i* fill^ìk-* GIORNALE D 1 B&IMMX^^Is'MTTMBM WB AWTl VOLUME CXXXI APRILE, lUàGGIO E OllJGIlO 1853 ROMA Tipografia delle Belle Arli 1853 SC1EI\ZE, LETTERE ED ARTI Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo. Notizie raccolte da B. Boncompagni. N ella sessione dei 2 d'agosto 1851 dell'Accademia Pontifìcia de' Nuovi Lincei ebbi l'onore di presen- tare a questa società scientifica uno scritto intito- lato: Della vita e delle opere di Leonardo Pisano ma- tematico del secolo decimoterzo ec. (1). Ho poscia con- tinuato a fare diligenti ricerche intorno alla vita ed agli studi di questo celebre matematico, a fine di ren- dere più completo, e meno difettoso che sia possibile il mio lavoro teste indicato. Queste ricerche mi han- no recentemente fatto conoscere tre Codici mano- scritti, l'esistenza de'quali mi era al tutto ignota , allorché presentai all'Accademia suddetta lo scritto soprammentovato. Uno di questi manoscritti è un Codice della Bi- blioteca Ambrosiana di Milano contrassegnato 7.72., Parte supcriore (2) , membranaceo in foglio, e della fine del secolo decimoquarto. Questo Codice, che con- tiene un'opera di Leonardo Pisano intitolata Liber Abbaci, è composta di 125 carte delle quali le prime (1) Vedi Alti dell' Jceademia Ponti firia de'' Nuovi Lincei pubbli- cati conforme alla decisione Jccademica del 22 dicembre 1850, e compilati dal Segretario, noma, 1851 — i8o2. Tipografia delle Belle Arti, Piazza Poli n. 91, 3 tomi, in 4", (T, 4°, e 5°.), t. IV. Anno IV. (1850—1851), pa{j. 521. (2) I Signori Dollori Jella Bibliofeca Ambrosiana con somma cortesia mi hanno permesso di far copiare interamente tanto que- sto Codice, quanto un altro, di cui si parlerà più olire, contrasse- gnalo E. 1S, Parte superiore. Mi credo in dovere di far qui nota la mia viva riconoscenza verso i medesimi Signori Dollori per questa gentil permissione cli'essi si sono compiaciuti di accordarmi. in 4 due (I), e hi 90." non sono numeralo, eie altre so- no numerate nel recto, coi numeri 1-34, 36-37, 39-87, 88-122. Nel recto della terza carta, prima numerata, di questo codice si legge (2) : Incipit liber abhaci composilus a leonardo filio- riim honacci pisano in ano M." CC." II." et correclus ab eodcm XXVIII. Cum genitor meiis a patria publicus scriba in dua- na buggee prò pisanis mercatorUms ad emn confluen- tibìis constilntus prcesset, me in puerilia mea ad se venire faciens, inspecta utilitate et commoditale futu- ra, ibi me studio abbaci per aliquot dies stare voluit et doccri etc. Il Codice medesimo finisce nel rovescio della carta 122" (numerata 126) così : Et si dicemus tibi .... in 3 cuiusdam ccnsus mulliplicavi per 30 , et quod proveniet fnit equale addilioni 30 dragmarum, et plus 3 eiusdem census, pone prò ipso censii rem, et muhipìica 30 res per 30, venient 900 res , que equantur 30 rebus et 3 dragmis; lolle ab utraque parte 30 res, remanebnnt 870 res pquales 30 dragmis, divide ergo 30 per 870, 1 , vcment — dragmc prò quantitatc rei. (1) La prima di queste due carte con(ipne sedici linee manoscrit- te, le qiialijper essere stale anticamente cancellate^ e poscia volute far rivivere, sono presentemente in uno stato inintelligibile. Nel ro- vescio di questa carta leg(jesi un indice de'capitoli del Liber Ab- baci di Leonardo Pisano. La seconda delle due carte suddette con- tiene sul recto, e sul verso trentotto mani dipinte, atteggiate per modo da indicare colle dita i numeri da 1 a 900. (2) Tulli i passi che in questo scritto si leggono tratti da mano- scritti, si riportano in esso colla medesima ortografia die hanno ne'manoscritti slessi, salvo alcune virgole, ed alcuni punti, ed ac- centi che si aggiungono per agevolare la lettura di tali passi. ExpUcil liber magistri leonardi civitatis pisane. Beo gratias. II secondo de'tre manoscritti sopra indicati è un Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli, contrassegnato Codici Farnesiani, Armadio Vili, Plu- teo C, n.° 18, cartaceo in foglio piccolo, di 285 carte numerate, della seconda metà del secolo de- cimosesto, o del principio del secolo decimosettimo. Questo Codice, nel quale trovasi manoscritto il sud- detto Liber Abhaci di Leonardo Pisano, incomincia nel recto della terza carta così: Leonardus filius Bonaccij Pisani Michaeli Scolto summo philosopho. Scripsisti mihi, Domine mi et Magister, Michael Scotte snmme Philosophe, ut libriim de numero quem dudum compositi vobis transcriberem. Nel recto della carta quarta del Codice mede- simo si legge: Incipit Liber Abaci composilus à Leonardo (ìlio Bonaccij Pisano in anno MCCII. Cum Genitor meus à Patria publicus scriba in duana Bugeae prò Pisanis mercatoribus ad eum con- fltientibus constitutus praeesset , me in pueritia mea ad se venire faciens, inspccla iitilitate et commodi- ditate futura, me in studio Abaci per aliquot dies in- strui voluit et doceri ». Nella metà della carta 255 verso questo Codice finisce così: Pone prò ipso censu rem, et multiplica 30 res per 30, venient JOO res, quae aequantur 30 rebus et 3 dragmis. Tolle ab ulraque parte 30 res, re- manehunt 870 res aequales 30 dragmis. Divide ergo 1 30 per 870, venient ^ dragme prò quanlilate rei. 6 Di questi due Codici manoscritti del Liber Abbaci di Leonardo Pisano saranno da me date altre no- tizie in alcune giunte che mi propongo di fare alla parte già stampata del mio scritto intitolato: Della vita e delle opere di Leonardo Pisano ec. 11 terzo de'tre manoscritti soprammentovati è un Codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano con- trassegnato E. 75, Parte superiore, membranaceo, in quarto, e del secolo decimoquinto. Questo Codice composto di 39 carte contiene tre opere importanti di Leonardo Pisano, una delle quali finora al tutto ignota è intitolata: Flos super solutionibus quarum- dam questionum ad numerum et ad geomeiriam vel ad utrumque pertinentium (1). Trovansi in quest'opera risoluti alcuni notabili problemi, tre de'quali furono proposti a Leonardo Pisano da un maestro Giovanni di Palermo in Pisa alla presenza di Federico IL dllohenslaufen , vigesimosesto imperatore di Ale- magna. Questi tre problemi sono i seguenti: 1." Trovare un numero quadrato tale, che ag- giungendo, 0 togliendo a questo numero il numero 5, si abbia sempre un numero quadrato. 2." Trovare un numero tale, che il suo cubo, più il doppio del suo quadrato, e più due volte il prodotto del numero stesso per dieci, sia venti. 3." Tre uomini avevano in comune una somma di denaro, della quale una metà era del primo, una terza parte del secondo, ed una sesta parte del terzo uomo. Volendo essi porre in luogo più sicuro que- (1) Questo titolo trovasi nel recto della prima carta del Codice Ambrosiano E. 73, Parte supcriore; giacché in fronte a questo re- cto si legge : Incipit llos Leonardi bigolli pisani super solutioni- bus quarumdam questionum ad numerum et ad, geometriam, vel ad ulrumi^e pertinentium. 7 sta somma, ciascuno di loro ne prese a caso una parte, ed avendo trasportato tutta la somma stessa in luogo più sicuro, il primo pose in comune la metà di ciò che prese , il secondo la terza parte , ed il terzo una sesta parte. Avendo poscia diviso in parti eguali fra loro ciò che fu da essi posto in comune, ciascuno di loro ebbe una certa porzione. Si do- manda quanto ciascuno prese di tale somma. Il primo di tali problemi fu da Leonardo Pisano risoluto, com'egli stesso attesta, nel sopraccitato suo Flos dicendo: Ciim coram maiestate vestra, gloriosis- sime princeps Frederice, magister Johannes panormi- tanus phylosophus vester pisis mecum multa de nume- ris contidisset, interque duas questiones qiie non minus ad geometriam quam ad numeriim perlinent, propo- suit; quarum prima fiiit ut inveniretur quadratus nu- merus aliquis, cui addito vel diminuto quinario nu- mero, egrediatur quadratus numerus, quem quadratum numerum, ut eidem magistro Johanni retuli, inveni esse hunc numerum: undecim, et duas tertias, et centesi- mam quadragesimam quartam unius. Cuius numeri ra~ dix est ternarius, et quarta, et V/." unius, cui quadrato numero si addantur quinque, provenient XVI, et due tertie, et una centesima quadragesima quarta; qui nu- merus est quadratus, cuius radix est quatuor et una duodecima. Item si auferantur V. ab eodem quadrato numero, remanebunt VI, et due tertie, et una cente- sima quadragesima quarta, qui numerus etiam qua- dratus est, cuius radix est duo, et tertia, et quarta imius (1). Questa soluzione si può esprimere in lin- guaggio algebrico nel modo seguente: (1) Codice Ambrosiano E. 73, Parte «upen'ore, carta 1, recto e ver$o. 8 Siano x^^ i/^, 2' ti'e numeri quadrati tali che ab- biasi a;2 _)_ 5 = iy2 , a;2 — 5 = i^ se in questa equazione si pone T"^T~ 12 ' a; = 3-t--T--*-'-F-==3 cioè 2 1 _ n ^'^ _ 1681 ^' = ^^"^"3 "^"UT"" "U4r~ 144 ' si ha: ,. = ,6 + | + ^ = (4 + 4)'. 2 1 7x2 e quindi: 1 7 i/ = 4h-^ , 2=:.2-+-j2 • È facile il verificare l'esattezza di questa solu- zione, giacché essendo: i_^^_u^ q 10 q 2.5 5 ^"^T"^T = ^-^24^^"^2:T2~^"^T2 ' si ha /o 1 1\' /o 5n2 2.3.5 52 ~ 2"^ W 2 "^ 12' 1. 1 2 1 ,, 8 1 =llM- 2 12 144 ~ 12 144 2 1 3 ^ 144 ' e quindi: Più oltre Leonardo Pisano nel sopraccitato suo Flos scrive: Altera vero questio a pedicto magistro Johanne proposita fuit, ut inveniretur quidam cubus numerus, qui cum suis duobus quadratis, et decem ra- dicibus in unum collectis, essent viginti^ ex his que contineniur in X." libro Euclidis (1). 11 problema qui menzionato da Leonardo Pisano è il secondo de'tre problemi indicati di sopra a pagina 6. Euclide nel decimo libro de'suoi Elementi di geo- metria considera quindici linee rette, due delle quali sono da lui chiamate razionali, ed irrazionali le al- tre tredici (2). Leonardo Pisano nel precitato suo FloSy dopo aver parlato di queste quindici linee, sog- giunge : Et cum studiose super hos quindecim nu~ (1) Codice Ambrosiano E. 73, Parte superiore, carta 1, verso. (2) Les oeuvres d'Euclide en Grec, en Latin, et en Franfais, d'a- près un manuscrit très-ancien qui était reste inconnu jusquà nos jours, par F. Peyrard traducteur des oeuvres d' Archimede, ouvrage approuvc par Vlnstitut de France, dédié au Boi. A' Paris Chez M. Patris, impriineur-iibraire, rue de la Colombe:, en la dté, n." 4, 1814-1818, 3 tomi, in 4°, t. II; pa[![. 112, 227, 228, 319, 320. Elé- ments d'Euclide livrc dixième, Dél'milions, secondes définitions, De- finilions troisièmes. 10 meros et super eorimi diversilalca cogitare^ inveni nidlum ipsoriim coiujruere posse uni ex X. radicibus supradiclis, qiie cimi diiobus qiiadralis et cubo sint XX, ut in sequentibus geometrice demonstralur (1). II terzo deìre problemi riportati di sopra fu pro- posto a Leonardo Pisano da maestro Giovanni di Palermo in Pisa, nel palazzo del suddetto imperatore Federico II, ed alla presenza di questo imperatore. Lo stesso Leonardo Pisano ciò attesta nel suddetto Flos scrivendo: Tres homines habebant pecuniam co- miinem, de qua medietas erat primi, iertia secundi, sexta quoque pars tertii hominis, et ciim eam in tu- tiori loco liabere voluissent, ex ea unus quisque cepit fortudtu, et cum totam ad tutiorem locum deportassenty primus ex hoc quod cepit posuit in comune medieta- tem, secundus tertiam, tertius sextam, et cum ex hoc quod in comune positum fuit inter se equaliter divisis- sent , suam imusquisque habuit portionem ; queritur quanta fuit illa pecunia, et quot unusquisque ex ea cepit. Hec itaque questio, domine serenissime impera- tor, in palatio vestro pisis, corani vestra maiestate, a magistro Johanne panormitano mihi fuit proposita (2). Non può mettersi in dubbio, che Federico II. di Hohenstaufen vigesimosesto imperatore d'Alemagna, sia il prìncipe al quale Leonardo Pisano in principio del suddetto Flos super solutionibus etc. dice: Cum coram maiestate vestra, gloriosissime princeps Frederi- ce (3): e più oltre nell'opera stessa: Haec itaque questio (1) Codice Ambrosiano E. 75, Parie superiore , carta 2, recto. (2) Codice Ambrosiano E. 73, Parte supcriore , carta 6, verso. (3) Codice Ambrosiano E. 73, Parte superiore, carta ì, recto. (Vedi sopra pag. 7, lin. 3 e 4.) 11 domine serenissime imperator (1).ln fatti si dimostrerà più oltre che Leonai'do Pisano compose il medesimo Flos dopo il suo Libei' Abbaci, cioè non più tardi del 1202. Ora Timpero d' Alemagna fu vacante (2) dal giorno 28 di settembre del 1197, nel qual gior- no morì l'imperatore Emùco VI (3) padie del sud- detto Federico II , fino al giorno 4- di ottobre del 1209, nel qual giorno, come dimostra il Sig. Boh- mer (4) , Ottone IV fu incoronato in Roma nella chiesa di s. Pietro dal Sommo Pontefice Innocen- zo III. Il medesimo Ottone IV mori ai 19 di mag- gio del 1218 (5), dopo aver tenuto l'impero otto anni, sei mesi, e quindici giorni. Dal giorno 19 di maggio del 1218 l'impero d'Alemagna fu vacan- te (6) fino al giorno 22 di novembre del 1220, nel qual giorno Federico II d'Hohenstaufen fu incoro- nato in Roma nella chiesa di s. Pietro dal Sommo Pontefice Onorio IH (7). Il med^imo Federico II. (1) Codice Ambrosiano E. 75, Parte superiore, caria 6, verso. Vedi sopra pag. 10, lin. 20 — 22. (2) annali d'Italia dal principio dell" Era volgare sino ulC anno MDCCXHX, compilati da Lodovico Antonio Muratori. Milano dalla Società Tipografica dei Classici Italiani, Contrada del Cap- puccio, 1818—1821; 18 volumi, in 8°, voi. X, pag. 612—667. (3) Geschichte der Ilohenstaufen und ihrer Zeit von Friedrich von Raumer. Zweite verbesserte und vermehrte Auflnge. Leipzig F. A. Brockhaus, 1840—1842; 6 volumi, in 8", voi. II, pag. 593. (4) lìegesta Imperli inde ab anno MCXCFIII usque ad annum MCCLIF. Die Regesten des Kaiserreichs unter Pliilipp , Otto IF, Friedrich li, Heinrich [FU.] und Conrad IF. 1198—1134. Weu bearbeitet von Joh. Friedrich Bòhmer. Stuttgart J. G. Cotta scher verlag, 1849, in 4o, pag. 47. (5) Bohmer, Regesla Imperli, pag. 6^.— Muratori, Annali, d'Ita- lia, voi. X, pag. 719, anno MCCXVIll. (6) Muratori, Annali d'Italia, voi. X, pag. 723. (7) Bijhmer, Regesta Impera pag. ii2.— Muratori, Annali d'Ila- 12 mori in Fiorentino nella Capitanata ai 13 di decem- bre del 1250 (1), dopo aver tenuto l'impero trent' anni e venti giorni. Egli è adunque il solo impera- tore Federico, al quale può credersi che Leonardo Pisano dedicasse una parte del suo Flos. È certo che Leonardo Pisano tenne alla presenza dello stesso imperatore Federico II in Pisa un lungo ragionamento con Giovanni Palermitano, filosofo di questo imperatore, di cose relative alla scienza dei numeri. Ciò apparisce da alcune parole del suo Flos, riportate di sopra (2), che sono: Cum coram ma- iestate vestra, gloriosissime princeps Frederice, magi- ster Johannes panormitanus phylosophiis vester pisis mecum multa de numeris contidisset. È da credere, che in occasione di questa conferenza, maestro Gio- vanni Palermitano proponesse a Leonardo i tre pro- blemi riportati di sopra (3). Trovansi ancl^ig nell'anzidetto Flos di Leonardo Pisano i due seguenti problemi : 1." Trovare cinque numeri tali, che il primo di tali numeri, più la metà del secondo, del terzo e del quarto, faccia quanto il secondo colla terza parte del terzo, del quarto e del quinto numero, e quanto il quarto numero colla quinta parte del quinto, del primo, del secondo, e del terzo numero. 2." Quattro uomini, che hanno alcune monete chiamate bisunti, trovano una borsa di tali monete. 11 primo di essi con questa borsa ha il doppio de'bi- lia, voi. XI, pag. 5. — fìaumer, Geschichle der Hohenslavfvn ìind ihrer Zeit, voi. Ili, pag. 200. (1) Bnhmer, Regesta Imperli, pag. 210. (2) Pag. 7, lin. i—à. (3) Pag. 6, lin. 8-25. J3 santi del secondo e del terzo, il secondo ne ha il triplo del terzo e del quarto, il terzo ne ha il quadruplo del quarto e del primo; il quarto uomo ne ha, coi Lisanti della borsa trovata, il quintuplo del primo e del secondo. Si domanda il numero de'bisanti che ha ciascuno di questi cinque uomini. Questi due problemi furono mandati da Leonardo Pisano all'imperatore Federico II. per mezzo di un certo Robertino Domicellus, cioè Donzello dello stesso Imperatore. Ciò attesta Leonardo medesimo nel so- prammentovato Flos scrivendo: Solvam eliam per con- similem moclum iilramque qiieslionem quas per roberli- num aggiu domicelhim veslnim vestre maiesiati tran- smisi, quariim prima fuit de quinqiie numeris, ex qiiibus primus, ciim mediclate secimdi, et terlii, et quarti, facil quantum secundus ciim tertia parte tertii, et quarti, et quiìiti numeri, nec non et quantum quartus cum quinta parte quinti, et primi, et secundi,ct tertii numeri (1). Piiì oltrenel Flos diLeonardoPisano si legge: Secimda vero questio fuit de quatuor hominibus bizantios habentibus, qui bursam bizantiorum invenernnt, ex quihus primus cum bursa excedit secundum, et terlium hominem in duplico. Secimdus tertium et quartum in triplo. Ter- tius quartum et primum in quadruplo. Quartus vero homo cimi bursa excedit primum et secundum in quin- cuplo. Hanc quidem questionem insolubilem esse mon- strabo, nisi concedatur primum hominem habere de- bitum (2). Il problema di cui Leonardo Pisano qui (1) Codice Ambrosiano E. 73, Parie superiore, carta 7, verso. — Kella tavola posta in Ironie al presente scritto si riporta sotto il numero 2 un fac simile tlelleprime sedici parole di questo passo del Codice Ambrosiano E. 73, Parte superiore. (2) Codice Ambrosiano E. 75, Parte superiore, carta 9, recto. u parla è il secondo de'due problemi, che sì è detto di sopra (1) essere slati da lui inviati all' imperatore Federico li. (2) Di quel Robertino, per mezzo del quale Leonardo Pisano mandò questi due problemi all' imperatore Federico II, null'altro si sa, salvo che egli era Do- micellus, cioè donzello di questo principe, ciò essendo dimostrato dalle parole domicelìnm vestnim di Leo- nardo Pisano riportate di sopra (3). Uguccione Pisano, che fu per venti anni vescovo di Ferrara, e morì ai 20 dì aprile del 1210 (4), in una sua opera intitola- li) Vedi sopra, paf;. 13, liii. 8 — 10- (2) Vedi sopra, pag. 13, lin. 8, 9, 11, e 12. (u) \'edi sopra, pag. 13, lin. 13, e 14. (4) Fra Salimbene di Adamo, nato in Parma ai 9 d'ottobre del 1221, secondo ch'egli stesso attesta (Codice Vaticano n.° 7260, carta ce. XXJ, recto, col. 2. — Memorie degli scrillori e letterati Parmi- giani raccolte dal Padre Ireneo Jlfi>, Minor Osservante, Bibliotecario di S. A. R., Profcss. Onor. di Storia nella R. Universilà, e Socio del- la Ji. Accademia delle Belle Arti in Parma. Parma. Dalla Stamperia Beale 1789—1797 , 5 tomi , in 4", t. I, pag. 208, nota (1)) nella quinta ed ultima cronaca da lui compost;: fra il 1283, ed il 1287 ( Alfa, Memorie degli scrittori e letterati Parmigiani , t. I, pag. 225 ) scrive: Uguitio natione Tuscus, civis Pisanus , Episcopus Ferrariensis fuit. Librum Dcricationum composuit. Firiliter, et digne, et honeste Episcopalum re.xit; et laudabiliter vitam sunm fmivil. Et alia quedam opuscula composuit , que sunt utHia, et habentur a pluribus, que etiam vidi et legi non semel, ncque bis. An- no Domini M°. CC". X". ultimo die oprilis migravit ad Christum. Et stetti in Episcopatu XX.i' annis, minus uno die (Cod.Vatic. n.» 7260, carta CC. XVllI, recto, nel margine inferiore). Una parte di questo passo della suddetta cronaca di Fra Salimbene di Adamo fu slampata nel 1769 in un'opera dei Padri Don Mauro Sarti, e Don Mauro Fat- torini (Sarti [P. Maurus) et Fattorini (P. Maurus) De Claris Archi - gymnasii Bononiensis Professoribu.'i a saeciilo X/. usque ad .'iaeculum XIV. BoH'miae 1769 -1772. Ex Typographia Laeliia Fulpe Insti- tuli Scicnliarum Typographi. Superiorum auctoritafe, 3 volumi, in loglio (il terzo (le'()uali incompleto), tomi I, pars I, pag. 30D,nota (a)]. 15 ta Liber Dcrivatiomim scrive; Ilem a domus hic do^ mimis quia donmi prcsit ; quod aulem dicUur do- mimis quasi dans miiias ethymologice, vel quasi dans munus servici] , vel quasi domus nuliis, ellnjmologia est, et non composi ti onis. Idem ethymologia est quod dicitur domus quasi domans manus, et inde hic domi- cellus, et hic dominellus ambo dicuntur, et hec do- mina, imde hec domicella, et hec dominella ambo di- cuntur, domicelli et domicelle dicimtiir quoque pid- chri iuvenes magnatum , sive sint servieni.es , sive non (1). Dall'opera di Carlo Dufresne Signore di Gange , intitolata Glossarium ad Scriplores mediae et infimae latinitatis , apparisce che nel medio evo furono chiamati Domicelli i figliuoli de' magnati, e dei Baroni, e specialmente i figliuoli de' militari, non ancora ascritti alla milizia (2). Quindi è da (1) Biblioteca Vaticana, Codice Palaliuo ii.° 1777, carta 76 verso, colonna 1.-, — Codice contrassegnato Regina Svecorum ntirn." 1627, carta 49 verso, col. 2. — Il Codice Palatino n." 1777 è cartaceo, in quarto, di carte scritte 307 , e scritto a due colonne. Nt^lia colonna seconda della carta 307 recto di questo Codice si legge : ExpUcit hugunctio Finitus est iste liber anno Domini M" CCC LXXXXIHJ". feria secunda post dominicam telare hora completorij. 11 Codice Jìegina Svecorum n.° 1627 è membranaceo in quarto, di 254 carte, e scritto a due colonne. Ciascuno di questi due Codici contiene un esemplare del Li- ber Derivalionum suddetto di Uguccione Pisano. (2) Glossarium mediae et infitnae latinitatis conditum a Carolo Dufresne Domino Du Cauge auctum a Monachis Ordinis S. licnedi- cti, cum supplemenlis intcgris D. A- Carpenterii et Addiiamenlis Adelungii et aliorum digessit G. A. L. Henschel. farisiis Excudc- bant Firmin Didot Fratres Instituli Begli Franciac Typograpki, 1840—1830, 7 tomi, in 4°, t. Il, pag. 006, col. 1 e 2. ]() credere, che il suddetto Robertino fosse un giovane familiare dell'imperatore Federico II, e figliuolo pro- babilmente di qualche magnate, o di qualche militare. L'opera di Leonardo Pisano intitolata Flos super solulionibus quarumdam questiomim etc. fu certamente dedicata dall'autore al Cardinale Raniero Capocci di Viterbo. Ciò apparisce da una lettera dedicatoria che trovasi manoscritta nel redo della prima carta del codice E. 75, Parte superiore della Biblioteca Am- brosiana; giacché questa lettera incomincia così: In- tellecto, beate pater et domine venerande R. dei gratia sanate Mar. Incosmidin diac. Card, dignissime, quod meorum operum copiam non preceptive saltim, quod vos magis decebat, sed simpliciter petere fiiistis, per litteras vestre sanctitatis, dignati (1) etc. Si sa che il suddetto Raniero Capocci fu creato Cardinale Diacono del titolo di s. Maria in Cosmedin dal Sommo Pon- tefice Innocenzo III nella ottava promozione di Car- dinali fatta da questo Pontefice (2) ai 15 di decem- (1) Codice Ambrosiano E. 73, Parte superiore, caria i, recto. (2) p'itae et Gesta Summorum Ponti ficum a Christo Domino usque ad Clemenlem FUI, ncc non S- R. E. Cardinalium cum eorundem insìgnibus. M. Alfonsi Ciaconii Biacensis Ordinis Praedicatorum , et Apostolici Poenitentiarij. Bomae Apud Stephanutn Paulinum. MDCI. Superiorum permissu, 2 tomi, in loglio, t. I , pag. 534, A, pag. 533, e pag. 336 A, B. Innocentius III, Cardinalis XXVIll. — Fitae et res gestae Pontificum Bomanorum et S. R. E- Cardina- lium Ab initio nascentis Ecclesiac usque ad Clementem IX. P. O. AI. Alphonsi Ciaconii Ordinis Praedicatorum et aliorum opera dc- scriptae: Cum uberrimis Notis : Ab Augustino Oldoino Societatis Jesu recognitac, et ad quatuor Tomos ingenti ubique rerum acces- sione producta. Additis Pontificum recentiorum Imaginibus, et Car- dinalium Insignibus, plurimisque aeneis figuris cum indicibus locu- pletissimis. Romae MDCLXXFII. curaetsumptb.PhilippietJnt. 17 bre del 1212, secondo il Padre Alfonso Ciacconio (1), ed ai 16 di decembre del 1213, secondo il celebre 0- nofrio Panvinio (2). Sembra che questo illustre por- porato amasse, e coltivasse le matematiche pure , giacché è certo che egli domandò in una lettera da lui diretta a Leonardo Pisano una copia delle opere, che questi aveva composto, ciò essendo provato chia- ramente dalle soprarrecate parole della dedicatoria suddetta : Qmd meorum operum copiam non prece- plivc sallem, qiiod vos miujis decebat, sed simpAiciler petere fuistis. È anche certo che Leonardo Pisano dedicò una parte del suo Flos a Federico II d'Hohenstaufen, vi- gesimosesto imperatore di Alemagna, giacché nel re- cto della prima carta del Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, subito dopo la soprammentovata let- tera del medesimo Leonardo al Cardinale Raniero Capocci, si legge : De tìubeis. Superiorum Permissu, 4 tomi^ in fog., t. !!> col. 34 e 35 A^ Innocentius IH, Cardìnalis XFlI. (1) Ciaconii, VUae et Gesta Summorum Poniificum etc. Edizione del 1601 sopraccitata 11. oc. — Fitae et res geslae Pontiflcum Ro- manorum et S. R. E. Cardinalium ab initio nascentis Ecclesiae us- que ad Clementem IX P. O. M. Alphonsi Ciaconii Ordinis Praedica torum et alìoium opera descriptae cum ubcrrimìs Notis etc, t. Il, col. 30, D, E. (2) Onuphrii Panvinii P'eronensis Fratris Eremitae Augustiniani, Romani Ponti fices et Cardinales S. R. E. ab eisdem a Leone IX. ad Paulum Papam IIIl, per quingentos posteriores a Christi Natali annos creati {Fenetiis, Apud Michaelem Tramezinum MDLVII),\n 4", pag. 138, della prima nnmerazione di pagine. — Gruterus [Janus] (sotto il nome di Joannes Gualterusì Chronicon Chronìcorum Ec- clesiastico -PoUticum ex huitis superiorisque aetatis scripioribus concinnalum. Francofurti, in Officina Aubriana M. BC XIF, 4 to- mi, in 8°, t. I, pag. 328. r.A.T.CXXXI. 2 18 Explicit proìogus : incipit tractatus eiusdem. Cum coram maiestate vestra, gloriosissime princeps Fredcrice,magister Johannes panormilamis phylosophns vester pisis meciim mnìla de numcris contulisset e te. Dopo avere riportato un altro problema che gli fu proposto dallo stesso maestro Giovanni di Palermo, Leonardo Pisano nel precitato Flos soggiunge (1) : Uec itaque questio , domine serenissime imperator , in palatio vestro, pisis, coram vestra maiestate, a ma- gistro Johanne panormilano mihi fuit proposita. Su- per cuius questionis solntionem cogitans, tres modos in solvendo ipsam inveni, quos in libro nostro quem de numero composui, patenter inserui. Sed cum nu- per solntionem eiusdem questionis intcnderem, alium nimis pidchrum modnm inveni, quem serenitati vestre pandere, de vestra benignitate confisus, curavi. Sed Oìitequam ad eius solntionem veniam, quedam intro- ductoria vestre niaiestati jjroponcre dignum duxi. Ciò che Leonardo Pisano qui dice è diretto, come ognun vede, all'anzidetto imperatore Federico II d'Hohen- staufen. A questo principe parla anche più oltre Leo- nardo nel sopraccitato suo Flos dicendo : Solvam etiam per consimilem modum utramque questionem quas per robertinum ciggiu domicellum vestrum ve- stre maiestati transmisi (2). 11 paragrafo dell' opera stessa, nel quale Leonardo Pisano tratta del primo di questi due problemi, finisce così : Et sic, ut vestre (1) Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, caria C, verso- Vedi sopra pag. 10, lin. 20 — 22. (2] Codice Ambrosiano E. 73. Parte supcriore, carta 7, rcrso. Vedi sopra pai;. 13, liii. 11— ìi. 19 serenissime maieslati (ransmisi; prinws mimerus est 7, secwidus IO, teriius 19, quarlus 2ò,qmnlns2H,el mime- ms in quo equantur ipsi numeri est 34 (I). In uno de' seguenti paragrafi del medesimo Fhs si legge: Pateat quidem serenitati vestre liane questionem a me solit- tam esse in tertio decimo capitnln libri mei duplici- ter (2). Più oltre nel medesimo Flos leggcsi (3): De quatuor hominibus bizaniios hahentibus. Posili liane aliam questionem similem suprascri- pte questionisi sancle et venerande pater domine Ra- nerii, dignissime card.', ut que in pvescripta questione dieta sunt melius clemeniia vestra intendere vuìeat. 11 porporato a cui Leonaido Pisano qui parla è certamente quel medesimo Cardinale Raniero Capoc- ci, al quale è diretta la lettera dedicatoria del suo Flos «lenzionata di sopra (4). Sembra per tanto doversi credere che Leonardo Pisano stimando poco con- veniente il dedicare a questo cardinale ciò che egli aveva già indirizzato, come si è veduto di sopra, al- l'Imperatore Federico II, vi facesse alcune giunte , e con queste giunte inviasse al cardinale Raniero Ca- pocci la parte del Flos, ch'era già stata dall'autor? medesimo dedicata al suddetto Federico. Il problema de quatuor ìiominibus bizantios ha- bentibus fece parte certamente di tali giunte. Dopo questo problema, trovasi nel suddetto Flos un pa- ragrafo intitolato: De quatuor hominibus qui invene- (1) Codice Ambrosiano E. 73. Parte svperhire, carta 9, recto. (2) Codice Ambrosiano E. 73. Parte superiore, carta ìtì, verso. (3) Codice Ambrosiano E. 73. Parte superiore, carta 'l'i.' verso. (4) Vedi sopra parj. 16. lin. 4 — 13. 20 riint bizantios (1), e quindi un altro paragrafo che ha per titolo : Questio similis siiprascripte de tribus hominibus (2). Quest'ultimo paragrafo finisce così (3): Et quia quatuor inventi numeri sunt sibi invicem co- municantes, et est senarius comunis eorum mensiirciy si diviserimus iinumquemque eorum per 6, habebitur solutio huius queslionis in minoribus numeris, et sum- ma eorum erit 425, et biz. primi erunt 259, secimdi 123, tertii 43. Subito dopo, nel recto della cartaio del Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore si legge : Epistola suprascripti Leonardi ad Magistrum Thco- donim phylosophum domini Imperatoris. Assiduis rogaminibus et postidationibus a quodam mihi amicissimo invitatus ut modum sibi conponerem solvendi subscriptas avium et similium questiones, quia ipscy tanquam noviter in hoc magisterio educatus, for- tiora pabula in libro meo numeri apposita pavescebat, lac sibi velut noviter genito fdio suavitatis preparans, ut robustus effectus capere valeat artiora, presentem sibi modum invcni, per quem non solum similes que- stiones solvuntur, verum et omnes diversitatcs conso- laminum monetarum. Et quia ipsum in illa scientia prestantiorem, et utilem elegi, vobis reverende pater domine Theodore imperialis aule summe phijlosoplie , mictendum decrevi , iit ipso perlecto que utilia sunt vestre celsitudinis probitas , resecatis superfluis , re- conservet. (1) Codice Ambrosiano E. 73. Parte superiore, carta 12, verso- (2) Codice Ambrosiano E. 75. Farle superiore, carta l'i, recto. (3) Codice Ambrosiano E. 73. Parte superiore, caria 15, recto. 21 Il maestro Teodoro, al quale è diretta questa let- tera, trovasi anche menzionato , come si vedrà più oltre, in un'opera di Leonardo Pisano intitolata Li- ber qiiadratorum. Immediatamente dopo questa let- tera si leggono nel Codice Ambrosiano E. 75. Par- te superiore tre paragrafi, il primo de quali è inti- tolato: De avibus emendis secundum proportionem da- tam (1), il secondo : De eodem (2), ed il terzo: Iteìn de avibus (3). L' ultimo di questi tre paragrafi fini- sce così : Et sic possumus in similibus etiam, et in consolamine monetarum, et bizantiorum operari, qiiod, quandocumque placiierit, dominationi vestre liquidius declarabo (4). È da credere che anche qui Leonardo Pisano parli a Maestro Teodoro filosofo dell'impera- tore Federico IL Segue nel Codice Ambrosiano E. 75. Parte su- periore a carte 16 verso, 1/7 recto e verso un paragrafo intitolato:/)^ compositione pentagoni equilateri in trian- gulum equicrurium datum. Questo titolo si trova nel rovescio della carta 16 del Codice stesso, nel qual ro- vescio subito dopo il titolo medesimo in capoverso si ìeggeiLìbet etiani^sohuionem subscripte questionis,qiiam nuper imeni, lime vestre correctionis transmittere. Vi- delicet cum in triangulo equicrurio noto protractum sit pentagonum equilaterum , qualiter inveniatur lon- gitudo ipsius lateris demonstrabo. Dopo questa riso- luzione , a carte 17 verso del Codice Ambrosiano (1) Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, caria 15, recto. (2) Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, 1. e. (3) Codice Ambrosiano E. 1^. Parte superiore, 1. e. (4) Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, carta 16, verso. 22 E. 75. Parte superiore, si legge : Invenl etiam his diebus alias soliUiones super similibus qiiestionibus , quas dominationi vestre quandocumque placueril de- stinabo. Segue nel Codice medesimo a carte 17 verso e 18 recto un paragrafo intitolato: Moc/us alius solven- di similes questiones. Poscia si legge a carte 18 recto e verso di questo Codice : Investigatio unde procedat inventio suprascripta. Et si linde talis inventio procedat habere volue- ritis, vobis illud tanquam domino venerando mittere prociirabo. Solvuntur etiam similes questiones aliter ut in libro meo denominato vestra sapientia poterit in- venire. Et si super denarios imiuscuiusque adderetur eadem pars denariorum reliquorum quatuor hominum que addilur in dieta questione unicuique de suo conse- quente, et haberet primus 12, secundus 15, et cetera ut supra, lune questio esset insolubilis, nisi concederetur 97 primum habere debitum, quod debitum esset .^„ 13, , , , 1 1^8 ^ . 96 ,, et secumlus haberet -^ "Tqt" ■^' tertms „ 1 1 , quar^ 1 123 20 tus ~ — j^r~ 15, quintus . 20. Certamente il per- sonaggio a cui Leonardo qui parla ò quello stesso al quale egli rivolge il discorso negli altri soprar- recati passi (1) del Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, che trovansi in questo Codice dopo la lette- ra ad Maqislrum Thcodorum Philosophum Domini Im- peratoriSf riportata di sopi'a a pagine 20. Puossi adun- {iy Vedi sopra pag. 21. 23 que con sicurezza aftermare : 1 ." Che in questo Co- dice dalla carta 15 redo alla carta 18 verso si leg- ge uno scritto di Leonardo Pisano intorno ad alcu- ni problemi di aritmetica e di geometria; 2." Che questo scritto diverso dal Flos super solutionihus qua- rumdam questionum ete. del medesimo Leonardo, fu da lui dedicato ad un maestro Teodoro filosofo dell'imperatore Federico IL Nel Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore., dalla carta 19 recto alla carta 39 verso, trovasi il testo latino di un'opera di Leonardo Pisano intito- lata : Liber qiiadratorum. Parecchi scrittori hanno parlato di quest'opera chiamandola Trattalo de'nu- meri quadrati. Il Sig. Chasles nella Nota XII al suo Aperpu historìque sur V origine et le développement des métìiodes en geometrie (1), ed il Sig. Guglielmo Libri in varii luoghi della sua Histoire des sciences mathématiques en Italie (2), affermano che il Trat- tato dei numeri quadrati di Leonardo Pisano ò per- (i) (f Les ouvrages de Fibonacci, dont on rec'onh'a'it'auìonrd'litli » toule l'imporlance , sont cependant encore inédils ; les manu» » scrit, en sont trt;s — rares ; et le traile des nombres carrés est » déjà perdii, depuis une soixantaine d'années. » ( AperfU historì- que sur C origine , et le développement des méthodes en geometrie particuUèrement de celles qui se rapportent à la geometrìe mo- derne, suivi d'wn tnémoire de geometrie sur deux principes géneraux de la science, la dualité et Chomographie--, par M. Chasles, ancien élève del'École Polytechnique. Bruxelles, M. Hayez, Imprimeur de VAcadémie Royale, 1837, in 4°, pag. ò20). (2) Histoire des sciences mathématiques en Italie, depuis la re- naissance des lettres jusqu'à la fin du dix-septième siede, par Guil- laume Libri. A Paris, Chez Jules Benouard et C.'«, Libraires, Rue de Tournon, n.» 6, 1838—1841, 4 tomi, in 8", t. I, pag.X, nota (1); t. II, pag. 27 e 40. 24 (luto. Ora si può con sicurezza asserire che il te- sto latino incompleto di quest'opera si trova mano- scritto nel soprammentovato Codice E. 75. Parte su- periore della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Fu ignoto finora Tanno nel quale Leonardo Pi- sano compose il soprammentovato Liber quadrato- rum. Il Professore Giovanni Battista Guglielmini in una delle note al suo Elogio di Leonardo Pisano di- ce di non sapere che Vopera de' numeri quadrati di questo autore abbia data (1). Il Sig. Libri parlando di quest'opera stessa dice (2): « on ne connaìt pas » bien l'epoque à laquelle il écrivit ( Léonard P'ibo- )) nacci ) cet ouvrage ». Il Sig. Gartz in un arti- colo intorno al medesimo Leonardo inserito nell'En- ciclopedia universale in lingua tedesca pubblicata dai Signori Ersch e Gruber scrive (3): (1) « Dove giova sapere, che l'opera Ae'Numeri quadrati lia ben- » si 5 Dedica, ma non ha Data che io mi sappia ». „5 Not. 7i/ipar. 1., ec. „ {Elogio di Lionardo Pisano recitato neUa grand'Jula deUa Regia Università di Bologna nel giorno XII. No- vembre MDCCCXII, dal Professore G. B. Guglielmini, Elettore del Collegio de'Dotti, Cavaliere della Corona di Ferro , e Membro del Jìegio Istituto {Bologna per Giuseppe Lucchesini MDCCCXIII), in 8", pag. 215, Not. hhh.) (2) Hisloire des sciences mathématiques en Italie, t. il, pag. 24 e 2S. (3J « Ez schrieb aiich, man weiss aber nicht zìi welcher Zeit ^), » eine Abhandlung uber die Quadratzahlen, welche er dera Kaiser V Friderich II. ziieignele, » etc. „ 8) Guglielmini (a. a. 0. S. iio) glaubt dles Werk ins J. laSo setzen ,, zu rausseo, allein ohne voliig iiberzeugende Griinde. „ [Allgemeine En- cyklopuedie der fFisscnscho,ften und Kunste in alphabetischer Folge von gcnannten Schriftstellern bearbeitet und herausgegeben von J. S. Ersch undJ. G. Gruber Mit Kupfern und Charten.Erste Section A — G. Herausgegeben von J. G Gruber. Leipzig F.J. Brockaus. 1818 — 1851 ; 53 tomi, in A", tomo XLllI ( Dreiundvicrzigster Tlieil] , pag. 443, col. i, articolo Fibonacci). 25 « Egli (Leonardo Fibonacci) scrisse, ma non si » sa in qual tempo ^) un trattato de' numeri qua- » drati, che egli dedicò a Federico II. 8) « Il Guglielmini (l. e. p. 210) crede doversi porre quest'opera » nell'anno 1250, ma senza ragioni pienamente convìncenti ». In uno scritto intitolato Leonardo da Pisa , o Leonardo Fibonacci, stampato in Firenze nel 1850, dalla pagina 335 alla pagina 341 del sesto volume di un'opera intitolata / Benefattori dell'umanità (1), si legge (2) : « Di ciò che facesse Lenardo (sic) tra )) gli anni 1202 e 1220 non si sa : ma ben si sa » che il 1220 pubblicò un' altra opera intitolata: - )) Pratica della Geometria, - e dedicata da esso a un » tale maestro Domenico, del quale noi non cono- )) sciamo che il nome. Il quale lo presentò poi al- » l'Imperatore, che gli usò tali accoglienze, che me- » rito gl'intitolasse Leonardo un'altra opera sua: - / » Numeri quadrati: - composta verso il 1 250, come )) debolmente congettura il Guglielmini. » Due manoscritti dimostrano, che il Liher qua- dratorum di Leonardo Pisano fu da lui composto nel 1225. Uno di questi manoscritti è il sopracci- tato Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore, giac- ché nel i^eclo della carta 19 di questo Codice si legge : Licipit liber quadratorum conpositns a Leo- (1) Questo scritto è firmato così: « Il Compilatore X.Y. -nil Be- nefattori delV umanità , ossia vite e ritratti degli uomini d' ogni paese, e d'ogni condizione, i quali hanno acquistato diritto alla pub- blica riconoscenza , opera pubblicata in Francia dalla Società Montyon e Franklin, ed ora per la prima volta in Italiano tra- dotta, e di giunte ampliata. Firenze presso Luigi Bucci e Comp. Editori 1843—1830, 6 volumi, in 8° grande, voi. VI, pag. 341). (2) / Benefattori dell'Umanità, voi. VI, pag. 336 e 337. 26 » nardo pis. Anni M. CC. XX\. » L'altro è il Codice Urbinate n° 291 della Biblioteca Vaticana, giacché nel recto della carta 104 di questo Codice si leg- ge : « Inchomincia lo libro de numeri quadrati corn- ■» posto da lunardo pisano in 1225: » Sotto que- sto titolo trovasi nel codice medesimo tradotta in lingua italiana una parte dell'anzidetto Liber qua- (Iratorum di Leonardo Pisano. Nel recto della carta 19 del Codice Ambrosiano E. 75. Parte superiore si legge : Incipit liber qiiadratorum conpositus a Leonardo pis. Anni M. CC. XXV. Cum Magister dominicns pedibus celsitudinis ve- sire, princeps gloriosissime domine F., me pisis du~ ceret presentandum, occurrens Magister Johannes pa- normitanus questionem milii proposuit infrascriptam , non minus ad geometriam, quam ad numerum perti- nentem, ut invenirem numerum quadratum, cui quin^ que additis vel diminutis, semper inde quadratus nu~ merus oriretur. Super cuins questionis solutione a me iam inventa considerans, vidi quod habebat originem solatio ipsa ex multis que quadratis, et inter quadratos numeros accidunt. Nuper autem cum relationibus pisis positis, et aliorum reddeunlium (sic) ab imperiali cu- ria, intelleximus, quod dignatur vestra sublimitas (sic) Maiestas legere super librum quem conposui de nu- mero, et quod placet vobis audire aliquotiens sublili- tates ad geometriam et numerum contingentes , re- memorans in vestra curia, et a vestro philosopho sti- prascriptam milii propositam questionem, ab ea sum- psi maleriam , et opus incepi ad vestrum honorem 27 condere Infrascriplum, quod vocari libnim volul qiia- dnUontm, veniam postulans patienler si quid in eo- dem plus, vel minus insto ^ vel necessario continelur , ctim omnium Imbeve memoriamo et in nullo peccare sit divinitatis potius quam humanitatis , et nemo sit vitio carenSi et undiqiie circumspectus. Il testo latino di questa lettera dedicatoria del Liber quadratorum, ed una traduzione italiana del- la dedicatoria medesima, si leggono anche nel re- cto della carta 475 del Codice L. IV. 21 della Bi- blioteca Pubblica Comunale di Siena. Il principe, a cui questa lettera fu indirizzata da Leonardo Pisano, è certamente Federico II d'Hohen- staufen vigesimosesto imperatore di Alemagna. In prova di ciò è da notare , che il nome di questo imperatore trovasi indicato per mezzo dell'iniziale F. di questo nome in principio della dedicatoria mede- sima, tanto nel Codice Ambrosiano E. 75. Parte su- periore, quanto nel Codice L. IV. 21 della Biblioteca Comunale di Siena ; giacché in ciascuno di questi due Codici questa dedicatoria incomincia così : Cum Magister dominicus pedibus celsitudinis vestre, princeps gloriosissime domine F., me pisis duceret presentan- dum (1). Leonardo Pisano nella sua opera intitolata : Flos super solutionibus quarundam questionum etc. scrive : (1) Codice Ambrosiano E. 1^. Parte superiore, carta 19, recto. — Codice L. ly. 21 della niljlioleca Pubblica Comiiaale di Siena, car- ta 475;, redo. 28 /i7 cum diutiiis cogitassem umle oriebatur predicle qiiestionis solutio, inveni ipsam habere originem ex mitltis accidentibiis qiie accidunl quadratili mimeris et inter quadratos numeros, quare hinc sumens materiam, Ubellum incepi conponere ad vestre maiestatis celsi- tudinis gloriam, qiiem Ubellum quadratorum intitidavi, in quo continebuntur rationes et probationes geometrice soluiiones questionis prediate , et multarum aliarum qiiesliomim solutiones, quem habere poterit vestra in- mensilas si celsitudini vestre placuerit (1). Ciò deve essere stato scritto da Leonardo Pisano nel 1225, o prima, giacché si è dimostrato di sopra (2), che egli nel 1225 compose il suo Liber quadratorum^ da lui qui menzionato. È da notare che poco prima Leonardo Pisano nel medesimo suo Flos dice d'aver tenuto alla pre- senza dell'imperatore Federico II in Pisa un lungo ragionamento di cose relative alla scienza dei nu- meri, con maestro Giovanni da Palermo filosofo di quest'imperatore (3). Più oltre Leonardo nell'opera stessa dice a questo principe: Hec ilaque questio, do- mine serenissime imperator in palatio veslro pisis, co- ram vestra maiestatey a magistro Johanne panormitano mihi fuit proposita (4). Quindi è certo che l'impe- ratore Federico II fu in Pisa nel 1225, o prima. Raffaello Roncioni, erudito Pisano nato circa il (1) Codice Ambrosiano E. lo. Parte superiore, carta 1, verso. (2) Pag. 23 e 26. (3) Vedi sopra pag. 18, lin. 1 — 4. (4) Codice Ambrosiano E. 7S. Parte superiore, carta 6, verso ; \edi sopra png. 10, lin. 20 — 22. 29 1550 (1), e morto ai 25 di maggio del 1619 (2), nel libro nono delle sue Istorie Pisane, e sotto Tan- no 1220 scrive: u In questo medesimo anno, l'im- )) peratore Federigo avendo nella Germania , e in )) altri luoghi sottoposti al suo imperio, debellati e )) vinti molti suoi nemici, e perciò pacificatone per )) tutto il suo regno; disegnò di venire in Italia, e » coronarsi in Roma. Pertanto, inteso primieramente )) per lettere e imbascerie il volere di papa Onorio, » partendosi d'Alamagna, e facendo il suo viaggio » per Lombardia, doppo aver visitala come impe- » ratore quella provincia; se ne venne in Pisa, e vi )) fu ricevuto con le ceremonie e solennità che si )) sogliono usare. Essendovi dimorato molti giorni, )) mandando la sua gente per terra, con venticin- » que galere pisane si condusse al porto d' Ostia : )) dove fu incontrato da due cardinali legati del pon- » tefice, e da molti altri signori e baroni; dai quali )) con gran feste, e trionfo fa condutto a Roma, e » solennemente coronato ai ventidue di novembre, )) l'anno della nostra salute MCCXX, da papa Ono- » rio; e altri dicono da Ugolino cardinale, e vescovo )) d'Ostia, che di sua commissione fece questa ce- » rimonia, e coronazione )> (3). Se si potesse })rc- (1) archivio Storico Italiano, ossia raccolta di opere e documenti finora inediti, o divenuti rarissimi risguardanli la storia d'Italia. Firenze, Gio. Pietro Vicusseux, Direttore — Editore al suo Gabi- netto Scientifico — Letterario 18^2 — 1832, 16 tomi, in 18 volumi, in 8°, t. VI, parie prima, pag. X. — Il tomo sesto del citato ar- chivio Storico Italiano è diviso in due parti. Anche il tomo decimo- sesto deW^rchivio medesimo è diviso in due parti. (2) archivio Storico Italiano, l. VI, parte prima, pag. XX, no- ta (1). (3) archivio Storico Italiano, t.VI, parte prima, pag. 48o e 486. 30 stare cieca fedo a ciò che il Roncioni qui dico, do- vrebbe credersi, che nel 1220 l'imperatore Federi- co II dimorasse molti giorni in Pisa prima di con- dursi a Roma per essere incoronato dal Sommo Pon- tefice Onorio 111 ; e però sarebbe molto probabile, che durante questa dimora del medesimo Federico li in Pisa, Leonardo Pisano avesse colà tenuto , alla presenza di questo imperatore , quel ragionamento di cui si è parlato di sopra (1). Per altro il Sig. Pro- fessore Francesco Ronaini, in una sua nota al so- praccennato passo del Roncioni scrive : « Federigo » era coronato nell'anno comune 1220. V. Chron. » Var. Pis. {Marat., S. R. /., VI. 192). Non trovo )» scrittore il quale dica che esso si trasferisse in » Pisa prima della sua coronazione, e che i Pisani » lo accompagnassero colle lor navi fino al porto » di Ostia. V. Muratori, Ali. 1220 » (2). L'Arciprete Raffaello Roncioni prese a scrivere le soprammentovate Istorie Pisane non prima del 1592. Il Sig. Professore Francesco Ronaini ciò at- testa scrivendo (3) : « Penso che non venisse in » luce (l'Arciprete Raffaello Roncioni) prima del mil- » lecinquecentocìnquantasette , non potendosi dire » (come sarà dimostrato ) che si facesse a scrive- )) re le Istorie prima del millecinquecentonovanta- « due ». In altra nota alla Prefazione sopraccitata del Sig. Professore Francesco Ronaini si legge : » Tutto conduce a credere che il Pioncioni si fa- ll) Pag. 28, lin. 13—20. (2J archivio Storico Italiano, l. VI, parte prima, pag. 486, nota, i'i) udrchivio Storico Italiano, t. VI, parte prima, pag. X, nota (tj, Prefazione del Sig. Prof. Francesco Bonaini. 31 )) cesse a comporre le Istorie nel millccinquecento- )) novantadue. L'Autore della Vita di lui manoscritta, )) inserita nel Codice Palatino di N." 723, vuole che » fossero compiute nel milleseicentoquindici. Nel- )) l'autografo della casa Roncioni avvi prova certis- )) sima ch'erano perfezionate nove anni innanzi )> (1). Poscia il Sig. Prof. Francesco Bonaini riporta un attestato di Tiburzio Mealdi De' Rossi Sanese, ca- nonico, e sommo Penitenziere della Chiesa Metro- politana di Pisa, nel quale questi dichiara di avere con diligenza e atlenlamente rivisto i sedici libri del- ristorie Pisane delV Illustre e Molto Reverendo Sig. Raffaello Rondoni, canonico Pisano (2). Questo atte- stato ha la data dei 10 di giugno del 1606, allo sti- le pisano (3). Quindi è certo che ai 10 di giugno del 1606 (stile pisano) le Istorie Pisane dell' Arci- prete Raffaello Roncioni erano interamente com- piute. Dall' opera del Sig. Buhmer intitolata Regcsla Impera inde ah anno MCCXVIII usque ad anmini MCCLIV. apparisce, che l'imperatore Federico II ai 31 di luglio del 1220 era apud Auguslam (4), ai 13 di settembre dell'anno stesso apud Veronam (5), ai 16 dello stesso mese di settembre apud laciim de Gar- da (6). Il celebre Lodovico Antonio Muratori nella (1) Archivio Storico Italiano, t. VI, parte I, pag. XIV, nota (2). (2) Archivio Storico Italiano I. e. (3) Archivio Storico Italiano I. e. (4) Pag. 110. (o) L. e. (fi) L. e. 32 Parte Prima della sua opera intitolata: Antichità Estensi ed Italiane, riporta un decreto nel quale l'Imperatore Federico 11 d'Hohenstaufen ordina al Comune di Padova di non ingerirsi nella giurisdi- zione d'Este, Calaone, Montegnana, ed altri stati di Azzo Marchese d' Este. Questo decreto ha la data seguente : T)at. apud Sanctum Leonem in caslìispro- pe Mantuam Anno Dominicae Incarnationis Millesimo Diicentesimo Vicesimo, Quinto decimo Kal. Octobris. Indictione Nona. Piegnante Domino nostro Friderico Dei gratia Illustrissimo Romanonim Rege semper Au- gusto, et Rege Siciliae, Anno vero Romani Pregni ejus in Germania Octavo , et in Sicilia Vicesimo tertio , feliciler. Amen, (l)cioò : « Dato in San Leone negli » accampamenti presso Mantova nell'Anno dell'ln- » carnazione del Signore 1220, ai 17 di settembre, » nella nona Indizione. Regnando il nostro Signore » Federico per la Grazia di Dio Illustrissimo Re )) dei Romani, e Re di Sicilia, nell'Anno del suo » Regno Romano in Germania ottavo, ed in Sicilia » vigesimoterzo, felicemente. Amen «. 11 Canonico Antonio Maria Manzoni nella sua opera intitolata Episcoporum Corneliensium sive Imo- lensium Hisloria ha dato in luce un decreto , nel quale l'Imperatore Federico 11 di Hohenstaufen con- ferma tutto ciò che Corrado di Metz , vescovo di Spira, e cancelliere imperiale aveva ordinato qualche tempo prima in favore della Città di Imola, e con- (1) Delle Anllchilà Estensi ed Italiane. Trattato di Lodovico An- tonio Muratori. In Modena Nella Stamperia Bucale 1717 — 1740, 2 lomi, in foglio, parie prima, pa({. 4(5, capitolo XLI. 33 tro il comune, e gli abitanti di Faenza. Questo de- creto ha in principio la data seguente : Anno a na- tivitate Domini ducentesimo vigesimo supra millesimum indictione octava die dominico Kalendis octobris. In episcopatu Maniuae prope sedem et exercitum rega- lem (1). II Sig. Bòhmer avverte (2), ch'egli qui so- stituisce : XII Kal. Oct. cioè 20 di settembre. Il P. Francesco Antonio Zaccaria della Compa- gnia di Gesù, nella sua opera intitolata: Anecdoto- rum meda Aevi maximam partem ex Archivis Pisto- riensibus collectio, riporta un diploma nel quale l'Im- peratore Federico II. d' Hohenstaufen nomina suo Vicario generale in Toscana Averardo de Lutra. La data di questo Diploma nell'opera suddetta del P. Zaccaria trovasi indicata così : Datum in ca- stris in Episcopatu Mantue prope Gode. MCCXX un- decimo Kalendas Octobris, Indict. octava (3), cioè : (1) Episcoporum Corneliensium sive Imolensium Historia aulhore Antonio Maria Manzonio J. U. D. Cathedralis ecclesiae Imolensis canonico. Faventiae MDCCXIX. Ex praelo losephi Antonii Archi Impress. Cameralis ac S. Officii. Praesidum facultate, in 4° , pag. 162. (2) L. e. (3) Anecdotorum Medii Aevi maxìmam partem ex Archivis l'i- storiensibus Collectio a Francisco Antonio Zacharia Societatis Jesu, Nunc Estensi Bibliothecae Praefecto, adornata. Augustae Taurino- rum MDCCLF. Ex Typographia Regia. Superiorum permissu, in fog., pag. 30.- Il suddetto diploma dei 21 di Settembre del 1220 fu anche stampato nel 1777, in Firenze, nel duodecimo dei ventidue opuscoli dell'Abate Ippolito Camici , Priore di S. Bartolommeo a Quarata, che formano la Seconda Parte della Serie degli antichi Du- chi e Marchesi di Toscana, la prima parte di questa Serie essendo stala composta dal Capitano Cosimo della Rena, e pubblicata in Fi renze nel 1690. {{Novelle letterarie pubblicate in Firenze dall'anno 1770 al 1792. In Firenze, 1770 — 1792, 23 volumi, in 4°, voi. VII, G.A.T.CXXXI. 3 34 « Dato negli accampamenti nella Diocesi di Manto- » va presso Coito ai 21 di settembre del 1220 ». Goito è un borgo del Regno Lombardo-Veneto a tre leghe Nord-Ovest da Mantova, e sulla riva de- stra del Mincio (1). Il Padre Giovanni Domenico Mansi nel suo Ap- pendice al tomo primo della Miscellanea di Stefano Baluze riporta un Decreto dell'Imperatore Federico II. d'Hohenstaufen, nel quale questo principe dichiara nulli tutti gli statuti contrarli alla libertà della Chiesa e degli Ecclesiastici. Questo decreto ha la data se- guente : Datum in Castris apnd S. Leonem anno Do- Niim. U, col. ìli, e. voi. IX, Nura. 2G, col. 401). In questa ri- stampa del sopraccilato diploma dei 21 di Settembre del 1220 la data del diploma medesimo è indicata così : Datum in castris in Epatu Manine , prope Gode MCCXX. ùndecimo Kal. Octobris, Indictione FUI ( Serie de' Duchi e Marchesi di Toscana di I. C. A, A. dedicati all' Illustrissimo Signore Francesco De" Rossi Pa- trizio Aretino Commissario della Città di Cortona. In Firenze MDCCLXXFII. Nella Stamperia già Albizziniana all'Ins. del Sole. Con licenza de'Superiori, in 4°, pag. 31 della seconda numerazione). Questo Diploma fu ristampato in Firenze nel 1789, nel tomo sesto de'suddetti venlidue opuscoli dell'Abate Ippolito Camici riordinati e pubblicati dall' Abate Agostino Cesaretti. In questa ristampa la data di esso diploma è indicata così: Datumin castris in Epatu Mantuae, prope Gode MCCXX. ùndecimo Kal. Octobris, Indictione FUI- {Serie Cronologico — Diplomatica degli antichi Duchi e Marchesi di TO' scana del capitano Cosimo Della Rena con iupplemento e note del- l''Ab. Ippolito Camici riordinala e pubblicata dall'Abate Agostino Cesaretti. Firenze MDCCLXXXIX. Con Approvazione, 6 tomi, in 4°, t. VI, pag. 31, della prima numerazione.) (1) Nuovo dizionario geografico universale statistico —storico — commerciale, f'enczia 1820. Dai tipi di Giuseppe Antonelli Ed Li- hrajo — Calcografo, 4 tomi, in 8°, l. II, pag. llo9, col. 2, articolo corro. — Bòhmer, Regesta Imperli inde ab anno MCXCf'lII usque ad annum MCCHF, pag. Hi. 35 mini Mccxx. indictione ix. viii. Kal. Octobris (l):cioè « Dato negli accampamenti presso S. Leone nel- » l'anno del Signore 1220, nell'indizione ix, ai 24 )) di settembre «. Il Padre x\bate Don Ferdinando Ughelli, nella sua opera intitolata Italia Sacra, riporta un Diploma col quale l'imperatore Federico II dichiara di prendere sotto la protezione sua e del suo regno la chiesa, il vescovo, il capitolo, e tutto il clero di Modena. Questo diploma nella prima edizione della suddetta Italia Sacra ha la data seguente: Datum in castris apnd Rhemirn quinto nonas octobris indici, nona, millesimo du- centesimo vigesimo (2), cioè(( Dato negli accampamen- » ti presso il Reno (3), ai 3 di ottobre del 1220, nell' » Indizione nona d. Nella seconda edizione dell'/fa/fa Sacra dell'Ughelli questa data trovasi indicata così (4): (i) Stephani Baluzii Tutclensis Miscellanea novo ordine digesta, et non paucis ineditis monumentis opportuni sque animadversionibus aucta opera ac studio Joannis Dominici Mansi Lucensis. Lucae, 1761 — 1784. Apud Vincenlium Junctinium. Superiorum permissu. Sumplibus Joannis Riccomlni. 4 tomi, in fog., t. \, pag. 441, col. 2. (2) Italia Sacra sive de Episcopis Italiae, Et Insularum adiacen- tium, rebusque ab iis praeclarc gestis, dcducta serie ad nostrum usque aetatem. Authore D'.Ferdinando Ughello Fiorentino Abbate SS. fincenlij, et Anastasij ad Aquas Salvias Ordinis Cisterciensis — homae 1644—1662, 9 tomi, in fog, t. W, col. 151, B, C, Muti- nenses Episcoiri, 35. (3) Il Reno qui menzionato è un fiume d' Italia , che discenfle dagli Appennini, in Toscana, (provincia di Firenze), traversa nello Stato Pontificio le legazioni di Bologna e di Ferrara , e mette le sne acque tre leghe al S. E. di Ferrara, nel Po di Primaro. {Nuovo Dizionario geografico universale statistico— storico — commerciale , t. IV, pag. 1523, col 1, articolo REiNO, Rhencs, fiume d'Italia). (4) Italia Sacra sive de Episcopis Ilaliae, et Insularum adja- centium, rebusque ab iis praeclare geslis, deducta serie ad nostram 36 Dalum in castris apiid lìhemnn V. Nonas Octobris. Indici. IX. MCCXX. Ai 4- di Ottobre del 1220 rimpei'atore Federi- co II era prope Bononiam, come apparisce dalla data di un diploma diretto in quel giorno da questo prin- cipe ai Genovesi, ed indicato dal Sig. Bòhmer (1). 11 Padre Abate Don Ferdinando Ughelli riporta nella precitata sua opera un diploma nel quale l'Im- peratore Federico II dichiara di prendere sotto la protezione sua e del suo regno Alberico vescovo di Sarsina, la chiesa di questo vescovo, ed i suoi beni. Questo diploma nella prima edizione della Italia Sacra dell'Ughelli ha la data seguente : Datnm in castris prope Fauentiam anno Dorninicae Incarnationis millesimo ducentesimo vigesimo mense octobris indi— elione oclana, Regnante domino nostro Federico Seciin- do Dei gratia, illustrissimo Romanoriim Rege semper Augusto, et Rege Siciliae anno Romani Regni, et in Germania odano, et in Sicilia 23. feliciter Amen (2), cioè « Dato negli accampamenti presso Faenza nell' « anno dell'Incarnazione del Signore 1220, nel mese » di ottobre, nell'Indizione ottava. Regnando il nostro )) Signore Federico Secondo per la grazia di Dio usque aetatem. Auctore D. Ferdinando Ughello Fiorentino Abbate SS. Fincentii,et Anastasii ad Aquas Salvias Ordinis Cisterciensis, Edilio secunda, aucta et emendata, cura et studio Nicolai Coisti, Ecclesiae S. Moysis Fenetiarum Sacerdotis Alumni. penetiis, Apud Sebastianum Co«e cap. o. 48 » phavili quod ad magnani gloriam cessit Ordinis, et » honorem. Haec Snlanacus. Eadem habent Leander » Albertus lib. 5 virorum Illiistr.(l).Taegius 1 par.Mo- (1) Fra Leandro Alberti Domenicano, qui menzionato dal Padre Tommaso Malvenda, nacque in Bologna nel 1479 [Scriptores Or- dinis Praedìcatorum recensiti, notisque historicis et criticis illu- strati, .... Inchoavit R. P- F. Jacobus Quetif S. T. P. absolvit fi. P. F. Jacobus Echard, ambo convenlus SS. Annunciationis Parisien- sis ejusdcm ordinis sodales. Luletiae Parisiorum, 1719 — 1721,2 to- mi, in foglio,!. Il, pag. 137, col. 2, articolo F. LEANDER ALBER- TL contrassegnato colla crocetta f ). In età di circa sedici anni vestì l'abito religioso dei Domenicani ai 26 di Dicembre del 1493 nella medesima città di Bologna {PP. Quetif et Echard F. e). Un' opera del medesimo Fra Leandro Alberti intitolata De viris illustri - bus Ordinis Praedìcatorum, e divisa in sei libri, fu stampata in Bo- logna nel 1317. Questa edizione è in foglio di 263 carte, numerate tutte nel recfo, salvo la prima, e le carte 12% 51% 52', 02% 63^,64», 73% 129% 130% 153% 156% 238% 239% 260^ Questa numerazione procede cosi: 3,3— H, 13—30, 33—61,63—67, 56, 69—72,74—86, 78,88—128, 131-154,137-186, 185, 188—197, 298, 199-219, 202, 221—237, 239-231, 230, 233—258, 261—268. L' edizione medesima contiene le segnature A — k, L — Z h, AA — kk, LL — SS. tutte terni, salvo II e QQ che sono quaterni, e TT che è duerno. Sul recto della prima carta di questa edizione si legge : DE VIRIS ILLVSTRIBVS ORDINIS || PRAEDICAIORVM LIBRI SEX || IN VNVM CONGESTI AV || TORE LEANDRO AL (1 BERTO BONO ISIEN II SI VIRO CLARIS, || SIMO. Nel recto della carta 268 dell' edizione medesima si legge: » Libri sex De Viris Illustribus ord. » Praedicatoru nuc editi autore Leadro Al (| berlo Bononiesi eius- » dem ordinis foeliciter aeneis caracteribus impressi i) suot Bono- » niae in aedibus Hieronymi Plalonis ciuis Bononiensis || expensis » Jo. Baptistae Lapi ciuis et Bibliopolae Bonon. [j Leone x. Pont. V Max. Ecclesiae Rom. habenas mode j| rate anno Domini, mdxvii. ìiì. « Cai. Mar. » || A carte 183 verso di questa edizione, e nel quin- to libro dell'opera suddetta di Fra Leandro Alberti, trovasi nar- rata la disputa di Fra Rolando da Cremona con Teodoro filosofo dell' Imperatore Federico II. — Tutti gli articoli che nell'ope- ra dei Padri Quetif ed Echard intitolata Scriptores Ordinis Prae- dicatorum ec si trovano contrassegnali con una crocetta di que- sta forma f, sono in parte del P. Jacopo Quetif , ed in parte del 49 )> numentorum Ordinis (l),Razzius lib. de Beatis (2), P. Jacopo Echard. Ciò il medesimo P. Jacopo Echard avverte nella Prefazione all'opera stessa dicendo : Ubi vero ad annum juìujitur crucula, liaec partim ex adversarìis dicti Jacobi Quetif, partùn ex ampUoribus noHliis niiunde mea dUigentia collectis concinnata esse noveris. [PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, t. ì, PraefatiOy carta 5.^ non numerala (segnata à iij) verso). (1) Ambrosio Taegio, Domenicano Milanese, che viveva nel 1317 {PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, t. II, pag. 35, col. 1, articolo F. AMbliGSIUS TAEGWS , contrassegnato colla crocetta -j-J, compose una Cronaca Generale dell'Ordine de'Pre- dicatori, in sei volumi, in foglio, che nel secolo scorso esisteva ma- noscritta nel convento di Santa Maria delle Grazie di Milano {PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, l. Il, pag. 3S, col. i e 2, articolo F. AMBROSIUS TAEGIUS.—Philippi Argela- ti Bononiensis Bibliotheca Scriptorum Mcdiolanensium. Mediolani, MDCCXLF. In acdibus Palatinis, Superìorum permissu, 2 tomi, in fog., t. II, col. 1471, C, D, E, articolo MDCLXVl.). I Padri Quetif ed Echard parlando di questi sei volumi iìiconoiScriptorcs Ordinis Prae- dicatorum. t.II, pag.35, col. 2, articolo/^. AIMBROSWS TAEGWS). « Ea vero sunt quae vulgo a noslris cilantur sub titulo Monu- » mentorum ordinis, et quorum volumen primum dicitur prima » pars, et sic de aliis ». Quindi è chiaro che il primo de' volumi qui menzionati è ciò che il P. Malvenda nel soprarrecato passo de'suoi Annates Ordinis Praedicatorum chiama « 1. par. Monumen- « lornm Ordinis. u (2) Il Padre Serafino Razzi, Fiorentino, nato ai 16 di Decembre del IS30 {PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, t.M, pag. 386, col. 1, articolo F. SERAPHINVS RAZZI, contrasse- gnato colla crocetta f) prese l'abito religioso de'Domenicani ai 28 di giugno del 1349 {PP.Quetif et Echard, 1. e). Compose un'opera inti- tolata nie de Santi e Beati del sacro Ordine de' Frali Predicatori,L\eUa quale si hanno tre edizioni, indicate dai Padri Quetif ed Echard, {Scriptores Ordinis Praedicatorum, l. II, pag. 387, col. 2, art. cit.), l'ultima delle quali è del 1603. In una di queste vite intitolala nta del Beato Rolando Cremonese, il P. Serafino Razzi narra la di- sputa di Fra Rolando da Cremona con maestro Teodoro filoso- fo dell'Imperatore Federico II. {fite de i Santi, e Beati del Sacro Ordine de' Frali Predicatori, con huomini, come donne. Con aggiun- ta di molle vile, che nella prima impressione non crono. Scritte dal O.A.T.CXXXI. A 50 » Castillus lil). j.cap. 37. (1) Michael Pius lib. 1. » viroium lUustr. colum. 187 (2). Qui cum asse- » rant contigisse praedicta , obsidente Friderico )) Brixiam, constai ex auctoribus hoc anno 1238. » Fridericus Brixiam obsidione cinxisse ». fi. P. Maestro Serafino Razzi delVistesso ordine, e professo di San Marco di Firenze- Con Licenzia De'Signori Superiori. In Firenze JSella Stamperia di Bartolomeo Sermartelli. MDLXXXFIII. 2 to- mi, in 4°, Parie prima, pag. 97 e 98). A questo passo adunque Uelle T'ite medesime allude il P. Malvenda dicendo Razzius lib. de Beatis (Vedi sopra, pag. 49, lin. 1.). (1) Ferdinando De Caslillo, Domenicano Spagnuolo, prese l'abito religioso de'Domenicani in Valladolid ai 17 di settembre del I54.'i {PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum,\.. \\, pag. 308, col. ì, articolo F. FERDINANDUS DE CASTILLO contras- segnato colla crocetta \) e morì in Madrid ai 29 di Marzo del lo9l> (PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatormn, t. H, pag. 309, col. 1. art. cit.). Nel 1384 fu stampata in Madrid un'opera del medesimo P. De Castillo in lingua spagnuola intitolata "• Primera par- n te de la Historia General: de Sancto Domingo, y de su orden de » Predicadores. » cioè « Prima parte della storia generale di San „ Domenico e del suo ordine dei Predicatori ». In questa prima parte trovasi accennata la disputa di Rolando Cremonese con maestro Teodoro filosofo di Federico II. {Primera parte de la hi- storia General: de Sancto Domingo, y de sti orden de Predicadores. Por el Maestro Fray Hernando de Castillo. Con privilegio. Impres- sa en Madrid en casa de Francisco Sanchez. Ano de. 1584, in log. carta 73, verso, col. 1, lib. 1, cap. XXXVIl.) (2) Fra Giovanni Michele Piò, religioso Domenicano, nativo di Bo- logna, fu detto in lingua latina Plodius {PP. Quetif et Echard, Scri- ptores Ordinis Praedieatornm, t. Il, pag. 340, col. 1, articolo F. JOHANNES MICHAEL PIO, contrassegnato colla crocetta f). Nel 1589 egli fece i voti dell'Ordine de'Predicatori ( PP. Quetif et E- chard, l.o.), e morì circa il 1644 {PP. Quetif et Echard, Le) Una sua opera stampata in Bologna nel 1607 sotto il titolo seguente Delle Ute degli huomini illustri di San Domenico, parte prima, fu ristam- pata in quella medesima città nel 1620 sotto questo titolo: Delle vi- le degli huomini illustn di San Domenico, libri quattro. In ciascuna di tali due edizioni quest'opera è divisa in quattro libri, nel primo 51 E da credere che il Magister Theodorus qui men- zionato sia quello stesso Magister Theodorus, al quale Leonardo Pisano diresse 1' Epistola riportata di so- pra a pagine 20, e che prapose anche allo stesso Leo- nardo il problema , che trovasi nel Codice Ambro- siano E. 75. Parte superiore, sotto il titolo di Que- sito niiki proposila a Magislro Theodoro domini impe- ratori s pììyìosopho (1), e nel Codice L. /F. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena sotto il ti- tolo di Qnestio miìii proposila a Magislro theodoro domini Inperatoris dignissimo philosopho (2). L'anonimo Monaco Padovano di S. Giustina, che fiorì intorno al 1256 (3), nella sua opera intitolata Chronicon de rebus gestis in Lombardia praecipue , et Marchia Tarvisina ab Anno 1207 usque ad An- dei quali trovasi narrata la disputa di Rolando Cremonese con Teo- doro filosofo di Federico li [Delle vite degli huomini illustri di S. Domenico Parie Prima. Oue compendiosamente si tratta de i Santi, Beati, e Beate, Pontefici, Cardinali, Patriarchi, e Ficecancellieri dell' Ordine de' Predicatori. Con due copiose Tauole, l'vna delle cose più notabili, l'altra de gli Huomini Illustri, contenuti nell'Opera. Di F. Gio. Michele Piò Bolognese Lettore Teologo Domenicano. In Bologna. Appresso Gio. Ballista BcUagamba M. DC. FU. Con licenza de'Su- periori, in fog., col. 183, lib. I, n.° 9. — Delle vite degli huomini illustri di S. Domenico libri quattro. Oue compendiosamente si tratta de i Santi, Beati, & Beate, & altri di segnalata bontà dell'Ordine de' Predicatori. Di nuouo ristampata, ricorretta, di molte vite accre- sciuta, et con alcune annotationi ampliata. Di Fra Gio. Miche- le Più Bolognese, Maestro in Theologia, Domenicano della Prouin- cia deH'vnn, h l' altra Lombardia. In Bologna, M. DC. XX. Per Sebastiano Bonomi. Con Licenza de'Superiori, iii 4", col. 83, A, B, «;., libro I, mini. 5.^)). (1) Vedi sopra pay. 44. lin. 9 e 10. (2) Vedi sopra pag. 44, lin. 19 e 20. (3) Biografia degli Scrittori Padovani di Giuseppe l edova. Pado- va, coi tipi della Minerva, 1833 — 1836, 2 volumi, in 8», V4»l. I. pag. filo, articolo .MO.NACO padovano. 52 mim 1270, scrive: Anno Domìni MCCXXXVIII. Co- mes Geveardus de Saxonia, nuncms Impemtoris, ve- rni Paduam, et pietate commotus super justis quere- lis Ahhalis Sanctae Justinae, snum Monasterium Ab- bati restituita rcmovens inde custodes, et procuratores, quos ibi posiierat Ecelinus. Cum et Mediolanenses pa- cem Imbeve cum Imperatore condiiionaliler poslida- rent, Imperator noluit eos recipere , nisi omni con- ditione remola ; et hac de causa in contumacia per- manserunt. linde Imperator ad debellandum eos cxer- citum praeparavit ; sed primo disposuil amicos eo- rum aggredi Brixienses. Et ita eodem anno Im- perator obsedil Brixiam, a medio Juìio usque ad fe- stum Sancii Micìiaelis, sed civibus viriìiter se defen- dentibus, confusus inde recessit (J). Quindi è chiaro (1) Monachi Patavini Chronicon de rebus gcstis in Lombardia praecipue et Marchia Tarvisina Jb Anno 1207. usque ad annum 1270, liber primus, apiicl Muratori lìerum llalicarum Scriptores, l. Vili, col. 677, C. e D. — Urstisius {Chriatianus) (Wursleisen (Chri- stian) ) Germaniae Hisloricorum illustrium tomi duo, Francofurdi Apud heredes Andrene JFecheli, MDLXXXF-, 2 tomi, in fog., t. I, pag. 588, e Francofurti ad Moenum, Sumptibus Jacobi Godofredi Seyler M DC LXX, 2 tomi, in log., l. I, pag. SS8. — Albertini Mussati Hisloria Augusta Jlenrici FU- Caesaris et alia, quae ex- tant opera. Laurenlii Pignora vir. dar. spicilegio, nec non Foeli- cis Osij, & Nicolai FUlani, castigationibus, e oliati onibus, & notis illustrata. Quibus opporlunitalis gratta praemissa sunt Chronica Jìolandini, Monaci Paduani, Gerardi Maurisij, Antonii Godij, Nicolai Smeregi, cum supplemento Scriptoris anonymi De rebus gestis in Lom- bardia, et Marchia Tarn! sina,praeser tini vero de his quae attincnt ad Ezerinos, et Albericum de Romano, Fita Riccardi ComitisS. Bonifa- cij, ac Laurentij de Monacis Ezerinus III. Succedunt nouissimo loco duo Cortusij De novitatibus Paduac, & Lombardiae, omnia in reip.lit- terariae commodum, et vlilitatem summo studio, ac diligentia ìiunc primum in lucem edita. Cum locupleiissimis Indicibus Capitum, re- rum, et verborum, Cum privilegio. Fenetiis, MDCXXXFI. Ex Typo- graphia Ducali Pinelliana. Superivrum Permissu. in fog , pag. D 53 che secondo il suddetto anonimo Monaco Padovano l'imperatore Federico II d' Hohestaufen tenne col suo esercito assediata la città di Brescia dalla metà di luglio dell'anno 1238 fino ai 29 di settembre del medesimo anno. Tuttavia Jacopo Malvezzi, che co- me avverte il Muratori (1) , fiorì sul principio del secolo decimoquinto, nella sua opera intitolata Chro- nicon Brìxianum ab oriffine urbis ad Annum usque MCCCXXXII, scrive : Igitur Fridericus Imperator XX. millia equitum Alamannorum, cojnosumqiie Ilali- corum exercilum ciim inmimeì^a paene aliarum gentiiim midùtndine ad debellandos Brixienses addiixil. Qui eliam veniens non longe ab eorum urbe in campestri- bus apud fumen Sancii Lucae, hoc est ad Occiduam pariem Civilatis castra metalus est die Martis Icrtia mensis Augusti Anni MCCXXXVIII. Et erectis va- riis bellorum machinis Civitatem ipsam veliementer expugnavit (2). Più oltre, sotto il medesimo anno della seconda numerazione— Thesaurus antiquitatum et historia- ruvi Italiae collectus cura et studio Joannis Georgii Gracvii, et ad fmem perductus a Petra Burmanno. Lugduni Batavorum 1704 — 1723. 9 tomi, in 30 volumi, in fo^., tomi sexti, pars prima, col. 10, E, F, dflla terza numerazione. — Il passo deli' Anonimo Mo naco Padovano riportato di sopra a pagine 52, dalla linea 1 alla linea 15, trovasi quivi riferito come si legge nell' opera del Mu- ratori intitolata Rerum Italicarum Scriptores, etc. Neil' edizio- ne del suddetto Chronicon di questo Monaco data da Cristia- no Wursteisen, nel tomo primo de'suoi Germaniae historici illu- stres, il passo medesimo ha Geuehardu!'< in vece dì Geveardus; caus- sa in vece di causa; exercilum validum praeparavit in vece di exercitum praeparavil, e S. Michaelis in vece di Sancii Michaells. (1) « Floruit Malvecius ineunte Saeculo XV. » {Muratori, Ile- rum Italicarum Scriptores, l. XIV, pag. 773. In Jacobi Malrecii Clironicon Praefatio Ludovici Antonii Muratori) (2) Clironicon Brìxianum ab origine Urbis ad Annum usque MCCCXXXIl. Auctore Jacobo Malvecio, Distinciio septima, cnp. 54 1238, nel suddetto Chronicon Brixianum di Jacopo Malvezzi si legge: Max vero Fridericus Imperator cum per sex dies et menses duos Brixiam ohsideret, ni- hilque se conlra Brixianos gessisse conspiceret, suc- censis tentoriis, ceterisque aedificiis sui exercitus^ sine ullius conquisitione in Cremonensem Civitatem cum qentihus suis reversus est (1). Secondo questo passo del Malvezzi l'Imperatore Federico II avrebbe te- nuto assediata Brescia dai 3 di Agosto del 1238 fino ai 29 di ottobre dello stesso anno. Ludovico Antonio Muratori (2), il Sig. Federico De Raumer (3), ed il Sig. Bòhmer (4), affermano, seguendo il Malvezzi, cbe l'assedio di Brescia fat- to da Federico II incominciò ai 3 di agosto del 1238, e fu tolto ai 9 di ottobre del medesimo anno. Stefano di Salanhac o di Salagnac, nato circa l'an- no 1210, in una piccola città del Poitou (provincia di Francia), in età di circa venti anni prese in Limo- ges l'abito dei Domenicani (5), e morì agli 8 di gen- CXXFIII, apml Muratori, Rerum Itali carum scriptores, t.XIV, col. 911, B. (1) Chronicon Brixianum ab origine Urbis ad Aimum ustjue MCCCXXXII. Auctore Jacobo Malvecio, Distinctio septima, cap. CXXVIII, apud Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. XIV. col. 912, D. (2) Annali d'Italia dal principio dell'Era Volgare sino alfanno MDCCXLIX, voi. XI, pag. 144. (3) GeschicMe der Hohenstaufen und ihrer Zeit, voi. IM, pajj. 62."ì, 626, e 627. (4) Regesta Imperli inde ab anno MCXCf IH, usquc ad anrium MCCLIV, pag. 180 e 181. (3) PI'. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, l. F. pag. 413, col. 1, articolo F.STEPHANUS DE SALANHACO, con- trassegnalo colla crocetta f. — Histoire iittéraire de la France, ou- vrage commencé par dcs Religicux Béìiédictins de la Congrégation de Saint — Maiir, et contìnue par des Membres de l'Institut [Acadé- .J.J naio del 1:^90 (1). Compose un'opera intitolata: Tra- ctalus brevis et devotus devolis de quatuor in quibiia Deus Praedicalorum ordinem insignivil. Primo de borio ac strenuo duce S. Dominico. Secundo de glorioso no- mine Praedicatorum. Tertio de illustri prole. Quarto de securilate professionis (2). Questo scrittore è quegli che dal P. Malvenda nel soprarrecato brano de'suoi An- nales Ordinis Praedicatorum è chiamato Slephanus Salanacus (3), e poscia semplicemente Salanacus (4). Il passo del P. Stefano da Salanhac riportato nel brano medesimo deve essere tratto dalla terza parte del sopraccitato Traclatus brevis di questo autore. 11 suddetto passo di Stefano da Salanhac leggesi anche nel tomo primo dell'opera di Carlo Francesco mie royale des Inscriptions et SeUes — Lettres). A' Paris^ 1733 — 1847, 21 tomi, in 4", l.XX, pag. 37. (1) Bernardo de la Guyoune Domenicano, morto in età di set- tantuii'anuo, ai 29 di Decembre del 1331 {Brevis chronica de vita et moribus ae scriptis et operibus D. episcopi Lodovensis actoris et compila! or is huius libri, qui intitiilatur Speculum sanctorale, apud PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, t. F, pag. 377, col. 1) in un catalogo da lui compilato dei Religiosi Domeni- cani morti nel loro convento di Limoges , scrisse: F. Slepfianus de Salanhaco cognomine et origine, vir totius prudentiae, religionis speculum, opinionis praeclarae in tota provincia, magni consilii, praedicator egregius, gestorum notabilium,, historiarumque ac exem- plorum utilium recollector sedulus, et in tempore opportuno enar- rator facundus et foecundus, affluens gratia et facundia linguae, ex propriis uniuscujusque status, gradus, sexus, et aetatis super omnes generationis nostrae, prior fuit Lemovicensis quartus, item Podien- sis et Tolosanus, quasi scxagenarius in ordine obiit Lemovicis ri. idus januar. A. D. MCCLXxxx. [PP. Quetif et Echard, Scripto- res Ordinis Praedicatorum, t. I, pag. 415, col. 1 e 2). (2) PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatoìum, t. I,- pag. 413, col. 2. — Histoire litféraire de la France, I. e. (3) Vedi sopra pag. 47, lin. 4. (4) Vedi sopra pag. 48, lin. 2. 56 Arisi, intitolata Cremona lilerala (1) , salvo alcune parole , che in quest'opera dell'Arisi trovansi om- messe. Queste parole sono le seguenti : sale condi- nit (2); Eral enim (3); et fra nouerant ed honora- hant (4); Haec Salanacus (5); Pius (6). 11 celebre Cavaliere Abate Girolamo Tiraboschi scrive : « Pare, che egli (Rolando da Cremona) po- » scia passasse a Cremona, perciocché i suddetti PP. » Quetif ed Echard sulla fede di due antichi Scrit- » tori raccontano , che mentre Federigo li. l'anno )) 1238. assediava Brescia, alcuni Domenicani venuti )) dall'esercito Imperiale a Cremona narrarono a Ro- » landò, che un cotal Teodoro Filosofo, ch'era nel )) campo di Federigo, disputando con essi aveali con- » fusi e ridotti a un vergognoso silenzio, e che Ro- » landò mosso da zelo , benché allor travagliato )) dalla podagra, salito tosto su un asino portossi al )) campo, e in una numerosa assemblea venuto a di- )) sputa con Teodoro ne riportò un solenne trion- » lo » (7). I due antichi Scrittori qui menzionati dal (1) Cremona literala, seu in Crcmonenses Doctrinis, et Litcrariis Dignitatibus Eminentiores Clironoloqicae Adnolaliones anctore Francisco Arisio nobilìssimae Palriae suac ordinum conservatore. Parmae, 1702 -170o, et Cremnnac, 1741, 3 (orni , in (ogl., t. I, pag. 102 e 103, omms MCGXllX. (2) In vece di queste due parole nella Cremona lilerala di Fran- cesco Arisi, si legge talem dicil [Arisi, Cremona literala, i. F, pag. 102, linea 39). (3) In vece di queste due parole nella suddetta opera deir.\risi si legge Ealenim {Arisi, 1. e). (4) Arisi, Cremona literata, l. I, pag. 103, lin. 4. (5) Arisi, Cremona literata, t. I, pag. 103, lin. 0. (6) Invece di Pins nella suddetta opera dell' .\risi si legge Plo- dius [Arisi, Cremona literata, l. \, pag. 103, lin. 12). (7) Storia della letteratura Italiana del Cavaliere Abate C.irola- 57 Tiiaboschi, sono il soprammentovato Stefano de Sa- lanhac, e Bernardo de la Guyonne, chiamato in lin- gua latina Bernardus Guidonis (1), e morto ai 29 di Decembre del 1331 in età di settanta o settantun© anni (2); giacché nell'articolo intitolato F. Rolandus Cremonensis dell' opera dei PP. Jacopo Quetif, e Ja- copo Echard intitolata Scriplores Ordini s Praedicato- rum recensiti, notisqne historicis et criticis illustrati , si legge (3) : Salanhacus et Bernardus Guidonis in catalofjo scriptorum: « Cum F. Rolandus semel existens )) Cremonae audisset a Fratribus quilnisdam venienti- )) bus de exerciluFrederici lune obsidentis Bìixiam[i), )) quod philosophus cjus midtum eos confuderal de )) sua philosophia,de qua nesciveranl responderc: suc- )) censns zelo ordinis, dixit, sternite mihi asinum, pa- )ì dagriciis enim erat, et pedes ire non poterai. Quod )ì Clini factum fuisset intrans exercitum super asinum, )) cum qnibusdam Fratribus incepil quaerere ubi esset )) ille philosophus, et congregatis multis qui cum no- vio Tiraboschi Consigliere di S. A. S. Il Signor Duca di Modena, Presidente della Bucai Biblioteca, e della Galleria delle Medaglie, e Professore Onorario nelWniversità della stessa Città. Seconda Edi- zione Modenese Riveduta , corretta ed accresciuta dalC Autore. In Modena 1787 — 1794. Presso la Società Tipografica, 9 tomi , in 16 volumij in 4", t. IV, pag. 141, lib. H, cap. I, paraf}. XXII. — Storia della letteratura Italiana di Girolamo Tiraboschi. Milano, dalla Società Tipografica declassici Italiani 1822 — 1826, 9 tomi, in 16 volumi, in 8", l. IV, pag. 202, libro il, cap. I, parai;. XXII. (1) PP. Quetif et Ecliard, Scriptorcs ordinis Vracdicatorum, (. I, pag. ì)76, col. 2. (2) Vedi la nota (1) della pag. Jjo. (3) T. I, pag. 126, col. 2. (4) In vece di Friderici tunc obsidentis Driociam presso ri P. Malvnida (1. e) si legge : Friderici obsidentis Brixiam tunc 58 » verant et lionirrabani, magnis et ìionomlis verbis [\) » convocalo philosopìio dixit eh Ut scias tu magister » Theodore quod orda Praedicalonim ìiabel philoso- )) phos, ecce do libi coram istis optionem, ut obijcias )) vel respondeas de quacunqiie philosphia (2) vo- » lueris. Qui cum elegisset respondenti obijcere^ ita » gloriose unica disputatione de eo (3) triumphavit , » quod ad magnam gloriam censii ordinis et hono- » rem. » Ciò che i PP. Quetif ed Echard qui dicono essere stato scritto da Stefano da Salanhac e da Ber- nardo de la Guyonne trovasi riportato nel brano so- prarrecato degli Annales Ordinis Praedicatorum del P. Malvenda con piccole varietà [i). Il P. Malvenda, dopo avere riportato il passo di Fra Stefano da Salanhac relativo alla disputa di Rolando da Cremona con maestro Teodoro filosofo dell'Imperatore Federigo II, cita cinque altri scrittori Domenicani che parlano di questa disputa (5). Quat- tro di questi scrittori ci fanno conoscere intorno ai suddetti Rolando e Teodoro alcune particolarità non riferite nel soprarrecato passo di Frate Stefano da Salanhac, le quali per ciò mi sembrano meritevoli di essere notate. Fra Leandro Alberti, nato in Bologna nel 1479 (6), (1) Forse per errore tli slampa leggesi qui verbis in vece di vi- ri» (Vedi sopra pag. 47, lin. 20). (2) Per errore forse di stampa leggesi qui philosphia in vece di Philosophia. (3) Presso il P. Malvenda trovasi qui de eo unica disputatione in vece di unica disputatione de eo. (4) Vedi la nota (4) della precedente pagina 57 , e le noie (1) , (2), (3) di questa pagina 58. (5) Vedi sopra pag. 47 e 48. (6) Vedi la nota (1) della pag. 48. 59 nella sua opera intitolata De Viris illustribus Ordinis Praedicatorum, stamp^ita. in quella città nel 1517 (1), afferma che Teodoro, prima di essere vinto nella so- lenne disputa suddetta da Rolando Cremonese, supe- rava colla sua dottrina e coi suoi cavilli quasi tutti i Religiosi Domenicani (2). Il Padre Serafino Razzi Fiorentino nato ai 16 di Decembre del 1530 (3), scrive : « Mentre che Fede- » rico Imperatore assediaua Brescia, era nella corte )) . sua vn Filosofo dottissimo, il quale essendo venu- » to à disputa con assaissimi frati, tutti gli hauea )) vinti e superati; onde come vn' altro Golia appres- » so i Filistei, non trouaua chi potesse alle sue cauil- )) lazioni resistere. Quando il beato Rolando, che al- )) rhora stana in Cremona, intesa questa nuoua, non » potendo soffrire tanta infamia al nome Italiano, (1) Vedi la nota (1) della pag. 48. (2) « Audiuit aliquando sanctus iiir Cremonae existens qiien- » dana philosophum esse cum Foederico imperatore Brixiam obsi- » dente, cuius doctrina^ et cauillatione fralres fere oinnes siipera- » rentur cum ordini» infamia, quapropter zelo ordinis succensus, » sternite inquit mihi fratres Aselkim, Forte lune podagra labo- » rabat, et pedibus captus ire non poterai, Quod cum factum fuis- » set, castra imperatoria ingressus, cum philosoplio in certame» » coram proceribus Caesaris et uiris doctissimis ueuit, Quo facto w sic ait. Vt scias Theodore, quod praedicatorum ordo pliilosophis » non careat, ecce optiouem islam tibi tribuo, ut obiicias, uel re- ì> spondeas de quocunque dubio pbilosophico, Qui cum respondere » elegisset, sic unico conflictu de eo triumphavit, ut in magnam » dei et ordinis nostri cederei gloriam ». (De viris illustribus Or- dinis Praedicatorum libri sex in unum congesti Autore Leandro Alberto Bononiensi viro clarissimo , carta 183 verso, lib. V, articolo ROLA.NDUS Cremonensis). (3) Vedi la nota (2) della pagina 41». 60 » ^ alla sacra religione; mettetemi disse, à ordine » vn somaro (patina all'hora il beato di podagre, ne )) polena ire a piedi) che voglio andar io nel nome )) del Signore a disputare con questo brano Filoso- )) fo. E cosi messosi in viaggio, arriuò al campo im- » periale, doue venuto à disputa col predetto valent' » huomo, alla presenza de i primi baroni della cor- » te,^ altri scienziati; così parlò, acciocché voi sap- >> piate, Signor Theodoro, che tale era il nome suo, » che l'ordine de predicatori non manca di Filosofi, )> ecco che io vi do questa facultà, e vantaggio, che » opponghiate, ò vero rispondiate, in qual si voglia )> dubbio di filosofìa. Et hauendo colui eletto di ri- « spendere, incominciò il beato Rolando di tal ma- » niera à opporre, e stringerlo, che in quel giorno )) solo, trionfando di si grande huomo, riportò più )) gloria, 5c honore all'ordine, che mai riportasse in )) ver'vn'altra disputa. » (1). Le parole non potendo soffrire tanta infamia al nome Italiano, che si leggono in questo passo del Padre Serafino Razzi, ci mostra- no che il Filosofo Teodoro, menzionato nel passo medesimo, non era Italiano, e che Italiani dovevano essere tutti, o almeno la maggior parte di quegli as- saissimi Frali, che il Padre Razzi poco prima dice essere stati vinti e superati dallo stesso Teodoro. Ferdinando De Castillo, Domenicano Spagnuolo, morto ai 29 di marzo del 1593 (2), attesta che lo stesso Imperatore Federico II dTIohenstaufen era (1) Razzi (/>. Serafino) Fi te de i Santi e Beati del Sacro Ordine de i Frati Predicatori , I. e. (2) V(>ai la noia (1) della pag. 50. 61 presente al solenne trionfo riportato da Rolando Cre- monese di un (irande Sofista chiamalo Teodoro (1). Soggiunge il suddetto P. De Castillo, che questo Teo- doro era nimico capitale dei Religiosi, ed acerrimo contro di loro col favore del suo principe (2). Fra Giovanni Michele Piò, Domenicano Bologne- se, nella prima edizione delle sue Vile degli huomini illustri di S. Domenico scrive: « Intesosi, che vn Fi- » losofo di gran nome, Corteggiano di Federico Im- » peratore, ch'allhora assediaua Brescia, haueua con- )) fuso i primi letterati d' Italia , ^ orgoglioso )) scherniua specialmente l'Ordine, non potendo sof- » frire cotanta infamia al nome Italiano, ^ alla Re- » ligione, salito vn sommaro (peroche era podagro- » so ) andollo à trouare, sfidollo, dielli l'eletta d'op- )) porre, ò di rispondere, à qual si voglia quesito Fi- » losofìco, e conuiiiselo, e confuselo alla presenza )) dei Baroni, e de i più letterati d'Italia » (3). Qui non è indicato il nome del celebre Filosofo , che aveva confuso i primi letterati d'Italia. Questo no- me per altro si trova nella seconda edizione delle suddette Vite degli huomini illuslri di S. Domenico (1) » Confiin'lio marauillosanienle en presencia del EmperaJor » Frederlco , en el cerco de Bresa , a vn gran Sophista llamado » Tlieodoro enemigo capital di- los rellgiosos y atreuido à ellos » con el fauor de su principe, sin que supiesse dezir palalìra, rc- » spondiendo ni argttyendo. « {De Cantillo [Fray Hernando) Prime- ra parte de la historia General de Sancto Domingo, y de su orden de Predicadores, 1. e.) (2) Vedi la noia (1) di questa pagina. (3) Piò (Fra Giovanni Michele] Delle vite degli huomini illustri di S. Domenico. Parte Prima (edizione di Bologna Appresso Gio. Ballista Bellagamba MDCFH), col. 183, libro !, n." 9. 62 di Fra Giovanni Michele Piò: giacché in questa se- conda edizione si legge: « Amò sopra modo la ripu- latìone dell'Ordine, onde hauendo inteso, che nella Corte di Federico Imperatore, in quel tempo, ch'egli assediauaBrescia, in Lombardia, v'era vn certo Teo- doro, famosissimo Filosofo, che con le sue dìspute, ^ cauillationi, haueua vinti, ^ superati molti Frati, ^ ì primi letterati d'Italia, ^ che gonfio , ^ superbo, con grande orgoglio, scherniua gl'Ita- liani, ^ spetialmente i Frati Predicatori; non po- tendo sofferire tanta infamia alla natione d'Italia, ^ all'Ordine suo, su disse, mettetemi vn sommaro all'ordine, che nel nome di Dio, voglio andare a dispulare con questo gran Filosofo. Così partito di Cremona, sopra il sommaro, perche era poda- groso, ^ peruenuto al campo Imperiale, non solo sfidò Teodoro alla disputa, ma gli diede l'eletta , ^ il vantaggio, o di argomentare, o di rispondere a suo piacere, in qual si voglia dubbio di Filosofia, §t. hauendo accettato il Filosofo di rispondere, talmente lo strinse con argomenti efficaci, alla presenza de i primi Baroni della Corte, ^ d'al- tri huomini scientiati, che lo conuinse, ^ con- fuse, §^ trionfò di lui con somma gloria sua, ^ dell'Ordine » (1). Dal leggersi in questo passo di Fra Giovanni Michele Piò che Teodoro filosofo del- l'Imperatore Federico Secondo, aonfio e superbo con gtande orgoglio scherniua gli Jlaliani, e che Rolando Cremonese non potè soffrire tanta infamia alla na- (1) Piò [Fra Giovanni Michele), Delle vile degli huomini illustri di S. Domenico. Libri quattro, lib. I, ari. 35, col. 83, A, B, C. 63 lionc d'Ilalia , sembra doversi dedurre, che il me- desimo Teodoro non era Italiano. E poi anche molto notabile in questo passo il trovarvisi narrato, che Teodoro aveva vinto e superato i primi letterati d'I- talia, ciò non essendo narrato da alcun altro dei Do- menicani scrittori citati dal P. Malvenda nel passo soprarrecato de'suoi Annales Ordinis Praedicatorum. L'Abate Ippolito Camici Priore di S. Bartolom- meo a Quarata nella campagna e Diocesi di Firenze, in un suo opuscolo intitolato De' Vicarj Imperiali di Federigo II. Augusto in Toscana dal MCCXXIII al MCCXXXVIII, scrive (1) : « Come divenisse cru- )) dele Federigo II. l'accenneremo in altro luogo, e )) molti atti riferiti dagli Storici non lasciano dubi- » tarne. Accenneremo adesso nel suo principio , )) com'egli divenisse sprezzatore della Religione , e )) de'suoi Ministri. Nel mentovato assedio di Bre- )) scia, permettendo egli indistintamente le dispute » d'ogni materia nel campo medesimo della guerra )) uno de'suoi Filosofi o Astrologi per nome Teodoro » fece co'suoi sofismi ammutolire due Reliaiiosi Do- (1) De' picarj Imperiali di Federigo II. Augusto in Toscana dal MCCXXIII. al MCCXXXFIII. Notizie Istoriche di I. C A. A. dedicate al nobilissimo Sig. Cavaliere Cammillo della Gfierardesca Patrizio Pisano e Fiorentino, Conte di Donorettico, Bolghieri, Ca- stagnolo ec. ec Capitan Brigadiere della fieal Guardia a cavallo, e Ciamberlano Megio delle LL. AA. RR. In Firenze MDCCLXXXI. Nella Stamperia già Albizziniana all'Ins. del Sole. Con licenza de' Superiori, in 8°, pag. 63 e 64. >— Serie cronologico— diplomatica degli antichi Duchi e Marchesi di Toscana del Capitano Cosimo Della Rena con supplemento e note dell" Ab. Ippolito Camici riordinata e p^tbblicata dall' Abate Agostino Cesaretti, t. VI, pag. 64 della se- conda numerazione. 6i )) menicani (1). Questi avendo nel tornare al Con- )) vento raccontato il caso a Fra Rolando, celebre » Maestro del loro Ordine , e già Baccelliere del- » l'Università di Parigi, mosso dallo zelo del vero » ancorché si trovasse incomodato dalla gotta, sa- )) lito sopra un giumento senza indugio portossi al )) campo, e ottenuto di convocare numerosa udien- )) za, e di rinnovare la disputa col Filosofo, sciolse )) vittoriosamente i lacci e nodi dialettici, ne' quali » erano restati involti i suoi meno dotti compa- )) gni. » Ciò che l'Abate Ippolito Camici qui narra intorno a Teodoro , ed a Rolando da Cremona, è anche narrato, come si è veduto di sopra (2), salvo una piccola varietà (3) , da Stefano da Salanhac e dagli altri scrittori Domenicani, citati dal P. Mal- venda nel passo soprarrecato de'suoi Annales Ordi- nis Pmedicatorum. Rolandino, cronista Padovano, nato nel 1200 (4), (1) Nel passo di Frate Stefano da Salanhac riportato dal P. Mal- venda nel brano soprarrecato de'suoi Annales Ordinis Praedicato- torum non sì legge che i Religiosi Domenicani fatti ammutolire da Teodoro fossero due. In questo passo Frate Stefano da Salanhac dice (Vedi sopra pag. 47, lin. 9 e iO): £t cum semel existens Cre- monae audisset a Fratribus quibusdam etc. Cioè " avendo udito una » volta mentre egli era in Cremona da alcuni Frati » ec. (2) Vedi sopra pag. 47, 48, 54 e S5. (3) Vedi la nota (I) di questa pagina. (4) Il medesimo Rolandino nel prologo al suo Liber Chronicorum .scrive : Si quibus aiitem gcstis infra notatis per me quicquam fuerit variatum, diminulum, vcl addilum; veritatis illud lima cu- pio lucidari -. cum in hoc meae simplicitatis opusculo denotentur quae facta sunt in diarchia usque lìicbus illis, vel circa, currente sci- licet anno Domini MCC quo sum natus, ad sexagesimum in quo scriba. {Holandini Patavini, Prologus in libros xii de faclis in Mar- chia Tarvisina, apud Muratori , [,erum Ilalicarum Scriptores, t 65 In una opera intitolata : Liber Chroniconim da lui vili, pag. 158. — Alberimi Mussati, Historia Augusta Henrici FU. Caesaris et alia, qnae extant opera etc. pag. 1. della prima numerazio- ne.— Thesaurus antiquitatum et historiarum Italtae colleclus cura et studio Joannis Georgii Graevii, ad flnem perductus a Petra Burman- no, tomi sexti, pars pnma, carlalS, verso, non numerata). In questo passo del prologo suddetto, Rolandino dice chiaramente di essere nato nel 1200. Ciò avverte il celebre Ludovico Antonio Muratori scrivendo: « Auctor ergo Ilistoriae huins fìotandinus fuit. Patria Pa- » tavinus, natus, ut ipse testis est in Prologo, ^nno Domini MCC, » [Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. Vili, pag. 155). Nel me- desimo anno 1200 trovasi posta la nascita del suddetto Rolandino nei versi sesto e settimo della seguente iscrizione sepolcrale, riportala da Bernardino Scardeone Padovano, morto in età di 96 anni, ai 29 di maggio del 1374 (Fedova, Biografia degli Scrittori Padovani, voi. II, pag. 236 e 257, articolo SCARDEONE (Bernardino) ), nella .sua opera intitolata De antiquitate Urbis Patavii, et claris civibus Pata- vinis [Bernardini Scardeonii, Canonici Patavini, De antiquitate Ur- bis Patavii , et claris ciuibus Patauinis, libri tres, in qiiindecim Classes distincti. Eiusdem appendix de Sepulchris insignibus exte- rorum Patavii iacentium. Cum gratia et privilegio Caesareo ad annos sex: et Regis Galliarum , ad annos totidem. Basileae apud Nicolaum Episcopium iuniorem, Anno M D LX, in fog., pag. 232. — Thesaurus antiquitatum et historiarum Italtae colleclus cura et studio Joannis Georgii Graevii, ad fincm perductus a Petra Bur- manno tomi sexti, pars tertia, coi. 262 della seconda numerazio- ne, C, D, E.) : Grammatìcae doctor,simul artis Rhetoricorum Rolandinus crani -. nunc rege iubente Polorum, Fermibus hic escac iacea, quam tu libi sorlem Qui legis expecta -. ncque fas tibi fallere mortem. Et bene scis, quod tu finem non elfugis istum. Ergo roga tibi, postque roga mihi, parcere Chrislum. Mille ducentenis Christi currentibus annis, Tunc ego nalus eram -. sed ab his post septuaginta Sex, sitnul alma pie redimii dum festa Maria In Februì mense, coeli peto fercula mensae- Rex pie, Rex coeli nato miserere fideli ■■ O primum flamen, tuus sit hic spiritus, amen. Questa iscrizione trovasi qui riportata come si legge nella sopraccita- ta edizione di Basilea della suddetta opera di Bernardino Scardeone. G.A.T.CXXXI. 5 66 incominciata a scrivere nel 1260 o prima (l),c termi- nata non più tardi del giorno 13 di Aprile del 1262 (2) Il Muratori avverte (I. e.) ch'egli legge alma piae redeunt dum Festa Mariae in vece tli alma pie redimii dum Festa Maria nell' ottavo verso (li questa iscrizione, e luus Me sit spiritus in vece di tuus sii spiritus nell'ultimo, verso deiriscrizione stessa. (1) Jjudovico Antonio Mura;lori scrive (1. e.) ^nno autem 12G0 ut ipse {BolandinUs) teslatur, precibus nonnullorum incitatus, Jlisto- riae efformandae, sive expoltcndae mrmum admovit. — In un passo riportato di sopra pag. 64 noia (4) ) del prologo di Rolandino al suo Libcr Chr.oHicorum, si legge: Currente scilicet anno Domini mcc. quo sum natus ad sexagesimum in (/uo scriba. Quindi *■. chiaro che nel d260 Rolandino scriveva il prologo stesso. (2) Nell'ultimo capitolo dell' ultimo Libro del suddetto Liber Chroni e or um di Rolandino si legge: Perlectus est hic Liber, et re- citatus coram infras.criptis Doctoribus, et Magistris, praesente etiam Societate laudabili Bazalariorum, et Scholarium liberalium Artium de Studio Paduano. Erant quoque tunc temporis Regentcs in Pa- dua viri venerabiles, Magister Agnus, Magisler loliannes, Magi- ster Zamboninus, profundi, et periti Doctores in Physica, et scientia naturali. Magister Trcdecinus in Loyca providus indagalor, et J)o- ctor. Magisler fìolandinus, Magister Morandus , Magisler Zunta, Magister Dominicus, Magister Paduanus , Magisler Luchesius in Grammatica, et Rhetorica vigiles, et utiles professores. Qui ad hoc speciali ter congregati, pracdictum Librum, et Opus, sive Clironicam, sua Magistrali auctoritate laudaverunt, approbaverunt, et autentica- verunt solemnitcr, in claustro Sancii Urbani in Padua, currente An- no Domini Millesimo Ducentesimo Sexagesimo sccundo, Indictione quinta, die tertiadecima intrantc Mense Apriiis. (Rolandini, Liber Chronicorum Lib. XIl, cup. XIX, apud Muratori, Rerum Italicarum Scriplores, t. Vili, col. 360, C, l). — Albertini Mussati Historia Augusta Henrici VII Caesaris et alia quae extant opera , ctc. pag. 118, della prima numerazione. — Thesaurus antiquitatiim et historiarum Italiae collectus cura et studio Joannis Georgii Grae- viì, et ad finem perductus a Pietro Burmanno , tomi sexti, pars prima, col. 130, della seconda numerazione, B, C, D, E. — Tira- boschi, Storia della letteratura Italiana, seconda edizione Modenese, t. IV, pag. 62, lib. I, cap. lil, paragr. XJI, edizione di Milano de' Classici Italiani, t. IV, pag. 89). Però è da credere che ai 13 di Aprile del 1262, il suddetto Liber Chronicorum fosse terminalo. 67 pai'Ia di un aslrplogo delF Imperatore Federico il. che si chiamava Teodoro, o Teodorico. Quest'opeia stampata in Venezia nel 1636 (l),cd in Leida nel 1723 (2) fu data nuovamente in luce dal celebre Ludovico Antonio Muratori nel 1726 in Milano nel tomo ottavo della sua grande raccolta intitolata Pie- rum Ilalicanim Scriplorcs ah anno Aerae Cìiristianae quingenlcsimo ad millesimum quingeìitcsimum. In que- st'ultima edizione del suddetto Liber Chronicorum di Rolandino si legge (3): (i) Questa edizione fa parie della raceoUa «li Storici della Mar- ca Trivigiaiia stampala in Venezia nel 163(5 con note di Felice Osio e di Nicolò Villani ex Typograpliia Ducali PinelUana , e da me ciiata di sopra nella noia (i) della pagina 52. {Jlbertini Mus- sili, Hisloria Augusta flenrici FU. Cacsaris et alia, quae exlunt opera fic, pag. i 118 della prima numerazione). (2) Questa edizione trovasi nella parte prima del tomo sesto del- la raccolta intitolata Thesaurus jtnliquitatum et liistoriarum Ita- tiae, e publilicata in Leida {Lugduni Batavorum] da Giovanni Gior» già Greave e da Pietro Burmann ( Thesaurus Antiquitalum ct\JIi- storiarum Italiae collectus cura et studio Joannis Georgii Graevii, et ad finem pnductvs a Petro Burniannn, tomi se.rlì^ pars prima, col. ì — 150, della prima numerazione.) (3) Bolandini Patavini, Liber Chronicorum, sive Memoriale tcm- porum de factis in Marchia,lib. JF, cap. XII, apud Muratori, Re- rum Italicarum Scriptores, l. Vili, col. 228, D, E, e col. 229, A. — Questo medesimo passo di Rolandino leggesi a pagine 43 dell' edizione falla in Venezia nel 1636, Ex Typographia Ducali Pinel- Uana del suo Liber Chronicorum{Jlbertini Mussati, Hi storia Augusta Henrici FII.Cacsari<,et alia, quae exlant opera eie. pag. 43, della pri- ma numerazione'. Trovasi anche il passo medesimo nella colonna 47 dell'edizione l'alta in Leida nel 1722 del suddetto Liber diro- nicorum {'Thesaurus antiqxitatum et historiarum Italiae collectus cura Io. Georg'i Graevii, et ad finem perductus a Pclro Burmanno, tomi scxti, pars prima, eoi. -'i7, della seconda numerazione, C, D.) — Le note (Si)), [t), e ('.)0)^ elle trovansi in questo passo d'Ila sud- 68 » Hac de causa Paduam rediit Imperator. Fe- )) cerat autem, et in Padiia consti tuerat ante prae- » dictum factum in Kalendis Madii praeteritis, anni )) scilicet MCCXXXIX. Tybaldum Franciscum de A- )) pulia Potestatem Paduae, et Imperialem Vicarium )) in Marchia Tarvisina generaliter a flumine Olii )) usque Tiidentum. Constituit autem eodem mense )) generalem exercitum, et cum Carrocio Paduae , » circa fìnem ejusdem mensis, duxit exercitum )) ipsum (89) ad Castrum-Franchum, locum Tarvisi- » norum. Et horam motionis elegit per consilium » Magistri Theodori [t) sui Astrologi, qui stetit cum » Astrolabio sursum in turri Communis, expectans, )) ut dicebatur, quod ascenderet prima facies, vel ho- )) roscoparet (90) Leonis, cum diceret Jovem esse in » ilio. Sed cum per astrolabium hoc videre non pos- » set tempore nubibus obumbrato; si licitum est di- )) cere, tunc fuit in sua electione deceptus: quia nec » erat Juppiter in Leone, nec Leo tunc ascendebat, » sed Virgo. )) » (89) Cod. Estens. ipsum usque ad. « (<) BIS. Ambr. II. Theodrici. » (9°) Cod. Estens. horoscopus, et ita in MS. Ambr. li. Se veramente in questo passo del suo Liber Chro- nicoriim Rolandino avesse scritto Magistri Theodori^ dovrebbe credersi che questo Teodoro da lui qui menzionato fosse quello stesso Magister Theodorus phi- losophns, al quale Leonardo Pisano diresse V Epistola detta edizione del 1726 sono di Ludovico Antonio Muratori. Tutto il rimanente del passo medesimo è testo di Rolandino. secondo la lezione spjjiiita nelle due precedenti edizioni sopraccitate del 1636 e del 1722. 69 rìpoitata di sopra a pagine 20, e che trovasi anche menzionato nel &uo Liber Quadratoriim (1). Tuttavia è da notare che Ludovico Antonio Muratori nella so- prarrecata Nota (t) avverte leggersi Theodrici in vece di Tlieodori in un Codice manoscritto della Bibliote- ca Ambrosiana di Milano, che nella nota medesima è indicato così : « MS. Ambr. IL » (2). Un Codice della Biblioteca Ambrosiana di Mi- lano , ora contrassegnato P. 125. Parte superiore è cartaceo, in foglio, di 183 carte, e del secolo de- cimoquinto, hi questo Codice dal recto della prima carta al rovescio della carta 105 trovasi manoscritto il soprammentovato L/òer Chronicorum diRolandino. Un altro Codice della Biblioteca iVmbrosiana di Milano, ora contrassegnato E. 38 Parte superiore è cartaceo, in 4% e del secolo decimoseslo. In questo Codice trovasi manoscritto dalla carta 83 recto alla carta 193 verso il suddetto Liber Chronicorum di Ro- landino. Nel rovescio della carta 37 del Codice P. 125 Paiate superiore della suddetta Biblioteca Ambrosiana si legge : C. XII. de his que facta sunt stante imperatore apud ca- strum francìium. Hac de eausa paduam redijt imjjerator; feccrat autem, et in padua constituerat (3) prediclurn factum (1) Vedi sopra pag. 44, liii. 6 e seguenti. (2) Vedi sopra, pag. 68, lin. 22. (3) Qui fra la parola constituerat e la parola prediclum nel rove- scio della caria 37 del Codice Ambrosiano P. 123 Parte Supcriore vedesi questo segno > . Nel margine laterale interno del medesimo recto presso alla linea che contiene le suddette parole constituerat e predictum si trova ante col segno \ sotto Vn di quesla parola. 70' in Kalcmìis madi] pi-cleìilis anni M^.CC. XXXVIIIJ. Tifhaìdnm f ranci sdnim de Apulia potcsUUem paduae (1) Impcìialcm vicarium in marchia Taruisij, et genera- liter a jhimine qIìj usque tridentum. Constiluil au- tem eodem mense generalcm exercilum, et cum car- rosio padnano, circa (ìnem eiusdem mensis, diixit exer- cilum ipsnm ad castrum franchum lociim tarvisino- nun, et horanì mocionis elegit per consilium magislri theodrici sui astrologi, qui stelit cani astrolocfo snrsuni sursum in turri cumnnis, expcctans, ut dicebaliir, quod descenderet prima facies, vel scorpionis, vel leonis, cum diceret iovem esse in ilio. Sed cum per astrolubium (2), videre non possel, tempore nubibus obumbralo , si li- cilum est dicere, tunc fuit in sua electione deceptus, quia nec erat Jupiler in leone, nec leo lune ascendebal, sed virgo. Le parole di questo passo che qui trovansi li- neate sono quasi nello s lesso modo lineate nel sud- detto Codice Ambrosiano P. 125. Parie superiore. Presso la linea di questo Codice nella quale trovasi la parola astrologo leggesi sul margine laterale interno della carta 37 verso del medesimo Codice la parola astrolabio. Questo margine stesso ha la parola ho- roscopus presso la linea del medesimo Codice nella quale si legge scorpionis. (1) Qui fra la parola padue e la parola Imperialem nel rovescio della carta 37 del suddetto Codice P. 123 Parte Superiore trovasi il segno A . Nel margine laterale esterno del medesimo recto presso alla linea che contiene le parole padue, Imperialem trovasi la parola et col segno * sotto questa parola fra l'è ed il t. (2) Qui Ira la parola aslrolabium e la parola hoc trovasi nel recto della carta 37 del sopraddetto Codice Ambrosiano P. 125. Parte Su- periore il segno A . Nel margine laterale esterno del medesimo redo presso alla linea che contiene questa due parole trovasi la parola hoc col segno A sotto 1' o. ,^ ^ ^^^,. 71 In principio del Codice Ambrosiano P. 125. I*ar- ie Superiore trovansi ad esso aggiunte due carte dis- ^intiili dalla carta del Codice stesso. Nel redo della prima di queste carte aggiunte si legge : CHRONICA Ezzelini de Romano — /". 1. CULI ELMI CortKsij chr." de no vilalibus padne et Lombardie 105. Hic codex fiiit Vincenti] Pinelli V. Clariss. a cuius Ileredibiis tota eius bibliotheca Neupoli empta fuit, iussii III'"'. Card. Federici Borromaei Ambrosianae biblioth. fundatoris. Antonius Olgiatus scripsit anno 1609. Giovanni Vincenzo Pinelli dotto bibliofilo qui menzionato, nacque in Napoli nel 1535 (l)j e morì in Padova ai 4 di agosto del 1601 (2). Di sua ma- (1) Fila Joannìs Fineentii PìnelU, Patricii Genuemis. In qua slu- diosis bonarum artium, proponilur (ypus viri probi et eruditi. .Pu- dore Paulo Gualdo, Palricio Vicetino. Auguslae Vindelicorum ad insigne pinus. Cum privilegio Caes. perpeluo. Anno M. DCf II, in 4", pag. 5. (2) Gualdi {Pauli] Fila Joannis Fincentii Pinelli, pag. 103. — Bites (Gulielmi) Fitae selectorum aliquot virorum, qui Doctrina,Di~ gnitate, aut Pietate inclaruere. tondini, Typis A. G. et J. P. et pro- stant venales apud Georgium IFells, ad Insigne Solis Coemeterio Paulino, 4681, in 4°, pag. 369. — Theatrum virorum aliquot Do- ctrina, Dignitate, aut Pietate Illustrium. Authore Gulielmo Batcs Oxonii e Theatro Sheldoniano. MDCCIF, ia 4°, pag. 369. — Fitae selectae XFII. eruditissimorum liominum, a clarissimis viris qui- busdam scriptac, et ob stiminam praestantiam atque veritatem olivi collectae a D. Crist. Grypiiio, Gynin. Magd. Rect. iam vero accessio- ne vitae Diogenis Christiani lectu dignissimae, quae num primum ex Msto prodìit, auctae addito Indice rerum mcmorabilium. prati- slaviae, Sumijti'jus Dauidis Pietschii, MDCCXXXIX, in 8%pag.4l4j •72 no sono (l) le parole che ho detto di sopra (2) , trovarsi nel margine laterale interno della carta 37 verso del Codice Ambrosiano P. 125. Parte siipe- riorc, e molte altre postille marginali che si trovano nel Codice stesso. A carte J 16 verso, e 117 recto del suddetto Co- dice Ambrosiano E. 38 Parte superiore , nel libro quarto del Liber Chronicorum di Rolandino, si legge: De hiis quae facta sunt ab imperatore stante apud castnim Mestri. 12 (3). Hac de causa Paduam rediit imperator.Fecerat au- tem in Padua et constiluerat ante praedictam factum in Kalendis Madii praeteritis annis 1239. Tijbaldum Franciscum de Apulia Potestatem Paduae et impera- toris vicarium in Marchia Tarvisina fjcueraliter a fin- mine Olii usque ad Tridenlum. Consiituit autem (jcne- ralem exercitum, et cum Carotio Padiiano circa fi- nem ejusdem mensis, duxit exercitum ipsum ad Ca- strum franchum locum Tarvisinorumy et horam motio- n is elegit per Magistrum Theodoricum astrologum suum^ qui stetit cum astrolabio sursum turim Comunis, expe- ctans, ut dicebatitr, qtiod ascenderet, prima facias vel horoscoparet Leonis, cum diceret Jovem esse in illo^ sed cum per astrolabium hoc videre non posset tempore nubibus obumbrato, si licitum est dicere, tane fiat in (i) Di ciò mi ha assicurato il Sig. Professore Francesco Longhe- na, dal quale anche mi è stata gentilmente inviata una copia de'pas- si soprarrecati de'due Codici Ambrosiani E. 38 Parte Superiore, e P. 123. Parte Superiore. Secondo questa copia ho riportato tali passi di sopra nel lesto. (2) Vedi sopra, pag. 70, lin. 20 — 23. (3) Questo numero 12 indica qui il capitolo che segue del Liber Chronicorum di Rolandino. 73 mia ellectione decepfus, quia nec eral lune Jupiter in Leone., nec Leo tunc ascendebat, sed virgo. Il celebre Ludovico Antonio Muratori nella so- prarrecata sua nota [t), scrive: (ìMS. Amhr. IL Theo- drici » (1). Il codice Ambrosiano P. 125. Parte su- periore ha theodrici (2) in vece di Tìieodori nel passo di Rolandino , al quale si riferisce questa nota del Muratori. Però è da credere che il Co- dice Ambrosiano P. 125. Parte superiore sia quello che dal medesimo Muratori nelle sue note al suddetto Liber Chronicorum di Rolandino è indi- cato in ciascuno de' modi seguenti : MS. Amb. IL (3) ; MS. Àmbr. IL (4) ; Codex Ambros. II (5). In prova di ciò è anche da notare, che nel Codice Ambrosiano P. 125. Parte superiore trovasi la pa- rola horoscopus , come si è veduto di sopra (6) ; giacché il Muratori nella sua nota (90) soprarre- cata dice: « Cod. Estens. horoscopus, et ita in MS. )) Ambr. IL » (7). Un altro manoscritto della Biblioteca Ambro- siana di Milano è indicato dal ]\Iuratori in cia- (1) Vedi sopra, pag. 68, lin. 22. (2) Vedi sopra, pag; 70, lin. 9. (3) Muratori, Rerum Italicarutn Scriptores, t. Vili, col. 176 no(a (d), col. 179, noie (29), (g), col. 180, noie {h}, {i), col. 181 noie {m), (n), col. 182, note (33), (o), (p), (36), [q) eie. (4) Muratori , Rerum Ilalicarum Scriptores t. Vii!, col. 178 ^ note (/■) , (28), co!. 195, nota (77), col 196 , nota {l) , col. 198 , noia (n) etc. (5) « Cod. Estens. et Ambros. Il ciirialilale » {Muratori, Re- rum Italicarum Scriptores, t. Vili, col. 183, nota (40) ). (6) Vedi .sopra, pag. 70, lin. 24. (7) Vedi sopra, pag. 68, lin. 23. 74. scuno de' modi seguenti : MS. Amb. I. (!); MS. Amhr. I. (2) ; Codex Ambr. I. (3) ; MS. Ambroy. I. (i). Certamente questo Codice ò quello ora contrassegnato E. 38. Parte superiore, giacche due soli sono i Codici della Biblioteca Ambrosiana di Milano che contengono l'opera suddetta di Rolan- dino, uno de'quali, cioè quello chiamato dal Mura- tori: MS. Ambr. II., MS. Amb. IL, Codex Ambros. II, è certamente il medesimo , ora contrassegnato P. 125. Parie superiore (5). Due soli Codici Ambrosiani sono menzionati dal Muratori nella sua Prefazione al suddetto Liber Chronicorum di Rolandino. In questa Prefazione si legge (6): « Duos insuper Codices ex Ambrosiana sua )) Bibliotheca suppeditavit CI. V. Joseph Antonius Sa- » xius eidem Praefectus, alterum pergamenum, al- )) terum antiqui characteris, eo etiam pretiosiorem, )) quod Vincentius Pinellus ad fìdem puriorum exem- » plarium eumdem exegerit. Horum ope non modice » emendata, et alicubi etiam aucta est haec editio. )) Quocirca tum Saxio nostro, tum Philippo Arge- (1) Muratori , Rerum Italicarum Scriptores, l. Vili, col. 139, «Ole [a], (ò), [c], [d], col. 160, note (e), (f), (g), col. 161, note (ft), (0, {l), (mi, col. 162, note (n), (o),(p), {q), col. 163, note ()), (s), col. (164), nota [t], col. 163, nota (m), col. 170, nota (r), col. 173, nota (6), col. 174, nota (e) etc. (2) Muratori, Rerum lallicarum Scriptores, t. Vili, col. 177, no- ia (25), col. 195, note (i), [k), col. 296, nota {l), col. 197 , note (m), (8), col. 198, noia (o), etc. (3) Muratort, Rerum Italicarum Scriptores, t. Vili, col. 171, nota (7). (4) Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. Vili, col. 183, no- ta (r). (5) Vedi sopra, p.i(;. 73, lin. 3—19. (6) Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t.- Vili, pag. 136; In Rolandini Clironicon Pracfatio Ludovici Antonii Muratori. 75 « lato, qui oidom in hac hisloria castìganda, que- » madmodum et in cetcì'is operam suam pracstitit, » gratiae agendae quamplurimae ». E da ci-edere che il secondo di questi due Codici sia quello stes- so chiamato dal Muratori MS. Amh. II. (1), MS. Aìììhr. II. (2) , Cjodex Ambros. II. (3). Sembra per tanto elle il Muratori abbia errato dicendo 'perfjame- lìinn (i) nel soprarrecato passo della sua Prefazione al Libcr Chronìcorum di Rolandino, giacché il Co- dice E. 38. Parie superiore non è membranaceo , ma cartaceo (5). Il Liber Chroniconim di Rolandino trovasi an- che manoscritto in un Codice della Regia Ducale Bi- blioteca Estense di Modena contrassegnato fra i Ma- noscritti Latini col N." CCCLXXVIl. Questo Codice è cartaceo, in foglio, del secolo decimo(iuinto e di 137 carte. A carte 53 redo e verso di ({uesto Co- dice si legge : De hijs qtie facta sunl e xi slente Imperalore apud caslrum franchum hostiliter. Hac de causa Paduam rediil imperalor: fecerat aulem, et in Padua conslilueral ante prediclum fa- cilini in Kalendis madii preteriti anni, scilicet MCC XXXVIir., Tebaklnm franciscum de Appidea pote- statem padue: et imperiale (sic) vicarinm in marchia tervisana, et generaliler a fìumine oli] nsque tridentum: constiluit anlem eodem mense (jeneralem excrcitum, et cum carotio padiiano circa fìnem eiusdem mensis (1) Vedi sopra, pag. 73, Un. 9 e iO. (2) Vedi sopra, pag. 73, liti. IO. (3) Vedi sopra, pag. 73, lin. 10. (4) Vedi sopra, pag. Ti, lin. 16. (3; Vedi sopra, pag. 69, liu. 10. 76 diixit exercitum usque ad caslrum franchum tervisi^ noì'um, et lioram motionis elligit per consilium Magi- stri Teodori sui astrologi : qui sletit cum astrolabio snrsum in turri communis expcctans, ut diccbatur, quod ascenderei prima facies, vel horoscopus leonis, cum di- cerct iovem esse in ilio. Sed cum per astrolabium hoc videre non posset tempore nubibus obumbralo: si li- citum est dicere, tunc fuil in sua ellectione deceptus: quia nec erat lupiler in leone, nec leo lune ascende- hat : scd virgo. Questo passo del suddetto Codice Latino n,° CCCLXXVII. della Recfia Ducale Biblioteca Estense di Modena fa parte nel Codice medesimo del capi- tolo undecimo del libro quarto del Liber Chronicorum di Rolandino, mentre in vece in tutte le edizioni di tale opera, ed anche ne'due Codici Ambrosiani so- praccitati dell'opera stessa (J), questo passo fa parte del capitolo duodecimo del medesimo libro quarto. La divisione de' capitoli de'libri primo, secondo e quarto di quest'opera nel suddetto Codice Estense difierisce notabilmente dalla divisione de'capitoli di questi libri che trovasi nell'ottavo tomo della Rac- colta del IMuratori intitolata Rerum Italicarum Scri- ptores e te. Nel soprarrecato passo del Codice Latino n." CCCLXXVII della Biblioteca Estense si legge horo- scopus (2) in vece di horoscoparet (3). Ciò mostra che questo Codice è certamente quello citato dal Murato- ri nella sua nota (90) soprarrecata dicendo: « Cod. )) EstenS' horoscopus « (4). (1) Vedi sopra, pag. 69, lin. 23, e pag. 72, lin. 10. (2) Vedi la linea quinta di questa pagina. (3) Vedi sopra, pag. 68, lin. 23. l/i) Vedi sopra, pag. 68, lin. 14 e 15. 77 Il medesimo Muratori nella sua Prefazione al sud- detto Liber Clironicoriim di Rolandino parlando di questa Cronaca dice : Alteram ergo editionem ha- beant Eruditi , quam f orlasse comtiorem depreheii- dent, nani intenlis oculis ad ipsam emacnlandam in- cubili, et praeterca ad eamdem exornandam siippe- tias milii tidil Codex MStus Bibliothecae Eslensis , in quo haec Ilistoria habetur. Ciim Codice isto con- tuli ego editionem Venetam , midtasque ex isto va- rias lectiones, emendationes, ac supplementa collegi , quae pr aesenti editioni subsidium ac lucem offerent. Immo tanta in Libris Undecimo et Duodecimo inler- cedit diversitas inter Codicem Estensem, et illum, quo imis est Osius, ut mihi suborta fuerit cogitatio in cdi- tione hac, Estensis potius, quam Patavini Codicis nar- rationem sequi. Attamen ratus, me Lectorutn gratiam tutius inilurum, si utriusque Codicis verba, ubi dissi- dent, exprimerem, textum relinui jam editum, et ex Estensi Codice in notas retuli variantes Lectiones (i). Il Codice Estense qui menzionato dal Muratori, es- sendo certamente quello stesso ch'egli nelle sue no- te al Liber Chronicorum di Rolandino cita dicendo: Cod. Estens. (2), non può essere diverso dal Codice della Regia Ducale Riblioteca Estense di Modena ora segnato fra i Manoscritti Latini n.° CLXXXVII. Ciò che Rolandino narra nel passo soprarrecato del suo Liber Chronicorum intorno a maestro Teo- doro astrologo, è in parte narrato anche dal Mura- tori ne'suoi Annali d'Italia, leggendosi in questi An- nali, sotto l'anno 1239: « Nel mese di maggio, dopo (i) Muratori, Rerum llalicarum Scriptores, t. Vili, paf;. ISG. In Bolandini Chronicon Praefatio Ludovici Antonii Muratorii- (2) Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, t. Vili, pag. 158, no- ia ('), col, 169, note (1) e (2), col. 171, note (3), (4), (o), (6), (7j, col. 172, note (8), (9), (10), etc. 78 )) aver fatto prendere Toroscopo a Mastro Teodoro )) suo strologo sulla torre del Comune di Padova , )) mosse (rimpci'atore Federico II) l'armata, e andò )) ad accamparsi intorno a Castelfranco, dove citò » i Trivisani a rendersi nel termine d'otto giorni « (1). L'Abate Ippolito Camici parlando dell'Imperato- re Federico lì di Hohenstaufcn dice: « uno de'suoi )) Filosofi 0 Astrologi per nome Teodoro» (2). Quin- di pare, che, secondo il medesimo Abate Camici , il Magisler Thcodurns Pìiiìosoplius Friderici Sccimdi, di cui parla Fra Stefano da Salanhac nel passo di quest' autore riportato di sopra (3) , sia quel medesimo Magister Tìicodorus Aslvologus Imperatoris [Friderici Secimdi) menzionato da Rolandino (4). Nel Libcr quadratorum di Leonardo Pisano a carte 38, verso, del Codice Ambrosiano E. 75. Par- te superiore , si legge : Et poslquam hec omnia de- monstrata sunt,redeamus ad qucstionem phylosophi (5), et procedamus predicto modo donec hahcamus qìiod cen- sus et radix et 32 eqiiantnr quadrato de 30; deinde videamus quot radiccs sunt 32 de 36, hoc est quod di- 1 vidamus 32 per radicem de 36, venient radiccs -^5, (1) Annali d'Italia dal principio dell' era volgare sino aW anno MDCCXLIX compilali da Lodovico Antonio Muratori, voi. XI , pag. 1o6. (2) Veiino Corosiano E- 75. Parte supcriore. 80 pra (l), la sua opera intitolata : Flos super solu- lionibus quanimdam queslioniim ad numeriim, et ad fieometriam, vel ad utrumque perlinenliiim. Nella traduzione italiana del Liber quadratorum di Leonardo Pisano contenuta, come si è detto di sopra, nel codice L. IV. 21 della Biblioteca Pub- blica Comunale di Siena, si legge a carte 500 verso di questo Codice : « E dappoi che noi abbiamo questo, torniamo al )) chaso del Philosofo. )) Onde procederemo al modo detto infìno a tan- )) to che abbiamo che uno censo et radice et 32 sieno )) iguali al quadrato di 36 , cioè che dividiamo 32 1 )) per la radice di 36, vienne 5 -rj-. E questo per- )) che trovamo la solutione per lo detto mo ». Così finisce in tronco il rovescio della carta 500 del suddetto Codice L. IV. 21. Il recto della carta 501 di questo Codice incomincia così : « Per insino a qui e scritto quanto allo illustro )) imperadore. Ora seguita lo scritto adirizato a » mess. R. cardinale ». « Noi abbiamo 64 et 576, onde è di bisognio » troviamo uno numero quadrato del quale tratto 1 » le 5 radice -— rimangha numero fatto dalla mol- ti » tiplichatione de detti numeri incquali, de'quali il » maggiore agungha 1.° sopra el minore, el quale » troverremo se porremo alchune radici avanzare (1) Vedi sopra pag. 16, linea 4 e seguenti. 8t 3 ledette radice 5 -;j- elici possiamo fare per in- » finiti modi ». Quindi apparisce che in questi due passi del Co- dice L. IV. 21. della Biblioteca Pubblica Comu- nale di Siena , il brano questionis in jmsila propor- iione tr'mm quadraiornm snpradictorum scilicet de 36 del testo latino del Liber quadratonim (1) , non si trova voltato in italiano. È da notare die colla pa- rola trinm di questo brano sarebbe finito, secondo il Codice Ambrosiano E. 75 Parie Superiore, il qua- termis dni R. Cardinalis (2). Sembra per tanto che in questo qualernus non fosse compreso il passo che incomincia 64 ci de 576 oporlcl ul inveniamus (3), e finisce quorum maior addii 1 siqjer mhiorem (4), giac- ché tutto questo passo trovasi nel suddetto Codice E. 75. Parte Superiore dopo il segno o-o, che ri- chiama la postilla marginale riportata di sopra, nel- la quale si dice terminata la parte scritta del qua- lernus dni R, Cardinalis (5). Nel Codice L. IV. 21, della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena si leg- ge, che questo passo fu adirizalo a mess. R. Car- dinale (6). Nella seconda edizione dell'opera dei Dottor Gio- vanni Targioni Tozzetti intitolata: Relazioni dhdcu- ni viaggi falli in diverse parli della Toscana ce. si (1) VeJi sopra, pajj. Ti), lin. 1 — 3, e paj;. SO, Un. 13 e 22. (2) Vedi sopra, pag. 78, lin. 13—22, e pai>. 79, iiii. 1—21. (3) Vedi sopra, paQ. 79, lin. 3 e 4. (4) Vedi sopra, pag. 79, liii. 7. (5) Vedi sopra, pag 79, lin. 7—21. (6) Vedi sopra, pag. 80, liii. 20—215, e pag. bl, iin 1 e 2. C.A.T.CXXXI. 6 $2 legge (1): « Notisi, che F. Luca (Paciuoli) dal Borgo )> S. Sepolcro, ha avuto in mano quest'opera di Leo- )) nardo Pisanoy e se n'è fatto bello nella sua vasta )> Arimmelica stampata, senza neppure nominarlo , » altro che una volta o due incidentemente (2). Se ne (1) Relazioni d'alcuni viaggi fatti in diverse partì della Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di es- sa dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, edizione seconda, con copiose giunte- In Firenze 1768 — 1779, nella stamperia Granducale per Gaetano Cambiagi, 12 tomi, in 8°, l. Il, pag. 6o e 66. (2) Un'opera di Fra Luca'^Pacioii da Borgo San Sepolcro inlilolal^ Summa de Arithmetica Geometria Proporzioni et Proportionaiità fu slaaipala in Venezia nel 1494 da Paganino Paganini da Brescia, e ri- stampala in Tusculano nel 1523 dal medesimo Paganino Paganini.Cia- scuna di queste edizioni è in foglio, di 308 carte (comprese le prime otto carte non numerate), e «livisa in due parti^ la prima delle quali è un trattato di aritmetica e d'algebra, e la seconda è un trattalo di geometria teorica e pratica. Quest' opera certamente è quella che il Doti. Giovanni Targioni Tozzelti nel soprarrecalo pas- so delle sue Relazioni d'alcuni viaggi etc. chiama « vasta Jrimmeti- ca stampata » (Vedi le linee 3 e 4 di questa pagina 82). Nella medesi- ma Summa Fra Luca Pacioli nomina sei volle Leonardo Pisano, cioè una volta nel Summario de la prima parte principale ( Pacioli (Fra Luca) Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et Pro- portionaiità (Con spesa e diligenlia. E opi fitto del prudente homo Pa- ganino de Paganini da Brescia. Nella cxcelsa cita de Vinegia. Negli anni de nostra Salute M. ecce. Ixliiij. adì .10. de novembre) in fog., carta 4, verso, non numerala), tre volte nella prima pavlb [Pacioli, Summa de 4^itmetica etc. Parte I, carta 13, erroneamente numerala 15, verso, Distinclio prima, Tractatus quartus, articulus sextus ; carta 18, recto, segnata e ij, Distinctio prima, Tractatus quartus, nonus, paragrafo 9; carta 39, recto, Distinctio secunda, Tractatus articulus quintus, articulus l."'» j, e due volte nella seconda parte (Parte II, carta i, recto, Distinctio prima, capitulum primum, carta 6, verso, Distinctio prima, capitulum quintum). Erra per tanto il Dottor Giovanni Targioni Tozzelti, dicendo che Fra Luca Pacioli nella suddetta Summa non nomina Leonardo Pisano altro che una volta 0 due(Vedi le line 4 e 3 di questa pagina 82) I passi del Pacioli indicati in questa nota si troveranno inleraraenle riportati nel mio scritto intitolato Della vita e delle opere di Leonardo l^isano. eie. 83 » fece bello anche un Anonimo della fine del Secolo )) XV. il quale compose un Trattato d'Abbaco^ che in )j un Codice grossissinio in foglio, si conserva fra i » Manoscritti della Biblioteca del Regio Spedale di )) S. Maria Nuova di Firenze. In esso Codice però, » il Libro 16. è copia del Trattato di Leonardo Pi- )) sano sopra i Numeri Quadrati, e principia così : » Cum Magister Dominicus Pedibus Celsitudinis Ve- » strae, Princeps Gloriosissime Dotnine etc. ( forse » rhnperator Federigo Secondo) me Pisis ducerei » praesentandum, accurrens Magister Ioannes Panor- )) mitanus, Quaestionem miìii proposuit infrascriptam » etc. Nane autem cum relationibus Pisis positorum, » et aliorum redeuntium ab Imperiali Curia inteUexi, » quod dignetur Vestra Sublimis Maiestas legere super » librwn, quem composui de novo etc. (1). (Verisimil- » mente il Liber Abbaci) et a vestro Philoso- )) pilo mihi propositam Quaestionem Quaestio )) mila proposita a Magistro Theodoro Domini Impera- » toris dignissimoPhilosopho Per insino a qui » è scritto quanto aW Illustre Imperatore, ora seguita lo )) scripto addirizzato a Mess. R. Cardinale ec. » Tro- vansi qui riportati due passi della lettera dedica- toi'ia del Liber quadratorum di Leonardo Pisano da lui indirizzata a Federico II d'Hohenstaufen impera- tore di Alemagna,e riportata interamente di sopra (2). 11 secondo passo di questa dedicatoria nel soprar- recato passo del Targìoni ha Nane (3), mentre in (1) Qui ho creduto di dover porre mi segno d'apertura di pareii- lesi omesso per errore, forse di stampa, nella edizione seconda della sopraccitata opera del Tar(i[ioni (Vedi Targioni Tozzelti, Relazioni d'alcuni viaggi etc. cdiziuiic sccon a, t. If, pag. (56, lin. 8.) (2) Vedi pag. ■2(), liii. 13-31, e pag. 27, lin i — 6. l3) \'edi la linea 13 di questa pagina 83. 84 vece leggcsi Nupcr tanto nel Codice E. 75. Parte Supcriore della Biblioteca Ambrosiana, a carte 19, recto (i), quanto nel Codice L. W. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, a carte 4-75, recto. In ciascuno di questi due Codici, il medesimo secondo periodo ha la parola numero (2) in vece della parola novo, che trovasi nel suddetto passo del Targioni (3). I sopraccitati Codici E. 75. Parte superiore della Bi- blioteca Ambrosiana ed L. IV. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena hanno anche nel primo periodo della dedicatoria medesima occurrens (4), e nel secondo positis (5), mentre nel passo del Targio- ni riportato di sopra si legge in vece accurrens (6) e positorum (7). In questo secondo periodo il Codice Ambrosiano E. 75, Parte superiore ha intellcximus (8) probabilmente per errore di scrittura, mentre il Co- dice L. IV. 21 (9) della Biblioteca Pubblica Comu- nale di Siena ha in vece intellexi, come il suddetto passo del Targioni (10). Le parole : Quaestio mihi proposita a Magistro Theodoro Domini Imperatoris clignissimo Phiìosopho riportate dal Targioni (11), formano nel Codice L.IV. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena il (1) Vedi sopra, pag. 26, lin. 23. (2) Vedi sopra, pag. 26, lin. 26 e 27. (3) Vedi sopra, pag. 83, iin. 16. (4) Vedi sopra, pag. 26, lin. 15. (8) Vedi sopra, pag. 26, lin. 24. (6) Vedi sopra, pag. 83, lin. 11. (T) Vedi sopra, pag. 83, lin. 13. (8) Vedi sopra, pag. 20, lin. 21}. (y) A carte 475, recto. (10) Vedi sopra, pag. 83, lin. 14. (11) Vedi sopra, pag. 83, lin. 18 -2Q. 85 titolo di un problema risoluto da Leonardo Pisano nel suo Libcr quadralonim (1), salvo il leggersi in questo Codice Qucstio (2) in vece di Quacslio (3) theodoro (4) in vece di Theodoro (5) , e Inpcrato- ns (6) in luogo di Imperatoris (7). Trovansi anche nel medesimo Codice L. IV. 21 le parole riportate pure dalTargioni (8): Per insino a qui è scritto quanto allo Illustre Imperatore, ora seguita lo scripto addirizzato a Mess. R. Cardinale, salvo che in questo Codice leggesi illustro imperadore (9) in vece dì Illustre Imperatore [IO), scritto adirizato (11) invece di scriplo addirizzato (12) , e mess. (13) in vece di Mess. (14). Il Codice grossissimo in foglio nel quale il Targio- ni dice (15) trovarsi copia del Trattato de'numeri qua- drati di Leonardo Pisano, ora più non si conserva nel- la Biblioteca del Regio Spedale di S. Maria Nuova di Firenze. Questo Codice, diverso dal Codice L. IV. 21 della T5iblioteca Pubblica Comunale di Siena, conte- fi) Vedi sopra, pag. 44, liii. 19 — 2fi. (2) Vedi sopra, pag. 44^ lin. 19. (3) Vedi sopra, pag. 83, lin. 18. (4) Vedi sopra, pag. 44_, lin. 19. (5) Vedi sopra, pag. 83, lin. 19. (fi) Vedi sopra, pag. 44, lin. 20. (7) Vedi sopra, pag. 83, lin. 19 e 20. (8) Vedi sopra, pag. 83, lin. 20 — 22. (9) Vedi sopra, pag. 80, lin. 19 e 20. (10) Vedi sopra, pag. 83, lin. 21. (11) Vedi sopra, pag. 80, lin. 20. (12) Vedi sopra, pag. 83, lin. 22. (13) Vedi sopra, pag. 80, lin. 21. (14) Vedi sopra, pag. 83, lin.. 22. (13) Vedi sopra, pag. 83, lin. 3. 86 neva il medesimo trattato d' aritmetica contenuto in quest'ultimo. Ciò sarà dimostrato nella continuazio- ne del mio scritto intitolato Della vita e delle opere di Leonardo Pisano ec. II Sig. Libri nella sua Hisloirc des sciences ma- thématiqiies en Italie (1), parlando dell' Imperatore F'ederico II d'Hohenstaufen, dice: « Les mouvemens » de son armée étaient réglés sur ceux des astres, » et Tun de ses astrologues, Thcodore, se trouve » cité à propos des actions les plus mémorables de » r empereur )) . In una nota a questo passo del- l'opera sopraccitata del Sig. Libri si legge (2): « Mn- )) ratori scriptores rer. ^7ai., tom. Vili, col. 228.- Cet » astrologue, d'après ce qu'en dit Fibonacci dans 1' )) introduction au traile sur les nombres carrés, sem- )) ble s'étre occupò aussi d'algebre [Targioni-, viaggi, )) tom. II, p. 66). )). La citazione che qui trovasi del Muratori si riferisce al passo di Rolandino riportato di sopra (3). Quindi è chiaro che il Sig. Libri crede il Magister Theodorm menzionato in questo passo essere quello stesso Teodoro Filosofo, di cui Leo- nardo Pisano parla nel suo Liher quadratorum. Ciò che il Sig. Libri nella nota teste citata chia- ma introduction au traité des nombres carrés è la lettera dedicatoria del Liber quadratorum di Leonar- do Pisano da lui diretta all'Imperatore Federico II, è riportata di sopra (4). In questa dedicatoria per altro il Magister Tlieodorus non è menzionato. Il Sig. (1) Tom. H, pag. 52. (2) Libri, 1. e, noi. (3). (3) Vedi sopra pag. 68, liti. 1—20. (4) Pag. 26, liti. 13—31, e pag. 27, lin. 1—6. 1 87 Libri nella sua nota suddetta citando « Targioni , Viaggi, toni. If, pag. 66 » pare che alluda alle pa- role Quaestio mihi proposila a Magistro Theodoro Do- mini Imperaloris di gnissimo Philosopho riportate dal Dottor Giovanni Targioni Tozzetti a pagine 66 del tomo secondo dell'edizione seconda delle sue Rela- zioni d'alcuni viaggi, ec. Queste parole per altro non si trovano nella suddetta lettera dedicatoria del L?- her quadralonim. Il Sig. Libri nella nota (1) della pagina 23 del tomo secondo della sua Histoire des sciences mathé- maliqiies en Italie indica Vedizione seconda delle Re- lazioni d'alcuni viaggi ec. del Dott. Giovanni Tar- gioni Tozzetti, citando: « Targioni, viaggi, Firenze, )) 1768, 12 voi. in-8, tom. II, p. ix » ; giacché i primi due tomi della medesima edizione seconda hanno nel frontespizio la data del MDCCLXVIIl. Dalla prima pagina del tomo secondo della suddetta opera del Sig. Libri a tutta la pagina 52 del tomo medesimo non trovasi mai indicata la prima edi- zione delle sopraccitate Relazioni d'alcuni viaggi ec. del Dottor Giovanni Targioni Tozzetti. Quindi è cer- to che alla seconda edizione di tali Relazioni si ri- ferisce la citazione « tom. IL p. 66. » che trovasi come si è veduto di sopra (1) nella sopraccitata nota (3) del Sig. Libri. Il Professore Giovanni Battista Guglielmini nella Nota hh al suo Elogio di Leonardo Pisano, riporta in parte il passo soprarrecato del Targioni Tozzetti. Facendo poscia alcune riflessioni intorno a questo (1) Vedi sopra, pag. 8G, Un. 16 — 17. 88 passo il Prof. Guglielmini dice (I) : « Quarto, borse » r Imperatore Federico IL; ... verosimilmenlc il li- )) ber Abaci .... riflessioni eccellenti del Targio- » ni ; e passi che provano, come Lionardo l'u pre- w sentalo a Federico dopo il 1228, e come questi » amava e coltivava le Scienze. » I passi cpii men- zionati dal Professor Guglielmini della lettera dedi- catoria di Leonardo Pisano all'Imperatore Federico II da me riportata di sopra sono i due seguenti : 1.° Cam Mugislcr dominicus pedibus celsitudinis vestrCy princeps gloriosissime domine h.y me pisis du- cerei presenlandum (2). 2." Nuper autem cura relalionibus pisis positis, el aliornm reddeuntimn ab imperiali curia, intellcximus quod diynatur vestra sublìmilas Maiestas Icgere super librum quem conposui de numero (3). Certamente è probabile, come si vedrà piìi ol- tre, che il Libèr de numero, menzionato nel secondo di i questi due passi, sia il Liber Abbaci di Leonardo Pisano. Ciò per altro non prova che Leonardo Pi- sano sia stato presentato alFimperatore Federico II dopo il 1228; giacché si sa che il medesimo Leonar- do compose il suo Liber Abbaci nel 1202 (4) , e (1) Guglielmini, Elogio di Leonardo Pisano, pag. 109 e HO, Nola lih, parafjrafo 5. (2) VeJi sopra pag. 20, lin. 13, 14 e 15. (3) Vedi sopra png. 20, lin. 23—27. (i) Memorie isloriche di più uomini illuslri Pisani, fisa 1790 — il93. Presso Ranieri Prosperi, 4 tornitili 4°, l. I, pag. 171—17.1. — Guglielmini , Elogio di Lionardo Pisano, pag. 13 , paragr. XI. — » Libri, Histoire des sciences mallivmatiques cu Italie, l. lì, pag 21. — yltti deW Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, i. V, Jnno V , (1831 32), pag. 69—72. 89 nel 1228 diede una seconda edizione di quest'opera. Quindi può ben credersi, che Leonardo Pisano par- lasse della prima edizione di quest'opera dicendo: Li- brimi quem composul de numero, nella sua dedica- toria del Liber qiiadratonim riportato di sopra. Sei esemplari manoscritti (1), si hanno di una lettera dedicatoria del suddetto Liber Abbaci diretta da Leonardo Pisano a Michele Scoto astrologo dell'Imperatore Federico II d'Hohenstaufen , ed au- tore di parecchie opere scientifiche. Questa lettera dedicatoria incomincia così (2): Scripsisti mihi domine mi el magister Michael Scotte summe philosoplie ut Hbrum de numero (3) quem dudum composni vobis iran- (1) Questi esemplari saranno indicali più olire nel present»- scrino. (2) Libri, Histoire des scicnces mathématiques en Italie, l. Il, pag. 288. — Jtti delV Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, \; V, Anno V, (1831—52) pajj. 25. (3) Nell'opera del Padre Francesco Antonio Zaccaria della Com- pagnia di Gesù intitolata : Excursus litterarii per Italiani ab an- no MDCCXLII, ad annum MDCCLIL, trovasi la parola novo in- vece della parola numero in questo passo della dedicatoria di Leo- nardo Pisano a Michele Scoto {Francisci Antonii Zachariac Socie- tatis Jesu, Excursus litterarii per Itatiam ab anno MDCCXLU. ad annum MDCCLII. P'olumen I. Josepho Maria Saporito Illustrissi- mo ac Reveiendiss. Gcnuensium Archiepiscopo inscriptum. Venetiis MDCCLIF. Ex lìemondiniano Typographio. Superiorum pcrmissu,ac privilegiis, in 4°, pag. 230, lin. 17). — Il passo medesimo lanlo nella prima, qnaiUo nella seconda edizione delle Relazioni d'alcu- ni viaggi ec, del Dottore Giovanni Targioni Tozzetli lia: ut Hbrum quem dudum composui vobis transcriberem ( Belazioni d' alcuni viaggi, fatti in diverse parti della Toscana, per osservare le Pro- duzioni Naturali, e gli Antichi Monumenti di essa dal Dottor Già- vanni Targioni Tozzctti Medico del Collegio di Firenze, Professore Pubblico di Bottanica, Prefetto della Biblioteca Pub. Magliabccli,, e Socjo delle Società Bottanica e Colombaria di Firenze, e delle Ac- 90 scriberem; unde vestrae obsecimdans posiulatimii ipsum siibtiliori perscnitans indagine, ad vestrum honorem , el aliorum multorum utililatem correxi. L' opera qui chiamata Liber de numero da Leonardo Pisa- no è il suo trattato d' aritmetica , e d' algebra in- titolato Liber Abbaci. Per ciò è da credere che il medesimo Liber Abbaci sia l'opera di Leonardo Pi- sano, della quale egli parla nella lettera dedicatoria del suo Liber quadratorum riportato di sopra dicen- do: librum qucm conposui de numero (1). Leonardo Pisano nel suo Flos super solulionibus quarumdam questionimi etc. scrìve: Tres homines ha- bebant pecuniam comunem, de qua medietas erat pri- mi, tertia secundi, sexla quoque pars tertii hominis, et cum eam in lutiori loco habere voluissent, ex ea iinus quisque cepit forluitu, et cum totam ad tuliorem locum deportassent,primus ex hoc quod cepit posuit in comune medietatem, secimdus tertiam, tertius sextam, et cum ex hoc quod in comune positum fuit inter se e- cddemie Imperiale de^Curiosi della Natura, ed Etrusca di Cortona. In Freme 1751 — 1754. Nella Stamperia Imperiale. Con Licenza de' Superiori, 6 tomi, in 8°, t. VF, pag. 292.— Relazioni d'alcuni viag- gi fatti in diverse parti della Toscana, per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa dal Dottor Gio. Targioni Tozzelti, edizione seconda con copiose giunte, t. II, pag. 60). Nello scritto del Padre Don Gabriele Grimaldi , intitolato LEONARDO FIBONACCI, e stampato nelle Memorie istoriche di più, uomini il- lustri Pisani (t. I, pag. 162 — 219) questo passo ha: ut Librum quem dudum composui vobis Iranscriberem {Memorie istoriche di piti uo- mini illustri Pisani, t. I, pag. 170 ). Tuttavia la parola numero trovasi qui fra Librum e quem in ciascuno dei sette esemplari ma- noscritti sopraccitati della suddetta dedicatoria di Leonardo Pisa- no a Michele Scoto. (1) Vedi sopra, pag. 2G, lin. 26 e 27. 91 qiialiter divisisaent, marti imusquisque habuit portionem; queritur quanta fiiit iìla pectinia, et qiiot unusqnisque ex ea cepit. Hec itaque questio, domine serenissime imperalor, in palalio veslro pisis, coram veslra maie- state a magistro Johanne panormitano mihi fuit pvo- posita. Super cuius questionis solulionem coqitans, tres modos in solvendo ipsam inveni, quos in libro nostro quem de numero conposui patenter inserui (1). E da credere che il Liber de numero qui menzionato da Leonardo Pisano sia il Liber Abbaci da lui compo- sto nel 1202. In fatti nella parte ottava del duode- cimo capitolo del medesimo Liber Abbaci si legge: Tres homines habebant libras nescio quot sterlingo- rum quarum medietas erat primi. Tertia erat secundi. Sexta erat tertii. Que cum vellent in loco tutiori habere, quilibet eorum accepit ex ipsis sterlimjis aliquam quantitatem, et ex quantitate quam cepit primus po- sili t in comuni medietatem, et ex ea quam cepit secun- dus posuit tertiam partem, et ex ea quam cepit tertius posuit sextam partem^ et ex hoc quod posuerunt in co- rnimi recepit quilibet tertiam partem , et sic unusquisque suam habuit portionem. (2). Nel Codice Magliabe- chiano Classe XI, n." 21, a carte 182 verso, questo passo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano, in vece di libras sterlingorum ha bizantios sterlingorum. Nel decimoterzo capitolo del suo medesimo Liber Abba- ce, Leonardo Pisano scrive: Tres homines habebant li- bras nescio quot sterlingorum, quarum medietas erat pri- (1) Codice Ambrosiano E. 75, Parte superiore, carta 6, verso. — Vedi sopra, pag. 10, lin. 10 — 24. (2) Codice L. IF. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena carta 135, verso. 92 mi, tenia eral secundi, scxla crai lerlii; qiias cum vel- lent in loco tuliori habere, quilibet eorum sumpsit ex cis forluilu , et cum ad tiUum dcuomaent locnm , primus 1 1 posiiit in comuni -^ ex his quas sumpserat, seciindns -77-, tertius -77- , ex quorum triiim positionum summa ciim umisqidsque caperei terliam partem, quilibet ipsorum suam portionem habuisse proponilur (1). Nel medio evo fu chiamata Slerlinyus una mo- neta inglese, che nella nostra lingua è detta Sler- lino. 11 Du Gange nel suo Glossarium ad scriplores mediae et infimae latinitatis, scrive: « Sterlingus prò » monetae specie, quam denarium Sterlingum voca- » bant » (2). Nel medesimo Glossarium del Du Gange trovasi riportato un articolo intorno alla Libra stcr- limjorum, cioè alla Lira di denari sterlini tratto dal Glossarium Archacologicus di Enrico Spelman(3). Non si legge per altro in questi due Glossarti alcun ar- ticolo che spieghi la denominazione di Bijzanli Ster- lingorum, che trovasi nel soprarrecato passo del Li- her Abbaci di Leonardo Pisano. (1) Codice Z. IV. 20 della Dibìiotcca Pubblica Comunale di Siena, oarta 161 verso e 162 recto. (2) Glossarium mediae et infimae latinitatis conditum a Carolo . Dufresne Domino Du Cangc, auctum a Monachis Ordinis S. Benedi- cti, cum supplementis integris D. P, Carpcnterii ec. , t. Ili, pag. 103, col. l,voce Ii:STJ■RLI^'GUS. (3) Jlenrici Spelmanni Equit. Anglo - Brìi. Archacologus in mo- dum Glossarli ad rem antiquam posteriorem : Lendini. Jpud Jo- hannem Beale 1626, in log., pag. 445, col. 2, articolo Libra Sterlin- gorum. — Glossarium mediae et infimae latinitatis conditum a Carlo Dufrcsnc Domino Du Cangc, l. IV, pag. 101, col. 1, articolo I.IBItA SlEnLINGOniM. 93 Leonardo Pisano cita nuovamente nel suddetto Fìos la sua opera intitolata Liber Abbaci scriven- do : Ilem de modo prcdicio exiraxi liane regulnm super invenlionem trium numeroriim, quorum primu^ cum tertia parie reliquorum numerorum surgat in 14. Secimdus vero cum quarta parte reliquorum surgat in 1 . . 17. Tertius namque cum -^ primi et secundt numeri surgat in 19. Pateat quidem serenitali vestre lume questionem a me solutam esse in tertio decimo ca- pilulo libri mei dupliciter (1). L'opera dì Leonardo Pisano da lui qui citata è certamente il suo Liber Abbaci', giacché nel decimo terzo Capitolo del me- desimo Liber Abbaci si legge : Tres homines ha- bent simililer denarios, etprimus querit secundo -^ et 1 proponit habere denarios 14, secimdus petit tertio — suormn denariorum, et proponit habere denarios 17, ,.,..,*..„,,,„-.,. 1 _,...*„, et proponit habere denarios 19. Queritur quot imusqui- sque habet (2). Due risoluzioni di questo problema si trovano nel capitolo decimoterzo del Liber Ab- baci di Leonardo Pisano una della quale e intitolata De tribus hominibus denarios habentibus (3) e l' al- tra è intitolata: Alter per regulam proportionum (4). (1) Codice Ambrosiano E. 75, Parte superiore, carta 10, verso. (2) Codice L. IV. 20 della Diblioteca Pubblica Comunale di Siena caria 103 recto. (3) Codice L. IV. 20 della Ciblioleca Pubblica Comunale di Sie- na, caria 163 recto e verso. (4) Codice Z. IV. 20. della Biblioleca Pubblica Comunale di Sie- na, carte 163 verso, 1(>4 recto e verso, e 163 redo. 94 Nella lettera dedicatoria del suo Flos super so- lulionihiis quarumdam qiiestionum etc. al Cardinal Ra- niero Capocci, Leonardo Pisano scrive ; non solum parere volo vestro sategi devotius in hac partey veruni etiam de quarumdam solutionibus queslionum a qui- busdam philosophis serenissimi domini mei Caesaris et aliis per tempora mihi oppositarum, et plurium que sublilius quam in libro maiori de numero qiiem con- posui sunt solute, ac de mullis quas ipsemet adiiiveni ex diffusa quidcm multitudine conpilans hunc libel- lurn ec. (1). Certamente l'opera qui chiamata Liber maior de numero da Leonardo Pisano è il suo Li- ber Abbaci sopramjnentovato, giacche il medesimo Liber Abbaci , diviso in quindici capitoli, che oc- cupano in tre Codici più di duecento carte in fo- glio (2) , ed in un altro Codice non meno di 3i6 carte parimente in foglio (3), è veramente mag- giore in estensione del suddetto Flos, che è conte- nuto in sole quindici carte del Codice Ambrosiano E. 75, Parte superiore. Essendosi dimostrato (4) che Leonardo Pisano chiamò piiì volte Liber de numero il suo Liber Abbaci, sembrai doversi credere che lo slesso Liber Abbaci sia l'opera chiamata Liber numeri da Leonardo Pi- sano nella sua lettera soprarrecata ad Ma(jislrum Theodorum philosophum domini Imperaloris, dicendo: (1) Codice Ambrosiano E- 73, Parte superiore, carta 1, recto. (2) Atti deW Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, l. V. An- no (1831—52) pay. 2o, 32, 34. (3) Alti deU' Accademia Pontificia de'Nuovi Lincei, t. V, Anno V, (1851—52), pag. 45. (4) Vedi sopra, pay. SU — Ui. 95 quia ipse tanqtiam noviter in hoc magislerÌG ediicatusy fortiora pabtila in libro meo numeri apposita pcwe- scebat (1). Leonardo Pisano nel 1220, o nel 1221 (2), com- pose un trattato di geometria teorica e pratica in- titolato: Practica Geometriae. Egli dedicò quest'opera ad un suo amico che avea nome Domenico, come apparisce da una lettera dedicatoria del trattato me- desimo, giacche questa dedicatoria in alcuni mano- scritti incomincia così: Rogasti me amice Dominicey et Reverende magister ut libi librum in pratica geo- metriae conscriberem (3). È da credere che questo Domenico al quale Leonardo Pisano dedicò la sua Practica Geometriae, sia quel medesimo maestro Do- menico, dal quale lo stesso Leonardo nella lettera dedicatoria del suo Liber quadratorum riportato di sopra, dice di essere stato presentato in Pisa all' Imperatore Federico li (4). Di quest'opinione si mo- strano il Professore Giovanni Battista Guglielmini nella nota ìih al suo Elogio di Leonardo Pisano, ed il Sig. Libri nella sua Histoire des sciences mathémati- ques en Italie. In fatti il Professore Giovanni Battista Guglielmini facendo, come si è detto (5), alcune rifles- (1) CoJice Aml)rosiano 77. 7K, Parie supcriore , caria 15, recto. — Vedi sopra pajj. 20, lin. 1(> — 18. (2) Libri, Jlisloire dea sciences mathématiques en Italie, l. Il, pag. 21, nota (1) (Iella pag. 29. (3) Guglielmini, Elogio di Leonardo Pisano, pag. 171, noia ftft, pa- ragrafo 3. — Libri, Jlisloire dcs sciences mathémati ,ues en Italie, t. Il, pag. 30», Nola il. (4) Vedi sopra pag. 26^ lin. 13 — la, e pag. 27, lin. 12--24. (5) Vedi sopra, pag. 87, linea ullima del testo. 96 sioni intorno !\ll.i parte stampata dal Targioni dalla dedicatoria suddetta (\o\ Libcr qiiadralomm, dice (1): )) Terza. Cum Magister Dominiciis ... .è natu- )) ralmente lo stesso Domenico, a eui Lionardo ave- » va dedicata nel 1220 la sua Geometria ^ )>. » » Targioni (Par. III.) pag. J69. » Il Sig. Libri poi a pagine 23 del tomo II della sua Histoire des sciences mathématiques en Italie, scri- ve : « Depuis 1202,jusqu'en 1220, on perd tout-à- » ftìit de vue Léonard : dans cette dernière année )) il publia sa Pratique de la Géomélrie, qu'il dédia » à un maitre Dominique dont nous ne connais- )) sions (2) que le nom. » Più oltre il Sig. Libri nella sua opera sopraccitata parlando della medesima Pra- ctica Gcometviae di Leonardo Pisano dice (3): « Ce » traité est divise' en huit distinctions . . . , et est » adressé à ce maitre Dominique, personnage qui nous )) est inconnu, mais dont Le'onard parie aussi dans )) le dernier de ses ouvrages ». L'opera che il Sig. Libri qui dice esser l'ultima di Leonardo Pisano e il Liber quadratomm. Si vedrà più oltre che Leonardo Pisano compose alcune opere , ora non esistenti , le quali non si sa in quale anno fos- sero da lui scritte. Per ciò non sembra potersi con sicurezza asserire che il Liber qnadralorum sia l\d- lima opera composta da Leonardo Pisano. (1) Gugliclmini, Elogio di Leonardo Pisano, pag. 109 , Noi. hh, paragrafo 4. (2) Forse qui per l'rrore ili slamp:i (rovasi connaissions, in vece di connaiswns. (3) Libri, J/isloire dcs sciences malhcmuliquvs cn Italie., l II, pag. 3(5 e 137 97 Guido Bonatti celebre astrologo ed astronomo del secolo decimoterzo nella sua opera intitolata De Astronomia tractatus decem, scr'we [ì): Illiautemqid fuenint in tempore meo sicut fiiit Hugo Abalugant, Be- neguardinus Daitidbam, Joannes Papiensis , Domini- cus Hispanus, Michael Scotus, Slephanus Francigena , Girardus de Sabloneto Cremonensis, et multi alij ute- bantur in omnibus supradictis prima et septima, ta- men exlendebanl sua indicia istos duos modos. Il Dominicus Hispanus qui menzionato da Guido Bo- natti potrebbe essere quello stesso maestro Domenico dal quale Leonardo Pisano fu presentato in Pisa al- l'Imperatore Federico li d'Hohenstaufen. Conciossia- chè Guido Bonatti nella sua opera suddetta parlan- do di un certo Riccardo che diceva di avere quat- trocento anni , e d' essere stato ai tempi di Carlo Magno dice : Et nidi Ricardum Rauennae aera Chri- sti millesima ducentesima uigesima tertia (2), d'onde il Cavaliere Abate Girolamo Tiraboschi giustamente deduce (3), che Guido Bonatti nel 1223 doveva cer- (1) Guidonis BorMi Foroliviensis mathematici de astronomia tra- ctatus X, vniuersum quoi ad iudiciariam rationem Naliuilalum , Aeris, Tempesiatutn, attinet, com.prehendentes. Adieclus est CI- Pto- lemaei liber Fructus, cum Commentarijs Georgi) Trapauniìj. Basi- leae,Anno M.D. L , in fog., colonna 335. (2) Guidonis Bonati Foroliviensis mathemalici de astronomia ira- ctalus X, col. 209. Giornale Arcadico di scienze lettere ed arti. Roma 1819—1833, 130 \olumi , in 8°, t- CXXH, pag. 136. — Della vita e delle opere di Guido Bonatti, Notizie raccolte da B- Boncompagni. Boma Tipografia delle Belle Arti, 1831, in 8°, pag. 21. (3) Storia della letteratura Italiana. Seconda Edizione Modenese, t. IV, pag. 183, lib. Il, cap. 11, parag. XVI. Edizione di Milano, de' Classici Italiani, t. IV, pag. 262. — Giornale Arcadico di scienze lettere ed arti, I. e. — Boncompagni, Della vita e delle opere di Guido Bonatti, 1. e. G.A.T.CXXXI. 7 98 tamenle essere vivo, ed in età da poter conoscere altri. Quindi è certo che Guido Bonatti visse nella prima metà del secolo decimoterzo (1). Il maestro Domenico da cui Leonardo Pisano fu presentato all'imperatore Federico II visse anch'egli nella pri- ma metà del secolo decimoterzo (2). Puossi adun- que con sicurezza affermare , che questo maestro Domenico visse ai tempi di Guido Bonatti. li II Professore Giovanni Battista Guglielmini nd paragrafo XII del suo Elogio di Leonardo Pisano , afferma che il Liber quadratorum di Leonardo Pi- sano fu composto intorno al 1250 (3). Altri scrit- tori rnostrano di credere che quest' asserzione non sia stata ben dimostrata dal medesimo Professor (<) Ciò è anche (iinjoslrato da altre notizie che si hanno iiilor- >io al medesimo Guido Bonatti , giacché egli nella sua opera so- praccitata parla della dimora fatta ip Bologna nel i233 da Fra Giovanni da Schio Domenicano nati^'o di Vicenza {Giornale arca- dico di scienze lettere ed arti. voi. CXXH, pag. 156 — 158. Bon- compagni. Della vita e delle opere di Guido Bonatti, pag. 21 — 23) e della congiura ordita contro 1' imperatore Federico II nel 1246 ( Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, voi. CXXil , paj;. Ì9ò e 194. boncompagni, Bella vita e delle opere di Guido Bonatti, pag. 24 , 102, e 103). (2) in prova di ciò è da notare 1°. Che V imperatore Federico II al quale fu fatta la presentazione suddetla morì ai 13 di de- cembre del 1250 dopo aver tenuto 1' impero Irent' anni e venti giorni (Vedi sopra, pag. 12, lin. 1 — 3); 2.° Che Leonardo Pisano compose nel 1202 il suo Liber Abbaci (Vedi sopra, pag. 88 , lin. penultima ad ultima, nel 1220, o nel 1221 la sua Praetica Geome- una Cattedra da Federico, il quale anzi cercava i » Dotti ^, e penava allora a trovarli ? Non trovo alla )) visita di Lionardo epoca più opportuna di quella, » in cui Federico nel 1249 assediò Capraja ^, che )) giace tra Firenze e Pisa, ed alloggiò in Fucecchio » tra Capraja e Pisa : Lionardo allora si lasciò con- » dur a Corte dal grato Amico Domenico, che volle )) farlo conoscere a Federico ; e presentò natural- )) mente all'Imperatore l'edizione seconda dell' Ab- » baco, che era già anni prima stata dedicata a Sco- » to, ma cui forse non aveva ancor veduta neppur » Domenico. Essendo poi scritto a Lionardo , forse » da Domenico, come Federico si dilettava dell'Ab- » baco, si decise per riconoscenza a dedicargli i Nu- )) meri Quadrati, il principio della quale opera espo- )) sto qui sopra dal Targioni è una Dedica manife- » sta a Federico )). » 1 Muratori (Not. y) Tom. Vili. pag. 495. » 2 Croniche di Mes. Giovanni Villani Cittadino Fiorentino. » Venezia i337. pag. 49. Nella nota 2 di questo passo del professor Gu- glielmini trovasi citata la pagina 49, cioè la carta numerata nel recto col numero 49, dell'edizione fatta in Venezia nel 1537 per Bartolommeo Zanetti Ca- sterzagense (l) dei primi dieci libri della Cronica (1) Questa edizione è- in loglio, di carte 230, delle quali le pri- me dieci, e l'ultima non sono numerale, e le altre 210 sono tutte numerate nel recto coi numeri 1 -210. Nel recto della prima carta 102 di Giovanni Villani, celebre scritlore Fiorentino del secolo decimoquarlo. In fatti nel recto della carta 49 di questa edizione si legge : « Poco tempo apresso » lo imperadore si parti di lombardia, et lascioui per » suo uicario generale Enzo Re di Sardigna suo fì- » gliuolo naturale con gente assai à cauallo sopra » la taglia de lombardi, et uenne in Toscana, oue » trono che la parte ghibellina che signoreggiauano » fìrenze del mese di marzo s'erano messi a assedio » a Capraia, nel quale castello erano de caporali » delle magiori case de nobili guelfi usciti di fìrenze, » lo imperadore uenuto in Toscana non uolle entrare non numerata , cioè nel frontespizio dì questa edizione si legge il titolo seguente: « CRONICHE DI MESSER || GIOVANISI VILLANI » CITTADINO ilOREN |( Tino, nelle quali si tratta dell'origine di )> Firenze, & di tutti e fatti & !( guerre state fatte da Fiorentini nella » Italia &t nelle quali an^ y chora fa mentione dal principio del » mondo infìno al |J tempo dell' Autore, di tutte le guerre slate » per il mo || do, così de principi christiani fra loro, come || de gli » infedeli, & de christiani con gli in^ [| fedeli, Historia nuoua & » utile a sa^ || pere le cose passate fatte per |{ tutto l'uniuerso » Piil sotto nel medesimo frontespizio si legge: « Hassi nel priuilegio » & nella gratia otteniila dalla Illustrissima Signoria die in que- ') Il sta, ne in niun altra Città del suo dominio si possa imprimere, » ne altroue || impresse uendere le Croniche di Giouan Villani » cittadino fio || rentino , & anchora come si contiene nel breue " apo il stolico che per anni dieci sotto pena di esco || municalione )) che nessuno possa im || primere dette Croniche, ne al || troue im- » presse uendere || come in esso priuile || gio, & breue J aposloli- » co si contiene. » Nel rovescio della carta 229" di questa edizio- ne, e numerata nel redo col numero 219 si legge dopo il registro: )> Finiscono le Croniche di niesser Giouan Villani Cittadino Fio- » renti^ || no. Stampate in Vinetia per Bartholomeo Zanetti Casterza, || » gense. Nel anno della incarnatioiie del Signore. || M.D.XXXVII r> del mese d'Agosto » . 103 )) in Firenze, ne mai non u'era intralto, pei-o che se » ne guardaua, trouando per suoi agurii, onero detto )) dalcuno demonio, onero profetìa, come douea mo- » rire in fìorenza, onde forte ne temea, ma passo al- » riioste, et andossene a sogiornare al castello di Fu- )) cecchio, et la magiore parte di sua gente lasciò al » castello di Capraia, il quale castello per lungo ^ )) forte assedio, §c fallimento di uettuaglia non po- » tendosi più tenere fecero que dentro loro consi- » glio di pattegiarsi, et harebbono hauuto ogni largo » patto che hauessino uoluto, ma uno Calzolaio usci^ » to di fìrenze che era stato un grande Antiano, non » essendo richiesto al detto consiglio, sdegnato si » fece alla porta, et grido à quegli del hoste che la )) terra non si potea più tenere, per la qual cosa quelli » de l'hoste non uollono intendere a patteggiare, on- )) de que dentro, come gente morta si renderono alla )) merce dello imperadore, et ciò fu del mese di ma- » gioii anni di Christo M. ccxlix.; -iif; i« neri j.Uì^/ì ^ Questo passo della sopraccitata edizione di Vene- zia della Cronica di Giovanni Villani trovasi compre- so in questa edizione nel capitolo XXXVI del libro sesto della Cronica stessa. Neil' edizione fatta in Fi- renze nel 1823 per il Magheri, e sotto la direzione del Sig. Ignazio Moutier della medesima Cronica, questo passo si legge nel capitolo XXXV del libro sesto d'essa Cronica come segue : « Poco tempo appresso » lo 'mperadore si parti di Lombardia, e lasciovvi )) suo vicario generale Enzo re di Sardigna suo fì- )) gliuolo naturale, con gente assai a cavallo, sopra la » taglia de'Lombardi, e venne in Toscana, e trovò » che la parte de'ghibellini, che signoreggiavano la lOi » città di Firenze, del mese di Marzo s' erano posti » ad assedio al castello di Capraia, nel quale erano )) i caporali delle maggiori case de'nobili guelfi usciti )) di Firenze. Lo'mperadore vegnendo in Toscana, non )) volle entrare nella città di Firenze, né mai v'era en- » trato, ma se ne guardava, che per suoi aguri, ovvero )) detto d'alcuno demonio, ovvero profezia, trovava eh' )) egli dovea morire in Firenze, onde forte temea, » ma passò all'oste, e andossene a soggiornare nel )) castello di Fucecchio, e la maggior parte di sua » gente lasciò all'essedio, {sic) di Capraia , il quale » castello per foi'te assedio e fallimento di vittuaglia » non possendosi più tenere, feciono quegli d'entro )) consiglio di patteggiare, e avrebbono avuto ogni » largo patto eh' avessono voluto; ma uno calzolaio » uscito di Firenze, ch'era stato uno grande anziano, » non essendo richesto al detto consiglio, isdegnato )) si fece alla porta, e gridò a quegli dell'oste, che la )) terra non si potea più tenere; per la qual cosa que- » gli dell'oste non vollono intendere a patteggiare, )) onde quegli d'entro come gente morta, s'arrenderò » alla mercè dello 'mperadore. E ciò fu del mese di » Maggio, gli anni di Cristo 1249 » (1). Il Professore Giovanni Battista Guglielmini di- ce (2): « alloggiò (l'imperatore Federico II) in Fucec- )) chio tra Capraia e Pisa, Lionardo allora si lasciò )) condur a corte dal grato amico Domenìco,che volle )) farlo conoscere a Federico » pare che supponga (1) Cronica di Giovanni Villani a miglior lezione ridotta colfa- juto de'testi a penna. Firenze per il Magheri 1823, 8 tomi, in 8. , è, H, pa(j. 33 e Sì, libro Vi, cap. XXXV. i (2j Vedi sopra, pag. 101, lin. 8—11. 105 che Leonardo Pisano sia stato presentato in P'ucee- chio all'imperatore^Federico II da maestro Dome- nico. Ora è certo che questa presentazione fu fatta in Pisa, e non già in Fucecchio ; giacché Leonardo Pisano stesso ciò attesta nella dedicatoria del suo Liber quadralorum al medesimo Federico dicen- do : Cum magister Dominicus pedibus cehitudinis ve- stremepisis ducerei praesentandum (1). Nella Nota p del Professore Guglielmini al suo Elegia di Lionardo Pisano si legge (2) : » Non mi è noto, che dopo i viaggi accennati '^ )) nel 1202, Lionardo ne conti altri oltre 1' essere )) uscito di Pisa per visitare Federico II. « » a Par. IV. » II Prof. Guglielmini dicendo qui che Leonardo Pisano uscì di Pisa per visitare Federico II, allude certamente alla presentazione di esso Leonardo a quest'imperatore fatta , secondo il medesimo Gu- glielmini , in Fucecchio (3). Essendosi mostrato di sopra, che questa presentazione fu fatta in Pisa e non già in Fucecchio (4) , il Professor Gugliel- mini andò lungi dal vero credendo che Leonardo Pisano sia uscito di Pisa per visitare V imperatore Federico IL Giovanni Villani non dice che nel 1249 l'impe- ratore Federico II si conducesse a Pisa. Tuttavia è certo che nel mese di maggio del 1 249 quest'impe- (1) Vedi sopra, pag. 26, Un. 13—15, e pag. 27, lin. 21 — 24. (2) Guglielmini, Elogio di Leonardo Pisano, pag. 76, Nota p, pa- ragr. 2. (3) Vedi sopra pag. 104, lin. 25—28, e questa medesima pagina lin. 1—3. (4) Vedi sopra, questa medesima pagina, lia. 3-6. 106 ratore fu in Pisa; giacché un diploma di ìnvestiturfr di molti castelli e terre data dal medesimo Federi- co II al Marchese Uberto Pallavicino ha la data se- guente : Datimi Pisis anno Incarnationis Dorninicae Millesimo dncentesimo quadragesimo nono Mense Maij Indictione septima. Imperante Domino nostro Federico Imperatore semper Augusto Hìjerusalem, et Siciliae Rege anno Imperii ejus vigesimo nono, Regni Hyeru- salem vigesimo quarto , Regni vero Siciliae quinqua- gesimo feliciter. Amen (1). Quindi potrebbe credersi che nel 1249, Leonardo Pisano fosse presentato in Pisa da maestro Domenico all'imperatore Federico II. Sembra per altro doversi tenere per certo che que- sta presentazione sia stata fatta molti anni prima del 1249 ; giacché si è dimostrato sopra (2) , che non più tardi del 1225 Leonardo Pisano nel suo Flos super solulionibus ec. scrisse : Cum coram ma- iestate vestra gloriosissime princeps Frederice ma- gister Johannes panormitanus phylosophus vesterpi- siis mecum multa de numeris conttdisset. La confe- renza qui menzionata di Leonardo Pisano con mae- stro Giovanni da Palermo fu certamente tenuta do- po la presentazione di Leonardo Pisano all'impera- tore Federico li fatta dal soprammentovato maestro Domenico. (1) storia della città di Parma scritta dal P. Ireneo Affò Minor Osservante, Regio Bibliotecario Professore onorario di Storia nella R. Università e Socio della R. accademia delle Belle Arti. Parma dalla Stamperia Carmignani, 1792—1795, 4 tomi, in 4°, t. IIF, pag. 386, Appendice di Documenti, n.° LXXX. — Bòhmer, Regesta Irn- perii, inde ab anno MCXCVIII, usque ad annum MCCLIF , pa{j- 208. ^2) Vedi sopra, pag. 28, lin. 15—22. 107 Nel paragrafo i della Nota hh del Professor Gio- vanni Battista Guglielmini al suo Elogio di Lionar- do Pisano si legge (1) : « Ma Federico morì al fi- » nire del 1250 *; ebbene, non bastò egli un anno » a Lionardo per dare ai Numeri Quadrati l'ultima )) mano, e dedicarli ? Non sappiamo da lui mede- » Simo che Pisa era in continua corrispondenza colla » Corte di Federico ^ ? Non sappiamo noi dagli Sto- » rici fiorentini, che Federico allora poteva dirsi » Signore della Toscana ^; e che la Corte non s'al- )) lontanò che appena dalla medesima. » ». Villani (par. 6) pag. 49, e 80. » a. Par. 1. » 3. Villani (ivi) pag 49, e 50, ed Opere di Nicolò Macchiavel- « li ... . Fiorentino .... Genova 1798. Tom. I. Lib. Il delle » Storie pag. 83. « Quindi è chiaro che, secondo il Professore Gu- glielmini, Leonardo Pisano compì e dedicò all'im- peratore Federico II il suddetto Liber qiiadratorum fra il mese di marzo del 1249, ed il giorno 13 di decembre del 1250 , nel qual giorno morì il me- desimo imperatore (2). Quest* opinione del profes- sore Guglielmini sarebbe molto verisimile se fosse provato che nel 124-9 Leonardo Pisano fosse stato presentato all' Imperatore Federico IL Essendosi per altro mostrato di sopra che questa presen- tazione fu fatta nel 1225 o prima (3), e che nel 1225 Leonardo Pisano compose il suo Liber quadra- torum (4), è da credere che nel medesimo anno, po- li) Guglietmini, Elogio di Lionardo Pisano, pag. iìì, Not. hh, parag. 7. (2) Vedi sopra, p.ìg. 12, lin. 1 e 2. (3) Vedi sopra, pag. 106, lin. 20—25. (4) Vedi sopra, pag. 18, lin. 1—4. 108 co dopo il medesimo Leonardo abbia dedicato questa sua opera all'imperatore Federico II. Nel Codice Ottoboniano n." 3307 della Biblio- teca Vaticana trovasi manoscritto dalla prima carta recto alla carta 349, verso, un trattato d'aritmetica di anonimo Fiorentino scritto in lingua Italiana (1). Quest'opera ha il titolo seguente. « Incomincia eli- » bro di praticha darismetricha cioè fioretti tra- » cti di più libri facti da lionardo pisano ». Que- sto titolo si trova scritto in caratteri rossi, in fron- te al recto della prima carta del suddetto Codice Ot- toboniano n.° 3307. Nel capitolo quarto della parte quinta del sopraccitato libro di praticha darismetri- cha si legge (2) : )ì Scrive lionardo pisano in uno libretto che ò » detto fioretto di lionardo certe ragione le quali )) non tutte ma parte ne voglio scrivere, e perchè )) vene alchuna apropiata a questo chapitolo quelle » in questa parte scrivere voglio. E benché quasi » simili sieno dette, niente dimeno per altro modo » sono asolute e pero starai atento. » Quatro huomini anno denari. El primo radop- ì) pia al sechondo, e il sechondo triplicha al terzo, )) e il terzo quadruplicha edenari del quarto , e il » quarto huomo dette al primo 4. chotanti de de- )) nari che glierono avanzati, cioè quincuplichò adi- » mando,che a ciaschuno rimanendo fatto quello che » detto, a ogniuno igualmente. Io porrò il sechondo » huomo avere una quantità la quale quando il pri- (1) Codice Ottoboniano n.° 3307 della Biblioteca Vaticana, «arta 1, recto. (2) Codice Ottoboniano n.° 3307 delia Biblioteca Vaticana, carte 170, redo, 171 recto e verso, e 172 recto. 109 )) mo huomo glile^radoppiò aveva il sechondo 2. » quantità : e al primo huomo rimase la quinta )) parte del quarto di tutta la somma. Inpero che » quando ebbe dal quarto huomo e chotantì di quel- » lo gli rimase, cioè quincuplichato, ebbe apunto la » quarta parte. Onde se della quarta parte duna » somma si toglie, o voghamo dire si trae ^, cioè 1 4 » il -=- del quarto della somma, rimarrà ^:rjr della 5 20 » somma, cioè -p-, el quale qumto se sagugnerà 1 » sopra -j- della somma che rimane al quarto huo- 9 )) mo, dopo la datione che fecie al primo, sieno ^ )) di tutta la somma. E tanto a il quarto huomo )) quando gli fu dato dal terzo 3. chotanti de de- )) nari chegli aveva, cioè quando el terzo huomo » quadruplichò al quarto, dove la quarta parte di 9 .... 9 » TT^ della somma di tutti, cioè ^^, era quello che zU oO . . 21 » aveva il quarto, egli 3. chotanti cioè ^^e quel- oO 27 » lo che dato gli fu dal terzo huomo, e quali ^rr a- oO 1 . 20 » gunto a -p di tutta la somma, cioè a ^^» fan- 4- oO 47 )) no ^, e tanto è quello che aveva el terzo huo- » mo quando il sechondo gli triplichò, dove la terza . . 47 » parte, cioè . di tutta la somma, è quello che 110 » aveva il terzo nuomo, e il doppio di -T^TTr, cioè 240 94 fu quello che gli dette il sechondo huomo, 290 94 w equali . agunto alla quarta parte della som- )) ma cioè a ^.^ per quello che a il sechondo » huomo quando gli fu fatta la duplichatione dal » primo huomo. E noi abbiamo fatto di sopra che » il sechondo huomo quando el primo gli ebbe ra- » doppiati e denari aveva 2. quantità, dove la metà, 77 » cioè -=r77r» fu quello chel secondo huomo aveva, 240 77 » e glaltri ■..■ furon quelli chel primo huomo gli 77 . . » dette, equali^yrr agunti alla qumta parte della quinta (1 240 • ^ 1 ,. ,. . » parte di tutta la somma, cioè a -^, che gliera rimaso » dopo il radoppiare che fecie al sechondo , fanno » -^jpT per la parte che aveva il primo huomo, e 89 » eh osi ai il primo aveva ^;' ■■ della somma, e il 240 77 » sechondo aveva ^■,, della somma , e il terzo 240 47 9 . , 27 )) aveva ■ .,■ ,e il quarto huomo aveva ^rrrjcioè -pr-rTr . 240 80 240 )> Onde, se la somma di tutti fusse 240, sarà quello » che tolse overo che aveva il primo 89, e quello )) che aveva il sechondo 77, e quello che aveva il ( Ili » terzo 47, e quello che aveva il quarto 27, cioè e 9 )) ^yr di 240. E chosi puoi fare le simiglianti. E oU )) se dicessimo ec {sic). » E se dicessimo che il primo huomo de de- )) nari suoi radoppiò glaltri, cioè dette aglaltri quan- » to eglino avevano. E il sechondo di poi dette aglal- » tri duo chotanti che quello chegli avevano, cioè » triplichò aglaltri, e il terzo di poi quadruplichò » aglaltri, cioè die aglaltri 3. chotanti di quello che » gli avevano, e dopo questo il quarto huomo quin- » cuplichò aglaltri, cioè die aglaltri 4. chotanti di » quello che gli avevano. Adimandasi che aveva cia- » schuno avendo fatto ogni chosa, ciaschuno igual- » mente, cioè avendo ciaschuno la quarta parte de' )) denari che avevano fra tutti e 3. Io porrò essere )) quello che rimase al primo huomo una quantità )) dopo la duplichatione, che fece aglaltri. E multìpli- )) cherò quella tale quantità per 3. inpero chel sc- )) chondo triplicha a ciaschuno, e fieno 3. quantità, e » dipoi le quadruplicherò perla quadruplichatione che » fa il terzo huomo che fieno quantità 12, dipoi le » multiplicherò per 5. per la quintuplichatione che » fa il quarto huomo che fieno 60. quantità, che so- » no quello che a il primo huomo fatte tutte le » multiplichationi dehha rimanere. Adunque sono la » quarta parte di tutta la somma. Onde la somma » tutta è 240. quantità, di poi porrò alibito la quan- » tilà essere 2. denari, adunque tutta la somma sia » 480. denari, de quali trarrò 2. denari che vale la )) quantità, rimane 478. denari, che sono el doppio )) de denari del sechondo, e terzo, e quarto huomo. » In perochel primo duplichò loro e denari. Dove 112 )) sella metà di 478. che è 239 agugnerai a 2. de- )) nari, saranno 241. denari per la quantità de'de- 5) nari del primo huomo. Dipoi porrò chel sechondo » huomo gli rimanesse una quantità quando ebbe )) triplichato aglaltri, e quello quadruplicherò, e quel- » lo quadruplo quintuplicherò, e arò 20. quantità per » la quarta parte di tutta la somma, dove 20. quan- )) tità sono iguali a 120. denari, chella quantità uale )» 6. denari, e quali 6. denari tratti da 480. denari ri- » mane 474. denari per gli 3. chotanti de denari de » terzo, e quarto, e primo huomo. Dove la terza parte » di 158, la qual somma sono e denari del primo, . 2 . , , » e terzo, e quarto huomo, egli -tt-, cioè 316 denari, » sono quelli chelsecondo da aglaltri tre, e quali de- )) nari 316. agunti chon 6. denari che gli rimasero » fanno 322. denari, e tanto aveva el sechondo huo- )) mo quando el primo gli radoppiò e denari. A- )) dunque la metà di 322, che è 161. denari, fu la )) quantità del sechondo huomo. Anchora porrò per )) quello che rimase al terzo huomo dopo la qua- » druplichatione che fecie aglaltri una quantità, e quin- » tuplicherò quella quantità, e fieno 5. quantità eguali )) al quarto della somma, cioè di 120, dove la quan- » tità sono 24. denari, equali tratti di 480. rimane » 456. per 4. chotanti de denari del quarto e primo 3 )) e sechondo huomo, egli — sono quello che eb- 3 » bono dal terzo huomo, e quali -psono 342,e qua- )) li 342. denari agunto a 24. denari fanno 366 de- » nari, e tanto ebbe il terzo huomo dopo la duplicha- )) tione e triplichatione fagli (sic) dal primo e sechon- 113 )) do huomo, dove se si piglierà la metà della terza 1 )) parte , cioè il -^ , fieno denari 61. per la quan- » tità del denaro del terzo huomo. Tracti adunque )) e denari del primo huomo, cioè 241 . denari , e i » denari del sechondo , cioè 161. denari, e i de- )) nari del terzo huomo, cioè 61. denari, di 480. de- » nari , che anno fra tutti e 4., rimane 17. denari » per la quantità del quarto huomo. Anchora altri- )) menti etc. [sic). Adunque ai fatto chel primo a « 241., e il sechondo 16l, e il terzo huomo 61., e il )) quarto 17. denari, e chosi fare puoi le simiglianti. )) Anchora altrimenti perchè ogni duplichante è )) 2.chotanti chel duplichato,e il triplichante è 3. cho- » tanti del triplichato, e il quadruplichante 4. cho- )) tanti chel triplichato, e il quincuplichante 5. cho- » tanti chel quincuplichato, e per lo averso el dupli- 1 » chato è il ^ del duplichante, e il triplichato del » triplichante è il — etc; porrò adunque in ordine o 1111 » -^- , -7- , -?r , -^ chome dallato si manifesta, e- 5 ' 4 3 2 » multiplicherò 2. per 3. volte 4. volte 5. che sono sot- » to le virgule, fieno 120., che sono la quarta parte de » denari di tutti. Adunque multiplichato 120. denari )) per 4., fanno 480. denari per tutta la somma, e » di poi trarrò i ., che sopra di 2. rimane 1., e quello )) multiplicherò per 3. volte 4. volte 5., sono 60., e » quah multiplichatì per 4., che è il numero delle parti » che toccha a ciaschuno, fanno 240., a quali agu- G.A.T.CXXXI. 8 114. » gnerai la multiplichatione del l.clie è sopra 2., )) in 1. che sopra 3., in 1. che sopra 4., e in 1 che )) sopra 5., fieno 241., che sono la quantità de de- » nari del primo. Anchora trarrai 1., che sopra 3. di » 3., rimane 2., e quali multiplichati per 4. volte 5. » volte 2.,fanno 80., e questo per 3. fanno 320., a quali » agugni 2.j che venghono del 2., che sotto la prima » virgula in 1. che sopra 3., e in 1. che sopra 4., e » in l.che sopra 5., fanno 322., che sono el dop- » pio de denari del sechondo huomo; dove multipli- » cha 322. vie 1. che sopra 2., e parti in 2., vienne » 161. per i denari del sechondo huomo. Anchora trar- » rai 1. che sopra 4.. di 4., rimane 3., e questo mul- » tiplicha per 5. volte 3. volte 2., che sono sotto » laltre virgule, fanno 90., e questo multiplicha per )> 4., fanno 760,. e a questo agugni 6., che venghono » del multiplichare 2. in 3., che sono sotto le vir- » gule, e in 1. che sopra 4., e in 1. che sopra 5., » fieno 366., e tanto a il terzo dopo la duplichatione 1 » e triplichatione. Onde se piglierai il -^ della . , 1 » terza parte, cioè il -^ , che è 61, per gli denari » del terzo huomo, e alutimo (sic) trarrò 1 . che sopra » 5. di 5., rimane 4., che multiplichato in 2. volte 3. » volte 4., fanno 96., e tutto multiplicha per 4., fanno )) 384., a quali agugnerai 24., che venghono della » multiplichatione del 2. volte 3. volte 4., che sono » sotto le virgule, vie 1. che sopra 5., fieno 408., e » tanto a il quarto huomo dopo la duplichatione » e triplichatione,c quadruplichatione fattagli dal pri- » mo, e sechondo, e terzo huomo. Onde se del 408. 115 1 1 » piglieiemo el — del -s- della quarta parte , cioè 1 » il ^ ,verranne 17. per gli denari del quarto huomo, » chome di sopra trovamo,e cliosi ai il primo a 241., » il sechondo 161., il terzo 61., il quarto 17. .11 11 » Anchora altrimenti posti -^ , "7" » "o ' "^ P^^' )) ordine, e trovati 480. denari, che sono la somma de 1 1 » denari di tutti, trarrò-^duno intero, e per -=-chc 1 » rimane piglierò il^ di480.,e agugnerovila multi- » plichatione del l.in l.,c in l.,e in 1., cioè le fìglmre » di sopra, che aremo 241., e tanto aveva il primo. ,1 . .2 » x\nchora trarrò -^ d'uno intero , rimane -^ , de 1 .... 1 )) quali torrò la metà, che e -ìt ■> ^ piglierò il -^ )) di 480. , e agugnerovi la multiplichatione dello » dette unità fra loro, e arò 161., e tanto a il se- 1 » chondo huomo. Anchora torrò il -r- di uno in- 4 3 . , . 1 » tero, rimarrà — , de quali torrò il ^, che sono 3 1 1 )' -TT-, e di poi torrò il -^, che sono -^, e piglierò 0 o o » lottava parte di 480., che è 60., a quali agugnerò )) la multiplichatione delle dette unità insieme, fanno » 61. i)cr gli denari del ter/o huomo. xVdunque trarrò 1 ,, . . 4 , ,. ., 1 2 » -y- d uno inteio, rnnane -^, de quali il -r- e -^ 116 , 2 . 2 1 )) e il terzo è -j-p, e il (luaito è yr?;, cioè 7777, e pe- 15 bO SO )) rò piglierò la trentesima parte di 480., che è 16., )) e agugnerovi l.,che è la multiplichatione delle )> dette unità fralloro, e arò 17. per gli denari del » quarto huomo, e chosì anchora puoi fare. )) Anchora fieno 3. huomini che anno denari, il » primo duplicha e denari degli altri, e anchora dà » loro la metà di ciò chegli avevano. E il sechon- » do di poi triplicha e denari degli altri, e anchora . 1 . .. » dà loro il -^ di ciò cheglianno, e il terzo qua- )) druplichò e denari degli altri due, e anchora die » loro il quarto di ciò che avevano. E di poi cia- )) schuno si trovò igualmente. Adimando che aveva )) ciaschuno dassè. Egli è prima da sapere che quan- » do alchuna quantità è duplichata, e sopra quella 1 )) sagugne il —, allora la detta quantità a il suo » doppio, e —, e gh->- . Similmente quando alchu- )) na chosa è tripHchata, e a quella s' agungha la )) terza parte , allora quella chosa al suo triplo e 3 » terzo sono e j- . E per quel modo quando al- » chuna quantità è quadruplichata, e aguntovi su el 1 „ 1 » X' ^^^^^^ quella quantità al suo quadruplo e -j- )) sono e jw, per la qualchosa porrò in ordine xs» » xp| > -p- j e imiterò la reghola ultima , cioè che » multiplicherò 5. volte 10. volte 17., che sono sotto 117 » le virgule, fanno 850. per la terza parte di tuttu » la somma, e quali multiplicherò per 3., per la ter^a » parte, fieno 2550. per la somma de denari di tutti 2 3 » e 3. E trarrò -p- d' uno intero, rimarranno —, 5 5 3 » e piglierò e -^ di 2550., che sono 1530., a 5 » quali agugnerò 24., che è la multiplichatione delle » figure di sopra infralloro, fanno 1554., e tanti de- 3 » nari a il primo. E di poi trarrò jtt duno intero, che 7 2 7 7 » rmiane ttt, de quali e -^ sono ^r-, dove e -=-^ di 10 ^ 5 25 25 )) 2550. sono 714., a quali agugni 24., fanno 738. )) per gli denari del secondo huomo. Overo trarrò 3 ^ . . 7 » jjr duno mtero, rimane — , per gli quali terrò 10 )) della multiplichatione del 5. che sono sotto la vir- » gula per 3., e per 4., che sono sopra la virgula, fie- 3 » no 1845., de quali togli e -j^ , che sono 738., e 5 2 » quando pigli e -y- partirai in 5., e multiplicherai )) per 2., che è più bello che chome o detto, verrà )) 738., etanto a il sechondo. Per lo terzo trarrai 4 ,. . . 13 ^ ,. 3 » j;^ di uno intero, rimane j^;^, de quali e tti^^^"^ 39 2 39 39 » -j^, egli - sono ^^, de quali piglierai -^ » di 2550., che sono 234., a quali agugni 24., che » e TÀ di 2550,. e agugnerovi 60. , che venghono Ii8 » è la miiltiplicìiatione dolle Hgiu'e disopra, fanno 4 » 258., e tanto a il terzo. Overo trarrai j=duno in- 13 ,. ,. . 13 ^. » tero, rinfian€ y^, per gli quali trarrai e j^ di )) 2550., che sono 1950, a quali agugni 200., che » venghono della multiplichatione de 5. in 10., che )) sono di sotto in 4., che è di sopra, che fanno 2 )) 2150., de quaH togliamo e-^ che sono 860., e )) di poi ne piglia e jrr, che sono 258. Overo del 2 3 3 » 2150. piglierai e -^ di ttt > cioè ;Tp^»che sono O 1 II ^ò » 258., e tanto a il terzo. E chosi ai il primo a 1554., » e il sechondo 738., e il terzo 258. E chosi farai » le simiglianti. » E perche e detti numeri anno infralloro cho- )) mune ripiegho che è 6., se dividerai ciaschuna » quantità per 6., aremo lasolutione di questa ra- )) gione in minor numeri, e la somma loro sarà 425. )) denari, e i denari del primo e 259., e il sechon- » do è 123., eì denari del terzo sono 43. » Potrei anchora di nuovo scrivere chasi , ma » quando si chonsidereranno vedrai la solutione di » quelli per questi essere trovata. Ma pure quando » non avessi tale chonsideratione, e tu richorri al )) modo retto chome principale. Eperò dello quinto )) capitolo è da dire, chonoiosia chosa che io mi » sforzerò non gli fare chosi grandi, ma brieve » quanto potrò si dirà. Ciò che l'autore del suddetto libro di praticha H9 darismetriclia in principio di questo passo del libro medesimo dice di aver tratto dal libretto che è detto fioretto di lionurdo (1 ), trovasi in lingua latina nell'o- pera di Leonardo Pisano intitolata FIqs super solulio- nibiis quanimdam qiiestiomim ad numerum, et ad geo- metriani, vel ad iitrumque periinentium : giacche in quest'opera si legge (2) : De qualuor hominibus qui inveneriint bizantios. Quatuor ìiomines inveneriint bizantios aliquot, de quibus unusquisque sumpsit aliquam quaniitalem for- tiiitu^ et ciim vcllent ipsos bizantios inter se equaliter dividere, primiis duplicavit secando bizantios quos ce- perat. Post hoc secundus triplicavit tertio homini to- lum id qiiod sumpserat. Quo facto, lertius homo qua- druplicavit quarto homini bizantios suos, et quarlus post hoc quincuplicavit primo homini bizantios quos ei remanserwnt post duplicationem quam fecerat se- cundo homini, et sic unusquisque de inventis bizantiis suam habuit poriionem, scilicet quartam parlem. Que- ritur que fuit summa inventorum bizantiorum, et quot ex ipsis unusquisque cepit. Ponam secundum hominem habuisse rem, quam cum ei duplicasset primus homo habuit duas res, et primo homini remansit quinta pars quarte partis totius summe, cum ex quincuplo eius quod ei remanserat habuit quartam parlem summe. Unde 1 si de quarta parte summa auferatur ^ eiusdem , (ì) Vedi sopra, pag. 108, lin. 15 e 16. (2) Codice Ambrosiano E. 75. Parte Superiore, carte 12, versò , 13, reeto e veno, e 14 recto. 120 4 1 remanebiinl ::^, hoc est — - prò eo quod quartns dedtt 20 5 1 primo homini, qite quinta si addatur super— r- summa que remansit quarto homini post dalionem qnam fe- 9 cit primo., erunt ^ lolius summe, et tantum ìiabuit quartus homo cum quadruplicatione sibi facta a tertio 9 9 homine. Quare quarta pars de ^, scilicet ^totius summe, fuit iìlud quod cepit quartus homo, et triplum 27 eiusy quod es^l^K' ^^^ ^^^^rf quod accepit a tertio homine. 27 .,. 20 Quibus TZK additis cum quarta parte, scilicet cum ^ 47 . totius summe, faciunt^eiusdem summe, et tantum ha- buit tertius homo, cum triplicatione sibi facta a secundo ,. 47 homine. Quare tertia pars, scilicet ,^ , totius sum- mo fuit illud quod cepit tertius homo, et duplum de Jioc est -TT-.-TT acceperat a secundo homine, qui- 240 240 94 ,,.. bus „.,, additis cum quarta parte summe que re- 240 154 manseral secundo homini , reddunt , prò eo quod habuit secimdus homo, cum diiplicatione facta sibi a primo homine, que equantur duabus rebus. Quare me- li dietas eorum, scilicet ^.^ totius summe, est id quod 240 121 77 cepil secundus homo, et alias ^,,^ hahueral de uri- 240 ^ 77 1 mo, qmbus addilis cum -^ smnme qiie re- 240 20 ^ femanserat primo homini post duplicationem qiiam fecerat sccnndo, erunt pi^o eo quod cepit primus homo, linde si siimmam ponimiis esse 240, erit illnd quod , smnpsit primus 89, et illud quod cepit secundus 77, et ilhul quod cepit tertius 47, et illud quod cepit Q quartus 21 , scilicet -^j- de himntiis 240. Et si dictum oO fuerit quod primus homo de hoc quod cepit duplica- vit omnes quantità tes aliorum trium, et secundus post ipsa duplicatione triplicavit omnia que habeant reli- qui tresy et post ipsam triplicationem tertius quadru- plicavit ea que habeant reliqui tres homines , et ad extremum quartus homo quincuplicavit omnes quanti- tates quas habeant reliqui tres, et sic habuit unusqui- sque quartam partem totius summe, ponam rem esse residuum quod remansit primo homini post duplica- tionem quam fecit reliquis, et triplicabo illam rem prò triplicatione quas (sic) sibi fecit sectmdus homo,et erunt res tres, quas quadruplicabo prò quadruplicatione quam fecit ei tertius homo, venient res 12, quibus et midti- plicatis per 5, prò quincuplatione quam fecit quartus homo, erimt res 60, que sunt quarta totius summe, cum proponatur unumquemque habuisse post prediclas mid- tiplicitates quartam partem . Quare multiplicaho 60 res per 4, et habebo res 240 jiro summa bizantiorum 1111°' hominum, deinde ponam ad libitum rem esse J22 hh. 2, et erit tota mmma ^SO, de quiìnifi cxtmliam biz. 2 prescriptos, rcmanehimt hiz. 478, quo, siint du- plum bizanliorum secundi, et tertiiy el quarti hominis^ et mcdietatem eorum habneriint ex duplicatione quam fccerat ei primiis homo. Quare si medielalem de 478, que est 239, addamus sttper biz. 2, qui remanserimt primo liomini, habebo 241 prò quantitate bizantio- rum primi hominis , deinde ponam rem prò quan- titate que remansit secundo liomini post triplicationem quam fedi reliquis tribus, et quadruplicabo ipsam rem et illud quadruplum quincuplaho, et habebo 20 res prò quarta parte totius summe. Ergo 20 res equantur biz. 120, Wide si dividanlur 120 per 20 venient biz. 6 prò quantitate rei, quibus biz. 6 extrac ti s de 480, rema- nent 474 prò triplo bizantiorum tertii, et quarti, et pri- mi hominis. Quare tertia pars erat quantitas bizantio- rum ipsorum, et due tertie de 474, scilicet 316, fiie- runt id quod acceperat a secundo homine, quibus biz. 316 additis cum biz. 6, qui remanserunt ipsi secundo, erunt biz. 322, et tot habuit secundus homo post du- plicatione sibi facta a primo homine, ergo medietas de 322, que est 161 fuit quantitas bizantiorum se- cundi hominis. Rursus ponam rem prò eo quod re- mansit tertio homini post quadruplicationem quam fe- cerat aliis, et quincuplabo ipsam rem, et erunt quin- que res equales quarti summe, scilicet de 120. Quare res erit biz. 24, quibus extractis de 480, remanent 456 prò quadruplo bizantiorum quarti, et primi , et secundi hominis, ex quibus habuerunt tres quartas, sci- licet 342 a tertio homine, quibus biz. 342 additis cum biz. 24 predictis, erunt biz 366, et tot habuit lerlius homo post duplicationem et triplicationem sibi factas j. 123 (t primo et a secundo liomine, de quibus si accepero medielalem Icriie partis, scilicet sextam, venient biz. GI.p'o quantilale terlii hominis. Extractis ergo biz. 241 primi ìiominis, et 161 secundi, et 61 terlii, de to- ta summa, remanehunt 17 prò biz. quarti hominis. Aliter quia omne duplicatum, ex suo duplicante cxistit medietas, et tripli catum ex triplicante est ter- tia, et quadruplicatum ex quadruplicante sit quarta , et quincuplicatum ex suo quinctqdante quintam obtinet ,1111 partem , ponam in ordine -w' ì -j- ì -^ ì -^ ut in O ^ ó £i margine cernitur (1), et multiplicabo 2 per 3 vicibus 4 vicibus 5, que sunt sub virgis; erimt 120, que sunt quantitas quarte partis omnium bizantiorum invento- nrni, quibus multiplicatis per 4 reddunt 480 prò tota summa, deinde tollam 1 quod est super 2 de % et 1 quod remanet ducam in 3 vicibus 4 vicibus 5,erunt 60, quibus ctiam ductis in numerum hominum, scilicet in 4, erunt IkO., quibus si addatur 1, quod provenit ex du- cto 1 quod est super 2, in 1 quod est super 3, quod in 1 quod est super 4, quod in 1 quod est super 5, ertint 241 , que sunt quantitas bizantiorum primi. Rursus e- xtraham 1 quod est super 3 de 3, remanent 2, quibus ductis in 4 vicibus 5 vicibus 2, que sunt sub, virgis et in numerum hominum, erunt 320, quibus addam 2 que proveniìmt ex 2 quod est sub prima virga in 1 quod est super 3, quod in 1 quod est super 4, quod in 1 quod est super 5, erunt 322, que sunt duplum bi- (1) Presso a queste parole ut in margine cernilur nel marf;ine la- terale esterno della carta 13 verso del Codice Ambrosiano E. 75 1111 Parie Superiore trovasi: — — ~ X" m zantioriim secitndi. Quare diicam 322 in 1 quod est super 2, et dividam per 2, venient 161 prò hizantiis secundi hominis. Item extraham 1 quod est super 4- de 4, remanent 3, que dncam in 5 vicibus 2 vicibus 3, ^?/e sMwi 6m6 tt/i2s virgis, erunt 90 gM virgis, quod in 1 g«od est super 4, gwod e» 1 quod est super 5, erunt 366, ef foi habuit ter- titis homo post duplicationem et triplicationem sibi fa- ctas a primo et secundo homine. linde si de 366 ac- ceperimus medietatem lertie partis ipsorum, scilicel se- xlam, venient 61 prò bizantiis tertii hominis. Ad ul- timum quippe exlraham 1 , quod est super 5 de 5, re- manent 4, quibus ductis in 2 vicibus 3 vicibus 4 que sunt sub virgis, et illud totiim per 4, scilicet per nu- merum hominum, erunt 384, quibus addam 24, que proveniunt ex multiplicatione de 2 vicibus 3 vicibus 4, que sunt sub virgis ducta in id quod est super 5 eriint 408, et tot habuit quartus homo post duplicatio- nem, et triplicationem, et quadruplicationem sibi factas a piimo, et secundo, et tertio homine. Quare si de 408 acccperimus medietatem tertie quarte partis, hoc 1 est^, venient il prò quantitate bizantiorum quos cepit quartus homo, ut superius inventum est. Aliter posilis 1111 ,. ...... -— , -r- , "TT- » T^ per ordtnem, et invcntis bizanliis 5 4 ò 2 480 prò stimma bizantiorum ipsorum qualuor homi- manct accipiam medietatem de 480, et superaddam il 125 1 quod provenit ex ducio 1 in 1 , quod in ì , quod in 1, que unitates sunt super 1111'"' virgis, erunt 241, et tot cepit ex ipsa suma [sic) prinms homo. Rursus cxlra- 1 2 ham -^ de uno integro, remanent — y^ de quibus ac~ o o 1 .1 cipiam medietatem,venict —, prò quo accipiam —-de o i 480, et superaddam 1 quod provenit ex duclione di- ctarum unitatum in se, et liabebo 161, et tot cepit se- 1 cimdus homo. Item tollam —de uno integro, rema- 4- 3 nebunt —, de quibus accipiam medietatem tertiepar- .1 tis ipsarum, veniet -t^, prò quo accipiam octavam par- o temde 480, et addam simililcr 1, et habebo 61 prò 1 bizantiis tcrtii hominis. Adhuc demani -^ de uno in- 5 4 tegro, remanent -y- , de quibus accipiam medietatem o .1 iertie quarte partis rpsorum, veniet ^, prò quo acci- piam trigeximam partem de 480, et super addam 1 et habebo 17 prò bizantiis quarti hominis. Questio similis suprascripte de tribus hominibus. Item tres homines habebant bizantios, et cimi pri- mus duplicavit bizantios reliquorum, nec non et ad- diderit eis medietatem omnium que habebant; et se- cundus triplicaverit bizantios tcrtii, et primi hominis, et addidcrit eis tertiam bizantiorum ipsorum, et ter- 126 tius quadniplicavit bizantios reliquorum, et addiderit eis quartam bizantionim ipsonim, et habnit unusquis- que suam partem, scilicet tertiam. Sciendum est pri- mum, qiiod quando allqua res duplicatur, et additur super eam medietas eius, tunc Ma res sui dupli, et 2 dimidii est -^ . Similiter cum aliqua res triplicalur., et additur ei tertia pars sui, tunc illa res sui tripli et ter- 3 tie est jjz . Eodemquc modo cum aliqua res quadru- plicatur, et additur ei quarta ipsius rei, tunc illa res ex quadrupli sui et quarte est — : ; quare ponam in ,.432 . . , . , . ordine v=? > tt: > i^y ^t imitabor primum uUimam 17 10 5 ' reqidam predictam, hoc est cum multiplicabo 5 vici- bus 10 vicibus 17, que sunt sub virqis, venientH^O prò tertia parte totius summe eorum quos multipli- cabo per 3 propter homines qui sunt tres , et erunt 2 biz. 2550 prò tota summa , et extraliam -y de uno integro , remanebunt -^, prò quibus accipiam -^de 2550, et superaddam biz. 24, qui provcniunt ex 2 vicibus 3 vicibus 4, que sunt super virqis erunt 1 554, 3 , et tot liabuit primus . Et extraham jj^ de uno inte- 7 . . 7 qro, remanebunt jT-, prò quibus accipiam jtt de 2550, et superaddam 60 que proveniunt ex multiplicatione de 5 que sunt sub virqa vicibus 3 vicibus 4, que sunt J27 2 super vlrgis crunl 1845, de quilms acciplam -^ , ù hoc est multipìicabo 1845 per % et (ìividam per 5, vel quintam de 1845, qiie est 369 mnllipUcaho per % quod est pulclirius, vcnient 738, et tot habiùt se- 4 cundus. Rursiis extraham j^ de uno integro, rema- 13 . 13 ^ nebunt j^ , prò quibiis accipiam -ps de 2550 , lioc est dividam 2550 per 17, et quod provenerit multi- pìicabo per 1 3, venient 1 950, siqier que addam 200 que proveniunt ex 5 vicibus 10 que sunt sub virgis vicibus 4 que sunt super virqa , erunt 2150 , et tot habuit teriius homo quando quadruplicavit bizantios reliquorum, et addidit ei quartam partem lundc si de 2 bizantiis 2150 acceperimus -^, ex trihus decimis eo- 3 rum, hoc est ^ ipsorum, venient 258, et tot habuit tertius homo. Est -cnim hic modus similis secundo, quia cum lioc per secundum modum facerc voluimus, cxlrahemus 2 de 5, et 3, que restant multipìicabo per 10 vicibus 17 vicibus 3, et habcbo 1530, et hoc est 3 accipere -y- de 1550, et addam poslea 24 siqier 1530, et habebo similiter prò bizantiis primi hominis 1554. Item extraham 3 de 10, et 7 ^«e remanent, ducam 7 m 17 vicibus 5 vicibus 3, cf habebo jjz de 2550. ei i/c possumus eodem modo in similibus operari. Et quia quatuor inventi numeri sunt sibi invicem comu- 128 nicautes, et est scnarhis comimis eoriiìti mensiiray si diviserimiis unumqiiemque eorum per 6, habebitur so- lutio hiiiiis questionis in minoribiis numerisi et sum- ma eorum eril 4-25, et biz. primi erunt 259.,secundi \23., lenii 43 (1). Una traduzione in parte fedele, ed in parte li- bera di questo passo del Flos di Leonardo Pisano trovasi nel passo riportato di sopra del libro di prali- cha darismetricha (2). Quindi è chiaro che il libretto de fioretti menzionato in questo libro (3) è il Flos super solutionibus ec. di Leonardo Pisano, che trovasi nel Codice Ambrosiano E. 75. Parte Superiore. L'autore del soprammentovato libro di praticha darismetricha verso la fine di questo libro parlando degli autori da lui citati nell'opera stessa dice (4): « Anchora abbiamo alleghato Lionardo pisano, el » quale lionardo chome si manifesta nel trattato » suo di praticha darismetricha fu dal suo padre » tirato asse, che era scrittore nella ghabella di do- » ghana di bruggia, e quindi in egitto, e chaldea, )) e india navichando , e per alchuno tempo ripo- •» sandosi usò le schuole loro , e in tanta perfe- » tione venne, che fu quello che die lume al mo- )) strare questa praticha in Initalia (sic), e questo )) mostra Maestro antonio nel fioretto dove dice= 0. (1) Subito dopo questo passo del suddetto Flos Ipggesi in capo- verso nel recto della carta 15 del Codice Ambrosiano E. 75. Parte Superiore .- Epistola suprascripti Leonardi ad Magistrum Theodo- rum etc. (Vedi sopra, pag 20, liii. 9 — 28.) (2; Vedi sopra, pag. 108— H7. (3) Vedi sopra, pag. 12, lin. 15 e 16. (4) Codice Ottoboniano n." 3307 della Biblioteca Vaticana, carte 348 verso, e 349 recto. 129 » L. p. di quanta scienlia fusti quando desti piin- » cipio all'italia ad auere lume della praticha dari- » smetricha. E truovasi di lui molti libri de' quali » quelli che o veduti sono questi, cioè La praticha » darismetricha intitolato a Michele Schoto. E la » praticha di geometria intitolata a messere » , e il fioretto intitolato a » » e anchora ellibro de numeri qua- » drati intitolato a (1). E » bene che chomponessi altri libri, e quali non o » veduti, e sono queste opere in sancto Spirito, e » in sancta m." nouella , e anchora nella badia » diffirenze, e in particularità lanno molti nostri » cittadini ». {Sarà continuato). (1) Queste quattro lacune si trovano nel Codice Otloboniano n.' 3307 della Biblioteca Vaticana C.A.T.CXXXI. 130 Cronaca de' fatti d'Italia di Niccolò della Tuccia. [Continuazione) I n quel tempo il re di Ragona fé bandire a Casti- glione della Pescara la guerra contro il conte Averso dell'Anguillara [Nota Marginale: Il conte Averso del- l'Anguillara, e da Ronciglione è tutto uno), e contro il conte Aldobrandino da Pitigliano, e contro il conte di Tagliacozzo, e contro Ranaldo Orsino di Piombino. Con Fiorenza l'haveva continuamente. Domenica a di 24 di maggio, che fu pasqua ro- sata, papa Nicola V con tutti li cardinali che sta- vano in Roma, e molti vescovi et arcivescovi, cano- nizzò il beato san Rernardino da Siena dell' ordine de' frati minori di s. Francesco, il cui corpo si riposa nell'Aquila: et il papa lesse in presenza di tutti, come Dio per li meriti di quel santo corpo haveva fatti 250 miracoli tutti approvati. Questa solennità fu fatta in s. Pietro di Roma, dove ardevano più di 200 doppieri di torcie , e stimasi che costasse piij di sette mila ducati per li vestimenti del papa, delli cardinali, et altre cose : e queste spese le fecero li senesi e l'aquilani. Seguitava pur la moria grande in Roma, e per tutto il paese di Viterbo, Fiorenza, Siena, Rologna, Perugia, Todi, et altre terre. Perlochò il papa partì da Roma con tutti li cardinali, et andò a Fabriano, e lì stette tutto il mese di ottobre , et ordinò che qualunque persona andasse al perdono di Roma, solo tre dì facesse le i chiese, e poi orando ogni volta che dava la benedizione licenziava quelli che bave- 131 vano fatto il perdono. Poi presso la festa di Natale a chi l'haveva fatto un dì dava licenza; et ogni do- menica tutto il detto anno si mostrava il Volto Santo in s. Pietro. E nota che morirno tanti oltramontani et italiani per lo viaggio, che tutte le strade erano piene di sepolture. Venuto dicembre, a di 24 in sabato s'adunò in Roma infinita quantità di gente, e però in quella sera fu mostrato tre volte il sudano; et al partire che fece la gente dalla chiesa di s. Pietro, su le 24 bore fu sì gran stretta sul ponte vicino Ca- stello s. Angelo per certo scontro di cavalli che ve- nivano incontro, che s'affrontaro per la forza huo- mini, donne, e fanciulli, e fumo messi nella chiesa di s. Celso de' morti in detta folla 177 , de' quali ne fumo seppelliti a campo santo carri 17 pieni , et in altri luoghi delle chiese di Roma ; et alcuni cascorno in fiume, e s'annegorno gran quantità, dei quali non si poteva far numero , perchè pochi ne fumo trovati. Quella domenica dissesi che ad Ostia ne furono trovati 17, che uno teneva li panni del- l'altro benché morti. Io mi trovai in persona a quella stretta , e stimo che ci morissero 300 persone , 4 cavalli , et un mulo , che fu a vederli grandissima pietà. Di questo successo il papa n'hebbe gran ma- nenconia, e ne pianse. Questa stretta fu nella scesa del ponte, ove sono le botteghe presso a s. Celso. Nfcl detto tempo era ferma pace per tutta Italia, che non si moveva fronde d'arbore. Il duca di Mi- lano fé fare in esso Milano una magnifica cittadella di novo , e stavasi in pace. Così il nostro signore papa Nicola fé fare in Orvieto una rocca, e nel suo palazzo di Roma fé fare bellissimi edifizi. Simile in caste! s. Angiélo, è nella canònica di s. Pietro. Es- 132 sendo detta pace, come dissi, per tutta Italia, Asca- nio Conti et un suo figliolo ferno morire certi suoi vassalli a torto, dicendo che loro lo volevano avve- lenare a petizione del cardinale Colonnese. Per la qual cosa il papa li fé fare il processo adesso e per via di ragione li tolse Fallano , e tre altri castelli che haveva in Campagna: e loro furono condannati in carcere perpetua a beneplacito nel mese di set- tembre. Et il papa lo fé per esempio dell'altri si- gnori del paese, acciò nullo si movesse a far guerra contro l'altro. Poco tempo passò che detto Ascanio Conti morì di morte naturale. D'ottobre morì Cor- rado della Cerbara capo della parte Muffata in Or- vieto. Per la qual morte il papa pigliò la signoria di Bolsena, e tre fanciulli figli di Gentile della Cer- bara dentro Bolsena lassò ben governati; e così Boi- sena fu della chiesa. Ancora in quel tempo un con- testabile di fanti, che stava per la chiesa, di notte con suoi fanti entrò in Fichino in quel d' Orvieto presso s. Casciano, qual castello havevano compro li senesi da Balduccio contestabile, che l'haveva tolto fortunatamente, e detti senesi l'havevano fatto rac- conciare, e fattoli una rocca nova, e tenevanlo per il comune loro. E così papa Nicola nel modo detto lo riebbe. Nel 1451 alli 30 di novembre si mosse da Ci- vitanova della Magna 1' imperatore Federico terzo dopo che hebbc veduti grandi miracoli et innume- rabili, quali Dio haveva fatti per amor d'un suo servo chiamato frate Giovanni da Capestrano dell' ordine de' frati minori dell' osservanza , compagno fu di s. Bernardino. Nel qual santo frate haveva posta gran devotione. Fé detto imperatore sua mossa per 133 venire a Roma a farsi incoronare da papa Nicola : e con intentione di pigliar moglie una figlia del re di Portogallo, la qual donna si partì dal suo paese in detto tempo, e per mare venne a porto Pisano con alquanti navilii , e fé capo a Talamone con moltissime donne in sua compagnia per venire a Siena per trovarsi col detto Federico, che simile ve- niva per sposarla. Esso Federico passò per il Friuli, e gionse a Padova: poi a Ferrara, et a Bologna, e poi a Fiorenza una domenica mattina 30 di genna- ro 1452, e venne con 4 mila persone a cavallo. Papa Nicola si mise in punto per aspettare detto impe^ ratore ad incoronarlo, e li mandò incontro dui car- dinali, cioè il cardinal di Bologna, et il cardinal di s. Angelo spagnolo, et andorno verso Siena. All' ultimo di febraro di detto anno 1452 , es- sendo io nell'offitio del priorato di Viterbo, vennero alli compagni miei et a me in casa di sei priori queste genti sottoscritte a domandare alloggio, atteso che venendo da Siena andavano a Roma alquanti dì innanzi all'imperatore, cioè il marchese Federico di Foristlero condottiero del duca Alberto fratello del- l'imperatore con cavalli 400, et alloggiò all'osterìa della Corona, e gli altri all'altre osterie. Messer Or- satto, e messer Pasquale ambasciatori de' venetiani con 50 cavalli alloggiorno al vescovato. L'ambascia- tore del duca di Milano alloggiò alla Trinità con 30 cavalli. L' ambasciatore del marchese di Ferrara con 25 cavalli alloggiò a s. Agnolo. L'ambasciatore del marchese di Mantova con 20 cavalli, et il ve- scovo di Poitogallo , il qnale era venuto a Siena coU'imperatore con 50 cavalli, alloggiorno a s. Maria in Gradi. L' ambasciatori del comun di Fiorenza 134 con 25 cavalli alloggiorno in casa di Paolo Mazza- tosta , et altri cavalieri e gentilhuomini assai , dei quali tutti non si può far chiara mentione. E piìi nel detto dì vennero l'ambasciatori del re di Ragona, li quali andavano verso Siena incontro all'imperatore con 25 cavalli, et alloggiaro a s. Maria Nova. Dis- sero che il re loro stava a Pozzolo otto miglia presso Napoli, e che haveva condotto a suo soldo il conte Averso di Ronciglione con mille cavalli; et il conte d'Urbino, e Napolione Orsino, et altre genti, le quali dicevano voler condurre a suo soldo dieci mila ca- valli. Al 1 di marzo vennero a Viterbo li sopran- nominati cardinali di ritorno dall'imperatore, e con loro era venuto il vescovo di Costanza. Anche vi venne gente assai dell'imperatore, et altri cavalieri, tra' quali ci vidi un giovane, che non haveva gambe niente, et era tutto dall'anche in su, et andava colle mani e colle natiche , e quando cavalcava era fìtto in una sella fatta a modo di cassettino, e correva, e faceva della sua vita cose incredibili, et era allegro, d' anni 25 in circa. Giovedì 2 di detto mese venne in Viterbo il duca Alberto di Sterlich fratello carnale dell' imperatore, e ci venne il duca di Slesia con circa 30 a cavallo, tutti armati con cavalli leardi, con una fiorita e bella com- pagnia. E ci venne il conte dì Segni con circa 40 ca- valli. Col suddetto duca di Sterlich, tra gli altri ba- roni, ci fu un conte giovane polito e bello a me- raviglia, il quale era armato di tutte arme coperte di argento fino, simile staffe, briglia, e tutto il for- nimento. Detto duca menò con se si poca gente , perchè la sua compagnia era innanzi due giornate, J35 e menò circa 12 pifferi e trombetti. La sua divisa erano gonnelle strette , mezza paonazza , e mezza bianca. La calza dritta era paonazza, l'altra bianca. Smontò all'osteria della Corona. Venerdì a 3 di detto ad bore 18 1' imperatore venne a Viterbo. Partirno la mattina tardi da Mon- tefalcone con 450 cavalli. Andò prima a vedere il bul- licame, e poi entrò nella detta bora in Viterbo, ove fu accompagnato dalli detti dui cardinali e tutto il chiericato con tutte le sante reliquie dal monte di s. Giovanni in poi , e venne sotto un solicchio di porpora ornato di banderole della chiesa, dell' im- peratore, e del comune di Viterbo, portato da 12 cit- tadini di più porte. In nome della porta di s. Lorenzo portaro detto solicchio sino a s. Matteo; poi 12 altri cittadini alla porta di s. Sisto , io fui uno di essi. Lo portorno sino a s. Lorenzo, alla cui chiesa smontò l'imperatore, e li dui cardinali et il rettore del Pa- trimonio, et andò a visitare l'altare grande. Poi tor- nato fuori rimontò a cavallo , e portorno il solic- chio 12 altri cittadini della porta di s. Matteo sino alla casa di ms. Princivalle Gattesco a lato della fonte del Sipali. Venne col detto imperatore un fan- ciullo d'anni 12 che era re dì Boemia e d'Ongaria, figliolo fu dell'imperator Alberto, e figliolo della fi- glia di Gismondo imperatóre , e molti altri duchi , conti, e signori de' suoi paesi, de' quali quando ne avremo piena notitia faremo chiara mentione. Era detto imperatore d'anni 40 incirca, di pelo biondo, col naso un poco grosso, e cogli occhi neri lucenti. Sempre guardava intorno per tutti i lati, et era ve- stito di velluto paonazzo ftìtto alla tedesca figurato. 136 In testa portava un cappelluccio a modo di beccafico che copriva tutte le spalle et il petto intorno , et era frappato, e tutte le frappe erano piene di perle grossissime oltra misura. E sopra quella portava un cappelletto di pelo negro, nel quale era una ghir- landa di pietre preziose, carbonchi, rubini, diaman- ti, ec, quali erano di grandissima valuta, e mostrava esser huomo superbo: imperocché io viddi allo smon- tare, quando fu levato via lo solicchio, certe persone si misero per torre il cavallo, e fu certa stretta; onde lui si tirò indietro un passo , e pigliò un basta di quella del solicchio , e menò 4 volte ad ambe le mani, e chi cogliesse non guardava, e si fé far largo e smontò da cavallo, et entrò in casa come dissi. Haveva 4 trombetti che i loro pendoni eran tutti d'oro coll'aquila nera in mezzo; e così innanti lui andava un altro a cavallo che portava una spada col pomo, e fornimenti tutti d' oro , et era costui il duca di Savoia. Il comune di Viterbo gli presentò quella sera cento some d'orzo, cento di fieno, 150 di legna, cinque botti di vino, 2 some di grano fatto in pane, et in- numerabile quantità di pesce. Sabato 4 di detto li signori priori della città di Viterbo e molti cittadini andorno a visitare detto imperatore su l'hora di terza, et io mi trovai con loro. L'imperatore uscì fuori di camera a dar udienza, et un nostro cittadino fece un bel sermone all'im- peratore , che fu da tutti commendato. Havendolo l'imperatore udito, chiamò 4 sui censiglieri, e com- mise la risposta ad uno , et egli rispose in latino ringraziando la comunità di Viterbo, offerendosi assai 137 nelli bisogni loro. In quel punto fé dottore un cit- tadino chiamato messer Nofrio de' Spiriti : e fé tre altri dottori, cioè messer Vianese degli Albergati da Bologna rettore del patrimonio , et uno suo audi- tore chiamato messer lacomo, et l'altro fu un suo cancelliere chiamato messer Gianantonio. Et anco fece dui altri cavalieri di Corneto ; l'uno fu figlio di messer Giovanni Vitelleschi, e l'altro fu un nepote carnale del patriarca: poi se n'andò in camera. Nel- l'hora di compieta l'imperatore montò a cavallo con forse 12 conti e signori, et andò a vedere il corpo di s. Rosa, e dopo alcuni doni uscì fuora, e mon- tato a cavallo andò a vedere s. Maria in Gradi, et altri luoghi di Viterbo, et era vestito di velluto cre- misino con vaso (sic) dinanzi d'oro largo tre dita, et andava in capelli biondi e crespi e longhi, e solo in testa portava una piccola berretta tonda non so di che pelle bianca , et haveva la barba rossa con un viso che pareva una maestà, e mostrava di fiera vista. 11 detto dì passorno per Viterbo circa 30 cavalli, gente dell' imperatore, cioè portogallesi con vestiti corti, e tutti portavano collarini con coppe d'argento fino tutti fatti ad un modo. Domenica mattina a dì 5 l'imperatore col re d'On- garia e di Boemia suo nepote, che era un bel fan- ciullo , e col suo fratello duca di Sterlich , e con molti duchi e conti andò alla chiesa di s. Maria in Gradi ad udir messa, e portò indosso un vestito di drappo d' oro sopra il pavonazzo con grandissima magnificenza , e ci fu tra 1' altri un signore che il suo vestito era pieno di bellissime perle da capo a 138 piede. Sempre innanzi all'imperatore era portata una verga longa un braccio e mezzo d'oro con un giglio d'oro piccolo sopra, et io Nicolò la viddi. Poi la sera, su riiora di vespro, n'andò alla chiesa di s. Lorenzo e vidde il mento di s. Giovanni Battista, e altre re- liquie sante; e poi andò alla Trinità, e poi andò a solazzo per la città. Nel detto dì partì di Viterbo il cardinal s. Angelo, e andò a Roma per notificare al papa le cose che s'havevano da fare nella detta inco- ronazione acciò più presto si mettesse all'ordine per farli honore. Lunedì 6 di marzo partì da Viterbo il detto imperatore con tutti li suoi duchi, marchesi, e conti, che si diceva erano sei duchi, sei marchesi, e conti, che si diceva erano 6 duchi, sei marchesi e 20 conti, con quantità d'altri signori, e con trionfo andò verso Roma. Nel detto dì alle 22 bore arrivò in Viterbo l'im- peratrice entrando per la porta di s. Lucia con 14 donzelle, che l'haveva mandato l'imperatore bellis- sime, quali erano della Magna , e con 200 cavalli anche gente dell' imperatore , quale non volse che l'imperatrice menasse gente di Portogallo, di dove ci fumo solo 20 (sic, forse 200) cavalieri a spron d'oro, e 4 donzelle, e la ziana dell' imperatrice, et un'altra donna antica ; entrando , come dissi , tutte le gentildonne di Viterbo ben vestite e ben ornate se gli ferno incontro a toccarle la mano, e sempre r andorno innanzi sino alla casa di messer Princi- valle, e lì smontò l'imperatrice con tutte le sue da- micelle. ■_ i! niqoa ojo b oqqini» Il cardinal di Bologna, fratello' carnale del papav' parti in quel di da Viterbo verso Roma. I 139 La detta imperatrice havevà menato seco assai damicelle dal suo paese, e tutte le rinuindò indietro per comandamento dell' imperatore ; anco rimandò via 200 cavalieri a spron d' oro portugallesi , che haveva mandati il padre per sua compagnia fino a Siena, e tornorno al loro paese; e dissesi qui in Vi- terbo che erano venuti coll'imperatore sino a Siena per mare 2000 huomini, e tutti tornoriìo in Porto- gallo. 11 detto imperatore menò di suo paese 4500 cavalli, socondo che io seppi da un suo scalco di casa, che tutti gli haveva scritti. La detta impera- trice era d'anni 15, tanto bella quanto potesse fare natura, e mostrava viso lieto. Innanzi a lei veniva un bel cavallo leardo, non troppo grande, con for- nimenti d'oro fino coperto di velluto , e lei vestita di panno cupo, e così tutte le sue damicelle. Anche nanzi a lei andavano dui nani a cavallo sopra un ronzino in groppa l'uno all'altro. Martedì a' 7 detto, ad bore 18, partì da Viterbo la detta imperatrice nell'ordine e modo che venne, salvo che s' haveva messa in dosso una mantellina corta d'oro fmo alla spagnola: e ci erano con lei 50 cavalli huomini d'arme all'italiana, che erano di Ar- gentina città dell'Alemagna, e tutti erano belli gio- vani, et havevano li capelli biondi e longhi , et erano tutti todeschi belli oltra misura, salvo che magna- vano come porci bruttamente, e vivande puzzolenti, e havevano li cavalli grassi e belli. Allogiorno a Monte Reso. L' imperatrice si chiamava Lionora , e il re d' Ungaria suddetto Lancislao. L' imperatore haveva governato l'imperio 12 anni quando venne a Roma per incoronarsi. uo Giovedì a 9 detto su le 18 bore entrò in Roma l'imperatore con grandissimo trionfo , e smontò nel palazzo del papa , e dormiva in una camera a lato a quella del papa, e le sue genti alloggiorno per Roma: e tutti li governava papa Nicole con gran trionfo e festa. Tutte le genti d'arme del papa erano alloggiate in prata, e li fanti portione, come dissi. Il detto imperatore partì dal suo paese la vigilia di s. Andrea nel 1451 d'una città chiamata Civita- nova , e venne in Italia , et arrivò in Roma in tre mesi e un terzo. Giovedì 16 di detto mese di marzo l'imperatore sposò d'anello madonna Lionora imperatrice, e con- sumò con lei il matrimonio come fu volontà del papa, e ne fumo fatte grandissime feste. Domenica 19 di detto ad bore 18 fu incoronato l'imperatore così. Il papa fece fare a capo le scale di s. Pietro un balcone ben adorno di drappi, e in mezzo fé porre una sedia, nella quale lui si pose a sedere parato: et intorno a lui stavano tutti li car- dinali vescovi e arcivescovi tutti parati. Poi venne l'imperatore e inginoccbiossi alli piedi del papa , e gli li baciò, e la mano di più. Il papa si levò in piedi et ordinò l'imperatore, facendolo diacono da Vangelio, e vestito da diacono lo menò in san Pietro , e ri- mutoUi li vestiti. Poi se n'andorno all'aitar grande, e il papa cantò messa, e l'imperatore cantò l'evan- gelio, e il papa pose in testa la corona all'impera- tore, e fu la corona dell'imperator Costantino: e anco pose la corona in testa all'imperatrice; e l'imperatore oflFerì nell'altare due monete d'oro fino, le quali fé fare in Viterbo con certe lettere grandi , che dicevano, 141 Federico imperatore re de' romani an. dni 14-52 : e pesava una ducati d'oro 160, l'altra 80; et una bella croce ricca e di gran valuta ; e l'imperatrice offerì un pugno di ducati d'oro. Et in quella incoronazione si mise indosso l'imperatore un piviale tutto ornato di perle grossissime, e altri gioielli , e pietre pre- ziose, che fu stimato valesse 200 mila ducati d'oro. Poi se n'andorno l'imperatore, il papa, e l'impera- trice all'altare di s. Maurizio, e lì l'imperatore e l'im- peratrice si spogliorno sino alle spalle , et il papa l'unse coir olio santo : e poi rivestiti, 1' imperatore si mise in testa la sua corona che fu di gran sli- ma. Montorno poi tutti a cavallo , e il papa andò coir imperatore fino al ponte di s. Pietro , e lì si fermò , e donò all' imperatore una rosa d'oro fino, e tornossene a san Pietro. L' imperatore entrò sul detto ponte, e qui stette circa 3 hore, e fece 275 cavalieri a spron d'oro, tutti di suo paese, salvo 9 italiani. Poi se n'andò colla donna sua a s. Ianni La- terano, e lì stettero sino a 4 hore di notte. Poi tornò a s. Pietro a dormire con tutte le sue brigate. Hora di novo voglio far menzione d'alcuni signori che vennero dalla Magna coll'imperatore, che di tutti non ho saputo il nome. 11 re d'Ongaria, il duca di Ster- lich, il conte d'Hamberg, il conte di Bossingh, e era tutto coperto d' argento fino , così 1' ornamento del suo cavallo, il conte di Manibogh, e haveva un vestito coperto di perle grossissime, il conte di Sciambegh, il duca di Slesia, il marchese di Rotulen, il conte di Manigna, il conte di Brandisborg, il conte di Segna, il signore di Listan, il signore di Leisperch, il signore della Vulpen, il signore di Sansani, il signore di Saen- 142 (lorf, il signore di Visen, e molti altri signori e no- bilissimi huomini. Nel giovedì passato 16 di detto, quando V im- peratore sposò r imperatrice , il papa pose in testa all'imperatore una corona di ferro. Per la qual cosa l'ambasciatori del duca di Milano si ferno innanzi , e con riverenza si protestorno che non la ponesse il papa, et all'imperatore che non la debba accettare, perchè apparteneva porla per mano del duca di Mi- lano e de' milanesi. Rispose il papa, che gli la voleva porre perchè l' imperatore 1' haveva domandata , e vaglia quanto vale non pregiudicando la ragione del duca e de' milanesi ; e l'imperatore rispose volerla parile mani del papa , poiché siccome il papa la poteva porre d' oro , maggiormente la poteva dare di ferro ; e non la voleva dal duca , quale non era vero duca, anzi un tiranno: e di queste cose fumo cavati publichi instrumenti. L'ambasciatori del duca, stati in Roma fino li 23 di detto mese, partirne e tornorno a Milano. Le gran feste e piaceveli sollazzi fatti in Roma non si potrebbono contare, e tanta gente eia venuta in detta città da tutto il paese intorno, che era dà stupire. Donò il papa all'imperatore per mancia molte migliara di fiorini; et altri cardinali ancora gli do- norno chi una cosa, e chi un'altra. Venerdì 24 di marzo l'imperatore partì da Roma, colle sue genti d' arme ad bora di vespro et andò a Napoli. Rimasero in Roma l' imperatrice e il re d'Ongaria. Nel venerdì seguente poi partì l'impera- trice per Napoli. Le grandi accoglienze che fò il re di Ragona e re di Napoli all'imperatore non si potréb- 143 bero raccontare. Fra V altre cose fu che continua- mente per la città di Napoli erano fonti di vino mal- vasia, greco, guarnaccia, e vini latini, e chi ne vo- leva ne beveva a suo modo. E contasi che gli spa- tiali facevano confetti, e tenevansi sulle banche pi- gliandone chi ne voleva a suo piacere. Così d'altre robe. Pensa, lettore, che quelli tedeschi si riscaldavano la te- sta, che erano li maggiori bevitori e magnatori brutti che fussero mai veduti in questi paesi: che io viddi in una caldara grande fare infinite vivande a un tratto, e magnavano come porchi. Poi il re ordinò una caccia, dove fumo da 15 mila persone , e nelli boschi dove andorno fé fare due fontane, una buttava malvasia, l'altra greco: e dicono detta caccia costasse al re 150 mila ducati. Hora pensa il costo dell'altre cose. Sabato 22 d'aprile 14-52 rientrò l'imperatore in Roma tornato da Napoli , dove di novo fulli fatto grandissimo honore : e misesi in dosso un vestito lungo sino a' piedi tutto coperto di perle grossis- sime. L'imperalrice partì da Napoli avanti 1' impe- ratore, e messasi in mare andò verso Venetia, poi a Civitanova della Magna. L' imperatore ordinò col re di Ragona la lega e venetiani contro il duca di Milano e fiorentini. Hora l'imperatore licenziò le sue genti si doves- sero partire da Roma , quali andorno verso Siena , et egli in mercoldì 26 di detto partì col re d' On- garia et il duca di Sterlich , e tutto il resto delle genti sue; e giovedì gionse a Viterbo, e senza smon- tare passò via a desinare a Montefiascone , e di lì per Siena. 144 Il cardinal di Bologna, fratello del papa, ed il car- dinal di s. Angelo, mandati dalla Santità sua a far compagnia all'imperatore sino ad Acquapendente, tor- norno a Roma come havevano commissione, e così le cose passorno sino a maggio. L'imperatore partì di Siena li 4 di maggio, et andò a Fiorenza con tutti, havendo prima havuto il salvocondotto dal comune di Fiorenza, ove li fiorentini lo ricevettero con gran- dissimo honore. Passò via presto, et andò a Venetia ; poi alla Magna. Giovedì 11 di detto mese partì da Viterbo il prencipe di Portogallo con circa 100 cavalli, et una bella et honorevole compagnia, e ricca assai di some e di denari, che tornava da Roma. Era detto prin- cipe d'anni 50, di comune statura e fattezze grosse, e vestito di bigio, et era venuto in compagnia del- l'imperatrice. Giovedì 11 di detto , la signoria di Venezia ruppe guerra col duca di Milano, e corsero di Cre- mona pigliando non so che castelli e preda assai. Il duca di Milano haveva in essere 23 mila cavalli e 7 mila fanti; e sentendo questo, si fé innanzi et andò in quello di Brescia, all' entrata di giugno, e tolse a' venetiani 36 castelli, e continuamente guer- reggiavano l'uno contro l'altro: e l'imperatore in quel tempo stava in Venetia. In quel tempo si mosse il gran turco chiamato Maometto Bai, e menò seco il gran Caraman, il gran Carmian, e il gran Saceam signore di Brusia, e ven- nero contro l'imperatore di Costantinopoli sino alle mura con 300 mila turchi, tra' quali erano assai cri- stiani soggiogati da loro ; e tolsero molte terre al U5 detto imperatore, e questo potevano ben fare, per- chè Giovanni Vaivoda signore della Valacchia s'era partito dalle frontiere, e venuto a far guerra contro r imperatore della Magna ; onde si può pensare in quanto pericolo stava la cristianità mentre i cristiani fan guerra Tun contro l'altro , e non s' andava alle difese contro l' infedeli. Et allora Italia haveva più di 100 mila soldati a piedi et a cavallo, attendendo a disfarsi come cani. Le genti de' venetiani tolsero Sonzino al duca di Milano, e pigliorno un suo figliolo , detto Tristano Sforza , e fu prigione del conte lacomo di Nicolò Piccinino per tradimento di Ciarpellone che stava col detto Tristano. Poi il conte lacomo felli grande honore, e rimandollo al padre. In quel tempo si mossero da Tunisi di Barbarla 12 galere armate di mori, e vennero per pigliar l'isola del Giglio guidati da un cristiano rinegato di Cor- sica, e figliolo d'un tedesco. Giunti al Giglio, dettero la battaglia al castello per pigliarlo , e durò un dì et una notte. Li cristiani del castello stettero saldi in difendersi. Questa cosa sentendo una nave geno- vese che passava lì presso , carica di mercantie , e capitando al porto di Corneto, ove trovò due galere armate del re di Ragona, detteli avviso di detti mori. Li catalani mandorno a Gaeta dove erano altre 4 galere armate del re, e due de'venetiani, che subito dovessero venire al Giglio : e loro s'avviorno verso il Giglio , e cominciorno battaglia con li saracini; in quel mezzo gionsero le sei galere predette, e così otto galere cristiane pigliorno per forza nove galere de'mori; e tre ne fuggirono con quel rinegato, alle G.A.T.CXXXI. ^ 10 146 quali s'affilorno dietro due galere, e non le poterno giungere. Poi li saracini mandorno molti legni per mare a far guerra in Sicilia, ma non li tolsero niente. Essendo in Lombardia il campo de' venetiani e quello del duca quattro miglia vicini, una sera nel- l'entrar di luglio il duca di Milano in persona fece spianar certi passi, et assaltò le genti de' venetiani in un luogo chiamato Macalo : e combattendo un pezzo insieme, le genti del duca hebbcro la meglio- re, e se non sopraffaceva la notte, il campo vene- tiano saria stato a mal partito. Così levatosi si tirò indietro, et il duca tornò nel campo suo con certi cavalli guadagnati. In questo tempo partì dal reame di Napoli don Ferrante figlio del re di Ragona con 7 mila cavalli, e venendo per Abruzzo riuscì a Rieti, poi a Terni, et in quel di Todi. Così il conte Averso si mosse, et andò da detto don Ferrante con mille cavalli , e menò Diofebo suo figliuolo; e tutti insieme pigliorno il cammino verso il paese de'fìorentini a far guerra. In quei dì partissi da Castiglione della Pescara Sante Gariglia con 200 cavalli e 100 fanti , e fece una correria in quel di Pisa. Il sig. Micheletto da Cotognola, ch'era al soldo de'fìorentini, ciò sentito, ordinò certi agguati, e pigliolli tutti, salvo detto Sante che ftiggì con tre cavalli. Alli 7 di Luglio, venerdì, s'affrontorno le genti de' venetiani e del duca di Milano. Infine li ducali guadagnorno roba assai , e fumo trovati a bottino 3 mila cavalli, molti prigioni, e morti de'fanti ve- netiani circa 500 appresso Brescia. Non passorno troppo giorni di detto mese ch'es- 147 sendo il marchese di Monteferrato a'danni del duca di Milano con 3 mila cavalli e 500 fanti , il duca li mandò addosso Bai'tolomeo Coglione condottieve suo, che ruppe dotto marchese, e tolseli 2 mila ca- valli e tutti li alloggiamenti. Anche pochi giorni dopo le genti de' venetiani s'accostorno presso il fiume Adda, e ferno un ponte di legname presso a Cerreto in Lombardia. Onde si mosse il sig. Alessandro con circa mille cavalli , e fanti per guastarlo , e non potendo tornò indietro per rinfrescarsi: e poi che fumo disarmati, e man- dati li famigli a saccomanno, partironsi due suoi fan- ti, e notificaro alle genti de'venetiani come detto si- gnor Alessandro era disarmato con le sue genti. Onde si mossero , e Tassaltorno , e solo si trovorno alle difese dei capi di squadre Pier Maria et N. con 200 cavalli. Non possendo resistere, furono rotti così pre- sto che non poterno armarsi, e la più parte di loro fuggirno a cavallo senza sella, così il sig. Alessan- dro, e persero 500 cavalli e tutte l'armi, e fu pi- gliato uno di que'capi di squadre e il tìglio di Pier- maria. Il figlio del re di Ragona con sue genti ferno capo in quel di Fiorenza , e posero l'assedio a Fo- iano presso a Montepulciano, Cortona, et Arezzo: il qual castello trovorno ben proveduto di fanti e vit- tovaglia. Gli dettero più battaglie, et ogni volta ci moriva gente assai. Il comun di Fiorenza mandò ad Arezzo Michcletto da Cotognola, et a Cortona Simo- netto da Castel Piero, et a Montepulciano M. Astorre da Faenza. Questi continuamente facevano guerra al campo di D. Ferrante. Alle volte guadagnavano, alle U8 volte perdevano. Era il campo detto forte di 14 mila persone. Circa mezz' agosto M. Astorre da Faenza andò per pigliar certi cavalli del campo che anda- vano a saccomanno : del che avvisati li condottieri del campo misero certi agguati per modo che s'af- frontorno insieme con le genti di M. Astorre, quale fu rotto, e toltigli 500 cavalli, e lui solo fuggì den- tro Montepulciano. Quei del campo guadagnorno tra l'altre cose 80 corazze e 90 elmetti, e di tal gua- dagno n'hehbe la maggior parte il conte Averso. Alli 2 di settembre Foiano si dette al figlio del re di Ragona , e fumo salve le persone e la roba. Solo un contestabile fé" impiccare per lo sparlamento fatto di lui. Detto campo andò in valle d' Elsa , e pigliò il castello Rentio: poi assediò Staggia, e sen- z'averlo partì, e s'accampò alla Castellina. In quel tempo il campo de'milanesi mandò certi galeoni per guastare il ponte d'Adda presso a Cer- reto. Per il che si mosse lacomo Piccinino et il conte Carlo con 3 mila cavalli , et andorno contro detti galeoni. Sentito questo ci andò il duca stesso con altri 3 mila cavalli, et affrontossi con loro, ruppeli, e tolsegli mille cavalli. Poi n'andò a quel ponte, lo ruppe, abbrugiò due bastie, e guadagnò tutta la mo- nitione di bombarda. Anche il sig. Bosio Sforza, fratello del duca, andò contro il sig. di Correggio ch'era al soldo de'vene- tiani, ruppelo, e guadagnò 200 cavalli. Alli 1 3 d' ottobre passò per Viterbo un amba- sciatore del re di Francia , che era stato a prote- stare a'venetiani: Non dovessero far la guerra al duca di Milano perchè era suo raccomandato. Poi era stato 149 nel campo di don Ferrante , e simile protestò non facesse guerra con fiorentini, eh' erano suoi racco- mandati. Poi n' andò al santo padre, che mettesse pace in Italia quanto fosse possibile. Poi n'andò al re di Ragona, che dovesse levar via questa guerra d'Italia; e non facendolo, lui verrebbe con ogni suo sforzo contro detto re, e contro venetiani. Haveva detto re di Francia sotto sua potestà 45 mila cavalli, et haveva tolto Navarra per forza al fratello del re di Ragona, e la Normandia d'Inghilterra. Et in quel tempo le genti del re di Ragona pre- sero in quel di Fiorenza il castello di Ristricchi, e quelli della terra si dettero per dispetto delli fanti forestieri di dentro che villaneggiavano le loro donne: sicché essi fumo salvi, e li fanti prigioni di donFerrante. Anche in quel tempo si mosse il conte d'Urbi- no, e Napolione da Rracciano con altre genti di don Ferrante, e due contestabili con 200 balestrieri ra- gonesi, et altri, e ferno una correria presso Fioren- za 4 miglia in luogo detto il Galluzzo, e pigliorno circa 100 persone da taglia e gran quantità di be- stiame, perchè non si guardavano. Stava il campo de'fìorentini in mezzo tra Poggibonzi, Colle, e s. Ge- miniano, e non si mosse nessuno per riscuotere detti prigioni, perchè li fiorentini havevano vietato a'ioro soldati non pigliassero battaglia co'nemici. Questa è la signoria del re di Ragona detto per nome Alfonso. Catalogna con suoi conti e baroni. Il regno di Valenza con suoi conti e baroni. Il regno di Rar- zellona con suoi conti e baroni. L'isola di Sicilia con l'infrascritti conti: cioè il conte Giovanni di Vintimi- glia. Il conte di Modena. Il conte di Sclafano. Il conte 150 li Calala le sette. Il conte di Calata Besotte. Il conte U Yalesana. Il conte d'Aderno. Il conte di s. Marco, i'isola di Lipari. L'isola della Pontanaria. L'isole di laiorica e Minorica e di Sardegna. La maggior parte leir isola di Corsica. L'isola di Malta. Il reame di Napoli, dove sono gl'infrascritti signori, cioè il duca li Calabria chiamato don Ferrante suo figlio bastar- lo. Il duca d'Atri. Il duca di Bari. Li duchi di Ve- nosa, d'Andri, d'Amalfi, di Sessa. Il marchese di Co- trone. 11 prencipe di Taranto. Il prcncipe di Saler- no. Li conti di Tagliacozzo, di Montorio, di Troia, di Monterisi, di s. Angelo, di tre Venti , d' Ariano, di Potenza, di Malapelo, dì s. Agata, di Matera, di Montalto, di Policastro, di s. Severino, di Vicino, di Nola, di Caserta, di Fondi, di Manieri, di Loreto, et altre genti infinite. Havendo il re di Ragona sentito dall'imbasciatore' del re di Francia che gli vietava la guerra contro Fiorenza, disse così: Voi, imbasciatore del re di Francia, direte al vo- stro signore come io non fo guerra alli fiorentini perchè habbia con loro nemistà alcuna in specie, ma solo per l'aiuto dato al conte Francesco Sforza in farlo diventar duca di Milano, che n'è indegno co- me di vii natione ; e Sforza suo padre fece quanto ootette contro di me quando volli acquistare il re- gno di Napoli, e mentre lui visse non ne potei ac- (juistar signoria. Pertanto direte al vostro signore , che ad ogni bora li fiorentini si leveranno di lega con detto Francesco Sforza , io li sarò bono amico e fratello, e farolli grandi se mai furono in loro li- bertà. 151 E mandò al re di Francia dieci belli cavalli. Io li viddi passar da Viterbo col detto imbasciatorc. In quel tempo venetiani mandorno imbasciatore al re di Francia con dire che loro facevano guerra al duca di Milano, perchè non ei*a degno duca es- sendo di vii natione. Anche facevan far guerra a'tio- rentini come huomini superbi e tiranni, e che per loro cagione havevano perduto Milano, aspettandosi a loro la signoria del duca Filippo Maria. Il re di Francia rispose: Tornate domattina a me e risponderovvi. Tornati, gli disse il re: Voi, amba- sciatori de'venetianì, direte a chi vi manda, che fio- rentini non sono tiranni, ma huomini d'honesta vita, e sono miei huomini. I venetiani son ben superbi e tiranni. Disseli di più che tantosto verrà presto per loro : e cacciolli con ruina dalle terre sue. Questo fece perchè venetiani havevano per vocabolo, che un tantosto di Francia penava 150 anni a venire. Alli 6 di novembre partì il campo del re di Ra- gona dalla Castellina senza poterla bavere, et andor- no tutte le genti d'arme alle stanze per tutto l'in- verno chi qua chi là per le terre di Roma , aspet- tando la primavera per rinforzare la guerra contro fiorentini. Nota, lettore, che il re di Ragona haveva circa 30 cavalieri dal campo di don Ferrante in quel di Fiorenza, per modo che in dieci bore sapeva ogni novella che fosse occorsa. Ancora in quel tempo venetiani tenevano lor genti contro quelle del duca, che, còme dissi, erano circa 10 mila persone, e non volevano pigliar battaglia, benché il duca li mandava a sfidare, perchè vene- tiani volevano consumare detto duca per longhezza 152 di guerra , essendo loro più possenti di denari clic il duca. Onde egli conoscendo questo partì dalle fron- tiere, et andò discosto da Brescia 35 miglia ad un castello de'venetiani detto Peschiera, ove era il passo tra Verona e Brescia per la vettovaglia che vene- tiani mandavano alle loro genti stanti 1 5 miglia da longo da Verona. All'ultimo di dicembre, passando le genti del du- ca di Calabria sotto la condotta di Troiano conte di Troia per quel di Siena presso Magliano , fuggì un ragazzo dal detto conte, che era di detto castello. Onde il conte mandò certi suoi famigli in Magliano, pregando il padre del garzone, et anco il podestà del luogo li volesse rimandare il ragazzo , perchè lui li voleva bene, et attendeva a farlo valent' huomo. Il padre né gli altri non lo volsero mandare. Il conte si mosse in persona con sei a cavallo , e disarmati andorno a detto castello pregando di nuovo per detto garzone. Ma il padre e gli altri parenti non ce lo volsero dare. Per il che moltiplicando in parole, disse il conte: Se non me lo date, partito ch'io sia di qua, quanti troverò di questo paese, tutti li voglio met- tere in galera a vogare per forza. Dopo molte pa- role trasse una cortella per ferire uno di quelli del castello : per il che un altro de' paesani pigliò una partigiana che stava alla porta, e passò detto conte da una parte all'altra, e così morto fu portato a Troia. Era detto conte spagnolo e gran signore. Per questo rammaricamo assai di quel castello. Venuto gennaro 1453, un cavaliero romano detto M. Stefano Porcaro era huomo cattivo e scandaloso. La sua natura conoscendo il papa, acciò non potesse 153 far scandalo in Roma per la venuta dell'imperatore, 10 confinò a Bologna, perchè in Roma sparlava con- tro il papa, dicendo: Quando l'imperatore sarà venuto noi piglieremo la nostra libertà. Stando così confi- nato, il papa li dava tanta provìsione che potesse vi- vere, cioè 4-00 ducati d'oro l'anno. Hora in esso mese di gennaro detto M. Stefano partì da Bologna , e gionse a Roma in 4 dì la vigilia di pasqua befania. 11 cardinal di Gratia legato di Bologna, a cui ogni dì si presentava detto M. Stefano, vedendolo man- cato nel dì che partì, subito mandò al papa un mes- so, come M. Stefano era partito da Bologna, e non sapeva dove fosse andato. Detto Stefano gionse in Roma prima del messo, et entrò di notte segi'cta- mcnte sollevando romani. Haveva già commosso 3 mila huomini tra romani e forestieri, e volevano la mattina dell'epifania, quando il papa usciva in s. Pie- tro per dir messa, pigliarlo, ed uccidere il senator vecchio, ch'era in quel tempo uscito d'otfitio, e li cardinali e tutta loro roba mettere a saccomanno. 11 papa, sentito ciò per mezzo d'un cittadino romano che fu richiesto , subito mandò un suo contestabii de'fanti, che stava alla sua guardia, con M. Beltramo muratore lombardo capomastro delli edifìti che fa- ceva fare nel suo palazzo. Questi andorno con 200 armati alla casa di detto Stefano, quale si difese con certi suoi seguaci, per modo che li mandati del papa non li poterno far niente , anzi ne fumo morti al- cuni di loro ; e tutti quelli di M. Stefano fuggirno, che nessuno ne fu pigliato. Fu in venerdì la prima sera. Resto M. Stefano mandò a dire al cardinal Or- sino che la sera voleva venire alla casa sua, ove lui 154 lo ricettasse. Il cardinale fé' pigliare il messo, e man- dò dire al papa come M. Stefano era andato in casa di certo Biello nella Regola. Così ci mandò lo Sbran- dellato, e fello pigliare a nove bore di notte. Fé an- co pigliare due canonici di s. Pietro, cbe tenevano mano al detto trattato. Fumo pigliati 5 altri ro- mani, e messi prigioni in castel s. Angelo. M. Ste- fano fu martorito , e confessò come volevano ucci- dere il papa, il cardinal di Bologna suo fratello, il cardinal Colonna, il camerlengo, et il cardinale di Fermo ; e volevano pigliare M. Pietro fratello del castellano di s. Angelo , e M. Pier Lunese cognato di detto castellano , e per loro mani volevano farsi dare il castello: e quando il castellano non havesse voluto darglielo, far morire M. Pietro et il cognato. Per Io che alll 18 di detto mese , su le nove ore, detto M. Stefano fu impiccato per la gola ad un tor- rione sopra la porta di bronzo, con una scritta che ognuno la potesse leggere. Anco fu impiccato in campidoglio M. Agnolo Masio, un suo figlio, et un sellaro chiamato Savo. Dicevasi che detto M. Agnolo era stato figlio di papa Martino V. Il papa fece radunare in Roma gran quantità di gente d'arme a cavallo et a piedi ; e poi a' prieghi de' cittadini romani perdonò a tutti quelli eh' erano stati nel trattato , salvo ad un Battista Sciarra che fuggì a Yenetia, ove fu preso et impiccato a Rocca Contrada nella Marca. In quel tempo le genti del re di Ragona, sotto la condotta di suo figliuolo, pigliorno in quel di Pisa la rocca d'una terra guasta, che si chiamava Vadda su la marina , e fé rilevare la terra , e mettere in 155 fortezza. Ciò sentito li fiorentini mandorno subito molta gente a campo a Vadda, e ferno molte bat- taglie contro la gente di don Ferrante : onde esso fé venire per mare 10 galere armate, e così il cam- po de'fìorentini tornò alle sue terre. liberto figliolo del conte Brandolino partì da've- netiani con mille cavalli e mille fanti , et andò al duca di Milano perchè non lo volevano pagare del suo soldo. In quel tempo si mosse il re di Francia e di Spagna, e misero campo ad una città chiamata Bor- deos , che era del re d'Inghilterra su la marina , e per mare e per terra l'assediorno, deliberati in tutto consumarlo per fame: onde vennero per mare spesse volte gl'inglesi con loro armata, e spesso ferno bat- taglia insieme. Anco in quel tempo la moglie del duca di Bor- gogna sorella dell'imperatore, e figliola del re di Por- togallo, ordinò col marito ponesse un'imposta di sale ad una lor terra che havevano in Fiandra chiamata Gante, quale faceva 100 mila huomini da difesa. Ma loro non volsero pigliar detto sale, dicendo non erano obbligati. Onde il duca li mosse guerra , e loro si difendevano per modo che in pochi dì scarcorno tre terre del duca poste in Fiandra, cioè Berbi, Cotrai, e Gramont. Onde il duca ci andò in assediò con gran gente, e nella battaglia prima che gli dette ei perse da 6000 persone, et un suo figliolo alli 5 di marzo 1453. Era , come già dissi , il gran turco a campo a Costantinopoli con 200 mila fra turchi e soriani, et havevano in mare circa 200 navilii tra grandi e pie- 156 coli. Per lo che l'imperatore di Costantinopoli man- dossi a raccomandare al papa, al re di Ragona, a' venetiani, et a' Genovesi, li quali ferno un' armata. 11 papa et il re di Ragona mandorno 38 galere, ve- netiani 25 e due navi grosse, e genovesi 7 navi gros- se contro detto turco. Il prete Ianni in India, vedendo che il soldano di Rabilonia dava favore alli turchi contro cristiani, li tolse il fiume Nilo che passava per mezzo il Cairo, e mandollo per altra via per dispetto del soldano. Il gran turco con tutte le sue genti dette una crudel battaglia alla città di Pera che era de' genovesi , e come si viddero in pericolo s'arrenderò, salve le per- sone e le robe: e fé gettare per terra tutte le roc- che, pigliò tutte le campane, e smantellò le mura, e lasciolli stare nella fede cristiana. Poi a' 29 di mag- gio dettero li turchi una crudel battaglia a Costan- tinopoli, e per forza la pigliorno, e tutti gli huo- mini e donne tagliorno a pezzi, cioè quelli che ha- vevano gionti nell'entrata della battaglia. Questo fer- no perchè li cristiani havevano fogati li fossi della città, e morirno tanti turchi, che tutti li fossi erano pieni, e sopra li corpi morti fé il gran turco 5 mila scale mettere ad un tratto alle mura. Ma prima che venissero a questo il gran turco aveva dato la bat- taglia a detta città 66 giorni continui , che durava 12 bore, e ciò per straccarli , e con gran quantità di bombarde haveva gettato a terra gran pezzi di muri, et erano tanto moltiplicati li turchi nel cam- po, che si contavano 300 mila. La prima entrata gli la dette un fiorentino detto Neri, quale era stato 36 anni in detta città , et haveva moglie e 4 figliuoli 157 maschi, e ci haveva avanzati 200 mila fiorini d'oro; e teneva pratica e trafico nella maggior parte di Grecia e di Turchia , et haveva pratica del gran turco, et era tanto in gratia deirimperatore di Co- stantinopoli, che a sua petitione teneva le chiavi di una porta, donde traeva e metteva tutte le sue mer- cantie, e quasi tutta l'entrata della città passava per man sua. Essendo la città così assediata, tanto affanno ha- vevano li poveri cristiani, che più non si potevano difendere, perchè la città haveva 2 mila merli nelle mura , a difesa delle quali non ci erano se non 7 mila soldati, e l'imperatore per stracchezza non po- teva più vivere, et un suo gran barone che stava a lato del muro rotto si partì con salvo condotto, et andò a Pera. L'imperatore non poteva più difendersi per la grande oppressione de'nemici. Onde il detto Neri fiorentino, pensando al suo scampo e de' suoi figli e roba, cercò di acconciare i fatti suoi col gran turco, quale haveva mandato bando che qualunque cristiano volesse partirsi con tutta la roba sua se n'andasse salvo, e così molti ne partirno. Detto Neri similmente cercò tal accordo. Il gran turco gli ri- spose volerlo far salvo lui, suoi figli, e roba tutta, se gli dava l'entrata della porta che era in sua li- bertà, altrimenti si guardasse da lui come l'altri ne- mici , che non gli havria misericordia alcuna. Per questo una notte costui mise dentro a Costantinopoli turchi tante mila ch'empinne due palazzi. La seguente mattina (fu 29 di maggio) Neri die' la porta a'tur- chi, e vedendo questo li cristiani uccisero detto Neri ed un suo figlio, e poi seguirò la battaglia contro 158 turchi. Ma uscirno que'turchì nascosti, e ruppero li cristiani, e tutti l'ammazzorno , maschi e femmine, grandi e piccoli : e dicono fossero più di 200 mila morti i cristiani. L' imperatore, come vide sì fatta crudeltà, con 18 compagni si buttò in mare, e pi- gliorno una navicella, e così camporno. Disse di più che credeva in tutto non fossero campate 60 perso- ne. Poiché li turchi hebbero fatto così gran male , non potendo stare in detta terra, dopo alcuni dì ci misero fuoco, e solo lasciorno s. Sofìa, e quella guar- darono ; e poi tutti andorno in Albania contro cri- stiani. Alcuni dissero fu pigliata per forza magnanima- mente, e che ci morirno circa 40 mila cristiani, e moltissimi turchi: e durò la battaglia cominciata li 27 di maggio sino alli 29 detto , e per stanchezza li vinse, ove ci morirno infiniti turchi, e li cristiani campati fumo venduti per Turchia. Di luglio il duca di Milano s'affrontò con le genti de'venetiani, ruppeli, e guadagnò 800 cavalh, e 370 corazze et altre armature, e pose il suo campo presso a Brescia. Poi mandò M. Alessandro suo fratello in soccorso de'fìorentini con 1500 cavalli, e gente van- taggiata. Giunto a Fiorenza pose campo a Rézzo, e pigliollo per forza. Poi andò a Foiano, essendo con lui il sig. Gismondo Malatesta, Simonetto, e M. Astorre da Faenza, et altre genti, e per forza pigliollo e mi- selo a saccomanno e l'abbrusciorno; e pigliorno 700 villani, e 1700 soldati; e le genti del re di Ragona si tirorno indietro, e misersi tra Pitigliano e Sorano in un luogo forte, sempre non cessando affrontarsi con le genti de'fìorentini. 159 Alli 11 di agosto il signore da Bagni e di cin- que castelli presso il borgo di s. Sepolcro, chiamato M. Girardo Gambacorta da Pisa, donò le dette ca- stella al re di Ragona, e detto re donò a lui Man- fredonia et un' altra terra in Puglia , e promiseli 4 mila fiorini l'anno di provvisione. Il re mandò a Ba- gni un suo commissario chiamato Sante Gariglia. M. Antonio di M. Priamo Gambacorta notificò a'fio- rentini sì fatta cosa: onde li fiorentini mandorno gente, e pigliorno detti castelli cacciando detto Sante Ga- riglia, e donorno al suddetto Antonio il valsente di 4-0 mila ducati. Alli 18 del detto mese, la domenica sera, fu in Valdasco et ad Orvieto grandissima tempesta d'ac- qua e vento. Ruppe il molino e ponte del castcl di s. Lorenzo di Yaldasco, e gettò a terra certi casa- menti a Gradoli, e certe parti delle ripe d'Orvieto. Ingrossò il Tevere di Roma, che passò a Vaselli, dove stavano certi soldati di Braccio da Peroscia gente di chiesa, e la detta notte annegò 20 huomini, e ca- valli assai, e portò via di molta roba; et in quello di Mugnano et Orti sino a Roma dette grandissimo dan- no d'huomini e bestiame grosso e minuto, et anco in Valdasco spezzò gran quantità d'alberi. In quel tempo gionse il re Ranieri di Provenza in soccorso del duca di Milano con 3 mila cavalli de' francesi armati all' italiana et altre genti , e per mezzo di lui s'accordò il sig. Guglielmo marchese di Monferrato col detto duca: e così il suo campo rin- forzò di gente et andò a Brescia, e pigliò tutto il con- tado suo, e Chiaradadda, e l'Orce vecchia , e terre 160 più del paese , sempre calcando le genti de' vene- tiani. Di novembre gionse in Roma l'ambasciatore del re di Cipri a papa Nicola V, supplicandolo per parte del suo re li volesse dar soccorso contro la potenza del gran turco , perchè spesso erano danneggiati, e temevano essere disfatti in tutto da loro. Un'altra imbasciata gionse a detto papa per parte del gran mastro di Rodi simile domandando, e scrisse una lettera di sua propria mano dicendo cosa o si- mili parole. Reatissimo e santissimo padre- Li gran pericoli ed oppressioni, che sono fatte dal gran turco signore dell'Asia minore contro la cattolica e santa fede cri- stiana nel paese nostro verso levanto, ci fa presu- mersi ricercar soccorso della santità vostra, perchè siamo certi che da più persone havete udito il grande esterminio e disfattione della magnifica città di Co- stantinopoli, che essendo desolata in tutto de'popoli cristiani , detto turco ci ha mandato dal suo paese 77 mila fameglie, e tutte messele in habitatione di detta città , e lui ancora s'è ridotto habitarvi , e di continuo fa lavorar legni e navilii per esser contro cristiani. Anco notifico alla santità vostra come detto turco ha messo l' assedio per mare a Negropontc , terra e porto deVenetiani. Onde la signoria de'vene- tiani gli ha mandato in soccorso 22 galere, e cac- ciatolo per forza. Il turco poi gli ha mandato con- tro 40 navili, et affrontandosi coll'armata venetiana fumo messi in rotta li navili e ne pigliorno 17 con pochi huomini, perchè fuggirno in terra; e li vene- tiani mandorno subito dette galere dietro all' altri 161 navili, e giugnendoli ne pigliorno altri 11 con tutti riiLiomini sopravi, e li 12 navilii campati, per ver- gogna non volsero tornare da Costantinopoli, ma di notte andaro in una nostra isola , et assaltorno un nostro castello combattendolo tutta notte sino all'al- ba. Infine li nostri cristiani cacciorno li turchi fino alla marina, e di là partiti andorno all'isola di Cipri, e lì entrati pigliorno e disfecero molti casali: si che per forza portorno via circa 870 anime de'cristiani in Costantinopoli, ove detto turco tuttavia si mette in punto contro di noi, e dubitiamo prima sia nove settembre non venga contro noi , e di tutto il ma- re egeo. Ricorremo pertanto alla santità vostra ci voglia mandar soccorso prima siamo oppressi. » 11 papa havendo ciò sentito hebbe gran maninco- nia con tutta la corte, et ordinò soldare un geno- vese chiamato M. Agnolo Ambrogini con 3 galere, valentissimo huomo per mare, quale si mise in viag- gio verso Turchia a provedere il paese per potere a primavera uscir con più possanza contro detti in- fedeli. In questo mezzo il papa ordinò cogliere de- nari, e pose a tutti li cardinali, prelati, preti e be- nefiziati che pagassero la decima di tutti li loro frutti, e a tutti l'offitiali che erano sottoposti alla chiesa. Detta lettera era scritta di mano del gran maestro di Rodi al principio di settembre 1453. Il detto M. Agnolo Ambrogini andò verso Tur- chia, e trovò infiniti navili de'turchi, e poco mancò non fosse pigliato da'turchi. Se ne fuggì e tornò a Roma. Venuto il 1454, il conte Giovanni Vaivoda d'Un- garia con sue genti fé una correria in Turchia, ove G.A.T.CXXXl. 11 162 condusse circa 60 mila persone , e pigliò circa 50 mila turchi, e tutti li menò prigioni in Ungaria, et inoltre n'uccisero gran quantità. Il gran turco trattò accordo con uno chiamato conte Stefano d'Albania, e pigliò per moglie la sua figlia, e fello capitano di molti turchi, e rinegò la nostra fede. Fece una correria in Albania, pigliando assai albanesi e molti uccidendone. Haveva detto tur- co più di 100 mogli. 11 duca di Milano faceva gran guerra a'venetiani, e tutto il Bergamasco e Bresciano gli haveva tolto: tuttavia li danneggiava. L'haveva tolta una rocca chia- mata Manervi, e li venetiani havevano tutte le loro genti distribuite alle difese. Onde si mosse un frate dell'ordine di s. Agostino predicatore, e tanto fé con madonna Bianca moglie di detto duca di Milano, e con la signoria de'venetiani, che trattò pace con lo- ro, detto duca e fiorentini collegati seco, con patti che il duca dovesse lassare a veneti il Bresciano e Bergamasco, e loro gli donavano la valle di s. Mar- tino; e se senesi volevano la pace con fiorentini pa- gassero 6 mila fiorini d' oro per parte di soddisfa- mento del danno che havevano havuto li fiorentini per la guerra del re di Ragona. Così fu bandita detta pace in Lombardia et in Toscana del mese di aprile. Anco fecero, che se il re di Ragona e genovesi vo- levano entrare in detta pace, havessero tempo di ri- spondere tutto il mese d'aprile. In quel tempo Norcia faceva guerra con Spo- leti. Cascia, e Cerreto, et era durata 3 anni , onde ci cran morti, secondo si diceva, circa 1000 huo- mini. Li spoletini soldorno per se il conte Averso 103 di Roncigliono con 800 cavalli e 400 fanti. 11 papa mandò un comandamento a detto eonte Averso, non andasse in modo alcuno in dette terre , che inten- deva fargli })acificare insieme; e così comandò a'spo- letini non conducesscio detto conte: e da nulla delle parti fu obbedito il comandamento del papa. Detto eonte andò a Spoleto, et il popolo di Spoleto, Ca- scia e Cerreto con esso andorno a campo a Nor- cia, e fumo circa i mila persone, e subito pigliorno un castello. Il papa se ne sdegnò, e comandò a tutte le genti d'arme che teneva andassero subito contro detto conte , e ci andorno circa 4 mila persone a cavallo et a pie; e giungendo a Spoleti feron vista volerlo mettere a sacco; onde li spoletini abbando- norno il conte e tornorno all'obbedienza del papa, e detto conte rimase colla sua compagnia. Ciò visto fuggì verso iiionessa, et andò a Civitaducale, e le genti della chiesa l'andavano tracciando per pigliar- lo: onde lui non sì fermò niente tre dì e tre notti, e gionse a Foglia, e con tre barchette a guazzo pas- sorno il Tevere mercordì notte 13 di giugno; e non possendo tutti passar così presto, che le genti del papa li fumo appresso, pigliorno guerra e battaglia con loro, et il detto conte fuggì con 70 cavalli, et assai fanti, passando per lo borgo di Civitacastellana come gente di chiesa , et andò a Monterano tutto stracco e percosso. Perde delle sue genti 150 caval- li, et 80 some di carriaggi. Era detto conte signore di Vetralla, Ronciglione, Caprarola, lovi, Capranica, Viano, Bieda, Monterano, Vico, Vicarello, Scigliano, Carcari, e s. Severa. In quel tempo il conte Aldobrandino, signore di 164 Pìtigliano , Sorano, e Sovana , ruppe guerra al co- mune di Siena: e questo fu per antico , che senesi tolsero al conte Bertoldo suo avolo 25 castelli. Francesco Sforza duca di Milano , havendo già fatta pace co'venetiani, mandò a dire al signore di Correggio che li desse sei terre, quali teneva del duca vecchio; e non volendole dare gli manderia il campo addosso. Detto signor di Correggio rendè dette terre al duca, e fé accordo con lui. Detto duca mandò anco a dire al duca di Sa- voia li rendesse 30 terre che teneva del duca vec- chio di Milano. Quel di Savoia negò darle , e quel di Milano gli mandò addosso 14 mila persone a farli guerra sotto la condotta di M. liberto Brandolini. 11 duca di Savoia si fé forte contro nemici, et andò contro esso liberto, e diedegli una rotta che gli uc- cise circa 1400 soldati : del che il duca di Milano fu assai turbato. Per sdegno montò a cavallo lui, e menò 6 mila persone, e coll'altre genti sue tolse 24 terre al duca di Savoia: due castelli di lui gli scar- cò, e tolseli Valenza nell'entrata d'agosto. 11 duca di Savoia s'accordò col duca di Milano dopo il danno, e donolli 100 mila ducati, e fé pa- ce insieme. Era la gente del duca milanese 16 mila cavalH, e 10 mila fanti, de' quali era capitano ge- nerale detto messer Tiberto, et altri capitani e con- dottieri, de'quali farò mentione in parte, che di tutti non so il nome. Il primo Pier Rosso con 1000 cavalli. Il conte Cristoforo Torzelli con altri 1000. M. Giovanni da Tolentino con altri 1000, Bernardo e Francesco figli del sig. Aluie;i di s. Severino con mille. Bernardo i65 del conte Aluigi dal Verme con 1000. Bragamoro da Parma con 500. Il conte Piero Torello con 500. M. Sagramoro Visconti con 300. Il marchese di Man- tova con 600 lance spezzate, 60 squadre con li fa- migli sforzeschi: e fm*no in tutto 136 squadre, cioè schiere, e cosi furono contati. Il conte Aldobrandino da Pitigliano fu assediato dal comun di Siena sotto condotta del conte Carlo da Campobasso, che era a loro soldo, e tolseli Vi- tozza, e dette il guasto a Pitigliano et a Sorano. Per lo che il conte Averso mandò in soccorso al conte Aldobrandino molte delle sue genti. E mandando il comun di Siena bombarde e some di ferramenti di balestre et altre monitioni al campo loro contro Pitigliano, fumo assaltati per il viaggio, e tolti circa 80 muli carichi, e pigliati più di cento persone pri- gioni contadini, e pigliato il commissario de'senesi, e menati in Pitigliano dove sempre erano cento pri- gioni da riscotere. Detto conte Aldobrandino bora s'è rinforzato di gente d'arme, tra' quali fu lacovo Or- sino et Antonello da Forlì con 60 lance condottiero del duca di Milano. Venerdì 16 d'agosto ascirno di Pitigliano detto conte, lacovo, et Antonio con 350 cavalli et altri fanti, et andaro contro il campo de' senesi, e ferno tre squadre. La 1 guidò Antonio, la 2 lacovo , la 3 il conte, quale si mise in agguato in un fossato di là da Pitigliano. Antonio e lacovo si mostraro a'nemici, quali se gli ferno incontro con 4 squadre, et appiccaronsi alla battaglia con podio lance: erano quasi tutti colle spade in mano. Durò la mischia tre bore cominciando alle 19 sino alle 22 bore. Infine la gente de'senesi fu giunta da detti 166 due condottieri, e cacciati dal campo e rubati tutti li padiglioni, bombarde, e pigliati assai prigioni, e ferita gente infinita. E mandorno 100 fanti a far cor- reria nelle maremme di Siena. In quelli dì il duca di Calabria figlio del re di Ragona s'era partito colle sue genti dal terreno di Siena, e passato per quel di Viterbo, poi di Terni, poi di Spoleti, tirò verso Lionessa alle sue terre. La signoria di Venetia, il duca di Milano, il comun di Fiorenza, e la città di Genova forno lega insieme e col figlio del re Ranieri di Provenza , e ferno lor capitano il conte lacovo di Nicolò Piccinino, quale haveva per moglie la figlia del duca di Milano; con 7 mila persone partì di Lombardia, e gionse a Forlì neiruscita d'agosto. Dicevasi andava contro il re di Ragona. Dall'altra parte li genovesi con 14 navi e 10 ga- lere andorno a Napoli contro detto re, ed assediorno il porto suo ad un terzo di miglio. Tolserli Pozzolo 8 miglia lontano da Napoli. Poi rinforzorno l'armata con mandarci 4- navi e 1 0 galere più; e così fìccor- no l'ancore presso Napoli per mare. A mezzo settembre si ribellò lugnanello adAgnolo di Roccone, perchè esso li pose di datio cento du- cati l'anno, che mai non era stato consueto. Detti vassalli gridorno: Viva la chiesa , e papa Nicola: e mandorno l'ambasciatori a Roma, et il papa li ac- cettò, e mandocci Tartaglia da Foligni, contestabile de'fanti. Haveva il papa cassati certi contestabili per- chè non ferno lor dovere contro il conte Averso quando andorno per pigliarlo, e fu detto Agnolo di Roccone, un certo Scalogna, Masio e Sbardellalo da 1G7 Narni che stava alla guardia sua, et era vecchio e zoppo. Et haveva soldati di nuovo altri contestabili di bella gente , cioè Gian Francesco da Bagni con 200 fanti, Giovan Pazzaglia con 400, e la Vecchia da Lodi con 400, et altre genti nove. Agnolo di Rocconc stava di malavoglia senten- dosi perso lugnanello; e cercando rihaverlo dal papa, andò a Roma in persona, et il papa lo fé' pigliare, e metter prigione in castel s. Angelo, e provato co- me lui poteva pigliare il conte Averso quando fuggì verso Civita Castellana, il cui passo guardava esso Agnolo , e lassollo passare , perchè era padre della moglie di suo figlio. Trovata la verità, gli fu tagliata la testa all'I 1 di ottobre 1454. Morto che fu, il papa mandò ad Ascoli che fosse pigliato Saccoccia di Roma, marito della figlia di detto Agnolo e contestabile di 100 fanti. Così mandò a Giannicolò rettore del patrimonio, che subito fosse con quelle genti poteva a Vallerano e Carbugnano castelli di detto Agnolo nella Montagnola di Viterbo. V'andaro a campo Nicolò Corso con 150 fanti, Gian- francesco con 100 e lance spezzate della chiesa, e certi fanti d'Andrea Corso, in domenica 13 di detto mese. Era nella rocca di Vallerano Camillo figlio di detto Agnolo, quale quando vide le genti del papa, sapendo la morte di suo padre, e vedendosi privato d'ogni speranza, domandolli che volevano ? Disse il rettore, voler Vallerano e Carbognano per il papa. Rispose Camillo, era contento, ma voleva salve le per- sone e robe. Così partì con 8 famigli a cavallo e 7 muli carichi di roba buona, et andò a Ronciglione dal conte Averso suo socero. 168 In quel tempo s'affi'ontorno per mare all'isola di Ponlio et a Monte Cercelli 10 galere de' genovesi con 14 del re di Ragona , e combattendo insieme fumo rotti li genovesi; ne fuggirno 3 galere, e 7 det- tero in terra , e abbrugiorno i legni acciò li cata- lani non ha vesserò nulla. Papa Nicola V in tal tempo venne al bagno della grotta di Viterbo, quale mise dentro un palazzo bel- lissimo con il bagno della Cruciata. Mercordi 13 di novembre il campo de'senesi an- dò ad assediare Sorano del conte di Pitigliano. In esso campo fu il sig. Gismondo Malatesta, Pierbru- noro quello che già stette col conte Francesco Sforza contestabile di mille fanti. Il signor Gismondo menò seco 1500 cavalli, e 500 fanti. Messer Gilberto si- gnor di Correggio con 700 cavalli, il signor di Ca- merino con 600 cavalli, il conte Carlo d'Anguillara con 700 cavalli, et altri condottieri tutti soldati del comun di Siena: fumo circa 9 mila persone, e tutte le genti disutili mandorno alle stanze, e l'utili an- dorno a detto campo con bombarde , trabocchi , e manganelle et altre munitioni. 11 palazzo che fé fare papa Nicolò V al bagno di Viterbo fu in questo modo. Fu una chiusa di muro novo lungo 36 passi e largo 24 con dui torrioni in dui canti nel fossato del Caldano che esce da Vi- terbo. Sopra era la volta, e merlato d'intorno. Sotto detta volta una sala con quattro camere, e sotto detta sala un'altra saletta con 6 camere; innanzi la quale era una volta quadra e per ogni canto erano 24 pas- si. Sotto detta volta era tirato il bagno della cru- ciata in 4 peschiere , e nel fondo di detto palazzo 169 erano tre stanze, la prima sotto la saletta dove sta- va il bagno della Grotta. Era alto detto palazzo 118 scalini. La volta più bassa era al paro del terreno, et ogni stanza baveva il cammino, ornata di belle fenestre. II campo de'senesi a Sorano fé gran danno con le bombarde alle mm-a della rocca, e cavorno sotto li fondamenti della torre per buttarla a terra: e così proposero dar la battaglia a detto castello. Era den- tro in Sorano Pietrangelo Orsino conte di Foglia (*), e lacovo Antonio figlio del conte di Gallese a far difesa con 150 fanti forestieri. Hora il conte A verso et altri Orsini aderenti al conte Aldobrandino man- dorno certa quantità di cavalli a Pitigliano, et il det- to conte Aldobrandino cercò modo accordarsi col sig. Gismondo Malatesta acciò non desse battaglia a Sorano. Gismondo pigliò detto accordo , e fessi dare un suo figlio per ostaggio, et affatto partì lui, il conte Carlo Anguillara et il sig. di Camerino dal campo contro la volontà de'senesi. Rimase in campo Pier Brunoro e Giberto sig. di Correggio , e tanto stettero finché tutte le bombarde e l'altre monitioni fumo portate via. E così Pier Brunoro se n'andò per stanza a Soana presso a Pitigliano, e M. Giberto a Grosseto. Le genti del conte Carlo d'Anguillara an- dorno per stanza ad Orbetello, e vedendo loro esser dentro la terra più delli terrazzani, la pigliorno per se, e misero a saccomanno. Il signor Gismondo andò presso a Magliano di Siena, e mandò certe sue genti dentro Magliano a poco a poco. Poi mandò un suo (*) In margine, della stessa mano, a mo' di glossa — Foglia è in Sabina vicino il Tevere soUo Magliano verso Roma. 170 condottiei'o con altre genti a fine la mettessero a saccomanno. Questo condottiero, quando si vide ha- vcr pigliato la porta, gridò: Clemente, Clemente: onde quelli della terra se n'adorno coll'arme in mano e diero molte ferite a quel condottiero, e cacciorno per forza tutti li soldati entrati nella terra. Il signor Gismondo, vedendo non riuscita la cosa, mostrò turbarsi delli modi tenuti dalle sue genti dicendo non venir da lui. Poi partì con tutte sue genti e fé' una correria nella maremma di Siena, e prese gran quantità di bestiame vaccino menandolo in quel di Pisa che era de'fiorentini. Haveva detto sig. Gismondo ricevuto da'sencsi per suo soldo 16 mila ducati d'oro. Senesi mandorno a cercare il sig. Carlo dell'Anguillara ch'aveva fatto_saccheggiare Orbetello, ma lui non volse andarvi senza salvocon- dotto: e gli lo mandorno, et esso andò a Siena fa- cendo assai scuse di detto fatto; e li senesi dissero non si voler più fidar di lui , e pigliasse altro av- viamento. Così lo cassorno , e licentiorno dal lor lenimento. Poi per molte preghiere li derno soldo; et anco cassorno il sig. di Camerino parente del sig. Gismondo. Venuto il 1455, a 22 di gennaro, fu preso Pier Brunoro dalle genti del conte di Pitigliano in que- sto modo. Pier Brunoro, stando al soldo de' senesi, haveva sollecitudine a guardar le bastie fatte con- tro il caste! di Sorano; e non ostante havessero fatto tregua insieme, lui mandava 13 some di vettovaglia, perchè la tregua non doveva durare più di tutto gen- naro. Ma quelli di Pitigliano lo seppero, e fecero guar- dare il passo tra Soana e Sorano, dove passavano le dette some: e come fumo nella valle sotto So- 171 rano, fumo assalite, e fatta battac;lia con la scorta delle some. Infine quelli del conte vinsero, e tolsero detta vittuaglia, e menaronla in Sorano. Intanto quelli di Sorano havevano fatto gran romore tra loro, acciò quelli delle bastie non sentissero quando si faceva la battaglia. Pier Brunoro era andato al romore e trovò le cose spacciate, et essendo già tardi tornava a Soa- na sua stanza. Quei di Pitigliano si posero a guar- dare il passo suo con 300 fanti , e quando lui pas- sò se gli fé incontro un fante con una lettera del conte Aldobrandino cbe diceva: « Pier Brunoro, io vi do avviso, come da qucst'hora innnazi, io non vo- glio più tregua con senesi, né con sua gente. » Quando lui si mise a leggere detta lettera, li 300 fanti gli uscirono addosso, e così fu menato preso in Sorano, ove non molti dì innanzi era slato menato prigione il figlio di detto Pier Brunoro. Per questo li senesi ebbero triste novelle Domenica 26 di gennaro, il re di Ragona fé' fare in Napoli una bella giostra, ove fumo moltissimi va- lenti cavalieri; e dopo mollo giostrare, n'hebbe l'ho- nore don Ferrante suo figlio, ed egli ne fé gran fe- sta. Erano in Napoli molti ambasciatori a pregare il re si contentasse della pace fatta in Italia , come dissi: et esso re non ne voleva vfar niente. Il papa li mandò un cardinale chiamato M. Domenico da Capranica, cardinal di Fermo: et essendo detta gio- stra vinta per don Ferrante, detto cardinale si fé in- nanzi rallegrandosi della vittoria, e disse: « Hora è il tempo di far pace, poiché Iddio vi ha mostrato tanto honore: » e con molte altre parole invitò il re alla pace. Onde disse il re eh' era contento ; e così fu 172 bandita dentro Napoli. In questa pace non fumo ge- novesi : tuttavia il cardinale instava col re che ge- novesi s'intendessero coll'altre potenze in detta pace. Di febraro la comunità di Siena mandò molte genti a far fare il guasto a Pitigliano: onde il conte Aldobrandino ne mandò avviso al conte Averso, che subito gli mandò 300 cavalli e 400 fanti; et an- dando per rompere il campo de'senesi trovorno che M. Giberto da Correggio, capitano de'senesi era in ponto con mille cavalli: onde loro se n'andorno den- tro Pitigliano. Il campo de'senesi si partì. Non pas- saro 15 dì, che un fante di quelli senesi, che sta- vano a Vitozza (egli stava in una bastia a Sorano) andò a'pitiglianesi, e disseli: Se volete vi darò Vi- tozza, perchè tutti li fanti son partiti, e debbono tornarvi presto. Così andorno con lui molti fanti. Detto fante guidò tali genti per una grotta a tra- dimento , e pigliorno un condottiero eh' era dentro chiamato Fiorenza; e tenendo detta bastia, vennero 150 fanti senesi, che non sapendo niente fumo gionti a tradimento, e pigliati. Tutte le monitioni di ba- lestre e bombarde guadagnaro, e tennero il castello. Li senesi, sentendo sì fatta cosa, si misero in punto, e tornare alla detta bastia, e le genti di Pitigliano l'andorno addosso, e ferno un bel fatto d'arme. Al- fine li senesi fumo vincitori, e guadagnorno 700 ca. valli, pigliorno molti prigioni, e ferirne assai, e ci fu morto Col' Antonio Orsino figlio del conte di Galle- se. Poi se n'andorno, e misero campo a Sorano li 2 di marzo. Domenica li 8 di marzo fu bandita la pace in Viterbo a questo modo. 173 )) A laude e gloria dell'onnipotente Dio, e della sua gloriosa madre Vergine Maria, e delli beati apo- stoli Pietro e Paolo, e di tutta la celestial corte trion- fante, et esaltatione similmente della fede cattolica, accrescimento della religione cristiana, et a comune letitia e consolatione d'ogni persona: a conservatione ancora e mantenimento dell'honore, stato, e dignità di tutte e singole persone e potenze infrascritte , principalmente del ssmo in Cristo padre signor nostro Nicola per divina providentia papa V, e de'suoi suc- cessori che entrassero canonicamente , e della santa romana chiesa. Amen. » Sia noto e manifesto che col favore et aiuto di Dio, dopo le continue e grandi discordie e guerre, per le quali tutta Italia già molti tempi passati era stata commossa et infiammata tra il serenissimo principe et eccellentissimo signore Alfonso re di Ragona , e l'illma signoria di Yenetia, e l'illmo sig. Francesco Sforza duca di Milano, e suoi successori et eredi, e la magnifica et eccelsa comunità di Fiorenza, e di tutti lor singoli complici, collegati, aderenti, e se- guaci, alli 26 di gennaro dell'anno presente 1455 fu conclusa, fatta, e fermata concordia, pace e lega per anni 25, et oltra questo a beneplacito di esse potenze, per maggior tranquillità loro, et acciò contro li tur- chi, nemici del nome di Christo, più facilmente si possa mettere in ordine, e preparare, tanto per terra, come per mare, l'eserciti necessari et opportuni. La qual lega e confederatione il predetto santissimo papa M. Nicola , mosso et inclinato per molti buoni et honestissimi rispetti, e per propria e buona volontà di S. S. , ancora a preci ed instantia delle dette pò- 174 tenze, in nome suo e della chiesa romana e suoi successori, ha accettata, benedetta e confìrmata , et m essa entrata. E come protettore, costode, e con- servatore di quella intende fare , e fai'à per quanto sarà con Dio possibile, da ogni parte inviolabilmente osservare. Cosi Dio si degni benedirla, e conservarla in saecìila saeculontm. Amen. Comanda dunque detto papa Nicola che questa santa e longo tempo desi- derata pace e lega si debba far pubblicare nell'alma città di Roma, e per tutte le terre di s. chiesa con consueti et inusitati segni di letitia, con gaudio et consolatione delle dette potenze e della città santa, e terre predette, e di ciascun fedele cristiano, e di- voto della santa romana chiesa. Amen. » A 10 di marzo stava il papa infermo, e peggiorò assai. Questo sentendo il conte Averso, si mosse con tutte le sue genti, che fumo 400 cavalli e 100 fanti, et andò a Cerveteri in quel di Roma, il qual castello diceva che la metà era suo, e certi giovani lo tene- vano tutto. Detto conte gli dette la battaglia, e pi- gliollo per forza, e funne signore. Fu ferito lui in una gamba da un verrettone. Il papa tuttavia peggiorava di sua infirmità, spe- cie di gotta, e venne tanto manco, che perde tutte le forze naturali. Poi gli usci una postema sotto le orecchie, e fé capo. Onde vedendosi lui in pericolo di morte, fece venire a se tutti li cardinali, e fé loro un bel parlamento, e disse: « Fratelli miei, voi sapete ch'io son ora signore di tutta la cristianità, et a quale io commandassi son certo m'obbederia. Pertanto vi prego pigliate esempio da me, che presto abbando- nerò questo mondo. Io vi lasso la pace, e così pre- 175 govi vogliate mantenerla, et eleggere sì fatto pastore che seguiti detta pace. » Et in quel punto elesse 4 cardinali che dovessero governar la sedia apostolica. 11 primo fu il cardinal Colorma ; 2. il cardinal di s. Marco, nepote di papa Eugenio; 3. il cardinal di Fermo; 4. il cardinal di Bologna fratello del papa; et a loro fé assegnare obbedienza da tutti li castel- lani della chiesa e del Castel s. Angelo. Ancora fé capitano di tutte le genti della chiesa il cardinal di s. Lorenzo in Damaso patriarca d'Aquileia e camer- lengo del papa, e fello legato della sedia apostolica. Anco disse alli detti cardinali: w lo vi lasso 400 mila ducati tra denari e gioie. Prego qualunque sarà som- mo pontefice voglia seguitare l'edifitio di s. Pietro, quale ho fatto cominciare ad honore di Dio e di s. Pietro apostolo. )) Li cardinali lì presenti commi- sero al cardinal s. Agnolo la risposta, il quale era huomo antico , et assai benevolo del papa, e disse circa 10 parole: poi cominciò a piangere con la più parte di loro. Lunedì 24 di marzo ad bore 5 di notte papa Nicola V spirò di questa vita. Tal morte in tutta la corte e genti sottoposte alla chiesa pose gran do- lore, perchè detto papa era stato savio, giusto, be- nevolo, gratioso, pacifico, caritatevole, elemosiniero, humile, domestico, e dotato di tutte le virtù. Yisse nel papato 8 anni, et bore 18. Dopo questa morte li cardinali elessero tre cardinali a governar la se- dia apostolica , cioè il cardinal Orsino, arcivescovo, giovanetto, e l'haveva fatto detto papa , e chiama- vasi M. Latino da Bracciano; il cardinal di Fermo, et il cardinal Colonna, e fumo eletti da tutto il col- 176 legio, e dal fratello di papa Nicola, e dal nepote di papa Eugenio, cioè cardinal di s. Marco. Li detti tre cardinali mandorno a Viterbo una lettera, che diceva la soprascritta così: )) Spectabilibus ac nobilibiis amlcis nostris caris- simis gubernatori et prioribus civitatis vilerbiensis — Speclabiles et nobiles viri, amici nostri carissimi, sa- lutem. Magnum est , quo nuper affecti sumiis doloris genus. Bonae enim sanctaeqiie memoriae D. Nicolaus Y. P. M. post diiiturnam aegritudinem , sumptis de- votissime christiano ritti ecclesiae sacramentis, Domi- no et Deo nostro spiritiim , a quo acceperat, reddens, viam imiversae carnis ingressiis est. Calamitosa qui- dem tanti patris pastorisque amissio. Cum' divinae nemo contraire volunlati debeat, reassumendus est in Deo eodem nostro consolationis spirilus, quod nos prò viribus facere oportet, ut liberiore a moestitia animo impositum per praedicti pastoris obitum humeris no- stris onus Domino concedente fortius sustinentes ve- strae et aliorum romanae ecclesiae apostolicae guber- nalioni atque protectioni expeditius incumbere possi- mus, quousque in ipso largiente honorum omnium du- ctore Deo nostro in alterum pastorem vota nostra dirigere et concordare poterimus. Interim vos horta- mur, ut quieti, pacifici , et tamquam boni et devoti ecclesiae filii fidelitatem pristinam constojnter serve- tis : et si quae acciderint unde nostra directione et protectione indigeatis , nos faciatis quaniocius certio- res. Dal. Romae. Die 25 martii 1455. Sede aposto- lica vacante. Episcopi, presbiteri, diaconi S. R. E. car- dinales. Alla qual lettera la maggior parte de' cittadini 177 fumo richiesti dalli signori priori , e tutti andorno a casa del Governatore che stava in s. Francesco , offrendosi star tutti apparecchiati in provedere et pro- curare per lo stato di s. chiesa. E così fu risposto per lettere alli detti signori cardinali il detto dì. Li cardinali ch'erano in Roma ferno Toffitio sopra il corpo del papa morto tutto il giovedì santo. Fa- cendo tra loro TotTitio e la messa dello Spirito Santo se n' andorno tutti nel palazzo papale di s. Pietro, e nella cappella maggiore si misero in conclave , e fumo 15 cardinali, e lì stettero sino al martedì di pasqua, che fu alli 8 d'aprile. La mattina a 14- hore dissero haver fatto novo papa con grandissimi suoni d'istrumenti, e canti , e suoni di campane , e feste grandissime, e non manifestorno per all'hora chi fosse fino che non uscirno fuori di conclave li cardinali. Usciti manifestorno il papa che era Calisto HI, quale si chiamava prima M. Alfonso de Monte cardinal di Valenza. Era valent'huomo in legge civile e canoni- ca, d'anni 86 , e fu incoronato in Roma la dome- nica 20 di aprile in questo modo , cioè : domenica mattina ascese in s. Pietro il papa , et andò nella cappella di s. Croce, e lì si fece innanzi un prete canonico di s. Pietro , e sopra una canna pose un poco di stoppa, et accesala con una candela disse: Pater .sancte, sic transit gloria mundi. Poi il papa andò all' aitar maggiore, et detto prete fé' un' altra volta il foco di stoppa con simili parole. Poi il papa cantò la messa, e cantò l'epistola il cardinal di s. Marco, et il cardinal Colonna cantò l'evangelio. Finita la messa, venne il papa fuori di s. Pietro, ove in capo delle scale era fatto un [)alco di favole, et eravi una C.A.T.CXXXI. 12 178 sedia in mezzo: et il papa con tutti li cardinali ve- stito di bianco , salirno su detto palco, et in detta sedia si pose il papa a sedere con una mitra in te- sta. Poi si fé' innanzi il cardinal Colonna, e levolli di testa detta mitra, e poseli il regno con tre co- rone come si usa, e cantorno certe orationi. Poi di- scesero tutti da detto palco , e montorno a cavallo insieme con circa 80 vescovi tutti vestiti di bianco, e li loro cavalli coperti di boccaccino Cipriano bian- co, e molti baroni e signori a cavallo, e tutti s'av- viorno verso s. Giovanni Laterano: et andaronci li con- servatori di Roma con 13 confaloni innanzi colle insegne delli rioni di Roma, e li caporioni. Poi an- dorno 12 bandiere rosse di zendalo , et haveva di- pinto ognuna un serafino in segno de' 12 apostoli. Poi andaro 4 stendardi grandi rossi : poi 1 3 cavalli bianchi senza sella, e molte altre magnifìcentie che io non posso dire. Furonci 15 trombetti, e tutte le strade erano ornate di panni d'arazzo da ogni lato, e copertate per quelle onde passò detto trionfo. Es- sendo gionto il papa presso a Montegiordano sotto un bel solicchio se li ferno innanzi li giudei, e posero in mano del papa le loro leggi. Il papa lesse un po- co, e poi disse ch'erano bone, e loro l'intendevano male, e gettolle via. Li fu grandissima calca da piedi e da cavallo per torre dette leggi, con bastoni in ma- no dandosi tra loro bastonate infinite; e fu sì grande stretta, che il papa hebbe a morire , levandosi tre volte in piedi il suo cavallo, e tirandosi indietro: et io lo viddi. Così il papa passò via: e giongendo alla pellicciaria alla casa di M. Giorgio protonotario de' Cesarini, si volse riposare, ove smontò, e riposatosi J79 alquanto fé' colatione ; poi cavalcò et andossene a s. Giovanni, e nel smontare hebbe di novo gran stret- ta, e corse gran pericolo , e fulli tolto il solicchio e la cavalcatura. Li cardinali pigliorno il papa e lo misero in s. Giovanni. Fu in quel viaggio fatta una questione, che un huomo d'arme del conte Averso uccise un huomo d'arme di Napolione Orsino; e quelli di Napolione uccisero quello del conte Averso. Per lo che le genti di Napolione tutti s'armorno coli 'Or- sini, et andorno a casa del conto Averso, e miseria a saccomanno, e tolserli 7 cavalli che ci trovorno. Detto conte stava a s. Giovanni col patriarca, e dui suoi figlioli e suoi famigli, e mai non si mosse. TI cardinale Orsino fratello di Napolione, il conte di Ta- gliacozzo, et il prefetto , cioè Francesco Orsino , e tutti r altri signori Orsini s' adoprorno a pacificare detto rumore. Stando il papa in s. Giovanni, lì fu posta la mi- tra vescovale , e fatto vescovo di s. Giovanni. Poi tutti niagnorno nel chiostro di detta chiesa, e lì stette il papa per la notte; et il conte Averso e li figliuoli al- loggiorno con Altoconte alle militie mettendosi in guar- dia. Lunedì inattina seguente il papa partì da s. Gio- vanni con gran trionfo e festa a cavallo, et andò a s. Pietro tutto allegro, e \i si riposò. Da tutta chri- stianità gli vennero ambasciatori a rallegrarsi, et of- ferirsi alla santità sua. Detto papa si trovava in cassa quando fu cardinale 200 mila ducati, quali disse vo- leva spendere contro il gran turco, e poi non funne niente. In quel tempo si mosse di Lombardia il conte lacovo figlio di Nicolò Piccinino, e marito della fi- 180 glia (li Francesco Sforza duca di Milano, et liuomo del re di Ragona, e con 6 mila fanti capitò a Ra- venna, e poi gionse al lago di Peruscia, et a' 19 di giugno pigliò un castello del commun di Siena, detto Citona e miselo a saccomanno; e nel sabato 21 di detto il conte Averso mandò certe genti sue, e pi- gliò Pianiano con la rocca, e tennelo per lui, quale haveva rotto guerra con il commun di Siena, e te- neva Castel Araldo. Il conte lacovo Piccinino partì da Citona, et andò verso Pitigliano. Il conte Aldobrandino si teneva con lui, et a sua compiacenza dette la battaglia a castel Lottieri , e non possendolo bavere partì , et hebbe Montemarano e Mandano a patti. La novella gionse a Viterbo il 4 di luglio. Il papa fé' adunare tutta la gente sua su la Te- verina sotto Monte Calvello. Erano circa 5 mila per- sone sotto condotta del conte Giovanni Vintimiglia di Sicilia capitano generale della chiesa. Il duca di Milano haveva mandato dietro le pe- date del conte lacovo 3 mila cavalli sotto condotta di Corrado suo fratello , e di M. Roberto Lionetto parente di detto duca, et alloggiorno al lago di Pe- rugia. Al detto conte lacovo mancava vittovaglia, e però si partirno da loro mille persone per fame. II conte Giovanni Vintimiglia mosse sue genti, et andò ad alloggiare al borgo a Sesto a canto al lago di Bolseno, e con lui s'aggiunsero le genti del duca di Milano 24 squadre , e ci venne Deifebo del conte Averso con 4 squadre, e le genti della chiesa erano 20 squadre, e fu alli 6 di luglio. La mattina seguente partì detto campo a schiere I 181 oidinfile, e prima andavano le 24 squadie del duca di Milano, e l'altre 24 della chiesa, et andavano so- pra quello di Siena dal lato di Pitigliano, et allog- giorno al lago di Mazzano. Poi di là da Pitigliano sotto un castello guasto chiamato Morano canto il fiume che va a Montalto, e posesi canto detto fiume longo da Manciano 3 miglia. Havendo il conte la- covo avviso come detto campo della chiesa e del duca gli erano appresso tre miglia, e conoscendosi stare in gran pericolo, in quel dì proprio che gionse il campo della chiesa, fu giovedì 10 di luglio, a hore 21, prima che detto campo fosse fornito d'attendare, e facevano ancor l'alloggiamenti, e li famigli erano iti per strame, lui si mosse con tutte le genti sue che fumo 28 squadre, et assaltò detto campo della chiesa: e trovale prima le genti del duca di Milano, si dettero a dosso a loro ch'erano tutti disarmati, e trovorno un capitano di detto duca sopra tutti li fanti chiamato Agnolo del Conte, quale con tutta la fan- teria tenne l'assalto un gran pezzo: infine gionse Cor- rado, fratello carnale del duca di Milano, e Roberto Lionello nepote di detto duca, e così loro disarmati con loro genti sostennero detto assalto valorosamente come paladini. Hora le genti della chiesa tutti trag- gono al rumore, chi armato, chi disarmato, alle di- fese. Il conte Tacevo Piccinino andava innanzi alle sue genti tutte con una panziera addosso , e senza niente in testa, in capelli con una bella zazzara, dando animo alle genti sue: e tanto passorno innanzi, che gionsero tra li alloggiamenti, de'quali assai ruborno. II conte Giovanni, capitano della chiesa, disarmato montò a cavallo, e trasse a detto remore con la spada in ma- 182 no. Un hiiomo d'arme del conte lacovo li corse ad- dosso , e pigliolli una catena d' oro che teneva nel collo tirandola per forza; onde bisognò che il conte Giovanni piegasse il collo, e nel chinar che fé' ferì detto huomo nel cavallo , e gli lo ammazzò sotto. Così queU'huomo d'arme restò prigione, e la catena restò in terra. Hora sono rimase tutte le genti del campo, e traggono addosso a'ioro nemici, e per forza li cacciorno in rotta, e pigliorno di loro 80 huomini d'arme; e se la notte non gli veniva a dosso, il conte lacovo sarebbe stato in tutto rotto. Fumo morti tra l'una parte e l'altra circa 100 huomini, e cavalli in- finiti ; e non ci fu huomo che si portasse più va- lentemente in detto assalto che un condottiero del duca di Milano chiamato messer Bartolomeo del Quar- tiero, e lui sopra tutti era nominato. Il sabato sera di notte il conte lacovo si partì da Manciano con tutte le genti, et andò verso Magliano di Siena; et il campo della chiesa se gli venia appressando. Ve- dendo detto conte lacovo che le genti di chiesa gli tiravano a dosso con quelli del duca di Milano, lui si levò dal paese con le genti , e passando il teni- mento di Siena andò in quello di Piombino: e dette genti l'andavano appresso 10 miglia. Poi andò a Ca- stiglion della Pescara del re di Ragona, e lì ricoverò la persona sua, e le genti sue si rinforzorno presso detto castello, e le genti di chiesa alloggiorno presso loro tre miglia in circa. Il papa mandò 1000 cavalli a Piagnano , et in pochi dì si renderne alla chiesa, e 50 fanti di den- tro andorno a Vetralla, e li sanesi ripigliorno Mon- temarano, e Manciano salvo la rocca. Il campo della 183 chiesa tuttavia moltiplicava, perchè la lega d' Italia tutta li teneva mano, e già si stimava fossero circa 16 mila persone. Sabato a IG d'agosto il conte la- covo Piccinino mandò le genti sue ad assaltar la scorta del campo che scorgevano le vittovaglie , et affrontandosi insieme s'abbattè nella mischia il conte Giovanni con una squadra del sig. di Correggio, e fa- cendo insieme battaglia fu rotta la gente del conte lacovo, e pigliati 4 caporali de'migliori che lui ha- vessc: e guadagnorno a bottino circa 150 cavalli e molti huomini d'arme. Poi fumo lassati. In quel tempo gionse in Roma una cattiva no- vella, che un capitano christiano chiamato Scorna- becco, quale fuggì dal gran turco quando pigliò Co- stantinopoli, essendo ad assediare una città de' tur- chi ne' confini dell' Albania con 10 mila christiani, gionsero in soccorso circa 60 mila turchi , e co- gliendo sproveduti li christiani ne ammazzorno circa 5 mila; l'altri fuggirno chi qua chi là. Poi si rifer- no, et Decisero circa 13 mila turchi. Infine li chri- stiani fuggirno , e li turchi alloggiorno nel proprio luogo, ove fumo veduti la notte seguente grandi mi- racoli. Tutti li turchi morti stavano bocconi in terra col corpo e le braccia aperte, e li christiani fumo veduti col viso voltati verso il cielo, e le braccia in croce, e dalle loro bocche e corpi uscivano gran lumi. Per il qual miracolo un signor di Turchia, che haveva 60 castelli, fuggì dal turco, et andò a Napoli dal re di Ragona per pigliare il santo battesimo. Havendo papa Calisto III sentite sì fatte novelle, entrò in pen- siero voler difendere la fede Christiana contro tal tiranno , et ordinò chiedere tutte le potenze della 184 christianità contro il turco Maometto Hai, e te' ban- dire la crociata contro saracini per tutta la christia- nità. AUi 8 di settembre in Viterbo fu bandita in questo modo , cioè un frate dell'ordine di s. Fran- cesco minore predicatore, chiamato fìat' Angelo da Bolseno, si pose a predicare nella piazza del com- mune presso la fontana, e fé' sonar trombe e pif- fari: poi fé' levare in alto una croce d'argento in- dorata con un crocefisso, e cavò fuori una bolla di papa Calisto, nella quale confìrmava e diceva tutto quello haveva ordinato papa Nicolò suo predecessore: e come poneva a tutti li chierici et offìtiali della chiesa la decima parte delli frutti loro, e qualunque persona fraudasse la decima fosse scommunicato. Poi concedeva perdonanza di colpa e di pena a tutti quelli che volevano andare personalmente contro il turco: et a tutti quelli che porgevano aiuto con loro pecunie conseguiranno tanto perdono, quanto in Roma l'anno del giubileo. Annullava tutte le perdonanze che erano state poste per li sommi pontefici dal con- cilio di Costanza in poi, che fu nel 1417 , quando fu creato papa Martino V , salve le perdonanze di Roma : e diceva , che frati, monaci e religiosi po- tessero esser dieci in compagnia, e soldare un huo- mo per un anno, che costa 40 ducati; et anco quelli laici che pagassero 5 ducati havessero simile indul- genza, potendo eleggere un confessore, che una volta in vita, et in arliculo mortis, li potesse assolvere di colpa e di pena; e molte altre cose ch'io non scri- vo. Disse di pili che alfine di decembre sarà noto ad ogni persona dove l'esercito christiano si debba adunare: et in calende di marzo del 1456 detto eser- J85 cito si moverà per mare e per terra contro il gran turco. Disse anche la bolla, che quelle persone che non potessero dar favore personalmente, o di lor beni temporali, et havessero bona volontà, e facessero de- vote orationi a Dio che aiutasse la sua santa fede, similmente havessero detta indulgenza. Ordinò man- dare un cardinale all'imperatore nella Magna, l'altro al re di Francia, uno al re di Spagna , et al re di Ragona per detta materia; e scommunicava tutti quelli christiani, che davano aiuto al turco, o consiglio; e se stavano al soldo di esso gran turco , chi ne pi- gliasse, gli fosse lecito venderli come schiavi. Venuto ottobre, circa 2000 nmli di Fiorenza e Siena si partirne dal campo: e venivano verso Casti'o per portar vittovaglie in campo, arrivando a Monte- marano, e poi a Manciano, hebbero la scorta da la- como Bello con 40 fanti , et essendo in una valle presso Castro fumo assaltati da xVntonello di Forlì con 40 cavalli e 100 fanti; fumo rotti, e tolti tutti li muli, e pigliati 25 prigioni da riscuotere, et andò verso Vitozza. Gionse la novella a lacovo che stava a Ca- stro, trasse con 23 cavalli, e ruppe detto Antonello, e riscosse tutti li muli e prigioni , e pigliò di loro 7 huomini d'arme, et un capo di squadra del conte lacovo: et Antonello fuggì con tre cavalli. Mercordì 15 d'ottobre il conte lacovo Piccinino pigliò Orbetello per tradimento d'un contestabile schia- vo, che stava dentro per senesi. Per lo che il campo della chiesa si mutò, e venne all'Ansidonia. Detto con- te lacovo era huomo del re di Ragona , et liaveva le vittovaglie per mare. Tutti li cavalli di detto conte erano scorticati, che veramente non gli erano rima- 18(ì sti 300 cavalli buoni di tutta la sua compagnia. 11 re di Ragona teneva in mare tre galere armate al servizio di detto conte. Tutte le genti d'arme del- l'una parte e dell'altra erano consumate dalla pover- tà. Ma quelli del duca di Milano toccavano denari più spesso dell'altri, e pochi erano nel detto campo circa 4000 cavalli magri e in mal punto. In quel tempo fu fatto un parentado: cioè il duca di Calabria figlio del re di Ragona die' per moglie una sua figlia al figlio del duca di Milano, e detto duca dette una sua figlia al figlio del duca di Cala- bria. Per la qual parentezza fu fatta gran festa in Na- poli, e perciò fu cavato di prigione Troilo, compa- gno di Pier Brunoro, che era stato nella Pantanaria 13 anni. Il re di Ragona mandò detto Troilo al duca di Milano a domandarli perdonanza della partita che fé' da lui nella Marca insieme con Pier Brunoro. Il duca a compiacenza del re gli perdonò, e donolli pa- recchi belh cavalli e vestiti , e rimandollo al re di Ragona: e passando per Viterbo il sig. Corrado Sforza li fé' compagnia un pezzo innanzi fuor della porta, che va verso Roma. Nel detto tempo fu in Palombara una gran no- vità, che essendo detto castello sottoposto a Iacopo Savello, un figlio suo volse vituperare una fanciulla di detto luogo: per Io che certi parenti di essa si mossero contro detto giovane armata mano, e l'oc- cisero , et un fratello carnale suo che lo volse aiu- tare. Così i' uccisori si ribellorno e si dettero alla chiesa. Il papa non li volse. Si mosse di Roma il cardinal Colonna, et ito a Palombara fessi giurar vas- salleria: onde il papa li mandò il campo addosso, e 187 pigliorno (letto castello, e menomo a Iloma prigioni la più parte di quelli liuomini , e fumo giustitiatì : e tornò la terra nelle mani del lor primo signore. Stando il conte lacovo Piccinino in Orbetello , come dissi, trovò ivi assai sale, e valeva circa 30 mila ducati, e pane non havevano. Quelli del campo di là li davano del pane , e ricevevano sale. Era tanto mancata la compagnia di detto conte, che gli erano rimasti in tutto 60 cavalli buoni da cavalcare: e quelli della lega, cioè del papa, duca di Milano, venetiani, fiorentini, e senesi toglievano delli cavalli del conte, che li davano per un ducato e mezzo l'uno : tanto erano disfatti, et assai ne lassavano andar per niente. 11 conte lacovo così assediato stava in Orbetello, e teneva Monte Rientario ( 1. Argentario ) , e diccvasi che il re di Ragona lo manteneva. In quel tempo andò a Roma il sig. Alessandro e signor Corrado, fratelli del duca di Milano, a par- lar col papa. Alli 17 di decembre fu eletto il cardinal patriar- ca e camerlengo del papa sopra le galere et armata che si faceva contro il turco ; fatto legato accettò , e funne fatta gi'an festa in Roma. Venuto gennaro del 1456 tutte le genti d'arme, che stavano in assedio dal conte lacovo ad Orbe- tello , partirno et andorno alle stanze chi là e chi qua. Solo rimasero le genti del duca di Milano, et alcune de'senesi lì presso le frontiere, acciò il conte con quelle poche genti rimaste non potesse offendere nel paese , essendo quasi tutti i soldati partiti per carestia. Non passò un mese che detto campo tornò ad- 188 dosso a detto eonte lacovo, e venerdì 12 di marzo le genti del duca per piccola cosa s'azzufforno colle genti della chiesa, e venner rubati quasi tutti. Poi, a contemplation del sig. Corrado fratello del duca, che stava in Viterbo per stanza, gli fu renduta ogni cosa. All'uscita di maggio il papa mandò cercando Gu- glielmo Catti di Viterbo, e fello conte palatino do- nandoli Rispampani col suo territorio, e confìrmolli Celleno, e la rocca della Vecchia. Pigliò la posses- sione di Rìspampani. A 5 di giugno fu bandita la pace in Viterbo, che il conte lacovo Piccinino haveva fatta col papa , quale gli perdonò e ricevè al suo soldo, prestandoli 50 mila ducati. Nel detto mese apparve una cometa con un lungo raggio: et io la viddi verso ponente, il raggio a le- vante. Alli 22 di giugno passò per Viterbo il vescovo di Pavia con molti cavalli, e tutti portavano la croce rossa nel petto, et andava per ambasciatore a Fe- derico III imperatore, perchè erano venute novelle in Roma come il turco haveva fatto gran danno in On- garia, et haveva in campo 500 mila turchi, et in mare haveva 220 vele andando contro christiani. Alli 10 d'agosto venner novelle a Viterbo come il turco mandò gran quantità di gente in Ongaria per assediare una città, e fece fare un ponte di navi sopra il Danubio. Un capitano christìano si mise in aguato a detto ponte, e quando vidde passati quelli che li piacque andò al ponte e guastollo: poi si dette addosso a quei turchi, et occisene 18000. Gli altri non passati si tirorno indietro ad un castello chia- 189 malo Biava, et in latino Castelgrado. Et erano tanti turchi, che tenevano 40 miglia di paese, e detto ca- stello haveva scarcato tutte le mura. Hora s'è mosso il campo de' christiani, nel quale stava il re d'On- garia, giovane e bello, d'anni 20, e le genti del duca di Borgogna, e Giovanni Bianco con 160 mila chri- stiani, et assaltorno il campo del turco, e rupperlo Decidendone più di 60 mila, togliendoli tutte le bom- barde, et altre robe che tenevano a detto castello. E così tutti li turchi si ritirorno indietro 15 gior- nate verso Turchia. Di queste novelle papa Calisto ne mandò lettera a Viterbo, ove funne fatta gran- dissima festa et allegrezza. Aveva questo Castelgrado due ale di muro sino alla marina, largo uno dall'altro un miglio: et in quel mezzo stava il fiore della compagnia del gran turco. Fumo morti tutti quelli erano lì dentro, e fu gua- dagnata tutta la loro monilione, tra quale ci fumo otto bombarde servibili e smisurate, e 12 bombar- de grosse, e minori delle 8, quali gettavano pietre, che giravano attorno 12 palmi, e fumo guadagnati 8 mila scoppetti, et altre bombardelle , e di molta roba. Questi christiani l'haveva fatto adunare un santo predicatore chiamato fra (Giovanni da Capestrano del reame di Napoli, de' frati minori, quale faceva assai miracoli. Dissesi che questa vittoria fu il dì di s. Gia- como e s. Cristoforo: e tuttavia rifrescavano novelle. Poco di poi passò da questa vita detto fra Giovanni da Capestrano , et anco Giovanni Bianco suddetto morse di veneno da dui conti ongari, e fuggirno. Il re d'Ongaria li mandò cercando sotto salvo condutlo, 190 tì felli tagliar la testa. Onde la madre sua per dispera- tione si diede al turco con tutte le sue terre. Ri- mase a detto Giovanni Bianco un figlio di 24 anni, valentissimo come il padre, e fu fatto capitano di tutti li Christian!. Mercordì 29 di settembre le genti del conte la- covo Piccinino passorno per Io tenimento di Viter- bo, e menavale il conte di Celano a petitione del re di Ragona per condurle in Abruzzo. Detto conte la- covo lassò Orbetello a'senesi, et andossene per mare a Napoli, ove stava detto re, il quale gli fé' gran- dissimo honore: e qui in Viterbo si disse, che l'ha- veva ftitto duca d'Atri, e viceré di tutto il reame di Napoli. Vedendo li senesi esser partito dal lor tenimento il conte lacovo, ferno romor tra loro, e ribellossi il popolo contro certi gentilhuomini principali, tra' quali fu uno chiamato M. Antonio Ceccorosso, et uno Chino Bollanti parente di Guglielmo Gatti da Viterbo. Vinse il popolo, e fuggi rno fuori detti principali, e fu ta- gliata la testa a dui dell' altri, e la cittadinanza di Siena pigliò il dominio: e misero campo a dui ca- stelli di detto inesser Antonio , cioè a Perignano, e Titignano , e li pigliorno : ne scarcorno uno , e tutta la roba di messer Antonio portorno a Sie- na , e poi loro di buona concordia ferno lega con fiorentini ; e così fu ferma la pace per tutta Italia, salvo Genova, quale haveva certa discordia col re di Ragona. Ma il duca di Milano cercò accordarli, acciò li franciosi non venissero in Italia a petitione de'ge- novesi. Guglielmo Gatti era il primo in Viterbo, e papa 191 Calisto gli voleva gran bene, et anco tutti li otVitiali della chiesa, e governava Viterbo a suo modo. Era giovane di 32 anni in circa, piccolo di persona, et huomo che in fatti non faceva male a persone , e non cercava ruberie. Sua conditione era sempre dir male d'altri, et hoggi acquistava un amico, e pos- domani un altro, e non sapeva reggersi: imperocché trovava d'acquistar amici quanti ne voleva in Viter- bo, ma non li sapeva mantenere. Sempre minacciava. Hora perniava (sic) questo , hor quello. Per lo che avvenne che pochi li portavano amor perfetto. Erano in Viterbo tre fratelli carnali gentilhuo- mini di casa Tignosini, chiamati uno Palino, l'altro Alessio , il terzo Valentino , et erano parenti della madre di detto Guglielmo, essendo lei di casa Ti- gnosina. Detti fratelli per molte vie cercorno haver pace et amore da detto Guglielmo, et esso mai li volse accettare, e continuamente faceva mal offìtii contro di loro, sempre minacciandoli. Per la qual cosa Ales- sio e Valentino cominciorno far certe adunanze di persone nella lor casa presso la fontana di s. To- masso; e tanto ferno ed ordinorno con certi lor se- guaci, ch'un giovedì sera, ad un'hora di notte, man- dorno a casa di detto Guglielmo certi huomini che sprovedutamente entrorno come amici in casa, et am- mazzorno esso Guglielmo dandoli più di 60 ferite, e tiraronlo fuor di casa, e ruppero l'uscio d'una casa chiamata la casaccia di Giovanni Gatto, e tolserli mol- te armature, che erano di detto Guglielmo, li 26 dì decembre. Io Nicola scrittor di questo ero in quel tempo neirolFitio del priorato, e sentimmo detta novella in 192 casa de'priori, che ancor stavamo a tavola. La città tutta si levò a rumore, e detto Alessio corse per Vi- terbo quella notte con forse 50 persone. All'hora il rettor del patrimonio et il giudice stavano in Acqua- pendente andatici per la visita del patrimonio : era rimasto un suo luogotenente suo nepote chiamato Paolo di Santa Fida. Lui mandò quella notte al papa, e noi scrivemmo a molti cardinali, et anco al ret- tor del patrimonio. Nel venerdì seguente erano molti viterbesi armati con detti dui fratelli Tignosini, e mandorno per Pa- lino lor fratello a Vetralla, e mandorno per Monaldo Monaldeschi loro parente , bandito per la morte di M. Prinzivalle Gatti, et enlrorno in Viterbo a pie' di Faule , donde riesce la cava, stando tutte le porte serrate: e teneva le chiavi detto Paolo, quale s'era serrato, e rinforzato in s. Francesco con certi sol- dati della chiesa. Il sabato seguente 19 detto venne a Viterbo il rettor del patrimonio menando seco 500 fanti di Ter- ni: e quando fumo alla porta, li viterbesi pigliorno sospetto di loro, massime li Tignosini, schifando delti fanti che non entrassero. Noi priori uscimmo fuori della porta di s. Lucia, e tanto pregammo il rettore, che lassò li fanti fuora, e lui entrò dentro la città. Tanto operammo in quella sera, che monsignor governatore perdonò alli Tignosini, et appresentam- moli inanzi a sua signoria, e felli giurare vassalleria alla santa chiesa, e rimandolli a casa loro, e di bona pace e concordia posaro l'arme: e le sopraddette genti entrorno in Viterbo a lor piacere, e facemmoli cor- tesia di pane e di vino tre dì. Quella medesima sera 193 entrò in Viterbo un commissario del papa chiamato M. Francesco Humieri con dui contestabili Pazzaglia l'uno, Piero da Roma l'altro. Nel martedì seguente Palino con alquanti ribelli fuggirno da Viterbo, e perchè le porte erano serrate, uscirno da quel luogo donde entrorno. Nel giovedì venente il detto commissario montò a cavallo, et andò presso a Vetralla a parlare al conte Averso, e tornò alle 22 bore. Alla sua tornata ci mandò a chiamare il rettor del Patrimonio che dovessimo andare a s. Francesco, e menar con noi assai citta- dini, et Alessio e Valentino Tignosini e Monaldo, e così andammo, e venne con noi Valentino e Monaldo per parlare al rettore , et a M. Francesco commis- sario, quale diceva voler andare a Roma, e però vo- leva parlare con tutti noi del fatto del commune. Essendo noi in s. Francesco, il rettor ci fé' entrar tutti in una camera, e fé' serrar tutti gli usci, e più volte domandò d'Alessio, e Valentino metteva certe scuse. Infine ci tenne circa ad un'hora di notte , e vedendo che Alessio non veniva, ci mandò via, e fé' pigliar Monaldo e Valentino, e feceli impiccare a tre bore di notte a dui piedi d'olivo sotto s. Francesco. Poi la mattina innanzi dì li fé' spiccare , e portare in mezzo della piazza del commune , e vi stettero tutto il venerdì sino alla sera, acciocché ognuno li potesse vedere : e quel dì fé' scarcare la casa di Va- lentino , tolto ciò che ci era da quelli fanti fore- stieri, che stavano in s. Francesco; et in quel dì fumo pigliati 8 viterbesi aderenti a detti Tignosini, e me- nati a s. Francesco, e la sera ad un' bòra di notte la vigilia della natività di Christo li frati di s. Fran- r,.A.T.CXXXl. 13 194 Cesco portorno il corpo di Monaldo a sepelliie , fu cugino di Paiamone, e li frati di s. Agostino il corpo di Valentino alla Trinità. In quel tempo venne nel reame di Napoli un ter- remoto che gittò a terra in Napoli una parte del Ca- stel s. Elmo, e molti edifìtii, e tutto Ariano, e 20 terre del conte di Camiwbasso, una parte di Bene- vento con morti 340. Queste terre sottoscritte fuma tutte spianate. Borgna con morti 673, e 14 giudei, Mazabodina 60, Boiana 2200 , Capoehiara 80 , San Paolo morti assai, Spineta 10, Monteleone de'Mileti 617 , Sagoiliano 100 , li casali Alignano 30 , Fer- razzaoo 60, Paduro 100, e tre figli del signore, Ca- salina morti tutti salvo 13, Rossano morti assai, Ca- stel Sanguini© 10, Pistolara 260, Castellaccio morti pochi. A Tocco Hon rimasero se non li pastori ch'e- rano fuori. Tutte le dette terre cascorno del tutto. Del detto mese morse il conte di Tagliacozzi di morte naturale, li cardinale Orsino, l'abbate di Farfa, Napolione, et il cavaliei^Or quali tutti erano fratelli cairnalit e parenti di detto conte,, hebbero 14 terre di detta eredità. Per la qual cosa il conte Averso mandò la moglie di Deifebo suo figlio, figlia di detto conte di Tagliacozzi, per l'eredità del padre^ e non possette haver altro che un castello detto Monticelli: e raccolse Deifebo tutto il bestiame di detto conte. Venuto il 1457, il conte Averso partì da Vetralla con 700 persone incirca, et alloggiò la notte ne'moati di Canepifaa: poi la mattina andò a Tigliano sul fru- m^, et era di Gohno d'Alviano, e con bombarde, ba- kstie, et altffi ingegni li dette la battaglia per pi- glia^flo, e coiìibattcHo dui di , cioè domenica e lu- 195 nodi, grorno di s. Antonio. Per la qrjal cosa Napo- lione Orsino era andato a campo a Monticelli , et havendolo acquistato andò verso il conte Averso con le genti sue. Onde detto conte partì da. Tigliano, e tornossene a Ronciglione, e Napolione a Bracciano, e continuo facevano guerra insieme. Era stata in Viterbo a cfuei tempi gràrt tribola- tione, come inanti ho detto. Per lo che il papa man- docci M. Pierludovico suo nepote carnale, e capitan generale della chiesa, e governatore del ducato di Spo- leti, del Patrimonio, di Peruscia, d'Orviéto e d'Ame- lia, e fu casso M. Paolo Santa Fida , vescovo sh-a- cusano, stato in quell'anno rettoP del Patrimonio, nel qual anno Viterbo hebbe piìn goai e tribulationi che hnvesse havuto mai in 60 anni, per le cose già scritte. Detto nepote del papa menò seco circa 500 ca- valli e 500 fanti, la maggror parte ladri e rubatori, e facevano molte roberrc in Viterbo. Il comune no- stro fé' un pi-escnte a detto capitano, et io ibi uno de'ministri ad ord^nailo, e scriYcrolIo. Fumo sei sca- tole di coriandoli, dui scatole di pigiToccate, otto torce, 15 libre di candele di cera , dui libre di cinnamo , dui libre di zenzero con una libra di pepe , mezza libra di garofani, 4 once di zafPrano , 100 libre di pesce grosso, una cesta d'ova, 15 libre di cascio pe- corino, 15 libre di sale, 25 libre di farina, 20 some d-'orzo , e 50 some tra fieno e pagb'a. Queste robe le mandavamo nel venerdì. 11 sabato poi mandam- mo otto castroni vivi, sei capretti, 30 polli tra gal- line e capponi, 6 sommate, 30 barìli dt vino. E fu ordinato un bacile et un boccale d'argento fino di valuta di 60 ducati d'oro. Era questo giovane d'anni 196 24, bello di persona, piacevole, e costumato; el or- dinò si facessero le guardie per Viterbo la notte ac- ciò non seguissero robarie. A 17 di febbraro tornò da Roma M. lacovo di Nicolasso , e M. Cbristofano di Giovanni Malvicini ambasciatori del comune di Viterbo, e recorno bolle del papa della remissione generale d'ogni delitto fatto in Viterbo dal dì che fu morto Prinsivalle sino a que- sto dì: che ogni viterbese fuggito per il processo fat- toli dal giudice del patrimonio potesse tornare in pa- tria salvo e securo, eccetto li cittadini ribelli, come di sotto farò mentione. Dissero anche detti ambasciatori , come il papa haveva fatto prigione il suo tesauriero, e messolo in Castel s. Angelo, e gli tolse tutta la sua roba, per- chè haveva fatto incarire il grano in Roma. All'ultimo di febbraro detto M. Pierludovico Bor- gia, nepote del papa, fé' cominciar li fondamenti della rocca di Viterbo a canto la porta di s. Lucia , di- cendo voler rifar detta rocca , e fece portare assai calcina nel venerdì di carnesciale. Poi fé' seguitare facendo venir montefìasconesi , sorianesi, bagnaioli, vitorchianesi, e canapinesi, e di tutte le terre intor- no lavoratori per ritrovare li fossi. Fé' venire calci- na assai da Vitorchiano , e fé' fornir di scavare le case di Palino e Alessio Tignosini, e tutte le pietre e legname fé' portare a detta rocca. E sopra li mae- stri fu un cittadino di Viterbo chiamato Giovanni di Nofrio. AirS di marzo, martedì, detto messer Borgia pose un ducalo d'oro di papa Calisto nel fondamento del canto dinanzi del turrione di detta rocca. In un lato 197 (li detto ducato era s. Pietro, nell'altro un bove, e poi vi pose di sua mano la prima pietra, e fé' fare gran festa con tirar bombarde, sonar trombe e campane, e donò a detto Giovanni di Nofrio tre ducati d'oro acciò facesse colatione con li mmatori facendo se- guire il murare. Quando detta rocca fu messa in for- tezza, e fatta la porta dentro , et ordinato fuori il ponte levatoro, e cominciato a far li merli dentro, gli vennero messi dal papa che andasse a Roma , dove andò con tutte le genti che haveva in Viterbo. Vi rimasero solo due contestabili con 100 fanti per uno; fu Bartolomeo dell'Aquila, e Benedetto dal Bor- go. Fé' COSI per stare in mezzo alle terre dell'Orsini e del conte Averso che guerreggiavano insieme. Sabato 23 d'aprile il conte Averso andò con 700 persone a Galera, ch'era di Napolione e delli fratelli, e corsero sino alle sbarre. Era in Galera un condot- tiero di Napolione chiamato Corrado d'Alviano , il quale uscì fuora a far difesa con 200 persone, e durò la battaglia gran pezzo. Infine fur trovati morti tra . una parte e l'altra circa 24 huomini e 40 feriti, e .( morti 80 cavalli. Il detto conte tornò alle terre sue, e menò prigioni 9 huomini d'arme.* Domenica primo di maggio fra Giovanni da Vol- terra, dell'ordine de'frati minori, predicò nella piazza del commune di Viterbo, ove fé' fare un altare, et ordinò che tutti li cittadini, che erano in detta piazza, giurassero che mai nullo cercasse farsi capo di parte; e che ognuno dovesse attendere al buon vivere. Alle quali cose tutti li cittadini da bene giurorno volentieri . nelle mani di M. Pierfilippo da Spoleto luogotenente del governatore. i98 Nel lunedì seguente predicò a s. Lorenzo, e tutte le genti che ci fumo giurorno in simil modo sul ponte di s. Lorenzo, e fu fatta la processione per la terra. Martedì 4 di luglio entrò in Caprarola Menelao figlio fu del prefetto lacomo da Vico con cavalli e fanti, et in questo modo la tolse al conte Averso. In quel tempo M. Borgia nepote del papa con le genti della chiesa andò a campo alle terre che fumo del conte di Tagliacozzo, quali teneva il car- dinale Orsino e fratelli, e pose campo ad un castello chiamato s. Gregorio, e dettegli battaglia. Quei di dentro si difesero bravamente. Poi riposata la batta- glia mandorno a dire a detto M. Borgia, che voleva da loro ? Disse lui, che voleva quel castello per la chiesa. Risposero esserne contenti: e così li diedero le chiavi. Poi andò a Crispino, et all'hora gionse un fratello del cardinale Orsino con sue genti, et assai- torno il campo, e ferno un bel fatto d'arme, e fumo feriti circa 100 di detto campo. Venerdì 8 di detto mese il papa mandò per detto cardinale, quale il sabato rispose ci andava la sera. In quel mezzo lui partì di Roma con tutta la sua roba, et andossenfe a Monteritondo: e tuttavia seguiva la guerra tra l'Orsini e il conte Averso. D'agosto M. Borgia fu fatto prefetto in Roma con grand'honore. D'ottobre si mosse dalla Torre del grego sotto Na- poli una donna chiamata madonna Lucretia figlia d'un Cheri (sic) chiamato M. Nicolò , la qual donna era amata e vagheggiata dal re di Ragona , e dicevasi certamente che il re non usava in peccato carnale con lei, ma solo in parlare se ne pigliava vaghezza, J99 e pareva di tutte l'altre cose si fosse dimenticato. Partendo detta Lucretia con licenza del re, le con- cesse il suo volere, e li donò 5 mila alfonsini che valeva ducato uno e mezzo l'uno ; e 3 mila ducati felli dare in Roma dal banco d'Alessandro Miraballi, acciò detta donna si facesse assai honove in sua ve- nuta. Menò seco 500 cavalli, tra' quali ci fumo 50 damigelle bellissime, mogli di nobili giovani, e menò 25 donne mogli de'conti e marchesi, et altri signori, vestiti tutti, huomini e donne, di color nero, per- chè un fratello di detta donna, che era cardinale, era morto in quella state passata ; e tanto cavalcorno che gionsero a Marino, terra del cardinal Colonna , do- ve fulle fatto grande honore. Saputa in Roma detta venuta, tutta la famiglia del papa, e di tutti li cardinali, in compagnia di M. Borgia nepote del papa, gli andarono incontro sino a Marino , e con gran trionfo e suono di stromenti entrorno in Roma, e smontorno al palazzo del pren- cipe fratello del cardinal Colonna, e nepote fu di papa Martino V. Domenica 17 ottobre detta madonna Lucretia fé' un grandissimo convito, nel quale fu detto Borgia, e tutti li cortegiani laici di grand'affare. Anche vi fumo invitati 100 cittadini del fiore de' romani con le loro donne. Detto convito fu inestimabile d'abon- dantissimi cibi, fornimento d'oro ed argento, con dan- ze, balli, e suoni d'ogni strumento. Lunedì seguente detta madonna Lucretia montò a cavallo, et appresso di lei andorno M. Borgia con tutti li signori cavalieri, donne e damigelle che ha- veva menato seco, et andò a visitare il papa in san 200 Pietro , dove il papa la ricevette con grandissimo honore, e levossi di sedia e fessele incontro sino al- l'uscio della camera sua, e lì stettero in festa et al- legrezza sino passato tre bore di notte: e portorno infinite supplicationi, le quali tutte signò il papa per quelle feste; e così tutti contenti tornorno al palazzo del cardinal Colonna. Poi si partì da Roma con tutta la compagnia, et andò a Napoli al re di Ragona. i Alla fine d' ottobre si mosse il conte lacovo Pic- cinino , con circa 7 miia soldati del re di Ragona, e levatosi d'Abruzzo andò a muover guerra al sig. Si- gismondo da Rimini ; e questo fu perchè in tempo che il re di Ragona andò in persona contro li fio- rentini nell'anno 1447, pagò a detto sig. Gismondo 23 mila fiorini d'oro volendolo al suo soldo, et egli si partì, et andò al soldo de' fiorentini contro detto re; e così il conte lacovo andò a muoverli guerra. 11 fratello di detto Gismondo, chiamata Giovanni signor di Pesaro, accettò detto conte per dispetto del fra- tello. Anche l'accettò il sig. Federico signor d'Urbino, tutti nemici del sig. Gismondo. Nella prima entrata il conte mise a sacco dui castelli in quel di Fano del sig. Gismondo. Il sig. Giulio da Camerino , genero di detto si- gnor Gismondo, mandolli in soccorso 300 cavalli et assai fanti. In quei tempi Anselmo re d'Ongaria fu avvele- nato dall' ongari nella città di Praga perchè fé' pi- gliare e tagliar la testa al figliuolo di Ginvanni Bianco sotto il suo salvacondotto. All' ultimo di dicembre il papa fé' fare accordo 201 tra li Orsini e Colonnesi, cioè il cardinal Orsino con tutti li suoi sottoposti et amici col cardinal Colonna e tutti suoi sottoposti et amici, e ferno tregua per dui anni. Rimase il conte Averso escluso da detta tregua, e malvoluto dal papa. In quell'anno non si sentì altra cosa da notare. Venuto il 1458, et essendo una grand'armata del re di Ragona a campo di Genova di gennaro, tutti quelli di dett' armata smontorno in terra , e derno battaglia alla detta città, e per forza entrorno den- tro. Quelli della città feruo gran difesa , nella qua! morirno infinita gente dall'una parte e l'altra, ove li catalani fumo cacciati fuori, e poi combattendo un'al- ti-a rientrorno dentro la terra : e fu una giandissi- ma battaglia, e detti catalani fumo rotti e cacciati fuori da' genovesi, e tanti ne furono morti, che appena quelli che ci rimasero vivi potcrno con loro remi levarsi di campo , e tornare a Napoli : tanto pochi fumo. Per la morte del re d'Ongaria fu cavato di pri- gione un giovane d'anni 17 chiamato Andrea, figlio dell'antedetto Giovanni Bianco, che per la morte del fratello fu messo prigione, e la maggior parte del- rOngaria l'elessero per loro re, e molti altri li con- tradissero. Così r Ongaria rimase in gran discordia. Per lo che il gran turco fé' mettere in porto 112 ga- jere, fatte alla venetiana, per volerle mettere nel Da- nubio contro Tongari : e 200 mila turchi a cavallo per far guerra per terra, e giurò per la fede sua mai partirsi, o morire, o pighare Belgrado che fu di Gio- vanni Bianco; et era il passo tra' turchi e l'Ongaria. In quel tempo i>igliò due grosse navi per mare, una 202 de'venetiani, e l'altra de'genovesi; e lassò andar quella de'venetiani con tutta la roba, e guastò quella de'ge- novesi, e fé' scorticare 80 genovesi vivi. Fé' fare ban- do per tutte le sue terre, che qualunque persona vo- lesse andare nella sua compagnia potesse andare sal- vo e sicuro. E questo fé' per adunar gente assai per esservi morta gran quantità di gente di peste. Per la qual cosa ci andorno christiani assai e due navi cariche di giudei partiti dal tenimento di Venetia. Il detto Andrea di Giovanni Bianco fu eletto re d'Ongaria con grandissimo honore e feste, e più non si curavano de'turchi, et assai ongari vennero a Roma la presente quaresima. A mezzo aprile fu conclusa la tregua tra il cardi- nale Orsino, Napolione, il cavaliero, l'abbate di Farfa, e Tomasso d'Alviano con sicuranza, e tutti l'Orsini da una parte, et il conte Averso con li figliuoli dall'altra, per mezzo del re di Ragona per 30 mesi; e dicevasi che Napolione e Diofebo fìgliuol del conte Averso an- davano con loro compagnie tutti dui al soldo di detto re contro il sig. Gismondo da Rimini. Intanto il conte lacovo pigliava castelli e terre del sig. Gismondo, e mettevali a saccomanno, e pose l'assedio alla Pergola facendoli gran danno. In quei tempi fumo certi terremoti alla Città di Castello, e gettorno a terra gran pezzo di muro della città, e molte case de'cittadini, et anco per il con- tado, ove stavano tutti in timore. In quel tempo li genovesi, essendo assai oppressati dal re di Ragona, s'accordaro quelli di dentro e li fuorusciti, e dettero Genova al re di Francia; e così per lui entrocci den- tro il figlio del re Ranieri, et il duce di Genova fu 203 fatto capitan dell'armata del re di Francia e dei ge- novesi contro il re di Ragona, quale stava ammalato in Napoli con pericolo di morte. Anco in quel tempo fu a Roma una bufala che haveva addosso uno spirito cattivo, et ammazzò 13 persone, tra' quali un vescovo, che stava fuori di por- ta latina. Domenica, alH 11 di giugno, uscirno fuori di detta porta più di 100 balesteieri e scoppettieri, e non li potevano fiir niente; et alli 15 di detto mese uscirno piiì genti assai con balestre e scoppe tti, e ferirno detta bufala in più luoghi, e fummi detto qui in Viterbo da persone degne di fede che la bufala parlò, e disse: « Se non mi date nel cuore, non mi po- tete uccidere: » e così ferita andò nel fiume. Dicevasi eh' avesse indosso lo spirito d'un ladro homicidiale chiamato Caprino , giustitiato poco tempo innanzi che fossero dette cose. Alli 17 di giugno, martedì bore 12, Alfonso re di Ragona spirò nella città di Napoli: per la cui morte il figlio del re di Navarra, nepote carnale di detto re, con tutti li catalani partì dal reame di Napoli, et andò in Sicilia. Don Ferrante, figlio di dotto re Alfonso, si re- strinse coll'italiani e tutti li signori di Napoli e suo reame, e massime col prencipe di Taranto che era ziano carnale della moglie di detto don Ferrante, e col duca di Sessa, e col conte di Nola, et altri signori con lui imparentati, levò di mano de' catalani tutti li reggimenti di città, rocche, e castelli, e mise in mano d'italiani. Il qual reame suo padre lasciò a lui per testamento, e l'altri reami suoi lassò al fratello 204 le di Navarra, che era di 60 anni incirca, et il re di Ragona morto d'anni 70. In quel tempo Antonello da Forlì, genero del con- te Averso, partissi di Vetralla con 110 cavalli e 200 fanti, et andò al soldo del sig. Gismondo da Rimini contro il conte lacovo, ([uale gli tolse ogni cosa su- bito arrivato là. Li 27 di giugno si disse in Viterbo come alli 25 detto morì in san Pietro di Roma un penitentiero, e volendolo sepellìre nella cappella di s. Petronilla, ove sta una tribuna a man dritta, nel qual luogo è pinta anticamente la storia di Costantino imperato- re, cavandosi lì fu trovato un avello di marmo bel- lissimo , e dentro una cassa grande et una piccola di cipresso coperta d'argento fino d'undici leghe che fa di peso libbre 832. Li corpi, che erano dentro, erano coperti di drappo d'oro fino tanto , che pesò l'oro colato libre 16. Dicevasi fosse il corpo di Costantino, et un suo figlioletto: et altro segno non ci fu tro- vato, se non una croce intagliata fatta in questo mo- do + . Tutte queste robe hebbe il papa, e mandolle alla sua zecca. Alli 6 d' agosto a bore 22 partì da Roma, fug- gendo celatamente, M. Borgia nepote del papa, et andò ad Ostia, e per mare a Civitavecchia. La detta sera a bore 24 morì il papa Calisto HI, per la qual morte li romani ruborno tutti li catalani con le case loro, che erano in Roma, e quelli italiani che por- tavano la divisa di M. Borgia: tra l'altre la casa del vicecancelliero, dal quale tutti li suoi famigliari fug- girono, e lui rimase solo in s. Pietro a pregare per il papa. Anche dopo tal morte il conte Averso andò 205 con le sue genti a Caibognano nella Montagnola, er hebbela per trattato, e pigliocei il commendatore di s. Spirito di Roma che ne era signore, et ammazzò cinque caprarolesi, che erano andati in soccorso. Fu lunedì 7 d'agosto. Poi mise l'assedio a lugnanello e Valerano pm^e di detto commendatore, e nepesini pi- gliorno la rocca di Nepi , e la gittorno a terra, et uccisero il castellano catelano. Anco per la detta morte Stefano Colonna pigliò Castelnovo e la rocca, che prima era stato suo, e gli haveva tolto la chiesa. In quei tempi si levorno certi trattati contro Co- smo de'Medici che regnava Fiorenza: e se non che gli venne soccorso dal duca di Milano e da'bolognesi, lui perdeva lo stato; e così vinse, e pigliò 8 citta- dini suoi nemici, e felli mal capitare. Yenetia andò in arme perchè fu deposto il lor duce, e fatto un altro, e detto duce vecchio morse per dolore. Mercordì sera entrorno in conclave 19 cardinali per fare il nuovo papa nel palazzo di s. Pietro. Et in quel tempo il conte lacomo Piccinino fé' tregua col sig. Gismondo, e cercò patti col castellano d'As- sisi che era catalano, e donolli 12 mila ducati d'oro. Il detto catalano spartì 2 mila ducati fra li soldati di quel castello, e 10 mila si tenne per se, e dette la rocca al conte lacovo: per lo che hebhe l'altra roc- ca, e la terra in sua baha. Hebbe anche Nocera, Gual- do, e Bevagna, e pose campo a Foligni; e così fece impresa contro chiesa. A 29 d'agosto fu eletto M. Enea Piccolomini cit- tadino e cardinale di Siena , il quale era giusto di 206 vita d'anni 53. Essendo cardinale fu alli bagni di Viterbo tutta quell'estate, e però ne fu fatta gran- dissima allegrezza e festa, e chiamossi papa Pio II, e fu incoronato in Roma con grandissimo h onore li 4 di settembre in domenica 1458. Martedì sera 26 di settembre dentro la rocca di Civitavecchia morì M. Borgia, nepote di papa Cali- sto III, di morte naturale. Alcuno diceva fosse av- velenato. Il papa vi mandò il vicecancelliero, fratello di M. Borgia, e mandocci M. Nicolò da Pistoia suo tesoriere maggiore per haver detta rocca, ove erano rimasti contanti 70 mila ducati d'oro, e fulli contesa da un castellano chiamato M. Gazerano, che era den- tro. Poi detto M. Gazerano s'accordò col vicecan- celliero, e partì seco li 70 mila ducati, 35 mila per uno, e 10 mila se ne pigliò nanzi parte, de'quali pagò due contestabili in detta rocca, e pagò li vestiti ne- gri fatti a'suoi per la morte di M. Borgia. In quel tempo il conte lacomo Piccinino faceva gran guerra in Romagna contro il sig. Gismondo, e riprese 20 castelli per forza , quali se gli erano ri- bellati quando lui andò ad Assisi, e saccomiseli. Alli 13 di ottobre il papa palesò in Roma come alli 10 di giugno voleva essere in persona ad Udine nel Friuli,, overo a Mantova per il concilio contro il gran turco, et intendeva partirsi di Roma per tutto il mese predetto. E li romani con tutti li patrimo- niali ci hebbero gran dolore e mestitia. Yenwto il 1459 a 20 di gennaro in sabato ad bore 7 di notte papa Pio si partì dal palazzo di s. Pie- tro et andò a s. Maria Maggiore. La domenica cantò messa; poi nel lunedì seguente montò a cavallo e par- 207 tissi di Roma, e la sera andò ad alloggiare a Cam- pagnano castello del cardinale Orsino e de'suoi fra- telli. Andorno col papa li cardinali verso Narni. Detto papa donò al conte lacoTO Piccinino du- cali 30 mila d'oro, e detto conte rendè al papa As- sisi et altre terre che teneva : e rimase provisio- nato del papa. Poi il papa andò a Terni, Spoleti, Foligni, Assisi e Perugia, ove si riposò per alcuni dì: e poi giunse a Siena li 24 di febbraro, e tutti li car- dinali e cortegiani che erano a Roma ando^rno a Siena. Venerdì 6 d*apr}le gionse in Viterbo il cardinal Sant'Eustachio figlio del re di Portogallo, e cognato dell'imperador Federico 3. In que'tempi il prencipe di Taranto ruppe guerra con don Ferrante re di Napoli. Anco li franciosi, che stavano a Genova, dettero una rotta per mare alle galere del detto re Ferrante. Lunedì 13 aprile il papa parli di Siena, et andò a Poggibonsi. Nel martedì alla Certosa , et il mer- core gionse a Fiorenza, dove fu ricevuto da'cittadini con grandissimi honori. Il duca di Milano mandò a visitare il papa un suo figlio legittimo detto M. Galeazzo Maria con 150 fa migli tutti vestiti di seta. La pace fu trattata con messer Federico conte d'Urbino, e '1 signor Gismondo da Rimini, et andaro a Fiorenza dal papa. II conte lacovo Piccinino, a guisa di mercadante, andiò dà don Ferrante di Napoli. Sabato 5 di maggio il papa passò da Fiorenza, cft andò a Bologna , poi a Mantova, come promise. 11 conte lacovo Piccinino partì di Napoli con 75 mila 208 ducati ricevuti da don Forrantc re, et andò in Ro- magna. 11 sig. Gismondo, sentendolo, subito partì di Fiorenza, et andò a Rimini per sospetto di detto conte. Essendo il papa a Mantova all'entrata di giugno ricercò tutte le signorie de' cristiani che dovessero ve- nire a Mantova per fare il concilio contro il turco, e non vi fu persona che vi volesse andare, perchè il re di Francia era sdegnato col papa per haver incoro- nato don Ferrante re di Napoli, dicendo s'aspettava ^ lui di ragione tal reame. { Madonna Bianca, moglie del duca di Milano, andò a visitare il papa con più di 100 damigelle, e 7 suoi figli legittimi. Fu ricevuta con grandissimo honore. Poi tornò a Milano. Nel detto giugno don Ferrante re mandò in Ca- labria un suo luogotenente con 400 cavalli per ri- scuotere certi sussidi vecchi. Per lo che il mandato fu mal ricevuto : e dopo molte discordie ci fumo morti più di 500 huomini tra villani e soldati , ri- cusando pagar detto sussidio. II re di Francia era gran nemico del detto re di Napoli, et haveva intenzione far sforzo di gente Con- tro detto re per acquistare il reame per il dùca di Cala- bria figlio del re Ranieri. Esso re di Napoli teneva l'assedio a Genova per mare con molte galere, e M. Perino duce cacciato di Genova li faceva far gran guerra per terra col braccio del duca di Milano. 11 gran turco mandò suoi ambasciatori al duca di Milano: e capitati in sua corte, il duca non gli volse dare audienza, nò vedere, dicendo non voleva pratica 209 di gente nemica alla fede di Cristo. Così se ne tornor- no indietro con poco honore. Il papa mandò di novo citando tutte le potenze de'cristiani che dovessero venire a Mantova infra tre mesi, che era tutto settembre: e tanto l'aspettava. Quando loro non venissero, lui torneria a Roma. Alli G di luglio il conte Avcrso andò a correre a Caprarola,ove stava Menelao figlio di lacovo da Vico, e felli il guasto, e menò via sei prigioni e bestiame grosso e minuto, dicendo che lo faceva per diparere d' un certo Gregorio da Caprarola aderente a detto conte, et habitante in Ronciglione, nemico di detto Menelao. Per lo che il capitan della chiesa Giovan- ne Malavolta mandò in Caprarola a favor di detto Menelao il contestabil Losa con 36 fanti. Il dì seguente detto conte Averso ritornò a Ca- prarola, e pigliò detto contestabile ferito, e la più parte di quei fanti, et 8 prigioni di Caprarola: e su- bito scrisse al papa, che quello haveva fatto era in difesa della roba sua. In que'tempi venne a Viterbo novella come le genti pandolfesche del sig. Gismondo da Piimini corsero a Fossombruno di M. Federico conto d'Urbino sino alle porte; e quelli del conte uscirno fuori con 30 co- razze, e ferno una bella difesa per modo che gua- dagnorno 60 cavalli de'nemici. In quel tempo mori il despota della Morea, isola de' greci, e lassò la Morea per testamento al papa, quale ci mandò mille fanti italiani. {CoìUlnua) G.A.T.CXXXI. 14 210 Novissima spiegazione del lerzeUo del canto IX del Paradiso : •i Ma presto fia che Padova al palude etc. e si fissa il 1308 come epoca della aita di Dante in •i Verona. Lezione IX del prof . Filippo Mercuri. Ma tosto fia che Padova al palude Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, Per esser al dover le genti crude. iT^er ben intendere questi versi del canto IX del Pa- radiso, finora , a mio credere, non intesi dai commen- tatori, è duopo volgere un guardo alla storia di Fer- retto Vicentino, e verrà pianissimo e nuovo il senso di quel terzetto. Padova cangerà al palude o in palude Vacqua che Vicenza bagna , non significa , come spiegano i com- mentatori, cangerà (intendi di colore facendola col suo sangue rosseggiare) l'acqua che Vicenza bagna (l'acqua del Bacchiglione.) Ma come il luogo, in cui si veniva piiì frequentemente a battaglia fra i padovani e i vi- centini, era quello in cui il Èacchiglione si divide in due rami, l'uno bagnando le campagne d'Este, l'altro quelle dì Padova ; e il modo di combattersi a vicenda era quello di attaccare, rovesciare, e rialzare più volte le dighe, onde deviare il corso del fiume e restrin- gerlo in palude; la spiegazione più naturale e più vera (lei terzetto si è questa: 211 Padova vul(j era al palude V acqua che \lcenza bafjna, rompendo le dighe e deviandone il corso del fiume Bac- chiglione. E così sparirà la quantità dei morti, che , secondo i commentatori, fece rosseggiare quelle acque. Il che ò contrarissimo alla verità della storia, giac- ché una delle cose più stì'aordinarie di tale guerre èva quella di essere senza sangue, e il poco numero dei morti indica il principio di quelle guerre incruente che avvilivano il coraggio delle truppe italiane. Ma è necessario premettere un sunto storico di quelle guerre, per poi venire a quegli altri versi non meno celebri del XVII, che ci fisseranno la prima gita di Dante a Verona nel 1308. Il lungo interregno dell'impero era stato per Pa- dova l'epoca la più felice. Dopo la caduta della casa di Romano fino alla discesa d'Arrigo VII in Italia, nella lunga pace di cinquantasette anni (1), questa città sempre protetta dalla chiesa e dal partito guelfo , avea ricuperato, per la be^iefìca influenza d' un libero governo, quella popolazione e quelle ricchezze, ond'era stata spogliata verso la metà del precedente secolo dalla tirannia iVEzzefino. La città di Vicenza erasi sot- tomessa ai padovani (2): tutti i guelfi della Marca tri- vigiana si dirigevano a seconda dei consigli di Padova: finalmente gli studi fiorivano in questa città , la sua università essendo una delle i)iù rinomate d' Italia, giacche la celebrità dei suoi professori per ogni ge- (1) Albertino Mussati, De gesLis Hai, I. II. riib. 2. (2) Verso il 1263 i vicentini avevano già ubbidito quarantasei «imi ai padovani, quando del 131! fecero presso Enrico VII i primi Iemali vi per iseuolcre il giogo. Ferreli, Vicent. hisl. I. IV. 212 nere di arti liberali vi chiamava scolari da tutta l'Eu- ropa. Padova diede all' Italia nel secolo decimoquarto Dìolti dei suoi riputati storici , fra i quali il primo di tutti Albertino Mussato lo storico delle geste d' Arri- go Vili, e Cortusio : ed altri Vicenza e la Lombardia, come Benvenuto de Campesanis, Ferretto Ferretti vi- centino, e Giovanni da Ccrmenate notaio milanese (1). Furono questi i ristauratori della lingua latina. L'ele- ganza del loro stile e le loro poesie storiche otten- nero loro in quel secolo molta gloria. Non pertanto in seno a tanta prosperità l'interna pace della repub- blica era doppiamente minacciata. I vicentini, vergo- gnandosi di vedersi soggetti ad una città lungo tempo rivale, odiavano assai pili il governo di Padova , che il despotismo : e anziché rimanere sotto lo stesso giogo, erano disposti a porsi tra le braccia del primo tiranno della Lombardia, che fosse assai potente per umiliare i padovani. D' altra parte la gelosia della nobiltà e del popolo erasi , come nelle altre città italiane, manifestata anche in Padova, e più volte il governo era venuto in mano degli artigiani, diretti dai tribuni del popolo, detti gastaldoni. Allora lo stato perdeva in faccia agli stranieri la sua forza e la con- siderazione, dì cui godeva: ed i padovani nel comples- so della loro condotta meritavano spesso tutti i rim- proveri, che sono stati fatti alle assolute democra- zie. Lo stesso senato era democratico, venendo com- posto di mille cittadini che si rinnovavano ogni an- (1) Guglielmi Cortusii, De novilalibus Padiiae 1. I, e. If, t. XII Rer. Ital. p. 778. Tìraboschi, Storia della Ietterai. Hai. 1. 1, e, 3, 8, 12, tom. V. 213 no (2), ed il popolo sempre diretto dalla passione di dominare non agiva a seconda delle regole della più comune prudenza. Una violenta gelosia gli faceva escludere dal governo quei nobili, che colle loro ric- chezze, ingegno, coraggio e splendore del loro nome, avrebbero dato pm risalto all' amministrazione : una prevenzione non meno imprudente faceva loro incau- tamente confidare la più pericolosa autorità ad una sola di queste nobili famiglie, a quella che pili d'ogni altra avrebbe potuto meritare la sua gelosia , e che pure era la sola che n' andasse esente, la famiglia dei Carrara. I pii^i piccoli avvenimenti inspiravano a que- sto popolo un' insensata presunzione, un ridicolo or- goglio: il più leggiero rovescio ne abbatteva il corag- gio e lo disponeva a soggiacere a tutte le umiliazioni. Fortunatamente che in questi momenti di terrore i nobili racquistavano la loro influenza sulla moltitu- dine: e in allora guarentivano l'onor nazionale e sal- vavano la patria. Durante la spedizione d' Enrico VII in più modi manifestossi l'inconseguenza de' padovani. A vicenda ora volevano resistere, ora fore con lui la pace. Due volte lo storico Albertino Mussato fu da loro spedito all'imperatore: due volte comperò da lui sotto dure condizioni la riconciliazione della repubblica : ed altrettante volte i padovani, alternativamente ge- losi 0 di Cane della Scala o dello stesso Enrico, rup- pero le convenzioni e ricominciarono la guerra: di modochò Enrico V ultimo anno della sua vita pro- nunciò in Pisa contro di loro una sentenza, che li (1) Ferrcti Piceni- llistor. lib. IV, pa{;. 1070- 21 i privava eli tutte le loro onorificenze e franchigie e li metteva al bando dell'impero (i). Sedendo nello stesso tribunale, Enrico avea pochi giorni prima con- dannato Roberto re di Napoli. Egli è vero che le pretese di Enrico VII erano propriamente fatte ad eccitare la diffidenza della re- pubblica, e la sua condotta poteva averle dato giusto motivo di lagnanza. In marzo o in aprile del 1311 avea permesso ad un vicentino emigrato , che tro- vavasi al suo servizio, di sollevare cogli intrighi la sua patria procurandoli i soccorsi di Cane della Scala, ed istigando tutt'ad un tratto i vicentini a prendere le armi , a scacciare la guarnigione padovana e ad inalberare le aquila imperiali (2). Quest'avvenimento, che tenne dietro alla prima infruttuosa missione d'Albertino Mussato, fu cagione d'una guerra tra Pa- dova e Vicenza protetta da Cane della Scala. Nuovi trattati sospesero subito la guerra, ch'ebbe poi fine col trattato di pace di Genova, tra Enrico VII e Pa- dova, di cui il Mussato fu mediatore. Ma mentre l'imperatore, imbarazzato trovandosi nelle guerre di Toscana , piiì non incuteva timore alle città lombarde e alla marca trivigiana , il suo principale campione in questa contrada. Cane della Scala, provocava di nuovo i padovani con ostili ap- parecchi. Fino al 1311 Cane avea diviso con suo fratello Alboino il governo di Verona: ma circa un an- no avanti la morte di Enrico VII morì pure Alboino: perchè Cane piiì non trovand osi ritardato o contrad- (1) Albertini Mussati, Hist. Angus. 1. XIV, r. G- (2) Ferrettus Ficent. 1. IV. Cortusior. Hist. 1. I, e. i 3. 215 detto ne' suoi vasti progetti da un collega , diede libero coi'so al suo carattere inquieto ed audace. Dopo avere con tutte le sue forze aiutato Enrico, chiese ed ebbe in ricompensa il governo di Vicenza col titolo di vicario imperiale: e sebbene ai vicentini spiacesse di perdere cosi presto la libertà, che aveano di fresco ricuperata , gli aprirono le porte e a lui si sottomisero. Allora Cane della Scala introdusse in Vicenza i soldati mercenari, eh' egli avea assoldati di diversi paesi e lingue, e non risparmiò ai vicentini le ves- sazioni, che specialmente in queir epoca accompa- gnavano un governo militare (1). I padovani che avevano ragione di temere che Cane, in virtù del suo titolo di vicario imperiale nella marca trivigiana, non pretendesse di avere sopra la loro città que' medesimi diritti, che esercitava sopra Vicenza, più non ascoltando che la loro impazienza e la loro collera armarono le loro milizie e assol- darono mercenari per intraprendere la guerra. La gioventù avea piacere che incorarnciasse, stanca della monotonia della pace, di cui godeva da tanto tempo la sua patria. « Pure , dice Ferretta di Vicenza , quando la guerra fu intimata dai due popoli, gii oM- tanli delle campagne furono i primi ad essere ailaccetti; il primo segno delle ostilità fu la rapina delle loro gregge e de' loro mobili. I contadini, che in questo su- bito attacco non furono fatti prigionieri , sforztironsi di condurre in città e di deporre in luogo sicuro Mto quanto poteva essere trasportalo. Allora si videro gli (1) Ferretto Ficentino 1. IV. Alberto Mussato hist. aug. lib, VI. 216 agricoltori condurre un Inmjo ordine di carri, sui quali aveano frettolosamente caricato i loro rustici mobili e i vasi delle loro cantine; mcnivc le madri, coi loro fan- ciulli' al seno o sopra le spalle, venivano a dormire sotto gli stessi ponici delle nostre case. Questa maniera di guerreggiare, di uccidere, e far prigionieri i cittadini, di rubare i loro beni e di bruciarne le case, veniva a noi insegnato dagli stranieri mercenari , che avevano sempre vissuto nei campi. Quante volte non abbiamo noi veduto strascinarsi da questi empi soldati, che Cane pagava a prezzo d" ora, truppe di contadini padovani colle mani legate alle re- ni ? Essi custodivano questi prigionieri nella nostra pa- tria e crudelmente li maltrattavano per obbligarli a ri- scattarsi. Ne i mercenari di Padova trattavano piti dol- cemente i contadini di Vicenza. Come mai questi in- felici avevano meritato tante ingiurie (1) ' La prima conseguenza della guerra fu V aggra- varsi della tirannia di Cane sui vicentini: quattro gen- tiluomini furono da lui incaricati dell' assoluto go- verno di quesia città; e perciocché più prontamente po- tessero percepire le imposte, tutte le immunità del popolo e tutte le leggi furono abolite. Allora scop- piarono in Vicenza delle congiure contro Cane , le quali giustificarono in certo modo le criminali in- quisizioni, r esilio, la confisca dei beni d'una parte della nobiltà che rifugiossi in Padova , e che dopo tale epoca portò poi le armi contro la patria. Ma la libertà non era meno in pericolo a Padova, ove ogni zuffa era cagione di nuove animosità contro i ghibel- (1) Ferrei. Ficenl. I. VI. 217 lini : il loro capo Guglielmo Novello , attaccato dai sediziosi nel palazzo pubblico, fu trucidato innanzi allo stesso pretorio; e de'suoi partigiani alcuni fug- girono, altri come nemici della patria furono con- dannati a perpetuo bando (I). Il luogo, in cui si veniva più frequentemente a battaglia tra i due popoli, era quello, in cui il Bacchi- glione, fiume che attraversa il Vicentino, si divide in due rami, uno de'quali dirigendosi al sud-ovest ba- gna le campagne d'Este, e l'altro al sud-est quelle di Padova. L'abbondanza delle acque raddoppiava la fer- tilità di quelle ricche campagne, ed il possesso del fiume, per farne una minore o maggior parte dal- l'una 0 dall'altra parte, era della più alta importanza pei due popoli, i quali attaccarono, rovesciarono, rial- zarono più volte le dighe. In queste zuffe i padovani erano sempre supe- riori di numero e di ricchezze: ma Cane, la cui ar- mata era formata quasi esclusivamente di mercenari, accostumati fino dalla fanciullezza al mestiere delle armi, e che non sapevano cosa fosse la fatica o la pietà, vinceva i padovani per conto della disciplina e dell'arte militare. Avendo i padovani adunate le truppe sussidiarie di Cremona, di Treviso, del marchese d'Este, e gli esihati di Vicenza e di Verona; ed inoltre avendo as- soldati alcuni condottieri, tra i quali due inglesi, Ber- trando ed Ermanno Ctufjlielmo (2) : formarono un'ar- mata di 10,000 cavalli e 40,000 fonti, armata for- (1) Ferrcti Viccntin , lib. VF. — Corlusior. Ilist. 1. .1, e 15. (2) Ferreti Ficcnt., pag. 1130. 218 midabile che pareva bastante a conquistare tutta la Lombardia. Pure sì grande armata , invece di fare qualche strepitosa impresa, non giovò ad altro, che ad attirare sopra la Venezia un altro flagello. Si tenne lungo tempo accampata, esposta all'ardore del sole, in riva a'fiumi, le cui torbide acque appena si muo- vono : le malattie vi presero piede, ed una crudele epidemia distrusse nello stesso tempo i due campi e le due città. L'uccisione di Guglielmo Novello di Campo Sam- piero e l'espulsione dei ghibellini suoi partigiani non riuscirono utili soltanto alla parte guelfa, ma ancora alla fazione aristocratica, che acquistò maggiore in- fluenza nei consigli della repubblica. Pel corso di mez- zo secolo Padova erasi conservata fedele alla chiesa, e l'aristocrazia spalleggiava sempre il partito che una città aveva seguito più lungo tempo. Peraltro i capi del governo non appartenevano ad antiche famiglie: erano Pietro AUiclinio Avvocalo e Ronco Agolanti. Ave- vano ambedue ammassate grandi ricchezze coU'usura, e l'uno e l'altro abusavano del credito che loro dava lo stato, in particolare permettendo ai loro figli di valersene per soddisfare alle proprie passioni. Amen- due in onta al partito ghibellino, di cui aveano di- viso le spoglie, e in onta al popolo, che aveano escluso dal governo, non erano meno esosi alla casa dei Car- rara, la più ricca della nobiltà, la più popolare, e quella che colla sua ricchezza minacciava più delle altre la libertà. Due giovanetti di questa casa, Niccola ed Obiz- zo, eccitarono, contro il sentimento de' loro parenti, una sedizione per disfarsi di questi due capi della re- pubblica. Introdussero moltissimi contadini in città; 219 ed incontrando Pietro Aìticlinio sulla piazza del mer- cato, gli furono addosso e lo forzarono a fuggire. Nello stesso tempo incominciarono a gridare: Viva il popolo , viva il popolo solo ! Da tutte le bande si corse alle armi: invano il podestà co'suoi sgherri oc- cupò la piazza del pretorio; che i sediziosi si attrup- parono in tutte le altre: invano, così consigliato dal vescovo, il podestà ordinò alle compagnie della mi- lizia di unirsi nella piazza grande per marciare di là al proprio quartiere. Si allontanarono a stento non più di cento cinquanta passi, e ben tosto tornarono a riempiere la maggior piazza. Intanto i Carrara, ripetendo il grido di viva il po- polo, vi aggiunsero quello di ìnorte ai traditori', ed i loro partigiani, che si frammischiavano in ogni gruppo di persone, andavano susurrando di affidare ai Car- rara la vendetta nazionale. Ben tosto fu per accla- mazione rimesso lo stendardo del popolo ad Ohizzo Carrara: e questi alla testa della plebaglia, ripetendo il grido di morte, si volse alla casa di Pietro d' Aì- ticlinio. La casa fu saccheggiata, ed il popolo, ad un tempo credulo e furibondo, si figurò d'avere trovate le prove dei più odiosi delitti , che si attribuivano a Pietro ed a'suoi figliuoli: prigioni, ove erano stati chiusi di nascosto i loro nemici: sepolcri, ove tro- varonsi i cadaveri di coloro che avevano fatto pe- rire: un albergo dipendente da loro, nel quale i viag- giatori si uccidevano di notte, affinchè il proprietario ne acquistasse le spoglie: per ultimo gl'indizi di al- tri inauditi delitti e meno verosimili: tutte le quali accuse furono confermate con asseveranza, siccome 220 fatti indubitati (1). Il primo giorno fu interamente consacrato al saccheggio di questa potente casa. Il gior- no appresso fu denunciato al popolo Ronco Agolanti, e sorpreso nel luogo, ov'erasi nascosto, fu trucidato, ed il suo cadavere, strascinato in pezzi per le strade. Suo fratello non tardò a provare la medesima sorte: le loro case, e quelle ch'ebbero la disgrazia di tro- varsi vicine, furono saccheggiate: e la plebaglia avida di bottino, attaccò in appresso tutti coloro , che le si denunciavano, come amici delle prime vittime. Una voce propose di vendicarsi di colui, il quale preparando una nuova tariffa delle gabelle , voleva impoverire il popolo con odiose contribuzioni. Quello che veniva in tal modo indicato alla rabbia popo- lare, era Alberlino Mussato lo storico, il quale per far fronte alle spese della guerra aveva proposta una nuova tassa, che credeva più eguale, e stava forman- done il catasto. All'istante i sediziosi si precipitarono verso la sua casa, la quale era assai forte ed unita alle mura della città. Ne furono chiuse le porte, e mentre la furi- bonda plebe attaccava la muraglia. Mussalo salì a ca- vallo fuori della vicina porta e fuggì a briglia sciolta verso Vico d'Aggere, ove si pose in sicuro. La sua casa fu servata dal saccheggio, perchè vennero pro- poste al popolo nuove vittime. Si seppe che Pietro (VAlticUnio e i tre fìghuoli cransi rifugiati nel ve- scovato. Pagano della Torres allora vescovo di Pa- (1) Albertin. Mussati, De {jestis ilalic, I. IV, R. 1. — Corlusìor. hist. de novilalibns Paduae, lil>. I, e. 22. 221 dova , fu forzato a consegnarli alla plebe, la quale soddisfatta del loro supplizio, cominciò a calmarsi (1). 1314. Il giorno dopo, eh' era il primo del me- se di maggio del 1314, gli anziani della città , ac- compagnati dai tribuni, o gaslaldoni , con gli sten- dardi del comune e del popolo convocarono Fassem- blea dei cittadini. In questa fu risoluto di metter fine alle vendette: che gli attruppamenti e il grido di morte nelle strade sarebbero vietati: che si darebbe opera a ristabilire la pace tra le famiglie, guarentendola coi matrimoni : che il governo verrebbe affidato a di- ciotto anziani, secondo l'antica pratica : che sareb- bero assistiti dai tribuni e che la repubblica conti- nuerebbe a governarsi colla protezione e sotto il no- me di parte guelfo. Albertino Mussato fu richiamato e compensato dal governo de'sofferti danni. L'indisciplina dei campi non era minore della li- cenza della città: erano giunti a quei sventurati tem- pi , in cui la sorte della guerra non dipendeva piiì dalle milizie nazionali, a quei tempi, in cui la sicu- rezza e l'onore dello stato venivano confidati a brac- cia mercenarie e straniere. Ogni giorno i soldati ar- rogavansi nuovi privilegi ed aggravavano sui popoli i crudeli diritti della guerra : ed in pari tempo po- nevano in dimenticanza la disciplina, l'ubbidienza e il coraggio delle antiche repubbliche italiane. Poco dopo la sedizione del mese di maggio i pa- dovani , sotto la condotta del loro podestà Ponzino Panzoni cremonese, attaccarono la stessa città di Vi- cenza. Cane della Scala erasenc allontanato per soc- (1) Albertin. Mussati. Ibid. — Ferretti Ficentìni, 1. Vi. 222 correre Matteo r«couf«. Il primo di settembre, aironi de'vespri , Ponzino alla testa dell' armata padovana, d'un ragguardevole corpo di mercenari sotto gli or- dini immediati di Vanne Scomazzano e di 1500 carri destinati al trasporto delle bagaglio e delle armi del- l'infanteria pesante , prese la strada che da Padova conduce a Vicenza. Queste due città non sono lontane che quindici miglia, ossia cinque ore di marcia: di- modoché l'adunanza dei carri, che Ponzino aveva fatta venti giorni prima e col più grande segreto per que- sta spedizione, ci dà la più straordinaria idea della maniera, con cui faceasi allora la guerra: e tale era la mollezza degli uomini d'armi, che durante questa breve marcia notturna la maggior parte aveano de- poste le armi sui carri che li seguivano {!). In sul far del giorno l'armata padovana giunse innanzi le mura del sobborgo di s. Pietro in Vicen- za , senza che la sua marcia fosse stata annunziata da veruno esploratore: le guardie delle porte erano addormentate : ed alcuni padovani leggermente ar- mati, atraversando la fossa, si resero padroni dei ponti levatoi e gli abbassarono prima che i vicentini pen- sassero a difendersi. Le guardie risvegliandosi fug- girono in città, e ne chiusero le porte, ed i pado- vani senza adoperare le armi restarono padroni del sobborgo. 11 suono delle trombe, e le grida di Viva Padova ! annunciarono questa vittoria agli abitanti, i quali incerti della loro sorte , desiderosi di tornare sotto l'amministrazione repubblicana de' loro padri , desiderosi di scuotere il giogo di Cane; ma inquieti (1) Albcrlin. Mussalus, De geslis italic. lib. VI, v. 1. 223 dell'abuso che forse si sarebbe fatto del diritto della guerra, guardavano tremando i loro vincitori. Ben tosto un editto in nome di Ponzino Poh- zoni stabilì la pena di morte contro chiunque si ren- desse colpevole di furto o di morte: gli abitanti del sobborgo vi corrisposero con grida di gioia, gridando ancor essi: Viva Padova ! e le madri, portando i fan- ciulli nelle braccia sotto i portici, insegnavano loro a profferire questi due vocaboli. Frattanto i vicentini, per meglio difendere il corpo della città, tentarono d'incendiare le case del sobbor- go piiì vicine alle mura; ed i padovani, non sapendo approfittarsi dellaloro vittoria, stabilirono illoro campo ducento passi lontano dal preso sobborgo, di cui af- fidarono la guardia a Vanne Scornazzano ed a' suoi mercenari. Ma appena giunsero al luogo in cui vo- levano fissare il campo, che lo stesso Scornazzano^ uscendo dal sobborgo, s'avanzò verso il podestà. Pon- zino e Giacomo da Carrara, che stava coi principali capi dell'armata: « E quaVè, disse, cittadini di Padova, la vostra maniera di fare la gueira ? che significa, che significa questa indidgenza jmi vinti ? voi non sa- pete approfuiare della vittoria, e la vostra pretesa dol- cezza sarà da tutto il mondo giudicata debolezza e pu- sillanimità. Quando le vostre genti furono vinte, si sot- trassero alle ferite, o alla morte ? vi diedero mai i vo- stri nemici V esempio di questa indulgenza, a piuttosto di fucsia viltà ? Coi nemici accanili non devesi rispar- v^iare né il ferro, uè il fuoco, uè il saccheggio. Accor- date ai vostri soldati il bollino del sobborgo: altrimenti tì;a poco gli abilanli ben sapranno trafugare tutte le loro ricchezze (1). (i) Jlbcrtinus Mussatus, I. VI, R. ì. 22i Ponzino G i capi del popolo si rifiutarono a que- sta dimanda: ma i mercenari non avevano aspettata la decisione del consiglio , ed il saccheggio era già cominciato. Gli sventurati abitanti del sobborgo, cui era stata guarentita la sicurezza, furono all'improv- viso trattati con tutto il rigore, e lo stesso Ponzino chiuse gli occhi sulla condotta dei propri satelliti , che davano l'esempio di tutti i delitti. I mercenari incaricati di custodire la porta, che comunica colla città, l'abbandonarono per ispargersi per le case, e bentosto la ciurmaglia del popolo padovano arrivò sollecitamente dal campo per dividere le spoglie del sobborgo. Furono gettate nei campi tutte le muni- zioni, ch'erano state portate sui carri che seguivano l'armata, onde caricarli dei piìi preziosi effetti del bottino: ne i sacri vasi delle chiese, né le cose dei monisteri furono rispettate ; e la brutalità dei sol- dati espose agli ultimi oltraggi le spose e le figlie de'vicentini, e perfino le vergini consacrate a Dio (1). Frattanto, avanti l'ora terza del giorno, era stato dato avviso a Cane della Scala, che trovavasi a Ve- rona, della presa del sobborgo; e tosto gittatosi in ispalla l'arco, ch'egli soleva spesso portare all'usanza de'parti, corse a cavallo a Vicenza con un solo scu- diere. Giunto in città, dopo avere due volte mutato cavallo, chiamò i suoi compagni d'arme; e non fer- mandosi che il tempo necessario per bere un bic- chier di vino , che gli fu presentato da una povera femmina, fece aprire la porta di Liseria, e piombò (1) Fi'rreti Vicentini Ilist. I. VI. — Alhertinì Muisati IJist. ilalic. Uh. VI, riib. 1. ~ Corlus. Hist , 1. 1, e 23. 225 sui padovani con soli cento uomini d'armi ch'eransi adunati intorno a lui. Tutta l'armata padovana era occupata nel saccheggio o nella dissoluzione. Cane non trovò nel sobborgo veruna resistenza: alquanto più in là venne fermato un istante da un piccolo corpo di gentiluomini, fra i quali trovavasi Albertino Mussato: ma questo pure fu sgominato, ed Albertino scaval- cato fu fatto prigioniero: a non molta distanza toccò la medesima sorte a Giacomo da Carrara. Tutto il rimanente dell'armata più non pensò a difendersi: ed era così grande il terrore de'padovani, che Cane tro- vossi, inseguendoli, con soli quaranta cavalieri, preso in mezzo da 500 cavalli fuggitivi, ch'egli si era la- sciati indietro. Questi ultimi sembravano agli occhi de'primi fuggitivi far parte dell' armata di Cane, ed accrescevano il terrore: essi medesimi conosce van si posti tra due corpi nemici , e non osavano di far fronte. In questa disfatta Vanne Scornazzano, che l'a- vea procurata, Giacomo e Marsiglio di Carrara ed al- tri venticinque cavalieri con circa 700 plebei furono fatti prigionieri. Il numero de'morti indica il comin- ciamento di quelle guerre incruente, che avvilirono il coraggio delle truppe italiane : non si trovarono sul campo di battaglia che sei gentiluomini e trenta plebei (1). Il numero de' morti conferma la spiegazione da me data al terzetto surriferito. Dopo tale disfatta i padovani cercarono di for- tificarsi chiamando in loro soccorso gli alleati di Tie- (1) Albcrtin. Mussai, lib. VI, R. 2. — Ferretus Ficent. lib. VI. • Chron. Feron., l. Vili, pag. 641. C.A.T.CXXXI. 15 226 viso, Bologna e Ferrara. Dal canto suo Cane della Scala fece dimandare rinforzi al capo del partito ghi- bellino , ai Eonaccossi di Mantova , al duca di Ca- rintia ed a Guglielmo da Castrobarco, coi quali cre- deva di potersi rendere padrone di Padova. L'ecces- sive piogge, che inondarono tutta la campagna, ri- tardarono dieci giorni tutte le operazioni militari. Frattanto Cane della Scala riceveva alla sua corte i suoi più distinti prigionieri, Giacomo da Carrara, Van- ne Scornazzano ed Albertino Mussato. L'ultimo era nato della più bassa classe del po- polo, da cui l'avevano inalzato il suo ingegno e la sua erudizione; ed era risguardato come uno de' più letterati uomini del suo secolo. « Peraltro, dice Fer- reto di Vicenza, non era stato ancora decorato d'una corona di lauro o di ellera col titolo di poeta: non aveva ancora pubblicata la sua storia, e la sua tragedia d'Ez- zelino non comparve che dopo che gli fu dato il ti^ toh di poeta. Ma egli amministrava già con somma vigilanza gli affari della sua repubblica, ed in pari tem- po compilava con somma cura la storia de' fatti d'En- rico VII,^ e de' mali d'Italia. Era un uomo di vasto ingegno dotato di prudenza e di facondia: non andò de- bitore che a sé medesimo, che ai propri talenti, del ti- tolo e della corona di poeta; perciocché non essendo nato d'illustri parenti non aveva ereditate né ricchezze, né credito nella sua patria: ma sebbene uscito dall'id— lima classe, fu dai tribuni e dai magistrati innalzato al grado dei padri consolari, ed ai primi onori della repubblica padovana. Egli ricevette per compenso dei suoi talenti e delle sue fatiche grandissima fama e 227 granfìi ricchezze , che gli furono assegnate sul tesoro pubblico (1). Fu nel 1302 ch'io credo col Tomassinì ricevesse la laurea poetica , molto prima del principato dei Carrara, che fu nel 1318, nel quale dovette esulare da Padova, e andare a Chioggia, dove morì nel 1330. Nel che ò da correggersi lo Scardconi e il Pignori, che fissano l'epoca della laurea di Mussato al 1312. Per tal modo il titolo di poeta ed una capacità, che oggi non ci sembra singolare, ottenevano alloia non solo la gloria, ma ancora le ricchezze ed il po- tere. Al presente le poesie del Mussato e la sua tra- gedia non lo salverebbero dall' oblio : la sua stessa storia è riputa lissima solo per essere contemporanea, e malgrado della molta luce, che sparge intorno ai più importanti avvenimenti di quei tempi il nome dei Mussato. Io ho pubblicato un'epistola di maestro Giovanni Del Virgilio per la morte di Dante, diretta al Muffa- to, ove parla della coronazione di lui, che conget- turo scritta dopo il 1328, due anni avanti la morte del Muffato- Ritornando alla storia delle guerre fra Padova e Vicenza ; la sospensione che fu fatta delle ostilità non era che una conseguenza delle inondazioni, e le frequenti conferenze dei capi dei padovani con Cane della Scala ridussero le due parti a proposizioni di pace. Allora fu che Giacomo da Carrara conti-asse segreta amicizia con Cane: onde fu posto in libertà (I) Fcrrctus f'iccnt., 1. IV, pay. 1I4S. 228 per trattare personalmente intorno alla pace nella sua patria. Giacomo da Carrara ammesso nel senato di Pa- dova dovette disputare contro Macaruffo , capo dei patriotti, che diffidava della sua ambizione. Non voleva Macaruffo che la repubblica compro- mettesse Tonor suo accettando la pace dopo una di- sfatta: ma erano così eque le proposizioni di Cane, che non erano ingiuriose a Padova: ogni città do- vea tenere il possesso del suo antico territorio : i diritti patrimoniali dei cittadini padovani nel distretto di Vicenza doveano essere loro restituiti: e la repu- blica di Venezia veniva chiamata garante del pro- posto trattato. A tali onorevoli condizioni la pace fu infine ac- cettata dal senato di Padova e sottoscritta il 20 ot- tobre del 1314 (1). Questa pace peraltro non ebbe lunga durata : i padovani cercavano opportunità di vendicarsi dell'a- vuta disfatta: e temevano l'imminente doso di Cane: &' Ma tosto fìa che Padova al palude Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, Per essere al dover le genti crude: cioè i padovani devieranno l'acque del Bacchiglione rompendo le dighe, come fecero, per inondare Vi- cenza a motivo che le genti, cioè i guelfi padovani, sono crudi e restii al dovere , cioè alla soggezione di Arrigo VII e del suo vicario Cane della Scala. E (I) Albertin. Mussatus, 1. V!, K. 10. 229 cfuesta ò la spiegazione di quel terzetto, e non (can- gerà Vacqua in sangue, come crede e spiega la co- mune di tutti gli espositori. Ma più ancora i vicentini soffrivano impaziente- mente il giogo di Cane della Scala, e domandavano spesso ai loro vicini di aiutarli a scuoterlo. Maca- riiffo e i suoi partigiani favorivano i vicentini mal- contenti ; ma Giacomo da Carrara era già segreta- mente attaccato a Cane. - 1317. 1 primi si fecero le- cito di entrare senza il consentimento della repub- blica in una congiura , che doveva esserle cagione di grandi calamità. Il 21 maggio del 1317 gli esi- liati di Vicenza, quelli di Verona e di Mantova, ed i loro partigiani di Padova, che aveano prese le ar- mi per soccorrerli, si portarono di notte presso ad una porta di Vicenza, che alcuni traditori aveano pro- messo di consegnar loro : ma essi medesimi erano traditi da coloro, che credevano aver guadagnato col danaro. Cane, avvisato del loro arrivo, li stava aspet- tando in città, e quando 200 di loro ebbero passato la porta, piombò sopra di loro, e tutti gli uccise o fece prigionieri. In seguito attaccò gli altri rimasti al di fuori , e gì' incalzò fino sul territorio di Pa- dova (1). Cane della Scala si lagnò di avere i padovani rotta la pace con lui conchiusa, e dimandò che la repub- blica di Venezia gli obbligasse a pagare venti mila marchi d'argento; pena imposta a coloro che com- mettessero la prima ostilità. Dal canto loro i pa- dovani assicuravano di non aver preso parte nella (1) Ferrei, f-icent. I. VII. = Hist. Cortus. \. II, e II. rongimn , cho ora stata dirotta dai l'iiorusciti : ma Cane dopo aver condannati a morte 52 congiurati, fatti da lui prigionieri, venne con la sua armata a guastare il territorio di Padova; e prima che termi- nasse la campagna s'impadronì dei forti di Monse- lice, di Montagnana e di Este (l). Anche neirinverno e nella susseguente primavera continuò a guastare le campagne de'padovani , senza che questi fossero a portata di fargli resistenza. Risparmiò peraltro le terre appartenenti alla casa da Carrara; ma era tale la leggerezza del popolo padovano , che a quest'e- poca avea collocata tutta la sua confidenza nella me- desima casa da Carrara: e rimproverando Macaniffo d'avere eccitata una così disastrosa guerra, lo sforzò A cercare, con tutti i veri patriotti, sicurezza nel- l'esilio. Finalmente come la repubblica soffriva ogni giorno nuovi mali, i partigiani dei carraresi, che occupavano soli tutte le magistrature, adunarono il senato dei de- curioni, onde provvedere ai pericoli della patria. Ro- lando di Placiola giurisperito aringo (2) ; ninno ri- spose, e Giacomo da Carrara fu universalmente in- dicato come il solo capace di comandare alla na- zione. Così ebbe fine la repubblica di Padova , e co- minciò il principato dei Carraresi il 23 luglio del 1318 (3). (1) Cortus., Hist. 1. H. e. 1. — Albertin. il/Mssaiu* fragmentiim seu 1. Vili. (2) Ferretus Ficent. 1. VI. (3) Cortus., Hist. 1. li, e. 27, p. SIA. — Ferretus Vicent. I. VH, pag. 1179. — Gattaro Hist. padovana, t. XVH, pag. 9. — PoUstort t. XXIV, e. 8, pag. 724. 231 Premesso tal quadro storico dei fatti di Vicenza e di Padova, e delle guerre del 1311, 1314 e 1317, è facile il rilevare che Dante scrivesse tai versi del IX del paradiso certo dopo l'anno 1311 e 1312: ed io credo ancora molto dopo l'anno 1318. E non senza ragione in processo del mio discorso si vedrà esser- mi principalmente trattenuto sulle epoche certe della vita di Mussato, per ben distinguere alcune cose della sua prigionia presso Cane non bene distinte dagli scrittori. Veniamo ora a Dante, e vediamo se altre date certe si possono rilevare dal testo della Com- media, onde esaminare, se le testimonianze d'illustri scrittori siano state tenute a calcolo dal Troya e dal suo epitomatore Cesare Balbo. 10 ho dimostrato da vari passi della Commedia, che Dante viveva ancora nel 1328; e ciò in una let- tera stampata in Napoli , e diretta al cav. Filippo Scolari. 11 prof. Picei ha egregiamente dimostrato che la prima cantica non può essere finita prima del 1318. Nell'anno 1314 ai 29 novembre mori uno dei più forti avversari di Dante, Filippo il Bello di Francia, ed altri già rilevarono dal trovarsi menzionato an- cor vivo nel XIX del paradiso, che quel caato XIX non potè esser fatto se non dopo il 1314 in cui morì Filippo: Quel che morrà di colpo di cotenna. Male però dal Balbo si trae una data certa del sog- giorno di Dante in Lucca nel 13J4, non per altra ragione, se non poiché potesse ivi avere ricovero sot- to la protezione dell'amico Uguccione della Faggiuola 232 che signoreggiò Lucca e Pisa il 14 giugno del 1314: e peggio ancora ii Balbo si fa a credere , e dà a crederlo altrui, che Dante ivi scrivesse il Purgatorio sotto la protezione deiramico Uguccione. Si sa che Dante incominciò il Purgatorio a Ra- venna ; e ce lo dico Benvenuto da Imola : e debole argomento del Balbo è che Dante scrivesse il Pur- gatorio in Lucca , perchè nel XXIV del Purgatorio fa menzione di Lucca; e peggio ancora dal Balbo si congettura, anzi ti dà per certo, che Dante non po- tesse aver veduto Lucca prima del 1314 sotto la protezione di Uguccione: primo, perchè ciò è anzi contro ogni probabilità di ragione, che Dante a tale epoca ancora non fosse stato in Lucca, essendo stato nel 1307 in Lunigiana ; secondo, perchè nell'anno 1314 Dante, perduta ogni speranza di tornare in pa- tria per la morte di Arrigo VII avvenuta nell'anno antecedente, io credo che dopo quel tempo si riti- rasse 0 a Ravenna, o a Fonte Avellana, dopo che già dal 1311 era stanziato a Ravenna. E a Ravenna o a Fonte Avellana è più proba- bile che terminasse il Purgatorio , che avea, a mio credere, incominciato a Ravenna sotto la protezione dei Polenziani nell'anno 1311. Ma ritornando al canto IX del Paradiso; che Dante scrivesse tal canto dopo l'anno 1311 è provato dal conquisto di Vicenza; e più ancora dall'altro terzetto che immediatamente conseguita: E dove Sile .... Qui allude Dante a Ricciardo da Camino , signore 233 (li Trovisi, Feltre e Belluno, che nell'anno 1312 fu ucciso con una ronca da un contadino, il quale su- bito fu messo in pezzi dalle guardie senza sapersi chi fosse, né da chi mandato (Cortusio, Hist. lib. I); e Dante, tìngendo parlare nel 1300, gli predice la mor- te. Ma Dante non poteva predire questo fatto , se già quando scrìveva non fosse accaduto , cioè dopo la morte di Ricciardo. E così rilevano i biograti di Dante un'altra data certissima dell'epoca, in cui Dante scriveva tai versi, che certamente non poteron essere composti prima del 1312; ma che furono certamente composti dopo il 1318. Ma in quest'epoca era stato già Dante a Ve- rona ? quale fu l'epoca della sua prima gita in quella città ? Vi fu veramente nel 1316, come asserisce con molta franchezza il Balbo ? Questo è ciò che tratterò nella seconda parte del nostro discorso; ove mostrerò che Dante fu in Ve- rona nel 1308. I versi del XVII del Paradiso sono quelli che al- ludono certamente alla gita in Verona , ma sfortu- natamente non ce ne fanno determinare il tempo. Si conosce che quando Dante li scriveva, era certo dopo il 1311, 1316 e 1318, che già era seguito il disgu- sto con Cane; ma in qual' epoca vi fosse stato non è sì facile il detei-minarlo. Né è da maravigliarsi che tra i tanti scritti , e tra le molte opinioni, che corrono tra i biografi di Dante sulle date dei suoi viaggi dopo l'esilio (parlo dei moderni non degli antichi, che per mala sorte delle lettere non essendo stati molto solleciti in fatto di date, malamente possono servirci di guida) ancora 234 siamo incerti non pure delle epoche secondarie, ma delle principali del suo itinerario: ed una di queste, fra le quali la più celebre, è quella che costituisce l'andata di Dante a Cangrande a Verona. Ma grande è la difficoltà dei luoghi di Dante , che a quello si riferiscono: grande è la discordanza dei biografi tra di loro: e pili grande ancora l'incertezza, in cui ci lasciano gli storici. Né tanta è negli scrittori la sol- lecitudine di cribrare le opinioni altrui per cavarne la verità, quanto la volontà di far pompa della pro- pria opinione. Non so, se attese queste ragioni, po- trò io riuscire a ciò che mi propongo; ma certo po- trò ciò ch'è ufficio di buon critico, esaminare le al- trui sentenze su tal proposito, assoggettando sempre la mia opinione a quella dei migliori. Io porto ferma opinione che Dante non siasi re- cato a Verona prima dell'anno 1308. Le ragioni di tale avviso le desumo dalla storia , e dalle conget- ture, che se ne traggono; le quali farò conoscere nel confutare il passo del sig. Balbo , che contro ogni ragione di probabilità ne fìssa l'andata nel 1316; e in fine dalle testimonianze degli autori più sensati, che a ciò si riferiscono, fra i quali merita lode prin- cipalmente il sig. Pelli: i quali scrittori tutti passe- remo in rivista. Di fatti, se non abbiamo più memoria di Dante dopo la di lui dimora in Lunigiana del 1307 , non sarà improbabile il credere che l'anno 1308 sia quello in che egli si recasse a Verona la prima volta in corte di Cane, da cui poi nel 1311, o poco prima, si sia partito per recarsi ai Polenziani. Imperocché che in Ravenna già nel 1311 si ritrovasse, consta per 235 una lettera da lui scritta da Ravenna noi 1311 a Guido Poìentano padre di Francesca, e non a Guido V Nv- vcllo, come comunemente si crede: lettera che di- mostrerò autentica, quant'altra mai, nella mia XII le- zione sulla Divina Commedia, e tanto più autorevole in quanto che prova l'amicizia di Dante con Guido Poìentano il vecchio, e la dimora di Dante in Pia- venna fino dal 1311. Oltre gli antichi che ci lasciarono notizie della vita di Dante, cominciando dall'apocrifo Boccaccio e dal- Tinterpolato Giovanni Villani, tino a Domenico di Scr- bandino d'Arezzo, Siccone Polentone, Giannozzo Ma- nelli, Filippo Villani, Giovan Mario Filelfo , Sagacia Mudo Gazzata, Pietro suo figlio e Leonardo Aretino: della gita in Verona concordano Platina, Iacopo Fi- lippi, Giovio, Bayle, Giulio Del Pozzo, Trilemio, Pa- pirio Musson, De Chevanon, Biancolini, Moscardo, Gi- rolamo della Corte, Boissard, Popeblount, Volaterrano, Paolo Frehero, Landino, Vellutello, Benvenuto da Imo- la, e infine il MazzucchcUi, il Maffei, il Corniani, il Fontanini, il Tiraboschi, il Fabroni, Iacopo canonico Dionisi ed il Pelli. Non parlo del Petrarca e dell' autentico e legìt- timo Boccaccio, che tutti e due ci parlano di Dante in Verona: e il secondo in ispecie ci testimonia con autentica e preziosa memoria, nel lib. XIV della Ge- nealogia degli dei, l'amicizia di Dante con Federigo di Sicilia; cosa tanto più rimarchevole, quanto che non ricordata da nessun altro contemporaneo, e molto me- no dai commentatori. Così il Petrarca lib. Benmi mcmorab. « Dantes Aligherius, et ipse concivis nuper meus, vir vulgari 236 eloquio clarissimus fuit, sed moribus parum per con- tumaciam et oratione liberior , quam delicatis ac studiosis aetatis nostvae principum auribus atque ocu- lis acceptum foret. Is igitur, cum exul patria apud Canem raagnuin, commune tunc afflictorum solamen ac profugium, versaretur, primo quidem in honore ha- bitus, deinde pedetentim retrocedere coeperat, mi- nus in dies domino piacere. Erant in eodera convictu histriones et nebulones omnis generis, ut mos est, quarum unus procacissimus obscoenis verbis ac ge- stibus multum apud omnes loci ac gratiae tenebat. Quod moleste ferre Dantem suspicatus Canis, produ- cto ilio in medium et magnis laudibus concelebrato, versans in Dantem: « Miror, inquit, quid causae sub- sit, cur hic, cum sit demens, nobis tamen omnibus pia- cere novit, et ab omnibus diligitur, quod tu, qui sa- piens diceris, non potes? « llle autem, minime, inquit, mirareris, si nosses, quod morum paritas et similitu- do animarum amicitiae causa est. » Non parlo di una di lui lettera dell'edizione di Ginevra dell'anno 1601, lettera diretta al Boccaccio, in cui ci attesta la stima ch'egli avea di Dante, e l'amicizia che Boccaccio avea per Dante, che solca chiamare suo maestro. Così il Boccaccio, Genealogia deor. lib. XIY, e. XI. « Dantes noster Frederico Aragonensi sicelidum regi et Cani de la Scala magnifico verononsium domino grandi fuit amicitia iunctus. » Et cap. X. « Quis tam fuit inscius, qui advertens nostrum Dantem sacrae theologiae implicitos persacpe nexus mira demon- stratione solventem, non sentiat eum non solum phi- losophum, sed et theologum insignern fuisse? Et si hoc existimet, qua fultus ratione arbitral)iliir oiim hi- 237 membreiii grìphem currum in culmine severi montis trahentem septem candelabris et totidem sociatum nymphis cum reliqua triumphali pompa ut ostende- ret, quia rithimos fabulasque sciret componere. )> Et lib. XV, e. 6. « Uti senem hunc (Andalò dal Negro) sic et Dantem Aligeri florentinum poetam conspicuum, tamquam praecipuum aliquando invoco virum: me- retur quidem: fuit enim inter cives suos egregia nobi- litate verendus: et quantumcumque tenues essent illi substantiae: et a cura familiari: et postremo a longo exilio angeretur, semper tamen physicis atque tbeolo- gicis doctrinis imbutus vacavit studiis, et adhuc lulia fatetur Parisius: in eadem saepissime adversus quos- cumque circa quamcumque facultatem volentes re- sponsionibus aut positionibus suis obiicere disputans intravit gymnasium. Fuit et hic circa poeticam eru- di tissimus, nec quicquam illi lauream abstulit, prae- ter exilium. Sic enim formaverat animo, nunquam nisi in patria illam sumere: quod minime illi permissum est. Sed quid plura ? Qualis fuerit inclytum eius testatur opus, quod sub titulo Comoedia rhitmis fio- rentino idiomate mirabili artifici inscripsit, in quo profecto se non mithicum, sed catholicum atque divi- num potius ostcndit esse theologum: et cum fere iam tolo notus sii orbi, nescio utrum ad celsitudinem tuam sui nominis fama pervenerit. » Ma quasi la più parte de' mentovati autori non determinano V epoca della gita di Dante in Verona. Così Trithemius, De script, ecclesiast. fol. 120, edit. Paris. » Dantes Aligcrus italus : patria fiorentinus: vir tam in divinis scripturis, quam in saccularibus lite- 238 ris omnium suo tempore studiosissimus, et valde crii- ditus; philosophus et poeta nulli sua aetate inferior, ingenio subtilis et clarus eloquio: disputato!' omnium acutissimus. Scripsit et metro et prosa multa prae- clara volumina, quibus nomen suum ad posteros tran- smisit. Pulsus patria omnibus diebus sais exulavit, in Gallia aliquandiu et postea apud Aragonum regem: et de sua calamitate varia composuit. De cuius opuscu- lis ista feruntur etc. » Così Raffaello Volaterrano,Comment. urban.l.XXI. » Dantcs poeta floi'entinus e gente Alegheria, Du- rantes ab initio vocatus, interciso deinde , ut fìt in pueris, vocabulo. Natus anno MCCLXV liberalibus ar- tibus in patria legitime eruditus, poeticae deditus ab ipsa pueritia fuit. Amavit in adolescentia Beatricem, cui carmina multa dicavit; maiora deinde secutus stu- dia, opus egregìum quod nunc extat latinis piane carmlnibus inchoavit. Cuius initium. a Ultima regna canam: » quod minime vena succedente ad vernacu- lum deflexit sermonem, in quo facile princeps emi- cuit. Pulsus exinde Florentia cum reliquis albis ad Maruellum Malespinam marchionem primo confugit: deinde ad Canem grandem Yeronae principem: quem etiam in auxilium partium suarum centra florenti- nos dimicare compulit. Quum apud eum ab initio in honoro esset, paulo post ob linguae licentiam con- traxit offensam. Post itaque annos quatuor cum fru- stra reditum in patriam tentasset , etiam Hcnricum sextum ad Florentiae obsidionem ducendo, spe omni amissa Ravennam profectus est ad Guidonem Po- Icntanum eius urbis principem: apud quem in ma- 239 gna itein dignatione fuit, ociuni, quale optaverat, na- ctus, opus suum absolvit etc. )) Così il Platina in vita Bonifacii Vili. « Verum ahcunte ex Hetruria Carolo Valesio , albi Florentia pulsi, Forum Livii populariter commigrarunt: quo- rum de numero habitus est Dantes Aldegerius , vir doctissimus et sua vernacula lingua poeta insignis , qui postea redire in patriam persaepe conatus est, sed fmsti-a, adiuvantibus etiam bononiensibus et Ca- ne grande veronensium domino, quo cum postea fa- miliariter aliquandiu vixit. « Così Giacopo Filippi, lib. XIII supplem. chron. ad annum MCCCVIII. « Canis Scaliger, qui ex re- bus multis strenue gcstis, magnus cognomento est appellatus, Alberti Scaligeri capitanei fdius, vir uti- que magnus et rebus bene gestis omni praeconio di- gnus, bis temporibus (anno MCCCVIII) Veronae, Gal- liae Cisalpinae urbis, dominium sibi vendicans, re- gnavit in ea annis ferme XX. Quam quidem civitatem tanta iustitia, sapientiaque ac pietate gubernavit, ut etiam Picenum et Romandiolum omnem potius sua bo- nitato quam armis aut aliis bellis sibi subegerit. Erat namque Canis hic multae eloquentiae particeps, Co- mes ac omnibus perhumanus: nec non et in omni- bus admodum liberalis: atque etiam doctorum viro- rum tum ecclesiasticorum, tumque oratorum et hi- storicorum et poetarum assidua familiaritate coniun- ctus: inter quos Dantem florentinum, praestantissimum poetam, ob eius doctrinam et rerum multarum ex- perientiam apud se sedulo habere voluit, et magnis lionoribus praeiniisque semper prosequi voluit. » 240 Così Paulo Frehei'o, Theatruni virorum eiuditione praestantium pag. 142, t. 2. « Deinde a rege Arragonum accitus, ab eo sin- gulari honore cultus et multos beneficiis externatus est. Cumque in patriam reditum desperaret, contro- ria guelphorum factione primum locum inter Flo- rentinos occupante essetque omnibus Italiae princi- pibus ac civitatibus propter virtutem et eruditionem carissimus , ut exilii taedia leniret , ad scriptionem animum applicuit: erat enim non tantum graece et latine peritus , sed etiam in lingua hetrusca facundus, acri perspicacis mentis acumine patrii carminis rudem vetustatem ad novum decus extulit dum infera pur- gantia et beata regna , Virgilio , Statio et Beatrice Portìnari ducibus, a. e. 1300 se per ustresse egre- gio poemate cecinit, et non humana ad deos, ut Ho- merus, sed divina ad nos transtulit. Quoties autem ad colloquia principum admittebatur, tanta sermonis elegantia et eloquentiae floribus omnium in se ani- mos convertebat, ut nemo non illum diligerei et ad- miraretur. Vivebat eo tempore inter omnes Italiae optimates fama celeberrimus Canis Scaliger cogno- mento magnus, propter magnanimitatem et virtutes. Is Veronae principatum tunc obtinebat, maioremque anni partem Sirmii, quae est insula lacus Benaci , moram faciebat, consorti© virorum doctorum unice delectatus. » Hic ad se Dantem accersivit , qui liberali tate Canis sicut aliorum principum donis, locupletior red- ditus, exilii sui acerbitatem moderatius tulit: otioque blandiore fruens, totum id tempus , quod sibi reli- quum fuit a publicis occupationibus, scriptioni im- 241 pendit, in qua studii parte hodie quoque caeteris italis merito praefertur. « Ludovicus Doniinicus in locoseriis suis lib. 4 refei't, Danteni cuin aliquando tres ipsum simul allo- querentur, et unus salutasse!, alter quaereret unde ve- niret ? Tci-tius an aqua fluvii profunda esset, inter- rogaiet, respondisse : - Buon dì , dalla lìera fino al culo. - Hoc est bona dics ; a nundinis usque ad clunes ». Così Giidio dal Pozzo u In elogio Bernardi del Bene ». « Gentem del Bene cum Servidea, Alberta Balda Ubriaca, sive Butironia, Cypriana, avvaria, Pe- golotta, liberta, Lisca, Alligcra, Servidea aliisque ab adversa guelfuuni lactione cxpulsa , Veronam prae- sertim concessi sse testatur bic lapis in divae Eupbc- niiae peristilio ». « Lapus Del Bene de Florentia MCCCL. Idem annuunt rev. can. Annalia, quibus Nicolaus canonicus q. Genatii Del Bene de Florentia memo- ratur ab anno MCCCXXXll. Ibi a Scalanis principi- bus a more apprime prosequuta ad maximos honores est elata etc. Et in elogio Aloysii de Albertis « Al- berta propago Hetruriae praeclarissima .... Patria ab adversa factione parti m expulsa, cum Dante Ali- gero , aliisque supra memorati s Veronam migravit , qui bonoribus statim summis excepta est, cuius prae- sertim Bartolottus Cani Francisco Scaligero, caris- simus adeo fuit, ut ea quae scribantur a Curte pro- maeruerit. . . . Gentem cum Dante venisse notum est etc )). Et in elogio Ludovici de Aligeris: « Frangipanam gentem etc virum dedisse refert Leonardus G.A.T.CXXXL 16 242 aretinus coni, illust. famil. floient. nomine Allige- rium, qui cum Florentiam incoluerit, ibique fami- liam prolatavei'it ex eius nomine Aldigeris sive Ali- geri descepclentes sunt nuncupati. Ex quibus vixit Celebris ille poeta Dantcs: qui cum ghibellinae parti faveret, Florentia a guelpliis eiectus ad Canem Fran- ciscum Yeronam confugerat, uti tctigimus ubi Ali- gerorum familiam opibus, nobilitate, heroumque co- gnationibus claram reliquìt. » Passiamo ora in rivista coloro cbe più giudiziosi e più diligenti ne fissano la gita all'anno 1308. Celeberrima è la testimonianza del Tiraboschi : « Ove si andasse Dante aggirando nel tempo del suo esilio, è cosa difficile a stabilirsi con certezza Lo primo etc. han fatto credere ad alcuni , ch'ei tosto se ne an- dasse alla corte degli Scaligeri in Verona. Ma è certo che Dante per qualche tempo non abbandonò la To- scana, finché i bianchi si poterono lusingare di ri- metter piede in Firenze: cosa più volte da essi ten- tata, ma sempre invano. » Ei fu dapprima in Arezzo , come narra Leo- nardo Bruno, ed ivi conobbe Bosone da Gubbio, da cui fu poscia alloggiato, come fra poco diremo: ed è probabile che 1' anno 1304 egli entrasse a parte dell'improvviso assalto, che i bianchi, benché con in- fehce successo , diedero a Firenze. È certo inoltre che l'anno 1306 egli era in Padova, e l'anno 1307 nella Lunigiana presso il marchese Moroello Mala- spina, di che il sig. Pelli reca incontrastabili prove, 213 ti'atte quanto al primo soggiorno da uno stromento che si conserva in Padova, e quanto al secondo da' versi stessi di Dante. Ciò però deve intendersi, come altrove abbiamo mostrato, in questo senso, che Dante dopo aver soggiornato per qualche tempo in Arezzo, andasse a siabilirsi a Verona, e che indi poscia per qualche particolar motivo jiassasse ora a Padova , ora nella Lunigiana )). Alla stessa opinione inclina , quando parla del primo ricetto: ma gli riesce difficile il conciliale r epoca del 1308 con lo Scaligero che lo ricevette primo degli altri. Passiamo al Maffei. « Cacciato di Firenze per la forza delle fazioni ei venne in questa città (Verona) per cercar ricovero, presso gli Scaligeri, D' Alberto però e di Bartolomeo conviene intendere, ove fìnge nel canto XVII del Paradiso, che il suo tritavo Cac ciaguida così gli predice : Il primo tuo rifugio e'I primo ostello ete. E nel principio del poema e nel decorso di cose ve- ronesi fa più e più volte menzione. Tradizion co- stante è rimasa, che in certa casa posseduta poi an- che dai suoi discendenti in Garfkgnago di Valpuli- cella, una buona parte ei ne componesse. Qui cer- 't- tamente assai tempo si trattenne; poiché vide Can- grande primo in signoria , al qual venne per la morte del fratelle Alboino solamente nel 1311: benché tre anni prima fosse stato da lui preso per compagno nell'amministrazion dello stato. Ad esso Cangrande però dedicò Dante la terza parte del suo poema, e 244 la dedicatoria latina trovata in un codice ne fu jmb- blicata l'anno 1700 nel tomo terzo della Galleria di Minerva Dalla regia munificenza di questi principi non solamente elibe con che trattenersi ono- revolmente, ma di che acquistar beni per assicurar lo stato de' figliuoli. Dice il Landino essersi trovate sentenze , per le quali appariva esser lui stato qui (in Verona) in magistrato «. Ma di Alberto Dante non poteva intendere; per- chè Alberto padre di Bartolomeo, d'Alboino e di Cane già era morto fino dal 1301, e molto sfavorevolmente Dante ne avea già parlato nel XXVIII del Purgatorio: E tale ha un piede già dentro la fossa Che tosto piangerà quel monistero E tristo fìa d'avervi avuto possa: quando già fìnge nel 1 300 di predirgli vicina la morte. Né tampoco, a mio credere, di Bartolomeo che era già morto fino dal 1304: ne prima di quest'epoca potrò mai indurmi a credere senza più chiari riscon- tri che Dante sia mai stato a Verona, come troppo facilmente il Balbo si persuade senza provarlo in alcun modo. Io so che Girolamo della Corte nella sua storia di Verona narra che all' anno 1306 per le pre- ghiere di Dante aveva Can della Scala mandata una truppa de' suoi in favore dei bianchi fuorusciti di Firenze sotto il comando di Scarpetta degli Orcelelaffi; e il Pelli riferisce anche questo: ma io concordando col Pelli, non posso all'autorità del mentovato scrit- tore dare in questo fatto tutta la fede, mentre da 2i5 più riscontri siamo portati a credere, che ancora iir quell'anno non fosse il poeta passato a Verona. Il citato Girolamo della Corte dice ivi, che Alboino di pubblico consenso subito dopo essere entrato signore di Ve- rona, cioè lo stesso anno 1304 o in principio del 1305, scelse per compagno nel governo il fratello Con Fran- cesco. Ma se si riflette che il detto Cane era nato nel J29i il dì 9 di marzo, siccome si legge nella cronica di Verona stampata nel Vili Tom Ber. Italie, script, col. 641, e che nel 1305 non oltrepassava Tan- no 14 dell'età sua, si vedrà ch'è più probabile ciò che dice il Maffei (Degli scrittori veronesi p. 53): vale a dire che tre anni prima solamente della sua morte Alboino prese per compagno nell' amministrazione dello stato il suddetto Cane, cioè nel 1308. So che il Landino e il Vellutello nei loro commenti al can- to XVII del Paradiso v. 80 asseriscono, che Cane era nato molto prima e che costoro sono stati cie- camente seguitati da un moderno scrittore ; ma io credo che all' autorità dei medesimi vada anteposta quella di chi continuò la detta cronica di Verona , la quale aveva cominciato a scrivere Parisio de Cereta . Ecco ciò che dice Sagacio Muoio Cazzata storico contemporaneo e il Panciroli estratto dal t. XVIII Script, rer. Ital. del Muratori: « Chionicon autem pa- triae suae Sachacinus ab ipsis fortasse romanorum temporibus ad sua usque tempora deduxisse videtur. Eius quippe pronepos sive nepos Petrus ad an- num 1353 de ipso suo proavo ita scribit «. Hanc chronicam perdidl tempore spoliationis huius civitatis (hoc est anno 1371 sub Feltrino Gonzaga) et ipsum 2i6 recuperavi 1382, excepto quod desunt gesta VttiJae et Ezzelini de Romano et rcgis Corradini et alia plura, quae ordinate sci-ipscrat. « lis vero quae Sa- chacinus litteris mandaverat ad annum usque 1353 Petrus ipse nonnullas addidit adnotationcs , quales videre est ad annum 1349 et 1351. Ex eodem quo- que Petro habemus Sachacinum ipsum per aliquot annos exulem e patria fuisse; quae causa fuit ut quae- cumque eo temporae acciderunt, ipse postea ut po- luit, et brevius quam reliqua, papyro commiserit. « Sed ncque praetereundum Guidonem Pancirolium, celeberrimum eruditione sua virum ac civitatis re- giensis grande ornamentum , historiam patriae suac ab urbis exordio ad usque sua tempora eleganti stylo ac copioso rerum apparatu concinnasse, quae calamo exarata in estensi bibliotheca et apud regienses non- nullos, nondum evulgata , habentur. Pancirolio ipsi praesto fuit bocce chronicon , cuius in praefatione meminit bis verbis ». Primus quidem Sagacinus mu- tus, eognomento Gazadius, non panca suorum tem- porum usque ad annum bumanae salutis MCCCLIII, quo iam nonagenarius oculos amisit, non penitus inu- tili bistoria composuit. Quam postea Petrus eius ne- pos, insignì religione ac doctrina monacbus, continua aliquot annorum serie est prosequutus. « Audiendus praeterea est ipse Pancirolius ad annum 1318 {è da correggersi in 1308) ubi compendiose refert nonnulla ex bisce Gazatarum historiis deprompta. Loquitur de Cani Grandi Scaligero, Veronae regulo, qui bel- lica virtute, munificentia et animi magnitudine, omnes ferme sui temporis in Italia principes superavit. In- ter cuius virtutes non illa postrema est, quod omni- 247 bus domo profugìs liberaliter hospitium praebebat». Et inter alios, inquit Pancirolius. Sagacium mutum Gazadium regiensem, literarum elegantia (ut illa fe- rebant temporasatis eruditum, humaniter excepit. Qui postea eius hospitalis disciplinae rationes , diversa- rumque coenationum et cubiculorum sumtus et or- namenta dib'genter desciipsit- Suas enim varìis ho- minum generibus habitationes assignatas et affluentes victus impensas pio hominum conditione factas, ac suos quibusque diverso cultu ministros datos faisse meminit. Proprios etiam titulos singulis diversoriorum ianuis praescriptos, veluti tiiumphos victoribus, bonam spem exulibus, musarum umbracula poetis, artifìci- bus mercurium, religiosìs concionatoribus paradisum, alìaque cuique bominum generi congrua prò hospitiis depicta fuisse memorat. Musici concentus, festivique sanniones et iocundi moriones alterna varietate coe- nationes circumibant; cubicula quoque splendidissima instructa aulaeis, quae instabilis fortunae argumenta continebant, et picturis mirifìce exornabantur. Canis ipse mensam suam aliquibus interdum communicans, Guidonem a Castello regiensem, qui ob sinceritatem simplex longobardus vulgo vocabatur, et Dantem Ali- gerium (hominis ca etate clarissimi ingenio delectatus) sacpius vocare consueverat ». Al quale scrittore fa eco ciò scrive Piero Zagata suo figlio: « L'anno 1311 messer Can grando primo da la Schala fratello del soprascritto signore misser Albuìn e flolo del prefato misser Alberto primo de la Schala seguì la signoria de la cita e del destretto de Ve- rona e si acquista Vicenza e tutto ci vesentin e fece de grandissime magnificentie e prodese valorosamente 248 tle la soa~persona, si comò se Iczeià seguitando el processo del so regimento. El qual signore nasco del 1291 à di 8 de mazo e fu homo nobile, grande e de bella statura e grazioso in atti e in loquella e animoso in fatti d'arme et mirabil combattente e fiero contra tutti i suoi inimisi, si comò oldirete etc. «. E il Biancolini alla cronaca della città di Verona descritta da Pier Zagata, part. I, pag. 59: » Anno 1308. Fra i molti e diversi fuorusciti, che nella corte di Cane Scaligero a Verona si ricovera- rono, uno si fu Matteo Visconte cacciato da Milano da Guido Torriano, o dalla Torre, suo avversario. Stan- dosi però Matteo a Piacenza in esilio , di venire a Verona finalmente deliberossi, dove alcun tempo vi si trattenne. Ludovico Domenichi nel suo libro di va- ria storia afferma aver letto : « Come abbandonato da ognuno, miseramente dimorava nel contado di Ve- rona a un luogo chiamato Nogarola. Ora stando così Matteo, Guido un giorno, per istraziarlo, gli mandò suoi ambasciadori, i quali trovarono Matteo, che con una bacchetta in mano e come uomo privato pas- seggiava con un altro sulla riva dell'Adige. Quivi gfi ambasciadori dalla parte di Guido gli fecero tre di- mande: l'una, che cosa ei faceva: la seconda, se mai pesava di tornare a Milano: la terza, se rispondeva di sì, che dicesse quando. Matteo udendo questa am- basciata stette alquanto sopra di se: poi finalmente rispose che quel ch'ei faceva, lo potevano veder da loro: del tornare a Milano, sperava che sì: del quan- do , quando i peccati de'Torriani avanzassero quei ch'egli avea, quando ei ne fu scacciato. » » Anno 1311. Alboino eCan Francesco della Scala, 249 sondo capitani del popolo, furono da Arrigo re dei romani creati in Milano vicari imperiali nella città nostra, e in tale occasione fu aggiunta l'aquila allo stemma gentilizio della famiglia Scaligera. Dante il divino poeta, fuoruscito fiorentino, erasi già ricove- rato in Verona sotto la protezione delli Scaligeri. Giovanni o Zen de'Lanfranchi pisano fu eletto com- missario dal (letto re de'romani per la detta inve- stitura, per la quale i veronesi perdettero la libertà. )) 1312. Morto Alboino nel 1311, fu pubblicato Al- berto li della Scala, signor di Verona nel 1312 in- sieme con Can Francesco. )> Sentiamo Girolamo della Corte. Egli nel lib. X, pag. 609 così si esprime riguardo a Dante: » 1308. Quest'anno similmente, essendo stato il vigesimo secondo di settembre eletto Guido della Torre capitano perpetuo del popolo di Milano, man- dò poco da poi, vedendosi in tanta bonaccia di for- tuna, quasi per iscberzo e per ischerno oratori a Mat- teo Visconte (che, come dissi dì sopra, già quasi da tutti abbandonato in questo nostro castello di Noga- rola colla famiglia sua si dimorava , amato però e come raro signore stimato sì dagli signori Scaligeri, come da tutti i nostri veronesi), a dimandargli, che cosa egli facesse, se sperava di tornar mai a Milano, e sperando di tornarci, quando pensasse che ciò do- vesse essere. Questi andati , e trovatolo che fami- gliarmente ragionava con una persona privata di quel luogo, e che longo la riva del fiume Teggione per suo diporto passeggiava con una bacchetta in mano, ed esposta la loro ambasciata; egli, poiché fu stato alquanto sopra di so, rispose loro, che quello ch'egli 250 faceva, essi lo potevano vedere ; del tornare a Mi- lano, che sperava di si; del quando, che sarebbe al- lora che i peccati dei Torriani avanzassero quelli che egli aveva, quando ne fu cacciato. Enrico di Lucem- borgo , che fu il settimo di questo nome, essendo stato l'anno 1308, il primo giorno di novembre, eletto imperatore in Germania, ed avendo presa la prima corona in Aquisgrana, passò con grosso esercito quasi nei primi giorni dell'anno 1310, essendo podestà no- stro M. Niccolò da Lorzo padovano , in Italia per ricevere la seconda e terza corona, e per viaggio man- dò alcuni avanti a far intendere a' fiorentini la sua venuta, e perchè lo ricevessero, e anche perchè si rimanessero di travagliare aretini, sopra i quali erano con grande sfarzo passati, e mandavano il lor con- tado in rovina. Essi gli risposero, ch'egli faceva molto male a condurre genti barbare in Italia , dovendo piuttosto purgarla, se ve ne fossero state: che quanto al torlo dentro a Fiorenza, vi havrebbono avuto pen- samento: e quanto al lasciare gli aretini in pace, che i loro guelfi avevano cacciato; ch'egli era contrario a sé stesso, se pur era vero, ch'egli fosse venuto in Italia (come avea sparso fama) per acquietarla, e ri- porre i fuorusciti nelle patrie loro. Dante Alighieri che in Verona si trovava , intesa così altiera rispo- sta ch'aveano dato i suoi fiorentini all' imperatore, gli chiamò più volte ciechi, dicendo, che non ave- vano veduto che con un principe armato e così po- tente bisognava procedere più modesta e più corte- semente. » S'erano insieme con Dante ridotti nella nostra città molti altri nobili fiorentini, e sotto l'ombra delli 251 signori Scaligeri, come fautori e difensori de'ghibel- lini se ne viveano. Tra questi erano alcuni degli Al- berti, e di quei Dal Bene, de'Baldi, degli Ebriaclii, degli Alvari ed altri. Fra quei degli Alberti era quel Bertolotto, che fu poi tanto caro al sig. Can Fran- cesco, dal quale meritò per le sue rare qualità e fe- del servitù, oltre gli altri ricchi doni ch'ebbe da lui, d' esser fatto suo tesorier maggiore. Tra quei degli Ebriachi, ch'ora da noi si chiamano Ubriachi, o co- me altri vogliono Butironi, era M. Ebriaco, che per la sua bontà e integrità fu poi tanto amato e ri- verito dai nostri, che non come forestiero e fuoru- scito, ma come loro caro padre, lo trattavano ed ono- ravano: e quando morì, il che fu l'anno 1349 , fu pianto universalmente da tutti. Tra quei degli Al- vari era M. Lupo, persona tanto faceta e piacevole, che ognuno sommamente desiderava avere la sua amicizia e conversazione. Morì costui lasciando in tutti gran desiderio di sé l'anno 1325. » Sentiamo l'opinione del Pelli , e troveremo che concorre mirabilmente a comprovare ciò ch'io dico. Egli al e. 12, pag. 85, Memorie per la vita di Dante così favella: )) Si rende poi molto difficile il fissare il tempo, nel quale il nostro Dante Alighieri passò a Verona presso gli Scaligeri , signori di essa , e lo stabilire quanto ivi si trattenne. Il marchese Scipìon MaJTei, seguendo il Boccaccio, lasciò scritto che Dante cac- ciato di Firenze per la forza delle fazioni, se n'era andato a Verona per cercar ricovero presso gli Sca- ligeri. Di questo sentimento fu ancora monsignor Giusto Fontanini; ma, se mal non mi appongo , io 252 credo che non prima dell' anno 1308 si possa con qualche fondamento riporre il passaggio del nostro poeta a Verona. Per la morte di Alberto della Scala succeduta l'anno 1301 restò la signoria di quella città a Bartolomeo suo primogenito , il quale per poco tempo di essa tenne il governo. Mancò egli di vivere il dì 7 marzo 1304 e nel dominio gli suc- cedette il suo fratello Alboino. Non molto dopo ad Alboino fu dato per compagno Cane suo fratello, il quale restò signore assoluto di Verona nel!' ottobre del 1311 per avere allora terminato di vivere il sud- detto suo maggior fratello. Or nel canto XVII del Paradiso avendo il poeta immaginato cheCacciaguida, nel predirgli i casi della sua futura vita, gli dicesse: Lo primo tuo rifugio e '1 primo ostello Sarà la cortesia del gran lombardo Che 'n su la scala porta il santo uccello: i sopra mentovati scrittori e molti altri prendendo alla lettera le accennate parole, crederono che non altro ci volesse per istabilire la gita di Dante a Ve- rona subito dopo il suo esilio della patria. E vero che nei detti versi chiaramente è indicato Alboino della Scala signore di Verona; ma questo appunto di- mostra, che non subito dopo il suo esilio passò Dante alla corte degli Scaligeri, perchè la detta condanna (parla della condanna dell'esilio) accadde nel 1302, ed Alboino non prima del 1304 divenne signore di Verona. Che se l'illustre marchese Maffei avesse scru- ])olosamente esaminati i suddetti versi e combinali con quanto di Cane fratello di Alboino, poche righe 253 sotto, soggiunge il poeta, senza dubbio si sarebbe ac- corto che in quel luogo non aveva preteso Dante di parlare cosi rigorosamente, com'egli credette. A lui non era noto che nel 1306 in circa si fosse Dante trattenuto , come dicemmo, in Padova, né che nel 1307 di nuovo fosse passato in Toscana, ed è pro- babile che non facesse riflessione a quanto della dolce accoglienza fattagli da Maroello Malaspina lasciò scritto lo stesso poeta nell'VIII canto del Purgatorio. Nei citati versi del Paradiso e in quei che ad essi vengono dietro , non tanto celebra Dante la liberal cortesia d'Alboino, quanto di Cane suo fratello; onde da ciò ancora si trae argomento per credere, che non prima del 1308 da essi fosse nella loro corte beni- gnamente ricevuto. Imperciocché in quell'anno sola- mente e negli altri successivi si può avverare, che Dante avesse luogo di sperimentare gli effetti della loro generosità , perchè non prima ambedue gover- narono Verona. « Il 1308 dunque è l'epoca che si deve con tutta pro- babilità assegnare alla prima gita di Dante in Verona. Il 1308 è r epoca, in cui Caiu Grande fu preso da Alboino per compagno nell'amministrazione dello stalo, nella quale rimase solo tre anni dopo per la morie d'Albino avvenuta nell'anno 1311: e al 1308 si devono riferire le grandi feste date da Can Grande nella signoria raccontale da Mucio Sagacio Gazala, che ciò ci ha lasciato. A questa sola epoca infatti poteva Dante, che colà trattennesi dal 1308 al 1311, trovarvi il suo compa- gno d'esilio Uguccione della Faggiola, e non nel 13iG e 1317, nei quali anni con gli aiuti datigli da Spi- netta Malaspina tentava di ricuperare Lucca o Pisa. 254 In questo anno, secondo il Gazata e il Biancolim, potea Dante trovare in Verona V altro esule Matteo Visconte cacciato da Milano da Guido Tornano, o Della Torre, suo avversario. In quell'epoca poteva trovare colà Guido da Ca- stello già esule da Reggio: nell'anno 1308 lo stesso storico Mucio Sagacio Gazata; e Albertino Mussato, il quale lontano da Padova per pubbliche ambascerie non ritornò alla sua patria prima dell'anno 1312. E che dopo quest' anno 1812 Albertino Mussato non potesse essere più ospitato da Cane , di cui in vece lo vediamo prigioniero nel 1314, lo dimostrano le grandi ostilità ed inquietudini che incominciarono fra Cane e Vicenza e Padova, e fra Cane e Mussato stesso, che combatteva per i padovani, che durarono io dissi dal 1312 fino al 1314, e dal 1314 ancora fino al 1324 , in cui morì Iacopo da Carrara: e al 1328, in cui Marsilio da Carrara, vedendo l'imminente rovina di quella troppo scompigliata città, ne offrì il dominio allo stesso nemico Scaligero, che tanto ne ambiva la signoria. So che il Balbo ripone la seconda gita di Dante a Verona nell'anno 1316, con più magnificenza di parole che solidità d'argomenti: ma le cose da noi già stabi- lite speriamo che bastino a pienamente confutarlo. Ecco come egli si esprime. « Can della Scala detto il Grande era nel 1316 giovane d' anni venticinque e non meno fiorente di potenza , di ricchezza , di liberalità. Avea mostrato tal disposizione dell'animo fin dalla puerizia. Narra Benvenuto da Imola, che condotto dal suo padre Al- berto al ripostiglio d'uno di quei tesori, ch'erano il principal nerbo di tutte codeste potenze venturiere. 255 e cont'oi'tato il fanciullo a compiacersene , egli con rozzo atto puerile ne mostrasse il suo disprezzo. Morto poi Alberto nel 1301, e poi Bartolomeo primo deTi- gliuoli e successori nel loOi, e succeduto in lor po- tenza Alboino il secondo figliuolo , quello che per ({ualunque ragione fu ripreso da Dante di poca no- biltà, Cane il terzo de'fratelli gli era slato associato verso il 1308. Amcndue nel 1311, alla venuta d'Ar- rigo imperatore, n'aveano avuto titolo ed ufficio di vicarii imperiali in Verona. Ma Alboino languiva già in mortale etisia, e Cane allor di 20 anni fu solo al- l'impresa con elle tolsero Vicenza alla vicina Padova mal obbediente all'imperatore, e poi all' importante assedio di Brescia e poi a Genova, onde per la morte del fratello Alboino ai 28 di ottobre ritornò a Ve- rona, rimanendo solo e vicario imperiale e signore. Nel 1312 e più nel 1313 e nel 1314, dopo la morte d'Arrigo, avea avuto a difendere sua conquista di Vi- cenza e sua invidiata potenza contro Padova, Trevigi, il marchese d'Este e il vescovo di Feltre, aiutato egli dal vescovo di Trento e secondo le occasioni dagli altri ghibellini di Lombardia. Finalmente l'ardire per- sonale di Cane terminò a suo onore e prò quella lunga lotta. Nel settembre del 1314 i nemici di lui raccolsero inattesi tutto il lor neibo, campeggiarono improvvisi con tra la contesa Vicenza, presero, sac- cheggiarono il borgo S. Pietro ed arrivarono alle mura. Ma avvisatone Can Grande a Verona, con un solo famiglio cavalcò rapido a Vicenza, penetrovvi, rincorò i cittadini e il presidio de' tedeschi ; e con subita sortita ai 17 settembre , al grido inaspettato di Viva Cane, piombò sui padovani, li disfece e sba- 256 ragliò, molti uccidendo, più prendendone, e tutti pre- dando. Tra' prigioni eravi Albertino Mussato, scrittor latino elegante per quell'età, e come a quell'età uomo di spada e negozi non men che di lettere. Questi ed altri prigioni incominciarono trattati, onde seguì a' 20 ottobre la pace tra Padova e Can Grande, a cui fu lasciata e confermata Vicenza. Signore così di due potenti città e ghibellino costante, Can Grande con Passerino de'Bonacossi signor di Mantova e Modena e Matteo Visconti vicario imperiale e signore della principale Milano, formarono in Lombardia come un triunvirato ghibellino, che negli anni 1315 e seq. guerreggiò e soverchiò quasi sempre i guelfi di Bre- scia, Cremona, Padova, Treviso, ed altre città. Nel 1317 nella disputa d'impero fra Lodovico il Bavaro e Federigo d'Austria, sendo da papa Giovanni ordi- nato che nessuno s'intitolasse vicario imperiale senza licenza sua, il Visconti depose quel titolo e si fecS) gridar dal popolo , signore generale della città. Al- l'incontro lo Scaligero a' dì 16 marzo giurò fede al- l'austriaco e n'ebbe conferma del vicariato in Verona e Vicenza. Finalmente a dì 16 dicembre del 1318 in parlamento a Soncino fu Can Grande eletto a ca- pitano generale della lega ghibellina in Lombardia con mille fiorini d'oro al mese di stipendio. » « A tal signore di tale potenza e fortuna e tra tali guerre , venne come capitano di lui Uguccione nel 1316, e intorno al medesimo tempo, come esule,' il nostro Dante. Uguccione se ne dipartì per poco nel 1317 per Lunigiana; onde con gli aiuti condotti da Verona, e con quelli datigli da Spinetta Malaspina, tentava di recuperare Lucca e Pisa. Ma levatisi quei 257 cittadini al timore dello sperimentato tiranno, lo ri- cacciarono così, ch'ebbe a tornare a Verona, e fuvvi in breve seguito dal Malaspina. Là pure era Guido da Castello già ospite di Dante in Reggio, or caccia- tone; e con lui Sagacio Muzio Gazata scrittore delle cose di quella città , e narratore delle magnificenze della corte di Verona. Qui era il refugio apparecchiato a tutti i cacciati ghibellini; qui pure onorata stanza ai guelfi cedenti alla potenza di Cane o prigioni di lui, fra cui Giacomo da Carrara, Vanni Scornazzano, Albertino Mussato: e qui poi, come alla corte la più splendida d'Italia, guerrieri, scrittori, chierici, poeti, artefici, cortigiani e giullari. Narra il Gazata parte- cipe di quelle magnificenze, come avevano tutti questi al palazzo del signore quartieri forniti e distinti, con addobbi ed imprese adattate ad ognuno, i trionfi per guerrieri, i sacri boschi delle muse per i poeti, Mer- curio per gli artefici , il paradiso per i predicatori , la fortuna per gli esuli. A tutti era imbandito : ed erano or gli uni, or gli altri invitati al desco del si- gnore: i pili sovente ti-a gli altii Guido da Castello, detto il semplice lombardo, e Dante. « Bellissime parole del Balbo; ma quanta e quale in poche pagine è la confusione, i traslocamenti dei fatti, e l'abuso della logica! Cosa tanto più deplo- rabile, quanto che nella scarsezza di documenti e di notizie, la sola critica di ben rafi'rontare i fatti e non interpolare, ma ben distinguere le date, potrebbe farci rintracciare qualche brano di verità! E il bello e prezioso passo di Mucio Sagacio Gazata così male interpretato? E che serviva che uno storico contem- poraneo ci avesse lasciato sì care e genuine notizie, G.A.T.CXXXI. 17 258 se uno altro storico di cinque secoli e mezzo poste- riore doveva così barbaramente travisarle? Bellissima maniera tutta propria del Balbo, di posporre un fatto accaduto nel 1308, nientedimeno che al 1316. Sa- gacio Mucio Gazata non ci ha lasciato che Dante trovò in Verona Albertino Mussato tra i prigionieri. La prigionia di Mussato è nel 1314, nel quale anno non era con Cane ne Dante né Uguccione, che allora dominava in Lucca, e cacciato da Lucca nel 1316 si rifugiò presso Spinetta Malaspina : e la prima gita di Mussato a Cane della Scala è cosa più lo- gica di riporla prima del 1312, cioè tra il 1308 e il 1309, quando creato cavaliere e ottenuto l'ingresso al civico consiglio della sua patria, divenne la molla dei pubblici affari; giacché quando l'imperatore Ar- rigo VII nell'anno 1311 discese in Italia, Albertino Mussato fu uno degli oratori della città di Padova destinati ad assistere a sì maestosa funzione. Gelosissima era Padova di preservare intatta la sua libertà , che si sospicava allora in pericolo per la presenza armata di Arrigo. Fu allora che il nostro Mussato insieme con Antonio da Vico d'Argine venne di nuovo eletto ambasciatore presso il nominato au- gusto. Misero essi in opera ogni possibile desterità: e se non ottennero la desiderata indipendenza , ot- tennero al meno un discretissimo vassallaggio e con condizioni sì miti che molto approssimavasi a libertà. Ma i suoi concittadini furono sì mal soddisfatti di questo trattato, che poco mancò che non si concitas- sero a tumulto contro di lui, e non prorompessero in aperta ribellione anche contro l'imperatore. Veg- gendo però i padovani quasi contemporaneamente i 259 felici progressi delle sue armi, rientrarono in lor me- desimi e prestarono omaggio ad Arrigo, e i biasimi d'Albertino cangiarono in lodi, che venne acclamato come il salvator della patria. Così ottenne egli quel lento trionfo, di cui l'antiveggente prudenza è quasi sempre sicura. Fu altre volte in brevissimo spazio di tempo inviato al medesimo cesare , e coH'erudito ingegno e colle colte maniere acquistò la grazia di quel monarca per modo, che a lui pili che a qualunque altro fu liberale di larghi spontanei doni. Tu mihi magnificus supra quacsita fuisti, Solus ab imperio prodiga dona tuli. Così dice Albertino nella seconda epistola: e questa fu la prima epoca e forse la più gloriosa della vita d'Albertino, cioè dal 1308 al 1311: giacché ritornato in patria nel 1312, la ritrovò da veemente fermento agitala, essendosi inteso che Can Grande, nemico acer- rimo dei padovani, era stato da Arrigo eletto vicario imperiale di Vicenza, città altre volte loro soggetta, e su cui conservavano delle pretensioni. Al che si aggiungeva per sopraccarico, che Cane dovesse eser- citare un simile autorevole ufficio eziandio in Padova ed in Treviso. Questa è adunque l'epoca la più probabile, cioè dall'anno 1308 al 1311, della riunione sì celebre del Gazata con Uguccione, Guido da Castello, i>ante e Mussato, il quale, se fu accolto da Cane e fu trat- tato magnificamente ed ospitalmente, è più probabile che lo fosse nell'occasione che l'uno e l'altro, cioè Cane e Mussato si adoj)cravano [)er Arrigo, dopo che s'erano 260 conosciuti in Padova o in Milano, quando andarono a fargli omaggio, quando Cane era nel colmo delle sue glorie e restato solo nell'impero di Verona, quando l'uno e l'altro attendevano ai pubblici affari di pace, ognuno apro della sua patria; che non dopo il 1312, quando Cane , come vedemmo , era in ostilità con Padova e con Mussato stesso, il quale divenne poi nel 1314 suo prigioniero. E questa fu forse la prima origine delle discordie di Mussato con Cane, l'esser Cane divenuto nel 1311 vicario imperiale di Vicenza; che per essere nemico acerrimo dei padovani, avrebbe esercitato tale auto- revole ufficio su Padova e su Trevigi : la quale di- scordia fu dipoi accresciuta , quando nel 1312 co- minciò Cane a far guerra a Vicenza e più tardi a Padova. Dopo il qual tempo infatti , se ritroviamo Mussato prigioniero nel 1314 presso Cane, non è da credere, come stoltamente crede il Balbo e si persuade di farlo credere altrui , che in quell' epoca fosse il primo benigno accoglimento di Cane a Mussato : il quale per quanto fosse benigno la seconda volta (che a noi non consta), non so quanta benignità vi si possa scorgere in ritenere uno come prigioniero. Né mai Sagacio Gazata ce lo descrisse prigioniero, quando trovavasi con Cane: ma questa fu una bella postilla del sìg. Balbo, il quale confondendo le epoche, con ninna critica assegna al 1316 il fatto del 1308, 0 1311, e fa il Mussato prigioniero di due anni dopo presso Cane nel 1316; quando è certo per epoca indubitata che fu prigioniero nel 1314, insieme con Vanni Scornazzano , e Giacomo e Marsilio da Car- rara: le quali cose tutte erano già seguite , quando 261 Dante scrìveva, che era già dopo il 1318, e forse molti anni dopo, ma non mai prima, o a Fonte Avel- lana 0 a Ravenna, dove si sa che si trattenne molti anni, ma non so quanti, e dove poi morì ; ma non pili in corte di Cane, che avea già abbandonato dal- l'anno 1311. Lo scoglio, in cui offendono tutti i commentatori, cominciando dal sig. Troya , dal Marchetti e dal Balbo, è quello di confondere l'epoca dei fatti e delle allusioni di Dante del 1312, del 1314, del 1315, e del 1318, in cui accaddero tali fatti, con l'epoca, in cui Dante li scriveva e li ricordava, osservando se- condo il loro sistema un sincronismo che non esiste, trovando la corrispondenza delle allusioni dei fatti coir ordine de' tempi più da attribuire alla fortuita evenienza delle occasioni offertesi durante la compo- sizione del poema, come suol far credere il Troya, che da attribuire ad artificioso disegno del poeta , supponendo il poeta costretto a scrivere in atto di errare di città in città quel che più colpisce i suoi sensi; e facendo in fine, a loro sentenza, secondo le parole del prof Picei « d' un poema il meglio ar- chitettato e simmetrizzato che uscito sia dall'umana immaginazione, non altro che il giornaletto d'un viag- giatore 0 l'effemeride d'un cronista. » A dimostrare quanto sia erroneo cotal sistema r basta, a chi ha fior di logica, il considerare, che un fatto accaduto nel 1312, nel 1314, o nel 1318» non può certamente essere stato descritto o ricordato prima del 1312, 1314, o 1318; ma ciò non porta che Dante non l'abbia potuto scrivere molti anni dopo^ senza attribuire la composizione di quei canti e il 262 ricordo di quei fatti precisamente a quell'epoca, in cui questi fatti accadevano. Dissi che il bresciano prof. Picei giudiziosamente dimostrò, che Dante non prima del 1318 avea po- tuto finire la Commedia: ma che diranno i studiosi di Dante, se io dimostrerò con fatti irrefragabili ch'ei non abbia potuto terminarla prima del 1328? Que- sto fu già da me dimostrato , e tale argomento fu da me pienamente esaurito nella mia XI lezione sul- l'Alighieri, stampata non ha guari, in cui in una let- tera diretta al eh. cav. Scolari dimostrai, che Dante visse certamente oltre il 1328. Imperciocché il ri- peto, e pili volte ancora il ripeterò colle parole del sig. Pieci, egli era agevole il dimostrare da vari passi della Commedia, che Dante non potesse scrivere pri- ma del 1314 o 1318; perchè altrimenti non avrebbe potuto predire alcuni fatti, che si riferiscono a quelle epoche ; ma ciò non importa in buona logica , che Dante non abbia potuto descrivere quelli stessi fatti molti anni dopo; nel 1320, cioè, nel 1321, nel 1324 ed anche nel 1328 , come dimostrai nella mia un- decima lezione. Il prof. Picei, come dissi, ha già egregiamente sviluppato questo argomento. Ma siccome l'opinione del prof. Picei per una tale conclusione incontrava contestazioni ed ostacoli nei vari pareri dei filologi, che anche molto più indietro del 1318, cioè al 1308 o 1309 volevano riportare il compimento della Divina commedia , e 1' egregio professore da que- sta prova indiretta passò a confutare l'opinione con- traria; mi giova in breve riepilogare i diretti argo- 263 menti , ch'egli trasse da questa confutazione in so- stegno del suo assunto. Essa contraria sentenza, difesa principalmente dal conte Marchetti e dal Troya, è tutta fondata sopra una lettera di frate Ilario ad Uguccione della Fa»-- giuola, dissepolta l'anno 1759 dall'abate Mehus d'in- fra un antico codice mediceo: e perciò il Picei nella oppugnazione di un tal fondamento tutta concentra la mira delle sue critiche deduzioni. Narrasi in quella lettera , che Dante venuto al monastero di Montecorvo, alla foce dalla Magra, per indi passare alle regioni oltramontane, consegnò a frate Ilario la cantica dell'Inferno da inviare al Fag- giuolano,cui era intitolata. Come poi all'epistola man- cava la data, il conte Marchetti consigliossi di porla al 1309, adducendo non trovarsi nell'Inferno alcun cenno di privati e pubblici fatti posteriori al 1308, ed il Troya nel suo libro dell'interpretazione del Vel- tro allegorico, movendo da quest'epoca e ragionando colla scorta delle allusioni sparse per ciascuna can- tica, assegnò al compimento del Purgatorio l'anno 1314-, e a quella del Paradiso il 1318. Ma il Picei, posta in contestazione col Witte e con altri l'autenticità della lettera ilariana, pose al- tresì in dubbio la verità di ciò ch'è in essa asserito, riferendosi al già detto da lui nella parte de' suoi studi, che riguarda l'interpretazione del Veltro, e del cinquecento dieci, e cinque, dove leggiamo ciò che segue: « È egli veramente definito senza contrasto che la cantica prima fosse da Dante intitolata al Fag- giuolano ? Gli unici testimoni sono il Boccaccio e fra Ilario da Montecorvo. Il primo nella vita di Dante 264 (vedemmo già noi qual sorta di fede debba prestarsi all'apocrifo Boccaccio) scriveva come il poeta intitolò l'Inferno ad Uguccione , il Purgatorio al Malaspina, il Paradiso a Federigo 111 re di Sicilia. Ma come il Paradiso in effetto vediamo dedicato con una pro- pria lettera di Daiilo, cbe tuttora sussiste , a Can grande, non a re Federico, come scriveva il Boccaccio, così possiamo egualmente dubitare che la di lui ri- cordata dedicazione al Faggiuolano sia falsa. E in- vero come possiamo noi credere che l'Allighieri in- titolasse ad Uguccione, suocero di Corso Donati ed amico di Bonifazio Vili, quella cantica, nella quale sfogò tutta quant'era l'ira sua contro i neri ed i guelfi, di cui e Corso e Bonifazio erano i principali soste- gni ? D'altronde dopo aver detto di quelle altre de- dicazioni al Faggiuolano, al Malaspina e al re Fede- rigo 111 di Sicilia , il Boccaccio scriveva: « Alcuni vogliono dire aver Dante intitolato tutto il poema a messer Cane Della Scala; ma quale si sia di queste due la verità, ni una cosa altra ne abbiamo, che so- lamente il vario ragionar di diversi. » E soggiunge il prof. Picei: (c Che infatti però il poema fosse tutto intitolato allo Scaligero, si rende vieppiù verisimile per quelle altre parole del Certaldese: » « Egli era costume di Dante, qualora sei o otto o più o meno canti fatti ne aveva , quelli prima che alcuno altro li vedesse, dove che egli fosse , mandare a messer Cane della Scala , il quale egli oltre ad ogni altro uomo aveva in reverenza. » Ma che avrà detto il prof. Picei quando avrà ve- duto da me dimostrato, che meritano minor fede le 265 parole dell'apocrifo Boccaccio, che quelle della let- tera di frate Ilario ? E su quali colonne sì sono appoggiati il conte Marchetti, il Troya ed il Balbo ? Io credo dovrà farne ognuno che ha fior di senno e di critica le altissi- me meraviglie. Né meno eccepibile dell' autenticità e veracità della lettera ilariana trovò il Picei la ragione, sulla quale si fonda il Marchetti per porne la data al 1 309, ed il Troya per istabilire le epoche del com[)imento del Purgatorio e del Paradiso; cioè sul sincronismo delle allusioni occorrenti nel poema ai fatti ricor- dati dalla storia. Che nella cantica dell'Inferno non occorrano al- lusioni a fatti nò privati , né pubblici posteriori al 1308: che quelle del Purgatorio, non vadano oltre il 1314, né oltre il 1318 quelle del Paradiso, non è questa sufficiente ragione, secondo il prof. Picei ( io però ho dimostrato che le allusioni, secondo il mio parere, accennato nei vari discorsi sulla Com- media arrivano fino al 1328, a cui si estende la vita di Dante), per conchiudere che ciascuna cantica siasi in ciascuna di quelle epoche appunto compiuta , e non prima né poscia; mentre la corrispondenza delle allusioni all'ordine de' tempi puossi con più ragione attribuire ad artificioso disegno del poeta , anziché alla fortuita evenienza delle occasioni oflertesi ad esso durante la composizione del poema, come vor- rebbe far credere il Troya, supponendo il poeta co- stretto a scrivere, in atto d'errare di città in città, quel che colpiva i suoi sensi ritraesse ne'suoi versi, per modo che nelle allusioni e descrizioni della com- 266 media sì possa apprendere la storia dei suoi viaggi, « Sentenza, secondo la quale (dice il Picei molto giu- disiosa mente ) il poema meglio architettato e sim- metrizzato eh' escito sia dall' umana immaginazione non altro sarehbe stato che il giornaletto d'un viag- giatore, e l'effemeride d'un cronista; e dove ogni per- sona, ogni fatto, ogni idea è posta a quel luogo che la convenienza e l'ordine richiedono; una sì mirabile distribuzione vorrebbesi tutta attribuita alla succes- sione fortuita degli avvenimenti. » )) Non è egli più ragionevole (prosiegue il pro- fessor Picei ) che la serie delle storiche allusioni, sì bene intessuta secondo l'ordine dei tempi, s'attribuisca a meditato disegno dell'altissimo poeta, che volle per tal modo evitare la confusione, che altramente sa- rebbe derivata e presentare più fedele la storia e la satira de'suoi tempi ? » Ma è poi senza eccezioni questo preteso sincro- nismo delle allusioni del poema coi fatti storici, sul quale si fondano le induzioni de'prefati scrittori? Il prof. Picei sostenne egregiamente il contrario , os^ servando che nella seconda e terza cantica occorrono allusioni a fatti di lungo tempo posteriori all'epoche rispettive assegnate da essi scrittori al compimento delle medesime, e nella prima allusioni a fatti d'as- sai posteriori al 1308. Io dimostrata apocrifa la vita di Dante attribuita al Boccaccio , andai molto più innanzi, e in quel mio citato discorso dimostrai ritro- varsi nella commedia le allusioni fino all'anno 1328. Ma venendo al particolare dei fatti , ai quali si vede accennato in quella prima cantica , il pro- fessor Pìcei comincia dalla menzione che troviamo 267 nel XXI di Bonturo , siccome di grande barattiere, l'insigne furberia del quale fu quand'egli fece, sic- come narra Albertino Mussato , sorprendere i luc- chesi dai pisani il 18 novembre 1315. Una tale allusione fu già osservata dal Dionisi, il quale ne trasse argomento ad indurre, che la pri- ma cantica non potesse esser compita prima di que- st'epoca. Al quale argomento del Dionisi essendo stato opposto, che il demonio quivi introdotto a parlare non predice il futuro, ma narra solo il presente , e che d'altronde non deve sembrar meraviglia, che chi fu traditore nel 1315 , fosse già famoso barattiere assai prima; il prof. Picei ad una tale obiezione ar- gutamente rispose: « Che innanzi a ciò che per in- duzione avvisiamo potere essere stato , dee sempre porsi quello che per la storia sappiamo che vera- mente fu: e quando la storia ha di Bonturo notata la tradigione di Lucca, noi dobbiamo, tenere che Dante nel segnalarlo in modo sì singolare tra' barattieri , pria che ad altra cosa, che ignoriamo, abbia voluto accennare a quel fatto; epperò la cantica dell'Inferno dovette essere scritta dopo di esso. » Da questo passa il Picei all'allusione, che si legge ne'seguenti versi del canto XV dell'Inferno: La tua fortuna tanto onor ti serba Che Tuna parte e l'altra avranno fame Di te, ma lungi fia dal becco l'erba. Nel qual passo combinato coll'altro che si legge nella predizione di Cacciaguida al canto XVII del Pa- radiso, vedendosi accennata la separazione di Dante, 268 sia dalle due classi della stessa fazione de' cacciati, cioè dai ghibellini propriamente detti e dai bianchi, come interpreta il Dionisi, sia dai cacciati ghibellini e dai caccianti guelfi ad un tempo, come interpreta il Picei, collegando il citato passo con due altri del VI dell'Inferno, e la separazione del poeta dalle fa- zioni e la per lui fattasi parte da se stesso, non aven- do potuto avvenire che dopo la morte di Arrigo VII, siccome il sig. Picei argomenta e dall'essere le let- tere di Dante a Cangrande della Scala e ad Arrigo prima di questo avvenimento scritte in nome di tutti i suoi compagni d'esilio , e dalle invettive contro i ghibellini del pari che contro i guelfi da lui scritte nel canto VI del Paradiso; egli conchiude che l'allu- sione del canto XV dell'Inferno dev'esser posteriore al detto avvenimento della morte di quell'imperatore, e quindi costituire una seconda eccezione al preteso sincronismo , sul quale si fondano le induzioni del Marchetti e del Troya. Una terza eccezione consiste nelle invettive del poeta contro Clemente V , e nella predizione della morte di questo pontefice che leggonsi nel canto XIX dell'Inferno. Il prof. Picei, osservato che le invettive non ponno avere avuto occasione, che dall'accordo fattosi da quel pontefice con Roberto re di Napoli contro Arrigo VII, accordo seguito dopo il 1310: e che la predizione non potea farsi che dopo l'avve- nimento , cioè dopo la morte del pontefice suc- cessa nel 1314; e riferite e confutate le opinioni in contrario, che io del pari che la confutazione , per brevità tralascio; conchiude che il compimento della cantica dell'Inferno deve esser posteriore ed al fatto 269 storico (leiraccordo di Clemente col re di Napoli, e all'altro della morte del pontefice, cioè all'anno 1314. Nel canto XI dell'Inferno trovasi condannataCaorsa alla pena di chi nega e bestemmia Iddio, e nel XXVII del Paradiso udiamo s. Pietro inveire contro caor- sini e guaschi, che nel sangue suo s'apparecchian di bere. Combinando insieme i due passi, il eh. Picei opinò che siccome nel secondo il poeta pel nome generico di caorsini intenda particolarmente Giovan- ni XXII, eletto pontefice l'anno 1316; così ancora nel primo nominando genericamente Caorsa, abbia vo- luto del pari accennnare in ispecie papa Giovanni medesimo^ osservando non esser ragionevole che l'o- scura città di Caorsa sia fatta segno di tanto vitu- pero , se non per l'ira ghibellina del poeta contro questo pontefice nativo di essa. Dal che egli deduce una quarta eccezione al preteso sincronismo delle al- lusioni colla storia, non facendo caso che il Lom- bardi ed altri abbiano diversamente opinato, fondati nell'autorità, poco concludente nel caso speciale, del Du Gange, né che abbia diversamente interpretato il Boccaccio, eletto a commentare pubblicamente il poeta in una chiesa di Firenze, e presumibilmente consi- gliato, secondo il Picei, dalle circostanze del luogo e da altri a parlar con circospezione e riguardo, qua- lora si scontrasse nei passi della Commedia che al- ludono alla chiesa ed a'suoi pontefici. Una quinta eccezione alla corrispondenza delle al- lusioni col tempo, a cui si pretendono riferibili, for- ma, secondo il prof. Picei, la reprobazione dei conti Guidi di Ravenna, fatta dal poeta nel XXX dell'In- 270 ferno in persona del falsario maestro Adamo da Bre- scia, con questi versi : )) Ma s'io vedessi qui l'anima trista » Di Guido 0 d'Alessandro o di lor frate, )) Per Fonte Branda non darei la vista. Fra le sette epistole dell' AUighieri nuovamente sco- perte dal Witte nei manoscritti di Heidelberg , una se ne trova diretta ad Oberto e Guido conti di Ro- mena, nella quale il poeta condolendosi con loro per la morte del conte Alessandro loro zio , i più alti encomi tributa al defunto , e alla memoria di lui professa la più calda gratitudine e profonda vene- razione. Ora , osservò il prof. Pìcei: « Da quanti e quai fatti dovette essere preceduta cotanta mutazione del- l'animo di Dante, perchè dopo le proteste di tanto affetto, di tanta stima e riconoscenza verso il conte Alessandro, già da lui posto ne' cieli, avesse poi a dannarlo nell'inferno tra' falsi monetieri ? La morte di lui suol porsi intorno al 1306; e la pubblicazione di quei versi vorrebbesi fatta nel 1309. Potrebbe egli bastare il breve periodo di soli tre anni a giustifi- care cotanta contraddizione fra gli alti encomi del- l'epistola e l'acerba reprobazione del poema? » Si- mile induzione egli trae da tre altre epistole del citalo codice , dirette all' imperatrice Margherita di Brabante, sposa di Arrigo \'II, le quali, benché non sottoscritte col nome di Dante, ma con quello della contessa Guidi di Battifolle, alla dizione, alle frasi, all'andamento presume il Witle che siano stale scritte 271 sotto la dettatura del poeta. La prima e la seconda non hanno data: ma argomentando dal loro conten- nuto, sembrano scritte nel 1310. La terza è datata da Poppi il 18 marzo 1311. Se queste lettere fos- sero state veramente dettate dal poeta: « E' egli pro- babile, dice il Picei, che potesse Dante fino al 1311 essere tuttavia tanto addentro nelFamicizia de'conti Guidi, se egli nel 1309 avesse pubblicato nella sua prima cantica la loro infamia ? È egli probabile, che la vedova del conte Guido e il fratello Aghinolfo la- sciassero impunito , anzi pure accogliessero sotto il loro tetto ed ammettessero nella loro amicizia e fa- cessero partecipe de'loro secreti il poeta, che già in- grato ai benetici ricevuti dal conte Alessandro, aves- se sopra tutti di loro famiglia, su Guido, ed Aghi- nolfo stessi, stampato il marchio di tanto vitupero ? A niuno certamente parrà sano consiglio ammettere nella vita e nel carattere dell'Allighieri una tanta con- traddizione di fatti e di sentimenti, per la sola au- torità d'una lettera senza data, qual è quella di frate Flavio, e pei soli argomenti d'una induzione sì incer- ta, com'è quella del Troya. » Tali sono gli argomenti, con cui Tegregio scrit- tore sig. Picei abbatte nei fondamenti l'opinione dei filologi suoi avversari; ai quali argomenti, a maggior conferma dell'opinione sua propria, un altro poi ne soggiunge, dedotto dal riscontro del Convito di Dante colla divina commedia, considerate queste due opere rispetto al tempo, in cui ciascuna dovette esser com- posta. Dalla diversità dello spirito, del fine e della materia di queste opere egli deduce che la loro com- posizione deve appartenere a tempi diversi , e che 272 quella del Convito deve precedere a quella della Com- media. Fermato poi coli' appoggio dei medesimi indizi che il primo fosse composto fra gli anni 13J0 e 1314, egli conclude che la seconda non Io potè essere che dopo questi tempi. Ma noi aggiungiamo una sesta ed ultima peren- toria eccezione agli argomenti del prof. Pieci , che tutta si ritrova nella lezione XI, ove intesi a dimo- strare che Dante visse certo oltre il 1328. Solo dirò, per non ripetere il già detto , che siccome quella lezione diretta in forma di lettera al cav. Filippo Scolari , non riunisce che alcuni argomenti per di- mostrare di passaggio ciò che in altra mìa lezione ho proposto di fai'e; giacché non tratta di proposito tale argomento, ma spiega solo un terzetto di Dante; così io potrei in comprova della mia tesi, che cioè il poema di Dante fu composto dal 1308 al 1328, e che Dante viveva ancora in quel tempo, mettere fuori ancora molte altre prove; se non lo credessi abba- stanza già. dimostrato in quel discorso , e in altra mia lezione a ciò dedicata, ove tratto di tal materia. Pertanto mi contenterò per ora di accennare qualche altra cosa in conchiusionc del fin qui e altrove da me detto e dimostrato. Darotti un corollario ancor per grazia. E dico, 1: Che Vitaliano Del Dente, insigne ricco ed usuriere padovano, mandò alcuni grandi doni con confezioni avvelenate ad un familiare del medico di Ubertino da Carrara, acciocché senza saputa del di lui 273 medico, a nome del medico amicissimo di Ubertino, le somministrasse al medesimo. 11 quale fatto siccome ac- cadde nel 1328, ed è il fatto più insigne di Vitaliano Del Dente , non può Dante alludere che a questo , quando lo pone nel XVil deirinferno, Muratori Script, rer. ital. t. X pag. 190 notae ad Mussati liist. rubr.III: « Anonymus alter, qui Cariarensium stemma confecit in libertini ac Bonifacii fdiis lacobi Carrariensis ad annum MCCGXXVlil « Vitalianus Dente fdius Gulielmi Dente procura vit Ycneno interfìcere dominum Lber- tinum. Sciens enim medicum quendam de Venetiis amicissimum domino Ubertino , cum quodam eius familiari inscio dicto medico tractatum liabuit mit- lere praedicto domino Ubertino, parte dicti medici, quaedam magna exenia cum confectionibus venenatis, quae exenia familiaris praedictus accepit. Sed Paduam veniens, accepta exenia subito praesentare non potuit, cum tunc dominus Ubertinus in lecto iaceret in- linnus. )) Dico 2: Che S. Tommaso d' Aquino posto nel numero dei beati, il quale non fu santiticato che nel 1324, è un altro argomento più che bastante per pro- trarre la vita di Dante oltie il 1328. Dico 3: Che Ubertino da Casale, il più distinto fra i discepoli di fra Giovanni di Oliva, dopo che il papa ordinò che fosse preso e fatto prigione, mentre Bonagrazia di Bergamo avea prodotte le prove contro di lui di molti articoli d'eiesia; pendente ancora il processo, si ritirò dalla corte di lloina senza congedo, e fuggì appresso alFimperatore Luigi di Baviera, dove si unì a Marsiglio di Mainardino di Padova per iscri- vere contro il papa; il qual Marsiglio era strcttamenle G.A.T.CXXXI. " 18 27-i legato con un altro dottore chiamato Giovanni di Giandun o di Gand, ch'ebbe gran parte nel compi- mento d' un' opera intitolata // difensore della pace attribuita tuttavia al solo Marsiglio; la quale fu com- posta nel 1324 e indirizzata a Luigi di Baviera. Le quali cose non accaddero che dopo il 1 325 , cioè dopo il nono giorno di febbraio avanti Pasqua. Giacché in questo stesso giorno il papa condannò il commentario di fra Pietro Giovanni di Oliva sopra l'Apocalisse, come contenente una dottrina perniciosa ed eretica contra l'unità della chiesa cattolica e con- tro l'unità del papa (Baluz- Misceli, tomo 1 pag. 293. Rainaldi 1325 n. 20). Il quale scritto di fra Giovanni Oliva e del suo discepolo Ubertino da Casale ricordato da Dante Ma non fia da Casal ne d'Acquasparta: che non era che il sistema chimerico de' fraticelli cominciato dall'abate Gioacchino, amplificato da Gio- vanni da Parma nel suo Vangelo eterno, e sostenuto per più d'un secolo. Non era già un eresia immagi- naria, dove d'altro non si trattasse che della pro- prietà del pane dei frati minori , e della figura del loro abito; ma era una realissima eresia; perchè so- stenevano questi fanatici che Dio aveva mandato san Francesco per rialzare la chiesa già rovinata; che la perfezione evangelica non regnava più altro che nella sua regola; che la chiesa romana era la gran Babi- lonia e la gran prostituta dell'Apocalisse , e il papa l'Anticristo mistico persecutore del grande ed ultfmo 275 Anticristo (p. 242, 244, 247, 261, 263); ch'egli ecci- tarebbe una grande persecuzione contro la povertà e la perfezione evangelica; ma che la sua chiesa car- nale doveva esser tosto distrutta per istabilire la chiesa spirituale e il regno dello Spirito Santo, (p. 248 241 254). Questo risulta dagli estratti di questo libro di fra Giovanni di Oliva; e con ogni pienezza di luce dimostra nella divina commedia reminiscenze, non solo oltre il 1318, come dimostrò il Picei; ma ancora oltre il 1321 1325, e 1328. Dico 4: Finalmente un ultimo sguardo di con- siderazione ad altro passo rilevantissimo di Dante, Iacopo e Federigo hanno i reami, del VII del Purgatorio, dovrà convincerci pienamente che Dante parlava dopo il 1328. Dopo che la Sicilia col vespro siciliano si ri- voltò a favore di Pietro III d'Aragona nel 1282; la Sardegna fu conquistata da Iacopo li { morto Al- fonso III primogenito di Pietro HI d' Aragona nel 1291) nel 1324, e le isole Baleari da Pietro IV nel 1343 ( Zurita, Annales t. I, fol. 247, t. II, fol. 60. - Hermilly, Histoire du royaume de Majorque,Maestricht 1777, pag. 227-268). Il reame di Iacopo indicato da Dante non è, a mio credere, quello di Aragona; a cui era già pervenuto do- po la morte di Alfonso nel 1291, non era quello di Si- cilia, di cui era re Federigo, quantunque fosse rappre- sentato da Iacopo: ma dovea essere un reame di recente e ingiustamente avuto; equesto è il reame di Sardegna iniquamente tolto alla repubblica di Pisa 27G colla coadiuvazione dì Giovanni XXH e colla guerra; nò prima ne fu sottoscritta la paco colla repubblica di Pisa nel 1326, che dopo la sua conquista, che fu nel 1324, per mezzo del valoroso Alfonso d'Aragona figlio dì Iacopo in forza di pretensioni già fondate sopra quell'isola; giacché fino dal 1295 Bonifazio Vili aveva accordato a Iacopo re di Aragona l'investi- tura della Sardegna per allettare questo monarca ad abbandonare suo fratello Federigo di Sicilia. Il reame di Federigo è quello di Sicilia, che la pochezza di Iacopo , rappresentante in Sicilia ( os- serva l'anagramma di poco in Iacopo) di Federigo già avea perduto ; essendoché Iacopo ne fece una ver- gognosa cessione, che Federigo volando in Sicilia an- nullò, ricuperando quel regno che stava per ricadere nelle mani degli angioini , colla forza del suo im- menso valore non meno che con quello di Ruggieri di Lauria suo ammiraglio. 277 Nuovo organo della scienza clinica LIBRO II. PREDISPOSIZIONI DELLA MORTE CAPO PRIMO Influenza della specie sidla mortalilà 100. La durata della vita varia nelle singole spe- cie, e negli individui della medesima specie. Diver- sità, che non possiamo con esattezza calcolare senza determinare i caratteri differenziali che distini^uono la naturale dalla morte accidentale. Quindi è che a ragione sentenziava Bacone: De diuturnitate et bre- male vitae in mimalibus lenuis est informatio, qiiae haben potest , obscrvatio nccjligens tradilio falmlosa. Ma per quanto siano incomplete ed inesatte le no- stre osservazioni, nulladimeno possiamo stabilire come assioma, che la durata della vita varia nei dif- ferenti esseri organici, che o si appartengono a di- verse, o alla medesima specie {ì). Alcune piante crit- (1) Pir. un individuo porta l'impronta della propria specie Hìapg.or probabilità eziandio possiede di giungere al termine nor- male fissalo alla vita della specie, nel carattere della quale siffa.to termine entra come elemento costituente. La statura media , la '«tn.tlura ben proporzionata, un buon petto, lo stomaco robusto, il polso Vigoroso e simili, non sono condizioni di longevità se non in '> 118. Al novero delle condizioni primordiali si appartengono il temperamento ed il corso individuale. Uno sviluppo precoce costituisce l'espressione di una vita che dura men lungamente ; il lento, graduato, e senza precipitazione, quello di una vita maggior- mente estesa. CAPO VI. Influenza delle condizioni acquisite sulla mortalità. 119 La primordiale modalità della vita s'ingenera nel compimento dell' atto meccanico-chimico e di- namico della fecondazione. Determinatasi l'esistenza individuale, si stabilisce un rapporto antagonistico tra il prodotto e l'essere procreatore, che dura fino al termine dell' incubazione , ed al compimento del parto; Allora il neonato incomincia a percorrere , prima, un secondo periodo di propulsione, ed in fine (1) Correspondenz der Schlenichen Gescllscliaft, pajj. 51. (2] Gerson, Magazin tom: 17 pag. 338. 296 uno di letrogradazione per interamente realizzare il fine archetipo della specie. La proclività morbosa , nel naturale organico svolgimento, dalla lesta discende al torace, dal torace all'addome, e nell'ultimo periodo della vita si stabilisce nel sistema uro-poietico. Se la individuale modalità persistesse nelle medesime chimico-organiche e dinamiche condizioni, e ne per- corresse certe determinate fasi, non avrebbe l'età al- cuna influenza sulla mortalità; né l'assoluta risulte- rebbe maggiore nei primi anni della vita, e minore negli anni maggiormente inoltrati; nò la relativa si manifesterebbe con un ordine interamente opposto. 120. Alle predisposizioni, che naturalmente si svolgono nel corso della vita, per cui in un periodo si ha una maggiore, ed in un altro una minore mor- talità, si devono aggiungere le condizioni morbose, che essenzialmente consistono o nelle primordiali condizioni ereditarie, o nelle profonde impressioni , che comporta l'organismo nel corso della vita, per cui si determina una straordinaria modalità. 121. Le predisposizioni originarie sono o mecca- niche, o chimiche, o chimico-meccaniche, che, compien- dosi nel primordiale atto di formazione, trasmettono nel nuovo organismo le malattie ereditarie, e si deter- minano congenite morbosità; che se poi formansi nel corso della vita extra-uterina, determinano, innalzatesi al massimo grado di loro estensione, le malattie con- nate o acquisite. Il numero di quelli, che periscono prima che lo comporti il carattere della specie, sor- passa di gran lunga quello degli individui, che na- turalmente periscono, e che esauriscono interamente l'idea della vita. L'abitudine di stare bene, e la con- 297 solidazione del tipo della vita che ne risulta, assicu- rano pili lunga durata della medesima; nel mentre che le circostanze prodotte dalla volontà o dalle azioni esterne favoriscono la mortalità, in quanto che sono atte a perturbare 1' armonia dei poteri organici , e r equilibro che naturalmente esiste tra la consuma- zione e la restaurazione; e così viene meno la com- pensazione tra il consumo e la restaurazione delle forze. CAPO VII. Influenza delle condizioni cosmico-telbtriche sidla molatali là. 122. Le località indipendenti dai climi esercitano rimarchevole influenza tanto suH' uomo in genere , quanto su questa o quella età in particolare. Ove naturalmente esiste o la debolezza , o la soverchia intensità dell'attività delle condizioni cosmico-tellu- riche, cioè ove gli estremi sono riuniti, si trovano le piij grandi anomalie delle condizioni dalla natura assegnate alla vita. Un clima mite, certa elevatezza mediocre del suolo, e la moderata temperatura dcì- Taria, sono le circostanze le più favorevoli alla lon- gevità. 11 renne, che vive nel nord, non diviene co- tanto vecchio quanto il daino, che vive in clima più caldo; ed il cavallo vive più alla lunga in oriente , che presso di noi; ed alcune piante, le quali sono annue in un paese, in un altro diventano biennie (1). (1) Lalattuca - lactuca santiva Linn: e la cicoria cichorium in- tybus Linn: a san Domingo, ove assumono una consistenza semi le- 298 123. L'estensione della vita umana è più consi- derevole nella campagna che nelle città, e nelle piccole città di preferenza che nelle grandi, ove Taria risulta naturalmente impura. Dalle osservazioni di Sussmilch risulta, essere nella campagna la mortalità maggiore nei primi sei anni della vita ; e dalle liste scozzesi di mutua assicurazione , essere in questi luoghi le malattie nei vecchi più frequenti e più lunghe. Ri- levasi dalle Uste mortuarie che il termine medio degli abitanti, fra i quali ne muore uno per anno, è di qua- ranta nei villaggi, di trentadue nelle piccole città, di ventotto nelle grandi, e di ventiquattro nelle gran- dissime. 124. Le singole specie hanno una qualità , che esercita una peculiare reazione all'azione delle potenze esterne; né i vari prodotti della scala zoologica vi- vono egualmente bene nelle medesimi locaHtà ; ed importa necessariamente, per la loro conservazione, una diversità di condizioni cosmico-telluriche, pro- porzionate al grado di loro attività. La razza deter- mina una diversità nell' estensione della vita anche nella medesima specie; così la caucasica sembra avere più lunga vita della razza mongolia e malese. « La » razza esercita incontrastabilmente grande influenza. » Però da un lato, non è facile determinare fino a » qual punto il clima, la civilizzazione ed altre cir- » costanze analoghe, possono avere un'azione in tal » proposito; e dall'altro, non possediamo, relativa- » mente alla durata della vita nei diversi popoli, altro gnosa, eJ acquistano lanta aimrezza da non poterle pii\ mangiare, da piante annue diventano biennie. 299 )) che estimazioni approssimative , le quali spesso )) eziandio appoggiansi soltanto sopra osservazioni » isolate. La razza caucasica sembra avere più lunga » durata di vita della razza mongolia e malese (1). » Trovansi molti esempi di longevità nella Norvegia, » in Isvezia e nella Scozia. La vita è corta nelle » contrade molto avanzate verso il nord, come nei » tongusi e nei samoiedi. Assicurasi esservi molti » vecchi attempatissimi nel centro della Russia, nella » Polonia e nell'Ungheria. In Asia, gli indù, gli arabi, j) i persiani ed i turchi, sembrano essere quelli che » spingono più oltre la propria carriera. Gli egiziani, » i mauri, i marocchini, diventano più vecchi degli » abitanti della Guinea, del Congo e di Mozambico, » come altresì degli ottentotti. Dicesi che gh abiponi » oltrepassino di frequente i cento anni senza perdere » i loro denti né i propri capelli, e che riguardino » come prematura la morte deirottuagenario (2). I )) messicani pure raggiungono spesso una età avan- » zatissima, ed Humboldt (3) parla di un peruviano, » il quale visse fino centoquarantatrè anni (4), 125. Lo stato barometrico, il termometrico, l'i- drometrico e l'elettrometrico ec. dell'aria sono le con- dizioni cosmiche della vita. La natura delle acque e della terra ingeneratrici del miasma palustre, e di altre preternaturali condizioni, influiscono sulla mor- talità, e determinano talora una maggiore, tal' altra (1) Virey, storia naturale del genere umano tom: 1 pag. 357. (2) Zimmerinann, Taschenbuch der Reisen, t. VI. p. 241. (3) Kei»e in die ^quinoctiaigegenden toin. IH- p. 86. (i) Burdach, trattato di fisiologia voi. 5 part. 3 seq. cap. 2 art. 2 pag. 321. 300 una minore estensione di vita. Le sostanze minerali, vegetabili ed animali, di cui si nutrisce l'uomo, de- rivano la buona o la prava natura dalle condizioni cosmo-telluriche ; ed esse hanno una massima in- fluenza sulla longevità. Inoltre le occupazioni fisico- morali , proprie di certe località, influiscono anche esse sulla mortalità. Se i casi di longevità si riscon- trano in climi diversi, ed in popolazioni che hanno un vario genere di vita ; ciò solo dimostra che gli estremi esercitano soltanto rimarchevole influenza sulla fisica costituzione. Così non si vive nelle regioni pros- sime ai poli artico ed antartico, e nella linea equa- toriale; nò vivono le piante inondate sulle alpi, nò la ninfa nel mare, nò i fuchi nelle acque dolci. Nelle regioni, in cui le condizioni cosmico -telluriche non pervengono agli estremi, e che se non sono allo stato medio di loro attività, dall'esserlo poco si dilungano, esse non hanno rimarchevole influenza sulla longe- vità. A tal proposito riportiamo alcuni casi di lon- gevità, che si riscontrarono in climi e in condizioni diverse. Basilio di Brà , terra del Piemonte, che di centoventidue anni adempiva le proprie funzioni di domestico, morì dopo sei mesi di debolezza. Il da- nese Drakenberg , che servì come marinaio fino ai novant'anni, ed ammogliossi di centododici, visse fino a centoquarantasei anni. Il polacco dei dintorni di Poloyk, che ammogliossi in terze nozze di novanta anni, ed ebbe tuttavia figli, nel 1796 aveva cento- settantatrè anni, ed era tuttavia ben portante e sano. Giovanni di Norvegia, che morì di centoscssant'an- ni, avendo un figlio di cento anni. Lo scozzese Kin- tingern , e l'ungherese Czartan , che la loro vita si estese circa a ccnt'ottanl'anni. 301 CAPO Vili. Durata della vita umana 126. Gli umani presentano più casi di brevità, che di longevità; incalcolabile è il numero dei bam- bini, che nascono morendo; e pochi sono quelli, che sorpassano il secolo. Se Bacone (1) ed Huffeland (2) raccolsero vari casi di vita centenaria, non ne tro- varono alcuno bicentenario. L'estensione della vita, considerata sotto l'aspetto di relazione, è la propor- zione tra il numero di quelli che nascono, e quello degli uomini che raggiungono certa età. In con- seguenza , nella durata della vita, considerata sotto l'aspetto di relazione, abbiamo due numeri da tro- vare: quello dell'anno che un uomo oltrepassa, e l'al- tro degli uomini nati nello stesso anno di quello; il primo chiamasi numero di anni, ed il secondo nu- mero di uomini. 127. Due sono ì metodi comunemente usati per calcolare la durata probabile della vita umana; se- condo quello adottato dalla compagnia di assicura- zione , si stabilisce la durata della vita di un indi- viduo dall'anno in cui rimane la metà di certo nu- mero di uomini nati nello stesso anno di esso. Se, ad esempio, di mille uomini nati nel medesimo anno ne rimangono cinquecento in capo a venti anni, due- centocinquanta in capo a cinquantacinque, e cento- fi) Opera omnia pag. 503, 515. (2) La macrobiotica, o l'arte di prolungare la vita dell'uomo. 302 venticinque dopo sessantanove si tiene per probabile che un neonato perverrà a venti anni, un uomo di venti anni a cinquantacinque , ed uno di cinquanta a sessantanove. L' altro metodo usato nelle tondine consiste nel sommare insieme gli anni che un nu- mero determinato di uomini vissero , e dividere il totale pel numero degli individui. Se, per esempio, sopra mille uomini ne muoiono duecentotrentadue durante il primo anno, si ammette che ciascuno di questi vivesse, termine medio, sei mesi: si contano così duecentotrentadue mezzi anni, o centosedici anni. Si procede così pei diversi anni della vita, finché di mille uomini non ne rimane più un solo vivente; si totalizzano le somme degli anni e si dividono per mille. La durata media della vita, presso i romani, era già stata calcolata, sotto x\lessandro Severo, da Ulpiano, secondo le enumerazioni di Servio Tullio fino a Giu- stiniano, e determinata nel modo seguente: un neo- nato vive ancora trent'anni, un uomo di venti anni ventotto , di venticinque ventidue , di trenta venti , di trenlacinque e di quaranta diciotto , di quaran- tacinqe tredici, di cinquanta nove, di cinquantacin- que sette, di sessanta cinque. Gli egiziani ed i greci valutavano un' età di un uomo a trenta o trentatrè anni, e contavano tre generazioni per secolo. 128. La proporzione tra il numero dei decessi e quello delle nascite per anno, varia da 1: 1, 10 a 1: 1, 13 termine medio (1). Fu dessa per la Fran- cia di 1: 1, 18 nel 1826, e di 1: 1, 2 dal 1817 fino al 1826. Se per esprimere la proporzione in numeri (S) Sussrailch, GocllliclUe Ordnug., t. 2, pag. 233. 303 rotondi si ammette una nascita sopra trenta uo- mini , ed un decesso sopra trentacinque, si trova annualmente per centocinquanta uomini quattro de- cessi, e cinque nascite; i decessi stanno quindi alle nascite : : 4 : 5, oppure : : 1 : 1, 25. In conseguenza la popolazione aumentasi di un centocinquantesimo per anno , ed un quindicesimo per dieci anni, e si raddoppia in cinquant'anni. Nei Paesi-Bassi si conta per anno una nascita sopra ventisette uomini, ed un decesso sopra quaranta (1) ; e nel Brasile vi è an- nualmente un decesso sopra venti nascite (2). Nelle regioni fertili, in cui le condizioni cosmico-telluriche hanno un certo grado medio di attività, e ne rag- giungono gli estremi, e che le terre sono per la pri- ma volta dissodale da uomini intraprendenti, corag- giosi ed umanitari, come generalmente sono gli emi- grati, la propagazione della specie da principio è ra- pidissima, e di mano in mano che maggiormente si estende la popolazione viene meno, e scemasi in modo proporzionale secondo che le condizioni della vita sociale ritornano nella bilancia ordinaria. CAPO IX. Cause determinanti le lìredisposizioni della mortalità. 129. Le cause della mortalità alcune sono pros- sime , altre remote ; e sì l'une e sì l'altre sono o interne o esterne. Alle prime si riferiscono la spe- (1) Quetelet, Nuove memorie dcll'accaclemia di Brusselles, t. 3, pag. 120. (2) Rie. stai, sulla città di Parigi. 304 eie, la razza, il sesso, l'età, lo sviluppo individuale, le malattie ereditarie, e le predisposizioni acquisite; alle altre, cioè all'esterne, le condizioni cosmico-tel- luriche in preternaturale modo combinatesi, il con- tagio, il miasma, ec. 130. Le cause determinanti le primordiali con- dizioni della vita sono avvolte in quel misterioso velo, che asconde in sacro ed inaccessibile luogo le cause prime di quei fenomeni visibili e calcolabili, che alternativamente si succedono gli uni agli altri. La genesi primordiale delle singole specie è stata compita dall'Ente Supremo nell'atto della creazione universale; nel mentre che o la riproduzione succes- siva delle medesime è ne' principii infusi nella crea- zione, che a quella stessa materia concretandosi pei movimenti delle antagonistiche combinazioni svilup- pano novelli individui. La causa immediata e pros- sima della discendenza o della procreazione consiste nella tendenza che ciascuno possiede di conservare e di riprodurre la formazione individuale, e mante- nere il carattere archetipo delle specie. La diversità del sesso pare che sia determinata dal predominio della potenza o femminea o maschile, che compiono l'atto chimico-vitale di procreazione; per cui s'im- prime all'essere procreato a preferenza o l'immagine dell' uno o quella dell' altro. Mentre la diversità del sesso consiste nel predominio di sviluppo di certe parti, e specialmente degli organi genitali ; in che consiste il carattere essenziale e differenziale dei sessi. 131. Le fasi della vita o i perìodi che ne di- vidono l'estensione, e la circonscrivono nello spazio 305 sono l'effetto immediato della primordiale condizione individuale, determinata dalla potenza universale della specie; per cui Tessere ingenerato deve per necessità percorrere alcune fasi e realizzare quello sviluppo che riceveva. Le predisposizioni alcune sono primi- tive congenite, altre acquisite connate; le prime, al- l'essere procreato sono trasmesse dall' essere pro- creatore, coinij il germe delle malattie ereditarie; o si determinano nella incubazione o vita intra-uterina, e sono immediato effetto del pervertimento del rap- porto antagonistico, che dispone e regola lo sviluppo materiale della vita embrionale. Nel mentre che l'acquisite o connate , che si acquistano durante la vita indipendente o estra-uterina, sono determinate da potenze chimico -organiche e dinamiche, che acci- dentalmente combinatesi disturbano lo svolgimento dell'antagonismo che si comi^je in seguito del parto, tra l'individuale e l'attività universale. 132. Le condizioni barometriche, idrometriche, termometriche ed elettrometriche dell'aria sono an- che esse l'espressione e la sensibile manifestazione del movimento periodico universale. Le straordina- rie condizioni cosmiche derivano principalmente dal clima e dalla località; cosicché in alcune regioni, in certi climi ed in alcune località la vita si svolge de- bolmente, ed in altre con la massima energia. Neali estremi, come nelle regioni prossime ai poli ai-tico ed antartico, o alla linea equatoriale, la mortalità è maggiore , e la vita è più breve ; e non si hanno casi di longevità se non nei luoghi ove le condizioni cosmico-lelluriche serbano un certo grado medio di G.A.T.CXXXL 20 306 attività, e non raggiungono al massimo di loro esten- sione. CAPO X. Modalità delle predisposizioni della morie. 133. Le cause della morte sono naturali o acci- dentali; alle prime si riferiscono le potenze chimico- organiche e dinamiche interne ed esterne, le quali determinano l'esaurimento della potenza della vita. Cosicché più essa è estesa, ed ha lati differenti, mag- gior tempo altresì le occorre per giungere al termi- ne del suo sviluppo, e più tardi la morte accade. Le altre, cioè le accidentali, sono le medesime po- tenze in preternaturale modo combinatesi , che la determinano prima che lo comporti il carattere ar- chetipo della specie. L' interne sono le predisposi- zioni chimico-organiche che guastano gli antagonismi ristretti nell'individuale organica periferia; e l'esterne le preternaturali condizioni cosmico - telluriche che disturbano gli elementi esterni dell'antagonismo in- dividuale, per cui è perturbata l'armonia tra la par- ticolare e l'attività universale. Cosicché le condizioni della morte sono di vario genere, cioè interne ed esterne, naturali ed accidentali. 134. Da ciò chiaro apparisce potersi in ge- nere stabihre la modalità delle condizioni naturali della longevità , e di quelle della brevità della vi- ta , cioè della mortalità. Ma per non riprodurre quanto abbiamo partitamente * esposto , e per non voler essere soverchiamente prolissi, noi ristringia- mo a poche cose quello che ci rimane ad esporre, e 307 stabiliamo come assioma fisico, cioè: Che le potenze chimico - organico - dinamiche interne ed esterne, che maggiormente estendono il corso della vita, sono le cause remote e prossime della longevità; e quelle che ne circoscrivono la naturale estensione sono le cause remote e le prossime della mortalità. L'essenza adun- que della modalità delle condizioni della longevità consiste nell'armonico e regolare procedimento delle potenze interne ed esterne della vita; e quella delle condizioni della mortalità nel disarmonico e preter- naturale procedimento degli elementi componenti, e delle cause determinanti* il compimento e l'esercizio dell'antagonismo individuale, in che consiste l'espres- sione di vita. Nuovo organo della scienza clinica LIBRO III. FEN0ME?<1 DELLA MOKTE. CAPO PRIMO Fenomeni prodromi della morte. 135. Nella morte naturale la direzione, secondo la quale progrediscono i suoi fenomeni, etfettuasi dalla circonferenza al centro; incomincia dalle membra, si estende ai sensi , ed invade per ultimo gli organi centrali. L'esaurimento uniforme e graduato della vita manifestasi di buon ora nella periferia, in cui risulta più debole che nel centro, ove essa stabilisce i suoi 308 fomiti. Nell'accidentale segue una opposta direzione, e dagli organi centrali viene alla periferia; nella sin- copale incomincia dal cuore, d'onde essa invade pri- mieramente il cervello e poi i polmoni; nell'asfìttica dal polmone ascende al cervello, e dal cervello di- scende al cuore; nell' apopletica incomincia dal cer- vello, d'onde essa raggiunge i polmoni ed il cuore; e nella sincopale-asfìttica-apopjetica , se pure essa può compiersi accidentalmente, da questi tre punti centrali si diffonde nelle altre parti del corpo. 136. Nei vecchi, che naturalmente moiono con- sumati dal tempo , oltre Y esaurimento equabile e graduato delle organiche attività, non presenta altro sintomo precursore che un tranquillo sopore ; e la morte sopraggiunge talvolta con coscienza eutanasia; tal'altra senza che l'individuo se ne avvegga, e du- rante il sonno. L'esaurimento uniforme può accadere anche in conseguenza di malattia; ed essere l'estin- zione graduata scorta dal malato, e da quelli che lo circondano. La morte accidentale , che sopravviene istantaneamente, e che paralizza ad un tratto le fun- zioni centrali, non è preceduta da sintomi prodromi; e nel mentre che si è liberi da qualsiasi dolorosa sensazione, ed esenti di ogni sintomo morboso , in pieno godimento delle facoltà mentali , e dediti ai propri lavori , od ai piaceri sociali, si grida ad un tratto - sono morto -o- mi affogo] e terminate queste parole la vita è spenta. Fourcroy gridò in mezzo ad un lavoro scientifico - sono morto - è l'era in fatti. (1) (1) Annali del museo, l. 17. pag. 131. 309 137. La vita non estinguendosi uniformemente^ nò istantaneamente, la morte ò inevitabilmente pre- ceduta dall'a^GJi^'a; cioè dall'antagonismo della con- valescenza ; e nel mentre , che questa riconduce la vita dalla malattia alla salute, quella dalla malattia riconduce il particolare a formare parte del generale. Noi abbiamo delineata la successione o radiazione dei fenomeni della morte per sincope, per asfissia, per apoplesia e della sincopale-asfìttica-apopletica ; ora ci rimane ad espotre il quadro complessivo del pe- riodo o anello intermedio, che congiunge la m.alattia alla morte. In questo tratto di tempo si può in qual- che guisa scorgere la influenza che talvolta esercita il carattere morale sulla maniera di esalare l'ultimo flato; e dagli stessi atti degli agonizzanti viene talora espressa la mitezza, la fierezza, la irritabilità, la gran- dezza, la religiosità dell'uomo che muore. Ma i fe- nomeni che sono stati più costantemente osservati sorto che in sestessi ritornarono certi ipocondriaci , ed i maniaci: e si è dato anco il caso , che alcuni sordi negli ultimi momenti riacquistarono l'udito. 138. Crediamo negli agonizzanti talvolta natu- ralmente possibile una tal quale predizione della ora della morte loro. Sentendo gradatamente estenuarsi le forze, non e incredibile che possano alcune volte determinare il momento, in cui esse vanno ad estin- guerli, e quindi la morte istessa. Se l'indovinano i me- dici , in paier deriva dall' acquistata abitudine di valutare la durata della vita dei malati; e dall'osser- vazione fatta da essi, e da altri, che i decessi avven- gono più di frequente in certi momenti del giorno. Altri possono predirla calcolando la quantità della 310 forza vitale sfuggevole ; e lo stesso alterarsi della immaginazione può far si che la morte avvenga a certa ora piuttosto che ad un'altra; e l'attività or- ganica riflettendosi agisce sull'organismo come potenza dinamica. 139. Tal volta l'uomo muore istantaneamente, e non esiste agonia; meno che per essa non vogliasi intendere i movimenti automatici e le contrazioni spasmodiche, effetto immediato del mutamento istan- taneo e repentino; tal altra essa è brevissima e ap- pena sensibile; ed in certi altri casi lunga e penosa. Nei muscoli della faccia, e principalmente nei sottopo- sti alla volontà, si scorgono, a preferenza che in altre parti, i tratti caratteristici dell'agonia. La recettività per le cose esterne scemasi, la parola diviene difficile ed in intelligibile; e l'uomo perde la conoscenza e divie- ne a poco a poco insensibile. Gli organi respiratori ri- tengono a preferenza di altri un residuo di sfuggevole vitalità. Il torace dilatasi e difficilmente restringesi, e l'accumulate mucosità, e l'inerzia dei muscoli ren- dono la respirazione difficile, interrotta e stertorosa. I solidi non più si declutiscono, ed i fluidi, che dif- fìcilmente si passone, determinano lungo 1' esofogo un sensibile gorgolio. Gli arti, e la mascella inferiore automaticamente si muovono ; si contraggono spa- smodicamente i muscoli esterni dell'occhio, e la pal- pebra superiore ora è sollevata, ora abbassata, ed il più spesso si rimane succhiusa; il globo oculare ri- mane fisso, e la pupilla si rivolge verso la parte in- terna e superiore. Il polso diviene celere , debole , piccolo , irregolare ed intermittente; ora manca ed 311 ora si ristabilisce; e di mano in mano che l'agonia si avanza, dalla periferia si ritira verso il centro (I). La pelle si raffredda, ed emana di frequente da essa un sudore vischioso; la faccia impallidisce e diviene terrea; sformansi i lineamenti facciali, gli occhi in- cavansi, le ossa zigomatiche protuberano maggiormen- te, e quelle delle tempia si infossano, ed il naso diviene freddo ed affilato , e le sue ale rientrano alquanto. Lunghi intervalli separano delle ispirazioni repentine, e seguite da lunghe espirazioni, ciascuna delle quali sembra essere l'ultima; finalmente un'ispirazione più penosa di qualunque altra è proseguita da lunga e finale espirazione. I fenomeni maggiormente visibili e calcolabili dell'agonia sono l'oppressione, l'ansietà, e gli spasmi. CAPO IL Cause determinanti V agonia. 140. La convalescenza è il periodo che ripristina le antiche e le naturali abitudini ; nel mentre che il suo antagonismo , cioè 1' agonia , predispone gli elementi componenti la modalità individuale a sol- (1) Dalle esperienze negli animali, fatte da Kaltenbrunner, rilevasi, che negli agonizzanti la colonna del sangue assottigliasi a poco a poco nelle arterie, sicché queste non sono più ripiene che per metà, che le pareti delle medesime avvizzisconsi; e che inseguito la circolazione nei ramoscelli arteriosi diviene reaiittenle, in corrispondenza dei battiti del cuore, dopo di che diviene irregolare ed intermittente. Le ar- terie compiutamente votansi e non si scorge più verun segno della vita, ed il sangue fluttua ancora nelle vene, e finalmente si arresta compiutamente. 3i2 topoi'sl immediatamente alla forza di gravitazione miiversale; onde essi abbiano a ritornare a formare parte del gran tutto. La causa prossima di quelle consiste nell'inerzia organica, cioè nella naturale ten- denza o nello sforzo che le potenze organiche, non guaste, fanno per ricondurre la vita allo stato abituale; di questa nel generale colasse, e nel predominio delle potenze o particelle organiche non più idonee a man- tenere gli antagonismi ; per cui non possono più svolgersi né completamente, né legolarmente gli atti peculiari di vita ; senza che la vita sia all' istante annientata: come, per esempio, negli uomini colti da ferita al cuore, ed in quelli che scorgono il proprio sangue versarsi dall'apertura di un grosso tronco ar- terioso, o che sono percossi istantaneamente dal ful- mine, 0 da altre cause, che paralizzano ad un tratto le funzioni centrali; né che la vita regolarmente rag- giunga il suo fine, come neW eutanasia, o che la morte sopravvenga durante il sonno. Accade adunque l'agonia, quando la vita non si estingue né uniformemente , né subitamente. 141. Le cause prossime dell'agonia sono le chi- mico-organiche lesioni, che non comportano il pro- seguimento degli atti essenziali di vita, come la re- spirazione, la circolazione e l'attività sensoriale; ma che istantaneamente non li colpiscono, e che per rag- giungere allo scopo esigono un qualche tempo; per cui la malattìa etiopatica agisce lentamente, ed il pro- cesso idiopatico percorre regolarmente le fasi. Le cause remote sono le potenze preternaturali che agi- scono intempestivamente nella modalità individuale, e determinano condizioni morbose e lesioni organiche, 313 lo quali jnevitiibllmente estinguono la vita ; ina ohe la loro azione non risulta uniforme, e che istantanea- mente non raggiungono lo scopo. CAPO III. Modalità deir agonia 142. Lo sthaliano ed il cartesiano, che nell'eco- nomia della vita animale stabiliscono 1' immediata dipendenza degli atti organici dall'ente increato ed eterno, in sequela dell'inammissibile loro sistema in- torno al modo di spiegare il commercio dell'anima col corpo, fanno consistere l'agonìa nel distacco della potenza i})erfìsica dall'organismo; o nella lotta, che si compie tra la forza spirituale e la materiale, per cui l'una si separa dall'altra. Il patologo scozzese ed i riformatori della dicotomia browniana, che ripon- gono l'essenza della vita nell'eccitabilità, l'esercizio nell'eccitame^ito , la causa nello stimolo , e l'estin- zione naturale nell'esaurimento graduato dell'eccita- bilità, considerano il fenomeno dell'agonia come ul- time emanazioni o evaporazioni della proprietà, in cui essi ripongono l'essenza della vita. Infine la scuola halleriana stabilisce una certa analogia tra l'agonia, che comporta l'uomo che muore , e le minime vi- brazioni del pendolo, le quali si interpongono tra le grandi oscillazioni e l'assoluto riposo. 143. Gli ultimi momenti della vita , che non si estingue nò uniformemente, ne istantaneamente, pare che siano il periodo in cui si è determinato l'asso- luto predominio delle potenze disorganizzanti sulle 314 organizzanti; per cui la modalità individuale si di- spone a sottoporsi interamente alla forza di gravi- tazione universale. Siccome la convalescenza, che si stabilisce dileguata che sia qualsiasi condizione mor- bosa, riconduce la vita alle consuete e naturali abi- tudini; così l'agonia, ch'è il suo antagonismo, pre- dispone l'organica composizione a comportare il pro- cesso di putrefazione; e riconduce il particolare nel generale. L' agonia è adunque 1' antagonismo della convalescenza, come la salute e la vita sono gli an- tagonismi della malattia e della morte; cosicché il principio e la fine, e le fasi naturali e preternatu- rali della vita non sono che potenze antagonistiche. Terminata l'agonia, il cadavere comporta una serie di successive trasformazioni o chimico-organici permu- tamenti, che si possono riportare a tre periodi, aventi per caratteri, il primo il rammollimento, il secondo la solidificazione, e l'ultimo la risoluzione. CAPO IV. Fasi della morte 144. L' agonia termina colla totale sospensione dell'esercizio degli antagonismi ristretti nell'organica periferia ; per cui il tessuto muscolare del cuore e delle arterie non più sì contrae né alternativamente si rilassa; ed il processo chimico-vitale del polmone non più si compie nell' uomo morto, ed in esso si sospendono i movimenti meccanici del respiro; e l'en- cefalo non più reagisce all'impressione delle potenze 315 esterne, e manca la siibbiettìvità sensoriale (1). Vie- ne meno la turgescenza vitale, nò si compie la con- trazione e la diminuzione del volume, né l'alterna- tivo rilassamento delle parti molli. Le tempie e le guance avvizzisconsi, gli occhi incavansi, ed il globo oculare deformasi. La pelle ed il tessuto cellulare perdono la naturale elasticità, i visceii rammolliscon- si, ed i muscoli maggiormente si rilassano. 145. Nel cadavere la subbiettività sensoriale è surrogata dalla passività meccanica; e le parti infe- riori si modellano sulla superficie del corpo, che le sopporta. I visceri discendono nelle parti declivi, il ventre si abbassa, e maggiormente si distende, e gli sfinteri, a motivo del rilassamento universale, per- dono la naturale contrattilità. Il sangue sì ritira dai vasi capillari, principalmente da quelli della super- ficie esterna, e la pelle diviene pallida, giallastra e terriccia; perdono le mucose il vermiglio colore , si dileguano le congestioni, ed impallidisconsi le super- ficie suppuranti. Il sangue dai vasi capillari passa nelle vene; ed in virtù della propria liquidità e del proprio peso si precipita verso le parti maggiormente declivi; e ripassa dalle grosse vene alle piccole , e nei capillari dei punti i più declivi della pelle. Co- sicché si formano macchie livide nella superficie ester- na del corpo: e spesso si piglia per congestione mor- ii) La morte non si compie nel medesimo tempo in tutti i punti organici ; e si estende e si diffonde rapidamente da un punto nelle altre parti del corpo. E la vita essendosi spenta negli organi cen- trali; può esistere una vita parziale, la quale si manifesta mediante particolari fenomeni; così dopo la morte si compie, talora, in parto dalla forza vitale della matrice. 316 l)osa la livellazione del sangue, determinata diilla col- locazione dello stesso cadavere. 14-6. Le prime parti a raffreddarsi sono quelle, che si allontanano maggiormente dal centro, e che occupano la superfìcie del corpo a preferenza delle altre; così il freddo cadaverico dalle mani passa ai piedi, dai piedi alle labhra, dalle labbra al naso, dal naso alle spalle, dalle spalle ai ginocchi, dai ginoc- chi alle anguinaglie dalle anguinaglie alle ascelle , dalle ascelle alla nuca, dalla nuca al torace e dal torace alle regioni situate immediatamente sopra e sotto al diaframma. Ed il cadavere, come cattivo con- duttore del calorico, si raffredda lentamente, e non raggiunge la temperatura dell'ambiente che lo cir- conda che quindici o venti ore dopo la morte. 147. I solidi rammolliti e rilassati comportano una più facile permeabilità; così la materia colorante della bile attraversa le membrane della cistifella e si sparge nel tessuto cellulare. Il sangue, lo sperma, l'orina e le materie alvine attraversano le mucose , e comunicano il loro odore e colore agli organi vi- cini. La volatilizzazione o decomposizione dei fluidi, foriera dell' organica disgregazione, si estende mag- giormente se l'aria è secca e calda; e cresce natu- i-almente di m.ano in mano che si allontana 1' ora della morte. L'odore di sostanza animale fresca viene surrogato dall'odore cadaverico specifico.! solidi si ina- ridiscono, e si addensano i liquidi; per cui i denti e la congiuntiva oculare copronsi di mucco vischio- so, ed il sangue ispessito rappi'esenta una massa rag- grumata di color rosso traente al nero. 148. Il rammollimento viene surrogato dalla ri- 317 gidczza cadaverica; e di mano in mano che quello si ritira, questa maggiormente si estende. Le carti- lagini assumono una singolare rigidezza, la pelle in- duriscesi, il tessuto cellulare ed i legamenti si irri- gidiscono, i vasi ristringonsi, ed i tessuti si contrag- gono maggiormente. Il grasso ed il sangue perdono lo stato liquido condensandosi; e la fdjrina separa- tasi dal cruore e dal siero ingenera, spesso nel cuore sinistro, nell' aorta, e nelle arterie polmonari, certe concrezioni bianche o gialle, cui potrebhonsi prendere per polipi. 149. La rigidezza cadaverica incomincia dalla mascella inferiore, quindi passa al tronco, poi rag- giunge le membra superiori, finalmente s'impossessa degli arti inferiori. Si incurvano le dita, ed il pol- lice rovesciasi verso la radice del dito minimo; ac- cade altresì all'antibraccio di piegarsi e di riascen- dere alquanto; e resasi generale, fa sì che il corpo diventi più lungo di quanto lo era al momento della morte ; e le membra irrigidite comportano più fa- cilmente la flessione che Testensione. Più tardi com- parisce, più risulta durevole e persistente; e più pre- sto si manifesta, più facilmente si dilegua; e tanto nel primo che nell' altro caso vien meno, serbando lo stesso ordine, cui tenne allorché comparve. Risulta maggiore negli individui muscolosi, e dopo gli spa- smi tonici, e la febbre infiammatoria; e minore nei venosi, e dopo le febbri putride, lo scorbuto ed in quelli colpiti da fulmine. 150. La dissoluzione del cadavere mediante la putrefazione, putrescenza, corruzione, corrompimento, deve il suo nome da ciò, che fra i nuovi prodotti. 318 a cui dà origine, si rinvengono parecchie emanazioni di fetore più o meno grande. Lo sviluppo dei gas di putrido odore , che svolgonsi principalmente dal sangue, dalla sierosità, dal tessuto cellulare e dal chilo contenuto nel canale intestinale, qualora non ahbiano libera sortita, si infiltrano nei tessuti, e distendono gli organi cavi. Le parti , di cui la tumefazione prima si impossessa per quindi raggiungere le altre, sono quelle che contengono più tessuto cellulare ; quelle altresì ove la decomposizione fa maggiori progressi. Di mano in mano, che questa si distende, quelli si diffondono, e rinvengonsi infine in tutte le cavità, e nel tessuto del cuore, della milza, del fegato e simili. Determinasi in fine un enfisema generale, e diminui- sce la gravità specifica del cadavere. I gas sono re- spinti da basso in alto dai liquidi; ed ove quelli non abbiano libera sortita, comprimono questi, e princi- palmente il sangue, che lo ricalcano dai tronchi ve- nosi in certi organi ove determinano apparenti con- gestioni. La faccia, come osservava Orfila , diviene rossa, e la pupilla si ristringe. Un liquido spumoso viene cacciato dai polmoni e dallo stomaco, il quale esce per la bocca e per le narici; la cistifella versa la bile, che contiene nell'intestino; ed il feto , tal- volta, è espulso dalla forza contrattile della matri- ce. Il sangue trasuda dalle pareti maggiormente per- meabili; i muscoli sfinterici si rilassano, e diventano umidi e friabili a preferenza di altri; sicché la bocca e l'ano si dilitano, le labbra si rovesciano all'interno, ed i lineamenti facciali avvizzisconsi maggiormente. Le articolazioni riacquistano la flessibilità, la pelle perde la naturale contrattilità, l'epidermide si ram- 319 mollis ce ed il grasso diviene untuoso. Il cuore np- passiscesi, il cervello, il fegato e la milza notabil- mente rammoUisconsi; ed i reni sono gli organi, che più alla lunga degli altri si conservano. La pelle, considerata in generale, diviene di colore bianco - sporco, ed appariscono in essa alcune macchie verdi dapprima nel ventre, poi sul collo e nel viso, e da ultimo sulle membra. Il sangue diviene neraslro, la sierosità torbida, giallastra e fioccosa; il cervello o verde-grigiastro o grigio-rossiccio; i polmoni rosso- giallastri con macchie bianche; l'intestino rosso-bru- no; il fegato 0 bruno-giallo o rosso o nero ; i reni rosso-brunastri; i muscoli bruno-rossicci ec. Lo svi- luppo dei gas e lo scolo dei Hquidi sanguinolenti diminuiscono notabilmente il volume ed il peso del cadavere. 151. I solidi si imbevono di una sierosità diver- samente colorata, si rammolliscono ed assumono un aspetto pultraceo. E le larve di insetti, schiusesi sotto l'epidermide, si cacciano nelle parti molli, e contri- buiscono colla loro voracità ai progressi della di- struzione. I soHdi si distaccano al minimo sforzo; le cavità si aprono e lasciano sortire materie pultra- cee. Le pareti delle cavità, che lacerandosi lasciarono sfuggire i liquidi che contenevano , ed i solidi che fin da principio perdettero l'umidità, in seguito di esalazioni di putridi vapori incominciano ad avviz- zirsi e a diseccarsi; ed il cadavere perde molto del proprio peso. 152. I solidi, di già deformati dai fori e dai canali degl'insetti, nel diseccarsi e nell'avvizzirsi per- dono maggiormente la propria forma e si confon- 320 dono gli uni cogli altri. In seguito alcuni di questi insetti muoiono, altri cangiansi in crisalide, e certi altri abbandonano il cadavere e si metamorfizzano altrove; ed infine i parasiti animali vengono surro- gati dai vegetabili funghi licheni. Nelle ossa la ma- teria animale è da principio distrutta e volatilizzata dall'azione riunita dell'aria e dell'acqua; dipoi lo stes- so acido fosforico viene in parte tolto e decompo- sto; e le ossa diventano friabili e rìduconsi in pol- vere. Insensibilmente i solidi si risolvono, attesi i pro- gressi continui e graduati della decomposizione , e della evaporazione; e di essi non rimane altro che una massa bruno-carica, consistente in carbone mesco- lato con terra e sali ; dalla quale separandosi dipoi il carbone, non rimane altro che la terra, ed i sali, sotto forma di cenere simile a quella che risulta dalla comune combustione. Le trasformazioni , che com- porta l'uomo dopo la morte , consistono nel ram- mollimento, nella solidificazione o rigidezza cadave- rica , e nella risoluzione o putrida decomposizione. Il primo grado della putrefazione ò caratterizzato dallo svolgimento di pochi gas putridi , e da lievi mutamenti di consistenza, di odore e di colore; l'al- tro dalla generale putrefazione in mezzo ad uno svi- luppo considerevole di vapori ammoniacali , che in seguito diventano di un odore putrido puro ; l'ulti- mo da una lenta ed uniforme trasformazione , ch'è una specie di carbonizzazione , durante la quale si sviluppano soltanto pochi gas d'un odore di muffa o di cangrena. 321 CAPO V. {Imise determinanti le fasi della morte. 153. La causa essenziale della putrefazione è l'esaurimento della vita; per cui gli antagonismi ven- gono meno e si determina il rammollimento, la rigidez- za, e la putrida decomposizione. La fibra si rilassa, ed i fluidi si condensano maggiormente; e nella modalità individuale incomincia a fenomenizzarsi il secondo momento del movimento ritmico universale. 11 primo fenomeno appariscente e sensibile della morte è il rammollimento universale, il quale , scorse sedici o diciotto ore , viene surrogato dalla rigidezza cada- verica; che giunge a tal grado d'intensità da rendere quasi impossibile la flessione delle membra; persiste per trenta a quaranta ore, dipoi scema a poco a poco, e gradatamente si dilegua a capo a sei o sette giorni. Nysten (1) vedeva irrigidirsi il cadavere esauritosi il calore vitale, e che la rigidezza durava meno in aria umida e calda, che in aria fredda e secca ; ed in seguito della oblazione del cervello e della midolla spinale, V osservava Busch (2) accadere più presto, giungere a più alto grado e durare maggior tempo. Opinione contraddetta da Nysten, che la riguarda come effetto spasmodico della forza muscolare (3). Rudol- phi (4) la crede effetto immediato di un lavoro chimico, (1) Rie. di fisiologia, e di cliimica patologica p. 394. (2( Experimenla quaednin de morte p. 36. (3) Ricerche di fisiologia e di chimica patologica p. 391- (4) Dix. di med. tom. 4 p. 12. G.A.T.CXXXL 21 322 che si stabilisce in seguito (lell'inteiTuzìone dell'influenza nervosa; ed Orfila (1) la fa dipendere interamente dal raffreddamento e dalla coagulazione dei fluidi. G, P. Franck (2) la reputa eff'etto immediato o del coagulo defl'olio 0 grasso animale della sinovia articolare, il quale avviene per difetto di calore, o di una contra- zione sjìasmodica di certi muscoli che continua anche dopo la morte. Nella rigidezza cadaverica noi vi scor- giamo l'ultima manifestazione della forza muscolare, sottratta alla dominazione della sensibilità centrale. Scioltosi l'antagonismo individuale, le singole parti della macchina animale cercano d'isolarsi e di stabilire la propria indipendenza; e giustamente viene paragonata da Sommer alla coagulazione del sangue. 154. Le condizioni indispensabili delle trasforma- zioni, che comporta il corpo umano dopo la morte, sono l'esaurimento della vita, l'umidità, il calore ed il contatto dell' aria. Si compiono lentamente nell'acqua; ed il ca<^fevere estratto da essa, e messo ai contatto dell'aria, la putrefazione progredisce con raddoppiamento di forza. Gay-Lussac conservava la carne per mesi, te- nendola sotto una campana, in cui eravi cloruro di calce. La temperatura di 15 a 50 gradi, del T. di R. è la condizione termometrica la più favorevole ; ed essa non si compie al di sopra del 50 grado, né al di sotto del zero; e gli animali, che trovansi di mezzo agli eterni ghiacci, vi resistono incorrotti per migliaia di anni. Dalle esperienze di Guy ton-Morveau, diBoeckmann j (1) GriinJris der physiologie l. I p. 217. '' (2) Sblema completo di polizia medica voi: 9 pag 25,7-, ,, ( 1 323 e di Hildenbrand risulta essere sollecita nel gas os- sigeno; e lenta nel gas idrogeno, nel gas azoto, nel gas acido carbonico etc. G. Davy la crede più attiva secondochè la sostanza, che deve comportarla, è mag- giormente a conlatto dell'aria; essere così rapidissima alla grande aria e sotto Tinfluenza dell'azione risol- vente della luce. 155. La putrefazione è rapida negli individui suc- culenti, ne' quali durante la vita fu tendenza alla decomposizione; e che furono sottoposti ai processi dissolutivi, come allo scorbuto, alla febbre putrida, all'azione di certi veleni ed al fulmine. Risulta egual- mente rapida in quelli attaccati da morbi acuti , e che morirono istantaneamente, come negli apopletici, negli asfìtici e nei sincopatici; e negli organi in cui accadde una eccitazione morbosa, come congestione, infiammazione, suppurazione e simili. Anche gli organi in particolare hanno speciale predisposizione alla pu- trefazione , così si manifesta prima in quelli della digestione e del senso, dipoi essa accade nei muscoli, che in virtù del sangue, cui contengono, sembrano es- serne la sede di predilezione; sopraggiunge più tardi nella pelle e nei polmoni, più tardi ancora nelle mem- brane fibrose e nelle arterie. Infine la distruzione del cadavere viene accelerata dai parasiti animali € vegetabili, che trovano in esso il proprio nutrimento. Indica Guntz (1) i seguenti animali, come quelli che divorano il cadavere umano; fra gli anelidi, hirudo; fra i molluschi, « paludina, lymnaeus, helix, limax; » fra i ditteri, musca (vomitoria, caesarea, domestica; (1) Der Leìchnam tlts Mensdien, p. 10. su ì) carnaria, furcata), scatophaga, Ihyreophora; tra gli )) imenatteri, vespa; fra i neuratteri, termes; fra gli » ortotteri, forficula; fra i coleotteri , hydrophilus , » anthrenus, dermestes, hister, necrophorus, silvia , » ptinus , oxyporus, lathrobium, poederus , stenus , » oxytelus, tachynus, aleochara, colymbetes, hydra- » chna, hydroporus, noturus,haliplus, carites,harpalus, » amura; fra gli atteri, acarus, tronibidium , iulus, » lepisma; fra i crostacei, portunus, podophthalmus, )) matura, orithya, career, astacus, gammarus,pagurus, » oniscus; quasi i pesci, ma specialmente usprines, » muroena, esox, squalus; tra gli uccelli, vultur, sar- )) coramphus, cathartes, corvus; fra i mammiferi, sus, )) ursus (marinus), gulo , lutra, viverra, herpestes , » phoca, » ed in generale la maggior parte dei car- nivori. 156. La causa immediata o prossima delle tra- sformazioni, che comporta il cadavere consiste nella nuova modalità ingeneratasi in seguito dell'esaurimento della vita. Il rammollimento , come primo permu- tamento cadaverico, è l'effetto immediato della riso- luzione dei poteri antagonistici della vita , per cui nasce il generale rilassamento, il ristagno ed il coagulo dei liquidi. E sospesi, che siansi i movimenti di espan- sione e di alternativa contrazione dei solidi, i liquidi stagnanti comportano essenziali permutamenti. Il le- game, che forma l'unità delle parti dell' organismo, essendosi spazzato, ognuna di esse tende ad isolarsi, individualizzarsi maggiormente, e stabilire la propria indipendenza mediante la solidificazione o rigidezza cadaverica. In seguito, accrescendosi la tendenza alla individualizzazione, si stabilisce tra gli elementi or- 325 gallici un conflitto, che si esprime mediante peculiari movimenti; ed il corpo si scompone sotto l'influenza dell'aria, dell'acqua e del calore. Cosicché la causa immediata o prossima della morte o naturale p ac- cidentale è la causa determinante la condizione pri- mordiale ed essenziale dei mutamenti, che comporta l'uomo morto; e l'umidità, il contatto dell'aria e la media temperatura sono le cause determinanti gli scomponimenti, che si compiono nel cadavere. CAPO VI. Modalità delle fasi della morte. 157. Il movimento universale attinge in sé stesso la ragione delle determinazioni, che riuniscono le dif- ferenti forze della natura mediante la legge, ricevuta nella creazione di afiìnità, o attrazione, e di ripul- sione , in guisa che fanno passare i corpi dalle une ad altre forme di esistenza, dal che risulta un tutto armonico universale, il quale procede senza visibili permutamenti, e solo i corpi individui si risolvono, e successivamente si riproducono in altre diverse forme. 158. La genesi è la produzione di un antagoni- smo, la vita l'esercizio, e la morte il suo disciogli- mento; cioè la risoluzione dell'unità, che durante la vita riunisce le attività, e le differenti parti organi- che. Che non essendo più dominate dalla sensibilità centrale, assumono il carattere di cose elementari e comuni; e come tali si riuniscono al tutto della na- tura. E adunque la morte la vittoria che ottiene la 320 generale attività sulla vita particolare. Ipiincipii mediati del corpo organico rientrano, sotto forma di aria, di acqua e di terra ec, nel gran tutto della natura; la quale perennemente e senza interruzione sommini- stra i materiali alla generazione di altri antagonismi. Nella guisa stessa, che un'onda scorre dietro un'al- tra, così le modalità individuali e le generazioni si sospingono del continuo; ma la vita della specie è sempre in atto nella vita dei vari individui. 159. Rimane, in seguito a quello che abbiamo esposto, a chiarirsi la modalità del corso della mor- te; cioè lo svolgimento o la naturale successione dei fenomeni, che si compiono nel cadavere. Imperoc- ché ad un tratto non si esce, né si rientra nel seno del tutto universale. L'uomo, in seguito della na- scita, deve percorrere due grandi periodi, cioè quello di propulsione, ed il suo antagonismo, che è quello di retrogradazione, per compiere e realizzare il fine archetipo della specie. Esauritasi l'idea della vita, l'uomo naturalmente muore; ed il cadavere subisce una serie di mutamenti o chimico-organiche trasfor- mazioni; e gli elementi componenti, non essendo più dominati dall'attività centrale, assumono lentamente il carattere di cose elementari; e come tali si riu- niscono al gran tutto della natura. 160. La causa immediata o prossima della for- mazione del nuovo prodotto, ingeneratosi nell'atto dell'accoppiamento fecondo, consiste nella modalità individuale; e la remota, prima nell'organismo fem- tnineo, e dopo il parto nell' attività universale. E quella delle fasi che percorre l'uomo morto , per cui gli elementi componenti ritornano gradatamente 327 a formai' parte del gran tutto, consiste nella nuova modalità individuale determinatasi in seguito dell'e- saurimento della vita; e la remota, nelle potenze di- solventi esterne; nel novero delle quali si apparten- gono, come condizioni indispensabili della putrida de- composizione, l'acqua, l'aria ed il calorico. 161. La modalità delle fasi della morte consiste nei mutamenti o nelle chimico-organiche trasforma- zioni, che si compiono nel cadavere; per cui gli ele- menti componenti gli antagonismi ristretti nell'or- ganica periferia, non essendo più dominati dalla sen- sibilità centrale, assumono la natura di cose elemen- tari, e tornano a formare parte del gran tutto. Ecco completa l'idea della morte. [Sarà continuato). 328 Intorno nlVunilà nelle belle lettere. AW esimio signor conte Francesco Salina, Gaetano Gibelli. Jjlla desidera , o signor conte , che io metta in iscrittura quelle poche cose, che ieri le venni dicendo intorno alla unità in quanto è principale norma alla bellezza letteraria; ed io, senza stare su i convenevoli, di subito pongo mano ad adempiere il suo desiderio; e voglio che sappia che mi chiamerò per contento se all'effetto, che lietissimo ottennero le mie parole, corrisponderà quello di questa mia lettera (1). Egli è evidente che ogni essere, comechè com- posto, considerato nel suo concreto è necessariamente uno; è evidente che ogni essere, appunto perchè uno, è necessariamente ordinato ad un sol fine ; è pure evidente che nel fine dell'essere dimora il fine ultimo di tutte per singulo le parti, di che l'essere è com- posto. Premessi questi filosofici principii, ella subito intende che ogni trattato scientifico , ogni discorso oratorio, ogni componimento poetico, in breve, ogni opera letteraria deve, secondo sua natura e qualità, comprendere una serie di pensieri strettamente legati r uno all' altro in unità di fine , il che viene a dire dev'essere una; imperciocché quando più cose sono a modo di tante linee tendenti tutte ad un sol centro, elle si hanno a considerare come una sola, secondo (1) Sopra il medesimo argomento V. lettera di Gaetano Gibelli al nobile giovinetto Pietro Ranuzzi. 1845. 329 quella celebre sentenza aristotelica: Ubi est unum pro- pter alhid, ibi est tantum unum. Onde, per allo di esempio, il titolo , che porta in fronte un'opera letteraria, dee accuratamente si- gnificare il fine ultimo e generale della medesima ; e a questo conviene che concordevolmente mirino tutte le parli dell' opera, siccome quelle che fanno l'officio di mezzi. I litoli de'capitoli (o delle divisioni ai capitoli equivalenti) de'quali l'opera si compone, hanno a circoscrivere i fini prossimi e peculiari, ai quali mirano i capitoli medesimi; questi fini prossimi e peculiari, tutti considerati ad uno ad uno debbono essere subordinati al fine ultimo e generale, e tutti considerati uno rispetto all'altro debbono essere fra sé coordinati. I ragionamenti, di che si compone ogni capitolo, vogliono essere di tale natura e siffattamente collegati l'uno all'altro, che conseguiscano felicemente il fine a cui sono immediatamente ordinati, cioè a dire il fine posto ad ogni capitolo. Le proposizioni, di che si compone ogni ragionamento sì per la loro natura, sì per la loro forma, sì pel loro collegamento, debbono perfettamente servire alla unità sintetica del ragionamento. Le parole, di che si compone ogni proposizione, debbono esser tali per la loro qualità e collocazione che facciano evidentemente manifesta l'unità sintetica del giudizio, di che la proposizione è segno. In somma, un'opera letteraria deve e nelle parole e nelle proposizioni, e nei ragionamenti e nei capitoli e in ogni sua parte contenere una serie di mezzi r uno all' altro subordinati tendenti tutti alla unità del fine dell'opera medesima; e tanto pili per- fetta dovrà reputarsi 1' opera, quanto maggiore sarà 330 la virtù unitiva fra le parti verso di sé, e fra le partì e il tutto; il che riesce a dire, quanto più i mezzi si unificheranno nel fine. Mal posso tener le risa quando m'avvengo in al- cuni saputelli, i quali, parlando della legge della unità, fanno chiaro vedere ch'essi hanno per autore di sif- fatta legge Aristotile. Oh poveri d'argomento e di con- siglio ! Non da Aristotile, non da Cicerone , non da Orazio, non da Quintiliano, ma sì dalla natura viene l'autorità, ond'è veneranda siffatta legge. I soprac- cennati sapienti , e gli altri (massime i pittagorici) che innanzi ad essi ne favellarono , non ne furono creatori, ma promulgatori; questa legge di estetica non è da annoverarsi fra le arbitrarie, ma sì fra le naturali ; non è da porre fra le accidentali , ma si fra le essenziali; non è particolare né ristretta a tem- po o a luogo, ma universale, eterna, immensa ; di essa è segnata l'anima nostra; essa è impressa nelle tante e sì diverse cose, ond'è bello e maraviglioso il mondo ; di essa anzi fa chiarissima fede questo mirabile magistero, che con ben accomodato voca- bolo universo si appella. La legge della unità secondo l'avviso dei filosofi , e secondo il gravissimo senno de'santi padri e dottori, è la norma suprema non che della bellezza , ma della verità e della bontà; anzi, se diam fede a Boezio , ella è come il costitutivo dell'essere: Ciascuna cosa tanto ha l'essere^ quanto ella è una: e per detto d'un sapiente teologo: Tanto piti perfetto è Vente quanto piìi propriamente è uno. Ora, se mal non mi appongo, mi resta a toccare qualche cosa della legge dell'unità rispetto al decoro. Senza il decoro ogni sublime concetto riesce ridevole 331 e puerile, ogni bellezza torna in del'ormità, ogni ele- ganza in istucchevole affettazione : appunto perchè chi non si attiene a legge di decoro , è forza che trapassi la norma suprema della bellezza, voglio dire l'unità. E perchè mai, a cagione di esempio, il prin- cipe dee parlare da principe, il servo da servo , il cittadino da cittadino? Perchè altrimenti facendosi, il parlare non si accorderebbe alla condizione di chi favella , e perciò non vi sarebbe quella unità , che alla natura della cosa si conviene. La bellezza (dice il Casa) è imo, la bruttezza è molti. Perchè lo stile deve quando levarsi sublime, quando umile dechinare, e talora tenere una cotale via di mezzo fra l'alto e il basso? Perchè altrimenti facendosi, lo stile sarebbe una cosa, e il subbietto un'altra; perciò la legge della unità impone che lo scrittore adoperi quello stile , che latinamente chiamasi altitudine, siccome quello che, conformandosi in tutto al subbietto, adegua la qualità della materia, l'intendimento dello scrittore, e ogni altra circostanza. Perchè qui e non altrove torna bene quella cotale armonia di periodo ? Perchè qui e non altrove ella consuona al concetto e ne aiuta ed avviva il comprendimento e 1' efficacia ; e siccome (secondochè ho toccato di sopra) tanto più perfetta è una cosa, quanto nell'essere suo è più pro- priamente una; così efficacissimo e perfetto sarà il nostro dire, quando sì la significazione, sì l'armonia delle parole si accorderanno a formare la medesima idea, e a risvegliare il medesimo affetto. Perchè quel- r episodio fa molta prova in questo e non in quel luogo? Uno degli offici dell'episodio si è d'impedire con breve trasviamento la noia, che si genererebbe 332 dal tenere troppo a lungo quella diritta via che con- duce al termine dasiderato; perciò quella digressione sta bene in questo luogo, ove la continuazione dei discorsi intorno ad un medesimo subbietto potrebbe di leggieri infastidire il lettore; non istà bene altrove, perchè altrove sarebbe non un aiuto, ma un disaiuto al conseguimento del fine. Ora se l'episodio leva via un impedimento al fine , chi non vede eh' è serve , comechè in modo negativo, al fine, e a lui efficace- mente giova? E' mi ricorda che ponendo io fine al mio dire, ella, o signor conte, con quella gentilezza che è da lei , mi domandò del mio parere intorno al lungo episodio che è nel romanzo dei Promessi sposi; io le riferii il giudizio di monsignor Farini, e le promisi che le avrei trascritta quella parte di lettera, nella quale 1' egregio monsignore nel 1828 al conte Ro- berti fece aperta la propria opinione intorno il so- praccennato romanzo; ora ecco le parole del Farini: — Rispetto al romanzo del Manzoni le dirò breve- mente il mio parere. Le somme lodi, che gli si dan- no, non le merita tutte. Ci sono dei caratteri alta- mente lodevoli, alcuni no; quello poi della monaca fatta per forza perviene a termini, che non dovreb- be; perviene a quel deforme, dal quale l'animo vo- lentieri si rivolge. Qualche volta vi ha un poco d'in- verisimile ; vi ha qualche episodio , che per la sua importanza e lunghezza occupa nella mente del let- tore il luogo principale, tanto che ornai più non si ricorda, o poco desidera di sapere degli sposi pro- messi. Tutte poi le cose, siano principali o acces- sorie, siano grandi, mezzane, piccole, minime, tutte 333 vi sono colorite e rilevate di un modo; d'onde av- viene che l'immaginazione del lettore si stanchi , e il giudizio s'infastidisca. Mi spiace ancora, che il per- sonaggio ridicolo del romanzo sia il curato. — Oh quanto tenero del decoro , quanto osservante della legge della unità, quanto classico scrittore era l'e- gregio monsignor Farini ! Le cose, o signor conte, le quali io sono venuto mettendo in iscrittura, sono sì rispetto alla materia, sì rispetto all'ordine, pienamente conformi a quelle che le significai a bocca ; di che mi rallegro della speranza di avere adempito il suo desiderio, ch'era appunto di avere in iscritto quello eh' ebbe da me in voce. Ma non piìi; ella, se la preghiera mia non è superba, mi voglia sempre tutto il suo bene, ed io sarò sempre tutto suo. Discorso recitato in Roma all'accademia della SSma Concezione dal P. Giovanni Ferrane della compa- fpiia di Gesìi. Eminentissimi principi. Valorosi accademici. Uditori umanissimi. /\l nome di Maria immacolata tutto mi si mette in dolce agitazione il cuore ; è questo nome la scin- tilla elettrica, che scuote di un tratto le fibre del- l'interno mio; che mi desta nell'animo un sentimento vivacissimo alla sola rimembranza dell' immacolato concepimento della gran Donna ammirazione de'se- 334 coli. 11 sentimento che provo soavissimo in trattar di sì eccelso mistero davanti a voi , valorosi acca- demici, è quel solo che piegommi a cedere all'ono- revole invito di tenervi su di esso discorso. Egli è questo dolcissimo sentimento, che vincer mi fé' le mie ripugnanze al dover ragionare davanti a così colta e fiorita adunanza , conscio siccome sono di mia pochezza; è questo sentimento infine non men dolce che forte, il qual mi die' lena da mettermi al gran cimento di percorrere sì nobile e sì sublime aringo. Ma che ? Imprenderò io forse di provarvi la verità della immacolata origine della Vergine naz- • zarena? Di quel concepimento prenunziato a sì chiare note fin da' primordi del mondo ? Di quel concepi- mento così vagamente adombrato da sì varie e ri- denti figure del vecchio patto ? Di quel concepimento che fu tema frequente ai melodiosi cantici del più santo dei re, ed eccitò i veggenti d'Israele e di Giuda a fare scelta de'più bei concetti per formarne la più delicata immagine ! Di quel concepimento, io dico, che l'inviato celeste sì aperto appalesò alla gran Vergine allorché salutolla piena di grazia, e che la già feconda Elisabetta nella esultazione del suo spi- rito chiaro indicò , preconizzandola benedetta infra le donne, e così antivenendo le generazioni tutte in proclamarla beata ? Ah no, tale non è il mio divi- visamento, dappoiché con esso penserei di far onta alla vostra dottrina ed alla vostra pietà ! Convinti come voi siete di questo vero, e colmi il cuore di così fatto pio affetto verso il concepimento senza macula della gran Madre di Dio , io non farei con ciò che raffermar chi è già saldo, ed infiammar chi 335 già di per sé arde. Mio intendimento adunque altro non è, che l'addimostrare nell'odierno ragionamento, come l'immacolata concezion di Maria sia la gloria più bella della chiesa , e ad un tempo il più vago decoro dell'accademia nostra. Di tal guisa col primo assunto giustificherò la chiesa per la prossima de- finizion che si attende di così ineffabil mistero, col secondo tributerò le giuste laudi che debbonsi al vo- stro zelo. Ella è legge non men sociale che di natura, che un assembramento, una società, una dinastia, si re- puti o maculata e deturpata da' morali traviamenti, ovvero adorna di risplendente aureola per le virtù delle sue membra. Questa legge, che nell'universale dell'umano consorzio si avvera ogni dì, non ha men luogo nell'ordine sovrannaturale e soprasensibile. Laon- de come la civil società d'eterna ignominia cuopre quegl'indegni e sciaurati che ne formano l'obbrobrio, e loro versa in sul capo il biasimo e il vitupero: e in quella vece tribuita serti di onore a chi ne for- mò l'ornamento, e loro aderge simulacri e preziose tele atfin di perennarne la sempre grata rimembran- za; per ugual modo la chiesa del Dio vivente, im- mentrechè geme sui degeneri figliuoli suoi , li nota d'infamia e li detesta, per converso tien riserbati gli alti onori della venerazione e del culto per gli eroi, che di sovrumana virtù e di belli atti andaron fe- condi. Spiega per essi la maestà delle sue pompe re- ligiose, templi ed altari fa sorgere per ogni dove ad eternarne la memoria ; ne registra i preziosi nomi ne'suoi fasti immortali, e onora in essi i doni ed i carismi dèi Largitore Supremo. 336 Or qui già veggo che voi mi precorrete col pen- siero, che si volge spontaneo a Maria; a Maria che qual madre di Dio costituisce un ordine singolare dagli altri. Mediana tra il Creatore e le creature; a Maria, figlia, madre e sposa dell'Altissimo; a Maria, in cui Dio si piacque di non tener misura nel ver- sar le grazie sue; a Maria depositaria eccelsa de' te- sori tutti, de'doni, dei più eletti carismi, pe'qualì sia egli nella Madre sua l'iconosciuto; a Maria infine im- macolata per grazia preservatrice, la quale con pri- vilegio unico al mondo ebbe in lei cominciamento dalla esistenza sua. La Vergine pertanto di Nazzaret per dono co- tanto singolare trasse a sé la premura , la solleci- tudine, la gara di tutta la chiesa in estollerla, in esal- tarla, in encomiarla qual sua più eletta gloria e più illustre decoro. Qual maraviglia però, se noi veggia- mo che i secoli nel succedersi gli uni agli altri sono concordemente intesi a celebrare in Maria sì gran mistero ? Chi la saluta qual terra vergine dell'Eden, con cui venne formato il corpo del primo progeni- tore per la mano stessa di Dio. Chi la ravvisa in Eva, ma cauta che non le si avvicinasse il tortuoso an- gue maligno, che coll'immondo alito ne ammorbasse pur lievemente la candida mente e l'intemerato cuo- re. Chi preconizzata la vide nel primo oracolo, col quale si astersero le lacrime del pentito Adamo e della colpevole sua posterità; oracolo per cui s'inti- mò una nimistà eterna tra l'angelo seducitore e la gran Donna, futura madre del promesso Liberatore; donna preeletta a schiacciai-e col pie di latte il capo del perfido ingannatore; oracolo cui i dotti de'secoli ^ 337 tutti intesero della Madre di Dio , privilegiata infra tutti i mortali. Chi l'appellò l'Arca santa di legni incorruttibili formata , e di fulgid' oro per entro e al di fuori ricoverta. Chi la rassomigliò alla candida luce, che colla presenza sua fuga dal suo cospetto le tenebre opache e l'ombra folta. Chi infine, per racchiudere tutto in uno, affidando l'intuito nel piiì alto de'cieli sol nel Padre dell' eterno Verbo, vi ri- scontrò quello a cui somigliarla nella santità e nella purezza, perchè degna di aver comune con esso lui la divina prole. Concetti tutti questi e pensieri che ci appalesano al più alto segno l'idea dominatrice, la credenza anzi e la fede della cattolica chiesa intorno all'immaco- lato concepimento di Maria, e ad una il trasporto, lo slancio di amore di essa chiesa verso Colei, che ebbe mai sempre in conto di sue delizie, del suo piiì bel vanto, di sua gloria piìi eletta. Di qui è che fin da' suoi inizi, senza che se ne possa rintracciar principio o cominciamento, noi tro- viamo aver la chiesa nelle sue liturgie e nelle sue festività come depositato il subbiettivo suo senti- mento circa la immunità di Maria dalla colpa rin- vestitolo di una forma esterna ed obbiettiva. Quindi l'incontrarsi ad ogni pie' sospinto in siffatte liturgie vetustissime, attribuite già o a Iacopo o a Marco o ad altri degli apostoli e discepoli, la invocazione della Vergine immacolata , immacolatissima , tutta santa, santa sempre e senza macula, senza colpa, lieve nu- be, vaga aurora, fulgentissimo sole colmo sempre di bellissima luce. Quindi quegl'inni coi quali e i Saba e i Sofronii e i Giovanni geometri coi piìi vaghi poe- G.A.T.CXXXl. 22 338 ticì colori , colle più delicate immagini ti pongon sott'occhio questo ineffabile privilegio di Maria. Quindi le gravi orazioni, colle quali gli orientali padri e della ellenica chiesa emularon fra sé a tesserne encomi, e ci appalesano in qual eccelso pregio avessero una così fatta preservazione. All'oriente fé' plauso l'occidente, il quale echeg- gia delle laudi della gran Donna senza labe , e non meno il culto di lei, non mai infetta per colpa, di magnifica pompa rinveste. Fin dal sesto e settimo secolo troviam le tracce in Italia di cotal culto; ri- scontriamo a chiare note nel marmoreo calendario di Napoli registrato il concepimento della Figlia di Ces- se, e nella Sicilia già recitate le orazioni encomia- trici. Scorgiamo i Prudenzi, i Sedulii, e i Paoli dia- coni, che sulle loro armoniose cetere ti fanno udire dolci concenti nel celebrar la vittoria riportata dalla Vergine sull'aspide avvelenato, che indarno si attenta ad ispruzzarle incontro il rio suo tossico o ad ali- tarle nel viso l'ammorbante suo fiato. Ciò che in età pili inoltrata nelle Spagne e nelle angliche piagge per opra degli Alfonsi e degli Anselmi troviam del pari introdotto. Vero è, che il culto del nascimento di Maria pare in tale età più ricevuto nelle occidentali chiese; ma questo culto stesso dcbbesi alla immacolata conce- zion della Vergine. Ella nacque santa, perchè santa- mente conceputa venne, come acconciamente già il rilevò fin da'suoi dì Pascasio Radberto, il quale niega riciso, che se la Vergine santa stata non fosse nel suo concepimento, celebrato non mai si sarebbe il nascimento di Lei. Di fatto non vi ha lai-ione alcuna 339 perchè abbia a dirsi santa la natività di Maria, e non santo il suo concepimento. Del Battista ben sappiamo essere stato santificato nell'utero, come già il pre- disse il nunzio celeste, e conosciamo altresì quando ciò avvenisse. Della Vergine nulla havvi di questo nelle sacre lettere, la tradizione noi suffraga, ma fu semplice conghiettura di chi osteggiò l'immacolato conce[timento. Volendo pur essi trarsi di affare men- tre per un de' lati volevan maculato l'istante primo della esistenza di Maria, e per l'altro render ragione del culto della nascita di Lei , vennero nel gretto divisamcnto di dirla salificata nel secondo o terzo istante dacché fu conceputa. Dissi gretto divisamento: posciachò se era conveniente per onor del Cristo , che la madre venisse santificata nel materno alvo, perchè non anzi dirla immune da colpa nel suo con- cepùmcnto, dal quale molto maggior gloria ne pro- veniva alla divina prole ? Perchè rendere comune la condizione del Precursore colla Madre di Dio ? Per il che manifesto si pare come la solennità del nascimento di Maria dalla chiesa celebrata sia una testimonianza solenne, un pubblico omaggio, che la chiesa stessa tributò alla immacolata concezione di Lei. Non tale però fu la prevalenza di questa fe- sta, che 0 si confondesse colla prima , o la facesse obliterare: che serbossi quella maiscmpre distinta per l'anterioi'ità della origuie e per il parallelo avanza- mento, sebben confermata col nuovo culto. Di quella guisa che il lapido Rodano daira,z?urro lago Lemano traendo la origin sua scorre maestoso lungo tratto da prima per le aperte pianure, poi si rinserra an- gusto tra dii'upati macigni, e infìn s'invola all'attonito 340 guardo del passeggero collo inabissarsi e incavernarsi nelle voragini sotterra , nulla però perdendo di sua natia ricchezza, ripiglia ben presto pieno di novella vita e più che mai rigoglioso e prosieguo il quasi smarrito cammino rallegrando e fecondando d' ogni intorno le ridenti campagne, finché non giunga a pa- gar largo tributo colle molteplici sue foci all'immenso pelago , che lieto nel seno suo lo accoglie; cosi il culto dell'immacolato concepimento di Maria per or- dine cronologico anteriore alla festa della natività , mentre die origine alla medesima, pur si conservò qual ora; anzi nel corso de'secoli si accrebbe finché più maestoso riempie di sé la chiesa dall'oriente all'oc- caso, dal settentrione al meriggio. Che se a men veggenti parve nella mediana età assorta per il culto della nascita della Vergine la gloria dell'immacolato suo concepimento; se uscirono in campo taluni impugnatori di esso, si serrarono ben presto le fila de' prodi d'Israele a rivendicarne questa gloria medesima. I vescovi nelle proprie dio- cesi ne statuirono o ne amplificarono il culto; acca- demie illustri su d'ogni punto della terra si astrinsero col sacramento della religione in difenderlo, uomini per dottrina e pietà cospicui con eruditi volumi ne tutelarono la verità. I pontefici romani a quando a quando attutirono i conati degli osteggiatori e con gravi costituzioni vieppiù confermarono , stesero e dilatarono il giorno festivo di nostra signora imma- colata. I popoli tutti dell' universo cristiano fecero a gara in rendere o tributare a Maria sotto un sì sublime titolo il più devoto e fervoroso omaggio. 1 341 Laonde riuscì la pugna ad un trionfo , ma ad un trionfo del quale pari non vi ha ne'fasti della chiesa. Or perchè sì spontaneo alzossi d'un tratto come un sol uomo da tutte parti il cristianesimo? Perchè la chiesa all'unisono spiegò cotanto impegno per così fatto privilegio ? Ah perchè ben conobbe, anzi sentì quanto di gloria a se stessa ne provenisse! Ella nei suoi annali già avea registrati i nomi di tante vergini illibate e pure; vi avea iscritti i nomi di miriadi di martiri, vi avea annoverati tanti taumaturghi, avea riempiuti i suoi catalogi di ogni fatta eroi in ogni più sublime santità. Pur professava ad un tempo stesso, che tutti furono ingenerati nella colpa, in odio a Dio, mancipii delle potenze d'inferno. Solo in Maria con ineffabile compiacenza vi ravvisava la eletta, sem- pre cara al cielo; ravvisava solo in Maria la santità annessa alla esistenza, ravvisava solo in Maria l'ob- bietto di non mai interrotto amore di Dio in semplice umana creatura , che mai non addivenne figlia del peccato. Ma Maria è il membro più cospicuo della chiesa; ma Maria in forza della comunione de'santi spande e diffonde su tutto il mistico corpo per co- municazione la eccelsa santità sua; ma Maria è parte precipua costituente dell'unica moral persona, che è la chiesa, e su cui tutta riverbera quella luce ful- gidissima di cui ella è il foco avventurato; ne con- seguita adunque il vero del primo assunto, cioè che r immacolato concepimento di Maria costituisce la gloria più bella della chiesa, la quale in lei è santa, ma di una santità tutta sola; in lei grandeggia, ma di una grandezza al tutto singolare; in lei fa parte 342 di una redenzione unica, qual è quella della preser- vazione. Non ò però men vago il decoro che ne proviene da siffatto mistero all' accademia nostra, che dalla Immacolata Concezione di Mai'ia s' intitola. Gode ncir animo , tutto si piace ed esulta ogni cuore amante nel veder cclebi'atc le laudi del più caro ol (biotto dell'amor suo, di sue aspirazioni, dei suoi più dolci aneliti. Or tal è pel cattolico sincero la più tenera delle madri Maria, alla quale mai non è che pensi senza sentirsi struggere di voemcntissimo affetto; cui egli invoca con la più illimitata fiducia, e nel cui seno materno la lagrima ei versa e depone della riconoscenza e del dolore. La iiìvocazionc sola, solo il nome che o venga alle labbra, o gli ferisca l'udito, basta per l'amante di Maria perchè tutto si senta compreso d'insolito tripudio. Qiialor poi al nome di lei l'aggiunto si unisca à' hmnacolula, una fragranza di paradiso ti ricrea , t' inonda, ti bea, attalchò ap- pena e che trovi te in te stesso ; una freschezza , dirò così, di divozione ti ricerca l'animo, e il senti- mento della pietà ti occupa e ti soggioga. Ed a quel . modo, che nella estrema arsura della stagiono estiva scendendo la rugiada fecondatrice sulle molli erbette, e sui delicati fiori odorosi, tutti gli avviva, gli aderge rigogliosi sul languente stelo, e lor comunica, o meglio, restituisce loro la natia bellezza, vavviva il colore e ridona la ingenita fragranza; così l'anima, il cuore,, il sentimento dell' amante di Maria al dolce suono d'Immacolata tutto si estolle, si rinnova, si avviva,. si affranca. Or bene, l'accademia nostra ha per obbietto dei 343 suoi canti le glorie della gran Donna immacolata- mente conceputa , ha per obbietto il celebrare coi melodiósi accenti della poesia le laudi di si ineffabile mistero; valorosi vati son presti in toccare ogni anno al ritorno della festiva rimembranza del concepimento senza macula della Vergine le armoniose lor celere con iscelti carmi e far echeggiare del concento loro le volte sotto le quali sono adunati; l'accademia nostra è por ciò stesso l'interprete, l'organo del sentimento cattolico per Maria, n'è la voce, n'è l'espressione che si manifesta al di fuori, n' è il suono che si spande e si diifonde. (jhi pertanto non ravvisa in così fatta istituzione, in così sublime meta, in così alto destino, il decoro che ad essa ne torna ? Adopransi bensì gli altri dotti e letterari ceti o in iscientifiche inquisizioni , o in esercizio di letteratura e di storia; ma non è se non se per indiretto che volgono l'attenzione a sacri temi, ad argomenti religiosi, laove il nostro ha per istituto, a sco}to e segno precipuo, non xiirò un religioso sub- bietto, che sarìa poco, ma quello che costituisce e forma l'estetico della religione, l'ideale più puro, la gloria più bella. Vien essa con ciò a richiamare le grazie della poesia al suo primo e naturale istinto, che è l'aspirazione infocata dell' uomo tratto , anzi rapito di ammirazione per le opere stupende del Dio creatore, e a' nostri dì del Dio redentore e santifi- catore nel mondo soprasensibile. Se l'uomo primo, uscito appena dalla mano del suo divin Facitore, al grandioso spettacolo della mai sempre ammirabile natura , che spiegava agli occhi suoi un complesso d'intinìte maraviglie di sapienza e di beltà; all'aspetto 3i4 del sorriso che a lui d'intorno facevano i variopinti obbietti, al saluto, che come a re, ofTeriva di conserto tutto il sensibile, l'alma sua innocente ed ebbra per la piena della Divinità che ne la ricolmava di sé , dolcemente rapita in estasi poetica, sciolse il labbro in un eucaristico inno riconoscente, consecrò la ve- nustà della poesia all'Essere supremo con esaltarne la sapienza, la potenza e la bontà, noi discìogliamo i nostri canti in encomiare le maraviglie di questo Dio neir ordine del sovraintelligibile e del sovran- naturale che di gran lunga eccedono ogni ordine di natura. Alto affisando l' intuito in queste maraviglie al tutto divine , noi vi cantiamo V uom ridonato alla dignità suprema di figliuolo di Dio, di schiavo che egli era di colpa; l'opra celebriamo ineffabile dell'uni- versale riscatto, anzi la prima di esse, qual è la pre- servazione di Maria dalla primigenia caduta per antivegnente redenzione. Preservamento, per cui non fu mai ch'ella arrossir dovesse de'segni in lei lasciati d'ignominioso servaggio, ma sempre libera, sempre figlia, cara sempre all'Altissimo, ricca sempre a do- vizia di quella grazia onde fu adorna all' iniziarsi dell'esser suo. Quella grazia encomiamo, per cui Dio si preparava una madre degna di sé , nelle cui in- temerate viscere preordinava un tempio, un' arca santa in cui abitare , nel cui cuore formava quel sangue purissimo che scorrere poi dovea nelle sue vene, e dalle quali a rivi sgorgar dovea quel prezzo di riscatto della intera umana famiglia; esaltiamo quello istante bealo che quaranta secoli sospirarono, e che i secoli tutti avvenire avrebbono esultato in sol ricordarlo. 345 ^)uest'aceademia, quale splendida aurora di aureo Serto adorna, è destinata a precorrere e ad annunziar quel sole che uscendo dal Vaticano con dommatico decreto, ogni nube dissiperà di dubbio su quel felice e avventurato istante, e rallegrerà il mondo cristiano per la infallibile certezza che verrà ad acquistare del concepimento illibato e santo di Maria tutta e sempre bella agli occhi dell'Altissimo, ed obbietto per lui di eterno ed incessante amore. Né solo ciò, ma ne sollecita il momento avven- turato coi voti suoi, lo saluta quasi presaga del pros- simo suo avveramento, lo addita e dice: Eccolo. Sì ecco omai giunto quel beato giorno, cui indarno han sospirato tanti de'passati secoli; ecco quel dì che con sì reiterate istanze hanno invano chiesto al seggio pontificale tanti de'più possenti monarchi; ecco quel tempo che uomini per santità illustri presentirono in cuor loro dover pur giugnere , tuttoché solo in distante prospettiva il vagheggiassero; ecco l'adem- pimento di tante speciali rivelazioni, colle quali si vaticinava che sarebbesi alla perfine deciso inappel- labilmente r obbietto di sì lunghe discussioni , che tenner sospeso 1' animo nella lotta ostinata con cui si contrastava l'impareggiabile privilegio a Maria. L'accademia nostra è riserbata ad accogliere nella più lieta e viva esultanza, anzi col battito del cuor tripudiante, il gran decreto, cui niun dubita esser vi- cino. L'invito solenne fatto non ha guari dal gran Pio air episcopato dell' orbe cattolico; le favorevoli risposte che a nome loro, del clero e del popolo a se commesso, da tutte parti e fin dalle più rimote inospiti lande ne ricevette; l'impulso che provinciali 346 concili testò celebrati in quasi ogni parte dell' uni- verso diedero all' unisono al pontefice sommo ; le reiterate istanze che da ogni ceto ed ordine si fecero al seggio apostolico perchè si venga al desiato mo- mento; le speciali sacre congiegazioiii a tal line isti- tuite per pontifìcia autorità ; i lavori che già com- pieronsi a tal'uopo; tutto, sì tutto iblicementc cospira a farci vedere imminc;nte la dommatica (inai sen- tenza. Trattante l'accademia nostra, che del titolo della Immacolata Concezione è fregiata, già si prepara ad accogliere sì festivo ciorno, eia accorda le cetere a cantare sì nobile trionfo; già si ajiprcsta a far plauso al mai sempre memorando atto. E allorché 1' astro del dì più fulgido apparirà ad irradiare le alte vette de'monti nel giorno, in che dalF.'uigusto Vicario del' Dio vivente si farà udire l'infallibile oracolo, la cla- morosa fama veloce a par di fulmine e di elettrica corrente lo porterà sulf ali sue agli ultiuìi confini della terra, un alto grido di gioia intonar farassi dal popolo fedele del più lieto evviva. Un nuovo decoro circonderà la maestosa fronte di quest' accademia ^ che tanto innanzi il prevenne, lo preconizzò, lo sfdutò* l'additò ad esaltamento del nome non mai perituro; del definiente pontefice, ad onor sommo della religione, ad alto trionfo della chiesa , a gloria immortai di' Maria. 347 Sunto storico delle interpretazioni della scrittura ge- roglifica per le recenti scoperte fatte sui monumenti poliglotti, di fresco rinvenuti in Egitto. ALLA ONORATA MEMORIA DEL P. D. LUIGI MARIA UNGARELLI DELLA CONGREGAZIONE DI SAN PAOLO DOTTORE IN FILOLOGIA PROFESSORE DI LINGUE ORIENTALI ECC. (Morto in san Carlo a' Catinari il 21 agosto 1845.) M< Loglio io non saprei onorare la vostra memoria, che richiamanrlola a' posteri con uno scritto , del quale sono peculiar soggetto quelle discipline che virtuo- samente coltivaste, e per le quali vi rendeste famosoi nelle regioni dal cielo favorite per la universalità de- gli studi di scienze e lettere, e per la perfettibilità delle artiv mentre ad un tempo foste onore d'Italia, che a voi die' il natale, e di Roma, ove le vostre archeologiche speculazioni si consumarono. — Am- miratore qual fui costante della vostra sapienza» e della vostra umiltà, discepolo in certo modo di una parte delle vostre auree cognizioni, che avrei ambito di possedere profondamente, ove agio e potenza di mente avessero secondato in me il desiderio della volontà; non dispero che il mio dire, ove si mostri ^ninore del tema, presso i dotti non trovi compati- 348 mento; presso chi vi conobbe e vi ammirò non sia cagione di gioia. Questo secolo , che tanto invanisce di sé per i molti celebri uomini, che lettere, scienze ed arti fe- cero e fanno eminentemente risplendere , e forse a dritto commendato per essere l'Europa in lunga pace composta, dopo che le idee aberrate dal retto cam- mino, e quelle che drittamente proseguivano la via che al cielo è gradita, affrontaronsi; e queste di quelle trionfarono, perchè l'uomo per quanto travii, il buono e il retto è il centro costante cui mira nelle ricer- che : questo istesso secolo vide tornare a vita una favella, la quale la comune opinione teneva per morta irrevocabilmente; io voglio dire della paleografia egi- ziana, di quel carattere che geroglifico si appella, e cui non si annetteva altra idea che di cosa all' u- mano intendimento inaccessibile, muta e vana. Ep- pure, nella riconciliazione delle scienze e delle let- tere ai dettati del Pentateuco, non so se caso o spe- ciale decreto divino volle che anche questo spento linguaggio uscisse in campo, confondesse gh errori delle date, e riportasse il vero valore ai monumenti umani , noi rendendo ad un tempo tranquilli e pa- ghi de'codici, dove riposa la nostra credenza: men- tre lo studio del sanscrito e di altri idiomi asiani confermava il legame che passa fra essi e quelli delle diverse famiglie europee in ispecie: sintesi meravi- gliosa, che ben ci addimostrava il luogo delle origini umane esser quello, che la stessa bibbia manifesta- mente ci addita. Non temano taluni che spirito di sistema e fa- vor di partito abbia presieduto alle ricerche e al 349 trovato di questa parte del sapere antico : no , un uomo può trarre in errore, può falsare il vero, An- nio da Viterbo per esempio ; ma il resto degli uo- mini veglia, discute, verifica, ed approva o condanna. Qui fra i molti che affermano chi confutò ? Pochi, e vanamente. — È vero pur tuttavia che scarsa fa la messe a paragone del seminato, che assai frutto imprometteva: ma non indarno si sudò su questo va- sto campo, ed è molto a sperarsi. Chi bramasse ri- chiamare a memoria il modo della scoperta, pazien- temente mi segua, ch'or entro ad enunciarlo in un sunto storico, imperfetto sì, ma veritiero. Un clima privo di piogge e di movimenti vul- canici, e più la superstizione, propria de'popoli più meridionali e più rozzi, aveva conservato in Egitto una serie copiosa di monumenti delle più antiche generazioni d'uomini e di re, che tuttora sono l'am- mirazione d'Europa, e il tesoro delle regioni niliache; i quali rimasero fino agli ultimi anni dello scorso se- colo inaccessibili fuorché a pochi viaggiatori, che più fecero stupire dell'audacia di visitare que'siti, caduti sotto barbaro impero; di quello che recassero van- taggio reale alle scienze e alle lettere. Oltre ai mo- numenti l'antichità ci aveva tramandato per mezzo di Erodoto e di Diodoro di Sicilia brevi ed incerte notizie sulle scritture egizie: un passo di Clemente Alessandrino, spinoso ed oscuro, parlava della triplice natura de'carattcri usati in quella contrada (j): fi- nalmente Orapollinc dava il significato di un certo numero di caratteri figurativi. Nuli' altro all' infuori di tutto questo rimaneva ; ed era troppo breve ci- melio, e poco adatto a formar base, perchè lo spi- 350 l'ito umano vi si potesse esercitare con esito tale da ravvivare una scrittura, che tanto giorno poteva re- car sui tempo, sugli usi, costumanze e religione di que'popoli, maestri di civiltà alla estesa famiglia se- mitica e giapetica. Avvegnaché mancava un terzo mezzo che servisse di veicolo agli intelletti , onde passare dal cognito all'incognito. Ma sebbene vi fosse un tal difetto di luce, o di legame, pur non si ristette o si scorò l'ingegno umano. Esso si adoprò di torre il velo che occultava all'Eu- ropa la natura, l'indole, il concetto che acchiudevano in sé i geroglifici: e a tutti sono note le opere che si vulgarono per le stampe. — Pietro Valeriani com- pose e pubblicò nel 1567 un vasto volume, che scuora per la mole qualunque valoroso a leggerlo; e alla cui formazione, cred'io, sembrò presiedere il dettato di Orapolline. Esso d' altronde è una poesia che non lascia di esser di prezzo in un punto, ove, sia caso o virtù, r autore giudicò alfabetici alcuni gruppi di geroglifici (2). — Seguì di poi la smania di leggere sopra gli obelischi , scavati dalle rovine dell' antica Roma, e di nuovo eretti da'pontcfìci. Per tacere de- gli altri, a tutti son chiare le fatiche e i sogni del P. Kircher, che tolse ad illustrarli (3). 11 dotto Zocga fu quegli però che fra mezzo al delirio giunse ad in- travvedere il vero; e le speculazioni di lui non furono vane ai succedenti, che ebbero la fortuna d'adden- trare il tema, e cogliere nel segno, a cui miravano (4). Siccome eziandio s'intravvide il vero ne' primi dello scorso secolo da Samuele Shùckford, il quale dubitò che i segni ideografici fossero misti a gruppi alfa- betici (5). i 351 Così si giacean le cose fino agli ultimi anni del secolo XVIII, quando sembrò rinnovarsi l'epoca di Alessandro il macedone. Bonaparte mosse alla con- quista delle Provincie del Nilo, siccome quegli delle regioni dell' indo ; poiché vi andò cogli apparati di guerra non solo, ma con buon novero di sapienti, cui fu affidato, fra il rumore delle armi e fra l'urto delle battaglie, la investigazione di tutto quanto ca- deva sott'occhio nelle contrade invase. — Parve de- creto provvidenziale. La francese rivoluzione, e meglio gli uomini di quel torno che distinguevansi per sapere, fecero dapprima dello zodiaco di Denderah e di Esne (conquista prima della invasione bellico-scientifica) il più saldo propugnacolo alle loro idee, dal (juale era fulminato Mosè e la bibbia irrevocabilmente. Eppure la francese rivoluzione dovea dappoi esser causa che si rinvenisse un monumento, che facesse contraddire la loro sentenza, toglier d'abbaglio i dotti, e quella parte di mondo rinsavire, la quale mal ferma nella sua credenza o peritava , o scherniva. Quasi indarno monsignor Testa scese uell'arringo ed arri- sicò le forze della eloquenza contro un nemico sì poderoso, e tanto ben munito (6): che comunque si fosser buoni gli argomenti di lui, contro agli avver- sari era d'uopo mettere in campo fatti; perchè i fatti e la certezza di scienza essi opponevano. Ed era ri- serbato non ad altri che a quell'istessa gente, la (juale Denderah e Esne visitò, il trovamento diquesti fatti. Nelle adiacenze di El-Rascid, piccola città d'Egitto comunemente conosciuta sotto il nome di Uossetta, nel 1790 Boussard, officiale del genio, fra gli scavi che si operavano sotto la sua direzione , s'imbattè 352 in una pietra che avea sulla superficie inciso a tre caratteri difformi una leggenda. Teneva la parte su- periore il geroglifico, il demotico ossia il volgare il mezzo, il greco l'inferiore; però era malconcia e rotta nel principio, perchè del geroglifico mancavano pa- recchie linee. — Troppo era viva tuttora la quistione della natura de' geroglifici ; e le verità scolpite ed enunciate ne' zodiaci di Denderah e di Esne troppa violenza facevano al cuore trascinato dalle persua- sioni dell' intelletto: onde nasceva gran desiderio di accertarsi delle verità delle opinioni, alle quali sem- brava intimar guerra o pace la pietra di Rossetta uscita dalle ruine, in forza della triforme iscrizione, la quale si sperava o si dubitava contenesse un iden- tico senso in triplice idioma espresso. Boussard donò la pietra all'istituto del Cairo, il quale negando che tal monumento si avventurasse a viaggio di mare per arricchirne la Francia , im- prese a riprodurla, co' disegni , colla incisione , coi modelli in gesso ed in zolfo. Marcel direttore della stamperia francese in Cairo , e Galland addetto a quell'istituto scientifico, furono coloro che ne cava- rono la copia, che subitamente fu spacciata in Francia. Non si tosto giunse in Europa una tal copia, che subitamente i dotti si affaticarono nella interpreta- zione. Primo fu Ameilhon , che nel 1801 pubblicò uno schiarimento , rivelando al mondo letterario sì grande conquista : i suoi studi però non si volsero che al testo greco (7). Nel 1802 apparvero i risultati della investigazione fatta sopra tal monumento dal celebre orientalista Silvestro De Sacy, uno de'più il- lustri membri dell'istituto medesimo (8). Ma egli si 353 provò soltanto nel testo in caratteri demotici; scoprì in esso i gi'uppi che rappresentavano differenti nomi propri, e conobbe che la loro natura era fonetica. A queste prime investigazioni successero quelle fatte dallo svedese Ackerblad; il quale assegnò, con una probabilità vicina alla certezza, che il valore fonetico individuale stava nei diversi caratteri impiegati nella trascrizione de'nomi propri, de'quali vi era corrispon- denza nel testo greco (9). Dopo di questi tenner dietro gli scritti dello svedese conte Pahlin e Cousinery (10). Mentre che in questo modo i dotti di Europa si davano a cotal genere d'investigazione, i conquistatori di Egitto ebbero la peggio: e nel momento che l'ar- mata francese facea ritratta di colà , la pietra di Rosetta fu tolta all'istituto del Cairo, e divenne preda degli alleati. Caduta quindi in possesso dell'Inghilterra, senza tema che il mare potesse distruggerla, fu inviata a Londra, ove ora sta, decorando la scelta collezione de'monumcnti egizi del Brithish-Museiim (*). Eguale entusiasmo destò negli scienziati inglesi la vista e il possedimento di questa celebrata pietra; imperocché in breve Granville Penn n'ebbe pubblicato con esat- tezza la parte greca , e la società archeologica di Londra n'ebbe fatto ricalcare tutte e tre le iscrizioni, le quali nella dimensione eguale all'originale furono incise e pubblicate; perlochè si riprodussero a Mo- naco nel 1817. Fino ad ora non si è visto che alcuno se non desse con certezza, tentasse almanco la interpreta- (*) Essa è (li pietnt nera d'EgiUo, ed h.a una larghezza di un 40 cenlimelri, allretlanta ò 1" altezza; ma è frazionala nella parie su periore. G.A.T.CXXXl. 23 354 zionc del testo superiore, scritto a geroglifici. Però il dotto orientalista De Guignes, e dopo di lui Stefano Quatremère parve prevenire questo nuovo studio, anzi gittò le fondamenta del nuovo edifìcio , quand' egli nel 1808 sostenne e provò che la lingua copta era r antica egizia, a noi giunta con caratteri tolti dal greco (11). In seguito di tali prove nacque fiducia di aver rinvenuto quel mezzo, che mancava e solo potea condurre ad uno studio non infruttuoso sopra i ge- roglifici. Pur nondimeno indipendentemente dalle os- servazioni sul copto, poiché non gli era d'uopo, il primo che si espose alla disamina de'caratteri sacri fu l'inglese fisico Tommaso Young; il quale non tardò a dichiarare, che fra la moltitudine de'segni scolpiti che rappresentavano animali, istrumenti, figure geo- metriche, essere fantastici ed altrettali cose, que'segni che vedevansi chiusi da circoli dittici , a modo di cartello, eran corrispondenti ai nomi propri del testo greco nella pietra di Rossetta , e particolarmente al nome Tolomeo, il quale nel testo geroghfico è il solo che sia intatto (12). La scoperta dello Young in ciò ebbe niuno o poco valore: avvegnaché il dotto orien- talista De Guignes (e forse non è solo) ebbe stampato nel 1766 una memoria, sulla quale indicava, che i cartelli delle iscrizioni in cerattere geroglifico inchiu- devano nomi propri ; di piìi aveva dato argomento per stabilire l'opinione che egli aveva, sulla natura costantemente fonetica de' geroglifici stessi. Young però oltre lo avere enunciato, che ne'cartclli eranvi nomi piopri, disse che in essi i segni non rappre- sentavano idee, ma suoni: infine, e qui si stette ogni suo merito di primo scopritore, egli si provò ad as- 355 segnare, dopo attenta e sottile analisi, un geroglifico a ciascuno de'suoni, che l'orecchio può noverare nel nome di Tolomeo nella pietra di Rossetta; nel nome di Berenice in altro monumento (*). La penetrazione dello Young nelle sue prime ri- cerche fu coronata dell'esito piiì felice; poiché colse nel segno. Ma non istette guari che egli aber- rasse per la fervidezza del suo immaginare, la quale non si ristava innanzi agli ostacoli, che gli attraver- savano la via. Ove il valore di un geroglifico non corrispondesse ad un suono (ad una lettera noi di- remmo) di una parola, che travedeva in una leggenda geroglifica ; egli sostituì un valore sillabico, e dis- sillabico, senza mirare alle stranezze, delle quali eran cagione caratteri di natura differenti. Quindi è che il frammento di alfabeto, che si pubblicò dal dottor Young, rinchiude falso e vero ad un tempo; e il falso ottenebra il vero che vi è di maniera, che poca utilità si ritrasse dalla sua scoperta: quindi il suo alfabeto indarno si cercò d'applicare altrove fuori che ai due nomi , i quali furono elementi della sua scoperta stessa. In questa però Champollion il minore si era dato a tutt' uomo alle ricerche della natura dell' istessa geroglifica egizia, di cui la tavola rossettana som- ministravagli il materiale (13). L'acume della sua (*) Young avvisò che i geroglifici fonetici erano d'invenzione, non antichissima , e che servirono a scrivere i nomi estranei al- l'Egitto. De Guignes e Qualremère dicendo che la copia è l'antica lingua, sembravano in ciò contraddire Young: Champollion ne for- nirebbe una prova, avendo egli tradotto isi.-rizioni e cartelli farao- nici, dov'ò un valore fonetico. 356 mente, e l'estensione delle sue dottrine dapprima lo posero in grado di contraddire l'emulo suo Young medesimo , al quale dimostrò con evidenza , essere la parola Autocrator, in un cartello di un monumento, quella che egli aveva tradotto Arsinoe; in altro esser la parola Cesare quella che egli, egualmente errando, aveva detto contenere il nome Evergete. Quindi in- traprese a pubblicare nel 1824 le teorie del suo sistema geroglifico (14). Il quale subitamente fu co- nosciuto in Italia, prima per l'articolo tradotto del tedesco Kosegarten (15), quindi più ampiamente per la esposizione che ne fece il dottor Kosellini (16). Fin dal 1821 il famoso Belsoni aveva rinvenuto nell'isoletta di Filae un cippo portante una iscrizione greca , ed un piccolo obelisco che lo sormontava , scolpito a geroglifici; i quali da lui furono trasportati in Inghilterra (17). Questo monumento ben presto fermò le attenzioni dei dotti. E finalmente si rico- nobbe che il cippo e 1' obelisco erano una sola e medesima cosa; ossia che il greco era una traduzione del geroglifico o viceversa. Non cadde dubbio sulla realtà del fatto, il quale forma punto capitale delle odierne scoperte, pubblicamente avverato e ricono- sciuto per modo eh' esso fu gridato essere un mo- numento bilingue, interessante in primo grado dopo la pietra di Rossetta. Salito in rinomanza per le sue fatiche e per le sue scoperte , Champollion fu appagato finalmente nelle sue brame dal suo governo, che gli die la fa- coltà di visitare i monumenti di Egitto e di Nubia, de'quali non s'erano mai ottenute dai dotti le leggende geroglifiche con quella accuratezza copiate, che non 357 ammettono dubbio. Alla provvidenza del governo francese si aggiunse quella del granduca di Toscana, il quale al nostio orientalista Rosellini forniva modo, onde questi eziandio colà si recasse allo stesso scopo mirando. Perchè Champollion e Rosellini negli anni 1828 e 29 si videro ambedue di conserva veleggiare sulle correnti del Nilo e chiedere la storia, i riti, i costumi degli spenti popoli ai geroglifici, che altro non erano stati dai secoli primi dell' era volgare in poi se non che vane figure, a cui si era estorto un significato, e data una natura per la più parte dif- ferente da quella, che le recenti osservazioni e dot- trine loro dovevano assegnare (18). Effetto de' profondi studi e de'lunghi disagi era forse la morte che colpiva Champollion poco dopo al ritorno nel suolo di Francia. Però egli commise al suo fratello Champollion Figeac la cura di dare al pubblico il risultato delle fatiche sostenute; e questi difatto, lagrimandone la morte dopo 25 anni di studi, pubblicavano i manoscritti , i quali formavano una grammatica della scrittura sacra de'popoli del Nilo (19). Rossellini però ad onore d'Italia sorvisse fino al 1843: nella quale epoca compilò la sua grande opera che per morte pur rimase incompleta (20). Veggo ora , che nel compiere questo sunto di storia, io non posso passarmi dall'accennare almanco in che consista la scoperta di Champollion, e quali sieno le dottrine fondate nella sua grammatica della scrittura sacra degli egizi. Peraltro è mio proposto di trattarne così brevemente, che in breve periodo soltanto acchiudo il principio fondamentale del si- stema. — La scrittura geroglifica sta nell' uso si- 358 multaneo di segni di tre specie ben distinti: 1 ." nei caratteri figurativi l'oggetto stesso, che si volle espri- mere; 2.° ne^caralteri simbolici, tropici o enigmatici usati ad esprimere un' idea per I' immagine di un oggetto tìsico che avesse un'analogia vera o falsa , diretta o indiretta, prossima o lontanissima dall'idea che esprimeva; 3." né'caratleri fondici, esprimenti un suono e a pronunziarsi come le nostre lettere. Però invece di essere cifre di convenzione, essi sono un oggetto, di cui l'iniziale, che ò la prima lettera del nome di quest' oggetto , serve ad esprimere quella lettera che si vuole scrivere in una parola composta di geroglifici. Si ricorse a questi segni fonetici, perchè le altre due specie non valevano a dare ogni idea. Questi ca- ratteri fonetici d'altronde avevano sinonimi; i quali formavano la teoria degli omofoni , ossiano oggetti dissimili dimostranti una lettcì'a di suono conforme. Si può definire adunque la scrittura geroglifica, un complesso sistema, che adopra simultaneamente caratteri figurativi, simbolici e fonetici in im medesimo testo, in una medesima frase, e quasi in una medesima parola. Gli oppositori alle dottrine sopra enunciate ne- garono fede al sistema, poiché lo videro composto di triplice natura; e poiché gli omofoni nella parte fonetica davano agio, o potevano darlo, a spiegare facilmente le leggende per mezzo di frasi presta- bilite. Io non posso, né voglio entrare nella discussione; ma seguo il filo della storia; peculiare soggetto pro- postomi. Fino dall'epoca che primamente apparve il sistema geroglifico, il celebre Spohn tedesco nelle sne 359 memorie propose eccellenti canoni , siccome alcuni riferiscono, intorno alle interpretazioni di questa scrit- tura. Lui morto, il suo collega ed allievo Seyffarth, professore a Lipsia, dava a temere un nuovo sistema, che posasse sopra principii diversi da quelli da Cham- pollion fondati : quando finalmente diede alla luce un'opera (21), in cui si vuole che in più punti sor- passasse in eccellenza Champollion. Sembra però che tutto il meglio si stesse nel moltiplicare gli omofoni; per il che riusciva piìi facilmente nelle interpreta- zioni,che si proponeva. Se poi contraddicesse al sistema, io non so dirlo. Ciò che v'ha di certo si è, che il Pahlin succitato nel 1830 pubblicò altre ricerche sul monumento di Rossetta (22); ove si appropria la scoperta di Cham- pollion, dicendola una falsa applicazione de'principi da sé anteriormente stabiliti per mezzo degli scrit- ti (23). Né questo soltanto avvenne: che anzi insorsero alcuni a combattere e dileggiare tale scoperta , op- ponendosi al sistema emesso da Champollion, seguito da Rosellini e da altri. Fra la turba degli oppositori nominerò il famoso Klaproth, cui si concede il titolo di profondo filologo (24) ; e il napoletano Cataldo Jannelli, il quale nìegò essere alfabetici i geroglifici, ma soltanto Icxeoschcmi, ossia segni di parole; e disse ancora che la copta non fu mai lingua dei sacerdoti; né l'antica egizia (25). Le contrarie opinioni non iscorarono i dotti nei loro profondi studi e nei giganteschi lavori intorno alla paleografìa egiziana; e furono rintuzzate dai fotti assai meglio che dalle apologie. Quanto alla lingua 360 copta, per tacermi di molli, il dottor Lepsius, se- gretario di redazione dell'istituto archeologico di Cam- pidoglio, provò che essa è il vero idioma degli antichi egizi, e che si mostra piìi stabile che qualunque lingua indo-germanica o semitica: in esso trovò le cifre dei numeri e i nomi di questi talmente che li crede dall'Egitto trasmessi all'India; e infine una estrema concordanza dell'alfabeto demotico col semitico (26). - Quanto alla geroglifica per molti valgano a nominarsi primamente i lavori di Francesco Salvolini, allievo di Champollion, il quale all'Italia fu rapito da morte prematura; ed è quegli che ebbe illustrato nel 1825 i MS. di Aix; nel 1833 ci cbl)e dato le principali espressioni, che servono a notare le date ne'monumenti egizi (27); e infine è quegli stesso, che nel 1837 pub- blicò r analisi grammaticale de' differenti testi egi- ziani (28). In secondo luogo i lavori di Nestore L'Hóte, anch'egli morto in giovane età, e che la spe- dizione pontificia incontrò sul Nilo al di sopra di Esne il 19 gennaio 1841 mentre incombeva ai suoi studi monumentali (29). Infine torni ad onore il nominare i profondi studi del barnabita d. Luigi Maria Un- garelli , che dal fondo del chiostro si rese famoso per la lunga sua vita data ai lavori paleografici e alla scienza geroglifica, or di recente compianto da tutti coloro che seppero apprezzarne la estesa dot- trina (30). Il rispetto sommo, che si sono conciliati questi chiarissimi uomini, vietano ormai di porre in dubbio la realtà della conoscenza del linguaggio geroglifico, e del progredimento ottenuto nello studio di esso : talché non si dubita di appellarlo col nome di scienza. 361 Pur nondimeno il dovere di storico esige di chiudere questo sunto con alcune parole del Jannelli, il quale, se pertinace o sincero io non so dirlo, ostinatamente si oppone ai dettati della scuola di Champolllon, se non interamente, per lo meno in parte. Egli primieramente dice che la scrittura demotica e popolare degli egizi, secondo l'esame accurato dei suoi elementi, secondo l'analogìa di tutte le scritture popolari della terra, secondo tutte le autorità degli antichi , secondo la testimonianza di tutti i dotti , che con certa cura vi si sono occupati, non escluso il Champollion dopo il 1823, è sostanzialmente fo- nelica, è essenzialmente alfahclica, non simbolica o ideografica. E se ne è sommamente difficile la lettura, non è punto, perchè sia fatta, almeno in gran parte, di rettangoli, di dischi, o di occhi e di braccia; ma perchè ne è ignota la lingua , ed essa stessa è in gran parte notarica, tachigrafica, contratta: è simile in certa parte alla tironiana de'romani. In secondo luogo combatte l'alfabeto geroglifico maravigliando , come uomini ragionevoli non com- piangano nel tempo stesso la perdita irreparabile e necessaria della scienza geroglifica, e non confessino altamente , che ninna scoperta abbia potuto essere tanto perniciosa e deplorabile, quanto quella dell'fl/- fabeio geroglifico. Dappoiché potendosi convertire per mezzo suo tutti i monumenti dell'Egitto in un cumulo di suoni 0 lettere spesso impronunziabili , di ninna lingua umana nota , di nessun dialetto conosciuto: ed essendo intrinsecamente impossibile tradurre le lingue ignote senza lessici noti, senza dizionari coevi, senza versioni copiosissime e letterali; resta intera- 362 mente perduta, ed assolutamente inesplicabile e nulla per questo alfabeto la scrittura geroglifica degli egizi. - E altrove egli asserisce, che l'alfabeto geroglifico ha per base una indefinita omiofonìa ed è intrinsecamente assurdo, essenzialmente irrazionabile , e che ne sia impossibile qualunque saggio di prova o dimostra- zione. E dall'altro lato non si è trovato ancora anima vivente della scuola alfabetica^ che avesse esposto per lo meno il metodo generatore delle 150 lettere. Del resto s'ei riprova l'alfabeto , non niega che i lunghi studi sopra la scrittura geroglifica sieno stati senza frutto e lo possano essere. Imperocché egli dà principio alle sue Riflessioni su due lettere del Sai' volini con queste parole (*) : — Quei che amano di fare alcun solido e vero progresso nella scienza dei geroglifici egizi, quei che vogliono evitare la ciarla- taneria così facile ad insinuarsi in questi studi, non possono tenere altra via, che quella stessa, che in- dican loro i monumenti bilingui, cioè quelli che hanno in chiara e nota lingua una sufficiente interpreta- zione. Tutti quelli che si gettano sui monumenti ignoti e monoglossiy vogliono necessariamente illudersi ed illudere, essendo intrinsecamente impossibile, che l'ignoto si faccia noto per altro ignoto. Anzi trat- tandosi degli stessi monumenti noti o diglossi sarà sempre assai meglio fatto, se si scelgano sulle prime que' soli gruppi geroglifici , che dopo severa analisi sien trovati corrispondere a certissime voci o frasi di nota lingua . . Da queste osservazioni discende la conseguenza, (') Vedi la nota n. 25. 363 che coloro che si dedicano alle ricerche archeolo- giche, che ahbian nesso con le cose di Egitto, o trat- tino di queste, cerchino sempre di porsi su retta via onde non siano obbligati, come dice lo stesso Jan- nelli in calce delle sue Riflessioni , a mendicare , e quasi sempre senza alcun vantaggio e profitto , una menzogna di Manetone, una Tavoletta di Erodoto e di Eliano, una diceria di Diodoro e di Plutarco; o fors'anche viaggiare per gl'intermundi di Amon-Ra ed Houan-Nofre. Camillo Cav. Ravioli. NOTE (1) Stremata V, § 9 , p. 245-680 et seq. della edizione di Potter; ed anche: Sur les trois sistèmes d'écriture des egiptiens par M. le marquis de Fortia D'Urban ec. Paris 1833. — Osservazioni sulle nuove scoperte egizie di Champollion il giovane, ed Ippolito Rosellini dirette ad un amico da X. Liebhaber der Wahreit, pag. 18. — Roma 1834. (2) Hieroglyphica , sive de sacris aegyptiorum , aliarumque gentium literis common larii Ioannis Pierii Valeriani Bolzanii Bellunensis , a Caelio Angustino Curione duobus libris aneti, et multis imaginibus il- lustrati.— Basileae 1567. (3) Oedipus aegyptiacus — Romae 1653. — Obe- liscus Pamphilius 1630 — 1676. (4) De origine et usu obeliscorum. — Romae 1797. (5) Storia del mondo — 1730 — P. IT, pag. 282. 364 (6) Disseriazione dell'abate Domenico Testa so- pra ì due zodiaci novellamente scoperti nell'Egitto, letta in un'adunanza straordinaria nell'accademia di religion cattolica il dì 5 luglio 1802. — Roma 1802. Stamperia dell'accademia. — Più tardi Letronne inserì nella Rcviie dcs deiix mondes, tom. XI, 1837 Bru- xelles, la dissertazione: Sur Vorigine grecque des zo- diaques pretcndus égyptiens, afforzando in certo modo le opinioni del Testa e del Visconti nel suo museo Pio dementino, tom. VII. (7) Eclaircissement sur l'inscription grecque du monument trouvé à Rosette 1801. (8) Lettre au citoyen Chaptal, au sujet de l'in- scription égyptienne du monum. ec. Paris 1802. (9) Lettre sur l'inscription égyptienne de Roset- te. — Paris 1802. (10) Questi nel Magasin encyclopedique del 1807 e 1808; quegli nell'Analyse de l'inscription en hic- roglyphes du monum. ec. Dresda 1801 (forse ò 1804). (11) Recherches critiques et historiques per la langue et la literature de l'Egypte. Paris 1808. (12) Supplementto the fourth and fifth editions of the encyclopedia britannica. Edimburg 1819, voi. IV, part. I , pag. 38 e seg. — e quindi: Acount of some recent discoveries in hieroglyph. litter. London 1823. (13) Lettre à M. Dacier . . . 1822. (14) Precis du systéme hyeroglyphique des an- ciens égyptiens, ou recherches sur les élémens pré- mièrs de cette écriture sacreé sur leurs diverses com- binaisons , et sur les rapports de ce système avec 365 les autres méthodes graphiques égyptiens — avec un volume des planches — Paris 1824. (15) Antologia fiorentina anno . . . num. 55. — Come traduzione cìelVHermel giornale tedesco. (16) Il sistema geroglifico del signor cav. Cham- pollion il minore dichiarato ed esposto all'intelligenza di tutti dal dottore Ippolito Rosellini professore di lingue orientali nell'I, e R. università di Pisa 1825. (17) Narrative of the operations and recent di- scoveries in Egypt and Nubia. London 1821. — Yi è anche una traduzione francese fatta a Parigi per Depping; ed altra italiana fatta a Milano co'tipi del Sonzogno. (18) Lettres écrites d' Egypte et de Nubie en 1828, et 1829, par Champollion le jeune etc. Pa- ris 1833. (19) Grammaire égyptienne, ou principes géné- raux de l'écriture sacrée égyptienne, appliquée à la raprésentation de la langue parlée: par Champollion le jeune , publiée sur le manuscrit autographe. — Paris 1836, I voi. (20) I monumenti dell'Egitto e della Nubia ec, interpretati ed illustrati. — Pisa 1833. (21) Rudimenta hieroglyphica. — Lipsiae 1826. — Difesa del sistema geroglifico dei signori Spohn e Seyffarth. — Torino 1827. (22) Nouvelles recherches sur l'inscription en let- tres sacrées du monument de Rosette. — Firenze 1830. (23) Questi erano. — L' analyse de l' inscription de Rosette, Dresde 1804 op. cit. — ed i Fragmens de l'étude des hieroglyphes. 366 (24) Observations sur 1' alphsibet hièroglyphique du docteur Young et M.,. J. F. Champollion le jeune: par M. Klaproth. — Paris 1829. (25) Vedi l'Interpretatio tabulae rosettanae hie- roglyphic. — e le: Riflessioni 'su due lettere del si- gnor Francesco Salvolini intorno ai geroglifici cro- nografici degli egìzi: di Cataldo Jannelli accademico ercolancse. (26) Paleografia, siccome amminicolo alle inda- gini di lingua riferita specialmente al sanscrito , — e: Sull'origine ed affinità dei nomi numerali nelle lin- gue indo-germanica, semitica e copta. Berlino 1834. (27) Des principales expressions , qui servent à la notation des dates sur les monumens de Tancien- ne Egypte d'apròs l'inscription de Rosette, lettres... par Francois Salvolini, Paris 1833. (28) L'Analyse grammaticale et raissonnées des differents tcxtes egyptiens — Paris 1837. (29) L'Hótc (N.) Lettres écrites d'Egypte en 1838 et 1839, Paris 1840, in 8° pi. (30) Vedi negli annali di scienze religiose, t. II, pag. 13-25. 1. Rivista delle memorie sopra l'Egitto, o esame dì diverse obbiezioni fatte al professore Rosellìni dai giornali d'Italia e d'Alemagna. 2. Saggio di critica biblica applicata a un fatto raccontato nel XII cap. dell' Esodo , in risposta ad un' accusa fatta contro l'autore dei monumenti del- TEgitto e della Nubia, professor Rosellìni, dall'autore anonimo delle osservazioni sopra le nuove scoperte egiziane. — Ivi t. II, pa. 271 — 281. 367 3. Esame d'un articolo di M. Rossignol, inserito dans le tom. XI. pag. 63 des Annales de philoso- phie chi'étienne , sous le titre de : Quelques signes hieroglyphiques expliqués par la langue hebraique, t. Ili, pag. 37—55. 4. Elementa linguae aegyptiacae ec., Romael837 in 4°, pag. XVI — 136. 5. Illustrazione di quattro vasi funebri di ala- bastro ec. Roma 1841 in 12°, pag. 32. 6. Interpretatio obeliscorum urbis ad Grego- rium XVI p. m. digesta, Romae 1842 in fol. pag. 192. 7. Della iscrizione geroglifica incisa sopra un sarcofago vaticano-egizio ec. (portato dalla spedizione potificia del 1840-41), Roma 1842 in 12", pag. 34 ed inserito tradotto negli Annales de philosophie chré- tienne. 8. Dall' Album — Illustrazione di un ritratto di un nubiano posseduto dall' emo cardinale Lambru- schini, sottoscritta dalle iniziali — D. L. M. U. OSSERVAZIONE Il presente sunto storico fu scritto nel 1845; ne si presentò occasione opportuna di pubblicarlo prima di questo tempo. Quindi l'autore avverte, che per diversa direzione di studi non ha potuto tener dietro a quello, che può essere avvenuto di nuovo fino ad oggi in questo genere di speculazione scientifica; il quale vuoto altri meglio di lui sarà in grado di ri- empire. i:^§^ 368 Cinque dissertazioni dell' eminentissivio e reverendissimo signor car dinaie Luigi Lambruschini sotto decano del sacro collegio, vescovo di Porto S. Buflna e Civitavecchia ec. da esso lette nella ro- mana accademia di religione cattolica e pubblicate per cura del commendatore Vincenzo Castellini. 8 Roma coi tipi della S. C. di propaganda fide 1853 (un voi. di pag. 89). Deesi lode al sig. commendatore Castellini d'aver fatto di ragion pubblica queste dissertazioni, che nella quiete del chiostro dettava il dottissimo barnabita P. Lambruschini, oggi eminentissimo cardinale di santa chiesa: perciocché sono degne della sua mente e utilissime a propugnare sempre più le verità della religione. 11 titolo di esse è il seguente: DISSERT. I. Essendo la visibile chiesa cattolica la vera chiesa di Gesù Cristo, non ha potuto mai mancare per le divine promesse, né conseguentemente alterare la sua credenza, come pretendono ca- luniosamente gli eretici. DISSERT. II. In vano per ismentire la creazione si opppone, come inconciliabile cogli attributi di Dio, la esistenza di tanti esseri naturali erroneamente pretesi o nocivi o inutili. DISSERT. III. La propagazione del genere umano dopo il diluvio, tanto rapida quanto ci viene «lescritta nel Genesi, a scorno degli increduli che ne negano la possibilità, si dimostra possibile mate- maticamente. DISSERT. IV. In vano per ismentire le promesse fatte da Dio ad Abramo, e rinnovate a Mosè, circa l'estensione del paese di cui avrebbe dato il possesso agli ebrei, si oppone che questi non mai tutta la possedessero. DISSERT. V. Non si può dubitare ragionevolmente della storia di Abramo, né metterla al paragone colle storie incerte di Thaut, di Zoroastro e di Brama. 369 Discorso letto in arcadia nella tornata generale del dì 7 aprile 1853 e che riguarda la questione: Se convenga ritenere i classici pagani nella islituzione letteraria de'giovani. 8.° Imola per Ignazio Galeati e figlio 1853. (Sono pag. 16). Sa)i Basilio magno, in una delle sue più eloquenti orazioni, fu già d'avviso che si possa con frutto (salvo alcune poche eccezioni) da' giovani cristiani far tesoro delle opere de'pagani scrittori, così poeti^ come filosofi e storici. Noi siamo stati sempre dell' avviso medesimo, confortati dall'esempio non pure di tanti secoli, in cui quelle opere innocentemente s'insegnarono, ma si di esso san Basilio e di altri santissimi e dottissimi padri ed autori ecclesiastici, che grandemente per lo stile e perle sentenze se ne giovarono. Quanto non le studiarono Tertulliano, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, Lattanzio, Arnobio! Quanto il Varrone cristiano Clemente Alessan- drino! E fra' nostri più moderni forse il Pallavicino, il Bartoli, il Segneri non n'ebbero piena la lingua e la mente? L'autore del presente discorto (che sappiamo essere il eh. P. Borrelli soolopio) sostiene la sentenza medesima con forza di ragioni e facondia. Descrizione dei trenta medaglioni deW apparato e della festa del col- legio romano per la visita fatta dal Santo Padre PIO IX che comunicò gli scolari il dì 27 di giugno 1847, composta dal P. An- tonio Bresciani della compagnia di Gesù. 8." Napoli , stabili- mento tipografico di G. Nobile, 1853. (Un voi. di pag. 297.) E una delle solite optare magiche dei sommo ed elegantissimo autore : nella quale non ti sembra leggere , ma proprio vedere e toccare le cose descritte. Arte difllcillssima, che dopo il Bartoli non sappiamo chi abbia più posseduto cotanto in Italia! Fd il mirabile si {■, ch'ella è così segreta, che per quanto la cerchi non ti appare nello scritto per verun segno. Gran padre Bresciani ! Per Giovanni Marchetti pagine monumentali. S." Bologna, tipi Sassi nelle Spaderie 1853. (Un voi. di pag. 266). G.A.T.CXXXI. 24 370 In poche cose noi sentiamo col Bettinelli: ma siamo poi perfet- tamente con luì nel dispregio delle raccolte poetiche. Certo hanno esse nociuto assai al Parnaso italiano , empiendolo di troppi rima- tori, anziché di poeti: di troppi cioè che cantano per vanità e com- plimentOj e soprattutto per importunità di chiedenti, piuttosto che per forte e nobile inspirazione. Noi speriamo che in fine anche que- sto vecchiume cesserà del tutto in Italia , e che da' nostri gentili spiritisi cercherà altro modo più degno e durevole per onorare la memoria dei cari e dei sorami, come fu il conte Giovanni Marchetti. Non vuoisi nondimeno negare che in questa raccolta, in mezzo ad alquanta solita borra, non v'abbia pur qualche bel (ìore di poesia: come v'ha certo delle dotte e leggiadre prose del prof. Gibelli, del P. Denegri e dell'avv. Sassoli. Una parte del libro è data alle le-ttere che molli insigni lette- rati italiani già scrissero al conte Marchetti : e ve n'ha principal- mente del Botta, del Giordani, del Perticar!, del Costa,, del Colombo, dello Strocchi, di Pellegrino Farini, del Biondi, del Puoti, del Mc- colini. Una parte deWEro e Leandro di Musco, poeta greco, tradotta da monsignor Bernardino Baldi da Urbino e pubblicata la prima volta ec. 8.° Roma, tipografia delle belle arti 1853. (Sono pag. 13.) Era ignoto agli scrittori della vita del Baldi questo poetico suo lavoro intitolato a Lavinia della Rovere marchesa del Vasto nel 1585: e meritava bene che fosse fatto conoscere dall'egregio P. Ales- sandro Checcucci delle scuole pie, il quale ne possiede l'autografo. Ed egli lo ha fatto, dandone un bel saggio in occasione di amiche nozze, ed illustrandolo con dotto ed elegante proemio. Epigrammi di Francesco Capozzi editi ed inediti. 12." Lugo tipo- grafia Melandri 1833. (Un voi. di pag. 138). Si leggeranno con piacere pei be' frizzi e per le vivacità che contengono, non disgiunte da una eulta favella. 371 Fila di Francesco di Salignac de la Motte Fenelon scritta da Ce- sare Arici. 12." Beggio per Torreggiarli e camp. 1852. (Sono pag. 20.) Non sappiamo se questo scritto esca ora alle stampe la prima volta. Certo è un gioiello da non dimenticarsi nelle buone lettere. Di parecchie illustri morti in Roma. Cenni biografici del dott. An- drea cav. Belli socio di più accademie scientifiche e letterarie- 8.0 Boma 1852 presso Giovanni Olivieri. (Sono pag. 108) Contiene molte notizie annedote, pubblicate qua e là in gaz- zette e giornali dal diligentissimo autore, il quale opportunamente le ha raccolte in un volumetto, che non sarà senza utile della bio- grafia e bibliografia. / cieli, a Mss. Mary Somerville, carme di Caterina Bon-Brcnzoni. 8.° Milano coi tipi del dottor Francesco Fallardi 1853 (Sono carte 32.) Alto e magnifico tema e degno veracemente de'volì d'una poe- sìa , la quale anziché strisciare pel suolo ama spaziarsi per le vie dell'immenso e levarsi fino alla gloria di Dio. Quanto di beilo , quanto di gentile, quanto di generoso, quanto pur di sublime è in questo carme della Bon-Brenzoni ! Una musa decorosa e severa, e non già delle abitatrici del favoloso Elicona, le ha posto nobilissi- mamente in mano la cetra, e sempre la religione le è stata al fianco inspiratrice e compagna. Dicendo esser esso una delle poesie più meritevoli di chiamarsi tali fra le tante uscite a' di nostri, noi non diremmo che il vero. Imitino per profondi studi, per cultura di favella, per viva e forte immaginazione la valorosissima donna, lanti che ancor ci assordano con ciance o vili o superbe, e sì spesso con- dannate dalla morale: e meglio cosi proveggano al nome loro, al- Tutililà dell'arte, alla dignità della nazione. 372 Chi tli questo nobilissimo cinto ileslderasse un saggio, eccolo a corte- IS. Centro e signore è il sol il'un portentoso Ordin che da lui pende. A quell'immenso, Che nel capace sen chiuder potria Ben mille terre e milh^, il nucleo opaco Due diverse incoronano atmosfere: L'una nebbiosa e povera di luce: L'altra raggiante, che le vive fiamme x\gita e squarcia con perpetuo moto, Onde ne paion que'craleri immensi Che di macchie quaggiuso ebbero il nome. Soverchio spinse del veder l'acume, Quelle affissando, Galileo divino, E le pupille che scoprirò i mondi, Ivi si eslinser per aprirsi in Dio. Della luce solar splendidi e gai Veggio lo stuol dei carolanti globi, Cortèo dell'astro, la cui male ingente Bilanciar ne potrebbe altri più assai. A lor distanze una costante impera Progrediente legge, e ciascheduno Men rapido si move e men corrusco, Quanto più da quel centro ei si diparte. Già nell'accesa fantasia mi pingo Di tanti moti l'immutabil guisa; E volan sì, che luminosa traccia Parrai segnar ciascuno in suo viaggio, E gittar, riverente al suo Signore, Fiammeggianti ghirlande appiè del trono (*). f) Sono tali le' velocità dei pianeti, che a chi potesse compren- derne le intere orbite collo sguardo, la traccia potrebbe apparirne tutta luminosa, come quella di tm punto acceso che si muova con grande velocità- — Nota dell' autrice. 373 Ah! se un momento dal rotante seggio Tu disparissi, o sol, i mille mondi Che intorno a le muovon perpetuo giro, Un sovra altro cadrebbero confusi, Simili a stuol di miserandi ciechi; E combusti o sommersi innoverieno Ij'inerte, informe tenebria del caos. Tal questa diverria povera terra. Ove il raggio d'amor, che arcanamente Stringe gli uomini tutti, un solo istante Ad estinguersi avesse! Se ne derideva un altro ? Eccolo contro certa prava genia ch'è orrore della terra e del cielo. Oh decrepiti in pria d'esser virili, Voi ravviar l'umanità volete Su novelli sentieri, e porvi in loco Dell'infallibil che la regge ? Voi, Che, a strugger sol possenti, avete in core Il freddo della morte, e cui non suona Altro sul labbro, che blasfema e scherno? Del tempio social profanatori, Ah di Cristo il flagel su voi non chiamo. Ma quella luce d'infinito amore. Che confida, e perdona, e crede, e crea ! Pontificia accademia romana di archeologia. In adempimento de'paragrafi 1 e 2 del titolo 8.° dello statuto, si propone un premio a chi meglio dichiarerà il seguente argomento: « Monografia sulle iscrizioni cristiane cronologiche per swvire alla storia ecclesiastica, sino all'uso dell'era volgare. » Potranno concorrere al premio i letterati di qualunque nazione, eccettuati i soli soci ordinari ed onorari dell'accademia. 374 Il premio è di una medaglia d'oro di zecchini quaranta. Le dissertazioni^ in lìngua latina, italiana, o francese, dovranno essere presentate, senza nome di autore, a tutto il 10 luglio del fu- turo anno 1854. Dovranno essere scritte io carattere chiaro e leggibile. Saranno distinte da una epigrafe, ed accompagnate d'una scheda sigillata con entro il nome e l'indirizzo dell'autore, e fuori l'epigrafe stessa posta alla dissertazione. Il giudizio sarà pronunziato nel mese di luglio del medesimo anno. La dissertazione premiala verrà impressa negli atti. Le schede appartenenti a quegli scritti, a'qiiali non sarà stato aggiudicato il premio, non si apriranno^ ma saranno bruciate. Le dissertazioni dovranno essere dirette per la posta, od al- trimenti: ma chiuse, sigillate, e franche di porto, al Commendatore Visconti segretario perpetuo della pontificia accademia romana di archeologia. Quando non vengano per la posta, dovranno essere consegnate nelle mani del detto segretario perpetuo dell'accademia, il quale ne darà ricevuta al portatore. Dall'aula del Romano Archiginnasio il dì 10 luglio 1833. Il presidente Principe D. Pietro Odescalchi Il socio ordinario segretario perpetuo Commendatore Pietro Ercole Visconti 875 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO CXXXI voL. 391, 392, 393 Bonconipagni, Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano j). 3 Della Tuccia , Cronaca de' falli d'Italia {conli- nuazione) » 130 Mercuri , Spiegazione di un passo della Divina Commedia » 210 Catalani, Storia della morte {libico II). . . » 277 Gibelli, Intoìmo alVunilà nelle belle Iellate . » 328 Pendone , discorso recitalo alV accademia della SSma Concezione » 333 Ravioli, Sunto storico delle interpretazioni della scrittura Geroglifica » 347 Varietà. -■y^€^©@^,^Sr^^^^ IMPRIMATUR - Fr. Th. M.Larco 0. P. S. P. A. Mag. Soc. IMPRIMATUR - A. Ligi Archiep. Icon. Vicesg. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. SU 395 396 ROMA Tipografia delle Belle Arti 1853 Piazza Poli num. 91. cxx GIORNALE D 1 VOLUME CXXXII LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE 1853 ROMA Tipogralia di'llc Belle Aiii is;ì;{ i -K^ Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano mate- matico del secolo decimoterzo. Notizie raccolte da Baldassarre Boncompagni, Socio ordinario dcW ac- cademia pontificia de Nuovi Lincei. (Continuazione Vedi Tomo CXXXI, pag. 3 ~f29). alle opere qui menzionate di Leonardo Pisana la prima è certamente il suo trattato d'aritmetica e d' algebra intitolato Liber Ahbaci ; giacché sì sa che il medesimo Liher Ahbaci fu da Leonardo Pi- sano indirizzato a Michele Scoto, con una lettera dedicatoria stampata nello scritto del Padre DbW Gabriele Grimaldi intitolato Leonardo Fibonac- ci (1), e nell'opera del Sig. Libri intitolata Histoire des Sciences mathématiques en Italie ec. (2).Di questa lettera dedicatoria si hanno sei esemplari mano- scritti, il primo de' quali è nel Codice L. IV. 20. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena sul ?e- lijfi^^cr»!) ilRnp'tih oiJJcup ,tjJiio8 [1) Memorie iStorUie di piò, uomini iTh:(iàé'^h(àil^f: f, %^.'^ i70 e 171. ' ■ ; ; .ti i;i;;!il (2) Libri, Histoire dei sct^hcefmàtném'attq%e^ etì'rtaùèl t.'n,"6ap.' 288, e 28(9. - -ri ... ■ . :m' i /. u.\V. -^l^'^K^^tA ,'ii>cl Jn9rii'»l''j h do della piima carta numerata; il secondo nel Co- dice Palatino n.° 134-3 della Biblioteca Vaticana sulla prima colonna della prima carta recto , il terzo nel Codice Magliabechiano contrassegnato Scaffale C. Palchetto 1. n.° 2616, Conventi Soppressi, Badia Fio- rentina n° 72, sul recto della prima carta; il quarto nel Codice Magliabechiano Classe XI. n° 21 sul margine laterale esterno della prima carta recto; il quinto nel Codice Riccardiano n.° 783 sul recto del- la prima carta; ed il sesto nel Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli, contrassegnato Ar- madio Vili. Pluteo C. n." 18, a carte 3 recto e verso. Questa lettera incomincia così: Scripsisti mihi domine mi et magister Michael scotte summe philo- sophe, ut librwn de numero quem dudiim compositi yohis transcriberem (1). ,^ L'opera di Leonardo Pisano, chiamata praticha di geometria nel sopraccitato libro di praticha darismetricha (2) , è certamente quel trattato di geometria teorica e pratica, che sotto il nome di Leonardo Pisano, e sotto il titolo di Practica geo- r»e^i^vt\ov^si manoscritta in parecchi Codici (3). n!«oirp ia.(S) .09 al V»w z'ìtimvòz ^^ (1) Vedi Giornale Arcadico Tomo CXXXI, pag. 5, lin. 14— 16^ pag. 89, lin. 11—13, e pag. 90, lin. 1. !- ' (2) Vedi Tom. CXXXI, pag. 129, lin. 6. rj j, j, ;,,;?, ;f^ ,;^;.,|;, (3) Del lesto latino di quest'opera esistono otto esemplari mano- scritti, quattro de'quali sono nella Biblioteca Vaticana (Codici Ur- binati n. 259 e 291; Codice Valicano n.°, 49• (Mariella De Micci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, racconto storico di Agostino Ademol- lo. Seconda edizione con correzioni e aggiunte per cura di Luigi Passerini. Firenze Stabilimento Chiari, 1843, 6 volumi, in 8°, voi. IH, pag. 1058, nota (63), al capitolo XXI). — Domenico Maria Man- ni scrive [Fila del Beato Angelo de' Mazzinghi Carmelitano in Ri- stretto AlVlllustriss. e Reverendiss. Monsig. Giuseppe Ilaria Mar- telli Arcivescovo di Firenze, Principe del Sacro Romano Impero, e Vesc. Assist. Al Soglio Pontificio. In Firenze, MDCCXXXIX. Nel- la Stamperia di Pietro Gaetano Fiviani da Santa Maria in Cam- po. Con licenza de' Superiori, in 4.", pag. 8) : » Avo dunque del B. Angelo si la quel Bene di Spinello , il » quale unitamente con Bartolomraeo suo fratello si trova nel Se- » poltuario MS. di Stefano Rosselli che lasciò due Memorie se- « polcrali di se slesso, e de'suoi in Santa Maria Nuova di Fireu- » ze^ pel cui Quartiere passò questa Famiglia, l'una nell'andito , » che va alla Compagnia addomandata del Pellegrino nella parete » verso la Chiesa, la quale dice : S. Bene, et Bartolomei Spinelli » de Mazìnghis de Perctola. L' altra sotto le Volte della stessa » Chiesa. Bene e Bartolomeo de' Mazinghis et Descendentium. i> Questo Bene vivea l'anno 1360 in cui si trova testimonio ad » un certo Testamento che esiste nell'Archivio di S. Maria Nuova.» La Vita del Bealo Angelo de' Mazzinghi Carmelitano citata di sopra fra parentesi (linea 15 — 20 dì questa pagina) è quel medesimo li- bretto di Domenico Maria Mannij che il Dottore Don Giuseppe Maria Brocchi nell'articolo soprarrecato delle sue File de' Santi e Beati Fiorentini dice essere slato stampalo senza nome dello slesso Manni dai Padri Carmelitani ( Vedi sopra pag. 8 nota (2), lin. 29 e 30 ). Un esemplare della edizione del 1739 di questo libretto trovasi nella Biblioteca Magliabechiana di Firenze (Miscellanea 275, n.» 24). Il Dottore Don Giuseppe Maria Brocchi nelle sue Fite dei Santi e 10 tano ò da credere che fosse il Maestro Anlonio de' Beati Fiorentini riporta un Albero dei Mazzinglii da Peretola fallo dal celebre Antiquario Giovanni Battista Dei, Custode dell'Archivio segreto di Francesco Stefano Imperatore d'Austria, e Gran Duca di Toscana {Brocchi, Vite dei Santi e Beati Fiorentini, t. II, par- te seconda, pag. 236 e 237). In quest'Alberesi legge: [Brocchi, Vite de'Santi e Beati Fiorentini, parte seconda, t. II, pag. 237). « BENE, matricolalo al- 11 VArte della Seta nel n 1331. squittinato al n Priorato nel 1381. Questo Bene è quello stesso Bene di Spinello, che il Manni dice essere stato avo del Beato Angelo de'AIazzinghi (Vedi sopra, pag. 9, lin. 21, nota (2) della pag. 8 ). Più oltre nel suddetto Albero si legge (Brocchi, 1. e. ) » NICCOLO', squittinato ■>■> al Priorato nel 1391. „ AGOSTINO, squittina- " to nel 1391. matrico- li lato all'Arte della Se- « ta nel 138S. « SPINELLO , squittina- « to nel 1391. » Questi passi del suddetto Albero confermano ciò che nel testo di sopra ft slato dello intorno alla famiglia de' Mazzinghi da Peretola, cioè ch'essa esisteva in Firenze nel secolo decimoquarto (Vedi so- pra, pag. 8, lin. 8 — 10). Il Sig. Emmanuele Repelli nel suo Dizionario geografico fisico storico della Toscana, scrive : [Dizionario geografico fisico storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Gran- ducato, Ducato di Lucca, Garfagnana, e Lunigiana compilato da Emanuele liepetti, Socio Ordinario deWl. e li. Accademia dei Geor- gofili e di varie altre. Firenze, presso l'autore e editore 1833 — 1846, 6 volumi, in8°, voi. IV, pag. 101, coL 2.) : « PERETOLA nel Val d'Arno fiorenti- « no. — Borgo con chiesa prioria ( S. Ma- " ria Assunta ) nel piviere di S. Stefano in » Pane, Com. e quasi 2 raigl. a lev. di Broz- » zi, Giur. e circa 3. migl. a ostro di Sesto, » Dioc. e Comp. di Firenze, da cui il bor- « go di Peretola è migl. 2 }^ a pon. Il Mazzimjhi , eh' ebbe i libri di maestro pagalo , M Questo popolalo borgo è situalo in pia- » nura fra il Fosso Macinante e quello del- •»> 1' Osmannoro , allraversato dalla strada » postale lucchese che dalla Porla al Prato » fino qua é comune a quella R. del Po{;gio » a Cajano per Pistoja. Questo borgo di Peretola, intorno al quale il Sig. Emmanuele Repetti dà varie altre notizie (Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, voi. IV, pag. 101, col. 2, e pag. 102, col. 1.) è certamente quello da cui la famiglia de' Mazzinghi da Peretola trasse la sua origine. Le abbreviature Com., lev., Giur., Dioc, Comp. e pan. che si tro- iano nel soprarrecato passo del Dizionario geografico fisico storico della Toscana del Sig. Repetti, significano Comunità, levante, Giu- risdizione 0 Tribunale Civile, Diocesi, Compartimento, e ponente {Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, voi. I, pag. XVI non numerata). Paolo dell'Abbaco nel suo testamento soprammenlovato ( Vedi , sopra , pag. 7 e 8 ) lasciò quattro fidecommissari, uno de' quali fu Bene di Spinello Mazzjnghi avo del Beato Angelo. Domenico Maria Manni ciò attesta scrivendo {Osservazioni istoriefic sopra i sigilli antichi de'secoli bassi, t. XX, pag. 3S e 36): « Questa è una » delle due Cappelle, di cui si ragiona da chi si attenne allo spo- M glio del Testamento di Paolo dell'Abbaco (Cod. DD. della Stroz.) )) ma perchè lo spoglio da chi il fece troppo succintamente venne » compendiato, e fu tralasciato in esso qualche bel sentimento, io » mi farò a prenderne un sunto maggiore; e dirò primieramente » che Maestro Paolo il fece sendo malato in letto della sua ultima » infermità, stando di Casa da San Fridiano nel Popolo di Verzaia , » e lasciò suoi fidecommissarj quattro galantuomini del suo tempo, » ed alcuni de'quali, letterati, così essendo naturale che un letterato » facesse. Messer Luigi adunque di ÌNeriGianfigliazzi Dottor di Leg- » gi si fu un di quelli, ed il primo; Bene di Spinello Setajuolo avo » del B. Angiolino Mazzinghi Carmelitano, che stava nel popolo di » S. Trinila, fu il secondo ». In fatti nel sopraccitato testamento di Paolo dell'Abbaco si legge: Insuper testator praedìctus ad pracdicta omnia et singula exequenda, facienda, et complcnda et executioni mandanda fedi, reliquit et esse voluit suos fideicommissarios et huius testamenti execulores Dominum luysium de turri olim nerij de Janfi- glaczis legum doctorem. Benem Spinelli Setaiolum popuH S. trinila- tis (Archivio de'Contratti di Firenze, Lettera D, Fascio 75, vola- 12 cioè di maestro Paolo dell' Abbaco ; giacche questo me 1, carta 2, verso). Benché qui non trovisi il casato di questo Bene di Spinello, tuttavia avendo il Manni detto che egli fu de' Mazzi nghi f'. da credere che ciò affermasse con buona ragione. Nella sopraccitata edizione diil 1739 della Fila del Bealo Ange- lo de'Mazzinghi ( Vedi sopra pag. 9, lin. 2—7 ) non è indicato l'autore di questa Vita. — 11 Canonico Domenico Moreni nella sua Bibliografia storico-ragionata della Toscana sotto « MANNI Dome- nico Maria , Fiorentino » scrive {Bibliografia storico— ragionata della Toscana , o sia catalogo degli Scrittori che hanno illustra- ta la storia delle città, luoghi , e persone della medesima , rac- colto dal Sacerdote Domenico Moreni e Canonico delC Insigne Beai Basilica di S. Lorenzo di Firenze , Accademico Fiorentino. Firenze MDCCCF. Presso Domenico Ciardetti, con approvazione, 2 tomi, in 4", t. II, pag. 22). « Vita in ristretto del B. Angelo di Agostino Mazzinghi, Car- » melitano. In Firenze, 1739. per Gaetano paviani, in 12". » „ Quesla, che è senza il suo nome fu messa alle stampe dai Pailri del Cannine „ in occasione della Traslazione, che fu falla del Corpo del nostro Bealo in dello „ anno. Che poi ella sia del Manni risulla a pag. 5. d'un Ristrello presso di me „ di Vita dell'islesso Beato stampato nel 1761. ,, Che questa f'ita sia opera di Domenico Maria Manni è avverti- to dal Manni stesso, giacché egli scrive (Osservazioni istoriche so- pra i Sigiili antichi de'secoli bassi, l. XI, pag. 136J: « nelle memo- )) rie della Compagnia di Santa Cateriiia, oggi del Crocifìsso delChio- » do si legge essere stato il Beato Angelo Mazzinghi passato al Cie- » lo di bea due anni prima, siccome io scrissi nella piccola Vita di » esso Beato impressa in Firenze 1739.» Nel 1761 l'u stampato in Firenze un opuscolo in 12°, di ventiquattro pagine numerate, sulla prima delle quali si legge: «Vita in ristretto del Beato Angelo di Ago- " stino Mazzinghi, Carmelitano fiorentino promulgata dai Padri del « Carmine di Firenze in occasione della solenne festa fatta il dì M XXVIII. Giugno MDCCLXI, in ringraziamento a Dio pel decreto M ottenuto dalla Santità di Clemente XIII. Sommo Pontefice in con- » ferma del cullo prestato al detto Beato ab immemorabili. In Fi- ,, renze L'anno MDCCLXI nella Stamperia Imperiale, Con licenza « de'Superiori » A pagine S di questa P'ita in ristretto si legge: « Era riservato lo schiarimento di questo dubbio al celebre An- » tiquario Sig. Gio. Battista Dei, il quale in occasione della Tra- » slazione, che fu fatta del Corpo del nostro Beato 1' anno 1739 » ritrovò la di Lui vera Ascendenza , ricavala dalle Antiche Me- 13 Maestro Antonio è dello da pcretola in due trat- tati d'aritmetica e d'algebra composti nel secolo de- cimoquinto, uno de'quali ti'ovasi manoscritto nel Co- dice L. IV. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena sotto il titolo di « trattato di praticha da- « rismetricha tratto de libri di lionardo pisano et )) daltri auctori Conpilato da b. (1) a uno suo ebaro » amicbo neglanni di Xpo MCCCCLXIII «.In que- sto trattato si legge (2): « El terzo chapitolo et vltimo del quìndeciino )) libro di questo trattato nel quale si chontenghono » chasi scritti nel trattato dimaestro antonio. no- » minato tractato di fioretti. E quali sono scelti » da detti fioretti in piiì parte scritti. )) Yiuono anchora al tenpo presente e nipoti del » detto Maestro antonio . El quale , secondo che )) per udita posso scriuere, egli fu da pcretola de » mazinghi honoreuoli huomini. E chome il padre » assai chopioso secondo gli uomeni di quella villa )) delle chose che la fortuna porge, et anchora di » morie dei pubblici Archivj di questa CiUh, e da alcune Inscri- » zioni sepolcrali , quali furono compulsate nel Processo , che a » ragione di detta Traslazione fu fatto avanti l'Illustrissimo e Re- » verendissinio Monsig. Giuseppe Maria Martelli nostro Arcivesco- M vo di gloriosa memoria, e di poi pubblicate dall'erudito Sig.Dome- » nico Maria Manni nella Vita in Ristretto del Beato Angelo Maz- » zinghi, che senza suo nome fu mandata dai PP. del Carmine alle j> Stampe nel detto anno in Firenze ». Un esemplare della sopraccitata Fila in ristretto del Beato Ange- lo di Agostino Mozzinqlii trovasi nella Biblioteca M^gliabechiana di Firenze (Miscellanea 339, n.° 14). iivL; Jiì (1) Ed» credere che l'autore il cui nome qni 6 indicato poll'i- nìzìàle b sia Benedetto aritmetico Fiorentino del secolo decimo- quarto (Vedi Atti delV Accademia Pontificia de''Nuovi Lincei, Anno r, Sezione I, pag. 54— 58.) (2) Codice /,. /^. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 451, reeto. u » buono intelletto , volle al figluolo dare virtù le )) quali per alchuno accidente gli fussino tolte, et » fattolo imparare, legiere, et scriuere, et grama- )) ticha, che in pichol tempo assai sofficiente ne » venne. Impero che secondo luso del dire di quel » tempo in latino et in vulghare disse bene, et an- )) chora scriueua lettera anticha bene proportionata. )) E di poi si dette allo studio delloperc Matematiche, » et fu suo precettore Maestro pagholo. E benché )) alchuni dichino che stesse chon lui in chasa, et )> che fu quello che manifestò la morte sua, questo » non afefmo per vero. Ma potrebbe essere. E po- )) cho tempo stette chon Maestro pagholo, chel detto » M." pagholo morì , e nel testamento lasciò e )y beni immobili alla chiesa di sancta trinità , che )) sechondo chessi vede per larme, che sono foglie » di vite, le .2. chapellc allato allo maggiore muro » cioè furono murate de suoi denari benché ancbo- )) ra la maggiore si dice che di que'denari si muro- )> rono. Elle possessione, et chase lasciò a vno suo )) nipote, et dopo la morte di quello a sancta trinità )) ritornassino. E i libri et chose atte a studio lasciò »'*'à chi pili sapesse, et in ciaschuna facultà. E fu do- ))' pò hmghe dispute, facto in molto tenpo, chon ono- » revolc modo, mandati a chasa Maestro antonio pre- » detto. Et non solamente in arismetricha, et geo- )) metria, ma in astrologia, musicha , anchora in )) edifichare, in prospettiua, in tutte arcte di gran in- )) telletto fu dotto et fece molti archimi. E sechon^ « db che trouiamo dota di circa 30 Anni morì. )) Lasciò molli vilumi di geometria e darismctricha, » ma la più alta fu quella che de fioretti è titolala. 15 » nella quale sono scritti, e chasi che debbo di- » mostrare, a quali starai atento. » L'altro trattato d'arìtmetrica e d'algebra nel qua- le ho detto (1), essere chiamato da peretola il mae- stro Antonio, ch'ebbe i libri di maestro pagliolo è anonimo , e trovasi manoscritto sotto il titolo di trattato di pralicha darismclrica (2) in un Codice dell'I, e R. Biblioteca Palatina di Firenze, contras- segnato E. 5. 5. là; cioè Stanza E, Scanzia 5, Pal- chetto 5, e numero d'' ordine 18. In questo trattato si legge (3) : « E questo basti quanto alle ragioni di maestro » giovanni, e scriverremo alchuna ragione di mae- » stro antonio sechondo il nostro ordine nel prin- » cipio di questo chapitolo preso. )) La quinta e ultima parte dell'utimo (sic) cha- » pitelo della diecima parte di questo trattato dove » sono . . . (4) ragioni absolute del perfectissimo ari- » smetricho Maestro antonio. )) Provasi Maestro antonio de mazinghi da pe- » retola essere stato achutissimo in questa arte per » Io dire di maestro gratia teologho grande , che » in uno suo trattato non si può satiare di lodarlo. )) Maestro giovanni quando gli era proposto allchu- » na quistione da non poterla asoluere per le regholc ii') Vedi sopra, pag. 8, Un. 3 — 6. (2) Questo titolo trovasi nel recto della prima carta del suddet- to Codice E. 8. S. ìli. dell'I, e R. Biblioteca Palatina di Firenze , giacché in fronte a questo recto si trovano scritte in caratteri rossi le parole seguenti : « Inchomincia el trattato di pralicha da- » rismetricha. E prima la divisione di tutto el libro. » (3) Codice E. 3. 5. 14. dell' I. e R. Biblioteca Palatina di Firen- - zeccarla ^7S, verso. 1-'j>/i oioa vUi/i: i,:o yrn cb ,oLr')ri.i;lf;;T " (4) Questa lacuna si tr(M»à'rtél"€baké%'itA'8.V**/®'l'*-^ R- "^ blioteca Palatina. ^'' , • ■ -l'-iviS ■s\o3')?/!)b 'irtiUi^n rtyi'.;V. 16 )) diceua : Maestro antonio non la asolae. Ma qual » pruova è meglio che uenendo alla morte maestro » pagholo, huomo di grande ingegnio, et perfettis- » simo astrologho lasciò chelle sue opere, et Jibri » che aueua auesse chi più di questa scienza sapeua, )) e da chi laueua a giudichare perfettissimamente in- » vestighato chon grande honore alla sua chasa fu- ì) rono madati (sic) et che questo fussi vero da mae- » stro. Michele padre del maestro mariano, che fu » di grande praticha, che fu vno de ditti giudicha- » tori chon buona choscienza gli furono licenziati. )) Adunque de suoi porremo alchuno chaso. Adun- » que starai atento «. ì « Nell'Archivio de'Contratti di Firenze (1) si con-'' serva un testamento fatto ai 19 di Febbraio del 1367 (2) , da un maestro Paolo matematico che (1) Lettera D, Fascio 7S, Volume I, carte 1 — 3. (2) Questo testamento incomincia così ; In Nomine dni Amen. Anno sue Incarnationis Millesimo trecentesimo sexagcsimo sexlo. Indictione quinta die decimo nono mensis februarii. Actum fior, in populo Sancii frid. in domo habitationis infraseripti testato- ris (Archivio de' Contratti tli Firenze, Lettera D, Fascio 7b, carta 1, recto). L'anno è qui indicato secondo Io stile Fiorentino. Si sa che fiuo a tutto il 1749 i Fiorentini incominciarono l'anno ai 25 di Marzo (Codice Diplomatico Toscano compilato da Filippo Brunetti Antiquario Diplomatico Fiorentino. Firenze, 1816 — 1833, 3 parti, in 4°, parte prima, pag. 29). Perciò il Febbraio del 1366, secondo questo antico stile, corrispondeva al Febbraio del 1377 dello stile presente. Il celebre erudito Fiorentino Domenico Maria Manni ciò avverte scrivendo: « Questo però d certissimo, che circa l'anno » delia morte di Maestro Paolo non si può credere al Villani esse- » re stato il 1363., se nel 13,66. di Febbraio, che alla maniera, ao- M tica Fiorentina tornava al 1367. dello sii! d'oggi egli fece il suo » Testamento, da me ora avuto sotto l'occhio, per togliere i dub- "J^j »r. [Osservazioni ,istoriche jiiDovienico Maria Manni.^^Qjpra i Sigilli antichi de'Secoli Bassi, t. XX, pag. ,57 e !)8). ..1e<1 B;>9toiI<' 17 nel testamento stesso è chiamato : Magister pau- his oUm scr pieri popiiU s. fridiani de fior, ^l^^i uulgari nomine vocalur Maestro pagolo delabacho Arismetrice , Geometrie , ac astrologie , seu astro- nomie, magister prohatissimus (1). In questo testa- mento si legge : Item reliqnit , voliiit, et mandauit [magister panìus olim ser pieri etc.) quod omnes libri, et omnia instrumenla de astrologia, seu ad artem a~ strologie perlinentia ipsius testatoris mictantur et re- condcntur in cpiadam cassa firmata cimi diiobus ser- raminibus, et ponatur ipsa cassa, ctstet cnm dictisln- stnimentis, et lihris, in Monasterio S. trinilalis de fior, et claves ipsorum serraminum teneant infrascripti eius fideicommissarij, donec in civitate fior, sit aliqiiis aslrolaghus florentinus approbatus saltim per quactuor Magistros. Et quod aduenente casa quod aliquis hu- iusmodi astrolagus sit in civitate fior., reliqidt et ei dari voluit dictos libros et Instrumenta ad artem astrolagie pertinentia (2). Di questa disposizione testamentaria del suddetto magister paulus ohm ser pieri fa menzione Domenico Maria Manni erudito Fiorentino del secolo decimottavo scrivendo (3): « Lasciò (Paolo dell' Ab- )) baco) che tutti i suoi Libri di Astrologia si met- » tessero in S. Trinità in una cassa serrata a due )) serrami, e che una chiave ne tenessero i Frati, » l'altra i suoi eredi, e quivi stessero fin tanto che (1) Archivio de' Contralti di Firenze, Lettera D, Fascio 75, Vo- lume I, carta 1, recto. (2) Archivio decontratti di Firenze, Lettera D, Fascio 73, vo- lume I, carta 2, verso. (3) Osservazioni isteriche di Domenico Maria Miinni sopra i Si- giUi antichi de'Secoli Bassi, t. XIV, jiag. 22, e 23. r..A.T.(;x\\ii. 2 18 » non fosse in Firenze qualche Astrologo bravo Fio- » remino approvato per tale almeno per quattro » Maestri, e quando venisse il caso che ve no fosse » uno tale, a lui lasciò, che fossero dati, e che di- » venissero suoi. Bisogna dire che questo grande » Astrologo nascesse , perchè al dire del Negri, i » Libri in S. Trinità più non si trovano , e si sa » altronde, che nel 1532 , se ne fece una impres- » sione per Giovanni Hervagio di Basilea colle Note » di lacobo Micillo ». Il g7xinde Astrologo di cui qui parla il Manni, nacque certamente, e fu Maestro Antonio de'Mazzinghi da Peretola (1) , cioè quello stesso maestro Antonio , nel cui fioretto si legge- va (2) : « 0. L. p. di quarta scientia fusti quando » desti principio all'Italia ad avere lume della pra- » ticha darismetricha ». Nel libro di praticha darismetricha che ho detto di sopra (3), trovarsi manoscritto nel Codice Otto- boniano n-° 3307 della Biblioteca Vaticana si leg- ge: (( e però a suoi chasi faremo fine, e diremo dal- » chuna quistione sottile asoluta per Maestro anto- » nio Maestro di detto Maestro giovanni, e discepolo » di maestro pagholo, che fu solo infra glintendenti » al suo tenpo in questo modo diciendo » (4). Più oltre nel medesimo libro di praticha dansmetricha si legge : « Anchora abbiamo alleghato Maestro gio- » vanni al quale succiedette a maestro antonio. E » allui rimasono e libri di maestro antonio, e ben- (1) Vedi sopra, pag. 6—16. (2) Vedi T. CXXXI, pa{;, 128, liti. 24 e 23, e pag. 129, lin.l— 3. (3) Tom. CXXXI, pag. 108, lin. 3—12. (4) Codice OUoljoniano ii." 3307, caria 335, recto. i 19 » che facesse infiniti vilumi. Ellibro che chonpilato » lettere e supremo a tutti, el quale Kbi'o chome » che parte nabbia veduto , chome dicie Maestro » lorenzo al presente lo tiene ser filippo per ladie- » tro notaio delle informagioni, el quale abitaua in » borgho ogni santi dirimpetto alla via nuova » (1). Questo maestro Giovanni discepolo di maestro Anto- nio deMazzinghi fu figliuolo di un muratore , che avea nome Bartolo , incominciò ad insegnare nel 1390, e morì giovane fra il 1440 ed il 1450. Que- ste, ed altre notizie intorno al suddetto maestro Gio- vanni ci sono date dal libro di praticha darismetri-^ cha, che di sopra ho detto (2) trovarsi manoscritto nel Codice L. IV. 21. della Biblioteca Pubblica Co- munale di Siena, giacché in questo libro si legge : )) El secondo capitolo del 15° Libro nel quale » sono scritti certi chasi di maestro Giovanni, che )) nelle sue opere sono scritti. e » Maestro Giovanni di bartolo Inchominciò a in-« » segnare circha 1390. E chosi chome il suo mae* » stro morj govane anchora lui govane; chominciò » in questo modo. Morto il suo Maestro antonio, » persuaso et aiutato da certi amici di Maestro an- )) tonio , et anchora da suoi, benché di .19. Anni » fusse, gli feciono aprire la medesima schuola, et )) fauoregiandolo quantera possibile. E per sva go- » vaneza pocho dagli altri chensegnauano conosciu- » to. E benché dottissimo et chopioso di libri fusse^ » che gli crono rimasti quegli del detto Maestro an-, (1) Codice Otloboniano n." 3307, caria 333, redo. ' (2) Paij. 12, liii. 7—10. 20 )) tonio , la inuidia che negli artefici dunarte re- )) gnia, et massime infra quelli che insegnono al )) presente, infralloro examinato in che modo si po- )) tesse levarlo di quella voluntà, presono questa via. )) Chonciosia chosa che per la sua età non fusse pos- » sibile che egli potesse sapere, ragunorono ciaschu- » no nella loro schuola alchuni buoni ragionierj, e » fu nella schuola di maestro michele, circha a 25 )) di varie materie, et nella schuola di maestro lu- )> cha circha altre tante, benché maestro luca poche » 0 niente facesse. Ma Maestro biagio suo maestro )) secondo che da Maestro lorenzo o inteso et chia- » mato ciaschuno asse dissono: a noi è stato detto » che un facnllotto (sic) discepolo di Maestro an- )) tonio a riaperto la schuola chegli teneiia quando )) era in uita. E acciò che creda che fra voi sareb- » be chi mc(jlio di lui la terrebbe, Io vi fo coman- )) damento che oggi quando venite alla schuola voi )) nandiate là. E pigliate le mute vostre dallui et » quando vi fate insegnare mostrategli cìio nostri » arghomenti che sapete che vadi affare altro. A » quali vbidendo e detti discepoli andorono. Era in )> fra quelli vno Tomaso cliaualchanti che era molto » intendente, et vno lachopo bordonj , et fecionsi » chapo, et gunto dopo desinare allui, e fatogli la )) riuerentia chessi richiede, dissono: Maestro, inteso » che voi volete ritenere la memoria di Maestro an- » Ionio, noi rivogliamo chonogni aiuto fauoregiare (( in quanto ci uolete mostrare , et noi vi saremo » obbedienti scholari. Et profetizò. Inperò che chosi » fu. Maestro giovanni maravigliatosi di tanti et » quali, e di diversi, et di diverse Materie, subito ' 21 )) stimò quel chcia. Niento (limono a viio a vno cliia- » malogli la materia loro che uoleuono mostrò. E )) poi tutti insieme ragunati ehominciandosi a vno » di loro dal principio per infino a quanto durò il » tcnpo mostrò e dubj, et chiarj loro in modo che » stupefatti certi che ucrano si richordorono di mae- » stro Antonio. E parue loro in quel pocho di spa- » tio aucre più inparato chel resto del tenpo agli » altri, onde seguitando pervennono in modo, che )) molti di loro furono per le propie uoluntà so- )) pinti a dire et far villania a loro maestri primi, » solamente avendo chonpreso la intensa invidia che » gli portauono. E di quindi diriuò che molti che » per insino al di doggi si diceva. E chiaramente )» Maestro govanni fece al suo tenpo alchuni scho- » lari che di gran lungha avanzorono chinsegnaua. » Benché senpre avesse il salare dal chomune per le » letioni straordinarie. E uisse in fino circha a )) 144. (sic). Fu il padre Muratore, et più tosto di » pouero slato che di chomune. Guadagniò al suo » tenpo grandissima quantità di tesoro. E fecie in )) molte facultà belle opere, et massime nella pra- )) ticha che no viste molte delle quali chauo e chasi » che uoglio scriuere. E benché non sieno chasi » dalta inmaginatione, niente dimeno gli piglio, per- » che sono sopra e chasi del nono chapitolo trovati, )) et anno alchuna parte di dolceza. Adunque notato )) il suo dire, ne piglicrai qualche frutto. Fu di sta- )) tura Mezana, e quasi i viso pieno, benché a mio )) tenpo non auessi chognitione, inperò che in quel « tempo che io mi posi anparare egli era morto, ' » onero morisse. 22 11 Comune di Firenze con una sua celebre Prov- visione (lei 22 di maggio del 1427 ordinò che si facesse il Catasto, cioè un registro di tutte le per- sone sottoposte alle gravezze del Comune mede- simo, e de' beni , e facoltà eh' essi godevano (I). A forma di questa Provvisione il suddetto Maestro Giovanni di Bartolo diede agli Ufficiali del Catasto di Firenze la seguente portata de'suoi beni, che tro- vasi manoscritta nell'Imperiale e Reale Archìvio del- le Riformagioni di Firenze, a carte 1182 recto della Filza seconda delle Portate de'Cittadini Fiorentini del Quartiere S. Spirito, Gonfalone DragOjdell'anno 1427. » Al nome didio amen » Questi sono i beni del maestro Giovanni di » bartolo dellabacho del quartiere di Santo Spirito )) gonfalone del iJragho, popolo di santo Friano. » Una Chasa con orto nella quale Io abito po- » sta in sul tereno della badia di camaldoli della )) quale pago lanno davillare soldi sette, denari sei, » denari piccioli, la quale cosi confinata da primo )) lerede di Giovanni di Franciescho da monte ca- » regli , da sicondo la via di santo Salvadore, da » terzo Giovanni di miche (sic) tedesco donzello de » signori, da quarto la via di santo benedetto. ( I ) Della Decima, e di varie altre gravezze imposte dal Comune di Firenze, della moneta, e della mercatura de' Fiorentini fino al Se- colo XFI. Lisbona, e Lucca, 1765 -1766, 4 voi., in 4° (opera di Gian Francesco Pagnini Del Ventura Volterrano), \ol. I, pag. 28 — 27, Parte I, sezione II, capitolo I, Memorie relative alla parte I, ISiira. V, pag. 214—231: 23 » Un pezzo di vigilia vechia eguasta di Stiora )) 4. e alcuno panoro, e tengola a mie mani che non » vi ti'uovo lavoratore, perchè guasta e trista; fecemi » lanno passato barili 3. di vino, e lanno dinanzi » barili 1 5, ede nel popolo di santo piero a sulic- )» ciano con questi confini: da primo la badia di Fi- )) renze, da sicondo la via, da terzo messer cane, )) da quarto richo uomo: e chostami lanno tra canne » per palare, et legature, et lavoratura. Lire 4 in » Lire 5. » E debo avere da cristiana darighe tedesco te- )) sitore di pannilani Fiorini 9. |. per pigione duna » chasa che tenne da me, la quale Io tenea a pi- » gione da Stefano di Ser piero setaiuolo, i quagli )) danari sono come perduti, peroche dagosto che » passò è fu preso per molti debiti , et Io il feci » stagire nelle stinche, e ivi infermò, et per pietà » e misericordia sanza essere pagato nelo chavai, )) ede si povero chio glio fatti perduti. )) E debo avere Fior. 22 de danari dello studio » per resto del mio salario dellanno passato, i qua- » gli danarj non posso avere di qui a magio nel » 28, 0 più oltre, secondo lavolta degliufìciali del )) monte. » E debo avere Fiorini 72. per mio salario del- )) lanno presente 1427. sesignori megli stanzieranno )) che nono anchora lo stanziamento. E avendo Io )) stanziamento, arci la quarta parte, cioè Fior."' 18 » ocìrca di magio nel 29., e laltra quarta di magio )) nel 30., et laltra nel 31., el resto nel 32. » Edo Fiorini 48 i quagli mi bisogniano al pre- )) sente per panni lani e lini per mio dosso, e per )) inchasa, e di ciò vi farò chiari. u » Teni-ho a pigione la bottegha dellabacho a santa )) Trinila, della quale pagho lanno Fiorini 17., e una )) ocha in questo modo che i cinque ottavi sono di » lachopo di piero deti, et i tre ottavi sono di Ga- » briello di pinzano soldanierj et ciptadino dudine » in Frigoli, siche lachopo di piero deti alanno Fio- )) rini 10. soldi 50. denari piccioli, e gabiello alano » Fiorini 6., et soldi 30., denari piccoli. )) E do tanti libretti dastrologia che vagliono nel » torno di 10. Fior. )) Signiori Ufìciali , io sono vechio detà dan- » ni 63. , e sono istato infermo ogimai 9. anni » cheio cadi e disovolai loso della coscia , e ma » nono potuto guarire , e in questo tempo olo- )) goro ogni mia sustanzia, e isviata la schuola per- » che nollò potuta esercitare, perchè stetti lungho » tempo nelletto fasciato e lenzato. Come la schuola )) mia sia inputo mandatelo avedere. Io non posso » andare ne andrò mai più se none a grucie con » grande Faticha. » E sono da uno anno in qua molto pegorato, » e cosi ragenevolmente penso pegiore più luno di » che latro per la vechia, e per la grande infermità. » Et conviemi al presente tore una Fante che mi » governi, chio nomi posso ogimai più aiutare. » La lettura dello studio, la quale mi fu data a » di 28 di Giugno nel 1424. per 3. anni, è finita in » questo anno 1427., siche nonarò più quello sus- » sidio dal chomune. » Xpo valumini del vero lume, e menivi per la » via de la verità. » Da questa portata si deduce: 1.° Che il Maestro 25 Giovanni di Bartolo, discepolo di Maestro Antonio de' Mazzinghi, e menzionato di sopra (1), ebbe il sopran- nomo di DelV Abbaco, ovvero appartenne alla fami- glia Dell'Abbaco .di Firenze; 2." Cbe questo maestro Giovanni era nel 1427 in età di sessantatre anni (2); 3." Che egli ai 28 di Giugno del 1424 prese per tre anni la lettura di aritmetica nel pubblico studio di Firenze, e la tenne fino al 1427 (3). Il Dottore Giovanni Prezziner nel libro secondo della sua Storia del pubblico studio , e delle società scientifiche di Firenze riporta, traendolo come egli dice dai Ricordi manoscritti del Manni (4), un catalogo dei Professori che insegnarono nell'L'niversità di Fi- renze nel 1431. In questo catalogo si legge : « 1^1. )) Giovanni dell' Abbaco « (5). <^Hiesto M. Giovanni deir Abbaco è certamente quello slesso discepolo di Maestro Antonio de' Mazzinghi del quale si è parlato di sopra (6). Nella Prefazione di Monsignore Giovanni Bottari alle Novelle di Francesco Sacchetti si legge (7) : (1) Pag. 18, Uri. 17—28, e pag. 19, li». 1—8. (2) Vedi sopra, pag. 24, lin. 11 e 12. (3) Vedi sopra, pag. 24, iìn. 26—29. (4) Storia del pubblico studio e delle Società scientifiche e lette rarie di Firenze del Dottore Giovanni Prezziner, Socio Colombario, e Membro di altre Accademie d'Italia. Firenze, 1810. Appresso Car- li, in Borgo SS. Apostoli, 2 volumi, in 8°, voi. I, pag. 79. (5) Prezziner, 1. e. (6) Pag. 18, lin. 16—27, e pag. 19, lin. 1—8. (7) Delle Novelle di Paranco Sacchetti Cittadino Fiorentino. In Firenze (Napoli), ili. D. CC.XXIV, due parti, in 8°, parte prima, pag. 18 e 19, Prefazione, paragrafi Vili e IX. — Delle Novelle di Franco Sacchetti Cittadino Fiorentino. Milano dalla Società Tipografica de' Classici Italiani, contrada di S. Margherita, N." ìiìS. Anni 1804 —1805, 3 tomi, in 8", t. I, pag. XXXV e XXXVl. 26 )) Per questo suo viaggio potè ( Franco Sac- » chetti) più facilmente spandere per tutta Italia la )) stima del suo valore, e farsi dagli uomini grandi )) più ammirare: il che essere addivenuto si racco- )) glie dall'amicizia, che seco a gara contrassero tanti )) signori e letterati de'suoi tempi. « IX. Fra'quali, oltre Pietro Gambacorti signore )) di Pisa, Astorre Manfredi signore di Faenza, Lo- )) dovico degli Alidosi, e Pino degli Ordelafìì, l'uno » signore d'Imola, e l'altro di Forlì , di cui sopra » si è ragionato, ebbe amicizia con Messer Mala- )) testa di Messer Pandolfo signore di Todi, con Mes- )) ser Filippo Magalotti Capitano della stessa città, )) col Conte Carlo da Poppi, con Messer'Agnolo Pan- )) ciatichi Podestà di Bologna , con Niccolò dalle » Botti, Michel Guinigi da Lucca, Ottolino da Bre- )) scia, Ugo delle Paci, Ser Matteo di San Miniato, )) Antonio Arismetra e Astrologo, Maestro Andrea » da Pisa provvisionato di Messer Bernabò Visconti, » Maffeo Librajo, ovvero de'libri menzionato dall' )) Allacci nel suo Indice, Ciseranna de Piccolomini, » Messer Dolcibene, di cui si narrano in questo li- » bro molte novelle, e Filippo Villani storico fa- » moso. )) Più oltre nella Prefazione suddetta Monsignor Giovanni Bottari, descrivendo un codice che sì con- servava nella Biblioteca Giraldi di Firenze, e con- teneva varie opere di Franco Sacchetti dice (1) : (1) Delle Novelle di Franco Saccliel li Cittadino Fiorentino, Prefa- zione, parag. XIX e XX, edizione Ji Napoli 1724, parie priinn pag. 3i, etiizione di Milano, t. 1, pag. LXiV e LXV. 27 )) E qui, terminando i vei'si cominciano, le prose )) e prima le » XX Lettere. Queste sono in num. ventitre , » contando le proposte e le risposte, e sono parte » latine e parte toscane. La prima è di Maestro )) Bernardo Medico a Franco Sacchetti : la seconda » è la risposta di Franco; ambedue latine, ma del M cattivo latino di quei tempi:la terza di Maestro An- )) tonio Arismetra e Astrologo a Franco : la quarta )) di Franco in risposta : parimente latine ambe- » due: )) ec. Pare molto probabile che il Maestro Antonio Ari- smetra e Astrologo menzionato in questi due passi della sopraccitata Prefazione di I^Ionsignor Giovanni Bottari sia quello stesso Maestro Antonio de'Mazzin- ghida Peretoìa, che nel suo Fioretto scrisse: « O.L.}). )) di quanta scienlia fusti » etc. (1). In fatti si è mo- strato di sopra (2), che Maestro Antonio de'Mazzinghi visse nella seconda metà del secolo decimoquarto. Ora è certo che nella seconda metà del secolo de- cimoquarto visse anche Franco Sacchetti ; giacche Monsignore Giovanni Bottari scrive (3) : « Noi ab- » biamo per antiche scritture, che egli (Franco Sac- )) Ghetti) in varj ufìcj fu impiegato, e in varie gra- » vissime incombenze a prò della sua patria, come )) seguì nel 1383. nel qual anno risedò nel magistra- )) to degli Otto, uno de' più importanti della nostra (1) Vedi tomo CXXXI, pag. 128, lin. 28 e pag. 129, Un. 1. (2) Vedi sopra dalla pag. 6, lin. 8 alla pag. 1^^ lin. Itì, Pre- fattone, paragr. VII. (3) Delle Novelle dì Franco Sacchetti Cittadino Fiorentino, Pre- fazione, parag. Vll^ edizione di Napoli, 1724, parte prima, pag. 10, edizione di Milano, l. I, pag. XXX, e XXXF. 28 )) Repubblica, e nelfanno stesso fu tratto da'Priori » per gli due mesi di Marzo e d'Aprile pel Quar- » tier S. Giovanni, come si ha d'A'Prioristi piìi esatti, » e come apparisce all' Ufizio delle Riformagioni , )) e nel 1385. fu eletto contro sua voglia Amba- )) sciadore a Genova, e sarebbe stato anche costretto )) ad andarvi, se la sua buona sorte non avesse fatto )) sì, che egli fosse tratto Podestà di Bibbienna in » Casentino, siccome egh medesimo narra in una » sua lettera scritta da Bibbienna a Messer Rinaldo )) Gianfigliazzi , allora Capitano pe'Fiorentini nella )) Città di Arezzo. Poscia nel 1392. a di 18 di Lu- )) glio andò Podestà di San Miniato, come si racco- )) glie dalla data d'un suo sonetto, indirizzato a Mi- » chele Guinigi Lucchese, e di uno scritto a Pietro » Gambacorti signore di Pisa : al quale pure scrive » una lettera, con la quale accompagnava questo so- » netto, e in cui si scorge il senno e la bontà di » Franco, perchè in essa ragiona dello stato, in cui » allora si trovava l'Europa, e i Principi che la go- )) vernavano, e con gravi sentimenti, e pieni di mo- )) ralità discorre della scisma, che di quei tempi lur- » bava la Chiesa. Nò solamente negli angusti con- » fini della sua patria o del suo distretto potè re- )> s/are tanta saviezza racchiusa, ani che intorno al » principio del 1396. gli venne occasione di dimo- » strarla anche nei paesi circonvicini, andando Po- )) desta di Faenza per mesi sei, dopo i quali però, » stante la sua somma giustizia e lealtà, fu per al- » tri sei mesi confermato, come si legge a e. (ì7 )) della Raccolta de' Podi unlichi dcW Allacci ». 29 Più oltre nella Prefazione suddetta si legge (1): « Del mese poscia di Novembre dello stesso anno » 1396. egli (Franco Sacchetti) era tornato a Firen- )) ze, perchè di qui invia al detto Signore Astone » un quaderno di molte sue cose per rima accom- » pagnandolo con un sonetto, che tra l'Opere Di- )) verse di lui si ritrova. Né stette guari , che dal » suo Comune ottimo conoscitore del merito di un )) tanto cittadino, fu nuovamente impiegato, essen- )) do stato nell'anno 1398. fatto Capitano della Pro- )) vincia fiorentina in Romagna, w Questi due passi della sopraccitata Prefazione di Monsignor Bottari chiaramente ci mostrano che Franco Sacchetti visse nella seconda metà del secolo decimoquarto. Quindi è da credere che nella seconda metà del secolo de- cimoquarto vivesse anche Maestro Antonio Arismelra ed Astrologo uno de'dotti amici del medesimo Fran- co Sacchetti (2). Il Padre Leonardo Ximenes della Compagnia di Gesù nella sua Introduzione Istorica sopra la coltura deir Astronomia in Toscana scrive (3) : (1) Belle Novelle di Franco Sacchetti Cittadino Fiorentino, Prefa- fazione, paragrafo VII, edizione di Napoli 1724, parte prima, pag. 17, edizione di Milano, t. I, pag. XXXII. (2) Vedi sopra, pag. 26, lin. 1—18. (3) Del vecchio e nuovo gnomone Fiorentino e delle osservazioni astronomiche fisiche, ed architettoniche fatte nel verificarne la co- struzione, libri IV. A'quali premettesi una introduzione Istorica so- pra la coltura dell' gastronomia in Toscana di Leonardo Ximenes della Compagnia di Gesù, Geografo dì Sua Maestà Imperiale, Pub' blico Professore di Geografia allo Studio Fiorentino, e Socio dell' Accademia pur Fiorentina. In Firenze MDCCLVII. Nella Stampe- ria Imperiale. Con licenza de' Superiori, in h°, pag. LXXI, Introdu- zione Istorica, Parte II, §. 9. 30 )) Dopo Paolo de'Dacjomuri fiorirono in Toscana » (lue altri Astronomi, o almeno Cosmologi, cioè Mae- » Siro Domenico d'Arezzo, e Maestro Antonio Fioren- )) tino. Del primo abbiamo un ottimo Codice della Gad- )) diana in foglio numerato DCX\ Vili scritto in car- » tapecora assai elegantemente. Liber de mundo edi- )) tus a Magistro Dominico de Aretio ad nobilem )) vii'um, decusque militiae Dominum Rinaldiim de » Gianfigliazzis de Florentia. Questo Codice è scrit- )) to verso la fine del secolo A7V. Maestro Domenico » d'Arezzo fiori verso il 1380. Rinaldo de' Gian fi- )) gliazzi, al quale egli dedica il suo libro, fu fatto )) la prima volta Gonfaloniere Vanno 1382 ("). Delse- )) condo poche notizie abbiamo, e queste sono ima let- » tera indirizzata a Franco Sacchetti, come si può vc- )) dere nella sua vita. » (a) Vedi Scipione Ammirato Belle Istorie Fiorentine. Firenze SIDC, pag. 538. B. all'anno 1382. Ciò che il Padre Leonardo Ximenes in questo passo della suddetta Introduzione Istorica chiama vi- ta di Franco Sacchetti non può essere altro che la Prefazione di Monsignor Giovanni Bottari della quale si è parlato di sopra (1). In due passi di questa Pre- fazione riportati di sopra, trovasi menzionato Mae- stro Antonio Arismetra, ed Astrologo (2). Che que- sto Maestro Antonio fosse Fiorentino non si leg- ge nella Prefazione medesima , né in verun al- tro scritto a me noto, salvo V Introduzione Istorica sopraccitata del P. Ximenes. (1) VeJi sopra dalle linee 19 e 20 della pagina 25 alla linea 18 della pagina 29. (2) Vedi sopra, pag. 26, lin. 18, e pag. 27, lin. 8— IJ. 31 A pagine 221 di un Codice della Biblioteea Magliabechiana di Firenze contrassegnato Classe VII, n.° 852 si legge : « Pistoletta mandata a Franco da Maestro An- )) tonio Arismetra, e Astrologo. » Omnis homo natura scire desiderai ut cum- » pulsus virtus amore ad fandum seducor o Caris- » sime non sine quod moma (sic) voiat eum natu- )) raliter quousque ad malum citetur. Non ita cur- )) rum difert a recto. Sicut vestro ducamini erunt )) differentia quae scripta sunt. Si placuerit. g. ege- » nus Calliope. Merito ergo scire desidero, cum )) ad fontem voluntarie deducitur intellectus. Non 1) orde quis liceat negare, ncc non deprecari fiducia » mediante;extimo quidem magis vos ad tam parv ula )) entia restringi quam rectarum duarum applica lio, » aut angulum contingentiae periiciatur. V^. ut ca- » lami vestri conctatui sim similis, quam ut opinor » non frustra locuti sunt. Valete ad libitum. » » Risposta di Fianco col Sonetto di sotto. « Quia possibilitas voluntati plenius non rcspon- » det afficitur, non possum cordialem ostenderc li- » quido ipeffram magna p rerum instantia supplicans » ut si prò quo in vestra epistola porexistis ad pre- » sens exequi non vallo minime duxeritis ad miran- » dum affectum prò effectui merito reputante, non » expedit mihi longis sermonibus adularì , vester » eram, sed nunc magis vester sum, quia a vobis » scire desidero potentia quam cupitis , cupio , et » quod petitis fieri, peto, non aliter quam petatis, 32 )) undc volo qiiod vultis, et scntio, quod senti tis , )) quare de me rebusque mcis facile quid quid pla- )) cet. Valete, et valeant qui vos valere desiderant. » Nobile ingegno all'alte cose tira » E questo avvien di voi che fra le stelle )) Sempre guardando nel corso di quelle )) Vedete ciò che qui da loro spira. » E come chi dentro al sol fiso mira )) Spesso si volge poi ad altro velie » Per provar arti, benché sian men belle; )) Così vostro valor degno si gira. )) Et io pere converso al primo grado « Mi sento, e volendo andar su alto )) Chi fìa che meglio di voi mi conduca ? » Vostra amistà paterna m'ò sì a grado )) Che per vertù apprender già n'esalto )) Sperando nel seguir che più riluca. )) Maestro Antonio sopraddetto al detto Fianco. » Nimium magis fulgor vester scientificus maior )) reflectitur in orbe florido , quam lux in speculi )> concavi concavitate in centro locata, linde merito )) lactatus sum supphci devotione me oflerens , et » humiliter obsecrans indulgeatur tamquam propriac )) ignorantiae si superflua, et insensata praedixerim, )) cum naturaliter nemo sit, qui vitio careat, et un- » dique sit circumspectus, apicem vestrae dignitatis, )) et curialitatis numquam oblivioni tradendo. Valete » ad votum. 33 y> Come a'I'As (sic) el s'avvien sonar la lira, )} Così a me cantar le rime snelle, » Gravide di sostanzia, mista in elle, )) Di che la mente pochi ne martira. )> Me che de più ini sento ingiuria lira » Et angoscioso volto alle sorelle )) Onde splendete supplicando a quelle )) Sicché giocondin tal che ne sospira. ■» Eleggo dunque voi, e mi vi trado, » Degno di posseder lo verde smalto )) Per mio signor maestro ancor per Duca. » Da cui dritto saprò tener il guardo, » Per cui alle virtù farò assalto, » Se 'nanzi al tempo motte non m'irlduca. Certamente il Maestro Antonio autore delle due lettere latine soprarrecate è quello stesso Maestro Antonio Arismctra ed Astrologo menzionato da Mon- signor Giovanni Bottari ne'passi della sua Prefazione suddetta riportati di sopra (1). Nella quarta impressione del suddetto Vocabola- rio degli Accademici della Crusca si legge (2) : \c.Sacch.Op.Div. OPERE DIVERS|1; Testo a penna originale che ìc.Sacch.Op.Div. fu già del Rimenato, ed ora si conserva nel- ic.Sacch.Op.DivA^o. la Libreria de' Giraldi. Nella presente impressione }) abbiamo per lo più aggiunti i numeri delle pagine di » questo Codice, nel quale si contengono diverse Rime (l'àS) » cioè SONETTI, BALLATE, CANZONI, MA- (1) VeJi sopra, pag. 26, lin. 1 — 18, e pag. 27, Un. H— 11. (2) Vocabolario degli Accademici della Crusca, quarta impressio- sione. AlV Altezza Reale del Serenirsimo Già- Gastone Granduca di Toscana loro signore. In Firenze 1729 — 1738, 6 volumi , in log. voi. Vi, pag. 39. G.A.T.CCCXll. 3 34 » BRIGALI, CACCE, FROTTOLE, e C » TOLI ; Tarie LETTERE (126) SERMON » sopra gli Evangeli, e diverse altre cose spezzate. » anche alcune LETTERE, eRIM Ed' altri Poel » tichi del suo tempo, alcune delle quali parimente si » citate aggiungendo talvolta l'abbreviatura del nome d » che sono i seguenti (127] » * AGNOLO DA SAN GIMIGNANO. » * ALRERTO DEGLI ALBIZI. » * Maestro ANDREA DA PISA. » * ANDREA DI PIETRO MALAVOLTI. » * Messer ANTONIO ALRERTI. » Maestro ANTONIO ARISMETRA, e ASTROLOG Il personaggio a cui qui si dà il nome di Rimenato era Giuliano Giraldi Accademico della Crusca, come apparisce da un catalogo che nel volume sesto della suddetta quarta impressione (2) si trova di quegli Ac- cademici della Crusca, che negl'Indici contenuti nel medesimo volume sesto furono appellati col nome che essi avevano nell'Accademia stessa, giacché in que- sto catalogo si legge (3) : )) RIMENATO Giuliano Giraldi Nella quinta impressione del Vocabolario degli (i) I numeri (123), (126) e (127) che trovansi nel passo soprar- recato della suddetta quarta impressione richiamano Ire note po- ste a pie della pagina 39 del volume sesto dell'impressione stessa. Nell'ultima di queste note si legge: « Tutti i Poeti antichità cui » si è aggiunto questo segno * sono mentovati da Monsignor Leone ti Allacci nella sua Raccolta di Poeti Antichi, stampata in Napoli » per Sebastiano da Lecci nel 1661. in 8». (2) Focabolario degli Accademici della Crusca, quarta impressione, voi. VI, pag. 91—93. (3) yor.aholano degli Accademici della Crusca, quarta impressio- ne, voi. VI, pag. 93. I 35 Accademici della Crusca, incominciata in Firenze nel 1843 trovasi una tavola intitolata » Tavola delle » abbreviature degli autori da' quali sono tratti gli )) esempj citati nel Vocabolario. Nella quale si dà )) anche conto delle stampe, a tale effetto adope- » rate, e de'possessori de'Testi a penna allegati. » In questa Tavola si legge (1): m .5011. SONETTO DI MAESTRO ANTONIO ARISMETRA, E ASTROLOGO. È » inserito fra le Opere diverse di Franco Sacchetti contenute nel so- » prammentovato Testo a penna» che segnato col. N. 852 della Clas- » se VII, si trova nella Libreria Magliabechiana. Per le citazioni, che » ne abbiamo fatte a pagine, è ila vedersi l'avvertenza riportata nel- » l'abbreviatura Sacch. Frane. Op. Div. » Il sonetto qui menzionato è certamente quello riportato di sopra (2), che incomincia : » Come a TAs el s'avvien sonar la lira. » giacché questo sonetto, come si è detto di sopra (3), trovasi a pagine 221 del Codice Classe VII. n." 852 della Biblioteca Magliabechiana di Firenze. Nel libro di praticha darismetrica che trovasi ma- noscritto nel Codice Ottoboniano n." 3307 della Bi- blioteca Vaticana si legge : « Ellibro che chompi- )) lato lettere è supremo a tutti, el quale libro cho- )) me che parte nabbia veduto, chomc dicie maestro » lorenzo, al presente lo tiene ser tllippo per ladie- (1) Focabnlario degli Accademici della Crusca quinta impressione. Firenze Nelle Stanze dell'Accademia MDCCCXLIIl, in log , Tavola delV Abbreviature etc. pag. 10. (2) Pag. 33, lin. 1 — 14. (3) Pag. 31, lin. 1—3. 36 » tro notaio delle informagioni el quale abitaua in » boi'gho ogni santi dirimpetto alla via nuova (1) ». Questo ser fiUppo notaio delle informagioni è certa- mente Ser Filippo di Ser Ugolino Pieruzzi, il che apparirà chiaramente dalle seguenti notizie, che si hanno intorno al medesime Filippo Pieruzzi. Giovanni di Nero di Stefano Cambi Importuni Fiorentino, nato ai 21 di Settembre del 1458 (2), e (1) Vedi sopra^ pag. 19, lin. 1 — 6. (2) Nel tomo vigesìmoterzo dell'opera del Padre Ildefonso di San Luigi Carmelitano Scalzo, intitolata Delizie degli eruditi Toscani, subilo dopo il Libro di Istorie di Giovanni di Nero di Stefano Cambi si legge {Delizie degli eruditi Toscani (opera del Padre Ilde- fonso di San Luigi Carmelitano Scalzo ) In Firenze 1770 — 1789 nella Stamperia di S. A. R. per Gaetano Cambiagi, 24 tomi^ in 25 volumi, in 8.°, t. XXlll, pag 143) : « Copia dun Capitolo duna lettera, che scrive Marco di Gio. Cam- )) bi Inportuni da Firenze a Thomaso suo fratello a Napoli a'24. » daprile 1535. « Scritto fin qui. E piaciuto a Dio tirare a se la benedetta ani- ■)■> ma di nostro Padre, che Dio per sua misericordia labbia messa )) nel numero delli eletti suoi. Morì questo giorno a ore 11. liavu- « to tutti i Sagramenti, ò morto con pochissimo aflanno , et ha » lasciato di se buona fnma, la quale è la vera heredità , come si ■n debbe ricordare; a'21. di Settembre prossimo finiva anni 77. Id- » dio ti guardi. » Dal leggersi in questo capitolo di lettera che Giovanni Cambi morì ai 24 di aprile del 1335, e che ai 21 di Settembre dell'anno stesso egli avrebbe finito settantaselte anni, si ricava che il mede- simo Giovanni Cambi visse anni settantasei, mesi sette, e giorni tre, e ch'egli per conseguenza nacque ai 21 di Settembre del 1458, come fu già avvertito dal Canonico Antonio Maria Biscioni nelle sue Giunte alla Toscana Letterata di Giovanni Cinelli Calvoli ( De- lizie degli eruditi Toscani, t. XXlll, pag. XII], e dal Padre Ildefon- so di San Luigi Carmelitano Scalzo (Delizie degli eruditi Toscani , t. XXlll, pag. I, e Vili.) Tre esemplari del suddetto libro d'Istorie
  • lìssima Nellioriim familìa. » (2) Monsignor Angelo Maria Bandini dopo aver narrato ciò che vari autori hanno scritto intorno alTunno in cai avvenne la morte di Niccolò Machiavelli soggiunse {Avg. Mar. Bandini, Collectio fé- ierum aliquot monimentorum ad hisloriam praecipuae litterariam pertinentium, pag. XXXli): >< Ferum ex publicii JSecrologiis constai 11 Machiavellum ad superos evolasse X. Kal. Jun. MDXXVII. ci ad il S. Crucis ftiisse tumulalum ». Più olire il medesimo Monsignor Angelo Maria Bandini riporta una lettera di Pietro Slachiavelli fi- gliuolo del suddetto iNicolò, e diretta a Francesco Nelli Professore di Dritto Civile e Canonico in Pisa nella (juale si legge {Bandini, 1. e.) : « Non posso far di meno di piangere in dovervi dire co- » me è morto il dì XXIU di questo mese Nicolò nostro Padre dì ■» dolori di ventre, cagionati da uno medicamento preso il dì XX. « Questa lettera ha la data del MDXXVIl [Bandini, Collectio veterum aliquot moìiimenlorum, p.ig. XXXIll.) (3) Le Istorie Fiorentine di Niccolò Maclùavelli diligentemente riscontrale sulle migliori edizioni, con alcuni Cenni intorno alla Fi- la dell'Autore dettati da G. — B. Niccolini. Terza Edizione. Firenze Felice Le Mounier, 18S1, in 4" piccolo, pag. 265, libro VI, para- grafo VH. 44 » zioni, privandone ser Filippo Peruzzi, ed a quella w preponendo uno, che secondo il parere dei potenti ìì si governasse ». 11 suddetto Scipione Ammirato il Vecchio nel li- bro ventiduesimo delle sue sopraccitate Istorie Fio- rentine sotto l'anno 1444 scrive (1): « Essendo dun- )) que per maggio e giugno vscito Gonf. di Giu- » stizia la seconda volta Giuliano Martini Gucci, si » riprese per i Sig., Collegi, e circa 250 cittadini » balia di poter riformar la città di squittinì , di » grauezze, e d'altre cose necessarie. Costoro tolsero » la Cancelleria delle riformagioni à Filippo Pieruz- » zi, e dalle X. miglia in là, non hauendo à vscir » del contado il confinarono ». È adunque certo che Ser Filippo di Ser Ugolino Pieruzzi fu privato dell'ufizio di Notaio delle Rifor- magioni di Firenze il dì primo di maggio dell'anno 1444. Quindi è chiaro che l'anonimo autore del li- libro di praticha darismetrica, che trovasi manoscrit- to nel Codice Ottoboniano n." 3307 della Biblioteca Vaticana scrisse in questo libro non prima del dì 1 di Maggio del 1444 le parole « Io tiene ser filippo per )) ladietro notaio delle informagioni » che si è ve- duto di sopra trovarsi nel libro stesso (2). Nel Codice Vaticano n" 3224 delia carta 578 ver- so alla carta 590 verso trovasi manoscritta una vita di Ser Filippo di Ser Ugolino Pieruzzi scritta da Vespasiano Fiorentino , ed intitolata VITA DI (1) Istorie Fiorentine di Scipione Ammirato. Parte Seconda. Con vna tavola in fine delle cose più notabili. In Firenze nella Stamperia Nuoua d'Amador Massi, e Lorenzo Landi. Con Licenza de'Superiori. M. DC. XLI, in fog., pag. 44, D. (2) Vedi sopra, pag. 19, Un. 4—5. 45 SER FILIPO DI SER UGOLINO (1). In questa vita si legge : « fu (Ser Filippo di Ser Ug;olino ) dotto (1) li Codice Vaticano n.° 3224 t; cartaceo, in ottavo, del secolo ùecimoseito, e di 681 carte numerate nel recto lutte^ dalla prima in fuori, co'numeri 1 — fiSO. Questo Codice contiene centotre vite d'uomini illustri del secolo decimoquinlo scritte da Vespasiano Fio- rentino, il cui nome non è indicato in fronte al Codice slesso. Ve- spasiano per altro ci fa conoscere il suo nome in una di tali vite, cioè in quella del Sommo Pontefice Niccolò V scrivendo : « non » passò mollo che mi fu dello, che io andassi alla sua santità, an- » dai, et secondo la consuetudine gli basai ì pie di poi mi disse » che io mi leuassi, et leuossi da sedere, et dette licenlia a ognu- 11 no diciendo che non uoleua dare più udientia, andò in una parte » segreta allato a uno usco che andaua in sununo uerone duno >i orto, essendoui forse uenti dopieri acesi senascostò quatro do- » uera la sua santità accennò che si discoslassino, et rimosso ognu- » no comincò a ridere, et si mi disse a conlusione di molli superbi: » Vespasiano arebe creduto il popolo di Firenze, che uno prete da » sonare campane fussi istato fatto sommo pontefice. Risposi, ch'egli » arebbe creduto, che la sua sanctilà fosse istata assunta mediante Il la sua virtù, et mcttercbe Italia in pace « (Codice Valicano n.* 3224, carta 39, verso. — Eminentissimi et Reverendissimi Cardina- lis Angeli Mai, Spicilegium Eomanum. Jìomae Typis Collega Ur- bani, 1839— 184'», 10 tomi, in 8% t. I, pag. 41 e 42, ^icola V pa- pa, paragr. 18). Il Codice Vaticano n.° 3224 non contiene la vita di Barlolom- meo Fortini scritta dal suddetto Vespasiano Fiorentino. Questa vi- ta esisteva manoscritta nel secolo secolo scorso in un Codice pos- seduto dal Canonico Antonio Maria Biscioni, come apparisce dalla Pre- fazione alla edizione fatta in Firenze nel 1734 del Traltatodel Gover- no della Famiglia d'Agnolo Pandolfint, giacché in questa Prefazione si legge: {Trattato del governo della famiglia d'Agnolo Pandolfini. Colla vita del medesimo scritta da Fespasiano da Bisticci- In Fi- renze MDCCXXXIF. Nella Stamperia di S. A. R. per li Tartini, e Franchi. Con licenza de' Superiori, in 4°, pag. 18, della prima nu- merazione): " Il Dottore Antnmmaria Biscioni [alla somma corte- r> sia del quale siamo debitori della m.aggior parte di queste notizie « intorno a Vespasiano da Bisticci ) possiede nella sua numerosa » raccolta di Manoscritti un Codice intitolato = Commentario di » più Vile = il quale comincia con un proemio che ha questo titolo ÌC> '»' in tutte a sette le arti liberali : et ebbe grandiss.** ■)) peritia delle lettere greche, et fu singulariss." teo- » == Proemio Ji Vespasiano a Lorenzo Carducci nel Commentario „ (li più Vite da lui composte = In un proemio dice , che avendo » composte diverse yHe d'uomini eccellenti per via d'un breve Com- tì menlario, o ricordo, aveva scelto una parte di esse , e mandatele n al Carducci, come suo amicissimo , e di singolari virtù dotato- li Cinque sono le Vite contenute in questo Codice, cioè di Lorenzo •n Ridolfi, di Messer Bernardo Giugni, di Messer Angeto Acciaiuoli, * di Messer Piero de'Pazzi, e di Bartolommeo Fortini. « Della suddetta Vita di Bartolommeo Fortini parla anche l' Abate Lorenzo Mehus nella sua Prefazione alle Lettere di Ambrogio Tra- versari Generale de'Camaldolesi dicendo [Ambrosii Traversarli Ge- neralis Camaldulensium aliorumque ad ipsum, et ad alias de eodem Ambrosio, latinae Epistolae a Domno Petro Canneto Abbate Camal- dulensi in libros XXV tributae variorum opera distinctae , et obser- vationibus illustratae. Adcedit eiusdcm Ambrosii vita in qua Hi- storia litterarta Fiorentina ab anno MCXCII- usque ad annum MCCCCXL. ex monumentis potissimum nondum editts deducta est ò Laurentio Mehus Etruscae Academiae Cortonensis Socio. Floren- Uae ex typographio Caesareo MBCCLIX. Praesidibus adprobanti- bus, 2 tomi, in fog. t. I, pag. XXII) : » Vgolini nostri meminit eliam Vespasianns in vita hactenus ine- » dita Bartholomaei Fortini! Benedicti Filii, quae exstat in Codice 2 ■n olim Marsuppiniano, nune Biscioniano bis verbis: Aveva la Città vt ser Filippo di ser Ugulìno Notaio delle Riformagioni uomo virtuo- si sissimo etc. « 2 Membr. in 4. Num. V. Più oltre nella sua Prefazione suddetta 1' Abate Lorenzo Mehus parlando delle cinque vite che in questo Codice Biscioniano esiste- vano dice (Ambrosii Traversarti Generaiis Camaldulensium alio- rumque ad ipsum, et ad alios de eodem Ambrosio latinae Epistolae, t. I, pag. XCIX) : » V. Commentario della vita di Bartolommeo de Fortini campo- „ sta da Vespasiano. Initium est ; Bartolommeo di Ser Benedetto » Fortini- fu di onorati parenti, ebbe buona notizia delle lettere la- « tine etc. Huius specimen supra ^ edidi. » » (7) Pag. XXIL L' E.° Cardinale Angelo Mai nella sua Prefazione al primo tomo del sopaccitato Spicilegium Romanum scrive : Ante hos annos in 4^7 )) logo : ebbe grandiss." peritia della scrittura santa: » dilettossi assai, et di astrologia, et di geometria, )) et d' arismetica, doue ne fece scriuere più libri, )) et comperonne in ogni facultà , come si può ve- » dere in S. marco infiniti uolumi, che ui sono che )) furono sua, et moltissimi libri in teologia che gli )) lasciò al munistero di settimo che ancora oggi )) ui sono )) (1). Più oltre nella medesima vita si legge: « maritò ancora delle limosine che faceua più )> fanciulle, daua per dio più della metà del suo sa- « laro aueua, come si poteua uedere perii libro » del monte donde aueua il suo salare , da quello )) uoleua in casa che uiueua parcissimamente, et » i libri che comperaua, tutto il resto daua per abnndantissima vaticani palaia hibliotheca codicem videram tres su- pra centum viroium illustrium vitas continentem, italico sermone puro, auctore Vespasiano fiorentino, qui suam omnem lucubrationem intra saeculi quinti decimi fines concludit (E.' et BJ Card. Angeli Mai Spicilegium Romanum, l. I, pag. VI, e VII, Ediloris Praefa- lio, paragrafo 11.). Più oltre nella medesima Prefazione si legge : Certe codices non parum inter se variant, id quod ego ex editione praesertim florentina vilae Pandolphinii cum romano codice conlata cognovi. Quamquam vero vaticanus prae caeteris est plenissimus, unarn certe desiderai vitam Barlholomaei Fortinii quae in florentinis codicibus superest, ut praefationes tartiniana mehusianaque p. 22. et 99. docent {E.' et R.' Card. Angeli Mai, Spicilegium Romanum, t. Ij pag. XVII. Editoris Praefatio, paragr. IV). Il Codice mauoscritto della Biblioteca Vaticana meiìzionato dalTEmo Card. Mai in questi due passi della Prefazione suddetta «5 certamente il Codice Vatieano n.° 3224 giacchi si è veduto di sopra (pag. 171, lin. 5 — 7 e 25 — 26), che il Codice Vaticano n.° 3224 contiene centotre vite di uo- mini illustri scritte da Vespasiano Fiorentino, e non contiene la vita che questi scrisse di Bartolommeo Fortini. (1) Codice Vaticano n.° 3224, carta o78 verso, 579, recto. — E.' et /(.' Cardinalis Angeli Mai, Spicilegium Romanum, t. I, pag. 499, Scr Filippo di Ser Ugolino, paragrafo 1. » dio » (1). Dopo aver narrato come Ser Filippo fu costretto ad uscire di Firenze, e come gli fu trovato in casa pochissimo denaro, Vespasiano Fio- rentino soggiunge: « Si stette (Ser Filippo) a casa » di Coro alcuni di tanto che la furia passasse. In » quello mezzo si dettono a confinare , ed amu- » nire cittadini che fu il ristoro del 1434. Passato » alquanto la furia lo confìnorono dalle tante miglia » in là in modo che potessi stare in chianti a uno » suo luogo che si chiamaua uertine aueua, et quiui )» fece arecare infiniti libri che aueua w (2). Da que- sti passi di Vespasiano si raccoglie che Ser Fi- lippo Pieruzzi possedette molti libri , e che molti specialmente ne aveva comperati d' ogni scienza . Per ciò è ben naturale eh' egli possedesse un c- semplare del libro intitolato lettere di Maestro Gio- vanni dell' Abbaco , massimamente sapendosi che questo maestro Giovanni ebbe chiara fama pel suo sapere nelle matematiche, e che Ser Filippo di Ser Ugolino Pieruzzi dileltossi assai di queste scienze (3). L'abate Lorenzo Mehus nella sua Prefazione alle Lettere di Ambrogio Traversari generale de'Camal- dolesi scrive (4) : » In ultimis Nicolai Niccoli tabulis tam an. 1430., » quam an. 1436., quae in Archivio Fiorentino adsor- bì) Codice Vaticano n." 3224, carta 380, cerso e 381 redo. — E.' et fì.' Card. Angeli Mai, Spicilcgium lìomanum, t. l, pag. SOO e 3Ò1, Ser Filippo di Ser Ugolino, paragrafo 3. (2) Codice Vaticano n.° 3224 , carta 384 , verso. — £' et R.' Card. Angeli Mai, Spicilegium liomanùm, t. I, pag. 304, Ser Filippo di Ser Ugolino, paragrafo 6- (3) Vedi sopra, pag. 47, lin. 2 — 3. (4) Ambrosii Traversarii Generalis Camaldulensium aliorumgue ad ipsum, et ad alios de eodein Ambrosio lalinae cpistolae, t.I, pag.XXII. 49 )) vantur, earum executio demandatur inter alios : )) Prudenti, et Sapienti Viro ser Philippi ser Vgolini )) Pieruzzi Givi, et Notario Fiorentino, et Notario Re- )) formatiomim Communis Florentiae ; quod etiam » notatur in Codice Chaitaceo Bibliothecae > Mar- )> cianae Ord. Praedicatorum; in quo Marciani Coe- )) nobii facta recensentur. In eo enim dicitur : Ser )) Vhilippus, ser Violini Notar ius Provi sionum Pala- )) tii )). » I Titulus est : Annalìa Conventus S. Marci de Florentia aN » mi Praedicatorum Ordinis ab illius receptioìic ab anno videli- lì cet MCCCCXXXF per tempora sibi iugiter succedentia recupera- « ta ex confusa vetustate anno Incar. Domini MDIX, in fol. 11 primo de'due testamenti di Niccolò Niccoli qui menzionati dall'Abate Lorenzo Mehus fu fatto dal medesimo Niccoli agli 11 di giugno del 1430 (1). In questo suo testamento si leggeva (2) : Praestantissimns, ac litteratissimus Vir Nicolaus Bartholomaei filiiis de Niccolis Florentimis civis età. omnes lihros suos tam sacros, quam gentiles, tam (jrae- cos, quam lalinos, aut barbaros, quos undiquc magna industria , diligentia , studio ab adolcscentia nullum laborem subterfugiendo,nulUs impensis parcendo coegit, Sanctissimo Coenobio S. Mariae de Angelis, cuius su- pra facta est mentio, cuique summo studio devotionis affìcitur, legavit cum Monachis ibidem Beo servienti- bus, tum etiam omnibus civibus studiosis usui fuluros eie., cuius Bibliothecae custodiam mandavit ac lega- vit optimis, ac peritissimis viris, sibique amicissimis (1) ombrosa Traversarii Generalis Camaldulemium aliorumque nd ipsum, et ad alios de codcm Ambrosio latinae epìstolac, voi. I, pag. LXII. (2) Jmbrosii Traversarti Generalis Camaldulensium aliorumque nd ipsum, et ad alios de codem Ambrosio latinae epistola/ti, yoì. l, !«(.. LXII e LXilI. G.A.T.CXXXII. 4 50 Cosmo ac Laurenlio Fralribus supra memoralis,Niccolo D. Verii de Medici, Carolo D. Gregorii de Marsupinis de Aretio, Francho Nicholi filio de Saccheltis, D. Leo- nardo Francisci Aretino, D. Poggio Ghuccii de Terra- nova, Dominico Leonardi Dominici, ser Philippo ser Vgolini Pieruzziy Niccolo Johannis Goti. eie. Nell'Archivio decontratti di Firenze (1) si con- serva il secondo de'due testamenti suddetti di Nic- colò Nicoli (2) da lui fatto ai 22 di Gennaio del 1436, secondo l'antico stile fiorentino, che secondo lo stile comune sarebbe il 22 di Gennaio del 14-37 (3). In questo testamento si legge (4) : Ad hec omnes libros siios tam sacros quam gentiles, et tam grecos, quam latinos, aut barberos [sic), quos undique magna industria, diligentia, studio, ab adole- scentia nulliim laborem subter fugiendo nullis impen- sis parcendo coegit, reliquit, et legavit [Nicolaiis olim hartolomei fìlius de Niccolis) in illis locis et penes qiios et eo modo, et forma, et prout, et quemadmodum in- frascriptis, et honorandis, et sapienlibus viris, et maiorì parti ipsorum, et substituendorum, et seu eligendorum ab eis, et ut infra dicitur, et maiori parti supervi- ventium ex eis videbitur, et placebit, videlicet. 1 , Reverendo viro in Xpo patri fratri ambrosio ve- nerando generali camadtdensi [sic] 2. eloquentissimo viro domino leonardo francisci bruni de aretio civi ac (1) Lettera A, Fascio n.° 128 (Notaio Agnolo di Piero) carta 147 redo — 148, recto, (2) Vedi sopra, pag. 48, lin 24 e 25, pag. 49, lin. 14 — 13. (3) Vedi sopra, peg. 16, lin, 23—27, nota (2). (4) Archivio de'Contratti di Firenze, Lettera A; Fascio a." 128, carta 117, verso. 51 cancellano et advocato fior." 3. Jujrcgio legum doclori domino Guigliclmino de lanacjlis civi et advocato fior." 4. Egregio artium et mediciìie doclori magistro paulo magistri dominici civi flor.° 5. Prudenti et sapienti viro ser Filippo (sic) ser Ugolini Piernzi, civi et notario flor.°, notario reformationum comunis fior. 5. Eloquen- tissimo viro domino Poggio Ghiiccij Poggi] de terra nova, sanimi Pontificis secretario, civi et advocato fior. etc. (1). (1) L'Abate Lorenzo Mehus in un passo riportato di sopra della sua Prefazione alle Lettere di Ambrogio Traversar! fa menzione di un manoscritto contenente Annalia Conventus S. Marci de Floren- (ta etc. ( Vedi sopra pag. 17o , lin. 4—13). Questo manoscritto , cartaceo, in foglio, e del secolo decimoquinto trovasi tuttora nella Biblioteca del Convento di S. Marco di Firenze, ed è in essa con- trassegnato col numero 370. Nel recto di nna carta membranacea aggiunta in principio di questo Codice si legge : M ANNALIA CONVENTUS S. MABCI DE FLOR.^"* )) ALMI PRAEDICATOR OR.^*^ ). AB EIVS. V. REGEPTIO ). NE IN ANNO DNICE » INCARN. M.° cccG° )) XXa V III questi Annali si legge : Pro cnius pleniore dtìctiralione na- tandum est quod quidam Ciuis Nicolaus de Nicolis nomine qui hfabebatur ab omnibus uatde doclus, praesertim in lingua Romana et gracca ac Poesi , precipue hìstoriographus, habcbat in sua li- braria multos libros et forte pertieniebant ad nvmerum volumi- num sexcentorum, et ultra, ut apparet per quaedam inuentaria post mortem eius reperla , qui ad mortem dcdnclus omnes suos libros praedictos reliquit in poteslate XVI- nobilium Civium qui dictos libros debcrent poncre in quodam loco communi secundum. di- tcrelionem ipsoruni ad communem utililalem sindiosorum ipsorum (Codice u." 370 della Biblioteca del Convento di S. Marco di Firenze, 52 L'autore del sopraccitato libro di pralicha dari- smetricha era certamente nato in Firenze, giacché in questo libro si legge (1) : « Noi perchè na- )) rati siamo in fìrenze diremo del modo et huso )) fiorentino «. Qui la parola naturali vale certa- mente generati , giacché nel Vocabolario della lin- gua italiana del Sig. Abate Giuseppe Manuzzi si legge (2) : )) NATURARE Ridurre in natura )) Lat. in natura transire. Gr. ztq tpu'crJi/ )) amtvui- » '" § I. Per generare. Lat. gignere » « Frane. Barb.35^. 2. Perché ogni crea- » tura Simil di sé natura » Introd. Viri. 6. carta 1, verso. — Ambrosii Traversarli Generalis Camaldulensìum alio- rumque ad ipsum, et ad alias de eodem Ambrosio latinae epistolae, t.I,pag. LXIV.) — Segue Della carta 8 recto dei suddetto manoscritto 11.° 370 del Convento di S. Marco un elenco de'nomi di questi se- dici nobili cittadini. In questo elenco si legge: 7. Ser Philippus Ser Ugolini notarius prouisionum Palatij. ( Codice n.° 370 della Bi- blioteca del Convento di S. Marco di Firenze, 1. e. — Ambrosii Traversarti generalis Camaldulensìum aliorumque ad ipsum, et ad alios de eodem Ambrosio latinae epistolae, 1. e.) Gli Annali contenuti in questo Codice furono composti da Ro- berto di Antonio Ubaldini Religioso Domenicano del medesimo Con- vento di S.Marco, come attesta l'Abate Lorenzo Mehus nella sua Pre- fazione sopraccitata. [Ambrosii Traversarli Generalis Camaldulen- sìum aliorumque ad ipsum, et ad alìos de eodem Ambrosio latinae Epistolae pag. LXIV). (1) Biblioteca Vaticana, Codice Oltoboniano n.° 3307, caria 15, verso. (2) Vocabolario della lingua italiana già compilato dagli Acca- demici della Crusca, ed ora novamente corretto ed accresciuto dal- l'Abate Giuseppe Manuzzi. In Firenze appresso David Passigli e Socj in via della Stipa N." 4840, 1838-1840, 2 tomi, in 4 parti, in 8*, t. II, parte I, pag. 212, cai. 1, voce N.VfVRARE. .53 » La potente natura dallo incomincia- )) mento della mia nativitade mi fece com- )) piutamente con tutte le membra ec, se- » condo cli'è usata di fare, cui ella vuol » perfettamente naturare (C) ». Nella parte prima del tomo primo del suddetto Vocabolario della lingua Italiana del Sig. Abate Giu- seppe Manuzzi sul rovescio di una carta, il recto della quale è numerato col numero XXXI trovasi una ta- vola intitolata : « TAVOLA DELLE GIUNTE CHE SI CONTENGONO IN QUESTO VOCABOLARIO, COSI NEL » CORPO dell' OPERA COME NELLE GIUNTE E CORREZIONI SOPRA l'uL- » TIMA IMPRESSIONE DI QUELLO DELLA CRUSCA , STAMPATO IN FI- » RENZE DA DOMENICO MARIA MANNI l'aNNO 1729-38. La prima colonna di questa Tavola è intitolata » CIFRE USATE NELLA COMPILAZIONE >>. In questa prima colonna si trova « (C) »: e presso a que- sto cifra sulla medesima linea in cui essa trovasi, e nella seconda colonna della Tavola medesima si leg- ge: « COMPILATORE. Spogli inediti. « Ora in fine del §. I. della voce NATURARE del suddetto Vocabo- lario del Sig. Abate Manuzzi trovandosi la medesima cifra (C) (1), è chiaro che questo paragrafo fu tratto dagli Spogli inediti del Compilatore, cioè dagli Spogli inediti del Sig. Abate Giuseppe Manuzzi. In una Prefazione intitolata «PREFAZIONE DEL COMPILATORE », la quale si trova nella parte prima del tomo primo del citato Vocabolario della lingua (1) Vedi sopra, la linea 8 di questa pagina 53. 54 Italiana del Sig. Abate Maiiuzzi si legge : « Tutte le » giunte così di esempi come d' interi temi, o pa- )) ragrafi, sopra la quarta impressione della Crusca )) (che è quella che io ho presa a fondamento del » mio lavoro) portano innanzi questa stelletta *, » ed in fine l'iniziale, o le iniziali del loro autore )i (V. Natura, §. I. e segg. Osservazione, §. I. IV. )) V. ec.) » (1). 11 Sig. Abate Giuseppe Manuzzi si è compiaciuto di farmi sapere che la stelletta * qui posta rappresenta l'altra fatta in questa guisa '''', che trovasi in vari luoghi del suo Vocabolario sopraccitato. Quindi è chiaro che questa seconda stelletta fu posta in principio del primo paragrafo della voce NATU- RARE del suddetto Vocabolario del sig. Ab. Manuzzi a fine d'indicare che il medesimo paragrafo non tro- vasi nella quarta impressione del Vocabolario della lingua Italiana degh Accademici della Crusca, giac- ché in fatti questa quarta impressione non ha ciò ch'esso paragrafo contiene. Nella Parte seconda del tomo secondo del sud- detto Vocabolario del Sig. Ab. Manuzzi si trova dalla pagina 1943 non numerata, alla pagina 2032 una tavola intitolata « Tavola delle abbreviature degli » autori da' quali sono tratti gli esempii citati nel » Vocabolario nella quale si dà anche conto delle » stampe a tale effetto adoperate, e de' possessori » de' testi a penna allegati. » In questa Tavola si » legge (2); (1) Vocabolario della lingua italiana già compilato dagli Acca- demici della Crusca, ed ora novamente corretto ed accresciuto dal' l'Abate Giuseppe Manuzzi, tomo primo, parte prima, pag. XXVIU. (2) Vocabolario della lingua Italiaìia già compilato dagli Acca- demici della Crusca, ed ora novamente corretto, ed accresciuto dal' t Abate Giuseppe Manuzzi, tomo II, parte II, pag. 1974. 55 » Frane. Barber. Poesie di M esser Francesco da Barberino intìloMe Documenti d'Amore. T> Frane. Barb. 18.12. Si cita l'esemplare stampato in Roma colle Annotazioni del Conte Fe- » Franc.Barber.i8i.iG. derico Ubaldini per Vitale Mascardi l'anno 1640. in 4. ed i nnmeri » segnano le pagine, e ciaschedun verso di esse. L'edizione qui citata dei Documenti d'Amore di Messer Francesco da Barberino è in quarto, di 283 carte, cioè di 566 pagine (comprese sedici carte con- tenenti incisioni in rame). La terza pagina di questa edizione ha il titolo seguente : )> DOCUMENTI D' AMORE )) DI M. FRANCESCO » BARBERINO e l'ultima contiene la seguente nota tipografica. » IN ROMA )) Nella Stamperia di Vitale Mascardi. 1( )) M DC XL Trecentosettantasei pagine di questa edizione so- no numerate coi numeri 1 — 376. In quella di tali pagine che è numerata col numero 354 si legge : » L'Vnico documento ella qui pone » Con vn sottil sermone: » Perch'ogni creatura » Simil di se natura. L'ultimo di tali versi è numerato col numero 4 nel margine laterale interno della suddetta pagina 354. Questo verso per altro è il settimo della me- 56 desima pagina 354. Quindi è chiaro che per er- rore, forse di stampa, nel suddetto Vocabolario del Sig. Abate Manuzzi si legge: « 354. 2. » (1). Nella sopraccitata Tavola delle abbreviature etc. si legge anche (2) : introd. alle Firt. Libro intitolato Introduzione alle Virtù (a) Testo a penna che fu del Sollo, d inirod. Virt. poi tra' MS. dell'Accademia (142) - In questa nuova impressione si cita intr. T ir. esemplare stampato in Firenze presso Molini, Laudi, e Comp. l'anno 181 « introiJ'irt. D. in 8. per cura di Gio. Resini, ed anche 1' altro stampato pure in Fircn: * introd. j iri. 14. presso Guglielmo Piatti, l'anno 1836. in 8. per cura del D. Francesco Tm » unitamente ad altri Trattati di Bono Giamboni. E sì l'una, e sì l'altra sta» » pa si citano a pagine. Se non che dell'ultima non si è potuto far uso che dal » lettera F in giù, perchè le lettere antecedenti erano già impresse quando ques » uscì in luce; alla quale si è quasi sempre data la precedenza neiraccettan » la lezione; e sempre poi si è fatto uso di essa nell'aggiugnero le citazioni » gli esempli già allegati dagli Accademici, i quali sono stati recati alla letti » ra della medesima sol quando non correva retto il senso, o era giusta l'Oi » tografia; che quanto alla varietà d'alcune desinenze, che non cadeva sul » voce che provava il tema, o il paragrafo, non si è posta una sottilissima d » ligenza. Nell'edizione fatta in Firenze per cura del Sig. Professore Giovanni Resini nel 1810 del libro inti- tolato Introduzione alle Virtù si legge: « Tu sai, Ma- » dre delle Virtudi, come la potente natura dallo'n- » cominciamento della mia nalivitade mi fece com- )) piutamente con tutte le membra, e come a cia- » scun membro diede conipiutamente la virtù dell' )) officio suo, secondo eh' è usata di fare cui ella (1) Vedi sopra, pag. S2, lin. 13. (2) Vocabolario della lingua Italiana già compilato dagli Acca- demici delta Crusca, ed ora novamente corretto ed accresciuto dal- l'Abate Giuseppe Manuzzi, t. Il, parte llj pag. 1982. 57 )) vuole perfettamente naturare » (1). Neil' edizione fatta in Firenze nel 1836 per cura del Sig. Dottore Francesco Tassi della suddetta Introduzione alle Virlù e di altri trattati morali di Bono Giamboni si lei;;- gè : » Tu sai, Madre delle Virtù, come la potente » natura dello incominciamento della mia nativitade )) mi fece compiutamente con tutte le membra , e » come a ciascuno membro diede compiutamente la )) virtù dell'officio suo, secondamente cb'è usata di )) fare cui ella vuole perfettamente naturare » (2). Quindi è chiaro che la citazione « Introd. Yir. 6 » che trovasi nel Vocabolario della lingua Italiana del Sig. Abate Giuseppe Manuzzi sotto il §. I. della parola NATURARE (3) significa « Introduzione alle Virtù, )) pagina 6 dell'edizione fatta in Firenze nel 1810 di » quest'opera presso i signori Molini, Laudi, e Compa- » gni, e per cura del Sig. Professore Giovanni Rosini.» Francesco da Barberino autore de' sopraccitati Documenti d'Amore esercitava nel 1 294- la professione di Notaio (i). Morì in età di ottantaquattro anni nel (1) Introduzione alle virtù testo a penna citato dagli Accademici della Crusca per la prima volta pubblicato da Giovanni Rosini. Fi- renze presso Molini, Laudi e Comp. MDCCCX, in 8°, pag. C, para- grafo IV. (2) Della miseria dell'uomo, Giardino di Consolazione, Introduzio- ne alle Firtù di Bono Giamboni, aggiuntavi la Scala dei Claustrali testi inediti, tranne il terzo trattato, pubblicati ed illustrali con note dal Dottor Francesco Tassi. Firenze presso Guglielmo Piatti , 1836, in 8°, pag. 237, Introduzione alle Virtù, capitoFo IV. (3) Vefli sopra, pag. 52, lin. 14. (4) Nell'opera dei Padri Don Mauro Sarti e Don Mauro Fatto- rini, intitolata De clarìs Archigymnasii Romaniensis Professoribus a Saeculo XI usquc ad Saecvlum XIV, trovasi citata una carta dei 23 di settembre del 1294, nella quale Franccseo da Barberino è detto Notarius [Sarti [P. Maurus), e Fattorini (P. Maurus) De Cla- ris Archigymnasii Bononicnsis Professoribus a saeculo XI usque ad iaeculum XIV, tomi primi, pars prima, pag. 425, nota (e) ). 58 1318 secondo che attesta Filippo Villani scrivendo: Morlims est [Francisciis ex oppido Barbarmi) Floren- tiae octuagesimo et quarto aetatts suae anno; anno pe- stis inguinariac, et sepullus est in Ecclesia Sanctae Crucis (1). Il Sig. Professore Francesco Del Furia, Prefetto dell'I, e R. Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firen- ze, in una sua Lezione, stampata nel tomo secondo degli Atti deirimp. e Reale Accademia della Crusca, dimostra che il libro intitolato Introduzione alle Vii- tii, del quale si è parlato di sopra, è opera di Mes- ser Bono Giamboni autore di altre opere originali, e di alcune traduzioni in purissima lingua tosca- na (2). Nel pubblico Archivio Diplomatico di Firenze, si conserva una Procura fatta ai 18 d'Agosto del 126i per atto Pubblico da Diana vedova di Guglielmo Amidei in persona di Messer Bono figliuolo di Messer Giam- bono del Vecchio Gmdice del Popolo di S. Brocolo (3). (1) Pìiilippi nilani liber de Civitatis Florcntiae famosis Civibus ex' codice Mediceo Laurentiano nunc primum edilus, pag. 32 della seconda numerazione. (2) Atti delVimp. e Reale Accademia della Crusca. Firenze 1819 — 1829, tre tomi, in 4», t. II, pag. 418 e 419. (3) Domenico Maria JVIanui scrive: " Anziché anche in una caria- li pecora del Convento di S. Maria Novella dell'anno 1264. si trova V) una procura fatta da Diana Amidei vedova di Guglielmo, in per- « sona di Messer Buono di Messer Giambono del Vecchio. n {L'Eli- ta d' Aristotile, e la fìettorica di M- Tullio, aggiuntovi il libro de' Costumi di Catone Volgarizzamento antico Toscano. In Firenze Ap- presso Domenico Maria Manni. MDCCXXXIF. Con licenza de'Supe- riori, in 4°, pag. XII). Neil' Avvertimento premesso ai Trattati di Bono Giamboni, stampati in Firenze nel 1836, si legge : « Che di » fatti intorno all'epoca del 1240 sia da stabilirsi la nascila di Mes- » ser Bono, ne abbiamo sicuro argomento da una carta scritta nel » 1264, che il Manni neir^t'Vùo ai Lettori premesso all'Etica d' » Aristotele data iu luce nel 1734, asserì aver veduta presso i PP. 59 In un altro Documento citato dal celebre Domenico Maria Manni nella sua Prefazione nìVElica di Aristo- tile data in luce nel 1734 si legge: Dominus Bonus » di S. Maria Novella, contenente una Procura fatta per atto pub- » blico (la Diana Vedova di Guglielmo Amidei, in persona di Mes- » ser Bono di Messer Giambono del Vecchio, Giudice del Popolo « di S. Brocolo; documento che di presente nel pubblico nostro « Archivio Diplomatico si ritrova. » {Della miseria dell'uomo, giar- dino di consolazione. Introduzione alle virtù di Bono Giamboni , pag. IX). — I Signori Professori Francesco Bonaini Soprintenden- te Generale dell'I, e R. Archivio Centrale di Stalo di Firenze, ed Avvocato Luigi Passerini essendosi compiaciuti di far trascrivere per me questa Procura dall'originale che di essa si conserva nel suddetto I. e R. Archivio Diplomatico, spero di far cosa grata agli eruditi riportandola qui appresso precisamente come essa si legge nell'originale suddetto. In Dei nomine Amen. Millesimo ducentesimo Sexagesimo quar- to. Indìclione Septima Idus Augusti. Domina Diana vidua, uxor quondam Guillielmi, et Filia quondam Amidei, consensu mei no- tarti infrascripti mundualdi sui , ut continefur de mundio in seriptura pubUce rogata , manu Ughi Cilitii notarii, Fecit, con- stiluit , et ordinavit dominum Bonum quondam domini Giambo- nis del vecchio suum procuratorem, actorem, et Pactorem, coram potestate Fiorentina , et presente, et Futura , et eorum judicibus presentibus , et Futuris , et judicibus , et notariis sex curiarum comunis Florentiae , et coram quocumque ludice , et oficiali co- munis Florentiae in causa et lite, quam vel quas habet, vel habcre sperai cum Rusticho Fratrc suo, Filio dicti Amidei, et cum quacum- que persona, vel loco, ad agendum, causandum, Hbellum dandum, re- cipiendum, litcm contestandum, de calupmia, et veritate jura testes introducendum, suos, et adverse parlis jus videndum, sentiendum, et pronuntiandum, et precepta audicnda, et appellando, et prosequcn- da, et ad omnia, et singula, generaliter, et specialiter, facienda, et procurando, que verus, et legyptimus procurator facete potesl, et quae juris orda postulai, et requirit, promictens Firmum, et ralum habere perpetuo quicquid per dicium procuratorem factum , seu procuralum fuerit. Actum Florentiae Testibus Salvi .... Borghese, et Neri quondam Baronis. Ega Bartholus Christofori de Sexto imperiali auctoritatc index et notarius predieta omnia rogavi rogalus et publice scripsi. 60 quondam Domini Jamhoni del Vecchio^ Jiidex Ordina- riuspro Commiiue Florentiae, Curiae Sextus Portae S. Petri, anno Domini 1282 (1). Da questi due docu- menti apparisce che Messer Bono Giamboni autore della suddetta Introduzione alle Virtù visse nella se- conda metà del secolo decimoterzo. Quindi è certo che la parola naturare fu usata in senso di generare nella seconda metà del secolo decimoterzo, o nella prima metà del decimoquarto. Il trattato di praticha darismetricha che di sopra ho detto (2) trovarsi nel Codice E. 5. 5. 14. dell'I, e R. Biblioteca Palatina di Firenze fu anch'esso com- posto da un Fiorentino, giacché nel cajiitolo nono della seconda parte di questo trattato si legge (3) : ({ Noi perchè naturati siamo in fìrenze diremo del » modo e luso fiorentino «. Essendosi dimostrato di sopra (4), che il verbo naturare fu usato in senso di generare fino dal secolo decimoterzo e decimo- quarto, puossi con sicurezza asserire che la parola naturati vale qui generati. L'autore del sopraccitato libro di praticha da- rismetricha che ho detto di sopra (5) trovarsi nel Co- dice Ottoboniano n.° 3307 della Biblioteca Vatica- na dopo avere parlato di varie opere di Leonardo (1) L'Elica (V Aristotile, e la Rctlorica di M. Tullio, aggiuntovi il libro de costumi di Catone volgarizzamento antico Toscano, pag. XII. — Della miseria dell'uomo, giardino di consolazione, Introdu- zione alle virtù di Bono Giamboni, eie., pag. XI. (2) Pag. 15, lin, 3— 10. (3) Codice E. 5. b. 14 dell'I, e R. Biblioteca Palatina di Firenze, carta 19 redo. (4) Vedi sopra dalla linea prima della pag. 52 all:i linea '.) «li questa pagina C6. (5) Tomo CXXXI, pag. 108, Un. 3 — 6. 61 Pisano soggiunge (1) : « e sono queste opere in «sancto Spirito, e in sancta m." nouella «. Quin- di è certo che nel secolo decimoquinlo alcune opere df Leonardo Pisano esistevano manoscritte nel con- vento de' Pieligiosi Eremitani di S. Agostino an- nesso alla Chiesa di S. Spirito, del Quartiere d'Ol- trarno di Firenze, e nel convento de' Domenicani di S. Maria Novella della medesima città. Vespasiano Fiorentino dotto bibliofilo del secolo decimoqninto nella sua vita del sommo Pontefice Niccolò V scrive : « Et ancora oggi in sancto Spi- « rito in una libreria che si chiama del boccaccio, )) la quale è di là dalla libraria de'Frati, che la fece )) fare nicholaio nicheli, et feceui mettere i libri del » boccaccio, aco che non si perdessino » (2). Da questo passo del suddetto Vespasiano apparisce che nel secolo decimoquinto due Biblioteche esi- stevano nel soprammentovato convento di Santo Spi- rito, una delle quali fu fondata da Giovanni Boccaccio pel lascito ch'egli fece morendo al convento medesimo dei libri da lui posseduti, e l'altra diversa da que- sta, ma posseduta anch'essa dal medesimo convento. In una di queste biblioteche è da credere ch'esistes- sero quelle opere di Leonardo Pisano, che l'anoni- mo autore del precitato libro di praticha darismetri- cha dice essere in sancto Spirito (3). (1) Vtdi Tomo CXXXI, pag. 129, lin. 11—14. (2) Codice Valicano n.° 3224, carta 30 recto. — Eminentimmi et lievi^rendissimi , Cardinalis angeli Mai, Spicilegium Romanum. l. I, pag. 31 e 32, pile di uomini illustri Fiorentini del secolo XF scritte da P'espasiano Fiorentino contemporaneo, Nicola F, Papa, paragrafo 1. (3) Vedi Tomo CXXXI, pag. 129, lia. 11. 62 Il Dottore Giovanni Targioni Tozzetti in una sua opera intitolata Selva di notizie speltanli alVon- gine de' progressi, e miglioramenti delle scienze fisiche in Toscana ec. scrìve (1): « In Firenze adunque, » oltre alla libreria pubblica del Convento di S. Spi- )) rito (Mehus p. 31, 277 e 286 - Manni Illustr. del » Decamerone, p. 115 ) vi furono nei secoli XII., )) XIII. e XIV., aperte ed arricchite per uso pubblico » anche le seguenti ec. » In questa libreria pubbli- ca del Convento di Santo Spirito è probabile che si trovassero nel secolo decimoquinto alcune opere di Leonardo Pisano , giacché ciò sembra potersi de- durre dalle parole : (c e sono queste opere in san- » cto Spirito » che trovansi nel sopraccitato libro di praticha darismetricha (2). Il Padre Vincenzio Fineschi Domenicano, in una sua lettera al Dottore Giovanni Lami pubblicata nel 1756, afferma che in un libro di pergamena molto antico di varie ricordanze o memorie appartenenti al Convento dei Domenicani di S. Maria Novella di Firenze rilevasi essere già edificata nel 1348 la Bi- blioteca di questo convento (3). Questa libreria pro- babilmente fondata dal celebre Padre Jacopo Pas- savanti, fu arricchita di pregevoli codici intorno al- (1) Notizie sulla storia delle scienze fisiche in Toscana cavate da ìtn manoscritto inedito di Giovanni Targioni — Tozzetti. Firenze dalla /. e R. Biblioteca Palatina 1832, in 4% pag. 56. (2) Vedi Tomo CXXXI, pag. 129, lin. 11. (3) Novelle letterarie pubblicate in Firenze ( sollo la direzione del Dottore Giovanni Lami) dal 1740 al 1709. In Firenze, ìTiO— 1770, 30 tomi, in 4°, t. XVII, col. 736. Questo tomo decimosct- tiino ha nel l'ronlespizio il titolo seguente : « Novelle letterarie » pubblicate in Firenze l'anno »MDCCLVI, tomo XVII. » 63 Tanno 1410 dal P. F. Leonardo Dati Ministro Ge- nerale dell'Ordine de'Predicatori. Altri manoscritti le furono donati da Fra Jacopo Altoviti Vescovo di Fiesole, da Fra Bartolommeo Rimbertini Vescovo di Corona, e da Fra Giovanni Carli (1). In un Codice della Biblioteca Magliabechiana di Firenze contrassegnato Conventi Soppressi, Scaf- fale F., Palclielto 6., N." 20 i, trovasi manoscritto un Catalogo compilato nel J489 dal Padre Tom- maso di Matteo Sardi Domenicano Fiorentino di tutti i Codici manoscritti, che in quel tempo esi- stevano nella Biblioteca del Convento di S. Maria Novella della medesima città di Firenze. In questo Catalogo a carte 8 verso, colonna 2, si legge : Ari- smetrica leonardi pisani (2) . Sembra doversi credere che questa Arismelrica fosse il Liher Abbaci di Leo- nardo Pisano. In fatti nel recto della prima carta aggiunta in principio del Codice L. IV. 20 della Bi- blioteca Pubblica Comunale di Siena si trovano scritte di carattere del decimoquinto secolo le pa- role seguenti : Arismetricha leonardi bigholli de pi- sis (3); le quali parole si riferiscono certamente al me- desimo Liber Abbaci , di cui trovasi un esemplare in esso codice L. IV. 20. Nel rovescio della prima carta del suddetto Ca- talogo de'libri del convento di S. Maria Novella si legge : (1) Novelle letterarie pubblicate in Firenze V anno MDCCLfl , t. XVII. (2) Atti delV Accademia Pontificia de'Nuovi Lincei, l. V , Anno V, (18S1— 52) pag. 240. (3) Atti dcW Accademia Pontificia de^ Nuovi Lincei, l. V. Anno V. {1851— S2), pag. 25. 64 In nomine dui An. 1489. Incipit imienlarium omnium librorum convenlas sancte m.^ noiielle de fio." ordinis predicatorum. Tam de illis qui sunt in banchis secundum ordinem tabu- larum, quam de illis qui sunt in cassis, atquc etiam de illis qui sunt fratribus concessi tempore R.'"' ma- qislri ordinis magistri lohachini de uenetiis, ac R.''' patris prioris magistri mariani de uernaccis, quorum precepto ego frater thomas mathei de sardis humilis magisler infra scriptum inuentarium. Incipio ista die 4, ìiovembris, 1489 (1). Il Padre Vincenzo Fineschi nella sua Lettera sopraccitata al Dottor Giovanni Lami scrive: « Era » (l'antica libreria del Convento di S. Maria No- )> velia) disposta a banchi, altrimenti plutei, confor- » me le celebri librerie di S. Lorenzo, e di S. Cro- » ce, sopra de'quali erano per ordine di materie col- » locati, e fermati con catene, i Codici. Erano 42. » Plutei, 22. da una parte, e 20. dall'altra, supplcn- » do al numero inferiore alcune casse, nelle quali )) si riponevano quei, che sopra i detti plutei non » entravano; e secondo un Catalogo fatto nel 1489. )) dal celebre P.F. Tommaso Sardi passavano di gran » lunga il 1000 )) (2). Il Catalogo qui menzionato è quello stesso che di sopra ho detto (3) trovarsi nel Codice Magliabechiano Conventi Soppressi, Scaf- fale F., Palchetto 6., N." 24. (1) ^tti deW Accademia Pontificia de' Nuovj Lincei, l. V, Anno V, (1831 -52), pag. 241. (2) Novelle letterarie pubblicate in Firenze V anno M1>CCL7'I , tomo XVII, col. 756 e 767. (3) Vedi sopra, paj. 63, lin. 6—13. 65 V Arisìnetrica leonardi pisani era posta nell' ot- tavo banco dalla parte d'oriente della Biblioteca del Convento di S. Maria Novella. In fatti nel catalo- go suddetto de'libri di questo convento a carte 7 i;erso, colonna 2, si legge: In 8 banco {exparte orti) (1). Sotto questo banco trovasi menzionata nel catalogo stesso VArismetvica del Fibonacci (2). L'Abate Lorenzo Mehus nella sua Vita Ambrosii Traversarii Generalis Camaldidensis parla della Biblio- teca del Convento di Santa Maria Novella, e del sud- detto Catalogo de'manoscritti di questa Biblioteca di- cendo (3) : « In codice chartaceo ^ Biblìothecae Riccardia- )> nae, qui Bartholomaei Fontii comprehendit Mi- )> scellanea eius scripta manu, atque ex pluribus au- )) ctoribus ab ilio eodem eruta , leguntur ^^ inter )) cetera: Ex Alano sumpta die XXVIII. Angusti 1488, )) superque tali titulo: Est in Bibliotheca S. Mariae )) Novellae Florentiae. Quibus verbis existimandum » est, illam seculo quinto, ac decimo in Florenti- » norum civitate fuisse celebra tam. Huius quidem » indicem ab an. 1489 incoeperat Fr. Thomas Sar- » dius Matthaei fdius Florentinus, Vates insignis , » summiisque Theologiis, qui ineunte saeculo sexto » ac decimo indidem florebat, floretque adhuc eius » honos propter opus metricum tres in libros tri- )) butum, quod De Anima Peregrina italico ab co ^^ » conscriptum, explicatumque est. In eadcm S. Ma- (1) Atti dcW Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, I. e. (2) Atti dell'Accademia Pontificia de'' Nuovi Lincei, I. e. (3) Ambrosii Traversarii Generalis Camaldiilcnsium aliorumque ad ipsutn, et ad alios de eodem Ambrosio lalinae cnistolae, t. 1, mn rxcxxxxi, e CCCXXXXII. G.A.T.CXXXII. 5 66 )ì riae Novellae Bibliotheca ^^ latet Peregrina Sardii )) Anima, atque amplius Index *^ manu-scriptorum, )i qui in Illa eo tempore essent reconditi. Tali ille )) Index utitur titulo: In nomine Domini amen 1489. )) Incipit Inventarium omnium librorum Convenlns )) Sanctae Mariae Novellae de Florenlia Ordinis Prae- )) dicatorum tam de illis, qui simt in banchis secun- )) dnm ordinem tabularum, qiiam de illis, qui sunt in )) cassis, atque edam de illis, qui sunt Fratribus con- )) cessi tempore Reverendissimi Magistri Ordinis Ma- )) gistri Ioachimi de Venetiis, ac Reverendi Patris )) Prioris Magistri Mariani de Vernaccis, quorum prae- )> cepto ego Frater Thomas Matthaei de Sai^dis humi- » lis Magister infrascriptum inventarium incipio ista )) die^. Novembris 1489. » )> (9) CoJ. M. 1. chart. in 4. N. XXV. » (IO) Pag. J66. » (II) Nempe a die IX Marlii 1493 ad diem XIV. Martii 1309. » (12) Nempe in Cod. chart. fol. max. & Class. VII. Bibliolh. Ma- » gliab. Cod. 309, membr. in fol. » ('3) Cod. chart. fol. « Quindi è certo che nel 1 759, cioè quando fu stam- pata la suddetta Vita Ambrosii Traversarii, V anzi- detto Catalogo, compilato dal Padre Tommaso di Matteo Sardi, esisteva ancora nella Biblioteca del Convento di S. Maria Novella in Firenze. Di questo Catalogo parla il suddetto Padre Vin- cenzo Fineschi in una sua operetta intitolata Sag- gio di un poema inedito d'intitolato Anima peregrina estratto dalla libreria del Convento di S. M. Novella dicendo (1): «Che poi questo esemplare sia originale, {{) Saggio dì un poema inedito intitolato Anima Peregrina estrat- to da un Codice della libreria del Convento di S. M. Novella dal P. Vincenzio Finesctii Arciiivisla del medesimo Convento. In Fi- 67 » oltre all'avere piena cognizione del di lui carat- » tere per aver veduto tra gli altri ricordi il Ca- » talogo de'Codici dell'antica nostra Libreria, la qua- » le allora era disposta a Plutei conforme in oggi » vedesi la Mediceo Laurenziana , e per essere il » Sardi il Bibliotecario, lo scrisse di sua mano nel- « Tanno 1489 etc. )> In una nota a questo pas- so dell'anzidetto Saggio il P. Fineschi scrive (1): « Questo Catalogo ritrovasi tra i MS. della Libreria » di S. M. Novella ». Queste parole del P. Fine- schi furono stampate nel 1783. Alcuni anni dopo il Catalogo di cui egli qui parla fu , come si vedrà più oltre, della Biblioteca del Convento di S. Ma- ria Novella trasferito nella Magliabechiana. Il Sig. Dottore Federico Blume nella sua opera intitolata Iter Ilalicum parlando dell' antica Biblio- teca del Convento de'Domenicani di S. Maria No- vella di Firenze dice: « Il Mehus CCCXXXXI afferma )) che esiste ancora un Catalogo del 1489» (2), cioè: )) L'Abate Lorenzo Mehus a pagine CCCXXXXI del }) la sua Vita Ambrosii Traversarii Gencmlia Camal- » dulensium afferma ch'esisteva ancora quando egli )) ciò scriveva, cioè nel 1759, o prima, un catalogo » compilato nel 1489 dei libri della Biblioteca (ìel reme MDCCLXXXH. Nella Stamperia di Francesco MoWcke. Con licenza de''i>uperiori, in H", pag. 3 e 6. (3) Fineschi, Saggio di un poema inedito intitolalo Anima Pe- regrina, pag. 6, nota (1). (2) " Meliiis CCCXXXXI. behaiiplet , dass noci» eiii Kalalog von ri 1489 exstire ,, {Iter Ilalicum. fon D. Friedrich Blume, Professor der lìechle zu Halle. Berlin und Slellin und Halle 1824—1836 , 4 volumi, iti 8", voi. II, paq. 69, libro VI, 6. Florexz, B. Bibliotiieken, 16. 68 )> Convento di S. Maria Novella. » In fatti a pa- gine CCCXXXXI della suddetta Vita Amhrosii Tra- versarli si legge il passo di essa Vila riportato di sopra (1), nel quale si trova questa asserzione (2), Nella Biblioteea Magliabechiana di Firenze si con- serva un Catalogo manoscritto di 75 carte, la pri- ma delle quali ha nel redo il titolo seguente: « Ca- » talogo dei Manoscritti scelti nelle Biblioteche Mo- » nastiche del Dipartimento dell'Arno, dalla Com- » missione degli Oggetti d'Arti, e Scienze, dalla me- )> desima rilasciati alla Pubblica Libreria Maglia- )) bechiana » . Sul rovescio della carta 72 di questo Catalogo si legge : Numero Catalogus 294 S. Mariae Nouellae confectus anno 1489 Cod.ch. Qusto Codice cartaceo in foglio è certamente quello stesso Catalogo de'manoscritti della Biblioteca del Convento di S. Maria Novella compilato dal Pa- dre Tommaso di Matteo Sardi, e del quale si è par- lato di sopra (3). Eduardo Dauchy, Amministratore Generale della Toscana, in un suo Decreto dei 29 d'Aprile del 1808 dichiarò soppressi tutti i conventi di religiosi e re- ligiose della Toscana in quel tempo aggregata all'Im- pero Francese (4)- Nell'articolo primo del Titolo Pri- (1) Vedi sopra dalla linea i'i della pag. 65 alla linea 21 della pagina 6G. (2) Vedi sopra pag. 65, lin. 21—28, e pag. G6, lin. 1—15. (3) Vedi sopra dalla linea 6 della pag. 63 alla linea 4 di que- sta pagina 68. (4) moria civile della Toscana dal MDCCXXXFIl. al MDCCC X Infili- di Antonio Zobi. Firenze prenso Luigi Molini,iSSO — 1852, 4 tomi, in 8", l. Ili, pag. 700, e Jiipcndicv di Documenti N.°CXL, pag 5-23— 3-27. 1 69 mo di (piesto Decreto si legge : « Sono soppressi i )) Conventi di religiosi e religiose di Toscana, sotto » qualunque denominazione eglino esistano, e qua- )) lunque sia la regola che osservano, fuorché quelli » che seguono » (1). Nel Titolo Secondo del Decreto suddetto si leg- gè (2): )) VI. Fanno parte del patrimonio dello Stato )) tutti i beni mobili, ed immobili, rendite, crediti, » e capitali di qualunque specie , appartenenti ai )) Conventi dei due sessi esistenti in Toscana, che )) in forza del presente Regolamento sono soppressi, » 0 provvisoriamente conservati ». )) Vili. L'Agenzia e l'amministrazione di questi )) beni è affidata a quelli, che sono incaricati dell' » amministrazione del Registro e del Demanio. » Nel Titolo Terzo del sopraccitato Decreto si leg- ge : « Il Demanio dello Stato in Toscana rimane » sotto l'immediata vigilanza dei Sigg. Prefetti ». In forza di tali disposizioni fu compilato il Ca- talogo dei Manoscritti scelti delle Librerie Monastiche di Firenze, del quale si è parlato di sopra (3). L'autore del sopraccitato Catalogo de'libri del Con- vento di Santa Maria Novella fu dotto Teologo, e poeta illustre, come apparirà dalla seguente notizia della sua vita e de'suoi studi. Nel 1683 fu stampato in Firenze un elenco dei (1) Zobi , Storia civile della Toscana dal MDCCXXXFII al MDCCCXLFIII, t. Ili, pag. 523. (2) Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXFII. al MDCCCXLFIII, t. HI, pag. 525. (3) Pag. 68, lin. S— 18. 7> EORVM OMNIVM PP. MAGISTRORVM, AC BACCALAVR. » Almae Fior. Vniuersit. qui iàm vita functi praesertim ab anno ■» 1424. vsquè ad hunc 1683, in antepositis catalogis declaris Vi- » ris, & Decanis, non recordantur, iuxtà laureationis, vel incorpo- » rationis annos, qui potuerunt haberi, praetermissis die, et mense, » nec non illis Doctoribus, qui iustis de causis ab eodem Vniuersit. » remansere abrasi. » In questo elenco si legge (2) : Thomas Braciiiis Gherardi de Prato Bac. Ord. Pracd. 1453. Thomas de Licio Bacc. d. Ord. U73. Thomas Morelli de Bonis Fior. d. Ord. 1486. Thomas Mallhaei de Fior. Bac. d. Ord. U86. (1) Conslitulioncs, et decreta Sacra Florentlnae Universitatis Theologorum. Una cum illius primaeva origine, ac Illustrium f'iro- rum qui ex illa fnquentcr prodierunt enarratione. Omnia olim si- mul colicela, ac primo in lucem edita sub Decanalu A. R. D. Ma- gistri Fidelis de Corsettis à Pnppio Monachi Fallumbrosani; Nunc denuo ancia, et accuratius recognita, Decano A. B. P. M. Raphaele Badio Fiorentino Ordinis Praedicalorum , deque eorundcm Magi- strorum Consilio, ac Illuslriss., & Eeverendiss. D. Archiepiscopi Fio- rentini Fniuersitatis praefatae Moderatoris aulhoritale firmata- Flo- rentiae, apud Fincenlium Vangelisti Archiep. Typogr. Superiorum permissu, MDCLXXXIII., in 4', pag. 15^. (2) Dada [Raphael), Conslituliones et Decreta Florentinae Unicer- silatis Theologorum, pag. 163, col. 2. 71 Quindi è chiaro che nel 1486 il Padre Tommaso di Matteo Sardi fu incorporato come Baccelliere nella Università Fiorentina. Il Padre Giacomo Quetif Domenicano, nato in Parigi ai 6 d'Agosto del 1(518 (1), e morto ai 2 di marzo del 1698 (2) scrive : f. thomas matthaei de » sARDisEtruscus patria Florentinus, professione vero » S. Mariae Novellae alumnus, theologiam e supe- » riori loco praelegebat, anno MCCCGLXXXVI, quo )) baccalaureus in universitate Fiorentina allectus » est » (3). Puossi adunque con sicurezza affermare che nel 1486 Fra Tommaso di Matteo Sardi fu in- corporato come baccelliere neirUniversità Fioi'entina, e che nell'anno stesso lesse teologia in quella Uni- versità. Il Dottore Luca Giuseppe Cerracchini, Sacerdote Fiorentino morto ai 27 di Gennaio 1745 (4), scri- (1) Il Padre Jacopo Echard scrive : « F. Jacobcs Qubtif Gallus, » Parisiìs parenlibus lioneslis ciuibus regiae urbis commode &. lau- » te vivenlibus, palre Petro regio nolario, hujusque coniuge Bar- )) bara Brunes sesta augusti MDCXVIll nalus est , eademque die n in Ecclesia parochiali S. Salvatoris dieta baptisoio renatus «. {PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, t. II, pag. 746, coi. i,e 2, articolo intitolato F. JJCOBUS ^i/fT//", contrassegnalo eoa *). (2) Il P. Jacopo Ecbard scrive. « Obiit vir laboriosissimus (F. Ja- » cobus Quetif) & in optimis semper cognitus secunda inartii MDC » XCVlll. aelatis LXXVIII nondum completo » {PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum ,1. Il, pag. 74G, col. 2, articolo intitolato F. JACOBUS quetif). (3J PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, l. Il, pag. 38, col. 2, articolo F. Thomas matthaei de sardis contrassegnato colla croce f. (4) Il Padre Giuseppe Ridia della Compagnia di Gesù parlando del suddetto Dottore Luca Giuseppe Cerraccliini dice: "• Nella sua » morie poi, che seguì il dì 27 Gennaio 1743, volle il Cerracchini, » che nella Chiesa di queste Religiose esposto fosse , e quindi re- 72 ve (1) : « TOMMASO DI MATTEO SARDI O SÌa SfiARFI Fio- )) Tentino de'Predicatori, li 26. Novembre 1486, es- » sendo già incorporato come Baccelliere diede co- » minciamento a leggere sul primo delle Sentenze il )) dì 29. del medesimo mese, e il dì 9. Gennajo sus- » seguente cominciò a leggere sul secondo » . Si vedrà piiì oltre qual possa essere la ragione per la quale ilCerracchmi qui dice «sardi osia scarfi.» Il Padre Michele Poccianti Fiorentino dell' Ordi- ne dei Servi di Maria, morto in età di quarantuno » posto il (li lui cadavere, colla seguente inscrizione, clie, secon- » do il suo gusto s' era da se slesso composta , allorché vivea « {Notizie istoriche delle Chiese Fiorentine Divise ne'suoi Quartieri, opera di Giuseppe Richa della Compagnia di Gesù: In Firenze d754 — 1762. Nella Stamperìa di Pietro Gaetano Viviani.Con licen- za de'Superiori, 10 tomi, in 4°, t. X, pag. d6S, Sezione XV, pa- rag. IV). Più oltre il medesimo P. Richa dice ( Notizie istoriclie delle Chiese Fiorentine, t. X, pag- 169, lezione XV, parag. IV): » LVCAS . lOSEPU . CERnACCHlNIVS . CIVIS . FLOR. 11 COElI . NEREl . f!L . HENRiCI .V . I . D . NEP. » NAIVRA . PVLVIS . DrGMTATE . SACERDOS . PROl'ONOT . AP. » S . TH . D . ACAD .FLOU . APATH . ET . ARCAD. « TVM . IN . FLOB . TVM IN FAESVL . DIOECES . SYSOD . EXAMJNAT. w S . OFFICII . INQVIS . CENSOR . IN . TVMVLO . PROXIJIO . ALTARI » SS . PROTECTORIS . SVI . DEIPARAE . SPONSI » CORPORIS . SVI . EXVVIAE . VT . LOCARENTVR ••1 VIVENS . HVJilLITER . PETIt . QVO . AB . INSIGNIS 11 HVIVS . ASCETErI . SACRIS . VIRGIMBVS . 0BTENTO » MONIMENTVM . DOC . P . S . P . C. » OBllT . DIE . XXVII . IANVArI . MDCCXLIV » AETAT . SVAE . LXIl . MENS . IV. 55 (1) Fasti Teologali ovvero notizie istoriche del Collegio de'Teologi della Sacra Università Fiorentina dalla sua Fondazione sino alCaìi- no 1738. liaccolte da Luca Giuseppe Cerracchini, e dedicate al gran Maestro dì Divinità San Dionisio Areopagita Potentissimo Protet- tore della medesima. In Firenze. MDCCXXXFII. Per Francesco jMoucke Stampatore Ardi escovale. Con licenza de'Supcrioriì in .'i" , pag. 197 e 198. 73 anni ai 6 di Giugno del 1576 (1), in una sua opera intitolata Cataìogus Scriptornm Florentinonim omnis generis eie. scrive (2): )) Thomas Matthei de Sardis, vt alij habent Co- )) diccs ex Ordine fratrum Praedicatorum, hetrusco )) eloquio, hetruscaque Musa uir haud ignobilis, ^ )) incelebris euigilavit Carmine altiloquo imitatus » Danthem, opus in tres libros digestum, quod in- )) scripsit sub nomine Animae Peregrinae ad Magi- » stratus, ^ Consiliarios Reipub. Floren. cuius Ar- » chetipon asseruatur in Bibliotheca Coenobij S. M. » N. §^ sic incipit )) Sonniferando ascesi Vaspro monte )ì Che ci conduce ad vna eterna vita )) D'vna villa acqua io viddi vn chiaro fonte. (1) Il Padre Luca Ferrini dell'Ordine de'Servi di Maria, in un articolo relativo al F. Michele Poccianti, che fa parte delle giunte al Calalogus Scriptorum Florentinorum di quesl' ultimo, fatte dal medesimo P. Ferrini, scrive: Quamplurima etiam suae religionis of- ficia est consecutus {Michael Pocciantius) quibus prudenter ministra- tis, tandem sui ortus anno 41. efflauit animam {Cataìogus Scripto- rum Florentinorum omnis generis, Quorum, et memoria extat , at- que lucubrationes relatae sunt ad nostra vsque tempora M. D. LXXXIX. Auctore Reverendo Palre Magistro Michaele Pocciantìo Fiorentino, Ordinis Servorum B. M. Virg. Cum addilionibus fere 200 scriptorum Fratris Lucae Ferrini) alumni Sacrae Theologiae professoris, atq. , cum tabuMs locupletissimis ipsum exornantibus. Fiorentine, Jpud PhiHppum Junctam, M. D LXXXIX. Curri. Licen- liae Supericrum O Privilegio, in 4". pag. 129). Più oltre nell'ar- ticolo medesimo il Padre Luca Ferrini scrive: tandem Cathalogum hunc percekbrem incepit {Michael Pocciantius) , et immatura morte praeuentus octauo Idibus lunii 1376. ertrema vidcre ncquiuit. {Poccianti, Cataìogus scriptorum Florentinorum omnis generis, cum additionibus fere 200 scriptorum F. Lucae Ferrini], I. e.) ■ (2) Poccianti, Cataìogus Scriptorum Florentinorum omnis gene- ris, pag .104. 74 » Interijt Floren. 1517. 27 Octobris, §;^ in Aedibus » S. M. N. eius ossa recondita snnt >>. Quindi è certo che il Padre Tommaso Sardi au- tore del Catalogo soprammentovato de'libri della Bi- blioteca del Convento di S. Maria Novella morì ai 21 di Ottobre del 1517. A carte 74 recto della prima parte del celebre Necrologio del Convento di S. Maria Novella di Fi- renze (1) si legge: Magister Thomas Matlhei de scarfis de fior, convenlus S/" marie novellae et Professus, e medio nostrum sublattis est die 21. Octobris ìòìl . Rie (1) Questo Necrologio è composto Ji due parti, una delle quali, cioè la prima, è un Codice manoscritto, membranaceo, in quarto, di carte 124, numerate nel recto coi numeri 1 — i24, e scritto da di- verse mani. Nel recto della prima carta di questo Codice si legge: „ NECROLO II GII [| VENER . CONVENTVS || S . M4RIAE NO |] VELLAE || DE )) FLORENTIA || ORDINIS PRAEDICA jj TOBVM || PARS PRIMA !| AB ANNO 1225 „ VSQ. ad II 1663 |1 «. La seconda parte del medesimo Necrologio è un Codice manoscritto, cartaceo, in quarto, de'secoli decimosetlimo e deciraottavo. Nel recto della prima carta di questo manoscritto si legge : « NECROLOGI! Il VENER . CONVENIUS || S. MARIAE NOVEL. DE » FLOR^.' Il ORDINIS PBAEDICATORVM || CUM INDICE GNU. NOMINV [j SE- « CVNDA PARS. Il ANNO 1682 « [| Il Padre Vi nccnzo Fineschi scrive [Saggio di un Poema inedito intitolato Anima Peregrina, pag. 4): » Col Documento per altro del prelodato Necrologio (2) possia- » mo qui asserire, che il nostro Sardi t'osse un eccellente Filoso- » fo un dotto Maestro in Teologìa , e un valente Predicatore , » mentre predicò con gran concorso di Popolo più volte nel Duo- » mo, nella nostra Chiesa ed altrove. n (2) T. 2, p. 74. <■'■ iMagister Thomas Matthei de Scarfis » etc. » » Sembra che per errore di slampa in principio di questa nota (i) si trovi o T. 2. » in vece di <•' T. 1. « , giacché nella prima , e. non già nella seconda parte del Necrologio del Convento di S. Maria Novella trovasi il pa.?so di questo Necrologio relativo a Magister Thomas Mattaci de scarfis riportato di sopra in questa pagina 200 (lìn. 9 -11), e nella seguente pagina 201 (lin. 1—10.) 75 Venerabilis pater habkiim nostrum a pueritia snscepit, ac per multos annos inter Fratres laudabiliter est con- versatusy et Plurimis honoribiis honestatus est. Fiat namque prior nostri almi Conventus Ter^ et in pre- dicatione gratissimus. In Chatedralì Ecclesia , et in Conventu nostro predicavit sepius cum maxima Populi concursu. Vidgari sermone , et Carminibus Dictavit Opus Cui Titulus est Anima Peregrina. Ex Urbe tandem reversus, et febre percussus clausit dies suos , ac dormiuit cum Patribus suis (1). Certamente il re- ligioso Domenicano chiamato Magister Thomas Mat- tìiei de Scarfls in questo passo del Necrologio sud- detto è il Padre Tommaso di Matteo Saixii , del quale si è parlato di sopra , giacché il Padre Vin- cenzio Fineschi ha giustamente avvertito (2), che per isbaglio di chi scrisse questo passo vi si legge Scarfis in vece di Sardis. Il leggersi Scarfis in vece di Sardis nel soprar- recato passo del Necrologio del Convento di S. Ma- ria Novella è forse il motivo (3) pel quale il Dot- tor Luca Giuseppe Cerracchini scrisse (4) « sardi o » sia SCARFI ». Il Padre Ambrogio d'Altamura, Domenicano, del- la famiglia Del Giudice, nato ai 16 di Novembre del 1608 (5), nella sua opera intitolata Bibliotheca Domi- (1) Questo passo del suddetto Necrologio è riportato dal P. Vin- cenzo Fineschi nel suo Saggio di un poema inedito intitolato Ani- ma Peregrina (pag. 4, nota 2). (2) Fineschi (P- Ftncenzio), Saggio di un poema inedito intitolato Anima Peregrina, pag. 3. (3) Vedi sopra, pag. 72, lin. 7 e 8. (4) L. e. (5) PP. Quctif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicaloram, t. Il, pag. 660, col. 2; artìcolo /''. AMBROSiyS DE ALTJMFHA, contrassegnalo con *• 76 m'cana, scrive (1): « tiiomas a sardis, seu de Codicis » Florentinus accuratissimus imitator Dantis, sum- )) mus Poeta , edidit Carmine etrusco volumen in » Ires libros distiìictum, ani tilulus Anima Peregri- )) na. Opus hoc asseiuatur in Bibliotheca Conuentus » S. Mariae Nouellae. Obijt die 27. Octobris 1517. )ì ibidem. )) Michael Pocciantinus, Plodius p. 2. lib. 3. Lu- )) carinus, Fontana de Rom. Proii. e. 6. » 11 leggersi seti de Codicis in questo passo della suddetta Bibliulìieca Dominicana ci mostra che il P. D'Altamura errò credendo essere de' Codici un secondo cognome del Padre Tommaso di Matteo Sardi. Il P. Giacomo Quetif ciò avverte scriven- do (2): u In aliud erratum impegit Altamura, 1 egens » apud Pocciantium, Thomas Matthaei de Sardis, ut )) aia liabentCodices. PutavitCodices aliud esse Tho- » mae agnomen, quia scriptum per C majusculam, » cum obvium esset typorum esse erratum «.E da notare per altro, che prima del P. D'Altamura cadde in questo errore il Padre Giovanni Michele Piò; giac- che questi scrive (3) : « Fra Tomaso de Sardi, o- (1) Bibliothecac Dominicanae ab admodum R. P. M. F. Ambrosio de Altamura Accuratis Collectionibus, Primo ab Ordinis Constitu- tione, vsque ad Annum 1600. productae hoc Seculari Apparatu in- crementum,ac prosecutio ad Illustri ssimum,ac licuercndissimum Fr. Jo. Thomam de Rocaberii, Falentinae Ecclesiae Archiepiscopum , necnon tolius Praedicatorum Ordinis Generalem Magistrum. Ro- mac, M. DC LXXVII. Typis, & Sumptibus Nicolai Angeli Tinas- sij. Superiorum permissu, in fog., pag. 240, col. 2, e pag. 241, col. ì, Anno 1317. (2) PP. Quetif et Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum , i 11, pag. 38, col. 2, arlicolo F. THOMAS MATTHAEI DE SAR- DIS, contra.ssegnato con f . (3) Delle vile de gli huomini illustri di S. Domenico , seconda parte, Oue compendiosamente si tratta dei Generali, Jrciucscovi., 77 )) uero de Codici, Fiorentino , grande imitatore di )) Dante, ^ caro alle Muse, compose in versi To- » scanì vn volume distinto in tre libri , intitolato » l'Anima Peregrina, ^ l'opera è nella Libreria del » Conuento di S. Maria Nouella, oue morì del 1517. » alli 27 d'Ottobre. Mich. Pocc. » Il Padre Tommaso di Matteo Sardi compose (1 ) ad imitazione di Dante Alighieri un poema in ter- za rima intitolato Anima Peregrina, e diviso in tre libri. Questo poema pubblicato in parte dal Pa- dre Vincenzio Fineschi nel suo opuscolo intitolato Saggio di un poema inedito intitolalo Anima Peregri- na (2) fu incominciato ai 9 di marzo del 1493, e ter- minato ai 22 di luglio del 1509, giacché a carte 191 recto di un Codice della Biblioteca del Convento di S. Maria Novella , nel quale trovasi manoscritto questo poema (3), in fine del poema stesso si legge: Fescoui, Maestri di Sacro Palazzo, Scrittori & altri degni perso- naggi dell'Ordine de Predicatori. Con vna breue raccolta de gli Or- dini dei Concili, de'Sommi Pontefici, et delle congregationi di Roma, et dei Priuilegi e faiiori Pontifici) attinenti ai Frati, e Monache , & alle tre Santissime Compagnie del Rosario, della Croce , & del Nome di Dio. Et vn aggiunta delle fondationi di molti Conuenti , di Frati & Monasteri, di Monache, & altre cose notabili, auuenute ncWOrdine, & tempo sudctto. Con due copiose Tauole V una delle persone, l'altra delle materie contenute nell'opera. Di F. Gio. Mi- chele Piò, Bolognese, Lettore Theologo Domenicano. In Pavia, ap- presso Giacomo Ardizzoni, & Glo. Battista de'Jìossi M D CXIII. Con licenza de' Superiori , in 4°, col. 121 della seconda numerazio- ne, libro terzo, anno 1317. (1) Vedi sopra, pag. 73, lin. /<— 13, pag. 7.>, lin. 7 e S, pag. 76, lin. 2—7, e questa pagina 77, lin. 2—6. (2) Fineschi, Saggio di un poema inedio intitolato Anima Pere- grina, pag. 28 -66. (3) Il sopraccitato Codico della Biblioteca del Convento di S. 78 « Finis luiius opei'is, ac laiuiem, et gloriain, et )) honorem dei, beateqiie uirginis, onmiumque san- Maria Novella conUnente il poema di Fra Tommaso di Matteo Sardi intitolato Anima Peregrina è cartaceo, in foglio massimo, e 212 carte, delle qnali le prime nove contengono un proemio, e le al- tre ducentotre scritte a due colonne contengono il poema mede- simo, ed un comento dello stesso P. Sardi a questo poema. — Un esemplare membranaceo, in fogl'o, di questo poema trovasi in un Codice della Biblioteca Corsi niana di Roma contrassegnato col n.° 612, membranaceo, in foglio, e di carte 200. Il Padre Vincenzio Fi- jiescbi afferma [Novelle letterarie pubblicate in Firenze Vanno MD- CCLFll, tomo XVII, col. 184), che questo esemplare fu dall'autore presentato al Papa Leone X. Nel recio della carta 10 del suddetto Codice n.''6l2 della Biblioteca Corsiniana si legge: || a Commentum \\ » Narratione del come e dedicato al Reuerendissimo Moasigno || re « S. Giouaani de medici Signore benignissimo diuina proi || denlia V Cardinale dignissimo tilulo Sanctae Marie in Dominica be ]1 neme- B rito patriae patri oplimo die .... mensis ...:■<■, \\ Nel redo della car- ta 199 di questo Codice si legge : ExpUcit opus. Laus deo beatequc Marie || omnibusque Sanctis. Amen. || Quod opus initium liabuit die viiij Mar li) M" I CCCC°.LXXXX\llJ° hora vero xviij. || Un altro e semplare membranaceo, in foglio, del poema suddetto di Fra Tom- maso dì Matteo Sardi trovasi in un Codice delia Biblioteca Magliabe- chianadi Firenze contrassegnalo Classe FU, n°.309 [Palchetto I,n.° 87). Quest'esemplare fu donato dall' autore a messer Piero Sederini Gonfaloniere perpetuo delia Repubblica Fiorentina ( Merporie per servire alla vita di Dante Alighieri, ed alla storia della sua famiglia raccolte da Giuseppe Pelli Patrizio Fiorentino, seconda edizione no- tabilmente accresciuta. Firenze presso Guglielmo Piatti mbcccxx- Jil, in 8°, pag 181, 5 XVI', nota (72).— Novelle letterarie pubbli rate in Firenze Vanno MDCCLVIl, l.c.) — Un esemplare cartaceo, in fogli, odel poema stesso trovasi in un Codice della medesima Biblio- teca Maglìabechiana contrassegnalo Palchetto II, n." 42. Questo Codice scritto sul principio del secolo decimoseslo ft composto di 202 carte. — Questo poema trovasi anche manoscritto in un Codice della I. e R. Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze contrasse- gnalo Pluteus XLI. Codex XX IP. Questo Còdice membranaceo, in foglio piccolo, e del principio del secolo decimosesto fu descritlo da Monsignor Angelo Maria Bandini (Ca^aJngiMS Codicum Ilalicnrum Bibliotheeae Mediceae Laurentianac, Gaddianae, et Sanctae Crucis 79 )) ctorum celestis curie, die 22. iulij, bora decima, » M.cccccviiij, quod opus laborìosissimum inceptum )) fuit die viiij martij, bora xviiij. m. cccclxxxxiij. » Quantum autem ad eius correctionem die xiiij )) martij. m°. ccccc". viiij ad laudem dei ». Fra Leandro Alberti Domenicano Bolognese (1) nel quarto libro della sua opera intitolata De viris ilhstribus Ordinis Praedicatonim, loda molto il poema di Fra Tommaso di Matteo Sardi scrivendo (2): Co- mitalur [ut uides) ipsum THO. Matlhaei Florenlinus, et FU A:\ciscus Cohmina Venelus. Quorum alter imjeìis uo- lumcn carminum uernaculo sermone conlcxuit, ut me- rito comparavi Danti Fiorentino, tam in concinnitale carminum., didcedine, ae elegantia, quam in scnten- tiarum grauitate possit , alter ucro in quodam libro materno sermone edito litteratura et uarium ac mul- tiplex ingenio suo praesefert. Il Sig. Giuseppe Pelli parlando del poema suddet- te Padre Tommaso Sardi dice (3): « Ed infatti ninno » imitò meglio, e più esattamente Dante di questo » Domenicano; onde FOpera sua meriterebbe, cbe » alcuno si prendesse la cura di pubblicarla « . Il Dottore Giovanni Targioni Tozzetti scrive (4): sub auspiciis Pelvi Leopoldi Beg.Princ. Hung et Boioh. Arch. Austr. M. E. D. Ang. Mar. Bandinius I. V.B. Regius Bibliolh carius, Prue- fcctus recensiiit, ìllvstravit, edidit. Florcntiae Anno ciò. io. ce. Lxxrril. Praesidibus aduuentibus, in log., col. 116 — 127, Pluteus XLI, Cod. XXIV). (1) Vedi la noia (1) della pag. 48. (2) De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti autore Leandro Alberto Bononiensi Viro clarissimo , carta 153, verso. (3) Memorie per servire alla vita di Dante Aligliieri, ed alla sto- ria della sua famiglia, pag. 181 e 182. (4) Notizie sulla storia delle scienze fisiche in Toscana cavate da un manoscritto inedito di Giovanni Targioni Tazsetti, pag. 56 e S". 80 «( In Firenze adunque, oltre alla libreria pubblica )> del Convento di S. Spirito (Mehus p. 31, 277 e )) 286 - Manni, lUustr. del Decamerone p. 115.) )) vi furono nei secoli Xlll. XIII. e XIV, aperte ed )) arrichite per uso pubblico , anche le seguenti : )) 1." Quella della chiesa Metropolitana, ora dell'O- » pera del Duomo (Mehus pag. 22, 31 e 73 - D. )) Placido Puccinelli, Cronaca dell'Abbadia Fioren- » tina, pag. 9) II." Quella della Badia di Santa Ma- » ria de'Cassinensi(Mehus pag. 35, 273, 384 e 401.- » - D. Placido Puccinelli. Cronaca dell'Abbadia Fio- » rentina, pag. 115. - Lami, Hodoep, Tom. 1) ». La Biblioteca qui menzionata dal suddetto Dottor Gio- vanni Targioni Tozzetti della Badia di Santa Ma- ria di Firenze de'Monaci Benedettini Cassinensi dovea contenere nella seconda metà del secolo decimoquinto alcune opere di Leonardo Pisano. Ciò in fatti è chia- ramente attestato dall'anzidetto anonimo autore del libro di pralichtt darismetricha dicendo : « E bene » che chonponessi (Leonardo Pisano) altri libri, e « quali non o veduti, e sono queste opere in sancto )) Spirito, e in sancta m." nouella, e anchora nella » badia diffìrenze (l). In un Codice dell' Imperiale e Reale Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze contrassegnato Con- venli Soppressi N.° 151. Di Badia N." 2712., Fa- scio 10, Dietro al Pluteo 57 , trovasi manoscritto dalla carta 1 1 recto alla caria 45 recto un Catalogo di libri che conservavano nella Biblioteca del Mona- stero della Badia di Firenze nel secolo decimoscsto in trenta banchi [scamni), de'quali, secondo il Cala- li) Vedi Tomo CXXXI, pag. 129, lin. 9—13. 81 logo medesiiiio, quindici erano situati ex parte orien- tis, ed altri quindici ex parie occidenlis. In questo Catalogo, sotto le rubriche in quinto scano {ex parte occidenlis), si legge a carte 34 recto del suddetto Co- dice Laurenziano Conventi Soppressi N.° 15\yDi Ba- dia 2712. » Leonardi Pisani algorismus arismeticae et Geometrie » in membranis uol/ magno corio rubeo. c^ 75.A.C È da credere che le iniziali A. C. indichino qui il nome di Antonio Corbinelli figliuolo di Tommaso e cittadino Fiorentino; giacché l'Abate Lorenzo Me- hus nella sua Vita Ambrosii Traversarvi Generaìis Camaldidensium scrive (1): « Redeo nunc ad Am- » brosium Traversariura, eiusque amicos, in quibus » ponam Antonium Thomae fdium de Corbinellis % » civem Florentinum, eundenique in graecis litteris » Vespasiani testimonio ^ Emanuelis Crysolorae di- » scipulum, aetoremque in primis, ut ille e Byzan- » tio ^ Florentiam adcersiretur. Is congesserat nif^- .)) gnam vim codicum , tum graecorum , tum la- » tinorum, quorum usum reliquemt decedens lacobo » Nicolai fìlio de Corbizis, coque diem obeunte Mo- » nasterio Abbatiae Florentinae, cuius in Bibliothe- » ca aetate nostra diligentissime adservantur. Pars )) autem testamenti quod an. 1424 confecerat An- « tonius, exstat in eiusdem Monasterii Tabulario, » in qua talis est sententia : Item reliquily ci lecja- )) vii amore Dei lacobo Nicolai de Corbim civi FIq- (1) Ambrosii Traversarii Generaìis Camaldulensium alionmque ad ipsum, et ad alias de eodem Ambrosio latimic cpistolae, t. ì . pag. cccr.xxxiu. G.A.T.CXXXII. 6 82 » Tentino usimi, et usnm-fructiim, et liberam commo^ )) ditatem utendi, et fruendi, et penes se habendi, et » retinendi omnium, et singulorum et quorumcumque » librorum, tam in latino, quam in graeco scriptorum, » et tam in chartis membranis, quam bombycinis cu- » iuscumque facultatis, et de quacumque re, et cu- » iuscumque generis , seu materici dicti Antonii te- )) statoris, seu ad dictum Antonium quomodolibet per- » tinentium , vel spectantium , et hoc toto tempore » vitae ipsius lacobi. Post mortem vero ipsius lacobi )) ipsos libros iure domimi, proprietatis, et possessio- » nis reliquit, et legavit Monachis, Capitido, et Con- » ventui Beatae Mariae Abbatiae Florentinae Ordinis )) Sancti Benedicti, et ultra hoc reliquit, et legavit » ipsi Abbatiae, et Monachis floretios certum aiiri, prò » construendo et ordinando imum armarium, seu li- » brarium in dieta Abbatia, in quo dicti libri stent , » et ponantur, et prò constructione, aptatione, et or- » dinatione ipsorum librorum in eo loco, modo, et » forma, prout, et quemadmodum videbitur, et place- » bit Abbati ipsius Abbatiae, qui est, et prò tempore » fuerit, et dicto lacobo Nicolai de Corbizis, civi Flo- » Tentino, ipso lacobo vivente. Ipso vero lacobo in hu- )) manis non existente prout videbitur, etplacebit ipsi » Abbati, qui est, vel prò tempore fuerit, et antiquiori » aetate de descendentibus Thomasii Pierii de Cor- )) binellis de Florentia, et quos Abbatem, et lacobum, » vel antiquiorem aetate descendentibus dicti Thoma- » sii, ut dictum est, executores, et fideicommissores fe- ri cit in praedictis, et ad praedicta solum, et hoc lega- ri tum, et relictum factum ipsi Abbati, et Monachis, » et Monasterio, ipse testator locum habere, et execu- 83 » tionì mandari voìuit., ubi, si, et in qiianlum servent )) regulam dicti Ordinis, front ad praesens servant , )) et ubi, si, et in quantum dieta Abbalia et Monasterium )) non esset in Commenda, sed observaret regidam, et » perseveraret in eo stata, et oì'dine, et perseverantia )) quibus ad praesens est, et non aliter. Et ubi, si, et in ì) quantum dieta Abbatia non servar et dictam regulam, )) seu esset in Commenda, et non in observantia dictae )) regulae, proni et in qua ad praesens sunt ipsa Abba- » tia, et Monachi, tane privavit ipsam Abbatiam, Mo- )) nachos, et Monasterium dicto legato , et ipsos li- ri bros reliquit, et legavit armario, et Librariae, et Ca- )) pitulo, et Conventui Ordinis Fratrum Ei'emitarum )) Sanati Augustini Ecclesiae Sanati Spiritus de Flo- » rentia età. Ita de codicum suorum supellectile in » ultimis tabulis Antonius Corbinellius cuius quidem » manu-scripti, ut diximus , mine adservantur in » eiusdem Monasterii Biblìotheca ». „ (2) Vide Lib. VI. , Epist. XII., col. 290. & lib. Vili. Epist. XH. col. 376. » (3) Vide siipra pag. XXII, » (4) Vide siipra pag. CCCLX. Ambrogio Travcrsari Generale de'Camaldolesi , in una lettera da lui diretta a Francesco Barbaro, patrizio Veneziano scrive: Antonius Corbinellus mo- destissimus vir gravi admodum , ac diutina infirmi- tate laboravit. Convaìescere iam tamen, etsi lente, ni- mium coepil (1). In una lettera diretta dal mede- simo Ambrogio Traversari a Niccolò Niccoli Fio- rentino, celebre raccoglitore di antichi manoscritti, (1) Ambrosii Traveraarii Generalis Camaldulemium aliorumque ad ipsum, et ad alios de eodem Ambrosio latinae epislolae, l. II , col. 290, Libri ri, Epistola XII. fii legge: Anlonius Corbinellus, antequam magistratum suum inirel, oravit me, ut quaedam ex tuis volumini^ bus itti mutuo darem. Constanter, atque Ubenter dedi, quae vobdt. Angustini tria volnmina , de Trinitale, contra Academieos, de utili late credendi. Accepit Opti- scìda Cypriani a me. lacobus item Corbizus, qui cum ilio prof ectus est (1). Queste due lettere di Ambrogio Traversari sono quelle che trovansi citate dall' Abate Lorenzo Me- hus nella nota (2) soprarrecata dicendo (2) : Vide Lib. VI. Epist. Xn, col. 290, 5t Lib. Vili. Epist. XII. col 376. Vespasiano Fiorentino nella vita di Palla di No- feri Strozzi scrive (3): « fu cagone messer palla per )) hauer fatto uenire manuello in Italia che m. lio- )) nardo da rezo imparasse le lettere greche da ma- » nuellorguerino ueronese, frate ambrogio de glagnoli, » antonio corLin^gli: Ruberto de rossi, messer lio- » nardo gittstiniani, messer francesco barbero, pie- » tro pagolo uergerio, ser fìlippo di ser Ugolino che )) fu non solo nella lingua latina dottissimo, fu di- » scepolo di manuello » (4). (1) Jmbrosìi Traversarti Generalis Camaldulensium aliorumque ad ipsum, et ad alios de eodetn Ambrosio latinae Episìolae , t. II, col. 376, e 377. Libri FUI, Epistola XII. (2) Vedi sopra, pag. 83, lin. 19 — 20. (3) Questa vita trovasi nel Codice Vaticano n." 3224 della carta 304, recto, alia carta 524, recto, sotto il titolo di « vita di mese- » «E PALLA DI NOFEHi «. Qucsto tilolo si legge sul recto della carta 304 del Codice medesimo. (4) Codice Vaticano n. 3224, carta S04, verso. — Nell'edizione data dall' E.° Cardinale Angelo Mai nel suo Spicilegium Roma- num delle Vite d' uomini illustri del secolo XV scritte da Ve- spasiano Fiorentino , questo passo del medesimo Vespasiano si 85 L'Abate Lorenzo Mehus a pagine XXII della sua Prefazione alle Lettere di Ambrogio Traversari Ge- nerale dei Camaldolesi riporta una parte di questo passo di Vespasiano Fiorentino , e però nella so- prarrecata nota (3), egli dice (1) : Vide supra pag. XXII. Nella vita di Ambrogio Traversari Generale de' Camaldolesi scritta da Vespasiano Fiorentino (2) si legge: « Frate Ambrogio fu dellordine di camaldoli, )) et fu da portico di romagna figluolo di uno po- )) vero huomo; entrò negl'agnoli molto fancuUo, do- )) uè istette in quella osseruanza et reclusione lun- » gbissimo tempo : comincò a dare opera alle let- )) tere latine molto govane. Essendo di prestantis- » simo ingegno in breue tempo imparò le lettere » latine, di poi dette opera alle greche, sotto la disci- )) plina di mannello grisolora, huomo dottissimo (3) )) uenne di grecia per mezo di messer palla di no- » fri istrozì, et anlonio corbinegH, et daltri huomi- legge così: « Fu cagione messer Palla per aver fatto venire Man- » nello in Italia, che messer Lìonardo J' Arezzo imparasse le let- i> tere greche da quello, e Guerino veronese, frate Ambrogio de- M gl'Agnoli, Antonio Corbinelli, Roberto de Rossi , messer Lio- » nardo Giustiniani, messer Francesco Barbaro, Piero Pagolo Ver- » gerio. Ser Filippo di ser Ugolino che fu non solo nella lin- » gua latina dottissimo, fu discepolo di Mannello « {E.' et RJ Car- dinalis angeli Mai, Spicilegium Romanum, t. I, pag. 3S8, Parte IF, vita n." S3, paragrafo 1). (1) Vedi sopra, pag. 83, lin. 22. (2) Questa vita trovasi nel Codice Vaticano n.» 3224 dalla carta 324, recto, alla carta 330, verso, sotto il titolo di "^ frate Ambrogio « dell'ordine di camaldoli. ■,, Questo titolo si legge nel recto della carta 324 di questo Codice. (3) Per isbaglio trovasi due volte la parola uenne in questo passo nel Codice Vaticano n.° 3224 (carta 324, redo, linee 12 e 13). 86 » ni singulari cherano in quello tempo » (1). L'Abate Lorenzo Mehus riporta una parte di questo passo di Vespasiano Fiorentino a pagine CCCLX della sua Vita Ambrosii Traversarii Generalis Camal- dulensium, e però dice nella soprarrecata nota W: Vide supra pag. CCCLX (2). 11 Catalogo che di sopra (3) ho detto trovarsi nel Codice dell'L e R. Biblioteca Mediceo-Lauren- ziana di Firenze contrassegnato Conventi Soppressi N.° 151, di Badia n." 2712 ò diviso in due parti, la prima delle quali, contenente un elenco dei libri di quindici banchi, è intitolata Index lihrorum qui sunt ex parte orientis. Questo titolo si trova nel recto della carta 1 1 di questo Codice. La seconda parte del Ca- talogo medesimo nella quale trovansi descritti i li- bri di altri quindici banchi è intitolata Index libro- rum ex parte occidentis. Questo titolo si legge nel re- cto della carta 30 del suddetto Codice Mediceo Lau- renziano Conventi Soppressi N." 151. Di Badia N." (1) Codice Vaticano n.° 3224, carta 324, redo. — Una parte no- tabile di questo passo di Vespasiano Fiorentino manca nell'edizio- ne data delle sue Fiie di uomini illustri del secolo XV dall' E.° Cardinale Angelo Mai nel tomo primo del suo Spicilegium Roma- num, giacché in questa edizione si legge : « Frate Ambrogio fu » dell'ordine di Caraaldoli, e fu da Portico di Romagna, figliuolo » di uno povero uomo. Entrò negl' Agnoli molto fanciullo , do- )) ve istette in quella osservanza e reclusione lunghissimo tempo. Il Cominciò a dare opera alle lettere latine, dipoi dette opera alle vt Greche sotto la disciplina di Emanuello Grisolora, che venne di » Grecia per mezzo di messer Palla di Nofri Strozzi, e d'Antonio » Corbinelli e d'altri uomini singulari ch'erano in quello tempo ». (£".' et R.' Card. Angeli Mai, Spicilegium Romanum, t. ì, pag. 31(>, e 317)FrxATE AMBROGIO, Parag. 1.) (2) Vedi sopra, pag. 83, lin. 22. (31 Pag: 80, lin. 25—32, e pag. 81, lin. 1—8. 87 2712. In questa seconda parte trovasi, come si è detto di sopra (1), sotto la rubrica In quinto scamno un passo riportato di sopra (2), e relativo a Leo- nardo Pisano. Un Codice della Biblioteca Magliabechiana di Firenze contrassegnato Scaffale C. Palchetto 1. N." 2616, Badia Fiorentina N." 73, contiene un opera di Leonardo Pisano intitolata Liber Abbaci. Nel rovescio della prima carta di questo Codice si legge (3) : « A. C. Leonardus pisanus de Algorismo ^ Geo- » metria Est Abbatiae Florentinae. c/^ 73 ». Quindi è da credere che questo Codice sia quello stesso al quale si riferisce il passo soprarrecato (4) del Catalogo suddetto di libri già posseduti dalla Ba- dia di Firenze. Sembra per tanto potersi con sicurezza afferma- re , che il Codice Magliabechiano contrassegnato Scaffale C. Palchetto 1. N° 2616 fu posseduto dal suddetto Antonio di Tommaso Corbinelli , e passò quindi alla Biblioteca della Badia di Firenze pel la- scito da lui fatto alla medesima Badia nel suo testa- mento sopraccitato di tutti i libri ch'egli possedeva(5). Nella Biblioteca Magliabechiana si conserva un Catalogo manoscritto cartaceo, in foglio, di 39 carte, sulla prima delle quali nel recto si legge: <( Catalogo » dei Libri scelti dalle Biblioteche Monastiche di (l)Pag. Sì, lin. i— 8. (2) Pag. 81, lin. 7-8. (3) Alti delV Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, t. V, Anno V, (1851-52), pag. 33. (4) Vedi sopra, pag. 81, lin. 7—8. (5) Vedi .sopra dalla linea 9 della pagina 81, alla linea 22 della pagina 83. )) Firenze, e Circondario della Prefettura dell'Ar- » no rilasciati in deposito neirimp/ Libreria Maglia- » bechiana » . Nel recto della carta k di questo Ca- talogo si legge : 2616 Bonacii Leonardi Pisani de Algorismo et de Geometria, cod. membr.y in fog. cum figuris. In fine di questo Catalogo si legge (1) : )) Io Vincenzio Pollini Bibliotecario ho ricevuti i sudd.' » Libri in deposito M.° p." questo dì 29 Agosto 1809. )) — Tommaso Puccini Presidente ». Quindi è chiaro che l'Abate Vincenzio Pollini, Bi- bliotecario della Magliabechiana,ricevette in deposito ai 29 di Agosto del 1809 il Codice della Biblioteca medesima, ora contrassegnato Conventi Soppressi Scaf- fale C. Palchetto Ì.N." 2616 {Badia Fiorentina n." 73). Ho detto di sopra (2), che nella Biblioteca Maglia- bechiana si conserva anche un Catalogo manoscritto intitolato <( Catalogo de'Manoscritti scelti nelle Bi- 5) blioteche Monastiche del Dipartimento dell' Arno )) della Commissione degli Oggetti d'Arti, e Scienze, )) e dalla medesima rilasciati alla Pubblica Libreria )) Magliabechiana. » Nel recto della carta 21 di que- sto Catalogo si legge : « Badia Fiorentina 2616 C. I. Fibonacci (Leo- )) nardi ) Pisani Arithm etica. Cod. membr. in fol. )) cum fig. )) Questo passo del suddetto Catalogo de'' Mano- scritti ec. è relativo al Codice Magliabechiano del Li- ber Abbaci di Leonardo Pisano proveniente dalla Ba- dia di Firenze, del quale si è parlato di sopra (3). (1) Atti deW accademia Pontificia de'Nuovi Lincei, t. V, Anno V, (1831 — 32), pag. 34. (2) Vedi sopra, pag. 6§, lin. 8-12. (3) Vedi sopra, pag. 87, lin. 5 — il. 89 Nel Codice manoscritto della I. e R. Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze contrassegnato Con- venti Soppressi, N." 151., Di Badia N° 2712, tro- vasi dal recto della carta 47, al recto della carta 67 un Catalogo per ordine alfabetico di libri ch'erano nella Biblioteca della Badia di Firenze, quando que- sto Catalogo fu compilato. In questo Catalogo si legge (1): «Leonardi Pisani pratica geometrie in membranis uolumine » magno corio subnigro. mini illustri del loro tempo furono condiscepoli dello stesso Emmanuele Grisolora. L' anonimo autore di una lettera colla data di Firenze 10 Gennaio 1755, inserita nella Parte prima del tomo quinto di una raccolta intitolata Memorie per servire alla Istoria letteraria, parlando in questa lettera di trentadue Pistole di Guarino Veronese che esistevano manoscritte in un Codice posseduto dal Sig. Guglielmo conte di Onigo dice (2) : (1) Nell'edizione data dall'E» Cardinal Mai delle suddette File di uomini illustri del secolo XV. scritte da Vespasiano Fiorentino frovansi omesse otto parole di questo passo della vita di Gua- rino veronese scritta dal medesimo Vespasiano, leggendosi in que- sta edizione : « e più uomini singulari, eh' erano in quello tem- » pò a insegnare ad Antonio Corbinelli ed a udire Manuello Griso- » lora. Chiamato dal marchese Nicolò, perchè andasse a insegnare M a' figliuoli con buonissima provisione, partissi da Firenze ed an- » donne a Ferrara ». (Tifai (£'.^ et R.' Card. Ang.) SpicUegium Ro^ manum, t. I, pag. 646). (2) Memorie per servire all'Istoria letteraria. In Venezia Appres- so Pietro Valvafensp, 1753—1758, 12 tomi, in 8°, l. V, Parte I, pag. 47, e 48. 97 (( Una se ne trova indiiitta ad Antonio Corhi- )) nello incomincianle : Quanto me gaudio {[) in » difesa del matrimonio de'Lettcrati, dove allegan- » do l'esempio di parecelii valentissimi uomini agli )) studj de'quali non fu di aleuno impedimento l'a- » ver Moglie e Figliuoli, rammemora fra questi Gio- » vanni Crisolora colle seguenti parole: loanneqiie (1) » Gìisoloras doctissimus et prudenlissiìnus liac eia te » ììomo , et vere jìatnio Manuele dignissiìnus, aniniu » connubia complexus est, et ita complexus est, ut ea » nihil obstileriìit, quin post marilalem copularti phi- )) rimos disciplina, bunis artibus, ac virtute erudicrit, « ornarit, melioresque reddideril , pater suis sibiqne « consuluerit, et omne ojjìcii munus exequutus sii ». » (/■) A 85. » (2). \ (1) Così si legge nelle suddette Memorie per servire all' Istoria k'Ucraria (t. V, parte i, pag. 47.) (2) Qui la lettera A indica il .sopraccitato Codice del conte Gu- ylicimo di Onigo, giacché la lettera che di sopra ho deUo essere inse- rita nelle McvicTic per servire all'Istoria letteraria (Vedi sopra, pag. 222; lin. 16 22) incomincia così: «Makdovi in fine la promessa rela- •n zione dtìi Codice cartaceo- in p'cciolo foglio posseduto con parec- » chj altri di non lieve pregio da questo Sig. Guglielmo Conte di » Onigo, giovane Cavaliere molto cortese e pulito, alla quale aggiun- » go il ragguaglio di un altro simile, in (orma però di quarto , » del pa imente nostro gentile ed erudito Sig. Cavai. Cristoforo di ■n novero sì per la grande attenenza dell'uno all'altrolcoutenendo tul- « ti e due in gran parte Operette de'meiK'simi Autori, che tìori- » rono sulla fine del quartodecimo, e al principio del decimo 11 quinto secolo, nel qual torno furono anche scritti) come anche Il perchè intendo, di ristorarvi in qualche modo del lungo desi- » derio, in cui vi tenni, della presente notizia. Incomincierò dal ce- » lebre Francesco Barbaro, traendone l'uora ordinatamente le cose » registrate ne'due Manuscritti, de'ijiiali per maggior hrevit.'i il pri- « mo fìa indicato dalla Lettera .\, il .-iecondo dalla H; e coll'istesso ■' metodo noterò poscia i componimenti degli altri F-elterali. « {Me- morie per servire all'Istoria Letteraria, l. V, parte I, pag. 43). <;.\.T.(:xxxii. 7 98 L'epistola qui menzionata di Guarino Veronese fu da lui scritta in risposta ad una a lui diretta dal suddetto Antonio Corbinelli. 11 Sig. Cavaliere Carlo de' Rosmini Roveretano ciò attesta scrivendo (1) : » Ed in proposito di questa sua castità egli (Anto- )) nio Corbinelli) ebbe una controversia amichevole » col nostro Guarino. Indirizzò egli a quest'ultimo )) una lettera, nella quale si scagliava contro a que' » letterati, che s'avvisavano di prender moglie, di- )) cendo che questo era di grande impaccio agli » studj del marito, molti altri argomenti adducen- » do che ognun può immaginar di leggieri. Gua- » rino che allora, se non avea ancor presa moglie » non era per avventura disposto a menar celibe la » vita tutta, egli che tante orazioni scrisse ed epi- » talamj in onore del matrimonio, rispose con un )) eloquente discorso nel qual registrava una serie » lunghissima di filosofi, di letterati, di magistrati e » di capitani in tutte le età, e presso tutte le na- » zioni, i quali malgrado del così detto impedimento » della moglie, seppero eccellentemente soddisfare )) ai loro incarichi e levar gran fama nel mondo. E » deseendendo ai moderni cita l'esempio di Giovan- )) ni Grisolora uomo dottissimo e prudentissimo, e )■> degno veramente di Emmanucle suo zio, il quale )) comechò ammogliato continuò a coltivare 1' arti » e le scienze, istruendo in esse, siccome pur nc'co- » stumi, infiniti discepoli ('^o). « (160) Memorie per servire all'Istoria Letteraria Tom. V. paj, » 47. » (11 yita e disciplina di Guarino fcronme, e de' suoi discepoli, li- bri qualtro, voi. Il, p»^;. ÓT, e pay. 17i, coi. 1, nota 160, al terzo libro. V)9 Il cai'dinale Angelo Maria Queiini nella sua Dia- triba Praeliminaris in duas parles divisa ad Franai— sci Barbari et aliornm ad ipsum cpislolas , parla di una lettera di Guarino Veronese a Francesco Bar- baro dicendo (1): » Aliis item lilteris in eodem Codice exstantilms, » Antonio Corbinello conjugia increpanti, quod nìu- )) lieres magno philosopliantibus impediiiiento esse )) diceret, respondens, postquam exeniplis probasset, » complures eruditos, graves, et magnos honiines et » aliis in ofiiciis, et in Rep. fuisse, et esse, quibus )) nullum ad pbilosophiam impedimentum uxores at- )) tulerunt, quominus sua domestica et urbana nego- )) tia prudenter, ornate, et integre tractarint, res bel- )) licas fortiter, ac provide adminislrarint, studia, bo- »> nasque artes sedalo didicerint, ita subdìt: Quid ni )) cum magnarum virtiilum (nuptiae) caslodes, civita- » tum, et humanae macjna ex parte societatis concilia- (i) Diatriba praeliminaris in duas partes divisa ad Franclsci Barbari et aliorum ad ipsum epislolas ab Anno Ctir- MCCCCXXf. ad An. M.CCCCLin. Nunc primum edilns in duplici MS. Cod. Bri Sciano, et f'aticunn uno. Nas omnes nlttrum volumcn campleclclur Quin ad ejus calrem aderii ampia carundcm mantissa^ Ex Foro- juUensibus Biblioth.Guarnerianae MSS.Drixiae Excudebat Joannes — Maria nizzardi cid ij ccxir. Superiorum approbatioìte,!» 4°,|)a[j. cxliij, caput ir, parafjr. II. li nome dell' autore di questa Diatriba non è indicato nclledizione clie ne Cu (alta in Brescia nel 1741. In una lettera colla data di Brescia 27 Febbraio )7oo pubbli- cata nella terza parte delle Memorie per servire alla storia lette- raria trovasi un catalogo delle opere tiel suddetto Cardinale An- gelo Maria Queriiii. In questo catalogo si legge : « XII. Diatriba « Praeliminaris ad Francisci Barbari, et aliurunt. ad ipsum Episto- )• tos in duas partes divisa. Brixiae per Jo. Mariam nizzardi, 1741, 11 in 4. gr.n (Memorie per servire all'Istoria letteraria, t. Y, parte 111, pag. 35). 100 » Irices sinl ? Uli ìatiits a Baiìiìaiìo nostro dispula- » liim est in co libro, qui ah co de Re Uxoria et acute, » et vere, et eloquenter conscriptus exslat. Di tre lettere che parlavano del medesimo Cor- binclli fa poscia menzione il Cardinal Querini di- cendo (1) : » Antonii Corbinelli (ut de eo aliquid dicamus) » ohitum deflet Guarinus in Epistola citatis adjun- )) età, ejusque virtutes mirifice extoUit, qui ab ado- » lescentia inter opes, et lautitiam, ediicatus, eas )) spernere, et duriorem vitam Jesu Christi amore )) amplccti non horruerit, jejuniis, et inedia corpus » castigans, probitatis atque castitatis norma effe- » ctus; suam vero cum eo familiari tatem bis verbis )) describit : Amisisse mihi videor Virum primariiim, )) cui eram miro cjuodam pietatis ardore devinclus , )) quociim victum, somnuni, iter, sermones , Consilia » communia integerrima familiaritate conscrvaveram, )) quem studiorum comilcm,et cogitatiomim participem )) habneram. Antonii hujus mentionem facit Ambro- » sius Camaldulensìs in Epistolis, scribitque Nicolao » Fiorentino lib. XV. se ei, antequam Magistratum » suum iniret, quaedam ex ipsius Nicolai Volumini- » bus mutuo dedisse, et alia etiam Corbyzo ejus As- » scssori, quod existimaret , eam liberalitalem ab » i])so Nicolao piobandam; cundcm modestissimum )) Virum appellai in Epistola ad Fiunciscvm Barbarvm » XVII. lib. XVlì. £i;audctquc ex gl'avi admodum , » et diuturna infìrmiuile convalcscere jam coepis- (i) Diatriba prucliminaris induas parte divisa ad Francisci Bar- bari; et iiliurum ad ipsum epislolas, [ìa^, cxliij, e cxliv, caput IF. «i II, parinjrai'o III. 101 )) se ». Le due lettere di Ambrogio Traversali Ge- nerale de'Camaldolesi qui menzionate dal Cardinale Angelo Maria Querini sono quelle stesse citate dall' Abate Lorenzo Melius nella soprarrecata nota 2 della pagina CCCLXXXIII. della sua Vita Ambrosii Tra- versarii Generaìis Camalclulensium (1). II Cavaliere Carlo de' Ptosmini Roveretano par- lando del suddetto Antonio Corbinelli dice (2): » Par però che l'eccessiva pietà conducesse il )) Corbinelli a qualche stravaganza che non ben s'in- » tende qual fosse, a che allude un passo dì lettera )) del Guarino, che in un Codice leggesi della Libre- ì) ria Vaticana (*^^), ad un certo Paolo scrivendo. Di- )) ce in esso che il Corbinelli abitava ora a Ferrara, )) ora a Pistoja, e che pregava il cielo che facesse » una buona risoluzione, da che a lui non avea vo- )) luto credere che l'avea consigliato assai bene {*^^). « (162) Cod. 3224. 1? ('63) xjtinam siti bene consulat,postquam mihi credere non vult, « qui utiliter certe sibi penpexeram. « La lettera qui menzionata dal Cavaliere Carlo de' Rosmini non si trova nel Codice Vaticano n.° 322i, giacché questo Codice altro non contiene, che le Vi- te di uomini illustri del secolo XV scritte da Vespa^ siano Fiorentino. Il suddetto Cavaliere Carlo de' Rosmini dopo aver parlato del soggiorno di Guarino Veronese in casa di Antonio Corbinelli, e delle soprammentovate lettere (1) Vedi sopra, pag. 83, lin. 19 e 20. (2) Fita e disciplina di Guarino Veronese, e de' suoi discepoli , pag. 58, e pag. 174, col- 2, note (162) e (163) al libro terzo. (3) De' Rosmini (Cav. Carlo) Fita e disciplina di Guarino Vero- nese, e de' suoi discepoli, voi. Il, pag. 30 — 58. 102 di Guarino Veronese soggiunge (1) : « Che se per » altri suoi pregi non meritasse il nostro Antonio » d'essere ricordato, e di vivere nella memoria de' » posteri, sì il dovrebbe per aver lasciato alla sua » morte una libreria licca di Codici così latini )) che greci a Jacobo de' Corbizzi figlio di Nico- » lo qual semplice usufruttuario, e dopo la morte » di Jacopo al Monastero dell'Abbadia Fiorentina, » ove ancor si conservano. Ciò apparisce dal suo » testamento pubblicato in parte dal Mehus (*^^). » » (i6(») Vita Aaibrpsii Camald. pag. CCCLXXXIU- n Questo lascito, così giustamente lodato dal Sig. Cavaliere De Rosmini ci ha conservato il più com- pleto esen^plare ora esistente del Liber Ahbaci di Leonarcìoi PisaRO (^), ed un pregevolissimo esemplare (1) De Rosmitd {Cav. Carlo) Pila e disciplina di Guarino Vero- nese, e de'suoi discepoli, voi. Il, pag. 38, 59, e pag. 174, col. 2. (2) Qties.l'es^gij)Jia»c ^ U codiice t^i'a Magliabectiiaijo coni rassegna- to Scalfale C, Palchetto 1, n.° 2616, Badia Fiorentina n."^ 73; giac- ché si h iDostrato di sopra ( pag. 87, lin. 5 — d3), che questo co- dice fu posseduto da Antonio Corbinetli , passò quindi nella Bi- blioteca della Badia di Firenze pel lascito suddetto del medesimo Corbijielii, e nel 1809 venae nella Magliabechiana ( pag. 88 , Un. 10 — 14). Nel codice L. IV. 2a della Biblioteca Pùbblica Comunale di Siena manca un lungo brano del capitolo decimoquinto ed ul- timo del Liber Ahbaci di I^eouardo Pisano ( Atti dell' Accademia Pontificia df' Nuovi Lincei, t. V, Anno\ (1851 — ^32), pag. 28, e 29. Libri, IJisloire dcs sciences malhématiques en Italie , t. Il , pag. 401—473). Questo capito'o trovasi interamente in altri cinque ma' Boscritti che sono: i." Codice Palatino, n.o 1343 della Biblioteca Vaticana di Roma : 2." Codice Magliabechiano , Classe XI, n.° 21 : 3." Codice Ambrosiano /. T2. Parte Superiore : 4." Codice Ric- cardiano n." 783: 5.° Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli contrassegnalo Codici Farnesiani, Armadio Vili. Plu- teo C. n.° 18. Ni(uio per altro di questi cinque manoscritti con- tiene tutto il capitolo decimo del Liber y/bftacidi Leonardo Pisano. 103 Holla sua Practica Geometriae,mcmhramceOyìn foglio, e del secolo decimoquarto, che trovasi compreso # Nel Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca Vaticana manca un brano del capitolo decimo del Liber Abbaci di Leonardo Pi- 9 sano. Questo brano che incomincia: super — 41 , «nde appare6i| quod pnmus misit denarios 5900 , et alter misit éenwrios 9948 j e finisce: si eas in tinum coniunxefis in suprascriptos sol. 60 de- ucnies, trovasi nel Codice L. IF. 20 della Biblioteca Pubblica Co- munale di Siena dalla carta 61 verso, alla carta 64 ree et degni di fede , etiam auanti il ritrouo della » stanfipa, et di più / riscontrato con molti altri r> Prioristi de'più giusti che si sieno potuti ritrouare, » aciò che chi lo / leggerà facilmente uenga in co- » gnitione di quello accadessi in quei tempi mediante » il buono et cattino Gouerno di quei Cittadini che )) airhora erano proposti / al Gouerno, et al Reggi- » mento della città / nostra / di / Fiorenza / Et prima )) si tratta del principio, et dell'origine di detta Città » di / FIORENZA uariamente però descritto / secondo 1' » openione di più scrittori, et / Trattati ancora più » cose notabili seguite si in Italia, come / fuori, et )) anco auanti che detta Città cominciasse a esser » retta, et go- / uernata dallo olfitio / de / priori / ». Nella seconda colonna della pagina CCIilI di que- sto manoscritto si legge : .. 1416 '* Tommaso di Jacopo dell'Accerito ! Maggio )) Antonio di Tommaso di Parigi Corbinelli Q'^Santo Spirito » et o ^ I » Lapo di Giovanni Bucelli . Giugno jj Jacopo di Lorenzo Spinelli Q.'" Santa Croce )> Oddo di Vieri Altouiti. » Zanobi di Lodovico della Badessa Q/" Santa Maria Ni » Antonio d'Andrea Ciofi M.° di Fanciulh » Lorenzo di Benino di Cuccio Linaiole Q.'" San Giouannij . Gonr."" » Vieri di Vieri Guadagni Q."' San Giovanni » Ser Orlando di Giovanni Caroli N."» i 109 Il leggersi in questo passo del suddetlo Piiorisla di Giovanili lìuondelmonti (1): « Antonio di Tonima- (1) Il Canonico Domenico Moreni dopo avere riportato il titolo (li questo Priorista soggiunge [Bibliografìa slori co-ragionata della Toscana, t. 1, pag. 190): « MS. Orig. in fogl. Mass. nella celebre » già Biblioteca Guadagni da S. Spirito, adesso presso di me ». Il Sig. Pietro Bigazzi in una delle sue note alla Vita di Bartoloni- meo Valori scritta in lingua latina da Luca delia Robbia, e volga- rizzata da Pietro della Stufa, paria del suddetto Priorista Fioren- tino di Giovanni Buondelmonti dicendo : « Quindi vorremmo con » più ragione attenerci ad un' epoca posteriore, cioè alla missione » del Giugno 1409 , ricordata così nel nostro Priorista Buondel- V monti, MS. inedito citato nella Bibliogr. Moreni « ec. [Archivio Storico Italiano, t. IV, pag. 253, nota (3) della pagina 232]. In altra noia alla suddetta Vita di Bartolommeo Valori, il medesimo Sip. Pietro Bigazzi scrive: " li citato MS. Buondelmonti continuando dice » [Archivio storico Italiano, t.IV,pag. 254, nota (1) ). — Il Padre Francesco Frediani Minore Osservante in una delle sue note al libro primo della Cronica di Firenze di Fra Giuliano Ughi del medesimo ordine, fa menzione del Priorista di Giovanni Buondelmonti ^ e ne indica il possessore scrivendo: « A pag. 334 del Priorista Buondel- » monti (MS. presso P. Bigazzi) si trova che invece fu a'22 di settem- » hre; e dice così » [Appendice all' Archivio Storico Italiano. Firenze Gio. Pietro Fieusseux, Direttore — Editore Al suo Gabinetto Scientifi- co— Letterario, 1842 — 1830, Stomi, in 8", t. VII, pag. 120, no(a (3). ) Qui il suddetto P.Frediani riporta un passo di questo Priorista {Appendice all'Archivio Storico Italiano, t. VII, pag. 120, e 121, no- ta (3), della pag. 120). — In altra sua Nola alla suddetta Cronica di Fra Giuliano Ughi, il Padre Frediani nuovamente cita il Priorisla Fiorentino di Giovanni Buondelmonti dicendo. « Chimenli di Ci • w priano di Chimenti Sernigi [Priorista Buondelmonti, prcaso P. Bi- » gazzi). „ {Appendice all'Archivio Storico Italiano, t.VII, pag. 130, nota (3).) In altre seguenti note alla suddetta Cronica dì Fra Giu- liano Ughi trovasi citato il Priorista Buondelmonli (Appendice alC Archivio Storico Italiano, t. VII, p;ig. 133, nota (2), pag. 133, noia [l), e pag. 136, nota (2).) li Sig. Pietro Bigazzi in un suo scritto intitolato Miscellanea Storica e letteraria, edita con note per cura di P. B. N. 3. dopo avere riportato un passo del Priorista Buondelmonti , soggiunge ; " Dal Priorisla Bnmdclìuonti, MS. presso Ceditore » [Miscellanea no » so di Parigi Cei'binelli » ci mostra che Parigi fu il nome dell'avo del medesimo Antonio. Neil' I. e R. Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze si conserva un manoscritto cartaceo in fo- glio che nel redo della terza carta ha il titolo se- guente: « Cataloghi de'Codd. MSS. Passati nella Bi- » blioteca Mediceo-Laurenziana dall' Anno 1778 a » tutto il 1850 «. Uno di questi Cataloghi è inti- tolato : « Catalogo de'Manoscritti scelti dalle Biblio- )) teche Monastiche di Firenze , e dal Circondario )) della Prefettura dell' Arno rilasciati in Deposito » neirimp. Libreria Laurenziana. » In questo Cata- logo sul rovescio della carta i*- si legge : « 2712. storica e letteraria odila con note per cura di P. B. iV- 3. Fi- renze coi tipi di Mariano Cecchi, 1849, in 8°, pag. 12, nota (1)). — Nel medesimo scritlo del Sig. Pietro Bigazzi si legge ( ]Ht- scellanea storica e letteraria edita con note per cura dì P. B. N. 3 , gag. 32 , Nola in Appendice nota (3J ) : « DAL PRIORI- » STA BUONDELMONTI , MS., presso 1' editore » e più oltre: « DAL PRIORISTA BUONDELMONTI , MS. citato. « ( Miscel- lanea storica e letteraria edita con note per cura di P. 5. N. 3 , pag. 32, nota (C) ).Tre altre volte il Priorisla Buondcìmonti trovasi menzionato in qnesta Miscellanea ( Miscellanea storica e letteraria edita con note per cura di P. B- ^. 3, pag. 20, nota (i), pag. 26, nota (1) , e pag. 34, Nota E. ) — 11 Sig. Pietro Bigaz- zi in una delle sue Note alla Vita di Filippo Strozzi scritta da Lorenzo suo fratello dice : « Priorista Buondelmonti , MS. presso « l'autore delle note » [Filippo Strozzi, Tragedia di G. — BNiccolini, corredala d'una Fila di Filippo e di Documenti inedili. Firenze. Felice Le Monnier. 1847, in 4° piccolo, pag. LXV, nota 1 ). In altra sua Nola alla suddetta Fila di Filippo Strozzi, il Sig. Pietro Bigazzi cita questo Priorista {Filippo Strozzi, Tragedia di G- — B. Niccnlini, pag. LXI, nota 1 ). — In una delle note ai Documenti inediti spettanti alla vita politica e letteraria di Filippo Strozzi , il medesimo Sig. Pietro Bigazzi scrive; " Priorista Buondelmonti p. » 309; ms. presso fautore delle note » (Filippo Strozzi, Tragedia di — B. Nìccolini, pag. 183, nota 1 ). Ili » Catalogus anliquus Bibliothecae S. Mariae de Flo- » rentia. Cod. menibr. in 4. « Nel medesimo volume trovasi un Catalogo inti- tolato : « Catalogo dei Manoscritti scelti dalle Bi- » bliotcche Monastiche di Firenze e Circondario del- » la Prefettura dell'Arno. » In questo Catalogo sul rovescio dell'ottava carta si legge: « 7212. Catalo- » gus antiquus Bibliothecae S. Mariae de Florentia » Cod. membr. in 4.° » Quindi è certo che il Codice ora contrassegnato Conventi Soppressi, N." 151, Di Badia, N." 2712, passò nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana dopo la pubblicazione del decreto soprammenlovato di Eduar- do Dauchy, cioè nel 1808, o dopo quest'anno (1). Si è detto di sopra (2), che il Codice manoscrit- to della Biblioteca Palatina di Firenze contrasse- gnato E. 5. 5. Il contiene un trattato d'aritmetica d'autore anonimo in lingua italiana intitolato : iral- lato di praticha d'arismetricha. Nel capitolo quinto della quarta parte di questo trattato si legge (3) : « Uno vuole chonperare 30 uccielli vini, per 31) d.', )) e vuole passere, tortore , e cholonbi , e vagiio- » no le tre passere uno denaro, elle tortore 1 ." d.° » e il cholonbo vale 2 d.', e dimandasi quanti )) uccielli tolse di ciaschuna raaiìone. Benché L. » pisano nel .11. chapitolo della praticha daris- » mctricha dia absolutione a detti chasi per lo )) modo di chonsolare , nientedimeno nellibro de' » fioretti molto alta mente di questi chasi parla , (1) Vedi sopra, pag. 68, Un. 21-25, e pag. 69, Un. 1— S. (2) Pag. 15, lìn. 3—10. (3) Codice E. 5. 5. 14. della Biblioteca Palatina di Firenze carta 28, recto. 112 » dando absolutione a detti chasi pei' altro mo- )) do , chome io desciiuerrò al presente , le cliui » parole in detto chaso sono queste. Porrai prima » 30 passere che uagliono 10 d.', doiie avanzano » 20 d.' E muterò vna delle passere nella tortora. » E fu daggugnimeuto nella detta mutatione -pr o 1 » di d/ Inperò chella passera vale -h- di d.' Ella o 1 . , 1 » tortora vale ^ d.' cioè -^ di d.' più chel pregio )) della passera. E anchora vn altra volta mutai la » passera nel cholonbo, et migliorai in quella mu- 2 1 )) tatione 1. d.' -^, cioè la differentia che è da -^ 2 2 » di d.' a -;t- di d.', e feci del 1 -^ sexti che 10 » furono -7T-. E sechondo questo me de bisognio mu- » tare le passere in tortore, et in cholonbi, infino » a tanto che di questa mutatione io abbj 20 d.', )) equalj serbai di sopra, doue di quelli 20 d.' feci 120 ,. ^. . . . ^ » sexti, che sono — ^ — , e quali diuisi m z. parti, )) delle qualj vna si puote dividere per 10 intera- » mente, et l'altra per vno, e la somma di ciaschu- )) na divisione non passi 30. 0 vero faccino 30. E )> fu la prima parte 110, et l'altra 10. E divisi la )) prima parte, cioè 110 in 10. E la sechonda per » 1. Edebbi cholonbi 11, et tortore 10, che tratti » de 30 Vccielli rimane 9 per lo numero delle pas- )) sere, le qualj 9. passci'c vagliene 3 d.' Elle 10 » tortore vauliono 5. d.' Eli. cholombi vagliono 22 113 f) d.' E chosi 3. ragioni ucciellj vivi abbiamo 30. » È spesi anchora 30. d' chome uolavamo, e chosi )) farai le simili. )> Il testo latino del passo di Leo- nardo Pisano qui riportato in lingua italiana trovasi nello scritto del medesimo Leonardo intitolato de mo- do solvendo questionis avium et similium e dall' autore stesso dedicato a maestro Teodoro filosofo dell'impera- tore Federico II; giacche in questo scritto si legge (1): Quidam emit passeres 3 prò uno denario, et tiirlu- res 2 prò imo denario, et columbam 1. prò denariis 2. et his trihus generibus avmm habiiit aves 30 prò denariis 30. Queritur qiiot aves emit ex unoquoque genere. Posui primum passeres 30 prò 10 denariis^ et servavi denarios 20, qui simt differentia que est a 10 denariis usque in 30, et mutavi imam ex passe- ribus in turturem, et fuit augmentum in ipsa muta- 1 . .. 1 Itone -^ unius denarii, quia passer valebat -^ unius ..1 1 denarii, et turtiir valebat -z- unius denarii, scilicet -^ 2 6 imius denarii plus pratio passeris , et mutavi iterum unum ex passeribus in columbam, et melioralus sum 2 in ipsa mutatione denarios -^1., scilicet differen- 1 . , tia quac est a -jr- nnius denarii usque in denarios 2 2., et feci sexlas ex ipso denario -r- 1., et fuerunt se- ó ■ xte 10, et secundum hoc opportuijt m^e mutare p^se- res in turtures et Columbus, doncc ex ipsa mutatione proveniant illi denarii %) quos supenus sei-vavi, quare ex ipsis feci sexlas, éi fiiérimt sexte '220, quas divisi (1) Codice Ambrosiano E. 7S Parte superiore, carta 13 rtclo. G.A.T.CXXXIl. 8 114 in duas partes^ quanim una posset dividi per 10 inte- graliter, et alia per 1. et suma (sic) lUriusque divisioni^ non ascenderei in "^0, et fuit prima pars HO, et alia \0.,et divisi primam partem, scilicet 110, per 10, el secundam per 1, et habui columbas lì y et turtures 10, quibus extractis de auibus 30, remanserunl 9 prò numero passerum, qui passeres valent denarii 3, et tur^ tures 10 valent denarii 5, et columbe 11 valent de- narii 22, et sic ex istis tribus generibus avium habe- buntur aves 30 prò 30 denariis ut quesitum est. Questo brano del liber de modo solvendi questiones avium et similium di Leonardo Pisano contiene il testo latino di ciò che nel soprarrecato passo del suddetto trattato di praticha darismetrica si legge essere tratto dal libro de' fioretti del medesimo Leonardo (1). L'auto- re di questo trattato di praticha darismelricha avendo trovato probabilmente nel Codice Ambrosiano E. 75. Parte Su periore, o in altro manoscritto il liber de modo solvendi questiones avium ec. di Leonardo Pi- sano subito dopo il Flos di questo autore, riguardò il primo, come una parte del secondo scritto. Nel quarto ed ultimo capitolo della decima par- te del suddetto trattato di praticha darismelricha si legge (2): « LIOnardo pisano chome per vno scritto » nel gran vilume titolato praticha darismetricha , )) è manifesto, inparò nelle parti degitto. E quivi » disputando uenne perfectissimo, e lui in queste » parte toschane prima dette lume e dichiara tio- » ne della reghola E questo è manifesto per le pa- (1) Vedi sopra, pag. Ili, lin. 28 e 29. (2) Codice E. 5. 5. 14 della Biblioteca Palatina di Firenze carta 433 verso e 434 recto. 115 » role di maestro antonio nel libro de fioretti suoi, » doue dimostra lontelletto di detto L. p. essere )) grandissimo. Chonpuose L. molti libri di nostra » scienzia, fra quali furono questi de quali o cho- » gnitione cioè elibro di merchatanti detto di mi- » nor guisa, elibro de fiori, ellibro de numeri qua- » drati e libro sopra il KT. deuclide, e libro di pra- » ticha di geometria, el libro dì praticba darisme- » tricha, del quale io ò chauato quello che al pre- » sente voglio scriuere. E pero staraj atento ». » Se vuoi diuidere 10 in 2 parti che multipli- » cbate luna nellaltra faccia il quadrato della mul- » tiplichatione della maggiore parte in se, poni per » la maggiore parte vna ehosa, rimarrà la minore » parte 10 meno vna chosa, la quale mulliplichata )) in vna chosa fanno 10 cose meno vno censo. E » multiplichato vna chosa in se fanno vno censo. » Adunque 10 chose meno vno censo sono iguali » alla quarta parte duno censo ». Leonardo Pisano nel decimoquinto ed ultimo ca- pitolo del suo Liher Abbaci scrive (1): Si vis di- videre 10 in duas partes, quae in simul muhiplica- tae faciant quartam multiplicalionis maioris partis in se , pone prò maiori parie radicem quam appellabis rem, remanehunt prò minori parie 1 0 minus re, qua muUiplicala in re venienl 10 res minus censns, el ex midtiplicala re in se proveniet censiiSy quia ciim mtd- tiplicatur radix in se provenil qnndralns ipsius radi- cis : ergo decem res minns censii equanlur qnarlae parti census. (1) Libri, Histoire des seiences mathématiques en Italie, t. li, pag. 364 e 36.5. — Codice Magliabechiano Classe XI- «." 21, caria 253, re- cto e verso. 116 Quindi è chiaro che l'opera di Leonardo Pisano chiamata libro di praticità darismetriclia nell'ultimo dei soprarrecati passi del suddetto trattalo di praticità darismelricha (1) è il Liber Abbaci di esso Leonardo. Nel passo medesimo si legge ancora che Leo- nardo Pisano compose tin libro di merchatanti detto di minor guisa. Non mi è noto che questa opera di Leonardo Pisano ora esista manoscritta in alcuna biblioteca. Leonardo Pisano nella Differcntia sexta dell'un- decimo capitolo del suo Liber Abbaci scrive : Est enim alias modus consolandi, quem in libro minoris guise docuimus,per quem sanius possumus habere sum- mas quaslibet consolaminum in consolamine trium vel plurium monclarum huins manerie. Ut si de prcdiclo consolamine volueris facere libras 20, fac monetam ad 5 ex ea que est ad 3, et ex ea que est ad 6 exi- hunt lib: 3 , in quibus sunt lib. 2 de moneta que est ad 6, et lib. 1. de moneta que est ad 3. (2). E da credere che il liber minoris guise qui menzionato da Leonardo Pisano sia quello stesso libro di mercha- tanti detto di minor guisa, che l'anonimo autore del tratlato dipraticha darismetricha, di cui si è parlato di sopra, dice essere stato composto da Leonardo Pisano. (3) (1) Vedi sopra pag. 115, lin. S e 9. (2) Codice L. IF. 20 della Cibliolcca Pubblica Comunale di Siena, carta 69 recto. — Codice Palatino, n.° 1343 della Biblioteca Vatica- na, carta 59, verso, col. 2. — Codice Magliabechiano , contrasse- gnato Conventi Soppressi, Scaffale C, Palchetto \, n.° 2616, Badia Fiorentina. n.° 73, carta 64, verso. — Il Sig. Dottore Gaetano Mi- lanesi, Vice Bibliotecario della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, si ò compiaciuto d'indicarmi questo notabile passo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano. (3) Vedi sopra, pag. IJ{>, lin. 6, e 7. in Si ò veduto di sopra (1), che nel codice L. IV. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, trovasi manoscritta un' opera intitolata trattato di praticha darismetrica tratto de libri di lionardo pi- sano, et daltri alidori Conpilato da b. a uno suo charo amicho negli anni di Xpo MCCCCLXIII. Nella Diff'e- rentia seplima et ultima del quinto capitolo del sesto libro di questo trattato si legge (2): « Chosi potrei in- )) finiti chasi scriuere. Ma quelli che sono scritti sopra » gli arienti sono que'medesimi. E però superfluo sa- » rebbe a scrivergli.Ma seguitando scriuerremo alchu- » no chaso sopra uccegli, equali L. P. nel suo fioretto » scrive. Benché nel libro grande anchora ne dichiarì. » Ma quelli del fioretto sono per altro modo absoluti.E » mostra la chagione,perchè in quel luogo gli scrisse » chosi dicendo: Assiduis rogaminibus et postulationibus )) a qiiodam michi (sic) amicissimo invitatus, utmodum )) sibi conponerem soluendi subscrittas avium, et simi- )) lium questiones, quia ipse tanquam noviter in hoc » magisterio educatus, fortiora pabula in libro mei nu- » meri apposita pavescebat, lac sibi velud (sic) nouiter )) genito fdio suavitatis preparans, ut robustus effectus )) capere valeat artiora,presentem sibi modum inveni,per )) quem non solum similes questiones soluuntur, veruni » et omnes diversitatcs consolaminum monetarum. Et » quia ipsum . . . . (3) prestantiorem et utile elegia vo- » bis reverende pater, domine leodore imperialis aule » summe philosophe mittendum elegi (sic), ut ipso per- ii) Pag. 13, lin. 1-9. (2) Codice L. IF.Ii. della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 139, verso. (3) Questa lacuna trovasi nel sopraccitato Codice L. IV. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena. 118 « lecto,que utilia siint veslre celsitndinis probitas reseca- » tis superfluis reconservet. El chaso dice chosi. » Vno chonperò 3 passere per uno den. E chon- » però 2 tortore per uno den. , et chonperò uno )) cholonbo per 2. den. E di queste 3. ragioni » uccelli ebbe 30. per 30. den. Adimandasi quan- » ti uccelli chonperò di ciaschuna ragione. Piglie- » rai prima 30. passere per 10. den. E serba 20. » den. che sono la differentia che .è. da 10. den. )) delle passere infino in 30. den. chegli spende in )) tutti. Edipoi muterò una delle tortore in passere, 1 » et fu lagumento ^ duno den., perchè la tortore 1 1 » vale -^ den., e la passera uale -^ di den. E però z o 1 5) la turture uale ►- di den. piiì chella passera. E o » anchora muterò una delle passere in cholonbo. E )) migliorato mi sono in quelle mutatione 1° den. 2 1 . . )) -^ , cioè la diflferentia che .è. da ^ di den. in- )) fino in 2. den . E perchè la mutatione della tur- 1 » tura in passere fu dagugnimento ^ di den., farai » del 1. den. |se..i, che sono"». E secondo )) questo .è. di bisogni© mutare la passere in tur- » ture, et i cholonbi insino a tanto che di quella » mutatione ne uengha e detti 20. den., equali ser- )) bai. E per meno noia faremo di 20 den. sexti , 120 » che sono — w— • E diremo che sabbia affare di 119 » 120. due parti, che luna si possa interamente di- )> uidere per 10., e laltra per 1." E quello ne uiene » insieme agunto non passi 30. Doue cerchato po- » trai dire luna parte sia 110., laltra .10. E diuidasi » la prima parte, cioè 110. in 10., e la seconda per » uno, et aueremo 11. cholonbi, et 10. tortore, e- » quali tratti di 30., rimanghono .9. per le passere, » le quali .9. passere uagliono 3. den. Elle 10. tor- » tore uagliono 5. den. E gli 11. cholonbi vaglio- » no 22- den., e chosi aueremo 30, uccelli per 30. » den. » Questo passo del suddetto trattalo di praticità da- rismetrica contiene : 1 .' Tutto il testo latino dell' Epistola suprascripti Leonardi ad Magistrum Theodo- rum phylosophum domini Imperatoris, salvo le parole in illa scientia, che in questa Epistola riportata in- teramente di sopra (1) , sono fra ipsum e prestan- tiorem (2). 2." Una traduzione latina del paragrafo intitolato De avibus emendis secundiim proportionem datam, il cui testo latino trovasi nel Codice Ambro- siano E. 75. Parte superiore, a carte 15 recto e verso subito dopo la sopraccitata Epistola suprascripti Leo- nardi. Questo testo che incomincia Quidam emit pas- seres 3 prò uno denario, et turtures 2 prò uno dena- riOi e finisce : et sic ex istis tribus generibus avium habebuntur aves 30 prò 30 denariisy ut quesitum est, fa parte del liber de modo solvcndi questiones avium et similiiim di Leonardo Pisano, ed è stato intera- mente riportato di sopra (3). Nel trattato di praticha darismetricha^ che di so- (1) Tomo CXXXI, pag. 20, lin. 12—28. (2J Tomo CXXXI, pag. 20, lin: 23. (3) Pag. 118, lin. 10—27, e pag. 114, lin. 1—10. 12(1 pra (1) si è detto, trovarsi manoscritto nel Corfic^ E. 5. 5. 14. dell'I, e R. Biblioteca Palatina di Fi-' renze si legge che Leonardo Pisano compose un //èro sopra il 10" di'uclide (2). Quest' opera di Leonar-- do Pisano della quale non conosco alcun esemplare manoscritto ora esistente , doveva essere un co- mento sul decimo libro della famosa opera di Eu- clide d'Alessandria , celebre matematico dell' anti- chità, intitolata izotyigìoc, cioè Elemcnù ( delle ma^ tematiche pure). Leonardo Pisano parla di questo comento nella sua opera intitolata Flos super solu^ tioìiibiis quarundam quaeslionum ec. dicendo {^):Alle- ra vero questio. a predicto magislro lohannc proposita ftdt ttt inveniretur quidam cubus numerus qui cum suis duobus quadratisi et decem radicibus in unum col- lectis essent viqinti, ex his que continentur in X." libro Euclidis, et ab hoc super ipso X.° Euclidis accuratius studui, adeo quod sinteoremata ipsiiis memorie con- mendavi, et ipsarum intellectum comprehendi. Et quia diffìcilior est anlecedentium, et quorumdam sequentium librorum Euclidis, ideo ipsnm X.'"' Ubrmn ql osare in- cepi, reducens inlellectum ipsius ad numerum qui in eo per lineas et superficies demonstratur, qui liber Xf tractat de diversitalibus XV. linearum rectarum, qua- rum Xy. linearum duo vocantur rite seuratiocinate. Relique XIII. dicuntiir aloge sive inratiocinate. La chiosa che Leonardo qui dice di avere incomin- ciato sul decimo libro degli Elementi di Eucli- de è certamente quell' opera stessa che nel passo riportato di sopra dell' anonimo trattato di praticità (l)Pag. tS, liti. 3—10. (2) Vedi sopra, pag. li.*), liji. 7. i ' (3) Codice Anatrosìano E. 75 farle siepÉriore^; carta 1 verso. 121 darinmetricha è chiamata il libro sopra il 1 0." deu- clide{ì). Puossi adunque con sicurezza affermare che Leo- nardo Pisano compose le opere seguenti : 1. Un trattato d' aritmetica e d' algebra inti- tolato Liber Abbaci del quale si hanno parecchi esem- plari manoscritti (2). 2. Un trattato di geometria teorica e pratica in- titolata Practica geometriae della quale si hanno sette esemplari manoscritti (3). 3. Un trattato de'numeri quadrati intitolato Li- ber qiiadratorum il cui testo latino esiste manoscritto nel codice E. 75 Parte Superiore della Biblioteca Ambrosiana di Milano (4). 4. Un'opera intitolata Flos super sohitionibus qua- Tundam quaestionum ad numerum et ad geometriam vel ad iitrumque pertinentium il cui testo latino esi- ste manoscritto nel codice Ambrosiano E. 75. Parte Superiore (5). 5. Uno scritto de modo solvendi quaestiones avium et similiiim , che esiste manoscritto nel medesimo codice Ambrosiano E. 75 Parte superiore (6). (1) Pag. 13, lin. 7. (2) Vedi Tomo CXXXl, pag. 3, lin. 17—22, pag. 4—5, pag. 6, lin. 1— S, e in questo Tomo CXXXIl la nota (2) della pag. 102, pag. 115, lin. 8 e 9, e pag. 116, lin. 1— S. — ^tti delV Accademia Ponti- ficia dei Nuovi Lincei, Tomo F,Anno V. ( 1851 — 32), pag. 25—26. (3) Vedi Tomo CXXXI, pag. 95, lin. 4—23, pag. 96, lin. 1-6, e in questo Tomo CXXXU la nota (3) della pag. 25, e pag. 113, lin. 7 e 8, (4) Vedi Tomo CXXXf, dalla linea 9 della pag. 23 alla linea 24 della pag. 27, e in questo Tomo CXXXIl, pag. 113, lin. 6—7. (5) Vedi Tomo CXXXI, dalla linea 6 della pag. 6, alla linea 9 della pag. 20, e in questo Tomo CXXXIl, pag. 115, lin. 6. (6) Vedi Tomo CXXXI, dalla linea 10 della pag. 20, alla linea 8 della pag. 23. 122 6. Un comento sul decimo libro degli Elementi d'Euclide (1). 7. Un'opera intitolata libro di mercìmtanti detta di minor guisa (2). Sembra che oltre queste sette opere Leonardo Pisano ne avesse composto varie altre, giacché l'a- nonimo autore del suddetto trattato di praticha da- rismetrica scrive: « Chonpuose L. molti libri di no- » stra scientia fra quali sono questi de quali o cho- » gnitione » (3). In un proemio al trattato di pratica darismetrica tratto deHibìi di lionardo pisanOf sì legge (4): « Onde » perchè el trattato è più tosto in pratichale uso che » ad altro fine usato, piglierò quasi el modo et ordine » di L. p. e deglaltri che anno in praticha scritto, aro- » gendo, et leuando sechondo che io crederrò sia nec- » cessarlo (sic) parlando senpre chon autorità, nelle » chose delle quali pocha cognitione sa in fra quelli )> che vogliono aparere intelligenti, et non anno stu- » dio , et non lo cerchono. E perchè da tutti si » pruova le scientie Mathematice luna sanza lai tra )) non potersi bene discernere, chome nel primo » luogo prealeghato boetio dimostra. E maxime la- » rismetricha et geometria, che chome di. (sic) L. p. » nel.... (5). Et quare arismeirica, et geometria sunt (1) Vedi sopra, pag. 115, lin. 7, e dalla linea 18 della pag. 117, alla linea 26 della pag. 118. (2) Vedi sopra, pag. 115, lin. 5 e 6, e dalla linea 6 della pag. 116, alla linea 17 della pag. il7. (3) Vedi sopra pag. 115, lin. 3 — 5. (4) Codice L. ir. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 1, recto e verso. (5) Questa lacuna trovasi nel suddetto Codice L. IF- 21. 123 )) connesse^ el suffragatone sunt invicem, non potest )) de numero piena tradì doctriua nisi interserantur )) geometricha qnedam vel ad geometriam spectantia » . Il passo latino qui riportato trovasi nella dedicatoria di Leonardo Pisano a Michele Scoto, e nel Codice Magliabechiano Classe XI, n.° 21 si legge così: Etque arismetrica et geometriae scientia sunt connexe , et suffragalorie sibi ad invicem, non potest de numero piena tradi doctriua, nisi interserantur geometrica que- dam, vel ad geometriam spectantia (1). Nel Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena questo passo ha Et quare in vece di quia, e geometria scientia in vece di geometriae scientia. Nel Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca Vaticana, a carte 1, recto, col. 1 , leggesi in vece : Et quomodo aritmetica et geometria scientia. Nel quarto capitolo del sesto libro del suddetto trattato di praticha darismetrica tratto da libri di lionardo pisano ec. si legge (2) : » Molti uogliono dire che la metà del 20. do- » uerebbe crescere. Io parlo sopra el chaso ultimo » passato. E arghuiscono che tanto è a dire se 3. )) huoua valessono 6. den. Quanto a dire selluoua )) che uagliono 6. den. fussino 3. Adunque è tanto » a dire se 7 fusse la metà di 12. quanto a dire » sella metà di 12. fusse 7. E anchora alleghono una » alturità di lionardo pisano scritta nel J2. chapitolo (1) Libri, Histoire des sciences matkémaliques en Italie, t. II, pag. 2S8 e 289. — Codice Magliabechiano, Classe XI, n." 21, car- ta 1, recto. (2) Codice L. IV. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 127, recto. 124 » nella seconda parte, ponendo uno cliaso quasi si- » mile al passato, el testo dice in questa forma , » cioè. )) Si proposiium sit quod .1 . sii dimidium de 12. » (juanlum esset dimidium de 10., hec enìm jiosilio » dupUciler potest intelligi, uidelicet cum dickur si se- » ptem esset dimidium de 12., qiie est 6., cresca^ in )) 7. Aiit. 7. diminuatur in dimidium de 12., /toc est in » 6. Vnde si sex quo sunt dimidium de 12. crescunt » in septem, ergo dimidium de 12 crescil, et tunc tali » regula indigebis. Mulliplichal per 10, et diuideper » 12., exibunt 5.-^ prò dimidio de decem. Et si in- » telligere volumus quod septem diminuatur in 6., hoc )) est in medielate de 12., ergo medietas de 10. mi- )ì nuatur. Et tunc mulliplicetur 6. per dimidium de )) 10., seu per 5., erunt 30, que diuide per 7. esihunt 2 » (sic) — 4—. Et tantum esset lune dimidium de » decem. Et sic similes questiones per qualem uolue- » vis modiim, ex duobus prescrittis modis soluere po- ri teris, tamen nos semper utimur per primum mo- )) dum interroghanlibus respondere. Il passo latino qui riportato trovasi in fatti nella seconda parte del duodecimo capitolo del Liher Ab- baci di Leonardo Pisano (1). (1) Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 70, recto e verso. — Codice Palatino n.° 1343 della Bi- blioteca Vaticana, carta 66, recto, col. prima. — Codice Ma[]liabe- cbiano contrassegnato Conventi Soppressi, Scaffale C, Palcìietto J, n.° 2616, Badia Fiorentina n.» 73 , carta 71, verso. — Codice Magliabechiano , Classe XI , n.° 21 , carta 104, recto. — Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore , carta 40, verso e 41, reeto. ~— Codice Riccardiano, n.° 783, carta 103, verso. — Codice del- 125 L'autore del trattato di praiiclia darnmctica trattò da libri di lionardo pisano, parla nuovamente più ol- tre nel trattato medesimo del problema , al quale questo passo si riferisce, scrivendo (1) : » Al fatto del chaso di L. p. Dicho che L. p. » fu huomo sottilissimo in tutte dispute, et secondo » che sì truoua lui fu il primo, che ridusse allume » questa praticha in toschana, che allora sandaua per » vie molte estrane, nientedimeno dassai tenpo inan- » zi allui in questa nostra città furono schuole da- » bacho, che circha al 1348. ò veduto Trattato che » dice in fìrerize essere più di 10. centinaia di fan- » ciulli alle schuole dellabacho, che pocho inanzi fu » lionardo. E anchora chome si uede lonsegnare loro » era a modo antichi, et quasi al modo che oser- » nono di presente e vinitiani, che .è. marauiglia al » sufficienti [sic] maestri vi sono stati, et sono chome )> e non anno ridotto in una facile praticha tutto. )) Ma tornando al fatto di lionardo, credo che nel )) dire e sintendeua più il primo modo. Cioè quando » diceua: Se 7 fusse,o vero sia la metà di 12., quanto » sarebbe la metà di 10. Cioè qual numero o nero la R. Biblioteca Borbonica di Napoli contrassegnato Codici Farne- stani, Armadio FUI, Pluteo C, n." 18, carta 117, recto. E da no- tare per altro che (juesto passo del Libcr Abbaci di Leonardo Pi- sano nel Codice L. IF. 20 della Biblioteca Comunale di Siena , incomincia .- si propositum ftterit Ubi quod si 7 esscnt dimidium de 12. quantum cssent dimidium de 10 , e cosi anche in tutti gli altri codici contenenti questo passo , salvo il Palatino n.° 1343 della Biblioteca Vaticana, nel quale questo passo incomincia così : Si propositum libi fuerit quod si 1 cssent dimidium de 12 quantum esscnt dimidium de 10. In ciascuno de' t^odici citati in questa nota salvo il Palatino, n.° 1343 della Biblioteca Vaticana, questo passo è intitolato Modus alius de proportionibus , sic. (1) Codice L. IF. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 127, recto e verso. » quanto sarebbe quel numero che fusse la metà » di lO.E se pure senplicemente intendeuono ehome » nel senpliehe dire si manifesta, egli era per quelli » asegnato altre ragioni, le quali anchora a noi non » sono manifeste, per le quali ci sia di bisognio stare » chontenti. A niuno modo dicho L. p, essere in » manchamento. Ma forse per usanza di chi inse- » gnaua. E nota che auctorità sanza ragione a no- » stra scientia a pocho luogho , perche tutto dì si » uede gittate per terra lantichità. E se noi siamo di » tanta auctorità. Anchora noi possiamo dire lamen )) nos senper utimur per secundum modum intero- » ghantilms respondere ». Nel primo capitolo del primo libro del suddetto trattato di praticità darismetrica si legge (1): « E nello )) scriuere e numeri usiamo le fìghure deglindi che » per L. P. si manifesta dicendo le none fìghure si- » gnifichative deglindi sono queste . 9. 8. 7. 6. 5- » 4. 3. 2. {, cholle quali, et chon questo segno .0. )) che in arabia si dicie zero, ogni numero si rapre- » senta. » 11 passo di Leonardo Pisano qui menzio- nato trovasi in principio del primo capitolo del suo Liber Abbaci , giacché questo primo capitolo inco- mincia così (2) ; (1) Codice L. IF. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 2, redo. (21 Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca Vaticana, carta \, verso, col. 1. — Codice Magliabechiano. Scaffale C , Palchetto I, n° 2616, carta \,reclo. — Codice Majjliabechiano, Classe XI, n.° 2ì , caria 1, recto. — Codice Anabrosiano /, 72 , Parte Superiore , carta i, recto. — Codice Riccardiano, n.° 783 , carta 2 , recto. — Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli contrassegnalo Codici Farnesianij Armadio Vili, Pluteo C, n.° 18. — Targio- 127 Incipit capilidum primiim Novem figure indorum he sunt 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1 Cum his iiaque novem figuris^ et cum hoc signo 0, quod arabice zephyrum appellatiir, scrihitur quilibet numeriis, ut inferius demonslratur. Nel suddetto trattato di praticha darismetrica tratto da libn di lionardo pisano si legge (1) : » El secondo chapitolo del primo libro, chome » si mostra el modo ellordine, che si tiene a ragu- » gnere e numeri. » El ragugnere de numeri è dare noto in una » somma quello che in dua o più numeri è denomi- » nato, e questo è scritto nel secondo capitolo del- » lalghorismo. E quella somma si chiama somma » cresciente. E a volere ragugnere si ha per Lio- » nardo Pisano questo modo. Cioè quando quanti )) uuoi numeri uuoi agugnere è di bisogno chollo- )) chargli nella tauola cho gradi pari, cioè luno sotto » laltro, ponendo el primo grado delluno sotto il pri- » mo dellaltro, elio secondo sotto el secondo. E il » terzo sotto el terzo, et chosì di tutti, in fino allu- ni— Tozzetli, Relazioni d'alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, edizione seconda, t. Il, pag. 61. Nel Codice L. IF. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena mancano le parole : Cum his itaque novem figurts et cum hoc signo 0 , quod arabice zephirum appcllatur scribitur quilibet numcrus ut inferius demonstratur. Il recto della prima carta di questo Codice finisce cosi : Novem figure yndorum hoc sunt. Incipit eapitulum primum Fini. Fin. FU. FI. F. un. in. n. i. 9. 8. 7. 6. S. 4. 3. 2. 1. Il rovescio della medesima carta incomincia cosi: Notis igitur pre- scriptis figuris, atque eis tcnaciter memorie commendali. (1) Codice L. IF. 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 4, verso. 128 » timo. E quando sono chosì chollochali. E tu in- » comincia a ragugnere tutte le fighure del primo » grado infralloro, cioè le fighure dal primo gra- » do di tutti i numeri che sanno a ragugnere , » chominciando dallo inferiore infìno al superiore. » E della somma si segni le unità di sotto, e ser- )) binsi alle mani le dicine, le quali dicine sagugni- » no alle fighure del secondo grado di tutti e nu-^ )) meri che uuoi agugnere, et pong-liinsi le unità sotto )) el secondo grado. Elle dicine si serbino cholle » quali agugni le fighure del terzo grado di tutti )) e numeri che sanno agugnere. E della somma )) segnìa le unità, et in mano serba le dicine. E chosi 1) fa da grado a grado, infino allutimo chome per » gli exenpli chiaro aparirà ». Questo modo di ragugnere de numeri trovasi nel Liber Abbaci di Leonardo Pisano, giacche il terzo ca- pitolo dì quest'opera incomincia così (J) : Cnm autem quosUbet numeros, et quotcumque quis addere uolueril, collocet eos in tabula secundum quod in midtiplicationibus numerorum prediximiis, hoc est primum gradum cunclorum numerorum quos addere voluerit sub primo ipsius qui ante in iunctione posi- tus fueril. Et secundum sub secando, et deinceps qui secimtur, et tane incipiat in manibus colligere nume^ i'os fìgurarum que in primis gradibus cunctorum nu- (1) Codice L. TF. 20 della Biljlioleca Pubblica Comunale di Siena, carta 9, recto. — Codice Palatino n." 13 '(3 della Biblioteca Vaticana carta 8, verso, col. 2. — Codice iVlagliabechiano contrassegnato Scaf- fale C. ['alchclfo l «.° 2C1G, Badia Fiorenlina n." 73, carte 8, ver- so e 9 recto. Questo passo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è riportato di sopra nel testo come si leyjje nel Codice L. ly.'lì della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena. 129 merorum qui in iunclionem posili fuerint ab injenori numero iisque ad superiorem ascendendo. Ponat itaque unilates super primum gradiim mimerorum, et dece- nas in marni reseruet, quibtis decenis siiperaddal nii- meros qui in secimdis gradibus estiterint, et ponat uni- lates super secundum gradum, et iterum decenas re- seruet. Cum quibns collectionem lerlii gradus nume- rorum super addai, et sic ponendo unilates, et dece- nas reséruando, gradatim numeros colligèndo,potest col- lectionem cunctorum numerormn usque ad infinitum habere. Et ut melins intelligalur iuncliones dtiorum numeronim, etiam, et triiim, nec non et plurium osten- datitur. Nel quarto capitolo del primo libro del suddetto trattato di praticha darismetricha tratto de libri di lionardo pisano, si legge (1): « Mostro el multiplichare de numeri digiti infra » loro , e anchora chome e numeri articholi si mul- )) tiplichino, uoglio mostrarti chome e numeri di 2 » lìghure, cioè da diecijinfino in 100 si multiplichono )) in fralloro. Insegnando el modo che dà L. P. Di- )) cho adunque quando uorrai multiplichare uno nu- )) mero di 2 gradi. Cioè di 2 fighure, onero che sia » eguale, onero no. Scrivasi luno sotto laltro in mo- )) do che gradi venghino parimente. E inchomincie- » remo la multiplichatione del primo grado. Cioè )) multiplichando la prima fighura del numero di so- )) pra per la prima del numei'o di sotto. E del pro- » ducto si segni le unità nel primo grado , e per fi) Codice L.IV.'li della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, caria 9, verso. G.A.T.CXXXII. 9 130 )) ciaschuna dicina che tavanza tengha in mano uni- » tà. Di poi si multiplichi la fìghura del primo grado » di sopra per la seconda del numero di sotto, et » chosì la prima del numero di sotto per la se- )) conda del numero di sopra. E quello che è fatto )) damenduni le multiplichationi sagunghino alle di- » cine seruate, cioè alle unità che ai in mano. E an- » chora di quella somma si scrivino nel secondo » grado le unità. Elle dicine si serbino in mano. E » dipoi si multiplichi la sechonda fìghura, cioè lu- » lima del numero di sopra per lutima del numero » di sotto. Et quello che fanno lagunghino cholle )) unità che ai alle mani. E della somma si scrivino )) le unità nel terzo grado. E se ui rimarranno dìcine, » si scriuino nel quarto grado. E chosi aremo el « producto della multiplichatione di ciaschuno nu- » mero da 10 a 100. » Questo modo di moUiplicare trovasi nella parte prima del secondo capitolo del Liber Abbaci di Leo- nardo Pisano, giacché in questa prima parte si leg- gè (1) : Cum autem uis multiplicare aliqiiem nnmerum se- cimdi gradiis per aliquem numerum eiusdem gradiis, si- ile equales sint numeri siue inequales, scribes nume- rum sub numero ita ut similis gradus sit sub simili grddUf et si numeri sunl inequales, sit maior sub mi- li) Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 4, verso. — Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca Vaticana carta 4, recto, col. 1. — Codice Magliabechiano contrassegnato Con- veiìti Soppressi, Scaffale C, Palchetto I, n.° 2616, Badia Fiorentina n." 73, carta 4, verso- — Anche «juesto passo è riportato di sopra nel lesto come trovasi nel Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pub- blica Coiiiiinale di Siena. 131 noì^e, et incipial muUiplicaiionem a primo gradii nnme- rorum in tabula prescriptorum. Si quidem midlipUeet figuram primi gradus snperioris numeri in tabula pre- scripti per figwam primi gradus subterioris , et scri- hantur unilates super primum gradum numerorum pre- scriptonmiy et per unamquamque decenam retineat in marni sinistra unum, deinde midtiplicet fìgùram primi gradus superioris numeri per figuram secundi gradus, seu per ultimam subterioris numeri , et e contra figu- ra primi gradus subterioris mnltiplicetur per idtimam figuram superioris, et addanlur in marni cum servatis decenis, et iterum unitates scribantur super secundum gradum, et retineantur in manu decene. Item mnlti- plicetur ultima figui^a superioris numeri per ultimam subterioris, et quod ex midtiplicalione euenerit cum ser- uatis decenis iti marni super addatur, et unitates in ter- tio grada, et decene, si fucrint, in quarto ponantur. Et habebitur mulliplicatio quorumhbet numerorum a de- cem usque in cenfnm. Verbi grafia ut si quesierit mul- ti pi i cali oìiem de 12. in V'2., scribantur 12. bis in tabula dealbata, in qua littere leiiiter dcleantur, siculi in hac margine scriptum cenìilur, primus gradus subterioris numeri sub primo superioris., ìioc est figura binarii sub figura binarii, et secundus gradus subterioris sub se- emulo superioris, seu figura unitatis sidt figura unifa- tis, etmultiplicel binarium per binafium, ei^nt 4, qìie ponat super utrumque hinarium, ut in prima descri- ptione posita simt. Iterum multi pi iccn tur supcriora 2 per 1 , quod est in secundo gradii inferiàiis mmeri,ermU 2, que serucntur in manu,et midtiplicet numerimi 2 sub- terioris numeri per 1 superioris, erunt 2, que addat cum duobus superius scruatis, erunt 4,r/»e ponat super unita- 132 Km ulranque, facient ipsa 4 secundum yradum post priora posila 4, que fecerant primum gradum , ut in se- cunda descriptione descrihitur.Et adhuc multiplicetiir 1 de superiori numero per numerum de subleriori, faciet 1 , quod 1 scribatur in tertio gradii, seu post 44 descri- pta, ut in tenia et ultima descriptione ostendilur. Et in tot ascendit muUiplicatio de 12 in se ipsa, seu 144. Nel proemio all'ottavo libro del suddetto trattalo di praticha darismetrica si legge (1) : « E acciò che » chon presteza questo che è chontenuto in nel pre- » sente libro sia trouato, in sette chapitoli lo divide- » remo. Nel primo mostreremo el modo a meritare, » et schontare semplicemente. Nel secondo el modo » del meritare, et schontare, a fare chapo a dalchuno » termine. Nel terzo el modo di dare, el di chomune » a molte partite duna ragione fatta in diversi tempi » chello diciamo arrechare a un di. Nel quarto el » modo di saldare le ragioni. Nel quinto ragioni che » intervenghono a detti chasi passati. Nel sesto ra- )) gioni, e chasi proposti sopra chi fa viaggij. Nel » septimo et ultimo chapitolo porremo la decima » parte del dodecimo chapitolo di L. pisano ». Nel soprammentovato ottavo libro del medesimo traltalo di praticha darismetrica si legge (2) : « Inchoniincia el septimo e Intimo (sic) chapitolo » del .... (3) libro di questo trattato doue si dimo- » stra el modo del radopiare detto radoppiamento (1) Codice/,. IF- 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 18S, recto. (2) Codice L. IF. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 223, verso. (3) Questa lacuna trovasi nel suddetto Codice/,. Zf. 2i. 133 » dello schachiero, el quale chapitolo a questo libro )) è chonveniente «. Questo settimo capitolo incomincia così (1) : « Questo dire radopiamento dello schachiere è tratto » duna materia chosi nominata, che già si dava allo » scholare « : e finisce cosi (2) : diremo chosi in » questo ultimo uerso: Deo gratias. » In otto Codici ne' quali trovisi manoscritto il duodecimo capitolo del Liher Abbaci di Leonardo Pi- sano si legge (3) : Incipit capitulum duodecimum Capituliim ilaque duodecimum de questionibus abba- ci (4) in parles novem (5) dividimus, quarum prima est de collectionibus numerarumyet quarumdam aliarum si- milium questi onum.Secimda de proportionibus numero- rum. Tertia de questionibus arborum et midtarum alia- ci) Codice L. IV. lì della Biblioteca Pubblica Comunale dì Sie- na, |. e. (2) Codice L. IV. 21 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, 1. a. (3) Codice L. IV. 20 della Biblieteca Pubblica ComunaTe di Siena, carta 74, verso. — Codice Palatino, n.°1343 della Biblioteca Valica*- na, carta 64, verso, col. 1. — Codice Magliabechiano , contrasse- gnato Conventi Soppressi, Scaffale C, Palchetto I. n.° 2616, Badia Fiorentina n.° 73, caria 70, recto. - Codice Magliabechiano Clas- se XI, n." 21. carta iOìyVeno. — Codice Ambrosiano /. 72, Parte Superiore, carta 40, recto. — Codice Riccardiaiio n.° 783, carta 100, verso e 101 recto. — Codice Magliabechiano, Palchetto III, n.°25, caria 63, recto- — Codice dalla Reale Biblioteca Borbonica di Na- poli contrassegnalo Codici Farnesiani, Armadio VIII, Pluteo C, «•* 18, carte 114, verso, e ÌÌH, recto (4) 1 Codici Palatino n° 1343 della Biblioteca Vaticana, ed Am- brosiano /. 72. Parte Superiore hanno qui abaci in vece di abbaci- (3) Nel Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore leggasi qui 9 in vece di novem. rum similium, quariim solutiones fhiiU per regulam qiiarte proportionis. Quarta de inventione bursanim. Quinta de emptione equorum inter consocios secundum datam proporlionem. Sexia de viagiis (1) atque questio- nibus que habent similitudinem viagiorum (2). Septima de questioìiihus reliquis enaticis que ad invicem in eorum regulis varianlur. Octava de quibusdam divina- tionibus. Nona de duplicalione scacherii, et quibusdam aliis questionibus. L'ultima di queste nove parti è quella che nel suddetto trattato di praticità darismetrica è chiamata decima parte del duodecimo chapitolo di L. pisano (3). È da notare che questa ultima parte del capi- tolo duodecimo del Liber Abbaci di Leonardo Pi- sano in alcuni manoscritti è chiamata pars decima^ ed in altri pars /Iona. In fatti nel Codice della L e R. Biblioteca Medicoo-Laurenziana di Firenze contrasse- gnato Gaddiani Reliqui n." XXXVI^ il capitolo duo- decimo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano inco- mincia così (4) : Capiiulum itaque duodecimum de regidis erraticis in partibus X. dividimus. Quarum prima est de colleclionibus numerorum, et quarumdam aliarum similium questionum. Secunda de proportionibus numerorum. (1) Il Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore ha qui viag- gii$ in vece di viagiis, (2) Il Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore ha qui viaggio- rum in vece di viagiorum. (3) Vedi sopra, pag. 132, lin. 20 -22, e pag. 133, Un. i— 5. (4) Codice deiri. e R. Biblioteca Mediceo-Laurenziana contrasse- gnalo Gaddiani Reliqui, n." XXXFI, carta 1, recto. 135 TerUa de veijuUs uiborum, alque aliarum similium. Quarta de iuveritione bursarutn. Quinta de emplione equorum inler consocios se- cundum datam proportionern. Sexta de viagiis, alque carurn regularum que ha- bent similitudinem viagiorum. Septima de regulis reliquis erraticis que ad invi- cem in eorum regulis variantur. Octava de regulis geometrie perliuentibiis. Nona de indivinatione anulorum, alque numerorum fjartiiimy et aliarum quarumdam similium. Decima de duplicatione Scakerii, aliarumque que- stionum videlicet civi. (sic) Expliciunt parles duodecimi capituU. Nel Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena la penultima parte del duodecimo capitolo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è inti- tolata così (1): Incipit pars Villi, decimi (sic) capituli De quibusdam divinationibus. In questo Codice l'ulti- ma parte del medesimo capitolo ò intitolata così (2): Incipit pars decima de duplicatione schacheriiy et qua- rumdam aliarum regularum. Nel Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca Va- ticana la penultima parte del duodecimo capitolo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è intitolata (3): In- (1) Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 141, redo. (2) Codice L. /r. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta 145, recto. (3) Codice Palatino n.» 1343 della Biblioteca Vaticana, carta 111, redo, col. 2. J36 cipit pars nona decimi capituli de quibusdam diui- nalionibus. In questo Codice l'ultima parte del ca- pitolo duodecimo del medesimo Liber Abbaci è in- titolata così (1): Incipit pars 10". de duplicatione sca- cherij, et quarumduìn aliarum regularum. Nel Codice della Biblioteca Magliabechiana di Firenze contrassegnato Conventi Soppressi, Scaffale C, Palchetto I. n° 2616, Badia Fiorentina, n." 13. la penultima parte del duodecimo capitolo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è intitolata così [2): Incipit pars 8". decimi capituli de quibusdam divinationibiis. In questo Codice l'ultima parte del duodecimo capi- tolo del medesimo Liber Abbaci è intitolata (3): In- cipit pars 9". de duplicatione scacherii, et quarumdam aliarum regidarum. Nel Codice Magliabechiano contrassegnato Classe XI. n." 21. la penultima parte del duodecimo capitolo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è intitolata (4): Incipit pars nona duodecimi capituli de quibusdam di- vinationibus. In questo Codice l'ultima parte del ca- pitolo duodecimo del suddetto Liber Abbaci è intito- lata (5) : Incipit pars decima de duplicatione scha- cherii, et quarumdam aliarum regulaìiim. Nel Codice dell'I, e R. Biblioteca Mediceo-Lau- (1) Codice Palatino n.° ^343 della Biblioteca Vaticana, carta 113, verso, col. 2. (2) Codice Magliabecliiano contrassegnato Conventi Soppressi , Scaffale C. Palchetto I, n.o 26\6, Badia Fiorentina, n° 73, carta 133; verso. (3) Codice Magliabechiano contrassegnato Conventi Soppressi , Scaffale C. Palchetto I, n° 2616, Badia Fiorentina, n." 73, carta 136, verso. (4) Codice Magliabechiano, C/owe X/. M.° 21, carta iB9, recto. (5) Codice Magliabechiano, Classe XI. n." 21, carta 193, rtcto. 137 renziana di Firenze contrassegnato Gaddiani Reliqiii, n." XXXVI. la penultima parte del capitolo duode- cimo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è inti- tolata (1) : Incipit pars nona duodecimi capituli de quibusdam divinai ionibns. in questo Codice l'ultima parte del medesimo capitolo duodecimo è intitola- ta (2) : Incipit pars decima de duplicatione scali crii, et quariimdam aliarum regidarum. Nel suddetto Codice Mediceo-Laurenziano Gad- diani Reliqni n° XXWI. il capitolo duodecimo del Liber Abbaci contiene una parte intitolata (3) : In- cipit pars octava de regidis geometrie pertinentibus, qiie cum radicum inventione, seu aliquoriim in men- surarum dimensionibus reperiuntur. Questa pars octava. è indicata più sopra nel Codice stesso colle parole: Octava de regulis geometrie pertinentibus (4). Nel Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore, la penultima parte del duodecimo capitolo del Li- ber Abbaci di Leonardo Pisano è intitolata (5) : In- cipit pars nona decimi capituli de quibusdam divina- tionibus. In questo Codice l'ultima parte del mede- simo duodecimo capitolo è intitolata così (6) : In- cipit pars decima de duplicatione schaccherii, et qua^. rumdam aliarum regidarum, (1) Codice doiri. e R. Biblioteca Medicco-Laiirenziana di Firenr ze contrassegnalo Gaddiani Beliqui n.° XXXFI, carta 83, recto. (2) Codice deiri. e R. Biblioteca Mediceo-Laiirenziana di Fir«n- ze contrassegnato Gaddiani Reliqui, n.° XXXVI, carta 86, verso. (3) Codice dell'I, e R. Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firen- ze contrassegnalo Gaddiani Reliqui, n.° XXXFI, carta 8i, recto. (4) Vedi sopra, pag. 134, lin. 26. (5) Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore, carta 80, verso. (C) Codice Ambrosiano /. 72. Parte Superiore, caria 83, redo. 138 Nel Codice della Biblioteca Riccardiana di Fi- renze contrassegnato col n." 783, la penultima parte del duodecimo capitolo del Liber Ahbaci di Leonardo Pisano è intitolata (1) : Incipit pars octava duo."'' ca- pituli de quibusdam diuinalionibiis. In questo Codice l'ultima parte del medesimo capitolo è intitolata (2): Incipit pars nona de duplicatione schacheriij et qua- rumdam aliarum ì'egularmn. Nel Codice della Biblioteca Magliabechiana di Fi- renze contrassegnato Palchetto III, n.° 25, la penul- tima part/B del duodecimo capitolo del Liber Abbaci di Leonardo Pisano è intitolata [3): Incipit pars nona decimi Capituli de quibusdam diuinationibus. In que- sto Codice l'ultima parte del medesimo duodecimo capitolo è intitolata (4) : Incipit pars X."'" de dupli- catione schacherij, et quarundam aliarum regidarum. Nel Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli, contrassegnato Codici Farnesiani , Armadio Vili, Pluteo C, n." 18, la penultima parte del duo- decimo capitolo del Liber Abbaci di Leonardo Pi- sano è iatitolata (5) : Incipit pars nona duodecimi capituli de quibusdam divinationibus. In questo Co- dice l'ultima parte del medesimo capitolo duodeci- mo è intitolata (6) : Incipit pars decima de duplica- tione schacherii, et quarumdam aliarum regularum. (1) Codice Riccardiano n.° 783, carta 211, verso. (2) Codice Riccardiano n.° 783, carta 218, recto. (3) Codice MagUabechiano, Palchetto IH, n° 25, carta 114, recto. (4) Codice Magliabechiano Palchetto HI, n.° 25, carta 116, verso. (5) Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli contras- segnato Codici Farnesiani, Armadio pili, Pluteo C, n.° 18, carta 197, recto. [6] Codice della Reale Biblioteca Borbonica di Napoli contrasse- J39 Nel sopraccitato trattalo di praticha darismetrìca si legge (1): « Inchomincia el nono libro di questo trattato )) nel quale si chontiene el trattato della reghola » del chatain interpetrata reghola di 2 false posi- )) tioni ». » Nel tredecimo chapitolo della praticha di Leo- » nardo pisano, molto copiosamente sopra questa re- » ghola è scritto. Del quale il testo ridotto in uul- » gare è questo . El chatain certamente è nome » arabicho, che in latino si dice reghola di 2. false » positioni, per la quale quasi sa la solutione di cia- » schuna quistione dabacho. Chonciosia chosa che » alchuna uolta per una singhula positione sa laso- » lutione di quello che sadimanda, chome si manife- » sta nel libro (sic) di questo trattato. E in quelle non )> abisogniano le 2 positioni, inperò che per una di » quelle sasolve. Ora chome le quistioni per le .2. » positioni si debbino asolvere uogliamo dimostrare. », Ponghonsi adunque quelle .2. positioni false a sorte » et fortuna. Onde interuiene che quando amenduni » venghono maggiori chella verità e quando amen- » duni minori, e quando alchuna maggiore, et laltra )) minore, e trovasi la verità.Sechondo la proportione » della differentia delluna positione allaltra. Questo » 1 è che chade nella proportione de . 4 . numeri )) proportionali. De quali li 3. sono manifesti per gli )) quali el numero non noto si truova. Cioè lasolu- )) tiene della verità. De quali .4. numeri il primo (è) » la differentia del numero delluna falsa positione gnato Codici Farnesiani, Armadio FUI, Pluteo C, n.° 18, carta 200, verso. [i) Codice L. ir 21. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 226, verso. J40 » aliai tra , el secondo è lapressainento che si fa » alla verità per quella differentia. El terzo è la- » vanzo che è dapresarsi alla verità, che chome si » faccia prima nella reghola del centinaio Io vo- » gliamo mostrare, acciò che per quelle .3. diffe- » rentie sottilmente dimostrate nel centinaio, la so- » lutione dellaltre questioni per el chatain possi sot- » tilmente investighare. E per brevità non dividerò » el presente libro in alchuni chapitoli, ma uno solo )) fia. » 11 testo latino, che qui dicesi ridotto in imlghare trovasi nel decimoterzo capitolo del Liber Abba- ci di Leonardo Pisano, giacché in questo decimoterzo capitolo si legge (1) : El Chalaym [2] qiiidem Arabice (3)', latine diianim falsarum positionnm regida interprelatnr per qiias fere omnium questionum soliitio invenitur : ex quibus una est illa per quam in tertia parte duodecimi capituli regidas arborum et similium soluere docuimus, in quibiis totum el chalaym (4-), scilicet diias (5) positiones ponere (i) Codice L. IF. 20. della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na, carta iSO, verso. — Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca carta 118, verso, col. 2, e carta 119 recto, col. 1. — Codice Ma- gliabechiano, contrassegnato Conventi Soppressi, Scaffale C, Pal- chetto I, n.° 2616 {Badia Fiorentina, w.» 73)> carta iAì, recto. (2) il Codice Palatino n.» 1343 della Biblioteca Vaticana ha qui Elchataym in vece di El Chataym. Il Codice Magliabecbiano con- trassegnato Conventi Soppressi, Scaffale C, Palchetto I, n.° 2616 [Ba- dia Fiorentina n.° 73), (1. c:) ha in vece elchataieym. (3) Il Codice Palatino n.° 1343 della Biblioteca Vaticana (1. e) ha qui harabice. Il Codice Jlagiiabechiano contrassegnalo Scaffale C > Palchetto I, n.° 2616 ha in vece arabice. (4) Il suddetto Codice Palatino n.» 1343 ha qui elchataym. Il Codice Magliabecliiaiio contrassegnato Scaffale C, Palchetto I, n' 2616, {Badia Fiorentina n.° 73) (I. e.) ha in \ectì elchataieym. (5) 11 Codice Palatino n.° 1343 sopraccitato ha qui 2 in vece di duat. Uì non opporle t, cimi per imam earum ipse qiiestiones solvi possunt: tamen qualiter ipse et multe alie questio^ nes per el chataym solvi debeant volumus demonslra- re. Ponuntur enim ipse due false positiones fortiiitu , linde occurrunt quandoque ambe minores ueritate^quan-^ doqne majores, quandoque una maior et altera minor, et inuemtur solutionum veritas secundum proportionem differentie unius positionis ad aliam. Hoc est quod cadit in regida quarte proportionis , in qua tres nu- meri sunt noti, per quos quartus iqnotus, scilicet solu- tionis ueritas,reperitur, quorum primus numerusest dif- ferentia numeri unius false positionis ad aliam. Se- cundus est adpropinquatio que fit uerilati per ipsam differentiam. Tertius est residuum quod est ad adpro- pinquandum ueritati. Que qualiter fiant primum in regida cantarii demonstrare volumus ; ut ipsis tribus differentiis subtiliter in cantario demonstratis, aliarum questionum soluliones per elchalaipn ( 1 ) subtiliter va- leas inteUigere. Il nono libro del suddetto trattato di praticità darismetrica finisce così (2) : « E vedi che chi per )) positioni vuole asolvere, e chasi dura grandissi- )) ma faticha. Onde credo che di queste positioni arai )) a farne masseritia, che poche o niuna più te ne )) scriverrò. Solamente questo sé fatto acciò che lo- » pera abbia sua perfettione. E anchora perchè in- (1) Il Codice Palatino n.» 1343 della Biblioleca Vaticana ha qui elcathaim. Il Codice Magliabechiano contrassegnalo Scaffale C, Pai' chctto I, n.o 261 G {Badia Fiorentina, n." 73) (I. e) ha in vece elclia- tayeim. (2) Codice L. If^.2ì. della Biblioteca Pubblica Comunale di Sie- na; carta 223, redo. U2 » fra quelli che vogliono inparare si dice optima )) reghola. E grande stima fanno a dire: io so le po- » sitioni. Pigliando per loro arghomento el detto di » L. p. che dice per qiias fere omnes questiones solvi » potest )). Questo detto di L. p. trovasi nel prin- cipio del capitolo decimoterzo del Liher Ahhaci di Leonardo Pisano, giacché questo decimoterzo capi- tolo incomincia così ( 1 ) : El Chataym quidem Ara- bice, latine duarum falsariim positiomim r egida inter- prelatiir, per qiias fere omnium questionum sohilio in- venitur. Nel decimo lihro del medesimo trattato di pratì- cha darismetrica si legge (2) : » Il pigliare diletto delle chose honeste per niuno » tenpo si vieta, e maggiormente al tempo presente » nel quale nò faticha né passione si vogliono nella » mente criare. Anzi piacere di qualunque chosa sia, )) e però, acciò che chon facilità tutto sabhia, in que- )) sto decimo libro dimostrare uoglio chasi dilctte- )) voli. Cho quali e pensieri si scharichino e tutto al- » legro et iocundo diventi. Dove acciò che piiì duna )) parte che daltra abisognandoti lo truovi, questo » dividerò in 7. chapitoli, nelli quali tutto questo » libro sia chompreso. La solutione de chasi che si )) scriveranno per li modi e reghole dette sieno ab- )) soluti. Nel primo adunque porremo cei'ti chasi so- )) pra della natura e propietà de' numeri trovati. » Nel secondo chasi trovati sopra huomini che di- » chono avere denari. Nel terzo chasi sopra huomini (1) Vedi sopra, pag 140, lin. 17. (2) Codice L. IF. 21 della Biblioleea Pubblica Comunale di Si«- na^ carta 233, verso. 143 » lavoranti. E nel quarto chasi duomini che anno )) denari e tniovono denari. Nel quinto chasi sopra )) huomini che vogliono chonprare chavagli. Nel se- )) xto cierti chasi detti erratici. Nel septimo chasi » dandivinare, e quali chasi di tutti questi chapitoJi •» nel 2.° libro di L. p. si troueranno. E benché uni- » versalmente questi chasi si potrebbono proporre w sopra de numeri, paiono più ameni a trattare duo^ » mini exercitanti in detti chasi. Adunque chol no- » me di Dio al primo capitolo daremo principio. » Qui è da credere che debba leggersi 12." libro in ve- ce di 2.° libro, giacché Leonardo Pisano nel duode- cimo capitolo del suo Liber Abbaci tratta de chasi qui menzionati (1). (1) Il capitolo duodecimo del Liber Ahbaci di Leonardo Pisano è diviso in nove parti. La terza parie di questo capitolo inti- tolata pars ter Ha de questionibus arborum et similium { Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carte 77 , verso — 93, verso) contiene un paragrafo intitolalo de 1111-° ho- minibus denarios habenlibus ( Codice L- IF. 20 delia Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 84, verso, 85 recto). Un' altro paragrafo della medesima pars tertia è intitolato : De dubus ho- minibvs qui habent denarios , er quibus unus petit alteri ali- quam quantitatem, et proponilur eccedere eum in aliqua propnrtio- ne (Codice L. IV. 20. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 85, recto). Seguono nella stessa pars tertia altri paragraiì, che trattano anche de duobus hominibus qui hibent denarios (Codice L' IV. 20. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 8.5 recto — 89 recto). Trovansi poscia nella terza parte medesima altri pro- blemi intorno a tre o quattro, o cinque uomini che hanno denari (Codice L. IV. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, car- te 89, recto — 90^ verso). La quinta parte del duodecimo capitolo del fjber Abbari di [jeon.irdo Pisano tratta de emptione equorum inter consocios (Codice L. IV 20. della Biblioteca Pubblica Comu- nale di Siena, carta 7'i, terso, e cjrte i02, recto — 1 17, rerso). La parte settima di questo capitolo tratta de rcgulìs erraticis (Codice 144 Neil' undecimo libro del medesimo trattato di pra- ticità darismetrica si legge (1) : « E acciò che quello » che ò a dire sia meglio inteso, voglio dimostrare » certe dimostrationi et proportioni sopra le quan- » tità chontinue. Cioè necessarie al nostro trattato, » le quali dimostrationi del 2.° et altri libri deuclide » chavo. Elle pioportioni dellutima (sic) overo penul- » lima parte della praticha di Lionardo pisano, però » in 2. chapitoli questo presenta libro dividerò. Nel » primo fieno le dette chonclusioni, et dimostrationi. » Nel secondo fieno le dette proportioni ». Ciò che qui è chiamato iitima o vero ■penultima parte della praticha di Lionardo pisano è probabilmente il de- cimoquinto capitolo del Liher Abbaci di Leonardo Pisano, giacché questo capitolo è diviso in tre parti, la prima delle quali tratta de proporiionibiis trium, et quatuor quantitatum (2). Nell'ultimo capitolo del libro duodecimo del sud- detto trattato di praticha darismetrica si legge (3) : « E questa detta radice chubicha molto in geome- » tria , et massime a chorpi sperici sapartiene. E » perchè lionardo pisano nella (4) distintione L. IF. 20 della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 74, verso, e carie 127, recto — 140, verso). La penultima parte di que- sto capitolo tratta De quibusdam divinati onibus (Codice L. IF. 20. della Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carte 141 , fedo — 145, tetto). (1) Codice L. IF. 21 delia Biblioteca Pubblica Comunale di Siena, carta 300, recto. (2) Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, t. Il, pag. 307 -332. (3) Codice L. IF. 21 della Biblioteca Pubblica Communale di Sie- na, carta 363, recto. (4) Questa lacuna trovasi nel sliddelto Codice L. IF^2ì della Bi- blioteca Pubblica Comunale di Siena. 1i5 » della sua piatlcha darismctricha lansegna trovare » per linea, intendo quel modo recitare, chonciosia )) chosa che molto dificilmente si possa avere, niente )) di mancho acciò che libro , o vero trattato non » abbia diffetto, lo voglio mostrare. E quel mede- » simo dire in latino, et in vulghare scrivere , ac- « ciò che a ciaschuno sia manifesto. E prima in La- » tino ». Qui l'autore dell'anzidetto trattato di pra- ticha darismetrica riporta primieramente il testo la- tino di questo passo, \ì qual testo incomincia(l) :C? /me, sed ipsi proprium ex Burchielli Epigrammale » in edit. anni 1757. fol. ÌOÌ.adparet » (1). (1) L'edizione del 1757 qui citata dal Sig. Ab. Vincenzio Polli- ni è in ottavo, di 424 pagine, delle quali 4d7 sono numerate coi numeri I— Vili, I -XVI, 1—295, I— XX, 3—80, e le altre, ciof^ le prime quattro , la 324.», e la 343.», e la 346.» non sono nume- rate. Nella terza pagina non numerata di questa edizione si legge: « SONETTI DEL BURCHIELLO DEL BELLINCIONI E D' ALTRI » POETI FIORENTINI ALLA BURCHIELLESCA IN LONDRA j» 1757 «. A pagine 101 della terza numerazione di questa edizione si legge: » L'altro sarà Giovanni mio da Prato, » Che l'apparò insieme col Vannino » In Atene, ove a studio fu mandalo; )^ E si chiamò in battaglia l'Acquatino, )i Così é degno d'esser coronato: » E poi pel più antico Bajardino, » Facciasi in San Martino » Dal Pisaneilo il dì di San Brancazio; » E vedrà poi de'Diavoli che strazio. Le due quartine del sonetto al quale questi versi apparten- gono sono nella pagina 100 della suddetta terza numerazione di questa edizione. Il Sig. Bartolommeo Gamba nella sua opera intitolata : Serie dei testi di lingua, e di altre opere importanti nella Italiana lettera- tura, scritte dal secolo XIV al XIX, indica quest'edizione così {Serie dei testi di lingua, e di altre opere importanti nella Italiana lette- ratura scritte dal secolo XIF al XIX, di Bartolommeo Gamba da Bassano Accademico della Crusca ce. ec Quarta edizione riveduta, emendata e notabilmente accresciuta. Venezia co' tipi del Gondoliere Al DCCC XXXIX, in 8% grande, pag. «0, col. 1): « 259. — Gli stessi, con altri del Bel- « LiNCioM e di altri Poeti Fiorentini. Lon- » dra ( Lucca e Pisa ), 1757 , in 8°, Col » ritratto del Burchiello ». Pili oltre nella sua opera suddetta (I. e.) il Sig. Bartolommeo Gam- ba parlando di questa edizione dice : « Parte in Lucca e parte in 159 A questo passo dcirillustrazione medesima allu- do certamente il Sig. Cesare Guasti dicendo (1): «Do- » pò il Giuoco d'amore seguono sei sonetti senza » nome d'autore, quali però il eh. Pollini, che ha il- » lustrato questo Codice, ha dato all'Acquettini ». Il Conte Giammaria Mazzuchelli scrive (2): « Ac- )) QUETTiNi (Giovanni) da Prato, Poeta Volgare, fiorì » intorno al 1430. » Domenico, detto il Burchiello, morto in Roma nel 1448 (3), scrive (4) : « Questi, c'hanno studiato il peccorone, » Coroniamgli di foglie di radice, )) Poi che son giunti al tempo lor felice, » Et facciasi per man di Guasparrone : M Pisa si fece questa stampa col riscontro di testi della Magliabe- » chiana; e, secondo alcuni, fu apparecchiata dal can. Anton Maria » Biscioni, il quale mori l'anno 1756. Forse da altri si sarà coi ma- » teriali da lui allestiti, condotta a compimento ». (1) Vedi sopra, pag. 1S6, lìn. 16 — 19. (2) Gli Scrittori d Italia, volume 1, parte I, pag. 126. (3) Domenico Maria Manni attesta che in un Codice della Bi- blioteca Strozziana si leggeva « Sonetto di Migliore di Lorenzo « di Cresci per la morte del Ourchiello 1448. a Roma » ( Domi- nici Mariae Mannii De Florentinis inventis comntentarium. Emi- nentissimo, ac Reverendissimo Principi Atexandro Aldobrandino S. R. E. Cardinali Amplissimo, et Ferrariae de lalere legato etc. di- catum. Ferrariae, MDCCXXXI. Ex Typographia Bernardini Poma- telli Impressoris Episcopnlis, in 4°, pag. 88, cap. XLP'I), ed anche n Sonetto di Antonio Manetti per la morte del Burchiello che morì » a Roma 1448.» (Dominici Mariae Mannii De Florentinis inventis, pag. 89 cap. XLFI). (4) Rime del Burchiello Fiorentino Comentate dal Doni. Et piene di capricci, fantasie, umori, strauaganze, grilli, frenesie, ghiribizzi, arguite, molti, e sali. Ritocche da quel che potcua già o/fendere it buon Lettore. Dedicate al Clarissimo Signor Pietro Giustiniani, Firtuosissimo tra Nobili. In Vicenza, Per gli Hercdi di PerinLi- braro. 1897 Con licentia de'Supcriori, in 8°, pag, 241. 160 )) Il primo fia Anselmo Calderone, )) Che non scriue mai senza vernice )) Costui esser ben dotto in ciò mi dice , » E che fece di Lucca, la canzone, » L'altro sarà Giouanni mio da Prato » Che l'apparò insieme col Vannino )) In Atene, oue a studio fu mandato: )) E si chiama in battaglia l'Acquettino, )) Cosi è degno d'esser coronato, » E poi pel più antico, Baiardino, )) Facciasi in Fiorentino » Dal Pisanello, il dì di Malangazio, » E vedrà, poi da'Diauoli, che strazio ». Quindi è chiaro die Giovanni Acquettini visse mentr'era ancor vivo il suddetto Burchiello. Nella seconda edizione fatta in Firenze nel 1 568 appresso i Giunti delle Vite de'più eccellenti pittori, scultori e architetti scritte da Giorgio Vasari si leg- ge (1): « E parimente opera di Giouanni in santa Tri- » nita di Fiorenza, la Capella degli scali, e vn'altra, )> che ò allato a quella, e vna delle storie di San » Paulo accanto alla capella maggiore dou'ò il se- » polcro di maestro paulo strolago » (2). (1) Le vite de'più eccellenti Pittori, Scultori, e Architettori Scritte da M. Giorgio Vasari Pittore et Architetto Aretino, Di Nuouo dal Medesimo fìiuiste Et Ampliate Con i ritratti loro Et con Raggiunta delle Vite de'viui, & de'morli Dall'anno 1530. insino al 1567. Prima, e Seconda Parte. Con le Tauole in ciascun volume,Delle cose più Nota- bili, De' Ritratti, Delle vite degli Artefici, Et de i Luoghi doue sono Vopere loro. Con Licenza e Priuilcgio di N- S. Pio V. et del Duca di Fiorenza e Siena. In Fiorenza, Appresso i Giunti 1568, in 4°, pag. 194. (2j Ciò che !>i è detto di sopra dalla prima linea della pagina 149 161 11 Padre Michele Poccianti nella sua opera in- Hno alla linea decimaquinta della pagina 160, chiaramente dimostra che il maestro paulo strolago menzionato nel soprarrecalo passo di Giorgio Vasari (Vedi sopra, pag. 160, Un. 23) è Paolo Dagoma- ri, e non già Paolo Toscanelli (Vedi sopra , pag. 154, lin. 7 — 21). Piiossi adunque con sicurezza affermare che Monsignor Giovanni Bot- tari andò lungi dal vero scrivendo in una sua nota a questo passo : « Maestro Paolo dal pozzo Toscanelli celebre matematico, e astrologo » di quel tempo » {Fife de'più eccellenti pittori, scultori e architetti, scritte da Giorgio f'asari, pittore e architetto Aretino, corrette da molti errori , e illustrate con note. In Roma , 1759 — 1760. Per Niccolò e Marco Pagliarini Stampatori e Mercanti di libri , con licenza de^ superiori, 3 volumi, in 4° grande, vol.I, pag. 129, nota 1). NelTedizione fatta in Siena dal 1791 al 1794 delle sopraccitate Vite del Vasari in una nota al medesimo passo di quest'autore si legge : » Maestro Paolo dal Pozzo Toscanelli celebre mattematico e astro- » logo di quel tempo . Nota deW Edizion di Roma » {Vite de" più eccellenti pittori, scultori e architetti , scritte da M. Giorgio Fasari , Pittore e Architetto Aretino , in questa prima edizone Satiese arricchite più che in tutte l'altre precedenti di Rami di Giunte e di Correzioni per opera del P. M. Guglielmo della Falle Minor Conventuale , Socio delle RR. Accademie delle Scienze di Torino, e di Siena, dell'Istituto e Belle Arti di Bologna ec. ec. In Siena A spese de'Pazzini Carli, e Compagno. Con licenza de' Supe- riori, 1791 — 1794, 11 tomi, in 8", t. II, pag. 267, nota (1) ). Nella ristampa fatta in Milano di questa edizione dal 1809 al 1811 si leg- ge in una nota al passo suddetto di Giorgio Vasari : w Maestro » Paolo dal Pozzo Toscanelli celebre matematico e astrologo di » quel tempo. Nota delVEdiz. di Roma -,1 {Fite de'più eccellenti pit- tori, scultori e architetti, scritte da Giorgio Fasari, pittore e archi- tetto Aretino, Illustrate con Note. Milano, Dalla Società Tipografica de'Classici Italiani. Anni 1807 — 1811,16 volumi,in 8°,vol.III, pag. 210, nota 1 ). Nell'edizione fatta in Firenze sotto la direzione del Sig.Giovanni Masselli dal 1832 al 1838 delle suddette Vite del Vasari, ed in quella che si fa ora dal Sig, FeliceLe Monnier si legge in vece: » Paolo dal Pozzo Toscanelli celebre matematico e astronomo. Fu » amico di Cristoforo Colombo, ed ebbe con lui comune il pensiero » della scoperta di un nuovo moiulo » {Le Opere di Giorgio Fasari, pittore e architetto Aretino. Firenze per David Passigli e Socj 1832 — 1838, 2 parti, in 8°, parte prima, pag. 179, Fita di Giovanni da G.A.T.CXXXU. 11 262 titolata Catalo(jus scriptorum Florentinorum omnis ge- neris scrive (1) : (( PAVLVS in geometria, Arithmetica, atque A- » strologia vniuerso Occidenti sua tempestate no- )) tissimus, cui adeo eis in facultatibus omnia fue- » runt aperta, vt nihil apud illas sibi ignotum fuisse » referatur; Et quod mirabile dictu, visuquè admi- )) rabiiius, quicquid de syderibus, §^ coelo loqui, aut i) excogitari potest: id etiam proprijs manibus cum )) instrumentis ad hoc confectis, singulis id spectare )) nolentibus demonstrasse; multa sui diuini ingenij )> monumenta reliquit.Quae §^ si ad notitiam non per- » uenerunt, hoc lamen Epitaphium in sepulchro in- » cisum in aedibusqie sanctae Trinitatis Floren. no- )) biliter constructo satis, superquè declarat. » Qui nnmeros omnes terraequè marisquè profundi )) Per longos traclus dudum sedemquè Tonanlis » Signa poli, soUsquè vias lunaequè reflexus )) Stellarnm cin-sus , ^ fixos aetheiis ignes, )) Et quod Natura potens concesserit astris )) Voluerat ùigenio viuens hoc mannore tectus » Aeternum recubat Paulus geometra sepultun » Fama tenet elarum nomeii, longnmqne tenebit w Ac ciuem sumpsisse suum laetatur Olympus. » VgoJiiius pariler eiusdem meminit cum scribit » Pauins, ^ Astrouomus, Paulus Geometer, ^ idem » PhilosophuSy nouilquè omnes doctissimas artes. Ponte Pittore Fiorentino, yàrniolaiione (5). — Le vite de^più eccellenti pittori, scultori e architetti, di Giorgio frasari, pubblicate per cura di una Società di Amatori delle Jrti belle. Firenze, Felice Le Mou- nier, 1846—1853,9 volumi, in 4° piccolo, voi. Il, pag. t4S). (1) Calalogus Scriptorum Florcnlinorum omnis generis, pag. 139 e 140: J63 Quindi è certo che il sepolcro di Paolo Daiio- mari si vedeva ancora nella Chiesa di S. Trinità in Firenze nel 1589, giacché l'edizione del Calalogus scriptorum Florentinorum del P. Poccianti nella quale trovasi il passo di quest'opera riportato di sopra (1), ha la data dell'anno M. D. LXXXIX. Lo scrittore chiamato Vgolhìm nel soprarrecato passo del Calalogus scriploruìn Florenlinomm del P. Poccianti (2) è Ugolino Vieri detto il Verino Fiorenti- no, autore di un poema intitolatoDe illnstralione Urbis Florenliae Libri tres , giacche nel secondo libro di questo poema si legge (3) : (1) Pa^j. i62, lin. 1—27. (2) Vedi sopra, pag. 162, liti. 25. (3) FgoUni Ferini Poetae Fiorentini, de illuslrntione vrbis Fio- rentiae , libri tres. Nunc primum in lucent edili e.r bibliollicca Germani Audeberli AureUj ■ cuius labore atque induslria mul- tae lacunae , quae eranl in manuscripto, repletae ; ac multi loci partim corrupti, partim vetustate cxesi, restituii, & restaurati sunt. Lutetiae , Apud Mamerlum Patissonium Typographum He- gium. in officina Roberti Stephani. M. D. LXXXIII, in foglio , caria 14, verso. — fgolini Ferini Poetae Fiorentini, De lllustra- tione Frbia Florenliae. Libri tres. Serenissimae principi Fictoriae Feltriae Mag. Etruriac Duci. Secunda editio magis aucta, & casti- gata. Cum privikgiis Summ. Pont. frb. FUI. et Seren. Ferd. II. Atag. Etruriae Bucis. Florentiae, Ex Typographia Landinea MDC- XXXFI. Siiperiorum permissu, in 4", pag. 39. — Carmina illuslrium Poetarum Italorum. Florenliae 1719-1724. Typis Jiegiae Celsitu- dinis,apud Ioannem Caietanum Tartinium, & Sanclem Francliium, Cum approbalione, 10 tomi, in 8°, l.X, pag. 348. — D"l/90/«no Ferino, poeta celeberrimo Fiorentino libri tre in versi originali latini de illuslralione Urbis Florenliae con la versione Toscana a confronto del Poema in Metro Eroico. Terza Edizione. Arricchita di Perpe- tue Annotazioni Storielle ed Analoghe al òoggello. Parigi ( Siena } MDCCLXXXX, 2 tomi, in 4", 1. 1, pag. 110. 164 Clarus 1^ astronomus Guido de stirpe Bonalli. Paidus ^ astronomus; Paulus geometer, ^ idem Philosophus; nouitque omnes doctissimm artes. Q)uesti versi sono stati tradotti nel modo se- guente (1): » Fu Guido dei Bonatti nella scienza )) Degli Astri insigne: e Paolo del pari : )) Ed altro Paol nella Geometria » Prode ; non men Filosofo, e Scienziato. Il soprammentovato Ugolino Vieri detto il Ve- rino , nacque in Firenze nel 1438 (2) , e mori (1) Di Ugolino Ferino, poeta celeberrimo Fiorentino, libri tre^ t. I, pag. 113. (2) Il Sig. Proposto Marco Lastri nel suo Elogio di Fgolino Fieri, detto il Ferino {Serie di ritratti d'uomirti illustri Toscani con gli Elogi istorici dei medesimi consacrata a Sua Altezza Reale il Serenis- simo Pietro Leopoldo Principe Reale d' Ungheria e di Boemia, Ar- ciduca d' Austria, Gran — Buca di Toscana he. &c. &c. Firenze 1760 — 1773. Appresso Giuseppe Allegrini con approvazione, 4 volumi , in loglio massimo, voi. IV, pag. 99 — 101 non numerate. — Elogj degli uomini illustri Toscani. In Lucca, 1771 — 177-i, 4 tomi , in 8°, t. Ili, pag. LXXX LXXXVl della seconda numerazione.— VE- truria Dotta, ossia raccolta d'elogj di Toscani illustri nelle belle lettere, e nelle scienze. Firenze, 1783 — 1786. Nella Stamp. di Pie- tro Allegrini alla Croce Rossa Con Approvazione, sei Deche, in S», Deca FI, pag. 23 — 27) scrive [Serie di ritratti d'uomini illustri To- scani, con gli Elogj storici dei medesimi, voi. IV, pag. 100, non numerata — Elogi d'uomini illustri Toscani, t. Ili, pag. LXXXI). — L^Etiuria Dotta, Deca FI, pag. 24): « Nacque Ugolino, come è già » detto, da Fieri d'Ugolino di Fieri, e dalla Bartolommea di Michele Il di Benedetto Pcscioni l'anno 1438 ». Nell'edizione fatta in Firen- ze dal 1766 al 1773 degli Elogi d' uomini illustri Toscani, e nel- la stampa di questi Elogi fatta in Lucca dal 1771 al 1774, il sud- detto Elogio di Ugolino Fieri, detto il Ferino ha nel fine le iniziali M.L. (Serie di ritratti d'uomini illustri Toscani con gli Elogj istorici dei medesimi, l. IV, pag: 101. — Elogi degli uomini illustri Toscani,t. Ili, pag. LXXXIV). In un Avvertimento di Giuseppe Allegrini editore 105 in età di sottanlolto anni ai 10 di Maggio del 1516 (1). posto in principio della prima edizione di tali Elogj si legge: {Serie di ritratti d'uomini illustri Toscani con gli Elogj istorici dei medesimi voi. I,pag. 19 non numerata) « Per rendere i dovuti ringraziamenti a » quelli, che si sono interessati a favorire la mia impresa, ed insieme » perchè abbia la giusta lode chi per sentimento di gratitudine si è » affaticalo ad illustrare le azioni gloriose, ed i meriti di quei grandi » Uomini, ai (juali la Toscana è debitrice del suo maggior lustro, è « un dovere della mia riconoscenza il far noto, che fra gli Autori » di questi Elogj si è modestamente nascosto sotto le lettere G.P. » il Signor GIUSEPPE PELLI Patrizio Fiorentino, Segretario di S. » A. R. nel Consiglio, e Pratica Segreta per gli Affari di Pistoia, I) e Pontremoli ec; coH'M. L. il Signor Dottor MARCO LASTRl » Piovano della Pieve di S. Gio. Batista, e S. Lorenzo a Signa, di » cui è anche la Prefazione «. Nella seconda Edizione (di Lucca) degli Elogi d'uomini illustri Toscani, si legge {Elogi d'uomini il lustri Toscani, t. II, pag. Ili della prima numerazione): B Spiegazione delle Cifre indicanti i » Nomi dei Signori Estensori dei « presenti Elogj. » M. L. Il Sig. Dottor Marco Lastri Pievano » della Pieve di S. Gio. Balista, e S. )) Lorenzo a Signa. » Una ristampa fatta in Firenze dal 1783 al 1786 di sessanta dei so- praccitati Elogj di uomini illustri Toscani è intitolata L'Etruria dotta (Vedi sopra, pag. 164, lin. 14—24). In questa ristampa il sud- detto Elogio di Ugolini) Fieri, detto il Ferino, è intitolato: Elogio di Ugolino Fieri, detto il Ferino Del Sig. Dott. Marco Lastri Propo- sto di S Giovanni di Firenze {L'Etruria dotta. Deca FI, pag. 23). (1) Il Padre Abbate D. Eugenio Gamurrini Monaco Benedettino Cassinese morto in età di settant'annì ai 2 di Giugno del 1692 {Bi- bliotheca Benedictino — Casinensis sive Scriptorum Casinensis Congre- gationis alias S. Justinae Patavinae Qui in ea ad kaec usque tem- pora {loruerunt Opertim, ac Gcstorum nolitiac. Auctore fieverendis- simo Patrc D. Mariano Armellini Ejusdcm Congregationis S. Petri de Assisio Abbate. Assisa Annis 1731 — 1733, 3 parti, in log. pars prima, pag. 158) nella sua opera intitolata Istoria genealogica delle famiglie nobili Toscane,et Umbre, scrive {Istoria genealogica delle fa- miglie nobili Toscane, et Umbre Descritta dal P.D. Eugenio Gamur- rini Monaco Casinense, Nobile Aretino, Accademico Apatista; Abate, 166 Stefano Rosselli, illusLi'c antiquario fiorentino del secolo decirnosettimo compose un' opera int ito- Consigliero,ii. Elemosiniero Ordinario della Maestà Cristianissima di Lodovico XIf\ he di Francia, e di Navarra; Teologo, e Familiare deW Altezza Serenissima di Cosimo HI. Principe di Toscana . Con- secrala alla medesima Altezza. In Fiorenza , 1668 -1683 , 5 vo- lumi, in log., voi. V, pag. 217. FAMIGLIA DE VIERI 0 VERINI): « Della morie di questo nostro famoso letterato si piglia grati » errore, che seguisse l'anno , che Papa Leone X. venne in Fio- » ren^a ; perchè costa chiaramente , essere venuto in Fiorenza » detto Pontefice il giorno di S. Andrea di Nonembre del 1315. » ritornando a Roma alli 19. di Ft*braro del 1316. in giorno di « Martedì; e questo nostro Vguliao morì alli 10. di Maggio del sud- M detto anno 1516., come bene apparisce al libro de'Morti, che si )> ritroua nell'Offizio della Grascia di questa Città di Fiorenza a » car. 360 , & è descritto come segue con il contrasegno d' vna » mano in margine, dentro la quale vi è scritto POETA Ser Vgoli- » no di Vieri di Vgoli no di Vieri, morì adì 10 di Maggio 13J6.ripo- 15 sto in S. Spirilo. E tutto ciò si dice per conuincere qualche Scrit- » tore al lutto ignoto della Patria, della famiglia, della nascita, e ■» della morte, come ogni leggente vedrà da nostri documenti la » pura e sincera verità ». Nel suddetto Elogio di Ugolino di Pieri, detto il ferino del Sig. Proposto Marco Lastri, si legge {Serie di ri- tratti d'uomini illustri Toscani con gli Elogi istorici dei medesimi, voi. iV, ipag. lOO, f! 101 non numerate. — E log) d'uomini illustri Toscani, t. Ili, pag. LXXXII, e LXXXIIl. — L'Elruria Dotta, De- ca VI, pag 26): « Morì (Ugolino Vieri detto il Verino) a di IO. di » maggio 1516. e fu sepolto io 5. Spirito nella Sepoltura della Fa- 11 miglia ». Quindi è chiaro che errano il P. Negri (/scoria degli Scrittori Fiorentini, la quale abbraccia intorno à due mila Au- tori , che negli uUimi cinque Secoli hanno illustrata co i loro Scritti quella Nazione , in qualunque Materia , ed in qualunque Lingua, e Disciplina ■ Con la distinta nota delle lor' Opere , cosi Manoscritte, che Stampate, e degli Scrittori, che di loro hanno con lode parlato, o fatta menzione ■■ Ofìcra postuma del P. Giulio Negri Ferrarese della Compagnia di Gesù dedicala all' Emincntissimo , e Rever indissimo Principe il Signor Cardinale Tommaso Buffo Vesco- vo di Ferrara, e Legalo a Latere della Città, e Contado di Bolo- gna. In Ferrara, MDCCXXII. Per Bernardino Pomatelli Stampatore Vescovale. Con licenza de' Superiori, in fog.pag.250,col.2) alfermando 167 lata « Sepoltimrio Fiorentino , ovvero Descrizione » delle Chiese, Cappelle, e Sepolture Loro Armi ed )) Iscrizioni della Città di Firenze e Suoi Contornì » Fatta da Stefano Rosselli nell'anno 1657 « (1). In Ugolino Verino essere morto in età di anni 75, ed il Sig. Mlger di- cendo in un suo articolo intorno ad Ugolino Verino inserito nel- la Biographie universelle ancienne et moderne del sig. Michaud {Bio- graphie universelle, ancienne et moderne, ou histoire, par ordre al- phabétiqiie, de la vie pubiique et privée de tous les hommes qui se sont fait remarquer par leurs écrits^ leurs aclions, leurs talents, leurs vertus ou leurs crimes. Ouvrage entièrement neuf, redige par une societé de gens de lettres et de savants. A Paris, chcz Michaud frè- res, imprim. — libraires rue des Bons—Enfants, iV." 34, 18H — 1828, 52 tomi, in 8.°, t. XLI, pag. 2i2, col. 2, articolo VERINO^Ugolin) — Biografia universale antica e moderna , voi. LX, pag. 362, col. 2, articolo VERINO (Ugolino), che Ugolino Verino morì nel 1305 in età di seltantatre anni. (1) Un esemplare manoscritto cartaceo, in foglio, del sopracci- tato Sepoltuario Fiorentino di Stefano Rosselli h ora posseduto dal Sig. Pietro Bigazzi di Firenze. Questo esemplare, scritto sul finire del secolo decimosettimo, è composto di 1284 pagine. Le prime sel- tantadue pagine di questo manoscritto non sono numerate, e le altre sono tutte numerate coi numeri 1 — 1138. Il Sig. Pietro Big.izzi lia acquistato questo manoscritto dagli eredi del Sig. Canonico Domeni- co Moreni. Un altro esemplare del medesimo Sepoltuario Fiorentino trovasi nella Biblioteca Magliabechiana di Firenze, diviso in tre tomi, il primo de' quali, contrassegnato Classe XXFl.n° 22, contiene 614 carte numerate nel recto co'numeri 1 — 614, il secondo contrasse- gnato Classe XXFl. n.° 23 contiene 265 carte numerate tutte nel recto coi numeri 617 — 982, ed il terzo contrassegnato Classe XXFL n° 2\. contiene 332 carte, delle quali le prime 322 sono numerate nel recto coi numeri 983. — 1441 , e le altre non sono numerate. Il Sig. Canonico Domenico Moreni cita questo esemplare scrivendo (Bibliografia storico -ragionala della Toscana, t. Il, pag 269): » Rosselli Stefano, Fiorentino. » Sepoltuario Fiorentino. MS. „ E assai famoso in Firenie, ove ne sono jiiù copie. Irà le quali una neiU „ Magiialirchìana alla Clis. XXfl. Codd. 23. e a4. in togl. „ 168 questa opera si legge (1): « E uerisimilm.'" che nella )) vecchia Chiesa (essendo situata nella più hella parte » della Città, e nel mezzo agli Abituri di molte nobili, » e ricche famiglie) fossero molte memorie; le quali, » come segue, nella rinnouazione di quella douessero )) perire. Come conuiene che sia modernam/ seguito » del Sepolcro di Paolo Geometra Eccellentissimo, che, » secondo fra Michele Poccianti Seruita nel Trat- » tato, che scrisse delle Chiese di Firenze era se- » pollo in questa Chiesa in un Sepolcro di Mar- » mo, del quale al presente non si uede alcun ue- )) stigio, si come è ancora seguito di molt' altre an- » tiche Memorie, che erano in questa Chiesa, le qua- » li per essersi estinte le Famiglie, che n'erano Pa- » drone hanno ceduto, o all' auarizia de Monaci , » 0 all'ambizione de moderni. Io anderò descriuendo » con la maggior breuità, e chiarezza possibile quel- )) le che nel corrente Anno 1655 ci restano, se- » condo l'ordine, che da me fin qui nella descrizione » dell'altre Chiese è stato tenuto , cioè prima le » Cappelle, ed Altari, e doppo le Sepolture, ed altre )) Memorie, che ui saranno ». Quindi è certo che fra il 1589, ed il 1655 il Monumento di Paolo Da- gomari ch'era nella Chiesa di S. Trinità in Firenze deve essere stato distrutto o nascosto. Giovanni Cinelli Calvoli, nato in Firenze ai 26 di Febbraio del 1625 (2), e morto ai 18 di Aprile (1) Esemplare manoscriUo posseduto dal Sijj. Pietro Bigazzi del Sepolluario Fiorentino di Stefano Rosselli, pag. 6o9 e 660. — Co- dice Magliabechiano Classe XXn, n.° 23, carta 859, verso, e 860, recto. (2) Nella vita di Giovanni Cinelli Calvoli , scritta da Dionigi Andrea Sancassani, e premessa alla Biblioteca Folante del medesimo 169 del 1706 (1), nella sua opera intitolata La Toscana Letterata, dopo aver riportata l'iscrizione sepolcrale di Paolo Dagomari riportata dal P. Poccianti, sog- giunge (2) : « Ho registrato qui TEpitaffio del suo )) sepolcro citato dal Poccianti, per ch'auendone fatta » diligenza più che grande, non solo non l'ho sa- » puto trouare, ma né anche auer notizia o barlu- » me che ui sia stato: forse per la restaurazione della » Chiesa perito, o da gli eredi trascurato; Essendo )) bene spesso adusato da persone indiscrete con » diligenza asinina levar via l'armi, ed i Pitaffi con » danno grandissimo e dell' antichità , e delle fa- )) miglio, che l'une, e gli altri vi collocarono ». Il Codice della Biblioteca Magliabechiana di Fi- Cinelli nella edizione seconda di questa Biblioteca si legge: «INacque » dunque GIOVANNI in Firenze li 26. di Felibrajo deil"Anno 1625. » di Ser Domenico di GIO. ClNFLLi , e di Francesca di Antonio » Lazzeri ambi onestissimi Cittadini, e di onorevoli parentadi. [La Biblioteca Volante di Gio. Cinelli Calvoli, continuala dal Dnttor Dionigi Andrea Sancassani, edizione seconda, in miglior forma ri- dotta, e di varie Aggiunte, ed Osservazioni arricchita. In Venezia, 1734 — 1747. Presso Giambattista Albrizzi q. Girolamo, 4 tomi, in 4°, t. I, pag. ciii ) (1) Nella sopraccitata vita di Giovanni Cinelli Calvoli, scritta da Dionigi Andrea Sancassani si leggo : « 11 l'atto sincero si t" clie » in Loreto di non lungo male, ma grave assai se ne morì { Gio- » vanni Cinelli Calvoli) li li. di Aprile del 1706. munito di tutti » i santi Sagramenti della Chiesa in età di otlantun'anno » ( Ci- nelli— Calvoli, l^a Biblioteca volante, edizione seconda, t. 1 , pag. CXXXV). (2) La Toscana letterata, o vero storia degli Scrittori Fiorentini e Toscani di Giovanni Cinelli Calvoli Patrizio Fiorentino, Forlive- se e Lucchese, Accademico Gelalo, Dissonante, Concorde, Incitato , et Intronato, Parte prima, volume secondo (Manoscritto della Biblio- teca Corsiniana di Roma, contrassegnalo Scanzia 31. Manoscritti , Lettera D) carta 33 1, recto, articolo Paolo Geometra. 170 renze contrassegnato Classe XXXVII. n." 348 ha noi redo della prima carta il titolo seguente: « Notizie » Istoriche di Varie Chiese di Firenze raccolte da )) Ferdinando Leopoldo del Migliore originali di sua )) mano delle quali si è servito il Padre Giuseppe )) Richa per r Istoria delle Chiese di Firenze da esso » fatta. Tomo Terzo ». In questo Tomo Terzo sotto « S. Trinità » a carte 177, verso, si legge: « Nella Cappella derVsimbardi era in arca di )) Marmo al muro, il corpo di quel Paol Geometra, » così dotto nelle Misure dell'Arimetica (sic) et Astro- » logia che di lui uolò la fama per tutto il Mondo, a )) dispetto degl'ingnoranti, a quali poco inportò re- )) staurandosi la Cappella, che uilmente fusse nasco- )) sta la sua Memoria nel fondo d' una cantina di » queir Conuento, doue si troua con queste lettere ». » » )) {!) Paolo Dagomari per la sua somma perizia nell' aritmetica e nella geometria, fu comunemente chia- mato Paolo deir Abbaco e Paolo Geometra. Il Conte Giammaria Mazzuc belli ciò avverte scrìvendo (2) : « ABBACO (Paolo dell') Fiorentino, insigne Geome- )) tra, Astronomo, e Poeta Volgare fioriva nel 1350. » Scrive Filippo Villani [Vite di uomini illustr. Fio' )) rent., pag. 77), ch'egli nacque nella Terra di Pra- ti) Queste tre linee gister Paulus olini Ser Pieri populi S. Fridiani de » Floi'cntia, qui vulgariter nomine nominatili' Mae- )) stro Paolo dell'Abbaco, Arismeticae, Geometriae, » ac Astrologiae, seu Astronomiae Magister proba- » tissimus fecit w. » (a) Istoria de' Fiorentini scrittori, pag. l44, e poi pag. 146. » (&) Maiini de Florentinis inventis al cap. XXVIII, pag. 62. » (e) Le vite di uomini illustri Fiorentini scritte da Filippo FU- n lani colle annotazioni del Conte Gio. Maria Mazzuchelli acca- « demico della Crusca. Venezia, 1747. ■,-, L'Abate Lorenzo Mehus nella sua Vita Ambrosii Traversarii Generalis Camakbilensmm, scrive (1) : « Pauli autem Dagomarii nomen inter Astrologos , )) Geometras, atque Arithmeticos maxime pervul- » gatum est. Summum enim earum facultatum gra- )) duin tenebat Dagomarius. Quo factum fuit, ut a » Philippo ^ Villano insignis Astrologiis, Geometra, i^ » Arithmcticiis diceretur. Hunc manu-scripti nunc )) Paulum Genmetrnm , nunc Paulum Astrologuni , )) nunc Paulum Aritlimelicum vulgo delV Abbaco ad- » pellant ». « (5) De Paulo insigni Astrologo, Geometra, & Arithmetico. ■>■> Nel testo latino della vita di Paolo Dagomari scritta da Filippo Villani, che di sopra (2) si è detto trovarsi manoscritto nel Codice dell'L e R. Biblio- teca Mcdicco-Laurcnziana di Firenze contrassegnato Pluteus LXXXIX. Infer. Cod. XXIIl. si legge"^ (3): (1) Ambrosii 7 raversarii generalis Camaldulensium aliorumque ad ipsuni, et ad alios de eodcm Ambrosio latinae Epistolae, t. I , p.ig. CXCIV. |2) Pag. 151, lin. 1.4. (3) Codice dell'), r R. Bibliolec.'» Mediceo-Laiirenziana di Firen- ze conliassegiialo Pluteus LXXXIX. Infer. Cod. xXIII, carta 07, 173 Astronomiam profexus est Paidus est ex terra Prati oriimdus, stirpe nohilium de dagomaribics, tantunque in ea proffecit scientia,vl nemo ad iamdiu dociior habe- relur. Hic geometria maximus et arismetice peritissi- miis fuit, et ea propter in adequacionibiis antiquos et modernos celeros antecessit. Et si in iudiciis eque va- luisset sine diibio antiquorum omnium fumosa studia su- perasset, per instrumenta siguidem, que certis locis de- fixa locauerat ut inde prospiciens considerar et, et octaue spere motum acutius metiretur motusque siderum, que artem ignorantibus fixe arbitrantur, eo quod eorum lat- tens tarditas inperpessibilis sine diutumitate temporis est. Cum annis centum gradum vnum in primo mobìli cantra signi forum celum m,otu contrario operante, con- fidante que a doctrinis antiquorum phmmum discrepa- bant, et proinde pleraque in orbe, que' magnos gigne- bant errores correxit. Is enim motns qui commenssurac- ciones tradissimam apud antiquos in censsibile videba- tur, eo prescrlim docente, censsibilis factus es, eo ferme contuitu, quo longissimo temporis interuallo cadentem perpendimus gutam lapidem durissimum per follar e , uel per aluuionem lattenti incremento agrum crescere. Hinc obseruator diligeniissimus siderum et motus celi tolletanas tabulas ostendit modernis temporibus bre- ui aut nullius esse ìnomenli,ipsasquc rcgis alphonsi mon- strauit uarietale sensibili in aliquo uariare, ex quo ostensum est instrumentum astrai abii semi [sic] tolleta- nas tabulas menssuralam, qua frcquanter{sic)vtimur ab verso — Philippi FiUani, liber de Civilatis Floreniiae famosis civi- bus ex codice Mediceo- Laurentiano nunc primum editus, pag. 33 della seconda numerazione di pagine. 174 astronomie regulis declinare, alque astrologos decipi, qui deiiide artis mutauerinl argumenta (1) . Questo passo di Filippo Villani ci mostra che Paolo Da- gomai'i, illustre aritmetico e geometra , fu anche valente astronomo. Nel recto della prima carta del Codice Barbe- riniano n° 898 si legge : Dni Filippi Villani Solitarij De origiìie Ciuita- tis florentie^ et de eiusdem faniosis Ciuibus ad illu- slrem Dominum filippum de aleconio Episcopiim ho- sliensem, Romane ecclesie Cardinalem liber primus feliciter Incipit. Nel rovescio della carta 4-9 del suddetto Codice Barberiniano n.°898 si legge : Philippi Villanj Solitarij De origine Ciidtatis flo- rentie , et de eiusdem famosis Citiibus ad illustrem dominum PhiUppum de Alenconio episcopum ostien- sem , Romane ecclesie cardinalem, liber primus /e- liciter explicit, et secundtis de illustribus florentinis fe- liciter incipit Proemiiim. 11 Cardinale Filippo d'Alen^;on , menzionato in questi due passi del suddetto Codice Barberiniano n." 898, era vescovo d'Ostia fino dal 1387 (2)^, e (1) Il testo latino della suddetta Vita di Paolo Dajomari scritta da Filippo Villani che ho detto di sopra (pag. 131, Un. 10 — 12) trovarsi manoscritto nel Codice n." 898 dfila Biblioteca Barberina di Roma, sarà riportato intieramente in un Appendice a questo scritto. (2) Il Cavaliere Abate Girolamo Tiraboschi scrive ( Storia deUa letteratura italiana, seconda edizione modenese, t. V, parte li, pag. 421, nota (a), libro II, capo II, paragr. XVI, edizione di Milano de' Classici Italiani, t. V, pag. 613, nota (a), libro 11, cap. II, paragra- fo XVI ). « Il Card. Filippo d'Alenoon dovea essere vescovo di 0- 175 inori ai 15 d'agosto del 1397 (1). Quindi è da cre- dere che il testo latino della vita dì Paolo Dago- M stia tìn dal 1387, come ci mostra un Breve «li Urbano VI , del « decimo anno del suo Pontificalo pubblicato dal P. de Rubeis » (MonUni. Eccl- Aquilcjens., col. 979. 9 -lO.) ». la l'atti il Padre Giovanni Francesco Bernardo Maria De Rubei;» Domenicano^ nel- la sua opera intitolata Monumenta Ecclesiae Aquilejensis commen- tario historico — chronologico — critico illustrata, riporta un Breve di Urbano VI, {Monumenta Ecclesiae Jquilejensis commentario hi- storico— chronologico - critico , illuslrata cum appendice. In qua vetusta Aquilejensium Piilriarcharum , rerumque Forojuliensium Chronica, Emendatiora quaedam, alia nunc primum, in lucem pro- deunt, auctore F. Jo- Fran. Bernardo Maria de Rubeis Ordinis Frac dicatorum. Argentinae, ciò rjcc xl^ in fog., col. 978, C — 980, D, caput CU, paragr. 11). Questo Breve ha la data seguente (De Ru- beis, Monumenta Ecclesiae Aquilejensis, col. 980, D) : JDat. Perusii F.Kal. Becembris Pontificatus nostri anno decimo, cioè: « dato in Pe- rugia ai 27 ili novembre del 1387 ». In questo Breve si legge (De Ru- beis, Monumenta Ecclesiae Aqutlcjensis , col. 979, C) : IVos Fen. Fratrem nostrum Philippum Ostiensem, tunc Sabinensem Episcopum, ejusdem Ecclesiae Administratorem in spirituallbus et tcmporalibus usque ad beneplacitum nostrum auctoritate Apostolica duximus deputandum. (1) L'Abate Don Pietro Moretti , Canonico della Basilica di S. Maria in Trastevere, nella sua opera intitolata Notitia Cardinalium Titularium insignis Bdsilicae S. Mariae Trans Tyberim , parlando del suddetto Cardinale Filippo d'Alengon, dice [Notitia Cardinalium Titularium imignis Basilicae S. Mariae Trans Tyberim a Petra Mo- retto ejusdem Canonico ex impressis, et mss. monumentis collecta. tìo- mae, MDCCLlI. Ex Typograpliia Antonii Fulgonii apud S. Eusla- chinm Praesidum facultate, in log., pag. 14, col. 2, e pag. 15, col. 1, paragrafo XXXV): Tcmpus obitus, quem magna opinin sanctitatis defuncti est consecuta, dies fuit lo. non 16. Augusti, quod legitur in Additionibus Ciacconianis, armi 1397. «ojj 1402. rd 1403. sicuti nonnulH placuit. Quandoquidem diem , annumquc illum perquam diserte testatur genuina lectio epitaphii varia ex diclis annotan- tis , proptereaque infra ilerum dcscribcndi. Più oltre il Cano- nico Moretti nella sua opera sopraccitata scrive (Notilia Cardina- lium Tilularium insignis Basilicae S. Mariae Trans Tyberim a 176 mari, che di sopra (1) ho detto trovarsi manoscritto nel suddetto Codice Barberiniano n." 898 sia stato composto da Filippo Villani non più tardi del giorno 15 d'Agosto del 1397. {Continua.) Pelro Moretto ejusdem Canonico ex impressis et mss. monumentis coUecta, pag. 15, col. i, 2, paragrafo XXXV): Jccipe nunc memoratum epitaphium. FRANCORUM GENITVS REGVM DE STIRPE PHILIPPUS ALENCONIADES HOSTIAE TITULATUS AB URBE E ce LE SI A E CARDO TANTA VIRTUTE RELVXIT UT SUA SUPPLICIBUS CVMULENTUR MARMORA VOTIS ANNO MILLE NO CVM C QUATER AB DE SED I TER OCCUBUIT QUA LUCE DEI PIA FIRGOQUE MATER . Nella crociera della Basilica di S. Maria in Trastevere, a cornu Evangeliì dell' altare dei Santi Filippo e Giacomo vedesi sul muro un monumento sepolcrale eretto alT anzidetto cardi- nale Filippo d' Alen^on. L' iscrizione della quale parla il Ca- nonico Don Pietro Moretti ne'due passi soprarrecati delia sua ope- ra suddetta trovasi scolpita in marmo sulla parte inferiore di que- sto monumento nel modo seguente : 0*2^ . GENITVS . REGV . DE . STIBPE . PHILIPPVS | ALENCONIADES . HOSTIE . TITVLATYS . AB . ' SIE . CARDO . TANTA . VIRTVTE . RELVXIT • VT . SVA . SVPPLICIBVS . CVMVLENT . MABMORA . V( . MILLENO . CVM . C . QVATER . ABDE . SED . I . TER ; OCCVBVIT.QVA.LVCE.DEI.PIA . VIRGOQj . M (1) Pag. 151, lin. 10—12. 177 Cronaca de fatti d'Italia, di Nicolò della Tuccia. {Continuazione) A, incora in quel tempo la parte guelfa di Monte- leone entrò per forza e tradimento col braccio degli spoletini in Monteleone appresso a Lionessa, e ta- gliorno a pezzi un certo Nicolò principal ghibellino, e pigliorno il poggio di Monteleone. Per lo che la parte ghibellina fuggita via, adunò assai ghibellini dell'Aquila e di Norcia, et entrati in Monteleone pi- gliorno il borgo, e dei principali guelfi che uccisero detto Nicolò, e così legati li ferno sparare dinanzi con un cortello dal figlio di detto Nicolò di anni X, e misero a saccomanno tutte le case guelfe e ghi- belline, salvo tre de'ghibellini principali. Il conte di Montorio capitano degli aquilani ritornò all'Aquila, norcini a Norcia. Ancora in quel tempo fu messo a sacco Venosa dalle genti del re Ferrante, perchè li mess. cittadini misero dentro Orso capitano del iprin- cipe di Taranto, che allora faceva guerra col detto re, e il principe perde da 500 cavalli. Ancora a Viterbo fumo messe a saccomanno molte case de' forestieri Dell'uscir d'agosto. A mezzo settembre fu preso Castell' Araldo da quelli di Canino, e scarcaronlo tutto, e fu trovato nella rocca cinque fucine, dove si facevano bolli falsi a petitione di Corrado d' Alviano, o di Colino suo padre. G.A.T.CXXXll. 12 178 Di settembre 22 galere de' genovesi, e 18 navi del re Ranieri di Provenza, si mossero per andare contro il re di Napoli , e capitorno a Livorno del conte Averso dell'Anguillara, e detto conte comandò a tutte le terre sue, che dovessero fare una soma di biscotto per casa , e darlo a detta armata che stava a Livorno, cioè a Porto Pisano, sin all'entrata d'ottobre. Detto conte aspettava per fornirla di bi- scotti per esser lui in lega coi detti franciosi. In questo mezzo venner novelle come a Genova fu fatta gian battaglia tra franciosi e genovesi A- dorni, et altre particolarità de' gentil' huomini. Gli Adorni facevano col braccio del duca di Milano; e fu fatto un tradimento doppio. Fu morto Nic. Pic- cino dall'Adorni che era stato duce, e morte circa 600 persone, e pigliato il figlio di M. liberto Bran- dolini capitano del duca di Milano, e li franciosi ot- tennero vittoria. Yenne ancor novella come il marchese di Co- trone, che si teneva col re Ranieri di Piacenza, et andava in persona al soccoreo del prencipe di Ta- ranto suo consorto, fu pigliato dalle galere del re Ferrante, e menato prigione a detto re. Dicevasi gli havesse fatto tagliare la testa, ma non si accertò. In quelli dì l'armata del re Ranieri passò presso Civitavecchia, che andava a Napoli; et erano 19 ga- lere armate, una fusta, e dui brigantini, tra' quali si diceva fossero due galere de' catalani, due del re di Francia, due de' boscaini, e 1' altre de' genovesi. Detta armata era amica del conte Averso che ha- veva fatta lega col re di Francia, perchè detto re gli haveva promesso far Diofebo suo figlio conte di Ta- gliacozzo. Così si diceva in Viterbo. 179 li conte Averso trovò un trattato fatto contro lui in Carbognano, e fenne pigliare una brigata, et im- piccarne sette tra Ronciglione e Vico ; cinque di Carbognano e dui di Caprarola. Detto conte cercò torre l'Anguillara a suo nepote figlio del conte Dolce suo fratello. Detto nepote ne fu avvisato, e fc im- piccar quelli del trattato, che erano dcirAnguillara, e lui poi s'accordò con Napolione Orsino, e fece lega con li nemici di detto conte suo ziano per quel di- spetto. Dipoi detto conte cercò pigliar per trattato il castello di Ceri , che era di Felice: e venutoli a notitia , fé pigliar uno di Ceri che faceva il tradi- mento, e fello impiccare. Alli 6 di novembre arrivò novella certa al conte Averso come Scagno suo figlio bastardo, che era al soldo del prencipe di Taranto nel reame di Napoli, fu ammazzato da un verrettone. Nel medesimo tempo il conte lacovo Piccinino, che stava in Romagna, pigliò soldo dal re di Fran- cia contro il re di Napoli, e ricevè 500mila ducati d'oro per la prima paga. L'armata antedetta andava attorno per le marine di Napoli, e non trovava terra che gli volesse dare l'entrata; et il re di Napoli s'era assai provisto a sua difesa in ogni luogo, e come ho detto teneva prigione il marchese di Cotronc, haven- doli tolto tutte le sue terre. 11 prencipe di Taranto stava in campo con tutte le sue genti, e non haveva bandita e rotta guerra col detto re di Napoli. Il duca di Mihìno mandò il signor Giovanni da Tolentino con 800 cavalli alla città di Castello che era del papa, et accostossi colle genti della chiesa per difendersi contro il conte lacovo Piccinino se bisognasse. 180 Anco yenne nuova a Viterbo come Tarmata de' franciosi era capitata a Torre a mare , et haveva ricetto del duca di Sessa. E così detto duca ruppe guerra contro il re Ferrante. Per lo che detto re si partì di Calabria , et andò a Napoli, e ripo- sossi alla Torre del Grego; e tuttavia soldava gente, e mandavala contro franciosi e '1 duca di Sessa. Di no- vembre detta armata mise in terra il figlio del re Ranieri, che era duca di Calabria senza ducato, et era duca di Genova, e smontò nella terra del duca di Sessa con 1500 persone, e Tarmata tornò a Ge- nova molto mal in ordine, e con poco guadagno. Nel detto mese s' intese in Viterbo, come papa Pio haveva condotto le potenze di cristianità contro il turco , le quali havevano offerto al papa GOmila cavalli, e 30 galere armate per andare in Ongaria, et erano fornite di tutto punto per andare contro il turco anno domini 1460. La città dell' Aquila si ribellò da don Ferrante re di Napoli , e dirizzò le bandiere del re Ranieri in domenica 6 di gennaro. II prencipe di Taranto si scoperse parimente ne- mico a detto re Ferrante, che haveva per moglie la figlia di detto prencipe. Assai signori pure si ribel- lorno, e ferno lega col re Ranieri, ftra' quali ci fu il conte Antonio Galdoro. Diofebo figlio del conte A- verso, et Antonello da Forlì con le lor genti andorno all'Aquila per servizio del re Ranieri. Napolione Orsino et il cavaliere suo fratello con le genti loro pigliorno il contado d'Alui, e gran parte delle terre del conte di Manieri , e del contado di Tagliacozzo, et erano in favore del re Ferrante. Si- milmente le genti di detto re racquistorno la Cala- 181 bria, quale s'era data al re Ranieri. Il detto re te- neva quattro campi nel reame, cioè uno in Calabria, l'altro al confine di Puglia, l'altro al confine di Ta- ranto, e l'altro contro al duca di Sessa; e faceva bat- ter moneta e ducati buon tempo. Il prencipe di Salerno di casa Colonna, fratello del cardinale, con tutti li suoi aderenti si ribellò a detto re Ferrante, e mosseli guerra a dosso. A 22 di gennaro papa Pio partì da Mantova per venire a Roma. Entrò in Siena li 30 detto, e qui in Viterbo ne fu fatta grande allegrezza. Si disse come il conte lacovo Piccinino haveva alzato le bandiere del re Ranieri, et il duca di Ca- labria figlio di questo re era gionto in Puglia , et accostatosi col prencipe di Taranto. Similmente Na- polione Orsino faceva guerra nelle terre de' Colon- nesi, danneggiandoli assai. All'entrata di marzo venne nuova a Viterbo come il conte lacovo Piccinino con il signor Gismondo da Rimini mandorno li loro carriaggi per mare verso Puglia, et essi con 36 squadre di cavallo passorno per la Marca, et entrorno in Abruzzo contro il re Ferrante: e detto signor Gismondo tornò a Rimini, e le genti del duca di Milano andorno ne' confini d'Abruzzo. In quel tempo papa Pio pigliò a suo soldo Si- monetto da Castel di Piero con 500 cavalli , e fé commissario sopra tutte le genti di chiesa M. Bar- tolomeo Favarelli arcivescovo di Ravenna. Si levò fra quei tempi in Roma una gran bri- gata di giovani di cattiva conditione, e ferno setta per dui romani che havevano briga insieme, cioè M. Tannileo che stava nella Regola, et un certo M. Paolo 182 che habilJiva tra Campo di Fioro e piazza giud'iar e fumo tra una parte e l'altra circa 500. Facevano assai ribalderie di furare femine, uccidere huomini, e robare , per modo che il senatore né altro offi- ciale potevano tener ragione né far giustizia, e sotto mantello erano favoreggiati da molti cittadini roma- ni. Il papa mandò il capitano della chiesa con molte genti d' arme a Roma, e non potevano per niente l'officiali con tutte le genti d'arme ottenere che detti romani del tumulto volessero obbedire all'officiali del papa. Onde la plebe si ferno forti nella piazza di s. Maria Rotonda, e sbarrati et in guardia si stava- no, havendo da maniriare e da bere dai romani, chi per volontà e chi per forza; e così Roma viveva in tali tenebre e romori. Il card, camerlengo era in Roma e non poteva riparai-e. In quel tempo Simonetto passò per Viterbo con le genti sue, tra* quali era Paiamone della Gatta. Pas- sorno in campagna, e radunavansi con le genti della chiesa, ov'era Giovanni Malavolta, e ferno ftitto d'arme col prencipe di Rossano che era col re Ranieri, e fu pigliato Giovanni Malavolta, e menato prigione: fucci morto un tìglio di Pandolfo Savelli. Di quella zuflFa fu vincente la gente della chiesa , tm quale era il cavaliero fratel di Napolione Orsino, eh* era valen- tissimo di sua pei*sona, et era fatto conte di Ta- gliacozzo lui et il fratello. Li giovani disviati e contumaci della città di Roma sopramenzionati hebbero remissione dal papa, e posorno l'armi loro, e li dui romani nemici ferno tregua insieme, e sotto quella tregua un nepote di M. Paolo a tradimento ferì et uccise M. Tannileo. Dissesi fu M. Luca de Tozzi lo fé fare. 183 In quo' tcm[»i passorno per le rnaiine di Coinè- (o 22 galere de' franciosi e due fuste. Cionti a Na- poli smontorno in tena, et adunaronsi colle genti del prencipe di Taranto, e del figlio del re Ranieri: ad un luogo chiamato l'Amaiidoleta ferno fatto d'arme con le genti della chiesa, e del re Ferrante, e li fran- ciosi fumo rotti. Il tìglio del re Ranieri et il prin- cipe di Taranto si ricovrorno in un castello presso la terra, e li fumo assediati; e durando detto asse- dio l'armata de' franciosi si tirò nella Marca presso a Napoli. Il detto pi'encìpe et il figlio del re Ranieri as- sediati, come ho detto, ordinoino un trattato dop- pio, che una terra detta Sergno si dovesse dare al re Ferrante; e così lassorno entrar dentro circa 5000 huomini. Poi serrorno le porte, e tutti l'uccisero, che pochi ne camporno. Dall' altra parte di fuori assai torno le genti del campo, e per ordine fu fiuto un fatto grande d'arme, di modo che le genti del re Ferrante hcbber la peggio , e fumo quasi rotti affatto, e pigliati assai signori principali del reame, che erano col detto re, il quale fuggì col cavaliere Orsino , e pigliorno circa 2000 cavalli , e ci morì Simonetto da Castel di Piero che stava al soldo del papa. In quel tempo venner novelle come veneziani rupper guerra contro il turco, e mandorno Pierbru- noro alla guardia di Negroponte. Il gran turco li mandò gran gente addosso, e condusscrsi a far fatto d'arme insieme. In fine detto Pierbrunoro ruppe li turchi, e n'uccise circa 12 mila, e pigliò 18 signori principali di Turchia, quali volevano pagare 150 mila 184 doble per esser liberati. Pierbrunoro non fu contento lassarli, che prima non havesse licentia dalla signo- ria di Venetia. E così andò a Venetia ove fu rice- vuto con grandissimo trionfo, e fattili gran doni, tra' quali fu un vestito di drappi d'oro che valeva circa 200 ducati d'oro: et esso espose alla signoria sì fatta cosa. Li venetiani mandorno per certi turchi che teneano in Venetia nemici del gran turco, e doman- dorno loro consiglio, e consigliorno che li prigioni non fossero lassati altrimenti per il mighor partito. Pierbrunoro tornò a Negroponte alla guardia e cura sua. In quel tempo il conte lacovo Piccinino con 7m cavalli incirca andò contro Tagliacozzo che era di Napolione Orsino, e tolseli Avellano con molti altri castelli. Alli 28 di settembre passò per il territorio di Viterbo il signor Roberto fratello del duca di Milano con 500 cavalli, et alloggiorno la sera in quello di Fabbrica , e vennero per serviti© del papa , e per abassare la superbia de'romani. Li romani mandorno ambasciatori al papa. Napolione Orsino si ridusse con le genti sue a Tagliacozzo per poterlo meglio difendere, con 600 fanti forestieri, et altri suoi cavalli ; e così li fanti del re Ferrante andavano di male in peggio. Il prencipe di Taranto andò in Puglia per met- tere in pronto 600 huomini d' arme, che havevano mandati li franciosi senza cavalli per mare, e lui donò 7 cavalli et altri loro bisogni fornendoli d'ogni cosa necessaria. 185 In Roma era uno chiamato Tiburtio capo de' cat- tivi. Onde per questo il papa si partì di Viterbo, et andò a Roma. Sabato sera il papa gionse in Ca- napina. La domenica a Formello, et il lunedì a Roma, e scavalcò nel palazzo di s. Pietro. Tuttavia il duca di Milano mandava gente d' arme di Lombardia al servitio del papa, et in favore del re Ferrante. Il conte lacovo Piccinino si ridusse con le sue genti presso all'Aquila. Domenica notte li 12 d'ottobre il conte Averso andò all'Anguillara, che era delli figli del conte Dolce suo fratello carnale, e furtivamente prese detto ca- stello, et entrocci in signoria. In quel tempo il papa, che stava nel palazzo di s. Pietro mandò a chiamare li conservatori di Roma, e loro andorno con 80 cittadini. Presente tutto il collegio de' cardinali fé loro una bella orazione che durò due bore. Infine disse che intendeva romper guerra col duca Giovanni figlio del re Ranieri di Pro- venza , e col conte locovo Piccinino , e col conte Averso e loro aderenti : e difendere il re Ferrante perchè era suo tributario, e per li suoi antecessori havevan lega con lui, et intendeva metterci sino il sangue di dosso. Li romani assai replicorno che non volevano guerra per nessun modo. Onde il papa gli diede termine che dovessero consigliarsi e poi rispon- dere. Così li romani fatto ben consiglio tornorno al papa supplicandolo non volesse romper guerra: per- chè per li sommi pontefici passati, cominciando da papa Martino Y in qua, che già sono 40 anni, loro erano tutti arricchiti. Di più trovavansi tanto bestia- me, che valeva 700 mila ducati, e temevano per- 186 dei'lo: poiché d:il lato del reame havevano il Latio e le genti del duca Giovanni, e dall'altro l'isola, ha- vevano Monticelli con le genti del conte Averso , ov'erano Diofebo et Antonello da Forlì. Dal lato del Patrimonio havevano il conte Averso dell'Anguillara, che tutti questi sariano nemici. 11 papa rispose loro che non dubitassero perchè lui haveva tanta gen- te che potrà dar noia ai nemici , e li nemici non potran dar noia a lui- Infine li romani dissero voler seguire la volontà di sua Santità, et in quei termini rimase. Le genti del conte Averso con tremore usa- vano in terre della chiesa. La strada di Roma per la via di Ronciglione tuttavia s'usava per taliani et ol- tramontani che andavano a Roma (a), e comincia- vasi a rubare secondo i cattivi scontri che si face- vano. Uno delli compagni di Tiburtio romano, chia- mato Bonanno speziale di Parione, era di quelli cattivi che havevan fatti tumulti in Roma. Fu pigliato dall'offiziali presso il Coliseo. Ne fu portata la nova a Tiburtio che stava a Palombara con molti com- pagni. Per questa causa si mosse con 15 compagni, et entrò in Roma segretamente, et andando alla do- gana presso s. Eustachio, pigliò il figlio del doganiere e ferillo e menavalo via. Il romore si levò per Roma, et un commissario del papa chiamato Cristoforo Mal- vicino da Viterbo, che haveva 600 paghe, gli andò dietro con altri offili ali, e giungendoli tra certi can- neti pigliorno detto Tiburtio con 7 compagni, e fumo impiccati a Campidoglio. Era detto Tiburtio sban- dito, che quello lo presentava vivo guadagnava 500 (a) Circa quel tempo cominciò usarsi la nova straJa di Ronci- glione (lismellendosi l'antica di Velralla e Sutri {sic di carattere d«l testo}. 187 ducati, e quello raminazzava 200. In questo modo hebbe il capo de' cattivi. Nel primo di novembre detto M. Cristoforo Mal- vicini entrò senatore di Roma, il quale era stato 4 anni capitanio di Fiorenza per le sue virtù, et era dottore e cavaliero. 11 papa in quel tempo teneva il campo a dosso alle terre di lacovo Savello, cioè al Poggio Nativo, Aspra, e Cantalupo alla montagna della Mosca di Sa- bina. Il detto primo dì il conte Averso fò una caval- cata al borgo di s. Leonardo (a) , che era del co- mendatore di santo Spirito di Roma, e tolse 7 mila pecore, 400 bestie vaccine, e 200 bestie cavalline. Il qual bestiame era di quelli di Tagliacozzo, e menollo a Vetralla. Alli 2 di novembre quelli di Poggio Nativo si dettero alla chiesa con patti salvo le robe e le per- sone. Così le genti del conte lacovo, che erano lì dentro come loro propri uscirno , et il nepote del papa che era capitanio della chiesa entrò dentro il castello, e non voleva che entrassero li sforzeschi. Per lo che disse M. Alessandro Sforza et il conte d'Urbino: Lassateci parlare col capitanio della chie- sa: e sotto quel colore entrorno dentro, e misero a saccomanno detto castello ; e questo fu a cagione, che le genti della chiesa volevano far difesa, onde dettero a dosso a loro, et occisero circa 20, e ru- bornone assai come fossero nemici. (a) Credo tal borgo sìa quello oggi si dice il Borghetto vicino Ponte Felice {sic, di carattere come sopra). 188 Giovedì a di detto Braccio figlio di Malatesta da Peroscia con una coltellata uccise messer Pandolfo Tocco suo cugino carnale nella piazza di Pero- scia, et un figlio di detto Pandolfo, volendo soc- correre il padre fu similmente morto da detto Brac- cio suo ziano. Un altro cittadino trasse a detto ro- more, et un figlio di M. Agamennone Baglioni ade- rente di Braccio occise colui chiamato Piero Crispolti. Questi reggevano Peroscia capi delle parti, che chia- mansi gentilhuomini, e per la divisione tra loro fe- cero tal occisione. In quella sera non fu altra mu- tatione in Peroscia. Nel detto mese di novembre vennero nove in Viterbo mandate dal gran maestro di Rodi come il soldano di Babilonia con 80 fuste all'isola di Cipri era venuto, e per forza la pigliò, salvo dui castelli: dove s' erano ricovrati il re e la regina di Cipri, e detto gran maestro ci mandò due galere a vedere se poteva scampare detto re e regina per menarli salvi a Rodi. Così detta isola andò in mano de' saracini. In detto mese il papa fé pigliare in Roma un frate dell' ordine di s. Domenico che era francioso, et era stato trattatore delle discordie di Roma, et era huomo del duca Giovanni predetto, e fu messo prigione in caste! s. Angelo. Pure nel detto mese il duca Averso andò con le sue genti, et assai maestri di pietre, et altri vas- salli , e pigliò la Tolfa Nova, quale era dishabitata tutta, e subito fé rilevar mura e far fortezze, e por- tocci assai calcina, e pigliolla, e fella guardar per lui; e questo fu per haver la tenuta et il castello qual sì chiama Valle Marina: et in questo modo la tolse al figlio di Francesco Orsino. 189 Nel detto mese le genti della chiesa e quelle del duca di Milano partirno di campo, et andorno alle stanze chi qua, chi là. 11 card. Tiano, che era sopra le genti della chiesa, tornò a Roma. M. Alessandro Sforza andò a Patri. Il sig. Bosio suo fratello andò a Salerno. Il conte Marcantonio venne a Viterbo , posandosi per cagion della vernata. Il conte lacovo Piccinino con sue genti andò a svernare in Abruzzo. Antonello da Forlì a Vetralla, e così le genti che si tenevano col duca. Anno domini 1160 li 17 febraro martedì di car- nesciale il conte Averso con le genti sue fé una correria a Scrofano castello d' Orsini, e detteli bat- taglia, e furonci morti 13 huomini de' suoi e feriti forse 60, e menò seco forse 300 bestie vaccine, et altri bestiami, e tornò a Vetralla. A 10 di marzo Genova fé romore, e gridorno: Viva la libertà: e tolsesi al re di Francia, e rimisero dentro tutti li fuorusciti, e fuggirno assai franciosi, et alcuni entrorno nel castello , e tenevansi per lo re di Francia. Nel detto mese certi fanti, che stavano in Pa- lombara per lacovo Savello, andorno presso a s. Se- bastiano di Roma per pigliar certi prigioni romani che andavano alla Nuntiata , e fumo pigliati XI di quelli fanti , et il secondo dì senz' altro processo fumo impiccati in Campidoglio. Le genti del re Fer- rante cominciorno superar l'inimici , et andorno in Calabria contro il marchese di Cotrona, quale s'in- tendeva con franciosi, e di terra in terra li fuggiva dinanti ; et essi con sollecitudine lo cacciavano , e pigliorno tutta Calabria, e misero a saccomanno Co- 190 senza, un' altra città vicina, et assai ville e castelli di detto paese. Di queste genti il cavalier Orsino e dui altri condottieri erano capitani, e guadagnorno roba infinita. Dell'altro campo del detto re n'era capitanio un signore da s. Severino, e pose l' assedio a Salerno, e tutto il paese sottometteva al re, quale campeg- giava e guerreggiava appresso il duca Giovanni e principe di Taranto, e poco fallì che non pigliasse detto duca per tradimento d'un suo cancelliere. Nell'altro campo del re era M. Antonio de' Pic- coloraini da Siena nepote di papa Pio , e con lui M. Giovanni conte, e facevano guerra al duca di Sessa et al prencipe di Rossano. Detto M. Antonio pigliò per moglie una figlia di detto don Ferrante re di Napoli. Nel paese di Tagliacozzo era Napolione Orsino con con altre genti in favor di detto re. Nel paese di Pa- lombara era il campo della chiesa con gli sforzeschi, cioè M. Alessandro e il sig. Bosio, e Donato ^miglio del conte e capitano di detto duca di Milano, e tol- sero 4 castelli a lacovo Savello. Neil' altro campo della chiesa era M. Federico conte d'Urbino con 2m persone, e tolse al detto lacovo, a petitione del papa. Forano, Cretone castello, Cantalupo et Aspra in quello di Sabina nel mese di giugno. 11 conte lacovo Piccinino era dall'altra parte, et andò a Loreto per andare ad assediar Matteo da Capua et il conte Marcantonio Torello che 1' bave- vano pigliato con poca gente , ove non hebbero la rocca. Per lo che le genti del conte lacovo andorno con 6 mila persone , e posero l'assedio a Loreto. 191 Onde detto Matteo e conte Marcantonio si misero in pronto, e diero addosso a detto campo, e n'uc- cisero 7 huomini, e di loro fbrno morti 5, e per- derno 20 cavalli, e passorno via et andorno a Civita di Penna , poi in quello di Tagliacozzo. Et il sig. Alessandro Sforza si mosse da Palombara, et andò colle sue genti ad unirsi insieme col conte Marcan- tonio che era soldato del duca di Milano, e con Mat- teo da Capua e Napolione Orsino. In quei tempi le genti della chiesa, che stavano in quel di Tagliacozzo sotto il governo del card. Tiano, ferno una correria verso l'Aquila, e pigliorno 500 prigioni da taglia , e grandissima quantità di bestiame tra grosso e minuto. In quei dì venner novelle come il gran turco era stato rotto dai tartari et altri suoi vicini, e fumo morti 150 mila turchi. Ancora 12 galere del re di Francia gionsero a Genova per soccorrere il castello: entrorno nella città, e vi ferno gran battaglia. Infine li franciosi fumo rotti, e morti assai, che pochi ne camporno, e Ge- nova restò libera dai franciosi. Nel detto tempo morì il re di Francia, e fu fatto re il delfino suo figlio, quale diede grandissimo aiuto al duca Giovanni nel reame di Napoli. Per cagione che io non ho fatta mentione di certa novità fatta in Orvieto nel detto anno, la festa del corpus domini, vi dirò bora le cose che ne sono seguite. Gli orvietani essendo stanchi e lassi per le loro divisioni, e tulli disfiitli et impoveriti, si consigliorno insieme volersi reggere senza parUaUlà, e non dar 192 seguito a nullo gentilhuomo, e non ne volevano nullo in Orvieto. Per la qual cosa Gentile della Sala capo de' Mercorini,fè pace con Corrado della Cerbara capo de' Muffati e diegli una sua figlia per moglie. Così tutti li gentilhuomini si restrinsero insieme, et or- dinorno che il dì del corpus domini detto Corrado entrasse in Orvieto con certe genti e levasse romore. Gentile e gli altri erano di fuori per darli soccorso. Così detto Corrado entrò in Orvieto come amico e levò romore. 11 popolo se n'accorse presto, e levossi in arme addosso a detto Corrado per modo che a pena potette montar a cavallo, e fuggì per la porta della rocca: che il castellano gli fu favorevole a cam- parli la vita. Sentendo questo il papa l'hebbe per dispetto grande, et ordinò mandar l'assedio a dosso a Gentile della Sala con genti d'arme a cavallo et a piedi. Gentile diceva che non voleva guerra colla chiesa , né con nulla terra del papa , ma solo con Orvieto, e lui aspettava solo per difendersi. Le dette genti andorno alla Sala con bombarde ed altro da offendere. Gli aquilani si accordorno col papa, e tutto A- bruzzo ; e mandorno loro bestiami nelle maremme del Patrimonio. Il duca di Sora s'accordò col papa, e levossi dalla lega del duca Giovanni. 11 signor Alessandro Sforza andava a dosso al conte lacovo Piccinino, il quale si levò di campo, et accostossi col prencipe di Ta- ranto. E tuttavia le genti del re don Ferrante avan- zavano contro loro nemici col braccio del papa e del duca di Milano. Il papa hebbe Palombara et altre terre de' Savelli. 193 venerdì 27 novembre la notte innanzi fu grandissimo terremoto nella città dell' Aquila,' e durò nove ore per modo che gettò a terra quasi la metà delle case et edifìzi dell'Aquila; e morirno tra grandi e piccoli circa 1 30 persone: e durò detto terremoto moltissimi dì per modo che pochissime case rimasero in piedi; e cascorno le mura della città. Fu anco gran danno ne' castelli vicini. Venuto poi il tempo delle 4 tempora di Natale il papa pubblicò sei cardinali, tre taliani e tre tramon- tani, cioè uno fu messer Bartolomeo Tavarelli arcive- scovo di Ravenna, l'altro messer lacovo da Lucca ve- scovo di Pavia, l'altro il figliolo del marchese di Man- tova: l'altro era todesco, e due franciosi. Venuto maggio il papa partì da Roma , e con tutta la corte entrò in Viterbo, e stetteci circa un mese e mezzo, poi partì perchè cominciò la morìa, et andò a Corsignano in quello di Siena, e fella città nominandola Pienza, perchè era stata sua patria. Il re di Francia s'accordò col papa , e rendelli certe entrate che prima haveva tolte alla chiesa. 11 detto fece pace e unione col re di Ragona, e pre- stolli 100 mila ducati e tutte le genti sue per acqui- star Barcellona , che s' era ribellata a detto re di Ragona. Barcellona s'accordò presto , e detto re di Francia prestò tanti denari al re Ranieri , che li cavò tutta la Provenza dalle mani, e delli certe sue terre nelle montagne di Francia; e così il duca Giovanni rimase senza speranza d'havcr soccorso da detto re di Francia. Sentendo la signoria di Venetia che il re di Fran- cia s' era tirato indietro dall' impresa del reame di G.A.T.CXXXII. 13 194 Napoli, loro providero a mantenere detta guerra, et anco contro la chiesa, perchè il papa faceva guerri^ contro il signor Gismondo da Rimini et altre terre per certo inganno Thaveva fatto detto Gismondo. Cosi venetiani porgevano denari sottomano al duca Gio- vanni , et al conte lacovo Piccinino nel reame ; et al signor Gismondo e signor Silvestro Piccinino in Romagna. Avvenne che d'agosto le genti della chiesa contro il signor Gismondo, sentendo che lui era ito a Sini- gaglia che pigliò per patti che hebbe col castellano al tornar che fé verso Rimini, fu assaltato da dette genti , e facendo insieme fatto d' arme fu rotto in campo, e perde 1500 cavalli et assai fanti, e lui con Silvestro fuggirno con pochi cavalli. Era con la chiesa messer Federico conte d'Urbino, Napolione Orsino, Antonello da Forlì, et altri. Nel detto mese, sei dì dopo la rotta, s'affronta-^ rono insieme le genti del reame di Napoli, e facendo giornata appresso Troia fu rotto il duca Giovanni , il conte lacovo Piccinino, et il prencipe di Taranto, e perderno tutte le terre e padiglioni, carriaggi, e 3 mila cavalli e assai terre in Puglia. Erano quelli della vittoria il re Ferrante, messer Antonio nepote del papa, il cavaliere Orsino, il si- gnor Alessandro Sforza, Matteo da Capova, et assai condottieri. Della qual vittoria il papa ebbe giau gaudio. Il conte lacovo Piccinino pose l'assedio alla con- tessa di Celano , e prese lei con la terra , e rubò molta roba e denari che secondo si diceva erano 100 mila ducati d'oro. Poi rendè Celano al figlio di detta 195 contessa, il quale eia giovane di 22 anni , e stava al soldo di detto conte lacovo. Sabato 18 di novembre il papa ritornò in Roma et habitò nel palazzo di S. Pietro. Anno domini 1463 il papa continuamente faceva lavorare l'allume, in quello della Tolfa vecchia, e cava- va da quelli travertini il piìi bcirallume, de] mondo, che 80 libbra di questo faceva p^ù frutto che 100 di quel di Turchia» Questa vena fu trovata nell'anno 1462 di piaggio mentre il papa stava in Viterbo , e detto papa ci teneva a lavoiare circa 8 mila persone in detto tepiraento, e fruttava l'apno più di 100 mila ducati d'oro. Le guerre seguitavamo in detto redine di Napoli con 1^ peggio del duca Giovanni e seguaci. All'i^l- limo di settembre il conte lacovo Piccinino s'accordò col papa e con don Ferrante e col duca di Milana, ^ ricevè 90 mila ducatji d'oro, et acconciossi al soldo della lega , e fu fatto signor di Sulmona, Civita di Penna, Civita di Chieti et altri castelli. In quel tempo le genti della Chiesa tolsero Fano al signor Gismondo, e più di 150 casteUi, e li vene- tiani tolsero la Morea al gran turco , e ferno sei miglia di fossi e di steccati e mura, separando tutta l'isola dalla Turchia; et il gran turco pigliò il re di Rossina e disfè il suo reame, e menollo prigione in Turchia. Di poi disfè 7 fratelli signori di Schiavonia, e felli mpi'ire con 25 mila cristiani. Dall'altra parte r ongari ruppero il campo dc'turchi e ne uccisero assai, et il turco si ridusse a Costantinopoli. Era anr dato contro il gran turco il cardinal di Messiiiu mandato dal pap^i per legato. 196 In quel tempo il re di Francia fé esercito di 60 mila persone , et andò a far guerra contro il duca di Sterlich fratello di Federico III imperatore. In quella state il papa partì da Roma, et andò ad habitare a Tivoli. 1464. Nel detto anno li venetiani fero gran guerra col turco, e coll'aiuto degli ongariracquistornoBossina. Il cardinal Tiano essendo legato delle genti contro il signor Gismondo gli tolse molte terre et assedwllo a Rimini, e gli tolse circa 300 tra rocche , castelli e città. Per la quale oppressione detto signor Gi- smondo dimandò accordo al papa, e così li rimase solo Rimini , con 5 miglia attorno , ove erano tre castelletti in tutto. Poi mandò al papa dui suoi procuratori, e confessorno lì suoi peccati palesi : e così il papa li fé palese la sua remissione, et dielli penitenza che tutti li venerdì in tutto il tempo della vita sua digiunasse in pane et acqua. E quando il papa andasse di persona contro il turco, lui ci do- vesse andare con quanto sforzo potesse. Anco in quel tempo morì il prencipe di Taranto, e tutte le sue terre si dettero al re Ferrante. Al duca di Sessa, molti altri seguaci del reame e la città dell'Aquila s'accordorno col detto re, et il duca Gio- vanni si ridusse al Castel dell' ovo a mare per te- menza. Poi andò a Pisa et in Provenza con poco honore. 11 re di Napoli hebbe nelle mani il duca di Sessa e li fò tagliar la testa. Così di terra in terra andava campeggiando per il reame gastigando quelli gli erano stati nemici nelle passale guerre. U conte lacovo Piccinino partì dal reame, et an- 197 dò al duca di Milano padre di sua moglie, e lassò le genti sue al signor Alessandro Sforza fratello di detto duca. Il papa fé sollecitare la guerra contro il gran turco e fé bandir la crociata per tutta la cristianità. Per la qual cosa moltissime migliara di franciosi, tode sebi, borgognoni, bretoni, piccardi, spagnoli, e d'ogni natione tramontana, giovani e vecchi, vennero a Roma per andar contro l'infedeli. Il papa li fé l'assolutoria di colpa e di pena, e rimandolli alle loro case, come fecero: dicendo vo- leva far denari per portare in quel paese, e non genti. A 17 giugno il papa fé fare una processione per tutta Roma: poi a 18 partì di lì, et andò ad An- cona, dove alli 14 d'agosto ad bore 22 incirca morì, et il corpo suo fu portato a Roma , e 1' essequie fumo fatte li 27 d'agosto, ove fumo la maggior parte de' cardinali; e alli 30 di detto mese fu creato papa Paolo Secondo, chiamato Mes. Pietro da Venetia car- dinal di S. Marco, nepote fu di papa Eugenio IIII. In quel tempo morì il conte Averso dell'Anguil- lara , e rimasero di lui tre figliuoli , uno chiamato M. Pietro et era prete; l'altro Francesco et il terzo Diofebo, dui valenthuomini nati insieme gemelli: da questi signori il papa Paolo si fé dare la Tolfa nuova, e tennela per la chiesa. A. domini 1465, gli usciti di Caprarola entrorno in Caprarola con le genti di detto Francesco e Dio- febo, e tolserla a Menelao figlio di lacovo da Vico, e Menelao fuggì et andossene a lugnanello. In questo tempo morì il signor Gismondo da 198 Rimìni in Albania, dove stava al soldo di venetiani. Il papa stava continiiamerite in riposo e dava poco audienza alle persone , e non faceva novità ne di guerra, né d'altro. In quel teftipo il conte lacovo Piccinino stava à Milano cOn la sua moglie, et un suo grande amicò ie condottiero stava a Napoli. Il re Ferrante diceva a quel tale, che scrivesse al cohte lacovo se ne tor- nasse a Napoli, poiché voleva coniparisse lui come Valiti signori del reame, perchè detto conte era si- gnore di Sulmona et altre terre ; e colui scriveva. Detto conte mostrava le lettere al duca di Milano, e li domandava conseglio dell'andar suo. Il duca di- ceva: Perichè tu gli sèi stato nemico, noti ci andare: e tnaSsime hiavendo servito un tempo il duca Gio- vanni, non ti fidare di detto ré. Il conte Tacevo volle andarci, e così atìdò a Napoli. Dettò ìSè mandò un suo figliuolo fanciullo di 14 anVti chiamato Federico con una bella compagnia di signori et altre genti a Milano, e menomo a Napoli k figlia di detto duca Sforza maritata all'altt-o figlio di esso rè che era pVéncipe di Taranto. Il duca di Milano li fé grande honore, e mandò sua figlia con detto Federico. Alli 24 di giugho il re di Napoli fé pigliare il conte lacOVò Piccinino, e mettere in pri- gione insieme còl èonte Broccardo. In quelli di venne in Viterbo il cardinal di Tiano legato del Patrimonio. Quésti fu quello che a tempo di papa Pio disfè il sig. Gismondo da Rimini quando fii legalo in Romagna. Venerdì 28 di detto mese esso cardinale per parte del ^pa fé bandir la guerra contro Francesco è Dio- 199 febo tìgli del conte AVerso perchè tolsero Capra rola a Menelao sforzatamente: nella qual guerra fu Na- polionfe Orsino, il conte d'Urbino e cinque squadre di cavalli mandati da don Ferrante, ed altri signorotti d'at- torno con detto cardinale. In spatio di XI dì perderne (jaelli giovani Monticelli di là dal Tevere, Gerveteri, Via- no, Capranica, Monterano, Rota, Carcata, S. Severa, Vetralla, Bieda, Ronciglione, Carbognano, Caprarola, e Giovi, e pigliato detto conte Francesco, andò pri- gione a Roma con un suo figliolo; et un figlio di Dio- febo fuggì di Vetralla et andò a Biedà, e fuggì con forse X persone e pochi denari; et andò a Pisa, e poi a Fiorenza. Tutte queste terre s'hebbero senza colpo di spada. Il papa fé rendere a questi vassalli tutto il bestiame che havevano perso in que'pochi dì, e li fece esenti per X anni da ogni gravezza. Finita detta guerra il cardinale di S. Cecilia e dì Tiano M. Nicolò da Pistoia partì da Viterbo ed andò a Siena. In quelli dì andorno a Napoli 16 falere del duca Giovanni per fornir di vettovaglia il castel dell'ovo et Ischia, et affrontaronsi coH'armata del re Ferrante, e furono rotti li franciosi , è perderno 12 galere. Poi fu acquistato castel dell'ovo suddetto et Ischia, et altri luoghi. Per la quàl vittoria il re Don Fer- rante fé morire in prigione il conte lacovo Piccinino, e fé dar nome ch'era cascato per veder le fèste di detta vittoria , ove si ruppe una coccia , e che di quella morì. Per la qual morte il duca di Milano hebbe gran dispiacere, e la figlia destinata al pren- cipe di Taranto la fé tornare indietro da Acquapen- dente insino a Fiorenza , ove stétte per molti dì. 200 Poi infine la mandò a Napoli, ove fu ricevuta con molto honore. Alli 23 di luglio il papa hebbe Alviano et Atti- gliano e Guardeia, e pigliato Francesco e il tiglio, fu- rono messi in prigione nella Rocca di Giovi. Il papa in quel tempo tolse 5 castelli in quel di Tagliacozzo al sig. Allamonle , e lui andò povero in Roma. In quest'anno non sentii più cose da no- tare in Roma, se non che il papa radunava denari. Venuto r anno 1466, Francesco Sforza duca di Milano morì alli 7 di marzo in sabato del mal della goccia che non visse altre 23 bore. Era stato il piiì franco e vittorioso signore che si trovasse in Italia, e morì d'anni 68 in circa. Tutte sue terre senza far mutatione alcuna si stettero sotto la signoria di donna Rianca moglie di detto duca. Per la qual morte detta donna Rianca mandò per il sig. Galeazzo Maria suo figlio conte di Pavia, che era a Lione di Francia in soccorso del re di Francia contro Carlo fratello di detto re , et il duca Giovanni et altri signori con 6 mila cavalli: così tornò a Milano e fessi duca. Era detto Galeazzo Maria d'anni 23 bello e gagliardo. Ha- veva detta Madonna Rianca sei figli maschi. In quel tempo il gran turco scorse l'Albania, e menò via circa 1 2 mila persone, e di loro rimasero assai morti di morbo. Anno domini 1863. Si mossero in Italia molte genti d'arme divise in due parti come udirete. Un capitano chiamato Rartolomco Coglione si mosse in Lombardia e fé capo di là da Rologna con molte al- tre genti a cavallo et a piedi, e vennero presso al Rolognese. Per la qual novità li fiorentini, havendo 201 sospetto di lui, soldorno assai gente d'arme a piedi et a cavallo; e perchè erano a lega del duca di Mi- lano, detto duca si partì con assai gente di Milano, et andò presso al campo di Bartolomeo Coglione , et insieme col conte d'Urbino, il cavalier Orsino , et altre genti mandate da don Ferrante re di Napoli, che s'intendeva con detta lega, s'opposero al campo di detto Bartolomeo, e per spazio d'un mese e più senza far mutatione alcuna stavano sospetti l'uno dell'altro. Infine detto Bartolomeo fò l^andire nel cam- po suo con una brigata di trombetti, che ogni gente si guardasse da lui, salvo che il papa, venetiani, il re di Francia, et il marchese di Ferrara. Per la qual cosa tutti li suoi avversari si misero in punto : et essendo gionto nel detto campo di Bartolomeo M. Alessandro Sforza con le sue genti, e Silvestro del conte lacovo, cercò di dar l'assalto al campo di detto duca, quale di persona stava in quel tempo a Fio- renza; e sabato mattina 25 di luglio fu cominciata la battaglia ad un passo ove stava un ponte , che durò otto bore, nella quale fumo morti più di 600 huomini e più di mille cavalli : e fumo morti più huomini di Bartolomeo, perchè haveva duimila fanti più il duca. Detta battaglia fu fatta X miglia di là da Bologna, e più pigliato il figliuolo di M. Ales- sandro, e Silvestro del conte, et altri prigioni. Dal- l'altra parte fu pigliato il cavalier Orsino, e barat- tato col figlio di M. Alessandro; e la domenica mat- tina fu bandita la tregua per 5 dì per poter sepel- lire i morti. Il duca di Milano si pai-tì di Fiorenza, et «ndò nel suo camjx). 202 Detto Bartolomeo era di anni 85, e teneva Fa- enza, Forlì et Imola j et altri luòghi, di dóVe haveva vittovaglia, Alli 19 di dicembre il papa palesò otto cardinali^ cinque italiani e tre tramontani. Il primo fu il ve- scovo di Vicenza suo nepote, l'altro l'arcivescovo di Napoli, il vescovo dell'Aquila, il pronotatio di Mon- ferrato fratello del signor Guglielmo, e maestro Frari- Cesco da Saona general ministro dei frati itiinori ; un ongaro, un francioso e un inglese. Anno domini 1468 li 2 dì febbraro il papa fé bandir la pace generale per tntta Italia^ e fumo li principali in ciò papa Paulo II, don Ferrante re di Napoli, la signoria di Venetia, il duca di Milano, il comun di Fiorenza, il marchese di Mantova, e fatto capitano generale d'Italia Bartolomeo Coglione, e toc- cò lOOmila ducati, che dovesse provedere d'andare contro il turco. In quel tempo il duca Giovanni figlio del te Ra- nieri duca d'Antia misse guerra contro il re Giovanni re di Ragona, il qual re era vecchio e cieco, et era morta la regina sua moglie. Così detto duca Giovanni li tolse Barcellona, Rossiglione, Valenza e molte terre in quel paese, sicché il re Giovanni continuamente haveva il peggio. FINE Sin qui il mss. montefiasconese, di cui debbo la liberale comunicazione al giovine egregio sig. avv. Ignazio Ciampi. Della stessa cronaca due altri mss. conosco: uno nella nascente biblioteca della viterbese accademia degli Ardenti , un altro nella riccardiana di Fi- renze. Il primo più recente (certo non autografo, come altrove per isbaglìo stampò il fu avvocato Stefano Camini ) porta il nome di Giovanni Cobelluzzo, ed è dà lui raffazzonato , e ridotto a forma da parer cosa di lui, con un metodo, per vero dire, comune ai tre cronisti viterbesi del secolo XV (questo Gio- vanni, frate Francssco d'Andrea e Nicolò della Tuc- cia), i quali, non ostante che con poco mutamento si copino nel generale l'un l'altro, pure scrivono del pari il loro nome ne' manoscritti come autori, e solo indirettamente e di passaggio dicono di aver co- piato i predecessori loro. Il secondo, ugualmente come il mss. montefia- sconese, assegna il lavoro al della Tuccia, a cui ve- ramente appartiene, come qua e là il contesto mo- stra, e come chiaramente quegli dice nella prima parie , contenente sotto il nome di lui i fatti par- ticolari a Vitiérbo, dove si legge all'anno 1457: «Mar- » tedi mattina si partì di Viterbo messer Borza, et i) alli 11 di detto mese andò verso Roma. Quello \) che poi seguirà di lui scriveremo in un altro li- )) bro, ove tratto di cose generali. Con questo, tratto )) solo di Viterbo.)) Notabil cosa è poi che tutti tre i niss. (dico il niontefiasconese, il viterbese e il ric- cardiano ) sono ugualmente tronchi nel principio e nel fine; cioè cominciano e finiscono colle stesse pa- role, salvo diversità puramente ortografiche. Così, per es., l'ultimo dei 3 mss. (il riccardiano n. 1991; cód. cartaciso del sec. XVII) a pag. 205: Hora in questo teYhpb fu fatto il concilio a Costanza 204 in Alemayna ec. : e a pag. 375. Il re Giovanni con- tinuamente haveva il peggio. E altrettanto è nel co- dice di Viterbo con questo e con quel principio. Dunque bisogna dire che l'originale passasse in mano del Cobelluzzo già tronco, e rimpastato a quel modo, poco dopo essere stato composto, siccome si disse, dal Tuccia. Per ultimo, a maniera d' appendice, porrò qui, tratte dalla mentovata prima parte ancora inedita del nostro autore, queste altre poche memorie, che ri- guardan esse pure l'Italia intera, e i fatti posteriori ai contenuti nella parte IL Anno 1470. A dì XXII d'aprile papa Paulo fece notificare a tutti li cristiani come sino a cinque anni voleva far l'anno del giubileo, e fu la domenica della pasqua di resurrezione, e fece porre li scritti in molti lochi di Roma. Passò per Viterbo il duca di Baviera con 6mila cavalli (così il cod. montefìasconese; il barberiniano ha 40), partito da Pioma, e andò verso Lombardia per metter pace tra cristiani, quale era grandemente turbata per i peccati d'Italia.... Nel mese di luglio venne in Viterbo il card, di Tiano, chiamato messer Nicolò (Forteguerra), quale per la benevolenza e continua pratica haveva nella nostra città fece far per suo uso un magnifico pa- lazzo a canto la chiesa di s. Sisto con un bel giar- dino (V. Bussi Stor. di Vit. pag. 226).... Era bene- volo fi gratioso a tutti li cittadini nostri ; et era humilc di natura o d'alto ingegno, e nella corte del ^05 papa era tenuto il più famoso, et in intender regi- menti di slati e di genti d' arme, e di guerra e di pace, che nessun altro di corte; et usato per mare e per terra, e per tutti li luochi di cristianità ha- veva pratica de' re , de' duchi e di signorie di po- poli. Costui fu quello che col hraccio di papa Pau- lo II acquistò tutte le terre che tenevano Francesco e Diofebo figli del conte Averso usurpator di Vetrai- la, Bieda, Monturano, Viano, Cerveteri, santa Severa, Careari, la Tolfa nuova. Rota, Capralica, Ronciglio- ne. Vico, Caprarola, Carbugnano di qua dal Tevere, di là love e Monticelli con altre tenute ec. Così come ho detto si riposava in detto suo palazzo in santo Sisto. Anche per magnifìcentia fece fare in quello di linea uno honorevole palazzo con gran poderi, in uno loco chiamato san Fabiano in Acqua Sana. Anche fece fare uno magnifico palazzo in mezzo fra Roma e Ostia, a un loco chiamato la Magliana, con poderi, giardini e casa dilettevoli. Era detto si- gnore di età di anni 52 in circa, bello di persona, formoso nella fticcia , intendente e pratico di cose antiche e moderne, per modo che nessuna persona poteva parlare d'alcuna cosa, che lui non la inten- desse meglio di chi la diceva.... x\nno 1471. Venuto il mese di luglio a dì XXVI la sera a bore doi e mezza in circa papa Paulo morse di morte subitanea, e per il collegio de' signori car- dinali fu eletto papa Sisto 1111 ; perchè il dì della festa di s. Sisto entraro in conclave, che fu di mar- tedì, et il venerdì fu palesato detto sommo pontefice. 206 Era detto papa il cardinale di santo Pietro in Vin- cula, chiamato frate Francesco dell' ordine de' ft-ati niiflori, maestro in sacra theologia, et era di Savona, homo humile e di buona complessione.... Nel mercordì a sera a dì 26 di novembre a bore tre e mezza di notte, essendo la luna in quintade- cima, oscurò e si fece tutta nera, e durò sino alle 7 bore, e poi si fece rossa come sangue, e poi tornò nera alle 7 bore e mezza passate, e poi tornò nel- l'esser suo. In quel tempo si diceva in Viterbo, cbe il gran Caramano turco baveva mandato ambasciatori al papa, che volevamo intendersi con lui contro il gran turco, e dimoravano in Roma.... Anno 1473. Alli 6 del mese di marzo, venne in Viterbo messer Sigismondo fratello carpale di mess. Ercole marchese di Ferrara e duca di Modena con 560 cavalli, e ottanta muli carichi d'arnesi, e si ri- posò in Viterbo una notte; poi la mattina si partirno andando a Napoli, per la figliuola del re Ferrante di Napoli che era moglie di detto fratello di messer Gismondo : fra le quali compagnie furono una bri- gata di signori, e assai scudieri bene in ordine, co- me si richiede a sì fatte feste , et assai giullari e sonatori. A 5 di giugno sabato, la vigilia della pentecoste, gionse in Roma la detta madonna con grandissima compagnia, la quale fu ricevuta a santi Apostoli con grandissimo trionfo et infinito bonorc. A 12 del detto mese presso a un' bora di notte entrò in Viterbo detta figliuola del re Ferrante di Napoli chiamata madonna Leonora. Entrò per la porla 207 di Salciccia: alla piazza del cardinale Capocci {oggi delle duchesse), voltò verso s. Pietro dell'Olmo per la via della Pietra del Pesce. Voltò per la piazza del comune, e gionse alla piazza di santo Stefano, e voltò verso santa Croce, e così per la strada dritta arrivò a santo Sisto. Smontò con gran trionfo nel palazzo del cardinal di Tiano, ove con grande honore fu ricevuta da' cittadini viterbesi. Menò di sua com- pagnia 24 signori tra conti, prencipi e marchesi del reame di Napoli, tra' quali ci fumo 14 signori che si menarno le donne e mogli loro. Menò 10 fantes- che vestite di verde colore. Anche ci furo in sua compagnia XVI signori di Lombardia, i quali havea menati con seco detto messer Sigismondo. Viterbo era tutto ornato di archi trionfali coperti di verdi frondi di passo in passo vicini. Così entrò detta madonna Leonora con circa 1300 persone de- gne e d^ centottanta muli da cariaggi, e 65 trom- betti e pifferi con altri istrumenti, e detto re di Na- poli donò alli signori, che mandò il marchese, circa 400 poliedri di razza del detto reame. La domenica mattina , detta madonna Leonora desinò nel giardino di detto cardinale ad una tavo- la , e solo sedava con lei detto rjiesser Cismondo. Sedeva dall'altro lato messer Antonio conte e mar- chese, nipote di papa Pio Piccolomini di Siena. L'al- tre principesse, contesse e marchesane hebbero una tavola da parte. Desinato che hebbero , tutta la corte andò nel palazzo del cardinale , e li fumo visitati da molte giovani donne viterbesi, e lei le ricevette con gran festa. Poi alle XIX bore montò sopra un cavallo leardo 208 coperto dal collo sino alla coda di drappo d'oro fi- nissimo, con la sella, briglia, cigna e pettorale d'oro tessuto. Fu stimato valesse dui millia ducati (così il testo barberiniano : il testo monte fìasconese ha 200). Era detta fanciulla di età di 16 anni in circa, bella, piacevole , domestica e lieta. Portava indosso una ga morra di velluto nero, et al collo uno collaro di perle grossissime e pietre pretiose, rubini, balasci, diamanti et altre gemme di gran valuta. Non volse avanti a lei fosse sonato altri strumenti se non quelli che haveva menato il marito, che fumo tra trom- betti, pifferi et altri suoni circa a 15: e così a quel- Thora usci la porta di santa Lucia, et andorno tutti verso Montefiascone.... Anno 1474. A dì 8 di febbraro frate Francesco [Francesco M. Visconti), vescovo di Viterbo, mandava a Viterbo cinque some di roba, la quale haveva tra- fugata di quelle del cardinal di santo Sisto già pas- sato; e come furono alla croce di Monte Mario, furo fatte tornare in Roma, et aperte in palazzo del papa, ove, secondo si dice qui, ci fumo trovati 12 millia ducati d'oro, e tanta altra roba che fu stimato ogni cosa 20 millia ducati d'oro. 11 papa fece pigliare detto vescovo, e lo fece im- prigionare in castello di s. Angelo. Similmente ci fu imprigionato l'abate di santo Gregorio per traffichi che haveva fatto della roba di detto cardinale di san- to Sisto. Poi lo fece lasciar presto. Lunedì a dì UH di aprile, cioè il lunedì santo, venne in Viterbo il re di Datia de' gotti e d'un al- tro reame, et alloggiò nel palazzo di santo Sisto ove era il cardinal di Mantova. Haveva detto re per mo- 209 glie la sorella carnale della moglie del marchese di Mantova, madre di detto cardinale, e menò detto re di suo paese gran quantità di giovani belli e puliti, bianchi, biondi, bene a cavallo. Havevano aria di po- lacchi, e tutti erano vestiti di panno nero; e veniva a Roma per voto ; et il marchese di Mantova suo cognato lo fece accompagnare da tutti gli suoi ca- vallieri spron d'oro, e li fece far le spese per tutta Italia all'andare et al ritorno, benché il papa li fa- cesse le spese da Acquapendente a Roma; e così al tornare. E tornò a Viterbo il giovedì a dì XXVIII di detto mese d'aprile {V. Bussi p. 277). Poi tornò al suo paese. Era di età d'anni XXXV in circa [il Bussi dice 50), bello, pieno nel viso e ben formato, e non sapeva parlar niente in nostra lingua.... Domenica alli 8 del mese di maggio venne in Viterbo un bello presente, mandato dal gran mae- stro di Pvodi , il quale era romano di casa Orsina; e lo mandò al conte Geronimo, il quale fu già fratello dell'antidetto frate Pietro, già cardinale di santo Si- sto, assai caro al papa, e fumo gì' infrascritti: IIII cavalli giovani di due anni l'uno, circa XXX pappa- galli di penna verde ingabbiati, dui mori etiopi, uno maschio et una femmina di cinque anni l'uno, dui denti d'elefante grandi circa un passo l'uno, et altre cose nuove di qui da noi. N. B. I fatti posteriori alla venuta in Viterbo dì Leonora, figliuola del re Ferrante, son probabilmente aggiunti alla I parte da un altro. F. Orioli G.A.T.CXXXIl 14 210 Risposta di Lodovico Ciccolini già direttore della spe- cola di Bologna, alla lettera direttagli dal profes- sore Giuseppe Calandrelli, e pubblicata nel torno 47 del Giornale Arcadico fascicolo di novem- bre 1822. Il vostro dubbio che le note del sig. barone di Zach alla lettera del 22 giugno 1822 , che io gli scrissi da Milano, e ch'egli pubblicò (non alla pag. 51 citata da voi , ma alla pag. 513) nel sesto volume della sua corrispondenza astronomica, siano state da me a lui suggerite , non ha la menoma apparenza di vero; anzi posso assicurarvi, che se io (potendolo) avessi creduto d'influire sulla compilazione delle note suddette, posto che io avessi giudicato conveniente di giovarmene , avrebbero esse note avuto una esten- sione molto maggiore che non hanno , e sulla Me- moria vostra, che sta in principio del voi. 7.° degli opuscoli astronomici da voi e dai vostri colleghi re- centemente publicato , avrei scoperto e manifestato al publico molte altre cose che il sig. barone non hcì fatto. Comunque sia però, io glie ne sono gra- tissimo , e colgo questa occasione per ringraziarlo di avere avuto la bontà d'asserire, aver voi ed il Delam- bre riprodotto le mie formole (1) analitiche per il cai- (1) È vero che il Delambre pubblicò le mie formole, male pub- blicò come mie , e pel solo motivo di fare un paragone colle sue {vedi Histoire de l'astron . moderne pag. 47 a 57); perciò non era da accoppiarlo coll'ab. Calandrelli che pubblicolie come sue. 211 colo della pasqua che leggonsi nella vostra memo- ria le quali io pubblicai colle stampe fino dal 1817: e mi persuado ch'Egli gradirà che io faccia breve- mente la sua e mia difesa insieme di quanto voi , non senza qualche risentimento, apponete al mio li- bro, non che alle note del sig. barone poco sopra ricordate, colia lettera a me diretta, ed inserita nel giornale arcadico volume i7 pag. 172 e seg. che corrisponde al fascicolo di novembre dello scorso anno 1822. Io mi penso che questa vostra lettera a me e contro me scritta confermerà maggiormente il sig. barone nella opinione sua; poiché egli non potrà a meno di non rilevare , che voi avete cambiato le citazioni fatte da lui delle pag. di confronto dell'ope- ra vostra €olla mia. Egli vuole che si confrontino le pag. 14, 21, 27, 47, 52, lOG, 111 , 115 della vostra colle pag. 16, 14, 21, 22, 29, 11, 36 della mia ; e voi invece esigete che il confronto sia isti- tuito tra le pag. 14, 21, 42, (53, 54) 87, (53, 54) 59 , 60) della vostra colle pag, 16, (15, 22), 21 (23, 29,) 15, (23, 29) della mia; dei quali sei con- fronti il terzo, ossia quello della pag. 42 colla pag. 21, non presenta che una formola del Delambre ed una mia , ambedue dell'equazione lunare ; le <[uali quantunque diversamente espresse, calcolale che sieno danno uno stesso risultato. Tale t(Hzo confronto non è il proposto da Zach del 27 col 21, e non del 42 col 21: e sui tre confronti seguenti, i quali non sono che due (poiché il quarto col sesto si somigliano) non mancheranno a detto sig. barone riflessioni da fai'e; e quanto ai primi due egli non troverà certa- 212 mente che le vostre forinole sicno differenti dalle mie , come voi sostenete. Egli vi farà inoltre os- servare, che nel tomo XIX della società italiana pag. 97 e seg. le due formole quivi da voi pubblicate, appartenenti alla lettera domenicale dei due calen- dari, sono identiche alle mie; se non che in quella del gregoriano avete ritenuto i due ultimi termini K — (^-) invece di ridurli a 6 K-i-2(-^] siccome io ridussi per rendere tutti i termini positivi, e tutto ciò lo confermerà maggiormente , che nelle dette memorie sieno state realmente riprodotte le mie for- mole. Né le vostre lunghe loro dimostrazioni, colle quali le accompagnate, potranno mai fargli credere che quelle non sieno mie. Neiraccusarmi poi che voi fate, che ancor'io ho lasciato di citare il Delambre allorché da la formola dell'epatta giuliana ( — ^ — j alla quale nessuno aveva mai pensato prima di me, come poteva io farlo se essa non si trova in nessuno dei tre scritti da lui successivamente pubblicati sul calendario, pri- ma che io la dessi in luce ? Come potrei farlo ora, poiché nel quarto scritto di lui, che é posteriore alle mie formole analitiche, egli la giudicò falsa ? Ma lo strano soprattutto di questa vostra accusa si è, che appena mossa contro me, voi confessate che il De- lambre dimenticò tale formola: e piir strano ancora che voi subito dopo riferiate ch'egli la giudicò falsa. Un cumulo di tante contraddizioni è per se stesso inconcepibile. E perchè non credasi che io muti il significato delle 213 vostre parole, stiino ben fatto di qui riprodurle : Per qiialmolivo adunque [Aite. \o\)voi non nominate il De- ll jy 3 lamine, il quale aveva già usalo la formala ( \ Connaissance des lems pag. 303 ? £" bensì vero che il Delambre dimenticò questa formola, la quale nella .. . /UN— 10 X .^ riforma ripresenta 1 — j evidentemente JIN— 10 X , /UN— 3— 7 30 l- V 30 /,. Infatti nel tomo primo delV Histoire de V astron. mod. pag. 50, per dimostrare falsa la vostra formola, prò- . ^llH^(H-l),^ . pone prima della riforma l j^ ^'| che ritro- va neWArt de verifier les dates. Colle quali parole chiaro apparisce asserirsi da voi; l.^che la mia formolaf — ^^r — Urovasi alla pag. 103 Connaissance des tems 1817; 2° ch'essa però non vi si trova, poiché il Delambre la dimenticò, il /UN 10 quale quivi dette invece l'altra formola! -~ \ o\) ■ ,. UN 3 dalla quale può trarsi la precedente / — ^ — ) 3.° che quest'ultima che è quella in questione, fu dal De- lambre giudicata falsa per questo, perchè essa è di- versa dall'epatta registrata nclV Art de verifier les da- les, la quale è sempre= j '[ ; 4." Voi 30 ]'- rilevate al Delamlne, e glustameute (come già quat- tro anni prima di voi l'aveva io rilevato), che que- sta sua formola non può servire né prima né dopo la riforma , e tuttavia vi valete dell'autorità di lui che la cita per tacciar di falsa la mia; 5." voi per ultimo, dopo un rilievo così giusto, cadete in un'as- surdità enorme dicendo che la vera formola prima o dopo la riforma non può essere che j ~ \ H- 8 — à, formola falsissima che non può dare né Tepatta giuliana , né la gregoriana, né Tepatta del- l'opera citata. Detta formola, che secondo voi dà ad un tempo l'epatta prima e dopo la riforma, è una vera chimera. Oh ! quanto avreste fatto meglio di rilevare contro il Delambre: 1.° che egli abbia dato la formola / — j dell epatta gregoriana per 1 epoca delia riforma, e tenuto nel tempo stesso come falsa per l'epatta giuliana quella prodotta da me = ( — ^ — ) senza accorgervi che ambedue debbono essere buone di necessità quando mia qualunque di esse lo sia; 2.° che l'epatte della tavola cronologica dell'opera che ha per titolo VArt de verifier les dales servono bensì alla interpretazione delle date alle carte antiche , nelle quali carte solevano essere notate, e non mai al calcolo della pasqua (vedi 1' opera or ora citata pag. XXX e XXXI ediz. in fol. del 1770); 3." infi- ne che essendo 215 .j""-('¥).| \-« 30 ',. { 30 e non la precedente /UN— 3^ _/1JA-h8x V 30 \~\ 30 A come se A non fosse eguale adfy^) ed alla pag. 60 osservasi del pari, che voi prendete dette due espressioni per due quantità tra loro diverse, altri- menti non le avreste vanamente impiegate ambedue nel proseguimento delle vostre dimostrazioni. Quf»nto a me, io preferii di valermi nella lettera al sig. ba- ron di Zach della formola /— — lt_) in luogo di \ — OA — j perche io amai sempre, potendolo, che i termini componenti le mie formole fossero tutti posi- tivi, siccome leggendo le cose mie potrete avere os- servato. 218 Alla pag. 175 voi mi dite : E vero però, come ho f/ià detlOi che io propongo le formole delVeqna'- zione solare, lunare , solelunare diverse dalle vostre ; ma è vero puranco che queste quattro formole sono del tutto identiche alle vostre pag. 15,22, 21. Quivi il barone di Zach io mi credo che soffermandosi al- quanto non potrà trattenersi dall'inarcare le ciglia a tanta rara contraddizione, e sorriderà poscia un pc- colino nel vedere che non negate, in parte almeno, quello che egli nelle note alla mia lettera aveva ma- nifestato: e sarà ben lontano dal concedervi il diritto di togliermi le mie formole, e farvele vostre per lo solo motivo che la dimostrazione loro da me data abbia incontrato la vostra disapprovazione: giudicando assai probabile che voi non vi sareste tanto agevol- mente imbattuto a dare l'espressioni dell' equazioni solare , lunare e solelunare , tali e quali io le detti prima di voi, se prima non le aveste vedute tra le mie formole. Voi mi fate rilevare (pag. 176) che il dott. Gauss dette in luce prima di me l'espressione medesima della equazione lunare che io pubblicai. Il barone di Zach non lo contrasterà certamente, poiché il Gauss la produsse nel febbraio del 1816, ed io nel settem- bre 1817. Ragion vuole però, che ancor io vi sog- giunga: primo, che quando egli pubblicò la sua erano già quattro anni che io avevo comunicato la mia ai chiarissimi prof. Magistrini e Mezzofanti miei col- leghi; secondo, che io ignorava affatto nel 1817 la correzione data dal Gauss; e non è da maravigliar- sene , perchè ciò non era forse neppure a notizia dell' astronomo Carlini , tanti mesi dopo pubblicate 219 le mie formole analitiche: poiché dicendomi egli in data del 3 luglio 1818 (in mezzo ad altre cose re- lative al mio libro) « la formala della pag. 21 (che è quella in questione) e le altre consimili mi sembrano elegantissime » non avrebbe lasciato d' informarmi che era stata trovata del pari dal dott. Gauss. Nella stessa lettera egli mi fece ancora alcune osservazioni sul metodo dei coefficienti indeterminati da me im- piegati, le quali mi dettero poi occasione di dirigergli la lettera che è nella Biblioteca italiana tom. XIII, pag. 360 e seg., alla quale egli premise un suo breve articolo scritto nel marzo 1819; dove solo si mostra informato della detta correzione del Gauss. Se detto vostro rilievo però lo faceste mai per mostrare che l'azzardo del pari ha dato origine all' identità delle vostre colle mie formole, allora io mi penso che il baron di Zach non ve lo ammetterà, perchè man- cante di parità di circostanze, e troppo opposto al calcolo delle probabilità. Quando dunque ( dite voi alla pag. 177 ) avessi voluto nominarvi alV occasione delle tre indicate (ormo- /e, avrei dovuto rilevare quanto peso voi diate alle me- desime vostre dimostrazioni, slimando false le altrui, com' è accaduto alla formala data dal signor Carlini nella Biblioteca italiana marzo 1813, pag. 3i8. Questa formala dell'equazione lunare, che tante volte nei nostri familiari discorsi mi avete dello essere falsa, è giu- stamente derivata dalla formala del Delambre; e la sua dimostrazione, che ancora tengo scritta, è del tutto completa. Voi confondete qui i due vocaboli, formola e di- mostrazione , in maniera che pare non vi basti di 220 citarmi al pubblico di avervi detto essere falsa la dimostrazione del signor Carlini ( intorno la qual cosa vi risponderò fra poco), ma volete di più che io vi abbia detto essere falsa ancora la sua formo- la, il che è impossibile: poiché con ciò avrei dichia- rato falsa una formola mia propria, e non del sig. Carlini, il quale ne parla alla pag. 348, voi. 13 della Biblioteca italiana, come di cosa mia e non sua. Io però ho sempre Cì^edulo (continuate voi) che potesse offendere la nostra amicizia il rilevare quanto qui accenno. Potrete di ciò desumere la prova da quanto dico alla pag. 54, 55, dove non nominamloviy nessuno può comprendere che le mie riflessioni riguar- dino il vostro metodo. Non posso neppure • concedervi quanto voi qui asserite, che io dia molto peso alle mie dimostra- zioni delle tre formolo suddette. Infatti alla pag. 351 del tomo XIII della Biblioteca italiana io mi espressi col signor Carlini nel modo seguente : « E poiché » nell'opera mia non ho creduto necessario di rac- » contare minutamente come le abbia io ottenute, » vuò ora dirlo a voi, e voi avrete poi la bontà di » scrivermene il vostro giudizio:, (ed alla pag. 366,) » e ciò basti quanto alla formola suddetta; desidero )) però da voi di sapere cosa pensiate di quanto ho » fin qui scritto.» Farmi che da queste poche parole spiri piuttosto una certa tal qual modestia, anziché un amor proprio soverchio , che voi ingiustamente mi attribuite. Giudicai, lo confesso, e giudico tuttora belle ed eleganti esse formolo e per la loro novità e per lo stile loro conciso: ma alla fm fine tale mio giudizio fu confermato da altri, non che dallo stesso 221 signor Carlini. E qual fondamento avete voi pei' af- fermare che io stimi false le dimostrazioni altrui , ancor quando sien buone? Noi abbiamo parlato pili volte insieme, non lo nego, e di ciò che scrisse il Dclambre sul calendario, e della bontà delle dimo- strazioni succitate del signor Carlini. Del primo io corressi più e piiì errori madornali (v. form. analit. pag. 89 e seg.), e sulle mie correzioni egli si tuc:{ue, e confutò soltanto, non so con quanto successo, l'opi- nione vantaggiosa che io aveva ed ho del calen- dario gregoriano: in prova di che ecco le s lesse sue parole che stanno alla pag. 4G del voi. V deirilistoire de Tastron. modèrne: Ce que Dclambre à ccril (dit in. Ciccolini) avait besoin de correclion: (e subito dopo egli si fa a dire): Les corrections, qui etaient neces- saircs, nous les avons donnés nous-mémes ', quanl aiix aulres rcproclìcs que nous fail M. C. et qui powrait hien ii'avoir d\iutre fondement que de prejugées d'état, ou de niUion, nous les discuterons ici après.)) Ed alla pag. 58 lodandolo io col titolo di celebre autore , egli soggiunge: Celle declaralion est tres obligeante^ et en reconnaissance nous avions d'abord copie loules Ics criliques de M. C. muis conime nous avons refon- du notre methode, il nous parai l inutile de rapporler ici des correclions que nous avuns ou dejà faites ou rendu inutiles. Quanto poi alla dimostrazione del sig. Carlini , io vi dissi lo confesso che era falsa, e contro l'opi- nione vostra per tale la tengo tuttavia; impercioc- ché appena da me letta, i passaggi che vi si fanno da « saggio che fate ad 1 ==( -7^ — ^~ — ) 222^ .24n-+-24-f-50\ . «( o ,^c- ). »Ti' sembrarono alquanto arditi: e perciò, qualche tempo prima che io tenessi con voi discorso sulla medesima, scrissi all'autore suo quanto segue: « Del rimanente il vostro calcolo analitico « sulla formola del Delanibre par giusto , ciò non « ostante il comun dei lettori si arresterà al pas- 24nH-50^ Volete sapere cosa egli mi rispose ? Eccovelo : Mi era accorto ancor io che nel passaggio ad 1 =:= /24«H-50> ^ , , \^~7y — "qF"') faceva un salto mortale ; ma pensando che i sigg. N. N. ne fanno dei più stupendi , senza mai rompersi il collo, mi sono fatto coraggio, massime che in quel momento mi premeva di andare per la via pili corta. Avuta tale risposta , esaminai di bel nuovo attentamente la detta dimostrazione, e trovai davvero ch'essa non era buona accorgendomi che i due quoti interi contenuti nella formola del Delam- bre erano stati ridotti dal Carlini ad uno solo nella quantità /= (— ^ — 7y^) ^^ ^"^ ^^^ ^* P^*^ senza pe- ricolo di alterare il risultato definitivo di lei. Alla pag. 19 , 20 del mio Saggio di aritmetica dei quoti interi e dei residui , inserito negli annali pubblicati dal chiariss. sig. professore Tortolini ( vedi maggio e giugno 1852) potrà rincontrarsi per esteso il cai- 223 colo della riduzione della forinola del Delambre per ottenere la mia, la quale è assai più concisa; am- bedue però danno giustamente l'equazione lunare. Una cosa però si rende indispensabile perchè questo metodo di ridurre riesca ; ed è che i due residui ma loro non su})eri mai Tunilà. Ri[»rendcndo ora il (—_) ( — ) abbiano seeni contrari, affinchè la som- ^25>'r» \ :^/r * 11111 • T.T 7' 2iJH-24.-f-50 \ primo calcolo, laddove si ebbe l =1 ) , * l 3. 25 A ,.,... , /24/1-1-24— 50— 2n ^, dovrà dirsi invece / ^^ ( =24 V 3. 25 ^' H-K22-+-50==:24«-h-72=8«-h24= l^^l^] come \ 25 ^' dovea riuscire. Nelle precedenti equazioni le quan- 25 ^ T sono 1 residui tli/— )^ ed {-^) ' Noterò per ultimo che essendosi fiitto dal sig. Carlini ^ — ^E — h — (or ) ^ ^'^^ essendo questa quantità tita ~"Aàl eguale a -^ , e che avendo egli calcolato so- lamente — -—doveva ancora unirvi (t—) : per il quale fece uso del valore massimo eguale v^. Per la 25 in stessa ragione pertanto cfilcolalo -7^- egli do\ èva u- 224 nii'vi il valore corrispondente di — {-^\ che è 2, co- me poco sopra abbiamo accennato (1). Da tutto ciò (1) Si può facilmente dimostrare, come fatto n I II' \ ne segna m (lo \ersi prendere ■= 2 perciocché essendo [ K-U-('^«)) K_U- ^J^ l ^ 25 /. ) 25 I affinchè l'equazione sussista si avrà K=16 , 41, 66, aggiugnendo a mano a mano alla frazione il 2S compensandolo nel — 14, prea- dendo respeltivamente — 14, — 15 — 16, e si avrà (fi- 1 ?^=9 3, 3 Potrebbe tuttavia muoversi dubbio che la quantità da impiegarsi fosse piuttosto 23, e non 24, e si fosse fatto R=--15, 40, 63; in tale ipolesi però viene costantemente /m 3-) = - 1 e però torna lo stesso polche 24 — 2=23 — 1, e si osserva che in- tanto si aggiugne il massimo valore di y. ~ {i\ perché ottenuto la formola generale contenente detto massimo va- lore, essa non potrà a meno di non prestarsi ancora per gli altri valori minori di quello. 225 io voglio sperare che voi concluderete non avere io avuto torto se confidenzialmente vi dissi essere falsa la dimostrazione del Carlini. Quanto poi a quella del Delambre, che il Carlini tentò di trasformare nella mia nel modo detto non ho che confermare ch'essa è giusta. Di quest'autore e del suo valore ho dato già un saggio nelle mie Form, analit. , e potrei, vo- lendolo, completarlo, rilevando molte inesattezze da lui commesse nel quarto ed ultimo suo trattato del calendario che sta in principio del primo volume della sua istoria dell'astronomia moderna. Voi mi fate osservare (pag. 178) di aver io dato una regola per il calcolo della pasqua (Corrispondenza astron. pag. 351 voi. 6 ) per gli anni del secolo XiX , quando essa può servire agli anni del XVIIi ancora. Perdonatemi, ma questa è una inezia; poi- ché scorgesi chiaramente che l'intenzione mia è stata quella di dare al pubblico una regola facilissima di calcolare la pasqua per il secolo, nel quale viviamo e del quale non essendo ancora corsa neppure la quarta parte, potrà bastare probabilmente a tutti co- loro che attualmente vivono. Voi avreste avuto ra- gione di rilevare ciò , se io avessi negato che essa non possa servire altresì dal 1700 al 1799 ma io que- sto non l'ho detto. Dal 18700 al 18999 essa di bel nuovo (quando non occorrano correzioni straordinarie da farsi al calendario gregoriano) si presta del pari al calcolo della pasqua: doveva io dunque per questo parlare di detti secoli avvenire ? Concludete pertanto che per il secolo nostro solamente ebbi l' idea di dare la suddetta regola; clic pei secoli passati e fu- G.A.T.CXXXll. 15 226 turi soggiunsi il numero II secondo dèlia lettera al baron di Zacli succitata. Mi sembra poi strano (continuate voi) che non in- tendiate , altro non essere questa formola che un caso particolare della generale 22-+- ( 23— E-<-30\ _^ /3-+.L-h6rf\ 30 \ ■d'iiAo^l'nio'j ' da voi data alla pag. 36 del vostro libro. Ed io vi dico che a me sembra stranissimo che mi parliate qui di una cosa , la quale non trovasi punto nella mia lettera al baron di Zach. Certamente che que- sta mia nuova formola è un caso particolare dell'al- tra mia generale citata da voi, essendo che con quella si può calcolare la pasqua, ma per i soli secoli poco fa ricordati: laddove servendosi per il calcolo della formola generale nessun secolo è escluso. Non com- prendo pertanto perchè mi accusiate su di un punto, nel quale io non discordo dalla opinione vostra, e del quale non ho mai parlato. Quanto alla formola della pag. 26 (Opus, astronom. voi. 7), della quale quindi parlate, vi prego di os^ servare che il baron di Zach non dice che voi non mi nominate : al contrario, dice che voi fate quivi menzione di me , e perciò non averla egli notata tra i confronti dello pag. vostre e mie da lui riferiti. Rileggete di grazia le sue parole, e non vi troverete certamente quella incoerenza che voi quivi scorgete. La critica che voi fate del sig. Carlini e di me, di avere noi cioè Hmitato la seconda eccezione a prendere il 18 in luogo del 25 aprile , quando col numero d'oro maggiore di 11 si ottenga dal calcolo 227 la pasqua ai 25 di aprile, la trovo giusta per que- sto, perchè di tali regole possono valersene ancora coloro, i quali poco o niente conoscono la dottrina del calendario: che per gli altri essa non ha luogo, quantunque voi dimostriate che coll'epatta XXIV ed il num. d'oro maggiore di 11 possa accadere la ce- lebrazione della pasqua ai 25, e non ai 18 di aprile. Dissi che per gli altri non ha luogo: poiché la di- stinzione dei numeri d'oro maggiori e minori di 1 1 non fu mai applicata all'epatta XXIV, ma soltanto all'epa tta 25: e ricordandosi della eccezione suddetta, i numeri d'oro maggiori di 11, si rende manifesto che si viene necessariamente a comprendervi l'epat- ta 25 num. arabo, e ad escludere l'epatta XXXIV. E sapete voi qual'è un errore senza replica ? Quello, che pubblicando colle stampe in Homa nel 1809 la formola del dottor Gauss, voi asseriste generalmente, e indistintamente , cioè che se il computo darà la pasqua al 25 aprile, sarà in suo luogo il 18; come se la pasqua non potesse cadere ai 25 di aprile. Nella medesima è sbiigllato inoltre il valore di N dal 1582 al 1699; che in luogo di 3 doveva dirsi 2. Dopo avermi renduto in certo modo i miei due termini o piuttosto le mie formole coll'aver detto che io le dimostrai alla pag. 77 nel mio libro , voi soggiugnete : Io dimostro ancoì' di più pag. 103 , e trovo che il secondo termine altro non è che la distanza in giorni della decima quarta pasquale del 21 Marzo, ed il terzo termine e ripre- senta la distanza in giorni della domenica prossima, 228 e seguente il dì 22 H- rf marzo. Ma di queste due cose erane già stata data la dimostrazione dal dottor Gauss , come può vedersi alla pag. 51 e 57 delle mie Formale analiliclie: se non che egli si esprime più giustamente di voi quanto al valore di e: sembra infatti dalle parole precedenti, che voi con esse escludiate il caso della pasqua dei 22 mar- zo ogni volta che il secondo e il terzo termine sieno eguali a zero: il che egli certamente non fece. Ma qui opportunamente posso rilevare ( conti- nuate voi ) che la formola medesima generale , e le conseguenze da voi e da me dedotte, sono pur comuni al sig. cav. Cìsa de Gresy nella sua memoria Demoni des form. de M. Gauss. Voi però rammentatevi che la indicata memoria essendo quasi contemporanea al vostro libro , né voi conoscevate la memoria del sig. Cisa , uè questo dotto professore conosceva il vostro libro. A tutto ciò posso repHcare: 1°. che io nel 1817 pubblicai le mie For. analit. , e conseguentemente non poteva aver veduto la memoria del sig. cav. Cisa de Gresy, né la vostra: quella, perchè letta all'ac- cademia di Torino solamente il 15 gennaro 1818, e data in luce mollo tempo dopo; la vostra perchè pubblicata Tanno scorso: 2° che il cav. Cisa sud. può aver veduto il mio libro prima eh' egli pubblicasse colle stampe la sua memoria , quantunque io noi creda: 3°. infine che voi avete letto ed il mio libro e la memoria di Gresy prima di stampare la vostra. Ma in essa leggonsi le mie formole espresse perfino colle medesime lettere, e vi dolete che il baron di Zach abbia detto al pubblico, che voi le avete ri- prodotte. Ma le dimostrazioni sono diverse (dite voi). E questo cosa fa ? Le formole saranno sempre di 229 colui che le trovò , e non mai di chi le dimostrò diversamente da quello che fece l'inventore loro. Vi è di più: voi citate le cose di Delambre, di Gauss, di Grcsy , allorché v' incontrate a trattare con esso loro dello stesso particolare, e tacete il mio nome in parità di circostanze. Di tre delle mie formole voi dite di non citarmi , dubitando di offendere la no- stra amicizia. Ma sono esse false ? No certamente: poiché trovansi riprodotte nella vostra memoria . Per quale ragione adunque poteva io offendermi ? Al con- trario io non poteva non gradire, che voi foste stato testimonio presso il pubblico, che io era stato il pri- mo ad esprimere l'equazione solare in due termini, e la lunisolare in tre , e potrei asserire lo stesso della equazione lunare in due termini (quantunque dal dot. Gauss un anno prima di me fosse stata pubblicata), la quale io aveva trovata fin dal 1813, come possono confermare i signori professori Ma- gistrini e Mezzofanti miei antichi colleghi nell'uni- versità di Bologna, ai quali comunicai l'errore della formola di Gauss fino da detto anno. Fu allora che, poco pratico della lingua tedesca , coli' aiuto del professore Mezzofanti suddetto, recai in italiano la sua memoria, che poscia pubblicai con note di se- guito alla mie Formole analitiche. E qui cade in acconcio qualche riflessione sulla critica vosti-a (pag. 176 capo verso, « Voi suppo- nete etc. « del metodo da me usato all'inchiesta delle tre sunnominate formole. E primo, voi mi rim- proverate di avere impiegato c([uazioni ideate da me, e non dimostrate. Voi dunque, a quel che veggo , volete restringere le risorse dell'algebra; e quandc 230 mai si pretese ciò da altri ? lo mi penso che voi siate' il 'prim6 a ciò fare. Eppure voi sapete bene ch^^coll'aiuto di lei veniamo presto in cognizione Se date alcune equazioni esse contengano o no qual- che assurdo, o qualche contraddizione. Nessun ri- schio pertanto io correva nell'i mpicgarle, poiché non poteva in verun modo sfuggirmi ed il difetto loro se manchevoli, o la loro bontà se giuste. E quindi è 'che io, così facendo, costrinsi in certo modo l'a- nalisi a darmi o a negarmi la formola che io gli domandava, e l'ottenni. Aggiungasi a tutto questo, che l'equazioni suddette furono da me istituite con criterio, dal quale poteva sperarsi il buon successo loro assai probabile. 2" Voi condannate la mia ipotesi, di aver supposto cioè che l'equazioni da me stabilite sieno fatte eguali a numeri intieri. Tale mia ipotesi però non solo non contraddice la dottrina del calenda- rio, ma è conforme in tutto e per tutto alla medesi- ma. 3." Voi mi rilevate, che quando io introducessi nelle mie equazioni anni diversi {volete dire secoli di- versi) deriverebbero ancora equazioni diverse e false. Ed io vi replico, che coll'aiuto della precedente ipotesi ho chiuso affatto la strada ed a voi, ed a me medesi- mo, d'introdurre secoli diversi, se non sieno per mez- zo di esse equazioni (nelle quali il n.° dei secoli è da- to) determinati prima i valori dei coefficienti, che so- no le incognite del problema a risolvere; la qual cosa segue altresì manifestamente dall' aver io premesso che pei secoli intermedi, differenti da quelli che rap- presentano r equazioni supposto , debbansi ottenere nei risultati del calcolo loro, oltre i numeri interi , ancora dei residui, i quali per mézzo dell'indice della 231 lettera .i si è avvertito di trascurare. Da tutto ciò parmi possa concludersi, che voi non avete ben com- preso il mio metodo. 4.° Voi menate molto romore di avere io limitato ad uno il valore di e ; ed io ne menerei altrettanto di averlo voi esteso strana- mente da uno a più e piii valori senza la minima utilità: e lo sostengo; poiché infatti il vostro muta- mento in esso non è che apparente, ed eccovene la prova. Trovatosi da me che la costante C nella equa- zione lunare di sua natura positiva è uguale alla quan- tità — ^112, facendo ora astrazione dal denominatore 25, vengo a sapere, che tanto il valore di — HI quanto quello di — 113, che sono i prossimi in più ed in meno al valore — 112, non sono buoni, sono da ricusarsi non dando essi l'equazione sempre giu- stamente, come ognuno da se può facilmente veri- ficare: al che soddisfa pienamente il solo — -112. Ma poiché in tal sorta di calcoli non si tiene conto che degl'intieri, ne segue che io non posso diminuire la quantità — 112 neppure di una millionesima , es- sendo che ciò sarebbe lo stesso, che ridurre il va- lore dì — 112 suddetto a quello di — 113; ed al contrario io potrei accrescerlo progressivamente, vo- lendolo, da 1 fino a 999999 millionesime senza punto cambiarlo. Avrò per questo io determinato 999999 valori di C ?. Ed è quest'ultima cosa appunto che voi avete presso a poco praticato. Infatti alla pag. 59 {Opus astronom.) voi non avete che aggiunto alla 112 ,1 quantità — ■ se non quantità più piccole di ^r- 1 12 Gli avete dapprimo aggiunto vr» ^ quindi ^ =^ e quin- 232 12 3 di _—- — — — — — - ed avete poi ridotto ad uno stes- 112 so denominatore la somma di ^p— con ciascu- ... 1 na di dette frazioni tutte mmori di ^ com e det- 112 to, e così avete ottenuto in luogo di —^r- le quan- 223 __ 335 Ul U6 445 ^34 *'^'' "50", 75 , "■ 100 , IW'IÓO',"" 75 ; ed a trovare il vostro multiforme valore di C ap- partenente all'equazione lunisolare voi avete battuto l'istessissima via. E con ciò voi pretendete di aver determinato più valori di C, che è di sua natura co- stante, apparentemente ed inutilmente vel concedo, in realtà lo nego. 5.° Voi volete che io paragoni la semplicità della vostra dimostrazione, colla quale pro- vate aver C molti valori coi miei 26 ordini di al- gebraiche equazioni, colle quali non ne ottengo che uno. Rispondo, che le mie equazioni non sono che cinque (pag. 27 Form, analit), che di queste cinque non ne impiego che tre, che i 26 ordini di equazioni da voi beffeggiati appartengono soltanto ad un racconto storico della cosa da me fatto al sig. Carlini : che per mettere in opera il metodo da me usato, non 26 ordini di equazioni, ma uno di essi qualunque é ba- stante a determinare i coefficienti costanti del primo e secondo termine di loro. Per poi verificare e cor- leggere il valore trovato della costante C, serve il confronto dell'equazioni dato dal calendario con quelle che si ottengono dal calcolo , nel quale dev'essere messo in opera lo stesso valore di C. prima otte- 2S3 nulo, siccome fu da me praticato. Circa poi alla sem- plicità della dimostrazione, della quale parlate, posso assicurarvi che per tale io non la riputerò giammai essendo che da ciò che è detto facilmente si deduce mancare essa affatto di buon senso, raggirandosi per intero sopra cose pienamente immaginarie. La me- desima inoltre non si contiene nella sola pag. 55, come voi citate, ma è diffusa tanto, che principiata alla pag. 48 (eccettuate alcune poche lacune inter- medie ) termina soltanto alla pag. 56, tra le quali pagini la 50"'" se non contiene 26 ordini di equazioni, contiene peraltro 84 equazioni: che non è poco. Con- cludasi pertanto , che al mio metodo d'investigare l'equazioni lunare, solare, lunisolare, altro non si può opporre ch'esso è indiretto, e che per essere tale è d'uopo di mettere alla prova i risultati, che dal me- desimo si ottengono, per mezzo della quale o si cor- reggono, 0 si confermano, o si escludono, siccome può osservarsi avere io fatto alla pag. 20 e seg. nelle mie Form. mal. Del rimanente quantunque indiretto non potrà mai negarsi che non sia l'applicazione sua alla teoria del calendario affatto nuova , e che non riesca semplice e breve. Ma all'epoca che io scrissi non si conosceva, e per avere detta mia formola col metodo diretto si cadeva nella formola del Delambre tanto prolissa, che volendola il Carlini ridurla alla mia non vi riuscì. Non si conosceva neppure il mo- do di ottenere direttamente l'equazione luni-solare per mezzo della somma dell'equazione solare — 3 \~^)r (x), ~^^ coll'equazione lunare 3 -f- 234. 8K-112. , , , , „ .K Y ( — ^j. 1 la qual somma e eguale a — ài -j-j ,K. _ /8K— 112. .. .Ks .K. - (t). ^ ^ -^ (-Y5— ). = - ^ (t) HtI /125-h8K— 112^ ^.K. ,K\ ^( 25 )~~HTlr-{Tl e riducendo a decimali sì avrà ^ 0. 75K — 0. 25K h- 0. 32K -f- 0. 52 — 0. 96 = — (0. 43K -f- 0. 25K -+- 0. 44), che era da trovarsi. Il solo massimo valore — 0. 96 /24v eguale a (^ J qui si è aggiunto alla detta somma , risultando la equazione solare impiegatavi costante- mente eguale ad un numero intero. A togliere via ogni scrupolo sull'aggiunta quantità — 24 si rifletta che .8K-+-13v l 25 A è uguale ad 8K-t-13 J_ /8K-f-13. 25 "■ 25 V 25 h e perciò — 235 3„ /K. .8K-H13. 3^ .Kv — — I — V "^'^'1 quale ottenendosi V 25 / V 25 ; 25 sempie l'equazione lunisolare espressa da un numero intero negativo, se noi sostituiremo in luogo di —^ l — ) il suo massimo valore numerale che é di -^ ^ 25 ^'' 25 24 ^ la quantità risultante da lui, chiusa però tra parentesi colla lettera indice i , non sarà punto al- terata. Avremo pertanto — 4 _}^^r 25 L?5ir 4 25 _ ( 3 „ /K\ 8K-hl3 24 x -[-T ^-ijl-^ ^5-^25„]„ 4 e si otterrà come sopra 1' equazione lunare solare — |0.43K-h0.25 (-^) H-44J E qui notisi che la co- li . stante C è in origine uguale a — ^^ ed intanto tro- vasi = — 0. 44 perchè il calcolo fu ridotto a de- cimali. Quindi è che sarebbe una obiezione ben de- bole per parte del mio avversario se volesse farmi rilevare di avere ottenuto dal valore di C = — 0. 236 U gli altri tre — 0. 45 , — 0. 46 , — 0. 4-7, i quali vengon fuori egualmente diminuendo quello di 12 3 — 0. 44 successivamente di -j-rr, tttk ttvk frazio- 100' 100, 100» .1 ni tutte minori di ^* Potrebbe dirmisi ancora che questi quattro valori progrediscono diminuendosi, e non aumentandosi, all'opposto cioè di quello che ho spiegato poco sopra. Ma riflettasi, che qui il caso é diverso : poiché la equazione lunisolare e di sua natura negativa , laddove l'equazione lunare è posi- tiva, e perciò deve accadere tutto il contrario. Del mio metodo voi medesimo ve ne siete valuto alla pag. 21 . 43. e susseguenti loro , dove quantunque lo abbiate alcun poco modificato, si riconosce abba- stanza averlo tolto da me ; se non che nelle mie formole analitiche io l'esposi in assai piiì brevi pa- role , e che io Io chiamai metodo analitico , e voi computo aritmetico, come se l'analisi dal medesimo fosse affatto esclusa. Alla pag. 180 della vostra lettera le quattro equa- zioni che voi istituite sono assai curiose, poiché nei membri a destra della prima e della terza im- piegate il valore di L, e nella seconda e quarta con- cludete lo stesso valore di L in quelle prima sosti- tuito, senza stare ora a ricordare che qui e due pa- gine avanti voi stesso convenite che le prime tre fu- rono da me trovate prima di voi, che per la quarta ne parlai già in principio di questa mia. Quindi continuate voi alla pag. 181 « Io ho vo- luto rilevare la convenienza di tutte queste diverse for- inole dipendenti dai principi pili semplici delVaritme^ 237 tica )) Giudicò non ostante il dottor Gauss tutto il contrario, dicendo « L'analisi per la quale si è tro- vata la suddetta forinola, sta propriamente nelVarilme- tica sublime, rispetto alla quale non posso riferirmi ad alcuno scritto, ne' qui si potria riportare nella sua intera semplicità » (pag. 4-7 For. analit.) Io però opinai diversamente e da voi e dal dott. Gauss, e tenni la media delle due vie tanto distanti tra loro quando dissi (ibidem) Vedremo in processo come dai pochi principi esposti, e dall'algoritmo alrje- braico risulti una dimostrazione completa della for- mola del dott. Gauss, onde io sono compreso alquanto da meraviglia per la espressione da lui usata, e poco fa riferita, quasi fosse necessità di un trattato di nuove Teorie aritmetiche a polernela dimostrare. A me sembra pertanto, che voi escludiate a torto l'aritmetica universale, ed esageriate troppo la faci- lità dei principi più semplici dell'aritmetica, dai quali sostenete che derivino le formole del Calen- dario. Che se così fosse, non avreste certamente im- piegato 160 pag. in quarto per trattare delle me- desime, senza contare quelle che trovansi pubblicate nel gioinale arcadico a più riprese. « Voi sicuramente (seguite a dirmi) da ciò com- prenderete , che applicandosi alla ricerca di queste formole , facilmente succede , che si trovino formole identiche, senza la necessità non solo di copiare, ma neanche di conoscere le altrui. E' perciò che io credo non convenga dare a queste formole quelV importanza che voi loro date. Questa verità, che si conferma assai bene appli- cata al dott. Gauss, ed a me per la e(|uazione lu- 238 naie, la quale abbiamo espresso ciascuno di noi, senza copiarci l'un l'altro, dell'istessa maniera (il che è avvenuto del pari al cav. Cisa de Gresy nei va- lori di d, e di e che io avevo dato prima di lui), male si applicherebbe a voi che conoscevate già pri- ma di scrivere sul Calendario gli scritti di tutti e tre, sui quali abbiamo più di una volta insieme par- lato. Che poi io dia maggiore importanza alle for- mole mie, di quello che meritino, non posso ne- gare che voi avete ben ragione di pensarlo. Ma che volete ? Io sono stato per cosi dire sedotto da al- cune circostanze, le quali non s'incontrano tanto fre- quentemente, e tali sono l'aver renduta universale per l'avvenire la formola del dott. Gauss, l'aver cor- retto molti errori del cav. Delambre, ma soprattutto l'essere riuscito ad esprimere le 3 equazioni lunare, solare, lunisolare assai più concisamente, che ad al- tri non venne fatto. Api)resso, voi dite « Per quanto io penso adun- quey credo che il Gauss abbia potuto nel combinare le sue forinole riconoscere nelle medesime V epatta ^ e la lettera domenicale » Ed io vi rispondo che dalla esposizione di lui ciò non apparisce. « Credo dunque (proseguile voi) che voi facciate torto al distinto merito di questo matlematico, quando dite nella vostra lettera^ che dalle sue formole non si ottiene V epatta, né la lettera dominicale. Ciò avevate (jià meno generalmente apposto al doli. Gauss alla pa(j. 37 del vostro libro, limitandovi alla sola diffi- coltà. Ed io stimai leggerissima vostra svista quello che ora conosco essere vostro erroneo sentimento. Ri- 239 .23— E-h30. chiamate V equazione arrecata d=- [ ^ j, ^ P*'" sfo che E sia eia. A tutto questo mi rincresce di dovervi dire, che io sono rtiolto meravigliato della vostra maniera d'interpretare le cose altrui, che pare non sappiate distinguere da cosa a cosa. E quando mai posso io aver creduto che dalle formole dei dott. Gauss non possano ottenersi E e la lettera domenicale L, avendo e prima di voi , e prima del cav. Gresy esposto la quantità di d, e di e impiegate da Gauss in fun- od— Ci > zioni di E, e di L, allorché dimostrai d = i ^^ ) e(jg___ / ^~^ — \ dalle quali trasponendo si ot- tiene a vista E = (-ótt-) ed L = (^ -^ j;f >» dirò di più, che la prima di queste ultime formole sta alla pag. 77 delle formole mie analit., dalla quale / 53 — E \ „ trasponendo ottenni poscia d = ( — ^a — ) '-'gn^'^o sa che può cavarsi da una forinola la espressione di una quantità , eh' essa implicitamente e non manifestamente contiene, mediante particolari cono- sciuti, nuove sostituzioni, nuovi calcoli, e che so io: ma tutte queste cose provano, che quella forinola originale, com' è data dall'autore suo, non può senza tali cambiamenti dare il valore della quantità cercata che nei termini suoi non contiene. Così , e ciò sia detto per un esempio, quantunque dalla forinola espri- mente il coseno di un lato di un triangolo sferico, 240 il celebre Lagrangia dedusse tutta la trigonometria sferica, ciò non ostante non potranno determinarsi per mezzo suo, che le quantità da lei contenute; che per le altre converrà mutarla a forza di sostituzioni, in altre formole diverse affatto da Lei. Date di gra- zia da calcolare la formola di Gauss a chicchesia , che conosca la dottrina del calendario, e che abbia Ietto ancora la memoria dell'autore suddetto, non però le cose vostre, e mie ; e dimandategli che da essa formola tragga la quantità dell'epatta, e della lettera domenicale; allora sentirete dirvi da lui, ne sono si- curo, che non si può. Ma se voi gli sosterrete ch'egli è in errore , allora studiandovi egli sopra, tentando e ritentando, vi scoprirà infine l'espressioni di E, e di L. Quindi è che io dissi alla pag. 37 delle mie form. analit. « La mia formola quantunque si accosti per una parte a quella di Gauss^ tuttavia merita Val- tenzione dei dotti , contenendosi in essa i valori del- Vepatta, e della lettera domenicale che nella stia s''in- vesligherebbero a stento; ed è inoltre senza i numeri rappresentali da M. N. che variano regolarmente quasi ad ogni secolo. E nella lettera al baron di Zach (Gorr. astron. loco citato) quantunque mi espressi con parole diverse, dissi la medesima cosa, e la interpretazione vostra quivi è eccessivamente soprabbondante, e con- seguentemente falsa. « Outre la simplicité (io scrissi al barone) elle a ce- la de particidiery quelle comprend dans ses termes Vepa- cte et la lettre dominicale, en sorte quen calculant ìe jour de pàques pour im année donneé, on connoilrd en méme tems Vepacte et la lettre dominicale pour la 241 mcme année ; ce qiie ou noblieni pan avcc la for- mule de M. Gauss, la quelle, comme vous savez, ne donne que le jour de pàqiies. E la vostra dimostrazione di ciò che sostenete contro di me, vi condanna. « Richiamate, voi dite, l'equazione arrecata ^ = 23 — ( ^"^f ^ ) ec. » Ma questa equazione, che io già dimostrai e pubhlicai prima dì voi, fu materia per me di tutta la pag. 77 ed a voi di assai più lungo discorso. Come dunque può dirsi, che la formola del dott. Gauss dia l'epatta e la lettera domenicale con quella facilità, che dà la pasqua? E questo si fu quello che io negai, e di- chiarai abbastanza nei due luoghi poco fa riferiti. E poi, che modo è mai questo di provare tale vostro per me curioso assunto ? Egli non è che un idem j>er idem, come dicono i logici. Stabilire d = (^?zrE;+-30 V 3^L-^6d \ ^ 30" — ).^^^=-( — 7 — ;,. vale tanto, quanto stabilire che e non ha bisogno di prova alcima. Ma non sì tratta di questo; tutto il punto consiste di trovare due for- molo luna dell'epatta, e l'altra della lettera dome- nicale, espresse da quantità, tra le quali si conten- gano respettivamente quelle di d e di e di Gauss, pnma di potere asserire che la formola sua dia l'epatta, e la lettera domenicale egualmente che la pasqua; e tale investigazione divenendo il soggetto di G.A.T.CXXXIII. 16 242 due nuovi problemi , a me sembra di non essermi punto ingannato esprimendomi nella maniera che feci tanto da voi criticata. Alla pag. 181. Voi vi compiacete di dirmi: La vostra nuova formola della lettera domenicale niente mi dà a rilevare. Posto ciò, mi prenderò io la li- bertà di farvi rilevare, eh' essa è preferibile a tutte le altre dello stesso genere prima trovate , per tre ragioni: la prima delle quali si è quella di aver'essa un termine di meno; la seconda, di avere io sosti- tuito al numero deiramio dato (che ordinariamente non ha meno di quattro figure) il numero di due fi- gure solamente: e l'ultima, di aver soppresso con ciò la divisione per 7 dell'anno dato, che incontra vasi nel quarto termine del numeratore. Voi vi compiacete inoltre di dare la dimostrazione della medesima, quantunque fosse a notizia vostra che io aveva già promesso per lettera al baron di Zach, che mi domandava di volergliene mandare. Ma voi non date già la vostra dimostrazione di detta mia for- mola, e dell'altra parimenti mia della pasqua (pag. 179) per togliere a me la mano, ma solamente per per- suadermi (dite voi) sempre piìi che simili formolcy come che derivate da principii elemenlaìi dell'aritme- tica, possano facilmente ritrovarsi senza la necessità di ricopiarle da altri. Converrete però, eh' egli è as- sai strano, che voi le troviate sempre dopo di averle vedute nei miei scritti, e che io me le trovi da me senza mai averle vedute negli scritti di nessuno. Ma non parliamo di questo: fermiamoci piuttosto un momento sulla frase possono facilmente da voi poco la adoprata; sulla quale dirò, che sul possono siamo 2i3 perfettamente d'accordo: sul facilntcnlc avrei qualche difficoltà appoggiata piincipahiieute su quanto è stato scritto sullo stesso soggetto da voi, dal Delambre, e prima dai padri Canovai e Del Ricco. Ma di questo lasciamone il giudizio al pubblico. Mi contenterò solo ài farvi osservare, che la dimostrazione da voi data alla pag. 183 della mia nuova formola della lettera domenicale è soverchiamente piolissa, poco chiara, e niente rigorosa. Che sia prolissa e poco chiara, io mi penso che nessuno mei contrasterà se non voi ; che poi essa non sia rigorosa, io lo giudico da que- sto, dal voler voi dimostrare detta formola, eh' è ge- nerale, per mezzo di un caso particolare, come voi fate per l'anno 1800 -t- h ; il qual caso particolare poi in un modo assai strano rendete in fine univer- sale. Dico assai strano, perchè nell'ultima parte di lei vi si suppone la prova sua desunta da calcoli dal 1600 in poi, cosa già da voi non ammessa, ed a me rimproverata. Cotale maniera vostra di dimo- strare non sarà mai ammessa da veruno. Voi però, animato da queste mie osservazioni, potreste proba- bilmente esigere da me una dimostrazione pili sem- plice; ed io allora vi contenterei colla seguente, che al contrario della vostra è breve, chiara, e rigorosa. Fu già dimostrato da me alla pag. 13 delle mie Form, analit. ^=( 7 i,. ora facendosi in questa H = 1 00 K -t- /? , il se- ri condo termine di lei 2 ( -,— 1 risulterà 2U h = 2 l~r^j e sarà il quarto 4- (-=-) = ( — = — j : SI sostituiscono le quantità 2 /-y-| I — = — j nella espressione precedente di L in luogo del secondo , e quarto termine di lei , che gli sono eguali, e riducendo troverassi ^-Mt)MtÌ- 4/1 l 7 )r il che erasi da dimostrare. Ed ecco che si possono da alcuni facilmente tro- vare delle espressioni analitiche eleganti e concise, ma non da molti certamente. Così io la trovai senza che veruno me l'avesse suggerita, ed assai facilmente; e voi a ritrovarla di bel nuovo (dico di bel nuovo perchè veduta prima da voi nella mia lettera al ba- ron di Zach) avete dovuto fare un giro tortuoso, e forse manchevole (1) nella teoria in qualche sua parte. Ma qui non teritiina questa mia nota; poiché ho an- cora da aggiungervi che la formola avanti la riforma, da servirsene per il calendario giuliano, cioè (1) Di&si manchevole poiché dalle due ultime linee della pag. 183 e dalle 4 seguenti della pag. 184 non si comprende cosa s' in- tenda dire. 245 la quale voi date in fine della detta dimostrazione?, è falsa; e la sua falsità si palesa da se medesima; poiché s'essa fosse vera ne risulterebbe che la quan- tità della lettera domenicale del calendario giuliano sarebbe maggiore di due di quella del calendario gregoriano; il che non si verifica universalmente, ma soltanto per alcuni pochi secoli, come nel 1 9'"° 28'"" 29'- 31"'" 46""' e dite voi. La formola da preferirsi avanti la riforma si è la seguente: L=: ÌK^2(|K4(Ì!=i), ^ 7 ),• e si ottiene facilmente cacciando via dall'altra mia qui appresso L= — !Mt),-*(4)J (Form. anal. pag. 11) i due ultimi termini del nume- ratore per mezzo della sostituzione degli altri due '^\T^r, ^-+-4/^ che gli Sono uguali ; e mutandovi il -1-3 in— 4: così diviene ancora più semplice, non con- tenendovisi più la quantità H, quantità dal secondo secolo in poi dell'era nostra sempre maggiore di h. Termina la vostra lettera colla difesa delle tre formole che al sig. baron di Zach sembrarono false: la quale quantunque voglia ammettersi da altri, non di meno sussisteranno sempre a favore del sig. ba- rone suddetto tante e buone ragioni, eh' egli "verrà, secondo a me pare, assai più che non è di bisoeno,' 246 di quanto disse sulle tre forinole suddette, giustifi-' cato. Tanto più che egli si espresse su ciò assai mo- deratamente dicendo : Nous ajonterons encove la re- fleclionj qiiil nous a pam qiie trois de ces formules sont fausses. E poco dopo egli aggiunge : Peut-étre que M. Vabhé Calandrelli inlerpreterà ses formules differement de ce que nous avons fait, mais en ce cas il faul convenir , qu^il s''cst expUqué tres obscurement. Con che chiaro veggiamo, eh' egli non disse al pub- blico essere esse assolutamente false, ma solo di du- bitare della bontà loro : la quale ammessa che sia, egli si limita ad imputarvi di esservi espresso poco chiaramente. Ed io non so qual cosa voi potreste replicargli, s' egli vi facesse osservare. 1" Che una delle viste del dott. Gauss nel pub- blicare la formola sua per il calcolo della pasqua, fu certamente quella di dare una regola generale aritme- tica da potersi praticare ancora da coloro, che igno- rano affatto la dottrina del calendario, e tutta fon- da,ta sulle più facili operazioni dell'aritmetica. 2" Che voi al contrario esigete che il calcolatore delle tre formole in questione sappia a fondo la dot- trina suddetta, come può facilmente rilevarsi dalla difesa che fate delle medesime. 3° Ch' egli non poteva mai immaginarsi, che voi in luogo di fare un passo avanti, ne faceste uno in- dietro: in luogo cioè di rendere la regola del dott. Gauss più facile, la rendeste più diffìcile, più com- plicata, e servibile a pochi, essendo che non sono molti quei che conoscono la teoria del calendario. -i" Che voi date due formole (alla pag. 103 Opusc. astfpn.) una dopo l'altra per la pasqua del calenda- 2Ì1 rio gi'egoiiano: e perchè esse riescan giuste, preten- dete, senza avvertirlo, che chiunque vorrà farne uso debba fare attenzione di prendere nella prima il 3.° termine eguale a 7 ogni volta che il suo numera- tore risulti un multiplo di 7, e dì fare nella iseconda il termine terzo corrispondente al terzo precedente eguale a 0, quantunque trovisi essere il suo nume- ratore un multiplo di 7; due cose tra loro opposte. 5" Che le vostre fojmole per la pasqua del ca- lendario giuliano contengono la medesima precedente contraddizione. 6" Che voi assai male giustificate tali contraddi- zioni col dire : Ciò poi dovrebbe avvertirsi , ma non si avverte perchè tutti sanno ec. né col ripetere po- co dopo: Ciò similmente dovrebbe avvertirsi , ma non si avverte perchè tutto il mondo sa ec. non verifi- candosi punto quel tutti sanno, né quel tutto il mondo sa. 7° Che una scusa di tal fatta diviene una con- fessione manifesta della omissione vostra di un av- vertimento indispensabile per il lettore, che volesse calcolare le vostre formole. 8" Che una prova del numero sesto e settimo precedenti si è l'accaduto al baron di Zach , tanto esercitato nelle scienze esatte e nel calcolo, l'avere cioè dovuto egli stesso dubitare della bontà delle vo- stre formole; alla qual prova posso io aggiungere per la verità, che ancor io, quantunque più esercitato di lui sul computo della pasqua, ebbi tali dubbj. 9" Che i PP. Canovai e Del Ricco alla pag. 249 del tomo 2" degli Elementi di fisica e mattematica notano nella formola loro della lettera domenicale, che quando R = o sarà u = 7, ed alla pag. seg. dicono del pari se R =^ o saia u ^^^ 7. 248 10" Che nel mio libro, non ostante che nelle foi'- mole analitiche vi si sia evitato sempre in tali casi il valore di 7 quando il residuo ò 0, pure nella no- ta 23 alla memoria del dott. Gauss vi si avverte , che la quantità e, della ((ualc (juivi si parla, supera sempre delFunità, la quantità e di Causs; eh' è tanto dire, che risultando Ve di Gauss eguale a 6, diviene è= 7. 11" Che in tali casi in parte consimili, ma di as- sai minore momento, come sarebbe nel computo dei cicli solare, lunare, e della indizione romana, e dei due periodi dionisiano e giuliano, tutti gli autori, che ne scrissero, non hanno mai lasciato di preve- nire il lettore, che quando ottengasi dal calcolo di detti cicli il residuo o prendasi invece respcttivamentc 28, 19, 15, 532, 7980, siccome ne avvisai io pure alla pag. ultima del mio libro , e siccome usarono di fare Lalande, Delandjie, i padri delle scuole pie soprannominati, e tanti altri. 12° In fine che nell' analisi un termine di un A il suo numeratore sia un multiplo di B, risultare a piacere dell'analista ora eguale a 0, ora eguale a B: conviene eh' egli si decida [ter uno dei due valori, ed è assai più conveniente il preferire quello di 0, che è più conforme all'essenza del termine suddetto. E perciò il dott. Gauss ed io con lui evitammo co- stantemente il valore di 7 neirultimo termine della formola per il calcolo della pasqua ogni volta ch'esso fosse eguale a o. Egli spinse l'attenzione medesima periìno nel computo del numero d'oro, e volle che espressione della forma di /-— -j non può, allorché 249 u fosse espresso da N = l—\ h- 1, onde non riu- scisse mai eguale a 0, come dalla formola comune /H-4-1 N =(— r-— j allorché H -+- 1 sia un multiplo di 19, si ottiene; per l'uso della quale si rende perciò ne- cessario l'avvertimento di doveisi prendere in tale caso in luogo del 0 il 19. Il barone di Zacli per- tanto ha giustafhente dovuto o dubitare della bontà delle vostre formole , o concludere per grazia , che poco chiaramente vi siate spiegato. Da tutte le quali cose contenute nei numeri 6, 7, 8, 9. 10, 11, pre- cedenti, chiaro apparisce che voi non avete ragione veruna di dire , come pur troppo avete detto : ciò imi dovrebbe avvertirsi, ma non si avverte : concetto per se stesso patentemente assurdo e falso. La vostra lettera termina così : Credo di aver soddisfatto pienamente a quanto mi viene opposto; non sono però certo, che non possa esservi chi voglia en- trare di nuovo in campo. Quando però ciò sia per ac- cadere, io vi assicuro, che il battersi per cose tanto frivole, e quasi direi puerili, non è del vostro e del mio onore. Per darvi dunque un attestato della mia sincera amicizia , e singolare stima , io sarò sempre sordo e muto a qimnto vorrà di nuovo oppormisi. A quest' ultimo paragrafo due sole parole vi re- plicherò, e sono; che io, al contrario di voi, non sono rimasto punto soddisfatto della vostra risposta alle cri- tiche fattevi dal barone di Zach, e ne avete la prova in questa mia; che poi voi non vogliate più battervi su questioni di questa materia, da voi dichiarate fri- vole e puerili , farete assai bene, io mi penso : ma 250 non dovevate neppure pubblicare cose che altri pò-* tesse censurare, coni' è avvenuto delle vostre due ul- time memorie di 160 pag. in 4°, le quali per la loro soverchia lunghezza devono persuadere chicchesia, che voi non ne reputate poi tanto puerile Targomento. Quanto a me, agli attacchi, che possono in seguito essermi fatti sopra tale proposito, sieno pur essi pue- rili, non sarò mai né sordo, né muto : ma ciò non diminuirà punto l'amicizia sincera , e la stima sin- golare, che ho avuto sempre per voi. = Roma 1° agosto 1823 = Lod. Ciccolini. N. B. Quantunque questo scritto sia stato da me compilato fin dall'agosto 1823, tuttavia nell'occasione di rileggerlo oggi per darlo alle stampe mi sono per- messo inserirvi qualche piccola cosa relativa allo stesso argomento di recente data, che il lettore scor- gerà facilmente. 251 De landibus professoris Antonii Campana ferrariensis. Oratio habita ib ejiisdem successore doctore Caje- tano Nigrisoli prò solemni studiorum inslauralione magni lycei patrii nonis novembris anno schola- stico 1853 ad 1854. De Clai'issimo viro prof. Antonio Campana ferrariensi Epigramma Naturae studia hic miram, Campana per artem Constituit mentis dexteritate potis. Hortum consevit, peregrinis induit herbis Sic varias retulit, quas humus abdit, opes. Pharmacopoeia docct cunctis notissima in oris Innumeris aegmm membra levare malis Campana,© splendor patriae,haud tua fama per aevum Excidet. Ingeuii stat sine morte decus. Ex omnibus praemiis virtutum'amplis- simum est praemiuin gloria, quae vilae brevitalem posteritatis memoria con- soletur, quae efficit, ut absentes adsi- mus, mortui vivamus, cujus graclibus etiam homines in coeluai ascenilere videntur — Cicero prò Milone. c um multa inaudita, Pontifex eminentissime, no- strique celeberrimi athenaei Cancellarie amantissime, 252 municipii proceres nobilissimi, patres sapientissimi^ professores clarissimi, juvenes mihi charissimi, au- ditores quotquot adestis ornatissimi, cum multa inau- dita, et maxima adinvcnta, quibus naturales scien- tiae superiori saeculo exeunte nostra ad haec usque tempora ditatae sunt, in mentem reducamus, altis- simo stupore et maxima simul perfundimur volu- ptate. Quid enim suavius, quid praestabilius homini esse potest, quam ex contemplanda varietale hac, et pulchritudine rerum, quae coeli, terraeque ambitu continentur, ad Deum recolendum non modo evehi verum quoque ad vitae commoda, deliciasque ma- gis , magisque amplificanda ? Obstupescent posteri certe intuentes franklinianas cuspides ad fulmina eri- pienda ferreas, voltianam pilam, galvano-plasticam, telegrapha , et lucem electricam, atque electri vini sane admirandam, et quasi incredibilem ad morbos profligandos, nec non ad alia munera longe utilissi- ma absolvenda. Quam merito vestra nomina, Bec- cari. Aldini, Galvani, Franklin et Volta, qui ad ma- jora studia, felicioresque applicationes doctrinis, no- visque instrumentis undique sapientes impulistis,quam merito, inquam, vestra nomina omnes immortalitati comnfjendabunt. Perbelle enim cecinit Propertius. Ast non ingenio quaesitum nomen ab aevo Excidet. Ingenii stat sine morte decus. Quid loquar de facillimis obtinendi, et communicandi caloricum rationibus, dequc amoenissima meteorolo- gia penitus instaurata? Horum omnium, quae vobis raptim exhibui, attenuabitur piaestantia, si cum va- 253 poris aquei porteli tis in navijjus iiiachinisque innu- meris tanta celeritate movendis comparemus, ut mens nostra temporis spatia vix possit dimetiri. Ex infinita vero divitiarum congerie, quibus nu- perrima chemia homines donavit, perpendite chlo- l'uni, hyodum, chininam, caetera alkaloidea, eorum- que compositiones, nec non antidota, et reagentia ad potuum, epularumque salubritatem deterniinandam certissima; tantisper in animum revocate perfectio- res metallurgiae processus, gassosam lucem, flammi- feras festucas, nitri, sodae, salis ammoniaci, atque pulcherrimi coloris transmarini , seu lapidis-lazuli fabricationes. Conspicite insuper daguerrotypicas, et photographicas artes elegantissimas, guttam percam, gossypium fuhnineum, chloropbormium, atque col- lodion. Considerate demum, tot, tantaque auxilia agri- colis ipsam elargiri, ut minima impensa uberrimos laborum fructus assequantur. 0 chemia nostri aevi nobilissima haereditas ! Te duce , noster animus universae molecularis naturae mirabilia pbaenomena contemplans Dei infìnitam sa- pientiam, bonitatemque obsequentissime laudat. Quis- nam nisi Deus sapientissimus materici, planetarum- que molibus imperare potuit, ut perpetua, et acquali attrahendi vi sollicitarcntur? Quìsnam nisi Deus (in- geniosi Liebig verbis utens tanlummodo hic addam) efficere potuit, ut hominum corpora condensato aere conficerentur, nos condensato aere alcremur, atque condensato aere venti celeritatem aemularemur. Itaque si physico-chemicae scientiae aliis alTi- nibus arctissime devinctae inauditum dccus nostro saeculo addidcrunt; si populorum felicitati fovendae 254 mirum in modum famulantur, nobis, egiegii cives, laetandum, gloriandumque est, Campanani hic efflo- l'uisse, qui tum illarum, cum botanices, pharniaciae, et agrai'iae cultum voce, scriptis, exemplo, niuseo- rumque institutione evexit, atque easdem ad homi- num incolumitatem , atque commoda feliciter ap- plicuit. Quapropter si nostri civis famae celebritas eu- ropeos fines excesserit, si effigiem, marmoreum mo- numentum, et biogi'aphica scripta nominis memoriae pei'petuandae consecrata intueamur; hujusniodi de- monstrationibus alia erat a nobis addenda , propter quam familiare (ut ita dicam) officium persolventes tanti viri laudes in hoc magno lyceo solemniter ce- lebraremus. Ast cum sane arduum , mihique periculosum onus hodierna luce Patriae laetissima prò hujusce anni studiorum instauratione trepidanter assumpserim, te, Pontifex amplissime, vosque, spectatissimi Cives obsecro, ut benigne, et comiter orationem hanc qua- lemcunque excipiatis cujus erit potissimum munus (absque eloquentiae fuco) Campanae facta pertingere ex quibus piane vos dignoscetis, eundem optime de suis, ac nostris temporibus, de patria, atque de ho- minum genere insigniter meritum fuisse, unde, Tul- lio dicente, nonien vigebit memoria saecidorum omnium alet Posteritasy ipsaque aelernitas semper inluebitur. Qua aetate Lavoisier, Priestley, Schede, Chaptal, Berzelius, Cuvier, Spallanzani, Fabroni, Davy Gal- vani, Vtflta, aliique longe praestantissimi effloresce- bant , hac aetate , inquam , tot , et tam variis vi- cissitudinibus exagitata suae domui gloriam, et ce- '255 lebritatem allaturus oriehatur in nostra urbe peril- lustris antecessor meus ab honestissirnis parentibus Jeanne Crimpana, et Panila Righetti. Emensis ala- criter pueritiae ludis , in Jesuitarum omni tempore florentissimo collegio humaniores litteras didicit, po- stea generali philosophia celebri lusitano Montejero sese tradidit imbuendum. Hujuscemodi discipliuis Antonius rite informatus , cum vivissimo desiderio naturales scientias consequendi mallet obtemperare, medicinae cursum aggrediebetur in hoc athenaco , cujus immortales fastos ab eruditissimo patre Nan- nerini eloquenti oratipne, summoque studio erga nos illustratos praelerito anno lubenter audivimus. Te- chnicis absolutis exercitiis , quid quid sapientes viri Bononi, Folchi, Vari, Leati, et bononiensis Zacchini docuerant, din, noctuque revolvit, inde, omni trepi- datione amota, Patavium sese contulit, atque in ce- leberrimo ejusdem archigymnasio periculo de se fa- cto a doctissimis Patribus doctor maxima cum laude renuntiatus est. Cui redeunti summus vates , ita- licaeque litteraturae optimus instaurator Vincentius Monti (quem nostrum civem habuisse gloriamur) Car- mine, et Patria plausu, atque honore gratulabantur. Sed Ferrariae Xenodochium tunc panca suppe- ditabat, quibus in arduo morborum certamine Cam- panae mentis aciem acueret ; hic Physica experi- mentabs , et chemia adhuc tenui in luce versa- bantur. Quapropter Florentiam illa aetale, ut nostra Athenarum glorioso nomine cohonestatam petiit. Exi- mii professores , qui medico-chirurgicas disciplinas profìtebantur, juvenem ad studium magis incitabant: multoque magis ingenii vircs ipsi adauxisse vide- 256 bantur splendida monumenta, quae summomm ho- minum , qui academiam experimenli celeberrimam reddiderunt, memoriam testantur, Galilei Galilei phi- losophiae restauratoris, Evangelistae Torricelli inven- toris barometri, Ioannis Borelli physiologi Celebris , Petri Castelli hydraulici maximi, Vincentii Viviani hy- drostatici praeclarissimi, Francisci Redi poetae su- avissimi, atque historia naturali excultissimi, Lau- rentii Bellini denique anatomici, et physiologi prae- eellentis ; horum omnium exempla , inquam , ipsi ingenii vires adauxisse videbantur. Hinc (res quidem mira) sanctae Mariae Novae magno clinico hospitio, Bicchierai moderatore , diu immorabatur , qui non modo aegros in urbe curandos ei committebat, verum quoque eiusdem opera utebatur in conficiendis bota- nices, et chemiae tractatibus = Dei bagni di Monte- catini - neque modo civem nostrum sibi consociasse gloriabatur, sed et ad quodvis naturalium scientiarum obeundum munus peridoneum existimabat. Pari ar- dore Giuntini chemicis auditis lectionibus, difficilli- misque iteratis experimentis , ani munì oblectandi gratia plantis abundantissimum regium viridarium adibat usque adeo profìciens, ut eum antecessor Lapi omnibus quidem praestantibus discipulis longe ante- cclluisse iudicaverit. Maiorem addiscendi opportuni- tatem illustris naturalium scientiarum ornamenti Octaviani Targioni Tozzetti amor, et cognatio adii- ciebant una cum egregii angli Cooper Florentiae com- morantis necessitudìne, in cuius physico museo, quae voluisset, experimenta poterai perpetrare. Campana, lustro vix elapso (nondum vitae sextum attigerat) ad cives exoptatus restituebatur. 0 felix 257 patria, quae euindem sapientiae congestos labores de- cori, tuisque coinmodis devovere cernes ! Praetermisso itaque praxeos medicae laborioso munere (quod for- tunae vicibus , vulgi inscitia , aemuloriimque livore saepeniunero exagilatur) praetermisso itaque praxeos medicae laborioso munere, quod ipsi bonores, et lucra facile attulisset, nobile instituendo curriculum phy- sico-chimicam privatam acedemiam exordiri voluit,in qua salutis amicis adinventa recludebat, iucundisque experimentis eorumdem veritatcm roborabat. Cum civium admirationem, et laudem sibi conciliaverit , a munilìcentissimo nostro cardinali Riminaidi (quem summi honoris gratia nomino)Physicae experimentalis l)rofessor nominabatur. Sed quid non potest invidia, praesertim si ignorantia suffulciatur ! Novae scholae nimium praefulgens lux velcrem physico-mathesim crassis tenebiis obruebat: bine, eadem silente, patria vero obstupescens, dolensque, machinarum supelle- ctilem , ipsumque Campanam amisisset , si , patrio amore posthabito, bononiensibus eum ad chemiae ca- thedram vocantibus esset obsecutus. Nec reniuneratione indignum patria magnanimum facinus exi?,timavit, imo vero antecessor meus totius diuturnae vitae spatio sua sorte contentus dici potuit, cum vix anno confecto nostri athenaci reformatores botanicam, physicam, et chemiam explicandas ipsi mandarint, inde Corti defuncto physicae professore, hoc novum docendi munus addiderunt. Sed cum plus, quam par esset, vitae historicas notitias produxerim, temporis angustia pressus mu- nera dignitatesque praetermittam; haec enim omnia a civium nostrorum Petrucci, et Delilicis editis bio- G.A.T.GXXXII. 17 258 giaphiis hauiiuntur. Maximi mea interest operum, re- rumque aggradi examen , ut, insignioribus expensis mentis, facillime vos dijudicetis, quam bene noster civis pati'iae deeus evexerit, hominumque genus na- turalibus scientiis adiuverit. Quae cum pertractanda mihi ardua fore sentiam, vos iterum, optimi auditores obsecro, ut indulgenter, comiterque verba mea au- diatis. Ferrariae, ut in reliquis peninsulae urbibus phar- maceutica ars circulatorum fraudibus, atque erroribus exagitata, saeculo superiore iam labente adeo incerta, et obscura fluctuabat, ut cum Virgilio Aeneidos XII, muta simul ac indecora appellari possit. llle ut depositi praeferret fata parentis Scire potestà tcs herbarum, usumque medendi, Maluit, et mutas agitare ingiorius artes. Quid plura? Cum Pharmacopolae variis in eodem parando methodis uterentur , id virtutes plerumque dissimiles exhibebat. Haec , aliaque summa danina Campana rite perpendens, melioribus consultis, atque exploratis anlidotariis, naturalium scientiarum, prae- sertim chimiae, progvessibus adjutus pharmacopoejani latine conscripsit, quae solum ann. VII gallicae Reir- publicae fuit anonyme typis edita = Farmacopea fer- rarese := Singulare doctorum suffragium breve post tempus ad alteram editionem impulit, quae civis no- stri nomine exornata, et valde aucta publicis laudi- bus efferebatur. Summopere admirandum est, in prae^ cìpuis Italiae regionibus bis decem alias editiones di- midio saeculo luisse peractas, nec non hujuscemodi 259 Parniacopoejain Londiiii, PeUopolì, Byzantii, ac Li' psiae variis redditam linguis exisse , atque honoris l'astigium assecutam, cum equitem egregium Jour- dan in classica Parmacopaeja universali ferrarieu- seni pluries adhibuisse conspiciamus. Nunc auteiìi operae pretium est majora expen- à^ie merita. Primum, et quidem maximum est, Cam- panam (illustri De-Renzi suadente) italos Pharmaco- poeos ante omnis chemiae piogressus ad partem technicam reformandam, illustrandamque applicuisse, cujus ope pernoxiam polipharmaciam coercuit, reme- diorumque inutilem congeriem fere eliminavit. Nonne viri laudati studia, et opera in remediis designandis, eorumdemque virtutibus , nec non plantarum offici- nalium, referendis peculiarem laudem exposcunt ? Quam vero strenue practicae sapientiae improbis la- boribus comparatae specimen exhibuerit , omnium concisa, et clara expositio nedum certissime demon- strat, sed etiam nova tartari emelici (tartratis anti- monici-potassici) parandi ratio, quam tametsi aìie- nigenae, atque recens Pharmacologiae auctor claris- simus Orosi videantur nescire ; caeteris tamen cum extimorum hujusce dupli salis characterum pulchri- tudine , tum eo magis therapeutica immutabilitate eju&dem (remediorum contrastimulantium facile prin- cipem habendum animadvertatur) est praeponenda. Pharmacopoeis denique Campanae volumen majorem discendi, laborandique cupidinem inspiravit adeo, ut a confectorum vilissimo grege, maximo cum decora, atque utilitate eosdcm vindicaverit. Quod 8Ì tot, aliisque praeclaris meritis nostri civis Pliarmacopoeja refulgot; si tantum prima editio ano- 260 nyma hic typis fuit commissa, quis novanti alteram illustrationibus, et additamentis praeditam nobis esse suscipiendam inficiali poterit, ut non solum patriae splendori , veruni etiam pharmaciae , et medicinae omnibus necessitatibus occurrere valeat? Vos, am- plissimi optimates, patriae amore dulcissimo flagran- tes obsecro , ut in proposita conficienda editione validam opem vestram exbibeatis. Oh utinam illustri meo antecessori hoc solemne existimationis , atque honoris tributum nos persolvamus! Nunc ad reliqua progrediar , meque ad meum munus, pensumque revocabo, et nullo labore vobis ostendam, botanicae quoque studia apud nos Cam- panam penitus instaurasse. Quamvis Manardi, Brasa- volae, Plancii et Anguillarae temporibus hujusmodi studia apud nos efflorescerent, cum ferrarienses non modo in Graeciam, verum etiam in Asiam ad exo- ticas plantas electissimas colligendas mitterentur ; quamquam Pius VJ felicis recordationis eadem studia promoveri in hoc nostra universitate curaverit ; su- periori tamen saeculo labente maxima haec invol- vebantur obscuritate. Idque ut vobis clarius inno- tescat, catalogum nostri horti, qui fastoso titulo ede- batur: Horti botanici ferrariensis prodromus: consulere juvat. Caldariis , atque tepidariis exutus inordinate progrediebatur. Quis vero paucis complecti possit viri laudati studia, industriasque ad viridarium au- gendum collata, novisque in dies plantis exornandum, quibus solerti addito custode, omnium admirationem, et plausum excitavit? Tot vero operum fama per reliquas Italicae re- giones erat cvulganda; quapropter catalogum tribus 261 earumdem millibus, et ultra praeditum edidit, a quo palustrem violam, maximamque plantaginem invenisse conjicitur. Hinc iubente publicae Instructionis admi- nistro ad si lìgula regni italici lycea mittebetur , ut in peculiaribus floris conficiendis regulam suppe- ditaret. Progrediendi amore magis, magisque exardescens, postquam herbarium maximopere ampliarit , calda- rium addiderit, pluribusque aliis necessitatibus pro- spexerit, alterum cataloguin sex fere plantarum mil- libus redundantem produxit, quo summus Bertollo- nius in laudatissima Italiae flora frequenter est usus. Quam insigniter tanti viri memoriam eximius Ja- chelli successor, Archiater, et Proto-medicus exper- tissimus recoluerit, chemico-pharmaceutici musei in- crementum, nova botanicae schola, tepidarium ere- cium, atque officinalium plantarum appendix splen- didissima testantur. Sed alia Campanae facta sunt nobis evolvenda. Conspicite, quaeso, Physicae experimentalis museum ab ipso institutum ; attendile didascalicam dicendi rationem, atque mirabilem experiendi felicitatera. In memoriam revocate, hujusce scientiae, atque instru- menlorum diffusione civibiis maxima beneficia tri- buissc. Doctam quoque memoriam conscripsil Diffe- renze fra la combustione, V ossidazione, e la ignizione Stahl, at({ue infclìcis Lavoisier enarratis hypothesibus, electricam Berzelii tunc evulgatam tuetur, rnedicos enixe adhorlans, ut in vitae phaenomenis illustran- dis, ac in morl)is corrigcndis electri potentiam expe- r.antur. Quibus antecessoris votis clarissimus Ferriani non Ui do est obsecutuF verum etiam Phvsicae mu- mi seuni locupletavit, atque cum experiendi dextcritate, tiim physico-mathematicis notionìbos fusius expla- nandis valde èxcelluit, optimisque disciplinis est in- signifer opitulatus. Ast riobis ad propositum finem , qualiscumque haec mea sit oratio , reducatur. Praecipuum Cam- panae decus, nomenque a Chemiae studiis sunt re- petenda. Ipse enim museum creavit, sensim, sensim- que instrumentis , et corporum serie auxit , atque hujuscemodi scientiae difficillima argumenta evolvèns jucundis experiijietitis confirmavit. An vero ad Phar- maciae praxim illustrandam, ac rènovandam chemia feliciter fuerit usus, prò viribus, demonstravi; infe- rius videbìtis, quam feliciter quoque ejusdem fretus docffinis comrtiunia ipse commoda dilataverit. Ntìnc, réàtat, ut de insignioribus hygienicis, te- chnologici^, agricolisque applicationibus breviter non- nulla pertingam, ex quibus Campana hominum so- ciétati maxime profuisse animo percipiatis. Enim vero publicam hujusce civitatis, totiusque Provinciae in- columitatem , cui praefuit usque ad vitae exitum , optimis rationibus, et disciplinis tutatus est. Animad- vertitè ejdsdeiti adhuc inedita Consilia de potibus, epulis , aliìsqué rebus longe utilissimìs ; recogitate Morveau et Smith suffimenta , nec non calcis , so- daeque hypochlorita familiari usu obvia apud nos reddidisse. Nonne civis nostri fortem anìmum, sum- mamque sapientiam majores , nosquemetipsi admi- rati sumus in saèvissimis epidemiis, quae homines simul ac bruta divexarunt. Sat erit solummodo hic referre petibularem typhiim, febrìmqne boviirn himga- ricam bis immaniter grassantem , cum ipse fìrmis- 263 simo pectore, atque experientia duce ad onines iii- fectos, suspectosque interfìciendos auctor fuerit. Qua extrema, et unica ratione cives primum indignati , postea mirantes huic laudes rependerunt. Quid ultra! Veterrima , atque infensissima Comachi elephantiasi (vulgo male di fegato) attente pei'visa, atque explorata, hujuscemodi tabem, quam prorsus insanabilem, ut in praesentia, probe dignoverat, penitus delendi causa noseomium suasit, idque Consilio, atque sapientibus institutis roboravit. Sed heu quauì maxime dolen- dum, Campanae adhuc inania vota evasisse, et quam maxime nobis curandum est , ut ad hujusce morbi extirpationem haec tandem absolvantur ! Atque hic mihi visum est, brevissimam analysin vobis exhibere memoriae septem abbine lustris in celebri Diario Ar- cadico editae. = Sulle febbri intermittenti = Pbysico chemicis notionibus, medicorum praestantium expe- rientia, illustrisque Brocchi excogitationibus innixus, hujusmodi febres a calorificarum irradiationum di- scrimine , quod in imis locis , ac paludosis aestate vix labente, atque autumno ineunte accidit, haurien- das arbitratur. Quod si haec opinio ( praesertim ad ferrarieiìses Campana videtur referre) nunc post tot ferme innumeras clinicorum contentiones defenditnr, cum plures periodicas febres a peculiari elemento corporum organicorum putrefactionem sponte comi- tante,e palustri miasmate nimirum oriri censeant quis endemicas hic dominantes vere miasmaticas acousa- verit ? Quam injusta, planeque gratuita non modo Yulgi verum quoque insignium virorum (Adrianum Balbi nominare sufficiat ) aerein valde insalubrem Ferrar iae adesse, sententia est mehercle dijudicanda! 2U Nonne politiores ejusdem viae , aquaediictuum tVe- quens expurgatio , et exsiecata stagna (ut caetera sileam) in uberrimos agros mutata inaudito facinore conspiciuntur. Quis igitur vastas paludes nostrani Ci- vita tem lisque nunc circumambientes somniari au- debit, de quibus Areostus noster scribebat : Dinanzi il Pò, di dietro gli soggiorna D'alta palude un nebuloso gorgo. Hoc unum tantummodo ad ferrariensem aereni salubriorem reddendum necesse est , ut fovearum , castri, sequentisque cavi stativae, caenosaeque aquae in motum cieantur, aut melius eliminentur. Bisce ra- tionibus per quam maxime noxios vapores ab iisdem emanantes penitus evanescere intueremur.Verum quan- to magis publicae incolumitati simul ac decori opus inserviret, si supra canalem pamphilium via sterne- retur ! Quod si hoc anno intermittentium febrium epidemia , aliique pessimae indolis morbi per infe- riores urbis partes nunc etiam serpunt, curnam ci- vium omnium pietas arctissimo foedere conjuncta praedictas aquas stagnantes occludere cunctabitur ? Num civis benemeriti exemplum, qui nulli parcens sumptui meridianam partem saluberrimam reddidit, nos quoad fieri potest , imitari adhuc renuemus ? Ignoscite , quaeso, auditores, hancque digressionem meo in patriam, civesque omncs amore ultra, liben- tique animo concedite. ,([<, Ad technologicas veniens applicationes comme- morare sat erit , nitrarias ab ipso institutas ingens lucrum sibi comparasse. Quod si undique innumèra, quae ex machinis vapore sollicitatis afferuntur, prò- 265 (ligia celebrentur, quousque tandem propositum opi- fìcium hic desiderabitur ? Id non modo patriae cha- litas, verum etiam nostra ipsa utilitas expectant. Agriculturam vero florentissimam quis nostrarum diviliarum iugem fontem esse negaverit? Sed antea huiusmodi ars incerta, et penitus empirica nutabat. Prirnum animadvertite , nostrum civem elucubrato opere = Osservazioni su i boschi, ed in particolare sugli alberi del basso Pò = ferrariensium arborum seriem amplificasse, optimas transponendi regulas , peculiares morbos , atque diversa officia retulisse. Quantum sunt a nobls commendandae observationes de aratro, de pecudibuSy de gossypii herhacei nonnullis speciebus, deque aliis ad agrorum excolitionem per- accomodatis ! Sed malora practicae sapientiae argu- menta lectiones posthume editae suppeditant , Inter quas illae terrarum analyses describentes, principem locum sibi vindicant, ex quibus huiusce provinciae summam inspiciendi fertilitatem rationes eruantur. Et quanto uberior esset earumdcm fructus, si vere mirabiles bydrophorae machinae vastissimam super- ficiem exsiccandi giatia hic quoque adhiberentur. Porro non soliim operibus, verum etiam sui no- minis auctoritate nostrani agriculturam plurimum adiuvisse facili, nuUocpic oslenditur negotio. Campana hortante, Eminentissiinus (laraffa (cuius munificenlia, animique firmitas apud nos perpetuo vivent) veteri- nariam scholam erexit, celebrique Leroy illam docendi munus commisit. Cum propter politicas memorabiles eversiones siluerit, eiusdem Consilio ferrariense mu- nicipium iuvenes Zooiatria iinbuendos Mcdiolani aluit, qtios inter Bonacciolì Campanao consanguineus mit- iG(i tebatur, ({ui in patriam resti tutus, eodem suadente, rei veterinariae tiadidit praecepta, donec quinquen- nio elapso , muiiicipalis inaugurabatur schola, quae propter majora additamenta , atque professoris do- ctrinam nobis, ac exteris singularia reddidit benefi- cia. Quid ultra ! Si de Instituto agrario nos hodic merito gloriamur, nonne Campana omni animi con- tentione supremara necessitatem usque ad extremum vitae finem conflrmavit ? Quod si Professor Botter alacri ingenio, atque maxima sapientia hujuscemodi Instituto celebritatem obtinuit, attamen civis nostri laudibus est cohonestandus. Verum satis de animi, mentisque Campanae vir- tutibus. Nunc civicas , moralesque splendidiores vix attingens, patriae amorern, amicitiae ingenuitatem , modestiam, comitatemque ante oculos ponam. Quae omnia multo pulchriora elucebunt sanetissimae no- strae religionis obsequio, quod ex ejusdem operibus haud dubie evincitur , cum impiorum systematum Encyclopaedistarum (quorum dux fuit Voltaire) atque sectatorum ne minimum quidem vestigium praese- ferant. Quapropter optime jam de suisy ac nostris tem- poribusy optime de Patria, atque de hominum societate insigniter meritus, omnibus Religionis praesidiis ro- boFatus, unum et octoginta annos natus (anno eaim MDCCLI. editus in lucem fuerat) diem obiit supre- mum mense majo, atque ad ejus gloriam perpetuan- dam sapiens municipium insigne in Pantheon mo- numentum ponendum decrevit. Si fere inculta, nullisque verborum , et senten- tiarum floribus conspersa oratione Campanae memo- riam, nomenque celebraverim, id a vobis, humanis- 267 simi auditores, enixe precor, ul; studium saltem, ac desiderium huic meo clarissimo antecessori laudes , et obsequium tribuendi bona cum venia excipiatis. Te vero, Eminentissime Cancellarie , paucis al- locuturus non excelsas ingenii , animique virtutes commendabo, tum ne omnibus cognita, atque per- specta inutili prorsus labore objiciam , tum ne tui ipsius laedere modestiam videar. Ast (quod sane si- lentio non est mihì praetereundum ) sat erit com- memorare tuum scilicet amorem, quo scientias, opti- masque disciplinas complexus nostri hujusce almi Lycei incremento adeo brevi tempore consuluisti, de- cus , atque gloriam splendissime amplificasti. Hic cursim referam, ope tua quidem validissima Chemiae Physicae , Pharmaciae , et materiae Medicae musea una cum Botanicae viridario insigniter fuisse locu- pletata. Quod si Anatomiae museum recens instau- ratum omnes admirantur (maxima hic laus ejusdem moderatori Poletti anatomico , et physiologo prae- clarissimo est tribuenda ) si omnes , inquam, Ana- tomiae museum recens instauratum admirantur, ipso haud nos frueremur, nisi q«od perillustris autecessor Eminentissimus Cadolini inceperat egregie perfecisses. Oh utinam inter cathedras, quae in hujusmodi athenaco exoptantur, saltem geologiae, zoologiae, atque mi- neralogiae erigerentur , quibus naturalis historiae , cujus pulchritudinem , utilitatemque omnes probe norunt, cursus adimpleatur! Vos, optimates nobilis- simi, oro, atque obtestor, ut in hoc opus adeo ne- cessarium animos intendatis. Vestrum erit ad Patriae incrementum, ac decus exemplo promovenda Mae- cpnates sollicitare, ut hoc scientiarum monimentum, 268 quod a gravissimis civibus constitutum ccrnimus , atque amplificatum, novis in dies insignibus, et or- namentis illustre tur. Denique vos compello, juvenes inihi charissimi , patriae spes , desideria , et vota ; vosque etiam, atque etiam adhortor, ut in memo- riam revocetis, hac nostra in urbe viros longe do- ctissimos effloruisse, quorum exemplo, Campanae in primis, ad scientias excolendas, nec non ad eorum merita, virtutesque imitatione consequenda vestrum ingenium exeitetur. Ast bujusmodi vestigis inhaerentes religionem etiam sectemini , idque potissimum alta mente reponite, nullam veram, niillam ulilem reipii- hlicae pìiilosophiam esse posse, nisi religione , alqiie pietate firmiter innitalur. 269 Necrologia italiana ri eW anno 1853. EMI E RMI CARDINALI DELLA S. R. C. Giacomo Luigi Bi'ignole, vescovo di Sabina, prefetto della sacra congregazione dell' indice ; Ferdinando Ma- ria Pignatelli, arcivescovo di Palermo. PATRIARCHI, ARCIVESCOVI, E VESCOVI.Monsigg. Giovanni Nicolò Tanara , patriarca d'Antiochia ; Antonio Garibaldi , arciv. di Mira , nunzio apo- stolico air imperiai corte di Francia ; Luigi Gu- glielmi , vescovo di Verona ; Costanzo Michele Fea , vescovo d' Alba ; Francesco Agnini , ve- scovo di Sarzana e Brugnato ; Giacomo Traver- si , vescovo di Segni; Benedetto Dente, vesco- vo di Caltagirone; Benardino di s. Agnese, car- melitano salzo, vescovo Tenense, vicario aposto- lico coadiutore del Malabar. PRELATI DELLA SANTA SEDE. Monsigg. Luigi Bonini e Francesco La Grua Valdina, uditori della sacra rota ; Bartolomeo Orsi, chierico della re- verenda camera; Giuseppe de Ligne, prelato do- mestico, prefetto delle cerimonie pontifìcie , se- gretario della sacra congregazione cerimoniale. ORDINI REGOLARI. Remo P. Ab. D. Ferdinando Mattei , presidente generale della congregazione benedettina vallombrosana;P.D.Paolo Marchiondi, somasco, fondatore del pio instituto della Pace a Milano ; P. M. Luigi Gregori , Min. Conv- , vice-prefetto delle missioni a Pera. 270 DIGNITÀ' CIVILI. Conte Leonardo Manin , grande scudiere del regno Lombardo-Veneto, consigliere intimo di stato di S. M. I. R. A. , presidente deir I. e R. instituto di Venezia ; Conte Cesare Saluzzo di Monesiglio, grande scudiere di S. M. Sarda, luogotenente generale, presidente della re- gia deputazione sopra gli studi di storia patria: Cav. Francesco Cempini , consigliere di stato e già presidente del consiglio de'ministri di S. A. I. e R. il granduca di Toscana; Commendatore Giuseppe Maria Pauer, consigliere di stato, e cav. bali Nicolò Martelli, cavallerizzo maggiore e con- sigliere di stato della prefata A. S. I. e R. DIGNITÀ' MILITARI. — Santa Sede. D. France- sco Barberini , principe di Palestrina , tenente generale, capitano comandante della guardia no- bile di Sua Santità ; Conte Filippo Resta, capi- tano generale giubilato; Commendatore Ottaviano Zamboni, generale di brigata in ritiro. — Regno delle due Sicilie. D. Francesco Pignatelli, prin- cipe di Strongoli, tenente generale in ritiro; Conte Enrico Statella e commendatore Paolo Pronio , marescialli di campo; Cav. Giambattista Staiti , refro-anuTiiraglio; Cav. Filippo Scuderi, brigadier generale ed ispettore degli ospedali militari; D. Marcantonio Colonna , de' principi di Stigliano , brigadier generale. — Stali Sardi. Cav. Vincenzo Morelli, luogotenente generale di artiglieria; Raf- faello Poerio , maggior generale. — Toscana . Cav. Giuseppe Chiesi, generale onorario ed ispet- tore generale della gendarmeria e cavalleria. — Austria. Conte Francesco Castiglioni, tenente ma- 271 resciallo; cav . Giuseppe Sartori , generale mag- giore; Cav. Giorgio Bua, già contrammiraglio. — Francia. Gian-Tommaso Arrighi, duca di Padova, generale di divisione, senatore, governatore del- l'ospizio degli invalidi a Parigi. — Inghilterra. Conte Francesco Rivarola, luogotenente generale GIURISPRUDENZA. Commendatore Tommaso Ge- renzani , primo presidente incaricato di reggere la cancelleria di Sardegna; Commendatore Giu- seppe Bertolini, presidente emerito del tribunale supremo di revisione del ducato di Parma; Cav. Niccola Morelli, presidente della gran corte cri- minale di Napoli ; Giambattista Lorenzini , pre- sidente della rota fiorentina ; Giorgio Foscarini, consigliere aulico presidente del tribunale di pri- ma istanza di Venezia; Francesco Paragallo, pro- Gurator generale del re alla gran corte civile di Napoli; Gio. Maria Poli, presidente del supremo consiglio di giustizia, consigliere al ministero de- gli affari esteri del ducato di Modena; Conte Sa- verio Pastoris di Casalrosso , consigliere della corte di cassazione del Piemonte; Alfonso Toschi, consigliere del supremo tribunale di revisione del ducato di Modena , professore di giurisprudenza forense e di diritto patrio nell'università ; Giu- seppe Capogrossi , professore emerito di diritto criminale nell'università di Roma ; Luigi Casa- nova, professore di diritto nell'università di Ge- nova; Giovanni Rosatini, difensore delle cause di canonizzazione presso la sacra congregazione dei riti; Avvocati Luigi Luosi, Giambaltisla Cressoti e Giuseppe Sarzana. 272 MEDICINA E CHIRURGIA. Cav, Ippolito Guidi, me- dico particolare di Sua Santità, membro del col- legio medico-chirurgico dell'università di Roma; Cav. Leonardo Santoro , chirui'go di camera di S. M. Siciliana professore di chirurgia teorica nel- l'università di Napoli, già presidente della reale accademia delle scienze ; Cav. Guglielmo Menis, consigliere di governo e protomedico della Dal- mazia; Carlo Pisa Falloppia, medico consulente della ducal corte di Modena, professore onorario di quella università ; Cav. Giovanni Rossi, chi- rurgo di corte, professore di terapia operativa e chimica chirurgica nell'università di Parma; Lui- gi Emiliani, professore emerito di medicina pra- tica e chimica nell'università di Modena; Gioac- chino Rarilli, professore di patologia nell'univer- sità di Rologna; Gregorio Olivieri, professore di clinica oftalmica nel collegio medico di Napoli; Giambattista Rellini, chirurgo dell'arcispedale di s. Maria novella in Firenze. MATEMATICA E MECCANICA. Ambrogio Fusinieri, uno dei XL della società italiana, scopritore della meccanica molecolare; Cav. Malesci, ispettor ge- nerale dei ponti e strade del regno delle Due- Sicilie ; Marchese Ferdinando Laudi , presidente degli studi in Piacenza; Giambattista Benvenuti, ingegnere civile di Venezia, premiato della gran medaglia d'oro austriaca per l'invenzione e ap- plicazione di macchine all'asciugamento delle pa- ludi; Giuseppe Pedralli. BOTANICA. Giuseppe Moretti , professore emerito nell'università di Pavia. 273 FISICA E CHIMICA. Conte Domenico Paoli; Anto- nio de Krammer ; Commendatole ab. Giuseppe Veneziani , consigliere di stalo e professore di fisica nel liceo di Piacenza; Prof. Reghellini. LETTERATURA. Conte Cesare Balbo , Cav. Gio- vanni Labus, Tommaso Grossi, Marchese Massi- miliano Angelelli professore di lingua greca nel- l'università di Bologna , Cav. ab. Casimiro Basi accademico della crusca, Conte Eduardo Fabbri, ab. Pietro Seletti , Cav. Vito Capialbi , Luigi Toccagni, ab. Iacopo Scala, ab. Bartolomeo Bacci professore emerito di belle lettere nel real col- legio e seminario di Lucca, Giuseppe Fracasso, Giuseppe Berta. BELLE ARTI DEL DISEGNO— P/«/im. Cav. Giovan- ni Silvagni, cattedratico di pittura e già presidente della pontifìcia accademia di s. Luca; Cav. Tom- maso Gazzarrini, professore di disegno nell'I, e R. accademia di Firenze ; Cav. Costanzo Ange- lini, segretario perpetuo e professore di disegno nella R. accademia di Napoli ; Luciano Grano ; Antonio Morglien, paesista; Lattanzio Querena , pittore di fiori. — ■ ScuUura. Cav. Carlo Finelli, consigliere e già cattedratico della pontificia ac- cademia romana di san Luca; Girolamo Torrini, Enrico Ferrari. — Architettura. Cav. Lodovico Visconti , membro dell' istituto, architetto di S. M. r imperator de' francesi, presidente della so- cietà centrale di architettura in Parigi ; Pietro Pestagalli, consigliere dell'I, e R. accademia di Milano; Cav. Raffaele Folo. — Incisione in rame. G.A.T.CXXXH. 18 274 Cav. Samuele Jesi. — Incisione in cammei. Fran- cesco Fedeli. BELLE ARTI DELL' ARMONIA. — Maestri. Cav. Pietro Raimondi, maestro di cappella della pa- triarcale basilica vaticana; Antonio Brunetti, Mat- teo Carcassi , Domenico Foroni, Pietro Combi , Isidoro Cambiasi. — Cantanti. Filippo Galli pro- fessore di musica e declamazione nel conserva- torio di Parigi, Giuseppina Ronzi de Begnis, San- tina Ferlotti Sangiorgi. DIVERSI. D. Benedetto Grifeo, principe di Partanna; D. Carlo Caracciolo, marchese di s. Ermo, ca- valiere dell'ordine di S. Gennaro; D. Alfonso Ca- racciolo di S. Teodoro, duca di S. Arpino; D. Americo Corsini dei duchi di Casiliano; Princi- pessa di Cassano d'Aragona, nata Riario Sforza; D. Maria Teresa principessa di Porci a ; Conte Alessandro Magnani Agucchi, già consigliere di stato e prefetto dei dipartimenti di Trento e di Udine nel regno italico; Rocco Martuscelli, in- caricato d'affari del governo del regno delle Due Sicilie presso quello degli Stati-Uniti di Ame- rica; Cav. Leopoldo Sismondi, direttor generale del debito pubblico degli Stati Sardi; Cav. Vincenzo Orgitano, tesoriere generale del regno delle Due Si- cilie; Conte Giovanni Cisterni, presidente della cameradi commercio di Rimini; Mariani, antico prefetto nell'impero francese; Conte Tiberio Troni, consultore di finanza dello stato pontifìcio: Con- te Francesco Manzoni, già preside della provincia di Ravenna: Conte Fi-anccsco Laderchi, già preside delle provinco di Ravenna e Forlì; Cav. Fran- 275 Cesco Rezzonico, consigliere di S. M. Sarda per gli affari dì finanza; ab. Marcantonio dei conti Cavanis, fondatore della congregazione delle scuole di carità: Cav. Antonio Gattini, Cav. Sebastiano Balduini, Conte Cesare Chiesa di Revello, se- natori del Piemonte: Giovanni Ricordi, beneme- rito editore di musica a Milano: Luigi Piana, aereonauta. 276 Sul colle iihurtino. Lettere di Stanislao Viola al cav. Salvatore Betti. (Continuazione.) Intorno ad un scnalusconsullo che raffermava i liburlini nell'amicizia ed affezione del senato e popolo romano. N< lon sarà fuori di luogo ch'io m'adoperi d'un monu- mento scritto, uno de'più antichi senza meno, che la storia di questo municipio possiede, il quale se in altra opportunità fu subbietto di disputazione, pe- rò, parmi, non se ne sia favellato in modo e a do- vere, e come faceva di mestieri. E come antichis- simo e come quello che reca molta storica impor- tanza, m'avviso sottoporlo a nuova disamina, aman- do che V. S. come duca e maestro si ponga a giu- ,dìce di quanto sarà parlato e discusso, che ci par- ve del tutto ignorato dall'autore della cronaca no- minato in sullo scorcio della mia lettera VI. Il mo- numento ci ricorda un tempo che non ò certa- mente in tante favole e contraddizioni avviluppato, che molte e ad ogni passo ve n'ha ne'primi cinque secoli della storia della città eterna, come provaro- no già i Beaufort, il Niebuhr, e recentemente con as- sai assennatezza il eh. prof. Orioli (1). Ho quindi fidanza che la conclusione di quello ho tolto , co- (1) Giorn. arcad, voi, CXXVlII. 277 munque si sia, a ragionare , non sarà per lasciare que'dubbi, che pur troppo rimangono nell'animo , ove si favelli di cosa di tempo più antico. Il mon '.lìento è una grande iscrizione incisa in bronzo, per la quale è contestato, che Tivoli in sul dechino della libera repubblica raffermò sua amici- zia col senato e popolo romano, quando essa città non era solamente legata con quella per alleanza , ma altresì quando ella era nella condizione di que' municipii, che godevano della cittadinanza romana col diritto del suffragio nella creazione de'magistra- ti (e poteanvi parimente esser promossi i suoi cit- tadini), e di ogni altro privilegio , che ne origina- va; il titolo di municipio, l'ordine de'decurioni , il quatuorvirato, l'edilità, la quinquennalità , la questu- ra , ed altre cariche , che i municipii ad imitazione di Roma si arrogavano, non esclusa la favella, alla quale agognavano grandemente, in ispecie i lontani, quando erano di simil guisa onorati dalla città settimonziale. E come è da inferire, il tempo a cui il monumento appella non può non essere dopo l'an- no 664 0 665 di Roma, adoperandoci noi di pro- vare, che Tivoli, come le altre città latine , di E- truria, e d'Umbria, ebbe il diritto della cittadinan- za, non dopo, come alcuni credono, della guerra so- ciale, ma quando essa era nel sommo ardore. 11 sa- pere però con precisione e 1' anno in cui fu inciso il monumento ch'è privo de' consoli , e la ragione che ne fu la causa motrice, non parmi certamente cosa da annoverare fra le minori: tanto pii^i che fra gli scrittori patrii ed esteri non v' ebbe in passato conformità di sentenza. In tanta ricerca ho tratto 278 i paiticolai'i, per quanto m'era dato, nella più parte da monumenti certi , e da autorità storiche le più vicine ai tempi in discorso, non omettendo sul fine un tentativo paleografico (sebbene non sia sempre di felice riuscimento), ponendo a schiera, o accen- nando cronologicamente, per confronto, altri monu- menti scritti rispondenti allo stato delle lettere da' primordi di Roma in poi, per dedurne al da sezzo la meno incerta conchiusione. II monumento è questo: h. CORNSLIVS, CN. F. PH. SEN.CON. A. D. IH. NON. MAIAS. SVB. AEDE. KASTORVS SCR. ADF. A. MANLIVS. A. F. SEX. IVLIVS. L. POSTVMIVS. SP. P. QVOD. TEIBVRTES. V. F. QVIBVSQ. DE. BEBVS. VOS. PVRGAVrSTIS. EA. SENATVS ANIMVM. ADVORTIT. ITA. VTEI. AEQVOM. FVIT. NOSQ. EA. ITA. AVDIVERAMVS VI. VOS. DEIXISTIS. VOBIS. NONIIATA. ESSE. EA. NOS. ANIMVM. NOSTRVM NON. IN. OOVCEB^UVS. ITA, FACTA. ESSE. PROPTEBEA. QVOD. SCIBAMVS EA. VOS. MERITO. NOSTRO. FACERE. NON. POTVISSK. NEQVE. VOS. DICNOS. ESSE QVEI. FACERE US. NEQVE. IN. VOBEIS. NEQVE. REI. POPLICAE. V0STR.4E OITILE. ESSE. TACERE. ET. POSTQVAM. VOSTRA. V.RBA. SENATVS. AVDIVIX IANT,Q, RfAGIS. ANIMVM. NOSTRVM. INDOVCIMVS. ITA. VXEI. ANTE ARBITRABAMVR. DE. EIEIS. REBVS. AF. VOBIS. PECCATVM. NON. EgSE QVONQVE. DE. EIEIS. REBVS. SENATVI. PVRGATI. ESTIS. CREDIMVS. VOSQVE ANIMVM. VOSTRVM. INDOVCERE. OPORTET. ITEM. VOS. POPVLO RODIAMO. PVRGATOS. FORB -■>■•([ il) '. ^i'a tavola , in cui era impressa questa iscrizio- ne, esser doveva allogata nella curia o nel palazzo senatorio, che rimaneva nell'acropoli della città, lad- dove il cardinal Roma nel secolo XVII innalzava i^n grandioso fabbricato per l'educazione de'giovani inclinati al sacerdozio. Pressp la tavola fu parimen- te ritrovato un busto, che il celebre E. Q. Visconti nella r:ua Iconografia romana ^-iuclicò rappresentare il pretore Lucio Cornelio, a cui i tiburtini dedicato 1q avi^vaao in attestato di gratitudine. Intorno al luo- 279 go del ritrovamento, non avvi disparità di parere , consentendo ogni scrittore, che avvenisse fra le qui- vi sottostanti rovine: come non la vi è, che con scu- di cento aquistavala il dotto Fulvio Orsini, che la- sciolla in retaggio al cardinal Farnese, dal quale pas- sò al gabinetto Barberini. Molti scrittori la resero di pubblica ragione (1). Ninno di essi non mai mosse dubbio sulla veracità della iscrizione, tranne il Maf- fei, che con l'abituale sua critica, non sempre giu- sta, ravvisolla Ulerati alicuius viri liisiim fuisse. Non passò inosservata la nullità di questa censura al Mor- celli, cui fu dato rispondere sapientemente , né all' Creili, che lasciò scritto: sine causa hoc S. C. su- spectiim erat Maffeio. Altri tacendo sulla veracità mo- veva quistione di pura voce, dubitando se la scritta del bronzo potesse veramente domandarsi un sena- tusconsulto, anziché una semplice risposta del senato romano. Traevasene ragione dal non vedervi la for- mula che si osserva in altri senatusconsulti D. E, R. I. C; dalla trascuranza del nome de'consoli; al- tresì dal non ritrarvi una legge, basando il sospetto sulla sentenza di Ulpiano nella L. 9. ^. De legihus^ e sulla notizia storica, che il popolo sendo cresciuto di numero in modo che non poteva sì di leggieri raunarsi, fu di mestieri formare il senato, che; ove (1) Kircher V. et N. L. 2. e. 6; Gruiero 499, 12; Folpi, V. L. P. (le Tib. L. T. p. 61; Marsi, St. di Tiv. p. 76; Malfei, A. C. L. 160 e 344; Cabrale del Re, Mon. e Ville 34; MorccUi, De styl. p. 378; Visconti, E. Q. Icon. rom. p. 119; Viola, Storia di Tivoli t. 1, p. 114; Orelli, n. 3114; 5cbas sconti), ha come vuole giustizia , preso in consi- » derazione quanto voi gli esponeste, come pure le » vostre giustificazioni. Noi altresì abbiamo ricevuto » intorno a questo fatto rapporti conformi a ciò che w vi era stato , secondo voi dite, annunciato. Non » sapevamo persuaderci, che la cosa fosse veramente w così, perchè noi eravamo consci a noi medesimi » di non aver da voi meritato una colale condotta, )) e che era di voi cosa indegna, né utile a voi nò » al vostro comune, il comportarvi in tale maniera. » Poiché il senato ebbe ascoltato quanto voi gli di- » ceste, noi ci confermiamo sempre più nella prima » nostra opinione, che in questo affare non fu dal » canto vostro commesso verun mancamento. E poi- » che per questo rispetto vi siete giustificati presso » il senato , noi pensiamo ciò che voi pure creder » dovete, che sarete egualmente giustificati presso il » popolo romano ». La molta fiducia che il senato col suo favellare spiegava verso i tiburtini, ci darà in seguito ragio- ne d'argomentare sulla conferma d'una sentenza, che intorno al tempo dell'avvenimento ci comunicava la sonniia cortesia del classico Borghesi. Intanto in- torno all'anno del monumento, all'illustre personag- 286 gio del pretore, al motivo in ispecie della suspicio- ne che s'ebbe de'tiburtini, si rileva il niuno accor- do fra gli scrittori. Imperocché altri pensò (Volpi 1. e. p. 68) all'anno 293, e ne attribuiva il sospetto al fatto di Appio Erdonio, che l'anno innanzi con una mano di sabini preso aveva il campidoglio, a cui poterono aver parte i tiburtini. Altri (Marsi L e. p. 73) pensò all'anno 368, e ne traeva il sospetto dal- l'incendio di Roma provocato due anni innanzi da' galli, co'quali i tiburtini si poterono associare. Sen- tenze di niun senno al solo considerare che il per- sonaggio che riferiva in senato era un pretore , e che nell'anno 368 e molto meno nel 293 (cfr. il Vi- sconti 1. e), i pretori non erano stati instituiti, co- me appresso Ciicerone ci attestano Tito Sivio, Pom- ponio, Seneca, Plinio, Ottomanno, ed altri (1). La quale instituzione ebbe stanza nell'anno 388, quan- do appunto fu fondata la edilità curule ed i plebei furono ammessi al consolato. E fu nello stesso anno che il consolato era di presente conferito a L. Se- stio, che n'era stato il patrocinatore; la pretura a Spurio Furio Camillo figliuolo di Marco il dittatore, e padre, come vedremo, del trionfatore de'pedani e tiburtini; l'edilità a Cneo Quinzio Capitolino e P. Cornelio Scipione. Altri (Cabrai e del Re 1. e. p. 36) osservando la paleografia della incisione il cre- dette posteriore al famoso bronzo de'baccanali , il quale non è più antico del 568 di Roma, senza im- (1) Cicerone, De Hn. Ili, De leg. HI, Fam. Ep. XII; Livio VI, in f. e Vili, 1; Pomponio L. Il, ff. de 0. 1. 8, 27 e 28 ; Seueca Je tranq. vilae I; Plinio I. Ep. V; OUomanno, De sen. 1, p. 355. 287 maginare il motivo dell'accusa. Altri (Fabri, Coni. in imag. Fulv. Orsini f. 28) il determinava all'anno 594-, in cui era console e pretore L . Cornelio Len- tulo Lupo , omettendo parimente il motivo dell'ac- cusa. Altri da ultimo , e fu l' immortale E. Q. Vi- sconti (1. e.) seguito dal Sebastiani (1. e.) e dal Nibby (Dintorni v. Tivoli), lo sospettò agli anni 664 o 665, ne'quali in Italia avvenne la guerra sociale, avvisando che i popoli latini si ribellassero centra i romani, al quale tafferuglio poterono, egli dice, i tiburtini aver preso parte. Questa ultima sentenza ha veramente molti par- ticolari, che la sorreggono, e come la più acconcia dall'ora che si conobbe fu accolta dai dotti. Tutta- via non mi satisfacendo pienamente, primachè m'a- doperassi considerarla ne'vari aspetti co'poveri miei studi, come vedremo, m'avvisai interpellarne il Ne- store de'nostri tempi, il dottissimo cav. Borghesi, il quale mi favoriva cortesemente col comunicarmi un suo pensiero, o a meglio dire, sospetto, che per l'utile della scienza alla distesa qui a pie sottopon- go (1). E panni veramente non si possa non sotto- fi) « Sembra anche a me che sull'età del senatuscon sulto tibur- tino nulla di meglio siasi proposto fiu qui di ciò che ne ha detto per ultimo il Visconti. Le sentenze del Volpi e del Gudio , che lo ri- portarono agli anni 293 e 368, non meritano l'onore di una confu- tazione, dileguandosi ambedue con un soffio. Il bron-Èo parla aper- tamente di un pretore , che consultò il senato. Ora come si sono essi dimenticati che il primo pretore non fu istituito in Roma se non che nel 388 per solenne testimonianza di Livio (L. 6 e. 47, 1. 7. e. 1)? Il medesimo storico rispinge egualmente il parere del Cabrai e del Re, che lo determinarono presso a poco al S68, esclu- dendo da quei tempi il pretore ch'è in esso ricordato. Per inco- minciare soltanto dal 5o7j iu cui il loro numero fu accresciuto a 288 scrivere la sentenza, tutto che con modestia ester- nata, del grand'uomo. Dato, come non è a negare, sei, la sua storia ce ne da ìntegra la serie fino al 588, e in questo intervallo non vi troviamo se non che due Corneli col prenome di Lucio. Il primo è il L. Cornelio Scipione del 561 (L. 34 e 54), ma questi è il console del 564, che fu poscia domandato l'Asiati- co, e che fu certamente Publii filius. Ludi nepos. Il secondo è un al- tro Scipione, ch'ebbe la stessa carica nel 580, e che Lucio chiamasi da Livio (1. 41 e. 27), mentre altri scrittori lo dicono Cneo. Tutti però convengono, ch'era nato da Scipione Africano, e che quindi era figlio di Publio. Non vi fu dunque in questo frammentre alcun pretore L. Cornelio generato da un Cneo. Il Fabri l'ha veramente trovato circa il 594, ed è questi il L. CORNELIUS. CN. F. LEN- TULUS. LUPUS, così descritto dalle tavole capitoline quando lo ri- cordano come console nel 598. E può aggiungersi eziandio, che vi- vevano allora tre senatori domandati come quelli, che la tavola in- duce per testimoni dell'atto, i quali sarebbero l'A. MANLIUS. A. F. TORQUATUS console del 590, il SEX. lULlUS. SEX. F. CAESAR, e il L. POSTUMIUS. SP. F. ALBINUS, ch'ebbero i fasci nel 397 e nel 600. Ma ad tìnta di tutto ciò è vero altresì, che quelli furono tempi di piena pace nei dintorni di Roma , i quali non som- ministrano alcun avvenimento, a cui possa riferirsi quel decreto del senato: oltre di che non negherò nemmen'io, che alla fine del V! secolo la lingua latina conservasse molto più dell'antica ruggine di quella che mostra la tavola in discorso. Niun' occa- sione si offre sicuramente più acconcia all'uopo richiesto del principio della guerra marsica messo avanti dal Visconti, in cui si avveva di più che ambedue i consoli erano fuori di Roma. Tutto ciò rende assai verisimile la sua opinione, né altro man- cherebbe per ridurla a certezza se non che di mostrare che nel 664 0 nel 665 può verificarsi l'esistenza in senato dei perso- naggi indicati. Ma è forza di confessare, che quelli almeno da lai proposti, o ai quali allude, non fanno al caso. Non mi op- pongo alla presunzione che lo storico L. Cornelio Sisenna sia stato figlio di un Cneo, ma però egli non fu pretore se non che nel 676 per attestato dell'altro senatusconsulto del Grutero p. 303. Potrebbe sostituirsi in sua voce L. Cornelio Merula sufletto nel 667, a cui si è dato la pretura nel 663, ma il di cui consolato non impedirebbe di differirgliela di un anno, .se si avesse una qualche ragione per negare al Pighio la prò- 289 che i personaggi assistenti al decreto del senato , Aulo Manlio, Sesto Giulio, e Lucio Postumio, vive- vano nell'anno 676 di Roma ; ammesso , cosa che neppure è a negare , che L. Cornelio Sisenna era babilità che sia slato figlio di un Lucio. Viveva poi certamen- te a quel tempo un L. Postumio , che fu pretore nello stesso anno 664: ma prescindendo che io non conosco esempio di alcun testimonio agli atti del senato^ che fosse attualmente magistrato, egli fu uno de' primi ad uscire coi consoli a combattere i ri- voltosi, dai quali fu ucciso (Epit. Liv. e. 73). Sesto Giulio Ce- sare era stato console nell'anno avanti, onde come consolare non sarebbe stato posposto ad A. Manlio , che non era tale certa mente. Infine è ben vero, che una medaglia dell' Eckhel T. V p 190, ci presenta un A. MANLIVS. A. F, ma da essa appren- diamo ch'egli era questore nella dittatura di Siila cominciata nel 672: onde può essere assai dubbioso, che quindici anni pri- ma fosse già stato annoverato fra i senatori da L. Valerio Fiacco e da M. Antonio nel 657, che furono gli ultimi censori, da cui si scegliesse il senato prima »lella guerra sociale. Conchiudo adunque, che sebbene l'opinione del Visconti sia certamente preferibile ad ogni altra comparsa fin'ora, ciò nondimeno per gli addotti riflessi mi resta tuttora qualche scrupolo ad accettarla decisamente per vera. Aveva scritto queste cose ieri sera, e ruminandole in letto, mi è nato il dubbio, se ritenendo fermo che il pretore sia il L. Sisenna del 676, non si abbia in vece da riferire l'occasione arrivarono a 35, o da famiglie denominate o da » luoghi. In altrettante parti e quasi compagnie si )) distingueva il popolo ne' comizi: chiunque conse- )) guiva la cittadinanza con suffragio, ad una di queste (1) Maffei V. I. lib. 4, p. 67. 300 )) veniva ascritto; e così quando una città era assunta » a tal grado, acciocché i cittadini di essa trovan- )) dosi in Roma , non vagamente , ma nella tribù )) assegnata si riducessero per dar voto. Il maggior » numero de' voti in ciascheduna tribù componeva )) l'assenso e dissenso di quella, e restava decretato » ciò che a maggior numero di tribù fosse piaciuto.» Così il Maffei. Certamente che Tivoli né nel quinto, né nel sesto secolo di Roma era giunta al grado di godere della cittadinanza romana col diritto del suffragio. Non- dimeno proseguiva a mantenersi amica della città eterna, di guisa che nel lustro che nell'anno 453 fu fatto dai censori P. Sempronio Sofo e P. Sulpicio Saverrione, vide fra le tribù annoverata VAniense, che fu la trentaduesima, così nomata dal fiume che appo di essa scorre, e la divide dalla terra de' sa- bini (1). Abbiamo altresì da Livio (2), che nell'an- no 582, come Preneste, alla stessa maniera Tivoli (città portate presso che da un medesimo destino), videro fra le loro mura due magistrati romani, P. Furio Filone e M. Mazieno, amendue accusati di abu^o di potere, l'uno nella Spagna citeriore, l'altro nella ulteriore, i quali chiamati a dar conto di loro am- ministrazione, anziché comparire, ritiraronsi in dette città: Furius Praeneste, Matienus Tibur exulatum abie- runt. Né franchigia di tal fatta era data a città non eminentemente amiche. (1) Livio lib. X, cap. IX: Et lustrum eo anno (453) conditum a P. Sempronio Sopho et P. Sulpicio Saverrione censoribus -. tribusque additae duae, ^NIENSIS et Terenlina. (2) Idem XLIII, 2. 301 INon andò guari però, che Tivoli non giungesse al grado più sublime, a cui poteva essere mossa una città sotto la romana repubblica. Questo grado era la cittadinanza romana, la quale di fatto ebbe, e la ritraemmo dallo stesso senatusconsulto; ma non prima della guerra italica, sociale e marsica, come voglia chiamarsi, non ricavandosi con l'autorità della sto- ria, che possa averla avuta innanzi di essa guerra. La quale nacque prima di tutto dal desiderio de' po- poli alleati d'esser fatti cittadini di una repubblica, la cui grandezza era in parte l'opera loro; desiderio che non mai fu corrisposto dal senato romano. Si ha da Appiano (lib. I), che Fulvio Fiacco sendo con- sole nel 661 fu il primo che concitò gì' italiani a chieder d'esser fatti cittadini romani, acciocché di sudditi diventassero partecipi degli onori e delle di- gnità del popolo romano. Consumato il tempo del consolato, divenne tribuno con Caio Gracco; ma es- sendo amendue stati morti , successe loro molto a proposito Livio Druso, il quale seminò tali e tante discordie fra i senatori e i cavalieri in relazione dei popoli d'Italia, che, posciachè egli fu morto, irrup- pero nella celebrata guerra sociale. In questa ebbero parte i marsi, gli ascolani, i vestini, i marruccini, i marchegiani, i ferentani, gl'irpini, i pomepiani, venusini, iapigi, lucani, sanniti e tutta la spiaggia dal fiume Liri al seno Ionio. Gli etrusci, umbri e latini re- starono fedeli a Roma. Il senato romano affidava l'impresa ai consoli del 664, Lucio Giulio Cesare e P. Kutilio Rufo o Lu])o. La zuffa cominciò da ogni lato con grande ardore. Rutilio , a cui era toccato in sorto il paese de' marsi, al cominciar della mischia ^ 302 fu morto. 11 qual triste frangente, e perchè le cose non andavano a seconda , fu cagione che il senato avesse temenza che i popoli rimasti in fede vacillar potevano: ondechè gli parve opportuno per mezzo del console superstite pubblicare la legge (1): Ut qui po- puli ad eam diem in fide mansissent , cives romani essent. Ed è appunto questa la celebre legge iulia de civitate cum sociis et latinis commiinicanda, mercè della quale fu in libertà de' soci e de' latini il di- venir popoli fondi e cittadini romani: Qua lege, dice Tullio prò Balbo cap. 8, civitas est sociis et latinis data, qui fundi populi facti non essent, civitatem non haberent. Il perchè non si andrà errati, se per fer- mo sarà fissato l'anno 646, fervente la guerra so- ciale, in cui come gli etrusci e gli umbri, allo stesso modo i latini, e per conseguente i tiburtini, anno- verati furono all' onoranda cittadinanza romana col diritto del suffragio. Il qual benefìcio però, avuto per la mentovata legge giulia, non è da confondere con l'altra ch'ebbe luogo nell'anno appresso 665 (come ritraggo da qualche scrittore (2) ), sul finir della guerra sociale sotto i consoli Cn. Pompeo Strabone e L. Porcio Carbone, come sembra ad Asconio Pe- diano, o nell' anno 666, in cui era perfettamente compiuta la guerra, sotto i consoli L. Cornelio Sulla e Q. Pompeio Rufo per opera dei tribuni della ple- be M. Plauzio Silvano e C. Papirio Carbone, detta perciò plauzia o ploùa papiriay la qual disponeva, secondo Cicerone: Ut civitas iis daretur, qui foede- (1) Appiano 1. e, Heitiecc. ani. rom. ad p. 1, 9, noia e. (2) Desaiilis. Sepolcro de' Plauzi p. 4. 303 raiis civitatibus adscripti fntssent, si et cum lex fere- halur in Italia domiciliwn habiiissent , et sexaginta diebus apud praetorem essent professi (1). E questa legge, m'avviso, fu uno dei risultamenti della men- tovata guerra, per la quale il diritto di cittadinanza non solo si ebbe dagli alleati ribelli, a mano a mano che si arrendevano, ma ancora da altre genti. Donde ne avvenne, che per l'aumento di tanti cittadini, tro- vandosi la repubblica in grande imbarazzo , fu di mestieri alle 35 tribù aggiungerne altre otto, nelle quali furono distribuiti i nuovi cittadini, restando sempre ai più antichi la superiorità per la poziorità di tempo. Discorse le quali cose , torniamo a bomba. Sa- puto che i tiburtini fino al quarto secolo non fu- rono che semplici alleati; che ascritti al diritto del Lazio, vi si mantennero fedelissimi nel tiatto suc- cessivo; che non si compromisero ne punto nò poco nella rivoltura sociale, italica o marsica, come il re- sto dei latini , gli umbri ed etrusci. Saputo , che perciò essi divennero popolo fondo, ed acquistarono il diritto della cittadinanza romana per la legge giu- lia del 664-, mentre ardeva la detta guerra. Consi- derato, che quando sobbarcarono al peso della ca- lunniosa imputazione , onde mossero al senato per iscagionarsi, erano già cittadini romani, e lo si ri- trae dalla condizione storica de'tempi, e dal scnatus- consulto, che fu loro reso a perpetuità dallo stesso senato. È giocoforza concludere, almeno così panni, che la suspicione a carico dei tiburtini , ed il loro (I) Ciccr. prò Archia e. VII. 304 scaglonamento esser non poterono , che in tempo posteriore alla guerra sociale. In conseguenza , che gli anni attribuiti al senatusconsulto, il 293 dal Vol- pi, il 368 dal Marsì e da altri, il 568 dai Cabrai e Del Re, il 594 dal Fabri, e il 664 o 665 dal Vi- sconti e Sebastiani, sono interamente fuori di traccia. Non pertanto avvisiamo intramettere di fare sul proposito altre considerazioni qualunque si siano; le quali siamo ora intesi volgere alla paleografia della iscrizione , tuttoché il sistema di taluni che la se- guono ciecamente non sia sempre sicuro. Innanzi tratto a noi pare non dover lasciare inosservato il pensiero di tale, ch'entrato in aringa favellò assai grossamente, quando, lasciata da un canto la storia ed il buon senso, per sostenere che il senatuscon- sulto esser non poteva che dell' anno 368 indicato dal Marsi , fra gli altri svarioni immaginava ancor quello del vicino deperimento, o della già avvenuta rovina del bronzo , supponendo, o sognando, esseix stata la iscrizione di nuovo incisa nella forma, e nella Un/ma usata e piìi intellifjibile a quella età] Col qual parlare si vorrebbe con assertiva , sempre dannata, far credere la caduta, o un incendio del palazzo se- natorio tiburtino, come avvenne del campidoglio (1), laddove rimasero distrutte 3000 tavole di bronzo, che contenevano poene ab exordio urbis senatuscon- sulta , plebiscita de socielate et foedere ac privilegio unicuique concessis, sotto la guerra vitelliana {62 del- l'E. V.) , le quali ristaurate rinnovaronsi da Vespa- siano sopra ricercati esemplari: e di nuovo distrutte (1) Svet. in Ve&p. 8. 18 Tacilo llist. 3. 71. 305 da incendio, ne fu rinnovata la ristaurazione da Do- miziano (1) , e di simil guisa giunsero fino a noi. Caponeria, che per le cose trattate non ha la somi- glievole. Né di miglior conio fu l'altra intorno agli arcaismi veduti nel monumento, giudicandoli errori degli scarpellini, anziché maniera di scrivere de' pri- schi tempi (2) ! ! ! La sentenza dei dotti non mai variò, che ne'la- tini è da notare la incostanza dell'antica ortografia; il perchè in una stessa iscrizione è scritta diversa- mente una medesima parola, come PLACENTIOS e PLACENTIVS, che si ritrae in una lamina trovata in Tivoli (3), come FECID e DEDIT, che sono in- cisi nella cista mistica di Novio Plauzio del museo kircheriano. Il Cori fa la stessa avvertenza nelle ta- (1) Plut. in Public, p. 164. (2) Gli errori degli scarpellini consistono d'ordinario neil'in- tralascìamenlo ed aumento di lettere e nel confondere le sillabe , come ad esempio SIGINiFER per SIGNIFER ; MENISER per MENS. I. DIEB. di due lapidi del museo d'Este edite dal Furlanelto n. XXIV, p. 101, n. XXIX, p m e Ìì2, nota 2. (3) Ecco la iscrizione che l'Avercampio riferiva nel libro De proiiunt. L. G., p 103, ritraendola dal Fabretti Inscr. D. p. 28, la dove è scritto: In tiburiino agro reperta , mihique a nobil. viro march. Fabritio Uè Maximis castri Jrsularum domino oblatoA C . PLACEÌNTIOS . UER . F. MARTE . SACROM aversa parte C PLACENTIVS . HER . F MARTE . DOMV . DEDET G. A. T. CXXXII. 20 306 vole latine di Gubbio, dove ERYNT è scritto ERHI- ONT, ERAFONT , ERIRONT , mutate scambievol- mente le affini. Ciò nondimeno è da convenire, che dalla tanta rozzezza a poco a poco il latino si andò raffinando. « Nacque Roma, dice il dottissimo Lan- )) zi (1), e fu nel principio un aggregato di vari )) forestieri, i più dei quali erano latini, sabini ed )) etruschi; nel progresso un emporio di molti po- » poh: nel fine una capitale di tutte le genti. I suoi » commerci, le guerre, le colonie, tutto cooperava )) ad aumentar le favelle. Così diede a tutte e da )) tutte ricevette vocaboli; così fece un misto di greco » e di barbaro. E ne' primi tempi, guidala dal caso » non dal consigho, adottava termini e gli rifiutava, » seguiva una forma di parlare e indi a poco un' )) altra. Dopo molti cangiamenti la latinità prese » aspetto di colta lingua nel sesto secolo di Roma, » e si perfezionò ne' due seguenti; in guisa però che » il popolo ritenne sempre qualche parte dell'antica » scorrezione, e usò un parlare ben diverso da quel » de' dotti.» Questa a noi pare dottrina così certa come chiaiissima e da potersi dire veramente au- rea, poiché corrisponde a meraviglia con la scrittura dei monumenti scritti, che ci sarà dato cronologi- camente in parte riferire, in parte indicare in con- ferma sempre di quanto di sopra è parlato. Il cantico degli arvali, qui sacra publica facilini propterea ut fruges ferant arva (2), è stimato per il pili antico, ed aveva luogo ////. Kal. lunias, tempo, in cui le spiche stanno veramente in fiore. Il primo (1) Lanzi, Saggio di lingua elrusca. (21 Vanone L L. IV. 307 verso di esso eantico riportato dal F^anzi, ritrovato nell'anno 1778 nel fare i fondamenti per la sagrestia di san Pietro, dice: ENOSLASESIVVATE, che non ispiegò il celebre Marini , ed il Lanzi nell' esserne ricereo cantò quel di Properzio: Et voluis^e sai est: spiegolle dappoi: nos lares invale. La istituzione di questo sacerdozio si vuole di Romolo (1), sebbene io non dissenta dalla sentenza di coloro, che la giu- dicano del secondo re sabino, Numa Pompilio, che s'adoperò delle leggi sacre in ispecie agrarie, sapen- dosi che il personaggio, a cui fu dato il nome di Romolo, non attese che alla guerra. ylll'arvalico canto facciam seguire un frammento delle leggi regie, che favella della pérta stabilita a fìghuoli, che pei'cuotono i genitori: SEI.PAREINTVM. PVER. VERRERIT. ASF. ALOE. PLORASI!. PVER. DIYEJS. PARENTVM. SACER. ESTOD. SEI. NV- RVS. SACRA. DIVEIS. PARENTVM. ESTOD. Il per- cussore poteva essere immolato come una vittima agli dei de'geiiitori: questo è sacer eslo. Si vuole deb seicondo secolo del re Servio, ma il Lanzi sostiene, ch'ella era in una raccolta di leggi fatte da questo re, da Tazio, e da Romolo (2). Le leggr décemvirali , ossia delle dodici tavole, fui^ono scritte nel princìpio del secolo quarto. I pri- mi due versi della pi-inia tavola sul chiamare in giu- dizio, de in ius vacando, dicono: sliv ivs vocaT- QVEAT / ^Ir , AINTKSTAMINO: IGITVR EM CAPITO : ri- dotti a molta chiarezza dallo Scaligero , Go- tofredo, e Gravina: Si in ius vocal, alqne eat. Ni it. (1) Cfr Plinio L. XVIII, e. 2. G^lUo VI, e. 7. ^ Ct'r Heinecc. Ani. roin. prò. 2. 1. 2. 308 antesfamino: igitiir em capito. Chi è chiamato in giu- dizio, suhito vada. Se non va , chiami testimoni: di poi lo prenda. Dal secolo IV passando al V, paimi sìa accon- cio l'osservare il monumento di L. Cornelio Scipione Barbato, bisavo deMue Scipioni Asiatico ed Affricano, che fu console nel 456 con Cn. Fulvio Centumalo, pubblicato dal Dutens (1), da Gio: Battista Visconti (2), dal celebre suo figliuolo E. Q. (3), ed avendolo altrove ancor noi riprodotto (4), ci asteniamo ripor- tarne le parole. La iscrizione è in verso, il qnale sembrò al Visconti l'incondito verso saturnio, il più antico del Lazio, cantato da' fauni e dalle ninfe. La iscrizione duilliana parimente del V secolo , ma posteriore a quella del Barbato , fu largamente dichiarata dal Ciacconio (5). Era scolpita sotto la colonna rostrata in campidoglio, famosa per la me- moria che ci trasmise del primo trionfo, che nell'an- no 494 i romani riportarono in conflitto navale so- pra i cartaginesi per il valore di C. Duilio: laddove si vedevano le parole BILIOS per Duillius; EN. SI- CELL\D per in Sicilia; OBSEDEONED per obsidione; OLORVM per illorum; LECIONES per legiones; MA- CESTRATOS per magistralm; EXFOCIVNT per effu- gìimt', PVGNANDOD per pugnando; BOVEBOS, NA- VEBOS, MARID, TRIOMPOQVE, POPLOM, RESME- (1) Dutens, Ouvres melèes 1784. (2) AnCol. rom. tom. VII. (3) Moniim. degli Scipioni T. III. (4) Tivoli nel decennio p. 74. (5) Ant. rom press, il Grevio tooi- iV. p. 1811 e segg. 309 COSQVE, e TRIKESMAS per Bovibus, Navibm, Mari, Triiimphoque, Populum, Remigesque, e Triremes. Il monumento che si conserva nella Barberina di Lucio Scipione, figliuolo del Barbato, fu con dotto commentario illustrato dal P. Sirmondo(I), che sul- l'epoca s'avvisa non si potere por-tare oltr'e il 500, se non qualche decina di anni. Gli arcaismi nella iscrizione sono forse maggiori di quella del padre: ma si avverta che non si era al sesto secolo inol- trato , in cui la latinità cominciò a sapere di colta lingua. A convincersene basta il discorrere le pa- role della prima e seconda linea: HONCOINO per hunc unum; PLOIRVME per plurimi; COSENI IONI per consenliunt; DVONORO OPTVMO FVISE VIRO per honorum optimum fuisse virum. Con questi pochi saggi ciascun dotto avrà di già concluso quanto fu tenue il dirozzamento della lin- gua nell'intero quinto secolo, e sui primi del sesto, e quanto essa era lontana da quella che ci reca il bronzo tiburlino, che sì a sghembo si volle far sa- lire ai tempi innanzi delle leggi de'decemviri , dei monumenti degli Scipioni e di Caio Duilio. Ma non si cessi dal discorrere con lo stesso oi'- dine altr-e epigr'afi. Ci risovvengano le tavole di Gub- bio, la cista del Kircheriano, e la lamina tiburtina, come quelle che ci sembrano del VI secolo. Indi si passi ai monumenti, di tempo posterior-e, degli altri Scipioni, deWAsiatico, del giovine L. Cornelio, del flamine, deìVAssiageto, e da ultimo a quel di Cneo (1) (irevio I e. p. lh3G. 310 Cornelio Scipione Ispano (1), ranfie diverso dei no- minati, derivato da Cneo Cornelio zio dell' Affricano meggiore, che vinti i cartaginesi conquistò la Spa- gna, dojide la sua gente fu cognominata Hispana , Hispana, Hispalla. Secondo alcuni fu egli pretore del 614 e figliuolo dell'altro Cneo, che tenuto ave- y-a il consolato nel 578. 'ò Dopo di che, chi non ravvisa a colpo d'occhio, che la lingua del Lazio da tanta imperfezione che ella avea nell'infanzia del settimonzio, non si tolse che a rilento di quella bruttura, e non fu che cor- rendo il settimo secolo, in cui veramente cominciò a spirai'e di una grata e bella e maestosa genti- lezza? Si discorra di vero l'iscrizione dell'ora citato Cneo Scipione Ispano, la cui ortografia si scorgerà in gran parte purgata da quell'arcaismo, che s'os- serva nelle altre che la precedettero. La stessa sen- tenza si avrà senza meno cammin facendo in giù dell'altre iscrizioni fino al tempo, in cui ebbe stanza il senatusconsulto, che Tivoli raffermava neli' ami- cizia con Roma. Alle quali cose per Coronide, e come argomento e ragioni della scrittura de'marmi, giova il consi- derare la condizione de'quiriti di que'tempi intorno alle lettere, e quanto ci reca la comune sperienza intorno all'andamento delle lingue. Roma è già sa- puto per il Lanzi in quale stato si trovava intorno a scienza di lettere ne'primi cinque secoli. Dionigi d'AKcarnasso (2) scrisse apertamente , che Romolo ne vietò lo studio: e sebbene non si conosca donde (1) Lanzi I. e. p. 119. Visconti I. e. (2) L. 11. cap, XXVIII. 311 egli abbia trattane la notizia, a noi pare non po- terlo non consentire: imperocché i romani , già il ritraemmo, ne'primi cinque secoli non si distesero che a pociic miglia oltre Roma , sempre armati , costretti sempre a rivolger le armi contra de'loro vicini, vinti spesso, ma non mai abbastanza domati. Atterrato dappoi ogni argine , portarono le anni nell'Asia e nell'Affrica, conquistarono province e re- gni. Allora fu che si rivolsero improvvisamente alle scienze fino a quel punto poco o nulla curate , e dopo aver superato i greci nell' armi , superaronli ancora nello studio delle belle arti (1). II perchè distratti di questa maniera nelle armi , era presso che impossibile, che attender ad un tempo potes- sero alle lettere. Dal che ne venne la sentenza, che ne'mentovati secoli lo studio di esse in Roma fu scarso e sterile; che dal fine della pi-ima guerra punica (anno 512 di Roma) fino alla distruzione di Cartagine (anno 607), si può con ragione chiamare il principio delle romane lettere ; e che da questa epoca all'intero 700, ed oltre fino ad Augusto, esse toccarono il piiì alto grado della perfezione. Uguale procedimento ebbe naturalmente la lingua latina. Ma donde avesse il primo impulso , non si andrà errati se si originerà dal canto de'poeti, come da coloro ai quali essendo dato aver cuore di ribel- larsi dalla viltà della consuetudine , furono sempre stimati trovatori del dire illustre, aiutato senza meno in progresso dalla parola degli oratori e de' filosofi. La qual cosa veggiamo esser istessamente avvenuta in tutte le altre lingue: ed in questo mi gode l'ani- mo di seguire la sentenza del gentilissimo Perticavi, (1) Cfr. Tiraboschi, Lel(. It. T. 1. p. 3. 312 il quale favellando della italiana diceva: « Sia ella « pur nata di rozza e vilissima condizione , ciò « nulla vale; poiché in tal sorte pur nacquero l'altre « e nasceranno quelle che a noi sono future ; ma « ella al pari dell'altre si fece leggiadra, grave, cor- tt retta, maravigliosa solamente allorquando i poeti a prima, e poi gli oratori, e da ultimo i filosofi, la « tolsero dall'arbitrio della rozza e volubile molti- « tudine (1) ». Di vero, Roma innanzi dalla prima guerra car- tagin ese non ebbe che qualche cultore di giuiispvu- denza, e ci risovvenga di coloro che s'adoperarono delle dodici tavole; inoltre uno scarso lume di scienza da que'della Grecia Magna. Dopo essa guerra e fino alla distruzione di Cartagine, udì moltissimi poeti, e qual- che oratore. Un Livio Andronico, che per il primo introdusse il teatro (2); un Nevio, che compose più commedie, fra le quali è noverata con distinzione la rappresentanza del 519 intorno al divorzio di Spurio Carvilio Ruga; un Ennio, che Orazio, Sereno Sammo- nico e Lucrezio salutarono come padre della poesia epica; nacque nel 514, morì nel 584 ; fu carissimo e Scipione Affricano , e si vuole che le sue ceneri riposino nel sepolcro degli Scipioni (3); un Plauto , un Cecilio Stazio, un Pacuvio, un L. Accio, o Azzio, un Terenzio, de'quali altri scrisse commedie , altri tragedie; e ponendo da canto i due grammatici Sp. (ì) Dif. di Dante par. 2. cap. 2. (2) Fabricius Bibl. lat. t. iì. L. IV. e. l (3) Carus fuit Africano superiori noster Ennius; itaque etiam in sepulchro Scipionum pulatur is esse constitutus e marmore. Cic. prò Archia.'Cfr. Visconti Mon. degli Scip. T. 1. p. 14. ediz. Milan. 813 Gorbilio liberto, e Cratere da Mallo, noterò i pochi oratori, un Catone, un Servio Galba, un M. Emilio Lepido soprannomato Porcina (1). , Distrutta Cartagine (607) Roma per verità s'in- nalzò con grande fervore nelle scienze e nelle arli, ed a questa opportunità m'avviso che alluda Orazio ('2) co'suoi versi: Graecia capta ferum vietar em cepit, et artcf; Intulit agresti Latin. Fu questo difotti il tempo, in cui le armi ebbero riposo, e non si riscossero che oltre la metà del secolo, come è veduto, fovellando della guerra so- ciale. Ne sursero da un lato poeti insigni , un Lu- cilio il satirico, un T. Terenzio Caro, un C. Valerio Catullo , e dall'altro grandi oratori, i due Gracchi morti nel 620 e 632» lodati da Cicerone; un M. An- tonio che fu consolo nel 654; un L. Crasso che fu consolo nel 658, lodati parimente da Cicerone; al- tresì un Calvo, un Ortensio , un M. Terenzio Var- rone, nato nel 637, vivuto circa anni 90, che scrisse secondo Gelilo (3) 490 libri, ne'quali trattò di gram- matica, eloquenza, poesia, teatro, storia, antichità, filosofia, politica, agricoltura, nautica, architettura, religione, e di tutte in somma le scienze e arti li- berali (4); e sopra tutti lo stesso Cicerone, che nato nel 647 in Arpino, venuto in Roma , non è duopo (1) Cic. de leg. lib. n. 2. (2) Lib. II. Ep. I. (3) L. 3. e. 10. (4) Tiraboschi I. e. p. 3. lil). 3- 314 il dire ch'ei della lingua s'adoperasse d'ogni maniera per portarla a quel grado d' eccellenza quant' al- tra mai. «' Ora chi oserà dire non coincidere a capello la lingua del nostro senatusconsulto del 676 con la let- teratura de'tempi, ai quali ci ha portati quest'ultima considerazione? Essa per fermo non può avere mag- gior naturalezza di dettato. La è pura e semplice anzi che no; né ha affatto la rozzezza ed imperfe- zione dei veduti monumenti, in particolare di quei che precessero il quinto e sesto secolo. « Lo stile, dice il Visconti (Icon. rom.), retto ed elegante della iscrizione nulla si risente dell'antichità remota, cui vuole attribuirsi ». Che anzi sono per dire scorgervi uno de'pochi esempli, che per mezzo de'marmi ci de- termini il tempo in cui la lingua latina era molto innanzi nel cammino della perfezione. Non vi s'in- contra in fondo altro arcaismo, che non abbia se- guito ad esser in uso anche ai tempi ultimi di Ci- cerone, ed anzi anche di Augusto, se si eccettui il genitivo KASTORVS per KASTORIS, che pur fu in uso nello stesso secolo, come dagli esempi, che io recava in altra opportunità (1). di VENERVS, e CE- RERVS per VENERIS e CERERIS di lapidi capua- ne, che segnano la metà più o meno del secolo settimo. Eccettuata pertanto la voce surriferrita, gli ar- caismi, che si leggono, sono appunto gli stessi che si ritraggono dai monumenti scritti di que' tempi: come TEIBYRTES per TIBVRTES; ADVORTiT per (1) Risposta alle osservazioni espresse /tìeirappendice alle notiaie il Tivoli p. 52. 315 ADVERTIT; VTEI pei VII; AEQVOM pei- AEQVVM; UEIXISTIS per DIXISTIS ; VOBEIS per VOBIS ; NONTIATA per NVNTIATA; INDOVCEBAMVS per INPVCEBAMVS; QVEI pei QVl ; POPLIGAE per PVBLICAE; VOSTRAE per VESTRAE; GITILE per VTILE; EIEIS per US; AF per AB; QVONQVE per (IVMQVE, ed altri che tralascio. I quali al postutto sono un avanzo di etrusco, greco e sabino, e si ri- stringono alKEI per I; ali'O per E e per V; al P per B, airOV per V; all'OI per Y; al Q per C; alPF per B. Intorno alla qual cosa si faccia da ultimo senno alla tavola di bronzo ritrovata in Roma (1), che reca la pili parte della legge sociale , e delle condizioni intervenute infra popiibim romamim el thermenses maiores pisidas sotto il consolato dell'anno 682 di L. Gellio e Cneo Lentulo, donde si hanno gli stessi ascaismi del nostro, che lo precedette di anni sei ; che anzi panni vi si ravvisino la condotta e lo stile d'uno gtesso scrittore. E ciò è in conferma della sentenza di Quintiliano, che i mentovati arcaisnìi, in isp^cie di raddoppiare le vocali, ebbero luogo oltre il tempo di cui si favella (2). (i) Grutero pag. D. (2) Semivocales (dice Quintiliano L. I. e. 7. §. 14) non geminare, diu fuit usitatissimi moris. atque e contrario usque ad Accium (nato nel 584, morto nel 671) et ultra porrectas syllabas geminis vocali- bus scripserunt. Fino all'anno , in cui Ottaviano ebbe il titolo di Augusto, ne abbiamo argomento dalla iscrizione, che reca il celebre arco di Rimini da esso Augusto innalzato nello stesso anno (Tonini, Rimini avanti il principio dell' E. V. p. 170 e seq.), la quale sup- plita dall'insigne Borghesi, dice così, Senalus. Populusque. Roma- nus. I Imp. Caesari. Divi. tuli. F. Augusto. Imp. Scpt. ) COS. SEPT. DESIGNAT. OCTAVOM. f^ia. Flaminia, ab. eo. munita, et | CELE- BERRIMEIS, ITALIAE. VIEIS. CONSILIO, e/. Opera. cJVS. mmilum. 316 Di simil guisa parmi, se non m'inganna l'amor patrio, si sia non senza prò pervenuti al porto, cui era indiritto il cammino paleografico: cioè a dire che per la comparazione dei monumenti, congiunta allo stato delle romane lettere, è parimente giuoco forza convenire, che la incisione del senatusconsulto tiburtino segni l'anno, che ha sospettato il Borghesi, il 676 di Roma; quando i tiburtini erano già po- polo fondo e cittadini romani col diritto del suffragio in virtù della legge gialla pubblicata dodici anni prima nella effervescenza della guerra sociale; quan- do appunto era pretore lo storico L. Cornelio co- gnominato Sisenna per attestato di altro senatuscon- sulto riportato dal Grutero a p. 504, che reca gli stessi arcaismi e la stessa latinità: e quello che pii^i monta per le circostanze di fatto, ch'esserne pote- rono la causa motrice, le rivolture operate dal con- sole Lepido contra di Roma, e la esistenza in detto anno dei tre senatori Aulo Manlio figliuolo di Aulo, questore di Siila, Sesto Cesare flamine quirinale, e Lucio Postumio figliuolo di Spurio, che assisterono all'estensione della scritta, che purgava i tiburtini dalla falsa accusa, e raffermavali nella grazia del se- nato e popolo romano: QYONQVE. DE. EIEIS. RE- BYS. SENATVL PURGATL ESTIS. CREDIMVS. VOSQVE. ANIMVM. VOSTRVM. INDOYCERE. 0- PORTET. ITEM. YOS. POPVLO. ROMANO. PVR- GATOS: FORE. Tivoli ai 25 ottobre 1853. Stanislao Viola tradi TEIS. Vedi il Lanzi p. 10 i. e seq, ed il Morcelli I. e. cap. Vili, p, 459 e seq. il quale pretende i riferiti arcaismi anche al- l'epoca liberiana, quando non v'ha congiunta l'asprezza del dire. 317 Sulla scala di vita. Memoriale in terza rima del ca- cavalier Luigi Crisostomo Ferrucci. Lettera di Gian- francesco Rambelli al cav. Salvatore Betti, acca- demico della crusca, segretario perpetuo delVaccade- mia di s. Luca. Chiarissimo e pregiatissimo sig. cavaliere kC^ono alcuni mesi, dacché scrivendo io neìVIndica- tore di Modena brevi parole in lode del Lyristes christianus del cav. Ferrucci , finiva col ricordarne la Scala di vita allora allora uscita in luce, dicendo che il suo autore poteva tenersi per un Dante re- divivo e ingentilito (1). Queste parole ebbero a ripe- tersi come in beffa da altro giornale (2), che sen- tenziava in modo assai diverso di quel poema. Ora, acciocché non paia che il giudicio che io ne dava originasse da amicizia, gratitudine, o amore di pa- tria comune; ma si vegga invece che proveniva da meriti e pregi che sono veramente nella Scala di vita, prenderò a ragionare di essa alquanto di largo, col fine di provare quanto io affermai e con esem- pì e con gravi testimonianze, se a tanto mi baste- ranno l'ingegno e lo stile. E questo mio scritto, qua- lunque sia, ho voluto dirigere a voi, eh. sig. ca- valiere, perchè dotto, sapiente e acuto critico , co- me siete, lo afforziate della vostra aiitoiità, se mi sarò, (1) Indicai. Moden. n. 60, 11 ottobre 1832. (2) Il Commercio di Bologna, ». 17, 17 yen. 1853. 318 bene apposto; ed ove abbia preso inganno, me ne avvisiate liberamente, cbè ve ne avrò grazie cumu- Jatissime. E tanto più volentieri mi affido al vostro giudizio, che so esser voi nipote a quel Cosimo Betti, che nel nobilissimo poema la Consumazione del secolo precesse al Ferrucci imitando felicemente l'Alighieri coirintendimento stesso, « d'avere cioè adoperata « la poesia dantesca per correggere i vili e morbidi « costumi dell'età sua , e raddrizzare i passi degli « uomini nello smarrito sentiero della virtìi e della « gloria (1) ». E qui, innanzichè io venga alle particolarità del Memoriale , siate contento che vi accenni in breve , e quasi colle parole istesse dell'autore , quali siano il fine, la ragione^ e la moralità di quello. — Il Fer- rucci, collo sposare alla moltiforme natura un filo ben sottile di arte poetica, brama che i suoi lettori si riscuotano dalla serviti! del razionalismo, ed usino discretamente della vita, ripromettendosi aiutarli a conquidere la noia, perpetua avversatrice d'ogni bel proposito, e d'ogni buon avanzamento. Per giungere a questo divisò i suoi argomenti a guisa di scala, « che toccando allo stato della vita pi ìi buio e stre- « mo, qual è quello delle sostanze minerali, e ag- « girandosi per la natura animale e vegetabile, risa- te lisàé alla luce e al maggior grado , dove lo spi- « i*fto pui iricato ritentasse il volo de'cieli sull'ali della « ^edé verso Dio e l'autorità »... Ad esemplare le sue (feOfié trascelse dal periodò di storia, che s'in- tórporie da Dante à noi, viziati e virtuosi, ordinan- (1) Filippo Sacobini, Elogio di Cosimo Betti. 319 doli in diverse categorie innestate a soggetti natu- rali. Per lo che i viziosi dall'accidia alla rapacità ebbe imprigionati, come in preludio di pena, nella serie de'pianeti da Urano a Mercurio; ponendo che per istravolgimento d'intelletto si credan mutati in bestie dell'indole che è più prossima all'eccesso di che son rei. E perciò in Urano, carcere d'accidiosi, do- mina la natura del gambero, della tesfuggine e del bradipo; in Saturno sono i traditori in opinione di freddi serpenti. In Giove dimorano gli ambiziosi con modo di leoni e tigri feroci. Gli avari di varie guise sono distribuiti per Pallade, Cerere, Vesta e Giuno- ne in qualità di arpie, di ghiottoni, di giumenti, cicale 0 pavoni o camaleonti. Stanno in Marte i vio- lenti mutati in lupi e iene: in Venere i lascivi in aspetto di cani e gatti rabbiosi, e talora di tortore lamentose. In Mercurio finalmente sono aggirati da rattissimo vortice i ladri, gl'impostori, i calunniatori e i plagiari in abito di formiche bianche, è di volpi astute e rapaci. « Cruccio di diverse malattie è in ({ que'pianeti, piovendo da ognuno de'Ior satelliti tal « virtù, che movendo d' L\lcun generoso che spiccò « nel contrario di quevizi, raccenda senza posa ne' « colpevoli l'angoscia del bene miseramente perduto. « Nelle stelle nebulose e nelle conìete son collocati « i conquistatori insaziabili in figura d'aqnile e di « grifi: e poco al dilà nella reggia del Sole in lago « d'argento vivo nuotano i capricciosi, i quali abu- « sarono i privilegi dell'ingegno, de'quali alcuno sal- « vasi in una nave che racchinde tutto ciò che in « filosofia e in arti è o si dice classico. Per mezzo « di essa si perviene alla grotta dei Tempo sormou- 320 « tata da tre castelli, che hanno titolo dalle tre « grandi applicazioni che mutarono l'umana civiltà, « la polvere micidiale , la stampa e il vapore. Di « colà si sale alla via lattea , seggio di perse- « veranza , onde partesi la spirale che avvolgesi e « contiene distribuiti in sette gradi variamente co- te lorati dall'iride quelli che bene usarono de' doni « del santo Spirito, ed ivi stanno confortandosi di « buona speranza del premio eterno nel dì finale. « In cima grandeggia il tempio vivente di Dio illu- « strato dagli splendori della maravigliosa trasfigu- « razione, miracolo di amore e di fede, in cui que- (( sta Scala di vita si suggella. » Guide e dimostratori pe'luoghi divisati sono prin- cipalmente al Ferrucci Pitone serpente pel regno minerale; per l'animale l'elefante, Io scimio pel ve- getabile e altrove; succedendo loro una giovinetta Agnese , e quindi a lungo il glorioso proavo di lui Francesco Ferruccio, che il lascia con una Laura che è al poeta qual fu Beatrice a Dante. « In tutto « il Memoriale la mitologia, il misticismo e il genere « polemico si trovano parcamente adoperati, e solo « in quelle parti vive , che possono ancora avvan- « taggiare la morale. Ma la storia naturale , la « geografìa fìsica, la storia, il prodotto delle osser- « vazioni e de'viaggi son posti in uso quasi abitual- « mente nella struttura di lei. A causare poi la noia « aiutano le digressioni, le moralità, e talora la bre- « vita de'capitoli, i quali sono insieme 120 distri- a buiti egualmente in tre parti. » Or donde credete voi sia proceduta tanta varietà di giudizi intorno la Scala di vita ? Io per me la credo 321 derivata non solo dal non averne i più de'critici com- preso e penetrato l'intendimento, ma anche dall'averne confusa la specie, chiamandola poema didascalico, e dandone sentenza sulle leggi di quello ; quando in sostanza e per istituto non è che un poema COMICO. E che sia tale noi mostra abbastanza il molto dram- matico che contiene e 1' esservi esposta la commedia de' mortali d'ogni stato e condizione ; e il rilevare e dipingere, che fa il poeta, le passioni, i vizi, e gli umori loro per muovere e signoreggiare gli animi, e per indurli a sentire la forza delle sue ben dedotte morali applicazioni ? (1). E chi nel Memoriale è V attore o personaggio principale, se non il Ferrucci stesso , che al modo dell'Alighieri, e solo per occasione di lui raccontano gli estinti i casi loro, aprono i secreti de'loro cuori, ed entrano a dichiarare le più recondite dottrine ? E non ostante una tale singolarità 1' autore non ha punto trasgredite le noime della poesia narrativa : che nel suo libro trovi unità di disegno e di anda- mento, proporzione e convenienza delle parti fra loro e col tutto; e stile evidente, robusto, dipintivo, ac- comodato alle cose, e atto a metter nell'animo retti, grandi e generosi sentimenti. Questo stile , come il metro , tolse il Ferrucci a Dante autore e maestro suo, giovandosi pur molto dell'arte di vestire poeti- camente concetti, con lungo studio appresa da Vir- gilio. (1) Gherardini, Elementi di arte poetica V. 2. ari. IV, cap. 3. p. 275 - Milano, Giusti, 1822. G. .\. T. CXXXII. 21 322 Dopo tutto ciò, dirò io forse che la Scala di vita sia senza difetto ? Non già, perchè niun' opera umana ne è priva: e fu taluno cui parve trovarvi troppo di dottrina, e tal altro che ne riputò troppo diffuse le narrazioni ed enumerazioni di cose scientifiche e na- turali. Egli è però a considerare , che dottrine ed enumerazioni siffatte tornano in vantap,gio della buona lingua , conciossiachè i nepoti faranno lor prò di tante voci che TA. ha tolte dalle arti e dalle scienze, o derivate da straniere fiì velie adattandole nel suono e nella terminazione all'indole della nostra. Altri ha fatto le maraviglie, come un libro sì gremito di sto- rie e di particolarità in ogni genere di sapere com- parisca spoglio affatto di note e dichiarazioni. Ma da ciò erasi difeso il Ferrucci (1), rispondendo: « di » aver proposto principalmente alla ponderazione » degli studiosi la frase: che a chi cerchi le cose )) stan pronti in ogni biblioteca i volumi, da cui » l'autore tolse tutto quello che volle abbellire di )) veste poetica «. Checché abbiasi a dire di questo, io aggiungei'ò , che Virgilio , Orazio , e Dante non apposero mai comenti a' versi loro, che foi-se sareb - bero stati superflui jser gi' intelligenti , inutili per gli altri. (2) Pref. noia (*) p. VII, 323 Or volete voi sentire, coni' ei sia riiiseito a dire in belli e chiari versi cose ditricilissime? Porgetemi l'orecchio e fatemi ragione. Parla de'jjesci elettrici, e dice (cant. 36[)art. 1): Ma dove lascio te liinnòto ottuso Conscio dell'alnia elettrica facella ? Quanta espressione, e quanta proprietà in quel conscio] E nondimeno udite come abbia saputo mi- rabilmente variarsi a denotare lo stesso fenomeno in altro pesce (ivi, ver. 61): E tua suora torpedine che l'uso Della mano interdice a chi la tocca, E quasi ha seco il fulmine racchiuso ? Brevi e lucide parole ne mostrano il dagherro- tipo (e. 3 p. 2): Ecco la chiostra ove si serra 11 solar raggio a dar la maraviglia Del fedel tipo, ond'ebbe onor Daguerra. E similmente il telegrafo elettro-magnetico (ivi): Questo è '1 metallo a cui per fU s'appiglia L'elettrica virivi, che scritti accenti In un balen diffonde a mille miglia. Notate com'è ben mostra in questo terzetto l'arte de'pantomini ( e. 35 p. 3 ): 324 Né già taceva della muta scola, Onde per finte scene in atti ornati Il Vigano dipinse la parola. E chi sarà che non senta e non ammiri la bel- lezza di quel dipinse che veramente dipinge il con- cetto ? Pregiatissimi per veste poetica e per vive imma- gini troverete poi questi versi che tolgo sparsamente dal libro. Il color verde dal prisma (e. 3 p, 2): . . . ride e sì seco sei toglie Natura innamorata al nuovo aprile, Spargel per prati e rive in erbe e foglie. Metafora molto splendida e appropriata è questa (e. 34 p. 1): e il sol ravviva Nella corta fatica dell' ecclisse: e l'altra (e. 6 p. 2): Quinci a miglior ragion altri passeggia Il ciel cogli occhi. Quanto di novità e di evidenza in quel passeg- gia ! Espressivi al sommo e stupendi son quest' al- tri: ( e. 35 p. 1 ): . i pini estolle A sostener de' venti la battaglia: 325 e ( e. 6 p. 2 ): . . . . lo spettacol vasto Della notturna maestà del cielo. Pieno di vita d di poesia è pure il terzetto { e. 38 p. 3 ): Vedea mille desiri, come strali, Mandati in alto uscir di labbra e d' occhi Insiem battendo alle porte eternali. Tutti di bel magistero d'armonia imitativa splen- don quest'altri (e. 32 p. 3). Il Tempo . . . . e cieco e muto e sordo In se di se consumasi e s'invola. Ove la rapida velocità è sì ben significata dal consumasi e s invola, E non ci pone innanzi immensa grandezza con sola una parola, là ove dice (e. 36 p.2): Ecco alfin la vastissima balena ? E chi è che quasi non vegga e senta l'azione qui espressa: Stropicciando e alitando alfìn l'ha tolto ? Così proviamo l'orrore e il ribrezzo d'una puzza grandissima leggendo: E al fìer fetore tutto il lido ammorba. 326 La lenta pieghevolezza del salice orientale non ce la veggiamo innanzi nel verso (e. V p. 1 ); Tra flessuosi salici sepolta? E non gareggia, con qualche luogo di Donte il distico (e. J5 p. 1 ) ? Dà loco all'affrican rinoceronte Ghe fende ruinoso il suolo e il vento. Nel terzetto che segue non si vede 1' avvolgersi del rettile, e non se n'ode il fischio, tanto è mae- stramente condotto ( e. 20 p. 1 ): Ma il bel ramarro della forma umana Vagheggiator mi guizza innanzi e fischia, E sul sentiero a lungo si dipana. Ma per non ristarmi a pochi versi, vi recherò innanzi alcuni luoghi un pò estesi e di vario genere; acciò da essi possiate far congettura del resto. Primo sia quello ove le sciaurate parti che stra- ziano la Romagna mossero V autore a sclamare in- dignato (e. 23 p. 2): , . . . Ohimè ! però non cessa L'uso crudel delle coperte spade Quivi ed altrove: perchè in voce è messa Di traditrice la bella pianura Tra Savena e Tavollo a noi concessa. I 327 Ove son tetti, ov'è cei'chio di mura, Ad una Tebe il pellegrin venuto Esser paventa, e tosto uscirne cura. Sì quel che è fiore stimasi rifiuto Di quanto il mar difese e la montagna E il sol degnò del suo più bel saluto. Chi spegnerà la maledetta accidia Consigliera di fraudi, e il tristo seme Che propagò la cittadina invidia ? E avarizia e superbia che non teme Sedere ov'eran Fabi e Cincinnati, Pe' quai parlò Virtù le voci estreme. Tanto riso di ciel, tanti e si grati Doni del suolo, tanto ardor ne' petti, Tania virilità dunque son dati Perchè le mense delicate e i letti, Con quel che men si danna, e assai più noce, Frangan gli spirti generosi e schietti ? Dolcissimi sono i versi in che ricorda l'usignuolo (e. 39 p. 1): Indi non lungi alternamente s'ode Sonar con soavissimo concento Di varie voci una gentil melode. Conosco, 0 Filomela, il mesto accento Delle querele tue: conosco il fischio De' casti amori, monachin contento. Viva e grave è la descrizione che fa del colèra ( e. 38 p. 3): 328 Ohimè ! di fier livor l'occhio si cerchia; Gelan di fuor le membra, e un fuoco pasce Ciò che di fibre e nervi si coverchia. Stomaco ed alvo da crudeli ambasce Spesso percossi sdegnansi dell'opra Onde alla vita il nutrimento nasce: Cadon li mille, e a mille altri sta sopra Pur coir orrendo aspetto il fine estremo, A cui tardare, ogn'arte invan s'adopra. Male alla curva vela, e peggio al tetno Che trovò i porti delPEsperia, e seco Trasse la peste rea tra remo e remo! Forte è l' invettiva che scaglia sugli usurai ( e. 4 p, J) (1): Ma perchè sol porta Israel la taccia Dell'aspre usure, se la ria semenza D' ogni scrocchio con voi fra voi si caccia? Questo è vanto di mille e conoscenza Sugger prestando a merito d'usura Sì ch'altri a dar rimanga d'aver senza. E crebbe l'avarizia a dismisura, Che frutto esce di frutto, e sai repente Per maligne scalette ad ogni altura. E aiutan patti il danno della gente, 0 buon morale, cui gridavi allora La centesime tue sanguinolente ? {i) Questi versi son qui dati co'ritocclii fatti tor dall'A dopo l'edìsione dtlla Scala di vita. 329 Cento per cento un di eostor divora Per pietade, e di tanto non pur sazio Scrive sul cento anatocismi ancora. Sì riprendea Piton l'inulto strazio Degli usurieri. Ed io a lui di rimando: Già stavan giudei soli all'empio dazio. Or noi rinfocoliam l'uso nefando De' rei guadagni, e prestasi a valuta Intesa, né si nota come o quando. Cinque richiede il meschinello a muta ? Scriverà - dieci tenni, e debbo dieci. - Nò vai, se il pegno la fé non aiuta. Quale avran fine le lucrose veci ? Argento e terre ad una man verranno. A non lasciarvi digiuno delle similitudini {spesso nuove) e delle belle e gravi sentenze che a toglier noia e sazietà il Ferrucci ha introdotte opportunamente qua e colà; abbiatene qui alcuna. La diva Temenza prima di rispondere in qual arte e valora aliasi adopri, si fece in viso (e. 5 p. 2): Come la rosa, che a se stessa increbbe Lottando lungamente entro il bottone, iill'uscir d'un bel giorno qual sarebbe Tra '1 maggio e '1 giugno, tutta si dispone Aperta su lo stelo, e sì rosseggia Che di desio son vinte le persone. La gioventù, scosso il freno dell'autorità, e datasi a licenza, ne trae pessimo frutto: 330 Così cocchio talor, che non si regge Alla man dell'auriga, esce di via, Urta la turba, la calpesta e fegge. Le anime guidavano carole in cielo nuotando in un mare di luce (e. 31. p. 3). Forse così Andava a nuoto assai veneta prole Per la commossa adriaca laguna Il dì che l'alto doge uscìa sposato Sull'aureo bucintoro alla fortuna. Di sentenze son parco per istudio di brevità: ma il Memoriale ne è debitamente e non iscarsamente lumeggiata. Cento corone una perfìdia guasta ( 22 p. 2). Che niente è impedito a chi ben volle, {e. 23 p. 3.) Ma fa leggier l'invitta pazienza (e. 32 p. 2). Ogni gran danno, e spedisce la speme Ogni sentier difficile in presenza. che sogni vani ( e. 2 p. 2). D' opinion tramontan molto presto; Ma naturai giudizi duran sani. . . . che turba sempre svaga (e. 26 p. 2). Di buon proposto, e cieca perde il cieco, Regga e non regga lui come le appaga. 331 E qui mi cesso: che troppo mi stenderei, se di tutti i luoghi e di tutte le cose di singoiar pregio avessi a toccare. Ben dirò che principali degli epi- sodi son quelli di Tout-saint Ouverture ( p. 2 e. 15) del principe Toraldo (p. 2 e. 25) d'Ali Tèbelen (e. 22 p. 2) di Rocco d' Acerenza (p. 3 e. 23); es- sendo altissimi al commovimento de' cuori gli altri di Piramo e Tisbe ( e. 22 p. 1 ), di Colivano e Gida (e. 30 p. 2) di Carlo Navarra (e. 22 p. 2) e Vin- contro con Agnese (e. 28 p. 15). In belle digres- sioni sono poi contenute le lodi del Rossini , dello Schiassiy del Mezzofanti, — le imprecazioni contro i corruttori della società , e il grave lamento sid tra- scurare che or fa V Italia gli studi del vecchio latino. Ora perchè quanto son venuto dicendo della Scala di vita non abbia ad aversi per sospetto, lo avva- lorerò col giudicio che parecchi valentuomini ne die- dero già in istampa ed in iscritto. E trapassando che allorché il Ferrucci mise fuori tre Saggi della sua opera (1), il Montanari in questo Arcadico , il Belli neir Imparziale di Faenza, il cav. Leoni nelle prose, il giornale di Pisa, altri ancora l'ebbero lo- data dal lato dell' arte poetica specialmente ; dirò solo, che mentre la Scala di vita era tuttavia sul- l'incude, Dionigi Strocchi scriveva all' autore: « Chi » non crede a me , quando vado ripetendo che la » veste in poesia è forse tutto, venga a vedere que - » sti vostri politissimi versi. In tenui labor, al tenuis » non gloria. Proseguite animoso verso la metà, e i (1) Il primo fu stampalo a Pesaro pel Nobili 1831; il secondo e il terzo a Ltigo pel Melandri nel <836 e nel 1842. 332 » posteri dovranno chiamarvi Dante ingentilito «. Ap- presso a che dalla Costanza Monti Perticari avea let- tera in questi sensi: « Il Costa prevenne in Bologna » il mio desiderio di comunicargli il saggio de'vo- « stri capitoli poetici, significandomi di avere avuta » occasione di udirli ed ammirarli alla conversazione » di vostra cognata. Qui in Milano li feci leggere al » mio buon padre che ne rimase rapito , ma non » maravigliato; imperocché egli avea già avuto campo » di apprezzare il valore e la gentilezza della vo- » stra musa negli altri componimenti che mi favo- » riste costà. Vi dico la sua opinione specialmente » per rapporto alla bellezza poetica, che i vostri versi )) racchiudono, non essendo io così ardita da pro- )) nunziarne giudizio. Ma poiché chiudo in petto an- )) eh' io un cuore che sente altamente, credo di non )) dovervi nascondere, che questi vostri preludi di » dottrina congiunta a somma eleganza , danno a » sperare un non so che di grande alla povera no- )) stra letteratura ». Monsig. Pellegrino Farini (nel 1835) gli diceva ancora: « Mi pare che siate poeta di vena ; e che » lo mostriate specialmente quando trattate cose mo- » rali e politiche; sebbene in nessun luogo io abbia » veduto segno di povertà e di stento ; ma invece )) sempre dovizia. Anche gli affetti mi paiono da )) voi commossi in tutte le guise , e le descrizioni » sempre felici .... Fatevi animo e riformate » dove bisogna; affinchè le molte e molte commen- » devotissime cose del vostro Memoriale non abbiano » a perder bellezza, lode e frutto ». E di nuovo nel 1836 gli dice che quanto ha ossor-valo suH' ultima 333 parte del poema; « proviene dalla vera affezione che )) le porto e dalla stima grandissima che ho conce- » pita del suo insigne lavoro )>. A queste testimonianze antiche e note al pub- blico altre ne aggiungo recentissime e private , le quali, essendo io dal Ferrucci e rovistando, come si fa, fra le carte degli amici, ebbi agio di copiare a mio talento. E in prima: nella lettera (8) in che l'accademia della crusca ( 12 sett. 1852 ) ringrazia l'A. d'averla presentata della Scala di vita; questa è detta dottissimo e classicissimo poema, e pregiatis- simo dono; proseguendo il eh. segretario di lei (prof. Domenico Valeriani) a scrivere così: « Per parte mia )) mi rallegro di cuore con V. S. eh. e coll'Italia che )) accoglie ancora nel suo seno siffatti scrittori. Le )) dico , che dopo la divina commedia di Dante Ali- » ghieri , questo libro è il più sapiente che io mi ») abbia veduto, e il solo che colla divina commedia » possa gareggiare e gareggi, sotto qualunque aspetto )) riguardare si voglia w. A questo gindicio conformansi ancora quelli che il cav. Ferrucci avea da un dottissimo porporato : « La sua Scala )) di vita e assolutamente un poema d'altissimo me- » rito. 11 tempo farà giustizia all' autore. Varano, » Monti e Ferrucci sono i più grandi seguaci di » Dante. Ella gli è più dappresso degli altri nel con- » cetto e nello stile. Varano con fantasia dantesca » scrisse alla petrarchevole. Monti con genio dante- )) SCO foggiò la sua maniera di scrivere a quella del )) Caro nella traduzione della Eneide. Sono assai » anni ch'io non mi occupo più di poesia; ma se 334 )) pur me ne rarmiiento qualche cosa , panni non » prendere inganno in questo giudizio: aggiungendo )) che ella supera di gran lunga gli altri due, sin- )) golarmente il secondo, nello scopo morale di cui w la moderna società ha sì grave bisogno ». Da Modena: k 11 co: Gio. Galvani ... vi saluta » i)el primo che felicemente sfidasse ed emulasse » Dante. Chiama l'opera vostra veramente Piramide^ » sì per la mole, che per la durata che avrà ; ma )) nello stesso tempo prevede, che i lettori che v'in- » tendano e gustino pienamente ( colpa de'tempi ) , » saranno pochi «. Da Lucca , 1 marzo i853. « Luigi mio Criso- » stomo, veramente crisostomo ! Eccomi giunto al » fine del vostro poema. Quanta dottrina d'ogni ge- )) nere! Che stupende immaginazioni! Che aggiustate » sentenze ! Che rettitudine di mente e di cuorej! )) Che ricchezza di lingua ! Che maraviglia di stile! » Io già vi slimava, vi riveriva, vi ammirava ; ma )) oggi vi adoro. Mi avete fatto strabiliare, traseco- )) lare. Sento più di di quello che io non dico, ma )) non basto a significarvelo. Ora mi fo da capo, e » se la prima volta tra una faccenda e l'altra del- » r ufficio mio ho corsa l'opera vostra senza posa , » e come il desio mi portava , oggi prendo a va- » gheggiarla con agio , pigliando ricordi e facendo )) spogli, come pratico di ogni libro che il valga: e » il vostro quanto pochissimi il vale ; e di poi ve )) ne scriverò di nuovo .... Fui costà per un gior- » no . . e cercai di voi, tna non mi venne fatto di » vedervi, e sfogare con voi la piena di quegli af- » fetti che il lavoro vostro mi aveva messi ncH' a- 335 » nima quello che non fu allora sarà un'altra volla ec. » Il FORNACIARI VOStrO ». Da Palermo. « Io mi penso che il poema suo sia )) per segnare un' era novella nelle nostre lettere )) italiane, dove infiniti ingegni andarono e vanno )) tuttavia a rompicollo. Il sig. Fortoul, ministro in » Francia della pubblica istruzione, leggendo il suo » Lyristes Cìmslianus , facendo eco a mons. Patin » prof, di poesia latina alla Sorbona, disse, che non » avrebbe mai pensato che a' nostri giorni si po- » tesse scrivere così bene Ialinamente e in modo af- )) fatto oraziano. Ma se avrà alle mani il suo nuovo » lavoro di più lunga lena, dovrà conoscere che an- )) che nel buon italiano ella dev'essere salutata pel » maestro di color che sanno. Il tempo delle lauree » poetiche è passato ; ma se una ve ne fosse per » l'eroico ristoratore del classicismo nel vecchio la- » tino e nel nuovo, a dispetto di tutta la romanti- )) cita che maledice lo straniero scimieggiandolo a » pili non posso, sarebbe dovuta assolutamente a » lei ». E basti fin qui, se pur non è troppo. Or dun- que voi vedete, che il Ferruccio bene augurava del suo pronepote, laddove gli disse (e. 28 p. 2): E se la chiara stella di sua vita Sì tosto non tramonti, o non ecclisse, Forse l'erba Ferruccia, che nutrita Già di mio sangue gloriosa crebbe, Di verde onore andrà per lui vestita. Nò mi maraviglia poi che all' uscire del poema non siano state conformi su di esso le sentenze de- 336 gli nomini, e che molto se ne sia detto prò e con- tro. Ciò mostra che il Memoriale meritava d' esser considerato , giacché dell' opere mediocri e inutili ninna parla, morendo nel lor nascere: laddove sulle utili e sulle belle si scagliano troppo spesso la su- perbia, l'invidia e l'ignoranza a lacerarle e spegnerle, se potessero. Ma il tempo giudice giusto assegna il debito luogo: e certamente collocherà la Scala di vita, se non sopra , allato almeno a poemi che si foggiarono sull' Alighieri, il DiUarnondo , il Quadri- regio, la Provvidenza , e la Consumazione del secolo del chiarissimo vostro avolo: laonde il cav. Ferrucci potrà dire a se quanto predicevagli il suo Giaccaro (e. 30 p. 2): E verrà il dì che assiso in la tua stella Impallidir farai più d'una faccia. Intanto gli debb'essere di conforto la dura , ma purtroppo vera sentenza, in che il Missirini scriveva al Leopardi (I): u Oggi chiunque in Italia vuol bene, » profondamente e filosoficamente scrivere e poetare, )) dee porsi costantemente nell'animo di non dovere )) nò parlare in nessun modo essere commendato, né » gustato, né anche inteso dagT italiani presenti ». Scusate, cav. stimatissimo, le lunghe parole, con- tinuate a faticarvi in opere immortali a prò delle povere nostre lettera ch'or tanto ne han bisogno, e tenetemi vivo nella vostra benevolenza, che mi sarà sempre cosa pregevole e carissima. Persiceto, 30 giugno, 1853. (1) V. la Leu. nel Faglio di Novi N. 21, anno II. 337 Elogio del P. Carlo Giuseppe Gismondi delle scuole pie, professore di mineralogia neW archiginnasio romano, letto nelVadunanza generale d'Arcadia il di 17 febbraio 1853 dal doli. Baldassare Chimefiz: T X orna sempre grato alla memoria nostra , illustri accademici, il ricordare quegli uomini che colla scienza che possedevano hanno reso illustre il nome loro, tanto più se questi istessi siano stati annoverati fra quei che hanno sempre reso notabile questo istituto. Allora non solo ci sarà gradevole e onorata cosa il ricordarne, ma riandando sulle virtù e sulla scienza di che erano fregiati, potremo ricavarne stimolo ed esempio ad iniitaili. Perciò nel favellare a voi que- st' oggi ho divisato d'intertenervi della vita lettera- ria , delle opere e scoperte del P. Gismondi delle scuole pie, eccellentissimo mineralogo de' tempi no- stri. Non vi sarà discaro il rammentare che queste nostre raunanze hanno per iscopo, non già loccu- pazione della mente in gravi e seri studi, ma si bene di convertire questi gravi studi in sollievo dello spi- rito, e sotto leggiad rissime forme coltivare la mente, ingentilire i costumi, e prendere nella letteratura quel piacevole intrattenimento , che spesse volte diviene necessario per conforto di laboriose meditazioni. E quantunque siansi scelte da noi le fogge semplici e pastorali, non è mai vero che sotto le ruvide spo- glie si scorga spesse volte tralucere la virtù, l'altezza del senno e la vigorìa doll'animo che voi, onorandi G.A.T.CXXXII. 22 338 colleglli, e i vostri maggiori avete mostrato si ac- conciamente negli scherzi de' versi pastorali. E non sempre si è fatto uso da noi dell' umile sampogna , che anzi si è udito con meraviglia in questo luogo risonare la tromba o la cetra per ce- lebrare arditamente la virtù di qualche nobihssima impresa. E se pure fra i carmi pastoiali si fosse versato alcun di noi, quante volte in rileggerli si vede che gli autori lero tendevano in questa veste a manife- stare la civiltà, la saggezza e l'umanità de' costumi, che per avventura si dura fatica a scorgere in coloro che con abito da barbassori stampano e spacciano la fdosotìa in immensi volumi ? Ma io non sono qui per ricercare fra di noi il terzo Catone: mi basti di sapere che Virgilio è illustre tanto nelle Egloghe, quanto nelle Eneidi: che Omero con quella stessa penna che ha celebrato l'ira d'Achille, i viaggi d'U- lisse e le lodi degli dei , ne ha tramandato pure i versi sulla battaglia delle rane; che gli idilli di Ges- ner, che le Stagioni di Thomson non sono meno de- cni, perchè di soggetto pastorale, di qualunque siasi encomio. Inoltre se uomini segnalati per loro sapere, quali sono stati un Metastasio, un Monti, un Perti- cari ed altri sommi, sono qui accorsi a recitare versi che aveano sembiante dell'umiltà, delle selve e dei pastori , erano talmente adorni delle grazie della lingua, e dei concetti della sapienza, che rara volta s'apprende in un lungo trattato quello che essi sole- vano dettare in una canzone. Siatemi voi tutti testimoni che il nostro inten- dimento non è stato mai, se non quello di ricercare 339 la virtù, l'onestà del vivere, la verità sotto le gra- devoli bellezze delia poesia, per le quali fa d' uopo attitudine della natura, genio e studio della lingua e dei classici, che debbono essere l'unica guida anche nelle composizioni che a primo aspetto sembrano facilissime. Né con queste apparenze solamente abbiamo pro- curato di erudirci, perchè con diletto udimmo i nostri colleghi seguaci d'ippocrate discuter subietti che ri- guardavano la difficile arte medica. Qui udissi ra- gionare un P. Noceti sulle meravigliose bellezze del- l'iride. Qui il Boscovich sottilmente, e dottamente esponeva i calcoli sublimi delle matematiche, qui un Visconti e un Winckelmann ragionavano sopra mo- numenti delle antichità greche e romane. Udimmo il Verri favellare di quelli eroi che resero sublime la romana storia; udimmo l'Amaduzzi svolgere con portentosa sapienza le greche scritture, il Calandrelli, il Ricchebac, il Conti annunciarci i loro astronomici ritrovati. Il latinissimo Cunich recitare le sue elo- quenti composizioni. Fummo ammiratori della dottrina qui esposta da un Mazzolari, da un Gagliuffì, da un Bonafede, da un Gravina; dall'incomparabile D. Ignazio Derossi, dal tisico P. GandoUì, dal chimico Scarpellini, dal me- tatìsico Mastrolilli e dal matematico Parchetti. Lungo sarebbe il percorrere i nomi di coloro che hanno trattato in <|ue8ta aula subietti appartenenti ad ogni ramo di scienze, né mi sarebbe permesso dalla bre- vità in che debbo limitare il mio dire. Una prova novella ve ne reco nel discorso che sono per fare del Gismondi , il quale certo è stato 340 «no di quelli , che ha illustiato i segreti delle sue investigazioni mineralogiche in mezzo a noi. Onorato dunque di tesser l'elogio di questo grande scienziato, mio benemerito precettore, e nostro ac- cademico, lo annuncierò come esso fu il primo isti- tutore della cattedra di mineralogia nell'archiginna- sio romano , facendo venire in onore questa bella scienza allora infelicemente negletta. Nacque il P. Carlo Giuseppe Gismondi nel prin- cipato di Monaco ai 4 novembre 1762, e vestì l'abito religioso de'GC. RR. delle scuole pie in Roma il 22 novembre 1779. Dopo il suo noviziato fu posto nel collegio Nazareno a compiere gli studi di letteretura e di scienze, e ben presto si riconobbe in lui un'at- titudine straordinaria alle scienze fisiche e matema- tiche. Difatti vi si segnalò tanto, che nel 1786 fu creduto atto ad insegnarle , e fu spedito dai suoi superiori a coprire la cattedra di filosofia e mate- matica nel collegio reale delle scuole pie di Pa- lermo, dove insegnava l'eloquenza e la poetica il eh. P. Michelangelo Monti dell' istesso ordine , già suo maestro di belle lettere nel Nazareno. Nel disimpe- gno delle sue funzioni superò le speranze che si era- no concepite di luì, in guisa che sei anni dopo venne richiamato in Roma ad insegnar le stesse scienze nel collegio Nazareno, che fu sempre riguardato co- me il teatro pii^i acconcio ad esercitare i migliori ingegni dei PP. di quest' ordine , ed a renderli più atti nell'istruzione de'civili giovinetti, che accorrono da tutta l'Italia a ricevervi un' educazione completa non solo negli studi delle lettere e delle scienze, ma benanche nella religione e nella morale. 341 In questo tempo nello stesso collegio s' era in- trapreso a formare un museo mineralogico : e per lo zelo de'suoi predecessori, e per l'amicizia che il P. Gismondi avea stretta co* celebri mineralogi in- glesi Hamilton e Thomson in Napoli , non che col celeberrimo francese Dolomieu, e pe'larghi doni del- l'imperatore Giuseppe II, e di Pio VI di grande me-: moria, questo museo in breve giunse a tanto da pò-- tersi riguardare come uno de' più ricchi e completi d'Italia. 11 P. Gismondi che avea cominciato ad amaréK questo studio fin dal tempo che seguiva il suo corso filosofico nel collegio Nazareno , e che avea avuto; campo di coltivarlo con successo e facilità in Sici- lia , ritornato in Roma secondò con trasporto que- st'opera, e contribuì potentemente a metter in oft^ì dine i numerosi materiali del museo, che accrebbe in appresso co'doni che riceveva da' più celebri mi- neralogi italiani e stranieri. Imperocché la fama di questa collezione mineralogica, facendo che gli stra- nieri amatori e cultori della scienza si recassero a dovere in passando per Roma di visitarla , ne na- sceva quel cambio di cognizioni e di oggetti, per cui i prodotti del suolo romano erano ricercati e con- traccambiati con quelli delle regioni straniere. Né le cure del suo prediletto museo distolsero il P. Gi- smondi dall' attendere con fervore all' insegnamento della fìsica , della chimica e delle matematiche. Il gabinetto delle macchine fìsiche e chimiche del col-' legio Nazareno si aumentò sotto la sua direzione, e negli esercizi annuali dedi allievi si vedevano con soddisfazione universale ripetute le nuove sperienze, 3i2 che avevano fondala la chimica pneumatica, imitan- do ed emulando in ciò il P. Gandolfi già suo mae- stro, ed allora professore di fìsica sperimentale nel- l'università della sapienza. Aveva questo insigne professore nell' insegnare una facilità straordinaria , che nasceva dalla chia- rezza delle sue idee, e dalla profonda cognizione del- le cose. Acuto e rapido nel concepire, chiaro e con- ciso nell 'insegnare, ispirava a'suoi allievi quella fidu- cia che raddoppia il coraggio nel vincere le difficoltà. Egli amava d'insegnare le scienze naturali per pas- sione più che per dovere , ed a suo riguardo i su- periori del collegio Nazareno condiscesero ad am- mettere molti estranei alle lezioni di mineralogia che il P. Gismondi dava nel museo , permettendo che uno stabilimento privato servisse in certa guisa di comodo alla pubblica istruzione. Questo tratto di nobile disinteresse colpì l'animo d'un alto personag- gio, ed amante del decoro della sua patria, quale fu il cai'dinale Alessandro Laute d' onorata memoria , allora tesoriere generale del gran pontefice Pio VII. Acquistò egli un museo mineralogico per l'univer- sità , ottenne la fondazione di una cattedra di mi- neralogia , e propose per coprirla il P. Gismondi con plauso generale di tutta la studiosa gioventìi , che vide nel 180.5 aperta questa nuova scuola, e potè profittare liberamente delle lezioni di un precettore, ch'era già salito a gran fama nella scienza che pro- fessava non solo per l'insegnamento, ma per le sco- perte ancora che faceva fra i prodotti vulcanici del suolo romano. La lazialite e Vabrazile, specie nuove trovate l'una ne'contorni del lago di Nemi, e l'altra 3i3 nella lava di Capo di Bove, furono le prime scoperte che illustrarono il suo nome , e lo resero noto ai mineralogi d'oltremonti che ricercarono a gara la sua corrispondenza, e fra questi basterà nominare, dc'vi- venti, il prof. Leonhard di Heidelberg, il prof. Zi- pser di Neushol in Ungheria , il sig. Menard de la (iroye insigne naturalista in Francia, il prof, di mi- neralogia a Boston negli Stati Uniti Webster : dei defunti, l'immortale Haùy con Humboldt di Ber- lino , de' quali tutti molte lettere sonosi trovate fra le sue carte, ove si richiedevano al nostro pro- fessore dichiarazioni sopra oggetti di patria mine- ralogia, e si proponevano cambi de'loro prodotti con quelli delle nostre contrade: cambi che per la mag- gior parte hanno avuto luogo a vantaggio tanto del museo mineralogico dell'università, quanto di quello del collegio Nazareno. Lo stesso accadeva continua- mente fra lui ed i mineralogi italiani, come il prof. Borson di Torino, Genazzai di Udine, il prof. Mon- ticelli di Napoli, col quale era legato in strettissima amicizia, come rilevasi dalle sue opere: quando parla della Storia deYenomeni del Vesuvio di Napoli 1823 dice: « Un sentimeìito di dovuta riconoscenza c'induce a palesare la nostra gratitudine al chiarissimo mine- ralogo di Roma Carlo Gisrnondi, e al nostro cav. Bug- gero, i quali vivendo famiìiarmenle con noi ci furono di guida e d'istruzione nelle nostre vtdcaniche inve- stigazioni. » Eguale stima ed amicizia passava fra lui ed il celebre mineralogo Brocchi che fece lunga di- mora in Boma prima di andare a raccogliere nuove ricchezze di naturali prodotti in Siria e in tutto l'E- gitto. Nello scorrere i contorni di Boma avea ecci- 344 tato 1' attenzione del nostro natiualista la ileliziosa collina di monte Mario per 1' immenso deposito di conchiglie fossili che vi si ritrovano, e per gli alter- nati strati di prodotti vulcanici marini e fluviali che si osservano specialmente in quel fianco della col- lina che costeggia la valle del Tevere a Tor di Quin- to , e che erano stati per la prima volta osservati dal dotto Ferber. Egli aveva raccolto i materiali di una conchiliologia fossile di questa collina egualmente ricca pel numero e per la singolarità delle sue spe- cie , e si occupava incessantemente della redazione di un'opera sistematica sopra questo soggetto: quando un crudele morbo venne a gettare lo scoraggimento sul suo spirito, e paralizzare la sua instancabile at- tività. Questa malattia fu un carcinoma, che comin- ciò a formarsi in seguito di una podagra rientrata- Frattanto la sua autorità gli avea meritato tale considerazione, che più volte era stato invitato in Napoli a coprile la cattedra di mineralogia , e a metter in ordine quel museo minernlogico , ove la munificenza reale aveva gareggiato nella sontuosità della suppellettile , non meno che nella vastità e nel numero degli oggetti che vi si trovano raccolti. Le circostanze di sua salute, e la speranza di mi- gliorarle in quel dolcissimo clima, lo determinarono infine ad accettare temporiaramente l'offertogli im- piego, lasciando alla direzione e all' insegnamento nel museo romano il suo prediletto ed esimio allievo dottor Pietro Carpi. Dopo il lasso però di alcuni anni, vedendo che niun vantaggio ridondava alla sua salute dal cambiamento di cielo, ottenne il suo con- gedo e ritornò in Roma: e qui la delicatezza del suo 345 allievo ch'ei'u divenuto suo successore , e la stima de' superiori della sapienza, lo fecero di nuovo rien- trare nelle funzioni di pubblico lettore , cbe non esercitò però che per mezzo del professore Carpi , giacché le cure assidue eh' esigeva la sua malattia sempre crescente, e la sua vacillante salute, gì' im- pedivano di attendere per se stesso all'insegnamento. Nel suo ritorno, e successivamente, non cessò di arricchire il museo romano di copiose collezioni di prodotti del Vesuvio , e di altri che riceveva inces- santemente da' suoi dotti corrispondenti e che divi- deva generosamente fra il museo del Nazaieno , e quello dell' università. Così continuò ad essere utile nell' insegnamento della mineralogia fino al termine della vita la quale cessò nel 2 febbraio 1828. Ma 1' utilità che la scienza poteva ritrarre dalle sue cognizioni, e dal talento di osservare e determinare le specie mineralogiche e di farne utili applicazioni alla geognossia, era già da lungo tempo perduta: dappoiché le sofferenze della sua penosa malattia gli i-eseio impossibile di met- tere in ordine i numerosi materiali delle sue osser- vazioni, e pubblicarne i risultamenti. Quindi è che il solo lavoro eh' egli abbia pub- blicato è una memoria letta nell'accademia dei lin- cei il 22 agosto 1817 col titolo: Osservazioni so- pra alenili minerali de^contorni di Roma. Tie sono i minerali che prende ad esame il P. Cismondi in questa memoria. Il primo fu da lui rinvenuto in al- cune rocce di Albano, cristallizzato in oltaedri, e in cnho-olUiedri. Esaminati diligentemente questi ci'i- stalli, e sottoposti ancora ad alcuni espesimenti, tro- vò altro non essei- che anifgaii. 346 Un tal risultamento, oltreccliè ha fatto conoscere due nuove cristallizzazioni di questo minerale, men- tre lino a quel tempo non si era rinvenuto che cri- stallizzato sotto la forma trapezoidale , ha servito ancora a togliere tutt' i dubbi che potevano rima- nere sulla vera forma primitiva del medesimo. Parla in secondo luogo d'una nuova sostanza rin- venuta nella cava di Capo di Bove , cristallizzata egualmente in ottaedri regolari, e vi espone minu- tamente tutti i caratteri, da' quali rileva essere una specie mineralogica distinta, a cui propone di dare il nome di ahrazile per le proprietà di non fare ef- fervescenza cogli acidi, né di ribollire all'azione della lampada. Questa è quella medesima sostanza che il distinto Leonhard professore a Heildclberg, ha voluto chiainare Gismondina Il terzo minerale, del quale si occupa in questa memoria il P. Gismondi, è la pietra alluminosa della Tolfa. Egli da lungo tempo per mezzo di un suo scolare, sig. Biagio Deandreis, aveva avuto occasione di osservare questo minerale cristallizzato in forme regolari , considerando i caratteri del medesimo tanto diversi da quelli dell'allume. Le sue ricerche pertanto lo indussero a riguardare la pietra allumi- nosa della Tolfa come una specie mineralogica , a cui propose di dare il nome di alluniinite. Queste osservazioni del nostro dotto professore furono , confermate nel 1820 dal celebre Cordier , il quale diede al minerale della Tolfa il nome di alunite perfettamente corrispondente in italiano a quello di alluminile, e lo considera analogo alla pie- tra alluminosa trovata presso il monte d' Or , ed a quella di Ungheria. 347 Haiiy difatti nell'ultima edizione della sua mine- ralogia ha riunito tutti questi minerali in una spe- cie distinta sotto lo stesso nome di alunite, separan- doli dall'allume, al quale erano stati prima riferiti. Al P. Gismondi altresì è dovuta la scoperta d'u- na nuova sostanza, la quale per essere s^ata rinve- nuta la prima volta sul monte Laziale, fu dal me- desimo chiamata Lazialite. Egli annunziò questa sco- perta in una memoria letta nell'accademia dei lin- cei nel 1803, nella quale esibì un'esatta descrizione del nuovo minerale aggiungendovi un saggio d'ana- lisi del medesimo. 11 mineralogo danese sig. Braun-Neergard , che fu in quel tempo a visitare il nosti'o territorio, pro- fittando delle notizie e delle osservazioni del P. Gis- mondi diede conto di questo nuovo minerale all'isti- tuto nazionale di Francia nella seduta del 26 maggio 1807, e fu egli che propose di sostituire al nome di Lazialite quelle di Haihjna. Propagatasi in altre ac- cademie e licei d' Europa la notizia della scoperta di questo nuovo minerale, fu da tutti riconosciuto per una specie mineralogica distinta, e si è veduta descritta in tutte le opere di mineralogia pubblicate dopo quel tempo, ora sotto il nome di Lazialite, or sotto il nome di Haihjna. Finalmente si legge nel Prodromo della minera- logia vesuviana degli insigni professori Monticelli e Covelli di Napoli 1825 una quantità di nuove forme per la prima volta determinate dal P. Gismondi in molti minerali, come per esempio nel giargone, nel- l'analcimo, nella wollastonite. Noi pertanto vogliamo qui segnalare un alto di giustizia e di vera grati- 348 tudine reso dai due illusli'i professori napolitiiiii a questo grande amico loro Gismondi , come merite- vole d' esser contrapposto alle calunnie dei rabbiosi stranieri sopra la buona fede de' letterati e degli scienziati d'Italia. Da queste notizie biografiche chiaro apparisce, che il nome del P. Gismondi sarà sempre e giustamente celebre nei fasti della scienza mineralogica: e che s' egli non fece di pili a vantaggio della medesima, fu colpa di una lunga ed angosciosa malattia che per undici anni nel vigore dell'età lo sforzò all'ina- zione, e lo gettò nel più tetro scoraggimento. Quanto poi ai suoi meriti per l'insegnamento, ninno può ne- gargli il vanto di avere per il primo tra noi reso comune lo studio della mineralogia, e di aver messo in valore i singolari prodotti dì questa classica terra. Così fu egli il primo, unitamente all'illustre P. Gan- dolfì professore di fìsica sperimentale all'università, a proclamare le ingegnose viste del conte di Rum- ford, le brillanti scoperte di Bargman , Priestley e Lavoisier, esso fu il primo istitutore della cattedra di mineralogia. Questo genio singolare avea appreso nelle scuole pie per opera dei Bongioghi, dei Bona- da, dei Fasce, Monti, Paziani, Gagliuffi il gusto dei classici latini, ma in specie per le scienze naturali, coltivate coi degni suoi colleghi i Petrini e Breis- lak che coronavano i licei di Roma cogli allori dei Pessuti e Calandrelli: accoppiava alla vastità del suo ingegno, alle sue profonde dottrine, una irreprensi- bile condotta morale, ispirando a' suoi allievi l' a- more della religione , il buon costume , lo spirito d'ordine, e la passione delle scienze. Pieno di amo- 349 revolezza , e di quel vigile e pacato senno che è la potenza la più bella dell'anima, ogni prevenzion si- nistra, ogni torbida cura, e l'ombra stessa dell'atto, 0 della malignità, così eran dal suo cuor lontane , che avresti creduto nulla essere in lui di terreno. Cauto nel giudicare , fermo nel proporre , provvido nel deliberare, avverso alle novità, amico della disci- plina, tenacissimo dell'onesto, mai non conobbe le con- suete arti della torbida politica che si ravvolge per meglio nasconder l'i gnoranza, la perfìdia, il tradi- mento. Tutte le sue arti si riducevano a mostrarsi qual fu in tutta la vita pi'ofondamente religioso, sempli- ce, incorrotto, appassionato della scienza, vero filan- tropo della gioventù: ed in questa bell'anima alber- gavano al maximum le care doti di beneficare il si- mile, e dare incremento alle scienze naturali, in spe- cie agii studi della mineralogia. Noi perdemmo nel Gismondi quel grande, che colla forza della sua mente penetrar seppe nei più reconditi arcani della natura: perdemmo quel genio brillante, che colle sue dotte investigazioni agevolò il cammino al naturalista con- templatore : perdemmo finalmente quel sublime in- telletto , che ha lasciato tracce indelebili nelle sue opere e colle sue splendide scoperte, ed il suo nome si associa con quello dei secoli. Destinato egli a brillare come novello astro sul cielo romano, non fu che una passeggiera cometa: se non che questa, percorsa la sua orbita, dopo un lungo periodo ricomparisce sull' orizzonte , e il Gismondi non più ricomparirà. 350 Termino questo elogio con vivamente ripetere €on Tacito in Agricola: Agite ergo quivites'. finis vitae eius nobis luctuosusy patriae trislis, de tepiibìica , de literis, de re militari amplissime benemeriliis, extraneis etiam exterisque non sine cura fuit. Della vita e delle opere del P. D. Luigi Parchelli eh. reg. somasco. Discorso di Silvio Imperi della medesima congregazione, recitato alla romana ac- cademia tiberina nella generale adunanza dei 25 aprile 1853. rVllorquando la smania di tutto innovare facea sì, che abbandonati nel nostro bel paese gli antichi no- stri maestri , si corresse dietro a straniere lettera- ture, e in luogo di classici si mettessero in credito o barbari o sdolcinati scrittori ; quando una tene- brosa filosofìa, discesa d'oltre alpe, intorbidava i puri fonti del vero col sensismo e coll'ideologia, il cui pestilente influsso aveva di già sconvolto il regolare ordine degli stati; quando per obbrobrio di quel se- colo, che pur si die vanto d'illuminato, faceasi aperta professione di ateismo; quando un certo prurito di libertà e d' indipendenza in ogni cosa accoppiavasi meravigliosamente con un vile servaggio degli animi; per buona ventura sursero degli spiriti nobilissimi , i quali col potente ingegno, fortificato e maturato dallo studio su d'ogni maniera di sapere, coopera- rono grandemente alla restaura/ione delle sovrane 351 discipline, al miglioramento de'costumi, e al rifioiir delle lettere e delle scienze. Tra questi benemeriti educatori dell'umana fami- glia deesi annoverare il P. D. Luigi Parchelti della congregazione di Somasca, il quale sì pel valor del- l' ingegno, e sì per la varietà e vastità della dottrina meritava essere raccordato. E già agli amici di lui, che da tre anni ne piangon l'amara perdita, è sem- brato troppo grave sfregio alla patria carità che se ne taccian le lodi. Onde che ninno mi accusi di presunzione, se sfornito io di quelle doti che meglio sarebbon richieste a celebrar degnamente sì preclaro ingegno , mi accingo a tratteggiarlo , comecché rozzamente. Al che tanto più di buon animo mi conduco, perocché vengo al tempo stesso a pagare un debito di tributo a lui , che amorevolmente mi dischiuse i tesori delle matematiche e filosofiche di- scipline. E sebbene, valorosi accademici , mi porti scon- forto il non vedere fra voi quell' ottimo Porporato, che l'amicizia del Parchetti ebbe sempre carissima, e che se gravissime cure non ne Io avessero impedito, venuto sarebbe di tutto buon animo a sentirne le Iodi , ed applaudire con esso voi alla memoria di tanto intelletto; pur mi rincuoro al pensiero, che la vostra sperimentata gentilezza, e l'opera continua , con che vi studiate di più sempre illustrare le scienze e le lettere, ed onorarne i cultori, verrà quest'oggi a compensarmi della mancata presenza di quell'am- plissimo personaggio (I). In Zagarolo , fertile e popolata terra non molto lungi da Roma, ebbe i natali Luigi Parchetti agli 8 352 di agosto 1769. I suoi genitoi-i Lorenzo e France- sca Patrassi, di modesta fortuna , il collocarono in ancor tenera età a coltivare lo svegliato ingegno nel vicino seminario di Palestrina (l'antica Frenesie) assai rinomato allora per gli eletti professori che all'insegnamento aveva preposti quel lume dei por- porati che fu il cardinal Leonardo Antonelli vescovo di quella città, del quale seppe il Parchetti meritarsi ben presto la stima e la benevolenza. Fornito in breve il corso delle belle lettere, della fdosofia e delle matematiche con grande ammirazione dei condisce- poli e dei precettori, tutto si diede allo studio della teologia sotto la scorta del dottissimo professore ab. Niccola Mastrìcola; il quale non meno onoravasi di questo suo discepolo, che di un Ercole Consalvi già pur discepolo suo , cardinale della S. R. C, e vero ornamento della romana porpora per le molte virtù, di che fu splendido esempio in quello straordinario periodo di anni ventiquattro, in cui tenne in mano la somma delle cose, segretario di stato dell' immor- tale Pio YIL E tornando al Parchetti, egli del pro- fìtto ritratto da'suoi primi studi lasciò in pubbliche mostre ripetute e sempre felici e sempre lodate ri- prove. Ordinato poi sacerdote, trasse a questa me- tropoli dell' universo , dove fu ben tosto ammirato per r alacrità dell' ingegno che sapea coglier frutti negU svariati studi della giurisprudenza, della medi- cina e delle lingue ebraica , caldaica ed armena. Taccio del greco che egli apprese nel suo semina- rio, e scrivealo con quella facilità ed eleganza con che soleva l'italiano e il latino. E siffatti studi aveva il Parchetti intrapreso avendo in animo un grande pensiero. I 353 Correvano i tempi (1798) che il general Bona- fjarte meditava, a far vieppiù chiaro il suo nome» un'impresa straordinaria, la conquista dell'Egitto. Mentre con grandissimo apparato si provvedevano in Tolone le cose necessarie alla spedizione, concorre- vano sì da Francia e sì da Italia uomini cupidissimi di porre il piede in quell'antico paese che fu già la culla del sapere, Il Parchetti, cui natura avea dato uno spirito elevato , e quanto altro mai capace di nobili e difficili imprese, trovandosi ornai fornito di bastevoli cognizioni, massime di quelle che più fa- cevano all'uopo , di medicina e di archeologia , si apprestava a quel viaggio. Ma o fossero le istanze de'parenti e degli amici che temevano non andas- sero a perire in que'deserti tante belle speranze che di lui avevano concepito; o fossero le condizioni d'I- talia che ogni dì più volgevano a subiti mutamenti, soprastette il Parchetti. Né andò più che un anno, che Roma istessa invasa da eserciti stranieri, e scom- pigliato ogni ordine di civil reggimento, si vide da sacrileghe mani strappare e condurre in cattività il magnanimo sovrano e pontefice Pio YI , il quale in breve, da stenti ed afflizioni consunto , lasciò in dogliosa vedovezza la sposa del Redentore. E mentre l'irreligione, la crudeltà , 1' avarizia turbava a que' giorni la serenità del bellissimo nostro paese, il Par- chetti si sconsigliò di ritirarsi in patria, ed ivi nella dolcez/.a della vita domestica passò la calamità di quegh anni: finché al cominciar del secolo presente, quando la spada di Bonaparte protesse la società contro i feroci che la perseguitavano , e parve ri- donare alla chiesa la sua libertà; allora il l'archetti G. A. T. CXXXII. 23 354 s'arrese a leggere filosofìa e matematica in quell'i- stesso seminario , ond' era stato alunno. Ma dopo qualche anno, ridotto da mortale infermità allo stre- mo de'suoi giorni, votossi a Dio, che quanto ancor gli concedesse di vita, ei gliela consacrerebbe in un chiostro. E gli arrise il favore del cielo: ond'è che tenendo la sua promessa, e portato dall'amore della gioventù, vestì l'abito della congregazione Somasca, e nel novembie 1804 tra i figliuoli del Miani solen- nemente si ascrisse; avendo avuto a maestro de'no- vizi il P. D. Girolamo Spinola, uomo nobilissimo di sangue, ma più di virtù, cui sempre il Parchetti aveva non men sulla lingua che nel cuore. Destinato ad insegnar filosofia nel pontificio no- bile collegio dementino vi prese la cattedra tenuta poi anzi da quel chiarissimo che fu tra' moderni Ora- lori sacri il P. D. Clemente Brignardelli; e così vi si adoperò, che sul finire dell'anno 1806 potè pre- sentare al pubblico un Prosiietto delle più gravi, sot- tili e ad un tempo più utili ed opportune quistioni di razionai filosofia, che, in solenne ragunanza e alla presenza dell'eminentissimo cardinal Pacca, disputava l'egregio convittore sig. Giovanni conte sartirana di Pavia, giovane di nobili spiriti e di alta espettazione. Continuò il Parchetti in sì onorevole ufficio sino al- l'anno 1810, in che si vollero dalla stolta empietà sbandeggiati dalla civil comunanza gli ordini religiosi, che pur tanto le recavano di giovamento e splen- dore. Fu in tali dolorosi frangenti che il Parchetti con nobile zelo si adoperò affinchè il collegio de- mentino, già designato ad altro uso, venisse, almeno in parte, conservato a prò della gioventù , per la 3r,r) rtluoazione della quale vi si apeise una scuola nor- male, la cui direzione era al Parchetti aifidata. E quando veniva dal suo legittimo seggio a forza strap- pato il settimo Pio, e dava all' attonita Europa lo stupendo spettacolo d'un inerme sacerdote, che solo l'esisteva alle pretese di quel grande , a cui i più ginn re s'inchinavano; il Parchetti non pur si man- tenne fedele all'esule sovrano, sdegnosamente rifiu- tando ogni offertagli pensione, ma con ogni calore adoperossi appo coloro , che allora reggevano le sorti di questa città, acciocché affatto non consumas- sero lo spogliamcnto, al quale avevano dato mano. E si deve anche alle cure del Parche (li, amicissimo del Degerando , se rimasero alla Propaganda i tipi delle lingue orientali, i quali già erano decretati do- vessero arricchire l'imperiai tipografìa di Parigi. Cessato il tempo della sventura, e l' immortale Pio VII, dopo dura e lunga schiavitù, l'itornato glo- riosamente alla sua sede , non tardò il Parchetti a l'ipigliare le divise del suo istituto^ e a dedicarsi dapprima all' insegnamento della rettorica, poscia a quello della filosofia e delle matematiche nel colle- gio dementino. Intanto la sua dottrina gU meritava nel 1815 d'essere nominato precettare di belle let- tere e di filosofìa a S. A. K. Carlo I.uigi Borbone duca di Lucca e poi di Parma, che riceveva in Koma la sua educazione; del meret, sive ex agris philosophonim aridulis seve- )) riora » (4). Colà pertanto era stimolato a recarsi da quella nobile schiera di valorosi, che gli facevano continuamente le più onorevoli proposte , affinchè s'inducesse a stabilire la sua dimora nella metropoli delle due Sicilie. Ma vollero le circostanze che i suoi superiori il dovessero richiamare al collegio demen- tino, di cui formava l'ornamento più bello. Intanto che di conserto co'suoi dottissimi con- fratelli De-Tillier e Paltrinieri insegnava la filosofia, le matematiche e la teologia, anche agli alunni della 357 sua congregazione, e faceva parte del suo sapere ad altri giovani, che amando fornirsi di sapienza a lui bramosamente accorrevano: si die a meglio ordinare ed accrescere un'operetta filosofico-teologica, a cui avea posto mano sin dagli anni suoi giovanili. In essa il Parchetti amò meglio procedere ristretto e conciso, anziché annoiare colla lunghezza; memore di quella sentenza del Genovesi: Non doversi cari- care i libri piti di corpo che di spirito ... a dis- petto di coloro che essendo poco filosofi, credono che i libri si valutino a peso , e che chi più ciarla sia da esserne piìi stimato. E quanto vi si attenesse, è abbastanza chiaro dall' opera anzidetta, che uscita anonima alla pubblica luce l'anno 1843 pei tipi del Veladini in Lugano, in due soli volumetti, tante dot- trine racchiude , che ampiamente disputate forme- rebbero più volumi. Nel primo, che porta il titolo Novae disquisitio- nes de Beo, si ristrinse il Parchetti alle disquisizioni le più importanti nel campo della teologia, o direm meglio ai problemi teologici di ardua soluzione, fra' quali fuor d'ogni dubbio campeggiano quelli che ri- ferisconsi alla scienza e volontà di Dio, alla distri- buzione della grazia, alla predestinazione degli eletti, e alla riprovazione dei malvagi. 11 secondo volume, che. porta il titolo Fragmenta Cosmologiae , puossi riguardare siccome un' appendice al primo, più di- stesamente e con maggior precisione spiegandovisi taluni punti di dottrina in quello accennati. Però è un trattato al tutto filosofico: e se talvolta avvenga di riportar passi biblici o di alcun santo dottore , ciò l'autore ha fatto a bello studio, perchè da ognuno 358 s'intenda la concordia meravigliosa che regna tra le rivelate e le naturali verità. Oltre alle principali materie della cosmologia vi si trovano aggiunte quat- tro dottissime dissertazioni, che trattano: le prime due della creazione, della conservazione ; e le altre del concorso di Dio alle azioni degli esseri tanto ma- teriali, quanto immateriali e liberi; e queste le dettò a fine di promuovere ed ampliare la teorica della di- vina onnipotenza , dal medesimo esposta nel libro HI. Nov. Disqiiis. Dettò inoltre sei orazioni latine de ineffabili Tri- nitatis mysterio, recitate dai nobili convittori del de- mentino nelle pontifìcie cappelle innanzi alla sovrana maestà dei sommi pontefici Pio VH e Leone XII (5). Vero tesoro ch'esse sono per la sublimità de' con- cetti , per la sacra erudizione, per la robustezza e purità dello stile, e gran documento di ciò che al- l'uomo importa di fare, per menare, anche in mezzo ai travagli ed alle afflizioni, una vita soavissima. L' oidine delle materie vuol eh' io qui accenni un'altra operetta filosofica del Parchetti, tuttora ine- dita , che porta il titolo: La metafisica eìcmenlare conlraposta alla Metafìsica Sublimiore, ovvero tre dis- serlazioni che confutano le tre dimostrazioni della santissima Trinità recate dal sig. J). Marco Mastrofìni. È bastantemente noto come al primo comparire del libro del Mastrofini ( 11 che avvenne in Roma 1' an- no 1810 ) si levassero assai oppositori, che ne' fa- miliari discorsi , in scritture private e sì pure in istampa, le novità in esso contenute impugnarono: e come r autore non si rimanesse in silenzio e corag- giosamente rispondesse a qualsivoglia opuscolo slam- 359 patogli contio. Ora il Palchetti, senza parteggiar per alcuno , e senza interporsi in quelle liti a giudicar chi s'avesse il torto, si accinse a pubblicare l'opera anzidetta , che avea divisato dedicare al card, Fa- brizio Ruffo, come a quello ch'era stato convittore del dementino: nella quale , rimossa ogni acerbità di parole, e serbati all' autore che impugna gli uf- fizi di stima e riverenza , esamina i punti contro- versi con ordine e rigor filosofico da confutare gli errori e stabilire la verità. E se a Dìo piacerà che una tale operetta ( la quale conservasi dal eh. P, Borgogno, discepolo anch' egli del Parchetti ) vegga la pubblica luce, sarà più manifesto quanto grande fosse in tant'uomo l'amore del vero, che l'obbligava a liberare e purgare il Maslrofini da' sospetti e dalla diffidenza che gli attiravano le nml fondate sue argo- mentazioni. Oltre di che gioverà forse a mettere al- cun freno alla temerità degl'ingegni de'nostri dì, e a distornarli dalla superba e impossibile intrapresa ( almeno in questo stato delle nostre scienze ) di ten- tare la dimostrazione della santissima Trinità: che la nostra mente per tale abisso ingolfandosi, « Come occhio per lo mare entro s'interna, » Che, benché della proda vegga il fondo, » In pelago noi vede, e nondimeno (c Egli è; ma cela lui l'esser profondo. Venendo ora agli studi della fìsica, della chimica e della storia naturale, era in essi il Parchetti più che mezzanamente versato; molto innanzi però avea proceduto in' quelli delle sublimi matematiche, i cui 360 ealcoli portentosi e difficili ei ripeteva nell'età avan- zata, con quella rapidità e prontezza appena con- sentita a chi vi dà opera negli anni più verdi della vita. Lo che gli valse la stima e V amicizia degli egregi professori Gioacchino Pessuti, del canonico D. Giuseppe Calandrelh, dell'ab. Andrea Conti, del- l'Oddi, del Pieri, del Scitele , del Ricchebach , del Poggioli, dei pp. Gismondi e Caraffa, del Cavalli, del Testa già suo precettore, del Morichini, del Barlocci, dello Scarpellini e di altri molti, che pel loro inge- gno rendevano onorate e famose le università ro- mane. Né contento il Parchetti allo studio delle pro- fonde opere degli antichi e moderni matematici, diessi con ardore a seguire gl'insegnamenti del celebre ita- liano Giuseppe Lagrangia, il quale co' suoi nuovi me- todi segnava un'era novella alle matematiche disci- pline ; avvegnaché grandissima utilità portasse alle scienze esalte la sua teorica delle funzioni analitiche, o derivate, mercè di cui i risultamenti del calcolo leibni- ziano e newtoniano si ottengono con le sole opera- zioni della comune algebra. Alcuni lavori su tal ge- nere, a cui si accinse, meritarono le lodi dell'illustie barone di Zach e del canonico Calandrelli , e ser- virono di sprone a'giovani di belle speranze perchè adottassero il metodo del grande analista italiano: tra ì quali piacemi ricordare il materno mio zio che fu l'ab. Benedetto Coronati , discepolo e amico del professore D. Feliciano Scarpellini , lume ed amore di quanti aveano care ed in pregio la scienza e la virtù (6). Ebbe inoltre il Parchetti bella fama di letterato. Né immeritevolmente: che tutto adoperò l' ingegno, 361 in mezzo alla imiversal corruzione d'ogni letteraria disciplina , a richiamare sul buon sentiero lo stu- dioso; il quale tratto dall'esempio del Cesarotti, so- verchiamente innamorati delle straniere bellezze, e lasciate le rive dell' Arno, « Correva insanamente a cercar fiori )) Per la Scozia sassosa ». (P. Costa) Pertanto egli non fu 1' ultimo tra il bel numero di coloro, che per ridonare l'antico splendore alle ita- liane lettere, diede infaticabil opera a ravvivare negli studiosi l'amore di Dante, che « Per lungo silenzio parca fioco ». Sul quale egli scrisse dotte osserva- zioni, massime ad illustrar quei passi, dove il poeta tiene linguaggio al tutto filosofico ed astruso. Nò a ciò contentandosi, essendogli propizie le muse, de- pose alcuna volta la gravità filosofica, trattando collo stile di Dante soggetti per l'onoranza italica interes- santi, e altri temi che risguardano la religione; tra i quali ultimi è a ricordare il capitolo per la ricu- perata salute di Pio VII, dove i concetti sono te- neri ad un tempo e sublimi, e la istoria delle soffe- renze religiose e politiche di quel sommo pontefice tratteggiate con grandezza di pensieri , e mirabile accordo pietoso di convenienti espressioni. E trai primi, V azione di Trafalgar, da lui vivamente de- scritta in breve numero d'ottave, la quale presenta pregi e bellezze da tutti i lati. Ne sieno saggio le due ottave seguenti: 362 « Se prodi lottator sono a tenzone, )) Ciascuno avanza le sue braccia ignude: » Piede a pie, mano a mano a 1' altro oppone, » Or lo respinge, or forte il cinge e chiude, )> Or soppiantarlo tenta, e il pie frappone, )) Or gli dà scossa inopinata e rude; » Ma niun de' duo a tant'urto dà crollo, )) E neppur piega costa o l'arduo collo, « Cosi i gran mastri di naval battaglia » Stetter per lungo tratto in lance uguale, )) Fermossi, incerta qual de' duo prevaglia, » La vittoria librata in sue grand'ale: )) Sembra dell'angìo suo non più le caglia, » Che dell' italo eroe, in che altrettale » Bellico merto e valorìa s' annida, )) E par ch'entrambi il suo valor divida. Che dirò delle versioni bibliche, in cui mal sa- presti giudicare , se vinca o la nobiltà o la facilità nel vestire acconciamente i sublimi profetici pen- sieri ? Non men di tanto aspettar si doveva dal Par- chetti, che aveva indefessamente studiato sulle sante scritture, dagli anni piii verdi insino all'estrema vec- chiezza e nel credere le verità rivelate era di quella semplicità che rende i parvoli sapienti agli occhi di Dio. Da quella luce egli traeva gl'incontrastabili veri che risplendono ne' suoi scritti; in quelle celesti dot- trine trovava il conforto alle molestie e agh affanni, compagni indivisibili di nostra vita. Né men valente egli era nel poetare latino, come ad esempio può farne fede l'elegia de cholera. Ve- dete a quali colori ei dipinga il gettarsi dell' orri- bile mostro sul nostro bel paese: 3(>3 « Nunc monstruni hoiTendtiin, i)i'aepan(lens rida cruenta, » Processit magni littus ad Eiidani. <{ Constitit in ripa, impatiens tardariei' undis; )) Et furiale tuens quo vada transiliat, « Ceu tonitru explodit vocem: Sum Numinis ira: )) Rex loti telluri imperai interitus. )) Audiit hasce minas, formidine et horruit omnis » Ausonia ad sìculum quae mare porrigitur. Qual bellezza d'immaginazione ! qual purezza di mo- di, che ti par proprio sgorgare dal felice secolo di Augusto ! Dilettavasi anco dell'epigramma, cui egli condiva di bei motti ed arguzie, le quali disvelano non pure il sottile ingegno dello scrittore , ma sì ancora la grande famigliarità e dimestichezza ch'egli aveva con gli antichi maestri di siffatta sorta conìponimenti. Questi poetici lavori, di che abbiam fatto men- zione, non sono che un saggio dei moltissimi pro- dotti dal Parchetti; ed appunto qual saggio vennero nel 1844 pubblicati in Lugano dal Veladini per le cure del eh. P. D. Francesco Calandri C. R. S., il quale con una elegante sua lettera le intitolò al cav. prof. Paravia (7). Bellissime tragedie, eleganti poe- metti, canzoni, epigrammi, e sonetti senza numero van per le mani de'suoi amici; e se un giorno vc- desser la luce, sempre meglio si parrebbe lo studio ch'egli aveva fatto in Lucrezio , Orazio , Virgilio , Dante, Ariosto e Torquato, le cui vestigie seppe così felicemente seguire. Ottimo divisamento poi fu quello del Parchetti nell'accingersi a tradurre e. a porre in luce le Isti- 364 tdzioui oratorie di quel solenne maestro di altissime dottrine, Giovan Battista Vico. Questo libro (stam- pato in Novi nel 1844 da Giacinto Moretti per opera del citato P. Borgogno, presso di cui esiste tutta- via l'autografo del Parchetti ), sebben di piccolo vo- lume, è un corso compiuto, e con somma diligenza fatto di precetti sulla difficilissima arte del dire. Oli conosce il fare del Vico ( son parole di Felice Romani ) e la concisione iacitesca di lui, non potrà a meno di l'avvisare la fatica e V arie di chi ri- trasse, coi proprii colori e attiggiamenti queste ISTI- TUZIONI ORATORIE, cui attinsero i valorosi le- gisti ed oratori, che nel secolo scorso onorarono la gloriosa Partenope. E uscì quel libro alla luce, de- dicato all' eccellentissimo monsig. Girolamo d'An- drea, nunzio apostolico presso la confederazione El- vetica, ora cardinale esimio di santa Chiesa, perchè (come dice il Parchetti nella dedica) non convettiva porlo sotto la considerazione e la protezione di altri, che di un illuminato e profondo conoscitore del vero merito. Né qui, poiché si parla delle sue traduzioni, vuoisi tacere di molte eh' egli fece dal greco con quella rara felicità, che si può pur conoscere dalla seguente di Anacreonte alla rondinella. )) Amica rondinella, )) Ogni stagion novella )) Ten vieni al nostro lido, » E lessi e poni il nido; » Ma quando il verno viene » Torni all'egizie arene. 3G5 » Eterno nel mio core )) Piantò suo nido Amore. )) L'un già muove l'aluccia, » Qual stassi entro la buccia: » Chi stavvi mezzo ancora, » E mezzo n'esce fuora. » A bocca aperta stando » Tuttodì pigolando, » Chiedono lor pastura, » E con tenera cura » Gli amor più grandicelli » Nutrono i tenerelli. » Questi cresciuti appena, )) Per crescermi la pena, » Fanno novella razza, » Che strepita e gavazza. )) Qual prenderò consiglio « Contro tanto bisbiglio ? » Come mandare in rotta » D'amor cotanta frotta ? Con siffatte disposizioni di animo , non è a dire quanto il Parchetti amasse le arti belle, le (/uali , come in propria sede , fioriscono in questa eterna città, e di qual culto onorasse quei sommi , Cano- va, Thorwaldsen, Laudi, Camuccini, Tenerani, Finelli, Minardi, Canina ed altri, dettando all'uopo dei versi 0 degli articoli in prosa per celebrarne il valore, e far noto anche ai lontani le maraviglie dei loro scal- pelli dei loro pennelli ed archipenzoli. Né fu straniera al Parchetti l'archeologia; della quale ei si giovava per cogliere il senso oscuro dei 36(i classici scrittori. Quanto in essa fosse valente lo si può ricavare dall'amicizia che perciò lo stringeva al prof. Nibby, e all'ardente avv. Fea, tanto beneme- riti delle romane antichità. E questi suoi studi e queste sue fatiche se tornarono onorevoli a lui, fu- rono ancora di giovamento ad altri moltissimi, trai quali basti il ricordare Gio: Francesco Cecilia, ri- guardato a buon diritto come uno dei più dotti scrit- tori del secol nostro, al cui valore rese testimonio sincero con una forbita biografia il chiarissimo avvo- cato Giuseppe Vannutelli, amico ancor questi e am- miratore del Parchetti, col quale nel seminario pre- nestino aveva compito i suoi studi. E al prof. D. Michelangelo Lanci somministrò argomenti di sacra iìlologia, che poi quel dotto poliglotta sviluppò nelle sue opere con quella maestria e quel senno che tutti conoscono. Non parranno quindi esagerate queste lodi, che al versatile ingegno del Parchetti tributava il dot- tissimo avvocato Guadagni neh' elogio funebre di so- pra ricordato. Neqiie vero (egli dice) mirandum est discendi cupidi ssimnm adolescenlem lanlos ae Inm pro- peros Romae in liUeris habuisse piogressus, quiim in €0 conlubeniio (dementino) perbene eruditis ac nnvis doctoribus sornaschiani sodalifii uteretnr , praccipne anlem Aloisii Parchetti V. C. ex ore penderei , qui de theoiogicis, de physicis, de mefaphyncis, de rebus historia tiadilis, de velerum linquarurn indole ac vi- ribuSy vel ex tempore^ disserti tam luculenier, ut ilio andito, possis exarala diuturnis mullorum curis volu- mina praeterire. 367 Per le quali tutte cose il Parchetti era avuto in altissima estimazione da ragguardevoli porporati, da dotti principi, da chiarissimi filosofi, teologi e let- terati, de' quali mi basterà nominare fra' primi un Fontana, un Litta, un Zurla, un della Somaglia, un Ostini, un Giustiniani, un Lambrus chini, un Pacca (8); fra i secondi, una Maria Luisa regina d'Etruria, e i due suoi figli Carlo Luigi duca di Parma e Car- lotta Luisa real principessa di Sassonia (9) , un l). Lorenzo Caetani, un D. Agostino Chigi, un D. Pie- tro Odescalchi, un D. Serafino d' Altemps, un D. Gio- vanni d'Andrea: fra gli ultimi , per tacere di altri moltissimi, un Mastrofini e un Olivieri (domenicano) di cui fu detto che insieme col Parchetti rappresen- tavano ai loro dì la cima del teologico sapere, io non entro mallevadore di questa opinione; dirò bensì che quanti convenivano in Roma teologi e filosofi di merito distinto, ricercavano appuunto dei tre sum- mentovati per conferire con esso loro. Oltre di che non mi starò dall'accennare all'o- norevole corrispondenza ch'egli nutriva e coli' eccel- lentissimo monsig. d' Andrea ( ora meritamente in- signito della sacra porpora ), il qual gli era largo d'ogni maniera di benevolenza e di stima; e col ce- lebre Daniello 0' Connel , alcune lettere del (pialo abbastanza ricordano non pure la riverenza in che queir illustre irlandese il teneva , ma sì ancora il vantaggio che ritraeva dagli opportuni suggerimenti del Parchetti, allorquando fervea la lotta della eman- cipazione di queir isola cattolica ed infelice. Né gl'immortali pontefici Pio VII , Pio Vili , e Gregorio XVJ, disconobbero il merito del Parclielti; 368 ma sì gli diedero solenni testimonianze di affetto. Leone XII, benemerito ristoratore degli studi, l'ebbe ascritto al collegio filosofico dell'università romana; ed il regnante pontefice Pio IX, munificente fautore delle lettere e delle arti, lo avea trascelto a com- piere il numero dei trenta soci ordinari della cele- bre accademia de'lincei. Altre accademie italiane e straniere si onorarono di averlo a loro socio. Amico sempre il Parchetti della gioventù, giam- mai non si ristava dallo inculcarle il timor di Dio, principio d'ogni sapienza, e dal guidarla a quella ra- gione di studi che empì di meraviglia e Grecia e Roma. Nelle compagnie era pieno di bei motti e di acuti sali; e se talvolta l'amor del vero lo tras- portava a qualche dura parola, non profiferivala mai per invidiosa malignità , ma sì perchè fervido nel- l'immaginazione, come era facilissimo a credere il bene, eziandio là dove non era ; così alcuna volta temeva del male , ancora che non vi fosse. E per quella sua piacevolezza ed amenità , di cui innanzi dicemmo, queste cotali asprezze gli si passavano di leggieri; né per esse meno era desiderato nelle gen- tili brigate, in mezzo alle quali ei portava, insieme col senno e coll'erudizione, la letizia e la giocondità. Da lungo tempo conosceva il Parchetti le orri- bili tendenze del socialismo, e prevedeva gli eccessi che tal mostro commetterebbe trovandosi padrone del campo. Appena gli spedali saran forse sicuri, an- dava egli gridando, ogni qualvolta cadesse il discorso sulle politiche condizioni di quegli anni, de'quali è bello il tacere. Quindi non è meraviglia, se scoppiata la rivoluzione, ei non quietasse , né lasciasse pace 369 ai confratelli, fintantoché noi contentassero, riparan- dolo in seno dei figli di S. Giovati di Dio, dov'era frequentemente visitato da cospicui pessonaggi, fra i quali vuoisi ricordare 1' emo, allora monsignor di Andrea, dalla cui gentile presenza attingeva il buon vecchio lena e conforto. Fu colà che il Parchetti , nella grave età di ottant'anni, dopo breve malattia, munito di tutti i conforti della religione, passò a mi- glior vita il 20 luglio 184-9 , con sommo ramma- rico degli amici, e della sua congregazione, che quanto l'amava, altrettanto avealo onorato , eleggendolo a capo della romana provincia, e decorandolo del grado di assistente generale. E qui la gravezza del caso mi costringe a ricor- dare, che fu soltanto per non inasprire il suo male, che i suoi confratelli condiscesero finalmente a tal suo volere, mediante ancora i caldi offizii dell' emo, al- lora monsignor d'Andrea, il quale sei tolse amore- volmente nella sua propria carrozza, e il consegnò con le pili affettuose raccomandazioni nelle mani di quei religiosi caritativi. E Sua Eminenza fa fede ad ognuno , con quanto dolore i PP. Somaschi si ac- conciassero al desiderio del Parchetti, e solo per non rendere amari, e forse abbreviare gli ultimi giorni della sua vita. Giace il suo corpo in Roma nella chiesa par- rocchiale di S. Maria in Aquiro diretta dai PP. So- maschi , e fra poco coprirà le onorate sue ceneri una lapide onoraria , che gli verrà posta dalla sin- golare amicizia di quel munificente cardinale , più volte da noi mentovato, Sua Eminenza reverendissima il cardinal Girolamo d'Andrea, il quale è tuttora in- 24 370 consolabile di aver perduto chi godea chiamare col dolce nome di maestro. Fu il Parchctti di giusta e bella statura, di bian- ca carnagione, di complessione robusta ; dignitoso nel Volto e alquanto severo, parea che la natura vi avesse improntato il vigor dell'ingegno. Egli non cercò la grazia de'potenti: godendone, ne vantaggiò non se stesso, ma sì altrui, sensibilis- simo com' egli era ad ogni afflizione, tanto da vo- ler soccorrere tutti i bisogni. Ebbe pochi, ma scelti amici: e basta all'uopo il ricordare un Vincenzo Monti, un Perticari, un TatVibrotìi, un Aniati^ un Biondi, un Cecilia, un Betti, co' quali Usava assai famigliar- mente, e con esso loro fteqUeiitava la casa di quel letterato gentili ssiino che fu itìonsig. Loi'eto Santucci minutante della segreteria di stato, e degno custode generale d'arcadia. Molte altre cose, e di non poco rilievo^ sai-eb- bero a dire intorno alla vita , agh scritti , ed alle azioni di un cotale uomo; ma io «on debbo più a lungo abusare k vomirà bontà, g'' (2) Questo elogio è ripetuto dal Pàrchetti in un suo Eucharisticon inedito, dove si leggono i versi se- guenti: » Nam libi ludus erat praecepta ediscere et artem t) Eloqnii ad delectandum parilerque monendum; » Scandere et aonium montem, plenosque ìeporis » Pingere versiculos, musis et Apolline dextro. » Ludus erat mentis, quae nostro in còrpore regnant « Melivi vires, atque explorare quid aurae » Divinae a coelo accepit: quae regida certa V) A falso veruni, a turpi secernat honestum. » Ludus erat magni rationem evolvere mundi, 1) Leges nalurae, et rerum cognoscere causas. (3) V. questo discorso nel Giornale Arcadico [Ro- ma 1845) Tom. CIV. Fase, di luglio. (4) In obitu Aloisii de Andrea equitis hiei'osolym., et in neapolitana decuvia XII viri litibus iudicandis. V. Giorn. Arcad. (1837) voi. 170. 171. 172. £ giac- ché di questo dottissimo personaggio ci venne fatta menzione, vogliam ricordare eziandio, che amico co- m'egli era al marchese Tommaso Gargallo e al cav. Carlo Vecchioni , due lumi della napolitana lettera- tura, amicò loro siffattamente il Pàrchetti, che poi sì scambiarono a vicenda lettere eruditissime. 372 (5) Queste orazioni furono dette gli anni 1817-18 19-20-21-24. Non si vuol passare sotto silenzio che la prima di esse fu recitata dal tuttora vivente chia- rissimo sig. marchese di Alfìdena Francesco Saverio d^ Andrea de^ conti di Troia e de' signori di Aremana^ fratello delV esimio cardinal d'Andrea. Questo illustre personaggio che al presente fiorisce in patria, reggen- dovi con pubblica lode cospicue cariche , risplendeva in allora nel collegio dementino pel suo valor negli studi, e per la sua religiosa pietà, a talché si meritò di essere eletto a principe della Colonia Arcadica [sotto il titolo degli Extra-vaganti) fondata nel detto collegio dalla regina Cristina di Svezia, ed a prefetto della congregazione di Maria Vergine Assunta, formata di quei nobili convittori. (6) Di questo benemerito ristoratore della celebre accademia de' lincei, di questo illustre scienziato, che per cinquanta e pili anni negli studi della razionale e naturale filosofia ammaestrò e guidò con amore la gioventìi romana, leggasi la Necrologia ( neW Album di Roma 1840) del chiarissimo professore ab. Salva- tore Praia suo discepolo ed amico , e sostituto alla nuova cattedra della Fisica Mosaica, che lo stesso Scar- pellini, per sovrana disposizione di Pio VII , fu primo a coprire nella università romana [siccome scrisse il Proia nei Genni intorno alla cattedra di fìsica sacra, Vanno 1834 al tom. 74. del Giorn. Arcad.). E me- rita pure di essere letta Valtra Memoria sopra lo slato in che al presente si trovano in Roma le matema- tiche , che lo stesso prof. Proia scriveva e intitolava al nobil nomo sig. Giuseppe de Vincenzi da Teramo nel 1843 , per premunire i meno accorti contro le 373 stolte dicerie di qiie' saccenti che vorrebbono far cre- dere , non aver più le naturali scienze alcun seggio d'onore in questa metropoli, maestra di verità e d'o- gni maniera di studi. (7) La Rivista ligure Vanno seguente ( al fase. I an. Ili ) tenne ragione di queste poesie, e ne accennò con acutezza di giudizio le non volgari bellezze. (8) In onore di questo celebratissimo porporato, già convittore del collegio dementino , il Parchetti dettò parecchie delle sue più, belle poesie, che tuttora giac- ciono inedite, ma che presto vedranno la luce. n (9) NelV anno i817 mentre la regina d^ Etruria onorava di sua presenza un saggio letterario dato il 25 settembre dai nobili convittori del collegio de- mentino, il Parchetti dettò in onore di lei il sonetto, che qui si riporta. Di belli studi e bei costumi ostello Qui già s'ergea, quando la pellegrina Vergin, de'' svechi re figlia, Cristina Il vide, e col suo raggio il fé più bello. Venite or voi, d'ogni virtù vasello, Onor d'ambe l'Esperie, alta reina, E il vedete d'orribile ruina Povero avanzo: ahi ! che non è più quello ! Ma qual dell'alma terra, ove nasceste. Le fronde a rinnovar zeffiro surge E 'l monte e 'l piano d'altri fior riveste; Cotal virtute da vostri occhi muove, die toma i spenti a miglior vita, e gli urge Con nuovo spirto a far mirabil prove. 374 Cenno necrologico del marchese cavaliere Massimiliano Angelelli professore di storia e letteratura greca nelV università di Bologna. uando nel ' hovembre deHò scordo armo io scri- veva in questo giornale, porgendo un doloroso an- nunzio, che l'italiana letteratura andava anco lieta in Bologna del venerando ellenista marchese Mas- similiano Angelelli, era ben lungi dal mio pensiero che poco tempo avesse a volgere che pur questo chiarissimo lume si sarebbe spento. Colpito egli il 26 maggio da una emiplessia , a vincere la quale tornarono vani tutti gli sforzi dell'arte medica, ren- deva lo spirito a Dio nel susseguente martedì 31 del detto mese. All'infausta novella di morte sì re- pentina e di cotanta perdita tutta la città altamente si commosse ; ed io, che sempre venerai il grande uomo colla reverenza del discepolo, ed amai coll'af- fetto dell'amico, ricevei acerba ferita nell' animo: onde spero mi sarà di leggieri perdonato se male ed in- compiutamente adempio l'ufficio di scriverne queste brevi parole. Dal marchese senatore Giuseppe Maria Angelelli Malvezzi' e dalla marchesa Teresa Malaspina della Lunigiana nacque Massimiliano il dì 28 agosto 1776. Ebbe egli dai genitori la prima educazione, poscia fu collocato nel collegio de' nobili in Modena, donde uscito nel 1793, od in quel torno, recossi in Roma 375 col padro, che vi teneva grado e qualità d'ambascia- tore del reggimento dì Bologna. La bella fama di che godeva il marchese Giuseppe, il quale nella co - gnizione del pubblico diritto era molto innanzi e di- lettavasi della letteratura, traeva in sua casa il fiore degli eruditi e de'sapienti che in quella città dimo- ravano; onde il giovine Mflssimiliano tra per lo squi- sito sentimento del bello , di cui era fornito* e la conversazione di quegli uomini, e massime del gre- cista Luigi Lamberti, ben pvesto conobbe che mala via teneva negli studi, e s'ingegnò d'avviarsi in quella diritta, che poi lo dovea condurre a tanta celebrità. Più a soddisfare al paterno desiderio, che per pro- pria inclinazione, diede opera in quel tempo allo stu- dio della legge: ma da natura inchinato e tratto ad altre discipline non perseverò in esso , ed anzi del tutto abbandonatolo, si diede accesamente alla let- teratura greca, latina ed italiana, formandone la co- tidiana sua applicazione e la piiì soave sua delizia. Cessava intanto, per l'avvenimento delle armate fran- cesi, la forma di governo, onde si reggeva Bologna: ed uscito perciò il marchese Giuseppe dall'ufficio di ambasciatore, ritornava in patria col giovane figlio; il quale non punto frastornato dalle vicende di quei tempi, né distratto dalla bramosìa dì libare tutto lo scibile, continuò con ardore i suoi pacifici studi, e tanto in essi procede che già lietissimi frutti ne an- dava porgendo: e nel 1816 mandò alla luce un sag- gio della traduzione di Sofocle, poiché, come osserva r ab. Federici ( Degli scrittori greci, e delle italiane versioni delle loro opere. Padova 1828), le versioni deir Elettra , delV Antigone e delle Trachinie, che si 376 puhhiioarono dal Masi in Bologna nel 1816 in 8. senza nome di Iradntlore^ sono lavoro deirAngelclli. li volgarizzamento compiuto di quel tragico greco, che il citato autore chiama fedele ed elegante versione , e molto lodata pel modo con cui tratta il verso tra- gico italiano, fu pubblicato in due volumi nel 1823-24- con note e dichiarazioni utilissime a chi si piace deTilologici studi. Egli aveva pure recato in italiano e messo alla luce quel trattato, che si attribuisce a Plutarco, intorno all'educazione dei figli: della cui prima edizione non ho contezza, conoscendo io sol- tanto la ristampa del 1826, in cui sono aggiunti due discorsi ai parecchi in quella conenuti. Poscia ad un'opera di maggior lena egli mise mano, voglio dire al volgarizzamento delle opere di Sinesio; delle quali però un solo volume diviso in due parti fu impresso negli anni 1827-28; perciocché chiamato a Roma nel 1832 il celebre Mezzofanti fu affidata all'Ange- lelli la cattedra di lingua greca , che egli occupò con singolare sollecitudine sino alla morte, avendo data lezione anche due giorni prima che il mortai colpo lo percuotesse. Egli compredeva tutta la di- gnità e l'altezza del nobilissimo magistero, e si fa- ceva coscienza di non apparecchiarsi alle lezioni con molti e profondi studi, dicendo che la cattedra vuole essere rispettata; e tanta era la cura ch'egli poneva nell'insegnare, che spendendovi molta parte dei suoi giorni non potè l' incominciato volgarizzamento di Sinesio condurre a fine; della qual cosa non pren- deranno meraviglia coloro che non ignorano di quanta pellegrina e soda erudizione erano ricche le sue le- zioni, e come ecli si studiasse di rendere nell' au- 877 rea favella del trecento le maravigliose bellezze dei classici greci, che veniva traducendo letteralmente e dettando a'suoi discepoli. Oltracciò nel 1837, essendo venuto a morte il professore di storia don Gian Bat- tista Bruni, al marchese Angelelli ne fu commesso l'insegnamento; il quale nuovo carico egli sostenne con moltissima lode line al 1847, attirando ad ascol- tarlo numeroso concorso non pure di giovani stu- denti, ma di personaggi ragguardevoli. A me non è concesso di venire qui annoverando tutte le opere sì in versi come in prosa che il machese Angelelli diede alla luce. Ho accennate le principali sue tra- duzioni dal greco, ed ora dirò che appartenendo esso all'accademia delle scienze dell' istituto di Bologna vi lesse parecchie dissertazioni, la maggior parte delle quali furono divulgate. Chi prenderà a narrare la vita di questo illustre uomo e a discorrere i pregi delle opere sue, ne darà una compiuta notizia: e dirà come egli profondo conoscitore della lingua italiana, latina e greca, scrisse con proprietà elettissima ed efficacissima di pesati vocaboli, precisa chiarezza di frasi e stile con eleganza dignitoso; quanto a me la ristrettezza del tempo non mi ha consentito di più. Il grido del molto sapere, dei fortissimi studi, e della vasta erudizione del marchese Angelelli per tempo si era diffuso non solo nella città, ma in tutta Italia: ed allorquando nel 1825 furono istituiti dal sommo pontefice Leone XII i collegi universitarii venne egli eletto a presidente del collegio dei filologi nella bolognese università. La società agraria fin dal 1822 si onorò d'averlo tra' suoi, l'accademia di belle arti e la filarmonica di Bologna fregiarono il loro 378 albo di nomo si venerato, e quanti letterati e dotti fiorirono in Italia, finché visse, l'ebbero caro, e gli professarono stima ed amici/Ja, recandosi a vanto di averlo compagno nelle letterarie accademie, e pos- sente aiutatore nel mantenere vivo negli italiani l'a- more della classica letteratura. Non rifuggì al tutto dalle pubbliche cure, comecché molto penasse a di- stogliersi dai suoi diletti studi: e per lungo tempo fu uno degli amministratori dell' opera dei mendi- canti, sostenendo tra essi fino all'ultimo l'ufficio di segretario. Nel 1848 dal regnante sommo pontefice venne elevato alla dignità di senatore dello stato , pili volte ebbe nomina di consigliere del comune, e non ha guari fu dal sovrano, giusto estimatore del merito, decorato della croce di cavaliere Piano. Aveva già egli nel 27 settembre del 1819 menata a mo- glie la contessa Ippolita Bentìvoglio da cui ebbe un solo carissimo frutto, la principessa donna Teresa , che egli amò di grandissimo amore, informò alle più amabili virtii, e rimasta vedova del principe Filippo Flercolani fu lieto di unire in isposa al principe Ri- naldo Simonetti. Questa gentilissima donna, ultima della sua nobile prosapia, provata a molte sventure, piange ora amaramente la perdita di un tanto pa- dre, dal cui fianco, come ebbe ricevuta la triste no- vella della grave ed improvvisa infermità, non volle più né giorno né notte dipartirsi, ed a forza dopo l'ultimo respiro convenne strapparla. Sfoga pure in copiosissime lagrime il tuo dolore, che ben n' hai donde! Ma ti sia conforto, seppure conforto ha luogo in tanta disavventura , la rimemorazione delle pa- terne virtù, e dell'onoratissima vita che il tuo ge- nitore condusse. li Egli fu (li mente diritta , osservantissimo della nostra augusta religione, prudente senza viltà, non piaggiatore né detrattore, amando meglio serbare si- lenzio quando non poteva lodare, cortese senz' affet- tazione, piacevole nel conversare , nobilmente gra- zioso ed amorevole, non invidioso dell'altrui gloria, anzi liberale di consigli e di aiuto a chi ne lo ri- chiedeva. Non cupido di nominanza ed onorificenze abbonì dalle brighe e dal fasto, e cotanto fu sol- lecito dell'umiltà, che nel suo testamento volle espres- samente proibita ogni pompa di funerale: la quale volontà religiosamente dalla figlia e dal suo consorte si è rispettata , supplendo con larghezza alla man- canza di pompe esteriori il compianto dell' intera città, e l'intervenire che fece alle esequie, le quali ebbero luogo il 3 corr. nella chiesa parrocchiale di S. Caterina di strada maggiore , il collegio dei fi- lologi, l'accademia delle scienze dell' istituto, quella delle belle arti, la società agraria, l'accademia filar- monica, ed una eletta di ogni ordine di persone , che vollero all'illustre concittadino rendere un pub- blico testimonio deirossequio e della venerazione da essi professata alla verace virtù e sapienza. Il 3 giugno 1853. ENRICO SASSOLl 380 Esposizione di salmi di Riìiieri de Rinaldesehi da Prato. Testo di lingua inedito. 8. Lucca dalla tipografia di Giuseppe Giusti 1853 ( Un voi. di pag. XIX e 211). Volgarizzamento delle collazioni dei santi padri del ve- nerabile Giovanni Cassiano. Testo di lingua inedito. 8. Lucca dalla tipografia di Giuseppe Giusti 1854. ( Un voi. di pag. XXIII e 368.) Prosegue l'illustre monsignor Telesforo Bini , prc- fello della pubblica biblioloca di Lucca, ad arricchire il tesoro della nostra lingua con importantissimi lesti da lui dati in luce sì con raro amore e criterio, e sì con bellissima nitidezza tipografica. Di che vuol dar- glisi una lode mcritatissima da quanti sono cultori delle lellerc e soprattutto dai compilatori del nuovo vocabo- lario della crusca. Eccone altri due, ch'egli ci ha dati recentemente: l'uno più insigne dell'altro, e veri gioielli di parlare gentile: e specialmente le Collazioni di Gio- vanni Cassiano, opera che la crusca ha molte volte ci- tala manoscritta, e che tanto desideravasi di veder pub- blicata. Ed era ragione: perciocché il dettalo è di tanta bontà, che l'editore chiarissimo l'attribuisce fino a fra Bartolomeo da san Concordio. Sono i due testi con erudite prefazioni all' esimio e sommamente benemerito signor Commendatore Gian Francesco de-Rossi, e con indici assai diligenti e pre- ziosi delle parole non registrate dall'accademia. Leggenda di Lazzaro , Marta e Maddalena , scritta nel buon tempo della lingua italiana , e data nuova- mente in luce sopra una rara edizione del secolo XV per cura di Cesare Cavara. 8. Bologna, società ti- pografica bolognese 1853. ( Un voi. di pag. XVI e 166.) 381 È una cosa d' oro , ch'erasi quasi pèrduta per la scorrezione e rarità delie rozze edizioni del secolo XV, e che il valente sig. Cavara con dotte cure ha resti- tuito alla lingua. Forse però non è dettato del trecento: benché sembri essere de' primi anni del quattrocento , quando cioè la lingua conservava ancora in gran parte lo spirito e la semplicità leggiadra del secolo antece- dente , offesa però da qualche errore di grammatica e pretto latinismo. L'ha il signor Cavara arricchita di giu- diziose note, ed il signor Varrini dell'indice delle voci che meriterebbero luogo nel vocabolario della crusca. Sopra V invidia , ragionamento e lezione di Benedetto Varchi, tratta da un mss. corsiniano ed ora per la prima volta pubblicata dal professore d. Luigi Ma- ria Rezzi bibliotecario corsiniano e accademico cor- rispondente della crusca. 8. Roma 1853. (Sono pag. XXII, e 97.) Fra i sommamente benemeriti delle nostre lettere vuol certo annoverarsi il signor professore ab. Rezzi, il quale tante insigni cose ci ha dato non solo sue, ma tolte manoscritte all'oblio delle biblioteche. Chi non co- nosce l'aureo volume pubblicato nel 1832 con tre orazioni di Cicerone, volgarizzamento inedito di Brunetto Latini ? Chi non conosce gli scritti dell'Ariosto , del Casa , del Tasso, dell' Adriani , del Ciabrera da lui posti in luce la prima volta ? Ed eccone un altro: una dottissima ed elegantissima lezione del Varchi, la quale e per le sen- tenze e per lo stile sarà letto con gran piacere dai non degeneri italiani. Osservazioni critiche su quanto scrisse sul calendario il Delambre, e replica alla sua risposta contro parte delle medesime inserita nel primo libro della sua storia deW astronomia moderna, di Lodovico Cieco- lini ccmmendatore di s. Gio: Battista di Orvieto del S. M. O. G., già direttore della specola e prò fessore di astronomia nell'università di Bologna ci- 8. Roma tipografia Salviucci 1853. ( Sono pag. VJtl e 163.) 382 È nota l'avversione che aveva il Delambro alla cor- rezione del calendario fatta per ordine pontefice Gre- gorio XIII: correzione così gloriosa al pontificalo e al- l'Italia. Doveva egli perciò mostrarsi anche avverso alla dimostrazione apologetica che ne avea pubblicato l'illu- stre coQiniendalor Ciccolini. Ma non lasciò ì' italiano sopraffarsi dalle ciance del francese: ed ecco la rispo- sta ch'egli ha dato invittamente all' autore della Storia delV astronomia: risposta che con fratto verrà consultala da chi in avvenire scriverà in questo argoraonlo. Dante spiegato da Dante, conienti alla divina commedia, nuovo saggio del P. Giambattista Giuliani somaseó. 8. Firenze, tipografia nazionale italiana 1854. ( Un voi. di pag. 101.) È opera di gran lena di un letterato che ha fatto profondissimi studi sulla divina Commedia , su i santi padri e sugli altri autori che hanno aiutato la sapienza dell'ittimortal fiorentino. Senza consultarlo, ninno potrà iquind'innanzi vantarsi d'aver bene inteso e interpretalo Dante. Noi facciamo voti perchè il lavoro dell' aureo 4nostro P. Giuliani continui com' è incominciato. Biografa di Mario Pieri coreirese scritta da Filippo Luigi Pulidori. 12. Firenze tipografia gallileiana 1853. ( Sono pag. 62.) Mario Pieri si scrisse da se la vita pubblicata in due volumi a Firenze nel 1850 pel Lemonier. Ma il si- gnor Polidori non ha voluto verso l'estinto amico man- care della testimonianza di una cara memoria in que- sta biografia, nella quale alquante cose sono aggiunte alla vita, e specialmente ciò che il huon Pieri si tacque; cioè le virtù dell'animo suo candidissimo e la venera- zione in che era meritamente presso di lutti. Bello di sapienza, di affetto, di facondia è questo scritto, e de- ^no della penna già nota del valentissimo autore. 383 INDICE DELLE MATEAE CONTENUTE NEL TOMO CXXXll voL. 394, 395, 396 Boncompagrih Intorno ad alcune opere di Leo- nardo Pisano (Continuazione) . . pag. 2 Della Tuccia, Cronaca de' fatti d' Italia (con- tinuazione e fine ) » 177 Ciccolini , Risposta al prof. Calandrelli . « 210 Nigrisoli, de laudibus Antonii Campana . » 251 Necrologia italiana dell anno 1853. . . )> 269 Viola, Lettera Vili std Colle Tiburtino . » 276 Bambelli , Sidla scala di vita , memoìiale del cav. Ferrucci. . '^ff^f H . . . . » 3!7 Chimenz , Elogio del P. Carlo Giuseppe Gis- mondi » 337 Imperi, Della vita e delle opere del P. D. Luigi Parchetti » 350 Sassoli, Cenno necrologico di Massimiliano An- gelelli » 374 Varietà , . . . )> 380 IMPRMATUR Fr D. Buttaoni Old. Praed. S. P. A. M. IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Arch. Icon. Vicegerens. /Vc-"^ I-i: Cil iv\