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GIORNALE

ARCADICO

DI SCIENZE, LETTERE, ED ARTI

tomo xxrii.

LUGLIO, AGOSTO, E SETTEMBRE

MDCCCXXV.

ROMA

KELLA STAMPERIA Din. GIORNALE PRESSO ANTONIO BOVLZALER

Con licenza de Superiori. 1S2S.

SCIENZE

Dell* abuso dei purganti e della medicina curati- va, ossia purgazione di Le Roy , riflessioni cri' tiche recitate nelV adunanza pubblica deW acca- demia di scienze ed arti degli Ardenti di Vi- terbo li li. febbrajo i825. dal dott. Giuseppe Matthey seg. gen. della medesima , membro di altre società letterarie , e prof, di med. teorica e di clinica medica nello spedale di detta cit- tà. Viterbo , 1825.

Sunto*

N.

el combattersi dal Richerand gli errori popola- ri relativi alla medicina , isdegnò egli intertenersi in alcuni di essi come immeritevoli di essere ono- rati di ragionamento. A di lui imitazione han forse a di nostri usato silenzio i dotti sul conto della strana e per verità micidialissima opera del parigi- no chirurgo sig. Le Roy. Essendo per altro talfia- ta più agevole agli errori il sentiero per guada- gnarsi l'altrui favore con una certa seduzione di fascino , e l'intrudersi cosi tracotanti nel santuario della scienza eon gravissimo discapito della socie- tà ; non lice prendersi a gabbo il permetterne l'ac- coglimento e la diffusione senza ostacolo di censu-

i*

4 S C I Z N I t

ra, senza frapposizione di raziooinj , che al volgo ignaro ne svelino l'error sommo per condannarli ad un perpetuo oblio. Lodiamo perciò il divisamen- to del dotto clinico di Viterbo , che ne ha assun- to l'impresa, e non ha risparmiato» divorare la noja n immensa di leggere dalla prima sino alla ultima » faccia quattro stucchevoli volumi , ove inconlran- w si tratto tratto sviste non piccole nelle varie pro- fi vincie dell'arte salutare , ove campeggiano a ga- » ra l'ipotesi nuda di prove ed il suppor gratui- » to ; ove son posti in non cale , o rivolti a scher- » no i pensamenti ingegnosi e venerati sempre di » venti secoli di meditazioni , ove regnano a fron- ti te impavida un disprezzo insultante per lutti i » coltivatori della scienza , ed un compiacimento bo- li rioso della propria opinione ; ove ad ogni pagi- » na cade in ecclissi la ragione , o rovina in de- » liquio il senso comune ; ove un principio uni- » co, abbigliato con mille vesti, mascherato da mil- » le larve , pieghevole a mille direzioni sotto ogni >• cenno del novatore sistematico , ma sempre delio »> stesso colore , ma sempre monotono , e nello stes- » so tempo prodigiosamente fecondo di stranezze » inudite , recita tutte le parti possibili della pa- ti tologia e della clinica sulla scena variatissima del » corpo infermo ; ove .... »

In conferma delle asserzioni comprese nel rife- rito succinto quadro basta rammentare , che il sig. Le Roy stabilì per canone fondamentale il soggiorno nel corpo vivo di un germe corrompitore capace di coesistere con la salute dell' individuo , ma su- scettibile d'imbattersi con il principio della vita in un certo punto di contatto opportuno per 1' ag- gressione di questo e per mortalmente ferirlo. E sicco- me nel funesto istante del menzionato contatto non

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potrebbe costantemente frangersi l'amichevole allean- za degl' immaginati principi ^i vita e di corruzio- zione; chiamansi così dal Le Roy in ajuto altre cor- rompitrici ed occasionali cagioni atte ad esercitare siffatta rea influenza sovra il naturai germoglio del- la distruzione della vita'-, e quinci in grazia di mol- tiplici cause che preparano gli umori al corrompi» mento , ordita pur viene la genesi dei morbi. Allo sviluppo per altro delle infermità non è bastevole mente atto questo solo corrompimento umorale ; in- tende bensì il sig. Le Roy che il menzionato prin- cipio di corruzione divenir debba fecondo ed emet- tere in luce un agente malefico ed ecumenico gene- ratore di tutt'i possibili morbi , cioè la sierosità , o flussione così da lui designata . Si compiace egli rappresentarcela sotto le ridenti immagini di /lui' do limpidissimo e di finissima rugiada , di cui il centro di principale svilnppo ripone nel sistema ga- stro-enterico , da dove come da focolare proviene il fumo che si alza ( soli parole dell' ingegnoso Le Roy ! ) , partono gli umori e la sierosità che hanno prodotta , per feltrare col sangue nelle vie circo- latorie. E qui nulla curandosi lo scrittor francese di gravi inesattezze sul conto di anatomico linguag- gio , appella tubo intestinale lo stomaco e gl'intesti- ni : con arbitraria falsissima innovazione spoglia il fegato del privilegio di separare la bile, giammai da veruno esclusivamente impugnatogli ; e con aperta contraddizione ragiona delle proprietà del sangue. Poiché , mentre intento si mostra a riprovare iti qualsiasi emergenza il salasso , ne fiancheggia l'as- serto con l'idea dell'assoluta incapacita di quel flui- do a rendersi cagione di malattia veruna , e della di lui insuscettivita a collegarsi con qualunque im- pura sostanza ; per comodo quindi del suo siste-

6 Scienze

ma non raccapriccia all'idea di contradizione nel ve- derlo di continuo imbrattato dalla immaginata sie- rosità aflin di deporla ovunque pei sentieri della universale irrigazione , onde suscitar turbe , cagionar .disordini , generare infermità, e fatto cosi veicolo della flussione rendersi nemico irreconciliabile della salute.

Al rilievo di queste, e delle altre che per bre- vità ommettiamo, inesattezze e contraddizioni, aggiun- ge il clinico di Viterbo varie riflessioni per abbat- tere la patogenia dei morbi immaginata da Le Roy , facendo primamente conoscere , che li solidi e non li fluidi posseggono ( astrazion fatta dall' anima ) il principio di animazione o di vitalità; che dessi sono i soli capaci di reazione alle cause che li opprimo- no , di resistenza alle potenze che tentano distrug- gerli ; che dessi portano la pena della loro vitale opposizione con l'impronta manifesta delle offese ri- cevute ; che non alla corruzione di Le Roy riferibi- li sono tai sensibili effetti , ma sibbene allo stato più o meno innormale dei solidi , dovendosi piena- mente escludere l'esistenza di fluidi imponderabili ed anonimi , e perciò anche della flussione o sierosità dello scrittor parigino ; che il sangue non è suscet- tibile di assumere condizioni di veruna putrida de- generazione ; fiancheggiando l'asserto con le autori- tà di Milmann , di Lind , di Rouppe , li quali nel di loro analitico esame del sangue dei scorbutici lo hanno riconosciuto nella qualità quantità e composi- zione affatto simile a quello degli uomini sani e vi- gorosi , e con la testimonianza pur anche il Deyeux e Parmentier, li quali nella loro severa e diligentis- sima analisi del sangue di molti individui da va- rie infermità bersagliati altro non rinvennero fuor- ché li consueti principj elementari del sangue istesso ,

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senza traccia veruna di corruzione di acrimonia o di sostanza qualunque estranea alla sua normale com- posizione.

Dopo tali premesse giustamente dirette ad impu- gnare l'esistenza della sierosità del sig. Le Roy nel sangue, s'inoltra il sig. Matthey a dimostrare , che ad un tal divisamente dello scrittor francese si op- pongono l'autorità il ragionamento ed il fatto , dal- le quali fonti emerge che non unico in tutte le mor- bosità esser puote il metodo con cui aggredirle ; e che pericolosa è la monotonia ugualmente che l'in- dole dei mezzi curativi di Le Roy , il quale altro non conoscendo nei mali fuorché la natura corrotta e sierosa obbliga a trangugiare il suo elissire ed il vomi-purgativo per depurare la natura istessa dalla flussione che l'ingombra. Ed in vero abbiamo nel re- pertorio medico chirurgico di Torino un rapporto del prof. Buniva , il quale comunica a quei chiar. compilatori l'estratto di una relazione presentata a S. E. il ministro segretario di stato dall' accademia R. di medicina di Parigi. Siamo da esso istruiti t che e per l'indole soverchiamente drastica dei principj componenti il rimedio di Le Roy , e per la di loro energica dose , e per l'indistinto micidiale uso , e per il numero delle vittime , e delle accuse portate contro questo specifico da tutt'i punti della Francia, se ne riconosceva urgente l'inibizione della vendita e della distribuzione. Un divieto presso a poco so- miglievole riscontriamo nella notificazione emanata in Bologna sotto il a 3 luglio del perduto anno per parte di quella commissione provinciale di sanità , che per disgrazie non lievi avvenute con l'uso ar- bitrario di certa preparazione drastica proposta da un empirico francese richiamò a rigorosa osservanza le varie disposizioni sanitarie già altra volta emana-

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te, minacciando contro gli arbitranti tutta la severità delle leggi. Finalmente provvide misure scorgonsi io proposito pubblicate in Roma dall'emo sig. card. Camerlengo con apposita notificazione del 12 Aprile del corrente anno onde vietarne la irregolare diffu- sione. Né baldanza imprimer puote agli entusiasti proseliti di Le Roy la deposizione dei conseguiti vantaggi nella clinica medica di Padova dall' uso dell' elissire purgativo nelle ostruzioni viscerali ; poi- ché li cangiamenti portati nella di lui preparazione ed amministrazione , non cliè l' amara critica del sig. De Moulon ( pag. 85. e seg. . report. medico-chi- rurg. di Perugia, trimestre prfto , 1825 ) alle dot- trine ed al metodo dello scritto r francese , rimuovono qualsiasi ombra di adesione razionale 0 pratica del celebre clinico di Padova , il quale d'altronde sa bene apprezzare l'uso e l'indole dei farmaci , sicco- me in modo speciale lo appalesano i di lui clinici prospetti. \

E degli esposti divieti scorgiam ferma la base sol che riflettasi con il sig. Matthey al negativo no- cumento , che con la sua preparazione arreca l'em- pirico francese nella proscrizione assoluta di qual- siasi emissione di sangue senza riserva veruna o a temperamento , o ad età dell' infermo , o a fondo e genio della malattia ; nel bando emanato a tutte le preparazioni mercuriali ; nell' esilio promulgato con- tro la benefica corteccia peruviana , dichiarandola ca- gione di una infinità di accidenti quasi tutti irri- mediabili ; nell'interdetto pronunziato alla vaccina- zione (a) , alli bagni caldi che freddi , alle acque minerali , ed a tanti specifici dalla sperienza san- zionati ; mezzi curativi che tutti tornan proficui ove acconciamente si adattino alle tendenze della natu- ra inferma ed all' indole analoga delle morbosità.

Elissir di lr i\oy 9

Lungamente poi più perniciosa emerge la pratica del sig. Le Roy , laddove dal sig. Matthey ci si appalesa il danno con positivi raziocinj. E qui vo- lentieri ometteremmo intertenerci ad ammirare la novella patogenia dei morbi tutti che il chirurgo parigino ci offre come produzione della di lui flus- sione o sierosità , se il piacere di dividere con i no- stri lettori la sorpresa di una ridevole baja non csiggesse di porre sotto li di loro occhi la teoria almeno dei sistematico francese sulla podagra. Dopo aver egli presentato il piano delle varie trasfigura- zioni della sua flussione per lo sviluppo delle va- rie morbosità , si esprime ( oh bella erudizione ! ) , che» La sierosità, che in questo caso è oltremodo » acre e spesso calorosissima , passa nella circola- zione, ove trova una porzione di flemma che cuo- » ce alla consistenza di pappa; il sangue porta que- » sta materia all'estremità superiori ed inferiori , e » la depone alle articolazioni. La flussione col suo »» calore ricuoce quella specie di pappa , e la con* v verte in una specie di argilla molle che in se- » guito serve a formare i nodi.» E non è ella que- sta una demenza l'andare si inauguratamente cin- guettando in patologia lungi dalle più ricevute dot- trine, e dal buon senso di tutt'i scienziati. E non è ella questa una strana foggia di ragionare ba- stevole per se sola a seppellir nell'oblio in un con la patogenia dei morbi immaginata dal chirurgo pa- rigino ancor la di lui empirica prescrizione, quand' anche non si volesse por mente all'altro pur trop- po gravissimo errore di pretender domabili tutte le morbosità senza cangiamento di metodo o di far- maci , fuorché della più energica proporzione del suo elissire e vomi-purgativo , due corifei poten- tissimi d'ogni terapeutica nel sistema della sua me-

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diciria curativa ? Che se ancor questa idea dell'es- sere un sol farmaco destinato a curare tutte le possibili infermità non formasse per se medesima una sufficiente commendazione per la di lui inef- ficacia in veruna di esse , ove innocui pur si co- noscessero li di lui componenti ; cosa avrà a dirsi di sua nocevolezza ove rammentisi risultare il me- desimo dalla unione di drastici violentissimi ed in estrema dose combinati , e che non possono a me- no di non produrre effetti tremendi sovra la mac- china che viene sottoposta alla di lui azione ? Ed in vero son garanti dell'asserto gli apprezzabilissi- mi elogj , che se ne incontrano nelle relazioni me- desime delle istorie contateci dallo scrittor france- se. Ivi infatti leggiamo avvenuto ove lo sputo di sangue, ove grida del paziente di essere stato av- velenato; ove abbondantissime dejezioni sanguigne; ove evacuazioni di sostanza sanguigna per la boc- ca e per Vano ; ove 'vomito sanguinoso .... gran commozione . . . . , ove annientamento di tutte le facoltà fisiche , perdita quasi totale della sensibili- tà i e spavento dei buoni effètti del rimedio ! ! ; ove Jlusso di sangue dei pia rilevanti con dei pondi •violenti e continui , andando sempre e senza posa alla seggetta ! ! Cosicché egli è realmente inconce- pibile, come tengansi in conto d'inezie da non cal- colarsi gli svenimenti, i sudori freddi , le convul- sioni , le smanie precordiali , i trambasciamenti , le debolezze profonde , i bruciori acuti di stoma- co ed altre gentilezze spasmodiche ma salutari del purgare e vomi-purgare interpolato di Le Roy ! E quando pur simili spaventosi fenomeni fossero quin- di seguiti dal desiato intento di salute ; pur non saprebbe dirsi compensato quel rischio enorme di pericolo che agita l'infermo tolerante in un modo

Elissir di le p.oy II

da non più esser blandito da quella affascinante lusinga che lo indusse ad assoggettarsi all' uso di si malefica prescrizione. Ma anche il decantato fa- vore di buon successo dee credersi apocrifo , perchè principalmente sprovvisto dell'autenticità medica , la sola che dileguar ne potrebbe il sospetto , e la sola veracemente competente a portare un retto giu- dizio. Ed infatti non spetta agli uomini dell'arte il ravvisare la positiva nocevolezza di simil pratica evacuante , e rilevare il danno sommo che recar debbe all'umana salute il purgar soverchio diutur- no e violento ? Non spetta agli uomini dell' arte il verificare li decantati prodigiosi effetti di una pra- tica micidiale , in cui spaventasi l'intelletto e rac- capriccia al pensiero del purgare e vomi-purgare immenso e quasi eterno che si prescrive nei mali diuturni ? Evacuar fa d'uopo e sotto e sopra in- trepidamente per 20 , per 3o , per 4o , per 60 ed auche più giorni , se si vuole ottenerne la gua- rigione. Ma qual è mai dessa l'azion dei purganti ? Dove può essa condurre ove sia diuturna sover- chia e violenta ? Lo ascoltino a maggior convincimen- to i nostri lettori dalla bocca dell' istesso prof. Mat- they. » Li purganti portano via tuttociò che tro- » vano nel sistema gastro-enterico , succhi buoni co- ■>•> me cattivi ; linfa nutriente , come saburre ; chilo , » liquori gastrici , e bile sana ; come colluvie ga- in strica , bile depravata , e vermi. E questo condur » fuori del corpo ogni sostanza che ospita nelle » prime strade è tanto più rapido e più abbon- « dante quanto più sono attivi e gagliardi i ca- » tartici impiegati. Che se l'esibizione di questi si » moltiplica a dismisura , come nel sistema curati- » vo di che si ragiona , alla fin fine si creerà nel ?> corpo una colliquazione artificiale, la quale al pa-

la SCIUZE

» ri della naturale , turbando con perpetua sottra- » zione di succhi e di umori gli elementi della sua » forza e del suo risarcimento alla macchina no- » stra , la condurra a lento passo verso il mara- » smo e la contabescenza . Se non sono cauti gli » amici della purgazione , se non si armano di dil- 33 fidenza contro l'esagerazione dei precetti del di 33 lei autore , se si abbandonano ciecamente e sen- »3 za riserva ai suoi consigli, questa forse è la sor- 3j te che li aspetta in premio della loro stupida » credulità-^

Tonelli.

annotazione alla pagina S.

(a) Crediamo opportuno di non trascurare un simile incontro per fare una giustamente onorata ri- cordanza dell' A. dell' accademico discorso = // Boa di Plinio congettura sulla storia della vaccinazio* ne = Pieno di zelo il eh. sig. cav. dott. Prela per vie meglio raffrenare le contraddizioni di autorevo- li avversar] della vaccinazione , imprese a dimostrare che la vaccinazione non è figlia di un inconsiderato azzardo dei novatori, di una ruminante speculazio- ne del tempo , o di un libero pensamento umano ; ma che la sua manifestazione la sua storia e Ja sua difesa scende da un'epoca più lontana di verità di andamento e di valore delle ordinarie concatenate eause naturali delle scienze positive che vi sono di guida e di legge. Nello squittinio analatico dei fatti (riferiremo qui uno squarcio del menzionato discorso del dotto A. per far gustare ai lettori

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,, la venusta del di lui stile , e la originalità del* le sue prove) delle malattie contagiose, in gene- ,, re ho potuto rilevare, dall'epoche loro più rimo- te, che in uno stato più puro della natura, e nelle primitive società ( quando in luride capanne i lari numi si dividevano con il gregge l'asilo ed il tempio, ed il rauco belare ed una opaca mofe- ta furono l'uno il coro l'altro il timiama più gra- to e più sicuro alle loro tutelari divinità) la pri- ma influenza ed il primo dominio delle medesime è stato maggiormente di contatto, che di difìusio- ne di fomite per mezzi conservatori o condutto- ri animali o vegetabili : che moltiplicatisi per tan- te cause i bisogni naturali o volontarj dell'uomo, essendosi esteso e complicato per tante altre cagio- ni d'inclinazione di attitudine di licenza di servitù e di legge lo stato commerciale delle società , ha ,, seguito in ragione diretta l'uno e l'altro modo di comunicazione dei contagj , o piuttosto di pre- disposizione indotta allo sviluppo ed azione dei ,, medesimi: finalmente, che lo stato più negletto e libero di unione di familiarità come di guerra fu prima e più dei bruti che della specie umana , avendo la ragione e la religione segnate a que- sta d'appresso la forma il valore il grado e la convenienza alla sua ordinata economia animale, conservazione, esistenza civile , ed ai suoi doveri, Posto ciò, io sono di avviso . . ., che in origina il vajuolo vaccino dalle specie animalesche a noi f, domestiche siasi fatto umano, e da ciò ... il sacro palladio di un'attuale preservazione dal va- juolo che il tempo ha canonizzato esclusivamente ,, per naturale alla nostra specie „. A dimostrazione dell'assunto rammenta primamente sostenuto da au- torità e storiche e mediche l'analogia di prima in-

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vasione degli animali da malattie contagiose, le qua- li poscia hanno aggredito la specie umana sebbene sotto altro aspetto e sotto il proprio grado di al- terabilità o variazione della sua costituzione. Don- de desume egli essere istessamente avvenuto nella prima comunicazione del vajuolo vaccino agl'inesper- ti bifolchi o mandriani delle cascine di Glowcester , dai quali in pari modo sia stato così propagato e conosciuto. Con una ubertosa serie di ricerche e di convenienti erudizioni prova con evidenza , che il vocabolo Boa appartenesse ad una esantematica eru- zione di papule negli animali, ma più specialmen- te della specie bovina , e che senza le conosciu- te sollecitudini di providenza temer se ne dovea la diffusione agli uomini. In conferma del suo ar- gomento rimarca le più esatte sinonimie dei voca- boli Boa , Bovo. , Bua , sotto la univoca enuncia- zione a sentimento di varj letterati , a segno che il Ferrari ne inferisce, ut hinc infantes pueri fonas- se mala omnia BUAS vocare doceantur, qua? vox hodie durai , AVER BUA. Resa per tal modo evi- dente la idea, che la prima convenzione ed insegna- mento di consimili voci villiche sia partito spenta- mente sul bel principio dal cornuto frasario dei lo- ro armenti; riflette alla voce Boatta, che vie me- glio spiega la obbligata derivazione dei neonati si- gnificati dalla specie bovina, con la quale il biso- gno fece in certo modo confederare la servitù ed il linguaggio coloniale. Dal che trae quindi la in- duzione dialettica, che nella prima semplice vita rurale delle umane società , mancando , per tante conosciute cause la lattazione materna, ovvero che = an matrona potens an sedula nutria: = di Ora- zio, per essere più casalinghe © faccendiere al- la economia pastorizia, facessero poppare i loro

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,, bambini alle turgide tette della specie bovina e pe- corina: e quinci eglino da queste butterate con- traessero quelle ardente s populee di Virgilio, Boa di Plinio, o quel primo vajuolo vaccino ; per cui potrebbe dirsi con il concettoco Endelechio nel suo elegante carme bucolico , che la stessa specie umana . . . mox ibi morbido pestem traxit ab ubere, ?, qui ben si accorda a tutto partito la ,, origine della voce latina papulce , che Festo desun- se dal capezzuolo delle poppe = Papilla* , capi*- tuia mammarum dieta; , quod papularum sint similes. Or questo vajuolo vaccino comunicalo ad una specie maggiore acqnistar potè intensità e carattere rispettivo di azione di corso e di esito, avendo vestito la indole ed i pericoli proprj del- la specie invasa; ma è quindi di avviso il n. A., che conseguentemente il primo agente minimo, ri- tornato fortuitamente in isfera di attività , possa valere per ispecifico preservativo e correttivo del maximum di sviluppo di questo; e per tante al- tre cause e circostanze concomitanti ha potuto in si lunga prescrizione di tempo variarsene il modo la estensione e 1' andamento. Ecco perchè l'ultimo T ritraendosi forse da una certa primordiale alleanza o federazione di contagio si è arrogato il titolo il privilegio e la tradizione più nobile superiore ed esclusiva di una malattia che a noi principalmente appartenga. Ne trascura finalmente il dotto A. di fiancheggiare le sue conghietture con rintracciare la più giusta etimologia dei vocaboli variolx , papil- la; , pustulce, applicandola con piena verisimiglianza alla conosciuta culla di provenienza di quell' esan- tema; e chiude il suo discorso dilucidando con ac- conce maniere il perchè il poco edotto del seminio vaccinico possa ora essere equipollente ad infrena-

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re // pia prodotto per secoli in tanta variazione e disparita di disposizione, o di suscettibilità della no- stra specie. Ci duole altamente il vedere, che gli angusti limiti di una nota non ci permettono pre- sentare al Lettore un più prolisso conto della ora- zione accademica dell' egregio cav. Prelà. Siam pe- rò certi, che le compendiate cose riescan sufficien- ti a far comprendere la natura ed il peso delle congetture dal medesimo esposte, alle quali non può contrastarsi il pregio grande della novità, il pregio maggiore di aver portato la convinzione nelle sue originali idee, e di avere con somma venusta ed evidenza insieme interpretato il primo il Boa di Plinio con il corredo pressoché infinito di erudite citazioni, animadversioni, testimonianze, e commen- ti di poeti , di storici, e di letterati di ogni classe. Possano così i vili detrattori (fra' quali il sig. Le Roy) ed i male intenzionati esser tratti a confes- sare , che l'innesto vaccino per la sua virtù di preservazione dall'umano è giustificato all'ordine di natura, delle sue leggi, e dell'arte.

Il Compilatore.

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Geologiche osservazioni fatte nella contea di Som- matino in Sicilia , dal padre D. Gregorio Bar- naba La Via cassinese decano , e lettore di filo- sofìa , segretario dell* accademia Gioenia di scien- ze naturali di Catania per lo ramo di storia na- turale , e direttore del gabinetto , delV accade- mia Senkenbergiana , dei curiosi della natura di Frankfort sul Meno , delV istituto cosentino e del reale istituto d* incoraggiamento di Napoli S. C- , e membro di varie accademie. Letta nella se- duta ordinaria di giugno deWanno 1824*

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ropo di aver pubblicato per le stampe la de- scrizione geologico-mineralogica de' contorni di Gal- tanissetta , mi è caduto in pensiero di continuare la descrizione di altri luoghi che ho visitato in pro- gresso. Formano essi l'obbietto delle mie ricerche , e de' vostri studj , ornatissimi accademici , che im- preso avete a coltivare le fisiche , e naturali scien- ze di Sicilia.

Da Caltanissetta cammin facendo verso mezzo- giorno , alla distanza di dodici miglia da quel ca- po-Valle , che a buon diritto, ho fissato come cen- tro da cui a guisa di tanti raggj si partono pella sua periferia le diverse formazioni , che nostr' iso- la ci offre, si perviene al picciolo villaggio di Som- matino , contea del principe della Trabia , di cui ora imprendo a ragguagliare la geognosia non meri che i minerali , che a preferenza si offrono alle os- servazioni del voglioso mineralogista.

G.A.T.XXVII. 2

*8 Scienze

Uscendo egli da Caltanissetta, ed avviandosi al mentovato villaggio attraversa grandi pianure dis- seminate di quando in quando di picciole eleva- zioni marnose, e di eminenze di calcarla di transi- zione, la quale è semicristallina , comunemente di co- lor grigio, o bluastro, di tessuto compatto, o ter- roso , e non iscevra di corpi organici , sovente fe- tida per attrito , che scintilla percossa dall'acciari- no , e che elevandosi in creste o ciglioni , di rado interrotta di vestigi di terreni terziari , poche volte mi e toccato vederla unita ad altre roccie subor- dinate , come la marna calcarifera terrosa, e qual- che strato di terra vegetabile. Distinguesi fra di que- ste la montagna Misdeci formata tutta dell'anzi- detta calcaria, la quale mostra gli stessi caratteri , e la stessa giacitura,

A poca distanza della accennata montagna scor^ gesi l'alta elevazione di Monte grande, la quale è formata di solfato di calce a ferro di lancia cristal- lizzato ; dalla quale riflettendo i raggi del sole foi> za è volgere altrove lo sguardo , pei brillanti rag- gj di luce , che vengono a refrangersi negli occhj dell' osservatore. Sgorga alla base di detta grande elevazione una sorgente di acqua solforosa chiama- ta dal volgo acqua Minima , e rinveiigoiisi qua , e la sulla superficie del suolo alcune traccie di zol- fo con selenite saturata di acido solforico detta Bre- scale, da cui gli esperti minatori traggono argomen- to di essere vicini agli strati dello zolfo.

Da Monte grande finalmente , ove si potrebbe aprire un'abbondantissima miniera di zolfo, si passa scorrendo un breve tratto alla contea di Sommati- ne , la quale in tutta la estensione de'suoi latifon? di , che da mezzogiorno , a tramontana cotjta la di- stanza di quattro miglia , ed altrettanto da levan-

Geologiche osservazioni io

_e a ponente , nella sua superficie di novecento sal- me, misura antica siciliana, non ofì're, che sole due epoche di formazioni ; vale a dire continuazione del- la calcaria di transizione di Cui abbiamo data in succinto la descrizione , la quale osservasi partico- larmente nei latifondi di Craparia, e di Bruca; que- sta non riesce bianca pella calcinazione , e se non vado errato nel mio parere ciò avviene pell'abbon- danza di vene di argilla ferrifera , che spesso spes- so appare in quella roccia, ma poi nel tutto va- le molto a formare buona malta per le fabbriche , ed è eccellente per lavori idraulici.

Si appalesa dij quando in quando dell' argilla schistosa in diversi luoghi , come del pari l'argil- la figulina la più cattiva che io abbia mai veduta pella costruzione dei quadrucci , ed altri figlili la- vori , a motivo della soprabbondanza del quarzo , e della poca quantità di allumina , che in disadat- ta proporzione vi si rinviene : ma questa poi con 1' arenaria bigia comune non meritano particolare attenzione, dappoiché non mostransi riunite in ta- le quantità d'aver luogo nella formazione di quel suolo.

Degno però di ogni osservamento è lo solfato di calce di terza formazione , che alla seconda epo- ca si appartiene , il quale forma una roccia a cri- stallizzazione minuta , e di cui sono le alture nei latifondi di Crcparla , di Mintina , e di Bruca , ove riesce bianchissimo pella calcinazione , e dove util- mente adoprarsi pella fabbrica , ed interior decora- mene delle abitazioni.

Alla stessa epoca riferiscesi lo zolfo che di ot- tima qualità , ed in abbondanza si estrae nel lati- fondo di Bruca , ove mi si è offerta l'occasione di osservarne un curioso fenomeno , che ha avuto lua-

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ao Sciente

go nella montagnuola detta la solfara grande , la qua- le attaccata ad altre grandi elevazioni , è ricoperta di calce carbonata terzana compatta terrosa di co- lor piombino , o grigiastro ; indi al di sotto di ges- so compatto più, o meno cristallizzato, il quale me- scolato colla marna azzurognola serve di matrice allo zolfo : a caso , o a bella posta nel 1 787 cir- ca appiccatosi il fuoco in una crepaccia di detta montagnuola , dopo di aver bruciato per parecchi anni , a guisa di un vulcano in azione , finalmen- te squarciatosi al basso nel lato di sirocco verso la fine dell'anno 1789 , nella così detta zolfara gran- de sgorgonne tale quantità di zolfo liquefatto , che malgrado la raccolta di più di ottocentomila quin- tali , non si rattenne la corrente se non nell' acqua del fiume salso ( Imera meridionale ) il quale scor- re a qualche distanza , e divide le due gran valli di Noto , e di Mazzara. Pare che continui ancora l'in- cendio , dappoiché dalla sommità della montagnuo- la si vede di quando in quando uscire qualche co- lonna di fumo , che tosto dileguasi.

Vi sono poi in detta montagnuola delle cavita appellate Garbare in quei buchi da dove si estrae lo zolfo , che qualche volta mi è toccato vederlo unito alla calce carbonata incrostante impregnata d'idrogeno sulfurato. Queste Garbare sono tapezzate di bellissime cristallizazioni di zolfo disseminate nella calce carbonata cristallizzata a dente di porco. Esami- nandole e paragonandole con quelle fin'ora pubblicate mi è toccato in sorte rinvenirne una varietà , che Don è a mia cognizione se sia stata descritta da al- tri, la quale io presento a Voi, Socj Rispettabilissi- mi , onde meglio conoscere se ho colpito nel segno , e se abbiamo progredito nelle conoscenze delle cri- stallizzazioni di zolfo , che il celebre Hauy confessa di

Geologiche osservazioni ai

avere apparato dalla collezione del comendatore Do- lomieu fatta in Sicilia.

Noi conosciamo dopo i travagli di quest'uo- mo immortale, che la forma cristallina dello zolfo detta Unitaria è la forma primitiva spuntata con due angoli solidi laterali. Or nella forma che vengo a presentarvi, e che credo doversi chiamare Unita- ria Smussata la cristallizzazione riunisce le due for- me Unitaire, et Emoussèe di Hauy (Fig. 4- G. ed. i) in cui oltre la troncatura di due angoli solidi late- rali , gli angoli diedri corrispondenti agli angoli acu- ti di questa troncatura sono rimpiazzati ogii'uno da una faccetta inclinata alla troncatura, ciò che da al cristallo la forma anzidetta. Trovansi parimente in dette Garbare bellissime cristallizzazioni di stronzia- na solfata. La forma Epointée di Hauv fìg. 125, e YEntourée fig. 126. vi sono comunissime, come del pa- ri una varietà dipendente dalla forma Entourée, con modificazioni su due faccette alterne fra z: ed M.

Ma termine delle osservazioni non siano colìi al mineralogista le sole cennate formazioni. Nel la- tifondo di Ganalotto a tramontana , ed a poca di- stanza del paese , vedesi un grande strato orizzon- tale di calce carbonata spugnosa, bianca, finissima, morbida al tatto , il quale rasente il suolo forma dapprima un ammasso di venti piedi, e con la stes- sa giacitura inoltrasi per molte miglia. Si rinviene cola da per tutto 1' ocra galla di ossido di ferro # spesso spesso unita alla pirite marziale , che in gran copia cavasi particolarmente nell'Orto Trabia, opera dell'insigne architetto Filippo Volpes, il quale corre- dandolo di piante officinali l'ha reso di sommo utile a quella popolazione, ed ai circonvicini paesi.

In parecchi siti del terreno descritto vi sono delle sorgenti di acque solforose , e sopra d' ogni

32 ScifcNZE

altro ai piedi della montagna della solfara grande, é nel latifondo di Mintina da cui prende il nome, ed in quello di Canalotto ; ferruginosa è la sorgente dell'Orto Trabia; finalmente selenitosa quella , che a'piedi di una collinetta di solfato di calce sgorga in abbondanza a Canalotto , presso a cui avvi un al- tra sorgente d' acqua dolce detta di Pizzo Ferro, di cui servonsi quelli abitanti , poiché iscevra di materie che la soprabbondano. Queste sono le va- rietà delle acque minerali, che si presentano a pri- ma giunta nel territorio descritto.

Desiderabil sarebbe che con più maturo esame determinati i loro componenti , a nostro vantaggio si adoperassero ; lo che spero * che un giorno si fa- rà da questo oroatissirao consesso.

FORMA DELLO ZOLFO UNITARIA SMUSSATA

24

SSS"

Sulla struttura delV utero , e sulle di lui apparte- nenze, dissertazione del sig. Giovan Battista Bel- lini toscano. » Estratto del dottor Gregorio Ric- cardi.

v^uanto debba tenersi lontana dalla ragionevolez- za l'opinione , che alcuni non dispregevoli anato- mici vanno esternando , che sia cioè l'anatomia giun- ta all' apice di sua grandezza e di suo perfeziona- mento , lo fa manifesto la dissertazione del chiar. professore sig. Giovan Battista Bellini , il quale ha nuovamente presentata al pubblico la medesima in una seconda edizione ( la prima edizione fu pub- blicata nel 1819. ) che è quella di cui noi , sti- mando far cosa grata agli studiosi di notomia , cui non fosse pervenuta a notizia» prendiamo a fare bre- vissimo estratto.

Questa dissertazione che l'autore ha intitolato al celebre professore di clinica medica in Bologna, sig. dottor G. Tommasini, ha il suo argomento sul- la struttura deW utero , e sulle di lui appartenenze , ed è arricchita di varie eruditissime note. Divide egli il suo scritto in quattro parti , ciascheduna di esse trattando con metodo , esattezza ed evidente razio- cinio. Dichiarando nella prima quanto dannoso sia pel progresso delle scienze, e della notomia in ispe- cie il prestar cieca fede agli autori ; manifesta es- ser lo scopo del di lui argomento il provare,' che la struttura e l'organismo dell'utero non risulta da fibre muscolari , secondo che la più gran parte fra

Dell' utero a5

gli antichi e moderni anatomici ha creduto , ma che il medesimo , come continuazione degli integumenti, altro nou è che il risultato di un intreccio inde- scrivibile di vasi arteriosi , venosi e linfatici , di filamenti nervosi, e di glandolette sebacee, denomi- nate cripte.

Rendendo l'autore la dovuta giustizia al prin- cipe degli anatomici il sommo Mascagni , di buon grado confessa , che alle instancabili di lui fatiche e alle sue applicazioni indefesse , non che all'ajuto delle lenti , delle infezioni , de'coltelli , e degli spe- rimenti di ogni genere dobbiamo noi il disingan- no relativamente alle fibre muscolari ; dovendosi ri- conoscere per veri vasi linfatici dell'utero quei fila- menti obliqui , trasversi ', longitudinali , che pote- vansi eziandio a colpo d' occhio distinguere , tutto che mentissero i caratteri delle fibre muscolari.

Per provare la mancanza di fibre muscolari nell'utero viene egli esponendo dieci diversi e se- parati motivi , accompagnati da altrettante spiega- zioni; delie quali noi , per non dilungarci dal no- stro assunto , che è di offrire brevissimo estratto , non faremo parola : contentandoci di notare , che per le analisi del Mascagni, per l'identità d'organiz- zazione de'tegumenti coli' utero, onde l'elasticità pren- de origine; per le considerazioni più ragionevoli ed esatte sui danni che ne emergerebbero, ove l'utero fosse di fibre muscolari fornito; per la sperimentata possanza dell' elasticità vascolare nelF effettuazione del parto ; per l'esempio di più altri organi che dilatansi e restrlngonsi , senza consenso delle fibre muscolari ; pel potere delle forze ausiliarie alla sol- lecitazione del parto; per gli argomenti di analo- gia , relativi all' azione de' muscoli del basso ven-

sG $ e i z n z e

tre sullo stomaco ; per la discrepanza degli autori nel delineare le pretese libre muscolari ; per le in- fezioni le più complete ne'vasi debuterò ; pel pa- rere in fine di un buon uumero di autori ed anti- chi e moderni , i quali han negato nell'utero l'esi- stenza delle fibre muscolari; per tutti questi mo- * tivi il sig. Bellini crede aver ragioni bastevoli a poter conchiudere che l'utero non ha , può ave* re fibre muscolari ; effettuandosi il parto per Vela' sticità vascolare delle di lui pareti , e per V atti- vità delle potenze ausiliarie che lo circondano t con che viene egli ad escludere nell'utero l'irrita- bilità , altrimenti contrattilità muscolare , della qua- le le sole fibre muscolari sono esclusivamente dotate»

Dopo aver l'autore nella prima parte della dis- sertazioue esaminato in complesso l'impasto dell'ute- ro , e provato co'detti motivi , corredati ampiamente da spiegazioni analoghe , la privazione in esso di fibre muscolari , a rafforzare ed esaurire il suo as- sunto passa egli nella seconda parte a trattare più minutamente in parti. Comincia dal dividere il sud- detto impasto uterino in tre membrane proprie ed una comune , appellando le une celluloso-compattà t nervea e vellutata, l'altra ascitizia; dimostrando che l'organizzazione delle prime consta di vasi sangui- gni arteriosi e venosi , di vasi linfatici e di nervi , e l'ultima ( cioè l'ascitizia ) di pochi sanguigni , e di moltissimi linfatici senza nervi. Discorrendo poi al- la nota i3. de'seni uterini, e della supposta comu- nicazione de'vasi sanguigni dell'utero Con quelli del- la placenta , rende giustizia ad Haller , per aver anch'ei conosciuto , che i così detti seni uterini , da lui chiamati venosi , altro alla fine non sono , che vene di maggior diametro $ mostrando esser fai-

I

Dell' utero 37

so che apransi in essi le arterie, come Astrae l'an- dava pensando. Si meraviglia quindi in vedendo og- gi i più dotti medici francesi non solo ammettere la comunicazione de'tronchi venosi , ma degli arte- riosi eziandio.

Rapporto alle risultanze fisiologiche dell' utero dice, che il medesimo è provvisto di una sola ed identica sensibilità : per lo che giudica , che la di- visione stabilita dai fisiologi, della sensibilità ute- rina inorganica nella prima età, scambiata e con- fusa da essi colla sensibilità animale all'epoca della Concezione e de'mestrui , non è di valore nessuno.

Descrivendo analiticamente le appartenenze dell' utero parla in prima de'ligamenti larghi , che dice composti di una duplicatura del peritoneo , rasso- migliati dagli antichi alle ali del pipistrello , e cre- duti destinati dalla natura a contribuire alcun poco al mantenimento dell'utero nel proprio sito , dando appoggio anteriormente anche ai ligamenti roton- di , che diconsi stabiliti più per la comunicazione dell'utero coi vasi crurali e colle glandole linfati- che dell' inguine , di quello che a tenere l' utero stesso in sito.

Passa indi a trattare della natura ed invenzio- ne delle tube falloppiane ; di alcuni vizj cui vanno èsse alcune volte soggette, e del loro uso, che è quello di abbracciare nell' estro venereo le ovaje coll'estremita frangiata, e trasportar loro il seme; onde fecondati uno o più ovicini discendan lungo il varco delle stesse tube nell'utero per trovarvi svilup- po e accrescimento. Parlato della natura delle ovaje impastate di materia finor sconosciuta , mostra esser elleno destinate a formare o meglio a contenere in se stesse i germi preesistenti che attendono vita : con-

a8 S e i b if z e

tinua indi a discorrere delle affezioni, cui vanno esse

soggette, e finalmente delia sterilita.

Fa in seguito l'anatomica descrizione della vagi- na, delle di lei membrane e degl'inviluppi vaginali , discorrendo nel tempo stesso delle loro proprietà , e di quelle dell'uretra e della clitoride; e mostra di questa l'origine e la sensibilità. Parla anche degli al- tri plessi venosi della vagina , e dell'uso del loro cir- colo. L'imene poi , la di lui chiusura , e le conseguen- ze, cui questa conduce; le caruncule mirtiformi ; le grandi e piccole labbra, non che il loro uso, met- ton termine alla seconda parte di questa disser- tazione.

Nella terza parte espone Fautore la dottrina sup- plementaria e dell'utero e della vagina. E primiera- mente fassi a parlare della dilatazione e della ridu- zione dell'utero; donde abbiano principio, e qual sia il loro termine; ne deduce delle conseguenze, e si fa poi alcnne obbjezioni , cui analogamente risponde. Venendo alle cagioni determinanti il parto , espone la proprietà dell'utero ch'ei riduce alla sensibilità or- ganica , alla contrattilità organica insensibile , alla sensibilità animale, alla contrattilità organica sensi- bile, ed alla dilatazione attiva; aggiungendo pure l'estensibilità e la contrattilità di tessuto, che, per parlare, ei dice, il linguaggio de'fisiologi , sembra la stessa cosa della contrattilità organica insensibile.

Quanto poi alle funzioni dell'utero egli dice che potvebbonsi ridurre alla comunicazione del seme nell'ovaje, ed alla gestazione e maturazione del fe- to , aggiungendo averci i fatti avvertito , che stret- tamente parlando , non è desso di pura necessita che per la comunicazione, e non già per la generazio- ne ; accaduto essendo » che senz' utero si è pur concepito.

Dell' utero 39

Al capitolo 17 del suo scritto si occupa egli in riflessioni su di alcuni punti della dissertazione del sig. Meli, inserita negli annali universali dell' Omo- dei; nella quale dissertazione trattasi delle proprietà dell'utero gravido , e dei parti : e disputando sulle forze ausiliarie riputate inattive nel parto , risponde alla proposizione di Petit, ed al fatto Ialouset, di cui fa il sig. Meli menzione contro il sentimento del nostro autore. Resa poi ragione al sig. Meli medesi- mo, in ciò che questi nel 1821 e nella traduzione della grande opera di Mascagni venne su tal parti- colare annunciando , si rivolge a trattare della su- perfetazione, e de'parti prematuri e ritardati, e par- ticolarmente delle irregolarità dell'utero, che molte, ei dice , possono essere , secondo che attestano Bou- squet, Theden, Engel, e Galliat , i quali nelle se- zioni da' cadaveri più femmine rinvennero, che del medesimo erano assolutamente prive.

Il clitoride e l'ermafrodismo formano il sogget- to del cap. 19. Riferisce egli in questo capitolo qua- li possono essere gli effetti della prolungazione della clitoride; e relativamente alle donne ermafrodite ri- porta alcune opinioni di Buffon. Tratta inoltre dei- la verginità ; sul proposito della quale soggiunge es- ser sentenza di un autore, che incontrasi maggior dif- ficolta nel dar giudizio sullo stato di verginità di una donna, di quello che nel rinvenire il sentiero percorso nell'aria di un volatile: la qual sentenza sa- rebbe a desiderarsi che sempre fosse stata ed ognor fosse presente a coloro, che sono destinati a dar giu- dizio de'delitti di deflorazione; onde prima di espor- si alla possibilità di condannare un innocente , ar- ricchissero il loro intelletto di tutte quelle nozioni, di cui purtroppo assai spesso sono digiuni, e che

3o SciBNZK

ove le avessero, sentenzierebbero tremando; ricordan- do con Beccaria che nei delitti difficili a provar- si , la difficoltà della prova tieti luogo della pro- babilità dell' innocenza

Permessaci questa breve digressione che l'amor delPummita ei ha tratto sulla penna, ritorniamo al no- stro autore, il quale continua dicendo, che la pre- senza dell'imene non pruova sempre lo stato di ver- ginità, siccome la inesistenza di quello non da di- ritto a conchiudere la necessaria mancanza di questa. Narra indi i segni equivoci a riconoscere questa ver- ginità, ed è portato dal suo ragionamento ad alcuni risultati relativi , e casi di medicina legale, che gli danno adito a riferire varie opinioni intorno allo sta- to dell'imene.

Parla dell'impotenza della donna, e dell'irrego- larità della vagina, che alcune volte incontrasi remit- tente nel retto e nella vescica , ora mancante del tut- to, spesso divisa, obliterata, ed oltremodo angusta. Discorre delle emorragie , sulle quali si ferma alcun poco , per trattare della divisione di esse , cioè del- menorragia attiva , sue cause predisponenti e sua cura; della menorragia passiva, cause sue remote e sua cura ; delle emorragie critiche e sintomatiche; delle menorragie scorbutiche e nervose; delle menor- ragie per irritazione, loro cagioni e cura; delle emor- ragie della gravidanza; della medorrea dell'utero e della vagina; della medorrea mista, sede della me- desima e di lei contagio, ed infine sistema generale curativo.

JNella quarta ed ultima parte della dissertazio- ne l'autore, a tenore del sistema formatosi, non fa che riepilogare quasi tesi per tesi quello che di più interessante ha sparso nel suo libro, coirintendimeu-

Dell' utero 3r

to che sieno maggiormente resi chiari i principj dog- matici su'quali è desso lavorato. Quindi è che fas- si primieramente a trattare di tutto ciò che all'ana- tomia dell'utero appartiene; indi di quanto è re- lativo alla fisiologia ; ne discorre dipoi patologica- mente; e per ultimo vien ragionando di questo vi- scere da medico forense , ..pel_rapporto che il mede- simo presenta colla medicina legale.

Avendo il sig. Bellini in questo suo scritto raccol- to tutto ciò che può esservi d'interessante sulla storia dell'utero; il che non ha potuto egli eseguire, sen- za svolgere gran quantità di volumi, e senza molta dose di sapere non ordinario ; noi ci crediamo in debito di tributargli i meritati elogj , e di racco- mandare questo scritto medesimo a tutti coloro che per instituto o per genio sonosi dati a tali mate- rie; poiché in pagine i3o di un testo in ottavo troveranno essi riunito il pensare de'più classici au- tori su questo viscere.

32

LETTERATURA

Edipo nel bosco delle Eumenidiy tragedia. 8.° Ba- stia nella stamperia Fabiani^ 1825. ( sono car- te 10G. )

V_-fhi non conosce YEdipo a Colono di Sofocle non sa certo che sia una delle più gravi e perfette tra- gedie di che si onori il greco teatro : intantochè non temono alcuni di soprapporla per eccellenza fi- no all' Edipo re. Difficile e solenne quistione, di che appena oserebbero seder giudici i più canuti nell'ar- te : io sarò già di gran prosunzioue : ma di- rò bene , che niun' altra tragedia di quelle di Sofo- cle per varietà , per maraviglia, e per gagliardo im- peto di passioni, se non forse per semplicità d'arti- ficio, mi ha più dell'Edipo coloneo scossa vivamen- te l'immaginazione. Ed anche dirò un'altra cosa: che il fatto d'Edipo che se medesimo conosce colpevo- le di parricidio e d'incesto , è stato anche altre vol- te trattato con plauso da'tragici de'secoli susseguen- ti , e singolarmente da'sommi francesi Corneille e Vol- taire : ma niuno , ch'io sappia , de'migliori moder- ni ha mai voluto provarsi fin qui con quell' alto ateniese nel trattare l'argomento di Edipo coloneo: tanto è sembrata loro , così mi pare, ardua la con- correnza.

Teatro òreco 33

Ma ciò non ha potuto tenere quel nobilissimo ingegno del professor Niccolini , che non iscriva il suo Edipo nel bosco delle Eumenidi; di che nin- no vorrà reputarlo in colpa , perchè stimo esser buo- no l'ardire chi l'usa felicemente. Ed egli secondo ch'io penso , l'ha usato anzi felicissimamente: sic- ché se gli vogliono qui ripetere quelle lodi , che già. grandissime per altre sue celebri opere suonano in tutta Italia. E veramente ha il Niccolini adoperato nella tragedia sua ogni più possibile studio , perchè la greca favola meno si discordasse dai presenti nostri costumi: sapendo ch'ufficio del tragico, anzi ufficio d'ogni savio scrittore, è il parlare con uti- lità alle viventi generazioni che lo stanno ascoltan- do , e non vanamente a chi giace da tanti secoli nel sepolcro. Nel che se egli non è , come desidera- vasi, riuscito così strettamente, la colpa non vuoisi dir sua, ma si della favola stessa: che versandosi sopra cosa, nella quale ha t3nta parte il destino (empia ed inesorabile divinità) doveva necessariamen- te far sì, che l'intera tragedia tenesse dal suo sog- getto un abito strano e tutto di paganesimo. Oltre di che non ha egli voluto , più che prudenza non esigeva, violare le regole del decoro, parte di qua- lità essenzialissima della tragedia, anzi quella, secon- do il Gravina , che della favola è V organo e lo stru- mento (i): ne farsi così ad imitare molti de'n ostri, i quali di loro capriccio vogliono a' moderni rap- presentare certi scuri fatti d'antichità: che pur me- glio sarebbe che ci ponessero innanzi i fatti d'una età meno vecchia, con maggiore diletto del popolo, e più certo giovamento della inorale.

(i) Df!l« tragedia taf, \k%

G.A.T.XXYII.

34 Letteratura

Questa tragedia è veramente piena di singola- ri bellezze. Alte e splendide le sentenze: netta ed illustre la lingua: e lo stile così magnifico e largo, ch'io lo dirò con Orazio :

Vehemens et liquidus, puroque simittimus amili.

Tutto insomma fa testimonio del senno e del valo- re di questo fioritissimo ingegno toscano, il quale gravemente pensando spone anche i pensieri suoi al- la nobil maniera che usano quelli i quali vogliono scrivere a tutti i secoli. Perchè non è egli del greg- ge miserabile di coloro, che tutto nelle belle lette- re consentono alla sentenza , ne punto si brigano del modo o basso od improprio con cui la espongono. Persone d'una pazzia tutta nuova che stimano po- ter gli uomini andar presi agli scheletri, piuttosto che piacer loro leggiadre forme abbellite di tutta la vivacità d'una florida carne . Oh non sanno es- si, che ninno scrittore ha durato mai lunghi anni nella venerazione degli uomini, s'egli non è stato anche pregiato per bel costume di pura e gentile favella ! Perchè lo scrivere con purità e gentilezza non solo e la maggior lode, ma anche e il mag- gior obbligo di chi non ha la stoltissima presun- zione di volere non per modi cortesi ma per vil- lani crearsi maestro di tutto il genere umano. questo è già , siccome alcuni per certo loro vez- _zo sogliono dire , il grido perpetuo della fredda ed importuna pedanteria: no, lettori, non vi lasciate sedurre alle baje dell'ignavia superba; se pur fred- di ed importuni pedanti non furono tutti i greci e i latini e gl'italiani che hanno più celebre nome: se pur freddi ed importuni pedanti non furono an-

TEATRO GRKCO 35

cor tra'francesi il Voltaire (i), e l'immortale Despre- *ux, che fino osò dire (a).

Sans la languet eri un mot, Vauteur le plus divin Est toujours , quoi qu il fasse r un méchant écrivain.

Ma di questo non più : benché io tenga , le utili massime doversi tante volte ripetere agli uomini , finché loro non divengono naturali. Il che certo non veggo che sia tutt'ora avvenuto di queste im- portantissime dell'eletta e nobil favella.

Tornando però all'Edipo del professor Nicco- lini , molti sono stati che l'hanno in ogni sua par- te sommamente lodato t ed io pure, se vuoisi, sarò di questi. Ma nondimeno , siccome son varii i giu- dicj degli uomini , alcune cose non sono ad altri compiutamente piaciute : le quali forse vorranno dirsi come piccioli nei in mezzo un bel corpo : e tuttavia le credo tali da riferirle qui con buo- na franchezza , senza tema d'offender punto l'egre-

(1) Ecco ciò ch'egli dice nel mo Discorso sulta tragedia . C%est tet art (Vemballir par la dietion ce que peuseia . et ce que sen- tenl totts les hommes » qui fait les grands poetes . . '. . M. Raci- ne ifest ii au-dessus des autres , qui ont tous dit Ics memes cho- ses que lui , que parce. qu'il lei a mieux dites, Corneille % »' est veritahlement grand, qu« quand il s 'exprime aussi-bien qu'il pente. Credo che niuno vorrà metter dubbio sul magistero di questo famoso francese nella grand'arte di scriver bene., Oh abfciatr^e- de almeno nelle parole degli stranieri, rei che siete così poco ita- liani , voi che tutto giorno vi lamentate del crudele destino dei vostri scritti , ch'è quello di morire miseramente quasi prima di nascere.

(») Art. Poel. lib. i , r. »(ù.

3*

36 Letteratura

gio poeta , il quale essendo , come tutti affermano , di cortese natura , dee gradir l'amore e non l'adu- lazione di niuno.

Quella parlata lirica , per esempio , del gran sacerdote , la quale è nella scena seconda dell'atto primo , benché sia tutta splendida di poetiche im- magini , è stata detta da alcuni un troppo romo- roso principio di severa tragedia ; e ad alcun al- tro è anche sembrata oscura in quel luogo dov'è. Perchè dicono , che lo spettatore non può cosi su- bito trovarsi pronto a udir cose astrusissime e asco- se sotto un gran velo profetico. E tale infatti è sembrata a me pure: il quale, giovimi la verità, non ho potuto entrar bene nelle significazioni di que'terribili vaticinj , se non dopo esser tornato tre volte a leggere attentamente tutta la scena , anzi dopo averne lette parecchie altre. E nondimeno non posso dire di non sapere perfettamente la favola d'Edipo e de' suoi scellerati figliuoli , siccome dir potrebbero molti e molti del popolo . Della quale oscurità parmi che la principale ragione sia que- sta : che quei canto lirico precede la scena cosi necessaria chiamata episodica da Aristotile , vale a dir quella , secondo il Gravina , che premette alla favola per narrazione del passato. E veramen- te la scena episodica è stata dal N. A. collocata neir alto terzo , cioè nel bel mezzo del. suo poe- ma, la dove si volevano azioni veementi, anziché racconti d'istorie. Che già io non credo , avere il Niccolini scritto questa tragedia pe'soli eruditi , piut- tosto che per tutta la grande famiglia del popo- lo, siccome vuole Aristotile, anzi siccome vuole la stessa retta ragione.

Cosi anche è sembrato ad alcuni mancar qual- che cosa al dialogo fra Edipo e Creonte : ed è

Teatro greco 3-

mestieri scusarli, perchè forse hanno ancor piena l'anima di quella scena artificiosissima del secondo atto di Sofocle. Certo il greco poeta ha ivi pro- fuso i più chiari lumi dell'eloquenza : niun discor- so parendomi più studiato e più vivo di quello che pronuncia Creonte : e bene a proposito , avuto riguardo all'oggetto gravissimo di sua missione. Do- ve nel Niccoli™ le parole di persuasione di quel vecchio ed astuto tebano non sono tante, che più molta non sia l'audacia anzi l'insolenza di lui: benché poi non se gli possa togliere che quelle po- che parole non sieno assai faconde , se non si vo- gliono dire eloquenti:

» Ben sei crudel con te ; ma forse è rea

» Delle tue colpe la regal fanciulla , (1)

» Cur le tenere membra offende il gelo ,

»> O l'ardor del meriggio , e il pie si stanca

» Sull'aspra via di faticose rupi ? -

» Qua! core è il tuo , quando di porta in porta

» Mendicando la vita, affronti (ahi lassa!)

» Turpe rifiuto , o domandar più grave

« Della pietà fastosa ,etu( sul ciglio

» Trattengo appena il pianto ) o celi il nome

» Che sei fìgha d'Edipo, oppur tu dei

« Dirlo , arrossire ; e se mercè tu chiami ,

» Un fremito d'orror sol ti risponde ? -

v Alla vita raminga , al duro esiglio

» I lieti giorni dell'età fiorila ,

» Padre crudel , condanni !-E che fa teco

v Questo squallido manto ? Imene appresta

» E liete vesti ed ara e pompe e trono.

(») Volgendoli »d Antigone.

38 Letteratura

Quello però di che veramente ho veduto mol- ti non andar persuasi , si è che questo Creonte vo- lesse uccidere Antigone appena strappata che fu dai fianchi dei padre. Uccidere Antigone ? E per qua- le consiglio ? Perchè forse il cieco e desolato vec- chio scendesse più facile a tornarsene a Tebe? Ma non sarebbe egli appunto tornato a Tebe , se non avesse anche potuto vivervi con la cara figliuola. Sofocle tenne altra via : e , secondo ch'io stimo , ragionevolissima via : avendo posto che da Creon- te fossero tolte ad Edipo, e mandate a guardarsi in Tebe , le due figliuole Ismene ad Antigone , non per altro se non per la buona probabilità eh1 egli tratto dall'inestimabile amore per quelle uniche bea- trici della sua vita, dovesse finalmente lasciarsi con- durre in mezzo i proprii concittadini. Certo all' im- provviso udire ch'è morta quella virtuosa donzella , la quale fattasi esempio di filial devozione, sopra la propria vita mostravasi tenera della salute del pa- dre , subito senti tremarti il cuore , e sei commosso ad una maravigliosa pietà. Della quale ha veramen- te il Niccolini saputo trarre un eccellentissimo prò all'aprirsi dell' atto quarto : dove quella scena del gran sacerdote e del coro , con Edipo miseramen- te prostrato sopra di un sasso , mi pare una cosa in tutto degna degli alti spiriti e dell'artificio di Sofocle. Ma tornata indi a poco la mente in se stes- sa, e dato il debito luogo alla riflessione, facilmen- te s'avvede d'essersi lasciata portare troppo inconsi- deratamente al timore, non essendo possibile che un uomo tale , qual è Creonte , potesse avere avuto quello sconsigliato proponimento.

Dirassi che il tragico ha voluto con ciò ren- dere assai più naturale ad Antigone e a Teseo l' ot- tenere a Polinice il perdono paterno: perchè fu ap-

Teatro greco 3q

punto Polinice che accorso alle grida , usando il proprio valore , trasse Antigone da quell'imminen- te pericolo della vita. Non aveva il Niccolini altra via più spedita , che quella d'una grave inverisi- miglianza per giungere al suo proposto ? Ed an- che dimanderei , se l'autore ha veramente , secondo il suo uso , operato con sottile ragione allorché fin- se questo perdono di Ed ipo al suo abbonito figliuo- lo. V'ha chi ne pone un gran dubbio : parendo che quella paterna condescendenza non solo sia fuor di tempo , ma contra il fiero costume d'Edipo. E a che poi giova , dicono , un tal perdono ? A salvar Tebe , non già : ad impedire il fratricidio , nep- pure : a sciogliere cori maggiore facilita il nodo del- la favola tragica , molto meno. Dunque non sareb- be egli stato miglior avviso , che il Niccolini aves- se anche qui seguitato sapientemente il suo greco maestro , il quale , rigoroso coni' egli fu in sulle leggi gravissime del decoro, fece che il suo pro- tagonista non mancasse mai a se stesso neppur in quell'estremo del vivere, ma fosse costantemente for- te , sdegnoso , inesorabile ?

Seguita l'atto quinto , in che Polinice discorre ferocemente ad Antigone la prossima uccisione del proprio fratello , voluta , com'egli afferma , dall'ora- colo delle Furie. Eccone i terribili versi :

» Il sai, la colpa » Espia la colpa, e chiede sangue il sangue ... » Con piede incerto ai paventati altari » Dell'Erinni io m'appresso , e propria notte w Sta nell'orrido tempio e un'atra face » Svela l'orror , mentre l'accresce ... In seno » L'odio rinascer sento , e mille afletti » Tremendi che non han nome. Io chiamo

40 LBTTBRA.TURÌ.

» Le mie vii tudi invano : invan mi copro

» Sotto l'usbergo del perdon paterno ;

» Il dolce figlio invano, e la diletta

» Argia, mia sposa , e te , sorella , invoco :

» (Perchè meco non eri?) Or fremo, or piango ,

i » Or spero, or temo: oli Dio! fratello e sposo a Per pochi istanti io sono , e dentro il core " Sempre mi sento re: tosto la pura j> Onda mi reca di perenne fonte , Sacro ministro ... io colla man tremante y> L'aitar ne spargo . . . Oh Dio ! si muta in sangue. n Fugge atterrito il sacerdote , ed io » 'Non fuggo. Ahi! me terror più grande arresta : » No che narrar non può lingua mortale » Quel ch'io provai. Fra mille lampi apparve » La maggior dell' Erinni : il pie gli abissi

i « Tocca , e in mezzo alle nubi il capo asconde ; « E poi gridava (e la sua voce è tuono Di procellosa nube ) : Ombre di Tebe » Per delitti famose , or via , gioite , Gioite; Edippo, e la sua stirpe infame Vinse le vostre colpe. Allór l'inferno , Tutto l'inferno s'otto i pie m'aperse, E tutte m'additò l'ombre degli avi. ',', Poscia nel sangue, che fumò sull'ara, Tingea l'Erinni la spietata mano, E , fratricidio fratricidio , scrisse Sulle pareti' dell'orribil tempio; ,, E liete lo leggean l'ombre invocate Sorridendomi in faccia , e lieta Aletto Tosto esclamò : Scritto del fato è questo ; Non lo cancella il pianto. Allor mi svelie ,, Dall'are atroci un'invisibil mano; Le ferree porte s'apron , mi rigettano .... Dove non so . . . Sorella , oh Dio ! son teco.

Teatro greco 4x

Dopo ciò chi non si aspetterebbe che Polinice a tut- to senno fuggisse di presentarsi alle mura di Tebe, onde non s'adempisse l'orribile oracolo? Così nel ve- ro costumavano tutti coloro presso i gentili, i qua- li avuto avevano qualche reo vaticinio : e così ave- va pur fatto Edipo , quando gli fu profetato ch'uc- cidere doveva il padre , ed usar nozze scelleratis- sime; tutti, per quanto era da loro, fuggendo non solo il loco, la dove credevasi che dovesse com- pirsi il destino, ma le persone ch'essere ne dove- vano vittime. Il quale destino fu per ciò appunto definito da Gian Vincenzo Gravina : Quella neces- sità fatale , che secondo gli antichi filosofi condu- ce ad incontrare il danno per quelle vie per le qua- li si fugge (i). E Polinice, raccapricciato siccom'egli si mostra al pensiero di tanto delitto , Polinice non solo muove animoso alla volta di Tebe , ma par che corra, anzi voli a Lagnarsi nel sangue fraterno. Sce- na veramente fìerissima ,. anzi piuttosto d'orrore che di terrore; e forse, come alcuni dicono, non be- ne legata col principale argomento della tragedia. Queste ed altre simili cose sono state da pa- recchi considerate nell'Edipo del N. A. Se a torto, od a ragione, non saprei ne vorrei dirlo- Avvertirò solo, che il professor Niccolini si è altamente, e for- se più che altro italiano moderno, empiuta l'ani- ma della grandezza e maestà di Sofocle , di cui pe- rò ha voluto farsi piuttosto libero emulatore che imitatore servile ; se pure altri non creda , che per le spesse sentenze siasi per avventura accosta- to ad Euripide più che a Sofocle, il quale essen- do stato di severissimo animo , ne usò , come fece-

(t) Loc. eit. cap, 5.

4* Letteratura

ro sempre i ' migliori antichi, con gran sobrietà. eia potrei accusarlo dell'averci rappresentata la mor- te di Edipo in quel modo che ha stimato rappre- sentarcela; modo interamente contrario alla favola: perchè penso che tutto se gli debba facilmente con- cedere in mercè delia nobilissima fine, anzi solen- ne della tragedia, la quale per certo religioso mi- stero ti lascia veramente compreso lo spirito del più sacro e profondo terrore.

Teseo

,, Davanti all'are, Padre infelice, incenerir ti deve La folgore celeste (i).

Antigone

,, Io moro, oh Dio!

Teseo

Misera figlia . . . alto dolor la tragge

Fuori dei sensi ... Tu nel re d'Atene

Un altro padre avrai . . . Ma s'apre il tempio.

Gran Sacerdote

O re, compisce i suoi destini Edippo.

Salvatore Betti.

(i) Cade un fulmine lui tempio.

45

223=

La donna ingegnosa commedia Paolo Costa , con un epistola al signor Conte Giovanni Antonio Iìo> verella.- Bologna presso Turchi Veroli e comp. con approvazione i825. (son pagine 35a.)

I

1 nome di Paolo Costa è tale, che per se solo ba- sta a commendare le produzioni, che lo portano in fronte. La Italia di costui già grandemente si ono- ra, e niuno io penso, se non fosse di coloro che invita Minerva vogliono, farla da bravi più presto amanti della nebbia di Scozia che del puro aere ita- liano, vi sarà che non sappia quanto valga questo egregio letterato o canti rime o detti prose tutte pie- ne di sana filosofia, di utili precetti, di belle imma- gini , di purezza di lingua , e di eleganza di stile. Le mie parole non possono , è vero , accrescere alcun che alla gloria , di che egli gode , ma basteranno a far conoscere che noi non tenghiamo camera con que- gli stolti , i quali ancora vaneggiano e insaniscono pel Frugoni e per l'Ossian. Tal sorta di gente , a cui si fa notte innanzi sera , ha scambiato vocazione: più presto che penetrare di soppiatto i sacri recessi della letteratura, doveano far impeto palesemente nel- le piazze facendola da ciarlatani: non avrebbero fat- to male i loro conti con quelle parolone vuote di sen- so e con quella filastrocca di sfarfalloni, che ti snoc- ciolano ogni volta, che aprono bocca: peccato! che vivano ancora sotto questo cielo, e non vadano in Siberia : oh ! certamente ai loro petti alle loro anime sarebbero simili que'luoghi orridi e barbari! Ma la- sciamo stridere a loro talento queste cicale, « queste

44 Letteratura

arpie. Si trastullino pure i poverini per que' torti sen- tieri , ove si aggirano sempre a mezza - notte invocan- do le chete ombre canore , e chiamando turba graci- dante infesta chi piena la mente e il petto di buo- na filosofìa veste di buone parole i buoni pensieri, e lascia nell'oblio tutti loro , che non ispirati ma spi- ritati poeti e oratori pongono il sublime e il bello nel falso nell'impossibile nell'inintelligibile: questi questi son quelli sciaurati , che mai non fur vivi.

Il nuovo libretto , di che il sig. Paolo Costa ha presentato il pubblico , contiene una commedia di cin- que atti in prosa, che ha per titolo = la donna in- gegnosa = , e una epistola in versi, con cui il Costa accompagnò questa sua commedia al sig. conte Gio- vanni Antonio Roverella da Cesena, uomo di assai be- nemerito delle lettere e delle muse italiane per tante gentili sue produzioni , caro oltre modo a tutti i buo- ni per le belle qualità sue morali, e carissimo per bontà e ingenua larghezza di cuore ai suoi amici, fra i quali certamente io non mi sto fra gli ultimi , se nell'amicizie è di qualche momento l'uniformità del sentire e del pensare, e la durata di caldissima amo- revolezza né per lontananza per avversa fortuna mai venuta meno. A noi gode l'animo nel vedere co- me il libretto del Costa prenda nuovo lustro dal nome del Roverella , e come questi sia bellamente onorato nell' andare in fronte a una operetta dell'egre- gio ravignano , cui sappiamo buon grado di aver- ci posta occasione di attestare al Roverella istesso quanto vive in noi il suo nome , e 1' antica stima e amicizia.

Questa epistola è veramente oraziana: chiunque gusti un poco tal genere di poesia non può fare a meno di desiderare che il Costa dia qualche sorella a leggiadra figliuoletta della sua mente.

Teatro italiano 4^

Giacomo Martino Wieland, onore della tedesca letteratura, che si bene volgarizzò e commentò le sa- tire e l'epistole di Orazio, stima a ragione esser pri- ma fra le belle qualità, per cui il Venosino si fa singolare dagli altri poeti ne' suoi discorsi in versi , quella sua arte tutta leggiadria e naturalezza di rap- presentare i precetti morali in quell'aspetto e con quelle vesti , di che Esopo ebbe in costume di ador- narli. E in vero, se di tali componimenti è ufficio in- segnar la morale , io non so come meglio possano in- sinuare nel nostro animo l'amore del retto e del ve- ro, se non ammollendone la severità e unendo all'uti- le il dolce con immagini poetiche e verosimili, con favole, con allegorie, e con tutto, che tiene all'azio- ne drammatica. Abbiasi dunque in pregio per tal bellezza principalmente la epistola di Paolo Costa, che ce ne manifesto e compiuto esempio fin dallo in- cominciamento , in che bassamente e non veramente sentendo del suo ingegno , dicendolo non atto alla buona poesia, si fa a rimproverare il Roverella, il quale con la forza dell'amicizia lo costringe appunto a dettar versi:

Volgi questo terren : fiori a dovizia Abbia in ogni stagion, dice Cleanto : E il zappatore ignaro uomo novello Io son nell'arte; a piantar agli e rape M'istrusse il padre mio; ma nerbi ed ossa Ho poderosi, e per sudar, che grondi Dalla mia fronte , non depongo il ferro : Se tal mi vuoi, son presto. E messo all'opra; E zucche rigogliose ad aspri cardi ,, Sorgon per ogni dove. O Roverella, h Se Cleanto i tesor di Flora aspetta ,

$6 Letteratura

Se al buon villan garrisce, non dirai Che ingiustamente adopra?

In questi versi il poeta con molto di giudizio, usa facile esempio a fare intendere questa bellissima verità, che = vano è il faticare contro l'ingegno=:e questo concetto è esposto con tanta finezza di arte, che racchiusi in se tutti i germi di una bellissima favoletta, di poca fatica addimanda a stenderlo in hene ordinato racconto , rìducendone in azione il pen- siero , e quindi applicandolo al precetto , che il poe- ta ebbe in animo d'insegnare: la qual cosa a segui- re il costume del Wieland ho voluto tentare con questa favoletta.

/ due lavoratori.

Posta sopra amena collinetta a specchio di pic- colo ruscello sorgeva la capanna del buon Cleanto: quivi egli traeva una vita lieta e tranquilla in seno alla famiglia, che alimentava col sudore della sua fronte coltivando un'orticello e un campo , che il pa- dre gli avea lasciato. Per natura industrioso e aman- te di tutte le bellezze della campagna fino da pic- colo egli apprese non solo a ben coltivare il cam- po , ma a far germogliare ancora nel suo orticello tutti i fiori di primavera; che pure gli recavano al- cun'utile portandoli in vendita alla citta, che avea a vicino. Ormai fatto vecchio rispondendo le forze del corpo ai buon volere, ai due suoi figliuoli egli com- metteva la cura del campo e dell'orticello. Mosco il mag- giore era robusto della persona], e si piaceva solamen- te di vangare la terra e di romperla col vomere: Aminta di complessione gracile poneva ogni studio nell'educate tutti i fiori, sicché nel suo grazioso orti-

Teatro italiano 4*7

cello fosse sempre dipinta la primavera, e avessero di che abbellirsi tutte le forosette di que' contorni. Al vecchio Gleanto però non sapeva bene tal cosa , e buon sacerdote come egli era stato di Cerere e diFlora, volea che lo fossero anche i figliuoli, sen- do per lui, come è solito pregiudizio de'vecchi, in- vincibile ragione il dire=io ho pur fatto cos'i: fac- ciano dunque cosi anch'eglino =. E chiamati un gior- no a se Mosco e Aminta in tuono autorevole lo- ro disse : Figliuoli miei , poco mi avanza di vita ; i vicini mi chiamano buon padre, ma tale certamente io non sarei, quando co'terreni l'arte ancora non vi lasciassi di renderli frutttevoli. Tu Mosco , sai e vero render liete le messi, ma non educasti mai un fiore , e F orticello non fu mai tua cura. Tu pel contrario , o Aminta , ignori sotto quale costellazione debbasi rompere il terreno , e unire l'olmo alla, vi- te : conviene dunque , miei cari figli , che vi sie- no comuni queste due arti. A te , Mosco , nell'an- no avvenire affido F orticello, a te , o Aminta, il campo. I buoni giovanetti piegarono il capo, e si diedero all'opera. Tornò la dolce stagione, e il vec- chio padre usci dalla capanna, ove lo avevano chiu- so i rigori dell' inverno : ma oh Dio ! quale fu la sua sorpresa quando nell'orticello un giorno ri- dente non vide che spine,

E zucche rigogliose ed aspri cardi ! ,,

Non sapeva darsi pace, e tutto addolorato si avviò al campo, onde racconsolarsi , credendo di tro- vare ivi bene in ordine le cose; ma anche Aminta falli le sue speranze. Nel terreno mal preparato il grano non gettò bene le radici, e la gramigna e il loglio lo avevano soffocato: solo le infeconde sie»

48 Letteratura

pi che custodivano il campo erano belle a vedersi per salvatici fioretti, che si aprivano fra quei bron- chi al soave alito di primavera. Troppo tardi il buon vecchio si accorse, che non dee andarsi con- tro natura, e che tornano vane tutte le cure se non hai amico il proprio genio : settanta anni avea vissuti, e questa fu la prima volta nella sua vita che mancò di pane.

Apprenda da Cleanto a studiare la naturale in- dole dei giovanetti, chi ne ha la cura; onde non farli miseri ad altra parte volgendo il loro inge- gno , e distraéndolo da ciò , a che natura lo avea formalo. -

Se mei concedesse la brevità di un'articolo, mi vorrei tenere in più parole intorno questa utile epi- stola . Solo accennerò che il Costa nel raccontare i cattivi studi della sua giovinezza ben garrisce a quella ciurmaglia di mentecatti, che lasciate le ri- ~ve d'Arno .... corrono insanamente a cercar fio- ri per la Scozia sassosa : e tacciando di folle la speranza di gloria , che avea nutrita dandosi alla poesia, maledice, e ne ha ben d'onde, al nostro secolo , che gridando filosofia maledice ai poeti an- tichi maestri del vero; mentre però

Al cantor gorgheggiante , al citarista r) Pur corre avido il mondo, e lor dispensa Quant'ebber d'Asia i re laudi e tesori. Sol per la music'arte ha sensi il volgo, Ne d'uopo è che orator saggio e poeta

Gl'infonda util dottrina

. Ciurmador , ciarlieri ,

Rimatori , poeti in un confonde L'onniveggente età.

Teatro italuno $Q

E qui bene all' amico rivolgendosi conclude: Chi dunque amico vuoi che per lauro sudi? Pure a non esser creduto animale ozioso e dell' immondo gregge di Epicuro , dice di avere scritto, e d'inviare all'ami- co breve favola, la donna ingegnosa, ove adempien- do sempre il ministero di buon letterato , quello cioè di castigare i costumi, fa che sieno

derisi e morsi

Color , che le onorate orme degli avi Abbandonando, bruttano nel fango Le già famose insegne.

E contento se gli sorride il breve coro de* saggi, di . cui gran parte nomina e conta fra i suoi amici , ha a vile il resto , e non invidia

Chi col favor della ventosa plebe S'alza alle nubi :

e poche altre parole soggiunte , dicendo al suo li- bretto: - \

........ fuor esci

Qual nato se' non timido, o superbo ,

da fine alla sua epistola, che alla bellezza e all'uti- lità dei pensieri unisce la bontà e la leggiadria del- le parole, disposte in uno stile poetico sì, ma fa- cile e chiaro , quale conviensi a tali componimenti. Ora fa ragione che si tolga a disamina, e si discorra l'altra parte del libretto, la commedia cioè, che ha per titolo = la donna ingegnosa. =

Non è qui a dirsi l'utilità di tali produzioni . Se ufficio dei letterati è lo insegnare il vero , il G. A. T XXVII. 4

5o Letteratura

riprendere il vizio , e il condurre la plebe dolcemen- te a virtù e a rettitudine, risvegliando nell' animo i lumi della morta ragione ; la commedia su tut- to dee aversi in pregio : ogni letteraria fatica può mirare a questo scopo, ma niuna a mio parere tan- to dirittamente quanto il dramma. Se le commedie fossero sempre scritte da chi ama in onore la pa- tria, da chi solamente desidera il bene de'suoi con- cittadini, oh! certamente cosi di sovente non so- nerebbero sul labbro dei buoni quelle parole di Orazio: Che giovano le leggi senza i costumi? Do- po quel tanto che dottamente e elegantemente ne ha scritto il nostro ottimo direttore ed amico Don Pie- de'Principi Odescalchi nel suo trattato intorno la com- media ed il suo uso civile (vedi Giornale Arcadi- co t. XVII. p. II.), il trattenersi su questo argumen- to sarebbe un portar nottole a Alene. Diremo sol- tanto : non avere il Costa deviato dal retto scopo , per cui fu istituita la commedia: aver lui scritto una buo- na lezione di morale, che dolcemente morde il vi- zio , e insinua l'amore della virtù, unendo all'one- sto Tutile e il dilettevole.

Il teatro italiano parve , che non avesse da in- vidiare alcun che agli antichi e ai moderni , allora quando si fece autore di commedie il Goldoni. Ma questo bravissimo veneziano mal seppe d'ordinario esprimere i suoi bellissimi concetti : non ebbe mol- ta grazia di parole ; e questa io credo che fosse ia cagione , per cui alcuna volta è piuttosto diso- nesto che faceto. Il Costa per l'opposito, senza ca- dere nell' affettato e nel lezioso, mette in bocca dei suoi interlocutori quel linguaggio , che alla condi- zione di ciascuno si addice , ma sempre con pu- rezza ed eleganza italiana senza bassezze e idioti- smi , sicché la sua commedia non è di un municipio,

Tra irò italiano 5t

ma di lulta la Italia. Ne punto cecie al Goldoni nella bellezza del dialogo, sia che tu ne guardi la naturale facilita, e l'ordinato andamento, sia che tu ne ammiri l'armonia delle parti , la semplicità dei modi, la economia delle inchieste', la precisione del- le risposte , e il dignitoso disputare quando va in contrarie sentenze. E tutt' assieme considerata que- sta favola, panni bene condotta e non peccare con- tro le leggi dell'unita ; avvegnaché non sia digiu- na ( almeno, cosi ci sembra ) di qualche difetto , che con la nostra solita franchezza ingenuamente accen- neremo. Mi confido che il professor Costa culto e gentile come egli è, vorrà avere in buon grado la mia modesta censura, non disdegnando di farne con- to se bene io scrivessi e utilmente , perdonando alla buona fede e al basso mio ingegno se male mi ap- ponessi , e il mal detto correggendo con quella ur- banità e saviezza , che tanto gli è propria.

I difetti di questa commedia stanno , secondo che mi sembra , nei caratteri delle persone r i qua- li o non sono naturali, o sempre non sono coeren- ti a se stessi : lo che a lode del vero io credo non esser colpa dell'autore ma del soggetto. Il Costa , togliendo la sua donna ingegnosa da una novella narrata nel Gilblas famoso romanzo spagnuolo , for- se non ha posto mente a quanto mal si convenga co'nostri placidi costumi quel non so che di esal- tato , che traluce sempre negli spagnuoli; che non dee recarsi a Paolo Costa e il difetto di una certa grazia e lepidezza italiana , e quel colore romanze- sco , in che è tinta la ingegnosa donna Eleonora* Essa è una dama veronese vedova di un ricco spa- gnuolo , che avca tolto a marito per volontà sol- tanto del padre : gli fu moglie onorata ma non amante : un'altro prima di quelle nozze avea fatto

4*

5* Lbtteratuka

forza al suo cuore : la passione contrastata ma non vinta crebbe dopo la morte del marito , e giunse a tale , che avrebbe condotto la misera a morire , se non veniva a termine dell' onesto suo desiderio di stringersi per la seconda volta in matrimonio col giovane, di che era presa, e che ben poco era da lei conosciuto. Ne la tenevano i costumi sfrenati e la vita perduta, con che il conte Flaminio (tale era il nome dell'amato giovinetto ) bruttava la no- biltà del suo lignaggio. Sperò di vincerne le ma- le abitudini , e di farne un'uomo secondo il suo cuore. A tale effetto si propone di mentire spoglie, di abbandonare Verona, e di seguire a Bologna lo scapestrato giovane , che ivi usava agli studi. Fra noi , avvegnaché le donne maritate e le vedove si prendano alcuna volta licenze non troppo oneste, una dama , che cosi operasse , certamente non si acquisterebbe nome di buona : gli amici la direb- bero pazza e romanzesca; e i più, che sempre pren- dono le cose per la peggio , la porrebbero nel nu- mero di coloro , che rotte a vizio di lussuria il li- bito fanno licito. Donna Eleonora feruta nel suo pro- ponimento invia a Bologna Fabrizio suo maestro di casa , e Anna sua governante ; la quale sotto nome di donna Eufrasia, prendendo abito e trattamento di vecchia dama, finge esser giunta a preparare l'alloggio ad un giovane cavaliere suo nipote per nome don Felice ( e questi è donna Eleonora ) che si reca all'università : e da serva amorosa ed atten- ta indagando ove alberga il conte Flaminio, ivi tut- to dispone pel nipote , abbenchè ella abbia presa dimora in altra locanda. Giugno don Felice ; si ab- bocca col conte Flaminio ; gli dice di essere fra- tello a donna Eleonora, che già è in Bologna pres- so la zia ; stringe seco lui amicizia ; gli dipinge iu-

Teatro italiano 55

fedele la bella vivandiera , di che egli era perdu- tamente innamorato; lo presenta alla zia: lo abban- dona per un' istante ; ricomparisce nella sua vera figura di donna Eleonora ; lo guarda con occhio pietoso , che Persio direbbe patrante ; gli fa tocca- re con mano la falsa amicizia di Ottavio ; si scuo- pre l'inganno ;. è conosciuto per donna Eleonora ; e il matrimonio da fine al romanzo e alla comme- dia : e tutto va bene , e pe'suoi piedi; ma non tut- ti i mezzi usati da donna Eleonora son quali con- vengono a nobile e onorata vedova.

Si apre l'atto secondo con la risoluzione fatta da donna Eleonora di ritornare a Verona , perchè ella dice a Fabrizio : » No no. Non sarà mai det- » to che io cerchi di togliere ad altri quel bene , « che a me stessa desidero. Il conte Flaminio ama * una buona giovane , ed è riamato da lei. Sarò » io crudele da rompere per utile mio si one- » sti legami? No, no, Fabrizio, voglio piuttosto mo- » nre di dolore. » Socrate non potea dir meglio. Quindi soggiugne a Fabrizio , che assicura esser figlia di un povero vivandiere la giovane amata da don Flaminio : » E che fa s'ella è povera quando sia » onesta e dabbene ? » Fabrizio aggiunge alla po- vertà un sospetto di civetteria , e donna Eleono- ra non vuol più andarsene , e pensa a distogliere M conte da questo amoraccio, che sarà la sua ro- vina : e fin qui Ja vedova opera saggiamente , la sua virtù offende in cose illecite. Arriva in que- sto fra tempo un servitore della graziosa vivan- diera con un biglietto : domanda al mentito don Fe- lice se egli è il conte Flaminio , e la virtuosa dama risponde: , sono io-, prende la carta, disonestamen- te la dissigilla e la legge: e abbenchè il biglietto , lungi da dare argumento della civetteria d'Isabella ,

54 Letteratura

mostri anzi esser la giovane molto accesa di Fla- minio , don Felice non si arresta : e aggiugnendo turpi modi e menzogne all' atto disonesto , da ad intendere al conte Flaminio di esser legato in amo- re con la bella vivandiera ; e per non aver sopra- scritta il biglietto se ne prevale a convincere il povero giovane , che a lai racconto si dipingeva del colore della morte : e glielo presenta con que- ste parole : » Dico di tutto il mio buon senno i 75 e se ne volete prova leggete questo biglietto, che » ella mi ha scritto questa mattina. » Il conte Fla- minio, com'è naturale dall'amore passa all'ira, pro- rompe in lamenti e in invettive , e la vedova , bene scaltra da non lasciarsi fuggire la occasione , ac- cresce l'incendio , e ponendo in non cale il buon nome del conte che diveniva spergiuro e tradito- re , lo induce a scrivere una lettera acerba e in- sultante alla povera Isabella , e cosi resta padrona del campo. Sia pure che la vivandiera fosse , come poi venne in chiaro , realmente una fraschetta: sia pure che da questo inganno nascesse il bene del conte Flaminio : non è però mai lecito di andare a Un fine lieto e onesto per vie tristi e disoneste : un tal compenso è contro la natura della comme- dia , e non può mai metter semi di virtù in chi lo ascolta.

cosa naturale ragionevole , a mio pare- re, è la rivelazione , che Fabrizio maestro di casa di donna Eleonora subitamente fa di tutto il se- greto a Valerio cameriere della locanda. Veggo be- ne che il Costa ha ciò ideato per dar luogo alla sce- na episodica, la quale metta in luce l'argomento del- la favola : veggo bene che l'antica amicizia di Fa- brizio con Valerio forse fu a ciò cagione : ma per manifestare un segreto che comprometteva l'onore

Teatro italiano 55

di una nobilissima e giovane vedova, l'amicizia di un servitore bisognoso non può dar fiducia a un vec- chio e scaltro maestro di casa.

Ne ben condotto è il carattere di Ottavio falso amico al conte Flaminio: un'avvocato, che togliesse a difenderlo , direbbe che manca la cagione di de- linquere. Ottavio tradisce Flaminio , onde gli sia fatta abilità di amministrarne il patrimonio. E non poteva forse ottenere un tale ufficio anche senza la nozze della vivandiera ? Egli era povero : ricco l'al- tro e di cuor generoso : Flaminio avrebbe piuttosto mancato a se che tralasciare di provvedere al bene di un amico a lui si caro. Mi sembrava miglior con- siglio il fìngere , che Ottavio fosse il vero drudo della vivandiera : così la commedia otterrebbe quel maggior intreccio e contrasto , che fanno più splen- dida la virtù più oscuro il vizio. Son queste le con- siderazioni , che amore del vero mi ha dettate. Ora non mi resta che porgere nuovamente preghiere all' egregio signor professore Paolo Costa, affinchè si piac- cia di porre ogni studio, se per avventura avessi io detto bene, nel togliere questi nei dalla sua favola, la quale, a mio parere così emendata e corretta, non temerà il confronto di qualunque altra commedia , per bella e utile che sia.

Giusisppe Salvagnoli Marchetti»

r>s

Raymundi Cunichii e Soc. Jesu epìgrammata X.X.VII a Francisco Cancellierio colletta.

De Pompe/o Batono.

De Angelica Kauphmannia.

De Cornelia Knight.

De pletore Davide.

De variis pingendi modis.

De poetis extemporalibus.

De Th eresia Bandettinia.

i.

Ad Pompejum Batonum sanctissimum cor Jesu pingentem.

Oanctum cor Domini pingis, Bato, profluit unde, Terrarum et partes quattuor implet amor.

Tarn mire pingis, perculso ut pectore clamem: Non ars , ipse manum sed tibi ducit amor.

il.

De eodem SS. Corde ab eo depicto.

Pictt ne sint Jesu Corda hcec , an vera? tuentes

Mirantur magni qualia Coelicolae, Quaerimus attoniti; mens liseret; pectus amore,

Mira defixum ardet in effigie. Sic pingi ut possent, die, o Bato, duxit in alluni

Te ne polum? ex alto venit an ipse polo?

Epigrammi del Cukich 5j

ih.

De eodem.

Aestuat lue ignis formoso in eorde , sinuque Perfosso pulcher sanguis et unda fluit.

Hoc amor , ut volucres tingat de rore sagittas , Accendat puras hoc ut ab igne faces.

IV.

De eodem.

Usque novos Èrebi mòveat rex ille tumullus, Et vafer e stygio concitet usque lacu

Obscoenas fraudura facies , caecumque furorem , Horrenteraque atris anguibus invidiam.

Nil aget infelix praedo. Gaudete , sodales : Jesu cor dulci nos tegit in latebra.

De eodem.

Dius Amor, clara faciens praeconia voce, Omnia clamabat per fora : terrigena ,

Jesu corda fero vestro venalia corde.

Quis non rem tanfam tantulo emat pretio ?

Clamabat : sed vox nulli non spreta, per auras Dilapsa est Wibus ludibrium zepliyris.

58 Letteratura

vi.

Ad Quintum de eodem summo pletore.

Dicere quae pinxit Raphael,, scis omnia, Quinte: Nescit, quem spernis , maxiraus ille Bato.

Quae pinxit Raphael, potis es quam dicere sed tu, Tarn potis efficere est maxiraus ille Bato.

vii.

Ad eundem pictorem.

Pulchram Barbadicse faciem vis pingere , Bato;

Illa velut pingi possit ab arte tua. Tu potis es formam, potis es fortasse colorem;

Non potis es multas pingere sed veneres, Quae mire captos mulcent dulcedine sensus ,

Quae mire captos illiciunt animos; Quae simul ac micuere, calent circum omnia; nullum

Non pectus flammis uritur indomitis. Has nec ego possum, quidnam sint dicere, nec tu

Pietà, quidquid agas , exprimere in tabula.

Vili.

Ad eundem se suaque opera laudantem.

Praestans arte tua, laudo, Bato, quod tibi fidis , Quod pretium tabulis dicis et ipse tuis.

Tantus nempe opifex , exspectes quid tibi de te, Rebus deqae tuis dixerit Antigenes ,

Aut alius quivis , censuram vindicet ultro , Qui sibi verborum prodigus , arte rudis?

Epigrammi del Cwnich 5g

Non te illis , illos potius tibi credere par est. Ius est ignaros gnarus ut edoceat.

IX.

Ad eundem.

Credis picturae suramum te attingere culmen , Summura quod culmen, Batte, videre nequis?

Scire nec, immani tractu disjunctus ab ilio, Artis adhuc medio curris ut in spatio,

Nec tanto prior es nostri pictoribus aevi , Quanto es tot priscis, hercule, posterior?

x.

Ad Angelicam Kauphmaniam.

Ingenio praestans, nulli et non aequa virorum, Antiquas pingis, Kamphias, historias.

Cuncta vigent , ridentque omni perfusa lepore, Cui prisci, credo, Cecropidae invideant.

Hoc miram est certe: multo at mirum magis illud; In tanta quod nil foemina laude tumes.

xi.

Ad Corneliam Knigt , de tabula ab ea miri/Ice pietà, et Minervce dicata.

Jure dicas doctee , Cornelia docta, Minervae, Istud Cecropia dignum opus artifìce;

Jure suo sibi quod Dea vindicat; adfuit ipsa Quae tibi, quaeque tuam duxit amica manura;

Tarn scite ut possent piugi omnia; tempia Sibyllas, Et lacus, et celsa rupe cadens Anio,

6o Letteratura

Totque alia, atque alia, attoniti quoe cuncta, lepore

Pleua orani , exigua cernimus in tabula; Dicimus et : nostri salve o nova gloria coetus ,

Cui nil non mire contigit efiicere ; Quìe, quidquid pulchri placuit tentare, potenti

Freta Dea, laudis prsemia prima refers.

XII.

Ad eandem.

Anglorum decus hsec Cornelia; magna Dynasta, Magna est cui scripto gloria Flaminio.

Ipsa illic totam sese: lieic , quae cernimus una, Pinxit Apellea Kaphmanis ora manu.

xm.

Ad eandem.

Admiror qui te, Cornelia docta, loquentem,

Matrem etiam admiror, quoe tacet usque, tuam.

Mentis enim nusquam non mirum expromit acumen, Annuerit quidquid, quidquid et abnuerit.

Isto posse lo qui pulchrum est; sed forsitan {eque Pulchrum etiam est ilio posse tacere modo.

XIV.

Caminus de Cornelia Knigt, doctissima , et eloquenti ss ima puella.

Ut mihi se admovit Cornelia docta , Caminus , Qui placui paucis, omnibus en placeo.

Igne meo credit se quisque calere, puellse Incensus miro dum calet eloquio.

Epigrammi dkl Cilnich 6i

Dia puella , tuas mi perge affundere flaramas l Per te jam nulli non ego carus ero.

xv.

De tribus Horatiis a Davide pictis.

Tergeminam faustis prolera pater instruit armis,

Romulei columen , robur et imperii. Multa metu circum moeret domus : ardet in ore

Spes juvenum, vis et Martia, magnanimo. Gaude, Roma, libi palmara haec fiducia spondet;

Vincit, tam certa qui capit arma manu.

xvi.

Ad Lcevinum de pictura judicantem.

Pictorum tabulas contemplans ( res milii risum

Srepe movet , bilem scepius haud modicam ) JVil dubitas , tibi nil dicis , Laevine , videri :

Decidis certis omnia judiciis. Hoc rectum, hoc pravum est: heic peccat forma: venustus

Ille nirais color est : floridus ille parum. Istud non patiar , faciat si doctus Apelles ;

Quid tu expers artis cum facis omnigense ? Quera scimus , non posse unam carbone decenter

Picturae ad leges ducere lineolara ?

XVII.

Ad Quintum. Qui loquens de tabula pietà , eam dixerat calidam , et succi plenam.

Dispeream , si scis , quid dicas , Quinte , calere Cum pictam , succi plenam ais et tabulara .

62 Letteratura

Novi, quidsucdus, quid sit calor, hercule : neulrum

At video , pietà quid velit in tabula. Nec tu , Quinte , vides : sed verba ignota profaris ,

Ignaris fucum sciliqet ut facias ; Et , quae nobiscum nescis , videaris ut unus

Scire tamen , rerum nomina monstrifice Vertis , et bine illinc aliena vocabula transfers ,

Remque i'ugis verbo quamque vocare suo.

XVIII.

Ad Ariti genem pictorem ejus generis , quod ab Italis dicitur manierato*

Pingis more tuo : naturae pingere posses More , velini , veras ponere et effigies ;

Apte omnes omni et formas variare lepore , Non quodam , sed quo res amat ipsa modo.

Pictores hoc stant magni : rem scilicet illi : Ipsum te pingis tu magis, Antigenes.

xix.

De vitio picturae , quod ab Italis dicitur Maniera.

Quis modus est Italis , qui pictam ssepe tabellam Damnantes , plenam dicimus esse modo ?

Ille , modum oblitus , quem dat natura creatrix , Nempe sibi pictor , quem facit ipse , modus.

Hic turpis modus est; hoc fasde si quis abundat , Haud modicum possis dicere , at immodicum.

Epigrammi del Cunich 63

xx.

De pictoribus , qui ab Italis dicuntur Manierati.

Veram Ine naturge forraam videt : hic sibi falsam Ipse suum temere fingit ad ingenium.

Pingit uterque : alter nativo quaeque lepore , Alter quagque suo corpora compta modo.

Hunc , quando liaud patitur mfe haec dicere lingua modosum , Monstrosum soleo dicere , quod patitur.

XXI.

Ad Attalunt poetam extemporalem.

Ultro quiB in buccam veniunt , canis , Attale , raptira ;

Inde tumes , vates mirus et esse putas. Falleris : hoc aomen potis est vix ille mereri ,

Acri qui expendit singula judicio ; Quem limae exercet durus labor usque ; retractat

Carmina qui cura perdigli adsidua. Sic pauci : temere quo tu canis , Attale , pacto ,

Nemo fuit lauro dignus Apollinea.

XXII

Si temere fundi possunt bona carmina, vatem Esse bonum , statuo laudis habere nihil.

Sed fundi temere nequeunt bona carmina : testor Vates , qui scribunt carmina cumque bona.

Testor et lios , temere vesano corde furentes Carmina qui firn lunt multa , sed usque mala.

G4 Letteratura

xxin.

Mirantur multi , subito quod carmina fundis ;

Mirer ego , fundas tara mala ni subito. Nil magis est pronum , quam quod bene , plurima frustra Expertus , nequeas id facere , Aule , cito. >qrd

XXIV.

Si pulchrum est, Carmen subito quod concinis, istud, Cur non id fidis subjicis , Aule, oculis ?

Si pulchrum non est, quid mirum res habet ista , Carmen vel subito fundere posse malum ?

xxv.

Carmina consulto fac scribas , carmina qui nuac Precipiti , casus ut tulit , ore canis.

Os prasit ingenium , sequitur manus : haud sine mente Spero equidem , scribes , qui sine mente canis.

Heu frustra moneo : mavis citus esse poeta, Quam bonus, et vulgo quam placuisse mihi.

XXVI.

Cantori plaudis , nec scis , quae verba loquatur ,

Sensa suis substent an satis apta modis. Quid si discordet cantu sententia ? Quid si

Res dura, et molles dissideant numeri? Scilicet id nihil est : captus dulcedine vocis t

Non quaeris , quidnara vox sibi , Quinte, velit. Non ratio quidquam , verum omnia judicat auris :

Cassus mente omni cui placet ille sonus.

EPÌGRAFI»» del Cunich 65

Sic brutas oliai pecudes Rhodopei'us Orpheus Non intellecto cannine detinuit.

xxrn.

Ad Theresiam Bandettiniam Roma abeuntem.

Hic quod eras, nuper gaudebat Parrhasis ora , Et vatum est tota quidquid in Arcadia.

Hinc quod abis longe, moeret nunc Parrhasis ora , Et vatum est tota quidquid in Arcadia.

Nil mortale etenim cecinisti , dia Amarylli , Sed canit in Pindo qualia Calliope.

Le dicerie di ser Filippo Ceffi notaio fiorentino , pubblicate da Luigi Biondi romano - Torino - Ti- pografia Chirio e Alina.- 1825. (son pagine 190.)

Ocriveva quel dottissimo Mustoxidi, ch'io non sa- prei se debba dirsi italiano più presto che greco , esser bella anche la modestia , che si esercita per l'amico , e più grate al nostro animo suonare le sue lodi ogni volta ch'esse vengono proferite da giudici stranieri e imparziali. E parendomi ch'egli scrivesse vera cosa, mi sono tenuto fino a qui in silenzio intorno le dicerie di ser Filippo Ceffi , pubblicate da quel valente uomo del cavaliere Lui- gi Biondi. Ma non vuoisi poi così tacere cha la modestia e la delicatezza prenda sembiante di fred- da negligenza e di turpe ingratitudine. Se pruden- te cosa e incolpabile è lo aspettare che dallo estra- neo venga lodato lo amico tuo , fu sempre infa- G.A.T.XXVII. S

66 Ll!T f UATDRA

me lo starsi allorché lo elogio può venire senza taccia di parzialità , e quando l'officio di amicizia ti appella a difendere l'iuomo sapiente e lo ami- co, se da ingiuste come che leggere accuse sia com- battuto. Laonde sendo già per altri fatta menzio- ne di questo libretto del Biondi , parmi cadere in acconcio che finalmente anche qui sia tolto a su- iietto di ragionamento , e che il giornale arcadico si sdebiti coll'egregio compilatore della grave obbli- gazione , che lo stringe , di rendere note le sue let- terarie produzioni. fa bisogno di molta fatica a parlarne , giacché nel pubblicare queste dicerie il Biondi bella e compiuta opera fece , che ba- sta il darne un semplice estratto , siccome prima- mente faremo : dappoi sarà pregio dell' opera il di- scorrere le lodi e le censure , che furono date a questo libro.

Innanzi tratto io voglio si come colui, il qua- le tieoe a vile ogni letteraria fatica , se a mette- re virtù negli umani petti non valga, brevemente ridurre a memoria, che il ravvivare e il rende- re più sincero il lume della umana ragione , e il moderare le passioni , e il purgare i costumi essen- do il sacro e primo debito dei letterati , o come vuoisi dire dei ministri della filosofia, devono tut- te le loro cure essere volte alla retta educazione della gioventù ; poiché la repubblica , scriveva il sommo Tullio , avrà tali cittadini quali la educa- zione li formò. E però l'arte d'indirigere le volon- tà alla rettitudine riguardando principalmente ai gio- vinetti non che a tutte condizioni di persone , fu necessario, che ella abbandonando i severi modi usa- ti nella prima ricerca del vero, prendesse uno abito leggiadro , e di questo pure rivestisse i placidi pre- cetti della vicendevole carità e del costumato vi-

Dicerie del Ceffi 67

vere. E ciò mi piacque di ricordare, affinchè si pa- ressero le giuste cagioni per cui vuoisi dar lode at Biondi, che adempiendo le parti tutte di buon let- terato , ha pubblicato un libretto scritto appunto per la gioventù , alla cui utilità oltre modo prov- vede, e pei buoni ammaestramenti , e per le parole leggi adrissime , che lo fanno tutto aureo e fruttuo- so. Tali sono le antiche dicerie già ritrovate da mon- signore Angelo Mai nel codice vaticano palatino i644« dalla pagina 94. alla pagina io5. , in cui sono a leggere le seguenti parole , che danno a conosce' re qual fosse V autore delV opera e di qual pa- tria : est enim, iste liber Ser Filippi Ceffi de Flo- rentia.

Passò stagione di fole; basta ora a produr- re uno antico scritto la meccanica arte di leggere e copiare le oscure cifre dei tempi andati. Se la face!- la della critica non ti rischiara la via , perdi il tem- po e la opera. Ben lo sapeva lo amico nostro; e fu per questo, si come dotto egli è , che alle dicerie premesse un lungo ragionamento , diviso in tre par- ti : nella prima favellò dello autore delle dicerie : nel- la seconda dell' opera quanto al dettato : nella terza dell'opera quanto alla storia. E di ciò fece bene; per- chè nulla evvi di più utile a bene intendere gli scrit- ti di alcuno autore , che lo andare investigando i suoi costumi, i suoi uffici, i suoi studi, e il suo modo di reggere la vita ne'vari mutamenti delle cose e de' tem- pi. E savio fu il consiglio di porre a disamina le dicerie quanto at dettato; imperò che non sono tut- te oro le parole del trecento, e comechè belle e no- bilmente semplici , non tutte vivono sulla bocca del popolo, tutte sono scritte dai letterati. E più sag- gio fu il toccare la storia di que' tempi , i quaU come torbidi e faziosi, non sono mai abbastanza po-

5*

68 Letteratura

sti in luce , sono da tutti si conosciuti da non

far luogo a schiarimenti intorno le opere che a loro

riguardano.

In sette capitoli è divisa la prima parte: nel pri- mo de'quali il Biondi dimostra , che Filippo Ceffi fu autore del volgarizzamento della storia di Troia de- scritta da Guido giudice delle Colonne: e si lo di- mostra sodamente ragionando con le regole di sana ermeneutica e di fatto ; per cui respinta tutta la schie- ra dei mentiti volgarizzatori, conclude che solamen- te il Bellebuoni , può avere anch' egli volgarizzata la storia di Guido giudice , ma che non mai devesi a costui la prima lode; giacche dal confronto de'codi- ci è provato , che la storia di Troia composta per Girdo giudice deìle Colonne fu recata in volgare nel i3s4- dal Ceffi; mentre il lavoro del Bellebuo- ni, sia copia, sia nuovo volgarizzamento , non è più antico del i333.

Il secondo capitolo sta a provare , che Filippo Ceffi fu autore del volgarizzamento delle pistole di Ovidio; lo che per altri mai non fu detto, scrit- to, né tampoco supposto. Accennate le tre edizioni, che si annoverano di questo volgarizzamento, e i mol- ti codici manoscritti, dice il Biondi: avere il Pigno- ria e gli Accademici delia Crusca bene congettura- to, che il nome del volgarizzatore era Filippo: e qui molto ingegnosamente conforta questa verità, mostran- do agli Accademici come poteasi nella greca lingua appellare guardia di amore chi Filippo avea nome, si come è a vedere nel prologo della pistola di Fe- dra. Forse, scrive il Biondi, il volgarizzatore poco ?> esperto nella cognizione della lingua greca , ebbe in niente la parola (piKnrnevs , componendola da » $L\ix amicizia , amore, e da nrjrevs cavaliere , » guardia : ed in tal modo appellò se stesso guardia

Dicerie del Ccffi Gg

» ossia cavaliere di amore; essendo che a que1 di » cavaliere significasse eziandio soldato o guardia in » generale: ed essendo che fiorissero in que' tempi 3) i cavalieri d'amore, ornati di onesta , di valore e » di cortesia, onde i costumi tornarono a gentilez- » za. Quindi venendo al termine del suo discorso di- cerche mercè dèi codice vaticano palatino 1644 è » finalmente tolto quel velo che nascondeva il no- » me della famiglia di quel Filippo , che recò in vol- n gare le pistole. Imperocché dopo le dicerie sono. jj trascritte nello stesso codice cogli stessi caratteri ?) le pistole di Ovidio volgarizzate : e nell' ultima « pagina si leggono queste parole: Finisce il li- ti bro delle pistole di Ovidio, il quale translatoe » ser Filippo figliuolo di C. K. per adrieto del » popolo di S. Simone della città di Firenze. » Dunque ser Filippo Ceffi fu eziandio volgarizzato- » re delle pistole di Ovidio.

Che Filippo Ceffi fosse ricopiatore di codici , secondo che prima della stampa fu costumanza de- gli uomini eziandio dotti, lo fa manifesto il capo terzo ; ove il Biondi opina per sane congetture , che il codice della vaticana non sia scritto di ma- no del Ceffi. Poiché » il testo (egli osserva) è man- $ cante alle pagine 4°- e ^3 , e le mancanze sono » state indicate per mezzo di alcuni punti : era » pur difetto alla pag. 77, ed io ho creduto po- » terlo supplire coli' aggiunta di sole due parole, » che si troveranno scritte a caratteri corsivi : e » forse anco alla pag. 3 , dove è scritto piaccia » a colui ottimamente si consiglia , vuoisi o ag- v giungere o emendare qualche parola. Che dirò m io del disordine che s'incontra uni libro ? Ivi » poche dicerie sono a lor luogo : quella che è a " Pa&: 71, indiritta al Papa, affinchè levi lo in--

?o Letteratura

,, terdetto, malamente ne segrega due, che dovreb- ,, bero essere unite ; perchè la seconda è risposta alla prima: l'ordine dello scritto non siegue, co- me dovrebbe, l'ordine de'tempi; e quando cre- di finito il libro delle dicerie : Et hio finii li" ber contionum , ti maravigli in vederne un'altra , la quale scompagnata e sola , dal fondo ove gia- ce ti chiede in grazia che tu le volga uno sguardo. Nel capo 4'° il N. A. vuole investigare quale sia stato il nome del padre di ser Filippo Ceffi, stando scritto al fine del volgarizzamento delle pi- stole di Ovidio queste parole : finisce il libro del- le pistole di Ovidio, il quale translatoe ser Filip" figliuolo di C. K* per adrieto del popola di S. Simone della città di Firenze. E per le paro- le di Sebastiano Fausto da Longiano venuto ia dubitazione , se il padre di ser Filippo abbia a chiamarsi Cristofano oppure Ceffo , essendo stato in uso a molti antichi , e massime a' toscani , il pren- dere in cognome il nome de padri loro, conchiu-« de, che se avesse ad esser giudice della questione leggerebbe: ser Filippo figliuolo di Ceffo ; e parrai che legga bene.

Volendo quindi conoscere qual fosse la digni- tà o l'ufficio che il padre di Filippo Ceffi ottenne in Firenze, nel capo quinto è a vedere come la lettera K significhi essere stato cavaliere il padre di ser Filippo, o vero capitano o caporale. La dignità di cavaliere era in grandissimo onore a que* tempi , come accenna il Sacchetti: e quella di ca- pitano o caporale era di peso anch'essa, secondo che narra Giovanni Villani: ambedue venivano dal popolo , che allora reggersi a repubblica , e di- ■yidevasi in più Tegioni; fra le quali vi aveva an- che quella del popolo di Santo Simone \ sicché ù

Dicerie del Ceffi 71

padre di ser Filippo sembra che fosse fatto cava- liere , ovvero capitano o caporale di quella parte di popolo , che prendeva nome da S. Simone.

A vedere di qual parte o setta fosse Filippo Ceffi , cosi il Biondi da ;ncominciamento al capi- tolo sesto. Dalla fine dell'anno i3a5 alla fine dell'anno i328; nel qual tempo il Ceffi compose f, sue dicerie, furono in tutta Italia , e più che al- trove in Firenze , grandi perturbazioni , e lagri- mevoli avvenimenti. Imperocché le due terribili sette guelfa o pontificia , e ghibellina o imperia- le, dividevano, come per lo addietro, popolo da popolo , e ne'popoli cittadino da cittadino. Il gran- ri de Alighieri da poco tempo era giunto al termine del viver suo vanamente gridando : la sua vo- ce si era estinta insieme con lui, ma suonava fie- ra per tutte le parti: e narrando l'amor patrio del morto Sordello , non rimaneasi di rimprovera- re Italia in tai detti , convenienti a que' duri tempi:

Ed ora in te non stanno senza guerra Li vivi tuoi , e Vun V altro si rode Di que che un muro ed una fossa serra.

,, Ora dunque è a vedere di quale parte o setta 4, fosse il notajo Ceffi. credo andare errato di- cendo , che fu di parte guelfa, ossia pontificia. ,t E evideuti sono le ragioni da lui prodotte ia mezzo, che di essersi apposto al vero è per le sue parole apertissimo.

Restava ora a dirsi, quale fosse lo intendimen- to del Ceffi nel comporre le dicerie. E bene eia è detto nel settimo capo* che per 1' intero qui lo trascrivo , stando in questo il maggior lume da che

ja Letteratura

sono schiarite le dicerie del Ceffi. Confidandomi di far cosa gratissima ai lettori anche pel piacere, che avranno del sodo e leggiadro modo di ragionare e di scrivere usato dal Biondi.

CAP. VII.

Quale fosse lo intendimento del Ceffi nel comporre le dicerie.

Il Ceffi nel comporre le dicerie ad altro non non intese che allo ammaestramento di uomini giovani e rozzi , come è a leggere nel titolo del suo libro. Adunque le sue dicerie altro non so- no che una maniera di esercitazioni poco più che 49 grammaticali , e poco meno che rettoriche: per virtù delle quali la gioventù tenera e rozza do- vea crescendo acquistare dottrina, e ingentilire lo ingegno. E perchè da' suoi ammaestramenti deri- vasse ne' giovani vera e durevole utilità, a dop- pio intento ebbe l'animo : l'uno che queste eser- ., citazioni si rivolgessero intorno le pubbliche co- se; l'altro che i suoi discepoli dovessero tenerle a memoria e declamarle. E certo che l'uno e Fal- si tro fu savio divisamente Imperocché , quanto al ,, primo, la gioventù fiorente speranza della patria a vuoisi educare in guisa , che se ne possa , quan- do che sia, r accorre buon frutto : perchè chi mol- to sa e nulla adopera è simile ad uomo , che i\ fornito di acuta vista dimora in luogo privo di luce ; ed il poco sapere addirizzato ad utile fi- ne vale meglio che il molto, dove questo non al- trove riesca che a vanità.. E perdonimi chi leg- 4, gè, se io scrivendo queste cose mi sento preso da ri giusto sdegno : poiché in molte terre d'Italia co-

Dicerie del Ckìpi ^3

n s\ i giovinetti vengono ammaestrati come se doves- sero vivere non già nel secolo loro , ma in quello che trapassarono. E che giova ad uno scolaro il comporre una diceria, nella quale s'introduca Ora- zìo a perorare sua causa dinanzi ai giudici; e a venir dimostrando essere stata giusta la uccisione, che egli fece della sorella? O altra nella quale Giunio, padre veramente crudele, veli d'apparente virtù la dimandata morte de'fìgli suoi? Vogliono forse gli ammaestratori , che i giovinetti pongano giù quell'orrore, di che natura e religione ci riem- piono l'anima, ove sia chi narri cotanto orribili scelleratezze? Oh quanto sarebbe il migliore ini— ,, ziare i giovani a quelle cose, che si confanno al- la civiltà de' moderni tempi: cosi che prendessero $, ad amar le leggi e le usanze nostre, e potessero, ,, fatti adulti , intorno a quelle e scrivere ed arrin- gare, ed esser utili alla patria e lodevoli negli uf- nei : perchè oggidì , nel mezzo eziandio di citta po- ,, polose, è penuria di uomini; e la scienza di mol- ti è tale, che se il principe concedesse loro quegli uffici, che presuntuosamente credono a se dovuti, come che sieno dotti , apparrebbero ignorantissimi. Laonde , usando le parole di Orazio , dirò a chi- unque ammaestri un rozzo giovinetto , che l'amraa- estramento mi sarà grazioso,

Si facis ut patria sit idoneus :

che questa è dottrina di pubblica utilità; le al- tre tutte son di privato ornamento. voglio che altri creda , essere mia sentenza , che non ,, abbiasi a studiare nelle storie de' nostri maggio- ri. Anzi io tengo, con Tullio , essere la storia maestra di vita; e mi suonano grate le parole

ir

^4 LsTfKRATORA

di Sallustio, ove egli dice, che per la memo- ria delle cose passate l'animo nostro fortissima- ,, mente si accende a virtù, e viene in desiderio di gloria. Voglio adunque che le antiche storie sieno commendate ai giovinetti per due ragioni : ,, acciò che dagli eventi passati possano prevede- re i futuri ; avendo in mente il detto dell' Eccle- siaste : che cosa è quello che fu ? É quello me- li desimo che deve venire : ed acciò eziandio che

per gli antichi lodevoli esempi ricevano incita- mento a belle opere , e a ragionato amore di patria. Ma se tu vorrai addestrarli nell' arte del bel dire, non torrai argumento da cose non lau- devoli, o tali, che per lo mutamento dei costu- mi , degli ordinamenti civili , e delle leggi , mai non possano piegarsi a pubblico bene. E se vor- ,, rai che il ragionare prenda soggetto da cose anti-^ che, sceglierai quelle che abbiano qualche col- legamento colle moderne. E cosi fece il buon Celli nel libro suo : dove è ragionamento di co- se patrie , e tutte proprie di quel tempo : e se una volta finge che Platone vada ambasciatore degli Ateniesi ai cittadini di Lacedemonia, fa che vadavi a trattar cosa, che tanto era degli an- tichi quanto è nostra; ciò è la elezione di un rettore della citta : e se altrove parla dell' a?i- cile che i romani fìnsero esser di cielo caduto in terra, il fa per rassembrare al detto ancile il gonfalone della giustizia, e per confortare i gon- falonieri e popolari, che ne fossero governatori e difensori , e che di niente lo lasciassero abbattere , acciò che il loro buono stato si conservasse di modo , che potesse il benigno agnello dormire se- curo allato al superbo leone. fu men savio il

divisamente del Ceffi , quando notò che quelle sue

i?

Dicerie dei. Cifm ^5

dicerie erano da imparare a dire : perche fu gran- de senno degli antichi lo avere in pregio le du© arti del tenere a memoria, e del declamare: ed arti appunto le dissero; perchè quanto alla me- n moria, essa non solamente viene da natura, ma eziandio per nostro studio si acquista: e quanto alla declamazione, di molte cose conviene avere ammaestramento chi aspira alla lode di leggiadro ed effettuoso favellatore. punto gioverebbe cercar f, dottrina, se la mente nostra non ne facesse teso- ro, sapessimo all'uopo dir nostra ragione, o malamente il facessimo. Ma poiché mi avveggo di y, essermi assai lontano dal mio proposto , chieggio di ciò perdono ai leggitori meno cortesi; e ai più, cortesi faccio preghiera, che ove sia in loro potè- ;, re diano opera che i nostri giovani si rendano es- perti delle cose di nostra nazione, e deli' arte di esser graziosi favellatori nelle pubbliche ragunan*- ze. E sarà onor nostro e abbassamento d'orgoglio t, degli stranieri: i quali dicono che gl'Italiani, ove imprendono a favellare di pubblici negozi, hanno penuria di parole, di artificio, di vigore, e di gra- zia; e che meglio novellano e meglio narrano an- tiche imprese ed amori, che non fanno salendo in ., pergamo, o arringando nel foro. Le quali parole per ,, me udite dire a uno di loro , virilmente nella mag- ,, gior parte contraddette, hanno dato luogo a que* sta digressione.

Prima di far luogo ai nove capitoli , in che è divisa la parte seconda che ha per titolo = delle di- cerie del Ceffi quanto al dettato , dice il Bion- di : intendasi per dettato non il solo stile , ma tut- to che pertiene alla tessitura di uno scritto per » la parte di grammatica e di rettorica; perchè det- tato è più che stile , anzi questo è parte di quel-

76 Letteratura

lo: e perciò, come disse bene il Boccacci allora che- disse lo stile del dettato, cosi altri direbbe male f, dicendo: il dettato dello stile.

Il capo primo sta a provare che la voce diceria non in altro modo dee definirsi che in questo: scrit- tura da dire a mente. vale il dire contro, che una diceria può non essere stata mai scritta; giac- che le dicerie non mai scritte certo su codici non sarà dato il trovarle; e qui trattasi di dicerie che a noi vennero non di bocca in bocca, ma di carta in carta, di stampa in istampa.

Nel capo secondo si mostra, che questo libric- cino delle dicerie era rimaso oscuro per cinque seco- li agli amatori del bello scrivere antico, e che gli- accademici della crusca non l'aveano mai citato.

Discorso nel capo terzo il giudizio dato dal ca- valier Monti intorno il volgarizzamento delle pisto- le di Ovidio, che, come di sopra è detto, è opera del Ceffi ; e mostrato , che il volgarizzamento della sto- ria di Troja, se dal lato si consideri della lingua, non è scevero dagli arcaismi ed idiotismi, che pur sono nell'altro; dice il Biondi, essere le dicerie la migliore opera del Ceffi , quanto allo stile : Nella quale egli propose di scrivere per ammaestramene to di uomini giovani e rozzi; e perciò schifando ogni ornamento, usò tale uno stile, che può dir- si umile ma non plebeo, elegante ma non contor-r ,, to; e tutto pieno di cara semplicità: la quale, se- condo che io penso, è prima tra le grazie del pu- ,, ro favellare e del bello scrivere. Per le quali cose io sono d'avviso che le dicerie del Ceffi sieno da ,, raccomandare ai teneri giovanetti dai parenti nelle case , e dai precettori nelle prime scuole. ,, Imperocché de'libri moderni pochi sono che pos- sano dirsi veramente italiani; e tra gli antichi al-

Dicerie del Ceffi nj.

cuni, per le materie che trattano, riescono noje- voli alla gioventù, e alcuni altri pericolosi: ia molti è tanta oscurità, che vince l'intendimento de' giovani leggitori; e in altri molti è si duro e intralciato fraseggiare, e tanta copia di vocaboli vieti o fiorentineschi , che ben può dirsi uomo di grande sofferenza chi letta la prima pagina ha cuore di procedere alla seconda. Ma queste di- cerie dilettano chi legge; ed è sempre onesto il diletto: a niuno sono oscure, avvegna pure che i leggitori sieno di tenera e rozza età : e la di- citura è così semplice e piana; e le parole so- no quasi tutte cosi lontane da ogni fiorentinis- rao , che quasi mai non è uopo a chi legge in-» terrompere la lettura , e studiare nelle parole, o chiedere aiuto al vocabolario. Ed oltre a ciò non inciampi leggendole in quello smodato uso di con- cettini e di antitesi, onde le tenere menti si ac- costumano alle sottigliezze e alle arguzie; in quella mala semenza di gonfiezze e di metafore , onde si raccoglie frutto di stravaganze e di biz- zarrie. Che Fuso de'tropi è buono ma difficile e periglioso : e non è cosa da darne ammaestraraen- to a'fanciulli, 1 quali per diletto d'intero senno scambiano spesso l'oricalco coll'oro : ma dessi l'am- maestramento serbare all'età più matura , quando -, cogli anni e colla crescente dottrina crescendo il senno, rendesi meno disagevole il portare giudi- zio intorno agli ornamenti che si convengono ad una scrittura, perdi' ella non rimanga troppo nuda, e perchè troppo, o sconciamente ornandosi, non acquisti deformità. Finalmente le dicerie del Cef- fi sono eziandio da raccomandare alla gioventù per questa ragione : che la loro lettura può gio- ,. vare e aiutare al bello scrivere epistolare: perchè

78 Lkttbratwra

sarebbesi potuto egualmente dire per epistole ciò ,, che il Ceffi finse doversi dire favellando per am- basciata. Ne niuno ignora come siano searsi i ., libri che insegnino a bene scrivere per lettera: di che nasce che le lettere di molti nostri ten- gono più de'modi francesi che degl'italici: vergo- gna nostra degna del rimprovero degli stranieri.,, Ma perchè in queste dicerie è pur qualche voce , e qualche frase o vieta o fiorentinesca , ,, sarebbe mio avviso ( scrive nel quarto capitolo il N. A. ), che si stampassero nuovamente ad uso fi della studiosa gioventù , e che via si togliesse ciò che al nobile favellare non si conviene , e ciò che l'uso ha cambiato. Ed ottimo per ve- ro è il divisamente. Egli però non lo ha esegui- to , perchè ha creduto doversi in questa prima edizione pubblicare lo scritto , coni' esso giace nel codice : e ciò era troppo necessario pei confronti , e per gli studiosi filologi. E vedendo che il to- gliere tutti que' -veramente , que' certo , e que' ma , da cui prendon mossa i periodi , sarebbe un travisare il testo , si contenta di accennare che l'uso sover- chio di tali voci è vizioso. Dappoi , proposte alcune leggere mutazioni dall'antico modo di scrivere e d'in- flettere alcune voci, vuole che a pag. 57. il reve- renti cardinali si cangi in riverendi, e che tal ma- la pianta si tolga via dal vocabolario. Ne altra voce gli suona male in tutto il manoscritto , fuori- che scovfittura : ne altra gli sembra oscura , fuo- richè gechite o giacchite, cui da il significato di umili , traendone la origine da.\Yabiectus de' latini. vuol mover di luogo, anzi commenda le voci sostantive dimoro y offensa , tribo , tutte usate da Dante in vece di dimora , offesa , tribù- E lasce- rebbe avvento , ciò è venuta , voce consacrata dal-

Dicerie del Ceffi jg

la religione nostra : e breviare , e alle gr amento -, che il Bembo aveva già letto in antiche carte: e importabili aggettivo di gravezze , che usò pure Giovanni Villani nello stesso senso.

•Notato nel quinto capitolo , che sono da in- tendere per voci nuove quelle che non sieno re- io gistrate nel vocabolario della Crusca , o che non « appaiano ivi così scritte come qui sono , o che ivi » non ricevano quel senso che qui hanno ; dice il N. A. di aver trovato quattro vocaboli del tutto nuovi: e sono amarafica , congioirsi, abbassanza, ed exsbanditi. Del verbo amarificare e del con" gioirsi vorrebbe che fosse arricchito il vocabolario : e per vero sono due voci bellissime ed espressive. Anche a noi piace la voce abbassanza , e anche noi col Biondi rigettiamo la parola exsbanditi , sinoni* mo di sbanditi o banditi.

Leggendosi alla pag: 5. delle dicerie olt reggia- re in luogo di oltraggiare , reputa il Biondi che non sia da farne si poca stima , come altri forse fareb- be. „ Imperocché essendo oltre ed oltra sinonimi nel- la nostra lingua , e trovandosi così usato oltreg- giare come oltraggiare , si può a buona ragiono conchiudere, che il primo elemento , onde siasi for- mato il verbo oltraggiare, sia stato Vultra dei la- ,, tini, e che l'altro elemento sia stato il verbo ire: così che del latino ultra ire sia nato Yoltre ire degl'italiani,,. E quindi ben deduce, che òltrag- ,, giare come sinonimo di oltre gire tanto suona quanto andare troppa oltre, sopravvanzare , soper- chiare ; e perciò fa oltraggio chi va più innanzi che non dovrebbe, chi soverchia, chi eccede.,, E ricordando che si può eccedere così nel bene come nel male, dice: che l'oltraggio giusta l'antica si- ,, gniflcanza poteva così essere buono come reo : e

80 Letteratura

., la reità poteva essere o piccola o grave : perchè meno era soperchiare uno non usandogli cortesia , che soperchiarlo facendo cosa che fosse contra giu- stizia: nel che è posta l'ingiuria. Dante conobbe bene queste distinzioni di oltraggi- E usò nna vol- la oltraggio nel buon senso di eccesso di grandez- za, quando volendo e non potendo descrivere quel fortunato momento, in che giunse al fine di tut- ti i desiderii , e fu fatto degno della beatifica vi- sione di Dio, scrisse cosi: ( Parad. 33. 57.)

Che la mia vista , venendo sincera, E pia e pia entrava per lo raggio DeW alta luce, che da se è vera.

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio Ché'l parlar nostro, che a tal vista cede, E cede la memoria a tanto oltraggio.

Dove è da notare quello e pia e pia così ripelu-

to,con che il poeta viene significando con eviden-

,, za, com' egli, eccedendo , per cosi dire, l'umana

,, qualitate, e più oltre andando che ad uomo non

convenivasi, ficcò la vista per entro il raggio dell'

alta luce, e in si fatto modo vi s'innoltrò, che la

-,, memoria cedeva a tanto avanzamento , ossia a tan-

to oltraggio. E perciò sono andati errati coloro ,

che hanno creduto doversi scambiar la lezione, e

porre a pia a pia , e chiosare a poco a poco -. con-

.,, ciosiachè le parole e pia e più sieno attissime ad

indicare quel progressivo innoltramento. Usò pur

Dante la voce oltraggio in senso di scortesia , o

come oggi pur direbbesi soperchieria. E ciò fu al-

lora che trovando nel purgatorio le anime degl'

,, invidiosi, alle quali un filo di ferro forava il ci -

gito e cuciva , disse : (Purg. i3. 73.)

Dicerie del Ckffi 8i

A me pareva andando fare oltraggio , fedendo altrui non essendo veduto.

Ed usò pure la stessa voce in significato d'in- giuria, quando pose in bocca all' amico suo Ga- sella queste parole : (Purg. 2. 94*)

Nessun mi è fatto oltraggio , Se quei che leva e quando e cui gli piace Più volte rrt ha negato esso passaggio : Che di giusto voler lo suo face*

Dicendo il Ceffi a pag. /fi.? onore nel reggimen- to s'acquista per fare giustizia, dilla quale si ri- chieggono tre cose: ciò è il buon volere, il suffi- ciente potere , e Veffèttuoso operare in conserva- re virtudi, e distruggere li vizi; il Biondi toglie occasione di mostrare nel capo settimo, come per queste parole si dilegua ogni dubbiezza che risie- desse nell' animo dei più sellivi intorno la voce e/~ fettuoso, che una volta fu creduto per errore de'co- piatori scambiata con affettuoso ; e come questo vo- cabolo sia bellissimo per esprimere alcun che fat- to o detto con efficacia ; come Seneca avendo scritto verbis effìcacibus , fu ben tradotto con pa- role effettuose*

Della voce menpossente si tratta nel capo ot- tavo con queste parole: Solevano gli antichi pre- ponendo ad una parola i monosillabi pia, men*, , non , ed altri , formare di due voci una vo- ce sola , e dire , a cagione di esempio : piutto~ sto, mento sto , siffatto, noncuranza. Ai quali e ad altri moltissimi esempi e da aggiungere il menpossente del Ceffi , che giace a pag. 34- , do- ve gli ambasciadori della citta di Cortona , n- G.A.T.XXVII. 6

8:» Lbttsratuka

chiamandosi a Lodovico il Bavero ( siccome sem- bra) delle non vere preferenze de' grandi e po- tenti uomini della cittade di Arezzo ; pietosa- mente lo pregano : che per parole maestrevoli , i, o per loro avere, o per loro potenza, non sie- no occupate le ragioni dei menpossenti Cortonesi. E vuoisi bene aver rocchio a non distaccare que* monosillabi dalla seguente parola, quando ne' co- dici vi si trovino collegati : perchè molte volte ,, se ne ingenerano errori ed oscurità. Di che ha data bella prova il dottissimo cavalier Monti , mostrando come colla riunione delle parole non e possa, che gli accademici della Crusca avevano divise , tornava facile e piano il senso de'seguen- ti versi di Dante, ne1 quali nonpossa ha sigui- fic azione d' 'impotenza :

Ed uno incominciò: ciascun si fida Del beneficio tuo senza giurarlo ; Purché il voler nonpossa non ridda*

Ed io seguendo le orme di grand' uomo , eraen- derò in simile guisa il verso ia5. del canto XII. del Purgatorio ; e leggerò :

Fien li tuoi pie dal buon voler vinti , Che non pur nonfatica sentiranno, Ma fia diletto loro esser su pinti.

Dove il senso è questo : che i piedi avranno non che facilita , ma diletto nel superare l'erta del monte.

Nel capo nono brevemente dice della voce dili- genza, non perchè sia nuova, ma perchè non le vie- ne tribuito quel senso di amore o di affezione , nel

Dickme dsl Ceffi 83

quale il Ceffi l'adoperò , quando scrisse: siamo con voi in tanta caritade e diligenza congiunti. E che tale ne sia il significato , di assai chiaramente il prova, additando l'origine di questa voce nel ver- bo diligere dei latini; e confortando la spiegazione con manifesti esempi di Cicerone, di Simmaco e del Boccaccio. E qui ha termine la seconda parte, ove il Biondi ha dato huon saggio di quanto egli val- ga nel decifrare e interpretare le difficoltà della no- stra lingua varia e sempre ricca di belle novi- tà. Se tutti gli editori di antichi scritti di quella sana critica, e di quella finezza di giudizio che usò il Biondi, usato avessero, certo non sarebbesi fram- mischiata tanta copia di triboli e di spine in mez- zo le tante rose e i tanti gigli dell'aureo trecento, che la Dio mercè sembra che tornin' ora a nuova vita fra noi; se pure non tarperà l'ale al debito oltraggio l'ira di coloro, che del nostro congioire dolendosi, vorrebbero tutte svellere e incendere quel- le gentili piante rinverdite e rinfiorate; sicché ama- rificato quel poco di dolce, che ancora ci rimane- va da succhiare, e resi menpossenti i nostri sforzi, insieme con le parole tornassero anche i pensieri e gli affetti all' antica abbassanza. Ma il cielo per la somma diligenza, con che pon mente ai miseri, ren- derà non effettuosa quell'ira; e noi seguiremo a trar- re da quegli aurei tempi quel grandissimo di bene, che ci lasciarono; e intanto sapremo buon grado al Biondi per la sua dotta fatica , e per gli schiari- menti datici intorno alcuni passi del nostro primo maestro Alighieri : riserbandoci ad altra volta di compire 1' incominciato estratto secondo che abbia- mo promesso.

(Sarà continuato),

6*

84

. I

ARTI

BELL E A R T I

SCULTURA.

Carlo Finelli accademico di S. Luca.

N,

ell'officiua del sig. Finelli si vede bellamente con- dotta a termine una Venere maggior del naturale per S. E. il sig. Duca di Devonshire , nome carissimo agli artefici per la grandezza e nobiltà d'animo con che protegge le belle arti. E questa presa nel mo- mento che già uscita dal bagno raccoglie il suo pan- no e lo stringe sulla coscia destra quasi per tema di esser veduta. La testa si volge dolcemente a drit- ta come a riguardar chi la mira, e i capelli sono raccolti e toccati con molta semplicità. Il ginocchio sinistro piega ad un tempo innanzi e sulla destra sovra cui è un poco curvato il corpo ; movimento naturale a chi si ritien confuso per onesta verecon- dia, e tenta celarsi almeno ove punge più la ver- gogna. Nella ragione e nel pensiero di tutta la fi- gura par che l'artista abbia inteso alla filosofia de- gli antichi , con che ci presentarono nelle favole un sapientissimo raccolto di morale civiltà. Perchè que'prudentissimi dipingendo sotto forme allegoriche le virtù e i vizi, parlavano liberamente degli uo-

Bull e-A r t i 85

mini e dei potenti , ed insegnavano ai popoli il camminar sicuri e non ingannati dalle false sembian- ze de'rei costumi. Così ci figurarono in Venere tut- te quelle donne che dominate da voluttuosi appe- titi sono facili con vanto ed arte di attirarsi gli uomini. Ond'è che pare di vedere in quest' opera tutte le forme e le bellezze , non delle vergini , ma delle giovani spose; quasi intendendo a quel che ne scrissero , eh' ella fosse data in cura del matrimonio. E vi si osserva un vero operalo eoa tanta considerazione , che sembra di veder carne anzi che marmo ; e i piedi e le mani , parti diffici- lissime della figura , vi sono assai belle. Ma dove più spicca la eccellenza dell'opera ed è maggiormen- te da lodarsene T artefice, è nella proprietà ed es- pressione detla testa condotta con sorprendente la- vorìo, perchè vi sono raffigurati tutti gli affetti. Gli occhi par che siano mossi da una soave voluttà, le labbra dal sorriso del piacere : e tutto il viso e mirabilmente formato ad esprimere molta vaghezza e leggiadria. In somma diremo , che la statua è fat- ta con quella maestria grazia e purità di disegno, che segna la bella scoltura de'tempi nostri in Italia. E vorremo porla accanto al gruppo delle tre Ore , alla Venere della conchiglia , e alle altre bellissime opere del sig. Finelli , che reggeranno a nostro cre- dere il confronto di cento altre presso gli avveni- re. Solamente ardiremmo notare in questa statua quel che ne sentiamo ; ed è che non ci sia sem- brato abbastanza naturale quel concorso delle ma- ni sulla coscia destra. E questo sia detto secondo il nostro modo di vedere , e valga a dimostrare che noi diciamo francamente la nostra opinione; men- tre non siamo di coloro che animati dallo spirito di lodare sfacciatamente, trovano tutto bello senz'aldi-

8fl B E L L E- A. R T I

na distinzione; quasi eli'" la natura umana declinan- do dall'antica fragilità fosse fatta a nostri in tut- ti eccellentissima. Nel qual modo operando costoro non giovano all'arte, che ha il fine di mirare tan- to nelle bellezze quanto ne'mancamenti , quelle per imitarle questi per isfuggirli ; pongono le ope- re in quel giusto grado di merito che si conviene per giudizio de' lontani e per memoria de' posteri ; mostrano alcuna gradazione fra gl'ingegni degli artefici , il che è pur da farsi per giustizia e pel decoro della nazione: senza poi avvertire , che nul- la v'ha di perfettissimo nel mondo, e che anche le opere elassiche degli antichi sono pur macchiate di alcuna menda.

Nella stessa officina si vede maestrevolmente modellato in gesso un basso rilievo , che rappresen- ta le cinque età dell'uomo; alto palmi romani 3 »'«. lungo più di sei. Mirasi alla destra di chi riguar- da un albero frondoso e fruttifero , che colla ri- gogliosa vegetazione allude alla vita florida e gio- vanile. Appiè di quest' albero è l' infanzia , figu- rata in un caro ed innocente bambino che alza e stende le braccia a cogliere le frutta , che l'adole- scenza, dipinta in un giovinetto più forte ed esper- to , stacca dall' albero , al cui tronco è arditamen- te avvinto ed attaccato coi piedi. Come simile co- stume sia proprio di quelle stagioni della vita t ognuno sei può vedere tuttodì ne'teneri fanciulli. E quanto l'artefice in ciò siasi mostrato molto ri- cercatore del vero , ne farà fede tutto il compo- nimento; senza di che, vogliam pur dirlo, niuno spe- ri giammai di salire alto nelle arti belle e gen- tili , senza farsi diligente osservator della natura. Segue la gioventù simboleggiata in una modesta gio- vinetta largamente panneggiata dal capo sino ai pie.

Belle-Arti 87

Essa e guidata dal genio d'Imeneo con face accesa , quasi a denotare il tempo delle nozze. Il suo movi- mento , come sogliono le novelle spose , è a capo chino timido e vergognoso verso un'ara che sta nel centro, su cui posano due corone; l'una di mir- to, allusiva all'aprile degli anni e a Venere a cui fu sacra questa pianta in significato di pace e di con- cordia , l'altra di pipeline che viene ad indicare il massimo vigore e la gagliardia dell' età.

Neil' opposta parte dell' ara è la virilità che vol- gendo lo sguardo all'onesta giovinetta, mostra lo sta- to in che l'uomo pensa di unirsi ad una dolce com- pagna. Ed è questo felicissimo pensamento che riem- pie di affetti tutto il composto ; perchè fingendo il matrimonio della giovinezza colla virilità , ricorda quelle cose che son proprie di que' tempi ; come a dire gli amori, e l'ardente voglia di stringersi in no- do coniugale. E perchè la virilità è più avanzata ne- gli anni significa , che a far santo l'accasamento de- gli sposi è necessario che l'uomo abbia senno matu- ro a ben guidare il governo di una famiglia. Così l'Ariosto nella quinta satira al Malaguzzo die con- siglio , che la consorte avesse d'anni intorno alli dieciotto, ed il marito fra li ventisei e i trenta; perchè dicea:

Di dieci anni o di dodici se fai Per mio consiglio sia di te minore; Di pari 0 di più età non la tor mai.

Perchè passando, come fa, il migliore Tempo e i begli anni in lor prima che in noi, Ti parria vecchia essendo anco tu in fiore.

Però vorrei lo sposo avesse i suoi Trent'anni; quell'età che il furor cessa, Presto al voler presto al pentirsi poi.

88 Bn t i-Aut i

La figura dell' uomo è nuda , ed esprime nel- la fermezza del corpo e dell' azione quel tempo del- la vita, in che la robustezza è nel suo pieno vi- gore; la quale per più luce del vero è ancor de- signata nella pelle di leone che gli pende dal brac- cio destro. Ed è nel momento di stendere l'ima mano alle corone , di porgere coli' altra alimento alla vecchiaia , che seduta sopra un sasso è de- scritta nella figura di un vecchio cadente, coperto di vestimenta e tardo nelle sue mosse. E perchè nul- la manchi all' allusione, appiè del sasso è una ser- pe che avvolta in obbliqui giri ricorda la vecchiez- za di Cadmo. Chiude alla sinistra bel compo- nimento un albero secco , che richiama l'altro fron- doso della destra , e n'ha il significato contrario ; che mentre quello alludeva alla vita , questo vie- ne ad esser simbolo di vicina morte. In questo bas- sorilievo, come grande vi è la filosofia e la pro- prietà, così bella vi brilla la composizione, e tut- ta sapore di ottimo gusto. Noi ci lusinghiamo che quest' opera verrà molto a grado al sig. Duca di Casserano , che con largo animo e magnifico l'ha ordinata a valente artefice ; come sarà un'altra prova dell' eccellenza del sig. Finelli nella nobilissi- ma arte della scultura.

L. PoLETTI

89

Breve descrizione dei dipinti a buon fresco * eseguiti dal professore Luigi Sabatelli , in uno dei saloni del palazzo Pitti a Firenze.

X utti quelli che si accingono a render conto al pubblico delle opere ,'prodotte dall' incantesimo delle belle arti , dopo avere secondo le proprie vedute sparse le debite lodi sugli autori di esse, s'impongo- no male a proposito , come un obbligo di farne ra- gione puranco dei difetti di quelle , e di tutte le parti deboli che vi s'incontrano. E per la misera am- bizioncella di passare per infarinati , e di farla da intendenti , (parlo s'intende dei letterati non artisti) , avvelenano si fattamente al lettore il piacere che ri- trar potrebbe dai loro racconti , ch'ei ne rimane il più delle volte disdegnato, piuttosto che soddisfat- to , e convinto. Ma è peggio ancora , se assumendo eglino il tuono dei panegiristi, approvano , e lodano tutto (senza intendere), perchè mettono allora sulla bilancia a loro scapito la diffidenza.

Laonde non è mio divisamento di seguire nel presente discorso questa inveterata , e per me bia- simevola usanza, credendo io, che assai difficilmente quelli che professano le scienze, e le lettere , pos- sano non errare nei giudizii che pronunziano in tuono assoluto e decisivo in materia di belle arti , come pure non eccedere nelle lodi, ed andar lun- gi dal vero nelle censure di quelle. Ed anzi mi ricordo di aver più volte osservato , che avendo eglino anche ragione in qualche parte, suol esser questa male espressa nelle loro scritture, ed il

90 B e li i-A n t i

rimedio che apprestar vorrebbero ad una malattia che certamente non ben conoscono , viene da essi con si poco garbo , e cosi fuori di tempo , e di luogo applicato, che irritano i supposti ammalati, e fanno ridere di cuore i veri intendenti, i quali ge- neralmente si curano pochissimo di render pubblici i loro giudizii.

Di più. io credo che sia un errore il pensare , che possano gli scritti periodici influire sugli arti- sti, i quali d'ordinario non avendo molto tempo da gittar via , neppure li leggono. Questi non servono per lo più ad altro (singolarmente per le belle ar- ti), che ad accrescere il numero abbondantissimo dei saccentelli, generazione pesantissima, ed inutile. Im- perocché molti credono di essere in grado di sta- bilir teorie , e di dettar precetti , quando hanno im- parato a pronunziare, prospettiva aerea, colore fio- rito , espressione, tuono, scorcio, sotto in sic, mas- se, panneggiamenti, chiaro - scuri , e cento altre parole, che chiamati a definirle, sono costretti a ri- correre a mal digesti dizionarii tecnici , i quali par- lando un linguaggio ancora più amfibologico , ed im- barazzante del loro , non giovano che ad accrescer- ne la confusione.

Io rendo però tutta la giustizia alla vera , e saggia critica, e la riconosco ancora per utile, e tal- volta pur necessaria; ma sono poi d'avviso che que- sta, trattandosi di belle arti, non debba uscire dal- le officine degli artisti r per quindi correre le piaz- ze, e nelle bocche dei volgari". Credo che non debba circolare fuori del recinto di coloro che sanno far- ne una giusta applicazione, e formarne uno scopo alle loro profonde meditazioni.

Ciò premesso ognun vede chiaro che io , rico- nosciuta Ja mia insufficienza per pronunziare un de-

Bell r-A il t i 91

cisivo giudizio in quanto a belle arti, sono per bat- tere tutt' altra via da quella che batter sogliono in simili casi i letterati, descrivendo i soggetti espres- si nei dipinti del professor Sabatelli, dei quali mi sono preso l'assunto di far parola. Renderò dunque partecipe il lettore che non può da per se stesso os- servarli , di una parte di quelle idee che mi desta- rono vedendoli , ed ammirandoli. E rinunziando so- lennemente alla pretensione di passar , presso gl'im- periti, per conoscitore , preferisco di far palese al- trui il solo diletto cagionatomi da quella vista, a tut- te le osservazioni che altri vi potrebbe far sopra ; avvegnaché lo scopo di pitture di cotal fatta mi pare che sia quello di suscitare idee sublimi , al- lettando, ed istruendo i riguardanti. Eccone per- tanto la descrizione.

Luigi Sabatelli fiorentino , uomo di ardito inge- gno , d'immaginosa fantasia , e valentissimo nell' arte del dipignere, ha fatto il principale soggetto di que- sto suo grandioso , ed ammirato lavoro , dai poemi di Omero, fonte perenne d'ogni maniera di bel poe- tare, come dei più sublimi concetti pittorici. Ed in- fatti si vede sulla soffitta del salone, in un gran ton- do che rappresenta la parte più elevata dall' Olim- po, Giove che in atto di minaccia, e d'impero, co- manda a^U Dei da lui colassù convocati a consul- ti

ta intorno al suo trono , di non prendere più al- cuna parte nelle marziali faccende dei Troajani , e dei Greci. E chiunque abbia studiato alcun poco nelle immortali opere di quel grande, e veramente

Primo pittor delle memorie antiche,

nel vedere il Giove del Sabatelli , vi riconoscerà facilmente esposto colori quello descritto in più

()2 BELtE-ARTI

luoghi con isplendid issimi versi dall'epico greco, e particolarmente nel principio dell'ottavo libro dell'Ilia- de; che è la scena dipinta qui, e messa in azione dall'egregio nostro artista.

In alto, e nell'aria alla sinistra di Giove, egli ha dipinta l'Aurora preceduta dalla rugiada, e segui- ta da un genio tenente in mano una face che rap- presenta Fosforo precursore del 'sole ; imperocché l'ingegnoso pittore l'ha ritratta appunto in quando

Già dell'ultima stella il raggio langue Al primo albor ch'è in oriente acceso.

Più abbasso, ma dappresso al trono del suo con- sorte, si vede la bella, benché crucciosa Giunone, seduta in seggio d'oro , ed in atto di non volere aderire ai comandi del re degli Dei , che quando i neri

Sopraccigli inchinò, sull'immortale . Capo del sire le divine chiome Ondeggiare , e tremonne il vasto Olimpo.

Stassi poi vicino ad essa appoggiata la sua messag- gera Iride,

Onde fa l'arco il sole, e Delia il cinto,

mostrando coll'atteggiamento del volto d'esser tocca dal cruccio della superba moglie di Giove, la quale incede

Degli uomini , e de'numi alma reiua ,

come cantò Virgilio nell'cneide.

Belli-Arti 93

Seguitando sempre alla sinistra del trono, ma un poco più abbasso ancora, si vede Plutone assi- so , al quale

Orrida maestà nel fero aspetto

Terrore accresce, e più superbo il rende;

e vicino a lui Proserpina sua moglie,

Con fiori di color di minio, e croco, D'ogni splendor che far può un prato adorno;

E quindi vi sono Apollo , e Diana , ed infine la Dea Vesta collocata dietro ad essi.

Guardando poi un poco al di sopra di questo grandioso gruppo, vi si vede Esculapio Dio della medicina, al di sotto del quale sta Ercole emblema della forza, con Ebe sua sposa, nella quale viene simboleggiata la gioventù.

Tornando ora in alto, e volgendosi alla destra del trono medesimo, oltre a Ganimede coppiere del gran Tonante , officio cui venne assunto ,

Quando fu ratto al sommo concistoro,

e l'aquila ministra del fulmine , vi ha posta il pit- tore Minerva Dea della sapienza. E ciò con giudi- zioso divisamento, come la prima virtù necessaria ai regnanti per ben governare i popoli alla loro tu- tela commessi. Vicino poi a Minerva sta Mercurio in piedi , per mostrarsi ognora pronto a ricevere ed eseguire i comandi di Giove.

Più abbasso sotto a Mercurio è collocato il geloso Vulcano con accanto Venere sua moglie , che guarda con dolce mestizia il Dio Marte

q4 Bbllk-Aivti

Cinto di ferro i pie , le braccia , e '1 collo ,

indicando con ciò il suo timore pei danni che so- vrastano a Troja. Scherza fra le braccia e nel se- no di Venere il fanciulletto Amore,

Che fra gli uomini regna e fra gli Dei,

come dice il Petrarca ; E presso a lei vedonsi le Grazie , che non saprei decidere se mai siano sta- te dipinte belle; e quindi seguono Bacco, e Morfeo.

Con savio accorgimento ha collocato il pitto- re queste Divinità al seguito di Venere, perchè sim- boleggiano tutte delle cose che vanno di loro na- tura insieme congiunte , 1' una può stare senza dell'altra. È poi degna di particolare osservazione fra le altre (che tutte mi pajono rappresentate nel loro vero carattere) la fisionomia di Marte, nella quale si vede benissimo espresso com'ei comprima nel suo interno il proprio furore.

Sotto a Marte è ritratto lo Zanto fiume tro- jano personificato, e nella più bassa parte di que- sto gran cerchio , il Dio Pane simbolo della na- tura ; davanti al quale sono collocate , la Dea Ce- rere, e la gran madre antica la Terra, personifica- ta ancor essa , e tenendo in braccio due figli , uno bianco, e l'altro nero, per denotare la varietà dei colori nella specie umana.

Fra la Terra ed Ercole vedesi il canuto Oceano chiamato nell'Iliade , ed in un Inno Orfico, padre di tutte le cose , e secondo altre Teogonie detto figlio primogenito di] Urano , e di Ghe , ed il più antico dei Titani. Un poco al disopra è posta la Dea Teti con volto ilare , perchè spera che il suo

Bilie-Arti q5

figlio Achille debba uscir vincitore dalla guerra tro- jana. Nel mezzo poi , e sotto il trono di Giove, ha collocato il nostro valente artista la più ineso- rabile di tutte le divinità pagane, il Destino, ge- loso custode dell' urna delle sorti eh' ei si stringe misteriosamente in mano , e circondato dalle tre Parche , per indicare 1' irrevocabilità degli eterni decreti.

Egli ha rappresentata la prima di queste fata- li sorelle in giovanili, e quasi fanciullesche sembian- ze, come quella che sta filando attualmente l'uma- na vita; E le di lei vestimenta splendenti di chia- rissimi colori, esprimono l'innocenza della prima età. La seconda che sta torcendo il filo della vita, l'ha ritratta nel più bel fiore degli anni, ed in tutto il vigore della persona; ed invece di dipingerla tut- ta intenta al suo lavoro, l'ha rappresentata in at- to di divagarsi, e di volgere altrove gli sguardi, com* è proprio della giovanile vaghezza. E la terza finalmente l'ha involta in molti drappi, per denotare il freddo della morte, e con in mano la forbice in atto di tagliare furtivamente lo stame vitale, espri- mendo con ciò l' inaspettato cambiare degli umani destini.

La quale nuova idea tutta del Sabatelli di di- pingere le Parche, non vi sarà io credo, chi non veda di quanto profonda filosofia sia piena. A me parve di tanta sublimita , quanto e quella di Pindaro nella settima Nemea, ove pone le Parche assistenti a Lucina.

Dopo il gran quadro della soffitta che abbiamo già descritto, seguono otto lunette che sorreggono la volta nei quattro lati del Salone; E cominciando dalla prima che sta dirimpetto alla porta che comu- nica alla ringhiera, o verone, il pittore vi ha rap-

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presentata Giunone alla sua toeletta, la quale aven- do veduto di non potersi opporre alla suprema vo- lontà di Giove , ha pensato di sedurlo , e di vin- cerlo colle attrattive della bellezza. Questa scena of- fre all'occhio dei riguardanti tutto ciò che di ric- co , e ridente può produrre il pennello. Vi è di fat- ti ritratta la Dea in atto di acconciarsi i capelli al- lo specchio, e mentre Iride librata sulle ali sta in attitudine d* incoronarla. Ai piedi di essa è posta una Ninfa che pare volerglieli profumare di odorosi unguenti, o spargere di ambrosia; ed un' altra in poca distanza che le mostra gli ornamenti che pos- sono convenir meglio alla di lei acconciatura. Col pa- vone che l'artista vi ha dipinto colla coda spiega- ta , ha voluto simboleggiare l'interna compiacenza della Dea.

Nella seconda lunetta il pittore vi ha rappre- sentata la stessa Giunone quando va sull'Olimpo a trovar Venere, onde ottenere da lei il suo magi- co cinto; E vi si vede la Dea d'Amore che se ne spoglia , e ad essa lo porge. Amore intanto , che non è come cantò il Tasso , mica un Dio

Selvaggio , o della plebe degli Dei , Ma tra i grandi , e celesti il più potente, Che fa spesso cader di mano a Marte La sanguinosa spada , ed a Nettuno Scotitor della terra il gran tridente, Ed i folgori eterni al sommo Giove,

vorrebbe impedire che sua madre restasse priva di un ornamento potente per signoreggiare gli uomi- ni , ed i numi. Quindi si vedono dei piccoli genii che stanno scherzando colla veste di Venere, in quel- la guisa che sogliono fare i bambini colla propria

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lor madre; mentre le Grazie intrecciano festevolmen- te una danza, nel vedere che l'altera Giunone è co- stretta ad umiliarsi alla Dea del riso , e del piacere.

Benché anche questa lunetta sia ripiena di va- ghissime idee, come ne uscirono dalla mente , e ne furono ritratte dal maravigiioso pennello dell'Albano, nondimeno il nostro Sabatelli ha saputo darle aspetto molto diverso da quello della precedente.

Nella terza lunetta si vede la consorte di Gio- ve che giunta nell'isola di Lenno va a svegliare il Dio del sonno, l'assopito Morfeo. Ed è veramen- te ammirabile, al parer mio, l'artifizio, e la mae- stria del nostro pittore nel rappresentare colla mag- gior verità possibile , non tanto 1' abitazione , quanto ogni altra cosa appartenente a questo Dio. Imperocché

Sotto la nera selva una capace E spaziosa grotta entra nel sasso , Di cui la fronte Tederà seguace Tutta aggirando va con storto passo.

Si potrebbe difficilmente scegliere un soggetto pittorico al pari di questo , come non si sapreb* he trovarne uno più poetico. Colpisce infatti vi- vamente l'immaginazione il vedere come a misura che Morfeo si viene svegliando, svaniscono in di- stanza per la sua grotta le immagini di varii so- gni , e mentre diversi amoretti lo stimolano viva- cemente a svegliarsi. Vi si vede poi il silenzio che fugge spaventato al destarsi del Dio del riposo , e la pigrizia assisa ai piedi del letto del mede- simo , invitata a ricevere in dono dei fiori, pur- ché stenda la mano per prenderli. Ella però che mal si regge in piedi, eome dice l'Ariosto , mo- G. A. T. XXVII. 7

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strandosi oppressa dalla fiacchezza ricusa di mover- si. Finalmente nella parte destra di questa lunet- ta e collocato l'ozio corpulento e grasso , quale viene descritto dallo stesso Ariosto , e che sta gio- cherellando colle dita, e si appoggia ad un por- co, in atteggiamento di non saper che si fare.

Riesce oltremodo mirabile l'effetto magico di questa pittura che si presenta tutta piena d'imma- ginazione, ed illusione.

Passando alla quarta lunetta | vediamo Giu- none quando si presenta a Giove sulT Ida, accom- pagnata da Morfeo trasformato in augello nottur- no clie si sta riposando sopra un abnte. La Dea colpisce talmente lo sguardo del suo consorte, mer- cè il cinto di Venere, ch'ei l'invita a riposare fra le sue braccia, mentre ella finge maliziosamente di portarsi altrove.

Questo soggetto viene adornato da bello , e grandioso paese , dipinto con somma maestria , e dove opni cosa è accuratamente distinta. E sia det- to per tutti i quadri insieme, che gli accessorii dei medesimi sono di una maravigliosa esecuzione.

Nella quinta lunetta si osserva in lontananza Giove addormentato in grembo alla moglie, e Nettu- no di lui fratello , a cui la sorte

Diede il tridente in man che regge il mare,

il quale si è messo alla testa dell'armata greca. Ed avendo suscitata una terribile tempesta, infon- de tanta vigoria in Ajace Telamonio, che tolta da terra una grandissima pietra, sta per iscagliarla con- tro di Ettore che si ritira fremendo dal campo. Un gruppo di soldati greci inseguono l'eroe troja- no; soldati posti con bella disposizione riguardo al

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luogo che occupano ; ed il tutto insieme presenta una varietà di oggetti tutti diversi dai fmqui de- scritti.

Nella sesta lunetta è rappresentalo Giove che svegliatosi , s'alza sdegnato dal letto di Giunone, e fieramente la rampogna, accennandole in terra, quali disordini siano accaduti pel di lei inganno. Ella in- tanto riposando ancora mollemente sopra un letto di nubi, medita come scusarsi con artifizio seco lui. in questa pittura l'amenità del luogo corrisponde per- fettamente alla descrizione omerica , poiché i fiori qui nati , ne accrescono le delizie , ed il piacere.

Nella settima lunetta si vede Ettore portato fuori della battaglia da'suoi ufficiali, per esaminare l'effetto del gran colpo che ha ricevuto da Ajace. Apollo scende dal cielo per comando di Giove, e rende al maltrattato eroe nuova forza, e vigore. Egli al divino tocco del Nume si sente animato da inaudito furore, e chiede le sue armi. Si ve- dono a questo inaspettato , e repentino prodigio L circostanti , chi attonito e stupefatto , chi ringra- ziare gli Dei , chi animare l'eroe contro i nemi- ci, e chi far cenno all'armata che il suo duce è risanato. Ed è sorprendente e da ammirarsi il pro- fondo sentire del nostro artista , congiunto ad una ragionata cognizione del cuore umano , nel rap- presentare convenevolmente tante , e cosi diverse passioni. E poi di mirabile effetto in questa lunet- ta , il contrasto delle diverse barbariche armatu- re, e di tutti gli oggetti scelti per arricchire, e variare una si bella composizione.

Nell'ottava, ed ultima lunetta finalmente si ve- de Ettore che avendo afferrata una nave nemica, sta sul punto di troncare con un ,^ran fendente' di spada {'asta di Ajace Telamonio che la difende :

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mentre gli uffiziali trojani accorsivi colle faci, at- taccano il fuoco alla flotta greca.

Questa lunetta è dipinta sotto la direzione del padre dal Sabatelli figlio pensionato da S. A. I. e R. il benefico nostro Granduca. E benché egli sia mol- to giovane , ha dato tuttavia con un lavoro cosi difficile , e cosi bene eseguito coni' è quésto che ora descrivo , una luminosa prova di non ordina- rio valore nell' arte sua : mostrando ad un tempo di aver posto ogni cura nel ben corrispondere al- le sovrane beneficenze , e quali belle speranze deb- ba la patria concepire di lui per l'avvenire.

Molte cose dovrei ora qui aggiungere in elo- gio dell'egregio autore di questi grandiosi, ed am- mirati dipinti, circa la scelta del soggetto princi- pali , sulla ragionata disposizione delle parti che compongono il tutto, e sulla giudiziosa collocazione degli accnssorii die lo accompagnano. SulP armo- nia, e forza del colorito, e sul dar movimento e vita alle tante, e si diverse passioni che vi sono espresse. Siili' accordo delle parti fra loro , e col tut- to insieme. Sulla franca maestria dell' esecuzione , e su cento altre cose. Fra le quali annoverar dovrei un pregio singolarissimo, universalmente riconosciuto, e da tutti ammirato nelle opere del Sabatelli , pre- gio che tanto si desidera e piace nelle belle arti, qua- le è quello di uno stile tutto suo proprio, e di un carattere di vera originalità. Benché si veda bene che questa lodevole prerogativa è il frutto dei lunghi suoi studii sulla natura, e delle sue profonde osservazio- ni sii tutti i più grandi modelli antichi , e mo- derni.

Ma questa sarebbe materia da scriverne un li- bro, piuttosto che una breve descrizione istorica, quale io mi sono proposto di fare. Imperocché io credo che

Beli j-A » t i Jor

non si possa , ne si debba dir poco di un'opera di eminente merito com* e questa del Sabatelli ; E mi vietano nel caso mio di dirne molto , la ben co- nosciuta modestia del pittore , ed il non essere io artista;

C!iè ognun parlar sol dee di quelle cose Che appien conosce, e giudicar ne puote.

Quindi spero di trovar grazia presso chi leggera que*- sto scritto, se io non ho fatto che il semplice istori» co, o poco più.

Non posso però dispensarmi dal tributare un omaggio di giusta lode al maturo senno del giovane nostro Principe, il quale avendo ereditato dall'avo, e dal padre di sempre gloriosa ed acerba ricordan- za, un amore ardentissimo per le belle arti, ed una veramente reale munificenza verso quelli che le col- tivano con decoro, ha voluto dimostrare la sovrana sua sodisfazione per un'opera cosi ammirata e loda-; ta, regalando al pittore una tabacchiera d'oro ricca- mente contornata di brillanti, oltre il prezzo già pre- cedentemente convenuto.

DOMBKICO VaLEIUAXI.

. Per la migliore intelligenza dei dipinti qui sopra descritti , oltre l'ottavo libro dell'Iliade cita- to in principio di questo scritto , si consultino an- cora i libri i4» e i5 del medesimo poema, ed il canto i4 st. q3. di quello dell' Ariosto , l'Orlando Furioso.—

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lui

Intorno ad una nuova maniera grafica del disegna- re i cassettoni neW architettura. Lettera di Mattia Lavina al sig. Luigi Potetti ingegnere archi tet- tetto. (Continuazione e fine.)

X remesse queste generali regole sull'uso sulla con- venienza e sulla, simmetria dei lacunari, verrò ora alla proiezione grafica dei medesimi.

Intorno ai cassettóni o lacunari delle volte cilindriche.

La descrizione dei cassettoni sulle volte a bot- te è facile e. spedita nei trattatisti che non oc- corre di darne qui.- un -metodo più semplice. E quel- li a'qualL fosse necessario d'istruirsene, basterà che consultino il Ginesi il Vannini ed altri, che in es- si, troveranno quanto possono desiderare su questo particolare , onde non sarà d'uopo l'intertenervisi di più, e passerò subitamente - alla descrizione di quelli che si praticano nelle cupole , parendomi di potersi molto affinare , e. ridurre a miglior per- fezione.

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Intorno cassettoni sulla cupole, e prima dei quadrati sulla voltai emisferica.

Descrivasi il circolo A D B E fig. I. col raggio della volta che si vuol disegnare, e si divida in quadranti coi diametri normali A B , D E.

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Si divida l'arco B E in tante parti uguali , quan- ti cassettoni si richiedono : per es. sei.

Stabiliscasi che M N sia una di queste parti , e si divida in P sotto quella ragion che si vuole cosicché M P sia il lato del cassettone e P N la lar- ghezza del costolone. Ora si ponga da E in a la meta di M P e si faccia la divisione sul quadran- te E B, cosicché a b sia un costolone, h d un casset- tone e cosi alternativamente sino a q B che resterà, uguale all'altra meta di M P. Si tirino le corde AD, BD.

Pongasi da E in F la larghezza di un costo- lone e si projetti in G L. Si faccia A i uguale ad L G. Dal punto i si abbassi al diametro AB una per- pendicolare che si prolungherà1 fino ad incontrare A D nel punto i\ pel quale si farà passare una paralle- la i' 1" al diametro A B. Indi si ponga da E in G la larghezza di un cassettone che si projettera in C H, e 9i tiri la H D. Si prenda eh e si porti sull'arco A E da i in a, con che verrà fatto in altezza il profilo del prim' ordine di cassettoni. Ora dal punto a si ca- li la normale 2 2', che taglierà la A D nel pùnto sftj pel quale si tirerà la parallela -al diametro 2' 2'. E poiché abbiam posta da E in F la larghezza di un costolone e proiettata in C L, conducasi la LD, e sa- rà le la proiezione del detto costolone da porsi' in 2 3 siili' arco A E. Dal punto 3 calando al solito la per- pendicolare 3 3' e tirando la parallela 3' 3" avremo snez' altro in h' e" il profilo del secondo ordine di cassettoni da portarsi da 3 in 4- Arrivata a questo pun- to l'operazione , vedesi facilmente che con minor fati- ca si avrà il resto , perchè in 1' e'"; 1" e" i"' e'" avre- mo le diverse grossezze dei costoloni da porsi succes- sivamente da 4 in 5; da 6 in 7; e da 8 in 9; sic- -come in h" fcflfedflj e'"; W W le altezze dogli al-

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tri ordini dei cassettoni da mettersi da 5 in G ; da 7 in 8; e da g in io. Con che rimane com-r pita la gradazione geometrica dei cassettoni , sen- là. quella divisione aritmetica che costumasi dai trat- tatisti.

Seguita , che si stabiliscano le projezioni degli an- goli dei cassettoni. A tal fine dai punti a, b, d, e, ec. si abbassino al diametro A B tante normali che tagli- no la GB in punti corrispondenti a', b', d', e', ec. il che si fa agevolmente colla squadra , o coli* altro istrumento che usano gli architetti e che chiamano parallela. E per questi ultimi punti al punto D si guidino tante concorrenti a' D, b' D, ec. che tagleran- no le rette i' ì"; % 2"; ò' ò" ec. in parti proporzio- nali alle divisioni della GB. Ora se pei punti i. 2. 3. ec. si condurranno tante parallele al diametro queste sa- ranno uguali alle i' i"; 2' 2"; 3' ó"; ec. e suscettibi- li delle stesse divisioni. Per lo che se da queste ul- time con striscia retta di carta e lapis si porteranr no sulle prime, avremo ad un tratto con molta pre- cisione projettati sulla volta gli angoli dei cassetto- ni quadrati , pei quali non resterà che unirli con linee continue che saranno orizzontalmente rette e verticalmente tante curve che hanno la natura dell' disse. Perchè essendo il diametro maggiore E D, che è quello della cupola , ed il minore variabile secon- do i punti a', b', d', e', ec. se si farà centro nei me- desimi, e col raggio CE del semidiàmetro maggiore si taglieranno su questo i fuochi , si avrà che am- bo le rette condotte da Ogni angolo di cassettone ai fuochi stessi pareggeranno sempre il diametro mag- giore : proprietà dell'elisse che come ognun sa vuo- le che la somma dei raggi vettori sia uguale al dia* metro maggiore. Ma senza cercare con tanto scru- polo l'andamento di tali curve potrà l'esperto arti-

BsLLE-AttDl Io5

sta ne' casi pratici condurle colla mano passando per tutti i punti a tal foggia stabiliti.

Tale è il metodo graficoi del disegnare i casset- toni quadrati di una cupola emisferica. Chi volesse accomodarlo al caso di un fticcliione basterà che in- cominci la divisione sull'arco B E con un costolone invece di un mezzo cassettone.

Dei rombi.

.

Descrivasi al solito il circolo A DB E (fig. IL), e si divida cogli assi ortogonali in quadranti ugua- li di cui l'uno , come E B, si destini per la pianta dei cassettoni , l'altro A E al profilo : gli altri due ai so- liti triangoli che chiameremo di proiezioni.

Si divida l'arco E B in tante parti uguali quan- te si vogliono cassettoni sulla periferia, per es :,in 3a. onde al quarto E B ne convengono otto. Sia M N una di queste parti che , dovendo ognuna contenere la larghezza orizzontale del costolone e del cassettone , divideremo in due parti M P, P N in quella ragion che si vuole, e che in generale sarà di m : n. Sarà dun- que MP la diagonale minore del rombo, e P N la di- stanza orizontale fra due lacunari. Sulla meta di MP s'innalzi la perpendicolare Q T indefinita. Si tagli que- sta in R cosi che M Q e Q R abbiano un rapporto qua- lunque , come di p : q. Dai punti M, P al punto R si tirino le rette M R, P R indefinitamente come anche la N X parallela a P R. Quest'ultima fisserà sulla per- pendicolare il punto S, ossia la distanza verticale tra due rombi. E facendo S T doppio di Q R avremo in S T le estremila della diagonale maggiore del rombo , che congiunte a quelle della diagonale minore XY col- le parallele T Y, S X alla R P, e T X, e S Y alla R M, sarà cosi determinato il metodo per costruire in piano

ioG B e x'r-E-A n x i

i lacunari- Ora da E in a si ponga la metà di P N* da a in b la M P, e cosi di seguito, come: si è pra-> ticato nella fig. I., finora <v B, che resterà uguale ad altro mezzo P N.

Ciò pósto pongasi da A in i la larghezza P Ny e dal punto i si abbaisi al diametro una normale i i', e si produca , finché incontri la corda A D nel pun- to i', pel quale si tirerà parallela al diametro la cor- da i i". Posta E G uguale a Q R, più la metà di R S, ossia tutta la Qr', si proietti in G H, e si tiri H D che taglierà dalla i il la parte li e da porsi in i 2, sicco- me si è fatto precedentemente. Calata 2 2', e tirata la 2 e parallela al diametro sarà h' e la parte da col- locarsi da 2 in 3. Da 3 abbassando come sopra la perpendicolare 3 3', e tirando la parallela o 3" si avrà 4i" e" da porsi da 3 in 6$, e cosi di seguito fino ad ave- re il punto 11.

Per questi punti cosi determinati si guidino tante parallele al diametro del semicerchio A E B , che pas- sando per le diagonali orizzontali dei rombi saranno simili alle X Z, R V. Ora rimane che si cerchino le di- visioni di queste •parallele, che formeranno i verti- ci X,Y,Z ec. degli angoli che sono nelle diagonali suddette:. Si calino dai punti a, b, d, ec. del quadran- te E B tante normali al raggio GB, e dai punti a', b', d', ec. che si ottengono sul medesimo si con- ducano tante rette al vertice D, come si è fatto pei cassettoni quadrati. Queste tagliando le orizzontali r 1"; e" 3"; e" 5", ec. daranno nei punti di sezione -le divisioni che convengono alle corde segnate coi Numeri dispari le quali si trasporteranno sulle me- desime colla solita striscia di carta.

Restano a cercarsi le divisioni nelle corde pa- ri. Per queste ò necessario di cambiar posto al com- partimento del quadrante EB,locchè si ottiene col

B E L L E- A R T; 1 IO-J

igliere B y uguale a Q n , cioè ad mezzo co- done più un mezzo cassettone , ed aggiungerlo in x.-Sara x y un quadrante similmente diviso in cas- ttoni , ma in modo che principia cori mezzo cas- ;ttone, siccome è necessario per. la naturi delTope- azione , la quale vuole che le linee dei numeri ari , passino per gli. angoli di qiie'cassettoni che so- 1 divisi dal raggio £ G. Proiettando, le divisioni d quadrante x y sulla tangente y x colle rette x x'; a"'; a a.7 h L" ec,M trasportino con una striscia di rta i punti x', a'", a ,' h", d" , ec. sulla A C, così e il p'unto y venga -a soVraporsi al "punto C; si , tirino da qnqiXi .punti tant^ convergenti al into I) , colite ii'nVeggjnio disegn^ei 'njqtt' area del iangolo A G D. T^lgiieiìanno quéste r-ette le linee 2 4' e ,, ec. in tanti punti' che trasportati similmen- skillè corde pari daranno il rèsto degli .angoli ; stanno agli estremi delle diagonali maggiori. Re- no gli angoli delle diagonali minori. Già si pò* 'bbero: ricavare, dalle :descrizioBÌ di tante curve : passino pei punti trovati , il che gioverà pur Ite volle nella pratica de'piccoli di.se.gdii-. Ma vo* do un' esattezza. maggiore, si farà EE uguale a r , e si proietterà in; G L, indi tirata, la L D tro- T0mo fra questa e la GD tutte le parti che corrispon- ntemeute si devono porre intorno ai punti 1 , 1 , 3, : in i x , in fi 2 , 1 7 ;, in c/I 3 , 3 e ec. Pei punti oc , fi , (A gqì condotte tante; corde parallele al dianie-, , , e pei vertici degli, angoli già,, superiormente srminati conducendo le indicate curye , quelle e iste corde si laglieranno in punti che saranno i tici. degli angeli.; che stanno sugli estremi delle ■gon-aii maggiori dei rombi, e compiranno cosi le iezioni grafiche dei cassettoni romboidali. ■'■•

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Se fosse stata richiesta un'esattezza geometrica anche pei' questi punti bastava dividere per meta i costoloni sul quadrante EB , e projeltare queste meta sulla x' y e sulla C B. Collo stesso procedere, che si è dato di sopra, si sarebbero trovati gì' indicati punti , perchè non restasse altro a desiderare. Ma -per la pratica del disegno basterà il metodo che abbiamo descritto.

Dei cassettoni esagoni con rombi.

Si stabilisca che siano i 4. nella circonferenza di una cupola emisferica , ossia sei per quadrante. Sia X Y(fig. Ili) una di queste sei. parti. Si costruisca so- pra di essa un triangolo equilatero X Y Z , e pel vertice si tiri una parallela X' Y'; e si compia il ret- tangolo XYY' X.'. Intorno ai punti X, Y'* X', Y' co- me centri si descrivano tanti circoli che abbiano per raggio meno della mela di X Y , cosi che 'resti fra i circoli vicini- la distanza che si vuole. S'in- scriva nei medesimi tanti esagoni come si vedono nella figura, lo che sarà facile ricordando che il la- to dell'esagono inscritto è uguale al raggio. Si pro- lunghino i^ lati degli esagoni che sono paralleli ad XZ, YZ e si avranno i rombi intermediidi miglior proporzione che non si assegnano comunemente,' e ii^tàl modo si avrà ancora il disegno in piano dei cassettoni da trasportarsi in proiezione sulla volta emisferica. Il cfual disegno in piano, vogliamo an- che avvertirlo , farà più semplice il resto dell'ope- razione, e gioverà . ne'compartimenti di solai e sof- fitte piane. Ora sul quadrante E B fig. I. e II. po- nendosi al solito la Y y poi la x y indi il doppio X x, e cosi di seguito avremo descritto su di esso quadrante il riparto che converrebbe alla pianta. Posto

B e x. l & - A n T I ! 0$

poi da A in i la meta di X X' e replicata l'opera- zione che si è fatta sui rombi, iti ciò solo diversa inquanto cambiano le dimensioni, formeremo sull'AE il solito profilo. Per questi punti così determinati si guidino tante parallele al diametro, e queste passe- ranno pei centri dei cassettoni esagoni e romboida- li, ossia pei diametri orizzontali dei rombi e degli esagoni. Onde replicando le cose sopraesposte, an- che a questo caso troveremo facilmente dietro la fi- gura ili piano gli altri angoli , e tutto l'alzato A E C.

Dei cassettoni esagoni semplici.

Si usa un' altra combinazione di lacunari che è più elegante, perchè tende meno al trito, ed è di semplici esagoni senza rombi. Ora per disegnar- li in una cupola emisferica converrà innanzi dise- gnare gli esagoni in piano , a'Tine di stabilire il rapporto delle fascie e dei cassettoni. Si divida la circonferenza della cupola in 3a parti. Sia X Y fig. IV una di queste parti. Si costruisca sopra di essa un triangolo equilatero X Y T. Si divida per meta l'an- golo X Y T colla retta Y V , finche incontri la nor- male Z V alzata sull'estremo X. Si faccia X Z ugua- le ad X V , e si tiri la Z Y. Sara Z Y V un triango- golo equilatero. I geometri ne vedranno facilmente la ragione. Su i vertici V, Y, Z di questo triango- lo , come centri , con uno spazio minore della me- ta di uno dei lati si descrivano i circoli , come si vede nella figura. Entro a questi circoli s' inscri- vano gli esagoni, così che i loro lati siano normali a quelli del triangolo equilatero V Y Z , e sarà così il cercato disegno in piano. Per trasportarli in quello della cupola si descriva al solito il profilo A E, e

1 1 o B e l l e - A r r r

nel resta si proceda come abbiamo indicato net me- todo de'rombi.

Dei cassettoni ottagoni regolari coi quadrati intermedii.

Si divida secondo il solito la circonferenza del- la cupola emisferica in i\. parti e sia una di que- ste il lato XY lig. V. Si seghi in j. , cosicché X i ad xY abbia quel rapporto che si vuole. Si pro- lunghi X P fino in Z cosicché P Z sia uguale ad X Y , e sopra X Z si descriva il quadrato X Z Z' X e dentro s1 inscrivano gli ottagoni come si vedono nella figura. Congiunti i lati opposti degli ottago- ni colle punteggiate che sono nel mezzo del qua- drato si vedrà facilmente come resti designato il pic- colo quadrato p.

' Raffigurati cosi in piano gli ottagoni coi loro quadrati , si formeranno il profilo , e i triangoli di proiezione secondo il solito , come ognuno può fare da se stesso dopo le descrizioni indicate di sopra.

Si lascia di parlare dei cassettoni ottagoni sen- y>a quadrati ; essendo meno usati , e perchè altron- de può ognuno con un poco di studio trovar da se la descrizione tenendo dietro all'esposto principio.

Dei cassettoni circolari.

I cassettoni circolari di una cupola emisferica quando siano proiettati sopra una superfìcie piana sarauno tante elissi, per la cui descrizione basteran- no i diametri maggiore e minore , purché il disegno 'sìa d'i poca estensione. Imperocché questi diametri stabiliranno quattro punti della curva. Ora questi

B E I, L E - A R T 1 III

punti si otterranno facilmente nella meta dei lati dei cassettoni quadrati, onde per la descrizione dei cas- settoni circolari varrà per tutto il metodo dei qua- drati. Che se il diseguo sarà di maggiori dimensioni l'elisse sarà più esatta se passera per otto punti , i quali troveremo facilmente nei lati o negli ango- li dei cassettoni ottagoni. Adunque colla descrizio- ne di queste ultime si avrà auche quella dei cir- colari e colle curve concentriche i lati dei casset- toni intermedii.

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Dei casse/foni in una cupo/a elittica.

Può la cupola essere o a base circolare o a base elittica , e tutta essere un' discoide. Comun- que sia si divida il quadrante della pianta in qual compartiménto di cassettoni che si vorrà. Pel pro- filo e per tutto il resto dell'operazione si proceda secondo il solito,

Vedrà ognuno che nella elissoide la sezione po- trà presentarsi o sul diametro maggiore della ba- se , o sul minore. Nell'uno e nell'altro caso ciò non porterà alcuna differenza. Solamente devesi avver- tire che i compartimenti dei lacunari nella pianta siano eguali per tutta la curva , benché siano più vicini agli estremi dell' uno e dell' altro diametro. Forse talvolta gioverà ancora che nella parte oppo- sta al diametro maggiore lo spazio dei cassettoni si faccia alcun poco più ampio, allineile si corregga quella differenza che nascerebbe sulla superficie elis- soidica per la sua maggiore curvatura. Àncora può darsi , benché raro sia il caso , che la sezione si presenti sopra un diametro obbliquo: allora la pian- ta dovrà essere la meta , pel resto si procederà se- condo il solito.

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Si accorgerà ciascuno che i cassettoni nella cu- pola a base circolare , saranno tutti eguali nello stesso ordine orizzontale. Non avverrà lo stesso nel- la cupola a base elittica , imperocché dov'è mag-r- gior piegatura si faranno diversi , se non vengane temperate le dimensioni nei compartimenti della pian- ta come si è detto.

Da un disegno fatto , ricavare i cassettoni di una cupola più piccola o più grande.

Sia per primo caso la cupola più piccola e di raggio eguale a A X. fig. I. S'innalzi la perpendico- lare X t , che tagli la corda A E nel punto t. Si divida la X t in parti proporzionali alle divisio- i i della G E , locchè si ottiene come ognun vede conducendo dai punti della G E tante direzioni al punto A. Per le divisioni della X t si tirino tante parallele al diametro della minor cupola , che fisse- ranno queste nel profilo l'altezza dei cassettoni e dei costoloni in proporzione alla loro grandezza e giu- sta degradazione. Altrettante parallele ed uguali col solito metodo si guidino nei triangoli di proiezione che colle convergenti al punto D daranno gli angoli dei cassettoni Con semplice artificio avremo tutto ciò che occorre , purché si stia attaccati alle de- scrizioni superiori , pel cercato disegno dei casset- toni nella cupola minore. Se debba ingrandirsi la cupola sia A Y il suo raggio che incontri la cor- da suddetta prolungata nel punto Z. Si prolunghi- no similmente le corde A D e D B finché siano uguali ad A Z , conche si renderanno i triangoli di proiezione capaci del diametro della nuova cupola. Sopra Y Z si trasportino proporzionalmente le divi- sioni della C E per tirarne come prima le parai-

Belle-Arti i i 3

lele al diametro e al comun vertice dei triangoli pi projezione. E bene lo avvertire che le convergen- ti al punto D dovranno esser prolungate opportu- namente sopsa il diametro A B. Nel resto avremo quanto occorre per l'indicata trasposizione dal pic- colo al grande.

Della gradazione degli sfondi.

La natura degli sfondi nei lacunari dev' esser proporzionale alla grossezza della volta. Perchè non può sfondarsi un cassettone tanto che in alcuni punti indebolisca la volta istessa. Però la volta es- sendo più grossa all' imposta e più sottile alla chia- ve , ne segue che i cassettoni siano più sfondati verso l'imposta e meno salendo verso il sommo. Locchè si accorda anche alle leggi prospettiche , perchè mal si converrebbe di fare i lacunari su- periori in proporzione della loro grandezza egual- mente sfondati degl' inferiori. A seguire una regola giusta e geometrica , sarebbe necessario di circoscri- vere un'elisse che avesse per semiasse maggiore il raggio della cupola più lo sfondo del i.° ordine di cassettoni , e per semiasse minore il raggio più lo sfondo del cassettone che starebbe alla chiave , se vi fosse. Laonde fissato il rapporto di m: n del- la grossezza della volta all' imposta e dello sfondo del primo cassettone, questo medesimo rapporto do- vrà conservarsi alla chiave ; e la grossezza dell' imposta e della chiave son note dalla Meccanica.

Per avere gli sfondi conviene osservare che i loro punti si trovino in una superficie di diame- tro maggiore, e tanto maggiore quanto è lo sfondo. Si potrà dunque valere dei medesimi triangoli di proie- zione valendosi dell' artificio mdicakKper trasportare G.A.T.XX.VII. "8

n4 Belle-Arti

dal piccolo al grande. Pei contro cassettoni si farà un nuovo riparto , e si procederà come si è detto pei semplici cassettoni.

Lo sfondo dei cassettoni nelle cupole elittiche sarà nella direzione dei raggi vettori pei lati verti- cali , e sarà diretto al centro dell' elisse o dei dia- metri ortogonali pei lati orizzontali.

Parerà siffatta gradazione cercata con riguardi e ragioni troppo sottili, ma se si avvertirà che tro- vata una volta sarà giusta, e darà un criterio per sempre , al che gioveranno pur anche gli escmpj di casi pratici , si farà nullo un tal dubbio.

Vantassi del metodo descritto sop'-a gli altri comunemente conosciuti.

Perchè l'esposto metodo sia migliore di qualun- que che si usa comunemente, conviene ch'egli sia si- curo al pari di qualunque altro , e che abbia più vantaggi nella pratica del disegno.

Consistono generalmente i metodi ordinari nel dividere un quadrante secondo la larghezza dei la- cunari , ed il profilo secondo l'altezza. Inoltre nel quadrante delle larghezze con tanti circoli tratti dal profilo, e tanti l'aggi concorrenti al centro si costrui- scono le proiezioni orizzontali dèi -cassettoni. Indi con normali al diametro della cupola si trasportano le dette proiezioni orizzontali sull' alzato , e precisamen- te sulle parallele del profilo- Secondo il nuovo me- todo si dividono similmente due quadranti uno per le larghezze l'altro per le altezze dei cassettoni , e quello appartiene alla pianta, e questo al profili», e ciò con molta semplicità; perchè pei punti del pro- filo, come nell'altro metodo, si tirano le parallele al diametro della cupola , e coi medesimi si formano i

Bhue-Arti m5

triangoli di proiezione, dai quali si hanno tutto ad uri tratto sopra tante rette gli angoli dei cassettoni.

Ora per dimostrare, che questo metodo è sicu- ro al pari dell' altro, vogliasi per esempio il casset- tone et fi y c/1 fìg. I. secondo il metodo dei trattatisti. In questo caso devesi per via di perpendicolari tra- sportare sulle corde corrispondenti i punti x fi' y di della proiezione orizzontale, ciò che si dimostra col- le verticali xx , fifi' , 77', J\JÌ . Ora se ben si con- sideri, queste verticali passano pei punti a", jS", 7", di' che sono nel metodo dei triangoli di proiezione i puti- ti dello stesso cassettone. Adunque per descrivere sul piano verticale il cassettone a fi 7 d\ e indifferente, che si alzino i punti et , fi', 7 , c/T; ovvero gli altri x" , fi" , 7'', c/I''. Questa prova potendosi replicare per qualsivoglia cassettone , ne segue che l'indicato me- todo è egualmente sicuro degli altri conosciuti.

Adesso resta che si dimostri la superiorità dello stesso metodo per la pratica del disegno a tutti i metodi conosciuti.

Già non si vuol più ricordare quanto sia mi- glior partito trarre le divisioni da una retta che da una curva, se con una striscia di carta puossi ad un tratto aver le divisioni da segnarsi in una corda dell' alzato, mentre col solito metodo conviene alzare ad uno ad uno i punti per via di parallela. E quanto più sia spedito il primo modo non sarà alcuno che avendo pratica di queste operazioni ne dubiti. Segue da questa maniera, che si abbia ancora più sicurez- za nell'operato, e quindi più esattezza, e modo d'im- brattar meno il disegno richiedendo meno linee. JNon dico della chiarezza dei punti da trasportarsi, aven- dosi in una rete di triangoli più chiare e distinte le divisioni. Iu somma per rendere tutta l'opera più fa- cile, più spedita, più netta, e più chiara. Ma qucl-

8*

I iC B I L L E-A R T I

lo che maggiormente è a valutarsi è che lo stesso metodo vale per tutte maniere di lacunari, siano in cupole emisferiche semielittiche poligone od altre : ciò che non poco contribuisce all' intelligenza e alla ge- neralità sempre da apprezzarsi principalmente nella istruzione de'giovani.

Ha ancora questo metodo il vantaggio di rende- re degradato geometricamente il profilo , e non per via di numeri , sempre incerti di buona riuscita , do- ve si voglia allontanare dai rapporti comuni. Talché si può dire che il solito metodo sia più una manie- ra pratica dedotta dalla misura dei lacunari già co- struiti dagli antichi , anzicchè indichi il modo gene- rale che dovette tenersi nell'animo dei primi che in- ventarono od eseguirono cassettoni. Inoltre non so- no i lacunari secondo la comune consuetudine di una forma costante, perchè in questa, mentre le diago- nali orizzontali seguono una ragion geometrica , le Verticali ne seguono un'aritmetica , talché non con- servando la stessa similitudine perdono di necessita la grazia e la simmetria. Laddove nel nostro meto- do nascendo tutto da progressione geometrica, è for- za che conservino smagliante figura, e stabilito una volta un giusto rapporto tra la costola ed il casset- tone, il buon effetto non può mancare.

Si vuole altresì avvertire, che i piccoli casset- toni tra gli ottagoni e gli esagoni , sono si spro- porzionati e male si accordano coi maggiori ; e di ciò vuoisi attribuire il difetto al metodo ch'essi tengono , particolare troppo , e disgiunto dal gene- rale dei cassettoni maggiori.

Quelli che conoscono la geometria descrittiva, di cui questa parte di disegno non è a rigore clic un' applicazione , e dovrebbe far parte delle sue teo- rie, come lo sono quelle delle ombre la prospetti-

Bblle-Arti 117

va e il taglio delle pietre , troveranno facilmente le dimostrazioni di quanto si è praticalo di sopra. Questo è in succinto il metodo clie ho imma- ginato onde disegnare con esattezza e facilita o^ni sorta di cassettoni. Il mio primo pensiero fu di far osservare ancora la superiorità di questo su quello dal conte Giuliari adottato nel descrivere il comparto di cassettoni che nella cappella Pel- legrini di Verona modellò l'immortal Sanmicheli ; ma ad evitare la troppa prolissità ho preferito di lasciarlo a quei che ne vorranno fare il paragone. Per simile ragione ho stimato bene l'ommettere tan- ti altri particolari che possono qualche volta gio- vare , combinando le figure piane dei cassettoni in modo che senza perdere niente della generalità del- le forme e proporzioni, una sola linea del trian- golo di proiezione vaglia per due o più punti dell' alzato ; onde ne viene un maggior vantaggio riguardo alla brevità ed alla semplicità delle ope- razioni. Ma sapra bene ciascuno da se stesso sup- plirvi con mediocre attenzione.

io mi sarei già azzardato per ora di dar fuori questo tenue risultato delle mie fatiche , se voi non mi aveste tante volte incoraggito, e si gran- de ajuto prestato coli' acutissimo vostro ingegno f e colle profonde cognizioni nelle scienze matemati- che , non che in tutte le materie architettoniche. Accogliete dunque le proteste della sincera gratitu- dine ed amicizia , con cui sono.

Di Roma li ao. maggio i8a5.

n8

VARIETÀ'

Ritratti poetici di alcuni uomini di lettere antichi , e moderni del regno di IV.ipoli , Carlo Antonio de Rosa marchese di Villarosa. Napoli nella tipografia di R, Marmi 1826 ( in 4 : di pagine 334 )

A

avvegnaché sia impossibil cosa il ritrarre un. uomo grande per ingegno per dottrina e ,per virtù morali nel piccolissimo spa- zio di quattordici versi : avvegnaché i sonetti dettati a descrive-, , re solamente gli studi e gli offici di un uomo, dotto poco o nul- la tengano alla poesia ; pur non ostante questi ritratti poetici del marchese di Villa Rosa non vanno digiuni di qualche bel- lezza, lo però stimo che di maggiore utilità e di maggior gloria alle lettere italiane sarebbe tornata questa fatica . se il de Ro- sa , che a larga mano profuse tanta erudizione e dottrina nel-i le lunghissime annotazioni a ciascuno de1 trentasei sonetti, aves- se tolto a scrivere trentasei elogi , o gli fosse piaciuto di' imitare Cornelio nipote, o di seguire Plutarco, o si vero il suo'

L ... il I. I C 1

proprio genio , e spaziare in un campo vastissimo, che fan ora lian reso poco fruttevole gl'ingegni italiani. Frattanto devono saper- gli buon grado i suoi concittadini , perchè tutto caldo di carità pel suolo nativo ha onorato la memoria di molti , che ingiusta- mente erano dimenticati ; ed ha disposto buoni materiali per chi si faccia a scrivere la storia della letteratura napoletana , o la vita di quegli uomini illustri» E noi largamente gli renderemo laude e azioni di grazie , che non poltrendo esso ncll' ozio e aei molli piaceri del patriziato, insegna ai nobili e ai ricciuti

Varietà' i 19

vero modo di usare lidiamente le fortuite dignità , le non me- ritate ricchezze» Oh tutti i ricchi e i nòbili lo imitassero * Sa- rebbe minore la turba degli stolti e deliravi , e la virtù non viverebhe romita. Tra i treiltasei uomini illustri ritrattati dal de Rósa in altrettanti sonetti tengono principal Iii^go il dotto Gii : Vincenzo Gravina , l'erudito Saverio Mattei , e ii grazioso poeta Luigi Timsillo. Il libro è dedicalo all' egregio sig. mar- chesa Gian 'izcnnin Trivulzio , nome caro a tulli i cultori del- le scienze e delle lettere italiane , e ciò acquista di assai pregio a «[iicsia operetta , stampata in buona carta , e con buoni ca- rati-eri»

JL,o stampato r Nobili di Pesaro ci annuncia con suo manifesto un Saggio d'iscrizioni latine del sig- Michele Ferruzzi. Noi lo- diamo questa sua intrapresa , anzi vivamente l'incoraggiamo : per- chè sono pochi presentemente in Italia , che per eleganza e sem- plicità epigrafica possano fare a giusta concorrenza col dotto gio- vane romagnuolo. L'edizione sarà con bella carta e con buoni cavalieri , al prezzo di bajocchi 3 , ossiano centesimi tfr , per ogni foglio.

A Rallegrare un pochetto i nostri lettori , vi fosse pure anche Eraclito, abbiamo stimalo bene il ristampare un certo annun- cio tipografico , che ci fu trasmesso da Perugia.

Omne udii piinctum qui miscuit utile dulci ! ! ! Perugia sabato 3o. aprite i8a5. annuncio tipografico.

-L'ai Torchi della Tipografia Baduel in Perugia è sortito un Ma- nifesto col quale annuncia la prossima pubblicazione di un* Opuscolo intitolato. Trattato di sana politica Sociale , ossiano le Regole di ben vivere ,, Opera dell' Avvocato Ciò. Battista Falconj Romano. Quanto reputiamo superfluo il raccomandare al Pub-

rao Varietà'

blico quest'Opera (mentre il solo titolo ne spiega l'utilità mas- sima ) altrettanto crediamo opportuno d'inculcare asli Editori una maggiore accuratezza , e diligenza nel correggere le stampe , poi- ché a dir vero in questo breve Manifesto sono loro sfuggili va- rj errori di gran rilievo , che sovente giungono perfino a stra- visarne il senso. la prova ne citeremo due soli , onimettendo i narriti altri. Nel secondi! paragrafo si legge la coltura è Ve/fetto della politezza, circospezione eo. ma noi siamo sicuri, che nel manoscritto originale si legga l'opposto , cioè , che la coltura è la causa della politezza , circospezione ec. ,, Vi è di peggio. Nel terzo paragrafo leggiamo le scienze tutte non giovano a ben condursi,,. Dio buono! Questo è un paradosso, una bestem- mia , deve cerio attribuirsi all' estensore del Manifesto , che supponiamo essere l'Autore medesimo dell' Opuscolo ; il quale in vece avrà scritto ,. le sciéltie non tutte giovano a ben condursi. ,, E' pur misera la condizione di quegli Autori , che s'imbattono in Editori di simil fatta !!! Aggradisca pertanto il Sig. Avvocalo un nostro amorevole consiglio di pubblicare cioè senza ritardo , e primi di ogni altra cosa l'errala corrige del suo Manifesto. ( Ossero, del Lago Trasimeno )

RISPOSTA DELL' AUTORE.

Diffidi cosa non è , che vengano impugnate le proprie pro- duzioni , e che nasca nell'Autore un giuslo desiderio di vendi- carie; ma in tal circostanza dev' «gli tranquillamente ponderare le opposte ragioni per non esporsi ad una vergognosa difesa, ed anzi cedere alla loro imponente forza , almeno col silenzio .es- sendo un lodevole effetto di nobile ingegno confessare i proprj errori , perchè non servino di guida agli altri , ed un esempio ce ne soniminislra Ipocrate primo luminare della Medicina , il quale non dubito di pubblicare gli- errori delle sue opere , co- me riferisce Celso in uno de'suoi libri : ma quando questo sie- no frivole, ed insussistenti, il disprezzo, ed il silenzio sono' 1 più sicuri mezzi per acchetare lo sciocco impugnatore, secon- do osserva Diogene ; malgrado la saviezza di questo principio :

Varietà* 121

pure , devo ribattere la fallacia di sue arguzie , perehé non ah- )>ia a desumere la vittoria dal regolare mio silenzio.

Non tutto è a tutti lecito , e pur talvolta convien farlo ; sic- ché meraviglia non faccia , se brevemente esporrò t eh' è strano p mal sicuro , ed a conseguirsi diffìcile , che l'uomo possa giun- gere alla cognizione , e sviluppo di quel vero , che pretende ad altri comunicare . senza l'uso del Metodo Sintetico , il quale pre- scrive , che dalla cognizione della causa si proceda a quella dell* effetto , ed é perciò , che dalla cognizione delle parli conoscia- mo quel lutto, che chiamasi orologio ; imperocché dall'origine del moto , dall' urto , e dalla molla scendiamo alla subalterna cognizione della comunicazione di quesl' uito , e moto , che gra- datamente si fa alle diverse sue parti sino a quelle che portano in giro le due sfere , di modo che in tempo eguale costante- mente descrivano ineguali spazj.

Strano non -sembri il riferito esempio al nostro assunto : im- perocché nella stessa guisa che l'orologio procede dall'espresse combinazioni di cose , la coltura nasce dal complesso delle vir- tù morali , che n'é la causa ; ed in vero se la coltura fosse piut- tosto la causa di quello che V effetto , l'uomo sai ebbe colto pri- ma dell'acquisto di quelle virtù necessarie a cn*tiluirxelo, e l'oro- logio sarebbe tale prima d'essere fornito delle necessarie molli , urto , e moto.

E' una stravaganza incomprensibile , ed una demenza inar- rivabile pretendere la causa effetto , e l'effetto causa , e pure v'ha duopo sentirla, e condonarla, non meritando lo sdegno d'una persona sensata , la quale deve dimenticare queste puerili argu- zie, come sproporzionale alle sue forze,, sordidum est cum in- feriore contendere Seneca.

Passando ora all'altra sua antilogica osservazione dirò , che le scienze tulle non giovano a ben condursi , ed anzi servono di fon- damento al disprezzo , QVJNVO s'ignorino ì precetti di'una sana politica sociale (come dal mio Manifesto di Associazione) poiché intender deve , che la scienza della politica risguarda la pratica di quelle scienze troncamente acquistate , e per conseguenza non

122 V A II I E' T A'

è bestemmia il dire , clie non giovano a ben condìtru ,■ QV AN- DO siano disgiunte dalie regole di ben vivere, essendo la pra- tica il fondamento della teorica.,. Ludere qui nettiti, cainpe- sliibus absli imi armis (Orazio de Arto Poetica).

Dante rivendicalo. Lettera al sig. cavalicr Monti - deW autore del Prospetto del Parnaso italiano. Fuligno , tipografia Tornas- si ni , i825. Son pagine ig/f.

In questo scritto, che dall'autore istesso è chiamato asprezza di una diatriba letteraria ( pag. 162. ) , si parteggia a spada tratta pel Frugoni e pel Cesarotti ; si vilipende il Monti e il Pertica- li ; si dell' irocchese al Giordani: e l'autore scrive di esie- re egli solo, clie ha fatto ravvisare agi' italiani' il vero profilo di Dante (pag. i5. ) ; il solo , che ha veduta la differenza che se- para la lingua dello scrittore (voleva dire prosatore) dalla lin- gua del poen ( jia^'. 129.) Da questo leggiero e limitato nostro cenno , sarà facile a ciascuno il conoscere , quale sia il pregio dell'opera, Uflìcio de' buoni è pure il rispondere alcuna volta an- che allo stolto ; affinché per la sua stoltezza non si creda sa- piente , e tale non sia dagli stolti creduto. Per ciò , lasciando che l'autore di questa lettera divenga famosns con la detrazione della scienza altrui , noi ci proponiamo di fargli piena risposta , si come la cosa merita . e vuole il nostro costume ; e ricaccere- mo nel suo padule la sozza ranocchia, che non conlenta di cor- rere una paglia per lancia in petto ai leoni , osa ancora di sal- tare sulla nostra mensa , e ili sporcare i ciLi nastri più cari.

M. A.

Riportiamo con piacere questa lettera mandata da PagnacavtiV" al nostro collega sig. Salvatore Betti. Preclarissimo Signore

i^el fascicolo di gennajo del Cornale Arcadico ho letto le degne lodi U'ibuite alla N. D. contessa Ginevra canonici Facchini pel suo pio-

V A R 1 K T A' 123

spetto biografico di donne italiane. Poiché si promette di torna- re 6opra lo stosso argomento , mi io ardito di scrivere a lei , pre- stantissimo signore, queste due righe per indicarle precisamente alcune notizie di due donne assai chiare della mia patria; on- de se qualche errore in quella stampa sfuggi , siccome accade quando l'autore é costretto a fidarsi delle indicazioni che gli ven- gono da altri , non resti col silenzio per avventura confermato. intendo che nulla per ciò si scemi di lode a quella genti- lissima , che pese l'animo ad una fatica , che onora se e tutta l'Italia : confesso anzi ch'ella ne ha dato novella prova , che mo- stra come natura al boi sesso nella virtù eziandio dell' ingegno non è matrigna. .

E prima dico della Patrocini Maria ( è accennata nel prospet- to col nome di Petracini di Firenze pag. 2o5. ). Questa nacque in Bagnacavallo ai M, novembre iy5c), e suo padre fu Giusep- pe f e sua madre Anna Maria Fusari ambi dello stesso paese di Bagnacavallo nella Romagna i i quali in allevare questa cara fi- gliuola posero molte sollecitudini . Invaghitosi di lei il dottor Francesco Ferretti nativo d' -J nqhieri in Toscana , e primario con* dotto chirurgo in Bagnacavallo, la menò in moglie: e ved.-ndola d'ingegno ben disposto la in^lruì nell' arte sua, e volle che udis- se i più insigni professori di Firenze , finché da quel collegio de'medici e chirurghi ottenne matricola di chirurgia il ìS. set- tembre 1788. Venuta ella poco appressa in Ferrara, nell'arci- spedale di s. Anna, presenti più professori e personaggi, so- pra cadaveri' maestrevolmente operò; noli' ostetricia poi si distin- se,'ed una memoria per servire •alla fisica educazione de"1 bam- bini ivi pubblicò nel 1^89 , intitolandola alla N. D. conlessa Bar- hard Passini - Corbici. Mentre una nuova gloria veniva da. lei ai suoi ed alla patria la vita sul più bello le venne meno il 1. gen- najo 1791

tacerò della Ferretti Zaffira (nel prospetto pag. 216. ) * che nata qui il 23. dicembre.'.: 783 , ebbe a padre il dott. Fran- cesco Ferretti ed a madre la sopranominata Maria Petrocini . Neil'

ia4 Varietà*

ingegno , come uc'lineamenli t molto somigliante alla madre, di S. anni la perdette : rimase in cura del padre . che dettando qui pubbliche lezioni e regalando con plauso l'ospitale degl' infer- mi , diligentemente la instruì e n'ebbe consolazione pel profitto , che nell1 arte sua la vide fare al di sopra dell' età. Questo fu cagione che all' università di Bologna , sostenuti i difficili espe- rimenti d'allora , con somma lode fu laureata in facoltà medi- ca , e poco stante abilitata al libero esercizio della chirurgia con matricola iO". maggio 1810. Ractomandala dai professori e più dal suo merito passò a Milano , e trovata grazia appo il gover- no fu inviata a Parigi , ove con onore si dimorò qualche tem- po ; ma mortole il padre ai So. giugno i8i3. dolente ripatriò : indi peregrinando sotto altro cielo , nel mezzo del cammino del- la sua vita colta dal tifo in Patrasso mancò » lasciando desiderio di se ne' savj e buoni , che aveauo di lei le più alte speranze. Dirò pure di altra donna di santa vita nel prospetto non memorata , e l è - Suor Marianna fondatrice del primo convento delle cappuccine in Bagnacavallo : nacque il 5. maggio 1733. Det- tò \e costituzioni del monastero assai lodale : dettò versi spiran- ti divino amore , che sono sparsi nella vita di lei. Morì in odo- re di santità l'anno 1777. recitando de' cantici da lei composti ; coi quali pure nella lunga infermità se e le piangenti suore raa- consolava.

Vedi , vita di suor Marianna del s> Cuor di Gesù , del ca- nonico Girolamo Zucchiiu. - Bologna 17H7.

Io non vorrei aver nota d'ardito scrivendo a lei queste co- se ; ma mi conforta la somma sua gentilezza , di cui mi ha da- to altre riprove ; di che le tengo obbligo grande. E quantunque io non abbia il bene di conoscerla che per fama ; pure confido ehe non le sarà grave che io me le prò/Fera , etc.

Bagnacavallo, So. giugno i8i5.

DOMENICO VÀOOOMNI Professore di fd oso firn nel ginnasio.

Tabella dello stato del Tèvere , desunto dall'altezza del pelo d'acqua sull'orizzontale del mare,osserva- to all' Idrometro di Ripetta , al mezzo giorno»

Luglio

l825.

GIORNI.

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O sservazioni Meteorologi pke. Collcg. Rom, Lug ìicx 182 5.

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n , e lQo. grado al secco esucmo, Era fuori della finestra ordinariam. col ter- mometro esteriore, Se non quando il vento era troppo Torte.

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IMPRIMATUR.

Si videbitur Reverendissimo Patri Sacri Palatii Apostolici Magistro.

Jos. della Porta Patr. Constantinop. Vicesgerens.

NIHIL OBSTAT

Ex collegio S. Bonaventura) Fr. Antonius Franciscus Orioli.

NIHIL OBSTAT Petrus Lupi Med. Col/.

IMPRIMATUR.

Fr. Tli. Dominicus Piazza Ord. Pr?ed. Sac. T. Mag. et Sac. Palatii Apost. Pro-Magist.

1*9

SCIENZE

Intorno alla memoria del si", dottor Maurizio Bu- f alini , la quale ottenne V accessit dalla società italiana delle scienze residente in Modena , os- servazioni critiche di Ippolito Borelli , dottore in medicina , e in chirurgia , socio corrispon- dente della r. accademia lucchese , e di quelle di Arcadia , e de" Lincei di Roma*

I

tanti elogj, ca' profondono all' esperienza , ed (dla osservazione alcuni medici de' tempi nostri, ini ricordano la mostruosa contraddizione,, che si videt per rapporto alla parola ragione in alcuni filosofi oltramontani. Vi fu, non ha gran tempo, un cer- to numero di filosofi, che, mentre a parole si di- mostravano ammiratori, e seguaci della ragione , l' a. v- "vilivano poi, e bruttamente la deturpavano nei loro scritti. Si dicevano, è vero, mandati a questi ul- timi tempi per agitar la face della medesima , e dis- sipar le tenebre dell'ignoranza; si spacciavano, è ve- re■, pe'sostenitori de'di lei diritti, cui credevano con- culcati e negletti ; dubitavano di asserire doversi aver per falsi, o per sospetti tutti gli altri fonti delle umane cognizioni, quando le verità, che da» questi emanavano , secondo la loro logica , o erano in contraddizione con essa, o non. ne venivano b*-

G. A. T. XXVII. i

i3o Scienze

stevolmente rischiarate. Ma intanto quegli stessi fi- losofi non si vergognarono di esigere nella morale l'evidenza delie cose metafisiche, nella metafisica l'evidenza fisica ; rigettarono nelle cose isteriche l'au- torità de'secoli passati , e pretesero di dimostrarle per via di raziocinio , come si pratica nelle cose di diritto ; insegnarono doversi stabilir la morale in quella guisa medesima, che si fa nella fisica speri- mentale, cioè non regolando le azioni colla legge, ma fissando la legge dopo aver conosciuto le azio- ni; e siffattamente confusero i criterj del vero , che si vide in essi letteralmente avverata quella grave sentenza di Vairone, che non avvi delirio d'uom che vaneggia, che non veggasi sostenuto da qual- che filosofo. Ora a me pare , che qualche cosa di si- mile ripeter oggi si possa di certi medici de'tempi nostri. Essi ti assordano ad ogni pagina de'loro scrit- ti colle parole osservazione ed esperienza , e te le inculcano in tante guise , e sotto tanti aspetti diversi , e rimproverano tanto acremente coloro > che , anche per breve tratto si dilungarono dalle medesime, che crederesti, di buona fede, aver essi costantemente seguito quelle due guide veraci. Frat- tanto se ti poni ad esaminar quegli scritti mede- simi, ne'quali si tiene un tal linguaggio, nulla vi scorgi più generalmente dimenticato , die la buoni osservazione, e l'esperienza, e nulla vi trovi piì ridondante che la smania , quasi dissi incredibile , di teorizzare , e di veder gli oggetti a suo modo. Una prova quanto sorprendente altrettanto lumi- nosa di una tale verità la somministra il sig. Bu- falini da Cesena. Egli non si stanca giammai di ripe- tere , che la più parte de'medici cammina in fallo, e si perde miseramente dietro a delle ipotesi, e a delle chimere ; in ogni pagina esclama con soprac-

Teorie mediche i3i

ciglio severo, che i fatti, e solamente i fatti si deb- bono porre a base di qualunque sistema medico ; e tanto rimprovera i sostenitori delle moderne teo- riche italiane, e li dipinge con tali caratteri, che più presto che medici li diresti un branco di vi- sionar] e di fanatici (i). Frattanto da poche, e non costanti eccezioni egli si crede autorizzato a met- tere in dubbio delle massime pratiche sanzionale dalle osservazioni di tutti i secoli ; da fatti parzia- li , e non bastantemente provati trae conseguenze generalissirae a fondamento di grandiosi edifizi ; dal non intendere come le cagioni producano i loro effetti , si fa lecito di negare gli effetti stessi. Con- fonde bene spesso i criterj del vero esigendo nelle scienze mediche la certezza delle cose metafisiche , e mattematiche ; più spesso ancora rigetta gli altrui pensamenti solamente se questi Liscino la possibilità del caso contrario-, e quando le idee, che si hanno intorno a qualche cosa non sieno dimostrate fino all' ultima evidenza, crede meglio di ragionar con quel- le, che non abbiamo. E tutto questo è ravvolto in una frase così ricercata ed astrusa , in una maniera di argomentare così sottile, e captiosa , che forse gli scolastici ai tempi loro non ebbero altrettanto. Ma

(i) Chi conosce le opere di quel patologo intende subito ciò ch'io dico j chi poi non le conosce legga i suoi fondamenti di patologia analitica. E se non vuol percorrere tante pagine legga la memoria da noi eitala , e più particolarmente ( dell'edizione d i Firenze del i8a$) la pagina 5. e 6. ove ripete più che mai le sue lagnanze, e l'8. che n' è pure ripiena; JVla se ne trova- no a dovizia anche nelle pagine 11 -i4-28-3i-4> -44 - 49 - - 53 -jy - oo - 85 - , e per non riempire questa nota di cita- zioni , percorr» il lettore UiUaquanU la mciuoiia.

j3a Scienze

perchè non paja ch'io voglia anticipare delle cose, che si renderanno manifeste quanto la luce dei giorno dal- le brevi osservazioni , che siam per fare , entriamo tosto in materia.

La memoria citata del sig. Bufalini meriterebbe tutta da un capo all'altro di venire minutamente di- saminata e discussa , perchè in ogni pagina si riscon- trano proposizioni, le quali o sono assolutamente fal- se , o conducono a conseguenze assurde , ed a con- traddizioni di pratica. Io credo , che rendercbbesi un gran servizio alla patologia, ed alla materia me- dica, e quindi ancora alla terapia, cambiando in mo- neta spendibile il linguaggio particolare ed astruso, in mezzo al quale il patologo Cesenate avvolge i suoi pensamenti, e mostrando il vero valore de'principj , Cui si sforza di stabilire. Ma ciò sarebbe opera trop- po lunga , e d'altronde è noto, che i dotti compila- tori del giornale della nuova dottrina medica italia- na hanno già da qualche tempo rivolto l'attenzione loro a un tale oggetto. A me piace di trattenermi al- quanto sopra la quarta parte della memoria testò ri- ferita, nella quale discorre dogli stimoli, de'contro- stimoli, e degl'irritanti, e dove tenta di abbattere i principali criterj , da'quali argomentasi la maniera di agire delle potenze esterne applicate al corpo uma- no. E per progredire con metodo , e con chiarezza dividerò questo mio ragionamento in tre parti. Esa- minerò nella prima il valore delle objezioni fatte dal nostro autore contro il criterio, che si trae dagli ef- fetti dinamici delle sostanze amministrate nello stato di salute; verrò nella seconda discorrendo dell1 argo- mento, che si ricava dal vicendevole distruggersi de- gli stimoli, e de' controstimoli; e da ultimo tenterò di stabilire, che cosa si debba pensare di ciò, che dice j$ sig. Bufalmi intorno all'utile, o al danno, die

Teorie mediche i33

recano i farmaci nelle malattie, delle quali è nota la diatesi.

PARTE PRIMA

I moderni teorici d'Italia fatti accorti dalla pro- pria esperienza, e dagli errori de'secoli passati, ciré lo sperimentare i medicamenti nello stato di malattia per rintracciarne l'azione, era una pratica di scarsi j e non sicuri lumi promettitrice, avevano creduto più sano criterio quello di tener dietro ai fenomeni, che si manifestano nello stato di salute dopo l'amministra- zione de'medesimi (i). Ciò per altro non avevano es- si fatto tanto alla cieca , e con tanta dappocaggine quanta in loro ne suppone il nostro autore. Percioc- ché, ad evitare, per quanto era loro possibile, l'er- rore, avevano notato gli ostacoli, che si parano in- nanzi a chi si accinge a quella malagevole impresa ± tenuto conto delle anomalie, che possono imporre ai meno cauti nell' arte di sperimentare , e calcolare le varietà , quasi dissi infinite , che si riscontrano negP individui sottoposti agli esperimenti. Quindi, siccome i fenomeni testé ricordati non si mostrano identica- mente uguali in tutte le persone , ne in tutte le epoche delia vita , avevano indirizzato tutto il lordi

(1) Questi fenomeni sono per le sostanze stimolanti : sensa- zione piacevole di ristoro , aumento di calore animale , di ener- gia nella respirazione % nel circolo , nella contrazione muscola- re, prontezza nelle secrezioni , e sialo di ben essere in tutta macchina. Per le sostanze conirostimolanii sono : un senso ribrezzo, di ambascia, di nausea, abbattimento d'animo , pic- colezza , e varietà di polsi, debolezza, e impotenza we1 musetti i »rf un impoverimento in tutte quante le funzioni.

1 34 Scienze

senno a rintracciare d'onde coteste varietà derivasse- ro, ed avevano fermato doversi disprezzare tutti que- gli effetti, che non essendo costanti, sono meno atti a dimostrar l'azione delle sostanze. Ed oltre a ciò ave- vano insegnato doversi distinguere l'azione dinamica dalla fisico -chimica, doversi attendere alle cosi det- te reazioni organiche , doversi limitar l'impero delle abitudini, e dell' idiosincrasia.

II sig. Bufalini però trova un tal criterio mal sicuro , ed incerto 7 non già ( vedete bene ) perchè gli pajano fallaci , ed incostanti que'fenomeni , da' quali argomentano i riformatori d'Italia l'azio"e di- namica delle potenze esterne applicate al corpo uma- no , ma perchè que'fenomeni non sono effetto im- mediato delle potenze medesime. Concio si achh , di- ce egli , la illazione dagli effetti alla cagione non regge quando si prenda da effetti non immedia- ti , i Quali non hanno colla stessa cagione uri at- tinenza , e proporzione invariabile (i).

Cotesta foggia di ragionare , anzi cotesto ca- none di logica è affatto nuovo nelle scienze medi- che , ed è desiderabile pel bene , e pel decoro delle medesime , che non prenda piede giammai. Percioc- ché non solo riempirebbe di confusione , e di dub- bj quello , che finora è parso chiaro , [e indubita- to ; ma non veggo neppure come si potrebbe giun- gere a stabilire qualche cosa di certo nelle mede- sime. S'introduca di fatti nella scienza fisiologica : e chi sarà più ardito da pronunziare che le fun- zioni de' corpi vivi sono effetto di quegli agenti , che si sono creduti finora indispensabili a produr- le? La nutrizione degli animali, quella funzione am-

(0 Y«J- °p. cit. pag» 99.

Teoiue mediche i35

mirabile , per cui si riparano le perdite , che con- tinuamente si fanno dalla macchina , è stata sem- pre guardata come il prodotto dei cibi , e delle be- vande sottoposte all'azione del ventricolo ; il calo- rico animale diffuso equabilmente per tutto il cor- po si ripete oggi dalla circolazione sanguigna , e dalla respirazione ; i moti di sistole , e di diastole Spingono il sangue arterioso dal centro alla perife- ria del corpo , e da questa ritornano al centro il venoso; i raggi luminosi producono in noi le idee della visione , le onde sonore quelle dell'udito , le particelle saporose quelle del gusto. Ora tutti que- sti fenomeni , o vogliam dire funzioni sono effetto immediato delle riferite cagioni , o conservano col' le medesime un attinenza , ed una proporzione in." variabile ?

Se il sig. Bufalini trova irragionevole il con- chiudere dalle cause agli effetti, quando questi non sono immediati , qual valore sarà per accordare alle potenze morbose per determinare la natura delle malattie ? L'infiammazione de' polmoni , che si vide in chi si espose all' umido , e al freddo ; la cloro- si , che tenne dietro all'istantanea soppressione de* mensili ripurghi ; le idropisie di stimolo cagionate dall'abitare in luoghi malsani : la metritide osser- vata nelle puerpere dopo una smodata perdita di sangue : la cardite , o l'angioite , che si videro in seguito a forte patema d'animo deprimente ; la si- noca in fine , da cui furono presi coloro , che cad- dero in sincope per l'azione di sostanze contro- stimolanti : sono elleno effetto immediato di quelle cagioni ? Tanto è lungi , che si scorga fra le me- desime quelV attinenza , e quella proporzione inva- riabile , di cui poco sopra si diceva , che ad in- tendere come siano originati que'morbi è necessa-

I.3G S C l T. N t B

rio ricorrere alle così dette reazioni organiche, die è quanto dire ad una serie di movimenti, e di ope- razioni segrete , non conosciute , dell'organismo. Ma neanche in quelle malattie , le quali sono più fa- cili ad intendersi , e delle quali vediamo il più stretto rapporto colle cagioni morbose , secondo la logica del Bufalini , abbiam diritto di pronunziare ; perciocché chi ci assicura , che non diasi luogo ad una serie di effetti impercettibili , che contribui- scano più da vicino al producimento della malat- tia , e che quella , che noi conosciamo sia la più remota cagione delle medesime ? Se la massima del patologo fosse giusta , noi non avremmo diritto di conchiudere dalle cagioni agli effetti , che nelle ma' lattie cagionate da lesioni violente , ed anche in queste bisognerebbe contentarsi di pronunziare so- lamente sulle malattie chirurgiche , perchè anche dietro a lesioni violente si videro sconcerti ncll'uni- rersale , che non serbano rapporto immediato colle cagioni.

Lo stesso ragionamento può ripetersi delle gua- rigioni ottenute dopo l'amministrazione de' rimedj. Se la china guarisce le intermittenti , la Scilla , e il nitro le idropisie , il solfato di ferro V amenor- rea , l'estratto d'aconito il reumatismo, lo zolfo, ed il mercurio le affezioni erpetiche ec chi sarà cos'i ardito da asserire , che tali guarigioni ripeter si debbano da que'farmaci ? Quante mai operazio- ni intermedie , segrete , impercettibili possono aver contribuito a tale effetto ? Chi saprebbe dire ( per usare le frasi medesime, delle quali si serve il sig. Bu- falini per togliere ogni valore al criterio , che si trae dai fenomeni degli stimoli , e de'controstimoli cimentati nello stato di salute ) chi saprebbe dire ss abbiano operato sul fluido , o sul solido ? Se

Teorie mediche 137

sopra il solo stomaco , o sopra altri organi an- cora per consenso ? Se la loro sostanza siasi uni- ta , o mischiata ai componenti de* fluidi , e della fibra organica, ovvero abbiano essi soltanto impul- so V eccitabilità ? Se il primo di questi effètti pos- sa essere addivenuto nel solo stomaco , ovvero per mezzo del sistema assorbente , e del sanguigno ari- che neW universale de* solidi , e defluidi vitali? (1) Eppure ad onta , che tutte queste cose s'igno- rassero da' medici , ad onta , che questi vedessero possibili molte e sv amatissime operazioni dell' or- ganismo capaci di contribuire alle guarigioni teste ricordate , non si ristettero dal dichiararle un ef- fetto degli amministrati rimedj. Invece adunque di quel suo canone favorito cioè che la illazione da- gli effetti alla cagione non regge quando si pren- da da effètti non immediati , 1 quali non hanno colla stessa cagione un attinenza , ed una propor- zione invariabile , dovrà convenire il patologo ce- senate , con tutti i buoni logici , che , se posta A. ne succede B. , tolta A. si toglie B. , A. si dee riguardare come causa di B. e B. come effetto di A. Ne l'ignorare le cagioni intermedie , che possono concorrere alla produzione di un effetto , o il mo- do , con cui vi concorrono , ci dark mai diritto di riguardar quel canone come falso. Perchè a che si estendono in ultimo risultato le nostre cognizio- ni nelle scienze fisiche ? A conoscere l'esistenza di alcune poche cose , che più appariscenti delle al- tre ci cadono quasi spontanee sotto degli occhj. Ma quando incominciasi a ricercare il perchè del- le cose medesime , e la maniera del loro esistere ,

{1) Ved. op. cit. pag. ioo«

l3S S C I H N 2 E

lo tenebre ne circondano siffattamente , che Lene spesso ci reputiamo fortunati potere assegnare ad mi effetto una cagione , per lontana , e per me- diala che sia.

Bellissima poi oltremodo è l'altra ragione , per la quale il sig. Bufalini crede i fenomeni tante vol- te ricordati insufficienti a dimostrar l' azione delle cose esterne , ed è perchè i medesimi sono cambia- menti delle apparenti funzioni del corpo umano. Io confesso ingenuamente di non intendere questo linguaggio. Imperciocché o l' autore ha dichiarato apparenti le funzioni anzidette in quantochè non sono vere e reali , o ha voluto dire che sono ap- parenti inquantochè appajono ai nostri sensi. Ora io non veggo come possa succedere il primo ca- so , perchè o le funzioni non hanno luogo , o se hanno luogo , non possono non essere vere e rea- li. Di fatti quale idea ci. formiamo della circolazio- ne apparente del sangue , dell' apparente respira- zione, delle secrezioni apparenti? Resta dunque che le funzioni sieno apparenti nell'altro senso; in quel senso medesimo , in cui le grandi citta , e le fore- ste compariscono circolari , e terminate in anfitea- tro , quando veggonsi da lontano , in cui una tor- re quadrata comparisce rotonda , se lo spettatore si trova in molta lontananza , o due linee parallele prolungate a grande distanza concorrono apparente- mente a formare un angolo alla loro estremità. Ma se le funzioni del corpo umano quali si presentano al nostro sguardo giudicar si debbono apparenti , faccia grazia il patologo da Cesena di dirci quali esse sono in sostanza. Se i fisici dichiarano apparen- ti le figure de'corpi anzidetti , dimostrano poi chia- ramente quale e la loro vera figura. Altrimenti noi non saremo cosi stola da rinunziare alle idee , che

Teorie methche 13$

possediamo per filosofar con quelle che non abbia- mo. Vede pertanto l'accorto lettore , che il sig. Bu- f alini confonde manifestamente i criterj del vero t perchè , come insegnano i logici , l'oggetto delle scien- ze fisiche , e per conseguenza anche delle scienze mediche , sono le cose sensibili , e conoscer non si possono , che per mezzo de' sensi. Il rinunziare a questi nella fisica sarebbe lo stesso che rinunzia- re alla ragione nelle cose metafisiche , o mattemati- che , ed all'autorità nelle cose storiche.

Io non so vedere come ragionamenti cosi chia- ri, e cosi convincenti non abbiano trattenuto il no» stro autore dal sentenziar , come fece , sulla manie- ra di giudicare degli effetti dalle cagioni. Sembra però , che non fosse interamente persuaso di quel suo canone favorito, rapporto agli effetti dell'azio- ne dinamica delle sostanze , percioccchè dopo aver concluso , che questi effetti non sono bastanti a di- mostrare una tale azione , tenta in seguito di pro- vare , che i medesimi non sono neanche cosi costan- ti , quanto si crede da' moderni riformatori d'Italia. Noi però non ci occuperemo punto di una tale obje- zione , perchè vi è stato risposto le mille volte , e sempre in maniera decisa e vittoriosa. Che dovrassi ripetere fino alla nausea, che i cambiamenti delle funzioni organiche messe a soqquadro da dosi ecces- sive di sostanze , a nulla valgono per determinar l'azione di queste? In confesso di non intendere co- me il sig. Bufalini , che dottissimo , ed acutissimo sarà da tutti estimato , in mezzo a tanti lumi , ed a tanta filosofia , riproduca oggi una cosa , che è veramente una inezia ; e molto meno capisco , che non si ristia punto da quel sentenziare , col quale si h tanto addomesticato , risapendo , che quel fatto, di cui si è menato tanto rumore ( cioè , che dati gli

i/fo Scienze

stimoli, e i controstimoli a dose fòrte, i cambiamen- ti delle funzioni organiche si confondano) non è poi vero che parzialmente. Perchè , come in altro scrit- to io diceva (i) non si osserva per avventura , che dopo l'amministrazione di dosi eccessive di stimoli , ed , oltreché se ne rende buon conto colle leggi fisico - chimiche , non si dee riguardare, che come rara eccezione ad una regola stabilita sui fatti , e sugli esperimenti positivi . Cotesta eccezione serve anzi a confermare viemmaggiormente la regola : cosi almeno si ragiona nelle altre scienze. Ma venghia- mo alla seconda parte.

SECONDA PARTE

Il vicendevole distruggersi degli effetti dinami- ci di due serie opposte di rimedj è un fenomeno , che riscontrasi bene spesso notato nelle opere degli antichi. Nissuno però, ch'io mi sappia, aveva mai pensato di trarre dal medesimo qualche partito per determinare l'azione delle cose esterne applicate al corpo umano. Fu solamente in questi ultimi tempii che un tal fenomeno divenne utile all' incremento della materia medica, e della pratica , e furono i moderni riformatori d'Italia , che volser l'animo a un tale scopo. Sorsero però ben presto de' contrad- dittori acerrimi a dichiarare, che cotesto vicendevo- le distruggersi non prova niente in favore dell'azio- ne 4llQamica degli stimoli , e de' controstimoli. Il sig.

(1) Ved. la mia analisi de'fondaraenti della materia medica , e proposta di riforma de'medesimi , pubblicata in varj fascicoli del giornale arcadico. Vedi il fascic. di Agosto d«sl i8:j3. alle pagi- ne i38-i3g. e segg.

Teorie medicee i4*

Bufalini figura nel numero di tali contraddittori , e, come nelle altre cose ama meglio di calcar de' nuo- vi sentieri , che percorrere i già conosciuti , cosi nella memoria , di che ci occupiamo , pretende di abbattere un tal criterio con una nuova foggia d'at- tacco. Il lettore si aspetterà , che un patologo, il quale ad ogni tratto rimprovera i moderni teorici di avere abbandonato la osservazione, e l'esperien- za , tragga in campo una serie numerosa di espe- rimenti a bella posta tentati per dimostrare la sua tesi. Egli però resterà deluso , perchè l'autor nostro simile precisamente a colui che raccomanda agli al- tri una cosa , e che intanto ne fa un' altra , per tutta prova delle sue asserzioni riporta un raziocinio da esso fatto nelle pagine da noi citate. Eccolo in pochi termini. // criterio, che si trae dal viceri-> elevale distruggersi degli effetti dinamici degli sti- moli e de"1 controstimoli è appoggiato ai fenomeni , che si osservano nello stato di salute', ma io ho dimostrato , che tali fenomeni sono aW uopo in' sufficienti ; dunque un tal criterio è ipotetico e insussistente. À questo argomento ( giacche la pa- tologia pel nostro autore riducesi meno ad osser- vare i fatti, che a discutere il valore de'raziocinj) a quest' argomento se ne potrebbe opporre un'altro di un ugual peso. 77 criterio, che si trae 'dal vi- cendevole distruggersi degli effetti dinamici degli stintoli , e de'' controstimoli è appoggiato ai fenome- ni, che osservdno nello stato salute ;■' ma il sig. Buf alini non ha provato per niente, che co- testi fenomeni sono insufficienti a dimostrare razio- ne delle sostanze-, dunoue a ini tal criterio rima- ne tutto quel valore, che a.'e va prima.

Pronunziata questa sentenza, che dal sig. Bu- falini credevasi senza appello ,. acconciasi a(l ihsè-%

XA3 Scienze

gnare ia qual modo avrehbesi dovuto sperimentare le sostanze, se voleasi conchiudere qualche cosa in- torno al loro vicendevole distruggersi. Dato, egli dice, per esempio a molti animali il vino, e fat- tisi già palesi i suoi effetti, bisognava in primo luo<*o a ciascuno di essi somministrare una di- versa sostanza di quelle credute acconcie a toglie- re gli effètti stessi , ed osservare se tutte egual- mente li dissipavano. Poi a molti altri animali era mestieri porgere le sostanze credute della stes- sa natura del inno, ciascuna però a molti di es- si a un tempo ; e quindi sperimentare se tutte le sostanze già trovate per la loro virtù simili al caffè , e agli acidi , una per una messa al ci- mento toglievano egualmente gli effètti di qualun- que deW altre già riconosciute simili al vino (i).

Il sig. Bufalini ragionando di questa guisa ten- de manifestamente ad escludere dalla materia medi- ca l'argomento di analogia, colla quale, come in- segnano i logici , dopo avere osservato , che mol- ti esseri simili dotati di una tale proprietà M. op- pure, che molti esseri simili posti in simili circostan- te producono un medesimo effetto B. , concludiamo , che dunque anche tutti gli altri esseri simili da noi non osservati in particolare sono dotati di si- mile proprietà M. , ovvero posti nelle medesime cir- costanze produrranno il medesimo effetto B. Io so bene , che un tale argomento non produce in noi quella certezza, che vi producono l'osservazione, e l'esperienza; ma che sarebbero le scienze fisiche sen- za di esso? Noi possiamo asserire senza tema di sba- glio, che quante proprietà sono state assegnate al-

(i) Ved. op. cjt. pag. \o\.

Tkoiue MEDICHE 1^3

la materia sono state riconosciute per questo mez- zo. Di fatti quando i fisici stabilirono , che i cor- pi gravi rilasciati a se stessi cadono a terra eoa moto uniformemente accelerato , ma non proporzio- nato al loro volume ; che l'acqua è composta di gas ossigeno, e gas idrogeno; che l'aria è un flui- do insipido, senza odore, pesante, ed elastico ; che il calorico dilata i corpi , e tende costantemente all' equilibrio ec. ec. non avevano già sottoposte a parr- ziale esperimento tutte le sostanze , alle quali esten- devano siffatte leggi. Eppure nisssuno , eli' io mi sappia , si è fatto lecito di dubitarne.

Ma quello , di cui sarà s orpreso sommamente il lettore , è il vedere , che il nostro autore tolga l'argomento di analogia dalla medicina, ove non che utilissimo fu reputato in ogni tempo necessario. Di fatti di quale altro argomento ci serviamo nel- la diagnosi , e nella prognosi delle malattie ? Di quale altro ci serviamo al letto degl' infermi? Quan- do diciamo, che il salasso e la dieta valgono a mo-r derare la forza delle infiammazioni ; che il rabarba- ro , ed il colombo sono efficaci a vincere certe spe- cie di dispepsia; che gli aloetici, ed il ferrò rie- scono a dissipare gl'infarcimenti del fegato; che i mercuriali si oppongono all'infezione venerea ec. aj> Liamo forse sperimentato tutti gl'individui, ai qua- li si asserisce , che giovano questi rimedj ? Se il patologo da Cesena non era 'mosso da spirito, -di par- te, o da smania di contraddire , avrebbe sicuramente veduto, che l'escludere l'argomento di analogia dalla materia medica, e conservarlo poi nella pratica me- dicina, era una pretta ridicolezza. Perciocché al ietto degl' infermi per lo più da pochi fatti , e per ogni riguardo parziali concludiamo, che i medicamenti •, che giovarono in altri , saranno ancora per giovare

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all' individuo affidato alla nostra cura; «e tante vol- te noi siamo così arditi , che ci facciam lecito di adoperare un rimedio unicamente perche si trovò utile in un solo individuo posto nelle circostanze , nelle (piali noi crediamo esser posto l'ammalato , a cui si vuol prescrivere. Può darsi analogia più parziale, più imperfetta di questa? Eppure i me- dici se ne giovano, ed il sig. Bufalini cotanto ri- troso bonariamente vi accondiscende. Al contrario l'analogia , colla quale dal vedere , che molti stimo- li, e molli controstimoli si distruggono a vicenda, si conchiude , che anche gli altri stimoli , e gli altri controstimoli non sottoposti ad esperimento van- no soggetti ad una tal legge, non è punto arbi- traria ed imperfetta. Perchè da una parte ce la fan- no supporre i fenomeni che manifestano sulla mac- china nello stato di salute , potendo a buon dirit- to argomentare , che sostanze , che producono gli stessi effetti , saranno sottoposte alle stesse leggi; e dall'altra ce la confermano i cambiamenti salutari, o dannosi, che produssero nelle malattie, nelle qua- li giovarono , o nocquero gli stimoli ed i contro- stimoli cimentati nelle esperienze.

dee credersi , che gli esperimenti su' quali si appoggia il vicendevole loro distruggersi , sieno tanto pochi quanto va dicendo il nostro autore ; perciocché molti ne furono fatti a bella posta in Italia per determinare l'azione delle sostanze, e ben- ché non tutti pubblicati , sono generalmente noti a coloro , che s' interessano di conoscere i progressi che hanno fatto fra noi le scienze mediche ; e mol- ti ancora si ricavano dalla storia de'veleni , e de' contravveleni , quantunque in tante parti sia man*» cante , ed imperfetta. E giovano pure a questo sco-» po le numerose osservazioni degli antichi , i quali

Teotuh mediche i<{5

senza saperlo hanno colle opere loro somministra- to molti , ed utilissimi materiali ad innalzare un edifizio t di cui l'onore si crede dovuto solamente a pochi.

Ma che giova il riandar tutto questo, se ne- anche gli esperimenti eseguiti a norma delle rego- le prescritte dal sig. Bufalini , non aggiungono a quel grado di certezza , che secondo i suoi prin- cipi sarer>be iudispensabile per poter pronunziar qual- che cosa intorno al vicendevole distruggersi degli agenti esterni ? Egli di fatti non contento , che si sperimentino tutte le sostanze ad una ad una , esi- ge di più , che ciascheduna di quelle , che appar- tengono ad una stessa classe dinamica distrugga egualmente che tutte le altre gli effetti delle so- stanze della classe opposta. Ora quando mai si rin- venne questa rigorosa uguaglianza di risultati ? Per* olle ciò avesse luogo bisognerebbe , ciie tutte le so- stanze , che si sottopongono ad esperimento r fosse- ro talmente identiche fra di loro , che avessero gli stessi stessissimi principi , e fossero combinati nella stessa stessissima proporzione. E dopo ciò farebbe d'uopo , che gli animali, su'quali si sperimentano, fossero talmente simili di età , di sesso , di tempe- ramento , d'organizazzione, di abitudine, di affezio- ni ec. che l'uno si potesse impunemente scambiar coll'altro. Tutto questo essendo impossibile, gli espe- rimenti darehbero sempre luogo a qualche differen- za di risultati, e quindi, secondo la logica del Bu* falini , a qualche diritto di dubitare. Guaj pertan- to alla materia medica , se vi s'introducesse questa maniera di ragionare. Ella ne verrebbe subito ro- vesciata da capo a fondo. È noto , che i nostri, pa- dri avevano accordato ai rimedj un numero quasi dissi infinito di azioni , ricavate o da qualche sinto- G.A.T.XXVII. io

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ma cui si opponevano , o da qualche evacuazióne , che procuravano , o da qualche morbo contro del quale si mostravano efficaci- Ora dobbiam noi cre- dere che la manna , il tamarindo , la sena posseg- gano la facoltà purgativa nella stessa stessissima ma- niera della gomma gotta , del diagridio , e della co- loquintide? Dovremo ritenere dotate della stessa stes- sissima facoltà diuretica la digitale , la Scilla , ed il nitro ? Della stessa stessissima virtù di iforetica il tartaro stib ito, il kermes, e gli acidi? Qui dun- que il nostro patologo confonde lugùctgìianzh col- la sdrri?gtiahza , le quali quanto sieuo fra loro dif- ferenti non è necessario aver molto approfondato le mattematiche per saperlo.

E poi curiosa , ed osservabile la maniera , col- la quale rimprovera i riformatori d'Italia. Egli par- la sempre di loro, come se ritenessero tanto gli stimoli, che i contrstimoli dotati di una e identica maniera di agire. Giò mostra chiaramente ? che egli non conosce le opere di coloro , cui si compiace tanto di contraddi- re. Perciocché se le avesse conosciute avrebbe chia- ramente veduto, che anch'essi convengono, che tan- to gli stimoli quanto i controslimoli appalesano qual- che differenza nel modo , con cui manifestano la loro azione ; e sono' i primi ad insegnare .} clie gli eteri , a modo d'esempio , innalzano l'eccitamento in una maniera diversa dall' ammoniaca , e questa dall'oppio , e dalla canfora ; che la manna , il 'ta- marindo , la coloquintide abbassano l'eccitamento in una maniera diversa dalla digitale, dal lauro -ce- raso , dalla belladonna ec. Ed avrebbe pur vedu- to , che sanno anch' essi , ed insegnano , che alcu- ni manifestano l'azione loro dinamica per via di- retta , altri all'opposto per indiretta ; che ad alcu- ni compete- una forza energica di agire , mentre in

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altri non trovasi che. :mediocre ; in fine ? che molti agiscono prontamente ed in una maniera tumultuali* te , mentre, la più parte di essi richiede un cerio spazio di. tempo , perchè si appalesi, del .tutto la lo- ro azione,; Ma ossi dispreizano tutte queste modali differenze,, perchè in .line di giuoco torna poi sem- pre vero , che que'prhni agenti erigono l'eccitamene to , ed i secondi lo. abbassano. Ma rientriamo in cammino.

Il sig. Bufalini , dopo .ayerf; fatto ogni sforzo per dimostrare, che gli esperimenti finora tentati souq insufficienti a provare la generale annullazione de- gli stimoli , e de' controStimoU , pretende , che ta- li esperimenti facciano anzi prova del contrario. Egli ricorda a tal: proposito , die gli acidi , e Vipecaeua? ria tolgono gli effetti dell 'oppio meglio che il gii t? s qui a ino , e la belladonna', F etere , e il vino d/ssir pano gli effetti degli acidi , e del nitro , meglio che il muschio , o il castoro ; F ammoniaca campa Vuomo da mortiferi effètti del veleno della 'vipe-' Fa , meglio che ii muschio , q il castoro , la OStiè Va discorrendo (i). Cotesta efficacia maggiore , o mi;- liofe nel dissipar gli effetti di una sostanza , Q que- sta particolare attitudine nel dissipar meglio quelli! di una sostanza che quelli di un'altra , second.o la logica del Bufali ni non, conferma il vicendevole di- struggersi delle sostanze , ma contraddice munilestar mente una tal legge. Argomentiamo un' altra, volta co'suoi principj. Le carni bene animalizzate riesco- no meglio , che i legumi a dissipar gli effetti della fame; dunque i legumi non sono capaci di. dissir parli. Le bevande subacide riescono meglio che il

(i) Ved. op. cil. pag. io(j.

io*

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vino ad estinguere la sete ; dunque il vino non ha efficacia contro di questa. La china china fuga le intermittenti più sicuramente, che la genziana; dun- que la genziana non ha virtù anti-periodica. La gom- ma gotta , e l'olio di ricino sbarazzano più pronta- mente lo stomacò dalle zavorre gastriche , di quel- lo non facciano il cremor di tartaro , e la magne- sia ; dunque a questi soli non competono facoltà purgative. JEdepol negotiosa medicina direbbe An- tonio Genovesi. Se il sig. Bufalini voleva abbatte- re validamente il criterio , di che qui si ragiona , dovea tentar di dimostrare , non che alcuni stimoli , od alcuni controstimoli riescono meglio a dissipar eli effetti di alcune sostanze in particolare ( che ciò è accordare il fatto) ma sibbeue, che i medesimi non si distruggono di guisa alcuna. Che importa a me , che gli acidi , e l'ipecacuana tolgano gli effetti dell' oppio meglio , che il giusquiamo e la belladonna ? Che l'etere e il vino dissipino gli effetti degli aci- di , e del nitro meglio , che il muschio , od il ca- storo ? A me basta, che il fatto sia vero, e costane temente vero.

Frattanto percorrendo la pagina centodieci del- la memoria, che commentiamo, vi si trova riprodot- ta una objezione , che venne ampiamente discussa fino dal principio di questo secolo , ed è che i ri- formatori moderni tengono l'azione , che i farmaci spiegano sul ventricolo simile a quella , che mani- festano su tutto il corpo. Convien proprio dire , che il sig. Bufalini o non legge le cose , che si scrivono da quelli cui tanto prende di mira , o destramente le tace quando non gli fanno a proposito. V'è og-*- ci bisogno di ripetere , che non si attendono i fe- nomeni vaghi , ed anomaii , che qualche volta si ma-< fcifestano immediatamente dopo aver preso una sostane

Teome MEDICHE ì4$

ia , ma che si tien conto solamente di quelli , che costantemente si manifestano , e da' quali con più si* Curezza possiamo argomentare l'azione delle potenze esterne applicate ai corpi vivi. Queste cose stava- no scritte nel giornale della società medico-chirur- gico di Parma ; e sono state poi ripetute da tanti , e in tante guise , che fa veramente sorpresa , che il sig. Buf alini le ignorasse»

PARTE TERZA.

Che dagli effetti salutari, o nocivi ■, cui pfodu» Cono i medicamenti in una malattia , di cui si cono- sce l'indole, o la diatesi, argomentar si possa l'azio- ne di questi , era noto anche agli antichi; ed è for- se il più sicuro criterio , che s'abbia per aggiungere a un tale scopo. Il sig. Bufai ini però trova da ridi- re anche a questo , e chiaramente asserisce, che, poi- ché non ci è nota la natura de' morbi ; abbiamo mezzi per riconoscerla , dobbiamo astenerci dal pro- nunziare su tal materia. E siccome i riformatori d'Ita- lia avevano tolto ad esperimento le infiammazioni , nelle quali la miglior parte de' medici tanto esteri * che nazionali ravvisa un processo di stimolo , ed una diatesi di esaltato eccitamento i così con un tuono *, che oltrepassa i- limiti della franchezza dichiara essef questa una mera supposizione, e non potersi quin- di asserire se i così detti antiflogistici t, quando vincono le infiammazioni , abbiano giovato per di- minuzione , o per aumento di eccitamento ! (i) E perchè mai dovrem sempre rimaner nelle tenebre dell'ignoranza ? Ecco perchè : perchè le Jlogosi pos'

(1) Ved. op. cit. pag. il4>

i So Sci s jv z r.

sono vìncersi 'cogli antiflogistici per un'azione spc ci/ica:, come' le. periodiche si vincono colla chino r e la lue col mercurio (i). Ma.evvi un'altra casi*)* ne ^fortissima , ed è , che la cura delle infiammazio- ni potrebbe auche darsi che succedesse .per una ma" nic -a . indiretta , per .azione chimica deriniedj , <,che .«/ amministrano , per locali irritazioni e -repulsi .- ni , per inversi movimenti organici, co per un pm* cesso chimico- organico tutt1 affatto particolare. Po- trebbe anche darsi , io ripiglio , che una tal cura succedesse per l'influenza , che ha grandissima la lu- na sulle cose tortfestri , o severamente per un' azio- na, incognita , imp-ercet tibile delle tante meteore,' che si formano nell'atmosfera, o pel flusso, e pel rifilisi so del mare , o per la congiunzione di Venere con. Sa- turno. Se al sig. Bufali ni piace più di noverare quefcan- gianvnti segreti di. nostra macchina, ohe non sono conosciuti , ne. dimostrati, e perchè non potrò io tener dietro a quegli agenti estrinseci, che come le interne mutazioni è possibile , che contribuiscano alla gua- rigione delle infiammazioni ? Ha egli dimostrato , file tali agenti non. hanno influenza sopra di queste? Quasi ad ogni pagina de' suoi scritti ripete , eie, quando molliplici cagioni possono egualmente con'- correre a produrre un dato effetto y'nòn si debbono if nostri ragionamenti limitare ad. una. sola . . . Ma . * lasciando la celie da parte, che cosa dovrem pensar del salassò , che si vede tanto vantaggioso nelle ih- ft&mmazioni ? Il ritrovato del sig. Bufalini e bellis- mo. .11 salasso può anch'esso giovare come specifico!! Se.il lettore non era peranco persuaso degli assur- di , a cui condùcono i principj del "nostro autore > lo vegga chiaro in queste massime.

(t) Vod. oji. cit. pag. 11 3*

Teorie mediche * i5i

Ora dirò b re veni Mite, che cosa pensar si deb- ba della riforma , di cui crede abbisogni la ma- teria medica. Persuaso di avere, interamente abbat- tuto i criterj, che si davano per rintracciare l'azio- ne dinamica . delle sostanze, per non incorrere- la taccia di saper distruggere, e non saper poi edi- ficare, si accinge a stabilire Un nuovo edifizio sul- le rovine della medicina di molti secoli. E quan- tunque non accenni , che di volo , come egli si esprime , una tale riforma , pare nondimeno , eh© stabilisci doversi l'azione de1 rimedj determinare in relazione co' processi morbosi, e non altrimenti nel- lo stato di salute , perchè questa seconda maniera di ricerche gli sembra così ragionevole come Vin- dagare se il fuoco abbruci senza applicarlo a cor- po combustibile ! Quindi le distinzioni di antiflogi- stici, di antiperiodici, antiscorbutici, antivenerei, antipsorici , autierpètici , anticancerosi ec. gli paiono assai consentanee al fatto, e più utili alla terapia, che non quella- di stimoligli controstimoli, di ir- ritanti , di refrigeranti , di rilassanti , di tonici e simili. ,

Se io non temessi di sopraccaricare questo scrit- to di cose ampiamente discusse in altri libri , e generalmente note in Italia , potrei dimostrare fino all'ultima evidenza, che una tale riforma riempireb- be di confusione, e di errori la materia medica, e la pratica medicina , e ricalcando le tracce già seguite in altro , mio scritto (i) far vedere quan- to la nuova maniera di risguardar l'azione de' far-

1 . ^>— ^— a' i i «

: (1) Ved. Ih mia analisi de' fondamenti della maf. med. nel fascicolo di gonnajo do! 18 4* del giorni arcadico , pag. 4 - 5 - 6. e

I*>T S C I « N e B

maci sia superiore all' antica , «he vorrebbesi oggi riprodurre dal nostro autore. Mi rivolgerò piuttosto ad esaminar le prove, alle quali egli crede affida- ta la sua riforma. Le principali ridar si possono a due, cioè I. alle conseguenze che trar si possono da- gli esperimenti tentati da qualche oltramontano sulla maniera di agire di alcuni veleni, e II. a certe par- ticolarità generali ( bellissima frase , e veramente si- gnificativa) che si osservano negli effetti che suc- cedono all' amministrazione delle Cose esterne, o che si manifestano più specialmente proprj di qual- che organo , o arrecano ali aspetto delle funzioni un singolarissimo cambiamento , ó tengono relazio* ni particolari coi diversi stati morbosi di nostra macchina (i).

Noi non ci occuperemo punto del primo genere di prova, perchè non vediamo quali conseguenze ri- cavar si possano da esperimenti limitati , e parziali , e per ogni parte imperfetti. Finché gli sperimentato- ri oltramontani non porteranno un poco più di filo- sofia nelle loro esperienze, finché si perderanno die- tro a certe minutezze inconcludenti , finche non di- stingueranno accuratamente ne'cadaveri le lesioni ca- gionate dall'azione fisico - chimica delle sostanze, da quelle, che sono proprie dell' azione dinamica, ( con loro buona pace ) io , che più volte fui presente a tali esperimenti , non veggo di quale utilità riuscir possano all' avanzamento della tossicologia , e della materia medica. Ma quello ch'io voleva dire all'ami- Tchevole al sig. Bufalini, era , che traendo le sue il- lazioni dagli esperimenti degli oltramontani , non si avvede di avere dimenticato que' precetti , di cui si

(0 V«d. op, ai. p«g. ii 6.

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faceva agli altri maestro. Di fatti poche pagine ad- dietro tuonava con sopracciglio severo, che i riforma- tori d'Italia da pochi esperimenti e parziali si erano fatti lecito di conchiudere, che gli stimoli distruggo- no gli effetti dinamici de'controstimoli , e viceversa : ora poi gli esperimenti di pochissimi osservatori , an- zi le conseguenze, che hanno creduto di poter trar- re da' medesimi, sono l'unico sostegno delle teorie del nostro autore. Che direbbe se gli si mostras- se, che tali conseguenze molte volte sono tratte a tempesta , e che negli esperimenti medesimi si de- siderano ancora mille avvertenze. Così non decli- nassi, facendolo, dalla mia strada, come mi stime- rei abile a dimostrarglielo ! Ma chi conosce le ope- re di quegli oltramontani capisce subito ciò , che dir voglio , ed è in grado di somministrar le pro- ve a queste mie proposizioni. Venghiamo adunque all' altro genere di argomenti.

E qui, prima di passar oltre, convien notare Un'altra piccola dimenticanza. Il nostro autore ave- va dichiarato alla pagina novantanove della memo- ria tante volte citata , che i fenomeni osservati nel- le macchine viventi dopo l'amministrazione degli sti- moli, e de'controstimoli a nulla valgono per dimo- strare l'azione di questi, perchè sono mutazioni del' le apparenti funzioni , e perchè non sono effetto immediato di una tale amministrazione $ e poi par- lando della vera maniera di conoscere una tale azione, alla pagina centoquindici asserisce doversi le differenze della medesima argomentare sol tan~ to per ESTERIORI CONTRASSEGNI. Io non cre- deva il sig. Bufalini capace di allucinazioni così gros- solane, e di contraddizioni così manifeste ! Che han- no di prediletto cotesti contrassegni esteriori a con- fronto di que" fenomeni cui riguarda di niun valore

r5'4 S e i e n « v,

in materia .medica ? Lo dirò, io : questi Sono stati di- mostrati costanti , e quelli: sono incoiti , -anomali, ed incostanti , non manifestandosi, per confessione stessa del nostro autore, che in qualche organo particolare, o arrecando all'' aspetto delle funzioni un si/tgolaris- s.'mo cambiamento , o tenendo relazioni particolari coi diversi, stati morbosi di. nostra macchina.

Ma. lasciando una volta cote.sta foggia di ragio- nare ad /mpi/nem, alla quale siamo stati quasi corret- ti .<! siila logica, particolare del patologo da Cesena , che cosa ; pretende egli mai portando in campo cote- ite particolarità generali , che in ultimo risultato non sono poi altro, che le così dette azioni spec/Jt- c/te , ed elettive? Fprse che le sostanze , nelle quali gj osservano, '-non. sono dotate di un'altra azione co- mune a molle altre., che noi,, chiamiamo dinamica? Prima' di pronunziare questa sentenza rifletta bene, che ciò rovescia intieramente la pratica di tutti i secoli, comunque in apparenza sembri di favorirla. Si chiamino pur tutte ad esame quelle pretese ma- lattie specifiche, cui tanto gli aggrada di ricordare, c$i analizzi la maniera di agire di qiie' rimedj , che SJ tntvar.onp,, vantaggiosi nelle medesime. Io veggo raccomandati da1 migliori medici nella paralisi di dia- tesi storica jl.calomelano unito all'aloe, l'acqua eoo* bata di lauro - ceraso ,. la digitale, l'estratto di no-; re vomica, , il tartaro stibiato , e l'ipecacuana , la belladonna, da qualcheduno creduta specifica , l'estrat- to d'aconito ,. ed il kermes. E dopo, che fu in par- te domata la violenza del morbo , trovo registrato , che si trasse il più deciso vantaggio dall' arnica , dal rhus radicans , e dal rhus foxicodendrou , da- gli ossidi •metallici , e da' diaforetici. Nella, paralisi poi da diatesi astenica si mettono in uso con gran profitto, ,la canfora, che raccomandasi a larghe dosi,

Tèoiue mediche i55

il liquóre anodino , gli olj aromatici , l'ammonia- ca , il muschio , ed il fosforo.. Percorrendo la storia de'rimedj , che hanno giovato nell'isterismo da diatesi di stimolo ,] si trova fatta menzióne de'purganti d'ogni maniera, degli acidi solforico ;' nitrico , muriatico, dell' assa fetida, delle gommo- redine; -della valeriana , del- la digitale, della noce vomica, della belladonna , del giusquiamo , del cu prò ammoniacale, dello zinco, del bismuto, della radice di finocchio , de'semi Ai felan- drio , cicli' ipecacuana, e della- magnesia. Che l'is- terismo è da diatesi di contróstimolo, veggonsi ado- perati l'oppio, il musohioi» la canfora , l'olio di Ka- jepnt, il castoro, l'ambra grigia, il succino, l'ammo- niaca, gli eteri , l'acque di cannella, e di melissa, la china cliina, e l'acido carbonico. Ora tutti qttestr ri- medj , che si mostrarono efficaci nelle anzidette ma- lattie , dovranno dirsi specifici ? O io non intèndo la parola specifico, o il sig. Bufalini grossamente s'in- ganna. E taccio, che i patèmi d'animo, il regime die- tetico, i bagni, le frizioni , li rrfo'xa, i vescicanti , le orticazioni, l'elettricità , giovarono al pai'i de'più fa- migerati rimedj , perchè potrebbe darsi , che anche questi fossero tutti specifici, come specificò si dee te- nere il salasso nelle infiammazioni. Ma sia qui fine alle osservazioni: forse cadrà il destro di ritornar- vi sopra in altra occasione.

; Concludiamo adunque dalle cose finora discorse, chér'se il; Sig. Bufalini non fosse stato mosso da spi- rito' di parte, e dalla smania , che ha grandissima di contraddire, e forse anche di rèndersi particolare , non saróbbesi mai ridotto a negar delle cose, dimostrate ano all' ultima evidenza , ed a stabilir de' principi» che conducono direttamente alla confusione , ed all' errore. Possibile, che non siasi avveduto, che le sue massime tendono a far rivoluzione in medicina, e ro-

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vesciano egualmente le dottrine de'moderni , cui mi- rava con tanto ardore, e gl'insegnamenti degli anti" chi, di cui si mostra tanto ligio ! Che ha egli fatto con tanto sottili speculazioni , e tanto ricercati argo- menti P Si è dipartito da quella osservazione , e da quella esperienza, dalle quali pareva non volersi di- lungare giammai; e quindi si è veduto costretto a rinunziare a de'principj ovvj , facili, generalmente ri- cevuti da' medici , per tener dietro a delle cose mol- te volte solamente possibili, bene spesso difficili a di- mostrarsi , e sempre astruse , ricercate , particolari. E fosse almeno più felice dagli altri nell' applicare i suoi principj a^a pitica! Ma qui appunto è dove incontra ostacoli insuperabili, e difficolta senza nu- mero, Dichiarate in fatti le funzioni de'corpi vivi ap- parenti, ed incapaci a disvelarci l'azione delle cose esterne; fermato che mai non puossi argomentare dal- le cause agli effetti, quando questi non derivano ini* mediatamente da quelle; escluso dalla materia medi- ca l'argomento di analogia ; stabilito , che quante im- maginar si possono malattie nel corpo umano, sono un processo specifico di cambiata mistione orga~ nica, e che quindi quanti rimedj adoperar si posso- no .nelle medesime riguardar si debbono come speci- fici ; qual criterio potrà guidare il medico nella pra- tica ? Io scrissi altra volta (i) che le massime del sig. Bufalini conducevano al più sfrenato empirismo; e perchè di cotesta proposizione non diedi tutte quel- le prove, che avrei potuto, vi fu qualcuno che non ne parve interamente convinto. Ma se egli avesse pon- derato bene la cosa, avrebbe meco veduto , che tali

(1) Ved. la mia analisi citata nel giorn. arcad. fascio, di gennajo 1824» Pa§* '3*

Teohie MGD1CHK 1 l\J

massime conducono all'empirismo se si riguardino in rapporto colle cagioni morbose , perchè ad ognuna di queste competono facoltà proprie di agire, e tutt' affatto particolari , e perchè ogni individuo , ogni età, ogni sesso, ogni fibra insomma risente diversa impressione dalla stessa stessissima potenza morbosa. All'empirismo conducono, avuto riguardo ai sinto- mi delle malattie , perchè qualunque agente mor- boso deve suscitare particolari fenomeni e sintomi ; ed ogni individuo, ogni organo, ogni sistema deve avere sintomi proprj , e particolari. AH' empirismo in fine conducono , se si consideri la natura de'mor- bi , perciocché, anche ove sono pregresse le stes- se cagioni, ne deve nascere una malattia, non co- mune ad altri individui, ad altri organi, ad altri sistemi, ma deve ««ere particolare, e specifi- ca di quello solo , che è. stato preso di mira dalla potenza morbosa. Quindi , secondo la logica , ed i principi del Bufaìini , chi dal sapere, che un da- to agente ( puta l'umido , e il freddo ) produsse in un soggetto l'infiammazione de'polmoni , potrà as- serire , che altri individui posti nelle medesime cir- costanze dovranno correre la stessa sorte ? Chi da somiglianza di sintomi potrà mai dichiarar somiglian- za, non dirò di diatesi , ma neppure di forma di malattie ? E , quel che più monta , chi dall' aver giovato in un caso un rimedio sarà cosi ardito da somministrarlo in altro caso simile , finché non l'ab- bia esperimentato nel soggetto , a cui si avvisa di prescriverlo ?

Io prego , per quanto so , e posso il lettore a voler seriamente ponderare questi riflessi ; e se per avventura non gli sembrassero veri , mi farà cosa sommamente gradita, dichiarandolo al pubbli-i co in quella guisa, che più gli piace.

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0$ seriazioni chimiche sull% alterazione de* colori nei quadri dipinti a olio.

N.

el N.* 2.0 del giornale intitolato Bullelin des Scien- ces technologiques , Fevrier 1 8u5. , e precisamen- te nell' articolo di esso 5 1, si riporta un'operetta nuo- va ; Considerations sur Valteration des couleicrs dans les tableaux peints a Vhuile par P. Coulier. Brodi. d'une f. Paris 1824? Bachelier.

L'autore parla dell' alterazione che fanno i colo- ri nei quadri dipinti ad olio, crescendo le tinte , per cui vengono a perdere l'armonia, che è sta- ta data, dal pittore. Il sig. Coulier ripetè la causa di questa alterazione dal gas idrogeno solforato sparso nell' atmosfera combinandosi: con i colori, che sono uniti col carbonato di piombo (ossia biac- ca) , e questo succede per l'affinità grande, che ha con la medesima , per cui viene sloggiato l'acido carbonico, formandosi un solfuro di piombo, il di cui .colore è nero; crede di rimediare ad una si- mile,alterazione sostituendo alla biacca un'ossido di piombo t estratto dall' acetito di piombo precipita- to con l'acido muriatico debole.

Sono da stimare moltissimo le premure prese dal sig. Coulier per contribuire al miglioramento di un'arte, che fra le belle, è la più. bella, come anche per rimediare a questo inconveniente con la sostituzione del nuovo bianco di piombo ; ma es- sendo quest' articolo già da me trattato nelle mie osservazioni delle diverse maniere di dipingere ad olio, che sieguono il mio saggio analitico sopra i

Colori a oglio id&

colori, (i) in cui . disco: da.: :aio dal parere del sig; Goulièi", folio il gas: idrogeno solforato possa pro- durrei questo cattivo eiietto , combinandosi coll^ biacca nei quadri dipin.r ad olio ; -'ho '■osservato non essere generale questo accrescimento in tutti i quadri, e molto meno in quelli dipinti a guazzo, dove la biacca regge benissimo senza idivailir ne- ra, non solo nelle tavole e tele, ma anche nei mu- ri, purché vi sia un * corpo sotto di gesso. è veduto qualche volta nascere questo cambiamento d'Ila biacca, quando da mano impenta si è volli- ta acliprare per far dei ritocchi sopra alle pitture fatte a fresco; ma ueppar. questo ' cambiamento si de ve attribuire al gas k[ romeno solforato ;• ma ben- sì alla calce, la quale in for/.a della maggior sua affinità sottrae l'acido -carbonico alla biacca, facen- dola tornare allo stato di un ossido minore', il di cui colore è nero. Ora tornerò io ad esporre il "mio sentimento sull'accrescimento delle ; tinte nei quadri dipinti ad olio , già esposto nelle suddette mie osservazioni. Primieramente questo cambiamento difficilmente si trova nei quadri ad .olio , ;■ -dipinti nel secolo decimo quinto; nominatamente in quelli di fra Bartolomeo , di Raffaello , di Olbe.iis , di Ben- venuto Garofolo , e di Rubens, nei quali le tinte sono rimaste nella loro trasparenza , e freschezza. Si incomincia a vedere questo difetto dalla scuola dei Garacci, e nei pittori posteriori. La causa, che io ho potuto rintracciarne si è l'abuso ; dell' olio ; e dove se n'è impiegato in maggior copia si ritrova l'accrescimento e l'alterazione suddetta. Ciò si spie-

(1) Roma i8i3 - juesso Lino Conledini , in 8. e rislamjjato dal fneùetumo nel ìSiò.

i(5o Scienze

ga benissimo, sapendosi per mezzo dell' analisi chi- mica , che l'olio è composto di carbonio , e d'idro- geno , il quale viene messo in evaporazione dal calo- rico , per cui fa restare l'olio in uno stato quasi

di resina ; questo poi in forza dell' ossigeno , o som- ministrato dai colori medesimi, o assorbito dall' at- mosfera , col concorso dell' azione anche della luce ? viene a soffrire una lentissima combustione , per cui resta sul dipinto una velatura carbonosa.

Fa d'uopo ora che rinnuovi le mie dimostrazio-t ni del perchè la maggior parte dei quadri del cin- quecento sieno esenti da questo accrescimento di tin- ta. Primieramente le loro imprimiture , tanto nelle tavole, quanto nelle tele, erano a guazzo , fatte con gesso e colla; ed acciocché non crepassero le tele, nel- la colla forse vi avranno posto un poco di mele ; quin- di vi passavano sopra una mano di colore ad olio composta di biacca , ed un poco di minio , o altro colore in piccolissima dose. I loro abbozzi erano chia<- rissimi e molto condotti: indi li ricoprivano, ed il tut- to si terminava in seguito a forza di velatura , e generalmente nei colori ad olio univano una verni- ce di mastice ; cosa che faceva si , che i colori si seccassero più presto , restando in questa maniera più fissi nella loro bellezza. I pittori posteriori , tanto a tempo della scuola dei Garacci, quanto quelli che vennero dopo , presero l'uso di far le tele com- ponendo l'imprimitura con olio e terre assorbenti , unendovi anche la terra rossa, e della creta, per cui venivano le tele di un color di carne scuro, e dell' olio ne restava assorbita una gran copia. Anche il metodo di dipingere si vede , che era molto diver- so dai primi , ricuoprendo questi ultimi d'impasto anche gli scuri , tanto delle carnagioni , quanto dei panni , unendoci anche dell' olio cotto. In questo

Colori a olio i6i

metodo di dipingere soffrendo la decomposizione tanto l'olio dell'imprimitura, quanto l'olio cotto dei soprapposti colori di corpo, il carbonio ilell' olio veniva a vincere il chiaro delle mezze tinte, per cui i quadri sono restati fuor di tono, non facen- do vedere che i primi chiari e gli oscuri. Da que- ste mie poche osservazioni , già fatte negli anni scorsi , e dettatemi dall' amore che io nutro per la beli' arte del dipingere , le quali fin da quell' epo- ca ebbero l'approvazione degli artisti , spero di ave- re anche ora sufficientemente dimostrata la vera causa dell' accrescimento dei colori nei quadri ad olio , ed i mezzi per evitare questo inconveniente, i quali certamente si ottengono seguitando la pratica tenu- ta dai pittori del secolo decimoquinto.

Lorenzo Marcvcci

accademia gioenia di scienze naturali, fondata in Catania Vanno i8a4«

olti amatori e coltivatori delle naturali scienze considerando quanto onore derivar potesse a Cata- nia non solo, ma alla Sicilia tutta , dalla istituzio- ne d'una scientifica unione di dotti uomini rivolti precipuamente a coltivare, e promuovere le natu- rali scienze in una terra quale è quella tanto in- teressante per questo ramo dell' umano sapere , ed in singoiar guisa per il maestoso, e rinomato mon- te Etna, pensarono di erigger la novella accademia, a cui diedero il titolo di Gioenia per onorare la me- moria del cav. Giuseppe Gioeni, nome caro ad ogni G. A. T. XXVIII. ,,

i6a. S e i x n z e-

siciliano x. che tanto; si distinse, e celebre si rese col fondare il suo ricco gabinetto di storia naturale , e col pubblicare la dotta opera della litologia vesuvia- na- Prescrissero inoltre, che l'accademia andrebbe di- visa, in due sezioni, di storia naturale la prima, e di scienze fìsiche la seconda; che quella di storia na- turale si occupasse di tutti gli oggetti che riguar- dano la Sicilia in rapporto ai differenti regni della naturale che la sezione di scienze fisiche avesse per oggetto. le osservazioni meteorologiche, i diversi fe- nomeni dell'Etna, e sue eruzioni, e tutto ciò che ha una diretta influenza sulla fisica costituzione dell'uo- mo. Stabilirono ancora, che tutti gli oggetti di sto- ria naturale venissero raccolti in un gabinetto pro- prio dell'accademia, sotto la direzione di un custode scelto dal numero di trenta socj ordinarj. Fissarono indi gli ufficj dell' accademia, e questi furono , un di- rettore, un vice -direttore, un segretario generale, due altri segretari l'uno della sezione di storia natu- rale, e l'altro della sezione di scienze fìsiche, un di- rettore del gabinetto e suo sostituto , un tesoriere , ed un comitato da sei socj composto, destinato all' am- ministrazione delle finanze, ed alla censura delle ope- re accademiche; delle quali cariche alcune debbono rinnovarsi ogni due anni, ed altre in ogni anno, im- partendosi a pluralità di voti. Formati gli statuti pen- sarono a dar principio alla seduta ordinaria, onde po- tersi ricavare alcuna utilità dalle fatiche dei socj; si eseguì quindi il 16. maggio i8a4* nella gran sala dell' università degli studj la solenne apertura , gior- no nei fasti accademici segnato a gloriosi caratteri, e la cui annuale ricorrenza sarà da analoga cerimonia celebrata.

Il sig. Commendatore F. Cesare Borgia diretto- re dell' accademia aprì la dotta adunanza con un suo

Geologiche osservazioni l63

bel discorso, in cui da prima dimostrò i sensi della comune gratitudine verso il governo , per il permes- so generosamente] donato ; e poscia ai componenti dell' accademia rivoltosi , raccomandò loro la recipro- ca unione, ed il decoro di quella, confortando tutti all'utile impresa di quei lavori, ai quali per comune scopo è diretta, e da' quali la rinomanza del novello istituto dipende.

Poscia il segretario generale professore D. Car- melo Maravigna un suo erudito inaugurale discorso a leggere si fece, provando che la storia della natu- ra costituisce una delle più interessanti e positive parti dell' umano sapere, avvalorando questa idea con l'autorità di Bacone da Verulamio. Segui a di- re come la natura nella estesa catena delle sue pro- duzioni, lasciando molti anelli ascosi a' suoi colti- vatori, e pochissime cause produttrici svelando dei naturali fenomeni, si è fatto l'uomo a supplirvi col formare delle sistematiche classificazioni dall'una par- te e dall' altra , col trasformare la storia della na- tura in scienza , concatenando il tutto colla esistenza di alcuni agenti capaci a servire alla spiega de' fe- nomeni, e degli effetti delle cose naturali; e do- po provato l'interesse della storia, e delle scienze naturali , a dir prese come sorser di tanto in tanto de' sommi uomini nati a beneficio dell'umanità , ed alla protezione delle lettere , sotto il patrocinio de'quali cominciarono ad essere in pregio le scien- ze, ed i loro coltivatori premiati , per cui si vi- dero da prima istituire delle letterarie, e poscia del- le scientifiche società, nelle quali le fatiche riunite <li quei dotti che le componevano, tutte dirette all' incremento dei differenti rami del sapere, di tanto utile risultarono, e di tanta gloria, ed onore.

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tC)£ S C I H N Z X

Queste cose ragionate , utilissimo ritrovamento trovò quello della fondazione di una nuova acca- demia fra noi allo studio delle cose naturali rivolta.

Coronò finalmente il discorso , l'invito allo scam- bievole amore e la espressione di quel voto , per cui ora richiedesi da ciascuno deporre le proprie favorevoli opinioni, non mirandosi che al comune oggetto di cooperare all' ingrandimento della nostra gloria nazionale , scopo lodevolissimo , e degno al certo dell' applauso universale.

Letti quindi gli statuti, si disciolse l'accademia, per riunirsi novellamente alla sua prima seduta or- dinaria , che nel di io. giugno ricorse.

In questa sessione , che si tenne nel gabinetto fisico-chimico della regia università degli studj, luo- go ordinario delle sessioni accademiche, il segreta- rio generale lesse dapprima i verbali contenenti le esposizioni di tutto ciò che fatto si era dall' acca- demia sin dalla sua fondazione , ed il catalogo di trenta socj ordinar] , dei socj onorarj , corrisponden- ti , collaboratori * e degli allievi.

Quindi il comitato a norma degli statuti do- vendo proporre al principio d'ogni anno la mate- ria da doversi a preferenza trattare, avendo inca- ricato perciò una deputazione , questa per organo del socio D. Carlo Gemmellaro espose come il no- stro maestoso vulcano attirar dovrebbe più che ogni altra cosa gli sguardi dell'accademia; e quindi l'es- posizione di un piano di una topografìa dell' Etna fu il soggetto del discorso dei socio sig. Gemmel- laro che i comuni applausi riportò. Appose egli al suo scritto per epigrafe un sentimento del gran can- celliere d'Inghilterra in queste parole rinchiuso »= om- » aia in naturalibus corporibus (quantum fieri potest) numerata, appensa t dim§nsa determinata proponan-

Geologiche osservazioni lC5

» tur. Opera enim meditaraur non speculationis. » Così cominciò a divisare paratamente l'idea di questa grand' opera, che propose per oggetto delle fatiche di tut- ti i socj ordinarj.

In seguito il P. D. Gregorio Barnaba La Via Cassinese segretario della sezione di storia natura- le, e direttore del gabinetto, lesse una sua memo- ria contenente alcune geologiche osservazioni fatte nella contea di Sommatino ; e dopo di avere descrit- ti i minerali che ivi si ritrovano, e gli usi a cui potrebbero adoperarsi, passò ad esporre i fenome- ni accaduti nella solfatara del latifondo detto di Bruca ; e trattenendosi alquanto sopra una nuova cristallizzazione di zolfo da lui cola rinvenuta , che chiama unitaria smussata , chiuse la memoria con indicare le diverse acque minerali che in quel luogo rinvengonsi. Con la lettura di questa memoria si disciolse la prima seduta ordinaria.

E da sperarsi che lo zelo di tutti i socj concor- ra uniformemente alla esecuzione di questo grande progetto ^potendosi fornire così di mano in mano gli opportuni materiali , come lo han fatto il professore Scuderi col suo trattato sui boschi dell' Etna , il Gemmellaro con la vista geologica dell' Etna , il professore Cosentini con la descrizione delle piante dell' Arena di Catania , il principe Manzanelli col trattato suW inaffi amento della piana di Catania con le acque del Simeto, e molti altri lavori, che compariranno al pubblico ne'volumi degli atti acca- demici , di cui il primo bea tosto vedrà la luce, e da' quali tanta gloria attendono i loro autori , non meaochè l'accademia Gioenia.

iC5

»■

Geologiche osservazioni fatte né* contorni di Nico- sia dal P. D. Gregorio Barnaba La Via decano Cassinese , e lettore di fdo sofia , segretario dell* accademia Gioenia di scienze naturali per lo ramo di storia naturale , e direttore del gabi- netto , della Senckenbergiana accademia dei cu- riosi della natura di Frankfurt sul Meno , deli istituto Cosentino , e del reale istituto d'inco- raggiamento di Napoli s. C. , e membro di varie accademie. Dedicate al reverendissimo P. D. Vin- cenzo Bini abate, procurator - generale de' Cas- sinesi , professor di metafisica neW università di Perugia , e socio corrispondente dell' accademia Gioenia di scienze naturali ecc.

I

ricominciando ad osservare la geologia di Sicilia de- scrissi primamente i contorni di Galtanissetta in una memoria, che pubblicai colle stampe, e che abbraccia l'estensione di miglia dodici di diametro; poscia eb- bi l'onore di abbozzare i campi di Sommatino , dove trovai quella nuova cristallizzazione di zolfo , che voi con tanta bontà accoglieste. Dopo di quella fati- ca il nostro socio Alessi fece la descrizione fisico - mi- neralogica de' campi Ennensi, che confinano con Cal- tanissetta, e si estendono sino ai confini di Nicosia. Egli è giovevole di continuare la delineazione della Sicula geologia, e d'incatenare il territorio di Nico- sia mia patria a quello dell' Ernia , o sia Casirogio- vanni.

G80I.0GICHB OSSERVAZIONI l6j

Nicosia citta di Sicilia sorta dalle rovine dell* antica Erbita (i) e distante sei miglia circa dal mon- te Artesino, alle falde de'monti Erei, oggi dette Ma- donie , e montagne di Caronia, al grado 35. 3a, di latitudine , e 3a. e 20. di longitudine , supposto il primo meridiano sull'Isola del Ferro. È situata su due alte colline, che sono intieramente occupate dalle abi- tazioni , il fiume Salato la bagna da ponente a mez- zogiorno , e quello di Capizzi per la parte di tramon- tana : entrambe queste branche di fiume vanuo a riu- nirsi al Simeto. Il suo vasto territorio rinomato per la fertilità in grani, vini, olj , ed altri cereali, con- fina a mezzogiorno con quello di Leonforte, a libec- cio coli' Artesino , a ponente con quello di Sperlin- ga, a tramontana col territorio di Capizzi, ed a le- vante collo stato di Nossoria; ed abbraccia l'estensio- ne di quasi sedici miglia di diametro, ed è tutto in- terrotto di balzi, di valli , di monti, di roccie.

La calcaria di transizione da seconda a terza formazione , la marna calcarifera , e l'argilla schi- stosa terziaria detta in quel vernacolo tufo , sono i terreni, che servono di base alle diverse formazio- ni, che ci offrono i contorni di Nicosia. Sono que- sti, che impregnati di acqua nella rigida stagione pro- ducono dappoi stemprandosi quelle terribili frane, che da pertutto si osservano in quel vasto territorio , e che non poche volte han recato danno alle abita- zioni seco loro trascinandole , come chiaramente os- servasi nella così detta Valanca, ove un tempo era la miglior parte della citta , e di cui neppure scor- gesi al presente vestigio alcuno.

La calcaria suddetta di transizione comune- mente di color bigio più o meno carico, e qualche

^

(1) Cluverio lib; 8. Fazello , Arezio, Diodoro Siculo j ecc.

lG8 Scienze

volta grigiastro , o rossiccio , di tessuto granulare , e semicristallino, frattura scagliosa , ed ineguale, so- vente fetida per attrito , ed iscevra di corpi ma- rini, dirado mostra qualche nucleo pietroso rap- presentante del corno di Ammone . Scorgesi parti- colarmente a monte Melingilo, detto altrimenti Tim- pone Bianco , ove elevandosi in massi disordinati forma de' dirupi attraversati da lunghi crepacci. Alla Perciata poi forma delle elevazioni indipendenti, con- servando la stessa geognostica situazione; allo Spe- rone, alle Portette, al Molino nuovo, ed a Malper- tuso confusamente stratificata appare subordinata agli strati di gesso , e somministra molte bellissime va- rietà di marmi di varj colori, alcuni dei quali pos- sono vedersi posti in opera nella fontana della piaz- za del duomo. Questa calcaria non riesce bianca pella calcinazione, e forma cattiva malta per mu- rare, quante volte per imperizia de' lavoratori è me- scolata all' arenaria argillosa.

Alla formazione di cui si parla appartiene la pietra serena Gruavacchia di color bigio azzurri- no , ma giallognolo alla superficie de' massi , la qua- le posando sempre sull' anzidetta calcaria notasi par- ticolarmente nell' elevazioni del Castello , e di Roc- ca pavida a'eonfini dell'abitato, e sulle montagne di San Martino , e di Grafagno , di Giumenta, e di Campanito , ove costituisce dirupate scogliere a punte, ed a scheggioni frastagliate, o pure mostra- si in banchi inclinati , divisi da grandi fenditure verticali. Varia è grossezza de'suoi elementi, ed liavvene di quella , che somiglia ad una breccia piut- tosto, come ben si vede al Fiumetto, a Pietra longa, poi alle Incrociate; e nella valanga cavasi una va- rietà di questa roccia , la quale di grana finissi- ma, scarsa essendo di parti quarzose , ed abbon-

Geologiche osservazioni i6q

dante di cemento argilloso, adopràsi come pietra da scarpello , impiegandosi con vantaggio in molti la- vori.

Ma le roccie, che principalmente dominano ne'con- torni di Nicosia , appartengono al periodo terziario- La calcaria marnosa di questa formazione è quasi orizontale, o leggiermente inclinata; gli strati non sono di molta potenza : ve ne ha della spessezza di dieci piedi, sino a quattro linee ; il suo colo- re è cinericio nel mezzo , e giallognolo alla super- ficie : questi strati poi alternano con piccioli stra- ticelli di selenite a minuta cristallizzazione , e di zolfo compatto. Per lunga catena di montagne si estende questa calcaria, e vedesi a bella prima nelle colline di s. Giova/mi subordinata ad un'arenaria di color rosso , moltissimo abbondante di cemento argilloso ; indi attraversa indipendente le montagne della Perriera , interrotta dalle valli della Paca , e di Canalotto mostrasi nella montagna del Romito, del doppiere ) e delle Muccìareìle, e siegue a ma- nifestarsi per tutte le Favare , mostrando alla base di queste montagne di quando in quando il terre- no marnoso. Grande spettacolo fornisce all' occhio dell' osservatore vasta formazione ; la quale pre- sentando dapprima un'aspetto inclinato, a poco a po- co va a terminare oiizontalmente; alla Perriera poi presenta per tutta l'immensa valle del fiume Salso la stessa giacitura, e lo stess' ordine di [stratificazione. Scorgesi solamente di quando in quando qualche am- masso subordinato di calcaria quarzifera , che scin- tilla percossa dall'acciarino, e che chiamano quei la- voratori Pietra s. Petrigna. Adopràsi con vantag- gio la calcaria anzidetta per tutti quanti i lavori architettonici: servono gli strati di maggior potenza per colonne, cancelli, ed opre di scarpellini , quei di

ÌJO SCIKMTZB

minor spessezza dette cola baiarteli* per gradinate f lastricati, ed altri usi analoghi. Per mezzo della cal- cinazione se ne ottiene ìmona malta per murare, ma di nessuna bianchezza.

Alla stessa epoca appartiene l'arenaria, che si scorge per tutta quanta l'estensione di quel vasto ter- ritorio , ora rossa , ora bianco - grigiastra , ed ora screziata di cemento ordinariamente argilloso; subor- dinata alla marna, ed all' argilla di più antica for- mazione, è regolarmente stratificata, la tessitura mo- stra una grana cristallina, ed è di tal durezza dota- ta, che costituisce una pietra abbastanza solida on- de essere adoperata nella costruzione de' più grandi edificj. Vedesi qualche volta conglomerare indistinta- mente ciottoli di terreni di transizione , come si os- serva alla Tina del Drago, e nel latifondo del Croto. Bianca e di frattura squamosa è quella di s. Anna e di monte Oliveto. Di color bigio azzurrino sono le roccie di Ragomiera, di s. Basile, di s. Marco, di Mercadante , e di Piemartino. Nel vivo di queste roc- cie di qualunque natura si siano trovansi incavate mol- tissime grotte , che servono di abituro a' contadini ; ed in alcune si osservano degli antichi sepolcri.

Si riferiscono alla medesima formazione quegl1 im- mensi strati di argilla schistosa bituminifera alterna con altra argilla schistosa giallastra, la quale appare a bella prima nella palanca dietro la chiesa di s. Mi- chele, e si estende per mezzo miglio circa. Havvi aZ«- farana un altro di questi strati , che continua per più miglia; lo stesso si scorge nel latifondo del Ca- sale ; ma nella valle del Soccorso lo schisto argilloso bituminifero, contenendo altri terreni subordinati co- me la marna calcarifera terrosa , e l'arenaria bigia comune , forma un' alta elevazione , ove nel 1812 per lo idrogeno infiammato acceso un tale combu*

Gkologichb osservazioni *7*

stibile, tramandò per lo spazio di tre mesi un fumo proporzionato , formando un falso Vulcano, il quale in parte cosse ed in parte fuse gli strati, che erano più vicini al focolare, senza distaccarli, e senza alterarne la positura.

Continua l'anzidetta formazione col gesso, il quale ora di color Ligio , ora carniccio , ed ora bianco di neve, somministra l'alabastro gessoso che potrebbe sostituirsi a quello di Volterra ne'lavori di lusso, for- ma monticelli isolati a Val di Noraf al fiume Salso, ed al Gambero , ne' quali luoghi sempre alterna con la marna azzurrina giallastra. Nel latifondo poi di Malpertuso alla Salina, e per tutte quante quelle col- line trovasi in istrati regolari, e qualche volta a fer- ro di lancia cristallizzato. Da' luoghi indicati cava- si il gesso per le fornaci , il quale riesce bianchis- simo pella calcinazione , e con vantaggio si adope- ra nella costruzione , ed interior decoramento delle abitazioni.

In tutte queste località appare lo zolfo dispo- sto a sottili strati nella marna azzurrina , in que* luoghi ove le acque decorrenti si hanno aperto qual- che nuovo letto vicino agli ammassi di gesso ; e questo ancora tal volta più o meno cristallizzato , e di color bigio , racchiude qualche strato di zolfo.

Contiguo al gesso trovasi il sale marino fos- sile, che cavasi in abbondanza nella valle della Sali- na , ove alla profondita di quaranta piedi trovasi disposto nell'argilla cenericcia scura in istrati di molta potenza; il quale è così omogeneo che non si altera al contatto dell'aria, e può conservarsi sem- pre asciutto senza particolari cautele , il che de- riva dall' essere scevro di muriati deliquescenti di magnesia, e di calce, che si trovano in quello dell' altre saline.

ì^a à e i b a z e

L'ambra di varj colori, ed in pezzi di buona mole incontrasi ne' banchi di argilla , e di marna. Cavasi parimenti l'asfalto , o come dicesi volgar- mente bitume giudaico , e sopra d' ogni altro nel!.' argilla schistosa bituminifera del Soccorso.

Le argille poi che ottimamente adopransi nella costruzione di tutti quanti i fìguli lavori si cava- no principalmente ne'prati comunali à'Ittria, di Giar- dinello , di s. Paolo , e di monte Oliveto; vi sono ancora delle argille disseminate di pirite marziale di color giallo di ottone, cristallizzata in forma cu- bica ed ottaedra , le quali trovansi in abbondanza al passo di Castrogiovanni , ed a j. Lucia , siccome trovansi le cennate argille in massi reniformi con ossido di ferro.

Havvi pure l'argilla smettica a s. Giacomo , Cirata , Rocca Scino, palanche di s. Anna, e nella valle di s. Elia , la quale serve in quel paese per terra da folo.

Tali sono le diverse formazioni, e le roccie che si osservano ne' contorni di Nicosia. Oltre alle ar- gille, ed alle marne, che ne costituiscono la mas- sa prineipale , la calcaria di transizione da seconda a terza formazione, la gruavacchia , l'arenaria terzia- ria, il gesso, lo zolfo, il sale marino fossile, l'am- bra, l'asfalto, e l'ocra gialla d'ossido di ferro, so- no comprese in tutto quel vasto territorio. Si rin- vengono di quando in quando ciottoloni isolati di terreni primordiali , come di granito , di gneis, e di schisto micaceo ; ma questi certamente traspor- tati furono nelle grandi inondazioni , dapoichè in quelle vicinanze non havvi luogo alcuno d'onde pos- sa congetturarsi essere stati divelti.

Le acque minerali finalmente sono analoghe a'ter- reni da'quali scaturiscono. Salse sona tutte quante

Gbologichi osservazioni 1^3

le sorgenti della Salina , e parimenti quelle del fiu- me che le passa da vicino. Selenitose le acque di Valdinora , e di Malpertuso ; ferruginose sono le fontane della Ramosa e della Castagna, e sulfuro* se finalmente le due sorgenti l'una di S. Giovanni vicino alla Perriera, e l'altra della Pece al Cana- lutto, cosi detta perchè assieme all'acqua sgorga del petrolio ; le quali sono state sperimentate utilissime per malattie cutanee. Son queste due sorgenti a Cui gli antichi scrittori delle cose siciliane oltre al sa- pore di latte, attribuirono molte altre qualità medi- cinali.

Una picciola Macaluba havvi nel latifondo di S. Silvestro, la quale è nei terreni marnosi pregni di acqua salsa , e solleva de'cumuli di forma conica, dal cui centro esce l'acqua gorgogliando, ed il fan-i go ; quest'eruzioni durano per tutto l'inverno, è ri- mangono affatto secche nella calda stagione.

A queste mie deboli osservazioni ho aggiunto i minerali di propria mano svelti da'massi che -ho" de- scritti, e che voi Socj rispettabilissimi, potete me- glio colla chimica scandagliare. Una sola cosa degna di osservazione, io soggiungo; che in tutto il trat- to , che ho descritto, non mi è toccato di trovare veruna conchiolite, o pietrificazione di Corpi mari- ni , di cui tanto abbonda la Sicilia , e le istesse roccie contigue al territorio , di cui vi ho tenuto discorso.

Lette nella seduta ordinaria di marzo i8a5; ed-estrat- te dal secondo volume degli atti dell' Accademia Gioenia di scienze naturali.

i

'7*

Sopra una eruzione fangosa di un Vulcano Idro-Argilloso della Sicilia» i i ; 1 o |

I, . .. 1 P. D, Gregorio Barnaba La Via Cassinese, di- stinto Cultore . delle scienze naturali, ha pubblicato una descrizione geologico - mineralogica de1 contorni di Caltanissetta citta di Sicilia. E ben gli stiessi con- torni (limitati da un raggio di circa 6 miglia in- torno' all' abitato) metitaVa'no tutte le dotte cure dell' Autore v se come egli medesimo scrive, oltre all'essere? aaienissime .per '. pittoriche vedute i, ridon- dano ancora-Idi preziosi doni naturali, riunendo qua- si in un soli punto : quanto havvi disperso in tut- ta la Sioiliai; ;,e se ' non "ostante furono sinor tra- scurati; da' naturalisti che percorsero questuo paese. L'autore ne descrive rocce; di transizione, non che altre appartenenti al secondario ,., e terziàrio periodo, notando,-. a.ttetatamente or le ^ sostanze che vi si rin- vengono utili ;àll'arte;y siecome le argille figuline, il gesso, llp zolfo, or Quelle che ponno agli usi me- dici servine , siccome le mólte acque minerali, op- pure agli; usi . economici , siccojne il sai comune, ec. Won lascia; poi di avvertire quanto spetta alla par- te filosofica delle scienze naturali, come per esempio le due emanazioni di gas idrogeno, l'una nelle va- langhe' , afilla Palomba , di poco momento poiché estinguesiL ne' grandi calori , e l'altra di Terrapilata a levante meritevole invece di particolare atten- zione, che ad essa stimiamo non importuno il consa- crare in gran parte questo medesimo articolo.

Geologiche osservazioni *7^

Il Vulcano di Terrapilata poco dissimile ' nel- le sue emanazioni gasose dalla famosa Maealubba di Girgenti, sempre in azione anche ne'massimi calo- ri di 29 5. di Reauinur, innalza colle sue fangose eruzioni de'piccioli e numerosi coni , dal cui centro gorgogliando sorgono 1' acque salse, il fango, ed il gas idrogeno.

Il circostante terreno e tanto arido, e tanto sterile, che non presenta vegetazione alcuna, dónde ha tratto il predetto suo nome. Seppe l'autore da non incolte persone del paese, che ogni qualvolta la Si- cilia soffriva forti scosse di terremoto , si apriva co- la una fenditura nel terreno ,. da due a più pollici di larghezza , la quale intersecando il. paese andava a finire sotto il convento della Grazia , distante più di due miglia dal suddetto Vulcano; ed ai ciò si attribnisce il vantaggio di non aver sofferto Galta- nissetta in epoca alcuna gli effetti di un si terribile fenomeno. Si presentò all'autóre una favorevole oc^ casione di osservare egli stesso il fatto di icui si fa cenno; ed ecco la sua relazione., A rischiarimento di quarito erami stato assicurato sul fenomeno , che appariva in Caltanissetta ogni volta , che la Sicilia soffriva forti scosse di terremoto; uscita,. appena dai torchi . la cennata memoria ,. mi si è ofìerta l'occasione di osservarlo da per me stesso. *, Il giorno 5. di marzo del i8a3 alle ore 5 e a5- pomeridiane , spirando il vento da tramontana a forti ed interrotti turbini , il cielo essendo sereno, poche nuvole dense a lunghe striscie acuminate ap- parivano all'occidente; era la temperatura ^t.9 di Reaumur, cinque scosse di terremoto si sono suc- cedute in 9. secondi da sirocco a maestro » succus- soria la prima, ondulatorie le altre, senza avere ar- recato danno alcuno alle fabbriche. ,

I7G SCIIHSI

Portatomi tosto al Vulcano idro-argilloso di Terrapilata , in compagnia del sig. Duca di Villaro- sa<V e d'altre colte persone del paese, abbiamo rin- venuto die tutta quella elevazione erasi in molte fenditure divisa, da 10 pollici parigini ad un pie- de e mezzo di larghezza , che si erano aumentati . copiosamente i Vulcani, e che lungi dal gorgogliar acqua, creta, e gas-idrogeno, come per lo innan- zi, lanciavano alcuni alla distanza di 7. piedi so- lo fango, e gas; altrì-a guisa di racchiuso vento ci- golando soffiavano solo idrogeno , ed altri ancora sprofondati da 5. piedi, lasciando un vuoto d'un piede circa di diametro * vibravano da tale profon- dità He loro eruzioni.

' Appressato avendo una fiaccola ad uno di que- sti sibilanti coni, elevossi immantinenti una fiamma azzurra di 5 piedi, la quale sarebbe a lungo du- rata;, se l'impeto del vento che da ponènte spirava non sopraggiungeva ad estinguerla.

E finalmente^ abbiamo bene annotato la solita fenditura, quale m'era stata da prima' indicata, che partendo dal maggior -numero de?mentovati Vulca- ni alla larghezza d'un piede e mezzo, intersecan- do la valle così detta dello Scopatore, e le falde dèlia montagna di S. Anna a 4- pollici , tagliava il quartiere di Piedigrotta, saliva fino alla chiesa di S. Flavia a i5. linee, e traversando il convento della Grazia insensibilmente andava a terminare vi- cino alla chiesa di $. Petronilla.

Dopo, cinque giorni di Veemenza, che hanno costantemente conservata questi vulcani, le eruzio- ni si sono dappoi a poco a poco minorate, e re- stituite nel loro Stato naturale, quali erano per lo addietro', e quali furono da me pria del fenome* no osservate. »

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LETTERATURA

'Della mitologìa scandinava, e degli scaldi , disser- tazione delV abate Giovanni Batista Bruni. Bo- logna. Tipografia Bortolotti , e Felcini 1824.

Noi molte finzioni ordir sappiamo Simili al vero : e sappiam dir pur anco , Se talento ne vieti , cose veraci.

( Le muse nella teogonia di Esiodo )

I

1 chiarissimo autore, dopo di avere accennata l'ori- gine de'Celti , che venuti dall' Asia a popolare l'Euro- pa, formarono più nazioni, fra le quali la scandina- va, toglie a dimostrare,, che mentre gli scaldi nel medio evo {poeti scandinavi} resero famose co'lo- ro versi le gelide contrade della Danimarca , della Svezia e della Norvegia, tramandarono a'nostri an- tenati nella loro mitologia le splendide finzioni del- la romanzesca epopeja , onde si abbella cotanto la moderna italica letteratura (pag. 5 ). Di che ta- sto si deduce che l'A. prende a ragionare di quelle romanzesche iìnzioni soltanto prese dagli scaldi , che si giovavano dell* amore per incoraggiare gli uomini ad alte imprese r e cangiavanli in eroi. Di tale fin- zione in fatto, e non d'altra, si abbella l'italica poesia.

G.A.T.XXV11. 12

478 I|I I TgRAT UH A

La dissertazione è divisa in otto capitoli. Parla* si nel primo del carattere, della religione, degli usi de'Celti, a'quali appartengono gli scandinavi. Nel se- condo della mitologia di questi. Nel terzo della scan* dinavia occupata da uno straniero conquistatore, ed eretta in monarchia, donde ebbero origine gli scaldi. Nel quarto della origine della mitologia scandinava, e del carattere degli scandinavi. Nel quinto delle ru- ne scandinave, e del loro uso negli incantesimi. Nel sesto della origine scandinava, e germanica della ca- valleria militare antica. Nel settimo de' poeti italia- ni, e de' romanzieri bretoni, e francesi, che fecero ser* yire la mitologia celto - scandinava alla formazione della poesia epico - romanzesca. Neil1 ottavo dell' idio-. ma scandinavo, e dello stile degli scaldi. Alla disser-. tazione da compimento un saggio di scaldiche poesie. L'A. adunque innanzi di por mano all' opera si trattiene alquanto a ragionare del carattere , della religione, e degli usi de'celti, e delle loro colonie, che presero stanza nelle parti settentrionali dell'Euro- pa, al nord del Danubio , di la del mar Eusino . Era-- no cotesti popoli ( così egli alla pag. 6. ) fuor di misura inchinevoli alla guerra; pugnavano con fu^ ,, rore , e assai di rado si rattenevano sul campo di battaglia dall' uccidere il nemico. Rispondevano col duello alla inesplicabile accusa di codardia , il qua- ,, le insulto , secondo i loro costumi , non potea essere cancellato se non col sangue. Il vile , e il maftcatore di fede erano aibuttati dalle pub- •$, Litiche ragunanze. Per lunga stagione condussero vita nomada , trasportando sui carri le loro fa- miglie. Tenevano a vile l'agricoltura, di cui pe- vedutone in seguito il bisogno ne abbando- narono il laborioso esercizio agli schiavi , e alle donne.

Mitologia scandinava 179

Formavano pertanto i Celti dapprima un popo- lo soltanto guerriero., e coraggioso, mantenitore del- la parola , e disprezzator delle donne, se le po- sero in camerata cogli schiavi al laborioso lavoro della terra, che per essere a noi liberale de'suoi frutti ha bisogno sempre della umana fatica. Vuol qui no- tarsi il giustissimo castigo stabilito dai Celti a tutti coloro che attenuto non avessero la data fede , di allontanarli dalle loro adunanze. Donde appare es- sere antico l'uso della scomunica , che per antichis- simo poi si manifesta dall' editto di Edipo re nella tragedia di Sofocle.

Sparsi che furono i Celti per le regioni europee , alcune colonie presero il nome delle terre occupa- te, ed altre lo unirono al loro., come i Celto-Scan- dinavi, i Celtó-Titani, i Celto-^Galli: In progres- so di tempo ogni colonia intenta naturalmente a procurare la ■■ prosperità nel proprio paese, vide es- sere necessario di dividere fra se gli uffizj in modo che una parte fosse pronta sempre a difendere coll'ar- mi alla mano la propria terra -, e l'altre ad assicura- re la quieta interna : il che nou si ottiene se non per mezzo della religione , e delle scienze insinua- te da uomini d'integrità fomiti , e di dottrina, come furono i Cureti appo i I ' Celto-Titafii , ed i Druidi appo, i Celto-Galli,'i quali oltre ad essere applicati ai misteri di religione,, ed alia investiga- zione delle cose naturali, educava.no la gioventù. Nel che qua! modo tenessero, e per. quali scienze inse- gnassero , niuno presumer potrebbe di esporre più acconciamente di Giulio Cesare ( De Bello Gali* L. 6. Cap. i4») ■>■> Pruides a bello abesse consue- verunt, neque tributa una cum reliquis pendu.nt|;mi- litiae vacationem omniumque rerum hab.ent 'inumi- nitatem. Tantis excitati pr emiis , et sua sponte

12*

180 Letteratura

multi ia disciplinam conveniunt , et a propinquis parentibusque mittuntur : magnum ibi numerimi versuum ediscere dicuntur. Itaque nonnulli annos vicenos in disciplina permanent ; neque fas esse existimant , ea literis mandare, quum in reliquis fere rebus publicis , privatisque rationibus grae- cis literis utantur. Id mihi duabus de causis insti- tuisse videntur; quod neque in vulgus discipli- nam efferri velint, neque eos, qui discunt, literis confisos, minus memoriae studere: quod fere ple- risque accidit, ut preesidio literarum, diligentiam in perdiscendo , ac memoriam remittaht. In primis hoc volunt persuadere : non interire animas, sed ad alias regiones migrare; atque hoc maxime ad virtu- tem excitari putant,metu mortis neglecto. Multa prre- terea de sideribas, atque eorum motu, de mundi, ac terrarum magnitudine, de rerum natura, de deo- rum immortalimi! vi ac potestate disputant , et juventuti tradunt.

È impossibile il leggere tratti simili a questo, e non digredire alquanto per dedurne i°. Che fino dal tempo dei Druidi era in grande osservanza l'immu- nità personale, e reale accordata ai ministri della religione , ai quali però permesso non era il distrar- si in faccende che il culto divina, o la educazione de'giovani non riguardassero. 2°. Che meglio assai è l'apparare a mente le massime di religione , di mo- rale, e di politica, che mendicarle all'uopo dai li- bri. 3°. Che quando il governo è in mano di uomi- ni che alla dottrina accoppino la integrità , si ottiene più agevolmente il buon ordine sociale , e l'obbe- dienza alle leggi , il volgo sia della scienza igna- ro. 4°« Che si disputava degli astri , della grandez- za della terra, degli attributi degli dei, e si ere-

Mitologia scandinava 181

deva Pimmortalita delle anime , e falsamente la per- petua loro trasmigrazione.

Que' Celti , i quali , come e detto , venuti ad abitare le terre settentrionali delllEuropa e il Nord del Danubio, presero il nome di Cimbri, o di Ci- inerii, s'inoltrarono nella Germania, e precisamente nel Krrs/meso, appellato perciò Kersonesu-Cimbrico. Di la mossero verso l'Italia; ma furono disfatti da C; Mario u3 anni avanti la nostra era volgare. Gli avanzi si ritirarono di uuovo fra i boschi, e le paludi della nativa penisola chiamata Scandinavia, dove rimasero sinché bellicoso popolo straniero \i s'introdusse , guidato da prode capitano per nome Oden, il quale erettovisi in monarca, fece grandis- simi cambiamenti nel governo, nel culto, ne'costu- mi, e v'introdusse le rune, che è quanto dire i caratteri magici, noti soltanto, e adoperati dagl'in- struiti ne' misterii della religione, e dagli ottimati della nazione. All'arrivo di Pompeo nella Scizia, e verso il Tanai per inseguire Mitridate re del Pon- to , si pose alla testa di varii popoli, e li consi- gliò ad emigrare con esso lui, dapoichè il valoroso Birehista principe dei Geti cadde estinto sotto il fer- ro di sudditi ribelli. Non avvi prova che ci assi- curi di qual nazione fosse Oden. Opina il dottis- simo Bayer, ch'egli fosse il Geta prestigiatore I)e- ceneo, o Ceneo, rammentato da Strabone (Lib. 7.), alla quale opinione, come la più probabile, si attie- ne l'A. Qualunque fosse colui , che recatosi nella pe- nisola Scandinava vi tenne l'impero , egli è incon- trastabile, che fu uomo di grande valore, di men- te elevata, ed eloquentissimo. Accese egli nell'ani- mo de' suoi sudditi 1' amor della gloria per mezzo delle armi; e tale ingerì in essi un disprezzo del- la morte , e de'pericoli , che riputavano onta il pas-

i8» Letteratura.

sare da questa all'altra vita di morte naturale. Per ciò quando o per malattia , o per età temevano di non essere più atti alla guerra, acceleravano la morte ; preferendo il suicidio alla viltà: di che fu esempio lo stesso Oden , il quale diede fine ai suoi giorni colla punta di una lancia. Celebri sono nel- la Svezia, e nella Norvegia le altissime rupi don- de si precipitavano i mentovati scandinavi , e le quali erano tenute in conto di sepolcri gentilizii * dove piombando i mal contenti passavano a ban- chettare lietamente col loro Odino ^ senza recare ai domestici, ed alla parentela quegl'incomodi, e quel- le spese che sono seguaci indivisibili delle lunghe infermità. V. Gothrici et Hrolji Historia. e. i . Hic prosapice scopulus dicitur', quod ibi prosapiam ,, nostrani diminuamus. Omnes nostri majores ibi si- ,, ne morbo obeuntes ad Odinum migrant: ideoque ut parentum nostrorum causa nulla pati gravamina, vel expensas sustinere debeamus , cum beatitudi- nis hujusce locus omnibus nostris majoribus aditu liber fuerit.

Tre mezzi adoperò Oden per ottenere il fine propostosi non pure di togliere il ribrezzo della morte, o di ridurlo alla indifferenza ; foia di ren- derla amabile. Chi ne ha ribrezzo , la fugge : chi è indifferente non le va incontro , e come Pirrone addnee la stessa indifferenza qual ragione di rima- nere in vita. Coloro che amano la morte , sono que' soli che la desiderano , e la cercano. Si valse Oden della ignoranza de'popoli, de' quali era sovra- no a procurarne la felicita , quando non si erano per anche fra essi introdotte le belle arti , e le scienze. La somma estimazione a cui era egli sali- to, e la prepotente sua eloquenza , tanta fede gli

Mitologia scandinava i83

acquistarono da assicurare gli scandinavi quasi fos- se egli una divinità , che accolti sarebbono ad eter- no banchetto que' prodi, che sparso avessero il loro sangue sul campo di battaglia. Per tal guisa Numa Pompilio sottomise alle proprie leggi il rozzo po- polo romano , dopo i notturni suoi colloquii colla Ninfa Egeria. Oden prima di ferirsi a morte as- sicurò i generali, i quali gli facevano corona , ch'egli se ne andava a Godheim nella Scizia a banchet- tare lietamente fra gli dei , dove li attendeva. Le Sue massime per più , e più secoli rimasero infisse nell1 animo degli scandinavi. Valerio Massimo lasciò scritto (Z. 2. C* 3.),, Avara, et foeiieratitia Gallo- *, rum phiiosophia > alacris et fortis cymbrorum , et j, celtiberorum , qua ih acie gaudio exultabant tam- quarti gloriose, et felicitef vita exCessuri , lamen- rt tabantur in morbo, quasi turpiter, et tniserabiìiter ,, perituri. ,,

De' Germani cantò Lucano (Lib. i. tu 4 56.)

regit idem spiritus artus

Orbe alio, longae ( canitis si cognita) vitae Mors media est. Certe populi quos despicit arctos Felices errore suo ! quos ille timorum Maximus haud urget lethi metus; inde ruendi In ferrum mens prona viri»* animaeque capaces Mortis, et igrtavum est rediturae parcere vitae.

•e

L'epicedio di Ragnar Lodbrog re Scaldo , ed uno de* maggiori , e più rapidi conquistatori de'quali par- lano le storie , ne termina la vita di questo modo j giusta la traduzione di Olao Wormio» (Lit* Rurti pi aaa )

i84 Letteratura

Fert animus finire. Invitant me Valkiriae, Quas ex Otkini aula Othinus mihi misit. Laetus cerevisiam cum asis In summa sede bibam. Vitae elapsae sunt horae , Riclens moriar.

Morì Ragnar nel 866 divorato dalle serpi en- tro una fogna, dove fu gettato per comando di El- la re di Berenicia. Che, se egli nello stato orribile di si crudele tormento cantò all' improvviso il me- morato epicedio , e ridendo morì , è d' uopo dire che grande fosse il conforto che gli recava la cer- tezza di passare dalla fogna alla bibita della cele* ste birra versata nel cranio de'nemici ; giusta il co- stume de'Celti ricordato anche da Silio Italico (5. 3.)

At Celtae vacui capitis circumdare gaudent Ossa ( nefas ! ) auro , et mensis ea pocula servant.

Vide Oden che mentre l'uomo aspira all'eterna felicità dell' anima dal corpo disgiunta, non lascia però di desiderare che qui pure rimanga la memoria di lui, e che accertata gli sia anche in vita la feli- cita. Perciò il saggio legislatore provvide al primo desiderio, scegliendo alquanti uomini di sommo in- gegno forniti , e di viva immaginazione , i quali celebrassero in poesia le gesta de' valorosi guerrie- ri, ed alla posterità le tramandassero; e provvide al secondo, richiamando dall'aratro, e dalle glebe le donne. Fu egli il primo ad onorarle inalzando a consigliera di stato la propria moglie Frigga , o sia

MlTotOGIÀ SCANDINAVA. l85

Prega, e seguendone i suggerimenti. E Leu diede- ro le donne a divedere di esser degne de'sommi ono- ri anche militari , se talvolta offerirono coraggiose il petto al nemico; perchè al campo ritornassero le fuggiasche milizie. Che più ? Crebbero elle in tanta estimazione da essere quai numi venerate. Valga per tutte la testimonianza di Tacito. Memoriae pro- ditum* quasdam acies inclinatas jam, et labentes a fseminis restitutas constantia precum, et obiectu pe- ,., ctorum , et monstrata cominus Captivitate , quam longe impatientius faeminarura suarum nomine ti- ment ; adeo ut efficacius obligentur animi civita- tum ■, quibus inter obsides puellae imperantur. Ines- se quin etiam sanclum aliquid , et providum pu- tant : nec aut Consilia earum aspernantur , aut responsa negligUnt. Vidimus sub divo Vespasia- no , Veledam , diu apud plerosque numinis loco habitam. Sed et olim Àuriniam , et compiures alias venerati sunt, non adulatione, nec tamquam face- rent deas.

Chiunque abbia letto le antiche storie del set- tentrione , non ignora che le donne vi rendevano gli oracoli , come in Delfo li rendeva Apollo ; che guarivano malattie più incurabili di quelle , che oggi si curano col purgante di monsieur le Roy ; che le forme cangiavano al pari di Proteo; che ec- citavano tempeste : scatenavano Eolo dalla caverna; viaggiavano per aria senza le ali del padre Lana, e non sostenute dal pallon volante ; e tutto ciò , a dir breve, operavano che ne' secoli dopo si attri- buì alle fate. E chi non sa che presso i greci pu- re le donne pronunciavano oracoli ; che gli ebrei veneravano le pitonesse, e i romani le sibille? Do- po i. tanti onori renduti alle donne che dall'Asia vennero a popolare l'Europa, chi avrebbe detto che

\SC> Letteratura

iiell' Asia fossero tornate ad essere schiave ? Corte Lene ài proposito Thomas (Essai sur le caracthere * tes mceurs , et l'esprit des femmes dans les diffe- rens siecles ) Si l'ori parcourt le pays, et le sie-» a eie, on verrà presque par tout les femmes ado- rèes et opprimèes. j)

anche i legislatori sono stati d'accordo net restringere , o nell' accordar alle donne la liberta ne' contratti. Taluno le ha trattate come i padri di famiglia, ed altri le hanno volute sottoposte a tutela perpetua; il che a molti e sembrato essere un'insulto alla ragione. Io mi attengo al parere di messer Lodovico ch'elle sieno per ugual modo va- lorose che i maschi, ed atte alle scienze, ed alle arti , perche numquam natura novercara induit ,* (Sect. ), checche per invidia, ò per ignoranza sia stato scritto contro di esse»

Le donne antiche hanno mirabil cose Fatto ne l'arme, e ne le sacre muse» E di lor opre belle, e gloriose Gran lume in tutto il mondo si diffuse. Àrpalice* e Camilla son famóse, Perchè in battaglia erano esperte i ed use* Saffo, Corinna, perche' furon dotte Splendono illustri i e mai non veggon notte*

Le donne son venute in eccellenza Di ciascun' arte, ove hanno posto cura ; E qualunque a l'istorie abbia avvertenza* Ne sente ancor la fama non oscura. Se'l mondo n'è gran tempo stato senza T Non però sempre il mal influsuo dura; E forse ascoii han lor debiti onori L'invidia» o il non saper de gli scrittori.

{Ariosto Ori JFìtn C* 30. St* ;* %* )

Mitologia scandinava 183

Convinti gli Scandinavi delle massime inserite ne'loro animi da Oden , ed allettati dai promessi guiderdoni , si recavano lietamente , e col massimo coraggio alle battaglie ; perocché o morivano pu- gnando , e volavano a banchettare per sempre con Oden , e con gli altri dei , e la loro memoria era trasmessa alla posterità, o sopravvivevano alla vitto- ria, ed acquistavano il cuor gentile delle donzelle ri- putate partecipi della divinità , le quali sdegnavano di amare chiunque traesse i giorni oscuri nella iner- zia» Egregiamente Publio Siro i

Est socia mortis vita ingloria.

Essendo abbastanza detto de' Celti, e degli Scan- dinavi quanto alla loro origine, ed ai loro costu- mi; seguita ora di dire della loro mitologia, e de- gli scaldi poeti di grande ingegno forniti, e di fer^ Vida immaginazione. Accaduta la morte di Oden in tanta venerazione quanta dianzi si accennò , fu egli adorato come dio. Il secondo nume scandinavo fu Freya *. o Frigga sua moglie , dea dell' amore, e madre di N'ossa dea della bellezza* Cominciata co- si in cielo la divinila scandinava, vi si aggiunsero ben presto altri dei , a cagion d'esempio 2hor dominatore de' venti, delle piogge, de' fulmini; Niord assomigliato a Nettuno; Balder ad Appollo; Brege dio dell'eloquenza, e della poesia.,, In si fatta teo- gonia ( cosi l'A. a pag. 11.) entravano altresì do- dici Dee maggiori , compresa Frigga *. alle quali aggiunsero gli scaldi altre minori nominale TVaU ,, chirie. Dimoravano quest' ultime nella JVahalla , od eliso de' morti eroi, ove i medesimi si eser- citavano ogni giorno a battagliare, e far rasse- gue di soldati» a tagliarsi vicendevolmente a pez-

188 Letteratura

zi: dopo di che, ricomposte le membra, saliva- no redivivi a cavallo per andare alla mensa di Oden a tracannare in lieta brigata idromele , e birra nel concavo cranio degli uccisi loro ne- ., mici. Di questa favola scandinava si valse il nostro messer Lodovico conferendo al mago Orilo la podestà di tagliarsi le membra, e poi di raccon- ciarle come gli eroi nel Wahalla; o sia nella grande aula destinata ai prodi guerrieri uccisi nelle battaglie.

Più volte l'han smembrato , e non mai morto , per smembrarlo uecider si potea: Che se tagliato o mano , o gamba gli era, La rappiccava che parca di cera.

{Ariosto Ori. Fur. C. i5. St. 6q.)

Gli scaldi non erano mica a guisa del poeta della casa disabitata. Occupavano essi nelle corti dei tre regni settentrionali le prime cariche. V'eb- be tra essi chi strinse lo scettro. Tutti salirono a sommi onori, e molte ricchezze acquistarono. Gran- de fu il loro numero. Se ne contano ne' mentova- ti tre regni 23o , dalla meta del secolo nono sino al- la meta del secolo decimo (Skalatal. in appendice ad litteraturam Runicam Olai Wormii pag. a 4 a.) Erano gli scaldi in tanta venerazione che il loro poetico linguaggio si riputava divino: di tal che chi con esso perdono chiedeva dei loro delitti , otteneva grazia.JÈ celebre il fatto dello scaldo Eigillo Skalla- grim che tratto al supplizio per aver ucciso il figlio di Erico Bledoxe, fu assoluto per aver chiesto gra- zia con versi estemporanei. (Mellet Introduction a l Histoire die Dannemarc, T. i. C. i3. pag. 348. )

Mitologia, scandinava 189

Non cantarono i primi scaldi se non le gene- rose guerriere azioni, le vittorie , le spedizioni na- vali, la genealogia de' loro sovrani, la storia de' loro tempi: ma innalzati che furono dopo morte gli eroi scandinavi alla immortalità, era ben cosa naturale che essendo poeti fervidi , pensassero alle visioni, e ad introdurre commercio tra gli eroi dei cielo, e quelli della terra. Non andò gufcri tempo ch'eglino col pre- sidio delle rune, e di alquante parole, borbottando chiamarono dal mondo di la le anime de* trapassati che il futuro disvelassero. In un carme magico pub- blicato da Tommaso Bartolino (Antiqua. Danicae l. 3. e a. ) si legge che Oden a cavalcione del de* striero Sleipner portossi al ferale ospizio di Hela, cioè della Morte, a turbare jl riposo di una profetes- sa per saper l'avvenire. Di che abbiamo un' esempio non favoloso, ma infallibile nel primo libro dei Re, quando l'acciecato Saulle prese il sacrilego consiglio di consultare il demonio per mezzo di una di quel* le tante Falsadre che dagli. ebrei chiàmaVansi Pi- tonesse d'Endor. Quirite mihi mulierem habentem Pythonem, et vadam ad eam, et sciscitabor per il- lam. È costume degli empj che abbandonati da Dio si rivolgano per eccesso di sciagura al De- monio.

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo.

{Fìrg )

i I .

Due esempii da FA. del potere delle femmine , immaginato uno dall' Ariosto nella Ninfa del lago salvata da Ricciardetto.

Ed ho possanza far cose stupende, E forzar gli elementi , e la natufa.

JQO L « T T F, n A. T v n A

Chiedi tu , quanto il mio valor si estende, Poi lascia a me di satisfarti cura- :

l'altro del Tasso.

Qui s'adunan le streghe, ed il suo vaga Con ciascuna di lor notturno viene : Vien sovra i nembi, & chi d'un fero drago, E chi forma d'un irc'o informo tiene : Concilio infame, ohe fallace immago Suol allettar di desiato Lene, A celebrar con pompe immonde, e rozze I profani conviti, e l'empie nozze.

Crebbe a poco a poco sotto tali auspica la Spirito romanzesco , il quale si aggirava; singolar- mente nelF innesto delle generose militari imprese col fine di acquistare : il cuore di qualche femmi- na, talvolta guerriera essa pure. Fu per 'tal modo che s' introdusse in '. Europa il romanzo composto di guerresche, e di amorose vicende ; e dove l'amo- re serviva di mantice e a rendere smanioso il furo- re ne' combattènti, come dimostra ad evidenza l'A*, ed ognuno può da se vedere confrontando i romanzi di origine scandinava ricordati dall' A. ( pag* 20.) coi romanzi francesi , e con quelli in modo par- ticolare della nostra penisola , dove in tante , e si varie guise, ed in istile quando eroico, quando le- pido »- eroico cantarono imprese cavalleresche con sommo, diletto gli Ariosti, i Tassi, i Tassoni, i For* tiguerri.

Sono alcuni , i quali pensano che de' romanzi inventori fossero gli Arabi; in prova di che cita* no il romanzo di Hai abbandonato da Tal/ai sua madre , che avesse per nutrice una capra, e che di-

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inorando in una perfetta solitudine , tali acquistasi se cognizioni di Dio , e della natura , che pochi il* tri filosofi lo pareggiassero. Qui dunque non v'ha azione alcuna cavalleresca; ne drammatico infreccio , finzione di alcuna guisa. Hai non è elio un'Ara- bo pensatore, il quale coi solo lume della ragione era giunto la, dove altri ebbero bisogno di lungo studio nella scienza.

Il chiarissimo Àndres , grande ammiratore, e a grande ragione dell' arabica letteratura , fa menzione del Donazdeh Rkoh , ossia i dodici prodi, roman*- zo simile a quello dei paladini di Carlo Magno , del viaggio di Salam , pieno di favole romanzesche, e d'ai-* tri riferiti dall' Herbelot. Biblibt. Orientai. ) e dal Casiri (Bibliot, arabico - liispàhica - Escurialensis.)

Ma siccome gli arabi invasero le Spagne qua* si tre secoli dopo che i goti eransi già ivi stabi- liti, condottivi da Ataulfb , poi' da fF'allia; egli è manifesto che gli arabi spagnuólr adottata avevano ■la mitologia scandinava , propagata dai £ofi : il per- chè i soprammentovati romanzi cavallereschi ; ed amorosi, ebbero par modello la mitologia degli scal- di. Abbiano quindi gli arab? il vanto di essere gl'inventori delle fàvole, e delle novelle morali, dif» fuse poscia in Europa col mezzo del favoliere fran- cese , dello Zadig di Voltaire , e de'famosi raccon- ti orientali le mille , eduna, notte, o siano "le no- velle arabe di Monte sqieu, le favole di Pilpai , i racconti orientali comunicatici da Kaylus: ma sa- rò sempre vero che la gloria dell'invenzione de'ro- manzi cavallereschi tutta è degli Scaldi Scandinavi., per le ragioni discorse nella dissertazione.

Sino ai giorni nostri usano gli arabi di trat- tenersi nel racconto di novèlle, e di storie del ge- nere di quelle che si appellano Mille , ed una.

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notte ,, ; di che fanno fede alcuni viaggiatori fra quali Volney {Voyage en Syrie, et en Egypt. tom. i. edit. de Paris. «797. pag. 372). Si radunano v dice egli , gli arabi , e sedendo in terra sulla porta del- le loro tende , stanno da prima pensosi , e poscia all'improvviso comincia alcuno di essi a dire: nfiw- vi nei passati tempi e prosegue raccontando sino alla fine le avventure di Chaieh, e di una don- zella Beduina. Il giovine scoperta appena la fan-* ciulla di nascosto , ne divenne perduto amante. Ave- va questa in fronte occhi neri , e dolci a quelli simili di una gazzella. Era il suo sguardo me- lanconico , ed amoroso. Le sue sopraciglia incurvate come due archi d'ebano. Il suo corpo diritto e pie- ghevole come una lancia. Il suo andare leggero cod- ine quello di giovane cavalla. Le sue pupille anne- rite di kohl. Le sue labbra dipinte di cilestro* Le sue unghie a colore d'oro. Le sue parole soavi co» me il mele. Il giovine Chaik erasi in modo con- sumato per amore , che il suo eorpo non gittava più ombra. Si descrivono in appresso i tentativi di Chaik per vedere la fanciulla, gli ostacoli frapposti dai parenti, il rapimento fattone dagli amici, la schia- vitù dei due amanti, ed altre vicende; dopo le qua- li i due amanti sono ricondotti felicemente alla ten- da paterna.

Giustissima è la deduzione che fa l'A. dalle co- se ragionate alla pagina 17. Per mezzo quinti i ,, della cavalleria migliorarono le civili società, si ammollirono i rubesti costumi dei nobili , pre- sero forza il rispetto pei giuramenti , la co- scienza dei vicendevoli doveri , ed il( senti- mento dell'odore, il quale, a parlare propria- mente , non è che la morale medesima in gior- nea militare, e abbellita di costanza , di amabi-

Mitologia scandinava ir>3

le delicatezza , e di laudevole fanatismo per gloria. Di tal guisa ci venne dalle spiagge del ,, Baltico , e dalle foreste del Nord questo singo- lare sistema , che ha formato in parte i nostri costumi, le nostre civili società, e che ha po- ,, tentemente influito nelle favelle nate dal latino. ,, I nostri maggiori furono presi da maraviglia per le ingegnose finzioni dei romanzieri brettoni , e francesi, pei cavalieri della tavola rotonda di Artu- ro , pei paladini di Carlo Magno, e per le fau- tastiche leggende registrate nella cronaca del pseu- do-Turpino. E da ciò formarono essi l'idea di un nuovo genere di poesia sconosciuto agli antichi, e di una nuova mitologia dissimile affatto dalla cgi- ziana, dalla greca, e dalla Ialina. Dico V epopea romanzesca, la quale discostandosi dallo arclie- tipo tramandatoci da Omero, e da Virgilio , pq- ne in azione tutto quello che è prodotto dalla natura, che è inventato dall'arte, e tutto quello ,, che può essere creato dalla fantasia la più fecou- ,, e la più ardita per comporne nn maraviglioso , ,,, e un hello, che sommamente dilettano, e rendono attoniti, comechè generati dalla off renata intem- peranza di mentire.

Ma per vero dire non è meno giusto il lamen- to del eh. sig. Iacopo Graberg di llempso svedese, che nell'eruditissimo suo saggio istorico degli Scaldi a buona ragione si duole che da noi chiamati sie- no barbari que' popoli , a' quali siamo debitori in gran parte della civiltà.

La dissertazione e nel vero eruditissima. Il eh. A. non perde mai di vista il fine che dapprima si prefisse. Sparge di molta luce fatti avvolti fra le tenebre dell'antichità. Giusta è sempre la sua criti- ca. Questo lavoro in somma è al tutto simile agli G. A. T. XX VII. i'3

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altri dello stesso A. che con tanto piacere si leg- gono inseriti ne'bolognesi opuscoli letterarj.

Mi piace d'imitaie FA. ponendo fine con un* ode della celebre Hervora guerriera del secolo VI figlia d'Angantyr , che nell'isola di Sarasoe chiede alla tomba del padre la magica sua spada. La tra- duzione è deli' A. stesso.

Angantyr, ascolta la mia voce : tua figlia or- fana abbandonata, unico frutto del tuo imeneo, ti chiama ed invoca il tuo ajuto.

Non ama ella che la gloria, e cercandola segue i tuoi passi. Già indossa le armi e imbrac- eia il pesante scudo. Non manca al suo corag- gio che il temuto tuo brando; e questo e l'unico dono-che brama per essere degna di te.

O autore de' giorni miei , qual tristo silenzio ne circonda! Puoi tu chiudere F orecchio a' miei ,, priegbi , il cuore alla natura? Angantyr, già tre fiate t'invoca il mio pianto , e tu sordo sdegni i ,, miei accenti?

Inflessibile ombra, qualunque sia il tuo rigore, ti avvisi in vano di allontanarmi. Mille volte i miei lagni turberanno in questa spiaggia il tuo riposo.

Angantyr, deli! rispondi, e riconosci il tuo sangue. Hervora tua figlia prega, e si affanna. Ah! ti dia pace Oden pel favore che ne concedi.

A tai detti ella sente vacillar d'improvviso il suolo: si spalanca l'avello, e appare all' atterrito suo sguardo pallida larva che prorompe in que- ste voci:

Sconsigliata! il destino vuol punire l'ardita tua dimanda. Ignori come saia funesto alla tua ,, schiatta quel ferro. Esaudisco i tuoi voti , e atlri- stato te lo abbandono.

Mitologia, scnadinava np

Dileguasi lo spettro , e da funesti lampi sono

abbagliate le pupille di Hervora : scoppia il ful-

mitic: nel cavo sasso mugghia, cupo rumore, e

l'eroina cade svenuta. ,,

Ma il vitale alito del mattino ne richiama gli

smarriti spiriti: ella sorge, prende la desiderata-

spada, e lieta scn parte.

Vincenzo Degli Anton j.

s=

Rajmundi Cunichii e societatc lesa epigramma- ta XXIV> , a Francisco Cancellierio collecta.

De Petro Metastasio.

De musices magistra Coccia.

De Antonio Maria SaccJiinio.

De Domini co Ci maro sa.

De Bianca Trigamia.

De Clementina bigamia De rossia.

De P. Ignatio feninio Soc lesa.

De Onuphrio Minzonio.

De Ioanne Gherardo Rossio.

De Peregrino Speranclio Diaconi.

Metastasii tumulus.

Ossa Metastasii lapis lue tegit : lilla poetae Pves nunrjuam eximii carmina dia trget.

Ì3*

igG Letteratura

il.

De eodern.

Urna Metastasium brevis liaec tegit. Assidet urnae, Atque decus raptum flet sibi Melpomene.

in.

Ad eundem. De justis ci solutis in nemore Parrhasio.

Iure, Metastasi, funus tibi triste Gamoenae

Ducunt Parrhasium per nemus Ausonides. Restabat verae nani si pars lilla poesis,

Si quidquam in dulci cannine flexanimum; Si quidquam sapiens, quod menti affandere lucem,

Posset Musaeis implicitae illecebris; Heu '. totum id periit tecum. Vaesana furentum

Nil restat praeter somnia; stultiloquos Nil praeter sonitus , et cassos mente fragorcs ,

Et fucum, et gerris omnia piena mens.

IV.

Ad poetas , De Petro Mctastasio.

Luce sui lieroas perfudit : clarior ipse

Luce sui Petrus fulgurat ingenii. Yatum turba sile : toto ut laudetur in aevo ,

llle uiliil vestris indiget ingeniis.

EPIGtt-4.JW.MI DEL CUNICH tQJ

V.

De eodem , et. de Rufino, B atonia.

Iusta Metastasio nuper ; nunc justa poetae Rufinae Arcadio solvimus in nemore.

Musa dolet gerainam cladem. Quis carmina digne Scribet ? Quis digne carmina scripta canet ?

vi.

De femlna cantre prestantissima Coccia.

Coccia, solerti laudamus mente puellas,

Multiplices potuit discere si qua modos. Unam te attoniti miramur , cui datur uni

Omnigenos alias posse docere modos, Artis et Orphaeae supremum tangere culmen ,

Aetas iloridulae cium tibi Vernat adhuc. Scilicet eximium seris non indiget annis,

Quodque modo aspexit, pervidet ingenium.

vii.

De Antonio Maria Sacchinio.

Saccliinum laudare tuum dum pergis, amice, Carmina et invitis poscere ab Arcadibus ;

Nec pudor est ullus poscendi ac finis; et ipse, Tecum et Sacchinus jam, puto , displicuit.

Sacro parce, precor , cineri; ne tam bonus ille Esse odio per te mortuus incipiat.

ìf)8 Letteratura

VII I.

Ad eundem Sacchìnium.

Magne jaces Sacchine; modi siiuere , morari

Concita qui possent flumlna, Threicii Vincerò qui cantus Orphei , raptamque vocarc

Eurydicen auras non semel ad superas ! IVcc prorsus periere tamen, quos candida servat

Usque sibi aeternis Harmonie frt tabulis ; Undc sibi exemplum saeclis petet omnibus omnis,

Qui cantu scenam, tempia vel exlrilarat.

IX.

De Dominico Cimarosa exploso.

Cimarosa diu placuit ; nunc displicet Urbi.

Urbs levis est ? Artem nescit an ille suam ? Ncscit, quae scribat , nuper tam multa doceri

Ipsa miriflcc visus ab Harmonia ? Urbs levis est; omni magis est Urbs mobilis aura;

Nec stat , judicio sed natat usque suo; Priscaque si dentur, quaerit nova; si nova dentur,

Nauseat , atque iteruni vult sibi prisca dari.

x.

Tumuìus Blancae Ingamiae.

Insolabililer raptam luget donius omnis,

Et questa , assiduis et revocat lacrymis. Inscribi hoc tumulo , satis est. Ingamia Bianca Aetas lune noscat, posterà, quae fuerim.

Epigrammi dbl Cbnich ic)f)

xi.

Ad Clementinam Ingamiam Jìossiam.

Usque puer qui te, ìatuit cium couditus alvo ,

Aerumna miseram perditi it assidua , Effutlit celeri se partii, vixque dolorem,

Nitenti egrediens attulit exiguum; Omnibus et , mire queis cara es Rossia f mira

Gomplevit sospes pectora laetitia. Hoc fatum est homini. Succetlunt grata molestis;

Quos pressit , facili sors levat aequa maini.

XII.

Ad critmenam ab ea perbelle elaboratemi.

Iuppiter liane auro licet impleat usque crumenam , Omni erit haec auro cara cruraena magis,

Quarta mihi Gharitum , multa quam sedula cura Clementina sua texuit ipsa maini.

Cecropiac illa Deae ante omnes dilecta puellas, Ingenio illa Deae par prope Gecropiae.

XII I.

De P. Ignatio frenino , concionem habente de gloria Beatorum.

Ludimur ! An divum patuit penetrale ? Pyropo Cerno urbem, et flavis undique chrysolithis

Fulgentem dare; quam pulchro interluit amai Torrcas, ambrosio dulce flueas latice.

200 Letteratura

Haec illa, haec divum sedes; haec magna bealis

Civibus a magno Numi ne structa domus. Talia jactabam, codi dum regna potenti

Vcninus mire pingeret eloquio. Noe jam audire; mihi sed cernere cuncta videbar ;

Quum subito fari desiit (bora nimis Praepete transierat lapsu brevis): ilicet omnes

Mi penitus loto e pectore laetitiae Exciderunt, animoque elapsa ingentia , quae me

Aequarant sanctis gaudia caelitibus.

xiv.

Ad Romam , de eodem eximio oratore.

Roma, cave, ne si Veninum spreveris > omni

Spemaris, late quam patet, Italia. Namque virum, novitque, omnique ad sydera tollit

Laude •omnis , late quam patet, Italia; Neo sibi vuit scribi eloquio, quam polleat ille,

Sed tu acri, quam sis praedita judicio.

xv.

De ejusdem voce , ut aliqul dictitabant , non admoduni leni, ac modulata*

Quam, Venine , tibi lenis , modulataque sit vox, Multi srepe rogant, queis ego: dispeream,

Si scio , vel memini : tot rerum copia mentem Occupat, atq uc sibi vindicat attonitam,

De modtilis nihil ut quperam, sic, ut rude vulgus , Omnis cui geni ina est sensus in auriculfl.

Epigrammi del Cunicii 201

xvi.

De eodem mirifice de officio coìijugum disserente.

Connubii leges Veninum, et jura docentem, Miransque horrescensque, attonito et similis

Àudivi : et mecum salve , o salve unice , die Orator, cui vel Tullius invideat.

xv 1 1 .

De eodem quum initio a paucis , >sed iis nobilissimis, ciG doctissimis audiretur.

Audiris paucis Rhetor longe optimus: isti Sed pauci sunt pars optima Romulidum ;

Cujus tu laetus conspectu, qurerere mitte Quod cerdo, et fartor fugerit, et lanius.

XVIII.

De eodem , quum desiit concionavi-

Desiit audiri tua vox, Venine; sed alto

Illa mihi penitus pectore fìxa manet. Atque utinam evelli possit ! Nani postmodo quidquid

Audiero , metus est ne male displiceat; Ut qusecumque olim fuerint jucunda palato,

Gustata incipiunt nil sapere ambrosia.

202 LKTTEHATUR*.

XIX.

De Onuphrio Minzonio sacro oratore.

Pars culpat, pars te lauclat , Minzone, Quiritum: Sed quee te culpat, pars acleo exigu'à est,

Parva, minuta , levis; dicara hoc ut jure, Quiritum Omni laudaris mirifice a populo.

xx.

De eodem.

;

Minzonum dicis "tantum,1 Corvine, doccre:

Id fieri . quanam possit , ego band video. Non etenim ludicra docet, nec inania rerum;

Veruni aeterna nomini pendeat unde sa'lus. Quidnam servatimi coelo queat addere, quidnani

Neglectum, horrendis m ergere suppliciis. Huec quicuraque docet , non menti lumina tantum

Praefert; cor penitum'spe ciet, atque metu.

[xxi.

Deleodèm.

LividuTi 'carpimi Minzonum, quod nihil ilio

Romulidùm toti Carius est populo. Lividulós temnit Minzonus , quod nihil illis

Romulidùm toti vilius est populo. Lividulós nemo; Minzonum plurima turba

Suspicit, atque audit mentibus attonitis.

Epigrammi del Cunich ao3

XXII.

De eodem.

Romulea orator loquitur dura multus in urLe , Templaque facundis vocibus alta sonant,

Et placuisse bonis laus est tua magna; sed hercle Major, Minzoni, est displicuisss malis.

Illa ■quidcm multis : uni base tibi contigit; unum Probris Ianseni turba proterva petit.

XXII li

'Ad v. ci. loannem Gherardum Rossium^ de fabellìs ab eo scriptis.

Fabellas miro scribis, Gerarde, lepore,

Ule vel Aesopus Phryx quibus invideat; Callidus ingenio cui nil concedis acuto ,

Quem vincis lceto floridus eloquio: Aeqne, poi, sapiens , multo sed corda legentum

Omnigena mulcens blandior illecebra. Utile sic misces dulci, rerumque severa

Spargis musea largiter ambrosia. Iure igitur plaudit mirans tibi Roma; tuumque

Nullo non passim nomen in ore sonat. Iure tua cari gaudcmus laude sodales ,

Certamusque tuis nectere serta comis; Atque sinu aureolum gestamus , amice , libellum,

Atque oculis* penito condimus atque animo.

2®4 Letteratura

XXIV.

De Peregrino Sperandio Diaconi auctore poematis in scripti il mar grande.

Magnimi monstrifice scripsi mare : cedite Graji

Scriptores , uni cedite Romulei. Nulli ego sum s.irailis; vatum quolcumque fuerunt,

Quotquot erunt, similis nemo erit hercle mihi. Omnes deme alias mihi laudes, invida turba;

rLiec satis est, cunctis quod ferar absiniilis. Dicar et ingenii parva rate per mare magnimi

Errasse, haud ullo vel duce , vel comite.

Saggio di emendazioni al testo dell' amoroso - convivio di Dante Alighieri.

1 À aggiunto foglio contiene un saggio di emenda- zioni necessarie a farsi ancora nel testo dell'amo- roso convivio. Esse si riferiscono alla edizione del- le opere di Dante fatta in Venezia del 1760. dal- lo Zatta ; e non formano nemmeno la terza parte di quelle che si richiederebbero a restituire un li- bro si degno nella sua integrità. L'autore del sag- gio si rammenta ancora più di dugento altri luo- ghi , ne'qitali l'edizione de'fratelli da Sabbio , Ve- nezia iSai., contiene le migliori e vere lezioni; non comprese tante altre correzioni disperse nelle opere slimabilissime de' Dionisi , Trivulzio , Perticali t e Monti.

Convivio di Dante go5

Mi pare che l'argomento di questo saggio, con cui si fa vedere quanto sia stato trascurato dagli accademici della Crusca un testo eh' eglino stessi chiamarono importantissimo , piacer debba a'eh. com- pilatori del giornale arcadico , ed interessarne i let- tori. Quantunque le carte del sig. Witte mi sieno state comunicate per amicizia , vado persuaso , che disponendone in tal guisa, mi farò un merito ver- so il pubblico , e non contro voglia dell1 erudito e gentile autore.

Odoardo Gerhard.

Trattato IL

Si prepone la lezione dello Zatta , e dopo due virgole si soggiunge la emendazione , o miglior -le- zione dei da Sabbio.

Dall'edizione dello Zatta , tomo V. pagina io3. e i. Lo quarto senso si chiama anagorico. » Lo quarto senso si chiama analogico. » pag. io5. 2- del Ciel di Venere , siccome movito- ri di quello. » del eiel di Venere, sic- come movitori di quello prefissi. » 106. nella quale si vuole l'uomo parlare

all'opera. » nella quale si vuole l'au- tore parlare all'opera. » 3. la sentenza del Filosofo in quello de- gli animali, » la sentenza del Filosofo in quello dell'anima.» L. I. Nella pie- cedente linea forse dovrassi leggere : » si giudica per il senso, nel secondo di Cielo e Mondo ; che nel secondo de'libri naturali.» nel pri- mo di Cielo e Mondo , ch'è il secon- do de'libri naturali. »

aoG Letteratura

quattordici parte d'un' altra delle quin- dici. » quattordici parti delle quindi- ci d'un altro minuto. »

107. la Luna , essendo nuova. » la Luna essendo mezza. » c/l/xoTopi/ ueù ovtrotv.

e Marte non stare celato. » e Marte sta- re celato. 55 4. che ciascuna parte di quello nono Cie- lo. »» che ha ciascuna parte di quello nono Cielo. »

congiunto con ciascuna parte di quel- lo nono Cielo. » congiunto con cia- scuna parte di quello decimo Cielo. »

108. E questo Cielo ha più rattezza. » E questo cerchio ha più rattezza. •>■>

lo cerchio del quale gli Astrologi chia- mano. 55 lo cerchio della quale gli Astro- logi chiamano. »

no. 5. ed esempli , ciascuno della sua spera. » ed esempli ciascuno della sua spe- zie. »

112. 6. da parte del Sanatore Celestiale.» da parte del Salvatore Celestiale. »

1 1 4* li quali naturati dell'Amore. » li qua-

li contemplanti dell1 Amore. »

11 5. Questi movitori muovono solo, inten-

dendo la. » Questi movitori muovo- no , solo intendendo r la. •>•>

117. 7. l'ultima sentenza della mente , cioè lo

sentimento, n l'ultima sentenza della mente , cioè lo consentimento. »

118. 8. il secondo di questa parte, e'1 quar-

to della Canzone. •» il secondo di que- sta parte , e'1 terzo della Canzone. »

Convivio di Dante 207

119. Questo pensiero , che se ne già. Que- sto pensiero se ne già. •>•>

120. ragiona dinanzi agli occhi del mio in- telligibile effetto.?? ragiona dinanzi agli occhi del suo intelligibile effetto, » impromettendomi , che la vista degli occhi suoi è sua salute. ?? impromet- temi, che la vista degli occhi suoi sia salute. »

che ragionare della virtù degli occhi. ?? che ragionando della virtù degli occhi. »? 9. mostrato , come , e perchè nasce Amo- re. >» mostrato, come, e perchè nascea Amore. »?

e poi per l'altro , per questa ragione. »? e poi dell'altro, per questa ragione.?» perchè la loro virtù corrompe l'uno , e l'altro genera.?? perchè la loro virtù corrompe l'uno , e l'altro genera ? ??

121. non può in esso padre perpetualmen- te col suo effetto conservare, non può in esso padre perpelualmente il suo effetto conservare. ??

sono effetti di quella , che è partita, sono effetti di quella. Avvegnaché l'anima, tosto ch'è partita. ?? che vivono interamente , siano mor- tali , siccome animali bruti : e sieno. che. vivono in terra , ed ugualmen- te sono mortali , siccome animali bru- ti , sieno. ?? 123. io. Poi appresso a scusa di se, dico.»? Poi appresso a scusa di esso , dico. ??

2o8 Letteratura

non dee se riprendere di provvedimen- to. » non dee se riprendere di poco provvedimento, »

perocché dice : se alcuna volta. » pe- rocché dice : alcuna volta. »

124. disposizione , atta a ricevere l'atto di

questa donna; e però non temea. » di- sposizione atta , a ricevere l' atto di questa donna ; e però ne temea. » Non la mirasser , dice colui. » Non lo mirasser , dice colui. »

ia5. n. ogni subito movimento di cose.» ogni subito mutamento di cose. » per venire lei : se in lei , dice. » per venire a se ; Che di lei dice. » secondo quelle , che per noi acquista- re si possono. » secondo quello , che per noi acquistare si possono. »

12G. si discernono per avere questo lnme.

» si discernono avere, per questo lume. » dice Salomone nello Ecclesiastico. » di- ce Salomone nello Ecclesiaste.» V. 12.

128. 12. e un poco di mio ingegno potea fare.

» e un poco di mio ingegno potean fare. »

129. non era degna rima di volgare alcu- no palesemente portare. » non era de- gna rima di volgare alcuno palesemen- te poetare. »

sarebbe data loro fede. » ne sareb- be data da loro fede. » perocché di vero si credea del tutto. » perocché di vero si credea da tutti. » i5o. i4- Così della induzione della perfeziono, secondo le scienze , sono cagioni. Co-

Convivio di Dante gag

si della induzione della perfezione se- conda , le scienze sono cagioni. ,,

i3i. e terminata in quel tanto testo. ,, e

terminata in quel tanto di testo.

i33. il cerchio è perfettissima figura in quel-

lo. „ il cerchio è perfettissima figura in quella.

per le sue , che sono più , che d'alcuna. per le sue difficolta , che sono più , che d' alcuna.

j35. i5, E queste opinioni con ragioni. ,, E quell'altra opinione con ragioni.

i3G. essa circnlazione cominciò, e non avercb-

be fine. essa circulazione cominciò, e non avrà fine. ,, questo non ordinasse , cioè poco di loro virtù. questo, non ordinasse ciò , poco di loro virtù. ,,

i38. iG. innamorano 1' anima , liberata nelle condizioni. innamorano l'anima, libe- ra da vili dilettazioni.

Trattato HI.

pag. 142. e. 1. sembianza d'una donna, la quale Amor. sembianza d' una donna lo quale Amor. i43. pur intanto, o per volere d'Amore.

pur in tanto, o per volere d'Amore. il Filosofo nel nono dell' litica. ,, il Filosofo nell'ottavo (e. 8.) dell'Etica. i45. 2. che è causato di corpo circolare, in alcuno modo circulare. che è cau-. sato di corpo circulare, dee in alcu- no modo circulare. G.A.T.XXVII. 14

310 Letteratura

147. siccome la virtù inventiva, e giudi- cativa. ,, siccome la virtù imaginati- va, e giudicativa.

nella mente degli uomini misse. nelr la mente degli uomini ti mise. 3. le corpora composte prima , siccome sono le minere. le corpora compo- ste, siccome sono le minere.

148. riceve virtù. Le piante, che sono pri- ma animate. ricevere virtù. Le pian- te che sono prime animate.

una sola sustanza sia, tutta sia for- ma. „ una sola sustanza sia tutta sua forma.

quando in su muove lo suo corpo, più s'affatica quanto in su muove lo suo corpo , più s'affatica. per la natura seconda del corpo mi- sto : ama. Per la natura seconda del corpo misto ama. e nello Ovidio Maggiore.,, e nello Ovi- dio Nasone. l49« diletto, massimamente del gusto, e del

tatto. diletto , massimamente del vi- sto e del tatto.

Onde, acciocché questa natura si chia- ma mente. Onde conciossiacosaché, questa natura si chiama mente. i5o. dico , che li miei pensieri, che sono

parlar d'Amore, sono di lei; che. di- co , che ai miei pensieri lo suo parlar d'Amore, sona dolce, che. i5a. 4* e Pero manifesto, me veramente scu- sare. „ e però manifesto, me veramen- te scusare.

Convivio di Dante 211

l53. 5. e chiamava quella Antiscona. e chia- mava quella Àntittona. '«ini'ySovx.

i54« la stella gli sarebbe sempre sul mez-

zo del capo. la stella polare gli sa- rebbe sempre sul mezzo del capo. ,, spazio quasi di duemila secento miglia. spazio quasi di duemila settecento miglia.

Lucia: e di spazio , da qualunque parte. Lucias e spazio, da qualunque parte.

miglia: e tra l'una e l'altra mezzo lo cerchio. miglia è tra l'una e l'altra, cioè mezzo lo cerchio.

X 55. nel quale il corpo del Soje sega in

due parti. nel quale gira il corpo del Sole , sega in due parti. e quando l'uno ha '1 giorno , e l'altro ha la notte. e quando l'iiao ha *1 gior- no, l'altro ha la notte.

l5G< e tornata a un punto questa palla. e tornata a un punto di questa palla. 6. che del dì, e la notte fanno ventiquat- tr'ore. che del , e della notte fan* no ventiquattr'ore.

160. 7. non sia grado alcuno, ma sia quasi l'uno. non si ha grado alcuno, ma si ha quasi l'uno.

1O1. così la immagine corporale , che Io

specchio dimostra. ma la immagine corporale, che lo specchio dimostra. e di lassù viene la sua sentenzia. ,, e di lassù viene la sua semenzia. ,, possouo fare parere gentile, quello Se-

14*

2ia Lette n atura

guitando. possono farsi parere gen-i tile , quello seguitando.

i6a. possono sperienza avere, da noi fac-

cia possibili gli altri. possono spe- rienza avere; a noi faccia possibili gli altri. ^

8. per bontà dell'anitM sensibile, bellezza appare. par bontà dell' anima, sen- sibile bellezza appare.

i63. conoscer si può la sua presente pas-

sione, chi bene la mira. conoscer si può la sua presente passione, chi be- ne la mira.

l64- con eterna nota solvette lo suo dan-

nato pudore. con eterna notte sol- vette lo suo dannato pudore. l'amore universale, che le cose dispone ad amore» l'amore universale, che le cose dispone ad amare. L'altra si è, che fisamente mosso, guar- dare non può. L'altra si è, che fi- samente in esso guardare non si può.

l65. incontanente dopo disguardare. in-

contanente dopo di sguardare. onde di Dio , e delle sue sustanzie. onde di Dio , e delle somme su- stanzie. „

16C. q. E a questo, ch'io prima che. E è questa: ch'io prima che.

167. tu fai costei umile, e quella fu su-

perba. „ tu fai costei umile, e quel- la la fa superba. trasparente, e nell'acqua. Che nella pupilla dell'occhio questo. trasparen-

Convivio di Dants 21 3

te. E nel!' acqua , eli' e nella pupilla dell'occhio, questo. i68- e per l'umido, e per lo secco in co-

lore. „ e per l'umido in colore. ,.

Cablo Witte.

FOGLIETTO SECONDO.

Nuovamente dal Trattato IJL

pag. «42. e 1. la quale Amor poi. lo quale Amor poi.

i43. nono dell' Etica. ottavo (e. 8. )

dell'Etica. ,,

i44- provvidenza, che riguarda oltre a quel-

,. lo. provvidenza che riguarda oltre,

a quello. n

i45. 3. l'anima corre tosto, e tardi. l'ani- ma corre tosto o tardi. libro di Cagione.,, libro delle Cagioni. corpo circulare , da in alcuno.,, cor- po .circulare dee in alcuno ^

*47- sesto [dell' Anima. terzo (e. 7. )

dell' Anima.

la virtù inventiva , e giudicativa. la virtù imaginativa, e giudicativa.

i^S. 3.. sua generazione riceve virtù. sua generazione ricevere virtù. sustanza sia, tutta sia forma. sustan- za sia tutta sua forma. s'affatica , per la natura seconda del corpo misto: ama. s'affatica. Per la natura seconda del corpo misto ama. i4<> e certi fare lo contrario. e certo fa*

re lo contrario.

rii4 Letteratura

massimamente del gusto. massima- mente del visto.

i5o. li miei pensieri, che sono parlar d'Amore,

sono di lei. ai miei pensieri lo suo parlar d'Amore sona si dolce.

i53. S. Antiscona. Antictona.

1 54- la stella gli sarebbe sempre. la stel-

la polare gli sarebbe sempre. due mila secento. ,, due mila sette- cento. ,,

Lucia: e di spazio. Lucia; e spazio. miglia: e li tra l'una e l'altra mezzo. miglia è li tra l' una e 1* altra , cioè mezzo.

i55. li suoi poli, nel quale il corpo.",, li

suoi poli , nel quale gira il corpo. in su questa palla, veggia. in su questa palla,, veggia.

i5G. a un punto questa palla. a un pun-

to di questa palla.

iGo. 7. T anima più imperfetta delli bruti. l'anima più perfetta delli bruti.

iBi. cosV la immagine corporale. ma la

imroagine corporale.

1G2. da noi faccia possibili- a noi faccia

possibili. .,

iG3. 8. passione , chi bene la mira. ., passio- ne , chi bene mira,

1G4. che con eterna nota. che con eter-

na notte.

le cose dispone ad amore. le cose dispone ad amare. ,, che fisamente mosso , guardare. che fisamente in esso guardare.

iGG. 9. E a questo. » Ed è questa. ,,

Convivio di Dante ai5

167» e quella fa superba. e quella la fa

superba.

trasparente , e nell' acqua. Che. tra- sparente. E nell'acqua oh'é.

171. 11. costituzione di Roma.,, costruzione di

Roma.

secento cinquanta.,, settecento cinquan*

ta.„

172. Amore in Latino. Amatore in La- tino. „

if 3 comune essere , o per utilità , o per

diletto , o per. conviene essere ne- per utilità, per diletto, ma per.,, l'una delle parti: benivolenzia. l'una delle parti benevolente.

174* amano me ; e sicsome. amano me. E

siccome.

astratta dell'animo solo , in. astrat- ta dall'anima , sola in se. Enea: o luce; ch'era atto.,, Ettore: o luce ( ch'era atto ) .

175. di cui io dico , siccome. di cui io

dico. E siccome.

I7G. 12. conviene per quello accidente. con- viene per qualche accidente. che la presenzia d'alquanti. che la prescienza d'alquanti. ,, se sapendo propio.,, se sapendo pria.

178. i3. la qual cosa anco , avvegnaché. » la

qual cosa anco conviene ; avvegna- ché. »

179. nell'atto della speculazione. » nell'atto della speculazione sentire. »

che 'nsemprata é la capacita- «# che su» perata n'è la capacita: »>

2 16 Letteratura

i$i. i$. in altra parte alluminato ripercosso. » in altra parte alluminata ripercosso. » così face questo Amore amare. » co-* si face questo Amore , che. » di questi parliamo , quando troviamo, di questi parliamo , quanti troviamo. »

-uJ*. 182. ne] secondo della Metafisica. » nel pri*

mo (e. 2. ) della Metafisica. » e per conseguente veder per ragione. » e per conseguente credesi. » iS/p i5. e per quello che sono, intendere.» e pur quello che sono intendere. » dire altre cose , quello esso è , non sia. » quelle altre cose , e dir quel ch'e' sono , non sia. » 186* quando suso fermava.» quando suso

fermava l'etere. »

Dal Trattato L

65. ci. della prima Filosofia.» del primo del? la Metafisica. »

66. è induttrice di necessita. » è impedi-

trice di necessita. » misericordia e madre di benefizio-» mi» sericordia è madre di benefizio. »

G7. vegliaci qualunque è familiare. » vo-

gliaci qualunque è per cura familiare. »

6g. a. sanza maliziata coscienza.» sanza mac- chiata coscienza. »

72. 3. non concepe quella mente. » non con- cepe colla mente. » più ornato suo presente. » più ornato suo parlare. »

Convivio di Dante 217

non parla contro a esso. » non parla contro a essa. »

siccome qui suo efletto. » siccome quel- la suo effetto. » in lui generata. » in lei generata. »

7^. 4* cwe sopra della notata scusa. » cioè della sopra notata scnsa. »

74* li quali passano a vedere quello. » li

quali possono vedere quello. » questi non solamente passionati.» que- sti non solamente questionati, ri

76. 5. non si possono trasmutare quello.» non

si possono trasmutare in quello. » f

77. •■ rispondono in Latino. » rispondono le

parole, e ciò fanno più in Latino. » 78*. 6. conoscenza distinto dal Volgare. •>•> co- noscenza distinta del Volgare. » lo Volgare dal Tedesco. » lo Volgare Provenzale dal Tedesco: » 1

79. 7. e dispone , chi cerca. » ed ispone a

chi cerca. »

80. E l'uomo comanda al peccatore. » E l'uomo quando fa quello che co- mandano le leggi e non più meno. » averebbono pur nel difetto. » avereb- bono non pur nel difetto. »

e che non fosse stato soverchiatore. » e che ne fosse stato soverchiatore.» per legame musaico armonizzata.» per legame musico armonizzata. »

81. 8. simigliante a quella di ricevere. » si-

migliante a quella del ricevitore.»

82. perch'è di necessita il dono.» perchè di necessita il dono. »

2i8 Letteratura

pronta questa letizia ; non può dare altro che utilità ; che. » pronta ; que- sta letizia non può dare altro che l'utilità , che. »

rimanga l'utilità dall'onestate. » riman- ga l'utilità dell'onestate. » canviene sempre essere migliore.» con- viene sempre essere in migliore. » se'l dono per trasmutatore. » se'l do- no per trasmutazione. »

84* 9* non possono avere in uso quelli.» non possono j avere in uso che quelli. »

86. IO. per alcuno , che l'avesse laido. » per alcuno , che* 1 facesse , laido. »>

88. eh' è per questo Gomento. » che ap-

parirà, per questo Comento. »

8q. Latino , manifestare nelle cose. » La-»

tino si' manifestano. Nelle cose. »

q6. 12. veder si può, che Marco Tullio.,, ve. < der si può in Marco Tullio.,,

sentenzia del Filosofo , aperto. senten- zia del Filosofo aperta.,,

97. piùpropia, è da vedere quella.,, più

propia è da credere quella.,, e quella e essa ; e noi. ,, E quale è dessa ? Noi. , q8. elio è della eagione.,, elio è delle ca-

gioni.,, 1,3. d'essere, se per me non stesse.,, d'es- sere. „

Non è, secondo a una cosa. Non è insolito a una cosa.

Carlo "Witte.

Convivio di Dante 319

Attcstiamo la più viva gratitudine al eh.0 sig. pro- fessore Gerhard, che oltre^il favorire da tanto tem- po co' suoi lavori e con ogni fatto di gentilezza la erudita compagnia di questo giornale , abbia ora voluto guidare alla medesima l'egregio letterato suo nazionale sig. Witte , con tali cognizioni e fatiche di oggetto e di spirito veramente italiano. Eraci no- to , che la dotta Germania superava tutti gli altri popoli (grandi dell' Europa nello studio del singo- iar cantore di Beatrice e delle italiche glorie ; a. segno di aver posto professori e cattedre per la di lui spiegazione. A quei sommo lume però del trecento , al primo padre di nostra lingua troppo si convenia, che i posteri prendessero un giorno ad illustrar meglio anche le altre opere che ne riman- gono , nulla meno interessanti e meravigliose che le cantiche divine. La pruova datane dal valoroso sig. Witte trapassa qualunque speranza ed elogio nostro ; e giunge bene opportuna ora che per Tesi* mio sig. marchese Trivulzio , quegli che nella più. squisita letteratura rinnuova il cognome di MAGNO meritatosi già per eroiche gesta da' suoi antenati * Unito all'incomparabile suo amico il sig. cav. Mon- ti , ed all'altro sostegno dell'ottima Scuola il sig. Mag- gi , promessa ci viene una edizione del convivio t che corrisponda al merito di un libro si prezioso, ed alla critica e filologica accuratezza del secolo. Godiamo altresì di assicurare, che due scienziati del collegio nostro , eccellenti conoscitori al certo del- le italiane eleganze, i signori Salvatore Betti e Leo- poldo Staccoli hanno potuto raccoglier buona mes- se a tal uopo da alcun codice della vaticana bi- blioteca. Lasceremo quindi , che i suddetti valen- tissimi spongano a pieno i pregi di un primario te- sto di lingua , nel quale corretto e ripulito che

220 Letteratura

sia, cresceranno infinitamente i vantaggi degli stili diosi, e il prodigio per qu e' tempi del trattare ar- due materie culi uno stile di modello si soave e piano che innamora ; ed il quale certamente costi- tuisce il nostro Alighieri principe assoluto de' più sublimi allegoristi e sempre venerandi platonici, an- zi de'filosofi morali , fisici ed universali che fioris- sero unqua mai ne'secoli più colti e perfetti.

Nello stendere per la stampa le note del sig. Wit- te , trasmesseci , come da paese lontano, in due foglietti separati di abbreviazioni , credevamo di do- Arer toccare alcuna 'cosa intorno il famoso passo te- nuto per enigma dell' À . U . I . E . O ( pag. 2vo3. della edizione Zatta ) ; e ciò sarebbe stato , che que'buonr vecchi aver doveano da documenti ora periti 'un verbo, nvìeo , o a<h'ieo, composto di itieo , cioè vincia ,' colligo , da* cui viinen- ; e che questo cti'ieo, per la "ninna distinzione di figura tra la V consonante e la vocale', distinzione che non evvi mai stata1 in retto e puro latino, e per l'avvicendar solenne di qne'tempi, tanto in iscrittura che in pro- nuncia , dello Ili, o dolce italiano,. je de' fran- zesi , e- ze de'tombardi,- veniva ad essere similissimo al vero tema del vocabolo autore, ch'è aiijéo, auzéo , ossia rucgpo ; ragion confermata dalla seconda de- rivazione che il vocabolarista CJguccione fa di au- tore da- àuthentin , cioè 'wSevrnv , accusativo di '«u- OèfTij?, uomo costituito in dignità di comando, Yef- J&n&i d'e'turchi; poiché sappiamo pronunciarsi da'gre- ai la 0. , a distinzione del t. , come una specie di zita: riflessioni tutte somministrateci dalla esperien- t\ di lungo studio che abbiam fatto su' manoscrit- ti antichi, e su quelli particolarmente di poesie e prose degli autori della nostra lingua ROMANA , nutrice immediata de'primi non ancora ben tempra-

Convivio di Dantk 221

ti suoni della musica italiana nell'esule fiorentino. Ma l'altro valoroso scrittore e venerato collega no- stro , ilsig. abate Salvagnoli Marchetti ci fece av- vertiti , eh' eravamo stati prevenuti nella sostanza dall'eruditissimo sig. abate Mazzucehelli nell'opera: qui sotto segnata , veramente dotta e ricca di ot- timo frutto , come tutte le altre di que'tre perso- naggi residenti in Milano che abbi a ni lodato più sopra (1).

Fia meglio adunque che ci volgiamo ad esor- tar caldamente , a scongiurare per quanto v'ha di più sacro e dolce nell'amor di patria le anzidette capaci e brave persone, che intraprender voglia- no una simile cura sulle restanti opere del ramin- go di Fiorenza ; e su quella segnatamente intitola- ta de volgari eloquio , cioè ( intendasi ed ammet- tasi una volta ! ) do' varj e malvagi dialetti volga- ri d'Italia, fra' quali era fin d'allora il pessimo quel- lo della istessa Fiorenza. Non può certo a meno che in Lombardia, nella Romagna, nelle Marche non si trovino molti ed eccellenti codici di tutte le com- posizioni dello sbandito dall' Arno; avendo egli vis- suto la miglior parte di vita sua in que' paesi , ed avendovi avuto i principali amici, e discepoli. Al testo di quest' ultimo lavoro di Dante che andava filosofando sul proprio suo stile; testo che ripurgar si dee persino dalla falsa e tutta frullonica rubrica del capitolo essenziale ( pag. 3 19. della edizione Z at- ta ) , aggiungasi per comento precipuo e marginale,

(1) Saggio diviso in quattro parti ilei molti e gravi errori , trascorsi in tutte le edizioni del Convito di Dante. Milano , dul- ia Società tipografica declassici italiani. x8a3. 8. di pag. 1G0. - Vcggasi alla pagina i38. e seguenti.

222 Letteratura

£óme cliccasi anticamente , quanto già ne scrisse il grande Perticali: ehè le cose eccellentemente pen- sate ed eccellentemente scritte, piacciono anche ri- petute le mille volte. Una pubblicazione si fatta ser- virà bene a tener costante ed accesa nella via deli' ottimo pensare ed operare la famiglia, grazie al cielo, assai numerosa in Italia de' veri dotti ed as- sennati : essa ne assicurerà la gloriosa successione , co- tanto necessaria ed utile allo stato, contro le cre- scenti macchinazioni di una scuola, seppure tal no- me può meritare , nemica de' classici di ogni età e nazione , e per ciò tendente di cieco passo ai mal gusto, ed alla sua consecutiva barbarie. Pel conto nostro , noi non dobbiamo che applaudirci della per- severanza mostrata lunghi e laboriosi anni, e di cui continueremo a dar pruove finché le forze ci as« sistano , nel sostenere ed esporre a maggior luce con deste non mai vincibili dottrine. Le sicurezze di su- periore approvazione dagli alti personaggi che neli* istesso paese nostro vegliano al mantenimento delle più solide e perfette istituzioni; i contrassegni di spon- taneo assenso e coaperazione per parte de' sapienti di tutta Europa, sono in vero a noi, come ciascun vede , tanto manifesti e consolanti , che ben possiamo andarne pienamente paghi e superbi.

Girolamo Amati.

2«3

Le dicorie di ser Filippo Ceffi, pubblicate dal sig. Conte Biondi. Torino i8a5. (continuazione e fine.)

D

"ella terza parte del ragionamento scritto dall'egre- gio Biondi intorno le dicerie del Ceffi ci rimane a parlare : e il faremo eon quel modo istesso , che a discorrere le altre due abbiamo tenuto : avvegna- ché questa più alto si levi , lasciando gli aridi spineti de'coramenti , delle interpretazioni, e di que- stioni grammaticali, che fra le mani del Biondi frut- tarono però non pochi fiori. Questa terza parte di- visa in quattro capitoli non ha per oggetto che il raffrontare le dicerie con la storia, e la storia col- le dicerie: poiché le dicerie del Ceffi , dice il N. A. giovano ad illustrare quella parte d'istoria, che è dal i325. al i3a8, e vicendevolmente sono da quel- la illustrate. Nel primo capo dira di Castruccio degV.Interminelli; nel secondo di Lodovico di Bavie- ra, nel terzo del pontefice Giovanni XXII, nel quar- to di alcuni fatti minori accaduti in que'tre anni. E di queste cose ragionando mai non si diparte da Giovanni Villani , dalle storie pistoiesi , dalTAmmira- to , e dal Muratori : cosicché bello , utile, e sicuro è il suo lavoro; e per questo immensa luce rice- vono le dicerie , e più crescono di pregio : fan- tastico apparisce il restringere le dicerie allo spa*- zio de' tre anni sopra indicati , mentre ciò è una conseguenza dei fatti, che con verità e evidenza ti son posti sotto degli occhi mercé di un semplice e gè-» nuino confronto.

aa4 Letteratura

Andando l'anno i325, leggesi nel primo ca- pitolo , glorioso a Castruccio , e lacrimevole ai fio- rentini, i quali furono sconfitti ad Altopascio , que- sti ebbero ricorso a Roberto di Napoli che era loro amico siccome appare dalle dicerie del Cedi. Ma Roberto non mandò che 3oo uomini i quali stet- tero inoperosi : poiché quel principe wvea in de- siderio , che i fiorentini ridotti alle strette si spo- gliassero di libertà, ed eleggessero a loro Signore Carlo duca di Calabria suo figliolo. V effetto andò lungi dal desiderio', perchè il di i4» dicem- bre i32,5 i popolani Guelfi , secondo che narra Gio: Villani , si elessono ed ordinarono signore di Fi- renze e del contado Carlo Duca di Calabria per termine e tempo di dieci anni . A questi fatti storici si riferiscono le due prime dicerie i di cai nella seconda , che in ordine di tempo è prima, gli ambasciatori di Firenze richieggono di aiuto la maestà del re Roberto ; e nella prima si nomina per nuovo Signore il duca Calabria. Venne il du- ca in Firenze agli ultimi di luglio ; e il |suo lie- to avvenimento è celebrato con lieta diceria, che è la settima. Ma il di l4 maggio era stato colto in aguato e sconfitto Piero di Narsi prode capitano dei fiorentini dalle genti di Castruccio : ond'è che la diceria 43 è fuori di ordine , e dee porsi innanzi alla settima: come pure innanzi a questa dovrà sta- re scritta la 27. in che si discorre l'ambasceria dei padovani ai signori di Firenze intorno le avute scon- fitte: e a questa dovrebbe tener subito dietro la 28 che è la risposta fatta per i signori fiorentini agli ambasciatori padovani.

Di Lodovico detto il Bavero fa parola il secon- do capitolo. Morto 1' imperatore Arrigo VII , al- curii degli elettori nominarono re de' romani Lodo.,

Dicerie del Ceffi 23j

„. vico di Baviera: altri Federigo duca di Austria : tra' quali fu aspra guerra : e Lodovico ne fu vit- torioso , ed ebbe prigione il nemico suo , e lo indusse in i3&5 a cedergli tutte ragioni sopra la corona a prezzo di liberta. Ma papa Giovanni XXII ,, non volle mai raffermare la elezione del Caverò. Lo impero era stato dichiarato 'vacante , e Parma si diede alla Chiesa. I ghibellini, temendo del papa e del re Roberto , per ambasciadori mandarono pre- gando Lodovico che scendesse in Italia. Il che egli fece: e a Milano il di 3i di maggio i3j^ fece coro- narsi con la corona di ferro.: doride mosse con molta oste, e pervenne a Parma, ove pubblicò quel- la lettera , che il buon Ceffi ci ha conservata , tra- slatandola di latino in volgare ; e che nel mano-** scritto trovasi avanti l'ultima diceria : lo che par- mi chiaro argumento a sempre più dimostrare , quan- to sia vero che le dicerie tutte si volgono ai fatti in que'tempi accaduti. Il ghibellino Gastruccio a Pon- treraoli si fece incontro a Lodovico , e unite le ar- mi posero assedio a Pisa, che dopo un mese a Ini si diede: i fiorentini n'ebbero gran dolore , e chie- sero di soccorso il re Roberto per abbattere i per- fidi pisani ; e di questo parla la diceria 5. Frat- tanto il duca di Calabria chiedeva aiuto ai sanesi, i quali alla sua signoria si erano sottomessi per cinque anni: la quale inchiesta leggesi nella dice- ria 1 8 : in cni sta scritto , che Loygi per adreto Kiaro duca di Baviera, il quale oggi ad alquanti suoi seguaci malvaggi ed erronei si fa chiamare principe e re de* romani, ae superbamente impre- so di volere brievemente intrare nelle sue (di Car- lo duca di Calabria ) terre inimichevolmente con- tra Dio e cantra il sommo apostolico , il quale elli chiama prete Jacobo per guaiule trascotanza. Paro- G.A.T.XXVII. i5

22G L E T T E R A T U 11 A

le tutte alla storia pienamente conformi : essendo ben noto , che il tracotante Bavero promulgò in Tren- to essere eretico il papa , ed or per disprezzo lo chiamò prete Jacobo , dal nome di lui avanti il pon- teficato , ora prete Janni dal nome che prese fatto pontefice, ora prete Jacobo da Cahorsa dal nome della terra, che gli fu patria. La fliceria 3G, e poi la a5 e la 36 vanno collocate infra l'andata a Ro- ma di Lodovico, e il suo partire dall'Italia , come accenna il Biondi seguitando a raffrontare lo diee- re con la storia di que'tempi ; e bene additando co- me le dicerie 2 5 e 26, ove gli aretini , che furo- no i fedelissimi tra gli amici di Lodovico si con- gioiscono coi lucchesi per vittoria acquistata su i nemici , i quali facevano contra la ragione del san- to imperio, non di altra vittoria tengon parole die- di quella acquistata su figlioli di Castracelo, i qua- li dall'esempio -, che sull'ultimo della vita da lui si ebbero, lasciarono le parti ghibelline e si partirono dal Bavero.

Il capo terzo discorre il ponteficato di Giovan- ni XXII che governò la chiesa di Dio dal di 7 di agosto iJiG al 'di 4 di dicembre i334= e fu quel suo lungo ponteficato pieno di sollecitudini e di amarezze. Fra le quali ebbero il primo luogo quel- le che le vine alle altre sopravvennero negli an- ni i3a6, 1227, i328, quando crebbe l'animo ai ghibellini , e cadde ai guelfi per le vittorie di Castracelo, e per l'avvenimento del Bavero: ,t di cui le villane parole e i fatti oltracotanti non furo*- 110 sostenuti dai romani con isdegno pari airingiu- ria. Inviarono , è vero , ambasciadori al papa per- chè tornasse a Roma, e diceansi tutti disposti alla sua obbedienza, non però di meno la diceria 3i, con cui le lettere scritte per lo comune di Roma , e

Dicerie del Ceffi 2^7

consegnate a Pietro Caiani , a Pietro de Magi- stris , e a Gozio Gentili ; e ciò , elle ne scrive il Villani pienamente concordano, risollevasi in que- sti detti t veramente vi fanno sapere, che se per ,, voi fosse negata la vostra presenza, elli non so- no acconci di lasciare più perseverare la santa cittade vedova E, non potendo avere lo spirilua- le padre , consentiranno al temporale difensore. ,, La diceria 34 è il compianto dei cittadini di Fer- mo al papa loro principe, pei mali sofferti a'eagio- ne della fedeltà e devozione a lui sempre conserva- ta. „ Ed io porto opinione , scrive il Biondi , che gli osimani fossero que'felloni vicini , per la cui malvagità i fermani furono cacciati ed isbanditì dalla lor terra. ,, Lo che Lene conforta con le pa- role del Villani. Ora non rimane che la diceria 3q, la quale si riferisce al papa , avendo per titolo co- me si puote dire al papa per levare lo interdetto: Ed essendo scritta a nome deTiorentini , sembra clic vi si ragioni dello interdetto messo a 18 di novembre iZ2*j per una imposta che si fece in Firenze sopra il chiericato , siccome accenna il Villani , il quale aggiugne che lo interdetto fu poi levato a 5 di febraro i32<8.

Di alcuni fatti minori parla il Biondi nel ca- pitolo quarto e ultimo del suo ragionamento ; e av- vedutamente tralasciando d'investigar.» tutti i par- ticolari delle dicerie , e massime quelli che ?ion si riferiscono a grandi e publici fatti avvenuti a qHe tempi-, vuole solamente notare quelle cose, le quali nel confronto delle altre discorse nei prece- denti capitoli gli sono cadute sott'occhio ; e che , sogghignerò io , bellamente sempre più confermano fino all'evidenza , essere le dicerie del Celli tutte' iutoruo la storia de'suoi tempi, e di que'giorni pic-

i5*

aa8 LETTEnATunA

cisamente, a che le ha ristrette la sana critica dell'egre- gio nostro amico Biondi. Nella diceria 3. gli ara- basciadori della cittade di Castello inchiedono di ajuto i ferraani contra i perugini: e di questa guer- ra mossa dai perugini contra i castellani fa men- zione Giovanni Villani, ove narra l'ajuto dato da' fiorentini ai perugini sopra la citta di Castello , e l'accordo fra questa e quelli nel i3s6. Dappoi os- serva il N. A., che quel Bernardo di Lunfri nomi- nato nella diceria 8 non potè esser vicario del re Roberto o del duca di Calabria in Firenze. E quin- di va ampiamente discorrendo i particolari male/i-, cii e piati , de'quali si fa menzione nelle dicerie (5, 9, io, n, ra, i3, 23, 3a, 33,33,37, 19, 29, i5, 31, 16, 17; sempre con la storia di quo' tempi alla mano: e così mette ordine in queste di- cerie, che nel codice disordinatamente son poste; e-. illustra quella parte d'istoria che è dal i3a5. al i328., e con questa le dicerie commenta e schiarisce. E qui da (ine al suo ragionamento, che unisce bene il diletto alla utilità , e in cui la gioventù studiosa può raccogliere larga messe di cose e di parole tutte buone e tutte auree ; poiché quanto alle cose , elle non sono che piene di amore patrio, di religione , di onesta , e di precetti sanissimi a bene reggere la vi- ta nelle pubbliche , e nelle private bisogne ; ogget- to principale , se non unico , della educazione dei giovani : e quanto alle parole elle sono tutte ita- liane, e di quel secolo beatissimo, in cui non era ben parlante chi non usava semplici e ingenue pa- role, quali convengonsi a mettere nell'animo e nel cuore altrui la bellezza della verità e la dolcezza della rettitudine. Male sia a colui , che i trecentisti deride , e che aborre da semplicità di parole sicco- me non atto vestimento a bugiardi e torti pensie-

Dicerie df.l Ceffi 229

ri , che a danno del buono e del Lello ascondono tutto giorno sotto lambiccati detti e concetti i Ter- siti della letteratura, i quali vilmente ora striscia- no sul fango, ora su perbios amente vaniscono fra la nebbia, e vanno a cavalcioni sopra i neri nuvoloni ludibrio della burrasca e de' venti , e anche delle saet- te e delle folgori , se fossero lifto segno ai fuo- co celeste queste sucide bolle di sapone setten- trionale.

Finito il ragionamento del Biondi , e bene a fondo conosciute le dicerie del Ceffi. , quanto al- le bellezze, quanto ai difetti, come pure quanto alla storia e a'tempi ai quali riguardano, fa ragio- ne che di esse pure si levi un saggio , trascriven- done qui per l'intero alcune: acciocché vegga di per se il lettore che non andò errato il Biondi nel giu- dizio datone, e ne' suoi commenti; siccome non fal- sammo noi il vero affermando degna di tutta laude la dilettevole e utile fatica dell'amico nostro; a cui de- vono saper buon grado gli studiosi giovani, se pu- re ingannati da chi si pone a scranna per ingan- nare appunto l'incauta gioventù, non abbiano aber- rato dalla retta strada, e non siano caduti ciecamen- te brancolando per torti e lubrici nascondigli nelle male branche di qualche fetida arpia.

Come si deve confortare il rettore che sia sollecito a far vendetta e giustizia dé'male/icj.

,, La disordinata e sconcia condizione, la qua- le ci sprona di venire dinanzi da voi , messer potestade, piacesse a Dio che non fosse mai ar- t, vanita: però che sarebbe più riposo della vostra niente e migliore stato di questo comune , e sa- rebbe mantenimento di coloro a cui tocca la su-

,23o Letteratura

Lita novitade. Ma da poi che cosi è , conviene ,, che ei si ponga debito rimedio. Per la qual cosa ,, è piaciuto a' signori priori e confalonieri, che mes- ser A. nobile cavaliere e io insieme con lui sia- mo venuti a voi, si come loro oratori, ad infor- ,, marvi e farvi chiamo del loro intendimento. Co- nosco bene , che sarebbe più onorevole di lascia- re raccontare e dire tanta e tale scellerata opera- zione e di si dannoso maleficio al savio cavalie- re mio compagno e maggiore. Ma poiché piace all'armi di dar luogo alle lettere, e lo grave ma.*- leficio punge mia coscienza e mi sforza di dire, diroe, confidandomi del suo correggimento al qua- le m'attengo e contento sono. Messer potestade, ieri si commise , si come voi avete inteso , in questa ■„ nostra cittade di Firenze, grave maleficio per Meco fu Feo contra Orazio de' Cerchi, ch'io non conoseo grande uomo, che ciò avesse commesso sotto la vostra signoria, che non si tenesse per ,, folle, pensando alla vostra pronta giustizia, e .la potente riverenza degli offesi, li quali risplendono ,♦ di grandi ricchezze , e ornati di molta bontade e onore: li quali, s'elli non guardassero la vostra riverenza e la franchigia della nostra terra, to- stamente con maggiore ingiuria e con più sfrena- to oltraggio, eh' clli non ha ricevuto, vendiche- rebbero la loro oflensione. Onde , messere pote- stade, estendete la vostra destra mano con ven- dicatrice giustizia, la quale piace a Dio, e agli „. uomini buoni. Certo tutti li fiorentini gridano ,, nell'animo loro: vendetta, vendetta; giustizia, giu- stizia di scellerato maleficio. Adunque, poi che voi ne piacerete a Dio, e noi da parte de'priori e de'confalonieri vi proferiamo il comune ajuto, e '1 popolo minuto principalmente ve ne conforta,

Dicerie del Ceffi a3n

mettete ad effetto nostra giusta adomanda. Credo fermamente che dimostrerete in questo arduo fat- to la vostra diligente giustizia , si che /la piace- re di Dio e onore di voi e mitigamento degli of- fesi e buono stato tli tutta la cittade e utile esemplo a tutte genti : che alcuno altro reo non penserac di fare mai in questa terra il somigliante. ,, Idio ve ne dea la grazia.

Come si dee dire a rettore quando negligente a punire alcuno maleficio.

Per fare vendetta e giustizia molti ne sono già piaciuti a Dio: onde si legge ne' Maccabei, che Mathathia uccise un giudeo in su V altare , il quale contra la divina legge sacrificava agl'ido- li. Per la quale vendetta elli insieme con li fi- i, gliuoli divenne principe del popolo d'Idio, e acqui- stoe nome eterno. Onde, acciocché non moltipli- cassero li mali, piacque a Dio, clic fossero signori, ,, per le cui potenzie giustizia domasse li malefatto- ri. E però, messere potestade , il quale siete si- ,7 gnore, e a cui s'appartiene di far giustizia e ven- detta, commovete il vostro valere, e siate d'ani- ino forte : prendete la spada di Dio , ciò è ope- ,, rate la giustizia , la quale è sostegno e colonna dell'umana generazione: acquistate a voi e a'vo- stri discendenti nome eterno. Elli fe vero, piacesse ,, a Dio che non fosse per lo migliore stato di que- sta nostra terra, che R. ricevette nella sua pro- pria persona grave malefìcio , come dato v'è ad ,. intendere : la cui ingiuria è grave a tutti gli ,, abitanti di questa cittade : perchè elli come no- bile e pacifico cittadino , portando sua vita one«* stamente , è stato coronato di buona fama, E pop

3Ò2 Letteratura

con grande sollecitudine dovete intendere a

., purgar tanto male, e a vendicare tanto oltrag-

gio: che voi ne piacciale a Dio , e soddisfac-

ciate agli offesi : e date esemplo a quelli che

debbon venire di schifare simili cose. Sappiate ,

,7 messere potestade , che se voi foste per alcuno

,, accidente tardo o negligente a far giustizia , che i

,, cittadini non saranno tardi alla vendetta, e non

sofferanno che tanto maleficio rimanga impunito.

Ma voi , si come savio signore , credo che farete

si che alla giustizia sarae degnamente satisfatto :

e voi ne avrete onore e pregio : e 'fia riposo di

questo comune. Idio ve ne dea la grazia.

Come si debbono compiangere al papa gli amici suoi che sono cacciati fuori di casa loro.

Conci osiac osa che a voi, santissimo padre, s'appartenga d'aver sollecita cura de' vostri fede- li e devoti , oltre a tutte le altre genti , e prin- cipalmente nel tempo della tribulazione ; quinci avviene che noi cittadini di Fermo cacciati ed ex banditi contra ragione della detta terra, co- me al nostro principe ricorriamo a'piedi della vo- stia misericordia ; però che , se per alcun tempo ci fu bisogno il vostro grazioso ajuto, ora è il tempo: però che li nostri felloni vicini, vogliendo tiranneggiar la terra , e per cupidigia di posse- dorè il nostro avere, con grande inganno e grave e, ingiuria, ci hanno gittati fuor della terra, non abien-^ do alcun rispetto alla vostra santissima signoria sotto la quale sicuri con divozione vivevamo mol- to conlenti alla vostra obbedienza, la quale con Topo re abbiamo puramente conservata in voi e ne'vostri antecessori. Adunque, santissimo sacer-*

Dicerie del Ceffi a33

dote , padre de'padri , abbiate misericordia di noi ,, fedelissimi; e col vostro santo consiglio ed ajuto ,, operate che noi possiamo tornare in casa nostra : acciò che perfettamente operiamo quella devozio- ne, la quale per la sola fede senz'opere non si ,, può fornire. Voi sapete bene che la peccatrice di Gerico, perchè nascose li messaggi del popo- ,, lo di Dio , fue salva. E noi non solamente pure una volta abbiamo difeso e mantenuto il vostro onore e la vostra eccellenzia , e de1 vostri prede- cessori , ma sempre in celato e palese. E però senta il vostro popolo il degno beneficio adoman- dato. Voi siete il sommo e l'ultimo nostro rifugio: e se la vostra pietade non ci difende e soccor- re , a cui ricorreremo ? a cui anderemo per soccor- ,, so? chi ci difenderae , se '1 padre, lasciando lo scu- do , abbandona il suo figliuolo ? Speranza adunque fla il nostro nodrimento infino a tanto che la vo- stra clemenzia ci rilevi: li quali gravemente sia- mo caduti per mantenere il vostro sagro nome.

Come si dee dire a rettore acciò che non prenda parte ne setta nella terra.

Acciò che li mali non crescessero in terra fue trovata la giustizia. Però , messere potesta- de , il quale siete qui per mantenere giustizia , non si conviene a voi d'abbandonarla non punen- do li colpevoli , onde s'ingenerano li mali esem- pli. E però sievi manifesto, che li cittadini di Q. vi pongono bene mente alle mani , quando voi non tenete pari la bilancia , pigliando parte e setta ,, nella nostra terra. Certo , quando voi foste elet- to nostro rettore , non per parte , ma per tutta « la cittade foste eletto, Ond'io vi priego , che da

234 Letteratura

quinci innanzi opriate quello che sia unitade e buono stato di tutta la ciltade e onore del vostro oIìjcìo , c!ie possiate tornare con lieta nomi- nanza a casa vostra: conciosiacosaclie la fine dell' of- ficio vostro v'aspetta di coronarvi d'onore, o di punirvi con la ragione.

Questo piccolo saggio saia d'assai , se non er- ro , a provare quanto sia stato fallace e acerbo il giudizio , che delle dicerie ha dato la Biblioteca Italiana nel quaderno di aprile N.° uà» pag. i35. Ivi si dice che lo stile del Ceffi è basso e ag- ghiacciato a tal segno da gelar V anima nel pet- to a* leggitori. Queste parole mi sforzerebbero ad applicare all'acerbo giornalista quel celebre giudìzio degli spartani: licei Clazomoniis indecore facere, quasi che io volessi dire, che è fatta abilita a chi scrisse quelle parole nella Biblioteca Italiana di giu- dicare in tal modo , siccome a colui che poco si co- nosce di buono stile , e che pone di assai volte la forza del dire nelle parole sesquipedali , e ne'con- cetti ricercati e stranieri. Ma alcuna volta è bel- lo anche il tacere ; e noi di buon grado vogliamo essere cortesi di tanto con quello scrittore , il qua- le ha di altra parte data la debita lode al Bion- di : e solamente ci contenteremo di fare avvisato il nostro lettore , che il giudizio di quel giornale intorno le dicerie del Ceffi , non è punto da attendersi; giacché ha giudicato delle dicerie senza averle nep- pure lette. La cosa e chiara di per se stessa. Di questa maniera di libri ( sta scritto nella citata pagina della Bibl: Ital: ) già troppi ne furono posti in onore da alcuni pedanti , ai quali son gemme e leccumi il ninferno , le grillaude , // crapesto , e si- mili altre cosucce : e ci dorrebbe che V autorità del signor Biondi aggiungesse qualche partigiano

Dicerie del Ceffi a35

a quella perduta dottrina. Ora io dico : che lo 'acer- bo giornalista non ha letto le dicerie , non tro- vandosi in queste alcuna di quelle stroppiate pa- role : e lungi dal doversi temere , che 1' autorità del Biondi le facesse venire in onore quando vi fossero , il Biondi ha scritto a bella posta un ca- pitolo (Par. II. cap. pag. LI) per rigettare qua- lunque parola , e modo d'inflettere e di scrivere , che in queste dicerie sentisse troppo del rancido e dell'antico , e non convenisse con 1' uso dei nostri letterati, e del nostro popolo. Laonde non potendo dire con §ozomeno=legisti sed non intellexisti, si enim intellexisses non improbasses = farà di me- stieri il dire , che quel giornalista non abbia letto. Ma non più ragioniamo di lui, e passiamo a correre acque migliori, discorrendo quel tanto , che intorno le dicerie del Ceffi e il ragionamento del Biondi ha scritto nell' Antologia di Firenze , qua- derno N.° 5^;, il chiarissimo Antonio Benci, con pa- role tutte gentili e quali si convengono tra lettera- ti e letterati , t*a italiani e italiani, e per dirlo a dispetto di chi sente in tutto dello scemo , e non ha gusto che per le cose torte e cattive, tra quei che un muro ed una fossa serra. E certamente an- che nelle discordi opinioni non poteano uscire che gentili e cortesi parole da que'fiorentini , che tor- nati a bello e riposato vivere e a fida cittadinan- za , studiano mercè delle lettere e delle arti di ren- dere a Fiorenza lo antico splendore , sicché nuova- mente sia a chiamarsi = madre di loda e di salu- te ostello = , e sia a dirsi == felice V alma che in leifia creata=: e per tal modo compiansi almeno in parte una volta i patrii e caldissimi desiderii di quel magnanimo , che in onore l'amava , e che in- vano garrendole e sgridandola disperato della salu*

(

•06 LETTERATURA

te di lei e d'Italia , andò sotterra ombra sdegnosa e forse ancora fa sonare colaggio, le fiere parole di quel suo Sordello altera anima lombarda. E sen- za più andare in parole sulla cortesia del Benci anch'io , siccome egli fece col Biondi , incomincierò dal rendergli quelle grazie , che gli si debbono per ie utili notizie intorno le storie della guerra tro- iana scritta in latino , intorno quella compilata da Guido Giudice delle Colonne , e intorno i volga- rizzatori di questa , le quali egli ci ha date nelle sette annotazioni , che conseguono la lunga lettera diretta all'editore delle dicerie: e anche noi voglia- mo che di questo sincero rendimento di grazie sie- no partecipi tutti, che al Benci in tal fatica furono cortesi di ajuto , siccome egli ringrazia tutti , jche al Biondi lo furono.

Dopoché togliendo a disamina la lettera del Benci, e a lui volgendo le nostre parole, gli di- remo primamente : che ci gode veramente 1' animo nel vedere come per voi sia chiaro avere scoperto il Biondi col solo lume della critica gran parte di ciò che facilmente fu dato a voi di leggere e di cono- scere , mercè de'codici , che costa si conservano.

Raffermato infatti che il Ceffi nel i3a4 volga- rizzo la stona di Guido Giudioe , voi concludete al paragrafo secondo della prima annotazione , essere stato il Bellebuoni un altro volgarizzatore della sto- ria medesima negli anni i333 , secondo che leggeste nel codice 3268 della Riccardiana : e il Biondi nel cap. 1. della par. 1. scrive :„ o il Bellebuoni è stato anch'esso ricopiatore , o due sono i volgarizzatori ; ma al Bellebuoni non devesi mai la prima lode.,,

Nella nota terza voi dite, essere la prima ne'vo- stri codici la diceria seconda del libro stampato in Torino : e il Biondi nel capo 1. della parte HI.

Dicerie del Ceffi 337

scrive t n A questi fatti storici si riferiscono le due » prime dicerie. Nella seconda delle quali ( che in » ordine di tempo, a mio credere , e prima)».

Il Biondi nel capitolo quarto della prima par te s'ingegna di mostrare, come il padre del nostro Filippo avea nome Ceffo; e con ugual bontà di ra- gioni prova nel capo quinto che questo Ceffo fu cavaliere o capitano o caporale ; e che in conse-» guenza le parole che sono al fine del volgarizza-, mento delle pistole di Ovidio, il quale translatoe ser Filippo figliuolo di C- K. per adrieto del po- polo di S. Simone della città di Firenze , sono a leggersi figliuolo di Ceffo cavaliere o meglio capi- tano o caporale per adrieto del popolo di S. Si- mone etc : e voi scrivete poco dopo lo incomin- ciamento della vostra lettera , che il Lami registra due contratti del 1288. / quali roga siccome giu- dice e notaro Ceffus fil. Roggerii Covonis e quin- di dimandate : sarebbe questi un antenato o il pa- dre di Filippo ? Al che io risponderò , che dopo gli argumenti del Biondi questi contratti non lasciano più luogo a dubitare : poiché non solo la profes- sione di notaro , ma ancora Tela fa manifesto che il vostro Ceffo figlio di Roggero è quel Ceffo is tes- so padre di Filippo che si legge nel Biondi. Che poi vogliate dubitare se la k. posta dopo la C. al fine del volgarizzamento di Ovidio significhi Co- <vonis y e non caporale o capitano o cavaliere , non parmi ragionevole : poiché le parole che ne con- seguono per adrieto del popolo di S. Simone , chia- ramente indicano qualche officio ; non essendo mai costume degli antichi , siccome voi meglio di me vel sapete, di notare anche la parrocchia o il quar- tiere della citta, quando solamente era a scriversi il luogo loro nativo : e qui per vero sarebbe stata

338 Letteratura

una tal cosa e insolita e inutile e ridicola , men- tre con quel per adrieto avrebbe il Ceffi voluto dirci che avea mutato casa di abitazione e par- rocchia.

Il Biondi è tutto a mostrare col suo ragiona- mentOj che le dicerie del Ceffi giovano ad illustra' re quella parte di storia che è dal i3a5. al i328 , e vicendevolmente sono da quella illustrate. E voi alla pagina 7. della vostra lettera scrivete : Quan- to è a ciò sono in vero preziose le dicerie da voi pubblicate , e dobbiamo stimarle ancor più per la parte storica che non per la loquela. E dopo que- sta ingenua confessione vi fate bellamente a con- fortare la opinione del Biondi , anzi la verità da lui illustrata, movendole contro alcuni dubbi , i qua- li tornano in ultimo a renderla più evidente. Sa* no accorgimento è questo , che pone al coperto chi scrive in lode di un amico dalla taccia di par- zialità e di adulazione ; e rende più care le cose dallo amico dettate , facendole uscire vittoriose del contrasto di argumenti e di dubbi , con che pareva essere intenzione dell'altro amico di contradirle e di abbatterle. E anche di questa fina cortesia , gen- tilissimo Benci , io vi riferisco mille e mille azioni di grazia.

Il primo dubbio vostro nasce dal disordine e da'difetti del codice della Vaticana ; osservando che il pregio di aver collegato le notizie istoriche è del Biondi e non del codice , il quale è stato ri- ordinato nello stamparle ( soggiugnete alla nota III. ) come dice il cavalier Biondi nella prefazione. Ma il disordine e la mancanza non hanno mai fatto can- giar natura alle cose ; anzi tornano a prova dell'as- sunto, quando il riordinare e il supplire non costa che un semplice raffrontare di storia a storia , di

DlCElUE DT'T, CUFFI ^3q

narrazioni a narrazioni , di parole a parole : ed era ciò tanto naturale nelle diceria del Ceffi , che ver- gendole cosi bene convenire con la storia de' suoi tempi , avvegnaché poste senza ordine e con alcun che di difetto., le avete credute ricomposte e rior- dinate, e avete detto aver ciò operato il Biondi , il quale anzi ha stampato il codice siccome egli sta nella Vaticana , e vuole che ciò sia a nostra piena cognizione , con queste parole alla pag. LI cap. IV' par. II : » Il che non ho fatto io , perchè hai cre-i 5> àuto doversi in questa prima edizione pubblica-'

35 re lo scritto coni esso giace nel codice.

i La dubitazione seconda per voi rampolla ac- canto alla verità chiarita dal Biondi; perchè (rCo* si voi gli scrivete) per accordare le dicerie alla sto- ria non siete stato voi costretto a restringere i tempi , assegnando a quelle il solo spazio dal i3a5 al i3a8? E appunto io vi rispondo, queste dice- rie riguardano alla storia di que'tcmpi , perchè sen- za lambiccarsi il cervello in contorte interpetrazio- ni e stiracchiature elleno ottimamente si raffronta- no co'fatti di un tempo determinato. Trattandosi di giudicare se uno scritto è veramente storico o imma- ginario , quando naturalmente venga fatta abilita di restringerlo a certi tempi , torna inutile ogni dub- bio, e la sana critica non va mai tanto sicura quan- to in simili giudizi. Dappoi io vi domanderò , e per tali parole sarà fatta risposta al terzo e quar- to vostro dubitare , da quali ragioni affidato vo- lete che si riferiscano ad altri fatti , ad al- tri luoghi , ad altri personaggi le dicerie del Ceffi , se in esse sta scritto Firenze , Fermo , Città di Castello , Lodovico di Baviera , Roberto re di Na- poli , Karlo duca di Calabria , e andate voi discor- rendo ? perchè volete che il bianco sia nero e il

24o Letteratura

nero sia bianco ? Perchè , mi risponderete , ne' no- stri (eli Firenze) codici sono i nomi supposti ezian- dio nella prima diceria. Ed io vi menerei per buo- na una tal ragioue , se i vostri codici fossero più antichi di quello della Vaticana. Ma poiché noi so- no di lunga tratta , mi confido , che vi adagerete nel mio parere , se asserisco , che i vostri sottoso- pra sono tolti dal nostro : giacehè le varianti sono ben poche e di poco conto , tanto più che essi non vi hanno dato di che supplire alle lagune , che il Biondi ha indicate in quello della Vaticana: lo che certamente voi , siccome esatto e diligente nel notare ogni più piccola variazione , non ave- reste tralasciato di fare, se i codici fiorentini fosse- ro stati pieni ed interi. Che poi sieno taciuti o cangiati i nomi proprii in codesti nostri manoscrit- ti , non monta un frullo : essendo naturai cosa che non ispento il parteggiare, e vive ancora le cagio- ni degli . sdegni e delle inimicizie fra i cittadini , siasi da prudenti copiatori tolto dalle dicerie tut- to , che poteva inasprire le. piaghe ancor fresche degli animi esacerbati ; dovendo quello scritto cor- rere di continuo per le mani de'fanciulli, ed esse- re alla portata di tutti. per questo io vi con- cederò, che ora spenti i partiti , e morte e dimen- ticate le cagioni delle antiche guerre civili, noi tut- ti dobbiamo desiderare (sono vostre parole) che nel fame una nuova edizione si mantengano i no- mi supposti. Poiché la Italia troppo si rammenta dell'antiche discordie che la spossavano e smem- bravano , inducendola ad ira e vendetta contro se medesima E le dicerie del Ceffi , che sono ven- dicative come erano le genti in quel secolo , edu- cherebbero i giovani all'odio contro i fratelli , se lette /ossero con queynomi che la faticana. Se

Dicerie del Ceffi 2.| l

questa ragione , che nel furore delle parti era ben di assai a indurre i copiatori a toglierò o cangiare Lnomi , fosse buona anche per noi, bisognerebbe bruciare e i Villani, e il segretario fiorentino , e il Guicciardini , e quanti altri d,ci|c cose italiche han- no scritto istorie, e l'Alighieri ancora, il nostro pa- dre e maestra bisognerebbe dare alle fiamme. t)io ce ne tenga .lungi anche il sogno J Per l' opp osilo io penso che sarebbe mal fatto il tacere o il can- giare i nomi nelle dicerie: perchè spogliate della relazione co'fatti , colle persone, e co'tempi , perde- rebbero gran parte del loro bello le dicerie, non più spirando amor patrio, nobile ira, e giusta ven- detta, da cui sono animate,; e allora si mettereb- bero ne' leggitori quel ghiaccio della Biblioteca Ita- liana. E qui ponete mente che i cittadini a. giorni del Ceffi non retti da altri ma, se stessi regge/lido , dalle cose pubbliche erano solamente toccati di modo che tutti dal ricco al povero , dal nobile al plebeo prendeano parte negli affari della patria , e a ben trattar questi tutta volgevano la educa- zione dei loro figliuoli. Laonde panni consentire a natura delle, cose che un cittadino, a cui piacesse di esercitare, la gioventù a ben dire , scrivesse ap- punto intorno quei fatti , che tutto giorno eli animi- movevano ora a perturbazione ora a allegrez- za, col male o col bene della comune madre , la patria. Non so però intendere come lo avere det- tato i fatti a'suoi giorni accaduti possa prestare ar- gumento di non attribuire del tutto le dicerie al Celli , le quali se sono veramente storie// e ( cosi ragionate voi).// Ceffi non' puh, averle se non cmn- jìilate. Gli storici dunque non sonq che meri com- pilatori ? A me pare che si delibano attribuire al Ceffi le sue dicerie, siccome a l'ito Livio altribui- G.A.T.XXYU '

afa L K T T E U A T V II A

sconsi le sue concioni. Ma io porto cavoli a Legna- ia ; e voi meglio che me siete persuaso della ve- rità posta in luce non dirò da'commenti del Bion- di , ma dalle parole stesse del Ceffi. Vostra opinio- ne e che le dicerie sieno a stimarsi pia per la par- te isterica che non per la loquela. Voi proponete che nel farne una nuova edizione si mantenga- no i nomi supposti. Perchè la Italia troppo si ram- menta dell'antiche discordie. . . . E le dicerie del Ceffi , che sono vendicative come erano le genti in quel secolo , educherebbero i giovani alV odio contro i fratelli. E voi concludete che anche tolti questi segni particolari , è il libro a tutti giove- vote: e sempre rimane storico, ritraendoci gli umo- ri di quella generazione. Dunque a que'ternpi a quel- la generazione a que' luoghi a que' fatti a quelle persone si riferiscono le dicerie; e dunque sono isto* riche , siccome ne siete convinto voi , il quale final- mente scrivete : Ma la più importante considera- zione sopra queste dicerie , è a conoscere i pote- stà o rettori : e lungamente ragionando sull'origine e sul processo di questa barbara istituzione, ne ri- andate molte particolarità non usando che le pa- role di tredici dicerie del CeiTi , le quali riferirsi a potestà voi stesso mostrate. Fa ragione pertanto che nuovamente per noi si ringrazi la gentilezza vostra , che si bene avvalorando la opinione del Biondi, più e più dilucidate la verità con l'aggiun- ta di quella maggiore erudizione che sapeste trar- re da codeste preziose biblioteche : e fa ragione che insieme , per usare le parole vostre , si congioisca perchè al Biondi siasi data occasione a vieppiù istruirci, avendo epilogata la storia con utile com- mento , e avendo con la istoria raffrontate e chia- rite le nobilmente e caramente semplici dicerie del Ceffi.

Dicerie del Ceffi i\?)

Ma ciò. che del Ceffi , eli Guido Giudice , del Biondi , e degli altri codici e manoscritti avete det- to , o cortese e ingenuo fiorentino , è un nonnulla in paragone della nota apposta al capitolo III par- ta II del ragionamento del Biondi , da voi trascrit- to , ove si discorre lo stile usato dal Ceffi nelle dicerie. per questa vostra annotazione al Bion- di, a me , e agli amici nostri solamente sta il ren- dervi grazie , e lo insieme congioire. No : la Italia tutta , o per meglio dire quante in Italia vi sono di persone, che abbiano senno, han debito di sa- pervi buon grado , e di congioire con voi e con tutti noi del franco e ingenuo , e dirò anche ar- dito modo , con che sprezzati i pregiudizj e le pre- venzioni , e rotto ogni freno di parti di amicizia e di maleintesa carità pel suolo nativo , il primo xi siete fatto a confessare e predicare quell' alto vero , che a vergogna nostra finora fu bruttamen- te combattuto e rispinto. Oh ! questo è veramente amare in onore la patria , e albergare in petto un'ani- ma veramente italiana ! Amico , io disperava ormai che uno solo divenisse il linguaggio de' miei fra- telli , e indarno con le altre fiere e molte parole di un nostro bizzarro fiorentino andava ripetendo :

» A che dunque la stolta ira non cessa , » O figli e parti di una patria stessa ?

Ma voi la cessaste : e voi sarete il nostro angelo di pace. Possano esser pieni i nostri voti : possa- no le parole vostre suonare sulle labbra di tutti i vostri : e mal prenda a chiunque o per ignoran- za o per malanimo vi spira sozzo veleno e vi ri- chiama agli odi antichi , alle antiche inimicizie , al- le matte contese di nude parole. Concedetemi che

i<5*

^44 Letterat u r a

a gloria vostra e a contentameli lo di tutti gì' ita- liani io qui trascriva quest*aurca annotazione , che voi fiorentino in Firenze daste alla luce , avendo scritto il Biondi , che le parole del Celli erano qua- si tutte lontane da ogni fiorentinismo.

» Chi scrisse le dicerie , che qui si lodano , ?) è secondo il Biondi stesso un notaio fiorentino.. » Onde tutti i vocaboli di queste dicerie erano y> come son sempre usati da' -popolani fiorentini i 5> ne la dicitura non sarebbe semplice , chiara ed 3> elegante , se non provenisse da familiare loque* v) la. Sicché dicendo che qui mancano fiorentini- \ 3> smi , debbesi intendere ohe mancano o gli e;-'- v> rovi di che ho parlalo nella lettera . , o quéter-' » mini e quelle frasi che riferendosi a certi usi o fatti particolari della, città non siano in que- n sto senso intese da tutti gl'italiani , benché ita-- y> liane aneli esse. Non parlo del fa celiare in ger- ■» go o per bisticci , poiché V idioma non parteci- pi pa di pazza consuetudine se non per le de- li sìnenze : le quali pero dimostrano a che lingua » appartengano i riboboli, non riiri pur troppo m in veruna favella. Ed io noto così per amore » di verità , non perche ami la disputa , non per- ■» che voglia dare altro nome alla lingua d' 'Ita- ti Ha se non d'italiana, non perchè pretenda che ? il parlarsi qui comunemente la lingua italiana r, ci dia privilegio di bontà. E reo chiunque ten- » ta di divider gl'italiani.

Oh ! ben lo diceva queir eccellente filosofo : che la verità e la ragione esercitano un impero tiran- nico sul nostro animo , e che è pur forza il dar loro ricetto ad onta ancora del nostro volere e del nostro amor proprio ! Finalmente per voi .sapremo in che lingua si abbia a scrivere da tutti gli ita-

Dicerie del Ceffi 2/|5

liani : finalmente si riconosce per vero, die italia- namente non iscrive chi usa termini e frasi che riferendosi a certi usi o fatti particolari della cit~ tà, non siano in questo senso intese da tutti gli italiani , bencliè, italiane anch'esse -. che non è lin- gua italiana il dialetto fiorentino, se degli errori che ha , se di questi termini e frasi , se de' suoi fio- rentinismi non è scorro : che sarebbe pazza con- suetudine quella di tradurrò nelle italiane scrittu- re il gergo e i bisticci e i riboboli proprii di qualche provincia, citta, o paese. Finalmente i cun- tradittori di queste verità , fatto senno , daranno manus victas , e con voi altro nome non vorran- no dare alla lingua (f Italia se non d'italiana ■■ e tanto a questo vero avete fatto devoto il vostro .animo , che concedete assai di più che non vi chie- devano gli altri italiani : poiché vi è caduta dal- la mente anche la pretensione che il parlarsi co- stì comunemente la lingua italiana vi dia privi- legio di bontà : lo che certo non sentiranno Lene i vostri concittadini , io pure vel consento : per- chè, se è vero che il dialetto fiorentino non è tut- ta la lingua italiana , è anche vero che in Fio- renza meglio che in tutte le altre parti della no- stra Italia si parla dal popolo la lingua italiana , ed ivi è ch'ella più conserva la nativa sua purez- za , eleganza , e proprietà, di parole. Ma voi forse a tanto piegaste i vostri detti perchè , io penso , dalla modestia vostra sieno gli altri condotti a dol- cezza e mansuetudine , e cessino una volta i fieri loro sdegni, che, se oltrevarcano il segno della ino* derazione e dell'amichevole convenienza , lungi dal vincere la contesa e metter pace , prendono abito di soperchieria e vie più inaspriscono. Sia lode a voi dunque e lode immensa , che vi spogliale an-

a/\6 Letteratura

oora dei proprii beni , perchè sia spenta l'altrui in' vidia e si riponga in dolce unione la divisa famiglia dei letterati: bello esempio è il vostro di tacere an- che il vero , se può esser seme che frutti discordia t poiché e reo, siccome voi saggiamente gridate, chimi' que tenta di divider gl'italiani.

G. S. M.

Opere di Lorenzo de' Medici , detto il Magnifico , Folcirne I. Firenze , per Giuseppe Molini coti" pi Bodoniani. 1825.

Ì\]la regia altezza di LEOPOLDO SECONDO Gran Duca di Toscana piacque mirare con ispeciale af- fetto le celebrate composizioni del grande Lorenzo ; e queste già conlinciano ad uscire in luce, accon- ciamente raccolte, e decorate di quella splendidez- za ch'è propria del trono. Un tanto esempio rin- cora gl'italiani e gli europei tutti ardentemente in- tesi alle sorgenti della miglior dottrina , i quali veg- gono le rette istituzioni e le munificenze della Gre- cia e di Roma imperanti, non che della Italia stes- sa ne'secoli della maggior sua gloria decimoquinto e decimosesto, rinnuovarsi anche nel presente, con pieno trionfo di questa terra privilegiata delle ar- ti e del gusto più fino. La impresa magnanima del Sovrano scosse opportunamente la fervida fantasia del celeberrimo sig. Sgricci , di cui è gran van- to il disporre e svolgere all' improvviso l'arduo tes- suto delle tragedie : ed avendoci egli gentilmente co- municata la nobile ode che ne consagrò al restitutor magnifico dell'antico Magnifico suo precessore nel bea- to soglio d'Etriuia , ci facciamo un pregio di qui recarla sollecitamente.

Edizione del magnifico ^47

Nella pubblicazione delle poesie del Magnifico Lo- renzo de' Medici, raccolte e date in luce la pri- ma volta in un sol corpo per le immediate cu- re , e regali munificenze di S. A. I. e R. LEO- POLDO II. Gran Duca di Toscana.

ODE

Di Tommaso Sgricci Aretino.

K

ata a sublime altezza Alma, che altrui face divegna in terra, Non attende stagion per farsi bella Della natia chiarezza, Ma del chiuso valor lampi disserra Ratto , che al suo pensier ragion favella. TU celar della felice stella Onde se'mosso per noi far beati Gl'influssi fortunati Potesti al nostro desiderio ardente, Spirto gentil , che regni ai Toschi in core; Ma dell'eccelsa mente Balenò da prim'anni il bel fulgore.

L'Aquila maestosa

Delle ali al certo remeggiar fidata

Sdegna colle fecondo, o valle amena,

E il fiero nido posa

Pei dirupi dell'alpe inabitata

Che umano sguardo osa tentare appena;

Ne dell'immenso voi l'impeto frena

»$8 L e1 t r f, n a t v n a

Turbo, che crosci, o folgore, che strida;

Ma dove il sol le rida

Rutilante dal soglio luminoso

Ferma i vanni dell' aer la reina,

E il ciglio ardimentoso

In quel torrente di fulgori affina.

il viso ancor t'ombrava

La sperata lanugine; che il petto

Era in te stanza di pensier maturi.

Sol fiso in cor ti stava

Con più tenace affetto

Qual nome feà tutti altri nomi oscuri.

Quel si fea specchio a'tuoi destin futuri;

Di quello ardeva il giovenil pensiero;

JNe per le vie del vero

T'eran le pompe inciampo , o i blandimenti

Delle lusinghe, onde la turba vile

Spegne in cor dei potenti

Qual germe è in lor magnanimo , e gentile.

Ma ben la fiamma eterna

D'Etna , e di Somma volgerebbe in onda

L'uom possente a scacciar di sua dimora

La virtù prima interna,

Che donna della mente soprabbondà ,

Di che ciasfcuu concetto si colora.

Quante fiate ti mirò l'Aurora

Pallido, e fiso sulle dotte carte

Interrogar dell'arti»,

Che regge il freu dell'alme, i pochi egregi

Edizione Ml Magnifico azfo

Che di lor lume circondavo il trono , E imparar come uora spregi Quei tesor che dell'anima non sono.

Un generoso istinto

Per l'Alpi a investigar l'orma del forte ,

Ed avvisar de'lochi il mutamento

TE conduCea non cinto

Dallo splendor della paterna corte ,

Ma solo , e in meditar gran cose intento.

L'opra degli anni , e'1 nobile ardimento

Dei grandi , cui natura anco soggiacque 7

Ti scosse , e in cor ti nacque

L'alta vaghezza , onde ne'lor portenti

Evocasti l'eccelse ombre famose $

E dai passati eventi

Più. d'una a TE dell'avvenir rispose.

Nobile spirto in traccia

D'un rispondente cor , che gli favelli ,

Corre a traverso i secoli rimoti ;

Suoi chiari fatti abbraccia

Come persona, e vuol si rinnovelli

Sua fama, e splenda ai memori nepoti.

Eran dispersi, o non pregiati, o ignoti

Del tuo Lorenzo i carmi, e TU sublime

Alle obliate rime

Vita tornasti, che di quel grande

Verdeggiali liete sull'augusta' fronte

Le appassite ghirlande',

Che il tuo vegliar farò degli anni all'onte.

a5o Letteratura

Ne a più splendido segno TU l'altezza fermar dell'intelletto , O locar l'alma in più soave nido Potesti : ei sol fu degno Che TU il chiamassi del tuo cor lo eletto. E taci e adonta menzognero grido, Che signor grave , e cittadin malfido Narri allo stolto il gran lume Toscano. Era la patria in mano Degli inimici, e dalle Alpi al Tirreno Italia congiurata armi fremete D'ostil ferro il baleno Funebre , inevitabile splendea.

A sua Citta devota ,

Allor che fa queir anima sicura ?

Forse ogni uom seco a perigliar trascina?

Esce sola , ed ignota ,

E se commette a mal fidate mura

Ostia , o sostegno alla comun ruina.

plauso mai la liberta latina

A più magnanim'atto , e più cortese?

Si che d'amor s'accese

L'odio del re nemico, e i veri accenti

In ascoltar di quel divin consiglio,

Mutò l'ire bollenti ,

E al petto lo raccolse amico, e figlio.

Se traditor si noma

Uom, che a servar sdruscita prora espone

Se itesso , e al temo intrepido si asside,

Edizione del magnifico 25 i

Svelgansi dalla chioma Di Lorenzo le civiche corone, E sian le glorie sue dette omicide. Se tiranno è chi frange, e chi conquide Le civili armi , e giugne in un volere Menti discordi e fiere , E al paese natio le nobili arti E ogni savere, e gentilezza appella Dalle rimote parti , Detto è a ragion Lorenzo anima fella.

Ma chi spogliar si affida

Di suoi toschi l'invidia. ? Oh ! non è l'ombra

Del sole inseparabile seguace ?

Non v'ha per fin chi grida

Arte oziosa , e sol di fole ingombra

L'arte dei Vati, che de' Grandi è face?

E per gli anni lor fama è più vivace ,

Mentre del tempo il rapido torrente

Via si porta repente

Fasto , grandezza , e soggiogati regni.

Ma non tema d'oblio nebbia, o di morte

Chi arrise ai sacri ingegni ,

Che alla vita seconda apron le porte.

In questa fortunata edizione tutto ciò che ap- partiene all'arte impressoria corrisponde perfettamen- mente al merito intrinseco della medesima. Vien' el- la composta di quattro volumi in quarto. Tre di essi contengono le poesie , ed il quarto comprende il cora» mento fattone dall'istesso Lorenzo. Cento cinquan- ta esemplari ne sono stati tirati in bella carta veli- na della fabbrica Magnani in Pescia , detta papa-

a52 L I T 1B.:R A T D m

Iona. Altri cento esemplari in bellissima carta d'In- ghilterra pur velina da disegno , detta super rojal. Un esemplare unico fu tirato in pergamena, d' Au- gusta , ed un altro esemplare unico in carta velina d'Annonay di color celeste; e questo è di forma in foglio. Ogni volume è composto di circa trenta fo- gli. I caratteri sono -di' fiodoni ; e tutta l'edizione è stata eseguita con un torchio d' Inghilterra di fer- ro fuso , di quelli chiamati alla Stanìwpe , eh' è proprietà del Sovrano. L'egregio tipografo sig. Mo- lini ha certamente spiegato in tal'edizione tutfa la intelligenza e la pompa dell'arte sua ; cosicché gli amatori della perfezione e del vero bello dif- ficile in queste cose , assicurano concordemente, es- ser'ella una delle più mirabili che da lungo tempo sieno state prodotte pe'torchj d'Italia.

Amati.

Tabella dello stato del Tevere , desunto dall'altezza del pelo adacqua sull'orizzontale del mar e, osserva- to ali Idrometro di Pupetta , al mezzo giorno*'

Agosto 1825.

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NIflit OBSTAT Petrus Lupi Med. Colleg.

NIHIL OBSTAT D. Alhertinus Beltenghi Censor Philos.

NIHIjL OBSTAT

Loretus Santucci Cens. Philolog.

IMPRIMATUR

Fr. Thomas Dominictis Piazza Ord. Praed. S. P. A. Pro-Magister.

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IMPRIMATUR

Joseph Della Porta Patriarch. Constantinop. Vicesgerens.

ì57

SCIENZE

De medicamentorum virtittibus recto, judi candì s-, dìssertatio Mauritii Bufalini ccesenatis , medi- cina' doctoris , quondam clit/ices institutoris <?.*> traordinarii in archi gyrmnasio hononiensi - Ti- cini lìegii , 1823.

«Estratto.

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'ivisamento dell'A. si è di presentare nella dis- sertazione, di cui imprendiamo a favellar brevemen- te , una norma più fida a cui attener ci dobbia- mo nello investigare le virtù inerenti ai rimedj. Pas- sando egli in rivista le singole opinioni , che do- . minarono dopo Ippocrate in tutt' 1 tempi intorno a questo ramo della medicina , non altro vi scorge il profóndo sig. Bufalini che imperfezioni ed errori : riservando unicamente ciocché si è detto sul conto della chimica facoltà costantemente appalesata nell'or- ganismo da alcune sostanze medicamentose , o della virtù di quelle altre che vi promuovono ed indu- cono evidenti e relativi effetti, come la emisi la ca- tarsi la diaforesi e simili, ad onta che di tali feno- meni oscura pur si rimanga la ragione. Si è procu- rata ognora da sagaci scrittori la emendazione delle segnanti preconcepite teorie.; ma niun profitto da si-

G.A.T.XXVII. 17

a58 Scienze

mili lavori si è giammai conseguito , e nemmeno vi riuscì, a senso del N. A. , il valente Alibert. Fallaci pur tornarono le istituite ricerche , allorquando si volle tener dietro ai fenomeni riscontrati nel trat- tamento del sangue del siero della linfa della saliva della bile e di altri umori con le sostanze medicina- li , o nel somministrarle ai bruti ora per le interne vie ed ora per apposizione sul loro tessuto der- moideo. Poiché e non può rivocarsi in dubbio un certo grado di alterazione degli umori fuori del cor- po ; ed è troppo dissimile lo sviluppo degli effetti emergenti nei varj bruti dall'uso delle potenze ester- namente applicate , tanto più che niuna identicità di effetti si rimarca bene spesso con quelli riscon- trati nell'uomo ; e finalmente ignoriamo se cambia- mento soffrino nel ventricolo i farmaci , se e come diffusi vengano nell'intiero organismo. Non declinan- do però in gran parte il N. A. dalle tracce segna- te da recenti scrittori , ci propone ora altre regole per lo scopo di una più fida ricerca , e premetten- do la notizia di ciocché debba sotto la denomina- zione di rimedio intendersi , stabilisce primamente che siccome fa duopo ritener per farmaco tuttociò che dopo la sua esterna applicazione o interna pro- pinazione determina cambiamenti nel corpo umano , cosi distinguer conviene la natura di simili can- giamenti nel vario stato e sano ed infermo dell'or- ganismo istesso. L'alterazione delle funzioni e l'im- magine di siffatti cangiamenti, i quali con più fer- ma evidenza si annunziano dalle funzioni più sem- plici che abbracciano il movimento vitale ed i pro- cessi di assimilazione. L'esteriori potenze, che ser- vono a quest' ultima , somministrano alle fibre ed agli umori qualcosa della loro sostanza , don- de si effettua la nutrizione ; e qui l'A. s'intcrtiene

De' medicamenti $§g

con molta sagacita a contemplarne la normalità ed il pervertimento , il come siegua lo sviluppo del- lo stato morboso , e la rimozione venga poi ad ope- rarsi di quella perturbazione di elementi che in- dusse lo stato morboso merce delta pratica di quel- le istesse cose che valsero a produrlo. Ma per ri- spetto alle potenze stimolanti il moto vitale , ri- tiene piuttosto il N. A. che alcune di esse agisca- no con meccanico impulso , mentre pungono com- primono incidono ed altri somiglievoli effetti in- ducono.

Con varie e sode ragioni inculca , dopo tali pre- messe , la necessita di distinguere i risultamenli dei menzionati effetti "per rilevarne quel che debbasi all' assimilazione riferire. Che di vero siccome ritiene egli per canone fisiologico distinte le funzioni dal movimento vitale , e siccome le manifeste funzioni dell'organismo aver non si debbono f come termo- metro dei cambiamenti del moto vitale in patolo- gìa ; cosi in terapeutica convien distinguere i pri- mi dai secondi per trar conoscenza del verace mo- do di agire dell'esterne potenze .'avi corpo umano i riferendosi all'assimilazione gli effetti di quei ri- medj che protraggono nel corpo il loro soggior- no , ed al movimento vitale gli effetti di quelli che dissiparsi scorgiamo con prontezza. Onde per- ciò non si rinnuovi l'errore incontrato pur dai neo- terici nello scambio di addebitare al movimento vi- tale ciocché tribuir doveasi alle funzioni e vice- versa, e nell'inganno d'immaginare avvenuta nel vital movimento quella mutazione nelle funzioni ri- scontrata , e di avviso il sig. Bufalini , che miglio- ri istituir si debbano esperimenti per assoggettare ai nostri sensi lo vicissitudini del moto vitale e dell' assimilazione , e che un tal genere di sperien//

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si compia col metodo di ragionata e rigorosa eli- minazione. » Cum vero phgenomenon quoddam ( co- » egli si esprime alla pag. 4$) , cujus perquiritur a causa, nec simplex, nec cum ista copulatum con- t) stanti et unica ratione oculis nostris objiciatur , s) sed possibile sit, ipsum a variis causis progeni- » tum existimari ; ut inter has vera seligatur , me- ri thodus est adhibenda , quae a Seina dicitur eli- » minationis : experiendo enim et observando rerum ?) naturam , verosimiles causae singillatim sunt arao- » vendae , doncc perveniatur ad illam, quse nequeat » amo veri , quin et phaenomenon ipsum statim eva- » nescat : hsec tunc jure vera ejus causa dici de- al bet. Functiones igitur Immani corporis cum tri— » bus videantur conflari viribus , idest vitalibus , » cliemicis , et mechanicis , primum curanti uni est , » ut sejungatur omnis chemica et medianica actio. » Insuper dissocianda sunt , quoe ad motuin vita- n lem , et qure ad assimilationem pertinenti ad sum- » mam functiones in partes , ut ita dicam , sunt » distrahendoe , et harum quaeque singillatim exa- » minanda , eisque substantiis tentanda , qua? modo » vires vitales , modo chemicas , modo medianica? » ad actionem impellant , adeo ut uniuscujusque ha- » rum virium effectus separatim in conspectum ve- v niant , et sic quid unicuique debeatur , clarissime » innotescat. »

Mercè dell'injettamento dei rimedj nelle vene vuol die sia rintracciata ed esaminata l'azion chimica dell'esterne cose , limitandosi però unicamente alla contemplazione degli effetti sviluppati dappoi nella crasi del sangue , senza dar peso alcuno ad altri fe- nomeni di qualsiasi specie. Da questa ragionevole foggia di esperimentare non devono andar disgiunte vane cautele gon cura raccolte dall' A. ad oggetto

Dk1 medicamenti 2O1

di far conoscere sotto quante e variate maniere istituir si debbano gli esperimenti medesimi. Vuole altresì , clie non si trascuri l'esame delle sostanze immutate e circolanti col chilo per ravvisar l'in- dole degl' impressi perturbamenti ; Il indagine di quelle altre che senza aver subito verun cangia- mento sono dal corpo eliminate in un qualche umo- re pervertendo la normalità del suo stato ; e l'os- servazione pur anche di ciò che avvenga ove i far- maci col sangue circolanti , senz' avere soggiaciu- to a veruna mutazione , versati siano su qualche or- gano con conseguente sviluppo di loro efficacia , ovvero portati siano a contatto di tutte le fibre pervertendone la modalità. Il complesso di tutte que- ste ricerche, poste al confronto con le altre già ri- scontrate col mezzo della injezione dei rimedj nel- le vene , dark per risultamento la conoscenza di energia dell'azion chimica delle sostanze esterne sul movimento vitale e sull'assimilazione.

Anzi , per ciò che spetta a' farmaci diretti ad eccitare il movimento vitale , inculca il Bufalini , che si vadan tracciando le variazioni di questo ne- gli organi che lo eseguiscono , nel sistema nervoso cioè e nelle fibre muscolari : intorno al quale ar- gomento si resero benemeriti Rolando, Le-Gallois, e Wilson , con l'avvertenza però di cimentare iso- latamente con l'esteriori potenze le fibre muscolari ed i nervi. con minor impegno insiste perchè sottoposte vengano a severo scrutinio le connessio- ni ed influenze varie dei nervi afiin di verificare se le avvenute mutazioni nei movimenti di una par- te si riscontrino pur in qualche altra o in tutte per opera dell' azione istessa della medesima este- rior potenza. Il valore delle contemplale ricerche po- trà spargere opportuna luce per decidere se possa-

2G2 Scienze

no o no assimilarsi le azioni dei nervi ai fenome- ni della pila voltiana; e con la scelta delle istesse indicate ricerche agevol sarà di compiere la ricor- data eliminazione di cause , e giungere cosi alla co- noscenza dei veri fenomeni derivanti dalla facoltà di cui godono l'esterne potenze. Emergerà quindi con chiarezza ed evidenza qual sia l'impero delle potenze esterne nel cangiare con forza chimica gli umori , quale in modificare l'assimilazione , e qua! finalmente noli' esaltare il movimento vitale : quali siano le sostanze che senza subire verun cangiamen- to sogliono essere consegnate al sistema irrigatori , quali di esse diffondersi per l'intiero organismo , e quali ad una parte soltanto essere dirette , ed Ivi trattenute. E per tal modo n difficile quidem non erit inter phsetiomena ab ingestis profecta ea noscere ti atque seligere , quoe ad unamquamque referri de- J beant , vim qua res externas donantur . . . Sedulis v> vero his experimentis (rettamente soggiunge dipoi), atque observationibus proetermissis , aut constitu- m to ordine non servato, generalem remediorum vir- 5? tutem detegi non posse , nec rite definiri adeo » persuasum habeo , ut affirmare audeam , nos pro- « postumi 11 nera nunqiiam consecuturos, si aliam in- gredi viam , aliaque ratione ac methodo haec in- dagare velimus recondita naturi» opera . . . In- » terim ex his omnibus , quce hactenus disseruimus, » concludere quisquis potest , temerarium nunc fo- n re , tamquam veram atque comprobatam aliquam » defendere generali* remediorum virtutis distinctio- »" noni , quce nondum satis idoneis experimentis sit ?> investigata atque perspecta. » ( pag. 56. e seg. )

Con la scorta di simili raziocinj s'inoltra a fa- vellare di qualche partizione delle medicamentose sostanze : e confessa risultare da non equivoca espe-

De' medicamenti 2(53

rienza , che v'hanno alcune atte a sostener la vita , a conservare nella sua normalità l'ordine delle fun- zioni mentre che la propinazione di esse viene sus- seguita da una sensazione ricreante , da aumento di calore e da lieve celerità nelle pulsazioni ; ed all' incontro alcune altre se ne scorgono meno amiche al nostro organismo, suscettibili, di recar nocumen- to alla integrità della vita , di diminuire la calori- ficazione , destare la nausea ed il vomito , e per- vertire in un corto modo il retto ordine ed uso delle funzioni. Nella oscurità per altro in cui sia- mo intorno alla conoscenza della qualità dei cam- biamenti così avvenuti nel movimento vitale, nelle fibre e negli umori , intorno alla conoscenza cioè del modo con cui dalle sostanze internamente tran- gugiate insorgano gli enunciati fenomeni , non in- tende il sig. Dufalini ascrivere con li controstimoiisti al languore delle forze del ventricolo la nausea ed il vomito ; ma vuole bensì , che con accuratezza di- stinguasi il menzionato languore dai fenomeni di pervertita funzione nel ventricolo , non dovendosi l'evidente mutazione di funzioni scambiare con l'in- tima mutazione del movimento vitale ; non doven- dosi cioè ritenere l'effetto per cagione. A maggior conferma della veracità di questo inganno spinge più oltre il N. A. le sue contemplazioni, facendo ri- flettere , che il ricordato fenomeno di nausea e di vomito può altresì appalesarsi sotto 1' azione di qualsiasi sostanza che in modo non ordinario affetti il ventricolo, e goda nulladimeno di qualsiasi virtù o meccanica o chimica , o ( nel linguaggio dei di-, namici ) stimolante controstimolante o irritante. Po- tendo dunque la nausea ed il vomito venir promos- si da cagioni ben diverse in fondo, non devono i fenomeni che accompagnano la nausea ripetersi che

aG\ Scienze

da un inverso movimento del ventricolo, non devo- no considerarsi se non come effetto della nausea istessa e non già dell' azione esercitata sullo stoma- co dalle trangugiate sostanze. Non lice quindi , sep- pur di errar non si brami , riporre nella sopravve- gnenza di tali fenomeni il criterio dell'azione dei controstimoli diffusa in tutte le parti del corpo ; e destituita di fondamento si dimostra altresì dall' A. col sostegno di varie ragioni la genciica distinzio- ne delle sostanze in irritanti , stimolanti , e control- stimolanti.

Dalla contemplazione all'incontro dei veraci e diversi effetti che nell'organismo imprimono le pro- pinate sostanze, vien guidato i'A a ridurre a tre ge- neri l'idea della energia generale dell' esterne cose sviluppanti i fenomeni della vita , abbracciando nel primo le sostanze die nutrono , includendo nel se- condo quelle che serbano il retto ordine delle fun- zioni, e riservando pel terzo le altre che alla con- servazione di quest' ordine istesso riluttano. Ma de- gli ultimi due generi, che sostanze di varia natu- ra comprendono, non deve ritenersi il modo di azio- ne diametralmente opposto; mentre la facoltà di nu- trire o di cangiare in qualche modo la organica com- posizione della fibra e degli umori può universal- mente convenire a tutte, ed è perciò che distinguer- la fa d'uopo dal cambiamento avvenuto nel movi- mento vitale in grazia del semplice contatto dell'ester- ne potenze agenti sulla fibra.,, Haec enim desinit si- ,$ mul ac tollitur causa impellens t altera plus mi- nusve persistit , etiamsi ea sit semota. Sic res ex- ternae vel mechanico-vitali , vel chcmico-vitali ra- tione viventium organa affìciunt. Quae hodie ir- „; ritantia yocant , ad primum hujus generis perti-1 ,i nout ; in altero quee appelUut stimulautia et con-

Db1 medicamenti aG5

trastiniulaiitia oeque continentur. Unde nunc fa- cile intelligi potest , quam incongruens sit ea , 0, qua; hodie profertur , de irritantibus , stimulanti- bus, et contrastimulanlibns distinctio. Etenim cum omnia primo attactu fibram mecbanico-vitali ra- tione commoveant , èst cur dicere possimus , omnium quoque priraam actionem ad irritantem vim pertinere ; cum vero postea chemico-vitali mo- do organa affici ant , ad stimulantia vel contra- stimulantia essent revocanda. Ideo quae mechàtii- co-vitali ratione in fibram agunt, non serajìer fuu- ctionum ordinem subito pervertunt , àc j>ropte- rea non omnia, quae irritare dicuntur , vitse sunt inimica .... Primo attaetii igitur res extei^nse in. viventium organis eam prodùcunt irrilatvonem , quam recéntiores docetit ; ób subsèqueritèm- vero' eorum actionem vel rectum functionum ordiriem.' adjuvant , vel laedunt chemico-vitali occulto rilo- do. Ouamobrem stimulantia , vel potius corrobo* rantia nuncupari posse, quae functionum integri- tati inserviunt, non inficiar; sed analeptiea aptius dicenda esse mihi videntur. lEx bis tamen alia » cursim raptimque ritas functiones excitant , alia diutinos prodùcunt effectus ; unde analepticis ea , quam de diffusibilibus et de permanentibus sti- mulis recéntiores profitentur, distinctio optirae con- gruit; sed permanenza tonicorum nomen meren- tur. Quae denique functiones subito laedunt , per- vei'tentia vel alterantia dici possunt , genere ta- men varia , pluribusque instructa virtutibus. Igi- tur in universum remedia juxta verum usum re- cte interim diduci possunt in nutrientia , anale- ptica diffìisibilia , tonica , et pervertentia.

Tale si è il complesso delle dottrine dal eh. sig. Bufalmi nella presente dissertazione trattate j

366 S CI E M Z E

tale si e il metodo , che il dottissimo autore pro- pone all'uopo di rintracciare la verace maniera di agire delle potenze esterne : tale si è la serie dei criterj dall'A. assegnati per lo scopo delle meditate ricerche; e tale finalmente si è la caratteristica de- nominazione da lui creduta più acconcia per de- signare col vocabolo la virtù inerente alle so- stanze esterne. Ci duole , che non abbia egli per qualche, grave motivo potuto dar termine al suo lavoro , e trattare , siccome si era proposto , della facoltà, calmante ed astringente delle sostanze me- dicamentose , della virtù specifica di cui godono alcune di queste, non che della maniera la più con- venevole per chiamarle a contribuzione nel jtratta- mento delle varie forme morbose. Auguriamo al me- desimo il ritorno di prospera salute per riassumere e. compiutamente dilucidare l'argomento discusso nel. lavoro di cui abbiam favellato ; ed essendoci intan- to sembrata più ferma la di lui coordinazione delle virtù dei rimedj, speriamo che profittar ne vorran- no i nostri leggitori usando nelle proprie analitiche ricerche l'apprezzabil metodo fmquì contemplato. ■•

TONELLI.

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3G7

Progressi delle scienze economiche dal principio del secolo fino al presente.

Nuove dottrine economiche ; elementi del valore e prezzo delle cose ; analisi delle sorgenti , degli stabilimenti, della potenza immateriale , e del ge- neral fondo di} riproduzione e di consumazione^ Smith ; del sistema di economia e di finanza fon- data sul principio di giustizia e di perfeziona- mento sociale.

ella prima memoria osservammo come molti scrit- tori delle scienze economiche parlarono della natu- ra , de'suoi benefizi fatti all'uomo, ed accennarono quali elementi di valore ora la terra , ora il tra- vaglio, ora l'industria e i capitali; e come taluno fece analisi di qualche stabilimento , e molti porta- rono l'esame sopra alcune massime della finanza ; ma è duopo convenire aver'essi trattato così impor^ tanti argomenti con molta incertezza , variabilità e confusione. Rimane in questa seconda a parlare dei più rilevanti progressi fatti in tali scienze ne' mo*- derni tempi.

Quegli che stabili più sicure massime di eco- nomia fu l'inglese Adamo Smith. Le prime sue dot- trine furono da esso esposte in Edimburgo fino dall'anno 1752' in alcune lezioni di economia i, ma l'opera in cui offrì un più esteso sviluppo dei nuo- vi principi si fu quella che porta per titolo = Ri- cerche sulla natura e sulle cause della ricchezza

*.fi8 Scienze

delle nazioni = , in cui trattò tanto dell'economia quanto della finanza . Divise la sua opera in cin- que libri ; nel primo parlò delle cagioni che han- no perfezionato le forze produttive del travaglio , e dell'ordì conforme al quale i prodotti vengono natnralmente distribuiti fra le differenti classi della società : nel secondo trattò della natura dell'accu- mulamento , o impiego dei fondi ; nel terzo svilup- pò i progressi dell'opulenza presso le diverse na- zioni ; nel quarto parlò dei sistemi di economia po- litica ; e nell' ultimo della rendita del sovrano o dello stato.

Questo profondo scrittore indicò per causa di ricchezza la tendenza ai cambi e baratti. Abbando- nò le pretese antiche sorgenti della ricchezza, che si volevano un tempo appoggiate ora all' agri col- tuta, ora alle arti , ora al commercio; e sulle 'trac- eie di -Locke tentò Pesame di alcune vere sorgenti, indicando terra , travaglio , capitali; stese inoltre una dotta confutazione delle massime commerciali e mercantili , di quelle degli economisti francesi , comprovando contro i colberlisti e commerciali , che se le arti ed il commercio porgono abbondante ric- chezza , non perciò. si doveva loro sagrificare l'agri- coltura ; e dimostrò contro gli economisti che la ricchezza non veniva composta dalle sole terre , ma anche dalle accennate arti e dal commercio ; e quantunque non abbia ben determinata la natu- ra della ricchezza nella diversa condizione di pos- sedimento e di godimento, egli però la ravvisò con ragione in quel rapporto che formasi tra' contraenti nella permutabilità delle cose , ossia venalità : mas- sima, giustissima contrastatagli invano da molti mo- derni scrittori. Sparse per tutto dotte osservazioni sull'influenza della ricchezza, sul benessere e civili-

E e o ni o sài i e h e aGf)

zazione dogli stati, e sullo variazioni del valore de' metalli preziosi ia diversi tempi ; dimostrò ad evidenza i danni de' regolamenti de' governi e della loro generale direzione ; la fallacia de' vantati bi- lanci di esportazione e d'importazione su Io scopo d' impadronirsi di preferenza: dei metalli preziosi ; essere dannose le imposte d'incoraggiamento , e l'inu- tilità o i danni dei premi detti gratificazioni, e l'in- certezza dei vantaggi deL trattati di commercio; espo- ne nuove massime contro le compagnie privilegia- te e contro i regolamenti delle colonie; e si può di- re che fu il primo che raccolse e accumulò i mate- riali più preziosi per fondare od erigere T ampio edilìzio dell'economia sociale. Aggiunse ancora alcu- ni luminosi principi riguardo alle aziende degli sta- ti , all' amministrazione della giustizia , ai pubblici istituti per eccitale e facilitare l'attività dei cittadi- ni , la loro istruzione ed educazione. Nell'ultima par- te di quest' opera trattò ampiamente dei mezzi di formare una rendita pubblica per sostenere la di- gnità de'sovrani e dello stato , onde tutta [l'econo- mia sociale si sorreggesse in una giusta dipenden- za ed armonia.

Ma l'umano intendimento il più sublime va sot- toposto a certi limiti , tutto potè prevedere e perfezionare. Deviò dalla vera causa della ricchez- za non deducendola dallo stato di convenzione pro- prio solo dell'uomo : non distinse nell'azione della natura l' utilità assoluta delle cose , fonte sempre inesausta di doni, ma non di valore, dalla specia- le utilità delle cose , la quale mediante l' azione dell'uomo forma la ricchezza- Rimase sommamente inesatta ed imperfetta la sua. analisi delle sorgenti sia nel determinare le medesime , sia nell'indicarne le qualità , mettendo spesso la terra qual sorgente ,

370 Scienze

e seco le miniere e la pesca , quando un tal'ono- re si appartiene soltanto alla garanzia sociale che sanzionò il possesso de' terreni e delle altre cose formanti la ricchezza. Talvolta mise il travaglio qual sorgente: ma non distinse ciò che era azione nell'uo- mo dipendente dalle forze fisiche e che può chia- marsi travaglio , da quell'azione che dipende dalle forze intellettuali e morali dell'uomo , e che credo potersi chiamare industria. Parimenti ammise talvol- ta qual sorgente i capitali, che sono piuttosto l'ef- fetto della previdenza economica, che una vera sorgen- te. Mancò poi nel non formare la giusta analisi de- gli stabilimenti , non che della potenza immateria- le , non riconoscendo che quegli sono anzi il com- posto delle sorgenti , e che si deve riporre nel grado di vera ricchezza anche quella che proviene dall' esercizio delle professioni e delle scienze, cioè l'im- materiale. Determinò qual mezzo di ricchezza la di- visione del travaglio : ma non conobbe che questa , siccome anche l'invenzione delle macchine e lo spi- rito di associazione, non sono per se stessi agen- ti, ma piuttosto vantaggi del tutto derivanti dall'in- dustria o clalle facoltà morali ed intellettuali dell'uo- mo, dirette a facilitare nello stesso l'attività pro- pria e quella delle altre sorgenti , siccome anche della stessa potenza immateriale. Per tali inavver- tenze attribuì ingiustamente il titolo d'improdutti- ve alle classi più importanti ed onorifiche della società, a quelle che istruiscono l'uomo , che reg- gono e difendono gli stati ; onde i suoi principi! si renderebbero ingiuriosi ed oppressivi alla parte più distinta della nazione , non ammettendo per ric- chezza se non quella che forma ammassamenti ma- teriali. Parimenti per tali inavvertenze egli confu- se i premi o i redditi delle sorgenti con la reiuli^

Economiche 071

ta degli stabilimenti e della potenza immateriale ; anzi portò la maggior oscurità nell'accennare i) red- dito del possesso della terra, i salari, i benefìzi , frutti , interessi , non facendo differenza tra questi la rendita de' proprietari , i profitti dello stabili- mento agrario o di arti, e i guadagni del com- merciale , gli- stipendi , onorari 'e premi delle scien- ze e professioni. Non avverti alla differenza di quel- la ricchezza che si trova in costante stato' di' ripro- duzione , da quella che serve direttamente a benefizio dell'uomo , e che si trova in istato di consumazió- ne e di uso diretta al bene dell'uomo ; e perciò le sue definizioni di ricchezze e le sue distinzioni di travaglio produttivo ed improduttivo sono somma- mente inesatte.

Questo profondo scrittore 'volendo nell' ultima parte della sua opera stabilire la rendita pubblica degli stati, tratto da pure apparenze di retto , noti seppe scostarsi dal falso principio antico delle ren- dite, ritenendo che i cittadini dovessero contribuire a favore del pubblico a proporzione delle loro pro- prietà, fortune e facoltà, precisamente dèi loro red- diti o delle entrate: onde proclamò nella maggiore estensione i tributi indirizzati su queste. Ciò che de- ve sorprendere si è, che nel voler stabilire il princi- pio delle rendite e nel propórre imposte, confortili , ritrova in ciascuna tanta di Incolta , esige tante mo- dificazioni, limitazioni o moderazioni, che si rende- rebbero le medesime di niunò'.o del più tenue' red- dito , insufficiente del tutto a dar* la più modera- ta ricchezza negli ordinari bisogni degli stati; e per maggiore inprevidenza vi aggiunse tasse sulla con- sumazione, non scorgendo le medesime essere dipen- denti da un principio tutto opposto , e cader esso perciò in piena contraddizione. I suoi principj sopra

J'J* S C I E N Z E

il credito pubblico si ritrovano parimenti in uno sta- to d'incertezza. Non ostante questi errori, nella pro- fondita, dei pensamenti del medesimo, e nelle sue vaste cognizioni economiche vivrà il suo £;enio im- mortale; e la posterità, che che ne abbia detto Lui- gi Say in contrario , dovrà ognora riconoscere in esso il maestro delle scienze economiche ne'moderni -tempi, il quale ha portato alla scienza importanti avanzamenti.

Ne' primi tempi della pubblicazione della sua opera non fu questa bastantemente conosciuta ed applaudita; ma allorché il marchese Condorcet, auto- re di alcuni trattati su tali scienze e particolar- mente sul credito e sulla carta -moneta , ne fece l'analisi nella Biblioteca dell' uomo pubblico , to- sto se ne fecero molte traduzioni in Francia, cioè dal Blavet , dal Roucher , ed anche una in Italia dal gabinetto letterario di Napoli. D'allora in poi quest'opera della ricchezza divenne l' oggetto delle meditazioni di tutti i dotti presso ogni nazione , ed alcuni scrittori di chiaro grido si applicarono de- cisamente all'esame delle sue massime per rischiarar- le , estenderle o modificarle. Avanti però di proce- dere a conoscere i medesimi mi è uopo darmi cen- no di due scrittori , che se non avanzarono i pro- gressi di queste scienze, ottennero nel principio del secolo qualche fama. Il primo si è il celebre agro- nomo inglese Arthur Young , che già aveva dato opere distinte sull' agricoltura e sullo stato di que~ sta in Inghilterra , Francia , Italia , ed anche pub- blicati o riprodotti alcuni trattati di statistica : ope- re tutte cospiranti allo scopo della prosperità delle nazioni. Si distinse pure in tal tempo nel trattare argomenti di pubblica economia un' altro dotto in- glese l'ilei reusehwand, mediante un discorso pubbli-

Economiche -jt.)

cato nel 1788 sopra la divisione delle tene in agri- coltura , e mediante un altro trattalo sulla popola- zione pubblicato nel 179G ; in cui espose , li a qualche errore , alcune saggio dottrine economiche. Non - parlerò del discorso del Canard pubblicalo nel 180 1 siili' economia pubblica , in cui seguen- do generalmente l'inesatto principio di Smith , che ammette qual unico elemento di valore; il travaglio , vi aggiunse alcune proprie massime al tutto erronee di un travaglio superfluo, e di uri preleso disisquilir brio di tributij; discorso che fondò inollre sopra im- maginari confronti di vene, di arterie, di ramificazioni del travaglio, di mercanzia monetaria, in cui uni il più inopportuno fasto di cifre algebraiche , ed iti cui on"n una massima la più chimerica , cioè ogni imposta che sia antica essere buona , ed ogni im- posta nuova cattiva. Solo fece stupore ai dotti nel- lo scorgere tale memoria coronata di premio dal, nazionale istituto di Francia.

Facciamo ritorno agli scrittori che portarono veri progressi a questa scienza . Tali furono G. B. Say, ed il ginevrino Sismondi. Il primo diede nel i8o3 il suo trattato di economia politica , ossia esposi- zione semplice della maniera con cui si formano , si distribuiscono , e si consumano le ricchezze. Di- vise la sua opera in cinque libri come lo Smith. Nel primo trattando della produzione portò l'esa- me sopra l'iudustria , sui capitali , sui fondi di terra, sul travaglio, sulle macchine, sullajdivisione del tra- vaglio , sulla cultura delle terre , sul commercio e sua bilancia. Nel secondo trattò della moneta e del- le differenti sorte di questa , e dei segni e rappre- sentatili. Nel terzo si accinse a trattare del valore e prezzo delle cose; nel quarto delle rendite priva- le; nf-1 quinto della consumazione, delle pubbliche G.A.T.XXV1I. 18

374 S C I E N a E

spese, delle imposte , del debito e credito pubbli* co , delle casse d' ammortamento. In quest' opera sparse luminose massime di saggiezza e di verità su tali scienze. Riconobbe nella produzione l'in- tervento degli agenti naturali , che io chiamo ri- guardo all' uomo sorgenti naturali , e che egli troppo estese , accennando per tali nonso lo suo- lo , aria , acqua , sole , ma estendendo questi a tutta la natura e a tutte le cose che sono bensì fonti indefinite della vita e del sostegno degli esseri tutti , ma non di valore e di ricchezza , e alcune sole suscettibili di utilità speciale. Non portò la ne- cessaria distinzione delle sorgenti artificiali dell'uo- mo ; non ben distinse la varia natura degli stabi- limenti separando inopportunamente produzione , di- stribuzione , consumazione nel general fondo di ri- produzione. Conobbe ciò che costituisce la vera ric- chezza , ossia i valori permutabili , ma non separò nelle cose ciò che forma l'assoluta utilità dall' uti- lità relativa costituente la vera ricchezza , che tut- ta perciò dipende dall' uomo , dalla sua scielta e dalle sue forze. A lui però si deve l'onore di ave- re il primo indicata la teoria della ricchezza im- materiale e degl'immateriali valori contro l'erronea massima di Smith e de' suoi seguaci , che non ri- conoscevano altra ricchezza se non negli accumu- lamenti di cose materiali. Non mi estenderò più ol- tre al presente nell'analisi di questo trattato , riser- randomi a farne uno speciale esame sul finire del- la presente memoria. Avendo il medesimo dato pa- recchie edizioni di questo trattato con molte ag- giunte , fatto annotazioni a diresse opere di chia- ri scrittori , e composto nel 1*834 ua catechismo di economia politica , reputo pregio l'accingermi

Economiche 275

a tale assunto trattandosi dell'opera la più illustre di questi tempi.

L'altro scrittore, il Sismondi, merita pure specia- le menzione. Questi assunse nello stesso tempo di Say a far conoscere e a sviluppare le massime di Smith nella sua opera = Legislazione Commerciale = pubblicata nello stesso anno iSo3. Ammise inallo- ra , come lo Smith , che l'interesse privato abban- donato a se stesso tende sempre a promuovere l'in- teresse pubblico ; aggiunse che quando siano liberi industria e commercio , allora tanto il numero de- gli operai in ciascun mestiere , quanto quello dei commercianti in ogni traffico si proporzionano sem- pre jai [bisogni dei consumatori. Pose per massima che le fabbriche nazionali non sono mai sufficien- ti o porporzionate ai bisogni della consumazione , e lungi dal temere eccessiva produzione o soprab- bondanza nel mercato doversi piuttosto temerne man- canza. Finalmente propose, conforme allo Smith , che. i governi non si debbano intromettere ne'movimenti commerciali.

Avvertirò simili massime essere generalmente di tutta verità; ma nel modo che vengono esposte mancar esse di certa esattezza nel voler con le parole sempre universalizzare senza riguardo alle necessarie eccezioni, ai piccioli accidenti; onde per tale innavvertenza diede luogoad imponenti obbietti in opposizione al vantaggio della generale liberta d'industria e di commercio. L'interesse privato in generale tende a promuove- re l'interesse pubblico ; ma vi sono non pochi ca- si in cui il privato si mette in opposta azione col pubblico , e ciò si prova coli' esempio dei prodighi nei trasporti delle passioni e talvolta per ignoran- za, per pregiudizi o per accidenti. Ma queste cir- costanze debbono ritenersi siccome piccioli ed incal-

2j6 Scienze

colabili inconvenienti, dovendo i governi pel mag- gior bene dei popoli reggerli coi principj fondati sulla probabilità del maggior bene , e perciò con- forme a regole generali. Alcune eccezioni possono rendersi di necessita onde modificare la regola ge- nerale , quando cioè lo stesso bene pubblico le im- pone , e allora ne viene la massima exceptio firmai re°ulam ; ma tolte siffate eecezioni, il voler porta- re riparo agl'inconvenienti anche i più. lievi sareb- be un'abbandonare le amministrazioni all'incertezza, agli arbitrii , l'introdurre ceppi ed ostacoli i più dannosi ai più utili movimenti delle forze fisiche e morali dell'uomo , ed alla sua condizione suscettibi- le da se stessa di miglioramento. Lo stesso deve dir* si riguardo al variare il numero degli operai e de' commercianti sia nella loro riduzione per eccessi- vo accrescimento , sia per un aumento nell'eccessiva diminuzione. Tutto ciò avviene da se naturalmente nell'ordine delle umane vicende , e dirò succedere insensibilmente e dopo qualche corso di tempo e con alcune divergenze , e perciò nella pluralità dei casi , ma non in tutti : onde riè istantaneamente per ver- ga magica come alcuni vollero. Pe1 motivi sopra esposti ogni governo deve soltanto dirigersi per ciò che avviene nella generalità : e dirò con G. B. Say = s'intende benissimo che in considerazioni co- si generali , cosi ordinate le anomalie sono neces- sariamente trascurate = . Bisogna , dice esso , bilancia- re le perdite accidentali con profitti generali supe- riori , e tener conto dei risultati permanenti ; piut- tosto che degli attriti i quali sono inseparabili dalle transazioni o avvenimenti umani (i). Si osservi an-

(i) Aan, di Statisi. T. I. pag. 245.

E e o n a m r. e h e 277

cora che possono fallaci speranze , accidenti imprc- veduti od ostacoli alla consumazione aver fatto au- mentare la produzione oltre i veri bisogni , e costi- tuire i produttori in perdita per Mancanza di spac- cio ; siccome timori , violenze ed altre circostanze potrebbero all'opposto far mancare i prodotti e pri- varne i consumatori ne' più urgenti bisogni.; Final- mente osserverò essere inesatta la proposizione del Sismondi , che i governi non dovessero intrometter-, si per accrescere la ricchezza : non avendo ben di- stinto la protezione dovuta dai governi ad ogni' sor- ta di proprietà e d'industria , che consiste nel to- gliere gli ostacoli ai liberi movimenti delie-sorgen- ti e degli stabilimenti, e nell'impedir frodi e vio- lenze; dalla direzione inutile e dannosa , che consi" ste nel volere l' autorità pubblica dirigere gì' in- teressi privati di, ogni famiglia , di ogni cittadina nell'esercizio sia delle sorgenti , sia degli stabilimen- ti. Chi direbbe mai che il signor Sismondi abbia di presente cangiato del tutto le sue massime cosi li- berali, e si faccia ora fautore di opposti principii , come vedremo ?

Fra gli scrittori francesi più distinti si è il Ga- nilh , autore di molte opere di pubblica economia. La prima si fu quella sulla rendita pubblica im- pressa nel 1808, in cui fece la storia delle rendite pubbliche presso i governi dell' antichità , d»jj medi tempi , e de'tempi moderni. Egli mostrò molta dot- trina ed offrì molte viste profonde di sociale eco- nomia. Fece vedere come vengono ingiustamente lo- dati gli antichi, , che non provvedevano sovente ai, pubblici bisognise non che con spogliamene e con guerre a danno de'popoli industriosi : il che porta- va a tanti e particolarmente ai più industriosi in- tera desolazione ed esterminio , facendosi fino i prò-»

378 Scienze

pri governi di queste una fonte di finanza : onde con facilita si potevano con siffatti spogliamene ra- dunare eserciti numerosi , formar flotte possenti , alzar piramidi ed altri monumenti. Espose pure le più saggie massime sul credito pubblico e sopra i modi meno dannosi di formare i pubblici debiti. Ma avendo fondato le pubbliche ricchezze sopra le proprietà, facoltà e fortune dei cittadini e loro red- diti e rendite , non avendo distinto la ricchezza di riproduzione dalla ricchezza beni , egli non potè offerire, ragionevoli principi di finanza , sfuggire molte contraddizioni proponendo talvolta imposte del tutto contrarie al suo principio. < Diede pure nel- 1809 un' altr' opera di economia : riguardante i sistemi del colbertismò , degli economisti , e di Adamo Smith. In questa egli combatte i più ac- creditati scrittori , lo Smith j il Say , il Garnier , Malthus, Bucanam , Riccardo , mai non sempre vit- toriosamente : e ciò per non essersi fatto idee chia- ri delle sorgenti, dell'anàlisi degli stabilimenti, ne- 'riconosciuto la differenza 3ell' utilità assoluta e della relativa delle cose o dei prodotti , e molto più per nou aver additati i veri elementi del va- lore e prezzo 'delle cose , senza cui tutto divie- ne' inesattezza , incertezza e confusione nelle scienze economiche. Nullostante tali difetti l'autore andrà stempre chiaro per essere concorso , come si è ac- cennato, agli avanzamenti di questa scienza. Ma di questo parimenti in altro luogo.

Un illustre inglese nel 1808, il conte Lauder- dal , pubblicò delle ricerche sulla natura e sull'ori- gine della pubblica ricchezza. Avventtìratamente per la scieuza fece ritorno all'analisi delle sorgenti del- la ricchezza , abbandonata generalmente dopo Smith' dagli scrittori. Sj può dire perciò aver richiamato

Economiche 379

gli studiosi sul vero cammino per i progressi del- la scienza. In questo esame delle sorgenti %i mostrò talvolta troppo severo contro il dotto Smith. Non si potrà però giammai negare al Lauderdal viste profonde e massime luminose per raggiungere la ve- rità , benché talora se ne allontani per pompa di sofismi : come quando opina che la ricchezza indi- viduale e; la ricchezza nazionale -'siano del tutto op- poste, l'ima cioè fatta in danno dell'altra; in- mo- do che, come osservò anche lo Stordì, se una tal tesi fosse fondata ne risulterebbe che il bene e l'interesse degl'individui sarebbe in pura perdita del pubblico interesse , ed il comune vantaggio sareb- be in rovina dell'altro 3 il che , soggiunge il lodato scrittore , rovescierebbe tutti i principi ài econo- mia politica. Il dotto lord fu tratto in errore per non avere distinto neppur esso l'utilità assoluta del- le cose , che porta bensì: un bene comune , anzi un dono inesausto, ma senza valore, dall'utilità rela- tiva portante valore e prezzo. L'aria, la' luce , l'acqui ed altri doni di natura concessi' in una inesausta abbondanza sono beni, dirò così, superiori alla stes« sa proprietà. Ma alcuni degli stessi doni di natura essendo suscettibili di un più distinto vantaggio , eccitano l'uomo ad applicarvi a preferenza la «uà speciale azione t ond' ebbero origine i privati pos- sessi , o le cose o i prodotti appropriati all'uomo, e lo stato di società , ed i valori , prezzo e ricchéz- ze. Rimase inoltre difettosa la sua analisi delle sor- genti sia nel concedere questo pregio alla terra di cui manca, non essendo vera sorgente che la ga- ranzia sociale pel garantito possesso', effetto pre* cisamente di servigi prestati alla società anche so- lo nell'intrapresa coltura o nell'invenzione od oc- cupazione allorché risultano in coraun bene ; sia

a8q - Scienze

nell* avere bensì ammesso con ragione il travaglio, qual sorgente di ricchezza , ma senza distinguere dal medesimo, ossia dall'esercizio delle forze fìsiche, l'esercizio delle forze morali e intellettuali, che io chiamai industria. Indicò pure qual sorgente i" car pitali , senza scorgere che anch'essi sono l'effetto di una sorgente , cioè della previdenza economica , e confuse talvolta i capitali con l'industria; anzi ca- dendo, in assurdo, pretese che i risparmi o capitali fossero ne'primi tempi cagione di produzione e d'i aumento , e vera sorgente di ricchezza , ma che in seguito e nello stato di prosperità o di accumular mento indefinito potessero divenire cagione piutto- sto di perdita e di rovina ; onde non potè discer- nere neppur esso i veri elementi della ricchezza , o del valore e prezzo delle cose , e nemmeno la na- tura degli stabilimenti che sono il composto delle sorgenti , avvertire alle cause delle variazioni jdel suddetto valore e prezzo ne'diversi rapporti , <pioè di utilità speciale delle cose , e di diflìeol- d'azione per conseguirla , entrambi rapporti va- riabili secondo i tempi e le circostanze. Pretese inoltre censurare il fondo d'ammortamento inglese, quello cioè che era stato costituito con impòste sopra la ric- chezza di consumazione , preferendo egli per questo i tributi sulle proprietà per cui verrebbero sod- disfatti i pubblici debiti con una ricchezza più im- portante, con quella che si trova in istatodi ripra- duzfone e di aumento, per favorire una ricchezza ge- neralmente versabile ne' consumi e talvolta anche iiella dissipazione e nel lusso , ricchezza che merita bensì Ài essere conservata , ma non favorita a dan- 210 dell'altra.

i jConvienmi far menzione di un dotto francese , che però non si accinse a. trattare di tutta l'econo-

E C O N O M I C H K 28l

mia e nemmeno a stabilir principio di finanza , ma imprese a dimostrare l'influenza di ciascuna imposta sulla moralità, attività ed industria dei popoli. Tale fu ìo scopo del sig. de Montica nella sua opera pubbli- cata nel 1808 : in che se non s'innalzò ai grandi principj, conobbe però il vantaggio di unire la finan- za all'economia pel miglioramento dei costumi e pel 'hene delle società, e se non altro diede un' utile direzione per meglio costituire i tributi : onde concorse all'avanzamento di queste scienze , e può quest'opera, anche di presente servire di utile me- ditazione.

In Francia» pure si distinse in questi tempi il dottissimo Garnier per aver fatto una nuova e più elegante traduzione dell'opera di Smith , ed ag- giuntovi utili osservazioni , e note giudiziose , e stabiliti i fatti più importanti ai progressi delle scienze economiche. In questa egli critica con ra- gione la distinzione di Smith, delle classi produt- tive ed improduttive, ma presp' dalle; idee .degli eco- nomisti francesi non potè riconoscere le Vere isor— genti della ricchezza , e, 'pretese fino di .toglile il travaglio dalla qualità di elemento, del .valore e prezzfo vagamente nella natura e nella sua utilità assoluta o indeterminata. Volle anzi essere questa un rapporto invariabile, benché in mezzo a continui cangiamenti e variazioni, ponendo per massima ave- re le cose ricevuto dalla natura la proprietà di sod- disfare ai bisogni dell'uomo o di rendergli la vita più comoda e più gradita : quando tutto dimostra non essere l'utilità assoluta che costituisce il valo- lore e il prezzo delle cose , ma bensì , come più voi-: te dissi, un'utilità speciale, e dipendente dalle fa- colta fìsiche e inorali , e dai bisogni dell'uomo. Egli stesso cadendo ..in contraddizione ne da una prova,

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nel dire , die all'effetto che il grano abbia valore rendesi necessaria la manipolazione : e perciò , dico io , l'opera dell' uomo , cioè la garanzia , .il trava- glio, l'industria, la previdenza economica ed uno speciale vantaggio. Quindi nelle sue modificazioni al sistema di Smith non fa che accrescere oscuri- tà sulle scienze economiche.

Indicai nella prima memoria l'opera di Pintó sul credito pubblico. Questo argomento cosi interes- sante fu circa a questi tempi riproposto dall' ingle- re Thoventon , che applicò le teorie più dotte : ai fondi pubblici dell'Inghilterra e della banca ingle- se. Prese contro lo Smith e contro altri la difesa del credito pubblico e dei mezzi di sostenere i pub- blici debiti, indicando:; i modi più scelti per pro-r curare un' utile circolazione di tali valori e fondi, e còme trattarne l'azienda anche ne' tempi più ur- genti e straordinari , e come tenerli del continuo in proporzione de' veri bisogni dell' industria e del com- mercio. Siffatta opera, a mio avviso, merita le pro- fonde riflessioni degli uomini di stato per costitui- re l'accennato credito pubblico e quanto riguarda la loro- amministrazione.

Un' opera che non tratta decisamente dell' eco- nomia e della finanza, ma che ha i più stretti le- gami con queste scienze per importanti risultati, si è quella pubblicata nel 1809 dall' inglese Malthus = Saggio' sulla popolazione . In questa pose in evi-i densa una verità che non fu da altri se non po- co 0' mal rilevata, cioè che tutti i progressi delle scienze economiche rendevansi inutili alt benessere delle nazioni se non si apponevano giusti preventi- vi limiti alla popolazione. Scopo del legislatore dev' essere non solo la prosperità, ma vieppiù la pubbli- ca felicita, cioè il benessere di ogni cittadino, e per

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ottenere un tanto oggetto richiedesi clic la popola- zione resti in dipendenza ed in una certa propor- zione delle ricchezze che possono sostenerla , ne sia abbandonata a disagi ed a miseria ; e per tale avver- timento devesi attribuire a questo profondo pen- satore il merito di essere concorso ai progressi delle scienze economiche , ed anche; di aver meglio fatto riconoscere quanto l'autore della natura ha reso pres- so tutti gli esseri che si riproducono superiore il prin- cipio della vita a fronte dei mezzi di sussistere: che il vero vantaggio dell' umana condizione non con- siste già nel maggior numero, ma nella maggior du- rata della vita di ciascuno e in una comoda esisten- za, e che senza tale suburdinazione della popolazio- ne alla ricchezza , i progressi questa e dell' opu- lenza andando solo a vantaggio di una parte d'in- dividui o di poche classi, a nulla realmente: servi- rebbero alla pubblica felicita, e piuttosto vi cagio* nerebbero presso pochi orgoglio, prepotenza, corru- zione, e presso i molti odio, invidia, avvilimento, miseria, disperazione. Anzi avvertirò non bastare ad uno stato' per conseguire lo scopo di una popo- lazione una lunga e comoda vita , se nella mede- sima non siano sviluppate tutte le sue forze mo- rali per sua piena difesa e felicita.

Non tutte poi le sue massime sulla popolazio- ne meritano approvazione t imperciocché in un go- verno ben regolato deve promuoversi anzi la po- polazione , ma quella sola delle classi ricche e che abbiano mezzi di sussistenza, di educazione e d'istru- zione per la loro prole; il che fu riconosciuto an- che dalla sapienza di' alcuni pontefici. Egli inol- tre circoscrive di troppo^ le sussistenze che servo- no alle popolazioni , supponendo non poter essere a ciò adattate se non se quelle che una nazio-

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ne può ricevere dalla propria agricoltura : quando molte volte con le arti e manifatture , e col com- mercio possono procurarsi le stesse con più facili- ta e in più grande abbondanza dagli esteri, che dallo stato. L'uomo poi per sussistere non ha duopo di soli alimenti, ma di vestito, di alloggio., di ripa- ro nelle malattie, nelle infermità, e quindi è costret- to prevalersi di altre cose necessarie dipendenti dal- le stesse arti, da mestieri, da professioni, e dalla stes- sa potenza immateriale. Il Malthus inoltre troppo se la prende contro i progressi delle arti e delle mani- fatture, rigettando i vantaggi delle macchine sul pre- testo della loro incertezza (come se l'agricoltura non andasse ella pure sottoposta ai maggiori accidenti e variazioni) e negando i vantaggi del commercio este- ro , come se questo non portasse una superiore atti- vità in ogni ramo d'industria patria ed in ogni in- terno stabilimento, ed una più grande ricchezza; an- zi la cagione e l'esperienza dimostrano che le nazio- ni mancanti di territorio o prive della fertilità delle terre traggono talvolta il maggior vantaggio dall'eser- cizio delle arti e del commercio , e alcune nella più ingrata situazione aver potuto ottenere una superio- re opulenza a fronte di altre stabilite in più ferti- li e distese regioni, ed a fronte di popoli agricoli meglio favoriti.

In questi tempi pure si pubblicarono in Fran- cia, in Germania, in Italia, in Inghilterra statistiche colle più utili osservazioni: il che diede luogo a più sicure e generali indagini rapporto alla prosperità, del- le nazioni , per cui si resero e più certi i raggua- gli delle popolazioni e le cognizioni necessarie sii l'eco- nomica e finanza degli stati , come annoteremo in ap- presso. Mi sono riservato a parlare qui di tre scrittori di economia , i quali quantunque pubblicassero molto

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prima le loro opere economiche ebbero soltanto per og- getto , piuttosto che i progressi di queste scienze , di secondare le brame o i pretesti del dominatore fran- cese, che credeva di poter a sua voglia appropriarsi e disporre delle ricchezze delle altre nazioni, e poter con queste soddisfare a' suoi odii ed alle sue preten» sioni di universale imperio. Tali furono le opere di T. Blanc de Volx col titolo = Stato commerciale del- la Francia —pubblicata nel i8o3, ed in appresso quel- la di Amaud =3 Bilancia economica =, e di Ferriere «= Del commercio e dei governo =. Il che ho indicato per meglio conoscere lo stato della scienza di que' tempi.

Passiamo ai tempi di Napoleone. Al principio del consolato sia sinceramente , sia per sola appa- renza mostrò una somma moderazione riguardo ai rap- porti amministrativi, rimettendo l'ordine pubblico nelle aziende e facendo la miglior scelta di tributi , e indicando aver viva brama di ristabilire il eredito dello stato. Ma lo spirito d'ambizione e la prospe- rità arrestarono ben presto ogni sua prudenza e mo- derazione. Abbandonatosi allora al più smodato orgo- glio ed al fasto , e spinto ancora ad uno stato co- stante di guerra , fu astretto ad accrescere del con- tinuo il numero de' suoi eserciti , onde dischius egli le più vaste voragini in cui andavano a perder- si le sostanze dei popoli. Anzi lusingato dalla faci- lita e prontezza di procurarsi estese ricchezze, abusò in orribil modo delle risorse dello stato e delle im- poste dirette sulle facoltà, proprietà e rendite, e fi- no indistintamente volle tasse sulle persone e sul tra- vaglio, sull'industria, sui capitali; tributi tanto più funesti, in quanto egli dovè pei sempre crescenti biso- gni e dilapidazioni innalzarli a un grado di enormità, facendo perdere ai popoli una quantità la più este-

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sa di quella ricchezza che serve più utilmente alla riproduzione con doppio danno di valore e di ren- dite. Ignorante al tempo stesso di ogni principio di economia , ma superbo e presuntoso , vi aggiun- se un'alto disprezzo del pubblico credito : quando era questo il solo mezzo che poteva diminuire od impedire i più grandi aggravi dei popoli. Che an- zi questo credito divenne per lui oggetto di scher- no , volendo per ciò egli e i suoi favoriti presa-* gire la rovina dell' Inghilterra : ma contro il qual credito però andò a rompere e dirò anzi ad annientarsi tutta la sua grandissima potenza . Vol- le fino, calpestando i principii del diritto delle gen- ti , prevalersi di una massima erronea degli eco- nomisti francesi, e specialmente di Turgot, che sup- poneva i popoli manifattori e commercianti dipen- dere totalmente dai popoli agricoli : massima che gli divenne pretesto per usurpare l'Olanda. Final* mente, disdegnando ogni ritegno, proruppe nel 1810 anche contro l'onesta liberta della stampa . Allora tutti i cultori di così , importanti scienze , tutti gli amici della pubblica felicita furano costretti al più alto silenzio. Alcuni scrittori, sedotti dalla sua po- tenza e dagli onori, dichiarandolo sapientissimo , ab- bandonarono ogni sentimento di ben pubblico , mi- sero qual inconcusso principio la sua altissima sag- giezza , e tutte doversi affidare le pubbliche cose al genio e alla grandezza di Napoleone. Per tanto abuso di adulazione le scienze economiche in tutti gli stati a lui soggetti furono arrestate in ogni pro- gresso . Il Say , il Ganilh ed altri filosofi dovette- ro reprimere le loro meditazioni , sottoposti an- cora alle vessazioni di sospettose inquisizioni , col- le quali si accresceva l'oppressione oltre anche i di- visamene del despota. Eppure, chi lo crederebbe?

Economiche 187

Letterati di primo grido lo vantavano qual restau- ratore delle scienze , mentre le più utili , importan- ti e benefiche venivano forzate al silenzio , parti- colarmente le economiche., legislative, morali e re- ligiose. Ma cosa sono anche le altre scienze allor- ché non servono al bene dei popoli e alla virtù ? Napoleone , atterrito dai progressi delle discipline economiche, volle per sua più grande sicurezza af- fidare ai ministeri di finanza la loro più severa e arbitraria censura , come seguì anche in Italia.

Alcuni vollero dipingere il ministro di finan- za del regno italico come personaggio di sommi ta- lenti. Napoleone lo voleva offerire qual modello agli altri governi. Un' illustre istorico italiano il lodò per aver resa prospera la rendita dello stato e le finan- ze, perchè non ostante il tributo annuo che pagava- si a Francia , erano le casse piene e i pagamenti age- voli. Ma osserviamo la sua amministrazione, e coni' erano le casse piene e quali pagamenti agevoli. Egli certamente non favori le garanzie sociali pel suo ca- rattere tirato o stretto, prevalendomi delle espressioni del lodato istorico, per le sue tanto vessative1 in- terpretazioni ad ogni legge di finanza, di cui esi- stono volumi sopra volumi, sia quando arbitrariamen- te operava da legislatore e da giudice a danno dei po- poli , sia quando faceva rimproveri ai tribunali per- chè non promovevano più grande consumo di carta bollata , anelando a trar vantaggio fino dalle mag- giori discordie dei cittadini. Non lodevole per isti- tuzioni, ond' eccitare ne' popoli attività ed industria; non per saggi istituti, onde accrescere la sicurezza, la circolazione e l'impiego dei capitali, clie avrebbe anzi voluto tutti struggere nei privati . Oppressa l'agricoltura da enormi pesi , e lo stabilimento di ar- ti da gravi tasse e da improvvida e soverchia dire-

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zioue, ed il commercio esterno coli* infame incendio delle merci , e l'interno arrestato ad ogni passo da moltiplici arbitrarli balzelli da comune a comune. Riguardo poi alla finanza egli ben segui il si- stema delle contribuzioni francesi, ma aggiungendo- vi nuovi pesi, nuove angarie e vessazioni: e diluì fu ultimo dono ai popoli del regno, nel vicino suo rovesciamento, un' imposta la più dannosa ed impru- dente, quella sopra tutti i capitali. Questo ministro sarebbe bensì stato degno di lode se avesse in mez- zo ai pubblici imperiosi bisogni sollevato il gover- no e nello stesso tempo accresciuta la prosperità pub- blica, come successe di alcuni ministri di Francia, e vieppiù di non pochi ministri inglesi; se invece di schernire e calpestare la pubblica fede avesse saputo stabilire un pubblico credito , soddisfatti i de- biti,., e fatto miglior uso delie proprie risorse. Ma all' "opposto, cieco insensìbile strumento dell' altrui ambizione, se non della propria cupidigia, non sep- pe provvedere al sostegno dello stato se non colla sua rovina , e fece siccome il selvaggio , che ta- glia l'albero per avere i frutti : quando le scienze economiche suggeriscono saggi e legittimi mezzi di provvedere ai bisogni i più straordinari delle na- zioni senza impedire la pubblica prosperila.

Per buona ventura delle scienze bramoso Na- poleone di conoscere le forze e la ricchezza dell'In- ghilterra, per combinare i suoi piani a danno di que- sta , #on impedi la pubblicazione della Biblioteca brittanica di Ginevra , che ebbe il suo principio sino dal 1796 sotto la direzione di Carlo Pictet, in cui si davano estratti ragionati delle opere in- glesi riguardanti l'economia , la finanza , e le stati- stiche. Era questo monumento scientifico il solo con- forto clfgli studiosi di queste scienze e di tutti quel-

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li che s' interessavano alla prosperità delle nazioni nella più estesa parte d' Europa . Molto meno poi potè impedire la pubblicazione delle opere inglesi,, «he proseguirono a spargere utili lumi , e fra que- ste alcune di Francis d'Yvernois , in ispezielta la sua lettera da Riga , in cui dimostrò che il si- stema continentale stabilito con tanta violenza da Napoleone non aveva i risultati a danno dell'Inghil- terra quali si erano supposti , giacche se da una parte faceva cessare alcune manifatture, nella nuo- va estensione del commercio che la guerra procu- rava a questa nazione dava origine e nuovo au- mento ad altre manifatture ed al più vasto spaccio di prodotti e merci inglesi in tante altre parti della terra; che piuttosto un siffatto sistema ravvivava l'agri- coltura particolarmente dell' Irlanda, e riesciva an- zi in aumento deHe forze e potenza inglese. Avess' egli almeno per prudenza politica rispettato i di- ritti dei neutrali, onde alla marina francese fosse venuto in appoggio anche una forte marina delle altre potenze commercianti ! ma egli anzi rigettando ogni sana politica pareva che si facesse un piacere di annientarla.

Finalmente calpestati i diritti delle nazioni, pro- vocata con la natura stessa la capricciosa fortuna , rovesciato il dominatore, sorsero in Europa nuove sorti e nuovi destini . Allora i cultori delle scienze non più fra ceppi poterono esporre al pubblico li- beramente i loro pensieri e le loro meditazioni, e tosto si videro a gara pubblicate nuove luminose ope- re su queste scienze. Fra questi uno dei più illustri scrittori, G. B. Say, nell'anno 181 4* e poco dopo nel 181G mediante una terza edizione, riprodusse mol- to ampliato il suo trattato di economia politica a cui uni nell' introduzione una più ampia indi- G. A. T. XX. VII. 19

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^azione storica dei più distinti scrittori di siffatto scienze. In questa edizione confessa di essere stato costretto a rimanere in silenzio durante la domina- zione di Napoleone. Io non porterò nemmeno di pre- sente l'esame su quest'opera , di cui fece una quar- ta edizione nel 1819, riservandomi, come accennai , di farne più speciali osservazioni sul finire di que- sta memoria, unendovi nello stesso tempo un cen- no dei principi esposti nel suo catechismo. Questo autore, fatta una scorsa nella Gran Bretagna, pub- blicò ancora un opuscolo = Dell' Inghilterra e degl' inglesi «j= . Mi sembra però che in quest' opuscolo egli sia stato sedotto da vani presagi contro la na- zione inglese e contro il suo credito , nel suppor- re che il dominio dei mari possa essere assoluta- mente ed in se stesso dannoso : non facendo differen- za da quello acquistato con onesti modi all' allro conseguito coi mezzi della violenza e delle ingiusti- zie. Osserverò poi contro il medesimo, che un credi- to pubblico il più esteso , ben fondato ed appoggia-» fo alle più grandi relazioni commerciali e ad ogni sorta di ricchezza beni , non può giammai rite- nersi per rovinoso , ma piuttosto come una istitu- zione della massima utilità; e sarebbe fatale se non bastasse alla sua guarentigia la sanzione del parla-r mento.

Merita menzione un altro dotto scrittore di eco- nomia , di cui pure si è di sopra parlalo , cioè il Ganilh. Abbiamo dato un cenno di due sue opc-< re di economia, Funa sopra la rendita o entrata pub- Mica degli stati >, e l'altra dei sistemi di economia. Dopo un forzato silenzio nel 181 5 diede un nuovo lavoro economico sotto il titolo = Teoria dell1 eco- nomia politica = , ed aggiunse noli' anno 1817 un trattato sull'amministrazione e contabilita delle iman-?

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ze, cosa che riguarda più specialmente la Francia- Neil' indicata prima opera offre aneli1 esso un Lie- ve quadro dello stato di queste scienze col novero di alcuni chiari scrittori. L'opera però presenta in generale piuttosto un trattato di statistica nell' In- ghilterra e della Francia. In questa pure si fa a dimostrare V inesattezza di alcune massime di SmitTt riguardo al travaglio, ai capitali, al valore delle cose; critica ancora alcune massime di Malthus sul- la popolazione ; riconosce specialmente il vantaggiò che apporta il commercio esterno e marittimo alle nazioni che vi si applicano per aumento di ricchez- za e di potenza; e conviene che i paesi agricoli sot- toposti ad una più ampia consumazione ottengono Una minor ricchezza a fronte delle nazioni manifat- turiere e commercianti. Ma avendo anche in questa deviato dall' analisi delle sorgenti , avendole ri* conosciute quali basi degli stabilimenti, non potè nemmen'esso farsi idee chiare dei veri elementi del valore e del prezzo delle cose, e molto meno di- stinguere la ricchezza che si trova in istato di ri- produzione, da quella che viene sottoposta alla con- sumazione ed all'uso dell'uomo; onde non gli fu possibile discernere la vera natura del general fon- do di riproduzione, fare, a mio avviso , esatti confronti dell'opulenza inglese colla francese. In quesf Opera ammise bensì i vantaggi della ricchezza im^ materiale: ma non riconobbe poter esser luogo a riduzione nelle classi produttive tanto di questa, quanto della ricchezza materiale -allorché vi sia nell* una e nell'altra un eccesso ed un aumento di pro- duzione e non di valore. La preferenza poi che egli eli al commercio esterno e marittimo lo rese ingiu- sto contro gli altri stabilimenti e contro lo stesso commercio interno , assoggettandolo a vincoli aggra-

JO*

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vanti : quando in tutti si richiede giustizia e li- bertà, siccome anche ne' rapporti del ricco e del povero: essendoché alla fin fine l'esistenza, la for- za, l'attività d'ogni sorgente e d'ogni stabilimento , non che della potenza immateriale , dipende dalle istituzioni sociali e dallo stato di civilizzazione , co- me pure dalla situazione d' ogni paese e d' ogni popolazione, anzi d'ogni famiglia e d'ogni individuo mossi sempre dal maggior' interesse o bene , senza cui la liberta dell' uomo verrebbe annientata.

Altre fallaci massime aggiunse questo scritto- re : pretendendo farsi il commercio esterno coi ca- pitali esteri, come se sovente non vi avessero par- te anche i capitali de' cittadini , e non ne traesse vantaggio ogni nazione per maggior' energia di tra- vaglio e d'industria interna, e in aumento del proprio commercio generale. Non si comprende poi com' egli abbia potuto invocare principi proibitivi contro l'e- sportazione dei grani, e contro l'importazione delle merci e dei prodotti stranieri , togliendo i vantag- gi delle provvide comunicazioni delle cose e de' prodotti fra tutte le nazioni , ed ogni aumento di ricchezza di esportazione e d'importazione anche de' grani, sottoposta questa soltanto ad equi tributi in sostegno dello stato. Prosegui poi in quest' ope- ra a sostenere il suo principio delle rendite riguar- do alla finanza , onde non molto per questi ultimi scritti ha avanzato i progressi della scienza.

( Sarà continuato )

C Bosellini.

2f)5

NECROLOGIA.

P. Carlo Giuseppe Gismondi-

A,

.vevamo appena a sollievo del nostro dolore pagato in questi fogli ( tomo X.X.TI pag. 23 1 ) quel tributo di lodi che per noi si poteva alla memoria del eh. P. Bartolommeo Gandolfì delle scuole pie , no- stro maestro ed amico, quando una nuova e più de- plorabile perdita ci stringe a compiere egual dove- re verso il P. Carlo Giuseppe Gismondi dello stes- so ordine], professore di mineralogia nell'università romana della Sapienza, rapitoci il 23 novembre i8a4* E duolci sommamente che le fatiche dell' anno sco- lastico e la difficolta di raccogliere le notizie di quest' uomo, quanto abile altrettanto modesto, ci abbian fat- to ritardare cosi a lungo il pagamento del nostro debito.

Nacque egli in Mentone nel principato di Mo- naco ai 4 novembre 1762 , e vestì l'abito religioso de CC. RR. delle scuole pie in Roma il 22 no- vembre 1779. Dopo il suo noviziato fu posto nel col- legio Nazzareno a compiere gli studj di letteratura e di scienze, e ben presto si riconobbe in lui un'attitu- dine straordinaria alle scienze fisiche e matematiche. Difalti vi si segnalò tanto , che nel 1786 fu credu- to alto ad insegnarle, e fu spedito da'suoi superiori a cuoprire la cattedra di filosofia e matematica nel collegio reale delle scuole pie di Palermo. Nel di- simpegno delle sue funzioni superò le speranze che si erano concepite di lui , in guisa che sei anni

2f)4 Scienze

dopo venne richiamato in Roma ad insegnar le stes- se scienze nel collegio Nazzareno, che fu sempre ri- guardato come il teatro più acconcio ad esercitare i migliori ingegni de'PP. di quest'ordine, ed a ren- derli più utili nel!' istruzione de' civili giovanet- ti, che accorrono da tutta l'Italia a ricevervi un'edu- cazione completa non solo negli studj delle lette- re e delle scienze , ma benanche nella religione e nella morale.

In questo tempo nello stesso collegio s^era in- trapreso a formare un museo mineralogico: e per lo zelo de' suoi predecessori e per l'amicizia che il P. Gi-? smondi aveva stretta co' celebri mineralogi inglesi Hamilton e Thomson in Napoli , non che col fran- cese Dolomier, e pe' larghi doni di Giuseppe II di gloriosa memoria, questo museo in breve giunse a tanto , da potersi riguardare come uno de' più ricchi e completi d' Italia.

Il P. Gismondi , che aveva cominciato ad ama- re questo studio fin dal tempo che seguiva il suo corso filosofico nel collegio Nazzareno e che aveva avuto campo di coltivarlo con successo e facilita in Sicilia, ritornato in Roma secondò con traspor- lo quest' opera , e contribuì potentemente a mette- re in ordine i numerosi materiali dei museo, che accrebbe in appresso co' doni che riceveva da più celebri mineralogi italiani e stranieri. Imperocché la fama di questa collezione mineralogica facendo che gli stranieri amatori e cultori della scienza si recas- sero a dovere in passando per Roma di visitarla, ne nasceva quel cambio di cognizioni e di oggetti, per cui i prodotti del suolo romano erano ricercati e con- tracambiati con quelli delle regioni straniere.

le cure del suo prediletto museo distolsero il P. Gismondi dall' attendere con fervore all' inse-

Necrologia. ar)f>

gnamcnto della fisica , della chimica e delle mate- matiche. Il gabinetto delle macchine fìsiche e chimi- che del collegio Nazzareno si aumentò sotto la sua direzione, e negli esercizj annuali degli allievi si ve- devano con soddisfazione universale ripetute le nuo- ve esperienze che avevano fondata la chimica pneu- matica , imitando ed emulando in ciò il P. Gandolfi già suo maestro ed allora professore di fisico-chi- mica nell' università della Sapienza.

Aveva il P. Gismondi nell' insegnare una faci- lita, straordinaria, che nasceva dalla chiarezza delle sue idee e dalla profonda cognizione delle cose; Acu- to e rapido nel concepire, chiaro e conciso nell' in- segnare^ ispirava a'suoi allievi quella fiducia che rad- doppia il coraggio nel vincere le difficolta. Egli amava d' insegnare le scienze naturali per passione più che per dovere , ed a suo riguardo i superiori del collegio Nazzareno condiscesero ad ammettere mol- ti estranei alle lezioui di mineralogia che il P. Gi- smondi dava nel museo, permettendo che uno stabi- limento privato servisse in certa guisa di comodo alla pubblica istruzione;

Questo tratto di nobile disinteresse colpi l'animo d'uri magistrato colto ed amante del decoro della sua patria , quale fu il cardinale Alessandro Lante d'ono- rata memoria, allora tesorier generale del gran pon- tefice Pio Settimo. Acquistò egli un museo minera- logico per l'università, ottenne la fondazione di una cattedra di mineralogia , e propose per cuoprirla il P. Gismondi con plauso generale di tutta la studio- sa gioventù, che vide nel i8o5 aperta quésta nuo- va scuola e potè profittare liberamente delle lezio- ni di un precettore , eh' era già salito a gran fama nella scienza che professava non solo per l'insegna- mento, ma per le scoperte ancora che faceva fra i

2q6 Scienze

prodotti vulcanici del suolo romano. La lazialite e l'abrazite, specie nuove trovate l'una ne' contorni del lago di Nemi , e V altra nella lava di' Capo di Bove , furono le prime scoperte che illustrarono il suo nome e lo resero noto ai mineralogi d' oltre- monti che ricercarono a gara la sua corrisponden- za; e fra questi basterà nominare, de'viventi, il prof. Leonhard di Heidelberg, il prof. Zipser di Neushol in Ungheria, il sig. Menard de la Groye celebre naturalista in Francia, il prof, di mineralogia a Bo- ston negli Stati Uniti sig. Webster ; e dei defunti l'immortale Hauy ; de' quali tutti molte lettere so- nosi trovate fra le sue carte, ove si richiedevano al nostro professore dichiarazioni sopra oggetti di patria mineralogia e si proponevano cambi de'loro prodot- di eoo quelli delle nostre contrade , cambi che per la maggior parte hanno avuto luogo a vantaggio tan- to dei museo mineralogico dell'università , quanto di quello del collegio Nazzareno. Lo stesso accadeva con- tinuamente fra lui ed i mineralogi italiani, come il prof. Borsor di Torino, Gennazzai di Udine, e so- pra tutti il prof. Monticelli di Napoli , col quale era legato di amicizia strettissima secondochè può veder- si dalle sue opere (i). Eguale stima ed amicizia pas- sava fra lui e il celebre mineralogo Brocchi, che fece lunga dimora in Roma prima di andare a rac-

(i) Storia de'fenonicni del Vesuvio etc: Napoli anno i8z3 ; ove nella prefazione alla pag. io in nota dice:,, Un sentimento di dovuta riconoscenza c'induce a palesare la nostra gratitudine al eh. mineralogo di Roma Carlo Gisniondi, e al nostro collega cav« D. Luigi Ruggero , i quali vivendo familiarmente eoa noi ci furo- no di guida e d'istruzione nello nostre prima vulcaniche inve- stigazioni «te,

Necrologia 397

cògliere nuove ricchezze di naturali prodotti in Si- ria e in Egitto.

Nello scorrere i contorni di Roma aveva ecci- tata l'attenzione del nostro naturalista la singolare collina di Montemario per l'immenso deposito di con- chiglie fossili che vi si ritrovano , e per gli alter- nati strati di prodotti vulcanici marini e fluviatili che si osservano specialmente in quel fianco della collina che costeggia la valle del Tevere a Tor di Quinto, e che erano stati per la prima volta os- servati dal celebre Ferber. Egli aveva raccolti i materiali d'una conchiliologia fossile di questa col- lina egualmente ricca pel numero e per la sin- golarità delle sue specie , e si occupava incessante- mente della redazione d' un' opera sistematica sopra questo soggetto : quando una malattia crudele ven- ne a gettare lo scoraggimento sul suo spirito ed a paralizzare la sua istancabile attività. Questa malat- tia fu un carcinoma, che cominciò a formarsi in se- guito di una podagra rientrata.

Frattanto la sua celebrità gli aveva meritato ta- le considerazione che più volte era stato invitato in Napoli a cuoprire la cattedra di mineralogia, e a met- tere in ordine quel museo mineralogico ; ove la mu- nificenza reale aveva gareggiato nella sontuosità della suppellettile non meno che nella vastità e nel nu- mero degli oggetti che vi si trovavan raccolti. Le circostanze di sua salute , e la speranza di miglio- rarle in quel clima saluberrimo, lo determinarono in- fine ad accettare almeno temporariamente l'offertogli impiego , lasciando alla direzione e all'insegnamento nel museo romano il suo allievo dott. Pietro Carpi. Dopo il lasso però di alcuni anni vedendo che niun vantaggio ridondava alla sua salute dal cambiamen- to di cielo , ottenne il suo congedo e ritornò in Ro-

59S Scienze

ma; e qui la delicatezza del suo allievo ch'era di- venuto suo successore , e la stima de'superiori dell' università, lo fecero di nuovo rientrare nelle fun- zioni di professore , che non esercitò però che per mezzo del dott. Carpi: giacche le cure assidue ch'esi- geva la sua malattia sempre crescente, e la sua va- cillante salute, gl'impedivano di attendere per se stes- so all' insegnamento.

Nel suo ritorno e successivamente non cessò di arricchire il museo romano di copiose collezioni di prodotti vesuviani e di altri che continuamente ri- céveva da'suoi dotti corrispondenti , e che divideva generosamente fra il museo del Nazzareno e quello dell' Università

Cosi continuò ad essere utile nell* insegnamento della mineralogia fino al termine della vita. Ma l'utilità che la scienza poteva ritrarre dalle sue co- gnizioni , e dal talento di osservare e determinare le specie mineralogiche e di farne utili applicazioni alia geognosia, era già da lungo tempo perduta , dappoi- ché le sofferenze della sua penosa malattia gli re- sero impossibile di mettere in ordine i numerosi materiali delle sue osservazioni e pubblicarne i ri- sult amenti.

Quindi è che il solo lavoro ch'egli abbia pub- blicato è una memoria letta all' accademia de' Lin- cei li 11 agosto i8(G , ;ed inserita nella Biblioteca italiana (tom. V pag. 3oi = 1817) col titolo = Os- servazioni sopra alcuni minerali de' contorni di Ro- ma. = Tre sono i minerali che prende ad esame il P. Gismondi in questa sua memoria. Il primo fu da lui rinvenuto in alcune rocce di Albano , cri- stallizzato in ottaedri e in cubo - ottaedri. Esami- nati diligentemente questi cristalli, e sottoposti an- cora ad alcuni esperimenti t trovò altro non, essere

Necrologia 299

che anfigeni. Un tal risultamento oltreché ha fatto co- noscere due nuove cristallizzazioni di questo mine- rale , mentre fino a quel tempo non si era rinve- nuto che cristallizzato sotto la forma trapezoidale, ha servito ancora a togliere tutti i dubbi che po- tevano rimanere sulla vera primitiva forma del me- desimo.

Parla in secondo luogo d'una nuova sostanza rinvenuta nnlla lava di Capo di Bove , cristallizzata egualmente [in ottaedri [regolari ; e n'espone minuta- mente tutti i caratteri , da'quali rileva essere una specie mineralogica distinta, a cui propone di dare il nome di abrazite per la proprietà di non fare effervescenza cogli acidi, di ribollire all' azione della lampada. Questa è quella medesima sostanza che il celebre Leonhard professore a Heidelberg ha vo- luto chiamare Gismondina.

Il terzo minerale , del quale si occupa in questa memoria il P. Gismondi. è la pietra alluminosa della Tolfa. Egli da lungo tempo per mezzo di un suo sco- lare, il sig. Biagio de-Andreis , aveva avuto occasione di osservare questo minerale cristallizzato in forme regolari : e considerando i caratteri del medesimo tan- to diversi da quelli dell'allume , aveva Concepito l'idea di formare una specie distinta, ma non volle pubbli- care questa sua opinione se non dopo che per mez- zo di sperimenti potè accertarsi che anche la forma primitiva di questo minerale era diversa da quella dell'allume. Le sue ricerche pertanto lo indussero a riguardare la pietra alluminosa della Tolfa come una specie mineralogica particolare, a cui propose di da- re il nome di alluminile. Queste osservazioni del P. Gi- smondi furono confermate nel 1820 dal celebre Gor- dier , il quale diede al minerale della Tolfa il nome di aliante perfettamente corrispondente in italiano a quel

3oo Scienze

lo di alluminite, e lo considera analogo alla pietra allu- minosa trovata presso il Mout d'or , ed a quella dell' Ungheria. Hauy difatti nell'ultima edizione della sua mineralogia ha riunito tutti questi minerali in una specie distinta sotto lo stesso nome di alunite , se- parandoli dall' allume al quale erano stati prima ri- feriti.

Al P. Gismondi altresì è dovuta la scoperta d'una nuova sostanza , la quale per essere stata rinvenu- ta la prima volta sul monte Laziale , fu dal mede- simo chiamata Lazialite. Egli annunziò questa sco- perta in una memoria letta nel i8o3 all'accademia de'Lincei, nella quale esibì un'esatta descrizione del nuovo minerale aggiungendovi un saggio d'analisi del medesimo. Il mineralogo danese sig. Braun - Neerga- ard, che fu in quel tempo a visitare il nostro territo- rio, profittando delle notizie e delle osservazioni del P. Gismondi diede conto di questo nuovo minerale all'istituto nazionale di Francia nella seduta de'aG ma£- gio 1807, e fu egli che propose di sostituire al nome di Lazialite quelle di Hauyna. Propagatasi in altre parti d'Europa la notizia della scoperta di questo nuo- vo minerale, fu da tutti riconosciuto per una specie mineralogica distinta, e si è veduta descritta in tutti i libri di mineralogia pubblicati dopo quel tempo , ora sotto il nome di Lazialite or sotto quello di Hauyna.

Finalmente può vedersi nel Prodromo della mi- ìieralogia vesuviana de'celebri proff. Monticelli e Co- velli (Napoli 1825 ) una quantità di nuove forme per la prima volta determinate dal P. Gismondi in molti minerali, come per esempio nel giargone, nell'analci- mo , nella wollastonite ec. E noi vogliamo qui se- gnalare quest' atto di giustizia e di gratitudine reso dai due illustri professori napolitani al loro amico

NECROLOGIA 3ol

defunto come meritevole d'esser contrapposto alle ca- lunnie degli stranieri sopra la buona fede de'lettera- ti e degli scienziati italiani.

Da queste poche notizie biografiche chiaro ap- parisce, che il nome del prof. Gismondi sarà sempre e giustamente celebre nei fasti della scienza mine- ralogica, e che s'egli non fece eli più a vantaggio del- la medesima , fu colpa di una lunga e penosa ma- lattia che per ben undici anni nel vigore dell' età lo sforzò alla inazione e lo gettò nello scoraggimento. Quanto poi ai suoi meriti nell'insegnamento, alcuno non può negargli il vanto di avere per primo tra noi reso comune lo studio della mineralogia, e di aver messo in valore i prodotti singolari di que- sta terra classica.

. ' Morichini.

002

1 4 . ' 1

LETTERATURA

Ragionamenti intorno la divina Commedia,

RAGIONAMENTO II.

[ ( V. Ragionamento I , nel tomo XXIU alla pagina 5a )

T

Xn questo ragionamento darò nuova interpretazione di alcune parole, che giacciono nel canto decimo - terzo del Purgatorio. Ivi Dante descrive il secondo balzo , dove sono posti in purgamento coloro , che morsi dal dente della invidia , peccarono contra l'amo- re del prossimo. E dice che dopo la entrata di det- to balzo era ito con Virgilio per lo spazio di un miglio, quando sentirono, non però videro, vola- re spiriti verso loro, parlando tali parole, che erano cortese e dolce invito a fratelievole amore.

v La prima voce , che passò volando ,

Vinum non habent altamente disse ; E dietro a noi l'andò reiterando.

E , prima che del tutto non si udisse

,, Per allungarsi , un'altra V sono Oreste Passo gridando , ed anche non s'affisse, ,

v O, diss' io, padre, che voci son queste? ,, E coni' io dimandai , ecco la terza ,, Dicendo: Amate da cui male aveste.

Comento a Dante 3o3

In questo luogo niuno è che al suono delle prime paiole Vimini non habent, non senta richia- mata alla memoria la pietosa inchiesta fatta nelle noz- ze di Cana dalla beata vergine al suo^ figliuolo , per- chè soccorresse a quegli sposi , che,, vergognavano per la mancanza del vino. E cosi niuno è che al suono delle ultime dolcissime parole ornate da cui male aveste , non si rammenti di quella sentenza veramente divina ? Diligile inlmlcos vestrosx bene- facile iis qui oderunt <vos. Ma niuno penetra il vero senso delle' parole f sono Oreste; e non pe- netrandolo ne da biasimo all' Alighieri^, , E di Vero udite il Venturi, il quale dopo l'aver detto , essere una indegnità che un matricida sia messo al pur- gatorio , soggiunge : Ma il capriccio, poetico di Dan- te già si è arrogata questa licenza di mettere su e già chi gli piace. Adunque opina il Venturi , che Oreste il matricida sia stato messo da Dante nel purgatorio. Posta la quale opinione, egli, a voler essere in accordo con se medesimo, avrebbe pur dovuto opinare , che Dante in questo luogo fosse uscito del senno fino al punto di porre in puiv gatorio il traditore e fratricida .Caino : , perchè Dan- te presso all'uscire di quel secondo balzo udì pure altre voci,: le quali non invitavano dolcemente ad amare ^ come, avean fatto le prime , ma romoreg- giando spaventosamente, come fa tuono, erano terri^ bile freno contra l'invidia. Delle quali voci luna di- ceva: Anciderammi qualunque ni apprende : e que- ste parole sono appunto quelle che disse Caino do-* che per invidia ebbe morto il fratello-: Omnls. qui liwenerlt me oceldet me. Anzi, a tale sareb- be giunta la stoltezza di Dante, che avrebbe po- sto Caino nel purgatorio , e nello inferno : do- ve non che lp pose, ma volle che una parte della

3o4 Letteratura

più profonda' e orribile bolgia, dov'erano miseramen- te tormentati i traditori, dal nome di lui avesse no- me Caina. Vedete anzi strana conseguenza, clie de- -durrebb^si dalla stranissima interpretazione del Ven- turi: perchè si avesse a dire, che la voce 7' so- no Oreste fosse mossa da Oreste stesso ; e' si con- verrebbe pur dire , non solo che il suono minac- cevole delle parole: Anciderammi qualunque ni ap- prende-, uscisse della bocca di Caino; ma che ezian- dio le altre dolcissime : Vinum non habent : diligi- te inimicos: fossero mosse e dal diviri Redentore e dalla sua madre santissima , e che l'uno e l'altra si aggirassero pel purgatorio.

Udite ora la chiosa del p. Lombardi. Egli dir Vorrebbe che le parole T sono Oreste escano di boc- ca degli angeli, ma dubitando non se ne arrischia : perchè teme non forse sia disdicevole a quelle prime purissime creature il vestire in certo modo sembian- ze di matricida, e così parlare come se quegli par- lasse. Adunque desideroso di essere difensore di Dan- te, senza avvilimento dell' angelica maestà, pone in campo una sua opinione stranissima fra le strane. Im- perocché vorrebbe , che la in quel balzo del purga- torio fossero dimoni che fuor mandassero quelle vo- ci. Anzi, per quello che ne sembra, que' dimoni do- vrebbero essere in compagnia di angeli, a non voler dire che mentre pare non dicevole a celesti spiriti prender voce di Oreste, non sìa disdicevole a spiriti infernali parlar le parole della immacolata vergine e del divino figliuolo. Voi forse non dareste fede alle mie parole , se io non riferissi le parole stesse del p. Lombardi: e sono queste imcliritte contro al Ven* turi : Non poteva certamente ( il Venturi ), ben ri- flettendo in, persuadersi quaV impossibil cosa, che r siccome infernali spiriti servono talvolta alle di~

Comknto a Dante 3o5

\fine disposizioni tra gli uomini , senza perciò di- venir essi , come gli uomini , viatori , così servis- sero eziandio nel purgatorio , senza essere pur-' ganti.

Il Volpi , il postillatore del codice Gaetani, il p. d'Acquino , ed altri stettero contenti al dire , che ivi era menzionato Oreste , perchè fu amico fedele . Il che snerverebbe la forza di quella sentenza ; non renderebbe ragione delle antecedenti parole I' sono; e non dileguerebbe del tutto l'accusa del Venturi, e la dubbiezza del Lombardi : perchè sempre sareb- be vero , essere stato posto da Dante ad esempio di amore un matricida ; che se fu dall' una parte amico fedele , fu dall' altra figlio snaturato , ed eb- be spirito non di carità e di perdono ma di ven- detta.

Ma lasciando stare di queste e di altre cose sognate dagli spositori di questo luogo , vengo a darne nuova e vera interpretazione. Dico dunque che le voci parlanti non erano ne del divino Re- dentore, né della sua santa madre, riè di Oreste matricida: che niuno di loro poteva stare in quel luogo; e meno questi fra quelli. Appresso dico, che le riferite voci potevano suoDar per l'aria per divino volere, e per miracoloso fiato di vento, che in un luogo soavemente spirasse invitando a cari- la, in altro avesse fiero e turbato spirito, ponen- do freno ad invidia. Che non è nuovo nelle sagre carte e ne* libri de' poeti il dire , che un' aura par- li soavemente, e che voci minacciose si formino dai tuono e dalla procella. l'Alighieri ebbe mai men- zione di angeli, ma di voci e di spiriti: che sono sinonimi : perchè spirito ha significanza di fia- to o voce: onde spiri tus aline., spiritus cieli, spi- riius amnis , ed *ltri simili. E potè Idio porre G.A.T.XKVII. ao

3o6 Letteratura

quelle voei miracolose in quel balzo , come nel primo vide Dante miracolose immagini scolpite sul- la ripa , e delineate sul suolo : nel terzo ebbe vi- sioni di cose che si movevano e parlavano : nel sesto udì voci portentose che suonavano per entro le fronde degli alberi,

Ma, se vuoisi, sieno pure angelicite quelle vo- ci : che come la prima e l'ultima , cosi pur quel- la /' sono Oreste sarà conveniente a quegli spiri- ti avventurosi. Imperocché quel detto chiude in se una sentenza altissima di carità : ed è tale che an- cor fra noi se a coloro che peccano in invidia , e bramano l'avere ed eziandio la morte de' loro fra- telli, si dicesse: Ti sovvenga delle parole V sono Oreste; certo che a un tratto per quella voce si vedrebbero raumiliati , se pure non fosse spenta nel- le invidiose anime loro ogni scintilla di carità.

E di vero , quelle parole santissime furono pro- ferite da quel seguace di virtù, da quel fiore di amicizia, da queir amoroso e innocente Pilade, che immacolata fama ha nel mondo. Imperocché essendo stato dannato a morte l'amico Oreste, e ignorando Egisto quale fosse Oreste dei due, il buon Pilade a tutta voce gridava: Io sono Oreste : per essere da- to a morte in vece del dolcissimo amico suo ; esem- pio di rara amista, atto ad ingentilire qual sia ani- mo più silvestre E perciò ne' teatri e di Grecia e di Lazio, quando nella tragedia che aveva titolo Egisto udivasi dai labbri di Pilade quella voce , tut- ta la cavea altamente suonava di plausi, che face- vano fede della pietà che commoveva l'animo de- gli uditori. E pure ciò che vedevano e udivano non era il vero : considerate or voi ciò che avrebbero fatto, se a cosa vera fossero stati presenti. E fu tan- to maraviglioso f effetto che quelle parole ingenera-

Comento a Dante 307

vano nella mente di ciascheduno , che il detto Io sono Oreste passò come in proverbio e in esempio di fratellevole carità. Anzi ne'teatri solevano essere le statue di Pilade e di Oreste ia rammenzione di quella scena : e nel teatro dell' antica citta di Tu- scolo , dove queste cose ho scritte, sonosi trovate le basi che sostenevano quelle statue . E perciò l'Alighieri pose acconciamente quelle tanto celebrate parole fra gl'inviti e gl'instigamenti ad amare. E come in moltissimi altri luoghi ebbe, allorché scris- se, innanzi alla mente gli aurei libri di Cicerone, cosi in questo volò col pensiero al divino libro dell' amicizia: laddove Tullio per bocca di Lelio par- la della tragedia di M. Pacuvio : Quos clamores to- ta cavea nuper in hospitis et amici mei M. Pacu- ini nova fabula \ cum ignorante rege uter eorum esset Orestes, Pylades Orestem se esse diceret, ut prò ilio necaretur Orestes autem , ita ut crat , Ore- stem se esse perseveraret. Stantes plaudebant in re ficta. Quid arbitramur in vera fuisse facturos? Se dunque gli spositori avessero posto mente a que- sti detti di Tullio, avrebbero trovata la fonte don- de l'Alighieri derivò nel suo poema quel bel con- cetto , ed avrebbero ben chiosato , che fra le vo- ci, che in quel balzo dolcemente suonavano, erano ripetute ad esempio di bella amicizia le parole soa- vissime di Pilade: Cum Orestem se esse diceret, ut prò ilio necaretur.

E notate accorgimento finissimo, e degno di gran poeta. Egli vide che tre sono i gradi di cari- tà: dare soccorso di roba a coloro che ne sien pri- vi: Vinum non habent; porre se a pericolo anche di morte per la salvezza altrui : /' sono Oreste ; dare retribuzione di bene per male: simate da cui male aveste-, sommo amore e virtuoso, amare chi t'odia,

2Q+

3o8 L E T T E R A T V R A

e pagare di benefieii le offese ricevute e la mal tol- lerabile ingratitudine. Leggansi ora di nuovo i versi di Dante, e veggasi quanto di bellezza acquistino dopo la data interpretazione:

» La prima voce , ehe passò volando ,

» Vimini non habent altamente disse; » E dietro a noi l'andò reiterando.

E prima che del tutto non si udisse

» Per allungarsi, un' altra, f sono Oreste , jj Passò gridando, ed anche non s'affisse.

» O, diss'io, padre, che voci son queste? » E , coni' io dimandai , ecco la terza v Dicendo : ornate da cui male aveste*

vuoisi reputare a poco buon gìudicio dell' Alighieri lo avere addotto un esempio di carità pre- so dalla storia de' gentili nel mezzo di due tratti dal- le sagre carte. Anzi ciò , al mio credete , deve repu- tarsi a sua lode. Imperocché panni, che la carità, onde Pilade fu mosso a voler morire per l'amica suo , sia tanto più da porre ad esempio , quanto mi- nore era il lume che la colui mente irraggiava. La- onde, a quello che io ne penso, le tre brevi paro- le: F sono Oreste^ chiudevano questo grave ragio- namento : O voi che foste invidiosi del bene altrui , voi che non aveste spirito di carità, rammentate che un Pilade, un pagano, uno che non ebbe, come voi, gli occhi dello intelletto aperti alla luce del vero , se stesso offerse a morte per l'amico suo : e al dub- bioso tiranno diceva: Io, io sono colui che tu cer- chi: io sono Oreste; ed era suo desiderio di morire per quello. E perciò io trovo ben ragionato in sen- tenza ciò che il postillatore del codice Gaetani dis- i.^3 m mulvagc parole : Ista exempla paganoruni dai

Comento a Dante 3t)$

in confusionem christianorum. Ne mancano nelle sagre carte esempi di storie profane addotti ad am- maestramento o a confusione del popolo d' Israele . E qui noterò di volo cosa non mai notata da alcuno : cioè che Dante previde il rimprovero , clip altri avrebbe potuto fargli di questo mescola- mento di fatti sagri e profani. Previdelo : e tenne modo, che dal mescolamento stesso nascesse la sua difesa. Imperocché descrivendo il primo balzo del purgatorio, ove pose coloro che oflfesero nel peccato della superbia , cominciò ivi a porre innanzi agli occhi esempi sagri e profani ; e volendo in quel principio dar ragione tale> che gli valesse per tutti altri esempi che aveva proposto di porre ad orna- mento de'canti che dovevano venir dopo , Unì a Lello studio lo esempio della punizione del super* Lo Oloferne allo esempio della punizione degli orgo- gliosi giganti figlinoli di Titano: quello preso dalle sagre carte, questo dalle profane : anzi quello ve- ro, questo favoloso. E fecelo a bello studio , sic- come ho detto : conciofossechè nella unione di que- sti due esempi stesse ogni sua risposta alle accuse* E di vero, leggete nella scrittura santa l'inno di gio* ia , che intuonò la forte Giuditta dopo la morte di Oloferne , e la rotta dello esercito assiro . Tro- verete ivi queste paiole riferite ad Oloferne : Non enim cecidio potens eorum a iuvenibus , nec filii Titan percusserunt enm , nec excehi gigante* op- posuerunt se UH', sed Judith fdia Merari in spe- eie formai sua; dissoluti eum. Il qual luogo cosi fu chiosato dal Martini: I Titani sono giganti fa- mosi nella storia favolosa , e presso i poeti greci e latini. La favola dei Titani veniva dalla storia delle scritture : e l 'ardimento col anale i poeti dis- sero che questi Titani avevano tentato di far guerm

3 1 o Letteratura

ra a Giove, dimostra V empietà de veri giganti. Non poteva dunque l'Alighieri aver quivi difesa mag- giore che questa , la quale gli veniva dalle sagre earte. Tuttavia niuno de'eomentatori , che pure in quei luogo si sono assai faticati di difender Dan- te, niuno , dissi , di loro ha mai citate le riferite parole dell'inno cantato da Giuditta.

L. Biondi.

Edipo nel bosco delle Eumenidi , tragedia» Bastia i8a5 nella stamperia Fabiani.

D

opo il giudizioso parere espresso dal sig. Sal- vatore Betti nel 79.0 volume di questo giornale sul- la tragedia Edipo nel bosco delle Eumenidi , e do- po i degni elogi eh' egli tributa al chiarissimo au- tore, non sarà inopportuno il presentare ai nostri let- tori in una breve analisi 1' orditura di questa nuo- va tragica produzione , la quale ha comune il sog- getto con l'ultima , e forse colla più patetica tra- gedia di Sofocle , da lui scritta , come attesta Vale- rio Massimo , poco prima della sua morte. Sofocle nel- la sua decrepitezza essendo stato interdetto dall' Areopago ad istanza de'suoi figli, par che abbia adom- brato nel suo Edipo a Colono l'infelicità del suo stato e l'ingratitudine de' proprj figli , e eh' abbia can- tato nel quinto atto di quella tragedia la sua fune- bre elegia; e ben si può dire che l'ultim' atto dell' Edipo a Colono sia il canto del cigno. Ducis imitò V Edipo coloneo nel suo Oedipe c/iez Admete , e quindi nel suo Oedipe à Colone-, e di non comuni

Edipo del Niccolini 3il

pregi abbonda sopratutto questa seconda tragedia. Fu notato soltanto , che nell' Edipo presso Admeto doppia è l'azione, e nell' Edipo a Colono, in cui Du- cis volle correggere questo difetto riducendo la tra- gedia a tre soli atti, l'azione riesce troppo compen- diata e dirò cosi strozzata. L'autore dell' Edipo nel bosco delle Enmenidi ricalcando più felicemente le vestigio di Sofocle, e dando all' azione un altro sco- po morale altrettanto nuovo quanto vero , n'ha ac- cresciuto l'interesse drammatico senza moltiplicarne o mozzarne gì' incidenti. Eccone un succinto rag- guaglio.

Edipo odiato dagli elei, detronizzato ed esilia- to dai figli , esecrato da tutti , cieco , mendico , e sola- mente guidato ed assistito da Antigone , avea richie- sto agli dei la morte come l'unico mezzo di sot- trarsi a' suoi tanti infortunj. Il cielo, da cui implo- rava questo favore, gli avea risposto per bocca dell* oracolo, che allora gli avrebbe cencessa la morte quando la sua esistenza riuscisse inutile a dar mo- tivo ed impulso ad una buona azione , ed a far che il furore cedesse in altrui alla pietà.

» Nella sacra Atene ,, Quando il furore alla pietà non ceda Pace ad Edipo annunziera natura dj$

Col tumulto del ciel !

Edipo giunge a Colono, ove sorgeva un delubro consegrato all' Eumenidi. Il poeta fin dal principio del primo atto ci descrive queste dee terribili in cui la falsa religione antica personificò i rimorsi e i ter- rori della, coscienza. Ecco lo squarcio d'un inno can- tato a queste dee da un coro di sacerdoti:

3ia Letteratura

» O tartaree sorelle ,

A voi grata è la voce

Di tonanti procelle ;

,, Sull' empio or sono immoti

,, Gli occhi che mai domò forza d'incanto ,

Che fugge il sonno e non conosce il pianto.

'

Spettro inulto abbandona

Del sepolcro l'orror : già vola t e cerca

Il sospettoso letto

Del sopito uccisore; ecco lo desta

Degli angui vostri il gelo, e al fioco lume

Delle tartaree faci

Sparge sul volto suo l'ombra nemica

Il caldo sangue della piaga antica.

Giunto Edipo al tempio dell' Erinni , e stanco più che mai della vita, consulta il gran sacerdote onde sapere in qual tempo avran fine le sue sven- ture. Il gran sacerdote gli accenna, che non è lun- gi il tempo in cui si potrà adempire il vaticinio di Apollo. Si offre infatti l'occasione in cui Edipo con una pietosa azione può riparare in parte l'involon- tarie sue colpe. Polinice, che aveva espulso dal re- gno Edipo, espulso anch'egli da Eteocle movea guer- ra al fratello e conduceva contro Tebe l'esercito de- gli argivi. Ei si reca nel bosco delle furie in trac- cia del padre onde implorare il suo perdono, fargli rivocare la maledizione che Edipo avea contro di lui pronunziata , ed indurlo a riunirsi a lui contro l'usurpatore Eteocle. Edipo colle minacce e coi prie- ghi poteva placare l'odio fraterno di Polinice, e far che il furore cedesse in lui alla pietà pel padre e pel fratello.

Edipo del Nìccolini 3i3

Occorre qui un incidente che loco ad una delle più belle situazioni, che s'ammirino nell'an- tico o nel moderno teatro. Creonte messaggiero d'Eteocle si presenta improvisamente ad Edipo , e tenta d'indurlo a ritornare in Tebe onde giustifì- «are e proteggere colla sua presenza la cansa d'Eteocle. Fiera e sdegnosa è la ripulsa di Edipo : Creonte per determinarlo a venir seco a Tebe s'im- padronisce d'Antigone, e finge di renderla alle di lui preghiere per quindi strappargliela con maggior violenza dalie braccia, e far vieppiù sentire al cie- co vecchio tutto il dolore d'una terribile ed im- provisa separazione.

Creonte

E* tempo Alfin che tu mi tema.

Edipo

E come? Creonte

Ho certo Segno del tuo timore.

Edipo

E qual? Creonte

Tu cieco Sei , ma profeta ... io già la tengo. Antigone

Indegno ! Lasciami . . . o padre . . egli m'afferra . . . o mostro !

Edipo Vecchio ed inerme io sono : un brando, o figlia, Un brando avea : tu mei togliesti : ah ! vedi Se tor si deve agi' infelici il brando . . . Sacerdoti! accorrete.

3i4 Lette natura

Antigone

Oh Dio ! sou lungi. Edipo Sacerdoti , accorrete.

Antigone

All' empie mani Fuggir saprò di traditor codardo {Antigone fa ogni sforzo per uscir dalle mani di Creonte , ed egli la lascia andare dicendo ).

D'Edipo tuo torna agli ampliessi , e scusa . Involontario errore : e senti , o padre , Che la figlia ti lascia - Ola , soldati , Costei si tolga al sen paterno. Antigone

Iniquo ? Ah da te svelta io sono !

Stendi . . .

Noi posso !

Edipo A me le mani

Antigone

Creonte

I gridi suoi vietate. Edipo

O figlia mia , . dove sei tu ? ti cerco , E sol tenebre abbraccio , e queste gelide Mani deluse in sul mio sen ritornano.

. . . . . Gin mi t'invola , o luce Degli occhi miei? chi fia sostegno e guida Al pie tremante .... incerto ? ahi mostro !

Antigone è tratt^ a forza al campo d'Eteocle. Nel momento che Polinice corre armato sui rapitori , per toglier loro di mano la sorella, un soldato tebano

Edipo de* Niccolini 3i5

scaglia infuriato (i) contro la donzella per ucci- derla. Teseo accorre in difesa e soccorso d'An- tigone; e al principio del quart' atto Edipo do- po una dubbia ed affannosa aspettazione riabbrac- cia la figlia salvata ,■■ e restituitagli da Teseo- Te- nera e toccantissima è questa situazione, ed offre a Teseo l'opportunità d'intercedere presso Edipo pel perdono di Polinice , e di tentare una ficonciliazio- ne fra il padre e il figlio. Edipo dopo: replicate ripulse ceda in parte alle istanze di Teseo e d'An- tigone, ed acconsente soltanto I d'ammettere per po- chi istanti Polinice alla sua presenza. È pregio dell' opera il qui riportare qualche passò di questa sce- na, die il lettore potrà confrontare colla 'Scena cor- rispondente di Sofocle e' di Dueis. Edipo dice dopo un lungo silenzio t

Se al re d'Atene^ se alla tua germana Non promettea risposta, il ciel n'attesto Glie più non veggo, dal paterno labbro Ne un solo accento udito avresti ... or piangi, Piangi perche della fortuna avversa '

(i) Non ci pare ben fondata l'opinione di coloro che a det- to del iig. Betti ( Vedi Giorn. Arcad. Luglio i8i5 , pag. 38. ) cre- dono die Creonte abbia voluto far uccidere ji litigone appena che fu strappata dai fianchi del padre; il che smentirebbe l'astuto carattere di Creonte , e renderebbe inverosimile una delle più bel- le situazioni che si ammirino in questa tragedia. La tentata uc- cisione di Antigone non deriva già da un ordine di Creonte, ma bensì dagli sforzi che fa Polinice per liberarla, e dal furore d'un soldato tebano. Infatti Antigone racconta al padre: Il ferro , che sul mio seti ratto scendea , trattenne un guerrier di Creonte Ed Edipo nota che costui rolea trar la donzella a Tebe; Primo trofeo della fraterna guerra.

3iG ; Letteratura

L'ire conosci a prova; e tu lasciasti Ogni cosa diletta , e a te più cara Reodea la patria il doloroso esiglio. Pur me non muove il pianger tuo ; son Lievi Quelle virtù che la sventura insegna. Tu questo vile ammanto e il crin canuto,

0 parricida, in mirar piangi: Edipo

Non piange no, ma soffre. Or via , dal padre Che vuoi? che speri?

Polinice Il mio german mi tolse E regno e patria: gli die lo scettro Virtù di pace o paragon di brando , Ma cieco amore di volubil plebe Cui per viltà somiglia. Ad Argo i passi Esule io volsi, e meco io solo avea Dritti, sventure, e questo brando. Asilo, Pietà , vendetta alfin trovai : m'elesse Genero Adrasto , e contro a Tebe io muovo

1 congiurati re. Deponi, o padre,

Gli acerbi sdegni , e torna a Tebe: entrambi Abbi ani comuni e le sventure e i numi. Sta la vittoria ove tu sei : prometto L'avito soglio a te: nel figlio avrai De' tuoi soggetti il primo. Edipo

Iniquo, e speri Compagno il padre alla fraterna guerra? Si vii mi credi , che io di Tebe il soglio Ascender possa , e sulla cieca fronte Dall' empia mano orribil serto implori ? Va: reca altrove l'abborrite insegne; Va , maledetto : la paterna Erinni Teco verrà , non io. Misera Tebe , Or paghi i tuoi delitti! Eteocle impera

Edipo del Niccouni 3 17

Polinice minaccia

. . . Ahi crudo ! in sul tuo soglio assiso Partir vedesti , e a ciglio asciutto , un padre Cieco , mendico , infame ! Avrei la morte Tra 1 disagi e i perigli in erma riva Trovata io già, senza la figlia. Ah vieni Fra queste braccia , o sangue mio ! riceva La man, che mi nutrì, lagrime e baci. Oh vederti potessi ! . . . ahi fu la madre L'ultimo oggetto che io mirava. Iniquo , Vanne .... io risposi.

Edipo comanda al figlio che faccia venire alla sua presenza le milizie acgive eh' egli seco ad du- ceva, e Polinice obbedisce al padre. Questi volge il discorso alle truppe schierate innanzi a lui, e eoa forti esortazioni le anima ad abbandonare le insegne di Polinice.

Se vi rimane Nulla di caro nei paterni lari , vendeste ai tiranni anche gli affetti, A terra i brandi. Alla profana guerra Itene soli , o re !

Ma gli argivi, che aveano solennemente giura- to di vincere o di morire , ricusano di violare la da- ta fede. Edipo sdegnato con orrende esecrazioni ma- ledice l'esercito argivo, poi volgendosi e Polinice soggiunge :

.... I vaticinj della mia vendetta, Perfido , ascolta e trema . Invan la destra, Che già tinse il delitto, invan rivolgi Alla fatai corona : ahi l'odio arresta L'alma sdegnosa , e d'Etcocle il core

3i8 Letteratura

Sente la man fraterna! Il sangue e l'ira, E Tira antica , in lui ritorna : iniquo , Te punirà morendo , e tu cadrai Suddito vinto e non in Tebe.

Polinice scosso alfine e sgomentato dall'imprecazio- ni paterne, dopo il silenzio della costernazione, pro- mette al padre di rinunziare ai suoi diritti al trono, e di non volger più l'armi contro la patria. Questa promes- sa gli ottiene il perdono dal padre che teneramente l'ab- liraccia. Tutto fa credere che per opera d'Edipo il fu- rore ha ceduto nel core di Polinice alla pietà , e che l'oracolo d'Apollo avrà un compimento felice per Edipo e per la sua famiglia. Ma il vecchio re vuol condurre il figlio nel tempio delle furie affinchè vi raffermi colla santità del giuramento la promessa di pace. Sopraggiunge in quel punto il gran sacerdo- te e vieta a Polinice l'accesso nel tempio.

Gran Sacerdote Dove , o profano ? Antigone

Ottenne Pietà dal padre . . . egli è pentito ; il credi .

Gran Sacerdote Pentito sei? . . pentito? . . il tuo fratello Abbracceresti ?

Polinice Io ! ( con orrore ) Gran Sacerdote

Dell' Erinni all' ara Solo andrai.

Polinice Solo ?

Edipo del Niccolimi Sig

Gran Sacerdote

Ài giuramenti eterna Custode è l'ira delle dee. Si vuole Placarla pria.

Putinice Sperar lo posso ? Gran Sacerdote

Il credi, Se il pentimento è vero. Polinice

Oh Dio ! Gran Sacerdote

Rammenta : Sono le dive mie figlie del sangue; Nacquero in un colla giustizia eterna.

Polinice Temer poss' io ? . . non trovò pace Edipo Fra l'are ove tu stai ?

Gran Sacerdote

Pensa: l'Erinni Minor si fa se le si appressa il giusto , Che ignaro ai falli il suo destin sospinse; Ma in faccia a' rei divien gigante. Polinice.

All' ira Dell' Eumenidi io m'offro.

(comincia a lampeggiare ) Gran Sacerdote

Un altro fato Nel tuo s'asconde.

Antigone.

O padre, il ciel di spessi Lampi s'accende!

3ao Letterato**

Polinice.

{s'arresta atterrito e dice) Orrida nube asconde Un fulmine per me ?

Edipo.

Che dici ? . . Oh fato , Oh inesorabil fato !

Polinice

Ahi ! quale arcano ? . . . Edipo Interroga il tuo cuore; in te lo sdegno Alla pietà cedea ? . . . misero figlio , Piango per te ; eh' or la mia pace è certa , E quest' ira del cielo ....

Gran Sacerdote

E' ancor «ospesa. Edipo E il fato . . .

Gran Sacerdote

E' dubbio : . . . ei lo decide.

Antigone

Edipo , Ahi quaF arcano in questi detti è chiuso? Alla misera figlia almen lo svela. Edipo Se t'amo, il sai; ma palesar noi possa.

Il poeta ha tratto veramente un gran parti- to dall' antica religione dell' Eumenidi f eh' erano le divinità spiatrici dei secreti del cuore e le mini- stre della vendetta celeste sui delitti occulti. L'aver interessato a quest' idea morale la sincerità d'un pentimento, i riti solenni d'un' antica religione, ed i grandi fenomeni della natura fisica, ci sembra un' idea tanto sublime quanto originale.

Edipo del Niccolini 32 i

La scena ultima del quarto atto fra il gran sacerdote e Polinice è ben degna d'esser qui ripor- tata in intiero come un modello di vibratezza e di concisione tragica.

Polinice Fermati. . . m'odi: e quai destini asconde D' Edipo il figlio , e dell' Erinni il tempio ? E il ciel gli annunziera?

Gran Sacerdote

Mortai, che cerchi? Nel cor non hai maggior mistero . . . Polinice

Io piansi Finor col padre.

Gran Sacerdote

Ma fremevi al nome Del tuo germano.

Polinice

Io non regnar promisi Al padre mio.

Gran Sacerdote

Ma non giuravi.

Polinice

Al tempio Temer poss' io ?

Gran Sacerdote

Le dive , e te . . .

Polinice

Ch' io vada. . . Gran Sacerdote E' necessario.

Polinice

Accanto all' are aroci Conoscermi potrò ?

G.A.T. XXVII. 21

3a3 Letteratura.

Gran Sacerdote

Si : Polinice A Polinice svelerà l'Erinni.

Nel principio del quinto atto mentre Polinice sta dentro al tempio deli'Eumenidi , i soldati argivi , atterriti dai lampi e dai fulmini d'una tempesta not- turna , abbandonano il bosco delle furie e senza aspet- tar gli ordini di Polinice marciano verso Tebe. An- tigone intanto prostrata alle soglie del tempio pre- ga l'Erinni a rendersi placabili e propizie verso il fratello. Si aprono le porte del tempio, e Polinice n'esce atterrito e furente. Egli e invaso dall'Eunice nidi , la di cui presenza nel tempio gli sentire che il suo pentimento non era durevole sin- cero , e che l'ambizione , e l'odio fraterno , più po- tenti nel suo cuore che il timore degl' imprecati in- fortuni , lo spingevano al delitto. Antigone fa ogni sforzo per dissuadere il fratello dal portar le armi contro la patria, e già sembra che cominci a vin- cerlo: allorché il sunno d'una tromba guerriera , che annunzia da lontano il passaggio degli argivi oltre il Gefiso, risveglia in Polinice (2) tutto il furore della

(1) Suppostala forzai d'un'hulole furibonda o perversa , avva- lorata da una insta abitudine la quale rende sovente incorreggi- Lili gli uomini facinorosi , a noi non pare inverisimile , come la, reputa per avventura il sig. Betti (ivi), la risoluzione che fa Polinice di andare a battaglia malgrado de'minacciosi vaticinj del padre. La sincerità del suo pentimento poteva sola eludere l'adem- pimento di quei sinistri presaci ; e nessuno poteva meglio di lui conoscere ch'egli non era sinceramente pentito, A ciò si aggiun- ga la. leima persuasione in cui egli era ch'il decreto del fato <l. -ve., san malgrado, adempirsi ; ed in ciò il sig. Niccolini non, „i è punto, dipartito da Sofocle ; muì ci è sembralo ch'egli ab-

Edipo del Niccolini 323

guerra. Egli abbandona la sorella e il padre per andare a combattere coritro il fratello.

Allora il destino d'Edipo è deciso. A guisa d'una vittima destinata al sacrificio egli comparisce in isce- na vestito di ammanto reale e col diadema in capo. Il suo addio alla figlia è sommamente patetico e commovente ; egli l' affida e la raccomanda al su o ospite Teseo.

Ti lascio Sola in terra straniera, è ver; ma regna Qui con Teseo la legge. Ah fuggi , o figlia , E la patria e Creonte l In mezzo agli empi Mal sicura e virtù; ma in Tebe andrai, Infelice , purtroppo , e le paterne Tenebre invidierai, quando il fatale Sangue de'fìgli bevera l'Erinni ! Pegno di fede la tua destra invitta M'offri , d'Atene o re : la strinse Alcide Punitor dei tiranni , e a lei consegno , Consegno a lei questa mia figlia. Addio. Antigone Addio fra noi non v'è . . . perir puoi meco , Ma senza me non puoi.

Gran Sacerdote

Misera ! ignori Qual fato arcano al genitor sovrasti.

Lia iiulouo una maggior sospensione nell' animo di Polinice , « più in quello degli spettatori ; giacché Polinice sta quasi per e»-, dere alle lacrime della sorella , quando il suono della tromba, i suoi fati lo strascinano a Tebe :

Una terribil mano , Si , mi sospinge una 'terribil mano IVcW abisso , di' io veggo,

ai*

3a4 Letteratura

Quel dio , ch'Edipo a nuovi sdegni elesse , Or lo riserba ad altra morte.

Voce dal Tempio Edipo Edipo Voce del cielo è questa. Teseo

Ah ! s'erge il crine Sulla mia fronte

Antigone

Il mio dolor disprczza Tutti i terrori. Io verrò teco. Edipo

Al padre Obbedirai . . Vedi! obbedisco ai numi. Questa d'amor prova io ti chieggo

La stessa voce \ ' Edipo

Edipo Ecco la figlia tua . . . Povera figlia , Quanto m'amò ! . SulF infelice padre Vegliò l'attento amore , e tutte ah ! tutte Le pene mie comprese, e terse il piatito O meco pianse : e ognor di me pensosa Quasi obliò se stessa .. E'ver, tra quanti Mortali in terra ebber di padre il nome Il più misero io fui . . . Ma quando , o padri , Un'Antigone avrete ? In lei virtute Fu d'un Edipo alle sventure uguale.

La stessa voce Che tardi più ?

Edipo, svincolatosi delle braccia della figlia, è condotto nel tempio dal gran sacerdote che ne chiude le porle. Antigone vuole a forza seguirlo,

Edipo del Niccolini 325

ma è trattenuta da Teseo. Essa, ignara ed incer- ta del fato che sovrasta al padre, prega e scongiu- ra il re d' Atene a toglierla da una si dubbia e tormentosa aspettativa ; in quel punto istesso scen- de un fulmine sul tempio , Antigone cade tramor- tita , e il gran sacerdote spalancando le porte del tempio- dice a Teseo:

,, O re, compisce i suoi destini Edippo ,, .

Da quanto finora abbiamo accennato o riporta- to di questa tragedia si scorgerà die l'invenzione n'è felice e sommamente filosofica , l'intreccio sem- plice e bene ordito, i pensieri peregrini, e spesso pro- fondi e sublimi, e si osserverà nello stile, come av- vertì sensatamente il sig. Betti, il tocco d'una mano maestra. Se qualche cosa ci resta a desiderare in que- sta nuova produzione drammatica si è una maggior parsimonia ne'concetti, i quali per essere appunto sempre forti e significanti non ci sembrano sempre per- fettamente accomodati alle diverse situazioni e carat- teri dei personaggi; ed è certo in massima generale, che la molti plicita e l'acume dei pensieri nuoce nel- le opere drammatiche alla naturale concatenazione del dialogo e talora anche all' espressione degli af- ti ed all' evidenza dei caratteri.

Se il poeta rendesse un po'meno sentenzioso il suo stile, e modificasse nel primo e secondo at- to le furie di Polinice e d'Edipo che ci pajono o troppo estemporanee o non abbastanza ben moti- vate, noi non temiamo di asseverare che questa sua tragedia occuperà un posto distintissimo nel mo- derno teatro italiano; e precederà degnamente nel- le recite teatrali il Polinice e l'Antigone dell' Al- fieri.

Salvatore Viale.

3sG

Versi di Caterina Franceschi ALLA NOBILE E VALOROSA DONNA

LA SIGNORA CONTESSA

ANNA PEPOLF NE' SAMPLERI

I

-o non so a chi meglio che a voi donare il titolo di un elegantissimo inno, che a questi ultimi di ho ricevuto dalla sig. Caterina Franceschi. Si di- co, elegantissimo , e degno veramente delle muse italiane, le quali ornate alla modesta pompa de' classici sdegnano le tante lascivie de' moderni cor- rompitori. Vedete infatti leggiadria di favella, ve- dete larghezza di stile, vedete bontà d'imitazione dantesca, vedete ricchezza e nobiltà di concetti. E tutto è nostro : e tutto gentilmente risplende dell' oro del miglior secolo. Oh si può dunque aver buona considerazione a siffatte cose anche allora che più fervida la fantasia s'innalza a gran volo ? Ben si può : che la poesia è ragione, non furor pazzo, non li- cenza sfrenata , come taluni pensano di la da' mon- ti : leggesi che le muse andassero mai col tirso in mano mettendo orribili grida pel Citerone. sola io ve ne porgo esempio, potrebbe qui dire la sig. Fran- ceschi ; ma ve lo porgono tutti coloro che siedo- no sommi fra i latini e fra i greci, ed anche i più celebri nostri prima che i suoni barbarici degli scal-

InnO al sole Zij

di e de' bardi presumessero di vincere la divina dolcezza delle italiche melodie. Giovinetta veramen- te mirabile; nella quale non so qual cosa debba aversi maggiore, se il candor de' costumi, o la pro- fonda dottrina, o l'alto animo , o il maschio amore di patria ! Certo ho Conosciuto sempre singolarissime nella sig. Franceschi tutte queste virtù: talché già mi congratulo colla fortuna italiana del poter toglie- re anche questa leggiadra donzella dentro al bel nu- mero di coloro che fra noi rinnovellauo le antiche glo- rie della Stampa e della Colonna.

Efche ciò sia vero, voi, signora contessa, con- sideratelo t voi che tanto valete ili questa gentile condi- zione di studi: voi che piena il petto di buona filosofìa; sapete anche esporla nobilissimamente colla semplicità e colla eleganza declassici , come ne ha fatto fede quel vostro libro d'oro di sentenze e di massime (i), il quale renderà il nonie vòstro Cosi Caro a' futuri, co- inè a' presenti è carissimo. Io non so se questo mio dono , benché sia opera d'ingegno raro com'è quel- lo della sig. Franceschi , pareggiar possa i molti e segnalati favori che dalla vostra bontà costantemen- te ricevo : so nondimeno che al vòstro bell'animo dee giungere graziosissimo , che abbiate a dire: Egli m'era pur debitore di molto t solo però aveva una gemma , e poverello me l'ha donata !

n

Salvatore Bkttì.

(l) Raccolta di sentenza e di massi/ne tolte da più fdoutfì poe~ ti ed autori antichi e moderni. 8. Bologna, dalla tipografia Pf olili e coi/ip. »8;4- Un voi. di earu 4<hi.

3?8 Letteiiàt u r a

INNO AL SOLE.

Oh quanto il ciel di bel sereno adorno

Dal balzo orientai brilla rosato !

Fuggite , o stelle : il sol ne rende il giorno. Già il candido colombo innamorato

A disfogar comincia il suo dolore;

Già i fiori e l'erbe risveglia nel prato L'auretta annuziatrice dell' albore;

Apre natura al nuovo lume un riso;

Tutto prende nel suol forma e colore. Salve, o grande astro, che fiammeggi assiso

Sovr» igneo soglio nell' eterno vóto ,

E se' raggio fra noi del paradiso. Tu mai posta non muti , e stando immoto ,

Rege degli astri , liberal dispensi

Ai minori pianeti e luce e moto. Per te rotando negli spazi immensi

Dolce risplende la giovai facella ;

Con raggi in sangue orribilmente accensi Marte rosseggia; ma serena e bella

Fai che baleni di luce tranquilla,

Quasi giglio nel prato, Espero stella. E a gente , che secura si tranquilla

Entro il suo grembo, ed ama e sente e spira,

La fiamma tua , siccome a noi , sfavilla. Perchè la man , eh' una temprata lira

Questo universo rende, e le carole

Dell' alte sfere armonizzando aggira , Negli astri, al par che in questa opaca mole,

Sparse il seme di belle creature,

Cui fieron gli occhi i dolci rai del sole. Ivi d'acque, di frondi, e di verdure

Sono liete le terre, ivi la gente

Per erme selve o per montane alture

Inno al sole Ò2Q

Al tuo lume s'allegra, o vita e mente

Di mille mondi, e dispiega un desio

Al primo amor , siccome foco ardente. Perocché l'alto sire in te scolpio

Del suo poter la viva ìmmago : ah! pera

Chi te guatando non si volge a Dio. Quanti al dolce tepor di primavera

Spuntan fioretti, quanti Espero accende

Raggianti fochi allor che vien la sera , Per tanti rivi da te si distende

Luce , che ad alto meditar consiglia

Qual di natura le bellezze intende. O amor, che ascoso in duo tranquille ciglia

L'alme saetti di punte mortali,

E spiri al cor talento e meraviglia, Perchè se' tanto grande , e tanto vali

Quando s'infiora ogni terrestre riva?

Ed in qual foco accendi allor gli strali? Nella fiamma del sol; poiché più viva

La tua face risplende al nuovo ardore,

Che l'universo rintegrando avviva. Allor penetra e intenerisce il core

Languir secreto , allor si sveglia in petto

Tutta soave la virtù d'amore. O diva luce, che mortai concetto

Tanto trascendi, alle create cose

Tu di vita e d'amor porgi intelletto. Tu di candidi gigli e fresche rose

L' aurora inostri , allor che uscendo fuori

Del suo Titon dalle braccia amorose , Spiega, sorgendo in ciel, mille colori

All' Iride sembianti , e appar levata

Entro una vaga nuvola di fiori. Tu sovra ogni altra bellezza creata

Ne allegri, e acceso d'un candor benigno

La terra fai del tuo volto beata.

33o Letteratrua.

Ma se corruschi tinto di sanguigno , Oh tristi colti, oh misere contrade! Non scendono ivi dall' aere maligno

L'erbette a rinfrescar piogge e rugiade t Ma siria vampa o grandine nemica Guasta per tutto armenti arbori e biade.

Onde lamenta la vana fatica Il vilianel, che lappole recide, Ove credeva di raccor la spica.

Ivi la parca in sul fiorir precide Le tenerelle vite; in bruna vesta La vedovetta al tumulo s'asside

Del suo diletto , quell' urna funesta Bacia tutta tremante, e ne' sospiri L'antico affetto a rimembrar s'arresta*

Niobe, tu sai, come infocato spiri

Il sol ferite e morti , allor che ardenti Saetta i raggi dai superni giri.

Ahi! con qual cor, con quali occhi dolenti Cascai' vedesti in terra ad uno ad uno •>■> I sette e sette tuoi figliuoli spenti!

Lo pianeta. maggior sopra ciascuno Già folgorando venenoso telo; Questi languìa fatto di sangue bruno ,

L'altro piagato le pupille al cielo , Quasi a chieder pietà , fioco volgea ; Un delle man facendo agli occhi velo

Flebilmente in sul morir dicea :

Io manco; o madre mia, che non m'ajutif Quel presso al corpo del fratel giacea.

Misera madre ! innanzi ai pie caduti

Vedi i tuoi nati , li contempli , e a tanto Spettacol diro disperata ammuti. Poi ti riscoti , e Celi entro del manto Un pargoletto che solo ti avanza , Lo stringi al petto, e gridi nel pianto:

Inno ai soie 33 i

Questi è del viver mio sola speranza! Salvami, o Febo, salva questo almeno! Gran tormento punì la mia baldanza! Abbi di lui pietà; me, me, nel seno Folgora, fiedi ! Ma indarno sospirai Il miserello in grembo a lei vien meno. O decoro del ciel, salve; ritira, Deh ! ritira da noi le tue vendette , Ad altro suol balena in foco d'ira. A noi d'Italo prole, a queste elette Vaghissime contrade, in cui natura Tutte bellezze ha di sua man ristrette, Ridi una luce ognor temprata e pura; Ma fero scocca dall' eterea chiostra Su chi non pone al male oprar misura. Spegni i superbi , i vili ammorba e prostra } Sperdi il seme fra noi d'ogni tristizia; Serba gli avanzi della gloria nostra. Deh! avviva Italia di cara letizia,

Onde conforti il suo nome , che giace Ancor pe' colpi dell' altrui nequizia. Qui dolce fior di cortesia, di pace, Qui di virtute il regno, e qui beata Renda la gente del saver la face, E poiché tutta di bellezza ornata Questa contrada redolirà gentile, » Felice l'alma che in lei fia creata ! Che giunto alfìa quest' aspro tempo vile Fia chiara Italia di luce novella, E a te, grand* astro, raggerà simile D'ogni altra terra più leggiadra e bella-

33:

Trattato del governo della famiglia d" dgwlo Pan- dolfini, ad usa delle scuole. Faenza per Monta- nari e Marabini 1824.

I

1 conte Giovanni Gucci esimio letterato , per le cure del quale avemmo nel 1822 il Deeamerone di M. Giovanni Boccaccio con belle annotazioni illu- strato, ed accomodato ad uso delle scuole (Faenza pel Conti), ha dato impulso alla presente ristampa dell' aureo Pandolfìni sulla milanese del 181Q, me- no qualche lieve divario. Peccato che alle intenzio- ni dell' editore non risponda in tutto la diligenza de' tipografi ! Un errata corrige , che tenta per ben 1G0 volte la sofferenza de' leggitori nelle no- velle, per bea 3o volte nel dialogo , non è trop- po buona raccomandazione per libri scolastici. » Tutte quelle opere che sono destinate all' istruzio- » ne della gioventù non deggiono peccare in alcu- » na cosa di grammatica = . Sono parole dell' edi- tore in una lettera che precede il trattato : nella quale tocca del metodo d'insegnamento alcune co- se, di cui discorreremo brevemente le principali.

Al corso regolare sono posti i giovanetti non prima che siano intorno ai nove anni, dopo i dieci. L'intero corso è di otto. Nel primo non più che tre ore di scuola , e queste interrotte da un' ora e mezzo di riposo. In questo intervallo dannosi a lodati esercizj cne rallegrino lo spirito, e crescano robustezza ed agilità alle membra. Tornando allo studio, non tornano alla materia di prima: bensì per

Trattato dhl Pandolfini 333

le ^ 01'G e mezzo non escono del ginnasio ( fab- brica larghissimamente costruita, con sale ariose e decenti, con grandi porticati e vasti cortili e bel- le verdure ) , ed hanno a custodii ed amici uomi- ni onesti, mansueti, facili, prudenti. Prima viene lo studio della lingua italiana: poi anche della la- tina: indi della greca. L'ordine delle scuole si è il seguente: grammatica inferiore, superiore, uma- nità , rettorica , eloquenza: colle quali vengono a'de- biti tempi disegno, geografìa, istoria, morale, e logica. Ma quali saranno i libri per le regole e per gli esempli ? di ciò ad altro tempo. Intanto si avverte, che ogni autore latino . aver dee possibil- mente il suo contrapposto in un autore italiano : in- torno a ciascun de' quali il Gucci si propone una bella ed utile fatica, p. es. intorno ad Orazio ; i.° Da- re una breve ma giusta idea de' principali caratte- ri dello scrivere d'Orazio , il poeta più filosofo dell' antichità, ed il più fino legislatore nelle materie di gusto; II.° Venire ad alcuni particolari sulle odi, sermoni ec. , notando le differenze di lingua e di sti- le, senza che manchi giammai certa bellezza di tin- te oraziane; III.0 Dire de' principali commentato- ri, e se tanta copia di annotazioni e tante battaglie tra essi conducano sempre a bene intendere e gu- stare il meglio de' classici; IV.0 Dire de' traduttori : e qui non sono da tacere le lodi tribuite dal Guc- ci al Gargallo : » Nelle odi ha fatto quel meglio » che sia dato di fare; nelle satire, ne' sermoni e » nella poetica ha tanto fatto Lene da lasciarsi ad- 3) dietro ciascun altro di quelli che lo precedette- » ro, ed ha tolta la speranza ad altri che lo ar- » rivi e molto meno che lo sorpassi . Così il Guc- ci, che viene poi consigliando a cacciare di nido non so quai libri, che da qualche anno ripullulano nel-

334 Letteratura

le scuole ; e prima il Decolonia , poi il Rabbi j il Mazzolerà e simili (i) ; non ingolfando i ragazzi in un pelago di precetti, ma confortandoli a bene imi- tare scelti esemplari, senza passare tostò da Virgi- lio ad Orazio, da Cesare a Livio, dal Petrarca al Poliziano , dalla pompa dell' orazione alla modesta di una lettera, dalla magnificenza di Virgilio alle veneri di Catullo. Fedro stima egli il primo li- bro da porsi in mano a' giovanetti per la difficolta di bene internarsi ne' suoi concetti. Dante vor- rebbe dapprima per disporli alla poesia italiana, ma più presto l'Eneide del Caro. E qui tocca di varie opinioni da mettere in campo : p. es. le lettere e le arti avere verità fondamentali e principj generali del pari che le scienze: il bello aver sue radici nel- la natura medesima , e principi sicuri ; quindi la sua derivazione i progressi il termine il decadimento : aver- si poi a mostrare l'utilità del preporre all' Eneide la Georgica nello spiegare Virgilio, e il danno- di una soverchia dimestichezza con Ovidio, col Tasso, e più assai con Ossian. Del fuggire il Frugoni e il greg- ge de' suoi pedestri imitatori non fa parola; che ab- bastanza ne ha detto il eh. Farini. Finisce il Guc- ci dando ragione dell' avere proposto fra le scuole d'umane lettere il disegno , la logica , la morale : co- me stiano bene insieme siffatti studj sei vede chi ha fiore di senno, e la sperienza in molti luoghi lo ha dimostrato. Per la scuola di morale sarà appun- to questa ristampa del Pandoliìni, che ti in fine raccolte le sentenze Sparse per entro il trattato; ognuna delle quali fornirà materia di una lezione di costumato vivere e civile.

Noi non possiamo che lodare il Gugcì per ciò che pone tutto l'animo al bene della gioventù, pel cui amore, da che non rifiuta di ascoltare anco le

Trattato det, Pwdolfimi 3J5

opinioni degli altri, noi gli diremo, che ci sareb- be piaciuto che al Trattato della famiglia avesse ap- posta alcuna nota la dove l'autore viene sconfortan- do, siccome pare, figli e nipoti dagli ufliej della patria, quando sia per tornarne loro alcun danno; male insegnando aversi a preferire il privato al pub- blico bene contro la sentenza, di M. Tullio negli Ufficj , dove saggiamente ne insegna l'amore della pa- tria dovere andare innanzi ad ogni altro , tranne quello che è debito a Dio. Quanto poi al metodo de- gli studj non consentiamo , che il primo libro da porrG in mano de' giovanetti per poesia italiau i sia una versione, e questa di poema epico. Ci par me- glio ( e n'abbiamo fatto sperienza con buon succes- so ) che dalle carte di scrittori originali del buon secolo, che vanno per la maggiore, tolgami esem- p.j di stile umile, poi di mediocre, salendo via via al sublime. Dopo lo studio de' trecentisti vorremmo quello de' migliori del 400 (contentandoci di quei due Aguoli, il Pandolfini e il Poliziano, nelle cai> te de' quali è oro purissimo ) : addomesticati i gio-< vani a queste scuole, vorremmo poi venir loro mo- strando i buoni esempi del 5oo , fra i quali certo la Eneide del Caro non vi\ole essere dimenticata , Ma se a lode di lui osservò già il Perticali poteri §i dire: che non altrimenti in nostra favella parie-, rebbero le muse; noi facciamo ragione, che prima di studiare la lingua degli dei , vuoisi apparare quella degli uomini.

Questo intanto non possiamo approvare , che i giovani si conducano all'età dei 17 o 18. anni senza punto sapere di fisica; e se lodiamo che vi abbia una scuola di diségno , non possiamo lodare che ne manchi una per gli elementi delle matematiche, avendo a mente ciò che con: Platone e Scnocrate sen-

33G Letteratura

tenziò Boezio: Hcec qui sperati, idest has stralicia sapientice , ei denuncio non recte philosophandum . E senza lume di filosofìa quale speranza può aversi del bello scrivere, quando il poeta filosofo ai Pisoni dettava; Scribendi recte sapere est et principium et fòns? Un nostro desiderio in fine non taceremo T che i Fioretti di s* Francesco , le Vite de" santi pa- dri , gli Ammaestramenti degli antichi e simili libri ' buoni si per la lingua come pel costume, si dessero a' giovanetti anzi die le novelle del certaldese, le quali non concederemmo che castigate agli adulti; perchò il buon costume vuol porsi innanzi a tutto ; si ancora perchè quella beata semplicità dallo stile, lontana da ogni ricercatezza, è da studiarsi a tutto potere (2). Ma su di ciò non anderemo in lunghe parole dopo il molto , che saviamente ne ha detto monsignor Parenti nelle Memorie modenesi ; tem- perando così il troppo , che a favore del Boccaccio leggesi nei Discorsi della toscana eloquenza del Gor- ticelli ; poiché noi stimiamo che nelle cose eziandio delle lettere sia da por mente al greco precetto : Ne quid nimis ; a cui si fa chiosa l'oraziano : Est mo- dus in rebus, sunt certi denique fines Quos ul- tra citraque nequit consistere rectum. siamo , a cagione d'esempio, in tutto co' puristi, in tutto co' seguitatoci di novità nelle cose della favella ; ma col- la ragione : al lume della quale teniamo doversi cer- care il buono ed il bello nella natura, versandone il meglio in carte => Tra lo stil de' moderni e '1 ser- raon prisco. =

NOTE

(1) V'ha chi accusa il Decolonia di secchezza nc'precolli e di disordine : v'ha chi gli suole far gra-

TlUTTATO D3L P.4.VDOLFIWI 337

zia pe' buoni csenipj , che ti porge. Noi ameremmo più presto mancare, di quello che abbondare di li- bri meno commcndevoli pei precetti : quanto poi agli esernpj , vorremmo venirli indicando a mano a ma- no che nello -spiegare i classici s'incontrano ; che di- staccati perdono di pregio, quasi gemme che tolgansi dal cerchio d'oro, ove si stavano cosi bene collocate. Non è già che ci gravasse di farne analisi é sìntesi i; che anzi egli è per tali vie, che troviamo verissi- mo quel dettato di Seneca : Che lunga è la via dei precetti ; breve ed efficace quella degli esernpj. Ad ogni modo il maestro, in cui deve essere quella elo quenza , che al dire di Tullio altro non è che ben parlante sapienza , alla mancanza di regole scritte meglio può supplire colla viva voce ; ponendo men- te , che la moltitudine de' precetti non faccia l'ef- fetto di quelle antiche e pesanti armature più atte ad impedire l'esercizio delle forze , che a diri- gerle e facilitarle nella guerra. ( Zelli , Filoso/'. metaf. ) Quanto alle rime del Mazzoleni, il Gherar- dini , autore di Elementi di poesia (Milano 1820), non solo le aporova , ma le raccomanda ai giovani: tanto è vero , che quot capita , tot seafenti<e. Quan- to a noi non vorremmo si desse quella raccolta ai giovani , se non quando uscendo delle scuole sono già accostumati a conoscere stile da stile, ed il buo- no dal cattivo in ogni maniera di componimenti. Ne ciò faremmo che trepidando e col desiderio , che un qualche ingegno , che sia da tanto , ne dia un' anto- logia di ver»i , come quella di prose , che con sa- no giudizio ha promesso ultimamente il Giorda- ni alla studiosa gioventù italiana. Quanto ai Sino- nimi del Rabbi , li lascieremmo da parte contenti al Saggio del Grassi, che può bastare per molti vo- lumi , e fossero pure quelli del sig. abate Romani G.A.T.XXVII. 22

338 Letteratura

(Milano i8a5). E lo studio delle lettere non vor- remmo giammai diviso dall' uso della buona filoso- fia : Est laudatarum artiuni omnium procreatrioc qucedam et quasi parens ea , quam philosophiam giraci aiocant. Che se l'uomo è animale ragionevo- le , non altrove è da educarsi che alla scuola della ragione. E ciò basti per chi è savio, ed intende me- glio che pure con M. Tullio noi diciamo nella stret- tezza di questa nota.

(**) Il Boccaccio colla raggirata costruzione de* periodi, e colla trasposizione al modo de' latini, pose talvolta l'oscurità nel posto della magnificenza , e l'affettato in luogo del grazioso; dando alla lingua un colore falso e accattato ( Tassoni , Pens. diversi lib. 9; e Perticari, Scrit. del 3oo, lib. 2). Fa dun- que buon senno chi preferisce il Passavanti e il Pandolfini , e gli altri di quella schiera , in cui sot- to abito veramente italiano non vedi che la natu- ra. Con che non s'intende che nelle carte di questi savi sia solo oro in quanto alla lingua : essi furono uomini , come toccar fece il Perticari in quelle sue carte piene di filosofia , piene di eleganza: che si pos- sono più presto ammirare , che imitare. Ma noi non sappiamo ricordare il suo nome e le suo lodi , che non ci si rinnovi il dolore di averlo perduto nel più bel fiore delle speranze \

D. V AC COUWI.

339

Inscriptiones prò exequiis publicis Josephi Franchi comitis a Pont , ad s. Josephi , VII id. majì a. mdcccxxv -, auctore Carolo Boucherono gre- cai et latina; eloquentice professore- Taurini ex regio typographeio (4«° pagine 8).

Notizie intorno alla vita ed agli studi di Giusep- pe Franchi conte di Pont, date 'lai conte Fe- derico Sclopis. In Torino per Alliana e Para- via , i8a5 (8.° pagine 33 ).

G.

li stranieri sogliono accusare a torto gì1 italia- ni tutti di trascuratezza nel pagare il tributo de' let- terari onori a' valenti uomini , che morte va furan- do in queste contrade. Una simil taccia non può certamente apporsi a' torinesi , fervidi e diligentis- simi in ogni ufficio di patrio decoro. Ecco pronti ed acconci due libretti , per la perdita recente dell' illustre conte Franchi di Pont. Sulle iscrizioni fune- bri , lavoro del sig. professore Boucheron , altro non diremo , se non che la di lui bella maniera ed ele- ganza nell' adoperare la lingua de' ciotti è stata en- comiata giustamente più volte in questi fogli. Scer- remo piuttosto dall' opuscolo del sig. conte Sclopis alcuni tratti biografici, che meglio rispondano al dover nostro ed alla pubblica istruzione.

Ornato il conte Franchi di quelle doti e co- gnizioni , che costituiscono e prontamente sollevano ad alto scopo gì' ingegni migliori , ebbe la sorte di fare il viaggio di Roma , e dimorarvi alquanto in compagnia di S. E. il sig. conte Napione , perso- naggio di cui tanto sono celebri la dottrina ed i

JL2

"ò\o Letteratura

meriti singolari ne' fasti della nostra letteratura. Egli potè in tal guisa , e nella dolce amistà di quanti allora qui sedeano maestri , quali erano un Mari- ni , un Visconti , un Giovenazzi , accostar l'animo suo a maggior grado d'intelligenza su' varj rami dell' antica poliraatia ; cosicché reduce in patria dar sep- pe ottimi saggi di valore , specialmente nel diffici- le assunto delle arti belle. I suoi lavori però , co- me or direbbesi , propriamente archeologici furono dal 1806 la illustrazione de' monumenti di Pollen- za , vetusta citta subalpina ; una dissertazione sopra le scene stabili e mobili degli antichi teatri ; un' al- tra su due torsi di statue loricate , rinvenuti vici- no al famoso arco di Susa ; e la spiegazione di un vaso di bronzo con rappresentanza mitologica mol- to contrastata nel real museo di Torino. Tutte que- ste opere sono inserite ne' volumi degli atti di quel- la rinomata accademia. Lasciò anche manoscritto ed imperfetto un trattato sulla celebratissima, e per al- cuni tuttora controversa tavola isiaca : e ci sembra certamente , eh' egli godesse al maggior uopo di acu- ta e circospetta critica , da questo passo che ne re- ca il N. A. Simili osservazioni non ambiscono il vanto di scoprire le anella , per cui alle tradi- zioni deW Oriente e delV Asia s'annodano le pri- ,. mitive delV Egitto ; ma dopo d'essersi aggirate ,, intorno alla materia , al lavoro e alla età della tavola isiaca istoricamente , sono paghe di accen- nare d'onde una larva di quella religione , simu- ,r landone le forme volgari , fosse in età meno da noi lontane uscita dalV Egitto , e per mezzo de gre- ,, ci , passata ai romani ed alle nazioni soggette al loro dominio ; ovunque portando que riti , che si dissero isiaci ed anche alessandrini , ai qua" ,, li la Lavala nostra appartiene'

Insciuptiones ec. 34 1

In sua gioventù coltivò molto la poesia; e di- lettossi sopra tutto dello sciolto; perchè, come scris- se ad un amico, parevagli genere di poesia che, nulla dalla rima mercaiuh , pia d'ogni altro si n piegasse a dipingere nobili oggetti , ed a so- ,, stenere il decoro e la gravità del latino esa- metro , ed atto ad esprimere ugualmente la mae- sta virgiliana , che la tibullìuna affettuosa de- licatezza. Ebbe in particolare amore gli argo- menti tratti dalla sagra bibbia; ed in un discorso rimasto inedito egli così esponeva con originale vi- vacità le ragioni di una tale sua scelta. In queir autentica istoria gli uomini si contemplano, guan- to meno distanti dalle sorgenti delle società pri- mitive, altrettanto d'un caràttere con più di bra- vura e di fierezza contornato e distinto ; e sic- come il disegno robusto dei corpi più esercitati costituisce lo stile sublime della pittura , così le passioni di quegli uomini, non attutate, non. rammorbidite o smaccate dalle cittadinesche cori' suetudini, dai socievoli doveri, dalla imitazione vicendevole , presentano alla poesia i pia arivi, ,, i più <varj contrasti- Semplicità di vivere e vio- ,, lenza passioni, magnanimità e debolezza , vir- » tu grandi e grandi vizj , uomini in somma quella tempra che richiedeva Aristotele , perchè soggetto fossero di poetica imitazione. Tra le composizioni sue di questa specie pubblicate fino- ra tengono fama di eccellenti per la soavità e gli affetti la Rachele , e la Moabitide , ossia parafrasi del libro di Rat.

Agli amatori poi della istoria di nostra lette- ratura, ed a coloro segnatamente , a'quali sono in considerazione gli uomini di ardenti spiriti e bat-' taglieri, che più fecero strepito per Italia nel pas-

34^ Letteratura

sato secolo , riuscirà molto nuova e grata la cir- costanza di un ignoto lavoro del nostro Franchi , che qui accenneremo con le stesse parole dell' egre- gio sig. conte Sclopis. Fu argomento altresì di suo severo giudizio la notizia, ch'egli giovenis- simo stampò intorno alla vita di Giuseppe Ba- retti , uomo quanto acerbo e sovente ingiusto a'suoi avversarj, altrettanto utile alla italiana let- teratura ; che dimostrò come il gridar alto sia talvolta unico rimedio contro agli abusi; e che, mentre si volevano trasformare le nostre lettere in trastulli , osò con pochi altri egregi spiriti far ,, argine alla corrotta scuola , e ritrar quelle ai pu- ri e nobili loro principj.

Passò il conte Franchi l'età sua mai sempre in ristretta fortuna ; ma beato abbastanza di una privata e per lo più campestre vita; ma fedele alla religione santa ed al sovrano suo natio. Così su- però egli con tutta illibatezza gli anni delle male guerre straniere , e delle peggiori dissensioni e tur- bolenze de'cittadini; meno rinomato e potente , ma d'assai più glorioso e per le scritture sue, e per aver lasciato un figlio imitatore delle paterne virtù, non che una corona di eletti amici ; da'quali giova sperare, che riprodotte vengano le migliori di lui opere , comprese quelle che , immerse nella grande serie degli atti dell'accademia , non sono a portata di coloro che pure amano conoscere i veri onori dell* Italia da un capo all' altro della penisola.

Amati.

343 i i «

ARTI

BELL E-A R T I.

SCULTURA.

Francesco Pozzi.

Oe dolorosa a un italiano è la necessita di rife- rir grazie a'ricchi e nobili uomini non italiani, per- chè essi le italiane arti principalmente proteggono « col non sudato oro incoraggiano , è però dolce e glorioso il vedere che la umile Italia per le arti belle ancora è regina , e che a lei sola da tutte parti è forza che corrano gli amatori del bello , che fuggendo al furore del barbaro e infame tra- ce qua tutto riparò dalla misera Grecia. E di que- sta dolcezza soventi volte ci è stato largo lo amo- re affettuoso , che la eccellenza del signor duca di Devonshire nutre per le arti belle italiane : di che noi gli vogliamo saper buon grado, tanto più che egli sa scegliere con fino intendimento quelli fra i nostri ingegni , che valgono da dovero a man- tenere grandissima con le loro opere nelle belle arti la gloria italica. Uno fra questi è il signor Fran- cesco Pozzi , nella cui officina non ha guari vedem- mo compita con vivo piacere la statua di Latona co'suoi piccoli figli , nell'atto di trasmutare in ranoc- chie gli scortesi e sacrileghi villani della Licia. Àn««

344 Bell s- Arti

che nella scelta del soggetto è da lodarsi il si- gnor duca : poiché io non saprei qual cosa esservi possa di più grandioso , che una dea , la quale , da gelosa rabbia di maggiore divinità costretta a ra- mingare sulla terra con due piccoli numi al pet- to , e rotta la persona dalla fatica del viaggio del caldo e della sete , nell' atto di piegarsi a ristorare le perdute forze con le fresche acque, vedendo vil- lana turba che la dileggia e il bere le nega, nel- lo stagno le acque per lo smosso fango intorbidan- do e guastando; alza nobilmente disdegnosa la fron- te e la mano , e con cenno possente di quello sles* so fango fa perpetui abitatori i crudi villani, can- giandoli in sozze rane ; e così punisce e vendica il sacrilego oltraggio. E alla grandiosità di questo sog- getto ci sembra rispondere assai bene il grup- po scolpito dal signor Pozzi. Questo gruppo è gran- de oltre il naturale , e tal grandezza bene si addi- ceva a figure celesti : è stato eseguito nel marmo della nuova cava del monte detto Altissimo in To- scana : marmo per vero dire nitidissimo e bellissi- mo , ma di troppo tenace : sicché pare essere stato intendimento del Pozzi di mostrare quanto poteva la sua arte nel rendere compito il lavoro , avvegna che la materia punto non si arrendesse sotto allo scarpello che ogni parte ne volle animare.

Il piano del gruppo è una scogliera , al cui margine vedesi incominciare lo stagno ; e due ra- ne , una quasi tutta fuori nell'atto di saltare sul- la sponda , l'altra immersa nell* acqua per meta , ci indicano il seguito trasmutamento della villana ciurma. Sopra di un sasso un poco dal piano eleva- to siede Latona sporgendosi con tutta la persona sulla destra ; cosicché i piedi obliquamente ripiegati vanno a posarsi quasi sotto il lato manco , su cui

Belle-Arti 345

il torso della dea alquanto s'incurva e si abbas- sa, mentre dall'altra parte l'omero s'innalza e il de- stro braccio sta nobilmente disteso , accennando con l'indice verso il pantano ove cadeva la celeste ven- detta. La testa è tutta volta su questo braccio , ac- compagnando con la fronte e con gli ocelli il cenno della mano. Un ampio manto cuopre in parte la na- turale nudità di Latona : un lembo ne pende con qualche larghezza dal braccio dritto , che gli è di sostegno: le gira attorno trasversalmente al fine del- le reni , e dal fianco sinistro la cinge ; le ritorna sulle cosce , e tutte inviluppa con bel partito di pieghe le gambe e le piante , di cui non lascia ve- dere che le dita. 11 piccolo Apollo tutto nudo , e stretto i capelli da sottile benda che gli pende da ambe le parti sul colio , siccome vuole lo antico costume , sta in piedi presso la madre , appoggiato al suo braccio destro , alla cui linea aggiugne ap- punto con la sommità del capo. Il lembo dei man- to , che giù scende e si allarga da quel braccio me- desimo , lo cuopre tutto al di dietro e lo difende : anch'egli volge la fronte verso il pantano , piegan- dola sul braccio destro; che con la mano tutta aper- ta, a guisa di chi teme ed è sorpreso da inopinato accidente , segue la mossa del braccio della madre. La piccioletta Diana , parimente tutta nuda con una mezza luna su la fronte , dall' altra parte si abban- dona con le reni su la coscia sinistra della madre ; sicché vi posa il di dietro della testa, rivolto il vi- so a quello della dea, di cui con la sinistra stringe sopra il gomito il nudo braccio , che passando su mezzo il tenero [corpo della fanciullina , come per sorreggerla , va ad appoggiarsi sulla piegatura al di sotto del ginocchio , tenendo in mano la tazza , che indarno voleva emgirc dalle acque sottostanti.

346 Bt iik-Art !

Latona semplicemente acconciata i capelli alla greca, gli costringe con un bel diadema : la sua fronte e il suo volto tengono un non so che di sovru- mano , ove ben discerni la ispirazione , il dolore , la giusta ira, la vendetta; senza che il tumulto del- le passioni senta alcun che di terreno , e nulla le tolga di quella grave maestà , per cui a prima vi- sta ella si annunzia dea e madre delle due divinità, che furono dappoi i due occhi del cielo. Alla vi- va espressione della testa corrispondono le altre parti della persona , se pure a qualcuno non di- spiacesse di non ravvisarvi lo affaticamento , da che era oppressa. Nella piccola fronte , tutta grazia e vivacità , di Apollo , già traluce quel fuoco , per cui egli solo fra i numi sapea cantare ispirate pa- role , e fu dio della poesia. La rotondetta faccia della Diana spira castezza e ingenuità; e pare che metta un raggio di quel dolce lume , con che la luna modestamente è usa a serenare la notte e i mesti cuori degli amanti e de' poeti. Il gruppo è tutto in armonia ; ed ha dello ispirato che t'in- vita ad ossequio : è scolpito con quella severità , che era propria del soggetto , avvegnaché non sia- vi a desiderare grazia e gentilezza , ove qualche parte lo addiraandasse. Nulla evvi di contraffatto , di modo che questa scultura è veramente italiana; ed io non temo di giudicarla la più bella opera del Pozzi , il quale sembra che per questa abbia toc- cato il vero segno , a che doveano spingerlo il na- turai genio , lo indefesso studio degli antichi , e le speranze che di lui avevamo già concepute. Avrà anche questo lavoro i suoi difetti ; ma certamente nella galleria del signor duca di Devonshire non perderà, del suo bello la Latona del Pozzi accanto alla Venere del sommo Finelli , e all'Achille dell'ce-

Belle-Arti 347

celiente Albacini , che qui ricordiamo a cagione di onore ; a' quali tutti desideriamo nobili e ricchi mecenati , che caldamente gli proteggano e loro pre- stino ajuto ; donde per nuove opere , delle scolpite ancora più belle, cresca la gloria loro e della Italia, e acquistar possano quell'agio di buona fortuna e quella pace , che vuoisi a divenir grandi nelle ar- ti. Possano questi desidera essere adempiuti una vol- ta dai ricchi italiani , che d'ordinario fondendo inu» tilmente il loro, lasciano agli stranieri anche il de- posito dell'unica grandezza che ci è rimasta.

Salvagnoli Marchetti.

Sculture in. avorio, che si reputano del secolo XIII; possedute dal -iV. U. sig. Pacifico Giorgi di Mondavio.

D

a un cono d'avorio della grossezza di circa tre pollici , alto un palmo , e tagliato per lo mezzo , un antico italiano artefice ne ha cavato due ange- letti senz' ali , con piccoli candelieri in mano a fog-» già di ceroforarii.

L'andamento ricurvo dell'ossea scheggia ha in- dotto lo «cultore a porre in un grazioso serpeggia- mento le due figure, sebben ristrettissime al corpo le braccia in un colle gambe , nell' assettato lunghissi- mo paludamento.

Nobili le flnosomie , regolari le forme , copiose ben gettate le inanellate capigliature, placido il fron- te , ridenti gli occhi e la bocca , devote e compo-

348 Belu-Art i

ste le attitudini , semplice il panneggiare in guisa, che al carattere ideale e nuovo, che alle belle efigie de' celesti aerei spiriti soleva dare il gran Giotto , d'as- sai si avvicinano.

Alquanto stana per verità è la loro pro- porzione , superando in altezza le sette teste , e neir ossatura si esili , che infra gli omeri appena ar- rivano a misurare la sesta parte della loro altezza. Carattere di sveltezza assai confacente all' epoca a cui riporto il lavoro.

Il genere del rilievo è sensato. Veduto lateral- mente in profilo, il capo delle figure distacca in pie- no rilievo; le altre membra sono appena appena mar- cate sopra una retta ondeggiante , che sporge insen- sibilmente in avanti a proporzione che più discen- de alla sua base.

L'uno degli angeletti , il più vago , inclina il capo verso la destra , con cui sostiene il piccolo candeliere stretto ed appoggiato al petto , mentre la sinistra pende sul femore a sostenere il manto. Posa egli sul pie sinistro , donde rimane più bas- sa la spalla, con vacillante sostegno; se pure l'at- titudine di sopportare un peso dal lato opposto non difende abbastanza l'errore.

L'attitudine del suo antagonista differisce solo in ciò , che sostenta il candeliere con ambe le ma- ni , e sulla sinistra ; e mostra la punta della scar- pa del pie destro.

Ambedue vestono abito talare con strette mani- che , chiuso intorno al collo , succinto ai lombi , e sciorinante al basso con lunghi ondati tronchi di poche pieghe , che vauno a ritorcersi in falde sulle estremità che nascondono.

Bellb-Arti 3^0

Il manto è del pari lunghissimo , e piove da ambe le spalle , e l'orlo e i lembi ne sono marcati con magistrale sreltezza. Nella prima figura , dal si- nistro lato OYe il manto copre l'omero e il brac- cio, lo stesso manto è ripreso con vago ragrup- pamento di pieghe , che più belle non le ideò in quel secolo l'immortal genio di Nicola Pisano.-

Pompeo duca Benedetti già' Montevecchio.

35o

VARIETÀ'

Sonetto estemporaneo del cav, Vincenzo Monti pel ritorno in Mi- lano della tua diletta figliuola Costanza Monti Perticari.

N

J-" el fiso riguardar l'amato obbielto

Del mio lungo detir , tanta è la piena La dolca piena del paterno affetto , Che il gaudio quasi a delirar mi mena.

L'anima tutta abbandonando il jpctto

Corre negli occhi, e amor ve l'incatena; Ruba oqni altro sentir l'alto diletto, E vivo il respirar mi mostra appena.

0 voi, che all'amor mio qui cerchio fate,

Cortesi amici , in cui si alberga e splende Quanta puote in bell'alme esser bontate;

Se in lieto il mio tacer vi offende , Se da me uni diviso , ah perdonate ! Il soverchio gioir |mulo mi rende»

Festa celebrata in Genova in onore di Giulio Perticari. Al signor conte Luigi Biondi

dono certo che vi godià 1' animo d'aver notizia della bellissi- ma festa che l'egregio nostro Di - Negro celebrò jeri nella sua deliziosa villetta alla memoria dell'illustre comune amico Giulio

Varietà.' 35 i

Perticari. E comecché ne avrete bentosto contezza ne' fogli pub- blici , pure io voglio darvene anticipato ragguaglio : come cosa a voi cara ad udire , ed a me dolce a scrivere. - Voi già non ignoravate il divisamelo del buon Di - Negro d'onorare l'estin» to amico innalzandogli il busto in marmo nella bellissima sua villetta : luogo amenissimo da tutti i forestieri visitato a gara , dove aotto un purissimo cielo ci respira continuamente un te- pore di primavera , olezzante di mille fiori pellegrini. E eerto non v' è conforto all' acerbissima perdita di persona a noi affe- zionata t che il ravvivarne intorno a noi la ricordanza con tut- ti i mezzi possibili : e sicuramente non re n'ha di più poten- te che l'averne di continuo 1' immagine sotto gli occhi, -Già da più giorni la vaghezza di quella villa , per la festa che vi »i andava preparando , era resa anche più incantatrice del consue- to» Sotto di una nicchia verdeggiante si vedeva innalzato su tron- co di colonna l1 effìgie del ligure Colombo : e tra varii oggetti di beli» arti , d'istoria e di letteratura scorgevansi i busti dell'au- tore dell' Aristodemo , quello dell'Aiarotti ben degno emolo dei Lepè e dei Sicard , e quello di Wasington. LI frai cipressi mo- siravasi la tomba di Laura : e qua un' iscrizione ci rammentava il cantore Di donne , cavalìer f arme ed amorì. debbo tace- re, anche a dispetto della vostra modestia , che fra queste ai il- lustri imagini era a vedersi anche la vostra, scolpita in marmo da quel medesimo esperto artefice che fedelmente ei ritrasse i li- neamenti del nostro Giulio» Il vostro ritratto adorna un roton- do recinto , foltissimo d'ogni maniera di belle piante» - Nel mez- zo d'un ampio pergolato , ricco altresì d'arbusti e di fiori , e ri- dotto a comoda sala , sorgeva su marmorea colonna la cara un- gine del celebre pesarese , di grandezza naturale , opera dell'ot- timo nostro scultore Gaggiani. - Sull'i ini) runir della sera del di 21 del corrente già si scorgeva su tutti i punti di quella deliziosa villetta , che signoreggiando il mare e la città fa di «e bella mo- stra , una splendidissima illuminazione formata da bea mille e mille lumi simmetricamente disposti. Intanto uno stuolo di halle ninfe liguri ed insubri , e di eletti seguaci della scienza e del-

35a Varietà'

le arti , in gran folla si avviavano a quel liei poggio. Sedette quin- di in cerchio la numerosa adunanza sotto del pergolato , facen- do corona al monumento del Perticari ,• mentre l'aria eclieo<jiava d'intorno per le sceltissime orchestre celate nc'coiiti"ui bosche- recci recinti. Alla dolce armonia di que' molti siromenti d' beni maniera succede bentosto un perfetto silenzio per ascoltare l'elegantissimo discorso pronunciato da! marchese Antonio Bri<*no- le Salu . Il chiaro oratore con acconci modi percorse i bei trat- ti che tutta illustrarono la mortale carriera del Perticari, annove- rò le opere di lui, che si famoso lo resero, e che si sconso- lali ci fanno ora della «uà fine immatura. Altri nobili scrittori posero altresì in chiara luce eon leggiadre poesie le doti dell'ani- mo del gran pesarese, non eh» dell'illustre Di - Negro, il quale non omettendo o eura o spesa o lavoro, volle cosi onorare la memoria del suo tenero amico da tutta Italia compianto : e mol- ti applausi principalmente riscossero le odi di Felice Bellotti , del Gazzaniga e del Crocco , le terzine del nostro Di - Negro . e i sonetti del prof. Nervi e dell'avv. Dinegri.

Succedette alla recita della prosa e delle poesie una canta- ta composta dal signore del luogo ; nella quale il Genio d'Ita- lia piangendo morte del Perticari pregava pace a quel som- mo invitando tutti a sparger fiori sulla sua imagine. Allora tut- te le donne e i cavalieri dell'assemblea pe' viali per le grolle e pe'boschetti di quel giardino s'avviarono ad un tempietto d'allo- ri , nel cui centro , ben prima che 1' eletta schiera giungesse , era già stato, quasi per incantesimo, collocalo sopra un tronco di colonna greca l'onoralo busto di Giali^.

Al letterario trattenimento tenne dietro Tersicore a ricreare in altro modo lo spirito delle belle : ed il soggiorno di Apol- lo si trasformò in lietissima festa di balio : e tale si mantenne fino a che il sole, indorando co'suoi raggi la sommità de'liguri appennini , mise fine a que' suoni invitando tutti ad un dolce riposo.

Voi conoscete abbastanza il bell'animo e i modi gentili dell'ospi- tale Di - Negro per dispensarmi dal dirvi che in quella scelta

V A I 5 T A' 352

adunanza furono del lutto sLnului quegli stucchevoli complimen- ti e cerini liliali nell'andare nello stara e nel tornare , i quali sogliono rendere così poco piacevoli i festini ile' titolali, -Addio, ottimo amico : conservatemi la vostra benevolenza , ed assicurate- vi dell' amore e della stima del vostro Di Genova 22 agosto i8i5.

Benedetto Mojoiv

Versi del conte Carlo Popoli per le nozze Picstrlomiui e Tartara* 8. F irerize , aW insegna di Darne ii}-jò.

A

•"libiamo altre volte parlato del sig. conte Pepoìi , e detto 0001' egli è uno de' più culti e gentili scrittori di elle a questi tempi si onori la grande bolognese letteratura. Ripeliamo ora il mede- simo , rallegrandoci con essolui di queste sue rime, nelle qua- li Iia posto tutta la gravità e tutto il candore clic usiamo ammi- rare ne' poeti della nostra classica età. Perchè egli tiene savia- mente le parti di que' valorosi, die oggi con plauso della mi- glior parte ile' letterati d'Italia rinuove ila no il buono e leggia- dro stile, che già fece onore a' nostri grandissimi: pensando , che ogni lingua civile ha sempre avuto il suo secolo d'oro , i! quale a tutti gli altri è stato d' esempio. Perciò la greca , di- ce il filosofo Gravina ( Àag. poet. Uh. n, cap. 3 ) fermò il suo corso e ricevette Cinterà norma neW eia di Demostene; quando si fide in ogni genere ottimi scrittori partorirà . ed in tutte le ma- terie e le sr.ìéMe sotto ogni forma d^elo-jiienza regnare. La la~ tuta collocò il suo trono imperiale per comandare a tutte le na- zioni ed a tutte le età in sarra ed in profana figura nel secolo di Cicerone, quando latini scrittori per moltitudine , varietà e per- fezione pervennero al sommo. Quindi del suo secolo disse Orazio:

,. Venimus ad summum foruiuie ; piitgimus , attua ,, Psrdlimns , et lutlamur acttivis doclius UHCtis.

G.AT.XXVII. a3

354 V A R I E T \

E Vitalìana , la quale alla foggia della greca e della Ialina diS- greci e Ialini professori , più che ogni altra progenie lingua , fu coltivata; per giudizio da' più savi si ristette e si ritenne nel se- colo di Dante , Petrarca e Boccaccio , i quali alla maiurilà la con- dussero '. eonciossiach'j il secolo di Leon X J'usse solo una ristora— zion di quello , il cui elegantissimo siile fu dagli scrittori del Xl'l secolo a comune uso rivocato.

Le poesie del sig. conte Pepoli , le quali si trovano in que- sto bel volumetto , sono quattordici sonetti , e Ire canzoni ana- creontiche da porsi in musica : e trattano d'argomenti non pur- profani , ma anche sacri. Fra' «onetli è a noi singolarmente pia- ciuto per bontà di pensiero e per eleganza di stile il seguente :

Per solenne processione nella festa del Corpus - domini.

E' una turba quaggiù d'alme inumane ,

Che scorge il poverel con faccia mesta Levar le palme e dimandar del pane: E l'empia è sorda, è cieca, e non s'arresta^

Torcete il passo , o tigri in membra umane . Qui sol d'amore e di pietade è festa : Non giovan lieti canti, o pompe vane, Non freschissimi fior , non bianca veste.

«Sia aperto a voi , clic Dio non fa dimando Sol di vuote onoranze , e di chi mente Odia i preghi gì' incensi e le ghirlande.

D'amore ignude , offerte miserande

Porgea Caino , e andò perpstuamenle Di terra in terra maledetto in bando !

S. B.

V A R 1 E T x1 355

Medi* , dramma tragico di Oio, ììaltìsia IViccoli/u. li." Firenze dalla stamperia Piatii »8»5. ( Sono eart. ilfi. )

il sig. professor Niccoli ni arricchisce co' suoi nobili scrini ogni di più l'italiana lcU.eralu.ra. Egli è senza alcun dubbio un» de' più solenni italiani che a questa età pensino cose gravi , e le scri- vano. La sua Medea per nobiltà di sentenze , per impeto di passioni , per eleganza di stile e per tragico magistero è degna veracemente di quel valentissimo , che già ci diede VE di e la Polissena. Noi prenderemo a discorrerne ne1 volumi de1 mesi av- venire.

S. 13.

Manuale , ovvero brevi elementi di fisica ad uso degli studiosi % ed anche degV imperili di i/uesta scienza , del signor C. Bail- ly membro della società linneana di Parigi e di molte altre , allievo de* sigg. virago, Biol , Gay Lussar, ec. , volgoriz- sulo da Giuseppe Maminni, 8. Pesaro co1 tipi di A ' unesio No- bili i825. ( Un voi, di cari, ioq, con quattro rami )

o

1. uest'opera del sig. Bailly è stata comunemente riconosciuta nti-« lissima per coloro che amano avere una idea chiara e succinta, senza niun susjiilio di matematica , di lutti i fenomeni natura- li. Quindi il sig. conte Mumiani di Pesaro, cavaliere di molle lettere e già noto per altri lodali suoi scritti , ha voluto oppor- tunamente giovarne anche la gioventù italiana : il che ha egli fat- to non da servile , ma da quel dotto ch'egli è , ornando cioè il suo volgarizzamento di molle ed importantissime annotazioni. «S'a- ra grave agV italiani , die' egli nel suo proemio, Faccettar libri elementari dagli esteri ? iV'o certo : che anzi sarà sempre in es- si altamente lodato il desiderio di rendersi utili ai giovani della nazione : e Z' Italia , fatta consapevole del suo primeggiare nelle cose che sanno di originile , non si terrà titai a vergogna di

20*

3 36 Varietà'

raccogliere con ogìii stadio .quelle opere che più adatte r<is#cm~ brino ad ottenere una prima e più fucile istruzione.

_£l nome del sig. Michele Ferruzzi è oruai fatlo chiaro abbastan- za fra'cultori della più gentile e pura latinità. Noi abbiamo più volle recato in questo giornale e poesie ed iscrizioni latine di questo dottissimo giovane , e sempre con universale compijiciruen- to. Or ecco alcuni suoi eleganti endecasillabi pubblicali in Pe- saro per le nozze del sig, Camillo Nurducci Procacci colla sig. contessa Maddalena Spada di Macerata.

Tibi en , quod fuerat modo expelilum Votis omnibus , alque menle tota , ., En iam morigeram , honam puellam, Ulani partem animM tua puellam Casto coniugio tibi dicatam ., Ducis ad patrios ovans penates. -, O qua la;titia tenenlur istic , ., Quolquot sunt, Komines politiorea ; Qua: felici» fauslaqiie ominantur Uli moritene, bona; puelln, Tibi et morigero , bono marito ! At quidnam voveaiit mage aestimanduru , ., Quam cum morigera» bona puella Deus morigerum , bonum mari tura

, Servet te incolumem diu , augeatque ,, Poslhac filiolis nepotulisque , Qui simul bonilate moribusque iEquenl morigeros , bonos "parente» ?, Domum post geminas redux aristas

, Fratrum elsi alloquiis fruar patrisque ,, Docendi assiduo vacans labore , ,, Me tui immemo rem haud pules , Calmile »

Varietà'

», Ipse ego hic supero* precatione

Compello , incollimela ut senei in annos

Te cuni morigera , tona puella

?, Servet morigerimi , l>onum maritala ,

,, Deniqne filiolos , nepotulosque ,

Qui simul bonitale moribusque

*qaent morigeros , bonos parenfes.

b7

Lettere inedite di Sebastiano Erizzo da uu manoscritto della bi- blioteca municipale di Vicenza pubblicato dal marchese G. Metchiorri. 8. Roma nella tipografia Coiitedinì »8i5. ( Sono cart. 4o. )

Oono dieci lettere scritte a Pirro Ligorio , a trovate in Vicen- za dal chiarissimo professor Vermiglici;. Trattano elle di varie co- se impomati, e specialmente di numismatica. Lettere veramen- te preziose « pel name celebrato delI'Erizzo , e per le note eru- dite di che sono state arricchite dall' «g regio sig. marchese Giu- seppe Melchiorri.

Le leggi di Cicerone, traduzione postuma di Guglielmo Manzi con il usto Ialino, preceduta daW elogio del traduttore, lei- to dal eh. cav. Gio. Gherardo de Rossi neW accademia ar- cheologica il di 29 di marzo ,82,. -3. Roma »eUa tipogra- fia Lazzari 1825. ( Un voi. di cari. 211. ;

E' ..

■- segnatempo che molti valsosi italiaui , intesi a giovare le nostre lettere ed a preservarle dalla corruzione de' tanti Libami di questa età, sono con ogni studio iptprao a volgarizzare i più gravi e perfetti maestri del dire così greci come latini, e sin- golarmente quei Tullio , del qu,le a buon diritto Quintiliano

358 Varietà'

scriveva : Me se proferiste sciai cui Cicero falde placcbit. Ecco in- fatti In traduzione del libro delle leggi , cui morendo lasciò mss, 1 illustre volgarizzatore di Luciano . Guglielmo Manzi : traduzio- ne assai degna di lode sia per la fedeltà sia per Io stile e per la favella. Or sappiamo di certo , clic anche altre opere di quel semino si traducono presentemente da altri dotti e gentili scrit- tori italiani: come a dire, i libri della Repubblica, dal nostro amalissimo direttore sig. D. Pietro de' principi Odescalclii ; le Tusculane , dal sig. professor Paolo Costa ; ed il trattato dell* ■Amicizia, dalla sig, Caterina Franceschi. 1 quali egregi lavori spe- riamo di veder presto alla puliblica luce : massimamente quelli dell" Odescalclii e della Franceschi , clie già in gran parte han- no avuto l'ultima emendazione.

il chiarissimo sig. professor Rezzi, bibliotecario barbcrininno y idi fatto la preziosa scoperta di un Panie coi come ali del Lau- di nei tutto postillalo di mano del Tasso. Tali postille sono , com'è bene da credei si, dottissime e giudiciosissime , e mostra- no quale stndio il grande autore della Gerusalemme ponesse in- torno alla divina Commedia, Il sig. Rezzi ne farà un dono al sig. professor Rosiui di Pisa , affinchè egli ne arricchisca la sua bella edizione di tutte le opere di Torquato.

Le cento novelle antiche, secondo V edizione del MDJCKV corrct~ te ed illustrate con no'e. 8. Milano per cura di Paolo Au~ ionio Tosi i3a5. (Un voi. di cart. i5o. )

V^/uesta correttissima ed elegantissima edizione delle cento no- velle antiche devesi , per ciò che sappiamo , alle cure del cele- bre sig. abate Colombo. Ella è una ristampa di quella procura- taci originalmente- dal Gualieruzzi, cioè della bolognese del i5aS

V A 11 I E T A' 35f)

per Girolamo Benedetti : la quale poi fu orrendamente mutilata da Vincenzo Borglùni non so per quale mal garbo o piccolezza di animo , fino a toglierne via intero novelle ed a sostituirne al- tre diversissime di Argomento e di sÈilf. E tuttavia l'Italia , sen- za brigarsi d'altro , subito le ricevette : e gli editori milanesi de' classici se ne giovarono : t«nto eravamo negligentissimi a' di pas- sali nella veneranda favella de'nosri padri* Or qui si hanno tut- te quelle novelle in tale preziosa integrità, che appena potrebbe desiderarsi di più se il »ig. ab. Colombo avesse potuto vedere il bel codice vaticano 3ai4» cue noi forse abbiamo veduto e stu- diato i primi. Ma diranno per avventura ( cosi scrive l' esimio editore ) alcuni disprezzatori degli avoli nostri ' A che tanto af- fannarsi intorno a cosi fatte insulsaggini ? a che hassi a far ora di q ite' 'rancidumi ? 0 voi a cui tanto putisce tutto ciò che noti, sa di moderno , vi siete voi posti mai a cercar di proposito se tra 'l vecchiume , che scorgere dentro . s'asconda nulla che gio- var potesse anche a voi ? In quanto a me io trovò nelle scrit- ture de"" nostri antichi una grande semplicità , quella semplicità ch'i la base e il fondamento della bellezza : trovo una somma ag- giustatezza ne'' lor pensieri , una somma proprietà nelle loro es- pressioni i trovo una maravigliasti facilità nel modo di rappreseti* tare le cose , e una grazia che propriamente innamora nelle for- me del favellare» Essi non si studiano di abbagliarti conio splen- dor d'una vana, eloquenza : 7to?* di sopraffateli con una fastosa oslentazion di sapere ; non di tenerti a bada con inutili ciance ; non di avvilupparti la mente con arlifizj , con arzigogoli , coti giravolte : ti conducono sempre per la strada più piana e più cor- ta al termine che si sono prefissi. Tutti questi pregi , tutte que- ste virtù rinvengousi forse nelle carte de'' nostri moderni? A me certo non pare : da quelle in fuori di un numero scarso di giudiziosi scrittori ; i quali sanno ottimamente guardarsi da VI— zj onde sono d'ordinario macchiate le scritture de'' tempi presen- ti ', de? quali vizj buon torre ttivo sarebbe, per chi praticar ne sapéssa\ il farjemplice e schietto discoloro che scrissero in quel

3Go Vari età'

secolo awsiiinralo. Così il sigi ab. Colombo : i cui savissimi inse- gnamenti in fatto di gentile favella saranno sempre autoraveli pres- so lutti i buoni italiani , che da lungo tempo lo riveriscono come uno de'più leggiadri scrittoli di questo secolo.

Salvatori". Betti

Rime sacre - Faenza presso Comi - 1O24 - ( Un voi. di pag, 8. 76. )

,a> appoichè la poesia per opera dell'Alighieri fece quell'alto vo- lo , che ognun sa , maravigliarono i più grandi ingegni; ma quel- li tra loro , clic pure erano da tanto , disperando di salire all'ar- dua cima posersi in via col cantori' di Laura , contenti a coglie- re terrestri fiori , quando seguendo altro duca di celesti poteva- no incoronarsi» Questo rimprovero non vogliamo che tocchi gli uomini del nostro tempo , i qnali beono alle fonti di quel divino : tampoco il gentilissimo Petrarca , alle cui chiare fre- se?, e e dolci acque, meglio che alle ippocrenie , Grazie ed Amori si dissetarono. A lode di lui ricordiamo anzi ire sonetti fra gli «Uri :

Padre del ciel', dopo i perduti giorni .... Gli angeli eletti e l'anime beate .... ,, I'vo piangendo i miei passati tempi ....

e la canzone I'vo pensando e nel ponsier m'a9Sale .... e 1' altra alla Vergine , a cui se più che altrove si fosse volta quella mano d'imitatori , di che fu pieno il secolo XVI , gran ventura sarebbe stato per la lingua nostra, che meno forse avrebbe a dolersi delle follie del traviato seicento. Ma lode al cielo the oggidì i migliori, prese a maestre la natura e la ragione, bat- tono le ali al segno , cui mirò chi pria caHlù ' tre regni : e

V A 11 I E T a' 36i

lasciale le smancerie , vanno cogliendo parcamente alcun fiore di quell'altro clic Laura poi - 'gloriosa nella terza stella,

Hella schiera de'savj che tengono la poe»ia per cosa tutu di- vina !'. appunto 1' autore di queste rime ( signor Giuseppe Igna- zio Pdontanari di Bagnacavallo ), il quale educato alla scuola del eh, prof. Farini e declassici può nel fiore degli anni dar frutti cosi maturi da onorarsene qual più provetto nella bellissima del- le arti belle. Del che a uoi gode il cuore" e comunque esso l'au- tore nieghi a se per modestia titolo di poeta , non possiamo non ripetere di lui quello che il Cutiich di un nostro famoso cantò : Divine poeta -hiuc orsus quonam denique perveniasl li per- chè altri non, creda dirsi da noi queste cose per lusingare , fae- cia di avere l'aureo libretto : legga , e vedrà che amore di pa- tria od altro non ci fa velo ; massime avendo noi giudicato eon gravissimi personaggi, che in fatto di buoni studj vanno per la maggiore. E livolti all'autore , di questo lo loderemo : ch'ei ven- t;a destando le glorie del luogo natale ogni qualvolta gli si of- fre il destro. Di che una bella prova ci porgono 1' ode alla gre- ca e 1 inno a S, Michele, dove a cigion d'onore non taceremo essere le degne lodi di S, E. R. Mons. Folicaldi vice legato di Bologna , e lume della patria nostra , a cui fra le altre sono indiritte queste parole dell'ode Anàstrofe IV.

Se ognor a te benigno il ciel prepari

Serto sublime alla tua degna chioma,

j,, E in ostro avvolto poi t'ammiri Roma t

,, Volgi Io sguardo alla natia tua terra,

E a quanti in se rinserra

Spirti onorati e chiari ,

,, Accesi in brame di virtù laudate ,

,, Cui non offese invidia viltate :

,, Ve' eh' ognun d'essi al tuo splendor intende ,

,, Come a nov'astro che ntl ciel risplende.

36:2 Vari e t a'

E del lodato e del lodatore gloriandoci concluderemo j

., Ben fa Bagnacaval che ancor rifigliai 4, Anime belle ed a virlutc amiche.

tìOMi VACCOLIWI

Calendario pefregi stati pubblicato con autorità e con privilegio' di S. R. M, - Secondo anno »8j5ì - 8* Torino dalla stam- peria di Giuseppe Pomba,

1.1 el volums di febbrajo di questo giornale parlammo del calen- dario pe'regii slati di Sardegna dell'anno 1824 : vedemmo che fra I' altre cose davasi in esso un breve rsgguaglio della origine della si illustre accadèmia delle scienze di Torino, In questo del venlidnqnc si aggiungono molte è belle notizie intorno alle uni- versi/a di tutto lo stato , ed alle istituzioni di Scienze lettere ed arti si del Piemonte e si del ducato di Genova e della Sarde- gna. Vi si parla ancora de'pnbblici stabilimeuti d'istruzione , co- mg a dire delle biblioteche e de' musei di antichità e di storia naturale che sono in Torino : e vi è una lunga ed accurata de- scrizione della biblioteca della università degli studi , compilata dall'eruditissimo abate Gazzera, ed altra descrizione del famoso museo egizio acquistato non ha molto tempo da quel governo. La qual descrizione riuscirà gralissima a chiunque ne sarà letto- re , e perchè tratta di una delle maggiori raccolte di antichità egiziane che si sappiano ; e perchè è opera del eh. sig. G. F. Champollion , il quale come ojfnun sa ne è espertissimo conosci- tore. Per tali aggiunte il calendario pe'regii stati di Piemonte del »825 si farà leggere anche dagli stranieri , i quali poco o nulla curerebbero di sapere i nudi nomi di tanti officiali, ma certamente godranno nel trovarvi dentro dastrilte e dicharate* molle cose, che da tutti son reputate pei migliori ornamenti di quel regno , e forse ancora della stessa Italia.

Varietà' 3G3

articolo di lettera scrìtta li »5 settembre al chiarissima sig. prof. Folcili dal doti, Tonelli,

N.

' el fascicolo di luglio ed agosto dei riputalissirui Annali di medicina del sig. prof. Omodei avrà ella riscontrato il saggio anali- tico della china bicolorala inviato dal sig. Vauquelin. Egli la ri- tiene come una varietà del Solarium pseudo quina di Augusto Saint - Hilaire , di cni già avea istituito l'analisi il prclodato chi- mico parigino. Ilo per altro ricevuto giorni sono dal sig. con- sigl. Brera una lettera sotto il 4 corrente , in cui si esprime , che riguardo alla provenienza della menzionata china . bicolorala siamo sempre nella più grande incertezza , poiclu: faLta venire la corteccia del Solatami pseudo ~ quina di Saint - Hilaire, la si tro- vò affatto diversa. Egli è perciò che nel «rande imbarazzo in cui si trovano i più valenti botanici e chimici per classificarla , fui partecipa il prelodato sig. cav. Brera la notizia drl savio ed ot- timo espediente che or si è preso di procurarsi cioè originalmen- te la pianta con foglie e rami da cui si ottiene la china bico- lorata. Speliamo poter prontamente essere al giorno delle risul- tanze di una tale spedizione , unico valevole mezzo a dissipare qualsiasi oscurità che finquì regna in proposito*

Avrem poi motivo fra poco di conoscere pubblicamente l'ana-< lisi dei sagaci chimici Pelletier e Penoz , i quali anche inviarono al prof. Brera una sostanza ch'essi ritengono essere la sede del- la parte attiva della china bicolorata. Viene dai prelodati chi- mici stimolato il clinico di Padova a sperimentarla all'atto pra- tico, ed eccita egli pur me a cimentarla onde tcon j replicato osser- vazioni emerga vieppiù la conoscenza del valor» di essa. Siam pe- ro già fuori di epoca del dominio stretto delle periodiche, tanto più clic in quest'anno è «tato il numero di queste assai discre- to. Nulla dimeno pregherei interessarsene , ed intendersela con qualche valente chimico della nostra Roma, che imitar volesse il processo analitico dei ricordali chimici francesi , ed ottenere

3G4 Varietà'

così la parte attiva di cui si parla onde potersene valere. E se in favore della china bicolorala parlano già così numerosa espe- rienze , convella ben conosce , e siccome ancor io fiuqui ho ri- marcato in alcuni individui , non sembra esservi dubbio per l'at- tività della menzionala sostanza indiritta dai prelodati chimici francesi al sig, Brera, Questo esimio professore me ne ha ira- smesso per sua somma compiacenza un campioncino , il quale io ora rimetto a lei con somma soddisfazione di farglielo conoscere ; e le aggiungo anzi la notizia di alcuni caratteri fisico - ehiiuici , che la indicata sostanza possiede, siccome dall' islesso sig. Brera nel veneralissimo di lui foglio del 4 corrente mi vengono de- scritti. „ Essa ha un color bruno - carico , un aspetto resiuoi- ,, de, un sapore estremamente amaro , e simile a quello del gen- zianino< E quasi insolubile nell'etere , in parte solubile nell' ,, alcool freddo, intieramente solubile nell'alcool bollente , e so- Nubilissima nell'acqua fredda. ,j

Dopo 1' analisi de' menzionati chimici francesi conosceremo pur quella di Melandri e Decol, i quali hanno condotto presso che a compimento il loro lavoro che mi si scrive essere un ca- po d' opera. Potremo dopo tante notizie assicurarci che fra tutte le sostanze vegetabili , la china bicolorala è quella che si può considerare come la più composta di principi e conosciuti e affat- to ignoti , fra i quali campeggiano un acido ed un alcali af- to nuovi. Avremo quindi dalla penna istancabile d«sl sig. Brera un' apprezzabilissima opera di chinologia , che riuscirà del mas- simo interesse e profitto.

Si conservi intanto a se stessa, alla scienza ed ugli amici, e non cessi dal risguardarmi con la usata singolare affezione.

V A R I E T H 365

Idìlli due di Teocrito volgarizzati. Forlì dalla tipografia Casali i8j5. ( Sono pagine i4- )

A

"1 cont

ite Camillo Torti da Ferrara , che mena in raoglio la con- tessa Marianna Pallavicini da Bologna , per debito di amicizia e di paientela il conte Giovanni Antonio Roverella cesenale indirige questi due idilli , clie sono il terzo e il sesto di Teocrito , cioè a dire il Caprajo o Amarille , e i Buccolici cantori. Chi si co- nosce un poco della cara semplicità greca , tre e quattro volte e dieci rileggerà questi idilli , e li crederà scritti dalle grazie gre- che nella nostra lingua: tanto son facili e piani, che non ten- gono alcun che di volgarizzamento. Quel gentilissimo Roverella non è nuovo di questa fatica , ma torna però sempre nuovo, co- me dalla sua penna esca il sermone italico si piacente e con abito tutto greco. Avventurose le fanciulle della dotta Emilia, che alla dolcezza di questi inni sentono più viva nell anima la dol- cezza dell'amore , e sono accompagnate al talamo da tali muse !

s.

La inondazione di Pietroburgo avvenuta nel di io novembre i84j •>' cauli quattro del professore Antonio Mezzanotte. Perugia , tipografia di Francesco L'aduel i8aó. (Sono pagine 41* }

o.

uesti versi , che all'autore piacque di pubblicare col nome di canti, avvegnaché incomincino siccome sogliono incominciare i poemi , non sono che un semplice racconto dalla terribile inondazione di Pie'ro- burgo avvenuta il di 19 novembre dell'anno scorso.Tessuti senza pun- to di macchinismo, sono divisi in quattro parti solo per corrispondere, credo io , ai due giorni e alle due notti nel cui tempo accad- dero i l'alti descritti. Vi è qualche ottava buona , e lo stile ha qualche sapore de'buoni classici ; ma non è piano siccome vuoi- si .per un semplice racconto, è si epico siccome converrebbe-

366 V A R I E T a'

si ad un poemelto , se 1'aa.tore avesse mai inteso di scrivere un poema con quel principio :

«, Canto l'opre benigne, e la divina

Virtù del prence invitto ed immortale ce. ec .

e con la invocazione della seconda stanza :

Pietà , celeste dea, del nume figlia, Che del russo Alessandro in petto regni , Tu nell'arduo lavoro or mi consiglia ec. ec.

Certo ci ripromeltavamo alcun clie di maggiore e di più hcl- .lo da chi tentò di ugagliare con la snu penna il sublime pen- nello del divino Michelangelo, E' però da lodarsi a cielo il Mez- zanotte ncll'aver mostrato con questi versi quanta sia la beatitu- dine di un monarca , che debitamente al popol suo '- meri re che padre , e che ne'bisogni «le'snoi figli a benigne parole amo- revole e sollecitamente unisce opere ancora più benigne e vera- cemente afletluose.

0.

Epistola del canonico arciprete T>. Luigi Nardi bibliotecario di Rimino ec. ec - Pesaro coi dpi di Vanesio JVobili iiia5 -( sona pagine XJV )

J. er le nozze di Filippo faglie da Faenza con la contessa Isa-» bella Lettimi da Rimino il chiarissimo arciprete Nardi scrisse que- sta "raziosa epistola , con la quale , significati brevemente i suoi teucri sensi in semplici parole , presenta gli sposi di una lette~- ra inedita dal celebre nostro conte Giulio Perlicari, Sieno bene- dette queste nozze , questi sposi , e i loro futuri figli e nipo- ti e chi verrà da essi pur anche , se a lai matrimonio dobbiamo la pubblicazioni) di cosa scritta da tanto letterato ! Certo l'aigu-

Varietà' 3O7

pianto è si a proposito per un connubio , die può iu qualche modo aversi per iscusato e perdonare il Nardi se prima non ha dato alla luce questa preziosa lettera. In essa l'egregio Perticali con la solila sua eleganza accuratezza e dottrina definisce: non altro essere il Morgiucap del medio evo che una donazione le- gule matrimonii caussa fatta dai mariti alte mogli, Il non tra- scrivere le sue stesse parola terrebbe del barbaro più forse che non sente di barbaro la parola Morgiucap : eccoue qui tutto ì\ paragrafo.

E avendo in alcuni momenti d'ozio avuta curiosità di dp-» finire che veramente fosse questo Uorgincap , nx'è venuto fat- to di statuire ch'egli null'altro si era che una donazione lega- le matrimonii caussa fatta dai mariti alle mogli : promessa nel- 8, lo scritto nuziale, e mantenuta nella mattina seguente il pri- rao concubito , quasi fosse premium virginis delibata;, A tale che il Morgincapio mi suona quasi sinonimo alla latina coem- ,, pzioue , ch'era il prezzo quo marilus sibi coemerat uxorem. Il ,, qual'uso comecché fra1 romani ristretto , fu presso i barbari nni- ., versale ; i quali ordinavano che i mariti dotassero le mogli lo- ,, ro. Costumanza, come sembrami , da anteporsi alla nostra; si per- s, che le fanciulle non languivano così in una vecchia verginità ,, per mancanza di dote : si perchè per tal modo facevamo più costumate e avanti e dopo le nozze: avanti , per non iscredi- ,, tare una merce , che non avrebbe più rinvenuto chi la pagas- se ; dopo, perchè sendo povere non potevano essere delle don- ne di Plauto ch'egli dice sempre dote f retai fero ces. Ora facen- do ritorno al nostro Morgincapio , di cui panni se ne possa ,, rintracaiare l'origine in JVlosè ed Omero : in Cenar* ed in Ta- ,, cito la storia ....... te ne produrrò una descrizione esat-

tissima pescata in un trattato legale del Gallandio al titolo Pe ì, franco alodio p. 3ì3. Io non contaminerò questo foglio co» ,, tutto quel barbaro latino in cui è scritto, riserbandomi a tra- scriverti, quando sia di tuo bisogno. La carta è del 1044 , del mese di ollobra , dell' indizione XIII: strilla da Aczone

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3G3 "V a

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,, ( Ker. Iial Script, 1 . I. Lnitp. 1

,, si ordina die li douuz la quarta par; Dncaagib j o\,. .l,'i.i.%. ., significando pila una >! mi ,, re della quarta pari.- , n ,, minoro ,.. -

A questa magistrale !r|r •., !. | care parole ngli spisi , e u i . quale

per tal guisa fa chiftro , che anclie

re fra i loro selvaggi spineti alcun etto co-

ronali la ruvida fatata non iftdsrM

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368 V A R I E T a'

., notaio e giudice : testimoniata ila Bernardo Gianni , e Ardovi- no : staccata ex tabularlo casau.rleit.au Vi si detta; In Dei ito- ,, mine scriptum Morgincap , qualiter ego Joannes .... tracio adque coufirmo libi Micz'V ddecue con' ligi me^e quartam par- tem de omnibus rebus proprieiads mete .... ;'..<?. (/mariani por- ,, tionem de casis, lerris , vineis , campis , pra:is , pascuis, silvis . ,, selectis , Capiterò , oliiseriis , ficariis', pomis , aiboribus fr.icti- yèr« <ri mfructiferis , cu»» riVu > r//?«.s , ec rtfyw'y , aqttarum de- cursibui , et usu aquarum , </e ;-ei«f ceusuitis et manualibus , de montiòus et planis, de casielVs et ci^iiatibus , c?c ecnlesiis ci or- namenlis et perlinentiis iuìs , de locis , mole/idi flit , de servis . ancillis , rf« d«ro argento , de caballis et jumeutis , bobcts et ^iccù , miiiuds ànimalibui (fra i quali v'era il notaio ), ri; ferro et rame % de pauu'is liiteis laneis et sericis , do omnibus ,, mobilibus et immobilibus , ut alia die post noctem nuptialem , aiti est dies votorum nostrorum , aule paren'.es et amicos nosiros ostcndam hoe scriptum testibus roboratum et dicam : Ecce quod coniugi meat in Morgineap dadi» - Farmi elle dopo si aperto ,, testimonio non possa più chiedersi che diamine si fosse il Mor^hir ,, cap , il Morgangefoa , o il Morgangiva. Tantopiù che perfetla- mente « analogo alla legge ili Luitprando citata dal Sturatoti ( Rer. Ital. Script. T. I. p. II. leg. Luitp. L. 2. e. 1.) in che ,, si ordina che la donazione, il Morgiucap , non possa eccedere ,, la quarta parte delle sostanze del marito. Onde s1 inganna il Ducangio , ove definisce questa parola Mu'ius tjuwice partii j significando ella una donazione che non potea essere maggio- re della quarta parte , e non ohe non potesse essere di questa ,, minore „. -

A questa magistrale lettela del Perticaci lengon dietro altre care parole agli sposi , e un leggiadro sonetto del Nardi , il quale per tal guisa fa chiaro , che anche gli auliquarii possono coglie- re fra i loro selvaggi spineti alcun fiore gentile , e di questo co- ronati la ruvida fronte non indarno sacrificare alle Curazie.

S.

V a k i i: t a' <3C>9

Commedie del cavaliere avvocalo Vincenzo Berni degli Antoni - Bologna presso Turchi Veroli e compagni - 1833 - (Un vo- lume di pagine 3j6. )

C

ne parlerà ne'qiiaderni a venire.

Per la solenne coronazione di Carlo X di Francia canzone scritta dal conte Serafino rf' Altemps - Roma »8j5 - ( son pag. 14.

Serafino d'Alterups , che alla caduca nobiltà dei natali unisce la nobiltà durevole « vera , ebe si deriva da sapienza e da virtù , fu altre volte da noi ricontato con la debita lode : or» con pia- cere annunziamo questa canzone , con cui egli lia dato buon sag- gio di sapere scrivere la nostra lingua anche coi numeri poetici,

S.

G.A.T.XXVir. 24

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Va i e a' #69

Commedie del cavaliere avvoca Vitt/nzu Verni degli Antoni

-Bologna presso Turchi ' 'li e iompugrti '- i8a5 - (Un vo- lume di pagine 3^5. )

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*^s ne parlerà ne'quaderni a ire.

Per la solenne coronazione di o Xró Francia canzone

scritta dal conte Serafino Altens - Roma ioj6 - ( son pa°. 14.

Serafino d'Alterups , che alla c:\ ca ntiltì dei natali unisce la nobiltà durevole « vera, che si eriva la sapienza e da virtù, fu altre volte da noi ricordato co la diita lode : or» con pia- cere annunziamo questa canzone , on ci egli lia dato buon «ag-^ §iq di sapere scrivere la nostra I >gua »che coi numeri poetici.

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24

INDICE

DEGLI ARTICOLI CONTENUTI NEL TOM. XXVII A v . <#£ && JiVIORNALE ARCADICO.

^f';^s e i e N z E.

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Mattey , iSzi/Za purgazione e Velissire

di Le Boy p. 3

La Via , Osservazioni geologiche fat- te in Sicilia p% in

Bellini, Sulla struttura dell'utero, p. 22

Borelli , Sulle teorie mediche del dott.

Buffdini p. 129 ~-

Marciteci , Osservazioni chimiche sulV alterazione de* colori ne quadri a olio p. i58

Accademia gioenia di Catania. . p. 1G1

La Via , Osservazioni geologiche di

Nicosia , . . . p. »— 16G

Idem , Eruzione di un vulcano fan- goso in Sicilia p. 174

B tifali ni , De medicamentorum virtu-

tibus recte dijudicandis. . . p. 2 5?

Bosellini , Progressi delle scienze eco- nomiche ( art." 1. ) . . . . p. 267

Morichini , Necrologia del P. Gi- smondi p. 2()3

LETTERATURA.

Niccolini , Edipo nel bosco delle Eu-

menidi ( art. di S. Betti ) . . p. 3 2

Costa , La donna ingegnosa , coni-* media p. /\i

Cunich , Epigrammi latini» . p. 54 1 5g

Ceffi , Dicerie pubblicate dal day. Biondi p. 63 2a3

Bruni , 3J itolo già scandinava . p. 177

f Fitte , Saggio di emendazioni al con- vito di Dante p. 204

De-Medici , Opere p. 246

S gricci , Ode al gran duca di To- scana p- 247

Biondi , Ragionamento II intorno la

divina Commedia p. 3o2

Niccolini , Edipo nel bosco delle Eu-

menidi ( art. di S. Viale ) . p. 3 1 o

Franceschi , Inno al sole. . . p. 326

Pandoljini , Trattato del governo deU

la famiglia p. 33a

Boucheron , Inscriptiones prò exequiis

Francisci Franchi comitis a Pont. p. 33q

Sclopis , Notizie intorno alla vita e agli studi di Giuseppe Francia conr te di Pont p. ivi

ARTI. BELLE-ARTI

Scultura. Finelli. . p. 84

Pozzi p. 343

Pittura. Sabatelli ...... p. 89 -

Lavina. Nuova, maniera grafica di disegnare i cassettoni in architet- tura {fine) . . . '. . . . p.Jioj»

Benedetti già Montcvecchio , Scultu- re in avorio possedute dal sig. Gior- gi di Moìidavio p. 347

Osservazioni Meteorologiche'. Colleg. Rom. Settembre t8a5.

la questo mese , e ne'seguenli , si darà l'altezza dell' acqua cadilla , im>e

e centesimi di linea: per averla ne' 9 mesi precedenti, bisognerà dividere il nu- mero dei pollici cullici per 4"

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Tabella dello stato del Tevere . desunto dall'altezza del pelo d'acqua suW orizzontale del mare, osserva- to aW Idrometro di Ripetta , al mezzo giorno*

Settembre 1825.

GIORNI. \ METRI PALIMI ROMANI i

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Altezza massima iuet. 5, 8

-Altezza minima mct. 5, \i

Altezza media met. 5, 4i

NIHIL OBSTAT

Ex collegio S. Bonaventura , Fr. Antonius Fran- ciscus Orioli.

NIHIL OBSTAT

Petrus Lupi Med. Colleg.

NIHIL OBSTAT

Loretus Santucci Cens. Philolog.

IMPRIMATUR

Fr. Thomas Dominicus Piazza Ord. Prjed. S. P. A. Pro-Magisteri

IMPRIMATUR

Joseph Della Porta Patriarch. Cons£antinop

Vicesgerens .