^1 Mwi GIORNALE DI SCIEnrZE, LETTERE ED ARTI Voi. 409 410 411 ROMA Tipografia delle Belle Arti 1854 Piazza Poli num. 91. i^'ll^^ GIORNALE HllklKi D I SCIENZE , LETTERE ED ARTI TOMO CXXXVII OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE 1854 ROMA Tipografia delle Beile Arli 1851 rlHJ 5 l'tSFii: SCIENZE, LETTERE ED ARTI Del gruppo di Cristo con san Tommaso, lavoro di An- drea del Verr occhio, illustrazione di Alfredo Reu~ mont, socio corrispondente della ponti^cia acca- demia romana di archeologia. i^ell'anno 1463 l'università dei mercatanti di Fi- renze volendo al pari delle altre arti soddisfare all' impegno di ornare una delle nicchie , ovvero uno dei tabernacoli nelle parti esterne della chiera di Or San Michele, le fu assegnato il tabernacolo princi- pale, già da Donatello ordinato, della facciata che riguarda verso levante, dirimpetto alla chiesa minore che di s. Michele tramutò il nome in s. Carlo. Due pilastri scanalati d'ordine corintio stanno ai fianchi di questo tabernacofo, che riposa sopra base su di cui trovansi scolpiti due geni volanti con in mezzo un medaglione, mentre lo termina un pinacolo trian- golare, il quale ha nel centro, rinchiuso da un cer- chio, quelle tre teste riunite con cui sino alla metà del cinquecento troviamo espressa la ss. Trinità. La parte interna del tabernacolo mostra una vaga nic-^ chia rinchiusa tra due colonne ionie, ed entro la me- desima un gruppo, grande quanto il naturale, com- posto di due figure di bronzo. Esse rappresentano Cristo, il quale all'apostolo incredulo fa toccare la fe- rita nel fianco, pronunziando , con destra alzata, le parole scolpite anche nel lembo della veste : Qiua vidisti me, Thoma, credidisli; beati qui non viderunl tìb 4 credideriint. Al di sopra del tabernacolo si vede, in- fìssa nel muro, Tarme dell'università che lo fece eri- gere , cioè il giglio rosso sovrapposto a balla di di'appo. Nella vita di Arnolfo detto di Lapo, Giorgio Va- sari brevemente accenna alla fabbrica di Or san Mi- chele detta cosi , ossia s. Michele in orto , per es- servi stata prima una chiesa all'arcangelo dedicata. « Fecero, secondo il disegno di lui , di mattoni e con un semplice tetto di sopra, la loggia e i pila- stri d'Or san Michele dove si vendeva il grano « (1). Secondo la cronaca di Giovanni Villani ciò sarebbe accaduto nel 1284, dicendo egli che « in questi tem- pi si fece per lo comune di Firenze la loggia sopra la piazza d'Orto san Michele, ove si vende il grano, e lastricossi e amattonossi intorno, la quale allora fu molto ricca e bella opera e utile » (2). In uno dei pilastri di detta loggia Ugolino sanese dipinse quella Madonna, per la quale, a dire del Villani, « a dì 3 del mese di luglio (1202) si cominciarono a mostrare^ grandi e aperti miracoli » (3); immagine che comu- mente, ma con scarso fondamento, si reputa quella del tabernacolo or ora da nominarsi dell'Orcagna (4). 11 più antico documento che si conosca, in cui vien fatta menzione della loggia, è del 1297, e parla e della loggia, e del mercato del grano, e della « tavola di messer santo Michele » e dell'altra « figura di no- (1) Vasari, Vita di Arnolfo (Ediz. Lemonnìer. I. 250). (2) Gio. Villani, Cronaca lib. VII, cap. XCIX. (3) Ib., 1. VII, cap. CLV. (4) Vasari, Vita di Stefano e d°Ugolino (L. e. II, 22, e Commen- tario aggiunto. 5 «tra Donna » da non mostrarsi se non a torcie ac- cese (1). Nell'incendio del 10 agosto 1304, in mezzo alle tremende discordie dei cittadini cagionato da ser Neri Abati, la loggia rimase molto danneggiata (2), di- modoché nel gennaio del 1308 si assegnarono lire 800 per la costruzione e pel ristauro della medesima « {lòdie et portici) « (3). 11 ristauro pare che sia stato incompiuto, giacché nel 1321 si permise d' impiega- re « in reparactione diete logie » 60 fiorini d'oro (4-), e nel 1332 si creò una balìa per provvedere « ad re- parationem et refectianem - logie platee s. Michae- lis )) (5). Nel dì 25 settembre 1336 si ordinò una fabbrica nuova, il cui disegno dal Vasari viene at- tribuito a Taddeo Caddi (6). Il decreto^dopo di aver detto che l'antica loggia era « mimis qiiam deerat or- nata, potius in ohproprium comunis fior, quam hono- rem » , prescrive a quod saper platea predicta prò ipso comuni hedificetiir et construatur et fìat quoddam pa- latim prò conservando, tenendo, recondendo et repo- nendo granum et hladum comunis fior en. » (7). Si diede principio a fondare i pilastri nel 18 lu- glio 1337, e si coniò una medaglia dimostrante l'i- deata fabbrica nuova, apparendo dall'iscrizione la vo- (1) Gaye nel carteggio inedito d'artisti, I, 49. (2) Gio. Fillani, 1. Vili, e. LXXI. (3) Gaye nelle Hegesta fiorentina internam reipublicae hisloriam speciantia, in Carteggio inedito d'artisti, I, 44S. (4) L. e. 462. (5) L. e. 478. (6) Vita di T. Caddi, Loc. II, H3; Baldinucci, Mia di T. G. E- diz. Mannf, II, 74. (7) Gaye, Cart. iued. I, 48. 6 lontà del comune di renderla degna della magnifi- cenza del popolo, delle arti e degli artefici fiorentini, « ut magnificentia populi flor.y artium et artificum oslendatur » (1). Nel dì 12 aprile 1339 i consoli del- l'arte della seta, operai della fabbrica, diressero una supplica al magistrato supremo dei priori, onde si provvedesse all'ornamento dei pilastri allora in co- struzione mediante le statue dei santi protettori delle arti maggiori, e dei capitani di parte guelfa, a spese di quelle arti e di quel magistrato (2). Es- sendo stato nel 1343 espulso il duca d'Atene, che bramava farsi signore di Firenze, dal male occupato seggio, si deliberò nel 1 349 di costruire (c iuxta pia- team sci Michaelis in orto » una cappella di sant'An- na (3) , nel cui giorno erasi principiata la famosa cacciata , la quale in oggi ancora viene ricordata dalle bandiere delle arti spiegate intorno alla chiesa. Per terminare detta cappella nuove somme furono erogate nell'anno seguente, mentre nel 1351 se ne interruppe la costruzione, per essere i maestri im- piegali nella guerra che il comune faceva agli Ubal- dìni (4). Al tempo medesimo erasi ordinato di co- struire sotto la loggia un tabernacolo alla Madonna, (1) Del Migliore, Firenze illustrata, 530. (2) Gaye, L. e. I, 46. (3) Gaye nelle Regesta, 1. e. I, 499, 500, 511. Si correva in quel giorno il palio " prò honore reipublicae et ad pcrpetuam memoriam libcrtatib civ. (lor., et ut civibus mentibus sii infixum, qualitcr die s. Annue - populus fior, per Bei gratiam, et virtulem bonorum exi- tus, a tirannide Alhcnarum ducis liberatus ». ( Del Migliore, 1. e. 5:J6). Il gruppo or.-» sull'altare posto di sant'Anna colla Madonna, è di Fruiioesco da san Gallo. l4) L. e. I, a03 f per riporvi rimmaglne di essa, quasi Un ex voto do- po la peste micidiale del 1 348. Di qufeSto tabema- colo si diede Carico ad Andrea di Cione detto l'Or- cagna, il quale eseguì quel meraviglioso lavoro, in cui meglio forse che non in altro lavoro trovasi reso vivo il concetto dell'arte cristiana del medio-evo, e sul quale egli segnò il sUo nome come k oraiorii ar- chimagisier hvius » nel 1359 (1). L'aver continuato la fabbrica a servire^ nelle parti sue superiori, ad uso di magazzino, si rileva dall'essersi rifatto presso Id medesima negli anni 1354-1361 il palazzo del ma- gistrato della grascia (2). Di fatti non prima che do- po cessato il governo della repubblica quel locale fii destinato a co^nservare l'archìvio degli atti notariali^ mentre poi Cosimo » granduca fece costruire, pel- le contrattazioni delle granaglie , quella loggia che ancora del grano si dice. S'ignora l'anno preciso in cui venne tramutata in chiesa V antica loggia , ma nel 1360 la mutaziotie deve presumersi eseguita (3). La via, che dalla vicina piazza dei Signori conduce a questa chiesa, venne allargata nell'anno 1390 (4). (1) Vedi l'opera non ancora condotta a termine : Il tabernacolo della Madonna d' Ormnmichele, incis. di G. P. Xasmio, dichiaraz di G Masselli; Fir. 1851 segg. - Del bellissimo concetto del taber- nacolo ragiona G. G. Miiller, architetto svizzero, nella dissertazio- ne sua sulla facciata da darsi a Sta Maria del fiore. Ne scrisse an- che D. Ramée in Gailhabaud, Monuments anciens et modernes, voi. IH, dove se ne danno tre belle incisioni. (2) Gaye nelle Regesta, 1. e. 1, S06, 509, 510, 313. (3) Ciò si deve presumere da una lettera dei priori ai comune di Orvieto, dell'agosto 1360 {Gaye, L. e. 1,512; Faiari, li, 113), se pure si tratta della loggia, e non già <^el tabernacolo , ovvero oratorio. (4) Gaye, L. e 533. 8 Dalla storia posteriore (lolla chiesa di Or san Mi- chele appare l'essersi alquanto soprastato all'esecu- zione dell'intento di dare ai pilastri quell'ornamenta delle statue nel 1336 ideate. Non prima del dì 4- agosto 1399, secondo l'iscrizione ancora rimastavi, si collocò per 1' arte dei medici e speziali una Ma- donna, di cui si terrà discorso in seguito. Nel 20 aprile 1406 venne finalmente concesso ai corpi d'arti di abbellire nel predetto modo le parti estreme del- l'edifìzio, a cui la forma d'ingente torrre quadran- golare di pietra serena con cornicione nello stile detto gotico dà carattere serio e robustissimo, mentre le finestre ricche quanto bello del pianterreno, cioè della chiesa, temperano quel serio coli' ornato piiì vago e più delicato dell'arte. « Pro perfectione orna- mentorum oratorii s. Michaelis in orto (così la provvi- sione) (1) delibraverunt qiiod qiielibet ars ex arlihus civilat. (loi^ent.y qiie in muris sive columnis oratorii sive palata orti s. Michaelis habet ex lateri exteriori locum, teneatur et debeat sallem infra X annos pro- xime secuturos fecisse fieri , et hoc in loco sibi as- sirjnato, imam fìgnram sive ijmarjinem scidlam, ma- gnani et honorabilem illius sancii cnius feslum anno quolibet celebralur. » Non adempiendo all'obbligo , il posto si sarebbe conceduto ad altra arte. Dieci delle arti nella prima metà del quattro- cento soddisfecero a quanto dal comune si era or- dinato. Il Ghiberti, Donatello, il Michelozzi e Nanni d'Antonio di Banco o scolpirono di marmo o fusero di bronzo le statue. Il s. Marco fu scolpito da Do- (1) Gaye,L. e. 1,542. Vedi Del Migliore, I. e. 531. 9 natello per l'arte dei linaroli negli anni 1409-1412(1); il s, Matteo di Michelozzo è segnato col millesimo 1420. Fra tutte la più bella, e per spontaenità del- l'attitudine e per libertà del moto uno dei capido- pera della scultura, è il s. Giorgio di Donatello, di cui Giorgio Vasari dice con ogni ragione che « nelle figure moderne non s'è veduta ancora tanta vivacità né tanto spirito in marmo, quanto la natura e l'arte operò con la mano di Donato in questa )> (2). Il s. Giorgio da principio collocato in uno dei taberna- coli dal lato di tramontana , dove poco spazio gli era conceduto, nel 1700 venne rimosso in mezzo alla facciata meridionale , sotto baldachino gotico air infuori sporgente , sin allora occupato da una Madonna nel 1399 da maestro Simone per 1' arte dei medici e speziali lavorata, che ora vedesi nel- l'interno dell'oratorio (3). (2) Ricordi estratti dal libro dei debitori e creditori dall'arte dei linaroli (per cura di G. Masselli) nelle Memorie originali italiane (di M. A. Gualandi) Serie IV (Bologna 1843) 104—108. (2) Vasari, Vita di Donatello, I. e. Ili, 150. (3) Vasari, Vita di F. Brunelleschi, t. e. Ili, 241. — Le statue poste nei tabernacoli dOr s. Michele prima del gruppo del Verroc- chio sono le seguenti : S. Matteo — Arte del Cambio — Michelozzi. S. Stefano — Lana — Ghiberti. S. Lo — Maniscalchi — Nanni d'Antonio. S. Marco — Unaroli — Donatello. S. Licopo — Vaiai — Nanni d'Antonio. S. Giorgio — Corazzai — Donatello. S. Gio. Bat. — Calimara — Ghiberti. S. Piero — Beccai — Donatello. S. Filippo — Calzolai — Nanni d'Antonio, Quattro santi — Fabbri — Id. Nel ISOO si aggiunsero : S. Gio. Evang. — Seta — Baccio da >lonlehipo. 10 Il tabernacolo per la mercatanzia, siccome già si disse, venne lavorato da Donatello « con l'ordine antico detto corintio fuori d'ogni nnaniera tedesca », cioè quantunque bello, estraneo al carattere archi- tettonico della fabbrica, per riporvi due statue che poi non si fecero, perchè non si fu d'accordo pel prezzo. L'intenzione di dare compimento all'opera non venne recata ad effetto prima di quell'anno me- desimo in cui morì Donatello, che era il 1466. Tre anni prima si era risoluto di cambiare l' arme dì parte guelfa (l'aquila col dragone) in quella dell'arte sopròdetta (1), ma non anteriormente al gennaio del 1467 si fece il primo pagamento di lire 300 picc. ad Andrea del Verrocchio (2). Nel marzo dell'anno sus- seguente gli si assegnò Un soldo mensile di 25 lire per detto lavoro ( « ad faciendiim figuras heneas )) ); nell'agosto del 1470 si comprò bronzo e si conti- nuò coi pagamenti. Dalle successive deliberazioni ri- sulta, quanto 1' opera di Andrea sia riuscita a sod- disfazione dei commettitori, e quanto sia stato gran- de, del pari che l'amore , 1' intendimento dell' arte pressò quei cittadini. Nel dì 26 marzo 1481 si con- fermò la spesa di 40 fiorini d'oro e 200 lire picc. » per dar perfezione a una figura di s. Tommaso in bella statua di bronzo, per non lasciar guastarsi e perire la bozza e principio di sì bella cosa, cono- scendo essere sì utilmente spesi tali denari e do- S. Luca — Giudici e Notai — Gian Bologna. Un altro s. Luca, di mano sconosciuta, trovasi nel tabernacolo ori- ginariamente all'arte dei vaiai conceduto. (1) Gaye, 1. e. 1, 390. (2) Gaye, L. e. ì, 370. 11 verne conseguire grande ornànfiento la corte di mer- catanzia, e roratorio di san Michele, e reverenza e diletto negli animi dei vedenti tale opera w (1). Neil' aprile del 484, le statue essendo prossime ad esser terminate, si fece con Andrea un accordo intorno al prezzo, accordo il quale al tempo medesime, e mal- grado delle forme un po'mercantili , palesa nobiltà d'animo nei cittadini e modestia singolare nell'arte- fice, il quale, mentre aveva fornita opera delle più insigni di cui si gloria la scultura moderna , pure considerando i tempi « e la maggior copia di tali scultori » si chiama soddisfatto di un prezzo mi- nore in confronto di altre sculture pel medesimo oratorio « le quali non sono di tanta perfezione. » Avendo avuto Andrea sin a quel giorno 306 fiorini, si deliberò di completare debito tal somma sino a fiorini 400, metà del prezzo che venne stabilito , mentre esso dall' altra metà sarebbe soddisfatto a rate (2). Si ordinò poi che per la festa di san Gio- vanni di quell'anno il gruppo si sarebbe collocato al posto al medesimo assegnato. Dobbiamo suppore che ciò sia stato eseguito nel tempo prefisso. Non pertanto era compiuto l'intero tabernacolo. Nel dicembre del 1487 si deliberà d'im- piegare sino a 30 fiorini larghi di dar compimento al medesimo , il quale si scorge non essere stato condotto a perfezione da Donabello , mancandovi « intra l'altre capitelli, mensola e l'arme della casa. » Così si ordinava ad onore di Dio, ad ornamento (1) Vedi Documento l in appendice. (2) V. Docmnento II in appendice. 12 « della città e al contento universale)) (1). Nel tempo istesso si deliberò di soddisfare maestro Andrea del sesto del prezzo convenuto e non ancora pagatogli, cioè di fiorini 200 in tutto, somma che s'impieghe- rebbe in doti per due nipoti sue, figlie del di lui fra- tello Tommaso di Michele, tessitore di drappi, po- vero e carico di famiglia (2). Dal testamento di An- drea del Verrocchio , in data di Venezia 25 giu- gno 1488, risulta essersi ancora soprastato a siffatto pagamento, leggendosi nel medesimo: « Helinquo ipsi Thome omnes peciinias, qnas haberc et exigerc debeo ab officio mercantie fiorentine quaciinque ratione et causa, de quibiis pecuniis ordino quod faciat dotes fì- liabus suis (3). )) Il gruppo di Cristo con s. Tommaso senza con- trasto è uno dei più insigni lavori della scultura del quattrocento. Per naturalezza unita a pioprietà e dignità del moto e delle attitudini, per abilità nel- Taggruppaie le due figure, per castigatezza del di- segno, il quale, se nelle membra e specialmente nelle estremità sa un po' di quell'esagerato di cui anche nella pittura si risente l'arte fiorentina di quel tempo, trionfa poi nelle teste e nell'insieme della composi- zione, quest'opera è degna delle maggiori lodi. La diversità della natura e del carattere non si sarebbe potuto esprimere più felicemente , tanto nei volti quanto nelle mosse. Nell'apostolo, ancora giovane , tutto è moto vivace. Si scorge in lui il passaggio dal (1) V. documento III, in appendice. (2) V. documento IV, in appendice. (3) Tcslamenlo di Andrea Vcrroccliio. Dai ms!>. riccarcliani. Gaye, I. e. I. 307. 13 dubbio alla certezza, all' ammirazione, alla venera- zione: la sinistra è estesa, avendo in quel momento toccata la ferita, mentre la destra raccoglie l'ampio manto. Nel Salvatore va unita l'affezione di padre alla gravità di maestro; il volto è composto tra l'a- morevole, il mesto, il solenne; la mano sinistra ha scoperto al fianco dalla lancia perforato, la destra alzata accompagna col gesto le parole: « Perciocché tu hai veduto. Toma, tu hai creduto: beati coloro che non hanno veduto ed hanno creduto!» Non i soli volti, non le mosse, non le proporzioni sole delle figure sono belle: le vesti, nel modo con cui sono acconciate , dimostrano artifizio non minore. Nelle pieghe, già tendenti all'ampio e ricco, cogh angoli però ancora alquanti acuti e forse troppo moltipli- cati, si ritrova la scuola del disegno degli ultimi de- cenni del quattrocento, scuola alla perfezione sua por- tata dal Perugino e nella gioventiì seguita da Raf- faello. Così, e nei nudi e nei vestimenti, Andrea si dimostra esimio maestro. Perlopiiì all'età susseguente si attribuisce il vanto di aver resa piena giustizia al corpo umano, e specialmente nella scultura. La via progressiva però, che dalla scuola dei pisani conduce a quella del Buonarroti, è chiaramente segnata. Non per sbalzi si giunse all'apice, ma con regolare an- damento. I rilievi del Ghiberti e di Luca della Rob- bia, le statue di Donatello e del Verrocchio, indi- cano i passi precisi di quel progresso. Di Donatello, il Davidde di bronzo fatto per Cosimo il vecchio, e il san Giorgio già nominato ; del Verroqchio pari- menti una statua del giovane vincitore di Golìa, e il gruppo di s, Tommaso, e quel leggiadrissimo put- u tino stringente un giovine delfino, che serve ad or- namento della vasca della fontana posta nel cortile del palazzo dei Signori, servono a confermare lumi- nosamente tale verità. Il puttino or nominato da se solo basta a dimostrare fin dove, in quella età, sia giunta l'arte dello statuario in ciò che riguarda na- turalezza, moto, vivacità, felicissima imitazione del vero. Il Davidde e il Cristo morto del Buonarroti non stanno isolati. Nell'esecuzione finalmente, e nel- l'arte del getto del metallo, i lavori del Verrocchio dimostrano somma perizia , la quale finanche sor- passa quella di Donatello. Non si può accennare all'insigne perizia da An- drea del Verrocchio nella parte meccanica ancora dell'arte sua palesata, senza far menzione dell'ultimo dei suoi lavori, cioè della statua equestre di Barto- lomeo Colleoni che si ammira accanto alla chiesa dei ss. Giovanni e Paolo a Venezia, e a cui è ante-^ riore di- data un solo gran lavoro di questo genere, la statua di Erasmo Gattamelata a Padova, fatta da Donatello. Tralasciando i vari modi con cui viene narrata la storia di questa famosa opera decretata nel 1479, storia che si può rileggere presso il Va- sari, e in parecchi libri moderni (1), conviene fissare quale e quanta parte del monumento al condottiero bergamasco eretto appartenesse al Verrocchio, quale ad Alessandro Leopardi abilissimo fonditore in bron- zo, Facendo, come già si disse, il suo testamento a (1) Vasari, L. e. V, 147, 148. - E. Cicogna, Delle iscrizioni ve- neziane, n (chiesa di s. Maria dell'Orto) 297, segg. - P. E. Selva- tico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia, 214, segg. - F. Zanotto in Venezia e le sue lagune, li, parte 2, 385 segg. 15 Venezia nel 1488, lo scultore fiorentino pregò il se- nato « ut dignetur permiUere dictiim Laurenlium (Lo- renzo di Credi, suo esecutore testamentario) perfìcere dictum opus (cioè la statua equestre), quia est suf" ficiens ad id perjìciendum {})■ U senato però affidò l'opera al Leopardi, il quale nel 1496, come si ha dai diari di Marin Sanudo, la condusse a termine. Se di lui è l'esecuzione in bronzo, non così fu del mo- dello. Il sopracitato documento dice espressamente: (( opus equi per me principiati. « 11 salvocondotto nel 1490 concesso al Leopardi, condannato e bandita nel 1487 per aver falsificato un chirografo, gli per- mette il ritorno, « ut tali modo possit perfìcere equum et statuam ili. Bartholomaei de Collionibus iam cum multa laude ceptam, » ciò che può riferirsi al lavoro già dal Verrocchio lasciato. Fra Luca Paciolo, par- landone nella lettera a Guidubaldo duca d'Urbino, a proposito della statua equestre dice solo che « con la sua lima a perfezione (la) condusse. » L'espres- sione « perfecit » ritrovasi anche nei registri del con- siglio dei dieci. Non importa che nella cinghia del cavallo si legga: Alexander Leopardus V. F. opus, e che esso s'interpreti o per fudit o per [ecit. Non importa nemmeno il nOme che il Leopardi ebbe presso il popolo di Alessandro del Cavallo, essendo naturalmente più noto ai veneziani l'artefice vene- ziano vivo, che il fiorentino morto. Se veramente il Leopardi fosse stato autore del monumento, in vece di averlo solamente terminato e fuso, o in parte o in intero, lo avrebbe senza dubbio citato nella sua (1) Gaye, L. e. I, 369. 16 iscrizione sepolcrale, invece di nominare la sola base, la quale, quantunque bellissima e di elegante archi- tettura, contuttociò non è né può essere se non parte secondaria (1). Dal complesso di queste varie testi- monianze sembra risultare chiaramente che, se la fu- sione in bronzo era fatica del Leopardi, il quale me- ritamente venne lodato per la bella esecuzione, di Andrea del Verrocchio era il modello. In ciò si con- corre ancora col sentimento del Selvatico, il quale, con quel fino criterio che egli ha, nel monumento Colleoni ravvisa palese lo stile fiorentino. (1) Iscrizione già in s. Maria dell' orto (presso il Cicogna , L. e): Erg. vos domum maternam Alexander Leopardus suis q. pos. an. XV post ili. Bartholamei Colei statuae barn iden opife MDX. L' iscrizione è guasta o scura. Probabilmente trattasi di sepolcro proveniente dalla famiglia materna, dal Leopardi riattato nel 1510, cioè quindici anni dopo terminata la hasc del monumento, cuius basis idem est opifex. IT APPENDICE DOCUMEiyri TlìATTl DAL li. AIÌCHIVÌO DELLE lilFOliMAGlONl DI IIHENZE. I. In Dei nomine. Amen. Anno Inearnationis Do- «lini nostri lesu Chi'Isti millesimo quadringentesimo octuagesimo primo, Indictione decimaquarla, die vero vigesima sexta mensis martii, in Consilio populi ci- vitatis Florentie, mandato magnificorum et excelso- rum dominorum dominorum Priormn libertatis et Vexilliferi iustitie populi fiorentini precona convoca- lione campaneque sonitu in palatio populi fiorentini more solito congregato. Quorum etc Secundo provisionem infrascriptam super infrascri- ptis omnibus et singulis examinatum et fìrmatam secundum ordinamenta , et deliberatam et factam primo per dictos dominos priores et vexilliferum iu- stitie populi fiorentini, Et postea per dictos domi- nos et gonfalonerios societatum populi et duodecim bonos viros comunis Florentie, secundum formam ordinamentorum dicti comunis; que talis est vide- i:,.i^ . T"', !•• •• Jlerchantie quod prò licet etc. Inteso i magnilici et excelsi signori sigg. statua s. Thòme per- Priori di libertà et Gonfaloniere di giustizia del pò- ficiemia potuerint e- 7 r. ,. ì n • n pendi florenos qua- polo tiorentmo, come per dar pcriectione a una h- draginta e libras au- gura di sanclo Thommaso in bella statua di bron- «^p"'^'» et solvi pos- zo, per porla in orto san Micbele pel conto della casa G.A.T.CXXXVII. 2 18 et università della mercatantìa, et per non lasciare guastarsi et perire laboza et principio di sì bella cosa, s' è facta una spesa di fiorini quaranta larghi, et lire dugento piccioli de'danari della mercatantia, e' quali per aventura non si potrebbono lecitamente mectere auscita o fornire di pagare et acconciarne senza le dispensatione de consigli, che e successo centra l'openione degli operai di decta casa et di chi la havuto a fare. Et conoscendo esser si util- mente spesi tali danari et doverne conseguire grande ornamento a decta chasa et corte della mercatantia et all'oratorio d'orto san Michele, et reverentia et di- lecto negli animi de'vedenti tale opera : pertanto. Habita primo super infrascriptis omnibus et singulis die vigesima tertia mensis martii anni domini mil- lesimi quadrigentesimi octuagesimi primi, indictione decimuquarta, inter se ipsos dominos priores et ve- xilliferum, in sufficienti numero congregatos in pa- latio populi Fiorentini, deliberatione , et inter eos- dem facto solenni et secreto scrutinio et misso par- tito ad fabas nigras et albas, et obtento secundum òrdinamenta dicti comunis, et postea successive ipso eodem die sequente et facta deliberatione inter eo- sdem dominos priores et vexilliferum iustitie et gon- ,. ^ ., falonerios societatum populi et duodecim bonos vi- ('nsujlicnlibus prò . . * ' in siifficicntibiis) ros dicti coniunis solemniter insuffientibus numeris, et in palatio antedicto congregatos, facta prius pro- posita super predictis et infrascriptis omnibus , et celebrato inter ipsos omnes solemni et secreto scrn- ptinio, missoque partito ad fabas nigras et albas, et obtento secundum òrdinamenta comunis piedicti ; ipsis tamen omnibus et singulis infrascriptis dili- 19 genter prius examinatis ac firmis per spectabiles vì- ros duodecim procuratores comunis et septuaginta cives. Ac ctiam per spectabiles auditores Silvestrum Ioannis Gentili de Albizis, Zenobium Thomasi gi- nori, lulianum pauli Ant. parigi de numero coUe- giorum predictorum; et Nicolaum Ugolini Nicolai de Martellis, Franciscum ioannis de Nesis. Franciscum caroli de bartolis de officio conservatorum legum dicti comunis, ad hec examinandum deputatos se- cundum ordinamenta comunis predicti, eorum pro- prio motu prò utilitate comunis eiusdem, et omni modo via, iure et forma quibus magis ac melius po- tuerunt, ordinaverunt et deliberaverunt. Che la decta spesa per decta statua et opera di sancto Thomaso si sia potuta fare lecitamente, et che il camarlingo della università et corte della mer- catantia della città di Firenze possa et debbi met- tere auseita dieta quantità di Fiorini quaranta larghi, et lire dugento piccioli sendo interamente pagate o restandosene a pagare di qualunche danari alle sue mani pervenuti, o che perverranno per cagione del suo ufficio, insino all'ontero di decta somma di fio- rini quaranta larghi, et lire dugento, necti et senza ritentione o partita aqualunche per decta opera re- stasse bavere, precedente nondimeno lostantiamento deliberato da sei di mercatantia o le due parti di lo- ro , et di tutte acconciai'ne le scripture in buona forma. Et così fare si sia potuto et possa et debbi per qualunche a chi appartenessi, slantiundo, pa-j gando et le scripture acconciando lecitamente et sen- za alchuna pena. Solo veduta la presente, et quello 20 che in essa si contiene, ogni oppositione contradi- ctione et exceptione rimossa. Qua pi'ovisione etc. IL In Dei nomine. Amen. Anno Domini millesimo quadringen tesimo octuagesimoquarto. Indictione pri- ma die vero vigesimasecunda mensis aprilis. In Con- silio populi civitatis Florentie etc. Informati i magnifici et excellentissimi signori, signori Priori di libertà et Gonfaloniere di giustizia del pepulo fiorentino per ricordo de' sei consiglieri della mercatantia et operai creati jjer le figure di Cristo et di san Tommaso lavorate , et che si la- vorano per Andrea del Verochio degno scultore, per locharle et mecterle nel tabernacolo dell'oratorio d' orto san Michele, existente dirinpecto a sancta An- na, a honore didio et per ornamento della nostra città; et lequali col parere di savi cittadini si prin- cipiarono, et quasi sono condocte alla loro intera perfectione. Ma restasi a farne el dovere al detto Andrea pel suo magisterio; el quale, benché potesse chiedere a similitudine dell'altre figure poste in de- cto oratorio, le quali non sono di tanta perfectione, nientedimeno ateso a temporali, e maggior copia di tali scultori si può stimare caleranno assai distima- tione et pregio a comparatione dellaltre prodocte ; et digia chi na voluto intendere qualche opinione non lo truova molto discosto dalonesto, perchè ha- 21 vendone insino a oggi pel suo magisterio et parie di sua faticha havuti fiorini trecentosei larghi: Offera che, havendone quello mancha insino in fiorini qua- trocento larghi di contanti et al presente darle for- nite et perfecte di qualunche chosa et poste in de- cto tabernacolo innanzi alla festa di san Giovanni Baptista proximo futuro. Et per ogni resto vorrebbe per sua faticha passare altri fiorini quatrocento lar- ghi, ma farne qualche dilatione et tempo. Et eono-^ scendo i prefati magistrati la difìcultà di provedere' al danaio oportuno, et non volendo dinuovo gravare- elmonte. Et desiderando, chome zelosi della reli- gione cristiana, che tale degna opera non rimangha più oculta, anziché oltre allornamento publico , et honore ne risulta adecta università sene satisfacci: agli ochi, et volere delluniversale, et stimando chei pigliando lo infrascripto modo, ne seguirà decto ef- fecto. Id circho, habita primo super infrascriptis om- nibus et singulis, die vigesima prima mensis aprihs anni Domini millesimo quadringentesimo octuagesi- motertio, indictione prima, inter se ipsos dominos priores et vexilliferum , in sufficienti numero con- gregatos in palatio populi fiorentini , deliberatione solemni, etc. providerunt, ordinaverunt et delibera- verunt Che i decti sei consiglieri, insieme codecti ope- rai, et le dua parti di loi'o in sufficienti numeri di quegli che sono al presente in magistrato insieme ragunati, gli altri absenti etc. Possino examinaie con decto Andrea, et chi pairà loi-o el prezo con- gruo per magisterio di decte figure, et quello taxare et determinare, non passando in modo alcuno prò Imago Christi et sao'- cti Thoine perficiatar et ponatur in parie- te orti saiicti Michae- lis et quantum eifc. pendi possit. tate magisterio fiorini octocento larghi in tutto, com-^ palali* e'decti trecentosei già pagati, et non gli po- tendo pagare quello montassino oltre a detti qua- trocento disopra nominati tragli havuti et quello ha avere al presente in minore tempe danni quattro proximi futuri, et ognanno la quarta parte di tale resto. Et intorno acciò possino tractare con decto Andrea et comporsi a'decti effecti , come alloro et le due parti di loro liberamente parrà et piacerà o vorranno in alcuno modo, et possasi pagare tal re- sto di qualunche entrate di decta università , et per vigore di stantiamenlo che si debba fare per Tufficio de'sei decti insieme condetti operai, che so- no al presente in sufficienti numeri secondochè sono al presente insieme ragunati. Et e'quali intorno ac- ciò et ciòche dipendesse, habbino et bavere s'inten- dino tutta quella auctorità et potestà, che in alchuno modo fusse o, è necessaria a fare decti effecti ; et che ciò che per loro si farà vaglia et tenga et hab- bia pienissima fermeza et vigore, et debbisi obser- vare per ciascuno in tutto et per tutto , come se expressamente nella presente provisione si fussino dichiarate, decte, apposte et repetite, havendo nien- tedimeno riguardo di non impedire gli altri stantia- menti et pagamenti, che secondo el consueto et or- dini di decta università si fanno et soglionsi fare pe salarii et altre spese, che occorrono o occorres- sino in decta università. Qua provisione etc. 23 III. In Dei nomine Amen. Anno incarriationis domini nostri lesu Christi millesimo quadringentesimo octua- gesimo septimo. Indictione sexta. Die vei'o vigesima- quarta mensis decembris in Consilio iio|)uli civitatis Florentie etc. Examinato i presenti sei di mercatanthia le chose , che riguardano Thonorc Didio, et etiamdio publico. Et diche allufficio loro , è dato Sfiètiale cura. Et trovando che a perfectione del tabernaculo dorto sancto Michele, dove sono collocate le figure di bronzo del nostro signor iesu christo, et dì sancto Thomaso mancano più cose, et intra l'altre ciipitellì, Mensola, et Arme della casa , et farsi di marmo : Et allo horivolo dimercato nuovo , nella loì'ò casa del saggio , posto dinanzi agliocchi di ciascuno , mancha raconciare le figure et segni et lectere, et rifarle per più evidentia, di stuccho et dimarmo et daltri colori. Et desiderosi che a tali mancamenti si provegha, ad honore didio et della città et contento di ciaschuno ; Hanno deliberato ricorrere alla. V. Ex. S. Magnifici et Excelsi Signori, et a quella fare noto tucto. Et ricordano et suplicano conogni debita reverentia che acciò si provegha perchè dalloro non possono. Et ricorderebbono che non parendo altri- menti alla V. Excellentissima Signoria che solem- nem.ente si provegha. Ideo Habita primo super infrascriptis omnibus et sin- gulis , etc. et facta deliberatione etc. providerunt , ordinaverunt ac delibera verunt. u Che e'pi'esenti sei durante illoio magistrato, sieno tenuti et debbino conogni dilìgentia et cura, intendere tali mancamenti et a quelli proveghino in quel modo et forma che liberamente vorranno et giudicheranno essere di bisogno, ad honore didio, et oi-namento della Città et contento universale. Et però di qualunche entrate di detta università , che perverrano alle mani del camarlingo di decta università , possino spendere nelle cose et cagioni espedienti et oportune a detti effecti insino in fiorini trenta larghi, et farne qualunche stantiamento distinctamente et chiara- mente cosa per cosa etc. Qua prò visione et e. E più sotto: Tertio decimo provisionem infrascriptam super infrascripta petitione et omnibus et singulis exa- minatam et fìrmatam secundum ordinamenta , etc. Que talis est videlicet. Informati i presenti sei Consiglieri della merca- tanthia. Come Andrea del verocchio cittadino fioren- tino et egregio sculptorc , per conto delle figure di bronzo, già più anni passati per lui lavorate, et perfecte secondo l'ordinatione et commissione delli opera rij accio deputati : et ad imagine del nostro Signore et Salvatore Misser lesu Cristo: et del bea- tissimo Apostolo misser Sancto Thomaso: etcollocale et poste ad honor didio, et della nostra città et inspecie della loro università, in unì de tabernaculi di fuori nella faccia della Chiesa di sancta Anna , dirinq)etto alla chiesa di sancto Michele, in luogo eminente et evidente agrocchi di ciascuno , Non ò stato interamente pagato di sua fisica et premio, et àgli facti richiedere da' sui fratelli, nonci essendo 25 lui, più volte della satisfactione, allegando peso di gran famiglia et assai povertà , maxime di molte fanciulle femine, et senza dota di Thomasso di Mi- chele texitore di drappi , suo fi'atello consti tulo in extiema miseria : et cognoscendo non sigli potere iustamente negare tale satisfactione , né ritenergli sua fatica et premio. Et acciò che tale ornamento sia più accepto et grato allo onnipotente dio; non havendo dalloro mezo, o facullà da satisfargli, deli- berorno ricorrere alla V: Excellentissima S. Et sup- plicano che per debito della iustitia vi piaccia solem- nemente provedere et ordinare. Ideo habita etc E presenti sei della mercatanthia, o le due parti di loro sieno tenuti et bebbino fialtermine che dura illoro magistrato: et comezi et modi giudicheranno expedienti et convenirsi examinare et intendei-e quello che insino a qui decto Andrea et suoi lavorante nanno auto per loro fatica et premio: Et eliandio quello sigli convengha iustamente per resto di suo fatica. Et per loro partito dichiarare quanto sia tal resto. Non potendo passare la somma di fiorini dugenlo di sugello per ogni tal resto perchè di già nanno fiicta qualche investìgatione. Et che di tucto quello che per loro cosi sarà dichiarato, si possi et debbi satisfare adecto Andrea, o suo mandatario solo per fare dote, o dare in dote a qualchuna delle dette sue nipote et chomo disotto si diià. Et fra quel tempo et in quello modo che a prefati sei . o le due parti di loro liberamente parrà. Ma non in mi- nore tempo danni dua, dal di della loro dichiaratione di tal resto. Et debbasi paghare da camarlinghi di cjocta univeisità, veduto lostantiamcnto loro deliberato Andree del verocchio satisfiata sex mercan- tie de rcliquo quod liaberedehetex factis Imaginibus cliristì et sancii Tiiome ad or- tiim sancii michaelis positis fxira. Dediclis pecuniis fiant doles duabus iiepolibus suis. 26 da sei soli che sono o saranno et pagati prima glaltri stantiamenti et spese che si debbono et so- gh'ono fare per tali camarh'ngbi durante illoro officio. Et de danari che non fussino legati, ne condictionati in altre, o per altre singulari persone. Et di che et come si sogliono pagare gli stantiamenti che si fanno in decta casa della Mercatanthia et secondo glor- dine di quella. Et che detti camarlinghi presente et futuri in chi si faranno tali stantiamenti, sieno tenuti et debbino quelli pagare et mettere auscita chomc è decto. Et aepsi camarlinghi sieno acceptatì et messi in conto da qualunche ragionieri , o sindichi deputati, o che si deputassino in qualunche luogo arrivedere , o saldare loro conti , o in qualunche modo, come iustamente et iuridicamente pagati. Ef che tucto sin tenda et observi a sano et puro intel- lecto et buona fede. Et sempre riferendo a ciascune, quello che debitamente et aptamente si confà, richied( et appartiene. Decti danari (paghato prima adectoTomasoquanti monterà la taxa della presente provisione) si paghine aglufficiali del monte: quando chiharàlegittimo manda- to bara facto fine sufficiente in nome didecto Andrea, o di suoi heredi, quando lui non vivessi di tucto quello che per tali opere potessi domandare. Et decti of- ficiali debbino convertire tali danari in doti delle figliuole del decto Thomaso al meno in tre, o con farle in sul monte per lo ordinario, o col compe- rarne crediti de sepie per cento, o dando contanti in quello modo et in quella forma che giudicheranno esser più utile per le decte fanciulle. Procurando anchora che chi per dote ne riceverà alcuna quantità L_ Ti sodi per quella sufficientemente, acciò che venendo caso della restitutione tali fiinciulle non perdine ques- to pocho di subsidio alloro conceduto, et pe sopra - decti effetti le scripture sene aconcino al monte in buona forma secondo la deliberatione deglufficiali del monte, equali per obligo delloro officio procu- rino con diligentia che questa opera pia sortisca con- veniente et buono fine. Qua prò visione etc. 28 Saggio di traduzioni in versi di monsignor Ili 'Ili- Andrea de la Ville. PROEMIO Lettore, U na buona traduzione di Teocrito 1' Italia non l'ha: e quando questo saggio, che io le presento in questo idillio Vili, non le dispiacesse, volentieri io mi porrei alla fatica di darle una intera traduzione di Teocrito; lavoro di lungo tempo e frequente di passi erti ed arti. Teocrito è il più caro poeta pa- storale che ci venga dall'antichità. Meno studiato di Mosco e Dione, rappresenta a meraviglia una inef- fabile e sospirata semplicità primitiva campestre: il suo verso poi è sparso d'un'armonia stupenda. Fu contemporaneo di Mosco, che lo nomina nell'idillio in morte di Dione; fu siracusano di patria, cioè sommo poeta greco italiano, ed è però vergogna che l'Italia non ne abbia una buona traduzione , che si possa 29 leggere con piacere e con lode del traduttore. Dico ciò per muovere alcuno di questi singolari ingegni che pur sono in Italia , affinchè le vogliano acqui'^ stare un tesoro già suo, ma a lei nascosto sotto il velo della parola greca. A questo lavoro difficile molti posero le mani, ma senza frutto; e il solo Lamberti volle tradurre un idillio, nel quale mostrò quanto fosse egregio ellenista, e di quali care note italiane poteva il suo ingegno rivestire la greca armonia di Teocrito: ma non tradusse che un solo e breve idillio. Regolotti, Pagnini ( fra gli arcadi Eretisco Pileneio ) Moro, Rossi, Lanzi, Villa, Torelli, Pompei, Salvini, Gargiulli, Roverella, Venini, Vicini, Cesarotti, tra- dussero chi qualche idillio e chi tutto Teocrito; però tutti ci diedero piombo per oro puro, tei'so, lucidis- simo. Ma Cesarotti, che avea uno stile interamente oppositissimo a quello di Teocrito, con quale animo poteva porre mano a tradurre un autore tutto sem- plicità ed armonia delicatissima ? Risogna dire che fu veramente audace. Se alcuni domandassero quale stile io reputo conveniente a un Teocrito italiano , risponderò franco quello dWnnibal Caro, il quale meno impropriamente di qualunque altro corrisponde alla schiettezza del poeta italogreco. Il metro piiì oppor- tuno mi parrebbe lo sciolto endecasillabo, escludendo qualunque rima, la quale non può non far sospettare di una violenza, quanto si voglia celata, che si porta alla ingenuità del pensiero e della parola che lo rac- chiude; la quale in Teocrito è semplicissima, e basta un alito leggiero ad appannarla. La rima era ignota agli antichi poeti greci e latini, ed era molto meglio; solo talvolta i prosatori l'adoperavano come cosa che 30 aggiungeva non solo una certa magnificenza alla pro- sa, ma vigore al pensiero, ed impeto all'affetto: e di questo che dico potrei recare in mezzo pomposi esempi tolti dalle più eloquenti orazioni d'Isocrate, il Fidia della greca eloquenza, precursore d'Alessan- dro il grande, o per meglio dire quel gran cittadino che preparò e accelerò con la parola la grande spe- dizione greca nell' Asia. Ma tornando al proposito , questo verso sciolto endecasillabo per potere nobil- mente corrispondere al verso del poeta greco sira- cusano, quant'arte, quanto studio, quanta eccellente composizione di parole esigerebbe dal suo autore ! Della mia traduzione non ho che dire : solo mi eredo in dovere di renderti lettore di una parola greca da me interpetrata in modo diverso da tutti gli altri traduttori che mi hanno preceduto, affinchè se io abbia errato ne sia corretto. Il verso 76 dei- idillio da me tradotto finisce con le parole àSù to nvEuixQCy che Errico Stefano tradusse, dulcis spirilus; e Anton Maria Salvini così: Dolce è la voce di vitella, e dolce Il fiato; dolce suona in vitelletto, E dolcemente ancor la vacca suona. Allo stesso modo interpetrò Giuseppe Torelli: Dolce è il suon di giuvenca, e dolce il fiato, Dolce mugghia il torel, dolce la vacca, 31 Lnigi Rossi tradusse così: Voce soave in vero - ha la vitella, Soave è il fiato d'ella, - anco soave Muggito il vitello ave, - e il bove ancora. Giuseppe Moro tradusse allo stesso modo : E' dolce di vitella La voce, e il fiato dolce, e dolce mugghia Il vitellino, e pur dolce la vacca. Pagnini tradusse egualmente così : Dolce è la voce e il fiato di vitella, Dolce mugghia il vitel, dolce la vacca; Dolce è dormir Testate a cielo aperto Presso un ruscello. Vicini non si allontanò dagli altri : Dolce è la voce di vitella, e dolce // fiato, e dolce mugge anco il vitello; Dolce muggendo ancor la vacca molce; Dolce la state a star presso un ruscello. Questi soli traduttori ho potuto avere , e dico candidemente che interpretar nvtj[X(x fiato in questo passo di Teocrito non mi piace proprio niente. E che differenza può correre tra il fiato della vitella e quello d'un somaraccio vecchio fetido , da poter chiamare il primo soave ? Non posso credere che 32 Teocritc abbia voluto intendere una cosa che non sa di sale, e tanto poco conveniente alla sua deli- cata fantasia. Io mi persuado, per varie ragioni, che Teocrito abbia voluto parlare di quel tal senso di muschio ch'esala dai bovi, il quale, idoleggiato dalla sua vaghissima fantasia, chiama grato; odore di cui i civilissimi inglesi vanno quasi sempre profumati : sicché questo secolo tanto odoroso e orgoghoso de sa civilisaliou renouvelée, bisogna pure che dica di buon naso il mio bifolchetto Daflni , per avere di tanti secoli precorso il buon gusto olfattorio angli- cano. Io dunque ho creduto tradurre meno male questo passo di Teocrito, traducendolo cosi : In dolcissimo suon mugge il vitello. In dolcissimo suon mugge la vacca, Ed alito amendue spiran fragrante. Bello d'estate al margine d'un rio Sotto limpido cicl seder su l'erbe. Essendo così breve questo mio proemio , non sarà indiscretezza se mi fo lecito annunziarti, caro lettore, una novità letteraria, che non mi pare in- degna di essere porta ai dotti, e specialmente a quei che si sono consacrati o si consacreranno pei secoli avvenire alle belle lettere. Intendo parlare di un nuo- vo metro. Gl'ingegni italiani nel secolo XV sentivano la ne- cessità che il verso sciolto, per trattare i grandi sog- getti, divenisse di una misura piiì ampia che l'en- decasillabo, e tentarono imitare l'esametro e penta- metro latino: ma la prova non poteva riuscire, per- 33 che il verso italiano non avea un suono suo proprio. L'indole della nostra lingua consente che il verso si possa produrre fino a quindici sillabe , e il verso riesce più svariato che l'endecasillabo medesimo. I greci moderni hanno questo metro che essi chia- mano il decapentasillabo (*). Martelli si provò a pro- lungare il verso italiano sino a quattordici sillabe, ma il suo verso, essendo un composto di due settenarii, riesce monotono. Ma si premetta una considerazione che farà meglio chiaro quello che ho detto. Il verso endecasillabo non è originalmente un verso semplice, ma è un composto di un quinario e di un settena- rio. Tutti i versi di Dante, eccetto pochissimi, con- fermano questa regola ; anzi in questo fatto sta la (*) Ecco quattro versi greci moderni. Rifletta il lettore che que- sti versi, perchè facciano armonia, vanno letti come leggono i gre ci moderni, e non alla maniera di Erasnio. Questi versi sono rimati a due a due, e sono il principio di una favola che ha per titolo V xuvoipiXt't* l'amici za dei cani, il loro autore è il signor Pitzipios, Bey (Principe) dell'impero ottomano, nativo di Chio, ed ornamento raro della moderna Grecia. Au'o xove; ^a.ìrXuiJi.svot '5 ràj a'xTt'yaj tou -^Xiotj , AvEffauoVo ff\i3(7('ov £i'j rriv dvpa.v [/.aystp io!>" Ka/ àvTj vd l/XaXTWfi xaroè twv Stacca ivÓvtuv, AisXsyovTo Tjo-Jp^uf wspt (fdtrsui; tùv ovtwv. Eccone la traduzione: « Due cani sdraiati ai raggi del sole si ri- » posavano innanzi la porta di una cucina , e invece di abbaiare 11 contro i passeggieri, discorrevano quietamente su la natura del- » le cose. « Ma questo pentodccasillabo greco moderno sembra com- posto di due ottonarii,e non ha manco per ombra il suono dell'esa- metro antico, al quale tanto sensibilmente somiglia il pentcdecasil- Jabo italiano. Se non che il verso che si dà per prova vuoisi ave- re come un'occasione , perchè altri ingegni possano mettersi per la medesima via, artln di ritrovare un verso di più lunga misura dell'endecassillabo , secondo il desiderato di parecchi valentissimi cinquecentisti . G.A.T.CXXXVII. 3 M verissima ragione perchè Dante parecchie volte non elide per l'armonia le vocali e non computa per una sillaba i dittonghi raccolti, come : Che la diritta via {settenario) era smarrita [quinario). e nei versi che Dante accentua su la settima fa ve- dere che ha traslocato l'accento al verso settenario, accentuandolo su la terza sillaba, invece di accen- tuarlo su la seconda, come: Perchè ardire (^mwano) e franchezza non hai [settenario). Quando il verso settenario comincia con una paro- la sdrucciola allora è 1' unico caso che invece del quinario si suol congiungere il quaternario al set- tenario, come : Onorate [quaternario) l'altissimo poeta [settenario). Quando poi non accade elisione in mezzo al verso, l'endecasillabo suol'essere composto da un quinario e da un senario, come : Parrebbe fronda [quinario) che tuono scoscende (senano). ovvero d'un settenario e d'un quadrisillabo, come : Qual sapesse [quaternario) qual'era la postura [settenario). Da questa composizione del verso endecasillabo nasce quella dilficoltà, che tutti i maestri dì musica 35 sentono e non sanno definire, per cui il verso della musica non possa abbracciare tutto il verso ende- casillabo; sicché quando accade che devono trovare l'arnìonia per cantare l'endecasillabo sogliono avere una tal misura di note, come se il verso endecasil- labo fosse composto di due settenarii. Ciò posto il verso pentedecasillabo ha un suono tutto suo, ma come neir endecasillabo si ode il quinario e il settenario, così nel pentedecasillabo si ode il quinario il settenario e l'endecasillabo mede- simo; ma non suole cadere nella monotonia come il verso martelliano, anzi la varietà è maggiore che nell'endecasillabo e per la maestà tiene quasi tutto l'andare dell'esametro latino o greco, come: « Di conversar come fra due si suole anime care » e ques'altro, « Guardando i prati ed i contigui colli e il mar da lunge ». Dite ora, « Arma virumque cano Troiae qui primus ab oris » non somiglia assai l'esametro al decapentesillabo ? In questo metro è composto un poemetto veramente caro, intitolato // Hodoaldo, di cui in fine si porge un frammento come saggio di questo nuovo metro. Sappi, caro lettore, che l' invenzione di questo nuovo metro non si deve a me ; e chi ha voluto usarlo come per saggio una volta sola fu mia guida in quegli studii che compongono la meno fugace illusione fra le pocho che alleviano raffannato tedio della vita. 36 Egli avea questo trovato come cosa di nessuna importanza: a me poi, al quale erano notissime le sue produzioni, è parato farne qualche conto , per il fine che ho detto, cioè che un trovato di tal genere può essere agli altri occasione di fare quel trovato che nell'italiana letteratura si desidera tanto. IDILLIO Vili DI TEOCRITO. Dafni y Menalca, Capraio, Mentre Dafni bellissimo pascea Per gli alti monti i bovi, a lui per caso. Come narra la fama, il pastorello Di pecore Menalca incontro venne; Ambedue di capelli erano biondi. Ambo fanciulli d'una stessa etade. Ambo del suon della campagna istrutti. Ambo del canto. A Dafni volto il gnardo. Così primiero favellò Menalca. Menalca. Dafni, guardiano di mugghianti bovi, Vogliam provarci al canto ? Vincitore Dì te sarò quanto vogl'io cantando. E a Menalca così Dafni soggiunse. Dafni. Pastorello di pecore lanose, Alla sampogna sol atto, Menalca, Non vincerai quando anche tu col canto T'uccidessi. m Menalca. Vuoi tu farne la prova ? Vuoi tu mettere un premio per chi vince ? Dafni. Voglio provarmi e voglio porre un premio. Menalca. E che premio porrem che ne convenga ? Dafni. Io bel giuvenco, e tu quanto la madre Un grosso agnello. Menaha. Non porrò giammai L'agnello : che tornando a sera, il mio Padre e la mamma noverando vanno Tutte le pecorelle della greggia. Dafni. E qual cosa porrai ? che avrà chi vince ? Menalca. Una bella sampogna da me fatta, Di nove suoni, dentro e fuori adorna Di bianchissima cera : Questo premio Io pongo, che del mio padre giammai Non toccherò la greggia o cosa al cuna . Dafni. Ed io puranco una sampogna tengo Di nove suoni, dentro e fuori adorna Di bianca cera : dianzi la composi; Ancor men duole il dito, in cui s'infissC m Una scheggia dì canna ; Ma di noi Chi giudice sarà nella contesa ? Chi fia che n'oda ? Menalca. Forse quel capraio A cui laggiù presso i capretti abbaia Quel cane bianco ... Lo chiamaro e tosto Venne presso i fanciulli il buon capraio.... Primo Menalca la canora voce Mosse a cantare, perchè d'esser primo In sorte a lui toccò, Dafni secondo. Menalca. Valli e fiumi, stupende opre divine, Se mai col suon della sampogna accorda Una canzone amabile Menalca, In voi fresca pastura in voi riposo Trovi il suo gregge ; e se tra voi per caso Cuida errando pur Dafni i suoi vitelli, A lui date pastura e ugual riposo. Dafni. Liquide fonti ed erb«, ìmmortal prole D'inarate vallee, se pari a quella Che modula nei boschi l'usignuolo, Una grata armonia Dafni pur desta; Fate lucidi e pingui i suoi vitelli; E qual che armento condurrà Menalca Avidamente e lieto in voi si pasca. Menalca. Primavera odorata intorno spira, Rinverde il prato, alle materne poppe 39 Il latte abbonda, crescono gli agneUi, Quando viene la mia bella fanciulla; E quando parte, oliimè ! langue il pastore E languiscono l'erbe e i fior dei campi. Dafni. Ivi le pecorelle, ivi le capre Danno gemini parti, e l'api industri L'alveare ricolmono di mele, Ivi la quercia grandeggiar si vede, Ove il bello Milon calcò coi piedi; E donde li ritraggo altrove, ivi alto Gemono i bovi, e il lor bifolco è mesto. Menalca. 0 becco, o delle capre atto marito, Dalle profonde selve, voi capretti Qui venitene all'onde, e tu di coma Scemo, vanne a Milone, e a lui ridici. Che Proteo, benché fosse un nume, ai paschi Pur cooduceva le marine foche. Dafni. Non il regger dei Pelopi la terra. Non avaro desio d'aurei talenti, A cor mi sta, non desiderio alcuno Di superar nel corso i venti. Bramo Sol di sedere all'ombra d'està rupe Armonizzando un cantico silvestre, Ora mirando pascolar le agnello, E or sul siculo mar stendendo il guardo. Menalca. Fier nemico degli alberi è l'inverno, m Dell'acque la seccura, degli ucoelli L'apparecchiato laccio, e delle agresti Fiere la ben tessuta rete. È bianco Dei campi il giglio, è candida la neve; Pur tristamente l'un muore corrotto. Quando infranto lo stel, cade sul suolo; L'altra tosto dileguasi dai monti. I capretti, le pecore feconde Risparmia, o lupo, né perchè io fanciullo A pascere moltissime ne guido, M'offenderai. Su, Làmpure, (*) ti sveglia, Che sonno profondissimo tu dormi ! Tu insiem con un fanciullo pascolando Le pecore, non dei dormir cotanto. Delle tenere erbette, o greggia mia. Avidissimamente ti satolla. Che a faticar non hai quando pei campi Nuovamente rinascere dovi anno : Su pasci pasci, gonfiati le poppo Di latte, e parte agli agnellini danno. Che l'altro il riporrò nelle mie socchio. Dafni. Dalla bocca d' un antro una fanciulla Di sottil sopracciglia e neri lumi Ieri fisa mirommi allor che i bovi Menavo al pasco, ed esultando, bello Bello mi disse : a lei rozze parole Già non risposi ; il mio cammin seguii , Né per vederla rivoltaimi indietro. In dolcissimo suon mugge il vitello, ( *) Nome del cane del le pecore di Menalca. In dolcissimo suon mugge la vacca, E l'alito amendue spiran fragrante. Bello d'estate al margine d'un rio Sotto limpido ciel seder su l'erba. Delle guercie ornamento son le ghiande. Dei meli i bianchi e rubicondi pomi, Il giuvenco dei bovi; e del bifolco Spettacolo e decoro i bovi stessi. Capraio. È dolce il labbro tuo, dolce la voce, Che da te modulata, o amabil Dafni, Più soave del mei scende nell'alma. Le sampogne son tue; la prova hai vinta. Che se del metro pastoral mostrarmi L'arte vuoi tu, pascendo insiem gli armenti, Ti darò quella capra senza corna. Che di latte la secchia mi ricolma Sino all'estremo labbro ogni mattina. 11 fanciul s'allegrò, saltò, fe'plauso Del vinto premio, come suol saltare Il puledrello alla sua madre intorno; L'altro mesto restò, tal quale resta La vergine poiché sposa divenne. PARAFRASI DI UIN EPIGRAMMA GRECO D' AUTORE INCERTO: '"''' ^ , I ; ■) il> i;\ri*)ltaoil Ecco là primavera, Al cui leggiadro aspetto . Il suol rinverde, e chiaro nella valle Appare il ruscelletto. 42 0 per ameni boschi, o sotto il raggio Della bianca Diana, o presso i fonti Arcane danze intrecciano Le Grazie ignude. Amore Ripiglia l'arco, la faretra e i dardi. Stagion soave ! oh quanto a te somiglia La nostra prima età ! nasciamo, e dolce Scorre la vita finché giunge il vero : Allor di negre cure, allor di morbi Volgo diverso e fiero Noi miseri mortali agita e preme; Alle nere ombre allora Della plutonia sede Misero ! chi per ferro Se non tragge d'affanno e stende il piede (*). TRADUZIONE DELL'ODE IV DEL 1 LIBRO D' ORAZIO (**). Si scioglie il crudo verno al desiato Tornar di primavera. L'aride navi spinte Risolcano l'oceano, E fuor del chiuso ovile il gregge esulta : (*) 11 traduttore non approva il sentimento pagano col quale fi- nisce quest'epigramma. Adesso, nel Cristianesimo, chi si uccide, è creduto folle. (**) Orazio compose quest'ode in occasione della ricorrenza di una festa religiosa che si facea pei morti. Da ciò si può compren- dere l'unità di quest'ode, perchè il poeta segna il tempo di prima- mavera, quando si celebrava quella solennità, e i sacrifizii che so- levano farsi, e infine conchiude con un pensiero che riguarda la morte. 43 Lasciano il focolai* gli agricoltori, Né la candida neve i prati imbianca. Venere allo splendor d'integra luna Move danzando, e con alterni cori Alle ninfe le care Grazie avvinte Scuotono i campi, mentre nella bruna Officina, gravissima Ai suoi ciclopi, manda L'indefesso Vulcano il tutto a foco. Ora convien di fiori, Che la tepita zolla all'aura gitta, 0 di mirto recingere le tempia: Ora convien che appiè di Fauno cada, In fondo al suo boschetto, Qual vittima più aggrada , D'agnello o di capretto. Che la pallida morte, 0 allegrissimo Sesto, Con ugual pie delle capanne calca L'umile soglia, e delle regie porte. La nostra coita vita Ne interdice crear lunghe speranze: Né te l'ultima notte. L'ombra dei mani, e la plutonia sede Da lungi incalza e preme; Né disceso laggiù sortir coi dati 11 vin ti si concede, 0 su le guance roride Di Licida gentil, di cui già ferve La gioventù, né tardi S'accenderan le vergini, Posar teneri sguardi. 44 Frammento Di un poemetto inedito intitolalo IL EOÙOALDO. Racconterò quanto mi avvenne udire e quanto io vidi Intorno a un uom la cui bontà, celata agli altrui sguardi Ed a lui stesso , ad ischivar non volse invidi colpi. Quest'uom, chiamato Rodoaldo, avea sopra di un poggio La sua dimora in umil casa. Un tempio era vicino: Qui nella prima ora dell' alba, e dopo il sol caduto, E nel mereggio in ciascun dì soleva alla preghiera Accoglier l'alma. Il quarantesim' anno avea varcato. Io passeggiando per quei luoghi un giorno entrai nel tempio : Egli pregava ancora , ed in cotale atto pietoso, Che amor mi spinse ad appressarmi a lui, solo dicendo, Prega per me. Di poi fuori all'aperto io me ne givo Guardando i prati ed i contigui colli e il mar da lunge. Ei mi raggiunse e salutò col dir : grazie al Signore. Grazie al Signor, anch'io risposi, e al suo sinistro fianco N'andai con lui. Da tal principio venne il bel costume Di conversar come fra due si suole anime care, Temprate a pari affetti ; e durò poi quanto la vita. E un giorno ch'io richiesi a lui quai fosser suoi parenti, Quale il paese dove nacque ; io m'ebbi, egli rispose, A padre un tal che si appellava Algiso, e tale a madre A cui dier nome Eleucotèra; altro non cai che sappi. E se mia lingua, e se mio volto al suono o alle fattezze Non palesasser dove noto io fossi, io celerei Non pur la cerchia delle mura, dove il sacerdote Mi battezzò, ma celerei qunl fu parte di terra 45 Che circoscrisse il mio natal; vorrei celare ancora Ch'italo io sono. A tal parlar s'accese in me desio Di udir perchè foss'ei ritroso a far palese agli altri I suoi parenti e il natal suolo e quanto parche accresca Pregio ed onore ai proprii merti. Ei sospirò, poi disse; Cagion primiera d'ogni mal che soffra uomo nel mondo E perchè l'uomo è sottomesso al falso ed al crudele Discernimento dell'orgoglio. Questi usa dar pregio A doni esterni e dei maggior non cura impressi dentro Al nostro spirto; e sì gl'interni doni e sì gli esterni Non tien da Dio. Cristo nel nascer suo si scelse a culla Picciolo borgo, e servi suoi si dissero gli eletti Da lui mandati a predicar la sua diva parola. Ma fra i seguaci di Gesù prevalse anche nel core II gentilesco superbir pei suoi, non che pel suolo Dove si è nato. Al parzial concetto altro si aggiunse; Si tenne in core esser da più del povero l'uom ricco; E più del rozzo il dotto, e del deforme il bel formato Nella esterna sembianza. Ecco oscurarsi il gran concetto Che Cristo a noi chiarì dicendo: È l'uom figlio di Dio. Lagrime alla tomba del Card. Angelo Mai. IL MARCHESE GIROLAMO D'ANDREA AL CARDINALE GIROLAMO SUO FRATELLO Salute Angelo Mai è gloria somma delle lettere europee; e, dirò assai meglio, di tutto il mondo letterario : ma , ottimo ed onorevolissimo fratello , possiamo anche noi dirlo, almeno in un certo senso, nostra gloria domestica. In vero , compreso da intima e profonda devozione a nostro padre, di fausta ricor- danza, egli pose a voi un'affezione sincera , e voi ne lo ricompensaste con assidua riconoscenza ; la qual cosa torna in lode sua, in vostro onore. In lode sua, essendo egli di animo dispostissimo a favoreggiare la gioventù: in vostro onore , avendo egli ingegno perspicacissimo a non profondere sollecitudini se non in menti valevoli ad appagare belle speranze (1). Queste sono le ragioni , per le quali , or che morte acerbissima lo ci ha rapito ( Mihi autem, è Plinio il giovine , videlur acerba et immatura mors eorum, qui immortale aliquid parant ): voi, persuaso (1) Girolamo d'Andrea tenne l'uffizio di segretario nella congre- gazione del concilio, essendone prefetto il Mai; e, l'atto il Mai biblio- tecario della chiesa, gli succedette, tuttoché non guari ornato della porpora, nella prefettura della congregazione dell'indice. 47 che le amicizie nate nella virtù, ed alimentate dalla virtù, non cadono nella tomba con le spoglie umane, spendeste tutto voi stesso in lodarlo, ed in farlo lo- dare, quegli uffizi rendendo all'inclita memoria di lui, che al suo amatissimo padre un figliuolo deso- lato; e queste ragioni spingono me a partecipare ad un merito vostro, ossia ad imitare un esempio, che voi offeriste di eccellenza senza dubbio sovrana, e spezialmente in un secolo insigne per obblivioni in- giuriose alle più dolci, alle più giuste, alle più sante reminisceaze, facendovi il primo a piagnere la gran perdita , ed a celebrare il primo la gran virtù, la gran sapienza d' un personaggio, il qual vittorioso di baldanze, di calunnie e d'invidie, meritossi il titolo di principe degli eruditi dell'età sua, e forse di prin- cipe altresì degli eruditissimi porporati della beata sua compagnia gesuitica. Ma come senza esserne rimprocciato avrò io te- merità a propormi, e, senza rimanerne ingannato , lusinga a conseguire quell' arduo scopo ? Uditemi: manifesterò due voti ; e sono questi. Immaginando ch'egli non siasi ancora allontanato da noi, esprimerò il voto, quasi che venga avvicinandosi un giorno an- niversario di suo nascimento, che lunga vita e lunga egli godasi, e che non lasci di essere presente della persona agli ammiratori suoi se non nella estrema delle umane decrepitezze. E, ricordando che già non possediamo più margarita rarissima , d'inestinabile valore, unica in suo genere, m'inchinerò al sepolcro di lui; e non oppresso dagli splendori, che tramanda, vi scolpirò con mano modestissima un elogio , non 48 perchè il nudo nome di lui non contenga in se tutti gii elogi più alti, che nelle più dotte stagioni tutte, se le avrà la posterità nostra, gli si faranno; ma , perchè sappiasi da'presenti, e sappiasi da'posteri, che il maggiore de'figliuoli del marchese Giovanni d'An- drea volle pubblicare negli ultimi confini del globo la gratitudine sua, e de'suoi, ad un uomo di reli- gione, il quale, splendendo in grado altissimo per la dottrina, si pregiò di amicizia e di venerazione per un uomo di dottrina , il quale splendette in altissimo grado per la religione (1): né queste ultime parole, di poi che il tempo, potente a distruggere le grandezze materiali, ma potente vie meglio a con- servare le morali, a nutrirle, a crescerle, ad illus- trarle ( le piramidi di Egitto perirono, non le opere di Omero) ha fatta giustizia alla verità, m'ingene- rano il sospetto di arroganza e di millanteria. E qui, se altri m'interroghi, e non dubito che non saranno pochi ad interrogarmene : Ma chi era Angelo Mai ? Ei lo conosca in gran parte nelle meraviglie, che intorno alle fatiche da lui costante- mente durate, e intorno alle opere felicemente sco- perte da lui, ne viene rapidamente narrando il di- ario romano; e ne veranno diffusamente celebrando le penne migliori d'ogni popolo, che non voglia di stolida freddezza ai progressi scientifici, e forse di volontaria opposizione, essere con grande ignominia e duratura incolpato: imperciocché , conoscerlo in (1) Della vitadel marchese Giovanni d'Andrea memorie di Paolo Spada. Napoli 1842. 49 sua interrezza , è di quei pochi , ai quali il cielo impartisce un intelletto lontano non gran fatto dal- l'intelletto di lui (1). Adunque ecco sei mie composizieni, in due del- le quali ho adoperata la lingua d'un Mai, che trasse fuori delle tenebre sepolcrali un Tullio; e nelle altre la lingua d'un Tullio, che deve riconoscersi debito- re ad un Mai d'immensa gloria racquistata. (I) Pietro Giordani scriveva così d'un Mai giovine: » Oh fate che si possa da tulli vedere quel volto ^ pieno di ardore e di pazienza , necessari e rarissimi stfumenti a tutte le grandi imprese: e fate che ai nostri e agli stranieri si accresca la meraviglia , considerando ch'egli tanto abbia sapulo fare si gio- vine! » E si vide il volto d'un Mai, vecchio per sapienza e per cele- brità: e si vide per merito, che doveva coglierne di amicìzia can- didissima un Girolamo d'Andrea; e ne cinsero la gloiia questi aurei versi di Angelo Ciampi: Si debent libi lUlerac, quod ante Quovis indice debuere nulli, Nam res publtca iamdiu sepulta Per te deniijue Tullii resurgit: Est tUum gcnus omne litlcrartim. Aurei, perchè vincono in vcrit.'i ed in bellezza le stesse veris- sime e bellissime parole, con le quali Giacomo Leopardi chiamava il Mai un miracolo di mille cose, d'ingegno, di gusto, di dottrina, di diligenza, di studio infaticabile, di fortuna tutta nuova ed unica; e la tnlta nuova ed unica fortuna era la scoperta classica, cui egli solo il Mai aveva fatta» d'un tesoro di letteratura; e fatta solo in tanta luce di erudizione e di critica, ed in tanta opportunità di investigazioni e di esami sopra codici giacenti da secoli in librerie aperte a dotti d'ogni indole e d'ogni nazione; e fatta in unione di moltissime opere di utilità non minore, perchè stette egli fedelis- simo al consiglio di Seneca: Nusquam enim invenietur, si conlenti fuerimus inventis: propterea qui alium sequilur, nihil inventi, immo nec quaerit. G.A.T.CXXXVll. 4 50 A chi poi si facesse a chiedermi: Perchè sei , e non due ? Risponderei, perchè ho voluto farne tre più lunghe, tre più brevi: quelle in ossequiosa tes- timonianza ad un merito di sapere fra gli straor- dinari straordinario; queste in osservanza religiosa ad uno stile di scrivere, che nello epitaffio, elogium tumulo inscriptum , vuole compendiato il molto in poco: Studet enim ut paucissimis verbis plurimas res comprehendat : giusta le leggi che di questo stile furono date con senno immenso , e praticate con arte immensa, dall'inclito scopritore dell'Affrica cris- tiana, Stefano Antonio Morcelli, decoro della famiglia d'Ignazio Loyola. Angelo Mai , e conchiudo , ci ricorda che un Guglielmo Sirlelo da Stilo , un Cesare Baronio da Sora, un Lorenzo Brancati da Lauria, un Girolamo Casanate da Napoli , uomini dottissimi , non pure la romana porpora, vestendola, ma la prefettura ezian- dio della vaticana biblioteca, amministrandola, illus- trarono. E ci ricorda ancora che Carlo Maiello da Napoli tanto nome si acquistò nella stessa prefet- tura, quanto con la modestia ad allontanare da se e l'onoranza dell'ostro, che gli si avvicinava , e la gloria della dottrina, che l'ornava: Et sancte vixil sophus hic, et vixit in aula: Non modo sprevit opes, sprevit et ingenium. È il panegirico scritto in lode di Carlo Maiello da Nicolò Capasso. Vi bacio le mani. Di Napoli, ai ÌO di ottobre deWanno 1854. 51 Sorge l'alba ,; E ne ricorda il natale Di Angelo Mai ^i) il quale Le tenebre dell'antichità dotta Scoprendo con la luce delle scienze E diradando con la forza delle lelteie: Tesoro inesausto Di peregrine meraviglie di arcane utilità Generoso diffuse. ,,;} In seno alla società umana Dunque mandate voi Inni mandate al cielo 0 cultori di sue dottrine Che lampana chiarissima Di erudizione saluberrima Più risplenda e più E non si spenga se non tardissima E non si spenga se non trasmessa Allo intelletto de'superstiti • ;i Una favilla di luce sua Angelo Maio o-i'I Cuius doctrinarum luce Omuia doctorum lumina Aetatis nostrae Obscurari et offundi visa sunt Omnia eruditorum conlegia Lacrimas ob interitum eius Laboriosa in senectute immaturum Elogia ob sapientiam omnigenam 52 Ab eo animo semper vegeto amplexam Saepiusque e tenebris crassìoribus erutam Patrono et vindici eruditionis universae Consecrant dedicantque Romanae etiam purpurae eximiae dignitatis Restitutori amplificatori Soeietatis egnatianae utilitatis perpetuae Testi et in praesens et in posterum vivo Operibus editis Notissimo in toto orbe terrarum Immortali et virtutibus Ortu suo Gloriosos reddidit bergomates AN. M. DCC. LXXXI. Morte sua Romanos reliquit moestissimos AN. M. DCCC. LIV. Ad Angelo Mai Trecento elogi non daranno quell'onore Che in tre secoli Gli darà un uomo Prossimo alla erudizione di lui Angelo Maio Sapientissimo mortalium temporis sui Cultores sapientiae posuerunt Vt quum aequalibus Humanam sapientiam ministraverit universam Nepotibus ministret etiam angelicam 53 Qual fra i dotti morì più vecchio Di Angelo Mai Se tante opere e tante Scoperse ed illustrò Quante non poterono vecchi Molti dotti e molti? Angelo Maio Miraculo eruditionis singulari Aevi sui Coetus sophus omnes Splendido sideri Ut nunquam aberrent ut semper eniteant 54 Cure , Operazioni e riflessioni chii^urgiche fatte dal dottor Lorenzo Bartoli chirurgo primario della città di Tivoli. OFTALMIE SCROFOLOSE. Medicus si sufficerit ad conoscendum, sufficet et ad curandum, prima nam- que remediorutn inventio est cogni- tio morbi. innrjj!! «alencs I mmessomi appena all'esercizio di chirurgo prima- rio nel giugno del decorso 1853 in questa città di Tivoli » i primi malati che facevano a me ricorso di qualche considerazione erano vari individui af- flitti di antiche oftalmìe scrofolose che tutte con- tavano l'epoca da sei a dieci mesi, già medicate e reputate incurabili. Frattanto gli acuti continui do- lori, la rilevante enfiagione, la fotofobìa invincibile, l'incomoda lagrimazione, in modo più o meno in- tenso associati, martoriavano i miseri di guisa che vedeva la madre per la famiglia inetta, dei giovanetti dell'uno e l'altro sesso giacenti in qualche oscura cameretta ed abborrenti la luce , i genitori tapini all'inapprezzabil disgrazia. In onta all' opinione erronea e pur troppo co- mune nella cura di queste malattìe , incominciai a combatterle con proporzionati antiflogistici , fa- cendo applicar sanguisughe nelle adiacenze oculari. 55 usando ogni due giorni purgantini di solfato di ma- gnesia, e lavande emollienti nell'affetta località. Dopo un mezzo mese alquanto ammansita la locale ed universale irritazione, procedetti ai vesci- cantini nelle tempie, da cui decorsa una settimana ebbi quell'effetto che io desiderava. Allora quando la luce potea non con tanta pena sostenersi , mi rivolsi alla specificità della malattìa, o a dir meglio alla diatesi scrofobsa, che non può a mio avviso non ammettersi: da che i malati in discorso, oltre all'averne nel costituto i caratteri, avevano in pari tempo strumosi ingorghi in amendue i lati del collo, senza che qui rammenti tant' altri casi consimili con caratteri del tutto specìfici , ben diverse dalle genuine oftalmìe idiopatiche. Per lo che opportunamente mi valsi del roob di bacche di ginepro all'interno, e dell'olio di questo legno per esterna frizione nella regione orbitaria. Tale medicatura e lunghissima soluzione di nitrato d'ar- gento fuso a grani aumentata ed istillata per entro gli occhi, protratta giorni trenta , producevami la guarigione perfetta. L' olio di legno di ginepro fu già da Alibert commendato qual'antiscrofoloso internamente ado- perato: ma prima anche di lui comune erane l'uso in Francia e in Alemagna per esterno uso nella rammentata specie d'oftalmie. Qualche anno indietro faceane esperimento il professor Alessi chirurgo oculista in Roma; però, che io mi sappia, non se ne è fra noi estesa l'applicazione, sebbene quegli ne ottenesse felicissime guarigioni. 56 La mia pratica poneini in grado di poter affermare, che usato nei debiti modi , purché 1' oftahìiia sia aHmentata dalla condizione strumosa, l'olio di legno di ginepro non può mancare d'effetto: il perchè ai miei colleghi il consiglio, onde viemmeglio consta- tare l'utilità d'un tal farmaco. Il disgustoso malore verificasi spesso nella parte bassa della città tendente verso l'Aniene: mantenuto poi ed aumentalo nella classe inferiore dalla poca 0 ninna nettezza delle abitazioni, e dall'esser queste situate in strade anguste, umide ordinariamente, e fangose. FRATTURA COMPLICATA DELL'ESTREMITÀ' INFERIORE DEL FEMORE DESTRO Quaiiiliu anima in corpore remanct, sem- j>er aliquiJ ex ailiniraliili arie nostra sperandum. BAGLIVHJS Trovavami intento nelle importanti e delicate cure testé enunciate e quando il di 26 luglio veniva pre- murosamente ricercato nella casa del muratore Lu- ciani. Accedutovi, l'infelice Lodovico di anni 19, di tem- peramento sanguigno, giaceva nel letto per la piiì lagrimevole sventura. Precipitato da alta fabbrica su d'una macerie di sassi, pesantissima trave venendole appresso , per- pendicolarmente il colpiva nella destra coscia. Aveane la parte inferiore sovra il ginocchio pesta e schiacciata con ferita lacero-contusa irregolare , 57 un pollice estesa airinterno del tendine del muscolo bicipite della gamba, per ove piotrudevan le ossa> ed emette vasi imponente quantità di sangue; non che contusioni escoriate di varia intensità ed estensione nella circonferenza dell'arto stesso e del corpo. L'esplorazione fatta per l'esterna ferita attraverso le masse moscolari, irregolarmente troncate, rendea sensibilissima la frattura comminuta del femore fra molto sangue coagulato ed ancor fluido che incessantcf dava la vena crurale lacerata. L'infelice muratore dagli acuti dolori e perdita sanguigna sopraffatto , vivea nella mia assistenza speranzoso e fidente. In caso deplorabil cotanto a qual partito appi- gliarsi ? forse al piii spedito e sicuro , 1' ampu- tazione? Non avrei tardato ad eseguirla, quando meno fi- dato avessi nella forza mediatrice della natura in giovin soggetto, e non tanto apprezzato i mezzi di soccorso in mio potere. Fui adunque da vedute op« poste guidato. Il sintonia che non ammetteva dilazione era la emorragia, ed a questo fu prima diretto il mìo stu- dio. Menomai quindi la massa sanguigna con pro- fuso salasso, ne diminuii l'impulso circolatorio nel- l'arto con fasciatura espulsiva dal piede fino al ginoc- chio; otturava la lacerazione venosa riempieudo la ferita, dai grumi votata, con sfila; adagiai per ultimo il membro, cosperso continuamente da freddo aceto, su di lungo cuscino che formava dal calcagno allo ischio un piano assai declive, ove immobile il man- tenevano due stecche laterali, ed opportune legature. 58 Ripetevasi il salasso di 12 in 12 oio lino al quinto giorno; limonea minerale, solo brodo di manzo ingeriva in questo tempo. Dopo 48 ore , 1' emorragia arrestata , viene in campo la febbre che assume il carattere di suppu- rativa. Al termine di fatti suespresso del giorno quinto ebbi copiose marce dalla ferita, che d'allora dovette due volte al di medicarsi con iniezioni astersive : medicatura a dir vero incomoda, e che riesci r po- teva anche funesta, dovendosi nell'eseguirla impri- mere continui moti alla coscia, per la situazion sua nella region poplitea. Così regolarmente si andava fino al decimo, e la febbre presso che nulla , la calma più lusinghiera che lo infermo godeva, ponevami nella fondata spe- ranza di salvarlo; se non che l'undecimo, le contu- sioni della coscia nell'esterno, interno lato, e faccia posteriore, apparivano bluastre dolenti L' infermo inquieto con polso febbrile , lingua sordida-asciutta, sempre avuto avea regolari le fun- zioni ventrali, ne mai fatto erasi ricorso ai purga- tivi ; uno amministrossene d' olio di ricini, da cui avevansi alcune scarse evacuazioni biliose. Sospesa la limonea minerale per la vegetale, feci sostituire ì bagnuoli risolutivi acidi da quelli di de- cozione di radice d' arnica in tutta la gamba, che denudata dalle fasce tosto faceasi edematosa in onta alla posizione elevata. Fu in questo momento anche che iocominciai a propinare l'infuso dei fiori di quella pianta che trascurato avea, dacché i copiosi salassi pel caso particolare risparmiar non potevansì, né la suppurazione evitare. 59 Dico tutto ciò, onde non sennbi'i così di leggieri aver abbandonato 1' uso d' una pianta , di cui ero un de' primi fautori, come dal mio opuscolo di cure ed operazioni chirurgiche. Ferentino 1851 e Race, med. chic, di Fano n. 2, 31 luglio 1851. La ferita ognor suppurante con buone e bene elaborate marce rassicuravami il 12, in cui crebbe intensa la febbre con sete ardente, lingua netta e sec- ca, e le macchie della coscia piìi oscure marcate da linea rossastra nel margine, singolarmente nelle due molto ampie ai lati del ginocchio. Alla limonea vegetale, buon brodo, infuso di fiori d'arnica per bocca, e decotto della radice nella lo- calità; aggiunsi una medicatura refrigerante consi- stente nell'involgere l'intera coscia di fresche foglie di lattuga sativa di sei in sei ore. Simil medela, mentre per un lato producevami incontrovertibile vantaggio, obbligavami dall' altro a moti d'elevazione e d'abbassamento che frastorna- vano la riunion della frattura; ma poiché necessari, faceva mestieri una posizione che resi li avesse più limitati. A tanto scopo feci costruire un cassettone di legno, lungo e largo quanto la gamba dal polplite al calcagno, ove rimaner dovea in un piano orizzon- tale imbottito, ed elevato oltre un palmo da quello del letto. Un altro pur di legno dell'estension della coscia, avente appena i lati un poco salienti, che con una estremità appoggiato sul piano elevato del primo nel punto corrispondente alla ragion poplitea ; con l'altra riposava nel letto fin sotto la tuberosità ischia- 60 tica: cosicché per poco che fessesi l'affetta coscia sorretta, poteva ad ogni istante togliersi per la rin- novazione della medicatura con limitatissimi movi- menti: formando infine questo superficiale ed ampio canale, ove riposava la coscia, un piano inclinato verso l'ischio, connesso all'orizzontale nella piegatura del ginocchio. Tal semplice mezzo fu più che mai necessario quando nel 14° dopo che i descritti sintomi in parte svanivano, ammansivano altri ; l'accennate macchie apparivano mortificate, astringendomi a sorvegliare il male sovente. Il 20° incominciava la separazione , riscontran- dole profonde fino ai tessuti sotto-cutanei; la ferita cicatrizzata. Il 30° non rimaser vestigie di cangrena, ma pia- ghe suppuranti benissimo deterse. In altri dieci giorni e gli ordinari aiuti in tali casi, condussersi a cicatrice perfetta, e la frattura pur essa era già tanto solida, quanto il sarebbe stato in quella affatto scevra da complicazione ed immo- bile sempre restata. Ritornato l'infermo a salute, rimase nell' appa- recchio fino al 60°, in cui lo abbandonava, potendo discretamente articolare la gamba e coscia, cui forza ed agilità ridonava un breve esercizio. Noi vedeste voi difatli riassumere il proprio me- stiere contro ogni vostra aspettazione? La malattia per se stessa e per la cura che la riguarda offre alcune osservazioni pratiche , delle, quali piacemi tenere breve proposito. 61 1" Se istituita si fosse rtiiDputazione,che a priori esser potea ammissibile, ora il paziente rimasto sa- rebbe mutilato , unicamente per non aver saputo temporeggiare , e prendere a maturo esame e cal- colare l'età, il temperamento, le forze, i nostri soc- corsi in relazione col male. 2° Il modo di cura da me adoperato convenire nella maggior parte delle fratture complicate dalle estremità inferiori, tutte le volte almeno che acca- dono in persone ragionevoli : tanto per l'incalcola- bile utilità della semi-flessione, tanto per la facilità delle medicature, come altresì per l'estension per- manente che operasi in forza solo della situazione; ed in questo lato inclino a reputare il metodo in- dispensabile, con l'aggiunta di qualche legatura nelle fratture oblique del femore, semplici o complicate, nelle quali la più. lieve causa fa scomporre e so- vrapporsi l'estremità fratturate. E che sia così a prima vista si scorge sol che riflettasi per un momento, che la gamba fissata nel piano orizzontale un palmo dal letto elevato rap- presenta l'estension permanente; mentre il corpo, e più particolarmente le natiche, la contro-estensione continua pel proprio peso unito a quel della coscia malata posta nel piano declive. 3" Nelle fratture complicate della gamba essere il medesimo apparecchio vantaggiosissimo appena con qualche modificazione: l'aggiunta, cioè a dire, di semplice scarpa con dei lacci laterali per fissare il piede: e ne olire luminoso esenqoio il caso che son per rifciire. \ 62 FRATTURA COMPLICATA DELLA GAMBA DESTRA A voi tutti è ben noto il misero lavoratore di strade D'Ottavi Ascenzo del regno di Napoli, cui il 23 ottobre 1853 la ruota di pesantissimo carro pas- sandogli sovra la destra gamba, rendevagliela strito- lata ed infranta. Il visitai nel vostro spedale, ove fu semivivo condotto. La tibia e fìbula, minutamente spezzate nel loro terzo inferiore, escivano in vari sensi da ampia ed irregolare ferita della parte anteriore e posteriore della gamba, del pari che lacere fibre muscolari e tendinose. Producevano imponente emorragia le ar- terie tibiali troncate. Chi non avrebbe al misero la mutilazione pre- detta? Eppure, sebben d'anni 63, affidato alla di lui bonissima costituzione e temperamento nervoso- sanguigno imprendeva a curarlo. Legate le arterie, e arrestata l'emorragia veno- sa, lavate e ben deterse le vaste lesioni d'ogni im- mondizia con posca ; rimosse alcune porzioni di ossa, facevasene con facilità la coatta zione situando l'intera gamba nel testé riferito apparecchio , e si ritenne bene in assetto, involvendola di soffici sfila mantenute da lunghette ; il tutto poi da cuscinetti più o men serrati posteriormente ed in ambo i lati: adatta scarpa riteneva il piede nella naturai dire- zione. Grave essendo stata la perdita sanguigna, credei non doversi trarne nel momento: avvalorare sibbene 63 le ti'oppo depresse foi'ze con ristorativo cordiale. Il facea però fare dopo dieci ore , poiché suscitavasi la febbre, che persistendo in aumento, altro salasso di mezza libbra ripetevasi nel dì seguente: intanto prescrissi l'arnica topicamente e all'interno. L' in- fermo sostenevasi con solo brodo. 11 5° giorno stabilita conveniente suppurazione, sicuro dall' emorragia, incominciai la mia consueta medicatura refrigerante di lattuga sativa, che por faceva in abbondanza nella gamba intera, e spesso rinnovare. Passati cinquanta giorni procedevano le ferite a stabile cicatrice, e le ossa esfoliate in alcun punto sanavano solidificandosi. La gamba a perfezione guarita, lieto l'Ottaviani faceavi qualche passo, dopo due mesi e mezzo par- tendo per la patria sanato. Non avrà egli, o signori, il motivo di frequen- mente ricordar la città vostra per due troppo op- posti sentimenti, di dolore e di riconoscenza? FRATTURA DEL FEMORE SINISTRO A comprovare viemeglio la felicità de' risultati in breve tempo ottenuti nelle fratture con il mio modo di cura, potentemente ne soccorre il caso non men funesto del carrettiere Rinaldi avvenuto la notte del 13 agosto 1853. Anche a quello la ruota d'un carro frantumava la coscia sinistra fra i condili e terzo inferiore, non mancando comminuzione di ossa, enorme gonfiezza, vasta contusione, lacerazione di masse muscolari; ma pure con gli stessi mezzi curato, appena in qual- 64 che parte modificati; giacché variazione esser soiii- pre vi dee, non dandosi casi assolutamente simili. Due mesi di letto furon bastanti perchè incomin- ciasse il Rinaldi a servirsi della propria gamba; che se per del tempo claudicante il vedeste, funne uni- camente cagione ostinatissima rigidità dì tutte le membra, che mal prestandosi ai liberi e facili moti, l'obbligaron più mesi all'uso delle grucce e basto- ne. È lunga pezza però da che è egli allo esercizio di suo mestiere senza traccia della sofferta malattia. FRATTURA DEL TERZO SUPERIORE DEL FEMORE Non fu la cura dissimile in Antonia Giocondi, fanciulla di anni 4 , che il 14 aprile 1854 frattu- ravasi il femore sinistro nel terzo superiore, in cui deve rimarcarsi la facilità di riunione scevra affatto d'inconvenienti, essendosene la piccola malata potuta rimaner tranquilla nell' agiata posizione che le feci abbandonare in men di quaranta giorni, quando la solidità e la regolar direzione il permise. E questa frattura lascerebbe ancor essa un vasto campo a riflettere in ordine maisempre al metodo curativo, avvegnaché semplicissimo. 65 FRATTURA DEL COLLO DEL FEMORE , SINISTRO Eorum aliquid quae nondum inventa sunt invenire , imperfecta ad fìnem deducere, id mihi videtur illius esse munus qui iiitelligens existimari ex- petit. HIPPOCRATES. La posizione semiflessa ed i relativi apparecchi nelle fratture, altra fiata il diceva, non è ella ritro- vato moderno ; il celebre Pott l'applicava ai suoi tempi, meno nelle fratture del collo del femore. Ai nostri unicamente il prof. Dupuytren la ri- poneva in vigore, promulgandone l'applicazione an- che in siffatte lesioni, e che io a di lui imitazione adotto in tutte le fratture dell'estremità inferiori, eccettuate particolarissime circostanze. Per lo addietro i poveri fratturati nel collo del femore rimaner doveano dagli ottanta fin oltre i cento giorni, e più forse ancora, nei variati apparecchi ad estension continua , che ben possono assimigliarsi all' orrido letto di Procuste : e là vivi dolori, con- tusioni escoriate, piaghe cangrenose; e sempre im- mobili quali automi, e per concluder che mai? guarigione non già , ma visibilissima claudicazione per notabile accorciamento dell'arto. Né riandare a remote epoche intendo , che io sostituto chirurgo all' arciospedale di santo Spirito in Sassia del fu prof. Rucci dal 1844 al 1847 non altrimenti ope- ra vasi. G.A.T.CXXXVII. 5 66 Ora mercè del metodo di semi-flessione esatta- mente applicato contansi non poche guarigioni per- fette , ed altre molte che le si ravvicinano ; fra le quali enumerar si devono le da me pubblicate nelle mie cure ed operazioni chirurgiche (Ferentino 1851), ìèd a^gilirtgef là seguente in persona del tiburtino calzolaio Ignazio Benedetti di anni 57, temperamento sanguigno nervoso. Il giorno 1 gennaio 1854 cavalcava egli un so- hiaro per la via thiamata de' Reali, da cui cadendo a terra sul lato sinistro , percosse con violenza il gran troncantei'e. Se mano amica e caritatevole nel punto non ^iun^eva a soccorrerlo, nel luogo della caduta sen d'Oveva rimanere, inabilitato a rialzarsi, più muovei' iion potendo la gamba sinistra, e perchè lo cruciava il dolore acutissimo nerParticolazione cosso-femorale. A stento adagiatolo in opportuno trasporto, alla di lui casa condotto, il visitai. Fattolo Collocare nel letto, l'ispezione della parte mostrommi il gran trocantere depresso e ravvici- rià'to oltre 1' ot'dhiario alla cresta iliaca ; la gamba l'accorciata per tre dita trasverse, ma che leggera estensione riportava alla normale lunghezza; il piede stabilrtièn'te rivolto all'infuori; la region trocanterìca contusa e livida , ove applicata una mano facendo eseguir moti di rotazione alla gamba, sensibilissimo risentivasi il crepitio unito al dolore. Dall'assieme degli esposti sintomi indubitata es- sendo la specie della lesione, non tardai ad appli- care quel mezzo che tanto mi giovava altre volte, ed ha in se l'incontrastabil vantaggio dell'economia, 67 della facilità d'applicazione, d'esser coronato da più felici risultati, e del potersi eziandio in ogni dove improntare; col quale si ottengono guarigioni libere da gravi accidenti durante 1' applicazione : poco o nullo accorciamento, cui d'altronde sovviensi di leg- gieri avendo il tallone della scarpa dell'altro alquanto più rialzato. Ordinato adunque ciò ch^ esser potea necessario, feci adagiare la g^mba e la coscia in un do;ppio piano inclinato costituito da guanciali sovrapposti l'un'all'altro, formando una piramide di larga basej un de' piani obliqui s' allungava dal garretto verso la tuberosità ischiatica, l'altro dal garretto verso il tallone: il vertice dei due piani era all'angolo d'u- nione della coscia colla gamba ; e per viemeglio ritener questa e quella nella comoda posizione, nella faccia anteriore dell' una e dell'altra posi il centro di lunga e laiga fascia con i capi ben tesi e rac- comandati, quei della coscia all'estremità del let,t9 inferiori; alle superiori quei della gamba. Era la descritta posizione sì conveniente ed adatta, che sull'istante liberavasi l'infermo dal dolpre, e ^i riproduceva allora solo che alzata veniva e distesa la coscia; il che operai giornalmente il prinio mese, per trarre in basso il frammento inferiore, e man- tenerlo col superiore in relazione. La dieta austera ne' primi giorni , le bevande minorative rinfrescanti, il bagnuolo di decozione di radice d'arnica nell'articolazione, fintantoché non ne venne risoluta l'ecchimosi, furono gli altri necessari estremi. Passati i giorni cinquanta, considerando solida 68 la riunione della frattura , rimossi in ogni di un guanciale: nel sessantesimo la gamba libera giaceva nel letto, lassa bensì ed inerte, equiparando la com- pagna in lunghezza meno qualche linea; senza alcuna molestia eranle permessi limitati movimenti. Rimase ancora una settimana nel letto , e ne scendea a mia insaputa a due grucce affidato ; in breve con una sola incedeva, e prima dello spirar di tre mesi la città intera avea ripetutamente per- corso, avente l'affetta gamba regolare e ben diretta con appena riconoscibile accorciamento da non far mai supporre aver il Benetti subito la frattura del collo del femore. Da 'ciò voi vedete quanto il nominato apparec- chio eguale sia ed uniforme a quel da me usato nelle complicate descritte fratture della gamba e del femore. In questo come in quello la coscia é ripiegata sul ventre, la gamba sulla coscia, inten- dendo sempre al fondamentale principio della semi- flessione; principio che costantemente riprodotto ed applicato vedrete tutte le volte che standomi fra voi avverranno siffatte disavventure, nella certezza che a sortir avrebbero quell'effetto che con vostra e mia soddisfazione fin qui osservammo. "' Averei ben altre fratture a contarvi di braccia, gambe, coste, non che lussazioni più o meno feli- cemente ridotte; ma perchè ovvie troppo e comuni, pass'oltre ricordando alcun serio fatto che pure alla traumatologia appartiene. XJiiluc! Ulii. 69 FERITE LACERO-CONTUSE DEL CAPO E COMMOZIONE CEREBRALE Risovvengavi di quel Vincenzo Pierallini ferito la sera del 4 settembre 1853. Riportava quegli due ferite lacero-contuse, di cui la prima di figura stellata circa due pollici estesa nel centro della regione parietale sinistra; la seconda irregolare di mezzo pollice nella gobba parietale destra; prodotta da pesante bastone con tutta violen- za vibrato; perlocchè semivivo stramazzava nella pub- blica via affatto privo de'sensi da esser reputato ca- davere; ed era quasi cadavere, ricondotto che si fu all'abitazione ; era quasi cadavere quando impren- deva a curarlo. La pili profonda commozione cerebrale univasi alle ferite; che stante la causa produttrice , la ro- busta costituzione ed il temperamento sanguigno pletorico del soggetto , poteva a ragione dubitarsi insanabile. Medicate intanto le esterne lesioni, l'unica ancora di salvezza era nel salasso riposta: ed a questo feci in sulle prime ricorso, producendo un vuoto di due libbre con ogni sollecitudine la sera stessa. Le fomentazioni assai stimolanti all' estremità inferiori fu l'altra mia prescrizione da doversi sem- pre continuare; venti sanguisughe all'apofìsi masto- idee colla ingiunzione di lasciarne liberi i risultanti fori finché sangue fluisse. La mattina del 5 proseguiva il letargo, l'escre- 70 zioni tutte erano involontarie: niente ingeriva: i polsi pieni, frequenti, vibrati. Nuovo profuso salasso, rinnovato il sanguisugio, continuate le irritanti fomenta. Nel mezzo giorno, non essendovi miglioramen- to, un terzo salasso di dodici once; dalle regioni mastoidee proseguiva il flusso sanguigno; incomin- ciando ad inghiottire, dieci ottave di solfato di ma- gnesia gli furono amministrate. La sera ancor letargico, continui movimenti au- tomatici delle braccia verso il capo: ebbersi scha- riche di ventre abbondanti: un'altra sanguigna di una libera: tartaro stibiato e cremor di tartai'o in lunga ed unica bevanda, e brodo interpolatamente: mai lé fomenta sospese. La mattina del sesto , secondo dall'accaduto, incominciava ad intendere, e si tornava a levar sangue dal braccio e regioni mastoidee, non rece- dendo dall'altre prescrizioni. La pozione tartaro-stibiata, sovrana in malattie siffatte, producendo flusso presso che continuo di Ventre, in un*al derivativo delle inferiori estremità, i salassi generali e locali, il ridestarono perfettamente nella sera, inconsapevole di quanto fosse fino a quel punto avvenuto, Non è perciò che desistessi dall'adoperata energia: e proseguendo ognora con i ripetuti soccorsi, ritornai anche una volta a levar sangue dal bmccio nella quantità non minore di once dieci. Assicurato cosi dall' estràvaso per entrò il cra- nio, che tanto facevami in sulle prime temere, e conscguente possibilissima encefalite; con altri miti 71 aiuti e metodo regolare di vita, in circa tieota giorni voi salvo il sapeste, e capace di proseguire il labo- rioso mestiere di fabbro. Serio non meno ed imbarazzante si fu il feri-^ mento del 18 novembre 1853 nella persona di An-* tonio Marziale: ed avvegnaché sulle prime ragionevol- mente riguardar doveasi tale da non comprometter la vita, e l'annunziava al tribunale di niun pericolo; in realtà nel procedimento faceane forte dubitare ; il vedrete nella brevissima tracciata istoria. Al Marziale inflitte venivano cinque ferite mus- colari , di cui quattro trasversalmente dirette nel centro della natica sinistra mezzo pollice estese; la quinta più ampia , in senso obliquo nella regioi)p iliaca destra posteriore media , ledeva nella super- ficie l'osso di quel nome , emettendo sangue arte- rioso e venoso in copia, che lavande detersive as- tringenti facevano tosto e stabilmente cessare. Me- dicate di prima intenzione; non omesso qualche sa- lasso dal braccio, qualche drastico, la dieta rigorosa; nel terzo giorno, mentre le quattro prime eran guarite, somministrava la quinta abbondante suppurazione bene elaborata e di buona natura. L'infermo, sartore di ottima costituzione, di tem- peramento linfatico-nervoso, di anni 30, sebbendeditp all'ebrezza, sospettar neppure facea quanto di funesto doveva in seguito accadere. Frequenti eseguironsi le medicature, variate di\ì variare del male che nell' alternativa del migliora- mento e viceversa, protrapv^^ Piersi^ten^o, .ad ,g^i)Ì mezzo curativo. nr i./fu^l hm» ,(:i..,ende il maggiore o minor pericolo del morbo colera, considerando tale perdita come un vero svenamento. 6°. Lo stato che conseguita all'attacco colerico, ove non termini colla morte , non è né tifoide né nervoso, ma è uno stato paragonabile ad un uomo semi-svenato , a cui manca l'elemento e l'alimento della vita. 7°. Essendo l'attacco colerico il prodotto di causa modale, non può essere curato, secondo le leggi del dinamismo, cioè con mezzi di generale e diffusiva azione sull'eccitamento vitale, ma con specifiche ve- dute, neutralizzanti od espellenti il miasma. 8°. L'olio è il solo ed unico mezzo per neutra- lizzare ed eliminare il principio produttore il morbo, come risulta da portentose guarigioni effettuate con un tal farmaco. Agisca per i suoi chimici principii, da cui è composto e costituito: agisca per nuov« combinazioni formatesi entro il corpo umano; il fatto è positivo, che esso mirabilmente guarisce il morbo colera. I felici risultati delle guarigioni effettuate con l'oho, come risulta dalle storie riportate in questa 120 operetta, stando in una proporzione non paragona- bile a quelli che si dissero ottenuti con altri metodi curativi, provano fino all'ultima evidenza, che l'olio è il rimedio positivo del colera. 9°. Oltre che l'olio è rimedio positivo per la guarigione del colera , è egualmente positivo per preservarsi dal suo attacco in tempo della epidemia, ove sia giornalmente amministrato. Sembra che an- che le cause determinanti a contatto di un tal far- maco siano impotenti ad agire per dare sviluppo alla miasmatica potenza: per cui potrebbe avvenire, che, ove se ne generalizzasse l'uso, si avesse l'epidemia senza colera. PROPOSTA DI PUBBLrCA E PRIVATA IGIENE PER ARRESTARE E CIRCOSCRIVERE LA DIFFUSIONE DEL MORBO COLERA. Egli è fatto dall' esperienza di trentasette anni comprovato, che le misin-e sanitarie fino ad ora praticate sono state incapaci ad arrestare il cam- mino del colèra , ed impedire che s' introducesse ne'luoghi, da dove volevasi tener lontano. Il mondo intero è testimonio di sì dolorosa verità. Ed infatti a che sono serviti tanti milioni di scudi dall'Europa prodigati per un tal fine ? Niente. 11 colera si è dovunque diffuso. Non vi fu angolo della terra in cui non penetrasse. Sa Berlino quanto mai fece per tenerlo lontano dalle sue mura. 11 sa Messina, che ad onta della volontà nazionale e governativa, poco mancò che non fosse dal flaggello distrutta. Eppure sì vuole restare ancora nella persuasione della con- tagione! 121 Il colera non è contagioso (1). Dunque non è (1) Se il colèra fosse realmente contagioso, io domanderei ai contagionionisti colerici: « Come spieghereste voi clie con quaranta- mila persone emigrate dalla capitale e ricovrate nei circonvicini paesi, e con tutta la possibile loro giornaliera comunicazione, non siasi portato a questi il contagio ? u Una lettera , un plico , una balla di stracci, come si disse di monte s. Giovanni, fu capace di condurre colà il colèra: e l'andirivieni di quaranta mila individui della capitale non è stato al caso di trasportarlo e diffonderlo a più di trenta o quaranta città e villaggi, posti a contatto della ca- pitale medesima ? E siano una volta coerenti con loro medesimi, ed abbandonino un'idea che in oggi ad altro non serve che a ren- dere più sventurata una popolazione di già troppo infelice per la presenza di un tanto male. Ma che dirò ancora dei medici che cu- rarono in questa capitale il colèra? Quali misuse sanitarie essi ado- perarono per non comunicarlo a quelli, coi quali erano in continuo contratto ? E non uscivano dai colerosi , per condursi a visitare altri infermi non colerosi alla loro cura affidati ? Ed i parenti dei malati colerici non comunicavano con quanti essi s' incontravano e replicatissime volte al giorno ? Da qualunque lato si voglia ri- guardare il contagio del colèra , uon v' ha ragione di poterlo in alcun modo sostenere. Il sig. Giuseppe Calcagno di Mele in Pie- monte, membro della commissione sanitaria, così pubblicava ai 30 settembre prossimo passato: « Per fornire alla scienza un fatto ad esaminare, e nelle persone di buon senso un mezzo da cembattere il pregiudizio della contagione del colera, presento i seguenti cenni intorno allo sviluppo ed andamento del calérà nel comune di Mele. Un casolare di campagna affatto isolato , posto in luogo eminente , non lontano dalla creste dell'spenuino, fu il sito ove il 29 luglio p. p. manifcstossi il primo caso di questo morbo , senza che vi fosse sospetto che chi ne fu colto comunicasse con persona o luoghi infetti. A chi si potrebbe imputare di essersi recato colassù ad ammazzare di colèra un povero ed onesto campagnuolo ? Dopo alcuni giorni calò il morbo sulle molte cartiere, poste in riva a diversi torrenti , che scorrono nel comune , ed ivi pure colpi persone , sulle quali non cadeva sospetto alcuno per la maggior parte di comunicazione con luoghi o gente infette. Dall' 8 settembre in poi non si ebbero più casi. Mele conta 2700 abitanti. Sopra questa popolazione si ebbero 120 casi , 64 morti. » Un tale fatto prova chiaro che il colèra non è contagioso , e che il miasma canmiina 122 coercibile per essere limitato e racchiuso nel luogo, ove ebbe il suo primo sviluppo. È un prodotto di un particolare principio , sprigionato o non so se dalla terra o dai mari , o d' accidentali combina- zioni d'incogniti elementi formato, ma nelFaria senza dubbio diffuso, che cammina per là dove arcane ed incomprensibili atmosferiche variazioni lo chia- mano, lo attirano, lo attraggono. Strano noi suo pro- cedere, trascorre città, provincie, regni. Fa stragi: scomparisce : ritorna : dura epidemico un tempo determinato : s'incronichisce in un altro (1) e non sa finire. Ora percorre regioni regolarmente : ora a salti ed in lontane parti traslocasi: non ha leggi che la fisica conosca: cessa con pioggia; con pioggia infierisce : il freddo 1' annienta : dal freddo prende vigore: in una parola, tante sono le sue stranezze ed anomalie , quante tutte le malattie epidemiche insiememente riunite ne possono presentare. Ma se il colera non è coercibile da certe misure sanitarie: se non si può, per i suoi stravaganti modi di procedere, impedirlo nel suo sviluppo; arrestarlo nel suo cammino; si potrà per altro da altre igie- niche precauzioni frenarlo e ridurlo a tele impotenza di azione da non essere più cagione dello spavento del mondo intero. Ed è su queste igieniche misure con le acque, mentre dal casolare, dove sviluppò il colèra, parte un torrente che si porta a Mele. (1) Dissi nell'altre mie memorie, che il tempo determinato del- l'epidemia colerica era approssimativamente di due mesi; ove però questa proceda regolare. Se fosse il contrario, e che non serbasse ì suoi quattro stadi progressivi di 13 in 18 giorni potrebbe ac- cadere, che lentamente continuasse, come è accaduto a Parigi, che dal passato febbraio dura tuttora. 123 che io fondo l'attuale mio ragionamento, sperando colla scorta dell'esperienza ed osservazione di poter persuadere non solo il lettore di questo mio scritto, raa i medici i più appassionati del contagio. Il miasma colerico, sviluppato che sia e diffuso nell'aria, invade tutti i corpi umani, che in questa vivono , è dalla quale sono circondati. Prova ne siano i patimenti intestinali nel tempo dell'epidemia in tutti generalizzati. Non v'ha individuo, che in tem- po dell'epidemia non ahbia in se racchiuso il germe insidiatore. Ma questo germe è per sé stesso impotente a sviluppare la sua malefica azione. Ha bisogno di cause determinati, che lo sviluppino, che gli diano vi- gore e forza, e che senza delle quali esso resterebbe inoperoso e senza effetto. Ed è alla ricerca di tali cause, che noi ci dobbiamo preoccupare, e dalla cognizione e discoprimento delle quali deve dipendere lo stabili- mento di quelle sanitarie misure, atte a preservarci dall'insidiatore elemento. Osservando attentamente ciò che accade in tempo di epidemia, si vede a chiare note, che gli attac- chi del morbo sono, a preferenza di tutti, per gli «omini mal nutriti, mal vestiti, male alloggiati. Sono per quelli che vivono in cattive igieniche condizioni. 11 cattivo vitto, il cattivo vestito, il cattivo allog- gio sono dunque le cause determinanti lo sviluppo del morbo per tale classe di persone. 11 rimedio è dunque certo. Migliorare, nel tempo particolarmente dell'epidemia, la condizione infelice di questa parte della società. Ma come ciò otterrasi ? Con quali mezzi ? Con quelli stessi che si sono impiegati inu- tilmente in altre sanitarie misure, e che sono costati 124 lanli millioni di scudi all'Europa. Posto rimedio ad una tale partita , che è la massima nell' epidemìa colerica, si sarebbe fallo un immenso passo , per ridurre la cifra degli sventurati ad un minimo, da non esser più di quello spavento, che presentemente è. La strage colerica in gran parte, come abbiamo detto, è del mal nutrito, male vestito, male allog- giato : e la carità cristiana dovrebbe fare qualche sforzo , onde venire in loro soccorso, llender sani gli umili loro abitui-i : provvedere alla meglio al loro vestito: migliorare di un poco il loro nutri- mento , come il nostro paterno governo ha fatto nelle due epoche disgraziate ; ecco cosa occorre , per allontanare una strage inevitabile di persone , dalle quali dipende in gran parte il benessere della società. Ecco tutto il sacrificio , che i l'icchi , e quelle persone poste a discreta agiatezza sì devono spontaneamente imporre, che poi non è della natura da farli rovinare. Trattasi di un aiuto precario di cinquanta o sessanta giorni al più. Le cause determinanti in secondo luogo Io sviluppo del colera, in opposizione a quelle dei poveri, sono per i ricchi i disordini nella dieta, 1' intemperanza ed i vizi d'ogni genere. Se ad essi è cara la vita, sta in loro il conservarsela: mentre la moderazione in tutti e la fuga dalla viziose costumanze sono i mezzi preservativi ì più sicuri ad impedire che il veleno colerico , stanziante nei loro corpi, sì renda operoso, ed acquisti forza di agire , durante l'epi- demia. Resta in terzo luogo la partita dei paurosi. La paura e lo spavento entrano senza dubbio fra le 125 cause determinanti lo sviluppo del colera. Se si ar- riverà a distruggere l'idea del contagio, io son sicuro che scomparirà con esso l'immediata conseguenza. Ma fino a che una tale idea non si cancelli affatto dalla mente degli uomini, il rimedio per i paurosi quello si è di allontanarsi dal luogo infetto dall'epi- demia. Se ne vadano pure in santa pace: che con la loro partenza si andrà sempre più a restringere il numero degli sventurati. Non rimane in ultimo luogo, che il dir qualche cosa sulle vicissitudini atmosferiche. I cambiamenti d'aria sono fra le cause ultime determinanti il co- lera. Se all' aria non si può comandare , si può comandare agli uomini , che in essa vivono , col mettersi in somma guardia in tali variazioni , non esponendosi imprudentemente alle sue pericolose influenze. Queste sono le vere misure sanitarie per preservarsi da un tanto male ; e se si porranno in atto, il colera diverrà tanto raro , quanto sono tutte le altre malattie, che afflliggono l'umana fa- miglia. 126 Intorno alla relazione delle rocche della Romagna pon- tifìcia fatto nel 1526 da Antonio Picconi da San Gallo e da Michele Sanmicheli. « Fu però dal sommo pontefice Clémen- j> te VII mandato ( il Sanmicheli ) in « compagnia d^Antonio San Gallo a ri- M vedere e riordinare le fortezze dello 1) stato ecclesiastico, singolarmente Par- » ma e Piacenza eccw SCIPIONE MAFFEi — Verona illustrala, part. IH, cap. 5. Il nome di un Antonio San Gallo e di un Michele Sanmicheli è così caro all'Italia ed illustre nel mondo civile, che a commendarlo ogni parola è vana: im- perocché le opere da essi' erette attestano a traverso tre secoli la prepotenza del loro peregrino ingegno. La grata e studiosa posterità non cessa d'inspirarsi sopra gli edifici sacri e profani dal lor senno innal- zati , resi di pubblica utilità da chi seppe misu- rarli, raccoglierli e per le stampe illustrarli. Sem- pre però un vuoto immenso restava: per noi furono essi finora sommi artefici, ma non scrittori dell'arte, che in sì sublime grado professarono. Dirò ancor più: entro Alpe e fuori ebber venerazione, siccome grandi architettori civili; ma quali ingegneri militari, se non ignorati, poco al certo celebrati essi furono. La viva voce dell'artista, negli scritti conservata, è più accetta all' universale che non lo è 1' esempio muto; forse perchè è men utile. Una prova ne ab- 127 Wamo nelle moltiplici edizioni di un Vitruvio, di un Leonardo da Vinci e di un Barozzi da Vignola ; e nelle scarse ed incomplete appunto del San Gallo e del Sanmicbeli. Era riserbato al secol nostro, che rivendicò per mezzo di splendida ristampa le invenzioni di un Fran- cesco De Marchi, principe degli architetti militari, il ritrovamento di uno scritto del San Gallo e del Sanmicheli, ov'essi apparissero maestri e ordinatori dell'arte del fortificare in Italia, primachè quel grande s'accingesse a disegnare i suoi concetti sulla carta, e quando essi stessi negavano di andare a servire gli stranieri (1): i quali larghe provvisioni davano ai nostri, perchè munissero le lor terre, secondo i dettati della nuova fortificazione; arte nella penisola esclusivamente nata e da lei per tutta Europa dif- fusa e propagata. Non credasi però che sì mettesse in dubbio mai l'esistenza degli scritti di questi due sommi artefici. Venezia conserva varie opere mss. del Sanmicheli; ma esse riguardano cose d'architettura idrauhca (2). Firenze possiede alcuni lavori del San Gallo; e quan- tunque essi appartengano all' architettura militare , pur tuttavia non sono che piante e disegni. Da ciò consegue , che dobbiamo deplorare la perdita della (1) Parole del Vasari nella vita del Sanmicheli. (2) Niuna scrittura del Sanmicheli è stata veduta in pubblico. Ita Venezia dai magistrato delle acque conservansi due suoi utili trattati : uno sul modo di restringere il porto di Malamoceo , per dargli un fondo, che allora non avea, e che ha acquistato dopo; e l'altro concerne il Colmettone di Lioieua, trattando in questo dello «tato antico della Brenta. {Milizia, vita 4i Michele Sanmicheli). 128 più parte de' loro scritti , non tanto dal lato civile dell'arte, la qual cosa è lontana dal nostro assunto, quanto dal lato militare : imperocché noi appunto ora li riguardiamo soltanto ambedue quali ingegneri fortificatori. E come tale, a mo'd' esempio, è certo che il Sanmicheli, ispezionando unitamente al duca dì Urbino, celebre generale, le province venete, diede in iscritto minutamente notizia ai signori veneziani della visita da esso fatta alla Chiusa, fortezza e passo molto importante sopra Verona, in tutti i luoghi del Friuli, a Bergamo, a Vicenza, a Peschiera e altro- ve (1); ed è pur certo che s'ignora ove esista ora tale scrittura. Riguardo a quel che si conosce del San Gallo, noi useremo le stesse parole del benemerito archi- tetto Carlo Promis , il quale così grandemente si adoperò in investigare e raccogliere notizie per tutta Italia intorno alle origini della nuova architettura militare; e poi tanta luce diffuse sulla storia dell'arte fortificatoria fra noi , per mezzo delle sue dotte e preziose memorie in appendice all'architettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini, antesi- gnano della nuova fortificazione. Egli dice : « Di )) quest' ingegnere devono esistere scritture circa h » opere che condusse: sono anzi apertamente indi- )) cate nelle citate lettere dell'Unghero e di Giovanni » delle Decime: però non trovo chi ne faccia men- )) zione. A questa mancanza supplisce in tal qual modo » la nota de' suoi disegni e memorie da un altro )) Antonio da San Gallo donati nel 1574 al granduca (1) Vasari, vita del Sanmicheli. 129 » Francesco (presso Gaye voi. Ili, 391): sono fogli » di piante topografiche, e specialmente delle città » e fortezze da lui disegnate e costrutte: cinque ve- » dute prospettiche di luoghi montuosi parimenti da )) lui muniti: sei memoriali dichiarativi per la for- » tificazione dei castelli di Empoli, Imola, Ravenna, )) Ascoli, per la marina di Fermo, e l'emissario del » lago di Pie di Luco. Esiste nella magliabecchiana » una raccolta di piante di fortificazioni del capitan » Francesco De Marchi, soventi da me citata: e poi- » che que' disegni del San Gallo sono smarriti , a )) questa si può ricorrere per averne conoscenza in )) gran parte , poiché non meno di una trentina vi » fu dal Marchi inserita, avvegnaché non ve ne sia » accusata la provenienza. E ciò valga anche per » coloro che pensassero col Gaye, che questi disegni, » siano andati perduti (1).» \ Da tutto ciò risulta che tanto il San Gallo, quan- to il Sanmicheli per le incombenze onorevoli so- stenute e per la varietà delle terre da loro ispezio- nate o munite o risarcite , adattandole alla nuova maniera di fortire, devono avere scritto e disegnato molto; ma poco dell'uno, nulla dell'altro in fatto di cose militari conservasi in luogo accertato. Ed ora non è lieve fortuna il conoscere come esista una raccolta, oltre quanto è stato detto, nella quale, fra le altre cose preziose di architettura militare , si contenga appunto la Relazione da noi manifestata: mentre il fortunato suo scoprimento si debbe ad una di quelle accidentali circostanze, che nella con- fi) Memoria slorica I-XXIX Antonio da San Gallo. G.A.T.CXXXVII. 9 130 catenazione hanno, a modo di espressione, del prov- videnziale più ch'altro. Non ha guari, per mezzo di una memoria inse- rita nel Giornale Arcadico di Roma (1), si veniva approvare che Giuseppe Leoncini, cittadin fiorentino, efà stato nel XVII secolo autore di un Trattato di fortificazione; opera buona, inedita e sconosciuta. S. E. il signor principe D. Cosimo Conti, uomo singolare per le preclare doti" dell'animo e per le sue cogni- zioni, non meno che per l'affetto alla patria, appena ebbe conosciuto la rivendicazione di tale opera e di tale cittadino toscano, ricordò di possedere nella sua biblioteca una raccolta di disegni architettonici, ine- diti la più parte ed autografi, cui nel secolo scorso si appose il titolo: Raccolta dei disegni autografi di architettura idraidica meccanica, derivati dalla cele- bre raccolta di casa Gaddi, ed in essa per antica tra- dizióne ritenuti per il portafoglio di Antonio e Giu- liatio dtt San Gallo. E rimembrò ancora che in essa erano molte cose che riguardavano l'architettura iiàilitare. Per lo che non indugiò a comunicare al Ravioli tali preziosi documenti dell'arte; perchè esso vedesse se vi era cosa , che il divulgarla tornasse Ed' onore non tanto dei San Gallo , il cui nome è già abbastanza celebre, quanto dell'Italia, che niuna pagina scritta ha mostrato mai per le stampe del grande ingegno di costoro all'Europa civile; mentre questa famiglia tanto si distinse nelle arti del dise- (1) Sopra un ms. inedito ed anonimo, intitolato Trattato delle fortificazioni, che si attribuisce a Giuseppe Leoncini, cittadin fio- rentino, matematico ed architetto del secolo XVII, lettera del cav. Camillo Ravioli - Roma 1834. Tomo CXXXiV. 131 gno e conta Giuliano ed Antonio il nepote primi fra i fondatori deirarchitetlura militare moderna. Né tardò il Ravioli a trovar fra la molta e va- riata materia il documento importantissimo all'arte, del quale veniam parlando. Esso è la Relazione delle rocche della Romagna pontificia, scritto originale ed autografo di Antonio San Gallo il giovane, nipote a Giuliano e ad Antonio da San Gallo, fatto in compagnia di Michele Sanmicheli nei primi mesi dell'anno 1526, disteso in parte per mano di Battista Gobbo suo fratello, corredato di preziose piante di rocche che quasi pili non esistono, con i respettivi restauri da adattarsi alla nuova maniera di fortificare le terre contro l'impeto delle artiglierie. Il quale scritto forse in copia deve essere stato presentato a papa Cle- mente VII, il quale disegnando servirsi del Sanmi- cheli nelle cose importantissime di guerra, die allora bollivano per tutta Italia , lo diede con buonissima provvisione per compagno ad Antonio San Gallo, ac- ciocché insieme andassero a vedere tutti i luoghi di più importanza dello stato ecclesiastico, e dove fosse bisogno, dessero ordine di fortificare ; ma soprattutto Parma e Piacenza... (l); e altrove... Dopo volendo sua santità (Glemente VII) fortificare Parma e Piacenza, dopo molti disegni e modelli che da diversi furono fatti, fu mandato Antonio in que' luoghi e seco Giulian Leno sollecitatore di quelle fortificazioni; e là arrivati essendo con Antonio tabacco suo creato, Pier Fran- cesco da Viterbo ingegnere valentissimo, e Michele da S. Michele, archileito veronese, tutti insieme condussero a perfezione i disegni di quelle fortificiizioni ; il che (1) Vasari, vita di^ MJche'l'c 'Sftimiioheli >;! ».iH|ai. 132 fallo, rimanendo gli altri, se ne tornò Antonio a Roma (1526), dove ec... (1), Quindi l'esistenza dì una tale relazione era una certezza logica non solo, ma storica eziandio; ove riflettasi che chiunque vuol corrispondere degna- mente ad una incombenza affidata, deve per mezzo di analogo scritto manifestare al committente l'esito della sua ispezione ; come già fatto aveva in quei giorni medesimi Nicolò Machiavelli con la sua i?e- lazione di una visita fatta per fortificar Firenze (2). Né deve poi far maraviglia che in essa si parli sol- tanto delle rocche di Romagna, le quali sono Imo- la, Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Cervia e Ravenna; e nulla vi si trovi intorno le fortificazioni di Parma e Piacenza. Imperocché i lavori fortificatorii in que- ste due piazze datavano fin dal marzo 1525 sul di- segno di Pietro Francesco da Viterbo, e prosegui- rono nel 1528 sotto l'ispezione e cura degl'ingegneri piacentini Rartolomeo Pandola e Vincenzo Vitale : né avevano altra commissione il San Gallo e il San- micheli, che quella di dare per le rocche di Roma- gna il piano di restauro e l'ordine dì por mano ai lavori, e per le città di Parma e Piacenza di dar sopra i disegni, trovati idonei alla località, il loro parere, che dovettero comunicare in relazione sepa- rata ; la quale, se si giungesse a rinvenire, rende- rebbe completa la storia degli apparati di guerra, che fecero Firenze, la Romagna, e Parma e Piacenza, quando l'Italia, temendo la scesa delle armi impe- li) Vasari, vita di Antonio San Gallo. (2) Fq stampata la prima volta dal Cambiagi, Firenze 1782, 133 riali condotte dal duca di Borbone, pei' mezzo dei Medici e di Clemente VII , si armava a difesa , che nulla però le valse ; imperocché nell' anno seguente, tra i funesti avvenimenti, vi fu anche il sacco di Roma, della cui storia, scritta dal De Rossi, e di recente pubblicata, si debbe il ritrovamento al benemerito avvocato Carlo Guzzoni degli Ancarani (1). E saviamente a proposito di questa visita fatta a Parma e Piacenza, il Promis dice: Ecco dunque chia-' malo il Sanmicheli a far relazione circa baluardi mo~ derni prima che si accingesse a quelli di Verona : Vincarico che ebbe dal pontefice, e i compagni datigli, abbastanza lo indicano già a quel tempo (1526) ver- sato nella nuova militare architettura, vale a dire che già per lui qualche opera di conto era stata fornita (2). Le quali espressioni si devono intender dette anche per il San Gallo che gli era compagno ; poiché in queste ispezioni non possono dividersi le onorevoli (1) Memorie storiche dei principali avvenimenlì politici d'Ita- lia, seguiti durante il pontificato di Clemente VII, opera di Patrizio De Rossi fiorentino. Roma 1837 in 8vo. E in essa si ha : « Con » questi aiuti (il Borbone) si spinse a Castel s. Giovanni dieci mi- » glia distante da Bologna. Il qual movimento osservatosi dal Guic- » Giardini luogotenente del papa, lasciate bea munite Parma e Pia- » cenza, e posti in Modena molti fanti e cavalleggeri, a Bologna » subito si trasferì... Borbone coll'esercito mosse da Castel s. Gio- » vanni dirigendosi verso Romagna. E marciando lentamente ed a » piccole giornate, i tedeschi per la strada di sopra, e gli spagnuoli » per la strada di sotto, quante case e villaggi si paravano loro » innanzi, tutti li guastavano ed incenerivano, schivando però seh- » PBB LE citta' e TERRE CHE ERANO STATE MUNITE DAL LCOGOIK- u NEMTE DEL PAPA.» (2) Memoria IV- V. Baluardi edificati in varie città d'Italia dal 1509 al 1526 , prima di quello del Sanmicheli in Verona creduto il più antico. 134 fatiche dell'uno da quelle dell'altro, senza contraddire alla storia. Questa relazione adunque è preziosa sopra ogni altro scritto che tratti dì fortificazione, per triplice ragione. Primieramente perchè per essa tanto il San Gallo che il Sanmicheli divengono scrittori di archi- tettura militare moderna; in ordine di data non aven- do innanzi a sé che Francesco di Giorgio Martini (U70), Giuliano da San Gallo (1509), Nicolò Ma- chiavelh (1509-1526) (1). Secondariamente per la rarità in genere degli scritti del Sanmicheli e del San Gallo (2), e per la singolarità in ispecie di questo documento d'archi- tettura militare, il quale per acquistar pregio mag- li) Giuliano propriamente poco lasciò scritto ; ma qui figura peri suoi tlisegui; poiciiè per sentenza del Promis, detta appunto a proposito fli questo grande ingegno: NelV architettura militare moltissime cose si possono esporre per sola via di disegno, senza di- chiarazioni, onde ne segue che una serie di figure possa ben soven- te equivalere ad un trattato sciitto. Abbiamo poi lasciato di no- minare in questo luogo Giambattista della Valle (1521), non essendo égli architetto, ma soldato pratico, il quale non può sostenere il paragone con i c'inque grandi uomini, che qui sopra ponemmo; e poiché il far bastióni, com'egli c'insegna, è cosa diversa dal forti- ficare e recingere secondo la nuova maniera le terre con mura ter- rapienate, cortine, puntoni, cavalieri ec. Si prende questa circo- stanza per palesare una edizione del libro di quest' autore non conosciuta e non registrata dal Promis; essa sarebbe la quarta — Fallo ec. Venetia per Nicolò d'Aristotile detto Zoppino, 1329 in 8vo. (2) E tale questa rarità, che il benemerito Scipione Maffei così si esprime : Il non essersi dal sanmicheli, sempre occupato nell'ope- rare, dato opera allo scrivere (come nulla parimente scrisse Michel Angelo, né Bramante o il san gallo) ha fatto rimaner nelle tenebre il nome suo. I suoi libri furono Verona e Candia; muti veramente, ma che però inségnUron tutto. (Verona illustrata ec. Milano 1826, Tol. IVj part. 3, cap. 5, pag. 186). 135 giore, sotto il dettato di ambedue, è disteso in gran parte da Battista Sangallo, persona ingegnosa.... che intendeva molto bene le cose delVarte, fece un libro di osservazioni sopra Vilruvio (1), ed era d'' ottimo giudizio e sincero e dabbene^ tantoché serviva d' aiuto al suo fratello, dov^ egli alcuna volta non poteva così tosto essere (2). Né poteva andar altrimenti: un uomo di vaglia anch' esso doveva prestar l'opera sua ad un Antonio e ad un Michele, architetti di virtù supe- riore a tutti gli artefici che resero grande il seco- lo XVI. In terzo luogo è preziosa la relazione del San Gallo e del Sanmieheli; imperocché fa seguito all'al- tra non meno preziosa del Machiavelli di sopra notata, la quale anch'essa è conseguenza degh ordini dati dallo stesso Clemente VII: tantoché mentre Antonio ^an Gallo e il Sanmicheli visitavano i luoghi forti di Romagna e di Lombardia, il Machiavelli e il conte Pietro Navarro esaminavano il terreno e le mura di Firenze. Né questa era operazione diversa dall'altra, mentre il valore del San Gallo e l'essere cittadino fio- rentino faceva sì ch'egli era aspettato in patria p^r la stessa bisogna , al medesimo scopo diretta. Lo stesso Machiavelli ci avvisa di ciò nella sua lettera (1) Queste osservazioni o commeati, fregiati da molti ed inte- ressanti disegni a penna marginali o intertesti, si trovano in una copia della edizione principe di Vilruvio, l'atta dal Sulpizio, e cui il Poleni pone la data del 1486. Inoltre egli tradusse Vitruvio, componendone un libro in folto. Ambedue queste opere si conser- vano nella corsiniana di Roma: e confrontata la nostra relazioiie sopra di esse, fu agevolmente riconosciuto il carattere di Battista, alla nitidezza, alla forma e all'ortograHa. (2) Vasari, vita di Antonio San Gallo. 136 airambasciator di Firenze presso il papa, scritta ai primi di aprile 1526, ove dice: «Vero è che noi » non possiamo dargli altro principio, che ordinare » la materia insino a tanto che noi non siamo riso- » luti della forma , che hanno ad avere questi ba- » luardi, e del modo di collocarli: il che non ci pare » poter fare, se prima non ci sono tutti questi in- )) gegneri, ed altri con chi noi vogliamo consigliarci; » e benché il signor Vitello venisse ieri in Firenze, » e che noi aspettiamo fra due dì Baccio Bigio che » viene, e che venga ancora Antonio da san gallo, » del quale non abbiamo ancora avviso alcuno, per- » che poiché per commissione di nostro signore egli » é ito veggendo le terre fortificate di Lombardia, » giudichiamo l'aspettarlo, acciocché la gita sua ci )> arrechi qualche utilità; però con riverenza ricor- » derete a nostro signore che lo solleciti, e noi ab- » biamo ricordato qui al reverendissimo legato che » scriva a Bologna a quel governatore, che inten- » dendo dove si trovi lo solleciti allo spedirsi...» (1). La relazione suddetta però non é la sola memoria militare che si conservi dei San Gallo nella biblio- teca del signor principe D. Cosimo Conti. Dello stesso Antonio evvi delineato il progetto di fortificare se- condo la nuova maniera: Lo Castello di Patricha (oggi Pratica) nellalio di mes. Lucha de Maximi Romano; ed alcuni schizzi a penna , dimostranti uno studio di topografia, formato dentro un parallelogrammo, di cui gli angoli toccano Fuligno, Montefalco, Trevi e Bevagna, con lati che non eccedono le 5 miglia, (1) Lettere familiari n. LXVl. 137 né sono minori di quattro; fatto al certo con qual- che fine , che andò a vuoto , nella circostanza che egli fece la fortezza di Perugia, nelle discordie che furono tra i perugini ed il papa (1). Di Francesco, figlio a Giuliano, vi è il voluminoso portafoglio 0 taccuino, ove si rinvengono, fra le molte cose civili, un dodici schizzi a penna di piante di fortezze, ma forse di poco conto. Interessanti però sono alcuni fogli staccati di disegni, che riguardano le fortificazioni di Firenze: dal che può presumersi ancora che Francesco era nella città all'epoca del- l'assedio. Di mano ignota, ma del principio del sec. XVf, vi sono tre facce di disegni, prima toccati a lapis, e poi schizzati a penna, dimostranti i vecchi torroni, torri maestre, rivellini, fossi, capannati o case matte, ponti levatoi, ec. i quali somiglian molto ai disegni di Francesco di Giorgio Martini, anzi corrispondono alle figure delle tavole V, VI, VII di quell'opera, il- lustrata dal eh. architetto Carlo Promis. Finalmente vi sono molti fogli volanti e due tac- cuini riguardanti sempre architettura militare di mano diversa da quella dei San Gallo, ma avuti, qual sono, per autografi ed interessanti. Or noi per ora non andiamo ad esaminarli foglio per foglio: che troppo lunga impresa sarebbe ed estranea al soggetto: ma per molti dati possiamo accertare che appartengono essi ad Alessandro Capobianco vicentino , capitano dei bombardieri di Crema, al servizio della repub- (1) Vasari, vita di Antonio San Gallo. 138 blica di Venezia (1), passato ad ingegnere di Carlo V, architetto del castello di Milano , morto in Roma nel 1570 (2); autore di un'opera postuma, intitolata: Corona e palma militare di artiglieria: Yenetia 1598 (3) in fol., ove si trova un Breve ragionamento sopra la forti ficalione moderna, e delle imperfettioni delle an- tiche, scoperte a giorni nostri. Questo titolo stesso -dà a divedere che l'opera fu un parto giovanile dell'au- tore: mentre nella fine del secolo XVI mal suona quel tt giorni nostri. Quindi ragionevolmente il Ma- rini disse non contenere essa cosa alcuna d'impor- tanza : ma riportando l'opera all' epoca in cui fu scritta, acquista quel pregio relativo, e corrispon- dente ai due taccuini, che mostrano un uomo molto versato nella pratica dell' arte , e che abbia molti luoghi munito nell'Italia superiore, a Vienna e nelle Fiandre, benché egli non sia, secondo i disegni, di stile molto purgato nella parte civile. Finora non ci fu dato trovar questa sua opera stampata , per poter più oltre estendere i nostri giudizi. Questo adunque è il frutto delle nostre investi- gazioni circa la Relazione delle rocche della Roma- gna pontificia ; e siamo nella fiducia che i cultori dell'arte prenderanno vivissimo amore alla scoperta. E se all'annunzio del ritrovamento dell'opera del Leoncini alcun interesse dimostrarono i piìi grandi (1) Marini, biblioteca di fortitìcazioue, premessa all'opera del capitano Francesco De Marchi. (2) D'Ayala, dell'arte militare in Italia dopo il risorgimento. Firenze 1831. (3) Si noverano altre tre edizioni migliori, parimenti di Ve- nezia in folio, cioè, del 1602, i618, 1647. 139 ingegni, di cui l'Italia si onori, quali sono un Ot- tavio Gigli, un D. Baldassare Bonconripagni, un Carlo Guzzoni degli Ancarani, un Promis, un Ricotti, un D'Ayala, un Betti, un Canina: quand'essi appren- deranno che un nuovo trofeo, rivestito dei nomi di un San Gallo e di un Sanniicheli, fu rapito all'oblio per le cure dell'ottintio principe, che seppe far tesoro di questa preziosa raccolta, la quale senza lui poteva esser distratta e perduta, e generosamente poi volle se ne annunziasse per le stampe la fortunata esi- stenza; per certo, giusti estimatori dell'ottimo, quali essi sono e teneri della gloria italiana , godranno fuor di misura che il nostro esame sia stato coro- nato da un risultamento così grande e cotanto ina- spettato: considerando anche la bizzarrìa del caso, che mentre fu posta per istrane circostanze fra le mani del Marini V opera di Francesco De Marchi , perchè fosse rivendicato l'onor d'Italia con l'illustra- zione di tanto raro e prezioso capolavoro, si con- cedeva dopo alcun tempo la soddisfazione al nipote di gettar lo sguardo sopra di un manoscritto non conosciuto e formato da un xintonio San Gallo e da "un Michele Sanmicheli, i più grandi ingegni dell'epo- «a, sublimi rigeneratori degli studi e del gusto del- l'architettura greco-romana, ed illustri fondatori ed inventori dell'arte moderna di fortificar le terre con- tro l'offesa delle artiglierie. Roma li 21 gennaio 1855. 140 L'unità rende la chiesa di Cristo veramente grande; in cui si ammira la grandezza mirabilissima^ alla quale , mercè della fondazione ed operazione di Gesù Cristo , la potenza della verità conduce ed innalza V umano consorzio. Discorso del P. An- tonio Maria da Rignano M. 0. Apiid te laus mea in ecclesia magna. Il salmista. Viomìncio, o signori, il mio discorso dalle parole inspirate del salmista , che una a tutti i profeti e patriarchi dell' umanità nell' eccelsa estasi del suo spirito vide e lodò chiamando grande la chiesa del Signore; la congregazione in un sol corpo di tutt'i fedeli che il Cristo delle nazioni sotto il suo nome raccoglierebbe da tutta la terra. Mi vien dato un argomento grande a trattare alla vostra presenza per conforto della nostra allegrezza , a confusione salutare de'nostri nemici, in laude vera di colui che dal seno dell' eterno suo padre venne in terra a mettere i principii, a dar forma, a statuire l'organis- mo, a infondere la vita a quella società di credenti, prezzo del suo sangue , nel quale risplenderebbero le sembianze della città di Dio , che è ne' cieli , donde egli discese. Io non dissimulo la grandezza dell'argomento, sì grande quanto è maestosa e ter- j'ibile la grandezza misteriosa di questa chiesa di Dio : la quale grandezza tutta si conchiude nella sublime unità, dall'unità nasce, e dall'unità si ali- menta e procede; come un regal fiume, che discorre e si diffonde per tutta la terra, e tutta la terra rallegra, avviva, e feconda, con la virtù medesima e i caratteri della sua divina sorgente. Ma non però, o signori, me ne sgomento; che nell'arringo difficile non solo mi affida e mi dà animo la vostra benevolenza , ma ancora mi accresce ardimento quella fede che rende forte i pusillanimi»: la quale solo si trova , e solo è mirabile e potente in quella unità, di cui imprendo a ragionare; fondamento ed origine di tutte le gran- dezze onde è magnifica la chiesa di Gesù Cristo. Vunilà è quella che rende la chiesa di Gesù Cristo veramente grande. Non vi aspettate , o signori , e non temete che io mi vi faccia innanzi con tal sub- bietto, da volerne qui distendere un piccolo trattato: né che mi avvisi di mettervi dentro a'iaberinti delle distinzioni e sottigliezze della scuola , né che io venga alle prese con gli eretici e scismatici , dis- putando per sottile, e combattendo , o schermen- domi da'loro assalti: che ciò non consente, non che altro, la maestà stessa dell'argomento: la quale or vuole che senza più a'cattolici, in vanto della loro fede , e ad eretici e scismatici , io presenti per richiamo all' unità , come in uno specchio , l' idea della vera chiesa che fondò Gesù Cristo, dalla quale essi si allontanarono, e ne'loro errori e miseri di- vagamenti le somministrano in loro medesimi nuovo genere e novella prova di singolare grandezza. Non debbo, distrettamente parlando, intrattenervi, 0 signori, della prerogativa singolare teologica, onde la chiesa è e dee essere una ; ma sì per diretto dobbiamo considerare la grandezza di questa unità, vai quanto dire quella rigorosa e feconda natura d' una tale unità , onde si deriva alla chiesa ogni sua grandezza. Se non che è indispensabile il par- lare propriamente dell'unità, parlando delle sue gran- dezze, per le quali la chiesa, e appunto per questa sua stretta ed indivisibile unità, alta , misteriosa , ed universale, è grande; ma io sì discorrerò i pregi dell'essere una questa chiesa, che ad un tempo dal seno dell'unità vedrete sorgere ed ampliarsi i raggi della sua grandezza. Nel tratteggiare i quali per sum- ma capita, indicandone brevemente il concetto, mi ingegnerò di non essere molto lungo : ma in quel che dirò mi confido di non solo non abusare della vostra pazienza , ma per la stessa natura del gio- condo e sublime argomento trattenere piacevolmente la vostra attenzione che invoco. La chiesa è la congregazione de'fedeli credenti la medesima dottrina, viventi nella comunione del medesimo spirito coi vincoli della pace e dell'amore sotto un reggimento d'un medesimo pastore ; pas- tori e fedeli, uniti fra loro; tutti negli ordini d'una dipendenza suprema uniti al supremo capo di tutta la chiesa; che è il romano pontefice successore di s. Pietro, che Gesù Cristo prepose agli stessi apos- toli ed a tutta la congregazione de credenti in lui, in sul primo assembrarli e comporli che fece in corpo di vivente società ; la quale e' destinava a spargersi per tutta la terra , e comprenderebbe in un solo consorzio tutto 1' uman genere. La vita , l'anima, l'essere, l'ogni cosa di questa grande, o piuttosto immensa società, che creava Gesù Cristo, 143 è la verità: il conoscere Dio , e adorarlo in spirito e verità', il conoscere Gesù Cristo^ figliuolo di Dio^ re- dentore e legislatore del genere umano. Un Dio, una fede, un battesimo; una vita sola in Cristo, un solo spirito , un solo ordine di culto e di disciplina, un solo reggimento. Capo e vita interiore Gesiì Cristo, capo e centro visibile s. Pietro principe degli apos- toli, e per lui, nella successione de'secoli, i romani pontefici successori nella sua cattedra conferitagli da Cristo. Consorzio grande, mirabile; sì immenso nella estensione, e nell'armonia degli ordini della scienza e della vita , e sì uno , quanto e come è una la verità. L'unità è l'indeclinabile rettitudine, l'indivi- sibile ordine ideale e reale della verità. La verità è semplice: perciò da essa per poco che si diverga si balza fuori , si vaga lungi senza modo e senza scopo. E in questa rettitudine consiste l'ordine della unità: rettitudine immensa, infinita, universale, alla quale ogni cosa si dee conformare. E qui dunque vediamo l'intrinseca grandezza, la sublime sempli- cità, e l'essere sommo, in se stesso mirabilissimo di questa stupenda unità, onde la chiesa nel suo supremo elemento, o piuttosto forma costitutiva, si riduce alla verità: a quella verità una in idea come é in mente a Dio: donde si deriva, e si fa armonicamente moltiplice nelle opere, negli effetti, e negli ordinamenti che sono fuori di Dio nello spazio e nel tempo. L'unità suddetta, maravigliosa sintesi di tutto l'immenso ordinamento dell'umana famiglia in un solo popolo, che uno in so per r amore si fa uno con Dio per la fede, questa uni- tà si concentra nell'essere, onde ogni eresia è dell'esse- re fuori non è:è negazione, non affermazione di essere. Onde agli eretici diciamo: Non è vero quel che voi tenete', non è tra le cose o verità od ordini dHntel- ligenza e di azione da Dio rivelati e posti; siete fuori delle ordinazioni delle divine rivelazioni; vi disgustate, e gite lungi dal sole delle rivelazioni divine, che splende in seno alla sua chiesa; vi ponete contro a quel che è, contro al vero , contro a Dio; deviate dalla linea della divina rettitudine con le vostre sentenze, perciò eretiche, perchè confinarie a queirunica fede che Iddio vi ha data. E il simile diciam pure delle scisme ; le quali non consentono, e al dire s. Tommaso, è impossibile che, lasciate alla furiosa ed astiosa logica della loro ribellione , non si fabbrichino in fine la eresia : che l'errore di fatto, di semplice peccato, per finto o vero zelo che fosse, eziandio di fuggire da ciò che ingannati possiamo credere un errore della legittima potestà , facilmente ci trascina a vagare fuori della verità, e impigliarci in peggiori errori. « Ne quis , scrivea Lattanzio (De vera sap: et rei: lib. 4) errorem fugere cupiens, maiori implicetur errore, dum penetrale veritatis igno- rai. » Gesù Cristo ha fondata una sola chiesa, un sol corpo , una sola società , un sol consorzio di fedeli, che credono in lui, e vivono di lui , e dai nemici si difendono per lui. Questa società è la chie- sa , corpo di fedeli visibile , di cui è capo visibile s. Pietro in tutti i suoi successori nella maggior chiesa che fondò in Roma. Unità di consorzio tale, che vaga fuori di esso chiunque non sol di fede , ma di carità e di obbedienza non è unito al suo capo visibile, rimanendo dentro da'recinti della chie- sa, della quale questi è anima e vita, e quegli car- U5 dine e centro dell'unità: tal capo, in luogo di Gesù Cristo, vicario di Dio , che qualunque con lui non colligit , miseramente spargit. Or il sentimento , o la fede, e sì l'ordinamento, di tutte le idee, e delle opinioni, de'costumi, delle leggi, della vitalità inte-» riore ed esteriore, e in somma della verità di prin- cipii e di costituzione di questa chiesa, è tale e sì profondato negli animi e nella coscienza universale de'fedeli, che al solo apparire d'una eresia, al solo rompere primamente una divisione, una scisma, se ne turba e commuove, anzi inorridisce e si spaventa la coscienza della cristianità: quest'ordine , questa sintesi di vita intellettuale e morale, che ha posta Iddio nel cuore de'cristiani , è sì indeclinabile che al sorgere d'una diversità, od opposizione d'intelligen- za o di azione, tutti gli occhi e tutt'i voti si vol- gono a cui ha in bocca , per così diie , 1' esterior filo , onde sì mantiene il freno della uniformità e della concordia in tutta la chiesa: e tutti gridano: Anatema: anatema. Die ecclesiae. Ma prima di ficcar più addentro 1' occhio nel congegno della misteriosa sintesi , od unità della chiesa , che si appunta in un solo vertice , donde comanda a tutta la terra, non ci sia grave, anzi è pensiero grande e dilettoso, il considerare questa società, la vera unità ed armonia delle umane intel- ligenze , insin da' primordii del mondo ; unità che abbraccia tuti'i secoli , grandezza che discorre per tutte le generazioni. Onde si vede V unità grande del concetto: unità, che Gesù Cristo poi strinse viep- più, conchiudendola in una gerarchia, che da ultimo è un solo; perchè tutte le forze in luì unite fossero G.A.T.CXXXVll. 10 146 pronte, onnipotenti, sempre le stesse, sempre uni- formi al principio, sempre costanti nelle sollecitu- dini , e senza possibilità di anomalie o contraddi- zioni, sempre efficaci nelle opere della universale , continua , e perpetua economia di tutta la chiesa cattolica, alla cui vita, allo spirito, a' principii, ed alla forma partecipassero le chiese particolari. Calholi- cam facit , al dire di Ottato, ( lib. V ), simplex et verus intellectus, intelligere singulare ac verissimum sacramenlium, et unitas animorum. La gerarchia cosi stretta e unita al suo principio, come l'ha costitu- ita Gesù Cristo , è proprio il mezzo in sua alta sapienza scelto da Cristo medesimo affin di rappresen- tare qui in terra il principio di unità, d'intelligenza, di verità, di azione e di amore che è tra le divine persone nel cielo, e quindi per virtù di sì alta in- trinseca e misteriosa efficacia , dentro la cerchia dell' ordine e dell* armonia , distendere , ampliare e perennare nel tempo e nello spazio sino alla fine dei secoli, l'unità di fede e dì vita spiritale tra gli uomini ; società d' intelligenze ( benché coperte di carne e servite da organi, come la chiama il Ronald), le quali Iddio cavò fuori dal nulla, e fece, come volle che fossero, nell' universo, immagini e somi- glianze di lui, ed a mo' di lui divenissero perfette. Egli di tal forma creò l'umanità, e quindi pose ex uno humanum genm, al dire di Agostino; e così dispose che vivesse in unità: il quale dipoi per colpa dica- duto da sì sublime seggio di unità e di giustizia, in cui l'ebbe collocato, però venne Cristo ( come sa- pientemente dice un degl' illustri teologi viventi, del quale Roma e tutta la chiesa cattolica si onorano) 147 venne Cristo a ricostruire tutte le nazioni, di tutti i popoli, di tutte le tribù e lingue una sola famiglia, non che solo un popolo, restituendo colla grazia della redenzione alla sua grande unità i figliuoli dispersi, e infra loro disgregati di Adamo: e perciò volle [e si fece) , che la chiesa sua ( in cui Vuman genere dee tutto restaurarsi ) non avesse altri congni che V am- piezza della terra quanto allo spazio, né altri termini, che la intera serie dei secoli quanto al tempo (1). Società tale , a cui meglio che all' impero romano stesse bene, e neppur tutta esprimesse la sua mira- bile universalità in un solo governo quell' imperium oceano, famam qui terminat astris, di Virgilio. Im- perocché questa chiesa comincia co' secoli; e n^l'ul- timo de' secoli, quando il gran lavoro della univer- sale restaurazione e perfezione della umanità sarà compita, nel dì che unum ovile et unus pastor fiet, si accomunerà oltre il vortice de' secoli, col consor- zio de' beati nella celeste Gerusalemme, di cui qui in terra ne imita l'ordine, l'armonia di principio e di dipendenza, e la solenne unità di intelligenza, di amore e di laude. E perciò questa chiesa lavora con incessante sollecitudine questa grande idea; onde alios invitat, aiios excludit, alios relinquit, alios ante- cedit: omnibus tamen gratiae participandae dat pole- statem, sive Mi informandi sint, sive reformandi, sive recolligendi,sive remittendi (s. Agostino de v. reb. e. 6). Sublime e singolare grandezza di missione, di ope- razione , di avviamento , di direzione ; sempre il medesimo spirito , perchè sempre da un medesimo (1) Perrone, 11 proleslaiilismo o la rejjola di fede. U8 principio! Soli sino alPultimo dispersi i giudei; che, accennanti da per tutto con i loro libri (ora nostri), e con i loro odi (lor perenne virtù) , da perpetua- mente indicar noi nel trionfai corso di nostra fede, alla chiesa furono dati testes di ciò che essi sco- nobbero, e noi adoriamo in omnibus genlibus, come dice il testé citato Agostino: nuovo genere di gran- dezza della nostra unità, l'avere per l'universo mondo testimoni, e come quasi banditori di quella mede- sima fede, di cui esse conservano le sole speranze, e per cui anch'essi un dì saranno nostri fratelli! Im- perocché il lavoro della verità e della chiesa è tale, che ed essi nella consumazione de' secoli, compita lor f|^nesta, che pure si convertirà in gloriosa mis- sione, saranno dell' ovile ; confessando la medesima fede, e rientrando nell'antica unità d'una stessa chiesa di credenti e viventi in Gesù Cristo. Potenza inef- fabile della verità e dell'amore nell'unità, che ope- ranti dal centro di azione dell' unità vinceranno il mondo : Fides nostra, quae vicit mimdum. Dal giro della quale unità, immensa orbita di grazia in azione, erranti lungi ed attorno, eretici, scismatici e infedeli d'ogni maniera, e le accrescono onore e splendore di esercizio della sua vita di fede immutabile, e da lungi le vengono preparando fama di potenza in- crollabile, e corone sempre più splendide della sua virtù e de' suoi trionfi. Imperocché quelle società erranti nel corso de' secoli spariscono, e la chiesa di Gesù Cristo si rimane immobile circondata d'au- reola immortale, che della sua forza, della sua co- stanza, della sua purità, dell' invincibile sua unità mirabilissima le conservano, anzi a tutte le genti, J49 terribile esempio a' vinti e disfatti, le predicano 1^ storie veritiere dell'umanità. Questo lavoro pieno di vita e di pericoli, questa dinamica della forza e fe- condità dell'unità cattolica cominciò sin da Adamo per virtù del Verbo, che è la verità; onde sempre furono giusti, e in mezzo a miserie, sopra la terra; essi erano della città di Dio; e la chiesa stava nella fede e speranza dei patriarchi, credenti in colui, che verrebbe desideratus gentium. Prima ftmdamenta con- gregationis ecclesiae slatim ab initio siint posila, dice Origene (hom. 2 in Cant. Cant.). Ma spesso ravvolta nelle sacre sue bende; e ciò non ostante cresce sem- pre , discorrendo come a dire invisibile , attraverso i tenebrosi secoli di morte, che pur vinse rischia- rando: e 'I lume le si deriva sempre dall' unico ed immutabile principio della sua verità e giustizia ; sempre combattendo, ma sempre in sua rocca, del- l'unità della fede e delle speranze, peregrinando si mantenne, e si venne chiarendo insuperabile; vitti- me gli uomini, ma con spettacoli sempre nuovi di grandezza e di magnanimità ; salvo il principio. E per tali virtù e trionfi, onde il vero, la giustizia, la fede si propaga e deve crescere, s. Agostino af- ferma che ah ipso Abel, quem primum iiistum impius frater occidit, et deinceps usque ad hiiius saeculi finenii iuler persectuiones mundi, et consolationes Dei, pere-^ grillando procurrit ecclesia. (Civ. Dei lib. 18). Vivere, e sì crescere e restaurare o salvare il mondo; pro- cedendo fra scisme di fede e di governo, per mezzo alla città di Satana sempre in combattimenti : che sono posti da Dio come strumenti da sempre isvol-; gere e far risplendere l'operosità , l'intelletto della 150 fede, le sollecitudini della carità e suo zelo; e in- somma la potenza e la grandezza della chiesa, che come un esercito schierato a battaglia vuol portare, e, seguendo sua missione , porta insino agli ultimi confini della terra la fede, la speranza, la carità, la santità, e la forma di vita perfetta unica, onde di tutto l'uman genere deve comporre al suo unico Dio una società unica di perfetti. Ma io insisterò viemaggiormente in queste ener- gie vitali che si nascondono, si maturono e si fanno operosissime dentro 1' unità, per le quali la chiesa ed è in sé stessa e nella sua azione secondo le ori- gini , si manifesta in mezzo a' popoli sempre più grande. Questa potenza è virtù trasformatrice della umanità , cui la chiesa è destinata ad abbracciare e in sé accogliere e santificare tutta quanta. Tolgo a considerare quel geneioso, faciamus hic tria taber- nacula, Ubi unum^ Moysi unum, et Eliae unum, di s. Pietro; di quel s. Pietro che nelle cose grandi e fondamentali della prima istituzione del cristianesi- mo, cioè della chiesa, è sempre primo a credere, primo a proporre, primo ad essere chiamato e man- dato da Gesù Cristo. Faciamus hic tria tabemacula, diceva s. Pietro a Gesù Cristo in su quel monte della trasfigurazione; qui è la cura e qui sono i se- gni della missione e dell'ordine dell'unità della chiesa: tria; ecco il moltiplice e i molti nell' unità: Cristo sopra tutti e in tutti; e tutti un solo in Cristo. Ma dove? nel monte della trasfigurazione, che è la chie- sa; società umana trasfigurata in Cristo, a cui per tale opera servirono la legge e la profezia, e serve la grazia. Imperocché nella chiesa per la virtù dello 151 Spirito Santo, la cui carità è per Cristo diffusa nei nostri cuori, nello spazio e nel tempo, negli splen-» dori della verità, e nella rettitudine delle giustizie, Tuman genere fortiter et suaviter si viene trasfiguran- do; il quale diverrà, ed è di fede, ad un solo ovile con un solo pastore: è di fede, e la storia di diciannove se- coli di questa unica, costante e perenne azione della chiesa ce ne narra i prodigi stupendi del continuo e solenne avveramento: e continueranno sino a che il mondo non si dissolve. Che in Cristo la chiesa è la visibile provvidenza dell'umana famiglia. In questa chiesa Unum patrem habemus Deum: in questa chiesa tutti fdios Dei qui erant (e che saranno) dispersi, il Cristo stesso continuamente congregaret in unum per opera della parola evangelica, che la chiesa non ristarà mai dal bandire in omnem terram; perpetuo e sem- pre uno e vivente apostolato. In questa chiesa si effettuerà l'imitazione dell'unità stessa, che è ne' cieli: Imitatio principii, quod est unum, al dire di s. Cle- mente Alessandrino (Hom. lib. 7): stupenda e vera- mente divina grandezza della chiesa, che rende im- magine dell'unità onde Gesiì Cristo diceva che in quanto Dio era una medesima cosa col Padre: Ego et Pater unum sumus; e si egli fondò e pregava il Padre suo che fosse la sua chiesa, ut sint unum, si- cut et nos: che tutti unum sint (ma come?) sicut tu. Pater, in me, nella fede unica che ci dette, nella speranza unica che e' infuse, nell'unica carità, con-^ sumati in unum. E tutto ciò , o signori ( ed oh ! l'intendano una volta gli erranti), tutto ciò riposa in questo principio , tanto vero e tanto semplice : cioè, Unus Deus, una fìdes, unum baptisma; comò 152 Iddio è uno; una e medesima in ogni clima la na- tura umana ragionevole; uno e medesimo il filo di relazione intrinseca e di dipendenza delle creature razionali dal Creatore e dal loro Conservatore e Re- dentore : una ed una volta fatta la rivelazione dei divini misteri, da Gesiì Cristo agli apostoli, e dagli apostoli alla chiesa , e dalla chiesa a noi : ed una infine e semplicissima la verilà , per cui conoscere ed adorare furono creati e redenti gli uomini, ed a cui conseguire e godere in vita eternale, qui in terra aspirano ed amano credendo. Il consorzio adunque degli uomini qui in terra nella chiesa e nel Cristo delle nazioni è per sua origine ordinato a divenire come quasi una copia, una imitazione del consorzio de' celesti; consorzio che ha il supremo suo tipo, e quindi ritrae vita e potenza, nella società delle stesse tre divine Persone , ove la potenza , la sapienza e l'amore sono una medesima sostanza, ed una infinita concordia d'una medesima vita. Per la qual cosa Gesù Cristo ritraendo da quel divino modello, con la sua fede^ che è la verità, con la speranza, ch'è il lancio e l'anelito de' cuori alla gloria della vita immortale, e con l'amore, segnale che e' fece del popolo di Dio, e vmculum perfectionis, sempre col principio e gli ordini o congegni dell'unità, sintesi miracolosa di sentimenti, di forze e di azioni; venne a distruggere, e con la lenta opera della chiesa del continuo scema, sinché al tutto avrà cessata fra gli uomini la orribile confusione, onde come attestano Ifi storie, innanzi che e' venisse su la terra, pur nelle verità essenziali della vita, nonché della salvezza del- l'uman genere, erano i figliuoli di Adamo qiiot ca- 153 pita, totidem studiorum millia; e lar loro vita, come raggi Tun dall' altro divergenti , e tutti divergenti dal vero loro principio e dal vero lor tìne. Per cui ( ed ecco la grandezza nella sua instituzione e nel suo essere sempre uno ed immobile della chiesa ) Gesù Cristo fondò sopra di sé il nuovo edifizio; fon- damento che pose perpetuamente (per sua medesima virtù) incrollabile, ed a tutte le genti autorevole e visibile nella persona di Pietro, e in lui tutt' i suoi successori nella cattedra, ove si posa la colonna e 7 sostegno della verità. E poiché, miei ottimi signori, a s. Pietro, a Roma, si appunta il vertice della gran- de piramide della chiesa, e '1 centro a cui tutti si riferiscono, e da cui si partono i raggi dell'unità del corpo mistico di Cristo, vediamo più da presso l'es- sere, l'instituzione, la natura, come è fatta, come è nata, come Gesù Cristo l'ha posta questa Uìiità re- golatrice e della credenza e della vita di fede di tutti i cristiani di sincero nome. La qual natura, per su- perbia e livore disconoscendo gli eretici e gli scis- matici, però appunto essi errano fuori e lungi dalla Unità, senza verità, senza Spirito Santo, senza carità, poiché al dire sì vero e sì profondo di s. Ireneo (lib. 3, cap. 24 con tra haer. ) : Ubi ecclesia, ibi et spiritus Dei, et ubi spiritus Bei, illic ecclesia, et omnis gratia; spiritus autem veritas. Essi appartenevano a questa chiesa, ma se ne separarono, o rompendo la carità, 0 conculcando 1' obbedienza a' legittimi pastori , di cui sconobbero l'autorità ; e se ne ribellarono sor- gendo a tenere dottrine che la chiesa non conosce, e condanna come contrarie al deposito, che ella cu- stodisce delle vere dottrine degli apostoli e di Cristo. 154 Ei sì rifuggono ad una chiesa, ad una società di uo- mini invisibile! al certo per iscansare il giudizio della vera chiesa, che Gesìi Cristo fece visibile. Ei si av- volgono ne' sutterfugi degli articoli fondamentali; e non pensano che fede non può essere, se non rive- lata da Dio, e tutta e non in parte ci è permesso di tenere questa fede ; però grande, però terribile, perchè una ed indivisibile: quale in petto alla chiesa si custodisce con infinita gelosia, e quale per bocca della chiesa, una anch'essa indivisibile in Pietro, si annunzia con inflessibile e maestosa autorità. Da ultimo si richiamano all'unità moltiplice disgregata, e sol una per consenso di tutte le chiese, non per dipendenza di tutte da una sola, in cui tutte vivano e si conchiudano , com' è la romana. Ma ei fanno sembiante di non sapere quello che non possono ignorare. Ascoltiamo chi, non ha molti secoli, con la sua dotta e mirabile eloquenza salvò la Francia cristianissima dal precipizio dello scisma in cui era sul rovinare, vo' dire il gran Bossuet. Noi troveremo^ dice, nel vangelo, che volendo Gesù Cristo cominciare il mistero della unità nella sua chiesa, di luti' i suoi discepoli ne scelse dodici; poi volendo compire questo stesso mistero nella stessa chiesa, di tutti i dodici ne scelse un solo. — Egli chiamò a sé i suoi discepoli^ dice il vangelo, ed eccoli tutti innanzi a lui, e di loro ne scelse dodici. Voi vedete così la prima separazio- ne, e gli apostoli eletti. Ecco poi descritti i nomi de"* dodici ; il primo è Simeone detto Pietro. Vedete in una seconda separazione, s. Pietro esserne fatto capo, e perciò esser chiamato col nome di Pietro, nome che Gesù Cristo, dice s. Marcoy impose a lui 155 per apparecchiare.... il fondamento^ meditando d'in- nalzare sopra quella pietra tutto il suo edifizio. Ve- dete, 0 signori, grandezza e maestà della chiesa, ben- ché sul nascere al cospetto di Cristo stesso suo fon- datore ; che, egli proprio fondandola, la fa una in lui; dipendendo dal cenno di lui che la imprime del marchio dell'unità eziandio visibile ; stringendola e concentrandola in dodici , de' quali un solo chiama e pone pietra singolarmente fondamentale , che li unisce tutti in un solo ; in cui tutti i dodici, e in essi e con essi, tutti i discepoli, cioè la chiesa uni- versale, si unifica, e dal suo supremo cenno, come già da quello di Cristo , per divina istituzione di- pende. E senza ciò veramente il corpo della chiesa 0 sarebbe venuto al mondo senza capo, o con do- dici teste: e quindi, se non altro, almeno le chiese apostoliche, cioè le fondate dagli apostoli, compor- rebbero come dodici elementi, o piuttosto fonda- menti o colonne , alle quali si riferirebbero le ve- gnenti di mano in mano, siccome nuove diftusioni della chiesa universale , alla quale facilmente con- cederemmo l'unità di fede, e la scambievole rispon- denza di amore , per miracolo senza organismo ; benché una di esse mancando in fede o in carità, a nessuna sarebbe consentito di costringerla con autorità alla medesimezza del credere e dell'opera- re. Ed oltre a ciò una tal forma di chiesa sarebbe sfornita di quella grandezza e maestà di ordine , mercé del quale l'oracolo della prima sede con di- retto ed immanchevole effetto tuona dal sommo, e si ripete ed echeggia necessariamente insino all'ul- tima circonferenza della immensa sfera del mondo 156 cattolico, in che consiste Tessere e l'apparato e la potenza delia vera grandezza, e l'efficacia come la direzione della sua grande azione. Non posso nega- re, anzi con incessante incantesimo del mio spirita ammiro il mistero, per cui è grande e solenne, ben- ché sì diffusa e sparsa per tutta la terra, la chiesa; l'unità di lei, e la costante uniformità pur in mezzo e sotto l'urto di tante varietà ed anomalie del mon- do; stupendo miracolo della provvidenza, della gra- zia e della informazione dello Spirito Santo: Tot et tantae ecclesiae ( come scrive Tertull, nel cap. 20 delle prescrizioni) tot et tantae ecclesiae^ una est illa ah apostolis prima, ex qua omnes primaey et omnes apostolicae, cium unam omnes probant unitatem. Che solennità, che grandezza, che meraviglia, quale mis- tero, onde è sigillato l'orto chiuso del Signore! Da per tutto la stessa stampa, lo stesso simbolo , le stesse speranze, la stessa fede, il medesimo amore: da per tutto i cattolici essere e riconoscersi il me- desimo popolo di Dio con la medesima impronta di figliuoli di Dio. Come la vediamo ed intendiamo noi nel secolo XIX, così e non altrimenti intendeva la chiesa sé stessa ne'suoi primi secoli: e tale è, e sarà sempre il sentimento che le infuse il suo di- vino sposo Gesù Cristo; vita piii divina che umana; grandezza di società spirituale , che a sé piega e vien conformando ogni ordine di umanità, da essere come c'appunto la chiesa, un perenne inno di onore e di laude in sua costante e divina unità di fede e di preghiera. Ecclèsia calholica plantatio Dei est, et vinca eius electa,\)ei'chè ha certissimam Dei religionemy perchè spera , unico sospiro di tutti, sempiternum 157 èius regnum per fìdem, perchè è forte della stessa virtutem Dei, et Spiritus Sancii participationem, che possiede; perchè infine essa, e tutti i fedeli, e sopra tutti i suoi pastori, lesum armati, ed aspersionem pretiosi et innocentis sangiiinis Christi communicantes, hanno soli ( privilegio grande dell'unità , terribilis- simo a tutti gli erranti da essa) , hanno soli fidu- ciam ut nomine patris Deum omnipolentem appellarent^ ed altri non può. E questa è una delle principali grandezze della chiesa , che eccita tante ire inutili ne'suoi nemici; la terribilità dell'essere in sé d'ogni parte sì salutarmente chiusa in sua tranquilla ed im- mobile unità, che qualunque se ne diparta, ille ac si ex gente iniqua esset, a Deo reputabitur. Così, udi- tori , in sé stessa questa chiesa ora si vagheggia e si esalta; così sempre si esalterà, vagheggiandosi; e così, come ammirammo nelle testé citate costitu- zioni apostoliche ( lib : 1 ), in quei felici tempi da noi rimotìssimi si vagheggiava ed esaltava, lieta e beata in tanta dignità e grandezza unicamente sua. Ma dopo tutto ciò la cosa è per sé chiarissima ; voglio dire che all' unità interiore e vitale dello spirito vuole a punto corrispondere 1' unità di or- dine esterna, l'unità di gerarchia, l'unità di governo con un capo solo: né quella però essere senza questa; e perchè talmente l'ha Gesù Cristo costituita, datosiad essere visibilmente sostituito da s. Pietro; e perchè è siffatta la vita morale interna degli uomini, che si sostiene ed alimenta dalle esterne instituzioni e dai legamenti visibili e dagl' influssi sì della vita del tutto , e sì della direzione del capo. Ma io credo ehe anche più dentro possiamo, e ci gioverà con- 158 siderare questa grandezza dell' unità della chiesa ; vitale e piena di prodigi della sua propria missione, la dipendenza di tutti da un solo per tutta la terra. L'unità in quanto ordine e gerarchia , come in suo centro, d'intelligenza , di azione , e di maestà d'insegnamento, e dì fede, sì conchiude nel solo s. Pietro, e per tutto il corso de'secoli ne' suoi suc- cessori. Imperocché egli è posto da Dio stesso, da Gesù Cristo , a condurre e dirigere , come primo piloto, la navicella della sua chiesa per mezzo ai marosi delle eresie, delle scisme, e delle persecu- zioni onde navigherebbe nel mare della vita: e tal navicella ( ne fan fede insin le dipinture dell'antica pietà ) s'intitolerebbe da Pietro ; tanto la chiesa, cui modera e governa il principe degli apostoli non è l'angusta diocesi di Roma, ma in tal diocesi 0 chiesa, o cattedra di Roma , s'identificherebbe , non altrimenti che nel suo principal seggio, o su- blime vertice, la chiesa universale di Dio sparsa per tutta la terra, la cattedra di verità , fuori e sepa- rata dalla quale è cattedra di pestilenza: d'onde in somma Cristo in persona di Pietro (e qui ammirate, o signori , altezza di società divina , ma in forme ed ordini, e con persone umane !), d'onde, dicevo, Cristo medesimo in persona di Pietro e suoi suc- cessori terrebbe perpetuamente in mano il freno di tutta la società de' credenti ; universalità ed unità nello spazio di tutta la terra, e nella serie di tutti i secoli , si mirabili a considerare, che toccano la cima della grandezza e del sublime, e sono la prova la più inconcussa che non mai la maggiore della divinità della chiesa. L'ordine della unità del reg- 159 gimanto si stringe in questi modi si naturali e sì semplici in tutte le chiese; laici , diaconi , presbi- teri, e vescovo ; e Roma sopra tutti: anzi Roma , il romano pontefice, è la chiesa; nel quale la chiesa si concentra:senza il quale la chiesa ne spaisa né as- sembrata in tutti i suoi pastori e dottori , non è vera chiesa: una chiesa acefala , non chiesa. In ciascuna chiesa particolare il vescovo è perno del- l'unità di sua chiesa, ove egli capo dispensa a tutti l'in- telletto della legge, c'I moto della vita di grazia a mez- zo del suo clero, gente anch'essa a ciò eletta da Dio tamquam Aaron, e al vescovo consegnati cooperatori con lui nella economia de'divini misteri. Tah chie- se 0 congregazioni di fedeli hanno in sé tutte le medesime partecipazioni dello Spirito Santo, vivono nella comunione della medesima fede in una stessa speranza, informati della stessa carità. Un di Roma in tal società si ammira cittadino con tutti i suoi diritti e doveri in America , un d'America in Roma: chiese tutte cattoliche a cagione del principio a cui partecipano, e col quale comunicano; ma non sono già esse la chiesa cattolica , della quale sono non tanto veramente parti, quanto piuttosto partecipanti alla sua gloria , alla sua grandezza , alla sua vita. Tot ac tantae ecclesiae, una est illa ab apostolis prima, ex qua omnes. Or questa chiesa madre, questa chiesa ab apostolis prima, ex qua omnes, la chiesa cattolica, tipo e forma , come é centro e vertice a tutte le altre , le quali , come espone eloquentemente s. Cipriano , da lei si spiccano come raggi da unico sole , 0 come rami da un solo albero , o come ruscelli dallo stesso fonte; questa chiesa, dicevo, non essendo un assere ideale, ma reale, visibile, e posta T60 «opro un monte, perchè tutt'i credenti da ogni luogo e in lutti i tempi facilmente la riconoscessero, e da lei che è maestra si ammaestrassero, e di lei che è colonna e sostegno di verità si appoggiassero, ne circum- feramur omni vento doctrinae: questa chiesa bisognerà che sia in concreto, esistente , sempre vegghiante in soUecitiiditiem, omnium ecclesiarum, sempre inse- gnante e dirigente, sempre ne'dubbi o controversie tranquillante : da sempre avverarsi anche circa ai capi delle chiese minori, non solo la potestà delle chiavi del prosciogliere o ligare , non del pascere agnos et oves, non solo del confermare i fratelli che vacillassero, ma quella al tutto grandissima e sopra- umana missione, fondata nell'unità, che ebbe Pietro, perciò d'esser pietra fondamentale dì questa chiesa, perchè contro di essa sempre immobile alla base del grande edifizio non mai prevarrebbero le porte del infer- no. E di fatto (e sarei infinito se volessi narrare tutti i casi avvenuti in XIX secoli ) la storia ci dimostra che tutte le eresie, e tutte le scisme , Simoniani , Cerintiani, Ebioniti, Gnostici, Montanisti, Sabelliani, Manichei, Monoteliti, Nestoriani .... e in ultimo Calviniani, Luterani con tutta la immonda mistura degli erranti del secolo XVI, e di recente i Delam- meniani, gli Ermesiani, e Giansenisti politicanti di ogni colore , e razionalisti più o meno filosofanti seciindum inanem philosopiam. . . . ruppero in questo eterno scoglio di Roma, in questa pietra dell'unità cattolica: vi urtarono ( e permettetemi, o signori , uno slancio d'immagine poetica, che essa pure di- pinge al vero che maniera di stupenda grandezza sorge dall'unità cattolica della chiesa di Dio ): ur- 161 tarono quelle sette contro l'eterno scoglio di Roma, rimbalzando furono sbalestrate a girarsi fuori del- l'orbita della cbiesa; e sì roteando nel puro vacuo senza vita, in sé medesime consumarsi , come già tante perirono , d'altre non rimane che un' ombra che presto dileguerà, e tutte spariranno; sola e sem- pre viva ed immortale la chiesa universale , che mette capo all'eterna Roma. Faciliusest solemextinguii quam ecdesiam deieri, come ben disse il Crisostomo» che sì ben s' intendeva, e pur tanto giovossi e si affidò dell'unità romana, per tenere stretta nell'unità della vita cattolica la sempre vacillante e voltabile chiesa costantinopolitana sin da' suoi tempi ( hom : 4 in illud Vidi dominum ). E questa chiesa romana, al dire di s. Ireneo ( lib: 3 contra haer: ), è la mas- sima ed antichissima, e a tutti nota [subito ed imme- diate sin dalla sua fondazione, famosa ) fondata e costituita da due apostoli Pietro e Paolo. Ove è no- tabile che più forse di Pietro adoperò nel santo ministero Paolo apostolo; ma la chiesa s'intitolò da Pietro: da quel Pietro a cui già Paolo dianzi era ito a Gerusalemme per conferire il suo vangelo , affinchè invano, ne in vacuum, senza unità con Pie- tro si adoperasse nel suo divino apostolato. E non è senza alto mistero di provvidenza, che vivente s. Paolo fosse per avventura il maggiore operatore dei prodigi della fede in Roma, apostolo che egli era e dottore delle gentil e di Pietro, tacendone gli atti degli apostoli, a mala pena si conosce il nome in quelle origini di Roma cristiana: ma ciò nostante vinse l'autorità della sede; e non può essere senza gran fondamento di verità storica dell' episcopato G.A.T.CXXXVU. Il 162 di Pietro in Roma , che dopo morte , e per tutta la serie de'secoli, non di Paolo ma di Pietro si vanti Roma d'aver avuto a suo vescovo, vescovo dì tutta la chiesa. Pietro vi tenne e vi lasciò la cattedra, e da Pietro si fece autorevole e regolatrice di tutto l'orbe cattolico: eam, quam habet ab apostolis tra- ditionem, et ammnlialam homnibus fidem , come la definisce s. Ireneo, la quale per siiccessionem epis- coporiim, sempre in sé medesima una, e non mai interrotta per diciannove secoli, pervenne sino a noi. E questa appunto, continua il s. dottore, questa in- dichiamo, a questa tutte le chiese si volgono, e, tes- timonio la storia, si volsero sempre ( che sguardo maraviglioso e sublime di tutte le chiesa a Roma!), ed a lei si aderiscono, e sempre si aderirono, per ser- vare, come debbesi, unità (quanto è grande e solen- ne quest'armonia nell'unità !); e per questa confundi- miis omnes eos, qui quoquo modo vel per sui placentiam malam, vel vanam gloriam, vel per coecitatem et malam sententiam, praeterquam oportet colligimt. E sì appunto si adempie il divino mandato di Pietro: Pasce agnos meos, pasce oves meas: tutti, da per tutto, pastori e pecorelle, chiesa principale ; ma non basta; che la sua principalità è la piìi potente di tutte le altre, posto pure che fossero, come questa, apostoliche. La quale vive e vivrà in tutti i secoli magistra et firmamentum veritatis; qn^ndo già tutte le altre pri- mitive apostoliche non si rimasero che una storia ed un nome. Ed a questa che è ormai unica apos- tolica vivente, ed a tutte le altre superstite, e non poteva né morire, ne'offuscarsi, perchè in essa, seg- gio di Pietro, era il principio vitale e direttore di 163 tutta la chiesa indefettibile di Cristo, radice e cen- tro dell'unità cattolica; a questa necesse est omnem convenire ecclesiam, hoc est eosqui sunt undique fideles; in qua semper ab his qui sunt undique conservata est ea, qiiae est ab apostolis traditio pienissima ostensio, unam et eamdem vivificatricem (idem. Adun- . que l'universalità di tempo, e di luoghi, or giovi ripe- tere, già sì storica, sempre sì continuata e sì ma- gnifica e crescente dal principio immobile e feconda dell'unità; la sollecitudine della custodia o dichia^ razione del domma; la sapienza in determinarlo nelle varie occorrenze secondo le applicazioni che consi- gliano le eresie e gli scismi, e i vizi, o i dubbi, o le ignoranze degli uomini, che tentano turbarne la serenità; e la verità, la forza vitale, la disciplina, la potenza , dirò così , di attrazione con cui tiene e vuole a sé unite tutte le chiese, tutti i fedeli per Pietro, per la chiesa di Roma ove siede il maggior Piero dalle somme chiavi ; tutto ciò, dico , non è un'idea vaga, un generale concetto, o come un'aura indeterminata sparsa senza individualità di corpo e capo e lingua viventi ; ma è un corpo , una vita determinata , vivente e visibile , credente ed inse- gnante, che per uno, per un solo, che signoreggia nella universale società, principalmente opera, con- serva, parla, comanda, sensibilmente, visibilmente , in concreto: e in uno, in un solo, addato della pre- ghiera di Gesù Cristo al padre, ut non deficial fides sua: in uno solo, circondato di consigli, ove dimora la sapienza: Ego sapientia habito in Consilio ; in lui solo, che è il visibile e vero Cristo fondatore, sposo, e governatore della sua chiesa. Onde tutti quanti 164 sono e saranno credenti dall'oriente all' occidente, e dall'aquilone all'austro; e'I vecchio e'I nuovo mon- do: tutto l'uman genere, ora in potenza, poi, quando che sia, in atto, dee in quest'uno vivere in fede, e credendo perfezionarsi in scienza della vita, in cos- tumi puri, in dirette giustizie, in santità ; e in lui solo, nell'unità dello spirito e dell'obbedienza in lui, tutti sublimarsi templi dello Spirito Santo, rendersi la gente santa, il regale sacerdozio, il genere eletto, i partecipi per la grazia della divina natura, santi e perfetti, com'è perfetto l'eterno Padre, che è nei cieli: tutti una fede qui in terra; tutti in fine una gloria nel cielo nel trionfo dell'intelligenza e del- l'amore, e in lui, in lui solo, e con lui rifiorirsi la terrestre Gerusalemme, che si tramuta e trasforma in Gerusalemme celeste, ove finalmente piiì che mai per opera di partecipazione della Divinità che si pos- siede si ha da poter dire quel che per operazione della grazia pur si dice e si è detto qui in terra : Vos dii estis, et filii Excelsi omnes. Oh veramente ec- celsa, e divina grandezza della chiesa; nella cui unità, nella integrità e purezza della fede, ne'santi costumi secondo la forma evangelica, in congiunzione di ri- verenza e di soggezione all'unico suo capo e reg- gitore, si consumano sì profondi misteri , si com- piono sì splendide opere di perfezione, s'inaugurano sì alti trionfi di gloria ! Imperrocchè é veramente così, che di tali sublimità ed eccellenze, alle quali l'umana dignità per le operazioni interna del Cristo e della grazia, deve essere nell'opera esterna della chiesa, e nella chiesa, innalzata, è autore Gesiì Cris- to e lo Spirito Santo, che vi comunica i suoi doni. 165 e vi aumenta ed accresce la vitalità della sua graziar nella chiesa di Pietro, e non di altri; perchè super unum Petrum aedificat ecclesiam suam ; e dove è Pietro, quivi è la chiesa, e non altrimenti , sì di certo che qiiamvis apostolis omnibus post resurrectinem suam parem potestatem tribuat, et dicati Sicut misit me Pater, ego mitta vosi et tamen ut unitatem ma- tiifestaret, fuori della quale chi vive o insegna spar- git et non colligit'j imam cathedram constituit, et uni- tatem eiusdem originem ab uno incipientem sua aucto- ritate disposuit: così s. Cipriano. E in questa unità, dalla quale esce e dura perpetuo quel suono , che odesi, di fede, di carità, e di laude, in tutta la terra; in questa sola chiesa, in cui siede principe Pietro, pe'cui oracoli si compone in pace di sante leggi e di soavi costumi l'universo; in questo stretto ordine, e ricisa e tanto indeclinabile, quanto giusta e santa autorità, al cui spettacolo s'insinua e sì consolida in tutto eziandio quella ragione d'ordine di autori- tà, onde solo è possibile pur ogni maniera di umano e civile consorzio; qui dove è Pietro, e quindi tutta la terra e per tutt'i secoli da Pietro uniti i credenti, qui , in questa chiesa, germogliano le virtù tutte quante, onde è miracolosa opera di Dio il cristia- nesimo, e la sua fede continuamente vivificatrice di ogni sublime concetto d'intelligenza, e d'ogni bene- fica istituzione e pratica di amore; ibi metus in Deum .... ibi gravitas honesta, et diligentia attonita, et cura sollicita, et promotio emerita, et subiectio reli- giosa, et apparitio devota, et processio modesta , et ecclesia unita, et Dei omnia, conchiuderò con Ter- tulliano: il quale egli stesso fu grande, anzi mira- 166 bile e santo e dottore, in fino a tanto che tra le grettezze non so se mi dica furibonde o melanco- niche, al certo misere e pazze, non si appiccolì dei montanisti. E così tutte le virtù, e tutti gl'ingegni, e tutt'i regni, e tutte le nazioni, e tutte le opero- sità che volano e crescono sublimi dentro la sacra cerchia di questa immensa sintesi di verità e di ob- bedienza, che è l'unità cattolica in Roma, si ecclis- sano, perturbano le loro orbite, vagano senza modo e senza scopo, finché spariscano e si dileguano dal cielo della vera gloria e grandezza , appena si dis- costano dal centro d'ogni vita, e d'ogni moto, e di ogni forza e valore, dalle facili fecondità , onde nella sua unità , e mercé di essa in Pietro , è al mondo e al cielo spettacolo grande la chiesa di Gesù Cristo. La quale sempre una e diritta nell'intelletto e possesso della carità , nell' unica e sublime sua azione, che si parte da Roma, è non solo, come testé dicevamo , spettacol grande al cielo ed alla terra, ma benefìzio mirabile, secondo sua missione, e con- tinuo al mondo: nell'azione della dottrina, in tutte le menti, per tutti i casi, onde si deriva da per tutt^ la spirito di lei nella scienza, nelle leggi, nelle insti- tuzioni, nelle opinioni, e negli usi della vita ; nel- l'azione delle leggi ecclesiastiche, per le quali lenta- mente, ma efficacemente si viene operando la forma vera e santa, cioè cristiana, della vita civile delle nazioni, e la riformazione del genere umano: nel- l'azione della parola viva, sempre e da per tutto fe- condatrice della virtù, e della verità di Dio, usque ad exlremum lerrae, insino all'ultimo de' secoli ; perpetuo apostolato : e in fine nell' azione della 167 gerarchia, cardine, e sicurtà , ed esempio o forma del principio divino di autorità e di ordine in un solo, onde sì in divinis e sì in humanis si costituisce la società e lo stato : perpetuo scandalo, o piuttosto disperazione d'ogni maniera di ribelli , e perpetuo vanto, gloria immortale della grandezza della chiesa, sempre e in tutt'i modi, e in tutti i tempi, salvatrice della vera giustizia sociale e della libertà ragione- vole de'popoli. 168 INTORNO AD UN TRATTATO D'ARITMETICA CHE TROVASI MANOSCRITTO NELLA I. E R. RIRLIOTECA MAGLIARECHIANA DI FIRENZE. LETTERA PRIMA DEL PROFESSOR VINCENZO NANNUCCl P, BALDASSARRE BONCOMPAGNI E -0 esaminato per sodisfare al suo desiderio il Co- dice Magliabechiano 1136. B. 3. Angeli. È cartaceo in 4.° del secolo XV. , di carattere ben formato , assai chiaro , e di corretta lezione ; se non che è difettoso, mancandovi or qua or là dove una e dove più carte, che si vedono manifestamente strappate, ed alcune restando in bianco. Contiene un Trattato d'aritmetica, che è quello stesso, il quale si legge con poca varietà di lezione nel Codice Riccardia- no 2358 da me accennato nell'ultima lettera ch'ebbi l'onore d'indirizzare a V. E. La diversità che passa tra l'uno e l'altro si è questa , che il primo con- tiene molte operazioni aritmetiche intorno al misu- rare e al modo di dar merito del merito, il Trat- tato dell'Algebra mocabile o amicabile, come quivi è scritto, ma che dee dire almucahala, e finalmente alcune ragioni che s' appartengono alle Librettino m che precedono al Trattato generale dell'aritmetica: nel secondo manca tutta questa materia , ed è di più difettoso in qualche parte nel mezzo, e special- mente nel fine , dove si desiderano delle carte , le quali probabilmente avranno contenuto le opera- zioni sopraccitate. A chi appartenesse il Codice, e come poi passasse in altri, è dichiarato nell'ultima pagina del medesimo ove si legge in carattere di- verso da quello di chi Io copiò, o lo scrisse di pro- pria mano : MS." di Philippo d' antonio Bonizij. E sotto di esso: Questo libro è di Ceri di Antonio Ri- saliti ; e così è scritto ancora in fondo alla prima pagina in margine. E dopo di questi : // presente libro fu donato dal Sr Orazio Risaliti a me Anton- fran.'" di Raffaello Guidotti. Ma non abbiamo né dato alcuno ne prova sicura per istabilire con certezza se il Codice sia autografo, e per indovinare il nome dell'autore del suddetto Trattato. Non dubiterei però d'affermare esser egli un toscano, e dirò ancora fio- rentino, avendovi incontrato, scorrendolo, parecchie forme di dire e desinenze di voci, che me lo ma- nifestano per tale , ed avendovi trovato di più al principio del Trattato del meritare scritte queste par-ole: io none scrivo el modo del meritare perchè v'attendi, imperò che chi presta a usura è dannato e vanne a casa del diavolo, e chi accatta ne va nelle Jslinche ec. Ora, Stinche non si appellano che in Firenze , perchè qui esistenti con questo nome , e non altrove, le carceri, nelle quali si cacciano i pri- gioni per debiti ; e perciò colui, che così scrisse, non poteva essere che un fiorentino. Intorno alla natura del Trattato in generale non occorre che io 170 spenda alcuna parola , avendole già fatto osservare nella mia illustrazione del sopraddetto Codice Ric- cardiano 2358 esser esso diverso da quello scritto in latino da Leonardo Pisano, e che da questo l'au- tore di esso ha ricavato solamente, insieme ad alcune regole, il Trattato del modo di consolare. Più estese e più ragionate notizie avrei potuto dare a V. E. sul Codice in questione se avessi potuto svolgerlo ed esaminarlo comodamente ; ma non avendo potuto averlo sott'occhio che per poche ore, m'è convenuto j'estringermi a quanto ho detto di sopra, pregan- dola di accettarlo con l'usata benignità dell'animo suo. 171 Cenni sulla storia antica di Este città della Venezia. 1. 1 utte le reliquie di antichità, che si raccolgono in- torno alle venete lagune, provanci che la pili grande città di quell'angolo , come lo chiamava Livio , fu Padova; ma oggidì, se queste reliquie si separino secondo il nome diverso della patria loro, la mag- gior parte di esse sono proprietà del territorio di Este. Queste ultime solo raccogliendo l'ab. Furia- netto , di benedetta memoria , ha composto un li- bro eccellente (1) , guastandolo poi col rifonderlo in altro più vasto, in cui si sforzò di chiudere tutte le iscrizioni antiche che sanno di patavinoo per esservi cittadine , ovver provinciali : allargando perciò la giurisdizione di Padova ai suoi più vasti confini nei tempi in cui non era Venezia per anche comparsa a tarparle il littorale, ovvero a questi in cui Este ecclissatasi, gonfia col suo il territorio di Antenore. Quasi sapesse quel chiarissimo archeologo, la morte essergli a tergo, diedesi fretta di stampare il secondo suddetto suo zibaldone , il quale riesci opera mal digerita, benché preziosa, per la difficoltà in cui vi- viamo di vederla rifare da un dotto a lui pari (2). Se questo nuovo lavoro avvenisse, molte iscri- (1) Le antiche lapidi del museo d'Este illustrate. Padova 1837 coi tipi della Minerva. (2) Le antiche lapidi patavine illustrate. Padova. 1847 tip. Pcnada 172 2Ìonì dal secondo suo libro ne andrebbero espulse perchè non patavine, né per diritto di origine, né per quello di ospitalità: ma molte più appunto per queste ragioni ve ne sarebbero accolte. Io vidi, ed i dotti ne avranno altrove vedute altre assai, non poche pietre scritte e no , presso un mercante di antichaglie, da lui rubricate ne' suoi registri come provenientegli da Este, e nell'opera del Furlanetto desiderate. Della fede del mercante io non oso farmi mallevadore: ma certo é che le sue 'parole trovarono in me una prova veggendo alcuni di cotesti monu- menti scolpiti su trachite euganea, pietra nera, scabra, poco amica della levigatura, e della quale la neces- sità ha condannato a servirsi soltanto gli abitanti del luogo circonvicino ov' essa ritrovasi. Io voglio regalare gli amici di questi studi, raccoglitori topo- grafici, riferendone alcune, ch'io reputo estensi per le ragioni suddette. 1. LVCRIONI CANI L. TVRTILIO. L. F. CAESONIO PATRI Sull'acroterio di un'edicola scolpito un cane dor- miente con la prima parte dell' iscrizione , e più sotto la seconda. Trachite euganea. 173 BARBI A . M . ¥ . MAXVMA V . F . SIBI . ET C . BARBIO . L . F . NIGRO ET . C . BARBIO . C . F . TERTIO Questa iscrizione, sulla medesima materia della pietra precedente , è scritta sotto a tre nicchie, le quali mostrano di contenere i tre ritratti delle persone in essa nominate. 3. VI SERVIAM Fra le pietre perdutesi , notate dal Furlanetto al N. LVII delle patavine , parlasi di un satiro le- gato, veduto dal celebre storico d'Este, l'Alessi, sotto cui eravi scritto SILEJNE. Meno questa voce, il mo- numento or ora esisteva, qual fu descritto da quel valentuomo, presso il mercante di antichità, da me accennato più sopra. Sospetto (e di queste negligenze abbiamo esempio anche trai dettati di sommi scrit- tori) che quel grande Alessi scrivesse invece del motto sotto posto alla statua, di cui qui parlo, il nome del personaggio ivi rappresentato, che gli correva al pen- siero. Nessuna meraviglia è però a farsi se i mo- numenti fossero due rappresentanti lo stesso argo- mento con due diverse iscrizioni. Dempstero ( alla Tav. IX Etrur. Regal.) ce ne diede un terzo con so- 174 prappostavì iscrizione etrusca. Mi aggrava però il sos- petto che l'Alessi parlasse del nostro, leggendo alla sua asserita iscrizione affisso un commento , che mi sembra più conveniente a questa ch'io vidi, che a quella riferita nella storia d'Este. Narraci l'Alessi che quando Sileno abitava la terra, gli uomini so- levano legarlo per costringerlo a servir loro d'oracolo. E così è che dietro la giusta storiella dell'Alessi si comprende com'egli intendeva a spiegarci il viserviam, non quel troppo laconico vocativo Silene , il quale altro non ci ricorda se non il nome del personag- gio che l'Alessi non vedea scritto, ma gli era sug- gerito all'idèa dall'atto in cui stavano quei mani- goldi che lo legavano. Este, fertile d'iscrizioni, dopo le due opere del Furlanetto, altre ne aggiunse al patrio museo, tra le quali conosco le tre che qui trascrivo. Trovata a Ponsò CATVLLA 0. P MAXIMA ANNORVM XVH Al Canevedo C . PLOTIVS . C . E VETIA .CE. SECONDA 175 Presso ad Este. Q . LICINIVS . L . F ROM . ATESTE . VEL LEG . XV . APOLINa BIS . NYiMPHIS V . S . L . M Ara piccolissima. Oltre alle iscrizioni da togliersi, ed oltre a quelle da aggiungersi, vi sarebbero ezian- dio quelle da correggersi con le loro erudizioni an- nesse. La più marchiana tra queste panni quella ove l'illustre autore lesse Gorello, invece di Gornelio: per cui mal a proposito, ed a lungo, ci diede la storia di quel famoso cavaliere Gorelio che innestava cas- tagni (1). Mi sembra che non avrebbero nulla perduto del loro merito le iscrizioni di Este , se il Furlanetto avesse aggiunto alla lapide GLXXVII gli accidenti che accompagnarono il suo ritrovamento. Questi ac- cidenti sono tali che se il Nuvolato recente ed amoroso storico d'Este (2) li avesse conosciuti, non avrebbe omesso dall'opera sua' questo insigne mo- numento di M. Propetio pretoriano, ma si sareb- be valso di esso , e di esse , per aggiungere delle non improbabili induzioni sulla condizione di Este nell'impero romano. Questa stela sepolcrale era in (!) Al N. CCCCLIV delle Patavine. L'errore fu corretto dal va- loroso Ab, ferit nel suo libro delle antiche lapide romane del Po- lesine. Venezia 1853 tip. Perini (2) Storia d'Este e del suo territorio, di Gaetano Nuvolate dottor di legge. Este, tip. Longo. 1851. 176 un cimitei'ietto della via salaria in Roma, composto di dieci sole lapidi, ognuna delle quali rammentava al passaggiero un soldato preti>riano diverso di patria dai suoi nove compagni. Queste dieci patrie erano Este, Pisa, Arezzo, Verona, Attino, Modena, Lodi in Italia: Herculea nella Pannonia, Heracolea sentica nel- la Macedonia, Numanzia in Affirica (1). Parmi impor- tante, diceva, l'aggiungere questa erudizione, perchè quei commilitoni potrebbero aver voluto indiretta- mente significare nella loro funebre consorteria il posto politico od economico delle loro patrie nella società dell'imperio: ed io non mi avventuro a chia- rirlo perchè forse sgarrerei quel cappio, il quale gli storici di esse città rispettivi hanno , non dubito, tra le mani. A questo periodo romano della più fresca data vanno congiunti i monumenti greci ritrovatisi in Este, posti invece da quelli storici a testimonianza del di lei più rimoto, e ciò con errore perdonabile appena all'Alessi che scriveva l'archeologia cent'an- ni or fanno. In tutte le colonie militari, ed Este di queste era l'una , fondate dai romani lungo tempo dopo la soggezione della Grecia ad essi, si trovano greche iscrizioni, perchè quel popolo fu il solo che non abbandonò la propria lingua fra i molti vinti, per far cortesia alla trionfante latina. Prima della soggezione dell' alta Italia ai romani non si hanno esempi d'iscrizioni greche in essa regione (2). (1) Miscellanea filosofica critica eJ antiquaria dell' avvocato Carlo Fea. Roma. Puccinelli 1836. (2) li Boeck fu più severo di me nel sentenziare l'origine di queste iscrizioni. V. il N. 194 del suo Corpus inscriptionum grae 177 II. Questi pochi cenni, ch'io non dubitai di stendere sull'ultimo periodo romano in Este, saranno meglio ordinati da chi più addentro di me in quelle istorie si dedicherà a rinvangarle. Este non fu certo una delle prime città dell'impero dei cesari, ma oggidì ha conservato tale un'abbondanza di monumenti in ogni maniera di tempo , eh' ella è meritevole di essere assai considerata da chi desidera portar luce a quelle città che un dì furono più di essa. Questa luce sfavillerebbe subito a chi sapesse registrare con ordine cronologico le accennate re- liquie. E parlando qui delle sole iscrizioni, dopo ciò che è facile a dire dell'ultimo tempo di esse, dico che molto gioverebbe all'istoria separare nella mol- titudine quelle, le quali distinguono il primo domi- nare dei romani in Este dall'ultimo. Senza parlare delle due celebri pietre che vanta Este , una delle quali possiede eziandio, scrittevi nel seicento e tre- dici, e seicento e diciannove di Roma , con tutta la venustà dell'idoma latino , segnano pure questo primordio le altre, che gossamente dettate in questa lingua indicano gli stenti fatti dagl'indigeni per tra- mandare la loro memoria ai posteri nella nobile favella dei dominatori, provandosi invano di spogliarsi carum. Egli cionuUostante è citalo in favore dell'opinione diame- tralmente opposta nella storia ultima di Este, fenomeno ch'egli ha comnne con altri autori ch'ebbero l'onore di essere ricordati in quel rispettabile libro. G.A.T.CXXXVII. 12 178 dei propri modi di scrivere, di pronunziare, ed ezian- dio di pensare. Questo primo periodo estense-romano deve ab- bracciare senza fallo il tempo che corse da poco prima degli anni suddetti, fino alla battaglia d'Azio, ossia 723 di Roma. Dopo quell'ultimo anno l'intro- duzione in Este di una numerosa colonia di militi deve aver forbito gli spiriti da quella ruggine che Roma stessa dimetteva; ond'è che memori gli estensi delle loro antiche divinità non può farsi le mera- viglie dal Furlanetto se fra le iscrizioni che det- tarono latinamente trovasi l'epiteto ignoto a quella -iTl3? e che ad un dipresso questa trovasi anche espressa in mezzo alla lastra veronese <>4^3- l^a mia conghiettura si fa di leg- gere Eiquo sulle piramidi, traducendo hic, o qui, solito principio dei nostri sepolcri; e sulla lastra ve- ronese, perchè mancante della seconda lettera, lessi Equo, ed inlesi volesse dire cavallo, o cavalli, ve- dendoveli sotto scolpiti: tanto pili che una lingua contemporanea, per quella voce. Ietta a mio modo, così intendeva. In queste mie lezioni e traduzioni ho cercato invano alcuno fra i dotti, che con l'au- torità sua mi sorreggesse. J85 L'ab. Cavedoni, che nella mia venerazione per lui io cerco sempre pel primo, lesse Epso, tanto nelle piramidi, che nella lastra, e tradusse Meta (1). L'ab. Venturi, che non diresse gli studi suoi se non sulla lastra veronese, lesse pur egli Epso, ma la derivò dal futuro del verbo EIIO, seguitare. (2), Il signor Gabriele Rosa lesse Exo, ed intese morto (3). Il professor Rollar , sempre il più nuovo di tutti, lesse SecOf e spiegò battaglia (4-). Così tra le molte interpretazioni di qui, mela, cavallo, morto, battaglia, seguito etc. restano con- fuse le due voci, ed indeciso il loro significato, né giovanmi più a spiegarne altre col sistema di ana- logia perchè nemmeno accertata è la lezione di esse. Quest'analogia accostavasi principalmente alla voce Eique che mostrava rispondei-e alla mia tra- duzione in un significato femminino, ed alla parola Eice che, come nelle piramidi, principia l'iscrizione del discobolo in un bronzo fiorentino (5). Spiegazione ancor più strana ebbe la voce che io leggo Reiqueno (O^YH^lH-l) della lastra euganea di Verona. Più d'uno tra i dotti la tradusse per vincitore. L'ab. Venturi, diversamente da me leggendo, rilevò in essa il nome di Vipsanio, antenato di un impe- ratore. 11 professor Rollar, lepidamente adattandosi (1) P. 82 d: Il'lndicazione. (2) P. 80 della Guida ?.l museo lapidario. (3) V. Crepuscolo, giornale per l'anno 1854, n. 18. (4) V. Staroitalia Slawianscka. Vienna, 1853, p. 149. (5) Dempstero, (avola XXIV. 186 alla nostra volgare intelligenza, smascherò in essa un tal si or Vincenzo. Ma a scusare gli errori di tutti viene la lin- gua stessa con le sue anfibologie a farci compren- dere che il velo è fitto per anche , e che siamo condannati a vagare lunga pezza nel buio dove ella stessa si gode intrometterci. Chi pili sicuro di me nel vedere 1 ciottoloni euganei impressi della voce 3T^0V nel credere che questa significasse voto, ossia ostia, ossia sa- crifìcio? Gli stessi ciottoloni pareano adattarsi alla mia intelligenza in alcun luogo scrivendo allo stesso luogo di roste , rulo ? Eppure non è così, ROSTE significa Ulisse. E chi noi crede, vegga lo specchio etrusco (1) che rappresenta Circe seduta tra due che vogliono sacrificarla. Tutti e tre i personaggi hanno una voce sul capo , che si conghiettura si- gnificare il loro nome: e di fatti per due voci esso rispose chiamandolo con la lettura. L' uno dice f\'J<\13 ossia Circe, l'altro ÌAV<\f\'Ì^I2 ossia Elpenore, e la terza 3T^C) V ossia .... Ulisse, di- cono tutti quelli che hanno letto 1' Odissea, e non pongono nemmen dubbio che Circe , Elpenore ed Ulisse non sieno su quello specchio disegnati e no- minati. Io però sostengo che , ove non sì voglia anche nei ciottoloni euganei leggere il nome di Ulisse , in quello specchio Ulisse vi è soltanto fi- gurato, ed ivi roste significa sacrificio, ed il nome dell'eroe vi è sott'inteso; onde lo specchio significa. (1) V. Annali (lell'istitnlo archeologico. Koma 18S2, p. 210. 187 trascritto e disegnato , sacrificio di Circe fatto da Ulisse e dal suo compagno Elpenore (1). Queste ciarle dinotano ch'io, malgrado le con- traddizioni che soffre il mìo sistema dalle diverse strade che battono i dotti, e da qualche apparenza di fatto , non perdo coraggio , e seguo in esso , e n' ho ben donde il vantarmene: imperciocché non sono state malaugurate le avventure che m'incon- trano. Tra le mie piij arrischiate ipotesi havvi quella, che gli euganei avessero stabilito un numero di versi rituale alle iscrizioni, secondo l'argomento di esse che trattavano : e di più , che ove fossero di quattro linee, rimassero eziandio i quattro versi tra loro. Il mio sistema si fondava su tre forme di- verse di pietre, a cui attribuiva rappresentare tre argomenti. Due forme mi davano tre esempi all'una corrispondenti al mio proposto: la terza, cioè quella delle quattro , non me ne dava che due. Ecco a Lugano apparire un'altra iscrizione di questa ultima classe, in cui la rima, o la cacofonia delle quattro linee coirispondenti, è impossibile non riconoscersi: Slamai = Lercalai = Pala Tisin = Ulotialai = Pala Siama Leucalai = Pala (2) Tisin Ruoltialui = Pala (1) E ciò cofl(H;Jendo che Relpanu significhi Elpenore. (2) V. il Crepuscolo sopra citato. 188 V. Accennala la storia di Esle dopo e prima che una colonia romana in essa fu, o fosse, ospi- tata ; osservato il tempo in cui ella agognava di essere romana per aver impetrato, o subito, le leggi della formidabile città; salito a quel punto anteriore in cui Este apparteneva a se stessa, ovvero ad un centro di dominazione che dal suo medesimo po- polo si governava: altro non mi resta a dire se non deiroriginc sua. Questo gradino della scala storica ò sempre il più arduo a salire nelle città italiane che sprofon- dano le loro radici nelle tenebre della favola. In Este però l'origine ha conservato una tal quale tra- dizione costante e ragionata, da creder noi vicini alla sua vera conoscenza. Il suo nome Atheste pro- viene dall'xVthcsis (Adige), fiume che, tempo già fu, le passava vicino. Il punto più difficile della lite si è il conoscere qual fu il popolo che la fondò e nominò, e se questo si chiamasse euganeo, eneto, troiano , o greco. La tradizione nel presente caso (se tradizione può dirsi la rivelazione, probabil- mente immaginaria, ftittaci da scrittori incolti, la- pidi, boriosi) infilza al proposito tali filastrocche, da disperar degli studi chiunque cerca in essi la verità. Gli euganei, dicono quegli storici nella som- ma, la fondarono: i troiani, o gli eneti, la invase- ro: i greci r abitarono: e a provar tutto ciò altro non recano, se non le lapidi greche ivi ritrovate. Di questa erronea prova ho fatto cenno più sopra, 189 raa la causa del grecismo non è vinta per anche. Lo stesso nome Atheste sa di greco, osserva il più fresco storico di Este: come Oreste, e Tieste, ed i nomi greci formicolano, al dire degli etimologisti, ivi d'intorno. I più notabili tra questi sono Cero , Cinto, Tallandria, e soprattutti Calaone, perchè si vuole Marziale stesso , parlando di Sabina , eh' ivi abitava, dicesselo Elicaone, per ricondurre l'Euga- nia alla sua nobile origine greca. - Si prior euga- neas, Clemens, Helicaonis oras = videris. Qui dunque ne viene un dilemma per conse- guenza : o i greci fondarono Este , o se furono i troiani che lo denominarono, unitamente agli altri suoi paesi, questi parlavano il greco alla barba de-' gli archeologhi che disputano tra loro qual fosse la lingua di Priamo. Io che non credo all' influenza arcaica dei greci nell'alta Italia , mi persuado che l'affinità delle lingue abbia questa volta illuso gli scrutatori del vero storico più che d'uopo non fosse. La storia non parla che di qualche incui-sione di greci fiuta sul veneto littorale, vicino ai monti più d'oggidì certamente, ma non tanto però da persua- derci che la marina greca abbia potuto giungere fino ad Este , ed instituirvi un popolo , senza che a noi giungessero precise memorie di un fatto co- sì preclaro. Avverta bene il lettore ch'io non con-' traddico l'ellenismo dei nomi suddetti, se non sup- ponendo eh' essi si vogliano coniati ad un tempo arcaico: che se si contenta di abbassarli fino al se- colo di Augusto , non havvi meraviglia alcuna che i coloni greci abbiano nominato i paesi da essi posseduti con nomi della lingua loro, accidente che 190 si trova avvenuto, per opera di simili ospiti, ezian- dio sul lago di Como. E questo lago diceasi anticamente Lario: nella qual voce alcuni uomini dotti voleano grecizzare anch'essi (1): ma oggidì è provato che questa pree- sisteva alla venuta colà dei coloni greci , onde al- tro non é se non un documento di una lingua tut- t'al più della stessa famiglia della greca, usata nel- l'alta Italia tanto a Como, che ad Este. Se la prova delle uscite delle voci, quando si somigliano , valesse a provare 1' identità dell'origi- ne loro , anziché dire che Atheste è greco perchè somiglia ad Oreste e Tieste, io direi eh' gli eneto è, perchè Atheste, noiue di paese, somiglia a Trie- ste, Peste, Bucareste, seguendo i quali luoghi geo- graficamente si rifa il viaggio degli eneti, e si giun- ge in Paflagonia , di dove uscirono quando venne- ro a denominare questa regione Venezia. Ma chi non sente la vanità di queste conghietture ? Marzia- le, è vero, ci ha un poco imbrogliata l'etimologia di Calaone, e l'antichità della sua testimonianza è un grave documento in favore dei greci ; ma sapea egli Marziale, se vero è che volesse nobilitato Ca- laone in Elicaone, ch'egli contraddiceva alla lingua etrusca nata, in Italia almeno, prima della greca , la cui radice Cat è frequente nei nomi che da essa provengono , o dai suoi dialetti ? Calcerania luo- go della Rezia, celebre oggidì per un monumento etrusco ivi ritrovato , Galeno municipio etrusco; Ca- lumbla , nome inciso sopra un arcaico monumento (1) Reluschin, Storia del lago di Como lib. I. pag. 18 edi- zion« Ji Milano 1822 tip. Ferrario. 191 dì bronzo; Calvene, nome di luoghi e d'uomini ve- neti, inscritto sopra antichissimi monumenti , vivo ancora in alcuni paesi, come vivacissimo è in Este Calderico, voce etrusca dal capo alla coda. No, Mar- ziale più che Tacito non lo sapea: e valga ad esem- pio ciò che dice questo celebre storico , cioè tro- varsi tra i confini della Rezia e della Germania (nella Svizzera d'oggidì presso Berna) un luogo no- tabile per monumenti inscritti di lettere greche. Questo luogo, conosciuto oggidì col nome di Graek- vill, forse per divozione di quei popoli all' asserto del grande scrittore , è ferace di monumenti che i dotti riconoscono etruschi, non greci (1). Nei se- coli belli della lingua latina , la storia dei popoli italiani e le loro favelle furono dispregiate , ed invano 1* imperator Claudio si fece schermo ad es- se. Seneca certo alludeva a questo suo studio, quan- do fingeva che a Giove si annunziasse l'arrivo di Claudio in cielo, come quello di un uomo che par- lava una lingua né greca, né romana. Claudio, che si accorse il nunzio averlo distinto nel linguaggio dai greci e dai romani , inorgogiivasene persua- dendosi perciò che le sue storie fossero conosciute in cielo (2). Nota bene ; Claudio avea scritto la storia degli etruschi in ventidue libri. Non è chiaro da questa ironia di Seneca, come dalla negligenza di Tacito, che i dotti in quel secolo , tra i quali Marziale, non teneano che vi fosse al mondo paro- la nobile se non derivava dal latino e dal greco ? (1) V. Crepuscolo N. 18 anno, 1854, commento al Nord-Elru- «cissen Alphabetten di Mommsen (atto da Gabriele Rosa. (2) V. L. A. Senecae de morte Claudii Caesaris ludus. 192 Claudio , che affettava di etruschizzare parlando , era un barbaro, al dire di Seneca, che nessuno com- prendeva: e un villaggio il cui nome non era lati- no , ed un' un iscrizione i cui caratteri non erano rotondi , divenivano greci al giudizio di Tacito e di Marziale. Checche sia dell' ignoranza di questi uomi- ni illustri nelle lingue antiche d' Italia, certo è fa- cile , parmi, 1' escludere dalla storia e dal favellare dei veneti 1' influenza dei greci ; ma invece diffìci- le io vedo assai il nominare quel popolo che la ci- viltà della Venezia , la quale nella romana sussiste tal quale fu instituita , ha incominciato. Né io lo farò. Solamente, senza dire chi ch'egli si fosse, os- serverò il tempo in cui egli ha lasciato traccia di se. I popoli fondatori hanno tutti il loro sistema di nominare i luoghi nel paese in cui si stabiliro- no. Chi viaggia al di là dell'Atlantico trova la vo- ce Nuova affissa dagli europei ad ogni città o caso- lare da essi stabilito, in memoria rinnovata di al- cun' altra città o casolare dell' antico continente : chi di qua, distingue dalla voce Aii, o poli che ac- compagna un nome, il popolo slavo, o greco , che innalzò il luogo che lo porta. E così nell'antichità, i romani nominarono le città dai loro principi , gli etruschi dai loro dei etc. Un caso simile av- venne nella Venezia: e parmi di veder chiaro il si- stema del popolo che la instituì, il quale richiamò nelle sue fondazioni gli accidenti del suolo , e più spesso delle acque che lo innondavano. Padova dal Po, Este dall'Adige, Malamoco dal Medraco, Fossa Clodia o Filistina , da Chioggia e 193 Palestrina, Flesso da Flessum, piegatura del fiume , Ati'ia dall'Atriano etc. etc. Questo popolo , grande sistematole de'fluidi , certo fu popolo posteriore al troiano. Imperocché Antenore nominò Padova, Tro- ia. Ammettendo questo sistema, Este può vantarsi nominata al tempo stesso in cui lo fu Padova; ma non perciò ha memorie di essere antica com'essa, se non ci dice il nome eh' ella portava prima di es- sere stata detta Este , ovvero qual nome aveva quando Padova diceasi Troia. Padova, dopo il no- me di Troia , portò eziandio il nome di Botigos. Lo dice Annio da Viterbo. Io credo a tutti quan- do mi givovano, ed anche in questo nome ella so- stenea le sue ragioni sul Po, che si chiamava pu- re Bodinco. Aunio è tanto più credibile, quanto è chiaro eh' egli ignorava come il nome si Bottanigo è pur oggi prossimo a Padova, ed è forse un re- sto di quel suo secondo appellativo. Padova non potea dirsi Padova, prima che il Po si dicesse Pado, fiume ch'ebbe pure tre nomi. Eridano , Bdinco , e Pado, ossia Po. Da questo ragionamento ne inferi- sco, che il nome di Padova segna la terza età di questa patria , al cui tempo Este solo può vantarsi coetanea. Per me qui è finita la storia di Este, ma forse non è finita pei dotti. Havvi chi vola più alto , e trova nelle cime dei monti suoi (I), reminiscenze dei- isole Elettridi. Ma siccome quel volo è storia che spetta all'aria, al fuoco, all'acqua, ai numi, ed ap- punto in forza delle sue deduzioni il loco ove Este (l) Fortis, Disseriazione sulle isole Elettridi. G.A.T.CXXXVII. 13 194 oggi posa, si dimostra che giaceva sepolto nell'onde, così lascio al mio lettore, se n'ebbi uno, cercare l' i- storia del suolo estense sopra di ali , o sotto di piume più robuste delle mie , e gli auguro buon viaggio. Giovanni da Schio 195 Seguila il Florilegio Viterbese. Tomo precedente p. 1 20-206. Seconde cure allo stampato su cose Viterbesi nel t. CXXVIII del giornale Arcadico. A. 1852 ^^ueste risgiiarderanno in primo luogo il Prospetto dello stato delle Chiese Arcivescovili e vescovili nel regno delle due Sicilie dopo la morte di Cor- radino. Ivi la pergamena pubblicata non è di 16 carte, ma una sola membrana, dove il n. 16 non espri- me il numero delle carte, ma il numero d' ordine segnato dietro nel fascicolo relativo al secolo XIIl. Ivi ugualmente, nel tratto spettante all' Arci- vescovato Capuano si legga Aquinas^ non Aquinal. In quello dell' Arcivescovato Napolitano Acerrar.y e non Aurunt. Al vescovato di S. Angelo di Lombardia, La- quedonen non Loquendonen^ e dopo il Montismoraniy quel che seguita, prima è scritto e poi cancellato. Sotto l'Arcivescovato Acerentino nel Venosino dicitur consensisscy non consensit, poi de se facte non de se facere.. Sotto r Arcivescovato Barense òo^^o juraverunlj s'aggiunge Manfredo. 196 Sotto l'Arcivescovato Siponlino, verso la fine, dice così: excommunicati prò focariis, et favore Conra^ dini^ cioè, scomunicati per concnbinarii, e pel favore prestato a Corradino, e spiego per concnbinarii giacché dicevansi essi appunto nel latino di que tempi /b- carii, come il Ducange fa saperci. Sotto r Arcivescovato palermitano , e nel Ve- scovato Agrigentino, nella terza linea, è veramente scritto ellectio non elleclione. Indi si riformi il pe- riodo segnato così : Et sicut facta est , facta est ab excommunicatis et interdiclis qitoniam adheseriint eie. Di più nel vescovato Malten sì ha h. m, cioè hoc modo, non ben che sarebbe Henrico, e pag. seg. Un. 4 lacobiis de Malta et quidam etc. , e non la-' cobo de Malta , et quidem. Sotto l'Arcivescovato Regino, nel vescovato Cu^ lacen , in fine, citati e non citalus e nell' Oppiden q'". cioè quoniam, non quam. Finalmente sotto l'Arcivescovato Beneventano. Montismorani non Montismarani ... Arianen non Aria- cen, abbatem apisii (sic) non abbatem .... ospicii. Debbo ancora qualche cosa emendare nel Rit- mo del Notaio Cornetano eh' io denominai Qualis-r qnalis, e può stare. Ma può anch'essere che qnalisqnalis non sia il nome, ma solo un vocabolo addiettivale, usalo qui ad esprimere eh' egli si confessava d' es- sere un qnal che si fosse notaio di Corneto. Ma non meno ho bisogno di ftir qualche giunta a ciò che pubblicai del duello giudiziario. Perchè ol- tre alla Bolla di Urbano IV. sotto il n. 196 del Se- colo XIII , lasciai di pubblicare la seguente sotto |1 n. 201 la qual così dice. 197 Ui'banus Episcopus Sorvus Scrvorum doi dilecto filio Priori Sancii Mathei Viterbien, salutem et Apo- stolicam benedictionem. Sua nobis dilecti filii Prior et Capituluiu secularis ecclesiae sancti Angeli de Spala Viterbien conquestione monstrarunt (il Ms. ha monslrareiil) ,quod cuni oiim ipsi nomine ipsius eccle- siae Gratianum Pisani Civem Viterbien super qui- busdam possessionibus et rebus aliis coram .... po- testale et iudice Viterbien. [sic], non ex delegatone apostolica, tranxissent(«c)in causam, et ad fundandam intentionem eorum quoddam inslrunientum pubbli- cum produxissent, idem civis instrumentum ipsum malitiose de falso redarguens, et id per duellum se obtulil probaturum , sicque dieli polestas et judex ipsum ad hocy prelextu cujusdam statuti Communis Viterbien et iuramenlo firmati, contra actiones ca- nonicas in ipsorum praejudicium admisserunt. Cum itaque monomachia sit sacris canonibus interdi- cta, eisdem poleslati et judici, nostris damus litteris in mandatis, ut si est ila, statuto hujusmodi non ob- stante, aliis legittimis probationibus dumtaxat ad- missis, duelli probatione penitus reprobata, causam ipsam fine debito terminare procurent. Ideoque di- screrelioni tue per apostolica scripta mandamus qua- tenus si dlctus polestas et judex super hoc mandatum nostrum neglexerint adimplere, tu eorum super hoc legittimo servato processu, in eadem causa, appella-- tione remota, previa ratione procedas, faciens quod decernis per censura m ecclesiasticam fìrmiter obser- vari. Testes autem qui fuerint nominati sive gratia, odio, vel timore subtraxerint, censura simili, appel- latione cessante , compellas ventali testimonium perhibere. 198 Datum apnd Uibem veterem X Kal. Septembris Ponlificatus nostri anno secundo.-Il piombo è strap- pato. Or si vede che presso a poco questo documento anutatis mulandis è la copia dell' altro già da me edito. Ma esiste il rotolo intero in pergamena de- gli atti giudiziali a ciò relativi, che a cagione della lor lunghezza non trascriveremo. Se ne impara però che il Podestà di Viterbo era allora Ospinello de'Carbonesi, non notato dal, Bussi e il Giudice Martino d'Arezzo; che i beni controversi eran certe pertinenze pervenute alla Chiesa per do- nazione di un Oblato di nome Tedesco o Tedescu- lio ; che la carta d' oblazione da Graziano Pisani si pretendeva falsa, e si voleva, come si vide già, pro- var ciò col duello giudiziario ; che Ospinello sen- tenziò a tenore della proibizione esplicita di Papa Urbano IV; che l'istanza di Graziano relativamente alla prova per mezzo della pugna fu rigettata; che Graziano presente alla sentenza interpose appella- zione; che passata poi la causa innanzi a Giacomo di Matteo giudice e a Monaldo di Pietro Fortiguerra Podestà, s'andò fino al 1265, e finalmente la Chiesa vinse. Quanto al resto, merita d'essere consultato nel- la sua ultima edizione il Glossario del Ducange , s. V. DueUiim 3. Da ultimo aggiungerò alcune osservazioni i slo- riche al iactus lapillorum intorno al quale io di- menticava di rimandare al sopracitato Ducange s. V. Nuntialio novi operis, sebbene non citi egli che 199 esempi del 1307 del 1374- e 1377; e s. v. Denun- tiatio novi operis per jactum lapilli , dove rimanda a Grimm. Antiq. Jur. Germ. pag. 181 e a Medem in Zeitschrift Archiv. Wissenschaft. t. I. p. 318 , 599 , che parla di questo antico rito etiam mediis temporibus iisitato. Ma gli archivi Viterbesi altri documenti hanno relativi alla stessa costumanza giuridica, tra' quali non sarà forse inntile trascriver questo dell' Ar- chiv. di S. Angelo. In Nomine Domini Amen ^ Anno Domini milL ce. LXIII Temporibus domini Urbani IIII pape mens. lanuarii [ine] die VII Indictione VII. In presentia mei Notarli et testium subscri- ptorum, dnus Vegnente prior ecclesiae Sancti An- geli de Spala, nomine et vice Ecclesiae, denun- tiavit Glorio Domni Scagni Glori! , et oplficibus suis , novum opus per jactum lapillorum q. q. ( f. quoad quantum) ipse Glorius faciebat, seu fieri facie- bat quamdara criptam,et in platea que erat ante ipsam criptam, que cripta et platea posile sunt sub ca- stro Sancti Angeli juxta rem quam tenet dnus Cla- rimbaldus a dieta Ecclesia in libellum juxta rem quam tenet lacobus Guerri a dieta Ecclesia in li- bellum, et juxta viam publicam qua itur ad portam de capite plaie ( credo che sia la porta oggi chiusa di S. Francesco ), et si qui alii sunt confines, quas ras dicit dictus dnus prior ad dictam Ecclesiam pertinere. Actum Viterbii. In dieta platea ante di- ctam criptam coram hiis testibus ad hoc vocatis et rogatis. Fidantia Scandrini. Magistro Verardo olim magistri Ranerii. Guillelmo Cappane, et Scagno olim 200 Leonardi priore , el aliis pluribus Et e^o Beneve- nutus Rubeus lateranensis notarius predictis omnibus interfui rogatus scripsi et publicavi. Formala del giuramento che a' Romani prestar do- vevano i Viterbesi. Pergamena della Comunità mu- tilata in principio, segnata in testa, 1200, ciochè sembra indicare che si riferisce a quest'anno. Ego N civis Viterbien ab hac bora in an- tea fidelis ero Senatu (nella lacuna generata da lacerazione antica doveva essere Romano ) Nec ero in Consilio , ncque in facto ut vitam perdant , aut membrum, aut capiant mala ,.• (Supplisci aliqui cives romani). Consilium quod inihi credent per se, vel per litteras , aut per nunlium , ad eo- rum damna , me scient [Poni nemini , ovvero illis cioè senatui , secondochè intendi il consiglio , o dato da altri contro Roma, o dato da Roma per non rivelarlo ad altri) revelabo. Eorum certuni ma- lum si scivero , prò posse meo illud impediam. Quod si per nie non poterò impedire , significabo eis illud per me ipsum, vel per nuntium, aut per litteras. Guerram et pacem faciam ad mandatum eo- rum. Terram quam habent, adiutor ero prò pos»se meo ad retinendum, quam non habent ad recupe- randum et defendendum contra omnes homines qne {inc.)...{f.salv.)^ voluntate domni pape et ecclesie ro- mane. Praeterea mandata qne domnus papa Inno- centius (III) fecit {prò?) fìrmatione pacis inter 201 Romanos et Vitei-bienses, tam (de) Biturclano (Vi- toi'chiano) quam de Perento et de muris de plano de Scadano [da distruggere secondo patii de' quali sarà da dire altrove ), de rebus Romanorum et pecu- nia , de pavonibus et porcis ( tributo imposto ), de Nicola et Guitto, de strata, de patarenis, et de bis qui iuverunt contra nos in guerra , fìrmiter serva- bo, et fìdeliter adiinplebo; sicut expriinunt {leggi pacta -0 simile) scripto ejusdem domni papae. Hec omnia que superius inscripta sunt iuro me servatu- rum iuxta posse meum secundum sanum intellectum. Salva fìdelitate Romani Pontificis et Ecclesie Roma- ne. Sic me deus adiuvet, et hec sancta evangelia.- Sul qual proposito si legga quel che stampa il Bussi alla pag. 106. Ma di questi giuraménti e trattati di sudditanza a'Romani, prò e contra, parecchi documenti se ne hanno negli archivi nostri. Eccone per es. un altro di tempo posteriore, esistente in copia in uno de'volumi detti Margherita, nella Comunità. In Nomine Domini Amen. Anno nativitatis ejus- dem mill. CCLXXXXI. Pontiflcatus Dmni Nicolai p. p. quarti anno quinto. Mense Maii die tertio. Quo in [f inclito) populo Romano pubblice et ma- gnifice ad sonum campane et vocem preconum de mandato magnifici viri dmni Ioannis de Columpna i\lme Urbis Senatoris illustris in Capìtolio more so- lito congregato, presente ipso dumo Senatore, prae- sentibus quoque ambasciatoribus civitatum Pruscii, Urbis veteris, Spoleti, Nargne, Reate et Anagnie, a- liarumque civitatum atque comitatum districtus ur- bis. In presentia mei notarli et testium infrascri- 202 ptorum, specialiter ad hoc rogatorum, clomnus Pe- trus olim Raneiii judex civis viterbiensis, syndicus et specialis nuntius Comunis Civitatis Viteibii spe- cialiter constitutus et ordinatus ad omnia et sin- gula infrascripta faciendum, inurandum, et promit^ tendum, et alia faciendum, prout patet publico in- strumento supradicto a me Notario viso et le'cto pluries, scripto et pubblicato per Petrum lacobi au- ctoritate Sancte Romanae Ecclesie notarium cìvem Viterbii, nomine ipsius Communis Viterbii, et prò ipso Communi , et nobilis vir domnus Ubaldus de Interminellis Civis Lucanus , potestas Civitatis Vi- terbi ( il Bussi lo fa Podestà solo neWanno seguente)', nec non omnes infrascripti et singuli nobiles Cives Viterbienses, et quilibet ipsoi'um, tacto libro conti- nente sancta Dei evangelia, ad sanum et purum in- tellectum sine aliqua fraude, singulariter iuraverunt ad sancta dei evangelia vassallagium et fidelitatem senatui populoque romano. Salvo vassallagio et fì- delitate sancte romane ecclesie, secundum formani et tenorem antiquorum privilegiorum et instrumen- torum. Qui quidem nobiles Viterbienses qui jura- verunt in forma predicta, ut supra scriptum est, sunt: Dominus Germinus dni Bonihominis judex-Iacobus d. Ranucii - domnus Petrus dni Sinibaldi judex -Do- mnus Andreas de Sancto Thoma judex - Fredericus Conradi-Franciscus d. lohannis, Serlohannes d. Fran- cisc i-Muti US d. Alamanni-Iacobus d.Ranerii-Henricus d. Andree Fresci-Stephanus d. Petri Nucii-Magister Petrus lacobì notarius-Magister Ioannes-Rollandus Falconis notarius-Nicolaus d. Burgundionis--Magi- ster Raynerius lohannis notarius - loseppus Alberti 203 loseppi -Ceppo Petri loseppi - Tucius Raynerii Ru- geri - luda de valle mercator - Petrus Capocius - Nuzzavellus Egidii d. Ioannis - Marsilioctus Man- no - Pepo Angeli - lacobus Bonihorainis - Spada Davinus - Octavianus Farulfi - Catalanus Angeli - lannucius lohannis Bovis-Nerius Rogeri, - Angelus Mag. Macci-Angelus Landulfi-Laurentius Ranaldi- Petrus Benecasa-Vandi Petri Angeli-Magister Bartho- lomeus Leonardi notarii-Angelus Girardi - Lucius Nicole - Nucius Inde - Magister Niger Deomcodi (Dio m'odi)-Rubertus Landulfi Musti - Geminus Gen- tilis - lacobutius Roberti-Lucius Angeli - Guiducius Petrucii - Mutius Petri - Angelus lohannis - lutius Pasqualis - Fredericus Petri - Symarellus Symonis Luca Plenerii - Mutius lacobi - Berardus Nicole - Cristofanus Blascii - Tucius Laurentii - Barthus Bo- menini-Franciscus Ferrantis - Loctus Martini - Pe- trus Bonifatii - Angelus lacobi - Andreas Bonacussi Amigoccius Facii - Actuni in Capitolio praesenti- bus testibus infrascriptis ad bec rogatis. Videlicet domno Thoma de Esio, d. lacobino de Spoleto, d. Oddone de Canali , d. Alberto de Bononia , et d, Ioanne de Balmeoregio. Et ego lacobinus Leonis au- ctoritate sedis apostolice publicus notarius quia prae- dictis omnibus praesens fai presens instrumentum scripsi et publicavi.- Non è però, com'io diceva il solo, e siane prova quest'altro segnato nell'Archivio Comunale n. 6 , a 1236 tuttor munito del suo suggello plumbeo. Gregorius (IX) episcopus servus servorum Dei Dilectis filiis Polestati et populo Viterbiensi salu- tera et apostolicam benedictionem. Cum Romani a nobis petierint vassallagium renovari, et nullum vas- 204 sallagium, sed sola fìdelitas hactenus praestita sit a' vobis, ne super hoc valeat dubitaci, per vassallagium fidelitatem intelligi declararnus, et licet utrumque in jurarnento quod vos praestare praccipimus exprima- lur, ideo tainen intelligimus repetitutn [credo voglia dire , che la parola vessaUaggio si ha da intendere una semplice ripetizione della parola fedeltà, e niente di più); decernentes, ut per hoc nichil ecclesiae su- btrahatur et nihii juris de novo acquiratur romanis, nisi quod juramcntis praestitis temporibus felicis re- cordationis Innocentii(27 giuramento del quale abbiamo date le parole) , et Honorii romanorum Pontifìcum predecessorum nostrorum venit acquisitum. Inter- pretatione vero predicta coram Senatore et romanis pacis mediatoribus usi sumus. Datum Lateran V Kal. lulii. Pontificatus nostri anno VII.- E questa bolla dee premettersi all' altra edita dal citato Bussi nell'appendice n. XIII f. 40i dove però nel testo Bussiano, è da correggere linea 6, eis in luogo di eius. E più antica ancora è da regis- trarsi la seguente dell'anno 1208 ugualmente con- servata nell'archivio della Comunità. - Innocentius {III)r episcopus servus servorum Dei. Dilectis filiis Potestati el Consilio Viterbiensi salutem et apostolicam benedictionem. Responsione, quam fecistis Senatori urbis super hiis que ipse contra libertatem vestram et honorem ecclesie pete- bat a vobis plenius intellecta , gratum gerimus et acceptum quod vos in hac parte senatori eidein, tam- quam veri, et naturales ecclesie filli, respondistis , universitatem vestram rogante» et hortantes adente, ac per apostolica vobis scripta mandante?, qualinus 205 vii'tute costantei' roborati in hoc fidelitatis vestre proposito, siciit bene cepistis , et aliis que ad ho- norem ecclesie matris vestrae pertinere noscuntur, immobiliter persistatis. Datum Asisii 1 1 Kal. Augu- sti. Pontificatus Nostri anno undecimo.- A che annettiamo anche quest'una dell' a. 1267 Secolo XIII n. 36 sempre del medesimo archivio , relativa a certe disorbitanze di Enrico fratello del re di Castiglia, e Senatore di Roma. Così. Clemens IV episcopus servus servorum Dei. Universis Baronibus et Nobilibus praesentibus Re- etoribus, Capitaneis, Consiliis, Comunitatibus, Uni- versitatibus Civitatum, Castrorum, et Villarum per patrimonium beati Petri in Tuscia constitutis, no- stris et ecclesie romane fidelibus salutem et aposto- licam benedictionem. Ad nostrum pervenit auditum quod nobilis vir Henricus Senator urbis ad nos, seu nonnullos nostrum direxerint litteras et nuntios spe- ciales sub certis penis multa precipiens que in gra- ve prejudicium ecclesie romane, vestrumque dispen- di um redundare noscuntur. Unde cum nos honorem et iura ejusdem ecclesiae , ac prosperum statum vestrum, manutenere ac protegere, sicut opportunuin extilerit,intendamus,nec aliquatenus tolerare velimus quod enervationis in aliqua sui parte dispendia sen- tiant, vel in aliquibus collidantur, vobis universis et singulis sub debito fidelitatis quo ipsi ecclesie te- ncmini, et penis juxta nostrum vobis arbitrium in- ferendis , presentium tenore districte precipiendo , mandamus, quatinus hujusmodi mandatis dicti Sena- , toris, cui super his mentem per apostolicas litteras aperimus, vel quibus cumque aliis in posterum fa- 206 ciendis, nullatenus pareatis. Nos enim illos qui se- cus attemptare presumpserint sic spiritualiter et cor-r poraliter auctore domino procedemus, quod reatum suuno pena decente (f. docente) deflebunt, et a gra- tria nostra et ejusdem ecclesie se merito percipient alienos. Datum Viterbii VI Non. lulii. Pontificatus nostri anno tertio. 9 Lettere di Raynerio 2." Vescovo di Viterbo. Parla di esso l'Ughelli nel Tomo I. dell' Italia Sacra Ed. Yen, p. 1408, e il Turiozzi nelle Mem. Istoriche di Toscanella parte 2, oltre agli Storici Viterbesi. Io credo d'aver dimostrato sufficientemen- te nel n. 4. di questo Florilegio ch'egli è veramente il 2 e non il. 3, come scrittori Viterbesi pretendo- no sul fondamento d' una pergamena che dà a pen- sare esservi stato un primo Ranieri, a cui succes- se Giovanni, per venir poscia al Ranieri del quale qui tratto. Nell'Archivio della Cattedrale si conservano re- lativi a lui parecchi documenti, nel cui numero me- ritano particolare attenzione rotoli membranacei una volta forse facenti un solo, oggi, rotte le cuciture di pergamena con pergamena, partitamente divisi in tre principali, contenenti un registro delle sue lettere, o piuttosto delle minute delle medesime , perchè di prima mano hanno parecchie emendazioni. Sembra aver governato la Chiesa Viterbese dall'A. 1199 al 1222. Nel presente loro disordina- 207 mento, giovandomi dell'indizio dato da rotoli, e da altro, così or le dispongo, salve le emendazioni di col- locazione che potranno o dovranno farvisi. — Magnifico viro domno lohanni (è Giovanni Co- lonna, ricordato anche sopita ) alme urbis senatori, et prudentibus qui sibi assistunt Rainerius Tuscanen- sis episcopus salutem et cum justitia in conspectu domini apparere. Licet audiverim quod Romani voluerint quemdam cardinalcm obruere lapidibus quia loquebatur eis de pace cum Viterbiensibus facienda , et vos dixeritis, quod si Angelus de celo descenderet , non retardaret vos a propo- sito vestro , tamen venissem ad vos collaturus vobiscum, nisi temporìs asperitas et defectus equo- rum ab itinere me retardassent. Nec homo debet de- dignari cum homine disputare, cum nullus sit ma- gis homo quam alter , quamquam quibusdam in- terdum accidentibus decoretur , quoniam deus cum lob cu piente disputare secum humiliter, fuit con- ferendo locutus. Oppono ergo sic vobis: cum deus universorum conditor, cujus ire nemo resistere po- test, nec ei dicere cur ita facis, propter ydolatriam^ quam populus israeliticus commisit, ei graviter in- dignatus fuisset, prò ipso intercedens, dixit ad eum: Cur, domine, irascitur furor tuus contra populum tuum ? Ne queso dicant egyptii callidi: Eduxit eos de terra egypti, ut interficeret in montibus, et de- leret de terra. Quiescat ira tua, et esto placabilis super nequitia populi tui. Recordare Abraham, Isaac, lacob servorum tuorum , quibus jurasti per temet ipsum dicens: Multiplicabo semen vestrum sicut stel- las celi et universam terram dabo semini vestro. Pia- 208 catusque est dominus ne faceret malum quod lo- cutus fuerat adversus populum suum. Si ergo deus vitavit hominum blasphemiam, ne vitupeiaretur ab egyptiis de ealliditate , sicut Moyses dixit, quanto magis purus homo idem facere debet , et maxime qui praesidet urbi , quae propter sapientiam suam quondam orbi preerat ? Et recordari debet , eum universo populo sibi commisso, quod quum Viter- bienses ab Octone imperatore propter eos deva- stati fuerant (1), dicebant ; Viterbienses sunt fra- tres, et amicissimi nostri ; et postquam dominum papam devote receperunt, sicut debebant cum prin- cipaliter sìnt vassalli eius, quum ab urbe privatim recessi t (2), occasiones calvissimas invenerunt, di- centes: Viterbienses cathari sunt et patareni, et ta- liter et aliter nos offenderunt. 0 quam cito secun- dum eorum sententiam Viterbienses de agnis effecti sunt lupi et de catholicis manichei! Tempore Ottonis sancti erant, et modo facti sunt peccatores. Recor- dentur itaque priorum temporum et non reddant mala prò bonis, et hodium, ut dicam verius, prò timore, nec enim secure dicere possum quod romanos di- ligant, cum non diligantur ab eis, sed confundan- tur (contundantur ?) et valide conturbentur. Que oro fuit offensio, si de licentia domini pape Centumcellas emerunt cuius ipsa terra est et plenitudo eiusdem , (1) V. Giornale Arcadico T. CXX p. 69, dal Mss. Vaticano che ivi pubblicai Cum Fiterbiemis civitas quae hactenus prò ecclesia, fide- litate probanda, grandia vaslilatis dapna pertulerat , duobus Cesari- bus Henrico (FI) et Oddoni {IV) viriliter et diutius resistendo etc. V. Bussi p. 114. È un fatto del 1210 (2) Parla d'Innocenzo III. 209 que, non dico a Cornetanis, sed a quibusdam usura- riis eorum eral absorta (1) ? An non requisì veruni Romanos Coinetani etiam sepissime, sicut optime novi, et alios, ut redimerent eos, et nemo repertus est, ncque in celo, ncque in terra, ncque sub terra qui miserer tur eorum ? Ego autem secundum dc- bitum officium mcum eos redimere non potui de manibus impiorum , quoniam aurum vel argentum aut es in zona mihi non erat. Quid autem si qui- dam Viterbicnses, ut eis imponitur, latra verunt cen- tra Romam ? Numquid canes qui non latrant in aliquem portabunt latrantium penam, et jusli sunt prò impiis condcpnandi? Dissonai alme et venerande urbis judicium a judicio dei qui est sanctus sanctorum. Dominus quìnque civitatibus parcebat prò decem ju- stis, si fuissent in ipsis inventi, et almitas urbis decem- milia hominum [credo sia un numero indeterminato per un detei'm,iìiato. Viterbo allora conteneva m,olto più numeroso popolo, e Vho provato altrove) prò decem stultis condcmpnat. Ait cnim ! Vidcamus si sermo- nes Viterbiensim veri sunt, qui dixerunt , quod si romani super eos audcrent venire, nec (f. et) duccrent secum aliam gentem , nos procedentcs obviam (3) V. Bussi p. 60 e H7, e Tuccia all'A. 1221, il quale .scri- ve. Romani posero hosle ad Fiterbo, et alloggiaro aili Palazzi de fore (cioè in contrata Palatiarum, ossia alla f'illa Calvisiana presso CastrumLuci ed Aquae Passeris). Poi vennero a combatter la porta di S. Lucia, et Fabule {\.¥au\\e presso la porta di S. Maria Mad- dalena (lenirò il caslello d'Ercole e torre di Bove {Giunta del Ms. Barberiniano) e fumo cacciati, e tornorno a tìonia con loro vitu- perio {Giunta dello stesso). Questa guerra fu percfiè Pilerbesi have- vano cqmpro Cincelle per dispetto de'romani. Nel detto anno an- dorno viterbesi in assedio a Corneto e li diedero il guasto di fora. G.A.T.CXXXVII. 14 9A0 eis et ipsis confligeremus. Et quidem, si romaui sapientes essent, ut fama est, super ceteras natio- nes, sic ad hujusmodi verba nioveri debuerunt , si etiam omnes Viterbienses istud dixissent, velut de- cerli leones, si discretionem haberent, ad ignominiam illatam sibi a tribus (è ine. se non dica triginla) pe- cudibus moverentur. Pueiib'a ergo sunt bec et mi- morum ludo similia, qui sicut inveniunt (forse ciò vale secondo che portano le invenzioni delle favole rap' presentate) vituperant vel commendant. Ad aiiud quod audio romanos dicere, quia viterbienses de- geraverunt [peieravernnt) refìciendo propugnacula murorum plani scarlani (I), dico falsissimum esse, quoniam dominus Innocentius omnia capitula refor- mande pacis inter Romanos et Viterbienses, in sua po- testate posuit, sicut ego ad pedes ipsius in eccle- sia lateranensi ea legi coram Romanis ; unde ipse postmodum a Viterbiensibus cum honore magno receptus et bene tractatus reficiendi merlos (Ms. ha megglos) dictorum murorum eis licentiam dedit. Au- diant preterea Romani quid eis apostolus inter cete- ra dicat. Tu quis es qui judicas alienum servum {forse manca qui ) tuo domino stat ant cadit ? Nollent ipsi sua specialia in casu aliquo ab aliis judicari. Ergo si aliqui, de patrimonio Sancti Petri, peccarent in eos, non essent ab eis aliquatenus ju- dicandi, sed ab ilio qui residet in Catbcdra Petri : alioquin faciunt aliis quod sibi fieri nolunt. Ideo di- scernat dicretio romanorum an Luciferum sequantur {{) Del piano scarlano, o squarrano se ne parlò, e se ne par- lerà altrove. 211 vel Deum; et si veruni est quod ego a tempore ju- ventutis et ignorantie mee audivi, quod Romani sa- pientioies erant omnibus hominibus mundi. Sed ju- xta sententiam Sapientis: sapiens non est omnis qui nocet. Videtur ergo quod mortuus sit Titus Li- vius, de quo Jeronimus dicit: Ad Titum Livium, lac ( f. lactis ) eloquentiae fontem manantem , de ul- timis hispanie galliarumque fìnibus , quosdam ve- nisse nobiles legimus, et quos ad contemplationem sui Roma non traxit, uuius hominis fama perduxit. Et (1. At) loco ejus multi Titi lividi, et invidi . . . re- xisse ( I. surrexisse ) videntur, qui sapientes ad se non trahunt, sed tamquam insipientes et stultos re- pellunt. Episciìpum suum et fratres ipsius, quos tota Christianitas (f. colli), ducunt sicut per infima mundi, et eos qui tempore paganorum liberi erant tempore Christianitatis servos fecerunt. Quanto enim civitates remotiores sunt ab urbe, tanto pauperio- res et magis dolentes. Quomodo ergo ignis diligen- dus sit quoniam calefacit, sed urit, qui non novit, si pateretur, disceret, qui non est expertus, si pa- terelur, sentiret. Quod si urbanitas urbis eos casti- garet qui ad ipsam prò suarum animarum salute , vel aliis negotiis suis, accedentes expoliant et occi- dunt, et in tuscanensi et sutrino episcopatibus pre- cipue boves et oves furantur , et alia insuper pe- cora campi, cum per alios non corrigantur, pararci, sicut mibi videtur, obsequendo , et sibi exinde ac quireret, famam et gloriata sempiternam. In testa a. 1200. (sic) — Rainerius, tuscanensis episco[)us dilectis fìliis, Pri- ori Sancte Marie de Castello et Roctoribus cleri Cor- 212 nelani salutem et benedictionem. Christus dicit ludeis qui gloriabantui' Habraham se patrem habere. Si filii Habrabe estis , opera Habrahe facile. Igitur, qui se catholieuni fatetur, opera catbolici facere debet, ab'o- quin portai vanum nomen heredis. Quid de plerisque hominibus terre vestre sine dubitalionis serupulo sen- tire valeamus, nescimus. Videnlur enim catbolici ex hiis quod nunquam adhuc inter eos aliquis bereti- cus diaconus , vel episcopus , vel alterius ordinis habitavit, licei quidam credenles eorum reperti sint apud ipsos, et forte commorentur adhuc cum eisdem divinis sic intendunt (o qui divinis officiis sic inten- dunl, aìtrimenti par mancare il senso) orationes , diebus dominicis et festivis , et aliis prò vivis et mortuisofferentes, quod (l.quo) tanto melioressuntce- cis homnibus nostri episcopatus, quanto panis ordea- ceus estmelior meóìc'mo [del pan dimelica). Et quidem de quinque panibus ordeaceis quinque milia hominum dominus saliavit. Triticeum autem panem eos no- minare non possumus, quoniam decimas quas etiam sperabantur soluturi . . . (f. manca ut) promiserunt, sicut apparet per publicum instrumentum, solvere nolunt, et illas miseras primitias quas dare consu- everaiit minuerunt in maxima parte. Preterea , si aliqui eorum in articulo mortis, cognoscentes se in solutione decimarum graviler deliquisse, prò ipsarum reconpensatione tollerabilia judicia faciant, fldecom- missarii eorum ipsa ecclesiis solvere nolunt canonice dividenda (f. manca et) iudices et tabeliones ipsorum testamentorum instrumenta condentes ea supprimunt, ut nos et pauperes fraudemur canonica portione. Cum itaque tam novi quam veleris testamenti au- 213 CtOritatibus comprobetur decimas deo et sacerdotibus ex debito reddendas, que tributa {qui tributa è sostan- tivo) sunt egentium animarum, et non ininus peccent detractores earum, quam usurarii, magis autem quam illi peccant in proximos, ipsi autem in deum , et proximos, et patres: spirituali unde digni sunt morte; quoniam deus dicit. Qui maledixit patri aut matri morte moriatur. Sed cum maledictio, nichil aliud sit quam pene addicele (eum plus sit addicerepenealiquem facto quam dicto, et si non ab homine maledicantur, maledicti sunt tamen a deo, et eternaliter, nisi resi- piscunt dampnati) nolentes eorum peccatis communi-' care, ne sanguis eorum requiratur de manibus nos- tris, devotioni vestre in virtute dei precipientes man- damus, quatinus auctoritate nostra clericis cornetanis districte precipiatis , ut nulli parochianorum suo- l'um penam {dee dire veniam) tribuant in vita vel in morte, nisi det sufflcientem cautionem, quod satif^ faciat, vel ab heredibus suis faciet satisffieri, decimis non solutis , exceptis pauperibus , qui ad beo non tenentui-, sed nos tenemur eis ipsarum decimarum exsolvere canonicam portionem. Quia vera jam est annus elapsus, quod nos publico anatbematis vinculo innodavimus judices et tabeliones, qui supprimunt in- strumenta judiciorum, districte precipimus, quatinus^ si aliquando contigerit aliquem praedictorum in hec labi, eum illieo faeiatis, pulsalis campanis, per to- tam terram denuntiari excommunicationis vincula subiacere. Si qui clerici vobis in biis et aliis que juri et ecclesiaslice honestati consonant, duxerint subtra- hendum, ipsos auctoritate vestra excommmiicatonis vinculo innodetis , nec permittatis ulterius eosdem 214. cleiicos prohibitii indumenta portare Simili modo precipimus, ut fìdejussores Fanii qui condepnatus est in CCC libris propter hereticam pravitatem , infra VII dies post harum receptionem pignoretis, alioquin vel maneatis ab officio divino suspesni, vel nobis res- ponsuri ad sedem apostolicam accedatis. Datum in mense madio, die octavo intrante pontifìcatus domni Honorii III. pape anno V. — È la prima lettera d'un piccolo rotolo. Dietro è scritto acta episcopi rainerii contra romanos. Tuttavia un tal titolo convien meglio alla lettera precedente che a questa. Rainerius Tuscanensis episcopus dilectis filiis cle- ro et populo cornetano salutem et benedictionem. Quantumcumque vos vel alium quem libet vereamur, non possumus ( sicut credimus vos non latere qui mores nostros novistis) nobis vim inferce, ut pre- feramus mendacium veritati: eam profecto veritatem sequentes, quidquid emuli ejus latrare presumant, que ait: Nolite timere eos qui occidunt corpus, et post hoc , non habent ultra quod faciant. Sed potius eum timete qui postquam occiderit, habet potesta- tem perdere in gehennam. Quod apostolus exequens ait: Neque mors , ncque vita, et cetera . . poteri t nos separare a cavitate Dei que est in Chiisto Ihesu. Et iterum: Quamdiu gcntium Apostolus sum, mi- nisterium meum honorifìcabo. iVudacter igitur, et ta- men quod verum est, repetimus: quoniam cum B. prior Sancii Lituardi , nature debitum exolvisset , Petrus Clavellus illieo prefatam ecclesiam, excom- municatus, sicut postea patuit, a domino Armanno tunc Castellano Montisflasconis , rapuit; et licet ex 215 hoc a nobis excommunicatus fuisset, nichilominus tamen se a quibusdam eligi fecit , qui vocem in electioue non habebant, quam ipsam nobis conces- semnt, quamvis privilegium episcopi Tuscanensis innaat ecclesias cornetanas pieno iure spedare ad ipsuEn spedare [ripetuto per isbaglio), quod multo- rum assertio confìrmabat, dicentium se vidisse fe- ' licis recordationis Centum (è Cencium V. Bussi p. 360) et lobannem episcopos predecessores nostros aucto- ritate propria in memorata ecclesia eligisse et con- firmasse priores. Nos itaque ipsius electione cassata presbiterum Bartholomeum S. Pancratii eligimus in priorem. Camque dictus Petrus contra eum ad se- dem Apostolicam accessisset, proposuit quod fuerat a Saturnino episcopo [di questo Saturnino vescovo ignoto airUghelli^ é molte altre volte detto nelle let-^ lere qui date) postulatus , et a clericis S. Lituardi electus, ac postmodum ab eodem episcopo confir- rnatus: sicque inter duo verba unum mendacium fixit, tanquam ludei Cliristum inter duos latrones medium affixerunt patibulo crucis, adiciens quod electio dicti presbiteri nulla erat quia facta fuerat a nobis qui nichil preter ipsum qui datus fuerat nobis neces- sarius condiutor, quum revera super nece nobis nece induxi (f. quem re vera super necessita tem nobis ne- cessitas induxi t) facere poteramus (sì capisce c/warame»- te che si lagna del vescovo Saturnino datogli par ignota cagione a condiatore e sostituto, a suo detto non ne^ cessario); nec instrumentum publicum per quod pro- batur elcctionem fuisse nobis a prefatis clericis da- tam [cioè ceduta V. poco sopra), valebat, quia in eo non nativitatis annus, sed incarnationis, continebatur. 21,6 nec nostre sententle deb&but fules habei'i cum ma- num publicam non haberet. Sed hac ratione possent omnia instrumenta cornetana repelli, et nullis ex epi' scoporum scriptis credendum esset, que par manum publicam edita non apparent. Oportet igitur epi- scopos [f. nella lacuna era semper notarjum) secum habere, sicut credentes hereticorum, si yolunt salvari, necesse habent juxta sententiam . . . . [f. nella lacuna era ut coram habeant ... e s'aggiunga un altra voce che significhi un gradualo nella setta, nec) minus patbareni semper secum sint, etiani in lecto cum uxoribus suis, quia potest mors (ine.) perve- nire. Quomodo ergo faciant qui propter mendaci- tatcm et ferrum (f. fraudem , perchè non possono fidarsi d'altri) propria manu omnes suas Jitteras seri- bere «ompellunlur ? Quamvis enim nec fatuus sa- pienti, nec dives pauperi, nec satius jejuno, nec sa- nus egroto, credere velit, nichilominus tamen jeju- nus exurit {sic), pauper a divite querit, egrotus mur- murat , et sapiens loquitur sapienter [cioè: o gli si creda o non gli si creda, quel che è, è). Quid autem ad predicta praefatus presbiter responderit ignora- mus. Scimus autem quod utriusque fuit electio re- probata: nam acutius videt unus quam alter; et ve- ritalis lumen tanto amplius emicat, quanto studio- sius fuerit sepissimeillorum concertationibus discussa, in quorum vultibus sapientia fulget , et quos elo- quentie candor illustrat. Cum autem prescripti cle- rici litteras apostolicas recepissent, ut infra mensein eligerent sibi canonico personam idoneam in prio- rem, vos unanimiter ipsos clericos, sicut a vestris nuntiis audivimus , induxistis , ut non aliunde m Priorem assumerent , quam de collegio corneta- no. Quod ipsi faeere procurantes dilectiim fìlium presbiterum Girardum S. Marie de Castello, virum pi'ovidum et discretum, invocata Spiritus Sancti gra- tia, eligerunt, et ipsum nobis representantes confir- mationem eius cum instantia postularunt. Nos ita- que, pensatis laboribus et expensis quibus prefata ecclesia nimis gravata est, per sepe dictum Petrum Clavellum , et habito cum canonicis nostris (credo abbia a leggersi veslris) diligenti tractatii , dictam electionem sic diiximus confirmandam, ut nobis et successoribus nostris nullum preiudicium in poste- rum generetur. Datum Tuscane HI. Kal. Martii Pontificatus domni Honorii pape III anno quinto » — E la seconda dello stesso rotolo. Forse gli pre- cede la seguente sciolta e lacunosa in principio. et fulsitatis obducta quod etiam cum patrantur et dicant prò beneplacito suo .... obla- trantibus michi. Quod si est, ergo nec canes poss. An creditur infamatoribus aliquorum, nisi legitimis approba proponuntur. Scio tamen quod sic possitquis in lecto suffocari sicut constat jam mul- tos suffocatos in aquis. Candori enim lucis veritas non immerito coniparatur. Cenosa vero nigredo fal- si tatem competenter designai. Sane positus in ra- narum palude, quarum contactusinfuscat, nullum eri- gentem habere videor: multos autem quia levis et tenuis est mihi substantia, sentio comprimentes. Sub- tilia enim et levia in celum sursum sed gravia na- 218 tiiraliter descendunt in infernum deorsum. Qiiod ergni rnichi ex natura non inest, ut accidcntaliter insit, prò viribus moliuntur. Sed dominus erigit elisos nichi- lominus per faJsitatem conipressos. Cum enim volo, in eos, qui patenter iniquitatem operari non timent, oculos aperire (nec leporis naturam habeo qui aper- tis oculi dorinit) irrugiunt vehementi clamore, can- doremque innocentie mee denigrant. Inter quos Pe- trus dictus, magis autem maledictus, Prior S. Marie Tuscanensis, [si comprende che parla di Pietro Cla~ vello) qui tot liberos genuit quot Moyses condiJit li- bros, ut suam iniquitatem contegat , me cum quì- busdam aliis leccatorìbus olim in multis me [era su- perfluo, e perciò é cancellato) graviter imfamavit, et nuper mendaciter domno pape re tuli t et quibusdam cardinalibus, quod bereticos, quos ipse mihi custo- diendos misit, sponte dimisi; ac veniens contra ju- ramcntum, quod mihi praestitit, vendendo et impi- gnorando, preter licentiam meam, possessiones ec- clesie sibi commisse, eam usque ad exinanitiouem extreme virtutis [vacuitalis ?) deduxjt. Atque cum secundum tenorem privilegii sui , tam ipse , quam fratres eius [i confratelli della stessa Chiesa) debeant tenere habitum regularem, eum sumere penitus con- tradicunt, et uno solo excepto, inter eos omnes tur- piter vivant, habentes publice concumbinas propter qua ipsum et dictos fratres ejus anathematis vincu- lo iustissime innodavi. Sed ipsi excommunicationem prò nichilo reputantes celebrant et immolant demoni- bus et non deo. Perinde prudentiam vestram ge- nuflexim exoro, ut propter Deum, et bonitatem ve- stram, solummodo me non patiamini ulterius con- 219 culcari, sicut sum hactenus conculcatus; cum opti- mam materiam habeatis in faciem resistendi omni- bus qui de me male locuntur: nam conditionem mei episeopatus in valentia m mille marcarum ultra me- lioravi ; hereticis pravis et perversis viriliter restiti, nec unqnam timor, amor, vel pecunia meum judi- cium subuerterunt. Et quicquid hemuli mei conati sint contra me dicere, nihil inuentum est quod me rationabiliter ledere possit. Num impossibile est quod clerici qui seminant in carnali gaudio, non in tribu- latione spirituali et lacrimis metant. — Prudentia et morum honestate preclaro, domno S. Tituli Sanctorum XII Apostolorum (è Stefano Cardinal di Fossa Nuova) presbitero Cardinali Rainerius Tusca- nensis episcopus commendationem. Quum abbas S. lusti sic stride intellexit litteras vestras, quas sibi de mandato domini pape misistis , ut nichil alind vobis de facto meo intimare voluerit, quam diete littere continebant, ideo ego cohactus [sic) sum ea que ipse cum honestate sua facere poterat, ut potè qui novit totam condictionem [sic) meam, supplere. Pia igitur mansuendo vestra cognoscat, quod epi- scopus tuscanensis nicbil aliud manuale babet Tu- seane, quam vineam unam non magnam ; molen- dinum unum de quo percipiuntur singulis annis tres tnodii grani; duos ortos quorum pensio est IIII li- brarum senensium. Vindemiam hujus anni optulit Ugus clericus S. Petri tuscanensis et omnia mortua- ria duorum fere annorum a presbiteris tuscanensi- bus, preler meam auctoritatem recepii, [manca forse non ) qui asserunt quod in nullo michi tenentur , cum domnus papa, viva voce, eis preceperit, ut tan- 220 tum Saturnino episcopo {È il Saturnino Vescovo cui poco fa dicevamo sconosciuto, datogli per supplente dal papa, a cagione di malattia, od altro piìi grave mo- tivo ) debeant in temporalibus et spiri t.ualibus re- spondeie. Unum dictorum ortorum invaserunt fili! Guidocii Borazani ab uno anno retro, dicentes quod ego teneor eis reddere L. libras quas michi mutua- vit pater eorum iam sunt XV anni, quamvis dieta pecunia ipsis soluta fueritpro me a duobus debitoribus meis quorum unus sibi X, alius XL libras persolvit.Sed judicem liabere non possum sub quo cxperire de- beam eontra ipsos. Nam quotiens per yconomum meum, in hoc et aliis, coram judicibus tuscanen- sibus agere volo, litteras Magistri Raineri cardinalis [suppongo si parli di Rainerio de Castro Y eteri, o se- condo altri Urbe vetanus Arcicancelliere e poi cau" celliere di Onorio III, e non Raniero Capocci Dia- cono Cardinale , non ancor molto cresciuto in im- portanza) ad clericos et laicos tuscanensis episcopa- tus, in quibus inter alia cetera sic continetur — (Ve- nerabilem patrem Saturninuni episcopura coadiuto- rem in spiritualibus et temporalibus episcopo vestro duximus deputandum, ita quod episcopus vester, in spirilualibus et temporalibus nicbil statuere vel or- dinare valeat sine ipso) — statim opponunt, et sic ju- dices hac calva occasione audilum a petìtionibus meis avertunt. Molendinum vero, ab eo tempore quo eger fui [vedremo di questa sua imfermità toccar egli anche altrove), Beniaminus Rom [con linea sopra la m) tuscanensis invasit prò XXVHI libris, jam sibi cum XXVIII aliis, sicut legitime probari potest, solutis. Set nec dictus Saturninus episcopus , nec alius, in 221 hoc michi vel aliis negotiis meis adiutorium prestai. Magis autem episcopus ipse , tamquam terribilem inimicum me prò viribus ledit. Et episcopatus non re- gitur, sed detrimentatur per eum, quia nec ipse [ine.) agii prò eo; et ego quae agere possem impedior exe- qui propter ipsum. In verbo veritatis dico vobis , quod in valentia CC librarum senensium deteriora- vit me quantum ad temporalia, sicut legitimis testi- bus, si haberem judicem, comprobarem. In spiritua- libus non est finis (11 cor-sivo e cancellato) .... Cum igitur nedum episcopum [cum ce (f. certe) perpaiici ramanserint qui graviler scandalizentiir propter rapa- citates ipsius toti ordini ecclesiastico cancellato) , sed episcopos, (f. non) habere possim qui gratis ea michi laciant, que facere ipse non possum, nullam rationem video quare super atìcctione aegritudinis (/orna aldi- scorso della sua malattia), dehaim eius et aliorum mali- gnantium tot afflictionibus angi. Quocirca providen- tiam et bonitatem vestram exoro, ut , propter Dei memoriam, in hiis michi auxilium praebeatis , prò certo tenentes , quod supradictus episcopus , cum quibusdam clericis episcopatus mei, contra me con- spiravit « — Verso gli stessi tempi debb'essere stata scritta pur questa (legata ad una) che darem poi la quale è diretta a Gregorio - Teodulo Prete Cardinale di S. Anastasia , piutostochò a Gregorio Galgano di Sant' Apostolo. — Prudenti et plurimum contuendo [ine.) domno G. tituli S. Anastasie Presb. Card. Rainerius Tu- scanensis episcopus cum commendatione salutem. yVudiveram quod bonitas vestra volens parcere labo- 222 ribas et expensis nieis et partis adverse . . e ( f. quae) suis adversitatibus magi . . . dar. vo (1. ma- gisti'O Claro vero) Christi philosopho. qui statuum ecclesiai'um et eius diocesis datus inquisitor fuerat a dorano papa, receptiones probationum bine inde comraiserat. Sed postmoduoi , sicut ab ipso magi- stro percepi , nichil inde sibì dixistis : immo quod deterius fuit, littere sibi facle bis subrepte fuerunt; unde non magis exultant sancii in gloria, quam multi prelati dicti episcopatus, qui prò timore jam emi- serunt feces, letantur in cubilibus suis; et utinam letarentur, sicut alacriter seminant in carnali gau- dio .. : (f. ita) det Omnipotens Deus, ut letaliter in presenti vita melant , in spirituali mestitia et dolore. Verum postquam non est consilium, non est sapientia, non est scientia, nec prudentia contra ma- litiam, que sapientiam cum ceteris vincìt, ego post reditum [scrino sopra è supplico vos ut ad) meum a bal- neis si datura fuerit desuper, ad presentiam vestrara ac- cedam, visurus quomodo Petrus Margantius, sacrile- gus adulter atque periurus, dìcat quod ego verbe- raverim IllI presbiteros, qui nunquam adhuc ser- vienlera . . . pium ( 1. proprium ) verberari , licet verberari fecerim, et communicaverim (1. excommu- nicaverim) hereticis, quorum extiti expugnator for- tissimus, et invictissimus disputator, sicut omnes qui sunt in episcopatu meo norunt : contra quos ipse propter turpissimam vitam suam non audet rautire, nec sciret in aliquo resistere illis, magis quam unus dealiisinfirmis(f. infìmis)clericis michi commissis, nisi forte quibusdam auctoritatibus, quas quidam magister Georgius corapilavit in quodam suo libello. Certe cnm 223 hei'eticis et scismaticis ipse suam semper posuit [lor- tionem; maiores enitn hereticorum credentes , qui Tuscane sunt, eum . . . giit (I. protegunt) et de- fendunt , ac etiam illi qui se fatentur catholicos , quia pio vili pretio vendidit caras possessiones, et quibusdam dedit in feudo. Si factus sum insipiens vos me coegistis [Allude alla sua malatlia ? Questa malatlia consisteva forse in una insania che ave- vagli fatto dare un sostituto ?) , qui exceptiones frivolas admilt ... (1. admittentes), furentes hyrcos michi facitis insultare, et ab hominibus nullius mo- menti prò nichilo duci, et ... . ssis [lacuna non grande) , quod Tuscani manifestissime dicunt: Non potest episcopus noster exeommunìcare aliquem . . (f. qui) ducat aliam mulierem, sive relieta propria suscipiat aliam, vel committat quod cle- ricis et laicis peccata luxurie sunt aperta; et here- tici in (f. interim) manibus plaudent. » — Dietro questa pergamena è poi, a modo di un primo abbozzo di scritto , così : . . . . memoriam reducentes quod jam est anni dimidium. (11 corsivo è cancellato. Sopra in luogo di ciò è solamente reducentes) ante annum et dimidium, causa corani vobis fuit et accepta (11 corsivo è cancellato) quo- modo causa, sive questio est, coram vobis fuit incepta. Nempe judicium fuit ex eo quod querebam que mihi iustissime debcbantur, nec erat quomodo tunc ( // MS. ha solo quo tu con segni d'abbreviatura ), nec vos, nec alius querere debuerit quarc debitum michi exhiberi petenti ab ecclesia mea, cui sum spiritualiler jugo copidalus [ 11 corsivo è incerto ) pronuntietis arephalo ma (segno d'abbreviatura sulle due ultime 224 parole) eorum que proposuit p. procedere debcnl d pbal ( frasi oscurissimc , e incomplete , massime le stampale in corsivo) exceptionum partis adverse . . . au quod nullus sit magis homo quam alter,, licet decretum. — Havvi un nuovo rotolo in cui succedono Tuna al- l'altra cucite insieme le qui soggiunte membrane. — Rainerius Tuscanensis episcopus dilectis filiis Priori et presbitero beate Marie de Castello ceteris- que clericis Cornetanis salutem et benedictionem. lam sunt plusquam tres anni quod Magister Robe- ctus fuit de beresi publice infamatus quod nos mi- nime credidimus, cum famam eorum qui nicbil de Christiana lege observant infamiam reputemus , et infamiam famam, quousque nos coram ahis ex ore ipsius audivimus blasphemias de quibus fuerat im- petitus. Nos autem in spiiitu lenitatis et mansuetu- dinis ipsum convenimuset prohibuimus, et precepi- mus ei fìrmiter, ut ullerius talia dicere non auderet: ipse tamen , sicut homo proprii sonsus , a dictis malignis verbis cessare contempsit, unde multorum relatione et clamore pulsati eum ad presentiam nos- trani vocavimus super predictis verbis hereticis res- ponsurum. Ipse autem postulavi! a nobis, ut ea que sibi obiiciebantur ei darcmus in scriptis. Nos autem adhuc expectare volentcs an clamor con tra ipsum et infamia quiesceret, hoc facere distullmus; cumque infamia ipsa crevisset, noscapitula liereseos ejus in lilteris nostris ei missimus , precipientes , ut infra octavum diem ad pi'esentiam nostrani veniret dictis capitulis responsurus, que talia sunt, sicut a nobis missa fuerunl. Magister Robectus publice in ecclcsiis 225 predicai , quod nemo baptizatus , quantumcumque mortaliter peccet, dampiiabitur. Itern dogmatizat , quod sol et luna sunt animata corpora. Item quod anima est ignis. Item quod nullus qui feneratur peccat, sed ille qui mutuo accipit peccai. Item per- vertit auctoritatem apostoli, ubi dicit : raptus fui usque ad tertium celum et audivi tria arcana verba que non licet homini loqui. Primum celum dicit quod est oido coniugatorum, secundum continentium, tertium virginum. In primo dicit quod cum vir et uxor reiacent in lecto, et contingit quod uxor faciat maximum bombum a latere viri, ita quod ab aliis non audiatur , hoc est unum de arcanis que non licet homini loqui. In secundo ( seguitano interpetrazioni sì sconcie , che il meglio che si possa fare è tacerle )..,.. et hoc est arcanum quod non licet homini loqui, et ab hac infestatione vo- luerat apostolus liberari , dicens datus est stimulus carni mee. Cum autem venire contempserit , dis- cretioni vestre precipendo mandamus, quatinus ips- um , tamquam hereticum et publicanum habentes, excommunicatum publice nuncietis , quousque ad presentiam nostram accedat. — La seguente fu già da noi pubblicata alla pag. 44 dell'opuscolo, la Massa Palenliana di Cassiodoro ecc. inserito nel tomo CXXXIIl del Giornale Arcadico, dove dubitavamo se fosse diretta al Mosca di Firenze (potestà secondo il Bussi dell'a. 1218), o al Mala- braca , 0 finalmente a Milanzuolo , due podestà , secondo il medesimo Bussi, dell'a. 1225. Ma siccome nel 1225 Ranieri era già morto , bisogna ben diie che la lettera fosse scritta appunto al Mosca, e G.A.T.CXXXll. 15 226 giova riprodurla con qualche maggiore illustra- zione. K. Viterbensìs Ep. dil. fil. M. ( sic ) Viterbiensi Potestati S. et B. Si laici Viterbienses saltem Deo redderent que sunt Dei, nam forte a tributo Cesaris sunt immunes ex eo quod ad patrimonium beati Petri spedare dicuntur , et ecclesia niitius agore consuevit cum suis subditis, quam principes seculares [scriveva dun- que il vescovo in un tempo, in cui Vimperatore Fede- rico II lasciava pacificamente al papa la signoria di Viterbo ), non esset mirum si ad episcopum et eie- ricos suos, interdum prò suis necessitatibus, recursum haberent, licet redditus ecclesiastici ad captivorum redemptionem, et pauperum alimoniam,preter victum clericorum, sint solummodo deputati. Sed qua fronte subsidium ab eis , et eorum servientibus postulent ignoramus. Servientes eorum intelligimus proximiores consanguineos, cum quibus morantur , cum eorum ecclesie de quibus loqu (loquuntur, ovvero loquimur) nuUas posessiones habeant ( Pare che allora molti vescovi^ tra'quali esso Ranieri, dimorassero comparenti loro che godessero de' beni delle chiese con essi vescov i, il qual godimento qui lo scrivente nega), sicut ecclesie multarumcivitatum que in numerosità te populiet tem- poralibus divitiisa Viterbio magnopere superantur [Si noti Vimportanza della città nostra ne'principii del seco- lo XIII. Ciò aggiunge fede a quel che scrive, aWa. 1224 de la Tuccia [testo di Francesco d'Andrea). Erano in Viterbo circa LX milia persone intra grandi e piccoli, tra li quali erano XVIII milia: altri testi dicon XX milia da difender loro persone), Ecce si requiras inter l 221 ceteras terram nostre natività lis , qua bis , immo ter-tantum, Viterbium est maior {Par dal tulio in- sieme che questa sua patria fosse Toscanella ), in- venies in episcopali ecclesia ipsius XLII canonicos sutficienter habentes necessaria vite. In episcopatu autem Viterbiensi sunt tres vel quatuor [credo parli della sola cattedrale ) , qui nec homines sunt , nec oves , vel boves, possunt vero recte dici bubones, qui cucumbis succinunt, et cucube [intendi co^glossarii le civette 0 coccoveggie) organant eis. Et dicunt Vi - tei'bienses: ecce episcopatus et episcopus noster, qui nec boves habet, nec oves, nec alia pecora campi, sicut Pilatus judex de Christo dicebat. Ecce rex noster. Novit enim ille quem nullum latet secretum, quod totum frumentum a Viterbiensibus hoc anno prò decimis datum, venditum fuit prò XXVII libris, quas solvimus quibusdam debitoribus nostris [doveva dir creditoribus ), nec ob aliud absentes sumus a dieta terra [Dunque non vi risiedeva e aveva stanza in alcuna delle concattedrali ; probabilmente Tosca- nella), nisi quia nichil inde habemus unde vivamus. Erubescimus inde nimium et miramur plurimum , quod Biterbienses magis ex hoc non erubescunt , cum promiserint predecessori nostro (a quel Giovanni che fu in verità il primo vescovo di Viterbo , creato da Celestino ///, ciocché male a proposito fin qui im- pugnarono i Viterbesi ) , quod ita ditarent eum et successores ipsius , quatenus quolibet festo pascali XII milites facere posset [Nota uso). Quid ei fece- runt, ignoramus, set ab homnibus, qui eorum malitiani non cognoscunt, prò nichilo reputamur, quoniam pau- per quantumcumque sciens, despicitur etiam a proxi- 228 mis suis. 0 utinam , ex quo in nullo episcopum verbo recognoscunt , unde totus alius episcopatus nos vilissimos habet , illam miserani ecelesiam de Palentiana ( V. Vopuscolo nostro, la Massa Palentia- na ecc. p. 43 e Bussi p. 40 e 403 ) non amplius desolarent , sed restituerent ei possessiones , quas nequiter abstulerunt ! Veruni cum tam nos, quam dicti clerici, desideraverimus quod fueris et sis po- testas, nedum Viterbiensium, sed in toto episcopatu, et fide cum laboremus ad augmentum tui hono- ris, discretionem tuam rogamus quatinus memora- tis clericis tales nos exhibere curetis, satisfaciendum {forse manca ad o dee scriversi satisfaciendo), votis ipsorum, ut exinde tibi gratias referamus, et eorum dilectio erga tuam benivolentiam crescat. - E air argomento di questa lettera si riferisce il documento membranaceo benché non intero, qui ap- presso, deWarchivio di s. Angelo. In nomine domini amen. Henricus Passagerius I. {interrogatus) dixit suo sacramento quod domnus episcopus Ranerius deditet concessit fratri Guilìebno ermite (I. heremitae) Montis Santi Petri, ecelesiam sancti Valentini de Bani^naria, et sic habuit et tenuit ipsam ecelesiam cum suis possessionibus per tres annos et plus, set nescit quantum, et ipsem et testis recollegit prò dicto Guilielmo fratre suo vindemiam et alios fructus possessionum diete ecclesie, et de- portavit ad domum ipsius testis, et dicit quod Gui- lielmus habuit instrumentum investiture ab ipso dom- no episcopo. Aliut nescit. Interrogatus si odio, precio, precibus, perhibet testimonium, et si instructus , doctus, vel medita tus, et si dapnum vel emolumentum spectat ad eum, dixit quod non. 229 Bartliolomeus Virziere de contrata sancte Marie? Podii juratus dixit suo sacramento, quod vidit tenere ecclesiam sanati Valenlini de Bagnarla fratrilldibran- dino, fratri Guilielmo ermite sancii Petri de MontCy et Romane oblate sancte Marie de Palentiana prò donino episcopo Ranerio , et predicti babebant et percipiebant fructus possessionum diete ecclesie. Interrogatus si interfuit quando domnus episcopus dedit et concessit ecclesiam predictis personis, dixit quod nesciebat , nisi auditu. Interrogatus quantum liabet in bonis , dixit quod bene C. solidos. Inter- rogatus si odio (era come sopra) dixit quod non. Et ego Benevenutus lateranensis notarius hos testes recepì, et de mandato domni Prioris sei Angeli de Spata scripsi et in publicam formam redegi. — Ripiglio adesso 1' ordine del rotolo , nel quale succede alla lettera al Mosca l'altra al priore appunto di Palanzana, cb' io già stampava ugualmente nella testé citata operetta sotto il n". 18, ma che qui più corretta riproduco, e che quivi dissi scritta ad Andrea priore, mosso dal documento n". 19 [Opuscolo sud- detto), ed è di questo dettato. Rainerius V. episcopus dilecto filio Priori de pa- lenzana salutem et benedictionem. Solus Christus in judicio erit accusator et judex sicut ipse testaturr Cum sederit filius bominis in sede majestatis sue etc. Et alibi: Pater non judicat quemquam, sed omne judicium dedit filio. — Nec sibi contradieit, cum sub- quenter abiungit [sk): Vos secundum carnem judica- tis, ego non judico quenquam , et si judico ego , judicium meum verum est. Ergo negat se nequiter sicut homines faciunt judicare.Nequam igiturest illud 230 judicium ubi aliqiiis judicatur non confessus ncque convinctus, ad nudum testimonium aemulorum, et aufertur judicium filio sibi datum a palre, juribus et non juribus judicando. Licet enim potentia natuva- liter sapientiam precedat in judiciis, tamen debet sapientia potentiam prevenire, subsequi autem po- tentia in contumaciam juste sententie parere no- lentìs. Vix credere possum quod homo magne lite- rature, qui Christum gratis suis auditoribus predi- cavit, et docuit cos veritatem evangelice et aposto- lice lucis, obscuritatem dilucidans veteris testamenti, de me vel aliquo alio male loquatur. Certum est enim quod omnes clerici et laici episcopatus (è in- certo, e potrebbe leggersi compatres, cioè compa- trioti. Con che verrebbe a confessarsi toscanese di patria) me bene noverunt, et ipsimet profitentur me, non mea culpa, sed sua, temporalium rerum egenum et pauperem esse, ac a Saturnino ei)isc. quatuur annis meis redditìbus spoliatum [torna a lagnarsi del suo coa- diutore^ il Vescovo Saturnino) . Quomodo igitur simu- lo egritudinem cum paupertate, cum hec, stultitiam amorem , proritum, et tussim nemo possit , quan- tuncunque callidus, occultare ? An ego non credidi quod dominus Alcbrandus [Sarebbe il Mag' . Adelardus P. C. S. Marcelli ? ) iverit ad balnea puteolana propter infirmitatem quam patiebatur ? An simi- liter non credidi quod esset rectus timens deum et recedens a malo? Aut [f. At) ipse omnibus viribus suis nititur me inducere, ut dicam que nunquam dixi, et contraria bonis que dicere de ipso solebam. No- lui et nolo adhuc prevenire tempus quousqne re- velentur abscondita tenebrarum, et tunc sciam quod 231 dicere debeam vel sileie, sci'iptum inenle tetìeiis quod octava sinodus dicit: Non solum ille reus est qui falsum de aliquo profeit, set etiam is qui aurem cito criminibus prebet. Ego vero causam non habeo maledicendi de domino papa, vel aliquibus eardina-- libus; iinmo semper benedxi de eis prò posse, sicut etiam scripta mea declarant propter que forte, vel ut multi asserunt, sine forte, me quidam hoderunt. Certe si in multis gravissimi» culpabilis essem, lin- gue tantum plurium coherceri non possunt, quin di- cant hoc mihi ex maxime invidia provenire. Deterius ergo faciunt qui taliter de me intonant quam sibi; doctores enim ecclesie debent corruscare miraculis, doctrinis pluere, ac minis talibus intonare, que pre- missis concordent. Non bene consonai ei quidam cap- pellanus suus qui probabat in faciem Rainerii Ca- nonici S. Laurentii , quod recideram in fortiorem egritudinem quara quondam habebam, sicut per duos nuntios se dixerat esplorasse. De XL vero libris un- de alius cardinalis est, sicut placuit sibi, locutus , andacter dicas quod nec a diabolo, nec ab homine fuit unquam majus mendacium dictum. Negare ta- men non debeo , quoniam receperim XL libras et dimidiam a quibusdam clericis tuscanensibus, ante- quam viderem faciem domini pape. Alios clerico» qui nolueruDt solvere percuniam impositam sibi y excommunicavi, sed dictus dominus Alebrandus ipsos absolvit;ego postmodum ab inecptacolkctione quievf. Tu autem sic facias, ut si bonum auditorem habere potcs qui me non hoderit, sed diligat equitatem, ac- cipe ipsum. Sin autem facias aliquibus discretis viris, puta dominis peruscino vel tudertino episcopis, di- 232 ctam causam eommitti; non enim tutuiri est sub lio- minibus hi litigare, qui sicut vides, me sine causa hoderunt tamquam serpentem , et questionem in meum gravamen fiiciunt ubi nulla questio est, no- dum in scirpo querentes, qui non sic me devora- bunt, ut putant. Tu ergo non timeas a facie ipso- rum , quia dominus erit nobiscum , si deus justi- tiam diligit, sicut ego cum ceteris fidelibus credo. Dietro é scritto Nec buie concordavit arcbipresbiter suus de Vico do- minus meus [manca qui o nam) dixit quod ipse fortiter restiterat la faciem Guidocli archipresbiteri S. Laurentii coram domno papa; increpuerat etiam eum nimis quod erat inbobediens mihi — Alle precedenti si connette questa pergamena ancora — Rainerius Viterbiensis episcopus dilecto fdìo R. Arcbipresbitero et Vicedomino nostro salutein et bc- nedictionem. — Meminimus nos in allegationibus quas fecimus contra dominum episcopum castren- sem {sarebbe mai questi il Saturnino vescovo del qua- le sì spesso si lagna , non ricordato dalV Ughelli , o da'suoi continuatori'^) dixisse quod valde melius esset, si domnus papa et fratres ejus, omnes circumadia- centes sibi miseros episcopos super omnes miseros qui sunt in mundo ad tres dietas ad minus , cum quidam episcopi sint, quorum dioceses extenduntur per decem dietas , mitterentur in Babiloniam , vel demergerentur in fundum abyssi , ( sopra è inferni ) , quoniam in excelsum sursum ( il Ms. ha s con un segno sopra) conscendere non possunt, sic tamen , ut in civitatibus eorum episcopi ulterius 233 nullatenus ponerentur; sed essent dioceses urbis cimi pugne t contm eos plcniludo et fecunditas eius urbis [il Ms. ha cum pugne centra eos plenitudo et fecundi eis orb' ), quam sic miserabiliter esse. Ecce pre- validas tempestates ospitaliorum monachorum diversi coloris, et secundo diversorum cordium clerici, qui sacramenti religione suis episcopis tenentur astricti qui salvent eum (f. eos) in vita rebus, canonicis, justitiis vivorum et mortuorum, contra proprium juramentum temere venientes, conspirant in eos. Unus dicit non timeo episcopum meum quo- niam fecimus Paulum patronum. Alius Cephas suum reputat defensorem. Alius vero Apollinis ca- lore fovetur: et sic est Christus inter ipsos divisus et ipsi divisi ab eo. Cum enim quasdam litteras presbitero sci Blasii fecissemus, principes sacerdo- tam viterbiensium cum certis sacerdotibus et clericia convenerunt in unum adversus dominum, et adver- sus Xpum Xpi ejus — Nolite, inquit, tangere Chri- stos meos, etc. — (et) dictum presbiterum per excora- municationis sententiàm sibi exhibere dictas litteras compulerunt , quas aocipientes presumpserunt con- fringere minutatim. Littore autem ipse fuerunt hujus tenoris (era scritto e cassato tenor aulem ipsarum): Rainerius Viterbiensis episcopus dilectis fìlli presbi- tero, ejusque fratribus sancti Blasii salutem et be- nedictionem. Cum sec. canonica jura ea que fìdelium oblatione altaribus offeruntur , cum ceteris ecclesie redditibus dividenda sint in quatuor partes, quarum una est episcopi, alia pauperum, tertia clericorum, quarta vero est reparandis fabricis deputata, que, licet homines episcopatus nostri valde ditiores sintr 234 quiiiii l'uerint irmiores eoium, sic tamen cmii allis est annullata ut diete qiiatuor partes in cap- pellis viteibiensibus , vix sufficiant unì presbi- tero cum suo scolali , et ecclesia vestra repa- ratione indigcal, quam potius furnum, sive fornacem, ad vituperium parrochianorum vestiorum, dicimus, quatn ecclesiam merito judicamus, per quod quales sint manifestissime omnibus patet (intendi quali sia- no i parrocchiani), quartam nobis debitam ipsius ec- clesie fabrice, quousque perfecta sit, liberaliter as- sìgnamus, statuentes, ut nulli nostre jurisditioni su- biepto liceat contra piesentem pagìnam nostre con- cessionis venire , vel presumptione aliqua violare. Quod si quisquam attentare presumpserit, in indi- gnationem Dei omnipotentis et beate Virginis, san- ctorum Laurentii et Blasii martirum, iram incurrat. Non enim credimus quod beatus Laurentius velit ecclesiam suam ex rapina ditari, vel quod minores ecclesie Viterbienses propter ipsam, vel etiam mo- dica m patiantur jacturam; alioquin esset preliura in celis, sicut peccatis exigentibus est in terris, tìlio- que sibi judicium datum a patre, sicut hic ab homi- nibus, ex toto sublatum. Datum Viterbii X. Kal. Apri- lis, Pontificatus dui Honori III. pp. anno IIII. {il cor- sivo è cancellato). Sententia nostra est, quidquid alii opinentur, quod episcopi positi sunt ad corrigendos suorum subditorum excessus; archiepiscopi, ut male- facta episcoporum emendent; patriarche, ut de archie- piscopis faciant idem; ecclesia vero romana super om- nes constituta est, ut corripiateos principaliter, qui ad ipsam ullomodo spectant.Dictivero principes sacerdo- tum cum ceteris complicibus suis, in contrarium sen- 235 tientes thronum apostolicum conscenderunl, etvendi- cavei'unt sibi ipsius romane ecclesie potestatem. Carici autem Cornetani sua simili ter in nos cornua erigen- tes, restiterunt nobis in faciem, ne justa lata etiam in decretalium Alexandri (III), et Innocenti (III) actis, oi'dinaremus ecclesiam sci Lituardi , quam Petrus Clavellus Tiniosus sicut linea demolitur, prout me- lius eam secundum Deum videmus ordinandam, aut yconomum in ea poneremus, qui deberet ipsius ec- clesie fructus percipere, et eos , aul ipsarum (f. ad ipsius) ecclesie utilitatem expendere, aut fnturis pen- sis fideliter reservare, quousque causa dicti Tiniosi quam contra Priorem ejusdem ecclesie iniustissime movit, finem debitum sortiretur: propter quod excom- municati fuerunt , et in excommunicatione positi non timent ymolare demonibus et non Deo. Contra tales igitur periuros adulteros, invasores, et dilapi- datores esset nobis adiutorium necessarium suvvenire presentibus; set scimus et certi sumus, quod vix aut nunquam poterimus propitios judices optinere, cum vacuus redeat a foro qui non habet quod portet ad forum [il corsivo è cancellato) , deferat ad forenses. Quod etiam auditores nostri nobis fecerunt, tua pru- dentia non ignorat. Quid ergo vobis faciendum sit penitus ignoramus. Placet tamen nobis, si tue non displicet bonitati, ut faciatis vocari ad presens ar- chipresbiterum S. Laurentii, et sic istis (f. instetis ?) adversus [cioè presso) ipsum istetis (il corsivo è cancellato) dominum Giù [parola incerta) au- ditorem nostrum , vel potius domnum papam, et ceteros de quibus confidis, ut sententiam profcrant, studens etiam litteras ad predictos clericos et laicos 236 cornetanos invenìre, qua) iter ad aplicam sedeni ac- cedant intra octavum diem post litterarum receptio- nem, responsuri nobis de contumelia quam nobis fecemnt, vel dimittant nos memoratam ecclesiam or- dinare ; quod si horum alterum facere conternpse- rint, sententia nostra auctoritate apostolica confir- metur. Si enirn hec duo expedita per tuam solli- citudinem fuerint , alia levia reputamus. Pro certo teneas , quod factum archipresbiteri sci Laurent)! celerà nostra facta destruit et confundit, et facit prò niellilo reputari. Cum enim tam ipse, quam ceteri complices sui, litteras tui sigilli vidissent mutuis aspectibus riserunt, et deriserunt utrumque nostrum in illis [finisce colle seguenti parole cancellale, litteras ipsas que sic habebant). — Succede una minuta a questa modo scritta, e in un pezzo cucito cogli altri. Raynerius Tuscanensis episcopus dilecto fìlio presbitero Gerardo Sancte Marie de Castello salu- tem et benedictionem. Cum vera et pura dilectio- nis te sinceritate merito diligamus,cuiussagittanonest retrorsum conversa, nec cujuslibet aste clypeus ictu aversus, facere non possumus quin, licet nos con- solari non possis, et consulere nobis quid exinde faciamus, tue devotioni dolorem nostrum et animi amaritudinem intimemus. Novit enim ille cui omne cor loquitur, et quem nullum latet secretum, quod tantum dolorem, et mentis indignationem concepi- mus ex eo quod clerici et laici cornetani sicut ho- mines indiscretissimi et infidelissimi , quibus duo corporis sensus penitus desunt , videlìcet odoratus, et visus , ad locum interdictum et excomunicatum 237 precipites accesserunt , et ymmolaverunt demoniis el non deo , niaiora solito munera ylariter et velo- citer offerentes. Nec mirum cum pedes eorum ve- loces sint ad currendum in malum, manus ad ef- fundendum innoxium sanguinem, os ad loquendum ingentia et iniqua, quoniam magni sunt et nobiles ex parte iixorum. De iniquitate constat , quoniam omnis dives aut iniquùs, aut heres iniqui, nam ex usui'is et iniquitate congesserunt divitias suas. Au- res patulas (f. habent) ad vanitates et fabulas audien- das, surdas autem ad obediendum dei mandata; et ta- men dicunt non sumus heretici, nec hereticorum cre- dentcs, quod intelligi debet vel exponi, sicut expo- nitur: Propheta es tu ? et respondit: Non, quia lo- hannes erat plusquam propheta. Ubi unquam major he- resis quam contempnere precepta sui pastoris? An ha- bent duos episcopos, et ita ecclesia eorum duos viros? quod a saeculo non est auditum, licet auditum sit quod unus vir habuerit plures uxores, ut Abraham et celeri patres veteris testamenti. (Ne forte no- bis obiciatur quod pluribus sumus episcopatibus matrimonialiter copulati , et ideo non est mirum si plures coepiscopos habeamus.) Veruni licet episcopi successores apostolorum sint, quorum singulis sunt singule Provincie vel civitates distribute, (sicut apo- stolis Provincie distribute fuerunt, quoniam non tot apostoli erant quot civitates ), nihilominus tamen successores sunt patrum veteris testamenti; nec uxor tua potest esse uxor patris tuì , vel fratris ; vel sì tu es alicujus servus, sequitur quod uxor tua sit ejus ancilla. Ubi etiam major heresis , quam ut laici clcricos excommunicent et jurare compellant 238 parrochianos eorum , ne ad ecclesias suas acce- dant et offerant munera in lege divina precepta ? Inquit enim Christus: Si offers munus tuum ad altare etc. Aecepimus enim quod Grappaldus et Berandus latrunculi, vix quidem aut numquam ma- la nomina bona omina vel ominia facere possunt. Grappaldus enim et latro equis passibus gradiuntur, quos vidimus sequentes {ine.) quia dubius in fide est infidelis. Hoc totum factum est , ut impleatur scriptura, que dicit: qui manducat meum panem levabit contra me calcaneum suum. Ilem alia scri- ptura dicit. luda osculo fìlium hominis tradis ? Certe qui vult ab alio diligi et honorari, debet alium diligere et non honerare , nec quis debet sibi suum oculum eruere ut duo inimici sui oculi eruantur, quia dictum est nobis , quod in consensum iniquitatis eorum, quod nunquam credere possumus, devenerunt anima sua {ine). Quo circa discretioni tue, et presbitero Cornetano, de quo piene confìdimus, precipiendo mandamus, quatenus dictos parrocbia- nos a juramenti vinculo nostra auctoritate absolu- tos denuntietis, et sub pena excommunicationis eis precipiatis, ut ad dictas ecclesias revertantur , et offerant deo munera oblationum primitiarum et de- cimarum, sicut de jure tenentur ad ecclesiam san- ti Antonii prò visis litteris personaliter accedenles. Quod si dicti grappaces vel alii contravenire pre- sumpserìnt, faciatis eos excommunicatos singulis diebus dominicis pulsatis campanis soUemniter nun- tiari. Ad hec precipimus tibi quatinus omnium in- strumentorum , quibus tu et prior tuus usi estis contra prcsbiterum diete ecclesie, sibi transcribendi 239 copiarli faciatis, et postmodum veiiiatis simul ad pie- sentiam nostram ut causa vestia debiturn sortia- tur effectum.- A tutte le antecedenti s'aggiunga una minuta volante di sì fatta forma a Federico II imperatore , la quale certo non manca d' importanza. Clarissimo et piissimo domino Frederico Ro- manorum imperatori semper Augusto Rainerius Tu- sc. ep. de hostibus triumphare atque post longam et quietam vitam gloriam sempiternam. Gloria in excelsis Deo qui donat excelsis et trasfert regna, et quibus voluerit ipse dat illa, et in terra sit pax per ipsum; et potentia maiestatis vestre ab eo vobis concessa [il Ms. ha potentiam e concessam) homini- bus qui catholicam unitatem, tam verbo, quam facto sequuntur , reddentes qua sunt Cesaris Cesari , et que sunt Dei Deo ; ceteris autem timor et tremor tribulatio et angustia que per defectum imperatorie maiestatis ecclesie et viris ecclesiasticis intulerint. Licet enim antiquus hostis timeat signaculum crucis, ipsi qui regnumet sacerdo- tium damnant, vocantes sacerdotes scribas et pharise- os, imperatorem et reges atque alios orbis principes, omicidas, ipsum nequaquam formidant, cum se ge- nus electum et regale sacerdotium asseverent. Cer- te quidquid alii sentiant, ego sine aliqua formidine assevero , quod mille monasteria , et innumerabi- les ecclesie destructe sunt, et omnes clerici romani im- perii a suis civitatibus et dominis castrorum atque villarum in quibus degunt, a tempore quo felicissime recordationis pater vester decessit , sicut alii popu- lares ti'actati (majjca sunt) juxta vaticinium Isaie. Et 9M ei'il, inquit, sicut populus sacei'dos. - De hoc homines mei episcopatus inculpare non possum ; sic tamen ipsos commendo, qiiod licet duas magnas civitates habeamus, et duo talia, exceptis aliis, castra, quod milite civitates sunt, habentes episcopos, qua ipsa in divitiis et numerositate populi nequaquam ex- cedunt {penso che parli di Viterbo e Toscanella, e di Cenlocelle e Corneto) , nec aui'um , nec argentuni , vel equus aut etiam asinus est mihi cum quibus potuerim , ad presentiam maiestatis vestre, venire, vel alia^ vestram magnificentiam honorare. Novit autem ille cui omne cor patet, quod non ob aliam cpjsam hoc dico, nisi ut ostendain excellentie ve- stre quantum detrimentum passus suin et cottidie patior per dictos sacerdotii et imperii hostes ( qui iunc (jlorianlur et gaiident, sicut hactenus sunt ga- visi, quando imperiiim vacat, vel inter ecclesiam ro- manam et ipsum est scissura. Cancelhito ), atque raptores. ( q. h. tota, quam ortum beati Petri et Pauli. Cancellato), q' hac tota terra, quam ortum beati Petri vocant est p...tia ( ine. f. quibus , hec tota terra quam ortum P. B. vocant est patria qui), glorianlur et gaudent, sicut hactenus sunt gavisi, quando vel imperium vacat, vel inter ecclesiam ro- mannm et ipsum est scisma. Piomani etiam ex hoc insurgunt adversus episcopos et dominum suum , et eum de urbe repellunt. Circum adiacentes Civita- tes, de hoc exemplum sumentes idem faciunt epi- scopis et clericis suis, et sic non valent sibi adiu- toria ad invicem dare; sed quod multi non possunt, posset unus cum multis, si unitas esset in eis. Det ergo vobis Omnipotens Deus cum Summo Pontificc 241 et romana ecclesia pacem, ut sitis quantum ad laicos principale membrum ipsius, sicut ipse ( domnus Pon- ti f. cancellato) quantum ad cloricos est principale. Fecit enim Deus duo magna luminaria, luminare majus, ut preesset diei, et luminare minus ut noeti preesset. Dominus Innocentius pp. HI hunc locum exposuit ita. Luminare, inquit, majus est papa; lu- minare vero minus est imperator , quoniam sicut luna illuminatur a sole, sic imperator lumen sue potestatis sumit a papa, et sicut ipse preest ani- mabus, sic et imperator corporibus preest. Subla- tis quidem corporibus, tenebre non sunt et nec nox, cum nox et tenebre sint effectus corporalium rerum. Sicut ergo umbra non potest a eorpore separar! , sic regnum a sacerdotio disi ungi non debet, alioquin male babuimus , et detcrius expe- ctamus. ( 0 si maieslas imperialis nossel que ego novi, profecto. Cancellato). E così finisce; bencbé la pergamena è intera, e non lacunosa, ed è attaccata, e precede a quella che è diretta al Card. Grego- rio Teodulo. — Non vuol finalmente esser dimenti- cata quest'ultima. Smo. Patri et Dm no Honorio summo et unii. Pontifici Uainerius Tuscanensis episcopus commen- dationem. Quidam clerici Viterbienses nuper a se- de apostolica redeuntes dixerunt quod cum vobis ex pai'te nostra obtulissent cum commendatione salutem, responsum acceperint quod ipsi vos salu- tabant ex parte arboris sicce. Vere, domine , cum sitis Pontifex uturam multorum annorum prophe- tasLis, (sta qui ulura por usura, in senso di logora- menlo, o vuol diie quelcìie ho guadagnato in multi unni, ?) quoniam ut in meliorem partem, sicut debeo G.A.T.CXXXVll. 16 242 intei'preler veibum , nullas humor gule , avaritie, aut vane glorie me fceit aliquando ponderosum, nec aro in primogenito bovis; quia plura forte sunt in me reprehensione digna, quam laude. Nec enim Cati- lina patiens inedie algori» et vigilie supra quod cui- quam credibile sit, fortiserat,cumplurimiscorruptelis, preter coniurationem patrie, fedaretur. Sunt equidem in quibusdam suis gratuitis quasi nalurales virtutes que in habentibus caritatem gratuite dicerentur. Quod si aliquis eo sensu hoc intelligere velit quia non refero fructum aliquibus substantie mundialis, et hoc perficere (f. at hoc perfìcitur) quoniam flumina non intrant in mare, si eorum rivuli exicentur, et l'ivuli fluere desinunt, cum fontes arescunt. Verum spiritus prophetie non semper tangit corda pro- phetarum, alioquin .... Gregorius de Florentia Archidiaconus Anconitanus , qui dicebatur nullum amicum ad caritatem aliquando suscepisse, nequa- quam visitatori ecclesie ipsius sciipsisset, ut inqui- reret, si ex necessitate aut ex tenacitate ipsius hoc proveniret. Attendebat enim quod dicit propheta. Gustate et videte, quia quidquid auditur absorberi non debet» sed gustai'i, et cujuslibet rei veritas sepe diligenter inquiri ejus oirigo (sic) vel causa. Sobrie inquit Apostolus , et pie vivamus , alioquin sicut ebriosus propter aviditatem bibendi prius absorbet substantiam vini, quam sentiat odorem vel saporem ipsius , ita qui verbum andilnm degluttit auribus mentis, ante examinatum judicium sententiam pro- ferì. Hoc modo quidam aut me sine omni avaritia fatentur ava rum , nec de pontifìce major ea esse infamia potest que in omnibus est servitus idoloruin, aul negligentem et in rebus temporalibus absque 243 omnì earum ignorantia ininus instructiim. Alio (f. adeoqiie, ovvero nel cartafaccio sta come variante del- Vabsque omni eariim ignorantia , e perciò vi è pre- messo alio sottinteso modo) preter omnem fisi- calis scientie gustum, hominem in quo melanconicus humor habundat, quoniam aliquando propter infini- tas iniurias quas pattior, certe non immoderate con- turbor, cum scriptum legatur de Christo in Marco. Et venerunt ad domum, et convenit iterum turba ita ut non posset neque panem manducare. Et cum audissent, sui exierunt eum tenere. Dicebant enim quod in furorem versus est. — Si ergo deus et homo propter imminentem turbam turba tum se ipsum (ali- ter enim dicere non audemus ) ut eum etiam dicerent in furorem conversum qui superat iram, (domine, inquid, ne in ira tua arguas me , nec in furore tuo corripias me) (f. manca sensit), quanto magis purus homo irritatur et furit cum patitur super id quod sustinere non potest? [E questa è forse una tacila confessione della propria malattia della quale piii volte favella). Qualem patientiam habebit qui tempestatem de celo desuper, et de terra de- orsum, (f. manca patitur) et impellitur quatuor ven- tis terre ? Unus ventus sunt patareni, alius lugdo- niste quos vulgariter melius leonistas appellant, quia eorum colera accenditur in Silvestrum et alios eecle- siarum prelatos, et adversus eosdem rugiunt ut leo- nes. Tertius draconiste. Quartus herodiani, nec quo- cumque simplicitas mea se vertat potest cornua paralogistice disputationis eorum vitare. Nempe eo- rum paralencus supei- meum elencum, et malitia sa- pientiam vincit. Sic enim contra dictasquatuorhereses sufticiunt quatuor principales virtutes, ut fortitudo he- 244 rodianosdevincat, prudenti» superetdi'aconistas,Ieoni- ste ajustitia repellantur, tempeiantia vero patarenos expellat; sicut sola forti ludo validissime tempestatis epi- scoporum, qui auctoritate propria altare erigunt con- tra altare saracenos expugnat, alioquin frustra tota charistianitas eiest censualis. Sunt ergo duo, et tertium quod requiro set invenire non possum, mihi neces- saria , sicut aliis prelatis , potentia scilicet contra superbos, sapientia quam deus dal afflucnter, et non in perpetuum, in astutos, et benignitas que humili- bus est exhibenda. Nec unum sine duobus, nec duo sine terlio valent, cum sicut aspides surde prescripte, magis autem prescripte hereses, a ventate obcurat (sic), ad fabulas autem ipsas convertantur, et vix in- veniatur super quem spiritus domini requiescat. Si ad rivos prò aqua refectionis contra hostiles incursus recurro, domine , fontes nostros absorbuit qui ab- sorbebit fluvium et non mirabitur , et babet fìdu- ciam quod inflat lordanem et rivos ejus. Si ad fontes ut videam an sint, ita respondent: Nos aquam salientem in mortem eternam ministiabimus rivulis suis quum ipsi perniciosum poculum nobis propinant. Quod si recurret ad mare posset rationabiliter re- spondere: De fluminibus legitui': Tu lordanes quare con . as . .re: de se autem quod sugit et non redundat et sufficit , quod sai ab ipso sumatur cibos condiens, vermes arcens, et carnes exicans. — Sin qui son presso a poco gli avanzi de'do- Gumenti del nostro Raniero superstiti nell'Archivio del duomo, e da me trascritti, e riveduti coH'aiuto del più volte da me lodato nobile giovane Sig. T.i- rolamo Zelli lacobuzi, assiduo mio compagno nelle trascrizioni di questo genere. A completare la sene de' medesimi , giova aggiungere il N. 19 delle pergamene edite nel!' o- puscolo spesso citato Massa Palentiana, ed oltre ad esso numero, por qui sotto, le seguenti qua e là rac- colte. Nello spesso mentovato Archivio del Duomo - In un fascicolo spettante alla Chiesa diS. Giacomo di Ria- nese, oggi soppressa, esistente lungo la nuova Gas- sia per la via di Montetiascone , oggi detta di S. Lazzaro. In nomine domini Ihsu Xsti. Anno a nativitate ejus M, GG. XVIIl. teirq^oribus domni Honori 111. pp. mense decembris die Xìll. exeunte. Indictione VI. Ego fra ter Stephanus prior et rector ecclesie Sancte Marie et hospitalis de Gitignano cum consensi! et voluntate meorum fratrum et oblatorum ejusdem ecclesie et hospitalis, scilicet fratris Johannis Rufì, fratris Locterii yconomi Gintignani, fratris Rainaldi, lacobi oblati et aliorum omnium fratrum etoblalorum (bianco), considerans fidem ac devotionem quam hac- tenus priores et clerici Sancti Angeli de Spala Yi- terbiensis habuerunt dictis ecclesie et hospitali de Gintignano, et nunc habent; considerans etiam ser- vitia et obsequia non modica exhibita et oblata no- bis et antecessoribus nostris et prefutis ecclesie et hospitali de Gintignano ab ecclesia Sancti Angeli, mera et pura liberalitate, inter vivos dono et cedo et inrevocabiliter trado Deo et supradicte ecclesie Sancti Angeli omne jus omnemque actionem quod quamque dieta ecclesia et hospitalis de Gintignano habent vel habere videntur in ecclesia et hospitali Sancti lacobi et ejus circuitu sita seu hcdiPicata in territorio Viterbiensi in contrada Kmncse, que omnia 246 ad dictum hospitale et ecclesiam de Cintignano per- tinebant ex acquisitione facta a fratre Petro de Bas- sanello oblato dicti hospitalis et ecclesie de Cinti- gnano ecc. Acta suat hec in camera prioris Sancii Angeli coram testibus rogatis ad hoc specialiter vocatis , presbitero Pepone Prioris [sic) Santi Martini, Vigilante Priore Sancti Angeli, Riccardo Machabei, lohanneMar- cbisane. Presbitero Nicolao et Presbitero Veritate. Ego Nicolaus Sancte Romane ecclesie Notarius hanc cartam scripsi et compievi. — Segue r atto d' approvazione del Vescovo così: Anno MCCXX dominus Rainerius Viterbiensis epi- scopus confìrmat donationem Luci et hospitalis S. la- cobi Rianensis facte ecclesie S. Angeli de Spala p, p. [forse per predictos). — Nello stesso archivio, in altra membrana. In nomine Sancte et individue Trinitatis. Anno M. ce. XX Temporibus domni Honoriì HI. pp. men- se Martio, die II intrante, indictione octava. Rai- nerius Viterbiensis episcopus dilectis filiis lacobo , priori et clericis ss. Siephani et Bonifalii in perpe- tuum. Dum operarii non debent esse multi ubi mes- sis est pauca, nec in ecclesia plures in&litui quam ejus exposlulant facultates, Nos, diligenter conside- ratis una vobiscum ecclesie vestre facultatibus , et previsis quam tenues, maxime in Ortis, vineis, et molendinis esse percepimus , consentienlibus vobis duximus staluendum ut ecclesia ipsa quatuor tan- tum clericorum numero, computato prioi-é, de cele- rò sii contenta , nisi forsan in tantum excreverint facultates , quantum plures ex bis sine gravamine congrue substentari (possint). Siquis vero contra fé- 247 cei'it, seu receperit in oadem ecclesia benefìciuin per penitentiam laycalem , tarn ipse, quam illi qui ei- dem in tali piavitate consenserint, se noverint au- ctoritate nostra excomniunicationis sententia subia- cere. Ut autem hec omnia robur inaioris obtineant fìrmitatis, etiam per presentes litteras per pubbli- cani manum fecimus scribi. Acta sunt hec et pu- blicata in palatio Scarlani , in domo Bartholomei Pontii, de mandato dicti Episcopi, coram presbite- ro Guidone , presbitero Ianni , Biasio , Matheo , et Petro, clericis Sancti lacobi ad hec specialiter vo- catis testibus. '*> Et ego Trasmundus S. Piomane Ecclesie No- tarius, de mandato dicti episcopi supradicto, in pu- blicam formam redegi.- Pare che il Vescovo, e i suoi uffìzi, fossero al- lora nel palazzo suddetto di Pian Scarlano, prima che si fabbricasse la dormis ponlificalisy della quale altre volte favellammo. - Finalmente. Nello slesso Archivio - In nomine domini Amen. Rainerius dei gratia Viterbiensis e- piscopus dilecto Alio lacobo priori Sancti Stefani de platea Flaianorum ( Così si chiamava allora la pmz- za detta delVerha ) Viterbiensi. In perpetuum iustis petentium desideriis animo nos convenit concurrere, et ea que a rationis tramite non discordant op prosequendo explere. Ea propter, dilecte in domi- no fili , tuis justis (f. petitionibus) et clericorum Vi- terbiensium clementer annuimus, et ecclesiam San- cti Stephani, cui presides, prioratus nomine decora- mus, procm'ationes eiusdem ecclesie, sicut aliis ma- ioribus ecclesiis Viterbiensibus, propter devotionem tuam , et honorem civitatis Viterbiensis, prò nobis 548 et siiccessoribiis nostris, in perpetuiim relaxantes- Nec si contingat nos, vel siiccessores nostros, etiain frequentissime a te et successoribus tuis fortuita exhiberi , ulluni tibi hoc prejudicium generetdr. Si qua igltur in futurum ecclesiastica, secularisve per- sona, contra huius nostre remissionis , et prioratus decorationis, paginam temere venire tentaverit, ana- thematis vinculum se noverit incursurum. Datum Viterbii, Pontificatus domini Honorii IH pp. anno VI mense lunii , die terlia intrante. Arcbipresbiter S. Laurentii, S. Marie Nove Canonicus, Petrus Alexan- dri, Egidius scriptor episcopi. Mauro et Angehis fra- ter eius , fìlii Gualfredi , Maleguverna clamati sunt testes. Ego Guarnerius Camere Palatii Lateranensìs Notarius, et ecclesie Sancte Marie in palumpa prior, de mandato domni Rainerii, et notarius Yiterbien- sis banc cartam remissionis et prioratus decoratio- nis scripsi, et in publicam formam redegi.- Una licerca più diligente larebbe forse trova- re altri documenti , che or qui non sono. Le illu- strazioni, e il riordinamento che bisognerebbe, la- scio a un più padrone del suo tempo ; e passo oltre. — Dal tutto insieme si raccoglie, che il nostro ve- scovo , avuto riguardo alla ragione del secolo, era uomo dotto, e convenientemente nutrito negli stu- di biblici, e teologici. Non sappiam troppo le vicende di sua vita, ma si capisce ch'ebbe molte peripezie, co- mechè sul proprio capo più vescovadi riunisse. AOno- rio,lII pp. non fu sempre in grazia, che gli surrogò per qualche tempo,lui vivente, un Saturnino vescovo, credo di Castro, col quale ebbe brighe. Fu malato pure 249 a lungo. Era spirito ardente. Lagnossi spesso di po- vertà, d' inobbedienza dc'suoi , di decime negategli. Par che in fine ricuperasse la pace. Lo stato allora delle sue cbiese era deplorabile; i costumi del suo popolo, anche ecclesiastico , infetti di paterinismo, il vincolo religioso necessariamente rilasciato. S'a- doprò per la pace tra romani e viterbesi. Ebbe relazione perciò, e per altro, col Papa, coH'Impera- tore Federico II, col Senatore Giovanni Colonna, con parecchi Cai'dinali. Le sue lettere, da ultimo, sono evidentemente abbozzi, con varianti, con sensi im- perfetti, con frasi perplesse, con parentesi che tur- bano r intelligenza , cosicché è da credere, che nel trascriverle, non le mandasse come noi le abbiamo trascritte. L intero lor testo avrebbe bisogno d'es- ser meglio osservato. Noi lasceremo questa fatica a qualunque, dopo di noi, del clero viterbese, o altri, che vorrà e potrà prenderla sopra di se a miglior agio. Aggiunta — Manca per errore alla pag. 222, lin. 2 dopo adversitatibus — Magis autem perversi- tatibus , ecclesiam Ste Marie Tuscanensis ad solum deduxit. 10 Ritmi del XIII secolo, relativi a Viterbo e al suo Statuto, tratti dal Codice membranaceo di esso Statuto deWa. 1251 neW archivio Comunale. Viterbo . . . INunc quoque (ine), miratur speciosam Tuscia terram, Quae mala,quaepestes, largamtulit undiqueguerram. Ecclesiae vires cognovit, et imperialis Culminis, ac verbis concussa frequenter ab alis {cioè aliis). 250 Sed deus!, atque situs, sensus non posse perire, (l'opinione della sua innmortalità) Haec tria fecerunt populum de morte redire. Consita planities, sed gaudet colle propinquo, Fertilis et dulcis, nec celerà dona relinquo. lllic bullit aqua vario cuni fonte salutis, Qui curas adhibet diversa peste solutis. Intus et in giro dat amenos terra Viterbum Fontes et rivos. Hoc verax noscite verbum. Avviso a'giudici Tu qui jus reddis, si non a jure recedis, Non animam laedis, nec corpus laedere credis. Ut via sii tuta, serva jurala slatuta, Moribus inibuta, recta sinl sorde (ine.) soluta. Nec te persona inoveat, nec turpia dona, Nec cito causa bona, nec mens tua sit male prona. [cioè. Nec cito sit libi causa bona. Non pronun- ziare giudizio precipitoso.) Nec sexus fragilis, quia sic reputabere vilis, Sed animo stabilis, judex, et corde virilis. Si serus dites, sermones dirige mites, (f. Si senis diles: cioè si servus, si dites, dirigi loro ec). Nec vigiles vites, dirimes cum pondere lites. (Cioè non iscansare le noie di chi viene innanzi di) 11 Carte di servitila emancipazione, o simili A. 1044- dali' archivio della Comune. Anliquo- rum Kegistrorum T. IV In nomine domini nostri Ihu Xpi Temporibus domno Benedictu Summo pontifice et universali no- 251 no papa, in sacratissima sede beati Peti-i Apostoli in anno duodecimo [sic) in mese septembri. Indi- ctione duodecima, feliciter. Manifestu sum ego Bernardu filiu bn. Guido qui est natione de Castellu de Petrugnanu ( a poco più d'un miglio da Vilerbo^versoVeti^alla, oggi distrutto), nullus mihi penitus cogente, ncque suadente, ncque pei' vim faciente, set propria et spontanea mea bo- na voluntate, promitto et repromitto, ego dictu Ber- nardu, tibi Landulfu, Alio Litoifu, de castro Biterbii, vobiscum stare et servire diebus vite vestre , cuni ilde et puntate et obedientia, in quitquit me impe- raberiti vel iuxeritis, sine dolo et fraude et malum ingenium , et repromitto ego dictu Bernardu tibi a ( f, antedictu ) Landolfu dominum meu, si diebus vi- te vestre, si de vestro servitio exiero, aut me ex- traxero , aut si fuga lapso inventum fuero, aut in romana (f.Romania), aut in Longobardorum partibus^ aut apo ( 1. apud ) qualevis civitatem, magna vel par- vaque personam, tunc licentiam et potestatem ha- heatis, vos dictu Landulfu dominum meu, aut misso vestro, post me venire, et in personam mea manum mittere, et comprehendere me, ligare, et disciplinare et in vestro servitio replicare diebus vite vestre et an (1. hanc) cartulam premissionis ( 1. promissionis), firma et stabile permaneat. Actum in Biterbu )i^ Signum manu dictu Bernardu promittere qui une promissu scribere rogabit )^ Signum manu Fusco fi- lium Dimitria, quam et Guido fìliu Guesqusco et Ra=: neri filiu Guido, loti rogati es testis - Ego Segno- ritu scabinus et notarius rogatus an cartula pro- missionis scripsi et compievi et rededit.- A. 1085- Originale assai guasto del duomo ^ 252 In nomine domini Amen. Temporibus domino Cle- mente ( antipapa) summo Pon- tifìce et universali tei'su pape, Pontiflcatus anno primo mense junius, indìctio octaba. - Manifesta su ego Beitula que es abitatrice intu castello de Mun- ganu, territorio Polimargiensis, et vadit que que mea bona bolutate a ( f . antedicta ) Bertula stare et serbire me ita cum filiis meis et fllie; stare a bobis euge fdio Guido, et a Bona, vel a tuis, et e nostre secunda nostra qualit exinde promitto bobis domino meo bita mea meis, et si de vestro serbiti© me sup (f. suptraxero) ro et di ere- dibus tuis , aut tu salariu enta (f. inventa) fuero, sibe, { 1. sive ) in territorio pò [limarsiensi) noru, sibe in cam[)anea, sibe in quacumque cibi- tate, sibe in qualcuque magna parbaque persone ominibus, tunc ubicunque me coniungere potueritis vos , vel missos vestros , licentia in me abeatis comprendere , et disciplinare et in bestro serbitio rebocare cutdi ( 1. cunctis ) diebus bite bestre a ser- bigendo ( ad serviendutn ) vite vestre - Actu in Ca- stello di Mungnano, qua promissio fecit ipsa Bertula in perpetuum bile illorum Signa di Badolfo judice, Guarin- getu, et Grescio Bibaaqua. Et recissa de adupte- rium unde illa fuit demissio , et obligatione fecit [Par che sia una Chiamata, cioè una Nota aggiunta j relativa a Bertula , che sia stata ripudiala per a- dulterio, e perciò siasi cosi data in servitù ), Testes 253 Johannes di Rollando, et Tibrandu, et Canta Sanuto, totis rogati sunt testes.- Anno stesso; dal duomo. Originale n. 1 - In no- mine domini Dei Salvatoris nostri Ihu Xpi. Tem- poribus domni Clementis [Io stesso aiUipapa), sum- mi Pontificis , et universali pape , in sacratissima sede beati Petri Apostoli, [die) undecimo , mense februario, Indietione octava. Constat me donna Rogata inclita Comitissa atq Matronissa de ecclesia Sancti Marcelliani, cessitrice et refutatrice, de die presenti refutasse, atque re- futavi, et cessi de p.... ( presenti, ovvero , proprio) , nostro indultu, plenaria cessio, refutati (1. refutatio), manu missio tarius tibì Criscensio, filius fuisti Indice ( pai- che debba esser nome), abi- tatore in castelliono de Mungnano, territorio Poli- marsi, si modo detur, prò Dei Omnipotentis amo- re, et anima de Rainerio inclito comes , qui fuit viro meo, emetti (f. emitto ovvero, emisi) , liberura et absolutum absque omnc jugo, servitute , et al- dionatu [V. Ducange, Ediz. ultima S. V. Aldius etc-)^ et insuper refutavimu te cum omni tua faculta- te et hereditate , et cum omnibus bonis tuis, et cum filiis et filiabus tuis quas queve tu modo abes, et possides et in antea , domino deo aiubante, conq- dare {sic conquirere) poteris, quod tu modo abes, et possides (ripetuto), quod ego litem non mitto de tua pei'sona vel da per me liliis vel filiabus tuis , vel de tuis rebus et proprietatibus, pei- nullum in- sti-umentum cartaruin , ncque per nullum ingcnium vel argmnentum, litem vobis non mittenms , ncque in servitute de te et filiis vel filiabus tuis non re- 254 vocavimus (1. revocabimus ) per me, neque prò filio meo, neque per nulla personarn a me summissam, sed davimus libi civitatem romanam , idest pei'fe- ctam libertatem cum fìliom tuom et Alias quem, queve tu modo abes, et in antea ex te nati et prò creati fuerint, sic fiant liberi et absoluti ab omni jugo servitutis et aldionatus, quod neque da me, neque da nulli de meis heredibus abeatis questionem, aut litis calumniam in nullo tempore, et ubi ubi eun- di vel ambolandi voluerit's liberam abeatis licenziam abitandi {non erano più addetti alla gleba).Etsi enim, quod absit, et quoquo tempore de quibus ego itta [in queste carte ha spesso valor di dieta) cessitrice et refutatrice, aut aliquis de heredibus meis, aut quale- vis persona contra te, vel contra heredes tuo , aut contra hanc cartam libertatis agere aut causare vel litigare aut disrumpere quesierit, tunc promitto me stare et defendere cum una heredibus meis tibi tuis- que heredibus; et si eadem defensione minime fe- cerimus, tunc promitto me componere, una cum he- redibus meis, tibi tuisque heredibus , de argentum libras decem , et hanc carta libertatis sit firma et stabile. j" Signum manus domna Rogata que hanc carta libertatis fieri rogavit. ■{■ Signum Rainaldus et Tiniosus de Benedictu de lohannes presbitero, et Riginolfus fìlius fuit de Oderi- sci rogati testes. j" Ego Leo presbitero domini gratia, judex et tabel- lio omnia optum (f. opportuna) scripsi et complevi.- Molto poi diverse sono le condizioni del 1285, nel qual anno dall'archivio di S. Angelo trascrivo. 255 sul proposito nostro, il seguente frammento - In no- mine domini Amen. Anno eiusdem nativitalis M. CG. LXXXV, temporibus domini Honorii UH pp. mense Augusti, die XVIIII intrante. Indictione XUI. In pre- sentia mei notarli et testium subscriptorum. Henri- cus Anglicus , promisit et convenit fiatri lacobo Rocconi, ecclesie S. lacobi de Rianese, servire ei- de [sic) fra tri lacobo legali ter bona fide et sine frau- de, ad usum et consuetudinem boni et legalis ser- vientis, bine ad Kalendas mensis mail proxime ven- turas, et personam , res , et bona de fratris laco- bi eiusque familie salvare et custodire promittit, et salva facere justa suum posse, toto dicto tempore, prò quo dictus frater lacob promittit et convenit dictu Henrico paw (f. pari ter ?) dare comedere et bi- bere et calziamenta sibi necessaria, et prò suo salario et mercede XX solidos de paparenis: in mense etc. 12 Uno de più antichi reggimenti municipali in Viterbo del quale si serbi ricordanza scritta. Se ne ha memoria nella seguente pergamena della Comunità dell' a. 1148 — In nomine domini dei aeterni. Anno a nativitale ejusdem sunt Millessimo Centessimo quadragesimo octavo. Mense Madii. In- dictione nona feliciter. Nos populus Viterbiensis, et consules Guido scilicet de Rollando de Ogerio , et Aldrobandino de lohannes degRainerio, nec non Pe- trus de Gondardo , et lohanne de Gregorio , atque Tafurus. Isti prenominati consules fuerant tum de communi populo; et nos similiter consules de mi- 256 lilla. Falco de Aldibrando di Falco, et Farulfo de Claiinbalda, et Bernaidinu de Aczo Roffo, et Polus de lohanne Cavalerio. Et de capudece Faculfus de lohanne Manganerio. Niiicune don Zaccaria , atque Rubertiis de Rusticello , et Tinìosus d'Alvisea", et Rainerius Vulpe, EtGualterune de Benencasa da Leo, Ioannes de Oisello, et Amideu , atque Villanus , et Anestasi de Valle , et omnes alii. Quia inanitesta causa est nobis, nos accepisse terram jure locationis de Ecclesia Sancte Marie de la Cella de Castro Vi- terbo , que terra posita in loco qui dici tur Plano di Scarlanu territorio biterbcnses, et que tunc teni- poris erat jure pignoris Ioanni de Gregolitio; quo- niam certunoi est quod lex principaliter in omnibus, et bona ecclesie de jure minime possint alienari, vel ne aliquod obstaculum nobis in aliquo tempore de jam dieta terra obici possit , ideo prefacti consules nos nominati , et capudece, cuni consensu {de jam dieta terra rnafina magis nobis), ( il corsivo sta fuori di luogo e perciò è da cancellare) populi Viterbiensium, mera liberalitate,et ut ista eademjam dieta terra magis nobis, populo, et jam diete ecclesie valeat commu- niter , et nos consules supradicti, damus, concedi- mus tibi preposito ecclesie Sancte Marie de Cella possessionem [il Ms. ha ppm con n in alto) — idest decimationes mortuorum atque vivorum hominibus habilanlium in prenominata terra et loca, et concedi- musvobis tuisquepostcris slmililerecclesias inluopre- cepto et nostro adiutorio, et de hominibus, vel de mulieri- bus habitantibus in ilio loco construere, et si aliquisde hominibus vel de mulieribus habitantibus in jam pre- nominato loco ibi mori contigerit , corpora eorum 257 postquam jain dictam terram habitatam fiierìnt («e), deveniant, et sepelliant illa coi'poia ad jam dictam ecclesiain Sancte Marie de la Cella, vel sepclliantui' in ecclesiis subposite et constructe a preposito de jam dieta ecclesia Sancta Maria'; et hoc totum, ut supra legitur , promittimus observare , et attendere facere si deus jam dictam terram constructam atque habitatam ab hominibus nobis concesserit: quod si aliquo casu evenerit fortasse quod prefata terra non hedificaretur ab aliquo, idest homine in prefata terra Sancte Marie non habitaverint, omnes denarios quos consules prefati et nominati dedimus ad recolligen- dum jam dictam terram lohanni Gregorii, que erat ei obligata jure pignoris, et jam dictam terram a prefato populo , et a nobis suprascriptis consulibus et ca- pudecem jam nominatis, nullo tempore requiri possit. Et in super addimus, si in jam dieta terra ecclesie hedifìcate fuerint, prepositus Petrus et suos succes- sores de ecclesia Sancta Maria de la Cella potesta- tem habeant ibi, scilicet in jam dictis ecclesiis, cle- ricos suos ordinare mietere et detrahere , quos et quantos ipsi voluerint. Et si in hoc tempore , vel in alio fortasse videamus terra non fuerit hedifi- cata, prefata terra a jam dieta ecclesia , scilicet a prefato Petro eiusque successoribus da jam dieta ecclesia , fruetur et teneatur usque dum heditìcata fuerit; et postquam hedificata et habitata fuerit ma- neatjam dictam terram in supradicta conditione, ut superius legitur. Quod si nos populus Viterbiensis et consules et capudece et celeri alii de tota con- dictionc que superius legitur, volucrimus agere aut causare vel litigare voluerimus per nos, vel per sub- G.A.T.CXXXVII. 17 258 missam nostram pei'sonam tentaverimus, et ab omni homine defendere non potuerimus aut noluerimus, et facere totam condilionem suprascriptam habitan' tibus in jam dieta terra actendere, tunc componere pronnittimus nos et nostri heredes et homines ha- bitantes in f. (f. infra) prefato loco, heredesque eo- rum, vobis jam dicto Petro, luisque successoribus prefate ecclesie Sancte Marie, omnempredictam rem, ut superius legitur induplare, ut fuerit jam dictam terram ama . . stata {sic), et valuerit atque meliorata sub justa extimatione in consimili loco, quoniam sic Inter nos bono animo conveneramus. Actum hoc in castro Viterbo feliciter, in curia de jam prenominata ecclesia Sancta Maria. Supradicti consules, et alii prenominati, et jam dicti capudece prò eis et prò universo populo Vi- terbiensi qui hanc caitam scribere , ut supra legi- tur, rogaverunt. Hoc totum actum est coram testibus Aczo de Guinizo daczo, et Tulumeo filio quondam de Kizzo. Isti quatuor rogati sunt testes. Ego quidem Rainerius judex rogatus anc cartam de supradicta condictione scripsi et compievi. — Di qui s'apprende che, poco innanzi al sopravve- nire del Barbarossa, Viterbo era retto di fatto a for- ma repubblicana, come in quello scompiglio della lotta tra la Chiesa e l'Impero lo erano le principali città nostre; ma era governo misto di tutti gli ordini del popolo. Aveva a principali capi i consoli , metà ( ? ) de' popolani, metà del patriziato, che tanto par vaglia consules de communi populo, con- sules de militia. La forma però popolare par che prevalesse, perchè i consoli del comun popolo 259 son nominati primi, e sembrano inoltre 5, men- tre que' della nobiltà [de miUlia) paion quattro. Ma forse eran dieci, cinque per ceto. V'erano inol- tre i capodieci, che pare avessero soprastanza al po- j)olo armato, e dividessero tra loro l'ufficio che poi fu del Capitano, e che si direbbono ugualmente dieci, oltre al popolo, il quale, negli atti importanti, s'univa a consiglio generale. L'argomento, o l'occasione di questo atto, fu, co- me si vede , il vestir di case il piano scarlano , di che è già memoria nel Regestum Farfanese , fin da' tempi di Carlo Magno, n'. 226, 258, 289. Allora era un suburbio sotto il nome di squarramis, vicus squaranus, casalis squaranus; e non vi mancava qual- che casa di coltivatori. E dunque lecito conghietturare che prendesse il suo nome dalla voce longabarda squara, cioè sca- ra e scarra (V. Ducange), che vale schiera , perchè, essendo suburbano al castrum Viterbi, serviva a' lon- gobardi di piazza d'arme o spianata per gli esercizi militari (V. l'Opuscolo mio Viterbo e il suo territo- P- 28). Esso nome fu alterato più tardi. I Cronisti nostri all'a. 1187 scrivono — Fu cresciiUo Viterbo, e fatto piano de scarlano , che a quello tempo si chiamava Piano de Ascarano, cioè di scherano (f. per gli as- sassinii che vi succedevano); si vede però che s'in- gannano, perchè li smentisce, oltre ad altri docu- menti rispetto al nome, l'atto solenne da noi citato qui sopra. Certo il nome d'ascarano non suole in- contrarsi negli altri documenti anteriori, oltre alquìci- tato. Ma possono bensì aver ragione essi cronisti 260 quando scrivono cheredificazionedel sobborgo, di fat- to, appartiene non all'anno 1148, nna a mezzo secolo appresso; avvegnaché verso il mentovato a. 1187 o non molto appresso, fu completato il giro della città; colle giunte di che si favellò altrove. Ben è vero che nelle guerre contro a'romani fu presto ordinato che si demolissero i muri, e, come i cronisti dicono, il pettorale delle qui dette mura, e lo abbiamo imparato poco fa dalla lettera di Ra- nieri Vescovo; ma la demolizione effettiva secondo i cronisti medesimi non ebbe luogo che nel 1237, Un istrumento del 1396 dell'archivio di S. An- gelo n. 500 c'insegna che oltre alla denominazione di Plamirn scarlani aveva anche quella di Planum salae, ma il Poggio della sala è esteriore al luogo di cui qui parliamo. La porta così detta di valle in che si termina esso muro, è del 1196 presso S Maria in Columba ora chiusa, e reca in fronte la iscrizione di Gherardo di Braca Eugubino podestà che la fé fare col reddito del Castel di Montalto, Dirò per ultimo che prima del costruire questo sobborgo la città era cinta e difesa dalla parte del Borgo lungo, cosi chiamato, dal rio Paradosso, il cui nome sembra dedotto appunto dalla difesa eh' era destinato a fare alla città da quel lato, ciocche io già indicava nell'Opuscolo sopra Viterbo pag. ultima. 11 Processi contro Patarini, e altre carte analoghe. Nel Tab di S. Angelo, secolo XIII. n. 234 leggesi 261 a. 1266. In nomine dni Am. Nos frator Bene- venuto de Urbe Vetei'i, Ordinis fratrum Minorum Inquisitorum heretice pravitatis, Universis in Xpo fidelibus declaramus quod cum piene constaret no- bis per depositionem fide dignorum testiunn in in- quisitione contra hereticos et eorum eredentes, fau- tores , et receptatores, quod dnus Petrus filius domni Petri Riccardi de Blancis multotiens in domo sua re- ceptaverat per multa tempora diversis anni mensibns et diebus , et receptari fecerat hereticos, erroribus eorum credentibus , et predicationibus interfuci-at eorumdem, et ipsis hereticis multotiens necessaria ministraverat et ministrari fecerat, et vitam eorum et doctrinam multipliciter coadiuvaverat {ine.) as- sertive , dando eis auxilium et favorem ; nec non quod ab antiquitate domus eius et progenies fuerunt heretica labe respersa , et dapnati erroris nefariam contraxerant disciplinam, sìcut publicis terre clamo- ribus, viventium memoria attestatur: ideo eum anno dni M. N. ce. LXVI, mense lanuarii, die VII, ci- tari fecimus diligenter, ut in termino sibi perentorie adsignato, coram nobis deberet personaliter compa- rere , et super eodem crimine hereseos super quo inventus erat per inquisitionem culpabilis , man- da tis Romane ecclesie atque nostris in omnibus et per omnia pariturus . . A quolicet contumace, et (f.at) post terminum eidem peremptorie adsignatum ve- niente, et personaliter comparente, corporaliter, re- cepimus juramentum de stando precise mandatis sa- crosanctc romane ecclesie , domni pape Clementis quarti romani PontiPicis, et domni Ioannis in car- cere Tulliano Venerabilis diaconi cardinalis^(Giovan- 262 ni Gaetano Orsino qui phiries fnqiiisi/ovis mumis exercuit , scriv e il Ciacconio ) et nostri qni vicem domini pape gerimus in liac parte, per nos vel par alios semel vel pluries faciendis , et celerà jurando, promisit, que in juramento ipsius scripto manu Petri Rainonis notarii nostri plenius continentur. Ad hec renuntiato ab eodem domno Petro per prius juramentum omni heresi se adversus sacrosanctam Romanam Ecclesiam extol- lenti, ipsum interrogavimus si credens fuerat here- ticorum eiToribus, si receptaverat in domo sua vel receptari fecerat cujuscumque sede hereticos , aut predicationibus interfuerat eorumdem, si ve aliquo tempore cum eis participaverat , dando eisdem hereticis quodiibet auxilium vel favorem aut saltem si aliquo tempore hereticum vel hereticam viderat vel cognoverat. Dixit quod non, singulos negans articulos, de quibus sub vinculo prestiti juramenti extilit requisitus, Unde ut sibi dapnabilis iniquilas sit mentita et penam debitam mendacium non evadat, volentes ut salubriter deflcat quantum errando com- misit, habito super premissis Consilio plurium sa- pientum, et nobiscum piena deMberatione prehabila post ea que vidinius et cognovimus Xpi nomine in- vocato eundum dnum Petrum fuisse credcntem fau- torem et receptalorem hereticorum, auctoritate sa- crosancte Romane Ecclesie qua fungimur in hac par- te eum sententialiter iudicamus et excommunicamus in scriptis. Pro pena autem bona ejus mobilia et im- mobilia, ubicumque sunt, seu reperta fuerint illustri Regi Sicilie domno H (Henrico) senatori alme urbis judicamus, et sententialiter confiscamus , ita quod 263 hec per donationem, vel commutationem, vel per re- compensa tionem, seu aliquo alio modo ad eum ul- terius (non) revertantur. Irritamus sententialiter ea- dem, dni pape freti auctoritate. Cassamus et revo- camus, et nullius decernimus esse momenti omnes contrartus venditionis,donationis, impignorationis,si- ve obligationis cuicumque persone vel loco; domum quoque ipsius positam in regione Sancti Angeli, que vocatur Vascla, eum omnibus appenditiis suis, cui ab uno latere domnus Guido de Galera, ab aliis duobus latoribus sunt vie vie {sic) vel si ([ui alii sunt con- fines, sine spe rehedificationis, judicamus funditus di- ruendas, ut sit de cetero receptaculum sordium quod multis temporibus tuit latibulum perfidorum. Duas cruces crocei coloris, una scilicet ante pectus longi- tudinis duorum palmorum , et latitudinis quatiior digitorum, et aliam per scapulas damnationis ejus- dem (f. testem, o signum) superioribus vestibus su- persutas decernimus eum in aperto de cetero baiu- lare, ita quod extra domum non comparoat sine ipsis , donec per romanam ecclesiam, aut per nos fuerit misericorditer dispensatum. Interdicimus ei in morte ecclesiasticam sepulturam, et omni actu le- gitimo, honoribus cunctis temporalibus, et publicis, auctoritate domni pape, privamus officiis , et eum perpetua dapnamus infamia. Sit etiam inlestabilis , ut nec testamenti liberam habeat factionem, nec ad testimonium admictatur, nec filii eius ad hereditatis successionem accedant. Nullus ei super quocumque negotio, set ipse aliis i-espondere cogatur. Privamus quoque ejusdem tilios et nepotes ex tiliis cunctis publicis oftlciis et dignitatibus tam ecclesiasticis , 264 quam civilibus, donec cum ipsis per romanam cc- clesiam , aul per nos , vel alios inquisitores fucril dispensatuin. Domnura quoque Petrum Riccardi, et domnam Caremam eius uxorem , licet defunctos , fuisse credentes, ftiutores et receptatores hcretico- rum sentcntialìter judicamus, et ossa eorum, si in- veniri poterint, decerniiiìus exhumari et ignibus con- cremari. Testamenta eorum, et legata, et quocum- que modo suam ultimam volunlatera , auctoritate domili pape paritcr cassainus, revocamus, et nuUius volumus esse valoris, veservata semper Romane Ec- clesie et nobis adimcndi, minuendi, mutandi, corri' gendi, ea, et aliter sanandi plenaria potestate. Roga- mus autcm, requirimus, et ortamur attente, nobiles virosdonmum Bonifacium Vicaiium illustris Regis Si- cilie in Urbe, et domnum Guillelmum ejusdem domni Regis senatoris urbis Manescalcum, cum omnes [sic) ludices et officiales palati! capitolii , et sub pena exeommunicationis eiusdem hanc nostram sententiam executioni mandare ; alioquin ex nunc {ine.) contra eos auctoritate domni pape exeommunicationis sen- tentia {sic) promulgamus, et eos excommunicamus in scriptis, sententias si quas ex tunc {ine.) tulerint re- vocantes ac decernentes irritas, et inanes, et nullius esse momenti. Lecta et publicata fuit hecsententia per dictum fratrem Benevenutum, Inquisitorem in Urbe, in scalis Capitolii, absente ipso domno Retro fìlio domni Retri Riccardi, citato tamen per lohan- nem Brentii Mandatari! dicti Inquisitoris ; co- ram domno Bonifatio Vicario urbis, domno Guil- lelmo Manescalco, et pluribus aliis ad hoc specialiter vocatis; specialiter toto clero romano; religiosis urbis I TI 265 scilicet , fratre lacob priore fralrum predicatorum curn tribus sociis eiusdem ordinìs; lectore heremi- tarum cum pluribus sociis ordinis Sancii Augustini, et fratribus sancii lacobi Septiniani, et priore San- cte Marie Nove, et pluribus aliis canonicis ejusdem Ecclesie, et pluribus canonicis de laterano, et spe- cialiter testibus infrascriptis — Fratie Oddone de Palombaria Test. Fratre Bartho de sco Gemino Te- ste, Fratre Matthie de Palliano Test. Fratre Stabile de Reale Test. Andream domni Pandulfi Tesi. Marco de Toscanella Test. Rogerutio de Toscanella Test. Segno Notarile. Anthemius sce Romane Ecclesie scr [con i sopra f. scriniarius , o scriptor), et no- mine dicti Inquisiloris, quia predictis interfui , de mandato ipsius inquisiloris, hanc cartam scripsi et publicavi, sub anno domini Clementis IIII pape. In- dictione Villi, mense lanuarii de XXII. — Le pene soprascritte per quanto terribili pajano e siano, è osservabile che assai lontane sono da quel che spacciano alcuni della loro immanità propria forse d'altri luoghi. Allo stesso genere appartiene il seguente foglio volante d'un intero processo, nell'archivio del duomo in cui si contiene 1' originale d'un esame di que- sto tenore, segnato da capo nel mezzo. N. XVII .... et eos .... de verent, cum carlaiolam ( f. devenerunt secum Carnaiolam piccola terra presso Or- vieto) ad domum Massei Collatoris fratris ipsius ef quia nolebat benire ( 1. venire) mitti . . . inquisitoris et sic ipsi ZannUs et Nerius du- xerunt eidem, et ... . vellent venire ad domum eius , et duxit postremo in domo Zanni et postea 266 ad dotnum Massei, et sicut dictiis Zan- nus tenuit, et {(in qui poco in- iellùjihile) in dieta sua domo, posila in Cattericola per unam diem, et unam noctem , et in mane se- quenti dietus Zannus venit ad Urbem veterem, et equitavit mulam ipsius testis. Dixit quod Nerius A- lesandri adsociavit prefatum . . nescientem aliquid de predicto negotio. Item dixit interrog. quod quan- do ipse Nei'ius testis stabat in domo prefati Zanni, misit dictum Zannum prò Masseo Gollatoris , scili- cet ut veniret ad eidem (f. eundem), ac cum venis- set, rogavit eidem ( f. eundem ), ut deberet eum re- ceptare in domo sua, quousque nuntius rediret ab Urbe vetere, et sciret voluntatem inquisitoris, et di- etus Masseus noluit eum receptare, sed postmodum ipse testis die sabbati, in quo (ine.) proxime preterito fuit solus ad domum dicti Massei, et intravit por- ticum prius , quod est continuum eum domo, nes- ciente ipso Masseo cuius Masse(i) exutus cito est [ine). ( [. così per exivit cito) interogatus ad eid. (f. interea rogatus), et nobiit expellere, tamen ipse testem stetit postea in dieta domo de conscien- tia ipsius Massei per quatuor dies, et fratre dicti Massei, et dixit quod Francesca [sotto segnato di rosso) famula ipsius Mas- sei per et alia necessaria ( f. per id tempus prebuit ) Et facta est hec despositio in domo iìlio- rum Pennelli de Urbe veteri, ubi moratur familia in- quisitoris , presente fratre Angelo de Alba , Fratre Guidone de Urbeveteri Ordinis niinorum, Magistro Leonardo a me requis(ito). 267 - Altra pagina dalla parte opposta e più intera , et interogatus sub vinculo pre- stiti iuramenti, dixit quod circa Vili vel Villi an- nos vidit et cognovit Benecasam Selovelle de Tu- scanella cum socio ciiius nominis non recordalur , lacobum Florum, et Guidoctium domne Uderose de Gradulis patarenos, et Riccam hereticam, quos he- reticos ipse testis pluries receptavit in domo sua dirupla propter peccatum hereseos, per dies et no- ctes, et aliqiiando interfuit domna Aldruda ( segna- to rosso), uxor dicti testis, et una cum eodem teste receperunt dictos lacobum Florum, et Guidoctutium patarenos; audivit item ibi monita et predicationes dictorum hereticorum multotìens de erroribus pa- tarenorum predicantium, et docentium testi ( il testo oscuro ha dm. ts. ma potrebbe essere et dantium te- stimonium)quod ipsi erant boni et sancti homines, et quod solum in eis erat salvatio,etnemo poteratsalvari nisi per impositionem manuuni eorundem ; et alios audivit errores de quibus non recordatur. Credidit eis et dictis eorum erroribus, et credebat ìpsos es- se bonos et sanctos homines , et credebat habere mercedem de bono quod facìebat eis , et stetit in tali credulitate, inimo perfidia, spatio X annorum; fecit eis R. plurìens adhorando eos juxta heretico- rum rituum abusum; comedi t et bibit cum eis , et dedit eis manducare et bibere , et necessaria fecit eis ministrari de bonis suis; et de pane, quem ipsi heretici benedictum appellant recepii et comedit ; et duxit dictum Bencncasam , Trencaloliu , et eius socium patarenos a domo Stradigocti Pelliparii 268 usque ad Gradulam. Item dixit, quod circa XII an- nos recepii in dieta sua domo Andream Castella- ne , et Bonamicum pataienos , quorum monitiones et predicationes audivit inibi de eiTonJ3us eorum- dem. Et dixit inteiTOgatus quod tunc venit ad eos- dem hereticos duabus vicibus Monalducius ( segnalo rosso) Rayneri Xhristophani, et fuit eis amicabiliter loculus , et audivit inibi , una cum eodem teste , predicationes dictorum hereticorum. Item dixit interrogatus, q dea. ( f. quoad dieta, quod) Vili annos vidit et cognovit Gualdmum ( f. Gualdelmum) de Viterbio, et socium eius patarenos, stantes et morantes in Colle sereno , et ostendit ei Guidoctus Guidonis Ronconis , et inibi fuit eis locutus, Tamen dixit quod non recordatur si fecit eis. R. vel non, et ceterum dixit interrogatus, quod occasione dicti et fuit citatus per fratrem. - Qui finisce il frammento. È un testimonio evi- dentemente ricreduto che parla, e non un inquisito. Se ne raccolgono alcune delle particolarità relative al falso credere de'paterini e le cure che si mette- vano nel ricercarne. Ma di sì fatti documenti da' Tabulari Viterbesi altri sarebbe facile dissotterrar- ne con più diligente ricerca. Mi contenterò di pu- blicare la minuta originale del seguente dettato. — Archivio della Cattedrale n. 370 Pergamena cor- rosa.- (1) E(jo Io. Gra. Card, [d'altra scrittura) g.sse- tur [f. glossetur) in mittendo nobis (f. a nobis) priiis- quam bulletur). La prima mezza linea è corrosa (1) La prima parte si supplisca nelle lacune coll'aiuto dell'ul- tima, che è quasi la stessa, e più completa. 269 Dilectis flliis frati'ibus Ord. Min. inquisitoribus hei'etice pravitatis, depulatis anciorilale apostolica et in posternm deputandis ( il corsivo è aggiunto so- pra nell'interlineo) in Provincia et Forcalarii Comi- tatibus et quibuscuinque civitatibus et locis , sive terris imperio fra [f. infra) Arelaten, Aquen, et Ebreduen provinciarum terminos constitutis , Kmo in Xpo Alio nostro R. (Roberto ?) illustri re- gi Sicilie et cornile provinciarum (il corsivo è ab raso) mediate vel immediate subiect. et , et in Civilate Avenion. depiUatis anctoritate apostolica et in poste- sterum deputandis ( il corsivo è abraso). Pre cunctis nostre mentis desiderabilibus catholicae incremen- tum fìdei affectantes, nimio ulique dolore replemur, cum audimus reliquos vel sentimus in illius depres- sionem qualicumque malignitate satagere, vel da- pnabilibus, quam dapnandis machinationibus derogando, seu commentis eandem mendacibus per- vertendo ad gjtontm sternenda molimina, eo animosius aspiramus, quo in animorum stragem percipimus con aspirare. Sane ut accepimus in aliquibus partibus co- mitatuum Provincie et Forcale(iii). et quibiisdam civi- tatibus, et locis, sive lerris imperii que infra Arelaten Aquen et Ebroduen provincias hm. in Xpo fdio nostro lì. illustri regi Sicilie, et corni- ti Provincie (il corsivo è cancellato) mediate vel im- mediate ( il corsivo è abraso ) ac etiam in civitate Avenion , adeo infidelitatis er- ror invaluit, quod ibi quam plurimi a via vcritatis prorsus per dcvium fnlsitatis pestiferas ad concu- liendum orlhodoxe murum fìdei machinas constru- ant, molientes, fallacium argumenlationum impulsi- bus , demoliri: verum licet ubilibet sedis apostoli- 270 cae diligentia contra illam dolosam astuciain,ne dif- i'usius huiusmodi serpai morbus, lemcdium adhibe- re opor (oport unum in ) predictis tamen comitatibus, civilatibus, locis, sive teiris cupientes anxie, ut nogotium fide'i, perfecte, e- lisis omnino quibuslibet erroribus, forcius (I. fortius) convalescat, vigilare, ad hoc per nos et alios eo stu- demus attentius quo prcfahim regem (raso) . . . predictorum comitatuum, civitatum, et locorum, sive terrarum dnum, ferventissimum utique epsms (aggiun- to sopra) fidei zelatorem promptiorem sentimus ad idem negotium efficaciter promovendum: providimus igitur ibidem ad presens personas aliquas circum- spectas prò tanto negotio deputari , quarum hone- sta conversatio exemplum tribuat puritatis et diant labia salutarem ... ut sa- cro ipsorum ministerio prefati comitatus , civitates et loci contigui expurgentur. Ut autem In- quisitionis ot'fìcium contra hereticos et hereseos ac locis, sive terris possit etficacius ad- impleri, discretioni vestre per apostolica scripta vobis peccaminum , iniungentes quatinus in caritate dei, bominum timore postposito ex alto predictum officium (segue abraso ) ubique in- fra prefatos limites simul vel separatim, aut si utilitas suadebit ad extirpandam ex- inde (abraso) hereticam pravitatem sub spe merce- dis eterne sic efficaciter prosequi et exequi studea- tis, ut presens prudentiam de comita- tibus ipsis civitatibus , et locis sive terris , radix iniquitatis heretice succi (f. succisa ) vinca domini, exterminatis vulpeculis que perversis 271 inoisibus demoliunlur candein fructuose (catho) lice purilatis. Si quos antem de pravitale predictu culpabiles invenerilis vel infectos, conspectos etiam infamatos [ine], centra ipsos, nec non et conlra receplatores benefactores defen- soresy et f autor es eorumque ( ...plices ) ( f. compii' ces) quoquomodo (il cors. cane), nisi examinati, seu excommuni cali ( cane. ). absolute , nec non contra receplatores, defensores, et fautores eorum ( interca- lato sopra) velint ( f. manca non ) mandatis eccle- sie obedire, juxta sanctiones canonicas, auctoritate apostolica, hominum metu divino timori posposito, procedatis , non obstantibus aliquibus litteris ad quoscumque alios de comitatibus ipsis, seu civita- tibus et locis sive terris, exceptis locorum dyoce- sanis super huiusmodi negotio ab ipsa sede dire- ctis, quarum deinceps huiusmo- di faciendas nolumus auctoritate procedi, quin imo ne procedatur per illas pre (f.precedentis) pretextu commissionis specialiter cisdem dyocesanis super hoc facto, nostros processus civitatibus et dyoecesibus volumus impe- diri , nec per hoc quod fìdei negotium generaliler in bus, et locis, sive terris, vobis com- mittimus commissiones a prefata sede dyocesanis eisdem factas, seu etiam ordinaria velint auctorita- te procedere, inlendimus revocare. Verumtamen si- ve auctoritate sive ex delega tione pre- dicte sedis iidem dyocesani in hujusmodi negotio processerint neqq. (f. nequaquam volumus), in cur- sum processuum, vel alias quomodolibet vestros im- l»ediri processus, quin dyocesanorum ipsonun prò- 272 cessibus in eodem negotio procedere libere valea- tis. Si vero aliqui ex predietis heretica labe pe- nitus redire voluerint ad eeclesiasticam veritatem, eis juxta formam ecclesie absolutionis benefìcium impertiatis el prò pena seu penitenlia (cas- sato) et iniungatis eisdem, quod iniungi talibus con- suevit, proviso soli (f. proviso solum o solemniter) ne simulata conversione redeant frau- dolenter, et vos , imo potius se ipsos fallentes sub agnis, (f. abscondant, o simile) lupum. Quod si aliqui fuerint judicandi heretici, vel incar- ceraiionis pene perpetue ali cui ne fuerit infligenda; ad id (cassato.), quod vos ad id de dyo- cesanorum vel vicariorum suorum, si ipsis ces fuerint, Consilio procedatur, ut in tante anima- dversionis judicio non pò tus interce- dat. Verum quia in tam gravi crimine cum multa oportet . . . sine ullo proferatur errore dure ac digne severitas ultionis , volumus et mandamus , ut illos ad hoc duxeritis deputandos in examinatione testium, quos recipi super crimine predictorum tibus oportuerit, adhibeatis duas religiosas et discretas /jersonas.... (abraso) in quarum publicam, si commode potest haberi, personam, aut per duos viros ydoneos, fìdeliter eorumdem depositiones con- scribantur. Ad conscribendas quoque hujusmodi de- positiones testium , et ad faciendum omnia que in vobis officio ( abbonda ) ad scriniarii seu tabellionis officium pertinent, teneri distrìcte precipimus, cum prò iis , per deputatos ad hoc a vobis , requisiti fuerint, omnes et singulos vestri ordinis fratres, qui dum essent in secalo huiusmodi tabellionatus offi- 273 cium habuisse, et exeicuisse noscuntur, et illos, et quibus idem tabellionatus cum ratione prefiiti ne- gotii fidei fuit a dieta sede commissum ac in po- sterum committetur, conc. (f. concedimus) huiusmodi fiatribus, nec non et aliis leligiosis qui- buslibet qui similiter dum essent in seculo, dictum officium habuerunt et exercuemnt, quibuscumque et clericis secularibus, officium ìpsum (dummodo) fratres reb'giosi et clerici , sint in sacris oidinibus constituti, exei'cendi libere offi non obstante aliquo contrario statuto , canonis vel ordinis quocumque vallato munimine (faculta) tem. Quod si testibus quos a vobis i-ecipi , vel ab alio vice vestra, super eodem crimine {parola rasa) contigerit ex publicatione nominum eorundem vi- deritis periculum imminere, ipsorum nomina non publi(centur sed se)crete coram aliquibus personis reli- giosis, vel aliis ad hoc vocatis ( segno di cancella- tura) de quorum ad sententiam vel condepnationem procedi volumus, exprimantur, et sic, non obstante quod illis con(tra quos) huiusmodi te- stes deposuerint, eorum nomina non fuerint publicata, ad cognitionem iudices instruendam adhibeatur piena fides testium depositionibus eorum- dem. Ut ergo commissi vobis officii debitum et liberius exequamini [parola abrasa) ... committendi citationes testium, receptiones (abraso),examinationes, cum de hiis crimine, ac ipsius circum- stantiis, duxeritis inquirendum, et denunciationes sen- tentiarum quas in quoslibet hac de causa tuleritis, accersiendi [sic) quoque prout expedierit [parola rasa) pitos [con seqno a traverso del]).) quoslibet G.A.T.CXXXVIl. 18 274 ut vobis in ..(huius)modi sententiis pre-r beant Gonsilium opporlunum, ac vobis assìstant, con- vocandi eovum e Io (f. e loco) civitatum castrorum, aborumque locorum, pi'out dicto negotio fidei viderilis expedire. Insuper res plano et absque iudiciorum et advocatorum strepitìi , ac contra illos qui in predictis comitatibus ac locis si ve tei'i'is in hereseos crimine , vel ip.mm crimen conlingenlibus (cancellato) quoquomodo com- misisse licet ad alias partes se trans- ferendos duxerint, procedendi, nec non faciendi vo- bis libros nos, et alia scriptà, in quibus inquisitiones facte et processus per quoscumque, au- ctoritate sedis aposLolice legatorum ejusdem habiti contra hereticos continentur, a quibuslibet as- signari, et observari orni tam per sedem apostolicam , quain in conciliis legatorum ejusdem sedis, seu rum. [cancellalo) provide edicet qu cium iidci tangere dinoscuntur, inlerpretanda esse vel declaranda una cum diocesano vel ips ( cancel- lato; ma invece sostituito sopra) sicut promotion! ne- gotii et augmentationi fidei fuerit opportunum . .vica- rio statiita ipsa sicut pi^omotioni negotii, et augmenta- tioni fidei fuerit opportunum (cancellato) privandi de diocesanorum, vel, eis absentibus, vicariorum suo- rum Consilio, hereticos eosdem crederitis, fautores, et defensores, eorumque fdios et nepotes, proventi- bus, personatibus, dignitatibus, ac beneficiis eccle- sìasticis publicis, ac honoribus quibus- cumque, nec non et largiendi viginti vel quadra- ginta ncians opportunum videritis omnibus vere penitentibus et confessis qui ad vestram .... faciendam accesserint , piena sit vobis et singulis 275 vestrum, presentium teno?'e, facnltas. Voliis prò hii- jusmodi negotio laborantibus, illam peccatoruin ve- niamindiilgemiis, que . . . in generali concilio estcon- cessa. Sociis vero fratribus vestri ordinis, et notariis (qui) vobiscum in prosecutione huiusmodi negotii la- boraverint, et oninibns qui pevsonaliler (cancellato) vobis astiterint in hoc negolio et qui ad impugnandum hereticos , faulores , et rece- ptatores, beneficatores (cancellato), et defensores eo- rumque ces (f. complices)quoquoniodo vobis ex animo prestiterint consilium, auxilium id ( f. in id et ) favo- rem, de omnipotentis dei misericordiam {sic), bea- torum Petri et Pauli apostoloruin ejus, auctoritate confisi , tres annos de inuinctis sibi pcnitentiis re- laxamus. Et si qui ex hiis in prosecutione huju- smodi negotii forte decesserint, eis peccatorum om- nium de quibus corde contriti, et ore confessi fuerint, plenam veniam indulgemus. Compescendo (?) niconem premissa per censuram ecclesiasticam, ap- pellatione postposita, predicatores, quo .... officio, quod adipsosnullatenus pertinet, quorum interest tan- tum latitantium ac indulgentiam, siquam forte habent, exponere, liberam vobis et singulis ve- strum concedimus, vigore presentium , facultatem. Ceterum, si forte, quod non credimus, aliqui cuju- scunque condicionis prefatos limi- tes sint extra (cancellato) buie negotio vobis com- misso se opponere, seu illud presumpserint aliquo (f. aliquo modo) impedire, ut non possit procedi libere in eodem, immo nisi requisiti, illud taverint, et juxta posse suum singuli juverint stu- diose, contra eos tamquam contra hereticorum fau- tores, et defensores procedatis. Deniquc ut circa pre- 276 rnissa ne voblset singulis vestrum cobertionis [sic) expedita et inviolabilìs adsit auctoritas, vobimus, ut viriliter exequamini, invocato, si opus fuerit, auxilio brachii secularis, contradict eccle- siastìcatn appellalione postposita compescendo; non obstantibus aliquibus privilegiis, (quibus) cunque personis cujusvis conditionis, dignitatis, vel gradus, religionis, vei ordinis predicatorum, mi- norum seu heremitarum, sive communitatibus, vel universitatibus, civi(tatibus) generaliter sub quacumque verborum expressione vel forma a memorata sede concessis , vel (f. con)cedendis; etiam si dicatur in illis, quod eis per aliquas litteras totum de verbo ad verbum conti- nentes privilegiorum , vel indulgentiarum ipsarum , nequeat derogari, et illis maxime privilegiis (vel indul) gentiis , quibus ab ipsa sede concessutn est aliquibus, seu concedetur deinceps, quod ex- communicari (vel) supponi non possint ecclesiastico interdicto, aut predictorum , vel alio- rum quorumlibet ordinum fratres ad executioncs aut ad citationes quorum libet, sive denunciatio- nes sentenliarum excommunicationis, suspensionis , vel interdicti , auctoritate litterarum apostolicarum minime cogi possint, nisi de ipsorum ordinibus et privilegiis vel indulgentiis eis super hoc a sede con- cessis eadem habentibus (ine.) litteris men^ tio specialis; cum ex hujusmodi vel aliis privilegiis et indulgentiis quibus cumque (cancellato) nullum vobis in tante (gravi)tatis negotio velimus obsta- culum interponi, etiam constitutione de duabus di- ctis edita in concilio. 277 Data huiusmodi littere debet precedere datarn littore superioris. Altra peigamena aggiunta con cuciiura Sopra Ego Io. Gra. Card, g''ssert (sic) in mittendo nobis priusquam bulletur [alia manu). {in bianco) [abraso) dilecto filio mi- nistro provinciali ordinis minorum in administra- tione Provincie (m bianco). Pre cunctis nostre mentis desiderabilibus catholice incrementuni fidei aflectantes, nimio utique dolore replemur cuni audimus aliquos , vel sentimus ad illius depressio- nem qualicumque malignitate satagere, vel dapna- billbus ipsam depravando reprehensionibus aut de^ tractionibus, et abrogabilibus derogando, seu com- mentis eamdem mendacibus pervertendo, ad quorum iniqua consternenda molimina eo animosius aspi ramus, quo in animarum stragem perniciosius eos agnoscimus conspirare. Sane, ut accepimus, in ali- quibus partibus comitatuum, provinciarum Forcai-^ carii, et quibusdam civitatibus et locis, sive terris imperii que infra Arelaten. Aquen. et Eboduen. terminos constitutis , Kmo in Xpo [ilio R. illustri Regi Sicilie (abi-aso) (prò) vincie me diate vel immediate subiectis (abraso), et etiam (piccola abrasione) in Ci- vita te Avenione, adeo infidelitatis ( error ) invaluit , quod ibi plurimi a via veritatis pror- sus aversi, euntes per devium falsitatis, pesti- feras ad concutiendum orthodoxe murum fidei ma- chinas construant, molientes ipsam fallacium argu- mentationum impulsibus demoliri. Verum licet ubi- libet sedis apostolico diligentia contra talìum do- losam astuciam (ne) ditfusius bujusmodi ser- 278 pat morbus, remedium libenter adhibeat opportii- num , in predlctis tamen eomitatibus , civitatibus , locis, sive terris cupientes anxie ut negocium fìdei jugi profectu , elisis omnino quibuslibet erroiibus , foicius convalescat, vigilare ad hoc per nos et ab'os studemus attentius , quo prefatum regem (abraso) predictorum comitatuum, civitatum, et lo- corum sive terrarum dominum, ferventissimum uti- queipsìus fìdei zelatorem fervenliorem [abraso, e scritto sopra promptiorem) sentimus, ad idem negocium , efflca(citer) promovendum. Providimus igitur ibidem ad presens personas aliquas circumspectas prò tanto negocio deputari, quarum honesta conversatio exem- plum tribuat puritatis , et doctrinam funditus eru- diant labia salutarem , ut sacro ipsorum ministerio prefati comitatus , civitates , et loca sive terre ab hujusmodi (f. sordibus) (mali)gnis expurgentur. Verum quia de prudenti tua industria fìrmam in domino fiduciam obtinemus (f. ideo) discre- tioni tue per apostolica scripta firmiter precipiendo mandamus, quatinus de Consilio aliquorum fra- trum tui ordinis eligas duos de fratribus eiusdem or- dinis tue administrationis, idoneos ad hujusmodi opus dominicum exequendum, eisque in virtute obdientie districte apostolica precipere auctoritate procures , ut inquisitionis officium in ipsis eomitatibus, civi- tatibus, et locis, sive terris, contra hereticos, cre- dentes, fautores, defensores, benefactores (cancellato) et receptatores eorum que complices (cancellato) quo- sque [ine.) , juxta formam in aliis nostris litteris expi'essarn, quas fratribus predicti ordinis inquisito- ribus hujusmodi pravitatis in eisdem eomitatibus 279 civitatibus, et locis, seu ten'is, deputatis auctoi'ita- te apostolica, et in posteium deputandis, non expres- sis aliquoi'um nominibus, super exequendo dicto in-- quisitioriìs officio, destinamus, exequi studeant dili- gente!*. Nos enim predictos duos fratres quos ad hoc elegeris , et utrumque ipsorum prefatum officium exequi juxta formam in litteris ipsis expressam, ac ipsos illam potestatem et auctoritatem plenarie ha- bere, volumus, que in eisdem litteris continetur. Si vero tu, vel vicarius tuus te absente, aliquem in- quisitorum hujusmodi, ex alìqua forte causa, non- nunquam fore videritis amovendum, ipsum amoveatis et si deliberatione cum aliquibus discretis fratribus dicti oi'dinis prehabita, hoc fore videbitur faciendura. Et si aliquem, vel aliquos, inquisitorum ipsorum decedere forte contigerit, vos substituendi, de Con- silio aliquorum discretorum fratrum eiusdem ordinis, alium vel alios , loco illius vel illorum qui deces- serint, ita quod hujusmodi substituti iisdem omnino auctoritate et potestate fungantur, tibi dictorumque vicaria, si tu absens fueris, plenam et liberam con- cedimus tenore presentium, facultatem. Data hujus littere debet preponi date lit- tere superioiis {eadem manu^ qua alle notulae litteris praefixae aut subiectae)', e son in tutto tre pergame- ne cucite , una appresso l'altra. Qui han fine le minute , per fermo assai perturbate qua e là nel dettato. Illustrarle richiederebbe più studi storici ch'io non posso destinarvi. La stessa epoca non oso determinare. M'ò sembrato vedere indicato in un frammento l'a. 1321. È egli vero? Altri vi guar- dino meglio, e lo stabiliscano. {Continua.) 280 Due Orazioni di s. (ìiovauni Grisoslomo di greco recale in italiano da Giuseppe Spezi Professore di limjua greca neW Archiginnasio romano, scrittore nella Vaticana, uno de'trenta della pontificia Acca- demia di archeologia. Al DOTTI E CORTESI LEGGITORI GIUSEPPE SPEZI. Queste orazioni di san Giovanni Grisoslomo, l'una Ad Eutropio, l'altra Su Vavarizia, e da lui dette ne' tumulti civili di Costantinopoli , tenendo Arcadio l'impero, ho io tradotto dal testo greco dell'edizione de'padri Maurini, che l'anno 1721 fecesi in Parigi. E della prima solamente mi è venuto fatto di legger quel- la di Gian Antonio De Luca veneziano, della seconda poi ninna italiana traduzione. Ora il De Luca ho per molto elegante piiì che fedele scrittore volgariz- zando. La quale sua poca fedeltà mi ha posto nel- l'animo qualche dubbio, non egli forse abbia di greco in italiano messa quell'orazione: tanto ivi si trovano pensieri dove mutati, dove aggiunti, che nel gre- co testo non sono : ovvero che siasi incontrato a leggere alcun codice del santo dottore in parecchi luoghi da'codici dissomigliante , cui ebber davanti agli occhi e seguirono i padri Maurini. Laonde questo mio giudicio non dee punto allo scrittor ve- neziano togliere la lode di aver fatte italiane alcune orazioni de' santi padri greci , e di esser entrato 281 anch'egli in questo aringo bellissimo di tradurre i sacri dottori della chiesa. Il quale aringo piace ora a me di correre un poco ; affine di risvegliare in Italia col suono chiarissimo delle antiche e sante trombe l'amore e Io studio addormentato dell' elo- quenza sacra. Alla cui impresa con tanto maggior piacere io mi conduco, quanto piiì intendo anche l'importanza di dare oggi alle stampe libri e dot- trine migliori, che , colpa e vergogna di questa età, non si danno. Ed in un secolo come questo , che ora volge, troppo inteso alle fuggevoli e ma- teriali cose di quaggiù, e niente,© pochissimo, dal pensiei'O delle spirituali ed eterne occupato: in un secolo come questo, in che l'uomo grandemente af- faticasi in accostarsi tutto alla terra, e partirsi dal cielo; qual mai voce più amica può alle nostre orec- che risonare di quella, che dalla materia ci ritorni allo spirito , dalla terra al cielo ne richiami ? E quando cotal voce adoperi ciò con una quasi onni- potenza di suono, che prò di questo maggiore può oggimai essere nel mondo ? Ora o sono al tutto smemorato, e perdo il senno, o con savio giudicio stimo, che quel bene possano tra gli uomini mira- bilmente fare le sacre e stupendissime orazioni del grande Basilio , del Nazianzeno e del Crisostomo. Adunque io mando innanzi due orazioni di questo voltate in italiano, siccome saggio del mio proponi- mento. Che s'elleno verranno bene accolte non pur dai dotti, ma dagli studiosi della sacra eloquenza, e mi procacceranno favore di alto e generoso uo- mo , il quale , portando io questo non lieve pe- so , mi conforti, e diami un po' di spalla; assai 282 altre orazioni e parecchie altre opere do'padri greci Ilo in ani?no di far tener dietro a queste due: al- trimenti dubito non dovere mio malgrado nel mezzo del cammino volgermi indietro, e porre giù Tincarco, non il desiderio, di condm're molto piiì in là , che sin qui non è, l'opera del tradurre gli eloquentis- sìmi e santi padri. Poiché già molti illustri italiani, tra'quali il Passavanti, il Caro, il Florimonte, il Gozzi, il Bianchini , il Zorzi, il Marioni, il Ricci , il Fan- toni, con pubblica lor lode e universale utilità vol- sero, ma in una parte di quella solamente, l'inge- £ino, gli studi e le fatiche. 283 PRIMA ORAZIONE DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO AD EUTROPIO EUNUCO PATRIZIO E CONSOLE ARGOMENTO EiUropìo era sommamente venuto nella grazia delV imperatore Arcadio , intanto che col consiglio e col- Vautorità governava i piti importanti affari delV im- pero. Egli anche fu cagione , che venisse promosso alla sedia di Costantinopoli il Crisostomo; di cui da prima poneva V animo a udire e ricevere i consigli. Ma riprendendolo spesso ed amichevolmente di ava- rizia e di ambizione il santo dottore, questi dipoi gli venne in odio. E tra le cose, die contro al voler del Crisostomo ebbe quegli ritrovato, fu di porre una legge, la qual privava del diritto dello asilo e della immu- nità le chiese. Ma Eutropio con questo ebbe il suo danno procurato: poiché avendogli Arcadio dato ono- re di console, si tirò addosso lo sdegno del popolo. Laonde un tribuno per nome Tribigildo , radunata di consiglio, benché occulto , di Caina una schiera di soldati, ottenne dal timoroso principe, che si togliesse del consolalo Entropio. Il quale non avendo ove piìi sicuramente cessare il furore del popolo e de'soldati, trasse in chiesa: e quivi in quello asilo medesimo , ch'egli si sforzò di annientare, supplichevole fu co- 284 strello di porre il piede. Alloi^a e Vasilo della chiesa, e la persona di Eutropio, solo il Grisostomo si levò a difendere; e fortemente si oppose aWimpeto del po- polo e de'soldati. Adunque il dì seguente che si era in chiesa riparalo Eutropio, disse il Grisostomo que- sta eloquentissima orazione: dove discorre mirabilmente sopra il caduco e lieve stato delle umane cose; chiama Eutropio, a cui dimostra Come senza consiglio e fuor di ragione aveva osato di violare quella immunità delle chiese , la quale primo di ogni altro ei fu da necessità mosso di chiedere , e in essa ricoverare : e sì potentemente indusse a pietà di Eutropio la già sdegnata moltitudine del popolo, ch'ella per compas- sione di lui le lagrime non tenne. Questa orazione fu detta Vanno 399 di Gesii Cristo. 285 ORAZIONE r^empre, ma ora singolarmente, si vuol dire: Va- nitas vanitalum, el omnia vanitas [EcclesA. l.).Or do- v'è la pompa del consolato? dove le luminose lampa- ne? dove gli applausi, e le danze, e i banchetti, e tutto il popolo raunato? dove le corone e gli arazzi? dove lo strepito della città, e i viva de'giuochi equestri, e le adulazioni degli spettatori ? Elle passaron tutte: un forte vento gittò a terra le foglie, ha reso ignudo, e sin dalle radici V albero scrollato. Cotale impelo venne da quel soffio di vento , che poco andò non facesse tremare essi medesimi nervi dell'albei-o , e questo non diradicasse. Or dove sono fuggiti gTin- fìnti amici ? dove i desinari e le cene ? dove Io sciame de'parassiti, e Io schietto vino per tutto il 286 dì tracannato, e le diverse arti de'cuochi, e que'che servono al podere; i quali di fare e dir tutto a gra- zia han per costume ? Erau siccome notte e sogno eglino tutti , e appressatosi il dì svanirono : erano fiori di primavera, e passata questa inaridiron tutti: eran'ombra, e disparve: eran fumo, e dissipossi: eran bolle di acqua, e scoppiarono: ragnateli erano, e si guastarono. Laonde questa spirituale sentenza can- tiamo ognora, dicendo: Vatiitas vanitatiim, et omnia vanilas. Tali parole son da scrivere continuamente nelle pareti, nelle vesti, nel foro, nella casa, nelle vie, negli usci, nell'entrate, ma sopra tutto nel cuor di ciascuno; e di ogni tempo rivolgerle nel pensiero. E poiché la frode nei negozi, grinfingimenti, la ipo- crisìa paiono a molti essere verità, quella sentenza dee ciascun'uomo ogni dì e desinando, e cenando, e insieme gli uomini conversando recare al vicino per la memoria, e dal vicino udire: Vanilas vanita^ lum, et omnia vanilas. Non diceva io di continuo, che ricchezza è fu- gace ? ma le mie parole non comportavi, ch'ella è servo ingrato ? ma noi credevi. Or ecco ti addimo- stra co'fatti l'esperienza, che non pure fugace, non pure ingrata , ma omicida ella è anche : perchè a tale ti ha condotto, che sbigottisci e tremi. E quando mi rampognavi, perchè il vero ti parlava, non diceati forse: Io ti porto amore più che i tuoi adulatori ? Io, perchè ti riprenda, non ho men cura di te, che quale fa le tue voglie ? e questo anche non diceva: Hassi a por fede nelle percosse degli amici, anzi che ne' facili baci de'nemici ? (Prov. 27. 6.) Se le mie per- cosse avessi tu portate, i costoro baci or non ti avrebbe- 287 ro partorito morte: quelle arrecavano sanità, questi bau generata insanabile malattia. Or dove sono i coppieri? dove quegl'insolenti, cbe costringevano il popolo a darti il passo nel foro, e colle spesse lor lodi ti metr teano in cielo ? Volser le spalle; ebber negata l'amif cizia ; e ne' tuoi mortali pericoli a se procacciano scampo. Ma tenghiam noi diverso modo : che dal misero tuo stato non volgiamo indietro la faccia ; e te caduto a terra proteggiamo e curiamo. La chie- sa, cui facevi guerra, ti apre il suo grembo, e t'ac- coglie: i teatri, in' cui tanto studio ponevi , e che spesso ti eran cagione di sdegno contra noi, ti ab- bandonarono, e misero a morte. Nondimeno mai non restammo di diiti: Perchè ciò ? tu infuri contro alla chiesa: tu hai nel precipizio i piedi: ma gittavi dopo te ogni savio consiglio. E il popolo, che traeva a' giuochi equestri, consumato innanzi il tuo avere, ora per ucciderti aguzza il coltello : la chiesa dall'im- portuno tuo sdegno danneggiata, d'ogni parte soc- corre, studiosa di tirarti fuor delle reti, in che se'ca- duto. Non fo io queste parole per insultare a chi ora giacesi a terra, ma per meglio rassicurare di non cadere coloro, che stanno in piedi: non per riaprire le altrui ferite, ma per tenere in maggior sanità i non feriti: non per affondare chi da'flutti è portato, ma per istruire di non rompere in mare chi felicemen- te vada navigando. E per qual modo ? Pensando i mutamenti delle umane cose. Perciocché questi se avesse tenuite le mutabili fortune , or non porte- rebbe il loro rivolgimento : ma poiché non da'do^ mestici, non dagli altrui consigh, prese materia di 288 venir saggio ; voi almeno che siete chiari per ric- chezza, traete prò dalla sua disavventura. Concios- siachè niente ci ha piiì lieve delle umane cose, tanto che qualunque nome al loro nulla tu ponga , mai non aggiungi al vero: o le dica fumo , o fieno , o sogno, o fiori che appaiono in primavera, od altro: per questo modo sono fuggevoli e niente, e anche di là dal niente. E che non pure sien tali, ma ogno- ra presso a cadere, quinci puossi imparare. Chi piiì di questo fu da terra levato ? chi nel mondo vin- cevalo in ricchezze ? non era egli salito in gran- dissimi onori ? non l'aveano in riverenza, e avanti a lui non tremavano tutti ? Or'ecco è precipitato in più miseria di chi è posto in catene; è caduto in più rea fortuna che i servi, in più povertà che i paltoni consumati da fame: e tutto il dì gli stanno dinanzi agli occhi spade affilate, e baratri, e carne^ fìci, e vie, le quali a morte conducono. Non lo ri- crea memoria de' passati diletti: ma egli né anche del comun sole si gode; e a mezzo il giorno, a guisa d'uomo che in oscurissima notte dimori, e sia ri- stietto in poche mura, è anche privato del vedere. Ma perchè io mi studio di ciò narrare, se non ba- sto per ninna guisa a spiegar con parole l'infelice stato di lui, al quale ogni momento par d'essere me- nato a morte ? o perchè ci adopero la lingua, se vivi vivi questi suoi mali ei con immagine ci di- pinge ? Imperocché mandati ieri per lui l'impera- tore chi lo avessero a menare a forza ; egli corre al sacro tempio: era di morto pur mo la sua faccia: e lo sbattere de'denti, il percuotersi, il tremito della persona, la interrotta voce, la incerta lingua lo so- migliavano a viva statua. 289 Non dico io questo per fargli onta , o ridere del suo danno; ma per ammollire il vostro cuore, e indurlo a pietà, ed a stimare che tal martirio sia- gli castigo sufficiente. Poiché tra noi essendo alquanti sì disumani, che ci accusano pur di averlo in chiesa ricevuto ; io volendo rompere col mio discorso il duro animo loro, vi ho ad una ad una le sue do- lorose angosce recate dinanzi agli occhi. E onde, ca- rissimo , oggimai ti adiri ? Perchè, risponde , al tempio si ha ritratto chi di fare al tempio un' aspra guerra non si rimase. E perciò stesso vuol darsi lode a Dio , il qual permise che questi fosse in così dura necessità precipitato, da imparar la po- tenza e la bontà della chiesa: la potenza, sostenen- do or'egli tanta mutazione di cose, colpa dell'odio, nel quale ebbe la chiesa: la bontà, ricoprendolo sot- to quello scudo medesimo, ond' egh la combatteva, la chiesa ; e raccogliendol sotto le sue ali sicura- mente, non si riduce a memoria le passate ingnu- ric di lui , ma con grande benevolenza apregli incontro per riceverlo il seno. Trionfo di questo maggiore non fu mai: vittoria grande come questa non si portò: e questo i gentili commuove; que- sto gli ebrei fa vergognare ; questo il sereno as- petto di lei mostra palese : perocché a vinto e preso nemico ella perdona ; e lui abbandonato e in dispetto avuto da tutti , solo la chiesa a modo di tenera madre nasconde sotto le sue ali, e cessa r ire imperiali e l'odio e il furor popolare. Questo in verità è gloria somma dell'altare. Quale gloria , dirà forse altri, che uomo di empietà , di avarizia e di rapina tocchi l'altare ? Guardati , o uomo^ di G.A.T.CXXXVIl. 19 290 così favellare: che toccò i piedi di Cristo una iin- purissima anche e pubblica meretrice: e Gesù non l'ebbe in delitto, ma in lode e grande ammirazio- ne: poiché non la immonda femmina sozzò V uoni mondo e netto: ma il mondo e vuoto di colpa col suo purissimo tocco l'empia e meretrice donna pu- rificò. Guardati, o uomo, di tenere a mente le of- fese altrui: che noi serviamo a quello, che fu messo in croce, e che disse: Dimille illis, non cnim sciunt quid facmnt [Lue. 23 , 31). Ma questi, tu dirai, con leggi da ciò allo asilo chiuse le porte del tempio. Ed ora egli appreso ha col fatto quel che operò: e col fatto medesimo ha primo di ogni altro rotta la legge, di se porto spettacolo al mondo: e poniamo che taccia, pure di qua manda fuori una voce, che ammaestra tutti, dicendo: Restate di operar simil- milmente, per non sostenere quello che io. Egli è sorto maestro a cagione di sua presente sventura: e dello altare esce lume più splendido e più terro- re; perchè lo altare tiene un leone incatenato. E an- che ad una regale immagine tanta gloria non vie- ne, se il re sedendo su di alto trono sia di porpo- ra vestito, e abbia il crine ornato di diadema sola- mente; quanta se sotto i regii suoi piedi giacciano i barbari eziandio con mani legate dopo le spalle, e con volti giù a terra inchinati. E ch'egli non prof- ferisca parole di persuasione, ne fate anche voi col- l'affrettarvi, e concorrere a questo luogo testimonian- za. Perocché a noi oggi accade mirare nuovo spet- tacolo, e così grande ragunanza: e veggio qui rac- colta la città, non altrimenti che nella sacra festa di Pasqua suol congregarsi. Tanto questi, comechò ì taccia , vi ha tutti a sé chiamato , mettendo fuori colle sue opere una voce chiara più che tromba. E le verdini avendo le loro stanze lasciato , le donne le abitazioni, gli uomini il foro, qua tutti traeste , per veder quasi in giudicio menata la natura umana, e nudato il dubbio e instabile mutamento de' beni di quaggiù; e per mirare quella faccia di meretrice, la quale essendo ieri e l'altro dì sopra tutte bellis- sima, ha or deposto per forza di spugna il belletto e non suo colore. Tale prosperità segue Io smisu- rato amore dei ben del mondo , la qual si mostra poscia più deforme di rugosa e pallida vecchia. Ila cotale sventura sì grande forza, che uomo già felice e chiarissimo in tanta abbiezione oggimai travolge. Qua rechi il piede chiunque abbonda in ricchez- za; e faccia frutto: conciossiachò egli vedendo di sì alto scanno caduto chi pure accennando era uso di scuotere il mondo , e preso di paura , e fatto più timoroso che qualunque rana o lepre non è, avve- gnaché sciolto di catene, e non da ferri, ma di ti- more stretto, pure abbraccia or questa colonna ti- mido e tremante; egli, dico, calchi la superbia, si spogli del fasto, e posta inente alle cose umane, che meglio son da considerare, parta quinci più ammae- strato di quelle parole, che le sante scritture dico- cono: Omuis caro foenum , et omiiis gloria hominis ut flos focniy ariiit foenum, et flos eius decidit [hai. 40, 7): 0 anche di (juelle : Sicnt foenum vclocilcr arescenl , el sicul olerà herbarum cito decident ( Psal. 36 2): quoniam sicnt fumiis dies eius sunt {Psal. 101. 4-): e parole altre somiglianti. Per con- trario r uom povero qua entiando, e affissati gli 292 occhi a questo spettacolo, non rincresca a sé me- desimo, e di suo stato più non si dolga: ma ren- da grazie a povertà, la quale gli è come sicuro a- silo , come porto tranquillo, e quasi locca in alto monte. E queste cose egli considerando, se in sue mani sia messo 1' eleggere , ami piuttosto Io suo essere presente , che per picciol tempo stando in molti tesori, venire a un tratto in pericolo del pro- prio sangue. Vedi guadagno a ricchi e poveri , ad alti ed umili , a servi ed ingenui uomini pi-oposto dall' aver quegli ricoverato in chiesa: vedi medici- na, che sana chiunque vedute siffatte cose, quinci ri- tragga il piede. Or v'ho io forse intenerito ? ho del cuor vostro cacciato lo sdegno ? ho spenta la crudeltà ? a he- nevolenza vi ho mosso ? Bene io lo credo: e que- sto assai mi dicono i mesti volti e le lagrime, che giii vi piovono dal viso. Poiché dunque si son mu- tati in pingue e fertile campo i cuori di pietra, or via generando anche frutto di misericordia, e por- tando piene spighe di compassione, gettiamci dinan- zi all' imperatore ginocchioni; o meglio supplichiamo al benignissimo Dio, che rompa l' ira del principe, e gli metta in core pietà, sì che faccia a noi di que- sto misero uomo grazia perfetta. Che dal dì che que- sti ha riparato in chiesa, molto è tornato in meglio. Conciossiachè quando 1' imperatore ebbe contezza lui essersi raccolto a questo asilo, essendo allora 1' esercito presente e pieno d' ira contro al mal faie di lui, e gridando « alla croce alla croce »; tenne il principe assai lungo ragionamento, coll'animo in- teso a rimuovere lo sdegn() militare; fermando che 293 non solanieute il male di questo infelice, ma ezian- dio il suo passato bene si dovesse recare a memo- ria: perchè al bene si avesse grazia, ed al male co- me ad uomo si perdonasse. Ma di nuovo stringendo queglino l' imperatore a vendicar sopra il reo l'offesa maestà , levando la voce al cielo , gridando morte, scotendo le aste , e con furore saltando ; allora uscirono fuor de' pietosi occhi del principe due fiumi di lagrime: e il principe tornando loro In me- moria la religione del luogo, a cui si ritrasse il reo, finalmente a pena pose freno alla baldanza militare. Moviam dunque ancor noi a far quello, che si appartiene. Imperocché come di perdono sarete voi degni , se perdonata il principe, e lasciatasi andar della memoria una propria offesa, voi a' quali co- stui non apportò danno, voi mostrerete di fuori co- tanta ira ? 0 come disciolta sì grande radunanza a' sacramenti vi accosterete ? come a Dio volgerete quella preghiera , in cui ne s' impone di pregare : Dimillc nobis, sicut et nos dimitlimiis dehilorihus nostris [Mall.io, 12): se di vostre ragioni il debitore chiedete? Oh! vi ha egli fatta onta.Eneppur noi ciò negheremo. Ma or non è tempo di giudizio, sì di misericordia; non di ragioni, sì di clemenza ; non di esame, sì di perdono ; non di voti e di sentenze , sì dì pietà e di grazia. Niuno di voi adunque si adiri ; niuno di mal cuore ciò porti: ma piuttosto preghiamo il cle- mentissimo Dio , che di molti più dì faccia grazia al reo, e lo ritragga del presente strazio; acciocché egli da'suoi peccati si forba: e facciamo insieme pre- ghiera per esso all' imperatore , supplicandolo per la (chiesa, pei- l'altare, di rendere un uomo alla santa 294 mensa. Per tal modo verremo in grazia al princi- pe; e Iddio innanzi che il principe accetterà il no- stro fatto, e ci renderà buon cambio di questa u- manità. Tanto Iddio da sé ributta, ed ha in odio l'uom crudele e senza misericordia ; quanto chi è pietoso ed umano ama, ed abbraccia. Ed a lui Id- dio , s' è giusto uomo , apparecchia assai più bella corona; se peccatore, si pone dopo le spalle il suo peccare ; di pari misericordia un conservo rimeri- tando: Misericordiam volo, et non sacrificiiim {Ose. 6, 6). E dovunque nelle sante scritture abbia tua vol- gere lo sguardo, scorgerai, che Dio sempre vuol questo; e dice esser questo, che lava i peccati. Laonde anche noi per questa guisa ci faremo Iddio più benigno; per questa sciorremo i peccati nostri; per questa sa- remo alla chiesa di ornamento; per questa l'ottimo principe, come ho testé detto, si loderà di noi; per questa ci applaudirà ogni popolo, anzi andrà la fama dell'umanità e clemenza nostra ai confini del mon- do; e questo ivi saputosi , di nostre lodi sarà pie- na ogni terra. E per meritar veramente cosiffatti be- ni, gettiamci ora ginocchioni, preghiamo , suppli- chiamo: leviamo di pericolo uno, e schiavo, e fug- gitivo, e supplichevole, affinchè entriamo ancor noi ne' beni eterni bontà e mercè di Gesù Cristo signor nostro: il quale ora, e sempre, e in tutti secoli abbia gloria ed impero. Così sia. 295 SECONDA ORAZIONE DI S. GIOVANNI GRISOSIOMO DETTA POICHÉ SATURNINO ED AURELIANO FURONO CACCIATI IN ESILIO, E OAINA ERA USCITO DI CITTa'; E SOPRA l'aVARIZIA. ARGOMENTO Poiché certo Gaina dopo di avere, quando a for- za, quando per inganno, la ruinà di Eutropio procu- rata, ogni dì pia saliva in airoganza; e' venne a tanto che con armi ed uomini di sua parte, chiedeva la te- sta di Saturnino ed Aureliano, i quali erano dé'mag- giori e piìi ricchi uomini delV impero: ne con altro patto, dalla morte in fuori di quelli, minacciava di porre giti le impugnate armi. Onde Arcadio impera- tore, che colla inerzia e viltà deWanimo aiutava qua- lunque ingiurioso uomo, non ebbe core di negar cosa, quantimque sì indegna: ed era in sul dare a morte nomini tanto illustri, se il Crisostomo a modo che un comune padre di tutti, siccome dice egli stesso, non si faceva innanzi a Gaina; e andando attorno, sono sue parole, esortando, pregando, supplicando, che da' signori quella procella si allontanasse , tion avesse impetrato, che assai fosse il mandare ad esilio Satur- nino ed Aureliano. Il che seguì intorno al principio dell'anno 400 di Gcsìi Cristo. Adunque il Crisostomo, condotta a (ine tale impresa, disse questa bellissima 296 orazione : dove da prima discorre dei tumidli civili di Costantinopoli y della fallace sorte delle umane cose e della vanità somma delle ricchezze: loda i beni della povertà : ricorda e pone dinanzi agli occhi i peri- coli, a' quali sono i ricchi uomini sottomessi: da id- timo coir esempio di Giobbe induce a sostener forte- mente le disavventure di questa vita mortale. 297 ORAZIONE Ho io tenuto lungo silenzio; e dopo assai tempo qui ritorno, tirato dall'amore , che a voi porto. E da voi non m'ebbe ninna viltà di animo, o infingar- daggine di mia persona dilungato; ma desiderio di comporre un civile tumulto, e mettere in pace uno sdegnato e tempestoso mare, traendo di pericolo i naviganti; e prendendo per mano chi presso era ad annegare, studiandomi con ogn'ingegno di ridurlo a tranquillo porto. Imperocché son padre comune di tutti; e si vuol prendere pensiero non pure di chi sta fermo e sicuro, ma di chi è a terra caduto; non pur di quelli, cui felice vento meni soavemente, ma di coloro, che qua e là sono da tempesta gittati; non pur di quelli, che in quieta e tranquilla stanza ri- posano, ma di chiunque in pericolo dimori. Queste cagioni mi spinsero a lasciarvi per alcun tempo, an- dando io attorno, pregando, esortando, supplicando, affinchè da alquanti signori una procella si allon- tanasse. E poiché ora a così ingrato uffizio ho posto fine, a voi ritorno, che sicuri e tranquilli in questo mar della vita navigate. Io mossi a quelli per ces- sare una tempesta; a voi mi riconduco, perchè tra voi non levisi tempesta: andai a quelli per ritrarli di angoscia; mi sono a voi recato novamente, per- chè in angoscia non cadiate. E siccome si dee aver cura non solo di chi sta in piedi , ma di chi gia- cesi in terra ; per tal modo non dcbbesi por cura 298 solamente in questo, ma in quello eziandio: accioc- ché quegli si rilevi, questi non cada: perchè l'uno esca di affanno, l'altro non vi entri. Conciossiachè niente e saldo tra le umane cose; niente di loro, che non si muti in contrario: ma elle bene si aggua- . gliano a mare in fortuna, dove ogni dì «i rompe, e fassi naufragio. Or'ogni cosa è di tumulti e tur- bamenti ripiena: in ogni luogo si trovano scogli, e precipizi, e rupi sotto l'onde nascoste: niuna parte oggimai e di paure, di pericoli, di sospetti, di ago- nìe e di tremiti vuota. Ninno all'altro dà fede: tutti assale timore del suo vicino. Ah ! che forse l'età si appressa, cui già dipinse il profeta con tal parole, dicendo: Ne fiduciam habealis in amicis, et hi prin- cipibus nolite spem ponere : a suo quisque proximo cavete; aconiuge tiiacave^nequid UH credas [Mich.l. 5). E perchè questo? Perchè reo tempo ora volge: Quia omnis fraler insidiatur calcaneo, et omnis amicus do- lose incedil [lerem. 9. 4). Non l'amicizia è sicura: non è fermo il comun sangue: piià non sono i beneflcii del- l'amore: la civil guerra tiene ogni cosa; e guerra non palese, ma coperta. Da per tutto vedi simulati visi. Quante pelli di])ecore cuoprono senza numero lupi! on- de ora si fi\rebbe la vita più sicura tra nemici, che non tra coloro, i quali si paiono amici. Tale oggi levasi d'improvviso contro a te, e gittata la masche- ra dal volto, ti accusa più crudelmente di chi pia- lisce ai tribunali; che ieri ti stava intorno, faceati carezze , e le tue mani baciava. Tale oggi ti trae in giudicio, e calunnia, che ieri tante grazie rende- va. E chi ha questi scandali generato ? Amore di ricchezze, e desiderio stolto di avere. Oh ! insana- 299 bile infermità: oh ! fuoco inestinguibile: oh ! tiran- nìa per tutto il mondo distesa, ch'è l'avarizia. 11 perchè io, il quale anche prima diceva que- sto , non cesserò di gridare : se ne accendano pur molti contra me, dicendo: E quando porrai tu fine ad armar la tua lingua contro a'ricchi uomini ? per- chè di far loro sì lunga guerra non ti rimani ? Ma sono io forse in guerra con essi ? impugno contro a loro le armi ? o piuttosto non dico , e procuro loro ogni bene ? non sono eglino forse, che contra sé aguzzano le coltella ? non ha ciò mostro l'espe- rienza, che io gridando, io rampognando di conti- nuo, adoperava in lor bene : e eh' eglino , i quali m'incolpano di così favellare, eglino in verità sono di sé stessi nemici ? Voi certamente avete i fatti dalle mie parole non discordare veduto. Che altro quelle sonavano da questo in fuori, cioè: Ricchezza è fuggevole, e delle tue passa in altrui mani ? Oh ! foss'ella fuggita senza più, e non avesse anche po- sto a morte: avess'ella mutata stanza solamente, e non tolti anche di mezzo i loro posseditori. Vedi siccom'ella non pure abbandona, non pure dell' uomo è mala protettrice; ma pone anche il collo di lui sotto la spada; lo precipita in profondo, come tra- ditora pericolosa ; ed a' suoi amatori sopra tutto porta guerra. Oh ! umane ricchezze veramente fal- laci, ingrate, omicide, implacabili belve, dirupi alpe- stri, scogli pieni di marosi, mare in podere di tutti venti, tiranne crudeli, signore di qual vuoi più bar- baro più spietate , e nemiche sì di pace, che gli sdegni contro a coloro, in cui mani elle stanno , mai non depongono. 300 Ma di altra forma è , ed altri beni adopera povertà. Poiché ella è sicuro stallo; porto tranquillo; continua pace ; delizie lungi da pericolo ; puro e soavissimo diletto; vivere non turbato, né da sol- levati flutti percosso; copia fermissima di bene; madre di sapienza ; freno di orgoglio ; discacciatrice di gastighi , e fonte di modestia. Or perchè voi fug- gendo da questa, seguite quella inimica e omicida, e che più di una belva incrudelisce, ricchezza ? Peroc- ché tale è amore di danaro; tale é avarizia. Perché a casa ti meni a vivere con teco sì perpetuo ne- mico ? Perché aizzi una fiera, che si volea amman- sare ? Ma e per che modo , tu dici , si farà ella domestica ? Se ora almeno le mie parole voi rice- verete: ora che morte é in ogni luogo: ora che rea fortuna sormonta: ora che tutti in confusione ed in pianto si ritrovano. Come adunque esser può che qual'è belva, lasci di essere ? Ma posso ben'io can- giare sua natura , se vorrete: sì grande forza é nel dire. Or come si partirà ella dal suo anticostato? Se appienderemo come venga feroce. E in qual modo può esser questo ? A guisa di leoni, di pardi, e di orsi, i quali in tenebroso luogo chiusi e ristretti, vie pili crescono, e accendono la lor fierezza. Non altrimenti le dovizie chiuse e sepolte ruggiscono più che leoni ; e d' ogni intorno spargono terrore. Che se le trai di tenebre, e ne'poveri ventri le se- mini, elleno di belve torneranno in agnello, d' in- sidiatrici in aiuto, di scogli in sicuro porto, di na- ufragii in tranquillo mare. Il che si può anche vedere in una nave; in cui se il carico delle mer- catanzic è più grande che quella non comporta , 301 giù r affonda; ma se il peso quivi è diseretamente posto, corre ella, e fa prospero viaggio. Similmente accade nelle nostre case: dove se tu raduni più ric- chezza che il bisogno non chiede, anche un leggiero venticello, anche un insolito e qualsivoglia incontro, insieme con gli uomini dentro sommergerà quella nave. Per contrario se tanto vi riponi, quanto vuole necessità, comechè sopravvenga terribile procella , pure agevolmente Tonde solcherai. Non voler dunque bramare più là che il bisogno, per non perdere ogni cosa: non voler congregare sopra la necessità, perchè non ti esca di mano anche il bisognevole: non pas- sare i termini posti, per non essere di ogni avere spogliato: ma risega il troppo, affinchè tu possa delle necessarie cose far tesoro. Non vedi come gli agri- coltori potino la vite, acciocché lutto il vigore della pianta non si sparga ne' pampani e ne' tralci, ma stia nelle radici ? E tu fa similmente: leva le foglie; e solo in questo ti affatica, che cioè l'albero ti porti di molto frutto. Se a ciò non provvederai nella prosperità, contrarie cose ne seguiranno. Mentre il mare è in bonaccia, abbi l'occhio alla tempesta: mentre se' in salute , fa ragione che tu ammali : mentre se'in richezze,la povertà e mendicità temi.Mc- menlo, dice, temiwris famis in tempore almndantiae;men- dicilalis et egeslatis in diebus opulentiae [Eccles. 18, 25). Se ordinerai le stesso per cotal modo, e le ric- chezze governerai con temperanza, e povertà, quan- do tu v'incorra, fortemente sopporterai. Male che non si teme, né si aspetta, sgomenta e turba venendo: ma temuto innanzi, e'non affligge sopra modo. E questa è via di guadagnare duo volte tanto: l'una è che 302 prosperità non ti fa ebbro ed insolente: l'altra che mai per mutarsi di cose il cuore non ti cadrà, sin- golarmente essendo tu in continuo pensiero del loro mutamento. Cosiifatto timore adopera esperienza : il che torna a dir questo: Se'ricco ? aspetta ogni dì d'impoverire. E perche ciò ? Perchè tale aspettale fa grandissima utilità. Che quale aspetta povertà, tale non s' innalza sopra gli altri , non infem- minisce , non trascorre , non desidera l' altrui. Perciocché questo aspettare fa siccome maes- tro, che la mente del discepolo guida, e ritorna al senno; ne permette che vi nascano rei germi di ma- lizia : poiché quelli col timore del castigo a guisa di falce egli impedisce, che mai crescano, o taglia. L'uno è questo de'sommi beni, che guadagnerai: l'altro, cioè di non isbigottire sopravvenendo po- vertà , non è da meno di quello. Ti occupi adun- que innanzi timore di rincresciosi avvenimenti, af- finchè te non apparecchiato e fornito, non prenda mai la loro esperienza. E pertanto viene all'uomo spe- rienza delle cose , perch' egli non sì aveva messo dinanzi alla mente il lor timore. Che se questo avesselo già corretto , non ci era di quella punto mestieri. E n' è testimone sopra Nini ve il profeta Giona. Imperrocchè Ninive temendo avesse a venire sopra lei il grande giudicio predettole dal profeta; ella mercè dell'aspettare e del temere la sua futura calami- tà, potè dal suo capo rimuovere 1' ira del cielo. Ma i giudei non avendo fede al profeta, che la mina di Gerusalemme prediceva, ne portarono estremo danno. Sapiens enim metuens declinavit maliim, insipiens fi- ducia sua confunditur {Prov. 14, 16). Cui prende ti- 303 more d' impoverire stando in ricchezza , raro egli cade in povertà. Ma il guadagno che dal timore non volesti ricevere, piglierai tu bene dall' esperienza. Adunque tu menando la vita in molti tesori , tien l'occhio a povertà: stando nell' abbondanza, aspetta la fame: essendo in gloria, temi ignominia: vivendo sano, volgi il pensiero a infermità. Pensa di con- tinuo r essere delle umane cose , pari al correre delle acque, e più fuggevole del fumo che nell'aere si sfoga , più vano dell' ombra che passa. Queste cose tu considerando, non le felici t' inebrieranno, non le tristi venture ti abbatteranno: e quando non ti darai con eccesso ai presenti beni, né anche del loro fuggire ti vincerà mai dolore. Fa di accostu- marti al timore delle avversità; e spesso queste non seguiranno, ovvero fuor di misura non ti percole- ranno. E perchè voi intendiate, che io non ragiono per conghiettura , voglio narrarvi un' antica storia. Fu già grande e maraviglioso uomo e per tutta la terra celebrato il santo Giobbe; quello specchio di pietà, quel vincitore del moiKlo, e che sostenne mille bat- taglie, e portò mille vittorie del demonio. Or' egli fu in ricchezza e povertà; in gloria ed in dispetto; fu padre di molti, e poi orbato di tutti figliuoli. Questi menò sua vita nella reggia e appresso nel le- tame: vestì assai nobilmente, e poscia il suo corpo solcarono e cavarono i vermi. A lui già servìa turba di ftmti : dipoi egli portò grandissime villanìe ; sì da'domestici, che mossero contro lui, sì dagh amici, che l'ebbero svillaneggiato, e dalla consorte, la quale 304 gli pose insidie. Ogni cosa da priinu felicemente come da fonte ricca di acque gli scorreva , cioè molti tesori e molte possessioni, grandezza di stato con gloria, con quiete, con sicurezza, con onori , con riverenza, con sanità, con assai figliuoli intorno: e tutto gli era in pace; perocché sicure le richez- ze , ferma e legittima la prosperità : intanto che esso Dio medesimo avealo dattorno tutto murato. Ma dappoi si partiron da lui tutti questi beni ; e in quella vece si levarono in sua casa mille tem- peste , piene di naufragii , continue , maravigliose. Conciossiachè gli vennero insieme tolti gli averi : da morte gli furono innanzi tempo rapiti i figli tutti e' domestici , sedendo a mensa e desinando ; morti non di coltello, non di spada, ma di reo e maligno spirito scotitoie dell'intera sua casa. Quindi la moglie a tormentare quel giusto pose mano : i domestici, gli amici , quali di loro sputavagli in viso, siccome ne fa egli lamento , Non pepercerunt faciem meam conspaere [lob. 30 10): quali di loro gli uscirono addosso, e 1' ebber di casa tutta cac- ciato: ond'egli dipoi si giacque nel letamaio. Quivi fontane di vermi scaturirono dal suo corpo : quivi di sangue e marcia pieno quello adamante, si forbì a con un coccio; di sé stesso fatto micidiale. Un [do- lore seguiva dopo un altro, si che in terra non fu rono simili tormenti : e la notte più rincrescevole del dì; questo era di quella piii doloroso: com'egli dice: Cwn obdormieroy dicoy quando erit dies ? cum surgo, nirsum dico, quando erit vcspera ? Plenns dolore sum a vespera tisque ad dilucidum [lob 7. 4). Tutto intorno a lui era scogli , e dirupi al})cstri : ninno 305 mai per consolarlo se gli appressava: ma schernitori insolenti erano assai. Nulla di meno avanti a sì grande oste, e sì nuova battaglia, stette forte e valente combattitore. Di che fu cagione quello che or' io diceva: cioè perchè nelle ricchezze egli affissava gli occhi a povertà, nella salute era intento a infermi- tà: e padre di numerosi figliuoli, aspettava di essere al tutto privo di loro. Cotal timore Giobbe avea sempre nell'animo, e sempre nutricò questa paura; bene co- noscendo la qualità delle cose umane, e pensando la momentanea lor leggerezza. Perciò disse: Timor, quem timebam, evenit milii: el periciilum, quod metnebam, occurrit mihi {Job 3, 25). Poiché sempre Giobbe co' suoi pensieri andava per quei timori, provvedendosi, tremando, aspettando, per guisa che quella mutazione di fortuna non lo atterrì. Ncque pacem habui, dice, nc- que quievi, sed mihi venit ira [lob. 3,26). Non dice: Non ho pace; non riposo. Ma, pace non ebbi; non riposai. E avvegnaché prosperità incitassemi a superbia, non ostante timore di futuia noia poneva in fuga da me ogni riposo: quantunque abbondanza dei ben del mon- do m' invitasse a delizia, pure asprezza de'vicini avve- nimenti cacciava ogni baldanza: comechè i presenti beni mi traessero al loro godimento, tuttavia il })ensie- ro dell'avvenire uccideva ogni godere. E poiché ne'suoi felici dì aveva il santo Giobbe ra2:2;uardate da lungi queste battaglie, fortemente poi le sostenne, come già in quelle co' pensieri affaticato: e perchè aspettandole aveale come assaggiate, non ispaventò l'animo suo, quando elle cominciarono ad essere. E che Giobbe, neppure allora che stava in delizie , non si accostò loro senza modo, ascoltiamo ciò che dice: Si dele- G.A.T.XXXVII. 20 306 ctatus sum citm mihi multae affliteriinl diviliae , si reposui anrum fortiludinem meam, si fiduciam habiii in lapidilms preciosis, si ad inmimerabilia posui maniim meam (/oi.31,24). Che dici, o santo uomo ? or non ti se'dilettato delle tue grandi ricchezze tu?No, rispon- de. E perchè?Perchè io ìntendea la voltabile natura lo- ro, e come non durevoli beni le rimirava. At video, di- ce, solem orienlem ac deficientem, hinam vero intereun- tem [loh. 25, 5): e ciò non è appo loro. E quel che dice suona questo: cioè: Se gli astri del cielo, che di continuo lassù risplendono, sono anch'essi a qual- che mutamento sottoposti, come il sole che declina, la luna che manca; oi- non è follìa senza pari lo slimar ferme e costanti queste terrene cose ? Sicché Giobbe non pigliava diletto dei presenti beni salvo che con modo ; e partitisi da lui non ne venne in tioppo rammarico: perocché era di lor condizione già bene ammaestrato. Noi adunque, o carissimi, udendo queste cose, ed a noi recandole, non inviliamo per povertà, né per ricchezza leviamo il capo: ma nel variare delle for- tune umane serbando un medesimo animo costan- temente, raccogliamo il frutto della sapienza: accioc- ché ora viviamo lieti, e meritiamo dipoi i futuri beni; cui di godere venga a noi tutti fatto, adoperando- visi la grazia di Gesù Cristo signor nostro. Così sia. 307 Raccolta degli scrini edili ed inediti del cav. Dome- nico Monchini. [Continuazione.) M [ancava al dott. Morichini la seconda esperienza sul raggio rosso solare, e l'altra sulla luce de' corpi terrestri in combustione , eseguite posteriormente, e riportate nella tavola 2 delle sperienze. 11 risul- tato della nuova sperienza sul raggio rosso è stato concorde a quanto l'A. avea stabilito sopra la nullità della sua forza magnetizzante; l'altra sulla luce dei corpi combustibili, benché abbia offerto un risul- tato negativo, pure obbligò VX. ad aggiungere una sola innovazione. Si presentano a stampa due quadri sinottici delle esperienze. Le prime tre colonne destinate ad esibire lo stato termometrico , barometrico ed igrome- trico dell' atmosfera , sono state redatte prenden- do la media di due osservazioni fatte all' osservatoiio del collegio romano alle7 del mattino, ed alle 2. pom. Una media presa fra questi due ultimi termini riuscì più esatta. La temperatura iniziale nelle due spe- rienze dei 28 e 29 dicembre 1812 fu a zero nel gabinetto dove si operava, e dal tei'mine delle spe- rienze non si era neppure elevata alla media espressa nella tavola. In quelle fatte sopra i raggi lunari le modificazioni dcll'almosfera sono espresse secondo il risultato unico dell'osservazione meteorologica fatta nell'osservatorio alle ore 9 della sera. 308 La modificazione la più influente sopra le sue esperienze fu l'igroinetrica : e per questa era ne- cessario , non solo di prender di mira una media più vicina al principio ed al fine di ogni sperienza, ma di tener conto anche dei bruschi salti, che so- vente si osservano nell'igrometricità atmosferica , in specie nella primavera. L'A. confessa che le ta vole ch'esibisce sono imperfette: ma ha procurato di supplirvi colle osservazioni poste nell'ultima co- lonna. L'artista Luswergh fabbricò 4-8 aghi, e ad ec- cezzione di tre, che hanno servito ad altri tenta- tivi sopra l'elettricità della colonna voltaica, tutti gli altri furono impiegati in questi raggi, in specie sul raggio violetto. Compagni nelle sperienze dell'A., come nelle pri- me, furono i sÌL,nori Barlocci e Carpi: e senza lo zelo infaticabile di quest'ultimo, e l'amichevole as • sistenza del primo, sarebbe stato impossibile di sod- disfare a tutti gli oggetti proposti per rendere meno incompleta la ricerca del professore. 11 professore Scitele non cessò anch' esso di cooperarvi con ardore, mostrandone l'A. ad esso la più sincera gratitudine. Le esperienze furono eseguite nell'estate del 1812 alla temperatura fra i 18 e 22 gradi Reaumur , anche per consiglio del distinto fisicochimico della Francia Gay-Lussac. Nel rigidissimo inverno del 28 e 29 dicembre , essendo stato il tempo secco e sereno, e l'atmosfera al zero R., nel principio della sperienza furono messi in prova due aghi, i quali si magnetizzarono nel momento progettando il rag- m gio violetto sulla loro metà verso la punta sola- mente, il primo in 30 minuti, il secondo in 45. Fu veduto non esser necessario di portar l'ago con l'altra estremità nell'altro lato dello spettro per progettare il raggio in senso opposto sopra la coda. Nella stessa guisa fu operato so- pra altri aghi nel febbraio e nel marzo di quel- l'anno i ed ebbe sempre fatti pronti e della più grande intensità. La temperatura in tempo delle esperienze fu sempre al disotto dei 12 gr. R. Dal zero ai 22 gr. di R., che sono nel nostro clima i limiti delle variazioni di temperatura, la forza magnetizzante del raggio violetto si matenne nel- Tistesso gradoj e la differenza di temperatura non manifestò alcuna influenza sopra i suoi effetti. Il dott. Monchini dunque dopo queste laborio- sissime espei'ienze vide colla semplice proiezione del fuoco dei raggi violetti magnetizzarsi gli aghi completamente jn 15, 25, 30 minuti, e secondo lo stato dell'atmosfera in una o due ore al piiì, legittimando così gli esperimenti^ che il raggio vio- letto, verso il suo lembo estremo, gode di un po- tere magnetizzante, il quale non la cede a quello della magnete comune, salvochè nel tempo mag- giore che il primo impiega per compiere il suo effetto. Dichiara l'A. che per ago completamente magnetizzato intende di riconoscere un ago che goda costantemente della declinazione magnetica del luogo, della proprietà di ripellere i poli o- mologhi, e di attirare i contrari di un altro ago magnetizzato, e finalmente di attirare in fiocco la limatura di ferro in ambedue, o almeno in uno 310 dc'siioi poli. Queste proprietà si trovano in gi'iidof ben tleeiso negli aghi che furono magnetizzati al lembo del raggio violetto. Non tutt'i fisici in Italia ottennero felici ri- sultati come li ottenne il cav. Morichini sotto le favorevoli condizioni dell'atmosfera: ebbe però delle istruzioni dal celebre Volta per mezzo dell'illustre presidente dell'istituto italiano Paradisi, e del no- tissimo cav. Tambroni: facendogli questi conoscere che l'A. non aveva omessa alcune delle precau- zioni necessarie per garantire dall'influenza del ma- gnetismo terrestre gli aghi sottoposti all'azione del raggio violetto. Si conchiude dunque, che le nuove esperienze esposte in questa memoria confermano sempre più l'esistenza di un potere magnetizzante nella luce principalmente nel lembo estremo del raggio vio- letto, e la probabilità che questo potere appar- tenga piuttosto ai raggi chimici , o disossidanti , che allo stesso raggio violetto. Se questa nuova proprietà della luce verrà con- fermata dalle altrui esperienze, non però converrà rinunziare al magnetismo terrestre. I corpi terre- stri assorbirebbero dai raggi solari il fluido ma- gnetico, come assorbono la luce ed il calorico , e lo svolgerebbero come questi due fluidi nelle per- petu.e vicende delle loro decomposizioni e ricom- posizioni. U ferro sarebbe poi, rapporto al fluido magnetico, ciò che sono i pirofori rapporto al ca- lorico, ed i fosfori naturali rapporto alla luce. La mcmoiia terza è sul magnetismo della luce. 11 cav. Morichini, incessante nell'occupazione di 311 i-ipetere e perfezionare questo genere di ricer- che , si coinpacque d' informare V accademia dei Lincei degli ulteriori risultati sopra lo stesso og- getto. L'A. ebbe notizia che le sue esperienze erano state ripetute all'estero. II sig. Moscati comu- nicò una lettera al sig. Odier di Ginevra, ove si rilevava che a Milano lo stesso cav. Moscati ed il celebre Volta aveano inutilmente ripetute le espe- rienze del professore Configliachi in Pavia. Tutti questo è inserito nella Bibliot. britt. del giugno 1813, I due celebri professori Volta e Moscati non riu- scirono in questi sperimenti del Monchini, avendo impiegato nelle loro esperienze l'eliostato, e ave- vano solamente tenuti gli aghi immersi nel fuoco del raggio violetto senza far scorrere questo fuoco sugli aghi con una manovra simile a quella, che si adopera quando si magnetizza con la magnete comune. È facile dunque a spiegare perchè i due celebri fisici non riuscirono che due volte nell'os- servare il fatto dal prof. Monchini annunziato. In primo luogo, perchè la semplice immersione nel raggio anche condensato da una lente convesso- convessa è un mezzo lento e debole di magnetizza- zione in confronto dell'altro di far scorrere il fuoco sugli aghi. In secondo luogo, perchè gli specchi di ri- flessione, siano di metallo, o di cristallo rivestito di uno strato metallico riflettente, come si ado- pera neir eliostato , fanno perdere al lembo estremo del raggio violetto tutte le proprietà chimiche , che Wollaston vi ha scoperte , e probabilmente anche quella già indicata dall'A., e ciò per l'azione dei metalli sulla luce. 312 n Rabbini, pi'of. di fisic;! in Firenze, nefirag^>> sto 1813 ripetè le sperienze del Monchini, ed eb- be gli stessi risultati, annunziando ciò al pubblico* nella sessione solenne delle lezioni annuali al museo. Nel settembre 1813 si lesse nel giornale di fì- sica del sig. La-Metherie una lunga memoria del prof. Configliachi di Pavia, nella quale cercava di stabilire con esperienze che il magnetismo terrestre può essere stato cagione del fenomeno dal nostro A. osservato, indipendentemente dalla luce e dal rag- gio violetto. Qui r A. espone un'analisi fedele del- la memoria del Configliachi, passa in rivista le sue esperienze, le confuta tutte con energia, enumeran- do parimente le circostanze , i fenomeni , e tutto quello in cui è potuto felicemente riuscire. Parla del suo dotto collega dott. Poggioli, il quale provò ad evidenza V identità degli effetti che producono sopra la vegetazione il magnetismo ed il raggio vio- letto : quindi Moscati, Odier , Gay-Lussac , il prof. Marcellini, Tillaye, Arago , Cuvier e Davy esalta- rono a cielo le scoperte , cioè il magnetismo sulla luce operato dal nostro professore. Cuvier venuto a Roma fu due volte testimonio della riuscita delle esperienze. Questo illustre chimico era in compa- gnia nel 1813, 1814, con l'altro chimico celeber- rimo Gay-Lussac, profittando ancor questo delle is- pezioni oculari sull'apparato, e sul modo di speri- mentare del Monchini. Davy ed altri distinti ingle- si di gran dottrina sono stati testimoni anch' essi, e soddisfatti dei menzionati esperimenti. Ora passerò ad esporre i risultati che ottenne FA. coi professoi'i Carpi e Rarlocci neh' esaminare 313 il fatto osservato dal prof. Babbini. Scriveva questi nel settembre 1813, che si era imhalLulo ad osser- vare una piccola tendenza delVago verso il raggio vio- letto. Vidi una punta di esso innalzarsi per un poco per andare ad immergersi nel detto raggio: e se gli poneva accanto la detta punta, notai che dessa si mo- vea i dopo alquanti giri si fermava nella direziotie del raggio violetto: locché non ottenni col raggio ros- so. — Fin qui l' illustre prof, fiorentino. Ecco ciò che descrive il nostro prof, unitamente ai sopraccitati Carpi e Barlocci. Disposti gli aghi sopra un perno in guisachè fos- sero mobilissimi, e ricevuto Io spettro del raggio violetto, ovvero il fuoco del medesimo raggio rifrat- to dalla nostra lente convesso-convessa sopra un quadro di carta posto dirimpetto , ed in vicinanza dello stesso ago, osservarono qualche volta, ma non costantemente, che se l'ago era in riposo , esso si accostava allo spettro , o al fuoco del raggio vio- letto: e che s'esso era in movimento, lo accelerava sensibilmente tutte le volte che vi si avvicinava. Questi movimenti e queste accelerazioni erano però sempre nella direzione laterale, e non è loro mai ac- caduto di vedere l'estremità degli aghi innalzarsi sen- sibilmente verso il fuoco , o lo spettro del raggio violetto. Sebbene nell'eseguire queste esperienze a- vessero posta gran cura nel tenere il sopporto del- l'ago ben fermo , e nell' evitare che le correnti di aria, e le oscillazioni del pavimento non turbassero l'esperienza, pure venne loro in pensiero di rinchiu- dere il sopporto con gli aghi in una cassa di cri- stallo, per evitare cosi ogni sospetto di qualsivoglia 3U perturbazione di simil genere. Le esperienze ripe- tute più volte con questo apparato non lasciarono loro più scorgere alcuno dei movimenti sopra indicati, in guisa che sembrava potersi conchiudere , che questi dipendevano realmente da quelle cause che aveano avuto in vista di allontanare. Temendo che gli aghi , sebbene mobilissimi sopra il perno, non lo fossero abbastanza in questa sorta di sperienze per poterne indicare qualsivoglia anche debolissima azione per parte del raggio violetto, adottarono anche la sospen- sione ad un capello, ma dentro la cassa di cristallo: gli aghi a questo modo sospesi si tennero tranquilli, come quelli sul perno. Per meglio convincersi sulla vera cagione della diversità dei risultati, rinchiusero l'ago in una cassa dì carta, sopprimendo in questa la sola parete, per la quale doveva passare lo spettro o il fuoco del raggio violetto. I movimenti ricomparvero come pri- ma, ma in una vaga maniera , ch'era ben facile a scorgersi per essi l'effetto delle cagioni indicate che in questo apparato non erano escluse per la man- canza della parete anteriore della cassa. La ricerca fatta alla terza ed ultima parte di questa memoria, che comprende i risultati dei ten- tativi per iscoprire se i diversi raggi dello spettro solare avesser-o dato qualche segno di elettricità: que- sta ricerca, avuta in vista dall' A. fm da che inco- minciò l'altra sul magnetismo della luce , era im- portante , non solo per iscoprire se il fluido elet- trico ci veniva dal sole , ma per schiarire l'antica questione e vigente fra i fisici sopra l' identità o la diversità dei due fluidi magnetico ed elettrico. 315 Il prof, colle belle osservazioni di Franklin, e con quelle di Alibard, colle esperienze di Wilche e del P. Beccaria, ha somministrato degli argomenti più validi ai sostenitori dell' identità dei due fluidi. L' A. tentò le esperienze colla grandiosa mac- china dell' insigne Scarpellini, le quali dettero risul- tati univoci e decisivi , non solo in rapporto alla comunicazione delle forze magnetiche per mezzo dell'elettricità, ma sibbene per determinare quale spe- cie di elettricità dia la polarità nord, e quale la pola- rità sud. In tre sperienze che il cav. Scarpellini tentò sopra due aghi, ed una striscia di molla di acciaio, la catena conduttrice della elettricità posi- tiva della batteria dette la polarità nord , e la ca- tena conduttrice dell' elettricità negativa la pola- rità sud. Il prof. Monchini sperimentò di dare la carica magnetica ai quadri magici, ed alle bottiglie di Ley- da, per determinare se contemporaneamente si ot- teneva una carica elettrica. Fece costruire un qua- dro armato d'acciaio, ed armò una bottiglia di Ley- da internamente di limatura di ferro col condutto- re dello stesso metallo, magnetizzò il quadro con la gran magnete armata del gabinetto fisico della Sapienza, facendo comunicare con un elettrometro la faccia opposta , ed osservò coi professori Cai'pi e Baiiocci, che le pagliette dell' istromento non det- tero alcun segno di carica elettrica : e messe in comunicazione le due facce del quadro con un filo di metallo, non si ottenne alcuna scarica , né alcuna scossa si sentiva applicandovi le dita. 316 Il chiarissimo prof, successivainente e ripetufè volte di l'èsse il fuoco dei raggi violetti e dei rag- gi chimici coincidenti sul disco collettore di un etettrometro di Volta munito del suo condensa- tore. Si conobbe che non si è ottenuto giammai alcun segno elettrico. Lo stesso sperimento piiì volte tentato col raggio rosso ha fatto una sola volta leggermente divergere le pagliette dell' elet- trometro , che sonosi riunite all' approssimarsi di un bastone stropicciato di cera lacca: locchè da- rebbe indizio di elettricità vitrea nel raggio rosso, se il fenomeno, in vece di esser così isolato, fos- se stato costante. La stessa prova fu fatta sul raggio verde , ch'ò il medio fra i raggi colorati dello spettro solare. Rivolsero il pensiero il prof. Morichini co' i due altri professori Carpi e Barlocci sopra i raggi solari riflessi sia dagli specchi , sia dalle lenti con- cave di ci'istallo. Incominciarono dai raggi solari riflessi senza aver sofferta alcuna rifrazione e che possono riguardarsi come raggi solari indecompo- sti. Se in questi esistesse il fluido elettrico, e fos- se combinato con gli altri, luminosi cioè, calori- fici e magnetici, forse potrebbe dare qualche in- dizio di sua esistenza, come gli accadde quando ritrovò il potere magnetizzante, benché debole, nei raggi solari indecomposti. In un gran numero di sperienze non osserva- rono il più leggiero indizio d'elettricità. Abbandonati allora gli specchi, ricorsero alle lenti concave di cristallo, che rifrangendo una gran par- te de'raggi solari incidenti per la proprietà iso- 317 lante del cristallo avrebbero dovuto riflettere per r intiero i raggi elettrici, se ve ne fossero stati insieme con quella porzione di luce, che viene ri- flessa, e che si raccoglie in un fuoco che può di- riojersi sul disco deirelettrometro. Dolenti furono di lasciare questo argoniento indeciso : ma non lo abbandonarono , essendo un genere di ricerche così delicato e proteiforme, aven- do bisogno di molti elettrometri , e sensibilissimi, onde impiegare alcuni a determinare in tempo delle sperienze lo stato e la natura dell'elettricità atmo- sferica, e dei corpi circostanti, eliminando così una causa di errore , e d'incertezza nei risultati. Le sperienze eletlromelriche sopra la luce solare formano la XXII." memoria. Le sperienze tentate dal cav. Morichini nel 1815 fanno seguito a quelle, di cui ha già par- lato. Era di scoprire , se nei raggi solari rifratti dal prisma esistesse qualche traccia di forza elettrica: e non essendosene trovata alcuna nel violetto, nel rosso e nel verde , la ricerca fa rivolta verso i raggi solari indecomposti, e riflessi ora da specchi, ed ora da semplici lenti concave di cristallo, in guisa che il fuoco cadesse sul piattello condensatore di un elettrometro di Volta: ma neppure da queste sperienze ebbero buoni lisultati che indicassero qual- che virtiì elettrizzante nella luce solare. Il suo collega prof. Barlocci , che prese tanta parte in questa come nell'altra ricerca sulla forza magnetizzante del raggio violetto , si procurò un 318 completo aseparato elettrometrico dal prof. eav. Bellani, che lo eseguì sotto la direzione del cele- bre Volta. Si è unito con questi due il loro collega prof. Carpi, che con quella precisione e perseveranza che lo distinguono, si è consecrato alla esecuzione delle nuove esperienze. Questi professori, fondati sopra i risultati nega- tivi delle sperienze altra volta istituite con i diffe- renti raggi rifratti dal prisma , credettero di ope- rare sulla luce riflessa. La grave difficoltà era di trovare il modo di riflettere la luce colorata inni- tante separatamente i colori primitivi dello spettro prismatico. Credettero necessario ancora di esclu- dere dalle superficie riflettenti qualunque sostanza metallica, per la facilità che i metalli hanno piiì o meno di condurre V elettricità , piuttostochè di rifletterla. Si servirono dunque di cristalli colorati ad imi- tazione dei sette colori dello spettro prismatico: si servirono di cristalli semplici armati in una super- fìcie di carte colorate, e finalmente di legni rives- titi di vernice lucidissima , e similmente colorala. Fu loro impossibile di avere un assortimento di cris- talli colorali della forma e grandezza necessaria al- l'apparato. Non era nemmeno sicuro 1' apparato di legno verniciato: giacché le resine essendo la base delle vernici, ed esposte ai raggi solari , potevano , nel riscaldarsi, contrarre l'elettri^cità resinosa, o la mes- colanza di questa , sia con la elettricità omologa , sin con la contraria che fossesi trovata nei raggi del sole. 319 Abbandonato il primo , e per deliberazione il terzo modo di sperimentare sul tema della disamina, non rimaneva che di abbracciare il secondo , cioè di far uso di cristalli armati di carte colorate nella superficie opposta a quella che riceveva il fascetto dei raggi solari. Questi cristalli furono incassati in quadri di legno mobili , onde dirigere ovunque i raggi riflessi dai cristalli, e quelli emessi per rag- giamento dalle carte colorate. L' apparato era disposto in questo modo. Una lastra di cristallo piana, armata della carta colorata, era posta orizzontalmente sul suo montante sotto una finestra per ricevervi un fascetto di raggi so- lari traversanti un così detto occhio di bove. Uno specchio concavo , armato di carta colorata co- me lo specchio riflettente, riceveva il fascetto ri- flesso da questo specchio, egualmente che i raggi colorati del medesimo, e riuniva gli uni e gli altri nel suo fuoco insieme con quelli che raggiavano dalla carta colorala che formava la sua armatura. Questo fuoco era negli specchi concavi alla distanza di due palmi romani nel loro asse. La quantità della luce colorata raggiante dai due specchi piano e concavo non era tale , che desse al fuoco, in cui si riunivano, alcun colore sensibile, stanlechè la luce bianca, o indecomposta, rimaneva sempre dominante. Però la radiazione colorata foceva sì che il fuoco tosse meno brillante ed avesse una tinta diversa, secondo la diversità delle carte colorate che guarnivano gli specchi. Inoltre lo specchio concavo, ricevendo obliquamente tutta la luce raggiante e riflessa dallo specchio piano. 320 obliquamente pure progettava il suo fuoco verso 11 sud. A questo fuoco tenevano esposte alcune punte di metallo che sorgevano da una pallina metallica, che per un filo della stessa natura comunicavano l'elettricità che avessero potuta attirare alle pagliette di un sensibilissimo elettrometro. Queste punte erano quattro, tutte inserite a vite nella pallina in- dicata: e nelle esperienze, ora si tenevano conver- genti, ora divergenti, ed ora s'impiegavano tutte , ora due, ed ora una. Dopo vari tentativi, conobbero che quattro erano troppe: si limitarono ad armare la pallina con due sole punte distanti tra loro ol- tre un pollice. Prima di mettere in uso V elettro- metro, lo tenevano esposto al sole, lo scaricavano dì ogni elettricità straniera, e non lo lo esponeva- no al fuoco dell'apparato, che quando le sue pa- gliette erano esattamente parallelle. Quando si ese- guivano le esperienze, un altro simile elettrometro armato di egual numero di punte tenevano nella stessa stanza, o in altra camera contingua posta alla medesima esposizione, ora all'aria libera , ora al sole, ed ora alla luce diffusa, per tener conto del- l'elettricità atmosferica, e non confondere gì' indizi di questi con quelli della luce, sulla quale speri- mentavano. Le sperienze erano eseguite nei giorni indicati nel quadro, ossia dalle 8 § alle 11 del mattino. I segni più forti di elettricità si ottennero sempre verso le nove e mezza. Il di 26 agosto incominciarono sulla mattina a sperimentare con un cielo sereno sopra la luce ri- 321 flessa e radiata dagli specchi armati di carta vio- letta, cui esposero l'elettrometro di Volta a pagliette. Videro dopo mezz' ora le pagliette divergenti per due gradi e mezzo, ed altrettante volte V av- vicinarsi della cera lacca stropicciata avendo aumen- tata !a divergenza, indicandogli la carica essere stata sempre resinosa. Le stesse esperienze alla luce violetta furono riprese con un tempo meno opportuno ; però alla riserva del dì 6, nel quale il sole fu sempre coverto da nuvoli, e scoperto per brevi intervalli, negli altri giorni dopo una più lunga esposizione dell'elettro- metro osservarono più volte le divergenze da uno fino a tre gradi ; e quante volte si avvicinava al- l'elettrometro un bastone di cera lacca stropicciato, si aumentavano, e svanivano per lo contrario av- vicinando un bastone di vetro similmente stropic- ciato , fino a riunirsi le pagliette tenacemente fra loro. Il 27 agosto col vento del sud, e con un cielo poco sereno, sperimentarono sulla luce rossa, con- tinuando il 28 e 29 agosto , e i giorni 3, 4 , 5 , settembre. Nel di 10 sperimentarono di caricar colla bot- tiglia di Leyda, esposta alla radiazione rossa, il disco superiore di un condensatore, e ne otten- nero due volte una piccola carica di elettricità vitrea: e conchiusero che dalle prove istituite so- pra il raggiamento rosso esso conteneva l'elettrici- tà vitrea, o positiva. I giorni 30 e 31 agosto favorevoli alle sperienze elettriche per la loro serenità, in specie nelle ore G.A.T.CXXXVII. 21 322 mattutine, posero a cimento la radizione arancia , gialla, turchina, e celeste, consagrando alle sperienze sopra ciascun colore due ore per giorno. I risultati fui'ono: Debole indizio di elettricità vitrea nell'arancio = Debole di elettricità resinosa nel turchino = Man- canza totale di ogni segno elettrico nel giallo e nel celeste. Questi, e non altri risultati, ottennero dalle es- perienze ne' sedici giorni che v'impiegarono. U prpf, Morichini scrive, che l'imperfezione del- l'apparato coniposto di due soli specchi, l'uno piano e l'altro concavo, e questo neppure arrotato e terso pella sua superfìcie riflettente, non potè somminis- trare un dimostrazione costante: inguisachè, perfe- zionando l'apparato, e moltiplicando il numero degli specchi riflettenti e raggianti, potevano ottenere ri- sultati più decisivi. Deve anche valutarsi l'assoluta novità della ri- cerca, per la quale niun soccorso gli dettero i fa - mosi scrittori di elettricità, e tutto quello che in essi leggevano era diverso dall' oggetto delle loro espe- rienze : talché furono costretti di aprirsi la strada con le loro risorse. 11 celebre Muschembroek parlando sull'elettricità osservò, che alcune volte la luce elet- trica prendeva il colore delle sostanze d' onde l'elettricità era svolta, e per le quali era condotta. Ma quello che interessava all'A. era il vedere che luce violetta accompagna 1' elettricità positiva , o vitrea, mentre trovarono in questa luce l'elettricità resinosa. Questa considerazione è d' interesse , in quanto che la elettricità proveniente dalle macchine 323 di zolfo, e resinose, splende con una luce rossastra, cioè con quella luce che nelle loro esperienze dette sempre indizi di elettricità vitrea. Potrebbe darsene una giusta spiegazione , ammettendo la ipotesi di due fluidi. Le ipotesi di quei fisici che sostennero essere identico il fluido elettrico ed il calorico , come Dessaignes fra i moderni, e di altri che opirarono essere lo stesso il fluido magnetico e 1' elettrico ,> non sono già sostenibili. Se riflettesi al modo con cui queste differenti forze, o fluidi, sono distribuite nella luce solare, un' altra seria considerazione si presenta allo spirito che fa contemplare l'infinita sapienza di chi archi- tettò r universo. Il calorico, una delle più attive forze della natura, condensato al lembo del raggio rosso viene a perdersi verso il verde ed il blu. La virtù magnetica, raccolta verso il lembo dell'opposto raggio violetto, viene ad estinguersi anch' essa nel verde. I risultati accusano, che i colori occupanti il centro dello spettro sono neutri, o quasi neutri, per rapporto alle due elettricità residenti nella luce solare. E non è ammirabile contemplazione, che il verde ed il ceruleo sieno i colori , dei quali si è ammantata la natura nel firmamento e sulla ter- ra ? Ed è quello stesso onnipotente disegno , in forza del quale il principio vitale dell'atmosfera si trova diluito in un altro che è affatto straniero alle funzioni che mantengano la vita: e tal dispo- sizione non è dello stesso conio della perpetua vi- cenda di giorno e di notte, che modera V azione dell'astro vivificante sopra tutti gli esseri creati ? 324 Finalmente se la luce, causa della infinita va- rietà de' colori coi quali brillano i differenti cor- pi della natura: se il calorico, potentissimo istro- mento di azione fra le sostanze inorganiche, e mez- zo essenziale di vita per i corpi organizzati : se 1' agente che magnetizza il ferro , ed ha fornito all' uomo una guida infallibile nella immensità de'mari: e se finalmente l'elettricità, questa forza sorpren- dente della natura, ora tremenda nel tuono e nel fulmine, ora benefica nella pioggia, ora dilettevo- le nei gabinetti dei fisici : se queste quattro pro- prietà di una stessa sostanza ci vengono tutte dal sole, si può dire che la terra per se stessa non è altro che un inerme corpaccio senza l' influen- za di questo astro benefico, e che quando fu crea- ta la luce dalla mano dell'Onnipotente, sparse so- pra la terra movimento e vita. Le nuove esperienze sopra la forza magìietizzante liella luce violetta, che formano la XXIII mpmoria del nostro professore. I più dotti fisici d' Europa ripetendo le me- desime esperienze dell'A. , o variandole con nuovi ed ingegnosi metodi , riconobbero e confermarono questa influenza della luce violetta. II prof. Babbini di Firenze nell'agosto 18)3 annunciò all'A. di aver ripetuto con successo le sue esperienze; alcun tempo dopo il Marchese Cosimo Ridolfi, chimico ed agronomo di Firenze, pubblicò una memoria esponendo i felici risultati dei suoi tentativi sullo stesso oggetto. Nell'anno 1829 il 325 prof. Zantedeschi di Pavia annunziò avepe egli ot- tenuto la magnetizzazione del ferro e dell' acciaio col raggio violetto, e fece notare che l'acciaio pro- veniente dalle miniere di ferro piritiche ricusava di magnetizzarsi in questo genere di prove. In Napoli Cassola verificò anch' esso il potere magnetizzante del raggio violetto con esperienze decise. Il prof. Telin di Monaco ottenne analoghi ri-^ sultamenti: e con nuovo processo elegante e faci- le nell'eseguirsi madama Sommerville inglese. Quan-^ do questa dama faceva le esperienze osservava, che conduceva a buon successo la cautela di sottrarre al raggio magnetizzante la metà degli aghi ad es- so esposti. Il D. Baumgartner in Vienna ripetè felieem-ente la magnetizzazione del raggio violetto, osservando inoltre che sottoponendo aWa luce in- decora'posta dei fili di acciaio, in guisa che alcune parti di essi fossero più illuminate , o esposte al raggio violetto, queste divenivano il polo nord del pezzo di acciaio che si magnetizzava con una se- rie di punti conseguenti. Una nuova serie di fatti fu scoperta e pub- blicata da Christie diretta a provare, che i raggi so- lari hanno il potere di rendere più energiche le' proprietà magnetiche degli aghi calamitati. L'illustre fisico provò con esatte sperienze, che sotto r influenza della luce solare gli aghi calami- tati oscillano in archi che diminuiscono di ampiez- za più rapidamente che all'ombra, e ciò indipenden- temente dal calore comunicato dal sole agli aghi- stessi, o al mezzo nel quale oscillano. A questa me- 326 desima conseguenza conducono le belle osservazioni di Watt, che dettero origine all'invenzione dell'Elio- stato, o Bussola solare: nella qual macchinetta le re- lazioni fra la luce solare: e gli aghi magnetizzati sono così manifeste, che ne risultano movimenti a- naloghi a quelli del fiore di un eliotropio. Il suo collega prof» Barlocci in Sapienza con una serie di accurate esperienze provò, che le ma- gnete armate, esposte ai raggi solari, acquistano un aumento rveì loro potere attrattivo sopra le masse di ferro: notò ancora che il calore solo, ma oscuro, non produce sulle magneti l'effetto accennato: onde apparisce che alla luce, non al calore, si debbe il medesimo attribuire. Dopo queste del Barlocci, un' altra ne apparve del prof. Zantedeschi di Pavia, annunziando di aver ripetuto con successo le esperienze di Christie; ed altre ne espose sopra le megneti armate, e sopra gli aghi da Bussola, che confermano le esperienze del prof, romano , e stabiliscono che la luce solare in- decomposta, come cresce l'energia del polo nord , così diminuisce quella del polo sud, tanto nelle magneti armale, quanto negli aghi magnetizzati: e viceversa che un cielo nuvoloso infievolisce la po- larità nord, ed aumenta la polarità sud. È da ricordarsi che molti anni prima l'aumento di forza delle magneti armate era stata osservata dal colonnello Gibbs, il quale avea osservato in una miniera di ferro magnetico a Succassuny, che la par- te superiore del filone esposta alla luce era magne- tica, ed aveva una polarità, e che la parte inferio- re guadagnava questa proprietà dopo qualche gior- 327 no di esposizione ai raggi solari. Meritano in fine gran peso le osservazioni del cel. prof. Hansteen sopra i periodi diurni ed annuali dei massimi e minimi d' intensità magnetica in un medesimo luo- go, osservazioni che depongono in favore dei raggi solari sopra la produzione , sviluppo , ed aumento delle proprietà magnetiche nel ferro e nell'acciaio. Le cautele che riguardano la natura degli aghi sono state meglio riconosciute dal prof. Zantedeschi. Egli osservò che i fili di ferro provenienti da una miniera piritica, e quelli d'acciaio ben temperati, ri- cusano di magnetizzarsi al raggio violetto : ed os- servò pure che i fili, o aghi di ferro, o di acciaio, che abbiano un diametro un poco considerabile, non acquistano che difficilmente un magnetismo sensi- bile. Questa osservazione era già stata fatta nelle due memorie dell' A. citate e ripetute da madama Sommerville. , '-'^ Rabbini, Ridolfi, ed il nostro Monchini proget- tarono il fuoco del raggio violetto rifralto da una lente sopra gli aghi messi in esperienza. Madama Sommerville immaginò di esporre alla luce indecom- posta gli aghi e fili di acciaio che voleva magne- tizzare fra due lamine di vetro colorate in violetto, indaco, bleù, o verde, ovvero coperti di nastri de- gli indicati colori. Cassola disponeva i suoi aghi so- pra stoffe di cotone colorate. Zantedeschi immerge- va semplicemente gli aghi nello spettro violetto dei raggi rifratti da un prisma, sia che provenissero di- rettamente dal sole, o fossero riflessi da un Elio- stato. Il prof. Beaumgartner operava nella maniera del cav. Morichini. Tutti poi in questo genere di 328 esperienza hanno avuto cura di operare colia luce violetta, 0 indecomposta, sopra una sola parte de- gli aghi, mettendo fuori dell'azione della luce l'altra parte dei medesimi. Quanto poi alla direzione degli aghi da magnetizzarsi, tutti osservarono che quella del meridiano magnetico, e del piano d'inclinazione, erano le più favorevoli alla riuscita delle sperienze, ma ch€ magnetizzazione poteva ottenersi in qual- sivoglia altra direzione. Le ore, nelle quali le esperienze sono di un suc- cesso più sollecito, sono quelle nelle quali le varia- zioni diurne degli aghi magnetici vanno verso il massimor e propriamente dalle nove della mattina fino all'una, o al più alle due della sera. È da osservarsi che i tempi delle oscillazioni delle esperienze sugli aghi, che non subiscono 1' a- zione del raggio violetto si trovano compresi in una latitudine di 27, a 3, troppo grande al certo per non dover sospettare qualche errore, o nelle espe- rienze, o nello stato degli aghi medesimi che ne fu- rono il soggetto. Il prof., guidato dalla intelligenza ed attiva cooperazione de' suoi illustri colleghi prof. Carpi e Barlocci, volle cominciare le esperienze colla macchi- netta di Hanstéen. Già l'A. possedeva gli aghi ma- gnetizzati al raggio violetto fin dal 18J2, 1813, nei quali si scorgeva dalla maggiore o minore energia delle proprietà comuni ai corpi magnetizzati, che non tutti erano allo stesso grado d' intensità. Ap- plicò dunque a questi il metodo delle oscillazioni , esprimendo in colonne separate formanti una tavo- la le condizioni atmosferiche, nella quali si fecero 329 oscillare, le dimensioni dei medesimi, l' intensità ma- gnetica risultante, e lo stato magnetico di ciascuno di essi alle prove ordinarie. Si rileva da questa ta- vola, che gli aghi, i quali possedeveno proprietà ma- gnetiche più deboli, compievano un certo numero di oscillazioni in un tempo più lungo di quelli che mostravano segni di una magnetizzazione più ener- gica. Onde sotto questo rapporto il sistema delle oscillazioni non forniva che una prova, di più del- l'acquisto delle proprietà magnetiche, e solo poteva servire a paragonare fra loro le intensità magneti- che degli aghi a parità di volume, massa, e forma dei medesimi. Esaminando TA. sotto questo punto di vista le intensità magnetiche degli aghi compresi nella ta- vola, si scorge che gli aghi magnetizzati più forte- mente di un ago simile , magnetizzato col metodo del doppio contatto come gli aghi 4, 7 , tale altra volta egualmente come è accaduto negli aghi 1,6, talvolta meno come si vede negli aghi 2,3,5, tutti paragonati all'A. magnetizzato col metodo del dop- pio contatto: e siccome queste gradazioni si osser- vano sovente negli aghi magnetizzati con i metodi comuni, così non recherà meraviglia, se più spes- so accadono nella magnetizzazione col raggio vio- letto, sulla quale assai influiscono, ora in favore, ed ora in contrario, tante condizioni estranee che ab- biamo già accennato. I progressi della magnetizzazione si sono ma- nifestati coll'ordine annunciato nella prima memo- ria dell'A., cioè prima coli' acquisto della direzione al meridiano solare, quindi al magnetico, poi colle 330 attrazioni e ripulsioni coi poli di un ago debol- mente magnetizzato alla luce , come quello del n. 2, e per ultimo colf apparizione del fiocco magne- tico ai due poli. Il dott. Monchini conclude dunque, che dai fatti esposti risulta chiaramente che le oscillazioni degli aghi magnetici per l'azione del raggio violetto non sono mai in contraddizione colle altre prove dì ma- gnetismo acquistato ; ma che il computo di queste oscillazioni, benché opportunissimo a misurare l'in- tensità magnetica, non è però mezzo, né esclusivo, né sicuro , e neppur comodo, per iscoprire l' in- fluenza magnetica di una causa qualunque, ed an- che della luce violetta, come hanno preteso di di- mostrare Rieff e Moser. Relazione sopra la fabbrica di vetriolo verde di Viterbo, detto in commercio vetriolo romano. E la XXIV memoria del cav. Morichini, ossia una relazione. L'oggetto è, 1. d'indicar le cause per le quali questa fabbrica, già altre volte si ce- lebre , e superiore a tutte le altre di Europa, sia oggi decaduta dall'antico suo lustro: e 2. di esporre i mezzi co' quali potrebbe ricondursi alla prima sua celebrità. Il professore fa una relazione del processo della fabbricazione come si pratica , espone i risultati dell'analisi chimica tanto della miniera, che di tutt'i prodotti della stessa fabbricazione , facendo cono- scere con quali cangiamenti nel processo ora pra- ticalo si può ottenere un vetriolo della massimi^ 331 purezza e bontà: risultato che solo può rialzale il credito languente di una sì interessante manifattura. Processo usato per la fabbricazione del vetriolo. La miniera è una pirite terrosa di color nero- gnolo, che si trova disperso in grandi masse nel pen- dio di alcune colline vulcaniche fra il nord-est di Viterbo alla distanza di sei miglia circa dalla città. Questa operazione si fa con mazze, picconi, ed altri stromenti di ferro , progredendo sempre ori- zontalmente con gli scavi fino all'esaurimento to- lde dell'ammasso. 11 minerale estratto (nei mesi di maggio e giu- gno) si ammucchia in un aia vicina, e quivi si la- scia esposto all'influenza dell'atmosfera e delle sue meteore fino ai mesi di agosto e settembre. A quest'epoca si trasporta il minerale in un ca- pannone coperto, ma ben contiguo alla fabbrica del vetriolo, e quivi per qualche tempo si frange e si trapala. Il minerale dal capannone si trasporta con car- rette a mano in una serie al vasche fatte di muro lastricato, e mediocremente profonde , disposte in modo che fra gli strati del medesimo rimangano dei solchi parallelli. Quando le vasche sono riem- pite all'altezza di due palmi circa, allora si fa pas- sare nella prima dell'acqua, fintantoché il minerale ne resti interamente coperto. L'acqua vi si lascia per un giorno: ed in questo tempo si va rimovendo e rimescolando colla sottoposta miniera per mezzo di lunghe pale di legno con manico simile, chiamate 332 foliche. La stessa acqua si fa passare e soggiornare sopra il minerale delle due o tre vasche successive, nelle quali si pratica la stessa manovra, acciocché si carichi a saturazione di tutto ciò che può scio- gliere: e questo diccsi lisciviai' la miniera. Per mezzo di un canale la lisciva saturata si fa passare dall'ultima vasca in un grande recipiente di figura rettangolare, fabbricato di muro, e lastri- cato , che chiamasi paramento. Quivi si lascia per quindici giorni , finché abbia deposto tutto quello che teneva sospeso meccanicamente nella sua massa; quindi si apre un canale che si trova al livello del piano del paramento, e da questo canale la lisciva si lascia passare in un altro simile recipiente detto secondo paramento. In questo si ripete l'operazione del primo , la quale si rinnova in un terzo , colla differenza che in ciascuno di essi la lisciva si ri- tiene per soli sei giorni: finalmente questa si fa pas- sare in un quarto paramento, che é come un ser- batoio della medesima, perchè da quest'ultimo per un tubo si fa passare nelle caldaie di evaporazione. La lisciva si fa concentrare in due caldaie di piombo, di figura rettangolare, separate fra loro, e riscaldate ciascuna da un fornello particolare ali- mentato da legna di bosco vicino. L'evaporazione si spinge fino al punto, che alla superficie del liquido apparisca una pellicola chiamata panno. Dalle caldaie di concentrazione la lisciva bol- lente per mezzo di un canale si porta in un grande ricettacolo detto botte. Da questa, dopo 24 ore, pas- sa in una serie di piccole concamerazioni in pietra di peperino dette pilettij che sono altrettanti cristal- 333 lizzatoi, perchè raffreddandosi la lisciva depone alle loro pareti i cristalli di vetriolo. L'acqua madre residua per il declivio del suolo dei piletti, la cristallizzazione si va a raccogliere in un pozzetto, dal quale per mezzo di una burbera munita di due secchi si riconduce nell' alto della fabbrica in un recipiente detto vasca del ricotto, ove viene sottoposta ad una nuova e particolare cottura. 11 vetriolo confusamente cristallizzato nei piletti si raccoglie con pale, e versato in grandi secchi di legno, per mezzo di una burbera è portato in una sala superiore, che ha le finestre a levante ed a mezzo giorno. Entro la sala sono disposte delle tavole, ove è disposto a strati il vetriolo, scolando così tutta la sua umidità : e quando è asciutto, s'incassa pel trasporto. Analisi della miniera, e dei prodotti della sua lavorazione La miniera — è composta dei principii seguenti: Zolfo 0, U Solfato di ferro 0, 06, 5 di alumina 0, 03, 5 Ferro ossidato , e alumina impura . 0, 70 Silice » 0, 04 Calce » 0, 02 Totale 100 Deposito del primo paramento sotto il peso di un oncia: 334 Solfato di feiTO ....... gr. 144 di alumina » 70 Alumìna pura » 360 Ossido di ferro giallo » 02 Totale 576 I grassumi {così detti) del vetriolo sono composti per ogni oncia di 576 grani come segue: Solfato di alumina gr. 402 di ferro » 75 Alumina pura » 07 Ossido grasso di ferro » 02 Totale 576 Deposito del 3 paramento: Alumina con piccola parte di ossido giallo di ferro » 456 Solfato di ferro » 71 di alumina ....,..» 48 Perdita » 01 Totale 576 Vetriolo cristallizzato nel beccolare della vasca, o botte, contiene in ogni oncia: Solfato di ferro , gr. 478 di alumina » 096 Ossido di ferro » 02 Totale 576 335 Vetriolo cristallizzato nei piletti. E composto dei seguenti principii calcolati in ogni oncia: Solfato di ferro gr. 504 di alumina ...... » 068 Ossido giallo di ferro » 03 Perdita ........ 1 Totale 576 Dai prodotti di queste analisi si rileva, che l'al- lume si forma contemporaneamente col vettriolo, e che dal mescuglio del primo sale col secondo, du- rante la cristallizzazione della lisciva vetriolica , dipende l'impurità del vetriolo che si ottiene: im- purità che si conosce airefflorescenza bianchiccia, che tapezza ordinariamente i cristalli di vetriolo, e dal color verde slavato e biancastro che affettano que- sti cristalli anche allorché non hanno alla loro su- perfìcie l'incrostamento bianco dell'allume. Il prof. Monchini propone dei cangiamenti da farsi nel processo della fabbricazione del vetriolo romano. 1. Si usi la maggior economia nell'annua esca- vazione del minerale, avendo cura di non scavarne pili di quello che abbisogna per la fabbrica nel tem- po della lavorazione. Tutto ciò che è scavato oltre il bisogno si vetriolizzerà , che trasportato dalle piogge sarà perduto. '2. 11 minerale scavato, e destinato al contatto dell'aria, nel mese di giugno a quello di settembre si dovrà disporre sopra una o più aie in mucchi divisi fra loro da qualche distanza, acciò possa ri- muoversi colla pala, e più pienamente aereato. 336 3. L'aia, o le aie , nelle quali si abbandona il minerale alla vetriolizzazione, debbono essere lastri- cate , e munite intorno di un solco terminante in un canale che conduce ad un pozzetto coperto. 4. Durante l'esposizione del minerale sull'aia, ed in caso di siccità, sarà conveniente per affrettarne la vetriolizzazione inaffiare con poca acqua i mucchi, in ispecie se si trovano polverulenti. Questa pratica, fondata sopra la nota azione dell'acqua verso le pi- riti ferruginose, accelererà la vetriolizzazione della miniera in un modo sorprendente. 5- La stessa pratica si terrà riguardo al mine- rale trasportato nel capannone : s'inaffierà pili di rado, rimovendo più spesso colla pala , non mai però prima di osservare sfiorita la superficie del mi- nerale. 6. Dopo la liscivazione del minerale, il resto non si getterà come inutile: si metta aperte nel capannone, ove se fiorirà, darà segno di non essere esausto, e di subire nel seguente anno una nuova liscivazione. 7. L'uso dei paramenti merita una correzione essenziale per estrarne la lisciva già chiarificata col riposo. Non è da un foro fatto nel fondo, ed al livello col piano dei paramenti che bisogna estrar- re la lisciva dei medesimi, ma dai fori che si pra- ticano a varie altezze degli stessi paramenti, si opera la travasazione dai fori superiori, e passando agli inferiori , con questo mezzo si evita I' agi- tazione del liquido, il miscuglio degli strati superiori più limpidi cogli inferiori più torbidi. Dopo que- sta correzione il numero dei paramenti può ri- 337 dursi, e sarebbe più breve il tempo della chia- rificazione del liquido. 8. La costruzione dei fornelli esige un totale rinnovamento (secondo Rumford) come è il dise- gno dell'egregio ingegnere Stern. L'economia del combustibile sarà la più utile riforma del metodo della lavorazione. 9. Essendo a freddo più salubile il vetriolo del solfato neutro di alumina, ne segue che il primo a deporsi nel fondo dei piletti è il solfato di alu- mina, mentre il vetriolo si attacca ai lati dei medesimi. 10. 11 vetriolo cristallizzato nel fondo dei pi- letti, e confuso col solfato neutro di alumina, do- vrà raccogliersi a parte, e ridisciolgersi nelle acque madri, che tenute lungamente nel recipiente, o va- sca detta del ricotto, deporranno tutto il solfato di alumina, e con una breve concentrazione daranno del vetriolo di buona qualità. 11. Acciò il disseccamento del vetriolo sia per- fetto, si darà alla sala superiore una maggior ae- reazione da tramontana, e minore da mezzo giorno, per evitare l'accesso dei venti australi umidi, che nocerebbero alla perfezione del disseccamento. 12. Risultando dall'analisi dei depositi dei pa- ramenti, che 1 medesimi tengono delle notabili quan- tità di vetriolo, esse si raccoglieranno in una va- sca, e quivi agitansi e rimescolansi in una quan- tità d'acqua, Se tutte le correzioni si adotteranno nella fab- bricazione del vetriolo romano, il professore Mo- nchini non deve dubitare del risorgimento di quc- G.A.T.CXXXVH. 22 338 sta manifattura , e della sua primitiva celebrità presso le nazioni straniere. La XXV memoria è sulV aria malsana della campagna romana^ sulle malattie che produce, e desmodi di migliorarla. Quanto a quel tratto di paese che una volta forma- val'antico Lazio, e parte dell'Etruria marittima, ed ora fomia la parte occidentale delle due province della Campagna e del Patrimonio fino alle falde dei colli albani, tusculani, e sabini, non si può negare che l'impresa di rendere a questa parte d'Italia l'an- tica salubrità, sia possibile» facile, e degna delle cure filantropiche di un governo saggio ed illu- minato. La popolazione di Roma non può più soste- nersi, se la coltivazione delle sue campagne non viene a risarcire i fondi inariditi che prima l'ali- mentavano. E questa coltivazione non giungerà mai a quella perfezione di una fertilità di questo ter- ritorio, se non si pensa ad incoraggirla, e rimuo- vere le cagioni che promettono ai coltivatori una morte sicura in vece dell'industria che con tanto sudore si procacciano. L'A. in seguito di questa memoria fa conoscere come la coltivazione e la sanir tà dell'agro romano dipendono l'una dall'altra. L'A. si lusinga che se il governo rivolge seria- mente le sue cure verso un oggetto si rilevante, Roma acquisterà dai suoi disastri ricchezze mag- giori, e fondate sopra una base più solida, che né r invidia degl' esteri né il cangiar delle opinioni potrà mai distruggere. 339 La memoria è divisa in tre partì; nella pri- ma tratta delle cagioni che rendono malsana l'a- ria dell'agro romano; nella seconda delle malattie che quest'aria produce; e nella terza dei rimedi di quella e di queste. ARTICOLO PRIMO. Delle cagioni delVaria malsana deWagro romano. L'agro romano, interamente compreso nel 41 grado di latitudine, contina al sud e all' ovest col mediterraneo, al nord ed all' est con i colli sabini, tiburtini, tusculani, ed albani. Il mare, che bagna questa spiaggia aperta, è pieno di bassi fondi, tantoché nelle maree ordinarie, e nelle tempeste prodotte dai venti sud-est, sud-ovest, e nord-ovest vi spinge le sue acque, e vi trasporta e depone de'mucchi d'alga. Dal mare progredendo verso i suddetti colli, il terreno è pochissimo elevato , ed intersecato di piccoli colli e valli intermedie intralciate, in va- ri sensi , e tutte disseminate di paludi, pantani, e stagni. Il Tevere e gli altri piccoli fiumi, fossi, e mar- rane che traversano l'agro romano, hanno un pie- colo declivio : spesso straripano nell'inverno , la-o sciando delle acque stagnanti. Il paese è nudo, e privo di alberi, a riserva di alcuni boschi lungo il mare. Il terreno è ricoperto da pertutto da un alto strato di terra nera vegetale, sotto la quale si trova l'argilla, della creta, e pozzolana. Da Roma, 340 «ossia da monte Mario fino al mare, sembra es- sere il terreno di formazione marina; e viceversli da Roma sino ai colli orientali sembra essere di' origine vulcanica. L'esposizione dell'agro romano è tale che lo scirocco, o sud est, l'austro, o sud, ed il libec- cio, il maestro, e tutti i venti intermedi vi han- no un facile accesso, senza che niente si opponga al ioro tragitto. Tutti gli altri venti poi dall'est, nord-est, nord, e nord-ovest fino al maestro deb- bono prima tragittare le montagne del Lazio ed i colli sabini. •Questa è la topografìa dell'agro romano, la quale 4etermìna a far conoscere 1' influì iza delle cagioni dell'aria malsana che lo infesta. Dice il professore che la causa principale della mal- sania dell' aria è la frequenza e l'estensione delle paludi, degli stagni che ne ingombrano da per tutto ia bassa e sinuosa superfìcie. Giacciono queste nella parte meridionale; e le paludi pontine, laurentine, ed ardeatine sono le principali e piiì estese. Con questo nome di paludi non solo intende im tratto di terra coperto di uno strato d'acqua poco profon- do , e disseminato di piante acquatiche , ma tutte quelle porzioni di terreno che restano infiltrate dal- le acque ; sia per straripamento di acque correnti alla superfìcie, sia per disperdimento di sotterranee : e rimangono fangose ed umide nel primo tempo dell'estate: ed infine i tratti ingombrati da arbusti e da alberi che impediscono l'evaporazione delle acque contenute nel terreno sottoposto coperto di foglie e di altre piante che vi si macerano, e v'im- putridiscono. 341 Alla comparsa de'calori estivi reagiscona fra loro e vi decompongono l'acqua e le sostanze vegetabili. L'ossigeno della prima combinato col carbonio del- le seconde forma delle quantità grandi di gasacido- carbonico: mentre un" altra porzione del carbonico vegetale sciolto nel gasidrogeno svolto dall' acqua decomposta dà origine a delle masse considerabili di gasidrogeno carbonato. Arroge a questo che il tepore umido dei luoghi pa- ludosi, e lo sprigionamento dei due gas mefici indi- cati vi richiama delle immense famiglie d'insetti cha amano uj aria umida e poco respirabile. Tale circostanza aumenta la quantità dei gas micidiali ch'esalano dalle paludi, perchè le spoglie, i cadaveri e gli escrementi degl'insetti reagendo sull' acqua a guisa de' vegetali, non solo aumentano la quantità del gasidrogeno carbonato, ma danno origine ancora ai grasidrogeno, solforato, fosforato, ed azotato, che mentre li porta allo stato di ossidi, li rende mici- diali : e non è raro di ritrovare in questa classe di gas nocivi il gas ammoniacale, o solo, o com- binato coH'acido carbonico che ne accresce la ma- lignità. La seconda causa è la poca profondità del mare lungo tutta la costa, la bassa situazione della me- desima, e gli ammassi di alga che vi si putrefanno. Avviene che le alghe gettate sulle spiagge infiltrate dì acqua marina, e bagnate dalle acque dolci per pioggia, o per rigurgito de'fiumi e de'torrenti, su- biscono una puti-efazione nociva e ferace di aria malsana. La terza causa sono i venti australi del sud-ovest 342 o libeccio , e tutti gli intermediari. Questa causa però si considera meno come l'etììciente , ed ecci- tante l'aria malsana per se stessa, di quello che come causa ausiliare delle due prime: perchè la posizione dell'agro romano è tale, che i venti australi vi spin- gono gli effluvi maligni delle paludi pontine, lauren- tine, ardeatine, ed ostiensi, il libeccio poi l'intiera spiaggia. Non solo i venti australi influiscono alla ma- lignità dell'aria dell'agro romano come propagatori dei miasmi paludosi , ma benanche vi cooperano come meteora umida e calda , che aumenta la pu- trefazione dei fanghi delle paludi, e delle sostanze organiche che vi si macerano, sfibra tutti gli ani- mali, in ispecie l'uomo, abbattendo le forze nervose, e sospende la traspirazione: d'onde nascono il torpore, la prostrazione delle forze, ed il senso di peso che i venti australi generano anche nei luoghi esenti dal flagello dell'aria malsana. I venti australi e lo scirocco contribuiscono alla malsania dell'aria del nostro agro. Secondo l'es- perienze di Del ve e Sausure l'azione dei venti aus- trali esercita incessantemente sull'acqua un'affinità, la quale segue la ragione della temperatura e della densità dell'aria medesima. L'acqua esiste nel- l'aria in due stati differenti, in quello di gas invi- sibile , e neir altro di vapore sensibile. Nel primo stato r acqua si trova disciolta nell' aria , quando questa, o per la sua temperatura o per la sua den- sità, non è interamente saturata d' acqua: quando poi l'acqua apparisce nel secondo stato, allora è in^ dizio che l'aria si é soprassaturata, e l' abbandona 343 non potendola tener discìolta. Questo vapore forma al- lora le nebbie, le nuvole, e per l'abbandono del calorico anche le piogge. È finalmente da notarsi che i gas nocivi, i quali si sprigionano dalle paludi e dall'intera spiaggia, sono più o meno tutti solubili nell'acqua, anche nel vapore acqueo. Quando spirano i venti australi e lo scirocco, deve accadere che le masse di aria calda, che questi venti ci spingono dalla zona torrida dopo aver traversato il Mediterraneo, ed i tratti paludosi che percorrono, siano saturate di umidità : venendo a mescolarsi colle colonne d'aria che ci sovrastano, debbe il calorico comu- nicarsi dalle prime alle seconde, e precipitarsi quindi una porzione dell'acqua, che si trovava disciolta in ambedue: il che produrrà una nebbia, o una pioggia carica di miasmi paludosi-marini che eserciterà una perniciosa influenza sopra tutti coloro che vi si tro- vano esposti. Il calore dello scirocco e dei venti australi è tale, che non ostante la piena loro satu- razione di gas acqueo marino e paludoso rimanga pure tal quantità di calorico libero, da ritenere in soluzione tutto il gas acqueo che ambedue tenevano disciolto : ed in questo caso si aumenta il calore dell'atmosfera, senza che ne seguano umidità, neb- bie, 0 piogge, che la rendano soffocante a guisa di vampa , finché altri venti non vengano a rinfre- scarla. La quarta ed ultima causa della m.alsania del- l'agro romano è nell'intemperie del suo cielo: giac- ché non é raro di vedere nello stesso giorno dei rapidi cambiamenti nell'atmosfera, e si passa dalla 344 serenità alla pioggia , dal freddo al caldo, e vice- versa. L' elettricità che accompagna i vapori di due regioni diarmetralmente opposte fra loro, una de- pressa, piana, calda, ed umida, l'altra montuosa, secca, e fredda , ed il passaggio di questi in varie meteore acquee, rendono ragione della mutabilità del cielo romano. L'A. rende più chiara la teoria così convincente con esporre: 1 ." per qual motivo l'influenza dell'aria malsana si risente dal solstizio fino all' equinozio autunnale, o sinché le piogge autunnali siano state abbondanti? e 2.° d'onde nasce che gli effetti del- l' aria malsana siano più micidiali di notte che di giorno, durante il sonno, piuttostochè nella veglia? Al primo risponde, allegando la necessità de'calori estivi per la produzione dei gas, che rendono mal- sana l'aria combinandosi col vapore acqueo, e scio- gliendosi con esso nell'atmosfera. Il freddo dell'in- verno, e le piogge dirotte di questa stagione, non sono favorevoli alla generazione ed allo sviluppo dei gas paludosi. Quanto poi al secondo, deriva dai pnncipii già enunciati applicati al riscaldamento in- eguale degli strati d'aria sopra i luoghi infetti. La disposizione sinuosa de'colli, la sua esposizione aperta verso il mezzo giorno, e la sua depressione, dimos- trano ad evidenza che gli strati più bassi dell'aria, perchè più densi, e colpiti per tutta la lunghezza dei giorni estivi dai raggi cocenti del sole, non solo diretti, ma anche riflessi, debbono concepire un gra- do di calore molto maggiore degli strati incom- benti a quell'altezza, in cui tutte le accennate cause 345 cessano di agire. Gli strati inferiori più caldi al con- tatto dei luoghi paludosi debbono sciogliere pili co- piosamente il gas acqueo infetto dei miasmi pa- ludosi, e tenerlo in soluzione : finché cessando col giorno l'azione del sole, e precipitandosi gli strati superiori più freddi dell' atmosfera a sottrarre del calorico oi più ha: si e più riscaldati, il gas palu- doso colla brina della sera , colla nebbia notturna e colla rugida mattutina deve ricadere sul suolo, e così più concentrato introdursi nei corpi dell'uomo che vi si espone. Oltre queste ragioni della mag- giore azione de' miasmi paludosi di notte , che di giorno, ve ne sono delle particolari che rendono più atti a riceverla i corpi umani durante il sonno che nella veglia. Ora l'A. farà la spiegazione di questo fenomeno. ART. SECONDO. Delle malattie prodotte daWaria malsana delV agro romano. L'illustre prof, sostiene, non esser improbabile che un gran numero d' insetti microscopici viventi nell'atmosfera delle pi\ludi, introdotti nello stomaco, e forse nel sangue de'polmoni, come era d'opinione Lancisi , quantunque tal causa possa contarsi per poco, o per molto, aver parte nella produzione del- le malattie endemiche dell' agro romano : è certo però che la permanenza de' gas nocivi per mezzo del gas acqueo nell' aria è la primaria cagione di queste malattie. 346 Tre sono le strade, per le quali i miasmi pa- ludiosi s'introducono nella macchina umana, e per questa passano a disorganizzare la economia della medesima, il polmone cioè , lo stomaco, ed il sis- tema assorbente cutaneo. Fra queste vie , quella del polmone è la meno accessibile ai miasmi palu- dosi : perchè si osserva, che molti coprendosi il corpo di vesti di lana, e coll'espulsione di tutta la saliva separata durante la dimora nei luoghi di aria melsana, si sono preservati dai funesti effetti della medesima. Si sa che il polmone non è mai attaccato nelle malattie prodotte dai miasmi palu- dosi: che la funzione polmonale consiste unicamente nella decomposizione dell' aria vitale contenuta in quella atmosferica: ed infine che l'aria delle paludi non manca della dovuta proporzione di quest' aria vitale, com'è dimostrato da tutte le esperienze eu- diometriche. Le vie alimentari e lo stomaco sono la strada regia, per la quale i miasmi paludosi entrano a di- sorganizzare la macchina umana. Oltre l'osservazione addotta dell'espulsione della saliva , un' altra se ne può addurre più comune e vera; ed è, che anche allor quando gli effetti mor- bosi de'miasmi delle paludi hanno incominciato ad esercitare i loro effetti deleteri sopra la macchina umana , 1' uso degli emetici ripristina prontamente tutte le funzioni, e tronca il corso ad ogni loro al- terazione : locchè non potrebbe avvenire se tutto , o parte dell' introdotto veleno non fosse cacciato per l'azione dell'emetico. Si aggiunge a questo che l'inappetenza, la nau- 347 sea, il senso di un sapor putrido in bocca, la luri- dezza della lingua, Timpaniamento de'denti, e tutt'i segni dello sconcerto delle funzioni dello stomaco sono i primi effetti dell'azione dell'aria malsana. L'organo cutaneo finalmente è l'altro ammini- colo che riceve il veleno dalle paludi. I vasi linfa- tici che tapezzano quest'organo in tutta la sua su- perficie, e che adempiono alla funzione dell'inala- zione, presentano ai miasmi paludosi un campo va- stissimo d'introdursi nella circolazione, e di portare in tutti gli organi ed in tutte le funzioni l'altera- zione e lo sconcerto. Prova ne sia nella febbre perniciosa e maligna, negli edemi repentini ed uni- versali che contraggono quegli infelici, che per mi- seria sono constretti a dormir nudi o mal coperti nei luoghi di aria malsana. Per questa strada ri- cevono i miasmi delle febbri intermittenti coloro , che intolleranti dei caldi estivi, amano di andar leg- germente vestiti, e di prender l'aria fresca della sera col capo e petto scoperto. Per qualunque di queste strade siensi introdotti nella macchina i miasmi paludosi, i loro primi e piiì marcati effetti sono una propensione invincibile al sonno, un senso di stanchezza, una prostrazione ge- nerale delle forze fisiche, in fine ottusità grande delle facoltà intellettuali. Il colore prende una tinta giallastra, specialmente nell'albugineo dell'occhio. Il ventre diviene stitico, la pelle arida , si soffre spesso e ad intervalli un senso di biivido doloroso, e dei dolori vaghi nelle braccia e nei femori. Finalmente scoppia la febbre, che appartiene alla classe delle intermittenti, o re- 348 mittenti, ma con un caiatterc maligno e nervoso, quando l'azione de'miasmi è stata forte , e lunga- mente continuata. E dimostrato che l'aria delle paludi agisce sop- primendo , 0 in tutto, o in paite, la traspirazione polmonare, e l'eliminazione dell'idrogeno carbona- to dal polmone. Quantunque non sia ancora dimo- strato che la traspirazione cutanea sia dello stesso genere della traspirazione polmonare, è certo però che in gran parte è formata anch'essa d'acqua , e che perciò dev'essere soppressa o diminuita dall'aria delle paludi, che già è saturata di quella quantità d'a- cqua che può disciogliere. In secondo luogo s'in- troduce nel corpo per le vie alimentari , e per i vasi assorbenti della cute il miasma delle paludi consistente in varie specie di gas inespirabili , che sono combinazioni d'idrogeno coll'azoto, carbonio, zolfo, fosforo, tanto in combinazioni binarie e ter- narie fra loro, quanto in istato di ossidi ed acidi per la loro unione coll'ossigeno. I primi segni del- l'attacco di questi miasmi si manifestano colla di- minuzione delle forze fìsiche ed intellettuali, e col- l'indebolimento nelle funzioni dello stomaco e del fegato, e da ciò è chiaro che l'eccesso dell'idrogeno e del carbonio nel sangue deprime la forza ner- vosa e muscolare, dalle quali dipende l'esercizio di tutte le funzioni del corpo. Il professore prescrive due indicazioni per la cura delle febbri prodotte da miasmi paludosi; sono J'eliminazione de' miasmi , e l'erezione della forza nervosa e muscolare. Alla prima indicazione soddisfa la natura con i sudori e con le orine critiche nel 349 fine di ciascun parosisrno : consiglia l' uso degli emetici , i quali hanno il vantaggio di eliminare i miasmi , che ancora non oltrepassarono le vie ali- mentari, e l'altro non men considerabile di promuo- vere tutte le escrezioni, in ispecie quella del sudore. La seconda indicazione si adempie coll'uso de'tonici stimolanti ed eccitanti di ogni sorta, fra i quali pri- meggia la corteccia di alberi appartenenti al genere ciachona di Linneo. L'azione di questo farmaco è pron- ta ed energica, e dà a credere, che oltre all'innal- zamento delle forze nervosa e muscolare , eserciti ancora un'azione decomponente sopra i miasmi delle paludi. L'idea del carattere delle febbri (prosegue M») non esclude le modificazioni ch'esso può ricevere dal temperamento particolare dei soggetti che incor- rono in queste malattìe , dal modo di agire degli stessi miasmi, non che dalla loro maggiore o mi- nore malignità. L'A. confessa di non conoscere una ragione a- perta, per cui i miasmi paludosi diano alle febbri il tipo dell'intermittenza , riconoscibile in mezzo a tutte le complicazioni che risultano dalla moltipli- cità di altre cause, che abbiano seguito prima, dopo, 0 contemporaneamente ai miasmi paludosi. L'A. è di opinione co' più distinti pratici, che in que' casi ne' quali i miasmi paludosi sembrano produrre delle febbri continue accompagnate da ac- cessioni più 0 meno oscure e frequenti , avviene sempre che la febbre intermittente, effetto del mia- sma paludoso, sia modificata, o per l'allungamento de'suoi parosismi prodotto da una diatesi infiamma- 350 toria, da saburra gastrica, o per complicazioue con un sinoco putrido, o in fine con una lenta nervosa; d'onde avviene che tolte le cause della prima ano- malia, o nel secondo caso cessata, in rigore di op- portuna cura, la febbre continua di qualunque ca- rattere essa fosse, rimane poi l'intermittente, nuda e semplice, curabile colla china-china. Alle ragioni prese dalla qualità de'sintomi per comprovare quell'azione deprimente dei miasmi pa- ludosi , si può aggiungere quella della natura dei rimedi atti a togliere siffatte febbri. I tonici ed i stimolanti di ogni genere, e la corteccia di china- china, servono e sono i mezzi curativi delle febbri di tal genere. Non però bisogna affidare alla china la cura di tutti i sintomi, e di tutti gli effetti di queste ma* lattie: giacché non basta distruggere il miasma ge- neratore delle medesime, ma bisogna correggere i vizi dei liquidi e dei solidi , che o preesistevano , o sono stati prodotti da azione di questo miasma. Le cachessie, le idropisie, le itterizie, le ostruzioni prodotte da lunghe ed ostinate intermittenti som- ministrano un esempio di ciò che si può sperare coll'uso della china. È dunque provato dall'A. che quanto è vero, che le febbri prodotte dai miasmi paludosi appartengono sempre alla classe delle intermittenti, altrettanto è falsa l'opposta opinione che le febbri intermittenti siano cagionate dai miasmi paludosi. (Sarà continualo.) B. Chimens. 351 LA CHIESA ORIENTALE. Esposizione storica della sua separazione e della sua riunione con quella di Roma. Accordo perpetuo di queste due chiese nei dommi di fede. Continuazione di loro unione. Apostasia del clero di Costantino- poli dalla chiesa di jRoma, e sua violazione delle costituzioni della chiesa orientale, e vessazioni su i cristiani del loro rito. Soli mezzi possibili per ristabilire T ordine nella chiesa orientale, e venire così air unione e restaurazione sociale di tutti i cristiani. Parte 1 dell'opera del signor Giacomo G. Pitzipios, fondatore della società cristiana orien- tale. Roma pei tipi di Propaganda Fide 1855. r a maraviglia che mentre in Germania e in Fran- cia è stata annunziata al pubblico , su vari gior- nali , la prima parte della dottissima e bellissima opera sulla chiesa orientale scritta dal signor Gia- como Pitzipios, fondatore della società orientale; e ciò molto prima che venisse pubblicata in Roma pei tipi di Propaganda; in Italia poi nessuno dei suoi fogli dica due parole accurate sopra un volume così dotto uscito alla luce già da pili giorni. Questa pri- ma parte è tanto interessante, che non merita es- sere descritta così superficialmente, come ha fatto il Cattolico giornale di Genova; il quale all'annunzio della pubblicazione di quest'opera dice solo ch'essa deve certo svegliare in Costantinopoli molte e in- 352 ti'icate quistioni. Noi speriamo in tutta T Europa civile, ma con ingenuità e lealtà di animo: perchè certamente non v'ha dubbio che dalla riconciliazione di queste due chiese non abbia a derivare nel mon- do intero la pace e concordia dei cuori e delle menti con la caduta delle eresie oramai decrepite, che germogliarono dallo scisma d'oriente; e, rido- nata al vescovo di Roma la suprema egemonia pa- cifica sul mondo , dover nascere pei nostri nepoti un' era novella nella letteratura, nelle scienze, e in tutto quello che compone la vita intellettuale e ci- vile dell'uom.o. La quale concordia a nessun popolo dev'essere tanto a cuor quanto all'italiano, perchè italiani erano quei vescovi che primi di tutti gli oc- cidentali con la parola predicarono e sostennero, e col dritto sancirono la concoruia e l'unione delle due chiese nel gran concilio fiorenlino del 1439, ed ita- liano Eugenio papa IV che chiamò e presiedè quel concilio di gloriosa memoria. Figlie di questo concilio furono le lettere e le scienze italiane nel secolo XV le quali toccarono il loro colmo, gittando lampi di vivissima luce non solo sull'Italia ma su tutta l'Europa, perchè il sole che in quel secolo le riscaldò e fece crescere era il sole della Grecia, dalle cui ruine fuggendo nel 1453 pochi dottissimi greci ricovrati in Italia, loro seconda patria dopo la Grecia; accesero la face delle scienze e delle lettere all'ombra del nascente trono medi- ceo: a quella guisa medesima che la Grecia, con- quistata dai romani 163 anni avanti l'era volgare, donò loro le scienze e l'eloquenza. Oh ! voglia Dio nella sua infinita bontà e misericordia, dopo tante 353 miserie di tempi infelicissimi per calamità d' ogni sorta, far risplendere una terza volta e con mag- gior lume la vivezza del sole greco e latino, prima sull'Italia , e poi sull'Europa intera e sul inondo ! Voglia Dio che queste belle speranze, risvegliate nel nostro cuore nel leggere l'opera del signor Giacomo Pitzipios, tocchino la desiderata meta ! Monsignore Andrea De La Ville. Collezione di leggende inedite. Voi. 1. Bologìia 1855. N I on è chi ignori quanto l'italiana letteratura sia debitrice al dotto Francesco Zambrini per gli ele- ganti suoi scritti e per le molte cose inedite o rare da lui messe alla luce , e non gli sappia grado di tante cure ed amore posto in servigio della nostra (fejlcissima favella. Niuno adunque piglierà maravi- glia ch'egli vada continuando i suoi diletti studi, e del frutto copioso di essi ne porga largo nutrimen- to, ma sì bene piiì profonda ne sentirà nell'animo la riconoscenza. Di cosiffatti studi è nobile prodot- to la collezione, che ho di sopra annunciata : della quale, non bastandomi il tempo, dirò ora solamen- te poche parole senza por qui il desiderio di poter- ne più lungamente parlare, allorquando sarà uscito alla luce anche il secondo volume. Da' codici ma- gliabechiani e da un codice riccardiano sono tratte le quitttordici leggende che formano il primo volu- me di sedici fogli insieme colle brevi note filologi-^ che dello Zambrini, col dottissimo discorso prelimi- nare dell'esimio sig. Bastia, e colle sue osservazioni G.A.T.CXXXVll 23 354 che tengono dietro ad ogni leggenda, e la parte i- stoi'ica con molta erudizione chiariscono e rettifica- no. Corretta ne è la stampa ( né poteva essere al- trimenti avendovi pure posta mano il valente biblio- grafo sig. Giansante Varrini ); la quale cosa reputo di somma rilevanza in opere, che vengono stampa- te principalmente ad aiuto e pascolo degli studiosi dell' idioma. Ed a ciò in ispezialità mirando il sig. Zambrini, io credo siasi consigliato di non rammo- dernare l'ortografia , e di tenersi lontano da quei raffazzonamenti, che il piìi delle volte, quando non venga in soccorso il riscontro di codici, nel volere schiarire il concetto dell'autore , ne trasfigurano la semplice ed originale indole. Intorno a che parmi ben a ragione osservasse il candido ed elegante Co- lombo nella sua lettera ad Angelo Sicca, che il cor- reggere di fantasìa e per congettura è cosa di trop- po pericolo , e non di rado allontana più che mai il testo dalla sua primitiva lezione. Ma di questo altra volta favellerò , se mi fia dato di tornare so- pra queste leggende, le quali scritte nei tempi fe- licissimi della volgare loquela menano tant'oro, quan- tunque non tutte sieno del medesimo pregio. Fra l'altre a mio avviso quali perle splendidissime riful- gono la leggenda di Sant'Orsola , la vita di Olisa , ed in grande parte la leggenda di S. Giovanni apo- stolo ed evangelista , dalla quale a saggio io cavo fuori questo semplicissimo, ma veramente aureo rac- conto. « x\vea il beato Giovanni una istarna viva, e « tenendola alcuna volta in mano, e lasciandola, e « facendone festa, uno giovane, ch'andava uccellan- « do, se ne fece grande beffe, e disse a' suoi coni- 355 « pagni: Vedi quel vecchio rimbambito che si tra- <( stulla colla istarna viva ! Allora santo Giovanni io « chiamò, e disse: 0 figliuolo mio, tendi l'arco che « tu porti. E quegli lo tese, e poi lo stese. Disse « santo Giovanni: Perchè l'ai isteso ? Disse lo gio- « vane: Perch'egli istando troppo teso si guastereb- « be e diventerebbe troppo leno. Allora santo Gio- u vanni gli disse: Or dunque perchè ripigli me s' io « alcuna volta mi trastullo con questa criatura di « Dio ? S' io stessi in continova orazione, io diven- « terei leno come il tuo arco: e per potervi mf'.glio « istare, doe un poco di tempo a godermi con que- « sto uccello di Dio. » Quanta freschezza e grazia spira da queste parole ! Deh invoglino esse moltis- simi a leggere e cercare il volume, donde le ho tratte ! Enrico Sassoli 356 Sul senso d'una rappresentazione mitologica in un pezzo della collezione di Canino. A SUA ALTEZZA IL PRINCIPE LUIGI LUCIANO BONAPARTE. Ha più di dieci anni da che osservando io presso l'Altezza Vostra in Firenze le varie rappresentazio- ni deVasi di Canino, mi avvenni ad una che parvemi dar ragione del perchè Virgilio [Aen. vii v. 178-79) assegnasse al pater Sabinus la qualifica di vitisatov: e così andava lieto di avere indovinata io queil'an- tica erudizione, di cui il perspicace Heyne suppone- va che Virgilio avesse dovuto giovarsi per far uso di quell'aggiunto. Allora per nnezzo di questo stes- so Giornale Arcadico esposi all'Altezza Vostra i mo- tivi dell'una e dell'altra cosa, come parve a me di saperli. Ma oggi mi conviene mutare affatto discor^^ so, e dichiarare che non il padre Sabino, ma sì ve- ramente Bacco forma il soggetto di quella rappre- sentazione. Nella Mylhologia Natalis Comitis [v. Bac- chus) trovasi per disteso la storia analoga, con que- sta citazione di Omero in un inno che gli si at- tribuisce: xaTaxpj/jLViyyTo §j noXlcc BorpBg cifX'f f^w §£ [j-ìXacg tCkiaatiQ yuQoòq Hinc illic velo in summo concernitnr alte Vinea, quae widtos [udii frondosa racemos Pendentes. [Nat. Coni, ibi), 357 Ma ascolliamo dal eh. cav. Salvatore Betti prof di mitologia e storia nella pontificia accademia ro- mana di S. Luca la narrazione del fatto con quella sua eleganza di modi che è tutta acconcia ad innamorare la gioventù della coltura d'ogni bell'arte. « Abbiamo « (egli dice) in un inno attribuito ad Omero un grazio^ « so fatto della prima giovinezza di Bacco. Giacevasì « egli addormentato sul lido del mare nell' isola di « Nasso, una delle Cicladi: ed ecco all'imorovviso e- « scir di nave una banda di tirreni che andavano « corseggiando per quelle marine. Veduta costoro « la divina bellezza del giovinettoje delicate sue chio- « me che l'aura mollemente agitava, ed il purpureo « manto che ornavagli la persona, s'avvisarono eh' « egh fosse il figliuolo di alcun re, pel cui riscatto « il padre avrebbe pagato loro un gran prezzo Per- « CIO lo presero, e allegri della ricca preda lo col- « locarono sulla nave, stringendogli villanamente con « vimini i piedi e le mani. Ma , cosa prodigio- « sa a narrarsi ! niun legame fu sì forte a tenerlo; « ed 1 vimini da se stessi scioglievansj e cadeva- « no dalle mani e dai pie del nume. Allora il noe- « chiero Medete gridò: (cOh che abbiamo noi fatto, « 0 compagni ! Questi è certo un iddio ! E-li è for- « se Giove, ovvero Apollo, o Nettuno, o ''alcun al- « tro de'più potenti.'Su via, diamo de'remi indietro, « e ripongasi ,1 bel garzone sul lido, d'onde ardi- « tamente l'abbiamo tolto. «Così Medete: ma d' un « mal guardo rimirollo il capitan della nave, e mi- « nacciando gì' impose di seguir oltre a correre il « mare finché approdasse o in Cipro o in Egitto. Nuo- « vi prodigi intanto accadevano: che un vino a bersi 358 « soavissimo innominciò a gorgogliar per la nave; u una verde vite si distese su per l'albero della ve- « la, e mise pampini e grappoli: ed esso albero e (t il timone ed i remi coronaronsi d'edera e d'ogni «. beltà di fiori. Nò tanto bastò: ma poco stante git- « tossi sulla nave un leone, che sbranato il capita- u no, e tratti a spavento quanti v' erano marinai , (( tutti li sospìnse a traboccarsi in mare, dove il « nume trasmutolli in delfìni. Medete però non solo (( fu salvo, ma avendogli palesato Bacco com' egli « era un iddio, lo fé' ricco e felice. - Così nell'in- « no attribuito ad Omero, poesia certo antichissi- (( ma, narrasi quest'avventura : dal quale inno dis- (( cordano in poche cose Ovidio nel terzo delle Tra- « sformazioni, Seneca nel coro dell'atto secondo dell' « Edipo, e Nonno nel decimoquarto dei Dionisiaci. « Senonchè in Apollodoro, in Igino (che neWAstro- « nomico Poetico reca l'autorità di Aglaostene) e nel tt primo de' mìtografì pubblicati dal cardinal Mai « ( num. 122), ò raccontata alquanto diversamente; « ed anche in Filostrato, il quale nel secondo delle « Immagini (num. 19) dice che i tirreni colla loro « nave insidiavano la sacra ove Bacco era condot- « to insieme co' suoi seguaci: e che il nume, em- « piendoli subito del suo furore, li trasse a precipi- « tarsi in mare, e mutolli in delfini. Può vedersi (( uno di questi tirreni, nell' atto stesso che fra le « onde marine trasmutasi in pesce , rappresentato « in un greco bassorilievo datoci prima dallo Stuart, « poi dal Millin nella Galleria Mitologica tomo I (( tav. 50 num. 236.» Que'delfìni intorno alla nave, che io prendeva per segnale di luogo prossimo a porto , e che riscon- 359 trans! in quasi tutte le medaglie di città marittime, sono dunque altrettanti corsari in metamorfosi, irri- verenti verso il dio del vino. Auguro all'Altezza Vostra tanto agio, quanto le è necessario, per condurre a termine V incominciato colossale lavoro VOGABULARIUM Omnium Lingua- rum Europearum (*) con tanta gloria, quanta le vie- (*) Se ciò che questo benemerito principe ha intrapreso di fare sulle lingue d'Europa, fosse fatto dal giudizio e dalla pazienza di qualche dotto sulle antiche lingue di cui restano, o vanno scopren- dosi monumenti, quella che si chiama filosofii delle lingue ( su cui P. Giordani promise indarno un lavoro) potrebbe avvantaggiarsene d'assai : e certamente poi 1' erudizione linguistica ne salirebbe a grande incremento. Vi sono degli elementi radicali, come ale, ar- ni , usa , enna ec. , che ponderati e raffrontati tra loro servireb- bero a spargere qualche lume sull'indole delle lingue sorelle , ma non per tanto disparate , chi sa di quanto tratto di paese. Io mi fermai una fiata a considerare il desinente enna. E prima avendo richiesto un siciliano, se quell'fi'nna, celebrata per le ricerche che ivi fece Cerere della rapita Proserpina, fosse io pianura o in colle: in colle, esso mi rispose : e m'aggiunse che anche oggidJ un pio rito sembra ivi ricordare le tiaccole di Cerere, e cose altre de'suoi misteri. Allora io corsi colla mente a'nomi geografici Tabenna, Mo~ rienna, Ardenna ec, ma sopra tutto mi fermai a quello di Raven- na, e all'altro della non lontana Cesena, sognando che qualche na- vigante siculo o d'altra origine, veduto dal mare il colle che cuo- pre Cesena , lo trovasse di color cesio, e però desse al luogo il nome di Caesia-enna. E così guardando Ravenna più al ponente , colla massa de'suoi pineti, la vedesse del colore ravus, e quindi la chiamasse Rava-enna Nella descrizione poi che Ticone Brahe fa del suo IJraniburgo trovai, che egli lo ebbe fondato in \nsula Ve- nusta, vulgo HUENNA dieta: ed aggiunge il medesimo Ticone: Est- que insula per se admodum alta. Argomentava dunque che questo elemento di enna fosse proprio a significare montuosità , e moves- se da lingua settentrionale. Tanto a mo' d'esempio, e sempre in ma- niera affatto dubitativa: ma con intendimento di aguzzare gli studi di que'curiosi che vanno ficcando gli occhi nelle nebbie de' tempi che furono, per trovarne ragioni e analogìe di parlari. 360 ne dagli studi della chimica ; per riunire in se due corone, che hanno una ragion comune di meriti nel metodo analitico , in cui Vostra Altezza può dirsi veramente una potenza. Roma, Vaticano, 5 maggio 1855. Affmo Servitore Obbmo Luigi Crisostomo Ferrucci Opere teatrali del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli. Bologna, società tipografica bolognese e ditta Sassi , 1855. Volumi 2 [per ora). illustre autore ha in questi due primi volumetti riunito nove favole teatrali, alle quali altre promette aggiugnere quando che sia ; e sono i titoli delle stampate sia qui - V Espiazione - Stravaganza, e ras- segnazione. - Povertà ed orgoglio - Elisabetta Sirani - Nessuno dei due (nel 1.° volumetto).- Insidia e di- sperazione - Ines de Castro - La rassegnazione ma- terna - Il mazzo di carte (nel secondo). Furono sot- toposte ( credo ) tutte alla difficile prova della pubblica recitazione, e, nel generale non hanno a lagnarsi di men che felice successo: commedie , o drammi in tre, quattro , e cinque atti , che a me paion meritare 1' onore d' un più prolisso esame , nel quale mi studierò d'entrare a miglior agio. Per fermo , senza qui dar luogo a qualche discreta e timida eccezione, e senza entrare in particolari ed in minuzie, il dettato è buono , V economia intera della favola è savia e regolare, la curiosità dell'udi- 361 tore tenuto sino alla fine in sospeso. V è movi- mento d' affetti solenni. V è opportuna vivacità. Cosicché si vede anche a un primo e superficiale esame che lo scrittore è di buona scuola, e merita d' esser computato con i migliori , ì quali in Ita- lia oggi ci vivono. Seguiti il nobilissimo dramma- turgo. Prenda coraggio dagli applausi del pubblico. Non curi qualche voce malevola che qua e là sorga rara. Guadagni esperienza sempre maggiore della scena. Si consigli co'dotti un poco, e col buon senso della platea molto : né dubiti che tra i seguaci di Talia manterrà seggio convenientemente pregiato. Francesco Orioli. 362 VARIETÀ' Ellogium Angeli Mai S. R. E. cardinalis. 4". Bono- niae ad signum anchorae a. 1855. Monsignor Arcangelo Gamberini fiorisce d'assai bella fama in Italia quanto a latina epigrafia: e ci è carissimo eh' egli abbia usato il suo tanto valore nel tesser le lodi di quell' Angelo Mai , che fu in questo secolo un vanto altissimo delle nazione, ed uno dei più splendidi ornamenti della romana por- pora. Il presente elogio per dignità ed eleganza di dettato è veiamente degno sì del lodato e sì del lodatore : e rende anch' esso testimonianza come la patria nostra è sempre la vera sede della pura e nobile latinità. Infatti non possiamo , noi am- maestrati alle grandi scuole del Morcelli , dello Schiassi e del Boucheron , non nauseare tanti e barbarismi e neologismi, che in certo preteso lati- no ci si sfoggiano di la da' monti: soprattutto da' francesi , i quali ( già è ben noto ) tutto fanno e sanno Con piacer sommo abbiamo poi veduto essersi dato il titolo di questo elogio ad un porporato, che fu de'preclarissimi amici del Mai, a cui anche suc- cedette meritamente nella prefettura della sacra con- gregazione dell'indice. Intendiamo parlare dell'emi- nentissimo Girolamo d' Andrea , il quale non sap- piamo qual sia più fra dotto e cortese: certo a lui principalmente si volgono, come ad amorevolissimo 363 mecenate , quanti sono in Roma cultori delle let- tere e delle arti. Ellogium Ioannis Rosimi pergamena charta inscriptum, tuboque vitreo inclusum , et lepositiim ad corpus qiiod Pisis in coemeterio urbano rite conditum est sub noclem dici XVJ kal. iun. a. MDCCCLV, ma- xima civium omnium ordinum honoris pietatisque ergo adstante frequentia. k° Pisis et officina ni- striana an. 1855. Ecco ricordo di altra gran perdita fatta or ora dalla letteratura italiana: perciocché il cav. Giovan- ni Rosini fiorì fra'primi a'nostri anni e come ora- tore, e come poeta, e come filologo: ed insieme co- me intendentissimo storico della pittura. E , quel ch'è più, non ebbe forse l'Italia propugnatore più caldo dell'unica scuola, che l'ha fatta si famosa fra le nazioni, cioè della classica. Quest'elogio latino si deve al valentissimo, che tutti unanimemente salutano pel maggior epigrafista vivente, cioè al prof. Michele Ferrucci: e noi non sappiamo se alcuno de'più celebrati maestri antichi potesse far cosa più nobile ed elegante. Né altro diremo : bastando ad ogni gran lode il solo nome di Michele Ferrucci. Il Rosini era nato a Liciano, in quel d'Arezzo, il 24 di giugno 1776 : insegnò letteratura italiana nell'università di Pisa fin dal 1804: spirò nel ba- cio del Signore il 16 di maggio del presente an- no 1855. 364 Nuova centuria di correzioni al Convito di Dante Al- li(jhieri. Omaggio per il felice ritorno del giorno natalizio del piii illustre e più profondo fra i cul- tori di Dante S. M. il re Giovanni di Sassonia. 4." Lipsia T. 0. Weigel 1854. {Sonopag. 48.) È lavoro di singoiar giudizio e pratica nelle cose di Dante: ne fa meraviglia, considerando ch'è del prof. Carlo Witte , accademico corrispondente della crusca, di cui non è oltremonti né il più cal- do amatore, né il più dotto illustratore delle opere dantesche. Di che godiamo poter qui rendere al- l'uomo sì benemerito ed illustre le debite lodi. Cer- to sono dal Witte restituiti nel Convito molti passi alla vera loro lezione: e benché non in tutti pos- siamo pienamente convenire con lui (com'egli deve aver più saputo per una nostra lettera), non perciò vogliono diminuire né la nostra grande stima verso di lui, né le somme obbligazioni che gli professerà sempre l'Italia. // libro deW Ecclesiaste, volgarizzamento del buon seco- lo della lingua , ora per la prima volta pubblica- to dal P, Francesco Frediani M. 0. - 8. Napoli^ dalla stamperia del Vaglio 1854. (Un voi. di pag. 114.) È un altro gioiello dell'aurea lingua del nostro trecento: e, quel che più vale, il solo che ci rechi volgarizzato il divino Ecclesiaste. Non vuoisi poi dire con qual diligenza e perizia sia 365 pubblicato , e con qual'ottima correzione tipogra- fica. E ne sia lode all'esimio P. Frediani , già sì noto per altri insigni lavori, oltreché scrittore de' più puri e gentili che ci fioriscono. La prefazione è cosa del tutto degna di quel maestro ch'egli è. Daremo qui un piccol saggio del volgarizzamento. CAPO YIII. » 1 . La sapienzia dell' uomo sì gli traluce nel » volto; ma il potentissimo gli farà cambiare » la faccia. » 2. Io guardo e veggo la bocca del re, e' co- » mandamenti de'giuramenti di Dio. » 3. Non t'affrettare di partirti da la faccia sua, » e non perseverare ne le ree opere: imperciò che » Dio farà quello ch'egli si piacerae. » 4. Però che le parole sue son piene di grande » podestade: or chi è quegli che gli ardisca di dire: )) Perchè fa'tu così ? » 5. Chi adempie il comandamento suo non » proverae nessuna cosa di male. Il cuor savio s'av' » vede bene come si dee rispondere et in qual » tempo. » 6. Ogni vicenda ae il suo tempo e la sua » stagione: ma molta è l'angoscia e l'afflizione dc' » gli uomini. )) 7. Imperciò che non sanno le cose che son » passate a dietro, e quelle che debbor (1) venire » per nullo messaggio il posson dapcre. )> (1) Così in vecedi debbonlìa scritto spesso non so se il tradut- tore o il copista. Nota del G. A. 366 Di un sepolcreto etrusco scoperto presso Bologna, de- scrizione del conte Giovanni Gozzadini. 4. Bologna società tipografica bolognese e ditta Sassi 1854. (Un voi. di pag. 51 con 8 litografie.) Speriamo dì poter a lungo parlare di questo prezioso scoprimento, e della dotta illustrazione del Gozzadini, nel venturo tomo del nostro giornale. Description du musée lapidaire de la ville de Lyon. Èpigraphie antique du département du Rhone , par le doct. A. Comarmond conservateur des musées archéologiques de la ville de Lyon ec. 4. Lyon, im- primerie de F. Dumoulinlibraire, 1846 - 1854. (Un voi. di pag. LXXIl e 512 con 19 tavole in rame.) È opera di non lieve importanza all'archeologia tanto sacra, quanto profana, per molti monumenti inediti che vi sono e recati e illustrati , non solo della città di Lione, ma di tutto il dipartimento del Rodano. Ne abbiamo veduto in Roma un esemplare nella libreria della pontificia accademia di san Luca. Leggi sui maestri comacini promulgate dal re Liut- prandoy con altri documenti tratti dal quarto vo- lume del codice longobardo di Carlo Troya. - 8. Napoli dalla stamperia reale 1854. (Un voi. di pag. 79.) I maestri comacini erano un collegio d'archi- tetti, 0 d'operai di costruzioni murarie, nel nostro 367 regno longobai-do. Da che sia derivato il loro nome, è questione fra gli eruditi. Parve a Scipione Vol- picella, che provenisse da macina o machina: e che perciò la parola comacini sia un compendio delle due voci collegae - macinae. Ed anche il celebre conte Troya concorda in siffatto parere: egli che nella preziosa operetta, che qui annunziamo, illustra non solo il famoso Memoratorio del re Liutprando de mercedes commacinorum, ma tutte le cose spettanti all'architettura longobarda, colla dottrina degna di chi dopo il Muratori vuoisi reputare il maggior mae- stro ch'abbia avuto l'Italia nelle antichità del me- dio evo. Sui dipinti di Raffaello Sanzio da Urbino, ragiona^ mento di monsignor Stefano Rossi letto agli acca- demici tiberini li 24 aprile 1 854. - 8. Roma , tipografia della Rev. Cam. Apostolica 1854. (So-! no pag. 45.) Con assai piacere si leggerà questo scritto, pieno tutto di filosofia e di belle dottrine, non solo dai letterati, una sì dagli artisti. Certo non potea Raf- faello trovare intei'prete più intelligente de'suoi su- blimi pensieri : ne crediamo soprattutto che siasi mai scritto meglio, che ha fatto monsig. Rossi, irb- torno all'incomparabil dipinto della Trasfigurazione, che oggetto di maraviglia a tutti i secoli e a tutti ì grandi maestri , qual vero capolavoro dell'arte , avvi ora chi crede e pubblica essere anzi il primo passo che die l'urbinate verso la decadenza. Gran bestemmia d'un secolo, che ne ha udite pur tante 368 altre , non solo in arti ed in lèttere , ma in cose d'altissima riverenza ! Serie cronologica degli antichi signori, de'podestà e rettori di Fermo, dal secolo Vili alVanno 1550, e dei governatori e delegati dal 1550 al 1855, raccolta ed ordinata dalVavv. Raffaele De Minicis con annotazioni storiche. - 8. Fermo dalla tipo- grafia Paccasassi (Un voi. di pag. 79.) Quest'operetta non tanto appartiene alla storia di Fermo , che non illustri pure alcuna parte di quella d'Italia. Così sono erudite e diligenti le cose, che vi ha discorse qua e là l'egregio signor De Mi- nicis, con cui ce ne rallegriamo. Oltredichè non po- chi di quei rettori furono chiarissimi personaggi storici dell'età loro; né forse di tutti sapevasi il no- bile ufficio tenuto in Fermo: come, per esempio , non pare che si sapesse, che il celebre e sì sven- turato Pandolfo CoUenuccio fu nel 1478 capitano del popolo di Fermo, leggendosi nel catalogo di essi a carte 40: Pandulphus de Columnitiis de Pi- sauro. Certo il Perticari mostrò d'ignorarlo nel fa- moso suo comentario intorno alla morte del Col- lenuccio. Morie di Tristano e della reina Isota, descritta per Ventura de Cerutis^ pubblicata e annotata per cu- ra di Giovanni Cassini. 8. Parigi, stamperia della dama hacombe 1854. (Sono pag. 66.) 369 È uno di qufì'racconti pieni di affetto, ài sènp- plicità, di grazia, come tanti ne dà il bel trecento: talché di esso vuol crescersi il numero de'testi dì lingua. Della qual cosa sieno rese grazie al valente signor ab. Giovanni Cassini, il cui amore per queste gentilezze letterarie è tanto , quanto si conviene a chi gloriasi d'aver avuto maestro il sommo Basilio Puoti. Difficilissimo a leggersi, com'egli ci scrive , era il vecchio manoscritto : sicché ha dovuto du- rarvi sopra una gran fatica. E noi lo crediamo: e, a dir vero, di alcune lezioni non siamo appieno contenti. L'operetta è divisa in tre parti. La prima é in- titolata Morte di Tristano e della reina Isola: la se- conda, Vendetta della morte di Tristano : la terza, Blasone di alcuni cavalieri erranti. Chi poi sia il Ventura de Cerulis , che n'è autore (o forse tra- duttore) , noi noi sappiamo , e nulla ce ne dice il Cassini. Chi desiderasse un saggio dello scrivere del De Cerutis, abbiasi il seguente a carte 11: « E can- » tando e giocando li due amanti, Andret passava » per lì: e udendo il canto , conobbe la voce di » Tristano: incontanente andò allo re Marco, e con- » togli come Tristano era con la reina Isota. Lo » re Marco, siccome uomo irato, senza altro prov- » vedimento prese in mano il lanciotto, il quale la » fata Morgana gli avea mandato, e andossene alla )) camera. E guardando per la finestra ferrata, vide » Tristano che era chinato al giuoco in siubba di » seta : subito gli trasse il lanciotto, e ferillo nel » fianco sinistro: e, per paura che ebbe, tantosto C.A.T.CXXXVIL 24 370 ») fuggi. E questo si può ben dire: « 0 colpo do- iì loroso senza pietade I » E sentendosi Tristano fe- » rito, tantosto conobbe che sua ferita era mor- » tale : e con grande duolo prese commiato dalla )> dolente reina Isota, la quale era la più trista i) donna del mondo. E Tristano se n'andò al ca- » stello di Dinas , e si mise nel letto , ed assai » medici si trassero da ogni parte: ma ninno gli » seppe donare conforto: tanto fu la ferita peri- )) colosa, e quel colpo che donò lo re Marco a » Tristano fu mortale e dannoso. E questo si pruo- » va per varie ragioni: la prima fu, perchè Tri- » stano mori giovane cavaliere: che il dì che fu » ferito compieva trentatrè anni e due mesi: e » di sua ferita visse diciotto giorni. E pongono )) li maestri delle istorie, che se Tristano fosse vi- » vuto più anni, che non averia per suo grande )) conoscimento portato più arme. Che se l'avesse » portate, li cavalieri per sua temenza non si sa- » rieno messi più in venture. Ed anche Tristano » fu fiore di tutti li altri belli di bellezza, onore, » cortesia, pregio di cavalleria. » Due carmi di C. Claiidiano tradotti da Agostino Gallo e pubblicati da Domenico Ventimiglia per faustissime nozze ec. - 8. Palermo tipografia del giornale officiale 1854. (Sono pag. 18.) Sono quelli Stdle statue de'pii fratelli catanesi Anfinomo ed Anapi^ e Sulla sfera di Archimede. Il eh. traduttore ha loro premesso una prefazione assai erudita. Dotte ne sono altresì le note. 371 Sili bagni pubblici stabiliti in Sicilia negli antichi tempi. 8. Palermo 1854. (Sono pag. 12.) N'è autore il lodato sig. Agostino Gallo: e ci è sembrato cosa assai erudita, e piena soprattutto d'im- portantissime notizie rispetto alla Sicilia. Vita di S. Tommaso d'Aquino scritta dal professore Gaetano Gibelli, 8. Bologna, tipografia alVanco- ra 1855. (Un voi. di pag. 178.) Se alcuno ci chiedesse: Qual é il più bel li- bretto divoto, sapiente, elegantissimo, che sia escito tra noi in questi anni ? Noi risponderemmo senza più: La vita di S. Tommaso d'Aquino scritta dal professore Gibelli. E quanti ha intendenti di siffatte cose in Italia converrebbero nel nostro giudizio : bastando a ciò aver solo alcun sentimento del bello. Perciò raccomandiamo assai quest' operetta, vera- mente aurea, principalmente alla gioventù ed ai maestri che debbono indirizzarla per la via della religione, delle buone dottrine, e dello scrivere con leggiadra semplicità e proprietà: cosa pur tanto es- senziale, non che degna, ad insegnarsi e inculcarsi nelle scuole d'una nazione gentile. bell'origine de'melalliy poemetto del P. Ilario Casa- rotti chierico regalare somnsco. 8. Homa, dalla ti^ pografìa di B. Morini 1855. (Sono [ing. 15.) 372 Fra gli scritti lasciati inediti dal celebre P. Casarotti ve n'ha molti di squisita bellezza: prin- cipalmente poetici. Uno dei quali è il poemetto che annunciamo: di cui non è a dire quanta sia l'italia- na eleganza, e quanta insieme la facilità onde l'au- tore ha d^tto nobilmente tante cose difficilissime ad esprimersi con vera lingua poetica. Valga que- sto esempio. Metallico filon con lunga traccia Di lucide lamette il masso impronta, Che diramato poi con cento braccia, Per obliquo sentiero or cala, or monta: Qui una vena minor la grande abbraccia. Qui torna indietro, e se medesma affronta; Qui restringe la mole, e poi la ingrossa, Or fìtta al monte, or separata, or mossa. Tale il sangue dal cor fonte di vita Nell'altre membra si dilata e scorre, E dell'arterie va per via spedita In pili stretti canali i gorghi a porre; Or questa vena a quella si marita, Or s'allontana, ed ogni nodo abborre; Cosi l'umor in laghi e tubi accolto Fomenta il seno, e dà colore al volto. Giro stupido il guardo, e nuovo ognora S'appresenta spettacolo a vedersi: Del petroso macigno escono fuora Tratti dal peso vivi argenti e tersi. Qui nereggia la terra, e là s'indora, Qui appar fregiata di color diversi, E fin dappresso ai ruvidi metalli Ridono gemme e splendono cristalli. 373 Elogio funebre del conte Domenico Paoli di Pesaro^ per Alessandro Serpieri delle scuole pie, prof, di fisica in Urbino. 8 Pesaro tipografia di Annesia Nobili 1855. [Sono pag. 56.)- i Grave perdita è stata quella che hanno fatto ul- timamente le scienze nel conte Domenico Paoli, il quale era certo uno de'piiì provetti ed illustri che' le professavano, sicché il suo nome sonava 'chiari s-- simo anche di là da' monti. Può affermarsi ch'egli, oltreché sommo fisico , fosse specialmente uno dei maggiori geologi del nostro tempoy secondo che ben dimostra il magistero delle tante sue opere. Corte- se poi, candido , religioso , quanto non sapremmo qui dire. Bene ha preso il valentissimo P. Serpieri ad encomiare il suo preclaro amico: tanto più che a far ciò non avea mestieri che di dire il sempli- ce vero della virtìi e della scienza del Paoli. Noi, amici fin da giovani del celebre pesarese, abbiamo letto con piacer sommo questo suo elogio : come leggeremo pur l'altro, che ci é noto essergli già pre- parato per la stampa dal suo chiarissimo concitta- dino sig. marchese Francesco Baldassini , che qui nominiamo a titol d'onore. Era nato il conte Paoli in Pesaro il 13 di lu- glio 1783,. ed ivi morì il 1& di novembre 1853-. Lavila del Marchese prof, cavaliere Massimiliano An- gelelli scritta da A. Pizzoli. 4. Firenze 1854. (Sono pag. 19 col ritratto dell'Àngelelli). E tu pure, venerando Angelelli, tu pure avrai qui le sincerissime nostre lodi, non meno che il nostro 374 rammarico pei- la tua perdita, benché fossi più gra- ve d'anni. Ma chi non avrebbe desiderata lunghis- sima, per onore italiano, la decrepitezza di un An- gelelli ? Che rifulgesti all'età nostra come una luce di cortesia, di nobiltà, di sapienza, di religione: e- ducasti nelle lettere soprattutto greche , e al buon sapere antico, tanta gioventù nostrale e straniera : e volesti costantemente mostrarti della tua nazione non solo per dignità di pensieri, ma per purità ed eleganza di scrivere. Di che fanno fede tutte le o- pere tue , e principalmente il classico volgarizza- mento di Sofocle, e di alcune cose di Plutarco, di Sinesio , e di san Basilio. Perciò lodiamo assai il signor Pizzoli, che con tanto amore ha voluto tra- mandare elegantemente a'posteri le notizie della tua vita, delle tue virtù private e pubbliche, e del tuo sapere. Nacque in Bologna quest'uomo dottissimo il 28 di agosto 1775: fu presidente del collegio fdologi- co dell'università patria, e professore di lingua gre- ca e di storia: e fra la riverenza e l'universale com- pianto si riposò nel Signore il 31 di maggio 1853. Monumenta vaticana versibus descripta aliaque di- versa prosa et poetica Francisci Massii bibliothe- cae vatìcanae scriptoris , in romano archigymna- sio eloqnenliae docloris deciirialis. 8. Romae ex tij- pographeo salviiicciano 1 854. {Un voi. di pag. 113) Il signor prof. Massi è assai reputato non solo nelle cose italiane, ma sì nelle latine: come dee es- sere chi degnamente voglia pi'ofcssarc eloquenza in 375 tina grande università, e com' egli ha mostrato in tanti suoi scritti. Noi poniamo questi Monumenta va- ticana fra le cose che più fanno fede in qual fiore sia fra noi la lingua di Tullio e di Virgilio, chec- ché ne vadano cianciando i perpetui vituperatori di Roma e d' Italia. Sì, in Italia, e non altrove, sono anche oggi i primi scrittori latini d'Europa. Or ec- co esempi assai nobili del descrivere che fa V au- tore alcune delle più celebri opere dell'arte antica e moderna , che onorano la reggia de' nostri pon- tefici. LAOCOON. Verus es, et natos inter religata draconum Nexibus intorques brachia, Laocoon. Ut patrius micat ore dolor ! Spirare supremum Pectore anhelanti sentio te gemitum. Corpora parva tremunt borrendo saucia morsu; Heu frustra palmas tendit uterque puer ! At mi animus refugit; variis ego sensibus anceps Differor: bine terror me premit, bine pietas. Nec tamen avelli possum: mens omnis in uno Stat visu, et lacrymis lumina fixa madent. HERCULES trmciis ad JUNONEM. Hic iaceo quod me ruptis, dea saeva, lacertis Et capite et trunco poplite stare iubes. Surgentem Alciden et fortia facta videbis. Membra, quibus carco, si mihi restituas. 376 DEMOSTENES et POETA P. Cur eadem est lapidi quae vivum accenderat ira, Quum plebs obstreperet garrula cecropidum? D. Quod patriam oblita est, nec graium neve latinum, Sed loquitur pubes itala barbaricum. P. SYLLA Cives, himc lapideni cavete: Sylla est, Qui tantum patriae cruoris hausit. Vultum si bene cernitis, videtur Ira turhidus, incitus furore Adhuc purpureis micare guttis. HELIODORUS TEMPLO DEPULSUS Ecce volat dìvinus eques: tu, barbare, praedam Redde: procul sancto limine carpe fugam. Die regi, qui te scelera haec admittere iussit; Est Deus, est vindex: laedere tempia cave. Ad Caelestinum Cavedoniiim epistola. 8. Bononiae ex typographeo vulpiano 1855. (Sono pag. 29). Dal lodare il professore di eloquenza nell' uni- versità romana passiamo a lodar quello dell'univer- sità bolognese. 11 sig. ab. Giuseppe Canali è valen- 377 tissimo anch'egli nelle cose latine, ed oggi onora e la sua patria e la sua cattedra, ambedue tanto illustri. Fra le diverse poesie ch'egli ha messo in luce ( so- prattutto un volumetto intitolato: /. C. Carmina , 8 Bononiae 1852 e tijpographeo vulpiano) ci piace scegliere questo bel carme, in cui egli con penna veramente maestra descrive al celebre Ca vedoni tutte le cose più notabili che ha potuto ammirare nel suo soggiorno a Modena. Eccone un saggio. 0 totani inde tuam ut potui metirier urbem Et relegens digitis singula dicere, ibi est! Cernin' ? Quae immensa tollit fastigia fronte, Cuius et ornatas excubiae ante fores, Est domini attalico iam pridem condita luxu Regia, et usque novi laude nitens operis; Ut queat ausonio vix par esse altera caelo Et pretii, et molis nomine, et ingenii, Pone, tibi aeratis prostant viridaria clathris: Sol alit hic quantum est seminum ubique satum, Hicque refert celebrem musarum voce Caystrum Caerula discurrens per vada lentus olor. Mox sequitur statio centum, locus unus, equorum,. Et quae monstrat adhuc culmen ab arte recens Magna palestra equitum, tectis cui rite ferendis Trabs obiegna ingens nectit utrumque latus. Contra, agltant scenis choreas: non serica et aurum Plura alibi, species non magis ulla placens; Et totum hoc, quantumcumque est, sibi patria iure Vindicat: externas abnuit illa manus. 378 Biografie autografe ed inedile di illustri italiani di questo secolo, pubblicate da D. Diamillo Mailer. 8. Torino, Cugini Pomba e comp. editori 1853. [Un voi. di pag. 407.) Ci capita ora alle mani questo libro , il quale' non sarà certo senza gran prò per la storia delle lettere e delle arti italiane. Ecco il catalogo del- le biografie: Albertolli Giocondo: Anguillcsi Giovanni Dome- nico : Antinori Giuseppe : Arici Cesare : Avellino- Francesco Maria : Azzocchi Tommaso : Bagnoli Pietro: Bandini Giuseppe: Barlocci Saverio: Barzel- letti Giacomo: Barzoni Vittorio: Bellenghi Albertino: Betti Salvatore: Bini Vincenzo: Bombardini Giusep- pe: Borghesi Bartolomeo: Borghi Giuseppe: Borson Stefano: Botta Carlo: Boucheron Carlo: Bufalini Ma- urizio: Cacciatore Nicolò: Cagnazzi Samuele: Can- tù Cesare: Campagna Giuseppe: Campanari Secon- diano: Cappelli Emilio: Carnevali Eutimio: CasaroLti Ilario: Castiglioni Carlo Ottavio : Catullo Tommaso Antonio; Cavalli Atanasio: Cavriani Federico: Cico- gna Emanuele : Cicognara Leopoldo : Compagnoni Giuseppe: Configliachi Pietro: Coppi Antonio: D'Al- temps Serafino: Dall'Ongaro Francesco : Fantastici Massi mina : Farini Pellegrino : Ferrara Francesco : Franceschinis Francesco Maria : Franchini Pietro : Galluppi Pasquale : Gamba Bartolomeo : Gambara Francesco: Gazzoletti Antonio: Geronimi Felice Giu- seppe: Grassi Giuseppe : Grottanelli Eugenio: Guacci Maria Giuseppa: Guadagnoli Antonio: Guattani Giu- seppe Antonio: Lampredi Urbano: Lancetti Vincenzo: 379 Litta Pompeo: Lombardi Antonio: Malvezzi Carniani Teresa: Marchetti Giovanni: Marsuzi Giambattista: Mazzoni Toselli Antonio: Meli Domenico: Monti Vin- cenzo: Monticelli Teodoro: Mordani Filippo: Mori- chini Domenico : Moscheni Gostanza: Paoli Dome- nico: Papi Lazzaro: Parenti Marc'Antonio: Pasquali Luigi: Peyron Amadeo: Pezzana Angelo : Podesti Francesco: Pungileoni Francesco: Rambelli Gio. Fran- cesco: Ricci Angelo Maria: Rocco Eiiianuele: Rossini Luigi: Santini Giovanni: Speranza Carlo: Spotorno Giambattista: Strocchi Dionigi: Tarantini Leopoldo: Taverna Giuseppe : Tedaldi Fores Carlo : Tenore Michele : Torti Francesco : Tramontini Giuseppe : Valorani Vincenzo: Viale Salvatore : Villardi Fran- cesco. 381 INDICE Beamont, Del gruppo di Cristo con S. Tommaso, lavoro del Verrocchio pag. 3 De la Ville, Saggio di traduzioni in versi . . » 28 D'Andrea, Lagrime alla tomba del card. Mai . . « 46 Bartoli, Cure ed operazioni chirurgiche ... « 54 Riccardi , Alcune esperienze sul cholera , falle in in Roma nel 1854 . 86 Ravioli , Intorno alla relazione delle rocche della Romagna pontificia falla nel 1852 dal San- gallo e dal Sammicheli « 126 F. Antonio da Rignano , Sull' unità della Chie- sa (c 140 Nannucci , Intorno un trattalo di aritmetica che trovasi manoscritte nella magliabechiana di Firenze « 168 Da Schio, Cenni sulla storia antica di Este. . « 171 Orioli, Seguito del Florilegio Viterbese ... « 155 Spezi , Traduzione di due orazioni di S. Giovanni Crisostomo « 280 Morichini, Scritti editi ed inediti (continuazione). « 307 Pitzipios, La chiesa orientale « 351 Zambrini, Collezione di leggende inedite. . . « 353 Ferrucci, Sul senso d'una rappresentazione mitolo- gica in un pezzo della colleziono di Canino « 356 Popoli, Opere teatrali <( 360 Varietà « 362 \ ERRATA-CORRIGE Nel jjrecctlente tomo CXXXVII , nell' Informazione del sìg. Cav, Cappello sul cholera indiano, a pag. 341 Un. 24, dove dice irano collocati, deve dirsi erano stati collocati. Nel presente tomo. Dissertazione del sig. barone Reuroont in- torno al Verrocchio, sono occorsi i seguenti errori: ERRATA CORIGE Pag. 3. lin. 18. quanto oltre 5. lin. 12. dee rat deceat — 20. palatim palatium » 8. lin. 9. estreme esterne — 13. bello belle « H. lin. 4. 484 1484 — fi. medesime medesimo — 24. deliberà deliberò — 27. Donabello Donatello « 13 lin 7 al il j» 24. lin. 13. manca il num. IV del documento. Parimente, nel Di.scorso del p. Antonio Maria da Rignano, voglionsi reputare notabili i seguenti: Pag. 148. lin. S. alla chiesa furono dati — alia chiesa , come dice il testé citato Agostino, in omnibus gentibus fu- rono dati. 163. lin. 31: che è il visibile e vero Cristo — visìbile Pietro, anzi il visibile Cristo del Signore in luogo dell' invisibile e vero Cristo fondatore ec. IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P, S. P. A. M. Socius. IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Mia. Conv. Episc. Icon. Vicesgerens. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. 412 413 414 ROMA Tipografia delle Belle Arti '^^ 1855 Piazza Poli num. 91. GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI VOLUME CXXXVIII GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO 1855 ROMA Tipografia delle Belle irli 1855 m DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. IL siG. PRINCIPE D. PIETMD Ot)ÉSCÀLCHI, consiglière DI STATO, PRESIDENTE DELLE PONTIPICÌÈ ACCADEit[ÌE DI ARCHEOLOGIA E De'nUOYI LINCEI MEMBRO DEL COLLEGIO FILOLOGICO DELL'UNIVERSITÀ* BO»ANA COMPILATORI BETTI cav. SALVATORE , professóre di storia e mitologia e segrelario perpetuo dell'insigne e pon- tificia accademia di san Luca, mehibro del col- legio filologico dell' università romàna, socio ordi- nario e censore della pontificia accademia di ar- cheologia, accademico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della crusca, corrispondente della pontificia accademia romana di archeologia e dell'instituto di Francia, membro delle M. accademie delle scienze di fe- lino, Torino ec. CAPPELLO cav. AGOStlNO , consigliere emerito del supremo magistrato romano di sanità, già me- dico consulente della sa ; mem : di Leone ATÌ , socio ordinario delle pontificie accademie di ar- cheologia e de'nuovi lincèi. MAGGIORANI dott. CARLO, membro del collegio medico-chirurgico e professore di medicina po- litico-legale nell'università romana, socio ordina- tìtì deffa pontificia accademia de'nuovi lincei. POLETTI còtn. LUIGI, ex-presidènte e prolesàore di àrchitettui^a teòrica nelF insigne è f)ontifiòia' ac- cf^demia di s. Luca, pì'ofeSsòfe ordi^rid di ar- chitettura tì'éirospizio' apostolico di s. Michele , professore onorario della R. awadertiia delle belle arti di Modena, architetto dire ttoi*e della fiedifi- IV cazione della basilica di s. Paolo, consigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del connnercio e belle arti , addetto al collegio filosofico dell'università roma- na, socio ordinario della pontifìcia accademia di archeologia. VISCONTI commendatore PIETRO ERCOLE, com- missario delle antiche romane, presidente onora- rio del museo capitolino , segretario perpetuo e socio ordinario della pontificia accademia di ar- cheologia, membro del collegio filologico dell'u- niversità romana , della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, e della commissione di archeologia sacra. ONORARI CARPI cav. PIETRO , professore di mineralogia , membro del collegio medico-chirurgico e diret- tore del gabinetto mineralogico dell'università lo- mana, socio ordinario della pontificia accademia de'nuovi lincei. DE-CROLLIS cav. DOMENICO, presidente del con- siglio sanitario militare , professore di medicina clinica neir università romana. GERARDI dott. FILIPPO. COLLABORATORI ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Bologna. BARTOLINI monsignor Domenico , ponente della sacra consulta, consultore delle sacre congrega- zioni dell'indice e delle sacre indulgenze e reliquie, membro della commissione di archeologia sacra, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. BIANCHINI Antonio, in Roma. BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale, in Roma BONCOMPAGNI S. E. don Baldassare, socio ordi- nario della pontifìcia accademia de'nuovi lincei , onorario di quella di archeologia, in Roma. BRIGHENTI cav. Maurizio, ingegnere ispettore e- merito, a Bologna. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Mo- dena. CAMPANARI avv. Secondiano, socio corrispondente della pontifìcia accademia romana di archeologia, a Toscanella. CAPOZZI Francesco, a Firenze. CATALANI dott. Vincenzo, medico, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, pro- fessore nell'università, a Bologna. CHIMENS dott. Baldassare, chimrgo , in Roma. CIALDI commendatore Alessandro ", socio onorario dell'accademia de'nuovi hncei, in Roma. CICCO NETTI avv. Felice, giureconsulto, in Roma. COPPI ab. Antonio , segretario del pontifìcio isti- tuto agrario, socio ordinario delle pontifìcie ac- cademie di archeologìa e de'nuovi lincei, in Roma CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia, a Torino. DA RIGNANO padre Antonio , ex-procuratore ge- nerale de'minori osservanti, consultore delle sa- cre congregazioni del sant' uffizio e dell' indice, socio onorario della pontifìcia accademia d'archeo- logia, in Roma. DE-FERRARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de'predicatori, commissario geneiale del sant'uf- fizio, consultore delle sacre congregazioni dell'in- dice, dei vescovi e regolari, di propaganda e del concilio, socio ordinario della pontifìcia accade- mia di archeologia, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano^ corrispondente della pon- tifìcia accademia di archeologia» a Fermo. DE-ROSSI cav. Giambattista , membro del colle- gio filologico dell'università , scrittore di lingua latina nella biblioteca vaticana , membro della commissione di archeologia sacra, socio ordinario della pontifìcia accademia di archeologia, in Roma. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de'conti MONTANI monsignor Francesco, ca- meriere segreto di Sua Santità , canonico della patriarcale basilica di s. Maria Maggiore, consul- tore delle sacre congregazioni dell' indice e di propaganda fide, in Roma. FERRUCCI cav. Luigi Crisostomo, scrittore di lin- gua latina nella biblioteca vaticana, in Roma. FERRUCCI Michele, professore, a Pisa. FIORINI MAZZANTl Elisabetta, in Roma. FOLCHI commendatore Clemente, architetto di Sua Santità , consigliere dell' insigne e pontificia ac- cademia di s. Luca» ingegnere ispettore emerito membro del consiglio d'arte, addetto al collegio filosofico della università romàna, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia, con- sigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, in Roma. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Pisa. GIACOLÈTTI padre Giuseppe, delie scuole pie, in Premonte. GIULIANI padre don Giambattista, somasco , pro- fessore di eloquenza sacra nell'università, a Genova. GRIFI cav. Luigi, segretario generale d^el ministe- ro del commercio, belle arti ec, socio ordinario e conservatore perpetuo dell'archivio della pon- tificia accademia di archeologia, in Roma. LOPEZ commendatore Michele, cofisigli'ére di stato onorario , perfetto del ducal museo , vice-presi- VII dente della reale accademia delle belle arti , a Parma. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, consultore della sacra congregazione delle indul- genze e sacre reliquie, membro del collegio filo- logico dell'università e della commissione di ar- cheologia sacra , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia,, in Roma. MASETTI monsignor Celestino, professore, a Fano. MERCURI Filippo, in Roma. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Osimo ORIOLI Francesco , consigliere di stato , membro del collegio filosofico e professore di storia an- tica ed archeologia neiruniversità, socio ordina- rio e censore della pontificia accademia di archeo- logia^ socio ordinario dell'altra pontificia de'nuovi lin,eei, in Roma. PERETTI Pietro , professore «merito di farmacia nell'università, in Roma. PIANCIANI padre Giambattista, della compagnia di Gesiì, membro del collegio filosofico dell'univer- sità, socio ordinario della pontificia accademia de'nuovi lincei, in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, professore nella uni- versità, accademico della crusca, a Pisa. RAMRELLI Gio: Francesco, professore , a s. Gio- vanni in Persiceto. BAMELLI Camillo, professore, a Fabriano. RANGHIASCI-BRANCALEONI marchese Francesco, a Gubbio. RAVIOLI cav. Camillo, in Roma. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Bologna. ROSSI monsignore Stefano , prelato domestico di Sua Santità, protonotario apostolico , consultore di stato per le finanze, in Roma. Vllt SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Gesù, consultore della sacra congregazione di propa- ganda fide, socio ordinario e censore della ponti- fìcia accademia dì archeologia, in Roma. SPEZI Giuseppe , professore di lingua greca nella università romana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba, membro del collegio fi- losofico e professore di calcolo sublime nella uni- versità, professore di fisica matematica nel col- legio ui'bano di propaganda e nel seminario ro- mano, socio ordinario della pontificia accademia dc'nuovi lincei, in Roma. VESCOVALl Luigi, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI Paolo, membro del collegio filosofico e professore di fisica sperimentale nella università, direttore del gabinetto fisico , segretario della pontificia accademia de'nuovi lincei, in Roma. ZANELLI canonico Domenico, in Roma. SCIENZE, LETTERE ED ARTI Cenni sul molo ondoso del mare e sulle correnti di esso. Memoria del comm. Alessandro Cialdi socio onorario della pontificia accademia de'miovi Lin- cei; dell'ateneo di Venezia e di quello I. e R. ita- liano; corrispondente della R. accademia economi- co-agraria de' georgofdi e di quella di Pesaro ; socio residente e già segretario della Tiberi- na ec. Dobbiamo cominciare dall' esperienza , e per mezzo di questa scoprirne la ragione. Questo è il metodo da osservarsi nella fi- cerca dei fenomeni della natura. ìeoinardo uà vinci. INTRODUZIONE PREMESSA — TEORIE INTORNO AL MOTO ONDOSO DEL MARE ED ALLE CORRENTI DI ESSO — SCUOLA FRANCESE — INGLESE — SPA- GNUOLA — GERMANICA — ITALIANA — KISULTAMENTO. l\ ella parte idrodinamica de' miei studi relativi al porto di Livorno (*) prometteva di tornare sul moto ondoso del mare e sugli effetti da esso prodotti : ebbi in animo di paragonare questi con l'azione delle correnti e di dedurre dai risultati del confronto norme e regole apportune alla conformazione, alla costru- (*) Risultati di studi idrodinamici, nautici e commerciali sul porto di Livorno , e sul miglioramento ed ingrandimento del medesimo. Fi- renze 1853. G.A.T.CXXXVIII. 1 2 zione ed alla conservazione de'porti. Promessa su- periore alle mie forze, nia che, fatta, bisogna man- tenere a costo di rendere vie più manifesta la pro- pria insufficienza. Ed in vero fra molti ostacoli, che in me si oppongono alla esecuzione di un lavoro pregevole in questo tema , contrasta anco lo stato della scienza, il quale da Ferd. De Luca è nei se- guenti termini compreso: La conoscenza delle cor- renili delle maree, delle onde, del terribile affastel- lamento de'flntti; la notizia della resistenza de^mate- riali, che sHmpiecjano nelle costrullure idrauliche, sono studi appena abbozzati. Ciò premesso, entro in materia, cominciando dal- l'abbozzare un quadro sul concetto che mi sono io formato del modo altrui d'intendere la costituzione delle onde, gli effetti di esse, e quelli delle correnti. Nell'estratto delle opere prese ad esame, che rappre- senta il componimento del quadro, ho avuto in mira di riportare le opinioni manifestate sugli argomenti medesimi dagli autori meritevoli che mi precedet- tero, senza punto emettere in esso la mia opinione. In questa guisa credo che il lettore potrà in seguito più facilmente giudicare le mie proposizioni. Alcuni de'più illustri scienziati hanno procurato di sottoporre i fenomeni delle onde all'analisi ma- tematica: Newton, Bouguer, Juan, Laplace, Lagrangia, Cauchy, Poisson, Bidone, e Plana vi hanno diretto il loro profondo sapere; ma le teorie loro sono fondate sopra des suppositions sans Ics quelles (come dice lo stesso Poisson) le problema deviendrail si compliqué 3 qii'on nen pouirait espérer aucune solution. E Bidone, se ha voluto veder confermata la teorìa di Poisson dalle esperienze, ha dovuto artificialmente sottoporre queste a quella; e per chi volesse farne delle altre avverte di non obbliare alcuna delle condizioni che essa esige , altrimenti troverà dalle sue esperien- ze risultati differentissimi da quelli che realmente hanno luogo , quando le prescritte condizioni sono adempiute. « La natura, nota Emy, ha però smen- tito quelle supposizioni»: nulladimcno gli sforzi di que- sti sommi han servito ad estendere il dominio del- l'analisi trascendente, come osserva il Plana, ed a mostrare la gran difficoltà di sottomettere al calcolo il moto ondoso del mare siccome ogni altro moto de'fluidi. Non sono molti anni che tutti i trattatisti del moto delle onde marine ritenevano , eh' esso fosse sempre ed in ogni luogo interamente apparente: solo Leonardo dà Vinci faceva eccezione a questa dot- trina assoluta, perchè aveva riconosciuto che VimpetOj ossia la propagaziotie del moto ondoso, è molto più veloce che l'acqua. Ma nell'ammettere una velocità nell'acqua anche nel senso della propagazione, cioè un reale trasporto di massa liquida, avverte però che ciò non sempre esiste, anzi stabilisce, che molte sono le volle che ronda fugge il luogo della sua creazionef, e Vacqiia non si muove dal silo. Oggi da un certo numero si ammette moto di trasporto nell'onda; ma chi lo crede sempre esistente e in tutta la massa che compone l'onda, chi lo vuole nello strato superiore soltanto, e chi lo assicura nello strato inferiore e solamente in alcune configurazioni del fondo. Sul giuoco delle molecole dell'acqua nella forma- zione dell'onda vi è non minore discordanza di pa- reri. Taluni con de La Coudray e Bremontier am- mettono le monvement vcrlical. Il primo osserva, che le molecole delle onde non fanno che abbassarsi ed elevarsi àpeuprès verlicalemenl\ il secondo, in modo esplicito assicura, che tutte le molecole , di cui si compone l'onda, montano e scendono verticalement, et absolument en masse, sans éprouver aucune espèce de dérangement par rapporl à la surface, ni par rap- porl à la verticale. E questo moto si comunica a de très-grandes profondeurs. — Altri con Emy lo credono orbitaire coll'asse maggiore verticale. Il moto di un satellite attorno al suo pianeta, combinato con quello di questo pianeta attorno al sole, rappresenterebbe abbastanza bene il moto orbitale di ciascuna mo- lecola liquida in una doppia ondulazione; ma Virla non sa concepire il moto di una molecola attorno a de'centri, i quali non sono né fìssi, nò materiali; ed Emy risponde, che si possono citare altri casi di moto epicicloidale dello stesso genere: per esempio quello del balocco chiamato girello [pii^ouette) il quale de- scrive sopra una tavola delle orbite, anche molto di- verse fra loro, attorno a de'ccntri che non sono nò fìssi, ne materiali. Emy e Virla sono poi d'accordo nel credere soltanto apparente il moto ondoso, de fa(;on, dice il primo, que c'est par Veffet de Vordre de la succession de leurs oscillations que les ondes sont formées et paraissent se mouvoir. II moto orbi- 5 tale di Emy fu già scorto, ma non seguito da Newton, il quale lo espresse per circulum; venne descritto in un sistema particolare di onde dal Gerstner, ed è conseguente al moiivemenl cVoscillation ìiorizonlal ri- conosciuto da Laplace. Esso mi sembra inoltre ap- poggiato dalle esperienze de' fratelli Weber, e da quelle, dentro certi limiti, di S, Russell, di' Aimé, di A. De Caligny e di Laurent. Emy oltre a ciò ha fondato una teorìa circostanziata sopra il fenomeno ch'egli chiama flutli del fondo {/his de fond) il quale prende origine quando la base dell'onda trova risalti {ressants). — Virla per combattere la teorìa delle onde e de'flutti del fondo di Emy, e per sostenere quella di Bremontieiv ha preso dalle leggi del moto dell'a- cqua nei sifoni quanto a parer suo presentano d'i- dentico fra essi questi due fenomeni. Egli osserva che la sola considerazione del principio generale della trasmissione delle pressioni, combinandosi coll'inerzia e viscosità, basta a rendere ragione dell'analogìa del moto delle onde con quello da au syjjJionnemenl. Ammette con ciò la contraddetta supposizione di Newton, e di più la generalizza,, e passa a credere, che le molecole oscillano nelle onde come nei sifoni, ossia in un modo più o meno analogo. Emy censura la teorìa di Virla, e cita due prove contro di essa: la prima è, che si le syphonnement exisiau,slseinì- reblio ij suo movimento di va - e - viene oiizzontale bagnandosi e tuffandosi nel mare; ma è costante che nulla sentesi di simile. La seconda è, che si scorge- rebbe una deviazione rapida nel cammino che se^ue un corpo un poco più grave dell'acqua, allorquando lentamente discende in un mare profondo e limpido 6 nel tempo che in esso si formano delle onde, e Bre- tìiontier c'insegna che questa deviazione non ha luo- go. — Fèvre ha presentato alcune spiegazioni de'moti ehe imitano quelli delle onde. Come Leonardo, così egli assomiglia le onde marine a quelle che si for- mano in un campo di grano per l'azione del vento; e trova la spiegazione di questo moto nell'elasticità e nella compressibilità dell'acqua, considerando l'acqua bome elastica, e per conseguenza compressibile fino ad un certo punto. — Bouniceau tende più per questa teorìa che per le altre. — Aimé ha fatto delle espe- rienze dirette sul moto delle onde nella rada di Al- geri; il suo lavoro ha per iscopo conoscere a qua! pro- fondità cotesto moto cessa di essere sensibile, e quale sia la natura di esso al fondo del mare. Egli comincia col dire, che il moto delle molecole dell'acqua in un mare agitato non è stato ancora dètei-miné expéri- mcnlalement par persorme. Le sue esperienze gli pro- vano, d\me manière evidente, che le molecole d'acqua, in mare agitato , hanno un movimento d' oscilla- tion horizontale; ma esse non gli mostrano se l'oscil- lazione ha luogo dal fondo fino alla superficie, né in qual modo la sua amplitudine varia con la profondità. Secondo lui « le conseguenze, alle quali giunge Bre- montier, soni fausses ». Nella suddetta rada le mouve- ment oscillatoire prodotto dai venti diviene insensi- bile alla profondità di 40 metri .... Ogni volta che il vento soffia , comunica alle molecole liquide due specie di moto; l'uno, ch'è ondulatorio, c'est celili des vagues; l'altro, ch'è di trasporto, c'est celia des cou- rants , il quale si fa sentire ad una profondità più ■grande del primo. Questa corrente spiega come si 7 muovono i banchi di sabbia, e in qual direzione ih se déplacent. 11 De Caligny, parlando delle esperienze di Aimé , non conviene sulla conclusione di lui , cioè que le mouvement élait oscillatoire sur le fond. Ce genre d'ohservalions, cito il testo, ne me parait pas enlièremenl suffisant pour élabilir celle consequence: e ne dice il perchè. — Secondo il citato A. De Caligny, le opinioni di Emy e quelle di Biernontier si possono conciliare col mezzo del fenomeno già osservato da Russell, e conosciuto sotto il nome di onda solitaria: la grande onda di equilibrio del fluido. Il De Caligny avverte, in conferma di quanto asserisce, che dalle sue esperienze ha dedotto, essere la traslazione delle onde non apparente soltanto , ma puranche reale , quantunque questa per verità, ei soggiunge, è molto meno dell'altra. Questo autore appoggia un doppio movimento nelle molecole dell'onda, cioè oscillatoire et orbitaire, già notato, ma poi abbandonato , dallo Aimé; e pone il moto orbitale dans les régions su- j)érieures. Vernai non mi appongo, questo doppio moto ei lo deduce quando l'onda, dans un canal factice da esso lui usato per le esperienze, toccava il fondo , ossia quando imprimeva un mouvement de va — et - vieni horizonlal dans le sahle. Egli si occupa ancora di alcuni fenomeni dell' onda soUlaire e dell' onda courante om, in questa, il n^y aurait pas de mouvement orbitaire bien sensible: e quel movimento orbitale, che vi si è présente^ ei lo crede una conseguenza della specie particolare de siphonnement occasione par la réaction du fond du canal. Se ho ben inteso, trova de'punti di ressemblance fra queste due specie di onde: la curva di una sembra parfaitement analogue a Tal- 8 tra in una sufficiente profondità di acqua; si vedono souvent mélées fra esse; ma, com'egli avverte, ciò che avvi di più caratteristico, nell'aspetto generale del sistema, è la specie di rapporto che si presenta fra les orbites percorse dalle molecole nel genere parti- colare delle onde correnti da lui studiate, et les che- mins demi-orbitaires, se così può dirsi, studiati diret- tamente da Russell nell'onda solitaria. Così, se non prendo abbaglio, dalle stesse esperienze sue e dal suo ragionamento si scorge, che in altri punti le dette onde disaccordano: l'onda solitaria è più veloce del- l'altra; essa non si può présenter dans le mcrs très~ profondes, l'altra ha luogo ovunque; la prima a un moiivement de Irasport réel, la seconda no, sauf le petit mouvement de translation réelle admis par les ma- rins; quella agisce contre le fond d\in parement ver- ticale come una specie de coup de bélier, questa non pare; entrambe danno un mouvement de recul au fond dn canal più forte che il movimento de progression dans le sens du mouvement de translation apparente di queste onde, méme sur un ressaut; ma quest'effetto neir onda solitaria sarebbe sensìhlement doublé di quello prodotto dall' onda corrente. Sembra che di due specie siano le onde solitarie : in im ressaut brusque, disposto lungi dalle estremità del canale, e la cui supeificìe orizzontale elevasi dal fondo circa la mezza altezza della profondità dell'acqua, una tale onda solitaria spinge en avant i piccoli corpi sparsi sopra. la superfìcie del risalto, saìis revenir sur lenrs pas, come accade in un'onda solitaria qualunque. — Laurent ancora ammette un movimento di trasporto nella direzione della propagazione. Riconosce che lo onde liquide irregolmi^ così da lui chiamate pei- di- stinguerle da quelle dovute alla caduta di un corpo grave, sono prodotte dalle concorrenze, interferenze, {interférences) di una infinità di ondulazioni prove^) nienti da centri di scotimenti parziali creati dal- l'azione del vento alla superfìcie del mare. In Francia, meno poche eccezioni, la scuola degli ingegneri de' ponti e strade segue la dottrina di Brc-i montier e Virla; quella degli ingegneii idrografici e r altra del genio militare preferiscono la teoria di Emy; e questa stessa teorìa è quella adottata dai geo- grafi e dai geologi della scuola di Huot. Questi as- serisce, che la dottrina di Emy rend compie de toutes les phénomèns dùs à Vaction des ondes. D' Archiae analizza soltanto la teorìa delle onde di S. Piussell parce gii'elle a élé invoqiié, par plusicurs géologues, à Vappui de ìeurs idées sur le transporl des blocs erra- tiqiies, et pour V explica li mi de quelques autres phéno-- mènes géologiqiies. Anche in Inghilterra scorgo disparità di opinione. Newton, nel trattare del moto delle onde, non si è direttamente occupato della natura del moto, e della linea descritta dalle molecole nella jnassa ondeg- giante: egli ha avuto solo per oggetto invenire velo- citatem undarum. In questa ricerca suppone che l'a- scensione delle onde, e la discensione alternativa dì esse, sono analoghe a quelle dell'acqua nei rami di un sifone, e che osservano la stessa legge rapporto al tempo: tiene conto del moto verticale, e punto di quello orizzontale il quale, come osserva Lagi-angia, necessariamente vi si deve unire, perchè 1' ac(pia è ro supposta libera di muoversi in tutti i sensi. In fine l'analogia che suppone, e che non dimostra, è con- futata non solo dal Lagrangia, ma benanche dall'Juan, dal Laplace e dal Poisson. — 11 De la Bòche nel solo caso delle onde senza vento conviene, che si possono applicare ad esse le teorie di Bremontier, di Emy, ed altri autori, i quali ammettono nelle molecole del- l' acqua una successione di moti verticali o ellitici. Ma quando regna il vento, e specialmente violento, ei ritiene che i flutti si compongono di ondulazioni o vibrazioni, e d'impulsione nell' acqua superficiale spinta in avanti dall'attrito della massa dell'aria, che si muove al di sopra. Egli crede, che le correnti ab- biano un'efficacia di trasporto molto inferiore a quella de'flutti. — Lyell riconosce moto di trasporto nelle onde e dà ad esse azione capace di muovere e spo- stare grandi banchi : crede non ostante prevalente all'azione de'flutti l'azione di trasporto delle correnti, e ciò anche presso i lidi. Alla nota corrente littorale del Mediterraneo egli appropria la rapida distruzione di pili luoghi della costa d' Affrica; le dà potenza di usurpare nel delta del Nilo, e ad essa attribuisce la causa del rapido accrescimento della terra ferma sopra i diversi punti della costa della Siria, ove verun fiume si scarica. — S. Bussell dice: (cOgni moto ondulatorio è composto di due cose distinte; cioè la figura del- l'onda che si avanza, ed un movimento di molecole. Il moto di ciascuna particella si sviluppa in una el- lisse giacente totalmente nel piano verticale, cosic- ché dopo il momentaneo disturbo durante il passag- gio dell'onda, essa ritorna al suo posto ». Egli, pare a me , che ammetta quattro specie di onde ; cioè 11 quella di tradazione di prim' ordine^ la quale sarebbe creata dall'istantaneo sollevamento di una estesa su- perficie solida del fondo del mare; questa è quella adottata dai geologi, a cui allude D'Archiac: l'altra di trasmissione : la terza di traslazione , ed in fine l'onda ordinaria. Egli dice inoltre che i corpi mossi nel fondo non sono rotolati in avanti ed in dietro, come lo sarebbero da un'onda ordinaria della super- fìcie, ma ch'essi hanno molo continuo in avanti du- rante tutto il passaggio della lunghezza dell' onda. Quest' autore deduce la sua teorìa da molte espe- rienze; ma G. Rennie parlando di esse così si espri- me: « Io non ho potuto intendere gli esperimenti di S. Russell (/ have noi been able to understand the experiments of Mr. Scott Russell); essi sono così nu- merosi ch'è difficile dedurne una conclusione ». Mur- chison e i suoi collaboratori, Hopkins e W. Whewell sono col Russell per spiegare le idee loro sopra il trasporto de'massi erratici, o trovanti. — W. I. De- nison esclude sempre moto orizzontale di massa nelle onde intere. Secondo lui « l'onda si muove con una certa velocità, ma l'acqua no {the wave is moving ivith a cerlain velocity, but the ivater is not); le molecole della superfìcie si muovono nel verso in che il vento le spinge [are moving ivhere the ivind is acting upon them), ma l'onda per se stessa è una mera ondu- lazione: è un puro moto di sii e giù delle molecole. Una molecola pochi piedi sotto la superficie dell'a- cqua conserva la sua posizione [might keep its po- sition) per ciò che concerne il moto impartitole dal- l'onda, sino alla fine. Con vento molto forte (m a gale) l'onda solleva il bastimento , e segue innanzi n senza trasportarlo seco: il bastimento ha un piccolo moto dì decaduta a sottovento (a dirisling lo leeward),. ma questo è prodotto dall'azione del vento sullo scafo e suU'alberatura ». Rispetto alla natura della linea de- scritta dal moto delle molecole delTacqua nel for- mare l'onda, crede piiì probabile degli altri il moto circolare od ellitico. Non conviene nei flutti del fondo- di Emy, e dice che con gran giustizia [luilh greal justice) è stata contraddetta questa teorìa. Asserisce non sapersi sino a qual profondità {we are ignoranl to wìiat deplìi) si estenda l'azione delle onde: iiul- ladimeno ammette in esse una qualche azione mec- canica sul fondo; « ma se un masso (cito il testo), se un masso è posto sul fondo del mare, si avrà la stessa forza in ambi i lati [the same force on bolh sides); non vi sarà nulla che possa ci'eare correute. » Di tutti gli effetti distruttori del malo ondoso , ne accagiona Tondafranta. Questa agisce con forza enorme {enormous power) dovuta al peso della massa del- l'acqua moltiplicato per la velocità con cui essa si muove. Poco o nulla fa conto dell'azione delle cor- renti maree sul fondo del mare, anche quando alla superfìcie hanno una velocità di 4 miglia l'ora. — l. Washington tende a credere, che le onde in alto mare non, hanno verun moto progressivo, né producono alcun urto: le sole onde frante, ch'ei chiama di tra- slazione , hanno moto, progressivo e percuss-ivo. Il movimento ai materiali lungo i lidi è interamente impresso da queste: la corrente di marea, anche nella sua massima forza [even in ils grealesl slrengih), non esercita influenza sopra di essi. — 11 citato G. Rennic pone per massima, che ogni cosa viene al lido: egli ac- 13 cenna essere stato paragonato il moto e gli effetti dell'onda a quelli di una corda o catena tenuta nelle estremità da due persone; se una agita la corda, si forma lunghesso una serie di ondulazioni, e queste danno all'altra persona un urto nel braccio che sarà più fortemente sentito quanto è maggiore la causa del moto. Si accorda con Emy sulla formazione e sugli effetti de'flutti del fondo nell'Oceano, ma per circostanze locali [locai circumstanees) crede che nel Mediterraneo non esistano flutti del fondo. — G. B. Airy non ammette moto in avanti di massa nelle onde [there is no omvard motion in the ivhole mass); e per lui, solo quando si frangono, agiscono con per- cussione a similitudine dell'ariete idraulico, e non per l'ordinaria pressione idrostatica {not bij the ordinarij hijdrostatic pressure). Egli afferma che nelle acque profonde i moti delle molecole sono oscillatori, che l'elevarsi e l'abbassarsi della superfìcie del mare di- pende da moti orizzontali, che hanno luogo alterna- tivamente in direzioni uguali e contrarie, e che questi spostamenti sono rappresentati da una funzione pe- riodica dal seno o coseno di un angolo dipendente dal tempo. Relativamente al punto, ove giunge l'a- gitazione delle onde sotto il pelo ordinario del mare, così si esprime: « Nelle onde di non molta lunghezza, il moto diminuisce a misura che queste discendono con un grado di rapidità che nessuno immaginerebbe a prima giunta. Eccone la legge matematica : sup- ponete un' onda di dieci piedi (3,"'04) di lunghezza da culmine a culmine (e lo stesso può dirsi di qua- lunque onda, tranne quelle di lunghezza enorme sic- come un' onda marea [exept one ofvery great lenglhj u like a lidal ivave) ; se si discende dieci piedi sotto la superficie, l'agitazione dell'acqua è minore di ^500 parti di quello sia alla superficie; e se si discende altri dieci piedi, cotesta agitazione trovasi diminuita cinquecento volte di pili, e ciò procede con progres- sione geometrica )>. Ammette che le onde lunghis- sime {the waves are very long) producono sensihile agitazione nelle ghiaie e nelle arene del fondo, anche alla profondità di 500 piedi (152,'"39), e passando sopra un banco ove siavi quest'altezza di acqua, si frangono. Trovo che il ripetuto Rennie accenna cre- dere, che la teorìa di Airy appartenga a quelle di ga- binetto {the theory of a closet): quindi la censura e preferisce di seguire « le teorie e le opinioni di uo- mini pratici , i quali hanno osservato la natura da per se stessi ». — Alan Stevenson sostiene, colla piiì intima convinzione, che le onde non hanno moto pu- ramente verticale od oscillatorio, e non agiscono per sola pressione statica; ma ritiene per fermo ch'esse o col vento 0 senza, 0 grandi 0 piccole, 0 intere o frante, 0 in alto tnare o presso il lido, tiillef eccet- tuata la grande onda marea, hanno moto in avanti, cioè di reale trasporto {ali waves, except the great tide - tvave, have an omvard moiiori). Nell'azione delle onde non ammette differenza essenziale {material dif- ference) fra le onde frante 0 che sono per frangersi, e r onda intera; e se avvi differenza di forza per- cussiva in questi due casi, afferma più potente l'onda intera, perchè non ha incontrato ostacolo {ivhich has not encoiinlered an obslacle), e quindi più di quelle questa agisce a similitudine dell' ariete {ram - like potver). Inoltre si dichiara persuasissimo, che un ba- 15 stimento (senza altra causa di moto) è sempre tra- sportato dalle onde, e solo per deficienza di attrito [for want of friction), non essendo abbastanza ratte- nuto [suffìciendij hound) alla supei-fioie delle onde , non è trasportato colla stessa velocità di esse. Esclude che questo moto di trasporto possa essere l'effetto dell'urto delle onde per lo elevarsi ed abbassarsi del mare: non potendosi persuadere che, se ciascuna mo- lecola deir acqua si movesse soltanto in un piano verticale, un corpo galleggiante alla superficie possa muoversi in direzione orizzontale. « Se il vento, e- gli conclude, se il vento agisce, come spesso avvie- ne, obliquamente al piano dell'acqua, deve, come a me pare, produrre un movimento in avanti nell'a- cqua stessa, appunto come produce un moto in avanti in un mucchio di fieno [haijstack), in un bastimento, in un pallone: tutto a gradi differenti a seconda della resistenza che incontrerà [ali in different degrees, ac- cording to the resislance to be encountered) ». Della scuola spagnuola ho G. Juan e F. Ciscàr. La teoria delle onde del primo tende soltanto ad as- segnare le velocità e le grandezze di esse per ser- vire di norma nella costruzione de' bastimenti. In questa ricerca premette che a la potenza, che agisce nelle onde, è la gravità dell'onda stessa. Se una pai'te della superfìcie del fluido si solleva per qualsivoglia cagione, dopo ch'essa ha acquistata la sua massima elevazione, la sua gravità la obbliga a discendere, e le ia prendere una disposizione e figura all' ingiù, eguale a quella che aveva presa all'insù, poiché l'a- zione e la reazione sono eguali, cioè essa forma sotto 16 hi supei'tìcie del iluido uno sfondato, la cui figura è assolutamente la stessa di quella dell'elevazione... la quale figura è una specie di cicloide...» Esprimasi per e la ragione della semicirconferenza al raggio; sia a l'altezza dell'onda dal livello dello sfondato o cavo al suo culmine, e 6 la metà dell'ampiezza di essa. Secondo lui | [a-r-b] | e sarà l'espressione di tutto il tempo in cui il culmine si abbassa al livello del cavo, si sollevi alla primitiva altezza, e percorra lo spazio h: questo tempo è eguale a quello, in cui un pendolo della lunghezza -^— compie una oscil- lazione. Lo stesso tempo l (a-H/>) | e, è a un se- condo, come la lunghezza o lo spazio b, che l'onda percorre nel detto tempo, e a r— ^ — ;spaziocne [a-+-b) 2 e l'onda percorrerà in un secondo , e che indica per conseguenza la sua vera velocità... La ragione di a Si b è varia nelle onde, secondo che vanno aumen- tando 0 diminuendo. Le prime sono le burrascose e crescenti, e quelle che la forza del vento fa con- a , tinuamente aumentare; ed in queste la ragione — e maggiore che nelle seconde, le quali sono distese, lunghe e regolari, e continuano dopo che il vento si è diminuito, o è cessato interamente. In queste ultime onde, la quantità b può essere molte volte maggiore di a, perchè conservandosi costante b, si di- minuisce continuamente a, sino a diventare eguale al zero ». Parlando della teoria di Newton dice che . Egli, per l'esperienza che ha degli effetti prodotti dai marosi sopra il corpo di un bastimento, nell'applicare la sua teoria alla pratica della navigazione, cioè ai movimenti di barcollamento e di beccheggio del bastimento, sente la necessità di av- vertire, che si devono avere a calcolo le diverse ve- locità delle onde, e dimostra che « la velocità del colpo di mare può essere tale, che la sua forza sia molto maggiore di quella che può risultare dal suo semplice peso, o dalla semplice pressione, ch'è il solo principio di azione precedentemente considerato ». Ed a questo proposito accennando alla teoria dei sommi geometri che lo precedettero, come, per ci- tarne i pili grandi, i Bernoulli, i Bouguer, gli Euleri, così si esprime: « Grande e giusta meraviglia dee fare, che per sì lungo tempo, e così generalmente siansi ammessi siffatti errori nello spiegare il barcollare ed il beccheggiare de'bastimenti. Non si sono considerati in questi moti gli effetti delle onde, o de' colpi di mare, e sembra che i calcoli siano stati istituiti per de'mari incantati, e non per quelli che passano per di sopra alle navi, le inondano, e le fanno perire ». — De Poterai adotta la dottrina di G. Juan , ma lo Stratico osserva che « la teoria delle onde proposta dall'Juan non è abbastanza fondata, ancorché l'appli- cazione ch'egli ne fece sia molto ingegnosa e sot- tile ». — F. Circàr, dopo aver descritto l'effetto al- ternativo de una presion qualquiera nell'acqua rac- chiusa in due tubi riuniti nella base, soaigiunge eslo G.A.T.CXXXVIII. 2 18 mismo se puede aplicar para la formacion de las olas. Avverte però che nei tubi l'acqua non può aver altro movimento che quello verticale, mentre en la mar no debe siiceder asi. Liberi di se stessi los fluidos dilatan sus esfuerzos en todas direcciones. Crede molto facile la creazione delle correnti alla superfìcie del mare: por (loxo que sea el viento levanta algiina marejada que sigile la direccion del viento, y comunica su movi- miento à la restante sìiperficie de las aguas. E di Germania, che abbia trattato CQn deliberato proposito de'moti del mare, non conosco che il Kant. Questi dice: « Il movimento delle onde è un'agita- zione oscillante dell'acqua, un innalzarsi ed abbassarsi scambievole di due colonne d'acqua, in cui, se le onde non si rompono e per mezzo di questo si rovesciano, r acqua non corre più innanzi , talché puossi con qualche esattezza misurare col solcometro {lok) la ce- lerità di una nave veleggiante ». Egli dà alle correnti un'azione immensa di erosione e di distruzione; quindi attribuisce all'azione di esse la forma e la fisonomia che hanno le coste, e giunge a credere molto pro- babile che l'istmo di Panama finalmente si romperà in causa della corrente generale {l'atlantica equinoziale). Yengo all'Italia. Nota il Fossombroni che gl'italiani, già da gr^n tempo in possesso di trattare la scienza ed il govèrno delle acque torbide, ne conservano ancora la superio- rità a confionto degli oltramontani; ma questi per le chiare, e specialmente del mare, hanno mostrato spesso un genio trascendente. Questa sentenza non 19 esclude che in Italia molto prima che altrove siasi trattato ex professo anche del moto ondoso del mare. Di fatto Leonardo è stato il primo a stabilire le basì della teorica delle onde dell'acqua: egli ci ha lasciato un particolareggiato libro su questa interessante parte dell'idrodinamica. Dopo lui in vero non conosco al- tro autore italiano che abbia scritto un'opera speciale sul moto in discorso ; ma nondimeno la maggior parte di quelli che hanno trattato delle acque cor- renti hanno più o meno toccato il moto ondoso del mare nel senso pratico de'suoi effetti: solo Lagrangia e Plana han tenuto la via dell'analisi algebrica. — Ga- lileo accenna al moto di trasporto nelle onde. — Ca- stelli in modo esplicito dichiara che le onde « sol- levano dal profondo del mare moli immense di are- ne, e le trasportano col loro impeto ». — Montanari non riconosce moto di trasporto nei flutti; ammette in essi la sola potenza di sollevare le arene ed in- torbidare le acque. Crede l'azione loro « sensibile a circa due metri di fondo, e ne restano esenti quelle arene che sono nei fondi di tre o quattro metri ». In questi fondi nelle tempeste più gagliaide ed im^ petuose può giungere qualche commozione. Per lui il moto radente è 1' unico e rilevante veicolo di tra- sporto. — Viviani riconosce che Voìida marina spinge al lido le arene del mare, ed obbliga le correnti, ed miche quelle de'' fiumi, a voltare or da una parte or dalV altra secondo la direzione del vento ohe domi^ na. — Guglielmini si accorda col Viviani. Trovo ri- marchevole, per la questione che tratto, il seguente corollario del Guglielmini: « L'ingresso de'fìumi nel mare si fa a mezz'onda, che vale a dire che la su- 20 perficìe dell'acqua non viene regolata, nò dalla parte superiore dell'onda, spinta contro lo sbocco (sia ella 0 di moto ordinario o pure burrascoso) né dal basso dell'onda medesima; ma bensì dal punto di mezzo, tra il maggiore alzamento e l' abbassamento del- l'acqua ondeggiante; e la ragione è fondata sulla ve- locità del bilanciamento dell'acqua, la quale non per- mette che il pelo del fiume si elevi alla sommità dell'onda, nò si abbassi alla dì lei maggiore conca- vità; e perciò viene ad equilibrarsi con questi con- trari conati in un sito di mezzo ». — Credo che an- che il Poleni professi la dottrina del Viviani in quanto si riferisce ai flutti. Egli inoltre attribuisce al moto radente maggiori effetti di quelli attribuitigli dallo stesso Montanari. — Zendrini trova nei flutti potenza di sconvolgere e tirare le sabbie dai cupi fondi del mare, e spingerne al lido immensa quantità. Dimostra ch'essi, quando battono la spiaggia in angolo di 45.° hanno azione massima per zappare il lido ed espor- tare le sabbie. Dà nulla ostante prevalenza di tra- sporto al moto radente. — Manfredi e Frisi sono con lui. — Boscovich riconosce nei flutti la potenza di smuovere i detriti del fondo del mare; ammette che i banchi mutano sito secondo la varia forza delle diverse tempeste , che formano diverse correnti di acqua marina, le quali crede che prevalgono aWordi- naria corrente generale (la radente). A questa poco 0 nulla dà valore. Egli stabilisce in fine che i detti banchi saranno disposti secondo l'azione di quel vento che ha forza maggiore sopra ogni altro. — Borelli dice che « l'altezza delle onde del mare non ha forza di spingere le acque verso terra con impeto conti- 21 nuato, ma solamente a guisa di pendolo con serie interrotta spingere e poi ricevere l'acqua che di mano in mano dalle cime delle onde vanno cadendo ec.ec. »- Secondo lui le correnti non ricevono dai flutti «altro impedimento se non questo, che il corso loro non potrà continuarsi con la stessa uniforme velocità , per le spinte che di tanto in tanto le onde del mare gli danno ». — S. Stratico segue la dottrina di Newton, ma si fa ad avvertire, che la discesa ed asce- sa delle parti delV acqua si fa piuUoslo per archi circolari. — - Zanotti confessa di non aver avuto « né comodo né occasione di attentamente osservare gli effetti maravigliosi che produce il mare nei porti e lungo le spiagge »; quindi non emette giudizio sulla costituzione delle onde. — Lagrangia riguarda la sup- posizione di Newton come assolutamente insufflcienle a rendere ragione del fenomeno dell'onda. Egli, per giungere a stabilire le sue equazioni, suppone che nella formazione delle onde V acqua non è scossa ed agitata che a piccolissima profondità. Ed in vero se a è la profondità alla quale l'acqua è agitata, e n la velocità delle onde, espressa in metri per secondi, n 2 si ha con la formola di lui a = ; dimodoché ", o i per le onde che hanno 2 metri di velocità e 4 di 4 cavo 0 altezza totale, si avrà a = — — — C" 40. Oue- 9, 81 sta profondità di agitazione è soltanto la decima parte dell'altezza dell'onda. Per analogia alle onde sonore ritiene, che la velocità di propagazione delle onde marine diminuisce col diminuire del fondo del mare, e stabilisce che la detta velocità sarà la stessa 22 di quella che un corpo gi-ave acquista cadendo da un' altezza eguale alla metà della profondità dell'a- cqua , dove pelò questa profondità non sia molto grande. — Mari si mostra convinto che i flutti ab- biano moto di trasporto, e crede che le arene sono a portala di essere prese a collo dalle onde nei venti pili discreti. Per gli effetti del moto radente è col Poleni. — Zuliani ancora si dichiara convinto, che l'acqua del mare in tempo di burrasca viene solle- vata e « spinta gagliardamente dalla furia dei vento verso la spiaggia ». Quindi assicura, che le sabbie incorporate colle Stesse acque del mare burrascoso sono dalle onde trasportate verso i lidi. Egli tende a credere prevalenti gir effetti di trasporto dovuti al moto radente, in confronto a quelli dovuti ai flutti anche del vento dominante. — Mengotti ritiene, che le acque torbide delle fiumane sono respinte in dietro dai tenti e dai marosi, e questi disperdono e riproducono ìe barre. — Bidone dalle sue esperienze ha dedotto, che il moto ondoso si trasmette a delle grandi pro- fondità. Egli più d'ogni altro si è occupato di spie- gare il moda e di scoprire fa causa del successivo frangersi delle onde nel lido, e specialmente di ren- dere ragione del fenomeno conosciuto sotto il nome di mascaret. Avverte che quando il mare è agitato i frangenti s'innalzano piiì delle onde per causa del- l'urto della corrente ascendente sulla spiaggia pro- dotta da ogni onda, colla corrente discendente del- l'onda antecedente. — De Fazio pel moto di trasporto nei flutti segue la scuola del Castelli : ai fatti da questo registrati ne aggiunge dogli altri e conclude: « Tutti i cennati fatti provano abbastanza che i venti, 23 spingendo te onde, regolano i depositi delle materie che sollevano e trasportano w. Per il punto fin dove si comunica l'azione di essi si mostra convinto che non giunga al di là di circa 7,'" 80 ; le sabbie per qualunque tempesta non sono mai sollevate più sotto di questa profondità di acqua: « l'agitazione super- ficiale, per quanto forte si voglia, diventa debolissima, anche prima di giungere a circa due metri sott'a- cqua ». — ladini dice « che le onde sollevano e va- gliano le materie , scernendo le sabbie dalle terre fine, quelle gettando verso terra, queste trasportando all'alto ». Non conviene nella dottrina del Montanai'i, e dà al moto radente più azione di trasporto di quella ammessa dal Montanari stesso. — - Marmocchi, se- guendo la dottrina del Kant, conviene sul 'moto di trasporto nelle onde , ma nel solo caso eh' esse si frangano; e quando ciò avviene in alto mare, la su- perficie deirOceano allora corre rapida come un tor- rente impetuosissimo. — Brighenti ammette moto di trasporto nei flutti. Basandosi sulle esperienze, che di persona ha fatto, è indotto a « pensare che la di- rezione del moto ondoso delle burrasche valga a guidarci con maggiore sicurezza nell'intendere i fe- nomeni degli interrimenti, e nell'applicarvi i rimedi ». Quindi non conviene nella legge del Montanari, né in quella modificata del ladini. — A.. Cocconcelli si at- tiene al Zuliani. — E. Lombardini dice « Mentre le acque de'flumi continuano a portare al largo mare le torbide che depongono in vicinanza della foce, questo agitato dai venti esercita un'azione contraria in tutta la lunghezza della spiaggia, tendendo a re- spingere le materie medesime verso di essa. Com- 24 binando questi movimenti con quello continuo del mare da sinistra a destra, che chiamasi moto radente, distendono tali materie lungo il littorale , anche a notevoli distanze dalle foci de'fiumi. La violenza delle onde del mare si ritiene essere in certa proporzione colla profondità del medesimo, e cresce con essa; aia la loro propagazione sotto la superficie delle acque ha un limite, oltre il quale il fondo del mare non viene smosso per qualunque tempesta ». — Ven- turoli non ammette mai moto di trasporto nei flutti. Egli ritiene che il movimento impresso dai venti alle acque del mare è tale, che queste si alzano bensì alternativamente e si abbassano, ma non si veggono già concepire determinatamente alcun n)oto progres- sivo. 11 moto radente, o quello di altra corrente, è il solo veicola di trasporto: e di ciò si dichiara con- vinto qualunque sia la forza della burrasca e la di- rezione del vento. — C. Afan de Rivera segue la scuola del De Fazio; quindi difende il sistema de'moli ar- cuati. Convinto che l'azione del moto ondoso tende ad ostruire le foci, ha cavato profitto dalla potenza di esso, e col suo semplicissimo trovalo delle palificate sommerse a traforo facenti l'ufficio di sponde, conserva e migliora gli sbocchi. — G. Collegno dice che « i moti regolari del mare, le correnti cioè e le maree, non bastano a produrre gran cambiamenti nella parte solida del globo... La vera azione distruttiva del mare si è quella de'fiotti che, battendo incessantemente le esterne falde de' continenti e delle isole, cagionano guasti incomparabilmente maggiori a quelli de' fiu- mi... Nei mari profondi V azione de'flutti non si fa sentire sul fondo , se non laddove le spiagge sono 25 esposte a venti impetuosi; ma quell'azione produce in allora effetti più importanti... L'acqua che copre banchi di sabbie o di fanghiglie, profondi anche 25 metri, diviene torbida nelle burrasche, e ciò avviene solo perchè 1' agitazione del mare si stende sino a quella profondità e ne smuove il fondo... Per quanto si può giudicare nella costruzione de' moli e delle dighe di vari porti, alla profondità di 7 metri le onde non esercitano più effetto alcuno sui materiali al- quanto voluminosi «. — Pilla conclude poter ritenere « che i movimenti del mare operano in due sorte di maniere, cioè modificando le terre , e trasportando materie diverse a molta distanza. I movimenti della superficie (quelli delle ondulazioni prodotte dall'urto del vento) producono lievi effetti dell'uno e dell'al- tro genere. Quelli delle maree e delle correnti ope- rano nel modo medesimo, ma le loro azioni sono molto più energiche ». — C. Conti così ne parla: « Le onde del mare agitato e commosso sono enormi sollevamenti ed avvallamenti di acqua. La distanza da culmine a culmine, nel medesimo istante, dà la lunghezza dell'onda. Che poi questo movimento ap- partenga alla classe degli ondulatori, si riconosce da corpi leggieri galleggianti che rimangono presso che nel medesimo sito. L'onda che si vede da lungi, e che mano mano si avanza, non è costituita dalla me- desima acqua; l'acqua frapposta successivamente si commove fino a che si alza e si abbassa quella ch'è sottoposta alla nave , con quel movimento di più orizzontale che corrisponde alla vibrazione di ogni particella combinata con la forza di gravità che in quegli alzamenti e abbassamenti grandissimi diventa 26 possente ». — D. Paoli dice: « Accordasi ai ventila facoltà di far gonfiare le acque, ma niegasì loro quella di comunicare ad esse alcun moto progiessivo in massa... Mai venti imprimono non già un solo mo- vimento ondulatorio, non un semplice innalzamento di livello, ma valgono bensì a comunicare alle acque un moto progressivo e in massa, moto che si estende anche alle parti meno superficiali ». Niun dubbio egli lascia, anzi si mostra irrefragabilmente convinto, che nel moto ondulatorio i venti imprimono alle acque del mare anche moto di traslazione e di massa. Così pure ei ritiene per certo, che i trasporti di sabbia, di ghiaia, di ciottoli siano dovuti, anziché alle correnti del nostro mare, alVazione de^venti e delle tempeste. Non così esplicito si mostra nell'assegnare fino a qual profondità si comunica sensibile l'azione de'marosi, ma non vi è dubbio che nel Mediterraneo ei la creda ben al disotto di 40 metri. — Meneghini mi pare che ammetta sempre moto di trasporto nelle onde. Egli parla diffusamente di un'onda di fondo prodotta dalla continuazione di forte vento: questa, secondo lui « è interamente diversa dalle onde consuete, che sogliono essere superficiali e confinate all'area vessata dal vento ». Il movimento di detta onda, « che in- teressa tutta la profondità dell'acqua, si propaga con una velocità che sta in ragione inversa della radice quadrata della profondità stessa... essa è rapidamente trasmessa a traverso all'Oceano a regioni lontanis- sime, anche molto dopo che cessarono venti e flutti... Se si aggiunga l'impulso del vento al movimento suo proprio, la forza dei cavalloni diviene prodigiosa... 27 L'azione del vento si esercita sulla massa liquida sot- tostante; raramente per altro arriva a grandi profon- dità, non oltrepassando d'ordinario i 60 o tutto al pili i 90 metri ». — C. Acton così si esprime: «Ella è volgar credenza, che l'acqua essa medesima si avanza con la velocità dell'onda; ma in fatti la forma soltanto si avanza, mentre la massa rimane elevandosi e di- scendendo nello stesso luogo, con la regolarità di un pendolo... Ma quando l'onda giunge in un basso fondo o spiaggia, essa diventa realmente progressiva: poiché allora non potendo affondarsi direttamente in giiì,essa si rovescia d'innanzi rotolando e cercando il suo li- vello... Egli è cosa dubbia molto, a qual profondità il mare fosse agitato da'venti ». — S. Di Amico, e D. Cappetta, secondo che riferisce e sembra adottare il De Ritis, dicono « che nei grossi temporali quando il movimento arbitrario delle onde sino al letto del mare propagasi , purché non sia grandemente pro- fondo, vengono i sedimenti smossi e assoggettati al- l'azione delle correnti o delle onde del mare dalla forza de'venti commosse e sollecitate, e vanno a de- positarsi ove la calma regna ed il riposo. — F. De Luca riconosce moto di trasporto nei flutti: essi sol- cano il fondo del mare, ne tirano le sabbie dai cupi fondi, e ne zappano le sponde, trasportando quanto han potuto distaccarvi. Si estende inoltre sopra i tristi effetti delle risacche. Ai sopraccitati avrei voluto unire il Paleocopa, il Casoni, il Nobili, il Cavalieri, il BertoHni, il Sereni, il Manetti, il Savi, il Turazza ed altri ancora; ma di questi non ho sottocchio tanto che basti a formarmi 28 mi concetto del modo loro d'intendere la costitu- zione e gli effetti delle onde marine. Dallo studio delle opere che mi han servito ad abbozzare il precedente quadro , e di altre che ho taciuto per brevità, ho ricavato che il maggior nu- mero de'trattatisti della materia, e fra loro i più di- stinti, non ammettono mai moto di trasporto nella propagazione dell'onda. Un piccolo numero sostiene che questo moto esiste, e sempre nella superficie quando soffia qualunque vento: avvi pure chi lo am- mette anche senza vento: alcuni altri vogliono che il moto in discorso si sviluppi soltanto nello strato in- feriore dell'onda,, quando questa incontra uno o più risalti: altri in fine credono, che il moto stesso abbia effetto nei luoghi di molto poco fondo e molto pros- simi al lido , o per meglio dire , quando V onda ò franta. Io invece ritengo che moto di trasporto esista in alcuni casi, vale a dire, sempre nelle tempeste, qualunque sia la profondità del mare ; e nei tempi ordinari solamente dove lo sviluppo inferiore, o la- terale 0 di fronte del flutto trova inciampo, qualun- que sia la profondità dell'acqua e la distanza dal lido. Ritengo ch'esso si comunichi a tutta la massa che costituisce il flutto; e che i suoi effetti siano più o meno apprezzabili in ragione della natura e forma dell'ostacolo incontrato, e della pressione esercitata dalla massa ondeggiante e dalla velocità di propa- gazione di essa. Questi effetti debbono inoltre dive- nire molto complicati, e produrre tutta quella serie di fenomeni, e potentissimi, che vediamo verificarsi nelle coste dì mare profondo e nei moli: come, a ca- 29 gion di esempio, i fenomeni di riflessione, di accor- ciamento, di risacca, e di onde titubanti, come le chiama Leonardo (il clapolage de'francesi); quelli di azione diretta e di alto in basso, e quelli in fine pro- dotti dalle disuguaglianze de'massi, nelle quali, come in angoli rientranti, l'azione del mare si concentra e può acquistar moltissima violenza. Dunque io mi trovo in qualche parte d'accordo con tutti; ma col solo Leonardo posso credermi in accordo perfetto. Veggo bene quanto sia grave il dissentire in tutto 0 in parte da uomini di tanto valore, di sì alta ri- putazione , e tanto benemeriti delle scienze , quali sono i Laplace, Cauchy, Poisson, Bremontier, Emy, Virla, Fèvre; i Newton, Lyell, Denison, Rennie, Airy, Stevenson;iJuan;iKant;iMontanari, Zendrini, Lagran- gia, Tadini, Venturoli, Paoli, ed altri anche recen- tissimi. Ma trattandosi di cosa relativa all'arte mia, mi credo in obbligo di esporre francamente il mio pensiero, sostentandolo di quelle ragioni, che dedotte dalla considerazione di alcune cause, e dalla osser- vazione di alcuni effetti, mi conducono ad opinare diversamente. Se si troverà del vero nelle mie idee, avrò il piacere di avere arrecato la mia pietra al- l'edificio della scienza in cosa tanto studiata teore- ticamente e tanto controversa; se poi mi sarò ingan- nato, e l'inganno somministrerà ad alcuno occasione di correggermi, dalla discussione stessa almeno sor- gerà una qualche luce a rischiarare l'oscurità in cui la materia trovasi peranco ravvolta. 30 ARTICOLO I. MOVIMENTI DELLE MOLECOLE NELLA MASSA CHE COMPONE L ONDA. — ERRONEO PRINCIPIO DA CUI SONO DEDOTTI I FENOMENI DELLE ONDE. — DEFINIZIONE DELL* ONDA IN ALTO MARE. — DUE DISTINTI CASI INTORNO ALLA COSTITUZIONE E MOTO DI ESSA. — CASO PRI- MO — PROVE. — CASO SECONDO — PROVE. — l'oNDA PRESSO IL LIDO. — REAZIONE DEL FONDO DEL MARE. — ALTRO FENOMENO NELLA MASSA ONDEGGIANTE. — ORIGINE E FINE DELL'ONDA- — SUOI DIVERSI EFFETTI. — ESEMPI PER CIASCUNO DI ESSI. — profondità' CUI SI COMUNICA l' AZIONE DELL'oNDA — FATTI IN PROPOSITO. — POTENZA DI ESSA — ESPERIENZE. 'jominoerò dal dire, che nel moto delle molecole nella massa ondeggiante, o sìa esso rigorosamente ver- ticale in guisa, che un' asta immersa verticalineiìte nel mare e libera di se non abbia altro sforzo a so- steiaene che la pressione prodotta dal contatto e l'at- trito dell'acqua quando questa si abbassa e s'inalza; o sia oscillante a similitudine di quello de'pendoli; o sia di va-e-viene in analogia all' altro nei rami verticali ed orizzontali de'sifoni; o sia orbitale come il moto di un satellite attorno al suo pianeta e di questo attorno al sole; o in fine sia oscillatorio nelle ragioni inferiori ed orbitale in quelle superiori, do- vranno tenersi a calcolo due cause, la cui influenza nao è stata fui qui avvertita, per quanto io sappia. La prima è il giuoco di quel numero infinito di mo- lecole di acqua che, raffreddate a cagione della eva- porazione e nelle notti per via di irradiazione, si pre- cipitano in ragione del loro eccesso di gravità spe- cifica. In fatti atteso la poca conducibilità de'liquidi. 31 l'equilibrio idrostatico non si stabilisce, che col pro- dursi delle correnti discendenti ed ascendenti deri- vanti dalla dilatazione maggiore che conservasi nelle molecole degli strati inferiori a confronto di quelle raf- freddate alla superfìcie , segnatamente se il cielo è sereno, se l'aria è calma, e, regnando vento, se que- sta si propaga per aspirazione; quindi diventando le molecole superiori più dense, si precipitano e vengono surrogate da quelle inferiori meno dense. Vero è che durante l'agitazione delle onde mantenendosi le molecole in continua mescolanza fra loro, il raffred- damento dev'essere meno sensibile che a mare calmo; nulladimeno io porto opinione che questo fenomeno non debba trascurarsi, seguendo esso una legge di moto prodotto da causa ben diversa da quella che muove le molecole costituenti 1' onda. La seconda causa è un altro fenomeno, il quale deve avere ben più importante influenza nel moto delle molecole nel- l'onda. Nei luoghi ove esistono correnti, ed in quelli ove esse si generano per l'azione di quel vento istesso che ha formato le onde, si ha un moto di massa nel senso orizzontale, di profondità diverse proporzionate alla causa da cui derivano. Ora questo moto deve alterar quello qualunque delle molecole che costitui- scono l'onda. Secondo quanto ne dice C. Conti in caso di acqua che l'egolarmente trascorre, le onde si pro- pagono come in tranquillo stagno, e camminano colla corrente che le porta. « Lochè significa che ogni particella, nel mentre soddisfa al moto ondulatorio derivante dallo scotimento, continua poi la sua uni- forme velocità ». Ma le onde, di cui parla il Conti, sonp prodotte dalla caduta di un sassolino, e non già 32 create da vènto prolungato e forte, la cui azione sopra le molecole dell'acqua si deve comunicare nel verso verticale, e molte volte a profondità molto al disotto dello strato dell'acqua che trascorre orizzontalmente. Dunque tutto ciò dovrà entrare nel calcolo; ma non sentendomi capace di emettere giudizio nella parte teorica di questione sì complicata, mi limiterò ad esporre come io intenda il moto ondoso del mare nella parte che alla pratica si riferisce e nei limiti spettanti all'idraulica ed alla nautica. In oltre in que- sti Cenni ho meno in mente di persuadere che di far pensare: il mio principale scopo è quello d'impegnare a trattare un soggetto importante, troppo trascurato finora nella parte pratica e veramente utile. Esso degna- mente prenderà posto fra le altre osservazioni di meteo- rologia nautica, che la non mai abbastanza lodata con- ferenza di Brusselles del 23 agosto 1853 si è pro- posto di studiare, secondo lo spirito umanitario-scien- tifico-commerciale del benemerito suo primo promo- tore Mam-y (*). Il maggior numero degli autori, che hanno parlato delle onde, prendono per esempio quelle che si for- mano circolarmente per effetto della caduta di un corpo in un liquido; ma il flutto prodotto alla su- (*) E noto il nobile scopo di questa conferenza, cui assistettero i rap- presentanti di molle marinerie, come può rilevarsi da una comunicazione di Quetelet inserita nella Corrispondenza Scientifica in Roma de'5 gennaro 1854 num. 1. La nostra marineria e slata la prima, fra le italiane, ad essere posta in caso di convenientemente concorrere a quello scopo con le sue osserva- zioni fisiche in virtù della Istruzione per compilare il giornale meteorologico indicato all'art. 7 della notificazione dell'S gennaro 1855, emanata da sua eccnza. rema, monsignor G. Milesi ministro del commercio e lavori pubblici lo sono sicuro che i capitani si adopreranno con zelo e perspicacia per cor- rispondere alle provvide viste del governo, e fare onore al paese ed a se stessi. pertìcie del mare dall'azione de'venti, i qQali la per- cuotano in un angolo di circa 18." coli' orizzonte, è di altra natura. Quell'azione verticale del corpo ca- duto, e quella serie di onde circolari sono poco com- parabili all'agitazione del mare che ha sempre per causa prima i venti, e le cui ondulazioni si succedono presso a poco in linee rette, paralelle e sovente estese a più leghe senza interruzione. Io denominerei ar- tificiale queir azione e quelle onde, e penserei che gli effetti loro possano solo servire a rendere ra- gione di alcuni fenomeni che mi parrebbero secon- dari. E quindi reputo che non debbansi confondere e generalizzare coi fenomeni de' flutti propriamente detti, quelli dedotti dalle semplici ondulazioni, o cre- spe circolari, nelle quali le forze molecolari e l'ela- sticità esercitano un' influenza molto grande, mentre l'azione esteriore (e quasi sempre continuata) del vento non vi ha parte alcuna. Cosi non posso neppure con- venire interamente con coloro, che stimano legge ge- nerale del moto delle onde i fenomeni che si osser- vano quando esse, provenienti dal largo, si propagano a ridosso del vento, e in un bacino relativamente profondo, ove, in superfìcie tranquilla, si sviluppano liberamente. Io credo che in ogni luogo ed in ogni tempo il vento, se percuote le onde, debba influire sopra i fenomeni di esse, e credo che molla influenza debba avere in questi il non libero sviluppo della massa ondeggiante. L'azione del vento e la reazione del fondo del mare dovranno dunque essere princi- palmente studiate da chi vuole render ragione degli effetti delle onde: ed in questi studi non bisogna ti- darsi molto de'risultati ottenuti da esperienze fatte G.A.T.CXXXVIII. 3 in piccolo, le quali quasi mai non si trovono confermate dalla natura, specialmente quando si tratta dei liquidi e dei fluidi. Toìites doivent ètte appliquée^ en grand, et vérifiées à la tner, avant que lem solution soit considérée c&mme complète, ripeteva , in ricerche simili , con molta ragione Thibault. Per alcuni fenomeni convengo con De Caligny che , nello stato attuale delle nostre cognizioni , è molto diffìcile, pour ne pas dire impossible, di fare delle osservaziotìi directes; ma credo che si giungerà più facilmente a scoprire ovunque la verità col ve- dere, raccogliere e studiare lunghe serie di fatti svi- luppati dalla natura nel libero esercizio delle sue forze, che coll'attenersi ai fenomeni artificiali. Dopo aver per lungo tempo studiato nel gran libro del mare, dopo aver tranquillamente meditato sulle cose in esso vedute, e dopo aver consultati gli scritti di neereditati osservatori; un' accurata analisi di tutti i fatti cihe si congiungono ai fenomeni naturali , ed una sapiente sintesi, nella quale i diversi ordini dei latti siano aggruppati, devono condurre al vero. Per quanto da me potevasi, ho tenuto questa via ; ma ben sento di essere rimasto troppo lungi dalla meta; e perciò ho apertamente dichiarato a che precipua- metittò mirassi nello scrivere. L'onda in istato normale può virtualmente conside- rarsi come composta di due piani egualmente inclinati. Quindi, Se mal non mi appongo, si può ritenere con Bremontier e Virla, che un galleggiante (io preferisco dire un bastimento) nell'ascendere 1' uno e nel di- scendere l'altro di quei piani si trovi per le leggi dì 35 gravità ritardato ed accelerato in modo che, se altra causa qualunque non lo spinga, si deve trovare nello stesso punto, senza aver partecipato al moto di pro- pagazione deir onda. Ma dopo ciò mi fo sollecito di avvertire che in pratica non credo indifferente cosa aver l'onda favorevole o contraria alla dire- zione che il bastimento deve tenere, specialmente quando essa è corta ed alta. La forma cui-va della carena del medesimo riceve una serie di urti dal moto di ascensione delle onde (ritenuto anche che le molecole non descrivano orbite) le cui com- ponenti orizzontali tendono a spingerlo a seconda della propagazione dell' onda. Ma la potenza risul- tante dai detti urti è ben lungi dal produrre l'effetto d'imprimere al bastimento quella velocità, colla quale le onde si propagano, ed alia quale l'arte nostra non potrebbe opporsi , come pur troppo ci accade nei casi di violenta tempesta o in quelli di venti anche ordinari: in questi però presso le spiaggie soltanto. Pei primi casi l'esperienza mi fa dire col De la Bèche, a che l'acqua alla sommità de marosi spinta dall'a- zione de'venti possiede una terribile forza d'impul- sione, forza che si propaga verso la paite inferiore del maroso in ragione della velocità de'venti »: con- servando però sempre per principale moto quello di vibrazione. De' secondi casi ne parle^^ò in seguito: ora mi fermo su i primi. Il Paoli insiste , e se ne ravvisa il bisogno, io dimostrare, che il vento deve come incarnarsi col- r acqua che prende forma di onda , non solo per l'attrito 0 fregaraento propriamente detto , ma per 36 l'adesione ancora: dappoiché pur troppo, come abbia- mo veduto e come accenna anche Minard, vi ha per- sone distintissime in scienza, dalle quali si è pensato che non solo in alto mare e in casi di tempesta, ma anche presso il lido i flutti non abbiano punto moto di traslazione progressiva in massa per cfTetto del vento. De Rossel parlando delle correnti dice: Tonte impulsion prolongée doil comnniqner un mouve- ment à Veau de la mer , et déterminer un courant. Come escludere quindi ogni moto di trasporto nelle onde prodotte dall'impulso di un vento fortissimo e prolungato, ed anche quando la massa ondeggiante non ti'ova piiì libero sviluppo per difetto di pro- fondità nell'acqua? Eppure si esclude: ed intanto, la fiducia ispirata da quegli scienzati ha forse com- promesso la sicurezza di molti bastimenti e la con- servazione di alcuni porti ! A quanto il Paoli ha detto sull'influenza del vento , mi si permetta che qui unisca alcuni de'fatti a me noti. Non vi ha dubbio, che in tempo di venti fu- riosi l'acqua alla superficie de' marosi è sensibilmente spinta in avanti. Spesso si vede la superficie delle grandi onde intaccata da gran numero di piccoli flutti, i quali frangendosi fan biancheggiare il mare: fenomeno da noi indicato col nome di pecorelle. Non così spesso , ma disgraziatamente troppo di frequente, si vede pur anche che i marosi slessi si frangono in alto mare per la resistenza della sot- toposta acqua in virtù de'principii medesimi, pei quali si frangono sulla spiaggia e nei cui effetti non avvi che una sola diff'erenza , quella cioè che la resistenza essendo solida sulla spiaggia, i flutti si 37 aguzzano, e franti si precipitano a molta più distanza di quello eh' essi possano fare in alto mare sopra un corpo liquido, poco resistente ed ondeggiante. Se col soffiar due venti violenti in direzione opposta si formano due serie di eguali flutti, che una contro l'altra si diriga ; e se all'incontrarsi di esse veruno de' due venti ha interamente ceduto il posto all' altro , i flutti si urtano e s' inalzano con violenza tale da assomigliare a quelli, che Malte-Brun chiama murailles liqiiides, doni un léméraire naviga- ieur ne saurait s' approcher impunement. In questo fenomeno deve aver parte l'effetto dello incontro di due correnti, le quali sembrano traversarsi, ma in realtà si riflettono, come rimarcò Leonardo. In vece senza vento, tanto fa a muoversi V onda contro al- l' altra, quanto muoversi V mi' onda per se nelV acqua immobile, come osservò Io stesso Leonardo, e come ha confermato Poncelet con più recenti esperienze. Ritengo inoltre per certo, che in tempo di for- tuna, cessato il vento che ha prodotto i marosi e sottentratone all'istante un altro egualmente violento in direzione opposta , se sempre non cessa subito l'ondulazione, cessa però sempre, quasi istantanea- mente , alla superficie il trasporto progressivo in massa nella direzione del vento che regnava. Du Guay- Trouin racconta che un gran vento di nord aven- dolo gettato sulla costa presso San Malo , eia per far naufragio , quando il vento tutto in*^ un colpo saltò al sud, e che questo cambiamento placò su- bito la tempesta e l'agitazione de'flutti. Comment , dice Minard che riporta questo fatto, comment con- cevoir cet effct, si le veni navait pas une action di- 38 recte sur les vagues? Nel 1837 io era per perdermi sulla costa orientale dell'America meridionale presso Bahia con vento impetuosissimo e grosso mare di traversia ; quando tutto ad un tratto scoppiò una tempesta da terra. Avendo perduto gli alberi di gab- bia, reso inservibile il bompresso, e fatte altre ava- rie, non si potè spiegare al nuovo vento che la so- la vela di trinchetto co'terzaruoli presi. Ebbene , questa bastò per allontanare sollecitamente il ba- stimento da terra, quantunque i mai*osi seguitassero dalla parte di fuora, ed il bastimento si trovasse so- praccaricato dalla molla acqua entrata nella stiva. Come ciò poteva aver effetto se, come durava l'on- dulazione verso terra , avesse anche durato il tra- sporto progressivo in massa nello stesso verso ? Questo dovè esser cessato col cessar del vento, ed anzi incominciato l'altro, superficialmente, nel senso opposto; cioè nella direzione del nuovo furioso ven- to : il quale altro moto mi era fatto manifesto dal frangere de'piccoli flutti incisi sulla superficie della Tecchia onda e spinti contro la propagazione di es- sa. II bastimento era di 500 tonnellate; e, secondo gli scandagli del Roussin, la profondità in cui si trovò il bastimento stesso non fu minore di circa 230 inetri. È noto che il vento, come rimarca Huot, cac- cia le acque dell'Oceano indiano nel mar Rosso, e quivi si trovano , a marea bassa , 8"*, 12 piij alte del livello del Mediterraneo ; dislivello che, ridotto anche alle recenti misure di Bourdalone, resterà sempre sensibile. Si sa che la celebrata corrente ìit- torale del mare Adriatico viene, secondo che ha re- 39 gistrato il Marieni , « non poco alterata dai venti gagliardi, particolarmente allorché vanno mancando dopo aver soffiato per due o tre giorni, producendo questi in tal caso o una corrente contraria alla ge- nerale, ovvero accrescendone la forza ». Fenomeno che verificasi anche nel Mediterraneo, come si dirì^ in seguito. È noto che Bayfield ha fatto vedei^ ^ che un vento di tempesta rompe per qualche tempo la celehre corrente del golfo del Messico ( Gulf-. Stream ) e ne mescola le acque con quelle più Iredde e più profonde: e che W. C. Redfield è in- dotto a concludere che, di buon tempo e di mare tranquillo, la larghezza termometrica di detta cor- rente può essere molto più grande che nei cattivi tempi, e ch'essa è molto più stretta ne'suoi limiti dopo una gran tempesta. Si sa che il vento è attOi a produrre una specie di marea lungo le coste e nel fondo de'golfì: ch'esso ha potenza pur anche di produrre delle sensibili variazioni accidentali nelle vere maree dovute all' attrazione della luna e del sole , in guisa che quelle delle quadrature possono essere tanto alte, e più alte ancora di quelle delle congiunzioni, come per l'Adriatico dedusse Toaldo dai giornale meteorologico tenuto dal Temanza, e com© Smèaton osservò per l'Oceano. È noto che per effetto del vento si ha dislivello nelle acque de'laghi, comq avvertì il Castelli, e con ripetute osservazioni ha confermato il Lombardini: che per il vento, come riferiscono Franklin e Rennell, le acque di un gran bacino, largo dieci miglia e profondo 90 eentime!- tri, si erano tutte accumulate da una parte, dimo- doché in questa vi erano circa 2 metri di profoo-» 40 dita, mentre che nella parte opposta, cioè in quella donde veniva il vento , il bacino era a secco: che per esso nel mare di Azof , quando soffia violento da est, l'acqua ritirasi in tal rimarchevole modo che al popolo di Tagamók è permesso di effettuare il pas saggio a piede asciutto alla costa opposta [on dry land to the apposite coast) situata a circa 14 miglia distante; e cambiando vento, il che accade istan- taneamente , le acque ritornano con tal rapidità al loio naturale letto che molte vite si perdono e dei piccoli legni naufragano come lacconta il D. Clarke. E noto che il vento è una delle cause precipue delle vaste correnti costanti da Colombo per tali classificate, e da A. De Humboldt qualificate per veri fiumi die solcano i mari e scorrono isolati fra liquide sponde che pochissimo o nulla partecipano al loro moto, come notano pur anche Maury e A. Secchi: che il vento è la causa unica che pioduce le correnti pe- riodiche e quel numero infinito di momentanee ge- nerate dai venti forti e prolungati anche nei mari freddi , ove le acque essendo più pesanti tarda- no pili che nei mari caldi ad obbedire all' inì- pulsione. È noto che quantunque il vento non ri- tardi tanto le acque correnti de' fiumi, quanto vo- leva il Castelli ed anche Guglielmini (benché in grado molto minore), è però certo, che agisce contro il corso di essi, e gli obbliga a maggiori tiahamenli, come ha dimostrato il Zendrini: che secondo la di- rezione del vento cambia nel mar Baltico e nel Ca- spio il peso specifico e la salsezza dell' acqua pel trasporto che imprime alla massa liquida : che il vento forma e trasforma con étonnanle rapidità delle il onde di 6 a 8 metri di altezza e di 100 a 130"* di lunghezza, come ha registrato De Tessan: ch'esso ha potenza di porre in moto ondulatorio masse di acqua anche più enormi, colle quali forma marosi di 10 a 12 metri di altezza, di 300 e 4^00 metri di lunghezza e di oltre 40 miglia l'ora di velocità di propagazione (*) : che sulla curva de' marosi stessi {*] Dopo la polemica che nel 1837 si accese fra Arago e Dumonl-d'Ur- ville, la misura dell'altezza, lunghezza e velocità delle onde accupò più seria- menle i navigatori. D'Urville aveva detto di aver veduto al Pud dell'Affrica delle onde formant de vraies montagnes, le quali misuravano circa 30 metri di al- tezza: raoik» di dire già usato da Cook quando scrisse « le onde erano delle vere mantagiie, esse erano piii alte della nostra alberatura » ; ma che biso- gnava abbandonare misurandone i veri limili. Secondo Arago le onde dell'O- ceano non supererebbero l'altezza di 6 a 8 metri. De Humboldt la porta a li. Marescot e Gourdin ne han misurate di quelle di U'", 50. Gcrvaize e Desgraz di circa 12"'. Duraoulin di 8, 10, 11 ed anche 12"". Henry de Missiesy di 13 a lo"*. Back circa 9 metri nella baja di Hudson. D'Urville in un tempo calm^ misurò delle onde provenienti da direzioni opposte qui s' entre - croi- saient; e trovò di 5 metri quelle dell'est, e di 7 a 8 metri quelle del sud-ovest. Vionnois ebbe 13™ di velocità di pro[iagazione in un secondo, ed un ampli- tudine di 300"' quando la mer est houleuse. Il medesimo in una tempesta trovò la velocità di propagazione di 20 metri , e 400 metri di amplitudine. Gourdin nelle onde di circa 11 metri di altezza stimò la lunghezza loro circa 100 metri, Gii, ufliciali della fregata inglese l' lìiconstant, secondo Aclon, misu- rarono delle onde alle 62 piedi(18m, 89). De Tessan in onde di 2™, 6 a 3"', 3 di altezza trovo 75"' di larghezza: in altre di 6"*, 3 a 6"*, 6 di altezza, più di 100"^ di larghezza: in alcune di 3"', 150 di larghezza : e in altre di 6 a 8 metri di altezza, 100 a L'IO metri di larghezza. Egli misurò con Bérard, nel Mediterraneo , 9 metri di velocità di propagazione nelle grandes ondes. Frissard per questo mare da t"' d'altczaa nei grands vmits, e soggiunge che questa cifra può essere oltrepassata dans les tcmpilcs. W. H. Smylh ha tro- vato nel golfo di Leone delle onde, la cui elevatezza e volume sono più grandi di quel che poliebbe allendcrsi dall'azione del vento e dalle molecole acquose [than would be considered lo resuU only frum. the action of the tvind ofi the aqueous particles). L';;i!ezza loro in un tempo assai procelloso non può essere molto meno di trenta piedi [fl»", 14]. Le onde in generale del Jledi- terraneo, nei cattivi temiìi normali, egli le stima dai 14 ai 18 i)iedi, [4"", 25 a 5™, 48] e spesso, (jiiando ad esse manca libero s|>azio da svilupparsi, ven- gono chiamale chopping (onde spezzale]. L B. A. Babrtn stima che in alto e libero mare l'altezza delle onde è in generale , come il quarto circa della velocità del vento : un veni, dont la vitesse est 100 pieds par seconde ele- verà les lames à 24 pieds de hauleur. La disianza da culmine a culmine tì 42 incide serie di piccoli flutti di misure diverse e che si muovono in diversi aspetti , come ha rimarcato Leonardo : che ne mozza le creste e ne trasporta r acqua in forma di polvere : che cotesti marosi , com' è noto ai marini, e come Reibell ha notato, sono bien plus élevées et plus dangereusesy quando il vento soffia da terra che quando esso è dans le méme sens qiie V ondulation ; e tutti sanno che ha possa di abbattere alberi e scorperchiare edifici. Né ciò è tutto: perchè, quantunque l'esperienza richiesta dal Yan-Beek sulla facoltà dell' olio di se- dare le acque del mare agitate dalle burrasche non abbia sortito il pieno effetto che si proponeva, pure per me non vi ha dubbio ch'egli abbia ragione di sostenere, che per quella sorte di membrana, in che gli oli e le sostanze grasse si conformano alla superficie dell' acqua , i venti cessano di esercitare quell'adesione, quella sorte di affinità naturale, che ha effetto fra l'aria e l'acqua; e Pouillet, sulle os- servazioni dello Scoresby relative alla formazione dei ghiacci in alto mare, dice: Dès que les primiers em- bryons des cristaiix deviennent perceptibles, la mer se calme cornine si Von avait repandu de V huile à sa surface. Io non citerò inoltre Aristotile , Plinio , Plutarco, Donati, Franklin, Lelyveld, Kant, Weber, La Somerville ed altri in appoggio al Van-Beek : e solo ricorderò, che i pescatori di ogni paese col- l'uso dell'olio ottengono la cessazione dell'increspa- dall'uso e dalla generalità chiamata lunghezza dell'onda; De Tessan la chiama larghezza, e Monnier amplitudine. In tutta questa Memoria intendo parlare di miglio 'nautico, il quale è di 1851", 85. La velocità di un metro per secondo di tempo corrisponde a un miglio e 94 centesimi per ora. 43 mento prodotto dal vento sulla superficie del mare, e possono così vedere nel fondo e pescarvi. È nolo che al sud-ovest delle Azores esiste una zona di erba marina galleggiante ( Sargassum bacciferum ) di superficie equivalente a quella della Francia , e molto più vasta ancora , secondo il Meneghini. Questo mare erboso, questo prato gal- leggiante composto di erba secca e fresca , come notò Colombo, dopo essere stato da molti naviganti osservato per lo spazio di oltre 40 anni, il Renneli ha trovato che non cambia di posto né in latitudine, né in longitudine; e De Humboldt, discutendo le os- servazioni di Colombo , ha fatto risalire questa ri- marchevole circostanza di situazione alla fine del quindicesimo secolo. Arago, parlando di questo mer de varéc, si fa a richiedere che si spieghi à Vaide de quel artifìce, sur une aussi grande étendue de mer, les eaux échappent si complément à V action des vents et des courants, di modo che piìi centi- naia di anni naient pas saffi à Ventière dispersion des plantes qui s'y trouvaient rassemblées à la fin du 15""" siede lorsque les caravelles de Colomb les sillonnèrent pour la premiere fois. A me sembra po- ter rispondere in modo soddisfacente, e nel tem[X) stesso venire per analogia in appoggio all' effetto prodotto dall'olio ed altre sostanze interposte fra l'acqua e l'aria. Lunga esperienza ha provato, che questo immenso radunamento di erba trovasi a ridos- so della citata corrente Gidf-stream e di ogni altra corrente costante. Eguale esperienza ha pur anche provato, che nei paraggi o zone di mare di super- ficie eguale, o più o meno estesa di quella del mare et'boso , e come questa privi di coirenli costanti , col soffiar i venti si creano le correnti periodi- che 0 momentanee. Ora perchè , essendo tutte le altre condizioni eguali , non si creano eguali cor- renti nel prato marino? È mio subordinato parere, che questo diverso effetto si verifichi perchè il vasto strato 0 campo di erba frapposto fra la superfìcie del mare ed il vento non permette a questo di esercitare quell'adesione, quell'uniforme e prolun- gato impulso che si verifica fra esso e l'acqua nei mari liberi da quest' ostacolo; e così, non crean- dosi ivi correnti di sorta alcuna, non ha moto al- cuno di traslazione l'erba che vi galleggia ; ben inteso che siffatta immobilità ha luogo soltanto nella massa compatta del ripetuto prato marino, in quella parte cioè ove il mare è tanto coagulato di erba, secondo l'espressione usata da Colombo, che gl'ine- sperti compagni di lui ne furono spaventati, per- chè in realtà i bastimenti a stento la traversano. I lembi sono al certo lacerati; quivi delle liste di fucus sono spostate dai venti e dalle correnti, ed oscillano con questi motori, come ha osservato De Humboldt. Ma l'oscillazione de'lembi non distrugge il mio assunto. Anche la maceior salsezza che ve- rifìcasi nelle acque sotto il detto prato , conse- guenza, secondo lo stesso De Humboldt, della più elevala temperatura che ha l'acqua in celesta va- sta superfìcie a confronto della temperatura del circostante Oceano, è per me un'altra prova che le molecole di tal massa liquida non hanno moto, quin- di della ninna azione del vento sulla medesima (*). (*) Secondo De Tessali, cette augmentation, de temperature ne peut guè'i tire aUrihuée qua une influence du Gidf-stream. A me semina che se 4o A me pare che possa sempre più appoggiare iì mio assunto anche un altro fatto di simile na- tura registrato da P. Mounier. In alcune parti del canale della Manica e del mare del nord, da Bréhat a Dunkerque, si vedono galleggiare a livello del mare de'fucus della specie chiamati fìhim.Le strisce, ch'essi formano, si dispongono nel senso delle correnti prin- cipali della marea con larghezze diverse , e più di una di esse ha fino a 5 o 6 leghe di lunghezza. Esse sono stazionarie in quel punto ove il flusso e riflusso forma une zone de repos ... e ripetute espe- rienze hanno provato che les coiips de vent ne les font pas disparaìtre des lieux oiielìes slationnent ha- hiluellemenl. Finirò su questo proposito con una osservazione che traggo dalla Somerville : « Quando l' aria è umida, diminuisce in essa 1' attrazione per Tacqua, e per conseguenza la frizione; da ciò proviene che il mare non è tanto arrufflatto nel tempo piovoso, quanto lo ò nel secco ,,. Io credo adunque che an- che questi fatti provino 1' azione immediata che il vento esercita sulla massa liquida, giacché l'azione cessa quando la massa liquida viene sottratta al- l'influenza del vento. Dopo la conoscenza di tutti questi effetti, come convincersi che il vento nel solo flutto non debba questa calda e vegeta corrente vi agisse (liretl.imcnle, non si potrebbe verifi- care la immobilita e speciale postura della massa galleggiante: indirettamente poi non credo che jiossa avere influenza sensibile in una si vasta massa per la poca conducibilità del licpiido ; e la più bassa temperatura del circostante Oceano ne è anche una prova. Ammessa rìmmohilìlà dell'acqua, mi pare che sia causa sufficiente a spiegare il maggior calore di essa in confronto della con- linanle, la quale è sottoposta a moti diversi. 46 mai produrre sensibile moto di trasporto nelle mo- lecole di cui si compone l'onda, e ciò anche quando la profondità del mare non permette libero sviluppo alla massa di acqua ondeggiante? Io non posso con- vincermene : perchè dai fatti sopra esposti e dalla pratica che ho della navigazione, mi si fa manife- sto, che nei casi di tempo forzato, non solo presso il lido ma anche in alto mare, il moto ondulatorio è animato anche di moto di reale trasporto. Dun- que in questi casi si deve far entrare nel conto di stima del bastimento l'elemento di trasporto dovuto ai marosi ; il quale sarà più o meno sensibile se- condo la forza e durata del vento, ma non di rado superiore a due miglia l'ora. Con questo nuovo stu- dio di trasporto forse si giungerà a diminuire il numero delle correnti che crediamo esistere , per- chè sarà determinata la vera causa di alcuni tra- sporti, i quali, dedotti come d'ordinario dalla dif- ferenza del cammino di stima con quello osservato, si ritengono per correnti, mentre in fotto non sono che movimenti parziali e temporanei dovuti alla forza e durata del vento ora in questa ora in quella direzione. Per questa via sarà data una vera spie- gazione a qaeWagente occulto, come lo chiama Ma- carte , a quelle stravaganze di forza e di direzione che verifìcansi anche nei paraggi di correnti costan- ti; stravaganze che sorprendono, inquietano, tal volta compromettono la navigazione, ed hanno fatto dire a Vincendon Dumoulin, nel render conto delle rou- tes des. corvettes nel Voijage au póle sud et dans Vocéaniei che le lecteur sera peut-etre étonné des di[- férences quHl paura remarquer soit dans la force, soit 47 dans la direction des coumnts conclus des routes dea corvettes ; mais nóus croyons devoir prevenir d'avance qtte tous ces calculs ont été revus avec soiny et que 3es anomalies doivent nécessairernent se rapporter aux erreiirs des estimes failes avec le lock et la boussole. Vengo ora ai secondi casi, di cui sopra. Che il moto in alto mare non sia sensibilmente progressivo in massa nei casi di vento mite o di forza ordinaria, luminosi fatti giornalieri me lo fan cre- dere, e me ne sono pienamente convinto di persona nel non breve esercizio dell'arte mia. 1 soli casi di vento violento fanno eccezione a questa verità. Se il moto di traslazione dell'onda fosse sempre reale e non apparente, il mare avrebbe la indole de'più sfrenati torrenti; la sua superficie sarebbe un assieme di acque correnti di larghezza, lunghezza, direzione e velocità diverse, quanto sono vaste le zone, le du- rate, le direzioni e le forze de'vari flutti che si svi- luppano sul mare. Ed in vero l'esperienza ci prova che con vento forte, ma non straordinario, la velocità dell'onda è dì 4 metri per secondo di tempo: e sappiamo che Vionnois 1' ha misurata giungere nelle tempeste a 20 metri per secondo nella baia di s. Giovanni di Luz. Ma, tenendomi al caso di vento ordinario, ho dunque otto miglia nautiche 1' ora di velocità nel moto dell'onda. Così essendo, un bastimento (sup- posto che non vi siano altre cause di moto), per il solo titolo di traslazione progressiva in massa delle «lolecole dell'onda, filerebbe otto nodi l'ora. Se co^ 48 fosse, cioè se il moto apparente dell'onda fosse sem- pre reale, il mare non sarebbe utilmente navigabile, e solo nei casi di vento in poppa sarebbe pratica- bile. Invece si vede tutto giorno che i bastimenti velieri con vento fresco e mare contrario, propor- zionale alla forza del vento, possono bordeggiando guadagnar sopravvento; il cbe non si verifica, anche col mare calmo, quando una corrente sia contraria ed abbia circa due sole miglia di velocità per ogni ora. De Tessan, trovandosi un giorno con una barca corallina nella parte nord del capo Bougaroni, ove la corrente ha 2 miglia 1' ora di velocità da ouest ad est, e volendo scandagliare il fondo, aveva sola- mente fatto imbrogliare la vela senza serrarla; egli notò eh' era emporio rapidement cantre le vent qui élait cependant assez frais. Bérard racconta, nel corso de'lavorì idrografici sul littorale dell'Algeria da esso lui diretti, avoir tenté plmieurs fois, mais imUilementy di bordeggiare con i venti di ouest presso il suddetto capo per montarlo. Lo stesso Bérard ha registrato inoltre che nel tempo della crociera (dal 1827 al 1830) la divisione navale si teneva nel meridiano di Algeri. Ivi la detta corrente ha una velocità media di circa mezzo miglio l'ora. Ebbene, questa posizione era fa-^ cile a conservarsi con i venti dalla parte di est, per- chè se uno 0 più de'bastimenti per causa qualunque si trovava sotto vento riprendeva facilmente il suo posto ; invece co' venti da ouest era necessitato fi correre delle lunghe bordate al largo per ritor- nare al suo punto. Nei viaggi noi non facciamo mai en- trare nel conto del cammino del bastimento il rilevan- tissimo moto di propagazione delle onde come moto 49 di trasporto: noi prendiamo nota dell'urto soltanto fa- cente parte dello scaroccio che dalla scia si stima, e (meno casi straordinari) ci troviamo relativamente bene. Né ciò può risultare per un tal qual compenso prodotto nei viaggi dalla variabile direzione de'flutti: perchè molti esempi potrei citare fuor del caso della pos- sibilità di questo compenso, specialmente dedotti da ripetuti piccoli viaggi da me fatti con legni a vela, e con piroscafi in acque morte, in quelle agitate dalle onde, e nelle correnti. Di più cogli stessi piroscafi aven- do io nel 1842 dall'Oceano sboccato nel Mediterraneo a traverso alla Francia, e giunto da Londra a Roma percorrendo mare , fiumi e canali , ora armato di ruote ed ora senza, colla forza motrice di vapore, di vela, di uomini e di cavalli, ho potuto verificare il fenomeno dell' onda solitaria , e raccogliere dati di confronto che mi somministrano lumi non dubbi anche per la questione che tratto. Fra coloro che vogliono sempre esistente il moto progressivo ed in massa nelle molecole che com- pongono l'onda, trovo tre nomi distinti che più degli altri in modo esplicito ne trattano; quindi meritano speciale considerazione. Questi sono , un ingegnere inglese (A. Stevenson), un geologo italiano (D. Paoli) ed un ingegnere francese (A. De Caligny). I primi due non potendo non riconoscere che i bastimenti in effetto non seguono pari passo il cammino delle onde , si sforzano spiegare questo fatto , l'uno con credere che per deficienza di attrito il bastimento non è abbastanza rattenuto alla superficie deWonda, l'altro coll'asserire che le onde debbono vincere la resistenza deWaccpia che si para innanzi ad esse. Ma se in realtà G.A.T.CXXXVIII. 4 m l'acqua si muove pi'ogresMvamente in massa, io non 60 concepire questa deficienza di attrito o questa resisteaza dell' acqua, lì bastimento, come in ogni altra correntie^ non può non essere trasportato, e per lo meno, colla stessa velocità con cui si muove la massa dell'acqua. H terzo non pretende che il moto pro- gi'essivo delle molecole sia eguale a quello di pro- pagazione delle onde: egli lo limita ad un réel moto di trasporto sensible; asserisce che i marini en lien- nent compie nel calcolo della loro rotta comme Va iremarqué M. De Tessan dans son ouvrage sur le voyage de la Vénus, e crede cotesto moto indubitabile per- chè sans cela il serait assez difficile d' expliquer le 'mouvement apparent. Io non mi fermerò su questa «uà credenza, ma sibbene su quella sua asserzione, la quale, così assoluta e non sottoposta ad eccezioni, distrugge quanto io ho detto ed ho creduto di pro- vare con fatti. Non piccola fu la mia sorpresa quando lessi il citato passo di De Caligny: e come poteva non esser tale ? Nei trattati di nautica non mai in modo espli- cito ho letto, né dai miei maestri mai mi è stato proposto a regola, tener conto nel cammino del bastimento di sì fatto moto di trasporto; né mai esso si registrava dai capitani, sotto i quali io ho ser- vito (*). x\rago, colla solita sua accuratezza e con {*) Gqji ciò noi» ÌMlendo di es eludere ohe in quajche trattalo vi possa es- sere esposto il moto in discorso, rioe di continualo trasporlo, lo al certo non ho Ietto tutti i trattali di nautica: ma quelli clie iV) avuto ed ho sott'occhio »ono senza dubbio fra i più accreditati, e sono sicuro che in essi non si trova stabilito quando le onde hanno moto di trasporlo, ne quanto sia questo moto; in una parola, ivi non si danno norme [ter siffatto moto, mentre, perche i marini ae tenessero conto, si dovrebbe UaUar di esso come gi fa delle correnti, ddlit 5i speciale impegno, rendende^ conto airaccadeinia delle scienze di Parigi de'lavori scientifici del citato viag- gio intorno al globo sa la fregata la Venere , facea pur noti gli studi fatti in cotesto viaggio sul moto ondoso del mare; ma nulla disse del moto di tra- sporto, di cui mi occupo. Eppure esso meritava par- ticolare menzione. Così dai tre professori, Bernard, Minard e Frissard che, dopo pubblicato il suddetto viaggio, si sono succeduti per dettare lezioni nella deriva ec. Ecco la lista degli autori cui sopra alludo. I. W. Norie: A com- plete set ofnautical tables ec. (1810). I. Greenwood: Rudimentary treatise on navigation. (1850). -IVI. Pimenlel: Arte de navegar (1762). A. G. De Freilas: Tratado de navegar. (1823). M. V. Do Couto: Astronomia spherioa e nautica (1839). A. Lopes de Costa Alraeida: O pilodo instruido ec. (1839). - I. De Mendoza y Rios: Tratado de navicacion (1787). Coleccion de tablas para varios usos de la navigacimi (1800). Macarle y Dias: Leccions de navigacion ec. (1801). G. Ciscàr: Carso de estudios elementales de marina: T. IV die contiene il Tratado de pilotage (1834). - Bouguer: Noitveau traté de navigation (17.53). Le Giiigneur: Le pilote instruit (1781). Romme: L' acqua non maggiore di 12-3 18 passi {fathoms) (metri 22 a SS-), e perciò in pro- fondità in cui l'onda, risentendo reazione dal fond© del mare, sviluppa un nuovo fenomeno; il qual fe- nomeno spiega quel trasporto senza bisogno di am- metter sempre e in ogni luogo l'esistenza del lìMvto di massa nell'onda nel verso orizzontale. Di questo fenomeno passo ora a render ragioiae. Esporrò pria di tutto il mio modo di vedere sul- r onda presso il littorale, e quindi parlerò dell'altro fenomeno che quivi si deve produrre in essa quando per la poca profowdità dell'acqua non può piì» svi- lupparsi liberamente sotto la superficie del mare, in È eerto che 1' onda si svilupi>a a^ai più sotto che sopra la siaperficie : 1' espevieKza dimostra che l'agitazione si può trasmettere a grande prcforaditàv 50) Quindi la diminuzione del fondo del maie deve eser- citare reazione nel moto delle molecole, qualunque sia la natura della linea che descrivono. Le onde provenienti dal largo si devono tro\are raccorciate e riflesse per l'urto nell'ostacolo che loro frappone il fondo, e perciò l'andamento primitivo di esse deve soffrire perturbazione; ossia deve succedere in esso significante spostamento di massa liquida. Non po- tendo cader dubbio su ciò, mi trovo indotto a cre- dere che quel moto delle molecole, il quale per lo innanzi era semplicemente orbitale o verticale, debba divenire in fine orizzontale con traslazione continua. Gli effetti di questo cambiamento nel meccanismo dell'onda sono, a parer mio, non meno luminosi dei fatti che convincono del moto dell' onda, in gran- dissima parte e quasi sempre, soltanto apparente in alto mare. All' avvicinarsi al lido, o più precisamente ove l'onda non trova libero sviluppo, io sono d' avviso che non solo debba nascere un altro fenomeno, ma ch'esso debba ancora estendere la sua influenza in tutta la massa che compone l'onda. Per render ra- gione di questa mia proposizione , dopo aver pre- messo in genere le cose discorse, giudico opportuno di presentare le mie idee in aspetto concreto, e così dar conto puranche dell'azione de'flutti sul trasporlo de'bastimenti presso i lidi, e di quella di zappaie e di convoghare i detriti del fondo del mare. In que- ste ricerche sento il dovere di porre la questione nel suo vero punto, e di essere il piiì possibilmente chiaro; dappoiché Arago ha detto che dans le siede., oh 57 nous vivonSf poser ime question scientilìqiie avec nef- leté, c'esi la resoudre a moitié. Se a taluno sembrasse cosa indifferente cono- scere quando ed ove il moto ondulatorio divegga anche di traslazione, io non sarei del suo avviso , e lo credo anzi importante e per la nautica e per l'idraulica; perchè tal cognizione potrà indicare ai na- viganti quando debbano prendere delle precauzioni contro questo fenomeno che cagiona al bastimento uno scaroccio non indicato dalla scia, e gli cagiona puranche un acceleramento o ritardo non indicato dal solcometro [lok] (*); e perchè mostrerà agl'ingegneri a qual distanza dal lido saranno staccati dal fondo del mare e trasportati dalla sola azione de' flutti i materiali ostruenti. Ecco dunque come io mi figuro 1' origine e la fine dell'onda prodotta ed accompagnata dal vento, ove il fondo del mare venga a diminuirsi e termi- nare in spiaggia della natura e forma di quelle che noi chiamiamo sottili, supponendo nel mio discorso al vento una velocità costante di 8 a 10 metri in un secondo di tempo, e già da qualche ora in at- tività. Ho detto che la massa dell'acqua non ha moto sensibile di traslazione orizzontale in alto mare; ivi (*) E nolo che dalla scia si slima lo scaroccio del ba«(iinenlo causalo dall'impulso del vento e dall'urlo delle onde, quando l'una, o tulle due queste forze non agiscono nella stessa direzione del cammino del bastimento. L' e- sperlo marino ottiene soddisfacente risultalo da questa stima, perchè la scia non presenta sensibile presa al venlo né all'urto delle onde. Ma ove siavi corrente, prodotte da causa qualunque, soggiacendo la scia all'intiera azione della corrente come il bastimento, non può essere stimato lo scaroccio se s'ignora la velocità e direzione di essa. Ciò che è di natura della scia lo è anche del solcometro. 58 l'onda potendosi sviluppare liberamente sotto la su- perfìcie , il moto può dirsi interamente apparente, ossia di vibrazione soltanto. Propagandosi questo moto verso la spiaggia, l'onda deve incontrare nella parte inferiore il fondo del mare che contro la di^ razione del proprio moto s' inalza. Allora quelle molecole dell'acqua, che fan parte del meccanismo della intera onda e che urtano nel fondo, devono ri- sentire reazione ed anche (nel voltare verso la su- perfìcie) concepire uwa velocità maggiore di quella che avrebbero avuto senza l'incontro di quest'osta- colo, mentre le molecole che in quell'istante trovansi pili elevate, non potendo continuare liberamente il loro cammino nell'interno della massa liquida, devono urtare nelle sottoposte ed obbligare l'onda ad inal- zarsi maggiormente. Quindi l'onda da questo primo scontro della sua base col fondo deve commeiare a perdere l'equilibrio ed inclinarsi, progredendo così con un primo spostamento sensibile nella massa del- l'acqua tendente alla orizzontalità; spostamento che con leggiera gradazione deve partecipare la chiamata a qualche distanza anteriore al luogo ove il feno- meno si rende sensibile. La propagazione dell'onda che si è conservata, le onde susseguenti, e la sem- pre decrescente profondità dell'acqua, devono costan- temente dar luogo agli stessi urti contro il fondo ; quindi agli stessi effetti, ma in proporzioni sempre più sensibili; dimodoché sempre maggiore e più ve- loce sarà lo spostamento orizzontale di massa, a mi- sura che i flutti si accostano alla riva^ Oltre a ciò, siccome col diminuire la profondità dell' acqua di- minuìsce ancora la velocità di propagazione dell'onda mentre la velocità del vento resta costante, così ne conseguita che gli effetti dello sfregamento ed ade- sione dell'aria sul fianco inclinato dell'onda saranno ben maggiori di quando l'onda fugge liberamente e conserva la sua forma normale. In questo stato, io stimo che lo spostamento abbia già alla superficie una quarta parte della velocità sviluppata dalla pro- pagazione de'flutti; spostamento che segue progres- sione rapida a misura, che la profondità dell'acqua diminuisce e l'altezza delle onde aumenta. Conser- vandosi pur tuttavia il moto di vibrazione e, per la sempre crescente reazione, elevandosi sempre più il moto ondulatorio al disopra della superficie dei mare, si giunge al punto che l'onda perde interamente l'e- quilibrio e cade frangendosi; al quale effetto prende anche parte il ritorno (risacca) dell' onda, che svi- luppata sulla spiaggia ne discende ed in un angolo più 0 meno retto incontra la susseguente onda. Que- sta, come l'antecedente ad essa, si rotola sul piano ascendente della spiaggia colla velocità orizzontale che di già possedeva, aumentata nella caduta della sua più grande altezza, e raggiunge così una velocità finale ben superiore a quella di propagazione. Du- perrey riferiva all'accademia delle scienze in Parigi che, secondo i calcoli di Keller, quando l'altezza del- l'onda è doppia della profondità, il moto di trasla- zione di essa non è più semplicemente apparente come in alto mare; mais celle onde se transporle réel- lement de tout ■pièce, trascina tutto ciò che incontra nel suo passaggio, e percuote con potente energia 60 tutti gli ostacoli frapposti nel suo cammino (*). Lo stesso Dupeney registra inoltre di aver avuto occa- sione , neir arcipelago delle isole di Sandwich , de fì'anchir avec rapidité des espaces considérables, en se faisant transporler à terre daiis une embarcation saìis mitre moteur que la lame. A me sembra però che in questi casi Tonda sia già franta. Vetch dalle espe- rienze di Russell ha dedotto, che le onde si rompono sempre quando la profondità dell'acqua non è mag- giore della loro altezza al di sopra del vuoto ante- cedente; ed io penso che in pratica ciò accada il più delle volte in profondità di acqua anche maggiore di detta altezza, per la nuova forma che le onde hanno preso, per la risacca che si oppone al libero scorrere di esse, e per il vento che le incalza con velocità molto più grande della loro propagazione. Carlo Acton ha registrato che nella memoranda fortuna sofferta dalla squadra inglese sulle coste della Siria, dal 1 al 3 dicembre 1840, si videro i marosi frangere alla profondità di 4-6 passi (metri 84, 18). Ma nelle for- tune ordinarie, anche prolungate, io credo che debba limitarsi a 20 o 25 metri la profondità ove princi- piano a frangersi le onde del mare nostro. Quello strato di molecole, che è come staccato nella parte inferiore dell'onda nel primo incontro risen- tito sul fondo del mare, deve nel voltarsi verso la superfìcie prendere un moto di traslazione di massa. (*) Secondo il rappoHo fatto all'accademia fin dal 1847, l'opera del Keller deve contenere preziosi documenti ed utili ragionamenti sulle maree, e sul moto ondoso dovuto al vento: ma essa non e ancora puldilicala. Io non ho mancalo di farne ripetute ricerche. 61 che nel primo momento può avere varie direzioni, ma la principale sarà a seconda della propagazione dell'onda per effetto della direzione dell'urto ricevuto dalle molecole sovraincombenti tendenti al movi- mento progressivo verso il lido. L'azione poi di detto urlo si può ritenere per potentissima, ed Emy e Virla si trovano d'accordo a credere la sola pressione dei flutti anche capace di produrre effetti analoghi al pislon d'une pompe foulante. Questo inciampo della base dell'onda nel fondo del mare dà origine adun- que ad un nuovo fenomeno che Emy chiama flutti del fondo. Ma il letto del mare, di qualunque natura e forma esso sia, deve per lo attrito ritardare e con- sumare il moto di questi flutti. Qui non posso trovarmi d' accordo con Emy, il quale vuole che quello strato di molecole , che ha risentito l'urto e formato i flutti del fondo , abbia sempre velocità non inferiore a quella di propaga- zione dell' onda, in questa parte io mi atterrei al parere di P. Monnier. Questi conviene sulla gene- razione de'flutti del fondo voluti da Emy, ma non ammette che la velocità di essi possa essere eguale a quella di propagazione dell'onda alla superfìcie del mare. Non pertanto si dichiara convinto, ch'essi sono animati da un rapido moto di traslazione. Io però, come ho detto di sopra, non solo ammetto moto di trasporto nella parte inferiore dell'onda, ma benanche, in questi casi, in tutta la massa che la compone ; il che si esclude da Emy, da Virla, e dai seguaci loro. Del qual fenomeno fra poco renderò ragione. La residuale forza progressiva delle molecole, che formano i flutti del fondo, o corrente sotto-marina, 62 viene alimentata ed animata dalla forza d'impulsione successiva, che nello stesso posto imprime la susse- guente onda; dimodoché ricevendo nuova spinta, au- menta la velocità sua e quella delle altre molecole già vei-so il lido pur esse dirette, seguendo la corsa sotto l'acqua ondulante: ma la corsa della parte in- feriore dell'onda sarà sempre dipendente dagli acci- denti del fondo, dalla profondità del mare, e dalla forza d'impulsione delle onde. Intanto l'onda pro- gredisce verso la riva, e cosi progredendo, elevan- dosi , aguzzandosi , inclinandosi ed accorciandosi quanto più scema il fondo, seguita a percuotere a pili brevi intervalli il letto del mare , incidendolo con effetto sempre sensibile, dovuto all' aumentata altezza ed alla forma più aguzza presa dall'onda, la cui risultante azione deve produrre solchi ben mag- giori di quelli prodotti contro un ostacolo di natura identica, da una corrente di eguale velocità e massa; perchè la corrente non agisce come le onde per per- cosse, cioè con urti intermittenti e spesso rinnovati, ma a pressione continua. Cosicché in forza di questo ripetuto giuoco fra le molecole superiori ed inferiori dell'onda, sempre diretto a seguire la direzione del- l'ondulazione, aiutandosi le une colle altre, conservasi al flutto del fondo, o parte inferiore dell'onda, rile- vante velocità fino alla sponda, quantunque la spinta del liquido e la progressiva diminuzione del fondo del mare gli frapponga crescente resistenza, aumen- tata ancora dalla risacca. Neil' ammettere moto di trasporto in tutta la massa che costituisce 1' onda , ammetto però nelle molecole, prima ch'essa si franga, una diversa pò- 63 tenza dì azione; cioè la parte superiore e quella in- feriore dell'onda formano, a parer mio, due specie di correnti, di minima azione la prima, di massima la seconda , e partecipanti a questi due estremi le molecole intermedie; cosicché deve accader nell'onda l'opposto di quel che verificasi nelle acque correnti de'fìumi, perchè in queste il ritai^io notabile di ve- locità causato dall'attrito nel letto, non viene ripe- tutamente compensato, e ad esuberanza, dagli urti incidenti ed intermittenti del flutto sulle molecole che si trovano nel fondo del mare. Quando l'onda è franta, si traspone l'azione massima del fenomeno; in questo caso segue la legge de' torrenti in piena istantanea. Mi si abbia per iscusato se riferisco dei fatti, onde provale l'esistenza del suddetto moto di trasporto , ed appoggiale la distinzione fra le due specie di flutti-corrente. Per provare come il moto appai'ente delle onde divenga anche reale presso i lidi, mi farò lecito ram- mentare che Whewell ha nominato, e con ragione, onda-marea [tide-wave) quel sorprendente fenomeno che faceva cantare a David: Mirabiles elationes marisy mirabilis in altis Dominus; e dive a Dante: Cnopre ed iscuopre i liti senza posa; e benché la causa di questo fenomeno sia ben diversa da quella delle onde, di cui mi occupo, pure non vi ha dubbio che (come nota P. Mounier) il ripetuto fenomeno si propaga nello stesso modo delle onde alla superficie dell'acqua tran- quilla; perchè in sostanza dirò con Yiila, le maree non sono che delle grandi onde, il cui cammino è divenuto regolare. Ora , qual' è la legge del moto 64 di detta onda-marea ? Se l'Oceano coprisse tutta la terra in modo uniforme, la velocità di propagazione di questa immensa onda sarebbe di circa mille mi- glia l'ora sotto' l'equatore; « ma , soggiungerò con Chanzallon , gli ostacoli frapposti dai giganteschi bracci dell'Affrica e dell' America la riducono nel- l'Oceano atlantico a 600 miglia l'ora » ove il piom- bino non tocca fondo : essa diminuisce ancora di molto quanto più diminuisce il fondo del mare, e si può applicare al suo movimento di trasmissione l'equazione che Lagrangia ha trovato per la velocità di propagazione delle onde, sostituendo nella formola da me riportata le quantità analoghe al movimento delle grandi ondulazioni delle maree. Così Whewell ha determinato con il calcolo le profondità corri- spondenti alle velocità che risultano dalla distribu- zione delle ondulazioni o linee cotidali (cotidal-lines) sopra la sua carta ; determinazioni che si trovano d' accordo con quelle de' mari, la cui profondità è nota per mezzo dello scandaglio. In Keith Johnston trovo la seguente tavola, riprodotta anche dal Maury, la quale ci dà la velocità della ripetuta onda-marea secondo le varie profondità del mare: 65 Fondo, fathoms 4000 (metri 7320,00) YÉ slocit àSOO )) » 1000 » 1830,00 » 250 » » 400 » 732,00 )) 160 » » 200 » 366,00 » 114 » » 100 » 183,00 » 80 » » 90 » 164,70 » 77 » « 80 » 146,40 » 73 » » 70 )) 128,10 » 65 » )) 60 » 109,80 » 63 » » 50 » 91,50 » 57 » » 40 » 73,20 » 51 » » 30 » 54,90 » 44 » » 20 » 36,60 » 36 )) » 10 » 18,30 » 25 » » 1 » 1,83 » 8 E in alto mare queste velocità di trasmissione non sono sensibili alla pratica della navigazione, come precisamente (fuori di casi eccezionali) non lo sono quelle che risultano dalla propagazione dell'onda do- vuta al vento; anzi bisogna guardarsi bene di non confondere tali velocità con quelle delle correnti. Ma ò un fatto, che quel moto di trasmissione del- l' onda-marea a distanze più o meno grandi dalle rive secondo la forma e giacitura delle località , si trasforma in parte, per difetto di profondità di a- cqua, anche in molo di reale tiasporto di molecole, la cui velocità ò generalmente non minore di due miglia Torà, e giunge a sei ed a dieci, secondo gli ostacoli che incontra lunghesso i lidi: colla differenza però, che mentre per gli ostacoli diminuisce la ve- locità di propagazione, per essi aumenta quella di G.A.T.CXXXVIII. 5 66 trasporto delle molecole. Eguale fenomeno debbo ammettere nell'onda. Job. Russell dal risultato delle sue esperienze si è convinto « che la velocità di pro- pagazione dell' onda dipende principalmente dalla profondità del fluido, variando come la radice qua- drata di questa misura ». De Caligny conferma que- sta legge, ed abbiamo veduto che Lagrangia aveva già introdotto nella sua teorìa questo elemento di verità. In seguito si renderà sempre più manife- sto r aumento di trasporto nella massa ondeg- giante, quanto più gli ostacoli si oppongono alla li- bera propagazione di essa. Al fatto dell'onda-marea divenuta anche marea-corrente è d' aggiungerne un secondo che Savary qualifica per importante notato da Leonardo, osservato da Beautemps- Beauprè e confermato dalle accurate ricerche di White e di P. Monnier; quello cioè che la suddetta marea-cor- rente a qualche distanza dalla costa continua tut- tavia nel senso del moto di trasmissione due o tre ore dopo l'alta marea, e benanche quando il livello di questa si è già considcj^evolmente abbassato, ossia quando già è in pieno corso il riflusso. Ora se quel moto di onda-marea, che in origine è moto di pro- J)agazione soltanto , per la reazione del fondo del mare si converte poi anche in moto di marea-cor- rente, ossia di reale trasporto di massa liquida, non so persuadermi come nell'onda o flutto, che ha tanta analogia coli' onda-marea , non possa accadere lo stesso fenomeno; ma che invece si debba sostenere, che sempre ed in ogni luogo esso non sia animato che di moto apparente soltanto, quindi di niun va- lore per la pratica della navigazione e per gl'Inter- m rimenti de' porti ; ovvero che abbia sensibile moto reale solo nella parte inferiore dell'onda, quindi non mai apprezzabile per la navigazione. Per appoggiare viemeglio 1' esistenza de' flutti- corrente alla superfìcie del mare cade qui in acconcio riportare i fatti osservati dallo Stevenson, di cui ho già fatto menzione , e dai quali egli si è convinto del moto progressivo che posseggono, a parer suo, tutte le onde [ali ivave) : convinzione per me difet- tosa, perchè non ammette eccezione né di luogo né di tempo. Egli dunque così si esprime: « lo non posso immaginare che le onde del mare non esercitino forza percussiva e moto progressivo quando io os- servo il loro potere nel sospingere innanzi un ba- stimento che non ha ne vento né marea per muo- verlo, ovvero un bastimento ancorato, effetto che io ho notato in tredici e diciotto passi ( 24 e 33" ) di acqua; oppure quando considero l'altezza cui lo spruzzo s'innalza in acqua profonda percotendo un bastimento ancorato. \n quanto a questo potere delle onde in acqua profonda, cioè di trasportare innanzi i bastimenti nella direzione del loro proprio moto, io posso asserire di aver più particolarmente osser- vato in profondità di 12 e 13 passi {22 e 24 metri), che una barchetta é trasportata innanzi con sorpren- dente rapidità dalla sola azione, ben inteso, del- l'onda. Alcune volte in un piccolo bastimento , particolarmente nel paraggio del Muli di Kintyre in Argyleshire , e di altri luoghi ove il mare si eleva molto, io ho provato una sensazione come se il ba- stimento fosse per isfuggirc sotto i miei piedi e la- sciarmi indietro : in tale circostanza il bastimento. 68 sospinto innanzi da un'onda avente rapido moto, ha percorso un tratto in avanti del tutto diverso dalla spinta che risulta da un mero cambiamento di livello [altogether different from the pitching ivhich results from a mere change of level). Io ho ancora frequen- temente osservato, mentre mi trovava sull'estremità de'moli situati in acqua profonda, i bastimenti pro- gredire per la sola azione delle onde )). Da tutti questi fatti osservati e raccontati dallo Stevenson chiaro apparisce, ch'essi avevano effetto in luoghi ove l'onda risentiva reazione dal fondo del mare, per- chè, al certo, in profondità di acqua non maggiori di 22 a 33 metri non doveva essere più libero lo sviluppo inferiore di essa: quindi questi fatti confer- mano il mio assunto, e non provano esatta la con- vinzione di lui. Ai quali fatti faccio seguito con altri più rilevanti ancora. Quando il mare è grosso di fuori, e più special- mente quando esso ed il vento sono da libeccio , perchè perpendicolari alla spiaggia del nostro litto- rale nel Mediterraneo , i marini nostri dicono che presso il lido la corrente tira in terra : perchè in realtà, e loro malgrado, il bastimento è trasportato alla spiaggia con moto speciale e sensibile. Questo fatto, che io stesso ho più volte verificato anche a più miglia lontano dal lido, non è già dovuto alla corrente propriamente detta, ma sibbene al moto di trasporto della massa di acqua che compone il Hutto. È l'azione del fenomeno di sopra descritto che im- prime la nuova velocità verso terra, ed il bastimento si trova tanto più sollecitamente trasportato, quanto più è vicino alla spiaggia. Nel 1835, reduce io da 69 Rio-Janerio, giunsi all' altcrraeiiiio di Clvitavecchid con forte vento da libeccio e grosso mare: coman- dava allora La citlà di Roma di oltre 300 tonnellate. Con quel tempo non credetti pi'udente prender porto, quantunque vi fossi dii'etlo. Dopo due giorni di cappa fra le venti e le trenta miglia in mare, risolvetti en- trare nel porto; mi avvicinai dunque ad esso ; ma quando vi fui prossimo, il volume e la forza de'ma- rosi mi fecero credei'e imprudentissima l'entrata. Vo- leva quindi riguadagnar l'alto mare; lo tentai, ma presto mi avvidi che io era sensibilmente trasportato a terra; bisognò allora risolversi ad entrare. Mentr'era quasi alla bocca, mi abbandonò il vento di libeccio, ed uscì piccola e non continuata brezza da terra : nulladimeno, profittando io del trasporto de' marosi,, entrai felicemente nel porto fra il suono delle cam- pane, ed un affollato popolo accorso sui moli, com'è costume in circostanze d'imminente pericolo per un bastimento. Ora perchè io non potei più allontanarmi da terra quando mi pentii di essermi vi avvicinato di troppo ? Quale ne fu l'ostacolo ? Eppure le circo- stanze apparenti erano, si può dire, eguali a quelle che mi si erano manifestate in alto mare : di pili presso il lido aveva spiegato una superficie di vele maggiore di quella che io teneva quando era a venti miglia lontano da terra, e colla quale supertìcie po- teva allora, volendo, anche guadagnar sopravvento. L'ostacolo fu al certa il moto progressivo in massa de'marosi: e questo moto fu quello che mi trasportò nel porto quando, calmato il vento, l'azione delle vele era più contraria che favorevole. Nel 18i8 in cir- costanza simile, il Pericle, piioscafo di 400 tonnel- 70 late appartenente alla niaiina di tìnanza francese , veniva da levante con vento e mare di ponente li- beccio. Da sopra la punta del Pecoraro fece rotta di- rettamente per la bocca di levante del porto, rice- vendo così i marosi per lo traverso. Quantunque essi non frangessero, sensibile era il trasporto verso terra; quindi il piloto del porto con ansietà ripeteva il se- gnale di allargarsi; ma questo segnale e la volontà del comandante non poterono produrre buon frutto. Sem- pre pii^i atterrandosi, sempre maggiore fu il moto di trasporto: e giunto il piroscafo alla metà del circolare molo del Bicchiere, si trovò dai marosi trasportato sulla scogliera di detto molo, ove in poch' istanti venne diviso in due parti, e poscia interamente di- strutto. Dal popolo accorso, e dai mezzi meccanici subito adoperati, tutti gl'individui vennero salvati. A togliere ogni dubbia che non la corrente sia la causa del trasporto de'bastimenti verso terra, ma che in vece sia il flutto-corrente, sarà bastevole il rammentare che ad una distanza dal lido, ove le onde si possano sviluppare liberamente, un sì fatto moto di trasporto non esiste (tolti sempre i casi di venti fortissimi) : oltre di che è d' uopo por mente allo stato del livello del mare in queste circostanze. E di fatto noto, che quando il tempo sente di fuori, le acque presso il littorale si empiono: dunque questa accumulazione di acqua nel littorale dovrebbe piut- tosto produrre una corrente che da terra all'alto mare si dirigesse , onde togliere la differenza di livello ; differenza che, giunta ad un certo limite, defluisce con corrente paralella alla costa, più o meno radente e veloce secondo la direzione e potenza de'flutti, perchè li airimpulso di questi è dovuta. Nò ammetter posso, che del riferito trasporto accagionar si debba per in- tero l'azione di percussione de'flutti contro la carena e l'opera morta del bastimento: credo che quest'a- zione sia quivi maggiore che in alto mare, perchè i flutti presso la spiaggia sono più corti, più alti, più inclinati e più aguzzi; ma sento dover credere pur anche, che la ripetuta azione si deve trovare contro- bilanciata da un aumento di superfìcie di vela, della quale in questi casi critici si fa uso in confronto di quella spiegata in alto mare. Cosicché l'assieme mi prova che nelle spiaggie sottili, anche a varie miglia lontano dalla riva, l'onda non ha più moto apparente e di percussione soltanto, ma benanche di traslazione progressiva in massa. Il fenomeno sopradescritto, che di fatto proprio a me consta verifìcarsi nel nostro littorale del Me- diterraneo , deve aver effetto anche altrove in pari circostanze. I tristi naufragi avvenuti nel golfo di Catania, ove, come dice V. De Ritis , i bastimenti « dalla traversia colti e sospinti han fatto concepire l'idea nelle menti volgari, che quei miseri legni at- tratti da irresistibile forza verso la Praia, siccome da calamita il ferro, vanno a rompersi in quella », a me sembra che, senza escludere le altre cause di perdita toccate dal De Ritis, i detti naufragi si debbano prin- cipalmente al flutto corrente. Così credo pure che aflo stesso fenomeno si debba quest'altro fatto. Un convoglio di 70 bastimenti inglesi, partito da Cork il 26 marzo 1807, sotto la scorta della fregata V Apollo, cadde inopinatamente, il 2 aprile, sopra la spiaggia di Portogallo presso Mondégo, e vi si per- 72 dette pressoché interamente, quantunque esso avesse quasi sempre governato orza raso , colle mure alla dritta e con venti da ouest ed anche da nord-ouest. Questo fatto viene attribuito nei portolani all'azione della corrente. Ma è da osservare che i portolani stessi, e fra gli altri quello di Lopes da Costa Almeida, dicono la corrente prolonga a costa da nord ao sud; e Roussin parlando di questa stessa corrente dice: Celle direction des eaux est prouvée par un si grand nombre de faits , quii est impossibile de la révoquer en doute. La detta corrente è più o meno forte se- condo che il vento la contraria o la favorisce, e la sua velocità media è di 0, 6 di miglio l'ora. Ora se poniamo mente al punto donde partì la spedizione, alla durata del viaggio, alla posizione del capo Finisterre relativamente a quella di Mondégo, al vento che aveva soffiato e che soffiava , all'esatto conto del cammino che doveva aver quel convoglio (di più condotto da un legno da guerra, che al certo aveva tenuto scru- polosa stima dell'effetto della corrente, dello scaroc- cio e delle maree), troveremo che non è ragionevole appropriare alla corrente la perdita di sì gran nu- mero di bastimenti;sebbene,non volendosi mai ammet- tere moto di trasporto nelle onde, non potrebbesi per conseguenza rinvenire altra causa di quella luttuosa catastrofe , la quale all'opposto trova con facilità la sua spiegazione nella azione del flutto-corrente. Quanti fatti consimili, ed anche più tristi del sovrac- cennato, sarebbero stati evitati se, in luogo di andare in cerca di cause estranee , si fosse con maggior diligenza studiata ed avvertita la vera ! 73 I marini di San-Malo spiegano alcuni effetti delle onde presso il curvilineo molo del porto en disant qne la mer glisse sur la grande courve . . . comme un courant. Bellinger, che riferisce questa spiegazione, non l'ammette; perchè egli, basandosi sulla teorìa di Virla, crede sempre apparcnt le moiivement de tran- slalion des vagiies; quantunque si avveda de Valtéra- tion de la snrfacc des ondes, prodnife par V action in- cessànte du veni. Una raccolta delle opinioni degli uomini di ma- re di questa o quella località , una lunga serie di esempi di naufragi verificatisi lungo le spiaggie con bastimenti ben comandati e ben attrezzati, sarebbero utili documenti per sempre piìi schiarire la questione. I bastimenti guidati dalla intelligenza dell' uomo, e forniti di tutto quello che la meccanica ha potuto porre a disposizione dell'esperto marino, si possono considerare come corpi animati. «Un bastimento alla vela, dice J. Ross, è un essere dotato di vita, il quale si uniforma ai desideri del suo padrone, e non un corpo inerte «. Il padrone che lo dirige, posto dunque alle strette colla morte, e forse anche con l'onore, tenta al certo ogni mezzo per vincere l'avversario. Quindi il fntto, che dentro una certa zona gli sforzi della volontà e dell'arte riescono infruttuosi, mentre altrove in pari circostanze riescono tiionfanti anche con impiego di mezzi molto inferiori , mi conduce ad ammettere l'esistenza di una nuova arma che il flutto adopera presso i lidi; e questa, a parer mio, è il flutto-corrente. Provata in quanto a me col fenomeno che verificasi nelle onde-maree, col modo di vedere di alcuni marini. 74 e col trasporto de'bastimenti, l'esistenza del moto di massa alla superficie del mare nel caso suespresso, passo ai fatti comprovanti l'esistenza del moto di trasporto nella parte intermedia ed inferiore dell'onda. Le reti, ed altri ordigni, tese fra la superficie e il fon- do del mare vengono dai flutti rotolate e trasportate anche a piìi miglia verso terra dal punto ove sono state gittate. Bremontier racconta che « le reti di cui si servono i pescatori di Guian, della Teste, e di tutte le comuni situate lungo le rive del bacino di Arcachon, hanno ciascuna da circa 80 metri di lunghezza e 2 di altezza. Ogni rete è caricata nella parte inferiore da una pietra del peso di chil. 2, 50, e di 5 chil. di piombo. Un apparecchio da pesca è composto di 25 a 50 di queste reti aggiuntate l'una all'altra: nel mezzo e ad ogni estremità sono attac- cate tre altre pietre del peso assieme di 75 chil. Quest' apparecchio è gettato in mare a due o tre leghe, pili o meno, distanti da terra nella profondità di 16 a 19 metri, e disposto in modo che la parte superiore della rete resti da 12 a 15 metri sott'a- cqua. Ebbene, i sopraddetti apparecchi, se per il grosso mare non si possono levare, dopo la tempesta si tro- vano ballottati, spostati, rotolati al fondo del mare, e qualche volta ripiegati, lacerati e trasportati a più leghe dal luogo ove si erano immersi. Ciò accade, secondo Virla, per 1' effetto di un altro movimento (nelle molecole che compongono l'onda) il quale non può pili essere verticale^ ed alla cui azione egli as- serisce doversi gli effetti prodotti sopra i materiali della diga di Cherbourg , ed una quantità di circo- stanze citate da Emy .... malgré les vitesses de va- 75 et-vient qui se mccédenl dans le syphonnement ; e perciò Villa esclude l'esistenza de' flutti del fondo , mentre Einy appropria ad essi tutti cotesti effetti. Emy, per provare l'esistenza e gli effetti de'suoi flutti del fondo, cita molti fatti; io ne riporterò uno, il quale abbraccia il trasporto di massa inferiore e superiore. La flotta francese nella conquista di Algeri, in caso di tempesta, non potendo rischiare gli uomini e i ba- stimenti da remo, gettò in mare delle ballette di vi- veri perchè pervenissero all'armata. Sia che queste ballette galleggiassero, sia che fossero al fondo, giun- sero alla riva: effetti dovuti, secondo Emy, per le une alla forza del vento ed alla percussione de'flutti (al che io aggiungerò il trasporto di massa alla super- ficie) , e per le altre alla sola azione de' flutti del fondo (alla quale io unisco quella incidente ed in- termittente del flutto). Che il moto di va-e-viene, voluto da Virla e dai seguaci suoi, possa imprimere moto di trasporto in avanti, potente e alcune volte anche sollecito, come infatti si verifica su i materiali posti in movimento, a me non soddisfo, e tanto meno se applico a co- testo moto l'esperienze di De Caligny. Da esse ri- sulterebbe, che le recid au fond è più forte del moto progressivo nel verso del moto di traslazione appa- rente, méme sur un ressaut: cosicché il risultato sa- rebbe piuttosto uno spostamento contro la direzione del moto di propagazione dell'onda; ma essendo ciò in opposizione col fatto, ho duopo cercare altrove la verità. Le Bourguignon-Duperré adotta la spiegazione del moto di trasporto de'materiali data da Bernard. Questi, che della dottrina di Emy ammette il moto 76 orbitale ma non ì flutti del fondo, crede che senza l'esistenza di una corrente non vi possa essere tra- sporto, e ch'essa non è creata dalle onde. Secondo lui le onde sollevano per un instanl les grains de sable d' une certame grosseur , i quali ricadono pouv étre soulevés de nouveau. Nel tempo che sono sospesi , essi vengono trasportati con una velocità eguale à celle du courant, ma si arrestano dès quils soni re- tombés. In una parola essi camminano par mouve- menl successif et inlerrompii nei soli paraggi ove è corrente stabilita. Questa spiei^azione, come ognun vede, è quella stessa data dal Montanari e dalla lunga lista de valentissimi suoi imitatori; ma neppur essa mi persuade , e nel secondo articolo ne dirò il perchè. Bosco vidi ammette che dai flutti si crei una corrente sul fondo , e secondo la forza e direzione di essa si formino o si distruggano i banchi. De la Bretonnière con esperienze da lui fatte mi som- ministra aggiunta di prove alla verità emessa dal Boscovich: egli ha riconosciuto des sous-courans ca- paci di dare alle acque sufficiente moto sul fondo pour en déraìiger le niveau et y [aire rouler le pierres: e con questi e col primo può stare Bremontier. An- che l'Aimè trovo che ci dà la stessa spiegazione già dataci dal Boscovich : dalla corrente prodotta dai flutti egli fa dipendere la direzione de'banchi e come ih se déplacenl. 11 Boscovich, a parer mio, s'incam- minò nella buona via: ma siccome fa duopo avere una potenza non solo capace di trasportare arene , ma ben anche di solcare e scompaginare il fondo , trasportare ghiaie, ciottoli ed altri materiali ben più pesanti, e ciò quando anche la corrente regnante o 77 littorale abbia direzione in verso opposto al moto di propagazione delle onde ; così non credo che la sola corrente sviluppata dai flutti sia atta a produrre tutti cotesti effetti. E forse perciò Erny, avendo ve- duto la necessità di trovare un agente più efficace, ha immaginato i flutti del fondo: phénomène soiis-ma- rin qui (secondo il suo autore) a cause la mine d\in grand nomhre de travaux marilimes , qui a donne à la mer le moyen de ravager ses bords et de délruire des cités, qui d'un anlre coté a augmenté des 'parlies de continente a comblé des ports, Ics a environnés de sable et de vases, et a laissé au melieu des terres, des villes doni le murs élaient jadis battus par Ics flots. Questo fenomeno, come ho accennato, si creerebbe quando la parte inferiore dell'acqua agitata dall'on- dulazione incontra un fondo di mare che se relève par ressauts. Esso però ha trovato non pochi e non deboli contraddittori: e fra gli altri Duleau si fa a domandare, « come un piano verticale qui avrete le vague aiujìiienterait-il son action non già in avanti di esso par la realion, ma indietro et très-loin ju- sqiie au rivage ? » Ed in fatti Leonardo ci ha detto che cotesta reazione farà opposito moto di sotto a quello di sopra. Nulladimeno, il ripetuto fenomeno voluto da Emy ha trovato puranche de'sosteoitoìi di gran vaglia, ed uno recentissimo, il De Quatrefages, si mostra convinto di doversi attribuire une influeuce très réelle aux escarpemenls sous tnarins sur la for- malion des flots de fond. Ma questi flutti , che ne sont animés que d' un mouvement horizontal , come dice lo stesso Emy , sono in sostanza una cori-entc anch'essi. Quindi, quan- 78 tunque potessero avere quella velocità voluta da lui, io sono dell'avviso di Virla, che un tale corso non basterebbe a render ragione di tutti gli accennati effetti; ma ho già rammentato come il Mounier non ammette che in parte la pretesa velocità; ho toccato le cause che la devono sensibilmente diminuire, ed ora aggiungerò essere mio parere che sì fatta cor- rente, prima che l'onda sia franta , non potrà mai avere più della metà della velocità di propagazione dell'onda. Ciò posto, sarà facile sentire il bisogno di trovare un altro agente che, unito a questa corrente, possa produrre tutti quegli imponenti effetti, di cui siamo testimoni. E quest' agente è per me 1' onda stessa , la quale presso il lido percotendo a brevi intervalli il fondo lo incide, lo scalza, ed essendo in massa animata da moto di trasporto rinvigorisce in ogni urto la corrente da essa stessa creata, nel nìodo come nella mia convinzione mi sono indu- striato di descrivere. Se poi volessi fare particolareggiato confronto fra l'azione di trasporto nella parte superiore del flutto e quella esercitata nella parte inferiore di esso prima che si franga, è noto che non si manca di fatti per provare quanto questa seconda azione sia alla prima superiore in potenza. Quindi basterà qui richiamare 1' attenzione sull' azione necessaria per creare quella velocità impressa dal flutto-corrente ai corpi galleggianti alla superfìcie che vediamo tra- sportare alla spiaggia, e su quella che lo stesso flutto deve avere sul fondo per vincere 1' aderenza ed im- primere moto di trasporto ai materiali pesanti che 79 troviamo trasportati lungo la spiaggia stessa ; av- vertendo inoltre che questi non presentano, come quelli, presa al vento. Tocco ora l'argomento della profondità d'acqua cui si comunica l'azione delle onde. È certo che la reazione del fondo del mare sull'onda dipende dalla profondità, alla quale è il mare agitato: e l'agitazione dipende essa stessa dal volume delle onde. L'azione poi sarà decrescente da un certo punto sotto la su- perficie ordinaria del mare sino all'ultimo limite del- l' agitazione; e questa verità non credo si opponga al fenomeno di maggior azione di trasporto delle molecole inferiori dell' onda in confronto a quella dovuta alla parte superiore, quando l'onda, heninteso, trova reazione e forma percussione sopra il fondo di una spiaggia sottile. Ho di già accennato che nelle coste e nei moli a picco, in mare profondo, i fenomeni nati dall'urto delle onde danno risultati ben differenti in artificio, perchè dice Leonardo: « Il moto dell'acqua in fra l'acqua muta tanti corsi ri- flessi per qualunque verso , quanti sono gli obietti vari in obbliquità, che ricevono il moto incidente di tale acqua ». Come abbiamo veduto in principio, per lo pas- sato si è creduto generalmente, che l'oscillazione del- l'onda non si trasmettesse che a piccolissima pro- fondità: in allora la teoria si basava su questo falso principio. Agli autori già citati su tal proposito aggiungerò, che Bayle ha creduto che il vento non esercitasse azione diretta sopra l'acqua del mare ad una profondità maggiore di due metri; che Belidor 80 si mostiava convinto che a 4 o 5 metri al disotto della superficie , la mer n ij est que peu agilée , méme dans un fjros temps, e in otto metri di pro- fondità le più piccole pietre non erano smosse; e che De Cessart e i primi ingegneri della diga di Cher- bourg sembrano essere stati della stessa opinione. Yirla crede Bremontier il primo che abbia rico- nosciuto , che r agitazione delle onde si trasmetta ad una gran profondità: io penso che quanto ci hanno detto su questo proposito Leonardo, il Castelh, il Zendriui, il Codeviola, il Mari e lo Spallanzani molto prima di Bremontier, sia sufficiente per dare ad essi questo primato. Ma ciò sia detto di passaggio. 11 De la Bèche nota « che l'acqua è torbida nella maggior parte delle coste per l'azione de'flutti sulle arene e sulle melme; e quest'azione, capace di por- tare i detriti sino alla superficie, si comunica a circa 25 metri di profondità, specialmente allorquando la tempesta dura da più ore ». L'esperienza non lascia dubitare , che il cambiamento del colore del mare ad una distanza più o meno grande dal lido, secondo la profondità dell' acqua e la natura del fondo, si debba all'azione de'flutti e non delle correnti, quan- tunque queste abbiano rilevante velocità : le quali due cause non vanno mai fra loro confuse. Se in tempi considerati di calma la tinta torbida del mare, che determina il limite del movimento delle acque, oc- cupa per esempio un miglio, non deve credersi esa- gerato che in tempo di tempesta questa zona si al- larghi di dieci e più miglia nelle spiagge sottili. Di fatti le dette acque torbide presso i lidi sono a noi segnale di prossima terra, e prendiamo le precau- 81 2Ì011Ì necessarie, quantunque essa non si veda. Fris- sard osserva, che se il capitano della Medusa avesse posto mente all'avviso di questi fenomeni, il fune- stissimo naufragio di quella fregata non sarebbe ac- caduto. Mercandier ha registiato, essere stato assi- curato dal Codeviola che all'entrata del porto di Ge- nova, ove il fondo del mare era di 12 metri circa, si formò un banco di sabbia di 4 metri di altezza, e che dall' azione delle tempeste venne dissipato senza più riprodursi. Nelle acque fra Minorca e Cor- sica esiste un banco di sabbia conosciuto da noi sotto il nome di Caccia [Casse dai francesi), il quale nei punti più elevati si trova a 23 metri sotto la superficie del mare. La sua posizione è soggetta a qualche cambiamento: ma in tempo di mare grosso viene riconosciuta dalla diversa forma e colore dei flutti a confronto dell'agitazione circostante. Da Le- moyne si sono raccolti de'testimoniali, i quali pro- vano che alcuni bastimenti, e fra questi un vascello di 120 cannoni, passando sopra il detto banco, han ricevuto a bordo de'colpi di mare molto pregni di sahhìa [chargées de sable). Dall'Aimo ci vien detto, che dalle esperienze da lui fatte nella rada di Algeri ri- sulta, che in un fondale di 18 metri, dopo che le onde avevano avuto un' altezza di 2 a 3 metri, on a re- connu des Iraces de la plus violente agitalion. A 28'", dopo onde di 2 metri d'altezza, Von troiiva des effets a peuprès semblahles aux précedenls. A ^O™ ed a circa un chilometro dalla costa, dopo onde di 3 metri , risultò qu il avait eu un petit mouvement: le sable ritrovata nella macchina était en grain dhine tennité extréme. Conclude infine che questo limite di 40 me- G.A.T.CXXXVIII. 6 82 tri est probablement depassé dans les tempétes: ed egli stesso dice altrove, che après un coup de veni . . . r épaisseur de la conche d' eau supérieure mise en mouvement può varier de dix a quatre-vingts bras- ses (*). Il Bravais dalle esperienze da lui fatte al Nord ha trovato, che l'agitazione delle onde si co- munica a 30 e 40 metri. Spallanzani dimostra che le lave scoracee nell'isola di Stromboli, a 124 piedi (40,'" 28) sott'acqua, sono per gli urti delle onde tem- pestose sfracellale e ridotte in arena. Né ciò solo: a cotesta profondità ed anche maggiore , la corrente creata, a parer mio, sul fondo dai flutti stessi, deve trasportar lungi le materie così triturate, perchè l'in- cessante scarico del vulcano per tanti secoli avrebbe formato un banco di sedimento ; (c ma (aggiungerò coll'autorità molto più recente di W. H. Smyth), ma con tuttociò contrario è il caso {the contrai^, howe- very is the case) »: il fondo del mare non si riem- pie (**). Lo stesso Spallanzani ha inoltre registrato che nelle isole Eolie, gli abitanti di Stromboli usano per la pesca nasse che calano al fondo del mare con entro alcuni sassi; perchè il mare in burrasca non molesti le nasse, gli è forza che sieno sott'acqua per lo meno 140 piedi (45,'" 47), altramente le in- frange contro gli scogli subacquei e le disperde. Emy deduce da alcuni fatti, che i flutti del fondo agiscono nell'Oceano con grande potenza anche a 80 braccia (*) Si veda la noia A in fine, {**] Non debbo però passar sotto silenzio, che il suUodato Smyth aggiunge ancora che i geologi spiegano questo fatto con ritenere «che un abisso alia base dell'isola continuamente assorbe le emissioni, e riempie il vulcano [that a gulf at the island, continually absorbs the ejections, aud replenishes the vokano] ». Spallanzani peraltro confuta questa opinione. 83 di fondo (130 metri). E Siau colle sue osservazioni fatte neir isola di Borbone ci prova , che 1' azione delle onde nella baia di s. Paolo a 188 metri sot- t'acqua si fa sentire in modo da formare delle zone ondulate sopra un fondo de sable et de gravier ba- saltiques. Anche a profondità bien superieur egli ha ottenuto des résultats analogues: ma non li cita per- chè non gli ha potuti ripetere. In Minard leggo, che Artha (scoglio nella baia di s. Giovanni di Luz) tro- vasi colla sua sommità a 9 metri al disotto della bassa marea. Questo scoglio reagisce sulle onde, che vi passano sopra quando esse non hanno più di 1,'"50 a 2 metri di altezza: allora i marini del paese di- cono Artha haiisse les épaules. Se 1' agitazione del mare aumenta, le onde si frangono interamente so- pra di esso, mentre ai lati continua l'intera ondu- lazione ; perchè (secondo aveva già osservato Bre- montier) la profondità ai lati dello scoglio è di oltre 6 metri maggiore. Lo stesso Bremontier postosi alla sommità di un'alta duna della Teste, sopra la sponda del mare, in un momento di forte agitazione e a 59 metri sopra il suo livello, distingueva parfaite- meni tutte le seccagne [ìiauts fonds) su le quali le onde venivano a frangersi, quantunque questi banchi fossero più di 6 metri al disotto della bassa marea. Cotesto specie d'isole sotto-marine gli si rendevano ben di- stinte per la bianchezza loro, e per le acque che vi balzavano {iaillissaient) a grande altezza. Beau- temps-Beaupré ammira quelle mer affreiise peut s'ele- ver en une heure de tenips stir les plaleaiix de roche où Von trouve un grand bressiage: e P. Monnier chia- ma l'attenzione sopra una platea di scogli [plateaiix) 8'4 che trovasi nel golfo di Guascogna, nella quale al- cune asprezze conosciute sotto i nomi baschi Aroca, Tigna, Illarquita, Piacela ec, fanno frangere il mare, quantunque esse siano coperte di oltre a 34 metri di acqua nel momento dell'alta marea. Né fa duopo che soffi vento per verificarsi simili fenomeni. Quando Colombo spiegò Lontane sì le fortunate antenne, Che appena seguirà cogli occhi il volo La fama, ch'ha mille occhi e mille penne, ci riporta Las Casas, che mentre l'equipaggio mor- morava , dicendo , che non essendovi mai marosi in quei tratti d' Oceano, non sarebbonvi giammai neppur venti per ritornare in Ispagna ; il mare si agitò senza cìie il vento spirasse, e divenne sì grosso che tutti ne furono sbigottiti)). Bremontier racconta che in tempo tanto calmo da non potersi distinguere da qual parte venga il vento, un'onda di circa 3 metri di altezza si frange sopra il citato scoglio Artha, an- che in alta marea, quantunque la sommità di esso sia in questo caso 13 metri sotto il livello ordinario del mare. E poi comune il vedere innalzare la schiena alle onde quando passano sopra un fondo sensibilmente ineguale per la reazione che ne risentono, tracciando così l'andamento di esso. « Siccome, dirò con Leonar- do, siccome le calze che vestono le gambe dimostrano di fuori quello che dentro a se nascondono, così la superficiale parte dell'acqua dimostra la qualità del suo fondo)). Così pure none necessario che limare già alla superfìcie ondulato per produrre fenomeni di 85 questi specie: e però lo stesso Leonardo, che tutto ha veduto, ci ha detto: « l'impressione de'moti fatti dall'acqua in fra acqua sono più permanenti, che l'im- pressione di essa acqua fa in fra l'aria )>. Queste onde sono quelle che con mare calmo segnalano le sec- cagne, e le rendono così meno pericolose. Bremontier ha registrato che delle pietre di 150a 1200 libbre ven- nero trovate poitssées de phisieiirs pieds, la mer etani calme. E Beiuitemps-Beaupré racconta ch'egli, men- tr'era all'ancora in 4 meti-i di acqua sopra una testa di scoglio isolato e con tempo calmo, si trovò in pericolo di vita per il fenomeno di cui tratta Leo^ nardo: la mer, eì dice, brisa trois fois sur ma penicliei et cela par un temps calme et dans un moment oh aucune des roches les plus dangereuses de cette partie ne marquait. Questo fenomeno sarebbe l'onda di fondo senza vento del Meneghini: ma, a parer mio, ristretta però in certi limiti. Una tale onda, che è la lame sourde de'francesi, può ancora sussistere quando alla super- fìcie sia stata creata un'altra onda anche in direzione opposta, come ha notato Leonardo. De la Coudraye asserisce , che la reazione ri- sentita dall' onda sul banco di Terra-nuova è sen- sibile ai bastimenti che lo avvicinano: e questo banco si trova da 100 a 160 metri sotto la superficie del mare. La stessa asserzione, soggiunge Bremontier, si fa da tutti coloro che esercitano la péche da la mo~ rue sur ce banc. 11 ripetuto P. Mounier registra, che al capo di Buona-speranza i bastimenti sono esposti a de'colpi di mare passando a 200 metri sopra il banco delle Agullas. E Frapolli porta a questa pro- fondità il limite ultimo dell'adtazione delle onde. Ma 86 dai fatti sopra citati risulta che questo limite dev'es- sere oltrepassato , perchè ivi la massa ondeggiante opera ancora contro il letto del mare un urto capace di rendersi sensibile alla superficie, cioè a 200 metri di distanza verticale. Quindi io credo che a questa profondità il maroso abbia ancora potenza di smuo- vere i piccoli materiali e di svellere le alghe, i cui organi, mercè de'quali queste piante si afilssano al suolo, non esercitano, come leggo in Meneghini, vere funzioni di radici. Nel chiudere questo titolo mi sia permesso ag- giungere una mia opinione. In circostanza di calma di vento e di onde non frante , utile cosa sarebbe osservare, in un fondo marcatamente ineguale, l'a- zione che si esercita sopra di esso; ripetendo più volte il saggio datocene da Bremontier, e notando in pari tempo ulteriori fenomeni. Queste osservazioni potranno essere anche utili, e più facilmente fatte, quando alla superfìcie sia mare calmo. Un osservatore, posto nella più favorevole situazione di visibilité des écueils in- dicata da Arago, credo che con sufficiente esattezza potrebbe prendere nota de' fenomeni che accadono nel fondo. L'uso dell'olio eliminerebbe di molto la difficoltà dell'osservazione quando soffia vento. L'ap- parecchio, che servì a Edwards per esplorare nel fondo del mare e raccogliere in esso de'moluschi e de'zoofiti, potrebbe essere anche utile per le nostre ricerche. Sarà poi possibile aggiungere agli effetti dei fenomeni così ottenuti quel grado maggiore di po- tenza, ch'essi devono possedere quando il vento ed il mare agiscono contemporaneamente e sono in fu- rore. 1 risultati ottenuti per queste vie saranno sem- l 87 pre preferibili a quelli dedotti da esperienze intera- mente artificiali. Esposto fin dove io conosco giungere l'azione e l'agitazione de'marosi, passo a dire quel che ne so circa la potenza loro. Quando i massi sono movibili, non è roccia solida, dice Pilla, che resista all'attrito de'flutti marini. Reibell registra che a Cette de'massi di marmo duro, que pliisieurs boeufs ont peine à trai- ner . . . sono bentosto sformati par leroulis des flots, en galets de la grosseiir dii poing. F.amblardie padre ci apprende a qual grado di tenuità l'azione delle onde, e l'attrito de'ciottoli fra essi e contro le rive, riduce la loro primitiva grossezza: e D'Orbigny nota che « chiunque ha potuto udire il romore che fanno i ciottoli di silice, allorquando sono smossi da una forte onda, si renderà conto del sollecito consumo di essi, malgrado della durezza loro». Con questi ma- teriali si formano poi quei cordoni littorali con un profil qui, come osserva Elia de Beaumont, frappe généralement les yeux par ses formes géomèlri" ques. De Dentrecasteaux ha notato nella baia della Speranza, che l'acqua del mare scaturiva alla som- mità delle più alte isole ; e Riche trovò de' cri- stalli di sale marino a più di 50 metri di altezza sopra il livello ordinario dell'acqua fra la cavità degli scogli inoltrati in mare. Sméaton riferisce che al fanale di Edyston il flutto si slancia con immensa massa di acqua per ben 25 metri al disopra del fa- nale, ossia a 50 metri sopra la superficie del mare; ed Emy ha calcolato che questa massa è di 2 a 3 mila metri cubi, e di 2 a 3 milioni di chilogrammi. 88 Lo stesso Emy riporta, essere stato descritto // soffio del diavolo nella crepatura di uno degli scogli delle grotte di Kynann come una colonna di acqua che s'innalza a grande altezza, facendo sentire sotto terra un romore simile allo scoppio della folgore. Anche senza vento o con vento contrario , un grosso 0 discreto mare è capace di produrre simili fenomeni. La Somerville ci fa sapere che « il fanale di Beli-Rock neirOceano germanico, quantunque ab- bia un'altezza di 112 piedi (metri 34, 13), è letteral- mente sepolto fra la spuma e gli sbruffi sino alla cima durante grandi onde senza vento [dunng . Dopo siifatte pubblicazioni nulla posso io ag- giungere sulle correnti marine in quanto ò proprio della navigazione; tanto più che i prefati autori sonosi di essa precipuamente occupati. Ma per 100 fidi-aulica io credo che importanti fenomeni resti- no tuttavia a dilucidarsi E però per quella influ- enza, che le correnti possono esercitare nei porti di mare, mi faccio ad esporre ciò che io ne pensi. Dalle ricerche da me fatte per istabilire da quali agenti siano realmente assaliti ed inter- riti i porti, ed a chi si debba l'aumento e la di- minuzione de'lidi, risulta che principalmente dai flutti e non dalle correnti tali fenomeni proven- gano. Questa dottrina io emisi ne'miei studi sul porto dì Livorno, e qui intendo di confermarla, ab- Jienchè non ignori ch'essa contraddice un canone istabilto da lunga data e fino ad ora in vigore in tutte le opere che trattano della disposizione e con- servazione de'porti. 11 perchè volendosi da me so- stenere una dottrina che si trova in opposizione a quella del Montanari, la quale è appoggiata e seguita da uomini sommi italiani e stranieri , fra i quali si annovera un Venturoli, mi occorre l'ob- bligo di render ragione della mia proposizione. Come per la riverenza che si deve a matematici illustri e del valore de'sunnominati, non può tacersi cosa espressa da loro senza mancare alla venerazione loro dovuta, così è obbligo di chi si trova in ne- cessità di allontanarsi dal loro parere, di provare quanto asserisce. Prima di tutto dii-ò, che il Montanari stesso si fia ad osservare che « la piccola velocità della cor- rente (su cui basa la sua dottrina) non potrebbe nemmeno portare i sabbioni né dal loro luogo muo- 101 verli, se l'agi tazione delle onde, paili(;olarmente in tempo di tempesta e di venti gagliardi, non li scon- volgesse di quando in quando , e non intorbidasse il mare ; nel qual tempo necessariamente sono poi dalle acque pian piano spinti avanti da sinistra a destra-, conforme la corrente delle acque stesse li va seco portando ». Ed è così, aggiungerò io colle parole di Minard « ed è così qu'il faut comprendre come la sabbia è trasportata par les plus petils cou- rants, e non già per un effetto diretto della velo- cità dell'acqua camme dans les rivières. Il Venturoli segue il Montanari ; se non che più di questi si mostra convinto della esattezza della dottrina adot- tata, in modo piiì esplicito ne tratta , e senza ri- serva alcuna giunge ad asserire , che i detti ma- teriali « sono obbligati ad avanzare a seconda della corrente anche in tempo di burrasca, qualunque sia la direzione del vento ». Cosicché il difetto della dottrma del Montanari e de' seguaci suoi sta nell' attribuire alla sola cor- rente littorale , quantunque mitissima , il trasporto de'materiali ostruenti, ed alle onde l'azione soltanto di smuoverli. Ed in vero, essendo eglino, senza ec- cezione alcuna, convinti che il movimento ondula- torio impresso dai venti alle acque del mare sia sol- tanto , e sempre , apparente, devono altresì essere persuasi, che la direzione della corrente non possa mai essere variata dai flutti , qualunque sia la di- rezione 0 grossezza loro, e che perciò il trasporto de'materiali deve sempre effettuarsi a seconda della direzione di essa. Guidati dunque da questa convinzio- 102 ne, si trovano concordi a ritenere gì' interrimenti de' porti e delle rive, prodotti in crran parte, se non in totalità, dalla corrente che si osserva presso i lidi, e che perciò si nomina corrente littorale o radente od anche, nel mare nostro, corrente del Montanari. Quale sia la forza de'flutti, a quanta profondità si comunichi , e quali gli effetti prodotti da essa , credo averlo di sopra dimostrato. E duopo quindi fare altrettanto per le correnti, perchè dal confronto possa conoscersi la prevalenza dell'uno o dell'altro fenoitieno. Nell'Oceano il movimento più regolare e mae- stoso è quello della marea, il culmine di questa immensa ondulazione , che cammina colla luna di meridiano in meridiano facendo il giro del globo in un giorno lunare, come più propriamente ho già avuto oc- casione di accennare , non costituisce in alto mare una vera corrente marina ; ma in certi paraggi ed in ce!i'ti lidi, conservando l'ondulazione, si manifesta pnraftche per corrente di uno a dieci miglia 1' ora formando od alterando, presso terra, le correnti lit- toraii senza però essere nociva ai porti quanto può credersi a prima vista. ra gli et'felti de'medesimi ronlro le spiag- gie , le coste e le opereidraulirlìe: un più pratico esame soprai bisogni ed i comodi assoluti ed utili ad un bastimento quando entra con fortunale in un porto, mi pare che debbano condurre a preferire un altro sistema. Posseden- do la discussione idraulico-nautica sostenutasi in Inghilterra dal 1844 al 47 nel- Toccasione della costruzione di nuovi porti in quel regno e specialmente per quello di Dover; avendo di recente visitato alcuni di quei porti in pieno la- voro, ed avendo raccolto altri documenti dai porti francesi, spagnuoli e più par- ticolarmente dai vasti nostri porti antichi e moderni, io mi trovo assistito da prove che, se sapessi ben adoprare, credo sieno tah da far seriamente pen- sare anche su quest'oggetto. Esso non e meno importante di quello trattato in questa Memoria, e fra loro si collegano Quanto prima spero sottoporre al giu- dizio altrui i risultamenti di questo studio, il quale m'induce a credere pre- feribile sopra ogni altra quella forma e disposizione di opera idraulica che non causa frangimento dell'onda o meno vi si presta. 139 NOTA A ALLA PAGINA 82 A me sembra che le esperienze dell' Aime' la- scino molto a desiderai-e, specialmente quando le onde hanno 5 e 6 metri di altezza, cosa non molto difficile anche nel Mediterraneo, e più ancora per non aver egli sempre notato la distanza del punto del- l'osservazione dal lido, la forma e natura della sponda di esso: nulladimeno !olo credo un lavoro utile. Ma non posso fare a meno di osservare, che di cotesto autore e delle esperienze di lui non si fa mai parola nei corsi di lezioni dettate alla scuola degli inge- gneri di Francia. l4l CATALOGO Per ordine alfabetico degli autori e delle opere loro, citati in questa Memoria. A lato di ogni citazione è riportata, fra parentesi, la pagina della Memoria stessa. C Aclon: Miscellanee marittime. Napoli 1851, V. I. p. 167 e 178 (24) ; 550 (41); 178 e 180 (60) ; 542 (92). C. A fan de Ri vera; Del bonificamonto del lago di Sal- pi ecc. Napoli 1845; 363 (24), 264 (117). Progetto della restaurazione dell'emissario di Claudio ec. Na- poli 1836 p. 6 (126). Aimo: Exploration scientifique de V Algerie. Recherches de physique sur la Mediterranée. Paris 1845, p. 193, 200, 198 e 201 (6), 195 a 197 (81), 185 (82), 12 (125). Per le maree pag. 12(104). G. B. Airy : Estratto degli atti inserito nel Report on the harhour of refuge lo be contructed in Do- ver bay. pag. 40 e 41 { 13 e 14). Questo cele- bre astronomo ha inoltre pubblicato fin dal 1835, nella Encyclopeadia metropolitana tomo V articolo Tides and waves, una estesa Memoria sul moto on- doso del mare. In essa, come rilevo in De Caligny {Journal de matkématiques pures et appliquées, t. XV, pag. 193) ha dato in inglese un' analisi dell'opera alemanna de' fratelli Weber su le onde. Ad onta delle più accurate ricerche non mi è stalo possibile trovare in Toscana la suddetta enciclopedia, quindi 142 non ho avuto il vantaggio di studiare la inlera Me- moria di Airy. Arago: Mcr de varec ( Annuaire pour l'an 1836. Noti- ce scientifiques) (43). Rap. fait à VAcad. des scien. sur les travaux scientifiques exécutés pendant le voyaye de la fregate la Venus ecc. (Ann. marilimes etc, Pa- ris. 1840, tora. II. pag. 776 (50), 751 (56 e 57) , 771) (113). Aristotile: Citato dai Marmocch, nella geografia e tomo a suo luogo notati p. 366 (42). Auniet: Note sur les ports de l'Etat romain (Anna!, des pont. et chaus. t. VII, 1834, sera. 1, p. 151) (90), B I.-B.-A. Babron: Précis des pratiques de Vart naval ec. Brest 1817 p. 243 (41). Bayle: Dictionnaire des sciences naturalles, par le prof, du Jardin du Rai tom. 35 art. Océan (79). Bayfield: Citato dal Redfield nell'opera a suo posto no- tata (39). Beautemps-Beaupré: Exposé des travaux relatif à la re- connaissance hydrographique des cótes Occidental es de France. Paris 1829 p. 23 (85). Belidor: Architecture hydraulique. Paris 1753. H. par- ile liv. 3. eh. 10 art. 822 p. 172 (79). Bellinger : Osservations sur la forme qu" il convieni de donner aux ouvrages à la mer (Annal. del pont et cheau. 1849 I. sem. p. 336) (73). Bèrard: Description nautique des cótes de V Algerie. (An- nal marit. Paris 1837 pag. 255 e 250) (48). Bernard: Cours de construction des ports. Ecole royale des Ponts et chaussées. Session 1842-43. In litogra- fia (57), p. 6 Pian. I, fig. p. 14 (90). pag. 14 (124). 143 Bidone: Experiences sur le remou et sur la propagation des ondes (Memorie della reale accademia delle scien- ze di Torino, t. 25,1820, pag. Ili) (2 e 3) Experien- ces sur la propagation du remou (Memorie dell'acca- demia citata 1825, t. 30, pag. 287 e seg.)(2e22). 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XIII, Paris 1848, pag. 93 (7), 91, 93, 100, 96, 103,108, 109, 92, 100, e 101 (7 e 8), 107 (34), 97 (49 e 50), 100 (66), 109 e 110 (75). De Denlrecasleaux : Voyage De Dentrecasteaux envoyé à la rechcrclie de la Pérouse. Paris 1808, tom. 1, pag. 185 (87). De Fazio: Intorno al miglior siatema di costruzione de porti. Napoli 1828 pag. 11 e 18 (22 e 23), 10 e 11 (120). De la Bèche : Recherches sur la partìe théorique de la geologie, Bruxelles 1839. pag. 27 e 26 (10), 27 (35), 28 (80), 25 (111), 26 (109). Vart d'observer en geolo- gie. Paris 1838, pag. 34 (114). Manuel géologique. Bruxelles 1837, pag. 65 (94), 86 (119), 87 (119). De la Bretonnière: citato dal De Cessart nell'opera no- tata tom. II. pag. 174 e 254 (76). De la Coudraye : Théorie des vents et des ondes. Pa- ris, an. X. (4 e 85). Deluc: Lettres physiques et morales ecfc. Haye tom. I, pag. 396 (125). Ferdinando De Luca: Considerazioni generali sulla co- struttura de'porti (Annali civili del regno delle due Sicilie. 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Duleau et Virla (Ann. des pont et chau. 1837, 2 som. pag. 239-233-249. Edwards; Citalo da De Quatrefages nell'opera a suo luogo notala, t. II, pag. 18 e seg. (86). F Fèvre: Des mouvements que paraissent imiter le mouve- ment des ondes (An. de pon. et chau. Paris t. XXV 1839, 1. seni. pag. l e 26) (6). Fougues - Duparc citato da Reibell nell'opera sotto no- tata pag. 202 (95). Fossombroni: Memorie idraulico-storiche sopra la Val-di- chiana (Rac. cit. toin. XllI, pag. 179) (18). Franklin: Per reffelto dell'olio è stato citato dal Mar- mocclù nella geografia, tomo notato a suo luogo, p. 367, e per l'effello del vento in un gran bacino, lo cita Frissard , nel corso di leziuni fra poco regi- strato, pag. 41 (39). L. FrapoUi: Réflcxions sur la nature et sur l'applica- tion du caraclère géologique (BuUelin de la sociélé géologique do Franco tomo IV, 1847, pag. 640) (85). 148 Frissard: Cours de construction des ports de mer: Ecole na^ tìonale des ponls et chaus. Ses. 1848--1849. In li- tograEa p. 41 (41) , 40 e 35 (52), 41 (81) , 40 (89), 82 e 83 (89 e 90). Frisi : Del modo di regolare i fiumi e i torrenti (Rac. cit. toro. VI, pag. 265) (20). G Galileo: Trattato di fortificazioni ecc. (Memorie e let- tere inedite finora o disperse, ordinate ed illustrate con annotazioni del cav. G. B. Venturi. Modena 1818, pag. 66 e 67 (19). Gerstner: Ha pubblicato nel 1804, in Praga, un lavoro sulle onde , riprodotto nel 1825 in un' opera dei fratelli Weber. (Si veda in proposito De Caligny nella sua nota inserita nel giornale di Liouville di già citata, 1848, pag. 92) (5). Guglielmini : Della natura de fiumi (Rac. cit. tom. T , pag. 239-230) (19 e 20). H W. Hopkins: On the transport oferratic blocks (Philos. Magaz. 1845, voi. XXVII, pag. 36) (11). Humboldt: Cosmos etc, Milano 1840 t. I. pag. 257 e 258 (40). Examen critique de la geografie du uouveau continent etc. Paris 1837, tom. Ili, pag. 71, 78, 79 e 82 (43). Huot: Noveau manuelde géographie physique. 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Scamozzi: Dell'idea della architettura universale, Vene- zia 1687, p. 126 (91). A. Secchi: Traduzione compendiata della citata opera di Maurj, inserita negli Annali di scienze matematiche e fìsiche compilati dal Prof. Tortolini. Roma 1853 to. 4.p.256 (40, 97a 99); nella Corrispondenza scien- tifica in Roma 1852 pag. £57; ed in francese ripro- dotta nella Bihliothéque univer selle de Genève; Ar- chives tom. 24, 1853 pag. 105 e seguenti. Sereni: Idrometria. Roma 1838; pag. 239 (111). Siau: De Vaction des vagues à de grandcs profondeurs , (Annal. de phys. et de chim 2. sem. voi. II. 1841 pag. 118 120 (83). Accad. de scien. 26 avril 1845. L'instilut. 8 mai 1841). Sméalon: In Emy prim'opera cit. p. 61; in Minard o- pera cit. pag. 9 (39). Smyt Hamilton: Citato da le La Roche nel suo Manuale pag. 65 (93). W. H. Smyth : The Mediterranean a memoir physical , 155 historical and nautical. F^ondon 1851, p. 242 (41) 110 (82), 151 (99). Mary Somerville: Physical geography. 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Il elle cinque etrurie ch'io soglio contare (la media tenuta comunemente per prima e principale , la campana, la circompadana, la retica, Vinsidai^e), una delle meno illustrate è la terza , cioè l'etruria in- torno al Pò. È un tratto, il quale, stando alle tra- dizioni degli antichi, fu in vario tempo da vari ahi- tato. I toscani lo tennero fin verso allo stahilirsi in Roma sotto i re della dinastia de' Tarquini. Sotto quest'ultima dinastia già essi n' erano stati cacciati da' galli, cioè dalle trihù de'Boi, poi de'Sennoni scesi in italia con orde innumerahili secondo lor costume. Prima de'toscani par vi stanziassero per più o men lungo tempo Umhri, gente gallica anch'essi, a sen- timento del più degli antichi, e (popolo intermedio) Pelasgi od altri , de'quali non s'è serbata memoria distinta. Qui non è luogo a dirne più di così. Il sepolcreto scoperto dal sig. conte Gozzadini è da esso attrihuito al periodo della dominazione toscana. Tro- vollo in quel di Bologna; lungi da essa città otto chilometri, nella pianura che si stende alVorienle . . al di sotto della via Emilia, poco piìi d'un chilome- tro e un ottanta metri lontano dal fiume Idice . . . oggi sotto la giurisdizione parrocchiale di S. Maria della Casella; Consiste in 122 singolarissimi sepol- cri che le tavole aggiunte diligentemente rappre- sentano. 159 « Le tombe si contenevano in uno spazio che « nella direzione da oriente ad occidente si prolun- (( gava metri 68 , da mezzodì a settentrione me- « tri 27. Tre quarti di questo spazio nella sua lun- « ghezza erano pressoché al tutto occupati da 116 « sepolcri fra loro distanti un metro o poco più , u se non che accosto al lato occidentale gl'intervalli « erano disuguali e molto piìi lunghi, quasiché ivi » fossero eretti gli ultimi tumuli , ed altri se ne » dovessero elevare: la qual cosa si vedeva ancora, « ma in più breve tratto in un segmento di circolo u presso la estremità volta a mezzodì, nel cui mar- ce gine era posto un macigno di forma naturalmen- « te conica, sporgente sopra le tombe , alto cen- « timetri 59 , largo nella base centimetri 27. Esso « era a mezzo su quella linea estrema de'tumuli, sì « che nessuno lo oltrepassava , onde l'ili. A. s'in- « duce a credere ch'ei fosse un termine postovi a sta- le bilire e consacrare un limite estremo del sepolcreto. « Nell'ultima parte . . v'erano solo sei avelli, ma » diversamente costrutti e più grandiosi degli altri, » dai quali erano divisi per una larga zona priva « di tombe, e per una specie di viottolo o murello « largo centimetri settantasei, alto quasi altrettanto, « formato di ciottoli e macigni, frammisti di mol- te tissimi carboni di quercia, e selciato regolarmente « sopra , a livello delle tombe , il quale viottolo « però non attraversava che due terzi del sepolcreto, « dii'igendosi per un tratto dal sud al nord, poi con (( angolo aperto al sud est ... . Più tardi si sco- » perse nella direzione verso nord che il sepolcreto « si stendeva oltre à 27 , altri 6 metri, giacché u « tal distanza aveva nove altri avelli. 160 « Tratta da i tumuli la terra circostante, molli u di essi mostravano una massa quasi cilindrica leggermente conica , o quasi rettangolare, alta da 16 centimetri a 1 metro e mezzo , del dia- metro non maggiore, ma talvolta minore di me- tro 1, 42, tutta rivestita a secco da grossi ciot- toli dal calcare appenino, già travolti da torrenti. Altre tombe erano costrutte solo di strati dipen- denti da concrezione di quel macigno grossolano, che han le bolognesi col 'ine quaternarie, ed eran pezzi irregolari e da scarpello non dirozzati, che in numero di sei, o in numero maggiore (se non erano abbastanza grandi o sufficientemente adatti 0 saldi per farvi una parete) formavano quasi un dado esternamente irregolare, e pressoché sempre un pò diminuito in cima. Levando i ciottoli dai primi tumuli , si trovava che di sopra ve n'era uno strato, o diversi , i quali in qualche tomba formavano una grossezza per Ano di metro 1, 14, tramezzata alle volte da 25 centimetri di terra; e che una semplice o doppia parete di ciottoli gi- rava attorno al monumento, e che uno o due strati di essi sottostavano al macigno formante il piano del monumento stesso. Tolto questo rivestimento o rimanevano disascosti gli oggetti deposti nella tomba, 0 si rinveniva un chiostro di macigni co- strutto nel modo soprindicato, ma in aspetto spes- so diverso , per la irregolarità delle pietre , ed anche perchè queste essendo di natura arenosa e fragile, n'era sovente infrante dal peso sovrastato « quella che formava coperchio, la quale si addentra- « va nel cavo schiacciadovi ciò che premeva . . . Fi- 161 « nalmente altri sepolcri non erano difesi, od of- « fesi né da ciottoli, né da macigni, e la terra so- ft la li proteggeva. « Oltre a'precedenti v'eran quattro monumenti di « quelli eretti in disparte, due de'quali erano uguali « e nella struttura e nelle dimensioni, gli altri di- « versificavano nell'essere un pò men grandi. Era- « no parallelogrammi, i maggiori lunghi metri 2, 67 « per ogni lato, e formati con molta cura di grossi « ciottoli senza cemento. Le pareti s'innalzavano per- « pendicolarmente di metro 1, 40 quelle all'est, e « quella all'ovest erano larghe nella sommità cen- « ti metri 69 , le altre centimetri 28 , discendendo « obliquamente verso il centro per la profondità di a centimetri 76, ed allargandosi fino a congiun- « gersi con un piano angustissimo formato anch' « esso di grossi ciottoli. Quei due monumenti erano « uniti quasi come lo sono due caselle nere d'una n scacchiera. Scomposte le pareti d'un di essi per 76 » centimetri d'altezza fino al piano di congiunzione « e tratti da questo alcuni strati di ciottoli, co- « minciarono a trovarsi vasi d'argilla, ma tutti fram- « mischiati con ciottoli che sovrastavano poi ad » altri schiacciati e infranti da così fatto ac- « cozzamento che continuava fino al suolo. Di bron- « zo v'erano vari e molti oggetti ammaccati an- « ch'essi da'ciottoli, e v'erano stoviglie addentrate ft nel piano del monumento, e poste proprio sotto « le sue pareti per tutto il tratto che occupavano. {< Le 122 tombe erano costrutte nelle seguen- <{ ti proporzioni ». G.A.T.CXXXVm. u 162 Con ciottoli e con macigni 26 Con ciottoli soli 20 Con macigni soli 20 Senza ciottoli e senza macigni 56 122 « Per formarle dovettero essere scavate delle « buche .... Pressoché a un sol livello era la « parte superiore de'sepolcri , e com'essi varia- « vano assai nella propria altezza, cioè da 1. metro » a metri 2. 28; così di tanto più s'affondavano , « quanto erano più alti .... Il dì sopra doveva « però sottostare di poco al piano della campa- « gna, perchè nel colmo de'campi si trovarono alla u profondità di metro 1, 14, e ne'fìanchi, così poco « sotterra, che alcune erano state smosse e rotte dal- » l'aratro .... » Entro l'arca di macigni, e rivestita di ciottoli, o coperta solo di terra, era costantemente un vaso d'argillay o urna, ossia cinerario e ossuario, non mai due, ìieri più assai sovente che rossi, ornati di disegni a graffito, con vario digradamento di grandezza, se- condo che ad un adulto, ad nn fanciullo, o ad un bambino avevan dovuto servire , riducibili nel gene- rale a forme alquanto anomale d'olle, con due an- se ( non verso la sommità, ma nel corpo, e per so- lito una rotta), o con una sola, o senza anse, o con tre piccole sporgenze, a modo d'ansa, collocati o in posizion naturale, o a bella posta inclinati; interi o il più spesso spezzati, mal cotti, non fregiati di pit- ture; con ornamenti per lo più di meandri a'circoli 163 operati a stecca, o a punti equidistrati, o con con- torni fatti pure a stecca di rozze figure d' anatre, d' uomini 0 di serpenti. Ma ciò assai poche volte , coperti per ultimo da coppe rovescie della stessa fattura il cui luogo tenevano alle volte dischi , o piattelli. A tutto questo s' accompagnavano altre poche stoviglie del genere medesimo , pentole, pentolini , tazze 0 simili. Iscrizioni non v'erano, tranne alcuni di què che son riconosciuti comunemente come segni o indica- zioni della fabbrica. Non poi mancavano i soliti bronzi delle altre tombe 1. antichissime che si conoscono, come dire, scuri, pa- lette, verghette capitate e forate, coltelli sacrificali , figurine di cavalli, manichi, pezzi di aes rude, fibule, smaniglie, ornamenti di cavallo, aghi, chiodi , vol- selle e simili. Ferri pochissimi , in palette non in coltelli, a mostrare che del ferro si faceva allor piccolo uso, non dell' acciaio mai, per armi da taglio od altro. Alcuni ossi lavorati, alcune ambre, e qualche ra- ra pasta di vetro colorato, in fine qualche frutto di avellana. Quanto a ossa umane s'ebbe un sepolto intero per ogni trenta inceneriti. Di due scheletri dottamente favella il prof. L. Calori sforzandosi di provare che non a individui appartenenti a una razza prossima al- l'etiopica, com'era stato creduto, ma ad individui ma- schili della razza caucasica, e probabilmente della etrusca, spettarono. Egli sei vegga. 164 Un' appendice del eh. prof. Rocchi aggiunge al- quante savie osservazioni sopra i sigilli di certe fi- guline romane scavate a non molta distanza dal se- polcreto suddetto, ma d'un' epoca molto posteriore. Il eh, prof. G. Sgarzi discorre con profondità di cognizioni chimiche, le quali ha per ufficio d'inse- gnare, sul colore de'vasi fìttiH. Una dotta lettera del superiormente lodato prof. Rocchi illustra l'antichità del radersi le barbe per comeuto di certe supposte novacule , ossia rasoi a mezza luna, trovati in qualcuno degli avelli. Pensa l' ili. ed erudito signor conte, come di so- pra fu indicato, che le tombe da lui scoperte appar- tengano onninamente al periodo etrusco , e siano non posteriori gran fatto all'età di Numa , con- tando circa 25 secoli e mezzo. Lo deduce dal non avervi trovato che pezzi d' aes rude , e non mai d'aes signatiim, né oro mai, nò argento, né altri og- getti preziosi, né stoviglie dipinte, né iscrizioni, nò idoli. Ora per dire ancora intorno a tutto ciò qual- che mia conghiettura, mi permetterò di sottopor qui alcune mie compendiose considerazioni. Pesata bene ogni cosa, chiaro non mi sembra che questo sepolcreto debba avere appartenuto a po- poli rasenici. Due ipotesi potrebbero mettersi innanzi su que- sto proposito, secondo l'una delle quali sarebbero mo- numenti de' galli Boi, secondo l'altra de' popoh an- teriori agli stessi Raseni, e l'una e l'altra opinione che uno volesse difendere potrebbe aver più validi ap- poggi che non quella la quale vuol vedervi cosa as' solutamente etrusca. 165 Per escludere l'appartenenza propriamente tosca- na, è principalmente da riguardare al modo di essi sepolcri, che dal genuino toscanico totalmente sì discosta. L' architettura rasenica , anche ne'sepol- cri, è generalmente opere quadralo quando il se- polcro non è cella incavata nella rupe , o quando non è a forma di tumolo costrutto di terra. Dovun- que è qualche vestigio di costruzione a opera poli- gona il paese si sa aver avuto abitatori precedente- mente pelasgi, umbri, aborigeni, e generalmente pri- mitivi. Oltre a ciò due cose sono quivi osservabilìé Primo la povertà di quel che dentro era contenu- to. In secondo luogo l'assenza generale d'armi, e di quel che suole sempre in sepolcri toschi trovar- si. Si parla, egli è vero, nel caso nostro dell'etruria circompadana, non della media; ma di questa appunto sappiamo da quel che ne scrive Polibio (II. 17), Plu- tarco ( in Camillo 16). Plinio ( H, N.III 15-18). Li- vio ( I. 2, V. 5.) ecc. quale ampiezza essa aveva di commerci, quante dovizie, quanta ubertà di suolo, quanto lusso. Oro, argento, armi eran perciò sem- pre nelle tombe anche le più antiche , e prova ne sia pur solo l'antichissimo sepolcro di Cere che tanto arricchì delle sue spoglie il Museo Gregoriano, o quel- lo onde trasse il Marchese Campana la sua famosa urna tartara; e tutti gli altri, anteriori all' influenza greca , donde si cavarono monumenti di pretta i- mitazione asiatica ed egizia. Per vero, quanto all'avvenimento de' toscani in- torno al Pò, non son d'accordo gli eruditi, come non lo erano gli antichi. Questi, tra quali Tito Livio, fan 166 posteriore esso avvenimento all' essersi stabiliti sul mare infero, cioè nella toscana di mezzo; e invero sembra tale essere stata ro(>inion più comune degli stessi etruschi poiché Cecina etrusco e Verrio-Flacco presso gl'Interpreti Veronesi di Virgilio. (Aen. X 198) e Servio Onorato (ivi) fanno andato a fundare quella Nuova Etruria, lo stesso Tarconte (Z)arc/ion,o Archon) ch'essi chiamavano il primo stabilitore dell'Etruria vecchia. V è pur una seconda sentenza, riferitaci dallo stesso Servio ( loc. cit.) che fa risalire, almeno quanto a Bologna e per conseguenza alla regione circostante, una occupazione regolare, e anteriore al- l' etrusca, agli umbri, poiché scrive: Ocnum [al. Ave- num), Auletis filiiimy ahi fratrem qui Pernsiam con' didit, referunt ne curn fratre contenderei, in Agro Gallico Celsenam [al.Felsinam], quae nunc Bononia di- citur condidisse, permisisse vero exercilni suo, ul ca- stella munir enty in quorum numero Mantua fuit ... e aggiunge piiì sotto parlando della fondazione di Pe- rugia eh' essa fu, a Sentinantibus : ciocché conferma Silio Italico dicendo ( l'unic. Vili, 599) - Ocni pri- sca domus , parvique Bononia Hheni. Ora è noto che Sarsina è , e f u sempre umbrica , dove Ocnus , od Avenus, è il Faunigena Aunus, regnatore secondo il medesimo Silio ( P. V. T.) de' vadi del Trasimeno, che altri, male a proposito forse chiamarono Aìmus, fi- gliuolo o fratello d' Aulete o d'Aideste come ama leg- gere il Mùller ( die Etrusker 7. 2. p. 275), il quale Miiller pende incerto anche relativamente alla for- ma intera de' nomi. Sebbene è a me evidente che Auleste, e Avile gen. Aviles (L. T. 2 num.397. 342. etc), femm. Avilea gen. Avileas (Vermigl. l. P. pag. 167 281) degli etruschi, ed Aimo, non Avena, avrebbe ad essere una storpiatura dell' italico Ausnus cioè Aiisoìiy donde VOsiniiis di Virgilio. L' A. stesso legge Felsenam in luogo di Felsinam nel citato passo, e sta bene: perchè le due desi- nenze sono entrambe regolari nelle lingue italiche. Si vede poi che questa Felsina o Felsena ha iden- tità (concessa la diversità locale di pronunzia) colla Volsinio dell'etruria inferiore; donde si può raccorre che i fondatori dell'una avessero analogia di deri- vazione con quelli dell'altra; e perciò se Ocnus od Aunus sarsinate fondò Pernsia, e poi Mantova e Bo- logna, forse era anche creduto il fondatore di Voi' sinio, prima che divenisse toscana: tradizioni senza dubbio tutte incerte, tali però che unite ad altre contengon semi d'una storia più antica relativa a quelle città (f. Miller p. 116). E allora diremo che come Volsinio e Felsina o Vel- sena avevano analogia di nome e perciò similitudine d' origine primitiva, così altrettanto dee dirsi di Vulcia di cui Vuhinio non è che un nome derivato , e forse di Perusiiim tanto analogo a Fnisino. Anzi poiché un importante sasso di Spello umbra, la legittimità del quale fu recentemente rivendicata dal Mommsen, stabilisce l'affinità à& Volsiniensi cogV Ispellati, a quel modo stesso che i passi addotti stabiliscono quella de Perusini e deSarsinesi, e altri l'origine de Chiu- sini e dei Camerti o Camerinesi; e le tavole Eugubine le affinità con altri de'tusci ; e a quel modo che il nome di Vetulonia mostra 1' affinità con Vitelia , cioè col paese degVItaliy ossia de'Palasgi; e alla guisa che gli stessi Volsiniensi e i Volcienti ci conducono" 168 ai popoli Vohci ecc. ecc. si può quindi inferire non senza buone ragioni una seiie d' indicazioni di pii'i a conferma d'un'esistenza, antecedente agli stabili- menti rasenici, delle città suddette. Né tuttavia so- pra si fatto subbietto mi fermo, siccome quello che per me è solo incidente, e che richiederebbe, ad esser meglio dilucidato, più lunga trattazione. Ma tornando all'argomento principale, seguite- remo con dire, che v'è una terza opinione, la quale è segnatamente favorita da' moderni, in ispecie te- deschi, iqualidella toscana intorno a Pò fanno una con- trada invasa dalle orde de'raseni, prima ancora del- l'etruria presso il mare infero , che slimano popo- lata invece da esse orde, per essere i discesi dalle Alpi, venuti al di qua dell'appennino in età pili tar- da; opinione che appoggiano contro il massimo nu- mero degli antichi a ragioni ugualmente etimologi- che. In fatti il nome Rasenae, che i toscani dell'e- truria media davano a se stessi, come è noto , ha forma di derivato e non di primitivo per rispetto ai Reti abitatori della Rezia etrusca. Così l'etruria al- pigiana, secondo questo sistema, non sarebbe stata abitala da etruschi cacciati là entro dai galli e dai circompadani che ritornarono alla loro antica patria: e si può dire che Arretium (nome d'Arezzo) signi- ficasse da principio una città fondata ad Rhetum , ossia presso i primi stabilimenti Retici cisappenini e Cortona significasse quasi Con-RIietum , cioè la unione de' Retici, tal divenuta quando vi si posarono ecc. ecc. E Coritus Con-Rhetus: opinioni sulle quali non accade qui disputare per meglio ponderarle e poi decidere. Quel che però se ne può cavare al no- 169 stro proposito, si è, che il sepolcreto di Villanova, quand'anche appartenesse a Felsina prima che di- venisse Bononia, cioè prima che i Boi se ne impos- sessassero, non per questo potrebbe dirsi che, per ciò solo, potrebbe chiamarsi sepolcreto d'etruschi , giacché quella città non tutti la stimarono veramente etrusca sin dalla sua origine , avendosi argomenti per ammetterne la preesistenza come una fondazione italica antichissima, o di Umbri, o di Volsci, o d'al- tri quali che siano diversi e anteriori ai toscani. Ma io volentieri convengo nella sentenza del Ch. sig. conte, dove le tombe da lui scoperte nega es- sere state del Felsinei, o d'altra città sussistenti nel- r epoca rasenica e a noi note , fatta ragione delle distanze e delle adiacenze. Ed allora si può an- che dire a buon diritto, che apparteneva a un popolo la cui sede era perita quando Felsina , Claterna, e le altre città, sorsero: popolo barbaro assai più de'toscani quali almeno noi li abbiam sempre co- nosciuti; popolo povero anche d'armi; popolo senza lettere; popolo che conosceva il bronzo, il rame, e appena il ferro , ma non ne faceva un uso molto comune, al quale i due primi metalli servivano a or- namento, in luogo de'metalli più nobili, ed era in pregio appena qualche pasta di vetro, e qualcbeambra, e qualche osso lavorato; popolo che ne' suoi ristretti commerci usava pezzi informi de'due sopradetti me- talli, dati a peso, e voglio intendere qui che presso le genti primitive tenevano luogo di moneta, chia- mata da'romani aes rude, o piuttosto con nome ar- 170 canico raudìifty e randuscuìnm o raudusclum (1); po- polo però che conosceva il cavallo, e dovette per questo averne qualche uso; popolo finalmente che co- struiva le particolari edificazioni sue sepolcrali a quella antichissima maniera di tutti i tempi più remoti, che s'è trovata nei nuragas di Sardegna, nei talaiots del- l'isole Baleari, in America, in Asia ecc. Ora conseguen- za di ciò è che questo popolo dee ben essere stato un popolo abitatore di que'Iuoghi, non certamento to- scano, cioè dì que'toscani che classici e monumenti ci han sempre mostrato assai diverso da questo. Ciò che potrebbe far nascere il sospetto, che ad una gente più civile della nominata superiormente abbia appartenuto il qui detto sepolcreto , potreb- bero essere le terre cotte rosse e nere con rozzi segni anche di figure umane (chiamate da'romani e da'vicini loro, maniae, e manii, maniolae ec. (2); ma lo stesso sig. conte ci fé risapere che si fatto rozzo vasellame , e così figurato, in terra mal cotta , e nero , o rossicio , che si suol chiamare vasellame chiusino, e aretino, è ovvio presso tutti ipopoli antichis- simi anche non italici, e s'è trovate persino in America. Le medesime figure, e gli stessi segni altresì ci appa- iono in ogni luogo. Per altra parte quando anche fosse più perfetto , e meglio elaborato, potevano i quali che siano commerci, e le guerre averlo por- (1) Varr. de L. L. V. 163 — Porta rauduscula , quod aerata fuit. Aes raudus dictum , ex en veteribus in mancipiis scriptum : raudusr.ulo libram ferito — Paul. ed. Lindemann p. 134 - Bu- dus vel raudtis, qutim dicitur, res rudis et imperfecta dicitur quia raudo, idest aere fuerit cincta — ef. Festum ed. suddetta p. 22J e ccnimeiit. p. 630, 641). 171 tato nel paese, trattolo da vicini più industriosi. Al- trettanto è a dire de'inetalli, niente provando che la fabbricazione ne fosse indigena. Tra tutta questa moltitudine di oggetti, il n. 3 della tav. Vili, che ho spesso altrove incontrato ne' mu- sei, di provenienza soprattutto volciente, sveglia l'idea d'un marchio, o istrumento atto ad imprimere su co- sa molle, quel che doveva a qualunque fine contras- segnarla: supponi fìglina, o pane, o simili. Altre volte si direbbe ch'è un di que' pezzi che usiamo, ancor noi per aggomitolarvi intorno fili, cordoni, o simile. Il più dei pezzi 5, 6, 7, 8, 11. sono, a'miei occhi i soliti verticilli. Delle novacule dubito fortemente Il coltello in esse lo veggo , la novacula no. Eran coltelli da sacrifici per ispezione speciale delle vi- scere che tutti gli antichi usarono.? Dal tutto insieme delie cose sopraddette taluno potrebbe esser tratto a voltarsi all' altra opinione , che, contro alla idea della tanto maggiore antichità, la quale mi bolle in capo , abbiano i monumenti nostri ad attribuirsi piuttosto a'popoli Boi. La strut- (2) Paiilus p. 95 Manias dicunt flcta quaedam ex farina in hominum fignras, quia lurpes fiant, quas alii maniolas vocant; Ma- nias autem quas nutrices minitentur pueris parvulis esse larvas, id est manes, quos deos deasque putabant, quosque ab inferis ad su- per os emanare credebant. Sunt qui Maniam larvarum Matremaviamve putant. eie. Festo p. 162, ì] quale cita Elio Slilone — e p. 169 Multi Mani Ariciae. Sinnius Capito . . ait turpes et clel'ormes signi- ficari, quia Maniae dicuntur deformes personae, et Ariciae genus panis fieri quod manici appellalur etc. Donde deduco che queste figure informi d'uomini sì frequenti in cose sepolcrali, e le figu- rine stesse in metallo, od altra materia , frequenti presso i popoli I antichi , fossero appunto immagine delle anime, ossia dei manes o I manuos (Paull, — p. lOI) 172 tura infatli de'sepolcri dove acciottoli son misti car- boni, che potrebber credersi stati legni, carbonizzati non dal fuoco, ma dal tempo, da più di un classico ricorda certe galliche costruzioni , ma questa fu per vero anche usata da altri popoli del nord; e 1' argomento massimo per non fermarci sopra sì fat- ta sentenza, è il non avere incontrato mai né ori , né armi da guerra, due generi d'anticaglie di che, in celti , mi sembra più che strana l'assenza , troppo essendo conosciuto che in queste due cose princi- palmente amavano sfoggiare. Le autorità a provarlo, sarebbe una vanità lo accumularle. Di qui è che in- clino a creder veramente d'un'assai remota età quel- le tombe e coeve appunto a' popoli che fabbricava- no in Grecia le mura di Tirinto e di Micene, in Sar- degna le nuraghe , nelle isole baleari i talajots, no- minati di sopra ecc., eccetto che i sepolcri nostri, comechè del genere stesso , sono però assai meno grandiosi, e al tutto alieni, ripeto, dal far etrusco. Per cercare nelTetruria media, un'analogia, però lon- tana, bisogna andar alle tombe pelasgiche di S. Mar- tinella indicate dall' Abeker, (Bullett. dell' Istit. di corrispondenza Archeologica a 1840 pag. 119). e a quelle di Saturnia scoperte dal Dennis (Bullett. a. 184-5, p. 140. e 59), cioè in luoghi appunto dove prima de'toschi abitarono popoli di più antica stirpe. Segue dunque da ciò che veramente il sepolcreto qui richiamato ad esame appartiene ad un popolo primitivo, il quale non ardisco determinare a che stii'pe propriamente abbia da riferirsi. 173 La filosofia e la vera medicina.^ surte in Italia 500 anni avanti Vera volgare, producono inattesi e me- ravigliosi risullamenti. Ragionamento di Agostino Cappello Socio ordinario della pontifìcia accademia d'archeologia^ letto nella tornata del dì 15 dicembre 1852. N. eirottobre dell'anno 1817 in una ragunanza stra- ordinaria della Colonia Sibillina consecrata a libero tema, io lessi l'accademica prolusione. In essa sulla guida di gravi autori e colla più severa critica di- mostrai, che oltre il risorgimento, il nascimento pa- re d'ogni scibile fosse all' Italia dovuto. Inedito ri- mase questo mio lavoro (meritevole di qualche e- raenda) del quale un esemplare mss. fu gentilmente gradito da un dotto personaggio. 11 che fa per me ricordato nel 1 volume, parte prima, delle osserva- zioni geologiche e memorie storiche di Accumoli pubblicate in questa capitale nel 1825 (1). Ardito sembrava 1' assunto del nascimento di ogni umano sapere all'Italia attribuito: ma appog- giato a classica autorità, soprattutto a positivi fatti, mi pare non andassi punto errato. Che se le egizio-fenicie nozioni credansi prece- dere le dottrine italiane: queste sono manifesta- mente indipendenti, e di creazione totalmente ita- lica. Per altro il mio dire in quell'accademica pro- (1) pag. SI 2 nota, e Giorn Arcad. tom. XXIX p. 90 1 nota.^^^^ 174 lusione si volse all' amena letteratura , accennando appena l'argomento che ho impreso oggi a trattare. Prima del quale non sarà discaro , che , quantun- que cognite, rammenti di volo alcune delle italiane glorie nell'amene discipline, che di ogni canto del- la nostra penisola ci si parano dinanzi. Fra gli stessi aborigeni, specialmente nelle fa- miglie osche e tirrene, scorgonsi nella più remota antichità notizie d' inciviUmento: ma gli etruschi ne somministrano le più irrefragabili dimostrazioni. Con ragione quindi l'alfabeto etrusco è reputato più an- tico, antichissimi sono gli etrusci monumenti, le la- pidarie iscrizioni, i vasi, le lampade e Io stesso or- dine toscano. Ma dove la letteratura mostrossi ri- gogliosissima, sì fu nelle regioni più meridionali d' Italia. Ivi vedrassi che per l'etrusca sapienza i bru- zi ed i siculi si elevarono al più alto seggio di dot- trina che possa mai immaginarsi. Impertanto per le amene lettere in cotesto re- gioni primamente coltivate osservasi Stesicoro d' I- mera creatore della musica pastorale, portata poscia a perfezione da Teocrito siracusano, che fu di scor- ta al gran Virgilio. Teognide di Megara fu invento- re della flebile elegia, ed il siciliano Epicarmo lo fu della commedia , cui Platone diede 1' epiteto di sommo, anche per le scienze , siccome dirassi. In quel suolo i primi a distinguersi nell'eloquenza fu- rono, per irrefragabile testimonianza di Tullio, Corace e Tisia. Usqiie a Corace (egli dice) nescio quo et Ti- sia, quos illius artis inventores et prineipes fuisse con- stai. Ma per l'acutezza del siracusano Lisia essen- dosi l'eloquenza migliorata, fu poi con somma glo- 175 ria del leontino Gorgia grandemente abbellita. II perchè nell'istessa Atene il pretto dire distìnto ve- niva col nome di Gorgia: sulle cui orme si forma- rono Isocrate e Demostene. Scriveva quindi Plato- ne ne'suoi dialoghi: Illariim artium olii alias, et alias aliter, atque aliter consequuntiu; optima vero optimi, quorum ex numero hic est Gorgias arte pulcherrima praeditus (1). Né con minor celebrità si distinsero cotesti itali abitatori nella storia e nella geogra- fia, registrandone un numeroso stuolo l'illustre si- cihano Diodoro. La stessa mitologia vanta pel suo primo scrittore Evemero di Sicilia. I nummi , le medaglie, i superbi edifìzi, le sculture e le pitture in ispecie nella Magna Grecia palesano con quanta maestria venissero le belle arti coltivate. A cosiffatti portenti di questi popoli quantun- que orientai fosse la primitiva origine e comunque l'usato linguaggio, dacché divenuti furono indigeni, contribuirono non meno la bontà del clima che la ric- chezza e bellezza del suolo italiano: d'onde mirabilmen- te si svolse il loro genio inventivo in ogni maniera di sapere. Né può dirsi altrimenti: mentre nell'epoca, di cui parliamogli abitanti della Grecia propriamente det- ta si osservano rozzi ed ignoranti nell' istesse lettere amene. Difatti volgendosi il pensiero alla storia con- temporanea da'greci medesimi poscia trasmessa, mo- strano essi i loro re custodi di mandre , corsari , fraudolenti, inumani ed incolti, mentre dicono in- civilite l'etrusche e le tirrene regioni. Lo stesso 0- (1) Divini Platonis opera omnia. Francofnrli apud Claudium Mar- nimi! etc. pag. 306 176 mero, avido della greca gloria, ricorda apertamente la rozzezza de' suoi all'epoca della trojana guerra. D'altronde nell'italiano suolo rammenta i lavori di Vulcano, dei Titani, ed i viaggi di Ulisse, che stu- pisce e s'incanta nel vedere la reggia di Circe , il tempio di Cuma, e le delizie di Parte nope. Ma con maggior chiarezza e splendore il greco Esiodo ri- porta r italiana coltura anteriore non poco alla gre- ca. E se così distinti veggonsi gl'italiani nelle ame- ne lettere, di gran lunga maggiore lo sono nelle scienze. Difatti il primo scrittore della scienza mu- sicale fu Aristosseno da Taranto. Nella giurispru- denza i primi che abbiano avute leggi scritte fu- rono i cittadini locresi. Ma per venire al proposito, 500 anni avanti la redenzione di nostra salute, ci si para dinnanzi un' era affatto nuova, gloriosa, immortale. Sorge essa in Crotone sulle fondamenta dell'etrusca sapienza pel sommo genio di Pittagora, cui primamente m'incom- be mostrare italiano. L' errore invalso che fosse di Grecia, se mal non mi appongo, provenne dalla ri- nomanza della Samo greca in confronto dell' umile Samo italiana rimasa ignota per secoli; e con ogni probabilità subissata da tremuoti assai di sovente fatali nelle bruzie regioni. Puossi dire che a'dì no- stri fu dessa rivendicata e messa in chiara luce dal Datiy dal Maffei: soprattutto luminosamente mostra- ta dal Macri, sebbene fosse stata bastevolmente ad- ditata dall'angelico dottor S. Tommaso. Fra gli stessi greci, alcuni lo dissero nato di donna etrusca , ed educato in Etruria: altri, fra quali Teopompo ed Ari- starcoy lo dissero di origine del tutto italiana. A 177 buon dritto il dotto nostro collega Betti nel chia- marlo grandissimo, lo pose alla cima di tutti negl' incomparabili suoi dialoghi dell' Illustre Italia (1). Esaminando eziandio alcuno de' piii classici autori, che lo credono greco, vi si scorge un'aperta con- traddizione. In Snida per esempio leggesi: Pythagora samius. Natura vero tyrrhenus. Cum esset itivenis ex Tyrrhenia ciim patre Samiiim migravit. Indi l'autore soggiugne che perseguitato, andò a Crotone. Ora se era di Samo, non potrebbe dirsi colà emigrato, ma tornato nel paese natale. Laonde lo Suida, che chiama Pittagora di natu- ra tirreno, non sarebbe di certo caduto in contrad- dizione, se avesse conosciuto, che vi era una Samo italiana: nella quale sia o no stato perseguitato, col- la masinia facilità, per istruirsi , poì'tossi nella vi- cina Crotone , in allora una delle più floride città fra i bruzi. Né minore , a mio credere, è 1' errore di quei che dicono di aver Pittagora viaggiato in Egitto, attingendovi scientifiche nozioni. Quando ma- nifesto sia cotest' inganno , basta esaminare le pit- tagoriche dottrine per vederle chiaramente desunte dall'etrusco sapere senza la minima idea di stranie- re cognizioni. Un accurato studio evidentemente ci rischiara , che dalla sola Etruria , pel sublime e straordinario di lui ingegno, poteva sorgere lo scien- tifico splendore nella scuola di Crotone a monumen- to non mai più perituro della gloria italiana. Im- perocché innanzi la nascita di Pittagora veggonsi gli etrusci ed i tirreni coltivatori dell'aritmetica, dell'a- (i) Giorn. Arcadico. Tom. SS pa{]. 489. G.A.T.CXXWIll 12 178 stronomia e della musica, sulle cui fondamenta e- sordisce quella scuola. Né l'egizia religione, e molto meno la greca accostansi alla sacra Genesi, come la religione etrusca stabilita sulla conoscenza di un solo Iddio, e sulla immortalità dell'anima, che fu- rono le prime basi della pittagorica dottrina (1). Il che apertamente ci rivela, che i primi italiani abi- tatori vennero d' Oriente, siccome fu per me , or sono vari lustri , confermato eziandio con inconcus- se geologiche dimostrazioni. (2). Imperocché som- mersa per secoli 1' Italia dalle acque marine fino alla sommità delle piii alte montagne, non fu abi- tabile, se non a misura che le medesime si ritira- vano. Cotesti primi abitatori non lieve barlume do- vettero avere delle mosaiche tradizioni ; molto più che la cosmogonia etrusca si approssima a quella di Mosè, riducendo a sei periodi le giornate della creazione divinamente rivelate dalla sacra Genesi. Che se poi veggansi alcune etrusche divinità, que- ste tuttavia sono a tutela dell' uomo , mostrandosi soavi, benigne e provvidenti: e per nulla somighe- voli alle deità e geroglifici dell'Egitto e della Gre- cia, la cui mitologica storia mostra i loro dei sde- gnosi, colmi di vizi ed osceni ; talché la loro reli- gione è bruttata di sozzure del piìi ideale politeismo. Arroge che la parola (ilosofia { amore della sa- pienza) è del tutto preciso parto della scuola di Cro- tone. Dagli stessi sapienti della Grecia fu in seguito distinta col nome di scuola italica, e la riconobbero (1) Cicerone de Natura Deorum Lib. IF. (2) 0|iuscoli sct-Uì scientifici di Agostino Cappello. TijjograHa Pb rcjjo Sai vieni 1830 pag. 254-5. 179 fondala sulle basi dell'etrusca dottrina. Infatti vigeva in Etiuria la buona morale mercè di proverbi, al- legorie e parabole: il cui scopo si era d' infondere nell'animo precetti di moderazione nelle passioni, di temperanza nel vivere e nell'agire, affine di serbare la fisica e la morale armonia. Per siffatti elementi luminosamente, oltre ogni credere, innalzossi la scuola di Crotone. Che se talora Pittagora usò alcun simbolico vo- cabolo, si fu per ispirare maggior fiducia nei vol- gari. Ma pel pittagorico sistema risulta in primo luogo, che ai miti delle caste privilegiate, Pittagora invece surrogò il mito filosofico. Di vero se fu sopra accennato essere stati gli etrusci avanti Pittagora conoscitori della musica, del- l'astronomia e della matematica , da queste ve- desi sorgere il positivo pittagorico insegnamento. Lo stesso Aristotele, nel parlar di matematiche , narra che pel loro studio fa duopo ricorrere alla scuola di Pittagora. Fu per venerazione verso di esso, che i suoi discepoli immaginarono quell'aritmetica formo- la col nome di tavola pittagorica (1). Nella pittagorica filosofia vedesi con profondo criterio rischiarata quel- la funzione, in cui l'uomo distinguesi dai bruti per la ragionevole intelligenza della quale è dotato (2), 11 perchè fn saviamente provato, che la metempsi- cosi, attribuita a Pittagora, appartiene a taluno de' snoi allievi. (1) Andreas Origine e progressi di ogni leUeraliira. Tom, IV pag. 23—40. (2) Diogene Laerzio p.ig. 221. 180 Chiunque poi fassi ad esaminate le dotuine di Pitlagora a noi tramandate, rinverrà inQnile scien- tifiche nozioni per lo avanti ignote: ed alcune ap- propriatesi con manifesto plagio dai moderni. El- leno difatti ci additano la rotondità della terra , i' obliquità delfecclitica , la distribuzione della cele- ste sfera, l'esistenza degli antipodi, la sfericità del sole e degli astri, la cagione della luce lunare som- ministrata dal sole, e le loro ecclissi. Che la terra si aggirasse intorno al sole : che questi nel cen- tro del mondo fosse locato: che i pianeti con- tener possano abitatori : finalmente la natura delle comete ed il regolare e determinato lor corso, sono pittagorici insegnamenti. Né ciò basta: mentre nella scuola di Crotone statuivasi l'immutabilità delle idee: d'onde scaturivano l'unità, la semplicità, l'eternità, commendandosi soprattutto la rettitudine nella ma- niera di vivere. Quindi la pittagorica dottrina fon- davasi sull'ordine ed armonia sorrette luminosamente dalle scienze esatte. Laonde mirava Pittagora a con- dur l'nomo al maggior possibile perfezionamento e torlo dall' ignoranza in cui viveva: mentre prima di Pittagora , come accennossi , le limitate cognizioni serbavansi solo dalle caste privilegiate, per cui assai ristretto era il cerchio dell'umano sapere. Quindi per la pittagorica aurora rischiarossi siffattamente il gior- no, che fu di perenne lume per le contemporaneo e future generazioni. Da quanto si è fin qui detto manifestamente rilevasi che nell' italiano suolo surse la filosofìa per l'immenso ingegno di Pittagora. Parimenti per esso ebbe vita la vera medicina, d'onde per opera de'suoi 181 discepoli si vedranno inattesi e meravigliosi risul- tamenti (1). Né altrimenti che sulle basi della [tittagorica dottrina poteva sorgere la vera medicina: imperoc- ché come i primi germi di filosofia sbucciarono dal- l'etrusco sapere, e faron messi in pieno vigore dal pittagorico genio: così del pari avvenne nell'arte sa- lutare pei tragoetica praecepta della medicina etru- sca : mentre alla buona morale aggiugnevano gli etrusci un avvednto regime igienico e dietetico. D' onde derivava il bene stare, principal mezzo per con- servare la sanità della mente e del corpo. La stessa theiirgia etnisca ricavava le divinazioni dai fenomeni naturali, per cui veggonsi adoprate erbe medicina- li e bagni minerali. L'uso di questi ampiamente è og- gidì confermato da statuette di bronzo, e da altri monumenti di squisiti lavori qua e là nell' etrusco suolo rinvenuti. Inoltre dalla stessa esclusiva opera dell'aruspicina etrusca scorgesi che la medicina for- mava una parte assai importante della casta sacer- dotale etrusca. Che se appo i greci sacerdoti si vede pure il medico esercizio, questi non era basato come 1' e- trusco: ma praticavasi con vera impostura median- te i responsi degli oracoli, de' mistici segni e cose simili. Con ragione quindi un dotto alemanno chia- ma cotesta medicina ais religiose decipienti (2). Per altro l'etrusca medicina essendo pure riser- vata ad una casta privilegiata rimaneva entro dati (1) De Renzi, Storia della medicina italiana. Tom. 1 Tipografia, dei Filiatre Sebezio 1845. (2) Schulze, Historia med.a rerum ìnitioad ana. urbis 335 deducta. 182 limiti; e la medicina scritta e rivelata non esisteva prima di Pittagora. Egli solo, come nella filosofìa, cosi nella medicina rivelò all' uomo che era in fa- coltà di apprenderla , arricchendola non meno con solido ragionamento che con esperimentate osser- vazioni. Pittagora nella sua dottrina ammette un prin- cipio regolare dell'organismo conservatore dell'orga- nica integrità ed agente de'fenomeni vitali. Per lo che vennero le posteriori mediche dottrine , inclu- sive la natura medicatrice e conservatrice che fu chiamata ippocratica. Se provossi la pittagorica filosofìa fondata sull' ordine ed armonia, da questi elementi Pittagora ri- peteva il retto andamento di tutte le organiche funzioni pel normale equilibrio dell'animale econo- mia. Per l'opposto la malattia, quantunque potesse presentare un insieme dal principio al fine, ora con fau- sto, ora con infelice successo, la descriveva diligente- mente coi suoi singolari caratteristici fenomeni non dis- giunti da periodici intervalli. Quindi per tener lontano cotesto fenomenologico apparato morboso, questo som- mo medico filosofo inculca la compostezza e la pro- prietà del corpo, come indizio e purità del cuore : raccomanda un vitto parco e regolare per Io piiì vegetale, creduto da esso il più ovvio per l'adem- pimento delle fisiologiche funzioni: prescrive il gin- nastico esercizio affine di sostenere la robustezza del corpo: vieta espressamente gli eccessivi piaceri, che li chiama distruttori della fisica e morale ar- monia. Non tralascia di raccomandare la musica per calmare que' disordini fisici cagionati specialmen- te da morali perturbazioni. In fine torna come in 183 filosofia, così in niPflieina, ad usare qualche simbo- lico linguaggio, onde riscuotere dal volgo maggior fiducia: da ultimo ispira religiosi sentimenti , onde si riponga non poca speranza sulla divina provvi- denza (1). Perlocchè la medicina pittagorica si vede soprattutto basata sopra gì' igienici e dietoticii pre- cetti, senza mancare dì terapeutici presidj, ma as- sai scarsi e tratti genoialmente dal regno vegetabile. Ma i filantropici e sublimi insegnamenti di Pit- tagora, se dapprima avevano riscosso somma stima e venerazione, risvegliaron poi cupa e gelosa invi- dia appo quelli , che si credevano esclusivamente privilegiati nel sapere. Il perchè con finissima as- tuzia eccitarono contro i pittagorici l'odio popolare, che finì con persecuzione tale, per la quale, sicco- me da molti autori si asserisce, l'istesso Pittagora,^ non ostante la sua decrepita età, fu messo a morte e molti de'suoi allievi furono qua e là trucidati, spe- cialmente in Crotone. Ne furon salvi da un tanto sinistro diversi di quei della scuola eleatica fondata in Velia dicontro Crotone sulle orme bensì di Pit- tagora, ma dovianti non poco dalle sue massime fondamentali. Coloro che scamparono dal feroce ec- cidio , taluni si sparsero isolatamente nel conti- nente , altri ebbero ricovero in Reggio: ma la mag- giorità si disperse in Sicilia ed in Grecia. Fu per cotesta dispersione, che avvennero gV inattesi e me- ravigliosi risultamenti nella tesi di questo ragio- namento accennati. Imperciocché gì' italiani specialmente rifugiati in (ì) De Renzi op. cit. 184 Giecia, non solo insognarono pubblicaniente la pil- tagoiica filosofia , ma per la prima valla videsi an- cora per essi esercitata ovunque la medicina al Iet- to dell' infermo. Talché per italiana esclusiva opera sursero la platonica filosofìa e la medicina ippocra- tica: siccome chiaramente mostrerassi. Né di tutti i dispersi pittagorici potrei rendere ragione, atteso i limiti prescritti ad un accademico trattenimento: ma dirò solo di quelli , che ebbero maggior grido nel filosofico insegnamento , e nel medico clinico esercizio. Se nonché generalmente quegli stessi che pro- fessarono la pubblica medicina, versarono in Grecia i tesori della più profonda filosofia. Nella quale pel primo luminosamente risplende Timeo di Locri mae- stro di Platone. Oltre le cose mediche che verranno in appresso con classica autorità ricordate , Timeo perpetuò la sua fama colle sue opere sull'immor- talità dell'anima , e sull'essenza di un solo Iddio. Fu valentissimo nell'astronomia e nelle naturali scien- ze per testimonianza dello stesso Platone. Timaeus in asironomia omnium perilissimas maximeque in rerum natura cognoscenda versa tus ; ita ut a mundi generatione exordiens usqae ad generis humani na- turam devenit. Dell'elettricità, che pel sommo genio italiano dell'età nostra ha prodotti immensi portenti nelle scienze e nelle arti, ebbe alcun sentore questo pittagorico: quando narra che nello stropicciar l'ambra esce una materia sottile [pncuma) attraente a se gli altri corpi. Quanta poi fosse la venerazione di Piatone verso Timeo si rileva dal famoso dialogo intitolato Timeo 185 V.on ragione Cicerone esclama che Platone a Timaeo pylhagoreo omnia didicit. Di altri itali ingegni Platone fu allievo, fra'quali del pittagorico medico Epicai-mo, cm" fu sopra ac- cennato, cui diede Platone Tepiteto di sommo nel par- larsi dell'invenzione della commedia. Non sorprende quindi che Laerzio sulFautorilà e sulle opere di Alcimoy narri che mille cose si arrogò Platone dai libri di Epicarmo (1). Rispetto al pittagorico Gorgia già celebratissimo nell'eloquenza, Platone lo mostra ne' suoi dialoghi assai dotto nelle naturali scienze. hititolò egli un suo lavoro Parmenide, altro suo maestro che fu fondatore della scuola di Elea. Per- loché in alcuni punti Platone seguì le pericolose dottrine di questo filosofo; non mancando però nella massima parte mostrarsi seguace della pittagorica sapienza. Narra parimente Platone, che, oltre le di- plomatiche sue missioni in Sicilia, si era altra volta espressamente portato in Italia per conoscere quei pittagorici che vi dimoravano, ed altri che vi erano di Grecia tornati. Fra questi pittagorici annovera Archita di Taranto che liberollo con una sua let- tera dalla morte decretata da Dionigi tiranno di Si- racusa, il quale in grandissima estimazione teneva il tarentino pittagorico filosofo. Si ripete più volte dagh storici, che in cotesti italiani viaggi Platone acquistasse pittagorici libri dal crotoniate medico Filolao per 100 mine di argento (1). (1) DionoiiP Laerzio ()|). cit. (1) U. 186 Il pittagorico Empedocle d'Agrigento, per l'epo- pea prediletta dagli scienziati di quest' epoca, si di- stinse soprammodo col suo poema intitolato alla na- tura. Desso è ricchissimo di scientifici argomenti. Perlochè Empedocle fu reputato pel primo che des- se chiaro sviluppo al vero elemento filosofico-tisico. Insegnò egli filosofia in Atene 440 anni circa avanti l'era volgare. Empedocle è stato il fondatore dei 4 elementi (aria, terra , acqua e fuoco) che han do- minato nelle scuole per 23 secoli. La dottrina del- l'attrazione e della ripulsione prende origine dall'af- finità e disaffinità, colle quali egli statuisce le ca- gioni efficienti di tutti ì corpi. 11 perchè un illu- stre straniero scrive che spoghando il sistema di Newton da alcune particolarità e calcoli matematici, costituisce interamente il sistema dell'agiigentino fi- losofo (1). Esso è pure fondatore del sistema ato- mistico cotanto odiernamente progredito in ispecie nella chimica scienza : poiché Empedocle insegna che inducesi differenza nei corpi per la sola ragione che i loro elementi sono combinati in proporzioni diverse. Egli sulle orme di Pittagora rischiarava sem- pre più quel principio astronomico, per cui il sole nel formare il centro, la terra si raggira intorno ad esso : dottrina che molti secoli dopo fu insegnata da Copernico (2). Rinomato ancora fu un suo istru- mento (Clessidra) misuratore dell'elasticità e peso dell' aria. Empedocle deviò in alcune fondamentali massime da Pitagora: dacché attribuisce al caso la (1) Freret. Hist. de l'Accad. dess cinces et lettres. Tom. xviij, (2) De Renzi id. 187 meravigliosa simmetria del mondo pel fortuito com- binarsi degli elementi: d'onde provenne il riprove- vole materialismo, e l'organica generazione sponta- nea ammessa ancora da alcuni moderni : la quale in alcuni medici miei lavori dovetti dimostrare to- talmente falsa (l). Secondo l'avviso dei più dotti critici, la morte di Empedocle, anziché da curiosità e da misterioso progetto, si ripete dall'ansietà sua di studiare i tre- mendi fenomeni vulcanici dell'Etna. Proficuo vedrassi il suo studio in medicina. Altro celebratissimo pittagorico fu il suUodato Archita, il quale per l'amore che Pittagora portava al numero decennario costituì i 10 predicamenti. Pla- tone narra che Archita fuilprimoche rinvenisse in geo- metrìa la richiesta duplicazione del cubo. Celebrate pure sono state dai posteri le portentose macchine di Archita: ed è stato parimenti il primo, che come in teorica così in pratica regolasse il moto istru- mentale e meccanico con geometriche figure (2). Sulle quali basi mi sembra provenuto il cembalo, che i latini chiamarono Architae crepilacidum. 11 suddetto Parmenide ed i suoi scuolari inse- gnarono in Atene filosofia. Nella quale si oltre dal suo allievo Zenone fu spinto l'idealismo, che puossi reputare il primo autore dello scetticismo: fondatole quindi di quella dialettica, che dominò cotanto nella posteriore greca filosofìa. LeHc/ppo, allievo della scuo- la eleatica, formulò il suo sistema sopra tre prin- (1) Storia medica del cholera indiano osservato a Parrigi. Ro- ma 1833: stamperia camerale gag. 241 - 5. (2) AnJres op- cit. Tom. IV. p;ij; 40 e 179. 188 clpii: cioè spazio, vuoto e moto: d'onde derivarono altre scuole ed erronei insegnamenti fra i moderni. Dicearco di Messina, chiamato da Cicerone per la di lui profonda scienza magnum hominem, mira- bilis vir est, si distinse anche nelle scienze naturali. Dopo gl'irrefragabili fatti fin qui accennati emer- ge chiaramente, che la filosofìa per lo italiano ge- nio surta in Italia fu trapiantata nella Grecia per esclusiva opera italiana in sequela del crudele av- venimento contro i pittagorìci. Così precisamente av- venne della pittagorica medicina; la quale si vedrà pei pittagorici raggiungere la più possibile perfe- zione. Imperocché i fuggitivi seguaci di Pittagora con vera filantropia e col massimo accorgimento eser- citarono l'arte salutare dall'una all'altra città: e per la prima volta sempre alletto deW infermo (1). Que- sti medici si distinsero col nome di periodentì (gi- rovaghi) per distinguerli dai pittagorici ginnici che si fermavano per esercitare la medica professione nei ginnasi, non meno per curare i morbi che pei' regolare ancora la dieta degli atleti, curandoli inol- tre nelle ferite cui solevano soggiacere- Fra i più celebrati ginnici, Platone ricorda il pittagorico Iceo di Taranto: e lo chiama fondatore della ginnastica medica. Elogio ben meritato da questo cultore del- l'arte salutare, come a colui che col proprio esem- pio di sobrietà e di morigeratezza aveva fatto cam- biare agli atleti tenore di vita coll'abbandono della crapula e della gozzoviglia. I greci per distinguere un pasto frugale , lo chiamavano pasto d 'Iceo. (1) De Renzi id. 189 (Irande fu 1' esliniazione de' greci verso i me- dici pittagorici : dimodoché lo stesso Erodoto prodiga loro somme lodi: le quali sono a buon dritto ragionevolmente dovute: mentre, come acccn- nossi, fu per loro opera la prima volta praticata la medicina al letto dell'infermo. Ciò che più monta da essi senza mistero fu al pubblico rivelata in teorica ed in pratica. In che maggiore e piiì estesa gloria dei medici ginnici riscossero i pittagorici periodenti, che furon tutti italiani. La fdosofìca [tittagorlca gravità congiunta al loro energico impegno, facilitava loro di esaminare adden- tro i fenomeni delle fisiologiche e patologiche fun- zioni. Onde riconoscendo su di esse 1' azione degli esterni ed inteini non nieno salutari che nocivi a- genti, apponevano i relativi mezzi tanto nello stato di salute, quanto in quello di malattia. La quale da' periodenti fu parimente la prima volta dimostrato, che essendo piodotta da manifeste cause nocive, può la medesima attutirsi : e meglio ancora rimuoversi con naturali rimedi. Dal che chiaramente risulta il progi'€sso della terapia razionale. Inoltre pel metodo dai pittagorici introdotto, e non mai più dianzi pra- ticato, non si videio più trascinare gl'infermi nei templi del paganesimo ad implorar sanità, ma furo- no curati al pi-oprio letto. Annoisi quindi dar cenno di questi veraci benefat- tori dall'umanità. Ne di tutti pei prescritti hmiti j)0trò render conto. In primo luogo dirò di quegli stessi superiormente additati come introduttori della filosofia in Grecia, e pel primo accennerò quel distinto scienziato Timeo. Il quale lasciò molte opere me- 190 diche, (li cui i cointempoi'anci, specialmente greci, non poco si avvalsero. Plinio nel ricordare Timeo, disse: Timacus millia de medicina scripsit. Maggior venerazione medica riscosse Empedocle reputato dal volgo come una divinità : soprattutto dacché si vide una donna, creduta onninamente mor- ta, tornata per di lui opera a vita. In che ognuno apertamente si avvede, che, lungi da morte, asfìsiaca era quella femmina. Ne lieve credito acquistossi Empedocle per l'accortissimo e salutevole provvedi- mento nel liberare Selinunle da epidemica morbo- sità annualmente rinnovata dal paludoso terreno di quella città: il quale fu rimosso mercè di limpide e perenni acque correnti. Le opere mediche che vanno sotto il nome d' Ippocrate,nato 70 anni dopo la dispersione de'pittago- rici, sono basate sopra i i elementi di Empedocle e sulle mediche sue dottrine, non escluse le anatomi- co-fisiologiche. E qui vuoisi richiamare alla mente che Empedocle insegnava le scienze in Atene 440 anni avanti TE. V. Precisamente nell'epoca medesima un altro pit- tagorico distinguevasi in Atene nell'insegnar medi- cina. Questi fu Acrone concittadino di Empedocle, Egli non solo é riputato anatomico, ma ancora esi- mio medico e fondatore del razionale empirismo : imperocché basava la sua medica dottrina sull'os- servazione e suir esperienza. Classici autori antichi e moderni hanno provato che diversi trattati di me- dicina (particolarmente quello de salubri diaela)^ che vanno sotto il nome d'Ippocrate , appartengono ad Acrone. Plutarco scrive che l'operazione, per la quale 191 gli ateniesi credettero liberata la loro città dalla pe- ste mercè di grandi fuochi attribuita ad Ippocrate, debbasi a codesto medico agrigentino (1). Almeone di Crotone scolare di Pitagora , dive- nuto periodente per la nota persecuzione , fu pro- fondo nelle scienze naturali, essendo stato il primo che abbia dato alla luce un'opera di anatomia e di fisiologia, nelle quali videsì pure versato Empedocle. Quindi a buon dritto si è rilevato colla critica la più severa di essersi per cotesti autori pubblicati i primi rudimenti delle anatomiche e fisiologiche di- scipline cotanto a' dì nostri progredite. x\Itro crotoniate estimato da Erodoto pel primo periodente fu Democede, sulla cui testa i suoi con- cittadini misero una taglia di 3 talenti. Questo pit- tagorico si rese celebre in Grecia : ebbe pubblico stipendio in Egina, in Samo ed in Atene con mol- tissima gloria della scuola di Crotone (2). Il siciliano Epicarmo maestro di Platone, che glo- riavasi delle di lui opere, fu un sagacissimo perio- dente; e lasciò libri non solo in medicina, ma ezian- dio in veterinaria. Plinio difatti lo ricorda come me- dico, e Columella lo cita nelle cose veterinarie. Il rinomato Gorgia e celebrato ancora in medi- cina: siccome vien ricordato da Platone nei citati dialoghi. Non fa quindi meraviglia la sentenza di questo filosofo , che riconosce inciviliti quei paesi dove sono medici. Gorgia fu l'uno dei maestri d'Ip- pocrate. (i) Se ciò fu veramente, polrebbeop inarsi che il combaslibile i;ll/;h , -iit • ' '(t««oq II' ) i.< 1,1 227 Petrus Qiialrinus^ sermo habitus corani eminentissimo episcopo Ioanne Soglia Ceroni in aula ven. semi- nava qc nob. collegii Campani, quumalumni praemio donarentiir Aiiximi XVI hai. oclobris MDCCCLIV a losèpho Ignatio Montanari politiorum lilterarum doctore. P lerique mortales falso de fortuna queri solent, quod volubilis et inìqua indignos omni epe auxilioque fo- veat, dignos veluti infensa despiciat ac deprimat; et optima ingenia quasi propria manu enecet, dum nìa-i la et absurda erigit, eorumque coeptis blanditur. Quod quidem non tantum fortunae, quantum huma- ni generis vitio tribuendum esse, si rem introspicia- mus , haud dubiis indiciis facile intelligemus, Illa enim in omnibus suum servat morem, sibìque vini inferri postulai, nec donat habere aliquid, nisi vi il- lata cogatur. Quod si vel questibus vel precibus ignavi desidesque vincere velint, altius se attollit, et ma- nus dare negat ; ac nisi impetum in illam magno animo faciant, se vinci non patitur. Verum cum mul- ti saepenumero omnia sine certamine adipisci veliqt»' illa per libidinem dominatur , vecordesque superba; pessundat. Si lamen in contentionem cum strenuis venerit, qui magis magisque obluctentur , facile se immutai et arridet, nec multum obesse potest, qui sibi fìrmum in virtute praesidium collocavit. Ego aestimo hoc Petro Quatrino evenisse: et ut vos sen- tentiam feratis, nunc de ilio dicere aggiedior, qui a 228 fortuna primum despectus , non solum industria et constantia facileni ex adversa sibi fecit, sed diflicul- tatibus superalìs ab ipsius labe gloriam est assequutus. Nam cum natura Jitteris genuisset, fortuna a litteris disiunxerat, et quasi a se in agrls abiocerat; quam ille interritus domuit , sibique ingenioque suo ser- vire iussit. Magna quidem laus hominis, et erudi- torum virorum personis satis digna. Accipite ergo animis, ea qua soletis humanitate, quae dicturus sum, ac aequi bonique libentes facite. Petrus Qualrinus humili loco natus, generis ob- scuritatem propriis laudibus virtutibusque illustravit. Ortum duxit in ea auximani agri parte quae ab op- pidanis Montistorli nomen habet, anno a partu virgi- nia millesimo septingentesimo quadragesimo sexto, pridie idus februarii. Patrem habuit loannem Bapti- stam, matrem vero Floram Patrìgnanam castissimam foeminam: primaque aetate paternam conditionem se- quutus, agros incoluit. Cumque haud vires ut agricul- turam exerceret puero sufficercnt, pecori praefectus, oves ad pabulum, invitus tamen, ducebat. Aliud enim ab ilio natura expetere, certis signiPicationibuSjVideba- tur: nani vivax ingenium et acre eximias animi men- tisque viros facile detegebat. Saepe saepius cum cre- ditum sibi gregem pastum propellerei, in umbra ar- boris recubans catholicae fìdei rudimenta, quae a pa- rcntibus acceperat, memoriter lepetebat, vel arrepto libello, quem sinu semper gestabat (crassa enim mi- nei'va iam noverai logero et ducere litteras) ita omni mentis acie attendebat , ut posthal)ita pccoris cura in ilio totus esset, atque in obtutu defixus haereret. Quae cum parentes animadvertissont, quamquam do- i 229 mesticis jn-ohibereiitur angustiis, tamen oninem la- pìdem inoveie decrcvcnint, ut filium litteiis insti- tuendum cuiarent. Quaie dimisso grege, ex pastore discipulus, sacer- doteni qucmdaiii philippianae aedis custodem (qai lo- cns band multo disiungehatur intervallo) adivit. Hic in puerulo inibrinando nullam laboiis industriaeque pai(em praetermisit, docuitque verborum et noini- num inflexiones, et quae sunt spinosiora linguae la- tinae cleinenta. Cuius institutione ac disciplina cae- pit liberius in grammatices cognitionem excOrrere, et magis in dies discendi amore flagrare. Missus est igìtur primum Anconam ad affinem quemdam, qui domi puerum aliquamdiu habuit, non ita tamen ut stu- diorum eam sibi curam susciperet, quae par erat: quare puer ipse ad patrem huiuscemodi litteras àe- dit: « Se Aìiconae tempus tererey niltilqiie progredì ; tantummodo pilae saxonunque iaclu exerceri: domum reducerei, ne ultra oleum et operam pcrderet. m Quae quamquam satis vera essent, nihilominus, opportu* nitate adeptn, ingenii virtutisque igniculi in puero in- terdum emicabant, digitumque omnes in illum fa- cile intendebant. Hoc tamen nuncio permotus, rem secum animo volutans pater, quid sibi faciendum es- set non bal)ob;it: animique pendens, cum satis explo- vate cognitum ac perspectum esset adolescentis inge- nium, id coepit consilii, ut itef ephebos ecclesiae au- ximnnae locum fdio peteret: quod, cum apud omncs Petrus optime audiret, multiquede ilio bene sperarent, facile impetravit. Inter alumnos seminarii huiusce nostri acceptus, ita se omnibus modestia ot studio probarit, ut brevi 230 inter aequales insignis ferreretur. Ea tempestate lo- cus hic quammaxime florebat non solum modeiato- rum sanetitate ac piudentia, veruni etiam doctorum sapientia et solertia; quos inter duo eminebant, lo- annes et Peregrinus Roni, quorum alter grammati- eam universam, alter rhetoricam tradens , in ma- gnam nominis existimationem venerant, omniumque .sermone celebrabantur. Hi puerum summa animi alacritate excepere, et primum Ioannes grammaticam omnem ea qua solebat industria et diligentia docuit, inique penitiores latini sermonis fontes patefecit. Quamobrem non solum brevi tyrocinium emensus lati- nam linguam tenebat, quantum in illa viridioris aetatis teneritudine capere posset, sed factum est ut illius amore unice abriperetur, tolaque vita in deliciis ha- beret. Postea Peregrinum illuni, elegantiarum omnium patrem et magistrum, audivit, seque totum ad illius arbitrium fingendum forrnandumque permisit: a quo certe omnes ad profìciendum vias sibi stratas vir factus, non sine magna praeceptoris laude, grataque acceptorum beneficiorum animi signiticatione, saepis- sime profìtebalur. Atque hic mìhi fortuna , tandem immutata, contendisse videtur, ut dignum magistro discipulum, et adolescente doctorem offerret, ac su- periora incommoda praesenti munere pensaret. Ma- gni enim interest sapientem sortiri praeceptorem , qui non solum verbis praeceptisque auditorum men- tes imbuat, sed exemplis, quae plurimi valent, con- firmet acinstruat. Quod certe Quatrino obtigit, quicum magistro suo docilem se praebuissel, atque ab ilio sibi exemplar petiisset, suae in posterum laudis funda- menta iecit. Nani cum boriante non solum, sed ip- 231 sa natura incitante ad poesim se ferri sentiret , ac quam qui maxime ingenio pollerei, praeceptis insti- tutisque viri sapientissimi excultus, non solum ae- quales omnes antecelluit, veruni diligentia et indu- stria aliisque ornamentis ditatus, eo pervenit ut nuli» de ingenii praestantia doctrinaque cum eo contentio esse posset. Quare ante alios illum Ronus diligebat, ita ut amor in ilio cum expectatione summa, cum summo amore expectatio certasse videatur. Politioris humanitatis litterarumque confecto curriculo ad phi- losophiam se contulit , incubuitque, quanta assidui- tate ac profectu nihii opus est dicere. Deinde quum sacrae militiae nomen dare . Deoque unico vacare primis ab annis constituisset , ad rem theologicam cognoscendam accessit , illique animum mirum in modum adiecit. Quumque ab omnibus et morum integritate, et modestia ac doctrina maxime proba- retur, sacerdotio initiatus, consuetam litterarum ope- ram non intermisit, sibique et doctrinae, ut aposto- lus monet, tota vita attendendum decrevit. Sacris auximatum tunc temporis praeerat Pom- peius Compagnonius, vir eruditione scriptisque cla- rissimus, qui et Quatrinum noverat , illiusque inge- nio ac festivitate summopere delectabatur, Is libens volens illum sacerdotio donaverat, omnique humani- tatis genere complectebatur: novum enim auximanae ecclesiae decus, maximumque alumnis commodum fore ut ab eo adderetur mente conspexerat : quod exitus sane comprobavit. Itaque primum grammati- cftm, quam vulgo inferiorem appeilant, iussit doce- re, posteaque cum Ioannes Ronus vita cessisset, in eius loeum suffectus est: quo in munore ita se ges- 232 sit, ut uno ore ab oiììnibus commeudavetur. Verum haud multo post cum Peiegrinus ipse , aetale iam exacta, abdicatis scholae laboribus quievisset, et stu- dioruni praefeclurani honoris gratia oblinuisset , in eius viceni Quatrinus, qujin saepius Ronus ipse sibi adiutorein adiunxerat, quiquc vixquinUuìisupra vigesi- mum anuuui agobat, non sine magno civ ium consensu substitutus est.Qu^e quidem provincia omnibus ardua, sed iis praecipue qui summis viris sucCedunt, illuni conlerruisset, nisi doctoiis sui auctoritate motus, et consiliis, quibus apprimedeferebat, confinuatus, ani- mum sumpsisset, homiuique benemeritissimo, omni- busque quos in magnam sui expectationem adduxe- rat, morem gerendum esse cognovisset. Qualis in docendo exstitcjit , diccre supervaca- neuni diico : sat enim et qualis et quantus fuerit eius scripla ostendunt, et multi (jui ab illius scbola optinii prodiere, inter quos nominale gaudeo laetor- que IoannemKJorenlium doetissinumi cleriiditissinujm aevi suibomineniiAntaldum Antaldiumeoaequalemeius ae littei'drum eruditionisque laude parem, (^amilJum Briganlium , Caesarem CaHum, multosque alios, de quibus nominatim dicere nimis longum esset. Mit- tam qui adhuc vivunt, quorum est iudicium poste- ritati reb'nquendum; mittam reliqua quae apud nos de ilio monumenta extant , et satis luculentum te- stimonium perhibent , non solum excellentissimum rhetoiem fuisse, sed cum omnibus qui hoc littera- rum genere ea aetate floruerunt facile comjiarandum. Hoc umun silentio praeterire nequeo (quamquam id acceptum fortunae debuisse fateamur) inler andito-- ICS numerasse duos, qui postea magna catholici no- 1 233 minis gloria ad pontifìcatum maximum evecti sunt: Hannibalein de Genga, qui Leo XII, et Franciscum Xaverium Castilioneum, qui Pius Vili fuit: ambo di- scipuli eius, ambo Campani huiusee collegii convi- ctores et lumina. Hi in tanto dignitatis fastigio me- moi'iam praeceptorisacceptissimam habuere, eique mul- ta benevolentiae gratique animi signa dedere; ita ut nisi ille humanas res omnes pene despexisset, band paivum sibi ftuctum polliceli poluisset. Quare in tantam apud omnes existimationem venerat, ut exteii quoque innumeri magisterio suo uti exoptarent; ci- vitates multae praeceptorem magnis pollicitationibus exposcerent; et bis de causis factum est ut collegii nostri fama longius latiusque pervagaretur. Sed cum in scriptis imaginem hominis melius lu- cidiusque videre possimus, nunc ad eius scripta, qui- bus tantum inclaruil, venio, atque in iis aliquantum immorari in animo est. Multis illuin ad poesim prae- sidiis, ut dictum est, natura cumulaverat: accedebat jHtis studium, praeceptorisque exemplum. Vix dum poetis operam dare coeperat (de latinis loquor, nani ilalicis 00 tempore parvum operis impcndebatur), il- los de[)eiire, memoriae, qua admodum acri et felici vigebat, mandare, imitari, nec latum quidem unguem a carni inibus discedere. Quare et exametros, et ele- gias, et e[»igi'ammata multa , aliaque generis omnis composuit , in quibus et facilitatem quamdam , et elegantiam ac venustaten> nemo non videt. At vero in satyricis piane babitasse dixerim, ut nullo in ge- nere magis: in boc enim indolem suam sequi, suo- que genio indidgere nemini dubium esse potest. Najn quaedam in bomine insita festivitas: facetiarum co- 234 pia, aculei et sales multi» ingenui oppido lepidique: quae omnia hoc scriptioiiis genus mirum in modum adiuvant et exornant. Flaeeum primis ab annis fa- miliaiem sibi reddere curavit, et quamquam cum ilio circum praecordia ludere , cutemque primam velli- care neget, nihilominus succum arripit. Postea luve- nalem pari vel maiori etiam studio prosequutum constat : illam vero declamationis ostentationem, et minus castas dicendi formulas omni cura vitavit. Per- sium quoque in deliciis Imbuisse, multamque in il- lum operam contulisse ab eius discipulis accepimus: eius tamen tenebras caecasque ambages sciens pru- dens effugit. Scimus et Quinti Sectani satyras peni- tus memoria tenuisse, quae superiore saeculo tantos tota fere Europa plausus excitaverant; facultatemque graphice representandi ad latinorum normam res usi- bus atque latinis moribus valde remotas ab ilio prae- sertim hausisse, pluribusque in locis certamen quod- daitì cum ilio mira felicitate iniisse. Quamobrem as- serere non verear Quatrinum in sermonibus hora- tianam elegantiam interdum reddere; aquinatis vim, Persiique velocitatem, nec non ingeniosam Sectani am- aritudinem omnino referre. Quod si comitale socratica- que lenitale Fiacco, uberlale et sono aquinati, gravita- te ac compressione Persio, fìgurarum copia et egres- sionibus Sedano concedere fatemur, facilitate tamen, modestia, et minime acuminibus infuscata volubili- tale merito placuisse, et piacere, etiam pignoro po- silo affirmare non dubitamus. Certe si usus homi- num maior latiorque bumanarum rerum scienlia illi fuisset, nemini ex recenlioribus locum cederei, Se- ctanosque et Bonamicos et Cordaras et Morcellios i 235 exequare potuisse putarim. Sed quaenam rerum cogni- tio esse poterai, cum nunquam se dornum exire passus sit, unaque civitate conlentus, vix semel in anno reli- gionis causa Lauretum, solatiique feriatis mensibus Aneonam concesserit ? Inde effluxisse etiam arbitror illud nescio quid agreste, et pene dixerim domesti- cum, quod lucubrationes eius nonnunquam sapiunt: quaiem enim natura effinxit se quotidie praebuit, ned hominum consuetudine eturbanitate perpoliri potuit, sed solum humanitatis tantum attigit, quantum ex sapientibus veterum voluminibus nocturna diurnaque lectione pervolutis attingere poterat. Veruni ut tandem a sermonibus ad alia carmi- num genera digrediamur (immorati enim nimis for- lasse quam par fuerat in bis sumus) exametros pri- mum ac elegos laudabimus: quorum alteri virgilia- num quoddam, alteri catullianum reddunt, ovidiana ubertate ac facilitate conditum. Novi et lyrica non-^- nulla scripsisse, quae a multis valdius commendan- tur: at ego nunquam vidi, nec est cur iudicium pro- feram. Epigrammatibus vero, quorum libros plures reliquit, libenter arridebo; sunt enim et elegantiis et acuminibus refertissima : media inter CatuUum et Martialem, neutrique nimium concedunt, ni mea me fallit opinio. Etiam prosa oratione nonnulla latina conscripsit , candore et suavitate styli probata , de quibus unum Furii Camilli Sinibaldi commentarium memorare possum, quum caetera nondum in lucem typis sint prodita. In hoc mira quadam semplicitate hominis sanctissimi mores vitamque describit, navi- terque imaginem illius expressam legentibus osten- dit, ita ut pietas aeque ac elocutionis mundicies ani- nios capiat dii[)Iicique delectatione perfundat. Nam 236 cum Fui'ii viptutes anto oculos ponit, se ipsum pro- priamque pietatem nudasse facilis admodum conie- ctuia est. Haec quae latinìs litteiis consignavit fa- mam illius , decusque nomenque Campani collegii auxemnt ; et donec apud nos humaniorihus studiis aliquis honos manebit, aetas certe nulla obliterabit. Quamobrem cogitanti mihi saepe numero quantum laudis ac gloriae latinae litterae italis adiunxerint, et quantum commodi ab illis gentes omnes adhuc coeperint , ac in posterum capere possint , monstri simile est aetatis nostrae liomunculos lalinitatem om- nem fastidire, et magna ex parte omnino detrectare. Quid enim tam asurdum quam linguam illam odisse, quam olim populus romanus gentibus universis, qua- si fìrmum humanitatis perpetuumque vinculuni de- derat, ac postea sancta romana ecclesia saciarum di- vinarumque rerum custodem, chistianaeque familiae unice propriam sibi suscepit ? Dumque omnia mor- talium studia ad hoc summis viribus contendunt, ut populos gentesque omnes una quadam affìnitatis mo- rumque societatc coniungnnt, ac orbem ipsum ter- raium humanae scientiae miraculìs pene contiactum, plìullienlis aquac vapore ad vehiculares navalosque cursus adhibito, inci-edibili celerilate remotissima spa- lla mcliantur; electriciquc ignis vìrtulo res de lon- ginquo rapiditale fulminis significent, dissitos eventus dcscribant, oculisque e vestigio subiiciant, ita ut ex- tremae orbis gentes voluti praesenles inter se col- loquantur , firmissiujum soeietatis vìnculum unius linguae , a veterum sapientia oblatum , a catholica fide servatum, nullique fere gentium ignora tum de- spiciant , atque in invidiam addueant ? Nonne pro- digi! instar videtur, dum omnia ad humanitatem re- 237 vocale conantur, piaecipuiim humanilatis instrumen- tum deterere atque adversaii ? Sed hoc posteri- tati pernii ttam : nepotes enim parentum erroribus edoctos , rem aequiore lance appendere , et superis bene iuvantibus , Consilia in melius referre posse confido. Nunc ad Quatrinum redeo, qui non solum aureae Augusti aetatis scriptores sibi imitandos proposuit , veruni etiam italicis carminibus famam sibi peperit. De bis brevitcr dicam, in quibus Ludovicum Areo- stum praecipue, et Ioannem Baptistam Fagiolum ae- niulari voluisse liquido patet. Nani cuni urbana sa- tyra delectaretur, alterius similitudinem assequi stu- duit , qui salibus et lepore inter caeteros superioris saeculi scriptores eminet; cum vero rcs sive venustate sive gravitate ipsanobiles exornaretpcr alleriusvastigia incedere maluit: ambobus equidem proximus, sed baud brevi proximus intervallo. In ca enim tempora inci- derat, quae vel materni sermonis elegantiam, vel ac- curatam concinnitatem parvi facere videbatur, homi- nesque italice dicentes vix ullo dignabantur honore, quum satis superque esset non piane omnìno nesci- re. Quod certe improbandum est, nec maiorum no- strorum sapientia satis dignum. Recentiores dum vi- tium fugere student, in peius incidunt: non enim ita- licas latinis litteris coniungendas, sed latinis prorsus postbabitis, colendas esse decieverunt: hoc est dum Scyllam vitare cupiunt in Carybdim offendunt: nec sa- tis compertum habent graecas, latinas, italicasque lit- teraturas unum corpus componere. Nani ut unam fa- niiliam pater, filius, et nepos constituunt, ita litterae a graecis ortae , per latinos institutae ac amplificatae apud nos viguerunt ac vigent, eisdem rcguntur legi- 238 bus, et mutua invicem affinitate continentur. Itaque qui, missis caeteris, vel italicas, vel latinas, vel grae- cas dumlaxat amplectitur, inepte facit, nec sibi fa- maeque suae in posteris prospicit. Quatrinusetsihoc haberent ea tempora incommodi, tamen assidua alacrique manu italicos etiam scripto- res versa vit, et reddere visus est: nec, ut verum fa- tear, minimum decus promeruit. lUud ei obfuit quod et Rono praeceptori suo ; italicam poesim ab Ali- gherio digressam in humiliorem locum externa imi- tatione ruisse: nam si viguisset, suoque loco stetis- set, ii Inter praestanliores poetas nostrates huiusce aevi facile nunc recenseri possent. Laudandi nihilo- minus quod prò virili parte ambo italicam poesim coluerunt, latinitatis gloriam indepti, hanc nobis hae- reditatem retinendam tuendamque reliquerunt. Mul- tae virtutes in utroque pares extitere, eruditionis stu- dium, ingenii praestantia , ac veneres latini sermo- nis: quaedam tamen in scriptis diversitas inest. Nam Ronus purior, Quatrinus liberior; alter Virgilii Catul- lique vestigiis tantum insistit, alter ampliore ambitu versatur. llli unus orationis color , et idem stylus : buie varius et multiplex. Maior in ilio delectus , in hoc copia: ille res inventas melius exornat, hic vena magis divite urgetur: ille mundicie ac dignitate, hic salibus ac iucunditate superat: ille arte et imitatione se èxtollit, hic nativa ingenii ubertate. Ab ilio om- nia intensissima cura elaborata , ab hoc etiam illa- borata fluunt , quae nihilominus legentes felicissima quadam facilitate permulcent. Gedendum tamen Qua- trino, quod Ronus prior fuit, deditque auditori suo quantus est effici. 239 Optabilius certe fuisset ut Quatrinus omnia quae scripsit ligata solutaque oratione, ipse maturius re- cognovisset, et ad unguem resectum perpolita iterum edidlsset : sed sive modestia despexit , quae ut sibi amicisque morem gereret oblata occasione composuit, sive assiduus scholae labor impedimento fuit: totus enim in hoc, caetera facile neglexit, vel parvi duxit, amicorum civiumque approbatione contentus. Tres car- minum libellos typis manda vit, quod Sylvas a rerum yarietate appellavit. Hi cum in manibus et oculis om- nium venissent, secundo plausu acccpti , avide per- Jecti fuere magna totius urbis admurmuratione. Sed multo maiora in commentariis reliquit. Heroicas etiam epistolas ternariis versibus italica lingua exaraverat, quae quamquam inter iuvenilia recensendae, sui tem- poris homines admirati laudavere. Facili decurrunt vena, et n escio quid suavitatis venustatisque retine- re videntur. Eruditionis quoque haud parum in se habent, quod lectorem et docere etrecreare potest. Na- sonis Heroidas sibi proposuisse omnibus in promptu est, et, ni fallor, illius poetae indolem, quantum immutata licuit lingua, expressit. Ex iis quae soluta oratione italice dictavit, laudatio- pes unice nominabo Guidonis Calcagnìni episcopi emi- nentissimi, et Peregrini Roni, quarum altera obscquium eius in optimum et raunifìcentissimum principem , altera animum discipuli in praeceptorem charissimum omni ex parte declarant. Exacta iam aetate docendi oneri impar munere se abdicavit: non tamen musis nuntium reiiiisit; quas ^que, ad supremum diem excoluit. Vix annum octo- gesimura attigerat, quum valeditudine laborarc, qua semper firma usus erat, coepjt,, brcjìviquq p^, pe^'v^u^t,. 2i0 ut sibi e vita esso inigi'aiKliim intelligoret. Qiiod haud gravite!' tulit, sed bono conscientiae testimonio, san- ctissimisque catholicae eccJesiae mysteriìs contìrmatus, placido exitu, magno cum suoium civium luctu, IVidus novembris anni vigesimi septimi supra millesimum oc- tingentesimum a Christo nato , aeternitatis iter in- gressus est. Statura fuit iusta; corpore valido nec pingui, fron- te ampia, capillo flavo, et annis ingravescentibus fi- oto: fecie rotunda ac patula, oculis vividis ac caesis, naso aquilino, labiis arridentibus , colore subrubro. Sermo rarus et aculeatus: vestitus obsoletior, at non sordidus: nescio quid non ingratae rusticitatis incessa gestuque praeseferebat. Vena tu ac rure mn-um in mo- dum delectabatur. Amicitias multa fide retinuit, suos omnibus charitatis offlciis complexus est. Effusus in pauperes, blandus in discipulos, comis in omnes. In- tegritate morum et festivitate sermonis principibus viris apprime charus. Exemplar antiquae probitatis omnibus muneris sui curis offìciisque cumulatissime perfunctus , sacerdotale ministerium virtutibus at- que innocentia honestavit. Collegium Campanum sin- gularì amore prosequutus, strenuam, quantum potuit, navavit operam, ut illud omni ratione illustrius red- deret: quod certe assecutus est. Pauca haec quae de Petro Quatrino doctore op- timo, et praedecessore meo dixi , testimonio eorum qui coram cognovere fretus, satis et quantus fuerit, et quantum illi debeamus ostendunt. Cuius laudes et me- moriam si omnibus recolere, mihi ante omnes decet; ut qui virtutes eius praestare non possurji, verbis tamen extollere , memorique animo litteris consignare omni conatu studioque contendam. 241 Che il Ialino rustico falsamente è creduto essere, con forme poco mutale, lo stesso che il nostro volgare italiano. k^ono ancor oggi alcuni, i quali credono, la nostra lingua moderna non altro essere, che, con non gran- dissimo mutamento , l'antica lingua rustica de'latini. Ma essi dimenticano più cose; e innanzi tratto, che la lingua rustica era non altro, secondo i documen- ti che ce ne restano, se non V analogo di tutte le rustiche del mondo, le quali per la natura generale de'diversi idiomi, in ogni idioma nascono spontanea- mente nella parte rozza del popolo , che mai non giunge a ben usare il parlaie delle persone educate negli studi o nella conversazione co'più civili. 11 pili delle ragioni intrinseche onde son mosso a così pensare, l'ho io diffusamente esposto nel voi. 1. delle mie Spighe e Paghe (p. 162 sg.) , né qui ridirò per minuto il già detto. Sarò contento, ristrin- gendo il mio discorso alla lingua latina, e all'italiano odierno che a ogni modo ne nacque, trattar unica- mente la questione storica con aigomenti, come di- cono, a posteriori; e provar con fatti che né alla la- tinità mancò un rustico, né questo rustico però fu mai da confondere (prima dell' avvenimento ultimo de'barbari) col volgar linguaggio che oggi al latino sostituimmo. La lingua rustica evidentemente è così detta a rure, ciocché viene a significare che è lingua di con- G.A.T.CXXXVllI. 16 242 tado, e per conseguenza la lingua che nelle campa- gne s'impara, non per istudio speciale, né per con- fabulazione cotidiana co meglio parlanti della nazione, ma solo a orecchio ascoltando i rozzi. Quindi per una naturale dilatazione di vocabolo, è, favellando di latino, la lingua che parlavano in Roma più gene- ralmente ancora tutti i plebei, e gli analfabeti, pro- nunzianti secondo che permetteva l'imperfezione e l'e- sercizio irregolare dell'organo della loquela, e sfìgu- fanti in mille modi, e per mille cagioni, l'idioma quale stabilito avevalo l'uso nel fior della nazione. Certo essa lingua, come quella che mancava di l'iegole fisse , e nasceva dall'errare svariato di que' <;:he l'usavano, era necessariamente multiforme, e va- riabilissima in ragione anche di luoghi e di tempi : pon però si che non costituisse collettivamente presa liij dialetto, sempre abbastanza simile a se in que' che lo parlavano, per farsi reciprocamente intelligi- bile, e adoperabile dall'uno all'altro, e da potere al- l'ingvosso esser chiamato perciò uno , quando anche id'età in, età grandemente si mutava. , Tale è pertanto il sernio rusticus j come si rac- (Cogllie. da Aulo Gelilo nel decimoterzo delle Notti Attiche (cap.6.);« cosi, e non altrimenti seguitò a chia- marsi per tutta V età repubblicana , finche , venuta l'età imperiale, i grammatici cominciarono a dir bar- bara, cioè, siccome è noto, forestiera^ ogni irregola- re dizione, pei'chè si suppose , più universalmente prodotta dalla sopravvenuta promiscuità co'barbari af- fluenti da indi in là nella capitale dell'impero. Tanto si raccoglie da più passi d'antichi; i quali c'insegnano anche l'origine delle due parole solecismo 243 e barbarismo, esprimenti i due principali difetti del sermo rusticiis o barbarns. E citerò per primo Isi- doro (Orig. IX. 1. 6, 7.), che riconosce, secondo al- cuni anonimi anteriori a lui, [quidam dixerunt, scrive) quattro diverse quasi forme di latinità; e sono la prisca o incondita de'tempi antichissimi ; la latina propria- mente detta o del Lazio intero, continuatasi con poco cangiamento, sino a'decemviri; la romana, ossia il la- tino classico proprio di Roma per tutto il tempo re- pubblicano ; e da ultimo quella che nominò mista , dell'evo imperiale, ed introdotta post imperium latins prolatum, la quale , sinml cum moribus et hominibus in romanam civìtatem irrupit , integritatem verbi per soloecismos, et barbarismos corrumpens. Completerà poi la notizia Aulo Gellio in due luoghi; e prima nei luogo teste ricordato , dove si legge - Quas graeci npoaoì^tug dicunt, eas veteres docti, tum notas vocum, tnm accenliunculas , tum voculationes appellabant. Quod nunc aulem (si osservi ciò) barbare quem loqtii dicimus (a' tempi di (jellio), id vltium sermonis, non barbarum esse, sed riisiicnm, et cum eo vilio loquen-i tes rustice loqui dictitabant. P. Nigidius, in comnìen^ tariis^' rustieus tìt sermo, inquit, si adspires perpe- pam. llaqite id vocabulum, quod dicitnr vulgo barba- rismus, qui ante dim Augusti aetatem pure alque m- tegre loculi sunt, an dixerint, noìtdiim eqnidem inveni. Poi (V. 20,). Soloecismus latino vocalndo a Sinnio Capitone eiusdemque aeie(tis ^Uis, impaiililas appel- latus, veluslioribus latinis stribiligo diccbatur . . . Qmd Vltium Sinnius Capilo, in literis, qmis ad Clodium Tu- scum dedit, Jiisce vcrb>is definii ^^ Sohecismus e^t, m- quit, imparct ineonvenrens coinpositura partiMW) orai- 244 tionis. Cum graecum autem vocabulum sit soloeci- smus, an attici homines, qui elegantius loculi sunt usi eo sint, quaeri solet. Sed nos ncque soloecismiim, ncque barbarismiim apudgraccorum idoneosadhuc invenimus. Nam sicut (Socp^upov, ita aóXotx'^v dixerunt. Nostri quoque antiquiores soloecum facile, soìoecismum haud scio an unquam, dixerunt ». Quod si ila est, neque in graeca neqiie in latina lingua soloecjsmus probe dicilur. - Pare che dunque secondo Aulo Gellio, o piuttosto secondo le autorità ch'egli rammenta (checche sia dell'usanza greca), presso i romani, siasicominciato a parlare di so- lecismi, e dì barbarismi, e di favellar barbaro e di sermo barbarus, solo dopo che si venne alla lingua mixla di Isidoro , o degli Anonimi a' quali allude, quantunque ciò che solecismo e barbarismo signifi- cava di certo prima non mancasse, ma si chiamasse rusticità per le ragioni che ho dette. Lasciamo però da parte sì fatta questione inci- dente, e, per meglio entrare in materia, premettiamo il dire quali sono le principali ed essenziali differenze tra il latino antico, qualunque esso siasi, e l'italiano moderno. L'uno e l'altro, per fermo, non sono, in intrinseco, due dialetti, che così chiamar si possano, d'una fa- vella medesima , o l' uno l' idioma curiale , l'altro il calmon popolare, ma sì veramente due lingue, madre l'una, figlia l'altra, formate perciò con molti elementi comuni, ma pur diversi, e tanto che la grammatica, nella sua parte etimologica , oltre alle altre parti , non è la stessa; divaria anzi tanto, che chi conosce l'una, per ciò solo intender non può l'altra, né usar- la, senza speciale premesso apprendimento anche lungo. 245 Certe per esempio, che pur si chiamano favelle di- verse, non dialetti^differiscon meno tra loro, chele due lingue di cui parliamo ; poni l' italiano e lo spa- gnuolo, Titaliano e il portoghese; il portoghese e lo spagnuolo. Né questo potè provenire da un' irregolare, ca-^ pricciosa, e fortuita corruzione, quanto a noi, fattasi nel volgo, senza norme fisse: ma dovette manifesta- mente derivare da un sistema scientifico, impossibile a crearsi così a caso. Tra molte differenze, ecco le piiì notabili- È nella natura del latino, quanto al verbo (che nelle lingue grammaticali è tanta parte del discorso) ammettere le forme passive, come le chiamano, affatto distinte; e in queste, e nelle forme attive, avere forme pro- prie del futuro, e de'tempi dal futuro derivati . . oltre ad altre minute particolarità di minor conto delle quali qui taccio. Quanto indi al nome, possedere vere de- clinazioni, ricche a desinenze nel retto, e ne'veri casi; e di questi ultimi averne fino a sei nel comun com- puto, oltre a un caso ch'io dirò avverbiale, costi- tuente il più degli avverbi, ed a qualche altro caso ch'io non dirò; e di non avere perciò bisogno, né consuetudine, specialmente parlando, di que'che nel vernacolo noi chiamiam segnacasi ed articoli. È per contrario nella natura dell'italiano (e chi l'ignora) il mancare di forme proprie del passivò di verbo, sostituitovi participii congiunti alle voci diverse dell' ausiliare essere , e particelle ; e nelle forme attive il difettar di futuri, e di molte forme derivate da essi e da altri tempi y posto in luogo di quelli, o l'infinito congiunto all'ausiliare pospo- 246 sitivo avere; o quanto a certi passali , i participii qui ancora seguitati dall'ausiliaie medesimo. E quan- to al nome il ripudiare le declinazioni latine, l'im- poverirle di desinenze al nominativo, e il togliere a' casi le terminazioni proprie, sostituendovi segna- casi e articoli; per non dir nulla d'altre differenze cioè che richiederebbe un lavoro più prolisso. Ciò vien dunque, appunto , come io diceva , a farci instrutti, che l'italiano non fu, e non può es- sere mai stato un latino anomalo e sproposita- to, né una storpiatura più o meno antica delle di- verse voci latine curiali o classiche , per fatto in«- consulto di volgo. In questa vece e in realtà, sic- come testé si affermò, è una maniera di favellare, sapientemente preordinata da filosofi , o certo da grammatici sottili, col bello intendimento di farne una figliuola del latino , rendulo più semphce , e perciò più fticile ad imparai'si, come questo è del pakrit verso il sanscrito, del romaico o greco mo- derno verso Tellenico o greco antico, e d'alcune al^ tre lingue in pari modo ricavate dalle madri loro. Tanto insegna il fatto; e se così non fosse, un conseguente inconcepibile se ne trarrebbe, cioè che in Roma , durante 1' uso della latinità , due lingue erano in presenza; una delle campagne e della ple- be; un'altra degli educati, ambedue tra loro si dif- ferenti che coloro i quali parlavano e initetidevano solamente l'una, non potevano parlare né intendere gli altri usanti l'altra lingua ; e così, doppia fati- ca era imposta a tutti d'imparar cioè due idioiUii , in luosfo d'un solo. 247 E già ciò è per se da non concedersi, perchè sebbene vi siano stati popoli bilingui ; questo sem- pre fu effetto imposto, non volontario; e voglio dir^ operato per via d'assoggettamento ad un popolo vin- citore parlante un altro idioma, che per diritto dalQ dalla vittoria, mentre impose l'uso della propria lin; gua , non potè giungere ad annullare il linguaggio indigeno. Or de'romani, né può dirsi questo per do- cumenti storici che lo abbiano affermato; né se po- tesse dirsi rispetto a' tempi antichissimi , anteriori all'avvenimento della lingua che, come vedemmo , Isidoro chiama romana , avrebbe ella dato , come lingua indigena non potuta soggiogare dal latino divenuto classico, l'italiano, ma sì o l'etrusco, o il pelasgico, 0 l'umbro, o il sabino, o l'osco o il vol- sco, oil latino de'decemviri,o il prisco de'carmì saliari, 0 in breve alcuno degli idiomi italici primitivi, de' quali, per quanto a noi sconosciuti , abbiamo peiò bastanti vestigi per potere affermare che dall'italia- no pin ancor distavano d'ogni latinità curiale, od an- che plebea. Quantunque a che adoperiam noi questa manie- ra d'argomenti, noi dico, che possiamo in modo più diretto ancora e immediato dimostrare che il latino rustico o plebeo, non era diverso dal romano d'Isi- doro un pò più guasto, e principalmente da quello eh! ei chiama misto ? Le prove abbondano da ogni parte. Interroghiamo innanzi tratto l'antico Varrone (de L. L. Vili. 6. ed. Mueller). Ci risponderà. Qua rq,^ iione in uno vocabulo declinare didìcerisy in infinito numero nominum (ea) uti possis. Itaque novis nomi-' nibus allalis in consuetudiney sine dubilalione (e ciò è 248 di massima importanza) eorum declinatm (e vuol dire eoriim nominum declinationes) omnis dicit popidm {omnis, e perciò anche la plebe ultima; a prova di che soggiunge subito). Etiam novicii servi empii in magna familia, cito omnium conservomm recto casn accepto, in reliqtios obìiquos declinant. E il passo è prezioso, perchè viene a farci sapere, non allora ita in dimenticanza, presso alcuno del popolo, e ne man- co ne' servi di fresca compera, l'uso di tutte le dif- ferenze di terminazione ne'casi, in che pure è una e la più sostanziale delle discordanze, secondo che te- ste stabilimmo, tra il dir veramente moderno, e il dir latino, fatto anche barbaro a qualunque ragione. A conferma piena di ciò, aveva già ricordato l'autore stesso, nel capo 37 del v. libro, come frase qiiae rare audiebalur (dunque strettamente lustica): octavo lanam (in vece di limam) et crescentem, et iam senescentem ; e in pari modo post octavo lanam , dove quell'ablativo , quella proposizione , e quegli accusativi, e lo lana sostituito in contado alla clas- sica luna^ dican altri se possan dirsi parole o modi a forma della lingua nostra odierna, o se a forma della lingua odierna, se non ancor vengano (e sopra tutto alla sua natura), almeno s'accostino. Pili tardi, e già crollando l'impero, Probo gram- matico (11. 1. 43) sentenziava: TES inveniuntur [in nominativo terminata nomina), sed vidgaria, cioè usati solo dal volgo ; dove imparasi ugualmente , che il volgo in quell'età , conservava dunque ancora , nel retto, e nel solo retto, nomi uscenti in fes, e quin- di, senza dubbio, gli altri casi colle loro solite de- sinenze di pretto latino. 249 Ma non son queste le sole prove da potersi qui addurre. - Leggo in Paolo, abbreviatore di Festo (p, 78) - Rustici dicunl - Obsipa pullis escam (In- gozza a' polli l'imbeccata). Obsipa , imperativo di suono non italiano; imllis dativo; escam accusativo. Leggo in Carisio (Putsch. Inst. gramm. L 61,)- Vul- gus usurpai - Secus illuni sedi, hoc est, secundum illum. Secus proposizione che ignota al volgare no- stro si conosce a udirne la desinenza; illum di nuovo accusativo; sedi, non italianamente sedei, o sedetti. Leggo ivi poco appresso (p. 191, 192) - Primo pe- dalo (a forma d'ablativo assoluto) nostri per cam- paniam (per le campagne) loquuntur; e qui ancora, l'ablativo assoluto , primo pedalo , che oggi ninno più intenderebbe, manca per lo meno di segnacaso. Leggo in Servio , scoliaste di Virgilio (in Aen. 1. V. 164). In Cisalpina Gallia (e con ciò vegnamo al parlar delle provincie) vit/^o dz'am/ (nello scambievole discorso di tutti): Vade ad eum sed comminus. Ecco il loro italiano. In Minuzio Felice (in Octavio): Audio vulgus cum ad coelum manus tendunt, nihil aliud , quam, Deum [in accusativo latino) dicunt, et Deus niagnus est, et Deus verus est, et si deus dederit: locuzioni omai cristiane, e del confabulare tra'fe- deli d'ogni umiltà di stato; e non ho bisogno di far notare, come in niun modo ognuna di queste ma- niere col far dell'Italia d'oggidì si convenga, o co- me piuttosto l'uso contemporaneo dell'italiano al tutto escluda. E mancan forse altre autorità in buon dato, o non invece fanno calca ? Non è Carisio, ricordato di sopra, che scrive (toc. cit. p. 247) - xaptsvTja/jiò? 250 est diclìo, per ea qiiae graia sunl, aliiid dicens, aliiid sifinificaiis, ut., cum interrocjamus, iium quis nos qiiae- sierit, et respnndetar: Bona salus; imde intelligimus neminem nos qiiaesisse; o poco diversamente Diome- de (ed. Putsch, p. 458): ■/a.pizvxtaii.ò^ est tropus, quo dura diclu gratius proferimtiiry ut cum interrogamusj num quis nos quaesierit, et respondelur: Bona salus, vel fortuna - quo iulelligilur neminem nos quaesisse (ciocché riferiscono ancora Isidoro, e Papia). Ora è forse parlar odierno il por que'nomi così senza ar- ticolo, e finir così il retto di salus ? Non è Servio (in Aen. X. 514) dove si nota - Haiirit . . . qui- dam italicam elociUionem putant: cum enim a latere quis aliquem adortus gladio occidit - Hausit illuni dicunt ; e sconosciute parole non son oggi illum ed hausit ? Non è Paolo mentovato di sopra (p. 74) che ha - Ilella, res minimi prctii, quasi hiela, idest hiatus hominis, atquc hoscitatio (etimologia strana). Aia pusulam dixerunl esse., quae in coquendo pane solel assurgere, a qua accipi rem mdlius prelii, quum dicimus - Non hette te facio . . ? parole che in Italia ninno oggi intenderebbe. Arroge l'antico Scoliaste di Persio al verso 18 Sat. 3 - Nutrices infanlibus, ut dormiant, solent di- cere saepe - Lalla, lalla, lalla, aut dormi, aut lacte- parole tutte che suonavano in bocca di povere ba- lie: dove lallare et laclere son chiaramente volgari e rustiche voci, ma non certo vernacole nostre; né nostri vernacoli sono quegli imperativi, o la parti- cella disgiuntiva aut. E non forse l'accusativo stret- tamente latino adoperava quell'uom di villa e di volgo in Brindisi, il qual, mentre Crasso era in sul- 251 l'imbarcarsi coiresercito contro a' Parti, andava per la riva gi-idando, Caiineas Caimeas, o piuttosto Cav- neas Cavneas [fichi nuovi, fichi nuovi) per una gram- maticale usanza, e ben altro che odierna, de' vendi- tori in istrada di cose mangereccie, nel quale grido que'che poscia riseppero i luttuosi fatti dell'infelice spedizione, s'avvisarono riconoscere un avvenimento suggerito da divino istinto , come se per bocca di quel treccone , avesse un' amica divinità voluto far dire allo sconsigliato generale - Cave ne eas , Ca- ve ne eas ? - Non forse latinamente, anziché a no- stro uso motteggiarono quelle cerne dell'esercito presso Tacito (Ann. 1. 23), che a Lucilio Centurione imperando Tiberio , creato avevano il nomignolo (come lo diceveno i nostri antichi), o vogliasi dire il soprannome - Cedo alleram [quia (racla vite in tergo militis, alteram darà voce, ac rursus aliam po- scebat ? Non forse altrettanto è da giudicare di que' gregarii presso Vopisco (e. 6), da'quali, allorché Au- reliano imperadore militava Tribun di legione , e noi diremmo colonnello , per certa sua imperiosità mal misurata del por mano volentieri alla squarcina, fu soprannominato Manus ad ferrum ? Non di vero e solo latino , sebbene infetto di barbarie , si ser- viva , al dir di Tranquillo , presso Isidoro (XVIII. 6. 8) , quel gladitore in arena, al quale , concios- siacchè gladius curvatus fuisset ex ade recta, e un compagno accorso fosse ad id corrigendiim, uscì detto in suo calmone - sica pugnato [sica per sic), donde è fama, che sica, da indi in là, cominciasse a dirsi dal popolo, memore, e dilettatosi di quella barba- rolessi, ogni arme simile all'arme allora adoperata ? 252 Non vero latino finalmente parlavano presso Fron- tone, e sia puie tanto scorretto quanto piiì vuoisi, que'poveri guardiani d'armenti incontrati in mezzo a deserte campagne in un viaggio di piacere , de' quali è narrato {Ep. ad M. Caesarem lib. 2. 16) Pa- stor unus (e copio qui il palimpsesto , lasciate l'e- mendazioni del dottissimo editore che al mio fine non fanno) Pastor unus ad allerum pastorem , jìo- stquam plusculos equiles vidit - Videbi libi istos equites, inquii , nam illi solent maxi mas rapinatio- nes facere. ? Ma si vuol egli esempi relativi a differenze per- fìn di lessico ? Di queste ancora è copia immensa: dov'è notabile che il volgar nostro, ereditando, nel generale , il lessico dalla latinità, ha però le più volte tratto voci dal latino classico, non dal rusti- co. Varrone (de L. L. V. 177) ha - Quum in do- lium, aut cuUeum, vinum addunt rustici, pritnam ur- nam addilam, dicunt, muUam. Ciò risalendo anche a'tempi di Brunetto Latini, in Italia non s'è mai detto. Ivi (VII. 75). Triones . . . boves appellan- tur a bululcis, eliam nuncy maxime quum aranl ter- ram. I trioni per buoi, non so che sia mai stato vocabolo degli odierni. E s'aggiunga in Paolo (p. 27) Burrum dicebanl antiqui, quod nunc dicimus rufum-. Unde rustici burr'ain appcllant bucidam quae rostrum habet rufum. Pari modo rubens cibo ac potione burrus appellatur. - E p. 109. Nanum graeci vas aquarium dicunt humile et concavum, quod vulgo vo~ cani situlum barbatum. E pag. 121 - Passer ma- rinus, quem vocal vulgus - struthocamelum - E pag. 134. Robum rubro colore^ et quasi rufo signi- 253 ficari, ìli bovem quoque rustici appellante manifeslum est - in Carisio (I*utsch. 85) - Effeminati hodieque . . gylli dicuntiirj quos, vulgus imprudenter psyllos ap- pellant - In Isidoro (Orig. XX. 14, 10) Pala, quae ventilabruni vidgo dicitur - E XX. 9. 4-. - Mozicia, quasi modicia; unde et modicum: z prò d, siciit solent itali dicere hozie prò hodie. E XX. 4. 7: Caelata vasa ... a cacio vocata, quod est genus ferramenti quem vulgo cilionem vocant - E XIX. 4. 2. Spirae funes, quas in tempestalibus utuntur nautici, suo more curcubas, vocant. - E X\1II 6. 3. - Semispatium, gladiiis est a media spathae longitudine appellalum , non ut imprudens vulgus dicit, sine - spacio - E XVII 11. 9. - inulam, quam alam rustici vocant — E XVIII 9. 65. 'Citocatia (forse Citocacia) vacata quod ventrem cito depurget, quam vidgus citocotiam vocant. E XVII. 9. 43 - Satyrion, dieta a satijris propter incendium libidinis, quem vidgus vocant stin- gum - E XVII. 9. 41. Hyosquiamos . . . himc vul- gus mWìm'indvum dicunt -E XIII. 11. 10. - Corus . . quem plerique argeslem dicunt, non ut imprudens vul- gus, agrestum - E XIII. 7. 42. - Strix , nocturna avis . . . Haec avis vulgo amma dicitur, ab amando parvulos, unde et lac praebere fertur nascentibus - E XI. 1. 52 - Denles . . canini . . hos vulgus , prò longitudine et latitudine et rotundilate, coluinellos vocant - E VI. 18. 14. Dies palmarum . . . vulgus . . . ideo hunc diem capitilaviurn vocat, quia lune mos est lavandi capita infantium, quo ungendi sunt, ne obser- vatione quadragesimae (durante la quale pareva non si solesse lavarli) sordidi ad imclionem accederent (osserva rito) E IV. 86 - Impetigo est sicca scabies .... Hanc 254 vulgiis sarnam appellant - In Servio (ad Ecl. 1. 158) Cohimbae , quas viilgus tetas vocat: et non diciinlur latine, sed midtorum autoritas latinum fecit - E (ad Georg. 1. 150). Vidgo vasa ubi calida solet fieri , scutrae appellanlur. - In Nonio Marcello (Ed. Mer- cgr' p. 4-6). SijruSf a graeco magis tracium est, ano rou (jvpiiv. Has nos scopas, rustici eo nomine sy- ras vocant. E pag. 50 - Subrigere significai sursum erigere, quo verbo rustici utwitur, quum tritae fruges in areis eriguntur - In Columella (16. 1 .) Ulmus, quam atineam vocant rustici - E 5. 1. 6. Cadetum appel- lant aratores quod alii candetiim - E 5. 10. 16 - Quos nostri agricolae mergos, galli candosoccos ap- lant - E 2. 9. 14 - Ordeum quod rustici hexasticum quidam canthei'inum appellant Ma non si finirebbe più a voler segnitare. E molti erano idiotismi passati al comune uso; molte o parole o espressioni usavan pochi anche colti , e coltissimi , per un loro vezzo , che altri imitavano poi, finché s'aggiungevano esse ancora a far più ricca la fraseologìa vernacola mentre Roma fu in fio- re. Tal era per esempio il vezzo (per cominciare da un gran principe) d'Augusto, con che a detto di Sve- tonio (e. 81), adoperava favellando, prò stzdto baceo- \mn, prò pidlo puliecineum, prò cemfo vacerrosum;et, vapide se habere prò male; et betizare prò languere quod vulgo lachanizzare dicimus (aggiunge lo storico a spiegazione del betizare, facendoci così conoscere un altro vezzo del popolo intero a que'tempi); item simus, prò sumus et domis genitivo singolare , prò domus. - Ma, in prova che il male era già allora in- fistolito nell'universale , lo scrittore anzidetto, fece qui l'osservazione dolente - Quod saepe non lilleras 255 modo, sed sijllabas, aul permutai, aul praeterit, com- miinis hominum error est. E ad altra prova , che già l'errore, tra molti , anche nella scrittura passa- va, ei narra , che dovette lo stesso Augusto torre a uno stato console, la dignità amplissima di le- gato , ut rudi et indocto , cuius marni, ixi prò ipsi, scriptum animadvertit. Col procedere del tempo il male, siccome ad- diviene, si andò aggravando, e di qui il successivo infettarsi del favellare classico. Di qui, esaltando con ragione que'che studiano al miglior parlare, quel- l'esclamazione di Diomede (Putsch, p. 273), Tanto maxime rudibus praestare cognoscimus, qui rusticità— tis enormitate, incultoque sermonis, ordine, sauciant, im- mo deformant, examussim normatam orationis inlegrita- tem (ed ecco in che propriamente consisteva la rustici- tà), quanto ipsi a pecudibus differre videntur. E quando alla indigena corruttela s" era già venuta congiun- gendo l'esotica, quel sentenziare di Quintiliano (Inst. Orat. 1. 5), sul proposito nostro - Peregrina porro, ex omnibus, prope dixerim, gentibus, ut homines, ut instituta , etiam multa venerunt. Tacco de tuscis, et sabinis, et praenestinis quoque (ciò favella perch'era- no essi, corruttori più antichi): nam, ut eorum ser- mone utentem, Vettium Lucilius insectatur ; quemod- modum Pollio deprehendit in Livio Patavinitatem. In fatti l'esoticismo era già cominciato a innestaisi a' romani, prima che d'altronde, dalie colonie, e dai municipii d'italia, che la latinità presa da Uoma a Roma riportarono più o men guasta; d'uno de'quali guasti è menzione in Carisio (Putsch, p, 174), men- tre scrive: Non negem ultra Sarsinam, inter quaestionem, Oscealinis, et Marrucinis, esse mo- 256 ris e lilleram relegare, o videlicel, prò eadem lit- tertty claudentibiis dictionem. Non mancan perciò qua e là nei classici e nel- rcpigrafi de'marnii, lunghi brani , donde apprender possiamo assai bene, ancor oggi, la natura del ple- beo linguaggio , fatto generale negl'italiani; e be' tratti ne dà il Satyricon di Petronio Arbitro, imi- tando in troppi luoghi il conversare spropositato de' colliberti nella cena di Trimalchione, oltre a più d'una iscrizione, siccome questa perugina, data dal Ver- miglioli {I. P. ed. 2. t. 2. p. 544), senza che quel benemerito illustratore della sua Perugia, sufficien- temente l'apprezzasse, rispetto almeno al suo sto- rico e fdologico valore; ed è così - Hic est po- situs FI. Hermes, quem fatus longius ducere noluity qui maluil luctum linqnere, quem gratias rendere suis. Derisor aviaes [prò aviae), quia se dicehat nutrire bacchillum (vale a dire, uno, credo, bacillum, con- fuso però a scherzo col nome di Bacco infante) summae senectae. Delusit fralrem patris, quia ni- mius erat blatidus ad illum, aviumque suum. Ad- lectabat voce pusilla , et cuncti vicini dicebant: 0 didce titu ! Dune (che vai qui dum, ovvero dum que) haec agerentur, iuvenes, desubito acceperunt sui lue tu parentes. Hic tamen in biennio vixit quasi ^qui vixisset sedecim annis: talis enim sensus erat illi, quasi properantis ad orcum. Itaque libi dico qui nescis dulce voce dicere, fìlii, ne vellis (evi- dentemente, velis) cupidus poenae manere mane (che dev'esser meae). Ne lo scrittore della nenia , cioè dell'elogio funebre (uno senza dub)3Ìo, de'congiunti), secondo che può congetturarsi, appartiene a condi- zione altra che inferiore, se almen si riguardi al 257 nome Hermes , che fa pensare a stirpe di libertini, antichi affrancati d' alcuna delle tante famiglie Flavie. Da tutto ciò è dunque lecito ornai d' inferire che, stando in vigore la latinità parlata in italia, per molto errare, in grammatica, e quanto a les- sico, che si facesse, era però sempre latinità non lingua italiana. Sempre cioè co'casi veri nc'nomi; sem- pre co'diversi tempi e modi ne'verbi; sempre sen- za segnacasi, né articoli; sempre col coniugare, e col costruire, de'piiJ, almeno le locuzioni, a mo- do legittimo di Roma. Solamente la rozzezza, e le peregrinità crescevano col correr de'secoli: la- onde non a torto insegnava S. Girolamo circa le- ducazion de'fanciulli [Ep. ad. Lactant. de Instit. (il.). Sequatur statini et latina eruditio, quae, si non ab initio OS tenerum composuerit, in peregrinum sonum linguae corrumpitur^ et exlernis vitiis sermo patrius sordidatur). Certo il differire del favellar de' rozzi da' più civili non poteva esser lo stesso e dello stesso grado in tutti i paesi , che per cagioni politiche, ave- vano appreso a parlare e scrivere la lingua de' vincitori. Altro pure ho altre volte detto dell'im- mensa varietà che in ciò s'incontra. Saggi del la- tino barbaro de'falisci li diedi nel bullettino di Cor- r. arch. di quest'anno. Altri pubblicheronne quan- do che sia, de' tuderti, e d'altri umbri. Tra più singolari son da contare quelli che ci sommini- strarono le iscrizioni del Luco Pesarese, che pres- so Scipione Maffei nel suo Museo Veronese stam- paronsi; siccome queste, che, se avessero articoli G.A.T.CXXXVlll. 17 258 e segnacasi aggiunti a'nonii, si direbber vero italiano. p. CCCLXX — Fide. Salute. lunonii lì". 4-. Mat. Matut. Apolene. — 11°. 5. Cisula Alilia Don Dianaii Nomelia dede Inno Loucina — n". 6. limone Reg. Matrone Pisaurese dono dedron — N. B. Matre Malata dono diidro Matrona Mamma Pota Vivia deda. — ecc. L'italiano a Pesaro I a Pesaro sola ! a Pesaro quando ancor bene non era latina ! ! ! Non è dunque maraviglia, se mentre tanto suc- cedeva per italia, più fosse al di là de'monti, dove il linguaggio del Lazio s'era trasportato più tardi, e dove, per le mescolanze co'parlari di ciascun po- polo, Talterazioni del classico dovettero risultare mag- giori. E allora veramente (dico oltra i monti) tra i barbari cominciarono a distinguersi il rustico e il lati- no; il rustico, cioè il latino degenerato tra essi barbari in una spezie di geigo sempre più discosto dalla sua origine, e il latino grammaticale o classico : ciocché per pai'ecchie autorità apparisce. Possono esse leggersi tra più altri nella prefazione del Du- cange al Glossario della Media ed Intima La- tinità. S'apprenderà ivi com'essa a poco a poco divenne la lingua, detta o romana o romanza, pro- genitrice diretta dall'italiano, come degli altri lin- guaggi neolatini. Ma volendo ciò svolgere con più lunghe parole, faronne l'argomento d'una seconda dissertazione. Francesco Okioi,i. 259 Ricerche su Servio Tullio re. Celio Vibenna, Tarqui- nio Prisco, Anco Marzio e altri. T, ra i tatti di antica storia romana , di cui più scarse e più contraddittorie a noi pervennero le no- tizie, uno è il fatto relativo alla venuta in Roma di Celio Vibenna, lucumone celebra tissimo dell' Etru- ria; il qual fatto non pertanto, a ben considerare il pochissimo di che ci è rimasta la memoria, sembra essere stato un avvenimento di grandissima impor- tanza, rispetto alle condizioni politiche di Roma e della Toscana, comechè, per quel eh' io mi sappia, nessuno, fino al dì d'oggi, paia di ciò essersi accor- to nemmen dopo le poche ed immature parole eh' io ne scrissi, in un articolo degli annali dell' Insti- tuto di Corrispondenza Archeologica: Sopra Vantico leggenda del Capo trovato nelle fondamenta del Cam- pidoglio. Per mala ventura, somma è l'oscurità , e l'incertezza di tutto che spetta a questo particolar punto. E, innanzi tratto , evidentemente egli è av- venuto che più personaggi fra loro diversi, con que- st'una denominazione, sono stati chiamati da que' che ne scrissero, confondendoli in ano solo, quando bisognava diligentemente distinguerli uno dall'altro. Infatti questo Cele o Celio delle tradizioni compa- risce talvolta sotto le foime, s' io mal non m' ap- pongo, di quel capo de' Celeri , istituiti da Romo- lo a guai'die del suo corpo; il qual capo è fama che fosse r uccisore di Remo , e che finisse i dì suoi. 260 dopo l'omicidio, riparandosi nelle terre elrusche (J). Tal altra volta ci diviene il lucumone arrivato di Toscana in soccorso di Romolo stesso nella guerra contro a Tazio (2), o forse contro all'avolo suo Lati- no (3), od uno almeno de'lucumoni recatisi all'asilo romuleo (4-). Vedesi altrove, mutato di tempo, giu- gnere solamente al paese de' sette monti sotto Tar- quinio Prisco (5). E v'ha, per ultimo, chi, d'un solo Celio Vibenno, fa due fratelli. Celio e Vibenno , 1' uno e l'altro inserendo alle cose romane sol duran- te la guerra col re di Chiusi, se tuttavia la lacuna di Feste, in Tlscum Vicum, è ben supplita nelle stam- pe le quali porrono, di che è lecito dubitare (6) % lo stimo, co' più celebri tra i moderni, alla cui testa, com' è il debito, pongo il ìNiebuhr (7), che qui, trattandosi d'un personaggio toscano, alle tra- dizioni toscane debba esser accordata unica prefe- renza solle romane , e sanno tutti eh' elle ci sono state trasmesse dal notissimo autore di venti libri sulle storie tirreniche, dico l'imperador Claudio, nel frammento di discorso che contengono le due fa- mose tavole di bronzo conservate in Lione , e più volte da me lette in originale (8), dove così è scritto: (1). A una tale opinione credo che Virgilio alluda in un passo che s'esaminerà più innanzi. (2). Paul., p. 34 (3). Varr., de L. L, VI, 45; in un passo di lezione controversa. (4). Dionys., II. ^6. (5). Tacit., Ann. IV, 64 (6). Fes(., p. 271. di Linderaan, da confrontarsi con Mueller, die etrusker To. 1. p. 117. nota 26, e col testo da lui più tardi edito. (7) H. R., voi. 2. p. 104 et suiv. ( della traduzion francese di Golbery che sola posseggo). (8) Gruter., pag. Dll. È annesso per solito alle edizioni di Ta- cito, Aurelio Vittore, ecc. 261 Sefvhts Tidlius, si noslros seqidmur, caplivà na- tus Ocresia: si Tuscos, Caeli quondam Vivennae so- dalis fidelissinms, omnisqiie ejus casus comes , posl- quam varia fortuna exactus , cum omnibus reliqniis Caeliani exerciius Elruria excessity montem Caelium occupavit ( et (eiiim) a duce suo Caelio ita appellita- liis )^ mutaloque nomine^ nam tusce Mastarna ei no- men erati ita appellatus est, ut dixij et regnum summa cum reipuhlicae utilitale oblinuìl. 3. Stando pertanto a quel che in sì fatto pas- so è narrato, il vero Celio Vibenno (poiché gli al- tri un diverso, ed ora ignoto, nonne pensar conviene che avessero), dovrebbe supporsi vivuto appunto sot- to Tarquinio l'antico, ed essere stato a quel tempo un celebre condottiero d'eserciti,! sotto il quale co- mandava in secondo (com'oggi direbbesi) V etrusco Mastarna, chiamatosi più tardi in Roma Servio Tullio. 4. Giusta quello che oggi pur conosciamo della lingua etrusca, può credersi che, nel suo paese, ei si nomasse per iscritto Cele Vipena, o forse meglio Cueìe Vipna o Vipina', e in primo luogo Cele o Cuele, perchè le iscriziani oggi superstiti ci danno i deri- vati Celna (1) e Cucine (2); in secondo luogo Vipena o Vipina^ poiché, del pari, nelle epigrafi che i mu- sei ci han conservato, non è raro trovare, o que- ste forme medesime (3), o il primitivo Vipe o Vipi, (4) E posto che Claudio leggeva Vivenna, e la piiì (1) Lanzi Saggio, ecc., ediz. 2, voi. 2; p. 372. (2) Ivi, p. 339. (3) Ivi, — Indice 1. p. 202. — Vermiglioli, Iscr, Perug., cJlz. 2 Indice. (4) Lanzi, ivi. — Vermiglioli, ivi. Anzi Fipena stesso è letteral- mente etrusco, giacché l'iscrizione Cornetana presso il Lanzi, l'. 2 262 parie de' Latini tradiiceva Vihenna: bisogna dire che in etrusco il p di Vipna suonasse addolcito e can- giato in una labbiale rnen dura del latino p. Infine, considerato che in Toscana la forma del primo no- me può con gran verisimilitudine essere stata Ciieley par dedursene , che a torto il Niebuhr condanna come colpevoli di grave errore quegli antichi o mo- derni, i quali scrivevan Coelius in luogo di CaeliuSj attenendosi in ciò troppo scrupolosamente alle con- venzioni della ortogiafia romana di certo tempo. In- fatti è chiaro che Coelius è piìi vicino a Cuele di CaeliuSf 5. Ma, checché sia del nome, quanto alla sto- ria tutta intera di questa emigrazione , allorché si seguiti la tradizione etrusca, essa non è oscura. So- lo, per ridin-la convenientemente a maggior intei'ezza, é necessario premettere alcune considerazioni che al pensiero spontanee si presentano. 6. La nuda lettera del passo di Claudio insegna espressamente che Servio Tullio , il famoso re di Roma, non era altrimenti figlio della prigioniera 0- cresia, ma fedelissimo amico un tempo di Celio, e in tutte le vicende che questi ebbe , a lui compa- gno inseparabile. Dice essa di più, ch'ei non noma- vasi propriamente Servio Tuiho, ma Mastarna; (a) e che l'altro nome ottenne in luogo del suo proprio, pag. 246, ci offre nella sesta sede, non Fetena, come Io stampalo dà, ma f'ipenal. (a) Mastarna esso stesso mi dà indizio d'essere stalo un sopran- nome imposto in Etruria per rimprovcrarjjli la servitù; e dovreb- be aver avuto la stessa sijjiiilìcazioiie che il ialino »nas'«(/«;t da /ixao-Tif flaqrum, u certo da una voce tolta dallo stesso radicale per indi- care il flaqcUiUo, o il di'qno d^sser flattellalo. 263 dopo hi venuta a Roma, dove arrivò quando, cac- ciato dopo varia fortuna , uscì di Etrurìa cogli a- vanzi lutti del celiano esercito, ed, arrivatovi, oc- cupò il monte Celio, eh' ei primo a quel modo de- nominò in memoria ed onore del suo già capitano. 7. Con questo consuona (senza però aggiungere guari altre spiegazioni) in uno de' suoi passi Dioni- sio (!), allorché si fa a chiamare il principe succes- sor di Tarquinio l'antico, l^'v^vx»/ anoXvj,e Tacito (2) in un secondo passo dal quale altro supplemento non si cava, se non che, prima dell'occupazion toscana, il monte Celio chiamossi Quercetolano. A dispetto però d'un tanto laconismo degli autori, non è diffi- cile; ripeto, ampliare il racconto con più pellegrine notizie, che da una discussione accurata scaturiran- no. Proviamoci in questo aringo. 8. Ma prima si faccian precedere alcune ricer- che. Presso chi si ricoverò Mastarna cogli avanzati del celiano esercito ? Egli Etrusco si ricoverò presso l'etrusco Tarquinio, quel Tarquinio ch'era figliuolo di Damarato Corinzio , e che , a dir degli storici , alquanti anni prima di esso Mastarna, aveva egli pure emigralo d'Etruria con tutta la sua gente, mal pago degl' inutili sforzi fatti per acquistar parte nella do- minazione di Tarquinia , dove in dispetto viveva alle famìglie patrizie, che lo tenevano a vile come forestiero , o figliuolo di forestiero. Senza dubbio dunque il figlio di Damarato, ne'cui nuovi stati cer- cò Mastarna un asilo, aveva in Etruria dovuto es- (1) Dionys. Alle, HI, 65. (2) Ann., IV, 65. « Quel monte si disse per antico Quercetolano, perchè di querce pieno era e l'ertile- Fu poi detto Celio da Cele Vibenna, capitano degli Etruschi « Traduz. di B. Davansati 264 sere un nemico del patriziato indigeno, o delle fa- miglie lucumonie che gì' impedivano lo elevarsi , e per conseguente, aveva dovuto nutrirvi, e forse ma- nifestarvi, progetti di novatore politico, tendente a rovesciare l'antica aristocrazia, coH'appoggio natu- ralmente di que'che dell'aristocrazia non erano amici. 9. E qual uomo era il ricoverato, dico Mastarna. Secondo quello che anche la sua vita di re palesa, un nemico de'privilegi accumulati nella casta nobile, un che, appena fu in trono, fe'ben vedere quali i- dee gli bollissero in capo, avvegnaché mutò in Roma le leggi organiche di governo , sostituendo la così detta timocrazia all'aristocrazia, pubblicando ordina- menti molti contrari al poter dei patrizi, disponendo infine le cose a modo che, dopo la morte di lui la stessa dignità regale fosse scissa in due, menomata ne'poteri, e grandemente depressa: il perchè è voce che si guadagnasse quel suo nome nuovo di Servio Tullio, che è quanto dire il servile , cosi chiamato in latino ed in greco *. 10. Dunque Mastarna ricoverantesi presso Tar- quinio, e presto legato in intimità con questo, fino a divenirgli genero e successore nel trono , era di eerto un liberale etrusco, riparantesi presso un altro liberale etrusco. Sarà egli stato da sé diverso quando, prima di mettersi sotto la protezione del figliuolo di Damarato , era luogotenente di Celio ; aveva in Etruria combattuto sotto quest' ultimo ; aveva con esso vinto e poi perduto; avevalo nella buona for- tuna e nella cattiva seguitato con fedeltà inalterabile? * In latino Servius. in greco Sou'Xios. Vedi la mia operetta dei sette re di Roma, p. 56, nota e, e Dionys., IV, 1. 2()5 1 1 . È ebiai'o che no , posto che , dopo anche l'arrivo in Roma, tanto persiste nel riverire Celio , che, in memoria dell' intehce amico, mutò alla col- lina da se occupata il nome, dandole quello di esso amico, e chiamandola la collina di Celio, come per dire la collina dove il partito di Celio viveva an- cora. Le vecchie affezioni di partito durarono dunque in lui senza cangiamento, e perciò le idee che mo- strò dopo , furono per certo le stesse che le idee difese prima, finché con Celio era. Per altra parte le tradizioni etrusche, anche nella compendiosa for- ma sotto la quale a noi pervennero, parlano aperto. Celio e Mastarna ( Etruschi essi medesimi) levarono un esercito in Etruria, e non si dice contro qual estero nemico. Con che obbietto dunque lo levaro- no, se non con obbietto d'una guerra civile ? Essi etruschi, or vincendo, or perdendo, combatterono lungamente nella patria loro. Con chi, se non co'loro concittadini ? Sconfitti finalmente , e morto 1' uno de'due, dovette il superstite fuggire e ripararsi co' resti dell'esercito in paese forestiero, abbandonando per sempre la patria. Come ciò, se non fosse stato co'suoi dichiarato ribelle e proscritto ? 12. Una porzione dunque della storia può già essere restaurata. L' Italia centrale , ed in questa l'Etruria, era già matura per quel genere di politico mutamento che è la conseguenza della prospeiità nazionale straordinariamente accresciuta, e spargen- te le ricchezze a piena mano anche fuori della clas- se patrizia. Una quantità di famiglie doviziose, ma non privilegiate, cominciavano ad indispettirsi del- l'oligarchia esercitata , dalle famiglie degli otthnati 266 che, sole, quasi, fino a quel tempo posseduto ave- vane la pienezza de' diritti politici. Con queste fa- miglie, nuove probabilmente , cospirato aveva una prima volta Tarquinio l'antico, ma quella prima volta non si sa che grave fosse stato il commovimento: si sa solo che Tarquinio dovette uscire. Il fuoco però segui- tava a covare sotto le ceneri , o forse mandava sempre scintille: Tarquinio forse continuava a sof- fiarvi dentro. Infatti, non molti anni dopo, il ten- tativo fallito del Damaratide si rinnovò con piiì lena da Vibenna e da Mastarna, che riescirono a cresce- re in forze, e a tenere lungamente in iscacco il par- tito della nobiltà, finché, dopo un'ultima e solenne sconfitta, Vibenna fu morto , e fu il luogotenente costretto a ripararsi co'rimasti della sua truppa, al di là del confine toscano in paese amico, stabilen- do ivi da indi in poi la propria sede , facendosene padrone, ed introducendovi primo, o menandovi a perfezione di compimento le idee di governo , per le quali combattuto aveva in tutta la vita. 13. Questo è che si deduce da un preliminare esame del racconto di Claudio, confrontato colle al- tre narrazioni classiche relative a'personaggi de'quali in esso racconto si parla. Ma non perdiamo corag- gio , ed andiamo innanzi. Donde Celio e Mastarna avran preso le mosse , ed in che paese principal- mente vogliam dire che s'ordissero i fatti principali di che il bronzo lionese parla ? Io dico che ciò fu in Vulci 0 Vulcia, l'antica e poco nominata città, venuta a celebrità molto maggiore ne'nostri giorni, dachè le famose sue tombe tanto versarono sull'Eu- ropa dì maravigliosi monumenti, per opera del prin- I 267 cipo di Canino, fle'mai'chesi Candelori e de'signoj'i fratelli Feoli. 14. Più passi me lo persuadono, e prima uno di Properzio (1), che in nome del Dio Vertunno (o vogliasi chiamarlo , all'etrusca , Voltumna ) , il cui culto da Celio e da'Celiani fu in Roma trapiantato (2). canta: Tm cus ego e tiiscis orior , nec poenitet inler Proelia Volscanos deseruisse focos .... Al tu, Roma, meis trihuisli praemia tuscis, Unde hodie vicm nomina liiscus hahel: Tempore, quo sociis venit Liicomedius armis (3) Atipie sabina feri conludit arma Tati. Indi un altro passo di Virgilio (4), nel quale , come dicemmo , con fina ed occulta allusione al Ccler o Celes, capitano Romuleo de'Celeri, confuso esso ancora col nostro Celio, cosi favella: .... praemissi equiles ex urbe latini Tercentum , sentati omnes, Volscente magistro , Jhant, et regi Turno responsa ferebant. (1). «V, 4. (2) E lungo tempo dauhè, in un mio lavoro edito Ira gli OpuS' coli scientifichi e lederari di Bologna., per l'anno 1818, credo aver provato che il Vertunno di Properzio fa uno stesso dio col f'oltumna del fanum Foltumnae, presso Livio IV, 23, 24, 25, 61; V. 17: VI, o •> (3). Feste fa Lucomedius sinonimo di Lucer. Più manifestamente è sinonimo di lucumn , o piuttosto è un innesto del greco Xo'-yof, da un cui analogo nome toscano discende probabilmente lucumo, e dell'osco medix, c|uasi Xoyo -medix. (4). JEn., IX,, 367,. .. i. I 268 Finalmente un terzo passo (l'Ai'nobio(l) in cui co- sì è scritto: Quid ? quod multa ex his tempia, quae tolis sunt aureis, et sublimibus elata fastigiis, auclorum conscriptionibus comprobantur contegere cineres atque ossa , et functorum esse corporum sepultiiras ? .... Sed quid ego haec parva ? Begnatoris in populi capitolio, quis est hominum qui ignoret Oli {al. Toli) esse sepulcmm vulcentani ? Quis est, inquam, qui non sciai, ex fundaminum sedibus caput hominis evo- lutum, non ante plurimum lemporis, aul solum sine partibus ceteris, hoc enim quidam ferunt , aut cum membris omnibus humationis officia sortitum ? Quod si planum fieri testimoniis postulatis auctorum, Sam- monicus, Granius, Valerianns (f. Valerius Antias), vo- bis, et Fabius indicabunt, cuiiis Aulus (al. Tolus) fue- nt filius, gentis et nationis cuius, ut a germani ser- vulis vita fuerit spolialus et lamine: quid de suis commeruerit civibus, ut ei sit abnegata telluris patriae sepultura. Condiscelis etiam, quamvis nolle istud pu- blicare se finganl, quid sit capile reseclo factum, vel in parie qua rei curiosa, fuerit, obscuritale, conclusuni, ut immobilis videlicet, atque fixa obsignati ominis perpetuilas starei. Quod cum opprimi par esset , et vetustatis oblileralione coelari, composilio nominis jecil in medium, et, cum suis causis, per data sibi tem- pora, inexlinguibili fedi testificatione procedere. Nec erubuit civitas maxima, et numinum cunctorum ctdtrix, cum vocabulum tempio darei, ex Oli (al. Toli) capile, Lapilolium, quam ex nomine Jovio, nuncupare. (1) Centra genles. Edit. Lugd. Balav., 16S1, lib. VI, p. 194. 269 15. I tre passi apparentemente non hanno al- cuna stretta connessione o dipendenza tra loro. La sola cosa comune che mostrano è un paese Videi o Volsci, dal quale chiaramente, s'io non vado erra- to, il lucumone soccorritore il Romolo in più d'una battaglia, recò in Roma il culto il Vertunno; il ca- pitano de'trecento Celeri andati a Turno, trasse il nome; ed Olo o Tolo, sepolto nelle fondamenta del Campidoglio, ebbe l'origine. Ma, quando vi si guar- da dentro più sottilmente, si vede che la relazione loro scambievole è più intima di quel che a prima fronte non pare. Discorriamo innanzi tratto del pas- so di Properzio. 16. Il poeta umbio (lasciato da parte l'anacro- nismo in che è caduto) evidentemente parla , non tanto del soccorritore di Romolo, ciocché per esso poeta è circostanza accessoria, quanto del fondatore della colonia tosca sopra e sotto il Celio, i cui fati ci son descritti sommariamente da Varrone(l). Per conse- guente non cade in controversia l'identità della perso- na da lui mentovata con quella menzionata nel bronzo lionese (2). Or donde, a senso del versificatore, il capi- tano da lui ricordato seco trasse il dio toscano od il culto del medesimo ? Properzio nomina Volscanos focos; e i manoscritti offrono qui per solito le va- rianti Volscanios (che non può stare a cagione del metro), Volscinos o al più Volsanos ch'èilraen frequente. (1) De L. L. V.46. (2) Da un altro lato, se dell'anacronismo vogliam locfiare alcuna cosa, come può allribuirsi all'età romulea (quando la città era tut- tora in infanzia) il grande accrescimento che necessariamente hassi a dire averle aggiunto la occupazione del Querquetulano e delle adiacenze di esso dai fuorustici toscani ? 270 I filologi, in un tempo in cui non si parlava guari della città Videi , s' argomentarono che avesse a correggersi Volsinos^ com'è in qualche raro codice. A me par chiaro e lucido che non c'è nulla da correg- gere. Volscinos 0 Volscanos é regolarmente l's'^votiv di Volsci , forma arcaica del nome Volci o Vulci , colla s epitettiea , come in Casmena , Pesna , Du- smosust CasmiUdi Cesila^ ScesHa^ ecc. (1) Pro[)erzio che ama queste singolarità, e che, al comune /«- cnmoy sostituisce liicuìnecliiis e liicmon, poteva ben permettersi un tale arcaismo. Avrebbe dovuto dir Vulcientes, ma nel verso non istava. Dicendo Vul- canos o Volcanos, faceva equivoco colla denomina- zione del dio del fuoco. Scelse dunque V antiquata forma Volscanos^ che forse non era nemmeno anti- quata; essendo assai probabile, in primo luogo, che la città Vulcia, fondata prima della formazione della lega tusca, prendesse il suo nome dai popoli Volsci, ed essendo in secondo luogo non men verisiniiie , che i Vtdcienti, fatti latini, quando volevano varia- re r addiettivo esprimente la lor patria , dandogli terminazione in amis, usassero frapporre quella s [ter la ragione sopraddetta di fuggire la confusione pos- sibile col nome della divinità. E senza ancor lutto questo, la foiina Votsci, per Volci o Viilci, e quindi la forma Volscinos o VolscanoSy è per così dire, au- tenticata da una testimonianza più positiva , alla quale, per vero, non si è fino ad ora atteso, ch'io mi sappia: e questa è l'autorità dello Pseudo-Cor- (1) Vedi Lanzi, Saggio, ecc., voi. I, p. 94, n. 7. 271 nuto, antico scoliaste di Persio (1), il quale scrisse: Trossulmn oppidum fuit Hetrwiae, non longe a Vol- scis. Hoc equites romani expiignaverunt, Numio (Mum- mie ?) qiiodam duce, linde equites romani Trossidi dicli sunl. Dove inutilmente gli eruditi correggono al solito Volsiniis, non essendovi alcuna buona ragione per non veder qui la Vulcia delle moderne scoperte, di nuovo, scritta sotto l'arcaica forma, al cui terri- torio l'ignota Trossulo per conseguenza appartene- va (2). Che se tutto ciò s'ammette, già di qui e con- verso può trarsi un nuovo argomento a sostenere che il capitano Vulciente a dirittura, o Volscano, od originario almeno di Vulcia, non dovette essere con- temporaneo di Romolo, come malamente Properzio dice, ma sì d'uno degli ultimi re , troppo essendo lontano d' ogni versimigliante che alla Koma Ro- mulea, paese d'importanza minima, o assai mediocre, a traverso di mezza la Toscana , giungessero soc- corsi capitanati da un lucumone delia discosta Vul- ci, e cento volte piiì simile alla verità essendo, che il supposto lucumone di quella età si remola, ve- nisse da più vicina contrada, per esempio, dalla So- lonio tra Lavinio ed Ardea, da cui, con assai più probabilità fa venirlo Dionigi (3), comechè, colla solita audacia loro, voglian qui pure gli eruditi sostituiie al lolcoyiov dell'Alicarnassense , o ITsttXwvj'su, ovvero OveroXojvicy pel frivolo motivo che Solonio non era toscana, quasiché in quel tempo non vi sian le buone ragioni che pur dicemmo, per credere, che la parte, (1) I., 82. (2) Plinio airerma però Trossulum fuisse citra Folsinios. 33, 2, 9. (3) 11., 32. 272 almcn littoinle, del paese de'Rutuli e de'Latini, al- TEtruria obbedisse (1), e quasiché, quando rispetto a Solonio qualche cemento sia da fare, meglio non valga supporre che qui d'un'altra Solonio si parli, per esempio di quel pagiis Solonius ch'io voglio sup- porre indicato occultamente in un passo di Macro- bio (2), dov'è detto d'Acca Larentia, post excessum sunm populo (romano) afji'os Turacem , Semurhim , Lutirium et Solinium reliquisse. In fatti, chiaro è che dee qui parlarsi di campi limitrofi a Roma (e pro- babilmente trasliberini, posto che Acca è detta mo- glie d'uà Carucio, o Tarucio tnsco), ed è lecito pen- sare che i nomi siano pivi o men corrotti; tra i qua- li però (checché sia degli altri) , il meno guasto é certo l'ultimo, in cui, col solo cangiamento d' una vocale SoUnius di leggeri si riduce a Solonius. 17. Venendo ora al passo virgiliano, innanzi di prendere a cementarlo, è forza ricordare che il poeta dì Mantova, lolhis Italiae curiosissimiis, come Ser- vio lo chiama (3), ebbe in costumanza nell'Eneide, a detta de'suoi comentatori , di alludere perpetua- mente co'suoi finti racconti e personaggi all'antica storia (4), e soprattutto a quella di Roma, posto che (1) V. ne'mìei frammenti sul Seltimonzio, tle'quali una parte fu nel 1841 edita in Pisa. (2) Saturn., I. 10, voi. I, 243. — Ib test., |p. 2i5. Pomonal est in agro Solouio, via ostiensi ad XII lapidem deverttculum , a miliario octavo. (3) In Mn,ì, ^A.Totius Italiae curiosissimum fvtisse Virgilium rnultifariam apparet; e I. 246, Jmat poeta rem historiae carmini suo conjungere. (4) Serv. in ^n, .VII. 713. Scimus amare Virgilium historia- rum rem per transitum tangere. A. Geli. V, 12. Firgilium quoque 273 inlitolar voleva da principio il suo poema: Gesta po- poli romani (1). E che a si fatto costume siasi ugual- mente voluto attenere ne'versi da noi citati espres- samente Io afferma il lodato Scoliaste, il quale, co- minciando dal ravvicinare i versi stessi ad altri del libro decimo (2), in cui Celeresque latini son detti que' che prima eran solo qualificati colla generica espressione, Tercentum equites, annota indi, in am- bidue i luoghi, ch'è quivi allusione appunto ai tre- cento cavalieri di Romolo, nomati Celeri, ed al ca- po loro Celer (3), di cui parlano tutte le cronache. Or questo Ccler dal poeta e detto Volscens , come il Celes di Properzio è detto venuto dai Volscani. Dunque il poeta, o per liceuza poetica, o proflttan- tando d'una delle tradizioni che andavano in giro, ha prima fatto del Celer e del Celes Romulei una persona stessa, e trasformò poscia, per quell'amor suo notissimo alle allusioni occulte ed erudite , il soprannome tiatto dalla patria col nome proprio del ajunt multae antiquilatis sine ostenlalionis odio periHtm Serv. in Ae. , 11., 683. Tangit . . . , ut frenqiunter diximus, latcntcr histo- riam — VII, 601. Carmini suo., ut solet, miscet historiam. ecc. (1) Serv. in Aen. VI, 752 (2) 604. (3) Celer non differisce da Celes all' esterna apparenza , posto che la r e la s facilissimamente una coll'allra si scambiano. V'è una differenza più occulta e più notabile nella quantità della prima sìllaba lunga in Celes, (Caeles) , breve in Celer, ma convien dire che non in tutte le bocche suonasse questa differenza , e , ad un poeta, basta incontrare un idiotismo locale, perchè si dia diritto di raccorlo a proprio beneficio, se ciò jjli cada in acconcio. Oltre di che è a tener conto delle differenze tra l'età remotissima e la più nuova , non obbligate entrambe a persistere, nella pronunzia d'una sillaba, sulla stessa quantità. G.A.T.CXXXYIII. 18 274 capitano latino o rutalo da lui finto a similitudine del capitan romano, e venne con ciò a fornirci una prova di piii che quest'ultimo era comunemente te- nuto come provegnentc da Vulcia. 18. Resta che sottoponiamo a discussione il ter- zo passo relativo al supposto teschio di Olo, Aulo o Tolo, del quale Arnobio ci offerse la leggenda, co- piata ne'perduti libri de'più antichi cronisti, come- chè gli storici posteriori sdegnassero di registrarla. E sia pure ch'essa nella bocca del popolo siasi tra- sformata in una favola immeritevole d'ogni fede. Una singolarità però si ravvisa in questa favola, ed è d'uopo ricordarla. La favola, rispetto ai connotati di tempo, di paese, di particolarità , offre rapporti strettissimi colle tradizioni etruscbe relative a Ce- lio. Qui pure è un oriundo di Volci [Volcentanus , derivato di Vulciens, con ortografìa più regolare e meno antiquata), che di là viene a Roma, comechè tra le due città sufficientemente fra loro lontane, e separate per altri stati in teiposti, frequente non do- vesse essere, quando Romolo viveva, il caso di si- miglianti viaggi pe'vivi non che pe'morti. Qui pure dal tutto insieme della leggenda, o delle leggende, si capisce che tiatlasi d'un proscritto; uno , pro- babilmente, per ciò medesimo, messo a morte da' servi del germano, presso il quale pare che si fosse ricoverato dopo la proscrizione; uno del cui corpo fu fatto scempio, ed al quale, dopo lo scempio fu con pubblico decreto interdetta la sepoltuia nel suolo patrio, come poco diversamente, salvo alcu- ne speciali circostanze, dovette essere stato de'Ce- liaui. Qui pure è identità nell'epoca, il fatto es- I 275 sendo accaduto sotto i Tarquinii , e secondo al- cuni, sotto il Prisco (J), siccome dicemmo esse- re stato dell'emigrazione di Mastarna e del suo se- guito. Qui pure finalmente, per una singolare co- incidenza, uno de'nomi di che dalla tradizione è gratificato il sepolto nel Tarpeio, è Tolo^ che, re- stituito air arcaica sua forma , divien di leggieri Tuliis (2), e per conseguenza Tulhis (3) , o il suo derivato Tidliits, e quindi un nome, col quale di- cemmo i Celiani in generale essere stati qualifi- cati dai vincitori etruschi, come per dir i servili, in ragione della rihellion loro centra il patriziato. E voglio concedere che il principal fondamento di tutta la narrazione non in altro stesse che in una falsa etimologia della voce Capitolium. Quindi vo- lentieri restituisco oggimai la verità nel luogo della favola, ed accordo che il Campidoglio fu così no- mato dal capo del monte, non già da quello d'un sognato Ola, Aulo o Toh. Infatti di caput (cima) un derivato regolare è capitulum; e di Gapitulum (piccola cima), un altro non men regolare derivato è capiloUwn, che viene a suonare (in forma d'ad- diettivo, preso al neutro con senso di sostantivo) il luogo della piccola cima; laonde non v'è mo- (1) Isidor. Org. XV, 2, 31, copiato da Rabano Mauro, Op- omn. Colon. Agrip. 1626, voi. I, p. 194. Né per verità può esser diversamente, perchè fu il Prisco (juegli il quale preparò il monte facendo intorno palificate, qua abbassando, lì) alzando, ecc. (Dionys. in, 69), e cosi lutto dispose all'abbandono del Capitolium vctus. (2) h'o e I'm si considerano come la stessa vocale. Vedi i miei discorsi, e Lanzi, op. cit., voi. I, p. 95, n. 2. (3) Il raddoppiamento delle consouauli fu d'un uso più tar- do. Lanzi, voi. I, p. 91, n. 3. 276 tivo iegittimo a ideare una seconda radice Olm o Tolus. Ma ciò non fa men vero che, immagi- nata una volta la falsa etimologia, e supposto quin- di che la cima del monte preso avesse la deno- minazione dalla testa d'un decapitato, ivi trovata mentre il fondamento si scavava del tempio da er- gervi sopra più tardi, non potesse attaccarsi a que- st'ultimo fatto (vero o fittizio anch'esso che si fosse) un pezzo d'altra storia più reale, la storia, dico, che chiaramente apparisce tratta dai fasti dall'av- venimento della colonia tosca mentovata di sopra ^ che gli autori citati in Arnobio riferirono. 19.. B, per avventura, non è difficile indo- vinare come un tale innesto accadesse. Pongasi che nel primo fondare il tempio, e nel cavare la terra a quest'uopo, eseguitosi perciò, come la tradizione pur narra, il distruggimento d'edicole e di sepol- cri (1), venisse fuori da uno di questi ultimi ve- ramente una testa di decapitato, men guasta da corruttela, ciocché non è né impossibile, né inve- risimile. Allora gran parlari si saran fatti dal po- polo, i quali avranno avuto due oggetti: 1°. Quel- lo d'indovinare il presagio che da si fatto trova- mento avava a cavarsi a legge d'aruspicio; 2°. Quel- lo di risapere a chi appartenuto avesse il capo trovato. E quanto al primo oggetto, qui non im- porta cercare la parte che può esservi di verità 0 di menzogna, nell'ambasceria che si narra man- data ad Oleno Caleno; negli ultimi consigli che gi narrano dati dal figliuolo d'Oleno, Argo (forse (ì) Fra gli altri il sepolcro di Tarpeia (Plutarco, in Romulo 18). 277 Archon, o Tarchon)y nello sdegno del padre; nella fuga d'Argo; nella uccisione di questo per man di quello presso il luogo detto Argileto, ecc. Ma, quanto al secondo, se fresco era in quel tempo il caso de'fuggiaschi toscani arrivati a Roma, eo'resti probabilmente d'alcuni morti loro più illustri, cer- tuni de'quali ricuperati forse dopo il supplizio sof- ferto a comando de'vincitori nemici, niente ha dello strano e dell'incomprensibile cho, al primo tro^ vare di quel così fatto capo, e'fosse creduto la testa d'uno dc'principali decapitati d'Etruria, pri-^ ma sottratta, e poi quivi consegnata alla terra per cagione di più onoranza. E tanto meno la nascita di questa popolare opinione dovrebbe parere stra- na ed inconcepibile, se fosse poi vero quel che Isidoro positivamente asserisce, nel luogo già dà noi citato, che il capo aveva marchio in lettere etrusche (certamente infamante in questa ipotesi , ed impresso per cura de'nemici, a'quali la decapi- tazione fu dovuta). E forse in si fatto giudizio il popolo non s'ingannava, ma coglieva nel segno. In qualunque supposizione però, premesse le pre- cedenti cose, già è naturale che, determinata una volta^ pur solo per conghiettura , la provegnenza' d'esso capo, a quello s'applicasse, a torto o a dritto tutta una storia tratta da' fasti della emigrazione celiana, e dalla fama de'casi di qualcuno de'più il-^ lustri emigrati, o forse di Celio stesso: con che la tradizione intera avrà guadagnato la forn>a sotto la quale a noi pervenne mutata dal tempo nel so- lo particolare del nome, che probabilmente appel- lativo in origine, si trasformò indi in pvoprio,^ (A 278 ancoia da principio non si pronunciò in alcun mo- do, o si pronunciò in guisa tutta diversa da quella che ci fu trasmessa, e solamente col lungo vol- ger de'secoli, per la falsa etimologia di CapitoJium da noi già ricordata, venne ad assumere la clas- sica presente sua forma. 20. Ma, se tutto questo è, a qual conseguenza ul- tima s'arriva? La conseguenza mi par manifesta? Si ha qui una terza autorità, da cui si raccoglie che, quando si parla della colonia toscana , e di Celio , e della emigrazione di Mastarna , è cosa quasi costante il trovar che si parli di Vulcia, come del luogo don- de Celio o fu, 0 mosse, e donde i compagni di lui vennero Per lo che bnstantemente provato mi par dunque , che Vukia e i dintorni di quella città , il luogo fui'ono dove la celiana rivolta ebbe il suo fo- colare ed il suo principal fomite. 21. Rèsta ora un'ultima, ma capitale ricerca. Tarquinio fu egli estraneo a questa rivolta, nata e prin- cipalmente fomentata , in un distretto al tutto li- mitrofo alia città , dalla quale egli primo venne in Roma, in un tempo poco anteriore 1 ? Appresso a un ben ponderato esame, io son venuto nella opi- nione che non sia lecito il non crederlo. Le antiche e strette relazioni che Tasquinio ebbe, se non con Celio, almeno con Mastarna, innanzi ancora che que- sti a rivolte pensasse , chiare emergono in mezzo all'oscurità delle tradizioni concordi sulle origini di esso Mastarna. Presso a poco ogni tradizione è con- ila Vulcia e Tarquinia si toccano co'Ior lerrilorii. Una cillà non era ioutana Jall'allra \>\ù clic poche ore di cammino. 279 corde in farci conoscere eh' ei fu procreato e cre- sciuto presso il Datnaratide. Una di esse tradizioni lo dice figliuolo d'una sei'va di Tarquinia (1), e d' un clientelo del figliuol di Daniaiato. Interpretato benignamente , e tolta la figura d'estenuazione che la malevolenza della nobiltà etrusca in ciò avrà po- sto , questo vuol dire eh' egli era nato di famiglia non nobile, e dipendente dagli esuli di Corinto. Né certo questa nascita dovette accadere nel modo che i Romani falsamente vantavano, Così almen dobbiam dire, dachè abbiamo accettato con la più parte de- gli storici moderni , come perno delle nostre opi- nioni storiche sul conto di Servio Tullio, il raccon- to del bronzo di Lione. Per altra parte , ho io, se non m'inganno, categoricamente dimostrato in altfa occasione, che tutti i dati cronologici della biogra- fìa volgata relativa a'Tarquini sono sbagliati (2). Non è dunque verisimile che Mastarna si gettasse a capo perduto nella intimità, e tra le turbolenze di Celio senza l'approvazione e, vorrei dire, senza i consigli della famiglia potente, sotto il cui patronato o pa- trocinio sempre egli co' suoi paiono essersi per lo men riparati; a cui ricorse dopo le sue disgrazie ; appo cui trovò asilo, e più che asilo; o , per me- glio dire , appo cui potè riprendere , prima come subalterno, e più tardi, come successore, in proprio nome, a proprio vantaggio, e con più successo, le ostilitò contro l'Etruria, che la storia non ci tace. (1) Cic. de Rep., 11., 21. (2) V, De'sette re di Roma., p. 25. e seg. 280 22. Per vere, più che si guarda addentro, più eiò par manifesto. Tarquinio , il suocero , in ogni tennpo , è tanto simile al genero , che tutti e due non altro paiono, se non la continuazione d'una stes- sa ed identica persona politica , abilmente intesa a profittare per la propria utilità, e un po'ancora per la pubblica , delle disposizioni dagli uomini e de' tempi. 23. Sino all' epoca in che il suocero entra in iscena, si può credere che in Ftruria , senza grave contrasto, si mantenesse l'antica costituzione, regi- strata nerilnales libri , di che Festo parla (1). Da per tutto l'ordine de'lucumoni, e delle famiglie lu- cumonie , prevaleva e dominava. Da per tutto gli Elruriae principes appaiono usurpare il monopolio de'poteri. Magia, nel tempo dell'emigrazione di Da- marato, altri bisogni nascono , e i bisogni creano semi di discordia intestina Evidentemente l'univer- sale, e troppo già lunga, prosperità de' dodici can- toni confederali , e de'paesi alleati o soggetti, pie- ni d'industria e di ricchezza, aveva, in ogni luogo, già fatto nascere, all' infuori delle case patrizie, co- lossali fortune e proporzionate ambizioni. 11 figliuo- lo di Damarato trovò dunque tutto il paese pre- parato a secondarlo, s'egli, ascritto, per vero dire, all'albo de'privilegia ti di Tarquinia (senza di che non (1) Pag. 233. Ritualts nnminantur Elruscorum libri, in qvi- bus praescriptum est^ quo ritu condantur urbes, aedes sacrentur , (iua sanciilate muri, quo jure porlae, quotnodo tribus, curine, cen- turiae dislribuanlur, exercitus constituantur, ordinentur- ceteraque ejusmodi ad bellum ac paeem perlinenlia. 281 avrebbe con una di esse potuto imparentarsi)(l) , ma tenuto in minor conto, come forestiero d' ori- gine, quantunque ricchissimo, avesse voluto, appog- giandosi ai ricchi non privilegiati , farsi scala del loro appoggio per salir più alto. 24. La storia non diee che lo tentasse con le armi alle mani, finché restò in Etruria. Se dunque lo tentò, ciò s'ignora oggi: ma pensò per lo men« a questo appoggiu, e riservò d'adoperarlo al tempo in cui si sarebbe già traslocato in un paese piiì a proposito per mettere ad esecuzione i suoi progetti. 25. Guardando intorno di sèy vide fuori dell'E- truria il piccolo stato del Settimonzio , assai belli- coso nella sua piccolezza , ma teouto a vile dalle nazioni vicine, e specialmente dalla sua. Lo consi- deravano come le sentina degli altri Stati limitrofi, paese di venturieri fin dall' origine. Le molte sue guerre sino a quel tempo combattute , e le altre che poi dovette combattere , mostran chiaro che non aveva ancora potuto riuscire ad essere siabil- mente g pacificamente ricevuto nelle grandi leghe sa- bina e latina^ poiché della inclusione nella lega e- trusca non s'era ancora nemmen parlato. 1 suoi due ultimi re, senza dubbio, dalle tre confederazioni che testé nominavamo» e specialmente dall'ultima, erano stati chiamati per dispiegio, uno TìdluSy l'altro An- cus , per le cagioni medesime per cui Mastarna fu detto più tardi Servius Tullius, nomi che, al suc- (1) E (|iic.lo spiega percliè, meulre Maslarna, suo successore al Irono, è chiamato Servius TuUius (il servile) , dal patriziato si latino che etrusco, Tarquiiiio non ha potuto esserlo- \ 282 cessivo prevalere della nobiltà, rimasero con 1' ac- compagnamento d'altre svantaggiose riputazioni, sic- come quelle, per cui di Tulio fu detto (1): Incuna- bula Tulli Hostilii agreste tngurium coepit. Eiusdem adolescenti a in pecore pascendo fuit occupata: e l'al- tra per cui d'Anco fu vociferato ch'egli era nobile una imagine matris (2). Così nessuna contrada più di quella era opportuna a mettervi sedia, per dare quivi buon cominciamento , e migliore avviamento a trame contro alle oligarchie , per le quali allora si governava lutto quel tratto d'Italia. 25. Scelto il luogo , non è da credere che , in modo al tutto fortuito e non bene e maturamente predisposto, si fosse potuto a quello andare ed ef- fettuare il travasamento delle persone e delle sal- mei'ie, le qnali appartenevano a una tanta famiglia com'era allora la famiglia de'Corinzii. Rispetto al paese dell'andata, dovettero procedere trattative per fai'si degnamente ricevere, anzi per farsi unicamente ricevere. E rispetto al paese che voleva abbando- narsi , dovettero prendersi de' provvedimenti per- chè l'egresso non fosse impedito. Gli usciti, è forza ricordarlo, non erano [jochi, o di piccol momento. 'EyE%)>TQ ài dice Dionigi (3) , ci ovv àvrcò dnalpsoj TipoSu/xvjSsjTsg cu/va ( Molti con esso a partir di buon animo si disposero ) ... e la turba si compose non di soli domestici, o clientoli (otac/'^v), ma di al- tri amici ancora ed aderenti ( ''^'^v «XXwv cpi'lcojy I- (1) Val, Max. Ili, 4, 1. (2) T. Liv., 1, 34. — Vedi ancora Scn.; Ep. 108. — Cic. de Rep., 11, 18. (3) 111, 57. I 283 noltre tutti parlano di grandi ricchezze. A'que'tenipi una delle genti ammesse nel libro d'oro , per pic- cola che fosse l'influenza, la quale le si accordava, non emigrava tutta intera se non per fatti politici d'alta importanza. Ma checchesia della guisa con che s'adattarono tranquilli ed indifferenti, o non s' adattarono, i Tarquiniesi alla partenza de' Damaratidi dal suolo etrusco, certo è che, per paite de'Roma- ni, il ricetta mento , a tutti i segni si mostra pre- parato di lunga mano, e disposto secondo le con- venienze dell' illustre forestiere. 25. Diventò egli subito, al dir di Cicerone (1), presso al re che lo accolse , consiliorum omnium particeps , et socias poene regni ; e diventò , dicon tutti, uno de'generali, e il principale. Gli storici classici, i quali han disposto de'tempi a loro gra- do, pretendono, egli è il vero, che ciò non fu fat- to in un subito, ma dopo qualche anno: abbiam però già notato di sopra che in tutta questa di- stribuzione degli anni, essi mentono abitualmente per la gola. Replico: una gente intera di tale im- portanza, qual fu quella della gente Tarquinia, o vogliasi dire Tarrazia, non s'avventura ad entrare in paese nuovo e nemico, senza stipulazioni pre- ventive, delle quali si può presso a poco indo- vinare il tenore a priori, e a posteriori. Da un lato il re Anco era ambizioso (iactantior A.ncns (2), dice Virgilio), e amava ingrandire il territorio del suo piccolo regno , alle spese della Toscana , se (1) De Rep., H, 20. (2) Aen., VI, 816; — Vedi pure Sidon. Apollinar., Epist, V, 7. 284 fosse stato possibile, come del resto rovento Io prova certo soprabbondantemente: ma non poteva con- fidarsi di riuscire in un talee tanto intendimento, se non profittando abilmente degli elementi di discordia in- teriore, i quali erano nella Toscana stessa. E forse di questi mezzi medesimi s'era valse per occupa- re il trono romano, cioè profittando degl'interni dispareri in Roma stessa. E probabilmente, s'era ei medesimo fatto forte del partito popolara, e messo cogli aderenti alla democrazia; poiché non solo i posteri lo chiamarono, come vedemmo, Ancus (il servo), ma di più Virgilio medesimo (1) lo disse nimium gaudens popularibus auris. Da un altro lato Tarquinio allora anelava a vendetta contro a'suoi concittadini che lo ributtavano , come egualmen- te l'evento lo mostra; ma da se solo poteva po- co, se non cercava d'unirsi, e agli altri malcon- tento del paese proprio, e a qualche principe de- gli esteri e confinanti, il quale potesse trovare il suo interesse in una così fatta unione. Or, par- tendo da questi principi!, e illuminandosi un po'alla luce de' fatti positivi che dà la storia , qual pur giunse fino a noi, si può presso a poco indovi- nare il tenore del sinallagmatico contratto, forma- lo allora tra il re romano, gli emigrati di Tar- quinia, e i malcontenti d'Etruria. 26. Conosciuta la facilità, con la quale pic- cole città poste, rispetto alla Toscana, al di là del del Tevere, or s'ottaccavano alla lega etrusca, or alla latina, ora alla sabina, or forse all'umbra (2), (1) Loc. cit. (2) Fideiie, Farto di Feronia, Politorio, Crustumerio^ ecc. 285 si può credere il primo patto essere stato che, vin- cendo la lega, Roma sarebbe stata compresa nella confederazione etrusca, probabilmente associata al numero d'uno de' dodici stati prineipali , o forse sostituita appunto a Tarquinia: e, ciò che sembra crovare un tal patto, è che, da indi in poi, fino a Porsenna inclusive, una dinastia incontrastabil- mente etrusca si stabilisce nel Settimonzio, e a tutta Toscana stende la supremazia. 27. Un secondo patto par che fosse la giunta da farsi al territorio romano d'una lunga fetta al di là del Tevere, dal Vaticano al mare, cosicché a Roma dovessero principalmente appartenere: 1°. il Gianicolo da porvi presidio , e da unirlo alla città per mezzo d'un ponte di legno, che potesse ad ogni occorrenza, facilmente essere tolto e ri- mosso; 2°. tutto il corso del Tevere fino all'im- boccatura, nella quale potesse fabbricarsi un co- modo porto 0, come dicevano, un navale; 3°. la selva Mesia a rifornire i cantieri; 4°. finalmente le saline. E questo pure si raccoglie da quel che ia- fatti presto si vide eseguito. 28. Un terzo patto può dirsi essere stato l'ac- cettazione di Tarquinio come crede del trono in Roma, alla morte d'Anco, e come maestro de'ca- valierio durante la vita di quel re; di più l'accet- tazione d'una parte di popolo etrusco da aggiun- gere agli indigeni con un proporzionato accresci- mento di senato e di cavalieri: di che però l'a- dempimento avesse a subordinarsi al successo, co- me di fatti si scorge essere avvenuto. 29. Finalmente un quarto patto non può non 286 aver riguardato gli aiuti reciproci da darsi per par- te del re di Roma, ai malcontenti d'Etruria, e per parte di questi, al re di Roma, a fine di abbattere in Toscana l'oligarchia delle famiglie lucumonie d'antico ceppo, e di secondare nel Settimonzio le mire d'ingrandimento del principe che vi domi- nava. 30. Tali credo essere state presso a poco le stipulazioni; e ciò che si sa dalla storia è con questa supposizione in pienissimo accordo. Innanzi tratto però distruggiamo una difficoltà, la quale, se restasse in piedi, avrebbe forza d'abbattere dalle fondamenta tutto il nostro edificio laboriosamente costrutto. 11 Niebuhr, facendo sua un'opinione stata già del Dacier, pretese negare a Tarquinio la con- dizione di Damaratide e d'etrusco, e volle supporlo d'origine assolutamente latina * , per cagione del suo soprannome Priscus, ch'egli giudica tolto, ap- punto col Dacier, dalla nazione dePrisci o Gasai. Ma io chiedo a chicchessia, se sopra un sì frivolo argomento, si può togliere al capo della dinastia toscana la sua nazionalità evidente, ed attestata da quanti sono antichi, per dargliene un'altra al tutto diversa. Quanto a me, in primo luogo, io nego che Priscus e Casius siano mai stati essenzialmente e primitivamente nomi proprii di popolo: si bene af- fermo che il loro significato naturale essondo, il vec- chiOf Vantico, furono si fatte paiole applicate po- scia ad uno de'due rami del popolo latino , cioè al ramo il più vetusto, senza però perdere, dopo * Hist. Rom. voi. 2, pag. 96 e seg. 287 di ciò, la loro significazione originaria. Infatti, se così non fosse, non si rarebbe variato nel chia- mare questi primigenii latini, or Prisci, or Cascia come appunto si varia quando solo si tratta di epiteti: oltre di che, se qui ci fermiamo a par- lare del solo vocabolo priscus, il quale unicamente ora c'importa esaminare, chiara è l'etimologia del medesimo da pris^ donde par si derivasser pn'yws, privigmis, prior, primus , pristinus ... In secondo luogo io considero che, se in Tarquinio il Priscus fosse stato cognome, avrebbe esso dovuto passa- re agli uomini della razza di quel principe, cioc- ché non fu. In terzo luogo, io domando perchè il valore che il Niebuhr concede con tanta gene- rosità alla significazione etnica di Prisctis, vuol egli negarlo alla significazione etnica di Tarqidnius, la quale è ancora men disputabile, e con molta più evidenza suona quanto il Tarquiniese ? In quarto luogo, chiedo, come, nella supposizione della no- zionalità latina di Tarquinius, a lui con tanta co- stanza trovinsi associati un nome lucumon, e una consorte Tanaquil evidentemente etrusca, rispetto al cui secondo nome Caia Caeciliai penso inoltre aver bastantemente detto , in altra opportunità , quel ch'era a dirne *. In quinto ed ultimo luogo, udrei volentieri da'Niebuhriani che s'abbiano infine a ri- spondere a quel che altrove del pari credo aver dimostrato del più vero nome di esso Tarquinio che fu TarraUus; dell'anacronismo pel quale il re- gno del medesimo fu tratto ad un tempo più re- * Dei sette re di Roma, ecc., p. 24 e seg. 288 cente di quel che non occorreva; e di tutti gli al- tri aigomenti pe'quali la contemporaneità a Cipselo od ai Cipselidi, per una parte, e il legname con l'Etruria, per l'altra, son fatti, secondo che m'è sembrato, evidenti. Aspettando pertanto che le mie ragioni in difesa dell'opinion comune sian conve- nientemente abbattute , a far adito alla singolare sentenza di quel dotto, che col debito rispetto, presi a confutare, io tengo per ora la difficoltà ch'egli mosse come distrutta, e omai rannodo più lieto il filo interrotto del mio discorso. 31. E qui confesso ch'è difficile indovinar la verità nella seguenza degli avvenimenti; tanto sono scarse le indicazioni della storia superstite. Primi si veggono romper guerra i Latini e i Sabini, for- se perchè sentore ed avviso, più o men veridico era ad essi giunto degli accordi fatti tra re Anco, Tarquinio ed i suoi partigiani; forse perchè con- trastavano al re del Settimozio, vale a dire, d'un pae- se stato fino a quel momento sabino-latino, e le- gato con certi vincoli a'iatini ed a'sabini, il diritto di accogliere in seno, a condizioni sospette, un elemento etrusco; forse perchè il monte Querceto- tolano era, come più d'uno scrisse, già invaso dal primo nucleo di questo elemento, e cominciava già a preponderare contro agl'interessi sabini e latini nella bilancia politica di Roma. Checché sia di ciò Tarquinio e i suoi sostengono in questa guerra molto bravamente il re romano, e son essi que' che principahnente si dan carico di distribuirsi in piccoli campi fortificati a difesa del paese *. * Dionys. 111. 39. 289 32. Intanto, quantunque di tutto quei che ac- cadeva iu Etniria poco o nulla siasi detto dalle tradizioni restate, non è però verisimile ch'essa la- sciasse in pace gli usciti e l'accogliente, e che si lasciasse prendere ed occupare, senza battaglie , il lungo e bel pezzo di suolo etrusco, che Anco in fat- to prese ed occupò. Ciò era spogliare Vejo, e quindi un cospicuo cantone della lega toscana , sotto gli occhi- di tutta la lega, e segnatamente deTarqui- niesi, necessariamente mal disposti verso Temigra- h) lor concittadino: cagion sufficiente per eccitarli ad intervenire colle armi , e ad opporsi a questo violento spoglio. Pur non si parla che d'una tarda guerra co'soli Vejenti, quasi per rimbalzo di quella coTidenati; e in modo sì laconico se ne parla, che nulla è spiegato intorno ad essa. Evidentemente dunque così non può stare; e tutto anzi fa credere che, in quell'intervallo di tempo, per ciò solo d'E- truschi non si parli in Roma, perchè ti'oppo occu- pati, ne'molti cantoni del mezzogiorno, dalle sedi- zioni interiori, poco potevano guardare a quel che accadeva all'esterno, e sul confine. 33. Perciò forse allora succedevano le turbolenze di Celio e di Mastarna. Ho già infatti, ripeto, pro- vato altrove (almen così mi confido) che i dati cro- nologici della vita di Tarquinio e de'suoi successori sono tutti bisognosi di riforma. Tarquinio può es- ser venuto a Roma in età bastantemente matura, per esempio, di nove lustri, e in questa ipotesi aver lasciato in Toscana Mastarna nel fior dell' adole- scenza, e Celio in quello della virilità , a comin- ciarvi e continuarvi al di dentro quc'grandiosi fotti, G.A.T.CXXXVm. 19 290 di che nel bronzo lionese è parola, eontento di aiutarli col danaro, di che aveva ridondanza, e con una diversione potente al di fuori. Mentr'egli aveva sulle braccia que'da Vejo, e, secondo ogni proba- bilità, i Ceriti, possono i Tarquiniesi e i Vulcienti essere stati trattenuti appunto da Mastarna e da Celio. Una cosa è certa, e questa è che, pochi anni do- po , già le faccende d'Etruria son tanto sistemate nel senso ed a grado di Tarquinio, divenuto re, che al momento della guerra sabina, i soli popoli più settentrionali della lega tosca, secondo la tradizione ardiscono levare il capo, e portar l'armi contro il ricettator di Mastarna e della sua schiera. E dun- que nel periodo di tempo da noi detto, che, senza dubbio, è forza intercalare il brano di storia con- servatoci dall'imperador Claudio. 34. A meglio persuadercene, studiamo con al- quanto più di accuratezza i due mentovati perso- sonaggi, che, mentre il Damaratide trasporta al di là del Tevere le sue turbe e i suoi tesori col fine di ridurre a più perfetto compimento i suoi disegni, noi supponemmo essere dietro dj lui restati, ne'di- stretti ch'egli abbandonava. Il primo (Celio), nel po- co che la storia ce ne riferisce, non ci è dato co- me un uomo oscuro. Da Tacito egli è chiamato, diix (jentis etniscae (1), da Varrone (2), dux nobilis, da Pro- perzio (3), Lucomedms, e Liicmon, cioè Lucumon (4). Il secondo (Mastarna) , sicuramente di più oscura (1) Ann., VI, 64. (2) De L. L. V. 46. (3) Loc. oit. (4) IV, 1, 19. 291 nascita , già vedemmo però quanto dovesse avere a cuore gli affari degli andati a Homa e già sappia- mo quanta capacità avesse per giovarli. Sotto tutti e due ( Celio e Mastarna ) , pugna , se- condo il bronzo di Lione , un exercitus, che è dire , non una masnada di pochi scherani , ma un bell'ordinamento di schiere, che il mentovato Tacito, anche dopo le loro scontìtte e la loro ul- tima fuga, chiamamfl^/tas coinas{\).\\ movimento non può dunque, ripeto, non esserestato seriae grave cosa. Le parole di Claudio, omnis casus, varia fortuna, indi- cano combattimenti sopra combattimenti, vincite e perdite, e poi rivincite, e poi perdite di nuovo. Ciò che seguita a quelle parole, mostra nondimeno che i rivoltati ebbero , un'ultima volta, la peggio , per modo che furono exacli (cacciati via) da tutta TE- truria, e che il generale in capo dovette soccombervi. 35. Fuvvi gente proscritta e taglieggiata dal vin- citore. Alcun de'pricipali tra coloro, il cui capo fu messo a prezzo , credette trovar salute in casa il fratello, né ve la trovò, perchè fuvvi, tra gli schiavi di esso fratello, chi adescato, secondo che pare, dal desiderio di guadagnarsi con un tradimento la li- bertà e la taglia , lo decapitò, cred'io , durante il sonno (cbè tanto sembra valere l'oscura frase, vita spoliatus et lumine , se non allude in vece a una delle tradizioni, a tenore della quale, come parricida, fu incluso nel culleo, e così gettato al Tevere); la testa per si fatto modo troncata fu offerta , senza dubbio, a'magistrati, che, a della di qualcun de'cto- (I) Loc- cil. 292 nisti , le impresse sopra un marchio (ritii'ainia. Si negò al corpo intero la sepoltura nel paese . . , 36. Il resto s'ignora: ma certo la storia non si finì qui. In altra parte Anco Marzio presto mori- va; e Tarquinio sedeva finalmente sul trono roma- no, riducendo finalmente ad atto , ne'divisamenti di pace e di guerra, gli antichi suoi progetti. Così a mostrar subito con che spirito era ito a Roma, e aveva abbandonato 1' Etruria , quanto alle cose della pace, cominciava ad operare, sebbene con man più sospesa, quelle rifoi'me che il genero poi do- veva completare più tardi. Perciò prese egli a dare i primi colpi alle radici dell'albero dell'aristocrati- ca oligarchia nel paese da lui scelto per seconda patria, con ampliare il senato, aggiuntivi i senatori minorum geìitmm [ì) (espressione che di perse ab- bastanza parla), con raddoppiare le centurie de'ca- valieri (2), col riordinare lo stato de'cittadini(3),e col- l'uccidere per ultimo l'augure Naviof secondo alme- no l'accusa de'figliuoli d'Anco, perchè coll'opposi- zione sua religiosa, contrariava troppo le molte e gravi novità politiche [noTAx x«ì Bstvòt), le quali s'ar- gomentava di condurre a buon termine (4) , cose tutte, che, senza dubbio, fece in parte per dar luo- go a'suoi Toscani nel reggimento legale della città, e assicurare così vie meglio l'autorità a sé stesso; ma in parte ancora per non mentire a'suoi favo- reggiatori che in Etruria restavano, e per mettere (1) eie. (le rep., H, 20. — Aurei Vici., VI, 6. (2) Aurei. Vici , loc. cil. (3) Maurob. Salurn., 1. 6. (4) Diony*., IH, 72. I 293 unità tra i cangiamenti di costituzione colà medi- tati, e que'che, nella contrada ove direttamente go- vernava, introdusse col fatto. E, mentre ciò succe- deva rispetto agli affari della pace, quanto alla guer- ra, non istava già in ozio, posto che, innanzi tratto, si parla della gueri-a co'Latini, i quali certamente, checché sia nell'ordine secondo il quale le diverse loro città presei-o le armi (Apiola , Crustumerio , Nomento , Collazia , Cornicolo, Fidene , Cameria) , l'inquietarono primi , non volendo soffrire che il nuovo re romano , il quale , fino a quel tempo , giusta l'ordine stabilito, da Numa in poi, fu sem- pre alternativamente, or di Sabina, or di Lazio, e il quale allora doveva appunto scegliersi, nella parte latina, si fosse in vece tolto , con nuovo esempio dalla Toscana. 37. Poi si scorge che parteciparono alla guerra contra Roma, siccome di sopra favellammo^* più settentrionali ed orientali tra gli Etruschi; e sono i Chiusini, gli Aretini; i Volterrani, i Rosselfani e i Vetuloniesi (*) ; e siccome degli altri non si fa menzione, ben è forza dire che fosse quello il tem- in cui l'armi di Celio e di Mastarna prevalsero ne- gli altri cantoni che non ardirono muoversi. Così già allora è probabile che, confortato dall'armi di que'due, il Damaratide signoreggiasse su i Cereta- ni, su i Veienti, sui Vulcienti,su i Vulsiniensi, sui Sai- pinati, su i Capenati, su i Perugini, su i Cortonesi, che lo riconoscevano probabilmente come Lucumon Massimo, e avevan già mutato a suo grado il reg- (*) Dionys, HI, 51 294 gimento delle città loro , hi resistenza dell'olìgar- chia patrizia essendo ristretta alle sole città più lontane da Roma. 38. Contemporaneannente, per molivi, secondo che pare, analoghi a que'deXalini, anche i Sabini si veggono impugnar l'armi. E qui, a dispetto della storia scritta, mettendo nell'esame dei fatti un gra- nellino di critica, bisogna dire che, se da princi- pio le cose andarono bastantemente bene pel prin- cipe romano-etrusco, e tanto bene da permettergli di cantar trionfo, successero però sconfitte , delle quali l'orgoglio patrio non permise a'cronisti di te- nere conto. E per vero, unite insieme in saldo no- do una parte dell'Eiruria, e la Sabina col Lazio, la causa di Tarquinio divenne un tratto men buona. Sembra pertanto che appunto allora la catastrofe dei Celiaui accadesse, e che Mastarna abbandonasse la Toscana ricacciato a mal in suo cuore al di là del Tevere. Infatti poco stante , non più i cinque popoli etruschi posti a maggior lontananza, ma l'in- tera kga etrtisca si commove, e dà addosso al re del Settimonzio, al qnale è forza combattere a un' ora i Sabini presso Fidene, e gli antichi suoi com- patriotti nel Vejente e nel Ceretano, finché la bat- taglia d'Ereto decide pur una volta la quistione a favor di Roma, e sicuramente del partito timocra- tico di Etruria confederato con Tarquinio; dopo di che tutto va a volontà di quest'ultimo principe, a cui l'Etruria intera si narra avere ornai fatto omag- gio, accettate , senza dubbio , lo mutazioni ch'egli aveva avuto in animo d'operarvi a tutto suo grado 295 0 piuttosto a grado della parte ch'ei capitanava (1). 39. Con ciò, da indi in poi, la città de'sette colli acquista una nuova importanza. Essa è destinata , per una lunga serie d'anni al principato d'Etruria, estendendo la dominazione, o in tutto, o in parte sulle leghe latina e sabina, ed eclissando le glorie delle altre città. Né è da credere che a tanto di splen- doie arrivasse con le sole battaglie, di che Dioni- gi d'Alicarnasso, o Tito Livio parlano. In questo, più fede merita Orosio, il quale scrive (2) che si dovette prima vincere innumeris conflictibns j fatta evidentemente una somma de' maggiori, e di qne' combattuti da Tarquinio stesso , o da coloro che per lui parteggiavano. Ciò equivale al frequentibiis armis di Floro (3): dopo i quali combattimenti sol- tanto, con che le genti vicine furono ridotte ad ob- bedienza e a silenzio, inclusavi la gente degli Equi, se a Cicerone deesi fede (4), poterono cominciarsi le grandiose opere di abbellimento che segnalarono l'ultima dinastia de're romani. 40. Resta che brevemente vediamo la parte in questa successione di fatti, dovuta a Mastarna, quan- do divenne re; e indi al Superbo : e ciò non am- (1) E a questo tempo appartener dee l'alleanza e J'aittto de' Foceesi di che parla Giustino (XLVIII , 8 , 4) , ed Eusebio nelle Croniche, sia che i Foceesi fosser già stabiliti in Marsiglia , co- m'è l'opinion più comune , sia che ciò facessero immediatamente prima di quel loro stabilimento. Dopo il quale aiuto par che po- nessero stanza in Velia, città allora de'Lucani , secondo che in Ammian Marcellino si legge, se non ve Favevan già posta. (2) Histor., II, 4. (3) I. 5, 4. (4) De Rep., II, 26. 296 nietle grave diflìcollà. Mastarna insistè manifesta- mente sulle traccie del suocero, nelle cose civili e in quelle della guerra, estendendone e riducendo- ne a realtà i divisamenti. Per ciò che spetta alle prime, compiè i mutamenti politici che il suo pre- decessore, 0 non osò fare, o non potè, prevenuto da morte, o forse non volle, ritenuto da un principio di prudenza che glieli fecer giudicar o immaturi o pericolosi. Fu principale opera di lui, per questo lato, l'aver tolta la divisione della città in parti se- parate e indipendenti; Taver tutto cercato di ridur- re ad unità, l'aver cangiate di luogo le dimore so- spette dei patrizi sabini ...(*). — E per ciò che spetta alle seconde, voglio dire alle cose della guerra, quelle di che più si parla sono i suoi trionfi appunto riportati contro agli Etruschi, tra forse col fin di repi'imere le rinascenti macchinazioni del pa- triziato vinto, tra per confermare a Roma e a sé stesso, il primato suH'Etruria consentito durante il regno precedente. — Tarquinio il Superbo, al con- trario , conta evidentemente nel numero di que're che, forti nelle opere di mano, mettono in non cale tutto che riguarda gli ordinamenti civili preesisten- ti. Di qui è che non può tenersi come continua- tore dell'opera de'suoi due predecessori in altro, se non nell'ingrandimento di Roma; la quale, sebbene tiranno , egli ancora s' ingegnò di rendere sempre più bella e più grandiosa. Per lo che con ragione può dirsi che il discacciamento di lui, se fu un atto di giustizia , non però a Roma fu utile ; concios- (*) Pesto, s. V. Palricius vicus, p. 120. 297 siachè i Toscani di lì paiono aver preso motivo di togliere alla città regina del Tevere il primato, il quale fino a quel tempo , dal primo Tarquinio in poi, tenuto aveva su tutta la tosca contrada, tra- sferendolo nel re di Chiusi, i cui fatti debbono necessariamente esser segno ad altre e più prolis- se ricerche. Francesco Orioli. L'Agro Vaticano, nuove investigazioni x\llorchè favellavasi di Roma, è noto che due por- zioni sono in essa da distinguere, una, e maggiore, sulla riva sinistra del tevere, la quale già illustram- mo , per quanto era il poter nostro, con due brevi dissertazioni stampate in Pisa , ed illustrate quivi nel 1." volume del Giornale di scienze morali, so- ciali , storiche, e filologiche per l'anno 1841, l'al- tra e minore, sopra, e lungo, la riva destra , e di questa sarà non in opportuno il fare ora soggetto del- le parole seguenti. 2. Credo aver già dimostrato eh' essa non co- minciò a fare stabil parte e appendice del piccolo primitivo regno romano , se non al tempo d' Anco Marcio. Nondimeno non è detto che, innanzi a que- sto tempo , la porzione trastiberina (rispetto a Ro- ma la vecchia), e collocata in suolo etrusco , fosse deserta. Per contrario le autorità non mancano a provare e far palese, che, da più antica età , era- 298 no ivi castelli o borgate, delle quali più o nien chia- ra peivenne fino a noi la memoria. 3. Sappiamo in primo luogo che tutto questo tratto di paese, o la parte almeno di esso che fron- teggiava più da vicino il fiume, dalle campagne ul- time di Fidene sino al mare, chiamavasi Ager Va- ticamis; ed è Plinio il Naturalista che ce lo insegna in un passo citato sovente, dove si legge (1) Tibe- ris .... fmihus Arretinonim profluii . . . per cen- tum quinquaginla millia passuum, non proeul Tiferno, Perusiaque, et Ocriculoy Etruriam ab Umbris ac Sa- binis', mox, citra sedecim tnillia passuum urbis Ve- ientem agrum a Crustumino, dein Fidenalern, Latinun- qiie. a Valicano dirimens. 4. E, a prima giunta sembra questo passo ma- nifestarci una divisione di territorio appartenente ad un'età primitiva e remotissima, e per conseguenza, rispetto al nome dell'ii^ro Vaticano , di che qui si tratta, un'origine la quale si perda sommersa nella notte de'tempi. Infatti, nel passo addotto, quanto alla riva sinistra , non bassi menzione alcuna dell' Ager Romamts, propriamente detto, ed esso è con- siderato come se non fosse, od è confuso coWAger Latinus che in se lo assorbe, dal quale ultimo però è diviso VAger Cnislumìnus, e VAger Fidenas , del pari non compresi, né co'latini, né co'sabini, qual se il lazio cominci dalla confluenza dell' Aniene in tevere, e qual se i due territorii si riguardino come dipendenze cistiberine dell'Etruria, o come stati sen- (1) III. 9 - Cf. XVI. 87. - XVIII. 4. A. Ge)l. XVI. 17. 1 — Solfn. è. 8, 299 za legame cogli Stali vicini' mentre per contrario, Plinio stesso manifestamente conta poco dopo nel Lazio, almen come racchiusivi in altro lempo (1), tutti e due. Quanto alla riva dritta, il distretto di Veio non vi è rappresentato come estendentesì fino al mare; di quella guisa che certamente lo era, per lo meno verso i tempi del Re Anco (2), ma dalle terre in faccia a Fidene, sino alla foce del fiume , l'altro distretto s'intrude, indicato appunto col nome di Vaticano , qual se descrivasi un ordine di cose stato quando questo sì cospicuo pezzo dell'Agro ve- iente, non ancora soggiaceva a Veio, ma formava , un territorio particolare, governantesi in indipenden- za. Per ultimo a far quasi vieppiù visibile che si trascrive qui un antichissimo registro, non compi- lato in Roma, si ha cura di notare che le distanze però si danno tradotte in passi romani [millia pas- sinim urbis) , - Io penso nondimeno che le esposte apparenze d'una oltragrande antichità siano al tutto menzognere ed illusorie. 5. Non che però un' antichità bastantemente re- mota, non sia qui rappresentata. Plinio ci descrive a mio parere , la mappa del tempo regio , qual fu stabilita nell'ultime divisioni, che si fan risalire ad Anco Marcio. Del territorio di Fioma non parla , perchè Roma la massima non ha territorio , o , a meglio dire , tutti gli altri territorii computa per suoi. Ma 'di questi altri territmii , com'erano nella nomenclatura d'Anco parla, perchè in quella map- (1) Fucre, dic'egli. (2) V. qui appresso. 300 pa si mentovarono, con que'Iimiti e con que'nomi. Parla dell'Agro Vejentano, cioè dell'Agro dell'antica Vejo, qual dopo le conquiste attribuite ad Anco di- venne (1). Parla dell'agro Crustumino e Fidenate, u- gualmente, in relazione a quel che si trovavano es- ser nel mentovato tempo (2), riservato il nome di Lazio alla contrada cominciante da Roma in là fino al mare, e tagliata fuori Fidene e Crustumerio, co- me quelle che mai non ebbero una connessione di- retta e ferma, né con toscana, né con sabini, né con latini. Parla in fine dell'Agro Vaticano , come dis- giunto dal vejente, perchè, nel fatto, lo fu sempre da re Anco io poi, e particolarmente allora, e non guari prima, né poi, fagli dato questo nome (3) 6. Dico non guari prima, perchè , prima , qual necessità ben evidente poteva esservi di dargli un nome particolare , in quanto Agro , se quell' Ager niente altro era finalmente, se non Ager Veiens an- ch'esso? Oltre di che, que' che pongono quivi i sette fi) Certo il Feiente, e VAgro Veienle, si trovano spesso men- tovati nella storia romana degli ultimi tempi, siccome può vedersi in Plinio H. N. XI 98 — Horat. Epist XI, 2 — Stat. Sylv. IV. 5 lui. Observ de prodig. LXXI e XC. (2) Per Fidene V. Horat Ep. II. XI. — luvenal. VI. 57 — Sueton in Caligul 31 — Tacit Annal. IV. 62 — Strab. tib. V. — Per Crustumerio, Plinio scrive altrove ( IH. 8. ) In eadem parte (Etruriae) oppidorum veterum nomina retinent agri Crustuminus, Calelranus. lui. Obseq. LXIII — Farr. de /}. B. I. 14 a 15 ec. (3) Si può anche a rigore supporre, che , nel qui esaminato passo, riguardisi alla mappa stabilita già sotto gli ultimi re , o dopo la fine del dominio di Porsenna, la quale mappa senza mu- tazione siasi conservata per quel che spetta alla nomenclatura de' luoghi fino all' età tarda, e questa è forse l'opinione la più vera. 301 pagi di Dionisio e di Plutarco (1), sanno che il no- me dato a quel tratto, finché i Veienti l'ottennero era Eptapa(jio. Non poi, perchè il bisogno pe'roina- ni di dare una denominazione speciale a questo par- tieolar tratto , o nacque allorché Roma se ne im- possessò, o non si vide facilmente come potesse, o dovesse nascer piiì tardi. 7. Niebuhr invero (2), e Miiller (3)- ragionando secondo l'analogia d'altre simili denominazioni, qua- li furono, Ager Romamis, Albanus, Tusculamis, Lavica- nus ecc. pensarono che un tal nome, pur col solo fatto del suo proprio essere a quelle forme, ci co- stringa a credere l'esistenza d'un Vaticum, o d' una Valica, borgo o città donde VAger Vaticanus fosse denominato, come al Naturalista latino 1' esistenza dell' Ager Calctranus parve buona prova dell' avere esistito una città Caletra (4) : e quando ciò fosse ; bisognerebbe ben dire che questa Valica fosse sta- ta veramente più antica, e non men grandiosa che Veio, e per conseguenza che il nome di Vaticano, dato al suo territorio , avesse ancor esso un anti- chità di gran lunga maggiore che non quella da noi (1) V. il mio lavoro ultimo nel Giorn. Arcad. T. CXXXllI. Alba ti Seitimonzio, e Roma primUiva (2) H. R. Voi. I. (Trad. frane, pag. 403 (3) Rie Etrusker Voi. I. pag. il 4. (4) Plin V. 8. — MiUler, op. cit. Voi. I. p. 350 — E for- se la città per gli ci ruschi non Caletra era, ma Calestra con S in- terposta, come spesso addiviene, poichfì troviamo tra i gentilizi to- scani Calcstrius e Calesterna, che da Calestra comodamente si de- rivano (V. Cori Mns. Eir. T. IH. p. 103 ii. 193 — e Vermigl. Is. Perug. Edi/,. Il Voi. 2 p. 32C.) 302 detta di sopra. Infatti, por ciò che riguarda la gran- dezza, ella sarebbe provata dalla molta estensione delle campagne che le si assegnano in tutta la lun- ghezza del tevere , sulla riva dritta , dal paese in- nanzi a Fidene, in giù , come dicemmo , e m una larghezza proporzionata senza dubbio alla lunghez- za, ciocche forma uno spazio non minore (per una valutazione così all'ingrosso ) dello spazio che Pli- nio lascia all'agro veiente esso stesso, o forse an- che maggiore dello spazio di questo ultimo agro; e sarebbe provata non meno dal vedere eh' ella avreb- be assorbito in se il territorio del Giannicolo (sta- to anch'esso certamente, secondo la tradizione, una città di qualche importanza), e tutti gli altri terri- torii de'villaggi e delle castella di che non è da am- metter mancanza fino allo sbocco del fiume , nel luogo dove più tardi Ostia sorse. Per quel che poi riguarda l'età in che s'ha a credere ch'ella fosse in fiore, avrebbesi questa per certo a dire del tutto remotissima, posto che d'una così fatta città, né al tempo della conquista di re Anco, né in alcun tem- po susseguente, si trova fatta alcuna diretta parola, cieche, nel caso ch'ella fosse stata ancora, non di- rò in piede, ma solo riconoscibile alle sue vestigia, è tanto più inesplicabile, quanto più grande e im- portante si è costretti a supporla , per le addotte ragioni. Ma tutto ciò ricade in nulla, se si guardi- no le cose sotto un altro aspetto che mi pare in- finitamente più naturale, e quindi più conforme alle leggi di verisimiglianza. 8. Dirò dunque che l'aggiunto veramente primi- tivo ed antii'.hissimo di Vaiicanus, fu, a mio avviso, ri- 303 servato al solo pezzo di contrada posto a contatto del settimonzio dall'altra parte del tevere, e composto de' pochi poggi, colle campagne soggette, che sono da Mon- te Mario al Gianicolo, o poco oltre. In effetto, questo è il pezzo che piesso gli antichi si trova mentovato sotto la denominazione speciale, e che presto vedre- mo primigenia, di Montes Vaticani, e di Campus Va- licanns (1), e oggi ancora questa è la terra vati- cana per eccellenza. Quanto aìVager , che, da que- sto tratto seguita sino allo sboccare del fiume nel- la marina, non dubito di asserire, che, secondo tut- te le apparenze, cominciò ad essere chiamato Va- licanus unicamente dopo la romana conquista , nel qual tempo, già non essendo più Agro veiente (ed intanto essendo un pezzo ben distinto dell' antico Ager romaniis; (tra per 1' interposizione del fiume, tra per essere di nuova giunta) nato il bisogno di dargli un nome, nessun'altra nomenclatura dovette presentarsi più spontanea di quella , per la quale estendevasi al tutto la denominazione della princi- pale più nota e più importante, rispetto almeno ai romani occupatori. Ma , se tanto si concede , già Vager vaticamis , dell'età primitiva ed etrusca sparisce; e restata so- la , con ciò , una piccola catena di colli vaticani , (1) Cic. Ep. ad Att. XII. 12 — Horat. Carm. 1. 30 — Nel tempo stesso, per una ragione che presto vedremo, eran confusi i monti y^alicani col Gianicolo, e viceversa, ciocché ha fatto dire a Marziale ^Epigr. Ili 64) — luli jugcra panca MariiaUs Longo laniculi jugo rcctimbunt . . . dov'ei chiama longutn, lo jugum, perchè tutto stima e chiama Gia- nicolense il tratto di giogo che fronteggia il tevere. — 304 quando anche sopra essa una borgata Valica s' a- vesse ad ammettere, stata in piede in un più anti- co tempo, e dalla quale essi siansi denominati, non v'è più necessità alcuna di supporla una così gran cosa da metterla a paro con Veio, e colle altre me- tropoli etrusche; dopo di che non si possa più spie- gare come, oscurato non abbia, lasciato anzi dietro se la fama della città del Gianicolo, che pur sorgeva- le a costa fin dalla età più remota, senza esser mai dimenticata nelle storie , mentr' essa per contrario sembra essere stata messa in intera dimenticanza. Possiamo invece crederla tanto meschina che facil- mente sia potuta sfuggire alla memoria della poste- rità, e possiamo anzi credere che non sia ne man- co stata , a propriamente dire, un borgo; o forse quest'ultima è l'opinione più probabile, avvegnaché, ammessala , già non è più giusto il dire che ogni ricordo intorno a questa Vatica, considerato nel nuo- vo aspetto sotto il quale mi sembra doversi consi- derare, sia del tutto abolito. 10. Io trovo infatti, per opposto, che testi non mancano , dove hassene menzione tanta che basta , per ciò che parmi, a farci comprendere quel ch'el- la fosse nella sua realtà finche in piede si stette. 11. Leggo in Plinio (1) : Vetustior urbe iti Va- ticano ilex, in (jua tituliis aereis litleris elvuscis, re- ligione arhorem jam lum dignam ftiisse signifìcat. — In un brano d'ignoto Scoliaste di Giovenale, eh' io trascrissi, quindici anni fa , in Parigi nella Biblio- (1) Il N, XVI. 87. 305 teca del re, sotto il n." 7900 A (1): Valicanus vocatur, mons, in quo lovis ( così airarcaica) esse nutrilus ( e sottintendi diciliir, senon ti piace leggere , est). Rine lovis Valicanus, qui vagilibus praeest. — In Aulo Gel- lio) (2): Vaticamis , deus nominatus , penes quem es- senl vocis humanae initia, quoniam pueri, simnl at- que parli sunt, eam primam vocem ediint, quae pri- ma in Vaticano syllaba esl: idcircoque vagire dicitur, exqrimenle verbo sonum vocis recenlis — In Sant'A- gostino): (3): Ipse (luppiter) in vagilu os aperiat, el vocetur deus Valicanus — Quid neeesse eral . . con- cedere deo Valicano vagientes ?-Valicanus, qui infan- lum vagilibus praeest — . In Papia, o vogliam dire in Ancileubo, che da Papia par trascritto (4). Vali- canus , deus paganorum , quem infantum vagilibus praesidere ajunt. — Al. Valicanus deus paganorum » qui vagilibus praeesse dicitur, lovis. — Valicanus , mons , in quo nutrilus dicitur lovis. — Nella col- lezione di grammatici, tratta da'Codici della Biblio- teca Vaticana, e pubblicata in Roma dall'Emo Ma- io l'anno 1836 (5). Valicanus paganorum deus - (6); Valicanus locus ubi vates sedebant - Di nuovo in Aulo Gellio (7): Agrum valicanum, el eiusdem agri deum praesidem appellatum acceperamus a valiciniis, quae, vi atque inslinclu eius dei , in hoc agro fieri solila (1) In Sat. VI. 344, (2) N. A. XV!. 17. 2. (3) De C. D. IV — 8 — 21. (4) 5. hac voce (5) Voi. Vili. p. 626. (6) p. 657. (7) loc cit. § 1. G.A.T.CXXXVllI. 20 306 essent — In Gervasio Tilberiense (1) : Infra pala- lium Neroìuanum est templiim Apollinis, quod modo dicitur Sancta Petronilla, ante quod est Basilica di- eta Vaticana, opere musivo , auro et vitro laqueata. Dicitur autem .... Vaticanus, quod illic vales, i. e. sacerdoles Apollinis, sua canebant officia coram tem- pio Apollinis — Finalmente in Paolo ed in Feste : (2): Vaticanus Collis appellalus est , quod eo potitus sii populiis romanus, vatnm responsis, expulsis etruscis. 12. Or, comeché per avventura taluni de'pre- ceilenti testi possano a più d'uno sembrare di pic- cola autorità, pur, considerandoli tutti insieme , a parecchie conseguenze mi par chiaro ch'essi diret- tamente conducano - Dunque, in uno de'monti va- ticani, in faccia a Roma^ nel principale di esso; in quello che per antonomasia oggi esclusivamente si chiama con questo nome (?), già era un'elee an- tichissima, 0 vogliasi dire nel dialetto arcaico, una tifa , parte forse d'un tifatum (3) , e specie d'ar- bore sacriva, dichiarata tale (innanzi alla occupazione romana, o piuttosto, al dir di Plinio, innanzi che Roma (classica) fosse) da una lamina di bronzo , scolpita a lettere e parole etrusche , la quale di certo non vi sarebbe stata messa dopoché i roma- ni poser quivi stanza - Dunque , secondo tutte le apparenze, la cagione del religioso culto prestato da un cosi remoto tempo a si fatto tifa, pianta, come tutti sanno, a Giove sacra, nel modo stesso di sua (1) Ot. Impcr. inlcr Scriptor. rer. Brunsvicens. Fot. ì. (2) p. 171. (3) Paull. e Fest. Lindeman. pp. 38. 96. 160. 371. 492. 738. 307 sorella la quercia (1), fu perchè Giove bambino , quegli che i Tarracinensi chiamavano nella volsca lor lingua, lupiter Anxurus, in quanto venerato in Anxur (2) , e che gli etruschi dicevano Giove Va- ticano, in quanto venerato in Valico (3), fama era che sotto quella tifa, baloccato si fosse, o co'fmtti di quella nutrito, o, sotto quella, dalla madre Opi, Lua, 0 Lazia (4) fosse messo in luce: se non vo- gliam dire , che a quella , come già nel mito di Creta, si narrasse essere stato sospeso insiem colla cuna, ut ncque cacio, ncque terra , ncque mari in- venir ctur (5) , quando era da Saturno cercato per divorarlo, e quando intorno gli danzavano, facendo strepito, i Lari, o Cureti, ed i Goribanti (6), men- tre le pecchie lo alimentavano del loro meJe - Dun- que parte principale dell'idee religiose attaccate ai culto della tifa vaticana era stala , ch'essa, come già la quercia dodonea , dalla presenza del nume infante, col ministerio forse di Temide, (7), o d'A- pollo (8) , aveva guadagnalo una virtù fatidica , o (1) Serv. in Aen. V. 129. (2) Serv. in Aen- Vili, 799- (3) Siccome dicevano Sethlana il dio venerato io Sethla o Etha- le, cioè nell'isola d'ElLa. E come Giove Vaticano era Giove infan- te, così Giove Adolescente par fosse feiove (Ovid. [-ast. IH. 421L diversamente da quel ohe pensò A. Geli. N. A. V. 12. (4) A. Geli. op. cit. XIII. 22- 2. (5) Hygin. fab. CXXXIX, (6) Ivi. (7) Ammian. Marcellin. lib. XXI. sub .nit. Vaticana , quibus numen praeesse credUur ThemiUÙ. Ma, raiicana quivi generica- mente vale vaticina, cioè vaticinantia. (8) Il Tilberiense. Ma esso ha scarsa autorevolezza, e ripete le Uvolette volgari. 308 vaticinatrice, od una virtù almeno d'ispirare [)ro- fetici detti, virtù che si manifestava per intermedio di vati, simiglianti più o meno alle vecchie Peladi, o Peliadi dì Dodona (1), i quali, vi et inslinclu nu- minis, presso alla sacra pianta davano già respon- si - Dunque il tifato o leeceto vaticano, o la va- ticana tifa, dovettero essere un gran santuario, al quale ne frequenza di popolo , ne pompa di sacre cerimonie sarà mancata; un santuario non meno il- lustre che l'oracolo delle sorti della vicina Cere , mentovato da Sidonio Apollinare (2) alludente forse al celebre fano di Pirgo (3) , o a quel di Temide o Telide tosca ricordato da Plutarco (4), o a quel di Feronia presso Capena, etrusco in parte, in parte sabino, cioè comune alle due nazioni (5) - Io non feci che coordinare le testimonianze, e legarle in- sieme in un corpo. Del resto è libero a ciascuno il lasciar tra loro indipendenti la tifa, il mito di Giove vagienle e 1' altro dell'oracolo renduto vi et instrictu miminis. Ma, poste tutte queste cose, po- trà egli più generar sorpresa che da un cotanto santuario i colli circostanti, e le terre immediata- mente soggette abbian tolto lor nome ? (1) Pausali, in Phocicis e. 12. — Serv. in Ecl. IX. 13. et in Aen. 111. 466. (2) Jd Magnum Felicem Cons. V. 187. (3) Diod. Sic. XV. 14 — Aristol. Oeconom. II, p. 689. Edit. du Vali — Poliaen. Strat. V. 2. 21 — Strab. V. p, 341 — Ae- lian. Var. Hist. 1. 2. (4) {In Romulo 2) che noi crediamo essere stato probabil- mente l'oracolo di Carmenta alle radici di Tarcheia, cioè del Monte Tarpeio. (3) Sii. Ital. Xlll. 83 — (Cf. il luco di Gianone Lucina sotto l'Esquilio, Ovid. Fast. II. 435 e sejj. ; l'altro sacro a Fauno IV. 649. ecc. 309 13. Molte supposizioni possono farsi per ispie- gare la genesi primitiva della denominazione qui discorsa. Il grammatico Aulo Geli io, da noi citato di sopra, ce ne suggerisce due sufficientemente si- mili al vero. Io mi tengo alla seconda che pare altresì la ricevuta pei' buona dai piiì antichi. Pen- so dunque, che , non veramente dai valicinii , ma dai vali che li rendevano , e che quivi sedebat , il sito siasi detto (ma con altra desinenza piiì con- forme all'indole della lingua etrusca) Vaticumy o Va- lica, quasi ad esprimere, il luogo, o la congrega , de'vati, o l'oracolo. E poiché nella losca favella in- contriamo non infrequenti i nomi della forma, Ma- lacisch, o Malavisch, Pnlluc, Mimlhuc, Vipinalc, Pu" iac, Laric, Rupruc, Galee., Thanaiie, Malulnasc ecc. sospetto che , non Valieum né Vatiea alla latina , ma etruscamente siasi detto Validi o Valic , nel senso poco fa esposto, e, ciò concessomi, parmi su- s ubilo intendere perché il dio, i monti intorno , i campi sottoposti, e più tardi Tagro intero, si chia- marono Valicani (1). 14. L'oracolo, e il Santuario, possono non es- sere stali, a propriamente parlare , un luogo d'a- bitazione, come nel furono la più parte degli ora- coli antichissimi (2) ; come non lo erano il luco (1) 0 piuttlosto il nome primitivo fu Fatta, fondazione di Pelasgi, come l'altra Fatta nell'umbrin, (BaT(à) di Dionigi' d'Ali- carn. R. R. I. 14, così tradotta dal Lapi e da Biinsen (Cf. Ann. deiristit. di corrisp. Archeoig. T. VI. pag. 134. . . 137, oggi S. Angelo in Fatica (ivi Petit Railel. T. IV. pag. - 234), dove non meno par fosse un oracolo (Petit Radei ivi): e questa esser credo la mi- glior sentenza. (2) Varrò Mysleriis — Prisca horrida sileni oracuta creperà in nemoribus — Non. Marceli. Edit. Mercer. p. 14. 310 dodoneo né quel di Feronia detti di sopra. L'oc eupazione romana può quindi essergli riuscita fa- tale , in quanto profeti e profetesse , appartenenti alla gente etrusca , non abbiano voluto , o potuto rimanere, e così la virtù fatidica sia venuta a ces- sare. Non impariam noi forse da Tacito (1), rispet- to all'oracolo d'Apollo Clario: certis e familiis , et ferme Milelo, accifus sacerdos numerum modo con- suUanlium, et nomina anditi lum in speciim degres- siis , hamtà fontis arcani aqiià, ignarus plerumqiie litterarum et carmimim, edit responsa versibiis com- posilis super rebus, quas qnis mente concepii ? e non troviamo in Livio (2) , della Giunone Veiente: Id signum, more etrusco, nisi certae gentis sacerdos at- trectare non (erat) solitus (3) ? Cosi si spiegherebbe lo expuhis etruscis di Paolo, e l'assenza d'ogni al- tro ricordo relativo ad una supposta borgata, che, in fatto, sarebbe stata cosa immaginaria. 15. Né, in questo caso, consulenti, vaticinanti, e sacerdoti, finché il sacro luogo fu in onore, avreb- • ber mancato d'un sito opportuno e comodo per ri- pararsi. Oltre che potrebbero aver avuto, a questo speciale uso, ed avranno anzi avuto probabilmente, (i) Annal II. M. (2) V. 22. (3) Oggi ancora, in Viterbo mia patria, un'antica e veneranda immagine del Salvatore che ogni anno recasi processiooalmfnte per città in uno statuito giorno, non può essere portata che dai così detti parenti del Salualore, cioè da que'che appartengono alle ora numerose famiglie uscite dai ))rimi trovatori dell'immagine fin dal 1283. E ognuno qui ricorderà volentieri nell'antica Roma i Pi- nari e i Polizii, in Elide del Peloponneso (Cic. de divinai. 1. 41) i Giamidi, e i eluditi ec. ec. 311 un fano con alquante abitazioni intorno, tanto gran- diose ed ampie quanto si vuole, come spesso era il costume, trovavano a due passi dal santuario, la città Ginnicolo , che già parecchie volte nomina- vamo, posta in piccola distanza dal tifato, o dalla tifa sacra, in uno de'vaticani colli; il qual Giani- colo, per que'che ammettono la città Valica, è anzi una difficoltà che un aiuto (1). 10. Di esso è superfluo parlare a lungo. Chi non sa che la fondazione erane attribuita a Giano, di- vinità primitiva d'Italia ? Ciò prova, senza dubbio la grandissima antichità del suo cominciamento, a che alludendo, Virgilio lo fa smantellato fin dai tem- pi d'Enea, senza dubbio con un pò di licenza poe- tica, la quale niuno ha dritto di rimproverargli (2) E quando si pensa, ehe questo Giano, fondator del Gianicolo, nelle favole italiche, appar l'ospite di Sa- turno; che Saturno, ricettato da Giano, si suppone aver fermato sua stanza dall'altra parte del fiume, sopra la collina poi chiamata Tarpeia, fabbricandovi (1) Gianicolo, per que'che credono l'esistenza d'una città Va- lica, non potrebbe essere che l'Acropoli, o la rocca di questa città. Esso sarebbe a Valica quello che Tarcheia o Tarpeia era a Roma. (2) Aen. Vili. 388: Hic duo praeterae disjectis oppida muriS) Belliquias velerumque vidcs monumenta vivorvm. Hanc lanus pater, hanc Saturnus condidit arcem. laniculum (Hi, huic fuerat Saturnia nomen. E l'Arcade Evandro, che così all'eroe troiano favella. E Ovvidio: Fast. I, 243, cosi fa parlar Giano: Jlie ubi nunc Roma est, incaedua silva virebat; Tantaque res paucis pascua bubus eral. Arx mea collis erat, quem cultrix nomine nostro Nuncupat haec aelas, laniculumque vocat. 312 Saturnia; che finalmente questo medesuuo r^aimno e il padre di Giove, affò si è tentati di credere, che in tanto la tifa del Vaticano si stimasse santificata dall'aver sotto i suoi rami accollo il Giove infante, in quanto il mito antichissimo e italico fosse cheOpi, o Lazia, o Lua, non in Creta, ma, nella reggia stessa di Giano, od in Saturnia, o poco lungi per ultimo dal colle vaticano, lo avesse partorito e cercato d'occultare. 17. Checché sia di questo, apprendiamo da due passi dell'Alicarnasseo (1), che il Castel primitivo non precisamente sorgeva presso il tevere, ma sul- l'alto della collina, a una distanza di due miglia e mezzo, o due miglia, dal fiume: cosicché Anco, il qual primo l'occupò , non è a credere che lo at- taccasse , a Roma con una continuazione di fab- briche intermedie ; ma è da pensare che solo vi mettesse presidio, come piùindividuatamente gli sto- rici dicono. E, ciò posto, s'intende perchè, or Por- senna, ora i Veienti, valsero più volte a riprenderlo, e a mantenervisi in forza, come in un campo chiuso. 18. Al tempo di questa occupazione d'Anco par da riferirsi quel che in Paolo si legge (2): lanicu- lum dictum, quod per eum Romanus populus primi- tiis iransieril in agrum elruscum - Di qui è che il discacciamento de'vati, del quale ugualmente F'aolo parla e Festo (3), sembra dover essere stato (forse immediatamente) posteriore alla presa del Gianicolo, accaduta, se Festo e Paolo han ragione, non senza precedente predizione de'vati stessi. (1) IX. 14. e 24. (2) Pag. 78. (Edit. cit.) (3) Pag. 161 (Edit. cit.). 313 19. Finché fuiono ivi gli etruschi, non par si chiamo sse laniculum, ma presso a poco Anei, Aneicy Aneiclìi . . . donde stimo sian nate le tante stor- piature de'suoi sinonimi, che qua e là incontriamo siccome Aenea (1), Anicaviis (2) "Avsr/Xcv (3). 20. Tra le ragioni che m'inducono a così opi- nare, una principale è tratta da una favola , ch'io eredo tuscanica, e che in altro luogo ho ricordata (4-); dico la favola del re Anio, padre di Salia, che Tarchciio , detto da altri Cateto , rapisce , indarno inseguito dal padre della giovane, il quale, invece di riuscire a vendicarsi, perisce annegato nel teve- rone, a cui comunica il prioprio nome, mentre dalle nozze del rapitore colla rapita , nascono Latino e e Salio. Imperocché qual altro principe può esser quest'Anio. ('Av/wv, 'Awj'sg, Anins), se non una for- ma variata di lanns (5) , e per conseguenza una (1) Dionys. I. 73 — Syncell. Edit Bonn, 1829. Voi. I, pag. 364 Euseb. Chron. Armenn. Venet, 1818. V 1. p, 381 — Cf. Sleph. de Urbib. S. V. Aenea. (2) Euseb loc. cit. (3) Sync. loc. cit. — Quanto aWylntì polis ed all'^mp/npo^js di Plinio (H. N. III. 9). ella è battesimo d'autor greco, il quale la con- trapponeva a Saturnia, e voleva fare allusione col nome al legame reciproco, e forse alla rivalità, delle due citta vetuste — Che poi , non laniculum, ma con nome un pò diverso il Castel si chiamasse, viene ad indicarlo anche Ovidio (Fast. I. 245), facendo dire a Giano come di sopra riferivamo — ^irx mea Collis erat, quam cullrix nomine nostro. Nuncupat haec aetas, laniculumque vocat. (4) V. Giornale Pisano di scienze morali, sociali, storiche ecc. per l'a. 1846 voi. I. Frammento, ecc. Framm. 2. §. IO. — Psendo — Fiutare. Piccoli Parali, n. 81 — Apulei Orthograph. ecc. (3) Come, nell'incostanza della l'avola popolare, secondo altre 31 4 forma appartenente al fondator del Gianicolo ? Se- condo il mito la fanciulla è condotta in Roma. Ro- ma dunque è considerata come già esistente, e si tratta, qui, s'io non m'inganno, della Roma, che, pes figura di prolepsi, o di procronismo, si tien per già conquistata dagli etruschi sopra i casci. Anio o lano è certamente il re casco, regnante, io ere- credo, in Alba, non ancor chiamata Alba-Longa, e forse, giusta la favola, che dice vero, su tutta l'O- pica; e ciò con tanto più di verisimilitudine, in quan- to abbiamo da Paolo, nella storia Miscella , com- pilata, com'è noto, da più antichi di lui , che gli Albani tutti si chiamavano anche Ani (1). Certo ei risiede al di là di Roma, poiché, per riavere la fi- gliuola dalle mani del rapitore, -che conducevala in Roma, è costretto a dirigersi verso l'Aniene, cioc- ché ci rispinge all'allusione ad un'epoca, nella qua- quale già i Casci avevan da per tutto la peggio Tersioni, esso è, o diviene, Aeneas, Aunus, Ocnus, lanus, Faunus ecc. — É noto da un'altra parte, che il nome latino si trova qua e là variato in lanus, Eanus, lanes (Serv. iii Aen- VII. 610). Tertuli. Apolog. (IV. p. 40 ecc.). Che maraviglia dunque se i toscani ne ab- bian l'atto il loro Ane, Anis, Ami, seeondochè in tante iscrizioni d'Etruria s'incontrano ? Così trasformato, egli è convenientissima- mente il fratello o il marito di Anna Perenna (che gli antichissimi debbono avere scritto, senza reduplicazione di consonante, Ana Pe- rena o Perana), e dà il suo nome, non pure ad Aneiclu {laniculum], ma altresì ad An-tium, e (orse ad An xur; mentre Ananu, co» una denominazione evidentemente t'ormata a contrapposto delle tre te- sté mentovato, richiamandoci ad un fondatore mitico An-anius, ci svela un'opposizian primitiva ad un tempo, ed un'alleanza, fra le tri- bt'k etrusche e casche. (ì) Edit. cit. p. 8. — Mie (Tullus) bella reparavit fiducia bene cxercitae iuventutis, et Anis bellum, qui nane ALBANI dicantur, et qui ab urbe XII miliaria sunt, intulit. 315 contro ai nuovi arrivati , e , perdendo ogni giorno terreno dalla parte della pianura, eran ricacciati verso i monti. Così la residenza del favoloso Anio , al tempo del ratto, era, mi penso, riguardata esisten- te non più in Alba , ma in qualche castello , nel paese superiore verso gli Equi, o i Sabini. Or, men- tre quivi ei si riparava , la leggenda dice che so- pravvenne d'improvviso Tarchezio, ed eseguì il ratto, del quale fu conseguente ultimo la morte di esso Anio, il matrimonio di Salia con Tarchezio, e quin- di la successione all'eredità del suocero, e la na- scita d'ìLatino e di Salio: e chi non vede in ciò de- scritta, e simboleggiata, la successiva conquista che che i toscani fanno di tutta la contrada trastiberi- na (dico trastiberina rispetto a loro) tra gli Opici ? Tarchezio, come altrove notammo , è Tarconte , o il simbolo generale de're toscani. Né fa opposizione che, altre volte, si trovi nominato, in più indeter- minato modo, Cateto (Kcc^cvcog), nel senso d'Invasore. Salia è la Silvia o Ilia, tanto celebrata, d'altre fa- vole , 0 il simbolo della terra casca (1). Latino e Salio ch'escon di lei, sono del pari Latino e Silvio, cioè Latino ed Agrio (2), Latino e Lavino (3) d'al- tre tradizioni: ossia due personificazioni essi ancora de'popoli Latino e Lavere , messe qui per signifi- care , che dalla occupazione di Tarchezio , vale a (1) La quale per un'allerazion popolare divien Salia (la balle- rina), in quanto probabilmente la l'avola ornata dal volgo, siccome suole, riferiva che fu rapita, mentre stava colle compagne danzando nella prateria. (2) Hesiod. Thergon. v. 1013. (3) Serv. in Aeueid. I. 2 — VI. ,S4 — VII, 678. 316 dire dall'invasione degli etruschi in poi , Latini e Casci non furon più che figli, cioè sudditi d'Etru- ria. Tal è l'interpretazione del mito, che a me par la pili vei'a. Or, se tutto è questo è ragionevole, e se quindi la favola è realmente, com'io da princi- cipio afifermava, fattura etnisca, dunque veramente la forma Anto del nome Giano è forma etrusca, e quindi il nome derivato Gianicolo, non potè all'etru- sca diversamente scriversi da ciò che noi suppone- vamo nell'altro paiagrafo. 21. Ma questo è articolo d'assai poco momento. Più importa cercare fatti e cose, in che il carat- tere storico meglio si mostri, e tanto appunto vo- gliamo sommariamente qui imprendere, se non ad altro, almeno a svegliare negli studiosi delle anti- chità romane il gusto di simiglianti ricerche , il qual tra noi, troppo lentamente, a mio credere, si va destando. 22. Appartiene alla categoria di che diciamo qual che si narra del sepolcro di Numa, il qual è fama, che nel Gianicolo fosse (1), e intorno a ciò m'è forza dire che l'opinione stabilita in tal pro- posito non può essere stata che una pretta e gros- lana impostura. Per fermo il re romano non po- teva essere stato sepolto in una terra non ancora romana; e nel tempo antichissimo, al quale si ri- ferisce il sepolcro, è assai da dubitare che libri di caria si sarebbono scritti in Ialino ed in greco, tali (1) Fesl. p. i83 — Paul. p. 108 — Liv, XL. 29 — Plin. H. N. XIII. 27 — Val. Max. I. 12. — Lactant. tie fals. relig. I. 22. — Dionys. II. 76. ecc. '^Cf. Cic. de legib. II. 22.) 317 che un erudito del sesto secolo potesse bene in- tenderli. Ne è possibile che il vero Numa scrivesse volumi di filosofìa Pitagorica , in contraddizione , quel che non manco è da ponderare , colle stesse sue leggi. Perciò , se qualche cosa di vero è nel fatto , che in questo proposito è raccontato, tutto dee ridursi ad una grossolana frode per la quale a nuove dottrine filosofiche volevasi conciliata l'au- torità d'una nome illustre e venerato, in un tempo in che la fama corrente fiicea Numa scolaro di Pitago- ra, ed in che più d'uno di simiglianti sforzi condus- sero il senato di Roma alla pubblicazione del ce- lebre decreto conti'a i retori ed i filosofi, conser- vatoci da Svetonio (1), e da Aulo Gelilo (2), e la cui data non è di più che di venti anni posteriore al trovamento del supposto sepolcro del re romano. Se il nostro re si volesse da taluno tumulato nel luogo chiamato Doliola, meno avrei difficoltà a con- cederlo, quantunque non v'è alcun molto solido ar- gomento per aff'crmarlo (3). 23. Alla or discorsa categoria, Dacier ha ugual- mente riferito quel che Festo così scrive (4) Statua est ludi (h. e. ludionis) ejus qui quondam fidmine ictus in circo, sepultus est in laniculo, cuhis ossa postea ex prodigiis, oraculorumque responsis, senatus decreto intra urhem relata in Volcanali, quod est supra Co- miliiim, ohruta sunl: super que ea columna, cum ip- (1) De cl.iris rhetorìb. cap I. (2) XV. II. 1. (3) Varr. de L. L. V. i37. (4) p. 228 — Cf. p. Victoris de regionib. urbis Reg. Vili Co- lumna cum statua M. Ludi. 818 sius effigie posila est; avvegnaché comenta quivi il Dacier. Illud conslat ante Ancum vixisse, qni lanicu- lum urbi addidil, ubi primo fuerat hic Ludius sepul- tus. Nam veleres romani., nisi ex prodigiis^ et oracu- lorum responsis, admonerentur, ut hic factum est, intra urbem nominem sepelibant, praeter duces eos, qui in praelio prò republica vitam amiserant ecc. Ma sem- bra a me che il critico francese proceda in tutto ciò troppo alla leggiera. Concessogli anche il valor tutto intero del ragionamento di che usa (1), non per questo che il ludione o giuocoliero etrusco dicesi es- sere stato prima sepolto nel Gianicolo, viene a dirsi ch'ei fu chiuso entro il pomerio della città qual fu aggrandito da Anco. Anco, siccome abbiamo vedu- to, non in altro senso aggiunse il Gianicolo a Ro- ma, se non in qnnnto vi fece sopra un castello stac- cato, al quale si andava pel ponte sublicio: ma mon- te e castello eran certo fuori del pomerio , laonde senza scrupolo sotto i re, potè in alcun punto del primo, e nelle adiacenze del secondo, seppellirsi chi- chesia. Per altra parte, quanto al nostro ludione , vale ancora un altro modo d'argomentare. Questi, fatto probabilmente venire d'etruria, donde simi- glianti giullari si traevano nel primo tempo , ( e il nome stesso di ludione costringe a supporlo di (1) Contra il quale potrebbe però altri addurre il seguente passo di Servio (inAen. XI. 206) Ante etiam in civìtate homines aepeliebantur. Quoti postea, Duilio Consule, Senatus prohibuit , et lege cavit, ne quis in urbe scpetiretur. Unde imperatores et Firgi- nes Festae, quia legibus non lenentur, in civitate habenl seputcra. Denique etiam nocentes Firgincs Festae {quia legibus non tenentur), lieet vivae tamen intra urbem, in campo scelerato , obruebanlur. E confrontisi con ciò quel che scrive Cic. De legibus XI. 23. 319 non altro paese ) fu fulminato nel Circo , e vo- glio credere nel massimo , costrutto d' ordine di Tarquinio Prisco. Senza dubbio , non appena ciò accadde, si consultarono gli aruspici, e, a lor con- siglio, il fulmine, caduto in luogo pubblico , ( il circo), durante funzion pubblica ( i giuochi) su per- sona pubblica ( il ludione prezzolato per pubblica cerimonia) , fu considerato fulgur piibblicum (1) , anzi regale (2), e fu procurato ( siccome in tai ca- si dicevasi) con riti particolari , ergendo il bidental al di là del tevere, in alcuno de'punti del mon- te Gianicolense, forse acciocché un etrusco fosse in terra originariamente etrusca, sepolto , e per- chè secondo il responso , era comandato di .sep- pellirlo nel pili eminente luogo (3), ciocché non è vero che del monte Gianicolare; finché altri pro- digi ed altri responsi fecer decretare la transa- zione delle ossa nella parte interiore, cioè cisti- berina ed individuatamente nel Volcanale, aggiun- tavi la colonna e la statua, come già praticato s' era nel caso analogo della statua d'Orazio Cocli- te, della quale Aulo Gellio ci conservò la memo- ria (4). Dunque , in ogni ipotesi mal nega Da- cier che la tumulazione primitiva abbia potuto essere in un tempo posteriore ad Anco , tanto più che la legge del non tumulare dentro la cit- tà riguardava i morti di morte ordinaria , non a (1) Giovenal. VI. «87- (2) Sencc, Natur. Quaes XI 48 il qual trascrive Caecina. (3) Cf. A. Geli. IV. 5. (4j Loc, cit. 320 rigor di termine , le morti prodigioss, e bisognanti di procurazione. 24. Ma , se non v'è motivo bastantemente lo- devole per credere , che , quando l'Agro Vatica- no apparteneva ancora agli etruschi il fatto del saltatore tosco accadesse , ben ho fede che allo- ra accadesse il primo aprimento della Via Vi- lellia, della quale ne'seguenti termini è menzione presso Svetonio (1) Extat . . . Enlogii ad C. Vi- tellium divi Augusti quaestorem libellus, quo contine- tur Vilellios Fauno Aboriginum rege, et Vitellia, quae multis locis prò numine colerclur , ortos tota Latio imperasse: horiim residuam stirperà ex Sabinis tran- siisse Romam, atque inter patricios allectam: indicia stirpis diu mansisse; Viam Vitelliam ab laniculo ad mare usque; item Coloniam ejusdem nominis , quam, gentili copia, adversus Aequiculos tutandam olim dc- poposcissent. Imperocché oggi ninno è che ignori siccome questa Vitellia moglie di Fauno non è al- tra che r italia deificata, col nome tradotto in uno degli antichi dialetti della latinità , oschi, sabellici od altri (2). E, se ciò si concede , la via Vitellia, denominata colla voce medesima, non certo igno- ta agli etruschi , i quali dalla stessa radice ave- van tratto il nome della città Vetulonia, non altro doveva essere che la via italica, così delta , non nella lingua de'romani, che non usarono mai del (1) In Vitellio l. (2) Serv. .n Aen. Vili. 38S — Lanzi Saggio voi. I. p. 246, XI. p. 515 (Edit. sec.) Cf. Niebuhr Hist. Rom. Trad. frauc. voi. 1 p. 21 23 — . 321 vocabolo vitebis o vilulus por iialus , ma in una lingua più antica , perchè il tevere offriva in quel punto un eccellente passo o guado, innanzi la do- minazione romana, a qne' che si chiamavano i vl- leli (1), per andare al di là del fiume , ed ai tra- sfluviali per andare ai vileli. Quindi è che, a tro- vare l'origine della via mentovata, bisogna rìsali- re al tempo , in che rimanevano in piede ed in fiore sull'una riva, Gianicoìo città principale de'Ca- sci, sull'altra Salnrnia, città non men principale de' Latini, presto confusi in un popolo solo; e per con- seguenza bisogna risalire ad un ordine di cose già vecchie, quando la prima di queste due città cadde in potere de'toschi, sotto i quali la Via vitellia do- vette acquistare nn' importanza anche maggiore, co- me uno de'mezzi di comunicazione i più utili, che legava i viteli, finché almeno, mutate le condizioni civili e connnerciali di tutto qu^l tiatto , essa via non perdette l'antica sua nobiltà, lo che avvenuto, par che andasse dimenticata, o fosse distrutta, in- fatti nel citato passo di Svetonio se ne parla come d'una cosa la quale al suo tempo non più era. Diu mansisse, dic'egli: ciocché par voler significare, che al tempo di lui non manehat. E questo sia il ter- zo fatto della categoria da me presa ad esami- nare, il quale mancar non potea di trarre a se l' attenzion nostra. 25. Per ultimo cercheremo a quali de' popoli etruschi spettar dovette 1' importante passo del Gia- nicoìo con tutto r agro annessogli , e colla chiave (1) Niebnlir Op. cit. p. 22. G.A.T.CXXXVIII. 21 322 della Via Vitellia, nel tempo immediatamente ante- riore ad Anoo; e su ciò non possiamo aver senti- mento diverso dall'enunciato già altrove ; cioè che i Veienti ultimi; e i Ceretani primi , tennero suc- cessivamente il dominio, in tutto o in parte, del- le qui mentovate terre. E pe' Ceretani già lo pro- vammo (1): resterebbe dunque a provarlo pe'Veienti, se il consentimento comune d'antichi e moderni non ci avesse intorno a ciò risparmiato ogni fatica (2). Non abbiamo noi già veduto che sotto nome d' Ep- tapagio fu, benché a torto, rispetto almeno al no- me , assegnato sempre a que' di Yeio da moderni ed antichi Scrittori (3) ? Nel tempo delle conqui- ste trastiberine d'Anco Marzio, non è egli esclusi- vamenle parlato di guerre combattute con Veio ? Non è a Veio eh' è tolta la Selva mesia (4), e tut- to il tratto delle Saline (5), non solo poste sul fiu- me (6) , iììSl vicino alla foce di esso fiume , dove Ostia fu poi fabbricata (7) ? — La imboccatura dun- (1) Giorn. di Pisa • — Opusc. cit. framm. 2 paragr, 22- — 31. (2) Mùller clic Etrnsker voi. 1. p. 36. (3) Giorn, di Pisa — Op. eit. framm. 1. paragr. 16. (4) Liv. 1. 33. — È noto che la Selva mesia è in osco quanto dire la selva massima , ciocché fa conoscere la grande estensione che dovette avere. Forse attaccavasi all' Arsia , la quale par cosi detta duìVArone fiume, donde credo derivato il nome eziandio del- l'armena etrusca. Quanto alla selva mesia di che prima favellammo, par essa quella a che Virgilio fece allusione dicendo ( Aen. Vili. 397) — Est ingens gelidum lucus prope Ceritis omneio Relligione patrum late sacer. (5) Liv. loc. cit. (6) Plutarc. in vii. Romul. 25. (7) Liv. loc. cit, — Dionys. 35. 323 que, non che il teiren superiore fino a Roma: senza diibio perchè né particolari ordinamenti tra Cere e Veio, per un ultimo compromesso, era stabilito che a Cere bastar dovesse, a beneficio del proprio com- mercio, l'esteso suo littorale sul mar tirreno, e il navale di Pirgi, e restasse a benefizio de' mediter- ranei veienti il corso intero del fiume con una lun- ga fetta di riva, la quale, se da qualcuno , fin dal momento del compromesso, si volesse affermare chia- mata Vaticana , per denotare eh' ella era di nuova aggiegazione all'ultimo confine de'Veienti detto Vati- cano, dando così a sì fatta estension di nome una data più antica che l'occupazione d'Anco , io non mi prenderei la briga d' impugnarlo. — E tanto s' accetti a saggio del molto più che si potrebbe for- se dire, e che per non generar noia passo volentieri sotto silenzio. — F. Orioli 324 Secondo * esperimento di traduzione delle favole di Fedro eseguito da Giuseppe Bellucci cervese. LiB. I. Fav. XI. // Leone e V Asino che vanno a caccia. Chi e privo di valore, e mena vampo. Inganna chi noi sa; chi il sa, il deride. Volendo all'Asinelio in compagnia Ire a caccia il Leone, lo coperse Di frasche, e in un gl'ingiunse che ragliasse Stranamente, a terror degli animali; Ch'esso poi de'fuggenti farla preda, L'orecchiuto lì subito ragliò Di tutta forza, e novità sì nuova Infra le fiere mise lo scompiglio. Che mentre impaurite s'addirizzano Ai noti varchi, con impeto orrendo Dal fier Leone soprafPatte restano. Il qual, come fu stanco della strage, Richiama l'Asinelio; e gli fa cenno Che basta. Quegli allora imbaldanzito: Come parti adoprasse la mia voce ? Egregiamente ! l'altro sopraggiunse; • Il primo esperimento si vede utl tomo 134 del presppte Giornale. 325 A tal che s'io ignorava il tuo coraggio E nascimento, da paura eguale A gannbe mi sarei dato alla fuga. LiB. I. Fav. XII. // Cervo al fonte. Tornar spesso a vantaggio più le cose Che disprezzasti, che le avute in pregio. Questo racconto il mette in chiara vista. Bevuto ch'ebbe un Cervo ad una fonte, Soffermossi a specchiarvi la sua effigie. Ivi mentre e rimirasi e si loda Delle ramose corna, e a vituperio S'arreca quelle sue gambe sì esilia De'cacciatori spaventato ai gridi A una fuga si die cosi precipite. Che i cani eluse, e potè rinselvarsi. Là intricate le corna, e trattenuto, Prendonlo i cani a fierissimi morsi. Allora in su'l morire così sclama: 0 me infelice ! ch'ora alfine intendo Quant'utile mi fu ciò eh' io sprezzava, E che quel che lodava, mi die lutto. LiB. I. Fav. XIII. // Corvo e la Volpe. Chi lodato esser gode a' cortigiani. Da sezzo paga il fio, e se ne pente. 326 In quel che il Corvo a grand'arbore in vetta Un formaggio a mangiare s'apparecchia Rubato a una finestra, gli tien d'occhio La Volpe, ed in tal modo a lui favella: Come lustran tue penne, o Corvo mio ! Quanto di volto e corpo se'mai bello ! Se t'avessi una voce I . . . non sariavi Uccello al par di te. Ma quello sciocco Mentre volea far mostra della voce, Si lasciò andai;'(? di bocca il formaggio. Che in un baleo l'astuta sei rapì Avidamente. Con tanto di naso Resta il baggèo alla frode, e da nel pianto. LiB. h Fav. XIV. // Calzolaio finto medico. Un Calzolar da nulla e disperato Sì mise per 1' inopia a fare il medico In luogo sconosciuto; e lì vendendo Un antidoto falso e innominato. Da lesto ciurmador scroccossi il credito. Volle fortuna gravemente infermo Fosse il re del paese; il qual richiesto, A spermentare il medico, un bicchiere, E infusavi dell'acqua, fé le viste Mescolare all'antidoto il veleno. A lui poscia rivolto: - Se il bevete. Vi darò premio. Di morir la tema Forzollo a confessai che non la scienza, 327 Ma r ignoranza altrui lo creò medico Di vaglia. Il re adunata l'assemblea: ^ — Ditemi, e quanto vi stimate pazzi Voi che punto affidar non state in forse 11 vostro capo a chi non fuvvi uoin vivo Che commettesse fargli un par di scarpe? A que' stolti ciò attagliasi a pennello, Che a cerretani sono il piatto dolce LiB. I. Fav. XVI. // Cervo e la Pecora. Baraltier ti dà un tristo a sicurtà, T'aggira, t'avviluppa, e ti rovina. Alla Pecora un moggio di frumento Il Cervo già chiedeva in grande istanza* Mallevadore il Lupo. Ella temendo Di frode: Ma !.. . ehbe sempre per costume , ; 11 Lupo di rubare e fuggir via; Tu ti togli alla vista come un lampo ! . . . Quando sarà quel dì, dove trovarvi ? LiB. I. Fav. XX. // Leone moribondo, il Cinghiale, il Toro e V Asino. Chiunque scade dall'antico grado, Anche i vili V oltraggiano cadendo. Rotto dagli anni e dalle forze emunto Il Lione era in trarre il spirto estremo; Quando a lui venne co'fulminei denti 328 Il Cinghiale e strappollo, a vendicarsi D'antica ingiuria. Il Toro anch'ei furioso A quel suo avversario die di corno. L'Asin, che vide impunemente il fiero Potersi maltrattare, il calciò in fronte. Ed ei che già spirava: Sopportai A male in cuor m'insultassero i forti; Ma l'essere costretto a soffrir te, Disonor di natura, ah che perdio Mi sembra di morir di doppia morte! I. Fav. XXI. La Donnola e VUomo. Presa dall' Uom la Donnola, cercava Fuggir di certa morte, ed esclamava: Deh mi perdon . . . perdona a me che purgo A te la casa da molesti topi! E quegli: Se il facessi a mio riguardo, Te n'avrei grado, e al tuo pregar perdono Dareiti. Ma tu fai quella fatica Per goderti gli avanzi ch'essi denno Rodere, e divorarti alfin lor stessi. Dunque non m' imputare un beneficio , Che tal non è. E nel dire la schiacciò. Sei debboti ciò recar dello per loro Quei che pei^ ulil proprio fan servizio, E a chi gli crede, dicon MIRA MAGNA. I 329 LiB. I. Fav. XXIII. La Rana crepala e il Bue. Meschhì., che imita il grande, si precipita. Vide un giorno la Rana il Bue in un pialo, E a tanta vastità tocca d'invidia, Si die la grinza pelle a gonfiare; E interrogò i suoi figli s'era grossa Quanto il Bue. Le dissero di no. Allor tese la pelle con più sforzo; E al pari diniandò chi era maggiore. 11 Bue, le disser. Sdegnata a quest'ultimo, Mentre di piiì gonfiar si vuol, crepò. LiB. I. Fav. XXVI. // Cane e VAvoltoio. Questa agli avari può convenir bene, E a chi umil nacque e ricco ama esser detto. Scavando un Cane umane ossa, trovò Un tesoro; e perchè così violato Avea i Dei Mani, di lui si fé donna La cupidigia degli averi, a degno Castigo della santa religione. Perciò l'oro covando, il cibo scorda, E muor d' inedia. Stando di lui sopra L'Avoltor, si racconta d'aver detto: 0 can, giaci a ragione; che tantosto Dell'opulenza il mal desio ti vinse, Nato di trivio, e nel letame avvezzo. 330 LiB. II. Fav. II. La Vecchia e la Giovane amanti di un nomo di mezza età. È qnesto un fatto, e non ce via né verso, Che gli uomini o si sieno amanti o amati, Dalle femmine denno esser pelati. Donna , esperia ed accorta in celar gli anni Con la eleganza, tenea stretto in rete Un uomo di mezza età, che pur pres'era Agli occhi d'una vaga forosetta. Mentr'ambe a lui parere amano eguali, Gli cominciaro a scerre, or l'una or l'altra, I crini. Quando ei si credea per cura Delle donne acconciarsi, restò calvo A un tratto: che la bella svelti i bianchi Dalle radici avea, la vecchia i neri. LiB. 11. Fav. IV. V Aquila, la Gatta e la Scrofa. L'Aquila avea suo nido a quercia in vetta: A metà d'essa, già logora e bugia, Una Gatta vi avea fatto i micini: A pie stava una Porca co'porcelli. Or la maligna Gatta e pien d'inganni Mise così sossopra quel fortuito Lor stare assieme. Arrampasi su al nido Dell'Aquila: ed Oh ! dice, un gran disastro Ti si prepara, e forse ancora a me 331 Meschina ! Quella Scrofa, che ognor vedi Scavar la terra, tenta insidiosa Sveller la quercia, onde di nostra prole Far preda agevolmente colà al piano. E lì sparso il terrore e lo sgomento, Artigliasi al covil giù dalla Troia: E poveri i tuoi figli 1 va sclamando; Che appena tu escirai col giovin gregge jii-tii <:v.'^ 11 cibo a procurar, l'Aquila è pronta :i,) A rapirteli tutti. Lo spavento -^ Gittato colà pur, l'astuta internasi Nella sua cavità. Poscia di notte .t/i Gira pian pian qua e là per far provvista; E tutto il giorno, fìngendo paura, Sta guardando e osservando. Del pericolo ,a l&uQ L'Aquila pavé, e del nido non staccasivit^b ih rM La Scrofa ad evitftr^ la ra,pina m'-,.. .;•.>./! Fuori non esce. In aomiiia d,'ined|ia Perir co'propri figli, larga cena m i' Preparando alla Gattfi ed ai gattini. ^mi,,, mi..,") LiB. II. Fav. Y. Uimperator Tiberio e il PaUinaio. " Di faccendoni in Roma havvi una razza. Che va e viene con lena affannata, C|ie vive in ozio, e pur sempre si ^)riga, E anela e suda gratuitamente, . nì jb o o/ij» mi u Che molte cose fa, ma non fa nulla, ■ '^''f''''^ aiijiiii^c Grave a se stessa, odiosissima altrui. Questa (se il posso) ricondurla al senno 332 Con una vera favoletta io voglio, La qual prezzo è dell'opera ascoltarla. L'imperator Tiberio un dì recatosi In Napoli alla sua villa Miseno; Che per man di Lucullo in cima al monte Già fabbricata, vede a se rimpetto Il mar siculo, e là quel di Toscana; Uno degli alto-cinti portinari, Cui dagli omeri in giuso era la veste Stretta da fascia di pelusio lino A ricchissime frange, il suo signore Mentre passeggia que'giardin fioriti. Si die il terren, che lì arde e ribolle, Con vasello di legno ad annaffiare Quel cortese e gentile atto ostentando: Ma di derisi'on raccoglie frutto. Poscia pe'noti andirivien precorre In un altro vial la polve a spegnere. Tiberio lo riguarda e intende il quare. Colui quel sguardo se lo auguria un bene. Quando Cesare il chiama: Ehi ! Ed ei strisciasi, Sicur di un dono, e dalla gioia brillo. Ma lì l'altezza di si gran monarca Il prese a gabbo e disse: Hai fatto poco, E tua fatica si disperde al vento: Gli schiaffi (1) noi vendiamli a ben più prezzo. (1) l romani fra i diversi modi, onde concedevano la libertà ad un servo o schiavo , s'avevano anche questo di dar loro uno schiaffo dinanzi al pretore. 333 LiB. II. Fav. vi. V Aquila, la Cornacchia e la Testuggine. Niun giammai compatenti è appien sicuro; Ma se poi v'entra consiglier perverso, Ciò che alla forza e al mal voler contrasta, Tutto dà loco, va in rovina tutto. Portò l'Aquila in aria una Testuggine, Che alla sua cornea casa entro ritirasi Per non essere offesa a verun patto. Passò Cornacchia lì vicin volando; — Ed oh ! ch'ottima preda hai sgraffignata. Ma se non mostrerò quel che far deggia, T'accascerai dal peso inutilmente. E essendole promessa la sua parte, Consiglia d'alto là di scagliar giù Contro ad un scoglio il durissimo coccio. Che in mille pezzi rotto e sfracellato, Un'agevol s'avrà cena gradita. A quel parlare l'AquIhi accudì Col fatto, e in un partì con la maestra La larga dape. In tal modo colei, Che pel don di natura era sicura. Con due non fu da tanto, e a morte corse. LiB. II. Fav. VII. / Muli e i Masnadieri. Carichi di gran peso se n'andavano Due Muli. L'un recava de'cestoni 334 Con danai' diento: l'altro d'orzo gravidi De'grossi sacchi. Quel porta quattrini Sen va a test'alta, e spenzolone al collo Sbattacchia un romoroso campanaccio: Queto e dinnesso il compagno lo seguita. Quand'ecco dagli agguati si disserra Una banda di ladri, e ammazza ammazza Dan colpi al mulo, ed i danar si portano; E non curan dell'orzo. Il derubato Mentre piange i suoi casi; l'altro: — Io poi Me la rido; né manco m'han guardato ! . . Non v'ho rimesso niente, e sono illeso. Mediocre fortuna è più sicura; Son le ricchezze esposte a gran pericoli. LiB. II. Fav. vili. // Cervo e i Buoi. Ispaventato in la foresta il Cervo, Per si fuggir da'cacciator la morte Che gli è imminente, dal timor già cieco, Nella prossima villa scappa, e a sorte Entro stalla dì Bovi si nascose. Lì un de'Bovi a lui: Che cerchi mai, Infelice ? tu corri in bocca a morte. Commettendo la vita in casa gli uomini. Ma quei: Per ora deh ! voi mi salvate, Che al primo lampo slancerommi al piano. « Il giorno se n'andava, e l'aer bruno » Ne raccogliea le veci. Arreca il strame Il bifolco; e noi vede. Vanno e vengono 335 Di mano in mano tutti gli altri rustici; Non se n'accorge un'anima. 11 castaido Passa ei pure, e neppure ei n'ha sentore. Allora tutto gioia il Cervo: Grazie Grazie, o Buoi mansueti, che in sì orribile Momento voi prestastemi il ricovero. Un l'interuppe: In quanto a noi, te salvo Salvissimo vorremmo; ma se viene Quel ch'ha cent'occhi, oh dio ! che la tua vita È in gran periglio. Appunto in questo dire Torna il padron da cena, e perchè i Buoi Visti egli avea un pò smilzi, si fa appresso Alla greppia: — E che è questo ? qui ci manca E strame e foglie ! che grossa fatica Toglier via questa ragna ! A parte a parte Mentre esamina il tutto, scorge là li Cervo all'alte corna; che chiamata La turba de'famighi il fa ammazzare, E la preda si cocca. Ciò vuol dire Che il padrone nel suo vede moUissimo. LiB. 111. Fav. vi. // Cane e il Lupo. Quanto sia dolce libertà, ascoltatemi. In ben pasciuto Cane s'imbattè Un macilente Lupo; e salutatisi Entrambi, disse il Lupo: Donde mai Sei così lustro ? e con che cibo hai fatto Tanta trippa ? lo che son più forte assai Muoio di fame. E quell'ingenuo Cane: 336 — Esser può similmente anche di te, Quando servii* tu voglia al mio padrone. — E in che servirlo ? — Coiresser custode Della soglia, e badar di notte ai ladri. — Eccomi pronto: piogge e nevi io adesso Patisco e tanti stenti in mezzo ai boschi, Che m'è un zucchero il viver sotto un tetto, Non far nulla, e mangiare a stracca denti. — Vieni dunque con me. — Strada facendo Il Lupo se n'adda che il Cane ha logoro Dalla catena il collo. — E donde è questo. Camerata ? — Ma niente ! — E pur fa grazia Di spiegarti — Perchè mi veggon d'impeto, Alle volte mi legano, onde il giorno Riposi, e vigilante stia la notte. Verso sera mi slegano, e men vò Dove mi pare. In quanto al pane poi, Mei porgono a due mani, ed il padrone M'imbocca tutti gli ossi; la famiglia Cittami i frusti, e ciascun ciò che nausagli: Così senza fatica empio la pancia. — Ma dì: se hai voglia andarti in qualche sito. Te lo permetton poi ? — Oh questo no ! — Buon prò ti faccia, o Can, ciò che tu lodi: S'ho a perder libertà, non curo un regno. LiB. IH. Fav. vii. // Fratello e la Sorella. Or leggi, e teco spesso ti raffronta. Un tale avea una figlia brutta assai. 337 Ma un tìglio ch'era un niostio di bellezza. Costor veduto porre in su lo scanno Lo specchio della madre, com'è il vezzo De'ragazzi, si misero a inspccchiarsi. Guarda com'io son bello, grida l'uno. L'altra s'adira, e gli scherzi dispetta Del borioso fratel, pigliando il tutto (E come no ?) ad ingiuria. Corre adunque Dal padre a vendicarsi, piena e gonfia D'invidia; e te lo accusa, essendo uomo. Ch'abbia ardito d'usar cose di donne. Ei stretto l'uno e l'altro al proprio seno, E imprimendogli baci, e del suo affetto Versando in tutti e due la tenerezza: — 0 miei figli, anzi io voglio ch'ogni giorno( Voi vi specchiate; tu la tua bellezza A non bruttar di vizi; e tu, mia cara. Al difetto a supplir co'buon costumi. Lin. IH. Fav. Xm. La Cicala e la Civetta. Chi cortese e traltabil non si presta^ Spesso d'orgoglio tal porta la pena. La Cicala faceva un gran dispetto Con quel suo schiamazzio alla Civetta; Che solita la notte a cercar cibo, Il dì dorme alle volte in buchi d'alberi. La pregò che tacesse: ella più forte A stridir cominciò. Di nuovo inchinasi A pregarla; e colei vie più si accende. G.A.T.CXXXVin. 22 338 Come ad ultimo vide che per lei Non v'era scampo, e che le sue parole Eran gittate al vento, accalappiò Con quest'astuzia quella sussurrona. — Poiché il tuo canto, che rassembra il suono Della cetra d'Apollo, mi tien desta; Hommi disio di bere di quel nettore Donatomi da Pallade testé. Se non ti spiace, vieni; il beveremo Assieme. — Dalla sete ella allampando, Tosto udì darsi lode alla sua voce, Bramosissimamente il voi spiegò. Ma la Civetta di là dentro sbuca. Te la ceffa e l'uccide. In tal maniera Cip che viva npgò, lo die da morta. Lnj. IV. Fav. XVII. La Volpe e il Drago. Una Volpe scavandosi la tana, Mentre trae fuor la terra, e pili straduzze Molto in basso sprofonda, ad una cupa Stanza arrivò di un Drago ch'era a guardia Di nascosi tesori. Appena il vede: Ti supplico a scusare del mio ardire; Ma bramerei di grazia mi dicessi (Che vedi ben che l'oro ad un par mio È cosa estranea) qual ft'utto tu colga D'està fatica, e qual grande mercede Faccia privarti mai del dolce sonno, E consumare i giorni in questo buio. 339 Niuna, ei rispose; ma dal sommo Giove Ciò mi fu imposto. — Dunque nò per te Ti pigli cosa, nò doni ad alcuno ? — Così piace al destino. — Oh ! non montare In collera, se dicoti alla libera, Che nacque ai numi in ira chi assomigliati. — Tu che sei per andar là dove andaro I padri tuoi, per qual cieco delirio L'anima meschinella ti tapini ? A te parlo, avaraccio, un dì gran festa E gioia del tuo crede, che d'incenso Gli dei defraudi e te stesso di cibo. Che burbero, inquieto e pien di cruccio L'armonioso suon di cetra ascolti, Ne ti giocondan amorosi flauti; Ma ti esprime dal cor profondi lai II rincarar de'viveri, ed un solo Un sol marcio quattrino purché insacchi, Co'tuoi spregiuri, o sordido, il ciel noi. Che in somma d'ogni spesa il funerale Ti studi di cimare, onde la dea Libitina del tuo non scrocchi un soldo. Epilogo del Lib. IL Levò l'attica Atene alto una statua All'ingegno d'Esopo, e locò il servo Sovra d'eterna base; acciò si vegga Che s'apre a ognuno dell'onor la strada; Che il sangue no, ma la virtudc ha gloria. Ei mi prevenne, e i primi onor si tolse. Ed io (che ciò restava mi) feci opra, 340 Che non si fosse il solo. È bella gara, E non invidia, questa. E dove il Lazio Al mio lavoro arrida, avrà più molti Da por del paro con la Grecia dotta. Che se livore il morda; ah non terrammi La coscienza di sudata lode ! Se questo studio mio alle tue orecchie Arriva, e l'alma è tocca al magistero Di queste Tavolette; ogni lamento Sì bella sorte caccerà di nido. 341 Delle legioni di Mesia , o Illiriche ( la qiial Mesia conteneva le parti ora dette Bosnia e Servia al- Voriente , la Bulgaria vicino al mare Caspio e le foci del Danubio al di qua del medesimo^ e la Bessarabia al di là ) e deWantica Ravenna Tran- stiberina — e si spiegano alcuni passi di Livio , di Gelilo e di Marziale , aggiunte alcune antiche iscrizioni — fra le quali una trovata sul Monte Musino, 0 Mesino, il cui nome si fa derivare dalle legioni di Mesia, che colà ebbero i loro quartieri. - Ragionamento del prof. Filippo Mercuri. PARTE PRIMA. P, l'ima di spiegare V origine del nome di Monte Musino conviene aver notizia della classe misenate e ravennate. - Ebbe Roma due armate maritime , cioè la misenate e la ravennate. - La prima abitò nella regione HI", del Monte Celio ed ebbe il quar- tiere e castro pretorio in Albano, ma non i campi, lasciati per ville e delizie dei romani, piii che per colonie de' veterani, come a lungo mostra il Donati con autorità irrefragabile d' Erodiano , Capitolino f Appiano, Dione, Xifilino e Sparziano. - La raven- nate, trattata al pari dell'altra, ebbe il castro a Mon- te La Guardia vicino a Castel-novo quasi ad ugual di* stanza da Albano, per esser pronta ad ogni moto del- la città, e tenne le mansioni dentro il recinto del trastevere, ove eia la taberna meritoria alla chiesa di S. Maria in trastevere: le quali mansioni hanno indotto in equivoco gli scrittori r ehe le confusero eoi castro e quartiero. - 342 Non voglio stabilire sì fermo e coilfiniio il quar- tiere della classe lavennate fuori di Roma , che per contenere in o/io i soldati non fossero , come accenna Lampridio in Commodo, chiamati a Ro- ma parte di loro, ove si assegnasse loro la cura di tirar le tende nell' anfiteatro « a militibus classia- riis qui vela diicebant in anfileatro, » essendo rare le spedizioni maritime sotto V impero; ma dico be- ne ed affermo coli' autorità di Svelonio, che sotto Augusto ebbero il quartiere fuori di Roma : Clas- sem Miseni el alleram Ravennae ad tiitdam superi et inferi muris collocavit. Certum numcrurn partim in urbe ad sui custodi am adlegit, ncque tamen unquain plures quam tres cohortes in urbe esse passus est si- ile caslris: reìiquos in hiberna el aesliva circa finiti- ma oppida dimillere assuerat « che fu Monte La Guar- dia de'ravennati e Albano de'misenati, luoghi fini- timi e prossimi, e uno sopra, l'altro sotto Roma. Fu ciò continuato da Tiberio, che non ridusse negli alloggiamenti uniti in Roma che i pretoriani, non i classiari: Slationes militum solito frequentio- res per Italiani disposuit: Romae castra constiluit , quibus praelorianae cohortes vagae ante id tempus et per hospitia dispersae conlinerenlnr. Dal che si rac- coglie che il quartiere pretopiano fosse solamente in Roma, come stabilisce il Nardino e il Donati , tra la porta Pia e di S. Lorenzo, che per amplia- re le mura fu disfatto da Costantino; onde il Sa- bellico e tenti antiquari fondatamente ripongono r altro a Capo di Rove , di cui anch'oggi si vedo- no i vestigi; che forse, come parla l'Angeloni, e il Ligorio ne porta la medaglia, fu rifabbricato dopo 343 distrutto il primo da Costantino; ina distinguendo ^ come si deve, i pretoriani di terra dai pretoriani di mare, non si esclude con ciò che i classiari raven- nali avessero il castro e quartiere in coleste partii dette perciò città di Ravenna e colonia de'mvennali. Che la città de' ravennati riposta nel trasteve- re (e per il trastevere , intendo i campi di là dal Tevere dopo il Ponte Molle ) fosse lontana da Ro- ma , e non nel trastevere dentro Roma , e fosse precisamente nei campi verso il Tevere di Castel- novo , Fiano e Ponsano , ce ne dà un riscontro il Torrigio nelle Grotte Vaticane descrivendo, tra le por- te ch'erano a S. Pietro, la Ravenniana, per la quale entravano quelli del quartiere e città ravenniana , toscani e longobardi, e per questa porta entravano in Roma in proporzionata distanza i ravennati, co- me la genie di Palestrina dalla porta prenestina, di Tivoli della tiburtina , i Veienti dalla veientina , e quelli di Porto dalla portuense. Questi ravennati rastiberini il De Angelis chia- ma Traspadi, e Toscani , come soldati dabnati di là dal Pò e gente di Ravenna. Tanto più che, oltre il tempio e mansioni che ebbero a S. Maria in trastevere i ravennati di qua dui Pò, e dal mare adriatico , quelli oltre mare e oltre al Pò ebbero la scola e tempio vicino al Ca- stel S. Angelo, ove poi fu fabbricata la chiesa di S. Maria in Traspontina, detta anche in capo al ponte e in capo al portico, ch'era quivi dalla mo- le Adriana fino a S. Pietro, rovinato da Enrico V; che per non impedire il Castel S. Angelo fu poi da Sisto IV trasferita a mezzo Borgo nuovo, dove 344 al presente si lilrova. Ne la denominazione di Tra- spadina può atlribuirsi al ponto S. Angelo per il Pò: che il nosti'o Teveie non è il Pò di Lombardia, né da Traspoìtlcm, ma da Trans Ponium e derivato Tra- spontina, come da Ponto le pontine paludi. Che la via Flaminia di là dal ponte Molle fosse chiamala strada ravennìana e ravignana, ce lo mo- stra Guglielmo Malmesburiense presso il Bosio. Fla- minia via Clini ad pontem Milvinm pervenit , voca- tur via ravennìana , quae ad Ravennani ducit : né può ciò intendersi della città arcivescovile: che la Flaminia negli itinerari antichi non si stendeva che a Rimini, dove poi comincia l'Emilia fino ad Aqui- leia, né mai si fa menzione di Ravenna. Resta dun- que chiaro che tanto la porta ravenniana di S. Pie- tro in Vaticano, quanto la via ravenniana della Fla- minia , deve intendersi della classe ravennate ac- quartierata a monte La Guardia di Castel nuovo , delle colonie di Ramiano e di Pensano, luoghi dati alle cooiti e legioni pontiche e trasponline di Ponla e traspadane chiamate milizie fortissime da Tacito, e flaviane ripartite nell'antica Flavina di Fiano. Di fatti tra le legioni Flavie si numera appunto nella 1 ." la Flavia Costantia Taebeornm dopo- la Clas- sica, la Flavia Gemina, la Flavia Teodosiana : nella 4". la Flavia, la Flavia felice, la Flavia giudaica fe- lice , oltre la 16 Flavia , la Flavia fedele ed altre, che furono sì frequenti tra Castel-novo , Soratte e il Tevere: il che serve ancora a pi'ovare che queste parti furono abitate dalle colonie di là dal Ponto, (■■ perciò dette Traspontine , del pari che Traspa- dane e Bavcnnali e Trasteverine. 345 Mostrasi ancora dalle antiche bolle , che queste parti ebbei'O il nome di Transpnde , Trasteverine , Transpadane, Trasponle, Puntane, Trasponiine, e città de' ravennati', tanto più che fra le lei^ioni mai'itime, oltre le dalmatiche , illiriche, si registrano la bri- tannica, la virje^ima infima Batavoriim, e tante altre marine : né io ravviso il nome di Grotta Feri*ata, che dalla legione G. Ferrata. L. G. F. [Legio Gemi- na Fenduta ) , il nome di monte Cereto in Castel- novo che dalla legione Cirenaica, e quello di Torre Spaccata, se non dalla scola e coorti Spcculatorum eh' erano soldati di sentinella e di guardia. Pari- menti il nome di Valle-Pertica e Partica a Pietra Pertusa io lo derivo dalla legione Panica : e alla legione Mesica , come congrua alla sua denonìina- zione, del pari che Fiano ai tlaviani , credo doversi assegnare la selva e castello mesio, e campi d' in- torno, ch'essa ebbe per colonia ; donde dico deri- varsi il nome di Monte Musino o Mesino , vicino a Scrofano, da cui ebbe origine il nostro discorso. - Né in altro luogo certamente vuoisi riporre la Sel- va Mesia , malamente da alcuni autori creduta vi- cino al Porto ed al mare. Ma per estendermi anche più su tal proposito delle legioni , non per altra ragione che per la so- pi'addetta, credo derivato a Castel-novo il nome di Castrnm novum nominato nell' Itinerario d'Antonino , e di Caslrum Riani , a Riano; che dall' abitazione di queste legioni , che ivi avevano le loro colonie e il loro castrnm. Incontro al convento de' cappuc- cini a mano dritta verso Roma, si mira non lungi dalla Flaminia , poco meno di due miglia distante 3itì (la ('astel-novo il caslello di Francalancie nelle bolle pot'ttiensi chiamata Villa Francula : questa ancora sappiasi che fu colonia della legione hinionim 23 Lancearia, che furono due, oltre la trigesima secon- da Lanccaria Scohensis, e la 44 Lanceariu Auguslensis. Della Scohense fa menzione Abramo Ortelio , e un marmo portato dal Goltzio nel suo tesoro , è rende la ragione di ({uesto nome, ch'io credo ve- nisse a Scohe e Scobina , e perchè fossero franchi dal combattere , poi da ogni altra fatica e im- piego di far acqua, legna, steccati, fascine e simili cose, attendendo a restaurare i dardi e armi rotte e ripulirle: e quindi nella declinazione dell' imperio sarà venuto il nome di Franca Lande, giacché per le armi nuove avevano i suoi arsenali a parte in più luoghi, dove si fabbricavano, come mostra Ve- gei^io e spiega Steuchio, e questi ancora godevano qualche franchigie. Dell'antica colonia e castello di Francalancia ap parisce ancora la selciata che vi conduce, e fram- menti dì musaici e pavimenti tessellati ed altri cementi ed acquedotti che dinotano la nobiltà e l'anlichità del luogo. Confina con Francalancia Manie Sonano, che fu colonia della legione Siriaca e coor- ti che furono molte: cioè la 2 Tracimi Suriaca Clau- diana , la 26 Marapionim in Suria , la legione 3 Suriaca, la 38 Suriaca pia fortis fìdelis: né molto lungi è Ripa Maraula, ove la pietrara de'selci, de' quali è stata lastricata la Flaminia in queste par- ti e questa e l'altra sotto Castelnovo vicino al fos- so di Chiarano , denominata ancora Maraula, sono così dette dall'undecima legione detta Maurelanica. 347 Segue appresso a queste sotto a Belmonte Grot~ fa Pagana, che fu parimenti colonia delle coorti e legioni illiriche e dalmatiche, che furono molte, cioè cioè - La 3 e 4 llliricorum , la 5 Dalmaldiuni la 3! Dalmalarum Jsaurica, la legione 3 Dalmatica victrix, la 20 Illirica , la 35 Illirica pia lidelis: e Pagani appunto sono i Narelani di Dalmalia , e Pago isola dalmatica. Onde riassumendo il discor- so non è a maravigliarsi se da queste legioni schia- vone d'Istria, illiriche e di Dalmatia, la vicina Ca- stelnovo piendesse il nome di Caslelnovo di Dal- matia, di provincia d'Istria: e che dal quartiere de' ravennati a Monte la guardia e Colonia Ravenniana di Ramiano composta di questi popoli, più d'ogni altro allora esperti nella marinaresca, e da sì fre- quenti colonie pigliasse il nome di città de'Ra- vennati tutta questa regione posta di là dal Teve- re nella Toscana che cominciava dalla porta di S. Pancrazio e dalla ravenniana di S. Pietro fino a Ponsano. Che perciò il Mallio presso il Torrigio ri- pone l'abhazia di S. Pancrazio, come una delle 22 che assistevano alle messe pontificie , con i beni che aveva, nella città dei ravennati: e acciò non s'intendesse che la città de'ravennati fosse a S. Pancrazio, spiega ch'era il trastevere e tutta la sua regione trastiberina, dove erano acquertierati i sol- dati ed erano i campi e colonia de'ravennati: Ab- hatia S. Pancratii in via Aurelia intra urbem Ra- vennatinm, scilicet transtiberim: e soggiunge il Tor- rigio che il trastevere era chiamato città de'ra- vennati , perchè era assegnato ai soldati che per guardia di Roma venivano da Ravenna. Che poi UH la via Aurelia e il castello e monte della Guardia de'ravennati fossero fuori di Roma, non può dubi- tarsene. Ragionevolmente adunque Plinio afferma, che nei borghi di Roma s'includevano molte città: expaliantia teda midtas addidere iirbes: e Dionisio per la frequenza delle abitazioni dei borghi dà a Roma il nome in infmilum prodiictae urbis. Il che pili che altrove si verifica intorno a Castel-novo e territori contigui ; che i loro campi per la vici- nanza di Roma erano più che gli altri desiderali da' veterani e in particolare dalla classe ravennate, giacché le spedizioni maritime in tempo dell' im- pero essendo rare , assistevano ferme alla guardia della città, nò come le altre legioni si trasmettevano dove ad ogni momento nasceva moto di guerra: e perciò non stando, come le alti-e, soggette a con- tinui conflitti e morti , bisognava più numerosa- mente ripartirle in questi campi e colonie vicino a Roma: onde è che questa parte fu ridotta a chia- marsi provincia d'Istria^ Dalnialia , e città de' ra- vennati. Dissi che le parti verso Piano, Ponsano , Ra- miano, Scorano e convicine erano chiamate, parles transliberinae, iranspontinae, transpadanae . - Si leg- gano le bolle 329 e 235 del bollarlo cassinense , per restarne convinti, dove si parla dell'abbazia di S. Andrea in Flumine posta tra Ponsano e il Te- vere. A Piano è scritto S. Maria Trasponte, cioè di là dal ponte Elio e Milvio e de'coloni di là dal mare, ed è scritto sopra la chiesa di quell'abbazia. Ramiano poi altro non suona che Ravcnniano e Ravignano accorciato; perchè quivi anche ebbero la 349 colonia e i campi i veterani della classe ravennate, oltre il quartiere di Monte la Guardia: e bisogna bene avere a mente, che il trastevere fuori di Roma è chiamato tirbs, civitas ravcnnaiimn^ castnim, men- tre quello dentro Roma è chiamato vicus castro- rum ravennatiiim, regio urbis ravenualum, (emphnn ra- vennatunìi e ciò nella vita di S. Calisto dal Ciac- conio, da Liutprando e da Mombritìo: e bisogna osservare che sebbene il Platina chiama quest'ultima città de ravennati , ciò deve intendersi delle man- sioni , rioni, e vico , come gli autori parlano , da'quali egli ha raccolto: e il Rossi stima diversa dal trastevere dentro Roma la città de' ravennati. E Scorano ebbe il nome dalla Colonia scrutana assegnata ai veterani piiì poveri e stracciosi, da scruta , stracci, e perchè ivi si faceva il mercato di stracci dagli ebrei che abitavano in queste parti a distinzione della Cassina N., che s'inteipreta co- lonia Cassina nobilis, de'piiì agiati cavalieri e sol- dati a cavallo condotta da Cassio, a'quali si dava la missione legittima dopo militato dieci anni, come vuole Polibio; e de'Cassii porta molte medaglie Ful- vio Orsino e 1' Aldovi-andi col rovescio del bue insegna delle colonie, tra le quali una con Cas- sina N. che s'interpreta dissi .Cassina nobilis a di- stinzione della scrutana: e quindi è l'origine della Cascina, tenuta dei Panfili vicino a Scorano. Pro- vato ad esuberanza che vi era un trastevere fuori e lontano da Roma, riuscirà, spero, più agevole l'interpretazione di alcuni passi di Livio, che mi fo pregio di sottoporre. E qui è da sapere che nel trastevere verso 250 Castel-novo furono esiliati i campani, popoli della Campagna Felice di Capua, per la loro ribellione in tempo d'Annibale, come scrive detto Livio al lib. 26: Locus ubi hahilarent translijberim , qui non conli- (jeret Tyberim , clatns est: e fu tra Castel-novo e Riano, dove era la via campana e il Castel Cam- panile, come mostrai nella descrizione della via Flaminia, delta cosi dai popoli campani. II qual luogo di Livio non sarebbe per taluni abbastanza chiaro, se dalle seguenti parole non fosse dichia- rato. Ne qiiis eorum propius mare XV millibus passmim agrum aedificiumqiie haberent , qui eorum translyberim emoti esuent, ne ìpsi posterique uspiam pararent, haberentquey nisi in Veiente, Siitrinoi Ne- pesiìioque. Anzi credo che a parte di questi cam- pani fossero assegnate le fornaci di creta e figuline di truffe, bottiglie e buzzichi, ove oggi in codeste parti si dice il Trullo e Fontana Tarulla, alle quali allude Orazio dicendo: Qui Veientanum festis potare diebus Campana solitus trulla. Che non è probabile che vasi così vili venissero da Capua per bevere gli ignobili vini veientani ; nò credo che tutti quei popoli fossero ripartiti in un istcsso luogo : che vi sarebbe stato timore di nuova ribellione : ma un' altra parte di essi fosse collocata vicino a Nepi, ove oggi è Campagnano , cosi dai detti campani denominato a distinzione delPaltro Castel-Campanile di Castel-novo. 11 con- testo di Livio , che gli altri compagni ribelli fos- 351 sei'o conlinali trans Lijrim et Vidiiiniiim, autenlica picDamente che le parole Transtyherim non s'intv^n- dano il tiaslevere dentro il pomerio di Pionia, ma in luogo di là dal Tevere più rimotu, come gli al- tri di là dal Garigliano e dal Volturno. Lo stesso accade delTabitazione degli ebrei , ai libertini dei quali affermando Filone che fosse as- segnato il Trastevere a Pioma per abitazione, il Bo- sio, il Nardini, e il Donali lo estendono a tutti gli ebrei, i quali è certissimo avere abitato a Scora- no , Castel-novo e luoghi convicini a Pioma fino al pontificato di Gregorio XIII, che li ridusse nel ghetto dentro la città. Del campo de' giudei fanno men- zione a Porto le bolle portuensi dell' Ughelli e dal testo di Marziale, che il Cardini cita a suo favore, si cava tutto il contrario : anzi il Baronio e lo stesso Cardini provano aver gli ebrei abitato libera- mente suirAventino, ove è la chiesa di S. Prisca , e Priscilla ed Aquila ebree nel tempo di Claudio con S. Pietro, Marziale e Luca di gente ebrea, ben che cristiani, che allora non si distinguevano in Ro- ma, Ritenendo però che dopo ne furono esclusi , meno i libertini, e furono mandati ad abitare fuori di Roma. Quindi è che i versi del poeta Marziale devono spiegarsi diversamente, che il Cardini li ha spiegali. I versi del poeta sono (|uesli: Urbanus tibi Caccili videris: Non es crede mihi: quid ergo ? verna es; Hoc quod transtyberinus ambulator Qui [)allentia sulphurata fractis Permutat vitreis. 352 Di fatti taccia Marziale Cecilio per inurbano e scortese, e dice che non è cittadino romano urbano e cortese , nato in Roma, ma sì bene domestico , allevato e che frequenta la città: che tale appunto significa verna: e come gli ebrei che girano per Ro- ma a vender solfaroli e cambiarli con vetri rotti, non nativo originario e vero* cittadino , urbano e cortese di Roma: che fin d'allora avvilito il giudeo, per la sacrilega morte di Cristo, veniva a Roma a vender solfaroli, stracci e ferracci, abitando intorno a Scorano, detto la colonia ScnUana , dove era la fiera di robe usate e ferravecchi, a scnilis che sono stracci, come spiegai più sopra. Qui è chiaro che seMarzialeavesse inteso del Trastevere inclusom urbe et muris, e nel sacro pomerio di Roma , 1' arguzia e il sale sarebbe rimasto insipido, mentre equivocando disse : Tu pensi d'esser urbano e nato dentro Roma. Al che se avesse aggiunto , c/i' era nato in Roma e dentro al Trastevere della città , oltre che ridi- colo sarebbe il sale, l'epigramma sarebbe in se con- tradittorio; giacché si chiamano della città e urba- ni tutti quelli che nascono dentro il recinto e po- merio di quella, e all'incontro passavolanti, e fre- quentanti la città, quelli che non vi stanziano, co- me i marinesi e castellani convicini , che vengono la mattina a vendere cipolle e frutti, e la sera, gi- rata la città, se ne tornano alla patria. Del territorio ravennate verso S. Oreste, Pon- sano e Ramiano abbiamo riscontro evidente ap- presso Anastasio in Zaccaria 1°., narrando che Tra- smondo duca di Spoleto ricorso a Roma e raccolto grosso esercito nel ducato romano , con una parte 353 per il terii torio ravennate , con le altre per le Sa- bina passò a Rieti e dopo a Spoleto : Collecloque generali exercitu romani ducatus ingressi sunt per duas partes in fines ducatus spolelani : se subdide- deriint marsicani, furconenses atque valvenses: deinde ingressi per ravennense lerrilorium venerimi in rea- tinam civitatem , exinde pergens ingressus est Spo- leiiim: ne abbiamo, dissi, evidente riscontro; giac- ché da Roma a Rieti e Spoleto non era strada Ra- venna arcivescovale. Negli atti degli apostoli abbiamo che S. Paolo venuto a Roma in un ospizio predicava agli ebrei come in sinagoga all'uso di quella nazione, ed aver preso in affitto un granaio fuori della porta Trige- mina ( oggi di S. Paolo ) aggiunge S. Lino appres- so al Gaetano: nò v' ha dubbio il Trastevere degli ebrei, dove radunavano le sinagoghe , essere stato fuori di Roma , dove furono detti granari , come mostra il Nardìni, Andrea Fulvio, il Marliani , e il Severano. Del Trastevere fuori di Roma parla Gelilo nelle notti attiche, chiamandolo Transtyberim peregre; che quivi dopo che un debitore assegnatogli dai centum- viri trenta giorni di tempo e dilazione chiamati giusti , che appresso noi corrisponde alli 30 giorni chiamati di termine che l'auditor della R. C. Aposto- lica e tribunali di Roma danno alli medesimi, se tra tanto tempo non soddisfacevano, si consegnavano al pretore , questo gli aggiudicava al creditore, e si mandavano in questo Trastevere lontano eh' era a Scorano, così detto , come accennai di sopra, dai scruta, stracci: che scruta e scrutaria significa luogo G.A.T.CXXXVIII. 23 354 dove si faceva il mercato di stracci, ferracci, e de- bitori, che si vendevano per servi, e però si stim- matizzavano con ferro rovente, come schiavi, donde é derivato da scottare il nome di decotti. Quando poi non si trovavano a vendere in questa fiera , si mandavano più lontani di là dal Falerio in To- scana, che anch'oggi resta in proverbio, e si dice, an- dato di là da Falerio posto vicino a Civita-Castel- lana: e quindi è derivato il nome di fallito per mo- derna fticezia, e a fallendo [idem creditoris presso i latini. Accennai più sopra che codeste parti , oltre 1' essere abitate dalla classe ravennate , furono an- che i luoghi delle legioni illiriche e soldati dalma- tini, di cui era composta la classe ravennate. Quindi oltre il nome di Trasteverine e città de' Ravennati, Ravennati, Transpontine, Traspadane, Pontiche, Fla- viane, ebbero anche quello di Dalmatia e di Histria, come m'accingo a provarlo. Codesti luoghi, di cui parliamo, sono i campi di Veio, i quali furono assegnati alle legioni illiri- che e veterani soldati dalmatini , e perciò furono detti Dalmatia ed Histria (1). Il vescovo veientano fu detto Veientamis provinciae Histriae, perchè Histria fu una delle principali colonie di Veio. Non inar- cate le ciglia , se fra i tanti scrittori di Veio non avete mai inteso parlare dei suoi vescovi, e se po- trò notarvi qualche vescovo sconosciuto all'Ughelli: ma di ciò in appresso. Non meno la città di Veio soggiogata da Fu- rio Camillo, che le sue antiche colonie secondo Frontino, restarono del tutto abbattute - e di que- 355 sto colonie abbiamo ancora i nomi nelle bolle poi- tuensi, nominandosi cinque luoghi di questi dintorni che sono la città di Castel-novo di Belmonte, chia- mata città delle colline, città delle colonie , e civi- tas colorum, cioè colonoriim, forse la stessa Veio che conteneva in cinque colonie, Attica, Dalmatia, Massa luliana, Stabla e Balneiim. Colonia Veius, dice Fron- tino, priusquam eximgnaretiir, ager eius militibus est adsignatus ex lege lidia: deficientibus his ad urbanam civilatem associandos censiierat divus Angustus : onde Cesare, come narra Svetonio, praerfae nomine, divise questi campi e per colonia assegnò la massa Giu- liana. Augusto dopo la vittoria navale d'Attio diede ai suoi soldati l'altra colonia d'Attici verso il Monte la Guardia e Morolo, così detto dalla parola moles ro- strata eretta da' coloni e soldati attiaci in onore di Augusto , la quale e:'a un rostro con una mezza nave di marmo e piramide in mezzo, e l' immagi- ne del Sole simboleggiata per Augusto , col motto in rovescio C. I. V., cioè Colonia lulia Veteranorum o come altri leggono Classis Prima Victoria o Vi- clrix, la cui medaglia si porta dall'Angeloni, nò sono molto dissimili le altre riportate dall'Erizo. Le bolle portuensi la chiamano Molinula , e Molmula, invece di parva moles rostrata, e anco in Ravenna fu la re- gione e porta attiana e tempio d'Apollo Attio eretti in memoria della vittoria attiaca. Fu anche ove è oggi 1' osteria nuova la Villa Rostrata dì Pompeo posta dagli itinerarii nel 24 lapide della Flaminia, così detta dai Rostri di Nave (che noi diremmo Speroni) messi per merli in me- 356 moria della vittoria riportata contro i corsari nella gueira piratica, come la Casa Rostrata ch'ebbe nelle Carine in Roma ; se piuttosto non ei-a detta così dalli trofei qui rinnovati ad Augusto per la vitto- ria attiaca contro M. Antonio. Ma o fosse così detta la Villa Rostrata da Pom- peo, o da Augusto, o peichè, come sopra mostrai, erano quivi le mansioni e colonia delia soldatesca maritima , che non lungi aveva gli alloggiamenti ; poiché la soldatesca Dalmatia fu detta dal Castro Pretorio Dalmatico, che a Monte La Guardia ebbe la classe illirica e ravennate per difesa del mar di sopra a guisa del quartiere e Castro Pretorio Albano, che per l'armata Misena del mar di sotto tennero i romani in Albano per i misenati , men- tre avevano le mansioni ed abitazioni nel Celio, e i campi 0 colonie nelle parti di Monte Musino, come ho dimostrato; certo è, e più che certo, che que- sta regione, oltre i nomi che sopra abbiamo riferi- ti, fu chiamala anche Histria e la Colonia Dalma- tia da questa classe e dal quartiere o Castro Pre- torio Ravennate , composto della legione illirica , e coorti dalmatine più d'ogni altra esperte nell' arte marinaresca. Le cinque colonie, che ho sopra nominate, cioè civitas coloriim, o colonorum, ch'è Castel-novo an- tico di Belmonte, e il sito della stessa antica Veio composto delle cinque colonie. Attici , Dalmatia , Massa Iidiana , Stabla e Balneiim , che taluno ha creduto fossero cinque città della Pentapoli Ciscimi- na; ma io non lo credo, e dirò in altro luogo, quale è la mia opinione su queste cinque città; sono spesso 357 nominate e numeiale dalle bolle dellTlghelli nel vescovato di Porto, di Giovanni XIX del 1026, di Benedetto IX del 1033, di Gregorio IX del 1236 parlando di Castel-novo antico e Belmonte: le quali colonie scemate poi di coloni e soldati veterani, che in esse abitavano e le riempivano, in mancanza del loro vescovo veientano, erano stale a quello dì Nepi raccomadate (quindi a Nepi il nome di Pen- tapoli Nepesina; non perchè Nepi fosse la città Pen- tapoli, 0 una delle cinque città della Pentapoli) e tlnalmente dai suddetti papi furono riposte e con- fermate sotto il vescovato di Porto. Ecco le pa- role delle bolle : Confirmanius vobis casalia et co- loìiias alque caslellum in inlegnim , qui appellanlur ATTICI, DALMATIA, BALNEUM , STABLA , MASSA lULIANA, posilum in territorio nepesino mil- liario ab urbe Roma plusminus viginti : e Gregorio IX registrando le sue chiese , conclude : Ecclesias in Belmonte et Ecclesias in Castello novo ; onde ri- levasi che queste cinque colonie stendevansi da Belmonte a Monte la Guardia intorno la viaFlamlnia, delle cui rovine nacque Castel-novo moderno, detto Castel-novo in Colonna dai sig. Colonnesi, che lo dominavano, come mostrano moltissimi istromenti dell'archivio di Castel-novo. Parlerò in una seconda parte di questo discorso di alcuni vescovati di codeste parti non bene co- nosciuti dairUghelli, e specialmente del veientano, come promisi, e degli equivoci degli scrittori che confusero la Ravenna trastibcrina coll'arcivescovale. E acciocché questo mio scritto sia coronato da una aggiunta che sia migliore della derrata , sot- 358 topongo agli occhi dei dotti un'iscrizione recente- mente trovata a Monte Musino , di cui sopra ab- biamo parlato. A chi tuttavia non piacesse la derivazione di Monte Musino o Mesino dalle legioni di Mesia, potrà ritenere, secondo le cose già sopra dette, quella del Monte Miseno da qualche colonia della classe mi- senate , che ebbe il castro e il quartiere , come sopra dissi, in Albano, e forse una colonia a Scro- fano , e le mansioni e abitazioni nella regione del Celio. Cencio Camerario al suo tempo fa menzione del monasterio infeudato a Teodosio console posto fuori del Castel Misenate : Idem locai Theodosio considi monasterium S. Pancratii situm extra castrum Misenate et lacum in annis 28: e questo è il castra 0 quartiere di Albano. Iscrizione trovata nel Monte Musino o Mesino. lOVI . TONANTI ET HERCVLI MVSINO MANNIVS EVSGHIMON REAl . DED . V . ID . OCT . GALLICO TORQVATO I . SALVIO IVLIANO COSS. Altra in una vigna di Roma nella Flaminia. DEO SOLI INVICTO CLINVS EXVOTO 359 Altre tre in Sabina. . . . V . . . lAI . . I ERSI GENTI AI PRISCO . . L. PETRONIIS ... ET AGRIC L III VIR. M. M. P. M. VII PAIO . Ali . KARQ Avanti la cattedrale di Fara. GEIDIVAE Vicino all'antica Curi. EVSEBIO ADOLLESCEN M . CALVIVS Segue un'iscrizione greca, che riportiamo in italia- no, relativa alle terme di Traiano già dimostrate arti- sticamente dal eh. commend. Luigi Canina. SIA CON BUONA FORTUNA l'iMPERADOR CESARE FIGLIUOLO DEL DIVO ADRIANO NH'OTE DEL DIVO TRAIANO PARTICO PRONIPOTE DEL DIVO NERVA TITO ELIO ADRIANO ANTONINO AUGUSTO PONTEFICE MASSIMO TRE VOLTE TRIBUNO 360 IMPERADOR DUE ANNI CONSOLE TRE VOLTE PADRE DELLA PATRIA ALLA COMITIVA APPRESSO LO DIO HERCULE DEGLI ATLETt CORONATI PER LE SACRE VITTORIE SALUTE no COMANDATO DISEGNARSI A VOI IL LUOGO DOVE LE COSE SAGRE E LE SCRITTURE RIPONIATE PRESSO LE TERME CHE DAL DIVO AVOLO MIO SONO STATE EDIFICATE OVE ANCORA E MASSIME NEI GIUOCHI CAPITOLINI SIETE SOLITI DI RADUNARVI VIVETE FELICI HA DI TUTTO Cio' SUPPLICATO ULPIO DOMESTICO MIO BAGNAIUOLO SCRITTO a' 16 DEL MESE DI MAGGIO IN ROMA ESSENDO TORQUATO ED ERCOLE CONSOLI La prima si riferisce airanno 901 di Roma, se- condo Panvinio p. 342. ANNUS C (» 1 — 901. TORQUATUS II. ET luLIANUS CONSULES HOC ANNO FUE- RUNT LIBRO CuSPINIANI, ET FaSTIS GRECIS AUCTORIBUS ToRQUATUS III. ET luLlANUS, CaSSIODORO TESTE EX BIS ToRQUATUS PRIMUM QUINQUENNIO FUIT. luLIANUS EST, UT PUTO, M. SaLVIUS IuLIANUS PROAVUS luLlANI IMP. ' QUI TRADENTE SpARTIANO BIS COS. PRAEFECTUS URBI ET MAXIMUS lURIS CONSULTUS FUIT. L'ultima ci conferma l'esistenza delle terme di Traiano, e mi maraviglio che da tutti gli scrittori di topografia di Roma non sia stata riportata. Essa esiste nel Grutero, p. 316. 361 (*) — NOTA — Rispetto a Dalmatia, abbiamo sopra abbastanza dicbiaralo, che furono così dette le colonie della classe illirica o ravennate, dal ca- stro pretorio dalmatico, ch'era a Monte La Guar- dia per difesa del mar di sopra , che la colonia Attici, ora Morolo, da moles rostrata eretta dai sol- dati attiaci in onore di Augusto e poi nelle bolle portuensi chiamata Molinula , e Molmula in vece di parva Moles rostrata, fu così detta da Au- gusto che la diede dopo la vittoria d'Attio per colonia ai suoi soldati. Resta a dichiarare Stabia o Stabla, ora Staiano, Balneimi, ora Grotta Bagnara - e Massa luliana. Stabia e Stabia, e Balneiim hanno origine dai campi sterili di monte, pozzolana di questa co- Ionia, e dai bagni d'acqua minerale di questo re- gione o sono nomi di Yeienti antichi. Massa luliana è il paese intorno alla rocca di Castel-novo , che anche oggi è chiamato Massa- vello : il che mostra essere qui la Massa luliana una delle cinque colonie dell' antico Veio. Le bolle portuensi dell'Ughelli (T. 1. f. 120, e 121. di Giovanni XIX del 1(^26 , e di Benedetto IX del 1033, nominano la chiesa antichissima di S. Silvestro in Colonna, ch'è nel cortile della rocca di Castel-novo, situato nel territorio della Massa luliana. Il paese intorno alla rocca è chiamato Massarello; Valcesara e Fontana Cesare il terreno e rivo Vallescrofola, e Cesarano il fosso che do- po poco corso nelle bolle cassinensi prende il nome dì ^''f'nrano. 362 Memoria intorno a sua eccellenza il conte Guido Al' berlo della Gherardesca scritta in percjamena e sepolta col suo corpo, chiusa in tubo di piombio, nella chiesa del monastero di santa Maria del fiorCy detto di Lapo. K. ato in Firenze a'X d'aprile dell'anno MDCCLXXX dal conte Camillo della Gherardesca e dalla mar- chesa Teresa Riccardi, parenti nobilissimi e piissi- - mi, diede fin da piccolo non dubbi segni di pronto ingegno, e di un'indole docile e benigna. Apparate in casa da privati maestri la grammatica e le uma- ne lettere, attese con amore e profìtto alla filosofìa e alle matematiche sotto la disciplica di due uo- mini lodatissimi , il P. Gaetano del Ricco e '1 P. Stanislao Canovai delle scuole pie , cui egli poscia amò sempre ed onorò altissimamente. Oltre alla lingua latina ed alla nostra, che di que'dì poco o nulla si studiava, apprese la inglese e la francese: e questa per forma che la parlava egregiamente. Si applicò eziandio alle arti del disegno, per le quali ebbe singolare inclinazione, e gusto assai squisito^ come dicono aperto e la scelta raccolta di stampe de'piìi famosi intagliatori antichi e moderni da lui con somma diligenza e spendio messa insieme , e varie opere di pittura e scultura , che si veggono nella sua galleria; alcune delle quali fatte fare da lui medesimo al Benvenuti al Bezzuoli , al Pam- paloni, e ad altri di chiaro nome. Anche alle let- 363 tere portò affetto non piccolo, e la librerìa reda- ta dagli avi ampliò d'assai, con buona provvisione di ottimi libri, e di edizioni molto pregevoli o per rarità, o per bellezza tipografica. Accrebbe ancora e migliorò 1' avito museo citato più volte dal ce- lebre Antonfrancesco Gori e dal Micali. A molti giovani, che non avevano di che tirarsi innanzi nelle arti belle, per le quali parvero nati fatti, diede favore, consiglio ed aiuto; e ne vide poscia de'cre- sciuti in bella fama. E come agli artisti, così fu largo di protezione e favore a molti uomini di let- tere e di scienze; alcuni de' quali vollero eziandio, 0 per grato animo o per proprio onore, intitolate del suo chiarissimo nome l'opere loro. Avendo in età assai tenera perduta la madre , rivolse tutto il suo affetto e la riverenza al geni- tore, la cui memoria ebbe sempre carissima, ono- randola quanto più potè, né di lui parlando se non con segni di filiale osservanza. Fattosene scolpire dal Giovannozzi la immagine in abito di cavaliere di Santo Stefano, maggiore del naturale e ritta in piedi, la collocò, in testimonio perenne del sincero amor suo verso dì lui, in mezzo al magnifico giar- dino del suo palazzo. Alla sorella Maddalena, mo- glie che fu del marchese Giuseppe Corsi, e madre all'eminentissimo arcivescovo di Pisa, dama ornata di gran senno e prudenza, portò tale una affezione che mai la maggiore; e nella morte di lei, che lo precedette di quasi tre anni , prese grandissimo cordoglio. Nel settembre del MDCCCXIX si unì in matri- monio colla nobil donzella Ernesta del cav. Iacopo Finoccbietti di Pisn, giovane elettissima, colla ((ua- le stette in perfetta e mirabile concordia XXXV anni. La prole, di cui fa sommamente tenero, volle educiUa in ogni gentil disciplina; ma sopra tutto nella pietà e nel buon costume. Fondò due com- mende di S. Stefano; il priorato di Firenze , e '1 ballato di Perugia; assegnando quello al primo nato, questo al secondo; l'una e l'altra di egual valore, come allenissimo da ogni parzialità. Della morte immatura della figliuola Emilia , cbe tre anni innanzi aveva disposata al cav. Oi-azio Fen- zi, portò in un colla consorte inconsolahil dolore. Compassionevole per natura alle altrui miserie, e dalla molta sua carità incitato, fondò nel MDCCCXVll nel suo castello di Bolgari un pio istituto , dove fossero ricevuti quanti poveri fanciulli e fanciulle di quel vasto territorio erano rimasti orfani nella ter- ribile epidemia di quell'anno infelice, da esservi ali- mentati ed istruiti fino all'età di XVtl anni. Oltre a ciò costituì a ciascuna di quelle fanciulle , per quando andasseio a marito, una dote ragionevole. Amante dell' agricultura, ed ottimo amministra- tore del suo pingue patrimonio, diede opera il pri- mo al bonificamento della maremma nelle sue va- ste tenute di Bolgari e Castagneto ; e ciò con tal successo, cbe dove un giorno non erano che ampie paludi, veggonsi oggi campi fruttiferi ed ubertosi pa- scoli; e dove appena allignavano poche scope e scarsi virgulti, prosperano al presente assai bene le viti e gli ulivi. Ad uso de'coloni murò comode e sane a- bitazioni : e per provvedere alla scarsità di acque salubri, scavò pozzi, e creò a gran numero fonti , 365 raccogliendo in una quante acque più potè. Pei' tal modo rese abitabile ed almeno un largo tratto di paese, che prima era per poco inospite e selvaggio del tutto. 11 quale visitato nel MDCCGXXVIII "^dal nostro granduca Leopoldo, ne rimase talmente am- mirato, che volle darne al conte una pubblica te- stimonianza col crearlo commendatore del suo reale ordine del merito sotto il titolo di S. Giuseppe La fama di sua rettitudine , lealtà e destrezza gli mise in mano di molti incarichi. Fu gonfaloniere più volte e di più comuni; nel quale ufficio sodis- fece a tutti cumulatissimamente. Di lui ebbero a lo- darsi non poco varie claustrali, di cui fu operaio , e vari pupilli, di cui fu tutore, avendone curato con zelo gli interessi , e vantaggiatone il patrimonio. Nel MDCCCVII fece parte della deputazione inviata a /iWilano dal municipio fiorentino per rendere o- maggio all' imperator Napoleone , che di que' dì aveva unita la Toscana all' impero francese. Accom- pagnò nel MDCCCX la granduchessa Elisa, quando per assistere al matrimonio del fratello imperatore trasse di qua a Parigi: e nel MDCCCXXII fu por- tatore a Verona della nuova del felice parto della arciduchessa Marianna, principessa ereditaria di To- scana, all'imperatore Francesco Primo, che allora si trovava colà a cagione del congresso con gli altri sovrani d'Europa. Rimaso solo da gran tempo nell'amministrazione del celebre istituto Ximeniano, egli non conferì le due cattedre pubbliche d' astronomìa e d'idraulica che a uomini di conosciuto e lodato sapere in que- ste fiì colta. 366 Delle persone povere o male agiate era talmente amico e fautore, che non ci fu istituzione in bene ed aiuto delle medesime, a cui egli non prestasse favore o col consiglio, o colle sostanze, o coll'opera. Fu in patria uno de'[)rimi fondatori così della cassa di risparmio, come delle scuole di mutuo insegna- mento; alle quali mandò eziandio il suo primoge- nito. Amator sincero della religione, ne adempì con ogni esattezza i doveri, e vegliò su quanti ebbe sot- toposti perchè facessero altrettanto. Del culto fu pro- motore zelante, ed a sue spese restaurò e fornì di sacri arredi molte chiese ed oratorii. Fu intero di costumi , e specchio di mansuetudine, della quale non gli mancarono esperimenti: conciossiachè , per istrani rivolgimenti di volontà, avvenne ch'egli ebbe a patire da'suoi medesimi beneficati danni e ingiu- rie solenni. Egli però non pensò mai a vendetta : anzi, in prova non dubbia del suo perdono, tornò a beneficarne alcuni. Onori ebbe a gran numero. Lodovico 1 re d'E- truria , e Ferdinando III granduca di Toscana , lo elessero a loro ciamberlano. Da Napoleone fu crea- to conte dell' impero e cavaliere dell' ordine im- periale della Riunione. Il granduca Leopoldo Se- condo lo nominò maggiordomo della granduchessa Maria Ferdinanda, poi consigliere di stato, e cavalier gran croce dell' ordine del merito sotto il titolo di S. Giuseppe: finalmente suo maggiordomo maggio- re; nella qual carica egli mandò tutti contenti della sua diligenza e zelo. Da Ferdinando li re di Napoli fu decorato dal gran cordone del reale ordine di 367 S. Gennaro , e dal re di Baviera della gran croce dell'ordine del merito civile. Due accademie delle più ragguardevoli tra le patrie , 1' una denominata dei Georgofìli, e l'altra delle Belle Arti , lo ascris- sero al numero de'suoi colleghi. Giunto da ultimo all'età di LXXIX anni, IV mesi, e XXII giorni, dopo aver sopportato per cinque mesi con esemplar rassegnazione dolori atroci, cagiona- tigli da un tumor bianco al ginocchio sinistro , il dì II di settembre del MDCCCLIV , a ore nove e tre quarti di sera , munito di tutti i sacramenti , quieto e tranquillo passò , per una congestione al cervello, di questa all' altra vita lasciando alla di- letta consorte e agli amati figliuoli Ugolino , Val- fredo, e Adelasia nei Rucellai tale un affanno e un desiderio di sé da non potersi esprimere a parole. La sera del IV , fu portato con pompa alla chiesa della Misericordia, di cui era fratello, accompagnato da immenso popolo, da molti amici, e dai famiglia- ri di corte ciascuno con torcetto acceso in mano. La mattina del V ebbe nella Santissima Annunzia- ta splendido mortorio con messa solenne accompa- ta dai cantori della cappella di corte mandativi dall'ottimo principe: e la sera medesima , traspor- tato alla chiesa del monastero di S. Maria del Fiore, detto di Lapo, di cui era da molti e molti anni ze- lante operaio e benefattore, fu quivi, giusta l'ulti- ma sua volontà, onorevolmente seppellito. La nuova del suo passaggio, che si diffuse ben tosto per tutta la città, riempì di dolore ogni or- dine di cittadini ; ma sopra tutto i poveri , che in lui affermavano di aver perduto il padre e '1 nutri- 368 calore. Era di statura grande anzi che no; d'abito di corpo pili tosto gracile, ma ben composto; calvo da molti anni , e d'aspetto nobile e grato. Quanto all'animo , niuno più di lui fu modesto ed intero ; niuno più cortese ed affabile ; niuno più costante ed officioso verso gli amici: ma per quanto queste e molte altre virtù rifulgessero in lui , nondimeno erano vinte tutte quante dalla pietà in Dio, e dalla carità nel prossimo. Giuseppe Manuzzi scrisse. 369 VARIETÀ' NeW anniversario della deplorata morte di Amerigo de'pìincipi Corsini, versi di Donato Salvi con Ve- logio epigrafico e l'iscrizione sepolcrale, 4. Firen- ze 1855. (Sono pag. 28 col ritratto del giova- ne defunto.) 1 utto ci par magistrale in questo libretto, sì per Io stile elegantissimo e per l'aurea lingua, e si per la pietà, gentilezza e dignità dell'affetto. Bella è l'e- pistola al principe don Tommaso Codini , bello l'elogio dell'estinto giovane: ma bella supremamente è l'elegia a don Andrea Corsini duca di Casi- gliano, padre di Amerigo: e tale da reputarsi , se non ci fallano gusto e giudizio , fra le cose più insigni che in fatto di vera poesia italiana siano escite in questi anni. E n' abbia la meritata lode l'esimio signor Donato Salvi , il quale con sì no- bile scritto ha onorato cotanto e la toscana eleganza, e l'arte italiana, e l'accademia della crusca , nella quale egli siede così degnamente. A dare intanto un saggio dell'elegia, non andremo cercando qua e là, ma sì prenderemo il principio, d'eguale bontà^che il mezzo ed il fine: Quando al grato spirar d'aura novella Riveste la campagna i suoi colori, E torna al caro ostel la rondinella, Al dolce tempo, al primo aprir de'fiori, G.A.T.CXXXVIII. 24 370 Nasceva il sospirato pargoletto, Col riso di natura e con gli amori. E la giacente nel fecondo letto, Al tenero vagir, spargea d'oblio I primi affanni del materno affetto. Che già tre volte, oh duol ! di vita uscio Ogni sua prole, appena alle vitali Aure le labbra respirando aprio. Chi porla dire quali affetti e quanti Quell'angelico spirto a se rivolse, Che nella nuova spoglia ponea l'ali ? E le preghiere e i voti che al ciel volse La genitrice, quando prima al seno La creatura tenerella accolse ? E qual s'allieta in sembiante sereno Per insolita sorte uom, cui finora Le più care speranze venner meno, Gioir te vidi, inclito amico, allora Che, riguardando nel tuo dolce nato. Amor ti punse non provato ancora. Abbracciavi la moglie, il ciel placato Benedicevi, e racquetavi il core Nell'avvenire al tuo sangue serbato. Volgevan gli anni, e col fuggir dell'ore Il sesto di riconducean d'aprile: Giorno beato di gioia e d'amore. Oh rimembranze ! Nel garzon gentile Splendeva indole umana e pronto ingegno, Anima schiva d'ogni pensier vile. Qual felice arboscello, che dà segno Dell'innato vigore, egli fioriva De'suoi avi famosi e di te degno. 371 Or tutto ò pianto. Ritornò giuliva La primavera, tornò aprii ridente, E di lìor si vestì la verde riva; Ma te, in preda al dolor, più duramente Trafiggeva lo strai della sventura; Volgeasi a'giorni del gioir la mente. E nel mese de'nembi, or che s'oscura L'aer piovoso e i campi attrista il gelo, Ah ! non di culla, ma di sepoltura Fai solenni memorie, e innalzi al cielo Preghi devoti sul marmo che asconde Del lacrimato figlio il mortai velo. Qual soavità e santità di concetto, quale affetto, qual grazia, non fanno pur nobilissimo quest'al- tro passo ! Nel quale si consideri come si può es- ser teneri e pietosi senza niuna smanceria e raf- finatezza romantica. Padre infelice ! ah non piij padre ! Il duolo Che allor t'assalse, chi si vide un figlio Nelle braccia spirar può intender solo. Pur ti conforta alfin: l'alto consiglio, Che solo è fonte onde ogni ben s'inizia. Al caro spirto abbreviò l'esiglio. Leva lo sguardo al cielo, alla letizia Sempiterna degli angeli, ov'è accolto Da questo mar di pianto e di nequizia. Vedilo radiando a te rivolto, Che par ti dica: Dal mio fral divìso T'amo pur qual t'amai ne'membri avvolto. Che il mio nuovo soggiorno è tutto un riso 372 Di santi affetti; e festeggiata e cara È la pietà de'fìgli in paradiso. Deh ! pon freno al dolore; e dall'amara Division, che in tenebre t'immerse, A questa luce col pensier ripara. Godi che al figlio tuo, quando disperse Morte i prestigi del mondo fallace, Per provveder divino, il ciel s'aperse. Qui d'eterna dovizia, e di verace Gloria beato nel divino aspetto. Veglio con altri eletti alla tua pace. Meco è la madre tua, che giovinetto T'abbandonò, per far al ciel ritorno, Che sol era di lei degno ricetto; Meco l'almo pastor, che cinge intorno Dell'adorata aureola i crin lucenti, E quei che fu del papal manto adorno; Meco i fraterni spiriti innocenti, Che mi precesser, fuggendo lor salme Ratto che fur dell'uman fallo esenti. Oh di qual caritate ardon quest'alme Per lor gente mortale ! ed io con loro M Pregando al Sommo Ben giungo le palme, Che a te, padre diletto, apra il tesoro Delle sue grazie, e all'avo affettuoso Che, com'è degno, ancor dal cielo onoro; E che alla madVe mia, quanto è penoso Ora il career terien che la ritiene. Tanto un seggio qui serbi glorioso. 373 De antiquitalis scientia in veteri lyceo magno pisano illustrata, provecta, oratio habita III id. novembr. a. MDCCCLIII in academia pisana a Michaele Ferruccio doctore decuriali et praefecto bibliothe- cae academiae eiusdem , quum studia solemniter instaurarentur. 8. Pisis ex officina nistriana 1855. (Sono pag. 32.) Il chiarissimo professore qui tesse la storia dal- l'insegnamento archeologico nella università di Pisa: e con quella dottrina e sagacità, ch'è da lui, ne ri- corda i professori, incominciando dal Ghimentelli, ne rammenta le opere principali, e le giudica. Né ciò solo: ma collegando esso insegnamento con quello delle altre nostre università e città, può dirsi che in questo scritto abbiamo gran parte della storia ar- cheologica italiana, che è, come ognun, sa delle più splendide della nazione. Non diremo poi dal ma- gistero con cui r orazione è dettata: notissima essendo la fama del Ferrucci nella latina ele- ganza e facondia. Alcune belle autoritate tratte dalla sacra scrittura, 8. Bologna, tipografia alV ancora 1855. (Sono pag. 14.) È scrittura del trecento, tratta con amore da un antico manoscritto dal valente sig. Giansante Varrini: e v'ha il solito candore : salvo che qua e là il vecchio copista l'ha talvolta insozzata (vi- zio di molti altri codici , e oggi delizia di certi pedanti) de'modi della sua pronuncia plebea. 374 Viaggio pittorico antiquario da Roma a Tivoli e Su- biaco sino alla famosa Grotta di CoUepardo, de- scritto la prima volta da Fabio Cori, e con im- portami scoperte archeologiche del medesimo auto- re. 8. Roma tipografìa delle belle arti 1855. È opera importante così per tante notizie d'ar- ti e di antichità sacre e profane, come per alquanti fatti storici o ignoti fin qui, o mal conosciuti. CORREZIONE Nell'antecedente tomo 137, a carte 46 Un. 2, e stato scritto per errore il Marchese Girolamo d' Andrea in vece di il Mar- chese Francesco Saverio d'Andrea. 375 INDICE DELLE MATERIE Nota de'signon compilatori e collaboratori, p. in Cialdiy Cenni sul moto ondoso del mare e sid- le correnti di esso 1 Gozzadini, Sepolcreto etrusco scoperto presso Bologna . . , » 158 Cappello, La fdosofia e la vera medicina surte in Italia 500 anni avanti Vera volgare ec. » 173 Eroli, Volgarizzamento della profezia di So fo- nia . . . t » 196 Da Rignanà, Notizie di Iacopo Ferretti . . » 200 Montanari, Petrus Qualrinus, sermo » 227 Orioli, Che il latino rustico falsamente è cre- duto essere, con forme poco mutate, lo stesso che il nostro volgare italiano » 241 Orioli, Ricerche su Servio Tidlio re, Celio Vi- benna, Tarquinio Prisco, Anco Marzio ed altri w 259 Orioli, L'agro vaticano . . , » 297 Bellucci, Secondo esperimento di traduzione delle favole di Fedro )) 324 Mercuri, Delle legioni di Mesia, o illìriche, e deWantica Ravenna trastiberina ec. Parte prima » 341 Mannzzi, Memoria intorno al conte Alberto della Gherardesca » 362 Varietà » 369 IMPRIMATUR Ft. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius. IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Min. Conv. Episc. Icon. Vicesgerens.