloes lùiguae angiistifuliae , qui respondit novam esse nec in catalogo suo descriptam. Folia carnosa , alia angu- ste linguaeformia , alia latiora , oLtusa cum mucro- nulo , margine cartilagineo cremulata , tota crebre ad- spei'sa maculis parvis albidis. 4' BaoMELiA ANTiACANTHA. Bejt. Orta e semini- bus brasiliensibus a ci. Raddio allatis. Folia praelon- ga , canaliculata , recurva. Aculei marginales foliorum validi , inferiores recurvi , superiores sursum incurvi. Nondum floruit. 5. Cactus coquimbanus. Molin. Chil. p. 289. Hic est C' periu'ianus Willd. En. Suppl. p. 32, C. ebur~ neus Hort. Dick. Link. En. alt. a. p. 22. Ipse ci. Mo- lina , quem adlivic viventem liabemus apud nos , et cujus longaevitatem Deus optimus maximus sospitet atque perennet , plantam liorti nostri nomine Cacti coquimbani sui determinaverat. 6. Cactus pseudo - cochinillifer. Bert. Exc. p. II. Flores parvi, flavi, fascia dorsali pulclire sangui- neo-rubra. Floret nunc apud nos fere toto anno. Sy- nonimon quod dubie attuli in Excerptis hujus loci omnino est. n. Desmanthus strictus. J5e/'f.Firmior D. virgato, cui similis. Caulis strictissimus. Folia bijuga. Pedun- culi solitarii et gemini in axilla. Flores subcernui. Sta- mina fllamentis albis, anthcris luteis, florum inferio- rum castrata. Legumina breviora quam in D. virgato W. Ortus est e semiuibus ex Jamaiea a Bertero mis- sis. Frutex. Orto botanico di Bologna igi 8. HousToNiA cocciNKA. .PF- En Bert, El. p. 5. Haec est omnino Ixora temifolia Cavanill. le. et descr. 4« pag. 3. tab. 3o5. Ejus flores vivide coccinei , extus puberuli. 9. HousTONiA cocciNEA. f> Bert, Hujus loci est Ixora americana, Jacq. Sch oenbr. 3. tab. aSy. Bou- vardia triphjlla Boi. magaz. tab. i8o4« Flores rubro- pallentes , extus puberuli. Occurit in liortis italicis sub nomine Ixorae speciosae. 10. Mandragora vernalis. BerU Folia hujus am- pia , late ovata, buUata, prima erumpentia obtusissi- ma , ultima vero plus minus acuta . Inflorescen- tia vernalis. Calycis laciniae ovatae , aut ovato*» lanceolatae acutae. Corolla albo-virens, interdum cura levissima tinctura violacea, parum calyce longior. Bac- ca globosa obtusissima , matura lutea , longe major quam in sequente. Haec est M, officinalis Bert. EL p. 6. Atropa mandragora mas. Bull. Herb. de la Frane, tab. i45. Floret martio aprili. 11. Mandragora officinarum Sp. pi. ed \. p. 191. Folia augusta , bullata, oblongo - lanceolata , prima erumpentia obtusa , ultima acuminata , aut acuta. In- florescentia autumnalis. Calycis laciniae lanceolato - lineares ; acuminatae. Corolla pulchre violacea , ca- lyce duplo et ultra longior. Bacca oblonga , ma- tura fulva , longe minor quam in priori. Haec est M. autumnalis. Bert. El. p. 6. Atropa Mandragora Sibth. et Smith FI. Graec. 3. p. 26 tab. 232. Mandra-. gjora foemina. Bull. Herb. de la France tab. 146. Qui ieonem hujus speciei , omnium quotquot extant pulcherimam, videre cupit , adeat codicem MS. Li- gotii in pynacotheca fiorentina adservatum , in quo haec pianta exhibetur fol. 38 sub uno Mandrago- rae nomme. Foret octobri , novembri. IQ2 Scienze 13. Musa paradisiaca fi sapientum. Beyt. Haec est Musa sapientum. Sp. pi. i477« I^oxb. Coroni. 3. p. -73. tab. 273. Bert. Exc. p. 14. Colla Memor. e Mo- nogr. p. 63. cum ic. , qiiam ipsemet Roxhourgius post editas plantas coromaitdelianas , monente Hamilton io in Commentariis ad hortum malabaricuni Trans. Lin. soc. i3. par. 2. p. 47^* 1 fatetur esse varietatem Mu-^ sae paradisiacae Hort. bengh. 19. not. i. i3. PiPER iNAEQUALiFOLiuM. Pialli Eli. Folia con- trita suaveolentia , odore anisato linde pianta haec in hortis itàlicis venit sub nomine Piperis mentae" odori. Est Pipèr verticillatum. L ? Bert. Eleucli. p. 7. P. aromaticum W. Supp. 3, et P. tricarinatum Haw. Slip. pi. sucG. 102. Vide Link En. alt. i. p. 39. , et Schillt. Mant. i. p. 247 , et forte Ime quoque tra- hendiim piper stellatum laoq. Ic. rar. 1 tab. 217. i4» BiciNus LEvcoGARPUs. Beri. Folia duplicato- serrata. Gaiilis statura ricini communio e viridi priii- nosus. Racemi longe pedunculatr; pericarpia albican- tia , sat grandià pfae reliquis , echinata aculeis lier- baceVs elongatis. Pianta annua. Habiii semina a ci. Balbisio missa ex Antillis a Bertero sub nomine Ricini bengh alénsis. i5 Riciittjs MACROPHYLLUs. Bert. Folià. duplica- to - serrata , amplissima omnium. Caulis crassus pliis- quara humanae altitudihis , laetè virens , nebiila omni- no nulla. Racemi Iònge peduhculàti. Pericarpia echi- nata parva prae pianta, virentia. Annuus apud nos. Semina attulit ex Biasilia eques de Nunnez , et bor- io nostro largitus èst una cum pluribus aliis se- minibus brasilianis. i6i Saxì^rAga glabella. Bert. Surculi peren- rfantes decumbunt , densius foìiosi. Cauliculi annotini erecti, duos, tnes digitos Imigi, pauciflori. Folia omnia indivisa, surculorum perennantium lineari-subspallui- Orto botanico di Bologna 193 lata , reliqua prorsus linearia. Pedunculi folio lon- giores. Galix inferus , campanulatus , quinquefidus. Pelata alba , calyce duplo longiora, obovata , obtu- sa , triplinervia . Peduaculi et caljees puberuli , re- liqua pianta glabra. Affiriis S. exaratae Donn in Trans. Linn. Soc. i3 par. 1 p. 432, sed foliis indivisis , et habitu panilo minore diversa. Nascitur in vertice mon- tis Cornu praetutiorum , unde jam ab anno 1820 ha- bui a solertissimo plantarum italicarum investiga- tore, Ursiuio Asculano.Eximius Gussonius quoque ibi- dem eam legit elapso anno , et ad me misit. »94 LETTERATURA Sacrario gentilesco illustrato da S. E. il sig. corife GALEANI NJPIONE DI COCCONATO. LETTERA IV. Patera II , in cui si crede rappresentata la Ter- ra , o sia Opi Consivia , principale divinità tu- telare di Roma^ la stessa che Maja madre di Mer- curio» k^e in conto di raro ed esimio monumento della re- ligione pagana degli antichi popoli alpini , io penso che tener si debba la patera di Giove , di cui sig. abate stimatissimo, coll'ultima lettera mia le ho scrit- to , di non minor pregio a me pare che sia l'altra , da me in secondo luogo descritta. Questa, se non m'in- ganno , non solamente ci presenta la divinità che a norma della special religione de* romani , era tenuta per madre di Mercurio , onde vieppiù si conferma chc^ tutte le patere di argento insieme disotterrate formi- no gli arredi di uno stesso sacrario , a Mercurio prin- cipalmente dedicato , distinguendovisi , oltre a Giove padre di esso Mercurio , eziandio a chiarissime note la sua genitrice ; ma ci da argomento fondatissimo ^\. credere i nostri vasi di argento appartenenti a qual- Sacrario gentilesco iqS clie ragguardevole personaggio romano, che i più ar- cani e speciali riti della religione di Roma unito aves- se al culto del supremo dio patrio de'Gentroni. Una deità in forma muliebre ( che per dea si ri- conosce dall' ara ) , e col simbolo caratteristico di Mercurio , vale a dire il caduceo , dee avere ^di ne- cessita stretta relazione con esso. Per Gibele a prima fronte si ravvisa dal cornucopio; che con tale attribu- to in pii!i monumenti ci viene rappresentata , e segna- tamente nel bel voto di Otacilla presso il Boissard , recato dal Montfaucon (i), ed in alcune medaglie pres- so quest' ultimo ; tanto più che quella , die Gibele nomavasi presso i frigj , secondo lo stesso scrittore fondato suU' autorità di Gicerone , non era diversa dalla divinità , che Opi e Rea da'romani detta veni- va , cioè dalla Terra. Ne solamente Opi e Gibele si confondono dagli antiquarj, e si considerano come una stessa deitk , come fanno anche lo Spon ed il Nieu- port, fondandosi specialmente sul dotto Varrone, pres- so s. Agostino de civit. dei lib. vii. cap. xxiv. ma, se si riguarda il primario antichissimo culto , non si potrà nemmen distinguere Opi da Vesta . Lo stesso Varrone , quasi vergognato, dice il mentovato altissi- mo santo padre della Ghiesa , di tante divinità, stu- diandosi di dimostrare che diverse dee venerate sotto diverso nome da' gentili , non erano altro che nomi diversi della medisima dea la terra , la quale soggiun- ge s. Agostino , avuto riguardo al vero non è dea neppur essa ; Opi e Vesta considerò come una cosa medesima. Alla quale opinione di Varrone , che dovea (i) Montfaucon, anlìqu. expllq. (. i. pag. 8. tab. li. if)6 Letteratura €sser quella delle persone meno accecate e materiali tra' pagani , allude pure Ovidio dicendo : (i) » Tellus Vestaque numen idem est. Già Vincenzo Cartari nel suo rarissimo libro (2) , in- titolato il Flavio , intorno ai fasti volgari , avea no- tato , clie tra i moltissimi dei degli antichi furono gli elementi , e tra questi la terra , alla quale die- dero diversi nomi secondo le diverse proprietà sue , ed usi a cui ce ne serviamo . Onde e la gran Ma- dre, ed Opi, e Cerere , e Vesta , non sono che una deità, medesima, vale a dire la Terra. L'identità poi di Vesta e di Cerere, ed il considerarsi entrambe come la deità stessa della Terra, è stato , come a lei sarà ben noto , dimostrato , per quanto io giudicar ne possa , ad evidenza dal Maffei (3). Questi reca in mezzo un bel luogo di Pausania , da cui s'im- para un rito nel culto di Cerere , che comune- mente proprio credeasi soltanto di quello di Vesta ; ed è che in Mantinea citta dell' Arcadia , montuosa parte e mediterranea della Grecia , dove più pura ed incorrotta è da supporsi , che serbata si fosse la primissima idolatria , fuoco -accendevasi nel tempio di Cerere, guardandosi diligentemente da chi il custo- diva , non altrimenti che si facesse dalle Vestali , che non s'estinguesse. Alcuni luoghi di Servio allega- (i) Spon , Recherches curicus. d'anliqult. Lyon , i6 85. diss. IV. p. 85. Nicuport. Fit. roman. sect. ly. cap. II. }. i5. p. 274. Ovld. Fasi. VI. V. 460. (a) Cartari , il Flavio 1. III. p. 375. Vlnegla presso Gual- Icro Scollo. ibbZ. (5) Museum veron. p. xxxiii. Sacrario gentilesco tcyj ti pur sono dal medesimo Maffei , a mostrare die una cosa stessa è Cerere e la terra ; aiforzandosi ezian- dio colla autorità di Crisippo presso Cicerone . Che poi e la terra e Vesta sieno state venerate da* ro- mani come una Divinità medesima , non solamente lo asserisce il dotto greco illustratore delle romane antichità Dionigi d'Alicarnasso , ed alcun altro greco scrittore; ma replicatamente a chiare note lo attesta il precitato poeta sulmonese. »> fresia eadeni est ac Terrei', sithest vigil igiiis ( utrique. ( i •) ) Verso il quale spiega mirabilmente il lavoro rappre- sentato in questa nostra seconda patera ; e mi con- ferma nella opinione, che in essa sia effigiata la de - ta , sotto le cui forme i romani veneravano la Ter- ra; dappoiché a pie della immagine della dea che ha il cornucopio , un' ara distintamente si ravvisa. Religione romana antichissima , da peregrini riti incontaminata, sembra adunque che dir si debba quel- la che ci presenta questo arredo; perciocché la deità in esso effigiata non ha alcuno di questi attributi , co' quali veniva controdistinta la Terra, quando si ve- nerò sotto il nome di Cibele, e di Madre degli Dei , il culto di cui venne introdotto in Roma , come a tutti è palese , a'tempi della seconda guerra puni- ca. Non torri , non leoni , non timpani , od altro me- nomo contrassegno di culto frigio. Di fatti in una iscrizione alla Madre degli Dei per voto ottenuto , fregiata di bassi rilievi (2) , ed esistente nella bi- (1) Ovid. iast. lib. VI. v. 270. (2) La stessa Iserlzione , ma senza i bassi rilievi è riferita prima dallo stesso Maffei alla pag. XG del musco yeronese. V. Ovid. Fasi. lib. IV. Liv. lib. 29.,, Questa deità frigia altro non era che una informe pietra ,; V. Io stesso JUaffei , Osservazioni Utt. lom. VI. pag. 291. 198 LKTTERATtTRA Llioteca vaticana , riportata dal mentovato marcliese Maffei , (i)j vi è effigiata non solamente la nave sal- TÌa tratta da Claudia , ma di più , affine di carat- terizzar manifestamente la deità straniera , il berret- to frigio , tibie , e crotali , di forma però diversa da quelli di cui ella , sig. abate stimatissimo, erudi- tamente ragiona (2). Quelli che nello spiegare l'an- tica mitologia sostengono con argomenti in vero as- sai plausibili , trattandosi di materia avvolta tra tan- te tenebre , che la prima idolatria altro stato non sia che il culto reso agli astri ed agli elementi , in vece di adorar l'eterno Creatore ; e che dalla antica India , dalla Persia , e dall' Oriente tutte pro- pagate si sieno le deitk del paganesimo , in tanti modi travisate dalla immaginosa fantasia de' greci , nuova prova trar possono dal sin qui detto , per sostenere il loro sistema. Il dotto bramanico poi , il P. Paolino , trovar potrebbe confermato in que- sto particolare quanto egli asserisce , che ed Opi e Cerere, e la gran Madre Terra produttrice d'ogni specie di biade , diverse esser non possano dalla braraanica Shri , o Laeksmì , adorata come produt- trice universale delle cose dagl'indiani, in venerazio- ne di cui si custodisce il fuoco ; beata tenendosi quella casa , in cui sempre una lampade accesa , od altra fiamma arde in di lei onore (3). Del rimanente rispetto a quelli che trovassero ancora difficolta per riconoscere nella figura espres- sa in questa patera Opi , o sia la Terra , venera- ta da' romani sotto questo nome , io mi lusingo die ne dovrebbono rimaner appieno convinti , qualora « .III M^ (1) Museura Tcron : pag. CCLll. 11. 4* (2) Museo Pio clemenl. T, IV. p. 46. nota (d). (5) Sjslciiia Sraliainani e. pag. ij5. Sacrario gentilesco jrycv dir si potesse , che in un con essa patera fri tro- vato si fosse un altro vaso sacro, specialmente, an- zi unicamente destinato a'sagrificj di Opi , e di Opi Consivia, nel misterioso antico culto che rendevasi da' romani a quella deità. Questo era un prefericolo senz'ansa veruna :, e questo vaso appunto si è ri- trovato tra gli arredi del sacrario nostro gentilesco. Che se di bronzo soltanto vien descritto da Festo ( i ), oltre che quel luogo fu guasto in parte dal lon- gobardo suo abbreviatore Paolo Diacono , e la pa- rola aeneum pare supplita , si vuol supporre che lo scrittore ivi parlasse della materia di cui co- munemente era composto quel vaso , senza esclude- re perciò maggiore splendidezza di sacrificante do- vizioso. Questa dea della terra Opi , cosi detta dal- le opere e lavori , che attorno ad essa impiegar con- viene per renderla fruttifera , secondo Varrone pres- so s. Agostino, recato anche dal Dacier , (2) ovvero dalle più antiche , più necessarie , e più sicure ric- chezze , quai sono quelle prodotte dalla terra , se- eondo Festo medesimo , e Macrobio (3) , Opi con- (i) Festus de verb. signif. Uh. XI f^. ediz. del Dacier di Amsterdam 1700. pag.36J^. ,, praet'ericulum vas aeneum saie ansa „ appellatur > patens sumraum ut pelvis, quo ad sacrificia ule- ,, bantur in sacrario Opis Coiislviae.,, Al qual luogo d'i Festo il dolio Dacier aggiunse la nota seguente ,. in sacrificiis lanlum „ Opis consiviae , noa vero in quibiisvis aliis sacrifìciis , ut ,, male Pauliis, (2) Opem quod opere fiat melior. S.AugustIn. de Civit. Dei Llb. VII. e. 24. (3) Festus lib XIII» pag. 007., et ibi Dacier. Macrobius sa- lumai, lib. L eap. X. pag. 2.Z1. , ediz. precitata del Gronovio G.A.T.XXI. i3 30O Letteratura sivia chiamavasi eziandio come propagatrice cleiruman genere , allo stesso modo che Giano dicevasi pure consivio (3). Ora per mio avviso cresce di molto il pregio del nostro monumento; poiché si raccoglie da esso che nelle nostre alpi stabilito si era il cul- to di una divinità , che da' più antichi romani si venerava coi più occulti e misteriosi sagrificj qual tutelare dell'impero. Un luogo di Macrobio prenominato a me pa- re che ce ne porga un sufficiente argomento. Pren- de a parlare quell' erudito antico filologo dell' uso presso i romani , ignorato da molti , di evocare i numi tutelari delle cittk da essi assediate , con de- terminata solenne formola; perciocché altrimenti tenea- no non potersi impadronirs delle terre assalite^, ed ancorché il potessero , scellerata cosa riputavano fa- re in certo modo schiavi gli dei. Perciò , prosegue Macrobio , il nome speciale della divinità sotto la cui tutela era Roma vollero che restasse ignoto ; studiandosi in questo modo di prevenire , che ciò che essi sapevano molto bene di aver fatto soven- te conti'o le citta nemiche , altri non lo rivolgesse in loro danno , quando il nome della divinità tu- telare si divulgasse. Soggiunge però che il nome di questa tutelare deità trova vasi registrato in alcuni antichi libri , avvegnaché tra loro discordi; onde agli indagatori delle antichità era venuto fatto di rin- del iSyo. ,» Terram Opem, cujus ope humanae vltae alimenta ,, (juaeruraur , vcl ab opere , per cjuod i'iuclus liugesque na- ,, scunlur. (5) ,, Conslviam a conserendo , id esl a propagiuc generis Immani. Macrob. Salumai, llb. I. cap. X. pag. uà-j. Sacrario gentilesco 201 tracciare, se non altro', tutte le opinioni , che intor- no a questo particolare aveano avuto credito. Alcu- ni pertanto credettero essere questa divinità Gio- ve , altri la Luna : vi erano di quelli clie stimava- no fosse Angerona che col dito sulle labbra intima silenzio ; altri finalmente (l'autorità de'quali a Ma- crobio sembra piiì valida ) , affermarono esser que- sta Opi Consivia (1). Anche Servio attesta, che il vero nome della divinità che presiedeva a Roma (2) era vietato il renderlo palese , e che avendo non so qual tribuno della plebe avuto la temerità di pro- palarlo , era stato perciò messo a morte. Potrebbesi invero opporre a Macrobio , che se con tanto rigore era vietato il proferire il nome della divinità tutelare di Roma, come mai quegli an- tichi ne' libri loro ne tennero registro ? Agevo- le peraltro a me sembra che sarebbe il rispondere a chi mettesse in campo questa difficolta , che gli scrittori antichi citati da Macrobio , non indicarono già SI fatto nome accertata mente , ma unicamente spiegarono , qual fosse l'opinion loro. Di questo sve- lato secreto può fornire un appagante argomento una assai giusta osservazione del dotto Filippo Buonar- roti. La favola misteriosa di Amore e di Psiche an- tichissima ei la credea , deducendolo dall' eccellen- (1) ,, Dei quldem nomen nonnullis anlìquorum , licet ,, Inter se dissideiuiura, libris insllum ; et ideo velusla per- „ sequenlibus quidquid de hoc putalur iiinoluit. Alli enira ,, Jovem credidenmt , alll Lunam : sunt qui Angeronam , ,, quao digito ad os adinoto silenlium denunliat. Alii autem > ,, quorum fides mlhi videlur fìrmior , OP£M COx^SIVIAM . •» Macrob. Salumai, llb. III. cap. IX; p. 4o5, (a) Seivius in Virgil. Georg. lib. I. ai versi; ,, Vii palrii indigeics t ce, i3* 302 Letteratura za del disegno de' monumenti antichi , marmi, inta- gli , cammei , in cui si vede effigiata. Prima però di Apulejo non trovò scrittore che ne abbia ragio- nato ; e crede che gli autori più antichi non ab- biano fatto menzione di questa favola , in quanto fosse presa dai misteri occulti ; mentre si osserva che essi più antichi scrittori erano molto ritenuti e superstiziosi in propalarne i secreti. Ma in quanto agli scrittori più moderni , si vede , dice il Buo- narroti , che molti di loro non ebbero più que- sti riguardi ; anzi pare piuttosto, che andassero cer- cando di arricchire colla novità le opere loro , fa- cendo pompa di portare per erudizione le cose sa- cre più occulte e più secrete di varie nazioni. Co- s'i Plutarco scrisse liberamente di Iside e di Osi- ride , Luciano della dea Siria , ed Apulejo anch' egli molte cose d'Iside ( Buonarroti , vetri cimiteriali , tav. XXVIII. flg. 3. pag. if)4- ^9^- Firenze, (yiO). A cui aggiungeremo noi Macrobio e Gellio. Inoltre già. sin da'tempi di Cicerone l'arte degli Auguri , co- me egli stesso attesta (i) , e la disciplina loro si pre- giata e si sacra una volta , era ita in disuso non solo per vetusta , ma anche per trascuratezza ; e quello che Cicerone dice dell' arte degli auguri , a me sembra che a buona ragione estender si possa a tutti i riti ed all' intero sistema della religion gentilesca de'romani. I grandi negli ultimi tempi del- la repubblica , pieni di fazioni , di prepotenza , di anarchia , non temevano il rigor delle leggi ; e la maggior parte , come epicurei che erano , si faceva- no beffe perfino d'Iddio , non che dell' assurda e (i) „ Dublum non est , quin haec disciplina et art Au« „ gurum evauuerit jam ei velusUte el iicgUj^enliu» Cic de it'gibui , lib. li. Sacrario gentilesco i2o3 superstiziosa loro religione pagana. Avranno diligen- temente serbato il silenzio per proprio interesse in- torno ad afì'ari di stato ; ma qualnnque più legge- ro motivo , ed il solo eziandio di far vedere che non ignoravano quello che s'ignorava dai più , avrà bastato per determinarli a confidare un arcano declo- ro misteriosi riti , od a tenerne almeno registro fa- migliare ; giacche altra religione non professavano che quella di stato , e per mera apparenza. In pro- gresso di tempo , anche gli uomini più religiosi , come il nostro imperator Pertinace , non ebbero ri- brezzo di proferire il nome di Opi ; nome che com- pare in fronte di una iserizione di lui , presso il Grutero (i). OPI . DIVINAE ET . FORTVNAE . PRIMIGENIAE SAGRVM IMP . GAES . HELVII . PERTINAGIS . AVG . Senzachè Macrobio consultati avea anche i li- bri de'più arcani mister) gentileschi , e questo rito istesso della evocazione , occulto ed ai più igno- to , e le formolo solenni colle quali si evocavano gli dei da alcuna citta, e quella si esecrava , ci fa sa- pere di averle ricavate dal libro V. delle cose re- condite di Sereno Saramonico . I libri stessi de'pon- tefici avea egli avuto modo di consultare. Ed in quegl' indici di Metello pontefice massimo , in cui erano co- (i) Grut. XXVI. 4. V. Maffel , arlls cilt. lap. 274. Me- daglia di argento , Mezzabarba. Mein. de l'academie de se. et belles lettres , toni. XXVI. pag. 490. Museo Sellai, pag. 322. ( L'iscrizione del Grulero è falsa ; poiché di prima origine dal famosus Liijorio. Araraeltasi l'aggiunto DIVIJN AE ad Opi ; se proviene da medaglie di quell' imperatore). ao4 LETTERATUnA SÌ minutamente descritte persino le ceno imbandite, non e da supporsi clie con ugual esattezza fossero riferite le più sacre ed arcane cerimonie della reli- gion deVomani ? ( i ) Sara per avventura a lei noto un trattato , die intorno a questo rito della evocazione dettò il fu P. Ansaldi domenicano , già professore nella univer- sità nostra; opuscolo, che seLben sia lungi dall' espri- mere qne' lampi luminosi d'ingegno che sopramodo gradita rendevano la conversazione di un uomo da chiunque il conobbe amatissimo , e la cui memoria mi' sarà sempre cara ed acerba , è però libro assai erudito e pregiato , e che meritò ristampe persino in Inghilterra. Ora in quest' opera prende il p. Ansal- di a confutare l'opinione di Servio ( che si è anche quella di Macrobio ) , che "un solo fosse il dio sotto la cui tutela specialmente la citta di Roma riposas- se , ed il cui nome fosse ignoto ; negando tal co- sa , massime se si parla de'tempi di Virgilio ; e re- cando parecchi luoghi di Virgilio medesimo , di Ci- cerone , e dello stesso Servio , da'quali appare , che non già una sola divinità , ma bensì molte s'invo- cavano da' romani nei loro bisogni (2). Ma a me pa- re che avvertir si debba , che il dire che fanno Ma- crobio e Servio che una sola fosse la divinità sotto la protezione di cui si era ab antico specialmente posta la citta , non esclude che ne venerasse più altre come compatroni ( diremmo nel linguaggio del- la religion nostra ). E questa cosa stessa risulta da Macrobio , il quale nel riferir che fa le opinioni di- (1) Macrob. Sai. lib. II. cap. X. pag. 254. (2) Ansaldi , de romana tutclarium deorum in oppugna* tionibus uibiiim evocationei pag. aic). Oxonli , 1765. Sacrario gentilesco 2o5 Terse in questo particolare degli antichi scrittori , dh. cliiaramente a divedere , che questo culto pubblico reso a parecchi numi era l'origine dell' incertezza ; era quello appunto che rendeva difficile l'accertare il culto arcano e particolarissimo di uno tra essi. A questa opinione , che una sola fosse la divinità tu- telare di Roma , propende eziandio Vincenzo Car- tari (i), il primo forse che della mitologia degli an- (i) Siccome tra' miei libri di buona leUeralura , mi tro- vo avere il precllaio rarissimo Flavio , che 11 Cartari pub- blicò nel ibbz,, prima dell' altra opera tlclle immagini de- gli del , comeiitata poscia dal Fignoria , ed xiscita alla luce in Venezia nel »566, , .stimo non inutile il Irascrivex qui un passo del medesimo , dove tratta di questo , e mostra (juan- la fosse la sua dottrina. ,, Hanno però detto alcuni , che non ,, molti ; ma un solo era questo dio , cui era raccomauda- ,, ta la difesa della città. Né volevano gli antichi , che per ,, modo alcuno si sapesse il suo nome ; acciocché non fos- „ «e. lalera con solenni parola , come «I «olea tate , ehiama- ,, lo fuori dal nemici , ed Invitato e pregato da quelli an- ,, .oG Lette RATURi. tichi , dopo risorte le lettere , abbia steso un dot- to e compito commentario. Ad ogni modo ella e co- sa indubitata , che un culto misterioso rendeasi da' romani ad una dea , il cui nome altrimenti non si proferiva , fuorché con quello di DIA , vale a dire dea per eccellenza ; del qual rito , come a lei è ben noto , ne fanno fede le medesime lapidi. Bosco sa- cro dedicato al culto di quella divinità , LVGVM . DEAE . DIAE , è ricordato in un frammento d'in- signe lapida presso il Grutero ed il Mafiei (i). Tro- viamo pure FRATRES . ARVAL .IN . LVCO . DEAE DIAE , in una famosa iscrizione , pubblicata prima da Fulvio Orsino, quindi dal Grutero nel suo tesoro , e riferita da Gio. Mattia Gesnero , dietro l'agricoltura di Catone , stampata ultimamente in Lipsia nella elaborata edizione de' rustici latini (3). Ne questo e il solo riscontro che da me si abbia che sì fatta di- vinità venisse venerata con particolari sagrificj dai fratri arvali prenominati , collegio di personaggi ri- putatissirai , la cui istituzione è tanto antica quanto Roma (3). SAGRVM . INDIGTVM . DEAE . DIAE leggesi in una iscrizione che li riguarda presso lo Spon ; nelle quali parole quel dotto scrittore , af- forzandosi colla autorità di altro antiquario valente, ravvisa la dea Opi ; soggiungendo , che i fratri ar- vali si radunavano nel campidoglio, nel tempio del- la Concordia (4) , o ne' boschi sacri della medcsi- Wiii II (1) Mus. veron. p. CCCXX-I. (2) Scriplores rei rustlcae , tom. 1. pag. 2S4- JLipsIae 17701: (5) Geliius INoct. Allic. , lib, VI. cap. VII. (4) Spon , rechcr. curieus. d'antiq. Dìss. iV. p. 76 -81. A' «jucstft adunanze de* t'ratrl arrali nel tempio della Concordia f allude una iicrizione presso il Fabrelli , p. 444- > riferita anclie dal sig. abate Zaccaria , Insliluz. aiitiquurio-lapid. , p. 226. / SACRAltlO GENTILESCO 2O7 ma Dea Dia , cosi detta quasi dea per eccellenza, e perchè lecito non era il proferire il di lei no- me. Questo corpo depositario de' più arcani vetusti misterj della religione patria di Roma , composto di pochi e perpetui membri , scelti tra' cittadini pri- marj , il cui instituto riguardava principalmente il culto agreste , da a divedere manifestamente come suir agricoltura fondato fosse il sistema politico e religioso di quel popolo dominatore ; in ciò Len diverso da' più riputati ordini della maggior par- te degli odierni stati di Europa , nati ne' bassi tempi , i quali dalla caccia , e dalla galanteria soltanto trassero per lo più l'origine loro . Nulla però ci resterà a desiderare intorno a sì fatto collegio famoso , quando esca alla luce 1' ope- ra , che sento si stia stampando costì , del sig. abate Gaetano Marini. Che anzi spero , che in essa verrà da questo insigne antiquario spiegato un fram- mento d'iscrizione di antichità assai remota trova- to in Roma , in vicinanza di una edicola consa- grata alla Buona dea, frammento fatto incidere in rame ad istanza di monsignor Bottari , ed espo- sto dal Marangoni alla curiosità degli eruditi , con inserirlo nell' opera sua delle cose gentilesche ad uso delle chiese ; dove parmi che sagrificio appun- to si destini alla stessa dea Dia , considerata co- me Opi , o sia la terra , offerendole verdi biade per dinotare la virtù sua produttsice. (i) Il frammento vien detto dal Marangoni mol- to difficile da intendersi ; ne io mi sento abba- IN . PRONAO . AEDIS . CGjN CORDI AE FRATRHS . ARVALES . SACRIFICIVM DEAE . DIAE . INDIXERVNT . (I) Marangoni, Cose gentilesche ad uso delle chiese p.488. \ MóB li E T T E n A T li n A Stanza agguerrito per affrontarlo . Parmi peraltro di leggervi le parole seguenti ; IN . DOMVM . . . EMILIANI . PAVLVS S ACRIFICIVM . DE AE . DI AE . CONCEPII .PRIM ... . FIDINES.LAVREATOS.ET.DEAM.VGVENT TVRE . ET .VINO . FECER. E T.FRVGES . VIRIDES... EIDEM . VNGVENTAVER Lascio agli eroi dell' antiquaria scifrare il rimanen- te , supplirlo , interpretarlo. Dal luogo in cui si rin- venne questo frammento , dal genere delle oblazio- ni , e dal culto stesso che prestavano alla dea Dia i fratri arvali , mi sembra che venga confermata l'opi- nione di coloro , che in essa ravvisano Opi , o sia la terra ; benché l'annotatore della iscrizion succen- nata de'fratri arvali , stampata dietro Catone de re rustica ( pag. i34' i35. ) ami meglio di ravvisare in questa divinità la dea della caccia e delle selve , Diana. La Diana efesina , come l'immagine della na- tura e della terra , era affatto diversa dalla Diana , venerata da'romani a'tempi della repubblica. ( Mus. Pio Clement. tomo I. tav. XXXII. ) Merita bensì ri- flesso , che nella religion de' romani la Terra , con- siderata come dea, era posta a lato di Giove ; co- me da un luogo solenne di Varrone ; da cui risul- ta parimenti della intima unione sua con Giove , rispetto al culto agreste. » Primum qui omnes fru- ?j ctus agriculturae coelo ac terra continent, Jovem }i et Tellurem : itaque quod ii parentes magni di- ?5 cuntur, Juppiter pater appellatur , Tellus terra 7) mater {Rerum rustie lib. I. cap. I. Script, rei ru- sticae, tom. I. p. i43. Lipsiae i-yyS. )• Il marmo anci- rano famoso: AEDEM . MATRIS . MAG . DEIAE, «e. Dunque la gran Madre , Opi , la Terra, e la dea Sacrario gentilesco 209 Dia erano una cosa medesima. Lo stesso dicasi del- la Buona dea , presso la cui edicola venne dissot- terrato il frammento. Ma (£ual relazione passa tra Opi Consivia , rap- presentata in questa patera , e Mercurio , al culto di cui sono consacrati gli altri vasi sacri gentile- schi , de'quali sopra ho ragionato ? E che vuol signi- ficare il caduceo , che distintamente si vede espres- so sul manico di essa , sebbene in gran parte ne sieno danneggiati gì' intagli che sono di grafito , non di rilievo ? Così andava io dicendo tra me stes- so ; quando mi avvenni in un passo di Macrobio , che cessar fece in me la incertezza. Passo che da questo nostro medesimo monumento pregevole deil* antica religion de'romani, viene rischiarato e confer- mato. Egli adunque non solamente ci mostra come ne'sagrificj della gran Madre si congiungesse al cul- to di quella deità eziandio quello di Mercurio ; ma inoltre , fondato sulla autorità di Cornelio Labeo- ne , iniziato ne'più occulti mister) della religione ro- mana , e su i libri stessi de*pontefici , asserisce , che Maja madre di Mercurio non è diversa dalla Ter- ra e da Opi (i). Se questa divinità, adunque veni- (0 ,, Aifirraant quidam , quibus Cornclius Labeo consèn- ,, tit , liane Majam - - _ lerram esse , sicul el Mater Ma- „ gna In sacris vocatur. El Mercurlum ideo illi in sacris }, adjimgl dicunt. Auctor est Corneliiis labeo , hulc Ma- ,, jae aedcm Kalendls Majls dedicatam sub nomine BonaeDeae: j, et eandam esse Bnnam Deam et Terram , ex ipso ritu oc- ,, cultiore sacroiunj docerì posse confirtnat. Hauc eandein Bo- „ nam Deam Faunamque el OPEM , et Fatuam poitificum li* ,, bris indlgilari. ,, Macrob. Salumai. Uh, i, cap, XI J. p. 2ii5» V. Clr. de nat. deor. lib. HI. n. 22. 210 Lktteratjr Jl va considerata da'romani come madre di Mercurio» e se comuni aveauo i sagrificj , chiaro apparisce il motivo , per cui a mostrar questa congiunzione di figliuolaiiza e di culto , sulla patera di Opi venne elligialo l'attributo caratteristico di Mercurio , il caduceo. Questo sistema poi di gentilesca religione pe- culiare a'romani , ben luugi di generar confusio- ne nella mente , come intervenir potrebbe a chi non fosse versato negli studj della antichità , non dubi- to che gioverà a persuaderla , sig. abate stimatissi- mo , che i vasi di cui le scrivo , servivano ad uno stesso culto in un medesimo tempio , ed appartene- vano a' più sacri ed arcani riti peculiari a'romani. Che del resto ella ben sa , che in nessun modo con- cordi sono gli scrittori del gentilesimo nelle storie e genealogie de'loro dei ; e varie furono non poche volte , ed anche contrarie affatto le opinioni loro intorno a questo particolare. Ne già la religion de* pagani , riflette il dotto Maffei (i) , era come la re- ligion cattolica , dove tutto ciò che spetta al dogma trovasi determinato e definito ; ma bensì piuttosto, come quella degli eterodossi , non soggetta ad auto- rità nessuna , lasciava il campo a ciascheduno di te- ner quella opinione , e seguir quella dottrina , che più andava loro a grado (2.). Non ostanti però que- (1) WafFei , mus. veron. pag. LXXXIV. (2) Il precitato Canari , dopo aver accennalo che la gran Madre , ed Opi , e Cibele , Rea, Vesta , Cciere , ed altre divinità dlinostratrici delle diverso tIiIù della terra , non erano altro che I4 terra medesima , conchiude con que- ste memorablJi parole: „ Quelli li quali scrivono della cose ,, naturali , vogliono che gli elementi habbino tra loro ima ì, tale comunanza, che luciliucnle Tiiuo si muti neirallro.Pecò Sacrario gentilesìo. air ste vaglie e fluttuanti opinioni e riti , v'era certo un sistema di culto , che come la religione dello sta- to, risguardato veniva dai grandi ; ed a questo, a me pare , che riferir si debbano i nostri vetusti mo- numenti. Torino, a' 12. di novembre 1794* • Dopo scritta questa lettera , ho ricevuto in do- no dall'incomparabile sig. cardinale Borgia la dis- sertazione del padre Paolino de veterihus IncUs^ con- tro il padre Giorgi , che avea censurato l'opera an- tecedente del malabarico. In essa , stampata in Ro- ma sul principio dell' anno corrente 1795. , notasi alla pagina 5o. , che Maja madre di Budha il Mer- curio degl'indiani , è una cosa medesima presso i brahmani che la dea della natura. Chi si diletta di trovar allegorie , potrebbe dire , che l'industria sim- boleggiata in Mercurio , è figlia della natura : onde Dante chiama l'arte nipote di Dio autore della na- tura. L'istesso antagonista del padre Paolino ( De mi- raculis S. Goluthi , ec. pag. 225.) concede , che Maja sia lo stesso che Magna ; credendo questa voce ugual- mente propria de'latini e de'greci. Ammette altresì che Maja , in vece di Magna , fu detta Rea, la Ter- ra , cioè appunto la gran Madre di tutti gli dei; ed accenna che coloro i quali derivano il nome la- tino Maja dal greco ^hx , sarebbe a dire come nutrice , balia , madre eziandio , avola, levatrice, ten- gono bene che da'romani sia stata adattata questa voce alla gran Madre , ossia alla terra , per indica- re esser ella vera produttrice e nutrice di tutti. „ chi mette mente a questo non si meraviglierà di vedcro »» gli del degli antichi tanto intricati Insieme : e che un me^ :, desimo dio mostri sovente; diverse cose, e che diverbi nomi M signilicliino talora una medesima cosa. ',, Immagini dcfrì dei , p;ig. 2o5, 216. 217. Venezia, Zilettl i58o, ( Saranno continuate ) 31 Memorie istorìche di Cori , di Sante Paiola. ( Continuazione ) ì3 J-/( opo la conquista del dittatore Camillo , sem- bra che per alcuni anni le volsche popolazioni sof- frissero con rassegnamento il giogo loro imposto dal- la romana repubblica; ma nell' anno ^iS il famoso Vitruvio Vacco privernate tentò di ridestare le spe- ranze e l'ardore marziale di quelle. Avendo formato un corpo di amici intraprendenti , e di altri suoi partegiani , cominciò con qualche successo ad ese- guire i concepiti disegni. Vista però la debolezza del- la di lui causa , i corani e la maggior parte de' volsci non si fecero strascinare dalla inconsiderata ribellione , per cui quegli disperatamente gettossi a de- vastare le stesse citta volsche , fra le quali Sezze , Cori, e Norba. La repubblica spedi il consolo Papi- rio in loro soccorso , secondo la testimonianza di Li- vio : Ads>ersus hiinc ( Vitruvio ) vastanteni effìise setinum^norhanumque^et coranum agrum Lucius Pa- pirius profectus (i). 14. Neil' anno S/p marciando Annibale alla vol- ta del campidoglio , il proconsolo Quinto Fulvio , essendo sicuro della lealtà degli abitanti di Cori e di altre citta lungo la via Appia collocate , fece in esse ritirare i presidii, e preparare le vettovaglie: Inde cum Annibale ( narra Livio ) latina via itu- rum comperisset , ipse ( il proconsolo ) per Appiae municipia quaeque propter eam viam sunt Setiam , (1) Llr. lib. 8. cap. 19* Mamorie di Cori 2i3 Coram , Laniwiiim praemisit , ut comeatus para" tos , et in urhlhus haherent , praesidiaque in ur^ hihus contraherent (i). Infatti , se dobbiamo prestar fede al poeta Silio Italico, in siffatte pericolose po- sizioni del governo romano anche i guerrieri cora- ni pugnarono sotto le sue bandiere: é . . . . Tulit lindi qiic lectum. Divitis A^Lsoniae jitvenwn^ marsosque, Coramque (2). Ed altrove: Quos Cora , quos spiimans inimico Signia muslo^ Et quos incelebri miserunt valle f^elitrae. (3) i5. Ma neir anno 544» e dopo otto anni da che la romana repubblica trovavasi affaticata dalle armi vittoriose di quel formidabile nemico , alcune colo- nie , fra le quali anche Cori , essendosi rese di de- naro e d'uomini esauste , ne potendo più reggere al peso delle continue e forti requisizioni , cominciaro- no a disgustarsi di una guerra così ruinosa , ed a mormorare contro Roma altamente . n Dunque i ro- 3> mani ( dicevano quelle ) giammai cesseranno di con- » sumare le forze de' popoli alleati ? Nella presente j) guerra contro Annibale le malattie il ferro e le fa- ìì tiche hanno distrutto il flore della nostra gioven- « tii . Condannate inoltre ad invecchiare lungi dai ?) patrii lari , siamo trasportati fuori della Italia , ?) e già due lustri sono decorsi , da che un gran n numero de' nostri nazionali languisce nella Sici- » lia ; sicché la richiesta che ora ci si fa di nuo- 5) ve leve ad altro non servirebbe che a spopolare j) le nostre contrade, e ridurle ad una vasta so- « litudine. m (4) (1) Li%>. Lib. 26". cap. 8. (2) SU. hai, de Bel. Pun. lib. 4. (5) Loc. cil. lib' iS. (4) Liv. lib. 27. cap. Q, 2i4 Letteratura iG. Queste lagnanze dagli abitanti di Cori e dalle altre impoverite popolazioni nelle loro diete pro- poste , e per organo de' rispettivi deputati al se- nato romano manifestate , resero inutili le premu- re di questo per ottenere nuovi sussidii , al dire di Livio: 5j Triginta tunc coloniae populi romani erant. Ex iis duodecim , cimi omnium legai iones Ho- me essent , negaverunt consulibus esse unde mi- lites pecuniamque darent. Eae fuere Ardea^ IS! epe- te , Sutrium^ Alha^ Carseoli^ Cora , Suessa^ Circejiy Setia^ Cales^ Narnia , Interamna (i). Il senato , il quale in altie circostanze avrebbe con minacce e disprezzo ricevuto una tal negativa, ordinò , che non se ne facesse menzione : giacche avendo Annibale qua- si sulle porte della capitale, non doveva accresce- re il numero de'suoi nemici: Duodecim aliarum co- loniariim (soggiunge Livio ), quae detrectaverunt im- perium , mentionem fieri patres vetuerunt (2). Ri- guardo poi ai deputati delle medesime colonie , che trovavansi in Roma , vollero i padri coscritti che non fossero ne licenziati ne trattenuti , speculando che questa condotta politica presenterebbe una tacita pu- pnnizione , propria della grandezza romana : Illos neque dim.ìtti , neque retineri , ncque appellari a consulihus. Ea tacita castigatio maxime ex digni-- tate populi romani visa est (3). 17. E qui fa duopo rimarcare che sebbene dal- lo addotto testo di Livio evindentemente apparisca , che Cori nel predetto anno 544 ^^"^ colonia romana , (1) Lìv. loc, cit. (2) LjV. ///). cit, cap. IO. (3) LtV. lue. cit. Memorie di Cori ola tuttavolta il Paiivinio (i) ed il Sigonio (2) , for- se da qualche edizione scorretta di quello storico ingannati, invece di Alba^ Corioli^ Cora^ leggono Al- ba^ Coriolii Sarà , cancellando cosi la detta citta dal- la serie delle romane colonie. Ne tale equivoco sem- bra dubbioso , poiché in tutte le più accurate edi- zioni delle opere liviane leggesi Cora e non Sora , come in quella ad uswn delphini colle note di Du- jat e Clerc ; nelle due di Parigi del iiySa e 174© ; nell'altra parimenti parigina del 1^47 colle note di Grevier , ed in altre ancora. In fatti il valente P. Ca- trou e compagno , i quali aveano attinto ai testi pili esatti della predette opere di Livio, Cora e non Sora pongono nel numero delle dodici colonie che ricusavano il soccorso ai romani : „ Queste dodici co- 3) Ionie ( dice il Gatrou) erano, secondo, Tito Livio , Ar- 5) dea , Nepi , Sutri, Alba, Gorioli, Gora, Suessa , Cir- -)■) cejo , Sezia, Gales, JNarni , e Terni (3). „ i8. Dee osservarsi altresì , che il medesimo isto- lico patavino , poco prima di accennare la negativa data dai corani al senato romano , e precisamente all'anno 542 , colloca Gori fra i municipii lungo la via Appia esistenti : Per Appiae municipia , quae- que propter eani viam siint^ Setiam^ Corain-, Lanu" viiim. Ora se Gori nel 54^ era municipio , come due anni appresso, cioè nel 544 •> ^ chiamata colonia romana ? Una notabile differenza passava fra i mu- nicipii e le colonie. Go'privilegii e col jus della cit- tadinanza romana conservavano i primi le proprie leg- gi , le proprie costumanze sì pubbliche che priva- (i) Panuin. De inip. rom. cup. 10. (2) Sigon. De anliq , iiir. ital, cap. 5. (3) Cairou, Hist. Rom. tom 8. pag. ^5i. G.A.T.XXL t4 3i6 Letteratura ti , ed i propri! magistrati ; le colonie al contrario erano vincolate alla osservanza delle leggi di Roma(i). 19. Potrebbe sospettarsi che il primo testo di Livio, in cui Cori è descritta fra i manicipii del- la via Appia , fosse scorretto ; ma , secondo l'osser- vazione del Sigonio , prima della legge Giulia nell* anno 663 pubblicata , le colonie e le stesse città, confederate cbiamavansi promiscuamente ancora mu- jiicipii : Addo ad extremum ( scrive il Sigonio ) mu- nicipii vocabiilum , ante legem Juliam , varie esse acceptum ; siquidem coloniae et foederatae civita' tes municipia dictae sunt (2). Fa la stessa osser- vazione il Muratori mentre riporta e cementa una. lapide trovata in Cori , di cui si farà menzione in appresso : Ex Livio Uh, 2, cap. 16 didicimuSy Coram Latii oppidum , suiim adhuc retinere nomen •, co- loniam romanorum Juisse ; sed non semel animad- vertas loca , quae apud veteres modo municipii , m,odo coloniae nomen et jura sibi tribuunt (3). Il Fabretti , neU' esame di varie lapidi antiche , dimostra che di alcune cariche proprie esclusiva- jnente delle colonie si fa eziandio menzione ne' mu- nicipii (4) ; e lo Spanemio ha notato che alcune cit- ta , chiamate nelle medaglie municipii , si dicono da- gli autori colonie ; Extant autem nummi ( dice lo Spanemio ) inscripti MVNICIP . STOBENSlVM\ qui haec et Plinium simul illustrant dicentem'. Sto- hi oppidum civium romanorum , . . Apud Stepha- num vero . . t Stobi urbs Macedoniae romanorum (0 Qell. Noci. MI, lib.iS cappio; Ve MaUaeis, Sagg. slQri froiitione cap. 4> (a) S'igon. lof, cif, lib. 1. cap. g. (3) Murat. The». Jnscr. pag. ii»6. (4) F*bifiii? iiiscr. e»p. 6. p»g. ifou Memorie di Cori 2 in colonia dicitur (1). Meglio però rilevasi da GolHo , il quale assicura che non meno a'tempi suoi vedesisi siffatta confusione fra i municipii e le colonie (2). Sembra pertanto potersi concludere , che quantunque neir anno 54^ Cori sia appellata da Livio col vo- cabolo di mwiicipio y fosse tuttavia colonia , con- forme lo attesta precisamente nell' anno 544* 20. Oltre le addotte autorità, le quali dimostra- no essere stata Cori colonia romana , resta prova- to eziandio coli' autentica testimonianza di molti mar- mi nel di lei territorio trovati. Su di che il Volpi parla cosi: n Finalmente in Cori fu portata una co- >) Ionia romana ; di che , oltre l' autorità del Meru- » la , esistono altri monumenti in gran numero. Si » è detto più volte , che i decurioni amministravano la ìì repubblica nelle colonie romane. Ora è indubita- » to , che in Cori siano stati i decurioni , come è a 5) vedersi nel marmo di Cajo Oppio , ove si osser- 5> va che questo cittadino corano diede un banchet- ?> to ed una cena ad ogni decurione e colono. Le j5 colonie rappresentavano la imagine della capitale, V da cui si spedivano ; e però come in Roma , co- » sì nelle Colonie gl'interessi urbani trattavansi da ?) un pretore. Dalla seguente iscrizione del Grulero n pag. ^oG siamo assicurati , che in Cori vi fu que- » sto magistrato. « SERVEIS . CONTVLIT . SESTERTIVM „ OMNIBVS . PRAETORI . QVINQVE V MAGISTRATVI » DECEM . DEDIT . SESTERTIA SVO . SVMPTV (3) (1) Spanliem. De praest. ci m. uumls. Disser. i5. (2) Geli, loc, cit. (5) Volpi loc. cit. Uh, 7. eap. 5. 3i8 Letteratura. Air istesso oggetto potrebbe per avventura riferir- si il seguente frammento di altro marmo del mede- simo Grutero e del Muratori , che fu parimenti in Cori trovato. . . . RAE . SERVEIS . CONTVL . H-S co . 00 . 00 . V . . — . . . VS . SELEIVS . P . S . LEIBER . COER . . VIT . TIMOTHEVS . POPILII . L . M . S . . . ANTI . POP . S . LEIBER . COER . . TERRÒ . FVRI . L . S . RAFVRI . L . P . C . S ANTIOGHVS . VTILI . CN . S . LEIBER COER (i) "Altro marmo del lodato Muratori , riportato ancora del Volpi (2) e dal Vignoli (3), fa conoscere vie 'maggiormente la verità del fatto di cui si parla. '■■ TI . CL . TI . FILIO . ROM IVSTO r OMNIBVS . HONORIBVS . CORAE . FVNCTO ORDO . ET . POPVLVS . CORANVS OB . MERITA . EIVS . (4) 3 1. Se bastantemente è provato , che Cori fu colonia romana , non può mettersi in dubbio che una volta fu ancora municipio. Il Panvinio affer- ma eh? ; Ex vetustis epigrammatibus municipio- rum italicorum Segusini , Forisempronii , Corani , Nolani ^ et aliorum multorum frequens mentio (1) Murai, pag. 470. Grut. pag, 8(^. (2) Volpi loc. cit. (5) VignoU De colum. Jnton. pag. loiQ. (4) Muratori f>ag. io4x, Memorie di Cori 219 est (i). Cosi infatti risulta da un marmo muratori»-, no , riferito pure dal Volpi. TOVTIAE C . LEPANI . Q . CLIBI MATRI EX . S . C MVNICIPIVM . OLIM OB . BENEFIGIVM , ET . LIBERIS (2) , Nella iscrizione allegata aìcap. lart. 120 esprimen- te un monumento innalzato ad Escidapio e ad Igia da Cajo Oppio corano, sono chiamati da questo communi^, cipi i suoi concittadini GOMMVNIGIPIBVS . SVIS. DD.: Altro marmo finalmente muratoriano, trovato pure in Con,fa conoscere chiaramente il curatore à^hnimicipio: L . POBLILIVS . L . F . BIBVLO . IIII . VIR PONTIF . XVIR . IVREI . DIC . CVR MVNIGIP . ET . INCOL . CVR . PECVN . PVB* AEDIL . AB . AGR . DIVIDEND . TERM . DD EX S. C. (3) 23. Si trova una qualche difficolta nel poter co- noscer il tempo preciso, in cui la detta citta fu ascrit- ta nella classe de' municipii. L'autorità di Livio di ?o- pra riferita v Triginta timo coloniae populi romani erant. Eae fuere . . Cora, Setia etc.->-> ci assicura che neir anno di Roma 544 era colonia romana. Secondo l'ortografia delle due lapidi teste riferite dal Grutero (1) Panvin. loc. cit. cap. 12. (2) muratori pag. no6, Folpi loc. eie. (5) Bluratori pag-, i^S^, 320 Lkttbratura e dal Muratori , nelle quali si legge seìweìs inyecc» ili sery>is, e coeravit per curavit , potrcl)be conget- turarsi , che fosse nella stessa condizione nel seco- lo VII di Roma : giacche » giusta la opinione di An- tonio Agostini (i), sì fatta maniera di scrivere usa- vasi ai tempi di Cicerone, e che per conseguenza più tardi della detta età divenisse muncipio. a3. Neil' anno G8o segui la ribellione di Spar- taco. Questo ardito gladiatore accese nelle vicinanze di Gapua uno incendio di guerra , per estinguere il quale , consoli ed eserciti romani furono costretti a marciare. Egli cercava di fortificare la sua intrapre- sa e la sua fazione colla forza della seduzione e dell' inganno , ma Cori si tenme prudentemente at- taccata agi' interessi della repubblica , per cui fu mo- lestata dalle militari scorrerie di quello: 5> Prima velut area ( narra il continuatore di Livio ) virìs mons Vesuvius placuit . . . inde alia castra-, deinceps Co~ ratn totamque pervagntur Campaniam jj (a). Gap. IV. Cori non fu mai prefettura. Famiglia ^/e'Poblicjii corana. Epoca del di lei stabilimento in Roma. Famiglia Oppia , parimente corana. Un Oppio giovanetto , portando il padre sulle spalle , lo sal- va dalla proscrizione sillana. Stabilimento in Ro- ma del governo monarchico. Cajo Manejo cora- no^ celebre archimimo. Cori esisteva nel primo secolo della era volgare. Opinione contraria del yolpi impugnata. I. Cori, dopo essere stata colonia albana , colo- nia latina, colonia romana e municipio, come si è di (i) Ant. Agostini , Medagl. antich. dial 20, (2) Freintem, supplem. Liit. lib. g5. cap. 5. Memorie di Cori aaf sopra osservato , se sussistesse la opinione del Panvi- nio seguita dal Volpi, avrebbe indi stabilmente mino- rato di condizione e si sarebbe finalmente sul di lei Capo aggravato il dominio romano, con essere sta- ta ridotta all'umile stato di prefettura; n Praeier eas praefectitras ( scrive il Panvinio) quas ex Pesto di-^ gessi ^ Corde praefecturae Strabo libi 5 , ClaudiciA Plinius mentionem facit (i). Il Volpi soggiunget Praefectura tandem evasit Coran quae omnium in^ fima ac incommodissìma italicarum urhium condi-^ tio erat^ Porro quod Cora praefectura fuerit testa-* tur Panvinius (2). 2. La condizione della prefettura era di molto inferiore a quella de'municipii ; poiché nelle prefet- ture non si sceglievano i magistrati dalla massa de'cit- tadini , ne questi si governavano con leggi proprie , ma si mandavano in ciascun' anno dei magistrati da Roma che doveano governarli con leggi romane ; e questi magistrati appunto si chiamavano prefetti, e prefetture i loro governi (3). 3. Crede il Volpi che Cori divenisse prefettura nel principio dell' era volgare , e precisamente sotto l'impero di Claudio : Caeterum cmn Corae praefe^ ctura ClcLudia fuisse dicàtur , hanc urhem in prae^ Jecturae ordinem redactam ab imperatore Claudio crediderim (4)' Tale assertiva però contiene un erro- re manifesto, nel quale deve essere egli caduto per qualche scorretta lezione del testo di Panvinio; poiché (i) Patwin. lof* cit, cap. ià. (2) f^olpi loc. cit. eap, 4» (3) Fettus, Da verh. signific, ari. praefeotura. De fviatteis loe. cit, eap, i, (4) Volpi loc. cit. Uh. 7. cap. 5. 222 Letteratura questo cliiaramente asserir dee che , dopo la serie delle prefetture estratta da Festo , Strabene fa men- zione della prefettura di Cori , e Plinio di altra pre- lettura Claudia appellata. Il Panviuio scrìve cosi: Praeter eas praefectitras ^ quas ex Festo di gessi , Corae praejecturae Strabo Uh. 5, claudiae Plinius lib. 3 cap^ 5, atinatis Cicero prò Fianco , reati- nae idem de natura deoruin mentionem faciunt (i). Il Volpi adunque ha confuso la prefettura Claudia di Plinio colla prefettura di Cori di S trabone , e. quindi n'è derivato l'errore succennato. 4- Malgrado peraltro l'autorità dei predetti Vol- pi e Panvinio , non pare bastantemente provato , che Cori fosse ridotta alla condizione di prefettura. Stra- bone nel Uh. 5 parla di Cori , ma non la chiama prefettura. Tito Livio , Floro , ed altri antichi scrit- tori non ne fanno punto menzione ; ne gli allegati marmi, ed altri che si sono in quella citta e nel di lei territorio cavati , possono somministrarne un qualche monumento. Potrebbe per avventura far nascere una qualche presunzione la lapide riferita al cap. 3 art. 4» in cui si parla di un Tiberio Claudio Filanto ve- terano ; ma ciò sembra troppo scarsa materia a fron- te dal silenzio de'prefati antichi scrittori; e perciò pa- re più probabile che Cori siasi lungo tempo mante- nuta nello stato di municipio. 5.11 Piazza, sull'autorità di Giulio Ossequente^ sup- pone che nel consolato di . Claudio e Publio Metello scaturissero in Cori dal suolo dei rivi di sangue: Clau- dio et Publio Metello consuUbus , Caurae sanguinis rivi e terra Jluxerunt : cosi l'Ossequente (2); ed il Piazza ravvisa Cori in quel Caurae . Ninno però (1) hoc. cit, (a) Jul. Obseq. De prod. Memorie di Cori 233 degli antlclii o moderni scrittori ha chiamato detta citta con quella denominazione ; d'altronde è noto, se- condo Plinio citato dal Boudrand, che Caura è Hi- spaniae oppiditm in Betica (i). L'Ortelio ripor- ta il prefato testo di Giulio , ma non dice , che Caura corrisponda a Cori (2). Lo stesso metodo tie- ne il Martiniere : Caura ( dice questi ) ; lu ogo ove Giulio Ossequente afferma- che sortirono dalla tei-- ra rivi di sangue (3). 6. È molto probabile , che sul fine del quinto o sul principio del secolo sesto si stabilisse in Ro- ma la famiglia de'Poblicii provenienti da Cori. Che lo stipite di questa famiglia uscisse da quella città, ne fanno certi l'addotta iscrizione di Lucio Publi-^ ciò, figlio di Marco, trovata in Cori fra le ruine del tempio del sole , riferita al cap. 3 art. i4» e l'altro marmo muratori ano di Lucio Publicio Bibulo , figlio di Lucio , indicato al detto cap. art. 3 1 . E inoltre assai probabile , che il predetto stipite sortisse da queir Jnco Publicio corano , che nella guerra con- tro il terzo re di Roma fu nominato comandan- ti dell' esercito confederato , come si è veduto al cap. 2 art. 4- In fritti di tale famiglia non ha la storia nome pii^i antico di questo Anco Publicio, ed è indubitato che moltissime famiglie romane traevano la loro origine primitiva dalle citta latine , confor- me riflette ancora il Volpi t Hunc quidem ( Anco Publicio ) Publiciae , sive Pobliciae, gentis aucto- rem facimus , cwn eo antiquior nullus gentis hujus cccurrat , et nomen congruat , et quamplurimas (i) Boudrand, Geog. art. Caura. (a) Hortel, Thes, gsog. art. Caura. (Z) Martiniere, Gran dict. geog. art. Caura, 394 IìKTTIRATURÌ. romatias illustre s familias a latinis oppidis ori gì-* nem traxisse piane constet (i). «7. Il primo eli detta famiglia , che vedesi no- minato e onorato in Roma , è Tito Publicio crea- to augure con altri otto colleglli. Un Lucio Publi- cio , tribuno della plebe , fu avo di Lucio e dì Mar- co fratelli , i quali esercitarono la edilità nell' an- no 5i3. Durante l'esercizio della loro carica celebra- rono questi i giuochi floreali col prodotto delle mul- te ritratte da quelli , i quali aveano portato gli ar- menli a danneggiare i pascoli del fisco . Un tempio inoltre fabbricarono alla dea Flora , e ridussero age- vole e lastricata una strada sommamente scabrosa , che da Roma estendeasi al monte aventino , e che quindi portò il nome degli autori , chiamandosi Cli- VU5 Publicius (2). Servigio cosi importante recato alla repubblica da'due fratelli edili fu conservato nel- la memoria degli uomini , colla impressione di una medaglia avente da un lato il genio del popolo ro- mano , e dall' altro un animale pecorino, simbolo del- le multe pecuniarie che aveano dato motivo a tali monumenti (3). Festo chiama questi edili Lucio Pu- blicio e Marco Publicio Malleolo . Questi esercitò la pretura nell' anno 520, e due anni dopo fu conso- lo con Marco Emilio (4)« 8. Posteriormente , e nell' anno 545, mentre ar- dea tuttora la seconda guerra punica , un Cajo Pu- blicio figlio del preindicato Lucio fu edile della plebe. Si comportò egli cos'i egregiamente nel ge- loso disimpegno de*suoi doveri , che il popolo roma- (i) Volpi Uh, 7. CU]). 7. /oc. cit. (2) O^id. Va^t. Uh. 5. (5) Calma, toni.. 6. pag. ii'ii. Volpi lac, cìu (4) Catr0U,4»c. eU. t«iìi. ^. pog. ^5. Memorie di Cori »i5 no decretò ad esso ed a'suoi posteri U facoltà di po- tersi sepellire in Roma , e ne fu a spese pubbliche destinato il luogo, conforme a chiare note risulta dal- la seguente iscrizione incisa nel monumento in di lui onore presso il campidoglio innalzato , e costrut- to di grandi quadri di pietra tiburtina. La detta iscri- zione è riportata dal Grutero (i) , dall' Orsini (a), dal Ficoroni (3) , dal Bartoli , (4) e da altri. * G. POBLICIO. L. F. AEDILI. PLEBIS. HONORIS VIRTVTISQVE . GAVSA . SENATVS CONSVLTO . POPVLIQVE . IVSSV . LOCVS MONVMENTO . QVO . IPSE . POSTERIQVE EIVS . INFERRENTVR . PVBLICE . DATVS. EST 9. Altri marmi riportati dal Gudio ci fanno co- noscere in Roma un Sesto Publicio figlio di altro Sesto , e probabilmente nipote di quel Marco , che fu consolo nell'anno 522 (5), ed un Publicio Otta-^ (i) Gruter. pag, . , , (2) Orsini, Famigl. rom, in Publicio, (5) Veslig. di Boni, ani, lib. i. eap, 3. (4) Piet. Santi Bartoli, Sepolcri antic. apud Grav. Ant, Boni. lom. 12. pag. loot. (5) Gud. pag. ló-j. n. 8. 6EXTVS ' rYBLICI vs SEX . F . M. I* , SCRIBA ^ PVBUCIA «EX . L . CAIXIPO LIS 236 L K T T K » A T U R i. to (i). Inoltre presso il Iago di Como , un Cajo Po- hlicio sacerdote della madre degli dei (2) ; in Cu- re nella Sabina un Puhliù Pohlicio Mudano , ed un Lucio Pohlicio Rufo veterano della tribù Cru- stumina (3); ed in Vicenza un Publio Pohlicio Muin- mio (4). Finalmente il Grutero ci da a conoscere un OLYBIP . D . SIBI ET (1) Gud. pag. ai. n. ^ PVBLICIO OPTATO . Vili . VIRO QVINTILIA . PROCILLA VXOR BENliMERENTI VIRO L . M . P OSSA (2) Qud. pag. xo4. C . POBLlGiVS SACERDOS . BI POBLICIAE . TISBE LIB . SVAE (3) Idem pag. 181. n. 5. P . POBLICIO . P . F TRIB . LIÌG . V . A . L . POBLlGlVS . V.\LENTI . FIL . CRV RVfVS : VETERAIVVS ET . POELICIA . SVAVIA PATRONO FEC. , (4) Idem pag. }{. lOVI . OPTIMO . MAJtlMO CVSTODI . SACRVM P . PVBLiClVS . P . F . MElV MVMMIVS Inni . VIR . AVGVSTAL . CR . M ve [ANO LAVDE Memorie di Cori aay Marco Puhlicio Sestio Calpurniano (i) , ed nn Pw Mio Pohlicio figlio di un Marco (2). 10. Oltre la famiglia de'Poblicii , non minor glo- ria recò a Cori l'altra famiglia Oppia , originaria egualmente dalla medesima città secondo l'attestato di tutti gli scrittori di esse , e segnatamente del Vol- pi : Jani vero Oppiam gentein coranam fui s se aii" tiquus lapis in ruinis templi Aesculapii Corae de- tectus , his notis inscriptus , dubitare non sinit : JESCFLAPIO ET HVGIAE. In hoc lapide C, Oppius sevir et augustalis Corae appellatur , Aesculapium et Hjgiain , quod templum Corae ha- berent , communicipes suos ipse vocat |(3). (1) Grut. pag. 455. n, 4. M . FOBLICIO M . F . SAB . SEXTIO CALPVRNIANO EQVO . PVBLICO FLAM . DIVI . IVLI PRAEF . AEDI! . TOT QVAESTOR . AERAR SACBRD . IVVEN . BRIX COLLEGIA CENTON k ET . FABROR L . D . D . D . (2) Idem loc. cil, n, i3. P . POB LIGIO . M . F L . VALENTI . Inni . VlR MATIENAE . Q- . F RVFAE . MATIENA . P . F C . L . SVAVISS . PATRONIS ET . SIBI . VIVA . FECIT (5) Loe. cit. Uh. 7. eap. 6, aaS LlTTERATURA II-. Durante la famosa proscrizione del triunvi- rato di Marc' Antonio e de'suoi colleghi , la storia fa menzione di un individuo di detta famiglia , che involto fra gli orrori di quella , fu salvato dall' amo- rosa pietà di un figlio in un modo singolare , e de- gno di passare alla pivi tarda posterità , secondo il racconto che ne fa lo storico Appiano- » Oppio, es- »> sendo vecchio e debole (scrive Appiano) , fu por- » tato dal figliuolo sulle spalle , finche il trasse sal- w vo fuori della citta , e con grandissima fatica , ?j fuori di strada e per luoghi occulti , il condus- » se in Sicilia. Fu si grande la compassione, che rao- j> vea ciascuno in veggendo tanta pietà nel figlio c5 portante il vecchio padre sulle spalle , che da niu- » no gli fu dato impedimento nel cammino. Questo » esempio fu simile a quello di Enea che portò il ìì padre Anchise sulle spalle fuori di Troja per sal- M vario dall' incendio trojano. Il popolo romano , » lodato il giovanetto , lo creò quindi edile : e per- j) che le sostanze paterne erano state confiscate , e » non potea supplire alla spesa che seco portava » siffatta magistratura , gli artefici contribuirono a » tale spesa con tanta generosità e magnificenza , « che al giovane Oppio non solamente fu data la 5) facoltà di potere spendere quanto bisognava per ce- j) lebrare i pubblici giuochi , conformemente alle leg- M gi edilizie, ma gli avanzarono tante somme , che ri- n mase ricchissimo (i). >? Della indicata famiglia Op- pia^ non che della Puhlicia e di altre ancora, si tor- nerà a parlare in appresso. 12. Cessato il predetto triun virato , cagione fu- nesta di tante stragi e della perdita di tanti uomi- ni illustri , pendendo le cose della romana repubbli- ^1) ^Jpi^ian. de Mei, Civil. Uh, 4> "^ihi pog. ;u4* Memorie di Cori 229 cu sempre di male in l^eggio , sorse finalménte uà nuovo ordine politico di governo , con lo stabilimen- to della imperiale autorità fondata da Cesare Otta- viano. Che cosa potrà, dirsi di Cori dopo lo stabi- limento del grande impero, e nel primo secolo della era volgare ? i3. Se dovessimo attenerci alla testimonianza del più volte lodato Volpi , essa citta in queir epoca sarebbe ridotta in un mucchio di mine. Il Volpi si esprime così : Aedificatum a Marco Calvio templum hoc Castoris sub Claudio imperatore refert f^ignO" lius ; tunc potius Cla udii imperatoris aetate in rui' nis om nino Corani /acuisse , superiori capite ex Propertii Lucani que testimoniis ostenderini (i). Il tèsto di Properzio , indicato dal Volpi , dice così ; Nec duin ultra Tiberim belli sonus , ultima praeda Nomentum , et captae j'ugera parva Corae, (2) E quel di Lucano: f omne latinum Fabula nomen erit, Gabios p^ejosq. Coramque. (3) \^. Prima di esaminare questo punto della sto- ria corana , è a notarsi che il Volpi in questo luogo sembra essere in contraddizione con quanto poco prima avea scritto ; cioè che Cori fu ridotta nello stato di prefettura a' tempi del Cesare Ti- berio Claulio ; liane urbem in praejecturae or- dine redactam ab imperatore Claudio crediderim . Sono sue parole teste allegate. Ora se ai tempi di Claudio fu ridotta in prefettura , come può asse- rirsi dal medesimo , che nella stessa epoca presen- tasse uno ammasso di ruine .'* Claudii imperato- ris aetate in ruinis Corani, , . . jacuisse ostenderim* (i) F'olpi, loc, cit. cap. 2, (2) Eleg, il. lib. 4, (5) Pharsal' liU 8. aSo LST TELATURA i5. È indubitato infatti che la detta citta sot* so l'impero di Augusto e de' suoi successori , e nel primo secolo dell' ei'a volgare , sussistea tuttora in uno stato soddisfacente , ed occupava un rango fra le citta italiane dell' antico Lazio. Strabene , che fiori in quel tempo , descrivendo le citta esistenti lungo la via Appia, non tralascia di far menzione di Cori: Ab utraque latinae viae parte ad deocteram sujit. . • . Setta et Signia .... Ante liane est Privenium et Gora . La parola est dimostra l'attuale esistenza ; ed invero accennando poco dopo Freccile , fa conoscere che allora era ridotta ad un piccolo borgo : Fregel" lae mine vicus est^ olim urbis Celebris (i). i6 Plinio , che scrisse sotto i regni di Vespa- siano e di Tito, facendo il novero dei popoli e del- le citta dell' antico Lazio che a' suoi tempi ancora fiorivano , non omette i corani : Intus acerrani , alatrinates , anagnini . ... et qui ex agro latino, item hernico , item lavicano ,• cognominati Bovillae , Calatine , Corani (2). Quindi rammenta le citta ed i popoli de' quali tion più esisteva vestigio alcuno: Ita ex antiquoLIII populi interiere sine vestigiis ij Neil' impero del prefato imperador Tiberio Claudio era tuttavia vigoroso in Cori il culto di Ercole ed il tempio a questo nume consecrato , del quale si è già fatto menzione; imperciocché un Marco Cahio rispettabile cittadino corano , ascritto nell'or- dine senatorio da quel monarca , innalza al detto nu- me un monumento , e ne ristaura il tempio per la vecchiezza minacciante ruina , secondo la opinione del (1) Slah, Uh- b. pag. lòg. Edìl, Casauloni iSSj. (3) FLin, Uh. S. eap. ^ tdii Uarduini. Memorie di Cori a3i Volpi (i) lo fabbrica di pianta, giusta il Vignoli (2). Ciò rilevasi dal marmo seguente , trovato fra le ruine del tempio medesimo e riferito da esso Vol- pi (3) , dal Muratori (4), e da tutti gli scrittori corani. M . CALVIVS . M . F . PAP . PRIS . ADLEGTVS . IN . ORDINEM . SENATORIVM A . TI . CLAVDIO . AVO . GERMANICO D . S . P . F . i3. Esisteva ancora nella medesima età ed anche pili tardi in Cori il tempio ed il culto di Cerere e di Proserpina , di cui parimenti si è parlato nel cap. 3. Dalla iscrizione ivi allegata quel Marco Tur- pilio^ che dedica il monumento a que' due numi , è chiamato quatuorviro augiistale.^ Lo stesso è a dir- si riguardo all' altra iscrizione relativa ad Escula- pio e ad Igia , in cui quel Cajo Oppio h pure chiamato sesto viro augustale. Questa carica sacerdo- tale ebbe cominciamento sotto Augusto, e le feste au- gustali furono celebrate per la prima volta nell' an- no 735 dalla fondazione di Roma: Augustalia ( scri- ve il Pitisco ) primum facta fuerunt anno ab ur- be condita 735 , Cajo Senfio Saturnino Lucio Lu' cretio P^ipsanio consulibus (5). 19 Ora se in detta età era tuttora vigente il cul- to, se esistevano in Cori i tempj di Ercole, di Ce- rere , di Proserpina , di Igia , e di Esculapio , dovea esistere ancora la citta stessa e la di lei po- (1) f^olpi Lue. cit. lili, "j. cap. 2. (2) f^ignolì , Veler, inscrip. selecU clas. i. (5) Loc, cit. (4) Muratori loc, cit. pag, i47« (5) Pitif. Lexicon anliq. rom. art. Augustalis. G.A.T.XXIv i5 232 LlTTERATURA polazione , nella quale doveano contarsi de* cittadini facoltosi in modo da poter ristampare o fabbricare dei tempj , come si è visto di quel Marco Cnhio divo- to di Ercole , e di quel Marco Turpilio di Cerere e di Proserpina. 20 Un marmo inoltre riferito dal Gudio (i) e dal Muratori (2) rammenta un Cajo Mannejo citta- dino di Cori , eccellente nell' arte mimica , e perciò chiamato archimimo ( 3 ) ; e sebbene Giusto Lipsio abbia scritto che l'uso delle mimiche rappresentanze fosse sconosciuto prima dei tempi di Augusto (4), tut- tavia , giusta l'erudite osservazioni del Ferrari (5) e del Calliaco (6) , rimonta esso ad una epoca anterio- re a' tempi predetti. E provato poi che il vocabolo archimimus cominciò nel secolo di detto imperado- re ad essere adoperato. Svetonio nella vita di Ve- spasiano fa menzione di Favone archimimo'. Sed et in funere Favo archimimus personam, ejus ferens suhstinensque , ut mos est , facta ac dieta viri (7); e Le\>ino Torrenzio , presso il Gutero, suppone che questo solo storico ne abbia fatto uso : Laevinus Tor m II I w I ■ ... Ili . . ■ !■ i« (j) Qud, loc, cit. pug. 108. (2) Murmt, loc. eit, pa^, 64.7. (3) Gud. e Murmt, loc cit. C. MANEIVS CORA ?i US ANCHIMIMUS (4) Lips, pres. Ollavio Ferrari Diaert, de pantom, Salegr, Colt. Gre\>. et Gron. Tom. 2. pag. 6-j-j. (5) Octav. Ferrari loc. ut. (6) ISicol. Calliae, de nud. luri. cap. g. Saleng. loc. cit' pag. 730. (j) Svelati, iti yespcis. cap, %q. n. 6. Edit, ad usuin del" Mkmori« di Cori j35 rentius archimimi vocabulum , quod in Svetanio se legere non meminit , nihil a pantomimo diffh- re scìipsit (i). Lo stesso pensò il Rabellonio, nelle note air accennato capitolo di Svetonio « alla paro- la archimimus'. f^ocabulum hoc nescio an alibi le- gatur ; principem vero istrionum significai (a). 2 1 Peraltro anche Seneca si serve del medesima vocabolo , secondo le osservazioni del Bulengero: ^^e- neca in fragmentis. Docimus archimimus , seneM jam decrepitus , quotidie in capitalio mimum age- bat (3). Ed il Grutero (4) riporta una elegante iscrt- zione fatta in onore di un Lucio Acilio della tribù pontina , e perciò volsco come il nostro Cajo Man- nej'o di Cori , nella quale è chiamato archimimo , sot- to il consolato di Soflo Prisco e di LoUio Apolli- nare consoli neir anno i6g della era volgare. E ri- portato ancora dal Gutero (5) , ma alquanto differen- te dal primo. Altro ne riferisce il Muratori , relativo ad alcune sceniche rappresentanze tenute , secondo es- so , neir anno 2 1 2 dell' era medesima , in cui un. eluvio Glabro ed un Encarpo sono chiamati ar- chimimi (0) ; ed altro ancora , nella quale figura il medesimo Cluvio Glabro archimimo , ed un Deme^ " ' I I .1 .1 II . . , _ 1 1 I ,, , i\««»» (i) Guther. de Jur. Man. Uh. i. cap, 23, (a) Rabellon. in not. Soclon. in J^cspas. loc» cit» (3) Bulenger. de Tliaatris Uh. t. cap. 48. (4) Grul. pag. ZZo. (5) Guthtr. de Jur, Man. loe. eie. (6) Muratori pag. S']5. CLAVDIVS. ONOKIM EDILIS. FACTVS. A. VfiXILLAnONE ET. LVDOS. EDIDIT . . . ITEM. SCENICI CLVVIVS. GLABER. ARCH. . . . EiNITS. EVGARPVS. ÀRC A 234 Letteratura trio Ammonio greco archimimo (1). Finalmente i lo- dati Grulero e Pitisco riferiscono una lapide che sembra rarissima, giacche si vede in essa una donna chiamata archimima (2). 22. Non trovandosi pertanto il vocabolo archi- mimo adoperato dagli scrittori e nelle lapidi avanti il primo secolo dell' era volgare , il predetto Cajo Mannejo dee essere vissuto in detto secolo , ed an- che posteriormente ; e se è distinto come cittadino di Cori , coranus , anche la di lui patria dovea esiste- re nel tempo medesimo. Che anzi se sostener si po- tesse ciò che il lodato Volpi ulteriormente suppone , il poeta Orazio , e quindi Giovenale avrebbero fat- to menzione dei cittadini di Cori. Orazio dice : Tempore quo juvenis parthis Jiorrendus , ah alto J^emissum geuus Aenea , tellure marique . Magnus erit , forti nubet procera Corano Filia Nasicae (3). Esso Volpi sospetta, che quel Corano fosse di una famiglia di Cori , ne'termini seguenti : Taf idem num et gens quae corana et patria et nomine dieta sit , Corae primum , ac deinde Romaefuerit , le- (1) Idem pag. 876. CLVVI- GLABER. ARC. DEMETRI, AMMONI. ARC. GRECVS (a) Gruter loc. cit. Gulher. loc. cit. Pileu. lelic. anliq. art. Tribus. DIS. MANIBVè M. FABI. M. F. ES Q. REGILLI. ET. FABIAE FABIA. M. ET. D. L. ARETE. ARCflIiVI TEMPORIS. SVI. PKIMA. LlVRiNA. FEC. SIBI. ET. SVIS. QUIBVS. LEGAVIT. TESTA (3) Horat. Sai. b. iib. t. Memorie di Cori 'aSS plda quaedam apud Horatiwn dubiiim aliqiiod ìbje^ cit (i). Successivamente allega alcuni versi di Giove- nale estratti dalla satira xvi , in cui fa uno elogio della milizia. Solis praeterea testandi militibiis jiis y f^ivo p atre ^ datar '^ quarti quae sitnt parta labore Militiae, , placiiit non esse in corpore cejisus. Ornile tenet cujus re^imen pater: ergo Coraniini Signorum comitem , castrorumque aera merenteni^ Quainvis jam treniulus captat pater (2). E crede che anche qui si parli di un cittadino di Cori : Ex hac corona gente strenitum inilitem alium memorat JiwenaUst dum militiae praecipua recenset commoda (3). 23. Pare peraltro che si nel testo di Orazio che in quello di Giovenale, la parola Corano presenti un nome proprio ed un vocabolo sostantivo. Il pi-imo di questi due poeti dice , che la figlia di Nasica sposerà il robusto Corano ; e Giovenale da a cono- scere , che un padre rimprovera un figlio militare , che ha nome Corano. Questo è infatti il senso che dan- no al testo oraziano il Lambino^ il Turnebo , il Toi^ renzio , e gli altri cementatori del medesimo ; ed a quello di Giovenale Gio. Brittanico , il vecchio sco^ liaste , Ascensio , il Mancinelli e gli altri interpre* ti di esso. 24- Ma senza ricorrere a si fatte interpretazioni , resta hastantemente provato , che Cori ai tempi di Augusto e di Claudio , e nel primo secolo dell' era volgare, non era in ruini'à oinnino jacens^ come ha il suUodato Volpi asserito , ma era tuttavìa una cit- (1) Volpi loc. cit. (2) Jiivenal. sat. i6» (3) Volfjì loa. cit. 23(5 Lettkratìjri tà florida , nella quale il culto di Ercole , tli Ce- rere , di Proserpina , e di altre pagane deità trova- yasi ancora vigente, ed innalzavansi alle medesime tem- pj e monumenti religiosi. Ne parlano ben cliiaramen-^ te le allegate iscrizioni ;, e l'autorità valevole di Stra- tone e di Plinio soprallegata sembra che non pos« sa ammettere eccezione. ( Saranno continuate ) Osservazioni saprà alcuni passi della divìria Commedia. Al sig. abate JV. iV. V_iresce^ e moltiplica pui che mai a questi giorni una generazione di studiosi , la quale ferma all'au- torità d'alcun moderno , che a conforto della pro- pria ignoranza e dell'altrui gridò inutile e dannoso lo studio delle antiche lingue , si confida di attin- gere al fondo d'ogni sapere col solo ajuto della lin- guì^ parlata dagli uomini della sua nazione e del suo tempo. Di questi intesi io taluno darsi vanto di sapere Orazio e Pindaro per averli letti nelle versioni del Gargallo e del Mezzanotte : e dichiarar- si in possesso di ogni più risposta bellezza dell'Ene- ida e dell'Iliade per aver notate l'eleganze italiane onde il Caro ed il Monti ingemmarono le loro tra- duzioni. Oh infelici di studi e di mente ! Che ve- deste voi di quegli eterni poemi , se non le ossa e lo scheletro ? Che leggeste, se non una narrazio- ne ordinata alla norma del greco e del latino esem- plar*^ fregiata , e sia pure , di tutti i giojelli dei Interpretazione di Dante 287 dire italico : ma italiana sempre , e non fatta greca nh latina per qualunque ingegno di traduttore ? Im- perocché tale è la condizione di ciascuna favella, che dove sia adoperata al diletto , la più molle del- le arti della persuasione , l'ordine e la parola ador- nata si fanno una cosa colla natura di essa : e tan- to è turbar l'ordine e mutar le parole , quanto an- nullare la lingua ed ogni suo pregio. Ne il cantare: Taciturno incamminossi Del risonante mar lungo la riva; potrà mai equivalere all'incomparabile, fin (/(xv.ècov Tvccpx Slvx '7tO\V A ^izio di lussuria fu si rotta. Notò il Magalotti qiiesta essere forma assai singo- lare di dire. Noi sosp^ttlaKip che l'Alighieri la do- Ii9,ss^ ^1 Rpvo latino traducendola dal vecchio ; che »Teya solutus in vcn^rem , sokctus in luxum , so- ìutHs mera et liJb.idin? (?c. jNTlRPRtT AZIONE DI DanTI 3^1 V. 65 — 6G. M ... Il grande Achille » Che con Amore al fine comhatteo. I collegamenti dell' aggiunto grande e dell' av- verbio al fine in questo concetto pare che non sie- no stati bene attesi , per farne uscire questo facile senso : -)•> Il grande Achille , che a guardarlo bene , ■)•> a spogliarlo di tutto lo splendore della sna gran- •>•) dezza , si ridusse anch' esso a combattere con un » fanciullo qual è Amore ; per soggiacervi alla fiine. » Tanto essendo venire alle prese con amore , quanto soccombervi; per quella verissima sentenza del mae- stro : Omnia vincit amor ; et nos cedamus amori» V. 83 — 84' » Quali colombe , dal disio chiamate , ìi Con l'ali aperte e ferme al dolce nido » Vengon per l'aere da voler portate» Dal disio chiamate , da voler portate , singolar- mente agli occhi di quelli che leggono volan in ve- ce di vengon , sembrano maniere tautolo giche : onde alcuni spositori si fecero a dichiarare l'una per l'al- tra ; e il Biagioli , che difese la lezione F'ola n per Taer dal voler portate , soggiunse : dal voler , cioè dal desio decoro nati. Ma noi portiamo opinione che diverso sia e alquanto meglio distinto il significa- to di quelle due frasi dantesche : e che non il de- sio de nati , ma quello di appagarsi del loro compa- gno chiami le colombe al nido. Neil' istoria dell' amo- rosa Francesca , che mai non sarà divisa da Paolo , una similitudine di colombe , animali sempre innamo- rati ed inseparabili , porta naturalmente a questo sen- so ; e l'imagine dei nati in ogni altro tempo dol- cissima si farebbe qui almeno superflua. Altronde la voce disio sembra consecrata dal poeta in questo can- to a significare l'intensità dell' appetito carnale , leg- gendosi al V. 1 13: à^à Lbttkratura » Quanti dolci pensier, quanto disio j> Menò costoro al doloroso passo. E al V. 120: n A che e come concedette amore j> Che conosceste i dubbiosi desiri ? Per tanto noi ardiremmo chiosare. « Quali co- >> lombe chiamate dal desio ( dal desiderio di ac- 9) coppiarsi ) vengono per aere .... al nido , da w voler portate ( portate dall'estinto che le regge ) cotali ec. » Ove notisi il bellissimo accorgimento del poeta , che condotto a significare l'effetto di queir ardore che negli animali prepara l'azione dell'istin- to usò l'esortativo chiamare , e quando volle mo- strare l'azione dell'istinto istesso si servi del coat- tivo portare : qui e nel canto i del Paradiso v. ii4« jj Tutte nature 5} .... si muovon a diversi porti « Per lo gran mar dell'esser , e ciascuna » Con instinto a lei dato che la porti . Ad altre ricerche forse più ingegnose che vere ne ha quidati il verso 8G di questo medesimo canto v. » Venendo a noi per l'aere maligno: le quali per altro comunicate da noi col nostix> dilettissimo ab. Celestino Cavedoni ottennero il suo favore. Intendevamo con esse di fermare il primo e proprio senso del latino vocabolo malignrcs ; e spie- gare poi questo aere maligno di Dante diversamente da coloro che tennero qui detto maligno in signi- ficato di infetto , pestifero- Discorrevamo adunque dubitando co.s\. Se il troppo assottigliare l'ingegno nell' etimolo- gie non ci fa travedere , noi slimiamo che malignns derivi da male iniens ; e sia stato adoperato princi- palmente a significare incertezza rapporto all' esse- Interpretazione J)i Dante 243 re o al farsi delle cose. Parecchi sono i luoghi di Virgilio , de'quali la nostra osservazione si espedi- sce non infelicemente. Colles maligni (Georg. II 179) « ciò è di esito incerto per la coltura : Aditus maligni ( Aen. XI 525 ) , cioè pe'quali non si può andare si- curamente : Oculis malignis matres ambiguae speda- re rates ( Aen. v 654 ) 1 ^^oè con occhi irresoluti del porre o non porre il fatale incendio alle navi ; af- facciandosi la risoluzione principalmente dagli occhi. Non facciamo dimora sulla luce malis:na del libro vi V. 270: troppo essendo manifesto , che ivi si parla della incerta luce della luna, interrotta da'vaporiq dall' ombra delle selve : luce infida che Filostrato dice ( Icon. lib. 2) ffeAwi'i» ftev "yx^ nr^ofiocKXBi At tu , nauta , vagae ne parce malignus arenae » Ossibus , et capiti inhumato ?j Particulam dare, non chiude già un ingiurioso sospetto neli' aggiun- to malignus : che a parer nostro vale ivi quanto il dire : tra V andare e lo stare : senza omettere V uf- ficio pietoso di gittar tre zolle di terra sul mio cadavere , e senza arrestare il tuo cammino-, di pas" saggio , noi diremmo ; irud a pena. 3*44 Letteratura A queste misure Vaere maligno del cercliio de'car- nali potrebbe spiegarsi per aere appena parvente : tra la lucè e le tenebre. Che è in sostanza la maligna luce delle vuote case di Dite descritte da Virgilio. Ma a meno incerte cogetture ne richiama il v. r)3. » Da c'hai pietà del nostro mal perverso. Noi ci siamo maravigliati lungamente , come fino a questo giorno tutti i chiosatori si sieno compo- sti nel credere che Dante , il quale non pose pa- róla indarno , assegnasse qui l'epiteto di perverso al male : quando all'opposto , secondochè noi ne pen- siamo , perverso è participio sostantivato equivalen- te a perversione^ e mal^ sincopato di malo , è il suo Vero adjettivo. Abbondano in Dante esempj di par- ticipi posti in vece del nome , ( Inf. e. ii. i38 ) propósto per proponimento : ( e. xxi i v. iG ) intesa per intenzione : ( e. xxxii v. i35 ) convegno per convenzione ec. Qui adunque non sarebbe per av- ventura da Spiegarsi col Vellutello e colla comune : )» Poi che tu hai pietà del nostro perverso male ; » ma bensi : Poi che tu hai pietà del nostro mole- » sto essere pervertiti , agitati , rivolti e m enati di » qua di là dalV incessante bufera. Il qual concetto si annoda assai leggiadramente coli' altro : Noi pre- gheremmo lui per la tua pace : come se Francesca dicesse : » Noi che non abbiamo pace pregheremmo n a Dio per la pace tua , da che ec. » E degno è al- tresì ad avvertirsi , come per quella naturale ampiez- za di senso che ha nel moto la particella per , il so- lo vocabolo perverso soccorreva pienamente a U' uopo del poeta : che se in luogo di perverso avesse scritto Converso , la dizione si faceva per lo meno incerta ; importando questo vocabolo una regolarità di avvol- gimento, che è esclusa dal verso Di qua di là di su di giù gli mena. Quinci ane^ra due bei sensi della Interpretazioxx 151 OàKte 245 voce perverso regaleremo alla crusca : che non sono ne il mal\^agio , ne il pessimo , n^ Viniquitoso ; i so- li da essa notati. Questo del canto V v. Cjlò. sustan- tivo e proprio a significare agitazione in giro. E queir altro del canto xxv v. 77 col valore di can^ giato t trasformato : n Due e nessun l'imagine perversa » Parca. V. 9G. 3> Mentrecheì vento , come fa^ si tace. Mentreche : per tutto il tratto che il v ento non sojfflerà. Cosi pare che abbia a spiegarsi ; altrimenti il come fo riuscirebbe superfluo. Questo senso di tem- po interposto volgente a futuro , diverso dall' inter- posto volgente a passato, nell'avverbio mentreche , se certo fosse, sarebbe degno di essere distinto nel vo- cabolario ; somministrandone Dante due esempj assai chiaramente differenti in questo istesso canto : qui, e al verso iSq: Mentreche l'uno spirto questo disse. V. 98-99. » Su la marina , dove il Po discende 5j Per aver pace co'se^uaci sui. Per aver pace : cioè per equilibrarsi ; essendo que- sta l'eterna cagione del moto de'fluidi. V. 112. Quando risposi cominciai: o lasso \ O lasso i il Biagioli afferma questa essere interjezio^ ne di dolorosa compassione : e noi aggiungeremmo compassione di se medesimo : come dicesse : O me vinto dalla pietade ! dove è delitto il non sostener- ne la guerra. V. 116-117. M . . . . Francesca, i tuoi martiri » A lagrimar mi fanno tristo e pio. Il Magalotti accennò due interpretazioni dell' ag- giunto tristo ; cioè mesto o scellerato ; e poi deci- dendosi per la prima , mostrò di stimare la secon- da meglio arguta che vera. Ma noi confidiamo che a46 Letteratura ogni sano lettore terra la seconda per unica e ve- rissima , solo che le si aggiunga questo pò di chio- sa : » O Francesca , i tuoi martini mi fanno tale , >} che lagrimando io , sono ad un tempo scellerato e « pietoso : scellerato verso Iddio , appresso cui è » colpa il compi agnere alle pene che la sua giu- « stizia comparte : ( e. xx v. 29 ) » Chi è più scellerato di colui » Che al giudizio divin passion comporta ? » pietoso poi verso te , o Francesca : che sei dan- « nata in questo carcere per molto disio , e pel so- » lo atto di un bacio; » siccome mostreremo appres- so , contro l'opinione de'comentatori. T. i33-i38. 5> Quando leggemmo il disiato riso » Esser baciato da cotanto amante , « Questi , che mai da me non fla diviso, » La bocca mi baciò tutto tremante. » Galeotto fu il libro , e chi lo scrisse, j) Quel giorno pia non vi leggemmo avante. Questa è la somma del peccato dei due amanti : della loro scusa : e della pena temporale ed eterna che portarono. Un bacio , un libro , uno stocco, e la cerchia de' lussuriosi. Sole e degnissime cagioni del dirotto pianto dell' altro spirito , mentre Tuno parlava. Qualche commentatore disdegnò Vatto non dilicato , ne gradito di Dante nel rimembrar que- sta macchia neW illustre famiglia di un benefatto- re e di un amico di lui. Noi al contrario ammi- riamo il grato animo , e l'arte del poeta divino , che con versi pietosissimi ed immortali narrò agli uomini del suo tempo ed ai futuri il lagrimevo- le caso ; diminuendo alla figliuola del suo protet- tore l'infamia , onde il volgo loquace aggravava for- se la memoria di lei. E nel vero , di che mai ap- parisce rea Francesca nei versi di Dante , se non iNtElVPRETAZlO'VE DI DanTÈ ^^T di UH bacio ? anzi nemmeno di un bacio , ma. so- lamente dell'aver consentito a riceverla, quando» l'esempio di un amante cotanto^ quanto fu il ca- f valier Lancillotto, la strinse. Dov' è che si fia cen-i no' della disonesta pratica dei due cognati , che il Volpi inserisce nella sua chiosa ? dovè l'atto vene- reo , nel quale il Daniello afferma che Francesca fu colta? dove il passaggio dai tremanti baci agli amo- rosi abbracciamenti , che il Magalotti suppone ? Il punto della lezione che vinse gli amanti fu il ba- cio di Ginevra e di Lancillotto : ne , per quan- to si vogliano agguzzare le viste nelle parole di Dante, maggior colpa si scuoprira die d'un bacio : e d'un bacio dato da Paolo , ne forse renduto da Francesca. Il Boccaccio poi nel suo commento (voi. v pag. 3i3) dice ad aperte note » Col quale {Paolo) M ella {Francesca) . . si congiungesse, mai non udii j> dire , se non quello che l'autore ne scrive , il ?> che possibile è che cosi fosse. Ma io credo , 7> quello esser piuttosto finzion formata sopra quel- j> lo che era possibile ad essere avvenuto , ch'io ?) non credo che l'autore sapesse che così fosse.» Ne ve- ramente noi sappiamo vedere , dove il poeta dices- se che cosi fosse. Un'alta retinenza si crede nasco- sta in quel verso : Quel giorno pia non vi leggem- mo avante. Ma noi se mostreremo che questo ver- so non serra alcun senso che faccia gli amanti col- pevoli più che d'un bacio , toglieremo a Dante la macchia di mal conoscente de'beneflcj , e faremo del- la Francesca sua non un'adultera incestuosa , ma ima dama di cuor gentile , alla quale amore non per- donò il riamare. Le interpretazioni che se ne dan- no da tutti i comentatori con diverse parole fi- niscono a questo senso: » Per quella giornata non ?5 leggemmo più «.vanti in quel libro , e ci abban- G.A.TXXI. iQ 2 48 Letteratura » donammo all' atto amoroso, n Or ci si dica in fe- de : compie egli questo concetto la narrazione ? po- ne egli il colmo alle cagioni del rompersi al pian- to dell' altro spirito ? O non rimane luogo a di- mandare : M Che fu adunque di voi negli altri giorni jj appresso fino a quello, in cui Gianciotto vi spen- M se la vita , e piombaste in questo inferno ? « Qui è l'estremo del discorso : questi sono i più acerbi motivi di piagnere e di sdegnarsi. Perchè noi du- bitiamo , che il verso abbia a leggersi con altra interpunziene: 3> Galeotto fu il libro e chi lo scrisse : Quel giorno ! pia non vi leggemmo avante ; cioè : » Che istigò Paolo a baciarmi fu il libro in- » titolato Galeotto ( Galeotto fu il libro ), e colui >» che con questo nome parlò nella novella di Lan- « cillotto e Ginevra ( e chi lo scrisse ). Solamente quel « giorno ? e mai più appresso non leggemmo in quel ?> libro n essendo stati uccisi e dannati nel pun to. Oppure: » Quel giorno ! e non più, ponemmo ad atto j> la lezione avanti quel Galeotto. ?» Per la quale seconda interpretazione starebbero queste ragioni, i. il non osservarsi esempio dove il pia sia disgiunto da avanti , quando significa pii^c oltre. 2. il legger- si questo istesso avverbio avanti congiunto col no- me di Galeotto in quel luogo del libro che sedus- se Paolo: » La reina vede che il cavaliere non ar- « disco , e la prende , e la bacia avariti Galeotto as- j> sai lungamente, n 3. Ove così non si chiosasse par- rebbe mancare la scusa al maggior uopo possibile : e molto meglio artificioso si farebbe a nostro avvi- so il racconto di Francesca , se il suo detto inten- dessimo a questo modo n . . . Noi non leggemmo più 5) in quel libro ( perchè fummo sorpresi e morti ) : ma }) se la lettura andava innanzi , e Paolo seguitava ad InterpretazioxE''*di Dante 249 » incarnarla, Galeotto n'era ancora in colpa ; aitanti 5» il quale la gran merce si donava o si rapi- j) va , secondo il consiglio eh' egli ne dava dal li- n bro. » Cosi le ultime parole di Francesca adempip- no ad un tempo il racconto e la scusa : e fanno cenno alle grandi cagioni del pianto. In mezzo al quale se ci si confessa , che lettura non passò oltre il luogo del bacio di Lancillotto e Ginevra , non può esser lecito a nessuno degl' interpreti di Dan- te il supporre in questi troppo infelici amanti più grave reato , che quello di un bacio : onde sono al vento pia leggeri degli altri (v. -yS): e la bufera, che mai non accorda altrui conforto di posa , tace qualche volta per essi (v. 96) . Questo genere di causa mi alletta ; e qui pongo il tempo e l'ingegno : ove non con ire e con rabbuili fra le grida e la polvere si rende fede che la lingua e i morsi degli oratori non sono molto dissimili dal- la spada e dalle ferite de'combattenti ; ma coi modi della scuola e con placida mente in libero campo si discorre la ragione degli scrittori e degli scritti. Del quale esercizio se oggi riuscirò degnato del favore e della sentenza di tanto giudice quanto voi siete , mi terrò di avere scemato a Francesca la vergogna , e al suo canto le difficoltk : ne prima cesserò , che non abbia corso da capo a fondo l'inferno dell' Alighie- ri in cerca di simili clientele. A' 3i gennajo 1824» di Lugo. L. C. Ferruzzi i^^ Nouveau mode de verslfication francaise» ( Continuation ) L' A V A R E. Come'die de Molière. V^uant a la Come'die, je me home a transcrire la première scène du premier acte du texte de Molière, en mettant en regard la méme scène re'duite en vers, afin de faire voir: i° Que ces sortes de vers convien- nent plus a la Come'die que les vers rimés et méme que la prose: 2° que malgré l'absence de la rime , et peut-étre méme a cause de son absence, j'aipù ren- dre exactement la prose de Molière. Si jamais je puis re'ussir à e'crire un poe'me de la méme manière, je ne manquerai pas de le soumettre au jugement des Savans Directeurs et CoUaborateurs du Journal Arcadico. 25i L -È T T E R A T U R J^ Texte de Molière. ACTE PREMIER Scène Première. • Valére^ Elise. Valére. He quoi ! charmante Elise, vous devenez mélan- coli^ue, après Ics obligeantes assurances que vous avez eu la bonte de me donnei- de votrefoi? Je vous vois soupirer, liéias, au milieu de ma joie! Est-ce du re- gret, dites-moi, de m'avoir fait heureux; et vous re- pentez-vous de cet engagement oiì mes feux ont pu vous contraindre? Elise. Non, Valere, je ne puis pas me repentir de tout ce que je fais pour vous. Je m'y sens entraìner par une trop douce puissance, et je n'ai pas méme la for- ce de souhaiter que les clioses ne fussent pas. Mais, a vous dire vrai, le succès me donne de l'inquietu- de ; et je craius foit de vous aimer un peu plus que je ne devrais. Valére. He! que pouvez-vous craindre. Elise, dans les Lontés que vous avez pour moi? Elise.^ He'las, ceni clioscs a la fois! l'emportement d^unt pere, les reproclies d'une famille, les censures du mon- de; mais plus que tout, Valere, le changement de vo- VERSiriCATlON FRANCi-ISE 253 Réduction en vers ACTE PREMIER Scène Premiere Valere^ Elise Valére, Pourquoi , cliarmante Elise , étes-vous si cliagrine Après tant de bontés , et votre foi jure'e ? Je vous vois soupirer au milieu de ma joie ! Serait-ce du regret d'avoir fait mon bonlieur ? Est-ce le i-epentir de no tre engagement ? Elise. Non , Valere , jamais je ne puis regretter Ce que je fais pour vous , je me sens entraìne'e Par le plus doux penchant . . Je crains de vous clitfrir Bien plus qu'il ne convieni Valére. He'! que pouvejs-vous craìndre Jbn vos Lonte's pour moi ? Elise. Cent clioses a la ibis r D*un pere le courroux , les reproches des miens , Les censures du monde et surtout votre coeur. ^54 Letteratura Texte ile Molière We coeur , et cette froideur criminelle tlont ceux de votre sexe payent, le plus souvent , les temoignages trop arclens d'uu innocent amour. Valére. Ali, ne me faites pas ce tort , de juger de moi par les auties ! Soupconiiez-moi de tout , Elise, plu- tót que de manquer a ce que je vous dois. Je vous al- me trop pour cela ; et mon amour pour vous dure- rà autant que ma vie. Elise. Ali, Valere, chacun tient les mémes discours! Tous les liommes sont semblables par les paroles ; et ce n'est que les actions, qui les decouvrent diffe'rens. Valére. Pulsque les seules actions font connaìtre ce que noxis sommes, attendcz donc, au moins, a juger de mon coeur par elles , et ne me clierchez point des crimes dans les injustes craintes d'une fàclieuse pre'voyance. Ne m'assassinez point, je vous prie, par les sensibles coups d'un soup^:()n outrag(nix; et donnez-moi le tems de vous convaincre, par mille et mille preuves, de l'iion- nétele de mcs feux. Elise. He'las 1 qu' avec facilite' on se laisse persuader par les personnes que l'on aime ! Oui , Valere, je tiens votre coeur iucapaLle de m'abuser. Je crois que VeRSIGICATION FRANCAISB a55^ Réduction en vers. Je crains votre inconstance et la froideur crucile Par la quelle , dit-on , les hommes , trop souvent , Répondeut aux transports d'un innocent amour. Valére. Ne me jugez dono pas sur les autres awians : De tout soup9onnez moi, mais non pas d'inconstance. Mon amour est trop fort pour qu'il puisse changer : Croyez qu'il durerà tout autant que ma vie. Elise. Ali ! Valere cliacun tient les mémes discours ! Juge's par leurs propos, les liommes sont semblables; Mais ils sont difi'érens quaud on les voit agir. Valére. Si par leurs actions on peut les bien connaìtre , Pour juger de mon coeur attendez donc les miennes. Dans l'injuste frayeur de votre preVoyance , f Ne clierchez pas en moi des torts que je n'ai poinf, Ne m'assassinez pas par d'injustes soup^ons , Et donnez-moi le tems de vous convaincre bien De la sincérite de mon ardent amour. Elise. Que la bouche qu'on aime aise'ment persuade T Je crois que vous m'aiméz d'un véritable amour r Valere , votre coeur ne saurait m'abuser. 0.56 Lettkratura ?F Texte de Molière vòus m'aimcz d'un véritable amour, et que vous me sei-ez fidèle: je n'en veux point du tout douter, et je retranclie mon cliagrin aux appre'hensions du blàme qu'on pourra me donner. Valére. Mais pourquoi cette inquietude ? Elise. Je n'aurais rien a craindre, si tout le monde vous voyait des yeux dont je vous vois ; et je trouve en votre personne de quoi avoir raison aux choses que je fais pour vous. Mon coeur, pour sa de'fense, a tout votre mérite , appuye' du secours d*une reconnaissan- ce oà le Ciel m'engage envcrs vous. Je me reprcsen- te, a tonte lieure, ce perii e'tonnant qui comraen9a de nons offrir aux regards l'un de Tautre; cette géne'ro- site' surprenante , qui vous flt risquer votre vie, pour de'rober la mienne a la fureur des ondes ; ces soins •pleins de tend rèsse , que vous me fites e'clater après m'avoir tire'e de l'eau ; et les hommages assidus de cet ardent amoilr , que ni le tems ni les difficultes n'ont rebuté, et qui , vous faisant negliger et parens et pa- trie , àrréte vos pas en ces lieux, y tient en ma fa- veur votre fortune de'guise'e , et vous a re'duit , pour me voir , a vous revétir de l'eraploi de domestique de mon pere. Tout cela fait cliez raoi , sans doute , un merveilleux effet ; et c'en est assez, à mes yeux, pour me justifier l'engagement oiì j'ai pù consentir, mais ce n'est pas assèz , peut-étre , pour le justifier aux au- tres , et jc ne suis pas sùre qu' ovl entre dans mes seu- timens^ . VERSinCATION FRANfilSE 20'J Réductioji en vers Ouì , vous serez fidèle et je n'en puls douter ; Je home mon chagrin a la crainte du Llàme , Que pourront m*attirer mes bontés envers vous. Valére, De grafce , tannissez cette autre inquiétude. Elise. Si cliacun vous voyait des yeux dont je vous vois Je n'aurais nuls soucis ; je trouve en vos mérites De quoi justifler ce que je fais pour vous. J'ai dailleurs pour appui ma juste gratitude ; A toute heure je songe au pe'ril e'minent Qui nous offrii, d'abord, aux regards l'uu de Tautre, La ge'ne'rosite' , surprenante , lieroì'que , Qui vous fit tout risquer pour m'arracher du sein Des ondes en fureur » et vos soins empresse's Quand vous m'eùtes sauve'e , et l'hommage assidu Que ToLstacle et le tems n*ont jamais rebute' ; Votre sincère amour qui vous fait negliger Parens , amis , patrie , et pour mon inte'rét Vous fait remplir cliezr nous la place d'intendant. Tout cela fait sur raoi l'effet le plus sensible ; A mes yeux c'est assez pour me justifler De notre engagement ; mais aux regards d'autnii Je crains que ces motifs ne soient pas suffisans. . 358 Letteratuha Texte de Molière Valére. De tout ce que vous avez dit , ce n'est que par mon Seul amour que je pretends, auprès de vous, me'- riter quelque cliose; et, quant aux sciupules que vous avgz, votre pere lui ménie ne prend que trop de soin de vous justifier a tout le monde; et l'excès de son ava- rice, et la manière austijre dont il vit avec, ses enfans, pourraicnt auturiser des clioses plus e'tranges. Pardon- nez-moi , charmante Elise , si j'en parie ainsi devant vous. Vous sarez que, sur ce cliapitre, on n'en peut pas dire de bien. Mais enfln , si je puis , comme je l'espère, retrouver mes parens,nous n'aurons pas beau- coup de peine k nous le rendre favorable. J'en at- tends des nouvelles avec impatience; et j'en irai cher cher moi-raéme , si elles tardent a venir. Elise. Ali , Valere , ne bougez d'ici , je vous prie , et songez seulement k vous bica mettre dans Tesprit de mon pere ! Valére. Vous voyez comme je m'y prends, et Ics adraites complaisances qui'il m'a fallu mettre en usage,pour m'iu- troduire k son service ; sous quel masque de sympa- thie, et de rapports de sentimens, je me deguisc pour lui plaire , et quel personnage je joue tous les Jours àvec lui , afln d'acque'rir sa tendresse. J'y fais des progrcs admirables ; et j'cprouve que , pour ga- gner les homraes , il n'cst point de meillcure voic que ■VeRSHICATION fRACAlSE 2%^ Réduction en vers Valére. C'est par mon seni amour que; j'ai quelque merite. Qiiant aux scnipules vains que vous me témoignez Votre pere a pris soin de vpus en affranchir. ^. Son extréme , avarice et sa conduite austère i Envers ses deux enfans me'riteraient bien plus,. Elise , pardonnez si j'en parie si haut. Sur ce chapitre-lk peut-on en dire assez ? Mais , enfin , si je puis retro uver mes parejis , Votre pere , bientót nous sera favorable. J'attends incessamment des nouvelles des miens , Et j'en irai clierclier si le retard s'accroìt. Elise. Non , non: il ne faut point que vous parti ez d'ici. Non : songez seulement a captiver mon pere. Valére.. Vpus étes le te'moin des efforts de mon zèle. Qu'il m'a fallu de soins d'adroites complaisances Meme pour étre admis parmi ses serviteurs ! Pour lui plaire je prends le masque qu'il faut prendre Je fais de grands progrès , j'éprouve de nouveau Que pour gagner les gens il faut étre flatteur , Adopter leurs penchans , se parer de leurs vices , Leurs maximes louer , eucenser leurs defauts , aGo LetTér atura Texte de Molière de se parer à leurs yeux de leurs inclinatìons , que de donner dans leurs maxiraes , encenser leurs de- fauts , et applaudir a ce qu'ils font. Oa n'a que fai- re d'avoir peur de trop cìiarger la coraplaisance ; et la manière dont on les joue a beau étre visible , les plus fins sont toujours de grandes dupes du cote' de la flatterie ; et il n'y a rien de si impertinent et de si ridicule , qu'on ne fasse avaler , lorsqu* on l'assai- sonne en louanges. La since'rite' souffre un peu au me'tier que je fais ; mais quand on a besoin des hom- mes , il faut bien s'ajuster a eux ; et puisqu' on ne les saurait gagner que par la, ce n'est pas la faute de ceux qui flattent, mais de ceux qui veulent étre flattés. Elise. Mais que ne tàcliez-vous aussi a gagner Tappuì de mon frère, en cas que la servante s'avisàt de ré- véler notre secret ? Valére. On ne peut pas ménager l'un et l'autre ; et l'es- prit du pere et celui du fils sont des choses si op- pose'es , qu' il est difficile d'accoraraoder ces deux con- iidences ensemble. Mais vous , de votre part, agis- sez auprès de votre frère , et servez-vous de Tami- tié qui est entre vous deux , pour le jeter dans nos inte'rèts. Il vient. Je me retire. Prenez ce tems pour lui parler , et ne lui de'couvrez de notre affaire que ce que vous jugerez a propos. Elise. Je ne sais si j'aurai la force de lui faire celle confideace. VeRSIFICÀTION FRÀNgAlSE afit Réduction en vers Les applaudir, enfin, quelque cliese qu'ils fassent i Que l'on ne craigne pas d'outrer la complaisance , On a beau les jouer assez visiblement Les plus fins sont toujours dupe's par les flatteurs: Il n'est rieri de si sot , ridicule , arrogant Qu'on ne fasse avaler au moyen des louanges. Ma loyaute' pàtit , sans doute , a ce me'tler : Mais il faut plaire aux gens dont nous avons besoin. Et puisque pour leur plaire il n'est d'autre moyen , Le tort est aux flatte's et non pas aux flatteurs. Elise. Il vous faudrait tenter de nous gagner mon frère , Au cas que la servante osàt nous de'ce'ler ? Valére. On ne peut manager l'un et l'autre a la fois. Rien n'est plus oppose que le pere et le fìls : Il est bien mal aise d'assembler avec fruit Deux confidens pareils. Mais pour notre inte'rét , Elise , auprès de lui pour tous deux agissez. Il vient . . . et je m'en vais. Profitez du moment- Découvrez de nos feux autant qu'il nous convieni. Elise. Je ne sais si j'aurai la force d'en parler. nOì In morte di' J^ittório Emanuela \ re di Sardegna' CAPITOLO .é.'^V.i.i^i-.A <"jh. li'- " I sacri tronzi col funereo suono , fKi^onPalesano la : morte di quel grande , . ; Che rifiutò^ per sua virtute il trono. E gik'l dolor per la citta si spande : E piangon tutti : e narrano tra'l pianto L'opre di lui leggiadre e memorande. L'un dice : « Oh lui beato ! ei certo al santo » Regno volò con rapidissim'ale , j •; 1) Chiamato dal suo Dio , ch'egli amò tanto. « E gi'a'l vivere avea posto in non cale » Dal dì che seppe qual dura ferita >j Faccia d'ingratitudine lo strale : » E s'era dal suo petto dipartita » Ogni gioia : ne d'alti-o s'allegrava . » Che del pensier de la seconda vita, v E d'altro grida : n Oh qual dolor ne aggrava « Tutti , pensando come candid'era 5> L'anima che'n quel suo corpo alljergava » Perchè salda giustizia , e fé sincera , » E magnanimitate , e cortesia 5) Ivano seco liete in una schiera : » E s\ mirabilmente insieme unia » Le umili virtuti e le sovrane ?> Glie non fu mai più bella compagnia. » Lascia intanto le mura non lontane Di Mancaglieri la fama veloce : L'Jiridan varca , e fra noi si rimane. Versi del Biondi 2G3 Ed odi già passai- di voce in voce Come quivi la vedova regina Giace , ahi misera ! in preda a duolo atroce. Ed al materno letto s'avvicina L'una e l'altra fanciulla , sospirando Tacitamente co la fronte china. Per amor de la madre raffrenando Vanno esse il pianto : ma dal duol poi spinte Prorompono in singulti a quando a quando. Ma entriam ne la gran reggia. Oh come vinte Son qui le genti da tristezza ! e fede Ne fan le fronti di squallor dipinte. L'augusta donna taciturna siede : Piange il Luon rege : e de la eccelsa suora , Che pur piange , a le stanze affretta il piede. Veggonsi : e'I pianto vien crescendo allora : Che ciascuno , oltr'al duol cli'è iie'lor petti , Del dolore de l'altro s'addolora. Stringonsi al seno : e mentre stan s\ stretti Taccion le lingue , e parlano i sembianti ; Poi rompono il silenzio in questi detti: j3 O sorella ! o germano ! ecco , di tanti 53 Che fummo un tempo , siara rimasi soli , 5j Che tutti gli altri se ne giro innanti ! » O anime pietose ! in alto voli Pel celeste sentier la vostra mente-j E in lieta vista lassù si consoli. Ch'ivi vedrete quc'di vostra gente , Ch'amore in nuova vita or ricongiunge , Starsi presso il lor Dio securamente. E udrete un lieto suon venir da lunge , Con voci d'angioletti , che diranno : ?3 Ecco Vittorio che al buon porto aggiunge. » G.A.T.XXI. ^7 ,ar64 Letteratura Qiie'grandi spirti incontro gli si fanno : n Salve , dicendo , o anima felice \ » Se'giunta al fine di tuo lungo aftanno. Ma del ciel la novella abitatrice , Maravigliata di tanti splendori , Molto dicer vorrebbe , e nulla dice. Ed or le destre a gli avi e a'genitori , Or bacia il viso a' cari suoi congiunti : E quasi par che Cleotilde adori. Muovono tutt' insiene ; e poi che giunti Son la dove li porta il gran disio , E l'affocato amore onde son punti , Ei presso il trono de l'eterno Dio Si genuflette , e dice ; n Abbi, o Signore , 7) Abbi mercè del popol che fu mio : « E vogli , per suo ben , lunghissinie ore « Largir di vita al caro mio germano : jj G'ha la tua legge e la giustizia in core, ?> A'suoi detti da presso e da lontano Plaude gioioso l'angelico stuolo Con voci non concesse a labbro umano. Ma parmi ? o suonau voci alte di duolo ? Alii son le stesse che sonavan pria Che fino al ciel n^i trasportasse a volo La forza de l'accesa fantasia. Luigi Biondi a65 ARTI. B E L L E -^ A R T I. Scultura. Adamo Tadolini bolognese. K el mezzo entro al frondoso bosco ideo (i) ?j Un real giovanetto era tessuto , 5j Glie anelo e llero con un dardo in mano 53 Seguia per la foresta i cervi in caccia ; j) E poco indi lontano un'altra volta ?) Era il medesmo dall' uccel di Giove n Rapito in alto ; e i suoi vecclii custodi n E i lidi cani lo miravan sotto , " Quegli indarno le mani al cielo alzando , 5) E questi il muso ed ahbajando all' aura. Non credo di poter dare miglior principio , che recando i versi del gran montavano , alla descrizio- ne di un modello in creta rappresentante Ganime- de rapito in cielo dall' aquila , lavoro del valente sig. Tadolini ' poiché veramente si pare , chi rimira quest' opera , che lo scultore nel porvi mano fosse quasi ispirato dalla musa medesima che ispirò Virgi- lio. Egli ha figurato il giovinetto trojano nell' età di circa tre lustri , con in capo il pileo de' frigi , e nella mano sinistra un dardo come cacciando le fie- re. Tutta la persona sua è quasi librata gopra dell* (i) Eneide liad. dal Caro J. v. •7^ 26G Arti aquila : la quale per poterlo sollevare più facilmen- te , tendendo le ali , gli è fino entrata col collo sot- to del braccio destro. Il garzone , come preso da su- bita maraviglia , ha il viso rivolto verso il grande volatile die già lo innalza : e questo il vezzeggia e rimira con amorosissima compiacenza. Il cane da caccia gli giace a sinistra : ed essendo forse sul far vezzi al padrone, lo guarda con una mossa natu- ralissima di sorpresa levando il muso. Tutto il gruppo , di grandezza poco maggiore del naturale , è operato con una delicatezza e sem- plicitk veramente greca. Perciocclib l'aria del viso di Ganimede è cosi dolce e soave , clic ti gode 1 ani- ma ad osservarlo ; le parti del petto e tutte le mem- bra sono condotte con sapere anatomico da maestro; e vere dici le pieghe del manto , e vivo quel ca- ne COSI leggiadramente atteggiato. Quindi perfettissima n'è l'armonia; e le grandi ali dell' aquila in un col braccio sinistro del giovane e col cane (userò questa parola dell' arte ) piramideggiano l'opera a maraviglia. Si è altre volte parlato del signor Tadolmi in auesto giornale: e con quel grande onore che meri- ta- avendolo fatto un uomo ch'era sommo maestro m giudicare di belle arti , ciob a dire il cava i ere Giù- seppe Tambroni di sempre cara e veneranda memo- r a.^Quindi non aggiungerò altro intorno questo esi- ^l no discepolo del Canova , se non ch'egli fa passi Tanti verso quel segno dov' è l'ultima pei ezione defr arte, e che si mostra degno non meno del suo fnVmortale maestro , che di Bologna sua patria e del nome italiano. Leopoldo Simccoli. aG' VARIETÀ* Elogio delV abaie Luigi Lanzi , scritto daW ah. Q. B. Zrtn- noni regio antiquario nella J. e R. galleria di Firen» te, 8. Firenxe 1824 > dalla tipografìa di Attilio Tofani . ( Sono carte 22. ) ■L'uigi Lanzi ex-gesuila tu lale per altezza d'Ingegno e per «oavllà di costumi , che il suo nome vivrà sempre onora- to nella memoria degl' Italiawl. Egli tu , come lutti sanno , il gran padre della lingua e delle anllohità etrusche , egli il di- llgentlssimo Islorico dell' Italiana pittura , egli II gentil tra- duttore delle Opere e Giornate d'iisìodo , della Bucolica di Teocrito , e delle poesie caste di Catullo : sì che levando chiara fama dì se non solo per Italia , ma fuori , venne stima- lo deg^no di seder pari fra il Visconti e II Marini . Quindi Tuoi darsi lode al celebre sig. ab. Giambatlsla Zannonl , che abbia con quest' elogio ricordalo sì nobilmente I sommi pregi di lui e come letterato e come cittadino e come ecclesiastico , e reso un bel tributo di onore e di gratitudine al suo im- mortale amieo e maestro. Il palatino d'Ungheria , no^'clla d'antico codice ora per la prima volta pubbli cala. H, Firenze nella stamperia Piatti 182^ ( Sono pag. 24- ) «-uesto è uno scherzo del sig. marchese Gargallo , Il quale essendosi provato d'imilaro I modi e la lingua del certaldese, Jia voluto fare una gentile sorpresa agli amici , e specialmen- te al sig. marchese Trivulzio , a cui dedicalo è lo scritto. E' Tcraraenle l'autoce ha sì bene usato il dire del Boccaccloj, da trarre quasi In Inganno i più esperii nello stile e nelle ope- re di quel sommo. 208 Varietà* Il eli, Cancdllcii , nome sempre a noi caro , avendo fatld reslaurare la casa di sua abllazione , ha posio sulle pareti iiell* adito il seguenlé distico : ,, Sum Francisci Cancelllerii, f, O iitiiiam celebrar fidis ego semper amicis , „ Parva licet nullo et nomine darà domus. Vt K'ila Vineenlii M. SLramhii episcopi ^nOMNHMATION i itemqtie inscripliones prò cenolaphio et funere instaurato ejusdem , auctore M'uhaele Ferruzzio rethore seminarii maceràtcnsis. - 4» Maceratae aiiìin 1824. ex officina cov-i tesiana. ( Sono cari, :j4' ) JL.CC0 l'elogio d'nu veiicràLilc vescovo , che in questi tempi ha onorato grandemente la cliiesa colla mansuetudine , coli' umihà , colla dottrina , e colle altre virtù più belle. La sua memoria sarà sempre nella benedizione de' posteri : e in Ini potranno specchiarsi coloro che Iddio fa degni di governa- re le cose spirituali de' suoi fedeli. Tutta fior d'eleganza è questa operetta latina e italiana del sig. Michele Ferruzzi , siccome sono sempre le cose svxe : ne la brevità ha più nociuto al suo alto argomento che nocesse a Cornelio Ni- pote quando narrò le imprese de' maggiori uomini della Grecia. Cosi , per esempio , dice egli a cari. 4 • >> Sacer- „ dos factus summo iuvandorum studio percitus labores suos », egregie In eo positos arbitrabatur , quod utilitati et salu-' fi ti esse quamplurimis intelligeret. Quapropter divinitus illi ,, tidelur obligisse , ut in ea tempora Iiiciderit , quibus' i, Faullus a Christi Passione , vir venerabilis , enixe molie- „ batur , ut iàmiliam suam certis legibus iisqne saluti aeter- ,, nae hominum proeurandae perquam utilibuf conslitueret. j,, Itaque se socium In primis dedit Faullo , qui tantum vl- i, rum sibl a Deo , uii praeoptaverat , missum laetatus est: », nam probe norat firmlssimum se In eo praesidium inrenis^ Varietà* aGc) j, se , quo consilium suum maiori felicitale exsequerelur i „ Aguomcn el Inter sedales a s. Paullo fult. Eiilmvero Vln- », centlus ab ipso novi Inslltutl tirocinio Paulli expeclallo^ „ nem longc longeque 5uperavlt : nam cura el demandata „ sacrarum expedltlonum obeuudarum , qui per certos diés, „ omni rerum cura ablecta , ànimorum conformatlonl unlcé ,, studeui , mirum ! quanta sernionum eius àuctorllas apud „ unlversos fuerit. Quo munere fungeus complures Italiaé ,, urbes tieragravlt j ubique acceptissimus et cum uberrimo ,, populorum iruciu. Erat la eo cbrisljanae catccheseos ru- ,, dì plebi explanandae eximia soUertla, quam quldem quuirt k, oris diclionisqué suavltas augeret , ànimos omnium culus- ,, cumqtié generis in sui reverenllam et arnorem rapiebat. A pag. i4 il sig. FerruziI scrive così: Quam enirii pott" tìfex maxivius se mitius habere ceplsset , ad F". kal, ìan. f^incentius pranditurus apoplexl correplds est i Ora noi noti potevamo già credere che una cosa sì strana In buona lati- nità . coitte sì è quésto pranditurus, tosse caduta mai nel- la mente di sì cullo scrittore : e già la davamo intera al poco esatto tlpograib. Ma vedasi bel candore dell'animo del Ferruzzi ì Egli ce ne parla slnoeraniente così In una parti- colare sua lettera : ,* Spero che abbiate IrìcevutO Telogio e „ lo iscrizioni da me pubblicate per monslg. Strambi j spe- „ dilevi forse da un mese. Leggendo II primo vi sarete oc- ,, corso liei gravissimo errore st'uggllomi alla pag. 145 prati^ ,, dilurus In luogo di pransUrus. Certuno avrebbe voluto at- ,, irlbuire questo svarione allo stampatore , come se I povc- „ ri stampatori dovessero oggidì oltre a tante loro colpe ,, vestirsi pur di quelle degli scrlltorl. Quidquid delimnt re- ,, ges , plectuntur acldvi. Ma pochissimi , credo , avrebbero ,, menata buona una tale scusa , e più a' giorni nostri , in „ cui la critica t al dire del Monti , non ha occhiò che pe' „ difetti. Io però vi contesso apertamente , che quello è er- ,, rore mio ; e quando vi cadesse in mente di ricordare nel ,, vostro giornale tali Inezie , rompete pure II sigillo della ayo Varietà* ,, confessione che ora vi faccio per lettera . E che vale II ,, dissimularlo ? Siamo uomini , amico mio , e per questo ,, non dobbiamo tenerci intiallibili. ,, Oh quanti pochi sono coloro che pensino così come il sig. Ferruzzi ! E quanti per- ciò potrebbero anche far senno una volta di questi savi e magnanimi avvisi ! Ne (li minor grazia e purità Ialina sono le setto iscri- zioni che seguon» il pìccolo comentario ; delle quali que- sta è la 5ecouda ; Sùpra portar» templi. HOWOHI • ET . VIRTVTI VINCENTII . MARIAE . STRAMBI SODALIS. . PAVLLIAKI . A . CHRISTI . PASSIONE PONTIFICIS . NOSTRI . PER . ANNOS . XXHI VIRI . STVniO . R£LIGIONIS RENEFtCENTIA • AVCTORITATE • SACVNDIA OMNlVra . ORDIKVM . OBSEQVIA . ET . AMOREM . PROTVIERIT» QVEM . MENSE . ANTE PONTIFICATV . ■".'I.TRA . ABEVnTEIVI COMMVNI . DESIDERIO ; PROSEQVVTI HEV . PRIMO 4 INEVNTIS . ANNI . DIE ROMAE . SVBITA . MORTE . ABREPTVM . LVXIMVS PARENTEM . PVBLICVM » ANTISTITEM . INTEGERRIMVlVt tVSTA . FVNEBRIA . SACRI . SEMINARLI QVOD . IS . TESTAMENTO . HEREDEM . SCRIPSIT "Memoria sulta traspirazione pidnionare di D. Paoli sacro- corrispondente della I. e B, aecadtinia de' georgofili di Firenze , della R accademia delle scienze di To^ Tino , deW accademia di scienze ed arti di Marsiglia , della società fondatrice delle scuole d'insegnamento re- ciproco di Firenze , dell'ateneo veneto ec. 8. Pesaro presso Annesio JSobili 1824» X arlercmo noi volume avvenire di quest' opera scritta da un ehiaristimo cavalier pesarese ^ nostro collaboratore , al q-iale ci V A R 1 K T il* 371 legano da tanto tempo i vincoli più «inceri di gratitudine e d'amicizia. NECROLOGIA DEL i823. L anno i8«5 è «tato fatale a molti chiarissimi uomini, che onorarono le belle doUrine e l'Europa. Quelli di che fin qui abbiamo avuto notizia , sono i seguenti. - In llalia, Carlo Veni , D. Gaspare Mollo , CarrAurelio Bossi torinese , Pie- tro Guadagnoli , Pietro del Verme, Salratore B rovelli , Glam- balisla Gennaro Grossi d'Arce, il giupeconsulio Onofrio Ta- glioni , Salvatore Gallona comeniatore del Vico , l'agronomo GIo. Batista Gagliardo , il maestro Salleri , i pittori Giani e Fidanza , e l'attor tragico Paolo Belli Blaues. - In Frctn- cia , i generali Carnot e Pomereul, I cavalieri Peyre , Berlaud, e Chaussard architetti del re , Lemery maestro di matemaliche di ISapoleone nel collegio di Brienne , lo scultore Gols , il pittore Georget , Charles e Breguet membri dell' instilulo, G oujon , il conte Lambrechls , il chirurgo Teodoro Ducamp * Il celebre cantante Garat , il giureconsulto Pietro Giovanni Aoler , e Antonio Andrea Bruguiere barone di Sorsum. -- In Inghilterra, il doit. lenner , scopritore della Tacclnazione * il grande anatomico Matteo Balille , Il medico Aikin , lord Ersklne , I malemalici Carlo Hulton e Gugjiemo Lambton , il celebre attor tragico Kemble , il dott. Macnab , la signo- ra Radcliife , e I poeti Roberto Bloomfield e Guglielmo Co- ombe. — In Isyagna , Tab. Llorenle , e II padre Francesco Gonzalez domenicano. — In Portogallo, Il celebre Correa de Serra; — In Isvizzera, il geologo Escher de la Llnth e il botanico Alberto Haller — In Ollanday II famoso fisico e matc- mlco Van - SwInden. — In Germania, Il poeta Enrico Au- gusto Gersiemberg uno de'veterani della letteratura tedesca» il drammatico Werner, il gran medico Luigi Formey , Antonio. Eberhard , e II consigliere ecclesiastico B uscii d'ArnJiadl li» jRussia , Il maestro Steihelt. 272 V A RIE T À.* Polizie sopra l'orìgine e L\iso deW anello pescalorio , e de- gli altri anelli ecslesiastici ec. raccolte da Francesco Can- cellieri. Roma. 1823. 8. (Un voi. di pag. 88.) JSolizie isloriche delle stagioni e de'' sili diversi in cui sono stali tenuti i conclavi nella città di Roma ec. raccol- te da Franèesco Cancellieri. Roma 1823. 8. (Un voJ. di pa§. ài 3.) S Suo due le operelle del eh. sig. .nbale Cancellieri che noi ora aiinunciurao , e tulle e due sono piene di quella prodigiosa erudizione , che ha già fatto celebre II nome dell' autore non in Italia solamente , ma ancora oltremonte. Contiene la prl- tàà niòlte notìzie suU' anello del pescatore , anliclilssimo si- gillo dei papi , e sugli altri anelli papali , vescovili , car- dinalizi , abaziali ec, sulle céremonie ^ ed altre cose che ap- partcugonò ai cardinali. Volle dedicarla ali' eminenllssimo sig. cardinale Zurlat > vicario di nostro signore : e ben si con- Teniva à questo porporato una tale oti'erla ; corno a quello che è maèstro In Ogni maniera di letteratura , e sommo pro- tettore di buoni studijt Una lunga ed erudita annotazione al- la lettera di dedica intorno a'pregi della nobilissima famiglia Zur- la di Cremai ,' fa sempre più credere dettalo di veraf filoso- fìa roraziano Fórtes óreanlur fortihus. Molle erudiiioni nuove e peregiine si trovano nel corso di questo librette* j le quali verranno forse in grado agli aman- ti degli sliidr diplortiallci ; specialmente dove si parla degli anelli che serviroaoi di sigillo ai papi onde rendere auten- tiche le bolle e i brevi , ed ancora per cliiudere le lellera privale. Com'è pare altri trovcrii piacevole alcuni racconti , fra i quali no:t ha certamente lulllmo luogo quello del ca- po V. dove , coir occasione dell' anello delle badesse, si fa la noria dello sposalizio de' vescovi di Plstoja colle bades- se del monastero dì s. Pier Maggiore di quella elttà nel- la prima eiKfali^ ch'ei ii faceva. Polche appena giunto II V A R I E T i.* ì^3 prelato era condono in chiesa , dorè trovava apparecchia^ to un letlo in che egli si assideva, e poi ricevendo alla sua sinistra la badessa , la quale con tulle le sue monache , ef- fracto claustri muro , era pur venula in chiesa , le ponevai nel dito un anello prezioso , ed in mano il pastorale ; e ciò fat- to n'andava a casa sua , tornando la badessa e le monache nel loro claustro . Finita la funzione il vescovo riceveva Ili dono dalla badessa quel letto tutto fornito. Il Cancellieri ha riunito in un sol putito quanto di rrieniotabilé ci è limaso in- torno à questa curiósa cerinionla ; e ci racconta come nel i532 rarcivescovo Buondelmonti sposò s»Ienuementc la badessa suor faola de' Carducci j e come poi dà papa Gregorio XIII fu abolito quest' uso, essendo stati gli ultimi sposi l'arcivescovo Alloviti , e la badessa suor Brigida degli Albizi ipag. Si.) j\eir altra operetta ci dà la stòria di molti conclavi » in ispecie di quelli accaduti nella stale : per mostrare come non sia mai avvenuto In essi alcun sinistro caso di epide- mia , E qui fa molle aggiunto a quanto avevaosservato il Lapi nel suo libro sopra l'aria di Roma nel là stale. Quin- di viene ai fatti particolari deli' ultimo conclave , descri- vendoci eon tuUa esattezza il luogo dove fu celebrato, ed enumerando tutti gli emlnenlìssimi cardinali che lo compo- sero. Chiudono il libro alcuni epigrammi ch'egli , esercllan* do presso remlnenza del 5Ìg. cardinale [Rusconi l'onoreroJè carico di dapifero , compose per giocondo sollievo di quet jforporaio. L. S. Grande anatomia del Mascagni," JMlccolò Capurro fa noto a lutti gli studiosi e professori del- la scienza salutare , che secondo le promesse del Prospet- to del 3o giugno 1822, dentr» lo scorso anno fu da lui* pubbllrato II primo fascicolo dell' opera intitolata: PA.ULI MASCAGNI, ANATOMIA UNIVERSA, XllF". tabidis aeneis juxta archelfpum lioniinis adulti accuratissime ^74 Varietà' repratsenlata, dehinc mh exscessu autor is cura ac studio ea, Andrae Vacca Bevlinghieri , Jacobi Bavzellolli et Ioannix Hosini, in Pisana universitate professorum absoliUa attfue edita. Questo fascicolo è comporto della prima figura iiiLìeradel corpo umano , sulla proporzione presa di un'uomo di tre brac- cia. Questa figura esibisce la parte anteriore e superficiale del corpo umano , toltone il legamento ; e perciò i vasi sangui- gni arteriosi e venosi , i nervi , ed i muscoli del primo stra- to. Dessa è contenuta In tre grandi tavole , che possono ira loro facllmenie innestarsi. Ciascuna tavola è in caria velina di Fabbriano , di un braccio e due terzi di larghezza , e un braccio ed un quarto di altezza. Altre due tavole della stessa carta , altezza e larghezza , ac9ompagnano le tre indicate , )e quali contengono nj figure di dettaglio alte ad illustrare la figura intiera. Tutte queste tavole sono corredate dalle respeltive con- trotavole , delle stesse dimensioni , e tirale nella jnedesima carta velina. La malerla In esse designata con lettere , e numeri , vie- ne illustrata e spiegata In latino in 16 logli di stampa in car- ta pipale , a due colonne , e Impressa con caratteri nuovi di Dldol. Un bel fronlespizio coli' Intaglio del monumento cretto al grande anafomico autore , a spese del benemerito sig. Giu- lio del Taja , nella famosa librerìa del duomo di Siena , ador- na Tatlanie delle (avole. Si raccomanda quindi questa grande anatomia , non so- lo agli studiosi etl ai profcssoil dell' arte salutare , ma ezlan — dio a tulli i bibliotecarii, rettori di spedali , e di stabilimen- li d'Isiruzione pubblica e privala. Può asserirsi senza timore , esser dessa la j»iù utile e più completa che oli'rana gli an- nali della scienza salutare. Giova ripetere , per lume di tutti, la dichiarazione della famiglia Mascagni , resa pubblica colle slampe , e data dal Ca- stelletto sotto il dì 24 aprile 1822. Varietà* 2^5 ,, Gli eredi del fa prof. Paolo RIascagnì j dietro la sen- ,, lenza proferita dalla compélenle autorità , in data de' i5 di ,) aprile di questo anno 1822, deducono a pubblica notizia, ,, che gelosi dell' onore e della gloria del celebre loro pa- 1, rente , non Iian credulo di poter meglio alfidare lutto quel- ,, lo che il prelodalo professore lasciò della grande opera „ ANATOMICA , quanto nelle man djl sigg. cav. Andrea V'ac- ,, Ci Bcrllnghierl , Giacomo Barzellotli, e Giovanni Rosinl , ,, professori nella universilà pisana , ai quali hanno vendu- ,, lo lutti i disegni, tavole incise, e MSS. lasciati dal prof. ,, Paolo Mascagni ; cedendo e trasferendo ad essi tutti e sin- ,, goli i loro dritti ; e dichiarando falso , apocrifo , e sur- ,, rettlzlo quanto della suddetta grande opera anatomica da ;, ogn' altro venisse pubblicato , fuorché dai suddetti profes-. 4, ri Vacca , Barzellotli e Roslni. NiccoLA Mascagni Tuirlce. Girolamo Mattei Contutore, Per assicurare ai compratori la realtà dell' acquisi® di que- sta grand' opera , gli editori suddelli hanno conlrasegnate le tavole tulle con bollo formato colle iniziali dei loro cognomi. Se ne trovano degli esemplari esposti presso i sigg. Giù- seppe iVlolliù , iNiccolò Pagani in Firenze , al mio negozio in Pisa , e nelle altre città dai principali libraj. Ogni fascicolo tirato in nero , compreso il lesto delle 11- luslrazloni e spiegazioni , Vendesi al prezzo di franchi ^z^ì e le tavole colorite al vero , franchi ?8o. > Osserva Zini :\Ie le or alogiche falle aWrt Specola del Colle §•• Born. 1 1 Fehbrijo 1824. MATTINA GIORiNO SERA 1 Barometro Teriu. Igr. Barometro Terra. Igr. Barometro Tena. Igr. 28 l I 3 0 42 3 28 0 0 6 0 47 8 28 0 8 2 4 42 0 3 28 i 0 0 0 26 8 28 0 9 5 3 5o 6 28 0 6' 1 46 3 27 1. 8 I Q 22 2 27 II 6 5 1 54 2 27 11 6' 1 3 45 :. 4 28 0 ò 1 0 5o 2 28 0 4 5 4 54 8 28 2 0 1 0 27 2 5 28 2 2 1 0 24 2 28 2 0 6 2 54 3 28 1 9 3 q 53 8 6 7 28 2 3 l 1 4i 2 8 3 28 2 6 8 4 52 1 32 8 28 2 2 6 T 5 4i 3 4r"3 28 2 5 4 6- 28 3 1 8 3 28 3 5 b 28 4 0 3 8 42 0 28 3 0 28 4 6- 9 4 57 3 28 4 7 5 7 53 6 .9 28 4 4 i S 46 0 1 1 2 65 2 28 4 4 6 3, 3 1 • 28 3 8 1 6,33 y 28 3 6 8 8 53 5 28 3 1 4 8 -il 0 1 I i8 2 7 i 6 34 8 28 1 6 10 0 53 2 27 11 8 5 3 1 1: i3 27 10 b a 5 5 0 i3 0 3y 1 ny IO 8 12 0 57 1 4o 0 27 11 5 7 8 8 2 48 .. 42 3 28 0 0 27 11 9 9 « 27 11 4 '4 27 8 9 3 - 24 3 27 8 8 12 6 4» 4 27 8 2 10 4 32 3 1 5 27 8 7 i3 2 4b 3 27 9 0 i4 2 47 3 27 8 4 12 7 49 3 i6 27 7 b 11 6 47 3 -7 7 1 i5 0 52 1 27 6 9 10 5 33 1 !;• 27 6 2 9 4 3» 2 27 « 8 10 9 42 2 27 7 8 7 5 21 2 lij '7 9 J^ 7 5 8 6- 20 3 3o 2 27 IO 5 ÌO 0 37 1 27 11 5 7 2 2Z) I 44 0 27 n 7 27 1 1 5 11 3 35 2 27 10 8 9 » -" 27 8 28 0 8 «1 2 4. 2 27 9 8 « 9 22 2 27 11 0 8 2 -7 3 i 1 4 9 8 10 3 28 0 9 10 0 37 •?, 28 1 1 8 5 3o :. ::3 28 1 28 0 6 ff 6 i5 5 28 1 4 11 7 34 0 28 1 1 8 q 23 3 7 9 0 »q 2 28 0 4 11 0 20 <> 28 0 2 9 5 i3 2 •^5 28 0 - 8 0 5 4 28 0 2 12 2 35 2 28 0 0 9 9 4 237 01 5 :ì7 11 2 6 8 8 ■^^ 4 27 IO 7 12 2 4o 3 27 9 1 27 7 8 ' ff 27 2 27 7 2 10 2 24 0 27 7 5 9 2 18 3 ^^ 27 8 0 9 0 lo Q =773 ì3 0 4o 4 27 6 q 7 8 2| 2 -!J '7 7 ci 10 0 3i 0 27 7 9 12 7 39 4 46" 3 27 10 8 9 8 37 i|| -y 27 10 7 8 0 23 4 27 10 7 i3 0 27 IO 4 10 3 37 2 Osservazioni Me ter eologiche fatte ajla Specola del Colleg. Rotn, JFebbraj'o 182 4* ' 3 MATTINA GIORNO SERA Meteore StMtO Kva- j Stalo • Stato ' — ^^ — '^'^ . 0 5 del por. 1 Vento dei Cielo Piog. Ven to del Vento Cielo I Cielo S' 0 5:; ira. i s. tra, 2 s. ira, 1 m il- /;•«. J s. gr.le^', j s. tra. 1 m £;elo 3 •»• i 2D tra, 1 tu s. tra, 2 i, ■ //■'.. 1 ni gelo 4'- 2 0 tra, i ju s. tru, 2 s, i-ra, i i?clo 5 -f. ^rrt, j i. tra. i II. p. s. ir.jr. 0 ^elo S 0-. /A «. 5 1 10 0 a-£/./«ij.o s, ri. lei', 0 II. fra, 0 7 u. ^/•tz. 0 II, p. s. gr,ltn', 0 6. tra, i •r. p. n. i 0 iTit. t i'. ira, i s. iru> i n» 9 1 0 ■f. 1 0 5'v. 0 i. tra, 1 •s- p. 11. ira, 0 «. 1 3 '/'. ma. 0 II, tra, l '• r- "• ir, gr, 0 1 1 s, p, u. 0 5o Ira, 0 •s. p. 11, po.Lib, 0 S. p. li. mez, 0 i ICS s, p. II. i 10 /'. ma. 0 .?. p. Il, tr,ma. i va. i. II. II. p. s. po.lib. 1 S' p. II. 1 0 ira.ma.o II, mez, i luc.Lib. 1 m .'4 s. u. i q me.su-f 2 ■s. p. Il, >.ir. 3 i' p. II. me.sir.l ,5 S. W 4 1; iiie.sir. 3 s. ìu sir, 3 Il, me, sir. 3 i6 17 u. p. s. 5 5 3S 20 ine.sir. 3 II, 7 52 me,sir,3 Lib. i lu II. Il, me. sir, -2 fu me, sir, i piog. 9.2 ,8 '9 s. p. ti. i 0 po.ma. 0 S, p. II. Il' P' s. 4 io4 f)o,ma, m •s. p. II. po,ma. 1 piog. 2. 1: JO mc.siì-, i o oo8 me.sir, i II. inetsir.o .0 il. 4 20 mc.iir. 2 II. 2 i32 me,lib.o II. me.sir. l piog. g. 2. net. • ^1 s, p. n. i 5 i/'' H» I 0 S'C i u. 1 lofi me2. 1 n. le\f, I piog. 2. e piog. 2.9 ■7 S. p. II. 2 3 po.inu, m i* 4 072 Poli, \ II, Le^.sir, X ^S S, p. II- i i« i-ra, i ni . ' II, r.ma, ni 1, p, n. ir, ma,o io St - 0 ra, r.i U ra, in n. ir.gr, 0 1 — 1 1 Tabella dello stato del Tevere , desunto dall'altezza del pelo d\icqiia sull'orizzontale del jnare, ossen>ato air Idrometro di Ripetta , al mezzo giorno. ÌÈ Febbrajo 182 4» GlOKM. METRI . PALMI ROMjUSI OSSERVAZIONI. 1 5, 85 s6 0 ■ 0 i, 89 5, 78 26 il 3 25 10 3 Altezza massima 8,20 4 5, 75 a6 8 4 6 5, 74 25 8 1 6 7 ^' 79 5, 77 25 1» 0 a5 9 4 Altezza minima 5,70 8 b, 70 25 b 0 9 5, ò'9 2^ 5 2 10 11 5, 7' 5, 72 25 6 3 a5 7 1 Allctza media 6,10 12 b, 70 25 t> « i5 5, 7' 25 6 5 i4 5, 7- 25 Ci 5 i5 5, 70 25 ò' 0 iCi 5, 70 25 ò" 0 *; 5, 80 25 il 5 i8 6, 25 25 11 5 '9 6, 62 27 9 0 20 6, 5o 27 1 0 ai 6, Ì>2 29 2 i 22 6, 46" 29 IO 4 20 6, 40 28 7 4 24 6", 5o 28 2 1 25 6, i4 27 5 4 26 7, i5 01 II 0 «7 b-, 79 00 4 s 28 8, 20 £682 29 6, 80 ^0 5 0 279 SCIENZE Considerazioni medico-pratiche sulV uso delV aconi" to napello^ presentate dal sig. prof. Valeriano Lui" gi Brera , e inserite nel tomo xix degli atti del- la società italiana delle scienze ec. Modena^ 1832. E. Sunto. esporremo in poche righe quegli avvertimenti e ri- flessioni che spande l'impareggiabile A. intorno ali* enunciato oggetto. Se si contempli la storia medi- ca relativamente all' indole dei fatti , nei quali non si vide di felice successo destituita la prescrizio- ne dell' aconito napello, come quelli di Stoerk , Col- lìn , Regnold, Greeding , Rosentein , Tode, Fritze , e di altri esimii pratici , non vediamo emergerne che alla eccitante o alla antieccitante riferir si possa la dinamica proprietà di questo vegetabile. Siamo d'al- tronde ammaestrati dall'analogia, che virulenta e irri- tativa congetturar si possa l'azione di essa pianta; guidandoci a tale assertiva gli effetti riscontrati nei bruti , quelli osservati da Wepfer e da Scopoli, e quel tanto si ebbe a rilevare nei due assassini condan- nati alla morte in Roma nell' anno i524 sotto il re- gno di Clemente VII. Risultando poi dall' analisi di Rcinhold contenersi nell' aconito napello il vero e pretto fosfato di calce , potrà giustamente inferirse- ne che irritativo-chimica esser debba la verace azio- ne di esso somministrato per medicamento. E sidco- G.A.TXXI. 18 :è8o Scienze me per testimonianza di Stoerk , con le cui espres- sioni avvalora le sue idee il sig. consiglier Brera , vengono allora a sanarsi col mezzo dell* aconito le varie morbose affezioni , quando una crisi si ma- nifesta alla cute in grazia di pustole rubiconde ri- piene di umor acre , da molestissimo prurito accom- pagnate, e dalla desquammazione dell'epidermide be- ne spesso susseguite : cosi a tale osservazione ag- giungendosi l'idea della celerità somma con cui l'am- ministrazione di questo farmaco viene dai preloda- ti effetti contrassegnata, non ripugna il conchiudere elle nelle pertinenze del tessuto dermoideo vengo- no principalmente a spiegarsi le irritative proprie- tà di esso , estese poscia per antagonismo ai reni ; e che la fisico-chimica azione di questa sostanza con- sista neir attaccare direttamente l'assimilazione or- ganica dell' indicato tessuto. In sostegno di siffatta presunzione concorre il profitto dell' aconito nel trat- tamento della sifilide , poiché l'azione fisico-chimica di lui si avvicina cosi a quella dei conosciuti an* tidelitescenti* Nel discenaere quindi l'esimio A. a contemplare nel fatto pratico l'azione del precitato vegetabile , di eccellente presidio la riconosce ove debbasi toglie- re la cresciuta innormale attività , e somministrarsi a,ir assimilazione un indispensabile materiale qual si e il fosfato di calce. Eminentemente proficuo riesce perciò nelle malattie di fondo reumatico , nelle qua- li (in grazia principalmente della decomposizione del fosfato calcare, cli'è un composto si essenziale per la normale conservazione delle parti solide dell' umano organismo ) sviluppansi gli effetti di una assimilati- va degenerazione nei varj tessuti. Di egual profitto tiesce altresì nelle cutanee morbosità di origine con- tagiosa -t come quelle che partono da un avanzo cel-» tlsO dell' A-CaNITO NAPELLO 38 l- tìco o da un peculiare contagio ; non che negli er- peti, nella tigna, ed in altre che sotto Timpero di al- cune circostanze acquistano il carattere delle malat- tie contagiose , e nelle quali sembra l'aconito posse- dere in grado distinto l'antidelitescente proprietà. Nel porsi però a contribuzione l'estratto di qne- sto vegetabile ( di cui dee sempre preferirsi quello che cresce spontaneamente sui monti ) Conviene impiegarto un mese all' incirca dopo la sua preparazione , pos- sedendo in epoca più recente una proprietà virulenta anziché medicamentosa. Che se venga egli serbato in vasi chiusi e collocati in luoghi asciutti e freddi , potrà mantenersi in possesso delle sue medicinali fa- colta per lo spazio di otto in dieci mesi , riuscendo invece ineflicace ove abbia oltrepassato questo tempo, come inutile pur si mostra ove sia stato prepa- rato a gran fuoco . Potrà sotto tali condizio- ni prescriversi alla dose di un grano a due da principio , e gradatamente portarsi iino ad uno scru- polo due tre o quattro volte al giorno. D'altronde se abbiano a prendersi di mira tutte quelle circostanze , nelle quali il guajaco , il mercurio , lo zolfo , l'anti- monio , o altre preparazioni consentanee al carattere dinamico dell' infermo venissero contemporaneamente indicate per la natura delle superiormente enunciate morbosità :; l'estratto di aconito potrà esibirsi o solo , o combinato alla tintura guajaclna spiritosa in una mi- stura , ovvero ridotto in pillole ed unito al mercu- rio , allo zolfo , o all' antimonio , ovvero ( trattando- ^ si di quest' ultimo ) disciolto nel vino antimoniato dell* Auxham. Loda finalmente nelle accennate affezioni cu- tanee associate alla condizione dinamica ipostenica la famosa essenza di aconito proposta da Keup, ed enco- miata da Kaempf nella sua opera àegV infarti glan- 18 * iàa Scienze dulosi) la cui forinola crediamo qui trascrivere (t) ; t la cui dose è fissata da 30 a 5o gocce in conve- niente veicola. TONELLI. Della Jlogosi nelle febbri intermittenti perniciose , lettera di Francesco Puccinotfi al prof, Giaco- mo Tommasini ec* Urbino , i823. K Estratto. el presentare il sìg. Puccinotti in questa lettera alcune sue osservazioni sui processi flogistici delle febbri periodiche perniciose, stabilisce primamente, die- tro l'esperienza, il bisogno clic ancor vi è di fissare nella cura delle perniciose un metodo analitico, avver- tendo nelle medesime occorrere numerose complicazio- ni che perfino ne oscurano il morbo essenziale, e che se uno solo è il modo di ovviare ai periodi della feb- bre perniciosa , non è uno solo il modo dì curarla. Fra tutte le complicazioni però riconosce egli la in- fiammatoria come la pii!i trascurata dagli odierni me- dici , come la più frequente , e come la piiì fecon- da di maggiori e piìi sinistri accidenti. La qual pro- posizione volendo pria d'ogni altro corroborare colle autorità dei principali scrittori delle febbri pernicio- se , incomincia dal riferire la sentenza di Lodovico » ■ Il I ■ ' .1 II. ■ (i) R» Herb. aconii, pulver. une. semi» ftflund* hi Liquorts anodyn. miner. Uoffm. uncia una fijgcre loco frigido, crebiius contulicndo yiirum , et filtra. FlOGOSI NKLLl FEBBRI INMÌCITIT. a83 Mercato sulla utilità che nella cura di esse ricava- si dalla emissione di sangue a tempo istituita ed as- sociata air uso simultaneo di altri rimedj evacuanti ed antiflogistici : rammenta i precetti di Riccardo Mer- ton , il quale con la maggior parte delle sue istorie conferma la necessita ed il profìtto del salasso nelle febbri peiniciose : e dopo aver riferito l'opinione del Restaurando, che scagliatosi contro l'abuso dei purga- tivi, premette la flebotomia all' uso della corteccia , passa all' esame dell' opera dell'esimio Francesco Torti. Ne deduce il N. A., che nel commendar le cautele da non obliarsi per rettamente istituire il salasso , nota intendesse egli di escluderlo , avendovi anzi fatto ri-^^ corso nella perniciosa dissenterica , in alcune pernia ciose subcontinue , ed in alcune letargiche ; alle qua- li cose aggiunge le autorità di Lancisi e di "VVerlhof relativamente al salasso. Discende quindi a contemplare come fra le cau- se delle perniciose nell' agro romano ed in altri luo- ghi caldi una delle principali e delle più dirette , ol-^ tre al miasma paludoso , sia la insolazione , la quale siccome può talvolta produrre la encefalitide , cosi può altre fiate essere causa eccitante delle pernicio- se, ed in queste generare o non lievi flogosi , o alme^ no principi o disposi^.oni alla medesima flogosi. Lo che conferma con l'apparato fenomenologico di alcU" ne perniciose e specialmente delle tetaniche e delle epilettiche , non che con le marcatissime tracce flogi- stiche da esso lui riscontrate in alcune rachietoraie lungo la spina e lo speco vertebrale. A queste os- servazioni aggiunge, che l'alterazione del sistema epa- tico portata ad uno stato flogistico, l'aUerazione del tessuto dermoideo susseguita da caratteri reumato-flogi- sjici sotto alcune circostanze, sono le iroraplicazioni che senza interdire l'uso della chinachina , esigono la fle-i fcotomia ed altri rimedj secondari d'indole antifloj^ìstic».. 284 Scienze Non òmmette poi l'A. riiivesligazione tll altT<» particolari cause , oltre le genericlie di già indi- cale , per dedurne la complicanza infiammatoria nel- le febbri perniciose , riducendole alla serie dei se- guenti titoli , cioè ; I.* gli errori profilattici ; 2.° // temperamento ; 3.° le malattie J/ogistic/ie ai>a?iti sof- fert€\ 4*** l^ Jliissiojii o gV ingorghi dei visceri che possono avvenire tanto nello stadio del freddo che in quello del caldo ; 5." V azione speciale del mias- ma sopra un viscere dotato di massima sensibi" lite):, G.° // metodo di accoppiare alla corteccia al^ tri farmachi sommame/ite riscaldanti ; j.^ la cor- teccia somministrata nel parosismo ; S.** P irritazione biliosa , e gastro-elmintica. Non terremo dietro ad ognuna di esse ; e perciò essendo facile a cono- scersi , come il N. A. intenda provare la genesi del- la flogosi per l'abuso dei liquori spiritosi , come possa questa agevolmente accendersi nel tempera- mento sanguigno-bilioso , come in quegV individui che abbiano altra volta sofferto affezioni flogistiche , o nei quali le ostruzioni medesime de' visceri chi- lopojetici assumano una pii^i o meno grave condi- zione di flemmassia associandosi alla periodica affe- zione ; sentiremo dall'A. medesimo la spiegazione del processo flogistico che avviene per flussioni o, in- gorghi viscerali. » Nello stadio del freddo febbrile ?> esiste uno spasmo nel sistema dei nervi cutanei, 5) il quale si comunica a'vasellini contigui , talché » pare che questi solidi prendano un reale movi- » mento centripeto o retrogrado , onde anche il san- » gue rigurgiti nelle cavita interne, A ridare l'or- si dinario movimento a questo fluido e ai solidi , w insorge la energia vitale , e determina il secondo >» stadio , cioè quello del calore ec. Ma sotto que- FlOGOSI NEILK febbri INTERMIT. a85 n stì alternativi movimenti morbosi infine si debi- ?> litano le viscere interne e quella energia di con- 3> tro-operazione , talchi le Jlussioni che in esse si 5> fecero durante lo spasmo centripeto non sono più. « rimesse in circolo , e agiscono come stimoli pre- » paratorii di uno stato infiammatorio. E se ciò av- j) viene quando la febbre ha cominciato benigna , j) ed "k poi passata in perniciosa , tanto più sark 7» facile che avvenga quando già fu perniciosa nei 5> primi accessi ; imperocché nelle perniciose è già. » noto esservi sempre sproporzione tra quelle due » forze centripeta e centrifuga , che caratterizzano 5) il parossismo delle febbri periodiche.» (pag. so. ) Sono a lui di sostegno gl'ingorghi sanguigni di cui parlano in tale incontro Harveo e Boneto , non che le notevoli raccolte di sangue strava sato che il N. A. rinvenne nella stessa cavita del cranio degli estinti di perniciosa algida; la quale ultima osservazione ne- croscopica riferisce egli essergli stata pur conferma- ta per assertiva del prof. Giacomo Folchi (i). Al (i) In buona pace del N. A. slamo qui In dovere di ay-i venire al nostri leggitori l'equivoco In cui egli è caduto re- lativamente a questo punto di necroscopica osservazione pa-=. tologica» Assicura il eh. sig. prof. Folchi non essersi giammai impegnato in somiglievoli indagini ; e perciò non avendo giam^ mai sezionato cadaveri di persone estinte per lebbre peraicio- sa algida non poteva al sig. Pucclnottl comunicare un'asser- zione di tal natura. Dovrem credere pertanto , che venga qui nominato per equivoco il proli Folchi in cambio di altro in- dividuo a cui realmente spetti la enunciala asiertiva di rinve- nuta raccolta di sangue stravasato nella cavità del cranio sotto la indicata circostanza. Di tali Inesattezze in rilèrire le *ltru;j verbali asserzioni abhiaitìo pur altro recente esempio nel ira» ■à^S S e l K N Z E «he aggiunge il sig. Pucciuotti la osservazione » tU » una perniciosa diaforetica , quale dopo il secondo » accesso si mutò in itterica , nell'altro seguente ac- 3) cesso l'itterizia apparve un melasittero , e sotto que- y> Sto accesso mori . L'apertura del cadavere ofM w nel basso ventre tutto il sistema della vena por- 7> ta turgidissimo di sangue , il quale si era in tan- r> ta quantità infiltrato nel fegato, che questo visce- » re presentò tutt'i segni di una pletora. » Troviam dipoi interressante l'avvertimento di lui in propo- sito dell' abuso clie si fa del connubio dei farma- yn^e medicai en Italie ec. del sig. doUor Valeulin. Egli aven- do inleso iiarrargllsi dal eh. sig. prof. De Matlaeis nella scuo- la clinica di Roma , che : i morti più numerosi si debbono „ alle pleurilidi , o polmonee mal curate nei primi giorni , .,, appunto perchè i poveri contadini o abitatori delle campa" f, §ne assaliti da siffatti morbi e trascurando i salassi nel ,, principio del male per V infelice loro condizione , erano ,, condotti nei nostri spedali a morbo inoltrato , vale a di" ,. re nel 4 o 5 giorno di malattia ed aache più tardi , ,, senza essere stati salassali anteoedentemente , in una pO" „ rola , quando la malattia aveva fatti progressi tali da „ non trovar più riparo sifficiente negli slessi salassi Mi" 5, lissinii in principio ( pag. 2^5 fascio, di agosto 1822 del- la Uiblioieca ilal.); auribul lu vece allo slesso sig. prof. De Malthaeis l'asserzione di doversi al metodo di trar sangue nel- le pleurilidi o infìainmazioni di petto la rnortali(ù del ^5 per 100 nc'gr infermi di tal inalaltia ricevuti negli spedali di Koma. Se non che nel caso prejente del sig. dott. Puccinpt-* ti potremmo anche con cristiana carità immaginare , che i} riferito equivoco appartenga ad errore tipografico , tanto più che altro ben rilevante ne osserriatno alla pag. ii, ove ci di« ce , che il Lancisi abbia scritto Tepidemia deUa l'ebbri perni* •»«!• ili Roma d«]r eftat« e àelV autunno nel 1796. FlOGOSI NBLLE febbri INTERMIT. 387 cìii Stimolanti con la cliinachina , non escluso nep- pure l'oppio , con la mira di eritare o frenare la diarrea , la quale anche dietro la sentenza ch'ei ri- ferisce di Giuseppe Frank non è serape nociva. E quantunque non intenda il N. A. risolvere la que- stione sulla facoltà stimolante o controstimolante del- la corteccia , pur volendo spiegare perchè a tenore delle autorità di WerlhelF, di Semac, di Selle se ne possa permettere Tuso in alcune circostanze nel tem- po del parossismo fehrile, deriva egli dall'abuso di questa pratica le varie successioni morbose che han- no talvolta luogo nella cura delle perniciose , com'egli confessa averle riscontrate nel trattamento delle al- gide e delle sincopali. Sviluppata così per le indicate ragioni la gene- si de' processi inflammatorj nelle febbri pariodiche , discende a dimostrare , come tali processi flogistici o accompagnino talvolta le prime accessioni delle perni- ciose , o si producano e si manifestino durante l'an- damento della perniciosa medesima , o si appalesino dopo troncati i parossismi , ed inducano certe parti- colari morbose successioni. Esempj della prima spe- cie riferisce avvenir quasi sempre nelle perniciose ce- falalgiche , letargiche, appopletiche, frenetiche , catar- rali , pleuritiche ec. , il che conferma con le osser- vazioni e i precetti terapeutici di Morton, di Torti , di Werlholf , di Strak , di Galeazzi , di Borsieri , di Bacherò , e degli attuali chiarissimi peofessori dell' istituto clinico romano. Nella seconda classe ripone alcune altre perniciose , fra le quali asserisce trovar- si non rare volte le emetiche , le dissenteriche , le coleriche , le coliche , le isteriche , aggiungendovi il peso delle osservazioni del Borsieri , di HofFmanno , del Torti , de] Comparetti , l'avvertenza di Frank il seniore , e le proprie osservazioni dall' A. fatte ncU' 388 S e I E N Z K. ospedale laterano sotto la pratica di quei'; slg. me- dici primarj. Passa quindi brevemente in rivista le mor- bose successioni delle intermittenti perniciose , e con alcune autorità, con qualche necroscopica osservazio- ne e con l'indole dell' usato trattamento terapeuti- co si studia comprovare che quei morbi successivi ten- gono un fondo di un genio flogistico : lo che as- serisce di aver più estesamente rimarcato nel secon- do libro della sua istoria (a). Ne qui han fine le considerazioni del sagace ]N. A., il quale sebben lontano » com'egli dice , dal ri- guardare la flogosi come essenziale delle febbri pe- riodiche , pure non si arresta in congetturare che quest' accidentale complicazione (sotto un grado alme- no di minore intensità) risiede bene spesso nell' al- gida , nella sincopale, nella diaforetica , nella cardial- (2) Islpria delle febbri perniciose di Roma desili an-^ ni »ii?ì*Q. 1820. 1821, tcritla da F. Puccinoui ec. Di questa ì$torIii.V la cui tavola dei capitoli resta annessa alla lettera di cai lav.elllamo , è uscito fiuqul alla luce II solo pri- mo volujrne. Sappiamo per allro , che l'A. in altre lodevo- li cure iropegna.10 ritaidò la pubblicazione del volume secon- do , il quale è prossimo ora ad essere di comune diritto. Tale istoria ha meritato onorevoli suffragj dall' esimio sig. consig. Brera , il quale ne! §. XXII delle lastilutiones medicinae pra- tticae ec. ( di cui abbiamo presentato un estratto nel tascicolo precedente del nostro giornale ) parlando dei precetti del tomolo Torli sulle febbri perniciose , conchlude , che la dot- trina di queste febbri „ nostris temporibus Comparetli ac Ali^ ,. berti tludiis, reecnlioribn^^He ,Puccinotli obsen'alionibus in „ majus ariis tniolumentiim -perbene fuit ilUmlrata. ,» ( pag. 60 voi. I. ) FlOGOSI NELLK febbri IXTERMIT. sSc) gìca ad onta del languore nei poteri vitali. L'aspet- to di qualche morboso fenomeno , come del senso di avvamparsi delle interne viscere , il profitto dell' uso esterno del ghiaccio e dell'interna pratica dell' acqua gelata , sono per esso i peculiari argomenti convin- centi della emessa assertiva , a cui accresce non lie- ve peso il singolare risultato di una sezione di cada- vere spettante ad una donna estinta nel secondo ac-^ cesso di una perniciosa sincopale. Convalidata finalmente la presenza della compli- cazione flogistica nelle perniciose in virtù delle ca- daveriche osservazioni del Lancisi e dello Spigelio, non che degl'indiz] varj di flemmassia rinvenuti dall'A. medesimo , guidato da diversi argomenti e ragioni si mostra egli di avviso , che queste flogosi splanchi- che sieno l'effetto di una partecipazione o irraggia- mento di una flemmassia di primaria esistenza nello spinai midollo ; potendosi » beii provare con fonda- mento che la condizione patalogicoflogistica di tutti quei sintomi^ che letali si associano alla interiniti tenie e la rendono perniciosa , esista nei nervi e originariamente nello spinai midollo onde ai detti nervi e delle cavità e delle estremità si propaghi. « Agevole di ciò ne emerge la spiegazione dei sinto- mi tetanici delle perniciose letargiche , epilettiche ec. per una flogosi della midolla spinale ; dei sintomi delle perniciose sincopali , asmatiche , pleuritiche ec. per una flogistica affezione dei plessi cardiaci , pol- monali; dei sintomi delle subcontinue emitritee , co- liche , subcruente ec : per effetto di una flogosi dei plessi addominali comunicata immediatamente al sì^ siema della vena porta epatica, Dal complesso però di tutte le idee nella pre- sente lettera esposte ne conchiudc l'egregio A. , ch'egli «ou intende con ciò fornire nuovi fondamenti al 290 S e I E N I E vitalismo moderno , o mostrarsene seguace , giudi- cando anzi appalesar con esse la debolezza di co- tal sistema. » L'essenza delle perniciose , racciden- tal complicazione Jlogistica in alcuna di esse, raso commendato spesso di una terapia empirica e ra- zionale insieme , saranno sempre fatti quanto in- co?itroi>ersibili , altrettanto colla odierna patolo- gia dinamica incompatibili , e m,ostreranno la ne-- cessità di ristabilire la medicina italiana unica- mente sulla patologia analitica. » Tale si è l'opuscolo del sig. dott. Puccinotti, sagace e valente scrittore , già cognito per altre sue produzioni , ma piìi meritamente per la sua Me- moria sul processo Jlogistico ce- Ci auguriamo ver der prestamente compiuta la istoria delle pernicio- se già menzionata superiormente , onde conoscere con esattezza le osservazioni da lui fatte nell' enuncia- to triennio* Per debito però del nostro istituto , e per serbare immune dalle giuste accuse di chiunque la nostra imparzialità , non possiamo tacere , che alle idee emesse dal sig. dott. Puccinotti in questa let- tera potrebbe applicarsi alcuna delle obiezioni ap- poste dal eh . sig . Fenoglio nel fascicolo di apri- le 1823 degli Annali universali di medicina del sig, prof.Qmodei xn occasione di aver reso conto dell' ope- ra di Mongellaz ( Essai sur les irritatians Inter-' mittentes , ou ìiouvelle theorie sur les maladies pe^ riodiques ec. ) , il quale dietro le traccio del sig, Broussais ritiene le febbri periodiche come un pro- dotto di azione irritativa molto affine alla infiamma- zione di cui ne forma la base. Nel fascicolo di ottobre del perduto anno dell'EP- femeritti letterarie di Roma venne inserita un' an- notazione del sig. dott. Ottaviaui alla divisata let-? ,tera del sig. dott. Pwccinotti. Ivi il medesimo £r» Flggosi nelle febbri intermit. agr le varie oltraggianti ricriminazioni a carico di di- versi individui , emette pur delle querimonie contro il Pucc inotti per alcuni titoli : ma rimetteremo vo- lentieri siftata quistione ad altro tribunale onde ivi ne sia ventilata la causa , e rivelar si possa al- tresì , se abbia il sig. Ottaviani assiduamente usato dal canto suo la più scrupolosa diligenza perchè altri non osi ritorcere contro di lui le istesse ram- pogne. Per quello poi che spetta alle imputazioni con- tro di me , quantunque il silenzio sia veramente la pili onorevole l'etribuzione da compartirsi a qual- che classe di scrittorelli; pure in riguardo alla mia Me- moria sulla insussistenza del contagio tisico , memo- ria scevra affatto di meriti , a pubblica persuasiva rispondo , protestandomi di non voler prendere più mai la penna in avvenire contro il sig. Ottaviani ad on- ta di qualunque provocazione di cui voglia essermi egli generoso . Rispondo , dissi , ohe non mai pel detto mio lavoro ho richiesto a veruno scienziato , o ad alcun editore di opera periodica encomj e plausi; cosicché , avendone ricevuti da molti per aver vit- toriosamente combattuto il ricordato contagio , deb- bo unicamente professarmene tenuto alla loro com- piacenza : che se ho taciuto di nominare il De Caro- lis , e il Nardoni , gli opuscoli dei quali già cono- scevo , non ho taciuto per arrogarmi su tal ge- nere la primazia , a cui non ho giammai mostrato di aspirare ; tanto più che ho citato il voto autorevo- le dell' archiatro Saliceti anteriore nei domnij pon- tificj alle stampe del De-Carolis e del Nardoni , avendo il Saliceti scritto nel 1786, il De-Carolis avendo stampato nel 1788 , ed il Nardoni avendo pubblicato nel 1791 la sua lettera al dott. Gabrielli di Assisi con cui ebbe controversia. — Se poi dopo la teoria della triplice divisione delle febbri pe- 392 Scienze riodiclie da me tanto accarezzata j abbia io scritti^ sull'uso del solfato di cbiiiina nelle intermittenti , rifletta il censore , che le mie osservasioni sono sta- te fatte nella stagione estiva ed autunnale , do- ve secondo gli scrittori della precitata divisione re- gnano quasi generalmente le febbri iposteniclie. — « Mentisce d'altronde il sig. Ottaviani asserendo , che io nel produrre l'estratto delle lettere del sig. Spal- lanzani abbia portato a cielo le poetiche lettere del fisico di Reggio; poiché, serbando il contegno d'im- parzialit'a» ho palesato liberi i miei pensieri ancor contro di lui in varie circostanze, ove ho creduto che il linguaggio del eh. autore lo esigesse t del che lascio che facciano testimonianza i leggitori che senza precipitosa prevenzione ben intendono l'i- dioma italiano , come mostra non averlo compreso il sig" Ottaviani a pag. 170. 176. 179. (nota) voi. xxix del glorn. arcadico, a pag. 291. 393. 298. voi. xxxiii a pag. iG. voi. xxxvii del nominato giornale. ——Che se avessi lo talova raccolto per usarne nei miei roz- %[ scritti qualche dottrina delle gik da me disprez- zate della teoria del controstimolo , non arrossirei già; poiché professandomi seguace della medicina eclet- tica , posso ben ricusare di soscri vermi a quel che mi sembri erroneo , e trascegliere qualche principio con- sono alla mia opinione. Che anzi , qualor fossi con- yinto della sodezza dei principj della nuova dot- trina , non esiterei a curvare profondissimamente la cervice ad un tal simulacro da mane a sera. Ah ! che non è egli questo il contegno |da te- nersi dai medici , se schivar si voglia T onta ed il disprezzo dei popoli ai quali si dee porgere soccor- so , se sfuggir ne piaccia lo scherno delle nazioni che fan plauso a queste lizze nelle quali niun bene de- iiVA alla scienza, mentre rivalità si accendono fra gior- FloGOSI DELLI! febbri INTEIVMIT. 3'r)3 nali e giornalisti. Si assuma invece piiì onorevole im- pegno , e si dia concorde la mano a dissipar le te- nebre dei sistemi. Ma se vogliansi le opere altrui squit- tinare per sceverarne gli errori, sia questo unicamen- te lo scopo da aversi in mira , senza giammai spar- gere il detestabil veleno della invidia e della maldi- cenza verso gli scrittori ; si cribrino pur le opere a prò della scienza , ma non si oltraggino gli autori ; si trascuri lenocinio di grazia e di seduzione nello stile , e soltanto si usino robusti e convincenti ragio- namenti atti sempre a squarciare il velo dell' ignoran- za , ma non con la mira di schiudere a se stesso una via alla distinzione ed alla celebrità, ToiTKLU. De antagonismo et de nietaschematismo per pustw lationem artìficialem excitato. Dissertatio inaugu- ralis qiiam ad medicinae laiiream in caesareo re- gio archi gymnas io patavino rite assequendam die .... kal. sept. aru 183 3 una cani adnexis thesihus puhlice dejendit Franciscus Cortese tar" visinus* Patavii , i823. Estratto* JL-ìi plausibilissima costumanza di rendere onore- volmente pubbliche le inaugurali dissertazioni dei candidati in medicina ci ha arricchito , e ci arric- chisce ognora, di apprezzabili lavori. Fra le molte che hanno figurato nel perduto anno 1823 nella C. R. università di Padova , una ne abbiamo del sig. Francesco Cortese , il quale assunse a difendere al- 394 S e I E N 3Ì E cune tesi relativameate all'antagonismo ed al me- tf schematismo (rt) indotto mercè d'una postulazione ar- tificiale. In un brevissimo proemio intende l'A . di far conoscGrre , che ad onta delle altrui jattanze sul primato di questa foggia di medicare introdotta , non si debba, a gloria del celebratissimo prof, consigl. Brera , del clinico istituto di Padova e dell' Italia intera , tacere , essere stato posto a contribuzione in- nanzi l'opera del defunto lenner il linimento stibia- to ( meno che nelle manìe ) , come ne fan fede l'au- reo Commentario del menzionato prof, sulla tosse convulsiva , la cura di un angioitico nell'istituto cli- nico di Padova nel 1821 , le osservazioni del dottor («) Varj sono stali gli scHllorl sì antichi che moderni sul inetaschematismo , come giova conoscere esallamente no' Pro- legomeni clinici del sig. consigl. Brera ( pag. g3. voi. i ) . Ma nel T»rio significato , con cui venne inlesa presso di yucUi sif- fatta successione morbosa, in vista specialmente delle varie de- nominaEioni con le quali venne distinta , riferiremo cioccliè il aig Brera stesso ne senti unit'oimandosi alla opinione adottata da Hufeland e dalla massima parte dei moderni , e dedotta dil vero significato dalla toc* greca ^itid/ì/ corrispondente alla latina IraniformaLio , per intendere sotto il vocabolo di metaschematismo il cangiamento di azione morbosa per cui in- sorge una forma di malattia diff'cuenle d.Ua prima. Sono ,, "*<»- lallie secondarie sorte per melascheinalismo l'idropisia che succede alla sGttrlatliiia ; la canvarsione della cardialgia in epilessia , della tisi in demenza ; delle impetigini repentina^ mente sanale ii* mania , in amavrosi , in asma , in paralisi , in spasmi, della menorragia in leurroièa, delV emoftisi nella febbre elisa , delle /ebbri inttrmiltenti in morbosi ingrandì-^ menti dei visceri addominali ec. ,, Brera j 1. oil» pag. 84 » «ola. ( 11 Compii. ) De AltTAOOXISltO EC. >2(>5 Tonclli inserite nel primo volume dell'anno 1818 dei nuovi commentar] di Brera , e quelle dell'i 11. Fe- iioglio enunciate nel primo voi. degli annali univer- sali del sig. prof. Omodei dello scaduto anno i8a3. In tre parti divide quindi il suo lavoro : iu parte fisiologica cioè , patolagica , e terapeutica. Nel- la prima, dopo aver premesso alcune nozioni sulla forza vitale , sulle azioni e reazioni delle parti , sul- le facoltà peculiari dei diversi tessuti nervoso mu- scolare membranaceo e celluioso , ne fa comprendere i vincoli del legame simpatico e le relazioni dell'an- tagonismo. E rilevando consistere la simpatia o nel- la medesimezza di struttura o nell' analogia di fun- zioni o nell'influsso dei nervi , acconciamente ne de- sume come per l'azione di una causa si perturbi m un istesso organo l'azione e la reazione delle sue parti pel disquilibrio in cui si pone l' azio- ne dei varj tessuti di quest' organo. Cosi per le leg~ gì di reniso dell'animale antagonismo la cute , cli'è un organo membranoso vascolare e senziente , agi- sce assiduamente in modo antagonistico con gli al- tri o senzienti o vascolari o membranacei. Glie di vero il continuo scambievole reniso delle forze ani- mali fra i sistemi fra gli organi e fra i varj tes- suti di un organo istesso è una legge , dalla na- tura impressa all'organismo. Gbe pai le parti tutte soggiacciano ad un sifFatto ordine di alternanti azio- ni e reazioni , senza moltiplicarne per documenta gli esempi , basta l'esame dei movimenti del cuore. li manifesto pur anche un tale antagonismo nelle funzioni tutte degli organi , allorché ( per tacere al- tre considerazioni ) vediamo che una classe di vasi non può so vr aeccitarsi a deprimersi fuori degli or- dinar] limiti senza che ne insorga in foggia inver- sa un perturbamento nelle altre. E siccome si può G.A.T.XXI. j(j 3f)G S e 1 E y 7 E questo antagonismo vmivctsalmontc rilevare nelle for- ze elio spellano alla facolfa motrice , ed in quelle che alla facoltà sensitiva appartengono ; cosi agevol- mente riesce di ravvisare nel sistema muscolare e nel nerveo quella successione di eirelti or descrit- ta pel sistema vascolare in un con mille altri fe- nomeni che dall' istesso antagonismo derivano. Anzi inerendo alla giustissima partizione del sistema ner- voso in due centri , quello cioè che proprio si ri- conosce della vita organica e l'altro della vita ani- male , incontransi in ambe le specie di diramazioni nervose continui fenomeni di antagonismo, il qualer pur anche ha luogo fra le indicate specie medesi- me di nervi motori e senzienti : lo che egregiamen- te comprova l'A. con varj fisiologici e patologici argomenti che chiara luce dift'oudono nel soggetto che tratta. Discende egli in seguito a contempla- re sotto questo aspetto la cute, dalla cui succinta de- .scrizione anatomica aceonciamenle desume quanto at- tivo sia in dello organo T antagonismo fra le sue paYti , il polmone , il tuho gastro-enterico , le vie uropoietiche , il fegato , la milza , l'encefalo , e le membrane o mucose o sierose o fibrose , adducen- do in sostegno dell'assertiva convincenti prove trat- te non solo da vai] esempj fìsioiogici e p.ilolugici , ma sibbeiie da una certa analogia e simigUauza di funzioni , come nel polmone e nei tessuti mem- hranacei. Nella seconda parte , ch'c la ])atologLea , rico- nosce primamente due specie di efTetti derivare dal perturbato equilibrio dei movimenti antagonistici ; l.Cum sese axnliat (leprimitvc scries ncliuiiwn rea- ctioniimque in organo qitod affine sit alteri jani si- tili li ter af/ècto ; 2. C/ini eadeni series sese pertiir- bitt cotitru oc J)rinia inurbi sedes. V associazione OsSF.RVAirJOXI MEDICO-PRATICHE 2C)n direna ili Darwin ha luogo nel primo caso , e la i-iveisd 11(^1 secondo , ed am])edue coinprendoiisi nella deiioiuiiiazionce di (intngimisnio patologicu.A. (luesto ce- nere di condizioni morbose riferisconsi quelle d'wier- stenica diatesi ; meglio però appartengono (pielle di condizione irritativa, le quali sebbene all'anzidetta diatesi associate , pur presentano in un viscere o in uu organo qualuiKjue sommamente necessario alla vita un centro d' irritazione . In tali casi egli e che non lo stabilirsi in una esterna parte del cor- po un punto d'irritazione , perturbasi salutarmente il morboso processo delle interne parti , e vi(;nc da (piestc rimosso , avvenendo cosi il metaschema- tismo , il traslocameuto cioè d'irritazione da un pun- to deli' organismo all' altro. Spiegando quindi l'A. come le leggi del metascliematismo da quelle dell' an- tagonismo animale sostengansi , dimostra come insor- ga nelle malattie esantematiche il metaschematismo per 0[jera della istessa natura , egualmente che in varie morbosità d'indole infiammatoria , qual ci si offre tut- to di nei reumi, nelle ai'tritidi , e nelle infiammazio- ni dei visceri. Siffatto traslocameuto di azione appa- risce più chiaro nella infiammazione di una paroti- de che si dissipa al nascere di una flogosi nel te- sticolo dell' istesso lato ; ed evidentissimo si ebbe a rilevare dal dottor Tonelli nella ricorrenza epidemi- ca di pleuritidi e peripneumonie a gastricismo asso- sociate ; le (piali dall' undecimo al deciniouono gior- no si risolvevano mercè d'una eruzione miliare e talvol- ta al vajuolo somigliantissima insorta nel torace e nell' epigastrio (/^), come in lluxham , in Borsieri ed in (i) Commcnlarj del cav. Brera , Kuggieii , e Caldaai i\i Vl£ anno i8i8. •9* sgS Scienze Frank se ne leggono registrate le osservazioni ; ed è stato altresì rilevato nel clinico istituto di Pado- Ta in un infermo affetto da epatalgia con febbre len- ta e consuntiva , e sudori colliquativi ; il qual indi- viduo prestamente risanò dopo la eruzione di un esan- tema pustoloso nel destro ippocondrio.Evidente quin- di emerge con tai documenti il profitto del metodo antiflogistico in quelle circostanze : i. Ubi de/lectere necesse sit processimi phtogisticum sive lentum^ si- ve acictuni ; a. Uhi opus sit hamoreni quempiam mor^ hosuin revocare , et evacuationis punctum determi- nare , quin multwn individuo damnum inferaturi, 3. Ubi in una nervoruin sphaera ea existat perturba-' Ho ^ ut partis unius sensibilitate concitata , morbo' sa alterius actio omnino tollainr- Ed a far compren- dere il meccanismo della utilità di motodo, assai plau- sibilmente si distingue l'A. nel delineare l'azione di una qualsiasi potenza morbosa in turbare l'equilibrio fra le azioni e le reazioni del sistema arterioso o di una parte di esso , e molto impegno usa in descriverne i varianti consecutivi efTetti , fra i quali non tace la sovrabbondanza di ossigeno nei luoghi dalla flogosi assaliti. » Ubi existit prvcessus phlogisticus, eojer- tur major oxjgeni copia , sive hoc ex motibus mor" bosis , sive ex causa prin.a horum motuuni effcctri- ce consequatur. Hinc ^ si in sphaera vasorwn superio~ rum priticipium hoc affinai , ad inferiorem revoce- tur oportet , excitata in externis corporis partibus phlogose artificiali^ quae vel twn profutura videtur cum haec afflaentia in sphaera media sese manife- stet^ ohorta in sphaera inferiori contraria perturba- tione M (num. XVII). Ne minore il vantaggio che l'A. ci dipinge conseguirsi da silTatto metodo nelle lente flo- gosi, meno le circostanze di una insorta labe organica, come quelle delle tisichezze couclamatc, delle iuvcc- De antagonismo ec. apr) cìiiate durezze del fegato e della milza, della epatiz- zazione dei polmoni , |o altre condizioni morbose di simil genere , dove , aiiJ^ichè proficuo o inutile , rie- sce anzi nocevole il metodo rivellente: Cum exigua illa subtrahatur vis quae adhuc superest ad reagen- dum cantra stimulum non jiatiiralem. Massimo poi è il profitto che ivi leggiamo ritrarsi con un tal regi- me curativo in altre benché gravissime morbosità , co- me ad estinguere le ordinarie rimanenze di lente flo- gosi nelle pluritidi , pneumoniti , encefalitidi, perito- nitidi , epatitidi , angioitidi già trattate con le sottia- zoni sanguigne ; cosi nelle affezioni catarrali , ne* varj flussi cronici , dove o non conven gono o noce- voli talvolta riescono i salassi e gli astringenti; co- si negl' ingorghi o attivi o passivi ; cosi nelle artri- tidi e nei reumi ; nelle circostanze di doversi blan- dire i dolori nelle parti che ne sono bersagliate , o di eccitare l'attività dell'encefalo, o di raffrenare la vio-* lenza dei movimenti spasmodici, a simiglia nza di quan- to avviene nelle asmatiche affezioni e nella pertosse. Dalla cognizione delle leggi è forse derivato il pen- siero dell' uso del linimento antimoniale, siccome dall' applicazione di varie caustiche sostanze o del fuoco istesso nel ballo di s. Vito e nella epilessia, ha trat- to foyse lenner l'idea di porre a contribuzione nell* emer.jfenze di furiosi delirj e nelle manie le fregagio- ni con la pomata stibiata (e). (e) OlUe le osservazioni di lenner comprovanti l'utilità di simili contricazioni nelle manie ec. , abbiamo ancora una in- teressante analoga Istoria nelle Annolazioni medico-pratiche sai risidtamenti conseguili dall' uso della pomata stibiattt ee . in- serite nel fascicolo di novembre iBaJ del nostro Giornale %\~ tu 9 nota, ove riH. sig. Touelli dimostra il «lecito jMofitlo clie ne rilrasse. ( Il Uom^Il. > 3oo S e ì E. y 7. r. Diluculate così con maestrovolc iiulustrid le ri- trite nozioni clisceiicìe l'A. alla partn terapciUica , e parlando dellcr vario foglie visitato per istituire la con- tro-irritazione , ripone per varj 4^iasti motivi nella pnstulazionc artificiale indotta dal linimento emeti- co le condizioni del metodo^ di medicare il più cvi- «eneralmente raccomandati nella medesima. Ma sarammi permesso di domandare all'Ottavia- ni qual è il fine che si è proposto ne'suoi scrit- ti sulle moderne mediche teorie .? È quello per av- ventuia di persuadere i medici tutti ad abbraccia- re le nuove massime, oppure l'altro di farsi te- nere pel Noè della nuova medicina italiana, e riputai'si ei solo degno di av€r posto nell'arca di salvazione ? Non gli appongo il secondo , perchè so che egli è sano di mente, e che i suoi talen- ti non possono permettergli di • abbandonarsi a cosi strana debolezza. Mi attengo per conseguenza assai volentieri al primo ■, il quale altronde per ehi re- puta vere le proprie massime è fine nobilissimo e perciò degno dal sig. Ottaviani. Se dunque è cosi , come non dubito , per qua- le maravigU osa vertigine , ponendosi egli in aperta contraddizione con se medesimo , discende ora a vi-r tuperare il Puccinotti , perche vinto alla fine dalla verità delle nuove dottrine , abjura le ipotesi clie per lo innanzi Io vincolavano , e si getta con si- curezza e fiducia nella via dall' Ottaviani calcata p da lui stesso delineata con lusinghieri colori , on- de alili non abbia a dubitar di smarrirvisi ? 3o6 S e I K N Z K L'annotazione del sig. Ottaviani risponde , che per lei si fa chiaro più della luce del giorno , che ninno de' supposti motivi fu quello che il mosse , ma un giusto risentimento nel vedersi defraudata dal Puccinotti la gloria de'proprj sudori : e però non può non essere commendabile la premura di riacqui- starla (i). Io per altro dichiaro francamente che lo splen- dore di questa luce non giunge ad abbagliarmi al segno d'indurmi a credere , die il nostro autore , pieno di sagacita e buon senso , voglia maledire in altri le proprie colpe , e che veramente creda di buona fede esser tutto quello che ha scritto di tal natura da farlo vivere , carne egli dice ^ alla po- sterità. Vediamolo. (») Polendo il proletsoT Tommaslni moslrare a ragio- ne contro BroiusaU qualche risentimento , per aver questi j>ubbliei(e alcune massinae sulla teoria dell" infiammazione cliie da lui erano state assai prima esternate , senza neppu- re nominarlo ; invece ecco la maniera urbana e modesta alla quale il Tommasini a se rivendica il proprio. >» E come t, neir epoca in cui io pubblicai posleriormentc alcuni miei ; lavori , nn'quali mi fa duopo parlare della natura deirin- », flammazione, io ignorava Fopera da lui pubblicata ^ cosi ,, pens'ie eh' eg{i quando produsse il suo lavoro nel i8oiJ t, ignorasse » principj da me esposti nel i8o5 nella mia ,. opera sulk febbre americana. Piacenti, perehè conforme aU ff la opinione che io ho drgli uomini grandi , il pert- „ sare cìie Broussait , non meno che il suo sostenitore Four- ,^ nier , ignorassero la pubblicazione di quella mia opera e f, lo spirilo delle massime già da me annunziale ; e gio.- „ -wa somma'mcnte il pensarlo a persuadenni vieppiù inlor-T „ no aEa verità della massima &Ìcsm., Risposta ad OxTAviAPfi 307 Inclina egli a credere che le febbri intermit- tenti sian di natura stenica , e che la china sia do- tata di azione controstimolante : ma con ciò non viene ad insinuarci nulla di nuovo. Il celebre Ra- sori, distruttore de'vaneggiamenti browniani: scrisse fin dal 1800: Che le intermittenti sono general- mente infiammatorie^ o partecipanti (Tindole infiam- matoria {2). Il professor Tommasini ripetè lo stes- so nel i3o5; ed inseguito , avanzando sempre più il passo , abbattè la massima della diatesi astenica nel- le infiammazioni , ed escluse affatto le feb])ri di de- bolezza. Ecco come egli si esprime nel suo trattato della febbre continua: » E quale altra materia po- » Irebbe più di questa impegnare i patologi ed i » pratici, se non vha quasi malattia , come dichia- j) rai quindici anni sono (3), e come confermai con » sempre maggiore convincimento nella mia prolu- (2) Rasori Sulla febbre petecchiale di Genova. ,, lo ho ,f curato le irtterniiLlenli steniche col solo metodo debilitan- „ te , vale a dire purganti , bevande aquose, dieta ec; Ed in ,, altro luogo:,, Uno de'più cari tiViiiei allievi giovane di gran- ,, di speranze nell'arie nostra • Il dottor Bucclnelli , sono „ parimenti pochi giorni che ha l'ellcemente trattale due ft iniermlltcntl quotidiane col metodo debilitante , Tuna In „ una donna gravida , 1' altra In un uomo robusto , e „ questa priucipalmente era distintissima ne'suol periodi di ,, freddo , di caldo , e di sudore : l'ammalalo ha sopporialo ,1 dosi considerevoli di controstimoli , ed è guarito ' prosta- «t mente e senza ricaduta , benché abbia tralasciato di far f, uso dc'riraedj appena che si è trovalo senza febbre, (5) Cioè 14 anni prima che il dottore Oiiaviani scri- vesse che le febbri iutermiltcnli sono di natura sltiùca^ 3o8 Sci E N Z E »j sioiie alla nuova dottrina metlica (4)i ^c non v'ha, n diasi , maltftt/'d (/unsi nenia o cnnùCa ^ che sta w sopvatluilo l'EBRILE (-)), che. da qualche iiijiain- t) inazioìie non dipenda? Stabilita dunque la stenia neMe febbri , par chia- Ta l'azione della peruviana corteccia. Stimolante no , pèrche sarebbe in contraddizione colla diatesi stenir ca delle periodiche : dunque conLrostimolante. Il ce- lebre Raniazzini ,rn tempi in cui il sig. Ottaviani non era sicurantente al motido, scrisse: ?> Glie la cor- 7) teccia peruviana nuoce in quelle malattie , nelle » quali la fibra ha bisogno d'essere eccitata , e gio- 3> va all' opposto di conserva cogli antiflogistici in ?) quelle costituzioni epidemiche , nelle (piali sono no- n civi gli eccitanti ed il vinoi ?■» Tommasiiii cosi si esprime: » La decozione di china china , della quale r» gli antichi fecero spesse volte uso nelle angine e >» pneumoniti , e che si applica in sostanza alle pia- » glie che minacciano cancrenosa de^jcnerazione, pre- » sentava ancora un dubio , cui ulteriori osservazio- M ni hanno poi dissipato da varj anni a questa parte. E se relativamente alla slenia dc.'Ue febbri inter- mittenti, ed alla virtù controstimolante della china (()) (4) Due anni prima che il dottore Ollaviani desse alle sUmpe la memorlu sulle inlcrrniUenli. (5) Dall' averci il professore Toinmatini fallo conoscere che quasi ume le malalUe , tn-e siano sopraLlulto FEBBRILI, sempre dlpeiulom da (jualclie Inlìammazione , ne fluisce per conseguenza spontanea , cìie 'l'OlIaviani col dirci che le pe- riodiche ancora dipendono' "da flogaji , alUo non ha fatto , che istruirci della peregrina notizia die le periodiche sono lehbri, (5) Lo studiosissimo e iblriiitisslmo mcdi(0,sig, dottor Borelli mio onorevole anilto, giovane di assai giaiuli speraii/,c , uelia sua Risposta ad OttAviaxi 809 elio rOtlaviani liiige suo scoperte , le riportate au- torità non bastassero a dichiarare lui stesso plagiaiio anteriore al Pucciuotti , il (piale perciò niuii conto gli deLLe su (juesto proposito , e contro il «piale niiiu diritto aveva egli a rinipvovero, potnù ricordare clie il clinico illustre di Panna , della cni niortc^ trop- po sollecita va dolente la scienti medica, avor Tommasini. (7) ìN'cir anno i8iÒ" il professore Tommasini lece i primi sperliiientl comprovanti l'azione eontrosliinolante della china. ,» ,, iNè volli (dice egli) ne volli piu-e dichiarare (juesto mio ,, pensamento , prima di averne dato .alla scuola prova spe- i, rlnientale. Sccbi nell' anno ellnieo 1 8 1() (tre anni avanti che ,, rUltaviani ci lacesse il dono di dirci clic la china era di ,, aiiioiie contruslimoUnte ) uu rubuito iiilcrnio al letto uu-^ <: 3io Scienze controstimolante della china ; potrei .... potrei ; e molti sarebbenii facile infilare di questi potrei , ove non mirassi a non volere abusare della pazienza del lettore. Nulla di nuovo ci avrpbbe egualmente insegnato i'Ottaviani col non ammettere la decisione delle inter- mittenti di Brown in steniclie ed asteniche ; poiché avendo Tonmiasini provato che l'infiammazione è sem- pre un processo identico di stimolo accresciuto, tale opinione da quel momento è caduta da se medesima. Lo stesso dicasi della triplice divisione di Frank e di Rubini in stcniclie asteneche ed irritative: avendo luo- ,, mero selle allaccalo da pleuriiide ; e liberalo dalla losse , t, dalla punta , dalla lebbre col soccorso de' replicali salassi ;, e di ritnedj antimoniali , gli t'eci prendere in due giorni (, once due di china , uè alcun sinloma insorse di slimolo ac- i, cresciulo , uè si risvegliò puntura o tosse o movimento leb- „ brile , né fu disturbato in alcuna maniera il prospero corso „ alla convaliscenza.,, In altro luogo dice: ,, io Istituiva per- r, ciò le spcricnzo di coulronlo sulla digitale, cicuta, «conil o; ,, ed in fpianlo alla cliìna un (pialclie segreto dubio era ia tt n\e nato (cioè di conlrostimolare ) per alcuni elfetli prova- si, li in me slesso , sotto l'uso di questa corteccia. ,, Manirc» sto egli un tal dubbào al dottor Ambrl suo concilladlno , il <|iialc gli rispose ,, Cbe un certo medico di Parma (quantun- ,, que esperto d'altronde ) amministrava d&sl forti di china ,, ai pleurillci , come se fossero stati aftelli da periodiche febbri, t, e li salassava insieme largamente o prima o insieme coli' f, uso della corteccia. Non ne nasceva alcun male , ed i van- tf làggi che dal salasso e dall' )ito di altri rlmedj antillogisti- t, ci si ottenevano non venivano dislralll o contrailali dalla ,, china. SI avvisava forse codeslo medico di trarre da un lat ,, fallo qualche Ingegnoso dubbio contro la già crescente nuo- ,, va dottrina ; ma somministrava Intanto argomenll di fatto ,, a meglio couosceic la maniei-a di agire della peruvuiiii tt coitecela. Risposta ad Ottaviani 3ii go per le due prime ciò che si è detto qui avanti ; e, rapporto alle irritative, egli, il sig. Ottaviani, non può alcun merito attribuirsi da che furono già- con un sol colpo abbattute dal Tommasini medesimo , allop- quando ei provò che le affezioni irritative non costi- tuiscono diatesi , e che se lungamente protraggono la loro azione , in tal caso subentra la diatesi stenica , la quale viene alimentata dallo stimolo accresciuto . Posto questo , lascio al sig. Ottaviani medesimo il de- cidere a che si riduce la sua alquanto ampollosa e per avventura non troppo modesta sentenza, cioè che la triplice divisione di Frank del Rubini e di altri debba riguardarsi falsa dal momento che in Bologna venne alla luce la sua avventurosa memoria. Progredendo oltre, trovo essere egli portato a cre- dere che il miasma palustre sia l'unica cagione delle intermittenti. Questa opinione , che però non è sua , non è ancor tale da riporsi nel catalogo delle certez- ze ; ed io avrò occasione in questo medesimo scritto di offerire per via di nota la narrazione di un fatto che potrebbe servire a provare tutto il contrario Dice in seguito che le intermittenti formano una famiglia a parte dalle diatesiche : il che disgraziata- mente per lui non è nemmen sua opinione , ma del Tommasini , che la spiegò nella scuola prima che l'Ot- taviani si degnasse esternarsi ; siccome dagli scritti di quel clinico illustre rilevasi. Il dir poi , come egli fa , che le intermittenti possono complicarsi col gastricismo o colle flogosi o ilemmasie , senza esserne mai l'effetto immediato , è sentenza inutile , anzi ridevole per chi crede le in- termittenti di diatesi stenica. Che nelle intermittenti complicate colle flogosi o colle irritazioni comuni faccia d'uopo , cotl'uso de'con- venienti rimedj, vincer piima le complicazioni, e quin^ G.A.T.XXI. jo 3ll SciEKXE Ji passare all' uso della corteccia , è jìratica cosi an- tica e generale , clic non ha bisogno di essere insi- nuata , e molto meno raccomandata. Che l'unione de' rimedj stimolanti alla china sia pratica , come ei dice , molto pericolosa e rare volte giovevole , io lo credo ; ma spiacemi di dovergli far memoria , essere ciò una delle mio ve massime della moderna medicina , cognita sin dal primo nascere di questa. Non posso però negargli essere propriamente suo quello che dice in seguito ; cioè che Toppio pos- sa talvolta unirsi alla china con vantaggio, per la ra- gione che ne accresce l'azione astringente . Gli farò Lens'i osservare che con questa dottrina si pone egli in manifesta contraddizione con se medesimo , e col nuovo sistema da lui abbracciato ; poiché vuole uni- re gli opposti f vuole nel tempo stesso stimolare e con- trostimolare , vuole soffiar freddo e caldo nel tempo medesimo. Ma qui non si considera nell' oppio che la sua azione astringente. Oh questo è appunto l'errore! non essendo permesso in medicina di fare astrazioni , come si fa in geometria , ove allorché , a cagione di esempio , in un corpo si considera la lunghezza , si fa astrazione dalla larghezza e dalla profondita. L'a- zione astringente dell' oppio è accessoria : la princi- pale e di maggior potere è la stimolante . Quale ef- fetto , ciò posto , potrà ragionevolmente sperarsi dall' impasto di due contrai-j che agiscono in modo oppo- sto uno air altro? E dico di due contrarj, nella ipo- tesi ammessa dall' autore che la china agisca contro- stimolando. Le persone robuste e che meglio si nudrisco- no , dice per ultimo il nostro autore , sono sposso lo più frequenti ad essere attaccate dalle intermittenti . Qui ha fatto egli da eco al celebre nostro Rasori, ri- muiulaado però la voce assai mal concia ed alterata. Risposta ad Ottaviani 3i3 Rasbrl parlando della peteccliiale di Genova dice , che le persone di temperamento robusto , e che più ab- bondantemente nudrivansi^ erano le più esposte a quel- la epidemia , dalla quale poi erano assolutamente at- taccati coloro che abusavano de' liquori con animo di preservarsi. Ottaviani al contrario si approfitta della notizia di quella storia , e pubblica quelle cause che a più individui produssero la petecchiale , essere cau- se producenti le intermittenti . Il fatto però h che Tesperienza ci dimostra il contrario ., e se alcuna vol- ta può anche la persona robusta per particolari ra- gioni essere esposta alle intermittenti, non v'ha dub- bio che l'individuo di temperamento debole e che mal si nudrisce è più d'ogni altro soggetto a questa specie di malattia : della qual veritk ha contribuito non poco a sempre più farmi certo un' assai "valevo- le sperienza di circa -ySo malati che nell' anno 1820 si trovarono sottoposti alla mia medica cura (8): nel (i) Nell'anno 1820 essendosi sviluppata uu' influenz» di febbri inlermlttcnti nella terra di s. Gregorio , diocesi di Ti- voli, distante yeulicinque miglia da questa capitale , fui inca* ricato dal governo di portarmi immediatamente colà , onde li- berare quella Infelice popolazione da una tale malattia. Giun^. IO in quella terra , la quale non contava che circa 780 indi- vidui , trovai un numero d'infermi che per soprappiù vive*- vano nella miseria la più lagrime vole . Informai subito il go- verno di questa circoslanz.! , ed aggiunsi che a nulla avrebbe giovato la mia assistenza , ove il governo stesso non avesse coopei-ato con mezzi pecuuiarj al sostentamento di quegli in- felici , cui mancava assolutamente il puro necessario. 11 gover- no con più che patema e munifica amorevolezza immediata- mente prestossi alla dimandata cooperazlone, e mi fece l'ono- re d'incaricare me slesso per tutto quello ch'era bisognevole * onde il medico soccorso avesse potuto sperarsi proficuo, iulrv- 20 * 3l4 S e I E W J5 K trattamento de' quali osservai costantemente verillcai"- si quello che ho di sopra asserito , cioè che le per- sone deboli e che male nudrisconsi sono quelle che vengono più facilmente attaccate dalla malattia in questione. »—— ■ presa da me la cura , e falle le opportune Indagini per di- scuoprìre la cagione del male , mi persuasi , elle all' imper- versamento di esso assai avara contribuito la fame sofierla in quella stagione dagli abitanti , tanto più che sette famiglie » cui non mancarono mezzi por sostentarsi , furono le sole che non soggiacessero alla generale influenza. In quella occasione ebbi opportunità di fare un' assai lunga ed utile sperlenza sopra quell'essere di malattia , dalla quale furono altaccali niente meno che 7S0 individui , siccome consta dal conTenientc di- scarico da me dillo al supremo tribunale della sacra consulla. Prima del mio giungere In quella terra , contenente allo* ra 8q5 abitanti , in un sol mese erano ivi periti t là indi- vidui. Osservai che se qualche maialo » sentendosi desiderio éì Tino o di «qualunque altro liquore , si esponeva a farne uso, lo»lo perdevausl in lai le Intermissioni; e le febbri, da seio- plicl • doppie tersane che fossero, si cangiavano in subcontinue, presentando uno spaventevole impegno flogistico nel basso ven- tre : superalo il quale stato , metliante un conveniente regime antiflogistico , la malattia riprendeva il suo periodo , e sotto l'uso della corteccia peruviana andava gradatamente a cessare . Tali fatti servirono a sempre più persuadermi che anche la feb- bre di perìodo , sebbene attaccasse persone debolistirae da presentare all'occhio l'effige di ambularne cadavere , non vo- leva essere trattata con rimedj slimolanli : e quelli Infatti che azzardarono di soltoporsi a'rimedj di tal ,natura , restarono TÌttlme del loro capriccio. Mi trattenni sopra quaranta glor- ili colà, donde partii il tre di novembre, lasciando quella |«rra perfettamente libera dalle febbri periodiche . Riseppi però eb« nel prossimo inverno moli» d» quelli che nell'an» Risposta ad Ottakiani 5r5 Però fra le tante cose che l'Ottaviani asserisce essergli siate tolte dal Puccinotti senza neppure ci- tarlo , essendosi fatta rassegna di quelle da lui ripor- tate nella sua annotazione , ed essendosi mostrato a quali vergini fonti abbia egli medesimo attinto , l'im- parziale lettore giudicherà quanto ingiustamente sia stato il Puccinotti rimproverato , e quanto l'Ottavia- ni s'inganni nel volerci spacciare per novità ciò clie abbiamo analizzato di sopra , e creda quindi di ave- re buon diritto alla memoria de' posteri in compagnia di Rasori e di Tommasini. Ma a che proposito, mi dira taluno, vieni tu in campo a fare il paladino a favore del Puccinotti ? Forse che a questo faceva bisogno della tua penna? Io non dubito punto che il Puccinotti non sia fornito di armi meglio temprate delle mie, colle quali, volendo, si sarebbe più validamente difeso , di quello non ho saputo far io: onde per questo motivo, e per l'altro non men valevole che io sono lontanissimo dall'anda- re accattando brighe , mi sarei tenuto nel silenzio , contentandomi di ripetere privatamente a me stesso quello che ho al pubblico manifestato. tunno avevano soggiaciuto alle Intermittenti , furono assa- lili da flogosl di petto , ed una gran parte ne peri. Aggiungerò qui in proposilo del miasma palustre , unie» cagione delle Intermittenti , che la terra di s. Gregorio «ro- vandosi nel mezzo di sette paesi , la più lontana» e la me- no esposta air aziono dei miasma pontino, , circondala d* montagne , libera affatto da luoghi paludosi , o da qualun- que circostanza che potesse indurre sospetto di sviluppo di miasmatici prlncipj , fu essa sola attaccala dalle febbri pe« rlodiclie -, -mentre 1 paesi a lei limilrof , ed In posizione^ jj^eno lavorevole , ne andarono esenti dei luna. 3iG Scienze 10 non ostenterò già col nostro autore, die ramar della patria e la gloria nazionale siano i motii'i che mi hanno spinto a scrivere. La cagione e ancor più veeme&te: è il dovere di respingere un' offesa , cui si è voluto associare la calunnia , onde più facilmen- te riuscire nell' intento di mostrarmi in cattivo aspet- to presso di un medico illustre , che mi onora della .sua benevolenza , e che io mi reco a gloria di venerare. 11 sig. Ottaviani in una nota alla sua annota- zione , che ho preso qui ad analizzare , ha chiamato gratuitamente in campo anche me , facendo noto al pubblico , forse per amor della patria e per la glo- ria nazionale: » Che neirinverno del 1819, trovando- « si egli nella citta di Sezze, un certo medico (9), il >» quale in oggi si è posto a tributare incensi al pro- » fe&sor Tominasini contro il quale prima aveva tan- » to latrato , si avvisò di mettere niente meno che »> in ridicolo la sua opinione (ch'era quella di ave- .?> re ei tolte le perniciose dalla classe de' morbi aste- •> nici ) (io);» e dopo di avere istruito il pubblico di questa interessante notizia , termina una parte del- la sua nota, esclamando con meraviglia: » Ora chi mai » crederebbe che quel critico avendo,non e gran tem- V pò, dato in luce un libercolo sopra i vantaggi del j» solfato di chinina in tutte le febbri periodiche, sia jf. stato così accorto da non lasciarsi cadere dalla pen- » na un solo motto , per dimostrare asteniche le feb- « bri perniciose?»? Il perchè a quel critico non sia sci- (j)) Per eccesso di delicatezza ha laciulo il mio norae « ma mi I1& adombralo per tanti lati . che sì rende quasi impossibile di non rlconosoerau (IO) Nel corso delle pre«enll osserrazloni avrà il letto-? je rilevato , se l'Ottaylani ra^ionevolmenle o Immaginanamen-' te dia qui questo vanto 4 sé stesso. Risposta ad Ottayiaki Zfj volata dalla penna Tastenia delle perniciose il sapra, tra poco , e con tal meraviglia , da farlo meraviglia- re della sua propria meraviglia medesima. Frattanto, all' oggetto di rettificare l'opiniorie diel lettore su ciò che vi è per me di offensivo in quel- la nota, sono costretto di manifestare alcuni fatti , elle quantunque non appartengano ad una data tan- to recente , pure son essi che hanno somministrato il materiale all' autore , onde riuscire nell' intento propostosi. Corrono già cinque anni da che mi por- tai nella citta di Sezze a richiesta di quegli abitan- ti , onde prestar loro la mia opera medica i^i una malattia, dalla quale la più gran parte di essi era pericolosamente afflitta. In quella circostanza ebbi oc- casione di conoscere di persona il sig. dottore Otta- viani , che ivi trovavasi medico condotto , e fui anzi obbligato di venire spesso a consulto col mede- simo , tanto pe'malati ch'erano sotto la lui cura , , quanto per quelli che dipendevano dalla mia pro- pria. In tali consulti dovetti , è vero , mostrarmi per lo più contrario al suo i^etodo curativo , poiché , deb- bo pur confessarlo , mi parve ch'egli fosse guidato soltanto da cieco fanatismo , e non già da quella maturità e giustezza di raziocinio , che più parti- colarmente sopra ogni altra umana operazione si ri- chiede in cert' arte , dalla quale dipende la salute degli uomini. Da ciò ebbe origine la di lui inimi- zia per mp , che lo portò all' avvilimento dì met- tere in opera per discreditarmi alcune indegne ma- novre , che la prudenza ed il perdono che ho già loro da quel tempo accordato non mi permettono di far pubbliche. Alle giuste lagnanze , cui l'offesa mi spinse , si um, come è naturale , la passion dello sde- gno , che non poteva non rimanersi più stabilmen- ie desta per la fresca memoria dell' otìesa medesi- 3i8 S e I E ly z E ma , e per la continua presenza clelF offensore ; e pe- rò fui irresistibilmente tratto a dire quello che al- tronde mi sarei contentato di ritenere nel cuore , cioè che egli era un fanatico controstimolista, il quale ma- lamente interpretava i precetti de'moderni riformato- ri : ma questo non si chiama latrare contro il pro- fessor Tommasini . Se il sig . Ottaviani conservava ancora memoria di quelle antiche nostre discordie , da lui stesso provocate , doveva procurare di attac- car me con armi onorate, ma con qnelle delle ca- lunnia non mai. Io dunque ripeto che in quella occasione non mi astenni dal parlare contro il modo con che curava: ed anzi uel momento stesso che scrivo son persua- so di aver parlato a ragione ; poiché mentre egli ama- va di farsi tenere per conoscitore profondo delle nuo- ve massime della medica riforma ( il qual merito son ben lungi dal contrastargli ) , non ehbi però mai la fortuna di vedergliele mettere in pratica. Per lui tan- to era una polmonite , una frenite, quanto una len- ta nervosa , un tifo petecchiale , perchè di simili dia- tesi : eppure le nuove massime venivano sin d'allo- ra insegnandoci di porre a calcolo la quantità di diatesi che domina ira malattia e malattia. Per lui tanto era una acuta, che una cronica infiammazione; per lui, avuto riguardo alla quantità e qualità de'con- trostimoli d'applicarsi, una cosa medesima era il prin- cipio e il termine della malattia ; per lui l'assioma del celebre Rasori di serbar modo e dar tempo non ave- va niun valore; per lui il sentimento del chiarissi- mo Assalini, di adoperare i rimedj antiflogistici e de- primenti con quella prudenza che i casi lo esigo- no^ era sentimento inutile ; per lui finalmente il de- bole e il forte, il vecchio ed il bambino, l'uomo e la don- na 9onsideravansi siccome un ente medesimo , da non Risposta ad Ottaviani 3ig valutarsi che sotto un medesimo aspetto invariabile , \per quanto variabili fossero le di lui forme e modifica- zioni ; e con tal sistema sperava menar tutto a buon porto. Ma l'esito corrispondeva poi alla speranza ? Fatto però è che questi non sono i precetti del clinico di Bologna : non sono questi gl'insegnamenti che ha egli dato alla gioventù. Egli dice ( son sue parole ) » che anche nella nervosa , nella petecchia- « le , ed in molti tifi, ossia perchè ( come ha fatto » osservare , parlando particolarmente di queste ma- M lattie ) il cupo processo flogistico prenda parte » nel sistema norvoso , influente immediatamente sui » movimenti del cuore , per cui diventi pericolo- w so l'agire coraggiosamente colle deplezioni , come n si agirebbe in una pleurite , o perchè (notate be- >» ne ) la diatesi sia poca come lo è in casi di pe- w tecchiali appunto (ii) ed altre simili malattie a » periodo necessario ; fatto è che gl'infermi non sop- >f portano ardite deplezioni. » Ed il clinico di Pa- dova non si espresse forse con bastante chiarezza onde farsi guida al pratico nell* esercizio della cli- nica , allorché ci fece dono delle sue profonde ri- flessioni sulla diversa quantità di diatesi ; sull' esau- rizione della potenza sensoria ; sull' infiammazione sopravvenuta ad infermi di astenia , o all' astenia predisposti ; sull' infiammazione di qualunque grado comechè lieve , ma da sintomi accompagnata non pro» porzionali alla diatesi ; sull' infiammazione prodotta (il) In 5imilt malaltìe rOttarianl non faceva mai me* no di venti sanguigae , e ad un certo sig. Sirletli le por* tò sino a trentasette. 320 S e 1 K N Z E da potenze disorganizzanti o calistiche o dotate di azione chimica nell' animale prevalente ? Ora dunque che mi sono liberato dalla calun- niosa imputazione , e che ho distrutto lo scopo cui la stessa mirava , dirò del perchè in quel mio liber- colo sul solfato di chinina non mi sia caduto dalla penna un motto , per dimostrare asteniche le feb- bri perniciose: ed il perchè è, che io non ho at- tribuito codesta diatesi alle febbri di «imil natura , siccome chiaramente rilevasi a dirittura dai rimedj da me son>niinistrati a quei malati di febbri intermit- tenti , il cui quadro informativo va unito a quel tal libercolo stesso^ nel quale il sig. Ottaviani è sor- preso (Ji noiji t^'ovare che io abbia caratterizzate per asteniche le perniciose. Ma che dirò di questa sua meraviglia ? Ch'egli ha letto e giudicato senza in- tendere ? No , perchè farei torto ai suoi distinti ta- lenti. Gli* egli ha creduto eh' io dovessi pensarla in un modo, ed al letto dell'ammalato condurmi in un'al- tro .'* Spno portato a questa seconda sentenza , la quale è convalidata dal fatto , che quanto egli è valente e saggio ragionatore in teoria , altrettanto è infelice nella prati.ca , nella quale si è di sopra ve- duto quanto dalle sane teorie si allontani. Oliaste deboli osservjizioni serviranno , spero , al slg. Ottaviano, onde fare qualche utile riflessione so- pra se stesso , e sopra l'inevitabile miseria dell' uo- mo ^ il cui patrimo^iio non è la perfezione , ma la contraddizione e l'errore ; e quindi si persuaderà di avere a torto inveito tanto contro il Puccinotti , e » vestali Opima e Floronia, convinte di stupro , l'una » secondo il costume fu uccisa fuori della porta Gol- j> lina , Taltra da se stessa si diede la morte . Lucior » Canlilio scriba de' pontefici, di quelli ch'ora chiama- n no pentefici minori , il quale aveva stuprata Flo- >j ronia , fu tanto battuto colle verghe dal pontefice « massimo nel coraiz-io , che spirò l'anima fra le per- » cosse. « Cosi Livio. Su tale istorico racconto piac- que al signor Micara di scrivere una tragedia, intor- no alla quale noi , secondo il nostro debole intendi- mento , dopo averne dato un breve estratto , faremo alcune poche osservazioni. Lentulo pontefice massimo , favellando col vec- chio sacerdote Fulvio , lo avverte di aver separata la vestale Floronia dallo altre vergini compagne per chiarirsi di certi sospetti che si avevano in Roma so- pra di lei , fondati non pure sull'amicizia che la strin- geva ad Opimia , altra vestale che convinta di stu-» prò era stata punita calta worlc, ma anche su qua^l-r F L o n o N 1 A 3a3 che studio troppo particdare della giovane nell' ac- conciarsi. Ma nel medesimo tempo lo assicura eh' ei la desidera e la crede innocente, ordinandogli in- tanto nel ritirarsi eh' ella sia data a'suoi genitori. Po- pilio, padre della vergine, chiede a Fulvio quale sia la colpa della figliuola : e quei gli risponde che la stretta amicizia di lei con Opimia , ed il soverchio culto della p(3rsona la fanno rea in faccia d'un popo- lo , che spaventato dalla rotta di Canne crede tro- varne la cagione nella reità delle vestali. E qui Lu- cilia, la madre, che sopravviene uscendo dal luogo ov'è custodita Floronia , descrive al marito l'angoscia che prova la giovinetta nel vedersi disgiunta dalle com- pagne , pregandolo a volerla pur consolare culla sua presenza. Popilio parte: si che rimasa ella con Fulvio, SI lagna al cielo , eh' avendole data una figlia forni- ta di cos\ rare doti , permette ora che se ne macchi la fama con questa separazione . Ma spera sulla sua innocenza , e sugli esempi che le adduce Fulvio di altre vestali , che furono parimente per qualche lie- ve sospetto separate dal tempio e dalle altre vergini, e poi scopertane l'innocenza , ritornarono con mag- gior onore che pel passato. Fin qui l'atto primo. Apre la prima scena del secondo Floronia, la quale dolendosi della sua disgrazia vede appressarsi Cantilio. Atteriscesi ella a tal vista, e lo prega con calda istan- sa ond' ei s'allontani . Persiste però Cantilio nel ri- manere , ed ella si fa allora a contargli , come forse per sua cagione ella è discacciata dal tempio : si che di nuovo lo scongiura a fuggire . Ma il giovane la rampogna, che dove egli sperava di dividere in quel giorno con lei il patire , e porre in sua difesa anche la vita, ne ascolti anzi questi rimproveri.Floronia ricu- sa ogni opera sua , temendo di esporsi così a disono- re più certo , ed e fernu di voler pianger sola , scn- 324 LetTERATURA" za divider con lui quclP orrendo supplizio che la mi- naccia. Dopo di che narra un terribile sogno, al quale inorridisce ancora Cantilio , ne può pensare come gli dei sieno tanto irritati per un amore dal quale non è stata in alcun conto offesa la santa castità delle sa- cerdotesse di Vesta . Infine , vinta quasi la vergine dalla amorosa e calda eloquenza del giovane, ordina con essolui di esser compagni in qualunque sciagura. Cantillo parte : ed essa nel volersi ritirare scorge la madre che tutta tremante precede un uomo con mol- ti seguaci. È costui Metello, tribuno delle plebe , il quale vedendo il popolo romano tutto commosso ad ira contro la vestale da ognuno creduta in fallo, per fargli cosa grata viene cosi a strapparla dalle brac- cia della madre. Ma questa e Floronia fanno la più forte resistenza contro di lui , finche giungendo Po- pilio nega con romana fermezza di concederla a un tal magistrato . Dopo ciò Metello sen parte minacciando fieramente ; a che Popilio non atten- dendo mostra di volersi portare dal sommo pontefice, da cui spera soccorso : e Lucilia parte per recarsi a pregarne gli dei : e si chiude Tatto secondo» Il terzo comincia con un colloquio fra Luci- lia e la figlia , la quale diffidando del soccorso de- gli dei , fa sì che la madre entri in sospetto ch'el- la sia colpevole veramente : ma poi si quieta , ne può pensare che la figliuola non sia innocente. Sen- tendo però che Floronia e ostinata nella sua dif- fidenza : Ebbene , |le dice , andrò io a pregare gli dei , e piangerò tanto cli'essi m'esaudiranno ; tu ri- mani nella tua ostinazione. E parte così furibon- da. La figlia vorrebbe seguirla, ma è trattenuta da Fulvio , il quale viene a narrarle come tutto il popolo è in rivolta , e si è mosso correndo verso la casa del sommo sacerdote , il (j[uale inutilracnlc F L o R 0 N 1 A SaS ha procurato quietarne Timpeto intimando il co- mizio. Ora in mezzo a questo racconto ritorna il tribuno Metello , il quale tenta di nuovo di con- dur seco la vergine, persuadendola che pel bene del- la patria ella esponga la vita sua. A cui ella vi- rilmente risponde , che quando avrà provato d'esse- re innocente in faccia ai romani , darà volentieri per la loro salute il suo capo ; ma che stima cosa vi- le il dover ricevere la morte come pena di un delitto , del quale attesta gli dei di non esser mac- chiata. Ed a queste aggiungendo il vecchio Fulvio molte e gravi altre parole contro il tribuno , co- stui si ritira di nuovo dicendo , che non pochi ro- mani sono pronti a giurare sulla reità di Floro- nia. Poiché, la vergine dunque vede che nulla ornai val- gono a trattenere il furor disila plebe, o i preghi, o le minaccie , o Toro die largamente profonde Canti- lio , finalmente richiede Fulvio d' alcun Con- silio , se mai vi fosse via di fuggir una morte co- si vergognosa. Fulvio risponde avervene una sola ; ma per seguirla esser duopo d'assai coraggio . E ri- manendo ella per la partenza di lui in grande so- spension d'animo , ecco giunger Cantilio il quale af- ferma che a fuggir la vergogna e la morte non v'ha altro scampo che d'involarsi a Roma , uscendo del recinto per una via secreta che mette sul Te- vere , verso la quale è gik preceduto Fulvio che ivi l'attende con Fosca sorella di Cantilio medesimo. Dopo molte resistenze per parte di Floronia , e molte ragioni per parte di Cantilio ond'ella si persuada 9. seguirlo , egli la strascina con se tutta tremante , dando cosi termine all'atto terzo. Al cominciare del quarto Lucilia cercando della fi- Cjlia , stupisce di non trovarla nel loco di sua custo- dia : quando giungendo Popilio tutto turbato in vi- SaG L«TT«»ATt]ii so ivi riconduce la sventurata vestale, narrando alla, consorte come Tha egli sorpresa nell'atto che cer- cava involarsi fuggendo unitamente a Cantilio. On- de per questa fuga si fa egli sicuro della reità di Floronia : ne valgono a persuaderlo in contra- rio le prove che gli reca Lucilia , la quale co- si caldamente lo prega che lo induce ad ascoltare dalla figliuola le discolpe che ella sarà per addur- re. Egli adunque primieramente la rimprovera di si- mil fuga , e ne vuol saper la cagione : e la gio- vane gli risponde che il solo timor dell' infamia l'aveva condotta a tale. Ma non contento di questa ragione la richiede di nuovo se nutre un qualche amore verso Cantilio. Allora Floronia non sapendo celare la passione che tutta le ha presa l'anima gli si getta ai piedi : sì che il padre nel colmo del- l'ira le da titol d'iniqua e di violatrice del sacro voto , col quale era già dedicata a Vesta. Ella pe- rò protesta che il fior verginale era illeso , e che Cantilio in quella fuga non era stato che sola scorta , tutto avendo ordinato Fulvio e Fosca , la sorella di Cantilio , che la seguiva compagna . Se amava Cantilio , ciò era avvenuto perchè fin da* primi anni erano insieme vissuti: e sebbene di buon ora i genitori l'avessero consecrata alla dea , que- sto non aveva già fatto che sempre non le fosse rimasa dolce nell'anima la memoria di que' primi palpiti d'un amore innocente. Quante volte avevi ella implorato il soccorso della ragione contro quel- le immagini troppo lusinghiere ! quante volte avea diretti i suoi preghi alla dea , onde le ne sgom- brasse la mente ! — E qui sopravvenendo Cantilio , il padre fa cenno a Floronia di ritirarsi. Perchè egli volgendo a lui le parole , si lagna seco del grave disonore con che tentava macchiare tutta la gen- F L O R O N I A H27 te sua. Il giovane vuol persuadere Popiiio die per pietà di tal figlia la sottragga di nuovo all'i-nfa- mia e alla morte . Ma noi consente la romana vir- tà di Popiiio. Onde Cantillo disperato , essendo per correre al foro , esclama , che se i vecchi i sacerdo- ti e la plebe illusa non si moveranno alla difesa di quella innocente ; ella potrà contare nel corag- gio di tanti giovani , che bramosi di eroiche im- prese troveranno ogni via per difenderla. Cosi Gan- tilio : e parte. Ed ecco di nuovo Metello che ne viene apportatore dei sensi delt popolo e de'sacer- doti , in faccia de'quali cita a comparire la vesta- le Floronia. Promette Popiiio d'andarvi , e vieta al- la figlia il seguirlo. Nell'atto quinto Floronia, con parlar tutto vi- vo e pieno di grandi spiriti , or teme , or prega , or s'infiamma per la sua innocenza, or paventa all'in^ giusta nota d'infamia che certo Tat tende , e stima intanto esser opra da vile, nel tempo in che altri mette a rischio la vita per lei , lo starsene co- sì piangendo femminilmente. A questi accenti Luci- lia sente tutta quanta la gravita della perdita che teme di dover fare di tale figliuola , e prega essa pnre il cielo a rendertene vano il timore . Ed ecco Popiiio che ad esse racconta ciò che è avve- nuto fral popolo. Appena giunto egli nel foro, vo- lendosi accostare al seggio del sommo sacerdote , una turba di sedisiosi gliene vietò l'accesso , e pur anche il favellargli lontano. Intanto altri furiosi tra- fìssero Fluvio chiamandolo traditore. Allora Cantillo s^uito da una mano di giovani arditi si fece in- nanzi , e chiese quali prove si avessero contro Flo- ronia. Perchè sorgendo ad accusarla un Cesonte, uo- mo della feccia del popolo , egli rnccise , e il me- G.A.T.XXI. ai 3a8 Letteratura desimo fece pur di Metello, che secondo voleva teii- are l'accusa. 5> E mare 3> In ria procella il foro. Ognun che innanzi » A lor si para sterminar que'prodi. » Per via di sangue infino al seggio varca » Cantillo irato : il popol cede : incalza » L'un l'altro. Scanni , tribunale , arredi , 5> Armi , littor , ministri , a terra tutti, » In fuga tutti ; e Lentulo pur esso. » È già un driprto il foro immenso , e piena « Resta la palma al vincitor Gantilio. « Quando il flamine di Giove , col crine rabuf- fato e due faci nelle mani , venne con terribili pre- dizioni a incitare il popolo. Allora questo prende nuovo vigore , e furibondo si rovescia sopra Gan- tilio e l'uccide. Finito che ha Popilio questo racconto eccoti il pontefice massimo con seguito di sacerdoti e di lit- tori ; il quale viene autorevolmente a condannare alla dovuta pena Floronia. E qui dopo molta que- stione sulla ingiustizia di tale condanna , Lentulo ordina ai littori che strappino a Floronia il sacro velo di Vesta , e che rinchiusa nel feretro fatale la traggano al campo , che dicevasi scellerato. A que- sto comando Floronia si volge a Lentulo , e il prega a contentarsi ch'ella dia un'abbraccio alla ma- dre : e poco stante , tratto un pugnale, s'uccide. E Lentulo allora gridando al tradimento pronuncia que- sta terribile imprecazione: « Iniqua ! Or sul tuo capo intera scenda » Ira di ciel funesta. Al popol tutto 5» Salvezza sia d'una spergiura il sangue. » E finisce così la tragedia. F 1. O R O N ì A 'àSlO Da quanto si è veduto fin qui chiaramente si pa- re , l'azion principale di questa tragedia posar qua- si tutta sul timor dell' infamia che può venire a Flo- ronia dall'amor di Cantilio. Perchè la caritk della la patria , l'ambizione del sedizioso tribuno , e le su- perstiziose paure per la sconfitta di Canne sono , per cosi dire , cose meramente accessorie. Il che es- sendo noi vogliam dare moltissima lode al sig. Mi- cara che ha saputo condurre la sua tragedia in ma- niera , che tutto tende a mostrare nel protagonista ciò che in un cuore bennato possa il pensiero di perder quello, che dee riputarsi maggior della mor- te , r onore . Poiché Floronia non vien persua- sa a sottrarsi colla fuga al supplizio ne pel ti- mor della morte , ne pel dolor de'parenti , ne per altra minor cagione , ma solamente per ciò che le dice Cantilio : » Ah ! per l'onor tuo stesso, « Per le si sante tue virtudi piega ec. « cioè per sottrarsi all'infamia di esser creduta col- pevole. Affetto veramente generoso e gentile e da donna romana , e degno di tutta la nobili! del coturno. Intorno ai caratteri degli altri personaggi ci sembra che quelli di Popilio e di Cantilio sieno ve- ramente tragici : ed in ispecie il primo, ch'è un pa- dre amoroso ed un ouoratissimo cittadino. La qual combinazione in lui de'più gravi alFetti che abbia l'nomo socievole lo rende ed alto ed eroico. Lu- cilia è una madre pietosa , ed ha un bel carattere. Ma non ardiremo di stimare il medesimo ne di Fulvio , né di Lentulo , e molto meno poi di Me- tello. Fulvio è uomo pio quando sente compassio- ne della vestale ; ma essendo sacerdote è un traditore quando dk ordine alla sua fuga ; ed è poi tut- 33o LfifTERATURA to generoso e forte , quando nell atto terzo la di- fende contra Metello : insomma diremmo quasi che non si possa formare una giusta idea dell' animo suo. Lentulo sembra che tenga due parti : imperoc- ché sul principio, tutto sacerdotale pietà , sente più di padre che d'altro : e nell' ultima scena è fiero , bramoso di sangue , e così empio da infierire per- fino colle imprecazioni contro la nuda ombra d'una misera vergine senza una certa forma di giudizio , ma tumultuariamente condannata a morire. In Me- tello poi non sappiamo qui ravvisare quell' antico ardir tribunesco , che certo non si pascea di sole parole : ardire s\ grande , per cui ninna cosa era sacra , fino a violare la maestà de' consoli, de'pre- tori , e d'ogni altro magistrato romano , strascinan- doli spesse volte in prigione. Or qui viene egli in if.cena tre volte, ed anche co'suoi seguaci, con animo deliberato di condurre innanzi al popolo la vestale : fa di grandi minacce e millanterie: e tre altre vol- te è pur costretto a tornarsene indietro , come suol dirsi , a mani vuote. Se questi è un tribuno, lasciamo giudicarlo a chi ben si conosce d'istoria ro- mana. Noi pensiamo che il personaggio di Metello sia inutile affatto , e che le cose le quali viene egli a dire in iscena potessero star bene anche sulle lab- bra di Fulvio e di Lentulo , e forse con maggior importanza tragica di questi due personaggi troppo ac- cessori! alla azione ; giacche finalmente Metello non viene egli a riferir altro che i voti del popolo. Cosa che per via dì narrazione poteva pur convenire a'ipredetti due personaggi , e ad altri. Intorno ciò che si chiama costume , non abbiamo se non a lodare la dottrina del signor Micara , che non si e mai dimenticato di Roma antica. Solo non avremmo fatto adunare il comizio dal pontefice massimo , pcr^- Floronia 33 I ciocché questi , come uomo privato , non aveva al- cuna autorità di farlo. E quindi non poteva nem- meno essere accompagnato dai littori , i quali era- no solamente ministri in Roma de'consoli e de'pretovi. Lo stile della tragedia è buono , e sa moltissimo del sapore de' nostri classici . Non cosi però , che qualche volta non vi si scorgano dentro alcune iion facili costruzioni , e preterizioni di articoli e talora anche di verbi: cose tutte che generando oscurila nel- lo stile tolgono anche al discorso la necessaria elfica- cia.Questi però non sono che assai piccoli nei a con- fronto delle molte e grandi bellezze delle quali va ricca questa tragedia. E che tale sia il vero, leggasi questo passo della scena seconda del second' atto. Floronia. Or qui t'inoltri ? Incauto ! E l'osi ? T'arretra . . . aji ! m'empi di terrò r ! Cantilio» Concedi Ch' io qui per poco ...» Floi^onia. Ah ! no : torna , deh ! toma Sull'orme tue : non fia mai, no . . . Cantilior Che temi ? Sol brevi detti ...... Floronia. E udir poss' io ? ten prego t Mi lascia : riedi CantiliO' Donna, invan mi scacci. A tal ne siam eh' ei t'è qui udir ben forza Di quella fé, ch'era finor sol nota All' alme nostre ed agli sguaidi ..... Fior ani a. Ah ! fora Meglio , assai meglio , che pur mai scontrati Non si fosser co' tuoi questi miei sguardi ! Forse che al ciel dispiace anco il pensiero Che fuor trascovre dell' asil di Vesta : E forse un ver presagi» or te m'addita Prima caglou d'ugni s^^eulura mia : 33Ì Letteratura Qui senza te gli onor così mal tolti Non piangerei fors' io t squallidi e mesti I genitor non mi vedrei d'intorno t Basso esecrato or non saria il mio nome, Ne con rossor mio tanto oggi proscritta Alfln n'andrei dal tempio. Cantilio^ Oh ! che favelli ? Dunque ? Floronia- Fuggir , lasciar mi dei , dagli occhi Tormiti omai per sempre. O potess* io Sveller l'immagin tua dal cor profondo ! Levati , deh ! distruggitor tu primo D'ogni mia pace. Altri pensici funesti Già troppo il cor mi fìedono t smarrita Troppo son io. Cantillo* Cagion mi chiami ? Dura Terribile rampogna ! E speme io m'ebbi Ch'esser dovessi in questo di fatale D'altre accoglienze io seguo I E doglie e pianti Mescer con te credea : con te lagnarmi Di tua sciagura : ogni riguardo tolto; Spontaneo don , per tua difesa , offrirti Mia vita stessa , o qui perirti appresso. Ma tu qui torva e disdegnosa in vece Così mi scacci ? E me me primo incolpi Di tua sciagura ? E tutta in me tu rechi La cagion di tue pene ? E me sol danni ? Atroci detti , orribili , di morte ! Innanzi al cielo , innanzi a te poss' io Dégno apparir di tua rampogna ? E il colpo, L'iniquo colpo , il merti tu ? favelli Amaro in ver, ma giusto è il duolo, e tutto Soffrir degg'io, tranne il dover qui starmi Nel tuo periglio spettator. Consenti Tu dunque ch'or qui almeno io m'abbia part« F L o R o N I A 333 Nel tuo cimento": che divida io tec|i Il tuo dolor : che in tua difesa io ^Sjnga Tutto il mio sangue. Floronia, In mia difesa ? Or forse Non vedi tu che a disonor più certo Mi reclieresti ? E il pianto stesso , il pianto Fora innocente ov' io con te qui il versi (i)? Lasciami sola , va : sola degg* io Qui lagrimare. Cantillo. Non però sol pianti Noi verserem. Se acerba ingiusta sorte Cosi ci preme , non vorrem noi fermo Mostrarle il viso ? Risoluti e franchi Non qui pugnar per Tinnocenza nostra , Se mestier fia ? Floronia, Mestier ? Ma tu non pensi Qual dì per me fia questo? -Ahi fiera sorte Di misere vestali ^ anzi che spente Sepolte 1 Cantillo^ E che ? Ferocemente al peggi» Col tuo pensier tu già trascorri ? Or via Sperar ti piaccia. Floronia. In che sperar ?' ì5e il cielo Il cielo istesso con funesti segni A me turba lo spirto, e mi sgomenta ! \ Allor che molli dal mio pianto e stanche Le luci al sonno un istante abbandono , In lenti giri dispiegarsi \o vedo Pompa feral , che si distende intorno Alla collina porta. Appresso al fioco Chiaror di nere faci Opimia io miro , Le tempia ombrata di lugubri bende ,. (i) Avendo detto fora, avrebbe forse dovuto 'ìivc- {knassif, 334 L E T T E * A T U n A sSul ciglio di profonda orribil fossa. , Le sta vicino imperioso in atto Il fatai sacerdote , e le fa cenno. S'inoltra un passo ella tremante : china Guarda la tomba: e poi sospira, e stende , A me la destra. Ad abbracciarla io corro. Non parlo io già : dolente sconsolata Con le lacrime sue le mie confondo , E il cor con fiero battito affannoso . Al suo risponde. Io non vorrei lasciarla r Ma voce minacciante in suon di nembo Da me la svelle. Neil' addio funesto , Fremendo per lo lembo ella mi abbranca , E con estrema indeclinabil possa Mi trae pur seco... e mi strascina... Io balzo Con gelido sudor : si rompe il sonno : Ma col partir di lui l'orrenda larva , Non si dilegna . . . Oh ! fiero stato mio ! Ne dispiacerà l'udire come Floronia nell'ultima scena grida all« ingiuste accuse che le si oppongono. Floronia. Or me s'ascolti , me Lentulo. Che dir potresti ? Morte io t'arrecp . . . Floronia, Ov'è la colpa ? Lentulo. Poco Se pur ti fosse tua persona e i riti Contaminar d'infame tresca ; il foro Per te fu intriso di romano sangue. Non mérti guiderdon ? Floronia^ Non io qui parlo Con plebe insana : io col supremo parlo Conoscitor de'santi riti. Or dunque , Ond'è che imprende a conculcar le leggi Di Numa sacre ? Lentulo. Uu amator li veggo . . . F j. o.n o Nii A . 335 Fioronia. Nella chiostra vestal con lui notturno Furtiva me trovato hai forse? ZerUulo. Scorta , È ver, con lui non t'ebbi; oltre .contanto Ei non varcò. Fioronia. Saria questa di morte La cagion. sola. Lentulo, Ei pur qui .venne .... Fioronia. Questa Non è la chiostra ; ingiusto sei. Lentulo. Ma sede Fosti il tuo cuor d'affetti • • • • Fioronia. \ Ov'è il decreto Che giudica i pensier ? Giove , sol esso Li cribra. Lentulo^ E te di brame dissolute Il popol taccia. Fioronia. Ed egli mente. Inoltre r Ond'è che rompi un'altra legge , e danni Senza difese a morte ? Lentulo. Or quai difese ? V'ha testimon , v'ha complice , v'ha saldi Accusator ; dell'innocenza sola Non ti affidasti : ad ogni patto tolti I testimon , gli accusator fur quindi. Popilio. Corrotti, empi, spergiuri .... Lentulo. E gli uccideste. — E sia che a morte il violato rito , (i) Ne danni Amor costei , bastante colpa Non son le stragi ? Spenta era ogni legge- Per la vestale , allor che sparso a gorglù Fu per lei sola il sangue. (i) Bisognava forse ^Ire né il violalo rito, ne danni Amor costei. 336 L ET T K R-4 T t R A Florohia, ' Allor fu spenta ^ Glie la pietà' nell'uman sangue intinse La prima volta il dito , e in man fui- poste D'ignava turba credula le faci , I pugnai primi. Or giusto è Len che il cielo sh(- ' Ordiiiator qui sia di stragi e colpe. Vaglia , si , vaglia ornar culto devoto , • • • • Tal che sulPsira l'uom trucidi l'uomo ri 'n'; Qy,^ 2,el pietoso. Verrà tempo, io spero, Glie l'alto rito coprir dee la terra Di roghi a tombe. E tu benigno il fonda , Tu , pontefice , in Roma» Indi accoppiando Con veri fatti un ragionar pur vero , Di , che se perde un condottier sua prova Nelle battaglie , il fallo , oh ! il fallo è tutto Delle vestali. E se nel foro , centro Ei pur di pugne , il civil sangue inonda , Di , che poUuto è il tempio.E saggio parli. Saggio decidi- Or le sacrate norme Scritte da Numa ? Perafto , e -sol regni L'assoluto voler ! - Ma chi rampogno ? Vano il più dir saria ; fermo h il solenne Giudizio giusto Può da questi soli due brani facilmente com- prendersi , quanto valga il signor Clemente Micara in sì fatti studi pieni d'altezza e di gravita. Perciò crediamo che ognuno vorrà, dargliene lode , come a scrittore , che essendo uomo ha bensì alcuni po- chi difetti , ma è però adomo di tanti pregi da far noverare l'opere sue fra le migliori che su que- sto dilìlcil genere si siano vedute in Italia dopo quelle immortali dell'Alfieri e del Monti. Lkopoldo Staccoli -l 337' Codìcis thèodosìani frammenta inedttàex codice pa- llmp sèsto hibliothecae R. taurinensis athendei in lu- cerli prOtalit atqiie illustravit Amedeus Pejron ìin- giiarum orientulium professor. Anno MD C C CXXIV Augustae Taitrinorum^ex regio tipographaeo^ 'in 4-'* ( di pagine 194. ) Al Cavaliere Luigi Biondi. Fedemgo SCLOPIS. I o leggeva a' dì scorsi Plutareo Ta "dove scriven- do a Serapione , nel suo trattato sopra le paro- le EI incise sulla porta del tempio d' Apolline ' in Delfo, gli dice : che colui , il' quale del po- co che ha fa ujpicciol dono a chi abbonda irt' ricchezze , non gli dk piacere , ed anzi perchè è fa- cile il credere , eh' egli cosi operi colla speranza di riceverne largo contraccambio , viene in sospetto di simulato e d'avaro ; ma che onesta cosa e gen- tile è all'incontro il far di queMoni , che dalle let- tere procedono, a chi prevalga in dottrina , e da es- so chiedere non che aspettarne un contraccambio. Questa sentenza fu che mi diede animo a mandar ad effetto un pensiero , che da assai tempo io vol- geva in mente , di offerire a voi, chiarissimo signo- re , alcuna cosa che da'miei studj procedesse , per farvi aperto testimonio e del pregio singolare in che io vi tengo , e della gratitudine che vi ser- bo pel dono fattomi dell' amicizia vostra , di cui nulla essere mi potrebbe più dolce. Ond'è che nel donarvi questa mia scrittura , ebbi in mente piut- tosto di soddisfare ad un debito clic di far na- 338 Lktturatura scere un'obbligazione. Per tali parole voi già v'ac- corgete, che sto per ragionare di cose , che per- tengono allo studio delle leggi , verso il quale mi ha volto la condizione presente della mia vita. Io credo però che voi , che già deste opera a' somi- glianti bisogne , e che in quell' elogio che pubbli- caste di monsignor Tassoni sponeste con tanto sen- no quali sieno le parti degli avvocati e de'g.iu- dici , accoglierete benignamente questo mio dona. Ed a ciò vi muoverà , oltre alla cortesia vostra che e s\ grande , il nome dell' editore dell' opera di cui intendo di darvi un sunto , il quale vi ridur- ra alla memoria un dottissimo mio cittadino , eh' è pur tra il numero de' vostri amici. Furono pubblicate per le stampe sul principia-^ re di questo mese molti inediti frammenti del co- dice teodosiano Scoperti dall' abate Amedeo Peyron professore di lingue orientali nella nostra univer- sità degli studj. La fortuna e la dottrina s'accor- darono nel porgere a questo rinomatissimo lettera- to occasione di far palese quanto sira pieghevole il suo ingegno ad ogni maniera di studj ; ed> è "vanto di questa patria il trovarsi un uomo, che do- po avere arricchita la letteratura classica greca di molte e gravi opere , ed illustrati reconditi monu- menti d'eriulizione orientale , n^entre con inestimabile diligenza già s'adopera intorno all' illustrazione del musei) egizio che la munificenza del nostro re ha raccolto in Torino , venga pubblicando ed illustran-- do diflìrili capi d'antiche leggi con tale valore , che desteroljhe invidia in chi avesse in queste disci- pline formato lo scopo principale delle sue spe- colazioni. Ed io qui credo di non errare dicendo ^ che volendosi interpretare una giurisprudenza tutta rav-» COD. THEODOS. FRAGMENTil SSQ Tolta tra gli usi dell' antichità , quaFè la romana , tjuest' ulTizio meglio appartenga ad eruditi filosofi , che a forensi commentatori. Imperciocché coloro ri- salgono all'origine di sifìatte leggi , ne ricercano l'in- dole , e quindi la conservano intatta ; laddove co- storo ogni cosa pensano di chiarire cogli usi pre- senti , e confondendo i tempi ne travisano la natura. La diversità de'metodi tenuti nell'intei-pretazio- na de' testi della ragione comune , dopo che ne ri- sorse in Europa lo studio, mi confermano eziandio in quest' opinione : poiché si vede , come le scuo- le d'Accursio e di Bartolo , intente solamente ad accomodare alle usanze de' tempi in cui fiorivano i precetti dell' antica sapienza romana , in vece di spiegarli gli affogarono in un mare di chiose , e l'oscuritk del testo cresceva col numero de'comen- ti. Allora fu che la giurisprudenza , fatta ispida e barbara , divenne arte di cavilli anzicliè scienza di verità , e coloro che ad essa applicavano si con- dussero a quella vii condizione , sotto la quale gli adombrò il Firenzuola nell'ingegnosissima allegorìa dell'asino d'oro. Ma col risorgimento de* buoni studj rinacquero anche i retti modi d'interpretare le leggi , e si mu- tarono le discipline del foro (i).Cuiacio meglio di ogni altro col lume della filologia seppe quelle mondare dalle sozzure , di che le avevano imbrattate i cliio- satori ; e per la stessa via camminando Brissonio , e (i) Fra i molti e (aTÌssiml proTTedimenti datisi «(da'no^ siri re per tener libera dagli errori rammlslrazioiie delia giustizia è du annoverarsi il divieto tallo dui re Vii Iorio Amedeo II agli avvocati di allegare nel foro i dottoii , ed a'giudici di deleriré alle opinioni di »m. 34© Letteratura Budeo,c Gòveano,e(l i due Gottifrèdl giunsero ad egual termine . E le opere di questi valenti non ottenuei- ro minor plauso tra i giureconsulti di quello che ab- •biaiio conseguito tra gli eruditi.Da lóro ebbe origine quella schiera, d'illustri interpreti , che poscia ridussero a maggior rettitudine le discipline forensi: poiché, fat- te più certe le dottrine astratte delle leggi , più si- cura ed agevole ne riesci V applicazione . Che se fos- se mancata la loro diligenza erudita , ne il Pothier ne il Doucat sarebbero giunti a segno di procurare quelle nitide ed aggiustate sposizioni delle leggi ro- mane , che rappresentano il prospetto dell' universale giustizia. Ricomposta in pace l'Europa, e restituiti alle va- rie nazioni gli antichi ordini di governo , non si tar- dò a conoscere come la felicita dell'universale ripo- si specialmente sovra la stabilita delle leggi civili , che custodiscono le basi della pace interna : vale a dire la sicurezza nel dominio de' beni , che conserva le famiglie e le rende alFezionate alla patria , e l'or- dinamento de' gindizj , che toglie le private contese e frena le malnate cupidigie. Ma siccome una sola è la verità ed una sola è la giustizia , e di essa è ripiena la giurisprudenza ro- mana , COSI a questa dovettei-o rivolgersi le menti di coloro , che o per dovere di pubblico ministero , o per istudio privato attendevano alla scienza dell'one- sto e del giusto . E parlando di questi studj privati non si dee tralasciare d' accennare i molti e gran- di lavori , che preparano a Tubinga que' dotti uo- mini,, lo Sclei-ader , il Glossius , e l'iafel , da' quali ci fu promessa una edizione ;di tutte le parti che compongono quello che volgarmente si chiama cor- po di dritto civile , accresciuta di quante nuove e biucerc lezioni loro somministreranno gli accurati esa- Co.D. TIIRODOS. IRAGMEIfTA 3/Jl mi che impresero a fare di molti e rarissimi codi- ci , e corredati di nuore note. Ne tacerò del Savigay, che nella sua storia delle vicende della giurispruden- za romana nel medio evo porse si beli' esempio della sottile critica e dell' acuto giudizio , con cui queste materie vegliono essere svolte , ne della fiducia in cui siamo che il Bluhme adempirà, le speranze , che hanno concepito i dotti di veder fra non mol- to date a luce le illustrazioni che egli sta disten- dendo sopra le leggi de'romani e de' barbari , frutto di gravi studj e di lunghe peregrinazioni. E qui pu- re è debito mio il ricordare i comenti e 1' accurata edizione delle istituzioni di Gajo scoperte in Verona, e teste pubblicate in Germania. I giuristi francesi non tralasciar ono di giovarsi de'testi delle leggi scoperte in Italia, che già vennero ristampate in Francia, e già attendono a farvi so- pra comenti ; e cola pure si drizzano gli animi a questi studj col rinnovarsi le edizioni de' migliori spositori delle cose che riguardano la giurispruden- za romana , fralle quali è degna di essere mentova- ta quella recentissima delle tavole cronologiche dell' Haubole , che servono a rischiarare l'istoria esterna delle sue vicende. Meno forse che altrove si coltivano queste di- scipline in Inghilterra , poiché non fu mai in queir isola data autorità pubblica alle leggi romane . E quelle parti di esse , come di quelle dei pontefici in- trodottesi prima dello scisma , che vi si osservano , traggono ogni loro forza dalla consuetudine sola , che le ha ammesse , e dalla consuetudine ricevono loro interpretazione . Onde inutile sarebbe agli inglesi il ricercare la vera indole di quelle leggi ad uso pri- vato o ministcrio pubblico m-ntre , la consuetu- dine , che ne fissò il sen.io e 1' applicazione , noa 343 Lktteiiatu«a potrehbe accomodarsi a qualsivoglia emeiidazioiif si facesse , dopo che essa ne assegnò il significato. "' Ma in nessun luogo più che in Italia s'attèn- de a tali lavori , essendo ' quivi i buoni ingegni indotti a coltivarle e dal numero de' rari codici che di mano in mano si vanuo scoprendo , e dall' os- servanza in che ancor rimangono la maggior par- te di quelle leggi , e finalmente perchè essendo que- sta la culla di tanta sapienza , pare che gli abi- tatori chiamatine all' eredita della gloria sieno pure tennti a custodirne con maggior cura il deposilo. E senza a lungo parlare delle cure , pei* le qua- li riuscì air Amaduzzi ed allo Zirardini di trar- re dal codice ottoboniano or vaticano le novelle costituzioni imperiali , basta il far cenno de* nuo- vi documenti ragguardanti a quelle leggi , che il celebratissimo monsig. Mai scopri nella vaticana , e pubblicò , neir alma citta che vi e patria , sul finire del novembre passato. Molti di questi fram- menti , che pe' segni che portano le meiubrB- ne che li contengono , si conoscono avere spet- tato al monistero di s. Colombano di Bobbio, an- ticamente sede di monaci cassinesi , racchiudono un complesso di leggi imperiali sino attempi di Var- lentiniano il seniore , corredate d'osservazioni , ed accarezzate insieme così , che pa)ono piuttosto ope- ra destinata a studio privato di qualche diligente forense, che lavoro compilato per pubblico ordina- mento. In essa si vedono spesso esposte questio- ni o ragionamenti sulle leggi che vi s' indicano ; si notano talvolta le differenze delle opinioni tra le sette diverse ; e colle leggi degli imperadori si uniscono sovente le risposte de' giureconsulti più antichi. Non poca utilità trarrà da questi frammen- ti colui , il quale studicra a dedurre il modo d'ai>- Con. THIODOS. yXAOMKlTTA $4^ piicazioni delle leggi seguito dagli antichi forensi , e ne trarrà notizie atte a rischiarire molte parti del diritto antico , che ancor giacciono involte in certa quale oscurità , come sarebbe, per esempio, il com- mentario che vi si trova sulla legge Cincia , la qua- le finora aveva eccitata, ma non soddisfatta la cu- riosità degli eruditi giureconsulti. Alcuni frammenti scopri pure il Mai del codice feodosiano ; ma perchè essi contengono leggi conse- gnate negli ultimi libri di quello , e perciò già pub- blicate , non volle egli ripeterne la stampa , e si ri- dusse ad accennare la principale varietà delle lezio- ni , e ad indicare un frammento che vi trovava aggiunto delle leggi de' borgognoni , il quale è da credere che facesse parte di quella collezione, che vie- ne attribuita a Papiano , compilata poco dopo il principio del sesto secolo. I frammenti , di cui ho preso a parlarvi, mio dotto amico , racchiudono buon numero di leggi , tutte comprese ne' sei primi libri del codice di Teo- dosio ; e se si avverte , che la prima parte di ta- le compilazione era quella , che anche dopo l'indu- stria somma di Jacopo Gotofredo era rimasa muti- la ed imperfetta , le leggi che aijbiamo mercè di que- sta scoperta acquistate , ci faranno parere vie me- glio collocata la diligenza del Peyron , nel ricavar- le dal rescritto codice , e metterle a nuova luce. II manoscritto , d'onde si trassero, e membrana- ceo; in grande ottavo ; la scrittura sovrapposta e del secolo XI. Essendo antico rescritto , e simile a;d al- tri rinvenirti nel monistero di s. Colombano, puossi credere che di la questo pure ci sia venuto. Esso da lunghi anni stava nella biblioteca della regia uni- versità degli studj ; ma o sia perchè la fattura delle lettere pressoché longobarde poco consolasse gli occhi, G.A.T.XXI, ^2 344 L E T T^K K k T V % ^l- o perchè questo libro in parte lacero , in parte inal- concio paresse cosa di nessun momento , gli autori del catalogo de' codici torinesi non ne fecero paro- la. La seconda scrittura contiene i gesti di Alessan- dro il macedone , descritti da Esopo greco , e vol- tati in latino da Giulio Valerio, quelli appunto, che il Mai pubblicava in Milano nel 1817. Il testo tut- toché scorrettissimo porge alcune varianti dall' edi- zione milanese ; ma l'editore di questi frammenti av- verte a buon diritto , che la ristampa di quest'opera recherebbe picciola utilità, dopo che il sig. de Sain- te Groix con tanta diligenza diede a luce il suo esa- me critico degli storici della vita d' Alessandro il grande , e le narrazioni vere sceverò dalle false. A pochi sarebbe certamente venuto in mente , che si fosse potuto muovere serio dubbio suU' utili- tà del trovato , per cui le antiche scritture dei pa- limsesti si riducono a luce , se il docile editore per un riguardo di cortesìa non si fosse fatto a rispon- dere alle difìTicolta che taluni vi mossero contro. E siccome è facile il conoscere , che nel trarre da còdici rescritti l'antica scrittura , la più recente non si perde , potendosi a beli' agio ricopiare e con- servare , e che inoltre , per valermi delle parole del Mai , raro nccidit ut nihil commendationis haheat antiquitas ; io credo che nessuno in buona fede pian- gerk la perdita di cosa , di cui infinite copie si pos- sono avere , e per la quale s' acquista ciò che cre- devasi irreparabilmente perduto . Il buon successo che ebbero in s\ fatte investigazioni le cure di due dottissimi italiani , la speditezza dell' opera e dell* apparato chimico che vi si richiede , e la gloria di quest' invenzione fatta in Italia , tutto insomma concorre , perchè da chiunque ama le lettere , e sx quanta luce sovra d'esse l'antichitk diffonda , e da Co». THKODOS. FRlftMENTA 3i5 noi sopratutto si riconosca questo come mezzo ftiira- bile per diminuire i danni della barbarie. Gik vi ho detto , che questo còdice «latico e rescritto credesi con ragione avere appartenuto al monistero di s. Colombano di Bobbio, nel qua- le era dovizia grande di libri stampati , e mano- scritti , molti de' quali rarissimi , e fra questi ul- timi i frammenti di Cicerone , che pure scoperti ed illustrati dal Peyron ora si stampano in Ger- mania. Buona parte di questi libri giacevano an- cora a' tempi a noi vicinissimi affatto sconosciuti in Bobbio e ne' suoi contorni ; ma essendone sta- ti molti ricuperati ed acquistati dal R." governo, furono riposti nella biblioteca dell' università , E le cure del Peyron furono quelle , che ricercando in que' recessi , seppero rinvenirli e porli in ve- duta sicché potessero conservarsi. Io non istaró qui rintracciando le cagioni ed i modi , per cui parte de'libri del monistero di s. Co- lombano sia andata a Roma , e parte passata all' ambrosiana in Milano , o rimasa in Piemonte, poi- ché intorno a ciò non saprei far altro , che ripe- petere quanto narrò di gik il Mai nella sua pre- fazione a' discoverti libri De re publica , che tutta Europa conosce. Soggiungerò solamente , non essere meraviglia , che questi avanzi dell' antichità lettera- ria siensi conservati nel monistero di s. Colombano , dove pel fervore e per la diligenza de'monaci eran- si ampliati i chiostri , se si considera che la pic- cola cittk di Bobbio , posta tra monti che divido- no gli stati del re nostro dal ducato di Piacenza sulla cinistra sponda della Trebbia , non potè mai «ssere ne campo di guetra , ne luogo esposto tl- le scorrerie di genti d*atme. 00 LÌTT«IIAT«RÌ Da questi appartati angoli del mondo molti avaazi delle antichità vanno ritraendo i dotti dell* eù. nostra pii^i diligente ed erudita, e facendosi più frequenti e più estese ricerche ,| infallibile quasi ne sarà il buon successo. Per accertare Tautenlicità , e determinare l'età del codice di cui vi parlo , è necessario 1' entra- re in molti particolari ragguardanti alla formazione delle lettere , ed all' ortografia che vi si osserva. Essi parrebbero di soverchio minuti a chi credes- se , potersi di volo far giudizio della sincerità de' manoscritti ; ma ad un uomo , quale voi siete, del- le còse di paleografia intendentissimo, non sarà di- scaro eh' io sponga tutti que' caratteri , che l' edi- tore propone a guarentigia dell' opera : e ricorde- rete quel detto , che la diligenza è la face che ci scorge alla verità. iPrattandosi del codice teodosiano , la scrittu- ra non può essere più antica dell'anno 438 , e vuoi- si credere eh' essa non sia posteriore al 554- Le considerazioni tutte paleografiche ed ortografiche con- corrono a farlo credere scritto sul principio del se- sto secolo. Le parole sono scritte senza veruna in- terruzione , od intervallo che sia ; alcune lettere , còme la fi? , la e , la i^ , la /w , la q , hanno già forma tonda ; non sonovi ne dittonghi ne abbrevia- zioni. Accade sovente , chela particella enclitica qucy e la terminazione bus si scrivano con una q , od ima b sola seguita da un punto ; trovasi rado in fine deVersr sovrapposta all'ultima vocale la lineuz- za che nota mancare una consonante , come omnium; non vi sono parole abbreviate , tranne nelle epigrafi delle leggi e nelle soscrizioni. Riguardo all' ortogra- fia , molte parti vi sono che ne attestano 1' anti- chità. Ne' primi fogli del codice l'armanuense usò seri- COB. THKODOS. FRIGMIVTA 347 vere più rallargato , e più stretto negli ultimi. Fa- cili a scambiarsi sono nella lettura le lettere B. R. S. , C. G. E. , F. P. , D. O. , se con accuratissima attenzione di mente , e con intenzione d'occhj parr ticolare non si discernano. I fogli sono collocati nel- r ordine stabilito o dalle indicazioni àe titoli che rimangono , o dal breviario alariciano. Tutte le parti del testo scoperto sono stampa- te in quest' edizione in caratteri aldini , nella foggia e colle divisioni stesse che si trovano nel codice , e quindi ripetute in altri caratteri , a cui tengo-r no dietro alcune note che spiegano , ed i commen-^ tarj che illustrano il testo. E pure aggiunto un apografo , o fac simile che dir si voglia , in cui sono delineate le tre spe^ eie di scritture che vedohsi nel manoscritto. Ne' fogli del palimsesto descritto l'editore in- serì tre membrane d' un altro palimsesto rinvenuto tra i manoscritti di Bobbio. La scrittura recente di questo ci porge le collazioni de' padri , indicate in questa guisa : Coniationes ab. Pnfnuti : e quelle ah. DnniheliSi in cui si parla de tribus nbrcnuntiatio- nibus de concupi scentia carnis et spiritus , che agevolmente possono assegnarsi al X secolo . La scrittura più antica sembra essere del VI secolo , e vi si osserva una foggia singolare di acconciamen-r to , segnandosi le lettere qic spessissimo così : q' , come p. e. , aliq*id ^ q'i. Questi fogli contengono frammenti del codice teodosiano , e \ editore li reputa eguali a quelli scoperti dal Mai nella vaticana. Del primo libro si hanno ne* frammenti iG leg-^ gì , jS delle quali rimasero fin qui inedite. Fr 'Ò\S L E T T K R Jl T r R A re , per quanto si può congliLet turare dal contrstff» In esse gì' iraperadori Teodosio e Valentiniano nar- Jaiio il loro intendimento di formare un nuovo co- dice , che sarebbe il quarto dopo i tre che , si vo- levano mettere in osservanza , e commettono la cu- ra di compilarlo a varj giureconsulti, clie^ per quan- to si scorge da' titoli di cui vengono ornati i loro nomi , tenevano grandi cariche in quell'impe- ro , ma snjlla cui lode per altri fatti V istoria non so se provveda , od invidiosa si tacque , non la- sciandoci memoria della loro esistenza se non nel- le sterili qualificazioni che ci si appresentano io queste leggi. Questo codice doveva essere , e fu diffatti , un aggregato delle costituzioni e de' rescritti datisi da' predecessori nell'impero : tolte alcune , le quali o perchè fatte da Giuliano l'apostata , e contrarie al- le sante dottrine , o perchè mal si sarebbero combi- nate cogli usi più generali , non dovevansi conser- vare. Ed è cosa da notarsi , come nelle formazio- ni de'codici dissentissero da* moderni gli antichi ; mentre oggidì , per gli esempj avutine , l'idea del- la compilazione d'un codice non va mai scompa- gnata da quella di un'intera rinnovazione di leggi, ossia di un era novella , direbbesi , da cui proceda un ordine di legislazione per nessuna maniera col- legato d'autorità con quello , che avanti osservava- si ; quando gli antidii , e soprattutto i romani , se- guitando quel perpetuo iastituto della civile sapien- za del governo , di tenersi alle cose vecdiie e pro- vate , andavano ricomponendo ma non rinnovan- do i codici , e piuttosto riducevano a memoria di q^uel che mutassero gli antichi pubblici provvedimenti. Saggiamente fa poi osservare l'editore , come in queste compilazioni entrassero anche le nspo- CoD. THCODOf' FRACMCN-ri 349 ste de* savj , a cui erasi data autorità di decidere pubblicamente sui dubbj , che nell' interpretazione delle leggi occorfevanò , é quéste servissero a chia- rire i sovrani precetti. Apertissime sono a tal uo- po le parole , che si leg^gono nella prima delle ci- tate costituzioni: Ex his autem tribus codicibus , et per singulos titulos coherentibus prudentiam tra- ctatibus et responsis eorum opera qui tertium ordinabunt , noster erit alias qui nullum errorum nullas patitur ambages , qui nostro nomine miri' cupatus sequenda omnibus vitandaque inanstrabit, E ragion vuole , clie noi riconoscenti al desiderio di Teodosio , che certo la tanto ivi vantata chiarez- za stava più nel buon volere che nell' effetto , in- colpiamo la mala fortuna de'tempi , che non lasciò condurre a termine le opere divisate , dalle quali buono se non ottimo frutto avremmo raccolto. Crede 1' editore , ed ognuno , io reputo , con- sentirà seco , che la cagione degli indugj frappo- sti alla prescritta compilazione fosse principalmente riposta nelle dissensioni e nelle turbe leva tesi ap- punto tra il 4^8 ed il 4^^ P^r l'eresia di Nesto- rio , che si gran fiamma accese nell' imperio già. travagliato dalle sette eretiche degli ariani , de* qjiar- todecimani , de' macedoniani , e de'manichei , e che la lode d' aver ideata ed in parte almeno com- pita la proposta compilazione debba dividersi tra Teodosio, e la sorella sua Pulcheria augusta, don- na di alti pensieri , e , come dic(>va Filostorgio con parole tinte d'adulazione , preparatrice e correggi- trice delle risoluzioni sovrane ( lib. XII cap. VII ) Tcir? ^«(WAnti? ffUjje/^a-e/? \n:^m\t.in %\\ SivdvvxcrX' In pochi cenni cosi trovasi descr itta l'istoria del codice teodosiano , che , per quanta se ne fosse pa sUto finora ^ non si aveva per difetto di documenti^ 35o LlTTKRATIiRA Le altre leggi del primo libro ragguaiJan© tutte agli ordini , agli ufliij delle giurisdizioni , ed jdle regole dell'interpretazione delle leggi. Fra quel- le della prima specie molte s'annoverano concernen- ti air annona , a cui volevasi accuratamente prov- vedere , per tenere in quiete un popolo intempe- rante e poco guerriero , sebben facile a sollevar- ci. Fra quelle della seconda potreb]>e dar materia a comenti la XI die prescrive , doversi da co- loro che governarono le province , anche dopo aver- ne deposta l' amministrazione , promuovere la riscos- sione de' tributi che nel tempo del loro governo non si fossero pagate. Nel secondo libro compajono i4 leggi , quat- tro soltanto delle quali erano di già edite. I titoli, sotto a cui esse stanno , sono : delle ferie , depat-^ ti e delle transazioni , e deW avocazione ; e se me- no ristretto fosse il tempo che mi è lecito di conx^edere a questi studj , e se anche non avessi giu- sto timore di furarvi le ore che cosi bene voi sa- pete impiegare , io qui potrei discorrere due leggi po- ste sotto r ultimo de' titoli indicati , dalle quali ap- pare che prima di Costantino era assegnato a ciascun tribunale un certo numero di avvocati , i quali soli eranvi ammessi a piatire , ma che , tolta tale dispo- sizione , quell'imperadore lasciò liberi a tutti l'eser- citare quel ministerio , vietando per altro a chi aves- se intrapreso il suo ufficio davanti ad un tribunale il passare poscia ad un altro. E qui io avrei campo a parlarvi dell' ordine regguardevolissimo di questi di- fensori delle private ragioni , ed a tesserne l'istoria , soprattutto ne'secoli del medio evo , in cui mentre si distruggeva per fino la memoria delle più nobili istituzioni degli antichi, pare che siasi con qualche ono- re, eonsorvato l'ufficio degli avvocati. Ed alcuna cosa Co». THKODOS. fMGMENTA i5 f arrei pure a dire sovra gli ordinumenti pubblici, ch« m varj tempi per loro si fecero , e sul modo col qua* le a' tempi nostri furono rinnovati. Volentieri verrei anche ragionando de' giorni feriali che qui si trova- no descritti , e trarrei occasione di descrivere alcu- ni particolari riti sacri , quale è p. e. quel digiuno pili stretto chiamato ^ugotpx'ylx , e non tralascerei certamente dal toccare le dotte conghietture che 1* edi- tore propone sulle varie edizioni manoscritte fattesi del codice ermogeniano , e sulle giunte che nel IV « nel V secolo vi furono apposte per opera d' ignoti giureconsulti. Ma quanto io vi saprei dire non sareb- be compenso alla perdita di quello , che voi sapreste fare nelle ore che dovreste porgermi orecchio. Vengo adunque a' framenti del III libro , che contengono -y leggi, fra cui due inedite . Esse tutte parlano dell' autorità e dell' uffìzio de' tutori e de'cu- ratori , e non racchiudono notizia alcuna che vo- glia essere in ispezial modo accennata. Più ricco d'assai è il quarto libro , che con- tiene ventidue leggi , fra cui nove sono inedite. I titoli sono: de filiis naturalibus et matribus eoritni , de libertatis causa , de vectigalibus et commis-' sis . A quest'ultimo appartiene una legge , la quale dimostra a qual miserabile condizione fossero allo- ra ridotte alcune citta soggette all' impero , e sta ne'seguenti termini : Imp. Constantius A-> ad Mar- tinianum vicarium Africae . Divalibus iussis addi- miis Jìrmitatem , et vecti^alium quartam provincìa- libus et iirbihus africanis hac ratione concedimus, ut ex his moenia publlca restaurentur , vel sar- ciendis tectis substantia ministretur . Data epistola ad ve Vicarium prid. id. iuU Cilio Datiano et Cereale conss. 358. L'editore crede , che da questa legge si possa desumere qual fosse la quantità or- 353 LrTTC»ÀTi'j»4 diuarla de'balzelli che si cedevano dall'erario piib- Blico a vantaggio delle citta , e T opinione sua si conferma non meno da quelle prime parole Divnli" bus itissis eC' , che indicano essersi gi'a fatte sovra tale materia particolari próWérliitrenti , come dal te-^ sto chiarissimo della légge VII dello stesso titolo, inedita eziandio , e cos'i CcWóepiflr Iinppp. Venienti- nianus ^ P^alens^ et Grafianus j1 A A. ad Constan- ti um procons. Africae. Ex reditihits reìpublicae , omniumque titidoriim ad singnlas quasque perti- nentium civitatis « duae parte s totius pensìonis ad largiiiones nostra^ deveniant , tertia prohahilihus civitatum deptctetur expensis . Dal f^II id^ sept. Mogontiaci post consuÌMumGratiant A 'III et Aequi- tii cojiss. SyS. Se questa ripartizione fosse ammessa per tutte le citta dell* impero , O'Vvero ristretta a quelle sole dell'AATrica, die , comfe è a tiifli noto » era in que*tempf devastatissima e(? bonis mititiiin^ le cui parole sono le seguenti? Honoriits et Iliodostus A-- A^ Autkeitsio P. P." .SV;)7<7.f barbaram nationein , maximis tjran— nornm^ qulbus se conìnxerant , copiis fusis , impe- rio nostro subegimiis.. Ideoque damus omnibus co- piam ex praedicta gente kominum agros proprios frequentandiy ita ut omnes sciane suseeptos non alio iure , quam colonatus apud se futures ; nulUque li- cere ex /m/c genere coton ub «6 ♦ etn semel ad- COD. THEODOS. FRAGMBNrA 353 tributi fiierint-t t^^^ fraude aliqua abducere , vel fu- gientem suscipere^ poena proposita^ qiiae recipientes alienis censibus adscribtos , vel non proprios colo- nos insequitur : opera autem eorum terrarum domi' ni liberi esse sciant : ac nullus sub acta peracqua- tione , vel censui subiaceat ; nullique liceat velut do~ natos eos a iure census in servitutem trahere ur^ banisi^e obsequiis addicere. Porro intra biennium sU' scipientibus liceat prò rei fiumentariae arigustiis in quibuslibet provinciis transmarinis tantumm odo eos retinere^ et postea in sedis perpetuae fundo a parti- bus Trachiae^ vel Illjrici habitatione corum peni" tus prohibenda ; et intra quinquennium dum taxat , intra eiusdem provinciae fineseorumtraducti one prout libuerit concedenda : luniorum quoque intra praedi- ctos viginti annos praebitione cessante ita ut per li' bellos sedem adeant ; et his qui volu erint , per transmarinas provìncias eorum distributio fiat. Dat, prid. id. aprii. Cpoli. Honorio Vili et Theodo- sio 111 conss. 409» L'esposizione della legge è co- s'i aperta , che non abbisogna di chiose; da essa l'edi- tore emenda assennatamente un luogo di Sozomeno , in cui quest' istorico dice , essere stati gli sciti ri- dotti in servitù e venduti : laddove è manifesto che essi furono dichiarati coloni , senza perdere la liber- ta. Fra le parole che mancavano nel testo , e cui l'editore ha dovuto supplire, è quella di tyrannorum della quale non apparivano che le parole norum . Non trovandosi nelle note addotta la ragione di que- ste parole aggiunte , mi sark lecito l'osservare , che sebbene la parola tyrannorum possa convenevolmen- te addattarsì a quell* aggregato di condottieri che unitamente agli sciti condussero barbari di nome di- verso contro l'impero sotto il settimo consolato dì Onorio , parrà forse a taluno à\ coloro , cui piafre 354 L«T"rr»tTtj»à> sempre meglio seguire le lora che le tltrm conghiet- ture, di poterla supplire altrimenti , dicendo germa^ norumj ovvero alemanorum^ i quali erano pure po- poli compagni nella spedizione agli sciti . Deducendo la ragione di questa variante da ciò, che il nome di tyranni non fosse il più adatto ad indicare o le ban- de guerriere de' barbari che venivano contro Ro- ma, od i loro capitani che tenevano un governo tutto suir arme , ed erano piuttosto gnide die do- minatori di popoli. I titoli di questo libro sono: de bonis militumr de postliminio , de ingenuis qui tempore tjranni' sen'ierunt , de fundis patrimonialibus , emphiteuti' cis , et . saltuensibus , et de agro deserto. Il colore della scrittura di questi frammenti era cosi sbianca- to , che in alcuni le poche parole qua e la rac- capezzate non ci porgono senso probabile: ma mol- ti per altro rimangono die somministrano rare no- tizie de' tempi , ne' quali incominciava la decadenza: dell* imperio romano. Già si vedo-no corrotte le re- gole del buon governo delle sostanze pubbhdle , le concessioni do' beni del principe fatte altrui a ti- tolo perpetuo, i troppo larghi favori co' quali s' in- vitano gli abitanti delle provincie a pigliare que'be* ni in via di locazione o di enfiteusi , onde^ assicu- rarli contro l'avarizia de' nazionali : da per tutto trapelano avarizia , debolezza , confusione, che pre- sagiscono quella rovina di disastri , a' quali andò soggetto l'impero fino alla sua distruzione . In que- sta parte , che direbbesi storica , del codice teodo- siano , osserverà lo statista una prova evidente Ai queir assioma , die la condizione dell' amministrazio- ne interna e delle ricchezze territoriali di un po- polo è sempre in ragicme diretta della sua forza po- liti qa : cosicché p«g^orand& Tiina, l'altra df« MCiift- sariamente iiCemare. "Co». THlODOS. fXÀGMENTA 355? Del «esto libro noa si ha che uà solo fram- mento dell' ultima legge d'Onorio e di Teodosio, • questa pure ci svela il disordine che erasi intro-^ dotto neir esercizio delle giurisdizioni , e come U severa disciplina degli antichi romani fosse , non che negletta , disprezzata dai degeneri loro successori. Eccovi , amico dolcissimo , il sunto il più bre- ve delle cose che mi parvero degne d' essere no- tate in questi frammenti. In esso io m'attenni, co- me vedete, soprattutto all'ufficio di narratore; ma se dovessi interporre alcun mio giudicio , direi , che la discoverta di tali frammenti sarà utile a' lettera- ti , e grata a' giureconsulti ; essendoché quelli ne caveranno molte notizie necessarie a rischiarare l'isto- ria del basso impero; questi ne trarranno un mez- zo per interpretare più agevolmente alcune leggi che trovansi nel codice di Giustiniano. Da quanto ho avvertito sopra alcuni punti prin- cipali , potrà ciascuno far giudizio della squisita eru- dizione e del profondo senno , con cui l'editore sciolse le difficolta e tolse i dubbj che sarebbero sorti dalla lettura di questi frammenti . Leggendo poi distesamente i suoi commentar) , ognuno che sia di mente arguta gli darà lode per quel suo modo di accoppiare colla diligenza la vastità delle osser- vazioni , accomodandosi alla severità delle investi- gazioni di uu grammatico o di un giureconsulto , senza mai, allontanarsi dall'altezza delle contempla- zioni d'un filosofo. Piacciavi adunque d' avere questa qualunque siasi mia scrittura siccome pegno o tessera dell* amicizia nostra , e sarò certo che il mio dono non vi riesci misgradito. Amatemi , e vivete felice. Di Tonno , a d'i 29 di febbrajo del 1834. 35^ Sulle ca^e di granito di S» Reparata in Sardegna. Lettera indiritta al signor ca^'aliere di S. Qiiiitino nel settembre del 182 3. Non ascriva , ornatissimo cavaliere , a pura tra- scuranza se cosi tardi adempio alla mia promessa, e solamente in quest'oggi le faccio breve cenno del- la cava granitica da me osservata in Sardegna ; sulla quale , alcuni giorni sono , ebbi V onore di trattenerla. Ella , più che ogni altra persona , non igno- ra quanti frastorni sogliano assalire un viaggiato- re allorché ripatria dopo notevole assenza ; onde in lei più particolarmente confido per un benigno compatimento , sia sul detto ritardo , sia sulla na- tura di questo ragguaglio che il tempo non mi permette di offrirle migliore. In questa primavera scorsa , perlustrando la par- te settentrionale dell' isola di Sardegna che da |)a- recchi anni presi a percorrere onde ricavarne esat- te notizie , albergai un di in un certo villaggio , detto tempo fa Longone , ossia Longo-sardo , e pre- sentemente s. Teresa. Trovasi questo sulla riva del mare , in un sito detto le Bocche di Bonifacio , ed è fra tutti i paesi del suolo sardesco quello che meno dista dall'isola di Corsica. Ivi dopo di avere pernottato e prese alcune notizie sulle località , mi disponevo a partire con buona e numerosa compa- gnia ; quando mi venne consigliato di fermarmi an- cora per visitare un luogo vicino , detto s. Repa- rata , del quale mi si prometteva assai soddisfazione. Indotta non senza difficolta la compagnia a dif- fp-rirc di poche ore la partenza , mi posi all'istante ÙKkìlirQ DI s. Rkpàrìta. 55^ in viaggio , ed in meno di due ore di cammino , in gran parte per una mobile arena , giunsi a pie- di del luogo accennato , cioè verso la parte orien- tale della piccola penisola di s. Reparata , ove tro- vansi non dubbj indi^j di cospicue cave antiche di colonne , ed altri pezzi d' architettura staccati dalla roccia del suolo . È questa roccia in vago granito di quarzo bianco con piccoli punti di inica nera , il tutto impastato con notevoli e numerosi cristal- li di un feltlspato di color roseo pallido. Tale roccia , che riposa sopra un granito da me giudicato più antico , è comunissimi in quel- la parte settentrionale della Sardegna , cioè in tut- to il tratto marittimo del canale della Corsica , in Tempio^ ìnTc'rranuoi'a, mW Isola della ^Maddalena ec. La località di detta cava offre , all'orlo stesso del mare , la vista di grossi macigni divisi fra lo- ro da spaccature strettissime, per lo piìi rette e pro- fonde , la cui parte inferiore viene constantemente occupata dal mare. Alcune vene di quarzo bian- co si vedono allungate in linea quasi retta della direzione delle medesime naturali spaccature. In detto sito vedonsi numerosi pezzi di quel bel granito tagliati in varj modi. Fra piiì di ot- tanta di essi cola giacenti sull'arena, o battuti dal- le onde , appena un solo ne potei vedere che for- ma avesse di colonna. Riposa ancora questa sulla pro- pria matrice , e trovasi tuttora nello stato in cui for- se la lasciarono gli operaj , allorché ricevette la pri- ma forma cilindrica. Stante la grossolana sua strut- tura non potei accertarmi a qual ordine di architet- tura venisse destinata , e perciò maggiori indizj pen- sai ricavarne dalla misura. Eccola : la lunghezza totale è di sette metri, centimetri trenta: il diametro delle due estremità varia in lunghezza , e f u da me ritrovato 358 L«TTKRATtRA di un metro preciso in una parte , di 93 centime- tri nell'altra ; il diametro poi generale della massa k di 85 centimetri e millesimi due. , ciob di due me- tri , ottanta incirca di conferenza. Gli altri pezzi , da me giudicati in numero di ottanta , sono posti in varie guise , uno a fianco o sopra dell'altro , ma quasi tutti presso a poco nella medesima direzione. La lunghezza di 'alcuni di essi eccede quella della summenzionata colonna. La for- ma loro poi è quella di un prisma regolare a tre facce. Questo modo di tagliare i prismi mi parve de- gno di osservazione , e m' indusse a credere che forse in quella guisa si spaccavano dalla roccia i gran pezzi destinati a formare colonne di notevole mole o lunghezza. Già nel corso del mio viaggio , visitando scavi di pietra che attribuisco ai romani , aveva io osser- vato certe specie di gradinate, dal volgo giudicate case scavate , ma che dopo minute ricerche mi par- vero indicare il modo ingegnoso , col quale in quei tempi si potevano con facilita , e minor perdita di tempo possibile , estrarre canto/li quadrati dal sas- so vivo. Questa foggia d^intagliare a quisa di gradina- ta offriva , a parer mio , maggior comodo all'estra- zione di detti cantoni , stantechè due facce della pietra, inferiore , e per cosi dire del cantone futu- ro , erano già ultimate dalla terminazione dei can- toni che costituivano la gradinata superiormente parallela. Un simile scavo era , secondo eh' io cre- do, assai profittevole : massimamente se la pietra , come spesso accade , permette spaccature regolari per mezzo de' cunei. Granito di s. RsparìTìI. X&^ Sotto consimile aspettò inclinerei a riguardar?; r|uella costante forma prismatica de* pezzi di S. Reparata. Neil' intagliare, ed anche nello spaccare la roccia in tre facce uguali , veniva di già ordi- nata una di esse per ognuno dei due prismi infe- riori da scavarsi poi , e cosi progressivamente. Ere- sumendo che detti prismi fossera destinati a for- mare colonne , facilmente si suppone- con quale age- volezza sarebbero poi stati ridotti alla desiderata for» ma cilindrica. Riguardo a qua! epoca ed a quaì popolo si possa attribuire questo scavo , la scoperta di un cip" pò funereo , vicino all'istesso granito , di forma ve- ramente romana e eoa iscrizione latina mi sembra avvalorare la tradizione locale , la quale indica i ro- mani signori della Sardegna come fabbri di codesti lavori. Alcune persone vanno anclie piti oltre della tradizione , e tengono per certo che questa cava sia delle colonne granitiche del taato decaatato pantheon di Roma. Manco da quella grande citta, saranno ben iS anni ; ed avendone in quel tempo visitati i monu- menti con queir interesse che suole avere in simili cose un ufiìcialetto di diciannove anni , confesso che le osservazioni da me fatte uella chiesa della Ro- tonda non si estesero sulla qualità e materia di esse. Desidererei adunque stabilire esatto paragone tra i pezzi da me presi sul luogo della cava , e ìe colon- ne stesse ; onde pensai , che a pex'sona più capace izi simili argomenti non mi poteva rivolgere che al ckiar rissimo illustratord^^lla hpidicina emamìorarìa d'Italia. Mi lusingo , che , qualora si verificasse questo fatto , non riescirebbe questa scopetta discara a V, S. massimamente nel tempo in cui TEuropa tvXlSL , ama- reet^'ata dalla recentt? _perdita di uno de'più cospicui 3Co L K T T E R. A T U A monumenti di cristiana pietà e di umana magnificen- za , si lusinga di vederlo un di risorgere dalle sue rovine . Le faccio poi osservare , sig. cavaliere ornatissi- mo , che la cava di s. Reparata trovasi all' orlo del mare stesso ; si che il trasporto de' pezzi ne potrebbe ATnire moltissimo agevolato . Ma ove mi trasporta la mia fantasia ? Veggo tante cose belle , ma incerte , e non m'accorgo di ciò che forse e ben certo , cioè che oltrepassai i limiti della dovuta discrezione. Con- fido però nella di lei esperimentata sofferenza , e mi protesto ec. Albkrto della Marmora. 36i Le egloghe pescatone di Azzio Sincero Sannaza- ro napolitano , recate in versi italiani dal cav. Luigi Biondi romano. 8.'' Torino y tipografia Chi' rio e Mina 1823. ( Un voi. di cart. 55. ) uando l'Italia incominciò a riscuotersi dal lun- go sonno dormito per tanti secoli , uno de primi che ricondusse le nostre muse a questo dolce stato di gentilezza fu senza dubbio il Fontano. Percioceliè a lui ninna cosa mancò delle necessarie a portare il peso di tanta mole : non gli spiriti alti , non la bontà dell'ingegno : per cui essendo presto sa- lito in grande stato alla corte de' re di Napoli , parve che non per altro tenesse cari e desidera- bili i favori della fortuna che per aiutarne le lettere e i letterati : e institui la s\ famosa accade- mia napolitana , d'onde poi , per usare le parole di Lilio Giraldi , usci come del cavallo troiano una bella schiera di leggiadri poeti ad onorare l'Italia e le generazioni avvenire. Quegli però che in mezzo tutto quel senno levossi in maggiore celebrità fu certamente Iacopo Sannazaro ; il quale per purità ed eleganza non solo si lasciò dietro il suo venerando maestro , ma fu tenuto siccome principe di tutto il bel numero ; tal- ché moltissimi disperando quasi di poter giimgere a quel colmo di perfezione dov'egli giunse , si ritras- sero dal piìi scrivere versi latini , e piuttosto si diede- ro ad usar rime italiane. Della qual cosa, dice il Vol- pi (1), potrebbe essere anche un esempio l'ele- (i) In L'Ila vit» dtl Sannazaro. 23* S5i Lkttkratwka gantissimo Pietro Bembo. E veramente fu il Sanna- zaro quegli che primo insegnò a'nuovi latini la m»* gnificenza , la copia e la dignità degli antichi , at- tenendosi a'suni del suo Vir^^ilio : di che una bella fede rende pure il Fontano , quando lo introdusse a discorrere ciò gravemente in quel suo dialogo che s'intitola Attius. Scrisse egli , come ognun sa , il poema De par- tu yirsinis tutto vago dell'oro del più bel seco- lo , e molti leggiadri epigrammi , e tre libri di ele- gie. Ma ciò che oltre al poema destò fra tutti grandissi- ma maraviglia di tanta sua vena furono le egloghe pe- scatorie : nelle quali veramente può dirsi , eh' egli traesse dalle selve e da'monti a scherzare sulla ma- rina i pastori del poeta di Mantova ; perchè certo le grazie latine , da Virgilio in fuori , non sono più comparse fra gli uomini così schiette e soavi , come comparvero a questo gentile napolitano ; né con maggior verecondia , benché sembrino tutte jgnude. Sono le egloghe un'opera della sua giovinezza, in che molta parte ebbe anche l'amore che portò lunghi anni all'onestissima giovinetta Carmosina de* Bonifacii . Ne aveva egli dettate dieci , se vuoisi prestar fede a Paolo Manuzio : ma essendo tornato di Francia , dove andò esule col suo re Federico, non ne trovò più che cinque: sia che gli fossero invola- te le altre, sia che in tanti casi andassero qua e la di- sperse per negligenza de'suoi. Perdita fra le altre mol- te gravissima , se tutte , com'è bene da credere , so- migliavano a queste che ci sono rimase. Or ciò che reca un gran maraviglia si è , che dove fin qui moltissimi hanno consumato un tempo prezioso vol- garizzando tanti poveri libricciuoli , solo alle eglo- ghe del Sannazaro ninno de'nostn buoni poeti ab- Pesca-torie di Sannaxajio 363 Lia posto mai cura : si che per tant^ anni non sono state , diremmo così, conosciute che da coloro i qua- li s'intendono finamente di cose latine. Ma il no- stro celebre cav. Biondi , cosi gentilissimo com'egli è , non ha più voluto ciò tollerare: e si è finalmente mosso al riparo : e con quale onor suo non è bi- sogno che qui si dica , perche niuna cosa è uscita mai della penna di s\ caro poeta , che subito tutta Italia non l'abbia stimata ottima. Diremo solo , che noi non sapremmo in altro luogo trovare ne tanta mae- stria di rendere francamente in volgari eleganze le ele- ganze latine , ne tanta fedeltà, ne tanta cura di parer semplice, quanta noi ne vediamo in questo volgariz- zamento. E che tale sia il vero , ecco per saggio l'egloga seconda intitolata Galatea , la quale dallo Scaligero (2) fu riputata fra tutte le altre bellissima. Egloga seconda- Galatkà. Erasi a sorte il pescator Licone Stanco nel vano di una grotta assiso , Ove da l'ampia cima dello scoglio Si specchia in mar la bella MergelUna : E mentre gli altii con accese faci Vanno intorno spiando i noti golfi , , E qual parte di mar più in pesce abbondi^ O di lontau le bianche reti a riva Traggono , e i pesci prigionieri : ei solo Medita carrai per l'oscura notte. (a) Poeti«es ìib- Vi. 304 LKlltIVATURA Non te pregliiere , o Galatea , ne mai Te mosser doni : sparsi al vento \ gemiti , E un duro scoglio con vane ondd urtai. Mira : tutto è silenzio : il sonno preme I lumi a Torcile e a le balene : e tacite Giaccion le foche su le sponde estreme. Più non s'ode di Zefiro il susurro ; Alto sopor da calma al mare : e sembrano Dormir le stelle nel tacente azzurro. lo sol , mentre di notte itero il pianto , Fo che i miei sonni da la mente sgombrino : E tu nulla di me ti curi intanto ! Pur me Prassinoe , me la figlia amava Di Polibota , me d' Aminta splendido La bella moglie che'l sen bianco ornava. E fin , mei credi , da l'alta Ischia ondosa Mi chiaman le fanciulle , e cola celebra Più che ogni altra i miei carmi lale vezzosa , Che pur da ibera stirpe eccelsa nacque , E impera a terre e mari , e farebbe ardere Fin lo stesso Nettuno in mezzo a l'acque. Ma qual mai prò , se disgradevol io Sono a te sola ? se tu sola , o barbara , I miei carmi dispregi e l'amor mio ? A te donai de l'ostriche ben mille : Da quelle rocce , che svil mar si sporgono Lungo il monte Misen , mia man carpille. Mille altre a te ne serba , o Galatea , La sotto le agitate acque Pausilipo , E mille pur fra le quete onde Euplea. Molti ricci per me Nisida aduna : Ne gli amareggia al nuovo anno il lentischio, Ne li dimagra la scemante luna. Piscatorie di Sannazaro 36S Chi più sperto di me dentro il mar fura I murici ? M'è noto il succo tirio , Che i gusci empiendo le conchiglie indura. Che fuggi ? Lana , che per te fìa tinta , Tal ti apparecchio , che potrai risplendere. Ne fanciulla v'avik da te non vinta ; De le spume del mar lana più molle , Che il vecchio Meliseo gik diemmi, udendomi Sciogliere il canto dal ciglion del colle. E disse : Abbila in premio , o garzoncello , Poi che primo cantasti in riva al pelago : Io per te la riposi entro un cestello. Ma tu , rendendo lo sperar mio vano E a nuovo patteggiar chiudendo ogni adito , Tu mi negasti , o Galatea , la mano. Ecco quel che m'oppresse . Ite , o camene , Itene lunge ; Galatea fu rigida Al doloroso suon de le mie pene. Perchè appaio nocchier di barca umile , E pescator nodose reti adopero E lievi ami , o crudel , mi tieni a vile. Lo scrutator de le marine sponde Glauco fu tal , su questo patrio margine : Ed ora è nume de le tumid' onde. O Galatea , la favola di Lida , Che , se ben falsa , pur cotanto increscemi. Non sia che da l'amor mio ti divida. Bench' ella vanti m'aver dato in dono Non su ([uai serti, no giammai non piacquemir Lo giuro a quanti numi entro il mar sono; E il giuro a le nereidi : il lor furore Su me , se mento , piombi sì che naufrago Bea del mare nel fondo il salso uraore^ 306 L I 1 T I R A T V R \ Ahi che far deggio ? Andrò di 111 da' mari, Ove nocchieri e pf^scator non giungono ; Cile almen pianger potrò miei casi amari. Forse a gli stagni andrò dal ciel dannati A star sotto l'estremo asse di Borea , E a le nevi in eterno abbandonati ? O in Libia , ove al soffiar del calid* austro Mareggiano le arene ? Ed ivi i popoli Negri , e vedrò del sol vicino il plaustro ? Ahi che parlo , infelice! Ovunque io sia, Od in torridi climi o in balze gelide , M' avrò seguace l'egra fantasia. Schivar ben puossi la procella orrenda , La pioggia e il vento: solo amor non schivasi i D'uopo è che meco ne l'avel discenda. Da quello scoglio or giù ne l'onde amare Salto a spiccar precipitoso adducemi Il mio furor ; deh voi , ninfe del mare , Ninfe del mare ondoso , a me cadente Morte non dura apparecchiate ; e spengasi Tra i vostri flutti la mia fiamma ardente! E un di , venendo o da la torta in arco Riviera di Gaeta , o da gli altissimi Navai di Cuma , qui giunto il navarco , Esortando da poppa i sozii , udrassi Roco gridar : Piegate al destro lato ; Torcete a destra -. deh schiviamo i sassi Che reso infami di Licone il fato ! Tai note l'infelice pescatore Vanamente spargeva a le sorde aure , È '1 cor pascea d'inutili disiri : In fin che apparve il sole in oriente , E sparse il mare di vermiglia luce. Fescitome di SAPf.N'Azino ~ 367 Segue la traduzione delle Salici e. di quel fr*ra- mento che incomincia : 5) Optatos iara , Euploea , milii circunispice portus; cose tutte di che il cav. Biondi ha volato onorare coiif elegantissima lettera la figliuola del suo dolce amico Gio. Carlo Di-Negro nel di delle nozze col no- bile giovinetto marchese Agostino Spinola genovese. Salvatore Betti ^GH ARTI ELLE — ARTI. Osservazioni ali" articolo del sig, avv." Filippo Ti- motèi Sahetti intorno la patria delV architetto Bramante. D evono saper buon grado gli eruditi, ed i cit- tidini di Urbania sopra d'ogni altro, al sig. Timo- tei , perchè in una lettera diretta al sig. avv.*' Pie- tro Ruga pubblicata nel 4**' volume del Giornale Arcadico sotto il luglio del 1823 , abbia rivendi- cato alla patria il celebre architetto Bramante col- Fautori ta di scrittori gravissimi , ai quali dall'al- tro sig. avvocato Carlo Fea si accrebbe nell' an- no scorso quc^lla del padre Onofrio Panvinio , ri- ferita in una di lui operetta intorno Raffaelle San- zio , Bramante Lazzari , ed altri come architetti di s. Pietro in Vaticano. Non sf> per altro se il dubbio mosso per la prima volta dall'abate Bildi intorno all'anno iSSy , che appropriò alla sua Urbino Bramante dopo 70 e più anni che i durantini , oggi urbaniesi , Io contavano pacificamente fra' loro valenti concitta- dini , sia stato dal sig. avv.** Timotei adequatamen- te sciolto col porre in mezzo l'opinione del dot- ilo Sebastiano Alacei piir diirantino , il quale faceu- Bxllk-Arti Mk) Vlosi conciliatore di questa lite divulgò nel priu- cipio del secolo decimosettimo , come il padre del nostro arcliitetto dal territorio durantino passasse nell'urbinate , dove condotta moglie nel castello di monte Asdruvaldo successe ne' beni del suocero . Quest' asserzione fu appoggiata dal Macci col far derivare da tale matrimonio figlj che assumessero poi il cognome Bramanti , sebbene ora sia chiaro che questa famiglia esisteva in monte Asdruvaldo primacchè il nostro architetto conseguisse quella ce- lebrità alla quale indi pervenne. Infatti da un li- bro de'catasti antichi di Urbino, intitolato Coretto, dell' anno i^c)6 e 1497 si ha la partita dell'esti- mo spettante alla famiglia Bramanti , che è del te- nore seguente : « Villa di M. Asdruvaldo 2° grado » M. 4^ Angelo di Pascuccio alias Bramanti libre 8 soldi 6 : denari 6 : » Non sarà stata questa la prima volta , ne forse Angelo di Pascuccio il primo che siasi distinto con siflatto cognome. Onde è che Bra- mante non avendo fiorito se non dopo il i5oo. An- gelo di Pascuccio suo preteso fratello per onorar- si della sua fama, che era d'assai in allora ristret- ta , non ne avrk fino dal 1 496 assunto il nome. Noa vuoisi tacere , che ne il Macci nh quelli che lo seguirono , sebbene andassero publicando come il padre del nostro architetto era dal territorio duran- tino passato ad abitare nell' urbinate , non si avan- zarono punto ad indicarne il nome. Fu soltanto nel secolo decimottavo che si pretese mostrare, come fos- se stato questi il Pascuzio d'Antonio , padre d' An- gelo alias Bramanti. Da qui ne nacque che per la somiglianza del cognome Bramanti dato ad Angelo, con il nome proprio portato dal nostro architetto, si vuole far credere quest'Angelo fratello di Bra- mante , e quindi Pascuzio padre di ambedue. A so>- 370 Bxlle-Arti j steiiere il zoppo argomento fu chiamata in sussi- dio uaa madagfta coaiata al restitutore dell' archi- tettura con l'epigrafe : BRAMANTES ASDRUVAL- DIlVUS : della quale, per quanto mi è possibile , cer- cherò la genuina intCTpretazione , per togliere di mez- zo questo mendicato rifugio. Onde però far cofioscere la vanita dell'argomen- to , mi servirò di ragioni le quali renderanno ma^ nifesta al pubblico la vera patria e famiglia a cui Bramante appartenne.. L'analista durantino Flaminio Terzi, men dotto ma assai più versato del Macci nelle cose della patria spettanti ai tempi a lui prossimi , ci as- sicura come Bramante fosse detto di Se^'eniccio ( Golucci tora. 27 pag. 44 )• Scrisse questi il primo libro della sua cronaca circa il fine del decimose- sto secolo. Inoltre alcune memorie de' Lazzari tro- vate da Gaspare Savini erede Lazzari , epilogate dal- Papi , e possedute a' tempi dell' abate Pierpaolo To- rcili da Giampaolo figlio del d«tto Gaspare, por- tano come Bramante nacque da un tal Severuccio • il contenuto di questo è stato prodotto altre volte , e se ne parla anche nella storia picena al tomo duo- decimo. Perciò mi limiterò a ncn esporne se non quel tanto che ha relazione all' argomento intrapreso. Ag- giungerò bensì , che tutto quello che fu riferito in ambidue que' manoscritti resta giustificato da pub-, blici istromenti dell' archivio urbaniese , i quali mo- strano comi abbia esistito questo Severuccio , e con- fermano lo scritto del Terzi e le anzidette memorie. Ma perchè ne' monumenti de' Lazzari si riscon- trano tre individui sotto il nome di Severuccio , con- verrà prima di ogni altra cosa discorrere alquanto su questi, ed esaminare a quale di loro pili convegna il .4>riLto 4'c;>-x«;re cUiaruato padre d*^l celebre «architetto. BeIle-Arti 5^1 11 pfimo che si conosce fu un Severuccio J>adre ^1 Giovanni e di Antonio vissuto sul cadere del de- cimoquarto secolo. Antonio non ebbe che una femmina maritata ne Salvolini di Durante , chiamata Apollonia. Giovanni generò Niccolò ed un altro figliuolo, di cui non si rileva a prima fronte il nome. Ma che egli avesse questo secondo figlio , si deduce dall' aver Nic- colò nella divisione de'beni ereditati daj Severuccio, stipite con i Salvolini nati da Apollonia di Antonio, ottenuto il solo terzo de'beni dell' avo , e due i Sal- volini. Qual fu la ragione che questi provenienti da Apollonia di Antonio, come Niccolò proveniva da Gio- vanni , avessero la meta più di quello che ebbe Nic- colò al quale spettava un diritto eguale nell' eredi- tà dell' avo comune , se non 1' essere stata prede- dotta da un altro figlio di Giovanni la propria par- te ? ( Rogito di Anselmo di Giovanni Bartolini a8 dicembre i47i? che risponde all' anno 1470.) Questo altro figlio di Giovanni sarà il Severuccio , che in ordine al tempo chiamo secondo. Le prove si vedraa- no qui sotto. Niccolò dividente fu padre d'un Lazzaro , e di un terzo Severuccio , che ebbe Alessio. Ma que- sto Lazzaro di Niccolò non è da confondersi con l'altro di Severuccio il secondo; il qual Lazzaro si tro- va vivo nel i5o3 ( Rogiti di Pierantonio Perusino, ar- chivio urbaniese). Questi fu padre di Niccolò il giù- Tìiore, e di un Bartolomeo detto il Lazzarone. Nfe tam- poco è da confondersi il Severuccio di Niccolò pa- dre di Alessio con quest' altro Severuccio padre di Lazzaro, che verremo ora a mostrare essere quel fi» gliuolo di Giovanni che prededusse il quarto dell* avo. Siccome abbiamo veduto nascere dal fatto la ne- cessita di ammettere un primo partaggio in persona del secondo figlio di Giovanni, cosi dal coUegamea- 5'j2 Beli.!: - Ann to de' fatti stessi vedremo nascere la necessita di am- mettere quel partaggio in persona del presente Seve- nuccio padre di Lazzaro. Questo appartiene alla gen- te Lazzara , e ritrovasi isolato : altre diramazioni che le accennate, incominciando a contare dallo sti- pite, non ebbero luogo in famiglia , come risulta dall' atto di divisione. Ne scende dunque per necessita , che il presente Severuccio padre di Lazzaro sia quel figlio di Giovanni la di cui esistenza fu provata di sopra. 1 nomi poi di Severo , Niccolò, e Lazzaro ge- minati ne'due rami mostrano essere discesi ambedue dal tronco medesimo. Fatti tutti incontrastabili , che ci fanno conoscere come Giovanni avesse due figli Niccolò e Severuccio il secondo* Degli altri due Severucci quello che forma lo stipile di famiglia nacque troppo presto per poter es- sere padre a Bramante , l'altro di Niccolò troppo tardi. Viene esso nominato come consenziente ad una transazione clic Lazzaro di lui fratello fa con i Salvo- lini , qual procuratore di Niccolò padre comune, sot- to il d\ 20 gennaro 147 1 circa le doti che non era- no state calcolate nella passata divisione. Questo Seve- ruccio difficilmente potrebbe aversi padre di Braman- te nato fino dal i444' perche mostrandosi a noi Nic- C(dò in età ancor valida in quell' anno 1471» Bra- ^lante supposto uepote avrebbe contati allora anni ventotto : caso non tanto frequente di rinvenire uri nepote in età fiorente , ed un avo in età ancor valida. L'onore aduncjuc di aver dato all' Italia il re- stauratore della buona architettura guasta pel com- mercio co' barbari , pare che si debba per la cor- relazione de' tempi e delle persone al solo Severuc- cio di Giovanni. E ciò si conforma appieno a quel- lo che ci hanno tramandato le memorie de'Lazzari durantini, le quali portino esser nato Bramante l'an- no i444 ^^^ mese di agosto da Severo Lazzari e Cecilia Lombardelli famiglia jQa d'allora fra le pos- sidenti del Monsanpietro. La verità di questo fatto viene anche compro- vata dal chiarissimo consigliere D. Venanzio Paga- ve , come dalle note al Vasari del P. della Valle.L' al- tro, Severo di Niccolò padre d'Alessio non ebbe indon- na Cecilia per quello che sappiamo , ma sibbene una Piera: ?? Donna Piera olim uxor Severutii de Duran- te et mater Alexii Severutii , presentibus Antonio Se- verutii, et Baptista Lazzarini testibus (*)•» (l'og" Pie- rantonio Perusini 1497O Non potrà dunque essere stato questi il genitore del nostro architetto. Questa corrispondenza di memorie , di autori, d'istromenti è una prova convincente , che Bramante appartenga ai Lazzari dnrantijii , e che sia nato da un Severo che per le ragioni addotte teniamo essere stato quello di Giovanni , sebbene non siano di ciò a sperarsi mo- numenti siucromi dall' aixhivio urbaniese attesta la perdita che si è fatta de'protocoUi dal i383 al i403. La trasmigrazione pretesa dal Macci nell'urbina- te non potè aver luogo nel Severuccio di Giovanni. La ragione di ciò mi par chiara , ed è, che gli altri figli di questo Severuccio, cioè Lazzaro (rog. Pierantonio Peru- sino) ed Antonio si mostrano l'uno e l'altro del territo- rio di Durante: anzi nel secondo istromento si fa precisa menzione della casa di Severuccio: » In territorio ter- » rae Durantis in parochia s. Ceciliae in voc. Guar- ?> dandii , sive de Caseveruccio juxta bonis dicti em- » ptoris prò indiviso cum Antonio Severutii (**).» La (*) Da questo isiroinento vengono distinti i due Sere- rucci , ed anclie allontanali di grado- Se Antonio fosse sialo fratello , o stretto parente di Alessio non avrebbe potuto s^r» vir da testimonio. (•) Vendila di un campo fatta da Simone magislri Fraa« risei Micliaclis solto il dì 2& ottobre 180S. 3^4 Beili - Arti parecchia di S. Cecilia qui nominata comprende ÌX villa di M. S. Pietro, dove il Terzi scrive esser nato detto Bramante per le attestazioni de' vecchi de'siwi tempi (**) . Dunque se tanto Antonio quanto Laz- zaro figli di Severaccio , di cui parlano gì' is-tromen- ti, si dichiarano abitatori di Durante , come potrà sta- re che il loro genitore, tenuto padre di Bramante, si recasse ad abitare nel territorio d'Urbino, e succe- desse poi ne' beni del suocero come scrisse il Macci? Eliminato per ogni parte il mezza tei-mine pre- so dal Macci per conciliare l'insorta quistione , do- rrà tenersi che Bramante fosse durantino non solo di origine , ma anche di nascita e di abitazione, co- me scrisse pur anche il Vasari . E ninno ostacolo fa a tutto ciò la medaglia Asdruvaldina , la quale non ha relazione a monte Adrovaldo , ma bensi al cogno- me di Asdrubaldino di cui si piaceva il nostro ar- chitetto , che bene intese quanto e quale sia l'onore, secondo la comune opinione, d'aver tratti i natali va luoghi celebri per fatti gloriosi. La villa in fatti del monte s. Pietro, ove nacque Bramante, è imminente e tutti riguarda que' piani dove i consoli Claudio Ne- rone e Livio Salinatore sconfissero T esercito carta- ginese condotto da Asdrubale in ajuto di Annibale. Né la voce Asdruvaldinus^ della quale venne fregia- to Bramante nella medaglia accennata, ha altro senso presso gli eruditi che quello di Asdrubaldiiius , per la solita conversione dell' i in u e della v \n h: epi- teto che si riferisce ai luoghi resi chiari dalla farao- ni battaglia , e non a monte Asdruvaldo. Chi poi l'avesse sin qui tenuto qual figlio di un semplice colono , sappia, apparire dall'accènuata di- ^(**) Colucci lom. 37 p^g> 44 • Cron-ac.a durauU'oa di riaminì* Terao, Bell e - Arti 373 Visione come i Lazzari, oltre l'ahitazione in Duran- te , possedevano in quell'anno tre diversi predj cia- scuno fornito di case , senza contare la porzione toc» cata al Severuccio di Giovanni. La qual falsa opinio- lìe resta anclie smentita dal Vasari allorché, parlando della educazione datagli dal padre , ci assicura che i suoi parenti sebbene di poche fortune pur erano di assai buone qualità. Riassumendo le cose fin qui esposte comprendesi che il Macci fa andare il padre di Bramante nel ter- ritorio urbinate, perchè ritrova fra le famiglie di quel distretto una col cognome di Bramanti che egli cre- de derivato dal celebre architetto ; ma questa fami- glia Bramanti esisteva in quel territorio , come si mostrò , prima che salisse in fama Tillustre personag- gio : dunque è falso che il padre di Bramante si re- casse neir urbinate , poiché è fatsa la ragione sulla quale si appoggia , cioè che detta famiglia prendes- se il nome dall' architetto . Ma ancorché il Macci avesse avute altre ragioni ad asserire la sua pro- posizione , nondimeno non dev' essere , a mio parere , egli creduto , poiché abbiamo un autore di lui più provetto e più informato nelle cose patrie, il quale contraddice a siffatta opinione. Il Terzi fu più attento ed accurato investigatore delle patrie antichità . Egli scrisse i suoi annali di 43 anni , quando il Macci autore di molte opere mori di soli 3^ an- ni , e visse i migliori suoi giorni nella corte di Urbino , dove in aiFari rilevantissimi fu da' suoi signori occupato . Laonde dovette essergli impossi- bile il metter mano ne' difficili archivj , ed avere l'inlelligenza d'intricate memorie. Perciò assicuran- doci il Terzi , che un Severuccio fu padre a Bra- mante , questa deve seguirsi e non altra opinione. Tanto più che accennandoci il nome del g^nito- G.A.T.XXL 24 3jG Belle-Arti xe , ci fece conoscere quanto egli con precisione pi'o- gredi nelle sue ricerclie. Concludo adunque essere fer- mo che il genitore di Bramante fosse Severuccio : che questi abitò sempre in Durante , come mostrai con altri monumenti: che la leggenda Asdruvaldinus va in altro senso spiegata : finalmente che Bramante e realmente nativo di Durante ora Urbania, alla qua- le non può togliersi un tale onore senza opporsi al- la retta critica e alla ragione. Desidero , che il sig. avv. Timotei sia persuaso che non l'animo di contraddire alla di lui opinione mi ha mosso alle presenti ricerche ; ma quel solo amore della verità e del suolo nativo, il quale determi- nò esso a scrivere la sua elegante lettera , ha sti- molato me pure a riunire queste poche osservazioni per rischiarare il dubbio mosso sull' origine di un soggetto cotanto rispettabile presso gli eruditi e gli amatori delle belle arti. ^ L. F. 3,7 VARIETÀ' Per la fduslissìina esaltazione al pontificato dì L»uole ragio- ne di più antica letteratura , delle cose tratte dal greco : le quali sono : Vidiiio J di Mosco pel conte Gio. Antonio Roverella , e Vidiiio VUì del poeta medesimo pel dottor Vin- cenzo Valorani. Traduzioni , per ciò che a noi sembra , ca- rissime : ma il Roverella , siccome quegli ch'è voluto strin- gersi a minori legami , ci ha forse ritratto anche più schiet- tamente il vaghissimo originale. Ecco in un sonetto quella del Valorani ; O chiaro e sacro della notte onore , Espero , lume della dea più bella , Che tanto di splendor vinci ogni steMa Quanto si par di te Cinzia maggiore ; A me , che solo in queste tacit'ore Vo ad Amarìlli mia , U tua facclla Si* invece della luna oggi novelU Varietà' 3^9 Che presto nasce e subito il muore. l}eh ! non far rana la preghiera mia ; Ch'io non anelo a furti , « non disegno Notturni agguati al pellegrin tra ria : Celle fue frecce Amor m'ha fatto se^no , E qualunque d'Amor servo pur sia Veracemente di pietate è degno. Ha il conte Roverella donato il titolo del seguente suo volgariz- zamento alla genitrice della sposa , cioè a dire alla sig. con- tessaAnna Pepoli ne'Sampieri , donna di quell'animo alto « cortese che ognun conosce , ed ornata di bellisime leilsrt. Amore fuggitivo. Venere in traccia del suo figlio Amore Iva sclamando ; Se pe'trivii errante Alcun vist'abbia Amor , du me tuggio. O tu , se pur lt> scopri , un bacio avrai. Tenero bacio di Ciprigna , in dono 5 Ma se al mio sen lo riconduci , un bacio Sol non avrai , raa cosa aliia più cara. Ben tra venti fanciulli a molli segni Conoscer puoi mio figlio. Ei non è bianc» , iVIa del color di foco ; acuto , ardente Vibra lo sguardo : ha molli parolette , E maligna la niente .; né al pensiero La favelli risponde • e al par di mele tscon del labbro suo dolci gii accenti.- iVla irato ha cor di fiera ; è di menzogne Mastro e di frodi: ingannator fanciullo Sin ne'cherzi crudel ; ricciuto il crine , V A R I 1 T a' E proterro l'aspetto ; lia le man Li-^tI , Ma lunge avventa i dardi , e sin ne l'ere In riva ad Acheronte il re dell'ombre. Dirf corpo è ignudo , d'animo coverto • Cortie augel vola ; or questo or quello asuìe, E sieda in mezzo al cor grave nemico. Picciolo dardo su brev'arco incocca , Picciolo si , ma sino al ciel penetra. Dagli omeri gli pende aureo turciisso , Che asconde in sen le velenose .frecce Onde me pur sovente egli trafigge. Tutte armi crude , ma d'assai più cruda E' la facella con che il sole incende. Se in man ti caggia Amore , avvinto il mena , Né ten prenda pietà : temi sue frodi Se pianto infinge , e , ancor cli'ei rida , il traggl ; Ma fuggi se a baciarti egli s'appressa , Ch'è reo quel bacio , ed ha il velen sul labbro. S'ei dicesse : Quest'armi eccoti in dono , Prendi , son tue ; non le toccar : fallaci Sono que'doni , e son fòco quell'armi. Al greco Mosco lien dietro il latino Tibullo : cioè a ine la traduzione che delle elegie V e VI del Ilb. Ili di Jui ci ha dato il conte Francesco Benedetti Forestieri. In- torno la quale vogliamo che abbia qui pienamente a vale- rt 11 giudizio medesimo , ohe già portammo nel giornale ar- cadico ( mese di maggio iJiao ) d'altre due elegie pur di Tibullo volgarizzate egregiamente da questo dotto e gen^. til «Mvaliere. Vedete infatti »obil(à ed eleganza ! V A R I 1 T 1* 3Si Elegìa V del lib. m di Tibullo. Amici , a Tol nella ridente Etruria Gio?an Tacque che sani ì corpi fanno ; Non però quando 11 siri© cane Infuria. Ma in questa bella gioventù dell'anno Che da'lepid: venti il suol s'infiora » QueiPonde In pregio al par di Baja s*hann«t. £ a me l'afra Persefone già l'ora Ultima annunzia ; deh tu > diva , In vita Lascia chi merla non uscirne ancora. Perchè mia lingua non fu mai si ardita , Che alcuna cosa de'misterl lui Per lei si fosse da'profanl udita. Né a coglier erbe velenose i'ful , E mortiferi succhi indi premendo Entro le tazze non le porsi altrui. Né degli del con sacrilegio orrendo Arsi I templi , ne d'altro empio misfatl» Nel secreto del core a temer prendo. 0 veramente a bestemmiar fui trailo Con labbro iusano , non avendo unquanca Da le mi« preci qualche ben ritrailo. E la pigra vecchiezza non giunse anco A le mie porte , ne curvo mi rese , O il nero crine mi converse in bianco. Imperocché del mio nascer si prese Da'genltor letizia in quella etate , Che I due consoli morte a terra stese. Qual prò sveller le poma pur ino nate Dagli arboscelli , e le tenere vili lasciar de la crescente uva spogliai» ? ZS% Varietà' 0 diri tulli , che gUnt'erui liti , Regni dati a Pluione , in guardia a'vtte » Siale al tristo mio caso impietositi. O maudin fra le spente alme infinite. Però vi prego , che da voi sien fati© Per la salvezza sua promesse a Dite D'offrir pecore nere e vino e latte. Che poi diremo d'una canzone del conte Giovanni Marchete ti ? Oh sì f diremo ch'ella ben somiglia in soavità tutte W altre cose di questo esimio poeta , pièno svmpre d'alt» filo- «otia e di be'modi italiani. Se rallentasse un poco Fortuna ingiuriosa il grave sdegno Qnd« atlatica e intorbida mi«i mente. V A R 1 E T i.' 38S Or senllrel del conosciuto toc» Raccendersi lo ingegno , E canterei d'amor soaTcraente. O anima dolente , Levali alquanto e mira , Mira quale dolcezza da celeste Fonte discende in queste Aline che Amor congiunse : e aitnen respira , Tenendo gli occhi alla letizia loro ; Che Talirui degno bene anco è ristoro. Ad alleggiar tua pena Ecco il securo Tolto erge la spem». Quei figurando che di lor Terranno » Che non dìssimil vien da pura Ten« Ruscello » e di buon seme Soavissimo fruito apporta l'anno. (Nostra vergogna e danno) Ornai rado s'infiora » Né pili del meglio è come pria fecond» » Il bel giardin del mondo : Ahi ! mal accorta eia. , uè vedi ancor» Donde n'avvien che tramutò sembiante ? Qual pon'lu cura a le novelle piante ? Sotto scoscesa balza Errando va per nubilosa valle Gent« infinita senza via né duce ; Talvolta di laggiù sola s'innalza , Per lo difficil calle , Donna in cui l'alto meditar tralu«#i ' Che alcun per mano adduce Fuor de U grave « foit» 384 Varietà' Nebbia , che su per Feria si dirada. A mezzo de li strada Lor si fa Iiiconira , iti vel candido avvoll* , Donna di saldo pie , d'onesta faccia , Ed apre osa attetto ambe le braccia. £ al pei'cgrin già lasso Crescer si sente del salir la lena ; Wirabilmcnle allor di passo in pasto Tutta divien fiorita La terra , e l'aria più e più serena ; yin che l'alpestre schiena Già sormontata , iu cima Seggendo bea'i.sima fra sue Delizie , e quelle due Fide compagne salutando in prima , Colei giojosamente al sen lo accoglie A cui converse !ia l'uoni tutte le voglie; Che va dicendo: O quanti Ftlici!à cercate , ne' miei cari Soggiorni non si vien con altre scorte. A seguitar di queste i passi santi il giovinetto impari Quando natura più che usan»a è forte , I«{è ancor tra basse e torte Cose il disio soggiorna ; Allor non carco di peso mortale Uom lievemente sale ; Allor per tempo di saver s'adorna» Foi d'atti degni e d'opre gloriose* lo son mercede alle onorale CM«» VedK tu là , canasou* * V A R 1 I T à' 3È^ Colui pien di dolcissimo coiiienio Che guarda d'Imeneo l'alme corone Ond' oggi s'orna sua gentil nipote ? Vanne , e l'onora in note Di riverenza e di soave affetlo ; Giovin d'alio Inlellelto » In cui piii sempre lo spirar si mostr» DI Minerva e di Febo : altro ornamento , Altra speranza de la terra nostra. Parleremo delle altre rime nel giornale avvenire. Inscriptiones prò exsequiis publicis yiclorì Emmahuelis re- ^is in aede maxima s. Joannis xìi kal. mari, a. mdcccxxiiiI, aiiGlore Carolo Boucherono graecae et latinae eloquentiae pro/essore.i." Taurini, ex tj-pographeo regio» (Sono pag. ao.) Il nome del slg. professor Boucheron suona si chiaro in tutta la repubblica delle lettere, che altro non vuol qui dir- si in onore di queste iscrizioni , se non ch'elle son'oper» su». E veramente siccome egli è de'più dotti uomini della nostra «azione , così è pure de' più gentili scrittori latini che ci fio- riscono , essendosi messo fino da'priml anni per una via che mal non porta In errore , In quella cioè de'classicl. Sia dunque lode air aurea sua penna dell' essere state ora cosi degnamen- te ricordate le imprese d' un prlnclpa virtuosissimo qual «j fu II re Vittorio Emmanuele : principe, su cui ancor pen- de il gran giudizio di tutta Europa , se maggior gloria siasi acquistalo tenendo il trono de' suoi maggiori con ammirabll fede e consiglio , ovvero spontaneamente e da magnanimo rinunciandolo. Sono quatiordici le iscrizioni. Noi ci contenteremo di r«- «arne solo alcune per saggio. 385 Varietà' Interius. Ad templi ianuanti VICTORIVS . BMMAMVBI. VICTOai . F. ▲OOLSSCBM'TtA . /IT . BONIS . ARTIBVS . DOMr . TRANSACT4 •tORBA-TK . ASTATI . MARIAM . THERESIAM . AVSTRIACAIVi VXOREM . DVXIT .BT . CVM .BA . VIXIT • COIf IVNCTISSIMB , BELta CALLICO . AD . AI.PES . COTTIAS-ET . MARITIMAS. CVM . IMPERIO MISSVS . A . PATRE . HOSTEM . DIV . IMMUSTENTTEM . CREBRIS BIMICATIOWIBVS . DISTINVIT . OB . COMITATEM . ALLOyvi IT . ALACEITATEM . m . PERICVLIS . CARVS . EXERCITVI ABDICANTE . CAROLO . IMI . FRATRE . REGNO . SVCCBSSIT RECVPERATA . SVBALPIWA . DITIONE . I,ATIVS(?VE • PROPAGATA TETERES . ET . NOVOS . POPVLOS . AEQVITATB . JMPERI . IW SB . CONFIRMAVIT . IN . SVMMO . RERVM . DISCRIMINE . NK RELIGIONI , SVAE . ET . MAIESTATI . DEESSET . REGKVM TKADIDIT . CAROLO . FELICI . FRATRl . NON « TNVITVS IXVITO . OBMT . LACRIMABILIS . OMNIBVS . Ili . IDVS . lA» A . MDCCCXXXIIII Ad lenipli arcus. TI . POST . VARIA . RERVM . DISCRIMINA AD . NOS . REVERSVM JATHIM . PATRIAK . SALVTAVIM-VS HEV . N'VNC . TIBI grOD . VNA'M . SVPEREST IVSTA . PERSOLVIMV» FACliM . ET . QVIETEM - STPERYM y GRECANTE» oTTHAMQVE . f>RAM . LIGVKlAt aSaATIS . ITINERIBVS . INST»-*.!-» / y A R i « T i' 367 eOMPLANATO . TRACTV . APIKNIWl AGRVM . tVlfaWSBM . BTRVRIAB . CONIVNGIT A . GBNVA . VRBS MR . NOVIVM . 2T , DERTOlVAM . AD . LHPOWTOS A . SAVONA . PER . STATIELLOS • AD . ASTART C03VIIVIEATVS , MVNIT MOTV . IJSf . GALLIA . EXORTO 1.EGAT0S . CVM . EXERCITV GRATIAIfOPOHiVI MITTIT yHBZM . PRIMO . IIVIPETV . CAPTAM REGI . SVO BEDDIT . EX • FOEDERf Poesie di Salv odore Scuderi. 8." Palermo per de-Luca i8aJ. (Un voi. di pag. i02.) Il sig. Salvadore Scuderi è un uomo assai dotto della Si- cilia , il quale con bella lode legge preseniemente economia pubblica e agricoltura nell' università di Catania. Ha egli scrit- to varie tragedie : d'una delle quali , intitolata L'Eumenidi , molte cose sono slate dette da'crilici ; ed ora ci si presenta con questo volumetto di poesie. Csrto il sig. Scuderi , oltre all' •ssere così dotto , è pur dotato di fantasia non comune : ma ci sembra che la lingua ch'egli usa non abbia punto della purità e dell' eleganza de'noslrl classici. £ noi (giovi pure il ripeterlo ) terremo sempre per non buone poesie quelle do- ve non è anche buona la lingua : sentendo pienamente col gran Torquato che disse ; Dovere nella poesia antecedere co« Varietà' me porle principale VtLocuzione alla sentenza (i ) ; e ^on Sci- pione Malie: che rlpelè ; Tanto importare la scelta delle pa- role per fare un, bel componimenti , quanto la scella d' un bel drappo per fare una bella vale (2). Noi vorreramto bene iugauiiarci in questo nostro gludi- cio ; e già forse c'ingaunereroo : t perciò ecco, lettor corte- se , una canzone dello Scnderl come per saggio , affinchè ne possa In a piacer lue giudicare. Ad una signora che si compiaceva di leggere rErissena con Vautorc. Questi ch'io , di Melpomfrne Cedendo al sacro ardore , Tentai di duolo esprimere Affetti e di terrore , Vuoi lu meco , Amarlllide , Or degli accenti del tuo labbro ornar ? So ben ch'alma sensibile In sen lu chiudi , ed hai Pronto ingegno pieghevole , E le inspirate sai Carte di lor , cui delfico Serto il crin cinge , ai fialo accomaudar* E ben dunque , trasportati Della severa dira Su l'orme , ove il terribile Feral caso avveniva (») Tasso, opere, toni, ti dell' edizione veneta, pag. 490' (a) Maffei , rugiottamenio sulle poesie di Carlo Maria Maggi. Varietà.' 3^ Che leggi in su le pagine , Su cui rivolte le lue luci slan. Se fiu che in pctlo insolito Orror la dea li svegli , Vano è il penliili : In lagrime S'ella dislempra I begli Tuoi lumi , e li fa viltima Di troppa angoscia , anco il pentirti è vao. Ben sentir devi a tenera Amante insieme e figlia Come in tenor contrario Amor dover consiglia , Come in conflitto orribile Stretta è l'alma , e da quello uscir non sa» Ma di tua voce i flebili Accenti io non ascollo ? INou veggio il duolo imprimersi Sul tuo leggiadro volto ? Non di Erissena I gemili Odo , che chiede ai numi invtu pietà ? Oh qual nuovo ineffabile Dalle lue labbra incanto Muove ! Oh come in udendoli Mal frenar puossi il pianto , il pianto , ch'è deiranime Belle il più raro prezioso don ! Tu di me s lesso immemore » ^egar noi so , mi fai ; Sì la verace tragica lUu&Ion mi dai Coi Tcrii miei , che serabranmi Assai da pi» di quel che fors« sou. 390 Varietà' Le vii» di Cornelio Nipote dai conte Antonio Saffi voh garizzalc. 8.° Faenza , dai tipi di Pietro Conti , 1822. ( Un voi. di cari. i5o. ) Vuoi darsi lode al culilssimo sig. conte Saffi d'aver tradot- to Gonidio Nipote in una lingua che può ben dirsi lin- gua italiana. Non gli ch'ella sia in tutte le sue parli per- ' fetta ; ma le cose che vi si trovano degne d'alcuna ripren- wone sono si poche , cha non per esse noi ci terremo dal credere esser cpiesla la niigllor traduzione di quel caro scrit- tore Ialino. Ecco il prir.clpio della vita di Epaminonda ; la più semplice e bella vita, come ognun sa , di quante altre ne scrisse Nipote. ,, Epaminonda fu tebano , e figliuolo di Polinno. Prlnja che io scriva di costui , sembra bene avvenire 1 lettori, che non misurino gli altrui costumi da'proprii , né cre- ,, dauo che ciò che è da poco tra loro , lo sia pure appo , eli alili. Imperciocché sappiamo , che la musica presso noi non si addice molla a persona di conto , e che il dan- zare si reca a viz 0 ; le quali cose hann® grazia e U.de tra' crcci. Volendo qui dunque ritrarre un'immagine dei ,, costumi e dalla vlla di Epaminonda , pare che non dob- ,, biamo lasciare ct^sa che giovi a pouerla in chiaro (1). La- onde diremo prima della sua schiatta , pai in quali disci- pline , e da ch.i fosse ammaestrato : indi de' costumi suoi , dell in^e^no , e di altre cose , se ve ne avrà , degne di „ ricordanza i liurlmenle dolb sue gesle , le quali da mol- ,, tissimi alle viriù d'ogni altro pongonsi avanti. Nacque egli (i) Ponerla in vece di porla è modo a.Tatto vieio di lingua : e ìt ivslie orecchie non sanno più tollerarlo. Varietà' 5g,. M dunque dal padre che dello è , d'onvsu genie , e (a) ia. M «fiuto povero fin da'maggiori. Fu poi educalo ii,es:lio d'cgui „ alno lebano ; e veramente imparò a suonare la celerà e a. „ cantare airaccompaguaraenlo di qudla da Dionisio , che non ,. ebbe ira musici minore gloria di Lampro e Damone , i qna- „ li nomi »on ben cbiari- Da Olimpiodoro imparò a suonare „ di flauto , e da CililVone a danzire. Di filosofia poi ebbe „ a maestro Llside tarenlino plttagorico , al quale lu tanta ,, affezionalo , che cosi giovanetto com'era usava più volen- „ neri con quel severo e malinconioso vecchio , che con al- „ irò qualunque dell'età sua: né lo lasciò partire da se „ intiiio a che non avanzò di tanto i suoi condiscepoli nelle ,, scienze , che facilmente si comprendesse che anche nelle „ altre arti tutti supererebbe. E queste cose secondo le usau« ,. zc nostre sono da poco o piuttosto spregievoli , ma nel- ,, la Grecia una volta erano assai commendale. Giunto alla - ,, pTibertà , cominciò a esercitarsi nella palestra , e procacciò. » d'acquistare non clie robustezza , ma eziandio velocità , giù» „ dicando quella necessaria agli atleti , e cjuesta di gran van- j, taggio nel lar ]a guerra. ,, Parigi addi ^ dicembre tSs?. Jl eh. sìg. conte Alberto de la Mar mora. Signore. Vjod sommo piacere ho saputo dalla bontà del sig. mar- chese di lei cugino quali sentimenti di buona memoria ella (2) Qui manca assolutameule un Ju , onde il participio Insaiaio ab- bia hen chi Jo regima , non potendo esserlo dal verbo jiacquo, G. A. T. XXI. a5 3q3 > V a r 1 e t a* canserva per me , e mi reco in persona a rirarllergli que-» sta mia onde poterlo ringraziare della sua compiacenza a mio riguardo neirincarlcarsi di iargllela perTcnire. A questi traili ben si conoscono le pregievoli qualità che distinguo- no una famiglia altrettanlo nobile quanto amica delle bel- le Icllere e delle sciente. In punto mi pervenne la lettera che ella m'indirizzò , e che comunicava degli schiarimenti circa le 'Hoiiracche Ha. quale non posso rileggere nel risponderle, per esser da cir- ca un mese lontano dal mio alloggio presso alla bibilota- ca , ove si lavora per una nuova gradinala > operazione che me ne terrà ancor langi per ben quindici giorni. Tosio che mi pervenne essa lettera la comunicai alla nostra acca- demia, che mollo s'interessò alle particolarità ch'ella manda su quei monumenti. Quelle che ella promette le saranno cer- tamente altrettanto gradile , e non tralascerò di pariecipar- ellelc. La prego però d'accompagnare le sue descrizioni con qualche d/sogno , e colle loro misure se sia possibile , Im- perochè dia ben sa che un disegno spiega più che facciate di descrizioni. Per quanto mi sovviene le aveva fatto istanza acciocché indirizzasse le sue ricerche su quanto poteva esservi di an- tico nelle mura delle città , stante che questo è assai più ìmpoitante per l'istoria , di quel che lo siano le antichità degli ornamenti. Lt Nouraccke sembrando a lei che siano tombe , sarebbe mestieri il trovare alcune mura di città d'una slmile costruzione , oppure alcuno di quei recinti che io addomando recinti sacri , parecchi de'qnali osservai In di- versi paesi d'Italia. Mi pare averle d«*tto , rhe questa specie rll monumen- ti ki trOravanB soventi volte al disotto delje chiese cristi*» "V A K 1 E T a' 393 ne , e che ben soveuli non sì preslava abbastanza attenzio- ne alle prime fondauienta dei templi antichi trasmutati m chiose : le quali fondamenta erano in pietre rozze , o sen- za ordine lavorate. Farmi difficile che la Sard';gna iia slata popolala da un si gran numero di colonie diverge, come ce lo addila Pausania, senza che vi si trovino moimmenli ben diversi di costru- zioni. Questi monumenti, sicno pelasgici sieno elrusci , e so- pratuito sopraposli gli uni sovra gli allri, sono la più cu- riosa parie delle moderne rieerclie suiranllcliissima Istoria. El- ia è alUialmsnle II 120 viaggiatore che se ne occupa , ed il solo che ci possa comunicare notizie sulla Sardegna. L' opera di cui ella mi parla nella sua memoria noti è ancora data alla luce. Impiegai lulKJ il tempo che è Ira- scorso dalla nostra ultima corrispondenza a preparare le fon- damenta di queste rimote antichlià , e non mi riesci discaro questo ritardo attesi gli avvenimenti deli' attuai guerra de* greci che mi procurarono la cognizione dei monumenti di Corinto , ove niun cristiano ave-i sinor penetrato. Noi sap- piamo attualmente, che l'Acrocorinto racchiude nelle sue mu- ra quanto avvi di costruzioni deirantlchlià la più remota, ognora disposte sulla costruzione ciclopea che loro serve di base ; e questa è la più bella prova che la mia teoria possa addui-re. Eccole il motivo , che ne ritardò la pubWicazione. Elia sa che II filosofismo del nostro secolo prelese che J'Istorla del tempi eroici non era degna di fede a cagiono delle (avole di cui è cospersa , e che conseguentemente non vi erano istorie certe che dall' epoca delle olimpiadi. Soni risalilo all'Istoria rhe precede la guerra di Troia , ed ho f*lto U serie di tulle le gencalogif - e delle all«anze del- le >f) dinastie de"primi tempi (lell'isiorin ?'eca. Con questo 25* k 394 V A R 1 K T A' «.ie rlcerchtT ho formalo un quadio di ire piedi di lun ghezza stampalo sopra un solo loglio in piccolissimi carai terl che racchiude 558 personaggi, che paragonali ne' fai civili e raililarl d'ogni genere offiono trecenio venli sincro nismi in rapporto ai diversi gradi delle 5 genealogie « marmi di Paros , ed i prlncipUi di Eusebio. Mi costa qm sto solo foglio di carta 600 fianchi per la composizione d caralterl , e circa ire anni di lavoro continuo. Giudichi < la della mia pazienza. Tulio questo lavoro è slato letto d volle alla nostra accademia. Ho ragione presentemente »perare , mediante gli appoggi che queste ricerche somtn nistrano air istoria profana, ed anche all'Istoria sacra, ci lo scetticismo non oserà più rispondere a prove così mol plici e ad un metodo cosi rigoroso. H testo deir opera a\; per titolo: Metodo per poter determinare e verificare le e. te dei fatti certi riputati favolosi avvenuti nei tempi di" istoria greca. L'opera si stampa in 4'" nella stamperia rea, non ufià guari più di 220 facciate , e spero che sarà da' alla luce nel mese di gennajo , se la mia età cadcule sa quest'Inverno accompagnala di* una buona salute. Renda noto questo lavoro agli amici delle buone don- ne ; e se ella ba qualche giornale, corrisponda, la prego, di • jnunlcare quest'articolo al redaUore. E' ormai tempo che Va- ria sia Ubera dall' esclasivo privilegio che i millanlaif i filosofismo le hanno usurpato nei nostri tempi di rlvoiu j ed ho creduto che particolarmente fosse mio dovere il dii»- strarne la verità con questo nuovo mezzo , dopo d'aver ri- dotto nella ima opinione sui monumenti in pietra di cos 1 zione clclopea i letierati di tulle lo nazioni, cke si occupi no da treni' anni in qua a verificare le nuove prove (\\c (» sti monumenti somminislrano alla cerlfz/.a if( orici d'ib 'i nini greche. V A. R I I T a' 3g5 Elia beu vede che largamente approfitto dclf occasione , ne m'è fornita dalla bonlà del sig. di lei cugino per intrat- enertni seco lei. Spero che nella prima suà me ne renderà a pariglia , e che vi unirà anche un poco de' suoi «ludli pre- liletli. Se ella ha fatto la conquista di qualche nuovo vo- atile sardo me ne descriva II caraltere , e ne farò parte ai na- uralisti della nostra accademia delle scienze. L'istoria naturale lon m\ è Ignota : ef;H è alla botanica che io debbo la cono- ;enza del primo monumento cìclopeo che osservai su) monte ]irce esaminandovi una palina ventaglio Chumorcps hunulis ;he era allignala nel tempio della dea, e che trasportai in Fo- na per trapiantarla nel giardino del fu mio buon amico il dii- a Gaelani. Mi rammento ancora del piacere che mi cagionò a presa da me fatta d'una Loxia Curviroslra in uiia villa Ji loma in un tempo freddissimo : in fine ella vede che nulla ralasclo onde animarla parlandole de'suoi amori- Lo aggradi- rà e goda in pace al pari di me I piaceri sema rimorsi die irocurano lo buone scienze , le quali dirigendo le nostre idee rorso il creatore ci distinguono da tante persone altreilanto mbarazzate nell' impiego sì del loro tempo , che delle loro icchezze Ho l'onore d'essere colla più distinta stima , e singoiar devozione. Umo." ed Obbmo.° Servitore L'AsATE Pf.tit -RvniiL Biblloteceirio animi ni strai ore perpetuo della bi~ hlioleca Muzzariaa , niembrQ dell' ittiluto , atcademia delle iicri-iioni. 3^6 V A R I « T i.' J^l c»v. Bioudi desidera che nel suo Capitolo in morte de re p'iitorio Emanuele ( V. voi. di febbrajo pag, a6a ) facciano queste emendazioni. Terz. Ji T. a. E le umili virtuli e le sovrane. Ter2. 1^ V. 5. Starti con Dio fra Vanirne contente. 1 ti;t. 21 V. 3. Qui pace avrai del tuo non de^no qffann Saggio di congetture talla grande- iscrizione etrusco scoperì Vanno i8a2 e collocata in Perugia nrl gabinetto di a^ tichiià ; proposto da Gio, Ballista Verniiglioli. ^ e Tantira Etrurìa , la qnalo un giorno lenne il domi d'Italia, sventuratamente smarrì ogni suo scritto, avanza tanti monumenti di esàa , cha sono pur sufficienti a persu» derci della sua grandezza e cultura su di ogni ragione. Fft , questi tiene un dipintissimo luogo la grande iscrizione etra •ca enunciata , e distesa in 4^ versi ; di cui nell' Etiuri e neir Umbria finitima , dopo Je celebri tavole eugubine non si vide perandie monumento diplomatico e paleografici piò ricco di questo , il quale perciò fra i marmi scritti della nai «ione tiene il piimaio fin qui. Questo Saggio di congetture pe quanto permeLte loscurlià somma del monumento , d'allrou<; de sì celebre e prezioso , uscirà dai nostri torchi al pii presto possibile, e l'opuscolo dlllgentemenle stampalo, con u tavola In rame e col corredo di qualche nuovo moni mento inedito , sarà iniitolato a S. E. Rma monsig. Ugo Pi» THO Spinola delegato apostolico di Macerata. Non si debbi cUc a lui quoto piccolo, ma devotwsimo omaggio , cornei I V A. R I É T A.' %7 generoso e beaemetitu donatore di un cimelio archeologico rarissimo , che illustrando dovlzlosamenie la paleografìa e le antiche lingue d'Italia , la storia della nazione etrusca , e di Perugia , ne fece generosamente l'acquisto , onde ornare il gabinetto de'monumenti antichi della medesima citi». / tipografi Vincenzo Barlelli , e Giovanni Costantini. Il eh. sig. professore Parenti ci prega di render pub- bliche le seguenti necessarissime correzioni da tarsi alle s'ie varianti della celebre canzone provenzale AiUresi ec. , che noi •lampammo nel volume di dicembre i823. Fag. 552. lin* i4< denherson j, 353- ,, 4' * 'or ,t 354' «I òo. les ioi ,, 355. ,, 1 1. gaudent „ „ ,, 35. E que ,, 355. ,. 25. riflessione ,, „ ,, 33. falli ,, 357. ,, 1. sorgorai denhessoii al ior le iui gaudens En quo ìnflflisions folli sorgerei Ci scrire il nostro buon amico sig. Michele Fcrruzzi ; 2VeW* ultimo fascicolo del vostro giornale ( ann. t^'^Z ) avete fal^ te lodi , e merilamenle , dei versi del conte Giovati^ ni Gocci faentino in morte di Anna Silvestri Banlados'i si. Sappiate che a me fu commessa l'epigrafe sepolcrale per la medesima signora : ed eccovela trascritta : AVH . uH.sinERiviv] . mbvm: , .KUNK . CONIVK IIKV . IXCEi . HIIC . CVM . liS rAiMTYtik . fllBR^. IVIIT 3t)8 Varietà.' HAPTV . Xn . KaI, . IVL . A . M . OCCC . XXIU QVAM • MEXSE . XV . COSNA'Bll . DVLCISSIIVIl INCOLVMCS . ENIXA LVCTVOSO . FVA'ERE . POST . DIES . X . SVBSEQVVTA . BS VIX . QVARTO . AETATIS . LVSTRO . EXPLETO TIBI . A . PIETATB . BOJSISQ . M0RIBV5 PICTORIA • ARTE . ET . SORMA . IPSA oiviKivra . coxse:jsv ì commendatae »EC1 . CVIVl . HIERONTcMO . BONTADOSSIO ADVOCATO . SACRI . COWSISTORII ADVOCATO . PAVPERVM IT . CAMILLA . REiVIOLIA . PARENTIB . TVIS CONLACRIOTAKTIBVS PAVLLVS . SILVESTRIVS . MARITVS . INFELICISSIMVS léettere del conte Giulio Perticar i. 12. Napoli iSaS (Si ven- dono da Giuseppe Ajello librajo , strada iNllo n,° 6.) jLaC lettere del conte Perllcari , pubblicate già nel no- stro giornale , hatmo saputo trovare tal grazia presso tutti gli uomini culti e gentili della nazione > che appena uscite alla luce furono ristampate in Dlilano per Giovanni Sil- vestri fra le migliori opere di quel celebrato scrittore , e si ristampano ora da Giuseppe Veroli di Bologna. Eccone pa- re un'edizione napolitana in piccolo volumetto ; la quale sap- piamo essere stata accolta assai favQrevolmente^da que' letterati. T^uove iscrizioni d'Editto. Il sig, Burton viaggiando d'ordine del viceré per l'Eglt* t« ha trovato a Fstiery questo Irammento d'iscrizione t AlfiS . XII . IMP . NERVAE . TRAIANO CAESARI . AVG , GKHMAJVICO V A li I « T a' 3,)f^ DACICO P . I . R . SOLFICI vivr . s/raivM PKAEB . AEG . A Belet-Kebje , sul frontone d'un picciol tempio d'or- ^iirie ionico , ha letto poi quest'altra iscrizione , che riUu- itre madama Belloc ci dà tradotta cosi nella Revue Encyclo- pedicf. feiTÌer 1824, P^g- 458. „ Pour la suretè et rclernel- ,, le viclolre de nostre selgaeur Cesar , absolu et anguste , ,, et celies de louie sa maison , ce tempie et loules ses dé- ,j pendances ont élé d.'dides au Solel] , au grand S rapis et „ aux aulres divlnitès , par Eprtphroditus . . . de Cdiar , gou- „ verneur d'-Egyple. Marcus Uiplus Ckresimus , surinlendaut ,, des mlnes sons Procoluanus. ,, NECROLOGIA. Al catalogo de'eelebri Inieraii ed arlisii mancati dì questa vita nel iJiao ( V. il nostro volunie di t'ebbrajo pag. 271 ) de- vono aggiungersi i nomi seguenti. li Italia , Viacenzo Coco autore del Platone in Italia, in Francia , il drammatico Axi-» lon Francesco Quótant , Fab. Grossier , Prevost , Gulslain de la Place , GIo. Francesco Lefortler , e il pittor di paesi Swe- bach. In Inghilterra , il decano de' poeti iiiglesi Cartwighl. In Iscozia , il pittore del re Enrico Raeburn. In Ispajna , il proi. Andujar e il gen. Tommaso Munoz autore d'un ce- l' bre trattato di lortificazione. In Germania , Il prof. Cfistia-« no Hermann , il medico W^urtz , il matematico e fisico Gio- vanni Volgi y II letterato Augusto Guglielmo de Rehberg. Ne' Paesi-bassi , il letterato Arnlzenius. in Is^ezia , il famoso mineralogo barone Hermelln. In Danimarca , Daniel Molde-a hawer direttore della real biblioteca di Cupenagheu. 4 00 ERRATA CORRIGE àg. 3o2. lin 20. gode . . . godè ?> 3o3. » 1. teoria . . . teoria n 3o4. 5> I. elle . . . che » 3o4- W 33. soggetto ! Poiché . soggetto; poiché » 3o4. J) 33. a tutto . . . tutto . » 3oG. )5 32. fa ... fu « 3o8. W 3. febrile . . febbrile » 3io. ?) 7- decisione . . divisione » 3 IO, » 32. distratti . . distrutti » 3 12. » »9- Oh . . . E « 3i4« )) i3. essere . . . genere « 3i4. ») 33. di ... di » 3i5. » 27. fa ... la « 3i5. J> 32. limitrof . . limitrofi » 317. M 26. cert' . . . un' 7> 317. ?> 18. la lui . . la di lui »> 32 1. M 7* se . . . e » 331. » 7- dal uso , . dal far uso 4<*i INDICE DEGLI ARTICOLI CONTENUTI NEL TOM. XXI DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Borelli ^ analisi de fondamenti della materia medica(continuazione e /ìne)p. i — •— • Burserius , institutiones inedicinae pra" cticae ec p. 22 — -^ Bosellini ^ osservazioni sul sistema di successione delle leggi inglesi . . p. 87 — — V^enturi , melatile epidemiche che re- gnarono nella città di Sanseveri- no ec P' — i35 — Zavagli^ delle unzioni oleose nelVidro- pe ascite ec p> — i43 — Orioli-, intendimento del cane e d'al- tri bruti P' — 148 — Nobili., leggi del moto richiamate ai loro principi p- — 189 — Bertoloni , viridarii bononiensis njege- tabilia /). — 190 — Brera ^ uso deW aconito napello . . p. — — 2-^9 Puccinotti ^Jlogosi nelle febbri inter- mittenti perniciose P' — — 282 Cortese., de antagonismo et de meta- schematismo per pustulationem arti- ficialem excitato /?• — — 293 « Riccardi , osservazioni sulV annotftz> del dott. Ottaviani ad una lettera del dott. Puccirwtti ec p- — — 3o2 L £ T T E R A T U R A Guadagnius ^ de Anna Georgia Aga- pita , òde . . . p. 56 — ~- Iscrizioni provenienti dalia Germa- nia p. 59 — — Sofocle , tragedie tradotte dalV Ange- lelli p. n3 — — Canzone d'incerto p. 83 = — Conte di S. Len^ nouveaic mode de versìfication francai se p. 87 nSi — Galeani Napione^ sacrario gentilesco illustrato ( lett. IV) p. — 194 — Viola , memorie di Cori ( continua- zione ) p. — 212 — Ferntzziy osservazioni sopra alcuni pas- si della divina commedia . . . . p. — :230 — Biondi, capitolo in mo:ie di Vittorio Emmanuele re di Sardegna . . . p. — 262 — - Micara, Fioroni a tra sedi a ...../?. — — 322 'O Pejron , codicis th'iodosiani fragmenta inedita p. — — 33^ Della Marmora , ca-.'e di granito di S. Reparata in Sardegna . . . , p. — — 256 Biondi, egloghe pescatorie del Sanna- zaro trodotte p. — — 36i / A R T I - B E L L E ARTI. Scultura, Adamo Tadolini , bolo- gnese . . . p. — 2G5 — Osservazioni sulla patria delV archi- tetto Bramante ..,,... ^ .... /:», — — 3Gft Tabella dello stato del Tènere , desunto dalV altezza dei pelo d'acqua sulV orizzontai e del mare, osser\>ato air Idrometro di Ripetta , al mezzo giorno. Marzo 182/j GIORNI. MtTRI. PALMI rxOlVIAJSI OSS£liVAZIuXI. 1 6, 4S 28 IO 2 2 6, 54 28 4 i Altezza massima 8,65 O 6, 60 2Q 8 I 4 7. 47 — •2 r 00 0 1 6 8, 02 07 2 0 6" 8, 3() 07^0 Altezza minima 5>34 7 7. 4^ 53 4 0 8 -]-, 00 5i 5 5 9 t»' 97 Olii 10 6, yo 0010 3 Alìetza media 6,82 11 6", bo 5o 5 0 t2 7, 10 3i 9 '-^ i3 7, 20 02 2 4 i4 7, 58 53 9 1 i5 8, 00 55 9 5 i6 8, ó"b - 58 8 3 13 8, i3 56' 5 3 18 1, 3+ 55 7 4 '9 20 7, 25 02 5 2 7, oó Si 6 3 ai ^' 9^, Olii ■11 6, 7Ó 5o 5 0 20 6, 60 29 6 2 24 6, 6'2 29 7 3 20 6, b^ 29 II 2 26 6', u5 5i I 1 27 6, 75 00 2 5 28 6, 75 34 7 1 ?9 6, 99 Si 3 2 3« 7' 7^ 54 7 1 5i 7, 58 53 9 1 Osservazlni Meteorologiche fatle alla Specola del Colleg. Bot Mar r;o 1824. MATTINA [ilo RSQ SERA 'e i Barometro ferni. Igr. Barometro Terra. Igr, Barometro Term. Ig,.. 1 -7 10 5 9 :i,3(. 2 27 9 7 12 0 4o 1 27 7 7 10 2 22 - - ^7 5 1 IO 5 i3 0 27 6' 1 1 0 i3 0 27 0 !) 9 5 42 3 - -7 3 .9 4 4 3. 7 27 5 9 6' 1 44 5 27 7 8 D 0 49 - 4 -7 ò 1 7 2 i8 3 27 4 9 4 3 l5 7 27 b 9 3 0 '9 2 t, -7 1 1 4 5 o 3; :. :.8 0 3 7 6- 5-2 9 28 i 8 8 9 5i -^ 6' ii« 3 3 3 5 33 a 28 2 2 1 0 0 4. 1 Il, s. ir. ina. i m i5 s. p. II. ■2 20 ira. 2 s. p. II. 0 o5^ Lra. 2 ni II. tra. 2 piog. iS s. n. 3 26 Lra.gr. 1 s. p. II. tra.gr, 1 m s. po.ìiia, 0 ly S. 0 5i ra.mu.i S, p. H. »•;. 1 i. tra. 0 neb. • i8 II. 0 53 gr.leif. i II. gT.Zei'. 0 s. tra. 0 neh. • '9 s. i 2 .ra.gr. 1 m S. p. II. trn.gr. i s. tra. 1 ao S. p. II. 1 5 O-a. j ni Il, s. ira. 1 II. ira. 2 ■21 II. 2 5o ^ra. 1 ni II. <'•«• 1 s. p. II. tra. 1 22 S. p. il. 1 0 "•• 0 ■i. p. s. tra.rna.i s. ira. 1 neh. 23 II. p. i. 2 0 A'r./e^. 0 II. tra.gr. 0 II. :^r. leu. i ne.*p.2. 24 25 S. II. 0 52 Ic^-sìr. 1 S. p. II. 3 o63 po.Lh. 0 5 i3o nie.sir. i m S. p. II. S. p. II. ru.gr. 1 neb. f II. 2 0 ^/•e. . m II. tra. 1 pi,jo. i. 26- S, p. II. ì i6- maes. 0 II. 0 o5i) me.lib. 1 II. s. Ih. 0 j 27 II. i n ru. m Il» 1 o3^ Uh. i II. -8 S. II. I 6 rn, m II. p. s. 2 iJ4 po.lih. 0 s. rrt. 0 pi sr.o.l ^9 II. I 3:. inaes, ni H. 2 021 inez. I s.- p. n o''«' ' p'"s-y- Jo II. 1 8 gr.te^. 1 II. 3 0,8 Ic^. 1 II. /e^. 1 pir'J.i. 3i II. lo 5o poli. ì Il' < r> ni5 pò. Ih. 1 s. /■'^^ 1 ni'li. * ^™ ^"^" IMPRIIMATUR. Si videbitur Reverendissimo Patri Sacri Palatii Apostolici Magistro. Jos. della Porta Fair. Constaiitiiiop» Vicesgereiis. NIHIL OBSTAT. Petrus CI alida D. C ISIHIL OBSTAT. Petrus Lupi Med. Coli, IMPRIMATUR. Fr. Tb. Dominicus Piazza Ord. Pr^ed. Sacri Palatii Apostolici Magislr. Soc.