^m GIORNALE DI SCIEIVZE, LETTERE ED ARTI TOMO I DELLA NUOVA SERIE ROMA Tipografia delle Belle Arti 1857 Piazza Poli num. 91. p^/)flh' GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO CXLVI DELLA NUOVA SER lE 1 GENNAIO E FEBBRAIO 1857 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1857 IL DIRETTORE DEL GIORNALE ARCADICO Fra i tanti giornali, di cui abbonda il nostro tempo, in Italia e più ancora fuori di essa, con vantaggio d'ogni maniera di studi, questo arcadico s' è vendicato per comune giudi- zio da lunghi anni onoratissimo luogo ; e colla costanza quanto dir si possa lodevole, sì dei compilatori di esso, e sì dei collaboratori, attende a mantenersi la fama acqui- stata. E di vero la storia delle scienze, delle lettere e delle arti de'tempi a nói prossimi ha in queste carte alilissimi documenti. E in esse si leggono argomenti d'ogni critica e d'ogni erudizione, trattati con esquisitezza di sapere uguale alla bontà dello stile da quei sommi uomini che Io fonda- rono, e da quelli che successero a loro. La intera serie dei volumi pubblicati sin qui essendo di per se stessa difficile a riunire, s' è stimato opportuno di co- minciarne una nuova coli' anno corrente , così che possa questa o a quella riunirsi, o stare da quella disgiunta: ren- dendo per tal guisa non solamente possibile, ma facile an- cora, di dar mano all'opera del giornale coli' associarsi alla serie, che con questo volume incomincia. La quale per ren- dere più spedita alla stampa, «'è divisato ancora dipartire per bimestri, acciò sia più facilmente diffusa la notizia di quelle scoperte nelle scienze, di quelle composizioni nelle lettere, e di quelle opere delle arti, che per la più corta strada verranno così a rendersi note con soddisfazione degli autori e insieme con vantaggio dell'universale. Dei libri, che saranno mandati alla direzione, si darà il sunto 0 sarà riferito il titolo. Ai dotti apre il giornale , siccome sempre ha fatto , la sua stampa, ammettendo tutti quegli scritti di giusta mole, che giovar possano all'avanzamento degli ottimi sludi. Resta che le cure della direzione incontrino tal grazia al co- spetto di tutti i gentili, che l' impresa del giornale conse- gua quel line, ch'ebbe in mira sino dal principio della sua fondazione, di difi'ondere cioè la cultura delle scienze e delle lettere nel pubblico d' Italia, e di render palesi gli studi d'Italia, cb'è a dire le glorie sui^ al di fuori di essa. P. E. Visconti. IV DIRETTORE DEL GIORNALE Commendatore PIETRO ERCOLE VISCONTI, commissario delle antichità romane , presidente del collegio filologico e pro- fessore di archeologia nell'università , presidente onorario del museo capitolino, segretario perpetuo e socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, membro della com- missione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, non che di quella di archeolo- eia sacra. COMPILATORI BETTI cav. SALVATORE, professore di storia e mitologia e segretario perpetuo dell' insigne e pontificia accademia di san Luca, membro del collegio filologico dell'università ro- mana, membro della commissione governativa deputata al premio delle opere teatrali, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, accademico della crusca. BORGHESI cav, BARTOLOMEO , accademico della crusca , corrispondente della pontificia accademia romana di archeo- logia e dell' istituto di Francia , membro delle RR. acca- demie delle scienze di Berlino, Torino ec. CAPPELLO cav. AGOSTINO, consigliere emerito del supremo magistrato romano di sanità , già medico consulente della sa: mem: di Leone XIT, socio ordinario delle pontificie ac- cademie di archeologia e de'nuovi lincei. MAGGIORANI dott. CARLO, membro del collegio medico-chi- rurgico e professore di medicina politico-legale nell'univer- sità romana, socio ordinario della pontificia accademia dei nuovi lincei. POLETTI com. LUIGI , consigliere e professore di architet- tura teorica nell' insigne e pontificia accademia di s. Luca, professore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto direttore libila riedificazione della basi- lica di s. Paolo, consigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, addetto al collegio filosofico dell' università ro- V mana, socio ordinario della pontificia accademia di archeo- logia. PrETRO BlOLCHINl Segretario ONORARI CARPI cav PIETRO, professore di mineralogia , membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto minera- logico dell'università romana , socio ordinario della ponti- ficia accademia de' nnovi lincei. DE-CROLLIS cav. DOMENICO, presidente del consiglio sani- tario militare, professore di medicina clinica nell'università romana. GERARDI dott. FILIPPO. COLLABORATORI BARTOLINl monsignor Domenico, uditore della segnatura di giustizia, consultore delle sacre congregazioni dell' indice e delle sacre indulgenze e reliquie , membro della commis- sione di archeologia sacra , socio ordinario e censore della pontifìcia accademia di archeologia, in Roma. BELLUCCI GIUSEPPE, a Cervia. BIANCHINI Antonio, in Roma. BIOLCIIINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BONCOMPAGNI S. E. don Baldassare , socio ordinario della pontificia accademia de'nuovi lincei , ordinario soprannu- mero di quella di archeologia, in Roma. BORGOGNO padre don Tommaso , somasco , professore nel collegio dementino, in Roma. BRIGHENTI cav. Maurizio , ingegnere ispettore emerito , a Rimini. BUSTELLI GIUSEPPE, in Roma CAPOZZI Francesco, a Firenze. CATALANI dott. Vincenzo, medico, in Roma. CIIELINI padre Domenico , delle scuole pie , professore nel- l'università, a Bologna. CHIMENZ dott. Baldassare, medico, in Roma. CIALDI commendatore Alessandro, socio onorario dell' acca- demia de'nuovi lincei, in Roma. CICCONETTI avv. FELICE, giureconsulto, in Roma. COPPI ab.cav. Antonio, segretario del pontificio istituto agrario, socio ordinario dalle pontificie accademie di archeologia e de'nuovi lincei, in Roma CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia, a Torino. DA RIGNANO padre Antonio, ex-procuratore generale de' mi- nori osservanti, consultore delle sacre congregazioni del sant'uffizio e dell'indice, esaminatore de'vescovi, socio ono- rario della pontificia accademia d'archeologia, in Roma. DE-FERRARI padre maestro Giacinto, dell' ordine de' predi- catori , commissario generale del sant' uffizio , consultore delle sacre congregazioni dell' indice, dei -vescovi e regolari, di propaganda e del concilio, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano, corrispondente della pontificia ac- cademia romana di archeologia, a Fermo. DE-ROSSI cav. Giambattista, membro del collegio filologico dell'università, scrittore di lingua latina nella biblioteca va- ticana, membro della commissione di archeologia sacra, so- cio ordinario della pontificia accademia di archeologia , in Roma. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de'conti MONTANI monsignor Francesco, cameriere se- greto di Sua Santità, canonico della patriorcale basilica di s. Maria maggiore , consultore delle sacre congregazioni dell'indice e di propaganda fide, in Roma. FERRUCCI cav. Luigi Crisostomo, bibliotecario laurenziano e marrucelliano, socio corrispondente della pontificia accade- mia romana di archeologia, a Firenze. FERRUCCI Michele, professore, a Pisa. FIORINI MAZZANTI Elisabetta , socia ordinaria della ponti- ficia accademia de'nuovi lincei, in Roma. FOLCIII commendatore Clemente, architetto di Sua Santità , consigliere dell' insigne e pontificia accademia di S. Luca , ingegnere ispettore emerito membro dei consiglio d' arte , addetto al collegio filosofico della università romana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia , consi- gliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero pel coinmercio e belle arti, in Roma, VII FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Pisa. GIACOLETTI padre Giuseppe, dalle scuole pie, a Pesaro. GIULIANI padre don Giambattista, somasco, professore di elo- quenza sacra nell'università, a Genova. GRIFI cav. Luigi, segretario generale del ministero del com- mercio, belle arti ec, socio ordinario e conservatore per- petuo dell'archivio della pontificia accademia di archeolo- gia, in Roma. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, consultore della sacra congregazione delle indulgenze e sacre reliquie, membro del collegio filologico dell'università e della com- missione di archeologia sacra, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. MASETTI monsignor Celestino, professore, a Fano. MERCURI Filippo, in Roma. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Osimo. NARDUCCI ENRICO, in Roma, PERETTI Pietro, piofessore emerito di farmacia nell'univer- sità, in Roma. PIANCIANI padre Giambattista , della compagnia di Gesìi , membro del collegio filosofico dell'università , socio ordina- rio della pontificia accademia de' nuovi lincei, in Roma. PUCCINOTTI cav. Francesco, professore nella università, ac- cademico della crusca, a Pisa. RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a Persiceto RANGHIASCI-BRANCALEONI marchese Francesco, a Gubbio. RAVIOLI cav. Camillo, in Roma. RICCARDI dott. Gregorio, medico maggiore del corpo della gendarmeria, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Bologna. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua Santità, protonotario apostolico, consultore di stato per le finanze ,' membro della commissioue governativa deputata al premio delle opere teatrali, in Roma. SASSOLI avv. Enrico, membro del collegio filologico dell'uni- versità, a Bologna. SPEZI Giuseppe, professore di lingua greca nella università romana , socio ordinario della pontificia accademia di ar- cheologia, in Roma, vili TORLONIA S. E. don Giovanni, socio ordinario della pontifì- cia accademia di archeologia, membro della commissione go- vernativa deputata al premio delle opere teatrali, in Roma. TORTOLINI ab. Rarnaba, membro del collegio filosofico e professore di calcolo sublime nella università, professore di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda e nel seminario romano, socio ordinario della pontificia accade- mia de'nuovi lincei, in Roma. VESCOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VISCONTI cav. Carlo Lodovico segretario generale dell' insi- gne congregazione artistica de' virtuosi al Panteon , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia , in Roma VOLPICELLI cav. Paolo, membro del collegio filosofico e pro- fessore di fisica sperimentale nella università, direttore del gabinetto fisico, e segretario della pontificia accademia dei nuovi lincei, in Roma. ZA.NELLI canonico Domenico, direttore del giornale politico, socio onorario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. SCIENZE, LETTERE ED ARTI Al chiarissimo sig. N. De Rosa Ingegnere del corpo di acque e strade (Napoli) LETTERA PRIMA. Cenni sulla Botte sotto VArno. Sig. Ingegnere prestantissimo C on la pregevolissima sua dell8 dello scorso ottobre ella ha avuto la gentilezza di manifestarmi nuova- mente il suo desiderio perchè le trasmetta quelle notizie da me raccolte nel recente mio viaggio in Toscana sulle opere pubbliche che si stanno colà mandando ad effetto. Quantunque io non mi creda atto a corrispon- dere adequatamente alle sue lodevoli brame, pure pel piacere che ho di servirla, e per l'amore che sento affinchè le utili e grandi opere che sorgono in Italia siano diffuse il piìi possibile e fra gl'ita- liani e fra gli stranieri, procurerò per quanto è in me di soddisfarla. Io non applaudirò il molto scri- vere che si fa oltr'Alpi anche per opere di secondo e terzo ordine, ma non posso astenermi dal biasi- mare il silenzio che fra noi si usa anche per opere di grande importanza artistica ed industriale. E però provai gran gioia quando seppi che in cotesta dotta capitale si pubblicava un periodico sotto il titolo Annali di opere pubbliche e di architettura, e lodai quei benemeriti che ne aveano formato il pensiero e che si davano cura di mandarlo ad effetto: fra i quali G.A.T.CXLVI. 1 2 ella devesi degnamente annoverare. Per onore della nostra penisola adunque, e per utilità della scienza in generale e delle arti in particolare , auguro a cotesta pubblicazione accrescimento, diffusione ed af- fluenza, anzi ridondanza, di scritture originali italiane. Avendo i suoi annali pubblicato il magistrale Ragionamento del chiarissimo professor Vincenzo Antonio Rossi sulla sistemazione finale delle acque (li Valdichiana (1): avendo riprodotto nel nostro idio- ma il bel Rapporto su i lavori di prosciugamento delle maremme diretto al Ministro de' lavori pubblici di Francia dall' ing. in capo Baumgarten (2); ed avendo fatto buon viso ai Risnltamenti de'miei studi sul porlo di Livorno e sul miglioramento ed ingrandimento del medesimo (3), avrei voluto pur leggere in essi annali una particolareggiata relazione della grande opera del- la botte sotto il fiume Arno, e de'lavori di sistemazione che sì sono eseguiti e nell'Arno e nel Serchio. Quindi per riempire almeno in parte questo vuoto, le comu- nicherò alcuni appunti presi sul luogo a queste opere relativi; sperando però sempre che chi le regola e governa ci faccia presto completamente istruiti su di esse. Pili volte ed in tempi diversi ho visitato presso Cascina la suddetta botte, mediante la quale il ca- nale essiccante il lago ed i paduli di Bientina sot- topassar deve al letto del fiume Arno; e, accolto ogni volta con isquisita gentilezza, ho sempre tratta molta istruzione dalla erudita descrizione favoritami (1) Anno 3." 1853 pag. 2S. (2; IJeiD pag. 201 e seg. {oi Idem pag. 112 e seg. ed anno .5" pag. 246 e scg. dal commendatoi- Alessandro Manelli autore del pro- getto e direttore dei lavori, nome ben noto ai leg- gitori di cotesti annali, ovvero dall'ingegnere in capo Francesco Renard, bravo esecutore delle idee di tanto maestro. Ella sa che il lago di Bientina rimane fra l'Arno ed il Serchio a poca disianza da Lucca, ed è con- tornato da una zona di terre palustri. (Si veda la pianta in fine). Una parte dell^ sue gronde formata dall'ammasso di vegetabili misti a poca terra è na- tante, però accessibile ai cacciatori ed a chi racco- glie l'erba che produce, chiamata sui luoghi pollino. lì lago ha due emissari, l'uno confluente nell'Arno a s. Giovanni alla Vena, l'altro con isbocco nel Ser- chio vicino a Ripafratta. L'emissario nell'Arno è il principale , e venne aggiunto all'altro antico e di- fettoso denominato Serezza: esso è navigabile ed ha un sostegno per il passo delle barche in tempo delle mezzane acque dell'Arno. Sulla fronte della fabbrica leggesi la seguente iscrizione: I-RANCISCUS R0.MAN0HU3I I.MPKRATOR AC -MAfiNL'S ETRURIAE DUX MOLE.M lIAiNC AHKO E X Li .\ DA MI OPPOSUIT ET LIBERRIMO iNAVlGlORLM TRAIECTUi CO.MPO.\E^DAiM CURAVI! ANiNO A. CHR. N. MDCCLVIIi Quando l'Arno od il Serchio corrono in piena, rimane inoperoso il respettivo emissario, e debbonsi allora tener chiuse le cateratte collocate allo sbocco 4 in quel fiumi, per impedire che le loro acque en- trino nel lago: talvolta quella chiusura fu durevole per oltre un mese cagionando danni rilevantissimi. Quindi il prosciugamento del lago di Bientina era da gran tempo desiderato dalle vicine popolazioni; e il desiderio crebbe ogni dì davvantaggio facendosi sempre maggioie il danno delle somrnejsioni,chp oggi si estendono fin presso alle mura della città di Lucca, e coprono di acqua, che a cateratte chiuse non può aver esito né in Arno né in Serchio, una superfìcie di ettari 5460 di sani e fertili campi, oltre gli etta- ri 1635 del lago, ed i 2696 delle sue adiacenze pa- lustri; il che in tutto monta prossimamente ad et- tari 9800. Ella non ignora che la ricerca del rimedio a tanto pregiudizio formò soggetto degli studi e delle me- ditazioni dei rinomali idrometri e matematici del passato secolo, Boscovich, Ximenes, Perelli, Fantoni. Ferroni: se ne occuparono nel secolo che corre gli ingegneri Nottolini e Piazzini, i professori Giorgini, Matteucci e Venturoli. Non poco imbarazzo induceva nel piano di bo- nificazione , tanto per la parte tecnica quanto per la sistemazione degli interessi, la combinazione che metà del lago era nel dominio del ducato di Lucca, l'altra metà faceva parte del territorio granducale; ma dopo reverso Io stato di Lucca alla Toscana di- sparvero siffatte difficoltà. Era evidente che per rendere costantemente ope- roso l'emissario del lago di Bientina occorreva libe- rarlo dalla influenza delle piene de' due fiumi, i quali lo ricevono soltanto nelle acque magre, e farlo di- 5 rettamente sboccare nel mare; ma diverse erano le vie che potevano seguirsi per condurvelo, diverse le opinioni dei proponenti sulla scelta della più op- portuna di esse. Tra l'Arno ed il Serchio trovasi l'alto monte pi- sano, che non era prezzo dell'opera di traforare per dare il passo nelle sue viscere ad un emissario; così il pensiero ne fu reputato più immaginoso che at- tuabile. Del pari da escludere comparve l'altro pro- getto di escavare 1' emissario del lago di Bientina lateralmente all'Arno e sulla destra sua ripa fin presso allo sbocco del torrente Zambra per quivi immetterlo nello stesso fiume, però in punto più basso di quello in cui sbocca presentemente; ma tenue essendo la pendenza dell'Arno, che scorre in arene nel tronco compreso fra s. Giovanni alla Vena e la Zambra , non sarebbesi acquistata tanta cadente da ottenere il prosciugamento del lago , ma solo una qualche depressione nel suo livello: grandi d'altronde sareb- bero state, come si dirà in appresso, le difficoltà di esecuzione, ingente il dispendio ed al mite benefizio non proporzionato. Non potevasi adunque il nuovo emissario volgere al mare se non che latei'almente all'Arno sulla stessa destra sua ripa per aver foce tra la bocca di questo fiume e quella del Serchio, ovvero sottopassando all'alveo di uno di questi due fiumi entro una botte. Ebbe incarico nel 1842 il menzionato illustre in- gegnere Alessandro Manetti, direttore generale delle acque, strade e fabbriche civili del granducato, di studiare gli antichi ed i nioderni progetti per quindi proporre al proprio governo col corredo di un piano 6 particolareggiato di esecuzione, quello che fosse stato meglio da adottarsi a suo giudizio. Non senza maturo e ponderato esame dette il commendator Manetti la preferenza alla linea indi- cata dal matematico Fantoni nel 1787, per la quale l'emissario del lago avrebbe foce in mare col Ca- lambrone in vicinanza di Livorno, dopo superata la difficoltà dell'incontro dell'Arno per quella via col mezzo di una botte. A ciò fu egli mosso dal con- siderare, che pendendo generalmente le campagne dal Serchio verso l'Arno, non savebbesi potuto ottenere, con certezza di buon esito, il loro scolo dirigendo l'emissario verso il Serchio, occorrendo in tal caso invertire il corso naturale delle aeque e farlo scor- rere in un canale difettoso, perchè profondo quasi 12 metri e minacciato nei Iati dalla irruzione dei torbidi torrentelli che scendono dai vicini monti. Né meno gravi ragioni militavano per rigettare l'anda- mento laterale all'Arno, trovandosi troppo angusto lo spazio compreso tra la destra sua ripa ed il piede del monte pisano per contenere un canale, cosicché farebbesi d'uopo per collocarvelo di deviare e ret- tificare il detto fiume superiormente alle grandi svolte a monte di Pisa con pregiudizio al buon regime di esso. Di costruzione certamente non facile sarebbero i muraglionì che formar dovrebbero diaframma tra il fiume ed il canale, scabroso assai il passo sot- terraneo all' incontro dell' impetuoso torrente Zam- bra, e superati tanti ostacoli rimarrebbe l'emissario esposto per una parte a ricevere le abbondantissime filtrazioni che, per avere il proprio fondo assai in- feriore a quello dell'Arno, si verificherebbero indù- 7 bitatamente in quei terreni, i quali sotto agli strati alluvionali ne contengono dei permeabili ed acquiferi; e per V altra parte andrebbe soggetto al concorso delle torbide discendenti dai monti, duranti le piog- gie. La imnfìissione poi del canale essiccatore delle acque del lago, delle sue gronde e delle campagne toscane e lucchesi nell'attuale fosso recipiente della pianura settentrionale pisana, chiamato nei primi tron- chi Vicinaja, poi Fiume-morto, infelicissimo per causa della tenue pendenza come lo indica la denomina- zione, infelicissimo per la difettosa sua foce in mare prossima a quella dell'Arno e del Sercbio, non sa- rebbe tollerata dai possessori de' terreni che vi sco- lano, i quali, riconoscendo quel fosso anch'oggi in- sufficiente al proprio utVicio, e convinti del pregiu- dizio indubitato che deriverebbe dal mescere alle acque presenti altre acque estranee e copiose, noi vorrebbero sicuramente consentire. Difìlcoltà ed opposizioni di tal genere non erano certamente da attendere eleggendo la linea sulla sini- stra dell'Arno fino al Calambrone, subito che l'emissa- rio può condursi solitario, ed in qualunque stalo delle sue acque indipendente dagli scoli della pianura che giace a mezzodì dell'Arno. Il sentimento espresso in proposito dal direttore Manctti in una elaborata me- moria appoggiata su precise misure é col corredo del richiestogli particolareggiato progetto, venne corrobo- rato dal voto del professore Maurizio cav. Brighen- ti , valente idraulico , espressamente chiamato sui luoghi dall'A. 1. e R. del gran duca LEOPOLDO IL — La hnea in rosso, nella citata pianta, indica l'an- damento del canale, ed il punto ove esso, per mezzo della botte, sottopasserà il letto dell'Arno — . 8 Dopo ciò un sovrano decreto del 10 aprile 1852 affidando al Manetti la suprema direzione dell'opera, ne ordinò la esecuzione, disponendo che la spesa dei lavori si anticipasse per intero dal governo a tutto suo rischio e pericolo, in correspettività di una re- sponsione annua a carico dei possessori dei terreni bonificati, durabile per 50 anni, di franchi 222729, dei quali 71529 graveranno lo stesso governo come proprietario del Iago. Siffatto contributo comincerà a decorrere iln anno dopo l'attivazione dell'emissario. Alla costruzione della botte diedesi mano per primo d'ogni altro lavoro. Erano stati fatti colla maggiore accuratezza nel 184-2 diversi saggi per conoscere la qualità del ter- reno, che dovea sostenere quella fabbrica da costruirsi all'asciutto mediante l'addolcimento della svolta del- l'Arno di fronte al villaggio di s. Giovanni alla Vena, ove, come è detto sopra, sbocca l'attuale emissario del Iago; né fu trascurata la precauzione di escavare un pozzo profondo 13 metri, e così eccedente il piano in cui dovevano posare le sostruzioni dell'edifizio. Ma in seguito si verificò, come con altri autori lo avverte il Minard nel reputato suo corso di costru- zione, non essere un tal mezzo talvolta bastante a porgere la cognizione perfetta della natura del suolo scandagliato. Infatti non potè aversi allora indizio che le argille, giacenti sotto agli alti strati alluvionali di non tanto remota epoca, fossero pregne di piccole sorgive minerali contenenti anche dei gas, che quelle argille rendevano molli e cedevoli. Tale circostanza fattasi palese col progresso del cavamento della gran fossa per le fondamenta, e ri- 9 scontralo colla trivella che per 13 metri sotto al fondo del pozzo di saggio non incontravasi terreno diverso, fece accorti che le sostruzioni della botte non po- teano posarsi su quel suolo infido senza prima ar- tificialmente consolidarlo. E però, onde provvedere a siffatta tristissima condizione, si adottò l'espediente della infissione di 25 mila paletti di legname di pino, lunghi ognuno oltre a due metri con diametro in testa dagli 11 ai 12 centimetri, e di un gran numero di più grossi e di maggior lunghezza nel contorno della platea generale sulla quale fu divisato di posare la fabbrica, anche per darle maggior base. Sulle teste di detti pali fu poi disposto un retico- lato di legname in quattro ordini l'uno all'altro so- vrastanti, formato con grossi pini del diametio cia- scuno di 35 centimetri, fra loro collocati a squadra, fìssati a ciascuna incrociatura con lunghe caviglie di ferro , quindi collegati da cima a fondo con forti staffoni dello stesso metallo per stringere insieme i quattro ordini del reticolato , sicché formasse una specie di zattera inflessibile lunga metri 274- com- prese le ali, larga metri 23,35, alta 93 centimetri, le cui caselle ed interstizi furono ripieni con smalto e muramento fatto con malta mista alla eccellente arena dell'Arno ed alla pozzolana di Roma. Sulla grandiosa zattera fu costruito il muro che costituisce la platea generale sulla larghezza di metri 22,76, e l'altezza di metri 1,40. La botte da testata a testata è lunga metri 255; i muri di fianco hanno ciascuno la grossezza di me- tri 3,50; essa ha due luci, ognuna di metri i,52 con pila intermedia grossa metro 1,46- Corrispon- 10 dentemente ad ogni luce la platea è disposta in arco concavo con freccia di 44 centimetri murato a mat- toni. Le volte, esse pure di mattoni e curvate sui 75 gradi, sono grosse 87 centimetri al serraglio, ed un metro verso i fianchi. All'esaurimento delle acque sorgive e piovane si è provveduto con una noria mossa da un cavallo, e duranti le piogge con una tromba a vapore della forza di quattro cavalli. La prima pietra dell'edificio fu posta con solen- nità dal gran duca LEOPOLDO II accompagnato dal gran principe ereditario nel dì 16 settembre 1854 (1); e le sue volte trovansi oggi di già compite, non ostan- te le difficoltà gravi incontrate poscia ne'suoi lavori fondamentali dipendentemente dalla natura del suolo, che alcuni geologi giudicano essere in quel punto del Val d'Arno inferiore andato soggetto a notabile avvallamento per esservisi anche incontrati a molta profondità gli avanzi di una antica selva: cosicché può sperarsi che non sia per essere da tale contra- rio incidente troppo lungamente sorpassato il tempo dei quattro anni stabilito nel decreto per il compi- mento di tutti i lavori. Contemporaneo alla edificazione della botte è stato condotto il cavamente di gran mole per il nuovo alveo dell'Arno che deve scorrervi sopra. Nell'osservave l'ordinamento del cantiere perla esecuzione di una fabbrica così grandiosa si vede che fu posta gran cura nel provvedere al fucile e pronto trasporto di ogni sorta di materiali , e fu messa molta importanza nel procurare che la com- (1) Monitore toscano del 21 settembre 1834 n. 219. 11 posizione e V impasto delle malte riescissòi'o per- fetti , e che diligentemente fosse triturato e lavato il sasso per gli smalti da mischiarsi con quella malta. Così , fatte convergere verso la testata deiredifìzio dalla parte sotto-corrente, come a luogo centiale, tutte le vie tanto rotabili che ferrate, e quivi ele- vato un palco in prossimità de' bacini per la estin- zione delle calcine, vi si fanno agire cinque macchi- ne per la manipolazione dello malte; e le malte e gli smalti vengono versati quindi per mezzo di undici ti-amoggi in sottostanti carretti a trabalta da loro stessi scorrenti sopra una via di ferro fìancheggiante la botte, i quali carretti sono guidati fino al punto opportuno allo scarico da un operante che vi sta sopra e può frenarne il corso o fermarli: lo stesso operante gli si conduce con tenue fatica al luogo del carico. Altri carretti congeneri portano il sasso , altri gli smalti , altri i mattoni. Rispetto alle armature delle volte, furono queste congegnate per modo da potersi agevolmente smon- tare e rimontare a seconda del progresso del mu- ramento: erano esse lunghe presso a metri 44 per ogni luce. I movimenti di terra si eseguiscono secondo le diverse condizioni del terreno: da operanti che ado- prano la barella ; da operanti che si servono della carriola; per mezzo di carri a trabalta scorrenti so- pra strade di ferro, e per mezzo di carri a trabalta tirati da due bovi. La distanza del trasporto con la barella non si fa eccedere i 52 metri , con framezzo un rilievo; con la carriola 145 m. in diversi rilievi; coi carri su vie di ferro 205 m. e coi carri tirati da bovi 145 m. 12 Molti e molti altri particolari , utilissimi a sa- persi, ho avuto occasione di notare nelle ripetute mie visite, ma temerei di oltrepassare i limiti di una lettera se qui mi dessi a registrarli. L'ordine ammirabile che regna in ogni parte della grande macchina in discorso, mostra che l'uomo, cui ne fu affidata la direzione suprema, non seppe solo formarne il concetto, ma ebbe anco abilità somma a condurne l'esecuzione generale, e rara prontezza a provvedere agli svariati accidenti ed in particolare a quello gravissimo dell'infida natura del suolo; il che mi si presenta come cosa molto più difficile del con- cetto medesimo. In fatto di esecuzione è per me cotesta opera un perfetto modello per ogni caso simile ; ed ella può esser certa che l'osservatore resta convinto che da tale ordinamento si è ottenuta la massima econo- mia di tempo e di spesa, e si è raggiunto il massimo utile possibile. Ma, come io mi querelava da principio, questa grandiosa e benefica opera portata quasi a com- pimento, resta a tutt'oggi ignota non agli stranieri soltanto, ma sì pure agi' italiani, troppo per verità indifferenti per imprese che altrove si porterebbero subito per le stampe a cognizione generale. De' lavori di sistemazione de' fiumi Arno e Ser- chio avrò l'onore di parlarle in altra mia ; intanto gradisca che con altissima slima mi ripeta Roma 5 novembre 1856. Di lei, chiarissimo ingegnere, Dino, ed obbmo. servitore AlIÌSSA^DIìG ClALDl. (/e/ ófici/m idrotu/ieo c/ie coj/ìjjrende - .Z*f IAGO 1)1 BM.Vr/JVA - , -^ NUOVO EMISSARIO meSlo/niTe utuc BOTTE dotto T iCtvixo, ne scarica le acque ir mare presso Livorno A proposito della colera epidemica riflessioni critiche sopra il conlagionismo, di Ercole Zavagli. Sidla dottrina dei contagi e delle malattie contagiose considerata ne'suoi rapporti colla pubblica preser- vazione: commentari del doli. Angelo Bo. -^ un fallo deplorabile che Tingegiio dell'uomo sia eondaiinato così spesso a radere il suolo ; sicché ove per la dovizia delle cognizioni parrebbe giunto il momento di sospingere il pensiero più oltre , e spiccare il volo alle alte investigazioni dei principi! dei rapporti, delle leggi, il cattivo genio della con- tesa gli spunti allora le ali e Io richiami fatalmente alla terra. Sia pur vero che dalla disputa scaturisce la verità come dalla percussione e dall'attrito svol- gonsi luce e caloi'ico ; ma quando dal dispulare si passa al contendere e dalle contese alle contumelie, e allorché la questione versa sopra sentenze già ema- nate dal comun senso, e intorno a dottrine che for- man parte del patrimonio delle scienze, il ripicchiarne i punti dee recar piuttosto confusione che chiarezza, lo credo appena a'miei occhi vedendo il Bo, pochi anni innanzi apostolo de'contagi, e zelante custode delle disposizioni sanitarie, adoperarsi oggi a stessere la tela da lui già tessuta : e il Zavagli, allevato in amore alla sana patologia, oppugnarne ora l'argomento più bello, e affaticarsi al solo fine di spargere un' altra semente di dubbio nel campo delle universali cre- denze. Sì : la fede all' indole contagiosa di alcu ni G.A.T.CXLVI 2 16 morbi epidemici è universale. Antica quanto la sto- ria dell'uomo, trasmessa di evo in evo pel tramite fedele della tradizione, confermata a lunghe e lu- gubri esperienze, chiarita dalla penna di sommi scrit-r tori. Essa è così profondamente abbarbicata nella mente degli uomini, che la metafora istessa , sim- bolo eloquente della stupenda uniformità delle leggi della natura nei diversi ordini de' fenomeni, se ne è impadronita e ne va ornando la poesia, l'arte ora- toria e lo stesso linguaggio della civile conversazione. Neghittoso allo scrivere, e consapevole a me stesso di non poter aggiungere alcuna verità alle già di- vulgate intorno ai contagi, tuttavia ho voluto pren- dere la penna per contribuire al fine, che non usur- pino la tirannia le false opinioni ; e perchè stimo dovere di chi insegna apprendere ai suoi uditori quali intime persuazioni lo inducano a tener fermo nelle antiche dottrine a malgrado delle contrarie che van pullulando. Non ho in animo di analizzare ordinata- mente le due scritture , i cui titoli sono in fronte di questo articolo, ma di spiccarne qua e colà qual- che brano quanto basti a mostrarne lo spirito e le tendenze. Non sono disposto a mettere il piede nel campo archeologico de' contagi, ma posso affermare che chiunque non sia al tutto vergine della storica erudi- zione troverà ardita la sentenza del Bo u die il con- tagio non fu mai dai medici i piii famosi delVanti- chilà preso a base di una teorica patologica qualun- que^ e tanto meno di un sistema di pratiche osser- vazioni. )) Imperocché le pratiche rispetto agli infetti di lebbra ordinate da Mosè ed eseguite dai Cohen 17 sacerdoti e medici ad un tempo somigliano tanto a quelle dei nostri lazzaretti, e delle quarantene no- stre, da non potervisi disconoscere medesimezza e di principio patologico, che è l'indole appiccaticcia di quel morbo, e di fine igienico, inteso ad impedirne la diffusione coli' isolamento o sequestro degli in- fermi, e colla purificazione delle case. Fa duopo poi confessare che poco troviamo scritto presso gli an- tichi intorno le pestilenze ; ma quando gli storici non solo le rammentano, ma ne spiegano eziandio la propagazione col mezzo dei contatti, potrà egli credersi che tal pensiero fosse nascosto ai soli me- dici ? « Primo temporis el loci vitto et aegri erant et moriebanlur. Postea curatio ipsa et contactus ae- grorum viilgabat morbos. » Dopo aver considerato questo passo di Livio (senza dire degli altri notis- simi di Tucidide e di Plinio) non potrà menarsi buona al professore di Genova la seguente proposizione: « Ci sembra in modo non dubbio dimostrato, che in verun tempo innanzi al secolo decimosesto delV era nostra fu spiegata colla contagione la genesi e la diffusione 0 propagazione delle epidemie e delle pestilenze (§. 36). E a chi poi desiderasse qualche testimonianza di an- tichi medici, non gli ftillirebbe Galeno, il quale per significare il modo onde le malattie pestilenziali co- municansi usando con gli infermi [ siati lasciati a trarm di- speraiameiU^ gli idiim:i melili ! ! 5 QiAe&ti lagvimati 49 mali non hanno origine dal timor del contagio, ma derivano dallo sconvolgimento sociale che accompa- gna sempre i grandi disastri. La storia delle pe-^ stilenze ò stata sempre la stessa. Consultate le cro- niche, lo memorie e perlin le novelle contemporanee, e vi apprenderanno che anche in tempi in cui i medici non erano in disputa fra loro sull' indole contagiosa di alcuni morbi epidemici % e la polizia sanitaria non avea ancora introdotto lazzaretti e cordoni, avveniva pure il medesimo di quel che ora interviene. I ricchi non vogliono darsi malinconia, e, quanto più possono, si allontanano, non senza danno di quanti vivono a loro spese; il popolo, ap- poggiandosi più al senso che alla ragione, farnetica strane origini della malattia, dà in falli da scemo, e si abbandona ad ogni licenza, senza molto occu- parsi se il male sia o no appiccaticcio; la parte più eletta deirumano consorzio, ut sunt molles in calami-* tate morlalium animii sì ritrae anche esso dall'ordine consueto di vita, e si rende improvvida all'avvenire: gli stessi custodi delle leggi ne allentano il freno, facendosi men vigilanti della retta amministrazione della giustizia. Così il reggimento civile si turba da capo a fondo, non per tema del contagio, ma per- chè si rompono le fila, onde intrecciasi la tela so- ciale. Finalmente io non so credere Io sconcio del chia- mare italiana la patologia dei contagi. Fracastoro ne lasciò eredi della sua dottrina; Mercuriale la dif- fuse; Rosa Tampliò, Tarricchirono Bondioli, Rubini, Palloni, Acerbi , Valli e cento altri. Si citi A. straniero che precedesse il Veronese nel definir^ il 50 contagio e nello svolgerne gli altiibuti; se ne alle- ghi altro che meglio del Rosa abbia distinto i li- miti che dividono il campo del puro epidemico dal contagioso; si indichino scrittori didascalici che ab- biano definito le proprietà caratteristiche dei con- tagi con maggior chiarezza che non facessero il Brera, il Puccinotti. Nulla dirò del primato italiano quanto alla invenzione dei lazzaretti, essendo questa provincia della pubblica igiene, più che argomento patologico: gli è però anche cotesto un fatto op- portuno a dimostrare la direzione delle menti allo studio dei contagi, e al modo di loro propagazio- ne. La vediamo avversata, scrive il Bo, al suo na~ scere da grandi ed illuslri patologi (p. 37). Quale argomento ! Come se al nascer loro non fossero state avversate le dottrine di Newton, di Galileo , di Franklin , di Volta ! come se non fosse stata contraddetta in principio la virtù anti febbrile della china, l'antisifìlitica del mercurio, la preservativa del vaccino ecc. ! Quanti sono gli scrit- tori, ripiglia r A., della contagiane in Italia hanno tutti una teoria propria (P. ivi). Come se la dottrina consistesse nella sola teoria. Samppiamcelo: i conta- gionisti non poggiano col sapere sì alto da aver levata ogni oscurità , da aver strigato ogni dubbio sulla prima origine, sulla natura , suU' andamento dei contagi. A spiegare in che consista quel prin- cipium expectans che fa le veci di predisposizione ai contagi esantematici ; a definire il perchè della immunità dalla seconda invasione ; a determinare il come del moltiplicarsi la molecola contagiosa nel corpo vivente, ogni diligenza de'cercatori fu indarno. 51 Ma è soda dottrina il conoscere gli attributi carat- teristici onde i coniaci ci differenziano da tutte le altre potenze nocive : or trovatemi due soli pato- loiii italiani, i quali discordino tra loro in tal punto. Se adunque la dottrina dei contagi è nata, cre- sciuta, e maturata in Italia ; se in Italia ne sono state la prima volta attuate le pratiche applica- zioni ; se in tale argomento le scuole italiane si dis- . tinguono per la perspicuìlà dei dettali, non saprei vedere in che disconvenga il chiamare italiana la patologia dei contagi. Deh cessiamo una volta dalle oziose dispule, che troppo ornai ingombrano i nostri giornali con gran iattura di tem[)o pei leggitori, e senza profìtto al- cuno alla scienza ? Poco altro che si estenda questa vertigine delle opinioni, ogni fede medica perirà nella gioventù. Pongo ora la man di collega ai due scrittori, onde oppugnai la dottrina, e li prego a non inter- pretare per segno di ingrato animo , se al cortese invio da essi fattomi delle loro memorie, invece dei dovuti ringraziamenti, rimando parole forse acerbe di critica. Amicus Pialo, sei! maijis amica veritas. C. MaggioranI' 52 Amiche iscrizioni esistenti in Arsoli nella villa Mas- simo, pubblicale dal cav- Carlo Lodovico Visconti. N eli' amenlssima villa che possiede in Arsoli, suo feudo, S. E. il sig. principe D- Camillo Massimo , annessa al signorile castello che sovrasta al paese, è una vaga torricella, in forma di colombaia , nel cui piano terreno si trovano varie antiche iscrizioni infìsse nelle pareti, insieme con altri pure antichi frammenti di scultura e d'architettura, che prestano a quella stanza bello ed erudito ornamento. Pro- vengono le medesime da vari punti di quel terri- torio, sia come fruito d' escavazioni a tale effetto operatevi d'ordine del prelodato sig. principe , sia che fossero a caso tornate in luce dai lavori della coltivaiione; come avviene quasi del continuo in questo suolo romano e nelle convicine campagne, dove pressoché ogni gleba racchiude una memoria dei tìostH maggiori. 1 quali oggetti dall'erudito si- gnore con ogni cura fatti raccogliere (che troppo bene conosce in qual conto s'abbiano a tenere) pas- sarono a fregiare il predetto edificio della sua villa, offrendo un utile passatempo a chi si rechi a visi- tare quegli ameni recessi. Villa da sembrare al tutto un capriccio della natura in mezzo a quei luoghi alpestri e selvaggi, che furono già parte dell' aspro e guerriero paese degli equi , perpetui nimici al nome romano e molestissimi, del pari che i volsci, fra quanti ne infestassero la nascente grandezza; in 53 guisa che le ormi loro da Tito Livio si chiamino anniveisane: Aequòrum iam velut anniversarìis arrnis assuerat civitas (IV, 45). Perocché dentro od una doppia e stretta catena di montagne calcatie »tè- riiisaime e nude, spartita solo dal grosso torrente che scorre alle falde, nominato Biofreddot é prima che le due giogaie divergano e s'aprano, formando la ridente vallata ove serpeggia l'Aniene, sorge iso- lata una collinetta, vestita di pomposa verdura, onv» breggiata di bellissime piante, alla quale per la sua vaghezza quegli abitanti diedero il nonoe di Bel-' monte. È questa occupata interamente dalla villa Massimo; che &i compone, prima di un delizioso e vasto giardino, di forma quadrilunga, posto a pie del castello, con belle aiude di fiori cinte di basse mortelle, piantate in leggiadri compartimenti e fra-* meziate da fontane di cFvai'mo con alti zampilli di acque: poi di lunghi viali fiancheggiati da fotte spalliere d'allori e di tììorteHe, i quali girano con dolce pendio intorno alla collina fino d tócéarBe la sommità, co'ronata da un bosobetto di elei ; a'ita em ombra piacevole e »élk frescui?a di un'aria viva e sottile , che sempre ti spira , si trova un grafo refrigerio al fastidio della ctdda stagione'. Con tuolt« core l'ait»aìe signore fe pirovvéderé »!!» conseivia* zione, anxi al miglioramiento di questa villa, della q^utìile grand«^mente si dilettarono i suoi ejiaggfoti: nnentrechò pur tropjK) avviene tal'ora, che la inCtì-^ ria ed il poco magnanimo sentire dei nipoti lasci andare a male e qaasi al tutto disfarsi le sootuoSte (klkie campestri!, ehe (tanto oro cosiarowoy mst vaJ>- sero pur tanta lode ai W® nofoifó e generosi ^nìe^ nati ! 54 Neirottobie del caduto anno 1856 avendo iiiù giorni dimorato in Arsoli , condottovi dall' e^'egio ed erudito mio amico, l'avvocato Vincenzo Aquari, che molti e bei terreni possiede in quella campagna, potei quivi a mio bell'agio osservare e trascrivere gli anzidetti monament"- E parendomi che fossero, come infatti lo sono, inediti la maggior parte , e notandovene alcuno importante , pregai 1' illusilo proprietario che dovesse accordarmi di pubblicarli, lumaio in Roma: ed egli per sua cortesia vi accon- senlì di buon grado. Distratto in appresso da più urgenti occupazioni, non ho potuto fino al piesenle appagare questo mio desiderio, ne valermi del gra- zioso permesso: ora poi mi accingo a farlo con tanto maggiore soddisfazione, in quanto che mi è grato di avermi alquanto ad occupare di un luogo, che di se mi ha lasciato nell'animo una lieta e piacevole ricordanza. ^eWAnnlisi deììa caria dei dintorni di Roma non tocca il Nibby la quistione, se corrisponda l'odierna Arsoli all'antica Carseoli, colonia romana negli equi- coli, o nei marsi; limitandosi al tutto a riprodurre alcune notizie concernenti la istoria di quella terra nei tempi di mezzo {Torti. ì pag. 258). Pure il Cluverio credette di riconoscervela , indottovi da qualche apparente analogia (//a/, anliq. Uh. 11 pag. 783). Ma ne fu con buone ragioni conlraddclto dal- l'Holstein, nelle note al medesimo Cluverio {pag. 457); il quale non si lasciando imporre dal nome di Arsoli, né pure dall'altro piìi simile di Carsòli (grossa terra in su quel di Napoli), ma facendosi guidare soltanto dalle proprie ricerche, ravvisò in- 55 vece queiranlica città nel mezzo della vasta pianura, che s'apre al di là de'monti di Riofreddo, ed è co- nosciuta sotto il nome di Plano del Cavaliere. La collocò egli precisamente nel luogo detto Civita Ca- renza; dove rimangono evidenti vestigie di un ri- cinto, di mura, non che una via lastricata di poli- goni ed un aquedotto d'opera antica: ne molto lungi di colà fu rinvenuta la iscrizione onoraria posta dai denaro fori carseolani [Miir. 515, 2.), la quale al presente si vede inserita nel muro della osteria detta del Cavaliere. La indubitata posizione di questi ru- deri sulla via Valeria, di cui fu Carseoli una stazione, come s'impara dagl' Ilinerarii ; ed il corrispondere esattamente la natui-a e l'aspetto dell'anzidetta pia- nura còlla breve descrizione dell'agro carseolano da- tane da Ovidio nei Fasti e recitata dal (Huverio, dan- no veramente gran peso alla sentenza dell' Hohtein e gli assicurano il vanto della scoperta. Infatti questa opinione, seguita pure dal Cellario {Notit. orò. antiq. HO. Il cap. 9 paij. 783), trovò circa un se- colo appresso una conferma nelle osservazioni dello Chaupy (l) ed una ai giorni nostri in quelle del sig. Carlo Promis, erudito architetto piemontese, il (1) Carsévles [ut non à Jrsoli, nule Clvvier In ctut,malgré l'er- clusion que lui donne sa pnsition far loin de la vaie Talcricnm ; ni à CarsoU, quoique ce secotid bourg m' ail pa^ eocccplion da premier ; mais ati milieu de la vaste plaine qu on trouve aprcs les monts de Riofreddo. C est la qu" HnMenins la deconvrit en mai 1643, et que je Cai reconnue vn octobre 1766. Ses vcsliges consisterli en la trace de son mur d'éncenlc quoti reconnait avoìr étc de Pierre, de eette fabbrique qu'ou appelle inccrtaivc, cr. (Cap- ni;irlin de Clianpy, Drcoiivcrlc de la maison de campanile d'Horace. Ioni, 3 pai;. 222j 56 qunle ha con molta diligenza investigato quei Inoghi, per giovarne la sua illustrazione delle Antichità di Alba Fucense {pag. 51 e seg). Distava CarseoU da Roma miglia quarantadue secondo gì' Itinerarii ; e tanto appunto mostra il prelodato sig, Promis di- starne quei ruderi che si attribuiscono a detta co- lonia. Però io non so s' abbia egli ciò calcolato secondo l' antica o Todiema misura delle miglia romane; poiché non è ignoto che le antiche miglia furono d'alquanto minori delle moderne» e stettero alle medesime presso a poco in quella proporzione che il cinque sta al quattro [Marini, Are. pag. 1). Che s'egli non vi ha riflettuto» come io sospetto, non potrebbe tuttavia derivarne alcuna i-agione con- tro chi voglia riconoscere CarseoU in Civiia Carerb' 20; ma solamente che si debba con piiì accuratezza indagare l'andamento della Valeria ; la quale pre- sentemente potrebbe aver preso più giro e serpeg- giamento che prima non avesse, con aumento de're- eiproci intervalli fra le città e le terre lungh' essa giacenti. Lasciai più sopva in dubbio a bello studio se questa colonia spettasse anticamente al paese degli equi, od a quello dei marsi; perchè intorno a que- sto punto non sono d'accordo i grandi geografi mo- derni, come non lo furono egualmiente gli antichi scrittori: né putjto inclino ad assentire a quanto ne va ragionando il sig. Promis, ad effetto di provare ch'ella fosse posta in su quel degli equicoli. Certo è che Livio t»ccenn»ndone l'antichissima deduzione, narra, come nell'anno della città 455, essendo cioè consoli Lucio Cornelio Scipione e Gneo Fulvio Cen- 57 tumalo, Carseolos colonia in agruni aeqniculontm de- ducta: non si rammentando forse di aveie scritto fra le cose di quattro anni avanti, cioè del 451 segnato dai consoli Marco Livio Dentre e Caio Emilio Paolo: Marsos agrum vi tueri mmciabatiiry in qnem colonia Carseoli deducta erat. La quale ambiguità sebbene probabilmente derivi, come tiene il Cluverio, dal- l'avere lo storico attinto queste notizie da due com* mentari diversi , nientedimeno dimostra , per mio giudizio, come detta colonia giacesse molto presso ai confini che l'un popolo separavano dall'altro: ve- rità che riluce ancora dalla disparità delle opinio- ni degli altri autori intorno a questo punto. Or così essendo, egli è cosa molto scabrosa il volerne ad ogni costo assegnare la pertinenza piuttosto all'uno che al- l'altro territorio; e tentando ristabilire ì confini, o naturali, che più non si conoscono, o artificiali, che piiì non esistono , render certo a noi moderni ciò che fu dubbio agli stessi antichi scrittori. Ad ogni modo vi bisognerebbero assai studi e indagini lo- cali, ch'io non ebbi l'agio, né forse il desiderio, di fare. Né posso io recare in m^zzo alcuna mìa ossei'- vazione topografica intorno al sito dell'antica Cqr- seo/i, per non avere mai fatto alcuna escursione fioo a quel punto. Egli é il vero che affacciatomi dalle allure di Oricola su quella pianura bellissima, inter^ cisa da molte acque correnti e chiusa intorno in- torno da montagne alpestri, o da vaghe ed ubertose colline^ parvemicoll'aspetto e eolla naturai conforma- zione dì quei luoghi raffrontarsi la descrizione se- guente dell'acro carseolano, datane dal Libro delle 58 colonie [ediz. del Lachmann ): Carseolis agcr. iter pofmlo non debelur. usqiie ad muros privati possident. Sunt etiam montes qui romani appellantiir, ea ra- tione qua in agro asculano siipra diximus. Finilur enim iugis monlium, lerminis augusteis, ripis per de' vexa collium, arborihus, divergiis aquarum. Sed et per alia finitima documenta. In campos vero lerminos quadrai OS tibiirtinos , spatulas cursorias, Umilibus. intcriectis vero locis per arcas instructas et monu- menta finitur. Del resto che l'odierna Arsoli non occupi il sito (li quell'antica colonia romana, si deduce ancora dal non vedervisi delle vestigio importanti, le quali cre- der si possano appartenute ad una città grande e popolosa , qual fu sicuramente Carseoli , che nella Carta peutingei-iana viene contrassegnata colla figura propria delle città primarie: e troppo difficil sarebbe che tutti gli edifici ch'ella contenne si fossero in guisa distrutti da non rimanerne pur l'orma. Vi sarà stato, io credo, un qualche pago dipendente dalla stessa Carseoli ; di che danno indizio e la naturai giaci- tura di quel suolo molto acconcia a ricevere abi- tazioni, ed i vari frammenti che di quando in quando vi si rinvengono ; ma in ispecie una iscrizione tor- nata in luce là presso, e che noi riporteremo a suo luogo. Avanzi poi di ville romane se ne scoprono sovente; ed alcuni assai ragguardevoli novellamente disotterrati per cura del sig. principe potei ossei- varne durante la mia dimora colà, in un suo ter- reno situato poco Inngi del paese, alla dritta di chi vi giunga di verso Roma. Consistono questi in una grande soslruzione di poligoni, destinata, io credo, 59 a far posare in piano l'edifi/jo, giacente in sul pen- dio della montagna, verso la valle dell'acqua Marcia ; ed in due pavimenti di musaico bianco e nero, ma di finissimo e squisito lavoro. Reliquie di muri, ne ornamenti di sorte alcuna più non vi esistono , essendo rimaste quelle mine quasi a fior di terra, e quindi esposte ad ogni maniera di deva- stazioni. Ond e che non presentando quei ruderi un tale aspetto, da rendere importante che detti musaici rimangano al posto loro, anzi nuH'altro quasi restan- dovi che i pavimenti medesimi, intende il sig. prin- cipe di farli quanto prima cavare di colà e traspor- tare ad ornamento del suo palazzo ; a cagione an- cora di preservarli da un totale disfacimento. Ma venendo alle iscrizioni, che formano l'oggetto principale di questo articolo, sono esse le sequenti: I. L . ANINIVS . L . L . EROS LIGTOR AVGVSTI . CAESARIS EX . TESTAMENTO . ARRITRATV THIASl . L È data dal Muratori (886,10) e dal Mommsen I. N 5698). Scolpita in assai belli caratteri sopra una grande lapide convessa, dimostra d'aver fatto parte dell'esteriore di un sepolcro rotondo, e sarebbe stato importante conoscere il luogo preciso dov' ella fu ritrovata, non potendosi dubitare che tal sepolcro non fiancheggiasse la via Valeria. Ma di tale ubica- zione non esiste più memoria- 60 Dalle tre seguenti inedite null'altro impariamo, se non che i nomi di alcuno fra gli antichi abitanti di quelle contrade. II. DlS . MANIBVS . G . DIDIO ROMANO . ET . DIDIAE . G . F . VENVSTAE . ET . DlDlO . VE NVSTO.C , DIDIVS . AGATHE MER . PATRONIS . OPTiMlS FEGIT.BENE.MERENTIBVS.ET. LIB.LIB.POTERISQVE . SVIS . 111. D M SABINIOHEGATEO SABINIA.FILV MENE.CONIVGI RARISSIMO BENEMERENTI FEGIT IV. DIS.MANIBVS VETTI AE.FELIGVLAE.V.AN.II.AB ASCANTIIVS.ETHOREA.VERNAE SVAE FEGERVNT 61 V. Cippo. [Vreeolo] eYTYXU^I (^«M Cioè: Eulijcho, ad Eutico. Per la semplicità della scultura e della iscrizione, riduce alla mente la più antica forma dei greci sepolcri, quando cioè sopra un tumulo di terra s* innalzava una colonnetta o cippo, col nome del trapassato: il che viene anche accennato da Omero (II- 16. 457): Ty/x/Sw T2, axì]XY] x& rò yàpyipag lavi 'bcoévxwj. VI. C.IVLIO SEDATOPAG FRATRIE! HEREAVDACIS V.A.XVIII.CV... EGIT Dicendosi in questo marmo: C. lidio Sedato pa- gano ec, senza esprimere il nome del pago, è chiaro che questo defunto dovè esser sepolto presso il pago medesimo, al quale appartenne: supponendosi ragio- nevolmente, che chiunque legge;i repitaffio non po- tesse ignorare il nome del luogo dov'egli trovavasi. Quindi è eh' io dissi più sopra , potersi inferire da 62 questa lapide, rinvenuta presso Arsoli, che fosse quivi anticamente un qualche pago dipendente forse dalla vicina Carseoli, che potea facilmente estendete fino a quel punto il suo territorio e la giurisdizione. Se non che imparandosi dal citato luogo del Libro delle colonie, come Va/iro carseolano in alcuna sua parte finhtir iugis ìnontiiim; e gioghi di monti frapponen- dosi appunto fra il sito dell'antica colonia e quello dell'Arsoli odierna, inclino piuttosto a credere che il nostro pago non facesse parte del territorio car- seolano, il cui confine da questo lato probabilmente marcavasi dalla giogaia; ma fosse invece sotto la dipendenza di Varia , eh' era dopo Carseoli la città pii^i vicina. Notasi ancora nella nostra iscri/iione l' insoh'ta abbreviatura HERE., cioè lieredi. VII. ...PROSDEXIX ....ESEIVS ....TROPHIMVS Pioulcxii credo sarebbesi dovuto scrivere piut- tosto; nome greco di donna, di cui si trova ne'mar- mi qualche raro esempio. t)3 Vili. ...IBVSACTRI ....LiL,u ITISETMAG ..jn^ AGILDONEI. SASPAT ^ETO....^ii.t.. ...aGIGNEBAT...;.. .. )DISPOSlTlONE. Frammento d' importantissima isci'izione, eh' io credo posta in onore degP imperatovi Arcadio ed Onorio, dopo vinta e repressa nell'anno di G.G.398 la famosy ribellione dell'Affrica, promossa e per bene dieci anni continuata da Gildone, conte e maestro d'ambedue le milizie stanziate in quella provincia: sia collo scopo di staccarla dall' imperio di occidente per incorpoi-ai'la in quello d' oriente, sia , eh' è più probabile, per ridurla nella sua propria obbedienza. Sarebbe questo l'unico marmo, per quanto io mi sappia, in cui si trovi ricordo del conte Gildone , il cui nome non figura nella base gruteriana 287,3, veduta dallo Smezio, che suolsi dagli eruditi rife- rire al medesimo avvenimento: non avendo a pa- rere strano un tal silenzio, si per la infamia del nome del ribelle, e sì per essere a tutti notissimo l'autore di quella insurrezione. Avvertasi che a detta base gruteriana toccò la buona sorte di piacere al Ligorio; il quale dopo di averle dato un pò di garbo al modo suo, la mise fuori com'ella si vede nel Mu- ratori, 265,5. G.A.T.CXLVI. 5 64 È gran peccato che di questa lapide insigne ne sia pervenuto soltanto uv{ così lacero avanzo, il qua- le a stento permette che se ne possa ravvisare l'og- getto e rintracciare il fatto storico che l'ha motiva- ta. Non rimanendo die ppche e mozze parole del mezzo della iscrizione, non istimo prudente il ten- tarne una restituzione, che procedendo su vestigio sì scarse, necessariamente avrebbe a riuscire dove pili dove meno arbitraria* Ella dovette esser divisa in linee lunghissime, di cui la prima, s'io non erro, fu questa: Salvis DD. NN. Arcadia et Honorio vietar IBVS AC TRIiimphaloribus semper Augg, Nella seconda linea si leggeva, per mio giudi- zio, il nonne di Stilicone, oome avviso dal frammentp Lieo, eh' io per conseguenza ho collocato in quel punto, nella destra parte del marm,o: seguito certa-, mente dal novero delle cariche sostenute da quel per-^ sonaggio, infra le quali notavasi: cowITIS ET^MAG/sfr? utriusque mililiae- Perocché sebbene la disfatta di Gildone e la restituzione dell'Affrica si dovessero interamente a Mascezil, fratello di quel tiri\nno,, riè punto vi entrasse Stilicone, il qual neppure fu pre- sente in senato allorquando si decretò la guerra con- tro al medesimo, come ricavasi da una lettera di Simmaco ( Lib. IV, ep. 4 ), nondimeno t^l'era l'in- fluenza e il predominio d'esso Stilicone nella corte di occidente , che veniva pei' adulazione associato, il suo nome a qualunque magnanima impresa pet alti'ui virtù si operasse, con utile e decoro deirim-r perio. Cosi pure da'suoi consigli e provvedimenti si riconosce questa mededesima liberazione dell'Africa 65 nell'altra base gruteriana 412, 3: il che vedendosi ne' pubblici monumenti, recar non dee meraviglia se il poeta Claudiano, piegandosi anch'egli all'adulazione, di questo e d' altri nobili fatti attribuisca in tutto la lode al personaggio riverito e potente. Né può fare ostacolo la mancanza dell'H in detto frammento ch'esibisce, a mio credere, il nome di Stilicone:poichè lasciando stare che in lapide posta in sullo spirare del quarto secolo non si vuol ricercare una scrupolosa or- tografia, questo medesimo nome si trova sen?a l'aspi- razione nelle gruteriane 1054,5; 1Q56.,4}HQ.9^ ed in altri marmi eziandio. La terza linea per buona sorte ci ha conservato intero il nome di quel tiranno, della cui crudeltà ebbe non poco a dolersi anche la chiesa cattolica affricana ( Baron. Ann. Chr. 398, XL ). In questa trattavasi probabilmente dell'Affrica da lui travagliata: A GILDONE Infanda rebeìUone, o lyrmnide afflicltty o qualche cosa di simile, e da tale usurpazione felice- mente liberata. Ma nelle reliquie delle linee seguenti non sapendolo scorgere alcuna traccia capace di addi- tarmene una probabile reatituziane, lascio a più es- perti la cura di vedere in qual modo quelle tronche parole potessero connettersi al senso della iscrizione. Questo pregevolissimo frammento rimase gran tempo incastrato nel focolare di una casa rustica: e Dio sa per quanto tempo ancora se ne sarebbe igno- rata l'esistenza, senza le provvide cure del sig. prin- cipe, che ne lo fece cavar fiiòri e trasportare nella sua villa ! avendo anche, ma senza frutto, fatto ri- cercare là presso qualche altra parte di sì rara iscrizione. 66 Seguono alcuni bolli di embnci. IX. PONTETATILCOS EXPIVNISVLHERP Ponliano et Atiliano coss. Ex praediis lunii Sul- picii ( 0 Siilpiciani ) Heres Phila, come vi legge il Marini aiutato da altre terre cotte, in cui trova : PHILAHERIVN SVLP ec. ( Arv. 173). X. SERVIANO .... SALEXPRE Essendo logoro il mattone, non vi si potè leggere la seconda metà del bollo eh' è la seguente: SERVIANOIIICOS SALEXPRLCIVVEN [Gud. 97, 8. MMr.324, 4) Salaria ex praediis L. C. ìuvenis, come vi legge il Marini. XI. EXOFICOPDOL.EXPRCA. C.OPPI.PROCVLI CAES.N va supplito in fine alla prima linea, come 67 si ha dal n. 269. A. della raccolta manoscritta dei bolli del Marini, esistente nella biblioteca vaticana, e che ho potuto consultare nella esatta copia fat- tane per proprio uso dal eh. cav. De Rossi, che in- tende ancora, secondochè mi disse, di pubblicarla, non senza averla prima arricchita de'posteriori ac- quisti della scienza. Obbligazione veramente gran- dissima glie ne avranno gli eruditi. XII. OPVSDOLIAREEXPRAEDDN EXFIG.VETAR {E le fame) Nella indicata sei-ie mariniana porta il n. 210. È riportato questo bollo dal Fabbretti, cap. VII, 345, e dal Muratori, 497, 4. XIII. SAGITTASF OA... PAETO Sngitta servus fedi, vi lesse il Marini. Nella seconda linea in parte corrosa leggo: Q. ART. PAETO, non permettendo l'angusto spazio che vi si leggesse in- tero il nome di Q. Articuleio Peto, com'egli si vede nel medesimo bollo, sebbene diversamente disposto, che il Marini nella sua raccolta segnò col n. 621. Trovasi anche negli atti degli Arvali (par/. 196) e nello I 66 Spreti ( Tom. % Pan. 2. pàg. ^25 ). Innanzi tutti éi'à stato datò d;il Muratoli, 2014, 3. I siegiile^nti sono ibéditi. XIV. . . D.F.MACED SEXAVILLI.M . . . Vi leggo . . . Decii fiìii Macedonis . . . ec. e credo contenesse i nomi dei duumviri , o piuttosto qua- tuorviri, se il bollo provicn da Carseoli [Mommsen, l N. 5688,5690,5691 ) ; la qual magistratura se- gnava talvolta le terre cotte nei municipii e nelle colonie: e per non addurne esempio già conosciuto, accennerò come ciò si vegga in due bolli prenestini, l'uno con un tal Volunlilio Varo II.VIR.ITER, l'altro còff certi Egnazio e Scribonio parimente duumviri', bolli che saran fra non molto pubblicati dal eh. sig- dott. Henzen in erudito scritto che vien preparando intorno ad alcune iscrizioni arcaiche scoperte in Pa- lestrina nel 1855. XV. TVTVCRVFVIATRl Vi leggo: Tuccii Rufi Viatoris. La sillaba TV è ri- petuta in questa iscrizione, ma in tal modo da far comprendere che ciò devesi ascrivere ad oscitanza di chi impresse il sigillo. 69 XVI. P.AEMILI ABDATIS XViL MG F L N GEH^IALIS Se le cinque sigle non celano altrettanti nomi di questo figulo, può darsi che la M esprima il gen- tilizio , che talvolta gli antichi rendeano con una sigla {Henzen, Inscr. Lai. Sei. 624-5), ed allora le ri- manenti sarebbero: Caii fiUi, Ludi nepolis. XVI». ....VlfiENFRVC Cioè: . . . Vibennii Frucii* Tali sobo i monunienti scritti ehé fregiano la villa Massimo in Arsoli;ed io non dubito punto ch'essi non vengano di giorno in giorno aumentando per l'af- fezione che porta il sig. principe a simili erudite curiosità.Ma prima di chiudere il presente articolo non voglio mancare di riprodurre la iscrizione della colonna milliaria delia Valeria, che adorna presen- temente la piazza di Arsoli: iscrizione data già con qualche inesattezza dal Grutero (155, 4 ) e dal Fab- bretti ( De Aq. et Aquaeduct. pag. 80 ) , ma con 70 maggiore dal Nibby (Anal. 259) cbe no rimprovera i due collettori anzidetti, e dice di averla egli stesso trascritta colla maggiore e.sa^ezzo; il che quanto sia vero potrà giudicarlo chiunque la paragoni alla le- zione seguente: aXXVMI INP. NERVA CAESAVGVSTVS PON FEX.MAXIMVS T BYNICIA _ P STATE cosili PATERPATRIAE FACI....ND AVIT Bove lasciata da paite ogni altra variante, no- terò solo, com'egli si rida del Fabbretti per aver messo i punti fra le parole, copiando, com'egli dice, in buona fede il Grutero: ma il fatto sta che i [>unti vi son veramente dove ioli ho posti: ed è certissimo che furono in tutti gli spaai prima che il travertino eccessivamente corroso ne avesse fatto interamente scomparire le tracce. Ma non è questa la prima vol- ta che succeda al Nibby d'essere alloia più rigido censore d'altrui, quando egli appunto è dalla parte del torto- 71 Tre prediche inedite del li. Giordano da Rivallo, con la nuova lezione di una quarta , corredate di opportune notizie, e pubblicate ,per cura di Enrica Narducci. F Kj Rivallo un ameno castello situato nella valle delle Cascine tributaria dell'Era nelle colline pisane, fra il torrente Rio Maggiore e quello del fine di Rivallo. Ebbe sorte comune con Chianni, sino da quando Chianni nel 1629 e Rivallo nel 1634 appartennero col titolo di marchesato alla famiglia Riccardi di Firenze (1). Ai 6 di marzo 1406 cadde in potere dei fiorentini, e se ne sottrasse nel 1496, insieme con molti altri castelli delle colline pisane , che presto tornarono a sottomettersi. Nel 1515 ebbe uno sta- tuto speciale , rinnovato da Cosimo I nel 1576. Nel 1738 ne fu confermata l'infeduazione a Cosimo Riccardi, che la ritenne sino all' abolizione de'feudi granducali. Ivi nacque il bealo Giordano, secondo la comu- ne opinione, verso gli anni di Cristo 1260, o in quel torno (2). Siamo tenuti all'insigne Domenico Maria (1) Marini, Prediche del bealo F. Giordano da Rivallo. In Firenze MDCCXXXflHI. Nella stamperia di Pietro Gaetano Fiviani, in 4", pag. XVI. - Dizionario geografico fisico storico della Toscana compilato da Emmanuele Repetti. Firenze 1833 — 1846; voi 1, pag. 691; voi. IV, pag. 780 (2) Memorie istoriclie di più uomini illustri pisani. Pisa MDCCXC - MDCCXCII. QuaUro tomi in 4°. (tomo III, pag. 89). 72 Manni (1) dell' aver rivendicato, alla Toscana una delle più belle sue glorie , avvertendo V errore commesso prima di lui da parecchi scrittori che del beato Giordano parlarono , i quali gli attri- buirono per patria a vicenda due castelli appellati col nome di Ripa alta, posto 1' uno in Piemonte,, quattro miglia distante da Torino, l'altro in quel di Milano suIl'Adda (2). Anzi il P. Quétif, non sa- pendo persuadersi come Giordano da Rivalto po- tesse essere il medesimo che Giordano da Pisa, ne formò erroneamente due soggetti diversi (3), men- (1) loc. cìL, pag. XVI. (2) Journal des sdvans 1679, Fevr. 13 relat. IV. - Scriptores ordinis praedicatorum recensiti, notisque historicis et criticis illu- strati. Inchoavil R. P. F. Quétif S. P. T , absolvit R. P. F. laco- bus Echard. Lutetiae Parisiorum MDCCXtX ; tom. I. parte 1. pag. 813 , col 1. — Grosses vollstandiges universal — lexicon aller vissen- schaften und kiinste, tcelclie bishero durch menschlichen verstand und witz erfundem und verbesserte wordcn. (Ein und dreyszigster band. Halle und Leipzig, 1742; col. 1837). (3) loc. cit, pag. Si 2 e 513. Che questo scritto sia del P. Quétif rilevasi dall' articolo relativo al medesimo , segnato D-- N — u. (Daunou), ed inserito nella Biografia universale antica e moderna [Venezia, Missiaglia, 1822-1831, vol.XLVl, pag. 281-283), leggendosi in quest'articolo (pag. 283 col. I ): « VII. Scriptores « ordinis praedicatorum recensiti, Parigi, 1719-1721 2. voi. in « fogl. É il principal titolo della fama letteraria di Quétif. Per « vero, terminare ei non potè tale opera, ma ne scrisse ottocento « articoli, che sono i più importanti, però che concernono gli scrit- « tori cui l'ordine di S. Domenico produsse ne'secoli decimoterzo, « decimoquàrto, e decimoquinto. » Il P. Quétif vie maggiormente si conferma nell' errore pre- stando fede all'articolo inserito nella raccolta intitolata: La galleria di Minerva overo notizie universali di quanto è stato scritto da' letterali d'Europa non solo nel presente secolo^, ecc. In Fenetia 1696. ( Voi 6 in fol.; voi I pag. 16 ), ove per errore si legge: « F. Gordiano di Rivalto „ invece di « F. Giordano ». RettìBca un 73 tre il hrdanes, o lordanus PisanuSi menzionato dai più gravi ed accreditati scrittori dell'ordine de'pre- dicatori (1), è fuor di dubbio quel medesimo Gior- dano da kivalto, che il P. Quétif non seppe per- sufkdersi esser tale, lasciando per altro agli eruditi toscani decifrare cotesto dubbio, lo che venne assai lodevolmente eseguito dal suddetto Domenico Maria Manni (2) nella dotta prefazione da lui fatta prece- dere air edizione delle Prediche del B. Giordano , stampata in Firenze, pel Viviani, l'anno 1739. Credesi che il nostro Giordano fosse consan- guineo di quel fra Ranieri che, secondo la comune opinione, fu della nobilissima famiglia de'Granchi, tale errore anche il celebre ab. Girolamo Tiraboschi (Storia della Letteratura italiana. Roma 1782-97, tomo V, pag. 565). Notevole ancora è lo sbaglio commesso fla Giovanni Cinelli (al dire del Manni, loc. cit, pag. XXllI— XXIV), che confuse il riostro beato con un altro Giordano domenicano, generale dell'ordine, il quale fiorì nn secolo avanti, cioè non molto dopo il 1200, e che predicando nella città di Pavia, talmente commuover seppe il beato Alberto Magno, allora giovane secolare, che rìsoltosi di vestir 1' abito di S. Do- menicoj divenne poscia vescovo di Ratisbona, e miracolo di dot- trina e di scienza. (1) De viris illustribus ordinis praèdicatorum libri sex in unum congesti, autore Leandro Alberto bononiensi viro clarissimo. Bononiae,in aedibus Hieronymi Platonis, MDXFII, fo\.{liber quintus, car. 226 recto). — Chronicon fratrum ordinis praèdicatorum, au- thore R. P. magistro Antonio Senensi Lusitano, Parisiis, apud Nicolaum Nivellium M. D. LXXXV ; in 8*". (pag. 173) — Bibliothe- ca dominicana ab admodum R. P. M. de Altamura, Romae M.DC LXXVIL (Centuria seeunda, pag. 89, col. 1). — Delle vite degli huomini illustri di S. Domenico libri quattro. Di fra Gio. Michele Piò (latinamente Plodius) bolognese, in Bologna, M. DC. XX. Per Sebastiano Bonomi.; in 4". (Libro primo, pag. 294, col i). (2) loc. cit., pag. XV. 74 come si legge nellti cronaca del convento di santa Caterina di Pisa scritta da F.Domenico da Peccioli (!)• Certo è per altro che tale famiglia da Rivalto si stabilì in Pisa al principiar del secolo XIV, tro- vandosi menzionati come cittadini pisani Buona- giunla da Rivallo dottore di filosofìa e medecina , e Puccio di Buonagiunta, anziano nel 1324; aggiun- gendo che le loro abitazioni trovavansi nella par- rocchia di S. Paolo a Ripa d' Arno ; e perciò ha poco fondamento 1' opinione del Tronci , che lo fa della famiglia de^li Orsini (2). Furono i particolari della sua vita assai distesa- mente e con molta dottrina narrali dal celebre Do- menico Maria Manni, e dall'altro non meno insigne scrittore monsignor Angelo Fabbroni (3) ; e perciò (1) Frater Raynenm lordanis de Rivalto nepos (ratris lorda- nis. (Ibid. ad an. 1408). (2) Storia manoscritta delle chiese di Pisa. (3) Memorie isteriche di più uomini illustri pisani, tomo III, pag. 89 — 108, articolo firmalo : " M. A. F. », cioè moosig. Angelo Fabbroni, come apparisce dalla dichiarazione, posta in fine del vo- lume quarto della medesima raccolta. Una dottissima biografia del medesimo beato, intitolata: Notizie intorno al beato F. Giordano-, fu fatta precedere dal celebre Domenico Maria Manni alla sua edi- zione delle prediche del beato fra Giordano da Ilivalto menzionata di sopra, in forma di lettera diretta all' abate Lione Pascoli, in data di Firenze, 10 settembre 1737, ed è contenuta nelle pagine XI — L della stessa edizione. Una biografia del beato F. Giordano In scritta ancora dal padre Ireneo Allò, come si ha dalle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e continuate da Angelo Pezzana. {Tomo sesto, parte prima, conte- nente la vita dell' Affò. Parma dalla ducale stamperia MDCCCXXF., pag. 166), ivi leggendosi: « Era (il padre Ireneo Affò) in Pisa « addì 9 di settembre ( 17S6 ) , ove in (|uest' esso giorno comin- « ciava le sue Memorie per la vita del beato Giordano. È questi 75 basterà riepilogarne bievemenle i più importanti, se- condo che la natura di questa pubblicazione, ed il rispetto per chi ne ha preceduto il permetteranno. Cihè mio divisamento non fu di stenderne una com- piuta biografia, ma d'impreziosire d'una nuova gem- ma l'inesausto tesoro della patria favella. Giordano dovea essere giovanetto d'assai allor- ché nel 1280 vestì 1' abito domenicano nel con- vento di S. Caterina di Pisa : né andò guari che a'manifesti segni di rara intelligenza, accompagnati dalla pili esemplare modestia, si presagì in lui l'onore dell'ordine e lo splendor della cattedra. E perchè tante doti incolte non si rimanessero, e prive della necessaria erudizione , fu per tempo mandato ad apparare le divine lettere ed umane nelle uni- versità, fin d'allora fiorenti, di Bologna e di Peru- gia; ove superando ogni espettazione fra breve tempo giunse a tal perfezionamento, da maravigliarne gli stessi maestri. Egli aveva inoltre ricevuto da Dio sì vasta memoria, secondo che alcuni asseriscono, da sapere a mente tutto il vecchio e nuovo Testa- mento, il messale ed il breviario dell' ordin suo , ed una gran parte della somma di S. Tommaso di Aquino (1). Inoltre dalla sua predica della Cir- concisione apparisce eh' ei non ignorò 1' ebraico, e « quel Giordano da Rivallo, che fu autore di prediche collocate « in fra i testi di nostra favella. Non so se fosse terminato questo « lavoro che stammi imperfetto ed autografo sotto gli occhi. « (1) Pietro Cardosi nelle sue Memorie sacre delle glorie di Pisa, raccolte Tanno 1675, dice ch'ei'fu lettore in Bologna; ma quest'as- serzione non ha verun fondamento. 76 fors' anche il greco , cosa riguardo a' tempi mara- vigliosa. Recatosi a Firenze inconninciò a predicare in santa Liberata ed in santa Maria Novella, con tanto successo e sì larga vena, che oltre al predicare tal- volta fino a cinque fiate in un sol giorno , spesso accadeva, per lo affollarsi degli uditori, ch'e'dovesse ciò fare sulle pubbliche piazze (1). Dal che avveniva che molti, comechè di mala vita e di perverso api- mo si fossero, mossi dalla, efficacia delle sue parale» posto giiì ogni abito riprovevole, volgevansi ad esem- plarissima vita. Tra le numerose sue conyevsioni assai notabile è quella del B. Silvestro da Valdi- sieve, al secolo Ventura, purgatpre di lana o scar— dassiere in Firenze, il quale fu prima eremita al Ca- stagno, oggi Monte-Oliveto, poco lungi d{\ PÌ9?i) e, quindi converso de'camaldolesi (2). (1) Riporta il prelodato Dom. Maria Mc^nni (op. cit.,pag. XXXVI) che il B. Giordano predicò ancora nelle chiese di S. Lucia de'Magnoli in sulla costa, di S. Stefano a ponte, di S.Romolo in Orsammicchele, e alle donne convertite, forse le pentite di Cafaggiuolo , che 18 anni dopo furono soppresse. Era poi costume in Firenze di pre- dicare nelle piazze: anzi ci,ò. si praticava fostaplepiente ogni ^nito il dì di S. Margherita sulla piazzet^ de'Pandoltìni. (2) D. Zanobi Tantini monaco camaldolese scrisse in rozzi versi la storia dì quella conversione , ed è riportata dai bollandisli nel tomo II degli atti de'santi dì giugno. Trovavasi anche nel codice strozziano H D 1064, ma con qualche diversità. Il detto beato Sil- vestro da Valdisieve fu sepolto nel monastero degli Angeli, insieme con dt\e altri servi di Dio, e gU fu posta la seguente iscrizione: SILVESTRI HIC S\m CONVÉRSi MQrSACHIQV^ tAGAP? VIRGINIS AC PAVL^ OSSA BEATA GOLE. SILVANVS RACT- HVIVS MOINAS.TERII GOEJNQBITA P. ANNO DOlVimi ai3. I^^JllC 77 Trovasi nel libro delle cose del convento di santa Maria Novella, secondo che asserisce il Fabbro- ni (1), come il beato Giordano fu eletto reggente di teologia pel detto convento, nel capitolo provinciale tenuto in Rieti l'anno 1305, di commissione del maestro generale Americo da Piacenza (2). -Assunto l'onorevole incarico, in compagnia d'altri dotti sog- getti, del beato fra Remigio di Chiaro fiorentino , già discepolo di S. Tommaso , di fra Filippo da Pistoia, che scrisse contio il Correttorio di S. Tom- maso, e di fra Ricoldo da Monte di Croce in Mu- gello, portò in tale credilo lo studio di teologia di santa Maria Novella, che non era di que' tempi in Italia tutta alcuno che il superasse. Sembra che il cielo anticipar voglia ai giusti il premio delle loro virtù, togliendoli anzi tempo alle tempeste di questa misera vita. Così avvenne del beato Giordano; che, mentre parti vasi per Pa- rigi, chiamatovi dal mentovato maestro generale a lettore in quella università , sorpreso in Piacenza da grave malattia, dopo trentuno anno di religione, munito dei supremi conforti sen volò al cielo, ai 19 di agosto del 1311 (3). Gregorio XVI ne ap- provò il culto pubblico. (1) Memorie isteriche di più uomini illustri pisani^ t. IH, pag. 98. (2) Americo e non Amico, come il chiama per isbaglio Francesco Redi {Lettera intorno ulC invenzione degli occhiali, in Firenze 1678, pag- 9)- Questo errore fu avvertito ancora dal Manni (loc. cit., pag. XXIV). (?<) Memorie isteriche di più uomini illustri Pisani, t. Ili, pag. 99 — Manni, loc. cit., pag. XXV. Le sue spoglie l'uiionp tosto tra- sportate in Pisa , e collocale nella chiesa di santa Catarina agiato 78 Le prime tre delle seguenti prediche sono tratte dal codice della biblioteca Bodleiana di Oxford, con- trassegnato Canonici^ n.° 132. Le prime due sono ine- dite, la terza fu pubblicata dal Moreni in Firenze nel 1831: ma essendo questa lezione molto variante da quella del suddetto codice, ho stimato ristamparla nel presente libretto , mosso ancora dalla unità dell' argomento. Per ciò saranno notate a pie di pagina le varianti che s' incontrano in quella pub- blicata dal Moreni (1), Tolsemi il desiderio e la lena di dar qui un cenno letterario intorno alle dette prediche la in- sperata ventura di poter riempire sì vantaggiosa-» mente questa lacuna con un brano inedito del sig, conte Alessandro Mortara d'illustre memoria (2), nel quale si contiene la descrizione del codice soprac- citato nei termini seguenti: dell'aliare di san Pietro martire, ove furono venerate sino al 1580, nel quale anno vennero trasferite sotto I' altare della beala Ver- gine e di santa Verdiana, con la seguente iscrizione: me SITA lORDANlS FRATRIS SVNT OSSA BEARVNT QVEM XITJE INTEGRITAS RELIGIOQVE VIRVM. Poscia furono riposte in una bell'urna circondata di cristalli sotto 1' aliare del rosario. Ferdinando di Borbone, duca di Parma e Piacenza, ne ottenne nel 1785 la sagra spoglia da Pietro Leopoldo granduca di Toscana: e così venne con solenne pompa, e coirassi- stenza di monsignor Francesco de'conti d'Elei, arcivescovo di Pisa, collocato nella real cappella di san Liborio, presso il convento dei PP. domenicani di Colorno. (1) Per le notizie bibliografiche delle prediche del beato Giordano, veggasi la prefazione premessa al volume 383 della Biblioteca scelta {Milano, Gio. Silvestri, 1839, in 12"). (2) Vedi più oltre, pag. 83 — 84, nota (1) della pag. 83. 79 « Cod: cartaceo, in foglio, del sec. XV, scritto « a due colonne , in bella lettera , con titoli ed « iniziali in inchiostro rosso, e composto di carte « scritte 105. « Prediche del bealo fra Giordano da Rivallo « deir ordine de^predicalori (senza titolo). « Queste prediche (come si ricava pure dalla « tavola che precede) sono LXIV. La prima, cui « sta innanzi la seguente rubrica: MCCCIIIJ dì XS « dagusto predicò dopo nona in sancla Maria, incomin- « eia cosi: Quasi cedrus exallala sum in libano. Il « prologo dinanzi io il lascio ludo che non lo scrivo. « Vegno al sermone. Questa festa gloriosa d'oggi sie (( decta festa della exaltalione della donna nostra: per- ii che in colale dì la donna nostra fu exaitata et « menata in gloria ec. L'ultima che dopo la rubrica: « MCCCIIIJ" questo di dalato dopo nona (il dì pei'ò u nel margine non è indicato) a le donne del porto (( in sid prato d'ogni sancii predicò frale giordano: « principia colle parole: Expleti sunt dies purgationis ({ Mariae. Come Viiorno farà altrui così ricaverà, ec, « finisce come segue: Dissero non siete voi le colali « persone. Rispuosero le dimonia auenui noi assai « beffalo et sparueron via. Et rimase opinione a le « genti che non fosse essuto nero il facto. Deo gralias, « Explicit liber Deo gratias amen. « Appresso in carattere moderno leggevisi: Ab <( Andrea de Rubeis Patau. , benigne largitus liber. « Anno MDCCXXXII. « In Rivallo, castello posto sulle colline di Pisa, u nacque il suddetto fra Giordano (chiamato perciò G.A.T.CXLVL 6 80 « da Rivallo (1) ) intorno al 1260, e finì di vivere « a'9 d'agosto del 1311. « Oltre air essere egli stato di vita santissima (( e di grande dottrina, fu valente oratore , come « ben mostrano le non poche prediche toscane che « dalla viva voce di lui raccolte, alcuni suoi uditori (( ci hanno tramandate: le quali invero, siccome dice « Lionardo Salviati (Avvertimenti, voi, I pag. 110), « sono cosa finissima. Di tali prediche, com'è toc- « calo di sopra, LXIV stanno nel presente codice. « Trentuna di esse sono già stampate fra quelle « che Domenico Maria Manni mandò fuori in Fi- « renze nel 1739, in 4°., ed altre nove leggonsi « fra le LXIX pubblicate per la prima volta , in tt Firenze parimente , dal can: Domenico Moreni, « l'anno 1831, in 2 tomi, pure in 4°. Le rimanenti « ventiquattro non hanno mai veduto la luce in « istampa; e perciocché son elleno, non meno delle « sopraccennate, e belle e leggiadramente scritte , « stimiamo che delia copia, che qui ce le offre, sia « da farsi non picciol conto; .tanto più che seb- « bene non sia essa di molta antichità, mostra es- « sere stata cavata da buon esempio, ed avuto ri- « spetto al tempo in cui fu fatta, è assai corretta. « Le prediche I, II, IV, V, VI, Vili, XU, XIII, XIV, « XVII, XX, XXIV, XXV , XXVI , XXXIV, XLl , « XLIII, XLVI, XLVII, XLVllI, LIV, LVl, LXH , « e LXIU in essa contenute, sono le inedite; il che « accenniamo, perchè venendo a qualcuno in pen- « (1) Dice il cel. Francesco Redi in una delle sue lettere (<• II, « pag. 366 dell' edizione di Firenze, 1779-1795, in 3 tomi, in " 4°), che la famiglia di fra Giordano si chiamava degli Ordani ». 81 « siero di darle in luce, che sarebbe ottima cosa, « possa senza briga rinvenirle )). Della importanza e rarità dei codici già raccolti dall'abate Matteo Luigi Canonici, ex gesuita, parmi conveniente soggiugnere qui appresso alcun cenno. Questo illustre letterato, nato ai 5 di agosto del- l'anno 1727 (1), si distinse assai per talenti e pro- fondità di sapere. Insegnò grammatica in Ferrara, e per due anni fu professore di umane lettere nella R- università di Parma , ed ivi fu insignito del posto di accademico in successione del Betti- nelli, morto a'13 di settembre 1808. Nel 17% fu eletto successore del padre Ireneo Affò a bibliotecario di Parma (2). Nò restò priva affatto la repubblica delle (1) Della letteratura veneziana del secolo XFIII fino a'nostri giorni opera di Giannantonio Moschini C- B. S. In Fenezia dalla stamperia Palese MDCCCFI—MDCCCFUI (4 tomi, in 4°; tomo II, pag. 71). (2) Moschini, pag. 72; Morelli, pag. Vili. Anche il eh. sig. com- mendatore Angelo Pfzzana attuai direttore della repia biblioteca di Parma, nella sua Continuazione alle memorie degli scrittori e lette- rati parmigiani {tomo sesto, parte seconda, pag. 67 e 493), lo chiama: « mio predecessore », e più oltre {tomo settimo ed ultimo, pag. 380) narra, come Lodovico di Borbone principe di Parma, innalzato al reame di Etruria nel 1801, in forza del trattato di Aranjuez, « pri- « ma di abbandonare Parma aveva visitalo la reale biblioteca, ove « il Canonici che vi presiedeva gli fece donativo di una sua iscri- « zione latina elegantemente impressa dal Bodoui ». Non mi è riu- scito di aver notizia della data del tempo in cui morì il Canonici; solo potei riJevare ch'egli cessò di vivere in Treviso- Dall'archi- vio di stato di Parma si raccoglie, ch'ei fu nominato bibliotecario il 25 ottobre 1797 con seimila lire vecchie di Parma (circa l.oOO franchi). Il dì 8 novembre 1803 ottenne dal governo francese 1' implorato congedo, e ritirossi in Venezia. E fama che il duca avesselo chiamato a quel posto, nella speranza ch'egli lasciasse la preziosa sua raccolta di Qianoscritti alla R. biblioteca, alla quale 82 Ietterò di qualche snggio de'sltidi suoi; che ne! 1760 mandò fuori in Parma, pei tipi del Carmignani, un opuscolo, in 4°, intitolato: Proposizioni storico -critiche intorno alla vita del T imperatore Costantino sostenute da Vincenzo Cigola bresciano ; e 1' anno appresso , pei tipi stessi, un altro opuscolo che porta per titolo: Notizie storico-critiche concernenti alVarte degli an- tichi negli assedi e nella difesa delle piazze, pub- blicate e difese dal co. Gio. Francesco Trotti pado- vano. Scrisse pure due poemetti sulla musica, che si rimasero inediti, prevenuto forse dalla morte , mentre intendeva a limarli, e corredarli di opportune critiche osservazioni e di note. Egh" deve per altro il più durevole monumento di sua memoria alla famosa collezione di libri stam- pati e di manoscritti, che, non perdonando a fatiche né a spese, giunse a raccoglìeie, in modo da formare una delle più magnifiche e rare biblioteche, che al declinare del secolo scorso si fossero in Venezia. Componevasi questa preziosa biblioteca in gran parte de" codici posseduti già dal veneto senatore Jacopo Soranzo (molti dei quali trovansi anche oggi nella raccolta Carrer in Venezia (1)), ed in parte ancora considerevole di tutti quelli che gli venne fatto di acquistare mediante diligentissime ed intelligenti ri- cerche ; talché potè formare una sì ricca e prege- aveva vendute molte medaglie. Deggio queste ultime notizie al- l' encomiato sig. commendatore Angelo Pezzana, che con somma cortesìa si compiacque trasmettermele. {\) Saggio di bibliografia veneziana composta da Emmanuele Antonio Cicogna ■ Venezia, dalla tipografia di G . B ■ Merlo . MDCCCXLFU, in 4". pag. 5S3. 83 vole collezione , che di sole Bibbie , secondo che ci nana il Moschini (1), ne aveva oltre a 4000, scritte in 52 lingue diverse. Ma come veggiamo accadere tuttodì, con grave rammarico dei cultori de' buoni studi, che quanto altri giunse a raccogliere in molti anni di ricer- che e di sagrifici, viene poi in breve ora disperso da chi il caso ne pose in possesso, ed impoverita la patria di un de' piìi belli ornamenti, così ac- cadde di questa famosa raccolta, che passata per eredità all' avvocato Giovanni Perissinotti , venne poscia nel 1817 comperata dalla biblioteca bodleiana di Oxford (2). (l) Letteratura veneziana; toiho ÌI, pag. 73. (2) 11 destino della biblioteca del fu ab. Matteo Luigi Canonici viene in più luoghi rammentalo dal eli. Emmanuele Antonio Cicogna {Delle iscrizioni veneziane raccolte ed illustrate da Emmanuele An- tonio cicogna cittadino veneto. Venezia MDCCCXXIV — MDCCCLIH; tomi 6 in 4p; t. Ili, pag. 83, 143; l. IV, pag. 102, 143, 210, 226, 337, 451, 507, 639, 640; t. V, pag. 129, 223, 572, 621, 629, 668). La maggior parte dei libri stampali della medesima biblioteca trovansi registrati nel Catalogo di libri antichi e moderni di varie materie e in diverse lingue, che trovansi vendibili in pochi esemplari nel negozio in Venezia. Venezia, Molinari, 1812; in 8°. {Cicogna, Bibliografia veneziana , pag. 573). In quanto poi alla considere- vole raccolta di manoscritti , alcuni di essi trovansi descritti dal eh. ab Iacopo Morelli nell'opera intitolata: lacobi Morella biblio- thecae regiae divi Marci Venetiarum custodis, Biblioiheca manu- scripta graeca et latina. Bassani ex typographia remondiniana, a. MDCCCII..,in 8"; ed alcuni altri nei sopraindicati passi delle Iscri- zioni veneziane. Sembra tuttavia che ne fosse stato compilato un indice o catalogo manoscritto, leggendosi nelle suddette Iscrizioni veneziane (tomo V, pag. 129, nota (2) ): ... nell' indice de' mss. ve- « neti già posseduti dall' ab. Matteo Luigi Canonici, poscia dal « signor avvocato Perissinotti «; e più oltre, a pag. 668 del tomo medesimo: « Presso lab. Canonici esisteva un codice cartaceo in € fol. del secolo VX descritto dall'ab. Morelli ne' suoi zibaldoni. » 84. La quarta delle prediche contenute nel presente opuscolo, oltre alla purezza della lingua, acquista nuovo pregio per la peregrina notizia, che trovasi in essa, intorno alla invenzion degli occhiali, della quale assai tempo si contesero la gloria fioren- tini e pisani , con manifesta vittoria di quelli (1). Eccederebbe i limiti di questa pubblicazione il par- Afferma per altro il sullodalo autore della Bibliografia veneziana (pag. 873), che di questa biblioteca mai non fu pubblicato il catalogo in Venezia. li catalogo per tanto dei codici greci e latini della biblioteca medesima fu compilato dal sig. Enrico Coxe e stampato in Oxford nel 1854, ed è intitolato: catalngi codicum manuscriptorum biblio- tkecae bortkianae, pars terlin codices graecos et latinos canoniciano$ complectens. Confecit Henricus 0. Coxe, A. M. hypo — bibliothecarius. Oxiinii: e typographeo academico M.DCCCHF ; in 4°. In quanto poi alla non meno preziosa collezione di codici italiani di tale raccolta, il signor conte Alessandro Mortara, nel soggiorno cli'ei fece per oltre nove anni in Oxford, die mano a compilarne il catalogo con quella erudizione e purgatezza di lingua che erangli famigliari. Appena lebbe condotto a fine, \ari distinti personaggi di quella università offrirongli cospicue somme, onde farlo stampare colà; al che egli ricusossi generosamente, preferendo di farlo pubblicare in Italia sua patria; ma sorpreso da immatura morte, questo catalogo rimase fra'suoi manoscritti, i quali egli lasciò in legato al dottissimo signor abate Manuzzi. Questi venutone in possesso si compiacque di trasmetterne la scheda relativa ai codice contenente le prediche del beato Giordano al eh. sig. Gaetano Santucci. dal quale io ne ripeto la comunicazione, e la notizia altresì delle prime tre delle prediche seguenti. Del quale atto di somma gentilezza io me gli professo estremamente grato. (1) Eran già sotto i torchi queste pagine, quando il ch.sìg. prin- cipeD. Baldassare Boncompagni, notissimo per le scientifiche e lette- rarie sue produzioni,genlilmente si compiacque di comunicarmi una co- pia della suddetta predica, da lui già fatta trascrivere accuratamente dalle cartel33 al39 del codice no.l268deiri.e R.bibliotecaRiccardi ana di Firenze.Perciò quella utilità o quel diletto, che dalla lettura di tal predica potrà ritrarsi, non da me si ripeta , ma dall' illustre 85 lai' qui lungamente di una scoperta, in apparenza modesta , ma che doveva preparare la strada ad altre assai di maggioi'e importanza. Pur tuttavia non sarà discaro V accennar qui di passaggio ciò che ne sentirono gli scrittori più insigni, indicando insieme le fonti più accreditate da riscontrarsi su tale argomento. Vari furono i sogni spacciati ( com' è solito ) intorno a questa scoperta, che si volle far rimon- tare sino a' tempi di Plauto, citando un verso di questo autore, allegato da Roberto Stefano, ma che non si trovò giammai nelle sue opere (1). Egli è vero che ne' frammenti di Plauto trovasi la parola con-- spicillum , usata in tempi più moderni per esprimere latinamente gli occhiali; ma egli intese di dire con questo vocabolo non già gli occhiali, ma un luogo donde osservare. Altri poi, come il Reinesio ed il Piti- sco, credettero ravvisare un fabbricatore di occhiali , nel Faber ocularius od oculariarius, menzionato in una iscrizione riportata dal Grutero (2), mentre è notis- mecftnate; del quale tanto più mi è dolce il ricordare questo fa- ■vore, in quanto che ridesta in me la gratitudine di altri più segnalati, (1) Il preteso verso di Plauto è il seguente. Fitrum cedo, necesse est conspicilio uti. Il Vossio (Dequat art., lib. Ili, cap. 24) non solo nega che tal verso sia di Plauto, ma afferma eziandìo, non sapere a quale au- tore debbasi attrijjuirlo. Il Nonio poi {De propriet. serm.verb. Con- spicilla) vorrebbe inferire da questo verso l'uso fin d' allora dei vetri alle finestre. (2) Muratori, Dissertazioni sopra le antichità italiane, Milano MDCCLI; tre tomi in 4° {tomo primo, disseriazione ventesima quarta, pag. 368). Ocularia chiamavansi ancora nei tempi di. mezzo i fori esterni delle galee (V. Ducangp-, Glossarium mediae et infimae tati- nitatis, veib. Ocularia). 86 simo che presso gli antichi tnh* artefici solevano fabbricare occhi votivi di oro e di argento, da ap- pendersi ne'templi, uso praticato anche dagli egi- ziani, come attesta Clemente Alessandrino [Stromat.^ ìib. IV), ed anche occhi di vetro , dei quali reg- giamo tuttodì fregiate alcune statue. Non mancò chi ne attribuisse la scoperta a Ruggiero Bacone, acutissimo filosofo e matematico inglese, dell'ordine de'minori, che fiori nel secolo XllI; ma lo Smith (1) saviamente gli nega tal gloria, dimostrando come Bacone ad ingrandire le lettere proponesse di porre sulle lettere medesime un segmento di sfera di ve- tro: dal che non sembrami si discosti molto il se- guente passo di Seneca [Qiiaesl. rial., ìib. I, cap. 6): Litlerae, quamvia minntae et obscurae, per vitream pilam aqtia plenam maiores clarioresqne cerminlur (2). Da tutto ciò vuoisi con sicurezza inferire, che mai non furon noli agli antichi gli occhiali, e che questa invenzione, puramente italiana, come confessa an- cora il Montucla (3), non deesi far risalire piiì in là (1) Traile d'optique, traduit par Pézenas, à Avignon, 1767, pag. 57. Questa islessa opera fu tradotta in francese anche da Du- val-Leroi, e stampata a Brest, nel medesimo anno 1767. (2) Ridicolo per avventara é V abbaglio preso da Cristoforo Landino, che tradusse quel passo di Plinio ( Hist- nal., lib. FU, cap. 33): c. luUus medicus dum inungit specillum per oculum trahens, così; • Caio lulio medico mentre ugne e vuol mettersi gli occhiali ». Dell'invenzione degli occhiali da naso, ragionamenti accademici di D. M. M. (Domenico Maria Manni) fiorentino , dedicaci all' illu- strissimo signor Giuseppe Buondelmonti [Calogerà, raccolta d' opU' scoli scientifici e filologici, tomo quarto- Venezia MDCCXXX ; pag S4). Trovansi i detti Ragionamenti ristampati nel tomo II della Scelta di disseriazioni cavate da'ptù celebri autori, Venezia 1730. (3) Histoire des mathématiques. Paris, an. FU; tome premier, pag. 322-324. 87 de2;li ultimi anni Jel secolo decimoterzo, come in appresso vei'i'à dimostrato. In un manoscritto già posseduto dal Redi, ed intitolato: Trallalo di governo della famiglia di San- dro di Pippozzo di Sandro, cilladino fiorentino, fatto nel 1299, assemprato da Vanni del Busca cittadino fiorentino suo genero: si ha la più antica menzione degli occhiali , leggendosi nel proemio di questo Trattato (I): « Mi truouo cosie granoso di anni , « che non arei ualenza di leggiere , o scriuere , <( sanza uetri appellati okiali, truouati nouellamente « per comoditae delli pouqri ueki quando affieho- « lano del uedere ». Non molto dopo, e contem- poraneamente al nostro beato Giordano (2), Ber- nardo Gordonio professore in Montpellier , in un suo libro intitolato Lilium medicinae, da lui prin- cipiato, com' egli stesso confessa, nel mese di lu- glio dell' anno 1305, al capitolo de debilitale visus, dopo avere esaltato un certo suo farmaco, soggiu- (1) Lettera intorno aU'invenzione degli occhiali, scritta da Francesco Redi all'illustrissimo signor Paolo Falconieri. In Firenze, per Francesco Onofri, 1678; in-4°, pag. 8. Questa lettera tro- vasi ancora riportata dal Manni nel suo Trattato degli occhiali da naso, Firenze n^S, pag. 33-61, e tradotta in francese dallo Spon nelle sue Hecherches curieuses d' antiquités. A Lyon 1683., pag. 213-220, ed è iiuitolata : Seiziéme dissertation , contenue dans une lettre écrite à monsieur Paul Falconieri par monsieur Francois Redi médecin de Florence {sur le sujet du temps auquel les luuet tes furent inventées.) Essa manca nella edizione delle opere del Redi stampata in Milano nel 1809, benché (tomo VII , pag. 237 ) vi si trovi annunziata: il che giustamente osserva il sig. Guglielmo Libri nella sua Histoire des sciences mathématiques en Italie, Paris 1838. (t. Il, pag 72). (2) Redi, loc. cil., pag. 10--11. gne: Et est tanlae virlulis, quod decrepitum faceret lecjere lilteras minutas, absqite ocularihus. Il passo per altro più celebrato, e che meglio stabilisce la data di tale ritrovamento , è quello che trovasi nella quarta delle prediche qui pubblicate (1), e che dice: « Non è ancora XX anni che si trovò « l'arte di fare gli occhiali, che fanno vedere bene, u eh' è una delle migliori arti e delle piiì neces- <( sarie che '1 mondo abbia, ed è così poco che (( si trovò: arte novella che mai non fu. E disse « il lettore: Io vidi colui che prima la trovò e <( fece, e favellaigli ». Ora la suddetta predica es- sendo stata recitata dal beato Giordano a' 23 di febbraio dell'anno 1305, chiaro apparisce doversi fissare questa scoperta verso l'anno 1285 (2). Ma tutti i passi allegati di sopra (come osserva il celebre abate Girolamo Tiraboschi (3) ) scuo- prono il tempo, in cui si conobbero gli occhiali, (1) Vedi pili oltre, png. 126 lin. 6—12. (2) E da osservare che in origine gli occhiali eran diversi da quei d'oggidì. Consistevano in due vetri raccomandati a due pezzi di cuoio, e questi ad un berretto che scendeva sulla fronte, o ad altro simile arnese: n^ s'immaginò la comodità di porli sul naso, che al decimoquinto secolo. Dopo il Manni, che fa risalire quest'ultima foggia tra il 14'(0 e il 1450, non si trovò documento che ne at- testasse l'uso anteriore. Giacinto Amati , per altro, nelle sue Ri- cerche storico-critiche scientifiche sulle origini, scoperte, invenzio- ni, ecc. Milano 1829-1831 (tomo IV. pag. 145-14fi) riporta un passo di un codice già spettante alla fabbrica del duomo di Milano, in data del 1405, nel quale, a carte 206 , trovasi capitulum ogial- lium prò ponendo ad naxiim prò melius videndo. (3) Storia della letteratura itali ina. Milano. Per Antonio Fon- tana M.DCCC.XXyi.—M.DCCC.XXXF. 32 tomi in -12" ,• tomo VII, pag. 297. 89 non già l'inventore di essi. Coloro i quali credet- tero, eh' egli si fosse Alessandro Spina pisano, morto nell'anno 1313, secondo lo stile pisano, 1312 del- l' era volgare, si fondarono sulle seguenti autorità; la prima delle quali è un passo della cronaca di santa Caterina di Pisa, nella quale si legge: Fraler Ale- xander de Spina, vir modestus et bonus, quaecumqtie vidit aul audivil facta, scivit et facere. Ocularia, ab aliquo priì^no facta, et comunicare nolente, ipse fedi et comunicavit, corde ijlari et volente. L' altro dei passi sopraindicati è un brano della cronica pisana di fra Domenico Peccioli, riportalo dal Muratori (l^j che così dice: Fraler Alexander Spina pisanus ma- nibus suis quidqnid voluisset operabatur, ac carilate victus aliis comunicabat. linde , cum tempore ilio quidam vitrea specilla, quae ocularia vulgus appel- lai, primus adinvenissel, pulcro sane, utili ac novo invento, neminique velici arlem ipsam conficiendi co- municare, hic bonus vir et arlifex, illis visis, sta- tim nullo docente didicit, ac alios qui scire volne- nmt docuit. Ma io domando a chi ha fior di senno: come può mai dai due soprarrecati passi attribuirsi ad Alessandro Spina questa invenzione, mentre chia- ramente sì neir uno e sì nell'altro si dice , che altri l'aveva già prima di lui ritrovata ? Non è da negarsi per altro, che, come il telescopio, for- tuitamente inventato in Olanda , coprì di gloria l'immortal Galileo, per averne immaginata coi prin- cipe inconcussi dell'ottica la costruzione, non mi- (1) Antichità italiane , dissertazione ventesima quarta; edìz., cit., pag. 369. 90 nor laude si dee tributare allo Spina, per aver di- vulgata e perfezionata una scoperta , sotto ogni aspetto onorevole e vantaggiosa (1). Dobbiamo per altro l'esatta notizia delTinventor degli occhiali al celebre letterato toscano Ferdi- nando Leopoldo del Migliore, che nella sua Firenze^ cillà nobilissima illustrata (2), parlando della chiesa di santa Maria Maggiore, riporta il seguente epi- taffio di Salvino d'Armato degli Armati, ch'egli sog- giugne, non piiì trovarsi in detta chiesa, a motivo di alcuni restauri ivi eseguiti, ma conservarsi re- gistrato nel sepoltuario della chiesa medesima. Ve- deasi (dic'egli) la figura di quest'uomo, distesa sur un lastrone, in abito civile, e con lettere attorno che dicevan così: -f QVl DIACE SALVINO d'aRMATO DEGl' ARMATI DI FIRENZE INVENTOR degl'occhiali DIO GLI PERDONI LE PECCATA ANNO D. MCCCXVn. Da queste parole di sì chiaro scrittore sembra potersi giustamente assicurar la gloria di siffatta invenzione a Salvino degli Armati; tanto più, che il sopi-allodato autore apparisce nel restante de'suoi scritti assai riservato nelle notizie e nelle asserzioni. Che se fede negar si dovesse ad autore sì accre- (1) Canovai, Elogio di Alessandro Spina. (È inserito neWe Me- morie istoriche di piii uomini illusili pisani , lomo 11, pag. 235 — 247). Questo Elogio trovasi ristampato nelle Prose varie del medesimo padre Stanislao Canovai [Firenze 1817, tomo III , pag. 24- 37). (2) /n Firenze MDCLXXXIF., pag. 431. 91 dilato, la si dovrebbe negare purancbe all'alfro non meno illustre scrittore e capitano Cosimo Della Rena , che nella introduzione alla sua Serie rfe' duchi e marchesi di Toscana , scriveva: « Salvino « degli Armati , che primo d' ogni altro trovò 1' « uso degli occhiali (1) ». L'iscrizione poi riportata di sopra concorda perfettamente colle parole del beato Giordano ; avvegnaché è naturalissimo che un uomo morto nel 1317 potesse avere inventato gli occhiali verso l'anno 1285 (2), e che quegli il quale distese in iscritto le prediche del beato Gior- dano, avesse potuto vederlo e favellargli. Per ciò meritamente Giovan Vincenzo Fantoni compose in sua lode il seguente epigramma riportato dalManni(3): (1) Della serie degli antichi duchi e marchesi di Toscana. Firenze 1690, pag. 14. (2) Non potrei tacere l'assurdo nel quale cade il Dizionario delle date {tomo primo, Fenezia M.DCCCXLII; pag. 367, col. 2), che dopo aver menzionato Salvino degli Armali, soggiugne: « morto « nel 1317; fu inventore degli occhiali negli ultimi anni del 14°. secolo. « ! (3) A chi sembrasse soverchiamente ristretto quanto di sopra si disse della invenzion degli occhiali, ricorderò non comportarlo la ri- strettezza di quest'opuscolo. Tuttavia chi avesse vaghezza di racco- gliere intorno a ciò più minute notizie, oltre alle opere citate di sopra, potrà consultare le seguenti: Meschinot, Gli occhiali de'' principi, Parigi iS3A. — l'etri Borellii , De vero telescopii inventore; cum brevi omnium conspicillorum historia; accessit etiam centuria obser- vationum microscopicarum, Hagae comitum 1635. — Giustiniani , Lettere memorabili, Roma 1667; tomo 11, pag. 308; tomo Ili, pag. 128., lettera 16, di Giuseppe Battista. — Carlo Dati, Veglia sulla in- venzione degli occhiali (Atti e memorie dell'accademia del Cimento, tomo II, pag. 40. — Lancellolti , Disinganni; tomo II, pag. 441 , disinganno ultimo, dell'Hoggidì. — Sarnelli, Lettere ecclesiastiche ^ Na- poli 1711; tomo IV, pag. Ci). — Uanni, Trattato degli occhiali da naso, Firenze 1738. — Giovanni Andres, DelCoriginc,progressi e stato 92 Jngenio Armatus, vitrea sludìosus in arte, Laxis luce oculis primus adauget opem; Ergo oculis centum quid vincere profuit Argo, Si, forsan velulo, defuil iste favor ? Eccoti, 0 lettore, le brevi notizie che a me parve opportuno premettere a queste prediche: alle quali notizie pregoti a non porre altra attenzione, se non quella che la materia in esse trattata possa per avventura meritare; bensì caldamente ti racco- mando di assaporare quella semplicità e purezza di linguaggio dei padri nostri, che dopo cinque se- coli dovea far maravigliare ed arrossire ad un tempo i nipóti. attuale d'ogni letteratura , Venezia 1793 — 1800 ; tomo XI , pag. 174 — 173. — Redi, Opere, Milano 1S09, tomo V, pag. 82—86, due lettere a Carlo Dati, e tomo Vili, pag. 108 — 111, lettera al Mcna- gio. — Francesco Cancellieri, Lettera al dottor Koref!,sopra il Taran- tismo, l'aria di Roma, ecc., Roma 1817,- pag. 291 — 293. — Gian- francesco Rambelli, Invenzioni e scoperte italiane, Modena 1844; lettera XXIV; pag. lo5 — 137., e lutti i migliori dizionari ed en- ciclopedie. 93 PREDICA l del Bealo fra Giordano da Rivallo. MCCCIIU, dì XV d'agosto predicò dopo nona in santa Maria. Quasi cedriis exallala siim in Libano. Il prologo dinanzi io il lascio, che non lo scrivo: vegno al ser- mone. Questa festa gloriosa d'oggi sì è detta festa della esaltazione della Donna nostra ; perocché in colale dì la Donna nostra fu esaltata e menata in gloria. Predicheremo solamente di questa parola, cioè della sua esaltazione, in ciò che dice la parola proposta, ch'ella fu esaltata: ed a vedere ciò, ne con- viene in prima vedere il senno di questa parola- Ed hae questa parola tre intendimenti, ed in tre modi si piglia; che tanto è a dire esaltato quanto assunto , e a dire esaltato quanto ascensum , e a dire esaltato quanto excessum. Questi tre intendimenti hae questa parola. Dico prima che exallatio tanto è a dire quanto assumplio ; cioè tratto di profondo , e menato su: che avegna che non fosse levato da terra in allo , tuttavia quando d'un gran profondo fosse tratto, e posto su, sì sarehbe detto esaltato. L'altro intendi- mento si è ascensum : e questo è come quando fosse pari di noi, e da questo fosse menato e levato piiì alto. 11 terzo ed ultimo intendimento si è, che tanto è a dire esaltato quanto excessum'. e questo sarebbe quando non solamente fosse tratto di fondo, e anche fosse levato e posto più alto, come detto è, ma fosse eziandìo sublimato e posto sopra agli altri. Questi 94 tre senni hae questa parola. Dico prima che assunto s'intende, e è tanto a dite, come fosse tratto d'un grande abisso. Per questo modo fu esaltatala Donna nostra, però che fu tratta di grande profondo. Tre sono i profondi : è profondo di colpa , è profondo di miseria , è profondo di sentenza divina. Questi son e' tre profondi e grandi abissi ne' quali stiamo, de' quali fu tratta e assunta la Donna nostra. Dico prima, ch'ella fu tratta del profondo abisso della colpa. Or potresti già dire: Fu la Donna nostra in colpa ? No : ma sono due modi di esserne tratto. L'uno si è come quando fossi in prigione, e fossine tratto fuori: questo è l'uno modo. L'altro modo si è quando non fossi tratto di prigione, però che an- che ancora non vi se', ma fossine guardato : come quando uno dovesse andare in prigione con gli al- tri, e uno lo scampasse che non v'andasse , sì sa- rebbe altri, quegli l'ha tratto di prigione, con tutto ch'ancora non ci fosse entrato. A questo modo fu esaltata la Donna nostra: che fu tratta e scampata di quel grande abisso e profondo della colpa. E que- sto fu da quattro parti : ex actu , ex volwUate , in polentia , a lempeslale. Dico prima che ne fu cam- pata quanto all'operazione, perocché la Donna nostia non fece mai nullo peccato, ne mortale, ne veniale, ne piccolo, nò grande. La qual grazia non fu data mai, data più a nullo uomo, né a nulla femmina ; perocché tutti semo peccatori ; almeno di peccati veniali nullo si può scusare. Sola la Donna nostra fu senza peccato, che mai non peccò. Questa fu grande esaltazione, cioè che mai non peccò in vo- lontà. Or mi di': Or non è il peccato della volontà 95 opera ? Sì bone: ina non m'intendi bene. Dico che ella ili [nh lungi con la volontà dal peccato, che nullo altro. Ancora non m'intendi bene: lo ti farò intendere. Immagina qui presente essere molti santi uomini j>uri, senza peccato: ciascuno è fuori di peccato. Ma, frate, gli ha ancora differenza tra loro grande, cioè che ci ha di quegli che ci sono di lungi con la volontà, più uno ch'un altro assai: e quegli è il più fermo,che n'è più di lungi; che avegna che tu non avessi peccato, sì vi potresti essere molto presso: e questo sarebbe quando la volontà non fosse molto da la lunga. Costui pic- cola tentazione il vi soffocherebbe ; ma quegli che n'è di lungi con la volontà, è più fermo, però che nullo diletto il farebbe cadere. Altri sono che ne sono sì scostati con la volontà, che nulla pena gli farebbe peccare; e questo è quello che diceva san Paolo, che si sentì sì di lungi da peccare, e sì lon- tano, che diceva: Chi mi partirà dalla carità di Cri- sto ? Non pena, non morte, non angelo, non nulla creatura. La Donna nostra fu tanto piena della ca- lila di Dio, e fu sì piena di sapienza, che più fu di lungi con la volontà dal peccato , che tra tutte le creature. Vedi bene se fu tratta d'abisso. L'altro modo fu per la impotenza, cioè che non po- teva peccare. E questa è bella, or tu diresti: Dunque non aveva arbitrio? Sì, aveva bene: ma tu non la 'n- tendi. Fu tanta l'abbondanza della grazia divina che fu infusa in lei, che non poteva peccare; non per- chè ella non potesse per l'arbitrio , che tolto non le fu niente; ma per la grande abbondanza de'doni celestiali, che furon in lei, fu quasi costretta a non poter peccare, e non avrebbe potuto peccare. E di G.A.T.CXLVL 7 96 qual santo si trova ciò ? E però fu traila di grande profondo. Il quarto modo si è a tempestate : e fu oggi nella sua esaltazione, quando n'andò al regno di cielo. Qual fu questa lempestade ? Queste sono le battaglie del mondo. E che battaglie ? E' sono tre* i nemici e i tentatori, cioè la carne, e '1 mondo, e '1 demonio. Dalia battaglia della carne non fu oggi ella liberata, perocché la sua carne fu tale, che mai non le diede battaglia nulla ; ma ella fu liberata dalle battaglie del mondo, e da quelle del nemico: che, mentre che noi siamo in questa vita, sì siamo in lempestade e in dubbio. E potè essere tentata la Donna nostra, e fu come gli altri, e come fu il figliuolo suo, che non la fuggi Cristo la tentazione; ma ella le vinse tutte, e di tutte ebbe corona. Ve- dete che campionessa fu: mai non si lasciò vincere, e sempre vinse ogni tentazione. Ma oggi fu liberata da questa lempestade, perocché in cielo non può es- sere tentazione nulla. Ogni tentazione è quella del nemico, e tutte V altre non è nulla tentazione, che non sia per qualche inganno: tutte sono inganno le tentazioni; e però siamo noi qui tentati, perocché siamo in tenebre, e non conosciamo tutti gl'inganni. Ma in vita eterna non ci potrà avere tentazione, però che i sensi sono pieni di sapienza, e conosco- no tutte le cose; e però non ci può essere nullo inganno. Onde il nemico ti lenta alcun'otta di fede, e tu dubiti, però che non cognosci; ma quando tu vedrai la trinitade Iddio a faccia a faccia , non ci potrà essere nulla tentazione. Altresì il nemico ti tenta alcun'otta d'un peccato carnale, e mostrati la luna per lo sole, e fatti parere bello, e tu gli credi 97 M;) ì santi aveiamio tanta certezza della verità, che nulla tentazione ci potrà avere luogo. Però la Don- na nostra oggi fu esaltata e tratta dalle ternpestadi del mondo e da questi pericoli, e fatta ferma e costan- te, e sicura d'ogni aversitade. L' altro fondo , o voleino dire profondo, sì è profondo di miseria , e questo è grande pro- fondo ; che non solamente siamo nel profondo della colpa, ma in quello della miseria. Da que- sto profondo e da questo ahisso fu tratta e liberata la Donna nostra : e questo potemo ancora vedere da quattro parti: ex parte miseriae, ex parte Iristitiae, ex parte defeclus, ex parte servitutis. Prima dico che fu tratta elibeiata dalle miserie c'hanno i ricchi, e quelli che sono tenuti essere beati. Or quale è questa jni- seria ? Non ci paiono bene miseri , che non sono contenti di nulla cosa che abbiano , e vorrebbono quello che non possono avere ? Egli si tengono mi- seri e pieni di difetti , e così sono , e non curano di quello c'hanno, e vorrebbono pur quello che non hanno, e di quello hanno fame, e noi possono avere. Non possono avere quegli onori, quelle ricchezze , quelle dignitadi , quelle signorie che vorrebbono; sì che di ciò stanno in pena e solicitudine ; e pare a loro medesimi avere molta miseria. Da questa mi- seria fu liberata la Donna nostra , però eh' ella fu povera, non ebbe ricchezze, non dignitadi mondane, non onori ; anzi fu poverissima , non curò le ric- chezze, non dignitadi mondane, non onori. Fu an- che liberata dalla tristizia ; e questa è ne' poveri; che potresti già dire : Ben veggio che le ricchezze fanno l'uomo misero e difettuoso, ma i poveri or sono eglino meno miseri ? No ; anzi molte volle 98 vie più: ci è quelli che si scandolizzano, e non la portano in pace, e stanno in tristizia. Da questa tri- stizia e nfiiseria fu liberata la Donna nostra , però ch'ella le sue tentazioni portò in tanta pazienza, e ricevevale con tanto amore , ch'era beata : e però ebbe in questa vita già un ramo di vita eterna; come i peccatori che s' intristano e tribolano nelle coso del mondo, e nelle avversitadi non hanno pazienza, sì hanno già qui un ramo d'inferno. Nel terzo luogo dico , che fu liberata dalla miseria delle carne , e da'suoi difetti. 0 quanti sono i suoi difetti , e quanti sono i mali che noi potemo sofferire ! La carne è forte a potere ricevere molti mali. Dicono questi erbaiuoli : Chi portasse la cotale erba, non averebbe mai male di dente ; e chi portasse la cotale altra, non averebbe male in orecchie; e qbando e' si tro- vasse cotale erba, ella si comprerebbe molto cara, quando l'uomo ne fosse sicuro. Or se fosse uno re, a che fossero recate di tante erbe, quanti difetti e' può avere; fessegli recata un' erba che non potesse mai avere male in dente, un'altra che non potesse mai avere male in occhio, un'altra pietra che non potesse mai avere male in dito ; e cosi gli fossero recate di tante cose quanti difetti avesse (che sono come arena del mare i nostri difetti) , questi ne darebbe che avere , per stare così sicuro di non avere male nullo, che ci ha a stare così poco! Or se ci avesse a stare grande tempo, ovvero sempre, come le comprerebbe care ! Oggi la Donna nostra fu ca- vata e tratta da queste miserie e da questi difetti, e fu assunta in cielo in vita beata, che è vita eterna. Ma e' che non fosse altro, se non che Iddio ti dicesse; 99 È non ti avverrà male nullo, sì ne dovrebbe la per- sona fare ogni cosa in questo mondo, e sostenere, fosse grave quanto volesseOr ch'è a dire pur questo: e' non ci averà nullo male ? Or quanti mali avemo noi e quanti ne possiamo avere? Più sono i difetti nostri e i mali nostri, che non è la rena del mare. Da questo fondo oggi fu assunta e cavatala Donna nostra. 11 ini" modo e la quarta miseria, onde fu tratta oggi la Donna nostra , si è miseria di servitù- dine Or di': quale servitudine a vero signore avema noi ? Mae io il ti dico : tanti sono i signori, quante sono le creature, né più né meno : e di ciò non ti maravigliare. Vedi s' io ti dico il vero. Or quale creatura è quella che non ti possa nuocere ? Que- sta è sì grande miseria e si grande fondo, che non è modo che 1' acqua t' affoghi ! 11 fuoco t'arde , il ferro ti taglia, il gelo ti fa male, la pietra ti rompe il capo , il serpente ti morde, e brevemente tutti gli animali ti possono nuocere : eziandìo le mosche ti nocciono e fannoti ingiuria, e non te ne puoi di- fendere : e però vedi bene se se'servo, e come se'sot- toposto alla servitudine di tutte le creature ; che tutte ti possono nuocere, e farti male, e possonti mordere. Oggi da questa servitudine fu liberata e tratta la Donna nostra, e fu messa in paradiso : nel quale luogo non è cosa nulla che giammai ti possa nuocere ; anzi sono signori sopra le creature che prima nocevano,: però che dicono i santi, che que- gli ch'è in vita eterna, il suo volere è fatto e com- piuto in tutte le creature; e ciò che i santi vogliono che sia fatto nelle creature, così è ; però che sono sì uniti con 1a volontà di Dio , ohe ciò che vuole Iddio, vogliono eglino ; e ciò che Iddio vuole, incon- tanente è fatto : e però il volere loro è tutto pieno nelle creature , e però sono signori. Ecco dunque avemo veduto come la Donna nostra fu tratta di due grandi fondi, cioè di colpa e di miseria mondana, ne'modi ch'avete inteso. — Frate Giordano si distese in vie più parole. Rimane a dire del terzo fondo: non disse più. Deo gratias. Predica II. Domenica mattina seguente dì predicò frate Giordano, XVJ d' agosto 304° in Santa Maria Novella. Quasi cedrus exaitata sum in Libano. Le parole della Santa Scrittura sono di sì profondo intendi- mento, ed hanno si profonda dottrina , che si può dire quasi ch'abbiano fondo infinito. E adiviene della scrittura divina, come del pane di che Cristo saziò la turba de' giudei, che gli cresceva tra mano e mul- tiplicava. Ma l'altro pane non va così, anzi menoma; onde suole dire l'uomo: Tu cresci come pane in ma- no. Sempre menoma il pane in mano; ma della di- vina scrittura, questo è un pane che multiplica sem- pre. La persona grande hae un cibo che gli piace, che noi può tutto consumare a un'otta, sì ne ser- ba all'altro disinare. Come chi avesse una buona torta e piacevole, e non la potesse tutta consumare a un'otta, sì ne serba nell'altro dì, ed è buona ; così non potemmo tutta questa torta, che partimmo ieri, manicare a un pasto: rimasecine un pezzo; e 101 questa sarà buona per istamane. Rimase a dire come la Donna nostra fu tratta dal fondo della sentenza di Dio. Quale fu la sentenza di Dio ? Quella ch'e- gli diede al primo uomo , e alla prima femmina. llir mali soldi le diede; che le disse, e maladis- sela: Mulliplicabo aerumnas tuas, et conceptus tuos; in dolore paries fllios tuos; el sub viri polestate eris, et ipso dominahitur libi. Questi furono quattro «lali soldi pessimi , che furon contro a quattro peccati, che furono contro a ciò. Ebbe difetto, etc, ebbe difet- to, etc, ebbe difetto, etc, ebbe difetto, etc, — Di tutto questo che disse storialmente sopra la Bibbia non ne scrivo molto, perchè fu molto lungo. Vegna- mo a quello che si ristrinse alla predica. Ecco primieramente che gli disse Iddio: lo mol- tìph"cherò i mali tuoi. Molte di queste maledizioni ristettero sopra la donna, e non sopra l'uomo: e però vedete che la donna hae molte miserie e più di quelle che non hanno gli uomini. Sì che corporalmente que- ste maledizioni, le più tornano pure alla donna; ch'ella nel suo peccato hae pena, e nel concepere, e nel por- tare , e nel partorire; che nel concepere perde la virginità, ch'è così grande gioia e bellezza: questa è grande miseria: ella ci ha molta vergogna. Ve- dete l'opera del matrimonio: ella è tutta piena di vergogna e di sozzura. Anche nel portalo hae altresì molte miserie, che non l'hanno gli uomini, e nel partorire simiglianlemente: sì che queste maledizioni sono pur proprie delle femmine, e non toccano agli uomini. Ma a volere ben vedere e cercare questa parola, sì troveremo che nondimeno sono comuni agli uomini e alle donne, spiritualmente intendendo: 102 e questo è il più alto intendimento. Dice Iddio: Io mulliplicherò i mali tuoi. Che ò multiplicare? Mul- tiplicare è quando la cosa cresce, o in un poco, o in quantità. Vedete il fuoco: una picciola favilla fa grande fuoco. Vedete. altresì un seme quanto ne fa: or questo è multiplicare. Così dice Iddio: lo uìul- liplicherò le pene tue. E questo multiplicare viene per quattro cagioni: propter fragilitalem, propler in- sipientiam^ propler impatientiam, propter maliciam. Dico prima propler impatientiam. Per la impa- zienza nostra si multiplicano i mali nostri. Come per impazienza. Cioè quando tu nelle tribulazioni non hai pazienza. Allotta il male eh' è piccolo, tu il ti fai grande. Oh come è grave la tribulazione ben pic- ciola, a quello che non ha pazienza! Troppo gli è malagevole; diece cotanti la si fa grave, ch'ella non è. S'egli avesse pazienza, oh come gli parrebbe leg- gieri ! Multiplica il male altrimenti ? Certo sì. Un altro mal moltiplicare fa, che s'è' t'è fatto ingiuria, e tu non hai pazienza , e portigli odio, vedi come li multiplicano i mali addosso: che prima perdesti una cosa temporale, e ora vendi l'anima tua; che colui colui che porta odio e mala volontà , già ha morta 1' anima sua : prima ferisce sé eh' altrui. La prima ferita è la sua; e questo male si fa pur o' medesimo: sì «!he vedi che la tribulazione fu pic- cola da se, e tu 'la ti cresci, e fai ti grande per la impazienza, che l'è gravissima; mollo pi iì che t'hai uccisa l'anima tua coll'odio e col mal volere, ch'è questo peggio cento cotanti, e più gravoso. La Donna nostra fu tratta di questo fondo, e di questa cru- dele sentenza ; però eh' ella ebbe somma pazienza; 103 che qualunque tribulazione che l'avveniva, tutto ri- ceveva in allegrezza ed amore: però non le multi- plicavano; anzi quella cotanta si spegneva, e tor- nava in grande luce, e diventava piij perfetta; co- me il ferro, che diventa piìi sodo e più forte per lo martello: così la Donna nostra e i santi, i quali ri- cevevono in pazienza le Iribulazioni. Ma il vetro non può patire percossa nulla: incontanente si spezza:cosV sono fatti i cattivi, che non hanno in sé pazienza. L'altro modo, onde e perchè le pene e i mali multipiicano sopra noi, si è per la fragih'tade nostra; e questa fragilitade viene per la concupiscenza che nacque per lo peccato. Diciamo ora de'desiderii del- l'anima; e vedrai come noi moltiplichiamo in pene e in tormenti- Dimmi, quante sono pene tue? Tante sono quanti sono i desiderii tuoi ; e che per ogni cosa che tu desideri, sì hai pena. Tu desideri ric- chezze, onori e signorie, diletti carnali, e l'altre cose del mondo. Dico che di tutte hai pena, di tutte. Più dico: dico che le pene tue sono più che non sono le cose del mondo. Volesse Iddio che l'uomo non disiderasse più che sieno le cose del mondo f Ma l'uomo che desidera e vuole ancora quello che non è nel mondo, per li vani pensamenti immagi- nasi un fatto strano nella mente, che mai non fu, e non può essere, e vorrebbelo, e piacegli: si che sono più le pene tue, che non è la rena del mare; che quella ha fine, ma i tuoi desiderii non hanno fine. E però vedete voi che la persona non sta contenta a un figliuolo, ma vuolene più, però che non trova in uno ciò che vuole. Eziandìo ne'tìgliuoli hae tor- mento, che non gli vede come vuole: talora poveri» 104 talora sozzi, talora rei e di mille magagne: e poi desiderano d'avere molti figliuoli, che in uno non tro- vano ciò che vogliono! Ma la nostra Donna fu tutta sa- zia, che non desiderò se non una cosa, cioè il figliuolo suo: non ne volle più, però che in lui trovò ogni per- fezione, e di sapienza, e di santità, e di bellezza, e di bontà, ed ogni diletto. Ma non addiviene così degli altri figliuoli. E questa e la ragione che i santi dicono, che Iddio non ha se non un figliuolo, però che in lui trova ognie plenitudine e ognie sufficienza ; e però non ne vuole, se non uno. Questo dicono i santi. Ma i nostri difetti sono tanti, che non hanno fine; che a verno già qui un ramo di ninferno. Ma i santi sono fuori di queste pene; però che non le disiderano e non le vogliono. Ma una cosa diside- rano, cioè Iddio, e quella hanno: che non addiviene questo delle cose del mondo ; che perchè tu le desideri, non Thai però- Mail santo uomo nel suo desiderio ha già Iddio nel cuoie suo, ma non pie- namente nel modo ch<; averà in vita eterna. Ma pur i santi dicono: Chi già l'ha nel cuore suo, incon- tanente ha quello che desidera : almeno 1' h^i sì , che sta conlento ed ap[)agato, e ha pace di que- ste cose. La Donna nostra dispregiò tutto 1' af- fare del secolo. Il suo desiderio fu tutto al suo fi- gliuolo. Anche multiplicano i mali nostri e le j>ene per la fragilitade, cioè quando piccola tentazione non puoi sostenere, e cadi in peccato: e questa favilla ha fatto glande foco.- Di questo non vo'più dire ora. Moltiplicano altresì pro/)«er insipientinm, cioè per non conoscere; che non cognosciamo le cOvSe false, e 105 però le pigliamo e eleggiamo: non cognosciamo il meglio, e però il lasciamo. — Di questo ancora non vo'più dire. Disse che tutte e quattro sono legate ad una freccia: non disse di questi. Ne'due mem- bri di sopra si distese per più parole, che qui non sono. Il secondo mal soldo che diede Iddio alla donna si fu, che le disse , e maladissela nel suo portato: e di questo le nacquero le concupiscenze della carne. Questo è il portato. Due sono le concupiscenze, come dice santo Giovanni, cioè concupiscenze d' occhio ; ma avvegnaché le ponesse in due , elle sono ben quattro, però ch'elle sono doppie ; poiché pur quelle della carne sono due, come dice Salomone: Due sono le male figliuole della concupiscenza, che dicono pur: ajfer affer, cioè, reca qua, reca qua. L'una si è la gola del mangiare e del bere; l'altra è la lussuria- Questa concupiscenza nacque alla carne per lo primo peccato. Avvegnaché ne'fanciuUi non paia quell'una; ella v'è bene, ma ella dorme, ma poi si desta. Di questa concupiscenza noi portiamo molte pene. La Donna nostra ne fu liberata; che il corpo suo fu fatto al modo che fu il corpo d'Adamo e d' Eva, an- ziché peccassero : così dicono i santi. Quello della gola si mostra ch'ella non l'ebbej ch'ella fu povera, e la sua vita, dovete sapere, ch'ella fu molto rego- lata : che pognamo eh' ella avesse voluto, non po- teva: non era tale il suo guadagno, non ch'ella non voleva; e dunque non mangiava a lussuria; però non ebbe la rabbia che avemo noi : non voglia Dio. Delle donne questa è la bellezza, d'essere tentate in man- giare, specialmente da vino. E trovasi che le donne in molte parti non beono vino. In Gaeta le donne 106 non beono vino: non piaccia a Dio, non maij per onestà il fanno. Troppo è grande gemma e grande bellezza la castitade ed onestade nella donna, e es- sere tentata nel mangiare e nel bere è il contrario, e facendo altrimenti. Le concupiscenze dell'occhio sono due, poiché due sono gli occhi, uno di fuori, e uno dentro immagina le cose ; e siccome le cose che sono vedute dagli occhi di fuori distraggono l'anima, così per lo desiderio che immagina l'oc- chio dentro, si guasta e si macula l'anima. Da que- sto male fu anche liberata la Donna nostra ; ch'ella tenne gli occhi e noi guatò, secondo che dicono i santi; ch'ella non era sua usanza di guatare l'uomo; tanto era castissima, e tanto era onestissima. E però è buona cosa a tenere gli occhi casti, e non volere vedere ogni cosa; che l'uomo vede le cose, e vienne tentato, e desiderale , e hanne pena. E vedete che sono cotante le concupiscenze dell' occhio ; e non ne può l'uomo saziare pur una ; ma le concu[>iscen- ze dell' occhio dentro sono ancora più ; e però è da guardare di non sopra^tare a'pensieri vani. Che è concupiscenza? Che è? Dinanzi te ne dissi un poco, che ella si sia. Non diciamo troppo sottil- mente; diciamla pur così: tanto è a dire concupiscen- za, quanto sete. Vedi quando tu hai una grande sete, chente pena ella ti dà; grande è troppo e molesta cosa a sostenerla. Cotale è la concupiscenza. La con- cupiscienza non è altro che una sete con pena. E riguarda qui. Vedi quando tu hai sete, se hai sete d' una cosa , ti dà tanta pena : ora se tu avessi sete di molte cose, quanto averesti maggior pena ? Se tu avessi cotal sete e del pane; e de'cibi, e di 107 ciascuna cosa, molto ti parrebbe dura cosa,cioè avere a un tratto molte seti. Ma tu non ne puoi avere se non una alla carne ; ma l'anima non è così : peroc- ché non ha una sete o due, no ; ma sono tante le seti, quante sono le cose del mondo, e ancor più, come io ti dissi, e di tutte hai pena; perocché tu ne le desideri e vuoli : però le seti tue sono tante e in tanti modi, piiì che non é la rena del mare. Ma se mi domandi quante sono, riducoleti a certe principali, come di ricchezze, di signorie, di onori, di scienze , di vendetta, di diletti corporali, d'aver figliuoli. Queste sono le principali : infra queste sono le principali ; ma infra queste sono tante poscia pur che le avessi, come la rena del mare- E questo vedi, quanti sono i difetti e contrari che tu trai nelle cose medesime , in ciascuna e di catuna hai penaj che vorresti le cose a tuo animo , e tu non 1' hai così. Vedete come per le concupiscenze nostre siamo in pene e in molestie. Dunque vedete bene come siamo nella maladizione che diede Iddio: Multipli- cabo aerumnas tuas. E vedete come i mali molti- plicano. Di questo fondo e di questa sentenza fu tratta la Donna nostra; perocché non volle, né de- siderò nulla cosa mondana o carnale. La sua con- versazione era con gli angioli , i quali venivano a lei, secondo che dicono i santi , e stavansi con lei spjBsse volte. Il pensier suo era Iddio , il figliuolo suo, e di questo era appagata e in pace. Questo è di santi uomini simigliaiitemente, che sono tratti di questo fondo e di questa sentenza ; e rimangonci i mondani e ricchi, quelli che paiono beati, e egli è tutto '1 contrario. Deo gralias. 108 PREDICA III. Quasi cedrus exaitata sum in Libano. Io ho detto, che le parole della santa scrittura moltiplicano a-guisa ^) del pane , del quale Cristo saziò — la moltitudine e la turha, però che quasi non hanno ^) fondo; e quanto più ci si dice , piiì ci si trova. Hanno a vedere la maladizione , e la sentenza che si dà nel partorire. Io ti dissi — sta- mane ^), che principalmente queste pene, — nell'uno modo ^) toccano pur altre donne; ma nell'altro mo- do, — cioè spiritualmente, sono comuni e all'uomo e alla donna ^). Fulle detto: Tu partorirai — in ^) do- lore e — in ') tristizia. A volere questo vedere pili profondamente: per questi tìgliuoli intende la santa scrittura in molte — luogora ^) l'opere nostre; che come la femina ingenera il figliuolo, e parturiscelo, così noi ingeneriamo, quando le concepiamo dentro nel pensiero, e poi le parturiamo, quando le met- tiamo in opera, e sono dette nostri figliuoli: e ve- dremo qui grande maledizione e sentenza , eh' è nelle nostre — buone opere ^), che sono dette no- stri figliuoli, e come gli partoriamo in tristizia e in dolore , — cioè ^^) che da molti lati ci ha da avere assai dolore, ed assai — da piagnere ^^). E questo — modo i) - le turbe, e non hanno quasi ^) - ieri ed anche sta- mane 3) - e nell'uno modo e nell'altro 4) - fu data la maladazione ed all'uomo e alla femmina comunemente 5) - con 6) - con 7) - logora 8) - opere buone 9) - cioè a dire i") - ci ha da potere pia- gnere **) 109 è per quatti'o difelli, che sono in tulle l'opere no- stre. Non intendete che ci sieno sempre tutti e quat- tro, ma quando ce-n'hae ^) uno, quando due, quando tre, e-quando ^) tutti e quattro; e -se ci ^) n'ha pur uno, sì ci-hae "*) molto da piagnere. - Propter ^) vio- ìentiam, propler accidiam^ propter neqiiitiam, propler indecenliam. - Prima ^) propter violentiamo - cioè forza; e questo è ') quando fai opera isforzata *). Come quando ti fosse comandato per forza ire a Roma, o-convenisseti ^) dare danari per uno spedale, o per un ponte, ed in molti altri modi , onde la per- sona può fare alcuno bene sforza lamente. E che vale l'opera - sforzata, che è nulla ? Ma è nulla ? Vuoiti mostri ? *") sì. Dicono i santi che Iddio non ap- prezza l'opera della natura, - come ^') ro[)era delle bestie,-© de' ^^) fanciulli, ovvero de'matti e de'pazzij perocché l'opere- di costoro ^^) sono opere naturali, che non hanno uso di ragione; - però l'opere loro sono come quelle delle bestie ^*), che non conosco- no. Così percuote il pazzo, come la bestia, e però l'opere loro, e quelle de'fanciulli, e quelle della na- tura, tutto è un fatto; - che non ^^) meritano e non peccano. Il fanciullo non pecca nelle sue fanciullezze, nò il pazzo altresì, e non meritano nulla; perocchè- non apprezza Iddio ^^) opere naturali, e non gli piac- — n'ha I) - (jiianilo ci sono 2) - quando ce 3) . ha 4) ■ Il primo si è propter 5) _ Dico prima 6) - cioè 7) - aggiugne: E quando è sforzata ? 8) . quando li convenisse 9) - sforzala ? Che è ? Non vale nulla. Nulla ? Ma è; nulla. Vuol li mostri ? i") - siccome sono «i| - quelle de' '2) - loro i3) _ ragione ben hanno, ma non uso di ragione, e perocché loro opere sono naturali, come quelle delle bestie i4) - non '5) - Dicoitfft i santi, che Iddio non apprezza «6) no clono, cioè in quanto che sieno degne di merito. Dunque, se l'opere naturali non piacciono a Dio , quanto - in ciò *) , molto maggiormente, dicono i santi , che non gli piace opera sforzata , anzi gli dispiace-molto. Quale ^) è la ragione che non- meri tano ^) l'opere naturali ? Perocché non ci ha uso di-ragione ^). E qui apparate una buona regola somma, che sarà utilissima ; e però è buono an- dai-e alle prediche, che sono le genti ammaestrate e sanno conoscere , e rispondere alle quistioni , che tutti dì si fanno. La regola è questa che dicono i santi tutti a una voce , che qualunque opera è fatta con dilibero arbitrio , conviene di- necessitade ^) che sia peccato , o-mercede *) ; ma quando già non ci pensassi, siccome quando mi po- nessi la mano alla barba, che non me ne pur av- vedessi, non è questo nò mercè, né peccato, ma-ogni,') ogne, ed ogne pensiero-fatto ^) con-delibero ^) arbi- trio, conviene che sia o mercé o peccato. - Se con la mano fosse fedito un uomo, che mi fosse presa a forza, centra mio volere, non ci peccherei ; che non ci peccherei mai, se la volontà mia non con- sente : e così e questo nel bene fare , come nel male ^^); e questa è la propria ragione, perchè il santo uomo merita in ciò che fa , ed il peccatore slmlgllantemente, ch'io t'ho detto pili volte. Ora-udirete ^^) la propria ragione, perchè il santo uomo merita in cfò che fa, ed il peccatore in ciò che fa. Quale è dessa ? Io t' ho detto che dovun — ch'è in ciò »). - e mollo gli spiace. E quale 2) . sono di me- rito 3) - libero arbitrio 4) - necessità 5) . mercè 6) - ogne 7) - fatta *) - diliberato 9) - manca •") - vi dirò »'). Ili que è il delibero arbitrio, si è merito o peccato. E questa è la ragione, perchè 'I santo uomo merita- in manicando *), bevendo, dormendo, — e vestendo, spogliando ^), andando,-e seggendo, e ^) in tutte l'al- tre opere *); perocché quando il suo arbitrio- e la 'n- lenzione sua ^) intende a Dio, ed è dirizzata a Dio , allora ^) tuttociò che fa, è-di merito '). Che diremo di quelli peccatori , che il loro arbitrio usano in male ? — Tuttociò *) che fanno -è ^) peccato. Se Tusuriere, che vive per fare male, mangia, o-beve '^°), o doi'ine, o scrive, o quando compera il libro, ov- vero quando sale a cavallo per andare in Francia; tuttociò che fa ^^) è peccato : - se si cinge è pec- cato *^) : che peccalo e' si sia, noi vi voglio ora di- re; che non vi voglio troppo ■ — spaventare *^). Ma chi me ne domanderà , — io gliele dirò. Ma quello che ^^) il santo uomo merita , e che me- rito e' sia , ben lo vi dirò per confortarvi. Non è opera si piccola, che fa Y uomo santo di buona volontà, di libero arbitrio, - ch'egli ^^) non abbia una corona in vita eterna; che s'egli si pur cigne, pur di questo cignere, sola questa opera avesse fatta e non più, sì è di merito di vita eterna; che se non avesse altro ben fatto, sì avrebbe pur di quello me- ritata vita eterna. Queste sono le belle cosca sapere, non sono ciuffolo queste parole, no; dette da grandi divini, da grandi savi, ne'grandi libri. Dunque che diremo di quelli, che il loro arbitrio è in male ? — mangiando ') - manca 2) - e maggiormente ^) - buone opere 4) - e l'opere sue 5) - manca **) - di libero arbitrio 7) - Ciò 8) - tutto è 9) - bee ^°} - tutto '') - manca ^^) - ispaventare ''3) . disse Irate Giordano, io gliel dirò. Ma »4) - che '5) . G.A.T.CXLYI. 8 112 Nol-voglio *) dire; non vi voglio troppo spaventare. Dunque vedi che '1 delibero arbitrio di necessità conviene che sia o merito , o peccato , sia opera , verbo, o pensiero. — L'opera dunque ^) fatta a forza, con violenza, e che non sia d'arbitrio , di libera volontà, molto spiace a Dio. Or nota bene: la Donna nostra Vergine Maria, — tutte le sue opere furo ^) di libera volontà, e-accese ^). Qui si potrebbe fare una quistione, e dire: dunque i religiosi hanno poco merito; che pare che le più cose facciano a forza, quando sono mandati qua e là. Dico che ci meri- tano eziandìo se non piace loro 1' andata. Quale è la ragione ? Imperocché si sono sottomessi all'ub- bidienza, e perchè - paia ^) loro fatica, nondime- no-si è ^) d'arbitrio; che se-pur ') non volesse , e' se ne potrebbe uscire della religione; ma egli-sot- tomesse l'arbitrio suo, quando fece professione, e vi s'è dato ^); e però n'ha merito. Ma tu, secolare, non hai merito, perocché non ti se' sottoposto a ciò : ma i religiosi sì. Questa differenza e vantaggio hae il religioso dal secolare, che-il religioso hae merito di quello ch'egli fa sforzatamente ^), e tu no , per la-ragione ^°) che detta è. Sopra questa materia-sa- rebbero ^*) a dire molte cose, ed hacci molte que- stioncelle da masticare assai. Ancora non m' hai in- teso, che-sia ^^) forza. Quando tu ti ritieni di non uccidere, di non imbolare, di non fare male , per paura delle pene; che di': il giudice mi mozzerebbe - vo' *) - Dunque l'opera 2) - l'opere tue furon tutte 3) - accesa a ciò 4) - e' paia 5) - è 6) . pure e' 7) - s' è sottomesso prima ed ...8) - quelli n'hae merito di quello, die fa isforzalamente 9) - cagione »"J - sì ci sono •') - si sia '2). 113 il capo, impìcclierebbemi, -e dannerebbemi ^); e per questo-io lascio ^), e non per altro; dicoti, frate : se tu allora per questo ti rimani del male, non hai molto merito, anzi è cosa — dispiacevole ^); peroc- chè-a te '') conviene-rimanertene ^) per-delibero ar- bitrio, non per ^) l'onore di Dio. E questo è quello, che dice la scrittura: Beato 1' uomo , che potè-fare il peccato, e ') noi fece. Molte belle cose ci ha a dire sopra questa materia; valichiamo all'altro. L'altra miseria,-in che^) partoriamo l'opere nostre -in ^) tristizia , si è prupter accidiam. Se '1 primo non è nell'-opera tua *'^), cioè, che-l'operatua non sia sforzata , ma sia pur d' arbitrio e di volontà , sì ^^) ci avrai quest'altra, cioè l'accidia; che la farai con tanta accidia, e con tanta-melinconia *"^) , che non piacerà a Dio. Deh ! or vedete: Iddio non vuole che noi - nell'opere nostre ^^) abbiamo fatica: non piaccia a Dio; che n' è dolente egli se noi n' ab- biamo fatica, chè-vorrebbe egli ^^) pur la nostra a- gevolezza, e di questo sarebbe lieto. Onde questi , che quando fanno alcun bene, -sì 'I fanno *^) con tanta accidia e-melinconia *^), che non piace a Dio. Egli pur s' ha buona l'opera tua; ma sai com' è ? Come se tu gli porgessi un mangiare-sanza '^') sale, -sanza ^^) savore; sarebbe sciocca cosa , e non-da piacere ^^). Ma quelli che fa lietamente, con amore, »— manca *) - lasci ^) - ispiacevole 3) . te ne 4) - rimanere 5) - ar- bitrio dlliberq, per 6). peccare, e non peccò, potò fare il male, e 7) che 8) - con 9) - opere tue "") - pur sarà sforzato, anzi sarà pur di tuo arbitrio, ma tu ") - raaninconia »2) -nelle nostre opere '^j vorrebbe *4) - fannolo '5^ . maninconia '6) - senza '7) - e senza '^j piacevole '9) - e con fervore, or questi gli dà i savori. Iddio non vuole cosa scipida, ma-dilettasi in *) mangiari ben savorosi e arrostiti. — Onde non ^) vuole Iddio che tu ci abbi fatica, no. — Se ^) la persona avesse un amore acceso a vita eterna, — oh, come *) ogne fatica gli parrebbe leggieri ! Or che fa-pur l'uomo ^) per amor d'una donna ? Che ci ebbe ^) tale in que^ sta città, — disse frate Giordano ') , eh' andò alla donna, e->disse *): Che-vuoli ^) tu eh' io faccia ? E quella *°) disse: Che tu ti getti in Arno. Quelli andò, e gittavavisi, e fu pressoché morto; se non che fu campato. I nocchieri, a lire tre il mese, — stan- no **) in mare, a pane-e biscotto ^^) verminoso, al- l'acqua, in sulle panche, e '1 maggior desiderio, eh' egli abbiano,-mi ^^) disse uno , disse frate Giorda- no **) , si è, che sempre potesse stare galeotto- per soldo ^^). Qual romito fa ciò - per Iddio ? Nullo ^^); e' pare loro sì leggieri. I romiti e gli uomini di penitenza passano- -di ^'^) fatiche i mondani, e pare loro leggieri. Se l'usurieri udisse, che in Francia si facesse una grossa usura in una villa, non gli parrebbe fatica andare insino in Francia, e starebbesi-volentieri^^) tutto l'anno a pane e-cipolla '^^). Quanto maggiormente gioverebbe affa- ticarsi colui che-aspettasse^") i beni di vita eterna! Chi-bene ^^) la 'ncorporasse, - oh come ^^) ogne fa- tica gli parrebbe leggieri ! Non ci-averebbe ^^) nulla — dilettosi i ') - non 2) - Oh, se 3) - come 4) - l'uctfno 5) - l'eb- be 6) . manca 7) - dissele 8) - vuo' 9) - quella *°) - istanno ") - e biscotto »2) - gli 13) - manca >4) - per Io soldo *5) . a Dio '6) - in '7) - volentieri ^8) . a cipolle 19) - aspettasi ^°) - ben 2*) - pome 22) . avrebbe 23), 115 accidia. Or potresti già dire : Oh , e' mi dice eh' io m'affatichi ! Or intendi bene. E' sono due le fatiche: l'uno modo si è, quando l'opera è di fatica in sua sustanza; l'altro-modo si è *), quando - non è grave di ^) sua sustanza, ma grave a te, per la tua mala disposizione. Che la fatica quanto - ella è ^) maggiore di natura, tanto è - di maggiore me- rito. *) La morte è la mnggior pena - che sia, e la maggior fatica ^), di sua natura; e però i mar- tiri meritarono più che gli altri, per l'opera grande che fecero. Ma ella fu molto leggieri, e piena d' ^) allegrezza ne'loro cuori, per l'amore e per lo fervore ch'aveano a Cristo. Ma-quando l'opera pare di fa- tica, per la sua mala disposizione di quel cotale , questa cotale opera , non che la sia di merito, anzi gli toglie ') il merito , come l'altr'iei-i-ti ^) dissi. Vedete-un ^) villano ; dagli a dire paternostri ; vor- rebbe anzi vangare tutto dì nel campo: non perchè di loro modo e' sia fatica nulla, ma è si mal dispo- sto,") che a lui parrebbe più che vangare- Questa -co- tale ^*) fatica tutto '1 merito toglie via; e non piac- ciono a Dio l'opere tue. -E però quanto più leggieri ti pare ^^) il ben fare,-edi ^^) meno fatica, e più te ne giova, tanto mnggior merito n'hai. E qui si ri- sponde a un'altra quistione, che sogliono dire i sco- lari, che dicono : lo hoe ") maggiore merito-d'uno ^^) dormire, e giacere vestito, o d'un digiunare, ch'un — manca ') - non in ^) - è 3) - maggiore in merito 4) - e fatica die sia 5) . ed 6) _ la fatica, che pare fatica per mala disposizione delia persona, questa, non die sia di merito, anzi il toglie 7) - vi 8) . uno 9) - disposto a ciò '") - cotal i^) - qaanto dunque più l'è leg- gieri '2) - ed. ètti '3) - io ho '4) - d'un '5]. 116 religioso ; -ch'essi ') sono sì avvezzi al-digiunare ■^), e al giacere vestiti, che non se ne carano;-pare ^) loro agevole ;-ma a me pare malagevole. *) Oh , come è ingannato costui .'-Costui pensa ^) che, per- ch'egli sia avvezzo al bene, e paiagli agevole, che- però sia ^) meno merito : non piaccia a Dio , non è così; che ad averci-fatica d'animo ') è perdimento di merito , e l'agevolezza della carne nella fatica, fatta per uso, è grande virtude. Qui si potrebbe fare una quistione della Vergine Maria, nella tribolazione -ch'ebbe, ^) quando il-fìgliuolo suo ^) fu crocifisso, che si dolse più, e più-incorporò quella pena, che nulla creatura, e più le fu grave quella passione : *") non fu però-meno ^*) merito, anzi molto maggiore; ch'ella non si-dolve *^) per impazienza , ma per l'a- more, come si dolse Cristo ; che, avvegnaché con libera-volontà^^) e somma-carità^*) egli si sottomesse alla morte; tuttavia nondimeno ^^) la carne sua si dolse fortissimamente, e la sorte sua fu di somma -acerbitade; che ^^) la carne non si può tenere che non-doglia,*') sia la volontà libera, allegra, -e *^) a- morosa. Per questo modo medesimo la Donna no- stra si-dolve *^) più che femmina nella carne sua; ma la sua ultima volontà era pur contenta,-ch'e- gli ^") sostenesse passione;- ch'ella sapeva ^*), che-pcr la ^^) sua morte tutti eravamo salvati, e-che s'egli fosse sceso dalla croce , ^^) tutti eravamo perduti. — che si *) - digiuno 2) - par 3) - manca 4) - Pensa costui 5j . sia però 6j - fatica 7) - eh' eli' ebbe 8j - tigliuolo 9) - le fu gra- ve •") - di meno n) ■ dolse 12) - volontade *3) . caritade '4) - tuttavia i5) -aceibità; perocché 16) . dolga '7) - ed J8) - dolse i9) che *°) - perocch'ella sapea 21] . jella 22)- se ne fosse sceso 23|. 117 E però-ella ^) volle, e fu contenta di ciò. -Così di- cono i santi ; ^) ina nondimeno si dolse la carne. Qui avrebbe a dire,-e ^) a rispondere a belle-qui- stioncelie *). Passiatno-al terzo ^). Laterza ragione, perchè noi-aveino da^) piagnere nel nostro partorire,edaverci-materia d'assai') dolore e tristizia, si èpropter ne(/?«'/mm.E-questa^)èpiggiore cosa: che dico nequiiia, quando il bene che tu fai, non intendi al fine che dei. Quali sono questi ? Tutti quelli i quali fanno limosina,-talora ^) per vanaglo- ria, talora ad altro mal fine, che sono assai. Que- sto bene,e questi figliuoli, sono figliuoli d'assai pianto, e sono figliuoli che molto-spacciono *°) a Dio; pe- rocché sono gualercie : come '1 guercio , che pare che guati colà,-e egli '^) guata colà oltre. Così l'o- pera pare buona, ed è di sua natura, e tu hai l'oc- chio al dimonio ; ecco grande difetto e grande male nell' opere nostre , che non eh' elle sieno di merito , ma di peccato ; e questo è quello che Cristo disse : Se 1' occhio tuo sarà semplice > cioè puro , tutto '1 corpo tuo sarà lucente ; ma se sarà doppio , tutto sarà tenebroso. Questo è quel proprio , che disse Cristo. Quando è 1' occhio tuo doppio ? Quando tu mostri di fare una cosa, e il tuo intendiinento-va ^^) ad altro mal fine, allora tutto-Io ^^) corpo dell'opera tua sarà tenebre ; ma se l'occhio tuo sarà tutto lucente, cioè uno e non doppio, cioè, che 'I bene, che tu fai, intendi a Dio — dicono i santi , ch'ella '} - manca 3) . ed 3) - quistioni 4) - alla terza. 5) - possiamo ^) - assai 7) - e (juesto ^j . talora per trarre a sé la femmina, talora 9) - ispacciono "*) - ed e' '*) - è la) _ '1 i3). 118 solamente, allora l'opera tua sarà tutta lucida, tutts chiarissima. — E così, come fare l'opera a mal fine; non è di merito, ma peccato; così ^) fare 1' opera -rea ^) in sua sustanza , pognamo che dicessi che '1 facessi a buon fine, -si è peccato; che ^) se tu dicessi: io voglio fare il cotale adulterio, acciocché ella non pecchi con altrui;-o vero se dicessi : Io ^) voglio imbolare per dare a' poveri: non t' è licito. Questo non è buono, non piaccia a Dio ; perocché l'opera è rea in sua sustanza. Onde questa regola tieni: -che in ^) tutte l'opere tue vogliono essere (jue- ste due cose :-runa, *') che l'opera sia buona in sua sustanza; l'altra, che-intenda al buono fine, alla fine sua che dee. ') AUora-l' opera tua è ^) compiuta ; altrimenti-non è buona, ma è di peccato. L' opero tutte sieno compiute, ^) pure, e di somma chiarezza, sempre intendendo a Dio. La quaita cosa , onde-partoriamo figliuoli '^^) con dolore, si è propler indccenliam. Indecenza diciamo noi le circostanze. Ogni opera vuole sue circostanze ? Dicolti. Vedi la dipintura, quanti colori vuole : molti ; perocché noi avemo molti colori. 11 cane-ha un *^) colore nel corpo, un altro alla lesta, un altro nell'occhio, un altro nella zampa, e così ha molti colori. Se il dipintore dipignesse -un cane, o un'altra cosa *"^), tutto d'un colore,-av- vegnachè ^") fosse ben ritratto, non sarebbe com- — Cosi dunque come tu non puoi, e non è merito fare il bene a mal fine, cosi altresì ') - ch'i: rea 2) - Onde 3)- o 4) - in 5) - la prima 6) - intendi al line suo , che dei; 7) - e l'opera 8j - è peccato. La nostra donna, le sue opere furon tutte 9) partoria- mo '") • liae uno n, - una carne ^2) - o uu' altra cosa ; avve- gnaché ' '■' 119 piuto, non avrebbe sua perfezione : queste sono le circostanze. Da questa parte- molto avemo ^) da piagnere ; peiocchè l'opere nostre non hanno tutte le circostanze che deono , non sono compiute. Quante sono le circostanze ? quante ? Non hanno numero, tante sono ; ma riduconsi a certe : diciamne parecchie. Ecco 1' orazione: l'orazione è un' opera buona. Quali sono le sue circostanze ? Ch'ella sia fatta a luogo, -e a ^) tempo,-e a ^) modo,-e con l'al- tre convenienze.*) A luogo- dee esser fatta, ^) che non dei orare in piazza,-ov'è 'I ^) mercato. Non è convenevole-stare ') al romore ; 1' orazione vuole luogo di silenzio, vuole essere in chiesa,-o in casa, rimoto. Anche richiede suo tempo: che ^) non dei orare quando tu dei dormire ,-o quando tu dei ^) manicale ; che dei fai-e ciò per potei'e oiare, accioc- ché quando-ori,^") non dormi. Dee avere il suo modo, cioè che il cuore sia airorazione,-non ^*) sia al ca- vallo,-o *^) alla mercatanzia. Dee avere condizione, cioè che addimandi cosa utile, e che ti convenga ; e altresì dei ^^) orare quanto si conviene, o-richede ^*) pazienza, -e *^) aspettare. Queste sono le circo- stanze. Onde chi è quelli, che possa tutte 1' opere sue fare-a luogo, e a tempo, e a modo, e con tutte le condizioni , ^^) che 1' opere richieggono ? Non è nullo. Ovvero chi è quelli , che 1' opere sue possa -tutte fare ^') di volontà-espedita, e sanza ^^) acci- — a\em molto i) - a 2) - a •^) - a quantità, a convenienzia 4) - cioèS) - o nel^) fare7)e rimoto in casa. Vuole essere a tempo^Sj . o 9) - tu ori '") - e non 'i) - eJ 12). jn addimandare cose utili, convenevoli, e d<'e i3) - vuole M) - ed '5) . così compiute le con- di^jioni i*^) - Tur tutte 17) - spedila, e senza i8j. 120 dia, 0 che in tutte l'opere abbia così sempre roc- chio, e la 'ritenzione-a Dio? ^) -0 ^) che tutte le cose possa fare così fatte ? Non ha nullo, no; anzi non farai nulla opera sì perfetta,-che io ^) non ci trovi cento difetti, -ovvero che non sarà fatta a tempo, o a luogo, 0 a modo , ovvero che l'averai fatta con accidia, ovvero che non ci avesti diritto intendi- mento ; e tutti questi difetti, quando ci falli, ^) sì pecchi, non dico mortalmente, ma venialmente ; e mortalmente-puoi ^) peccare: altresì in tal fallo puoi entrare. Or vedi che siamo ben maladetti. In do- lore partorirai. ^) Or che faremo dunque ? nabisse- remo? no--La '') misericordia di Dio è apparecchiata. La nostra Donna, dicono i santi che mai non peccò, né mortalmente, né venialmente. - Ed in ciò ®) si mostra, che tutte l'opere sue-furono ^) dipinte. Deo gratias. — sua tutta a Dio ») - E 2) - che 3) - e tutti questi difetti , qualunque otta falli in alcuno 4) - sono 5) - jn dolore paries fi- lios tuos 6] - Oh, la 7) • qui 8) - fuor 9). 121 Predica IV. A dì 23 di febbraio 1305., gior. niercoltdì mattina in santa Maria Novella. Viri niììivite surgent in iudicio et coniemnabunt generalionem islam. Leverannosi, disse Cripto a'giu- dici , quelli di Nini ve e giudicheranno voi, però che fecero penitenza alla predicazione di Gona. Ed ecco me piiì che Giona. Potrebbe altri dicere : Sarà giudice altri che Cristo ? Avracci aUri giu- dici , altri sentenziatori? Si. I primi giudei ed i maggiori saranno i giusti. Ogne giusto sjrà uno giudice contro a'peccatori, e quanto sarà maggiore santo, tanto fìa maggiore giudice , e come abbiano a giudicare, ed in diversi modi. L'uno de'quali nodi si è, sì come l'uno contrario giudica l'altro; quando fossero presenti saranno giudici; eziandìo i pecca- tori, cioè i minori peccatori, giudicheranno i mag- giori. Or non vedi quando è un malo uomo , poi n' è uno pessimo ? Dice l'uomo: Questi ha santifi.^ato quegli: cioè, ch'è tanto più reo questi, che quegli è santo appo questi. A questo modo giudicheranno 1 peccatori tutti l'uno l'altro. Così s'intende questa parola. E se volessimo comparare il nostro fatto al loro, per certo che saranno giudici contro di noi. E questo potemo vedere da più parti. L'una si è considerando chi predicò loro; l'altra se consideria- mo che disse loro, o vero perchè si mossero a pe- nitenza; l'altra se consideriamo l'opera, e 1' effetto della penitenza; l'altra se consideriamo quanti fuoro. 122 Prim;i dio» se consldeviamo chi predicò loro , fa uno profeti solamente: Giona, non pili. Non ebbero altro maeitro , né altro dottore. E noi avemo tutti i dotori, però che quando le loro scritture sono in pede , sì si può dire , che ti predichino contìnuanenle. E quanti n'hai di questi maestri ? Molti tudiie. E così hai anche gli apostoli e Cristo. Tutti qufsti sono maestri e dottori; ma il capo e la perfezioip si è Cristo. Hai ancora i predicatori Or quanti seno i predicatori, e non ti azzichi?Grande giu- dicio pu)i aspettare- Sì consideriamo ancora, quanto tempo Jurò questa predicazione di Giona: pochi dì; e nei siamo continuamente predicati. Se con- sideriamo che predicò: Di qui a XFj dì , e Ninive sarà sjvversa: non dicea altro. E tu odi dire si alte novelle e si grandi, del ninferno e del [>aradis(), le quaii cose non aveano eglino. Odi i sermoni co- sì linghi, e con tante l'agìoni, e così [lioni di verità; odi le cose sporre e dire così sottilmente e alta- mente, e non ti azzichi. Se consideriamo quanto penuo a convertirsi, non neente, ma incontanente; 0 noi siamo così pigri e miseri. Appresso, se consideriamo quello che fecero. Di- spuosersi tutti alla penitenza ed il re e tutti i cit- tadini,e digiunaro, e fecer digiunare eziandìo le bestie, e portavano cenei'e in capo, e vestirsi di ciliccio. Oh, miseri noi, che faremo ? Appresso, se consideriamo, quanti fuoro quelli che si convertirò: dice che fu tutta Ja citlade. E noi miseri, volesselo lidio, che pur di tre ne trovasse uno, che fosse bene in diritto stato (li penitenza, e pur nel migliaio n'avesse quattro: sì sono pochi quelli che si muovano a penitenza ! 123 Questo è il senno della parola in grosso. Ma se volessimo cercare della penitenza piiì sttilmente, e pili profondamente, potremmo conoscre e vedere dell'altezza e delle vertudi sue, però chela penitenza è la migliore cosa, che Iddio n'abbia datain questa vita, e '1 maggiore rimedio; ed è quella osa, che più è necessaria che null'altra. E però ch'illa è così al- tissima ed è così grande, e di tata virtù e ne- cessità, Cristo , la prima cosa ch'eli predicò , la prima parola fu questa: Agite poe.itenliam. Così fece santo lohanni; la prima paroh che predicò , fu questa. Accordaronsi così insidie. Questa fu la prima parola, e fu il primo foidamento, e la proposta di tutta la loro predica. Pr la quale pe- nitenza tutti gli angeli se ne rallegralo quando uno peccatore torna a penitenza. E pere vedi, che cosa è la penitenza. Come sarebber quste cose, se la penitenza non fosse così virtuosa (osa? Ed a vo- lere vedere delle virtudi sue, e quelle ch'aopera, vor- rebbesene predicare tutta la quaresina interamente. Ben vorrebbe essere tutta una qua'esima: tanto è grande, e profonda, e distesa questa materia. E però dicerenne un poco oggi. Ed a voice vedere dell'al- tezza e virtù sua, sì potremo veder; da quattro parti e per quattro R. {\) ìnsommiì: R. ccmparationi,R. reslauralioni, R. liherationi, R. recemptioni. Potemo vedere l'altezza sua, prina aguagliandola a tutte le cose; però ch'ella è egude e maggiore e più nobile di tutte le cose. Appresso, perchè la peni- tenza è una cosa di tanta eccellenza, che tutte le cose (I) Così nel codice: sembra che voglia intendersi: ragioni. 124 ristora, tutti difetti e ogne mancamento compie- Appresso, chefa l'uomo libero da tutti i pericoli, da tutti i mali, (a tutti i danni. Appresso, che ne rac- catta ciò ch'è prduto. In queste quattro R. si com- prende tutta lavirtù della penitenza. Ed a predicare di queste cose \)rrebbe essere tutta la quaresima. Di- remo stamane mr dell'una ragione, aguagliandola a tutte le cose prziose del mondo, e troveremo ch'ella è iguale a tutg, e non solamente iguale, ma so- pra tutte. Tutte le cse di questo mondo si dividono in quattro : ous vel actio , ars , natura , et virlus. Cioè, 0 ono operazioni, o sono arti- Altro è arte, e altro è o,era; o sono nature delle cose, o sono virludi delie naUre delle cose. Se compariamo la penitenza a quele quattro cose, sì la comparremo a tutte le cose,) vedremo ch'ella è iguale e mag- giore di tutte le 3ose. La prima parte di tutte le cose si è Tatto e l'oierazione. Operazione chiamo tutte l'opere che fa l'iomo santo, sì come digiuni, cilicci, lìmosine, alberga'e, rivestire, visitare peregrinaggi, e tutte l'opers e sevigi santi. Eziandio ci metto l'am- maestrare e '1 coivertire, .ed eziandìo la contempla- zione, ch'è la maggiore e la più alta opera che sia. Dico che a tutte queste cose è iguale la penitenza, e passale. Tutte queste opere e virtudi fuoro ne'san- ti padri del vecchio testamento perfettamente. Vuoli vedere, come la peiitenza vale tutte ? L'esemplo per- fetto hai nel ladro della croce: che si legge di lui che fu peccatore; ladro, pessimo uomo, tutto '1 tem- po della vita sue. Questi non digiunò mai, ne die limosina, né fece mai nullo bene, ma sempre fu pec- 1-25 calore. Vedi di quanta virtù è la penitenza: una contrizione piccola, di cuore, che gli venne; uno do- lore de'peccati, un solo pentimento di cuore; disse a Cristo: Memento mei Domine, cium veneris in regmim tuum; e meritò d'udire quello che non meritaro tutti i santi padri, che fuoro così grandi santi, e amici di Dio: Hodie mecum eris in paradiso. Questo non fu detto a nullo santo padre: Oggi sarai meco in paradiso. E vedi prima la gloria di Dio. Vedi esem- plo perfetto c'hai della penitenza nel ladrone. Onde la penitenza passa tutti i digiuni, tutte le limosine, tutti i perogrinaggi, e tutte 1' opere della miseri- cordia , ed eziandìo l'opere della contempi azione;chè sola la penitenza vale sanza tutte le dette cose. La seconda parte delle cose si è l'arte. L'arte si è una cosa, che fa rette tutte le cose; tutte le cose torte dirizza. Non intendete pur ritte, a modo di regolo, ma dirizzate alla sua proprietade. L'arte fa la falce; e avpgna che sia torta, in uno modo si è diritta; pe- rò ch'è diritta alla foiza e al fine suo; se non fosse così torta, non sarebbe falce; e così dico di tutte l'altre arti. L' arte dunque hae a dirizzare tutte le cose torte, e tutte l'opere sue monda e fa ritte. Le quali arti sono molte, come vedete. Queste due cose, opera e arte, vengono dall' uomo: tutte 1' arti sono trovate dall'uomo; non che l'uomo le faccia, ma tio- vale: e non sono però trovate tutte. Di trovare arti non si veriebbe a fine mai. Ognendì se ne potreb- be trovare una dell'arti. Il giullare le mentova tutte nella canzone? Non le mentova tutte; che ne sono per lo mondo assai , quelle che non sa. In quella canzone non sono di molte arti che si fanno oltre- Ì2() monti. 'Onde in Parigi hae grande arie d'inlagliaie e segare le pietre preziose, che n'è la grande arte; e così per lo mondo n'ha molte di quelle che non sa- pete, e non però sono trovate tutte. Molte ne sono trova te, ma ognendì se ne potrebbe trovare una nuova, e sempre se ne trovano delle nuove. Non è ancora XX anni, che si trovò l'arte di ftire gli occhiali: che fanno vedere bene, ch'è una delle migliori arti, e del- le più necessarie che '1 mondo abbia: ed è così poco ohe si trovò, arte novella che mai non fu- E disse il lettore: Io vidi colui che prima la trovò e fece, e favellai gli. Voglioti mostrare che la penitenza passa tutte r arti, perciò che la penitenza dirizza tutte 1' o- pere, e tutte le torte dirizza, sì come ti dissi dell'arti. Vedi il maestro che taglia coll'ascia, che di cento colpi non fallirà uno dove vorrà dare: ed uno che non abbia l'arte, di cento non ne darà uno diritto- Così del calzolaio, che dirizza il calzalo per l'arie sua; io che non ne ho l'arte, nollo saprei fare; ben mi potrei' io appiastrare un poco di cuoio al piede, ma non sarebbe però calzalo. Così ti dico del sarto, che dirizza la gonnella? E però ti dissi, che '1 dirizzare non è pura modo della dirittura del regolo; non la'ntendi bene: che, com'io ti dissi, allora dirizza la falce,quando egli la torce; però quel torcere è dirizzare, che la dirizza al fine, e dalle la forma che de'aveie. Ecco dunque che la penitenza passa e vince tutte l'arti, però ch'ella dirizza tutte le cose torte, e tutte le cose fa ritte, più nobilmente e più veramente che nulla arte, o che tutte l'arti. Mostrerolti. Quali sono l'opere torte del peccatore ? I peccati. Vuoli ve- 127 dere come li dirizza ? Sì. Vedi il micidio, come è cosa tolta; vedi come il dirizza, che se tu ti ne penti e Senne contrito, e noi vorresti mai avere fatto, e se' dolente e tristo che Thaì fatto ; or vedi come que- sta penitenza il ti dirizza. Due cose hae il peccato: Tuna ch'è vano e sanza frutto, l'altra ch'è nocivo. Siccome potremo dire della pietra, che non si ao- pera, o che sta colae ne' monti, che non è utile ed è nociva, che ti può percuotere il pie e farti male; ma quando è messa nel muro, e fassene la casa, al- lora è utile e non è nociva. Come altresì del ve- stimento: se ti mettessi indosso uno padiglione, que- sto non ti sarebbe utile, ma nocivo, che t'impacce- rebbe: non ti potresti reggere , ne muovere , né operare : gilterestilo via- Così è il peccato, e peg- gio assai. Vedi la penitenza, come questa tortura dirizza prima: che quello che t'era vano e infruttuoso, ora t'è utile e fruttuoso. Onde l'uomo ch'è bene con- trito del peccato, come detto è, incontanente gli è perdonato, e il male che ti facea non ti fa; anzi ti fa grandi utilità, però che ne diventi umile , rico- nosciti vile, amine più Iddio che '1 t'ha perdonato, se' ne pur paziente, e non ti scandalizzi per le tri- bolazioni, che ti ne riconosci degno, diventine pili forte, c'hai timore di mai più non ricadérvi, guarditi meglio, e se' più studioso a bene operare. Vedi dun- que, che quello che t'era via al ninferno, sì t'è fatto via al regno di cielo , che per quello entrerai in vita eterna. Or, che cose sono queste maravigliose ! Que- ste sono le belle cose, e tutto '1 tempo c'hai per- duto racquisti e dirizzi, che prima fu vano. Or tu di- restì: Forse bene ha virtù di dirizzare in queste opere, G.A.T.CXLVI. 9 128 ma forse non potrebbe così dirizzare Paltre cose, la borsa, la gonnella e colali cose. Dicoli che ancora queste cose dirizza meglio in sé che nuU'arte: mo- strerol li- Due sono i fini , dicono i filosofi , uno pros- simano, e uno ultimo: il prossimano si è la forza;rul- timo si è il fine. Mostrerolti. Tu vuoli fare il coltello; il prossimano fine si è la forza, cioè ch'abbia forza di coltello, altrimenti non sarebbe coltello. Ma ancora questo fine hae un altro fine, cioè: perchè fo io il col- tello? Perchè tagli, uccida; e però avendo forza di col- tello non basterebbe: che potrebbe avere corta ma- nica a quello ch'io il voglio; noUo potrei tenere, né usare,potrebbe essere d'un tale ferro,che tosto si gua- iterebbe il taglio, e non varrebbe nulla; e però con- viene che sia di buon ferro e bene affilato : e le còse convenienti all' ultimo fine a che si de'usare. Due cose, due principii sono in noi, cioè volontà e intendimento. Nulla cosa può mai essere torta se in queste due cose non è difetto, o in una di queste. E però fai la tortura eziandìo delle cose materiah, e all'arti materiali, o vero perchè vuoli cioè perchè la vuoli fare così, o vero che la vorresti fare bene, ma non sai; ma quando vuoli e sai, allora operi di- ritto. Or così ti dico io: Quali sono le cose bene diritte ? Tutte quelle che sono ordinate e dirizzate al fine. A quale? pur all'ultimo, quale è l'ultimo fine; Iddio dirizzando a questo fine l'opere, queste sono le diritte: e però avendo tu buona volontà, e se' al- luminato del fine, allora dirizzi tutta l'arte, però che l'arte tua fai diritta, e non a'nganno. La gonnella tua e la borsa e l'altre cose tutte le fai diritte, e quelle 129 ch'erano torte dal fine, cioè da Dio, sì le dirizzi. Se bene hai inteso questa R. è sottile ed è bellissima, La terza parte delle ditte quattro cose si è la na- tura, o volemo dire le nature di tutte le cose; della terra, dell'acqua, degli animali, de' pesci, delle be- stie, degli uomini, dell'oro, de'metaili, delle gemme, degli arbori ed erbe, e di tutte l'altre cose. Vuoli ve- dere come la penitenza è meglio, vai più che tutte le nature di tutte le cose ? Sì, mostrerolti. Or non vedi, che tutte queste non varranno nulla al pecca- tore al giudicio? Non varranno le ricchezze a'ricchi; se tutto l'avere dell'usuriere desse a Dio, non si po- trà ricomperare, né non si potrà liberare; e se desse tutto l'oro del mondo, e tutto questo mondo se fosse suo, non gli varrebbe nulla. Or non vedi delle de- monia? Se per oro e per cose preziose si potesse ri- comperare, tosto sì farebbe, però che il demonio sa tutti i tesori che sono nascosti nella terra e tutte le gemme: tutte le troverebbe e darebbe se ciò va- lesse, ma vedi che non gli vagliono nulla. Assai è buono esempio questo. L'uomo per Io peccato mor- tale è obbligato alle pene del ninferno. S'egli avesse tatto l'oro del mondo, e tutto '1 mondo, e tutto 'I desse a Dio per ricomperamento di quello, non gli sarebbe dimesso solo uno peccato, é non gli varrebber nulla tutti i parenti, e amici, e fedeli, quanti n'avesse, che tutti pregassero per lui, non varrebbe nulla. Or Vedi là virtù della penitenza quanta è, che quello che non possono fare tutte queste cose, la peniten- za il fa incontanente; onde incontanente che l'uomo è pentuto del peccato, ènne dolente per amore di Dio, e mai nollo vorrebbe avere fatto; incontanente 130 questa penitenza l'ha liberato dalle pene del ninferno, e hallo restituito ai beni del paradiso. Or vedi che cosa è questa penitenza. Non guata Iddio a queste cose corporali, no: e' l'ha per nulla. Vedi da quante parti si mostra la viltà delle cose corporali ! Per nulla l'ha Iddio. Più vale una contrizione di cuore, che tutto questo mondo, e che C.'" mondi, e quello può fare e opera, che tutti questi mondi non po- trebbono fare. Vedi quanto piace a Dio il cuore con- trito, e come è preziosa cosa dinanzi a Dio , più che mondi ! E se tu dicessi: Or come mi di', che a ricomperamento di peccati non vale la pecunia, né fare limosine? Or non si legge che fu detto a Na- bucco:Ricompera le peccata tue per limosina? Per lo peccato hae l'uomo due catene, una in questo mondo, e una in cielo, e può essere sciolta l'una e non l'al- tra. Quando io tolgo lussuria sono legato di due ca- tene: a Dio e al prossimo; e cosi è di tutti i pec- cati: tutti hanno due catene. S'io rendo lussuria, sono libero dell'una catena, di quella del prossimo, ma non sono libero di quella di Dio ancora, insino ch'io non mi confesso. Così ti dico: vale la limosina a quelli ch'è in peccato, non a vita eterna, non a peccati li- berare, ma vale a cose temporali; che gli ne dà Id- dio più, ed è guardato da tribolazione. Così fu di Na- bucco: ch'egli era minacciato da Dio,che sarebbe cac- ciato del reame, e viverebbe come bestia tra le be- stie; e però li fu detto che le ricomperasse • cioè campasse quella temporale sentenza per limosina: e in questo modo la limosina libera da molti legami che l'uomo hae col prossimo, e da molti mali tem- porali.-Molte altre cose e disputazionì assai hae in questo membro, le quali lasciamo. 131 La quarta cosa sì sono le virludi delle cose, e che la penitenza passi e vinca tutte le virtudi di tutte le cose di questo mondo. Questo si potrebbe provare per molte ragioni: le quali lasciando tutte l'altre » direnne ora una o due. Dico che la peni- tenza passa tutte le creature, d'erbe , di lapidi , e d' ogni altra cosa. Molte sono le pietre pre- ziose , e catuna hae sua virtù dall'altre , e ta- lora ne ha più. A dire le virtudi di ciascuna pietra sarebbe una lunga storia. Ma dicesi ch'è una pietra, la quale hae in sé la virtù di tutte l'altre pietre, ed è, secondo che dicono i savi, questa lapide intra l'al- tie, siccome il leone tra l'altre bestie, e siccome l'agu- glia [sic] intra gli uccelli. Questa si è il carbuncolo, che si chiama rubino, eh' è lucente come carbone, e luce di notte ; questa lapide dicesi e' ha in sé tutte le virtudi dell' altre pietre. Dunque sarebbe meglio ad avere questa, che avere tutte l'altre, però che portarne tante addosso ti graverebbono e rom- [)ercbberri la borsa. Meglio è dunque quella una eh' è più leggieri, e hae altrettanta virtude. Così è dell' erbe: catana ha sua virtude, e sono molte le virludi dell'erbe: che n'è un grande libro, e non vi sono però tutte, che hanno virtù contra tutti i ma- lori e veleni. Chi avesse una erba che avesse le virtudi di tutte, or che gioia sarebbe questa! Or non sarebbe meglio eh' averle tutte ? Siccome si dice di quel frutto, eh' è nel paradiso delitianim, che ha in se le virtudi di tutte erbe e pomi, che chi ne mangiasse mai non morrebbe; or che van-ebbe un cotale pomo ? Non si potrebbe comperare. Or mi di': tutte queste cose sono fatte per lo corpo, per la 132 salute del corpo: il corpo è fatto per l'anima, sic- come il calzaio per la gamba. Non è fatta la gamba per lo calzaio, no: ma il calzaio per la gamba. Così il corpo è fatto per l'anima, né più né meno co- me'l calzaio per la gamba. Non siate sì matti, che credeste che V anima fosse fatta per lo corpo, no, non voglia Dio- Dunque se tutte le dette cose sono fatte per lo corpo, e il corpo è fatto a servigio del- l'anima, dunque tutte le dette virtudisono fatte a uti- lità dell'ani ma, a suo servigio- Ecco che la virtù della penitenza passa tutte le virtudi, ed hae in sé le vir- tudi di tutte le cose, però che ti dà salute, liberati dalle pene del ninferno, e datti salute eternale; che mentre che 1' hai e lienla, mai non puoi perire e se'sicuro da'pericoli, e più ti vale, che non ti var- rebbero tutte le gemme e pietre a un tratto, se l'avessi. Come dovremmo dunque tenere cara que- sta preziosa gemma, che vale più che tutti i tesori di questo mondo ! Oh, che belle cose sono queste e come sono care ! Cose nobilissime sono. Potremmone ancora assegnare un' altra R. Il fuoco è la più potente cosa di questo mondo, e non è cosa che '1 vinca o vincere possa; ben è vero che ta- ìpm l'acqua lo spegne: questo è quando l'acqua fosse molta, 0 '1 fuoco fosse poco- Ma l'elimento del fuoco non si potrebbe vincere. Vedi che '1 fuoco consuma e vince, e mettesi sotto ogni cosa e fanne pur cenere, tanta è la potenza sua. Ma ancora ci ha uno più forte fuoco, quello dello'nferno; troppo è più forte quello che questo,però che quello arde non solamente i corpi, ma li spiriti. Onde troppo volentieri vorrebbono i demoni, se potessero stare nell' elimento del fuoco, 133 grande diletto sarebbe loro, non avrebbono nullo male: molto volentieri s' appaghcrebbono di stare altresì nel fuoco della pentola tua , non avrebbero danno. Ma il fuoco del ninferno è si forte ed è di tanta potenza, che non si potrebbe dire. Se allato al mare fosse un grande fuoco, ben lo vincerebbe il mare: tanta è l'acqua, cbe ogne fuoco di quaggiiì attuterebbe. Ma vedi cbe fuoco è quello del ninferno ! È sì forte, che se tutto 'Imare ci fosse entro, non solamente nollo spegnerebbe, ma nollo refrigererebbe pur un poco, e tutto '1 mare non ne spegnerebbe una favilla. Or vedi grande cosa or ti voglio mo- strare, la virtù della penitenza come passa tutte le virtudi di tutte le cose di questo mondo; che non si potrebbe dire, non dico mare, no, ma una sola la- crima di dolore del peccato, che vegna di buon cuore, sola una (vedi virtiì ha!) ha virtù dì spegnere e attutare tutto '1 fuoco di ninferno a un tratto: e se viene bene, di buona contrizione pofetta, non solamente quello del ninferno, ma quello del pur- gatorio. Vedi mirabili cose che sono queste! Sono tutte gemme preziose queste parole: vale l'una uno tesoro- Non sono parole affaitale, ne appiastrate, no, ma veracissime. — Per molte altre ragioni si prova questo ultimo membro, le quali lasciamo. Dovemo dunque udire queste parole, non gittarle via, no, ma ritenerle in noi. E che ne dovemo fare ? confessarci e stare in penitenza, e staie netti: che questo è il maggiore tesoro che Iddio possa dare in questo mon- do, la penitenza. E però disse frate Giordano : Conforto io così le persone, chiunque viene a me che si confessi spesso, tanta è l'utihtà. Deo gralias. 134 Intorno alla vita ed alle opere di Grisoslomo Colnnna da Caggiano pontaniano accademico. Ragionamento di Giuseppe Aiigelluzzi. u. 'no de'più illustri letterali napoletani, che onora- rono il nostro regno ed appartennero alla insigne accadennia del Fontano lui vivente , certo fu Cri- sostomo Colunna da Caggiano (I) terra in Princi- pato citeriore. Ignoto quasi insino agli ultimi tempi , per es- sersi o appena o malamente rammemorato col so- lo nome di Crisostomo , da scrittori regnicoli ed oltramontani , dobbiam saper grado alle cure del nostro eh. signor Michele Tafuri, non ha guari de- funto, per aver tessuto il primo un accurato cenno della sua vita , per (pianto almeno il comportava una nota nella sua lettera indiritta a suo fratello Giuseppe arcidiacono della cattedrale di Castella - neta, e che serve di prefazione al dotto libro sulle Monete cufiche (2) del chiarissimo signor principe di San Giorgio Spinelli, attuale direttor generale del mu- seo reale Borbonico. (1) Che fosse egli nativo di Caggiano, chiaro apparisce dal suo testamento e da altre autentiche pergamene che si conservano dai suoi discendenti. (2) Il titolo dell'opera è: Monete cufiche battute da' principi longobardi, normanni e svevi nel regno delle due Sicilie, interpre- tale dal principe di S- Giorgio Domenico Spinelli e pubblicate per cura di Michele Tafuri. Napoli, stamperia dell' Iride, 1844, in 4 grande, in huona carta e splendida edizione, di 260 facciate. 135 Pria però del Tafuri un illustre letterato del nostro paese avea dato attesamente opera a fru- gare in vecchie carte e pergamene quante più no- tizie il riguardassero: e questi fu il commendatore marchese Arditi, il quale fin dal 1803 divisava d' il- lustrarne le geste con un particolare lavoro ; ma sventuratamente il frutto delle sue lunghe ed inde- fesse fatiche all'uopo durate, per non saprei quali infauste cagioni, poscia non piii vide la luce (1). Or datomi anche io da qualche pezza a raccorre dove che sia tutte le possibili memorie attinenti alla vita onorifica e letteraria del nostio Crisosto- mo, mi è mestieri confessare ad onor del vero che (1) Veramente l'Arditi non si occupava solo dtl Coliinna, del quale avea raccolte tante scritture e documenti per compilarne la vita, ma erasi altresì dato a tutt'uomo a frugare in vecchie carte e pergamene quante più riposte notizie potè sui ponlaniani acca- demici ed altri insigni letterati di quella stagione, che meritano di essere raccomandati alla memoria de' presenti; fra le quali carte c'erano molti mss. inediti del Galateo. Perchè non abbiano questi documenti dappoi veduta la luce, io non saprei che mi dire. Certo é che il Colangelo fin dal 1819 facea voti che ne avesse l'Arditi fallo uso a vantaggio della pa- tria letteraria. V. Colangelo, Fila di Giacomo Sannazaro, poeta e cavaliere napoletano, 2. ediz. Nap. 1819, in 8, pag. 49, 51 e 52, nelle quali si dice che molte di queste importanti carte e mss. avea egli acquistati dal eh. signor Vincenzo iVIeola e dagli eredi del marchese signor Francesco Orlandi; non che v. lo stesso autore nella Fila di Antonio Beccadelli soprannominato il Panormita , pag. 187, in nota, Nap. 1820, in 8, ed il medesimo Lorenzo Giu- stiniani ne'snoi Tre rarissimi opuscoli ec , pag. 57, il quale discor- rendo della vita del Galateo, che l'Arditi avea promesso di com- porre, dice di avep egli annunziato questo lavoro sin dal 1788 Fo voti che i parenti dell' Arditi, che sicuramente dovran possedere questi preziosi monumenti, vogliano indursi a darli alla luce, pubblicandoli per le s(ampe. 136 di quanto io ne dirò , eccetto ì documenti da me rovistati e le mie particolari conghietture, parte il debbo alle indagini del Tafuri, parte ad alcuni schizzi lasciali inediti dall'Arditi (1), e parte agli studi su parecchi insigni pontaniani accademici ed altri let- terati di quella stagione fatti dal nmio cortese e dot- tissimo amico signor conte Vito Capialbi da Mon- tfìleone, il cui risultamento il valentuomo pria di morire mi scrivea di voler pubblicare per le stam- pe (2), e parte in fine alle incessanti e dotte co- municazioni letterarie dell' eruditissimo mio buon amico e padrone sig. Agostino Gervasio , capo di (1) Io intendo parlare di un picciol cenno della vita del Co- lunna tessuto al 1803 dall'Arditi, e di quattro sue lettere indiritte dopo quel tempo all'egregio sig. Crisostomo Colunna anche di Caggiano e discendente dall'illustre pontaniano, che con altre carte di quella famìglia, ora stanziata in Pertosa, presso di me conservo per essermi state inviate dal gentile signor Carlo Colunna, nipote di lui, son circa tre anni addietro. (2) Pe'Iavori su'pontaniani ed altri letterati e cospicui perso- naggi che fiorirono tra noi verso il declinare del XV al principio del XVI secolo, il Capialbi avea con ordine disposti molti mate- riali per tesserne delle memorie. Tra le quali, quelle clic più gli stavano a cuore, e che sarebbero anche prima uscite forse alla Ince, riflettevano il celebre Antonello Petrncci, di cui avea raccolti non pochi sonetti inediti, e sì proponeva in esse di dimostrare con documenti attinti dagli archivi che il medesimo non fu mai veramente ribelle, e che morì con la morte che a'I'elloni si addice sol per l'invidia degli emuli, suoi contemporanei Oh qual gradito dono farebbe alla patria erudizione il suo degno e gentil figliuolo Antonio se volesse egli stesso distenderle , o permettere almeno che altri desse alla luce que' preziosi monumenti che costarono all'onorevolissimo e dotte autore tante diurne e dispendiose ri- cerche.' V. il 3 voi. degli Opuscoli vari del precitato Capialbi , Nap. 1849, in 8 pag. 262, 296, 298, 322 e 364, nonché le sue Memorie di Rutilio Zeno e Aurelio Bienato, Nap. 1848 , in 8, pag. 31. 137 ripartimento del rea! ministero e segreteria di stato dell'interno (1). Non pelò di meno, mio scopo essendo di dis- seppellir ài^Wa tenebre, il pili che mi sarà possi- bile, l'oscura vita di un personaggio che tanto onora la mia provincia, raggranellando in picciol cenno le pili importanti notizie che trovansi sparse do- vunque sia; io non credo di poter fare un lavoro perfetto, ma solamente mi auguro d'incitar altri più di me fortunati ed eruditi a sopperire ai vuoti da me lasciati mio malgrado per mancanza di al- cuni documenti, e ad emendare gli errori in cui avrò potuto trascorrere, ed un dì recarloa compimento. Egual voto io fo per vedere al più presto possibile pnbblicata per le stampe dal doltissimo «ig. Giuseppe Taccone marchese di Sitizano l'inedita opera del celebre Giuniano Maio pontaniano ac- cademico e maestro del Sannazaro, intitolata De maiestale: della quale egli possiede l'originale ms. in pergamena che un dì appar- tenne a Ferdinando I d'Aragona, cui fu dedicala sul declinar del suo regno. Avendo il Taccone latto già ridurre in bei contorni,- per farsi di ragion pubblica, le preziose miniature che adornano quel vqlume, esprimenti le gloriose geste del precitato sovrano, come mi ha gentilmente fatto intendere per mezzo dell' egregio e cortese mio amico signor Francesco Saverio Palomba; é a sperare di vedersi allora con sue dotte chiose illustrati non pure i basso- rilievi della porta di bronzo di Castelnuovo , ma altri pregevoli monumenti del periodo aragonese, di non poca importanza pe'fatti cui sono allusivi e pei costumi di quella stagione. V. Capialbi, ibid. pag. 294. (1) Quest'onorevolissimo e benemerito nostro letterato ha senza alcun mistero o riserva messo a mia disposizione non pure i suoi preziosi libri e mss: inediti, ma bensi le non poche memorie da luì raccolte da molti anni in ordine a' pontaniani e ad altri insignì letterati e personaggi che vissero al tempo degli aragonesi e in quel torno , incoraggiandomi con rara cortesia a condurre questo lavoretto al suo termine. 138 Grisoslomo Colunna , di cui non si conoscono ancora né i nomi de'genitori né i primi studi, nac- que verso il 1460 in Caggiano, terra della provin- cia dì Salerno, distretto di Sala: vestì abito eccle- siastico ed ascese al sacerdozio. Uomo di tutte let- tere, fiorì nella fine XV al principio del XVI secolo, e si distinse anche nel maneggio degli affari che gli furono affidati , usando nella reggia di quegli ultimi e dotti nostri re della stirpe Aragonese. Dopo la morte del re Ferrante li, figliuolo di Alfonso II d'Aragona o il Gj/emo, avvenuta al 1496, fu scelto dal gran Federico d'Aragona, che era suc- ceduto al trono di I\ai)oli , a maestro e segretario del suo figliuol Ferrante duca dì Calabria (1), e M) Che Grisostomo fosse stato maestro di Ferrante, può in- ferirsi dalla lettera indirilla dal re Federigo al nostro Grisostomo col datum NeapoH, ultimo mensis iunii MCCCCLXXXXVIll , ri- portata dal eh. Capialbi nel 3 voi. de'suoi Opuscoli vari, pag. 248, Napoli, dalla stamperia Porcelli , 1849 , in 8 , e che mi piace di riferire a pie di pagina (a), non che dalla lettera del Galateo ad Ferdinandum Calabriae ducerti pubblicata dall' em. cardinal Mai nel T. Vili del suo Spicilegium romanum , e dal sig. Michele Tafuri nel voi. 2 delie. Opere de'suoi antenati ec. dalai ristampate ed annotate, Nap. 1851, in 8 gr. pag. 204. CFie fosse stato poi il medesimo anche segretario del precitato Ferrante, apparisce dalle lettere che quel giovine principe scrivea al 1501 dal castello d'i Taranto a Baldassare Milano , citate dallo stesso Capialbi, ibid. pag. 249. (a) Chrisostomo: havemo riceputo vostra lectera, et per quella inteso li boni modi servati per lo illustrissimo duca, et de la virlu soa: ne stmo rimasti con grandissimo piacere et ia lo marchese de Martina ce ne ha .scripto: actenderite cum omne diligentia et cum piacere al suo imparare de modo che continuo vada avanczando et con quella sollecitudine che da voi speramo. — Datum Neapoli ultimo mensis iunii MCCCCLXXXXVIIt —JRex Federicus. — fitus Pisanellus — Chrisostomo. 139 tioviìiidosi col suo illustre allievo alla difesa di Ta- ranto , fu con real diploma de' 7 luglio 1501 dal medesimo a nome del re Federico suo padre investito della dignità di tesoriere (1) della insigne real basilica di S. Niccola di Bari, che allora vacava per la morte di Antonio Perillo; nobile posto, nel quale fu poco dopo confermato con diploma del 12 gennaio 1502 dal gran capitano Gonzalvo di Cordova (2) in nome di Ferdinando il Cattolico (3). Indi il Colunna seguendo 1' augusto suo allievo profugo in Barcellona , dove pare che si trat- tenesse insino al 1506 , fu riguiderdonalo con isplendidi assegnamenti : ed avendogli diman- Infìne sì Tuno che l'altro titolo risultano eziandio dalla real carta onde Crisostomo ottenne al 1501 la dignità di tesoriero della real badia di S. Niccola di Bari, con la giurisdizione civile , gli onori, i frutti, ed altre prerogative annesse alla medesima. (1) Copia autentica di questo diploma, che ha il datum in ca- stello civitatis nostrae Tarenti, die FU mensis iulii anno incarna- tion'ìs Domini millesimo quingentesimo primo, estratta a'24 maggio del 1686 dal reg. 42 de'quinternioni della regia camera, fol. 197, conservasi presso di me tra le altre carte cortesemente inviatemi dal sig. Carlo Colunna di Pertosa. (2) Copia di questo diploma di conferma l'illustre Àrditi in una lettera de'28 gennaio 1804, ìndiritta a Crisostomo il giovane, diceva di conservare presso di sé. (3) Quanto quindi s'inganni il Beatillo, che nel discorrere del nostro tesoriero Colunna, che lasciò alla chiesa di S. Nicolò di Bari una cappella intiera in color cremisino che é per ogni parte listata d'oro (alludendo forse alla cappella di S. Caterina, fondata dal nostro Crisostomo in detta chiesa priorale jcol dritto di poter psesentare un rettore, come da altre pergamene che io conservo), il denominò Christoforo Colonna cavalier romano , lascio che il giudichi l'erudito lettore. V. Beatillo, Historia della vita, miracoli, traslatione e gloria di S. Nicolò arcivescovo di Mira e protettore della città di Bari, al cap. 29 del lib. 7, Palermo 1672, in 4. 140 dato di continuare neiresercizio della sua carica qualora avesse ricuperato il regno di Napoli , il duca Ferrante con rescritto di proprio pugno in data de'6 settembre di detto anno, spedito da quella città, lo assicurò non solo di quanto gli avea chie- sto, ma gli assegnò eziandio per sé e suoi succes- sori in perpeluum annui ducati mille in remunera- zione de'suoi lunghi e fedeli servigi (1); concessione (l) Che questo fosse stato il contesto del menzionato re- scritto, apparisce da alcuni brani di memorie sul Colunna il vec- chio, lasciali da Crisostomo il giovine, che io conservo tra le altre carte di cui mi ha favorito il sopraccitato suo nipote D. Carlo, A proposito poi di questo diploma, che l'Arditi el)be original- mente da esso D. Crisostomo e che credo non gli avesse più re- stituito dappoi, mi par qui luogo proprio il riportare uno squar- cio di una lettera del suddetto Arditi, indiritta al nostro Griso- storno, in data de' 23 febbraio 1804. « Ho ricevuto ( egli scrivea ) la bella caria che vi siete com- piaciuto di trasmettermi, e già a prima occhiata ho corretto la co- pia, da voi altra volta con ugual gentilezza inviatami. 'k Quanto mi è piaciuto di veder il carattere dell'egregio Cri- sostomo ! poiché suppongo che di suo carattere sia scritto il breve memoriale, anche per qualche espressione che vi leggo, detta con non so qual gergo che dovea solamente esser inteso dal suo buon padrone e da lui. 0 Io mi sento inclinato a farlo incidere in rame, onde i let- tori veggano a suo tempo e gustino un saggio del suo carattere, e sì pure veggano il carattere del bravo duca di Calabria Fer- rando i ma poi me ne risolvere meglio, Per questo riguardo or lo detengo appresso di me ; pronto per altro a reslituifTeltì' alla prima vostra richiesta ecc. ecc. *. In fine, chi volesse conoscere i caratteri dell'infelice Fer- rando potrebbe leggere in Napoli , in casa dell' ornatissimo si- gnor cav. Stariislao Barracco , tra i non pochi ed importanti di- plomi inediti de' principi Aragonesi , attinenti alla sua famiglia , che molta luce potrebbero spargere sulla istoria di quel periodo, pubblicandosi , un alberano in data di en santa maria del campo a di xyn de septembro 1506, sottoscritto di proprio pugno 141 che non ebbe poscia il suo effetto per le fortunose vicende de'tempi e per le disavventure della fami- glia regnante. Ed in effetti, conchiusa la pace tra la Francia e la Spagna nell'ottobre del 1505 (1), è da sup- porre che disperando il duca ( rimasto già privo del suo genitore, trapassato l'anno antecedente nella città di Tours nella Francia ) di più ricuperare il regno paterno , abbia permesso al Colunna di as- sentarsi dal suo servigio e di ritirarsi in Napoli verso la fine del 1506, non potendosi credere di averlo potuto far prima della data del precitato re- scritto (2). Ad ogni modo pare che il Colunna, oltre alla dignità di tesoriero della real basilica di S. Niccola di Bari, fosse stato investito anche di quella di ar- cidiacono della cattedrale di Bitonto e di parroco ad un tempo della chiesa di S. Luca di quella stessa città, potendosi a que'tempi, prima del concilio di Trento, mercè dispensa pontificia che esentava al- trui dall'obbligo della residenza, conferire agevol- mente pili benefizi ad una sola persona. Dappoiché del duca , singniato de nostra mano et sigillato del nostro sigillo secreto, col quale quel principe prometteva l'investitura del feudo o castello et terra de eboli ( mia patria ) al signor Joan Barracca qualora sempre che N. S. Dio ce farra grada redurece al nostro regno. Debbo la conoscenza di questo diploma in pergamena alla squisita cortesia del mio carissimo e eh. amico cav. Cesare de Sterlich. (1) V. Muratori, annali, An. 1504 « i&Qa. (2) Che se si vuol dire di essersi Grisoslomo trattenuto nelle Spagne tusiuo alla morte dell' infelice duca di Calabria, che fu si 142 da una bolla di Giulio papa II, spedita al 1506 (I), si appieude che avendo egli rassegnato Varcidiaconato e la parrocchia suddetta nelle mani del papa, n'eb- be in cambio da un Berardino de Lauris la infer- meria della chiesa di Castellaneta, con ìa chiesa di santa Caterina di quella slessa città , ed una per- petua cappellania eielta nell' altare di S. Giovanni di essa chiesa, oltre ad un assegnamento vitalizio di ducati quindici di moneta di regno, da sborsar- glisi ogni anno nel dì dell'assuzione di Nostra Donna: la qual permuta ebbe coH'apostolico assenso il suo effetto. Ma in qual preciso mese ed anno fu fatto il Colunna arcidiacono e parroco di Bitonto, e per quanto tempo tenne la infermeria summenzio- nata, non mi è stato dato di conoscerlo ancora da altre testimonianze che io mi sappia (2). E qui il Tafuri soggiugne, che ritornato nel regno si pose Grisostomo a'servigi d'Isabella d'Aragona , figlia di Alfonso li o il Guercio, e duchessa di Mi- lano e di Bari, ammaestrando nelle latine lettere la di lei figliuola Bona Sforza (3); che sua mercè prematura , non mi pare che si possa ciò affermare in mancanza di sicure testimonianze che il contestino. (1) Di questa bolla si fa menzione dall' Àrditi nelle soprac- citate sue carte inedite autografe che io conservo: e credo che il solo nome di questo valentuomo dovesse per gli eruditi bastare a suggellarne la verità, conoscendosi altronde con quanta coscienza era egli solito di allegare de'documenti in appoggio dalle sue opi- nioni letterarie, (2) Per illustrar queste ed altre notizie, non ho mancato di rivolgermi per via dì lettere ad eruditi uomini di quelle contrade; ma costoro, contra ogni mia aspettativa, non mi ban nemmeno ono- rato sinora di loro risposte. (3) Farmi che ciò possa di leggieri inferirsi da alcune parole | i 143 si concluse il matrimonio di lei col re di Polonia; per lo che opina di aver impreso un viaggio per que'luoghi che lo tenner lontano dalla patria per lo spazio di sedici mesi (1), e di averne riportato non lieve dono in monete d'oro; che poscia fu eletto da Isabella suo ambasciadore presso Carlo V; e che in fine cessò di vivere verso il 1539 , trovandosi dopo di un tale anno nomitato il suo successore alla carica di tesoriere (2). Ma le prove che egli adduce in sostegno di alcune delle sue asserzioni non essendo, come egli stesso confessa (3) , che i diplami co'quali se gli conferì la carica di tesorìeroy ed il suo testamento scritto in elegante latino al 1529, lascio che giudichino gli eruditi se queste notizie della lettera del Galateo od Aonrtwi >9/orer tenere un dì, come loro accadde , il canìpo quegli nell'antica fìlosotìa e questi nella geometria? Lascio, o giovani, le antiche; vengo a più moderne ricordanze. Ebbe forse, non dirò in Italia solamente, ma nel mondo, ebbe un filosofo nel passato secolo, ha nel nostro uno scrittore, il quale possa a Giam- battista Vico ed a Giacomo Leopardi entrare in- nanzi? E avvegnaché assai poveramente l'uno, e non pur povera, ma infelicissima eziandio traesse l'altro la sua vita, fu mai filosofo tuttavia, fu mai scrittore, che meno di quelli rimettesse un punto dell'amore della sapienza e del perfetto scrivere? Dipoi quando tra me medesimo alcuna volta penso, che cosa mai abbia tra noi più potuto indurre a seguire con molta gloria gli umani studi , se la nobiltà del sangue, se i riechi patrimoni , se le agiatezze della vita di coloro, i quali meglio di qualsivoglia altro uomo ebbero facoltà di darsi alla dottrina ed all'eloquenza; ovvero la povertà de'beni di quaggiù e le sventure dell'uman vivere, che incontrarono a chi tutto si mise in quegli studi : e considerando io che non colui, il quale fece la vita nelle braccia di assai 181 lieta e comoda fortuna , ma chi si dovè questa molto dura e veramente matrigna comportare, tanto più si accese nell'amore delle lettere e dello scienze, e tanto più si alzò sopra gli altri; non solamente la ragione, ma gl'infiniti esempi della storia , mi tirano a giudicare che nulla di meglio può all'uomo savio e costante amatore de'buoni sludi accadere , che nascere, o vivere in poco agiata, o non allegra vita. Alla quale umile, o contraria fortuna, meglio che ad un'alta e felice, sogliono la filosofia, la storia, l'eloquenza, la poesia e tutte le altre nobili e mec- caniche arti attribuire la somma dottrina e la squisita bontà e la perfetta eccellenza loro. Laonde parnii avere con assai viva e sapiente poesia la greca antichità manifestato un grande vero, allorché favoleggiò di Ercole, che vestendo solo una pelle, ed appoggiandosi a quel suo rozzo bastone, fu di Giove figliuolo, vincitor del mondo e semideo. 16. Né qui debbo tacitamente passarmi, o gio- vani studiosi, anche di questo, che cioè per ingiusto giudicio, 0 non abbastanza dritto, possono i mezzani ingegni e le opere mediocri, anzi che gli ottimi e le perfette, ricevere i primi guiderdoni e i primi onori. Conciossiachè farebbe duopo , che il giudice rimeritando la sapienza e la perfezione delle arti , fosse uomo di assai felice ingegno e molto fina let- teratura, e non pronunciasse mai con qualche mo- vimento di animo, ma solo con giustizia ed onestà, la sua sentenza. Il che suole accadere diversamente. Poiché quale ignora, che molto più spesso giudica l'uomo le cose per odio, o per invidia, o per be- nevolenza, 0 per timore, o per errore, o per igno- 182 lanza, che non per verità? A Pindaro poeta eele- bratissimo, e che di fama e di valore ebbe avan- zato qualunque altro che cantò al suono della lira, fu cinque volte nelle contese poetiche antiposta Corinna. Nondimeno che i giudici di quelle vittorie movesse anche la bellezza maiavigliosa della poetessa tebana , lo ci narra Pausania. Fu ne' beati secoli della Grecia anche gara di premio tra' poeti tra- gici; e Sofocle, che sopra gli altri competitori in (|uella sorte di poesia aveva già riportate venti co- rone; Sofocle, cui l'antichità leputò il più stupendo autore di tragedie, e cui nomava per antonomasia l'Omero della tragedia, siccome l'antico poeta di Snìirne il Sofocle dell'epopea, un dì combattendo di aveie il palio e la corona, recando la perfettissima opera sua, che Aristotile appellò norma delle tra- gedie, l'Edipo re; non egli , ina certo Filocle ate- niese, ne uscì coronato. Pose Roma sopra il capo di Francesco Petrarca il poetico alloro già in Cam- pidoglio, non a premio immortale degli elegantissimi e soavissimi italiani canti di lui, ma di certo suo Ialino poema, lavoio assai mediocre, o troppo da meno dell'ingegno del grandissimo aretino poeta, e non per altro cadutoci della memoria, l' Affrica chiamato. E chi di voi contro all'età dell'Alighieri non si adira forte dell'aver ella di poetici lauri in- coronato non colui che pose mano a scrivere la di- vina Commedia, ma non so qual bergamasco Bonat- lino, e certo Musatlo, ed un Convenevole da Prato, se io l'ho bene a mente, le cui poesie insieme coi nomi di quelli ha il tempo già con diritto messo in obblio? 183 17. Dipoi qual lode e quale ricompensa stimate voi si potesse fermare, o render pari al merito ed alla fama degli uomini sapientissimi e perfettissimi scrittori, come ad Omero, a Pindaro, a Sofocle , a Virgilio, a Dante, ad Erodoto, a Livio , a Platone, a Demostene, a Tullio, al Boccacci ed agli altri, che nel grido della lingua volarono come aquile sopra lutti? Se Omero fé' piangere d' invidia il giovane Alessandro \h nel Sigèo, quali premi ferinate voi, che dal generoso conquistatore dell' Asi;» avrebbe quegli ricevuto, quando, se stato fosse all' età del re macedone, avesse non del figlio di Peleo, ma di Filippo, cantate le piiì grandi imprese? Ma di quali Indie e di qual Gange e di quai mari avrebbe tratto Alessandro l'oro e le gemme da presentar degna- mente il sovrano poeta? Se la Sicilia , rotto e di- sfatto Nicla, die vita e libertà e generoso ospi'-^io a quegl'infelici e incatenati cileni , che poterono grandemente dilettarla recitando versi di Euripide; che avrebb'ella donato sì da appareggiare al me- rito del tragico poeta di Salaniina? Se a cessare gli odi e le grandi inimicizie, che tra Cosimo dei Medici e il re Alfonso di Napoli erano in piedi da lungo tempo, fu cagione bastevole un manoscritto di Livio, che l'uno inviava in dono all' altro ; che avrebbero porto i due magnanimi principi italiani ed amatori caldissimi delle antiche lettere latine al grandissimo storico padovano in premio degno degli immortali suoi libri? Ma niuna lode, niuna ricom- pensa certamente si può trovar degna del valore degli eccellenti scrittori, salvo quella ed onestissima ed immortale, che col tragrande ingegno loro, colle 184 incredibili fatiche e coll'arto squisitissima ei si con- quistarono appo gli uomini tutti, cioè la gloria. 11 perchè molto dii'ittamente V antica Grecia e Roma sogliono additare come i \ì\n beili e più durevoli monumenti della gloria loro nazionale non le su- perbe città, non i re porporati, non essi medesimi trionfi de'Cesari, ma i piiì chiari loro poeti ed ora-^ tori e storici e filosofi; per cui quelle vivono ancora, ^ saranno in fanja e ammirazione della piìi lontana posterità. Vedete, o giovani, grandezza, vedete no- biltà e gloria , che suole a' sommi scrittori se- guitarelAltri e molti esempi qui potrei davanti porvi per dimostrare, che i premi e gli onori senza più, o perchè mancarono in tutto alle umane lettere, o perchè furono porti a mezzani ingegni, o ad opere di meno grido , o perchè non possono pareggiare il valore e la gloria degli scrittori, non ebbero, né aver possono tanto potere di eccitar noi di forza a'iiberali studi ed alle gravi e non mai dimesse fa- tiche loro. 18. Per contrario la storia della moderna e antica letteratura ci ammaestra veramente quanto ad ot- tenere la somma lode nell'eloquenza valga l'uso non mai interrotto dell'apprendere e la fatica dello scri- vere ad imitazione de'classici autori antichi senza mai restare, e quella viva e salda fiamma di amore, senza cui sì nell'umana vita nulla di grande e sin- golare , e SI quello che ora qui cerchiamo , ninno in vero può conseguire. Poiché sono le lettere e le belle arti sommamente gelose del nostro amore: e si vuole intender loro senza spargerci coll'animo e cogli affetti mai fuori di esse, o conviene uscire di 185 • speranza della loro altezza. Né vi paia che io dica questo quasi per esortare ed incitar voi, miei cari giovani, allo studio ed alla fatica assidua, e quinci unicamente trarre ciò che Tuniversilà dei>li uomini osa di avere da' premi e dagli onori: ma perchè io porto fermissima opinione, che solo questa via possa là menarvi, dove i desiderii vostri già vedo essere collocati. Se dunque dalla storia vogliamo prendere ammaestramento delle vere cagioni , onde nacque r eccellenza delle nohili arti ; se con molto studio noi dobbiamo brigarci d'imitar quelli, a cui deside- riamo essere somiglianti, è duopo che ci mettiamo innanzi agli occhi non la maniera del vivere e de- gli studi, cui seguitarono i volgari e mediocri uo- mini, ma quella di coloro i quali di fama e bene adoperare trapassaron tutti. In somma non dobbiamo essere intenti sempre e solamente fisi a rimirare le statue e le immagini degli uomini sommi ; ma con- viene anche volgere lo sguardo al cammino , che quelli tennero per venire nell'ammirazione de' po- steri : non dobbiamo solo guardare le corone e le palme e le allegrezze delle altrui vittorie; ma con- viene pure seguir cogli occhi i travagli e le mole- stie ed i sudori del corso aringo : non dobbiatno anche noi solamente battere le mani ad applaudire il grandissimo vincitore, e gridare appresso a lui : Oh ! bene : oh ! viva : oh ! prode sopra ogni altro : ma conviene accenderci di emulazione a poggiare anche noi al suo valore, e cogliere un giorno gli stessi allori e inghirlandarcene il capo: e le altrui corone debbono appo noi tenere il luogo di nobili sferze, le quali battano generosi destrieri, avidi non di poi- 186 tiire in comodi stallaggi e andare attorno sola- mente per pili libere e fiorite campagne senza prode al mondo e senza gloria, ma vogliosi dell'aringo e di avere il palio, avvegnaché di fatiche e di peri- coli e sudori ci sia tutto pieno. 19. Laonde se è bisogno di cercare il modo, a cui si apprese chiunque aell'attendere a'Iiberali studi già venne al sommo, troverete di continuo ch'egli si meritò tanta gloria colle innummerevoli fatiche e coli' esercizio costante in quegli studi", a che si diede dall'adolescenza infino alla vecchiezza, e non perchè i premi e le mercedi ve lo spignesscro. E per verità ninno di voi ignora, che principi dell'ora- toria eloquenza furono, ed ancor sono, Demostene e Cicerone. Or ambedue questi sono da portare alle stelle, tra perchè di assai e grandi beni alla Grecia ed a Roma furono operatori , e perchè principal- mente sorsero esempio mirabilissimo del come bassi a procacciare la prima lode nell'oratoria. Concios- siachò non dubito che l'uno e l'altro ebbe da na- tura sommo ingegno : ma non posso abbastanza maravigliare, che ninno di loro pose nella qualità dell' ingegno pili che nella grandezza delle fatiche e nella forza de' lunghi e continuati studi le spe- ranze dell'acquistata gloria. 20. Demostene parca spogliato di lutti naturali aiuti ed argomenti da venir sommo dicitore : per- ciocché in lui non dimoravano quelle cose, che sì richieggono all'oratore, la prestezza ed agilità della lingua, la voce, il suono delle parole , il gesto, la persona e 1' ardimento. Ma perchè della gloria era cupidissimo, e sino dal giorno che garzonetto di anni J87 sedici ebbe udito Callistrato favellante per Oropo con grandissimo plauso di tutta Atene, venia tratto come da certo impeto all'eloquenza; superò collo stu- dio e coir industria gì' impedimenti della matrigna natura. Imperocché quando egli si provò la prima fiata di arringare agli ateniesi, non solamente venne contro al desiderio quella sua pruova, ma fu Demo- stene salutato e tratto giù di bigoncia dai fischi e dagli scherni di un popolo, uso a dare le orecchie a più valenti dicitori. Non isbigotlì per questo, nò disperò il giovane da Peania : ma dentro al suo petto accolse un più ardente fuoco di pareggiar tutti i grandi oratori della Grecia. Oh ! benedette quelle ingrate accoglienze, che ti fece, o Demostene , un dì la patria : perchè furon cagione che dopo sì a- maro principio della tua vita letterata , seguitasse fine assai più dolce e più diverso. Oh ! in eterno benedette le non dissimili onte, che nel vivere umano c'incontra spesso di sostenere : perciocché sogliono elle riuscire più di una fiata non altrimenti che una cote , alla quale si aguzzano anche i mediocri in- gegni e le pigre volontà degli uomini, per poi ve- nire quelli sì acuti e queste così pronte, da ristorare non pure le sofferte vergogne antiche, ma onorarle anche di bellissima e non mai sperata gloria. Im- perocché, o giovani studiosi, a quali orecchie non è venuta la fama, che Demostene affinchè ninna cosa fosse, che mai dagli studi il facesse spiccare, si fab- bricò sotterra una cella, e quivi i-icolsesi e si rin- chiuse ? chi non sa che quegli avendosi raso mezzo il capo , solea quivi menare interi mesi, acciocché vergogna di non uscir fuori così ridevole alla gente 188 e conversare con lei , ivi lo ritenesse ? e quunto tempo gli altri cittadini davano all'ozio, a*piaceri ed alle pubbliche e private bisogne, tanto egli quivi spendesse studiando in eloquenza ? Grido è che otto volte copiasse Tucidide , per imitare la forma del dire di questo valoroso storico, stretta e concisa , di sentenze più che di parole abbondante. Tutto era in leggere ed in iscrivere : la memoria esercitava ritenendo che la poesia, che la storia e che la filo- sofia avevano di più bello posto in luce. Avendolo natura fatto nell'animo fuor di misura timido e pau- roso, egli lungo il mare andava declamando ; per- chè adusato a non temere il suono rumoroso de'flutti, non gli atterrassero poi l'animo il tumulto e le grida del popolo convenuto nel foro. Essendo balbo operò sì coH'arte, che niuno meglio di lui potè poscia spe- ditamente pronunziar l'erre e parlare. Che anzi po- stesi pietruzze in bocca, costumava di recitare con voce alta molti versi ad un fiato: ne stando fermo, ma camminando e mettendosi a salire su per alture. Passava i dì e le notti, facendo la voce, il gesto e la persona attissima a ragionare ottimamente : e in- dirizzando anche lo studio alle altre cose , che a perfetto oratore sogliono approdare. Nelle quali fa- tiche e ne'quali studi egli era sì continuo, che forte gli doleva di esser vinto da manuali artefici in le- varsi e tornare all'opere anzi il giorno. Perciò ve- stite nuove e foltissime armi di quella professione a cui era inteso, ritornò al foro : e coll'assiduità , col consiglio e collo studio fu' quivi sì prode com- battitore, che quale dianzi era veramente nuovo del campo oratorio e in tutto disacconcio, tale soverchiò 189 allofa nelìiì valentia del dire la fama de'più solenni maestri di quell'arte; fece di sé Puniversilà di Atene maravigliare; fermò il passo all'ambizione tragrande di conquistare la Grecia, onde il petto del re Filippo era infiammalo ; e con diritto dall'antichità e da noi è salutato principe dell'oratoria eloquenza greca. In vero io dubito che la storia di tutte le antiche e moderne lettere, o giovani studiosi, vi possa un altro esempio mettere innanzi, che di forti e felici studi passi questo del giovane da Peania: e nel quale più apertamente si manifesti quanto potere abbia una ferma e pronta volontà nostra in acquistare, poniamo che arduo e malagevole si paia troppo, che che ella brami, 21. E di Marco Tullio Cicerone chi non sa dalle memorie di sua vita, cui ci ebbero lasciato gli scrit- tori antichi, e da essi medesimi libri suoi, quale uso e quale dottrina e quale studio egli recò all'eloquenza? Di grazia tornatevi a mente, o giovani, quel libro di Cicerone, che viene intitolato Unito, o De chiari oratori ; appiè del quale si fa memoria de'principii e dell'avanzare e dell'educazione di sua eloquenza : lui cioè stato essere fino dalla giovinezza mosso da desiderio maraviglioso d' intendere allo studio : lui da prima avere attentamente uditi i più grandi ora- tori, che fiorivano a quel tempo in Roma: aver ap' preso da Quinto Scevola il diritto civile : avere a- scoltato con somma cura il principe dell'Accademia Filone e lo stoico Diodoto : lui disputare e spesso declamare con Marco Pisone e Quinto Pompeo la« tinamente ed assai più volte in greco : ed ancora che avesse gracilissima persona e corpo infermo, e 190 gli amici Tosortasseio di lasciare un poco lo studio e la professione oratoria, lui nondimeno avere sli- mato meglio di correre quale più grave pericolo si fosse, che partirsi dalla speranza di riuscire valen- tissimo dicitore. Ma non meno per servire alla sa- nità del corpo che al desiderio della mente, vogliosa di abbracciare insieme tutte le altre buone disci- pline utili e necessarie a grandissimo oratore, si recò in Grecia e nell'Asia. Sei mesi fece in Atene usan- dovi con Antioco sommo filosofo dell'Accademia ; e con grande studio quivi si esercitò {)ure con De- metrio Siro, maestro che fu di dire perfettamente. Di quinci mosse a correre l'Asia con accesa brama nel suo sembiante di tutto apprendere che poteva entrare in intelletto umano, conversando solo co'fi- losofì ed oratori di maggior fama. Dipoi si ricon- dusse a Roma carico di sapere, di eloquenza e di filosofia: e continuando gli usati studi , meditando assiduo , ragionando nel foro e scrivendo, fu per senno e per virtù e pub!)lica utilità reputato il più grande aiuto e sostegno della patria ne' maggiori pericoli di lei, e la più bella romana gloria del suo secolo, non che il primo oratore dell'antica Roma. 22. Adunque conviene prendere dalla storia, cari miei discepoli, le ragioni delle umane cose ; e quinci imparare, non da certe opinioni che vanno attorno, ciò che ha l'atto il nome e la grandezza de' chia- rissimi scrittori. Ma i due sommi oratori Demostene e Cicerone, mi dirà forse alcuno di voi, ciano for- temente indotti dalla condizione de'tempi loro a darsi con tanto studio all'eloquenza. Perciocché eglino con questa potevano in quelle loro repubbliche riu- f91 scire di grandissimo aiuto e vantaggio a' greci ed a' romani: perche allora si poteva tutto conseguire da una grande e libera eloquenza ; e questa reggeva ed ordinava i più rilevanti affari di Roma e di Atene. Adunque a Demostene e Cicerone poteva, anzi do- veva essere in luogo di grande premio e di mer- cede anche solo il sentimento di potere tornare utili alle patrie loro coll'eloquenza. E questa concedè loro in fatto il grandissimo premio della pubblica opi- nione e stima, ed ambedue quegli oratori godettero, vivendo , di cosiflfatto guiderdone. - Ma e a' nostri tempi credete voi, che l'eloquenza e Tuso di que- sta nobilissima arte , non possa arrecare a chi la coltivi eguali concetti di riuscire utile alla sua pa- tria e somiglianti premi ? Adunque nel sacro pulpito non si trattano cose più rilevanti che le politiche e civili ? Poiché gli eterni e spirituali interessi del- l'anima non sono foise da porre avanti a qualunque altro umano e civile negozio ? E chiunque sia tocco da verace fede e grande zelo delle anime, egli ra- gionando in peigamo non dee aver l'animo forte- mente commosso a dire con libertà ed eloquenza ? ed a modo che già soleano fare un Basilio, un Cri- sostomo , un Nazianzeno , un Cirillo ed il nostro Segneri ? E nel foro in molle città d'Italia non ci ha forse la pubblica e libera discussione delle ci- vili e criminali cause? Non abbiam noi la stampa? non i fogli colidiani e letterari ? non le pubbliche radunanze nelle accademie e ne' teatri? E quivi non possiam forse tornare a comune e grande utilità coll'eloquenza? Non possiamo ivi ritrovare anche noi gli applausi e le lodi e gli onori e gli eccitamenti G.A.T.CXLVl. 13 192 e queiremulazione singolarmente de'buoni ingegni, che ne muovono sì forte a venire , e superare gli altri, in bella fama, non altrimenti che già mossero i due predetti e. sovrani oratori di Atene e di Roma ? 23. Dipoi lascio stare più esempi , che vera- mente sono innumerevoli , di coloro i quali sola- mente con lungo studio e con fermo e grande uso di comporre meritarono somma lode di scrittori: ma non posso mettere in silenzio questi, che trarrò pure dalla storia delle antiche lettere, e la quale conviene che voi leggiate attentamente. Isocrate, che fu orna- tissimo e soavissimo scrittore, è fama che dieci anni occupasse in limare e condurre la gravissima e per- fettissima sua orazione, che ne' solenni giuochi di Olimpia disse , e ond'ella prese anche il nome dì panegirico. Che dirò degli storici ? Tucidide, che da Erodoto in fuori, trapassò di fede e di eleganza e dignità di narrar le cose tutti gli altri, spese ven- tisette anni, secondo che io trovo in Dionigi d'Ali- carnasso, in ordinare e forbire la sua storia. Che de' filosofi? Platone, di cui l'antica filosufia non pose in luce nlun altro né più di gloria chiaro, né più grave di autorità , menò tutto il suo lungo vivere nello studio della sapienza e in dettare e mettere a perfezione i suoi libri : i quali egli si sforzava di conformare per guisa alla grandezza e nobiltà del dire proprio di Omero, che nella prosa fu de- gnamente nominato un altr'Omero. Che più? Virgilio era tutto in correggere i suoi versi: ed ogni dì es- sendo uso di scriver la mattina un grande numero di quelli, riduceali a picciolissimo la sera colla sua lima: dicendo di partorirli siu)ilmente che l'orsa gli 193 orsacchi suoi; la quale assai leccando i brutti paiti, quinci li fa belli. Sappiamo eh' egli tre anni pose nello scrivere le pastorali poesie ; sette le Georgi- che ; undici l'Eneide. Della quale non contento , divisò recarsi nella Grecia e nell'Asia, e quivi passare alcuni anni per condurre il grandissimo poema suo a perfetto fine. Ma non essendogli questo proposito venuto secondo il desiderio per morte, Virgilio su l'estremo della vita comandava che alle fiamme si desse quella sua Eneide, come opera ancor lontana dalla bellezza, eh' egli aveva dentro alla mente. E per le fatiche e per gli studi volti alla divina Com- media non fu il grandissimo poeta nostro dima- grato? Poiché dice: « Se mai continga che il poema sacro, Al quale ha posto mano e cielo e terra, Sì che m' ha fatto per più anni macro w. 24. Nel quale studio di correggere e limar gli scritti se a grado ci sia di riguardare co' nostri occhi, come uomini di più alto ed operoso ingegno trapassarono ogni parte di loro vita, dobbiamo porre il piede in queste pubbliche librerie; e sono da aprire i manoscritti del Petrarca e dell'Ariosto. Ne' quali è da vedere la fatica e l'indugio della lima nel ren- dere perfette le loro poesie : non altrimenti che A pelle, il quale non fu ambizioso di presto recare a termine i suoi dipinti ; e che un dì, a tale che lo richiese di questa sua lentezza, rispose: lo metto a pingere assai tempo, perchè pingo sì che le mie tele durino eterne. Imperocché quale non fa le ma- raviglie delle infinite mende e correzioni di que'due altissimi poeti nostri , che alcuna fiata indarno, o con molta pena si possono ivi leggere i versi loro? 194 E stimiam noi , per altra via che per quello stu- dio grandissimo e quelle assidue fatiche e medita- zioni sarebbero venuti al sommo dell'eloquenza tutti gli antichi e perfettissimi poeti e storici ed oratori e filosofi ? 25. E qui mi è duopo dirvi anche questo, che cioè per cagione del comune legame e di certo pa- rentado tra i concelti della nostra mente e la for- ma di vestirli con parole, fu già costume sapien- tissimo de' pili grandi filosofi l'accompagnar la dot- ti'ina coH'eloquenza. 11 che non solamente si può vede- re ne'libri di Platone, o di Aristotile, o d'Ippocrate, o di Senofonte, o di Teofrasto, o di Tullio, o di Celso, o di Seneca, o di Plinio , ma in quelli anche del Baglivi , del Galilei , del Redi , del Magalotti , del Torricelli, del Viviani,del Castelli e del Gravina: le cui opere tra pei ritrovati di ciascuna scienza e per la grazia e proprietà della lingua e dello stile sono im- mortali. Ne' quali filosofi grandemente noi ci dilet- tiamo , perchè delle cose non poste in mezzo di noi, ma che sono in tutto fuori dell'uso cotidiano, ed oscure e nascoste, ei ragionano per forma, che paiono quegli scienziati di voler essere come dome- stici con cui non è dottissimo. Per la qual cosa io concederò che può essere, e che oggi in verità sono pressoché tutti in Italia, o filosofo, o matematico, 0 medico, o fisico, senza quella proprietà ed ele- ganza di scrivere italiano : ma negherò che possa egli sorgere autore maraviglioso e scrittor da tanto che passi alla posterità, dove anche dell'arte di ot- timamente scrivere non sia fornito. La qual bel- lezza ed eleganza di esporre i pensieri ed i trovati 195 dell'ingegno umano è tanto meglio a' filosofi richie- sta, quanto più si appartiene loro di aprire e met-' tere in palese con diletto e chiarezza le verità; ed affinch' e' possano ricreare i lor discepoli , o leg- gitori, stanchi ed affaticati dall'oscurità delle cose e da certa severità e nudità, ond'elle sogliono di-^ mostrarsi. E questa è impresa , giovani dilettis- simi, da travagli e sudori assai; e che si confidino di poter condurre solo gli eloquenti ed ornati scrit- tori e parlatori. 26. Alle cui grandissime fatiche costumaron quelli di rivolgersi tutti volentieri , perchè bene intende- vano per niun altro argomento poter su montare a tanta gloria, che per questo. E di tal gloria so- lamente erano un dì vogliosi gli eccellenti scrittori; e lei reputaron sempre come delle fatiche e degli studi loro il più bello ed onorato premio. E que- sta gloria medesima e questo guiderdone è da cercare anche da voi, che date studiosa opera alle buone lett- iere. Ed ho per fermo che non vi verrà meno, o gio- vani, quando con tutti i pensieri e forze del vostro animo vi gittiate a fatiche e studi somiglianti. Im- perocché qual di voi sconosce quanto di onore e di grazia e dignità discorra da tali fatiche e studi a coloro che vi sono attesi? Incredibile cosa paia ad udir quello che vi dirò, nondimeno debbo ma- nifestarvi ciò che sento. Se fosse os^i alcuno sto- rico valorosissimo delle cose nostre, il quale a modo che già fece El-odoto ne' solenni giuochi della Gre- cia, recitasse al cospetto della sua nazione le sue Storie perfettissime, che ora immaginiamo col pen- siero ; egli conseguirebbe appo i suoi, come appo i greci l'Alicarnasseo , sontiiglianti onori e plausi : 196 ovvero, siccome è pubblico grido che avvenisse a Livio ed al Petrarca , quando un uom da Cadice dall'estrema Spagna mosse verso Italia per niuna cosa altro che il sommo storico vedere: od allorché quel cieco e vecchio grammatico da Pontremoli ap- poggiatosi colla sinistra mano alla spalla del suo figliuolo e colla destra ad un bastone, discorreva per tutta Italia, infiammato da desiderio di parlare al grande poeta aretino e di toccare colle sue mani il sapientissimo e venerando capo di lui : anche a'dì nostri qualcuno mosso di lontanissima terra e tratto alla fama di un grande nome , verrebbe innanzi al sommo storico moderno , cui ora ab- biamo immaginato, o ad un eccellentissimo poeta, il qual vivesse in questa età, solo per vederlo e solo per favellargli. Imperocché la poesia e la prosa a cagione della natura e del vivissimo diletto loro hanno forza grandissima di trarre gli ani- mi nostri e muovere potentemente qualunque uomo, ed a qualsivoglia -terra, o condizione, o tempo egli appartenga. Ma presso noi non si rinnovellano cotaU esempi dell'antica età, perchè nemmeno si rinnovella ora l'eccellenza antica delie nobili arti. Adunque le fatiche delle buone lettere, miei carissimi discepoli, si adornano veramente di cosiffatti premi ed onori; i quali, poniamo che sien privali di tutti gli altri guiderdoni, nulla ostante sono da tenere grandissi- mi e degnissimi dell'uomo. 27. Ma io non so quale misera ventura tragga questa età nostra a fuggire le belle lettere, o per modo a seguitarle, da non alzarsi di terra un palmo nel dire e nello scrivere classicamente. Imperocch'ella noa è sofferente di fatiche e di continuo studio in 197 condurre, come si dee, qualunque perfetta opera di eloquenza. Essa medesima forma di vivere e questi moderni costumi nostri pare che grandemente ci rimuovano dal darci a tutt'uomo e con lunga opera alle umane lettere,e dal meritarne un di somma lode. Presso quali genti, presso quali città si trovan oggi i vestigi deli' antica disciplina , degli antichi studi e delle savie usanze antiche ? Proprio è dell'età nostra cercare solo, e avidamente, che di utile, che di comodo , che di piacere arrechino le cose tutte; ed all'amore della virtù , allo studio ed all' affati- carsi delle ottime arti non solamente portar odio, ma guerra. Fremano pure la più parte di coloro , che non arrossano di porre innanzi agli andati se- coli degli avi nostri questo tempo che ora volge ; nulla ostante è certo quello che io parlerò : Vi- viamo noi in un -secolo, non pure di pensieri e di voglie, ma di essi medesimi costumi di vita e d'i- stituzioni e dì opere , interamente epicureo. Non soffriamo ora nemmeno di alzar l'animo all'imita- zione de' più grandi e antichi fatti di virtù, di re- ligione e di studi : poiché i nostri desiderii ser- vendo solo a' materiali interessi, a' piaceri, al lusso ed alla gola, sono giù atterrati, e nel suolo stanno cupidamente fitti. Del qual vizio ed uso di vivere questa età nostra è da gran tempo ripiena, anzi è tutto sozzata e lorda. 28. Per la qual cosa, giovani carissimi, restia- mo una volta di maravigliarci ond'è questa nostra ignoranza, ond'è questa univereale mediocrità no- stra di tutte le buone arti. Perocché ne' costumi nostri e nella nostra infingardaggine sta la princi- pale cagione perchè giacciano oggi in terra gli stu- 198 di e le prime Iodi delP eloquenza : e se con que- sto secolo querulissimo e sopra modo incontenta- bile diremo , che sieno essi venuti a tale termine per difetto di premi e di onori e di mercedi , noi cerchiamo di ricoprire con questo manto la negli- genza e l'ignavia e la viltà nostra. 29. Adunque voi levatevi sopra di questo secolo: ed attendete, sì vi aiuti ognora Iddio, attendete d't molta e costante forza agli studi dell' eloquenza ; non per desiderio e speranza di guiderdoni , che anche a voi possono venir meno , ma solo per amore di virtù, solo per brama di sapere e di ben fare altrui e venire a chiara fama. Dipoi fermate nella vostra mente quella essere vita soavissima e degnissima dell'uomo , quella sempre onorata di veri e costanti premi , la qual fiorisca di somma lode di virtii, e che spendasi unicamente nell'apprendere e adoperarsi in bene ; quella in somma che i leg- gerissimi diletti del corpo alle gravissime utilità dell'animo non antipone. Pensate in fine che all'Ita- lia oggi è rimasa in siffatti studi una solamente,mala più bella e più durevole, delle molte sue antiche glorie. 30. Farmi adunque , o giovani , di poter dirvi questo sopra le cose , di cui la quistione voi mi proponeste ; e intorno alle quali che che altri dica, che che senta, od in contrario scriva, mollo io rispetto la sua sentenza ; ma questi sono i miei pensieri, questi i consigli e le mie saldissime opi- nioni. Possano le mie parole farvi tanto prò che vi aiutino , e scorgano- a riportare da' belli ed ono-l rati studi vostri una sapienza congiunta colla virtù, e piaceri grandissimi e non volgari, e quella gloria onesta e molto desiderata ! E 199 Saggio di poesie latine del prof. Cesare Monlalli cesenate. vero che nel saggio di poesie italiane dissi es- sere già del prof. Cesare Montalti noti alFltalia per istampa alcuni saggi di poesie latine; ma sic- come di essi saggi le- edizioni furono eseguite in ristretto numero, così potrebbe avvenire che molli fossero in desiderio di pur conoscere alcuna sua cosa nella nobile e grande lingua del Lazio. A rendere perciò pago questo desiderio potrebbe non venire indarno il presente saggio, picciolo sì, ma fiorente dì composizioni la maggior parte inedite, e della pili cara eleganza, come le cose tutte dell'aureo Montalti. Chi si conosce della maniera greca, ere- ditata dai migliori latini e particolarmente dal massimo Virgilio, non esiterà di ravvisarvela a pieno sì nelle invenzioni, e si ne'concetti e ne'modi. Che in queste poesie parla il cuore, e non la testa. Quindi non ricercati pensieri, non giri e rigiri di parole; ma tutto affetti, dolcezza ed evidenza mi- rabili. Ma non debbo io dilungarmi di più per tema di abusare dell' altrui sofferenza in voler mostrare quello, che meglio di me altri intende ed apprez- za. Solo ad unica e grande soddisfazione dell'ani- mo mio nel propalare il più universalmente che per me si possa le lodi del poetico latino valore di esso Montalti^ pìacemi recar qui in mezzo ciò che ne scrisse il celebre letterato Salvatore Betti in una sua lettera de' 24 settembre 1839 al 200 eh. prof. G. I. Montanari. = Sono dolentissimo di ciò che mi scrivete intorno a Cesare Montalli. Io noi conosco di persona, ma sì venero assai la sua virgiliana eccellenza di scrivere latino. Egli è uno de'veri lumi della Romagna: e così appunto chia- mavalo il Perticarti e soprattutto celebravalo Giro- lamo Amati, che sapeva a mente molti sublimi suoi versi, e spesso li recitava, e se ne pregiava come di quelli di un classico. Ed ora anche questo lume è vicino a spegnersi ? Povera Italia ! :=^ Possano per- tanto le di lui opere, che oggi sono per escire in luce, trovare in ogni dove un favorevole incontro , come spero non abbia a mancare a questo pìcco- lissimo saggio, che io ammiratore di un tanto poeta mi pregio di offerire ai dotti ed intelligenti della nostra Italia e delle altre eulte nazioni- Giuseppe Bellucci I. Phyllis ut occubuit, prima vernante iuventa, Ad silicem fregit moestus Amor pharetram, Demissisque alis, passisque per ora capillis Implebat colles questubus idalios. Tunc Venus insuetum gnati mirata dolorem : Nam quae tanta imo cura sedens animo Immeritos adigit lacrymis suffundere ocellos, Pectusque ingrata pascere amaritie? Cui Puer: Heu maler ! rapta mihi Phyllide, raptam Scilicet esse reor te mihi; viva etenim Sic oculos, sic illa manus, sic ora gerebat, Ut facile esse aliam crediderim Venerem- 201 II. Interdum vel te per sylvam errare silentem, Vita, iuvat, Phoebiis dum gravis urit agros, Ipsa tibi passim, quo quo tua lumina vertas, Fundit odoratas sponte rosas sylua; Vel niveas pastum pecudes agis, obvius ore Nunc gaudet Zephyrus ludere, nunc gremio. Quotquot vere novo pubescunt gramina campis, Candidalis terier discupiunt pedibus. Ast(Amor omnipotens quid enim non talia praestet?) Ipse ego sum gramen, sum rosa, sum Zephirus. III. Tu mibi, Romay parens: ut dulcem filia matrem Te semper memori pectori deperii. Flens ego, Roma, vale, ter dixi, moenia quum me Cridani nuptis adseruere suis. Omnigenis ibi laeta bonis; face laeta ìugati ; Laetior at casti muneribus thalami: Prolis ibi tantum studiosa, domusque colendae: Cura magis vix hac altera amabilior. Hinc urbi iucunda bonae; bine non ultima nuper Inter honoratàs laus mibi parta nurus. Eridano ingressa recens, te, Roma, mihique Rursum quot gremio pignora cara foves, , Visura, occubui lethali obnoxia morbo, Haud potè Paeonine vincier artis ope : Occubui, immatura licet: sic fata tulere! Cognatos inter compositam cineres 202 Fletus me recreat gnatorurn saepe, virique Quos meus in vita dulcis alebat amor. Matei', ave! gelido pia turba innixa sepulcro Clamai, et aelernum sit tibi terra levis. Mater, ave! ancipiti rerum in discrimine nobis lam solatiolum, nunc dolor et lacrimae. Ah saltem optatae redeas sub imagine formae, Ah redeas nostris conspicienda oculis ! Tristia tunc parcent ingenti lumina luctu; Maestities imis tunc abitura animis. Ah redeas . . ! vacuas non exaudila per auras Vota volani rapidis ludibrium zephiris. Grata ego, quod leneris incusent pulsa querelis Busta ineum late flebile discidium, Dis mage grata, velini patrio quod nostra recumbant ( Hoc erat in votis ) ossa quieta solo. IV. Quos tribus aonìi dictarunt vertice monlis Versiculos (^harites vatibus et Veneres, Londinique opifex typorum nobili» arte Excudit formis mirifice egregiis, Aequum me cessisse tibi, Constantia, cuius Ubertim latiis mens cumulata opibus : Munere vix tali mihi dignior altera; nam tu Tu mihi sola Charis, tu mihi sola Venus. V. Unus apollineos hic maximus Inter olores Augusti quotquol tempore Roma tulit, 203 Pascua, rura canens, deletaque Pcrgama flammis, Graecia, par surgit carminis arte libi. Hic salebras latii conanteni evincere Pindi Auxit inexhausta me quoque largus ope. Hinc ora insignis subeunt mihi rite colenda Vatis: erit semper nam deus ille mihi. VI. Gerla ubi rexit Acon virgulta errantia lege, Ordinibus ramos disposuitqne suis, Nunc faciles, inquit, quocumque sequentur: adullos Nulla satis flectent vincula, nulla manus. VII. Eheu vita hominum laevis obnoxia fatis! Aurorae primis ut rosa lacrymulis Roscida purpareum calalbi quae pandit honorem, Nec mora, vix orto vespere languet humi, Haud secus aetatis medio vix tramite, morbi Vi perculsa, gravis protinus abriperis Delicium, Klorinda, viri, Gharis altera nuper Indole, Penelope moribus, ore Venus. Vili. Divitibus se se qui rebus credit in arctis, Dixeris aereis credere spem zephyris. Nullus amor miserorum ollis; sed pectore loto Undique congestis tanlus inhiant opibus: Quoque magis turpis late bacchatur egestas, Ostendi gaudent se mai^e difficiles. 204 Numina nulla coluiit, si demas turpe, vetusto Unum quod coluit tempore Pygmalion. Haec expertus ego: testis tu, fra ter, amica Cuius mi pietas irrita, dum precibus Saepe laeessitus duras tibi pernegat aures Bellus homo, in nostrum ferreus auxilium. Die age: Quid benefacta iuvant, studioque perenni, Frater, et officiis demeriusse suos? Fumus ut exorti vanescit flamine venti, Vanescunt memori quae mage digna animo. Scalpro saxa, incude chalybs vincuntur: avari Nulla ope durities vincitur ingenii. IX. Arte salus reparata tibi; nam sedula morbo Obstitit, et mortis depulit insidias. Tunc facinus mirata ingens Natura: Quid, inquit, Aegrotis post hac moliar auxilii, Sì quantum mihi laudis erat, te sospite, tolum Ars merito, Lodoix, vindicat una sibi? X. Egregius quid frontis honor, quid candida possit Morum formoso in corpore simplicitas, Seilicet exemplo, mansit dum vita docebas Una decus patriac, flosculus una nurum. Ast immatura postquam te morte subactam Atropos in sedes compulit elysias, Vita animaque libi quondam vel carior ipsa, Aegra tuum Virtus indolet interi tum. 205 Dum cadis, heu quanto Eridanus viduatur honore! Dum cadis, heu tecum quot bona dispereunt! Moeiet Amor ,pullamque gerens Cythereia pallam Pi'ocumbit gelido tonsa comam tumulo. XI. Vita àerumnosis iamdudum exeroita curis Dura nimis ; nec iam vivere discupiam. Sola mihi mors vita: manent me dulcia divum Gaudia: nil poenis terreor, Orce, tuis. Si purus sceleris, nulli si noxius, eccur Et me sydereo non beet orbe Deus ? Qui Curios simulant, et bacchanalia vivunt, Torqueat inferno Numinis ira lacu. XII. Aule, poetarum, Augusti quos protuli t aetas, Accipe prae multis quos ego depeream. Culla mihi triplex in primis musa Maronis; FJacce, tua impense nec mihi culla minus. Pectora perlentas et tu njihi suaviler, Albi, Dum canis imparibus Deliam arundinibus ; Quosque philethaea numeros slruis arte, Pioperti, Mirop, et attonito exosculor usque animo. At mage me tolum sibi devinxere Calulli, Aule, modi, charitum deliciae et venerum; Aut dextris Thetydi iungendum Pelea taedis Cantei, apollinae nobile mentis opus; Moereat aut tristi praeroptum funere fralrem; Aut Berenicaeo e vertice cesariem 206 Abscissam argolico dediicat fonte; misellas Lugeat aut cari passeris inferias. Nocturna versare marni, versare diurna Hosce mihi teneris sedula ab unguiculis Cura fuit, donec matura aetate latino Pectine non humilis vel mihi partus honor. Sonetto dell' avv. Luigi Mazzolani cervese. Errar per selva perigliosa e dura, Che sol di mostri e infide larve è piena ; Cercar la notte tempestosa e oscura, E in odio avere il sol che rasserena; Amare un ben che fugge e poco dura, E quanto alletta il cor, tanto avvelena ; Tale è l'immago di quell'alma impura, Che in nodo vive di servii catena. Ma poiché dell'errore il denso velo Fu rotto dal tuo dir, che come fuoco Incende, o fere il cor simile a telo; Non la selva, non l'ombra, o il ben fugace Pili si cercan per noi : da basso loco Ci levan l'ali all'ineffabil pace. Versio Caesaris Monlallii. Quale por intìdas nemorum fert devius umbras Monsira inter dubios salebroso tramite gressus Hospes, et obductam picea caligine noctem Quaeritat, exosus radiantis lampada Phoebi; Quale venenato cura it comes illita felle Lubrica captanti fugientis gaudia vitae; 207 Non secus ancipiti urgentur discriinioe sontum Degenetes, vinctao piobrosa eompede, mentes. Ast errore gravem iam discutis undique nubein Voce potens dia, quae corda vel acrior igne Incendit, volucrem subigitve imitata sagittam. Deceptis bona fluxa animis, umbrasque, nemusque Haud inhiant, velut ante,homines;terrisquercvulsi Otia depereunt superae, te vindice, pacis. XIH. Qua pater adriaco moriturus gurgite Sapis Caesenam rapidae verbere tundit aquae, Sacra facit nivea spectandus veste sacerdos Infula cui merito cingit honore caput : Grandia quot secum molitur numine plenus ! Incubai augusto quam gravis ore decor ! Divile dum vena eloquii, suadaeque lepore, Actaei illecebris aemulus Isocratis, Afflatum cun)ulat peclus, virtutis egentes Ubere queis animos sedulus auctat ope. Quisquis adest, del thura focis: procul este, profani, Este procul : sanctum nil, nisi sancta, decet. Vos tempio subiisse nefas : digressus olympo Ecce Deus : vetitis cedile liminibus. Prodeat haec Inter, casti nova gloria coetus , Casta manus , multo flore rcvincta comam ; Fiore renidenti , superis qui collibus ortus Halal cadesti perlitus ambrosia. Aligerum mox tecta cobors velamine nullo Slernat iter lectis praevia virginibus. CA.T.CXLVI. 14 208 Dius Amor dextra faculas, et mystica quassans Lilia, silbonia candidiora nive, Thure vaporatas agmen iiunc sislat ad aras, Pacta novaturum foedera coniugii ; Foedera non ipso vel funere dissolùenda ; Foecunda aethereis foedera deliciìs. Tales fatidici quondam Jordanis ad undas Plaudentes inter voce manuque choios Suetus et ipso hilares Salomon pepigisse hymenaeos, Progenies Salomon maxima Jessiadum : Thaborides nymphae, nymphae libanitides omnes In numeium alternis nexibus implicilae Regificum late tbalami decus adm.irantes Exiluere novis undique laetitiis. Flagrabat Salomon Sulamitide saucius una, Qua nusquam tenis altera amabilior: Integraque innocuo explebat depastus amore Non ante expertis vota cupidinibus. Olii caelicolae, qucis nullus sanctior ignis, Arrisere bonis ocyus alitibus. Alito non alio vos nunc sibi vindicat ilio, Ille unus divum rex, bominumque sator. Dicile: Num quidquam vobis conlingere maius, Num quidquam potuit laetius aut melius ? Gaude, Amor, o gaude ! viden? omnia rite peracta: Gaude, Amor, en ilerum victor ab hoste redis. Linquere iam tempus festi penetralia templi ; Tempus rursum bumilis visore tecta domus. Ite agedum, quo vos fausto vocat omine Numen; Pax ibi non ullis obvia turbinibus; Nulla ibi curarum species; ibi candida certo tlxcitat ancipites pignoro spes animos; 209 Ehcu! prostralis vix unquam cognita lerris Vos ibi perpetuum gaudia tuta manent. Nupla Deo soboles, fatisque beata secundis, Salve! et me me aequis adspice luminibus; Adspice: pertaesus rerum, longique laboris lamdudum bue illuc per vada coeca feror; Atque, procelloso luctanlibus aequore ventis, Obruor insanis iam prope mersus aquis. Si qua tibi pietas, si quid te carmina tangunt, Haud invisa ipsis carmina caelitibus. Ut tandem optato liceat requiesere portu, Fac prece mi superos demerearis heros: Sic tibi fortunent intacti iura pudoris; Sic tibi dent nulla vivere amaritie. 210 Breve cenno della vita e delle opere di Angelo Aslolfi. La memoria di quegli uomini, che con belli ed utili scritti, e con più utili opere onorarono se stessi o la loro nazione, debb'essere religiosamente conservata ne' posteri a debito premio della virtù, e a durevol segno di grato e riconoscente animo. E perchè tra questi risplende chiaro Angelo Astolfi, giureconsulto e letterato di bella fama, confido cbe non mi verrà mala voce se mi farò a dare di lui quelle brevi contezze che mi fu fatto raccogliere e dalla bocca de'suoi amici, e dalle opere che ha date in luce a quando a quando. Da Gianantonio Astolfl, uomo d'assai nell'agri- coltura, timorato, caritativo e benestante, e da Ma- ria Sutter svizzera , [dissima donna , sui primi di giugno del 1789 nacque Angelo in Manzolino pic- cola contrada del bolognese che vicina Castelfranco. Lieta e balda corse al fanciullo la prima età in quel luogo, e a Bologna" ove passò a stanziare il padre suo, che col crescer degli anni vedendo in lui bello e svegliato l'ingegno il poneva a studi nel semina- rio di Bologna, ov'ebbe maestro di rettoriche Ca- millo Tartaglia: il quale, non essendo ancor posto in Italia quel felice rinnovamento di nostre lettere, che all'aprirsi del diciannovesimo secolo operarono il Cesari, il Monti , il Botta, il Giordani e somi- glianti, ogni sua cura poneva nel solo, latino, poco 0 nulla insegnando di volgare ftivella , oppure to- 211 glieriflone gli esempi (lugli s(M*itlon più in voga, il Roberti , il Frugoni , il Bettinelli , che aveàn sì de'piegi, ma non erano le intemerate fonti de'clas-^ sici cui deve attingere chiunque voglia apprender per bene la italica lingua. Ciò fu cagione, che An- gelo avvedutosi cogli anni del mal preso cammino, e sentendosi nato fatto a gustare e ritrarre le ita- liane eleganze, si desse a diligenti sludi di lingua sul Boccaccio, sul Davanzati, e sul Bartoli in prin- cipal modo, dai quali trasse quel bello, succoso, e e maschio stile italiano che forma il pregio delle sue scritture. Pili fortunato era nella filosofìa, sor- titogli maestro il priore Vogli che sapea la difficil arte d'innamorarne i giovanetti, e d'entrare ne'Ioro intelletti. Dal seminario passato alla università, vi udiva dall'ab. Bìgnami altro corso di filosofia, che dicevasi Analisi delle idee, che valse più e più a ri- badirgli in mente le salde verità di quella scienza che poi sparse a si larga mano e con tanta sicurtà nell'opere di che si fece autore. Ma già eravamo a quei tempi in che il fortu- nato guerriero di Corsica s'avea cinta in Francia la corona imperiale, e la regale in Italia: ondechè due vie splendide e avventurose si aprivano innanzi a' giovani ben promettenti, la toga cioè e la spada; e mentre l'Asloltì, sendo già ne' vent'anni, stava in- certo per quale avviar si dovesse e già per la toga propendeva, venia costretto darsi all'armi; poiché essendo il padre suo uno de'maggiori estimati e con- sigliere del comune in Persiceto, fu Angelo chiamato alla corte di Milano guardia reale d'Eugenio Beau- harnais viceré d'Italia, Colà non rimase che sei mesi; , 212 che non essendo la vita militare punto conforme a sua natura, e trovato diffettoso negli occhi, ehbe congedo. Laonde tornossi a Bologna, nella cui uni- versità usò agli siudi delle leggi , avutine princi- palmente insegnatori il Nicoli, il Gambara, il Vale- riani, non senza udirvi l'eloquenza dal Biamonti, e greche lettere dalla Tanibroni. Laureatosi con lodi grandissime, rivedeva Milano , e vi giungeva rac- comandato al conte Carlo Caprara grande scudiero del regno italico, dal quale non solo avea onorati accoglimenti, ma agio di usare continuo e famigliare in casa di lui, in che vide e conobbe i più cele- brati uomini che fiorivano e convenivano in quella italica Alene a que'tempi pieni allora di tante glo- rie e di tante speranze. Entrato così nella bene- volenza del conte Giuseppe Luosi gran giudice e mi- nistro della giustizia, avvenne, che allorché l'Astulfì fu a lui per congedarsi, nel tornare a Bologna sen- tisse dirsi da quel valentuomo : « Ho conosciuto « il vostro ingegno: terminati che avrete gli studi « teorici e pratici, andate alla corte d'appello del Me- « tauro (Ancona) e datemene subito avviso. Vi farò « nominare procuratore a quel tribunale, e dopo « due o tre anni verrete a Milano assistente al con- « sigilo di stato. Ne impegno la mia parola. » E il giovane, seguito per appunto il consiglio del Luosi, veniva ammesso alla corte d' appello d' Ancona (1813) , e vi cominciava quella nobile carriera di giureconsulto che lo avrebbe potuto levare molto in alto, ove sinistrando nelle Bussie la fortuna di Napoleone I non fosse sì presto caduto 1' italico regno. Ciò nondimeno l'Astolfi, che trovavasi ben 213 collocato in quella dorica città continuava a sog- giornarvi, e a versarsi nelle cure legali, cui rubar sapeva brevi intervalli per occuparsi ne' diletti studi di lettere storia e filosofia. Se non che giunto l'an- no 1820, e bramando il vecchio ed infermiccio pa- dre le assistenze del benamato figliuolo, il richia- mava a Bologna, ove condottosi apriva studio, eser- citando la procura fino al 1830, e l'avvocatura dap- poi, con fama di giureconsulto valente e integerrimo, e colla gloria d' aver difesa sempre la verità e la giustizia e salvata benanco l'oppressa e calunniata umanità. Così ei faticandosi giungeva al 1845, o 46, in che vedendo crescergli la malsania che il tribolava, abbandonò al tutto le leggi. E quindi perchè la nuova vita d'ozio e di pace male affacevasi alla tempera di lui ardente e operosa, si profondò tutto negli studi storici e morali, datosi a ricomporre, riordi- nare, continuare, e compiere due opere molto ri- levanti, che da più anni avea divisato di scrivere e pubblicare, e colle quali riempiendo un bel vuoto, avrebbe collocato il suo nome bello di fama glo- riosa fra quello degli storici e de'filosofi piiì repu- tati. Queste opere sarebbero stale la Conlimiazione degli annali d'Ilalìa del Muratori — e II filosofo del mondo della Luna. Nei tempi dell'età sua più fiorente, standosi egli in Ancona, avea letti e intensamente meditati gli annali del Muratori, facendovi sopra studi e anno- iamenti non pochi. Le cose che accaddero in Italia nel 1821 e 1831, e gli avvenimenti di gran momento che tennero lor dietro, l'invogliarono a continuare quell'opera immortale, non ostante che allora fino 214 al 1822 l'avesse fallo Tab. Anlonio Coppi ( eh' oi conobbe ed ebbe amico in Roma nel 1847 e 1848): e ciò perchè in ben altro modo, e con ben altro stile e intendimento voleva condurre il fiuicoso suo lavoro sino alla mela del secolo XIX ( 1850 ). Se non che le tante s\ varie e inopinate vicende degli anni 1848 e 1849 gli fecero ritrnr la penna da que- gli Annali, di cui indignato e volontario volle di- spersa e distrutta ogni scheda e memoria. Oltre a ciò , da forse veni' anni addietro avea ideato il concetto del suo Filosofo del mondo della Luna, opera ch'ei veniva formando come un mondo novello, un diritto pubblico nuovo, una nuova legis- lazione, nuova politica, degli uomini nuovi insomma, I quali, jjareva ad esso, » d'avere creati e costituiti T) tali che non avrebbono potuto essere viziosi, né mac- » chiarsi di delitti, uomini (notisi ch'era sempre un » concetto ideale ad ottimo fine indiritto) che essendo )) di natura quasi impeccabile avevano ad unirsi di cer- » to al loro eterno Creatore, onde nella risoluzione » del mondo (che era la materia del globo da loro abi- » tato) tutti ad una perpetua felicità sarebbon volati a » glorificare quello Iddio d'immensa bontà che di tan- p to bene li aveva degnati.» E qui venia mostrando quanto semplice pura e santa fosse la dottrina che guidava le attinenze fra il Creatore divino e la crea- tura da lui prodotta. Altaiche al finire dei secoli udir dovevasi l'eterna voce dell'Osanna giulivo, che l'immensa turba delle creature levava verso il loro Creatore e riproduttore divino- Ma questi non erano che voli di fantasia, con- celti e pensieri fruttati dal desiderio innato di ve- 215 (leie migliori gli uomini , e per quaiilo eia da lui di additare una strada agevole a fallitali. E come- chè le sentenze di quest'opera, tutte ben maturate e dedotte dal Vangelo e dalla più sana morale, non potessero mettere in dubbio le sue credenze religiose, pure rAstolfì con atto magnanimo, nel solo sospetto (com' ei mi diceva in queste precise parole) « che » alcuno avesse potuto dubitare della pienezza della » fede cattolica, in cui era felicemente stato, e spe- » rava in Dio di mantenersi fino alTultimo, gli fece )> sospendere i preparativi del lavoro, e ripensarvi so- * pra per oltre un anno ». Considerato i)oi quanto avrebbero potuto dire gli avversari suoi (e chi non ne ha?) e quanto gli uomini siano pronti a detiarre, stabilì di abbandonare anche un tal lavoro , e ne disperse fino il più piccolo cenno. Così di queste due opere, che avrebbero potuto dare alcuna idea della potenza e latitudine del suo ingegno, e dei forti e buoni suoi studi, e che aveva apprestate e ordinate più colle meditazioni proprie che succhiando e sfiorando gli altrui pensieri, non resta che la memoria, ed anche pel solo caso d'a- vermi esso confidentemente comunicate queste sue idee in una visita che nell'autunno del 1851 gli feci alla villetta eh' egli aveva presso lo Spirito Santo. Cosiffatte perdite, comechè gravissime , non ci tolgono però di misurare, per così dire, quanto a- vrebbe potuto fare in quelle opere, e in altre an- cora; giacché a testimoni di sua valentia rimangon tuttavia i non pochi scritti che andò ponendo in luce per quanto gliel consentivano le gravi e con- tinuate sue occupazioni. Di questi altri appartengono 216 ad una filosofia morale tutta alla mano , ed usci- rono col nome di Strenne ^ dettale in istile scor- revole e piano, e formale di brevi racconti, dialo- ghetti, novellette, e viterelle, a modo che essendo tutte appropriate agli uomini e a' tempi presenti facessero entrare nelle mente e nel cuore dei let- tori certe utili verità, che valessero ad innamorarli della religione, della virtù, della costumatezza, e de- stassero nelle classi meno agiate 1' amore del la- voro, della frugalità e del risparmio, eccitando al- l' abbandono dei vizi , e delle sregolatezze d' ogni guisa , studiando sovrattutto che Pesca del diletto traesse anche i più schifiltosi a farne lor prò. AI qual fine voleva giovasse ancora la veste dimessa, e il tenue prezzo, coni' è indicato nel lor titolo di Strenna da pochi quaUrini, E questo suo morale in- tendimento non solo appariva nelle Slrennc ma ne- gli altri dettati che ìeggonsi nell'Albo felsineo, nelle Tridi, nella Ghirlanda, nelle Parole di congratulazione a mons. Medici, nell'Albero parlante, leggiadra no^ velleità, e nella Primmima educazione, lodata prosa di che andò ornato l'Albo funereo della marchesa Pizzardi. Sembrandogli ancora grandemente effet- tivo a migliorare gli uomini il proporloro gli esempi de' valenti e degli utili, ci diede le vite di Gasparo Vincenzo Ramizzi card, vescovo d'Ancona, di Gaetana Agnesiy donzella di santa vita e di gran profondità nelle matematiche, di Bartolomeo Saliceli, leggista e politico di nobil fama, del card. Bernardino Spada, di Giovanni d'Arcet (che italiano dal francese), e di Raffaello Tognelli in bellissimo discorso tutto filo- sofia, maschia eloquenza e patrio amore. La molla 217 conoscenza delle arti del disegno e raffezione che portava loro, e che pur lo indusse a l'accorre dei buoni quadri, lo mossero a pubblicare i Discorsi so- sopra i dipinti di Lodovico Li pparini- Sopra una ta- vola di Lorenzo Lotti - Sidla premiazione dell'accad. bolognese di belle arti nel 1825: e quindi i Cenni sto- rici deir Albani , del Correggio e di Carlo Maratli, brevi, succosi, divisanti la varia natura e il vario e pregialo stile di quei sommi. E poiché pari olTa- more di queste arti ardeva in lui quello dell'agri- coltura, forse istillatogli dall' ottimo genitore, piac- quegli torla ad argomento, e nella Lettera suWiiti- lità delle esercitazioni delV accademia georgica che e in Pesaro, nel meditato ed utilissimo discorso Sulla necessità d^un regolamento agronomo, e nella Storia della società agraria di Bologna (1) che lasciò incom- piuta, veggendo che potean sopperire al proseguimen- to di lei i Resi contiche i segretari di essa ne presero a pubblicare di poi. In un secolo, che tanto abbonda di giornali, non è maraviglia se l'Astolti diede articoli (che talora soscriveva A. A. A). all'Arcadico di Roma, al Bollettino universale, aWInstitutore, alla Farfalla, al- l'Eco, al Quotidiano, aW Utile dulci di Bologna, pri- meggiando fra essi quelli - Intorno due operette morali d'Antonietta Fornarini - Sul volgarizzamento de' beni e dei mali di Cicerone fatto dalla contessa Teresa Car- niani Malvezzi - Delle scuole infantili - Sui vocabolari di patrio dialetto - Della vera e reale utilità de'nostri (1) L'Astolfi, olire all' avere appartenuto ad essa accademia- agraria e forse ad altre, fu sodo di quelle del Subasio di Assisi, Gollaboratore di questo giornale arcadico ec. 218 giornali. Tutte queste però non riiTiarrebbero che belle, ma brevi prove del suo ingegno, ove appari- sca, come confido per essere fra poco, una sua opera di maggior polso, e tutta rivolta essa pure al bene e miglioramento della umana famiglia. Si formerà questa di dieci Novelle sloriche spartite in due vo- lumi, le quali nacquero e vennero composte nel modo che dirò, avendo io per cortesia dell'autore avuto agio di leggerle nel manoscritto. Ei dunque, com'ebbe pubblicato nel 1837 il Leo- nello da Bagnara (eh' è una di quelle) , in vederlo onoralo di plausi e ristampe venne in pensiero ^ dettare altri racconti di simil fatta, ne'quali avreboe collegato il favoloso collo storico con tanto di arte, che lo storico non fosse al tutto fuor d'argomento: e quindi messosi all'opera scelse dal vero, dal ve- rosimile , ed inventò anche al tutto alquanti fatti particolari or compasionevoli, or lieti, ora atroci, or- dinati ed esposti in modo, che gli aprissero campo d' innestare in esso quella parte di storia d' alcuna città 0 provincia italiana, che desse un bel lume al racconto, e che nel renderlo più sostanzioso ed im- portante valesse a fare più noti e più popolari que'grandi avvenimenti ond'è sì bella la storia delle nostre belle contrade. Disegno nobilissimo e van- taggiosissimo, e tuttavia secondario; che il vero e principal suo fine si fu di porre in mano agli ama- tori di letture piacevoli e di poca applicazione un tal libro, in che quasi loro malgrado trovassero un buon maestro di pratica morale. « Ho avuto in mira » (così dice nella prefazione) dì mostrare che la di- » vina provvidenza reggi trice delle umane cose 219 » spesso rende manifesto con terribili esempi, cht » i perversi colgono quando meno sei pensano dalle » loro nefandezze anche in questa mortai vita la )) giusta pena delle loro iniquità e ribalderie. » Sem- plice e chiaro è lo stile di queste novelle: che l'au- tore non ama di stemperarsi in que'minuti partico- lari (venuti sì in uso oggidì) che occupando pili fac- ce d' un libro disviano chi legge dall'azione princi- pale e rendono grave e noioso il racconto. Sobrio e parco è il suo modo narrativo e descrittivo, qual veggiamo nei novellieri più reputati, il Boccaccio, il Sacchetti, il Firenzuola. Fuggì poi a tutt'uomo que' periodini rotti, magri, fatti a mo di sospiro , tutti sconnessione, pausa, reticenza (moda coniodissi- ma degli odierni romanzieri), e attenendosi alla strut- tura del vero periodo italiano lasciò correre facile e spontaneo il giro delle parole, adoperando che le giunture del discorso fossero ben locate e connesse, sicché questo venga a ricevere e un bell'ordine e quella portentosa unità che è a cercare e desiderare sovrattutto. E questo egli adoperò anche (sono suo parole) « perchè gli sembra che quell'antica strut- » tura serbi viemmeglio lo schietto tipo della ita- » liana elocuzione, che per patrio amore bramò sem- » pre veder conservala e mantenuta. » Fin qui dello scrittore: or dirò breve dell'uomo, il quale in tutto il viver suo l'antica probità amò e ritrasse in sé, più cuiando la parsimonia e fru- galità che il lusso e la lautezza. Onori e cariche non ambì né amò mai, lontano com'era da'pìaggiamenti e dalle male arti. Alla solitudine e agli studi , mas- sime in questi ultimi lenipi, si diede, menando vita 220 tanto più ritirata e solinga, in quanto che pei' pru- denti considerazioni s'era eietto vivere smogliato. Onesto e valentuomo , com'era , ebbe amici molti e di conto in patria e fuori, come il Costa, il Va- lorani, il Montanari, Carlo Pepoli, il Tommasini, il Mordani, il Betti, l'Orioli, il Crescimbeni, per lacerne altri assai che 1' amarono e pregiarono nelle varie città italiane Roma, Napoli, Venezia, Firenze, Li- vorno , Verona , Milano , che vide e peregrinò più volte or per diporto, or per salute. Ma giunto a' 10 di gennaio del 1853 fu preso da un ingorgo di san- gue (come dissero) al basso ventre , da cui si ri- mise lentamente; poi cominciò a indebolirglisi la mente;laonde venuto in Persicelo sulla fine del 1853, e qui presso alcuni parenti vegetando e languendo, visse fino al 1 dicembre 1856. Fu seppellito nella Certosa di Bologna, nel monumento ch'ci memore della umana fragilità si era preparato, al quale fu apposta la seguente iscrizione: Cineribiis . et . memoriae Angeli . Ioann. Bapt. Aslolfi . f. Viri . Inlegerrimi El . lurisconsiilti . Sapientissimi Qui ' Doclrinarnm . Gravitalem . Lilleris . Exhilarans Operibns . Italico . Sermóne . Editis Oplimorum . Scriptorum . Laudem . Adaequavii Vix. ann. lxi. Dee. Halendis. Decembris. an. mdccclvi Haeredes . Ex . Test. Virlulis . Honestandae . Causa Fac . Cjur. 221 Dal che lutto parmi chiaramente consegua, che l'Aslolfi mollo studiò, mollo seppe, e mollo intese a giovare i suoi simili cogli scrini e colle opere : e che anche in mezzo ai mali, che da più anni il tennero afflitto e costernalo, seguì ad essere vivo esempio che siam nati ad operare, malgrado ancora del soffrire, che in questa misera valle di pianto è alPuomo ìnevitahii retaggio. uìjkuiÌ'- GlANFRANCESCO RaMBELLI. Mi:- U.' ' Epilalamio di Elenà. léillió di Teocrito recaio dal greco in metro italiano- VJià sei di Sparta , e. iSei vaghe donzelle. Lume ed onor del patrio nido, avvinto 11 crin con odorate ghirlandelle Di colto allor allor molle giacinto. Si fero innanzi in dilettoso «prp , Al talamo testò fregiato e pinto, 'Ve l'Atride minor da'capei d'oro Di Tindaro chiudea l'amabil prole. Elena, suo dolcissimo tesoro. Intrecciavan festevoli carole, E il canto d'Imeneo per casa alzato, Di conserto movean queste parole: )) Sì l'addormisti adunque, o sposo amalo, Cotne si fea del dì pallido il lume? Star sui ginocchi più non t'era dato? 222 0 troppo vago se' di molli piume? 0 prima di adagiare il corpo stanco Di vin cioncasti geiierose spume? A corcarti anzi tempo ito pur anco Deh! fossi tu; ma questa donzelletta Che non lasciar di cara madre al fìanco> Colla fidata sua compagna eletta A diportarsi, infin che 'n ciel l'aurora Sorgesse al balzo d'oriente in vetta? Ciacche costei, ch'or la tua vita infiora, 0 Menelao, sarà da mane a sera E d'anno in anno tua consorte ognora. Felice te! candid' augurio t'era Porto, quand' ivi a Sparta, colà dove Di prenci s'accogliea nobile schiera. Tu sol fra semidei genero a Giove Sarai; poiché sua figlia non è schiva Di soggiacerti in amorose prove. Vinc' ella quante calcan terra achiva: Prole n'avrai d'alto valor vestita. Se ne' figli il suo merto unqua riviva. Dugenquaranta siam, schiera fiorita Di verginelle, eh' età pari assembra, Che in un moviam nel calle della vita, E a guisa d'uomo usate uc;ner le membra Siamo a' lavacri del corrente Eurota: Senza mende ver lei ninna rassembra. Come la bianca e la vermiglia gota Mostra 1' aurora in suU'aprir del giorno, Che tutto sgombra da superna ruota Il sacro orror, che l'avvolgea d'intorno, 223 Quando, fugato il verno, la serena Primavera a noi fa dolce ritorno; Di tal guisa la vaga inclita Elèna Alto splendeva nella schiera nostra Per membra svelte e per gagliada lena. Qual solco in campo, o pino in verde chiostra, 0 aggiunto a cocchio tessalo corsiero Fan di se bella e speciosa mostra. Sì la virago, nel cui viso altero Raggio scintilla di beltà preclara. Fu del loco natio vanto primiero- Niuna ordisce in canestri opra più rara, Né volge al subbio ricca tela, intesta Con arte più maravigliosa e cara: Niuna sì dolce suon da cetra desta, Se tór di Cinzia o di Minerva mai Le laudi dentro a'carmi suoi si appresta, Com' Elena, da' cui fulgenti rai Tutti gli amori vibran strali aurati. Vergin leggiadra, se' matrona omai. Noi sul mattin trarremo a'verdi prati A cor fioretti ed erbe rugiadose. Di che vaghi intrecciar serti odorati, 0 Elena, di te spesso pensose. Quali agnelle, che van di landa In landa Della materna poppa disiose. Di loto umil conlesta una ghirlanda Noi pria t'appenderem, là dove al vento Platano rigoglioso i rami spanda. Ed ivi a te da vase ampio d'argento Con lieto viso testimon del core 15 224 Noi prime spargerem liquido unguento. Scritto il pedale in dorico tenore A quel dirà, che appressi a nostre arene: Arhor d' Elena son, fatemi onore. Salve, o coppia degnata a tanto bene: La dea Latona aver figli vi dia, Che spirino soavi aure serene- Sorrida Cipri, che nel sen vi cria Accesi vicendevoli desiri; K Giove largo di tesor vi sia, Che al vostro gentil sangue ognor sì giri. Ora dormite Tun dell'altro in grembo. Messi dal cor dolcissimi sospiri, ftla svegliarvi membra te, allor che il lembo Rotto di negro velo a notte muta. Di gigli e rose sparga l'alba un nembo. Pimane toinerem, quando pennuta Cervice tronfio ergendo, in alti stridi Dal covo il cantor primo il dì saluta. Tu» Imene, Imene, al ben connubio arridi. Giovanni Chinassi 225 Catalogo di opere Volgari a stampa dei secoli XIIl e XIV compilato da Francesco Z amorini . Bolo* gna 1857* J\ coloro che hanno per vezzo di fare 11 viso del- l'arme a tutto ciò che s*attiene allo studio della lin-' gua, e lo reputano una futilità indegna del sapiente, deridendo chi pone affetto alla nostra bellissima fa- vella ed ama richiamarla a' suoi principii , senza dubbio non andrà a sangue il catalogo mandato ora alla luce dall'instancabile e valentissimo signor Zambrini. Non è quindi ad essi indirizzato l'annun- zio che si porge in questo giornale. Io mi rivolgo a coloro, i quali stimando essere il linguaggio una delle cose di maggiore momento per una nazione, procacciano di conservarlo nella sua purezza; e po- nendo mente come da molti sia trasandato, a tut- t'uomo si brigano di mettere in onoranza gli scrit- tori, che nell'opere loro più alla perfezione si ac- costarono, vuoi per semplicità ed eleganza, vuoi per proprietà ed efficacia. Sono certo che a cosiffatti tornerà assai gradito il lavoro dello Zambrini , e gliene sapranno grado; perciocché registrando quasi tutte l'opere del ducente e trecento (dico quasi tutte, avendo egli con molta accortezza dichiarato nella prefazione di non pretendere d'averle tutte quante annoverate) fornisce mirabile aiuto a chiunque vo- glia attingendo alle fonti darsi allo studio della lin- gua, e segnatamente a chi ne cerchi la storia, od intenda alla compilazione di vocabolari. Né qui à lutto ; conciossìachè ragionando l' autore de' pregi 22G e flifptli delle varie edizioni, si fa sicura guida non solo per l'acquisto delle migliori, ma eziandio per lo studio che taluno si diletti intraprendere sopra li trecentisti , potendogli tornare assai profittevole l'avere alle mani buone e purgate edizioni. A non accrescere poi sovcrcliia mente la mole del libro ha slimalo bene lo Zambrini , e parmi avere operalo con molto senno , di registrare soltanto le princi- pali, o meritevoli di speciale nota: il che deve in- tendersi massime per quelle de' tre sovrani padri dell'italiana letteratura Dante, Petrarca, Boccaccio, le quali per sé sole richiederebbero più volumi. A rompere la monotonia d'un catalogo ed a tempe- rarne 1' aridezza ha egli qua e là inserito qualche componimento in prosa e in verso non mai pub- blicato ; onde il libro acquista maggior pregio si per riescirne più gradevole la lettura , come per offrire ad un tempo notizia dell'opere edite, e cose per la prima volta mandate a stampa. Le quali sono: (( una leggenda di santa Caterina tratta da un codice ms. della libreria de'Firidolfi-Ricasoli; » una novella cavalleresca attribuita erroneamente al Doni ed a ser Andrea Lancia, jna che altro non è che un tratto del Libro d'amor compilato da Andrea per- fetto d' amor maestro a priego di Guallieri venera- bile amico suo (comechè questa novella vedesse la luce altre due volte , nulladimeno la pongo fra le cose inedite per la grande diversità della lezione); « due canzoni di ser Pace notaio ; » una di Ri- naldo d' Aquino ; « il tratta tello delle pietre pre- ziose e loro virtù creduto di Franco Sacchetti , il quale, come nota in fine del libro il nostro, è pure 227 stato di recente pubblicato dal sig. Le Monnier; ì) un sonetto di Saladino da Pavia ; « il consiglio di maestro Girardo di Camporegiana, tolto da un ms. della Magliabechiana ; « l'esposizione d'alcuni mi- steri della messa di fra Galgano da Massa di Ma- remma, che trovasi in un codice riccardiano ; « e cinque leggende d'alcune sante donne. Chi sa veracemente, non è presuntuoso ; ed il signor Zambrini, che molto sa certo, non presume d'avere fatta cosa compiuta e perfetta in ogni sua parte. Per la qual cosa lungi dal fargli rimprovero di qualche menda o mancanza, dobbiamo riferirgli molte grazie d' avere dato mano a questo lungo e malagevole lavoro , onde i bibliografi e gli ama- tori della nostra favella avranno molto giovamento. D'altra parte facile est invenlis adderei e facile sarà ad altri d'ampliare e condurre a compimento l'opera dello Zambrini: seppure egli stesso, che meglio di ogni altro il potrebbe, non voglia pigliarsi la briga di perfezionarla con una appendice , ove occorra , siccome pel catalogo delle edizioni volpiane fu pra- ticato. In Italia , dove tanto oggidì si lodano gli studi che oltremare ed oltremonti ed in ispezialtà nella Germania si fanno dai filologi , si dovrebbe con ogni maniera d' incoraggiamento e d' encomio ricambiare il sig. Zambrini delle tante sue cure in servigio della nostra letteratura , ed eccitare lui a proseguire nel bel cammino, in cui si è messo, ed altri a tenergli dietro. Mancherà un siffatto con- forto, e la dovuta lode ? Io spero e tengo per fer- mo che non sia per mancare. ENRICO SASSOLI. 228 Del metodo di comenlare la Divina Commedia^ epi- stola di Dante a Cangrande della Scala interpre- tata da Giambattista Giuliani somasco, professore di eloquenza sacra, consigliere della facoltà leo- logica e vice-preside del collegio di filosofia e belle lettere nelVuniversilà di Genova. 8. Savona dai tipi di Luigi Sambolino 1856. ( Un voi, di pag. XLVII e 80.) G, Prandi contese sono state fra i critici sull'auten- ticità della famosa lettera latina di Dante a Can- grande : nella quale il poeta rivela a quel signore tutta quasi la ragione del divino poennia. Ma la mag- gior parte 1' ha creduta assolutamente delPAlighieri, fra' quali il Troya, il Balbo, il Ponta, il Witte , il Tommaseo, l'Ozanam, così per molte cagioni, come per quelle di vederne chiarissimo testimonio fino dal 1391 nel cemento di Filippo Villani alla Divina Commedia. Della schiera di questi si è fatto il P. Giuliani, il quale nel presente scritto principalmente ha preso a ribattere ciò che contra la lettera n'ebbe già pubblicato il cav. Filippo Scolari. Che ne di- remo ? se non che le prove addotte dal dottissimo somasco sono al tutto sì concludenti, che reputiamo vana affatto l'opera di chi ancora volesse ostinarsi a rifiutare fra gli scritti di Dante la lettera a Can- grande. Egli sarebbe mestieri rifiutar prima tutte le sentenze che Dante stesso ha posto ne'libri suoi: oltra la lingua e lo stile che senza dubbio alcuno 229 sono di lui. Quanto a noi , seguiamo la sentenza d'un nostro compilatore, al quale par proprio d'averla veduta scrivere all'Alighieri. Lodevolissimo ancora è il volgarizzamento d'essa lettera, che ci dà il Giuliani dopo quelli del Missirini e del Fraticelli: e pieni di senno sono le correzioni che qua e là vi ha fatte. Poesie di Lodovico re di Baviera recate in versi ila- liani dal cav. Dionigi Slrocchi ora per la prima volta date in luce per cura di Giovanili Gliinassi. 8. Prato per Ranieri Guasti 1858. ( Un voi. di pag. IV e 272 col ritratto dello Strocchi.) Fra i poeti, di cui oggi pregiasi la Germania , ha nobilissimo nome , come a tutti è noto, S. M. il re Lodovico di Baviera. Poco erano però cono- sciute le sue poesie di qua da' monti , a cagione della lingua non molto a noi famigliare in cui sono scritte. Di che fu bella impresa quella del celebre Dionigi Strocchi di sobbarcarsi alla non lieve fatica di volgarizzarle. 11 famoso traduttore di Callimaco e di Virgilio si mostra qui pure quel sommo ch'ei fu nelle più riposte gentilezze della lingua italiana. Lode adunque all'egregio signor Ghinassi d'aver ar- ricchito le nostre lettere di sì nobii lavoro; e d'aver- gli premessa una dotta ed elegante sua prefazione, ed insieme la vita del suo onorando amico. 230 INDICE Proemio del direttore del giornale. Nota de' compilatori e collaboratori. Cìaìdì, Lettera sulla bolle sotto V Arno [con lito- grafia). ........ t . pag. 1 Zavagli, Riflessioni sid colera epidemico ec. » 15 Bo, Sulla dottrina de' contagi e delle malattie contagiose » 15 Visconti, Antiche iscrizioni scoperte in Arsoli » 52 B. Giordano da Rivallo, Tre prediche inedite^ pubblicate da Enrico Narducci . . . » 71 Angelluzzi, Intorno alla vita e alle opere di Cri- sostomo Colunna » 134 Spezi, Alcune ricordanze del prof. Rezzi . » 161 Monlahi, Saggio di poesie latine . . . . » 199 Rambelli, Della vita e delle opere di Angelo Astolfi » 210 Teocrito, Epitalamio di Elena tradotto da G. Chinassi » 221 Zambrinì, Catalogo di opere volgari a stampa de' secoli XIII e XIV » 225 Dante, Lettera a Cangrande tradotta , difesa e illustrata dal Ciidiani » 228 Lodovico re di Baviera, Poesie tradotte dallo Streccili . » 229 ^„--rr7r^ag. liii. ERRORI CORREZIONI i^>. . ■Sa^w^ 2>^ 19 inerte inerente tfs'^I^M^if^yS 1 1 5 anima animale '^'t?** '" / ^^ 11 canlarina cantaridina ^^^''yfièx''^'^^^^ 27 credere vedere ^'^*''~***''^ 51 18 Pongo Porgo IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius IMPRIMATUR Fr. Ant. Ligi Archiep. Icon. Vicesgcrens Nel giornale si dà il sun!o, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per l'agricoltura, industria ec, come anche i programmi de' con- corsi accademici, dovranno similmente esser mandati franchi di posta alla direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. . ^3 ^S ©jiii.M ^^ GIORNALE DI SCIEllfZE, LETTERE ED ARTI ^^ TOMO II DELLA NUOVA SERIE ROMA Tipografia delie Belle Arti 1857 Piazza Poli num. 91. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO CXLVIII DELLA NUOVA SERIE II MARZO E APRILE 1857 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1857 Bollettino del isiiliito medico valenziano. Mese di no- vembre delVanno 1856. Lettere sulla febbre gialla. LETTERA PRIMA. Al sig. dott. Antonio Na varrà. Gì riusto sarà , amico mio , che sacrificando qual- che ora del riposo , la dedichi a soddisfare il no- bile e ben inteso desio, che ella mi ha manifestalo di conoscere i principali caratteri, coi quali si è pre- sentata la febbre gialla in Porto-Principe dal mag- gio all'agosto dell'anno prossimamente decorso. La non isperi ritrovare in queste righe scritte con pre- cipitazione, e direi pure con trascuratezza, altra cosa, in fuori delle impressioni ricevute negli amari mo- menti della epidemia , e le conchiusioni che dalle medesime ho tratto; ben sa ella, che non asconda altre mire fuori di quelle di essere utile ai miei si- mili, e di corrispondere lealmente alia amicizia con la quale mi onora. Impertanto prescindo dalle in- terminabili questioni, che son già tanti anni che i me- dici agitano intorno alle cause, alla patologica en- tità ec. di questa terribile malattia, propria delle An- tille ; conosco infatti che non sarà ignoto alla di lei erudizione e molta dottrina quanto intorno a ciò si è scritto; quindi riferirò solo quello che ho visto. Apparve la epidemìa nella truppa in sui primi di maggio dopo il nostro ritorno da Las TunaSj nel 4 qual punto stialct;ico rimanemmo quattro settimane aspettando l'entrala dei filibustieri , che mai non comparvero.il grande aumento di temperatura che soffrimmo all'uscire di questa città per il paese già nominato, accompagnato alla marcia forzata, senza ritrovare una goccia di acqua potabile con la quale estinguere la sete ardente , e divorando il soldato in brevi istanti quel poco di acqua sudicia che ve- deva; come ancora l'aver preso quartiere, durante la nostra dimora nel punto predetto , in casolari ' bassi, assai umidi e poco aereati, atteso il numero eccedente degli individui che contenevano; furono le condizioni che favorirono Io sviluppo suo, ma non però la sua caggione efficiente: giacché quantunque sia vero che si spiegò furiosamente prima nella classe dei soldati , e quindi negli officiali ed in quei del paese; è pure una verità che nei mesi di ottobre , novembre e dicembre del 185i fece strage ivi stesso , abbenchè si avesse una temperatura mo- derata , e non fosse avvenuto in antecedenza mo- vimento alcuno di milizie. Tanto meno debbonsi considerare quali cagioni produttrici del vomito, i fuochi di marittima infezione, i luoghi bassi e poco distanti dal mare. Se così fosse, Porto-Principe ne andrebbe esente distando da esso fra le undici e le quindici leghe; in una parola trovasi posta la sua popolazione infra quelle che godono miglior salute. Ma supponiamo che ì miasmi sieno trasmessi coi venti o per altro mezzo: in tal caso opereranno favo- rendo lo sviluppo della malattia. Io sarò schietto: è duopo confessare ed ammettere che la causa in- tima della febbre gialla è ancor sconosciuta; il per- 5 che, senza spendere su ciò altie parole , dirò con Amellis, che è un virus specifico, proprio della ma- lattia; di cui s'ignora l'essenza ; il quale abbenchè non perdoni ad età , a sesso, e a tenfiperamento ; attacca non ostante con preferenza i soggetti ro- busti e pletorici, quelli che abusano di liquori spi- ritosi ec, e con specialità gli europei recentennenle arrivati. Fin adesso qui non si è veduto (che io sappia ) che un individuo sia stato attaccato dal vomito due volte; ed ignorandosi fin ora comple- tamente la sua natura , non voglio entrare a par- larne , onde non penetrare in un caos , del quale sarebbe a me difficilissima l'uscita, e m'impedirebbe di continuare questo breve lavoro dedicato all' a- micizia cui tanto desidero compiacere. Nella let- tera prossima tni occuperò dei sintomi, diagnosi ec.^ restando sempre suo affezionatissimo ecc. Porto-Principe 1 di giugno del 1856. Giovanni Samso' v Mo.mllor. LETTERA SECONDA. Al sig. dott. Antonio Navaira. Mio carissimo amico. Al dovere oggi descrivere quei tratti principali, coi quali la febbre gialla si pre- sentò ai miei sguardi, mi sento vivamente commosso, giacché si dispiegano davanti la mia imaginazione le emozioni terribili che provai vedendo la mia a- mata consorte ed i miei piiì cari amici cader vit- time di una malattia che attaccando i centri della vita fa temerne la perdita. Quindi è che compreu- 6 dendo ella l'angustiata situazione dell'anima mia , saprà compatire i difetti che in questa mia riscon- tri^ figli dello stato del mio spirito in questi mo- menti. Divido il corso della febbre in due periodi: giacché il primo ammesso dagli autori si confonde quasi con il secondo, e pochi sono i medici che lo osservano; ed i pazienti lo lascian correre inav- vertito, attribuendolo a passeggiere eventualità- Fatto questo rimarco passo ad esporli. Primo periodq.~U più delle volte prosentossi im- provviso in mezzo delle ordinarie occupazioni della vita e nel momento in che meno lo si aspettava, sentendo i malati un intensissimo dolore di capo acutissimo sopra la fronte, sugli occhi , e partico- larmente sulla radice del naso; faccia iniettata; oc- chi accesi e lagrimosi; bordi palpebrali rubicondi; le gengive con una specie di contorno o faccia rosso- viva abbastanza pronunciata in alcuni, ed in altri non tanto; la lingua si osserva negli uni rubiconda, ne- gli altri bianca, ma sempre più o meno arrossata nella punta e nei bordi, e notavasi al tatto nel cen- tro suo una asprezza rammassata come velluto; sete ordinariamente viva, anoressia, nausea e vomiti bi- liosi e di vari colori: dolori vivi quasi sempre alla spina (dicevano i malati che dividevansi o strangola- vansi loro le reni) ; talora in questa parte e con- temporaneamente nelle braccia e nelle coscie, raris- sime volte nelle membra sole ; ma più comune- mente ai reni ed ai femori. Alcuni accusavano sulla bocca dello stomaco uno stringimento, un oppres- sione, senza poter tollerare nulla al di sopra di que- sta parte; altri un dolore più o meno intenso , ed 7 altri niente. Sempre fin dal principio (se mal non mi ricordo) riscontrai il gorgoglio nella fossa illiaca dritta e talora nelle due ad un tempo; quando que- sto rumore iva accompagnato da dolore sotto della pressione, la malattia soleva essere assai grave. In molti infermi eravì agitazione ed ansietà grandis- sima, in altri delirio (come in mia moglie); in al- tri stupidità, sonnolenza abituale, rispondendo pia- nissimo e con pena alle domande che gli si face- cano; scadimento generale delle forze; temperatura della pelle in certi casi aumentata assai, ed in al- tri poco; applicando la mano ad una qualsiasi parte del corpo , sentivasi comunemente una particolar sensazione assai disgradevole che non posso definire: notai pure nell' entrare nella camera dell' infermo un odore ingrato sui generis dovuto alle esalazioni del paziente. Il polso si presentò variabile: con tutto ciò lo trovai molte volte piccolo e duro , e rara- mente frequente, duro e forte- Finalmente qualche persona fu sorpresa da freddo intenso per più o meno di tempo (durò quattro ore in un mio amico), cui tenne dietro un forte calore. Secondo periodo. - Nella maggior parte dei casi cominciò verso il tei'zo giorno rimarcandosi il colore giallognolo dei tegumenti; improvvisamente si pre- sentavano vomiti di materie liquide e nere , o di color di caffè, in parte od in tutto, con un depo- sito che lasciavano nel vaso che le raccoglieva so- migliante ad una polvere finissima dello stesso colore, e si scorgeva molta ansietà e svenimenti intanto che si rendevano; flussi abbondanti di sangue per secesso, per orina, per la bocca e per le narici; in alcuni 8 coma profondo, altri conservarono chiare 1^ facoltà della ntiente, e non perdettero la conoscenza in fino che morirono. Alcuni individui sperimentarono difficol- tà di respirare ed una sensazione particolare insoppor- bile che gli saliva dal ventre al collo, della quale niollissimo si lamentavano, perchè dicevano che gli bruciava la gola; in pochissimi casi vidi la diffi- coltà del respiro nel primo periodo ; alito fetido; deiezioni nereggianti; qualche volta singhiozzo; la disuria e la stranguria appena si presentarono; me- teorismo e prostrazione grande di forze. Questi sono i sintomi pilncipali che ricordo; avvertendo che non lutti gli attaccati offrirono il quadro menzionato- Generalmente parlando, la diagnosi della febbre gialla non presenta alcuna difficoltà, attesi i sintomi menzionati e tutte le circostanze che li accompa- gnano. Perciò che riguaida il prognostico, diroUe che i malati che nell'Invasione furono sorpresi da freddo intenso di qualche durata, e fino d'allora provarono difficoltà di respirare; come quelli che più taidi espe- rimentarono la peculiar sensazione di bruciore che risaliva dal ventre al collo, tutti morirono; e nemmeno uno si salvò di quanti io ne vidi. Il vomito nero fu pure uno dei sintomi peggiori , maggiormente se s'inoltrava; i flussi sanguigni ed il giallore non non lo furono tanto- Alcuni infermi morirono dopo di un apparente migliorìa; e quasi tutti soccombet- tero dal quinto al settimo giorno. Veda ella, amico mio , il corso di questa malattia , il cui tratta- mento curativo mi occuperà in altra mia. Disponga del suo affezionato amico. Porto Principe 14 giugno del 1856. LETTERA TERZA. Al sig. doli- Antonio Navarra. Stimatissimo amico. Se in questa lettera mi oc- cupassi di raccontarle tutti i medicamenti e rime- di ammessi come infallibili per gnarir-e la febbre gialla, coi quali si fa speculazione abbondantissima, abbusando della buona fede del popolo, abbisognerei di pagine senza fine a perdere un tempo, di cbe per le occupazioni mie non posso disporre. Di più, ella conosce benissiuio le formule ed il numero eccedente di specifici dati a combattere l'inferniità predetta; impertanto prescindo dal menzionarli , e seguendo il mio piano sporrò semplicemente e pie- namente il trattafuento che usai e che è il più adot- tato yey i pratici del paese. Contro della febbre gialla, che viene con la spada alla mano, non vi hanno specifici; non ostante nella epidemia citata, che fu una delle più terribili che si conobbero in questa città, ebbi occasione di ve- dere i buoni l'isultati ottenuti con Y olio sempre che si potè adoperai lo fin dal principio, in che uno manifestavasi attaccato da quella. Questo rimedio, che si va generalizando di giorno in giorno nell'isola, lo adoperai nel modo seguente: alla prima visita, a seconda del temperamento, del sesso, della età, delle circostanze individuali, prescriveva dalle sedici oncie fino a due o tre libbre di olio di mandorle dolci, con mezz'oncia, due o tre di sugo di limone, cioè adire per ogni libbre di olio, un'oncia di sugo di 10 limone, ordinando al malato di prenderne un mezzo bicchiere non grande ogni quarto di ora, e talvolta ogni mezz'ora, infinchè soppravveniva molta nausea: che allora si sosprendeva l'olio, e facevasi tracannare di molte acqua tiepida al malato in fino che vo- mitava. ( Un isolano dell'età di sedici anni, di tem- peramento sanguigno e costituzione robusta, giunse a bere, come mi dissero i suoi genitori, trenta bic- chieri d'acqua di seguito, e dopo di questa quantità cominciò a vomitare ed avere tante deposizioni ven- trali, che sembra impossibile che il ventre suo po- tesse contenere tante materie ; le deiezioni erano fetide oltre modo od assai billiose come le materie del vomito,e con gli sforzi di questo entrò il malato in un sudor generale ben permanente che terminò con esito favorevole la malattia. ) Contemporaneamente ordinava dei clistieri emoUienti oleosi ogni mez- z'ora; fomenti di posca alla fronte rinnovati frequen- temente; bagni senapati; senapismi volanti e sullo stomaco una embrocazione composta di un oncia di olio di camomilla con un'ottava di etere acetico, ed al disopra cataplasmi, o fomenti emollienti, bi- bite acidulate continuamente. Dopo quattro oro fa- ceva la seconda visita, onde vedere la quantità e la qualità delle materie emesse per vomito e per se- cesso, che in generale erano abbondanti e biliosis- sime; i sintomi per il solito mantenevansi nell'istesso stato; per conseguenza, eccettuato l'amministrazione dell'olio per la bocca, la medicazione era la stessa, con più un' ottava di acetato di potassa sciolta in una libbra di acqua distillata, e ne faceva prendere un cucchiaio all' ora : infino che durava la febbre. 11 Tornava a vedere il malato dopo più o tn-eno dì sei ore, e se il dolor del capo, reni ec. seguitavano con la intensità stessa, con polso frequente e duro, oltre le cose ordinate aggiungeva l'applicazione di dodici a ventiquattro mignatte all' ano ; e se alla quarta visita ( a distanza di sei ed otto ore ) il miglioramento era di poco, persistendo la cefalalgia intensa, il polso duro e frequente, prescriveva una sanguigna ordinariamente dal braccio dalle sei alle diciotlo oncie , continuando sempre con ciò che fu ordinato alla prima visita , meno l'olio per bocca. Se alle ventiquattro ore o prima i sintomi non avevano diminuito in un modo notabile; la ma- lattia passava al secondo periodo, e terminava co- munemente con la morte. Quindi è che avvisava ai parenti fin d'allora l'urgenza del bisogno di prepa- rare spiritualmente il malato, giacché alla piiì pic- cola trascuranza su tal materia veniva qualche volta il coma od il delirio , e 1' infermo moriva senza ricevere i ss. sagramenti. Quando il malato trovavasi piìi o meno abbattuto, ordinava dei mezzi clistieri di decotto di china dimezzato con gli emol- lienti, ripetendoli ogni ora, e vi aggiungeva, in cir- costanze particolari, la valeriana , ed interiormente gli faceva prendere ogni una, due o tre ore un cuc- chiaio 0 due della mistura che segue ; decotto di tapiola avvalorato da un poco di corteccia di china, siroppo di corteccia di limone , due oncie : il tutto riunito. Questi sono i precipui medicamenti che adoperai nella citata epidemia con risultamenti abbastanza felici. 12 Or bene esposte le indicazioni, nlle quali ho adempiuto nel trattamento della febbre gialla, vengo ad esporle il mio parere sugli adottati metodi cu- rativi. Le emissioni sanguigne, parlando in genere, cor- risposero malamente: non ostante quando la febbre gialla attaccava soggetti robusti, quando la cefalal- gia era intensa, il polso duro e frequente, la san- guigna generale faceva benissimo, ed in alcuni in- dividui dovetti ripeterla la seconda e la terza volta nelle prime quarant'otto ore della malattia. Rare volte ordinai la sanguigna alla prima visita, e prima di aver prescritto una applicazione di sanguette al- l'ano, con la quale vidi in un giovane di circa '28 anni sparire come per incantj) tutti i sintomi. Le senguigne locali praticate alle diverse parti del corpo, secondo la specialità degli indicanti , furono preferibili alla sanguigna generale : ma così questa come quelle entravano solo , o si dovevano adot- tare quando scorgevasi una forte reazione inflam- . materia. Molti si salvarono senza bisogno delle ge- nerali o delle parziali deplezioni sanguigne : que- sto però non toglie che si levi sangue in certi casi, ahbenchè sempre con somma precauzione e riguar- do. Sul principio della malattia V olio di mandoiie dolci parve, come ho già detto, mi corrispondesse per- fettamente: tutti quanti mi chiamarono alle prime ore dell'invasione, non affetti da anteriori malattie, e nel corso di cura non isturbato da cagioni di di- sgusto, tristezza etc. , tutti, ripeto , si salvarono ; mentre che quei, i quali trovarousi nelle circostanze opposte, morirono. Prima di Unire queste mal con- 13 nesse righe , dirò con Grisolle, che non dobbiamo credere, come certuni, che il vomito nero costitui- sce un sintomo essenziale della malattia ; giacché Louis lo vide mancare nella terza parte dei malati che morirono nella epidemia di Gibilterra che egli descrisse: io ebbi occasione di verificare lo stesso fatto, abbe.'ichò in una proporzione minore, nel corso dall'epidemia del passato anno. Ma i vomiti , come dice assai bene il menzionato Grisolle, prescindendo dai materiali emessi, sono un sintomo più frequente nella febbre gialla, che in verun altra acuta ma- lattia, eccettuate le malattie dello stomaco. Queste sono le principali idee, che a me sem- bra adempieranno all'oggetto che ella desidera sa- pere intorno alla febbre gialla. Se mai avesse dubbi su qualche punto, potrò darle delle più estese no- tizie, mentre sa di poter disporre con l'amicizia del suo affezionatissimo Giovanni Samso' y Montllor. Porto - Principe 28 giugno 1856. NOTA DEL COMPILATORE Nulla sorprendono le ambagi che si ravvisano nella prima lettera del signor Samso' y MonllloTy in cui si accennano le indeterminabili quistioni sopra cotesto pestilenzial malore. Del quale se non può chiaramente mostrarsi la essenza , siccome av- viene generalmente di tutti i contagiosi morbi, nes- sun dubbio cade sulla sua contagiosa indole. L'en- demia del male nel suolo natale è stata sovente cagione di dubitarne: il che per opera di sagaci e u dotti medici fu dileguato ; e messo in pienissimo merigio la contagìone, quando il male fu importato i» Europa. Perlochè gì' illuminati governi adotta- rono contro la febbre gialla con incalcolabile van- taggio il così detto quarantenario regime. Ma r ignoranza, soprattutto i materiali interessi, prevalsero appo nazioni che si vantano di alto sa- pere, e di raffinato incivilimento a distruggerlo: sic- come avvenne in Francia con ordinanza del 1845 (1). Ciò che veramente stupisce si è,che un medico profes- sore deputato nel parigino parlamento gloriavasi , che, quanto ora risolveva la reale medica acca- demia, aveva egli tre anni innanzi perorato nella camera contro il preteso contagio della febbre gialla. La qual cosa, nel discutersi per me le incessanti ac- cademiche contraddizioni, era dimostrata con incon- cussi fatti officiali diametralmente all'opposto: e cade in acconcio ripeterli. « Sotto il dì 21 giugno 1846 il governo spagnuolo insisteva presso la congrega- zione speciale sanitaria, perchè si rimovesse un'os- servazione di 7 giorni a carico de'bastimenti di Ca- talogna. Mi si passava la officiale posizione , ricca di documenti provenienti dalla nunziatura di Li- sbona, per l'esame e parere: e per giuste sanitarie cagioni, favorevolmente riferite in piena sanitaria adunanza, la congregazione nel dì 1 luglio annuiva a/la domanda del governo spagnuolo. Era avvenuta (iì L' intendenza sanitaria di Marsiglia rinunziò in massa : e vuoisi notare che in quel lazzaretto erano state chiarite sei impor- portazioni di febbre gialla, cinqne delle quali nel 1304. Conside- razioni in prò della pubblica incolumità [)ag. 14 articolo 14-1847. Giorn. Arcadico Tom. CU, 15 questa sanitaria precauzione, dacché un inglese bat- tello a vapore, Véclair, partiva nel novembre 1844- da New-port in America per la stazione navale delle coste di Affrica. Nel gennaio 1845 sviluppavasi a bordo la febbre gialla. Approdava il battello senza sospetto a Boa-Vista, l'una delle isole di Capoverde sulla costa occidentale d'Affrica pertinenti al Por- togallo. Tosto vi si appiccava il contagio, pel quale alcnni abitanti fuggendo a S. Niccolò, altra di quelle isole, ve lo comunicavano con strage di quegli sven- turati isolani che di buona fede avevan data l'ospi- talità. Ma la capitale di queste isole S. Jago se rq preservava mediante le più rigide e note sanitarie cautele (isolamento). Uéclaìr nel principiar di set- tembre tornava in Inghilterra , e nel tragitto era respinto dall'isole di Madera. Giunto a Londra, per ordine del lord del consiglio privato era il bat- tello posto a rigorosa contumacia: e tutte le sani- tarie prescrizionpì adopravansi prima di metterlo a libera pratica (1): e vuoisi sapere che pel viaggio e nella contumacia perirono 18 persone, senza quelle perite prima dall'approdo alle suddette isole ». Quindi io soggiungeva, se la mala fede è e sarà sempre un sociale obbrobrio, quella commessa a danno dell'in- coluinità pubblica è incomparabilmente maggiore. Decida dunque il sig. professore deputato , se la Francia, per adottare la massima de' convicini, che nel pericolo distruggono , si sia messa al cimento (I) In cousimili continjeuzc Curono in Londra altre volte adot- tate rigorose sanitarie cautele, e rilevate dagli ste&si dispacci di Libbona. 16 di provare le stragi di Barcellona, di Livorno, delle isole di Capoverde etc. etc. (1) ». Cotesto fatto mi convenne ancora ricordare nel congresso sanitario internazionale (2), e fu denegato dai delegati inglesi colla promessa di presentare nelle prossime adunanze i documenti della sua in- sussistenza. I documenti non si videro mai, quan- tunque ripetute volte da me riclamati. Né punto è da meravigliarsi , se innanzi della convocazione di quel congresso sì spacciasse dal dott. Thomas^ medico per più anni nelle Antille, un libro nel quale si negava la contagiosità della feb- bre gialla: e, ciò che pili sorprende, aggiungeva che cotesta malattia ogni anno nell'estate dominava a Livorno (3). Questo medico viaggiava in Italia nello stesso tempo e quasi di conserva col signor console David, che fu poscia preside del congresso. Come poi giungevano i delegati sanitari stra- nieri a Parigi, tosto erano regalati» di un altro li- bro di Clot-Beij: il quale teneva per fermo che dai (1) Considerazioni ulteriori in prò deli' incolumità pubblica relative alla peste bubonica ed alla febbre gialla di Agostino Cap- pello. Roma 1846 tipografia delle belle arti, pag. 17-9; e Giorn. Arcadico, tomo CIX. (2) Ministère des affaires étrangeres-Procès verbaux de la conference sanitaire interuationale. Tom. I. Procès verbai n. 16. Seance du 9 octobre 1851 pag. lO-H; e riportato eziandio nei cenni storici di quel congresso pag. 33-3 , e Giorn. Arcadico tom. CXXVIII. (3) Siccome è notissimo, soltanto nel 1804 fu invasa questa città dalla febbre gialla, e quivi per rigide sanitarie discipline fu circoscritta e distrutta. 17 signori delegali si sarebbe rinunziato all' idea del contagio del tifo babonico, itleroide, soprattutto del Cholera-morbus: ed in questi dì prodigavansi ulte- riori onori all'autore. Quando però i fautori delle pestilenze si avvi- dero che era quasi impossibile distruggere tutte le sanitarie norme , allora si provarono, come si era provalo pel cholòra, che per la febbre gialla si pra- ticherebbero misure quaranlenarie, allorché regnasse con genio epidemico , ma nulla si praticherebbe allorché la malattia fosse sporadica (1). In che vuoisi per me riportare il fine di un discorso del dottis- simo Monlau delegato medico spagnuolo. « L'Espagne ne pourra pas préler son adhesion à la distìnction olìicielle de la tìévre jaune en spo-. radique et épidémique. En Espagne, messieurs, de 1893 jusque à 1823 , e' est-à-dire pendant trenle ans, alors que on ne pienait presque aucune pré- caution quarantenaire, nous souffrions une epidemie de fìèvre jaune au moins chaque année , et il y a eu des années où nous avons soufferl, deux , trois et jusq' à quattro épidemies dans divers ports à la Ibis. Les ravages étaient effrayants: les populations démandérent, en conséquence , des mesures sani-^ taires rigoureuses , et le gouvernement acceda au voeux des populations. Le resultai a été, messieurs, que dépuis 1823, non obstant l' accroisemeut du commerce avec les Antilles, nous n'avons plus été (1) Conférence saiiitaire internaliouale loin. id. Résum»; anali- tique (li. 8) des éLiidcs de la coinmission sur la programme, et de» solulions molivées cju'elle propose. G A.T.CXLVill. 2 18 en butte aux irruptions de la fiévre jaune. 11 ne sera don€ surprènant que l'Éspagne refuse toute di- gtinction, qui, au fond, rendrait illusoiros Ics mesu- res quaranténaires contre la fiévrc jaune, et qu'elle tienne au syslème qui lui a sì héui eusoment réussi depuis 1823, systérne qui consiste priucipaleniént à ee premunir contre la fìèvre jaune méme sporadi- que (1) »• Con cotesti irrefragabili istorici documenti è vera- mente incomportevole scandalo , che in onta delle stragi de' pestilenziali morbi, vi sien taluni che pre- dicano la distruzione di ogni quarantenario regime e via discorrendo, Agostino Cappello. (ì) Confércncc id. toip, icl proces-verbal n. 16 pag. i4, 7 ol- tojire 1851. n Causa della rabbia , e mezzo per preservare V uma- nità, dei signori dottori F. I. Bachelet e C. Frous- sart fisici sanitari militari e cavalieri della le- gion d'onore, con schiarimenti di Agostino Cappello. Jr er gentile cortesia dell' eccellentissimo collegio nrodico-chirurgico di questa capitale ho avuto campo di leggere cotest'opera sulla rabbia^ nella quale niuri esperimento ho rinvenuto praticato dagli autori, ma l'ho rilevata essenzialmente basata sopra i miei la- vori su\r idrofobia. Il che dappresso fedelissimo sunto dell'opera sarà ad evidenza chiarito (1). Fin dall' esordire gli autori dicono, che il loro travaglio sì felicemente ispirato in prò della società, sarà per essi la più bella delie ricompense. Riten- gono spontanea l'origine della rabbia: mentre l'uomo la contrae da animali rabbiosi: descrivesi l'orrendo apparato fenomenologico del male , che procaccia nelle popolazioni le più funeste impressioni: il per- chè adottaronsi talune misure governative, in ispe- cie quella di distruggere i cani vaganti più sog- getti alla spontanea rabbia. Si rifiuta il nome d' idrofobia , che non è co- stante nella rabbia, e sintoma talora di altro male, con esempi eziandio di guaiigione. La qual cosa non avviene nella rabbia sempre mortale: seppure (I) 11 libro in idioma francese in 8. è di pag. 156 stampato in Valenciennes pei tipi del Prignet 1857. 20 non fu tantosto piaticata la cauterizzazione, salu- tevole mezzo conosciuto anche dagli antichi. Alla confusione e conti-addizione, che si ravvisano nelle opere accennate ed esaminale, congiugnesi la im- mensa faragine dei rimedi che allucinarono talvolta alcune menti per la ragione che vidersi proficui neìVidrofobia sintomatica : ovvero quando innestata la saliva di questa , non produsse sinistri risulta- menti. Né alcun frutto riportossi colla necroscopia, giacché svariata sempre si osserva nei cadaveri : indubitatamente però il fluido salivare é il veicolo che racchiude il rabido veleno : il quale è proprio dei generi canis et felis, escluso ogni altro animale. Imperocché la saliva di animali erbivori periti d'idro- fobia per morsi di cane arrabbiato, ed innestata in questi ultimi tempi in diversi animali nella sala veterinaria di Alfort, non produsse alcun sinistro. L'esempio narrato, or son vari lustri , del Magen- die e del Brechet di saliva d'uomo arrabbiato ino- culata ad un cane che soggiacque alla rabbia , fu con moltiplicatissimi esperimenti indarno praticato: perlochè gli stessi autori serbarono costante silen- zio, e reputossi che nell'epoca di cotesta inocula- zione avvennero vari casi di labbia nei cani: laonde eotest'unico esempio fu ed e costantemente giudi- cato che il cane morì di rabbia spontanea. Perlo- chè la saliva dell'uomo rabbioso e degli animali er- bivori é innocua, ed innocui sono il sudore, gli emun- torii della respirazione , inclusive lo sperma. Del pari nessun moibo arrecano le carni ed il latte degli animali erbivori periti della malattia in di- scorso. Il 21 Indi si passa alla terapia, che si divide in pre- servativa e cuialiva. Baibaio ricordasi l'uso di la- sciare gli arrabbiati in loro balìa, e talvolta tuffati fra due materazzi, e citasi un esempio anche a' dì nostri (1816): si fa cenno delle pretese vescichette sotto la lingua del Marrocchetti medico russo : si ri[)ete la nullità de'rimedi nella rabbia, non escluse le iniezioni acquose praticate nelle vene: ma come mezzo preservativo torna a lammentarsi il sollecito caustico, proferibile soprattutto col ferro rovente. Poscia si riferiscono le molte cause che riscon- Iransi ammesse per lo sviluppo della rabbia negli animali dei generi canis et felis: ma rigettate tutte dagli autori, soggiungono: Noi troveremo la vera causa reale onde avanziamo che essa risiede wiicamente nella privazione della funzione generativa (pag. 13 h). Stendonsì poi a parlare largamente delle funzioni generative di vaiie specie di animali, inclusive del- l'uomo: quindi si soggiugue: Piii si riflette , più si ha pena a comprendere , come in tanti secoli non siasi prestata seria attenzione sidle conseguenze ri^ svitanti da ima privazione come quella della ripro^ dazione (pag. 18) ìiei geiieri canis et felis : molto più che anche talune tnalattie della specie umana si appi'ossimano a quella della rabbia: «iccome sono la satiriasi e la ninfomania. Nel novero delle tante cause ammesse per lo sviluppo della ral)bia di quei generi canis et felis accennasi l'estro venereo non soddisfatto, ma come opinione dubitativa. Nel 1818 un medico tedesco ha avanzato che la privazione della funzione generativa di quei generi potrebbe influire alla produzione della rabbia. QuesC opinionG 22 è stala parteggiala nel 1823 dal Cappello , ma è stata emessa sotto forma ipotetica senza convinzione e senza essere approfondita {l ! !): perlochè è passata inosservata e senza menzione alcuna {pag. 84.) Laonde gli autori dopo avere lungamente me- ditato, han concepito la possibilità di sottrarre Tuma- nità da cotesto flagello per mezzi che non si sono affacciati alla mente dei loro antecessori (pag. 84-5). Di vero (esprimono) rimanendo deluso l'istintivo ac- cendimento al coito di cotesti animali , insorgono siffatti disordini nel loro organismo da produrre in termine di due mesi un lento morboso processo , pel quale svolgesi un'affezione cotanto formidabile, sfcc'ome è la rabbia nei generi canis et felis. Que- sta nostra opinione basata sopra gravi argomenti è sanzionata da segnalati fatti, per cui sollevasi il velo della ragione vera del morbo , che poniamo sotto r occhio de^ sapienti. Imperocché la conformazione dcH'oigano sessuale dei generi canis et felis è ec- ce^iooalej e diversa da quella dell'uomo fornito di vescichette seminali. Si è osservato nella scuola ve- terinaria di Lione nei cani maschi e femmine un ero- tica esaltazione con istraordinaria azione al coito. Vuoisi quindi riflettere, che andando a vuoto l'ar- dentissimo istinto alla copula, formasi pel suddetto processo il virus rabido, che oltremodo venefico in- vade le glandule salivari. Si domanda da taluno, perchè in queste, piuttosto che in alcuna altra parte dell'organismo, acquista il virus la venefica sua qua- lità ? E si risponde dagli autori, che bisogna accet- tare i fatti positivi come ci si offrono: e dicesi di altri morbi che prediligono elettivamente questa o 23 quella organica parte, Indi proseguosi, clie le gTan- dule salivari sono considerevoli nel cane: inoltre que- st'animale è quasi privo delle glandule sudorifere < che sono supplite dalle salivari: onde può dirsi che il cane suda per la gola. E facil quindi compren- dere che nel sistema salivare avviene 1' emuntorio naturale dei rabidi elementi venefici trasportati dal sangue (pag. 120). Che se volesse farsi un'obiezione qualunque, ne sarà dagli autori discusso il valore entro i confini dell' esperienza dell' osservazione e della verità : mentre se talune lacune non sem- brano dilucidate abbastanza dai materiali che si conoscono, tuttavia per loro opera gettansi scintille di luce, che porgono nella terza parte del loro la- voro il mezzo sicuro per raggiugnere l'obietto mercè di ulteriori esperimenti. Avanzan poi gli autori, che un gran numero di osservazioni raccolte da uomini gravissimi mostrano che la sola rabbia spontanea dei generi canis et felis si appicchi per innesto o per morso. La qual cosa, seb- ben poco conosciuta, è di grandissimo conforto: per cui esclamano gli autori. Se ciò non fosse , cosa mai sarebbe di noi, se ciascun animale potesse pro- pagare il rabido contagio ? In prova dunque che la rabbia non si riproduca al di là del secondo grado^ esistono numerosi fatti autentici raccolti fin da circa 30 anni sono dal Cappello e dal Bader: ed è molto spia* cerole che sieno rimasi sepolti nell'oblio (! !): onde si fanno un dovere di riferirli in queste pagine (124-7). Notasi poscia, che i sintomi precursori della rab- bia spontanea mostransi più intensi di quelli della 24 rabbia comunicala. L'accennata teoria che la sola rabbia spontanea di quei generi si comunichi e si arresti al 2° grado, quantunque convalidata dal ra- gionamento e dai fatti, pure fra i moderni i soli che l'abbian accolta sono Berard, Denonvilliers , e Le Coeur: mentre altri autori serbano silenzio. Aggiun- gono gli autori che assurda e antilogica è l'asser- zione di taluni, che i denti e le mascelle dell'uomo e del cavallo non possan cagionare morsi profondi e sanguinolenti ed estesi. Si comprende inoltre come gli altri umoii le carni, il latte etc. superiormente accennati , inclusive l'inoculato sangue, non ripro- ducono l'orrendo morbo: sebbene sia lodevole di an- dar cauti nella se-^ione di anioiali periti di rabbia spontanea. La teoria della spontaneità suggerisce una rile- vante osservazione, per la quale frequentemente ac- cade che morsi anche gravi di animali arrabbiati non han cagionato alcun funesto sinistro, e senza es- sere stato apprestato soccoiso per distruggere il virus: il che avviene per non esser affetti di rabbia spon- tanea, ma comunicata. Dalla stessa cagione derivano lutti i pretesi successi attribuiti a tanti differenti rimedi: si comprende in fine perchè la maggior parie degli autori sono caduti nell' errore, che la caute- rizzazione praticala in termine 10, 20, 30 giorni riesca valida talvolta a distruggere il virus rabido. Imperocché cotesti e somiglievoli pensamenti di pro- speri risultati sono Ulusarii: giacché i morsi degli animali avvenivano da rabbia comunicata. Ne con- segue che rispetto alla cauterizzazione debba questa pralicavsi instantaneamenle per distiuggere la venefica 25 azione pruflotUi da animale spontaneamente ana!)- biato. Le Coeur ha supposto con poche parole la pos- sibilità di un riassorbimento spermatico senza svi- lupparla , e senza far menzione diilla mancanza delle vescichette seininali: tuttavia gli autori di- cono esser soddisfatti di rjavvicinarsi con essi sopra cotesto punto: mentre questo pensamento è basato sopra argomenti che a lui mancava- no , e saia da essi chiarito in modo da risve- gliare questa volta la più grave attenzione. Né gli autori convengono nell'avviso di Le Coeur, che le cagne sieno incapaci di arrabbiare spontaneamente. Imperocché vari fisiologi hanno osservato nelTovaie delle donne vescichette che si vuotano, e si riem- piono, e nella loro pienezza si eccita 1' ardore pel coito , che talvolta non appagato , è cagione della ninfomania che si approssima ai sintomi rabbiosi : altri autori ripetono siffatto disordine dal riassorbi- mento dell' umore segregato dalle cripte mucose dell'apparato generatore. Quindi non soddisfatte le femmine dei generi canis et felis nel loro caldo, in- sor'gono analoghi fenomeni da svolgere la spon- tanea rabbia: benché assai di rado ciò avvenga. Gli autori, ispirati dal vivo desiderio d'illustrare la quistione, pi'opongono esperimenti mercè dei quali metterassi in chiaro l'argomento della rabbia spon- tanea nei generi canis et felis inclusive nelle femmine. Profilassi Laonde conosciuto (dicono) per noi la causa ver-a della rabbia spontanea, proponiamo con fondamento 26 la castrazione : né dirassi barbane : mentre si ca- strano bovi, cavalli, agnelli etc, e precisamente do- vrà praticarsi fra le dita per schiacciamento come negli agnelli, e si fa istantaneamente e senza do- lore 0 quasi nullo: nò discrediamo che possino an- cora esser utili all'uomo; nò in tal guisa si vedrebbe il numeroso stuolo dei cani , il cui mantenimento potrebbe volgersi in prò della povertà : ne piccolo risparmio sarebbe pel governo per 1' uccisione che dopo tre dì, se non sono riclamati , si fa di tanti cani vaganti (1). inoltre non si rinnoverebbe, come avviene sovente, il pubbblico scandalo pel loro ac- coppiamento. Che se a taluni ripugnasse di avere cani castrati, potranno allevare cagne ed esser sottoposte alle condizioni regolate in modo da rimovere qua- lunque occasione allo sviluppo del morbo. Indi pro- seguono a proporre una riunione di cani inclusive castrati , ed una riunione di cagne nell' epoca che sono queste in caldo: e separate con apposita e fìtta graticcia dai maschi , si ecciteranno questi il pia possibile alla copula, la quale non conseguita, ten- gon per fermo che nell' una o nell'altra volta svi- lupperà la spontanea rabbia, la quale comunicata per morsicatura o per innesto ad altri cani si procederà in questi all'osservazione della non riproduzione del- l'orrido morbo. Né mancasi dì proporre discipline che ponno raggiugnere lo scopo anche nei piccoli comuni. Non pertanto, aggiungono gli autori, con siffatti salutevoli mezzi si distruggerebbe totalmente il (1) Cotesto mezzo è del pari praticato in Roma. i>7 mnle : giacche sarebbe difficile conseguire il com- piuto intento nei gatti e nei lupi: ma col diminuire la specie dei primi, e colla piatica di sorveglianti cautele, difficilmente si sviJupparebbe in essi la spon- tanea rabbia: molto più che assai di rado si osserva in questi animali: ai lupi facendo viva ed incessante guerra dovrebbe spegnersi la loro razza ; siccome si è raggiunto in Inghilterra. Conchiudono gli autori che dal comj)Iesso delle esposte considerazioni, l'amministrazione dovrà or- dinare quanto si è per essi proposto, onde preser-^ vare Tumanità da un cotanto flagello: nò dubitano che tantosto le nazioni incivilite non tarderanno ad imitarne l'esempio. Danno essi termine al loro lavoro con sicuiezza di riposale nella fiducia del governo, e nell'alta sol- lecitudine del capo dello stato che accoglie sempre con tanta benevolenza tuttociò che può contribuire al vantaggio della nazione. SCHIARIMENTI DEL CAPPELLO Un caso fortuito e 1' erronea opinione che l'un contagio distruggesse l'altro furono in Tivoli nel maggio 1810 la sorgente de miei lavori sull'idro- fobia (1). Raccolti quindi per oltre due lustri ma- teriali di grave momento, e fìssala la mia dimora in Roma nei primi dì del 1822, doveva esporli avanti l'accademia de' Lincei (2): quando per violenta ca- (1) Memoria suU' idrofobia, di Agostino Cappello, pag. 25 — 6. Roma 1823 pei tipi del Salviucci: e Giorn. arcadico tom. XX pag. 291—2. (2) Effemeridi letterarie tom. VII pag. 388. 28 fiuta da cavallo , per la quale lottai più mesi fra la vita e la morte , si trasferì la lettura all' anno vegnente 1823. Tantosto venne la memoria pub- blicata nell'Arcadico, ripetendosi piti edizioni den- tro lo stesso anno dal Salviucci tipografo in allora di quel giornale. La confusione e le contradizioni , rilevate an- cora dal Bachelel e dal Froussarl, mi fecero pre- mettere con ordine cronologico quanto era stato pubblicato sull'idrofobia dalla piìi remota antichità fino al giorno di quella pubblicazione (1). Rifiutasi da quei signori il nome d'idrofobia, per- chè non è costante nella rabbia e sintoma talora di al- tri mali: ma puossi dire altrettanto della rabbia. Con ragione G. Pietro Frank espresse non esservi lingua che potesse precisare il nome di sì orribile morbo (2). Se appo gli antichi ed i moderni invalsero i nomi or d'idrofobia or di rabbia, entrambi anche da me usati: ciò che doveva richiamare la massima attenzione era il descrivere e distinguere esattamente quanto concer- neva r indole e la natura del male. Il perchè non mancai distinguere l'idrofobia in essenziale, in co- municata, in sintomatica, ed in morale, senz'omet- tere talune turbe nervose somiglievoli a rabbiosi sintomi: (3) e di ciascuna diedi alFopportunità di- versi esempi. Siccome poi l'andamento di cotesto morbo; ri- tenuto anche da me fino al 1813 nella comune opi- (1) Memoria id. pag. 4-13, e giorn. id. (2) Polizia medica tomo 8 pag. 273. (3) Mem. id. pag. 10 e seguenti. 29 nionc di contagiosa natura, differiva non poco dal genio de' contagiosi morbi .propriamente detti: così estimai necessario di farne l'opportuno confronto, pel quale vedesi manifestamente cotesta differenza. Potrebbe solo ravvicinarsi ai contagi (sempre riproduttivi) nella delitescenza: ma non vi è malat- tia che prima di svolgersi non ordisca latente scon- certo nell'animale economia. D'altronde nella rab- bia ha luogo un lento chimico processo per manife- starsi l'orrido organico veleno. Nò punto può com- pararsi col veleno de' rettili: mentre questo è in- sito e permanente sempre nel loro organismo senza loro detrimento. L'istesso avviso di quegli autori fu per me ri- cordato intorno alla farragine e nullità de rimedi: e pili volte ripetei, giacersi il rimedio nel pozzo di Democìito nella rabbia essenziale e comunicata, ad eccezione del caustico suhilamenle ed accortamente nella seconda praticato (1). Pari fu il mio avviso sulla necroscopia sempre varia (2). Eguale parere sull'es- clusiva sede nelle glandule salivari del rabido veleno e proprio soltanto dei generi canis et felis. In prova di che Bachelet e Froussart hanno accennato , che la saliva di rabbia comunicata dal morso del cane negli animali erbivori punto non si riprodusse col- l'innesto della medesima: e dicesi in questi ultimi tempi più volte ripetuto l' esperimento nella sala veterinaria d'Alfort. Né dissimile dal mio è il sentimento dei sud- detti sull'innocuità delle carni e del latte degli ani- (1) Mem, id. pag. 44 — 8. (2) Id. pag. 16— 2S. 30 mali eibivori periti di rabbia (1), e così degli umori etc. incapaci di suscitare l'orrido morbo. Barbaro , esclaman gli autori con ragione , è l'uso di lasciare in balìa propria l'uomo arrabbiato: e più barbaro ancora tuffarlo fra due materassi , citandone un moderno esempio (1816). Essi parlano pure delle pretese vescichette sotto la lingua pubbli- cate dal Marrochetti, il quale non fu mai russo, ma italiano: e benemerito per altri titoli nella medica scienza. Fu per me mostrata praticamente l'illu- sione di cotesta opinione, dandone posteriormente minuta spiegazione (2). Il Bachelet ed il Froussart rigettano con ragione tutte le cause ammesse per lo sviluppo della spontanea rabbia nei generi canis et felis. Per altro si arrogano esser eglino di aver trovata la causa reale di cotesto sviluppo proce- dente iinicamenle dalla privazione della funzione generativa: meravigliando come in tanti secoli non siasi posto mente ad una sì grave cagione : il perchè essi mostreranno la possibilità di sottrarre l'umanità da questo flagello per mezzi che non si sono affacciati al pensiero dei loro antecessori!! Che se taluno mise fra le cause quella privazione, fu dubitativamente e confusa colle altre cagioni: indi soggiungono, che un medico tedesco (di cui tacesi il nome) nel 1818 opinò che potrebbe influire il coito represso alla produzione della rabbia: e pro- seguono; Quest'opinione è stala parteggiata nel \8^ dai Cappello, ma è stata emessa sotto forma ipotetica (1) Opuscoli scelti scientifici pag. 75 — C (2) Giorn. arcadico, Riflessioni iilleriori sul!' idrofobia 1^7, mese di marzo; e Opuscoli scelti scientifici 1830 pag. 113 — 4. 31 nema convinzione e ncnm cnscrc apf/rofondila : per- lochù è poisala inostervula e senza menzione alcuna ! ! ! K«;ifnirii
  • ortate: d'onde osserverà neppur per sogno aver io parteggiata [\)\n' ninne del medico tedesco: ma a colpo d'occhio ri' leverà di avere con fondato e ponderate cagioni opi- nato la derivazione della rahhia sjiontanea del carie dai coito represso , essendo slato il primo a met- tere a profitto le no/iorii di anatomia cofofiarativa. Oso quindi dire, che anche di presente nella mas- sima fondamentale ha maggior sostegno il mio ra« gionainento di quello puhhlieato dai signori iJa- chelet e l'roussart, nella cui opera scorgesi un ma- nifesto plagio. Ecco le mie parole. » Siceofue dall'una un'altra induzione ne sorge, affacciasi perciò al pensiero di sapere quale o quali furono le impellenti causo per cui produce-si ja rah- bia. Schbeae chiara generalmente non sia la dolliina dello cause morbose, ed oscura sia certamente più ch'altra nel male attuale, tuttavia Io più mature ri- flessioni 8uir eliologia della tiburtina idrofobia mi condussero, delle tanto cagioni dagli autori descrilto a riconoscerne una esclusivamente, la quale, a mio parere, debbo essere la medesima ovunque si ma- nifesti la rabbia es«cn/iale. Non la sfrenata ira (1), (IJ Fino airi:tii 'lei 2:) anni, tranne tre anni, mi nono *amprii nei primi meni - l>on{jueulem(tnli- di continuo jIIi caccia. Centinaia 'li 32 non i cibi calidi, nò le carni tVacide, non la priva-' zione di libertà (1), nò la sovercbia fatica, non la soppressa traspirazione , nò la varietà di tempera- tura (2), ma il massimo e reiterato eccitamento ve- nereo non soddisfatto, coiristinto portato per quel- l'oggetto al più alto grado, sembra Vassoluta cagione di quest'orribilissimo male. In Tivoli difatti sono scarse le cagne in paragone de cani maschi. Quelle, allorché sono calde, vengono comunemente rinchiuse per dar loro un elettivo sposo (3). Dotato il cane di squisitissimo odorato , corre laddove l'istinto lo chiama. La vitalità tutta riconcentrasi nel centro sensitivo, che fortemente reagisce sull'organo ripro- duttore della specie. Nò !a ragione nò un religioso dovere possono imporre un freno a chi per natura volle ho veduto mordersi e adirarsi i cani fra loro al maggior se- gno. La rabbia giammai è comparsa. Qiiest' osservazione è giorna- liera. (1) Tre cani sono stati rinchiusi in una sala della scuola ve- terinaria d'Alfort: uno dì essi è slato nutrito colle carni salate, ma non gli è stata data alcuna bevanda: ed egli ha vissuto 41 giorni. Un altro non ha preso che acqua, ed è morto dopo 33 giorni; fi- nalmente il terzo e restato 25 giorni senza bere e mangiare ed è morto. Ninno di questi animali ha provato i sintomi di rabbia. Orlila. (2) Non pochi sono i cani che languiscono in Un perfettissimo ozio senza andar soggetti alla rabbia. Tutti i giorni i cani da cac eia nel colmo della loro fatica buttansi nelle gelide acque e sop- primesi il loro traspiro. Dall' eccessiva temperatura passano alla più bassa continuamente; non per questo i cani vanno incontro alla rabbia. Queste nocive potenze d' altronde saranno capaci a pro- durre le ordinarie malattie, vincibili più delle volte con un appro- priato metodo di cura. (3) Liberissimi e di brutta presenza sono slati i cani liburtini alletti dalla rabbia spontanea. 33 ne manca. Che anzi quanto più difficile riesce al cane l'accoppiamento, con altrettanto ardore un'ir- resistibile volontà lo strascina al desiderio di quello. Veglie, digiuni, oblio di ogni acquistata abitudine, benché domestica e piacevole , divengono indiffe- renti ad un animale che tutto il suo studio rivolge al desiato venereo conseguimento. Quanta debba es- sere la perturbazione dell'animale economia , se a vuoto andarono le cure e i patimenti di quest'ani- male, ognuno chiaramente lo vede. » Un cenno sulla distinta sessuale struttura de- gl'animali carnivori , fra i quali vien collocato il genere canis, rafforza l'emessa opinione. Sono que- sti privati de' ricettacoli seminali (1), onde non può separarsi il prolifico umore senza il carnale con- cubito ; ragione per cui la natura fornì piincipal- mente la specie canina di mezzi tendenti alla mag- gior durata dei loro amori. Gli onnivori all'incon- tro (come l'uomo) essendo forniti delle vescichette seminali ricevono ivi l'umore segregato, il quale può essere non solo riassorbito, ma eiaculato anche senza coito per una qualunque fìsica o morale potenza. Il che non succedendo nei carnivori, il latice vi- tale vien dunque richiamato incessantemente negli ar- ricciati vasi spermatici dall'ardente non appagata li- bidine, accresciuta anzi dalla potente istintiva rea- zione, e nel cane per l'olfattoria sensazione raddop- (1) Verhf.yer, Anat: corp: lium. cap. 21 p. 166 Lipsiae 1699. Quest'insigne autore parla esclusivamente della sola specie canina. Monrò Traile, d'anatom. comparée pag. 13. Olivier LcQond'anato- m'ìti comparée tom. 5 p. 31. G.A.T.CXLVIII 3 34 piata oltiernodo. In questi perciò, superiormente a qualunque specie carnivora , sì altamente salirà la vitalità dell'organo sessuale, che sconcertandosi, nò potendosi sempre riordinare le funzioni generative, notabile pervertimento ivi produnassi , corrispon- dente alla violenza delle indicate cause , da svol- geie, per un processo di chimica animale, un prin- cipio sui generis sommamente venefico, che per Vìn^ lima relazione fra le parti genitali e i sistemi vocale e deglutorio esercita in questi la sua elettiva azione morbosa. Per la quale insorge tosto ed intensamente vi si mantiene una spasmodica costrizione nervosa, che per la coordinata vitale armonia rendesi poscia universale, 11 locale patologico irritamento pertanto richiama gli umori da tutte le parti nelle glandule salivari: sulle quali pei noti rapporti coll'organo gè- neratore, pei nervi che vengon loro forniti dal si- stema della vita animale, e per l'impedita degluti- zione infine , riconcentrasi 1' idrofobico veleno (1). Il perchè tanto nocivo diviene il fluido salivare pro- ducendo, in chi per innesto o per morso sorbì ratO' ino il più impercettibile , quell' orribile morbo , il quale per maravigliosu ordine di natura si arresta né pili si propaga: e ciò per la plausibile ragione, che non venne esso preceduto da quel cocentissimo patema di animo , che squilibrio indusse nei si- stemi sensorio e sessuale : mentre vogliono essere inseparabili le innormalità di que' due sistemi per lo sviluppo della spontanea idrofobia nel genere canis. (1) Per queste ragioni appunto la sola saliva renJesi vene- fica, esclusi tulti gli altri umori, come lo dimostrarono le osserva- zioni di autori gravissimi. Portai, Op. cit. pag. 63. Richeraud, Fisiol. per l'innocuità del sangue degl'idrofobi tom, 1 pag, 278, 35 » Che se questo mio ragionare non voglia conce- dersi assai valutabile , bisogna pure uno consimile accordarne. Perciocché può con asseveranza pronun- ciarsi che per la comparsa di un male sì crudele e mortale, potentissime nocive cagioni richieggonsi. Né sembra, a mio debole divisamento, che possano esse combinarsi più violente delle anzidette, da slo- l'ico-notomici, »on meno che fisio-patologici schiari- menti convalidate. » Insegnaci la storia che nell'Egitto, ed in altre maomettane provincie, non si ravvisa la rabbia per lo carnale commercio, a mio credere che libera- mente colà esercita la specie canina. Autori classici ci riferiscono essere di laro affetti dalla rabbia i cani castrati (1). Vuol darsi qualche peso alle sud- dette riflessioni della idrofobia tiburtina per la scar- sezza delle femmine in paragone dei cani maschi. Debbesi profondamente meditare la fabbrica delle parli genitali dei carnivori, e la squisita azione fi- siologica deWodorato canino. Inutile qui sarebbe l'in- tertenersi a voler riferire le varie e tante simpatie fisiopalologiche fra gli organi faringo-laringeo e ses- suale a tutti note, e meritevoli egualmente di somma considerazione (2). (1) Potranno questi essere affetti dall'idrofobia communìcata. È rarissimo ancora lo scontro delle cagne arrabbiate spontanea- mente. Quando ciò avvenga, sarà per le analoghe ragioni che pro- dussero la rabbia spontanea nei maschi. (2) f Abbiamo creduto (Riclieraud tom. 1 pag. 88) dover si- 4 tuare la voce immediatamente avanti la generazione, aftinché que- M $t'ordine indicasse al primo sguardo la connessione che esiste » Ira i loro fenomeni. » Chi non conosce il cambiamento di voce, e la comparsa della barba al primo sej)ararsi del prolifico umore? 36 » Dalle quali esposte circostanze, se fondate fos- sero, come sembra, e quindi bene avverate, ne ri- sulterebbe un sicuro indiretto metodo curativo. Né questi vorrebbe essere apprestato dalla medica mano, ma bensì da quella di un paterno governo: il mi- glior medico in simili disavventure. » L'energica mano de governi adunque, senza punto alterare l'erario pubblico, laddove non è rara la ricorrenza di questo disastroso morbo, potrà obbli- gare i proprietari de' cani a tenere parità di ma- schi e femmine, o prendere ALTRETTALI MISURE, mercè delle quali possano i cani soddisfare all'uopo il venereo appetito (1). )) Due 0 tre lustri di esatte osservazioni o met- teranno in chiara luce , come spero , la mia opi- nione (2) , oppure la ricondurranno nel nulla. Nel Non ignorasi 1' aumento della salivazione nell'atto della copula. Quante volle le malattie delle glandule parotidi trasportansi ai te- stìcoli ? L'azione patologica simpatica della sifìlide cogli organi vo- cali e faringeo è troppo nota. Lungo saria a riportare il novero di tutte le relazioni fra questi organi. Non vuoisi omettere lo smodalo priapismo che generalmente ravvisasi nell'idrofobia quasi sempre , e disorganizzate trovansi le parti componenti gli organi riproduttori nelle patologiche sezioni anatomiche. (ìj Ottimo sarebbe che, per quanto fosse possibile, venisse ciò eseguito in luoghi racchiusi. Quante volte nei piccoli paesi ser- vono i cani di trastullo, per non dire di scandalo, nei loro ac- coppiamenti.^ Questa forse sarà la ragione, per la quale i russi non lasciano entrare alcun cane nelle chiese, e se alcuno mai ve ne pe- netrasse le tornano a consacrare. Frank, Poliz. med. tom. 8 p. 32.5. (2) Verificato ancora che quelle e non altre fossero le asso- lute cagioni della rabbia, non per questo scomparirebbe l'idrofo bia dalla superficie della terra. Giacché solo su gli animali domestici del genere canis, e non già sulle altre specie di detti generi, po- triano rivolgersi le leggi di medica polizia: ma siccome il cane ed il gatto appartengono a quel genere, e sono domestici animali, e 37 qual caso vorr?i perdonarsi il mio ardimento per r animo che ho avuto di giovare all' afflitta uma- nità ». (Memoria sull'idrofohia di Agostino Cappello pag. 48-59-(1823). Dopo ciò il savio lettore trarrà il suo giudizio. Del tutti) poi gratuita è l'asserzione dei signori Baehelet e Froussart, che il mio lavoro sìa passato inosservalo e senza menzione alcuna. Che anzi ap- pena pubblicato, fu annunziato da non pochi giornali politici e medici dentro e fuori d'Italia. Col titolo di Riflessioni ulteriori sull'idrofobia pubblicai nel-- l'Arcadico di marzo 1827 novelle osservazioni: dipoi molto accresciute inclusive sull'origine spontanea della rabbia negli opuscoli scelti scienlifìci pei tipi del Perego-Salvioni 1830. Illustri medici e scienziati italiani e stranieri praticaron meco cortesi congra- tulazioni. La società medica chirurgica di Bologna, so- lila a rimunerare con medaglia d'argento coH'epigrafe digniorUìus munerandis le utili mediche produzioni, de- gnossi compartirmi cotest'onoie pe' miei lavori sulla rabbia. Ne rimeritò similmente il Toffoli di Bassano nel Veneziano, il quale percorrendo lo slesso arringo colle mie norme ha vieppii'i sempre confermato quanto fu per me roso di pubblica ragione: e fino «iccomc il cane per le sue qualità psicologiche , e p\à per l'odo- ralo, vi è il più soggetto: può senza esitanza dirsi che di 100 ar- rabbiati spontaneamente, 90 sono cani. Ne emergerebbe quindi, se non finterò, almeno il quasi totale annientamento del più formi- dabile morbo che si conosca. iVota. Nella terza edizione di questolavoro si sospesero le parole appartengono a quel genere , e si surrogò (sono i detti animali domestici cornivori): la qual correzione non fu duopo riprodurre negli Opuscoli scelti scentifici, come leggesi nella nota 2 pag- 63 — 4. 38 al presente giorno, in cui sciivo, nofn ha mai cessato di arricchire cotest'importantissimo argomento del- J'idrofobia con opere ed opuscoli in Europa e fuori divulgati. Nel 1832, membro della commissione sanitaria inviata a Parigi per istudiarvi il chole.ia asiatico, tenni proposito sulfargomento della rabbia col Ma- gendie, col Brecbet e con altri illustri medici, che riputarono i miei lavori di grave importanza. Il Guerin ne parlò nella Gazzetta medica. Siccome nell'anno antecedente 1831 avevo pub- blicato il mìo primo ragionamento sopra il cholera indiano, così nell'umiliarlo all'accademia di medicina vi aggiunsi una copia dei citati opuscoli scelti, nei quali erano inseriti i detti lavori sulla rabbia : la cui prima memoria fin dalla pubblicazione era stata alla medesima indritta. Stimai pure con mio in- drìzzo del dì 24 giugno umiliare entrambi gli esem- plari all'Istituto di Francia: siccome leggesi con il grazioso riscontro dell'illustre Arago del di 2 lu- glio (1). Il barone Alibert mi suggerì che pel lavoro sulla rabbia mi dirigessi aìVIvart professore e di- rettore della scuola veterinaria d'Alfort. Il che pra- ticai interrogandolo se erangli noti i miei lavori sul- l'idrofobia. Notissimi i risposerni , sono i vostri utili travagli sopra questo morbo : né alcun caso anomalo (l) Storia medica del cholera indiano osservato a Parigi nel 1832 stampato in Roma pei tipi della stamperia camerale nel 1833 pag. 114 — 17. Per cura del governo pontificio molte copie di que- st'opera furono inviate a Parigi. 39 può spegnere i fatti prima da voi sperimentati e ge- neralmente convalidati (1). L'abbondevole saliva nel cane potrà nel senso dei sig. Bachelet e Froussart tenersi a calcolo pel richiamo del rabido veleno nelle glandule salivari i ' ma, a mio giudizio, vi contribuisce soprattutto il massimo consenso fra questi organi, e quello della generazione. Danno cenno gli autori, che sebbene appaiano ta- lune lacune dai materiali che si conoscono, tuttavia saranno per essi in ultimo messe in chiara'luce per raggiungere il salutare obbletto mercè di ulteriori esperimenti. Parlano indi delle osservazioni raccolte da uomini gravissimi, dalle quali risulta che la sola rabbia spontanea dei generi eanis et felis si comu- nica per innesto o per morso. La quale cosa, ag- giungono(come si è nel sunto sopra da me accennato), sebben poco conosciuta, ciò nulla ostante è di gran conforto: esclamando: Se ciò non fosse, cosa mai sarebbe di noi, se ciascun animale potesse propa- gare il rabido contagio. In prova quindi che la rabbia non si riproduce al di là del 2° grado sono riportale le sperienze e le osservazioni della mia prima memoria, e lo sperimento del Bader da me tratto dal giornale medico chirurgico del fu Alea- fi) Giorn. arcadico tom. LIX pag. 23 — 4 j in cUi si riporta il viaggio medico di Agostino Cappello a Charenton e ad Alfort , letto all'accadeinia de' lincei nella sessione del dì 23 settembre 1833. L'opuscolo, estratto dall'Arcadico, fu invialo a Parigi a molli pro- fessori, inclusive all'Ivart. 40 Sandro Flaiani, che per errore tipografico scrivesi Flagrini (1). Nel rendersi per me i più distinti ringrazianfienti al Bachelet e Froussart, domanderei loro in grazia, perchè tacesi l'epoca in che furon le suddette prati- cate e raccolte, mentre non già circa trenta anni, come essi scrivono, ma 47 anni conta il primo ten- tativo praticato nel maggio 1810,rinnovato nel 1813, e confermalo con esatte osservazioni fino al 1821. Li ringrazio pure del dispiacere da essi provato per l'oblio in cui sono cadute: ma, da quanto si è sopra narralo, appare l'opposto. Arroge che il baron Malvica, direttore dell'effemeridi scientifiche e lette- rarie di Sicilia nel riferire la cura dell'idrofobia del Buisson prodigando in una nota lodi ai miei lavori intorno la rabbia , desiderava tuttavia una qualche dilucidazione sopra il preteso specifico del Buisson contro la rabbia: tanto più che nell'Archivio gene- rale di medicina di Parigi, 2 serie tom. V, si fa- ceva grandissimo conto di quanto era stalo da me pubblicalo sull'idrofobia. Con una mia diretta al Mal- vica sotto il dì 29 agosto 1836 mostravagli aper- tamente l'illusione del Buisson che riputava sicuro specifico il bagno a vapore eie: né mancai di rias- sumere le cose più importanti per me fatte di pub- blico dritto. La risposta fu estratta dal Giornale Arcadico (2) con diverse copie. Siccome 1' anno (1) Memoria sull'idrofobia pag. 25 — 47. e Giorn. arcadico tomo XX pag. 290—312. (2) Tom. LXVIU pag. 145. 41 precedente (1835) mi vidi improvvisamente onorato membro corrispondente dell'accademia reale, ora im- periale di medicina di Francia, così di quella mia ri- sposta diressi più esemplari alla medesima, ed in se- guito di ogni coserella resa pubblica perle stampe,non escluse le Considerazioni in prò deirincolumità pub- blica per l'erronee risoluzioni dell'accademia, d'al- tronde per molti altri titoli rispettabilissima (1). Nel 1839 fatti di sommo interesse comprovanti la non riproduzione dopo il 2° grado del morso di cane arrabbiato furono pubblicati in Roma nell'Arcadico e riportati in diversi giornali di medicina italiani e stranieri (2). Il Rossi di Torino, che ebbe meco ami- chevole corrispondenza finché visse, scriveva che in 30 anni non mai pili aveva osservalo il terzo pas- saggio (3). Intorno al quale argomento leggonsi simili osservazioni negli annali univei'sah* di medi- cina deirOmodei (4) ed in altri. Singoiar menzione fassi de' risultamenti da me ottenuti dall' Haidvogl nel nuovo dizionario zooialrico domestico: articolo Rabbia, Milano 1828: e ricordansi pure dal Levi nel dizionario di medicina tradotto in Venezia dal fran- cese. Non terminarci mai per dimostrare quanto sia stato assuido l'oblio pronunciato dai signori Ba- chelet e Froussart. (1) Considerazioni in prò della pubblica salute di Agostino Cappello. Roma 1846 tipografia delle belle arti pag. 35. Id. art. 11 pag. 29 id. art. Ili (1817) pag. 74: e Giorn. arcadico tom.. CVllI (1896), tom. CIX (1846), e tom. CXII (1847). (2) Tom. LXXXl pag. 33. (3) Opuscoli cit. pag. 66 — 8. (4) Annali aniversali di medicina di Oniodei, voi. XXXIU pag. 17— S: id. n 102 pag. 461. 42 Vero però si è che intorno la rabbia saranno non pochi che opinano ed opineranno diversamente da me. Ma sembrami a buon diritto, che finché non si produrranno altrettanti fatti, e concedasi pure in minimo numero contrari a quei da me e da altri praticamente osservati, o moralmente cerziorati, niun conto debba farsi di cotesti opinamenti. Negli ultimi dì della mia dimora a Parigi come delegato della Santa Sede al congresso sanitario in- ternazionale, angustiato non meno per la tradita in- columità pubblica in argomento il piiJ grave dell'età nostra, che bersagliato dall' abituale lombagine ol- tremodo inasprita per le gelate nebbie parigine , nella sera dai dì 19 gennaio (1852) interrogai so- pra i miei lavori sulla rabbia il Latour redattore in capo del giornale «L'unione medicale». Nel quale egli aveva cortesemente pubblicati biografici cenni dei medici esteri inviati dai governi europei a quel con- gresso (1). Riguardo all'interrogazione da me fattagli intorno la rabbia rispose, non essersi verificate le mie osservazioni. Di che tenutone discorso nel dì ap- presso con vari rispettabili medici , in fra quali col Bally: esso mi disse: Non dovete di ciò farne alcun caso: mentre talora si offuscano le cose più chiare, siccome ne avete inconcusse prove per altri argo- menti. Sorprendente si è che qui siete tenuto per uno degli antesignani del contagio: mentre anzi avete tolto da questo novero la rabbia canina reputata comunemente contagiosa. » Risposi tantosto, che an- ch'io portavo quest'avviso, ma per positivi fatti avevo avuto campo d' osservare spontanea 1' origine della (1) L'union medicale n. 91 pag. 375, e n. 128 pag. 507—8. 43 rabbia canina, ì cui fenomeni eran più somiglievoli, pel mortale esito al più tossico veleno, che ai fe- nomeni contagiosi: e come tossico da molti autori ritenuto: e dal profondo Danvin per tale sospet- tato (1). D'altronde se spontanea fu provata l'origine della rabbia canina; la spontaneità dei morbi contagiosi fu per me sempre ritenuta una decisa chimera , e tale riputata dai più classici autori dei contagi. Il che non solo è basalo sulla genuina storia de'morbi contagiosi, ma eziandio ebbi io campo di avverarla per la sperienza quasi di me/.zo secolo. Inoltre sono nella opinione di coloro, che i contagi racchiudino un principio animale. La quale probabilissima ipo- tesi si mostra verificata in un contagio apirettico, VAcarus del Cestoni : e rispetto ai contagi febbrili ed esantematici procurai il più possibilmente chia- rirne ripetute volte l'ipotesi co'zoologici lumi (1). Tornando al Bachelet e.Froussart, non discuterò il seguilo della loro opera, essendo le cose ivi con- tenute chiaramente da me ragionate fin dalla prima memoria agli autori ben nota. Che se commende- vole è il loro progetto, il lettore scorgerà che è una conseguenza delle basi nella citata memoria da me stabilite. Tuttavia debbesi molta lode al loro con- cetto che mira alla distruzione della rabbia canina. (i) Zootomia voi. S classe terza, Delle malattìe di volizione. (1) Terzo ragionamento per la restaurazione dei bagni mine- nerali presso Tivoli pag. 20 — 1. Roma 1840, e Giorn. arcaci, tomo LXXXV pag. 53~S. 44 Della solitudine e del monachismo. Lettera del p. Antonio Angelini d. C. d. G. al cav. Camillo suo fratello. V rateilo carissimo. Mi dici nell' ultima tua che il nostro amico fastidito del secolo s'è riparato nella beata solitudine di Trisulti: e quanto abbiano i suoi congiunti adoperalo di scaltrimenti, di machine e d'ingegni a smuoverlo dal preso consiglio, non hanno profittato a nulla. Mi aggiugni che trattone pochis- simi, che lodansi di lui per sì generoso divisamerito, i più gli danno carico siccome di pazzia e repu- tanglielo a stemperamento di umor melanconico. Bene sta. La sapienza della croce è stoltezza agli occhi del mondo, e la luce del vangelo è tenebre alla filosofia della carne, lo ad aprirti nettamente il mio animo, ho sem- pre avuto ed ho in grande osservanza e credito gl'istituti monacali, e dalla tenerezza degli anni ri- guardai con occhio di venerazione e di amore i professori del monachismo. Perchè ho trovato vero, che la solitudine leva l'uomo sopra se, lo affranca dalle noiose brighe della terra, lo sprigiona dai lacci e dalle catene dell'ambizione e de' piaceri, e lo rag- giugne a Dio. Altri senta e parli come gli va a ta- lento, io starò al detto di Cristo Signore: il mondo tutto giace nel maligno : quanto ha nel mondo , è compiacenza della carne, concupiscenza degli occhi, superbia della vita. Ondechè tengo argomento di 45 sapienza uscire di tanta malignità , né contristare lo sguardo allo spettacolo di tanti mali. S. Gregorio da Nazianzo era sì preso all'amore della solitudine , che assai volte si richiamò delle officiose violenze degli amici , che dall' eremo lo trassero alla luce della città e alle cure pastorali: e tra queste rivolava col cuore alla soave calma del suo solingo recesso; dove condusse i dì nel tran- quillo di pace , compartendo le ore tra lo studio delle scritture sante, e la contemplazione degli eterni veri. Sono sempre stato, dicea loro, infìno da' miei primi anni vago di quiete e di ritiramento, quanto non so che alcun altro possa essere: e questo de- siderio in me s'è fatto maggiore per lo sperimento che n'ebbi: e voi da questo asilo di pace mi cavate per gitiarmi in mezzo a' tumulti del secolo. Non veggo beatitudine pari a questa, che un uomo ri- tirato in se medesimo senza curar delle cose umane parli con se stesso e con Dio , viva in terra vita celeste, porti nel cuor suo le divine ispirazioni sem- pre pure e non mescolate con gli errori delle cose terrene : e con ciò divenga specchio di Dio , pi- gliando lume dal lume di Dio, pregusti colla spe- ranza presente il bene della vita a venire, e con- versi con gli angeli come uno di essi (1). Vicino del campestre soggiorno , a che s' era raccolto Gregorio, si slungava in pianura la spaggia del mare : e contemplando con occhio filosofico il velo ora eguale e disteso delle acque, ora rotto e (1) S. Gregorius Nazianzenus oratione 1. edil. Billii. squarciato dai venti, raffigurava in esso le vicissi- tudini delle cose umane quando in fortuna quando in calma: e fastidito del pari e delle bugiarde pro- sperità e delle traversie del secolo, levavasi coll'in- telletto in Dio , nel cui possedimento dimora pie- nezza di bene. Ma raccogliamo dalla sua bocca i sentimenti, che nella quiete e nel silenzio della so- litudine gli sorgevano nell'animo. Piegava il sole all'occaso: ed io spaziava in su la proda del mare: unico sollievo alla mente fati- cata dalla intensione degli studi: e mentre vo mi- surando a passi tardi e lenti le deserte arene, porto gli occhi all'estremo lembo delle acque che si co- lorano al raggio del sole che muore : il soffio del vento ingagliardisce , e si scompone la pace delle onde. E come soglio ripiegar l'occhio in me stesso, e far mio profitto la veduta della natura: nel mare riconosceva la vita mia, e con essa le mie vicende, e queste e quello pieni di amaritudine e d' insta- bilità: nella furia dei venti l'urto e la scossa delle tentazioni e gli sprovveduti eventi: nelle alighe, nei nicchi, nelle spugne scagliate in sul lido dal fiotto del pelago i codardi e i dappochi, ludibrio e giuoco delle passioni: nei massi contro cui rompe la marea, il filosofo del vangelo, che fermo in se si ride delle traversie e de' sinistri (1). Egli de'piiì belli nomi appella la solitudine; com- pagna a suoi studi, madre di celesti elevazioni del- l'anima, trasformatrice dell'uomo in Dio: e aprendo il cuor suo in una sublime cantica sclamò : (1) S. Grc^orius Naziauzenus oratione XXVIII edit. Billi. 47 Beato l'uom, che in tacita e romita Magion ripara, e dalla vii genia, Che nel fango rependo trae la vita. Schivo s'asconde, e col pensier s'india (1). Ne è da scompagnare da Gregorio il collega de'suoi studi e r amico cordialissimo s. Basilio , il quale uscì in quella gran sentenza : Io pongo nel primo luogo de' beni umani lo stare ascoso (2). Abbiamo di s. Bernardo, che la tacita contem- plazione, la solitaria prece , e l'ombra amica degli aceri e dei corri gli empierono l'anima di que'su- J)limi concetti che affidò agli scritti (3). Sciivea 8. Girolamo al suo Rustico : A me ogni luogo abitato è un carcere , 1' eremo un pa- radiso (4-). E invitando l'amico Eliodoro al suo re- cesso di Betlem, dà in questa sentita esclamazione: 0 deserto sempre fiorente dei fiori di Cristo ! o piaggia solitaria ed erma, dove raccolgonsi le mi- Tolg yjxpM zpyoyAvoi;^ aXXfSsMas vccv. Idem Carmine XVH edit. Caillau. (2) Tè XaSsTv ^tcóauvrsg v) rocg npóxai; twv ócjoòwj chouvj. S. Basilius epistola IX ad Maximum philosophum edit. OKiurin. (3) » Solebat dicere Bernardus, omnes se quas scìret literas, * quarum neseio an alius aetale sua copiosior fuerit, in silvis et • in agris didicisse, non hominum disciplinis sed meditando et oran- » do, nec se ullos habuisse magistros praeter quercus ac Iragos ». iìranciscus Petrarcha de vita solitaria lib. 2 cap. 14. (4) » ftlihi oppidum career, et solitudo paradisus est ». S. Hie- ronymiis epistola ad Rusticum. 48 sliche pietre , di che si mura la beata Sionne ? o cremo che m'intrometti nella stretta familiarità con Dio! che badi, o fratello, a che ti stai nel secolo, se il mondo non fa per te? T'invola con generosa fuga dalla neghittosa ombra della casa paterna, to- gliti al fumoso carcere della città. Sta al detto mioj il cielo qui è pili aperto, qui la luce è pili viva, qui il sole è piìi bello (1). Ilo il Petrarca alla certosa di fiancia , dove Gerardo suo fratello volte le spalle al secolo vivea a Cristo, fu sì preso alle dolcezze di quella quiete beala non guasta dalle tumultuose cure del mondo, che aprì il suo animo in due libri , che loro inti- tolò della Pace de' religiosi (2). E della sua andata colà pone questa sentenza : I miei pie mi hanno menato nel paradiso: gli occhi miei hanno veduto gli angeli del Signore , che stanziano in terra, ma corso lo spazio dell'esilio si tramuteranno in cielo, raggiugnendosi a Cristo, cui militano. Voi avete in mano un'arra di esseie predestinati alla gloria: dac- ché altramente Dio non vi avrebbe scorti per questa via dirittissima e quanto può essere lontana dal- Tintìdo e tortuoso sentiero del mondo. Mi fuggirono come un àttimo i dì e le notti che condussi tra (1) t 0 deserluai Clirisli tìoribus vernans ! o soliUido in qua » illi nascuntur lapides, de quibus in Apocalypsi civilas magni re- » gìs exsiruitur! o eremiis f'amiliarius Deo gaudens ! quid agis fra- » ter in seculo, qui maior es mundo ? quamdiu te tectorum um- » brae premunì ? quamdiu Cumosarum urbium career includi! ? 1) crede milii , nescio «juid plus lucis aspicio •. Idem epistola ad Heliodorum. (2) Francisci Polrarchae De olio religiosorum libri duo. 49 voi. M' è fitto neir animo quel vostro eremo , mi stanno scolpite nella mente quelle sfogate volle del tempio, mi suona in cuore quell'angelica salmodia: e il mio pensiero riva a quell'alto silenzio che re- gna devoto nel solitario claustro: e porterò in me stampato il volto e le parole sante di Gerardo fra- tello mio, dolcezza unica all'egra mia vita (1). Innocenzo HI che sedette nella sedia di Pietro dal 1199 al 1216 , e tanta luce diffuse di eccle- siastica sapienza, che le sue risposte sono passate in giudicato , ci svela così i suoi pensieri : Per- chè non sia tutto sopraffatto dalle cure, di che mi grava il pontificato e la tristizia dei tempi, vo ru- bando per me alcune poche ore, nelle quali richiamo me a me stesso , e riduco in me il mio spirito , perchè non si effonda tutto , né tutto si versi e spanda negli altri (2). Ma infra tutti i filosofi del vangelo , della cui sapienza si onora il secolo undecimo , non so chi porre allato a Pier Damiani, il quale deposto ch'ebbe a pie di Alessandro II il cappello e il pastorale, con tanto godimento si rinselvò ne' cupi querceti di Fonte Avellana , con quanta pena n'era stato di- velto. Questi facendosi incontro al desiderio di Ste- fano amico suo, cui lo studio della virlìi avea dal secolo menato a Cristo, gli porge documenti bellis- simi di perfezione, e gli parla in questa sentenza: Stefano fratello, in che via ti sei messo, o a vero (1) Franciscus Pelrarcha Soilalitati maynae Carlhusiae. (2) Inriocenlius III proaemio commeiitarii in septem psalmo» poenitentiales. G.A.T.CXLVIII 4 50 dire, in che vìa t'ha scorto non la sapienza della carne, ma la mano amica del santo Spirilo ! via so- pra le altre ardua ed elevata, che ti pone difilato nella patria: via stretta e spaziosa , stielta all'en- trala, larga in processo: via non intralciata di spi- nai e sterpeti di cure mondane, né lorda dei fango di laidi affetti. La vita nuova che hai. abbracciato, è in fecondità di buone operazioni una Lia, in bel- lezza di virlù una Rachele: qui Maria unge d!i olio odorifero di nardo i piedi al divino maestro, e rac- coglie dal celeste labbro la parola di sapienza , e Marta una lauta imbandigione gli appresta di sante esercitazioni (I). . ,i E scrivendo a Leone, che con rara santità mi- litava a Cristo , gli dice: È l'eremo scuola di ce- leste dottrina , magistero delle arti divine , disci- plina di perfezione: è l'eremo giardino nobile com- partito in aiuole a meandri e a liste di fiori d'ogni tinta e di una fragranza, che t'imparadisa l'anima-: qni fiammeggia tinta in grana !a rosa della carità; qui al mite raggio del sole mattutino s' inargenta il giglio dei vergini ; e la modesta e uaule vio^la vive nel suo cespo sicura dal soffiare furioso dea venti. Che chiedi più ? qui trasuda la mirra delia penitenza , e lacrima continuo l'incenso della [sle- ghi era (2). E quando il medesimo Pier Damiani respirò l'aura tranquilla della sua alpe, l'ivide le note rupi. (1) S Petrus Damiani Opusculo XV De suae congregalionis inslilutis ad Stephannm monachnm cap. 1. (2) S. Petrus Damiani 0|)U8o. XI Dominus vobibcuov capi- tulo XIX, 51 spaziò libero e senza cure all' ombra dolce degli aceri e degli orni, e rientrò, posti giù gli onori, nel- l'amica cella ; andò in giubilo e sclamò : Grazie e laudi alla benefica dispensazione di providenza! ec- comi ridotto dalla infelicità dell' esilio alla nota e lunghi anni sospirata solitudine : i miei pie tripu- diano spastoiati dal ceppo che li inferrava : libera respii^a la gola dal collare di ferro che mi affogava il fiato: e levando sereno a Dio lo sguardo gli canto: Tu se', 0 Signore, che spezzasti la mia catena, a te io sacrificherò sacrifizio di laude (1). S. Eucherio, che al quinto secolo cangiò la toga di senatore delle Gallie alle ruvide lane di monaco, e lo splendore dell'avita casa alle ignudo e scabre pareti della cella così scrive a Valeriano patrizio suo congiunto: 0 Valeriano a me legato col doppio nodo dell' amicizia e del sangue , Valeriano a me caro quanto me stesso, io ti veggo e dalla nobiltà del padre tuo e dai meriti tuoi portare ai primi onori. Ma una gloria a te io bramo , verso cui la terrena si dilegua , sì quella è permanente e duratura: ti bramo la gloria inconosciuta al senno di questo tristo secolo, disvelala pure ai seguitatori di Cristo. Spezza la catena interminata di tante cure vane ed amare. A che rendere più angosciosa e più dura questa vita angosciosa per se e dura? Qui ora ci ubbriaca il falso godimento e 1' illegit- timo piacele : ora ci ferisce un acuto dolore , ora tienci sospesi la vana speranza e il timor vano. Diamo le spalle al mondo infido, dove pieni sono di noia ;i) Id. Opusc. XX Apoloyeliciis oIj dimissiim episcoiialiim cap. I. 52 e di lutto l'atto stalo e il basso: che il minore sot- tosta alle contumelie ed è calpesto, il maggiore è mirato a mal occhio, è segno all'invidia , e sta di giorno in giorno in sul ruinare. Che capitale pos- siam noi fare delle dignità se a queste monta con passo eguale il tristo e i! buono? le dignità che dovrian discernere i valorosi e i degni dai codardi e dap- pochi , li accomunano , né per queste la virtù ha vantaggio sopra l'anibizione. Quanto a me, amo me- glio passarmela senza onori che averli sì laidi. Dimnji dove sono iti coloro , che conseguirono titoli ric- chezze e nome sopra quanto avean bramato? Cadde con essi la loro grandezza , e un' ora sgombrò il frutto delle fatiche e delle cure di anni e anni. Che portaron seco di tanto fasto ? Né pormi in- nanzi la turba infinita di questi beati del secolo , che involti in vizi ed errori corrono le vie comuni. Tieni sempre, e ti parlo a buona fiducia, la colpa in chi ella sia, per opprobrio non per esempio. Tu poi, Valeriano mio, gira l'occhio intorno, e dai flutti di tanti negozi e di tante cure mira il porto dove ho riparato , e qua volgi la prora. Non v' è altra rada, non altro seno, dove stanchi ricovrare colla nave sbattuta dalla fortuna del secolo. Qui fida è la stazione e sicura: qui tace la furia de'venti: qui alla pace delle acque sorride sempre sereno e senza nubi il cielo. Qua drizza il corso; qua preso il vento in poppa corri a tutta vela : qua ferma sicuro la nave tua all'ancora della croce (1). (1) S. Eucherius epistola ad Valeriantim cognatum de contemptu 01 lindi. 53 Sénzachè colà dove s. Eucheiio si stende più largamente nella cominendaziofle della solitudine, è nell'epistola ad Ilario, che dalle onoranze del serolo s' era raccolto sotto il vessillo della croce > e con fervore di mente nell'isola di Lerino serviva a Crr^ sto. Strignerò in poco, per esser breve, le sue sen- tenze. Ecco tu hai posto in mano a Cristo ne' po- verelli ampie facoltà ; se' giovine d'anni, canuto dì senno : è in te acutezza d' ingegno , valore d'elo-* quenza : ma sopra ogni tua dote io in te ammiro ed amo lo studio della solitudine. Dacché a' miei occhi è l'eremo tempio immenso- di Dio, che abita nel silenzio, e si piace del lìtiramento: e qui svela se stesso u' servi suoi, né rifugge comunicarsi loro., Mosè nel deserto vede Dio : Elia ne ode la voce ', David cessa le insidie di Saul: esce dal deserto pri- mamente la predicazione del BaUista : Cristo si- gnore vi si raccoglie, ed h servito dal ministero degli angeli , e coli' esempio suo ci dice , che il deserto è luogo di orazione. E' dunque conviene che a prezzo delle più care affezioni si comperi tanto bene. Chi può tener ragione delle utilità che vengono a noi daH'fremo ? Gli abitori di esso sono nel mondo, ma fuori del mondo: e del mondo non odono lo strepito, non il tunmho, non le cure: e sono sì lontani dalla volontà di peccare, come sono colla facoltà : e nella solitudine come in un gin- nasio di filosofìa celeste si cimentano a pruova nelle più ai'due virtù. Senza questo dimmi, dove meglio t' è dato vacare e sentire quanto soave sìa il Si- gnore ? dove trovare via spedita alla perfezione ? dove guardare a Dio più immacolata la mente e il 54 cuore? dove più libero levare a Dio l'affetto? dove gittare più in sald^ le fondamenta deiredificio dello spirito ? Qua tragga chi va tra le tenebre , e ri- vedrà il dolce lume: qua muova e vivrà sicuro chi è ne' |)€ricoli. Oh quanto è cara la solitudine al- l' anima assetala di Dio ! quanto è deliziosa quella sterminala vastità, que' poggi, que' burroni , quegli Schienali di rupi, que' sentieruoli dove chiusi e se- polti, dove sfogati e aperti, que' fìtti e nereggianti macchioni, quella cupa e fonda vallea. Tutto tace. Jl profondo silenzio ti solleva a Dio: né ti guasta la quiete dell' animo contemplante pur un lontano suono di voce umana. E questa silenziosa calma ti torna più soave dal salmeggiare davidico , che al nascere e al cadere del dì in sul meriggio e a notte ferma ascende co' sospiri e con gli affetti in cielo. Posa il pie nel deserto e mette il capo all'empi- reo la scala di Jacob, e su pe' gradi di essa ascen- dono e smontano a mille a mille gli angeli, e di loro presenza allietano la faccia dell'eremo. Qui Jo sposo riposa in sul mezzodì (1), e si lascia a bell'agio contemplare dal solitario , che ferito il cuore da carità esclama; Ho cercato colui cui ama l'anima mia : io l'ho cercato, e alla fine l'ho tror vato: l'ho meco, e più noi lascerò! Non è poi l'ere- mo né infecondo né sterile: e niun terreno può porsi in pari a questo nella fecondità: questo ti risponde il cento: qui proviene il frumento che nutre gli eletti: qui il vigneto ti rende quel vino generoso, che esi- lara il cuore dell'uomo : qui ha liete pasture, alle (1) Gamie. 1, 7. 55 quali si menu il gregge di Cristo. Educa questo suolo d'ogni ragione fiori, che spandono per l'aere fragranza di paradiso; e tra questi levasi tutto fre- sco e tutto neve il giglio delle valli, che apre dal calice le foglie d'argento. Le rupi stesse hanno riposto nel loro seno un tesoro: sì pura in esse e ricca è la vena dell'oro: sì fiamtnanli e vive gemme scintillano nel loro dorso. Ondechè questa plaga entra innanzi a quante rimira il sole in frutti di belle e preziose virtù. Senzachè infra tutti i so- litari recessi che nel seno amico accolgono la san- tità io con istudio peculiare abbraccio ed amo la mia Lerino (I). 0 Gesù dolce ! che accolta di santi colà non vidi ? che odoje non si diffondeva di loro virtù ? non portavan eglino delineata in volto la santi là ? stretti col nodo di mutua carità , bassi per umiltà, teneri di pietà, saldi nella speranza , modesti all'andamento, celeri alla obedienza, silen- ziosi e mutoli allo scontrarsi, sereni e chiari nella faccia: ondechè al contemplarli avvisai in essi la pace degli angioli. Nulla appetiscono, non curano di niente, non cercano altro che Dio. Mentre stu- diano alla vita beata e mentre le vanno dietro, l'hanno arrivata. Vorrebbero esser lontani dai peccatori? sono. Agognano la mondizia del cuore? l'hanno. Amano spendere le oi-e della notte e del dì nelle laudi del Signore? le spendono. Desiderano il consorzio de'santi indilli oJ5i>l (i) È Lerino un isolotto delizioso, che sorge a mezzodi nelfa costa della Provenza presso Freitis; tiene ora il nome da s. Ono- rato che ivi piantò un grandioso monistero. Delle laudi di Lerino scrise Cesario alTomilia 23, Sidonio al carme a Fausto, Ennadio nella vita di s. Epil'anio. 56 godonlo: congiugnersi a Cristo ? lo hanno in se: ane- lano alla perfezione de' solitari? l'hanno raggiunta. Impertanto pe'Iarghi doni della grazia di Cristo conse- guono que'beni, a che li porta il loro desiderio: sono in possessione di quella beatitudine, a cui è volto il loro desideiio, e sono meritati della mercede in tanto che stanno all'opera. Ilario mio, tu entrato tra que- sti non so se abbia portato o ricevuto godimento maggiore. 0 carissimo mio, non li esca dell'animo il tuo Eucherio, e (a d'intercedere appresso Dio per me peccatore (1). S. Paolino, che al secolo quinto messo in ab- bandono il mondo , e uscito di Homa dove fioriva tra primi per altezza di stato, per ampiezza di fa- colta, ()er nobiltà di attinenze, si raccolse in oscuro cenobio presso Nola , così scrive al nobile giovi- netto romano Licenzio educato alla virtiì e alle buone dottrine da santo Agostino , mentrechè questi di- morò in Ronia: Kompi, Licenzio mio , ogni indu- gio, sprigiona il piò dai ceppi del secolo , pwii il collo sotto al soave giogo di Cristo. L'uomo stolto si allieta del bene che fugge : all'incontro il savio non mette in esso il cuore. Roma, che sa e può far cadere anche i più forti, ora si argomenta se- durti con varie arti: ma tu, figliuolo mio, rammenta ed abbi sempre innanzi il tuo educatore e padre Agostino; e questi a te sarà scudo contro le fal- lacie lusinghiere di eotesta città: metti gli occhi in Agostino, e franco uscirai di tanti lischi. Se sapienza e pietà sono in le, o figliuolo, aggiusta fede alle pa- S. Eucherius epistola aJ tlilarium de taudibns eremi. 57 Jole (\e padri tuoi, apri il cuore al consiglio de'vec- clii. II peso che c'impone Cristo, è lieve; il giogo suo è soave. Or che sei libero , or che né leganne di coniugio ti lega, né cura ambiziosa di onori ti ro- de il cuore, poni gli omeri sotto alla croce di Cri- sto. Servire a Cristo è vera e piena libertà: chi si dà al servizio di Cristo, non é schiavo de'vizi, non degli uomini , non dell'orgoglio dei re. Non tener libero il patrizio, che su alta biga discorre fastosa la città che stolta lo ammira: serve costui a molli, serve a un gregge di schiavi e di compre ancelle. Quanto l'umile terra si abbassa lontana dalla gran volta del cielo , tanto e più la gloria e le gran- dezze umane sottostanno al regno di Cristo. A sì nobile conquisto aspira, o figliuolo; muori al mondo, muori alla carne e al sangue ; levati coll'animo al cielo: così gusleiai i saporosi frutti di una pace ine- narrabile: così vincitore corrai la palma su te e sul mondo. Un candido e vivo amore del tuo meglio posemi nel labbro queste sentenze: tu, mio Licenzio, le scolpisci nel cuore: e se le rechi in atto, Cristo stenderà a te ambe le braccia (1). Non verrei mai a capo, se avessi in animo schie- rarti innanzi il lungo ordine d' uomini di virtù e dottrina, i quali e colla voce e coll'esempio ci for- nirono di opportuni documenti par metteici in amore la solitudine e il ritiramento dal secolo: dacché fu sempre di alti intelletti e di menti pure volentieri dimorar seco e in se litrovare quella pace che ci è tolta dal tumulto delle cure umane. E qui teco (•1) S. Pauliiiiiii Carmine ad Licenliiu 58 parlerò alla libera, dacché amendue ci governiamo alle leggi dell' eterna sapienza , nò la tua mente è lontana dalla mia. Quante volte o per veduta o per udita 0 per tristo sperimento che n'ebbi, avvisando la corta fede degli amici, se pur degni sono di que- sto nome, la doppiezza nelle parole, la slealtà nei fatti, la pressura dell' innocente e le sue lacrime senza rimedio, il mal merito renduto alla virtù , il premio raggiunto per vie laide e tenebrose, sclamai in me: Beato chi le mille miglia ne andò da questo secolo maligno, e si rinselvò nelle perpetuo tacenti chiostre de' Brunoni e de'Romualdi ! Che vuoi ? non vien fuori opera diarie e d' ingegno, che non sia fatta segno all'astio ed al livore. L' invidia morde e mena strazio di tutto; e certi, che pur vanno in voce di pietà, cavano il più saporoso godimento in affilare la lingua contro qualche pacifico coltivatore di buone dottrine. La guerra letteraria maneggia di taglio e di punta quelle sue armi, che gran mercè del cielo sono parole e poi parole senza più: altramente noi malarrivati che ne andremmo scerpati e guasti e da tutto il corpo filanti sangue. 1 duri ammaestramenti della esperienza e lo studio posto nel cuore umano mi hanno con ferma dimostrazione convinto, che il rio germe dell' invidia alligna in ogni seno , e ben raro è chi non ne sia offeso. E dove lascio quel macchiare l'altrui nome, ed apporgli ciò, che non passogli mai pel capo ? e quel mettere in mezzo le scerete sue colpe, o ampliarle di là dal vero ? Saria tela ben lunga il porre per sìngolo in carta le nequizie che non ode nò vede il solitario: che è parte non piccola di felicità. 59 Senonchè la malignità del secolo non li rispar- mia, e non va salva dal nioi'so degli empi la casta e innocente lor vita. Oh, dicono, sono infingardi, lo- gorano il dì e Tanno nella oziosaggine, nulla ado- perano che porti il pregio, scioperano la vita, sono all'umana famiglia disutili, le sono di peso! Vieta e stantia calunnia, smentita dal fatto. Tulle le ore del dì corrono loro ben divisate e compartite tra la pre- ghiera, il salmeggiamenlo, e il lavoro. Apriamo le re- gole del gran patriarca de'monaci di occidente, e ci chiariremo, che l'oziosità è messa fuori da' suoi chio- stri, e che il tempo vacante dal coro e dalla orazione si pone tutto in utili lavori. La qual legge innanzi a s. Benedetto avea fermata ne' suoi monisteri di oriente il gran Basilio: né d'altra forma co' loro a- scetici seguaci si governarono Brunone e Romualdo. Ma per la sapienza della carne è tempo gittato e male speso quello che si dà alle Iodi del Signo- re , e r immergersi colla contemplazione nei beni eterni sente di stoltezza a chi insino agli occhi è tuffato ne'piaceri e nelle tumultuose faccende del se- colo. Che se chiedessi loro: Che è da più, l'anima 0 il corpo, la ragione o la sensualità, la terra o il cielo ? Sto a vedere, se abbiano tanto di fronte da mettere davanti all'anima la materia, ai beni eterni i fuggitivi e falsi. Ora il monaco esercita contem- plando le forze della mente, e salmeggiando imita i cori delle angeliche intelligenze: de' quali uffizi non so che possa chiedersi più sublime e più santo. Quel gran servo e amico di Dio, che a' nostri di lasciò alla posterità sì splendido esempio del di- sprezzo del secolo, Carlo Odescalchi, non altro nome 60 poneva ai chiostri de' solitari che di baloai'di e di bastile della chiesa: sentenza familiai'issima a quel nuovo nnaestio in Israele Alfonso Maria De Liguori, il quale co'suoi scritti avvivati dalla virtù del santo Spirito seguita a bene e lodevolmente meritare della pietà e della religione. Perchè colla preghiera e col digiuno frenano il corso all' ira di Dio provocata da tante colpe: chiamano sopra chi si cimenta in campo contro il vizio e l'errore la virtù dall'alto: rintuz- zano coir impenetrabile scudo dell'orazione le con- giurate armi della empietà e di satana. E se r ingegno dell'uomo più presto si governa coH'esempio, che non co' precetti, e guarda prima a quello che altri adoperi, che non a quanto ei di- ca, ne conseguita, che siamo più forte aiutati a virtù dal vedere giovani nobili , chiari personaggi scam- biare le delizie della vita, le morbidezze del secolo alla nudità della croce, al silenzio del chiostro, che non dal raccorre dal labbro del più diserto oratore ma- gnifici elogi del servire a Cristo. Quando al secolo quarto e quinto i colli della Tebaide e le pròde del Nilo erano popolate d'immenso stuolo di monaci e di anacoreti, tanto studio di pietà s'era sveglialo in Roma, in Italia, nell'Affrica, nelle Gallie, che a gara senatori consoli guerrieri matrone nobilissime ripa- ravano con generosa fuga negli eremi e ne' moni- steri, e nell'umiltà e nell'ascondimento militavano a Cristo, secondo la fede di s. Girolamo nelle sue epi- stole. Vide il secolo ottavo nono decimo e undeci- mo principi reali uscire delle corti e vestir la co- colla, tanto più grandi quanto più ba si e despelti per Cristo. A' nostri dì è molto rimesso il fervore 61 di pietà, assai languido lo studio di religione: e raro è chi seguili l'esempio del barone de Geramb , il quale dal carcere di Vincennes, dove fu piiì anni so- stenuto prigione per la sua fede a Luigi XVllI ed alla casa di Aubsburg, volse i suoi passi alla Trappa, ed ivi menò sua vita ignorato e morto agli onori che dalle corti di Parigi e di Vienna gli erano prof- ferii. Udiamolo dalla sua bocca: Io mi sono ren- duto trappista: la mia lunga custodia in fondo alla torre di Vincennes, le mie bove e maniche di ferro meglio che tutti i libri del mondo mi hanno fatto certo che gli amici dal primo all' ultimo ti si dileguan dinanzi , quando la nostra fortuna è volta in basso, e noi siamo caduti nella calamità. Mi sono chiarito che unico amico e solo è Cristo Gesù, che non è pericolo ci venga meno di amore e di fede. Le mie catene mi hanno detto, che il prospero sta- lo, le allegrezze, le onorificenze del mondo sono un bel nulla, sono un'onda di fumo, che si sperde al soffio del vento. Conscio a me del vano che è nei beni della terra, mi sono incavernalo in un chiostro di trappisti per coltivare il suolo, pregare, piangere e morire in su lo strame e in su la cenere (1). 11 merito che nelle passate età acquistarono i monaci colle lettere, colle" arti, coli' agricoltura non può disconoscersi salvo se da chi non aprì mai i volumi della storia , ne mise il pie nei templi del medio evo , e nelle biblioteche conservatrici del senno antico. È da recare alle lunghe ed operose cure del monaco , se lieta messe biondeggiò dove (1) Geramb abbé de la Trappa, Pélerinage à lérusalem. 62 stagnavano putiidi niaresi , se fioiì 1' olivo e la vite, dove spuntavano greppi ineguali e scoscesi ^ se fu vinta la sterilità del terreno dall'arte e dalla cultura. I codici trascritti in eleganti pergamene dalla diligente mano del monaco anche oggi am- maestranci della sapienza latina e greca, profana e sacra. Facciamoci alle chiese di s. Gallo negli svizzeri, di Fulda sul Reno, di Frisiuga nella Baviera, della Cava e di Squillaci nel reame dì Napoli , e gli occhi nostri ci diranno a quanta finezza di perfezione il monaco artista recò l'impasto de'colori, la vivezza e durahilità delle tinte , il sesto degli archi, la varietà delle modanature, il rabescare , il niellare, Tintaglio. Dai monisleri s'è d'ogni tempo diffusa nel vol- gare e minuto popolo sì larga beneficenza da soste- nere in essi la vita cascante dalla fame: e quando nel cuore della vernata chiedenti lavoro e pane , reietti dall'avara crudeltà de' facoltosi , asperati dal gemito de'figliuoli sono per gittarsi nel disperato , avviansi pieni di speranza buona all' uscio di un chiostro , dove è fatta loro carità. E possono a ragione fare assegnamento nella beneficenza , che loro non venne mai meno , de' religiosi: dacché a questi poco basta alla vita, la quale non dimanda né squisitezza né agiatezze né lusso : ma stassi contenta a quel tanto di che non può far s€nz,a: il più che loro viene dalle risposte della terra, dalle oblazioni de fedeli , e che si ritaglia al parco lo>ro vitto , si versa di pieno animo in seno a Cristo Signore accattante nel poverello. Il Cobbet per pro- testante si loda de' monisteri d' Inghilterra avanti che li schiantasse la crudeltà di Errico FUI e di Lisabetta: e pone che colà traevano ogni dì a cento a cento le povere famigliuole, e loro era porto in copia il necessario alla vita (1). E se al dotto in- glese fosse di alquanti anni bastata la vita , avria veduto il 1854 rinnovellato in Italia si dolce spet- tacolo di carità cristiana nei nobili monisteri di Subiaco e di Trisulti. È sentenza ricevutissima presso ai teologi, che un peculiar consiglio di provvidenza governò e ressa lo spirito degli istitutori delle religiose famiglie nell'ordinamento delle leggi e nella forma della vita, che proposero ai loro seguaci. E tuttoché corra tra esse gran varietale questa più tempo dia alla con- templazione, quella meno: tale si spenda riell'allevare a Dio e alle buona dottrine la gioventù ; tale nel bandire ai popoli la parola di salute e nel rime- nare in via di verità i traviati; tale rechi alle re- mote sponde dell'Australia e del Madagascar la luce del vangelo; tale si chiuda co'miserelli nella carcere e nel}' ospedale ; nientemeno tutte per vie diverse riescono alla slessa meta di giovare altrui colla preghiera e coiresempio,di santificare se stessi, e con gran ricchezza di meriti entrare nella patria dei giusti. La grazia poi attemperandosi alla natura comparte variamente i doni suoi , e questo con soave attraimento mena alla solitudine, quello all'apo- stolato: e l'uno e l'altro fornisce di aiuti a rispon- (1) History of proleslaiit rcforination, letter VI. 64 dei-e nella ragione della vita che seguitarono , alle ispirazioni del cielo. Ci'isto Signore, esemplare assoluto e forma com- piuta di santità,, espresse in se e raffigurò ogni immagine di vita perfetta: si fé' specchio di solitudine e di contemplazione, partendosi dalla turba e con- ducendo le notti in sul monte nella preghiera , e quaranta dì durando nel digiuno e nella intima comunione di pensieri e di affetti colf eterno suo Padre; santificò l'apostolato andando attorno per le castella annunziando il regno di Dio ; santificò r umile mestiere e le opere manovali , lenendosi trent'anni assiduo al lavoro nella ignota stanza di Nazaret: tuttoché l'intero corso de'giorni suoi ri- sponda alla vita mista e temperata di azione e di contemplazione: il che si affaceva al fine della in - carnazione, e secondo la mente di s. Tommaso è il più perfetto genere di vita (1). E qui farò punto non senza timore di esser ri- pigliato da te, perchè ho convertito questa epistola in un trattatello di ascetica. Ma questa o colpa o ombra di colpa recala all' amore che è in me per la verità, e al desideiio d'intertenermi teco e teco aprire con fraterno amore i miei pensieri. Sta sano. Roma 20 marzo 1856. Tuo fratello Antonio. (1) S. Tliom. 3. q. 40. a. I. 65 Terapia. Di Vincenzo Catalani dottore in medicina e chirurgia. LIBRO SECONDO. Neurosi. PROEMIO. I I sistema neivo-ganglionaiio motore della po- tenza plastica, e che V efficenza motrice e sensi- tiva diffonde, latente risulta nella maniera d' agire. Pare che non vi sia, ed ovunque svolge la vivificante azione, che per la nascosta maniera di operare elude coloro, che la naturale e la morbosa modalità con- tecnplano. Noi, che nello studio delle neurosi mi- riamo principalmente alla forma, e che atteniamoci al iuvantibus et laedenlibus, siamo brevi; e il nostro neurologico discorso non è pomposo, né vi si scorge ipotetico frastuono (1). PARTE PRIMA. Circolari perturbamenti nervo-ganglionari. I vasi in CUI , nel sistema nervo-ganglionario , circolano i fluidi talvolta di soverchio di umori riempionsi, e dei medesimi il corso o accelerasi o si rallenta, iperemia; tale altra minore quantità ne contengono, e lentamente vi circolano , anemia. Il (1) Sotto la denominazione di sistema nervo-ganglionario sì intende il cervello, il cervelletto, la midolla allungata, la spinale, ed i nervi dispersi per il corpo; come ancora i loro gangli plessi ed espansioni, a cui riferisco n»i ancora i loro involucri. G.A.T.CXLVlll 5 sangue, che vi scorre, vi perde ancora la naturale crasi e diviene più fluido, e la sierosità dalla pa- rete del vaso trasuda , e gli esalanti in maggior copia ne versano, stravasi sierosi; o gagliardamente movendovisi gli rompe, apoplessia. SEZIONE PRIMA. Anemia nervo-ganglionaria. CAPO PKIMO Definizione La nervo-ganglionaria anemia non è l'assoluta mancanza, ma la relativa scarsezza, o la poca con- sistenza del sangue , che naturalmente vi circola. L'anemica nervo-ganglionaria condizione è spesso generale: e non può essere, che di rado parziale. E la possibile espressione adinamico-atassica è la proteiforme sua manifestazione. CAPO SECONDO. Forma Nell'animale, da cui mollo sangue versasi, e che perde più di ciò che ripara, l'attività organica di- minuiscesi,e svolgonsì ovunque i fenomeni adinamico- atassioi. Il volto scolorasi, gli occhi si appannano , le mucose perdono il roseo colorito , e la lingua talvolta è bianca , tale altra giallognola e livida. Manca l'appetito; havvi costipazione, e le naturali secrezioni sono tenui e più abbondanti che scarse; infreddasi la pelle; e conturbansi le sensazioni. La respirazione è penosa, ed il polso è lento e debole, ed anche celere e frequente. Il cuore palpita , e 67 ranimale,che dlsanguato muore,negli ultimi momenti è sempre convulso. Cosicché l'anemia nervo-ganglio- naria invade colla debolezza e la torpetine, prosegue col sensoriale perturbamento, e termina colla spa- smodia universale. CAPO TERZO. Cause remote L' anemica condizione nervo-ganglionaria segue il lento avvelenamento, le gravi e protratte malattie: verbigrazia, l'ipocondria , la ifoide , e la sifìlide malamente curata. La determinano egualmente gli abbondanti profluvi sanguigni; l'astinenza, coi lunghi digiuni; la vegetabile dieta, colle acquee bevande; la poca luce, l'umidità, e la cattiva aria. E svolgesi in chi nelle profonde miniere lungamente dimora ; in cui 5'iunisconsi le principali condizioni , che la determinano. C A P 0 Q U A R T 0. Causa prossima. L'essenzialità dell'anemia nervo-ganglionaria con- siste nella mancanza relativa, e nella poca consi- stenza del sangue, che naturalmente vi circola. Per cui il nervo-ganglionario sistema, non essendo de- bitamente eccitato, prima la fibra organica si rilassa, e poi l'animale indebolisce e si consuma. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri di chi morì di nervo-ganglionaria aiìemia si sono veduti scolorati e biancati oltre al consueto, il cervello, il cervelletto, la midolla allunga- 68 ta e la spinale. Talvolta soltanto o la corticale, o la midollare sostanza; tale altra sì 1' una e sì 1' altra inostransi airanatomico esangue. CAPO SESTO. Prognostico. L'anemia del nervo-gagnlionario sistema presto dileguasi, allontanate che siano le condizioni, chela mantengono. Ma se non si risolvono , e sono ina- movibili, ella è mortale. CAPO SETTIMO. Cura. La cura consiste nell'allontanare le cause , che l'anemica condizione nervo-ganglionaria mantengono; e nel rendere più consistente la crasi del sangue ; verbigrazia, colla libera aria, asciutta e illuminata; col vitto nutriente ed animale, coi tonici analetici e coi nervo-stenici. SEZIONE SECONDA. Iperemia nervo-ganglionaria. CAPO PRIMO. Definizione. L'iperemia nervo-ganglionaria è dei vasi il so- verchio riempimento di sangue , che in questo sistema diramansi ; e che dividesi in universale e parziale. L' universale è consecutiva alla pletora ; senza di cui non ingorgasi egualmente il sistema nervo-ganglionario. La parziale segue la irritazione, per cui risulta locale, è non egualmente diffondesi, come l'universale. r 69 CAPO SECONDO. Forma. Nella parziale iperemia del nervo-ganglionario sistema i perturbamenti circonscrivonsi nelle fun- zioni , che regola il nervo ingorgato ; che meglio esponiamo nel libro terzo , in cui discorriamo le infiammazioni j come prodromi della flogosi. Nella consecutiva alla pletora duole il capo, accesa è la fìsonomia e gli occhi sono ingorgati. Pare air in- fermo o di raggirarsi in sé stesso; o che gli oggetti che lo circondano gli girino intorno. Egli è tor- pito e sonnacchioso, ed è infastidito dal parziale e dal generale formicolìo. Palpila il cuore , ed il polso è pieno e forte, e battono le carotidi colle temporali. In alcuni svolgesi la locale flemmasia, che il morbo aggrava; in altri sgorga critico sangue, che scioglie il male. C A P 0 T E R Z 0. Cause remole. Il temperamento pletorico è la predisposizione dell'iperemia universale nervo-ganglionaria. Cui val- gono a determinarla T intempestiva scomparsa di naturali e morbose evacuazioni: verbigrazia, la me- struazione nelle donne, ed il sudore che abitual- mente emana in grandissima copia d'alcune parti, in certi individui. E ciò che aumenta la crasi e la quantità del sangue, la generale determina ; e la parziale la potenza che localmente dispiega la deleteria azione, come si comporta l'irritante , che non diffonde equabilmente l'azione, come lo stimolo ed i! controstimolo. 70 G A P 0 Q U A R T 0. Causa prossima. L'efficenza della universale iperemia nervo-gan- glionarìa è l' equabile soverchio riempimento dei vasi, che in quel sistema fannovi circolare il sangue, che sempre deriva da condizione pletorica. Della locale il parziale ingorgo consecutivo all'irritazione, ch'ò il prodromo della flogosi. C A P 0 Q L 1 N T 0. Necroscopia. Oltre all'ingorgo vascolare, nulla riscontrasi nel cadavere. Mentre se è lieve e semplice, presto dile- guasi; e se da causa gagliarda e persistente è man- tenuta, 0 i vasi rompe, apoplessia , o la parte in- fiammasi, flogosi. CAPOSESTO. Prognostico. L'iperemia nervo-ganglionaria non è per se cattiva .cosa , mentre o presto dileguasi , o altra condi- zione morbosa determina. Ed allora non l'iperemia, ma la consecutiva malattia deesi calcolare. CAPO SETTIMO. Cura. Sono igieniche precauzioni della proclività della nervo-ganglionaria iperemia la libera e fresca aria, la dieta vegetabile colle aquee bevande. Ed e in- dispensabile di riattivare le scomparse efflorescenze, colle naturali e morbose secrezioni. Si cava sangue 71 nella consecutiva alla pletora; ed alla parziale si cava parimente sangue, ma meglio le giovano le locali sottrazioni. Si all'una e sì all' altra si con- vengono i derivativi coi revulsivi : verbigrazia , i purganti, i diuretici, i diaforetici, i senapismi , i vescicanti, col locale e permanente emuntorio. CONCLUSIONE. 1 circolari perturbamenti dei fluidi si compon- gono di elementi di natura diversa, e l'antagonismo è completo- Antogonistica ò la natura e la forma, antagonistiche sono le cause determinanti, la ne- croscopia, l'efficenza e la cura. E 1' antagonismo continua ancora nelle consecutive malattie, e nelle stesse proclività morbose. PARTE SECONDA. Secretori perturbamenli nervo-ganglionari. L'esalazione compiesi ovunque, come l'assimi- lazione: ed è il primo atto di organica decompo- sizione. Rottosi il rapporto antagonistico tra Fesa- lante e l'assorbente, determinasi una morbosa mo- dalità, che importa di esaminare. Nella seconda parte solo diciamo dell' esalazione interstiziale o edema cerebrale, e dell' idroiachitide ; e le altre condizioni morbose le discorriamo nella parte terza; che espone l'antagonistico perturbamento dell'attività plastica del sistema nervo-ganglionario. 72 SEZIONE PRIMA. Esalazione interstiziale o edema cerebrale. CiVPO PRIMO. Definizione. L'edema della nervo-ganglionaria centralità è Tin- filtramento sieroso, che compiesi nell'encefalo e nella midolla spinale. La sierosità infiltrasi nel tessuto, edema cerebrale; o accumolasi nelle naturali cavità, o apoplessia sierosa^ o idrorachilide. 0 lentamente, o prestamente invade, ed è o acuta o cronica. C/> PO SECONDO. Forma. L'edema della nervo-ganglionaria centralità si compie lentamente nell'avanzatasi età, ed ottundesi ai vecchi la sensibilità , e lenti e penosi diven- gono loro i movimenti, e loro si indebolisce rattivilà sensoriale. Ed è illusione, che non lo stravaso sie- roso, ma che l'inoltratasi età ne sia la causa- Invade lentamente, inoltrasi senza strepito di fenomeni, ed ha lunga durata. Può anche mostrarsi ad un tratto, ed allora si perde senso e moto, e si diviene su- bito comatosi e paralitici. La morte è quasi istan- tanea se siavi complicato o l'idro-torace, o Fidro- peiicardite; ed è degli antichi la sierosa apoplessia. CAPOTERZO. Cause remote. La predisposizione è spesso congenita , e quasi mai è connata- Segue altre malattie, come la lenta 13 flommasiii, la retiopulsa eruzione cutanea , e la soppressa naturale secrezione e colla preternaturale. capoquarto. Causa prossima. L'efficenza del sieroso versamento è la maggiore estensione del momento esalante , per cui prevale sull'assorbente, e rendcsi più attiva la secrezione sierosa. Ed ella accumolasi, ed è ediopatica condi- zione morbosa. C A P 0 Q U 1 IN T 0. Necroscopia . Nei cadaveri trovasi rammollito Pencefalo, e co- me di sierosità inzuppato. Nelle cavità cerebrali, ed interposta negli involucri trovasi la sierosità in mi- nore e in maggiore quantità. Non sempre egualmente in queste parti , e raramente in una soltanto , e quasi mai mostrasi il solo tessuto ingorgato di linfa. C A P 0 S E S T 0. Conosciuto il male, il prognostico è fatto; men- tre la primaria è di sua natura mortale ; e la se- condaria è pessima conseguenza morbosa, e V oino- patia la morte accelera e rende istantanea. CAPO SETTIMO. Cura. La sintomatica curasi col curare l' essenziale malattia da cui ella dipende; senza di cui non rias- sorbesi la accumolatasi sierosità. All'istantanea, ca- 74 vasi in principio sangue , e poi come alla cronica le si amministrano il purgante, il diuretico ed il diaforetico. Le giovano ancora i derivativi coi rivul- sivì; verbigrazia, il vescicante applicato alla nucca, alle braccia ed alle cosce ; il piediluvio , col sena- pismo applicato alla pianta del piede. SEZIONE SECOINDA. Idrorachitide . C A P 0 P R I M 0. Definizione. La sierosità o che dalla capitale aracnoide ema- nata, traversando il foro occipitale , discende nel cavo rachideo e forma tumore; o che ivi secrecata, vi si accumola, dicesi negli adulti idrorachitide , e nei neonati spina bifida; perchè in essi slargandosi le ossa, si apre nel mezzo lo speco rachideo. CAPO SECONDO. Forma Il fluttuante tumore è il fenomeno patognomonico dell'idrorachitide. La paralisi e le convulzioni sono anche provocate da altre condizioni morbose, esistenti al di fuori del cavo rachideo, il tumore non ha grandezza , né sede determinata. Spesso si forma nella regione lombare, più di rado nel dorso, e quasi mai nel collo e nel sacro- Piiì tumori possono esi- stere, e comunicare tra loro. A rilento s' ingrossa, e la parte si assottiglia e si arrossa, ed il tumore rompesi. E dal fistoloso foro scappa la sierosità limpida, pili o meno citrina , sanguigna, purulentii 75 e neiasta. E rammalato consumasi, diviene paralitico e amore. CAPOTERZO. Cause remote. La peculiare discrasia umorale è la predÌ!»posi- zione alla congenita idroracliitide; e chi l'innalza alla condizione di malattia è V intrauterina irritazione . Della connata sono cause determinanti ciò che irrita gli organi che sono racchiusi nella cavità del cranio, e nello speco rachideo. CAPO QUARTO. Causa prossima. La prevalenza del momento esalante sull'assor- bente è l'efficenza dell'idro-rachitide. Per cui rendesi più attiva l'esalazione, e maggior quantità secregasi di sierosità nel cavo rachideo ; o nella cavità del cranio, che scappando pel foro occipitale si accu- mola, e forma tumore lungo alla colonna vertebrale. CAPO QUINTO. Necìvscopia. Nella congenita havvi slogamento vertebrale; onde dicesi spina bifida. Nella connata , aperto il cavo rachideo, in alcuni nulla si è riscontrato di rimarchevole; tranne la sierosità accumulata, limpida, 0 più 0 meno citrina, sanguinolenta , purulenta ed anche nerastra. Si sono ancora trovate le ossa alte- rate, e la superficie interna delle vertebre deformata e distrutta. La midolla si è trovata naturale; come ancora in parte indurita ed in parte ammollita, as- 76 sottigliala, e consunta. Gli involiicri ancora delTen- cefalo e della spina si sono trovati naturali , ed anche induriti, rammolliti ed in parte distrutti. E sonosi ancora riscontrate le tracce di percorsa flo- gosi. CAPO SESTO. Prognostico. E' sempre funesto il prognostico dell'idrorachi- tide ; e lentamente o prestamente V infermp pe- risce. E le guarigioni, che se ne ottengono, o sono rarissime, o sono diagnosi sbagliate: ed ecco come dai più inesperti sono vantate le guarigioni di mortali malattie. CAPO SETTIMO. Cura. La cura deiridrorachitide limitasi a preservare il tumore dagli irritatiti e dalle percosse, che po- trebbero infiamuiarlo ed anche romperlo, ed essere causa di sollecita morte. I derivativi coi rivalsivi, se non giovano, non nocciono. Chi trafora il tumore per metterci un setone, o chi col trequadri lo punge per fare scappare l'accumulatavi sierosità , fa cosa pericolosa e riprovevole. CONCLUSIONE. Nel descrivere la prevalente estensione del rno- mento esalante sull'assorbente, noi abbiamo descritto il primordiale perturbamento della plastica attività. E gli abbiamo fatto posto tra i perturban^enti cir- 77 colatori ed assimilativi; perchè è l'anello che con- giunge gli idraulici alle plastiche aberrazioni. PARTE TERZA. Assimilalivi perturbamenti nervo-ganglionari. La preternaturale chimico-organica assimilazione e disammilazione , nel sistema nervo-ganglionario, va- riamente compiesi. Talvolta parziaialmente ingros- sasi, ipertrofia; tale altra localmente impiccoliscesi, atrofia; in certi altri casi si compie la genesi dél- Teterologo prodotto, tubercoli^ e vermi vescicolari. SEZIONE PRIMA. Rammollimento nervo-ganglionuiio. CAPO PRIMO. Definizione. Il rammollimento nervo-ganglionario è sempre parziale. La cui efficenza è la poca organica coe- sione, per cui manca di consistenza , e si ram- mollisce. Principalmente si rammolliscono il cervello, il cervelletto, la midolla allungata e la spinale. Si sono ancora soli rammolliti i talami ottici, il corpo striato, il setto lucido e il corpo calloso , alcuni plessi e qualche ganglio, come ancora può rammollirsi sol- tanto 0 la corticale, o la sostanza midollare. CAPO SECONDO. Forma. La forma del nervo-ganglionario rammollimento corrisponde alla parte rammollita; così ella risulta proteiforme, e non havvi generale, né comune pa- 78 tologica espressione. In genere ella consiste nella diminuzione, nel pervertimento e nella totale sop- pressione della funzione, che si compie nella parte, ove diramasi il nervo-gangliouario sistema parzial- mente rammollito. CAPOTERZO. Cause remole. Il parziale nervo- ganglionario rammollimento è sempre consecutivo alla precorsa flogosi , ed alle dissolventi cause specifiche; così lo determinano le potenze irritanti coi virus deleteri specifici. La con- genita segue la discrasia umorale; per cui il sistema nervo-ganglionario non acquista la debita consi- stenza. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efticenza del nervo-ganglionario rammollimento è il predominio della forza rivellente sull'attraente; per cui viene meno l'organica coesione, ed il tessuto rammolliscesi. CAPO QUINTO. Necroscopia. Spesso ritrovasi nei cadaveri il rammollimento parziale nervo-ganglionario, cui mostrai più o meno considerevole, più o meno esteso. La parte ram- mollita si è veduta scolorata, ed anche ingorgata o di sierosità, o di sangue. E vi sono slati trovati dei purulenti ascessi. 79 CAPO SESTO. Prognostico 11 parziale rammollimento del sistema nervo- ganglionario è sempre mortale, per la parte ram- mollita. In quanto alla vita dell' animale , che 1q comporta, non è mortale, se la parte rammollita non è essenziale al mantenimento della vita. CAPO SETTIMO. Cura. La cura deesi dirigere ad allontanare e a ri- solvere le cause occasionali, che il sistema nervo- ganglionario rammolliscono: verbigrazie, se la flogosi Io determina , si conviene il salasso , i derivativi coi rivulsivi; se l'anemia, gli giovano i tonici ana- letici, coi nervo-stenicì, verbigrazia il vitto animale, i marziali e i preparati di china ; se gli specifici riconosce per causa, le sostanze gli giovano , che gli neutralizzano. SEZIONE SECONDA. Indurimenlo nervo-ganglionario. CAPO PRIMO. Definizione. Se la contrazion,e estendesi a preferenza dell'or- ganica espansione , non si rammolisce, e parzial- mente induriscesi il nervo-ganglionario sistema. E l'indurimento mostrasi sempre parziale e non cono- scesi indurimento e universale rammollimento. 80 CAPO SECONDO. Forma. La proteiforme manifestazione dell'indurimento nervo-ganglionario confondesi con quella , che e- sprime il suo rammollimento. E manifestasi o collo stato adinamico-atassico , o colla totale abolizione delle funzioni della parte in cui si dirama 1' in- duritosi nervo-ganglionario sistema. L'indurimento della centralità nervo-ganglionaria ci si manifesta col perturbamento intellettuale, coi tremori e la pa- ralisi; a cui segue il coma e la morte. CAPO TERZO. Cause remote. Le cause, che il parziale nervo-ganglionario in- durimento determinano, sono le malattie; a cui egli mostrasi consecutivo. Spesso è congenito, e lo de- termina: ciò che conturba l'embriogenesiaca attività. CAPO QUARTO. Causa prossima. La condizione essenziale del parziale indurimento nervo-ganglionario è il predominio dell'organica coe- sione sul momento espansivo dell'antagonistico rap- porto della vita plastica; che la naturale consistenza del sistema nervo-ganglionario mantiene. CAPO QUINTO. Necroscopia. 11 rammollimento e l'indurimento nervo-ganglio- nario mostrasi nel cadavere sempre parziale. E la 81 parte rammollita e indurita, a una maggiore ed una minore consistenza. Così si è trovata di acquea flui- dità, di cartillaginea durezza, e quasi al naturale stato. CAPO SESTO. Prognostico. Il prognostico in quanto concernesi alla parte induritasi è sempre funesto , ed il parziale nervo- ganglionare indurimento non ritorna alla naturale mollezza. E le sofferenze corrispondono alla inten- sità, ed alla sua estensione. E l'animale muore, se induriscesi la parte, che l'effieenza della vita nervo- ganglionare mantiene. CAPO SETTIMO. Cura. Come nel rammalimento, così nell'indurimento nervo -ganglionario, la cura limitasi a risolvere le morbose condizioni , da cui deriva. Che se sono persistenti ed inamovibili , ella risulta superiore alle risorse dell' arte. E le guarigioni , che se ne attengono, entrano nel circolo dei fatti strepitosi di s. Hanneman. SEZIONE TERZA. Atrofia nervo- ganglionaria . CAPO PRIMO. Definizione. L'ati'ofia è 1' assottigliamento parziale del nervo- ganglionario sistema. Che è congenita, se nell'em- G.A.T.CXLVIII. 6 82 bnogenesi in uno o più punti non sviluppasi alla natui-ale estensione: ed è connata, se una condizione morbosa l'impiccolisce. CAPO SECONDO. Forma. L'atrofia nervo-ganglionaria è sempre locale; e l'esterna manifestazionel imitasi o nell'indebolimento, o nel pervertimento, o nell'assoluta mancanza della sensibilità e della locomotiva dell' organo , in cui diramasi la parte atrofizzata del nervo-ganglionario sistema, CAPO TERZO. Cause remote. Le cause remote della cogenita nervo-ganglio- naria parziale atrofia sono le condizioni embroge- nesiche, che localmente impediscono la aborigenea plastica attività nervo-ganglionaria. La connata è rarissima , ed è sempre consecutiva al lento pro- cesso flogistico. CAPO QUARTO. Causa prossima. L' efflcenza della congenita nervo-ganglionaria atrofìa è la debolezza della embriogenesica attività, per cui le parti debitamente non si sviluppano. Della connata è la mancanza della corrispondenza anta- gonistica del processo di chimico-organica assimi- lazione; per cui in alcune parti del sistema nervo- ganglionario non si rifa quello che si disfà , e si forma la nervo-ganglionaria atrofia. 83 CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere sì ò trovata la semplice diminu- zione di una parte del nervo-ganglionario sistema; il parziale assottigliamento congiunto all'indurimen- to ed al rammollimento ; e la mancanza di alcune parti, verbigrazia , di qualche circonvoluzione ce- rebrale, di qualche ganglio e di qualche filamento nervoso. CAPO SESTO. Prognostico. La parziale distruzione e 1' assottigliamento del sistema nervo-ganglionario quasi mai non si riforma, nò riacquista la naturale grossezza (1). E la vita è al massimo pericolo, se sonosi atrofizzate le partì essenziali all'efficenza conservativa. CAPO SETTIMO. Cura. Non curasi la parziale atrofia del sistema nervo- ganglionario. E se ella attaccaci parti essenziali al- l'efficenza conservativa, è sempre mortale. Altrimenti la parte ove si dirama la porzione del nervo-gan- glionario sistema atrofizzato perde o la sensibilità, o il movimento, o l'una e l'altro simultaneamente. Volendola poi curare, per dire dì curarla , le si amministreranno internamente ed esternamente gli (i) Vi sono registrati dei casi, in cui il nervo distrutto si è rilorinalo. Ma sono pociii, e nou li credono tutti 84 stimoli, i tonici anaietici coi nervo-stenici, verbi- grazia l'elettricità, i marziali coi preparati di china. SEZIOINE QUARTA. Ipertrofia nervo-gangli onaria. CAPO PRIMO. Definizione. La neivo-ganglionaria ipertrofìa è sempre par- ziale, e non esiste la generale. Ed è un eccesso di chimica-organica riparazione, per cui in alcuni punti oltre natura ingrossasi. CAPO SECONDO. Forma. L'ipertrofìa nervo-ganglionaria è rarissima ma- lattia; e dicono solo nei lobi cerebrali di averla osservata; e noi la crediamo ovunque possibile. Nel lieve ingrossamento è insensibile il pervertimento, ed il sensoriale ed il motivo indebolimento. E quasi insensibile risulta la patologica espressione , se le cavità si dilatano e la polpa nervosa non comprimo- no. E se la comprimono, confondesi con quella della compressione nervosa, e simula il lento sieroso stra- vaso, ed anche l'apoplessia sanguigna e la nervosa. CAPO TERZO. Cause remote. L'ipertrofia nervo-ganglionaria è malattia em- brionale, o per lo meno della età infantile. E pare che la determini ciò che conturba la aborigenea at- 85 livilà plastica; colle irritanti potenze, elio alquanto estendono il momento assimilativo a preferenza del disassimilativo, e parzialmente ingrossano il nervo- ganglionario sistema. CAPO QUAHTO. Causa prossima. L'efficenza della parziale nervo-ganglionaria iper- trofia è l'aumento deirattivilà plastica, che ne de* termina e mantiene la forma. Per cui i materiali nervo-ganglionari parzialmente si diffondono, e si accumulano a preferenza in alcune parti, e morbo- samente le ingrossano. CAPO QUINTO. Necroscopia. Di rado nei cadaveri riscontrasi la nervo-ganglio- naria ipertrofia. E quando vi si trova, ella coincide colla naturale consistenza, e colla minore e colla maggiore durezza. E le conticue parti sonosi osser- vate dilatate, rammollite, ed anche deformate e con- sunte. CAPO SESTO. Prognostico. Conosciuta la malattìa, facile è il prognostico. E l'encefalica e la vertebrale, perchè havvi lenta compressione, alla lunga 1' ammalato ci ammazza. Nelle altre parti, in cui non può esservi compres- sione, la vita non soffre , e poco conturbunsi le particolari funzioni. 86 CAPO SETTIMO. Cura. Ciò che attiva la chimica-organica disassimilazio- ne, giova alla cerebrale ipertrofìa. Ed a quella che in altre parli risiede, meglio si conviene la locale sottrazione sanguigna, che la generale. E sì all'una, e sì air altra si convengono i rivulsivi coi deri- vativi. SEZIONE QUINTA. Elerogenia nervo-gangl ionaria. CAPO PRIMO. Definizione. L'eterogenia nervo-ganglionaria è la genesi e la morbosa trasformazione del nervo-ganglionario siste- ma in elerologa sostanza; che agisce dipoi, come il corpo estraneo, che irrita le conticue parti. CAPO SECONDO. Forma. La grandezza ed il luogo, ove si è sviluppato l'etcrologo prodotto, ne varia la proteiforme espres- sione, o esterna manifestazione. Se comprime , o tronca la nervosa diramazione, si perde o il sen- timento 0 il movimento, o l'uno e l'altro simulta- neamente; se poi attacca la nervo-ganglionaria cen- tralità, 0 che ne impedisca il movimento ; allora y animale istupidiscasi , perde il sentimento ed il movimento, e lentamente perisce. 87 CAPO TERZO. €ause remole. 11 linfatico temperamento e la diatesi scrofo- losa sono le cause predisponenti; cui innalzano alla condizione morbosa di prodotto etcrologo, ciò che indebolisce 1' attività plastica , e che la determina all'etcrologa composizione. CAPO QUARTO. Causa prossima. La specifica aberrazione dell'attività plastica è l'effìcenza della nervo-ganglionaria eterogenia; per cui ingenerasi il prodotto etcrologo, che la sostanza guasta, e comprime, ed agisce come potenza irri- tante e comprimente. CAPO QUINTO. Necroscopia. In alcuni cadaveri si sono trovati i tubercoli, ed i vermi vescicolari nella cavità del cranio, e nello speco vertebrale. E là conticua polpa nervosa ora indurita, ed ora rammollita; e qualche volta ingor- gala, ed anche allo stato naturale. Sonosi ancora trovati degli stravasi sanguigni e sierosi. CAPO SESTO- Prognostico. L'etcrologa sostanza se ferma l'attività centrale del sistema nervo-ganglionario , è assolutamente mortale. Se non l'arresta, o s'indebolisce, o si per- 88 turba, o si sopprime la motilità e la sensibilità, o l'una o l'altra separatamente , nella parte, ove si dirama il nervo-ganglionario sistema , in cui si è ingenerato l'eterologo prodotto. CAPO SETTIMO. Cura. Superiore alle risorse dell' arte e della natura mostrasi l'etcrologa sostanza , ingeneratasi nel si- stema nervo-ganglionario. Ma se vuoisi curare, per dire di curarla, si faccia la cura sintomatica, e si corregga la eterogenesica predisposizione. E si pre- scrivino l'aria asciutta , temperata e marittima ; il vitto animale, i tonici analetici , coi nervo-stenici ; verbigrazia, i maraiali, coi preparati di china. CONCLUSIONE. Accanto ai secretori perturbamenti abbiamo collocato i plastici, che sono il risultato di un grado maggiormente elevato di assimilativi perturbamenti; che ne abbiamo discorsa la triplice forma , per determinarne le possibili manifestazioni. Dei morbi nervo-ganglionari mostracisi nel cadavere la pato- logica condizione a preferenza degli altri. Ma fu- nesto è il prognostico, e la cura ò poco giovevole. PARTE QUARTA. Vitali nervo-ganglionari perturbamenti. Il sistema nervo-ganglionario perde talora i na- turali rapporti cogli altri sistemi , e formasi un morboso antagonismo; per cui la vitalità o pertur- basi, o indeboliscesi, o di soverchio ingagliardiscesi: ed ecco la adinamia, l'astenia e Talassia. 89 SEZIONE PRIMA. Astenia nervo-ganglionaria CAPO PRIMO. Definizione. L'astenia, o Vipostenia, o Vadinamìa nervo-gan- glionaria, è la debolezza della nervosa vitalità; che se è primaria, e non sintomatica, spesso degenera in demenza ed in idiotia ; e che può essere par- ziale ed universale. La parziale è la locale • dimi- nuzione della vitalità nervo-ganglionaria ; per cui l'animale parzialmente non sente egualmente bene. L'universale è una certa quasi naturale torpeline ; per cui la vitalità non reagisce , che agli stimoli di violenta azione. Spesso osservasi sintomatica, ed esiste anche come condizione di primaria malattia. CAPO SECONDO. Forma. La parziale incomincia colla locale diminuzione della vitalità nervo-ganglionaria, e lentamente au- mentandosi, sì perde localmente il senso ed il mo- vimento. L' universale principia con una semplice debolezza, che poco curasi. La digestione è difficile e molesta; duole il capo, e spesso palpita il cuore- Se uno affaticasi, si diviene febbricitante, e la febbre col riposo guariscesi. Difficile è il respiro , ed il polso è raro, ed anche frequente e debole. Fredda e parziale è la cutanea traspirazione; tenui sono le orine; colliquatìva è la diarrea; estrema la debolezza, e r infermo muore consunto, se lentamente non si rimette. 90 CAPO TERZO. Cause remole. La predisposizione dell'astenia nervo-ganglionaria è il nervoso temperamento; cui innalzano alla con- dizione adinamica i gravi patemi d'animo, coi pro- tratti lavori mentali, che estremano la vitalità. Alle quali cose deesi aggiungere ciò che ci debilita la plasticità; la cui debolezza esaltaci la sensibilità. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efficenza della nervo-astenica-ganglionaria con- dizione è il predominio del rilassamento sulla forza contrattiva; per cui la nervosa vitalità viene meno, e segue il languore e la debolezza. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere non furono ritrovate rimarchevoli cose. In genere i tessuti sono rilassati e scolorati; tenue e disciolto è il sangue, macilente il cadavere , e nulla altro vi fu osservato; tranne i casi in cui vi furono morbose complicazioni. CAPO SESTO. Prognostico. La nervo-ganglionaria astenia sintomatica di- leguasi anche prima, ed all'istante, guarito che siasi l'essenziale morbo, di cui ella è parte dell' esterna manifestazione. Si guarisce ancora, se l'esterne con- 91 dizioni, che la mantengono si allontanano ; ed è mortale, se sono persistenti ed inamovibli. CAPO SETTIMO. Cura. In genere non comporta, ed anche l'aggravano, i minorativi, e ciò che la tìbra organica rilascia. Al contràrio gli eccitanti, coi tonici analetici e coi nervo-slenici, benissimo comporta; e la nervo-aste- nica ganglionaria condizione presto dileguano. SEZIOÌXE SECONDA. Slenia nervo-ganglionaria. CAPO PRIMO. Definizione. La nervo-ganglionaria stenia è la maggior esten- sione del momento di nervea espansione , per cui una parte non trova il suo antagonismo ; e in un eccesso di forza dispiegasi. Dividesi in parziale ed universale. Nella parziale si aumenta localmente la vitalità nervo-ganglionaria; e nella universale equa- bilmente ed ovunque ingaglìardiscesi. CAPO SECONDO. Forma. Le parti che compiono le funzioni senza farsi sentire, fannosì sentire e sono moleste, dolore; così le ossa , i peli morbosamente si sentono , e nella phca polonica, se si tagliano gettano sangue. E in quelle, che naturalmente si sentono, si aumenta la sensibilità, e non più comportano i naturali stimoli. 92 Nella stenia universale nervo-ganglionaria havvi una certa caratteristica espressione , e si reagisce con maggiore attività a quanto circondaci. A pre- ferenza degli altri si vede , si sente , si gode e si pena; e nell'intemperie si soffre realmente, e si è ammalati. CAPO TERZO. Cause remote. 11 nervoso temperamento è la predisposizione , che innalza alla condizione morbosa di nervo-gan- glionaria stenia ciò che gli altri sistemi debilita, e che il nervo-ganglionario di soverchio stimola; ver- bigrazia, il digiuno colla protratta astinenza, gli ec- citanti cogli stimolanti. * C^O QUABTO. Causa prossima. La condizione essenziale della nervo-ganglionaria stenia è il predominio della nervosa vitalità , che nella macchina animale non trova 1' antagonistica corrispondenza; per cui agisce come potenza nociva, riflettendosi sulla medesima individualità. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri degli individui di stenica condi- zione si è osservato il mirabile regolare sviluppo del sistema nervo-ganglionario ; colle condizioni morbose delle altre sofferte malattie, e che l'infermo hannoci ammazzalo. 93 CAPO SESTO. Prognostico. Non sonovi pericoli nella nervo-ganglionaria stenia. E se si seanzano gli eccitanti, non è molesto né cattivo temperamento. Mentre l'ottimo consiste nell'equabile antagonistica corrispondenza dei grandi sistemi, che la macchina animale compongono. CAPO SETTIMO. Cura. La cura dee principalmente mirare ad ottundere la soverchia nervo-ganglionaria vitalità , e ad animare gli altri sistemi coi convenevoli rimedi; e ciò per ristabilire l'universale antagonistica^ cor- rispondenza. Così rendesi pili consistente la crasi del sangue , mediante il vitto animale e i tornei analetici; e col moto si fortifica il muscolare siste- ma. Si abbandonano gli eccitanti cogli stimolanti, che di soverchio animano la nervosa vitalità; verbi- grazia, i liquori alcolici, il caffè ed il tè; e la con- tinuata lettura di commoventi fatti storici , e le violenti commozioni dell'animo. SEZIONE TERZA. Vitale perlitrbamenlo nervo-gangiionario. CAPO PRIMO. Definizione. 11 vitale perturbamento è 1' appariscente mani- festazione della disarmonica collegazione delle parti, che il sistema nervo-ganglionario compongono; per 94 cui non Iiavvi equabile diffusione di nervosa vitalità. Che dividesi in universale e locale; questo è l'ef- ficenza del dolore, che l'irritazione determina, come il patema che ci conturba l'animo. L* universale ò spesso sintomatico delle gravi malattie, ed è la ca- ratteristica espressione della tifoide-atassica. CAPO SECONDO. Forma. 11 locale perturbamento nervo-ganglionario è l'efficenza del dolore fisico , che non è universale, e sempre si circonscrive. Le forme principali, con cui si manifesta, sono la cefalo già , l'emicrania, il chiodoisterico, la rachialgia, e l'acrodinia. L'atassia nervo-ganglionaria universale talvolta mostrasi sola, tale altra congiungesi all' adinamia ed alla stenia , ed anche all'una e all'altra. CAPO TERZO. Cause remote. L'atassica predisposizione è la discendenza; ed ella è condizione ereditaria ; che il soverchio uso degli eccitanti e degli stimolanti innalza alla con- dizione morbosa di atassia nervo-ganglionaria. CAPO QUARTO. Causa prossima. La disarmonica colleganza delle parti, che com- pongono il sistema nervo-ganglionario, ò l'efficenza della spasmodia; per cui la vitalità nervosa non piiì eidiabilmente diffondesi. 95 CAPO QUINTO. Necroscopia. Nulla si è ritrovato di costante nei cadaveri di chi si erano, vivendo, manifestati i fenomeni i più di nervo-ganglionaria atassia. CAPOSESTO. Prognostico. La sintomatica dileguasi subito, ed anche prima che si sciolga 1' essenziale malattia. La costitu- zionale colla metodica vita rendesi comportevole; ma non si guarisce. CAPO SETTIMO. Cura. Alla nervo-ganglionaria atassia giovano prin- cipalmente la quiete dell'animo; e l'antispasmodico per eccellenza, l'oppio ; come ancora la canfora , il muschio, la china colla valeriana. 11 riposo del- l'intellettuali facoltà, e l'esercizio delle forze fìsiche. E se l'infermo consumasi, gli giovano ancora il vitto animale, coi preparati di marte. CONCLUSIONE. Abbiamo considerato il vitale perturbamento nervo-ganglionario come espressione morbosa degli atti generali e peculiari di vita. Ed abbiamo in esso considerato tre diversi stati, che sono la debolezza e la preternaturale gagliardla, ed il perturbamento. Modalità morbose, che nel concretarsi hanno mi- nore o maggiore estensione. Mentre V equabile 96 Oeholezza e la foi'za egualmente aumentata costi- tuiscono, anzi che lo stato di malattia, una diversa espressione naturale di vita , o di debolezza , o di forza, 0 d'irrequieta esistenza. PARTE QUINTA. Locomotivi perturbamenti. La locomotiva conturbasi: ed ecco il tremore , la convulsione , il tetano e la corea. Si sospende ancora: ed ecco la paralisi: gli organici movimenti, mai nell'uomo vivo generalmente non si arrestano; tranne il caso dell'apparente morte, e sempre par- zialmente conturbansi, e non dassi universale spa- smodia. SEZIONE PRIMA. Paralisia. CAPO PRIMO. Definizione. La paralisia ò la parziale diminuzione, paralisia incompleta; o la totale mancanza, paralisia completa, dei volontari movimenti. Per cui il paralitico diffi- cilmente si muove, ed è più o meno impedito nei volontari movimenti. CAPO SECONDO. Forma La paralisia sintomatica delle malattie, che all'istante annientano la nervo-ganglionaria centra- lità, istantaneamente invade, e non è preceduta da prodromi fenomeni. Così apparisce nella sincope , nell'asfissia, nell'apoplessìa e nel sonno- L'altra che 97 segue le croniche malattie; invade lentamente; ed i primi fenomeni a mostrarsi sono il torpore , il molesto formicolio e la sonnolenza ; a cui segue l'immobilità della paite, che si pai alizza. C A P 0 T E R Z 0. Cause remote. Le forti commozioni dell'animo , col soverchio prolungalo uso degli eccitanti , che la centralità nervo-ganglionaria paralizzano , la maggiormente estesa paralesia determinano. Che se attaccano par- zialmente i nervi ministri del moto e del senso, e non ne paralizzano la centralità; allora risulta meno estesa, e si ha la piii circoscritta parallsia. CAPO QUARTO Causa prossima. L'effìcenza della paralisia maggiormente estesa è l'annientamento della locomotiva nervosa centra- lità; della locale 1' interrottasi comunicazione dei nervi, ministri dei volontari movimenti, con quella medesinìa centralità; per cui la parte, in cui si di- ramano, diviene paralitica. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri dei paralitici o nulla si è trovato; 0 nella maggiormente estesa sonosi trovate le con- dizioni morbose delle essenziali malattie , da cui essa dipendeva; e nella locale le interrotesi comuni- cazioni nervose, per cui mancava il parziale movi- mento. G.A.T.CXLVIII. 7 98 CAPO SESTO. Prognostico. La paralisìa >segue il corso deiressenziali ma- lattie , da cui ella dipende. Se queste guarisconsi , presto dileguasi; se sono ostinate, persiste; e se è estesa , non si risolve , e l'ammalato muore con- sunto. Le medesime cose si riferiscono alla paralisia universale; ma il parzialmente paralitico vive, se la parte paralizzata non attacca l'efficenza conservatrice. CAPO SETTIMO, Cura, La paralisia sciogliesi colla medicatura, che 'I-es- senziale malattia guarisce. All' apopletica si cava sangue; alla sincopatica ed all' asfitica bisogna ri- fare circolare il sangue, e rimettere in movimento l'antagonismo ispiratorio e respiratorio. All'adina- mica ogni sorta d'eccitanti giovano ; verbigrazia , il vescicante, l'aco-puntura, l'elettricità, i bagni di riviera e di mare, ed ogni sorta di possibile ginnastica, SEZIONE SECONDA. Tremore. CAPO PRIMO. Definizione. 11 tremore è la mancanza dell'antagonismo mu- scolare; per cui tremono , ed involontariamente si dibattono; e che si limita ad un muscolo, si estende ad una parte, e maggiormente si diffonde. 99 CAPO SECONDO. Forma. La forma del tremore è manifesta; e basta guar- dare, per avvedersi, che ad alcuni muscoli manca l'antagonismo, e che involontariamente si dibattono. Se il tremore è diffuso, da capo a piedi tremasi ; se ad una parte e ad un muscolo si limta, si vede il muscolo e la parte tremare. Ed ecco il riso sar- donico 0 convulsivo, lo starnuto nervoso , la tosse convulsiva ed il singhiozzo. CAPO TERZO. Cause remole. Cause di contraria azione il rausculare tremore determinano; verbigrazia, la gioia, e la tristezza; la collera , e la compiacenza; le perdite sanguigne, e la soppressione di abituali secrezioni; il freddo, ed il soverchio calore. In genere lo determinano le vio- lenti commozioni dell'aninjo, e quanto di soverchio eccita il sistemai nervoso ; verbigrazia, lo smodato uso del ca^è, d^l tè e degli alcoolici liquori. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efficienza del muscolare tremore consiste nel predominio della forza espansiva sulla contrattilità muscolare, per cui rompesi il rapporto antagonistico, ed i muscoli involontariamente si muovono e si di- battono. 100 CAPO QUINTO. Necroscopici. Nel cadnvere dei tremanti non si è scoperta la condizione patologica del tremore. E quanto vi hanno trovato si riferiva alle malattie , da cui derivava , e che l'ammalato avevano ammazzato. CAPO SESTO. Prognostico. Varia è la durata , e presto dileguasi , se la violenta commozione dell'animo l'ha promosso; ed anche il sintomatico delle acute malattie non dura alla lunga; il mercuriale ed il saturnino è persistente, ed anche sorpassa l'anno; il senile non si risolve; ed il tremore non è malattia, che il tremante ammazza. CAPO SETTIMO. Cura. il tremore guariscesi coll'allontanare ciò che lo determina, e col curare le malattie, che fanno tre- mare. Se la istantanea commozione dell' animo lo determina, gli giova il salasso , le dolcificanti he- vande, ed anche l'antispasmodico per eccellenza, l'op- pio. Gli giova il riposo colla quiete dell'animo, se l'hanno determinato l'abuso dell'intellettuali, e delle forze fìsiche; e gli evacuanti col tiepido bagno, se r hanno determinato 1' abuso del mercuriale e del preparato saturnino. 101 SEZIONE TERZA. Convulsione. CAPO PRIMO. Definizione. La convulsione è una poco durevole e terribile contrazione ed espansione muscolai-e, che ricorrono con irregolrire tipo, ed in cui il convulso conserva l'intelligenza, ma che la perde ancora. CAPO SECONDO. Forma. La convulsione talvolta va e viene senza che Tinteliigenza si turbi, in altra si perde, e si è furiosi. Il corpo si dimena, e le membra si dibattono. Stri- dono i denti, ed il convulso non parla, ma strilla, e non si intende. La fisonomia è marcata e con- vulsa, gli occhi girano e la pupilla è ferma ; e le labbra, la lingua e la voce tremano. Terminata la ricorrenza convulsiva, l'individuo rimane spossato, e spesso si abbandona al sonno. CAPO TERZO. Cause remole. La discendenza, l'età ed il sesso predispongono alla convulsione:così i bambini e le femmine la sof- frono a preferenza degli adulti e dei maschi. E la determina ciò che profondamente conturba il sistema nervo-ganglionario ; verbigrazia, la tristezza , e la gioia, il terrore, e la compiacenza, il freddo ed il caldo, coH'intemperìej i morbi maligni, e la retro- 102 pulsa eruzione cutanea, la persistente verminazione, colla difficile dentizione. CAPO QUARTO. Causa prossima. La condizione essenziale del tremore e della con- vulsione, clì'è un forte e poco durevole tremore, si asconde in un'occulta e indetcrminata causa mor- bosa, che con irregolare periodo conturba violen- temente i due momenti antagonistici di contrazione e di muscolare espansione. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri degli individui convulsi nulla si è di costante trovato. E quanto vi hanno trovato era o la condizione morbosa della malattia, che mante- neva la sintomatica convulsione, o la ragione della morte. Mentre l'efficenza del musculare dibattimento non si conosce, e dubitasi ancora se egli sia es- senziale malattia. CAPO SESTO. Prognostico. La sintomatica convulsione segue il corso del- l'essenziale malattia. E poco dura e facilmente ri- solvesi quella, che la determina, la sfuggevole azione delle cause, che profondamente non conturbano la chimico-organica composizione del sistema nervo- ganglionario. Che se la causa prossima è perma- nente e profonda , lungamente persiste , e difficil- mente guariscesi; ma quasi mai l'infermo si muore. 103 CAPO SETTIMO. Cura. La cura si varia, come si variano la individuale costituzione, e le determinanti cause. Al pletorico si cava sangue, all'anemico si prescrive il vitto ani-* male col tonico analetico, nell'atassico il tonico ner- vo-stenico, coll'antispasmodico per eccellenza, Top- pio. Si cacciano fuori dal corpo le zavorre coi vermi, e si facilita la difficile dentizione, e si richiamano le soppresse evacuazioni colle retropulse cutanee efflorescenze. È utile ancora il bagno, conviene mo- versi, e qualche volta giova di lungamente viaggiare. SEZIONE QUARTA. Tetano. CAPO PRIMO. Definizione. Il tetano è la spasmodica e quasi permanente contrazione di uno o più muscoli. Quindi è che lo divisero in generale e parziale; e questo ultimo in trismo, in opistotono, in emprostotono, ed in pleu- rostotono. CAPO SECONDO. Forma. Può airistante invadere, ed essere ancora pre- ceduto d'alcuni fenomeni ; che non sono poi tanto caratteristici. Che sono una certa parziale incorda^ tura, e la molesta rigidezza muscolare; a cui seguono delle irregolari spasmodiche contrazioni. Incominci* 104 la l'igitlezza telanica dai masseteri e dai tennporali; e poi si estende ai muscoli della taccia, a quelli del collo, del tronco e delle membra. Si limita ancora in una parte; ed è più o meno esteso. E la teta- nica contrazione non è continua contenente; e per quanto sia forte e durevole, è sempre interposta da brevi rilassamenti. CAPO TERZO. Cause remote. Vale a determinare il tetano la permanente ir- ritazione ; verbigia/ia, i fdetti nervosi feriti e non troncati; i vermi intestinali, ed i calcoli orinari. E sono capaci di farci tanto male l'intemperie di caldo e di freddo; la noce vomica, la strichnina, la bru- cina e la falsa ancustura; e quanto profondamente l'animo ci conturba. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efficenza del tetano è una chimico-organica alterazione, che nella midolla spinale determina un rapido ed istantaneo sconvolgimento d'influenze ner- vee; che diffondendosi irrigidisce, e spasmodicamente contrae il musculare sistema. CAPO QUINTO- Necroscopia. Nulla di costante si è riscontrato nei cadaveri dei tetanici, e spesso sonosi trovate nella cavità del cranio e nello speco racchideo le tracce di percorsa flogosi. 105 CAPO SESTO. Prognostico. 11 telano è malaltia commovente, terribile e spa- ventevole, che è mortale se ha un corso rapido; e che sempre più si diminuisce il pericolo di mano in mano, che si allontana dal quarto giorno. Oltre al settimo ed all'ottavo sempre guariscesi, e l'infei-mo muore o nel terzo o nel quarto giorno. CAPO SETTIMO. Cura. La cura secondaria si compie coll'allontanare le remole cause, e col curare le complicazioni omo- patie; la sintomatica col rimediare ai predominanti fenomeni, l'essenziale non si conosce , e l'empirica posa in questo terapeutico tripode ; cioè, nell'ile- rato tiepido bagno , nel copioso uso dell'oppio , e nel largo salasso (1). SEZIONE QUINTA. Corea. CAPO PRIMO. Definizione. La corea, o ballo di s. Vito o Gin'rfo, consiste in mo- vimenti irresistibili e disordinati di certe parti della macchina animale, che più o meno si diffondono, e che impropriamente la divisero in parziale e generale. (1) Teoria del tetano. G. A. T. CXXXIV. Km CAPO SECONDO. Forma. Il movimento disordinato ed irresistibile della corea incomincia lentamente, e giunto alla massima estensione , rimanesi stazionario. Pare , che abbia una certa centralità, da cui più o meno si diffonda. Nelle parti, che sono attaccate , liberi non sono i movimenti , ed il coreoso non può servirsene. Le altre sono spedite e libere, a suo piacere le muove, e se ne serve. Dura per alcuni giorni, per più mesi, ed anche per qualche anno. E poi lentamente scio- gliesi; e gli involontari vengono surrogati dai vo- lontari movimenti. CAPO TERZO. Cause remote. In primo luogo deesi collocare, tra le cause della corea, il parto laborioso, e le tocologiche operazioni. La manstuprazione nei ragazzi , e la soppressione dei mestui nelle ragazze. Lo spavento, la gelosia, la verminazione colla difficile dentizione. Ha domi- nato ancora epidemicamente; e Plinio racconta, che i soldati dì Germanico, lungo il Reno, la compor- tarono; e Mezeray nel 1373 la osservò in Olanda; e discorrono altre epidemie coreose il Cullen ed il berlinese Hccker. CAPO QUARTO. Causa prossima. La causa prossima della corea ascondesi a pre- ferenza delle altre condizioni morbose, che sono di 107 nnliit'a occulta e indeterminata. Ma per dire ffitiil- che cosa, diremo, che ella consiste nel locale per- turbamento della uervea vitalità; per cui viene meno il parziale antagonistico rapporto di espansione e di muscolare contrazione , e l'animale localmente ed involontariamente si dibatte. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri dei coreosi solo osservaronsi le condizioni chimico-organiche delle malattie, che la vita spensero, e nulla altro di costante si è ritro- vato. Mentre la corea non è mortale ; e con altra malattia, il coreoso sempre ci muore. CAPO SESTO. Prognostico. La corea non è per se mortale; e chi l'ha sof- ferta, può risoifrirla; ed alla spasmodìa ci predi- spone. Le segue l'epilessia ; dura più giorni, più mesi, ed anche l'anno sorpassa. Non dura quanto dura la vita; e se l'infermo non muore, per altra malattia, sempre guariscesi. CAPO SETTIMO. Cura. Per seguire la terapeutica istoria della corea da Ippocrate a Puccinotti, l'antesignano della moderna medicina (1) , bisognerebbe passare a rassegna le (1) Nevrosi. 108 moltiplici sostanze, che sono nel catalogo dei medi- camenti. Perchè indistintamente furono amministrate, ed egualmente magnificate. Noi a tanta dovizia rinunziamo, e riteniamo che abbiano giovato solo perchè hanno allontanate le cause determinanti, e sciolte le morbose complicazioni. Così 1' une e le altre deonsi prendere di mira nella cura; e non l'es- senziale condizione, che noi non conosciamo. CONCLUSIONE. I locomotivi perturbamenti , che derivano dal- Talteratasi nervo-ganglìonaria vitalità, gli abbiamo riportati al predominio di debolezza, di forza e di pervertimento; che sono le tre generali forme, me- diante cui ci si manifestano. E che nel muscolo , che si espande e violentemente si contrae , o che si rilascia, o che solo con forza si contrae, o che perde il suo movimento, non si ripristina la natu- rale corrispondenza antagonistica di espansione e di contrazione, se non si risolve la condizione mor- bosa nervo-ganglionaria , da cui dipende il per- turbamento della muscolare locomotiva. PARTE SESTA. Intelletluali perturbamenti. Gli intellettuali perturbamenti sono primari, se- condari e sintomatici. Quelli hanno corta durala, e risolutosi il primario moibo, istantaneamente si di- leguono; gli altri hanno lunga duiata, facilmente recidivano , e difficilmente si guariscono. Dei sin- tomatici non parliamo, e solo in questo luogo di- scorriamo gli essenziali perturbamenti mentali. SEZ10]>E PRIMA Monomania. CAPO PRIMO. Definizione. Gli uomini hanno naturalmenle delle inclinazioni, degli appetiti e delle passioni , che reprimono , e che se li signoreggiano , diventano monomaniaci. E che proseguono a vivere in società, se l'esaltatasi intellettuale ftìcoltà non disturba la pubblica tran- quillità. CAPO SECONDO. Forma. Il monomaniaco è nervoso, adusto e di olivastra tinta; ama la solitudine, e la vita socievole fugge. Ora bene, ed ora male ragiona ; e nella esaltatasi idea è sempre in errore. Vi sono ancora delle gaie monomanie ; ed il soggetto su cui versansi è pia- cevole. Sonovi anche delle tetre e funeste ; ed il monomaniaco è agitato e furente. Tali sono la sui- cida, l'omicida, l'adontalgia o smodata brama di ri- vedere la patria. CAPO TERZO. Cause remole. La predisposizione è quasi sempre ereditaria; e la portiamo con noi nascendo. Cogli anni ingran- discesi , ed anche innalzasi alla condizione di mo- nomania. E vale a determinarla ciò che ferma il predisposto alla permanente comtemplazione di un 110 determinato argomento; verbigrjuia, lo studio il li- mitato di cose astratte ed ideali, la protratta let- tura di fatti eoici e lo spettacolo di commovente scena, CAPO QUARTO. . Causa prossima. L'efficenza della monomania ascondesi nel per- turbamento chimico-organico della parte del sistema nervo-ganglionario, che l'oltremodo esaltatasi sen- sazione eseguisce. Ed è un perturbamento locale di nervose influenze. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri dei monomaniaci si trova la causa della morte , e null'altro di costante. Mentre altra malattia, e non la monomania, il parzialmente .alie- nato ammazza. CAPO SESTO. Prognostico. La monomania può essere, come non essere fu- nesta. Ma non guariscesi. E le proclività, che sono deboli monomanie, non si cancellano, e con esse si muore. CAPO SETTIMO. Cura. La cura limitasi nell'assicurare l'infermo dei mali che potrebbe fìire agli altri, ed anche a se stesso, e nel deprimere più colle potenze morali, che colle Ili fisiche la esaltatasi attività sensoriale; per cui l'in- dividuo nel rimanente è savio, e in una sola cosa è matto. SEZIONE SECOINDA. Mania. CAPO PRIMO. Definizione. La mania è la continua aberrazione delle facoltà mentali, che dal semplice perturbamento innalzasi al massimo grado. Non è continua contenente; e vi sono sempre dei lucidi intervalli. CAPO SECONDO. Forma. 11 predisposto alla mania è sempre nervoso , adusto, d'olivastra tinta, astratto, cogitabondo , volu- bile , ed anche tetro ed ipocondrico. E la mentale aberrazione lentamente lo invade; e di rado all'istante si diviene maniaci. La precedono le inclinazioni biz- zarre , il soliloquio, la mestizia e l'inopportuna al- legrezza, il timore, coi disordinali movimenti, e le non adeguate risposte, che si danno ai discorsi, che si fanno. Lentamente diventano i predisposti maniaci, e divenuti che siano si dibattono senza ragione, cor- rono, saltano e si precipitano dall'alto senza timore; smodatamente ridono, ed anche dirottamente pian- gono. Con se stessi discorrono ora piano , ed ora foi'te, ed anche a tutta voce strillano, e non sem- pre da umani ; ed anche alla maniera degli altri animali. Può anche esaltarsi una qualche attività 112 sensoriale; veibigrazia, la memoria, l'immaginativa e la poetica sinfonia. Qualche volta è intermittente; ed i movimenti coi gridi da furioso sono sempre. CAPO TERZO. Cause remote. La discendenza ed il nervoso temperamento pre- dispongono alla mania. Cui determina la violenta commozione dell' animo , che conturba la centra- lità del nervo-ganglionare sistema, che tutti regola gli atti animali e plastici. Valgono a tanto male operare le giavi calamità , e le deluse passioni , e l'empia persecuzione, che se attacca gli ottimi , non la fa più finita. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efficenza della mania si asconde in un pertur- bamento d'influenze nervee della centralità intellet- tiva e locomotiva; per cui gli atti mentali coi vo- lontari movimenti sono in quasi continuo pertur- bamento. CAPO QUINTO. Necì'oscopia. Nei cadaveri dei maniaci nulla di costante si è rimarcato. E quanto vi hanno trovato, sono le con- dizioni patologiche che la vita del matto hanno troncata. CAPO SESTO. Prognostico. Che la ragione ritorni , solo in principio avvi spe- ranza. Lentamente guariscesi, ed anche all'istante. 113 Spesso recidiva , ed il più delle volte degenera in demenza, in idiotia, e termina colla morte. CAPO SETTIMO. Cura. In principio assicurasi l'infermo del male , che agli altri , ed anche e se, potrebbe fare. Si allon- tanano poi le cause, che la determinano; e si cu- rano le morbose complicazioni. E si riordina il per- turbamento chimico-organico, che il disquilibrio delle influenze nervee determina. E ciò ottiensi col ria- nimare i deboli sistemi, e col diminuire la soverchia attività degli altri. SEZIONE TERZA. Delirio Ircmulo. CAPO PRIMO. Definizione. 11 tremulo delirio è 1' anello interniedio , che congiunge la sintomatica coiresscnziale mania. Ed ha dell' una e dell' altra i caratteri. Non ha lunga durata; e ce la manifestano i tremori , la mentale aberrazione colla facile guarigione. CAPO SECONDO. Forma. Il tremulo delirio talvolta istantaneamente in- vade; tale altra è preceduto dalla debolezza , dalla pervigilia e dalla cefalagia. La forma è giuliva, ed anche tetra ; e breve è il suo corso. Tremano le G.A.T.CXLVlll. 8 114 membra, accesa è la faccia, ed ignettati sono gli oc- chi, il respiro è libero, ed il polso agitato e forte. L'infermo e loquace, e interrotta è la voce; perchè in bocca la lingua gli trema. Havvi costipazione; e poco altro osservasi. Se non è mortale, i muscoli si fermano, viene meno il tremore, e l'ammalato gua- n'scesi. E se è mortale pi'csto si aggrava ; e si diviene o furiosi o comatosi, e si perisce. CAPO TERZO. Cause remole. Il tremulo delirio lo determina il soverchio abuso delle alcooliche bevande; onde si dice anche dei be- voni. Più spesso nelle grandi città, che nelle pic- cole si osserva; e non è mai comparso nei piccoli villaggi, in cui più l'acqua, che il vino si beve. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efficenza del tremulo delirio è la diminuitasi crasi del sangue; per cui soprabbonda di acquee parti e scarseggia di solidi principii. Così l'abuso del vino Io determina; perchè la crasi del sangue discioglie. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri degli individui morti di tremulo delirio sonosi trovati ingorghi, e cerebrali stravasi, e manifeste tracce di percorsa flogosi. Così lo cre- dono alcuni di flogistica natura ; ma non sempre lali cose si trovarono; per cui noi lo fa^-ciamo di- f15 pendere dalla sanguigna discrasia. Ed il sangue in essi mostrasi sempre disciolto, e vi scarseggia la fi- brina coi rosei globetti , e vi soprabbonda l'albu- mina e la sierosità. CAPO SESTO. Prognostico.. Varia nella durata; e dal secondo può estendersi al ventesimo giorno; in genere nel primo settena- rio si scioglie . Quasi sempre si guarisce; e quasi mài l'amrtialato muore. CAPO SÈTTIMO. Cura. Se hàvvi congestione e cerebrale ffogòsi gli* gfòva il salasso ; altrimente gli nuoce ; e solo in tutti i flogosisti Io cavano. Gli si convengono gli antispa- smodi , e principalmente l'oppio ; e dei preparati giova, meglio degli altri, il laudano liquido del Sy- deùham disciollo nel vino, allungato coU'acqua. SEZIONE QUAKTA. Demenza. CAPO PRIMO. Definizione. La demenza è il continuo disarmonico procedi- mento delle mentali facoltà, senza che siavi alcun lucido intervallo, ed è il placido vaneggiamento, che congiunge la mania all'idiotia- 116 CAPO SECONDO. Forma. La demenz-a invade lentamente, prosegue senza strepito di fenomeni, e per lungo tempo dura. In principio si è trascurati al segno , da essere presi per stupiti; di poi si dimentica il presente, e bene si ricordano le cose lontane, che ci infastidiscono. Pare al demente di essere sempre in pericolo, du- bita di tutto, ed è sempre incerto. Parla da se; e sorpreso che sia nel soliloquio, vergognasi. Poi qual- che cosa non intende, ed in seguito perde ogni ideale rapporto; e in tutte le cose trovasi sempre in er- rore. Nel corso della demenza sonovi frenetiche esa- cerbazioni, e brevi remittenze; come i lucidi inter- valli nella manìa. CAPO TERZO. Causa remota. Ereditaria è la demente predisposizione; cui in- nalzano alla condizione di demenza la manstupra- zione, i lunghi travagli mentali, le passioni funeste e non corrisposte. Ed è ancora consecutiva alla ma- nìa ed alla monomania, ed all'acuta e lenta flogosi encefalica. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'efficenza della demenza è il lento perturba- mento della nervosa vitalità; per cui le facoltà in- tellettuali si disordinano: e si diviene dementi. 117 CAPO QUINTO. Necroscopia. Il guasto chimico-organico della demenza non si è ancora trovato nel cadavere. È ciò che vi tro- varono è la causa della morte, perchè per demenzat non si muore. CAPO SESTO. Prognostico. La demenza lentamente invade, e lungamente per- siste, senza strepito di fenomeni. All'istante non si guarisce , e lentamente va rimettendosi. 11 corso è continuo remittente; e recidiva, guarita che siasi- CAPO SETTIMO. Cura. W pletorici giova in principio il salasso. I pur- ganti sono utili; ed i drastici con successo si ammi- nistrano. Gli emetici si riprovano, per timore di ce- rebrale congestione. Ai deboli queste cose noc- ciono, e loro giovano i nutrienti coi tonici nervo-ste- nici. La pratica di rotare i dementi, per dare corso centrifugo agli umori, è cosa bestiale. Le retro- pulse cutanee eruzioni, colle soppresse evacuazioni naturali e morbose, bisogna al di fuori richiamare. Le si amministrano ancora la canfora, la digitale, l'oppio , la china colla valeriana. In genere la de- menza si cura coll'allontanare le cause remote e le complicazioni , cogli antispamodici, e colle potenze morali; cioè ora secondando, ed ora il demente con- traddicendo. 118 SEZIONE QUINTA. Idiolia. CAPO PRIMO. Definizione. L'idiolia è l'adinamico stravolgimento delle men- tali facoltà. L'ebete vive più per la vita plastica , che per gli oggetti che lo circondano. Spesso è consecutiva; e di radoguariscesi; e prima di morire l'ebete diviene o paralitico o convulso. CAPO SECONDO. Forma. L'idiolia è primaria e secondaria , congenita e connata. Nella congenita l'attività plastica sviluppasi a preferenza dell'animale. La connata è secondaria o primaria; nella secondaria i fenomeni del morbo primario sono surrogati da quelli dell' idìotia. Le facoltà mentali nella primaria lentamente si indebo- liscono e si conturbano; e V idiota nel suo vaneg- giamento ha pochissima forza mentale. La fisono- mia è caratteristica ; Y idiota non ha franchi, né liberi movimenti; e prima di morire diviene o pa- ralitico 0 convulso. CAPO TERZO. Cause remote. La discendenza predispone all'idiotia; cui val- gono a determinarla le gravi e protratte malattie. E vi predispongono e la determinano anpors 1^ forti e le prolungate commozioni morsiU. 119 CAPO QUARTO. Causa prossima. L'idiotica effioenza è la chimico-organica nervo- ganglionaria condizione morbosa , che indebolisce e conturba l'attività sensomle. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri degli idioti sono stati trovati mol- tiplici guasti del materiale organico. Ma non sem- pre gli stessi; e sono le condizioni patologiche di altre forme morbose. Mentre quella dell' idiotia ascondesi in un misterioso perturbamento d'ifluenze nervose, che noi non conosciamo. CAPO SESTO. Prognostico. Lungo è dell'ldiotia il corso; sparisce, e presto ricomparisce. Non è contìnua contenente, e sonovi dei lucidi intervalli difficilmente guariscesi; e vi si muore o paralitici o convulsi. CAPO SETTIMO. Cura. L' idiotia è condizione adinamico-atassica della nervosa vitalità ; che curasi colle potenze morali eccitanti, e coi tonici nervo-stenici. Ora l' idiota secondasi, ed ora la sua volontà si reprime : si scuote e più spesso si eccita: e si ripara ai mali, che agli altri, ed a sé potrebbe fare. Quantunque» 120 in aeneie, l' idiota non sia furioso , ne di cattivo intenzioni. Poi alPabitazione, ed al conveniente vitto rimediasi, ed alla piacevole compagnia. Le quali cose devono essere eccitanti, e non da conciliare il sonno. Giova ancora il moto attivo e passivo , cogli altri ginnastici movimenti. CONCLUSIONE. Gli intellettuali perturbamenti più spesso sono sintomatici, che essenziali. Non havvi grave ma- lattia, in cui presto o tardi non ci si manifestino. Ben rara è la razionale morte, in vu'ì non siavi stato un anteriore periodo piìi o meno estoso di mentale alienazione. I secondari sono meno frequenti dei sintomatici; e comuni sono gli ereditari. Vi sono delle famiglie, che nelle trascorse generazioni hanno sempie avuto il matto. E guai a colui che ha fi- gliuoli, ed un fratello matto ! perchè la pazzia è ereditaria a preferenza del senno. PARTE SETTIMA. Universali nervo-ganglionari perlurbarnenti- Diconsi universali le nervo-ganglionarie malattie, quelle che maggiormente dififondonsi, e che contur- bano egualmente la sensibilità, V intelligenza ed il movimento. Queste in ultimo brevemente discor- riamo, e così terminiamo il nostro nevrologico di- scorso. 121 SEZIOi^E PRIMA. Estasi. CAPO PRIMO. Deftnhioìie. L'estasi morbosa è la periodica e poco dure- vole concentrazione d^lle funzioni intellettuali in una predominante idea; per cui rimanesi immobili, e sottoposti alla signoi'eggìante idea. CAPO SECOM)0. Forma. Proteiforme è la manifestazione della concen- trazione mentale in una propotente idea , che le altre tutte assopisce. E chi la comporta è pallido, macilente e nervoso; ama la solitudine, e pensa e gestisce, e da sé stesso discorre; cammina e si ferma, ride e piange, e spesso a qualche cosa si fissa. Lo stupore, la torpedine, il freddo e poco sudore sono i prodromi dell'estatica invasione, che dura per qual- che tempo e si dilegua; e poi ritorna per indeter- minate volte. Gli occhi sono i primi a muoversi, poi il corpo riscaldasi e suda, e 1' estatico ritorna in se stesso. CAPO TERZO. Cause remole. La predisposizione all'estatica concentrazione è il nervoso temperamento , cui maggiormente la sviluppano i protratti fisici e morali patimenti; e l'innalzano alla estatica cuncentra,',ione le acciden- 129- lalilà, che i pi'edi«sposti ad una sola idea riconcen- trano- CAPO QUARTO. Causa prossima. L' efficenza dell' estatica concentrazione è la morbosa sensoriale modalità., che le attività senso- riali riconcentra in un punto; per cui le altre cose rimangono inosservate. CAPO QUIINTO. Necroscopia. Terminata l'estatica concentrazione, ritornasi al pristino stato di salute, e raro è che si muoia. Ma sia pure, che si muoia; nei cadaveri di chi allora è morto nulla osservasi di costante. CAPO SESTO. Prognostico. L' estatica ricorrenza è sempre pericolosa. E r estasi 0 si rimane stazionaria , ricorrendo cioè nella medesima maniera; o le succede la demenza, Tidiotia; o nella ricorrenza si muore apoplelìci. CAPO SETTIMO. Cura. Oltre alle igieniche precauzioni adattate all'e- statica forma, deesi allontanare il soggetto che la determina. Si denuda l' infermo , si riscalda , e si tiene colla testa alta- E terminata l'estatica ricor- renza, deesi corroborare e nutrire ; mentre chi ne 123 va soggetto è deboJe e inaciiente. In genere la medicatura dee corrispondere airindividuale tempe- ramento, alla prevalente idea , alla forma ed alle morbose complicazioni. SEZIONE SECONDA. Epilessia. CAPO PRIMO. Definizione- L'epilessia o caduco male è peculiare malattia, che ricorre ad intervalli più o meno distanti, re- golari ed irregolari; e che ad un tratto si cade, sj perdono i sentimenti, e sì è convulsi; la respira- zione è sterterosa , e la bocca spumante ; e che prima dell'ora ritornasi in se , come da profondis- simo sonno svegliati. CAPO SECONDO. Fortna. L'epiletica ricorrenza è istantanea e quasi mai è preceduta da sensoriale perturbamento. E ad un tratto forte si mette un grido, si perde 1' intel- ligenza, e si cade come corpo morto- La faccia si arrossa ed illividiscesi, la respirazione si fa sterte- rpsa e la bocca spumante. La pupilla rimanesi im- mobile , e il globo oculare diviene convulso- Le membra automaticamente si dibattono- La spasmo- dia dura poco tempo, e poi si calma; e l'epiletico ritorna in se stesso. La ricorrenza rico/nparisce a capo a pochi giorni, ed anche a più mesi; con ir- regolare, ed anche regolare periodo. Finalmente o 124 non più comparisce, o divengono dementi ed ebeti; o nella licorienza si guastano, dall'alto precipitan- dosi. CAPO TERZO. Cause remote. La predisposizione è ereditaria ; e con noi la portiamo nascendo. E le locologiche operazioni possono egualmente determinarla. In seguito diffi- cilmente acquistasi. E la predisposizione può essere innalzata alla condizione epiletica dallo spavento , e da ciò che conturba la giovanile nervosa vitalità; mentre nella vecchiaia non incomincia mai, e quasi sempre dileguasi. CAPO QUARTO. Causa prossima. 1/ertìcenza della modalità epiletica è nn ricor- rente chimico-organico nervoso pei'turbamento, che periodicamente conturba l'aninìale economia, e che determina l'epiletica ricorrenza. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere degli epiletici , che sono morti per altra malattia, nulla altro si è osservato , che la condizione patologica del male, che loro ha tron- cata la vita. In quelli, che terminarono di vivere , nella ricorrenza, si è trovato rencefalo parzialmente ingorgato. Ciò che pare, che sia semplice effetto, e non causa delTepilessia. 125 CAPO SESTO. Prognoslìco . V epilessia è malattia infantile, che nelT inol- tratasi età difficiintiente guariscasi. 1/ epiletico pe- risce per altra malattia, o diviene demente; o nella ricorrenza muore apopleiico; o perchè piecipilandosi dall'alto, si guasta. CAPO SETTIMO. Cura. Durante V epiletica ricorrenza deesi operare affinchè non si fracassi, dihattendosi. Terminata che sia, non si può razionalmente curare per essere la sua natura occulta e indeterminata. E ]' empiri- smo c'insegna d' allontanare le cause che la deter- minano, e di curare le morhose complicazioni; e che deesi mutare il metodo di vivere, o viaggiando, o in altra convenevole maniera. In quanto agli specifi- ci, che di sé tanto fracasso menarono, solo diciamo che giovarono perchè le complicazioni morbose colle cause determinanti allontanarono ; e che a tanta ricchezza noi di buon animo rinunziamo. SEZIONE TERZA. Isteria. CAPO PRIMO. Definizione. L'isteria è la sofferente natura che , compilate l'espressioni morhose tutte, ci rappresenta e simula. Il noiDe lo derivarono dal luogo in cui ne collo- 126 carono la sede; e la dissero ancora morsi nervosi, af- fezione vaporosa e femminei vapori. CAPO SECONDO. Forma. L'isteria lentamente invade, ed è preceduta dà' certo malessere, che dicesi noia e fastidio di vivere,' che dalia svogliatezza innalzasi alla più tèrri'bile condizione di spasmodia,da simulare la stessa manìa. Non ha corso costante, e in vari modi incomincia e termina. E' periodica, ed anche continua remit- tente; locale ed universale. Non ha costante forma; incomincia con una, prosegue con altra, e in vai-Jc maniere dileguasi. Non è continua cotitenente , ed- ha larghe remissioni , e pare che siasi guarita , e torna da capo. E' malanno proteiforme, che' la vo- lubiliià è della sua forma l'eflflcenza. Il soffio arte- rioso, ed il globo isterico, che dall' utero rtìoven- dosi ascende al collo, e che pare che affoghi, sorió- dei suoi fenomeni i piiV costanti; ma anche qiiestr talora mancano. CAPO TERZO. Cause remote. Le remote cause dell' isteria sono le potenze chimico-organiche e dinamiche, che irritano il si- stema nervo-ganglionario; e che attenuano la crasi del sangue; verbigrazia, l'abuSo protratto degli sti- molanti, e l'astinenza col soverchio digiuno. Nola. Terapia dei bambini. G. A. T. CXXXIX. 127 CAPO QUARTO. Causa prossima. Non havvi parte organica, in cui non sia stata collocata la sede del male. I più la vogliono nel- Tutero; forse perchè l'isteria è femminea malattia, e r utero le è assai molesto. Ma in quel viscere sono gli effetti, e non la causa del morbo. E gli elementi morbosi sono d'un canto la esaltatasi ecci- tabilità nervo-ganglionaria, e dall'altro la diminui- tasi crasi del sangue; per cui si conturba l'antago- nistica corrispondenza tra I' animale e l' attività plastica; e la femmina ovunque soffre, e sempre si lamenta. CAPO QUINTO. Neeroscopia. Nel cadavere della femmina isterica non sem[)re sonosi trovati guasti nell' encefalo e nell' utero , e qualche volta nulla si é ritrovato; mentre sono gli effetti e le complic^izioni, e non dell'isteria 1' eftì- cenza morbosa. CAPO SESTO. Procjnostico. L'isteria per sé non è mortale; e le complica- zioni tale ce la rendono. Presto guariscesi, e anche lungamente dura; e se risolvesi, il quarto anno non sorpassa CAPO SETTIMO. Cura. All'istante prendonsi i provvedimenti per impe- dire I gwìisti, che a sé e agli altri potrebbe fare. 128 Dipoi le si getta in faccia acqua fredda, e le si fa odorare 1' etere ; e poche gocce le si versano in bocca. E se liavvi pletora e minaccia di cerebrale congestione, le si cava sangue. Dal corpo si espel- lono le cause occasionalij e si corregge la viziosa costituzione. All'adinamia rimediasi col vitto ani- male e coi tonici analetici ; all' atassia cogli anti- spasmodici. Le giovano ancora alti-e cose , se la forma morbosa le richiede ; verbigra/ia , la libera alia, la luminosa e ventilata abitazione, la' naviga- zione, il viaggio, il bagno di mare e di riviera; ed ogni sorta di ginnastici movimenti. SEZIOINE QUARTA Ipocondria. CAPO PRIMO. Definizioìie. L'ipocondria, o maschile isteria^ è la prevalenza dell'istinto di conservazione , inerzia organica ; per cui ci pare di essere in pericolo, e si dubita sempre della propria sicurezza. CAPO SECONDO. Forma. I prodromi dell'ipocondria sono la svogliataggine, la fissazione, e la malinconia che nell' intemperie ricorrono. E nell'incominciare l'autunno e la prima- vera soffrono i pedisposti per qualche mese, senza che essi sappiano che cosa abbiano. Gli molestano ancora il bruciore, i gricciori e la vertiggine- Sono pensierosi e. cogitabondi; e soverchia attenzione mettono alle 129 cose che gli (;ircondano, che sempre gh pare che gli precipitino addosso- Travaglia lo stomaco , le digestioni malamente si fimno, e l'aria svolgesi , e fa romore, scorrendo per gli intestini. Il minimo malanno gli spaventa, e spesso loro pare di essere apopletici. Si turba loro l'intelligenza; si consumano, e s'indeboliscono; e delirando muoiono- CAPO TEKZO. Cause remote. 11 temperamento adinamico nervoso è la ipo- condrica predisposizione; cui innalzano alla condi- zione d'isteria virile i protratti studi, le deluse pas- sioni, gli inutili travagli mentali e le protratte con- siderazioni dei mali altrui- CAPO QUARTO. Causa prossima. L'ipocondrica etFicenza è la perturbatasi corri- spondenza tra gli 'altri ed il nervo-ganglionario siste- ma; per cui esaltasi l'istinto conservativo, e in ogni parte o pare che si soffra , o realmente si soffre, senza sapere, che cosa si abbia. CAPO QUINTO. Necroscopia- Nei cadaveri degli ipocondrici nulla di costante si è trovato di chimico-organica alterazione; così conviene credere, che quanto si è trovato sia l'ef- fetto ipocondrico, e non la sua cfficenza ; o che siano patologiche condizioni delle complicazioni , omopatie. G.A.T.CXLVIII. 9 130 CAPO SESTO. Prognostico. t^a nipdia età vi è maggiormente predisposta, e non osservasi prima né dopo. Il corso è lento, e dura piij anni. E se le cause, che lo determi- nano, si allontanano prima che siasi guasto pro- fondamente il nervo-ganglionario sistema, guariscesi; altrimenttì è mortale. E chi lo supera, è sempre taciturno, malinconico, macilente e di colore oli- vastro. E nell'intemperie pentesi sempre male} ed è un poco ilare nel tenipp buono. CAPO SETTIMO. Ciira. Prima si allontana ciò che la determina ; e le complicazioni si curano. AH' ipocondrico giova ora di essere secondato, ed ora contraddetto. E gli è ancora giovevole il moto passivo ed attivo , che ci allontana dalle mentali occupazioni, e che tiene in esercizio le forze fìsiche. Alla macilenza» che sempre l'ipocondria accompagna, rimediasi ool vitto animale, colle sostanze amare ed aromatiche , col vino, coi preparati di marte e coi chinacei. SEZIONE QUINTA. Rabbia. CAPO PRIMO. Definizione. ,. ^^^^^.^ L'idrofobia è ai liquidi la morbosa repugnani5ft; cui è della rabbia patognomonica espressione, che 131 si manifesta anche in altre malattie, e ch'è sempre sintomatica. E poi è la rabbia malattia nervosa, specifica e contagiosa; e che sempre 1' infermo fa delirare, ed ammazza. CAPO SECONDO. Forma. Solo nella cagna e nella miscia (1) spontanea è la rabbia, e agli altri animali è sempre da questi comunicata. E nel passare dall'uno aiPaltro inde- boliscesi. Colla saliva si trasmette; e nell'epidermide non piglia: nel derma e nella mucosa è inoculata. Pigliato ehe abbia, rimanesi latente , e la ferita si cicatrizza, e più presto o più tardi riapresi e duole; ed incomincia la prodrometrìa della rabbia , che suole durare ventlquattr'orer scorse le quali mani- festasi la sua ferocità. Incomincia col malessere , coir orripilazione, col dolore lungo il dorso e nelle membra, coi brevi e toibidi sonni, colla cefalagia e colla ricorrente periodica ipacondria. Si ha poi avversione ai liquidi, idrofobia ; e si sente spessa stringersi fortemente la gola; i risplendenti oggetti spaventano, e la propria flsonomia, nella spera ve- duta, agita fortemente l'uomo arrabbiato. La bocca è salivosa, la faccia rossa, gli occhi sono risplen- denti e spaventati, ard'e la sete, ed il polso è pieno' e forte. La forza muscolare si esalta e si perturba. (1) La miscia felis Linn. è un quadrupete non piccolo, e poco grosso; ed h mammifero, non feroce, e che poco si affeziona ; e ch'è iiiimico del cane canis Linn; e del sorcio mus Ltnn; quello lo caccia, e questo ella acchiappa e se lo fnangia ; e che volgarmente dicesi Gatta. 132 e poi si estrema. L'intelligenza talvolta intorbidasi in princìpio; tale altra nel fine; e rari sono quelli che muoiono nel senno, ed i rabbiosi quasi sempre muoiono furiosi. Strani fenomeni si manifestano ancora; come la satiriasi e la ninfomania ecc. La prodrometria e la malattia svolgonsi per accessi; e sì r una e sì l'altra sono una successione di remit- tenze e di esacerbazioni; queste a quelle prevalgono, ed infine si muore. ; CAPO TERZO. Cause remole. Le cause 'remote non esistono , meno che per esse non si intendino le occasioni, che ci espongono al morso arrabbiato. La predisposizione è poi co- mune: ed il principio, che la determina è così po- tente, che indistintamente, se viene inoculato, at- tacca e ammazza. CAPO QUARTO. Causa prossima. Occulta , come delle altre cause, è 1' efficenza della rabbia ; e in quale parte del corpo risieda bene non si sa. Pare che attacchi il nervo-ganglio- nario sistema; ma in quale parte , e che cosa gli faccia, noi ed altri non lo sappiamo; e chi dice di saperlo, sogna forse vegliando. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri dei rabbiosi sonosi trovati gli in- volucri nervosi ingorgati; e rammolliti il cervello. 133 il cervelletto, la niidolla allungala e la spinale; at'- rossato il pneumo-gaslrico, il quinto, il sesto ed il settimo paio dei nervi cerebrali; le glandole salivari arrossate e gonfie, la mucosa delle fauci igneltata, l'epitelio esofageo rosso, ignettato e corroso ; svi- luppati gli Intestinali follicoli , i bronchi ripieni di spuma, ed ingorgato il polmone. Le quali cose non in tutti, ne tutte egualmente si ritrovarono ; così noi le crediamo effetto, e non causa, della rabbia. CAPO SUSTO. Prognostico. Dopo il moiso, e quasi sempre tra il quaran- tesimo ed il cinquantesimo giorno, incomincia l'in- vasione, che per termine medio non oltrepassa le ventiquattro ore ; e poi incomincia il malanno a manifestarsi , che tra le cinquanta e le sessanta ore l'arrabbiato muore. CAPO SETTIMO. Qua. Ingrandita la ferita, lavata e cauterizzata che sia, noi limitiamo la cura nel custodire l'arrabbiato, af- finchè a sé e ad altri male non faccia. Alcuni ca- vano sangue fino alla lipotomia. Magendì ignetta nelle vene l'acqua; e Dupuytren l'acqua coll'oppio. Ed in Firenze nell' arcispedale di s. Maria Nuova noi fummo presenti allorché applicarono nella sera all'arrabbiato delle vipere: e ciò fecero per ino- culargli il veleno viperino : e prima del giorno morì. Il medico Bussion di Parigi , contratta la rabbia, per non sopportare i rabbiosi dolori, si de- 134 cìse di mettersi in un bagno a vapore, per spegnersi da per se stesso. Ma il calore crescendo , egli mi- gliorò; ed innalzato ai 107°. 36^ del termometro di Fakrenheit, si intese bene; poi sortì dal bagno, man- giò con glande avidità, e molta acqua bebbe,e si addormentò; e svegliatosi dopo le ventiquattro ore fu sano. Riferì il fatto alla società medica di Pa- rigi ; nel bagno vi furono posti cinque arrabbiati: quattro guarirono , e l'altro , che era un bambino di sei anni, morì nel bagno affogato. SEZIOINE SESTA. Letargo. CAPO PRIMO. Definizione. Il letargo è un morboso sonno, che dal natu- rale differisce solo per l'estensione, e per la mag- giore profondità. Talvolta pare che si dorma , e non si dorme: e tale sonno dicesi supervacuo. CAPO SECONDO. Forma. Il letargo può essere sintomatico delle terribili malattie, e prolungarsi oltre alla convalescenza. E' primario ancora, ed anche secondario ; il sintoma- tico è breve, e gli altri hanno lunga durata. Il sonno può essere morboso per la sovercliia esten- sione; ciò che naturalmente ha luogo in chi ha ec- cellente memoria, che sono piiì le ore che dormono, che quelle in cut vegliano. La profondità del sonno estendesi anche essa oltre al naturale; e si diviene 135 insetì^ibili alle violenti scosse, e si ha l' immagine déirappai'ente mone. CAPO TEt\ZO. Cutise remote. Veramente la letargica predisposizione pare che sia congenita ; e rtalnralmente gli uomini piij o meno dormono i ed hdnno un sonno più o meno profondo- E valgono a determinarla le protratte oc- cupazioni mentali , colle malattie che estenuano Tattività sensoriale; per cui Tindividuo abbandonasi a morboso sonno. CAPO QUARTO. Causa prùéèinmi L'efficenza letargica si asconde nella condizione chimico-organica, che innalza a maggiore esten- sione e profondità il secondo momento antagonistico della universale periodicità, pei" cui il sonno diviene più esteso e più profondo. CAPO QUINTO. Necì'oscopia. La condizione chimico-organica del letargo non si è ritrovata nel cadavere. E quanto vi è stato trovato, è la patologica condizione dell' essenziale malattia, che ha troncata la vita. CAPO SESTO. Prognostico. II sintomatico, se la malattia guarlscesi, presto dileguasi; il secondario é più ostinato, ma si gua- 136 iisce. Il primaiio è il più pericoloso, e dal letargo si passa alla demenza e all' idiotia; ed infine uno stravaso sanguigno tronca la vita. CAPO SETTIMO. Al sintomatico letargo rimediasi col curare l'es- senziale malattia, da cui egli dipende. Al seconda- rio, che allo sfossamento del morbo primario deesi rimediare , giovano i nutrienti, gli eccitanti coi tonici. Il primario cogli eccitanti e cogli svariati esercizi ginnastici si cura; e coll'astenersi dalle cose, che conciliano il sonno. SEZIONE SETTIMA. Sonnamhulia. CAPO PRIMO. Definizione. La sonnamhulia è il sonno, in cui un'idea non dorme. Ed il sonnambulo è colui che dormendo ha un'azione libera; e che dorme, e nello stesso tempo veglia. Il sogno , che limitasi al pensiero , è l'in- completa sonnamhulia; ed è completa se il pensiero coll'atto concretasi. CAPO SECONDO. Forma. Il sonnambulo, che veglia dormendo, nell' eserci- zio dell'atto, che esercita vede e sente;e nel rimanente dorme. Si leva dal letto , accende il lume, apre e chiude le porte , e liberamente cammina, legge e 137 scrive , ed anche compone. Ed oltre a quello che fa, non vede e non sente. Se si smorza ad un son- nambulo, che cammina, o che seduto legge, il lume; egli lo riaccende j e se si torna a smorzarglielo , torna a riaccenderlo. Ma se gli si fanno davanti strani movimenti, e non si tocca, non se ne avvede. Se scrive, e con scaltrezza gli si leva la carta e la penna, egli se ne avvede, ed altro foglio di carta ed altra penna prende. Terminata che abbia la sua faccenda torna in letto, e il lume spegne. Se si sve- glia, si spaventa, diviene convulso e muore. CAPO TERZO. Cause remole. Il nervoso temperamento , la sensibilità , e la speculativa proclività predispongono alla sonnambu- lìa. I fanciulli sognano a preferenza degli uomini : e le donne sognano vegliando. E la determina l'idea che fissa talmente l'attenzione dei predisposti; che anche dormendo vogliono concretarla. CAPO QUARTO. Causa prossima. In una peculiare modalità, per cui si dorme e ' si veglia nello stesso tempo, si asconde l'etricenza della sonnambulia. Che non crederebbesi possibile, se il fatto non ce la manifestasse. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere di chi morì durante la sonnambulia, perchè fu destato nel morboso sonno , nulla si ò 138 trovato , che gli si riferisca. E ciò che vi è stato trovalo, o sono le condizioni patalogiche di altre malattie; o la causa della morte; perchè di sonnam-^ bulia noD muoresi. CAPO SESTO. Prognostico. La sonnambulia è solo accidentalmente mortale; e vi si muore o per lo spavento, se il sonnambulo è al momento svegliato; o perchè si guasta, cadendo. In lutti i sonni non si riproduce ; ed ha un largo e irregolare periodo; e nella vecchiaia da se gua- rìscesi. CAPO SETTIMO. Cura. Rimediasi alla sonnambulia col diminuire la durata del sonno; e coll'istancare i predisposti coi movi- menti ginnastici, e coll'impedire che la prevalente idea possa concretarsi. Altri rimedi crediamo che non vi siano. SEZIONE OTTAVA. Calalessia. CAPO PRIMO. Definizione. La catalessia è l'istantanea e poco durevole im- mobilità, con sospensione, o no delle sensoriali fa- coltà ; per cui si rimane inerti nella posizione , in cui uno si trova. Dalla quale il calalessico, rimosso che sia, non ritorna, e vi rimane. 139 CAPO SECONDO. Forma. Spesso è istantanea , e quasi mai l'invasione è lenta. Se parlasi, la voce si spezza , e si tace. Le sensazioni si sospendono; e quasi mai il calalessico vede e sente, ed è sempre immobile. Talvolta havvi marmoreo freddo, e cadaverica rigidezza, ed il polso ed il respiro mancano. Tale altra accesa è la faccia, e calda la pelle. L'arterie temporali battono, il polso è ampio, ed accellerato è il respiro. Irregolare è la periodica ricorrenza; e può esservene una soltanto; ed il catalessico ritornare in salute, e non più ricom- portarla. CAPO TERZO. Cause remole. La proclività eminentemente speculativa è la catalessica predisposizione; che alla condizione di ca- talessia l'innalzano la protratta considerazione degli ideali argomenti, che di soverchio la mente astrag- gono. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'essenziale condizione della catalessia consiste nella temporaria sospensione dell'antagonismo; che naturalmente compiesi tra le potenze motrici in- terne coll'esterne; per cui non più sentesi, e si ri- mane immobili. uo CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere dei oatalessici non si sono trovate costanti chimico-organiche alterazioni. E quello che VI trovarono, sono le condizioni morbose delle com- plicazioni, omopalie; e del male che ha troncata la vita. CAPO SESTO. Prognostico. La durata della catalessica ricorrenza varia, e può essere più o meno lunga. Ha irregolare e largo pe- riodo; ed anche ammazza nella prima volta, sì gua- risce ancora; e può cambiarsi in isteria, in ipocon- dria, ed m epilessia. In genere ella è forma mor- bosa, che in un individuo una sol volta apparisce- e sj guarisce, o muore. CAPO SETTIMO. Cura. Uees) li catalessico, durante la ricorre'nza mor- bosa, tenere in convenevole posizione; cioè colla te- sta alta , denudato e ben caldo. E dileguata , che ella siasi , si allontanano le cause che la determi- nano; e si corregge la predisposizione con ciò che maggiormente attiva la vita plastica, e meno spe- culativo rende il nostro intelletto. 141 SEZIONE rSOINA Apoplessia. CAPO PRIMO Definizione. L'apoplessia è l'islaiilanea sospensione della ner- vo-ganglionai'ia Genialità ; per cui peidesi molo e intellello; e quasi sempre si more. : CAPO SECONDO. Forma. I/apoplessia diversamente invade; così la sierosa lentamente viene; più celermente la sanguigna; ed è fulminante la nervosa. Incomincia col formicolio ed il torpore; prosegue cogli incerti tremori, e col cefalico dolore; e perviene alla massima estensione colla mancanza del senso e del moto; e quasi sem- pre colla morte termina- CAPO TERZO. Cause remote. ' , La predisposizione varia in ciascuna specie di apoplessia- Il linfatico temperamento predispone , alla sierosa; la pletora, alla sanguigna ; il nervoso, alla nervosa. La prima la determinano i debilitanti e le acquee bevande; la seconda il vitto nutriente e l'abuso del vino; la terza i controcolpi, commozione cerebrale^ coi violenti perturbamenti dell'animo. CAPO QUARTO. Causa prossima. L'effìcenza apopletica è la morbosa modalità , che ferma l'attività centrale del comune sensorio ; 142 la quale è di triplice natura, cioè sierosa, sangui- gna e nervosa. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri degli apopletici si sono trovati nella cavità del cranio stravasi sierosi, sanguigni, ed an- che nulla. 'itviK i^ CAPO SESTO. Prognostico. Lenta e mortale è la sierosa ; breve ed anche lunga la sanguigna; e se havvi stravaso non risol- vesi, come si scioglie il semplice ingorgo. La ner- vosa spesso è fulminante: e in poco tempo, o si guari- sce, o si muore. È anche lunga, e difficiioaeate.si;SCÌ07 glie; si esacerba, è la vita spegne- aiur» mUrv CAPO SETTIMO. ^*^"» ^' Cura. All'apoplessia sierosa giovano i derivativi coi revulsivi ; alla sanguigna il salasso cogli antiflogi- stici; alla nervosa, può anche giovare il salasso in principio; e le si convengono gli eccitanti. E a tiitte egualmente giovano i rivulsivi coi derivativi; ì pur- ganti coi diuretici ; e ciò che dal capo allontana gli umori, il sangue, e che dà libero corso alle in- fluenze nervee (1). (1) Storia della morte, proposta come nuovo organo della scienza clinica. G. A. Ti CXXX. CKXXI. CXXXlt CXXXIIF. " ' " 143 CONCLUSIONE. Le forme dei nervo-ganglionaii perturbamenti, che tra loro hanno , per la massima estensione , una certa, somiglianza , gli abbiamo riuniti sot- to la denominazione di universali nervo-ganglio- nari perturbamenti. Ed abbiamo poi considerato il sistema nervoso nei punto di vista il più lato; per essere in rapporto colle antiche e colle moderne ipotesi dei sublimi ingegni, clie hanno contemplata Fazione naturale e morbosa del sistema nervo-gan- ^lionario. 11 libro delle neurosi potrà a taluno pa- rere sterile e tronco; e ciò comparisce per esserci noi astenuti dal dire il triviale e l' inutile. E per- chè abbiamo scansato l'ipotetico; per non discorrere quello che altri hanno inutilmente discorso. E per non dire ciò, che ci vieterebbe di dire, quel poco che abbiamo detto, terminiamo l'inacconcio ncvrologico discorso. 144 Le valli di Amsanlo descritte da Virgilio Eneid. lib. Vili verificate e dimostrate a di ì'ò giugno 1857 da Fabio Gori esser le pianure del cava li ero ai con- fini del regno di Napoli. Lettera diretta al eh. si- gnor marchese Gian-Pietro comm. Campana presi- dente dell'accademia romana di archeologia. Est locus Itaiìae medio sub montibus altis Nobilis et fama multis memoratus in oris, Amsancti valles.Densis hiinc frondibus atrum Urget utrinque latus nemoris, medioque fragosus Dat sonitum saxis et torto vertice torrens. Hic specus horrendum, saevi spiracula Dilis Monstratur, ruptoque ingens Acheronte vorago Pestiferas aperit fauces: queis condita Erynnis Invisum numen terra» caelumque levabat. Firgil. Aeneid. lib. VII. Chiarissimo signor marchese, J-ia protezione, della quale V, E. onora i miei stu- di, mi rende ardito a sottomettere al suo giudizio, ed a quello della insigne accademia di cui è presi- dente, la scoperta che credo di aver fatta delle valli di Amsanto così nobilmente descritte da Virgilio. E' certo che ne'riferiti versi dipinge il grand' e- pico un luogo famoso esistente nel centro dell'antica Italia. Qual meraviglia pertanto se gl'italiani, vaghi come sono di vivere nelle passate glorie, siensi messi ad indagare ove precisamente coincidano i caratteri tracciati dal poeta? Ii5 Profonde tenebre ingombraron gli occhi de'vecchi eommentutoi'i. Sei'vio, seguitato dal P. Ambrogi, così spiega « Hunc locuni unribilicum Italiae chorographi dicunt. Est autem in lateie Campaniae et Apuliae ubi Hirpini sunt, et habet aquas sulphureas, ideo graviores quia ambitur sylvis ». Donato pone le dette valli in un luogo di Canosa o Lucania « circa flu- vium qui Calor vocatur »: Aldo Manuzio, Francesco Florido, Leandro Alberti e Addisson alle pianure Ter- nane, e. la voragine alla Cascata delle Marmore. Ma queste opinioni or non hanno partigiani di sorta , perchè il mozzo d'Italia non è in Puglia né in Lu- cania, né all'esattezza virgiliana risponderebbe il torlo vertice torrens^ se chiamansi torrente i due fiumi To- fano e Velino che da una prodigiosa altezza piotn- ban sulla Nera. Ridolftino Venuti (1) è antesignano d' un'altra opinione che a Catino colloca la voragine, le valli alla Valle santa, ed il torrente al fosso che porta le acque al castello. Raffaele Ruga però ha fatto universalmente ri- cevere dagli archeologi le sue osservazioni, colle quali venne a stabilirle nelle contrade, dette Valli presso Rocc'antica, nel Galentino il torrente, e lo speco nel Revòtano. Il prof. Guatlani nel toni. 2 de'Monumenli sabini (Roma i828 pag. 317) riporta conferma e suggella questa sentenza. 11 desiderio da me sempre nutrito di visitare ed ispirarmi ne'siti classici, mi trasse l'anno 1855 a (I) Osservazioni sopra la grolla ec. Disseriazione postuma im- pressa pei tipi di Zempel in Roma 1765. G.A.T.CXLVUI. 10 146 visitare Catino e 'i Revòtano di Rocc' antica, am- bedue in Sabina poco lungi da Poggio Mirteto. La scintilla elettrica, violentando la stessa catena di un monte calcareo, spaccò il primo a guisa di spaso catino, su cui ora s'alza minacciosa una torre pen- tagona fra le munizioni del castello, al quale co-^ municò '1 suo nome. Apiì il secondo non già nella china come l'altro, ma in cima ad un alta montagna e in una dimensione il doppio più larga e profonda del catino: ove pei fianchi boscosi odesi rimbombar Teco. La stessa descrizione topografica dimostra ab- bastanza il nessun fondamento cui si appoggiano Venuti e Ruga. 1°. Né l'una né l'altra voragine sta sub montibus altis , ma am.bedue, e specialmente il Revòtano, sono incavate in montibus altis. 2°. Dove Jà sono le nobili e note per l'universo valli d'Am- santo? Le valli in questione devono essere pianure circondate da alti monti. Ora i piani sotto Catino e *J Revòtano non sono già propriamente valli cinte da alti monti, ma dai monti soltanto al nord, negli altri lati da semplici clivi, andando così a gittarsl nel Tevere e risorgere all'altra sponda per confon- dersi coll'immenso agro romano, di cui forman parte, 3°. 11 nome di Amsancttis si presenta evidentemente formato dalle parole amnis e sanctus, fiume-santo. Or vi è sotto Catino e Rocc' antica un fiume che abbia avuta o ritenga una piccolissima idea di questo nome? 4°. Io ho cercato per quei dintorni le con- trade valli-sante, ma i contadini non me le hanno sapute insegnare se non in siti distanti dal Catino e dal Revòtano. 5', li ruscello, che le acque porta 147 a Catino, non ve le conduce in alveo naturale, come si dovrebbe provare onde crederlo il torto vertice torrens , ma in un condotto a forza di scarpello schiuso dai marchesi Olgiati, e fu allacciato assai da lungi come dimostra l'iscrizione latina da me letta sullo speco. Tutte queste osservazioni a colpo d' occhio mi fecero escludere da Catino e dal Revòtano le valli d'Amsanto. Perciò mi sono andato aggirando a tra- verso de'monti a ricercarle senz'averle punto rin- tracciate prima de'tredici giugno del corrente 1857, dopo avere inteso da una persona del volgo che nei confini del regno di Napoli, cinque ore lontano da Subiaco, muggiva in profondo baratro un torrente. Nel detto giorno dalla montagna della Cervara io scendeva a Hocca di Botte, dove sotto il guardo sorride la pianura che da una sola contrada l'uni- versale nome prende del cavaliero. La di lei tesa corre per circa tredici miglia romane dall'E. all'Ov. e si allarga da N. al S. più di un miglio. I cereali, che vi si raccolgono , sembrano versati dal corno dell'abbondanza, i quali (siccome l'equicola città e romana colonia Carsèoli verso ponente giacca nella contrada Civita vicino al moderno Carsòli) rendono veridico il detto di Ovidio: Frigida Carseolis nec olivis apta ferendis Terra, sed ad segetes ingeniosus ager. Cingono pienamente quel piano le montagne al- tissime della Camerata, Rocca di Botte, Orìcola, Rio Freddo, Vallinfreda, Yivaro, Collalto, Carsòli, Monte 148 Sabinese, Villa Romana, Colli e Pereto (1). Basta menzionare la Cervia grosso ed elevato monte sopra Collalto, e la Serra di S. Antonio cospicua ai navi- ganti in alto mare sotto nome di Sopranella. Sicché le pianure da essi racchiuse meritano il nome di Valli. La bellezza, ubertà ed estensione dei campi, e 'I racchiuder ch'essi fanno le ruine d'una nobile co- lonia romana, mi cominciarono a ricondurre nella mente i due primi versi: Est locus Italiae medio sub montibus altis Nobilis et fama multis memoratus in oris. Volli verificare se ero nel mezzo, ossia nell'antica Italia centrale. Lasciata la questione se a Reate cor- rispondesse l'umbilico (cosa molto controversa per l'irregolarità de'seni marittimi che han logorato lo Stivale) viene ammesso da qualunque geografo che il mezzo o centro d'una estesissima regione non è limitato all'umbilico, ma si spande per centinaia di miglia. Presa pertanto in mano la carta dell' Italia antica di Brué (2), ho veduta Carseoli in distanza di circa sole 20 miglia romane di 75 a grado fron- teggiar quasi in linea retta Reate ; anzi superarlo (1) La descrizione istorico-topografìca di questi castelli darolla nel Supplemento (che si stenderà da Subiaco al Lago di Fucino) a! mio Viaggio pitlorico-anliquario da Roma a Tivoli e Subiaco tino alla grotta di Collepardo. Roma tip. delle belle Arti 185o. Ivi si pubblicheranno curiose notizie della insurrezione marsicana contro i francesi, della quale il centro fu qui. (2) Carte generale de Tllalie ancienne par A. Brué géographe 'u roi. Seconde édjtion 1829 à Paris. 149 nell' esattezza di essere nell' ujnbilico d' Italia fra l'Adriatico ed il Mediterraneo ; poiché da Carseoli ad Aternum corrono 75 m., ed altre 75 da Cen- tumcellae a Carseoli. Ma erano queste nobili centrali ed istoriche valli quelle delI'Amsanto? Facendomi questa interroga- zione, a passo celere io ero giunto dietro una guida sotto Pereto sul margine del più copioso rivo della contrada. Domandai ai coloni locali come si addi- mandasse quella corrente? SANTUMAKE, mi fu ri- sposto. Non è questo VAmsanctus? Si noti che i nostri contadini parlano un latino volgare, né pronunziano affatto le consonanti finali: perciò invece di Amsancliis pronunzierebbero Am- sanclu. VAm iniziale lo ha raso la ruggine de'se- coli: anzi siccome queiri4m esprime Amnis^ hume, si può sospettare che i coloni del luogo nemmeno all'età di Virgilio lo pronunziassero, perchè deno- tava una circostanza a tutto il contorno nota, l'esser cioè il Sanctus un fiume. Ma cosa indica l'aggiunto mare? I nostri dialetti dicono irnàre i piani attraversati dal fiume. Non reca seco tale nomo ed aggiunto l'orma intera di Amsancti valles? Seguitando il corso del Santumare mi vidi pre- sto con esso accolto sotto le ombre de' secolari cerri della macchia di Villa Romana. Allora esclamai : « Densis hunc frondìbusatrum-Urget utrinque latus nemoris. » Né basta; che rivoltomi a settentrione per rag- giungere la strada di Villa Romana, udii mormorare e raggiunsi il torrente Scadrafoce che dal nome stesso si palesa come 150 « Precipitoso crollator di sassi. Ed ecco: « Medioquc fiagosus-Dat sonìtuin sa- xis et torto vertice torrens. w Tornando all' ingresso della macchia « Hic speciis horrendum, saevis piracula Ditis,-Monstratur )> in una cavità (1) portentosa appiè del monte di Pereto detta Vena di Pimpa, la quale dall'altissimo culmine manda giù sul piano le sue pareti rossastre in semicerchio a forma d'un groUone scoperchiato. Essendo lo speco visibile a lungo tratto, col protrarre innanzi i lati a guisa d'ali accoglie dell'oscurità nel seno, cagio- nando così un certo orrore a chi vi spinge lo sguardo. Finalmente si perviene all'orlo d' una voragine detta in Meuriu^ la quale improvvisainente nella pia- nura si sprofonda e fa risaltare a tondo e a piombo nella periferia di circa un miglio le pareti di pie- tra calcarea annerite dai carpini , mentre la som- mità ne incoronano i cerri. Siccome al baratro si avvicinano a forma di un T rovesciato le montagne di Monte Sabinese, Villa Romana, Colli e Pereto ; è desso perciò il naturale ricetto dell'acque piovane da quelli riversate , le quali hanno dovunque nella rupe impresse le vestigio del furioso loro trapasso. Ma specialmente il suddetto torrente sino a que- st' anno ha esercitato là dentro un pieno dominio; poiché dal Iato sud-ovest a precipizio e a sbalzi dal sommo vertice vi mandava a roteare le sue onde, sicché parea veramente che lo spirito d'una Erinni si nascondesse nell'imo fondo e le agitasse; (1) Specus dal {jreco trvtoi; suona rupes cavala. V. Forccllini, Lexicon tot. latinit. 151 1' eco de' vicini monti e del bosco ne ripercoleva il muggito. Perchè poi nessuna uscita si palesava all'acque se non lenta ed occulta, e perchè le teiTe limacciose de' contorni vi andavano ad impozzare, un colore assumevano torbido e biancastro in ogni stagione, verde e pM22o/en/e nell'estate, simili in tutto all'Acheronte, dal quale Virgilio le finge provenienti colle parole: « Rnptoqne ingens Acheronte vorago-Pe- sliferas (1) aperit fauces.» Imperocché nell'antecedente lib. VI così descrive quel fiume infernale: « Hinc via Tartarei quae fert Acherontis ad undas . . . -Turbidus hic coeno, vastaque voragine gurges (2) — Aestuat, atque omnem (^ocyto eructat arenam. » La dimostrazione da me fatta è sembrata piena « 0 piuttosto insegnata a dito a seconda della vmdal poe- ta stesso agl'intelligenti del luogo, coi quali ho avuto campo di discutere: e credo che ora persuasi della ve- rità si vanno dipingendo all'immaginazione Aletto che (1) Pestiferas fauees vuol dire faucei quae pesletn ferunt. Ma perchè Virgilio qualificò la nostra voragine come pestifera? 1. Pub essere che abbia voluto indicare il puzzo dell'acque stagnanti. 2. Ad ogni modo e con molta proprietà avrebbe usato pestiferas per denota- re, esser da quel meato d'Acheronte l'uscita naturale del maggior de'mali la peste; perchè tutti i poeti, e specialmente il nostro ^entirf, lib.W, pongono ai vestibolo del Tartaro la sede di qualunque morbo venga a funestar la terra, ivi » Vestibulum ante ipsum . . . -Pai- lentesque habitant morbi.» (2) È degno di considerazione che la parola Meuriu esprime coll'unu in dialetto il cadere , aggirarsi e ribollir dell* acque in profondo gorgo. Così nella gola pittoresca del mentovato Monte Cervia sotto Collalto una voragine (riputata dai contadini senza fondo), entro la quale casca e rimescolasi il torrente, vien carat - terizzata per Uriu sfonnatu. Peccalo che da qualche mese per se- minare il fondo del Meuriu abbiano voltato il corso del torrente verso il Santumarel 152 la palude scotoa co' vanni stridenti per gli angui. Miran le Ore sul meno alto e prossimo monte stac- car dal cocchio i cavalli di Giunone, che scende a comandare alla furia di sconvolger l'Europa colla guerra. E un amante della inglese letteratura vi scorgerebbe Satana dipinto da Milton, Paradise Lost Book I, fender le acque colla punta della lancia in- focata, cacciar la testa fuor del gorgo fumante, ri- posare per poco lo stanco remigio delle nere penne, mentre la selva stupisce in udire le prime parole di Lucifero «... Like a furnace mouth: indi ergersi a volo sul più eccelso giogo della Serra, ove gli ferisce il guardo V intero spettacolo della Creazione: ((.... The sudden view Of ali this world at once- » Fabio Gori. 153 Intorno ad alcune voci che si stimano erronee nella lingua italiana , e tali non sono. Parte seconda. (Vedi la parte I nel tomo 143.) K el metter fuori questa parte seconda, o suppli- mento, della nostra operetta intorno ad alcune voci che si stimano erronee nella lin&;ua italiana, e tali non sono, vogliamo nuovamente avvertire che non già tutte le parole che registriamo sono fior di fa- vella, da usarsi cioè in qualunque sia elegante scrit- tura. Ma dal non esser siffatte al reputarle errori, v'ha molto divario: e sosterremo sempre per vero, che in una orazione, in una storia, in una poesia sì vorrà forse bene rifiutare un vocabolo, che acco-^ glieremo poi volentieri in una lettera e in altra prosa familiare e rimessa, comprese le didascaliche. Certo gli esempi che qui rechiamo sono tutti d'au- tori valenti ed ammessi a far testo, piiì o meno au- torevole, dal tribunal della crusca: ne può dirsi per- ciò che non vivano nel buon uso del popolo. Av- vertiamo altresì, che degnissimi di somma lode ed assai benemeriti delle lettere e della dignità italiana stimiamo que'nostri, che hanno dato o danno opera a mondare la lingua da tante schifose sozzure prin- cipalmente degl'imbrattacarte di questo tempo. Così alcuni di essi avessero più familiarità co'buoni au- tori, che co' soli vocabolari, mancanti fin qui, come ognun sa, di sì gran numero di vocaboli ! 154 AD ONTA. Non ostante. È registrato dalla cru- sca nel suo nuovo vocabolario: raa non sappiamo ancora con quali esempi. Noi ne daremo questi. Chia- brera, Amedeide maggiore I. 51; u Ch'oltra sedici lustri in armi spese -L' etate ad onta delle rughe acerba.» -Adimari, Prose sacre p. 19: « Dolevasi tal- volta teneramente con Dio, che poco di patrimonio conceduto le avesse, ad onta delle paterne ricchezze.» ALBO. Anche a noi sa di ridicolo V usar che si fa del francesismo Album in vece dell'italiano F/o- rilegiof Antologia, Raccolta. Ma la voce Albo, in si- gnificato di catalogo, nota, ruolo, d'aurea origine la- tina, ci sembra ottima: e già l'usò il Menziani, Sat. Vili: « Dionisi almeno e chi nell'albo è inserto - De*^ Bianchinelli. » ALLESSO. Lesso. Addieltivo. Già il vocabolario della crusca ha dato autorità a questa voce con un esempio del Redi. Eccone altro d'un accademico pa- rimente toscanissimo, cioè d'Orazio Rucellai, Prose fiorentine par. 3 voi. 2 cicalata 9: « L'uccel» sia morto 0 vivo, o arrosto o allesso, — E necessario a conservar se stesso. » ALLISTARE. Porre in ruolo , in lista. Bartoli, Asia par. 2 lib. 2 e. 48. a E vi si die tanta fretta* che in pochissimo spazio, che gli era permesso ado- perarvi, cencinquanta ne allistò , gente il più che potè nobilissima. » ALLOCUZIONE. Filicaia, Prose fior. par. 4 voi. 1 lett- 4: « Mi rallegro dell'applauso riportato dal si- 155 gnor Giovanni nell'allocuzione militare fatta ai cai- cianti> » ALLOGGIANTE. Albergatore. Salvini, Traduz. dell'Odissea lib. Vili: « Acciocché insieme tutti-Go- diamo ed alloggianti ed alloggiato.» — Può anche ben dirsi alloggiatore. Salvini, Trad. dell' Iliade lib. HI: « Inorridisca e tremi d'oltraggiare — L'alloggiator che qual amico il tratta. » — Bianchini, Tratt. della satira italiana p. 40: « Alla qual cosa aggiugnere si dee che l'alloggiatore fu un ser saccente. » AMATORE. Duellante, che ha grande trasporto. Vincenzo Borghini, Prose fior. par. 4 voi. 4 lette- ra 127: « Anzi preghiamo chi per avventuiu s'ab- battesse ad altro testo, o migliore, o piiì intero, non fugga di aggiungerci, se giovamento alcuno ci può fare a beneficio comune: che da noi , anzi pur da tutti gli amatori e studiosi di questa lingua, ne ara buon grado.)) — Michelangelo Buonarroti il giovane, Ivi par. 1 voi. 3 oraz. 7: « E se per avventura vi- vendo amatori delle lettere si feron credere , da quelle stesse si son guadagnati morendo la ricom- pensa. )) — Dati, Pref. gen. alle dette prose: « Sup- plico per tanto tutti gli amatori della favella to- scana a compiacersi di cooperare a questa impresa. )) AMMINISTRATIVO. Giambullari, Prose fior. p. 2 voi. 1 leg. 2: « Dicendo Paolo che lutti gli angeli sono spiriti amministrativi , mandati in servizio di coloro che all'eredità della salute sono destinati. )> ANDAMENTO. Avviamento, md/m-zo. Pallavicino, Slor. del concilio lib. 10 cap. 2: « Mentre celebran- dosi il concilio in una città del pontefice, si potea stimare ch'egli avesse maggior influsso ne'suoi an- damenti. )) Dove notisi anche il vocabolo influsso. 156 ANNESSO. Incluso. Se fu lecito al Redi di far suslantivo annesso, fu pur lecito ad Alessandro Segni di farlo aggettivo. Prose fior, par- 4 voi- 3 leti. 84: <( Coir autorità segretariesca ho aperto 1' annesso piego. » APPANNAGGIO. Paga, stipendio. Filicaia, Prose fior. par. 5 voi. 1 lett. 13: « Due belli auditorini averemo in Firenze; ma che dirà l'Astudillo ! E che gli daremo per suo appannaggio ? » APPLICARSI. A una scienza , allo studio ec. V'ha chi ne reca un unico esempio antichissimo di Bono Giamboni. 11 vocabolario potrà aggiungerne due altri di approvati scrittori più moderni. Jacopo Soldani , Prose fior. par. 1 voi. 4- oraz. 6: « Alhi cognizione delle lingue s'applicò. » — Dati, Ivi p. 1 voi. 3 oraz. 10: « A quanti con esortazioni, e do- cumenti ancora , diede occasione di applicarsi agli studi ec. » — E nel significato medesimo useremo pure applicazione, confortandoci di due esempi d'altri autori citati. Aless. Segni, Prose fior. par. 1 voi. 4 oraz. 10: « Mentre il principe Gio: Carlo, di perfet- tissima disposizione di membra dotato, coll'applica- zione ai più nobili esercizi si rende via più forte e robusto. » — Buommattéi, Ivi par- 1 voi. 5 oraz, .%• « Egli aveva fatto nella contemplazione un'applica- zione sì veemente, che mentre voleva concedere ai tempi debiti all'affaticato corpo qualche riposo ec- » APPOGGIARE. Affidare, commettere. Minerbetti,. Prose fior. par. 2 voi- 6 oi-az. 6: « Poiché al valore di tanto uomo e la reputazione e la sicurezza degli slati appoggiarono. » 157 APPUNTARE. Assegnare, detto di ora o dì gior- no, Bartoiì, Asia par. 2 lib. 2 cap. 26: « E già ogni cosa eia in assetto, l'ora appuntata, ed ella aspet- tandola in imisurata allegrezza- » E cap. 27: « Che se Timperadore pur anche ci costringeva a partir dal Giappone, gli appuntasse il dì in che si mel- terebbono alla vela. » ARHESTO. Decreto, sentenza. Aggiungemmo già gli esempi dello Speroni a quello del Magalotti. Ec- cone un altro del Menzini, Poetica lib. 2: « E sap- pia come di color funesto-La porpora si tinge : e che la fama - Per loro indice obbrobrioso arresto. » ASPORTARE. Trasportare, portar via- Salvini , Trad. dell'Odissea lib- XXIV: « Ed i cadaveri-Dalie case asportaro , e seppellirò - Ciascuno. » E Trad. deiriliade lib. XI: « A Nestore domanda chi mai quello - Ferito sia, eh' ei dalla guerra asporta- « ASSUNTO. Proposizione- Menzini, Poetica lib. 2: « Su via torniamo nel primiero assunto ». ATTENZIONE. Riguardo, cortesia. Salvini, An- Dot. seconda all'Arianna inferma del Redi: « Di que- sta attenzione, che dee avere la moglie verso il ma- rito, leggasi Plutarco ne' Precetti connubiali. » AUTORIZZATO. Confermato. Bartoli, Asia par. 2 lib. 2 e. 47: « E riesaminossi il detto processo nella real corte di Madrid l'anno 1599, e provato auten- tico e valido , e con nuovo atto giuridico autoriz- zato, stainpossi » AVANTIERI. Oltre al Giambullari, ch'è pur di non lieve autorità, lo disse il Guicciardini nella se- conda delle due lettere [)ublilicate la prima volta in Roma nel 1847 nella stamperia Salviucci da un 158 codice casanattense: « Delle altre cose attinenti alle vostre prime commissioni vi si è scritto ieri ed avant' ieri per via de'svizzeri. » B. BAGNO. Ergastolo, galera. Menzini, Satira IV: « E Flora chiama un poeta divino-Chi merterebbe di Livorno il bagno- » E Poetica lib- 3: a E nel suo cor rinchiuse ha drento* Berline e forche, e di schia- vacci un bagno, w BELLO SPIRITO. Ne abbiamo recato nella prima parte un esempio di Bernardo Segni. Eccone altri. Borghini, Prose fior. par. 4- voi. 4- lett- 99: « E se per le mie occupazioni mi fusse lecito, arci goduto qualche volta quel bello e leggiadro spirito di mes- ser Giovanbatista Strozzi. » E lettera 127: « Questo fece quel bello spirito giudiziosamente- » — Filìcaia, Ivi par. 5 voi- 1 lett. 18: « Vedrò volontierissimo l'orazione del signor canonico Mozzi per mirare in essa il ritratto del suo bello spirito. » — Salvini, Ivi par. 4 voi. 2 lett. 63: « Vi ringrazio del sonetto mandatomi: e veramente questi belli spiriti, che scher- zano, come dite, sopra belle immagini , hanno bi- sogno talvolta di qualche freno. » E lettera 70: « Su- perstizione, se lo fecero: e caricatura di belli spi- rili, se non lo fecero- » BIGATTO. Alessandro Segni l' usa nobilmente in una orazione. Prose fior. par. 1 voi. 5 oraz. 9: <( So ben di certo che il bigatto, o vermicciuolo , che dir vogliamo, da seta, ed altri molti di simi- glianti, chiusi dentro del bozzolo, sembra che muo- iano al vedergli intirizzati e distesi. » 159 C. CAMERATA. Compagno che abita insieme. Non vuoisi che si possa usare in plurale. Il che non sa- peva il dotto fiorentino Salvini, che disse nella trad. dell'Iliade lib. IX: « Poiché siamo-De' danai tra la turba camerale. » CANNONATA. Ne recammo un esempio del Ben- tivoglio. Appena però era bisogno: perciocché se può dirsi archibitsata, moscìietlata, coltellata, lanciata^ spadata, pugnalata, per colpo di archibuso, di mo- schetto, di coltello, di lancia, di spada, di pugnale; e se il Varchi potè dir bene granulata un colpo di granata, non sappiamo perchè non possa dirsi ugual- mente bene cannonata un colpo di cannone. Non ne dubitarono infatti né il Pallavicino, Stor. del concilio lib. 8 cap. 8: u Ma quando giunsero que- ste commissioni il cardinal Farnese non ancora par- tito volle comunicarle agl'imperiali, che le ricevet- tero come una cannonata- » — Né il Bartoli, Asia par. 2. lib. 1. cap. 85: » Ricominciarono da ogni parte le cannonate continue e fìtto. « — Né il Bel- lini, Bucchereide proem, 2. par. 4: « E più che a nulla lo paragonarono - A cittadella o rocca - Che cannonate fiocca. » CAPITOLATO. Sust. Capitolazione, patto. Piero SjLrozzi, Volgarizz, degli apolegmi di Plutarco (edi/,. fiorent. del 1552) pag. 146: « Che ancora che essi volesseno, non volere egli più osservare il capitolato, se non aggiugnevano alla prima somma cinqne mi- lia talenti, u 160 CARATTERE. Indole, naturale. All'esempio del Salvini, dato dal cav. Manuzzi , aggiungasi questo del Menzini, Poetica lib. 2: u Ed ambo in questo hanno un comun confine- Di ben trovar gli aggiunti: e mostrar voglia - 11 carattere suo Lucrezia o Frine. » CASUALITÀ'. Altro esempio da aggiungersi a quello di Giambatista Stozzi da noi recato nella prima parte. Salvini, Oppiano p. 315 nota b: » E di queste casualità di rime fecerne una regola , a principio puerile, poi affascinante gli orecchi, i di- citori volgari in rima. » CIRCOSTANZA. Se non soddifano in tutto gli esempi da noi recati del Cocchi e del Giordani , eccone uno del Pallavicino, Stor. del concilio lib. 5 cap. 14: » Dall'altro canto le circostanze presenti danno loro qualche speranza di poter con soddisfa- zione ritirar il concilio nelle città o del tutto in- differenti d'Italia ec- « (ÌLASSE. Ordine, grado. E' nel vocabolario senza verun esempio, e perciò alcuni le torcono il viso. Ma osservisi a quanti questa voce è piaciuta. Pal- lavicino, Stor. del concilio lib. 6. cap. 7: « Ma della seconda classe era il ponderare, che mentre la città è attorniala da' nemici , prima convien di sconfig- gere questi, che di corregger i cittadini. » — Ales- sandro Allegri, Lettere di ser Poi pedante, lettera al Petrarca: » Essendo un semplice pedantuzzo della classe minore. » — Dati, Pref. gen. alle prose fio- rentine: w Ma prego ben gli avversari (tralascio Dan- te e il Petrarca come collocali fra gli eroi, e se- gregati dalla schiera volgare ) che mi trovino un 161 poema eroico de'migliori che abbiano scritto mo- dernamente in latino , li quale s' avvicini a mille leghe a messer Lodovico Ariosto , o che agguagli di fama uno degli epici toscani, non dico di prima, ma di seconda classe: che se ciò vien fatto loro , ne sarò ad essi molto obbligato. » — Bartoli, Asia par. 2 lib. 3. cap. 32: » Registratone il fìUto fra le memorie più illustri, è il nome {del bonzo) scritto nel ruolo de'santi di prima classe. » COERENTE. Ne recammo un esempio del Coc- chi alla voce Coerenza per mostrare che non è sem- pre termine delle scuole. Eccone altro di scrittore assai pratico della lingua, cioè di Francesco Bertini nella celebre Risposta a Giovanni Paolo Lncardesi^ co- nosciuta volgarmente col titolo di Giovanpaolaggine, testo di lingua, pag. 198: » E col soggiugner poi quello che soggiugnete, cioè altra è la frase del verso e verso eroico, altra deW orazione sciolta , non si ved'egli chiaro come, se vogliamo andar coerenti con la forza del discorso , la vostra mente è di dire ec ?» COGNIZIONE. Scienza, perizia, pratica- Ne ab- biamo già recati gli esempi del Machiavelli e del Dati. Eccone altri. Marcello Adriani, Prose fior. par. 2 voi. 4 h'L- 3: )) Fu chiamata (Firenze) dal mon- do madie e nutrice delle belle cognizioni , e in particolare delle lettere greche, w — Michelangelo Buonarroti il giovane, Ivi par. 1 voi. 3 oraz. 6: » Perciocché con singular provvidenza in ogni occa- sion di quelle, che opportunamente accettate, lode ne apportano, seppe il Cambi sempre avanzarsi: e non già col mercantare, ma in virtù di una co- G.A.T.CXLVIIl. 11 162 gnizione esquisita di agricoltura. » Ed ivi par. 2 voi. 6 oraz. 9: « Egli ebbe in grande stima, so- pra ogni altra cagione, la cognizione delle lingue vive, per lo frutto che di segretezza, senza aver ad arrisicar la fé degl'interpreti, trar se ne puote ne'trattamenti che s'hanno co' principi, w COLLAZIONARE. Bertini, Risposta a Giovan- Paolo Lucardesi p. 7: » Ella sta tutt'affatto affat- tissimo come fu sci'ilta da lui, eccettuate le can- cellatui*e e gli scorbi, per essersi avuto per via di buoni amici lo stesso originai suo nelle mani, col quale si è potuto collazionare la copia mandatami, che io irti teneva davanti in rispondergli. » COJ/nVARE una scienza, unartei una favella ec. Sarà maniera impropria dì dire quando si avrà co- raggio di rifiutare gli esempi seguenti. Alberto Lollio, Prose fior. par. 2 voi. 6 oraz. 5: « Però se Marco Tullio, prinsipe e padre della latina eloquenza, e coU'autorità e coll'esempio si sforzava di persuadere a' suoi cittadini» che si dessero a coltivare ed arric- chire la lingua latina ec. » E poi: « Attendete giorno e notte, o pellegrini ingegni, a coltivarla [la favella italiana) e celebrarla continuo- n — ^ Dati, Pref. gen. alie prose fior: « Tutti i romfani adunque» che eb- bero giudizio, e portarono amore alla patria loro , non solo s'ingegnarono, come s' è detto, di eóUivare la lingua propria, ed in essa scrivere, ma abbolri- l'ono ancora 1' andar mescolando tra esse le voci greche. » — Orazio Rucellai, Prose fior. p. 3 v. 1 cicalata 7: « Concìossiacbè poscia che i greéi eb- bero colonie in Asia, vi si coltivò l'eloquenza. » -— Bellini» Buccheieide proemio 1: « Gloria- iannortal 163 del fìorentùi parlare, - Cui fin la Francia altera-Non isdegna coltivare. » COF.TIVATORE e COLTIVATRICE della favella. Michelangelo Buonarroti il giovane, Prose fior» par. 3 voi. 1 cicalata 3: « Essendo presaga la indovi natrice mia anima, non guari dopo l'immaginazione sua, tra voi, che qui assidete, spertissimi e saggi colti- vatori dì quella {favella), e ottimi parlatoli, essermi io con infinito dileltamento in questa sera per ri- trovare. » - — Salvini, Annot. alla Tancia atto 1 se. 4: « Città [Napdi) à tutte le belle arti e scienze , e particolarmente allo studio della migliore italiana lingua, cioè alla toscana, affozionatissima, e di quella coltivatrice, d COLTURA e CULTURA. Si fa guerra altresì da alcuni moderni filologi a questa voce usata figura- tamente- Ma noi non sappiamo per qual ragione , se non per quella di tion vederla registrata ancora nel vocabolario della wusca. Gvave omissione certo de' compilatori del gran codice della lingua: percioc- ché moltissimi sono gli esempi che ne avrebbero potuto trarre dagli scritti di autori elegantissimi, che hanno l'onore d'esser citati a far lesto dall'accademia. Il Bembo disse collezza: ■e vogliamo che dicesse bene. Ma non per questo non dee dirsi anche bene collura o cìiUura. Alberto Lollio, Prose fior. par. 2 lib. 6 oraz. 5: « Essendoché sarà sempre reputata grande ingiustizia il riprendere coloro^ che esercitandosi nella coltura ed esaltamento della propria favella, in un medesimo tempo si sforzano di giovare agii altri e d'onorare se slessi. » - MarceHo Adriani, Ivi par. 2 voi. 4 lez. 3; « Mario solo ben fu intrepido, corag- 164 gioso e tremendo nelle battaglie, tna codardo e vi- lissirno in senato e nelle adunanze del popolo, sic- ché ad ogni voce e leggieri strepito stordiva, e non per altra cagione se non perchè gli mancava que- sta nobile coltura- )> - Dati, Pref. gen. alle prose fior. (( Sendo ella {la lingua toscana) al parer loro cor- rotta e barbara , e per conseguenza priva d' ogni decoro e maestà, e incapace d'ogni ornamento e cul- tura. » -Salvini, Graz- delle lodi del Torzoni Accolti: u Intimo eia de' Dati, de' Segni, de' Redi , degli Averani e di tanti altri lumi della nostra patria, e dei francesi Menagi e Regnieri, che per l'amore e cultura di nostra favella si posson dire cittadini no- stri. » - Finalmente il sommo Davanzali ci dà anche elegantemente cultura civile per incivilimento: Le- zione delle monete: ci U quale (commercio) da prima fu baratto semplice di cose a cose; com' ancor oggi è tra quelle genti che non hanno cultura civile- w COMENT A RIO. Comenlo, chiosa. Abbiamo detto che si usò bene in latino. Ora aggiungiamo che se ne ha anche in italiano l'esempio d'uno de'piiì dotti e sicuri scrittori , cioè di Carlo Dati , Prose fior, par. 2 voi. 3 lez. 7: « Veggansi per tal proposito Plutarco nel Simposio e altrove, e Proclo ne'comen- tari ad Euclide. » COMPLESSO. Sust. Altro esempio, oltre a quello del Tocci recato nella prima parte. Rartoli, Uomo di lettere, par. 2 oap. dell' Alterezza: « Ciò che delle azioni di quegli antichi valentuomini disse Plutarco è ugualmente vero di tutto il gran complesso delle cose che possono da'nostri ingegni sapersi. » COMUNITÀ'. Ha chi reputa errore il dire vivere in comuniià, e vuole che invece dehba dirsi vìvere in comune. Al Bartoli parve altrimenti: il qnale neir Asia par. 2 lib 2 cap. 37 ha queste parole : « E vivevano quasi in cotnunità, stentatissimamente quanto a' bisogni del corpo, ma con tanta consola- zione dell'animo e tanta unità di cuori, che il solo vederli bastò a convertire molti idolatri.» CONSEGUENZA. Importanza. Agli esempi del Bentivoglio, da noi recati nella prima parte, si ag- giungano i seguenti. Michelangelo Buonarroti il gio- vane, Prose fior. par. 1 voi. 3 oraz. 6: « Conoscendo poi finalmente delle cose lette ed apprese ninna es- serne di maggior diletto e di più onorata conse- guenza alla gloria della patria nostra.» - Salvini, Ivi par. 4 voi. 2 le(t. 77: « E la ragione è chiara: per- chè i peccati di chi è costituito in alta dignità sono maggiori, perchè tutti si adattano ad imitare il prin- cipe, ed il male esempio è di conseguenza. » CONSIDERAZIONE. Si ha nel Caro avere in con- siderazione, nel Pallavicino far considerazione, dice un valente filologo. .Anzi pure, aggiungiamo noi, si ha nel Pallavicino paride in considerazione. Stor. del concilio lib. 5 cap. 12: « Ed a questo fino posero in considerazione del pontefice, che la risposta di Cesare potea riuscire in una delle tre maniere. « — E prima di. lui aveva detto Vincenzo Borghini met- tere in considerazione. Pròse fior. par. 4 voi. 4 lett. 72: « Per mettere in considerazione a sua signoria tutto quello che verrà a me e potrà venire per avventura ad alcun altro. » HI Ictt. 97: « La qual cosa , per r amore che è tra noi» non mi sono saputo tenere di mettervi in considerazione. » COr^SlDEKAZlONE. Slima, n>/rtnfo. Pallavicino, Stor. del concilio lib. 6 cap. 16: « I legati con rin- graziarlo gli avtìvan risposto , che di vero alcuna volta i prelati sudditi della maestà eesiarea avi'ebbon potuto portarsi con maggior considerazione. « E lib. 14 G. 10: « Ne' trattati del conclave que' porpomti, che vennero in maggior considerazione per la corona ponliiicale, furono tra gì' italiani il cardinal Ridolfo Pio da Carpi ce. » CONTEMPORANEAMENTE. Filicaia, Prose fior, par. 5 voi. l lett. 18: « Aspetto i vostri motti, e per pungolarvi a mandarmeli, vi mando quest'altro sonetto, inviandone contemporaneamente due altre copio ». CONTENTO. Crediamo che si unisca ugualmente bene col di che coli' a. Se Dante disse esser con- tento alla pelle scoverla, il Boccaccio invece in due luoghi citati dal Pergamini nel Memoriale della lin- gua italiana disse: Son contento (V essere sempre T uU timo: e facendomi mal conlento della cosa amata. CONTINENTE. Terra ferma. Agli esempi da noi recati del Bentivoglio aggiungasi questo del toscano Borgherini, Prose fior. par. 1 voi. 5 oraz. 6: « Che importava che al suo generoso ardire levate l'aquile romane spiegassero dal continente su per l'oceano quel gran volo a' lidi della sconosciuta Bretagna ? » CONTINGENZA. Circostanza, emergenza. Miche- langelo Buonarroti il giovane, Prose fior.par.2 voi. 6 oraz. 9: « E seppe nell'ambiguità delle cose da de- liberare procurarsi la risoluzione dall'esempio delle passate, e col niedGsimo prevedere intorno alla con- tingenza delle future. » — Pallavicino, Stor. del con- 167 cilio lìb. 5 cap, 12: « E però il pregarono a eom* metter loro ciò che in qualunque delle tre conlin-' genze dovessero fare. « E ivi cap. 14: « Conside- rarono una quarta contingenza, cioè che Cesare con- discendesse all'aprizione di presente. » E lib. 6 e. Mi (( Dove stavano meglio in tal contingenza i tede» schi sapienti e zelanti , quivi o al concilio ? » — Adimari , Prose sacre p. 11: «In tal contingenza presero a contender fra loro l'imperio della città » — » Bellini , Buochereide proem. 2 par. 3: « Cosi h:i l'uom saggio in ogni contingenza -Cuor non curante e tutto indifferenza. » CONTRIBUZIONE. Balzello. Eccone esempi piij chiari. Pallavicino, Stor. del concilio lib. 9 cap, 3' « Onde le città eretiche della Germania superiore erano rimaste a discrezione di Cesare , che 1' avea sottoposte a grosse contribuzioni. » E poco dopo: tt Che ora che all' imperadore la prosperità de'pas- sati successi , la debolezza del nemico dopo il di' sfacimento della lega smalcaldioa, e le contribuzioni imposte a' popoli soggiogati, toglieano la necessità di nuovo sussidio. » CONVENUTO. Convenzione, accordo. Agli esem[)i che ne recammo di Giambatista Adriani , aggiun- gasi questo del Pallavicino, Stor. del concilio lib. 8 cap. 16: « Ed ammonì che frattanto i legati pro- cedessero all'aggiustamento del decreto , per esser pronti a spedirlo quando Cesare ripugnasse al con- venuto. » CONVENZIONE. Unione, congresso. Boecaccio , Comento alla Divina Comniedia, allegoria del cap. Ì: « E queste nel cospetto de' re, de'principi, de'tiranni, u;8 nelle cillà granrlissìme, nello piazze, ne'templi, nelle convenzioni e adunanze dei popoli. » CORRERE OBBLIGO. E' ben difesa questa lo- cuzione dal Berlini, Risposta a Giovati-Paolo Lucar- desi p. 59: « Vi bast'egli ch'io vi mostri com'e'l'ha « usato uno degli autori che cita nel suo ultimo « vocabolario la crusca, e l'ha usato in quel libro « medesimo che la crusca cita? Questo è del glo- « rioso Vincenzo da Filicaia, che nella dedicazione « delle canzoni stampale a Firenze V anno 1684 « così dice: Ma troppo più tradirei la giustizia del- « Vobbligo che mi corre. Non vi basta un solo, per (( far che la frase possa dirsi usata? Eccovene un « altro degli accademici della crusca , il qual usa « questa maniera di dire in un'opera, che porta in « fronte la fede d' essere siala ben bene stacciata « dalla crusca medesima , e trovata in genere di « lingua senza nulla che non sia ben detto. Questo « è l'autore della storia del Messico (1), nel princi- (( pio della quale testificano i censori dell'accademia tt così: Noi infrascritti ec. abbiamo veduto la pre~ « sente traduzione falla da un nostro accademico. E u per quello che risguarda la lingua, non v'abbiamo « osservato cosa che non abbiamo giudicato conforme « alle regole ed airuso approvalo della nostra acca- di, demia. Or l'autore di quest'opera si vale d' una « tal frase correr Vobbligo lib. 3 a car. 307 dove « si legge: questo stesso obbligo corre a tutti noi altri. « Non vi basta nò meno eh'è Tuna volta sola, per (1) Cioè Filippo Corsini, accademico della crusca, che volga- rizzo l'opera del èolis sulla conquista del Messico, e la pubblicò iti Firenze nel 1699. 169 « dirla usata? Eccola pure in un altro luogo lib. 4 « a cart. 394: E Vohhlifjo che correva a liilli. Ed oi-a u la direte voi piìi nuova di zecca? » COSPIRARE, Intendere. Ne recammo un esempio del Bentivoglio. Eccone altro di Mario Guiducci , Oraz. delle lodi del granduca Ferdinando II: » Ha egregiamente cospirato al discacciamenlo de' mali, al sovvenimento dc'poveri, alla riforma de'costumi. » I) DECLAMARE. Inveire, dir male , disapprovare. Valgaci per ora l'esempio di Pietro Giordani , che in forbì tissiuio scritto, com'è quello Dello Sgricci e deijV improvvisatori in Italia, disse: « E' noto il con- tinuo declamare dei Caracci contro la setta che aveva introdotto nella pittura quel far presto , che un idiotismo dell'arte molto acconciamente chiamava strapazzare. » Né lo disse qui solo, ma sì anche in altro non meno forbito scritto a Vincenzo Monti, cioè a carte 375 del tomo X delle sue opere pub- blicate dal Gussalli: » Un Monti declamare lunga- mente contro un vilissimo, che io mi vergogno di nominare ! » E poi: « Sarà concesso declamare con- tro chi non potrei senza vergogna riconoscere per nemico? » Crediamo che le opere del Giordani deb- bano esser certo registrate, se già non sono, a far testo di lingua, non altrimenti che quelle del Cesari, del Monti, del Botta, del Perticari , del Leopardi, del Costa, del Colombo, e di altri insigni moderni che l'accademia della cursca ha già posto merita- mente fra gli scrittori da citarsi nel suo vocnbo- 17(> latio. Perchè non anche quelle (non pniliamo dei vi- venti) del Montione, del Lanibeiti, del Biondi, dello Sti'occhi, del Fai'ini, del Marchetti, del Puoti, del- l'AngelelIi, del Frediani, e la traduzione di Lucano del Cassi ? DEFERIRE. Concedere^ dare. Salvini, Trad. del- l'Iliade lib. 24: (t Ma io questo - Pregio ad Achille deferisco. » DEMANDARE. Non è sempre termine legale. Machiavelli, Stor. lib. 4: Le cure di quelF impresa a Neri di Pino e ad Alemanno Salviati demandaro- no. )) DEMANIALE. Porzio, Congiura de'baroni lib, 2: « Le terre demaniali amendue tenevano a sospetto. » DEPORRE. Aueslare- Se non basta 1' esempio del Bentivoglio, da noi recato nella prima parte , eccone altro d'un insigne scrittore fiorentino, cioè di Michelangelo Buonarroti il giovane. Prose fior. par. 2 voi. 6 oraz. 9: « Voi potete tutti deporre che essendosi egli in ogni altro affare sempre giustis- simo dimostrato, eziandio in questo disponesse di- scretamente. » Osservisi anche questa eleganza del Segneri , Pred. 30 § 10: « Mi sorse in cuore un improvviso sospetto di non venir da lui deposto in giudizio. )) DEPORSI DA UNA CARICA. Rassegnarla, rinun- ziarla. V'ha chi la stima cosa stravagantissima. A noi tanto non pare: perciocché v' ha nella crusca deporre, in significato di privare, o simile, alcuno di carica: e noi ne daremo l'esempio, che ivi si de- sidera. Bartoli, Asia par. 2 lib. 2. cap. 1: « Fino a digradare e diporre in un sol dì, tra principi e re, !71 treiiUuJue peisonaggi. » Ora perchè sarà si glande stravaganza l'usare neutro passivo un verbo attivo? Certo il Monti non credette parlare stravagante- mente dicendo nella Mascheroniana (ora testo di lingua) canto IV: « Che far poteva autorità! Deporse,- Gridò fiero Pai'ini ». DEPUTATO. Sust. Nerli, Cotninent. de'fatti civili di Firenze lih. IV. p. 78: u. E tal partito fu, che es- sendo già ad ordine i deputali di fare accendere il fuoco, volevano i frati di san Marco che il frate loro entrasse col Sacramento in mano, a - E lib. XII pag- 282: » Davano que' loro scritti alli deputati di Cesare sopra quelle faccende, e quei deputali ne davano di poi le copie al duca. » — Salvini, trad. del niiade lib. IX: « Orsù mandiamo deputati, i quali - Prestamente ne vadano alla tenda - Del peleiade Achille. » DEPUTAZIONE. Nerli, Comment. de'fatti civili di Firenze lib- IV pag. 77: « Ad ogni modo la signo- ria fece deputazione di quattro cittadini dell'una e dell'altra parte. « — Pallavicino, Stor. del concilio lib. 5 cap. 9: » Ma questa bolla distinta dal pre- cedente breve general della loro deputazione , del quale parimente ragiona il Soave, non trovo io finora che da'legati fosse prodotta. « E lib. 6 cap. 4: » Imperocché costiluironsi quattro deputazioni parti- colari. » DESOLATO. Angustialo. Dicemmo nella prima parte che l'usò fra lacopone. L'usò pure il Salvini nelle annotazioni alla Tancia alto 2 se. 3: u Povere, afflitte, abbandonate, desolate e diserte, stanno col capo tra le gambe sull'arca vota, mostrando insieme vergogna e dolore. » 172 DESTITUITO. E' voce om:ii dell' uso comuno così nelle leggi come nel parlar familiare. Il per- chè Pietro Giordani non dubitò di scrivere a carte 309 del tomo X delle sue opere pubblicate dal Gus- salli: « 1 due maestri destituiti erano veramente due demonii. « DILATA. Dilazioììc L'usò familiarmente il Fi- licaia, Prose fior, par- .5 voi. 2 lett. 19: « Non mi è punto dispiaciuto questo dilata fino a novembre. « DIRETTORE. Detto del moderatore o capo di una confraternita. Salvini, Prose fior. par. 5 voi. 1 oraz. 1: « Non degenerando in ciò da quello Ago- stino Torzoni suo antenato, che direttore e padre d'una delle nostre più esemplari confraternite, morto in concetto di straordinaria bontà, meritò pubbliche esequie ed oiazione funebre. » DIREZIONE. Governo. Alessandro Segni, Prose fior. par. 1 voi. 4. oraz- 10: « Di tutte le forze ma- rittime al principe Gio. Carlo consegnò la direziono e l'assoluto comando. » DISADOTTARE. Contrario di Adottare. Bartoli, Asia par. 2 lib. 1 cap. 28: « Fattosel candurre avanti il disadottò, e dichiarollo casso della figlio- lanza e dell'eiedità. » DISFARSI DI DNA COSA. Locuzione dell'uso, ammessa anche nel vocabolario della crusca, senza esempio, al §. IO del verbo Disfare. L'ha però il Berlini nell'elegantissima e lepidissima risposta a Giovan-Paolo Lucardesi p. 105: » Che per l'onore eh' ella v' abbia fatto finora! , ve ne avevi a esser disfatto trent'anni sono. » 173 DI SOPRA (AVERE !L). Sulvini, Trad. dell'Iliade lib. XI: « Ora i cavalli di salda unghia e dritta - Cacciate addosso ai generosi danai - Acciò abbiate il di sopra e M miglior vanto. » DISORGANIZZARE. Usato anche attivamente dal Soldani sat. 6: « Paralisia non disorganizza - La man debilitata. » DISTINZIONE. Fanno mal viso alcuni filologi a questa voce come usata, secondo il vocabolario, dal solo Magalotti in significalo di munificenza, dimo- strazione di slima ec. Ma un secolo prima del Ma- galotti l'usò il rigido Lionardo Salviati nell' ora- zione delle lodi di D. Garzia de'Medici; « E già ri- volgendo nell'animo premi, distinzioni, gradi, pi'i- vilegi ed uffici, se gli era in guisa fatti divoti ed obbligati ciascuno, che essi niun' altra cosa più ol- tre desideravano ec- « — E poi Marcello Adriani, Prose fior. par. 2 voi. 4 lez. 2: « Madre delle dottrine, nutrice delle virtù, dispensiera della distin- zione e delia chiarezza, w DOMESTICO. Servitose.Se bisognasse altro esem- pio, oltre a quelli dell' Adriani , del Cesari e del Giordani , eccone del Segneri , Pred. 23 §. 12 : u Scongiurò tutti i domestici a non volere, ahnen per riputazione, svelare il fatto »• DOMINANTE. Melropoli. È in grand' uso, sot- tintesa la voce Cina: e non ci dispiace, avendo già di dominante sustantivo, in significato di dofninalore, un bell'esempio del Segneri aggiunto dal Cesari al vocabolario della crusca. Ciltà dominante poi 1' ab- biamo nel Yiviani, secondo esso vocabolario: ed an- che nel Buommatlei nella cicalata 7 della par. 3 voi. 2 delle prose fiorentine. 174 E. EFFIMERO. Non sì applica solo a febbre , né solo è voce femminina, come vuole alcun filologo. Valga (|uesresempio dell'Adimari, Prose sacre p. 79: « Ne vi turbino il tranquillo dell'animo gli agi lu- singhieri del mondo, essendo questi un riso effìmero di fragil fiore, che nel corso d'un breve giorno na- sce e muore colle sue foglie «. EFFUSIONE DI CUORE. È un bello e vivo la- tinismo, come abbiamo notato nella prima parte: e non dispiacque a Pietro Giordani, che a carte 309 del tomo X delle sue opere pubblicate dal Gussalli disse: « Sin qui avevo scritto con molta efìFusion di cuore ». EGOISMO ED EGOISTA. Ed anche di queste voci , le quali sono in uso ornai così comune in tutta Italia, non che nella stessa Toscana , ci darà esempio il Giordani a carte 318 del tomo X sopra citato delle sue opere: « Conosco anch' io la steri- lità de' pensieri degli egoisti ». Ed ivi a carte 402: « Perchè in quell'anno calamitoso e miserabile , in tanto lutto e disperazione di moltissimi » in tanto spietato e disumano e micidiale egoismo di non po- chi, egli fu prodigo sin della vita )). ENTUSIASMO. Vorrebbero alcuni che fosse me- glio dir fervore: benché trovisi entusiasmo nel voca- bolario della crusca con un esempio di Michelangelo Buonarroti il giovane: il quale altrove dimostra di averlo per ben altro che per un fervore, ma sì per una infermità dell'animo che si avvicina al furore : 175 cioè per quella, ci pare, che volgarmente chiamasi invasazionc, e i latini dicevano /j/m;j/?a//o. Prose fior, par. 1 voi. 4 oraz. 7: « K non è cosa nuova la mu- sica eziandio guarire alcune infermità, siccome di- cono il suon della tibia l'entusiasmo ». EQUIPAGGIO. È registrato nel vocabolario della crusca, comechè senza esempio^ Noi l'abbiamo tro- vato nel Bellini , Buccbereidc proemio 2 par. 2 j « Purch' io vedessi il fasto e l'albagia - E '1 treno e l'equipaggio smisurato ». ESECUZIONE. Supplizio. Ne abbiamo recato due esempi del Bentivoglio. Eccone due altri piii antichi. Nerli , Comment. de' fatti civili di Firenze p. 27 : « Questa esecuzione fu cagione di molte confusioni nella città. « E pag, 28: « Avevano prese V armi per favorire il capitano e questa esecuzione molti cittadini. » E così molte altre volte. — 11 Segneri però ad esecuzione aggiunse capitale nella prod. 34 §. 12: « Usano (i carnefici) di chiedersi umanamente perdono della esecuzion capitale, alla qual procedono contro la sua persona. » — • Ed eseciUore, por car- nefice, lo abbiamo nel Bartoli, Asia par. 2 lib. 3 cap. 24: « Fattolo salire a cavallo con avanti in servigio de'condottieri, per lo buio che era, una fiac- cola, e dietro assai da lungi gli esecutori, s'avvia- ron, gli dissero, verso Junda ». ESEMPLARE* Copia di ««' opera. Manco malo ehe alcuni filologi non gli fanno in lutto il viso del- l'arme in grazia di un esempio del Redi! esempio però non citato nel vocabolario della crusca. Se noi volessimo recarne altri di schttori che fanno buon testo in lingua, saremmo quasi infiniti. Bastino al- 176 curii. — Pier Vettori (che vlsvSe un secolo prium del Redi), Prose fior. par. 4 voi. 4 lett. 31: « Mi Ili detto che c'era un altro esemplare di Teodoreto, ma non l'ho visto , ne so dire come sia antico e corretto. » — Giambatista Doni, Ivi par. 4 voi. 3 lett. 65: « Con la presente riceverà V. S. per mezzo di monsignor vice-legato un esemplare del mio li- bro De praeslanlia miisicae veleris. » — Alessandro Segni, Ivi lett. 89: « Mi ha comandato il serenis- simo e reverendissimo signor principe cardinale tra- smetterne a V. S. illustrissima alcuni esemplari ». ESPOSIZIONE. II Tasso usò il verbo esporre per mettere in mostra, Gerus. liber. 2, 18: « Non coprì sue bellezze, e non 1' espose. » E 14, 53: « Prese l'armi la maga, e in esse tosto — Un tronco busto avvolse, e poi 1' espose: — L'espose in riva a nn fiume, ove dovea — Stuol de' franchi arrivare: e 'l prevedea. )> — Il Redi, in un esempio datoci dalla crusca, disse esposto alla vendita. — Il Dati nella vita di Zeusi trasse questo verbo a signiticai'e la mostra che un artefice suol fare d'alcun'opera d'arte, e scrisse: (c Egli è di più da sapere, che da questa opera Zeusi cavò molti danari; perchè oltre al prezzo, che da'crotoniati fu sborsato , prima di esporlo al pubblico , non ammetteva cosi ognuno a vederla , né senza qualche mercede. « — Laonde poi 1' Adi- niari , Prose sacre p. 123, disse esposizione: a E perchè ogni sua parte al tutto corrispondesse, nel- Tapprestare i più sontuosi ornamenti, e quali con- venivano all' esposizione del sublime deposito , era il cornicione tutto addobbato di vasi d'argento. » 177 ESTREMO. Eccesso. Si dirà bene per un esem- pio del Malmantile recato dal vocabolario della crusca al § 3 d' Estremo. Anche quello dell'Ariosto nel § 2 (ripetuto poi dal Tasso, Gerus. 18, 61) può trarsi a questo significalo: perciocché far V e- slremo di sua possa non vuol in fine dir altro che far quello di più che alcun può , cioè 1' eccesso. Ed m estremo infatti, invece di grandemente , ec- cessivamente, abbiamo in un esempio del Segneri aggiunto dal Cesari alla voce In estremo: al quale farà seguito questo dell' Ariosto , Or. fur. 21 12: « Scellerata è costei più che in estremo.» -Quest'al- tro del Bartoli, Asia par. 2 lib. 2 cap. 47: « In que- sta terra non v'ha persona che , per molto che il voglia , possa far bene o limosina a niuno: sì in estremo è misera e povera. » — E quest'altro del Salvini, Prose fior. par. 4 voi. 1 lett. 109: « Ho letto quei due atti della tragedia inglese intitolata il Catone, che vi lessi ultimamente, al signor Gio- vanlorenzo, e gli sono piaciuti in estremo. » ESTRINSECO. Susi. Bartoli, Asia par. 2 lib. 3 cap. 31: « E perciò possenti di prender con esse il volgo materiale, che solo a uno spezioso estrin- seco si rapisce e incanta. » E cap. 10: a Protestare eziandio solo in estrinseco o d' accettarne la legge o d'onorarne il nome. « F. FACILITAZIONE. Se non piace, dicasi facilita- mento: e se n'avrà l'esempio nel Bellini, Bucchereide G.A.T.CXLYilI. 12 178 pi'oem. 2 par. 4: « Ed è di questo tal nomina- inento - Abbreviatura e facilitamento. » FATTURA. Termine mercantile. È nel vocabo- lario come voce d'uso, ma senza rescmpio. Eccolo del Sassetti, Prose fior- par. 4 voi- 3 lett. 26: « Di- poi gli discaricava tulle le sue robe in terra senza che egli ne avesse travaglio alcuno : e presane la fattura, con quella ne faceva il prezzo a tanto per cento di guadagno. » FELICITAZIONE. Salvini , Prose fior. par. 4 voi. 2 lett. 82; « Lodevolissimi però sono quei le- gisti, i quali cercano di metter pace colla conside- razione del vero e del giusto , e a loro conviene quella felicitazione e bealitìcazionc, la quale è data da S. Matteo a' pacifici. » FIGURA. Avvi un fdologo che non vuole am- mettere questa voce in significato di persona, non ostante il vocabolario della crusca che ne dà esempi del Cecchi. Eccone, se non basta, un altro bellis- simo del Caro inserito dal Somis nelle Giunte to- rinesi ad esso vocabolario: « E perchè io sono una certa figura, come dovete avere inteso dal Varchi, senza troppo stare in su'convenevoli, io mi vi dono e do per amicissimo. » ,FOR.'VGGIARE. È buon vocabolo, chechè al- cuno ne dica, e tanto antico quanto Guittone , il cui esempio è recato dalla crusca. Un altro ne darà il Salvini, Trad. dell'Odissea lib. XIV: a Son nimici fi contrari quei che sopra - L'altrui terra sen vanno a foraggiare. » FORZOSAMENTE. Forzevolmenle, violenlemente, a forza. Orazio Rueellai, Prose fior. par. 3 voi- J 179 cicalala 7: (c NaPi|ue e>sa dalla corruzione cleiridioma latino, allorché per intendersi colla nazione longo- barda, in gran parte dominante l'Italia, fu a trarre da quella e nomi e forme di dire forzosamente co- stretta. » FORZOSO. All'esempio del Salvini, che ne ab- biamo dato nella prima parte, aggiungasi questo di Alessandro Segni, Prose fior. par. 1 voi- 5 oraz. 9: « Questa sola forzosa necessità del morire chiama a chiunque nasce il pianto sugli occhi. « FUNZIONE. Carico, peso, obbligo. \cu,s,[\s\ la no- stra prima parte- Eccone pure altri esempi. Mario Guiducci , Oraz. delle lodi del granduca Ferdinan- do U: (( Quindi dependeva quella gran diligenza dì tutti i ministri alle commesse funzioni. » — Palla- vicino , Stor. del concilio lib. 6 cap. 1: « Che in essa e in tutte le seguenti si facesse una predica: e che però coloro, i quali avevano talento d' eserci- tarsi in cotal funzione , si offerissero. » — Nicolò Arrighetli, Prose fior. par. 1 voi. 4 oraz. 7: « Vi- dero la magnificenza, la fedeltà, la virtù di quegli, che appo di loro invece del granduca ministrarono quelle regie funzioni presentatesi di teinpo in tempo.» - Sicché non dubitò poi scrivere Pietro Giordani, To- mo X delle sue opere pubblicate dal Gussalli p. 304: « Lo so anch' io (e meglio di loro) che in paese ben governato ciascuno adempie le sue assegnate fun- zioni, e nessuno. si frappone alle incumbenze altrui.)) G. GABELLAPìE, I due esempì registrati nel vo- cabolario della crusca sono alquanto oscuri; sicché 180 al Zanotti nelle Giunte veronesi, per due passi dello Strallo delle porre di Firenze, parve dover credere che gabellare voglia dire far pagar la gabella a una cosa, sollomellerla alla gabella. Ed egli ha ra- gione, se anche noi non prendiamo follo. Ed ecco un esempio del Buommattei , che non sembra si- gnificare altro. Prose fior. par. 3 voi. 2 cicalata 6: « E perciò calò quel gran rigoglio, che faceva en- trare il mal villano in prosopopea; e chi non è di questi buttagli via , che tutte le carote gabellano , non se l'è lasciata ficcar adentro , e per la buona derrata se n'ò potuto cavar la voglia. » — Salvini, Prose fior. par. 4 voi. 2 lett. 68: « Che invidia è questa mai ? Volere impoverire il mondo di vir- tuosi, e non gabellare se non due o tre » ? » (Cioè non reputare preziose merci altro che due o tre da essere sottoposte a gabella.) Se gabella infatti è da- zio, come afferma la crusca alla voce Dazio; gabel- lare vonà ben dire daziare (se vi fosse mai que- sto vocabolo), cioè sottomettere a dazio. E riscuo- tere la gabella sarà lo stesso che riscuotere il da- zio , cioè il prezzo della cosa sottoposta a dazio o gabella. Né altro significato può avere il proverbio toscano: Ha preso a riscuoter la gabella degV im- pacci (1). — Arroge quest'altro esempio del Bellini, d'onde chiaramente si trae che non gabellabile nel parlar toscano vuol dire non assoggettalo a gabella, libero cioè dal pagamento d'ogni gabella. Si consi- derino le sue parole , Proso fior. par. 4 voi. 1 lett. 97: « Quattro mi pare che ella mi significasse (1) Vtcli il P. Paoli nell'opera De'modi di dire toscani p. 20». 181 essere le principali cose , eh' erano state giudicate nel consaputo sonetto non gabellabili , senza esser riconosciute se erano robe forestiere e proibite nel regno poetico, o pur legittime e paesane , e però ammesse, e lasciate passare da' gabellieri di esso regno. » GUARDARE IL LETTO. Avvertiamo chi cita r esempio della Giampaolaggine (la quale ammette come sanzionata dall' uso questa locuzione) che autore della Giampaolaggine , il cui titolo è vera- mente Risposta a Giovan-Paolo Lucardesi , non è il Tocci, ma si Francesco Bertini, come ha provato evidentemente l'accademico Fiacchi, e com' è citato appunto neir ultima edizione del vocabolario della crusca. L LM PEGNO. Costanza, fermezza. Si fa ma! viso a questo vocabolo, perchè se ne recano soli esempi del Magalotti , la cui autorità da alcuni filologi vuoisi rifiutare in tutto, cioè più che non richiegga ossequio e ragione verso un sommo uomo toscano. Chi crede peiò che Pietro Giordani sia stato te- nero della nostra lingua, e abbia scritto con pro- prietà ed eleganza, vorrà fare ad esso vocabolo un viso migliore ; perciocché il celebre prosatore pia- centino r usa a carte 294 dei tomo X delle sue opere pubblicate dal Gussalli in .Milano: « Farò che sia divulgato e notissimo il suo impegno per la giu- stizia e l'umanità. E non dubiti, mio signore, non dubiti: il suo impegno avrà non meno di buon suc- cesso che di lode. » 182 LMIMECO. Cai'ica, ìtfficio. Non sappiamo perchè debba usarsi, secondo che alcuno scrisse , con di- screzione ; quando è parola che va por le bocche desPitaliani fin dal trecento, come moslra il voca- bolario della crusca con un esempio di fra Giordano. Anche il Redi la stimò di buon conio in una let- tera, se veggasi esso vocabolario: e così il Segneri in un grave scritto, cioè nella Pred. 35 § 13: « Per- chè volevano poterlo sempre allettare a tornar tra loro Con la speranza di qualche impiego magnifico- » IMPOTENTE. Non atto. Galilei^ Sagg. §. 38: « Ma quando il mobile sia liquido e sottile e leg- giero, ed in conseguenza impotente a conservare il movimento impresso ec, il volergli imprimer velo- cità è opera vana. » IMPRENDITORE. Appallalore. Bartoli, Asia par. 1 lib- 5 cap. 36: )> Con esse gì' imprenditori del- l'opera [cioè coloro che avevano comprala la patente d'uscire a predare gli stali de'vicini) soldavano ogni maniera di gente acconcia a mal fare, e bene ar- mati calavano d'improvviso ce. « INCONCEPIBILE. Bellini, Bucchereide proem. 2 par. 4: « Sempre la celia facendo il possibile - Per una allegrionaccia inconcepibile. » — Bottari, Le- zioni sul tremuoto p. 69: « Il terzo movimento , che è orizzontale, è più inconcepibile degli altri, w INCONSEGUENZA. Piero Segni , Volg. di De- metrio Falereo p. 168: k E questa colale inconse- guenza si chiama grifo. « INCONTRARE: Piacere, esser gradilo V'è sot- tintesa la parola gradimento: e noi n'abbiamo nella prima parte recalo due esempi del Crudeli- Aggiun- 183 ginmo ora ciò olio ne scrive il Berlini a caile 109 della sua Risposta a Giovan-Paolo Lucardesi: « Ora « sappiate conrie questa frase incontrare il gradimento « è del parlar cotidiano di Firenze, e perciò usata (( dal Segneri , autore citato dalla crusca , di cui (( v'empiete tanto la bocca. Leggete dunque la u Manna dell'anima tom- 4- medit- 3 di nov. p. 1, « e troverete: Così accade ec. (/' incontrar sempre « più in tutte le cose sì il gradimento , si la gloria « di Dio- Siccome ancora disse Incontrare lo sdegno « nella lettera dedicatoria del suo quaresimale. Mio a intendimento sarebbe ec. non d'incontrare lo sde~ « gno, e pure o quanto rincontrerei ec. w INDEFICIENZA. Sta per abbondanza, incessanza, con un esempio del Segneri nel vocabolario della crusca: ed ha onorala famiglia d'indeficiente e. d'/a- deficientemente. Non sappiamo dunque perchè , se- condo il Cesari, debba esser tassato d'errore chi dice: Assicurarsi V indeficienza delle sue sussistenze. Ma forse l'egregio scrittore non approvava la parola sussistenza nel significato che ivi se le vuol dare di sostentamento. INFERIRE UN' INGIURIA. Lodovico Adimari , Prose fior. par. 1 voi. 5 oraz. 12. «È poco al cle- mentissimo Redentore che della ingiuria iriferilagli dall'uomo se gli perdoni il gastigo ; ma vuol pu- ranco farsi scusa tore della sua colpa. » INFEUDAZIONE e INFEUDATO. Sono parole essenzialisslme alla storia e alle leggi , ed usate perciò franchissimamente e spessissime volte dal sommo Pallavicino nella storia del concìlio di Trento. Valgano, pe'molti che se ne potrebbero citare, que- 184 sii (lue esempio Lib. 5 cap. 8: « Non i-iinase giù questa legazione esente pei' tutto ciò dalle livide interpretazioni del Soave, il quale poco appresso riferisce per oggetti di essa ec. l'ottenere il bene- placito di lui per Tinfeudazione disegnata dal papa ne' suoi di Parma e Piacenza.» - E cap- 14: « Ag- giugnevasi il canone che il papa agi' infeudati im- porrebbe di novemila ducati l'anno, w INFRUNITO. 11 eh. Parenti dà saviamente a questo vocabolo il significato di sfrenalo, intempe- rante , non già di dissennato e stolto , come alcuni hanno scritto. E ne reca un esempio del Pinamonti. Ma è parola del trecento, e se ne possono leggere due esempi del Volgarizz. de' Soliloqui di S. Agostino cap. 10. INFRUTTUOSO. Vano, senza prò. Dello figu- ratamente , come fruttuoso che ha tanti e buoni esempi in significato d\uile e con prò. Salvini, Trad. dell'Odissea lib. XIV : » 0 vecchio , conio e buon quel che dicesti, — Né, fuor del giusto, infruttuoso motto. » E Trad. dell'Iliade lib. XVIl: » Autome- don, quale a te mai dei dei — Pensiero infruttuoso in petto pose? )> E se può dirsi bene, come ci pare, infruttuoso per vano, non sappiamo perchè non possa dirsi anche bene infruttuosamente per vanamente; di- cendosi ottimamente , secondo la crusca, fruttuosa- mente per utilmente, con prò, con vantaggio. INSOCIABILE. Salvini, Trad. dell' Iliade lib. XXIV; » Che gli altri figli miei il ratto Achille — Vendè, qualunque prese, oltra il gran mare, — A Samo, a Imbro, e a Lemno insociabile. » 185 INTENZIONATO. Bentivoglio, Stor. jiar. 1 lib. 10. » E nondimeno dissimulando egli con gran sofferenza, e volendo levare tutti i pretesti, dei quali si potessero servire i mal intenzionati fiamminghi, confermava più espressamente di nuovo le cose ac- cennate in soddisfazione delle province. » E par. 2 lib. 4: )) Veggendosi dunque ogni dì più aumen- tare i pericoli della fame , pigliarono occasione i più ben intenzionati della città di addolcire l'osti- nazione di questi altri più contumaci, w — Salvini, Annot. alla Tancia atto 3 se. 2: «Cioè acconcio, adat- to, intenzionato, intento. » INTRIGO. Termine drammatico- Michelangelo Buonarroti il giovane. Prose fior. par. 3 voi. 1 ci- calata 2: )) Rassomigliando quelle a' comedianti , quando per qualche intrigo vien fuori un Graziano vestito da nmfa, e una Franceschina in abito di Pla- tone. » ITALIANITÀ'. Se può ben dirsi lalinità e fioren- tinitày secondo la crusca , non vediamo certamente ragione perchè non possa dirsi anche bene ilalianilà^ voce divenuta oggi sì necessaria nelle cose politi- che: tanto più eh' è già nell' uso di alcuni buoni scrittori viventi. E non disse grecità il celebre Pey- ron, e non Io ripetè Pietro Giordani ? [Opere pub- blicate dal Gussalli tomo X pag. 385). LABORIOSO. Aggiunto a persona. L'avrà bone ammesso in Hngua il Pallavicino, che disse laborio- sissimo in questo passo della Storia del concilio lib. 180 9 cap. 15: « Poiché alcuni di loro, uomini stiiflio- sissimi e laboi-iosissimi, come quel di Bilonto e di Molola, non avevano tratto mai piede fuor di quella città in altia occoircnza. » LATORE, Giambatista Doni, Prose fior, par 4 voi. 3 lelt. 67: « La presente servirà per dare av- viso a V. S. come io ricevei più giorni sono le rime del Bellinzone ed il Germonio De lingua Ialina per via de'padri teatini, benché più tardi che non si do- veva, perchè il latore di essi gli ebbe a rimandare da Bologna, essendosi scordato nel passar di qua di lasciargli. » LUMINOSO. Segnalato^ mirabile, sfoggiato, splen- dido. Segneri, Pred- XXIX §. 1: « Tanta è la rab- bia contro lui concepula da'suoi avversari, cioè da coloro, cui dà troppo sugli occhi qualsisia bontà, la qual abbia del luminoso- « — E il Bembo con ele- gante figura ciò disse pure delle parole. Della volgar lingua lib. Il: «Da scegliere adunque sono le voci, se di materia grande si ragiona, gravi, alte, sonanti, apparenti, luminose. » MAGGIORNATO. Primogenito. Salvini, Trad. del- l'Iliade lib. XL- « Quando Coone il vide, uomo il- lustrissimo, - Maggiornato Antenoreo, un forte duo- lo - Gli occhi instombrò al cadere del fratello. » M. MALGRADO. Non ostante. Recammo nella prima parte alcuni esempi classici, soprattutto dell'Ariosto, a provare che questa voce può rifei'irsi anche a cosa non animata. Eccone altri. Vincenzo Martelli, 187 Prose (ìor. par. ì voi. 2 leti. 33: « Sicchò e t[uesto slimolo, e qualcun altro che ini stringe mollo, mi fa desiderare il ritorno a malgrado delle comodità presenti, e future utilità. » — Chiabrera, Amedeide aiaiiuiore 111, 35: « Ei2;li così diceva: Enrico sor- gè, — E malgrado del duolo in piò sostiensi. » — E XVlil, il: « E malgrado al venen degl'invid'anni — Yeiiuasi rifiorir sua c,ran beliate. « — Bartoli, Uomo di lettere, par. 2 cap. dell' Alterezza: « Aguzzando la parte de'Ioro ingegni, malgrado dell' impossibile, vonno penetrare fin al centro della verità- « E Asia par. 2 lib. 2 cap. 11: « Malgrado però della sua povertà egli eia il più conlento e si teneva per lo più ricco uomo che fosse in Amangucci. » — Ma- rio Guiducci , Prose fior. par. 5 voi. 1 lez. 6: ((, Così rimirando in quelle lucidissime pietre , mal- grado della caligine e nebbia dei sensi, e dell'amor proprio, si riconoscono e si scorgon gli affelli e le inclinazioni ec. « - Segneri, Pred. XVIll §. 13: » La fama della sua integrità, e il decoro della sua canutezza , veniva anche a guadagnarli , malgrado dell'empietà, e benevolenza presso a'nemiel , e ve- nerazione presso grincreduli. » MARCIARE. Chi ha detto che del verbo mar- ciare non trovasi esempio negli antichi nostri scrit- tori, egli ha certo o ignorato o dimenticato un passo di Dino Compagni, il quale fin da' tempi di Dante scriveva, Slor- lib. Il : « I sanesi dierono loro il passo, perchè i cittadini di Siena marciavano bene con ambe le parti- » MASSA. Moltitudine. Detto anche d'uonn'ni. Da- vanzali, Ann- 2: « Appuntossi che facessero massa 188 nell'isola de'Batavi. » — Piero Strozzi, Volgarizz. di Polibio del modo di accampare [jag. 2: « Perchè la universal massa delle genti nella prima divisione si divide appresso di loro in quattro legioni. « E pag. 40: (( Accade in questo non altrimenti che quando una massa di genti entra nella sua propria città. « — Nerli, Comment. civili di Firenze lib. XII pag. 299: « Dette ordine il signor Cosimo, primachè la massa delle genti rimasta a dietro si potesse congiugnere colla venuta innanzi , che il signore Alessandro Vitelli uscisse fuori per assaltargli. » -j- Segneri, Pred- 49 cap. 9: « Vi par però che a tan- t'uopo, a cui stata sarebbe molto inferiore la carila de'serafini medesimi, non dovesse il cielo conoscoi-e molto acconcio così grand'uomo, mentre lui scelse fra l'alta massa di tanti lasciati in dietro , mentre di lui si fidò? )) - Salvini, Trad. dell'Iliade lib. IV: » Stancaronsi al mio cocchio i due cavalli, - Menlre io facea la massa delle genti. » MEDITATORE. Fu usato da un nostro amico, ripresone subito da un tale che non trovò regi- strato il vocabolo dalia crusca. Noi difendemmo ]' amico con questo esempio d'un saporito scritto del Bartoli , cioè deWEsaine della risposta ad una scritlura, il citi titolo è che orazione sia quella che chiamano di quiete^ pag. 4-2: « E mi dà non poco da maravigliarmi, che con essa egli voglia due cose incompossibili ad accoppiare: e sono, tenersela coi medilatori che si esercitan negli atti di queste vir- tù, e co'quietisti che gli escludono. » — Potrà usarsi anche bene medilalivo: e ne darà l'esempio il Ber- lini nella (liampaolaggine p- 226: « A quali' udirsi 189 leggere iJac/ci'' ?è inani, senza sentirsi né a chi né di chi, vi fu un pio meditativo die disse, che voi intendevi di baciare il simbolo della fedeltà. » N. NOVENNIO. Salvini , Trad. deir Odissea lib. Ili: ({ Ch' un novennio tessemmo a lor de' mali - Con vari inganni stando a lor d'attorno, w NUTRIRFI (]he non possano anche usarsi bene figuratamente sì questo verbo e sì i suoi derivati: per esempio (dice un filologo) // commercio nnlrisce la ricchezza de'popoli: i buoni sludi sono muriti dal favore de'principi: noi, coll'ossequio dovuto al va- lente, non possiamo crederlo: sì perchè ciò è nel grande uso del popolo , sì perchè ha il suo fon- damento ne'classici latini. Cicerone disse: Honos alit artes, e Mens alitar dicendo: Ovidio, Impetus illc sa~ cer qui vatum pectora nutrit, e Quod datar ex facili longum male nutrit amorem: Tibullo, Spes alit agri- colas: Valerio Massimo, Opes clandeslinis rnolitionibus ad principalum Graeciae capessendum nutriret: oltre ad altri nobili esempi che ne ha il l^^oicellini. La- onde Bartolomeo da S. Concordio , Ammaestr. 36 7 , ottimamente disse : « Nutricatrice di peccato l'adulazione è. « -- E i gradi di S. Girolamo pag. 17: (( Pace caccia discordia , e 1' invidia la notri- ca. » -- E il Machiavelli, Stor. lib. Ili: « La ma- lignità della quale si può colla prudenza vincere , ponendo fieno all'ambizione di costoro, ed annul- lando quegli ordini che sono delle sette nutritori. )> - E il Serdonati, Stor. lib. 1 pag. 13: « Era il Cano 190 uomo (li guerra, nutrito Ira '1 ferro, non tra le let- tere. « — Salvini , Esiodo i Lavori e le giornate lib. II: « Speme non buona uom bisognoso nutre - Nelle botteghe in ozio. » 0. OCCUPATO. Vuoisi che richiegga sempre V in, anziché il di. Nondimeno ve n'ha gravi esempi in contrario. Giovi il recar questi. Bartolomeo da S. Concordio, Ammaestr. degli antichi, distinz- 3 rubr- 4-: (( Lo ingegno nostro non dee essere occupato di due cure. » — Machiavelli, Stor. hb. G: « Stet- tero i fiorentini e veneziani un tempo sospesi , sì per giudicare se si era bene inimicarsi col papa e col re, si per trovarsi occupati delle cose dei bo- lognesi. )) OGGETTO (AD). ColV intendimento. Bertini, Ri- sposta a Giovan-Paolo Lucardesi p. 130: « E questo fu ad oggetto di far veder una festa che fiicevasi in Arno. » OGGI (IN). A chi vuole che non possa dirsi ne abbiamo già dati esempi del Machiavelli, dell'Adima- ni, del Tocci. Eccone quattro altri d'autori pure toscani. Alessandro Segni, Prose fior. par. 4 voi. 3 lett. 18: « Ma non veddero il testo migliore copiato dall'originale del Boccaccio per mano di Francesco d'Amaretto Mannelli, esistente in oggi tal ms. nella libreria di S. Lorenzo. « — Menzini, Poet- lib. 2: » Ma che direni se in oggi a tale e giunta - La cor- ruttela comica, che un fallo -~ Maggior del primo anche dai carmi spunta? « -- Salvini , Prose fior. 191 par. 5 voi. 1 oraz. 8: « Cos\ si trova in oggi, e si troverà in avvenire, il mondo da lui giovato ed ar- ricchito. « — Bottari, Lezioni sopra il tremuoto pag. 43: « Noi sappiamo dal medesimo autore , che in quella contrada presso a Piren/aiola era fin da quel tempo un fuoco sotterraneo , che continova- mente esalava fumo e fiamma, come si vede anche in oggi. » OPERA. Lavoranlej (jiarniiliero. So ad alcuno non piace (né sapremmo indovinarne ragione) questo vocabolo, ben piacque al Varchi, al Lasca, al Lippi, di cui abbiamo esempi nel vocabolario della crusca al ,^. 1 di Opera. E piacque altresì al Salvini nella Trad. dell'Iliade lib. XVIII: « Faceano all' opre lo donne da cena. » OHDIÌNE (IN). Agli esempi del Bentivoglio , del Pallavicino, del Bai-toli, del Segneri citati da noi nella prima parte, aggiungiamo quest' altro d'un insigne toscano, cioè di Carlo Dati, Pref. gen. alle prose fior: u Dicendo solamente questo in ordino al luogo di Li- vio non a sufficienza spiegato. 5) ORGANIZZARE e ORGANIZZATO. Usi pure chi vuole, se così gli piace, organare e organalo : ma non biasimi organizzare e organizzalo, che sono voci italianissime e del trecento, e fino di Dante, come ben mostrano gli esempi che ne reca il vocabolario della crusca. Ai quali jiiovi qui aggiungere questi altri. Michelangelo Buonarroti il giovane, Prose fior, par. 2 voi. oraz. 9: « Da così fatti magnifici diletti e da cotale utilità d'armonia avvenne che il gran- duca, come quegli che ottimamente fu organizzato dalle tranquille e soavi consonanze degli abiti inlel- 192 lettuali, ricevè tanto benefìcio, che di passo in pas- so ec. ~ Buommattei, ivi par. 3 voi. 2 cicalata 7: » Bisogna aver dell' animale , cioè spirito e membra organizzate, salde, ben composte e finite. « — Bar- toli, Giappone lib. 2 cap. 2: « Quivi ricommessa [la chiesa) in brevissimo tempo, organizzata, e fattone un corpo, apparì tutta intera, prima che gVidolatri sapessero doversi incominciare.» - Salvini, Oppiano p. 129: « Altro abbozzato cresce, — Un altro non ancor organizzato — Tien , seminai bambino a ri- mirarsi. )) Finalmenle il Giordani nell'articolo terzo del suo sunto dell'Empedocle dello Scinà: « Ebbero gran torto i successori di Empedocle di abbando- nare il suo metodi): del quale non è altro che una continuazione ed atn[iIiazione bellissima la moderna chimica de'corpi organizzati. » P Palpito. E' oggi in gran-de uso, specialiiiente fra'poeti: benché :id alcuni non piaccia. Paolo Costa però, così puro e gentile scrittore, e de'citati dalla crusca, non dubitò'dire nel suo volgarizzamento della prima epistola d' Ovidio: « Ah veramente — Cosa piena di palpiti è l'amore! — « E già prima aveva detto Vincenzo Monti nel Caio Gracco, atto Ili se. 1: « Che i primi avesti e gli ultimi t'avrai - Palpiti del cor mio. » PARTECIPARE. Col di Salvini, Orazione delle lodi del Magliabechi: » Se stilla è in noi rimasta di tenerezza verso la patria, come non potremo non interessarci nella riputazione di quella, della quale 193 noi, come suoi figliuoli, participiamo , tanto accie- sciuta dalla riputazione di lui? » PENDENTE. Durante. Alessandro Segni , Prose fior, par, 4 voi. 3 lett. 81: « Tratta di volerlo ri- stampare pendente il tempo del privilegio «. PENSATIVO. All'esempio che da noi se n'ò dato del Machiavelli, si aggiungano questi del Salvini, Prose fior. par. 4 voi. l lett. 101: « Signore di sublime ingegno e di grande spirito, e all'usanza degl'inglesi molto pensativo e macchinatore di belle cose. « E lett. 110: « E gì' inglesi essendo nazione pensativa, inventiva, bizzarra, libera e franca, io ci trovo nei loro libri di grande vivacità e spirito .)> POTENZA. Potentato, sovrano. Ne abbiamo re- cati esempi di Giambatista Adriani. Giovino questi altri. Neri!, Commentar, civili di Firenze p. 35: « E da questo nasceva che il muover delle guerre, e tutti i partiti che s'avevano a pigliare coll'altre potenze, o di guerre o di paci, erano per le piazze e ne'cer- chi dc'cittadini ec. biasimati ». — Mario Guiducci , Prose fior. par. 5 voi. 1 oraz. 4: « Contrastano que- sta infelice [Italia) tre grandi potenze, che, quasi tre veementissimi umori fieramente ajjitandosi per le sue viscere, la riducono in grado di quasi disperata sa- lute. » — Nicolò Arrighetti, Ivi par. 1 voi. 4 oraz. 7: « E molti di loro incorsi di nuovo in volontario servaggio di più nobil potenza, ricusarono maggior libertà, né vollero abbandonar questa regia, « — Pallavicino, Stor. del concilio lib. 5. cap. 14: « Onde se ciò richiedevasi nel capo della chiesa, non meno richiedevasi in lutto il corpo insieme unito della chie- sa, quando convenisse, come allora, di statuire dot- G.A.T.CXLVIII. 13 194 trine e leggi, sopra cui le nazioni e le potenze se- colari avessero contrarietà d' interessi. « PRATICARE. Che non possa dirsi indagini pra^ ticate in vece d' indagini fatte o usale, non possiamo persuadercene: valendo, secondo la crusca, il verbo praticale anche usare. E già Luigi Alamanni disse praticare esperiezne. Prose fior. par. I voi. 4 oraz. 5: « Egli ha trovato la vera storia del cinnamomo, ed egli ci -ha dato piena notizia d^lT antidoto pro- priamente diretto contro alla flemma, parte dall'espe- rienza da se stesso praticatane, e parte dall'autorità di Niganto ». PRATIVO, Se non ti piace , dirai pratoso con- fortandoti dell'esempio del Salvini nel volgarizz. de' frammenti di Esiodo: « Avvi un Ellopia fertile e pra- tosa ». PREPARATIVO. Sust- Chi ha letto la prima parte n'avrà veduto due belli esempi del Caro, Ec- cone un altro, appropriato alle scienze fisiche e chi- miche, di Marcello Adriani, Prose fior. par. 2 vol-i kzione 3: « Ma se noi useremo nostri antidoti e preparativi, potremo agevolmente liberarci dalla cou*- tagione ». POSITIVAMENTE. In significalo così di preci-^ samente, come di realmente , effettivamente , è re- gistrato con buoni esempi nel vocabolario della cru- sca: né sappiamo perchè da un nostro filologo se gli debba dare la baia.». PRESENTARE. Offrire. Ecco ciò che ne scrive il Salvini, Prose fior. par. 7 voi. 2 lett. 73: « Che « domine venne in capo , o che cosa mai si pre- « sento alla fantasia di. quei signori, che si burla- 195 « rono della frase usata da V. S. nell'andare Jf spasso « su cotesti poggi guardando il cielo e la terra, e « considerando la fattura dell'uomo, e le infinite co- « se, che ella d'ìcevsy che vengono presentate al punto « della nostra fantasia ? Io me ne sono maravigliato « molto, e credo che abbiano ciò fatto per farla dire c( altre simili cose: poiché non posso immaginarmi, « che non abbiano presenti alla fantasia i due signifi- « cati di presentare, uno di regalare e fare im regalo f « un /)rese/ife: e l'altro di offerire, mettere avanti, porre a in presenza. Le cose cke vengono presentale alia « fantasia, vuol dire le cose che vengono pói'fó aì)antì « alla fantasia ec. » PREVENTIVAMENTE. Bellini, Prose fiof. par. 3 voi. 2 cicalata 14: a Vuole inoltre il medesimo Sollevato, eh' io faccia preventivamente sapere a tutta la vostra brigata ec. ». PROCEDERE. Operare, fare. Ariosto, Ori. Fuf. XXXIV, 57: « Ragionerem piiì adagio insieme poi -. E ti dirò come a proceder hai.» - Machiavelli, Sto- ria lib. 1. » Il qual modo di procedeVé dura' ancoì'a in questi nostri tempi- » E lib. Ili: a Mentre che queste cose si precedevano, nacque un tumulto ec.» — Segneri, Pred, 22 §. 12: « Come dunque voi, cori' (juei che forse saranno un dì in paradiso più su d'i' voi, procedere ora con tanta inumanità! » PRODUZIONE. Opera. Salvini, Prose fior. par. 4 voi. 2 lett. 68: « E nella poesia e neM musica, e in tutte in somma' le professioni, ci sono differenti' maniere, e tutte produzioni d'ingegno degne deliba nostra considerazione.» 196 PROTESTARSI. Agli esempi del Davari/.alr e del Bentivoglio, non ostante la condanna fattane d;il Bat'toli, si aggiungano questi altri di autorità non lieve. Pallavicino, Stor. del concilio lib. 6 cap. 9: » Gli altri due furono i vescovi di Capaccio e di Ba- daioz , i quali protestavansi di consentire al trala- sciamento di quella iscrizione per allora. » E lib. 7- e A cui [alla sede apostolici) egli si prolesta di sog- gettare e quella e tutte le altre sue opinioni. « — Carlo Dati, Pref. gen. alle prose fioi". w 11 che pri- ma di fare mi protesto , che se alcuno de' fautori della lingua toscana pretese ec » E poi: « Aveva Albino scritto in greco i fatti de'romani, e nel co- minciamento dell'opera si protestava di non dover esser censuralo ec.» — Segneri, Pred. 37 §. 7: « 11 che non altro fu in buon linguaggio, che un pro- testarsi cho al quarto eccesso gli avrebbe abbando- nati.» — Alessandro Segni, Prose fior. par. 1. voi. 5 oraz. 8: « Come già s'era protestato solennemente in Osea. » - Nicolò Arrighelti, Ivi par. 1 voi. 3 oraz. 10: (( E Cicerone si protestò, che tanto quanto sa- peva, non ra\eva appreso nelle scuole de'retorici, ma negli spaziosi campi dell'accademia- » — Fi- licaia, Canzone 4: « Secoli, che verrete, io mi pro- testo — Che al ver fo ingiuria, e men del vero è quello — Ch'io ne scrivo e favello. » — Ma curioso è che il Bartoli, il quale nel Torlo e diritto del non si può rifiuta questo protestarsi, l'usa poi egli stesso nell'Uomo di lettere, par. 2 cap. dell'Alterezza: « Cen- to volte ne'suoi scritti si protesta (s- Agostino) di non sapere, e di non sapere né anche sapere ^). 197 R. HAGAZZO. Il non ammettere la potenza dell'uso nelle parole , specialmente se v' ha la san/ione dei buoni scrittori, è il non ammettere ciò eh' è stato sempre in tutte le lingue del mondo, ciò che è, ciò che sarà in perpetuo. Potrebbe su questo particolare farsi quasi, come direbbe il Pulci, un lago di eru^ dizione, incominciando da quel sì riciso testo ora- ziano: Si volet usus — Qiiem penes arhitrium est > et iiis, et norma loquendi; ma noi lo crediamo cosa vana, tanto più che prese in parte a trattare siffatto argomento il barone Giuseppe Manno nella sua bel- l'opera Della fortuna delle parole. Una delle voci, su cui l'uso ha mostrato ch'esso vuol ciò che vuole, è stata appunto ragazzo: sicché ha comandato, che dalle fontane della Dora all'ul- timo sasso di Lilibeo ognun creda e dica da oltre a tre secoli, che ragazzo, principalmente in istile familiare e rimesso, è affatto sinonimo di fanciullo o di giovanetto imberbe. E già l'accademia della crusca si è inchinata anch'essa, come savissima , a tanto volere: e con un esempio del severo Salviati ha dichiarato che Ragazzo oggi l'usiamo anche in si- gnificalo di giovanetto sbarbato e di fanciidlo , ed a Ragazzata ha posto l'equivalente latino di pnerilitas. Il perchè noi diremo oggi con tutta propiieià di lin-^ gua ragazzo in significato di fanciullo, o giovanetto sbarbato, non solo col permesso della crusca e del Salviati, ma sì anche coll'autorità de' seguenti esempi parimente di scrittori autorevoli e citati a far testo. VJH Michelangelo Biior>Eii'rol,i il giovane, Prose, fior. par. 3 voi. 1 eicalata 2: « Voi avreste veduto seguace di questi personaggi il magnifico carro della Locuzione, al cui apparire i ragazzi alzando la voce con la lor solila acclamazione, che dice allora^ allora^ facevano rimbombare il lung'Arno di forma lunare d'un con- fusissiino eco. » E cicalata 3: « Onde la cattivella vecchia di Aristofane, vendendole in sur un canto, dileggiata da' ragazzi e proverbiala, in queste parole quelli minacciando ne rampognava. » — Orazio Ru- cellai. Ivi cicalata 8: « Anzi un dotto cerusico mi ha detto — Che questa è quella barba di Peonia — (Il cui regno poi disser di Pannonia) — Che a- doprano i ragazzi al benedetto. » — Sassetti , Ivi par. 4 voi. 3 lett. 31 : « E questo gli verrà fatto molto facilmente, se ponendo da banda tutti i pen- sieri di ragazzo e di fanciullo, si disporrà d'essere assiduo nei negozi de' suoi maggiori. » — Buom- mattoi, Ivi par. 3 voi. 2 cicalata 5. « E voleva dire di certi ragazzi che facevano un gran baccano. » - Menzinì, Sat. 6: (c E disputa se possa in un sedere - Socrate in compagnia d'un tal ragazzo, — Ed esser re delle mortali schiere. » — Bellini, Bucchereide, proemio 2 par. 2; « E allora il conte: E io vo' far la guida, — E marcerò dinanzi al gonfalone -- D'un milion di ragazzi fra le strida. » — Salvini, Annot. 26 alTAriaiina inferma del Redi: u I capitomboli sì fanno da' ragazzi della plebe. » — E Annotaz, alla Tancia atto 2 se. 5: « L'epigramma greco, sopra il pigliar moglie, invia ai ragazz^i giocanti alla trottola, per imparar da loro » — Né solo diremo benej'a- gazzoj ma anche ragazza per giovinetta e fanciulla. 199 Bellini, Buccheroide pi'ocm. 2. par. 2: » E da ogni banda avea cento ragazze — Che il soslenean sal- tando come pazze. » — Salvini, Annotaz- alia Tan^ €Ìa atto J se. 4: « Così il cittadino per maggiore sgocciola tura dicendo i' pero coli' e stretta, dovette dare occasione alla ragazza di fare il concettino. » - E diremo altresi bene ragazzetto. Menzini, Poet. lib. 4: » Lascia che si tapini un ragazzetto — S' egli non trova un contrapposto allora — ' Ch'egli fa l*epi-* gfamma o il distichetto. « E sat, 3: « Io mi facea «colar di Scaramuccia, — E non mi tapinava ragaz- zetto — ■ Arrabbiatel ch'alle spalmate muccia. » — ' E cosi anche ragazzuolo o ragazzuola. Buommattei, Prose fior. par. 3 voi. 2 cicalata 5: « Dall' altro canto io son vivuto si poco nell'accademia, che io vi sono ancor giovane, ragazzuolo, fanciulluzzo, bam- bino. « E cicalata 7: « Sino quelle ragazzuolo , che sanno appena fare i cannelli, non si vergognano a dire: Oh ell'è sciocchina ! » — E in fine ragazza^ glia. Bartoli, Asia par. 2- lib- 9 cap. 4: « Si adunava lor dietro tutta la ragazzaglia, ih cui s' avvenivano per le strade ». RESTO (DEL). Adunque, ^uomm-àlleì, Prose fior, par. 2 voi. 2 lezione 8: « Del resto dicasi pure an- che qui , che 1' esser composte con più artificio le fa degne di maggior lode. » RIFARE. Ristorare il danno o le spese. Caro , Lett. pubblicate dal Mazzucchelli l. I p. 139: k Per modo che per mantenere la mia parola è necessa- rio che '1 fitto di quest'anno si lasci a chi vuole M. Luca , senza che paghi altro per supplemento : ed io, per non perdere li venti scudi, ne sia rifatto 200 da voi. » E pag. 207 : « Di poi offerisco a voi , che, ancora non sia tenuto, gli restituirò il priorato adesso: dico adesso, che non sono obbligato per le promesse fatte per Io passato, purché mi rifaccia i miglioramenti [cioè le spese che ho fatto ne' migliora- menti del priorato). RIMETTERE. Mandare. Detto di danari. Se non F>astano gli esempi del Davanzali, che ci sono re- cali dalla crusca, eccone altri. MatlioFranzesi, Pro- se fior. par. 4 voi. 1 lettera 22: « Avendo un poco d'occasione gli dissi, come per vostre lettere vi do- levi un poco di Giovanni Boni, che da quattro mesi in qua non vi aveva rimessa la provvisione. » - Vin- cenzo Borghini, Ivi par. 4 voi. 4 leti. 101: « E dove gli bisognasse anche danari fino alla somma di 100 o 150 scudi, glieli accomodaste, e me ne deste av- viso, che subilo ve gli rimetterò costì, o dove voi vorrete, w - Tassoni, Secchia XII: 25: « E a Genova i contanti hammi rimesso- » — Bentivoglio , Stor. par. 1 lib. 10: « Fece rimetter subito il danaro che bisognava per levare la disegnata gente. « RINFRANCARE. Attivo. Sassetti. Pròse fior, pas 4 voi. 3. leti- 17 : « Pure le provvisioni li rinfrancheranno con l'aiuto di Dio. » RINVESTIRE I DANARI. Si dirà anche bene investire per gli esempi recati nel vocabolario della crusca. RIPETERE I DANARI. Domandare la restitu- zione. Piero Strozzi , Volgarizz. degli Apotegmi di Plutarco p- 181: « Ma ritenendo Antonio i danari, ed esortandolo (se egli era prudente) a non gli ri- petere, Augusto mise allo incanto e vendette il suo patrimonio. » 201 RITESSERE. Incominciare da capo una cosa. Segneri, Fred. 33 §. 9: « Se voi poteste ritornare ora nel mondo a ripigliare i vostri cadaveri, a ri- tessere il vostro corso, qual tenor di fortuna vi eleg- gereste? » Del qual esempio non si sovvenne Pietro Giordani quando criticò all'Arici, contro l'avviso di Vincenzo Monti, quel verso della Pastorizia: « Il cammin lungo — Del dì ritesse nella tarda notte. » (Opere del Giordani, tomo X pag. 77 dell' edizione del Gussalli.) RIVOLTOSO. Disse rivoìliioso il Pallavicino: ma rivoltoso si ha nel Rartoli, Asia par. 2 lib. 2 cap. 75: « Gridando che quei tre sciagurati si menavano ad uccidere perchè erano rivoltosi, mettitori di sedizioni nel popolo e capi di guerra contro alla real corte.» E par. 2 lib. 2 cap. 21: « In un impero, com'è il Giap- pone, da se medesimo sì rivoltoso e presto alle no- vità, alle l'ibellioni. » S SEGUITO (IN). Dopo, appresso. Alessandro Segni, Prose fior. par. 4 voi. 3 leti. 82: « In seguito do- verà com{)arire la ti-atta del costo e delle spese. » SENSIBILE. Notabile. Sassetti, Prose fior. par. 4 voi. 3 lett. 25: « Si scorge differenza molto sen- sibile. )) SERVIZIO DIVINO. Funzione, liturgia. Salvini, Ahnot. alla Tancia atto 1 se. 1: « La messa cantata e l'ufficio de'morti si trova in antichisissimo mano- scritto che son detti il mestiere, cioè ministero , in latino ecclesiastico agenda, cioè faccenda, funzione, 2()2 hfapyKX , servizio divino, a — E di servizio , per funerale, esequie, il vocabolario della crusca ci reca un esempio della vita di S. Barlaam. SEQUELA (IN). Conseguente menle- Pallavicino, Stor. del concilio lib. 8 e. 16: « In sequela di ciò proponeva alla congregazione generale del dì mede- simo, che si pensasse ad assettare V altro decreto intorno alla residenza. « SESSENNIO. Ecco l'esempio. Salvini, Trad. del- l'Odissea lib. Ili: « Né se - Un quinquennio o un sessennio qui stando ^^ Tu chiegghi quanti ivi pa- liron mali - Gli achei divini ec. » SFILARE. Tener dietro , seguire. Salvini , Trad. dell'Iliade lib. XXIII: « Dopo queste stìlavan di Dio- mede - I cavai maschi troiani. » SITO. Situato- E' voce che il Bartoli non usò certo come stimatore di fabbriche. Vita del B. Igna- zio de Azevedo e- 1: « E piacquegli più di verun altro luogo la città detta S. Sebastiano , sita alle foci del fiume Gennaro. » SOPPBESSIONE. Abolizione. Pallavicino, Stor. del concilio lib. 8 cap- 16: « Sopra il terzo, ricu- sando Cesare la traslazione , e parendo la sospen- sione per tempo incerto un insospettir il mondo quasi di tacita soppressione, giudicavasi di sospen- derlo per sei mesi- » SOPPRIMERE. Abolire, togliere. Borgherjni, Pro- se fior. par. 1 voi. 5 oraz. 6; « Ecco signori, co- m'egli con questa vile e aliena occupazione sop- presse negli animi de'circostanti 1' alta opinione di se. » 203 SPARTITO. Termine musicale. Michelangelo Buonarroti il giovane, Prose fior. par. 1 voi. 3 oraz. 7: « Poiché così nelle tristizie , come nelle alle- grezze, il canto abbia indubitatamente il suo luogo; che così piangendo, come ridendo, spesso si canta, se noi andiam riguardando tuttodì, che così delle canzoni triste come delle gioconde , così da' teatri come dal popolo si odono cantare , e dai musici sian messi in aria, o fatti negli spartiti ec. » STABILIRE. Delerminare, sanzionare' Pallavici- no, Stor. del concilio lib. 8 cap. 1; « E questa [legge] finalmente fu stabilita a'22 di giugno in una generale congregazione di cardinali avanti al papa. » STABILITO, ^efermma/o, sanzionalo, Pallavicino. Stor. del concilio lib. 8 e. 2: « Però avvisarsi egli, che si dovesse tener maniera diversa dalla tenuta nel dogma stabilito. » STRANIERO- Aggettivo. Pare impossibile che possa mettersi in dubbio anche questo aggettivo! E pur così è ! Intanto se ne osservino alcuni esempi. Pallavicino, Stor. del concilio lib. 7 cap. 14: « Il mezzo perchè fruttuosamente si predichi, fu quello che prese il concilio, cioè il ricercar ne'predicatori esame di bontà e di lettere, e il sottoporgli in caso di errore alla sferza eziandio di superiore straniero. » E lib. 8 cap. 19: « La filosofia nelle dottrine teologiche è utile come i soldati stranieri negli eserciti: cioè in maniera che servano e non comandino- » — Bar- toli, Asia par. 2 lib. 2- cap. 60: « Dove si avrà a sentenziare di noi a forza di testimonianze, prodòtte eziandio con iscritture di giapponesi e di qualunque altra simile gente straniera e lontana. » — Segneri» 204 Pred. 49 cap. 9: « A Giuseppe dal cielo fu conse- gnato il bambinello riesù perchè il campasse dalle insidie di regi persecutori, perchè il preservasse tra i pericoli di paesi stranieri « — Menzini, Poetica lib. 3: « E d'ederacea fronde - Serto straniero al crin tesser mi giova. » STRUSCIARE. Sctpare, sciupare, dissipare ec, Salvini, Trad. dell'Odissea lib. 1: « Che se vi sembra questo esser migliore - E più bello, d'un uom strug- gere il vitto - Senza gastigo: si strusciate. » STUPIRE. Passivo. Tasso, Aminta atto IV se 1: « E mi stupii vedendo - Stupirti al mio appa- rire. )) SUSSISTENZA. Vuol dire anche fermezza. Pal- lavicino, Stor- del concilio lib. 6 cap. 13: « Non- dimeno per maggior sussistenza dì ciò che si sta- tuisse contro la ragion comune e contro le costitu- zioni apostoliche ec. avevano desiderato il consenso e l'autorità del pontefice. « TALCHÉ' (A). Non sappiamo perchè non debba valere, a reputarlo buono in favella, l'esempio di Vincenzo Borghini che ne reca la crusca. Aggiun- gasi quest'altro del Buommattei, Prose fior. par. 2 voi. 4 lez. 9: (^ A talché a chi tutte queste cose considera non renderà difficile chiamar l'ozio mezzo per farci conseguire ogni virtuosa, ogni scientifica dote opportuna. » TEATRO. Figuratamente- Ne recammo nella prima parte un esempio del Bartoli. Eccone altri- 205 Piero Strozzi, Volgarizz. dagli apotegmi di Plutarco p. 103: (( Sendo morto Zenone citi co, il quale egli aveva sopra tutti gli altri filosoll in ammirazione, diceva: Essere mancato il teatro delle azioni sue. » — Davanzatl, Perd. eloq- cap. 39: « Dove il dicitore vuol grida e plauso, e quasi un certo teatro. » — Pallavicino, Stor. del concilio lib. 6 cap. 12: « Ma con obbligo di tacere, atfaichè a'teologi s' accrescesse il teatro, non si scemasse il tempo e la libertà. » TESTIFICARE. Col di Carlo Dati, Prose fior, par. 1 voi. 5 oraz. 5: « Laurea che ad onta de'savi mondani , non solo testificò agli uomini di quanta stima e valore forse la sapiente ignoranza di Be- nedetto, ma lui assicurò per tutta la vita da' pos- senti fulmini dell'inferno, » TITOLO. Ragione. Termine anche non legale, Pallavicino, Stor. del concilio lib. 7 cap. 12: « Onde non rimane pur un filo immaginario d'attacco (1) ad impugnarlo per ogni titolo. » E lib. 14 cap- 13: « Era avvenuto con maraviglia e sentimento del pontefice, che per molti mesi non gli fosse compa- rita nò ambasceria, né pur lettera in congratulazione del nuovo suo principato dal re di Spagna, dal quale per ogni titolo aveva egli sperato una speciale af- fezione. » — Segneri, Predica 49 cap. 13: « Tutti dunque, tutti pigliatelo per protettore, con gran fi- ducia eh' egli abbia in se sufficientissimi titoli a salvar tutti, » TOCCARE. Sonare. Se non basta l'esempio del Malmantile, che reca la crusca, di /occa/e per sonore, (i) Notisi anche questa voce attacco. 206 eccone uno è\ Michelangelo Buonarroti il giovane, Prose fior. par. 1 voi- 3 oraz. 7: « Mentre toccava una volta costui avanti ad Alessandro quel suo così fatto strunfiento, in un subito infuriato da guerra ec» - E un altro del Bartoli, Asia par. 2 lib- 1 cap. 78: a Né le due compagnie de'cavalleggeri mai punto si dilungaron da essi, e continuo toccando a suon d'allegrezza le trombe, avvisaron di loro. » — Ed ivi cap. 85: « Sonando una cotal campana, che per antichissimo privilegio mai non si usa toccare fuor- ché solo in riceversi alcun personaggio reale. » TRANSITARE, Ne abbiamo recato un esempio del Bentivoglio. Il toscano Buommattei , che certo sapeva molto bene la lingua , disse anche transito in proprio significato di passaggio. Prose fior. par. 2 voi. 5 lez. 8: « Il qual mal abito non era in Dante, perchè non si fermò in quella selva, ma vi si trovò per accidente e per transito. » TRATTAMENTO. Abbiamo nella prima parte recato un esempio dell' Adimari che ci dà questo vocabolo in significato di pranzo , convito. Eccone un altro del Salvini , Trad. dell' Odissea lib- XIV: a Iv'io d'Ulisse intesi: ch'egli disse - D'avergli dato alloggio e trattamento - iMentr'egli andava ver la pa- tria terra. » — In significato di modo di vivere^ val- gano questi. Alessandro Segni , Prose fior- par. 1 Voi. 4 oraz. 10: a E dove fu egli, che di suo ma- gnifico trattamento non si favelli ? » — Pallavicino, Stor. del concilio lib. 9 cap. 9: « Come se la chiesa di Cristo predicasse quell'indebito pregio delle ric- chezze, eh' é contrario, non dirò agl'insegnamenti di Aristotile, ma d'ogni tollerabii repubblica de'gen- 207 lili: cioè che l'onore de'magistrati debba misurai'sì dall'abbondanza delle rendite e dal fasto del tratta- mento ! » TRIENNIO. Salvini, Trad. dell' Odissea lib. ÌU « Così per un triennio , con inganno- Procedendo , fu ascosa. » TROPPO. MoltOf assai. A non reputarlo un mo- derno francesismo dovrebbero bastare gli esempi d' ogni maniera che ne dà la crusca: ai quali ag- giungiamo questi altri. Fioretti di S. Francesco , cap. 34: « Ciò ch'io volea dire a lui ed egli a me troppo meglio conoscemmo, che se noi ci avessimo parlato colla bocca.» Pulci, Morg. 19, 178: « E molto il Veglio suo ebbe onorato, - Però che gli portava troppo amore. » — Borghini , Prose fior. par. 4 voi. 4 lett. 36: (( E benché io non istimi troppo le cose mie, non avrei voluto però averne senza colpa riportato vergogna. » E lett. 37: « E questi {con- fini ecclesiastici) non si son veduti troppo variare, come poi quelli del dominio temporale. » - Bartoli, Asia par. 2 lib. 2 cap. 54: « Andrea dice vero: que- sta è una nuova generosità , eh' io non sapeva: e troppo maggior della mia. » E par. 2 lib. 1 cap. 24: « Iddio voltò la mano sopra la reina a cambiarle ! affetti e cuore verso i cristiani: ma troppo al tra - ! mente: cioè sol com'era degno della sua empietà. » l E cap. 33: « Ma il fatto andò troppo altramente \ ch'egli non divisava. » V. VISTOSO. Considerabile, notabile. Alessandro Se- gni, Prose fior. par. 1 voi. 5 oraz. 8: « Concios- 208 siachè di tante macchine, onde essa tutto dì si seive a sostentamento dell'universo tutto, sì varie per la diversità, sì uniformi per la proporzione, sì vistose per la bellezza , sì ammirabili per la facilità ec, altro modello non secondò, altro disegno non ob- bedì , se non quanto dal suo amore verso 1' uomo gli fu rappresentato al pensiero , esposto alT idea , somministrato alla fantasia. » S. B. 209 Deir indole, delVelà e della imporlanza dei Correllorii biblici che sono in ire codici valicaui. Dissertazione letta nella pontificia accademia d'archeologia il 27 giugno 1857 dal l\ D. Carlo Vercellone Barnabita. I 1 dover far parola al cospetto d'uomini dottissimi, siccome voi siete , desta oggi nel!' animo mio due contrari affetti, uno di timore, 1' altro di fidanza: i quali io non posso passarmi dal dichiararvi fio dal principio del mio breve ragionamento; onde possiate comprendere come le ragioni che m' indussero a te- mere non mi costrinsero al silenzio; e quelle che mi confortaiono a sperare non mi tolsero ogni esita- zione. Imperocché per poco che conoscessi la fie- volezza delle mie forze, era ben naturale cbe io non poteva presumere di recare in questo consesso cose degne della squisita vostra sapienza: quindi il timore di recarvi tedio mi avrebbe indotto a tacere, se la nota vostra somma cortesia non mi avesse persuaso che voi non solo applaudite ai grandi acquisti che si fanno nella scienza delle antichità , ma sapete ancora dar animo ai fervidi conati di coloro che co- niechesia si sforzano di allargare il patrimonio della stessa scienza. Similmente se per una parte grave causa di timore fjoteva nascere in me dalla natura dell'argomento, che mi sono proposto di sviluppar- vi, il quale essendo derivalo da una materia più consentanea agli studi , in cui suole esercitarsi il mae- stro in divinità, che non a quelli che spettano al- l'archeologo, poteva sembrare a primo aspetto meno G.A.T.CXLVIII. . U 210 acconcio a quest'adunanza; d'altra parte io dovea con- fortare me stesso nel proposto assunto , pensando , che accingendomi ad illustrare un punto di storia critico-letteraria spettante ad un libro antico, il quale è certamente intei-essante e veneiando non solo ai teologi, ma eziandio a quanti coltivano qualsivoglia maniera di lettere e di antichità, il mio tema non poteva essere né sembrare alieno dallo scopo, che la nostra accademia si propone. Imperocché non altro intendo di presentarvi, e di sottomettere al vostro giudizio, se non il risultato di lunghe e faticose in- dagini da me fatte per chiarire T indole e il valore di alcuni preziosi lavori critici sulla Volgata, che ci sono pervenuti dagli autori dell'eia di mezzo: il ohe servirà, spero, ad illustrare qualche tratto di non lieve momento nella storia letteraria di quell'età; e gioverà a farci meglio conoscere fin dove si es- tendessero le cognizioni di quel tempo, e, ciò che più monta, ci recherà in mano nuovi tesori di eru- dizione, e nuovi materiali che grandemente potranno aiutarci a promuovere i nostri studi. Se non che mentre io tentava di colorire questo mio disegno , nuove difficoltà ad ogni tratto mi si paravano d'in- nanzi, le quali mi avrebbero troncata ogni speranza di accostarmi al mio scopo, se non mi fossi armato della più costante energia per superarle. Non è già che io pretenda d'avere interamente dissipata ogni nebbia , e messo in chiara luce quel vero cui mi sono sforzato di raggiungere; ma confido d'avere in qualche modo aperta la via , onde a!tri possa più facilmente pervenirvi. Per verità se considerate quan- to sia malagevole afferrare un dato scopo a colui 211 che deve mettersi sopra un terreno non segnato da veruna traccia , e deve inoltrarsi traversando lun- ghissimi tratti e foltissime selve senza la scorta di alcun lume, o V indirizzo d'alcuna guida, compren- derete facilmente, che non pure per sentimento di modestia, ma per intima convinzione credo di dover rivolgermi ad implorare da voi quella benigna in- dulgenza , che siete solili lai'gire a chi travaglian-' dosi senza posa per diradare le tenebre sparse dai lunghi anni sulle notizie de' tempi remoti, non raggiunge completamente la sua meta, o non vi per- viene senza qualche inciampo^ Tre diverse opere esistono nella biblioteca vati- cana sotto il titolo di Correttorio della Bibbia', delle quali la prima è nel codice 29l{ della serie ottobo- niana, che è membranaceo in quarto, di soli 5i fo- gli scritti a doppie colonne, nel secolo XIV, ed ap- parteneva al duca Gio. Angelo Altemps. Quest'opera contiene le correzioni su tutti i libri che sono nella Volgata, ad eccezione del Salterio, La seconda è nel codice 3466 della serie vaticana, membranaceo in I' quarto, di fogli 158, scritto circa la metà del secolo XIll ; apparteneva al monastero di s. Maria del monte Olivelo; poi venne alle mani del card. An- tonio Carafa, il quale lo lasciò cogli altri suoi li- bri alla vaticana. Questo codice presenta le corre- zioni su tutti i libri del vecchio e del nuovo testa- mento, eccettuato il libro di Baruc, che vi manca. Ma è da avvertire che le note sui libri deutero-ca- nonici dell'antico testamento, cioè sui libri di Tobia, (li (Giuditta, della Sapienza, dell'Ecclesiastico, e dei Maccabei, sono aggiunte da altra mano in tino dui 212 codice. La terza si trova nel codice vaticano 4240, che è parimente membranaceo in quarto grande, di fogli 112 a due colonne, ed è del secolo XiV. Que- sto si estende a tutti i libri che abbiamo nella Vol- gata senza eccezione. Questi tre codici, i quali io designerò in seguito col nome di Correlloril vaticani 1,2, e 3, hanno fra loro qualche relazione, ma nella massima parte dif- feriscono essenzialmente. Essi, sebbene sieno stati fin ora negletti, mi sono sembrati al primo aspetto degni di qualche attenzione, almeno per lo studio critico della Volgata , cui mi era da qualche anno rivolto. Perciò cominciai a studiarli per comprenderne meglio il valore: e quanto più m' innoltrava in que- sto studio, tanto maggiore si faceva in me la per- suasione dell'utile grande, che per molti lati se ne può trarre. Quindi , trascrittili per intero , stabilii non solo d* inserirli, quanto alla sostanza, in un la- voro critico di lunga lena, che ho per le mani, ma ancora di darne una qualche illustrazione. Nella pre- sente lettura mi è impossibile esporvi tutte le ra- gioni che mi hanno confermato in quella mia sen- tenza; ma mi starò pago di sottomettere al vostro giudizio quegli argomenti che si prestano ad una breve lettura. Ho detto che i tre Correttorii vaticani hanno fra loro qualche relazione. Questa non con- siste solo nell'essere diretti al medesimo scopo, che è quello di correggere gli errori, che per colpa de- gli amanuensi, o dei critici temerari , si erano in- trodotti nella Volgata; ma ancora in ciò , che il 1 ed il 2 contengono solo l'epitome di due opere più vaste, delle quali nella seconda mancavano i libri 213 deutero-canonici dell'amico testamento, e nella pri- ma mancava il Salterio. Onde nel 2 Coirettorio fu- rono aggiunte le note sui libri deutero-canon icì co- piate dal 1- L'autore poi del 3 Correttorio attìnse alia stessa fonte di cui si servì il 2 ; ma con un metodo assai diverso, eccetto che nel nuovo Testa- mento, ove -appena leggermente da esso differisce. Ho detto ancora che nella massima parte questi Ire Correttorii differiscono essenzialmente fra loro. E (pii fa d'uopo che io ve ne presenti un breve con- cetto, riserbandomi a darvene in seguito più estesa noti/Ja. In prima quanto al numero delle correzioni è rilevantissimo il divario: poiché menile il 1 Cor- rettorio ci dà sul Genesi circa 150 luoghi corretti, il 2 raddoppiando il numero ce ne somministra 300, ed il 3 poco meno di 600. Con questa medesima pi'oporzione procedono i tre Corre ttorii nel corso del restante dell'opera, eccettuato il nuovo Testa- mento, ove il 2 ed il 3 non differiscono. In oltre è assai grande il divario che corre fra loro quanto al metodo ed all'economia dell'opera. 11 1 rare volte lende ragione delle sue correzioni , o produce gli argomenti che le appoggiano: e quando cita le te- stimonianze, che confermano le varie lezioni che ci dà, suol farlo colla massima brevità; solo in alcuni casi rarissirni tratta le quistioni alquanto più larga- mente del solito. All' incontro il 2 per lo più pro- duce documenti, ragioni ed autorità in conferma delle sue correzioni, e qualche volta lo fa con una ma- pavigliosa erudizione , e dimostra quasi sempre un finissimo giudizio. Ma sopra tutto questo 2 Corret- torio differisce dal 1, perchè non di raro espressa- 214 niente lo cita sotto il nome di quidam corrector in libello correclionum, oppure semplicemente cuiiisdam notula, e dovunque lo cita, lo fa sempre per confu- tarlo- Questo codice è anche sint^olare per le ag- giunte che vi furono fatte nel margine da una mano del secolo XV. Poiché vi furono notate con grande accuratezza le lezioni di altro codice antico, le quali spesso ripugnano a quelle che sono ricevute dall'au- tore. Il 3 Correttorio sehbene sia più copioso dei due precedenti pel numero delle correzioni, tuttavia è il piij conciso per ciò che spetta al discuterle- L'autore avverte nella prefazione ch'egli segna con una linea quelle parole che si devono espungere , e che con brevi sigle sovrapposte alle voci dichiara se concordino coll'ebraico, col greco, e cogli anti- chi esemplari latini- Di raro cita qualche antico scrittore in conferma delle sue lezioni- Dal compendioso quadro che vi ho fatto dei tre codici vaticani, voi potete già farmi ragione se io mi apponeva nel giudicarli degni di piiì accurato studio. Se non che m' avvidi tosto che troppo più restavami a fare per mettere a profitto siffatti la- vori. Perciocché m'era necessario conoscere a quale età dovessero riferirsi, dove e da chi fossero stati scritti; quale uso ne fosse stato fatto sin qui; e se ne esistessero altrove esemplari più o meno copiosi dei vaticani. Tutte queste ricerche mi sembrarono indispensabili per conoscere l'uso che di questi Corret- torii avrei potuto fare. Prima che io entri a dichia- rarvi il frutto delle mie indagini, permettetemi che in poche parole richiami alla vostra mente quei docu- menti, che ci hanno conservato qualche memoria dei 215 lavori critici che furono fatti prima della metà del secolo XIII intorno alia Bibbia Volgata; poiché questi ci apriranno una via più spedita alla nostra meta. E cosa notissioia che la ti'aduzione latina della S. Scrittura fatta sui Lesti originali da s. Girolamo, e fornita sul principio del quinto secolo, cominciò ad introdursi nell'uso pubblico per la chiesa occi- dentale in seguito dell' esempio dato da s. Grego-^ rio M. nel principio del settimo secolo. Prima di questa età essa era Jelta , studiata e custodita da pochi dotti , i quali se ne giovavano nei loro pri- vali sludi, e raramente la citavano per erudizione, o per illustrare qualche passo oscuro dell'antica itala; siccome vediamo in s. Agostino, in Cassiodoro, in Giusto Urgellitano, in Arnobio iuniore ed in pochi altri. Air incontro da s. Gregorio M. in poi ogni giorno pili si estendeva e propagava l'uso della ver- sione gertìlimiana: essa era commentata dagli inter- preti, era letta nella pubblica liturgia , era citata da tulli gli scrittori latini; mentre Fuso dell' Itala diminuiva di giorno in giorno colla slessa propor- zione con cui la versione gerolimiana si dilatava j finché quella cessò totalmente , e scomparve per modo, che da molti secoli non se ne trova più uà solo esemplare. Non ci dichiarano gli storici se que- sta grande innovazione sia stata espressa*nente pie- scritta da qualche pontefice , o da alcuna sinodo. So che può essere avvenuta per tacito consenso della chiesa; tuttavia io penso che nel settimo , o certo nell'ottavo secolo, vi sia stato qualche atto autore- vole della Chiesa romana che sanzionasse l'uso della nuova traduzione. Questo mio parere è almeno resa 21G probabile da due documenti degni d'essere avvertiti. 11 primo è di Ugo Vittorino, scrittore insigne del secolo XII, il quale , parlando della versione di s. Girolamo, dice espressamente: « Ecclesia Christi per « universam lalinitatem prae ceteris omnibus tran- « siationibus ... hanc solam legendam et in aucto- « ritate habendam constituit. » {De Script, cap. IX.) L' altro documento è di Rogero Bacone, che nel seguente secolo parlando della stessa traduzione dico: « Hanc sacrosancta a principio recepii romana ne r-^li- giosa e letteraria della tenera gioventù, fi qtjivi dJ- 232 ligente discepolo in quelle scuole si dimorò insino al diciottesimo anno; quando avvisò vestire le sacre lane dei frati minori, verso i quali, forse a cagione della semplicità del loro vivere , che di poi amò sempre e praticò di cuore, sentivasi con particolare affetto inclinato. 11 frutto che colse da que' primi studi, a quanto egli stesso ne diceva, eccetto i sin- ceri elementi della grammatica, e delle lettere, che appresso fecondò con grande profitto, nel resto fu pochissimo, o quasi nullo; tra perchè i libri di la- tino, onde quasi tutto consisteva quell'insegnamento, non erano fatti allora per il suo animo ancor troppo tenerello e dilicato, ed anche perchè forse la scin- tilla del bell'ingegno, che in lui si chiudeva, tardò alcun poco ad accendersi e manifestarsi. Sicché non allcttato da'piacfiri dell'intelletto, anzi lento e fasti- dioso il progresso nelle lettere, se a nobil famiglia bene agiata e signorile egli avesse appartenuto, vinto dalla gravezza de'sensi, e sì preso di buon' ora ai diletti dell'ozio e del divagarsi, si sarebbe al tutto perduto: ne altrimenti gli sarebbe incontrato nelle povere condiziooi della vita, sfornito d'ogni potere, non che d'andare avanti negli studi, ma sin di vi- vere in onesta fortuna , se non gli si fosse offerto acconcio rimedio a sperimentar meglio sé medesimo con sicurezza e tranquillità, l'ingresso in un chio- stro. Ed uno a punto de'grandissimi benefizi sociali, per avventura non abbastanza dall'universale avver- tito, che arrecano i regolari istituti alla civil comu- nanza, si è questo; che oltre all'essere come a dire semenzaio d'ogni maniera di virtiì e di utili opere (dove nacquero e si formarono tanti solenni maestri 233 in ogni genere d'arti e di scienze, governatori di Provincie o di stati, pastori di diocesi , consiglieri di principi in ogni sorta di affari, eroi della civile e della cristiana società), e' si aprono ancora pie- toso asilo a tanti, che abbandonati a so stessi , o sbalestrati qua e colà da fortuna , o trascinati da debolezze, e peggio ancoia da vizi, miseramente pe- rirebbero ai nobili e sublimi divisamenti , ai quali li avea posti per avventura la Provvidenza: i quali, ove altro non fosse, o per difetto di mezzi, o non aventi né stimolo, né tempo da tendere feconda di buone opere la loro nascente virtù , sì rimangonsi sterili nella inerzia; quando là nel silenzio di quelle monastiche solitudini, di vitto e vestito provveduti, e da mille esempi de'lor confratelli punti e confor- tati, trovauo modo, e norma, e tempo, ed aiuti, ed inspirazioni ed efficacie d'ogni maniera a secondare, alimentare e compiere a sua final perfezione il ge- nio loro proprio, quale che esso si fosse; questi di speculazioni e di scienze, quegli di attività e d'in- gegni, l'uno alla quiete d'orazione ed ai soavi toc- chi della poesia religiosa , 1' altro alle minute, e, quando fia d'uopo, alle solenni operosità di negozi del più allo momento a prò de'popoli , dei regni , e della chiesa. 11 Frediani adunque istruito in grammatica, co- me a giovine scolare si conviene, e ricco la fantasia di alcune strofe del poeta Francesco Lemene (i quali versi mandati a que'dì a memoria sempre poi con scherzevole compiacenza rammentava, ma forse, a vero dire, quel fatto era l'augurio lontano di quel che addivenne in ogni genere di bella letteratura), 234 si deliberò entrare nell'ordine dei minori osservanti di san Francesco di Assisi; e chi s;i? con quel gusto che pur aveva sin d'allora di non so che elementi, benché si tenui di qualche versi, e della gramma- tica appresa da pure fonti , forse egli entrando in solitudine vagheggiava quel che nelle lettere un dì sarebbe tra i suoi fratelli, e di buon'ora dovè im- parare come ancora egli il beato Francesco poetasse di divino amore, e come tr-a i primi discepoli del gran serafico si viene da'ininori con onore rimem- brando quel frate da Sanseverino, che poeta cesa- reo, lasciò la corte imperiale a fin di attendere a più vera e sublime poesia ne' silenzi del chiostro, il Frediani col nome di frate Francesco vestiva l'abito noi convento della Madonna di san Romano, il di 19 di febbraio dell'anno 1823. Tutti sanno che i chiostri io quella che hanno da essere albergo di solenne ed utile sapienza, mirano nondimeno sicco- me a principale intendimento a formare uomini di santità; alla quale quella deesi congiungere; che sic- come non è vera sapienza appresso quali che e'fos- sero dottori della terra senza la rettitudine de'santi principi, cosi e molto più appresso i claustrali , e particolarmente ne'serafici, non è sapere che uom pregi, il quale non sia tutto e sin dalla prima in- stituzione informato dagli spiriti della maggior pos- sibile ed esemplare santità della vita. E di qui si comprende come, checché si dicano i moderni, bene e sapientemente ordinarono i maggiori che il tempo del noviziato , o come dicono della pruova , fosse tutto disposto a sperimentare più che altro la vo- cazione de'giovani, se veramente ella viene dal cielo, 235 e ad ififoi'miìi'li dello spirito deirinstitiito, che hanno in animo di professare ; poste da banda per quel- l'anno e scienze e gramtnatiche , se non letture e studi di tali libri, che mentre inspirano pietà, am- maestrano ancora di lingua buona latina ed italiana, e dì quella scienza dello spirilo, che è ricca di sen- timenti, e di principi di quella filosofìa, o sapienza, ove sono i semi ed è l'ordine d'ogni sapere da bene e dottamente vivere della vita cristiana e religiosa. Or il Frediani in tali esperimenti ed istruzioni ebbe a coinpire quell'anno; dopo il quale, e sì i*endirtosi d'animo e di cuore religioso della forma francescana, della sublime sapienza dell' umiltà del crocifisso , pronunciati i voti solenni della religione, venne man- dato a studio di filosofia , ove compì paritnente quello di sacra teologia , nel serafico liceo di san Francesco in Lucca: sette anni di studi così detti passivi: ne'quali se non profittò d'assai in quanto al merito della speculazione , al certo si avvantaggiò grandemente della solidità de' princìpii deJle due scienze fondamentali d'ogni sapere; rendè diritto e profondo il criterio, sicuro il giudizio, esteso e fe- condo d' utili applicazioni alla scienza del bello ii sentimento siffattamente informato di molteplici e sane cognizioni. Non ha alcuno che ignori come la filosofìa a que'dì consistesse in gretto e misero ec- detismo , ove dominava principalmente la teoria lokiana circa 1' origine di tutte le idee dai sensi e dalla riflessione: onde non è maraviglia se il Fre- diani, di animo sì gentile e di tanta esquisita no- biltà di cuore che era, al tocco delle cose vere co- mi nciandoglrsi a svolgere più sensibilmente il gusto 236 delle cose belle , non le ponesse molto affetto, e piuttosto si dilettasse della lettura di amene poesie e prose, ond'è sì ricca la nostra bella Italia; ai quali scritti ei si sentiva da natura ognora piiì potente- mente inchinato. Non pertanto anche dagli studi delle discipline filosofiche e teologiche, oltre dall' i- struirvisi profondamente , raccolse buon frutto da tentarvi sin pruove di speciale valore, a fin di ot- tenere , ed in effetto in concorrenza di altri suoi confratelli ottenne cattedra di filosofìa, che tolse ad insegnare, ed insegnò tre anni nel convento di san Domenico in Prato. E qui accade toccar di passata, a lume de'facili contraddittori delle cose claustrali, come il pubblico e legittimo esperimento, onde nei conventi de'religiosi si decretano gli onori dell'inse- gnamento ai professori del loro instituto, non è cosa che a ciascuno torni sì agevole e piana, come al- cuni si pensano: anzi tra per la scrittura che deb- bono improvvisare e produrre in argomento tirato a sorte, e per le disputazioni rigorosamente sillogi- stiche, ond' hanno a sostenere 1' assunto, e contro altri concorrenti argomentare : aggiuntovi il parlar latino, e '1 merito,- che da' giudici vuoisi reputare dell'ordine, della precisione, e della chiarezza delle materie e de'ragionamenti; tal maniera di sperimen- tare la scienza, in grado da insegnarsi dalla solen- nità della cattedra, è opera assai malagevole e piena di pericoli. E non pochi vi si perdono; e quelli che ottengono la palma, sono ingegni valorosi, da non temer di certo il confronto di coloro che se ne fanno dileggiatori: dai quali in questo si differen- ziano, che ove quelli sono tutti in far mostra di 237 tutto quel che sanno , in mille modi millantando- sene, essi amano tenersi umili e nascosti ne'silenzì del chiostro , intesi ad insegnare ed a praticare quelle discipline, nelle qnali hanno posto l'ingegno: e trovano la loro beatissima quiete nel modesto vanto di vivere e d'instituire i loro confratelli nella scienza e nella pratica della civile e religiosa con- versazione. Ma ecco occorrenza veramente curiosa , che in tali studi tranquilli potè rendere manifesto l'eletto ingegno, che nel padre Francesco Frediani posse- deva l'ordine francescano. Dettando egli filosofia in Prato, e vedendo come i giovani alle sue cure affi- dati, scemi i più di quegli studi minori che prepa- rano ed addestrano l'ingegno a'maggiori , duravano molta fatica a tenergli dietro nelle alte speculazioni della metafìsica; divisò per poco intermettere quelle lezioni , seco piuttosto intrattenendoli in esatto e logico studio ed uso della grammatica sì latina e sì italiana , onde si affina e si aguzza la mente a ben parlare, che è scuola e pratica a ben ragionare: e vi aggiungeva, a sparger di rose tal sentiero, qual- che fiore qua e là raccolto di amena letteratura. E mirabile a dire! questo suo generoso intendimento tornò come scintilla che gran fiamma seconda: che saputolsi i superiori della provincia , e vedendo in effetto l'utile grandissimo che n'era venuto a quella poca gioventù che la scuola di lui frequentava, non solo gliene diedero lode, ma quindi innanzi que'gio- vincelli novizi che escivano dall'anno della pruova a lui inviarono, perchè sì gli preparasse ad entrare nelle scuole mnggiori dell' ordine con speranza di venirne ottimamente ammaestrati in verace sapienza. 238 Or di qui certo, tutti aminiraado k straordina- ria virtù del Frediani neiramore del maggiore av- vantaggio del suo iiistituto» alcuno ci datnandeià ; perchè in esso si ricevano giovanetti così miseri di studio , da non trovarsi quindi capaci d' attendere con frutto alle speculazioni delle scienze grandi che vi s'insegnano: e per ciò per avventura a' dì presenti non sì mostra più eguale alla sua antica fama la religione francescana! Ma ci par giusto il qui ri- spondere, essere, chi ben considera, i minori un or- dine veramente da tutti gli altri singolare; il quale per ciò a punto che è essenzialmente popolare , e vive in tutto di carità, non può né anche in questo tenere quella severa rigidezza, che ad altri non si disdice : anzi volersi tener aperto a quanti amino servire a Dio in ritiramento di perfezione e vita di penitenza, tanto solo che ne abbiano vera vocazione dal cielo. Ed è mestieri che abbondi di semplici posti a pregare le divine rivelazioni e le misericor- die del signore nella umiltà del cuore; come Iddio fa che non siavi difetto di sapienti e di dotti, che dalle cattedre e dai pergami e con la professione delle lettere, e sjhjsso ancora di qualche nobile arie, spieghino ed annunzino gli alti misteri della scienza, della religione , e delle opere d'ingegno. E tale è stato sempre, insin dal primo suo apparire ai mon- do: né per tanto mancò mai eletta d'uomini di non comunale valore in ogni genere di studi e di civile coltura, la fama dei quali dura, e durerà quanto il tempo lontana. Del qual numero al eerto fu il Fre- diani; che a punto per quelli suoi studi di preci- sioni o piuttosto finezze grammaticali, e di. umane 239 lettere co' giovinetti dell' instituto consegnaligli ad educare, a poco a poco venne tanto innanzi nella scienza della filologia sì latina e sì italiana , e dei classici di quelle due letterature, da esserne un dì solenne maestro, nonché alla sua provincia ed alla Toscana, ma al suo ordine intero ed all'Italia, che altamente se ne onoravano. E ciò accadde nel se- guente modo. 11 reverendissimo padre Giuseppe Ma- ria d'Alessandria, ministro generale di tutta la fa- miglia francescana, poi meritissimo vescovo di Avel- lino nel regno di Napoli , e appresso di Caltagi- rone in Sicilia ( del quale i minori conserveranno con grato animo eterna ricordanza), divisò con sa- pienza pari al suo zelo d'instituire, e nell'anno 1838 con decreto apostolico inslituì in ciascuna provincia dell'ordine speciale cattedra di sacra eloquenza , a fine che i giovani che compiuti gli studi della filo- sofia e della teologia amassero consacrarsi al so- lenne ministerio della cattolica predicazione, potes- sero venir messi da ottimi maestri ai secreti del- l'arte si difficile dell'annunziare con frutto a' popoli il vangelo, con modi, forme, e sapienza, onde ap- parissero non predicatori di ciance , ma apostoli veri con verace fondamento di arte oratoria sacra, la quale all'unzione dello zelo di ministro della pa- rola di Dio sapesse aggiungere la semplicità, la ni- tidezza, e 'I decoro dell'arte del dire. Al quale av- venimento da tutti i buoni lodato, anzi ricevuto con entusiasmo , il Frediani si sentì raddoppiare con l'ardire la vita; ondeehè intimati i concorsi per la provincia Toscana l'anno 1839 , vi accorse senza interporre indugi; e fu al convento di Volterra, ove si farebbe il legillimo esperimento : nel quale così veramente superò non che i suoi emuli concorrenti, ma r aspettazione di coloro che dovevano darne sentenza, che per acclamazione venne inviato a quella cattedra delle scuole serafiche. Or quale amore egli portasse in quel ufficio confidatogli , e quali sollecitudini ponesse in corrispondere alle speranze che avea fatte di sé concepire, è più facile imma- ginare che dir a parole. Imperocché i giovanetti mandatigli discepoli furono quindi innanzi lutto il suo cuore ; i quili con sì fini accorgimenti seppe in breve talmente metter dentro e iniziare a' mi- steri del piij fino gusto delle bellezze dei classici italiani, siccome dei padri e della sacra scrittura , che senza più eccitossene vero entusiasmo in tutta la provincia; e non al certo passeggiero, o incon- siderato , anzi sì forte ed efficace da raccoglierne e tostamente frutti di non ordinario valore. Di che èpruova, infra gli altri, il padre Angelico Gallicani, successore del Frediani, del quale fu discepolo, in quella nuova cattedra dell' insliluto ; il quale per cagion d'onore ci piace qui dire, che già«anch'egli comincia crearsi bella fama di letterato italiano con i gravi studi di filologia , di cui diede saggio più che bastante nella recente pubblicazione d'una leg- genda inedita del buon secolo intorno alla vita di san Francesco. II Frediani lasciò l'ufficio di professore l'anno 1844 dopo un lustro di assiduo e faticoso insegna- mento: ma là, dove altri per avventura avrebbero divisato di riposarsi, egli rinforza i suoi studi: che non per altra cagione volle godersi alcun poco della 241 libertà venutagli dall'avere dismessi i gravi doveri di maestro, se non perchè meglio potesse applicare tutto r animo ai cari suoi studi di letteratura , ai quali aveva già da pezza ogni suo amore e 1' in- gegno consacrato. E quali palme ne raccogliesse non io il dirò che 1' ebbi a confratello ed amico , onde potrebbe suspicarsi non l'amore piuttosto che la verità dettasse queste mie parole e gli onore- voli giudizi : ma bone ne rendono testimonianza i solenni frutti di sue pazienze e i lavori dell'inge- gno: fra i quali, ove altro non fosse, lo Spoglio del- l'Ovidio maggiore del Seminlendi, da quel chiaris- simo uomo e letterato di prim'ordine che è in Ita- lia l'egregio cavaliere professore Salvator Betti, detto lavoro modello in tal genere d' opere: ove ben si vede dagli italiani come il Frediani seppe corrispon- dere all'aspettazione de' dotti all'apparire che alcuni anni prima aveva fatto quel saggio che dava del suo fino gusto in quel Fiore di poesie che pubblicò, proponendolo ai giovanetti studiosi di belle lettere. Ma, a vero dire, nello Spoglio del Simintendi superò sé stesso e la comune aspettazione: tanta vi è piena ed esquisita la copia della erudizione e della scienza filologica. Onde il Frediani si avrà distinto seggio di onore fra color che sanno, fintantoché sarà sti- mata la virtù, e riputato il merito delle grandi fa- tiche di sottili pazienze, e di alta intelligenza delle cose belle. Bene è il vero che alcuni miserabili, i quali , poiché fortunati nelle delizie del beato far niente, non hanno quella gloria, che pur vorrebbero possedere, e però si attristano che altri la conse- guisca, il chiamarono a dileggio il professor dei nomi G.A.T.CXLVIII. ^^ IH 242 e dei verbi ! Ma in verità sono questi quella setta di cattivi, che al dir di Dante, spiaceiono a Dio ed a'nemici sui. Imperocché bisogna aver perduto sino il naturale pudore per gittare lo scherno sopra un uomo di fama italiana, della cui amicizia non era letterato di qualche nome che non si pregiasse, te- nendosene bene onorato : sopra un uomo che una società di sapienti, i quali presiedono alia pubbli- cazione di un illustre periodico , vogliam dire la Civillà catlolica , il piiì dotto senza dubbio ed il più utile che mai fosse sì alle scienze e sì alla re- ligione di quanti ne conta 1' Europa ; rilevando in un articolo di rivista letteraria i pregi delle opere di lui, solennemente affermava essere tali e tanti, che si glorierebbero di averlo avuto a maestro! Ma i maligni detrattori da se medesimi si condanna- rono, perchè si dettero a conoscere a quanti udi- vano i loro stolti parlari , come essi non avevano per avventura né pure uditi i chiari nomi d* un Monti, d'un Gherardini, d'un Nannucci, e di cento altri antichi e moderni, i quali acquistarono fama gloriosa a punto per la professione e la scienza che avevano, da filosofi della lingua, óe'verbi e de'nomiì Onde que' dabben'uomini e dappoco, che noi qui sferziamo, piiì che altro, sono degni di compassione; perchè ignorano che la scienza della grammatica è in somma l'alta metafisica delle cose, di cui non intendono né pure il nome! Ed in fatti il Frediani, a cui quelle basse arti de' nemici d'ogni bene erano conosciute , ne sorrideva dolcemente, dicendo con Dante. )) Non ci curiam di lor, ma guarda e passa! 243 E si continuossi, finché ebbe vita, ne' suoi tran- quilli studi e nella pubblicazione di que'dolti lavori, nei quali resterà eterno il suo nome. E sono, ol- tre lo Spoglio teste commemorato, e quel suo bel Fiore, a cui accennammo; la vita della beata Umi- liana de'Cerchi, e quella del gran patriarca d'Assisi, amendufi scritte per la l'accolta delle vite de'santi, che vide la luce in Parigi, riprodotte dipoi dalI'Al- berghetti in Prato. Lavori di tante e sì schiette bel- lezze di concetti e di lingua italiana , che letti le mille volte pur sempre ti appariscono nuovi e spi- ranti freschissimo incantesimo. I quali pregi nobi- lissimi, che formano a dir vero il merito e la glo- ria pi'incipale della nostra letteratura, ti si porgono egualmente ciliari e spiccati, e ne'Cenni intorno al- l'oi'dine francescano , ove tornò a vita non poche glorie di antichi suoi confratelli cadute in oblìo; e nella Biogmfia di monsignor Salveti, già minore os- seiTante della provincia di Toscana, poi vescovo in Cina , ove grave di anni, di fatiche, e di meriti , passò al Signor-e. La quale biografia, più fors€ che qualunque altra somigliante suo scritto, è a dire un vero capo lavoro, ed un modello del modo, onde io tal genere di componimenti vuoisi con sempli- ci«à, ordine, e nitidezza di dettato toccare alla per- fezione. E qui ci cade in acconcio di dire breve paro- la delFamore onde il Frediani si studiava di onorare l'instituto serafico , di cui era figliuolo. Oh ! si di eerto che egli avrebbe sin dato la sua vita, tanto solo che gli toccasse in sorte di vederlo ritornato, al suo splendore! quale per lettere, per scienza, e per zelo di santità videlo il mondo che fioriva al leinpo degli Arjloiii , de' Bonaventura , e sì mano mano insino a quel grande triumvirato di sapienza e di azione evangelica che formarono Bernar» dino da Siena, Giacomo dalla Marca, e Giovanni da Capisti ano: ne' quali non sai qual più ammirare, se la dottrina eminente , o la grandezza d' animo che mai non posa nelle imprese della carità, e nelle battaglie della fede ! Per la qual cosa dacché fu messo a' primi uffici dell'ordine segretario ed aiu- tatore del gran padre d'Alessandria il padre Anto- nio da Rignano , sollecito cultore de' buoni studi , il Frediani a lui si congiunse, e si amarono a fede, unendo , quanto era in loro , le proprie forze , e quelle tutte che potevano in uno raccogliere e strin- gere al medesimo scopo, affinchè la scintilla del- l'amor grande e solenne d'ogni disciplina della vita e d'ogni maniera di studi si spargesse per tutto l'ordine, e sì l'accendesse a nobilissime opere di veramente serafica carità del bene della chiesa e de'popoli. Per ciò i giovani tutti di buona volontà con amorosissime lettere ed amabili parole agli studi confortava : e posto che alcuno di essi qual- che buon frullo di verace sapienza mettesse a luce, se ne faceva tosto lodatore magnanimo e sincero, profferendogli la sua amicizia. 11 perchè a gio- vare come meglio gli avveniva coleste tenere pian- ticelle dell'ordine (che sì piacevasi chiamarli) vol- garizzò in stile semplice e purissimo, alle tenere lor menti adattato, la regola del nostro santo pa- triarca, che, premessavi breve notizia di tutto ciò che di bello e di solenne ha la storia dei minori, ove era versatissimo , consegnò alle stampe. E sì 245 pose mano ad un serafico catechismo* qua e là ri- toccandolo , opera che era di eccellente informa- zione religiosa, del padre Lodovico da Pelago, e si come a dire ridotto in miglior forma, si fece a pub- blicarlo con innanzi breve ed elegante biografia di quel dotto suo confratello. Anzi vogliamo , ed è pregio dell'opera aggiungere, come per amore verso «lell'ordine e de' buoni studi, massime della lettera- tura, che è la lingua , o lo strumento onde solo si può essere utilmente dotto, e con frutto dispen- sine sapienza , amò il Frediani rinunziaie con let- tera umile e cortese all'onore di segretario di tutta la francescana famiglia, che gli offeriva il reveren- dissimo padre Luigi da Loreto, ministro generale: parendogli, che se alcun bene ei potesse mai ope- rare , il mezzo più acconcio a ciò era conseguire il continuarsi ne' suoi amati studi e lavori letterari. Ed in effetto, fatto contenta) del suo desiderio, con- cepì tosto l'ampio e difficil disegno di pubblicare raccolte in una compita collezione, alcune già edite, ed altre ancora inedite, scritture di tutti quelli mi- nori , che sopra gli altri eransi renduti chiari per santità e per lettere , i quali scrissero puramente e con eleganza nella favella italiana , chiamandola Biblioteca sanfrancescana. E già nella più parte n'ave- va pronti i lavori, onde si divisava mandare a luce ornati, e degni del pubblico italiano, quegli aurei dettati de'nostri maggiori. Anzi sicuro che era del- l'impresa, con l'aiuto del suo amico e collega Ce- sare Guasti ne pubblicò il manifesto, che ebbesi cortese accoglienza da tutti i dotti d'Italia, sì per Io intendimento a cui quella pubblicazione mirava, 246 e SI per la dottrina e'I buon criterio ond'era con- cepita e si pronnetleva mandarsi ad effetto. Se non che lodatori molti, ma, lui e'I suo ordine in pro- fessione di altissima povertà , non gF incontrò di avere quegli aiuti che facevangli a sì grand' opera bisogno; sicché con dolore gli fu forza ristare da quel generoso pensamento; che speriamo sia almeno scintilla , la quale in mente a qualche altro suo confratello, meglio che lui fortunato, e vivente in tempi più facili, quando che sia si riaccenda , e e si ponga in atto con tanto aumento dell'onore dell'ordine minoritico. Ciò non ostante lottando co- raggioso il Frediani con la fortuna, che di certo non gli si mostrò larga di molto favore, pubblicò poco dopo la Cronaca toscana dell'Ughi della Ca- vallina in Mugello, che ebbe l'onore di essere in- serita neìV Archivio storico italiano del Vieusseux, il quale usciva a luce in Firenze. Dipoi in argomento filologico amò cooperare, quanto era da sé, alla pubblicazione del periodico intitolato l'E/n/rm, e qua e là mandando suoi articoli sempre sensatissimi e pregiati di scelta erudizione e di sana critica ad altri periodici della Toscana e di fuori. De' quali alcuni sì pieni di dottrina e commendevoli, che pia- ciuti grandemente a'dotti, indussero il signor Fran- cesco Zambrini di Faenza a riprodurli uniti innanzi ad un suo opuscolo di genere pur letterario, nonché solo per onorarne l'autore, m.a ancora e più per far cosa grata a tutti gli amatori delle vere glorie d'Ita- lia. Nò taceremo come il Frediani adoperò ed as- sistette diligentissimo a tante altre pregevoli, ben- ché piccole e minute produzioni, in Prato, che era 247 sua stanza: né possiamo passarci del suo zelo, onde promosse ed aiutò con ogni maniera di efìicaeia il volgarizzamento dei Poeti Francescani del chìiU'issimo Ozanam, che fece mettere a luce a sue spese. Ma a tante e sì svariate fatiche, sempre inteso agli studi, e sempre con ogni maniera di conforti per lettere animatissime a quanti suoi confratelli sapeva amatori di essi (delle quali speriamo vedere un dì compito epistolario a luce); dilicato e cagio- nevole che era di salute, veniva a quando a quando assalito da malori e da debolezze tali, che più volte medici ed amici il consigliarono , ristesse almen per poco dalle sue lunghe meditazioni su i libri, e massime dalla continua applicazione dello spirito, or sia in frugar codici nelle biblioteche, or sia nel travaglio dello scrivere- E sì in Prato usava alter- nare i profondi studi con l'ameno divagarsi tra le piante e i fiori del giardino del suo convento , e con l'intertenersi cogli uccelli, che si piaceva di nu- trire e di educare nella sua cella , o scrivendo di amorevolezza agli amici lontani, o visitando i vi- cini. Ciononostante l'antico amore il tirava a' suoi libri ed agli usati diletti della mente, che sì logo- ravagli a poco a poco sempre piti gli stami della vita. Ondechè venne a tale, da aver bisogno di quasi perfetto riposo e di beato ozio , per ritardare il progresso micidiale de' malori , che a più a più il minacciavano di vicina dissoluzione- Ma in quella stimolato dagli amici (fra i quali sempre amantis- simo il padre Antonio da Rignano) e toltasi per so l'impresa il chiarissimo Cesare Guasti, s' indtisse a raccogliere in un solo volume le sì varie sue com- 248 posizioni, che andunclo così sparse com' erano, non poteano i desiderosi di esse venirne fatti al tutto contenti. Al certo il Guasti fece opera degna del suo cuore e del suo ingegno , porgendosi in tal modo generosamente a'desirfem de molti che lo ri- chiedevano or d\ina or d\in altra cosa del suo amico Frediani. Imperocché onorando sì 1' amico , e sod- disfacendo a'voti di tanti, che amavano veder tutte in uno raccolte le helle composizioni del frate let- terato, in tale raccolta offrì all'Italia un vero fiore di letteratura italiana, fresco di natia bellezza e di fragranza che non mai per avventura la più soave e dilicata; il qual libro a pena pubblicato, tutte le bocche ne furono piene, tutti i veri amatori dei bello e sano scrivere se ne rallegrarono, tutti i colti giornali se ne fecero lodatori; e si vide la bassa e vile invidia fargliene omaggio anch'essa col silenzio e con la confusione , in cui la fama pubblica la ridusse. Ma il morbo , che erasi appreso a' visceri del Frediani , ed a cagione di quel suo riposo sol fece tregua per un istante, anzi parve dileguare; si manifestò con maggiore impeto ed intensità al prin- cipiare del 1854-; per che gli fu mestieri cercare più mite cielo, dove, massime d' inverno, respirare aria men rigida che non era quella di Toscana. Onde con ampi permessi del suo ministro generale, prima in Roma per alcun tempo, e dipoi riparava in Na- poli, ove numerosa schiera di eletti amici , che di fama il conoscevano, lo accolsero festosamente, cu- riosi com'erano di vederlo in persona e di abbrac- ciarlo. E veramente come prima vi pose piede si trovò in talg aura solenne di ammirazione e di 249 amore, non pur degli amici , ma di quanti eran quivi nobili ingegni, che a pi-ima giunta sentissene ricreato, anzi tornato a perfetta sanità; sì che diede opera a parecchi gravi lavori, che da lungo tempo volgeva in mente. E furono i seguenti: VEcclesiasle, scrittura del buon secolo, dove fé' mostra di tanta scienza filologica, nelle molte postille onde qua e colà l'ebbe arricchito, che il Tommaseo , s\ parco nel lodare, chiamollo lavoro grande^ di cui non verrà meno la fama; e i Fiorelii di san Fiancesco ridotti alla vera e per avventura finora sconosciuta le- zione: i quali, lui colto da morte, non furono per- anco fatti editi ; ma siamo di dire che tal nuova lezione di quell'aureo libretto di mano e di spirito veramente serafico, sarà per fjitlare in basso quante altre , e sono tante , edizioni infin ad oggi se ne fecero; aon eccettuata né pur quella del Cesari. Noi auguriamo all'onore dell'ordine serafico, ed alla uti- lità delle lettere italiane, al più presto possibile l'ap- parizione di quest'ultimo lavoro del nostro confra- tello, che costò al medesimo tante sottili specula- zioni, e confronti di codici, e riquisizioni de' testi originali latini , per ridare ad una delle piìi belle prose d'Italia la sua nativa sembianza ; e forse fu lavoro che accrebbe ed inasprì la sua malattia. Im- perocché in mezzo a tali studi, non avvedendosene, gli scadeva ogni giorno più la salute , sinché con lentissima consumazione si condusse all'estremo di sua vita. Ed egli infine bene il comprese; che in- viando ad un suo caiissimo confratello di Livorno, cioè al padre Sebastiano Viviani da Pietrasanta , un esemplare AoiVEcdesiasle, che a mala pena ebbe 250 tempo di pubblicare , gliel' accompagnava con tali versi tenerissimi , onde apparisce il preseatimeato della vicina sua dispartita: Quando sarò tra gli uomini Non altro che una pallida memoria, Queste semplici note A tutte genti ignote, Del nostro affetto ti diran la storia l Il Guasti ha scritto che il Frediani non era poeta, quantunque si provasse ed arrivasse a poetare con gloria non volgare: e noi non ci opporremo alla sentenza di chi meglio di noi il conosceva da presso, e sapeva ben giudicarlo in tale argomento: ma ben affermiamo che qualunque legge le sue liriche si sentirà preso di tanto e sì soave diletto , da non saper dire qual cosa gli resti a desiderare; tanta è la nitidezza, la semplicità, la vaghezza della lingua e delle immagini, onde specialmente in qualche ode anacreontica vestiva i suoi schietti e nobili pensieri. Del resto nella prosa ha sempre non so che d' in- cantesimo, ove la verità della sentenza è si bene ac- coppiata alta forma più ricisa e franca dell' espres- sione- E ci piace da ultimo commemorare come tant'era l'amor suo, e la diligenza che metteva nei suoi lavori, che insin presso al morire scriveva al suo amico padre da Rignano, che ancora con la scarna mano non rifiniva di lavorare sopra i FioreUi per condurli alla final perfezione. Gli amici, che in Napoli il circondavano , adoperavano intanto ogni possibil diligenza di amore a fin di salvare quella 251 cara esistenza; ma tante soUecitudini tornavano vote di effetti; che il di 10 di agosto , ricevuti tutti i conforti della cattolica religione , delia quale era stato sempre tenerissimo, e n'avea zelato con tutto il suo ingegno la gloria ; rammentando affettuosa- mente tutti coloro dai quali sapeva essere amato , ed egli SI amava caldamente; spirò nella tranquillità dei giusti l'anima al suo Dio; assistito in partico- lare dal buon padre Ilario Pacini da Lucca , che gli amorevoli suoi superiori di Toscana gli manda- rono in luogo del suo aniicissinao padre Facondo Giannotti, che aveva già dimandato. E la sua morte sonò funesto annunzio a quanti il conobbero vi- vente, a quanti n'ammirarono l' ingegno , a quanti erano stati sì lieti della sua amicizia, e desideravano sempre la sua conversazione. Possiamo dire che tutta r Italia letteraria ne sentì cordoglio , perdendo sì gentile suo onore: e l'ordine serafico ancora si piange della dipartita di tal suo figliuolo, del quale tanto si gloriava. In piiì luoghi, e massime in Napoli ed in Toscana, solenni esequie fecero manifesto il co- mun duolo, di cui è nobile e desiderato compenso un modesto monumento, che gli si innalzerà su la tomba a richiamo degli amici di lui e de' veri cultori delle lettere amene, che non mancheranno in avvenire di recarsi a visitare ed a pregar pace a quelle ceneri benedette! Carattere speciale dell'ani- mo del Frediani era un'amorevolezza sempre eguale verso di tutti: aggiuntavi quella nobile franchezza , che è segno d' un cuore leale. Onorava massima- mente gli uomini di lettere, o scienziati, co' quali ebbe tenera e costante amicizia; e pregiava la schietta 252 probità ovunque la trovava, anche nei più piccoli e volgari. Co'neinici adoperò sempre generosamente; perchè non erano nemici, tna solo miserabili igno- ranti e dispregiatori stolti di quegli studi che essi non avevano, ed egli professava ed amava a fede. Corona delle sue belle e grandi amicizie letterarie soprammodo reputava, de'viventi il Tommaseo e il Betti , e de' trapassati il Puoti e '1 conte Giovanni Marchetti. Nell'ordin suo erano sua delizia tutti quelli che amavano e coltivavano gli utili studi. 0 anima bella di Francesco Frediani! chi avrebbe mai detto che a me ultimo de'tuoi amici, ma non ultimo al certo degli ammiratori del tuo valore e della tua gloria, sarebbe toccato in sorte di pronun- ciare parole di dolore sul tuo sepolcro? Se non che appena trapassato , per così dire, ti consacrava la mia povera penna quel sì tenero amico che ti fu sempie Antonio Maiia da Rignano, senza dimora incaricandomi di questo pietoso ufficio, che è sì caro al mio cuore, e scioglie verso di te un debito di lutto l'ordine. Siamo tutti addolorati d' averti così presto perduto! Ma ci conforta il pensiero che tu vivi beato spirito in Dio, e vivrai eterno nella storia degli uomini virtuosi su questa terra; e la tua me- moria, così come fu la tua vita, sarà stimolo potente a'iuoi confratelli di continuare l'esempio sì glorio- samente da te rinnovato nel nostro instituto , di acquistarsi merito con opere di verace virtù alla riconoscenza della religione o della civil comunanza. 253 Saggio di alcune rime di Pietro Barignano pesarese. 8°. Pesaro 1857 , tipografia di Annesio Nobili. (Sono pag. 21). Vi isse il Barignano nel secolo XVI, e fu de'più ri- putati poeti di quella magnifica scuola di eleganza e di gentilezza. Sicché l'ebbe caro Leone X, l'Ariosto lo ricordò nel canto XL\'[ del Fusioso, stanza 16, là dove dice: Il mio Valerio è quel, che là s'è messo Fuor de le donne; e forse si consiglia Col Barignan, eli ha seco, come offeso Sempre da lor, non ne sia sempre acceso; e fiorì nell'amicizia del Bembo, del Berni, di Tri- fon Gabriele e di altri chiarissimi. Le sue rime, non mai state raccolte insieme in un volume , trovansi sparse qua e là nelle più celebri scelte di poesie italiane. Sia lode all'egregio sig. Giuliano Vanzolini, che in occasione di nozze ce ne ha dato un bel saggio, volendo anche in ciò, com'è suo uso, ono- i-are la diletta ed . illustre patria. E veramente il Barignano ne fu splendido ornamento: e le sue rime come avidamente si leggevano trecento e più anni fa, COSI anche oggi voglionsi leggere con piacere e ammaestramento dagli studiosi delle poetiche grazie italiane. Perciocché il pesarese nel poetare seguì il senno de'grandi classici, i quali tennero molto alla 254 forma, reputando che nelle arti del bello, le quali per loro primo fine hanno il diletto (come appunto la poesia), cosa principalissima sia la bellezza, che già non è altro che una perfetta forma. Leggasi il seguente sonetto, e veggasi se l'Italia, dopo quelli del Petrarca, ne ha de' più belli, e se giustamente ne disse le lodi grandi il Muratori nella Perfetta poesia. Ove fra bei pensier, forse d'amore. La bella donna mia sola sedea. Un intenso desir tratto m'avea. Pur com'uom ch'arda, e noi dimostri fuore. Io, perchè d'altro non appago il core. Da' suoi begli occhi i miei non rivolgea, E con quella virtù, eh' indi movea, Sentìa me far di me stesso maggiore. Intanto non potendo in me aver loco Gran parte del piacer che al cor mi corse. Accolto in un sospir fuora sen venne. Ed ella al suon, che di me ben s'accoi*se, Gjn vago impallidir d'onesto foco Disse: Teco ardo ! E più non le convenne. Gentilissimo vogliamo dire anche quest'altro, eh 'è il decimo della scelta fattane dal sig. Vanzolini. Caro pensier, lo qual di passo in passo Per obliqui sentier d'alte montagne, Com' altrui piace, l'anima accompagne, Ragionando di me che son già lasso, Tanto eh' assiso sopra questo sasso Con gli occhi sol misuro le campagne. Per veder quanto ciel ne discompagne Da! ben che mal mio grado a dietro lasso; 255 Pon freno agli angosciosi miei sospiri, A le lagrime triste ov' io ritorno Tosto che i lumi del mio sol non miri. 0 mia forte ventura, o crudo giorno, Ed o contrario effetto a' miei desiri , Ben m' allungate il mio dolce soggiorno ! Questo sonetto poi, eh' è il XXIV, ha pure un'im- portanza storica: perciocché fu scritto dal dolente poeta all'amico Gian-Francesco Valerio sull'empietà e barbarie del sacco di Roma avvenuto nel mag- gio del 1527. Valerio mio, quanto voi foste saggio A lasciar la già come patria nostra, li troppo fero esempio ne dimostra Che Roma or pale in sì comune oltraggio; Già Roma, or un deserto aspro e selvaggio Ove solo il furor barbaro giostra ! Ov' è gita, roman, la gloria vostra, Gente superba, e pur con disvantaggio ? Or torni Mario a forbir la vergogna Dal volto vostro, e vendicar quest' onta. Poi che non è di voi uom che si mova. Ma che più Mario o Cesare bisogna ? Basta del mio signor (1) la voglia pronta, Pur ch'altri da l'oprar non lo rimova. (1) Cioè il duca d'Urbino e signore di Pesaro Francesco Ma- ria I della Rovere, generale della lega, a cui in lai occasione an- che monsignor Guidiccioni scriveva: » Viva fiamma di Marie, onor de'tuoi « eh' Urbino un tempo, e più l'Italia ornare, » Mira che giogo vii, che duolo amaro » Preme or l'altrice de'faraosi croi ec 256 INDICE pag. Samsò y Montllor, Lellere sulla febbre gialla, w 3 Cappello, Risposta al Bachelet e al Frussarl in- torno alla loro opera sulla causa della rab- bia ec » 19 Angelini, Della solitudine e del monachismo. » 44 C-alalani, Terapia. Libro secondo. ...» 65 Goi'i, Le valli di Amsanlo descritte da Virgilio.)) 144 S- B., Intorno ad alcune voci che si stimano erronee nella lingua italiana, e tali non sono. Parte seconda » 153 Vei'cellone, DeW indole, dell'età e delV importanza de* Correttorii biblici che sono in tre codici vaticani » 209 Da Civezza, Biografia del padre Francesco Fre- diani w 229 Barignano, Saggio di alcune rime ...» 253 IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius» IMPRIMATUR Fr. Ant. Ligi Archiep. Icori. Vicesgerens Nel giornale si dà il sunlo, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per l'agricoltura, industria ec, come anche i programmi de' con- corsi accademici, r^dovranno similmente esser mandati franchi di posta alla direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. ^a^ GIORNALE DI SCIEnrZE, LETTERE ED 4RTI TOMO^/4^ DELLA NUOVA SERIE ROMA TipograGa delle Belle Arti 1857 Piazza Poli num. 91. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO CXlVilI DELLA NUOVA SEKIE III MAGGIO E GIUGNO 1857 ROMA TIPOGRAFIA. DELLE BELLE ARTI 1857 Elogio del principe D Pietro Odescnlchi, già direllore di questo giornale, scritto da monsig. Stefano Rossi, e recitalo ne' funerali fattigli celebrare dalla pon- tificia accademia di archeologia. G oinpiesi l'anno , accademici illusti'i , che s' aprì una tomba, e vi discese un uomo che per più ti- toli onoravamo: il che n'ha ripieni di grave e sin- cero atfanno. Voi gli decretaste subito solenni fu- nerali , e a me faceste 1' onor singolare di reci- tarvene la laudazione; senonchò la sanità cagione- vole vietommi di secondare il pronto vostro desi- derio, e quest'oggi soltanto m' è dato di compiere l'alta e insieme pietosa incumbenza. Eccoci adunque innanzi ad un tumulo, dentro alla cui mole è figu- rato di giacere 1' esimio nostro già presidente D. Pietro figliuolo di Baldassare principe Odescal- ehi. La cattolica religione si è quella che avviva la nostra pietà, e ne chiama in questo tempio corti- ualo di gramaglie a pregargli requie pace e lumiera nella beata reggia di quel Dio che adoriamo, e che è la speranza de'vivi sì come de' defonti. Noi siam usi a discorrere i sepolcreti ed i mausolei ; noi ci troviamo sovente innanzi alle urne di coloro o che splenderono pel senno antico , o che l'altezza del soglio, o la copia delle dovizie fé' grandi nell' isto- ria del popolo di Quirino ; se non vogliam ire più addietro quando visitiamo le tombe de' proavi dell' Etruria, dell'Umbria e del Lazio primiero. Quai sensi 4 ci si desiano mai alloi-chè colla face in mano rom- piamo le tenebre degli ipogèi, e ci troviamo innanzi al monumento d'un prode figliuolo di Roma che do- mò barbari e spense inimici alla madre , quando guardiamo le ceneri d'un flamine, d'un censore, d' un edile, d'un pretore degno d'essere dall'eloquenza di Tullio chiamato luminare della città , lumen ci- vitutis ? Corto sì voi e s'i io non ne aviemo prova- to piiJ sublimi di quelli che ci scuotono al porre il piede nella latomia degli Scipioni. Ivi capitani egregi, magistrati, sacerdoti, reggitori civili di me- rito schietto, ammirati per l' integrità de' costumi , per lo zelo della giustizia, giudicati sommi e ne' di che vissero, e dopo parecchi secoli. Non pertanto il nostro cuore non s' allarga abbastanza dinanzi a que' sarcofagi: si sente un rispetto per i mani di que'sommi, si sente un amore : ma subentra tosto una tristizia pensando quanto quegli eroi eran de- gni di miglior sorte per la seconda vita. - Che se vogliam pesare i sensi che rampollano nel cuor no- stro allorché ne interviene di visitare altre urne, non già dell'antico valore e dell'antica sapienza, ma de- gli eroi strombazzati per tali dalla filosofia che di- vorziata colla religione si levò a signoreggiare ogni verità e mettere al suo giogo ed al suo vaglio ogni credenza, il successo a me sembra troppo piìi tri- ste ed agghiacciato. So bene che disceso sotto alle vaste fondamenta del tempio troppo famoso in Lu- tezia di santa Genoeffa , trovaimi a riscontro delle due casse ove si chiudono la polvere e l'ossa dei due campioni dell' incredulità, Rousseau e Voltaiie. Tutto è morte in que'due nicchioni, ne' quali l'arche son ri- 5 poste: niuiia rigii, niun emblema, non una sillaba che t' inviti a dir vale o pace, lo mi stava tra una cal- ca fitta di gente, e al motto di colui che n'era duce in quella scura regione, qui è Housseau, qui è Vol- taire, non intesi un accento: tutta la turba passava mutola e severa. E per vero io dissi a me stesso: Qual bene han fatto costoro con quella cima d' in- gegno che ad essi^profuse la provvidenza? Tu,Giovanni Iacopo, col tuo sognato contratto sociale ponesti sossopra il mondo, e fosti la pietra d' inciampo al- l'ordine ed alla pace di tutte le nazioni. Per ciò solo tu porti teco il delitto di aver seminato la sventura nell'universo incivilito, e d'aver insegnata la via all'uomo d' imbrancarsi tra le belve, dando- gli per legge la forza e il mal talento. E tu, Vol- taire, genio tra i geni, di qual bene puoi menar vanto verso il tuo simile ? Tu 1' incenditore con- tinuo alle laidezze, tu l'annientatore della storia, tu non bruciasti un tempio solo come colui da Efeso* ma ti studiasti di mandare in fiamme ogni tempio del Signore: tu lordasti la gloria della piiì brava e - roina della tua patria, tu usasti la lingua mordace per ferire amici e nemici , la usasti sacrilega e col colmo d' infamia verso colui che eziandio come uo- mo fu il primo amico dell'uomo, fu la salute del- l'uomo, ne fu l'onore: insomma fosti il mostro del - l'empietà e della malizia, e non so come la terra regga quell'urna ove sta la tua misera polvere. Eccovi in confuso i sentimenti ond'era commosso il mio spirito: e ratto salii le scale per dar le terga a que' sarcofagi che a mera curiosità avea visita- io. Tant' è: il tumulo di un pagano che in mezzo 6 al velame dell'alio vero avvantaggiò la patria colle virtù e colle rloltrine che seppe migliori , sempre riverenti alla Divinità, sempre vindici della morale, ti lascia intenerito, e sospiri perchè quei mani non possono esser felici: il tumulo d' un cristiano fatto empio e reo ti aspera il sangue, e ti muove lo sde- gno ! - Noi felici che in questa mane abbiamo in- nanzi un tumulo, che se dal lato dell'umanità, del-- l'amicizia, della condizione ci riempie di tristizia, e ne 111 spremere lagrime di dolore, dal lato della sa- pienza, del patrio zelo e della religione ne ricon- forta e ne ra.sserena: il tumulo del vero sapiente , dell'ottimo suddito e cittadino , del magistrato in- tegerrimo, e soprattutto il tumulo del pio ed amo- roso figliuolo della chiesa di Dio vero, santo ed im- mortalo, addiviene uà tesoro di spoglie preziose: la sua vista fuga l'amaritudine, solleva la mente, rin- vigorisce il cuore, e toglie alla morte ogni forma di spettro, ogni ombra di terrore. Da esso si spande la luce del sepolto, accanto ad esso si scalda il cri- stiano per pregar pace e requie al defonto. Cotesti sono i sensi eh' io provo innanzi il tumulo di Pietro Odescalchi: e nell'elogio, ch'io sono per recitarvenc, spero che farete ai medesimi ampia ragione. 1. La vita dell' Odescalchi presenta una messe assai abbondevole di bei titoli e di buone azioni, che si chiederebbero tempo non breve per essere nel giu- sto lor valore esposti e commendati, lo non farò che delibare ed accennare : conciossiachè né vuol di troppo essere prolungato il sacro rito, né stan- cata la vostra sofferenza. Torno adunque senza in- dugio alla mia proposta, che noi siamo innanzi al 7 tumulo d'un vero sn [nenie. Cerio la nostra accsìde- mia dovrà sempre ricordar con piacere d'aver avuto in preside più volle colui che al suo tempo rilusse fra' primi luminari delle belle lettere italianCi D. Pie- tro nasceva nelle caien di febbraio 1789 di D. Baldassare duca di Ceri, di Bracciano e del Sirmiò* uomo valente io lettere , in scienze , in istoria. Il palagio, ove il fanciullo respirò le prime aure , era può dirsi un piccolo ateneo, perchè vi convenivano i primi uomini che nell'uscire del secolo decimot- tavo e nell'entrare del decimonono fiorivano il Ro- ma. Le strane vicende delle Gallie e dell' Italia por- tarono in Firenze, in Venezia, in Vienna, in Un- gheria la famiglia Odescalchi, e Pietro di due lustri trovossi a fianco dì Giambattista Zannoni e di Seba- stiano Ciampi. Rasserenate alquanto le cose in Ita- lia, e venuto il settimo Pio alla sua sedia in Vati- cano, D. Pietro rivide la patria co'genitori, e fu al- lora che seguitò il corso regolare di sua istruzione sotto Vincenzo Saroni ed Andrea Conti, ecclesiastici riputatissimi sì per la pietà, si per il senno e per il sapere. Balzato a Parigi per calcare l'arena dell'ar- mi y riuscigli di torsi ai pericoli di Marte , e di quattro lustri era auditore al consiglio di stato. Anche in mezzo al frastuono e alle delizie di quella città seduttrice, egli non cessava di usare con uo- mini gravi e di scienza, sì come furono il giure- consulto romano Bartolucci e Carlo Denina che reg- gea la biblioteca mazzariniana. Il trovarsi nulladime^ no in una gran città delle Gallie, ove tutti s'accoglie- vano gl'ingegni di quella nazione, e dove s'era fer- mato di seminar per ogni dove la favella franca- 8 sca, il gusto, l'andare di quella letteratura, oltre i costumi e le fogge della vita e dell'abbigliarsi, tras- se anche il giovinetto italiano in cotesti lacci : e quando ebbe a riporre stanza sul Tevere, vi venne tutto assaporato e tenero dello scrivere, dei sali, e dei naodi che avea pregustato alla Senna. Buon per lui che durò pochi anni a battere siffatta via cor- rotta, e fu giorno faustissimo quello in cui gli ven- ne indirizzata quella gemma di Giulio Perticari ! Im- perocché avendo D, Pietro preso con esso lui di- mestichezza, e tolto a leggergli alcuni brani di un suo scritto intitolato V Eremita del Colosseo, Giulio con la franchezza delTamico veramente leale mo- strogliene i difetti e la nullità a modo , che scon- fortandolo al tutto dallo stile e dalle leggerezze della scuola francese, lo piantò sul cammino de' classici italiani. Così l'Odescalchi ebbe sempre a chiamare per maestro il suo dolcissimo Perticari , e salutare Tanno 1818 come l'aurora felice, inculerà rinato alle bellezze dell' Alighieri, del Petrarca , del Boc- caccio, del Compagni, del Cavalca e del Passavanli. AUor si vide quant'egli era pronto ed acuto dell' in- gegno: impei'occhò bastogli poco pili che un anno ad addimesticarsi coU'aurea favella e col sentire su- blime di que'nostri campioni, per forma da divenirne, non che innamorato, ma imitator felicissimo e valente. Laonde volle essere della bella schiera de'fondatori dell'Arcadico, giornale che onora vie più la nostra Roma per essere stato il primo a levar la bandiera di purificare la lingua del bel paese ove il sì suo- na: perchè anche questa gemma della sua corona voleasi rapirgli dallo straniero, o almeno imbastar- 9 (lilla a modo da farci toniai'e noi eslranei ai glo- riosi nostri proavi e maestri. 11. Ecco adunque il nostro principe accolto nel- r insigne sodalizio d' un Luigi Biondi, d'un Bor- ghesi , d' un Tambroni , d' un Amali, d' un Giu- lio Perticar! , d' un Salvatore Betti , nomi tutti preclari che ben meritarono della restaurazione della scuola classica italiana. Ma qui non arreslossi la stima che que' grandi diedero al nostro D. Pie- tro: eglino ne apprezzarono cotanto l'ingegno e l'e- nergia di ben fare, che inflno dal 1819, o sia dal suo nascere, posero 1' Arcadico sotto la direzione di lui: direzione ch'egli sostenne con plauso univer- sale fino alla morte, o sia per lo spazio di 36 anni. E questo a mio avviso non é piccolo argomento di lode alla sua sapienza. Per vero lo spirito di parte invase a' dì nostri per mala ventura il pacifico campo delle lettere e delle scienze, massime delle filoso- fiche, delle politiche, delle economiche. Vedi qual ginepraio è cotesto per chi regga un giornale di positive dottrine! Il condurlo saviamente e inteme- ratamente in mezzo all'accensione di partiti smo- dati , fra un diluvio d' effemeridi che appuntano il nero ed il bianco, tra la manìa di tutto voler rin- novellare, e mettere al fondo l'antico, non fu im- presa da poco. 11 senno dell'Odescalchi fu di dare alla dotta impresa canoni giusti: maggior senno fu di star saldo in adoperarli. Piena fede e schietta riverenza alla cattolica religione: difesa della mo- rale e della giustizia: alleanza colla filosofia che si lega colla rivelazione divina: zelo per le arti belle che non iscadano dall'antico splendore: studio per 10 mantenere la conoscenza delle lingue dotte, e mas- sime della latina, contro cui non iscema ancor la procella per isbandirla da questo cielo sacro ove nacque, e donde imperò e tutt'ora impera al mondo intero: libertà per le contese, ove la fede e la mo- rale si tace: lode al vero merito delle buone ed utili scritture: incoraggiamento a' giovani scevri da baldanza: guerra alla pestilenza del romanticismo; arena aperta alle scienze naturali, alle scoperte fe- lici: in fine eccitamento al giusto, all'opportuno, al verace progresso delle scienze e delle arti. Su co- testi canoni camminò l' Arcadico diretto da Piero Odescalchi con una gravità , moderazione , e co- stanza da farne ammutolire i nemici , da maravi- gliarne tutti, lo dubito se siavi titolo migliore di questo per dire che noi siamo innanzi al tumulo d'un vero sapiente. III. Vi dicea non ha guari che in poco piì» di un anno ei si mise in sangue il sapore del beato trecento, lo vi richiamo per questo all'orazione ac- cademica sulla passione del Redentore eh' ei lesse in Arcadia il venerdì santo del 1820. Anziché un saggio primaticcio di classico stile , la fu riputata un lavoro di penna consumata sui luminari somtni italiani. Più, egli vi spiegò un' arte oratoria , un estro di poesia nobile insieme e vivace , un tatto di commuovere di tale e tanta squisitezza , che il chiarissimo Antonio Cesari cosi gli scrivea di san Carlo a Catinari nel 1822: « Tra le giravolte di Roma, che mi rubano tanto del tempo, cominciai leggere l'orazione di lei sopra la passione di Gesù Cristo , e mi vi parve vedere ingegno acuto con Il vivace fantasia poetica e lumi d' eloquenza che guizzano qui e qua ». E lutti sanno quanto valga un giudizio simigliante di quel rigido censor vei'O- nese dalle nari fine e sagaci ! — Fatevi al trattato eh' egli vergò nel 1823 intorno la Commedia ed il suo uso civile, e che indirizzava al chiarissicno Gio: Giacomo Trivulzio. Ivi non la fa da oratore né da poeta, ma si leva alla sfera degli eccellenti nella filosofia, nella morale, nella politica e nell'istoria: talché io non temo d'asserire, che quella sola scrit- tura basterehhe a rimeritarlo di altissima riputa- zione sia come conoscitore profondo del cuore umano, sia come medico esperto dei vizi degli uo- mini , sia come njaestro egregio ad indirizzar nel bene le genti. Ad ogni passo tu vi rinvieni un eru- dizione pellegrina, una sentenza squisita, un ricordo prezioso, una considerazione assennata: il consiglio sempre giusto , 1' avvertimento sempre opportuno. In somma non che dirlo un trattato sopra la com- media , tu Io riconosci per una dissertazione sulla scienza di stato. E vi richiamo in ispecie al ca- pitolo, ove discorre dei precetti della commedia: ivi é che splende il sottile criterio e la maschia dottrina ond'era fornito a dovizia. Ferveva allor la tenzone nel primo bollore in Italia se la comme- dia dovea durare a modellarsi su' classici, o allar- garsi con licenze di tempo e di luogo. Gitlava D. Pietro in siffatta lizza ogni umano rispetto, ed av- vegnaché ingegni sommi si partissero il campo, alto gridava che badasse Italia a non bere al vaso in- fetto delle teoriche e delle fogge d'Inghilterra e di Germania. « E noi, sclamava, sempre pazzi, dimen- 12 licalo atfuUo ogni onor nazionale cot'riam dietro a simili novità, e subito deliriamo del loro amore Gli adoratori de'nuovi sistemi, perchè difender non possono i loro chiarissimi errori con T aiuto della fìlosotìa, si rivolgono al dispregio, e tacciano villa- namente i greci e i latini di povertà d' ingegno , e accusano la rozzezza del secolo in cui essi vive- vano. Oh i ciechi dell'intelletto, i quali non vedono che i canoni degli antichi sono stati formati sul- Teterna ragion delle cose, la prima base della tìlo- sofia ! » Il trattato dell' Odescalchi sulla commedia è uno de' monumenti che testimonierà ai posteri com'egli accomunava alle lettere il corredo gravis- simo della filosofìa e dell' istoria , due scienze che danno diritto al titolo di vero sapiente- ÌV. E senz' altra inframmessa io passo all' altro suo lavoro immortale, il volgarizzamento della Re- pubblica di Cicerone, In esso io ravviso per due lati il merito singolare del nostro Odescalchi: l'uno è la scelta eh' ei fece di tanto libro per renderlo intelligibile a ciascun italiano: 1' altro è il modo elegante e robusto con che seppe voltare 1' oro di Tullio nell'oro dell' Alighieri e del cantore di Laura. E facendomi dal primo, o sia dalla scelta, asserisco che rOdescalchi mostrò per essa quanto il suo in- telletto sentiva bene della scienza di stato, ovvero di quella filosofìa ch'io reputo la più utile all'uomo, e che versa sul modo più convenevole (conciossia- chè il perfetto non è di questo mondo) di reggere l'umana famiglia in dolce e salda concordia di leggi, d'interessi e di costumi. Ce lo disvela egli mede- simo neir epistola a Teresa Malvezzi del giugno 13 1822: )) Ogni qualvolta mi recava alle mani quei preziosi avanzi de'Iibri della repubblica e a tutt'uomo vi meditava sopra, altrettante me ne andavo quasi rapito in una dolcissima estasi: e quella attenta me- ditazione, che faceva sull'opera delTimmortale ora- tore, mi vinceva tutta l'anima per modo che non mi pareva più d'essere nella mia cameretta, ma sì piuttosto d'essere ritornato a que' tempi veramente romani, e di godermi anch'io in una parte riposta di quel portico ove sedevano que'sommi uomini e fattomi più presso che poteva al letto dell'Affri- cano, mi pareva di far dovizioso tesoro nella mia mente di quegli alti e divini parlari intorno al pub- blico reggimento. « Dond' è manifesto che 1' Ode- scalchi non pose già la mano al libro di Tullio per sola vaghezza di dar un saggio della sua perizia in volgarizzare: sì bene perchè voleva arricchire il suo intelletto e quello degli italiani suoi contemporanei delle teoriche difficilissime sulla forma migliore d'uno stato, che quel fiore di scienza dell' arpinate avea ne' suoi dialoghi maestrevolmente smidollate. Di vero in essi, avvegnaché monchi e frastagliati, tu rinvieni i semi da ingrandir la tua mente, e mas- sime da assettarla per intorno alla politica scienza. E chi lo potea far meglio dell'impareggiabile Marco Tullio, di lui che seppe timoneggiare una Roma ed una repubblica romana a' tempi de' massimi capitani che agognavano alh dittatura: de' geni più torbidi e più intraprendenti che venian fuori colle viste di riforme popolari; de'consoli, de'censori, de' tribuni più astuti e più raggiratori, che pei lor mali finì ogni antica istituzione appuntavano e rimbeccavano ? u Se r Odescalchi giudicò da savio V importanza del libro ciceroniano appena uscì dalle mani del Mai immortale che scoperto 1' avea, vuoisi dire eh' egli era troppo innanzi nelle politiche discipline, e che pigliato subito amore alle idee di Tullio era già laaturo nella sapienza di colui che fé maravigliar la sua età, età de' Pompei, de' Cesari, degli Ortensi, de'Crassi, degli Antoni, dei Catoni, e di mille altri valentissimi. V. Passiamo all' altro titolo di merito che si guadagnò l' Odescalchi nella versione di Cicerone. E qui voglio riferirvi altre parole di Antonio Ce- sari che a' 15 di marzo 1827 così apriva su quella il suo pensiero- « Non prima di ier l'altro mi ar- rivò alle mani il caro e pregiatissimo dono della versione della repubblica ciceroniana, fatta da lei, illustrissimo sig. principe ..... Meco assai mi con- solo di doverle dire che assaissimo m' è piaciuta per la nitidezza proprietà e candore della lingua; il che credo essere il pregio principalissimo d' una versione. Ma in ciò non era a dubitar certamente dell' ingegno di lei , né altro faceano aspettare i suoi studi e r amore caldissimo delle lettere. Mi permetta adunque che seco io mi congratuli quanto posso Questo mio piacere di leggere la sua versione mi fu anche conosciuto dal conversare che fo ora continuo con Cicerone, voltando nella nostra lingua le sue lettere per la edizione che ne fa lo Stella in Milano. » E chi vorrà aggiunger sillaba quando lodò un Cesari per sitfatta maniera ? S'io vi dica che l' Odescalchi ne fu levalo a cielo dai giornali più reputati in Italia ; che si fecero del 15 suo volgarizzamento parecchie edizioni; che ne piov- vero a lui medesimo le i-allegranze per centinaia d'epistole di letterati nostrali e stranieri, dirò sem- pre tneno di quello che vale il giudizio dell' autor delle grazie. D. Pietro provò eziandio con quel la- voro quanto era padrone della lingua materna dal Lazio- « Se pur t'avvedrai, dicea nel proemio, ch'io me ne sia talvolta dipartirò alcun poco, sappi che ho ciò fallo per solo motivo di render men male nel nostro volgare la grand'eloquenza ciceroniana.» In mia fé che il voltare Marco Tullio si stimò per i savi impresa ognor malagevole ; e piova ne sia che ancor desideriamo i suoi lihri filosofici, e so- prattutto le sue orazioni, nella bella e forte lingua degli eloquentissimi italiani che furono Dino Com- pagni , il Cavalca , il Passavanti, e, parcamente usato , il Boccaccio. Or la versione della repub- blica fu accolta come quella che solletica il palato del leggitore a modo, che quando la toglie tra mano discorre di faccia in faccia con piacere sì grande da pressoché dubitare alla fine se vada più a grado assaporarla nel dignitoso e sommo originale , ov- vero nel classico e gagliardo italiano onde seppe rivestirla ir nostro D. Pietro. In somma egli è riu- scito a nasconderei egregiamente sotto il velo di Tullio , sicché non è già desso che favella , ma sembra lo stesso Tullio aver articolato in vol- gare que' dialoghi impareggiabili. Se questo gli dia il diritto di splendeie fra' letterati di primo grido, Io giudichi qualunque pose la mano profonda alle due favelle, e vide quanto studio si vuole e quanta niente iterchò il maestoso ed il bello dell'una non 16 iscada col troppo leggiadro e troppo dolce dell'al- tra. L' Odescalchi ben vide , che non era quella impresa da braccio leggiero , e fu si modesto che protestò d'aver camminato in quella vìa sotto due duci il Biondi ed il Betti. Questo tratto di virtù fa crescere per due cotanti la sua riputazione di vero sapiente. VI. Più m'avanzo negli argomenti della sapienza deirOdescalchi, e più se ne presentano alla mia penna da essere commendati. Avrei dal suo discorso in- torno la version dell'Iliade del card. Lorenzo Litta a mostrarvi con qual profondo sapere egli ragio- nava di quel gigantesco poema. Dall'elogio di Vin- cenzo Monti potrei chiarirvi come vedea sottile e giusto nella quistione della favella d'Italia. Egli è ivi che tocca da maestro la grave contesa del bandire la mitologia : ivi egli ragiona del bisogno stretto che ha il letterato di ben filosofare, affinchè non avvenga di alzare il volo a poche spanne nel- l'aria e di cader subito infranto e perduto. L'elo- gio del Cesari contiene un trattato sul buono seri' vere vagliato con la critica più sagace. Il ragiona- mento sulle dotte femmine italiane è un emporio di piacevole erudizione- Nelle Iodi del card. Placido Zurla troverai un monumento d'un altro ramo del suo sapere, la geografia. L' Odescalchi non era già un semplice retore di elegante dicitura: non era un tessitor di periodi misurati a fatica di schiena: molto meno egli era di que' paladini che cingono la giornèa per armeggiare nelle effemeridi, acconci solo a mordere o a saettare. Esso era il letterato di senno, era l'oratore, era il filosofo , era lo sto- 17 rico pei' eccellenza: imperocché si vede chiaio dalle sue scrittui'e, che quando toglieva a discutere d'una materia, ei n'era il padrone per ogni verso, e non difettava giammai di sterilità e di magrezza. Im- pertanto credo di chiamarlo a buon diritto vero sapiente: massimo perchè non seguitò la schiera di que' tanti che non conobbero che un tema, cioè U far servire le lettere al guasto de'cuori della gio- ventù, all' aizzarla contro l'ordine delle leggi e dei troni, al menare bugiardo e inutil rombo di libertà e di umanità. D. Pietro dedicò i propri sudori al- l'incremento della virtiì e del verace onore italiano, che vuol esser riposto nell'unità della religione santa degli avi, ch'è il migliore legame d'una nazione, nei professare una morale schietta e incorrotta, nel con- servare un senno aggiustato, e massime quella glo- ria di cui il nostro bel paese vantò e vanta sem- pre il primato. Voi m'intendete, che alludo alla gloria delle arti nobili e belle. L'Odescalchi ne la- nciò su tal punto un documento sì luminoso di sua sapienza, eh' io vò darvene un cenno affinchè sia suggello alla prima parte del suo funebre elogio. VII. È desso r orazione letta all' insigne acca- e*" tutti i secoli, possedendo noi mercè delle necropoli dell' Etruria e dell' Umbria le tracce stupende di 19 esse tuli anche di là da' tempi ove comincia a parlarci la storia. E poiché non gli era ignoto come nel nostro secolo s' era tentato d'oscurare la fama de'sommi pontéfici sovrani di Roma , e di tutti i personaggi di chièsa, al punto di travisare i bene- ficii innumerevoli procacciati da secoli alle arti, con quella lealtà e candidezza d'animo che s'avéa, «: per ogni dove, egli esclamò in Campidoglio , per ogni dove ci si paiono alla vista le splendide memorie che gl'incliti principi della chiesa ci hanno lasciate dell'onore in cui ebbero sempre le arti; per ogni dove onoreremo i nomi illustri de'Farnesi, de'Riari, de' Sàlviati, de' Gastaldi, de'Rusticucci, de'Ludovisi, de'Borghesi, con quelli gloriosissimi de' Sisti , de' Giuli, de' Leoni, de'Paóli, dejjli Alessandri, de'Cle- menti e de'Pii. » Nalladimeno l'ultimo brano della grande orazione capitolina del nostro D. Pietro si è quello ove troverai la cima del senno suo. Ivi egli muove con tutto lo sforzo dell'eloquenza e della ragione a richiamare la gioventù italiana sul sen- tiero del vero bello e sul gusto squisito che ne ti-amandarono i capi maestri dell'arti. Batteva egli il principio che i seguaci di Fidia e di Prassitele , i figliuoli di Zeusi, di Parrasio e d'Apelle, rappre- sentassero soltanto obielli degni^ e destramenle imi^ tuli dalla bella natura. Ai primi predicava: » Tene- tevi lontani da ogni concetto o ignobile o strano, da certi manierati contorcimenti , da certe fredde leziosità, e fate che oe'vostri marmi si paia un'ani- ma schietta, bella, italiana; fate che nelle membra corra la vita, non odiosamente convulsa e furente, irta dignitosamente naturale ed umana, w Ai dipin- 20 tori parlava anche più forte , porcile a que' giorni andava a molti la manìa de'colori sfacciati, de'bian- chi e neri gettati senz'armonia; si levavano a cielo le miserie e le arroganze romantiche , si cercava la lode per ritrarre i velluti, i ciondoli, le frange; e Irascuravasi la scienza del nudo, non che le fi- nezze del disegnare e del colorire, in che veramente consiste il magistero liberale dell'arte. L' Odescal- chi ch'avea indole sì mite, sensi ognor pacifici e moderati , non è a credere quanto ratteniprossi e quasi s' accese a nobil ira in quell' orazione del Campidoglio: tanto egli rinvigoriva i polsi in un ar- gomento che altamente toccava le corde del suo intelletto e le fibi-e del suo cuore. Che se taluno volesse appoì'gli che in quel magistrale lavoro sì tacque sopra le teoriche dell'argomento religioso, e fu sol pago d'inculcare l'esatto disegno, l'arte del chiaroscuro, del i-ilievo , del lumeggiare, del pia- neggiare, del tondeggiare, della prospettiva , e si- mili altre cose materiali dell'arte, rispondo che D. Pietro scrivea quell'orazione a' dì che la pittura in Italia correva i pericoli d'annebbiarsi e d'imbarba- rirsi per cotesti lati, e non erano ancor discesi nel* l'arena i Rio, i Montalemberti, i Rhumor e gli Au- din per le nuove contese intorno alle scuole ita- liane, e per le discipline dell'arte sacra o cristiana che si vori'ebbe esclusivamente coltivare e sosten- tare. Oltre che è a dirsi come 1' Odescalchi in pre- dicando che i dipintori mirasser sempre fìsso a que' geni divini di Raffaello, di Leonardo, di Cor- reggio, di Michelangelo e degli altri principi della tavolozza, insegnava in sostanza anche il metafisico 21 ed il morale dell'arte: conciossiachè qUe' valenff trattarono egregiamente sì il profano e sì il reli- ffioso: anzi ra^siunsero nel sacro a preferenza del profano il vero bello ed il sublime propriamente detto dell' arte. La chiusa dell' orazione capitolina varrà meglio di ogni altro fatto a giustificare il nostro principe. «Giovani valorosi, egli sclamava , non vi basti d'essere artefici ..... V entri bene ad- dentro nella monte il nobil proposto che tutti do- vete avere, d'esser maestri d'una filosofia non fal- lace, non oziosa, ma santa , ma operosa: d' essere i censori de' costumi , i premiatori della virtù , i dispensatori della fama: d' esercitare un magistrato liberissimo che la potenza de' grandi e l'incostanza del popolo non paventi, d Parole solennissime da rimeritare chi le scrisse non del titolo di sapiente, ma di padre di sapienza. — E non potea 1' Ode- scalchi non essere dal mondo incivilito riconosciuto per tale se le accademie più celebri lo vollero ras- segnato nelle lor tavole, come la reale delle scienze di Torino, la storica di Washington, la regia degli antiquari di Copenaghen, l'archeologica ili Anversa, quelle delle belle arti d'Atene e di Firenze; senza poi dirvi delle letterarie che lo ricolmarono di di- plomi — In cima delle quali onoranze io porrò le tre presidenze ch'egli sostenne in questa nostra Roma, del collegio filologico dell' università, del- l' accademia de' Lincei, e in ultimo di questa no- stra di archeologia; presidenze che parlano più«che cento elogi, conciossiachè si tratta di collegi pioni del fiore delle lettere e del lume della vera sa- pienza. 22 Vili. L'ordina tracciato all' elogio di D. Pietro mi chiama ad annoverarvi i suoi meriti come cit- tadino, che zelò grandemente il ben della patria, e fu specchio di fedeltà a'romani pontefici suoi legit- timi sovrani. Anche da questo lato il campo è va- sto di molto, e mi sarà giuoco forza accennare an- ziché descrivere e chiosale. D. Pietro fu quel patri- zio che insino dall' adolescenza entrò nella palestra della cosa pubblica, come quegli eh' aveva a schifo di poltrir nell' ignavia, o di menar la vita tra gli armeggiari e i passatempi de'braechi e de' corsieri. Esordiva in Parigi all'età di vent'anni come auditore del consiglio di stato; e venuto in Roma adempiva l'uffieio medesimo al fianco del prefetto Tournon , uomo di vasta mente e di provvida energia. Tor- nati di lì a poco i domini! della chiesa nelle sante chiavi, il settimo Pio lo nominava deputato della commissione degli spedali , e speciale amministra- tore di quello di s. Gallicano. Egli entrò in cotesto carico addì 28 aprile 1817, e ne' sei anni che lo resse addivenne proprio l'anima del pio stabilimen- to. Imperocché sebben questo fosse ben lunge dal suo palazzo, era egli diligentissimo a comparirvi ogni dì in ore differenti: sicché quegli infermi schi- filtosi ed infelici s'avevano un'assistenza migliore , e la ragioneria dell'opera camminava più vantaggio- samente. E se nel 1819 egli ebbe non senza suo malgrado a trarre a Vienna per più mesi in com- pafnia del fratello Carlo, che portò il berretto car- dinalizÌQ all'arciduca Rodolfo arcivescovo di Olmutz, non ne incolse per ciò danno al suo nosocomio : imperocché il soggiorno in quella capitale tornogli 23 acconcio a visitare isliliiti, collegi, ospizi, sale di la- vorio, oHicine, prigioni e reclusoii d'ogni maniera: il che a lui, che già ben conoscea gli stabilimenti pa- rigini, fornì dovizia di novelle cognizioni e di uti- lissime pratiche. Laonde reduce del Danubio il no- sto deputato raddoppiò di cure per migliorare il sua s. Gallicano: e tolse dapprima a restaurare l' intero edifìcio, che da molti anni non l'avea tocco né cuc- chiaiata né calce: aperse ventilatori nel basso delle pareti delle infermerie per purificar l'aere ammorbai ta dagli egrotanti , e finalmente costrusse di pianta il teatro anatomico aperto nel 1821: cui se tu ag- giunga l'impresa della nuova spezieria che nel 1823 lasciò pressoché terminata, avrai titoli sì luminosi del patrio suo zelo in opera di pubblica misericor- dia da dovernelo sommamente celebrare. IX. Asceso alla sedia di Pielro il duodecimo Leone, monarca di raro senno e giudice sottile d«lla virtù de'suoi sudditi, pose l'Odescalchi tra* membri della cassa di ammortizzazione: ma per aver di lui pili diretto ed utile servigio, fondato il carcere cel- lulare in via GiuiHa adatto a' giovanetti discoli e percossi èì condanna, affidoUo per ogni ragione aJla di lui autorità e diligenza. Trattavasi di contentare un papa acutissimo di mente e forte di volontà, e che riuscisse a bene una sua novella intrapresa. Il nostro principe vi pose dentro tutto lo studio, e per prima cosa compose il regolamento che diovea per ogni verso disciplinare la vita quotidiana di quegli sventati. Piacque al pontefice, che pure volle farvi di pugno alquante giunte, e comandò che l'istitu- to, immantinente cominciasse sua vita. Certo il retto 24 mufare J'an islilulo dipende al lutto dalle regole a cui esso è vincolato. D- Pietio avea riconosciuto per fondamento della miglioiia d'un giovinetto , I» i-eligione: e però stabilì che oltre le diurne preghie- re del mattino e della sera e Y ascoltazion quoti- diana della s. messa, avessero di frequente a sentir la piedicaiione evangelica e delle catechistiche con- ferenze, non che accostarsi più che era possibile ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia. Inoltre stabilì l'obbligo per tutti di vacare ogni dì al la- voro del filare la lana in mezzo a perfetto silenzio entro una sala comuncj spaziosa e ventilata : e se i pigri o di mal talento scontavano con varie pene la loro cattivezza, i docili ed i solerti sapeano di trarre un lucro de'loro sudori : conciossiachè parte sei trovavano all'uscita del recinto, parte era loro di- stribuito in premi nel corso ddl' anno, e i diligen- t issimi ne gustavano pure alcun poco immediata- mente. \\ chiuso delle celle ripnravali noli' ore det riposò' d^' pericoli gravi di scandali e dì vizi. L'Ode- scalchi pose tanto amore a quella famiglia di ino- neiii e di riottosi, che vi traeva due volte al giorno e vi si trattewea per lo meno lo spazio di ore due ascollando chiunque lo dimandava : ed è in cotesti conlìdenziali abboccamenti che coglieva il destro o di pacificarli comparenti, o di tastar loro con garbo le piaghe n>orali onde si volea guarirli. Ove è da stupire che que' giovani paitivauo sempre di via Giulia irmamorati del principe, e ne voleano a lui meglio che ad un padre: e dal 1828 al 1856 spes- so gli avvenne la consolazione di vedei^ene taluni rinsaviti per forma che abbracciarono vita di spiri- 25 luale pfiifezione, olire a mollissimi che addivennero laboriosi artigiani ed onesti padri di famiglia. I quat- tro pontefici, sotto cui egli resse quel reclusorio, non ebbero che a lodarsi del suo zelo, come il lodarono tutta Roma e quanti Io visitavano degli statisti e degli stranieri: e sia fra tutte onorandissima la testimo- nianza che gli rese 1' illustre Tommaso Towell Bu- xton nel rapporto ch'ei fece nel 19 gennaio 1840 al cardinale Antonio Tosti sulle prigioni e bagni di Roma e di Civitavecchia. « Questa casa, così V oculato e freddo britanno, istituita da Leone XII, è per verità nei principi! su cui è fondata, e in molti I-apporti un' eccellente casa di correzione: ma il suo gran difetto è d'essere troppo piccola e non pro- porzionata alla popolazione di una città vasta sì co- me è Roma. » L' avvertito e solo difetto della pic- ciolezza è un elogio singolarissimo dell' opera di D. Pietro: elogio di tanto più prezioso, quanto che uscì dalla bocca di un uomo de'claustri penali pe- ritissimo, e figlio di una nazione che dopo lo sci- sma fatale osteggiò sempre qualunque istituto della città santa: elogio finalmente che rileva assaissimo il commendato , perchè 1' opera di lui fu al tutto generosa, magnanima, e per 28 anni costantemente pietosa. X. Gregorio XVI, quando nel 1831 coli' editto de' 5 luglio allargò a'suoi popoli le libertà muni- cipali , die subito all' Odescalchi una gran testi- monianza di stima, allogandolo fra i quatuorviri che il consiglio formavano del preside della eomarca di Roma. Fu però maggiore quella di crearlo nel 1833 commissario del governo presso la banca ro- 26 mana» istituita nel tesoriera to di monsìg. Iacopo Bri- gnole, che poi fu piissimo cardinale, rapito ahi trop- po presto al bene della s- sede ed all'amore di que- sta città ! L'ufficio affidato al nostro D. Pietro era di vegliare e di guarentire la buona riuscita di quella istituzione nata fatta per innalzare il commercio in- terno dello stato, aiutare l'agricoltura e l' industria, e campare i volenterosi trafficanti dalle fauci in- gorde o dagli artigli degli usurieri. Appena 1' im- presa ebbe cominciamento , le sorse contro una tempesta delle più formidabili: ma fu buon per I). Pietro, che così ebbe l'agio di mostrare un corag- gio civile ed una scienza di pubblico economista che pochi gli avrebbono sapulo. Dovette egli pren- dere del campo con quel Maurizio Rubichon che a- veva architettata la banca medesima, e che vendu- tala ad una società anonima, la volea rovesciare per mercanteggiarvi in appresso nuovi lucri e nuove regalie. L' impresa di misurarsi con la penna di colui non era lieve, perchè audace, raggiratore, in- gegnoso e pieno di sali, allegalor di fatti non sem-- pre agevoli a chiarirsi, e nelle discipline politiche ed economiche di alto grido. L' Odescalchi, anziché paventarne, raddoppiò di studio e di coraggio. Egli divulgò colle stampe nel 1835 tale una risposta alle dicerie del Rubichon, che non credo n' abbia ver- gato giammai una più vigorosa. Essa ha un pre- gio istorico, economico, politico, e da profondo ra- gioniere. L'autor vi dichiara che da più d'un anno egli si era dedicato ai volumi de'più assennati eco- nomisti: perchè se il pontefice gli aveva commes- so una grave incutnbenza, non voleva il rimorso di 27 noli averla studiala e ponderata in tulle le sue di- scipline. Por la qual cosa questa scrittura di D. Pie- tm non è già una pallida lettera contesta di conve- nevoli e saporita di classiche eleganze. Sempre det- tata da letterato valente, esce fuor dell' usata cor- tesia, perchè vi vedete l'uomo che sente la ferita del- l'onor del governo e suo vilipeso, vi sentite l'uomo fiero della sua onestà, fidente èì ciò che v'annunzia e vi disviluppa, sicuro delle sue armi, e che lungi dall' impallidire dinanzi a un ciurmadore, gli si av- venta sopra e lo batte e lo punge e lo rompe da ogni lato, e gli fa ben alzar la visiera, perchè ciascuno lo veda pien di vergogna e di slealtà. VI vorrebbe spesso un esempio di romper così la lan- cia a certi sfrontati oltramontani che calunniano noi del bel paese come ignavi sempre e tardi nelle cose di pubblica utilità. Arrogo che il merito del- l' Odescalchi crebbe in questo di pregio , che di- fendendo la banca, difese con pari ardore il suo con- siglio e i suoi reggitori colti alle spalle con l'arme delle menzogne e delle calunnie dal Rubichon: nella qual cosa io veggo tale una nobiltà di mente e grandezza di cuore nell' Odescalchi da magnificarlo per la sua lettera il campione dell'onoratezza, il pro- pugnatore della giustizia , e sempre quel modella di patrizio e di cittadino zelante e dabbene , che ogni paese ed ogni nazione deve augurarsi di generare sovente pel decoro e per la prosperità universale. XI. L' anno 1837 registra due cariche affidale al nostro defonto, ove splendette assaissimo la pa- tria carità ond'egli ardevi^. L' una fu di presidente delia commissione sanitaria per gli israeliti allo 28 scoppio (Iella colerica pestilenzia: l'altra di vice-pre- sidente della commissione de' pubblici lavori. Tutti sanno come la parte della sponda tiberina, ove al- berga l'ebraica gente, s'avvalla a modo da essere del continuo un ristagno di acque e di sozzure; e quanto anguste siano le case per contenervela. Il morbo d'Asia infieriva appunto nella sozzura e nel ranno di fiati : e però pensate s' era cosa di poco momento lo sciegliere persona che volesse farla da modera- tore supremo in quel terribile evento ad un popolo sudicio, superstizioso, e testereccio. L'Odescalchi vi condiscese: e armatosi di petto di ferro, entrò in tutte le abitazioni, dove ordinò canali nuovi, dove li fece ripulire: qui te scialbare, qua selciare: i cor- tili tutti mondi: gli smaltitoi moltiplicati e liberi : divise lo famiglie che stavano ammonticchiate, oc- cupate le stanze vote, e popolate di quelli che non avean letto: stabilite farmacie, destinati medici, ap- provvigionali magazzini di lenzuola, di coperle,di sac- coni, di materassi. Il principe non indielieggiava » niuu inceppamento , facendosi forte dflla pubblica incolumità. Le quali beneficenze erano tutte esaltale e benedette, e più esaltata quella sua carità che pone- va a rischio la sua vita stessa: perchè eziaiiflìo nei giorni, che menò il e olerà strage più forte, egli non rallentò le sue visite al clauslro , e colla sua pre- senza dava animo ai deputati , teneva in energia t fisici, incoraggiava gli assistenti , rassicurava tutti. Chi potrà dar la giusta misuranza d' una virtù sì eroica ? Don Pietro era generoso della sua vita pei* gente a lui ignota, che professava una religione tutta opposta alla sua, ch'era la più schifosa della 29 città ! Non vi volea per tanta virtù che un citta- dino acceso di carità cristianissima, d'un cuore c- gregio, d'una divozione al sovrano illimitata, d'un amor di patria inesauribile. XIJ. La vice-presidenza de' pubblici lavori fu un altro ufficio ove brillò il suo zelo del comun be- ne. Egli si vide attorniato da una turba di cittadini che pieni d'ogni magagna volean sussidi e ricalci- travano al lavoro- L' Odescalchi quanto era tenero per sentire pietà del misero e fargli limosina, al- trettanto disdegnava il tapino arrogante che la e- sige poltrendo ne' vizi. Distese pertanto un regola- mento pieno di senno, con cui metteva ad utile pub- blico le braccia di coloro che dal pubblico venia- no sostentati. Ragguardevoli imprese egli aiutò per siffatta guisa, di cui Roma gode al presente: e basta nominarvi il grande edificio presso Ripetta, il rista- bilimento della via suburbana che mena al monte Mario, la livellazione della piazza al Laterano; e la mutazione d'aspetto che s'ebbero per lui tanti ster- rati informissimi entro il pomerio urbano , ridotti dove a praterie, dove a luoghi alberati per merig- giarvi, dove ad aree buone per case o per fondachi o per granai. Fu desso che secondò la costruzione di picciole case popolane da vendersi per lotteria , e così col reviviscente capitale fabbricarne altre, ot- tenendo due benefizi, cioè l'apprestamento di allog- gi ai disagiati, e la continuazione del lavoro alle molte arti che per far sorgere una casa abbisogna- no. Ma egli è ad una parte onorevolissima di voi , preclari colleghi, eh' io deggio far richiamo se vo- glio illustrare il lagrimato nostro presidente per i 30 lavori ch'ei diresse delia iierieficenza. Una commis- sione tolta dal vostro seno era quella che determi- nava l'escavazioni piiì utili all'archeologica scienza: spettava a D. Pietro far eseguire i vostri savi pro- getti. Per ciò se vostro era il merito delle buone sceìte, era merito di lui il sollecitarne, il rincal" zarne , lo studiarne il diligente compimento; e soprattutto il procurare che i monumenti veilis- sero discoperti col minor danno possibile ; nulht si furasse, nulla si trafugasse. Laonde vuol essere rammentato lo sgombro del gigantesco monu- mento di Porta Maggiore , per cui trionfa Ilbe-' ra quella Claudia magnificenza, e ricomparve in luce il sepolcro di Hurisace. Dovremo del pari alzar la voce di riconoscenza airOdescalchi ogni volta che por- remo il piede nelle terme di Tito e in quelle di Traiano, ove per le pale della beneficenza ci è dato di gustare la maestà di quelle spettacolose arcua- eioni e la leggiadria di q«è' dipinti ond' è contesa a Raffaello 1' invenzione de' suoi fregi nelle logge vaticane. I sensi medesimi proveremo in calcare le terme di Caracalla : imperocché ivi usava spesso D. Pietro ad incoraggiare e spronare i lavo- ratori affinchè traessero con garbo e maniera i co- lossali musaici che ora decorano 1' aule del sistino palazzo al Laterano. Ma mi vorriano non elio più ore, pili giornate, ad annoverarvi i monumenti per cui egli adoperò le sue cure : il perchè la presi- denza ch'ei sostenne del nostro sodalizio, se gli si attagliava a buon diritto per la dottrina, e per la nobiltà de'modi con cui sapeva all'uopo compierne con dignità le incumbenze, anche troppo bene gli conve- 31 niva per aver dato il braccio a tanti ristauri , alla conservazione di preziosi avanzi , alia rettificazione di contese topografiche e monumentali, onde 1' ar- cheologia colse vantaggi non lievi. E se v' aggiugni ch'egli resse per dieci anni quelle turbe di scava- tori con rara prudenza, e con amorevolezza insie- me e fermezza da esserne idoleggiato, e nel tempo stesso temuto, vi sarà chiaro come il suo nome va nmeritato del titolo di provvido e di sapiente: con- ciossiachè in quell' ufficio malagevole di presiedere ai pubblici lavori di beneficenza ei colse la palma di promotore sia del bene scientifico ed antiquario, sia del bene civile e della carità verso l'ordine più bi- sognevole, qual' è quello de'padri di famiglia popo- lani, non pii!i freschi degli anni, né gagliardi per vi- gorìa, ■'• •>>'•'' XIII. Il tempo stringe, e tViO'Iti fasti della sua virtìJ civile io avrei a narrarvi quando sostenne la presidenza dei rioni Trevi e Pigna. L'Odescal- c.hi trovossi su quello scanno curule in tempi dif- ficilissimi, allorché i pensieri, i divisamenti, le isti- tuzioni, i principii più retti e più santi erano por- tati al massimo delirio di momentanee venture, e tutti imperavano e minacciavano, e niuno obbediva. Il pontefice Pio lo elesse anche a vice-presidente dell'alto consiglio. L' Odescalchi navigò sempre leal- mente e da suddito onorato in quella civile bufera, al punto di non lasciarsi mai toccare , come dis^ egregiamente il Betti, a nessuna delle sozzure dei tempi. Ma un candelabro era riserbato alla sua virtù civile per i'splendervi massimamente. L' eser- cito francese senz' essere maculato di strage , di 32 rovine e di saccheggio, entrò vittorioso nelle m(U':\ «terne il 2 luglio 1849. Roma era ancor tramor- tita: Roma fumava ancora dell' ira repubblicana: i ribelli correvano ancor le sue vie ed immolavano più d'uno alla vendetta. In quelle primordio di pace era un vero periglio mostrare buon viso all' oste liberatrice: maggior periglio assumere alcuna redine in riverenza delle sante chiavi. Pietro Odescalchi non indietreggiò a tali cimenti. Porse la mano al generalissimo Oudinot, e pel ben della patria, e per la devozione al papa suo legittimo sovrano, accettò di presiedere il romano municipio. Degne dell'oro son le parole eh' ei fé sentire dal Campidoglio a dì 15 luglio. « Noi abbiamo creduto anteporre Tin- » terésse urgente della cosa pubblica ad ogni per- » sonale riguardo. Ma per raggi ugnerò in sì dif- ») ficili circostanze lo scopo de' nostsi desiderii fa » d' uopo il concorso operoso di tutti i buoni. Il » ristabilimento dell'ordine e dell' autorità tempo- » rale del sommo pontefice negli stati romani ha » vivamente commosso tutto il mondo cattolico. » Roma non può non essere indifferente ad un av- » veniinento, al quale è chiamata dai sentimenti di )) gratitudine e di religione e dalla rimembranza fu- » nesta di quel passato che non può riandarsi senza » dolore ». II nostro Odescalchi portò venti mesi quel grave fardello. Urgeva il bisogno d'approvvi- gionare l'esercito, albergarlo e fornirlo d'ogni mas- sevizia: urgeva di dare un assetto agli ospedali de'feriti e de'febbricitanti: liberare i palagi e i mo- nasteri da tanti che vi aveano assaporato le teoriche del comunismo: urgeva d'aprire le vie ch'erano ìm- 33 pnlizzate, di sgombrale le poile ch'erano di grosso legname imberteseate. Il presidente vegliò a tutto, a tutto provvide: la sola briga degli alloggi mili- tari avrebbe spaventato un Salomone: egli era, è vero, assistito da ottimi colleghi, ma è il senno di chi regge che fa ben camminar la bisogna: egli sapeva spirare ai soci quella oculatezza e quella prudenza che si volea in tanta malagevolezza di circostanze, lo vi rinvio al rapporto che sul ter- minare della commissione egli divulgò perle stampe. Quello è il suo panegirico imparziale e schietto , perchè i fatti vi son registrali e non commentati. In somma, Roma sua patria, Pio IX suo sovrano, e la nazion francese si lodarono altamente di sua presidenza : e la stella d' ufficiale della le- gion d'onore gli brillò sul petto, non come ciondolo comperato colle brighe o colle menzogne, ma come guiderdone dovuto alla sua onoratezza , e a quella virtù di pubblico magistrato che in lui fu sempre grande, sempre pura , esìmia sempre. Virtù a cui pose il suggello movendo per ben due volle alla reina del Sebeto, prima per accompagnare le chiavi della città santa apostolica e riporle libere nelle mani del suo clementissimo sovrano ; poscia per reiterare innanzi a lui le calde preghiere che pre- sto tornasse a beare di sua presenza i sudditi suoi in Vaticano. Colesti sono i cittadini che meritano daddovero una riga d'oro nel libro della patria. Pio iX, appena s'assise sul trono riconquistato , diede al nostro D. Pietro uno scanno tra' suoi consiglieri oi'dinari di stato , ed associandolo per tal guisa ai primi luminari di giurisprudenza testimoniò al co- spetto del mondo che Io riputava e lo premiava GAT. CXLVIII. 3 34 sì come il patfizio ed il cittadino clie zelò mai sempre il ben della patria , e fu Imne di fedeltà alla monarchia fra tutte la più legittima, quella dei supremi gerarchi della chiesa. XIV. È ormai tempo che la mia orazione ri- torni colà ov'io le diedi cominciamenlo. Vi dicea che il tumulo del pio ed amoroso figliuolo della vera chiesa toglie alla morte ogni ombra di ter- rore, e spira a chi lo accosta i voti consolatori di requie e di pace. Mi tocca dunque pailaivi per ultimo di sua pietà religiosa e di sua fede. Non degenere dagli illustri suoi avi, od in ispeeie da quel- r Innocenzo XI di cui è venerabile la memoria per l'angelica vita , serbava intemerati i senti- menti religiosi che col latte gli spirò la piissima sua genitrice e V ottimo padre suo D. Baldassare. Anche la Provvidenza l'avea dotato di quell'indole mite e soave che è si conforme all' evangelio ; e l'esempio finalmeuite del germano D. Carlo, cui fu legato tutta la vita della più amorevole dimesti- chezza, non potea che for rampollare in lui sem- pre viva la pietà e la fede. Difatti lanciato al quarto lustro nella babelica Lutezia , non cessò giammai quegli atti religiosi , cui era usato dalla infan- zia: e se per le veglie della corte o de' grandi tor- nava lardi alcuna fiata al suo ostello , non fuvvi caso che si coricasse senz' aver recitate le sue non brevi pieghiere, a modo che ne spazientava il vec- chio famiglio. S'è conservato un diario, cui egli intitolò Giornale di Sofrosina, vergato di sua mano, ove D. Pietro durante la sua dimora in Parigi regi- strava ogni sera checche gli era intervenuto. Non 35 si può I K così avvenne: perchè tornato in patria, eziandio fra mille cure di pubbliche incumbenze e scientifiche e lettera- rie non trascurò un nonnulla quelle praticha divote onde alimentava con buon grado il suo spi- rito. \ regolamenti degli istituti ch'egli reggea song e saranno perpetui testimoni di quanto egli valu- tava e promovea il culto ed il timore di Dio. Tq- slimonio della sua fede è 1' elogio del P. Antonio Cesari, seminato delle più sante massime che mi egregio fedele può nutricare, Altro testimonio è il suo trattato della commedia, ove vuole che il tea- tro addivenga una volta la palestra delle virtù. Togliete in mano l'elogio del card. Placido Zurla» e vi udrete D. Pietro difensore caldissimo del mo- nachismo. Ma non preterite il ragionamento sull^ donne illustri. Chi credereste eh' egli mettesse Ì8 cima della piramide delle muliebri eccellenze ? Una verginella d'oscuri parenti che vestì l' umìl saio di penitenza; quella Caterina da Siena, che fu l'ese'll- pio singolarissimo di tutte le virtù religiose e cj^ vili, e a cui Roma dovrebbe per ogni foro, per ogni museo, levare statue e dedicar lapidi di rico- noscenza. Ma stupirete assai maggiormente se io vi richiami alla storia della sua esimia pietà nelU vita domestica. Menata nel 1838 in moglie Caro- lina Folo romana , ci si rimase per 18 anni con- 36 giunto per forma all'amore di lei e de'tìgliuoli che dalle pi'ime nozze col conte Melchior Della Poita essa gli avea recati , che si potè risguardare sì come il modello degli egregi consorti, I suoi occhi sempre lieti e sereni, la sua lingua in tuono sem- pre dolce e soave , benigno e pieghevole sempre della volontà: eziandio co' donzelli egli era longa- nime sempre e indulgente. In somma ei legossi i cuori di tutta la famiglia. E come ciò non essere, se non si potea nascondere la sua virtù e la sua vita tutta propria d'un angelo, anziché d' un laico vivente in mezzo agli agi e alle onoranze del se- colo ? Chi ebbe la ventura di vivere con esso gli ultimi diciotto anni della vita ci testimonia, che all'ora quinta d'ogni mattino senza fallo d'un mi- nuto ei balzava di letto per incominciar la pre- ghiera , e tra questa e il meditare su taluni libri prolungava anche le tre e quattr' ore il suo asce- tico esercizio. Ascoltava ogni dì due messe almeno, e l'avresti riputato una statua orante, tanto egli si fissava immobile in Dio in queir ora dell' augusto sacrificio. Tre volte alla settimana beavasi dell'eu- caristia, e più se alcuna solennità ricadeva in quel turno- Dove gli avvenisse di perdere un parente od un amico , ne pigliava V appunto per suffragarne l'anima sia colla comunione sia colle indulgenze che gli poteva lucrare. Quest' uomo raro infermò r 11 aprile 1856 di febbre acuta. Due peritissimi dell' arte medica posero ogni studio a tornarlo in salute. Tutto fu vano. Egli conobbe per tempo la sua dipartita vicina , e subito s' impose il sacri- 37 fjcio d' un assoluto silenzio co' suoi più cari per meglio concentrarsi in Dio. Quando entrò nella sua stanza in sacramento il Signore del cielo e della terra fé di tutto per togliersi di capo la berretta ond' era coperto. Non è a dirsi con quale serenità ricevette il pane degli angeli, e come ne restò più alleggiato. Chiaro dell'intelletto e tranquillo del cuore, rispose a tutte le preci che accompagnano l'estre- ma unzione. Scoccavano le 10 pomeridiane del 15 aprile, e D. Pietro, che non potea per la lena af- fannata ed affievolita profferir più parola, mostrava dalle mosse degli occhi di comprendere ad una ad una le orazioni che in sullo stremo del morire gli recitava il sacerdote ad alta voce. Ai 20 minuti dopo le dieci ei s'addormentò nel sonno de' giusti. La sua famiglia s'immergeva nel più tristo dolore e lo sfogava nella lapida affettuosa con cui chiuse in SS. Apostoli il suo sepolcro. La nostra accade- mia velavasi del luttuoso manto , e gli decretava questo funere solenne, come un dì 1' antica Roma agli uomini di grande valore i funeri censorii cele- brava. Ma il dolore ed il lutto debbono cedere alla memoria delle virtù del nostro defonto. Pietro Odescalchi fu sapiente, ma non della sapienza del- l'orgoglio e della vanità: egli fu splendor delle let- tore, ma non delle lettere che solleticano le cupi- digie e corrompono la morale; egli fu 1' amico, il figliuolo sviscerato, il benefattore della sua patria, il suddito leale de' suoi sovrani, ma non già 1' a- mico di quella fra le congiure di sangue , né il suddito del solo tempo felice: egli fu la creatura 38 che sentì al vivo i benefìcii del suo ciealore, che gli serbò fede ilbbata e amore costante, ohe fu d«lhi chiesa figliuolo schietto ed integro. Come non do- vrà Iddio affrettargli il guiderdone de' giusti ! Si è questo che noi addimandiamo al padre delle mise- l'icoi-die, gridando pace, lequie, e lumiera eternale all'anima benedetta del nostro lagrimato pi-esidentc Pietro Odescalchi, 39 Delie scullure del commendalore Pietro Tenerani. ì^ono molti stranieri che, giunti in questa bella e sventurata Italia, dando quasi uno sdegnoso sovra- sguardo alle maraviglie e alle opere maestre eh© racchiudono in gran copia le nostre città, si fanno a lacerare e contaminare miseramente i parti de- gl'ingegni più eletti, sbalestrando sentenze e giudizi, che non di rado raccolgono dalle bocche d' igno- ranti e prezzolati guidatori; merce che spacciata poi di lù da'monti, si veste di arguti e artificiati con- celti. E così non pochi britanni, francesi e tedeschi violando le eterne ragioni del bello, singolarissimo privilegio delle nostre contrade, si sbrigano di man- dare a scuola noi italiani, che fummo sempre mae- stri di color che sanno. A riparo di tanta ingiuria non pochi entrarono in lizza ; di che V oltracotanza degli Aristarchi fu menomala, e le opere dei nostri sommi vendicate risero e sfolgoreggiarono dì nuova luce. Ma perchè ci dorrem noi degli emuli forestieri, se coloro che hanno sortito la culla in queste contrade, e in esse bevono quelle aure che lesero quasi divini i padri nostri, di cittadini e difensori si fanno strani e ne- mici, non ad altro volgendo l'animo che a scalzare le fondamenta delle arti italiane? Questi pensieri volgeva io nelT animo leggendo un'articolo dello Spettatore dei 26 di ottobre 1856, che si stampa in Firenze, ove pare che l'autore entri 40 q;uusi in simile giuoco, facendo gran denata e se- condando le solite metamorfosi degli oltramontani. Kcco le sue paiole: (V Coirispandenza letteraria (dallo Stalo Romano). V Molte sono le opere di scultura di che si « sono arricchite le chiese di Roma da sette anni K in qua. Lo scultore che più ne ha fatte è Tene- (( rani. Di lui ho veduto il mausoleo della contessa « Lanle nella chiesa della Minerva e quello di « Gregorio XVI in san Pietro Valicano. Nello studio « del Ten«rani si vedono le statue di Pio Vili e « del conte Rossi, destinate alle rispettive sepolture tt di quegli illustri personaggi. II conte Rossi è ve- ci stilo alla moderna , come il Balbo scolpito dal e, se non quando si di- videa- La seconda difìlcoltà ne viene fatta da tutti i topografi di Roma. 11 Grutero, Inscripl. AnliqU' tom. 2. pag. MLXXXI inscripl. 1, dà una lapide- - Romae inventa 1554 tabella marmorea in monte Mali in vinea D. Vincenti Macarani - ove trattasi di una donazione fatta. PR . KAL . AVO . IMPP . DD . NN. GALLO . AVG.ll . ET . VOLVSIANO . AVG . COSS . ISDEM.COSS.Cosi designa il sito del sepolcro » MO- sic NVMENTVM . QVOT . EST . VIA . TRIVMPALE sic — INTER . MILIARIVM . SECVNDVM . ET TERTIVM — EVNTIBVS . AB . FRBE . PARTE LAEVA . IN . CLIVO — CINNAE . ET . EST IN . AGRO . AVRELI . PRIMIANI — FIGTORIS PONTIFICVM . C . C . V . V .ET - APPELLA-TVR TERENTIANORVM . IVXTA . MONVMENTVM CLAVDl. QVONDAM . PROCVLl . ET .SI . QVI ALI . ATFINE-S . SVNT . ECC. Questo brano, che il Nardini mal copiò dal Gnjtero, ha resa univer- sale la credenza: 1. Che monte Mario fosse il Clivo di Cinna: 2. Che la strada di monte Mario fosse la via triurnphalis: 3. Che perciò non potea essere la Cassia. 1. Che monte Mario fosse C/mfs Cmnae lo trag- gono dalla riferita iscrizione, e dal fatto narrato da Plutarco in Mario, che Cinna occupò il Gianicolo prima di entrare in Roma., 75 2. Che la strada di monte Mario sia la trionfale lo deducono, oltre dalla detta lapide, anche dal passo di s. Girolamo lib. De viris illiistribuSy ove dice, che s. Pietro fu sepolto in Vaticano iuxla viam irìum- phalem: e da Anastasio bibliotecario che nel fine della vita di s. Pietro scrive: « Hic martyrio cum Paulo coronatur post passionem Domini annis 38 , qui sepultus est via Anrelia in tempio Apollinis iu- xta locum ubi crucifixus est, iuxta palatium Nero- nianum in Vaticano, iiixla terrilovium trhimphale in calendas iulias w. Rispondo al 1 col distinguere tra salita di monte Mario, e monte Mario. La prima ritengo che sia CH- vus Cinnae, non il secondo ch'è propriamente mons Marii. In fatti dove fu trovata la tabella marmorea ? Dice Nibby all'art. Vie delV analisi topografica, che fu scavata nella salita che a monte Mario conduce dalla porta Angelica , sito della vigna Maccarani. Inoltre come potea mai chiamarsi Cliviis M. monte più alto di Roma e che s'alza, secondo i calcoli de- gli astronomi Conti e Ricchebach, nel ripiano di villa Mellini a piedi 408 e 4 pollici sul livello dtìi mare ? Clivus è meno di Collis, come sa ogni lati- nista. La ragione perchè il volgo chiama Clivus Cin- nae uno de'piccoli colli o lacinie sotto il vertice del monte si è già accennata , cioè perchè prima del sanguinoso ingresso di Mario a Roma, questi unì le sue truppe con quelle di Cinna, e presa Ostia venne- ro ad accamparsi sul Gianicolo. La denominazione di Clivus Cinnae prova che questi pose il quartiere 7fi più presso Rornn, mentre 1' altra di monte Mario dimostra che Mario custodiva la cima. La causa perchè si conserva tale circostanza sto- rica nella bocca del popolo consiste nel tragico fatto che nel monte avvenne. II senato vi spedi amba- sciatori a Cinna ed a Mario affinchè entrassero pure in città, ma perdonassero a' cittadini fautori di Silla^ Assiso Cinna come consolo sulla sedia curule ri- spose loro con grande umanità- A lato della sedia Mario arcigno e taciturno ai legati nulla rispose , nella mente rivolgendo le innumerevoli stragi in cui lavò il suo ostracismo. E qui io noto come i barbari cronisti del me- dio evo storpiassero, secondo il solito, il nome del monte in mons Maliy e mons Gaudii. Non voglio ne- gare che possa essere stato un errore de'copisti fa- cili a vergare mons Mali invece di mons Mari: ma è da riflettere non esser probabile che da mons Maliy e viemeno da mmis Gaudii, ne sia provenuto monte Mario, .non essendovi affinità tra le lettere l ed ì\ specialmente nel forte dialetto romanesco. La pri- ma si elide facilmente o si scambia in »j, la seconda rimane sempre stridente. Al secondo rispondo transigendo coli' opinione , che la via triumphalis , o triumpalis, sia quella di monte Mario, benché non si conosca l'origine di tal nome. Al 3 nego la conseguenza. Di sopra abbiamo provato che la strada di monte Mario è Yunica media tra VAurelia e la Flaminia r che vada ad imboccare nella Cassia non contrastata. La necessaria conseguenza escludeiebbe da per se ogni 77 altro nome di via : quindi si potrebbe rispondere che la via triumphalis fosse un' altra strada vi- cina alla Cassia , di cui non si conosce la dire- zione dopo il punto della vigna Macarani. Non- dimeno avendo trovata fra le lapidi tiburtine una a C. Popillo CVRATORF . VIAE . AVRELIAE — VETERIS . ET . NOVAE . CORNELIAE . ET TRIVMPHALIS; il veder, dico, numerata la trionfale fra le vie Aurelie e Cornelia può indurre a crederla una delle grandi, anzi identica colla Cassia, alla quale serviva d'aggiunto. La causa onde la Cassia assunse il nome di trionfale può ricavarsi dalla così detta porla trionfale situata presso al mausoleo di Augu- sto sul Campo Marzio, fuor della quale fu trasportato il corpo di questo imperatore prima dell'apoteosi, come narra chiaramente Svetonio in Ottavio. E sic- come la via di monte Mario provenia dal Campo Marzio, perciò s' incontrava ad uscire dalla porta suddetta, la quale davale il suo nome fra il popolo, come oggidì pure volgamente chiamiamo quasi tutte le vie principali fuor di Roma col nome delle porte, da cui sboccano, onde diciamo via di porta del po' polo, via di porta angelica ec. ec. (22) Vedi al tom. V degli alti dell' accademia romana di archeologia la dissertazione del cav. Coppi. 78 CAPITOLO II. 1. Possono i pittori in un paesello alle porte quasi di Roma trovare i loro prediletti punti di vista nel caseggiato e porlonaccio delTIsola, ne'ca- denti bastioni e feritoie del castello- L'erudito poi si rammenta che Famiano Nardini trasse argotnento della vÌ€rnanza di Veii dalla iscrizione seguente che lesse nella chiesuola di s. Lucia: V I C T 0 R I A E A VG VST S A C R V M RESTITVTAE POST ANTI QVISSIMAM VETVSTA TE M 0 R D 0 V E I E N T I V M DEDICATA III N 0 N I A N. AEMILIANO lì ET AQVILINO COS P. SERGIO MAXIMO M. LOLLIO SABINIANO II. V IR. QQ C V R A AG E i\ T E VEIENTIO lANVARIO LIR. ARK. Nella chiesa parrocchiale intitolata alla Madonna e a s. Pancrazio osservai un aftVosco rappresentante l'incoronazione della Vergine , ed una lapide a L. MVNATIO FELICI — PATRI. 79 La prima cosa, alla quale mi determinai pria di uscir dall' Isola, fu di provvedermi di una guida: nel che ebbi fortuna, avendo trovato un giovanotto allegro ed intelligente. 2. Sceso pertanto alla iWb/a, volger la vidi dal- l'acque scaricate da un cuniculo sotterraneo- Supe- riormente si giunse al ponte deWIsola, in cui sotto cupa balza apresi la veduta del fosso che prima s'allarga in lago, indi si getta due volte da un di- rupo color di ferro bruciato. Seguitando all' est per la larga via traversai il ponte di Formello, Alza questo l'unica sua arcata laterizia su due piedritti di pietre squadrate. Là viene a cadere il rivo , e parte si scarica nel traforo tendente alla Mola. 3. Traviando a d. oltre il ponte si entra nella collina, che per la fecondità de' sepolcri scavati nel 1838 1839 1840 1841 1843 suole appellarsi Ne- cropoli. Siccome di essi la maggior parte fu inter- rata, perciò senza rimandare il lettore alle descri- zioni datene dal Biondi, Campanari, Nibby e Ca- nina vogliamo qui avvertirlo, che erano di due spe- cie. I primi consistevano in celle quadrangolari con loculi ai lati, e somigliantissimi ai Colombari dei romani; i secondi si rinvennero celati entro la te- nace materia di questi colli , ed alle celle davano accesso scalette incavate nel masso: ma per tema di violazione ripiene di terra , e da grossa pietra custodite allo sbocco; anzi di alcuni non trovandosi l'accesso, si ritenne che appena formati fossero co- j)erti, essendo così rimasti quasi incontrastabili mo- numenti de' trionfi della morte in lontani secoli , 80 come se questa vi avesse pigiata sopra col suo stinco la terra. 4. Canina, nel suo Veiiy dando ragguaglio del risultato degli scavi di più di mille sepolcri qui fru- gati sotto la sua direzione , alla par- III cap. VI dimostra tre generi di oggetti singolari che vi si trovarono. 1. Alla tav. 34 offre il genere piìi par- ticolare de' veienti, perchè raramente si trovò negli altri sepolcri etruschi, consistente in vasi di bella veriiice nera, sottile, e di mirabile artifizio. Altri hanno geni alati , o fasciature semplici, o animali con due soli colori distinti, ovvero baccelli, ornati di rilievo ed effigie di animali incisi solo a con- torno. 2. Nella tav. 35 dà i vasi di grandissime dimensioni, ove dipinti sono con colori a corpo geni aligeri ed animali. 3. Nelle tav. 36 e 37 mostra l'ultimo genere di vasi, ma rarissimi fra le tombe veienti, dipinti con vernice fina- 5. Ma ciò che la maggior parte de' viaggiatori a qui venire incita si è la celebre tomba etrusca , la quale ì contadini chiamano dalla Porta di ferro., tomba scoperta dal eh. marchese Pietro Campana nel 1843. Quest' illustre archeologo ha reso con tale scoperta il suo nome di fama universale, es- sendo stile di qualunque dotto straniero , che vi- siti Roma , di visitare anco il sepolcro Campana. Pria di descriverlo abbiam noi voluto attingere dalla bocca dello stesso scopritore la spiegazione degli oggetti, che in quello furono trovati: spiega- zione che sol degnamente può vergare lo scrittore delle Opere in plastica- 81 6. Maestoso è l'accesso consistente in una rupe superiormente infoscata dagli elei e scabra nella superficie. Ai lati dell' arco d' ingresso su basi di pietra due leoni posavano a collo teso in atto di ruggire come se tentassero incutere spavento ai profani. Questo medesimo prospetto solletica la cu- riosità senza però intimorirci, troppo lungi essendo il nostro secolo dal superstizioso terrore che ag- ghiacciava gli antichi alla vista di una tomba. E qui ci ricorre in mente la sentenza di Servio al lib. XI v. 854 dell'Eneide, ove nota che « i no- bili o sotto gli alti monti o nelli stessi monti si seppellivano». Entriamo adunque a visitare gli avanzi di que' nobili ospiti. L' interna parete della porta compongono massi irregolari della maniera detta ciclopea- Dopo un vestibolo s'apre la prima cella. Cade l'occhio su due feretri, che dai lati sostengono due scheletri. Esaminiamo quello a destra. Il tempo gli rose e distrusse ogni vestimento , solo seguita a coprirgli '1 teschio un elmo di bronzo, il quale essendosi rinvenuto traforato da un colpo di lancia porge la notizia che da prode mori chi animavano la salma. Un candelabro rischiarava le sembianze del guerriero. Data un' occhiata a cinque o sei vasi fittili posati sul suolo , si visita 1' altro scheletro che nulla offre di singolare. La parete della cella è tutta dipinta con colori che diremmo di ghiri- bizzo, e posti a caso, se il dubbio non si avesse che gli etruschi nascondessero nel loro modo di dipingere una specie di geroglifici non trasmessi a noi dall' età. Le figure rappresentano undici mo- stri , de' quali quattro si avvicinano alla specie ca- G.A.T.CXLVIH. 6 82 vallina, cinque a quella de' oani, uno ad un cavallo alato e colla testa umana, uno alla sciininia: quat- tro figure d'uomini, di cui due conducono un ca- vallo , e due altri sono montati sulle groppe- La seconda ed ultima cella contiene diversi vasi e tazze, le quali circondano tre sarcofaghi , da cui scappa fuori un erme per ciascuno. Una specie di bracere sfa nel mozzo della camera: sei stelle or- nano il fondo della parete, f^o stile delle pitture rozzo , evidentemente puro etrusco, prova ch'è im sepolcro di veienti morti prima che Furio Camillo cingesse d'assedio la cillà. Non può essere posteriore a quell'epoca, perchè presa Vtii finì come vedremo di popolarla il popolo etrusco, avverandosi il detto di Floro ti rapii funditiis deleiiqne veienles » , e di- venne un semplice presidio di romani- Deve infine essere anteriore a Camillo, anzi all'assedio decen- nale, perchè in quell'assedio non poteano gli arti- sti veienti scavare e dipingere il sepolcro, essendo circondata la patria , specialmente nel blocco del dittatore, d'ogni intorno dalle legioni. Quanti sono i monumenti che seco portano o conservan 1' im- pronta incontrastabile d' un' età sì remota ? ■7.- La lista di tanti sepolcri avria potuto in- durre nell'animo del più semplice antiquario la cer- tezza della vicinanza d'insigne città. E siccome le antiche città erano tutte in siti scabrosi, e difficili a prendersi , perciò è tattica di chi gira in cerea di esse, osservare i tagli e le forme delle rupi. E ben queste erte cadono a piombo dalla banda ove noi siamo e dall'opposta, cavando nell' imo il letto al fiume Formella, che mormora e stre()ita mezzo coperto dalla sovrastante scena boschereccia. 83 8. Corcando un sito comodo a valicarlo, mi ha portato la guida uu poco indietro verso nord al Ponte Sodo. Così appellasi una lingua di scoglio , che nell'unire la contrada Merluzza ai campi di là dal fiume, si è lasciata di sotto forare a guisa di cuniculo. Bello è a vedere come il fiume entro a quel traforo vada ad infrangere gli spumosi cristalli; pittoresco 1' ondeggiare degli arbusti che fascian l'arcata naturale del ponte. 9. Sull'altra riva, in vece d' inoltrarci per la folta macchia degli slerponi, abbiamo girato intorno intorno ai seni dell'area, che il contadino mi qua- lificò dicendo « Ecco il silo delV aulica cillà. » È da osservarsi come il perimetro della cinta urbana corrisponda a circa sette miglia, ossia quasi a ses- santa stadii: perimetro, che secondo Tucidide Lib. II cap. 13 e '1 suo scoliaste, avea Atene (1), perime- tro determinato dalla rupe tanto emèrgente e ta- gliata, che non avria prestato accesso alcuno , se a bella posta gii abitanti non ve ne avessero pra- ticati otto riconoscibili tuttora , ed ai quali met- leano altrettante vie- Due fiumi , un de' quali or chiamasi Formello, e l'altro Fosso, cui verso l' Isola s' unisce il rigagnolo del Pino, il nome assume di Fosso de'due fossi, lo circondano interamente, cioè nelle tre parti nord-est , sud , ed ovest allo sco- perto; alla punta poi nord-ovest il canale sotter- raneo di Formello; tutti i quali fossi vanno ad in- fluire in un solo alveo sotto il lato sud-est pren- dendo più a basso la denominazione di Valca. Per traj)assarli fu necessaria 1' erezione di molti ponti. E in fatti al lato orientale, non lungi dalle ruine 84. di sontuosi bagni, all'ombra di forte vegetazione, le reliquie di un ponte massiccio a pietre squadrate, e una pila di altro ponte verso settentrione mi vennero additate. Ma più sorprendente si è '1 ve- dere come non fu creduta bastante alla difesa la corona di acque e dirupi. Si creò a ridosso dello scoglio una cinta di maraglioni chiamati comu- nemente air etrusca , ossia di massi quadrati più lunghi che larghi, messi Tun sull'altro in guisa che incominciando dal suolo al primo ordine comba- ciassero nella maggior lunghezza con quelli del se- condo stesi nella minor larghezza , e così in se- guito alternativamente disposti. 10. Accertata l'esistenza di un oppido su questa cima per le tracce delle munizioni tuttora esistenti, dovea nascere in chiunque la curiosità d' indagare come si chiamasse. Considerata la distanza dalla capitale (2), la forma e larghezza della rupe (3) e la riferita iscrizione della chiesa di s. Lucia per una gara municipale negavasi a torto la forza degli argomenti di Famiano Nardini (4) che qui ponea Veti. Gli scavi apertivi dalla famiglia Giorgi dal 1812 al 1817, e proseguiti dalla regina vedova di Sardegna Maria Cristina di Borbone nel 1843, ne hanno messa nella più chiara luce l'ubicazione colla scoperta di alcune lapidi, che daremo in nota. 85 NOTE DEL CAPITOLO II. (1) Meursio, De ambltu et magnitudine Athena- l'um lib. 1. e. 1. (2) Nella tavola peutìngeriana è la distanza di Veli da Ronna di 12 miglia. PÓNTE MILVM IH AD SEXTUM VEIOS VI. Presentemente è distante circa undici miglia per la Cassia, alle quali aggiunta l'una e mezzo della porta antica si avranno 12 m. e |. (3) Kinoct àéf vipYfAcv Y.7.Ì nspj/SjSflo-yo^, p&yt^og eìiov(7x hcou A5v3u«£. Dionis. lib. II. e. 54. (4) L'antico Veio, discorso investigativo del sito di quella città — Roma, per Vitale Mascardi 1647. 86 CAPITOLO IH. È certo adunque che qui le mura e torri di una metropoli dell' Etruria sfidavan V inimico : i templi, i fon, i palazzi eran carichi delle ricchezze provenienti dal mare, che per tale scopo s'intitolò tirreno. 1. Ma quale fu del nome di Veii l'origine ? In- certo, a meno che non si volesse deduì're dal plau- stro, 0 vettura, che secondo Paolo compendiatore di Pesto: Veia apud osco& (alcuni codici hanno meglio tuscos) dicebalur plauslrum, mule veiarii sii- piles in plaustro, et vectura velatura. Tal congettura acquista maggior fondamento dai fatti storici, che i veienli erano eccellenti artefici di cocchi, e bravi cocchieri' Racconta Plutarco in Publicola e. 13, che Tarquinio Superbo avendo ordinato ad alcuni ar- tefici volenti un cocchio di terra cotta per imporlo sul tempio di Giove Capitolino, allorché fu messo nella fornace in modo maraviglioso s' ingrandì. E, come Festo in Piatumena porta narra, un auriga da Veii, ove stava gareggiando nella corsa de'cocchiy fu dall' indomila foga de' corsieri rapito fino alia porta Ratumena di Roma. 2. Alla poca certezza di etimologia succede la nessuna precision di origine- E vero che Varrone De ling. kit. lib. Ve. 30 nomina un « Thebri vicino regulo veientum: e Servio scrive in Virg. Ae- neid. lib. Vili V. 285: Quidam etiam dicunl Sa- lios a Morrio rege veientanornm institutos, ut Alesus Nepluni filius eorum Carmine laudoretur, qui euisdem 87 regis familiae anelar ullimns fidi: ed al Lucosqne Capenos , Aeneid. Uh. VII v. 697 nota: Hoc dicit Calo veìenles condidisse auxilio regis Properlii qui eos Capeìiam ciim adolevissent miserai. Ma sif- fatti nomi di re veienti nuUa pongono in essere riguardo all'orìgine, ma solo provano una specie di governo monai'chico vigente in Veli prima della re- cezione de' salii in Roma. Non si può in fine aw- mettere la codarda opinione , che fondasse la città un re di nome Veiente; le parole di Flavio ripor- tate da Festo ìib. XVII in Redhoslire sono molto oscure (1), né dicono, che Veiens fosse re de' ve- ienti, nò che fabbricasse Veii. 3. La prima volta, che nomina i veienti l'isto- ria romana si riferisce al regno di Romolo, quando cioè Pioma appena nata già cominciava a mostrarsi vaga d'ingrandire i suoi limiti avendo rotta guerra a Fidene. I veienti per difendere i fidenati loro consanguinei a masse invasero l'agro romano, e carichi di preda se ne tornarono- Romolo passò il Tevere, e sconfìttili li costrinse a chieder pace colla multa de' Sette Pagi e colla promessa di astenersi dalle saline alla foce del Tevere- E a togliere il sospetto di rinnovar la guerra, volle 50 ostaggi, i quali però restituì senza il consiglio del popolo , che se ne sdegnò. Scrisse le condizioni della pace in una colonna. Rilasciò i prigionieri, de' quali alla maggior parte, che volea rimanere in Roma, donò la cittadinanza, e distribuì campagne al di qua del Tevere (2). 4. Circa settant' anni dopo gli stessi fidenati li trassero a combattere contro Tulio Olstilio, e poi 88 contro Anco Marzio; ma siiperolli il primo sotto Fidene: V altro presso 1' Allia, indi prese loro la selva Mesia, che pubblicò ad uso delle navi ; così fino al mare protrasse il dominio (3). 5. Le guerre di Tarquinio Prisco contro i sa- bini resero quel re principe delle città di Etruria, lasciandole però vivere colle solite proprie leggi, e senza imporvi presidii e tasse- Ci viene da Dioni- sio lib. Ili e. 61 palesato , che i tirreni in rico- noscimento dell'alto dominio gli portarono in dono le insegne , colle quali ornar solevano i loro re, cioè aurea corona , trono eburneo , scettro avente sulla cima 1' aquila, tunica purpurea distinta d'oro, e manto di porpora variato, vesti che indossavano i re di Lidia e Persia , fuorché non erano di forma quadrata come quelle, ma semicircolari. Ci dà pure la circostanza essere state dodici le città di Etru- ria (una delle quali era certamente Veii) che usa- vano assegnare al proprio re un littore con fascio di verghe e scure; perciò a Tarquinio fu concesso di farsi accompagnare da dodici littori aventi cia- scuno una scure ed un fascio di verghe- 6. Si lasciarono gli etruschi andare a rivestire Tarquinio dell'universale dominio, perchè era di pa- tria tirreno (3); ma dopo la morte di lui riconoscer non vollero il successore Servio Tullio; questi però coU'armi riuscì a tenersi quel diritto; vedendo anzi un pò ristretto il territorio di Roma, tolse un'altra particola al veiente , dove installò la nuova tribù rustica Veientina. 7. Tutti cotesti ritagli doveano rendere fra le due città vicine perpetuo il rancore e la guerra: rifles- 89 sione (li cui noi nati nelle città e paeselli d' Ita- lia, ove regna tuttora lo spirito del municipalismo, conosciamo la forza. Ecco pertanto cercare i ve- ienti ogni minima occasione di rifarsi: e questa si presentò alla cacciala di Tarquinio Superbo. Non era l'occasione onorevole, poiché qual onore vi po- lca essere in difendere un tiranno ? Nondimeno fu presa a volo , e benché si facessero battere alla descritta giornata della selva Arsia, si consolarono di aver ucciso Bruto. Diretti poi da Larle Porsena ve di Chiusi avrebbero preso Roma, e riconquistale le terre avite, se 1' ardimento di Orazio non avesse salvata la patria , e l' attentato di Muzio Scevola persuaso al re esser meglio lasciar le cose come slavano (5). 8. Nel 271 i veienti accesero una nuova guerra facendo delle scorrerie fino alle porte di Roma. Spurio Furio e Cesene Fabio li rispinsero. Indi un esercito condussero i consoli Caio Manlio e Marco Fabio ad alloggiar su due colli poco lungi da Veii. Un fulmine colpì la tenda di Manlio, rovesciò i lari, gli uccise alcuni servi e 'I più bel cavallo di bat- taglia, gli arse e macchiò l'armatura. Che cosa indica, dimandò il console agli auguri , questo prodigio ? Si dice che gli rispondessero , essere segno della morte del condottiero, e della presa del campo. A scansare le conseguenze di tal vaticinio il supersti- zioso abbandonò *1 campo , e si ridusse in quello di Fabio colle sue truppe. Cli etruschi frattanto occupavano il castro di Manlio, e qual punto di ap- poggio se ne servirono ad assalire il vicino castro di Fabio. 90 9. Finsero i consoli a bella posta di aver ti- more di battaglia, affinchè, come avvenne, gli etru- sci insultassat'O ai romani , e questi frementi giu- rassero per Giove , Gradivo Marte e gli altri irati dei di non tornare se non vincitori. Dopo ciò die- dero poco prima del mezzo giorno il segnale del- l'attacco. Riuscì uno de'piìi sanguinosi, e della mag- gior gloria per ambedue gli eserciti. Appena get- tali i pili, si venne alle spade. Fra i primi era di spettacolo e d' esempio la gente Fabia. Fabio, tre anni avanti console, lanciatosi fra i nemici si senti trafiggere da un ferro, se lo estras3e dal petto, e spirò. Retrocedeva una parte de' romani, se il con- sole M. Fabio, saltato presso il cadavere dell'estinto e imbracciala la targa, non avesse gridato: « Ciò giu- raste, 0 soldati, di tornare fuggendo al campo? così pili temete i vilissimi nemici, che Giove e Marte, pei quali giuraste ? Ma io che non ho giurato: o tor- nerò vincitore, o qui vicino a te, o Q. Fabio, com- battendo cadi'ò ». Allora C Fabio dell'anno antece- dente console: « Con queste parole, o fratello, credi tu ottenere che pugnino? Gli dei, pei quali giura- rono, lo impetreranno. E noi come nobili, e com'è degno del Fabio nome, piuttosto combattendo che arringando accendiamo gli animi de' soldati- » Così i due Fabii strette l'aste s'avventarono ai veienti, e tutta dietro si trassero V ala sinistra. Nella de- stra frattanto era stato ferito e creduto ucciso il console C. Manlio, che per evitare la fuga de' suoi dovette loro mostrarsi , dopoché i veienti entrati nell'accampamento lo predavano. Manlio, vedutili in- tenti al saccheggio, occupò tutte le porte, ma con 91 infiiiisto consiglio : poiché quelli messi in mezzo, nella piiì cruda disperazione, assalirono il console che si distinguea nella potnpa delle armi, e lo ro- vesciarono morto da cavallo. Venne in mente ai legati il più felice espediente. Sottrassero il corpo del console, ed aprirono una porta agi' inimici , i quali vi shoccarono in fretta. Ma quando si crede- vano al sicuro fuori della rinchiusa porta, furono schiacciati dal corno destro che sulT annottare da quel Iato ritornava vincitore. M. Fahio ricusò il trionfo, posto in vece dell' alloro il cipresso sulle tomhe del collega e del fratello. 10. Nell'anno vegnente 277 i! console Tito Vir- ginio Tricosto, assedialo sopra un colle dai veienti, si trovò ridotto a mal partito, onde chiamò in soc- corso V altro console Cesone Fabio , cui riuscì di rompere ed inseguire i veienti fin sotto le mura iimiiiiimmiiiu iiiimiiumpo^TiFiiimiiimuiiiiii ti . claV DIO D R V S I . f. UUlllUUiionTlF M.k\lllllUlllllll iiiiiiiiYS cimimiiiimmiiiiiiiiiii (16) miiiiiiiiiuiiimmoimiiiiiiiiiiiiii umiiiimuiiPKO V ECTOiiiiiiiiui iiiimnmmiXìiTom^oiiimiun uimiimimicxESkìiEuiiumiiiu miiiiiimi . mEMvmiiiiuimm iiiiiiìiiiu?,Emoumiuiiiimiiiiiii mmiimiim . y^beiiiiuuuiiiii ROMA (17) L'abbiamo da(a al principio del cap. II. (18) C N . C A E S I O ATH IC TO ALLECTO . JNTER . C . VIR OMNIBVS . HONOBIBVS EXORNATO EX . AERE . C 0>N LATO QVAM . MVNICIPES . OMNIS 0 BD 0 . eI . CON TVL IT IN . ORCHESTRA . LVDIS QVOS . FECERVNT P. MEMMIVS . APVLVS P. ET C. POPPAEVS . PRISCVS . H . VIR 107 DEDICATA K A L ENDl S APRI L ES- MAXIMO ET GLABRIONE CoS GLO . PORTESI 0 FELICI ET NEMONIO SERVANO mi VIRIS VE lENTI VM (19) FL . VALERIO CONSTANTIO NO BILISSIMO . C A E SARI NOSTRO ORDO . CIVITATIS VEIENTANO R V M POSVIT (20) ROMA AD PONTEM III AD SEXTUM VEIOS VI 10S CAPITOLO IV. 1. Nella rimembranza de' narrali falli schivai air orezzo del bosco veiente il caldo , che in quel giorno maggiormente si fece sentire. Quando però cominciò ad asolare il ponente, solito a spirare nelle ore pomeridiane, scesi per una porta orientale, dove un rustico ponte e la verdeggiante scena d'arbu- sti e querce cavalca il fiume, e rende opaco il luogo. Tosto mi si offerse agli occhi una scogliera trapunta (per così esprimermi) di sepolcri. Salito poscia sul colle meridionale, fui condotto a vedere una tomba di costruzione romana. Ha esternamente la forma di rotondo tumolo a cinque gradi rientranti quanto più al centro si avvicinano. 2. In appresso per la Tenuta del Pino mi feci portare all' Arco de/ Pino, ossia ad una rupe tutta boscosa aperta a basso in arco, sotto cui transitava una via antica. E qui deesi osservare che nel ter- ritorio veiente s* incontrano vari tagli di rupi ad uso delle vie. Tale è il Passo della Sibilla eseguito a taglio aperto per il passaggio dei carri, e strato di grandi poligoni di selci. Tale è l'altro di Pietra Pertusa forato ad arco piano, esistente due miglia più oltre di Prima Porla, il quale dava l'ingresso ad un ramo di via che dalla Flaminia mettea a Veli. 3. Dopo ciò risolvetti redire alla capitale per la Via Flaminia : onde presi dalla guida prima di dividerci alcune informazioni. Quanto allegre e ri- denti spianano le praterie dove io passava ! come 109 lenemente si schiacciavano i clivi che le framezzano! In nessun' altra parte di più emerge la descrizione che ci lasciò dell' agro veiente Frontino. L' osser- vazione avendola prima di noi fatta Nardino, è bene ripeterla.» Ma un ritratto al vivo del territorio ve- iente direi la stessa faccia di quel paese , se in vece di ritratto non si palesasse essere originale. Quanto è di spazio da Formello al sito descritto , e da quel sito verso Roma, per molte miglia sta disteso tutto in pianura, ma distinto in liste diritte. Pongasi cura ad una mano aperta co' diti non con- giunti affatto. Così quel piano si vede da valli e cave strette e longhe, quasi colonna scannellata, fre- giato e distinto, le quali per la loro drittura, con cui vanno a terminare tutte intorno al sito di Veio, riducono que' campi divisati a fasce. Chi li vuol udir descritti, e più al vivo ed in meno parole, senta quello che de'terreni del contorno di Veio nel li- bro De coloniis dice Frontino: Circa oppidum Veiits sunt naturae locorum, quae vìcem limilum servant , sed non per multa millia pednm concurrunt. Sentalo più espresso in quest'altre parole, nelle quali pre- scrive le regole di quella colonia: « Biparum cur- sus servanlur; earum tamen quae per multa millia pe- dum vecturas separationesque agrorum ab initio suo usque ad occasum custodiunt. Con quali altri ter- mini poteva Frontino parlar meglio d'una tanta no- tabile divisatura.» 4. In una di queste frequenti vallate è da porsi il teatro della strage de' Fabi. È inverosimile il racconto di quei che scrissero, essere stati tutti 306 spenti in luogo inesplorato dov' eransi raccolti a no celebrare un patrio sagiifizio , avendo lasciato in- costodito il castello Cremerà , e dove nascosti i veienti in grandissimo numero li circondarono. Im- perocché (come saviamente riflette Dionisio lib. 9 cap. 19) è incredibile, che abbandonassero il ca- stello per un sagrifizio, cui non era necessario as- sistessero tutti; inoltre senza senato-consulto era vietalo ai militari di abbandonar 1' accampamento. Il racconto più veridico è '1 seguente. Gli etruschi, di nascosto preparato un grand' esercito, avevano allettati i Fabi ad inoltrarsi lontano dal presidio per inseguire e predare greggi di pecore ed ar- menti di bovi e cavalli a bella posta mandati spesse volte fuor de' castelli. In una notte collocarono in opportuni luoghi le insidie , ed occuparono ogni colle a guisa di specole dominante i campi. Nel seguetite giorno inviarono a scorta di molto bestiame alcuni armati. Scoperto dai romani, che superati i prossimi oolli pasceano poco lungi varie mandre debolmente custodite, lasciato al castello un presi- dio sufficiente, in tutta frettasi mostrarono ai cu- stodi de'bestiami, i quali appena vedutili fuggirono- I Fabi quasi al sicuro legavano i pastori , e ricon- ducevano il bestiame: quando videro d' ogni in- torno balenare sorgere ed aggrupparsi le armi etni- sche. Facili vittime furono i romani sbandati ; ma quei che giravano a schiere di cadaveri em.;Merono il campo; indi corsero ad occupare un colle, dove passaron la notte. Nel seguente dì, appresa la car- neficina, nel castello rimasero pochi a difenderlo, tutti gli altri s'avviarono a salvare i compagni. Ma gli etruschi dai castelli conendo li circondarono, Ili e passai'onli a fil di spada- Né molto dopo quei , che era n si nel tumolo rifuggiti, da filine e sete oppressi cercavano di farsi strada col ferro. Com- batterono da mane a sera con tanto eroismo, che i mucchi de'cadaveri nemici era loro d'impedimento a combattere. Gli etruschi, perduta la terza parte dell'esercito , sonarono a rassegna , e proposero ai Fabi di cedere le armi , e sgombrar dal castello. Il che negato, si tornò alle mani, contendendo colle lance e colle pietre; la moltitudine poi de' teli era a guisa di neve invernale. I romani irrompevano a masse, ma ottuse le spade e rotte, forati li scudi, e trapassati dagli strali, e sciolte per la copia delle ferite le membra, a guisa di fiere abbrancavano i giovellotti, e gl'infrangevano, e le spade strappavan di pugno: conlesa piii d'animo che di forze; onde j nemici, fatto un cerchio a giusta distanza, dovet- tero per via di teli , fusti e pietre esanimarli ad uno ad uno. Indi spiccate le teste dai mutili corpi, che tuttora mettean paura, le alzaion sulle picche, e le condussero in vista del castello sperando d'in- timorire i rimanenti. Ma questi, sospinti dall'emu- lazione de'compagni, irruppero dal castello, andando come gli altri ad inconti'are la medesima disperata fine. Così perirono 306 Fabi, di cui tanto increbbe la perdita a Roma, che dichiarò nefasto il giorno della loro morte. Siffatta però era la fecondità di tale gente, che (come riflette lo stesso Dionisio al § 22) non è da credere che tutta si estinguesse tranne un sol fanciullo lasciato a casa , dal quale provenne Fabio Massimo. Imperocché sa di favola, che 30t> Fabii presidiar! del castello fossero ce- 112 libi 0 senza mogli, e non avessero che un sol fra- tello di tenera età, specialmente se si rifletta, che le antiche leggi ogni pubere obbligavano al matri- monio. 5. Sbocca il sentiero nella Flaminia circa al- l'odierno M. VI. Ivi il Tevere il tributo riceve del Valca in un profondo seno che avrà servito di porto alle grosse barche veienti. Sul Valca poi, quando era il naturale emissario del lago di Baccano ora seccato, poteano correre le zattere sino appiè della rupe di Veii. 6. In vece di volgere verso Roma volli andare a Prima Porta. La catena di rupi , che vedremo originare da Tor di Quinto, si appressa al fiume più ripida e selvaggia del solito da pascervi e me- riggiarvi le capre. Sull'ultimo vertice profonda un' antica fabbrica gì' immani fondamenti- Incerto se fosse uno spaccato dirupo , quando mi avvicinai sembrommi un torrione , che getti in aria i fra- cassati lacerti. La fabbrica, che è di pezzi di tufa e pietre spugnose, pare aver sofferti i guasti del- l' ariete. Veramente quando nel medio evo i baroni fortificavano i colli naturalmente muniti , non do- vettero trasandarlo; poiché domina il Tevere , che gli fluisce sotto air ovest, scorre al nord la mar- rana di Prima Porta, al sud-est tanto si eleva la balza da porti a vista della villa Mellini a monte Mario, e della cupola di s. Pietro. Meraviglioso fu l'effetto che risentii in una sera di Pasqua porta- tomi su quest'altura alla prima ora di notte. Per l'oscurità, che tutt' i clivi e le pianure involgea nel suo manto d'un sol colore , mi sembrava di tro- 113 vanni in isolalo scoglio in mezzo a tenebroso mare, sul ijuale venisse a ripioduisi uno de' cento feno- meni, cui Reggio dà '1 poetico nome della Fala Morgana. Dal fondo dell' oceano emergeva un im- menso gruppo di fuoco, il quale a dimostrare che s'alzava sulla tomba del primo pontefice de' fedeli, prendea figura di gigantesco triregno d'oro per mille gemme brillante. Stanno alla base due cripte late- rizie, ove presso le reti e '1 giaciglio di un pesca- tore un giumento mostravasi stranito dall' insolita visita- Chiamano tal mole i contadini Torraccio della Gelsa- Scendendo all' osteria del medesimo nome si trovano profonde cave del tufa, che raggia par- ticelle rossastre, speciahnente quando è bagnato, o esposto al sole. Là coincide il miglio settimo. 7. Attraversato il rivo di Prima Porta (1) si giunge al diverticolo della Tiberina, ora Teverina, che a destra si disgiunge dalla Flaminia. A sinistra un frammento di muro laterizio, che si curvava in arco, spiega la denominazione di Prima Porla data al casale (^). 8 Sotto la torre di Prima Porla elevantesi sulla collina a manca esiste una lunga e larga cava del tufo descritto. Altre sono dietro il casale, e al ri- piano della via (3). 9. Salito al largo spiazzo del dirupo al nord di Prima Porta, l'ho veduto sparso di reliquie di mu- ri e mattoni di sostruzioni imponenti d'opera re- ticolata, ma legate con parallelipedi di tufo li- toide rosso, e munite di contrafforti. In somma su quest' altura sino al M. Vili si manifestano i segni di magnifica villa (4). G.A.T.CXLMII. 8 114 10. Tornato indietro al ponte della Valchetta, s'incontra al M. VI sotto un colle isolato e turrito V Osteria delle due case edificata con pietre, mat- toni, 6 frammenti architettonici tolti agli antichi edifici. S'affacciano sotto via due grandi ruderi di sepolcri prima del M. V. Qui coincide 1' osteria di Grotta rossa, , così appellata da un grottone di tufa, Indi a sinistra si scorge un altro mausoleo detto Torraccio di Grotta l'ossa, già rivestito a mavssi di travertino. Dove il dirupo dopo breve distacco pro- segue il giro, conserva pel declivio le vestigie di fabbriche, le quali formavano i sepolcri, di cui con-, tro gli abitatori si prefigge di lanciare la licambea saetta Giovenale Sai. 1. ... Experiar quid concedatur in illos, Quorum flaminia tegitur cinis atque latina. 11. Infatti sulla medesima facciata, anzi inca- vato nel tufo stesso, poco dopo sulla via s'apre al M. IV una famosa cripta sepolcrale. 12. Correa l'anno del giubileo 1675 quando ri» staurandosi la Flaminia per comodo de' pellegrini, gli aquilani verso il mese di marzo nel cavare i sassi udirono all'improvviso un rimbombo, segno di vano nella rupe. Seguitando a percuotere, aprirono dall'alto un foro in una camera sotterranea lunga circa 40 palmi , larga 20 , ove discesi la videro pieni di ammirazione adorna tutta di pitture, e con pavimento di musaico bianco da nere linee distinto a rombi. 13. Tra la terra e 1' acqua cristallizzata travi- dero due arche della lunghezza del corpo umano, di travertino, impiombate e chiuse da ferree lamine. 115 Crederono gli scavatori di aver dato in un tesoro: onde, ciechi per la fame dell'oro, con somma fretta ed agitazione ruppero i sigilli di ferro e piombo , ma si trovarono delusi nel mirare entro i sarco- fagi scoperchiati ossa slogate e polvere- Il fronte- spizio del sepolcro ornavan quattro colonne corintie, tra le quali gettati tre encarpi ricadeano , il tutto scolpilo nel tufo naturale. Una porta quadrata me- diava fra le coionne. Tornando a discorrere del- l'interno, è da notarsi, che in due ordini lo distin- gueva in giro un cornicione di stucco dipinto a mostri marini. Tre loculi si rannicchiavano per fianco, ed uno più grande nel mezzo- Tra i loculi € due colonne piane con capitelli corintii in gesso un Genio sol coperto dalla clamide in campo rosso, con vaso di fiori • in mano , e corona di lauro in capo. Cinque compartimenti per lato da doppie co- lonnette del suddetto ordine, che racchiudevano un Genio, frainezzati , correano sul cornicione. Tanto le nicchie , come i compartimenti, furono dipinti con mirabili affreschi incisi tutti dal Sante Bar- toli (5) in 3.5 tavole riprodotte dal Bellori (6) e dal Grevio (7). Il Bellori, che le illustrò, credè rico- noscervi gli eroi ne'campi elisi (IV): ivi stesso il mu- tuo riconoscersi delle anime (VII); Pluto e Proserpina con Mercurio Infero conducente un'anima (Vili); Pe- gaso 0 la trasportazione delle anime in cielo (IX), la favola di Alceste (X); le ninfe elisie (XI); ratto di Proserpina (XII); Ercole ed Anteo (XIII); meta- morfosi in bruti delle anime empie (XIV) ; caccia delle tigri (XV); Ercole che dall'inferno trae legato Cerbero (XVI); Europa da Giove rapita (XVII); sa- 116 gi'ifìcio agli dei nani (XVIII) ; Edipo risj)ondenle alla Sfinge (XIX); e Pegaso lavato dalle ninfe (XX). Le pitture poi del fornice si stimò denotassero la Primavera (XXII), Estate (XXIII), Autunno (XXIV); Inverno (XXV), caccia de'cervi (XXVI); caccia dei leoni (XXVII), caccia delle tigri per via di spec- chi (XXVIII), caccia del cinghiale (XXIX), caccia de' cervi ne' chiusi (XXX), figure denotanti inverno (XXXI), figure significanti 1' autunno (XXXII) , due baccanti (XXXIII), il giudizio di Paride (XXXIV), favola oscura e ignota (XXXV). Io auguro che qual- che valentuomo riveda l'illustrazione del Bellori, giac- ché mi sembra che non abbia dato (forse per colpa de' suoi tempi) ne'veri significati di tutte le pitture. Prendo a prova ed esempio la tavola V da lui cre- duta una memoria del poeta Ovidio. Prima di lutto però è da notarsi, che sotto questa pittura , ossia nella nicchia media, fu scoperta la seguente iscri- zione: D . M Q. N A SONIVS. AMBROSI VS . SIBI . ET . S VIS . FEC I T . LI BERTIS.LIBERTABVSQVE NASONIAE . VRBICAE CONIVGI.SVAE.ET.COL LIBERTIS.SVIS.ET POSTERISQVE . EOR. Perchè in questa iscrizione è un Nasonio è incre- dibile qual concorso di gente nell'anno della scoperta affluì alla pretesa tomba di Ovidio Nasone , o al- meno della sua famiglia. Ma nella presente luce 117 delle arclieologichc dottrine non è necessario coitì- pilare un trattato per prova che Naso è differente da Nasoniiis. Basta osservare che questo Q. Naso- nio Ambrosio confessa chiaramente di essere li- bertino dicendo: COLLIBERTIS . SVIS. È poi senza controversia che il poeta morisse a Tomi città del Ponto Eusino, ove narrasi che fosse dai polacchi il sepolcro di lui scoperto (8). 14- Esclusa, come non provata, l'opinione che da questa iscrizione risuiti essere stato questo il sepolcro di uno dei posteri di Ovidio, vediamo se la tavola V, come stimò il Bellori, rappresenti il detto poeta. In un triclinio, sul quale volano e sten- don le corone due Vittorie o Fame , appiè di una colonna, seduta una figura muliebre dalle chiome laureate , coperta le membra di una veste rossa stretta al fianco, cinte le nude braccia di auree armille , e gettato sulle ginocchia e dietro il fe- more un pallio di color flavo, posa la sinistra sulla ritta cetera , e colla destra inclinata sul femore sorregge una limga tuba di Ire clavicole armata ; quasi in allo di avere allora terminato di sonare- Dietro sta in piedi un togato anch' esso cinto le tempia di lauro, severo e senile nel sembianle , il (juale tende l'indice sinistro verso la porta , come se dimandasse: « È dessa ? « Alla porta Mercurio, avente sull'omero, sulle spalle e sulla metà del petto una clamide cerulea, alato nella testa , col cadu- ceo nella dritta, scioglie 1' indice e '1 medio della manca verso il veglio quasi dicesse: « Sì Ilio con- dona a fé ». Sul limitare una. matro.na , lo segue 118 tutta imbacuccata in un amino violaceo. In un or- nata sopra questa nicchia era dipinto un busto. 15. Si slimò adunque, che il vegh'o e 1 busto figurassero Ovidio con allato la musa, il quale re- citasse a Mercurio conducente Perilla sua moglie !! agi' inferi. Io credo che se il Bellori leggesse que- sua iHustrazìone ai morti, sganascerebbero dalle risa. E come non ridere a simile comico episodio ? Come mai la musa col suono non accompagna il canto del poeta , ma si sta riposando e sedendo ? E il dio Mercurio non le avrebbe rotto il caduceo sul capo a tale atto d'insubordinazione ? 16. Rigettata questa ridicola opinione, indaghia- mo colla critica che cosa veramente la pittura in- dicasse. Non v'ha dubbio che Mercurio il duce fosse sino agli Elisi de'trapassati (9). Non v' ha dubbio che la matrona sia in abito da estinta (10). Dun- que è certo che qui Mercurio si fa condottiere di una morta. Ma a chi la conduce ? E non vedi quel- l'accigliato veglio , che la domanda ? Chi è desso? Yè come sublime caput maeslissima nubes Asperai l E non basta questo segno, apposto da Claudiano De raplu Proserpinae a Plutone, per farlo ravvisare pel dio delle ombre ? La lunga tuba imbrandita colla sinistra dalla sedente essendosi trovata dipinta nella piramide di Caio Cestio, si ritiene fosse u» istromento funebre. Con la più grande esattezza adunque il pittore Io ha messo alla mano sinistra di Proserpina, la quale con esso Al mihi Persephone ìiigram denunciat horam, come si lamentava Tibullo. Qui sta in atto di aver interrotto pur ora il ferale 119 suono: e infatti rovnbra della matrona da lei chia» mata obbediente è in sulla soglia. 17. Si obbietta che tanto il veglio, quanto la don- na sedente, hanno le tempie ornate di alloro proprio del poeta e della musa. Ma si risponde, che in que- ste pitture si trovarono anche i genii laureati, inol- tre r alloro è promiscuamente Oiior d'imperatori e di poeti. E non imperano Pluto e Proserpina nel sotterraneo regno ? Di più i morti dai greci si chia- mano coronali : e Platone nel trattato della repub. così riporta una sentenza: « Museo pure e *1 di lui figlio stimarono che gli stessi dei retribuissero ai giusti maggiori beni. Imperocché ne'conviti de*santi collocano gli abitatori degli Elisii facendoli sempre vivere coronati ebbri in grande allegrezza» » Sen- tenza ritenuta da Claudiano De raptu Proserp. Uh, 2. « Grata coronali peragunt convivia Manes «. Se dun* que i morti chiamavansi coronati, bene il pitto\;ea de^ notare Pluto e Proserpina incoronò i re de'coronaii. 18. f-,a seconda diflicoltà nasce dal vedere la cetra sotto la destra di Proserpina. Ma pur tale istromento le è proprio qual regina dell' Elisio , ove si suona, si danza, e cantasi, come scrive Vir-» gilio lib. VI. Aeneid, 19. Una maggior prova poi di questa mia di- mostrazione sta nella tav. Vili. Ivi è rappresentato un fatto quasi somigliante, ossia Mercurio conduce una timorosa fanciulletta e la madre innanzi a Pluto e Proserpina, i quali sono rappresentati sul soglio, e più maestosi per varietà , e perchè tali pitture, come notarono Sante Bartoli e Bellori, furo- no condotto per mano di più pittori, ossia quando vi 120 si seppelliva un defunto chiama vasi un pittore a rilrarlo in atto di comparire innanzi all'Orco. 20. Del resto a queste pitture, stimate del tempo degli Antonini, tanto nocque Tessere esposte all'aria, che presentemente chi va a considerare gli stucchi, su' quali esistevano, conosce che le inghiottì l'umi- dità più che le ingiurie de'pecorai, i quali vi dor- mono: e si lamenta , perchè non vennero almeno staccate dalla rupe , come la favola di Edipo e della Sfinge, la caccia delle tigri, e '1 frammento ov' è un cavallo, che furono da D. Gaspare Altieri portati nella sua villa a s. Croce in Gerusalemme. Del frontespizio poi ed ingresso sparirono gli or- namenti. Perchè (juesto principe, il quale tanto pre- diligeva le belle arti, non si prese la stessa cura, che non ha mollo del sepolcro etrusco il marchese Campana , tramandando così ai posteri intatto e conservato uno de' più curiosi sepolcri romani ? 21. Il sepolcro di Q. Ambrosio è quasi sul lembo della catena di rupi erte , ricise , listale, e da rari arbusti abbrmiite dominanti il Tevere, e che abbiam qualificata baluardo orientale del territorio voiente. Il fiumicello Acqua Traversa volge le sue acque appiè di questo dirupo, e le rivei*sa con fra- gore sotto un ponte a contatto di un boschetto di pioppi (11). 22. Una larga vallata , cui dà nome Tor di Quinto , ossia la Torre sfasciala posta sull' ultima vetta di altri colli , che frequenti sebbene tagliali formavano il baluardo meridionale del veientano , e che si può ritenere venissero sotto nome di Gianicolensi , o Sette pagi, perchè sono lacinie del 121 Gianicolo e perchè ai tempi in cui se ne impndioni Romolo vi erano sette pagi o luoghi muniti. 23. Mentre io quest' amena vallata rimirava , gettava il sole gli ultimi raggi al di là del Tevere sui monti sabini, che sembravano stormi di cigni le candide piume da que' raggi soavemente indo- rate. Oh come dolce è quel!' ora per chi viaggia nelle romane pianure d'illustri fatti memore ! PiiJ che ai naviganti, che han detto la mattina ai dolci amici addio, gl'intenerisce il cuore la rimembranza clie nella slessa pianura Costantino fugò le truppe di Mas- senzio, e nei vindici gorghi il Tevere inghiottiva il tiranno della sua patria. Se il genio di Giulio Romano nel mio petto si fosse trasfuso io qui dipingerei il volo degli strali, i colpi di lancia, il cozzar delle spade di chi proteggeva od osteggiava la tirannia, il fiato squil- lante dalle trombe, il fulgore dei vessilli, il trascorrere sorgere e cadere delle aquile. All'apparir della croce in cielo avresti veduto crocchiare e fracassarsi il ponte: centinaia di fuggenti tombolar nel fiume, ed ivi far forza per notare e salvarsi, ma il peso dell' armatura comprimeva i fuggenti , e seppelliva nelle acque gli oppressi e l'oppressore. Ma il potere non essendo pari alla volontà, mi contenterò di fare un' osservazione, che cioè non bastò a Massenzio di avere con ogni sorta di sevizie inveito contro il senato ed il popolo , ma quest' ultimo anno della sua tirannia sigillar volle col più crudele atto di dispotismo , obbligando plebei e senatori a farsi scannare, od a scannare i propri concittadini, in una novella guerra civile. Onde al sentire le notizie della bramata morte è incredibile di quanta letizia l;>2 e gaudio esultassero il senato e la plebe. Tanto è vero (come riflette Aurelio Vittore De Caesaribus e. XL), che ninno è più accetto e lodevole degli scacciatori dei tiranni, i quali cresceranno anche in grazia se modesti ed astinenti saranno. Poiché le umane menti, deluse dalla speranza del bene, più restano inasprite ed offese, quando mutato un reg- gitore scellerato rimane la stessa forza d' oppres- sione. 24. Passati i prati di Tor di Quinto entrai in una forra di colli, i quali sono lacinie del Giani- colo, e spesso alzandosi a destra e sin sopra Ponte Molle rendono il luogo strategico. Nelle guerre arse tra i romani ed etruschi, questi la prima impresa che tentavano era d'impadronirsi longo laniculi iiigot ove si accampavano. S'incontra presto il M. III. h sotto la discesa l'osteria di Me4a-fumo. Domandai al- l'oste da che ebbe origine sì strana denominazione: ed ei mi rispose da un bandito , il quale sempre armato, e vestito di pelle , onde potersi gittare e nascondere nei pantani entro le grotte della cam- pagna, sqìql fumava degli sbirri, ossia ne spediva un buon numero all'altro mondo. Era poi tanto buono (sono espressioni del narratore) che appena svali- giati un po' di viaggianti, correva da messer l'oste, col quale ricambiava allegramente gli scudi d'oro in vino e vivande. Come però andasse a terminare sì lieta vita, è cosa la quale disgraziatamente non fu tramandata dal padre al mio cronista. 25. Mentre mi avvicinavo a Ponte Molle mi perveniano all' orecchio i rintocchi delle campane di Roma accordantesi in lugubri armonie, non per 123 lamentare il giorno , polche era declinato da nn ora, ma sì bene per compiangere di tutti gli uo- mini la morte. Ah cerio (sentenziò V immortale Byron) ìiiilla senza piatilo muore ! Quanto è adun- que ragionevole il costume di consecrare la squilla della prima ora notturna alla memoria de' nostri simili ! Questo mesto pensiero e la vista di Ponte Molle mi richiamavano alla mente il carme dì Stazio (12) e i due epigrammi di Marziale (13) in morte di Ciancia liberto di Aledio Meliore, sepolto in margine alla Flaminia incontro al Milvio. Non perderò il tempo a dipingere coi poeti l' estrema beltà di quel fanciullo: solo voglio che limarchi il lettore come abbia diritto alla benemerenza del- l'umanità, perchè in quei tempi, in cui nel nostro clima abbrutivano gli uomini nella schiaviti!, usava de'suoi vezzi per disarmare l'ira del bilioso pa- trono contro i servi. Quando poi gli ruppe la morte il XII anno, Meliore sparnazzò le sue ricchezze in fornirgli le più magnifiche esequie. Tutto il popolo accorsovi ebbe a piangere il triste spettacolo. Men- tre gli arabi, tirii, e palestini liquori lavavano la chioma dell'infante a renderla più facil preda delle fiamme, queste, come punte da pietà, appena toc- catele si spensero. Allora Meliore, che si volto- lava nella polvere, si alzò , e strappatesi le vesti avventossi a lambire i freddi baci del diletto viso. Erano là presenti il genitore e la madre dell' e- stinto, i quali più che mesti si mostravano atto- niti al dolore inaudito del patrono- 12i NOTE AL CAPITOLO QUARTO (1) Questo fiumiccllo io reputo il Ci'emera. In- fatti, come vedremo, tre sono da questa parte i fiu- mi dell'agro veiente, 1. Aequa Traversa, 2. Valca, 3. il presente. Quello d'Acqua Traversa proveremo es- sere il Tutia. Rimangono il Valca e la marrana di prima porta. Quale de'due ebbe nome di Cremerà? Sta ora l'opinione universale per il Valca. A me sem- bra che fosse la marrana, e mi appoggio ad un passo di Dionisio accuratissimo e diffuso istorico. Ei narra che i Fabii « presso il fiume Cremerà , che non lungi disia da Veiii munirono un castello w. Con qual proprietà di linguaggio potea Dionisio dire che il Cremerà non lungi distava da Veii, se bagnava, co- me il Valca, la cinta della città ? Del resto la mar- rana proveniente da Scrofano [Sacrum Fanitm Vol- tumnae) scorrea pel territorio e non è lungi da Veii- Neil' inverno poi e nei temporali diviene torbida e rapace, seco trasportando sassi e mattoni di fabbri- che antiche travolle dalle ripe, come chiaro appari- sce dall' ispezione dell'alveo e dal volgare nome di marrana; perlochè si ravvisano in essa i distintivi datele da Ovidio nei Fasti ove descrive la strage de' Fabi; Ut celeri passu Ciemeram tenuere rapiicem, [Turbidus hibernis ille fluebat aquis). Accertato qual sia il Cremerà, si domanda: ov' era il castello de' Fabi ? Molti sono i dirupi che s'alzano a destra ed a sinistra sulle rive della mar- 125 rana, nessuno però si adattava meglio della Gelsa allo scopo de' Fabi, cioè di rendere sicuro il ro- mano territorio sottoposto alla linea delle Rubre, eh' erano veramente una trincea del veientano , di devastare l'altrui, e di resistere in poco numero a qualunque benché numerosa armata d'Etruria o Sa- bina. A ritenere pertanto che la Gelsa fosse il ca- stello fabiano concorre, che quel vertice veramente eccelso al sud-ovest va a dominare la via piti breve conducente a Veii ed a Roma; al nord guardava la strada militare d'Etruria, all'est Fidene. L' esercito l'ornano, che in armi custodiva il territorio de' sett(5 Pagi, poteva accorrere in pochissimo tempo a scio- gliere l'assedio del castello. E in fatti quando gli etruschi ne tentarono 1' assalto attorniandolo verso il sud-nord-ovest , accorso il console Emilio con un esercito li fugò da ogni parte, e li respinse sul- l'altra riva del Cremerà fino ai Sassi rossi sopra Prima porta, ove aveano messo il campo, e chie- sero tregua. Ed allorché fu espugnato il castello non era il console Menenio soli trenta stadi lontano da esso ? Si dirà: come senza contrasto i 306 Fabi ven- nero tanto lungi da Roma a fortificarsi su questo dirupo ? A ciò risponde Ovidio loc cit^ Ut celeri passu Crememm tenuere rapacem Castra loco ponimi. E in fatti il luogo non é tanto lungi, poten- do un esercito pedestre in due ore a marcia forzata pervenirvi e sorprendete un presidio non preparato. Finalmente non giova opporre, che stando la Gelsa vicina al Tevere, gP istorici avrebbero desi- gnato questo regio fiume, e non il Cremerà, come 120 limitrofo; poiché si risponde, che la medesima ob- biezione potrebbesi ritorcere contro chi pose Ìl ca- stello alla Valchetta. Ma vi è anche una risposta più diretta. Gli scrittori nel precisare il sito del castello, se avessero indicalo per confine il solo Tevere, come avrebbero potuto coartare la distanza da Roma essendone tanto lungo il corso ? Indican- do però il Cremerà, che non lungi disia da Veii , hanno ristretta la distanza al corso di quel fiume che da Scrofano più si avvicina a Veii, come av- viene in questa parte. E poi non ci annunziano T. Livio e Dionisio che la località del castello, come ora si chiama la Gelsa, allora chiamavasi Gremera dal fiume scorrente alle pendici ? E Ovidio collo scrivere Ut celeri passu Grerneram tenuere rapacem Castra loco ponunt non esprime a pennello che i Fabi non trapassa- rono il Gremera, ma avendone toccata la ripa vi stabilirono il castro ! E Livio non dice: Ad Creme- ram flumen perveniunt: is opj^orlunus visus locns com- muniendo praesidio ? Tutti chiari segni che il castello era a destra e non a manca del fiume : e che il dirupo su cui fu basato andava in china sino alla corrente, ossia come attualmente la Gelsa dalla parte dell'osteria corre in declivio verso la marrana. Que- ste sono le ragioni che mi fanno stabilire il Gre- mera ed il castello in luoghi diversi afifatto da quelli ove comunemente furono creduti. Chi non propen- de alla mia opinione, Jo prego di persuadermi il contrario col ribattere i miei argomenti- 127 (2) Nelle guerre de' barbari ed in quelle de' ba- roni questa via fu tutta fortificata, come si vede dalle torri che l'accerchiano. Ma per impedire ogni transito notturno essendo necessario un chiuso che abbarrasse la strada, quest'arco (i contadini chiaman porla ogni arco) avrà tratta origine da queste pre- cauzioni. È probabile poi che avesse il nome di Prima porta perchè era il sito ove si riscoteva il pedaggio su chi vi passava per andare a Roma. E noto che nelle vie principali ne' tempi di mezzo era un ponte colla catena, od altro luogo da potersi rinchiudere , in cui si pagava il passaggio , come p. es. era ponte Mammolo sulla via tiburtina , il quale ritiene tuttora il nome di Ponte della catena. (3) È noto il passo dì Vitruvio lib. II e. 7, ove parla delle pietraie: ai credevano op- portune ad arricchire. (4) Questa si stima la villa di Livia moglie di Augusto, della quale racconta Svetonio in Galba e, I: « Liviae olim post Angusti slatim nuptias ve- ientanum suum revisenti praetervolans aquila galli- nam albam ramulum lauri rostro tenentem, ita ut rapuerat , dimisit in gremium ». Il quale caso sembrò alla imperali'ice s\ prodigioso che prese cura della gallina, da cui nacquero tanti pulcini da far chiamare la villa ad galUnaSf e piantato il ra- moscello d'alloro, con esso formossi un boschetto, dal quale i trionfatori Cesari coglieano le corone di lauro. Anzi il medesimo Svetonio racconta che ogni lauro piantato por mano di un Cesare s' illan- guidiva alla morte di ciascuno; ma quando si uc- cise Nerone, ultimo della stirpe cesarea , quel bosco s'inaridì eie povere galline morirono: ossia, per dirla chiara, udendo il giardiniere la morte prossima od accaduta di un Cesare faceva inaridire il di lui al- loro: udendo quella di Nerone credè bene di di- struggere tutto il laureto e mangiarsi il pollaio. La ragione perchè qui si pone la villa di Livia, sta nelle parole di Plinio , Histor. nat. lib. XV e. 131 30 § II, ove dice che il riferito portento avvenne « in villa Ciiesarum fliivio Tiberi imposita iuxla nonum lapidem flaminia vea, quae ob id vocatur ad tfollinas. — Le sostruzioni infatti rimangono tut- tora sul dirupo che quasi pende sul fiume, e lungi più di sette miglia e tre quarti da Porta del popolo, alle quali aggiunto il miglio e mezzo dì più sino alia porta Ratumena, si avranno circa le nove mi- glia. Perchè non vi si è mai effettuato uno scavo che promette tesori di notizie e monumenti ? (5) Gli antichi sepolcri — Roma. Ant. De-Rossi 1697. (6) Veterum picturae sepulchri Nasoniorum ex- pjicatae atque animadversionibus illustratae a I. P. Bellorio. Romae 1750. Ex typ. Ant. De Rubeis. (7) Thesaurus antiquit. roman. Tom. XII. Lug- duni Batav. 1699. (8) Ant. Possevinus, Hlstoria familiae Gonzagae. (9) Horat- lib. I carm. Od. X; Virgil. lib. IV Aeneid, (10) Bellori, ivi. (11) E più che certo, esser questo rivo il Tu- tta, riferendo Livio lib. XXVI e. Il, che Annibale «ella ritirata da Roma — ad Tutiam fluvivm castra retulit sex millia passuum ab urbe. Inde ad lucum Feroniae pergit ire, templum ea tempestate incly- tum divitiis. — Ora la via per il bosco di Fero- nia esistente sotto il Soratte è la Flaminia ; e sei miglia lungi dall'antica Roma non vi è altro fiume che questo. Di più, che Annibale portasse il campo sulla via Flaminia proprio dove Acqua traversa in- fluisce nel Tevere, si prova con Silio Italico lib. XIII V. 4, il quale descrive lo stesso fatto: 132 Castra locat, nulla laedens ubi gramine ripa Tutia deducit teniiem sine nomine rivum, Et tacite tnscis inglorius adfluit undis. I caratteri di tenue, tacito, senza ripa, nome e gloria alcuna, tutti si adattano ad Acquatraversa. (11) Con tal enfatica sentenza sigillò Byron la seguente traduzione del passo di Dante (Purg. canto YIII) descrittivo della sera. Essendo bellissima, la riproduciamo certi di far cosa grata ai letterati. Soft hour ! which wakes the wish and melts the heait Of those who sali the seas, on the first day Whenthey from their sweet friend sare, toro apart, Or fìlls with love the pilgrim on bis way, As the far beli of vesper makes him start, Seeming to weep the dying day's decay. Is this a faacy which our reason scorna ? Ah ! surely nothing dies but something mourns ! (12) Silvarum lib. 2. (13) Lib. VI, epigr. 28 e 29. 133 Laudi ed altre cose lodevolissime. \lueste laudi ho io tratte dai Capitoli della scho- la de madonna santa Maria della Misericordia in la città de Pesaro (1), qui stampati per Baldassarre de Francescho carthidaro perusino a di 18 de novem- bre 1851 in 4°, libro in questa stessa città rarissi- mo (non avendone io, per cercare, trovati che due soli esemplari, di cui uno mancante d'alcune carte): del quale libro per somma ventura posseggo anche l'originale che è in pergamena e di bellissima let- tera, e dal quale rilevasi che la suddetta scola era da molto tempo innanzi fondata, essendoché alcuni capitoli aggiunti posteriormeate, e che sono di tut- t'altra mano, portano inscritto l'anno 1499. Esse co- minciano subito dopo i detti capitoli. La prima lau- da è quella che dice: Misericordia, eterno Dio. Dopo d'essa leggesi: Magnificus et illustriss. domimis Ma- lalesta de Malalestis pisaiiri eie. fecit hoc capitulum ad honorem virginis Marie. Questo capitolo o terza rima, non trovasi nella presente, novella edizione, ri- serbandomi a mandarlo fuori quando pubblicherò l' intera raccolta delle rime di quel gran principe (1) Questa scuola o confraternita stava prima m capo alla volta <\ella Ginevra presso alla torre del colonnello Antenore Leonardi, fratello del celebre Gio. Giacomo Leonardi , conte di Monlelabate, che la possedolte: fu detta qualche volta jlntinora , gli avanzi della quale, essendo stata sul principio dello scorso se- colo demolita dal conte Ippolito di Montelabate, si veggono tut- tavia sopra la Salara. 134 nostro, intorno alla quale mi sto da buon lenrpo occupando. Seguono poi le Litanie e Voffrcio che si diceva in ricevere li compagni e fratelli , indi rico- minciano le Laudi colla stanza pel di dell'Assunta, e senz'ai tra interruzione continuano sino alla fine del libro. Chi sia r autore di queste laudi io non saprei dirlo; giacché, tranne il detto capitolo di Malatet^ta che porta in fronte il suo nome, le altre tutte la- sciano a desiderarlo. Se però dall'esservi quella poe- sia di Malalesta, altri volesse inferirne che nelh» maggior parie possano essere del metfesimo, io non gliel saprei contrastare. Ma ve n'ha alcuna che mi pare di più antico tempo, e che non saprei (V al- tronde a chi attribuire. Forse taluna potrebbe es- ser tolta da alcuno de'tanti libri di laudi che serviva- Ho a quelle pie congreghe di laudesi, che sì altamente onorano la pietà de'nostri buoni antichi: ma ne'po- ehi che io posseggo non n'ho trovata pur una si- mile. Tal altra potrebb'essere di suor Hieronyma, o anche di madonna Balista Malatesti , che ambedue scrissero laudi, le quali trovansi nelle Laudi stam- pate a Firenze per Francesco Bonaccorsi 1485 in 4, ma eh' io non ho mai potuto vedere. Altri forse potrebbe sospettare che alcune sieno state scritte dal primo restauratore, o certo de'primi, della mo- derna conunedia (1), dall'autore del Giuseppe , d^l traduttore dell'Anfitrione di Plauto, e di alcune al- tre delle diverse comm^edie che nella corte di Fer- (i) In Ferrara rinacque la scenica per le commedie del Cotle- ftuccio e dell'Ariosto. Zeno in Fotanini. 135 rara furono rapprosonlale a'tempi di Ercole l , vo' dire dal nostro Pandolfo Collenuccio : e sì che a quando a quando lo stile di certe, e spezialmente di quella che coinincia:C/ie aspetli^ peccator, che non ti muovi (la quale non è lande^ ma rappìxseniazio- né), panni si rassomigli mollo allo stile del Giu- seppe. Tutte queste però non son che congetture , né io su ciò poteva dar altro che congetture. Quanto al modo che ho tenuto nel ristampar- le, debbo dire che non solo ne ho l'ammodernata l'ortografia in tutti i luoghi dov' era apertamente errore, come sarebbe dollore, colloret oliente, per rfo- lore, colore, olente, e meti.fredo, hogi, aspeta, per metlit freddo, oggi, aspetta (tutti mal vezzi di pesarese pro- nuncia), ma anche dove gli antichi teneano altro modo; e però ho sostituito e a et, ti a /e, mi a me, via ve, con a cum, di a de, il a el, esempio a e- xempio, avvocata a advocata, conoscere a cognoscere. Gesù, a lesu e Giesu ecc. , e così ho tolto via la y e sostituita la i, né ho lasciata la h che in ho, hai, ha, hanno, ed introdotta la miglior punteggiatura , che ho saputo, della quale non v' era traccia nelP edizione antica, eccetto che qualche volta un punto in fin di verso, e spesso senza ragione. Dove però l'antica lezione non offende troppo le delicate orec- chie de'moderni, l'ho lasciata stare, o se ho muta- to, e m' paruto soverchio ardire, ho messo a pie di pagina come legge il testo. Questo è quello che io volea che tu sapessi, o lettore; che altro né io sa- prei dirti, né tu vorresti sapere. Addio. Giuliano Vanzolini. 136 Incominciano alcune lande ed allre cose devotissime stampale a consolazione della compagnia della scuola della misericordia di Pesaro. Misericordia» eterno Dio, Paee^ pace, signor pio, Non guardare al nostro errare. Misericordia, virgo pia, Pace, 0 vergine Maria, Non guardare al nostro errore. Misericordia andiam cercando, Misericordia non sia in bando,. Misericordia a Dìo chiamando. Misericordia al peccatore. Misericordia, Dio verace, Misericordia manda e pace , Misericordia se'l ti piace. Misericordia, allo Signore. Dolce vergine Maria, Di noi guardia e compagnia,. In piacer, madre, ti sia Pregar Dio pel peccatore. Prega Dio somma potenza Quando sei a sua psesenza. Che rivochi (1) la sentenza, Dolce madre, per tuo amore. Tu sei, madre, sempre stata Di noi miseri avvocala; (1) Jievoccltc legge l'edizione antica e qui e più solto. 137 Madre nostra angfìlicata, Fa levar questo furore. Se guardassi (l) ai gran peccati Per noi fatti ed ordinati, Noi saremmo profondati (2) Ogni dì per nostro errore- Peccatori, or m' intendete, Per voi prego, e vo' il (3) sapete, Il mio fi' (4) non conoscete. Né a lui portate amore. Pi'egate il Signor carissimo, Mio figliuol tanto bellissimo. Che '1 giudicio crudelissimo Da voi levi, e ogni rancore. Quante volte sono andata Nanzi a lui inginocchiata, Detto gli ho vostra ambasciata (5), Ma n' ho avuto poco onore. Quanto più prego per voi E voi fate peggio poi; Se venir vorrete a noi, A Gesiì portate amore. Quanto piìi nel mondo state. Briga ed odio sempre fate (6), Ed insieme non vi amate, L'uno a l'altro è traditore (1) Guardaste ranlioa. (2) Perfondali legge l'A., manca però al vocabolario. (3) Fui VA. (3) Figlio legge l'A (5) Ambasiata l'A. (6) Far briga per contrasare k citalo dal vocabolario con esempio del Cavalca, ma Far odio no. 138 Sfi voi foste insieme uniii, Non sniesle a tal palliti, Figli miei dolci e graditi, Di voi pollo gran doloro. Madre santa, non guardare Al peccar nostro e mal fare: Madre, non ne abbandonare, Di pielade fonte e fiore. Prega il tuo figli noi eterno, Noslio re, padre superno, (ìbe rivochi tal qtiaderno, E sia a noi perdonatoi-e. Per amor di Gabriello, Che ti die il salulo bello. Prega al figlio (1) verginello Che sia nostro guardatore. Per quel gaudio eh' in te fu Quando nacque il buon Gesù Tra quell'asinelio e bu (2), Fu di notte gran splendore. Per quel chiaro e vivo lume Che fé Dio sacrato nume, Cava noi dall'aspro fiume; Gilè noi siamo in grande errore. Vergin sacra, olente rosa. Del tuo figlio (3) madre e sposa, Sempre sie di noi pietosa. Al tuo fi' (4) lo metti in core -. (1) Figliol l'A. (2) Bu per òtte trovasi nel vocabolario con un esempio del Pataffio, e uno del Pe.tr. Frolt. (3) Figliol. (4) Figlio. ia9 Se voi non vi conoscete De' peccati che vo' avete, Freddo, caldo, fame e sete Mandaiavvi il creatore. Morte, pestilenza e guerra Manderà in ogni terra, Se voi tutti ad una serra (I) Non seguite il buon pastore- Peccatori, non dormite, E '1 mìo figliuolo obbedite: Se voi tosto noi seguite, Vi farà mutar colore. Se quel eh' io dico farete Mentre nel mondo starete, Alla fine n'anderete Dove è gaudio a tutte l'ore. Tosto sì vi confessate, Alla morte ogn'or pensate, Peccatori, or vi svegliate, Che così vuol il Signore. Peccatori, stale umili, Al ben far non siate vili. Non sia alcuno che vacili (2), In Dio fermo abbiate il core. (1) serra in questo senso non ha esempio bene spiccalo nel vo- cabolario, né poi v' è affatto il presente modo: ad una serra: che par voglia significare tutti insieme, ad una, (2) 11 testo dice villi e vacilli: ma io ho così mutato non tanto per amor della rima, quanto perchè dicendo il primo verso umili e non umilli, m' è parato men male prendermi la sola licenza del vacili, parola che noi pesaresi usiamo anch'oggi ( mutato però il V in b) che le due del umilli e villi. 140 Ad onore e laude sia Della vergine Maria, Che questa sentenza ria Da noi levi, e ogni dolore. Amen. Salve, regina, o germinante rama D'ogni pietà, o vita, o dolce bene; Salve tu nostra speme; Sbanditi figli d'Eva te chiamiamo. Gemendo, a te con pianto sospiriamo» In questa vai di lacrime bagnata. Dunque, nostra avvocata, Gli occhi pietosi gira al nostro male. E '1 frutto del tuo ventre virginale. Gesù pietoso, dopo la partita Di questa fragil vita Facci sempre veder, clemente e [)ia,. 0 dolce 0 sacra vergine Maria. Amen. In Assumplione Virginis Clamabant omnes angelorum chori Di meraviglia pieni e d'allegrezza: Che luce è questa, o che chiari splendori' Non fu mai vista in ciel tanta bellezza. Vergine assunta alli superni cori. Senti or, Maria, quell'eterna dolcezza,, Fruendo sempre nel divin cospetto Del dolce figlio il disiato obietto. HI In nativitate Domini. 0 mirando, o gran stupore, 0 mister sopra natura (1), Che sìa fiuto creatura Chi del tutto è creatore. Se gli è figlio, come è padre ? Se gli è Dio, come visibile ? S' io son vergin, come madre ? Questo all'uom non par possibile. 0 misterio incomprensibile, Ch' io sia vergin casta e monda, Ora a Dio fatta seconda, Partorito il mio fattore. 0 mirando o gran. Se gli è uomo, e non è Dio, Come è lui di vergin nato ? Se Dio è, come posso io Generar chi me ha creato ? Se è nel ciel tanto esaltato. Come nel presepio giace ? Dunque è uomo e Dio verace, E creato e creatore. 0 mirando, o gran. (1) Misterio. 142 Questo è Dio di Dio figliuolo, Padre, Verbo e Spirito santo. Tre persone uno Dio solo, Che di carne ha preso il manto. Questo è quel che col suo canto Mi predisse Gabriello. Questo ò il sacro e casto agnello, Che di pace è vero autore. 0 mirando, o gran. Quel che prima era invisibile Oggi è fatto a noi palpabile. Quel che è fatto oggi passibile, Era prima inviolabile. 0 commerzio incommutabile ! Mentre è Dio nel cielo immobile Fatto ha l'uom nascendo nobile. Non mutando il suo valore- 0 mirando. Novo amore, immenso dono, Che chi regge il mondo e '1 cielo. Del paterno e sommo trono Sceso è in terra a caldo e gielo. Per vestirsi il mortai velo; Vuol morir che era immortala; Poi che '1 servo al ciel non sale, È disceso a lu' il Signore. 0 mirando. Poi che 'I creator dell'uomo Di farsi uomo si è degnato, 143 Tolto ha dello antiquo pomo Col battesmo ogni peccato- Uomo, poi che se'nnato Col tuo Dio ììvì suo natale, Che eri morto, or se' immortale, Rendi grazie al tuo Fattore- 0 mirando. Liete sien le stelle e 'I sole Con l'angelica natura. Lieta sia l'umana prole Sopra ogni altra creatura. Poi che ha preso sua figura Chi fé il tutto, e sceso in terra Per tor via l'antiqua guerra Che avea il servo col signore: 0 mirando. Padre eterno, dolce tìglio. Donde a me tal grazia è nata Che dall'eterno consiglio Fussi a questo destinata, Onde mi diran beata Ogni gente. 0 quanto amasti L' umiltà quando esaltasti Questa anelila a tanto onore! 0 mirando. Degne grazie a tanto merto Dar non posso, ma io ti adoro Come Dio: del quale aperto Li profeti annunzioro 144 Questo don, questo tesoro. x\Itra grazia non domando Se non eh' io ti raccomando L' infelice peccatore. 0 mirando. Gesù dolce , sacro frutto Del mio ventre, se miei prieghi Giammai intendi, or sopra tutto Al mio dir vo' che ti pieghi, Che a Pesaro non nieghi Pace, amor, vera concordia; E la tua misericordia Li dimostri a tutte l'ore. 0 mirando. Questo cheggio per lo amore Che ti mosse ad incarnare; Questo cheggio per lo onore Che m' hai fatto meritare, Pel mio latte che io t' ho a dare, Pel mio corpo immaculato, Per quel tempo eh' io ho portato Nel mio ventre te Signore. 0 mirando, o gran. Finis. 145 Tempore passionis. Oggi è il tempo, o peccatore, Lacrimar pel tuo peccato, Poi che in croce t'ha lavato Col suo sangue il KedentDré. Di che vuoi tu lacrimare Se non piangi il tuo Signore ? Che oggi sol per te salvare Pende in croce il Salvatore. Bene è impio e duro il core. Che oggi non fa compagnia Alla croce con Maria, Che pel duol piangendo tnuoie. Oggi è. Ogni colpa oggi perdona 11 Signor tutto clemente. Una lacrima oggi dona Vita eterna a chi si pente. Piangi, che benignamente Lui ti aspetta a braccia aperte. Piangi, e' ha per te sofferte Tante pene il Creatore. Oggi è. Oggi puoi con amar pianto Conseguir quel bene eternò, Dove è sempre riso e canto,' Dove è gaudio sempiterno. GAT. CXLVIII. 10 146 Che ti vai poi nell' inferno 11 perpetuo lacrimare ? Che di lacrime un gran mare Non ti lava un solo errore. Oggi è. Peccator, se non li dole Di Gesìi l'aspro tormento, Oggi in ciel ti accusa il sole, E nel mondo ogni elemento. Peccator, al pianger lento, Pensa che ogni creatura, E la pietra che è sì dura Fece segno di dolore- Oggi è. Se la croce oggi contempli. Specchio dell' umana vita. Tu vedrai con quanti esempli Al ben far Gesù t'invita. Sapienzia che è infinita, Carità, pace e elemenzia, Umiltà con .pazienzia T'insegna oggi il Salvatore. Oggi è. Non per ór, non per argento Il Signor t'ha ricomprato. Ma con morte e gran tormento, Che se stesso in pregio ha dato, Fatto agnello immaculato. Per pui'gar l'error antico Che avea il servo col nimico, E ribello al suo Fattore. Oggi ò. 147 Pecca tot', se penserai Nel dolor che ebbe Maria, Certo so che piangerai Alla croce, in compagnia. Voi che passate per via, Gridò lei, fu mai tal duolo Qual sento io del mio figliuolo Morto sol per l'altru' errore ? Oggi è. Quando Gesù in croce disse: Ecco, donna, il tuo figliuolo, Quella voce il cor trafisse (1) Che alla Madre addoppiò il dolo. 0 clemenza, o esempio solo ! Ch' era in croce e pur pregava Per qualunque il tormentava. Piglia esempio, peccatore. Oggi è. Longin cieco, che pensasti Di ferire un petto solo. L'uno e l'altro cor passasti. Della Madre e del Figliuolo. Lei sentì tutto quel duolo, Lei senti le spine e i chiovi. Or se a pianger non ti movi, A che serbi il tuo dolore ? Oggi è. {i) Che per si che. 148 Per te è fatto pellicano, Col morir vince la morte. Lui ferito ti fa sano, Col suo sangue ti fa forte Nella estrema e dnra sorte. Per te acquista oggi vittoria. Piangi dunque per memoria Di Gesù tuo redentore. Oggi è. Chi creò la terra e '1 mare, Chi creò il balsamo e '1 mele. Chi per te volse mutare L'acqua in vin, ch'eri infidele. Oggi ebbe aceto con fele, Disse: Siiioj e tu l'udisti, Madre afflitta, che sentisti , E gustasti quel sapore. Oggi è il tempo, o peccatore. Finis. 149 Contemplazione devotissima. — Madre, che nove mesi al ventre santo Portato m'hai con gran consolazione, Dammi la dolce tua benedizione Anzi la morte mia, anzi il tuo pianto. Che giunta è l'ora che bramato ho tanto Della acerba e crudel mia passione, Per liberar dall'infernal prigione Gli antiqui padri col mortai mio manta (1). Eccomi genuflesso, Madre pia; La tua benedizion santa e verace Concedimi anzi che io prendi la via — . Figliuol, ti benedico in santa pace. Ricordati dell'aspra doglia mia. Che '1 viver senza te mi duole e spiace. Ma poi che al Padre piace Che s'empiano per te le sedie sante. Te benedico dal capo alle piante. Lauda a conforto de' peccatori. Tornate, peccatori, a penitenzia , E ciascuno oggi in colpa a Dio si renda: Che salvo è quel che pecca e poi s'ammenda^ Tanta è del Redentor l'alta clemenzia. (1) Manto iu senso di corpo non è registrato nel vocabo- hrio. Qui dice poi manto mortale come più sopra avea détto mainlo^ di carne, e mortai velo. 150 Piangiamo tulli quanti aìnaramonte Ciascuno, a pie' alia croce, il suo peccalo. 11 Redentor, che in croce sta pendente Per tanto amor che ci ha sempre portato, E per comprar ancor l'umana gente, Ha '1 ciel aperto, e l'inferno serrato Con la sua morte. 0 alma benedetta , Veggio oggi a braccia aperte il ciel t'aspetta f Deh non ti disperar mai, peccatore. Ben che sii stato al mondo scelerato ! Che se ti penti con contrito core. Di' pur tua colpa, e spento fìa il peccato. Guarda come gli è morto per tuo amore, E col suo proprio sangue t'ha lavato, Ito alla morte com' un puro agnello, Per liberarti, eh' eri al ciel ribello. Fu Maddalena al mondo peccatrice, E purgò per pentirsi ogni peccato. Che direm del ladron, s'era infelice ? E penitente, in croce il fé' beato. Fu Longin ancor lui nel ciel felice, Che per ferirlo fu ralluminato. Apunque che non torni, peccatore. Se Dio rimette ogni mondano errore ? E quel calice santo li fu porto, E ber pur fi convenne, benché amaro, Acciocché eternalmente non sia morto 1/ uom peccator che li fu sempre caro. 151 Resuscitato andò per dar conforto Ai santi padri che nel limbo andare. Seguite adunque questo santo segno, Che fa, chi in petto il porta, del ciel degno. Qual sarà quel cor dur, che noq si muovi Vedendo di Gcsiì la pena atroce, Le spine acute e li pungenti chiovi, L'aceto e '1 fel, la lancia e l'alta croce 7 Oggi, che '1 tuo Signor benigno trpvj, Piangendo prega lui coll'umil voce, Che del peccar ti dia gran contjnepzjia Con la speranza fede e paziepzia. Non son peccati al mondo tanto gRvi (1) Che una lacrima sola, pn cor contrito Binanti al tuo Signor oggi non lavi, Che lavato ha l'error ch'era infinito. Ora hai tu, peccator, del cjel le cj^javij Ritorna al tuo Signor, che se' smarrito^ Non creder tu che Dio perder ti voglia , Poi che per te patito ha pena e dogliq. Finis. (1) Questo che manca nell' A. 152 Chrislus in criice ad peccatores. Che aspetti, peccator, che non ti muovi ? Per che se' sempre al tuo Signor ingrato? Guarda k croce, li spini, e li chiovi, Guarda il mio corpo tutto lacerato. Che aspetti che al ben far non ti rinnovi, Poi che col sangue l'ho mondo e lavato ? Con le ferite mie t'ho fatto sano; Fa che '1 mio sangue non sia sparso in vano. Non si commise mai sì gran paccato Che chi (1) si pente con contrito core Da me non sia rimesso e perdonato, Pur che non si disperi il peccatore. Ed ancor Giuda arei nel" ciel salvalo , Se pentito si fusse del suo errore- Si disperò, non ebbe pazienzia, E non conobbe la mia gran clemenzia. Se vuoi conoscer quanto io sia clemente. Pensa che a Maddalena io perdonai. Mi negò Pietro, e pianse amaramente, Onde io del ciel le chiave li donai. Longin che «ni ferì sì crudelmente. Non sol li rendei il lume, ma e '1 salvai- Torna a me, peccalor, poi che li chiamo, Qhè giorno e notte tua salute bramo. (1) Chi per a chi 153 Peccalor respondet ad Jesiim conversus. Io t'ho, Gesù, sì gravemente offeso Ch'io non ardisco in alto alzare il ciglio; Da poi che m' hai dall' inferno difeso, Guardami ancor d'ogni mondan periglio. Fa del tuo amor il mio cor tanto acceso, Ch' io fugga del peccato il fiero artiglio. Non giudicar secondo il fallir nostro, Ma secondo l'amor ch'oggi ci hai mostro. Jesus lo ti perdon, contrito peccatore, Poi che chiedi mercè con umil voccr L' ardente carità, l'immenso amore (>ggi per te mi fa pendere in croce. Per la tua colpa, e non già pel mio onore, Son sceso in terra a patir pena atroce- L'error passato i' ti vo' perdonare; Or vade et noli amplius peccare. Peccalor Gesù benigno, che oggi in croce pendi,. Per la pietà che scender ti fé' in terra , Pel sangue tuo col qual vita ci rendi, Per la tua morte, che l'inferno serra, Pel sacro legno col qual ci difendi Dallo antico inimico e da sua guerra , Fa sì ch'io fugga ogni mortai peccato; Mantienmi mondo, poi che m' hai lavato- 154 Jesus ad Palrem. Perdona, Padre, a costor che non sanno Come per lor salute io pendo in croce. Padre, perdona; e' non san che si fanno. Io grido: Silio, silio, ad alta voce; Che della lor salute ho grande affanno. Questa è la sete e Tardor che mi coce- Perdona, che per questo i' son mandato, E tutto quel che è scritto ho consumato- Finis. In solemnilale corporis Christi. Come è possibii che '1 Verbo incarnato , Che regge il ciel, la terra, l'aria, e 1' mare , In così breve spazio sia serrato ? Questo nel mio intelletto non può intrare. Dice che in un momento è in ogni lato , E questo la natura noi può' fare: Onde io creder non posso che sia vero Che questo sia di Cristo il corpo intero. Chrisliis loquitur 0 gente sempre al creder tarda , e stolta , |^ Al ben far cieca, sorda, pigra e lenta, La fede tua, la qual veggio già spenta. Vuol ch'io venga a morir un'altra volta. 155 Che mi vai, peccator, per te esser morto Poi che se' tanto al creder ostinato ? Quante volte il mio sangue a ber t'ho porto E dato in cibo il mio corpo sacralo? Pur mi sforzo condurti salvo in porto, Benché con l'opre tue sia sempre ingrato. Or vedi sparso per più chiaro segno Quel sangue che per te sparsi in sul legno. r ho già fatto al mondo in ogni parte Per lo tuo amor miracol mille e mille. Scrisser di me già tante antique carte» E gran profeti, e le sacre sibille. E '1 tuo cor freddo pur da me si parte ? Raccendi omai le già spente faville; Che più aspetti omai che tu non credi , Poi che 'I mio sangue sparso aperto vedi ? Sacerdos loquitur Misero, iniquo, incredul peccatore, Saratti mai remesso un tal peccato ? Or ben conosco il mio commesso errore , E quanto al mio Signor son stato ingrato. Misericordia, o vero Redentore, Misericordia a questo scelerato. Piangerò sempre e farò penitenzia. Perdonami, Signor, per tua clemenzia. Chi'islus Resuscitato apparvi a Maddalena, Toccò Tommaso il mio costato aperto , Peregrin fransi il pane, e nella cena E' miei discepol mi conobber certo. 156 De' testimoni la sciìttuia è piena: E tu non credi? È questo il premio e '1 merto? Or mi bisogna, poi che Tuom non crede, Spargere il sangue e rinnovar la fede. Sacerdos 0 Verbo eterno, o vero Salvatore» Verbo che per salvarci se' incarnato, Concedi tanta vita al peccatore Che pianger possa il suo grave peccato; E se per penitenzia e gran dolore Error alcun giammai fu perdonato, Concedimi eh' io facci penitenzia Con lacrime, digiuni ed astinenzia. E voi, veri Cristian, non dubitate; Che questo è il corpo ver del nostro Dio. Guardate al sangue, e più non vacillate (1); Pigliate esempio ornai dal caso mio; Quando tal sacramento voi pigliate, Siate col cor contrito, umile e pio. Seguendo sempre questo santo segno, Che fa, chi bene il segue, del eiel degno. Finis. (1.) FicilaU legge l'A. 157 In resurrectione Domini' Dormivi, Padre, or son risuscitato, Son ancor teco, e sarò in sempiterno. Lavato ho col mio sangue il gran peccato, Che fece Adamo; or vo' spogh'ar l'inferno. Non voler, peccatore, esser ingrato A me che col morir t'ho fatto eterno. Tu eri morto, io t' ho vivificato: Seguimi dunque, e lassa il tuo peccato. Finis. In ascensione Domini. 0 lieto 0 sacro giorno. Ab eterno ordinato dal Signore, Nel qual fatto ha ritorno, Come promise, al mondo il Salvatore. Rallegrisi ogni cortf , E '1 ciel, l'aria e la terra. Gesù vinta ha la guerra, E con trionfo al Padre è ritornato. In Spirila Sancto. Padre, che col Paraclito infiammasti Degli apostoli tuoi le fredde menti, E quelle di tal fiamma alluminasti, Ch' eran per te morir lieti e contenti, 158 E COSI d'ogni error mondati e casti Stavano allegri in mezzo de* tormenti, Facci sentir di quel santo calore Che ci (1) confermi nel tuo dolce amore. Finis. De fraternitate et socio defimcto. Donagli requie e santa pace , 0 Gesiì Cristo, se a voi piace. Preghiamoti, Cristo, per pietate. Se r è di tua volontate, L' anima del nostro confrate Defendi dal foco penace. Preghiam la vergine Maria Che per lui avvocata sia, L' anima defenda notte e dia Dal nimico che è fallace- E gli angeli con tutti i santi A lui soccorrano tutti quanti. L'anima porti a Dio dinanti, Ch' ella non vada dannace (2). (1) Sì r A. (2) Danace legge il testo, ma né danace , né dannace, re- gistra il vbcabolario. 159 0 alto Dio, chiaro viso, Perdonagli ciò che t' ha offeso (1), L'anima conduci in paradiso, Se ella in purgatorio giace. E Cristo che '1 mondo governa. Sì liberi lui di morte eterna , Con lui stia sempiterna In nel suo regno verace. 0 alto Dio, nostro Signore, Preghiamoti per lo tuo onore, Perdona ad ogni peccatore, E non guardare al mal che face. Amen. (ij Cosi il lesto; ma non c'è rima. Still'autorilà tii Dante, elle Ila detto sorprho, miso, ripriso, per sorpreso, messo, ripreso, si potrebbe dire odiso; ma ajli antichi spesso bastava l'assonanza. 160 Discorso lello nella tornala solenne tenuta daWac- cademia Tiberina la sera dei 24 maggio 1857 in onore di Torquato Tasso. Ì\llorchè, principi eminentissimi , accademici va- lorosi, onorevoli ascoltatori , allorché un generoso sentimento di patria carità santificato dall' alito della religione destava, or son presso a due lustri, nell'animo di alcuni dotti e gentili il pietoso dise- gno di rinnovare su la povera tomba del grand' epico cristiano un tributo solenne di lagrime e di pre- ghiere; ed io debole dicitore invitato a lamentare con opportuno discorso le sventure di quel sovrano intelletto, con umili sì ma calde parole nel cospetto di una schiera elettissima e numerosa di ragguar- devoli personaggi ricordava all' Italia di sdebitarsi pur finalmente a lui di un obbligo oggimai troppo antico; io certo in quel punto, non che confidarmi, non osava in alcun modo sperare che i miei fer- vidi voti sarebbonsi fra non molto avverati. E per fermo qual mai cosa poteva siffattamente rassicu- rarmi, che non avessi giustamente a temere , che dove tre secoli di delusa espettazione bastati non erano a compiere il desiderio de'buoni, ad attutire il dileggio degli stranieri, a cancellare in fine dalla fronte maestosa di questa nostra bellissima patria un' onta sì grave d' ingratitudine materna , poco anzi nullo eccitamento a sì grand'uopo recato avreb- m he, noi) dirò la mia voce, ma l'esempio nobilissimo di quegli egregi che sa la tomba del Tasso si compiangeano ? A ciò ripensando non posso non altamente maravigliare del successo che pur ora vedemmo; non posso, dico, non benedire a questa Uoma, che in un' età qual è questa nostra perduta- mente sollecita di frivolezze e d' inezie , paralitica di misere ambizioni, e sterile al tutto di magna- nimi fatti, memore di se medesima e della sua di- gnità siasi ella d'improvviso levata , ed abbia con sì nobile ammenda pagato di per se sola il debito di lutti, di tutti, o signori, che in tanto travolgi- mento di principi! non disconobbero ancora le vere fonti della nostra grandezza. Piena la mente di questa idea , e scosso nel- l'animo dalle più vive emozioni, io debbo innanzi lutto congratulare a voi, sapienti moderatori della nostra accademia, che uniti quali siete di cuore e di mente nell'onorare la vera virtìi , stabiliste con sì lodevole avviso radunarci stassera a festeggiare un così lieto avvenimento: e debbo, il dirò pure , congratulare in pari tempo a me medesimo , che in tanta copia d'uomini degni , a me ultimo fra tutti sia toccala la sorte d' intrattenervi con brevi parole su l'obbietto consolantissimo della presente solennità. Non v' aspettate però che in sì grande agitazione di affetti io mi proponga alcun disegno di ordinato ragionamento. Le parole che io dirò , pili figlie del cuore che della mente , non altro avranno di mira che accendere vieppiiì sempre ne- gli animi vostri 1' ammirazione e 1' amore a quel sommo , ai cui merito veracemente singolare non C.A.TCXLVIII. 11 162 v'ha elogio che basti, non tributo di onore che de- gnamente risponda. Né per aprirmi la via ad un facile ragionare voglio io, miei signori , prender le mosse dal ri- cantarvi r istoria pur troppo dolorosissima delle sciagure di quell' anima temprata aiirabilmente dalla natura ai sentimenti più generosi e più cari. La gioia di questo giorno consacrato al suo trionfo non vuol essere funestata da lamentevoli rimem- branze. Ne certo lodevol opera farebbe quel dici- tore , che dopo aver visto ed ammirato con qual nobile ardore v' adoperaste poc'anzi di riparare la noncuranza di tante generazioni ; e come un fatto sì glorioso felicemente compivasi sotto gli auspici dell' immortale pontefice e padre amorosissimo che ne governa, venisse a compiangersi non so più s'io mi dica della nequizia de'contemporanei che astiosi della fama di lui sì fieramente travagliarono il po- vero Torquato, ovvero della costante perversità dì fortuna che non contenta d'invidiargli il trionfo già preparatogli sul Campidoglio , travolse ancora il disegno di consecrargli, mentre n'erano ancor calde le ceneri, un prezioso monumento. Persuaso di questo vero , io non ho , miei si- gnori, che parole di esultanza, non ho che voci di congratulazione e di plauso per quel vivo entusia- smo, con che la nostra Roma collocando in più di- cevole tomba i cari avanzi del Tasso , unanime si mosse a festeggiarne il trionfo. Oh! sì questa Roma, calunniata mai sempre dar doveva all' Europa una solenne mentita: e mentre coloro che con ipocrito zelo s'argomentano di far credere che morto e qui 163 ogni nobile sentimento, nò più si apprezza la virtù dell'ingegno, con ambiziose e crudeli utopie avve- lenano le dolcezze della pace unica e vera sorgente di quella vita onde s'informa il pensiero ed apresi a sublimi creazioni nell'ordine del bello e del vero, mostrar doveva a fatti che la memoria de'grandi in- gegni è sempre per lei obbietto di compiacenza e di gloria; e mentre si studia di onorarla , visibil- mente manifesta che come dal cielo fu destinata depositaria e custode delle sane dottrine, è tuttavia e sarà sempre il vero centro dove nutresi ed av- viva la scintilla del genio. Sì, miei signori, di que- sta splendida verità dar doveva la nostra Roma in- contrastabile testimonianza: e tale per fermo la diede, che Italia tutta redenta per lei della taccia d' in- grata può finalmente senza punto arrossire fissar l'occhio al Gianicolo e additarvi allo straniero non più un'umile pietra , ma un decoroso monumento dove riposa il canlor dei crociati. Senonchè a taluni, soverchiamente severi esti- matori delle cose, parrà p<^r avventura che a sì lunga espettazione non abbastanza risponda la ric- chezza del monumento inalzato all' epico nostro: parrà, dico, che a disacerbare nei presenti l'ama- rezza di sì antico desiderio, e a merilare dagli av- venire un saluto di gratitudine , una lode non in- terrotta per aggirarsi di secoli , non siasi da noi adoperato pei* guisa che la memoria dell' inerzia trascorsa fosse a' dì nostri liberalmente compensata, lo non voglio , nò debbo io qui assumermi come che sia le parti di giudice. Si bene dirò , che av- vezzo qual sono ad apprezzare più assai l'intensità 164 dell'affello che non la v'ìccheim della materia onrie i superstiti si argomentano di onorare le virtiì de- gli estinti; le sublimi e concordi manifestazioni di sentita venerazione, di che fummo pur ora testi- moni , sono per me ornamenti più preziosi e più desiderevoli di quelli che agli animi volgari parer sogliono più stimabili e più belli. E di vero qua! mai monumento per quantunque preziosissimo di bronzi, di marmi, di sudato lavoro, bastar potrebbe al merito del Tasso ? Chi di noi nel chiedere che istantemente facemmo perchè in urna più degna riposassero finalmente i pochi avanzi che di lui ci rimasero, si avvisò di pagare a quel sommo il tri- buto di un monumento che di gran mano aggua- gliasse la celebrila del suo nome ? Il monumento, 0 signori, che solo è pari alla grandezza del me- rito di lui, unicamente è riposto nelle ineffabili armo- nie dei divini suoi versi, e nelle forti ad un tempo e soavi emozioni che suscitano in ogni cuore for- mato dalla natura a vivamente sentire la potenza del bello. Qual v'ha labbro in Italia su cui non risuo- nino le toccanti avventure di Olindo e di Sofronia, i casti sospiri e le continue trepidazioni di Ermi- nia , le virili prodezze e la morte di Clorinda , i lamenti di Tancredi su l'esanime spoglia di lei, le prove stupendissime del valore di Rinaldo, la pietà infine, la fenne/.za, il coraggio, la maestà di Gof- fredo ? Qual v'ha cuore che non s'infiammi all'en- tusiasmo dei ciociati, che stanchi delle durate fa- tiche, esausti di sudore e di sangue, s'avanzano vit- toriosi nell'espugnata Gerusalemme , e poco stante su r orme del loro duce lagrimosi s' affrettano ed IGo avvampami di fede a sciogliere il voto sul liberalo sepolcro, su quel sepolcro che in mezizo a tante vicissitudini sociali fu per divino consiglio provvi- damente serbato a testimonio perenno dell' umana redenzione ? S'abbiano pure le superbe amI)iz,iorii de'neghit- tosi accarezzati dalla fortuna, s'abbiano dopo morte monumenti ed epigrafi quali sa dare la servii gra- titudine de'favoriti adulatori, o procacciare la ric- chezza del censo: sperino pure che questa vanità di mentite onoranze possa in qualche modo eter- nare 1 loro nomi, e far che vivano nella memoria della posterità. 1 marmi preziosi che cuoprono i loro avanzi, e le bugiarde parole che ricordando i loro nomi accennano ai riguardanti virtù che non ebbero, non potranno giammai destar nelf anitno de' superstiti, non in quello degli avvenire, un desi- derio di loro, un affetto quale che sia di riverenza e di amore. Alla vera virtù delle anime grandi, che Iravagliaronsi a ben meritare della patria, il più degno monumento (giovi pure ripeterlo) è nel cuore dei generosi, i quali mentre si gloriano di conse- crare una visibile testimonianza di profonda grati- tudine alle loro fatiche, credono bensì di adempiere nel far ciò un debito soprammodo giustissimo; mi non tanto riguardano alla pompa esteriore e alla ricchezza materiale dell'offerta, quanto all'intrinseca bellezza dell'affetto che l'offerta accompagna. Ora questo appunto non fu egli il comun no- stro intendimento quando unanimi e volenterosi ponemmo a Torquato il novello monumenlo por vendicarne gli oltraggi dell'invidia e della fortuna, 160 ed esprimere tutto insieme l'accesissimo amore che a lui ne stringe , dalle cui splendide fatiche tanta luce di gloria si deriva su questa nostra dolcissima patria l'Italia? Qual è di voi che non rammenti con tutta l'espansione dell'animo la letizia di quel giorno, che destinato a compiere il desiderio dei nostri cuori ne trasse colà sul Gianicolo alla pie- tosa e solenne cerimonia ? Qual è di voi che al- l' augusta maestà di quei riti, e alle patetiche me- lodie di quei canti onde la chiesa pregando pace all'anifna di Torquato preparava i nostri cuori a sostenere con religioso sentimento il tumulto degli affetti che alla vista di quelle ceneri compiante de- star doveasi nell' intimo de' nostri petti , non fu scosso d' un' arcana ed ineffabile trepidazione ? K all'aprirsi di quell'urna, e all'apparire di quelle po- che sì ma carissime ossa rispettate dal tempo, chi non intese dentro di se un palpito di tenerezza ? Chi non bagnò d'una lagrima le avide pupille ? S' io debbo, o signori, dalla foga dei mille af- fetti che oppressero in quel punto l'animo mio ar- gomentare di ciò che avvenne in ciascuno di voi, ben posso asseiire a fidanza , che per esprimere così gagliardi e così vari commovimenti dell'animo non ha la lingua parole che bastino ? E come in- fatti esprimere a parole quel contrasto misterioso di dolorose rimembranze, di pensieri soavi, di sen- timenti sublimi, che a sì toccante spettacolo dovean di forza tutta occupare la mente ed il cuore di quanti accorsero in quel giorno sì lungamente so- spirato ad ammirare V omaggio che questa Roma in nome di tuttaquanta 1' Italia tributava ad una 167 ile' più glandi suoi figli ? E quanto possente non risonava su i nostri cuori quella voce d'impaziente desiderio, che improvvisa levandosi di mezzo al po- polo accalcato ed anelante chiedea si mostrasse quel cranio, dentro a cui si crearono quelle altissime fantasie che furono e saran sempre la maraviglia del mondo ? Ma, oimè ! quella fronte, in cui tanto si accolse dell' armonia del creato, non era più, e non offriva allo sguardo che pochi avanzi di se ed un pugno di cenere. Ma non attristiamo, o signori, con immagini si melanconiche Todlerna letizia. Ne giovi invece ri- tornar col pensiero alle gioie soavissime di quel- r istante che, dopo il meriggio di quel giorno av- venturoso, colà stesso dove V infelice poeta traea sovente a piangere e meditare, una schiera di gio- vani ma forti ingegni accoglievasi a dar tributo di j)octici plausi a quel divino, che ispirato dalla musa €eleste mostrò ne' suoi canti di che sia capace l'i- taliana fantasia dove la scuota la virtù della fede e l'idea di quel bello, di che s'improntano le azioni magnanime che consigliate da lei generosamente s'imprendono, e con affetto indomabile felicemente s'adempiono a prezzo di sacrifizi e di sangue. Quivi nel cospetto di alti e cospicui personaggi, di ono- rate matrone, d'ingenue giovinette, di un popolo in fine frequentissimo di numero , e che più monta culto € gentile, con quaK nobile gara non intesero i valorosi a celebrare quell' anima grande con ogni guisa di elettissimi carmi ? E quelle voci ar- moniose, che secondate da musicali strumenti in- 168 noggiavano a quel gran vanto d' Italia nostra, che non dicevano di sublime agli animi tutti ? Pareva, o signori, che. il cielo istesso partecipasse alla no- stra allegrezza diradando in un subito [e addensale nubi che minacciavano interrompere la solennità di quel giorno. Chi non fu preso di maraviglia , chi non intese destarsi nel cuore un fremito im- provviso d'insolito godimento, allorché i raggi del sole già vicino al tramontare, fattasi strada tra i verdi rami de'circoslanti arboscelli , vibraransi di tratto a rischiarare le care sembianze del sommo poeta che maestose sorgevano di ftonte all' emici- clo mirabilmente stipato di plaudenti spettatori ? Oh ! neir estasi di quel momento chi non credette di vedere in quel volto, che tutto in un subito pa- rca rianimarsi, una tenera compiaicenza , un vivo graditnerilo delle nostre letizie ? Ora, se queste nobilissime onoranze, se questo slancia d* iadicibile affetto con che unanimi tutti siamo accorsi a inaugurare il nuovo mo>numento , che, preparato dalle sollecite cure di questa Roma, lelicemenfe compivasi per l'inesausta libefalità del regnante ponterice, non btìstano ad api)agare gl'im- moderati desidèri de'più schifiltosi, e a ftvr cessare l'antico biasimo dell'invidia straniera : io non so , miei signori , con, quali altri argomenti potesse la patria manifestare a sì gran figlio la sua gratitu- dine. Ma lasciamo che altri giudicando a sua po- sta corra dietro a quell'ottimo, che quaggiù non è dato raggiungete. 169 Noi, o tiberini , a cui, mercè di Dio , è cosa sacra e solenne far eco questa sera al plauso universale de' buoni e de' savi che del faustissimo avvenimento si compiacciono , noi, dico, contenti alle vedute manifestazioni di patria carità verso il sommo poeta, diciam pure giubilando che il vige- simo quinto di aprile del mille ottocento cinquan- tasette fu giorno quanto altri mai memorabile per la gloria d' Italia. Sciolgasi dunque un inno trionfale qual richiedo da noi la maestà dell' odierna letizia: s' ispirino a questa le menti, ma più i cuori, de' nostri poeti; tributino al grand' epico italiano affettuose can- zoni; gareggino in fine per rendere a lui nella dol- cezza dei loro versi un omaggio spontaneo di quelle care armonie, di cui si nulrii-ono studiando inde- fessi nelle sublimi ci-eazioni di quell'ingegno ve- ramente stupendo. E tu, o grand' anima, vanto nobilissimo della nativa Sorrento , anzi d' Italia tutta che del tuo nome s' esalta; tu, o Torquato, che travolto quag- giiì da si lunghi dolori, or li godi in quell'oceano di luce e di amore che solo potea saziarti; se le pubbliche testimonianze di affetto, con che la no- stra Roma collocava in pili degno monumento le care tue ceneri; se le solenni espressioni di giu- bilo, con che stassera festeggiamo il tuo trionfo, valgano in qualche modo a ristorarti del passato abbandono, sorridi alla letizia di sì pure di sì fervide onoranze. Sia questo, o grande, incitamento a virtii , sia stimolo e sprone a generose azioni. 170 Noi frattanto pieni sempre di caldissimo amore e di altissima reverenza al tuo gran nome, non più lagrime d'ora in poi , non più lamenti , ma inni recheremo di gioia, e fresche ghirlande di elet- tissimi fiori su la novella tua tomba. Tommaso Borgogno C. R. Somasco. 171 Splendore di Roma nell'eia di mezzo: Narrazioni due corrette sui testi a penna e illustrate con note dal commendatore Visconti. iT^erchè le storiche memorie siano sufficiente mezzo al grande loro fine, è necessario che così vengano nelle mani degli uomini, che non siano né guaste, ne difformate, né manchevoli. Senza le quali con- dizioni sono per dire che tornino più quasi di no- cumento, che non di vantaggio. Parendo a me che il mal sapere sia peggiore dell'ignorare. E di vero, non già nelle cose non sapute, ma sì in quelle sa- pute male cade Terrore. Laonde essendomi avvenuto di scorgere con quanta negligenza e trascuraggine si fossero stam- pate due narrazioni di cose romane , rese piene tutte d'errore e d' oscurità, mi parve che non sa- rebbe male spesa l'opera di restituirle, quanto fare si poteva, alla propria limpidezza ed autorità; e che anzi opera sarebbe nell' universale utile, e nel par- ticolare di questa patria desiderabile e cara. In questo proposito stando , mi confermò in esso una felice fortuna. Perché sì dell' una narra- zione e sì dell' altra ebbi testi a penna di gran lunga migliori, o almeno meglio letti, che non sono quelli usati alle stampe già fatte. E questi testi posi di vantaggio fra quelli della mia propria bi- blioteca. in h dunque la prima narrazione dell' ordine e delle pompe de' magislrali romani nel secolo Xil. L' ebbe il Muratori dal codice vaticano 6823, e la pose a stampa nel tomo li a e. 856 delle diss. su le cose italiane del medio evo. Dall'edizione di lui la ristampò poi in Roma Guglielmo Manzi (Mordacchini 1818), sotto il numero V delle illustrazioni al suo discorso sopra gli spettacoli, le feste, ed il lusso degli italiani del secolo XIV, Non corresse egli, né migliorò il testo in conto veruno; talché gli errori sono co- muni air una stampa ed all' altra. E questi errori sono sì sconci, che spesso hanno del ridicolo , e più spesso ancora dell' incredibile. Non entro qui a noverarli, avendoli notati ai propri luoghi. Vero è che questo ho solamente fatto dei più rilevanti. Che altrimenti facendo, troppo spesso mi saiebbe stato mestieri di fermarmi, e quasi ad ogni luoga. Meglio sarà manifestare da quale fonte ho attinto le emendazioni d' ogni maniera. Ebbi dunque la copia di questa narrazione , che Giovanni Pietro Caffarelli levò l'anno 1607 da un manoscritta da- togli da Curzio Muti colla più scrupolosa esattezza^r come si piacque notare di sua mano così: « lo lo scrissi come stava, senza nessuna alterazione.)) No» molto dopo feci acquisto di un manoscritto , più antico di tale copia , ma quasi al tutto a quella conforme. Sicché dall' uno e dall' altro ebbi modo a correggere i numerosissimi errori e le ommis- sioni, che sono nella stampa- Ma la seconda narrazione è levata dagli annali di Lodovico Bonconte Monaldeschi, dove narra d'una giostra liUta nel Colosseo di Roma. Slauìpò quegli in annali il Muratoli nel tomo XII degli scrittori delle cose italiane a e. 535; e stampò quel tratto di essi il Manzi sotto il numero I delle illustrazioni già dette di sopra. Le emendazioni sono state qui pure molte e di grave momento. Mi vennero tutte somministrate dal confronto di un mio codice degli annali del Monaldeschi. Era proparato per la stampa ed ha in fronte queste parole: « Al curioso lettore. « Ti mostro una copia degli annali del Monalde- desco d' Orvieto , simili ad un diamante legato in ferro, poiché contiene veracissime istorie del suo tempo; ma narrate in lingua barbara. Mi sono preso fatica di rincontrare questi suc- cessi negli altri stoiici , e l'ho ritrovato veridico. Credilo dunque a me, se però fidi in uno, al quale dà fastidio Tajnbizione del suo casato, non ve n'es- sendo dentro fatta menzione; ma solo stimolato dal dolce amore della verità.» Sin qui il manoscritto. Chi sia questuno che del Monaldeschi e di se affermò tali cose, non ho potuto ancora chiarire. Ben però posso aggiungere , che da questo saggio che ora se ne vede, si può ftire ragione quanto sperare si possa dall'intiero volume per l'emendazione di tutti gli annali del Monaldeschi : al che attenderò senza meno quando ne abbia agio migliore. 174 1. Ordine e magnificenza dei magistrali romani nel secolo XIV. Nel tempo che in Avignone la corte ronnana faceva residenza (1), nel quale il governo di Roma, assolutamente de' senatori, la giustizia della patria esercitava con loro molta reale grandezza , sì nel governo e nelle precedenze dei magistrati, e sì ne- di abiti e livree e mutazioni ancora di esse, nel- l'andare ad incontrare gì' imperatori, e i legali apo- stolici, e altri principi (2). Prima si vedeva venire di molti gentiluomini a (1) Il testo del Muratori, seguito dal Manzi, comincia: Io già, come vi dissi, in un libro scritto a mano, fra molle cose, vi tro- tìui come intenderete. Tutto questo manca nel mio manoscritto. E agevole il conoscere come tali parole fossero aggiunte da chi ri- copiò la narrazione, della quale si tratta, e quanto siano esse fuori di quella. Similmente manca, dopo il luogo dove è il segno della nota, la frase seguente: per malignità de' tempi cagionata. Qui ancora nou è diffìcile di scorgere, che fu questa osservazione se- gnala da alcuno nel margine delia carta, donde poi venne ad es- sere unita al testo. (2) Ecco in qual modo, e con quanta confusione e mescolamento di frasi aggiunte, si leg^je questo tratto nel. 'e stampe già dette: I Nel quale il governo di lioma assolutamente da'senatori la giu- stizia della patria esercitava con lor molla grandezza sì nel go- verno, come nel ricevere e incontrare i legati apostolici con bel- lissimo ordine, precedenze de' magistrati, sì degli abili, livree, e mutazione anco »li esse , nell'anse alla divisa della ciltà, come s' é veduto di sopra che gli altri la portavano; e come si vedrà in appresso. 177 di* panno rosso. Portavano in testa (1) una certa cappa lunga di scarlatto, che se la gettavano so- pra le spalle , con un poco di mostra di pelle bianca. Usavano un robbone lungo, alla senatoria all'antica , di damasco pagonazzo (2) con fodere di raso cremisinoi con una sottana di scarlatto. In Seguivano poi due secretavi. Cavalcavano con gualdrappa e fornimento di velluto pagonazzo ; con berrette alla ducale: vestiti con un giubbone di raso rosso: con calze di scarlatto, con un rubbone di damasco cremisino foderato di raso 'giallo,; fra sopra il ginocchio. h '?i:'' I due scriba senatus vanno a cavallo come i secretar! e vestono come loro", ma il robbone ha solo mezzi maniconi con-bQttoni^ d' ora e. Ja fo- dera di raso pagonazzo;'!.") i iJncvr: v'ànb g oob e Poi venivano quattro marescalchi, al paro cri- ■valcando , con mezze copertine di scarlatto con frange d'oro, con fornimenti di velluto rosse», con berretta alla ducale di velluto cremisino; calze di scarlatto: con rubbone corto di velluto pago- (1) Nelle stampe è «juì segnato come se vi fosse mancanza; n>a in verità non n' è alcuna Del manoscritto , né accade che vi sia. Ben v'ha un erroire pessimo, pel quale non si potendo intendere ohe cosa si dicesse di questo vestiario, si pensò ad alcune parole che non vi fossero. E come intendere una calza sul capo lunga di scarlatta che se la gettavano sopra le spalle ! La cappa mutata in calza fu causa di questo garbuglio. (2) Quanto è di carattere corsivo, manca nella stattipà. 'E se ne rendeva al lutto oscuro, quanto segue non molto dopo in quelle parole: « I r|ue scriba senattis, vanno a cavallo come i secret:iri e vestono come loro. 11 Giacché uè di sccrclari uè di lor vestito non s'era parlato. G.A.T.CXLMll. J2 178 "tiazzo con bottoni d'oro, foderato di damasco rosSo: con un bastone per uno in mano di legno bianco. Venivano i baroni romani [\). Andavano avanti alli paggi de' caporioni i tamburiini dei rioni tutti assieme, a quattro a quattro per Bla: con berretta air antica di panno rosso con piume: con un giub- bone giallo: con calze all'antica, una rossa di panno, e l'altra secondo la livrea del rione: con una casacca liscia di panno rosso, con passamani gialli, con faldoni e maniche, una rossa, e l'altra alla divisa del rione; con una banda de'colori del- l'arme de' caporioni. Sopra i tamburi erano di- pinte le insegne (2) del loro rione, con quéste let- tere S. P. Q. R. Venivano tredici paggi de'caporioni. Andavano, a due a due, avanti i caporioni , con loro prece- denze. Questi paggi portavano le insegne delli rio- ni, cavalcando con fornimenti di velluto rosso e mezze copertine fatte a pendoni, con pettorali di panno del colore dell'impresa del rione, coli' arme di ricamo al pettorale del cavallo (3) del caporione. h fatto il fornimento a fasce con frange e fiocchi cV argento: ha la testiera del cavallo colle piume. Il vestimento de' paggi: prima portavano un ber- retto all'antica di scarlatto ; ma questo Io porta- vano nelle feste positive (4), senza la bandiera. Ma ,.; (1) Manca nella stampa ')||..(2) La slampa: erano dipinti i segni. '■(3) Quanto é di corsivo manca nella stampa : laonde le piume dalla testiera erano passate a starsi al petto del cavallo. (4) Ciò é dire nelle feste ordinarie, e però di pompa minore. iV ih •^ihliflM/'f ! . ;; i\ Andava con questo abito. Portava una berretta alla ducale di tela d'oro, con un giubbone di raso cremisino con punte e bottoni d'oro; con calza, una di scarlatto, e l'altra rossa e gialla; con un robbone corto, tutto chiuso, con mezzi maniconi di tela d' oro, foderato di damasco cremisino; con una gualdrappa al cavallo, pettorale e fornimenti di velluto cremisino, e al pettorale l'arme sua di ricamo, con frange e fibbie d' oro. Nelle feste militari andava il gonfaloniero ar- mato, con collare, e spallacci e bracciali d'armo bianca; con un saione crespo , mezzo di velluto cremisino, e l'altro mezzo della sua livrea fatto a fasce di color lionato ,e tela, d'oriO,,, e-, simili le maniche di esso; con una catena d'oro al collo ; col cavallo bardalo , ornato in fronte con pen- doni , coperto di damasco lionato' tutto' a' ricanii d'oro e d'argento, coll'arme sua e frange dloro. 18i Seguiva ìi piefelto di Roma a man diitfa del gonfalonieio- Questo ufficio dopo il senatore ha ìi primo luogo. Venne esercitato da baroni romani^ e avevano carico di mantenere la patria abbon- dante, e di tenere sicure le strade della canaipa- gna di Roma da ladroni ed assassini, e con i-i- gore li castigava: però gli andava avanti quel puttO' colla frusta. Le città, terre, e castella erano ob- bligate di mantenergli i soldati. Quando li pon- tefici coronavano gì' imperatori, egli teneva la co- rona imperiale e andava sempre avanti , vicino al pontefice. Nelle pompe portava una bacchettina d'oro in mano. Questo officio esercitò mollo tempo la nobilissima famiglia di Vico Canascolti (1), con- cessole dal popolo romano e dai pontefici per ere- dità suceess-iva , pe' benemeriti di questa famiglia. Ma poi per la loro mala vita ed enorm Seguiva la guardia dei sessanta alabardieri, ve-^ siiti nel modo che io dissi di sopra. Era la guar- dia del senatore e di altri magistrati. o Veniva davanti al senatore il putto della grui- stizia, che si dava ai figliuoli dei gentiluomini (l}i Cavalcava con mezza copertina fatta a pendoni di scarlatto con frange e fiocchi d'oro, con fornimenti di velluto rosso. Portava un berretto all' amica di scarlatto di grana con lettere di ricamo d'oro, cioè queste: S. P. Q. R., con un giubbone di raso cre- misino; con calze di scarlatto; con un salone scol- lato crespo; con mezzi maniconi di velluto cremi- sino, listato con fasce di tela d'oro. Tiene in ma- no uno stocco dorato con fodero di velluto rosso; e porla dietro alla schiena il cappello del senato- re, eh' è di tela d'oro, foderato d'ormesino cre- misino. Di qua e di là della persona del senatore erano a piedi due alabardieri con bastoni in mano — — tO'iO Tj (\Ji'j'jii iiitiué i'IjCjii ieont; tenere nell'una mano la pà]niiìè'néTI'all¥à il- 'globo; 'b'iUibbl'd del mondo. Basti il notare, per chi ne fosse vago, le tavole li, III e IV del Vitali, Storia de'senalori di Roma, parte li. > (1) Nel capo 111 dello statuto di Roma si parla di questo' putto, dicendo»! del senatore: Dumque itapaludatus ad tribunal scdét, dui per urbem incedei, sceptrum eburneum in manibus tenere, et- ante se puerum, pannis infradicendorum colorum indutum, portantem emem et pileum. E poi si dice, che cavalcando esso senatore, ab- bia a farlo: praecedente puero praedicto equestri deferente ensem et pUeum. 1 188 per far far largo al popolo, andando senza berretta, quando non vanno armati (1). Venivano accanto al senatore due a piedi con due spadoni da due mani sopra le spalle , senza niente in testa. Vestivano con giubbone liscio di raso d'oro, trinato d'oro, con una manica rossa, e l'altra alla livrea del senatore, tagliate sotto al go- mito; con calze, l'una di scarlatto, l'altra alla di- divisa del senatore; con una catena, a traverso per bianda, d' oro. Veniva la persona del senatore con maestà a cavallo sopra una bianca chinea, con fornimenti di velluto cremisino ; alla testiera della chinea certi fiocchi di seta cremisina e oro e fibie dorate; con gualdrappa di velluto cremisino, con una fascia d'at- torno di ricamo d'oro e d'argento larga un palmo con frange d'oro. L'abito senatorio è questo: un berrettone , al- l'antica, alla ducale, di broccato d'oro, foderato di pelle d'armellino; con calze di scarlatto di grana ; con scarpe di velluto rosso con una fibbia d' oro; con una sottana di velluto cremisino con bottoai d'oro; con una veste alla senatoria di broccato , riccio sopra riccio, d'oro, foderata di pelle d' ar- mellino; con una mozzetta sopra di pelle d'armel- lino con codette, e certi guanti di pelle bianca con un orlo di ricamo con perle. Porta in dito tre anelli d'oro. Uno d'un rubino , 1' altro d'un diamante, il terzo d' uno smeraldo. Con una collana d'oro al [i] La slampa: andando senza ìxrreita e non vanno armali- 189 collo. Ha una bacchetta d'oro in mano , con una pallottolina e una crocetta in cinna. Dietro al senatore seguivano due camerieri se- greti, vestiti con calza, una di scarlatto, l'altra alla divisa del senatore; con un giubbone di raso cre- misino; con una berretta di scarlatto; con un rub- bone all'antica di peluzzo pagonazzo con fasce del- l'istesso colore di velluto con fodera di damasco pagonazzo, con sella di velluto nero. ibnfn Venivano poi i giudici di Campidoglio, con gual- drappa di panno pagonazzo ; con vesti lunghe di velluto nero, con berretta da dottore, con sottana pagonazza; e gli officiali della corte del senatore. In ultimo veniva una cornetta di cinquanta ca- valleggieri, e veniva un trombetta, che nella ban- deruola di essa portava S. P. Q. R., e sotto Parma del senatore. Cavalcava una sella armata di corame e fornimenti rossi ; e lui portava una berretta dr panno rosso con piume , e giubbone di raso tur- chino, con calze, una rossa di panno, e l'altra alla livrea del senatore; con saione liscio di panno rosso; con la manica, mezza di panno rosso , e 1' altra mezza di panno de'colori dell' arma del senatore ; con una banda rossa e gialla, con spallacci e brac- ciali d'arme bianca. Seguivano due paggi. Uno era del capitano. L'altro portava la cornetta dell'alfiere coll'arme del popolo; erano al medesimo modo vestiti come il trombetta; ma i saloni sono di damasco (1). (J) Ma i saioni sono dì damasco, manca nella slampa. 190 Poi veniva il capitano e 1' allìeic doi cavalli, ch'erano gentiluomini romani. Andavan vestili al medesimo modo del trombetta ; ma erano di vel- luti e oro, con un collaro per uno di maglia. Seguivano i cavalli leggieri al medesimo modo vestiti che il trombetta , colle banderuole secondo la livrea del senatore sopra le lance. In certe occasioni poi andavano nel medesimo modo, ma colle celate in testa con piume, e così alle testiere dei cavalli. (uj oor Con questo bell'ordine e pompa e magnificenza andavano , che pareva che in loro fosse V antico grande imperio romano tornato (2). (1) Tutto quello che segue nella stampa, non è nel testo a penna. Ed è in vero fuori dell'assunto, accennando alle livree che usavano i particolari ne'Ioro servitori, e a due cori di musici, l'uno di voci e l'altro d'istrumcnti, in tutto sedici, che erano allo stipendio del ■popolo romano. 191 II. -liun'ì oii'!V);i:^ 1 testo stampato ha collana. 195 casa a sanla Maria de' Stalli (1) e si chiamava piazza d' Altieri. Uscì Evangelista d'Evangelista de'Corsi, vestito di color celeste, e portava al cimiero un cane le- gato, e il motto diceva: LA FEDE Mi TIENE E MANTIENE. Uscì Iacopo Cencio, con un vestito bianco e lionato, e il motto diceva: BONO COLLI BONI CATTIVO COLLI CATTIVL Uscì il tiglio di Fusco, con un vestito verde e brache bianche (2); al cimiero v'era una colomba con le frondi d'oliva, e il motto era: SEMPRE PORTO VITTORIA. Uscì Franciotto de' Mareri (3) vestito di verde come la donna smorta , e il motto era: EBBI SPERANZA VIVA QUA' MI MUORE. E molti altri, che io mi stracco di raccontarli. Tutti assaltarono il toro, e ne rimasero morti diciotto, 0 nove feriti. Delli tori ne rimasero morti undici. AHI morti si fece grande onore, e si por- li) Nella stampa si legge a san Marcello de' Stalli. Chiesa che non ha riscontro alcuno con quelle esistenti, o esistite già in Roma. Ben l'ha santa Mariella, come è nel mio testo a penna. La ricordò Fioravante Martinelli nel trattare, de templis sanctorum obsoletis al capo Xll della sua Roma ex ethnica sacra , in queste parole: sanata Maria de Astallis, sive de strada, nunc nominis Jesus. Quella piccola chiesa fu in fatto compresa nel grande edilìzio della chiesa del Gesù, e notissimo e quivi lo splendido palazzo Altieri. (2) E li calzoni a brache bianche, sta nella stampa. (3) Franciotto Mareri personaggio di potente famiglia, intorno alla quale ho nel codice stesso manoscsillo degli annali nel Monaldeschi, un bel conserto di memorie, venne mutato nella slampa in Fran- ciotto di Mansini. 196 tarono a seppellire a santa Maria maggiore, e a santo Giovanni Laterano. Camillo Cencio, perchè il nipote, ch'era un pie- colino, nella folla era cascato, e fattolo cadere il fìg-lio della sorella del conte dell' Anguillara , il Cencio li diede in capo una storiata, che il povero giovane morse subito. La folla fu a santo Giovanni per vedere sep- pellire i morti al giuoco. 197 Esperienze del prof. D. Francesco Regnani sulla deviazione delV ago calamitato per la elettricità di attrito. \^uanto non è mai grande la utilità del galvano- metro nello studio della elettricità ! Dubitate se lungo un filo metallico corra l'elettrico ? e in qual senso vi corra ? e con quanta energia ? Ebbene: annettete i capi del filo ai suoi due bottoni ; e lo spostamento angolare dell'ago calamitato vi palesa tutto ad un tempo e l'esistenza, e la direzione , e la intensità della corrente elettrica. A dir vero, non si può rivolgere il pensiero alla esattezza ed im- portanza di queste multiformi indicazioni, senza sen- tirsi nascere in cuore il desiderio di poter fare al- trettanto per ogni movimento di elettricità anche, non corrente (1) , e per ogni corrente anche non voltaica. Veramente 1' elettroscopio di Bohnenberger annunzia le più tenui quantità di elettrico , e ne rivela senz' altro il segno o la qualità- Ma esso non misura che le cariche di elettricità, la quale o per comunicazione o per influenza si ferma e si addensa sulla sua listarella d' oro: e queste stesse non le (1) Suol chiamarsi corrente elettrica non l'elettricità che lenta- mente si trasfonde e si comunica da corpo a corpo, o da mole- cnla a molecula, ma bensì quella che scorre velocissima e libera per lo più sui conduttori. (Pianciani, Elementi di fisico-chimica voi. 2 lih. 4 cap. 13 § 101.) 198 misura con molta precisione. Dove poi si tratti di elettricità che si muove e fugge; ove se ne voglia spiare randaip.ento; ove se n'abbia a valutare e de- terminare con qualche rigore la forza ; il Bohnen- berger, come tutti sanno, non è piìi acconcio al- l'uopo. Potrebbe invece per tali casi venire oppor- tuno un reometro- Ma innanzi tratto, siam noi si- curi che l'ago di un reometro debba deviare co- stantemente per ogni movimento di el^tlricilà an- che non voltaica} affinchè si possa dalla sua devia- zione attendere con certezza l'avviso del suo spo- starsi 0 comunicarsi ? E quando dico per ogni mo- vimento intendo domandare se esso devii e per la elettricità di attrito che silenziosa va al terreno o vien da esso ; e per quella che si slancia da un corpo ad un altro con strepito e scintilla; e per quella che corre per un arco metallico di una in altra ar- matura della bottiglia di Leyda; e per quella che è spostai;) su di un coi-po per effetto di influenza. E .posto anche che l'ago del reometro sempre devii y seguirà in ogni caso la legge di Oersted; perchè nel ricercare la direzione che tien 1' elettrico , ci possiamo pienamente fidare del senso della devia- zione dell'ago ? E per misurarne la energia; sap- piam noi di certo, se 1' ampiezza della sua deviazione sia in ragione della quantità o tensione del fluido che si muove ? Ecco i vari problemi che si debbon risolvere esperimentalmente prima di servirsi senza esitazione veruna di un reometro nelle indagini in- torno agli spostamenti della elettricità. Io ho fatte a questo scopo alcune esperienze , le quali (come hanno avuto la bontà di assicurarmi 199 vari professori di fisica assai valenti , a cui le ho esposte 0 comunicate) possono servire alia soluzione di detti problemi, e le quali (secondo essi) meri- tano di essere pubblicate. Prima però di esporle avverto, che esse sono facili a ripetere; e non esi- gono, oltre i soliti apparati eleltrologici, dei quali è fornito ogni gabinetto di fisica, non esigono , di- co, che un reometro moltiplicatore, in cui l'isola- mento sia recato a quella perfezione che si richiede per la elettricità di attrito. Aggiungo ancora che per semplicità di discorso, metto nome A e B ai due capi del filo di rame ravvolto intorno la te- larino, dentro cui è Tago calamitato sospeso; e pre- cisamente .\ al capo, pel quale se accada che en- tri la corrente , questa prima passa sopra il sud dell'ago, poi sopra il nord, e B all'altro, per cui entrando la corrente, questa giungerebbe prima sotto il sud, e quindi sotto il nord dell' ago medesimo. Finalmente per sinistra della elettricità in moto , anche nel caso di semplice trasfusione e comunica- zione di elettrico di corpo in corpo, intendo quello stesso che suole intendersi, dietro la regola arape- l'iana , per sinistra di una corrente propriamente detta. Premesse queste avvertenze, vengo alle espe- rienze sopra accennate. Esp. 1. L'estremo A del filo metallico comuni- chi col conduttore della macchina elettrica, isolata o no; e l'estremo B coi cuscinetti. Appena si gira il disco della macchina, l'ago si volge col suo polo 200 nord (1) verso orìenle. Alti-elianto avviene, se pren- fJnnsi due piastre, l'una di rame, l'altra di zinco, si mettano in contatto l'una sull'altra, e si faccia comu- nicare A (a traverso di una rotella di panno umido) rollo zinco, B col rame. Esp II. Comunichi A coi cuscinetti della mac- china e B col conduttore delia medesima- Al rotar del disco, r ago soffre una deviazione occidentale. Occidentale è pure la deviazione che si produce se A poggi sulla piastra di rame, e B comunichi per mezzo del panno colio zinco della coppia sopraddetla. Esp. IH. Il capo A comunica col conduttore della macchina e B col terreno, si gira il disco, e inlanto che la macchina non dà verun segno eleilrico, la deviazione è orientale. Esp. IV. Si ha la medesima deviazione, se A sia congiunto allo scaricatore e si tragga sollecita- mente una scintilla dal conduttore della macchina. Esp. V. A comunichi coi cuscinetti , e B col terreno, la deviazione è occidentale- Esp. VI. Mentre A sta ai cuscinetti » e B se- guita a giacer sul terreno, si esponga il lato che termina in A all'influenza di un positivo, la devia- zione si converte in orientale. Esp. VII. A termini in una lastra deferente, e mentre B sta in contatto col suolo si esponga quella lastra all'influenza di un elettrizzato positi- vamente , prendendo ogni precauzione per assicu- (i) S'inlenJc parlare del polo nord dell'ago esterno, che fa anche da indice, e il quale sì suppone volgere il suo nord al sud della ter- ra, per la prevalenza del magnetismo dell'ago interno. 201 rarsi che non vi sia passaggio di clellricrlà: appena la lastra entra nella sfera d'azione, l'ago devia ad oriente. Esp. Vili. Sia invece A presentato ad un in- fluente negativo e B comunichi col suolo, l'ago de- via verso occidente. Esp. IX. Si osservano le deviazioni medesime, ancorché B nelle Esp. VII e Vili sia annesso ad un corpo ottuso ed isolato. Esp. X. Sia caricata positivamente rarmalma interna di una bottiglia di Leyda, e lasciate le sole cariche legate, col mettere successivamente in co- municazione col terreno ambedue le armature; sia B in contatto colla terra, e si faccia comunicare A prima coH'armatura esterna, scaricando lentamente l'interna, poi coli' interna scaricando pur lentamente l'esterna. Nel primo caso la deviazione è occiden- tale, orientale nel secondo. Esp. XI. L' armatura esterna della bottiglia è caricata positivamente, B è col suolo, e prima si congiunge A coH'armatura esterna, poi coll'interna. Scaricando l'interna nel primo caso, la deviazione è orientale: scaricando nel secondo l'esterna, la de- viazione è occidentale . Esp. XII. Sia B legato all'armatura esterna della leidense , ed A collo scaricatore. Mentre si carica l'armatura interna positivamente e lo scari- catore è a terra, si manifesta una deviazione occi- dentale (1). Mentre poi si scarica la bottiglia, sol- (1) Nel reometro che è atloalinenle a mia disposizione non del tutto perfettamente isolato, e per le cariche ohe soglio usare, que- sta deviazione suol giungere a ben 20." 202 levando (h terra lo scaricatore, e portandolo nll'iin- cino della medesima, la deviazione è orientale, più violenta, ma meno estesa. Viceversa; se A è legato all'armatura esterna, e B allo scaricatore, col ca- ricare e scaricare la bottiglia si hanno manife- stissime deviazioni, sempre orientali nel primo caso, occidentali, ma meno ampie (1), nel secondo. Potrei aggiungere altre esperienze analoghe; ma queste bastano a dimostrare che « ogni movimenlo 0 spostamento di elettricità (anche di attrito) fa de- viare Vago calamitato sospingendone il nord alla sua sinistra. » Solo aggiungerò, che a non prendere abbaglio su tal proposito , non conviene contentarsi di ve- dere la deviazione dell'ago senza piiì; ma voglionsi usare di molte cautele. E primieramente è necessario assicurarsi bene che il senso delle deviazioni è costante, qualunque sia la pritnitiva posizione dell' ago , o la torsione del filo; o ricercare almeno se nelle condizioni me- desime cessino le indicazioni col solo sostituire un ago di rame al calamitato. Senza ciò si correrebbe pericolo di esser tratti in inganno , riputando vera virtù direttiva della elettricità quella, che forse non è che virtù attrattiva o ripulsiva. Credo di dovere insistere alcun poco su queste precauzioni , che io ho prese nelle mie esperienze ; perchè mi è noto che altri ha opinato di aver ottenute per la elet- (1) È (la notarsi che le deviazioni dell' Esp. IV, sebbene pro- dotte esse pure da una corrente istantanea, sono più ampie di que- ste prodotte dalia scarica della bollijlia. 203 tncilà della macchina le deviazioni dell'ago proprie della corrente elettrica , quando non vi avea che un effetto delle notissime attrazioni e ripulsioni elettriche. E l'illusione è facilissima. Un ago calamitato , o sospeso ad un filo o in bilico sopra una punta, sia collocato sopra o sotto una spirale di fìl di rame. Un capo di questa sia annesso al conduttore della macchina elettrica, e l'altro capo o comunichi col suolo , o, se vuoisi , resti isolato in aria , e termini in punta o anche in una sfera metallica. È un fatto, che a! girar del disco della macchina, Pago si mette in croce colle spire del filo metallico invaso dalla elettricità. Eb- bene: è veramente virtiì direttrice dell' elettrico per le calamite codesta ? Certamente no- Volete ve- derlo ? Sostituite air ago calamitato un cilindretto di rame; il fenomeno non cessa per ciò ? Mettete queir ago stesso calamitato a fianco della spirale; si collocherà, se volete, anche parallelamente alle spire per volgersi con una sua punta al corpo elet- trizzalo- Anzi recatelo in prossimità del conduttore medesimo della macchina elettrica: si fermerà sem- pre quando il suo asse longitudinale sì sia disposto normalmente all'asse del conduttore, ma senza di- stinzione di polo (1). Ma non basta ancora. Può ottenersi una de- viazione dell'ago assai cospicua, per la corrente ley- (1) Accade in queste esperienze fatte con un ago anche d'ottone^ posto in bilico sopra una punta, una continua rotazione deil' ago medesimo; del qual moHnetlo d'influenza avrò occasione di parlare nel trattare die farò, di qui a non mollo, della influenza elettrica. 204 «lense, purché si Inti'omettano nel circuito due co- lonnette di acqua. Or questo fenomeno può sem- pre e con tutta sicurezza ascriversi alla corrente medesima ? Non potrebbe essere che invece na- scesse dalla corrente voltaica prodotta dalla /)o/am- zazione dei metalli ? È noto che la scarica della bottiglia possiede la virtù elettrolitica ; e che per questa , anche i metalli perfettamente omogenei acquistano subito in questo caso la facoltà elettro- motrice. A togliere ogni dubbiezza è necessario vedere se la deviazione dell' ago non accenni per avventura ad una corrente inversa a quella con- dotta. Non è dunque a fidarsi così di leggieri in fatti di simil genere , e conviene aver molti riguardi , prima di ravvisarvi una manifestazione sicura di movimenti di elettricità, e precisamente della elet- tricità di attrito. Ma ritornando al mio argomento principale, con- fesso che alla compiuta soluzione dei problemi so- pra enunciati sono eziandio da esplorare con accu- rati esperimenti le leggi delia intensità di questa azione direttiva della elettricità sia della macchina, sia della bottiglia , e nel "suo rifluire nel suolo, e nello spostarsi che fa per ogni influenza. Ad asse- rire qualche cosa di preciso su tal proposito è ne- cessario esperimentare con un reometro molto più perfetto di quello che è attualmente a mia dispo- sizione: cosa che spero di poter fare. Frattanto osservo, che ove usando tutte le dili- genze si giungesse ad ottenere dei risultati soddi- sfacenti e sicuri , questo metodo potrebbe venire 205 assai opportuno in molte indagini interessanti. Per esempio: perchè non si potrebbe usare di un reo- metro bene isolato, a mettere immediatamente in evidenza il senso e l'origine delle correnti d'influenza delle armature esterne, nelle importanti esperienze alle quali ha ora rivolti i suoi dotti studi il sig. Seguin, in luogo di ricorrere , com' esso promette di voler fare (1), al confronto degli stati di equili brio che le precedono e le seguono ? Ma anche senza ciò, mi sembra che questa legge della virtìi direttiva della elettricità possa servire assai utilmente di preambolo, e direi quasi di lem- ma, a dimostrare esperimentalmente nelle scuole il fenomeno dell' elettromozione fra due corpi ete- rogenei, senza ripetere le esperienze fondamentali di Volta , che sono delicatissime , assai lunghe, e poco opportune per un numeroso uditorio. Impe- rocché premesso e dimostrato che la elettricità , qualunqne essa sia, in ogni suo movimento fa de- viar l'ago e ne sospinge alla sua sinistra il polo nord; si prende il galvanometro , e mos'trando le deviazioni prodotte da rame e zinco ( come nejle Esp. I e li e in altre analoghe) e la cessazione di ogni deviazione coli' interporre una lastra di zinco a due di rame e viceversa, e via discorrendo; i due principali caratteri dell' elettromozione possono es- sere resi manifestissimi. Io non so se altri abbia già dimostrata (spe- cialmente poi in tutta la sua generalità) la legge della virtìi direttiva per ogni movimento di elettri- (1) Vedi ConiiUes rendus de l'Académie de» Sciencei Tom. 44. 206 cilà- Comunque ciò sia, queste mie esperienze pos- sono servire a richiamare su di essa V attenzione dei fisici ; atrinciiè almeno non sia più oltre tra- scurato un fatto che pur è degno di sapersi , e il quale, se io mal non m'appongo , somministra un mezzo infallibile per investigare i movimenti di elettricità perfino nelle influenze che chiamano elet- trostatiche e per dimostrare i teoremi fondamentali della elettricità di contatto. 207 Appendice al ragionamento di Salvatore Betti intorno alla patria del poeta comico Terenzio. \^uando io presi a scrivere intorno alla patria del poeta comico Terenzio mi fondai principalmente sull'autorità gravissima di Fenestella, che fin dall'età di Cesare e di Augusto dichiarò essere impossibile che il fanciullo Terenzio fosse fatto schiavo da'ro- mani dopo la seconda guerra punica e prima della terza, in cui egli certamente fiorì; a ciò repugnando i solenni patti di pace che duravano fra Roma e Cartagine. Certo il comprare e il tenere schiavo per qualsiasi tempo il libero corpo d'un alleato della repubblica non era lieve colpa di un cittadino appo i romani , né pubblicamente sarebbesi tollerala. E aggiunsi pur l'altra autorità nrfn meno grave dell'af- fricano S. Agostino, il quale parlando a'romani disse loro Tereniius vester. Essendomi però venuta alle mani una buona causa non avrò per imperizia sa- puto ben trattarla. Il che pur troppo non può esser che vero ! Non credasi nondimeno eh' ella sia per questo men buona. Vero è (né il dirlo voglia impu- tarmisi a vanità) che molti già in Italia , e alcuni anche di là da'monti, hanno pienamente aderito alle cose, da me discorse: e che un letterato fra' nostri celebratissimo giunse fino a scrivermene in questi termini (e posso mostrarne la lettera): Ella ha pro- valo sì saldamente che Terenzio è romano^ e non af- fricano, che d'ora innanzi Roma potrà ascriverlo fra 208 i sommi suol cittadini. Altro però ò slato V avviso di un uomo in questi studi chiarissimo, cioè di mon- signor Celestino Cavedoni bibliotecario estense. Niu- no avvi certo che stimi piiì di me quel vivente de- coro dell'italiana dottrina: ma se io dicessi di quie- tarmi in tutto alle sue osservazioni contrarie, direi cosa che non è: né io son uso a piaggiar nessuno. Ecco infatti ciò che m'è avviso potersi rispondere alle critiche, le quali egli con assai cortesia, com'è suo uso, ha creduto di opporre al mio Ragiona- mento nel toìno primo degli Opuscoli religiosi lette- vari e morali che si stampano a Modena. Non sono io solo colui che fa poco o niun conto della vita di Terenzio che va sotto il nome d' Elio Donato: ma sono quasi tutti i critici che ne hanno parlato fino all'ultimo professor Reinhold, il quale pubblicando nel 1836 in Germania un suo libro col titolo di Annotazioni critiche su Terenzio^ andò anche più oltre : volle cioè che nulla veramente scrivesse Donato intorno a Terenzio, né pure i co- nienti alle commedie, e che tutto ciò che si ha di lui fosse raccolto a voce da' suoi scolari , e dato fuori con alterazioni e mutilazioni. Anzi non pare che ne faccia in fine gran conto, qual d'opera au- tentica, lo stesso monsignor Cavedoni, così valente critico com'egli è: perciocché in un luogo delle sue Osservazioni dice esser probabile che sia di Svetonio: ed io altro, non sapendo né pur egli a chi >:era- mente attribuirla, scrive invece: fautore della vita di Terenzio, chiunque ei fosse. Ed appunto è così; e né egli il sa, né lo so io, né lo sanno molti altri che alcuna cosa stimano l'arte critica. 209 Se togliesse S. Girolamo le notizie di Terenzio dal falso Donato, o il falso Donato da S. Girolamo, credo che nessuno possa saperlo: né a noi punto preme: basta che la vita non sia scrittura autentica del vero Donato, e molto meno di Svetonio (almeno così com' è ) , se vale ne' pratici delle lettere la cognizione de'modi propri dello scrivere dì quell'au- tore. Ora ciò eh' io vorrei provato da monsignore si è, che r autorità così nuda di S. Girolamo nelle giunte alla cronica di Eusebio valga più di quelle di Fencstella e di S. Agostino in un punto di storia romana ed affricana. Certo un ossequio altissimo dobbiamo aver tutti alla sapienza del dottor massimo nelle cose della religione e della critica sacra: ma quanto alla cronica eusebiana da lui tradotta e ac- cresciuta, egli stesso, a scusarne l'imperfezione, can- didamente ci avvertì ( ed è inutile ch'io qui ripeta il testo) avere scritto opere tiimulluario. E ciò ve- ramente mostrasi, mi par bene, in molti luoghi qua e là, che i critici non possono assolutamente rice- vere per autorevoli. Non potendo esser dunque di gran fede la te- stimonianza di S. Girolamo intorno alla patria e condizione di Terenzio, e di nessuna affatto quella del falso Donato, io mi son tenuto piuttosto , se- condo che ho detto, alle reputate meritamente som- me così dell'antico storico e critico romano L. Fo- nestella , come di S. Agostino non solo affricano eruditissimo, ma contemporaneo del dottor massimo. Ne ho trascurato alcuni passi di Terenzio stesso, i quali tutt'altro lo mostrano che straniero e di na- scita servile: ed alcuni altri di Cicerone sì gravi, che G.A.T.CXLVIIl. li 210 il celebre professor parigino lodoco Badie , detto Ascensio, fiorito nella prima metà del secolo XVI, ebbe a dire che comicus ille (cioè Terenlim) roma- nus convincitur Ciceronis testimonio (1). Tanto poca fede, o nessuna , aveva anch' egli nel continuatore della cronica eusebiana e nella vita di Donato- Che al poeta Cecilio, morto nel 586, si presen- tasse Terenzio per ordine degli edili molto prima della recitazione che si sa fatta dell'Andria nel 588, è mera supposizione di monsignore , non fondata cioè sopra nessun testo d'autore antico: come pure, che l'Andrifj fosse recitata per avventura la prima volt3 nel 586. Tutti i codici e tutte le memorie di Terenzio, mirabilmente concordi, sono contro di lui: ponendo che T Andria , prima commedia del poeta, come ognun sa, fu recitala in Roma nel 588 sedendo consoli Marco Marcello e Caio Sulpicio, ed edili curuli M. Fulvio e Manio Acilio Glabrione. Altro credere è vanità. Vuole il mio onorando contraddittore , che se Terenzio fosse nato ingenuo, Veleganza del suo ser- mone tion dovea altrimenti dar luogo a quel sospetto ed opinione, che le sue commedie , anziché da esso luti fossero dettate da C- Lelio e da altri della ci- viltà romana (2). Oserò dire che ciò mi sembi-a un (1) Debfjo |a notizia di questo passo al sig. Gustavo Biandoni, il quale nell'Imparziale fiorentino non solo ha l'atto un sunto del tnio Ragionamento, nia sì ne ha dato un favorevoi giudizio. Il detto passo dell'Ascensio è nelle note al Ub. V oap. II ^. 5 di Valerio Mas!>i|i)o. (2) Qui dice monsignore che ho scritto essere stato Terenzio fatto schiavo nel fior degli anni, e non anzi fanciullo. Io lo pre- gherei ad indicarmi il luogo dove l'ho scrino. 211 eccedentemente sottilizzare: perciocché l'accusa divul- gala contro al comico fu invidiosa mtijignità de'suoi emuli (o veramente del solo vecchio poeta Luscio, come vogliono alcuni comenlatori), e non vera, se- condo che Terenzio stesso se ne difese; avendo dato a ciò appiglio V amicizia, ond' egli sì giovane era stretto a tanti letterati della primaria nohiltà ro- mana, e soprattutto a Lelio, il quale e nel vivere e nello scrivere era gaio, faceto, e fiore di genti- lezza latina. Qui non entra atfatto la condizione di schiavo cartaginese; sì piuttosto il volere a Teren- zio amareggiare il dolce di quelle solenni amicizie. Forse di P. Siro e di Fedro, nati schiavi, fu mai detto che appunto perchè schiavi, quegli siro e que- sti trace, si fecero da altri dettare in Roma quelle loro eleganze? L'esser con malizia da alcuni nostri vecchi reputate cose del P. Cordara le poesie che andava pubhlicando in latino 1' ah. Cancellieri, dee assolutamente indurre sospetto che il Cancellieri , amicissimo del Cordara , non sapesse da se bene scriver latino? E sì il valente uomo mostrò a'suoi emuli di saperlo assai fare senza nessun aiuto del- l'insigne gesuita. Appunto a proposito di questa intrinsichezza del giovane Terenzio cogli Scipioni, co'Leli, co'Sulpicì, co'Labeoni, e con altri principalissimi della repub- blica, ch'egli chiama pubblicamente amici , mi av- verte il eh- monsignore di non farne caso, avendo io dimenticato l'amore che Cicerone e'd Attico por- tavano a'Ioro liberti Tirone, Alcssi, Dionigi ed altri. Risponderò che studioso quant'altri delle lettere di Cicerone, avevo anch' io memoria di quel celebre 212 amore: ma che stimai passarmene, 1°. Perchè trat- tavasi di cosa» avvenuta i» un secolo assai diverso per gravità di costumi e nohile grandigia da quello in cui fiorì Terenzio; 2". Perchè quell'amore era dome- stico pei propri liherti, e non per gli altrui: pei propri, dico, 1 quali servivano que' dotti padroni in ufficio di lettori , di aiutanti di studio , di segretari : né credo che co' liberti di altre famiglie Cicerone ed Attico usassero già quegli atti d'intrinseca familia- rità; 3°. Perchè non sappiamo se vivendo que'liberti sì domesticamente per benignità nelle illustri case de'loro padroni, ardissero mai vantarsi in scritto al pubblico temerariamente d'esser gli amici di siffatti uomini consolari o senatori. Quanto poi a Tirone, di cui non sappiamo la patria, ma pel suo cognome si ha probabilmente per italiano, e della condizione dei verne, Tessere stato fino da giovanetto a'fìanchi di Cicerone, e fallo da lui squisitamente educare nel tempo della maggior cultura ed eleganza romana , fa sì che possa anche ad esso riferirsi quello che nel mio Ragionamento ebbi ad avvertire intorno a Fedro, e che certo non potrebbe dirsi del giovane Terenzio in mezzo al VI secolo di Roma , posto che fosse stato liberto cartaginese. Ho un poco riso però fra me (lo confesso) di quel luogo delle Os- servazioni di monsignore, dove vuole ch'io sappia , se l'ignorassi, la vivissima cura ch'ebbe 1' arpinate perchè rifiorisse a sanità il suo Tirone oppresso da grave infermità, e il grande affetto con cui sempre parlò di lui. Dirò anch' io rispettosamente al mio critico, ch'egli si è dimenticato, se non erro, come l'oralore avesse al fin do'conti Tirone per ben altro 213 che per un piu'o libarlo. Sovvengasi de' versi lasci-' vissimi che abbiamo nella lettera IV del libro Vii di Plinio intorno appunto alle disoneste dimesti- chezze di Tullio col suo Tirone. E non vorrei che per la stessa cagione gli fosse stato caro anche quell'altro liberto Dionigi, di cui scrisse ad Attico (lib. VI ep. I): Dionysius mihi in amoribus est. Trop" pa troppa tenerezza, o Marco Tullio! Che P. Terenzio Tusceiricano , legato il 588 nellTlIirico, possa essere non diverso da quell' araba fenice di P. Terenzio Lucano, lo creda pure il Glan- dorpio, o meglio lo sogni: non essendovene, già al solito, che congetture in aiia* Qual conto debba farsi dell'autorità di Mezio < non so, essendoché confessi monsignore stesso di non sapere chi fosse né quando vissuto: solo per la leggerissima congettura della somiglianza del nome sospettando che forse possa essere quel M. Malliiis, il quale fu monetiere di Cesare nell'anno 709 o 710 della città. Ma che liberiino non volesse anche si- gnificai'e in antico figlinolo di liberto, come ho posto nel mio Ragionamento, egli non potrebbe già in- durmi a crederlo: e al Porcellini, che intorno a ciò mi cita, opporrò il Forcellini medesimo che ali*ar~ ticolo iJbertinus chiarissimamente dice, provandolo: App. Claudii aetale, et aliqunndiu post, libertini di- cebanlnr libertinorum fdii: qui tamen inter ingenuos hahenlnr. E se vuoisene saper di più, veggasi an- che l'Ernesli (Clav. Ciceron.) alla voce pur Liberti- niiSy e con esso il Van Vaassen a carte 121 e 122 delle Animadvcrsioncs ad j'itslos rom(uio.s\sacrvfi. 214 Penso poi che monsignore non voglia dirmi da senno, che in Roma s'imponesse a'iibeiti altro pre- nome da quello in fuori del padrone , da cui ri- cevevano la libertà- Contra questo canone incon- trastabilissimo della scienza delle antichità ro- mane non adduce egli che l'esempio di un servo , al quale T. Pomponio Attico pose emancipandolo il prenome di Marco, anziché di Tito, in grazia del suo Cicerone. Ma questo esempio, assai noto a tutti che hanno qualche pur lieve notizia della vita di Cicerone, niente fa al caso nostro. Primo, perchè è fatto di un secolo in cui già incominciavano a venir meno appo i romani tutti i più costanti e venerati usi degli avi: né infatti ne abbiamo ricordo nelle storie prima di Attico, né se ne hanno negli stessi im- periali che rarissimi esempi (1), fra i quali è noto per la sua singolarità quello di due liberti d'Aulo Turpilio, uno dei quali ebbe nome Publio, e un altro Quinto, come dopo l'Odorico avvertì il Zaccaria nella Istitu- zione antiquaria lapidaria. Secondo, perchè ignoran- dosi le ragioni del fatto di Turpilio, forse imitatore di Attico verso i suoi cari amici, famosa è la fra- (1) Ardirei manifesUre qui lina mia opinione, se altri già non r Ila falla, su questa diversità di prenomi fra il padrone e il li- berto, quando rarissimamente si trova: ed è, che potrebbe essere anche avvenuta da ciò, che, per esempio, un padrone chiamato Caio già facesse franco un suo servo e gl'imponesse necessariamente il proprio prenome Caio. Accadde poi ch'esso padrone fu adottalo iu figliuolo da un Publio suo zio paterno: sicché il prenome Caio dovette mulare, secondo le leggi, in quello dell'adollanle Publio. Ecco dunque che Caio già liberto di caio venne ad essere, dopo la delta adozione. Caio liberto di Publio. Ma io forse errerò : e ne chiamo sommi giudici il cav. Borghesi e monsig. Cavcdoni. 215 tellanza, più che amicizia, che passava fra esso At- tico e Cicerone. Ora converrebbe che monsignore valesse a provare che Terenzio Lucano (cui ninno sa chi fosse) volendo imporre il prenome Publio al suo schiavo Terenzio in grazia di Scipione Affricano i com'egli suppone, fosse stato a un dì presso cosi congiunto d'amore con esso Scipione come Pompo- nio con Cicerone. E neppur ciò basterebbeJ facendo mestieri di recarne non supposizioni, ma esempi di quel grave secolo de' Catoni^ de'Ceteghi> de' Tudi-= lani, degli Scipioni^ a cui mi sono io (e credo con buona critica ) riferito sempre nel mio Ragiona- mento. Perciocché i costumi del popolo romano^ giova ripeterlo, si mutarono gi'andemente, anzi gran- demente si rilassarono , dopo le guerre civili di Mario e di Siila, non altrimenti che i moderni no^ stri dopo la rivoluzione francese. Oh chi non ride- rebbe oggi se io volessi provare alcuni usi italiani di cencìnquanta o più anni addietro, facendo ragione di quelli affatto diversi che abbiamo al presente! Dirò a monsignore che se qualche cosa vales-" sero le mere supposizioni, più probabile assai sa- rebbe quella di un mio amico ( il quale non vuol essere nominato), che cioè P. Terenzio comico fosse figliuolo di Q. Terenzio Culleone, il quale gl'impose il prenome Publio e il cognome libero Afro per onore ed affetto verso il sommo suo benefattore P< Scipione Affricano maggiore, che lo tolse di schia-' vitù in Affrica, e sappiamo da Plutarco negli Ajjo- tegmi essere stato sempre onorato da Culleone come un iddio. D'onde poi derivò verso il comico la gran benevolenza delle famiglie sì di esso vincitor di 2Uì Annibale e sì ili I.elio. Ma in lai naso Terenzio nostio sarebbe stalo non pure ingenuo e romano , ma tìgliuolo fli senatore. Non contento però in tutto l'egregio biblioteca- rio estense della sua supposizione sull'origine scipio- niana del prenome Publio in Terenzio, ne propone anche un'altra, affinchè quasi non trovisi cosa nell'in- gegnoso suo scritto che non sia supposizione: ed è che C. Terenzio Lucano, di cui abbiamo monete , da monsignore credute del 560, e dal Riccio d'al- cuni anni dopo il 537, sia veramente il senatore P. Terenzio Lucano , che diede la libertà al fanciullo affricano. Quando ciò sia, non dubito che fra poco non esca chi intenda provarci che Marco e Quinto Cicerone, Decimo e Mai'co Bruto, Marco e Caio An- tonio sieno la stessa persona. Queste cose non mi paiono degne nò di un dotto tale, qual è monsignore, ne dell' opera del confutarle: anche tralasciando che se C. Terenzio fu padrone del comico, nato nel 559, o 560 (se è alinen vero che morì dì circa trenta- cinque antji essendo consoli Cornelio Dolabclla e Fulvio Nobiliore, cioè nel 595 secondo la cronolo- gia del Petavio), egli nel 562 trovandosi triumviro monetale, era dunque ne'magistrati minori della re- pubblica, e perciò dovettero correre ancora alt4Ì anni pi'ima di potei- essere senatore. Ed il [)icciolo affricano in questo mezzo, dovendo aspettare che il suo compratore entrasse in senato (che il falso Do- nato chiamalo senatore quando acquistò il fanciullo), sarà bene uscito di fanciullezza in Cartagine. Se vuoisi che un Terenzio Lucano desse al giovane comico la libertà, egli in mezzo al secolo VI di Ro- 217 ma non poteva assolutamente che chiamarsi Puhiio, così chiamandosi il suo liberto, il quale doveva es- sere Publipor. Ora è fuor d' ogni dubbio , che di nessun P. Terenzio Lucano abbiamo certe notizie in esso secolo (benché non sia vero che raro fosse allora il cognome Lucano nella gente Terenzia , avendo io con certezza recati tre Cai Terenzi Lu- cani vissuti circa quel tempo); ed il codice della vita del comico che va intorno col nome di Donato, dove il Pighio dice, senza indicar altro, d'averne trovato ricordo, dee probabilmente reputarsi una delle solite audacie di quel dotto, che arditissimo fu chiamato dall'illustre amico e collega di monsignore e mio , Clemente Cardinali. Avrei desiderato che monsignore, cosi buon mae- stro come ognuno T onora, avesse confutato tutti i miei argomenti, e non si fosse fermato solo in alcuni, più quasi per mostrare il suo ingegno (mi permetta il dirlo) che la gravità del suo sapere. Ilo io detto e provato, che molti personaggi in Italia e fuori si chiamarono Afriy non essendo affricani; e n'ho tratto almeno una probabile congettura da certo verso recatoci da Sparziano. Niente ha creduto dire di ciò monsignore: e solo mi ha opposto Syriis o Suriis d'al- cuni servi, i quali benché dovessero avere un nome proprio servile, nondimeno si chiamavano in Roma indistintamente con quello della loro nazione. Dal che intenderebbe dedurre, che anche Afer in Terenzio sia un nome servile derivato dall'Affrica che si presume sua patria. Intorno alla qual cosa mi conceda ri- spondergli, che \Y nomo Sijrus , Swus e Syra ti"o- vasi comunissimo in Roma per servo e serva senza 218 più (e si ha pure in Plauto, in Terenzio, in Orazio, in Petronio, in Giovenale), a cagione di una nota particolarità: che cioè dui ladroni cilici era condotto a vendere specialmente in Delo un gran numero di sventurati fanciulli rapiti nelle parti di Siria ( e fors'anche d'Assiria, o Siria superiore), i quali sen- z'altro da' compratori romani si chiamavano gene- ralmente sm, ed alcuni per vezzo shisci. Di che veggasi il Porcellini, e meglio una bella nota del Turnebo al lib. II cap. 66 del trattato ciceroniano De oratore. In tal condizione fu il celebre mimo- grafo P. Siro, il quale comprato nel modo sopra detto, non aveva altro nome che il comune di servo siro, e con esso era conosciuto nella famiglia del suo padrone. Vero è che di lui non abbiamo certe notizie: non sapendosi se non che in tenera età fu venduto schiavo, secondo Macrobio, a un romano, il quale sommamente l'amò sia per la sua bellezza , sia per la grazia de'fanciulleschi suoi motti: cosa sì propria de'piccioli siri, congiunta ad un'amabile gar- rulità, che Augusto, com'è noto chi legge Svelonio, soleva prenderne incredibil diletto faccndosegli ve- nire dinanzi. Di chi fosse liberto c'è ignoto: benché alcuni, su qual fondamento non so, dicano di un Do- mizio. E ignoto ci è anche se Siro fosse il suo vero cognome, o un'appellazione popolare di quel fami- gerato emulo di Laberio a cagione della sua patria, come a dire Publio il siriaco, Publio il servo di Si- ria: per distinguerlo da un altro Publio, parimente mimografo, che Plinio chiama ìnimicae scenae con- ditorem.) il quale secondo 1' Arduino , consenziente il Tiraboschi, fu diverso dal siro. Comunque sia, fa- 219 rebbe cosa al tutto arbitraria chi la particolarità de'soli siri, gente nata al servaggio, come ha Cice- rone, pretendesse i-endere generale a tutti i servì ro- mani presi nelle altre regioni: e fra essi anche ai car- taginesi, esclusivamente in quel secolo chiamati af- fricani dai nostri: quasi che Afer non volesse dir al- tro, come crede monsignore, che servo nativo d' Af- frica. Falso (m'incresce d'esser costretto a un'acerba parola) totalmente falso, fiìlsissimo: essendoché il co- gnome Afer , secondo che ho mostrato per tanti esempi (ed altri forse non ve n' ha, mi scrive un famoso archeologo), sia ingenuo , ingenuissimo in quanti anche di dignità consolare si conoscono averlo portato. Nel solo Terenzio, per una suppo- sizione di monsignore, sarebbe stato dunque servile e derivante dalla patria? Oh ben altro che servile sonava, massimamente a que'tempi, il nome dell'al- tero popolo repubblicano, che grand'emulo del ro- mano poteva sì celebrare all' Italia e gli animi e i fatti degli Amilcari, degli Asdrubali, degli Annibali! Né so anche in tutto convenire con monsignore allorché insegna, che poco aggradendo alle orecchie de'romani certi nomi barbarici ne'loro servi, usas- sero cambiarli in quelli generici delle nazioni da cui derivavano. Perciocché riboccano i tesori d'an- tiche lapidi (vano é il ricordarlo a monsignore) di servi e liberti d'ogni età con nomi e cognomi af- fatto barbarici, data loro solo una terminazione la- tina, secondo il costante uso di que' nostri avi , i quali fecero nella propria lingua ciò che nella greca videro fare ai greci. 220 Ho corto ropulalo sommo noi mio Ragiona- mento, e le reputerò sompre tali , le testimonianze di L. Fenestella e di S. Agostino: né a minorarne il valore valgono le si forzate congetture (così son costretto chiamarle) di monsignor Cavedoni. Pre- tende il valent'uomo che Fenestella abbia solo vo- luto indicare, che Terenzio non poteva essere stato preso, caplnin, da'romani in Cai-tagine per diritto di f/iierra. Questo per diritto di guerra non è che una interpretazione del lesto fatta per solo suo comodo dal mio critico, perchè Fenestella non l'ha: nò sem- pre caplns vuol dir preso in gueira: anzi lo storico romano parla delia cosa amplissimamente, ed avverte che non poteva essere stato preso Terenzio non pur da'romani, uia nò anche da'numidi e da'goluli, e pai a'nosltri venduto; Nec si a mimidis ant (leiulis ca^ plus silj ad ducem romanum pervenire poluissct^ nullo commercio inler italicos et af'ros , nisi post delelam Cartaginem, cocplo. Queste si, dirò ben io con mi- glior ragione di monsignore , son prove positive ed autorevoli : alle quali non ro[>ugna nò pur ciò che anche scrissero e S. Girolamo e quel chiunque fosse che si celò sotto il nome d' Elio Donalo, il quale conviene in ciò appunto con Fenestella: Quidam ca- plum esse cxisltmanl, quod fieri nullo modo poluisse Fenestella docci. Quanto in fine al Terculius vcsler, che dice S. Agostino parlando a'romani, trovo cosa nelle Osser- vazioni di monsignore che diffìcilmente, ardisco as- serire, potrebbe esser creduta se non fosse ivi real- mente scritta- Ecco le parole doirillustre uomo: La (orza pertanto deW argomento Inlla dileguasi inlcn- dcndo che Terenzio a quc'' (jioriii [ormava le delizie de romani, segnatamente pagani, dai gitali chiamavasi comicus per antonomasia. Per simile modo Ci'asso, volgendo il discorso a Scevola, dice: Vigebatque au- ditor PANARTI I illius TUI Mnesarchus ( Cic. de orator. /, 11: cf- Disp. Tnsc. 1, 321). » Dunque il Panaetins luns (che nionsiijnoi'e come "rande sco- perla ha voluto scrivere in lettere niaiuscole), cioè il Panezio amico tuo detto faniiliai-menle da Crasso a Scevola, è affatto lo stesso che il Terenlim ve- sler detto solennemente da S. Agostino a' romani! Quasi r insigne dottore Io reputasse i! solo amico loro fra tutti i comici, ch'egli pur nomina con esso lui, comici vissuti e Horiti in Roma all'età di Terenzio, e parimente carissimi sempre ai romani! Cosi quando io dirò, per esempio, il mio Pieti-o, il mio Ferdinando, 0 il tuo Carlo, il tuo Federico, sarà propriamente coinè se dicessi agl'inglesi il vostro Milton, ed ai fran- cesi il vostro Racinel Dovrà cioè credersi ch'io con (juesto non intenda dir altro, se non che il Milton è il poeta amico o familiare degl'inglesi, e il Racine de'francesi! Mi dispiacerebbe di dar materia ad al- cuno di prenderne giuoco! E perchè S. Agostino non chiamò vesler almeno il gran I^Iauto, il quale fece pur sempre le delìzie de'i'omani di ogni secolo che il salutarono vero pi-incipe dell'arte, citato da tutti quasi i padri della chiesa latina, conservatoci in tanti preziosi codici, fino ad esser l'autor pi-ediletto di S. Girolamo, com'egli scriveva ad Eustochia, e come gli rimproverò Rulino notandolo che facesse ap- . picnderne i sali a'giovani del monastcì'O di lìetlem? Sapete [terchè? Perchè nessuno ignorava, e mollo me- 222 no S. Agostino, che Plauto era da Sarsina,e non aveva perciò ragione alcuna d'esser detto romano, come, secondo il gran padre affricano , avea certamente Terenzio. Se altre, cbe le toccate fin qui , non sono le cose, le quali un uomo di tanto sapere, di quanto è monsignor Cavedoni, ha solo potuto trovar da op- porre al mio scritto, itone proprio (come pare) in cerca col lumicino, ardirò dire che sembrami do- ver vivere assai tranquillo sulla bontà della mia causa , e seguitare a credere in buona fede con alquanti dotti, che P. Terenzio Afro fosse veramente nato di stirpe ingenua e romana. 223 Storia della marina pontificia, scritta dal P- Alberto Guglielmotti domenicano bibliotecario della Casana- lense. Roma 1 856 tipografia tiberina. Volume pri" mo di pag. XXVIIl e ^U. 8". Vi rande, come giusto, eia il desiderio dei cultori de- gli studi storici di vedere ordinate e riunite le me- morie della marineria pontifìcia, la quale compì un glorioso corso fra le altre d'Italia, e fu non sola- mente di grande aiuto a mantenere difese le nostre spiagge deir un mare e dell'altro contro le barba-- l'iche incursioni de'saraceni e degli altri pirati mu- sulmani; ma nelle diverse imprese di cristiana col- leganza per abbattere l'ottomana potenza , minac- ciosa allora alla quiete di tutti, sostenne tal parte, che se ne onora e loda ancora il valore italiano , e il santo zelo dai sommi pontefici se ne venera ed esalta. Il celebre cardinale Stefano Borgia ebbe in animo d'apprestare gli aiuti e preparare le fondamenta sulle quali sorgere potesse un tanto edifizio. Meditava egli di ridurre insieme le sparse memorie d'ogni maniera, ohe alle marittime cose dello stato ecclesiastico sotto qualsifosse aspetto si riferissero. L' autore ricorda nella prefazione (a e. XII), che dopo molte ricerche venne a lui fatto di ritrovare preziosi materali, dal- l'egregio porporato apprestati, nel museo del colle- gio Urbano de Propaganda Fide^ Ma l'idea ch'egli dà della distribuzione dell' opera del Borgia , alla 22i quale essi materiali appartengono, ini lascia in forse se a quella medesima, o veramente ad altra s'abbia a riferire il titolo, del quale ho io la prova che vo- lesse egli servirsi per una sua pubblicazione di simi- gliante proposito. Titolo, che palesando insieme 1* in- dole del divisato lavoro, gioverà che sia conosciuto. Imperciocché, o avremo in esso l'enunciazione dell'o- pera stessa di che favella il eh. P. Guglielmotti, e ne verrà così ad essere stabilita; o sarà da considerare co- me destinata ad altro lavoro del Borgia, e si renderà sempre piià palese quanto avesse egli a cuore l'illustra- zione di cotesto argomento. Certo è dunque , che raccolte insieme le memorie di quanto spettava alle nostre marittime cose, pensò egli così riunite mandarle in luce, o rimetterle, sotto il titolo: RE- RUM MARITTIMARLM POINTIFICIAE DITIONIS. Del quale suo proposito, rimasto poi senza effetto, conservo fia i miei libri io medesimo la testi- monianza. E ricordar posso ad esempio gli: Slaluti ed ordini da osservarsi dall' università e compagnia dei pescatori, istituita sotto V invocazione di S. An- drea nella chiesa della Consolazione di Roma dalla felice memoria di Urbano Vili: libretto assai raro, stampato qui in Roma nella tipograha della Camera zVpostolica del 1665 in sesto di quarto, sul quale il Rorgia notò di sua mano: per l'opera: rerum maril- timarum pontificiae ditionis. Degno ai'gomento s' elesse dunque il eh. P. du- glielmotti da spendervi attorno la sua industria e le sue fatiche. Industria e fatiche di molta perseveranza, di molta e molto riposta erudizione e dottrina. Da che si trattava il più spesso di recare il benelìcio II 225 della luce dove non erano sinota state che tenebre; abbracciando colle ricerche un imprendimento assai vasto e insieme per la sua propria natura assai vario., Ci gode quindi l'animo di consegnare in queste carte quella libera lode , che noi stimiamo essere dovuta all'autore, il quale si è dimostrato degnissimo dell'ufficio di bibliotecario casanatense, usando così utilmente la bella ventura d'avere alle mani quella insigne suppellettile di ogni studio. Questo primo volume ci dà buona arra, che la storia del P. Guglielmotti abbia ad essere compi- tissima di ogni sua parte, e stabilita tutta sulla base d'autentiche prove. Cosa in vero utile sempre; ma necessaria al tutto quando si tratti di dilucidare punti rimasti intatti, e quando s'abbiano a vendicare dall' oblio molte glorie di fatti da lungo corso di tempo giacenti in profondo silenzio. La condizione del libro si ricusa quasi ad un sunto. Noi ne accenneremo brevemente alcuni punti jjrincipali, acciò s'invogli ciascuno di vedere in fonte le cose indicate : e gliene promettiamo istruzione insieme e diletto, senza timore di rimanerne smen- titi alla prova. Espone 1' A. nel proemio dell' opera le generali idee del suo lavoro e insieme quanta ne sia la gra- vità e quanto essere ne debba il vantaggio e ancora l'amenità. Ricordando i piii segnalati fatti della ma- rineria pontificia, sì ne' remoti tempi dell'esser suo e sì in quelli meno lontani , rammenta ancora la cura che se ne presero i papi. Nella quale occasione bene osserva egli emergere dai falli wia grande ve- rità: che la marina è stala in genere favorita dai G.A.T.CXLVIII. 15 226 pontefici; ma specialmente dai maggiori in santità dei tnoderni tempi, come san Pio V ed il venerabile In- nocenzo XI; dai pili solenni in politica, pari a Giulio il e Sisto V; e dal più profondo in dottrina} che fu Benedetto A7F (a e. XXY). Dopo il proemio procede il volume distinto in quattro libri, nei quali sono comprese le istorie della marineria pontifìcia dall'ottavo secolo al decimoquin- to ; abbracciando in ciascuno un periodo di tempo che abbia in se un suo proprio carattere. La qua] cosa è sempre d'ottimo divisamento nelle storie e di valente aiuto, non meno a chi le ordina scrivendo, che a chi poi se ne giovi leggendo. Pertanto stanno nel primo libro i fasti della ma- rina dal principio del dominio temporale dei papi , sino all'ultima cacciata dei saraceni dallo stato ec- clesiastico. E così s'allarga dal 728 al 1088. Duri e faticosissimi corsero allora i tempi quasi per ogni contrada; ma durissimi e pieni d'angoscia all'Italia, e a quella marittima principalmente. Massime che avendo i saraceni messo piede in più luoghi lungo i nostri due mari, facevano miserabile governo delle cose e degli uomini; le une distruggendo col ferro e col fuoco; gli altri serbando alla servitù, quando scampavano dalla morte. Combatterono allora le navi dei pontefici per la salveioza dei popoli, aiutando la valorosa resistenza delle città marittime; raffrenando talvolta l'impeto dei harbari; talvolta conseguendone segnalate vittorie. Se non che le avevano ingrata- mente scordate gì 'istorici, o solo con piccol cenno le avevano additate di volo. Alla quale ingiustizia o non curanza, egualmente biasimevoli, si fa contro l'A. colla 227 felice sua industria , e quanto far si possa ripone que' fatti egregi in rinomanza ed in luce. Di cotal guisa rifiorisce egli la lode di Giovanni Vili, autore e duce di gloriosa vittoria in un navale combatti- mento co'saraceni, seguito nelle acque di Terracina. Gli storici ne tacquero. Ne viveva però la testimo- nianza dello stesso papa Giovanni; e VX. opportu- namente traendola dai libri dei canonisti, ne' quali s'era a gran ventura salvala, ci diede a leggere le parole medesime di colui , che la sua propria im- presa narrava; ed ecco alcune di quelle autorevoli ed eloquenti parole: a Fatta in Roma una brevissima dimora di soli cinque giorni, quantunque amareggiati nell'animo e infermi nel corpo, uscimmo nondimeno in battaglia guidando i nostri fedeli romani, e, col- l'aiuto di Dio, abbiamo preso diciotto vascelli ne- mici, trucidati molti saraceni, e liberati dalla servitù quasi seicento cristiani- » (loan. Vii! epist. impera^^ tori et imperatrici, apud Ivon. in decret., presso l'A. a e. 82). Stanno esposti nel libro secondo i fasti della marina nel tempo delle crociate, e della lotta fra il sacerdozio e l'imperio, dal 1095 al 1292. Qui l'A. dimostra sempre piìi quanto il suo la- voro s'estenda e s'unisca alla storia dei tempi e a quella dei luoghi. Imperocché segue egli la nostra armata di mare per tutto dove la chiamarono, o lo zelo de'pontefici in sostenere la lotta coll'impero; o la santa brama di essi nel liberare dal giogo otto- mano la cristianità d'oriente, rendendo, o agognando di rendere al dominio de'seguaci delì'cvangelo quei luoghi eternamente memorabili, ue'quali fu compiuta 228 la redenzione del mondo- Nel concorso di tante na- zioni, nella riunione di tanto navile, l'A. fa sempre ufficio di storico diligente, non omettendo cosa alcuna che specialmente appartenga alla marineria del pon- tefice 0 al valore dei nostri crocesegnati. I quali ve- ramente toccarono il sommo d'ogni lode guerresca in quelle oppugnazioni piene di pericoli, e inasprite da zelo di fedì continue, per non dire delle occulte rivalità e de'rancori segreti, che covavano fra i col- legali medesimi. 1 fasti della marina dal principio dell' imperio dei turchi, sino alla caduta di Costantinopoli, sono svolti nel terzo libro, e versano dall'anno 1300 al 1453. Descritto il generoso contrasto, che , quan- tunque indarno, fecero i pontefici con loro navi e loro genti; quando soli e quando in lega con altri governi , acciò il nuovo impero degli ottomani non venisse alla sede di Costantinopoli, chiude l'A. questo libro colla morte di Nicolò V. Al quale affrettò il termine del vivere l'ambascia dell'aver saputo essere Costantinopoli caduta sotto la scimitarra turchesca. Pili breve periodo, ma tutto fecondo di avveni- menti ne' quali 1' armata pontifìcia tenne le prime parti, è quello che appresta argomento al libro quar- to. Si narrano in esso i fasti della marina nella guerra contro i turchi, per riscuotere la Grecia e di- fendere l'Italia, dall'anno 1455 al 1500. Le imprese che allora seguirono con grande dimostrazione delle virtij dì Calisto III e di Pio II, che n'ebbero la parte principale: i fatti illustri del cardinale Lodovico Sca- rampo, e di altri, che ebbero in esse comando ; e poi le cure dei successori nella sede del Vaticano 229 per riscattare la Grecia dalla schiavitù de'musulmani, e mantenere difesa V Italia dalle loro armi ; sono dall'A. rappresentate al vivo, con una continua illu- strazione degli avvenimenti, tolta dalle autentiche e talora inedite fonti. Tale à questo primo volume, che ne fa deside- rare di vederlo presto accompagnato dagli altri. E noi vogliamo credere d' andare appagati di que- sto desiderio : che pensiamo d' aver comune con quanti ebbero sin qui alle mani 1' opera del eh. P. Guglielmotti. Col quale nuovamente rallegrandoci, vogliamo ancora sapergli buon grado dell'aver donato il titolo del suo Hbro all'eminentissimo principe si- gnor cardinale Girolamo d'Andrea, fautore e cultore insieme di ogni ottimo studio, e di quelli massima- mente pe'quali si propaga e s'accresce il decoro e la gloria del romano pontificato. P. E. Visconti 230 Caso di veneficio verificato nella persona di Gaetano de Vecchis. G aetano de Vecchis, ventenne, romano, di tem- peramento stenico-eccitabile, studente in beHe let- tere, ed esercente la flebotomia in Civita Castellana, da che anni addietro soffrì una febbre nervosa ad- divenne impressionabile ad ogni leggera cagione, e facile ad alterarsi, specialmente co' suoi, che solo il può comprendere chi conoscealo: amoreggiava con una giovane di pari condizione , che lo corri- spondea con eguale intensità di affetto. S' ignora per qual cagione la medesima tutto ad un tratto stabilì interrompere ogni relazione con esso lui : che anzi diegli avviso per lettera e pèf uri suo at- tinente di deporne ogni pensiero, di sopprimere ogni sentimento per lei, giacche pili non sarebbe stato caso eh' essa fosse tornata a contraccambiarlo nel- r amore. Un tal fatto recò scompiglio nella sua mente con tale esaltazione disordinata d'idee, che restò disturbato nell' uso della ragione, abbracciando il folle partito di porre fine ai suoi giorni. La notte precedente il dieci agosto 1856 si fu per il De Vecchis di gran patimento e sofferenza morale. Se- duto in sul letto insonne la passa , di frequente sospira, e in preda a grande smania, agitazione e interno combattimento vede sorger la novella luce del giorno che già decretato avea ultimo per se. In fatti con fisonomia alterata nei suoi linea- menti, e come di chi riceve infausto annunzio, si 231 alza di letto , e vestitosi appena scrive in un fo- glio il parto della sua mal diretta meditazione, che a memoria depone nella sua scrivania. « Mi avvisa amor la mia contraria sorte: Piangete , amanti , la mia cruda morte ». Dopo di che esce di casa , e sen va alla piazza ond'avere notizie della sua aman- te , forse perchè una scintilla di speranza nutriva ancora , che ravveduta ella si fosse delle negative già date. Ma la medesima tutta nelle repulse per- sistea, e da vantaggio per un suo attinente faceva per lui dura conferma dei già noti sentimenti, che proromper Io fecero ed esclamare ^ che non reg- gendo a tanta pena e dolore correva a dai'si la morte. A che fare (eran circa le otto del mattino) si conduce nell' istante alla farmacia V., e fingendo piena calma, coglie il destro, che il farmacista si occupava nella spedizione di ricette, ed il giovane si era altrove condotto. Cala da uno scaffale del laboratorio una bottiglia ripiena di acido solforico impuro, misto cioè ad alcohol, essendo il capomorto della distillazione dell'etere: ne versa più di mezza libbra in un grosso bicchiere , e giù il tracanna a tutta fretta da fame anche in parte rigurgitar per gli angoli della bocca. Gli cade allora il velo dagli occhi, invoca: « Aiuto, che son avvelenato: » ma indarno: giacché tanta era la copia del tossico ingoiata, che violenta si fu la sua azione: e come accader suole in tali improvvisi incidenti, che una confusione s'im- possessa di chi si trova presente, non si pensa ad antidoti , o ad altro di azione efficace , e solo si appresta dell' acqua semplice a bere^ e si ha cura di trasferirlo in sua casa. Egli era già da mezz'ora 232 sotto il gl'avo [teso dolio più nti-oci sofferonzo, quan- do il relatore ebbe avviso di accorrere a lui per un soccorso. Depressa ed abbattuta era la fisonomia; languido lo sguardo; gli occhi agitali da moti convulsivi al- ternamente si aggiravano nelle orbite, si fissavano in alto, e presentavano solo l'albuginea ; convulsi eran pure i muscoli della faccia , e delle labbra , che tumide, in ispecie il superiore, eran già rico- perte di bianca escara; una spuma densa , filante cacciava dalla bocca ; due tracce di color nero di circa due linee di diametro dagli angoli della bocca si portavano al mento; la tunica mocciosa della lin- gua, del cavo della bocca, e delle fauci causticata, e intonacata di bianco velame; voce fievole, e clan- gosa; sapore dispiacevole acido stittico; calore scot- tante dalla bocca allo stomaco ; ardore e stringi- mento alle fauci, e loro secchezza ed aridezza; sete viva , deglutizione diffìcile ; ansietà ed agitazione ; grida e lamenti ; senso di bruciore , e di acerbo dolore allo stomaco; nausee e vomiti di atro san- gue, di viscidume e di fluidi, che carbonizzano ir» più parti i calzoni, le lenzuola, la coverta, il pa- gliariccio ed altro su cui cadono; estremità fredde; polsi piccioli, filiformi e svanenii; tendenza al so- pore. Tale era l'apparato fenomenico sotto cui il rin- venni- Avevano già somministrato T olio di oliva, r albume dell' uovo in soluzione, cui credei retto avviso sostituire, qual vero antidoto , un' oncia di magnesia deacreata in una libbra di acqua, consi- gliando, se fosse stato possibile, di empire lo sto- 233 Iliaco sino alla bocca; ma senza niun prò, mentre egli avversava ingoiar ogni fluido, e perchè la nau- sea ed il vomito si rinnovava alla presa di qua- lunque liquido , e perchè si ostinava a persistere nel proposito di voler morire , esclamando essere inefficace ogni aiuto, e vano ogni mezzo , essendo slata grande la quantità del veleno deglutita : « La- sciatemi pure in pace terminare i miei giorni: » e così raggiravasi per il letto , volgendosi all' altra sponda. L'avvilimento e la depressione vitale vie mag- giormente aumentando, non che l'intensità dei sin- tomi progredendo sempre verso il più alto grado, in ispecie la cardialgìa e l'ardore delle fauci, cui non si disgiungeva l'algore agli estremi, la retrazione dell' addome , le coliche intestinali , e gli spasimi atroci crescenti ad ogni benché lieve pressione, si venne alla indicazione di un sanguisugio all'epiga- strio ed alle gavigue, e di fomenti senapizzati alle estremità. Da questo metodo parve sentisse al- quanto sollievo: e fu dopo ciò eh' egli si mise in relazione con gli astanti ed assistenti , favellando con mentale esaltazione , ed enfaticamente difen- dendo il pieso partito. Si prescrissero pure le so- luzioni gommose, la polpa di cassia, e le fomenta emollienti; ma l'anione chimico-organica dell'acido erasi spiegata con tutta la forza ed energia, ne si era potuta punto arrestare , dappoiché si era ne- gato e si negava a far il debito uso della magne- sia, anche perchè la gola erasi fatta assai dolente, e gonfie le tonsille da far inciampo al tracannare qualunque pozione. 11 male si accrebbe di momento 234 in momento, e l'esposto quadro fenomenologico con- corsero ad aggravare i sintomi della reazione feb- brile con polsi esternati e pieni ; temperatura ele- vata, dolore di testa, deiezioni ventrali sanguino- lenti e fetide con tormini i più aspri; l' iscuria; la smania; il continuo agitarsi por il letto ; una pena la più acerba all' epigastrio ; il respiro laborioso , difficile, ansante; ed una angoscia estrema da sen- tirsi oppresso, e minacciar di soffocazione; e quan- tunque replicato si fosse altro sanguisugio alle parti maggiormente affette, pure non si ristette dal pra- ticare per esplorazione una piccola emissione di sangue , abbenchè si presentisse essere già egli spacciato- Alla fine il processo mortifero toccando il colmo, tra le pene più crude, e gli spasimi più tristi circa le due antimeridiane dell' 11 agosto il De Vecchis si mori , lasciando nel cordoglio più profondo i suoi, e quanti il conosceano. Era vivo impegno del relatore poter venire al- l'apertura del cadavere, e perciò ne fece inchiesta; ma perchè non includeva dubbio alcuno il caso sulla specie del tossico, e perchè non trattavasi di un fatto ex scelere^ si giudicò non dovere aver luo- go: per il che venne privato di rilevare , e porne sott'occhio le violenti lesioni, che l'azione chimico- disorganica dell' acido solforico avea accagionala. Queste peraltro non poteano non essere conformi a quelle che registrate si trovano in ogni opera di medicina legale, di tossicologia, di materia medica, di chimica: e l'ispezione delle labbra, della bocca, e delle fauci ne facea una piena conferma. Molto più che la somma dell' agente era stata ben rile- 235 vante , e non si era intrapreso a neutralizzare il suo potere venenato se non dopo una buona mezza ora. In questo tempo l'acido avea avuto campo da spiegare tutto il suo effetto deleterio: e l'antidoto, benché non vi fosse stata ripugnanza ed impotenza a trangugiarlo, non avrebbe corrisposto all' espet- tativa , mentre in un dieci minuti si crede com- piersi ogni sua azione venefica. Che ciò sia, non puossene dubitare: ma il labbro superiore causti- cato e tumido in rimarchevole grado per il con- tinuo contatto della magnesia usta , che il senti- mento umanitario e di comtniserazione eccitava i parenti ed amici ad appressargli di frequente alla bocca, onde ne tracannasse, si detumefece, e nella sera riacquistò il suo ordinario volume. Ora un tal fatto poteva egli anche verificarsi a riguardo dello stomaco, viscere in cui 1' acido penetrò ed ebbe dimoi'a ? Fa mestieri essere di opposto avviso , mentre non regge punto un argomento di confronto, né avvi una parità di condizione e d' importanza. Imperciocché l'azione dell'acido sul labbro fu assai transitoria, veloce ed atta solo ad irritare e causti- care: nello stomaco invece fu permanente , dure- vole e valida abbastanza, non a cauterizzare sola- mente , ma a difformare e perforare , siccome le tante volte l'osservazione ha reso manifesto. Oltre a ciò lo stomaco é viscere di rapporti di grande entità per il sistema: e una sua lesione , non che la infiammazione, che nella reazione per necessità si appalesa, è ben capace a compromettere 1' esi- stenza e a decidere della sorte dell' infermo. Nel qual fatto solo si addimostra quanto valore abbia 236 la pronta e continuata somministrazione della ma- gnesia in simili casi di veneficio, potendosi per tal mezzo rintuzzare non solamente l'azione locale del- l'acido, ma pur prevenire , che si estenda in parti lontane; mentre è ben noto, che le impressioni suir estremità sensìfere dei nervi della parte offe- sa vengono trasmesse per essi ai centri nervosi, e da questi si riflettono ai diversi organi del sistema. Non avvi un fatto nuovo o raro in ciò che si- nora si è narrato , siccome tutto giorno ne conta la storia; anzi vuoisi, che avvenga quando il tutto armonico intellettuale per un forte movente si per- verte, e perciò tiensi, che l'individuo, che a tanto eccesso perviene , sia fuori di se. Lungo assai sa- ria il volersi intrattenere sulla esposizione di tale principio , e per la sua estensione punto non si converrebbe a questo cenno. In voler però far ri- flessione al caso, di che si è discorso, non puossì dipartire da tale argomento. E in considerando le cose commemorative, bassi ragione di giudicare essere stato il nostro soggetto in quel tempo nell'acme del delirio della sua passione. Che ciò fosse , non havvi luogo a dubitarne. Imperoc- ché per la imprevista ripulsa la commozione della interna sensibilità, e il tumulto delle affezioni fe- cero privo il nostro romantico eroe del libero po- tere dell' intelletto, avvenendo che il processo ideo- logico nei suoi elementi si alterò, si sconnesse, si disordinò, e si compiè imperfettamente e irrego- larmente: donde erronei ne furono i ragionamenti, e fallaci le deduzioni. Per il che perduto avendo il retto uso della ragione» gli venne pur manco la 237 coscienza dell' io, e trovossi nel delirio. In questo stato non ebbe più il discernimento della mora- lità od immoralità delle sue azioni: e la volizione sopraffatta dal falso lavorio della disturbata intel- ligenza nell'esercizio del suo libero, per la violenza della passione venne trascinata e sospinta ad at- tentare ai propri giorni. Pietro Doti. Grazi 238 Sulla endosmosi delV albumina. Osservazioni del prof. Maggiorani. JUa dottrina della endosmosi è troppo importante alla spiegazione dei fenomeni organici, ed in ispe- cie allo schiarimento dei processi di assimilazione e di nutrizione , perchè abbiasi mai a trascurare alcuna opportunità di rettificare i fatti che alla medesima si riferiscono. Pertanto avendo letto nella recente opera del dott. Mialhe intitolata « Chimie appliquée a la physiologie et a la thérapeutique » che i liquidi albuminosi dell' economia animale si sottragg.no alle leggi della endosmosi, e che l'al- bume dell' uovo non attraversa le membrane, ho durato fatica a creder giusta una tal sentenza, con- traria alle ricevute opinioni, e ho sentito il desi- derio di assicurarmi del fatto con opportune espe- rienze. Invece di separare il guscio testaceo ad una estremità dell' uovo, lasciandone intatta la mem- brana, come pratica il citato A-, ho profittato delle uova fetate naturalmente senza la veste calcarea. Si ha in questo una più vasta superficie alla ma- nifestazion dei fenomeno , e quindi piìi chiari e concludenti se ne offrono i risultamenti. Sommerso adunque l'uovo ignudo in un bic- chiere di acqua pura alla temperatura ordinaria (12" R.), dopo appena due ore esso era di già più teso e rigonfio di quel che non fosse per lo in- 239 nanzl , e nel fluido poteva già dimostrarsi la pre- senza dell' albuina. Imperocché riempiutone un ve- tro di oriuolo, e portato alla ebullizione, l'occhio armato dì lente vi scorgeva nel fondo le zone di albumina coagulata; intanto niun cambiamento of- frivasi in altra egual quantità di acqua attinta alla stessa sorgente, ma che non aveva servito allo sperimento. Altra porzione del fluido, in cui era immerso l'uovo introdotto in un provino e fattovi bollire, acquistava presto il noto colore opalino caratteristico della presenza dell' albumina. Tra- scorse sei ore dalla immersione, il riscaldamento dell' acqua ci manifestava fiocchi albuminosi da potersi raccogliere , e odore nettissimo di chiara d' uovo bollito. Un' altra porzione della ridetta acqua trattata coli' acido nitrico presentava un pre- cipitato in forma di nube opalina, che non discio- glievasi in un eccesso del ridetto acido. Cotesti esperimenti furono ripetuti per sette giorni, cam- biando l'acqua da sommergervi l'uovo: e gli eff'etti furono sempre gli stessi. Né obbiettisi dal Mialhe che i fisiologi nello ammettere la virtù endosmotica dell' albumina sono stati indotti in errore dalla materia animale con- tenuta nelle membrane impiegate nelle esperienze; perchè le membrane risultano piuttosto di gelatina che di albumina. D' altronde se prolunghisi , co- me io ho fatto, r esperimento per molti giorni, si ottiene dall' acqua in cui è immerso l' uovo una tal quantità di albumina , da non potersene mai attribuire 1' origine alla sola membrana del me- desimo. 240 Trascorsa una" settimana l' uovo immerso nel- l'acqua raddoppia di volume , e sembra vicino a scoppiare. Apertolo, vi si rinviene un fluido in cui l'acqua prepondera all' albume , e in cui nuota il tuorlo, intatto, a quel che pare, da ogni azione endosmotica. L' esperimento riesce egualmente se in vece di acqua pura si adoperi una soluzione salina , p. e. il sai comune ; anzi in tal caso il passaggio dell'albumina verso il fluido accade con maggior prontezza. Nemmeno poi è necessario procacciarsi uova senza guscio testaceo per verificare la endosmosi dell' albumina : poiché questo fenomeno manife- stasi chiaramente anche nelle vestite dell'involu- cro calcareo, purché siano recenti , e si attenda un pili lungo tempo innanzi di procedere all'esame del fatto. Peraltro dopo tre giorni di immersione la presenza dell' albumina nell' acqua, e dell'acqua neir interno dell' uovo, dimostransi facilmente coi solili mezzi. Ma l'albume attraversa la membrana dell'uovo, non solo ove questo si immerge in un fluido ac- quoso , ma eziandio se venga circondato da una materia solida in forma polverulenta. Ciò almeno si verifica col ferro preparato, o con quello ripri- stinato coir idrogeno, come ne ho fatta esperienza. Preso cioè un uovo privo del guscio calcareo, e ricoperto tutto all' intorno di uno strato di que- sto ferro a molecule assai divise, e adagiato so- pra un letto della stessa materia, trascorsi tre o quattro giorni esso riducesi alla metà del suo vo- lume, e il metallo inumidisce e aderisce alla mem- 2il brena dell' uovo formandovi come una crosta. Se- parato allora il ferro colla lavanda, filtrato il me- scuglio, ed esposto alla ebullizione, cede all'acqua i coaguli albuminosi, ed offre all' odorato il noto sentore dell' albume scaldato. L' acido nitrico si comporta col fluido filtrato come con una solu' zione di albumina. Aperto V uovo si rinviene per metà vuoto, e una porzione dell' albume si mo- stra tinto in color di rosa, come appunto avviene se spargasi direttamente di limatura di ferro. Adun- que attraverso la membrana dell' uovo vi è pas- saggio dell' albumina verso il ferro , e del ferro verso r albumina. Concludo, che l'albumina è veramente endosmo- tica come credevasi: e tal fatto è assai più con- forme agli altri che conosciamo sulla endosmosi de' fluidi animali , ed è assai pili conducente alla spiegazione dei fenomeni organici. MU'fnii'rn Ed infatti il processo nutritivo suppone un ri- cambio tra i materiali del sangue e quelli dei tes- suti da compiersi probabilmente per endosmosi mercè le pareti vascolari ridotte a maggior sotti- gliezza nei canali sanguigni di calibro minore. II plasma del sangue contiene albumina , e questa è il fondamento di molti tessuti , la base germinale dell' organismo: e donde vorranno desumere 1' ori- gine di tal materiale, se non dal suo passaggio at- traverso le pareti vascolari ? Sostiene il Mialhe che 1' albumina separala dal sangue ha sofferto una modificazione; ma non veggo nel suo libro argomenti bastanti a dimostrarlo. L'albumina che entra nella composizione de' mu- G.A.T. CXLVIH. 16 242 scoli ha la medesima formula di quella del siero. E secondo ogni dettato fisiologico le modificazioDi dei materiali del sangue si verificano nell'alto i stesso dell' assimilazione, non già nel torrente del circo o. Nelle vie del sangue si elaborarono essi materiali , ma la conversione organica non può accadere che a contatto della fibra vivente. Ogni tessuto ha una virtualità propria, ogni organo ha un potere spe- ciale, onde avviene che ciascuno attragga dal pla- sma sanguigno il materiale necessario alla sua ri- parazione, e attrattolo lo modifichi secondo la pro- pria natura. É deano in fine di considerazione come 1 albu- mina sia%ndosmotica anche verso un corpo solido qual' è il ferro in forma polverulenta. Lo stato so- lido molle dei tessuti non può adunque formare un ostacolo a comprendere il passaggio di quel materiale dal siero del sangue verso i medesimi. i (ui riKiofflqn?. ovi.lfiJ. 2m VARIETÀ' Eleganze italiane dimoslrate con gli esempi declassici e ridotte a piccolo dizionario daWabate Giambal^ lista Toti. 8", tipografia delle belle arti 1857. (Ne sono uscite fin qui quattro dispense di pag. 176.) Noi ci rallegriamo assai di cuore coll'egregio sig. abate Toti delle s\ nobili cure che pone all'ammae- stramento soprattutto de'giovani nelle proprietà ed eleganze della favella. Cosa che non può raccoman- darsi mai abbastanza sì ad essi giovani e sì pure a'ioro maestri. L'opera è saviamente pensata ed ese- guita, né cerio fallirà d'esser utile a rinsavire molli nostri imbrattacarte ed in prosa ed in verso: per- ciocché con metodo facilissimo vi si dà sotto gii oc- chi il fiore di quante sono gentilezze e leggiadrie dello scrivere italiano. Deh vada ella in mano prin- cipalmente de'novelli delle lettere! Sì, diciamo, dei novelli principalmente: ma sarebbe pur bene che ne facessero prò anche molti provetti. Discorso sulla storia universale dei frali minori, del P. Marcellino da Civezza M. 0. 8°. Genova costipi delVR- I. de' sordo-muti 1856- (Un voi. di pag. 96.) Il P. Marcellino da Civezza , letteialo omai di bella fama in Italia, è intorno a scrivere ampiamente 244 la storia delle missioni dal suo insigne ordine fran- cescano. La quale già immaginiamo dover esser cosa di gran momento per le memorie così ecclesiasti- che, come civili di oltre a sei secoli: non altrimenti ch'è l'immortale opera che per le missioni della com- pagnia di Gesù ci diede l'incomparabile Daniello Bar- toli- L'autore ha forze da non tremare sotto il tema ponderosissimo: e n'abbiamo un' arra in questo di- scorso, nel quale con facondia, con dignità, con ele- ganza di stile ci narra in succoso compendio quanto di pili glorioso operò per la religione, per le lettere, per la civiltà il serafico suo instituto. La biblioteca vaticana dalla sua origine fino al pre- sente, per Domenico Zanelli- 8°. Roma, tipografìa delle belle arti 1857. (Un voi. di pag. 122.) Libro importantissimo alla storia non solo della grande instituzione del piiì antico , e fors' anche maggior tesoro d'ogni maniera di lettere nostre ed orientali che si conosca (cosa veramente d' immortai decoro alla Santa Sede): ma sì di tanti gloriosi pon- tefici e insigni principi e sapienti di ogni secolo. Il eh. signor canonico Zanelli ha in quest'opera mo- strato sempre più quanto egli valga in erudizione sacra e profana : e quanto sia tenero delle glorie del sommo pontificato, che sono state costantemente pur quelle della civiltà italiana. 245 Memorie sulla vita e sugli scrini di Bernardo La- viosa della congregazione di Somasca, raccolle da Tommaso Borgogno della medesima congregazione. 8°. Boma, tipografìa delle belle arti 1857. (Sono pag. 24 col ritratto del Laviosa.) Ebbe coraggio il Laviosa di seguire la grande scuola deirAlighieri a'tempi che regnavano un Betti- nelli ed un Cesarotti: volutosi far guidare, anziché a'costoi'o sofismi, o meglio letterari vaneggiamenti, al grave senno de'suoi amici Alfonso Varano e Cosimo Betti, nobili precursori della restaurazione dantesca, la quale doveva poi compiersi felicemente da Vin- cenzo Monti. Ciò nondimeno i suoi Canti melanco- nici (benché se ne abbiano tre edizioni) possono dirsi oggi quasi dimenticati dalle scimie boreali che amano correr dietro alle atrocità ed agli orrori- E pure vi fioriscono immaginazioni, e vi si trovan sentenze, oltre ad uno stile maschio e severo, degne talora di ciò che di più splendido ha la musa italianaj A fine di tornare nella fama che merita la memoria dall'uomo illustre, ha preso il chiarissimo professore Borgogno , suo confratello, a scrivere il discorso che annunziamo: intorno al quale veramente può dirsi, ch'ivi un va- lente parla d'altro valente. Così tutto v'è da mae- stro. 11 Laviosa nacque di padre genovese in Palermo nel 1736 : entrò nella congregazione somasca nel 1755: e morì in Genova il 7 di aprile 181(^. 246 Della pia uniunc di san Paolo aposlolo e dei van- taggi da essa rendali alla Società & alle scienze sa- cre, ragionamento istorico di monsignore Francesco ' de' conti Fabi Montani. 8°. Pioma dalla tipografia di Bernardo Marini 1856- [Sono pag. 54.) Facciamo giusto plauso a questo scritto di non lieve importanza per la storia ecclesiastica, sopral- tutto della città di Roma. Orazione funebre in onore del marchese Francesco Daldassini di Pesaro, letta nella chiesa di S. Gio- vanni di detta città il 12 febbraio 1857 dal cano- nico b. Salvatore Ortolani- 8°. Pesaro, tipografia ■ di Annesio Nobili 1857. (Sono pag. 30.) Siamo appena alla metà di questo tristo 57, e già quanti sepolcri non si sono schiusi ad illustri italiani! Di quante perdite non dee rammaricarsi la comune patria? Il sommo giureconsulto Nicolini, il botanico Brignoli, l'astronomo Colla, lo statista ed economista Serristori, l'anatomico Demichelis, il me- dico Bertini, i fdologi Nannucci, Rezzi e Tassi, l'in- cisore architetto Rossini, 1' insigne collaboratore di questo giornale monsig. Stefano Rossi, ed altri va- lentissimi nostri, non sono piìi! Vuoisi fra essi an- no vei'tii' anche il marchese Francesco Baldassini da Pesaro, uomo d'incorrotta religione, di grave senno, e fondalissimo nelle scienze naturali, co:ne ben mo- 247 slratìo le molte e lodate sue opere, delle quali ab- biamo dovuto spesso parlare nel nostro giornale. Passò egli al liposo dei giusti il 13 del passato gen- naio, essendo nato di famìglia nobilissima il 15 di novembre 1785. Questa orazione del sig. ab. Orto- lani ricorda nobilmente le tante virtiì della mente e del capre deiresimio pesarese, ..; ;j ;..;„>;;..; oJlijJ ib oiìoI/:Jj;y II .f) ;i/iificlnnM oi.vfuiyl »«((]«*« Storia delle pitliire in maiolica falle in Pesarò^è)nei luoghi circonvicini, des^-ille da Giambattista Pas- seri pesarese- Seconda edizione, co)i agginnle im- portantissime, dedicata al nobil uomo signor marv chese Alessandro Baldassini. 8". Pesaro, tipografia di Annesio Nobili 1857- (Uri, KoI..di pag. 215 con qi^ttro tavole in rame.) Erasi resa assai rara questa istoria, nonostante le due edizioni fatte in Venezia e in Bologna nel secolo XVlIi, e la nuova che ne procurò in Pesaro nel 1834 l'esimio nostro prof. Montanari. Cercata perciò con premura non solo di qua, ma di là (Jai monti, dov' è stata anche tradotta ultimamente, in francese da Enrico Delange, voleva, ragippe cl)e,,§e ne imprendesse non una seconda , ma una quaptji ristampa; ed eccola arricchita d'importantissime a,g- giunte , che la renderanno cara ad ogni classe, di amatori e d'intelligenti di siffatte preziose stoviglie. Imperciocché vi si trovano, 1- Le notizie delle ma» ioliche di Urbino, del P. Luigi Pungileoni; 2. Due lettere ìel marchese Francesco Ranghiasci. Branca- 248 leoni intorno .'il famoso inaslm Giorgio da Gubbio; 3- Le maioliche di esso mastro Giorgio, che si han- tì&yyieWià insigne raecolta del sig. Delsette in Bolo- gna, descritte da Luigi Frati; 4. La prefazione del Delange alla sua traduzione francese dell'istoria del Passeri; 5. La descrizione di alcune maioliche della raccolta pesarese del cav. Mazza, fatta dal prof. Giu- seppe Ignazio Montanari; 6. 11 catalogo di tutte lo maioliche, che possiede lo spedale di Pesaro come erede del prefato cav. Mazza, lavoro di Luigi Ber- tUCCiolijl '■ • • >" PM-p.,.,vA;v!j-.-' umVigli^tìHoo ,a«ok'ib9 «fcjtoo'a?. .,)v.•yuì^^^^ i't^)< Poesie medile di mèsser Francò Sacchetli fiorentino ^. dedicale air eccetien za del signor marchese D. Ur- ' • baìky Sacchelli nel giorno auspicati ssimo delle sue sponsalizie coir eccellenza della signora principessa D. Beatrice Orsini, dalVab. Filippo Maria Mignanti ^'' già precellore dello sposo. 8». Roma, tipografia di ^ -'^ 'Gaetano 'Qìdassi 1857. (Sono pag. 50.) Dobbiamo esser ben grati alle cure del signor ^iblite Mìgtianli perchè ci abbia dato trentasei sonetti e quattro canzoni del celebre Franco Sacchetti se- niore , giovandosi de' codici vaticani , corsiniani e chigiani. Nuova messe pel vocabolario della favella- Arduo però, sommamente arduo, è il ginepraio dei vecchi eodici: cioè il leggere e interpretare le mi- rabili bestialità degli antichi copisti, gente al tutto manuale e ignorante : checche sembrino pensarne alcuni , che tanto si piacciono renderci con véro scrupolo (dicono in grazia della filologia! Povera fi- 249 lologia!) tutte le lordure ortografiche di que'mise- rabili. Laonde oseremo dire al valente editore, che non possiamo ancora aver per sicure alcune lezioni seguile da lui qua e là nella stampa , le quali ci paiono aver bisogno di nuove considerazioni. s ioiiq ioni ì rjjaJ no« iJJooo'iq nlv'.' — — i file d(t Capitolo in laude di papa Martino V di messer Franco Sacchetti giuniore^ e cenni biografici del medesimo Franco di Vespasiano Fiorentino ec. 8°. Roma, ti- pografia di Gaetano Chiassi 1 857. (Sono pag. 23-) Anche la stampa di questo bel capitolo si deve al signor ab. Mignanti. Ce lo dà egli come opera del giuniore Sacchetti per la grave autorità del Bot- tari: perciocché in alcuni codici è attribuito anche a Nicolò Cieco aretino. Eccone un saggio- 0 padre, quanto spiritai diletto, Considerando te, quanta letizia Si dee trovar nel tuo santo concetto! In te misericordia, in te giustizia, A te è aperta Tuna e l'altra via, Punire e perdonar nostra malizia.. 0 grande inestimabil signoria! 'ngil ioi Di sopra è dato quanto 'n terra dai: Adunque il cielo e '1 mondo è 'n tua balia. Chi serve a Dio non se ne pente mai, E chi inver di lui le serve 'n terra, Tenga fermo il desio; ch'ha fatto assai. Tra Dio e '1 pecca tor ogni gran guerra, 250 Purché ti piaccia, si converte 'n pace: Così chi sers'e a te, padre, non erra. La suprema bontà, quando ti piace Benignamente a noi perdonar, prieghi (1) A trarre il peccator di contumace. Divìn precetti son tutti i tuoi prieghi: Sempre sta Iddio al tuo voler parato: Chi sciogli è sciolto, e legato è chi leghi. Tu se'Vasperges me d'ogni peccato: 'v,\ v.;, (,, Tu non dai solamente il ben terrenQj«)4\33,ij'ò Chi ricorre a'tuo'piè saia salvala, ^ .>v}tw'^ Segue la vita del Sacchetti candidamente scritta dal suo contemporaneo Vespasiano Bisticci fioren- tino, la quale è fra quelle di esso Vespasiano pub- blicate dai celebre cardinal Mai- Memorie storiche di Todi per Lorenzo Leonii. Todi presso Alessandro Natali ediL: l>§a7j Di queste memorie isteriche abbiamo veduto sino alla terza distribuzione, o fascicolo. Aspette- remo il compimento dell'opera, ch'ò al duodecimo foglio , dei trentacinque circa di stampa che. deve occupare , per darne poi il nostro giudizio. Ci ò grato intanto d'annunziarne la pubblicazione: per- chè queste storie particolari , dettate che siano con buona Critica, non solo giovano sommamente (IJ Forse pieghi. — Nota tUìl Gior. Arcad., 251 nd illustrare i luoghi, ai quali si riferiscono ; ma tornano ancora in vantaggio della universale storia, alla quale apprestano documenti ricercati con in- dustria ed affetto. V arie e gli artisti. Sotto questo titolo abbiamo veduti usciti in luce dalla stampa della tipografìa li^gale qui in Roma due fiìscicoli, appartenenti al volume primo d'una nuova opera, che si pubblica dal signor Vincenzo Conti colla cooperazione di vari e con larga e lo- devole sua parte. Ed egli è che 1' ha dedicata ad un illustre prelato di questa corte, monsignore l). Roberto de' principi Lichnowski, referendario nelle due segnature di. giustizia e di grazia. Quale sia lo scopo del libro, e quale la utilità che può de- rivare da esso ;,, Ip ha esposto il signor Conti con chiarezza e con eleganza in un suo discorso d'in- troduzione al volume. Gli articoli trattati sin qui ci fanno bene augurare del progresso; anzi ci fanno desiderare che l'opera proceda felicemente per onore delle arti del bello e di coloro che le cojitiy'ano, o veramente le favoriscono o apprezzano.!* ìs^jìoìì ^flirifiabj ili) Giornale delle strade farrale. Roma, t i pò gr-afia Ti- berina, 'o"'' "' ,ino»x«Jio«itih oA ! oiiiufi nsivjr'. /jjiiJii'.)r:0'iq -'.o^au ooninvob «bv.oomiji '•^'(!)ra che grazie aHe provvide 'curè'dèl pontrfJcio governo, tanto egregiamente secondate e dirette da •)lKļg9l 252 monsignore G. Milesi benemerito ministro del com- mercio e lavori pubblici , entriamo anche noi nel benefìcio delle strade ferrate , è di somma utilità questo nuovo giornale , tutto inteso a svolgerne ad esporne l'argomento, che in se è si vasto e sì vario. I numeri, che ne abbiamo veduti, abbracciano inoltre molte altre parti relative all' industria e al commercio dello stato pontificio, e trattano di re- centi scoperte delle scienze e delle arti. Pontificia accademia di archeologia. ■ -J'-'-^i "■■- ''"■'•■ In adempimento de' paragrafi 1 'e '2 dèl':'iìtoIo ottavo dolio statuto, si propone un premio a chi meglio dichiarerà il seguente argomento: '^^J^ '^> « Della numismatica pontificia nell'età atìtetiore » al secolo XI , ordinando la serie di quei num- » mi, arricchita di tutte le recenti scoperte >'■ ed )) esponendo i principali vantaggi , che all' istoria » sacra e civile del pontificato romano derivar pos- '»' sono dallo studio dei medesimi. » Potranno concorrere al premio i letterali di qua* lunque nazione , eccettuati i soli soci ordinari ed onorari dell' accademia. II premio è di una medaglia d'oro di zecchini quaranta. Le dissertazioni, in lingua latina , italiana , o francese, dovranno esser presentate, senza nome di autore, a tutto il 20 luglio del futuro anno 1859. Dovranno essere scritte in carattere chiaro e leggibile. 253 Saranno distinte da una epigrafe, ed accmpao- gnate da una scheda sigillata con entro il nome e l'indirizzo dell'autore, e fuori l'epigrafe stessa po- sta alla dissertazione. Il giudizio sarà pronunziato nel mese di no- vembre del medesimo anno. cmìÌìs^» oUatt A. La dissertaz.ione premiata verrà impressa negli ^Iti. Le schede appartenenti a quegli scritti, a'quali non sarà stato aggiudicato il premio, non si apri- ranno, ma saranno bruciate. go^'ioS Le dissertazioni dovranno essere dirette per ìd posta, od altrimenti; ma chiuse, sigillate, e franche di porto, al Commendatoke Visconti segretario per- petuo della pontificia accademia romana di ar- cheologia. Quando non vengano per la posta , dovranno essere consegnate nelle mani del detto segretario perpetuo dell' accademia, il quale ne darà ricevuta al portatore. Dall'aula del romano archiginnasio il dì 11 luglio 1857. // Presidente Marchese Commendatore Campana // socio ordinario segretario perpetuo Commendatore Pietro Ercole Visconti 254 INDICE Rossi, Elogio del principe D. Pietro Odescal- chi direttore di questo giornale. . . pag. 3 C. S. , Delle sculture del commendatore Pietro Tenerani \:-ì affo(.si;ìao8&lb » 39 Gori, Scorsa a Veli » 59 Vanzolini Raccolta di laudi ec. . • . . » 133 Borgogno, Decorso in onore di Torquato Tasso. » 160 Visconti Splendore di Roma neWetàdi mezzo » 171 Regnani , Esperienza sidla deviazione delV ago [ calamitato per la elettricità di attrito. . » 197 Betti, Appendice al suo ragionamento intorno alla patria del poeta comico Terenzio. . . » 207 Guglielmotti, Storia della marina pontificia. » 223 Grazi, Caso di veneficio . » 230 Maggiorani, Sulla endosmosi delV albumina. . « 238 Varieià ......)) 243 IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Sociii» IMPRIMATUR Fr, Ant. Ligi Archiep. Icon. Vicesgerens Nel giornale si dà il sun!o, o Yicne inse- rito l'annunzio, delle opere presentale in dop- pio esemplare alla direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per l'agricoltura, industria ec, come anche i programmi de' con- corsi accademici, dovranno similmente esser mandati franchi di posta alla direzione., Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. a GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO IV DELLA NUOVA SERIE ROMA Tipografia delle Belle Arti 1857 Piazza Poli num. 91. ^MM iii GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO CL DELLA NUOVA S E R I K IV LUGLIO E AGOSTO J857 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1857 Nota sul raffreddamento dei cadaveri, del dott. Carlo Maggiorani. I I sig. Bernard ha intrapreso novellamente una se- rie di esperienze tendenti a illustrare il non ancora ben definito fenomeno dei calore animale, dirigen- do in ispecie le sue indagini e i suoi sforzi allo scopo di comporre, come egli dice, una topografia calorifica del sangue e dei tessuti diversi. E già sul bel principio di coteste ricerche condotte sugli animali viventi l'illustre fisiologo avendo preso di mira 1' apparato digestivo ha potuto giungere ad importanti conclusioni ; cioè: 1. Che questo appa- rato riscalda il sangue in modo che il venoso ci si offre pili caldo che 1' arterioso: 2. Che il sangue reduce dall' apparato digestivo per le vene epali- che è una sorgente (ed è anzi la principale) co- stante di riscaldamento pel sangue che si reca al cuore mediante la vena cava inferiore. 3. Che fra gli organi concorrenti al riscaldamento del sangue neir apparato digestivo il fegato occupa il primo posto , e che quest' organo dee essere considerato come una delle principali sorgenti del calore ani- male. La lettura di questo primo scritto del sig. Ber- nard, pubblicato in uno degli ultimi fascicoli dei Comptes Rendus (18 agosto 1856), mi ha eccitato a presentare all' accademia de' lincei un sunto di osservazioni termometriche sul raffreddamento dei 4 cadaveri da me istituite, sono oi- trenl'anni, nell'o- spedale di s. Spirito, allorché vi occupava la ca- rica di medico assistente. Le quali osservazioni , benché differiscano grandemente per forma e per metodo da quelb del fisiologo francese , nò osino aspirare alla lode di scrupolosa esattezza rispetto al pregio dello stromento adoperato, offrono però questa utilità nella presente occasione di concorrere per altra via ad analoghi risultamenti: cioè; 1. Irrigidito il cadavere, e quando parrebbe che la sua temperatura si fosse equilibrata con quella dell' esterno ambiente , 30, 40 e perfino 44 ore dopo la morte vi è ancora qualche vestigio di ca- lore nel corpo. 2. Queste reliquie di calore non sono distribuite egualmente in tutte le parti più profonde della macchina secondo la ragion fisica, ma si rinvengono in ispecie nella zona addominale che comprende l'epigastrio e i due ipocondri. 3. Immergendo ad eguale altezza il termome- tro in fori praticati nell' epigastrio e negli ipocon- dri, trovasi quasi sempre nel primo una tempera- tura un poco più elevata che nei secondi , e nel destro ipocondrio più elevata che nel sinistro. Aprendo poi la cavità, e ponendo allo scoperto i visceri , i punti più caldi sogliono essere il solco della vena porta e la regione fra lo stomaco e il fegato. 4. In ordine di calore superstite, dopo la zona epigastro-ipocondrìaca , segue la parte inferiore del ventre, indi la cavità toracica, poi il cervello, e in ultimo le masse muscolari. 5 5. L' età e la naluia della inalallia , che eser- citano qualche influenza sul più o men rapido raf- freddamento nelle prime ore dopo la morte , non sembrano averne alcuna nella conservazione degli ultimi avanzi del calore, dacché giovani e vecchi, malattie acute o croniche pregresse offrono risul- tati pressoché eguali. 6. La stagione è anch' essa priva d' influenza nella dispersione degli ultimi resti del calore, se in dicembre a 5° si ebbe nello stomaco la stessa ele- vazione di i" decorse 38 ore dopo la morte , co- me in settembre colla esterna temperatura a 17° decorsene 25, Le quali deduzioni io non saprei interpretare in altra guisa, che attribuendo ai diversi visceri una differente temperatura iniziale. Ed infatti se non vi è alcuna ragion fisica, onde le parti centrali del petto, del capo , e del ventre inferiore si raffred- dino pili presto del fegato e dello stomaco , con- vien pensare che questi visceri fossero già in vita dotati di maggior virtù calorica, di che più lenta poi siavi dopo morte la dispersion del calore. Di- reste forse che il fegato sia tardo a raffreddarsi at- teso la sua mole e la densità sua ? Ma fra le mie osservazioni sono casi, in cui il polmone epatizzato, grande anch' esso e ben consistente , quantunque più caldo dell' altro polmone, lo era però meno del fegato. E dove è poi la densità dello stomaco ? Sospettereste per avventura che lo strato adiposo succutaneo e quello degli epiploi mantengano più calde le regioni epalo-gastriche ? Ma nelle storie figurano e tisici e paralilici e settuawnari, in cui 6 non poteva verificarsi una lai condizione , per la quale poi dovrebbe aversi una eguale temperatuia in tutto il ventre. Pensereste infine che la ine- guale conservazion del calore dipenda dalla copia ineguale del sangue ? Ma se di questo abbonda il fegato, non è lo stesso delle pareti dello stomaco; e in un caso in cui questo sacco era pieno di sangue deglutito negli ultimi momenti della vita, non perciò la temperatura dello stomaco era più elevata dell'ordinario. Non rimane adunque altra spiegazione al feno- meno che una differenza iniziale di temperatura nei visceri , e una maggiore elevazione di questa nello stomaco e nel fegato: ciò che sotto alcuni riguardi coincide coli' ultima deduzione del prelo- dato fisiologo. Nuove osservazioni micìoscopiche suWazione che Ve- lellricilà esercita suW albumina^ del prof. Carlo Maggior ani. Oe torno per un momento a richiamar rattenzione dei lettori sugli effetti che Telettricità determina suir albumina, ciò deriva dalla cortesia del signor professore cav- Viale, il quale, possessore com' è di uno de' migliori microscopi che siano usciti dalla fabbrica del signor Fiòssi di Vienna, ha vo- luto non solo permettermi di profittarne a ripe- tere le mie esperienze, istituite son già tre anni con un piccolo istromento di Baviera di soli 200 diametri d'ingrandimento, ma si è inoltre com- piaciuto di associarsi meco all' oggetto di verifi- care quelle osservazioni , che io presentai all'ac- cademia de' Nuovi Lincei. Elettrizzato pertanto un uovo di gallina per tre settimane , e durante lo spazio di circa tre ore il giorno, coli' averlo sospeso all' estremità del conduttore di una piccola macchina elettrica mercè una gabbietta metallica, procedemmo insieme ad esaminarlo , dopo aver preparato altr' uovo non elettrizzato qual mezzo di confronto : ed eccone ì risultati. 1." L'uovo elettrizzato offrivasi più opaco dell' altro, e presentava un' assai maggior resistenza alla rottura , come se il guscio testaceo e la 8 sottoposta membrana avessero acquistata maggior compattezza. 2." L' albume dell' uovo elettrizzato compa- riva anche a nud' occhio più denso e più pla- stico dell' uovo naturale ; e posta egual porzione dell'uno e dell' altro in due bicchierini con acqua distillata , si osservò come il primo contenesse una maggior quantità di materia insolubile, avente tutte le apparenze della fibrina. 3." Le carte reagenti si diportarono quasi allo stesso modo coi due albumi, come pure non si notò differenza sensibile nei due tuorli. 4." Sottoposte al microscopio alcune gocciole dei due uovi, si vide che l'albume naturale presen- tava nel cajnpo visivo delle piccole masse infor- mi, ma nulla che somigliasse alle apparizioni del- l' albume elettrizzato; in cui notavansi e corpieeJli annulari , e laminette foggiate a guisa di ale di farfalle, e specialmente lunghi tllamenti, o meglio nastrini limitati da due fdi e punteggiati nel mezzo, che cominciando dallo scorrere paralleli, poi si av- vicinano , indi si scostano prendendo aspetto fusi- forme. Tai nastri, che nella mia prima scrittura su queste esperienze io aveva annunziati come sem- plici forme , o abbozzi organici , furono giudicali dal dotto socio come veri individui di una specie di alga che gli sembrò del geneie Hìjgrocrocis. I! quale giudizio trovasi in piena corrispondenza col fatto dell' accrescimento, che per decorrer di tempo sperimentano i ridetti filamenti , come già esposi in altra tornata della ridetta accademia , a cui offrii le figure esprimenti quegli stessi corpi che 9 neir albumina liquida veggonsi come natanti , e nella diseccata si sollevano dalla sua superficie, e vi si svolgono notabilmente, o in forma di piccoli coni sovrapposti gli uni agli altri, o di nastrini rav- volti su loro stessi, o di filamenti dentati e muniti di un' origine bulbosa, come i peli degli animali. Non ho in animo di tentare la interpretazione scientifica di questi fatti, che hanno bisogno di es- sere ulteriormente studiati ed ampliati; mi basta intanto di aver messo in chiaro: 1.» Che sotto r impero della elettricità si dà luogo alla formazione di nuovi corpi a forme or- ganiche. 2.° Che le forme di questi corpi non sono casuali e variabili, ma si assoggettano a un certo tipo, il quale per l'albumina è il nastro fusiforme, che più tardi si converte in filamento dentato , o in serie di piccoli coni sovrapposti. 3.° Che questi corpi, cessata la elettrizzazione, continuano a crescere e a svolgersi, purché riman- gano connessi alla matrice albuminosa. Se da questa deduzione possa arguirsi che la materia organizzabile, modificata dalla virtiì elettrica si plasmi nelle fogge degli ultimi esseri oiganati di semplicissima struttura , se ne derivi un altro argomento alla teoria della trasformazione delle forze, lo giudicheranno i più esperti in questa maniera di studi. 10 Pericolo delle stufe in ferro fuso. {Articolo tradotto dalla gazzetta medica d' Oriente che si pub- blica in Costantinopoli, pag. 76 , anno 1." lu- glio 1857.) I giornali in ogni inverno citano qualche caso di asfissia mortale prodotta dalle stufe di ferro fuso troppo riscaldate. Si conosce che il ferro fuso contiene circa 30 per cento di carbone. Ora ac- cade che allorquando si riscalda al punto di di- venire rossa una stufa di questa specie, il car- bone a poco a poco col contatto deli' aria passa in gas acido carbonico. Questo gas dotato della proprietà anestesica addormenta le persone che lo ispirano, e può ancora asfissiare completamen- te, qualora la sua deleteria azione sia prolungata, in ispecie se l' ambiente sia chiuso ermetica- mente. In Costantinopoli tali casi sono frequenti: per cui gli architetti indigeni hanno la previdenza di tenere le porte, le finestre, i pavimenti, inclusive le mura, penetrabili all'aria esterna; il perchè oggi pili di rado avvengono i casi di asfissia: ed il meno che accada, soffresi una violenta cefalagia con nausea e vomito e prostrazione di forze. A questo proposito noi citeremo un fatto, del quale siamo stati testimoni , e che indicherà in pari tempo ai nostri colleghi d' occidente il rime- dio che si usa qui per combattere gli accidenti 11 prodolti dalle stufe di ferro fuso, e pei' la eom- bustione del carbone. Un ricco armeno fu preso istantaneamente da una cefahigia con vomito e sonnolenza: il polso era duro e teso, occhi iniettati di sangue , e fi- sonomia cadaverica. Non pochi sono i medici chiamati per sì im- ponente malattia. Essi credendo di conìbattere una congestione cerchiale , ordinano salassi sopra sa- lassi, ripetuti sanguisugi, e molti purganti. Quesl' energica cura fa sparire alcuni sintomi: ma la ce- falagia persiste , ed il malato è in un' angoscia indescrivibile , si dispera, e sembra prossiiria la morte. Per tre giorni i medici lo visitano mattina e sera senza recargli sollievo , che porga speranza di guarigione : dimodoché la mattina del quarto giorno lo trovano nello stesso stato , malgrado delle reiterate emissioni di sangue , dei purganti , delle pozioni anodine , antispamodiche ec, onde eSsi disperano di conseguire felice risultato dalle loro attivissime sollecitudini. Tornano la sera di questo quarto giorno, poco soddisfatti ed umiliati, perchè credono di sentire rinnovale le lamenlanze dell' infermo. Ma qual fu la loro sorpresa nel trovarlo seduto tranquillamente nel suo letto, ricevendogli con un sorriso quasi sardonico? lo sono guarito , egli dice (i medici si riguardavano l'un l'altro, come ne du- bitassero): un amico è venuto a vedermi nella gior- nata, narrandomi di aver sofferto tutto ciò che io ho provato, e che la cagione del mio male doveva essere stata una stufa in ferro fuso troppo fiscal- 12 (lata. In che ho convenuto , mentre fiiccio uso di simili stufe. Immediatamente l'amico manda a [jren- dore della Patlidjan taurcholosy (petronciana sotto aceto « Ciicumis solamim pomifcrum, mela insana » volgarmente marignano). Con questo frutto stropic- cia le tempia ed il naso, facendomi inspirare molto l'odore, e me ne porge una porzione a mangiare. lo debbo dirlo: il mio male di testa si dissipò quasi all'istante, e l'allegria è ritornata come per incanto- A questo racconto i medici stupivano: ed ob- bligati di arrendersi all' evidenza del fatto, felici- tarono il malato per la di lui guarigione , ricono- scendo in pari tempo la virtù meravigliosa della petronciana sotto aceto !! 13 Sulla slalislica della popolazione di Roma e dello sialo pontificio. \T T edemmo già di buon grado la nuova slatislica della popolazione dell'anno 1853, venula alla luce nel dì 21 gennaio 1857 per opera di sua eccel- lenza reverendissitna monsignor G. Milesi, ministro del commercio e lavori pubblici. Questo lavoro, ri- conosciuto esalto in ogni sua parte , e reputato degno di molta lode, reca onore a quest* alma città; è però opportunamente dedicato al nostro beatis- simo Principe e Pontefice Pio IX , il quale erasi degnato ordinare che ad utilità delle pubbliche am- ministrazioni si componesse e si facesse pubblica la enunciata statistica , in cui sotto un sol punto di veduta si addimostrasse il complessivo numero de' sudditi pontificii, diviso nelle diverse classi delle quali si compone. A tale scopo principalmente mi- rando il menzionato egregio ministro , determinò primieramente le norme certe ed uniformi, secondo le quali dovevano raccogliersi le notizie, riepilogare i documenti, e disporli in quell'ordine per cui fos- sero eziandio di giovamento alla scienza ed alla pratica delle dottrine statistiche- In secondo luogo stabilì un consiglio nel suo ministero in Roma, non che in ciascuna sede di delegazione , ed un altro per ogni comune, che fu distinto col nome di co- munale , il quale dovesse corrispondere con quello della provincia. Avvedimento al certo saggio ed 14 acconcio a raccogliere gli elementi e nozioni indi- spensabili sulle qualità delle persone, non che su tutti gli oggetti statistici. Ultimale felicemente le indagini, furono compi- late ben dieci tavole , ripartendo con la prima la popolazione in parrocchie, case e famiglie, e rap- presentando in un riepilogo la somma della popo- lazione di Roma pervenuta a 176,002 anime, cui aggiungendo la popolazione delle province, ne risul- ta la complessiva somma di 3,124,668 anime nello stato pontificio ; indicando con la seconda la po- polazione mutabile; con la terza i comuni ne'quali dimorano gli ebrei e gli acattolici; con la quarta distribuendo i comuni ed appodiati per serie se- condo il numero de' loro abitatori; distribuendo con la quinta la popolazione per distretti e per governi; indicando con la sesta in prospetto la superficie dello stato pontificio; e finalmente con le quattro tavole susseguenti dividendo la popolazione per età e per sesso , per condizione domestica e per ori- gine , non che per principali categorie. E poiché secondo i principii di Melchiorre Gioia « i quadri » statistici de' regni formano V elogio de' governi a che li diria;ono » così non trasanderemo di fare onorevole menzione di quest' opera , la quale sarà bel documento ai posteri per rammentare che la statistica nel nostro secolo crebbe nuovamente e fiorì. A tutto ciò aggiungeremo che siffatta opera viene preceduta da un dotto proemio, nel quale nulla rimane a desiderare sì per la parte isterica , e sì per la dignità dello stile; e però abbiamo re- putato di far cosa grata ai leggitori riportandolo 15 quasi per intiero in queste carte ; e di ciò rende- remo molte grazie al valente compilatore sig. cav. Grifi, segretario generale dell' encomiato ministero, che ha saputo corrispondere con zelo indefesso alle sagge vedute di chi meritamente vi presiede, e dar mano ad un lavoro così importante, il quale ema- na dal nobile desiderio di vedere vieppiù migliorata la condizione de' sudditi pontificii. In questo proemio si fa primieramente cono- scere come a 1' uso di noverare il popolo non è )) nuovo tra noi , ma è manifesto che la città di » Roma lo abbia accolto fino quasi dall' origine » sua: imperocché il primo a fare il censo fu il re » Servio Tullio. Il quale ordinamento essendo rav- » visato , siccome è, utilissimo, fu continuato in » progresso con eleggervi una magistratura , che » fu delle principali; e i due personaggi de' più il- » lustri, cui era conferita, chiamarono censori. Dalle » cerimonie poi che seguirono il compimento di » cotal descrizione invalse il nome di lustro, che » rinnovellandosi in ogni cinque anni si tolse pure » per dinotare simile spazio. E bene si argomen- » tarono i romani che il censimento dovesse rei- » terarsi a certo denominato tempo : giacché va- » riandò del continuo lo stato delle persone, l'un » novero non sarebbe apparso più veritiero se non » fosse successo un altro, ove il cambiamento av- » venuto nelle famiglie o da nascite, o da morti, » 0 da matrimoni, o la condizione, o il soigere o » il cessamento loro si registrasse. La qual cosa » da noi si appellerebbe movimento. Non dee en- » Irare in questo proemio lo svolgere lutti i lustri 16 )) celebrati in Roma, bastando solamente l'indicare » che fino dall'anno 278, secondo si trae da Dio- » nigi, non vi era ignoto il ripartire la popolazione » in più classi nel fare il censo. Sembra però che » Augusto fosse il primo a comandare la enume- )) razione delle persone e dei beni in tutto l'impero » con editto reso celebre nelle sacre carte , depu- w tando perciò venti uomini de' più ragguardevoli. » Come col declinare dell' impero romano e col )) sopravvenire della dominazione de'barbari andasse « smarrito un tanto necessario ordinamento, è fa- )) cile r immaginarlo, attese le guerre e le calamità )) di que' secoli : cosicché pare che dalla censura )) di Vespasiano e di Tito, che fu nell'anno 94 di )) nostra redenzione , non si abbia più traccia di » lustri. Discende quindi l'erudito estensore agli abita- tori dell'antica Roma, indicando « essere state va- )) rie le sentenze rispetto ad essi, e però non es- » ser mestieri l' intertenersi sulle medesime, quando » ne hanno discorso David Hume nel suo saggio )) sulla popolazione delle nazioni antiche , Dureau )) della Malie, e il conte di Tournon. Laonde tra- » scorse 1' età di mezzo, narra che uno de' primi )) documenti, che tornino a dichiarare la popola- )) zione di Roma, si è quello dell'anno 1198, in )) cui ci viene mostrata ascendere a trentacinque » mila anime sotto il pontificato d' Innocenzo IH. » Ma col trasferirsi del sommo pontefice in Avi- » gnone rimanendo abbassato lo splendore di que- » sta città, se ne scemò la popolazione eziandio , » che era discesa a sole diciassette mila anime nel 17 » 1377. Col ritomo della santa sede si accrebbe » la prosperità, per modo che sotto Leone X vi si » contavano sessanta mila abitatori. E quantunque » ne rimanesse priva per quasi di una metà , al- » lorchè fu corsa dalle soldatesche di Carlo V: giac- » che cessato il saccheggiare, i superstiti sì trova- » rono in trentatrè mila : pure si riebbe subita- » mente, e in particolare per la virtù del sommo « pontetice Sisto V. La quale virtù fu sì grande, » che riuscì a procacciare la pace a' sudditi suoi; » e da queir epoca aumentandosi in Roma ogni » giorno più gli abitatori , è stato notato che al » principiare del secolo XVIII fossero pervenuti )) a cento trentotto mila. E ampliandosi sempre un » tal numero durante questo secolo , ascese nel » 1796 a quello di cento sessantacinque mila. Fin- » che sull'entrare del secolo XIX i mali che l'af- » flissero allora 1' avevano ridotto a centoventitrè » mila nel 1809. Ma come piacque al Signore , » che è datore d' ogni bene, di ricondurre in Roma » il sommo pontefice Pio VII, e resa questa città » colla dimora della sede apostolica fiorente e po- » pelosa, fu dalla saggezza di quell' ottimo ponte- » fice pubblicato il moto-proprio del 6 luglio 1816 » con in fine una statistica della popolazione di » Roma e delie province, della quale si terrà conto » insieme coli' altra divulgata per comandamento » della S. M. di Gregorio XVI nel riparto territo- » riale dell' anno 1833. Prosegue il dotto estensore a narrare che « dopo » detto tempo in poi niun censimento, che proce- » desse dall' autorità sovrana, era più apparso ; il G.A.T. CL. 2 18 » perchè intendendosi dalla Santità di N. S. Papa » Pio IX di fornirne 1' amministrazione pubblica , » ha decretato che in una statistica corn|)osta nel » ministero del commercio, secondo le regole mo- » strate da coloro che più si sono segnalati in » tuie studio, tutti i sudditi suoi si descrivessero, » degnandosi di compartire ad esso estensore il )) parziale incarico di dirigere quest' opera e di re- « caria al termine suo ». E qui facendosi menzione di tutti que' signori che furono eletti ne' consigli di statistica di Roma nelle pi'ovince , da' quali furono compiute le inge- renze loro commesse con lodevolissima osservanza, si porta il ragionare sui modi tenuti nel fare il censimento: esj)onendosi che « ad evitare ciò che » avvenne in Francia nel regno di Luigi XIV, epoca » nella quale si cominciarono i censimenti, che il » divisamento di una statistica non sortisse l'ef- » fetto suo , perchè non procedeva da metodo , » nò vi era servato un modo conforme in ogni » provincia , ne ha giovato la regola tratta dalle » statistiche recenti della Francia, dell' Inghilterra, » del Belgio e di vari slati italiani. Laonde colla M esperienza del buon successo ottonto da loro è » stata formala una norma da essere osservata » dalle province egualmente : la quale venne di- » stesa in adatte istruzioni che furono mandate in )) istanipa ai consigli provinciali e comunali cogli » esemplari di un modulo , affinchè in maniera » conforme i particolari dinotati in questo si ri- » cercassero, e sotto i diversi titoli ivi segnati si re- » gistrassero. 19 Inoltre si fa saggiamente avvertire dal dotto estensore che « rispetto alla formazione del censo » è stato preferito il nominativo all'enumerativo: im- » perocché il primo nell'appellare ciascuna persona » col nome e cognome del genitore, rende più si- ») curo e più garantito il computo, e più facile il cor- » reggerlo in caso di errore: e perciò tiensi que- » sto modo ne' migliori noveri di popolazione. I » quaderni, ove è stata descritta, oltre all'indicare » nella prima pagina la provincia, il comune, l'ap- » podiato, la diocesi e la parrocchia , sono ripar- » titi nelle altre in tredici spartimenti, ove si espone » la denominazione della contrada, il numero della » casa; per la qual cosa oasi provveduto per in- » nanzi al rinnovellamenlo di tai numeri ove fos^ » sero cancellati, o airalfissione loro ovunque man- » cassero , il numero progressivo delle case, delle » famiglie e delle persone, il nome e cognome di » coloro che vi si hanno da notare, e il nome del » padre di ciascuno, l'età, lo stato domestico , la » professione, se la dimora sia nell' abitato o nella » campagna, e la patria, serbando alle osservazioni » l'ultimo partimento. Unite in tal guisa le fatte » indagini, era d'uopo di rappresentarle ne'termini » propri della statistica, ossia di numeri, che usa » per significare altrui le cose evidenti. Nel che » fare bramandosi che tutto si conducesse col me- » desimo accordo e ugualmente nelle province , » nuove avvertenze si sj>edirono, affiuchò il riepi- » logo acconciamente in più tavole venisse dispo- » sto: e di queste eziandio furono mandati i mo- » duli ». 20 Si aggiungono alle coso adrlotle nrioUc utili con- siderazioni che servono di schia rimonto alle dieci tavole statistiche sunnominate , svolgendosi con molta accuratezza gli elementi su cui sono esse basata, e portandosi i rilievi assai opportunamente alla popolazione dello stato pontifìcio, alla separa- zione di essa, all' accumularsi delle pei'sone nelle città grandi , allo stato della famiglia, al catasto, al numero delle case, alla superficie dello stato e popolazione assoluta e relativa, alP agricoltura, alla popolazione mutabile, alla divisione di essa, ai pa- ragoni cogli stati esteri e alle diverse loro ammi- nistrazioni. Si ragiona sull' età e sesso della popo- lazione, si percorrono le divisioni de' fisiologi per quello che risguarda l'andamento della vita uma- na, approssimandosi agl'intervalli , ne'quali vien separata l'umnna esistenza da Ippocrate , da So- lone , da Stasea e da Varrone , le cui divisioni sì conservano ancora co' nomi di piieri , adolescen- tes , iuvenes, seniores, senes- Si fanno poscia delle avvertenze sulla vita pìobabile , qualunque ne sia il sesso 0 la dimora in città o nella campagna. Inoltre si portano le osservazioni sui vantaggi del- l' educazione religiosa e della civiltà , rattenendosi colla prima la inclinazione della natura malvagia a commettere delitti , sollevandosi colla seconda l'umana esistenza col rendei'Ia [)iù. durevole e felice. A siffatti rilievi si aggiungono ancor quelli niente meno importanti sulla popolazione divisa per condizione domestica , sulla diversità del nu- j mero de'coniugati , sui celibi , sui maritati dimo- ranti nell'abitato o nella campagna , sui vedovi e 21 vedove. Da ultimo si portano pure le osservazioni alla popolazione distribuita per origine, all' emigra- zione non che alle principali categorie nelle quali è divisa la popolazione, dando spiegazione su cia- scuna di esse, sì intorno al numero del clero, dei militari, de' possidenti e degli agricoltori , e sì in ordine agli studenti ed alunni, ai maestri, ai gior^ nalieri ed ai poveri. E poiché fra gli accennati rilievi, tutti commen- devoli per erudizione nelle dottrine statistiche , si distinguono in ispecial modo le ponderazioni det- tate sul numero delle case, dalle quali rilevasi quanto r estensore sia valente anche negli studi dell' eco- nomia pubblica , così non saia grave a veruno il leggerle in queste carte; ove si riportano sì perchè sono reputate molto acconce ed opportune alle circostanze attuali; e sì perchè vi si dimostrano i beni che dall' abbellimento delle case medesime ne seguono nella classe de' manuali ed artieri. « Elleno adunque (die' egli) sono in tutto lo » stato 468,457 : cosicché paragonate che siano » colla popolazione e colle famiglie, ne procede la » media di una famiglia e una frazione poco più » o poco meo grande per ogni casa nelle provin- )) ce. In Roma poi contandosi 14684 case eH8167 )) famiglie, ne discende una tnedia di due famiglio » e mezzo e poco più in ciascuna casa, ovvero di » circa dodici individui (I): ma dall' ampiezza e (1) Non si atlducono qui i paragoni fra lo case e gli abitatori nella Gran Bretagna (Spackman , statistica! tables p. 79 ) In Ir- landa, in Austria, in Francia (Sclintzler loc. cit. pag. 335); perebd sembra clie per discorrerne Ctìattamenle^ vi vorrebbe la significsi- zione dell' ampiezza loro. 22 T) dalla c't)modit!) delle caso argomentandosi che » ve ne possa capire quantità maggioie, e dall'al- » tro canto mantenendosi o crescendo il prezzo » del nolo ad otila pure dal continuo fabbricare , » si dee inferire da ciò che buona parte delle » abitazioni sia serbata a ricevere tanti ragguar- » devoli personaggi stranieri, che tratti dalla vene- » razione del capo della chiesa e delle cose sa- » ere, o dallo studio de'monumenli, o dallo splen- )) dorè delle arti del disegno, che rendono ricca e » nobilissima questa metropoli del mondo cattolico, )) vi vengono a dimorare, e che altra parte serva di » albergo di notabili e di agiati cittadini. Ora non » entreremo a disputare se il teimine medio sia » esattamente, come dicono , il centro di gravità » de' fatti raccolti (1); ma dalle ponderazioni qui » discorse se ci reca dodici individui per casa , » laddove ne possono essere contenuti assai piij, » ben lungi dal far congetture , il che non si » confà colla statistica , possiamo affermare che » ciò non avvenga per ispopolamento, ma per agia- » tezza, per industria , per savio accorgimento di » investire in beni stabili, che rendendo buon frutto, » valgono le somme erogatevi, abbelliscono la città, » e danno lavoro a molti e vari artefici. Ma si dirà: » Perchè il costo dell' abitare anzi che diminuire » vada crescendo coli' ampliare degli edifizi ? Dac- » che la casa non solo è il ricovero di quello che (1) M. Wolowski, Eludes d' economie politìque et statistìque pag. 410. E Quételet, Lettre* sur la ihéorie des probabililés, ap- pliquée aux sciences tnorales e poliliques. 23 )) la edifica, ma viene allogata altrui per un certo » fitto, si può riguardare si come cosa, della quale M si fa traffico , sotto tale aspetto ha Un valore , w cui modificano la scarsezza e 1' abbondanza se- » condo la proporzione delle dimande e dell'essere » suo. Perchè se molti sono a farne richiesta, e » giusta la convenienza e la bellezza del luogo e » dell* edificio venendo ambita una a preferenza di » altra , per conseguenza dovrà rincarire. Nelle w massime del dott. Quesnay (1) è scritto, che il » danaro e l'opera spesi in fabbricale le case con- » ducono a conservare la ricchezza : imperocché )) contribuiscono a fare i capitali. Dall' aumento » poi di questi si formano le sorgenti del lavoro. i> Nel vero quanti operai non vengono adoperati j) nello erigere una casa ? E siccome il numero e » la qualità loro si fa maggiore a norma della 1) splendidezza di questa , cosi nel crescere di va- 1) lore innanzi di rendere il fruito è slata cagione » che certa quantità di danaro da uguagliare l'im- » porto del capitale creato sia stata erogata in » rendere utile tanta materia , facendone giungere 5) il prezzo ai possessori , in far profittevoli molti » operai coli' accumulare sulla fabbrica la valuta » di quello , che da loro ò stato consumato. Ma 5) allorché è ricerco il materiale e l' opei*aio , non » si rimarrà più invilito nò l'uno uè l'altro : per )) modo che se toina in pregio, ha ricevuto già un » benefizio da computarsi nel capitale, da cui pro- (1) Dupout de Nemours, Collect. des prin. ecoii. lom. Il pag. 392. 24 » cede, il qunle dee salire in istima secondo il di- » spendio occorso per l'opera o pel materiale. Una » delle cause adunque dell'aumento del costo del- » l'alloggiare si è appunto il moltiplicare degli » edifiz,i nella presente prosperità iolo. Un altro ì> motivo potrebbe essere fornito dal danaro divc- » nuto ora piti comune. Però quale sarà 1' origine » della prosperità? Parrebbe che non andasse molto » errato chi la ravvisasse nella sede del sommo )) pontefice e nella civiltà , ossia che dal mondo )) cattolico s'abbia ricorso a questa cattedra infal- » libile di verità, ossia che qui si venga ad attin- » gere a tante fonti di sapienza e di bellezza, os- » sia che gli uomini divenendo più dilicati col mi- » gliorare de' costumi non s'appaghino pili di me- » diocre albei'go , ma il vogliano ampio , comodo )) e bene adorno. Del danaro reso piìì comune non » investigheremo la causa nelle miniere dell' Ame- » rica , siccome già hanno fatto Carli (1), Guar- )) nier (2), Say (3): e però soggiungeremo che men- » tre i fondi si elevano ad alto prezzo, il danaro )) dee essere abbondante e ridotto a slima mi- » nore (4). « Le cause della prosperità essendo nobilissime » e durevoli, dabbono produrre avanzamento nel- » 1' edificare, e perciò accrescimento nella spesa, » infìno che questa, la quale potremmo pure ap- (1) Della proporzione tra le monete e i generi in Italia. Diss. VII. (2) Histoirc (le monnaies. (3) Economie politique pratiqiie. (4) Carli, Suir impiego del danaro. 25 w pellare industria, sarà poM* Irovaro buon esito. Il » quale non è limitato al concorso de' romani o » degli altri sudditi dello stato, ma s'allarga negli » stranieri. Dunque coli' aumentare dell' opera e » col bramarla migliore, dee salirne anche il prezzoj » ma tale innalzamento non intervenendo con iscarsa » popolazione e con difetto di industria e di danaro, » convien pure conchiudere che debba significare » un bene. Per la qual cosa è da riputarsi conve- » nevole il partito pi-eso dalla S. M. di Leone XII » nel 9 maggio 1826 di alleggerire per corto tetri pò » dalla gravezza della dativa tutti coloro che nuove » abitazioni erigessero, o le erette ingrandissero o » racconciassero, » « Si nota nella storia d'Italia come la ricchezza » posseduta da' suoi popoli piij intenti alla merca- » tura innanzi il 1500 , ne abbellisse la città di » chiese e di palazzi pubblici sontuosi , e come i )) somvni pontefici sostenitori delle arti del disegno » abbiano collocato ampia dovizia in tanti stupen- » di monumenti, I tesori quivi raccolti ci vengono » conservati tuttora, e si può dire che distribui- » scano ancora la ricchezza che contengono. Se di w tanto non importano i casamenti , non è men » vero che stando ai piecetti degli economisti , i » quali vogliono che dimandando conto di ciascu- » na opera si rifletta a ciò che ne resta, potrem- » mo rispondere clie costruiti come sono con di- » segno elegante, vasti e ben saldi, vi spicca l'in- » geno degli architetti, e nella suppellettile che di- )) viene splendida al pari del garbo e dell' orrevo- » lazza loro , non di rado si scoigono dipinture , 26 » sculture, intagli, vasellamo prezioso, e arredi leg- » giadramente lavorali. Aggiunto al valore della » fabbrica quello del fornimento, si ponderi quanto » danaro uè deve essere diffuso e in quanti arte- » tìci ; e ove prima poco costava il mantenere un » piccolo e semplice ricovero , quanto ascende il » serbarne uno spazioso e pieno di addobbi , e » quanto maggior numero di manuali vi si richie- » da. Per tanto se da un canto monta il nolo del- w l'albergare, dall'altro apre l'adito alle industrie e » al travaglio in particolare di minuta gente, alla » quale s' offrono in ciò occasioni maggiori di gua- » dagno. Saranno forse alcuni che diranno essere « ciò opera di lusso. Seguiremo l'abate Bandeau (1) » che il delinisce per 1' eccesso delle spese sterili: » e nel vero anche David Hume (2) ha scritto che )) quando sia smoderato trascorrere al vizio. Ma )) quantunque sia difficile lo spiegare quando la » morbidezza o la delicatezza del vivere sorpas- » sando i terniini del comodo cominci a divenir » fasto e pompa orgogliosa e ruinosa, pure non vi » sarà alcuno, il quale sosterrà che il creare oa- » pitali proceda da ostentazione. » Negli edifici si unisce l'atte all'industria: im- » perocché non sono il solo sfoggio della ricchez- » za, come lo erano gli antichi palagi, ma danno » una rendita che allorquando viene sborsata da » inquilini stranieri fa entrare nella città la moneta » estera: e in questo particolare cosiffatti fondi ap- {i) Introduclion a la pliilosopliie écoiiomique. (2) Essai sur le hixe. ì 27 » portano quella stessa utilità che ne perverrebbe » dal mandar fuori nostre mercanzie , con tanto r) minore rischio e maggiore vantaggio, in quanto » che coloro, i quali possono dirsene compratori , » vengono nel luogo della mercatanzia , e col di- » morarvi fanno di molte spese in ispezialità nelle » cose di belle arti, e consumano di molte derrate » che qui anche dalle province si mandano a ven- » dare, talché essi pure si provvedono in tal guisa » di danaro estei'o. Delle masserizie, se elleno siano » usate dai ricchi, 1' essere di pregio sarà conve- » nevole alla massima, che se questi non ispendono » molto, i poveri languiranno nell'indigenza (1): e » poi sono anch'essi un capitale, d'onde può trarsi » frutto e che ha valore (2). Si dice che il con- » sumo di una cosa s' abbia per la misura del rin- )) novellamento suo , purché quei che consumano » siano in istato di pagarne il valore occorrente (3): )) e che questo dettato debba guidare una nazione » nel ricercare il n)odo da avanzarsi co' favori of- » fertile dalle sue tene. Abbenchè coli' ingegno e » colla materia propria si può fare commercio co! X» fabbricare edifizi, che giovano pure nell' abbellire » la città, quando agli abitatori interni si aggiun- )) gano gli esterni , e con ciò si procacci abbon- » dante copia di contratti di allogazione di affitto, » i quali assicurino o conservino il valore dell' e- (1) Montesquieu, Esprit de lois, liv. VII a chap. 4. (2) G. B. Say, Economìe politique pratiquc, cinquieme partic, cap. XII. (3) Mercier de la Riviere, L'ordre iiaturel de sociétes politi- ques, cliap. XI. 28 )) difizio, se ad onta di quel che vengono sorgendo » non cessi il desiderio di possederne , in coloro » che possono pagarne il valore, non è meraviglia » che si stia in aumento. Dato che questa sia una » via da accrescere la ricchezza e da far si che » il danaro esca da mani opulenti, e si divida fra » quelle degli artefici e dei poveri , finché durerà » il [)rezzo alto delle case, non verrà meno l'inten- )) dimento di spendervi d'attorno: e chi se ne grava, » non si avvede dell' oro e dell'argento che entra » nella circolazione dello stato: e risalendone alla » cagione prima, dovrebbe pregare la provvidenza )> divina di serbare a Roma e allo stato il governo » de' sommi pontefici, dalla cui saggezza dobbiamo » riconoscere il ben essere, la civiltà, lo splendore 1) e la dignità non mai sperabili per altra maniera » di reggimento in capitale di piccolo dominio. « Nella statistica della Francia pubblicata nel » 1837 (1) evvi incluso uno specchio delle case , » siccome erano nel 1833, e ve ne sono noverate » 6,803,402. Negli stati sardi elleno ammontano » a 600,280, con una famiglia ed una frazione » poco più 0 poco meno grande , come forse sa- » rebbe in Francia, tranne la città di Torino, ove » in 2615 case, contenendosi all'epoca del 1838 , » 26351 famiglie, vi capivano in ogni casa 10,08 » famiglie composte ciascuna di 444 individui. » Nella Lombardia in 2,773,910 abitanti si nume- » ravano nel 1832, oltre 300,000 case (2). » (1) Tom. 1 pag. 126. (2) Sacini, Proprietà fondiaria, e popolazioni agricole di Lom- bardia pag. 33' 29 Porremo fine a questo articolo col rendere l'en- comio dovuto alla sapienza di monsig. Milesi, mi- nistro del commercio e lavori pubblici, per avere con moltissimo zelo ed eguale impegno corrisposto alle sollecitudini della Santità di N. S. Papa Pio IX, la quale si degnò ordinare che venisse compilata e pubblicata la statistica della popolazione di Roma e dello stalo pontificio a comodità ed utilità delle pubbliche amministrazioni. Similmente loderemo la molta diligenza e capacita del più volte nominalo sig. cav. Luigi Grifi, segretario dell' anzidetto mi- nistero; imperocché ad onta delle difficoltà e no- vità di tali studi, ha saputo svolgere con precisione e chiarezza tutti gli elementi che formano base alle tavole statistiche. Faremo peraltro voti perchè que- sta opera così importante abbia a rinnovarsi in ogni dato periodo di tempo; la qual cosa sarà piiì agevole al presente, essendosi stabilite le norme e module conformi, con le quali raccogliere le neces- sarie notizie; e tanto piiì potrà ottenersi siffatto la- voro, ove si tenga conto de' movimenti e variazioni che accadono giornalmente in ogni ordine di per- sone, sì pe' nuovi nati, sì pe' maritaggi, sì per co- loro che mancano ai vivi, e sì finalmente per quelli che emigrano dallo stato pontificio , o che vi so- pravvengano fissando in esso la loro dimora. P. BlOLCHlNI 30 Intorno alle prose e poesie del conte Bennassù Mon- tanari veronese. — Verona dalla tipografia An- tonelli 1854 — 56. [Volumi sei.) AL CAV. SALVATORE BETTI I conte Bennassù Montanari veionese, che ben so quanto voi pregiate ed onorate, mio caro cavaliere, volendo farvi presente delle sue Prose e poesie, che ha stampato di recente in sei volumi, ha permesso che io in suo nome ve le offra , o per rendere a voi più gradito il dono, o per onorare me di tanto. Del che se io sia contento e quanto, lascio immagi- nare a voi, che sapete non essermi più gradita cosa alcuna che dare segno a voi della mia affettuosa slima, e vedervi nella stima e nell'affetto dei primi scrittori dell'età nostra. Eccovi adunque innanzi i volumi di cotesto chiaro e gentile scrittore, il quale mantiene viva la gloria della veronese nobiltà, che sopra ogni altra d' Italia, pare a me, si toglie vanto per la coltura delle buone lettere, ed accresce coi parti del suo nobile ingegno il patrimonio dei no- stri padri, e la più preziosa ricchezza della nazione italiana. Leggeteli, e sono certo ne prenderete quel diletto che ho provato io medesimo, e provo quante volte mi reco alle mani quelle care e veramente italiane scriltuie. Il conte Montanari può dirsi uscito della scuola, e formato dalle mani del celebre Ip- polito Pindemonte; ha una vena di poesia schietta. 31 rnvvivata dall'affetto, ed esposta in quella forma che è tutta nostrale; nulla ha di forastiero o di stravagante , nulla di affettato o di sprezzato. An- cora l'elocuzione è tutta pulita tra lo stile dei mo- derni e il sermone antico, non troppo rigida, non libertina, ma quale si confà a chi scrive in un se- colo colto per essere inteso da tutti con diletto, e senza vanità o pretensione. Uomo nobile e morale, vivace e caldo di puri affetti, egli dipinge se stesso nelle sue poesie, tiene dai nostri classici, non so- miglia a nessuno , e mentre va suH' orme segnate dall' Alighieri e dagli altri sommi , procede libero e spedito, seguendo il volo della fantasia o i moti del cuore. E voi ben conoscete piegio grande che è cotesto di saper dipingere se stesso, e direi tra- smettere nelle scritture l' anima propria e il pro- prio ingegno ; pregio grande, a parer mio, spezial- mente in un tempo, nel quale il più degli scrittori ha vaghezza di scimmieggiare, e quello che peggio è ancora, farsi scimmia dei forestieri , e snaturare r indole nativa della bellissima nostra poesia. Il nostro veronese sdegna di mettersi fra costoro , sempre vuol essere italiano e al pensiero , e allo stile, e agli affetti; il bello e il sublime, il delicato e Io scherzevole, sparsi ne' suoi versi, ti mostrano chiaramente com' egli sino da giovanetto fu inspi- ralo nelle opere di quei j^randi poeti, per cui la Grecia e V Italia antica e moderna sono le prime e le più grandi maestre d' ogni bell'arte. Voi leggerete nel primo volume alcune elegie in terza rima piene di affetto e di poesia, di pensieri alti e di morali sentenze. Una soave malinconia vi 32 regna dentro, talora vi traspare un nobile sdegno , sempre la tenerezza o di cittadino, o di congiunto, o di amico. Se io dovessi giudicare quest' elegie , non istarei in forse di affermare che in esse è so- vente la copia di Ovidio, talora le grazie di Ca- tullo, e la tibulliana delicatezza , sempre la varia e molteplice erudizione di Properzio. Non vi è in- fatti pagina ove non ti avvenga in qualche pere- grina notizia od erudita curiosità, la quale colla novità cresce il diletto della poesia. Appresso alle elegie vengono alquanti versi sciolti « A La- vinia Montanari Pompei, sorella dell'autore riavu- tasi da pericolosa malattia: » de' quali avrò detto tutto affermando che non gli sdegnerebbe per suoi il grande Ippolito stesso. Hanno quell' andamento , quelle tinte , quella movenza che 1 sepolcri che ei diresse ad Ugo Foscolo, fatta ragione della diver- sità dell'argomento. Seguono cinque canzoni alla maniera del Petrarca, gravi, immaginose e ben con- dotte: e dopo sette anacreontiche, neije quali è una vivacità, una naturalezza, una grazia veramente de- gna d' Anacreonte, chiude il volume un poemetto intitolato « La sciarada: appendice alle antiche poe- tiche: » cosa tutta nuova e tutta brio, e con tanta erudizione che più non si potrebbe desiderare. E qui veramente si pare la fecon lità dell' ingegno dell' illustre poeta, il quale avendo fra le mani un argomento sì sterile, 1' ha saputo rendere ricco d'o- gni maniera di novità: e mentre intende ad inse- gnare il modo di tessere il breve componimento che è il soggetto del poema, mille svariate piace- voli cose ti reca innanzi , e con tale naturalezza , 33 che paiono fiori ivi spuntali da se, non trapiantati né portati di fuori. A me piacque sopra ogni cre- dere r episodio di Marco Polo , ai quale il poeta vuole attribuire l'invenzione della sciarada: « In Pekin dunque sotto Gingiscano « Fra mille dell'ingegno scaltrimenti « Profìcui, dilettevoli, bizzairi, « Questo pure enigmatico trastullo « Marco Polo trovò, quando col padre « Vi pervenne e col zio. » < li racconto eh' egli fa del fiero proposito di Agiarne, della crudele astuzia del vecchio della Montagna , del generoso e fidente animo del veneziano, che si cimenta a sciogliere 1' enimma (e vi era pena la vita non riuscendovi), poi scioltolo rifiuta la mano di Agiarne, che n'era il premio, mi pare così gra- zioso, così ben condotto e nuovo da onorarsene qualunque poeta. Con questo poemetto ha fine il primo volume. 11 secondo si compone nel piìi di sonetti su diversi argomenti. Se questa forma di poesia, per r abuso fattone in Italia , non avesse perduto grazia , giacche voi sapete che 1' uso soverchio di tutte le cose riesce a questo , qui si avrebbero di che trovare diletto i colti lettori , tanto per la bontà dei versi e dello stile, quanto per le fantasie e le sentenze ivi apposte: ma perchè oggidì anche i più bei componimenti di questo genere spiacciono, solo perchè sono sonelli, credo che a prima gi-unta molti vorranno dire che sono troppi , e saianno tentati ad assaggiarne solo qualcuno, e correre in- nanzi. Tuttavia se vorranno posatamente farsi a G.A.T.CL. 3 34 leggerli, troveranno in tutti merito o di poesia , o di concetto, o di facilità, sovente ancora di affetta. Ninno dirà che tutti sieno egualmente belli, certo, tutti buoni nel genere loro, svariata com' è; essen- dovene molti epigrammatici, alquanti elegiaci , al- cuni lirici, e non pochi a modo di epistola. E seb- bene la forma del sonetto si adatta a tutte le spe- cie poetiche , pure ogni specie non vi campeggia per propna indole eguahnente del pari. A me sem- bra ve ne abbia de' belli in ogni specie , ma piiì in quella dove domina l'affetto, e parla il cuore, e in quella in cui si fa sentire 1' epigramma, al che il poeta, come vedrete più innanzi, ha una parti- colare inclinazione da natura. Tiene dietra ai so- uetli il volgarizzamento di quattro poesie di Catullo, due epitalamiche, la terza a Sinnione , la quarta ad un battelletto. Quando io li leggeva, e compia- cevami assai del leggerli , andava dicendo fra me: Vedi un po', codesto Catullo cui non riesce ad al- cuno maneggiare con grazia, tanto egli è poco ar- rendevole a tutti gì' inviti de' volgarizzatori, pare che al suo concittadino si lasci maneggiare per modo eh' egli diviene una cosa stessa nella lingua antica e nella novella, così grazioso , così vivace , spontaneo, elegante, carissimo. Ben sarebbe da de- sideiare che non queste quattro soltanto, ma tutte ci fossero state date le poesie di Catullo tradotte di somigliante vena f Delicata , affettuosa ed assai bene verseggiata è pure la versione della quinta delle Selve del libro terzo di Papinia Stazio, nella quale conforta Claudia sua moglie a seguirlo a Na- poli, dov' egli nacque, e dove ha stabilito terminare 35 ì suoi giorni: né meno bella dì eleganza e fedeltà è la versione di una epistola del Petrarca al car- dinale Bernardo d' Albi, che è ultima delle tradu- zioni. Dalle quali mi pare che si mostri assai chiaro come il poetico ingegno del celebre amico nostro non solo nelle poesie sue proprie, ma in quelle che toglie a tradurre da altri, sa levarsi a nobilissimo segno, e meritare nell' una cosa e nelT altra nome di valente poeta. In line del volume sono alquanti versi scritti alle tre nobili sorelle Giovio da Como» a nome del conte Gaetano Boari , coi quali egli accompagnava a Verzago 1' annuo tributo di una cassetta di persicate; poi alcuni altri scherzi vera- mente graziosi e pieni di anacreontica delicatezza. Ed eccoci al terzo volume, che è tutto di epigram- mi e madrigali, originali, imitati, tradotti dal greco» da^ latino, e dal fiancese. Penso di non ingannar- mi dicendo che questa è la piiì bella e ricca col- lezione di epigrammi che abbia 1' Italia. Mi vi sono deliziato, rallegrato. Ora delicati concetti delicata- mente espressi, ora arditi e pungenti, ma senza uscire dei termini della urbanità e della modestia: sempre vivacità, brio, leggiadria. Talora diresti che lo spirito di Catullo si è trasfuso nel suo concit- tadino: talora ti sembra di avere sotto gli ocqhj r antologia greca con quei suoi carissimi e soavis- simi concetti ; sovente un insieme di grazia e di sali, di acutezze e di bizzarria , che meravigliosa- mente ti consolano. Che se alcuna volta pare cbe pieghi alla maniera di Marziale, V autore ha tanto senno e buon gusto da evitarne la bassezza e la mordacità, o temperarla con una spiritosa , piace" 36 vole e sapoi'iUi argutezza. Inoltre vi è una natu- ralezza, una felicità d' ingegno e d'espressione, una piacevolezza, che io non saprei a chi paragonare , o dove meglio trovare. E ciò che fa meraviglia si è, se non prendo errore , che i pregi stessi che scorgi negli epigrammi originali, li trovi pure nei tradotti, e ti paiono tutti usciti d'una penna, spon- tanei, netti, graziosi, o siano tratti dal greco o dal latino o dal francese. Né perchè sieno frutto di steli così diversi, e nati sotto stranio cielo, hanno ' essi nulla che non sia nativo e prettamente italia- no: tanta è la maestria e l'arte dell'esperto tra- duttore. De' madrigali non dirò altro , se non che sono pieni di fantasia e di affetto , e come voleva il Boileau spirano dolcezza e soavità. Sono tante pic- cole miniature lavorate a punta di pennello con siffatta diligenza , che ti mettono sotto gli occhi r immagine spiccata di un delicato concello, e ad un tempo li lusingano la fantasia ed il cuore. Ma dei versi vi ho detto abbastanza, e forse piiì che io non doveva: e l'ho ftUto perchè meglio conosciate con quanto gusto li ho letti. Vi saranno al certo i suoi difettucci, e quelle macchie con che la na- turale incuria, e 1' ingegno che alle volte si abban- dona e si addorme , sogliono distinguere dalle di- vine le opere umane; tuttavia tanti sono i pregi e le bellezze, che le macchie non solo non ti offen- dono, ma quasi ti si dileguano dinanzi di tratto. Vedi ad ogni passo che la natura ha fatto poeta il Montanari, e eh' ci si conosce bene dell'arte de' grandi maestri; e t'accorgi sovente che la sua poesia si parte nel più dal cuore, come quella del 37 grande Ippolito, e del grandissiiiìo cantore (lei Ire l'egni, al primo de' quali il nostro amico fu disce- polo, all'altro consanguineo , poiché la madre sua uscì della famiglia de' conti di Serego degli Ali- ghieri. Non so se a voi e ai dotti italiani ne parrà quello che a me: ben credo di sì , e credo che tutti si rallegreranno del vedere a' dì nostri un poeta che in tanta varietà di versi non degenera mai dal- l' indole nostrale, non inai si getta alle stranezze , alle atrocità, ai deliri che deturpano tanta parte dei moderni poetanti, i quali credono essere nuovi e originali solo perchè fanno violenza all' indole della lingua ed al gusto italiano. E ciò fanno mentre a piena bocca si gridano buoni italiani ^ amici di civiltà ! Dio gì' illumini, perchè in vero si adope^ rano contro ciò stesso che professano, e imbarba- t'iscono se e gli altri con intenzione di volgere a fino civile la poesia, e per mezzo della poesia la nazione. Ma tempo è che io venga a ragionarvi delle prose , le quali domandano piti breve discorso, e perchè a voi sono note, e perchè sono già cele- bri nella nostra penisola e fuòri. Tuttavia ne vo- glio dire alcuna cosa, e perchè il tema mi diletta, e perchè mi è dolce conversare con voi per iscritto, dappoiché a voce non mi è concesso. Dico adun- que che nei tre volumi, cbe seguono, si leggono tre vite: la prima delle quali in forma di elogio parla di quel famoso abate Bartolomeo Lorenzi, che emu- lando il Fracastoro e lo Spolverini dettò quel ma- gnifico poema che è la CoUivazione dei monti , e diede altre belle opere, tra le quali una collezione di lettere molto pregiata- Il Montanari ne descrive 38 la vita con molta ingenuità, e mentre presenta ai lettori la vera immagine di quel uomo singolare, ci narra la condizione de' suoi studi e delle lettere in Italia , e quasi in un dipinto ben disegnato e colorito ci mostra la società di quei tempi. Non lascia occasione d' inserire a tempo annedoti inte- ressanti, e con una rara disinvoltura, mostrando di fare altro, dà precetti utilissimi, i quali escono non dalla bocca di un grave ed accigliato maestro, ma dall' insieme delle cose narrate, con una piacevo- lezza da non dire. Questo mi pare tutto proprio dello scrittore veronese, che leggendo quest'elogio e le altre vite, non ti pare di udire uno storico , ma un piacevolissimo narratore che ti trasporta in mezzo ad una amenissima conversazione di colte persone, alle quali racconta con modi famigliari e sempre garbati le diverse avventure di colui , del quale tesse 1' elogio o la vita. 11 suo stile è sem- plice e colto, copioso e pulito, vivace e aggraziato: non mancano sali urbanissimi ed utili sentenze , e le pitture eh' ei fa de' costumi e de' caratteri sono sempre così vere, che talora puoi dire a te stesso, Non vide me' di me chi vide il vero. Non lascia di frammettere al racconto peregrine notizie , versi e componimenti o sconosciuti al tutto, o quasi igno- rati e dimenticati: autorità e testimonianze di peso, erudizione piiì presto rara che grande. In somma mentre serve allo scopo della storia, ne rende così piacevole la lettura che non sai distaccare gli oc- chi dal libro finché non sei giunto alla fine. Al- l'elogio del Lorenzi va appresso una lettera intorno al poeta estemporaneo Tommaso Sgricci, che primo 39 in Italia levò grande grido improvvisando tragedie. Si discorre del vero merito di lui con una impar- zialità somma : e il giudizio che egli ne dà, par- lando delle prove che lo Sgricci di se diede a Ve- rona in tre sperimenti, è tale che credo che ogni savia persona vi si vorrà volentieri adagiare. Il quarto volume si compie colla vita di Silvia Curtoni Verza veronese, ed è la più cara scrittura chje io mai leggessi: anzi è una conversazione galante ad un tempo e un' accademia, una descrizione del bel mondo, e di una bella e vagheggiata signora , e della società in cui ha vivuto; non meno che un insieme di letterarie novelle, di carissimi annedoti, di motti, di piacevolezze, di sali, di erudizione. An- che qui il magistero della narrazione è raro: e men- tre porta l'attenzione de' lettori d' una ad altra cosa con una disinvoltura ed una naturalezza ammira- bile, egli gl'incatena setnpre più, sempre più li fa desiderosi di andare innanzi, e cresce loro il diletto. Non so se io m' inganni , ma a me pare che il Montanari abbia tolto ad imiterò il divino Ariosto in quella sua elegante sprezzatura , e in quel tra- gittarsi con grazia, che di lui solo è propria, d'una cosa in altra , interrompendo per destar desiderio della continuazione, ed un racconto all'altro inne- stando per modo, che sembra natura ciò che è fi- nezza d'arte squisita. Tu sai di leggere una storia, e ti par leggere un romanzo, una poesia ; ma un romanzo ed una poesia che non ha stranezza, noi> ha esagerazione , che ti diletta non ti tormenta , che ti dipinge alla fantasia vivamente le cose, e te le fa sentire nel cuore, gustare dall' intelletto, senza 40 uscirò mai dal vero istorico. Ilo dato a leggere co- testo libretto a molle dame, e ne hanno preso tale diletto che da niun altro libro forse non mai. L'ha dato ad amici eruditi e di buon gusto nelle lettere, ed essi mi hanno detto che della lettura non solo sono slidli soddisfatti assai, ma mollo contenti. Questo mi fa credere che io non mi ingarmai dicendo, che la vita della Curtoni Verza è una delle più care e graziose sci-itture che a' nostri tempi sia uscita di penna italiana, e veramente dettata con ispirilo e con favella italiana. Nel quinto e nel sesto volucne , che è 1' ul- timo , si contiene la vita dell' immortale Ippo- lito Pindemonte (Jivisa in sei libri , della quale fu parlato nel volume 188 di questo giornale , quando usci in luce la prima volta nel 1834 per le stampe di Paola Lampato in Yeriezia. Ciò mi dispensa dal dirne quel molto che dovrei: perchè veramente a mio avviso è il più bel monumento di storia letteraria contemporanea , che a' nostri giorni sia stato pubblicato. Ha la piacevolezza di Benvenuto Cellini senza averne le bassezze e la stranezza: e se parrà a qualcuno che ceda per to- scana eleganza, non le cede al certo per pulitezza, per brio, per leggiadria. Si avvantaggia poi di molto per gravità di cose, e per sicuri giudizi, e non fan- tastiche visioni, ma vere pitture. Narrando la vita di quel grande poeta , il quale al dir del Rosini , sentendo in Italia il bisogno di una poesia che più si partisse dal cuore, ebbe il grande merito di se- gnarne le prime linee, e stabilirne i confini, e come 41 voi (lite (1) (( fu uomo dì sottile discernimento ^ apprezzatole giustissimo dì tutte le letterature ; e lesse molto e con diletto anche ne' libri sciitti ài là dai monti; e nondimeno 1' amor suo fu costan- temente nei modi di questa sì cara Italia: » egli ne esamina ad una ad una le opere secondo V ordine dei tempi, e con tale aggiustatez/a che mostra chia- ramente la profondità del sapere e l'ingegno dello scrittore. E mentre si ammira il Pindemonte per- chè non si lordò mai delle civili e intellettuali brut- ture che contaminano gli scritti dì molti di quel- l'età e della nostra, benché viaggiasse in Alema- gna e in Inghilterra , perchè aveva in niente una ben profonda ragione del sublime e del bello , ed altamente si era fino da giovanetto inspirato nelle opere di quei grandissimi che fiorirono la Grecia e r Italia antica e moderna (2), si ammira pure lo scrittore della vita di lui mostrarsi in ogni parie suo degno discepolo. Tu segui l'andare degli anni e gli svariati casi della vita di quel sommo ita- liano con un piacere che maggiore non si po- trebbe, e spesso ti avvieni a notizie « che solo ri- feri ?e si possono da tale , che fu assai addentro nella famigliarità dell'uomo, del quale diviene bio- grafo » (3). Inoltre hai dinanzi altri uomini di grande senno e valore , de' quali o si recano giu- dizi o fatti ora curiosi, ora gravi; e di questi ba- sti per tutti nominare un Altieri, un Pompei , un (1) Scritti vari di Salvatore Betti. Volume unico. Firenze tipogratìa di Emilio Torelli iSo6, pag. 217. (2) Betti al luogo citato. (3) Gior. Arcad. voi. 188 pag. 2;17. 42 Monti, un Lorenzi. Quante volte leggendo qui e qua , e incontrandomi a tali racconti ho sclamato in cuor mio: « Oh bella età delle lettere italiane ! oh beati coloro che hanno potuto vivere con sif- fatti grandi ingegni ! oh quanto è diversa la no- stra , così povera di buon gusto, così umiliata ! così tornata in bastarda ! » Io spero che la lettura di questa vita ridesterà un poco la gioventù ita- liana, e la svolgerà dal mal vezzo da cui è sedotta al presente, riconducendola sull'orme de' padri no- stri immortali. Non vi parlo della elocuzione e dello stile di questa scrittura , perchè è quale nelle al- tre , anzi quale voi stesso avete riconosciuto nel Pindemonte (1); conciossiachè pare veramente che il Montanari abbia solamente caro di meritare l'e- gregia lode data da Cicerone a Cesare , di emen- dare cioè usando ragione il vizioso e corrotto uso del parlare del suo secolo , coli' uso incorrotto e puro: ma senza ombra di ricercatezza, e con tale disinvoltura , che meglio non fa chi ben parla in gentile brigata di colti amici. Resterebbe qui a mostrare in quanti luoghi l'autore in questa nuova edizione ha ritoccato il suo lavoro, quante cose vi ha aggiunto, quante rettificate: ma è tempo di porre fine alla troppo lunga mia lettera. An- cora vorrei rispondere a chi volle fargli coscienza del confronto eh' ei fece del Pindemonte col Monti, e giu- dicò che partisse da poca venerazione a quel so- vrano poeta de'moderni: ma chi ponga mente eh' egli fu discepolo, concittadino, amico d' Ippolito, non si (1) Betti., Scrìtti vari, pag. 255. 43 offenderà se 1' affetto gli fa colorire in quel modo il suo giudizio, né vorrà credere che egli pregiasse meno quel Vincenzo Monti che fu tanto riverito da tutta r Italia. 11 cuore ha le sue predilezioni : e queste non partono da reo affetto , ma sono pure e sincere , come la stima e la benevolenza che io porto al mio Betti, del quale sinceramente mi pro- testo Di Osimo 20 agosto 1857. Affmo Amico Giuseppe Ignazio Montanari Breve notìzia inlorno aW oralorio e alla catacomba di S. Alessandro al scllimo miglio della via no- mentana , pubblicata da un divoto di tali sacre memorie. kje tanto cominove ed alletta ogni testintionianza, per la quale si dichiari e s'illustri alcun nobile av- venimento, 0 la memoria si risvegli di benemerito uomo e preclaro; che si dovrà stimare di quelle, che i tempi delia prima chiesa ci rappresentano e ci dimostrano, e a quei benedetti fedeli ci appres- sano, e quasi con loro ci uniscono, che a noi as- sicurarono questa pace, sostenendo acerbissima guer- ra; a noi lasciarono di godere il trionfo , versando Tanima e il sangue nel combattimento glorioso ! Certo la consolazione delTanimo e l'affetto del cuore mai tali esser non possono, né tanto intensi e vivaci , quanto al cospetto di così sacri monu- menti , quanio nella contempla/.ione di antichità così venerande. Vva queste il cimiterio del settimo miglio della via nomenlana , che ha il principale suo ingresso nella tenuta del Goazzo e Pietra aure, spettante alla sacra congregazione de Propaganda Fide , unisce pregi sì grandi , che splende come lume bellissimo di religione e di verità ; come in- signe documento del cristiano vivere e credere e sperare; come presente dimostrazione dei riti , de- gli usi, dei costumi, che nella cattolica chiesa de- 45 rivali sono e continuati dalla slessa chiesa na- scente. Laonde o si guardi alia fortuita scoperta def luogo , 0 al memorabile tempo nel quale avvenne, non polla non venire in mente quella considera- zione, che ne discende come spontanea: essere cioè il tutto avvenuto per {speciale e mirabile ordine della superiore providenza. Perchè la scoperta avvenne in quel latifondo , che si possiede da una congregazione al propagare della cristiana verità nel mondo intero e pel suo proprio e nobilissimo istituto rivolta. E il tempo fu quello appunto nel quale i pastori del gregge di Cristo, nel mondo tutto sparso, erano in Roma riuniti alla voce del supremo gerarca, assistendo a (juclla solenne sua dichiarazione, che accrebbe d'un nuovo dogma la fede, immacolata proclamando la vei'gine madie del vei'bo divino. Laonde e le nuove scoperte furono sogno alla divota maraviglia di quelli, che si stimarono felici nel contemplarle ; e no fu prontamente diffusa la notizia, apprezzata la rilevanza, propagato il vantaggio. Si vide e si studiò quanto v'eia ancora; si ri- conobbe e si raccolse quello che più non v' era. Il luogo ora noto, si circondò delle glorie già ri- trovale e difese per luogo non noto. Imperocché sono oi'a meglio che ducento anni trascorsi da quando Francesco Maria Turrigio , attenendosi ad anlichi alti di martiri , stabilì in questo settimo miglio della via nomentana il cimi- terio ad Nymphas, nel predio di Severa, dove abitò il principe degli apostoli s. Pietro, e rigenerò molti colle acque del battesimo. 46 E sono presso a cento anni, che , questa lode preclarissima difendendo ad occulto sito , sostenne quella asserzione Vincenzo Alessandro Costantini. I quali due egregi uomini, l'uno indefesso ricerca- tore delle sacre memorie , l'altro di acre giudizio in prenderle a disamina , in tempi tanto diversi , concordandosi a stabilire un fatto medesimo, e un fatto, che separato era per loro dall' associazione del luogo, a che altro mai intendevano , se non solo alla sacra inchiesta del vero ? E questo vero lo abbiamo adesso manifesto. Perchè in questo centro cristiano della via no- mentana, a questa distanza del settimo miglio , si è ritrovata l'arenaria alle catacombe congiunta; s'è ravvisato il luogo, al quale quel!' indizio chiamava il pensiero. Si ricondusse il piede , dove il piede già penetrò di colui, che seguì i passi del Reden- tore divino. Sotto quella volta potè starsi, in quel recesso fu dato ridursi , che già il principe degli apostoli ricoperse , che alla sua voce risonò ; che mantenne occulto a' profani il grande mistero, che vi compieva. E quindi le idee si ordinarono dei santi avve- nimenti, qui stesso in successivo tempo compiuti. Perchè il martirio di Alessandro pontefice e di Evenzio e Teodulo, qui appunto soguito , qui a questo settimo miglio della via nomentana, non fu se non corona data in sull' agone medesimo di generoso certame. Fu premio, che la pagana legge impartì colla pena. Della quale l' insolito luogo, la precisa distanza, debbono rendere manifesta la causa; senza la quale , come credere che uomo romano , 47 quale fu il papa Alessandro, nato sullo stesso Cam- pidoglio, si menasse a supplizio a tanta distanza e fuori dell' uso ? E questa causa non è ella pronta e manifesta, a chi consideri quale opera qui s. Pie- tro incominciasse , quale Alessandro potesse conti- nuarvi ? Fu dunque colà percosso, dove , secondo la cecità di que' giudici , aveva esso contraffatto alla legge. Ed ecco di quel primo avvenimento il-' luminato questo secondo ; e con questo secondo accresciuta la dimostrazione di quello primo. Vuole anche considerarsi, che mentre ospite di s. Pietro è nominata Severa , sollecita dell' onore del martire Alessandro e de' compagni di lui nella palma è detta Severina. Continuazione questa di discendenza, e tutta secondo l'indole antica, da non doversi lasciare inosservata. Come 1' opera di Se- vera tornò ad immortai gloria di questo luogo , così e quella Severina ne stabilì la celebrità. Il se- polcro e l'altare d' Alessandro, del martire ponte- fice romano, era nel cuore de' fedeli segno di ve- nerazione e d'affetto. S'adunavano ad Alexandruniy concorrevano ad Alexandriim , si riputavano felici nella morte, se ad Alexandnim giacassero in pace. Quindi si ravvisano ancora alcuni brani di cata- combe espressamente aperti per far luogo a se- polcri , che non discosti fossero dal sepolcro ed altare di martire tanto glorioso. E una iscrizione scritta sulla calcina, mentre fresca ancora era stata posta a collegare la chiusura d' una tomba , dà a leggere ancora queste parole così tradotte: VIVI ILA NEL DIO CRISTO IN PACE. PREGA ILA PER SILVINA, PREGA CON ALESSANDRO. 48 Altrove un Sabiniano ò dello godere la beata telicità- E alle parole viene compimento dalla rap- presentanza. Sono le parole: SABINIANE SPIRITVS TVVS IN BONO. E la rappresentanza quella d'un fiorito giardino, nel quale posa una colomba il suo volo- Ma il giardino fu detto paradisus. Ond' è questo il concetto, che unite insieme, manifestano le figure e le lettere: Sabiniano, lo spirito tuo è nel (jaiidio del paradiso. E questa bella fiducia s' ac- cresceva certo dall' essere quel sepolcro di presso alla tomba del martire. La quale stata insino dal- l'origine altare, n'ebbe poi gli ornamenti e la for- ma, e fu oggetto di volivi marmorei fregi di un ■Delicato e d' una chiarissima donna Giunia Sabina. Ai quali bisognò l'autorità del vescovo per la de- dicazione della divota loro opera, che serba ancora espressa, nell'epigrafe che l'accompagna, questa egre- gia testimonianza d' ecclesiastico primato. Prova della frequenza de' fedeli in venerazione del generoso atleta di Cristo e di que' che ne di- visero la sorte , si ha nella disposizione e distri- buzione dell' edifizio, formato d'attorno all' altare già detto. Poiché grandemente dilatando il primi- tivo cubicolo , si mutò in ben ampio oratorio. A questo s'aprì l'accesso, quanto far si poteva pros- simo alla via; e la scala, in due diversi tempi ese- guita, si fece sì larga , che non tiene proporzione col rimanente spazio del luogo ; ma bene ebbe ad averla .col concorso straordinario di quelli, che al- l'oratorio accorrevano, e del quale offre adesso ad un lempo la dimostrazione e la prova- 49 A destra di (juesla scala , prima che metta al piano, si trova l'ingresso pel separato luogo delle donne. Dove una cosiffatta scala finisce , sì trova un accesso , che mette egualmente a più luoghi. Ai quali ebbero a dirigere gli ostiari con opportuno ordine le persone, che in grandissimo numero qui accorrevano nelle maggiori solennità, onde evitare r ingombramento, che ne sarebbe senza meno se- guito, e soddisfjire insieme del santo suo desiderio ciascuno , col lasciarlo appressare ai sepolcri dei martiri, onorandoli colle preghiere , colle offerte , coi voli. Lasciando per ora quanto è di fronte, e quanto si trova a sinistra della scala già detta, seguiremo V adito a destra, di quel lato appunto che corri- sponde al separato luogo, nel quale le donnQ si stettero divise dagli uomini, per assistere ai divini utFizi della chiesa. Qui dunque è propriamente l'in- gresso dell'oratorio. Ingresso, che la condizione del luogo praticar fece , qual' è , in uno degli angoli. Come la mancanza di spazio nella larghezza fu causa che gli amboni si collocassero di fronte e non di lato all'altare , e si facessero nel muro stesso, eh' è limite dell' oratorio. Sono in esso muro indicati amboni siffatti, da due come nicchie, l'una all'altra vicina. Entro le quali quanto doveva es- sere elevato dovette starvi di legno. Presso questi amboni, e tutto all' intorno, è, coli' opera slessa laterizia, costruito un sedile, dove slessero que'che alle sacre cose attendevano. Ne rimane pertanto <;ome circondato l'altare, che unico sorge, elevan- G.A.T. CL. 4 50 dosi sopra il sepolcro del pontefice Alessandro e d' Evenzio. E soi-ge ancora per modo da formare come una cosa separata nell'ordine dairarchitettura tutta dell'oratorio, colla quale non tiene conformità alcuna, nò di direzione, né di linee, né d'armonia; distinguendosi anzi da queste cose tutte per di- mostrarne appunto il contrario. Questo non é , a vero dii-e, senza offesa dell' occhio ; anzi di prima giunta viene osservato come nuova cosa, e da quello 8Ì vorrebbe lontana. Attribuirlo a mancanza delle più comuni regole dell'arte, che fosse in colui che diresse la fabbrica, non è quasi possibile , quando si consideri l' industria che egli dimostrò, con tanto accorgimento riunendo in poco spazio il comune accesso a più luoghi, con lasciare tanta separazione di ciascuno, quanta ne dimandavano i rispetti della liturgia e dell' uso , che vi sono mantenuti invero mirabilmente. Come dunque uom tale , in tanto principale cosa, tanto sconciamente avrebbe man- cato ? Che ad ingegno minore del suo sarebbe pure stato agevole , o di conformare la struttura dell'altare alle linee dell' edifìzio ; o di dirigere l'edilìzio per modo da farlo corrispondere all'altare; tanto che non vi fosse quella discordanza, che in doppio modo viene a ferire lo sguardo. Ma quello , che ogni ragione persuade essersi potuto facilmente eseguire, se si fosse voluto, non si segui , appunto perché non si volle. E non si volle per un grande e giusto riguardo: per una squisita considerazione , e come per un proprio senso di religione e d' ossequio- L' arte cristiana obliò, come spesso di quel tempo d'ardente fede , 51 se stessa , per servire a più sublime intento , per aggiungere più degno scopo , che quello non era della materiale regolarità delle forme , alla quale , ove tutto sia subordinato, un nuovo ordine e di- verso si manifesta , invertite le parti dell' idea e dell'opera. Qui dunque all' essenziale idea s' ebbe essenziale riguardo: e fu questa. Che non potesse cadere nell'animo neppure il sospetto della muta- zione del luogo, o d'altra alterazione della primi- tiva sede di tanto onorata tomba dei due atleti di Cristo. Sospetto, che molto turbato avrebbe i fe- deli; quasi il trionfo e la pace della chiesa, meno, che le persecuzioni e il combattimento, mantenuto avessero la pace delle spoglie lasciate dai martiri come trofei, e con gelosa custodia preservate tanti anni. Pertanto il cristiano architetto conseguì quel- r intento in modo, da essere prontamente persuaso a chiunque nell' oratorio fosse. Da che bastava solo di vedere quell'altare, per rimanere convinti, che il sottostante sepolcro così era rimasto fra i nuovi ornamenti, come prima nel cimiterio da Severina era stato posto. Che la de- corazione messa all' esterno non era stata di mu- tazione all' interno. Questa decorazione poi fu di molta ricchezza. Grande indizio ne danno ancora gli avanzi , che se ne sono trovati. 1 più nobili marmi, tratti dal lusso dei romani dalle più remote e più diverse parti del mondo a loro soggette, le- vati dalle prossime delizie della via nomentana ; forse offerti ancora dai possessori, divenuti cristia- ni, desiderosi di vederli adoperati in uso migliore, erano stati collocati ad arricchire questo altare. La iiìensiì, cho lo ricopre , è d' una lastra di porfido. Del quale molto per un tale uso si compiacquero gli antichi cristiani. Fosse pensiero delia nobiltà espressa dal colore purpureo: fosse allusione al sangue versato dai martiri per la fede: fossero r una cosa e l'altra congiunte insieme. Sotto que- sta mensa , ne' due prospetti dell' altare , stettero cniti tnarmoree, che lasciassero tale vacuo fra loro, quanto a chi pregava facesse vedere per le aper- ture sino alla tomba stessa dei martiri. Su quella di tali crati, o transenne , cb' era dal lato volto verso il popolo sta l' iscrizione votiva di Delicato. Iscrizione che ha confermito due essere stati i martiri qui deposti , Alessandro cioè ed Evenzio ; perchè altro non si può inferire da quella congiun- zione ET ALEXANDRO: perchè a quella doppia dedicazione è conforme il dirsi in una delle basi sovrapposte all'altare: SANCTORVM ORNAVIT. Di- mostrandosi così vero quanto negli atti si narra ; quanto i devoti pellegrini, che nel fine deli' ottavo e nel principio del nono secolo visitarono questo luogo ricordarono, indicando quanti e quali martiri vi si trovassero, e come vi giacessero e dove- La transenna era circondata d' un ornamento in mu- saico a colori. I fianchi dell' altare ebbero il rive- stimento di rari alabastri. S' elevava al di sopra della mensa il taberna- colo , formato di colonnette di giallo antico e di paonazzetto , ricordato nelle basi di esse il nome di Giunta Sabina , e la cura presa d' ornare il se- polcro dei santi. 58 Di lato air altare, e sempre sulla drilla , è il luogo dove si conservai'ono i vasi sacri , i volumi delle preci e de' registri, gì' indumenti religiosi , e quanto altro apparteneva al rito ed all'uso- Nel prospetto poi dell'altare medesimo, che guarda il fondo dell'oratorio , si trova il coro sol- levato d'un gradino dal rimanente. Nel bel mezzo di esso sta posto il trono , e v' erano attorno ad esso sedili in linea più bassa. Tutta questa parte del sacro edilizio fu accu- ratamente rivestita di lastre marmoree, tanto nelle pareti, quanto nel pavimento: spoglie tutte di pa- gani edilìzi. Dai quali pure fu tolta una base con intagli di fogliami, che sta murata presso al gra^ dino del coro , così che viene a corrispondere di contro all'altare. Qui dunque stava un candelabro: sia che rimanesse continuamente acceso in onorp dei martiri ; sia che lo fosse soltanto secondo lo lichiedessero le saere cei'imonie. Vuole poi considerarsi ciò che nel coro, come nelle altre parti dell'oratorio, si vede ancora: cioè quelle pietre sepolcrali , che sono poste nel pavi- mento e vanno distinte dalle proprie epigrali. Perchè si trova in queste una nuova dimostra- zione della grande premura e divozione che ebbero i fedeli, d'essere deposti quanto più fare si potesse vicino alle benedette spoglie de' martiri. E vi si trova ancora, che per tale religioso rispetto non si guardava affatto alla regolarità dell' ornamento , né alla nobiltà slessa de' marmi. E che sia il vero, le pietre de'sepolcri hanno qui interrotto il disegno e la disposizione primitiva degli sceltissimi marmi 54 coloiitir co' quali il paviiiienlo fu da principio foi- fnato, per dar luogo a lastre di marmo bianco ir- regolarmente poste. Tanto la religiosa pietà sovra- stava a-Uord ad ogni altro riguardo o pensiero ! Cosa che vonebbe aversi presente sempre che s'abbia a porre la mano ne' sacri edifizi e nelle memorie dei sepolcri. Venendo adesso a considerare quelle parti del luogo, alle quali si perviene di fronte alla scala ; ricorderemo, prima d' ogni altra, una cappella ac- curatamente ornata, come quella che più si unisce air oratorio sommariamente descritto , col quale venne molto ingegnosamente ad esser con^giunto. Ha dunque una cosiffatta eappella il suo partico- lare ingresso al di fuori dell' oratorio ; ma ne ha pure uno nell' interno di esso. E dove la fronte della cappella medesima di fianco all' oratorio si presenta, v'era aperto un grande arco piano, retto da due colonne; sicché un luogo potesse essere ve- duto dall'altro. Due altre colonne, delle quali l'in- feriore parte e le basi si mantennero al posto, for- mavano una propria decorazione all'ingresso. E da questo si viene ad una costruzione , che tutto ri- veste il tufo, nel quale la cataconìba è scavala- Le pareti furono parte rivestite di marmo , parte di- pinte. Il pavimento è di musaico a colori , colla interruzione di certe lastre di poi-fido- Nel mezzo di esso è l'iscrizione , che ricopre il sepolcro di Apollo giovinetto, d' anni quattordici estinto nella pace del Signore, al culto del quale s' era già con- sacrato , destinandosi al sacerdozio: VOTVS DEO. 55 Di lato è i) sepolcro del martire. E vi si tro- vò una parte della transenna di marmo. Donde s'ebbe la sicurezza , che questo luogo con tanta cura ornato fu propriamente cubicolo , e poi cap- pella e oratorio dedicato a martire insigne : e si conobbe come uno solo esso fosse, da che nel mar- mo già detto durava la epigrafe: MARTYRI. Fu agevole allora di riavvisare essere questo il sepolcro di Teodulo, il quale deposto da Severina in luogo separato da Alessandro e da Evenzio, così si trovava appunto come era designato dagli atti, e come indicato venne dai pietosi viaggiatori, già ricordati di sopra. \ quali ne lasciarono memoria, additandolo in una sua propria sede di questa ca- tacomba , dagli altri suoi compagni della corona del martirio disgiunto. L' ampiezza certamente in tanta angustia di sito sommamente notevole, alla quale si ridusse questa cappella , s' accorda alle circostanze tutte per di- mostrare la celebrità del martire, che in essa ve- niva onorato, perenne motivo di non ordinaria fre- quenza per i fedeli. Laonde anche per una cosif- fatta osservazione viene a confermarsi, che al solo Teodulo , al compagno d' Alessandro e d' Evenzio nella corona del martirio, si dovesse tanta nobiltà di ornamenti e questa nuova edificazione di cubi- colo, unito massimamente com' è all' oratorio e ri- dotto a legarsi con esso quasi in un medesimo tutto. Dalla cappella di Teodulo non si ha V ingresso ad altro luogo veruno. Tornando però nell' orato- rio, s' apre poco oltre, e sulla medesima mano si- 56 nislra, la porta che mette nel ciiniteiio. Qui ne fu anzi la primitiva scala e l'accesso dalla soprastante campagna. Angustissima scala e ditlicile- Quale do- veva essere quando il maggior pensiero era quello di renderla facilmente occulta a chi de' fedeli non fosse. Bastava in fatti ben poco a mantenere ce- lato r ingresso, e celato ebbe ad essere quanto le persecuzioni e 1' arcano durarono della chiesa di (iristo. Da questa scala s' entrava a quelle parti di ca- tacomba, che furono scavate dai fedeli per deporvi gli estinti. Le quali hanno per loro proprio carat- tere d'essere sommamente anguste ; cioè tali ap- punto quali di mezzo a molti ostacoli condurre si potevano : bastanti all' uso , ma non al di là di esso. Da queste catacombe sì passa all' arenarie , e può ottimaiììente farsi giudizio della differenza delle due maniere di opera. Perchè sono queste spaziose, da potere ammettere 1' uso e il ricambio de'carri. Con volte tagliate ad arte , con aperture da rice- verne r aria e la luce. E questi sono que' sotter- ranei recessi, che nel predio di Severa si trovava- no quando si compirono in essi i santi e gloriosi falli ricordati di sopra. 1 loculi aperti lungo le pareti sono tutti chiusi con soli mattoni: sempli- cissimi lutti, e veramente quali ai primissimi tempi s' addicono della diffusione dell' evangelo in queste terre, e fra gente umile e addetta il più alla sem- plice vita dell'agricoltura e della pastorizia. La ca- tacomba di questo lato molto e largamente si esten- de al disotto della campagna. I diversi bracci che se ne sono trovati non hanno lasciato vedere si- nora, se non solo una parte della vasta ed intricata ambage di maggiori vie e di minori ; molte cono- sciute ora dalla indicazione soltanto, che ne porge il luogo dal quale si dipartono ; molte più ancora conghietturate meglio che conosciute. Da questa parte del cimiterio forza è di ridursi nuovamente nell' oratorio, per continuare a percor- rere quanto ancora rimane. Venuti dunque di nuovo neir area , che sta di fronte alla scala , si ha da quella l'accesso ad una separata catacomba, opera tutta de' cristiani fossori. In essa può ravvisarsi uno stato di conservazione quale appena si sarebbe creduto possibile. Chiusi sono ancora i loculi nu- merosissimi; e chiusi per modo, che la calcina pare che serbi ancoia recente la perfezione del lavoro, col quale vi fu adoperata- Su tale calcina vi hanno graffiti, segnati come ricordo delle persone giacenti nella pace e nella speranza. Si vede ancora con quale metodo si procurasse di mantenere solida- mente uniti i pezzi di mattoni o di marmi , che chiudevano i loculi stessi; ponendo cioè con molla spessezza la calce; donde veniva ancora impedito , quanto fare si poteva , il diffondersi intorno degli insalubri effetti de' corpi nella loro decomposizione. Non è parola che vaglia ad espiimere di quale re- ligioso raccoglimento e di quanto tenero affetto sia il cuore riempiuto e commosso all'aspetto di que- ste vie, tutte intatte ancora e tutte spiranti la pri- mitiva bontà e quella ineffabile dolcezza della fede e innocenza e fiducia in Dio, di coloro che qu'i si adunarono, e qui i cari loro defunti deposero nel 58 bacio del Signore. Impossibile cosa ella è, cbe un soave pensiei'o non rapisca la mente verso quel tempo passalo , qui dove tanto si pensò e si fece per l'avvenire. Ed ecco pararsi agli occhi sepolcri distinti dair ampolla rosseggiante ancora del san- gue intorno rappreso. Ampolla infissa al di fuori del loculo. Ampolla che s' accompagna d' un altro segno di sommo ossequio ed onore- Dir voglio della fìttile lucerna, così collocata, che quasi appena di- staccandosi dal suolo, ben mostia quivi essere stata posta perchè vi splendesse , non già ad illuminare il luogo, ma sibbene ad onorare il martire. Que- sta preziosa parte del cimilerio non fu proseguita a scavare dai cristiani, se non quanto la necessità gli astrinse a doverlo fare. Gli ultimi colpi dati dal fossore si veggono ancora tutti manifesti , e come recenti, dove i diversi bracci hanno la loro fine. Tornati all' area, eh' è il centro de' vari luoghi percorsi, dobbiamo per poco considerarla. Aveva questa un doppio oggetto: e all' uno ed air altro soddisfece. Era il primo d' apprestare un luogo dove i catecumeni si potessero ridurre, quando secondo la liturgica prescrizione era loro annun- ziato, che avessero ad uscire dall' oratorio. E qui pure trovar dovevano il sito loro proprio coloro , che obbligo di penitenza manteneva esclusi dalla chiesa, per meritare d' esservi ammessi di nuovo. Oltre ai quali usi, servì ancora quest'area ad un al- tro oggetto. Era questo il secondo, e fu quello di separare 1' oratorio dal battisterio, quanto era con- veniente che fosse. .59 Decorato di due grandi colonne sulla fronte , si trova questo a sinistra di chi scende dalla scala. Si rinvenne nella ruina una parte del vaso nnarmo- reo assai grande, che racchiudeva le acque di sa- lute e di vita. La disposizione e divisione del luogo rese ancora manifesto, che dopo il battisterio v'era un'altra camera spaziosa molto, in fondo alla quale il sito per la sede del vescovo , e presso a quelle due sostruzioni. Della quale camera non si può assegnare altra destinazione, che meglio per avventura corrisponda al luogo nel quale è posta, salvo che di riconoscere in essa il Consignatorium ablutorum; ch'è dire quella stanza , nella quale i battezzati neofiti ricevevano il sacro crisma , e dove si fermava il vescovo per amministrare loro questo secondo sacramento; sic- ché potessero entrare poi nella congregazione dei fedeli, compiuto così quanto necessario era alla spi- rituale rigenerazione dell' uomo. Questo Consignato- rio tiene 1' estremo dell' edifizio , e ne cresce con nuovo compimento quella rilevanza , eh' esso ha sotto ogni aspetto grandissima. Resta adesso che si dica come potesse andare soggetto a tanto abbandono un sito insigne per così altere e così sante memorie: fino a rimanere distrutto ; fino a rendersi ignoto. E cadere in così abietto stato , che per molto volgere di anni , il suolo , che lo ricopriva , dato fosse all' aratro , o apprestasse il pascolo dell' armento e del gregge. Ciò avvenne appunto per la insigne celebrità de' martiri , che vi si veneravano. Imperocché al- lora quando il pontefice Pasquale 1 determinò di 60 trasferire nelT interno di Pioma i corpi de' jjiiì glo- riosi testimoni della fede, dove fossero in sicuro da ogni profanazione, e avessero continuo il condegno onore del culto, obliare non poteva i santi Ales- sandro, Evenzio e Teodulo; e in fatti non gli obliò. Ma recatili nelT interno della città, così come era- no stati custoditi in un luogo medesimo per sì lungo corso di secoli, volle che uniti rimanessero , collocandoli nelT oratorio dedicalo a santa Agnese, situato nel monistero di santa Prassede. Del che rende ancora manifesta testimonianza quanto nel- r iscrizione, eh' è nella chiesa di santa Prassede , postavi nel tempo di esso Pasquale, si legge ancora in queste proprie parole: SIMILI MODO" ET IN ORATORIO BEATAE XPI VIRGINIS AGNETIS QVOl) SVRSVM IN MONASTERIO SITVM EST IPSE PASTOR EXIMIVS POSVIT CORPORA PIO- RVM M VRTYRVM VIDELICET ALEXANDRI PA- PAE ATQVE EVENTI! ET THEODVLl PRESBl- TERIS. Ciò avvenne sul bel princi[)io del nono secolo. I tempi che quindi si resero funesti per guerre, e malsicuri agli abitatori della campagna , spensero quella popolazione, che qui d' attorno s'era mante- nuta. Mancava d'altronde il motivo principalissimo del concorso de' fedeli, della conservazione dell'o- ratorio, della custodia del luogo , tolti che ne fu- rono que' sacri pegni, dai quali era ad esso deri- vato quanto ebbe e quanto mantenne di splendore e di gloria. Questa gloria e questo splendore , che adesso rinascono, non verranno però per tempo alcuno a mancare. 61 11 fatto che oggi si compie è principio di una riparazione , che rimarrà sempre perenne. La pie- tra, che il SOMMO PONTEFICE PIO IX colloca colla sua mano nelle fondamenta della nuova chiesa d' un santo pontefice , riunisce il presente al pas- sato, assicura 1' avvenire al presente. Già per due volte con rinnovata solennità s' era tornato ad of- frire suir altare e sulla tomba dei martiri il sa- crifìcio incruento. L' obhlivione di dieci secoli s'e- ra dileguata innanzi alla ripristinata santità di tanto mistero ! La sacra congregazione De Propaganda fide , promovendo l'innalzamento del nuovo tempio, e in se recandone la cura, ben dimostra d' avere apprez- zato la grandezza della scoperta, d' aver conosciuto com' era proprio di lei, quale onere le incombesse, possedendo tanto tesoro, in un suolo eh' è suo. 62 Biografia del proposto Rinaldo Reposati scritta dal marchese Francesco Ranghiasci Brancaleoni so- cio di varie illustri accademie italiane e stra- niere. C> (he gli uomini, i quali si resero benemeriti della patria o cogli incarichi, o colle lettere, o colle be- neficenze, fossero mentre vivevano non curati e per- fino dai loro concittadini dispregiati, ella è vecchia usanza e somma stoltezza sarebbe il moverne la- mento. Rari però furono coloro, a' quali dopo la morte o presto o tardi non siasi renduta dai con- cittadini giustizia avvegnaché dolenti e vergognosi del primiero operare si dettero ad innalzare iscri- zioni e monumenti , a tessere elogi e a fare ogni altra maniera di riparazione all' oltraggio da essi fatto a chi tanto aveva amata ed illustrata la pa- tria. Così vediamo gli ateniesi innalzare a Socrate quelle statue (benché io non so se più onorassero' il defunto, o palesassero la onta de' cittadini nel- r aver messo a morte il grande filosofo) che an- davano tutti riverenti ad ammirare. Così presso i romani scorgiamo esser celebrata la memoria dei Camini e degli Scipioni. Così negli antichi e ne'mo- derni tempi presso tutte le incivilite nazioni si è sempre operato. Ma potrò io gloriarmi che la mia carissima patria ancora abbia fatto sempre altret- tanto, e non piuttosto dolermi e con generosa bile sdegnarmi dell' oblivione, in cui lasciò tanti chiari 63 suoi figli ? Non dirò già che essi sieno tali da mettersi al paragone degli uomini più grandi e famosi del mondo: ma ben grandi essi furono se si considerino la terra natale che sortirono, i mezzi che ebbero, le difficoltà che superarono, l'amore che gli accese, i servigi che resero, la ricompensa che ricevettero , e quanto lottare dovettero , non già contro esterni, ma sibbene interni nemici. Tali meditazioni fra me stesso facea nel riandare le memorie del proposto Rinaldo Reposati, e grave- mente mi affliggeva nel trovarsi pochi, i quali al- cun che ne sapessero dire di un nostro scrittore, vissuto non già sette od otto secoli indietro , ma quasi nel finire del passato ; sicché può ancora in Gubbio essere vivente alcuno che conosciuto lo abbia. A ripararare tanto oltraggio, nel continuare che io fo a tessere le memorie di alcuni illustri eugubini (1), parlerò oggi del Reposati, la cui fa- miglia tra quelle del secondo ordine è antica fra noi, imparentata colle migliori civiche , e la cui professione essendo stata quella di battiloro neces- sariamente richicdea copia di averi (2). Nacque il nostro Rinaldo il 23 di agosto 1714 dai coniugi Pier Paolo Reposati e Maria Bianchi. Fino dalla prima età spiegò un amore grandissimo allo studio: e non ancora compiuto il secondo lu- stro appalesò al padre la vocazione allo stalo ec- clesiastico. Non volendo questi più a lungo contrad- dirlo, il vestì da chierico: ed arrivato ali* anno de- cimo quarto gli fece prendere la tonsura. Venne allora collocato nel nostro seminario, ove sotto va- lenti maestri s' istruì nella grammatica, nella urna- 64 nìlà, nella rettoiica, e in buona parie della filoso- fìa. Tornato alla casa paLeina, indi a non mollo passò fra i ligaorini, ove continuò il corso di filo- sofia, compiè quello di teologia dommalica e mo- rale, nonché l'altro di diritto civile canonico, am- maestrandosi nel tempo stesso nella lingua greca. Ricco di virili e di dottrina, nell'anno 25 del- l' età sua si ordinò sacerdote, e incominciò tosta- mente ad esercitare il sacro ministero , impiegan- dosi in particolar modo nel predicare. Veniva chia- mato nella diocesi, e fuori di essa , ora a tessere orazioni panegiriche , ora ad oratore quaresimale, con molto vantaggio delle anime , e con grande soddisfazione degli uditori. Avca egli infatti molta attitudine a tale officio, e continuollo quasi per lo spazio di quarant' anni, cioè fino all' anno di sua età sessagesimo secondo , in cui come diremo fu fatto canonico della cattedrale. Per così fatte virtù si rese carissimo a tutti i vescovi ed in ispecie a monsig. Sestegno Cavalli , il quale dopo avere con tutta lode governato il suo ordine de' servi di Maria, venne poi a regger questa diocesi con tanto amore ed accorgimento che il nome di lui va tuttavia nelle bocche di tutti. Il Cavalli dunque l'adoperò in qualsivoglia ordina- ria e straordinaria occorrenza. Essendo poi con- corso ad una parrocchia di Perugia ed avendola ottenuta, il buon vescovo fu tanto dolente di per- dere questo sacerdote , che fece di tutto per ria- verlo. Infatti passati appena undici mesi gli conferì la parrocchia di santa Maria detta di Padule ; la quale tenne per lo spazio di dodici anni. 65 Come egli adempisse il suo officio , come si rendesse benemerito della parrocchia, oltreché il testimoniano coloro tutti, che dai nostri vecchi l'u- dirono, ne fa perpetua lode V ingrandimento che esso fece nel 1750 della chiesa parrocchiale , che non rendevasi sufficiente a contenere la folla del popolo, la quale accorreva alla spiegazione del van- gelo, e alle altre pie pratiche e funzioni che il ze- lante parroco vi eseguiva. Né 1' ampliò solo , ma essendovi mancato il presbiterio, designò di farvelo tirando indietro una sacra immagine della Ss. Ver- gine pinta al muro: opera difficile e pericolosa, trattandosi di un grosso masso di pietre legate in- sieme colla sola calcina , e però facilissimo a di- sciogliersi, ma che tuttavolta riuscì felicemente (3). Non per anco erasi coperta la nuova fabbrica, che nella notte del 2G di luglio feccsi sentire una SI grave scossa di terremoto , che gittò a terra molti edifìzi , e spaventò non meno gli abitatori della città che quelli della campagna. La chiesa di Padule sofferse per modo, che la notte stessa videsi senza tetto, senza volte, senza pavimento , profondati i sepolcri, e per giunta ridotta in pessimo stato la casa del parroco. Il buon Reposati non si spaventò a tanto disastro , ma fidando in Dio e nella sua operosità in poco tempo la riattò, e compì eziandio il presbiterio, ornandolo di volta, di stuc- chi, e di pitture (4). '■ Al Cavalli era succeduto ii vescovo Cingari, il quale non meno del primo stimava ed amava il Reposati. Però grandemente si afflisse quando que- sti nel 1758 gli rinunziò la parrocchia per essere G.A.T. CL. . 5 66 stato all'iinprovviso , e senza che egli neppure il sapesse, nominalo a suo successore dal sig. pro- posto Cavallini nobile cingolano, il quale conferire gli volle la pingue ed onorata prepositura di san Donato nella terra di Montefano diocesi di Osimo. Monsignor Pompeo Compagnoni, vescovo di quella dottrina che tutti sanno, godè moltissimo di acqui- stare sì zelante parroco , il quale sì condusse alla sua residenza il 24 di settembre dell' istesso anno 1758. Preso il possesso della prepositura, andò in Macerata a laurearsi in ambedue i diritti: cosa che sempre avea dilazionata , e che ora protrarla piti non potea, astringendovelo le bolle pontifìcie per esser prima dignità di un' insigne collegiata, e per giudicare e per definire legitti(namente le cause civili e criminali che si portavano al tribunale di lui. Poco dopo il suo arrivo in Montefano lo stesso monsignor Compagnoni , per dargli novella prova della sua slima, lo nominò vicario foraneo con am- plissime facoltà, ripetendogli più volte alla presenza de' canonici della collegiata e delle primarie per- sone di quel comune: « Che consegnava al proposto Reposati lutto il governo di quella terra, e che solo perchè noi potea non gli dava il pastorale e la mi- truy dandogliene invece tutta la sua giurisdizione. » Per lo spazio di otto anni tenne il Reposati quella prepositura, cui era annessa una parrocchia, che comprendendo tutta la terra ed il contado, su- perava le due mila e trecento anime. Finalmente non avendo potuto impetrare dal Compagnoni, che lo esonerasse dall' officio di vicario foraneo, né po- tendo egli in pari tempo attendere al coro e alla 67 parrocchia, vago di un certo riposo maggiore , se riposo può dirsi l'internarsi vieppiù negli studi, ri- nunciò la prepositura nelle mani del vescovo. Nel 4 di maggio del 1765, poco prima che tornasse in patria, fu onorato del titolo e delle in- segne di protonotario apostolico. Ricondottosi il 15 del sopraddetto mese di mag- gio fra i suoi concittadini, proseguì il Reposati a dividere il tempo fra le opere del ministero e lo studio, a cui poteva oggimai più liberamente dedi- carsi: il perchè non faceva che dare continui frutti del suo sapere, e mostrare un amor patrio sì vivo da esser proposto ad esempio. Vacato nel 1777, cioè 12 anni dopo il ritorno del Reposati, un canonicato nella cattedrale, vi con- corse fra gli altri anche il Reposati: ed ognuno te- nea per fermo che sarebbe stato l'eletto, non po- tendo esservi chi lo superasse nel costume e nella dottrina. Eppure il vescovo monsignor Orefici, non si sa per quale fine, ricusò di rilasciargli la consueta testimoniale. Arse di sdegno il Reposati per ja im- meritata onta ; ma trovò nel pontefice quella giu- stizia che il proprio ordinario gli avea negato. Im- perocché avendo egli narrato il fatto a monsignor Francesco Carrara segretario del concilio , e suo caldo estimatore ed amico, questi condottosi all'u- dienza di Sua Beatitudine ed espostole come al Reposati mancasse la sola testimoniale del vescovo, il pontefice rispose che pel proposto non occorre- vano tali testimonianze , e il dì 8 marzo gli con- ferì il canonicato: aggiungendo al rescritto queste parole assai commendevoli pel nostro autore « scien- 68 lia resplendens ac de republica litteraria opthne me- ritus: » parole che il pontefice stesso volle che ve- nissero riportate nelle bolle (5). Né di ciò soddi- sfatto, avendo il papa udito dal cardinale Negroni prodatario, che secondo il consueto doveasi porre a quel canonicato la pensione di scudi quindici, e che molti erano gli aspiranti, ordinò che si rila- sciasse al Reposati il canonicato libero, ed in tale guisa aggiunse grazia a grazia. Il nostro proposto continuò a dimorare in patria fino alla sua morte avvenuta il giorno 27 aprile 1793 in età di anni 78 mesi 8 e giorni 4. Gli fu- ron fatti con analoga pompa i funerali nella chiesa della cattedrale ove fu tumulato , e tutti i buoni conobbero la grande perdita che erasi in Gubbio fatta di un ecclesiastico sì esemplare per la virtù e per la dottrina. Infatti il Reposati fu uno degli uomini illustri del suo tempo , non già considerato in rapporto alla sua patria, ma paragonato eziandio co' lette- rati che nel prossimo passato secolo onorarono la nostra penisola. Quanto egli come ecclesiastico sa- pesse, di già il vedemmo; ora toglieremo a consi- derare quanto negli altri rami di dottrina valesse; ed appunto ho voluto qui riunirli tutti insieme, ac- ciocché meglio si conosca la profondità delle sue cognizioni , e chiaramente si veda quanto a torto venisse da' suoi cittadini perseguitato, e quindi po- sto in oblio. Ma per non toccare una ferita che a me e a tutti i fìlopatridi è troppo acerba, dirò che il no- stro proposto usando col Raleslracci (6), con Lu- 69 canlonio Gentili, con Giangirolamo Carli, ambedue egregi professori di belle lettere , e colla illustre nostra Mengacci donna di molto sapere e ornata di molta virtù (7), si perfezionò in guisa nella co- noscenza della geografìa, della cronologia, e dell'an- tiquaria, che tutto si dette allo studio delTantichità: studio, al dire del MafTei e dello Zeno, piacevolissi- mo , ma che alletta per modo da dominare poi potentemente coloro che ad esso studio si dedicano. 11 perchè il medesimo Maffei raccomandavasi a chi non avesse voluto in esso immergersi, che non si fosse provveduto neppure di un' antica medaglia o moneta, bastando essa sola, ed io bene il so a pro- va, ad ingenerare la voglia di formarne ampie col- lezioni. Così appunto avvenne al Reposati , il quale a poco a poco si formò un museo di non comune pregio, in ispecie pel numero delle monete antiche, le quali sorpassavano le due mila fra medaglie e monete scelte d' ogni genere e che egli classificò e divise nel modo seguente: I.° Monete etrusche, romane antiche, e di altre città d'Italia. II. Monete greche di ogni genere. III. Di famiglie romane, o siano consolari, di ar- gento e di metallo battute in tempo della repub- blica. IV. Di oro e di argento degli imperatori romani, dei cesari , dei tiranni, delle loro mogli e concu- bine. V. Dei medesimi imperatori e cesari di metallo di ogni grandezza. 70 VI. DeWe mohete d'oro e di argento dei pon- tefici antichi e moderni. VII. Delle monete de'bassi tempi di quasi tutte le città d' Italia che avevano avuta la zecca e il diritto di coniar moneta. Vili. Delle monete battute d'oro e d'argento e di mistura in Gubbio. IX. Delle monete coniate in rame in Gubbio da Innocenzo X, dopo fi cui pontificato fu per la terza volta aperta la zecca, fino al pontificato di Clemente Xlll in cui fu chiusa. X. Delle monete di bassa lega e di rame bat- tute in varie città per privilegi pontificii. XI. Delle monete estere ed olti'amontane. XII. Delle medaglie pontificie d'oro, d'argento, e di rame. XML Delle medaglie di principi e signori di stati. XIV. Delle medaglie di cardinali, prelati e al- tre persone ecclesiastiche. XV. Finalmente delle medaglie di uomini illu- stri nella milizia, nelle scienze, nelle arti, e di donne celebri nella letteratura. Oltre alle suddette serie di medaglie, che niuno intelligente negherà essere stata assai pregevole , avea il Reposati raccolti molti altri monumenti spettanti all' antiquaria , siccome sono gì' idoli , i voti , i dittici sacri , i sigilli , le lucerne: nonché una copiosa collezione di antiche maioliche dello fabbriche di Urbino, di Pesaro e di Gubbio, assai stimabili per la varietà de' colori delle vernici me- tallico-cangianti, e molto pili per le bellissime pit- 71 ture di fatti sacri e profani, i quali erano in esse di- segnate ; arte bellissima che in oggi torna fra noi a rivivere (8). In tale nnaniera il Reposati era giunto a for- marsi un museo così grandioso e bello , che noti conducevasi forestiere in Gubbio ad ammirare le nostre tavole, il quale non amasse di visitarlo (9). Né di ciò pago, volle eziandio riunire insieme i principali ritratti dei pili insigni eugubini , altri facendone copiare ne' principali palazzi ov' essi si trovavano, altri non senza piccola spesa procurando che gli venissero mandati da Roma, da Verona, e da altri luoghi ove se ne conservano gli originali. Ad ognuno di essi poi aggiunse un breve elogio: sicché chiunque entrava in quella pinacoteca non poteva non restare sorpreso in vedere insieme rac- colti tanti uomini celebri , né credeva a se mede- simo, parendogli impossibile che sì grande numero di personaggi fosse uscito una volta dalla nostra patria (10). Questo solo museo , questa sola pinacoteca sa- rebbero più che bastanti a rendere perpetua la me- moria del Reposati : ma egli fu eziandio valente scrittore- Noterò in prima le cose da lui messe a stampa, quindi quelle che egli operò per altri , ò lasciò imperfette. La prima opera del nostro Reposati che ci si presenti ha per titolo: « Sacra rituum congregatione Emo et Rmo domino card. Tamburino, Eugubina beatifìcationìs et canonizationis ven. servi Dei Fortis Fontis Avellanae ordinis sancii Benedicti beati num- cupati: » Positio super dubio: An sententia data a 72 Rino episcopo eugubino super cultu ab immemo- rabili tempore eidem servo Dei praestito, sive casu excepto a decretis iussu sanctae mem. Urbani Vili editis, sit confirmanda in casu et ad effectunv etc. Roma 1755 typis rev. camerae apostolicae. Tom. 1 in foglio, (c La compose egli a richiesta del conte Forte Gabrielli Valletta nostro patrizio, il quale vo- lendo ravvivare il pubblico culto verso del beato Forte sno agnato ne propose il dabbio alla sagra eongregazione de riti. Questa nel 1754 deputò il Reposati a campilarne il processo, dandogli facoltà di trovarsi un compagno: prescelse il Carli , ma siccome era appena un anno che trovavasi fra noi, né potea dargli l'aiuto che si richiedeva, fu il Re- posati astretto a continuare l'opera tutto solo. La quale cosa condusse a fine sì bene , e con tali ragioni, che monsignor Lodovico Valenti promotore della fede nelle sue osservazioni addizionali si espres- se così: « Processum accurate perlustravi omniaque eiusdem acla mature perpendi, et in veritatis ob- sequium ingenue fateri cogor, in eiusdem coostru- tione fuisse adamussim servatas omnes et quascum- que solemnitates eie, ita ut prò eo quod attinet ad validitatem preafatorum actorum etc. nihil animad- versione dignum incurrat. )> Processo C 9. 10. In appresso, cioè nel 1758, co'tipi del Bartolini di Gubbio pubblicò la vita dello stesso beato Ga- brielli (li) togliendo principalmente ad esaminare la questione se il beato Forte, come pretende vana il postulante della causa e il giudice della mede- sima, fosse stato monaco ed eremita dell'Avellana, e non piuttosto semplice solitario degli appennini 73 presso la terra della Scheggia. Volea egli intitolarla dissertazione: ma anche ad altrui consiglio lasciò correre il vocabolo di vita, e tali prove seppe ad- durre che gli avellaniti non osarono giammai di rispondere al Reposati. Alla vita del beato Forte il Reposati nel 1760 (12) fece succedere quella di santo Ubaldo vescovo di Gubbio scritta da Tebaldo suo successore, com- mentata ed accresciuta. II lavoro del nostro cittadi- no assai piacque ai dotti, ed è eseguito con molta critica, rigettandosi i fatti apocrifi , ed attenendosi solo a quelli che reggono alla più severa critica. Soprattutto 1' autore si studiò di determinare con precisione V epoche principali della vita dal santo, cioè in quale anno nascesse , quando fosse fatto priore de' Ss. Mariano e Giacomo, quando assunto air episcopato ec. La più voluminosa e la più dotta opera che egli pubblicò fu quella della zecca di Gubbio e delle geste de' conti e duchi d' Urbino divisa in due tomi in 4° ed impressa in Bologna nel 1773 da Lelio della Volpe. S' indusse egli a scriverla mosso dalle insinuazioni del famoso padre ab. don Gio. Crisostomo Trombelli, cui era andato a visi- tare in Bologna nel 1768, e di altri letterati di quell'insigne città, i quali conoscendo il valore ar- cheologico ed il museo del nostro Reposati tanto seppero fare e dire da vincerne alla perfine la ri- trosia. Comincia egli dal trattare delle monete bat- tute in Gubbio, quando la città reggevasi dagli etruschi , e ne riferisce alcune non mai notate da altri scrittori; passa quindi a parlare della volontà- 74 ria sottomissione di Gubbio ai romani, e delle zec- che aperte in Italia dopo la decadenza della re- pubblica e deir impero: mostra come la città scosse il giogo degli imperatori greci sotto Leone 111 detto r Isaurico verso l'anno 727: e discorso delle mo- nete ch'ebbero valore nel medio evo, stabilisce nel 1326 l'apei'tura della nostra zecca per concessione di Giovanni XXII papa. Discorre in pari tempo di tutti i piij rimarchevoli fatti della patria dal secolo X fino al 1394, nel quale anno gli eugubini di loro volere si posero sotto la soggezione dal conte An- tonio di Montefeltro conte d' Urbino. Compiuta la serie dei Feltreschi, scende a ragionare dei Rovere- sebi adottati dal conte Guido Ubaldo col consenso di Giulio II e di tutto il sacro collegio, sino alla morte di Francesco Maria II , in cui lo slato di Urbino tornò alla santa sede. Fatta quindi la isto- F'ia di essi signori delia Rovere (13) , prosegue a trattare delle zecche, che que' duchi tennero aperte nel loro stato: né tralascia di proseguire la storia di essa zecca dalla devoluzione dello stato di Ur- bino alla santa sede sino all'anno 1759, in cui sotto il pontificato di Clemente XIII fu dal governo sop- pressa. Quest' opera, oltre ad esser corredata di tavole in rame ove sono riportate tutte le monete di cui si ragiona, è arricchita di un' appendice di docu- menti e di altri fatti che riguardano la seconda parte. In esse sono fra le altre cose da rimarcarsi un' abbastanza estesa descrizione dello stato d'Ur- bino, cioè delle città, delle terre, dei castelli, e del modo come in allora si governava , ed il distinto j > 75 ragguaglio della città di Gubbio, dolle sue famiglie, e dello stato in cui si trovava. Appena comparve alla luce fu con mollo piacere accolta dagli eru- diti, i quali ne parlarono con lode in molti gior- nali, ed a poco a poco divenne sì ricercata, che og- gidì non è sì facile a trovarsi. Non nego che non abbia alcun che di difettoso nello stile soverchia- mente prolisso : ma oltre che questo era comune al maggior numero degli scrittori del secolo pas- sato, è ciò di gran lunga compensato dalle genuine e talvolta anco peregrine notizie che vi stanno riu- nite. Queste sono le opere che il nostro proposta dette a stampa, ma non le sole a cui attese. Molte e molte notizie già da lui raccolte somministrò al padre Mauro Sarti monaco camaldolese per la la- tina istoria De episcopìs eugubinis, e per la disserta- zione che vi premette De civitate et ecclesia eugubina. Né il buono e dotto monaco se le appropriò , ma quasi in ogni pagina fa menzione del Reposati. Così infatti alla pagina decima della prefazione si protesta: « Ego vero hac spe (cioè di compilare un' esatta e genuina storia) destitutus, et inopino casu perculsus animo concidi, deque abicìenda omni cura et cogitatione huius operis, quod nulla ratione per- fici posse videbam, cogitare caepi: sed cum et fidem meam obligatam haberem, et quidquid id est, quod iamdiu moliri caeperam etc, repente eliam esset i-epeptus diligentissìmus vir atque humanissimus Raynaldus Reposatus etc, qui mihi suppetias ferret et multa quibus maxime egebam monumenta ex ea civitate submitteret, rumpenda fuit mora omnis, nec diutius invado haereadum ». 76 Le notìzie coniunicate al Saili risgtiardano non solo le antichità istoiiche e profane della no- slra patria, ma eziandio quelle degli uomini illa- stri per santità, avendo il detto monaco compiuto per intero quanto il Reposali avea riunito in un ben ampio volume, la cui pubblicazione dopo ciò si renderebbe oggidì inutile. Avea pur compilalo sulle tracce del lacobilli e dell' Armanni alcune brevi memorie intorno agli scrittori eugubini, che inviò al famoso conte Mazzucchelli per iscriverle nella sua notissima opera degli scrittori italiani. Fu il Reposati aggregato alla nobiltà di Mon- tefano, che in benemerenza volle dare quesl' alto di gratitudine al suo zelante proposto- In oltre fu ascritto air accademia di storia ecclesiastica aperta in Osimo da monsignor Compagnoni già ricordato, e in vari anni vi lesse piìi dissertazioni con ap- plauso di tutti i soci: air accademia umbra, che apertasi l'anno 1761 il volle annoverato fra i suoi primi membri: e alla nostra degli Ansiosi , allor- quando nel 1770 eruditi e nobili cittadini si dieron cura di farla risorgere a nuova vita, che fu per altro assai breve, essendo tornata con danno delle patrie lettere a giacere nel primiero suo sonno, né so quando mai verrà essa dal suo letargo svegliata. Oltre il Trotnbelli e il Compagnoni già ricor- dati , godè la slima del Tiraboschi, del Zaccaria , del Visconti , del Cancellieri, e degli uomini più dotti del suo tempo, specialmente di Roma e di Bo- logna, nelle quali città erasi fatto amare ed ammi- rare. Sopra tutto caro lo aveano i prelati, di poi cardinali, Francesco Carrara ed Antonio Rusconi, i 77 quali aveano veduto in Gubbio il museo di lui: anzi avendo il Reposati tessuta la istoria, ossia le vite de' papi e di cardinali da Innocenzo Vili fino a Clemente IX , ove incominciano quelle del Guar- nacci, i suddetti prelati la vollero per leggerla du- rante il tempo in cui sarebbonsi in Gubbio stesso trattenuti; quindi desiderarono di averla in proprietà, dando all'autore in compenso alcune medaglie d'o- ro. Non avendo egli a ciò condisceso, se la porta- rono in Roma a titolo di prestito, né più la riman- darono all' illustre autore, che di tale perdita restò oltremisura dolente (14). Fu il Reposati abbastanza fornito di beni di fortuna: ma è assai a dolere, come in principio di- ceva, che non isfuggisse la invidia de' suoi concit- tadini, i quali lo sospirarono lontano , e lo perse- guitarono presente- Già narrai che il vescovo gli ri- cusò le commendatizie n« il voleva canonico del maggior tempio: ora aggiungerò che il buon vec- chio venne tacciato di ampollosità, di vanagloria: si credette che egli solo volesse nella città aver nome di dotto: e si giunse perfino a comprare la sua opera sulla zecca eugubina, per farla in pezzi, e quindi daila a'merciaìuoli acciocché v'involgessero le acciughe e le arringhe Cosa che oltremodo af- flisse il nostro autore, vedendosi dileggiato per quello stesso per cui dovea venir messo in onoranza. 11 ritratto del nostro Reposati fu più tardi col- locato nella sala del comune fra quelli degl' illustri eugubini; è di buona mano e per sentenza di quanti il conobbero assai somiglievole. Con lui finiva l'o- norata schiera degli scrittori eugubini morti nel 78 passato secolo ; ed io mentre piango sulle loro tombe, ben di cuore mi auguro che la mia patria anco nel presente secolo possa andare superba d'in- gegni, ch'emulando gli antichi, poiché si è perduta quella del commercio e delle arti , le conservino almeno la gloria delle scienze e delle lettere. NOTE (1) Pietro Lucarelli, altro mio concittadino, è lungo tempo che sta raccogliendo le memorie {sto- riche degli uomini illustri della comune patria in scienze, lettere ed arti, col desiderio di renderle di pubblico diritto. (2) Le prime memorie di questa famiglia si hanno in una tabella antica de' confratelli della chiesa di Vetturina nel sobborgo della Porta di s. Pietro, esistente nella sagrestia fatta verso il fine del 1400, o in quel torno- Ivi fra essi confratelli è annoverato Bartolomeo di [iUca Reposati. Nel 1561 fra le fondatrici di questo monistero delle cappuccine, eretto sotto il vescovato di monsignore Mariano Savelli, fu pure una Giulia [\eposati, che assunse il nome di Caterina, e fu di tanto merito da essere mandata dai superiori a riformare in Ca- scia il monistero della Ss. Trinità, ove terminò san- tamente la vita. Veggasi il padre Sarti De episcopis engubinis cap. Vili della dissertazione. Aveano essi contratti matrimoni con i Carda, con i Riccardi, con li Andreoli detti del Cortese , 79 e con i Cenni, come può vedersi nei rogiti di Ot- taviano Castellotti sotto il dì 29 gennaio 1617, Cherubino Fiori 13 giugno 1618, Sebastiano Pro- fili 6 luglio 1677, tutti notai di Gubbio. Nel libro maestro di Martinozzo Billi, depo- sitario della confraternita di s. Maria de' Bianchi, dall'anno 1625 fino a tutto luglio 1630 a carte 37 è notato: « A dì 14 novembre 1626. Ottavio Repo- sati battiloro deve dare scudi 10 avuti contanti per a buon conto dell' oro che dà per gli ornamenti a paoli 56, il migliaro. » E in altra partita di detto libro è registrato: « A dì 16 giugno 1628, a carte 56. riceve il detto Ottavio battiloro scudi 7 mo- neta. » Sembra però che Pietro Paolo Reposati e i di lui genitori si fossero trasferiti in Perugia ad esercitar V arte dell' orefice. (3) Allora non si conosceva il metodo di tra- sportare gli affreschi dal muro in tela, metodo uti- lissimo per la conservazione di tanti preziosi mo- numenti delle arti belle. (4) A perpetua memoria leggesi nella chiesa di Pudule la seguente epigrafe. « Novum hoc praesbiterium anno reparataesa- lutis 1750 Raynaldus Riposati, Eugub. huius ec- clesiae parrocus, proprio aere a fundamentis ere- xit ». (5) Così monsig. Carrara gli partecipava questa grazia sovrana: « Dal Santo Padre istesso sono stato certificato di averle conferito il canonicato vacante, e quello che aggiunge pregio alla grazia si è, che dopo veduti i suoi requisiti tanti e sì distinti si è dichiarato contento di averle dato questo contra- 80 segno (Iella slima che ha concepito in quest' in- contro del suo merito, tanto colla chiesa virtuosa- mente servendola in tanti impieghi ecclesiastici , quanto collo slato pontificio, e colla santa sede in particolare, coll'opera della zecca di Gubbio, e con gli uomini benemeriti delle scienze e dell' erudi- zione, quali furono il padre Sarti e 1' abate Tira- boschi ». E poco dopo in altra lettera segnata 18 di marzo 1777: « Dopo la beneficenza del sommo dispensatore d' ogni bene Iddio , e dopo la coope- razione del di lui supremo vicario, V. S. Illma deve attribuire al vero merito delle sue ecclesiasti- che fatiche la collazione del canonicato fattole , e la pensione cancellata dall' Emo pro-datario , al primo cenno che gli è stato fatto, non avendo nep- pure aspettato una formale istanza ». (6) Il padre Innocenzo Balestrari minore con- ventuale, benché nato in Montone, diocesi di Città di Castello , nondimeno possiamo dirlo eugubino , perchè figlio di questo convento di s. Francesco , la cui chiesa incominciata a rifabbricare condusse a fine impiegandovi buone somme di danaro: per- chè si sottoscriveva sempre coli' aggiunto da Gub- bio: perchè vi dimorò oltre 22 anni. Fu uomo di gran dottrina, teologo di monsig. Cavalli , profes- sore di teologia dommatica nel seminario. Fatto con- sultore del s. officio, il suo parere bastava a cam- biare tutti i voti de' cardinali e de' consultori. Di- venuto vecchio sì elesse a successole il padre mae- stro Lorenzo Ganganelli, di poi pontefice col nome di Clemente XIV, né altro bramava che chiudere i suoi giorni in Gubbio. Mentre si affrettava a par- 81 tire, morì in Roma il 9 di aprile 1746, e fu con particolare onore sepolto nella chiesa de' SS. XII Apostoli. Benedetto XIV gli die il titolo e i privi- legi di ex-generale dell' ordine serafico. (7) Vedi il mio elogio di Susanna le Maitre Mengacci. (8) Vedi la mia lettera; « Di mastro Giorgio da Gubbio e di alcuni suoi lavori in maiolica ». Pe- saro tip. Nobili 1857. (9) È a dolersi che dopo la morte del Repo- sati si disperdesse sì pregevole museo, (10) Il maggior numero dei ritratti della col- lezione Reposati ora si osserva nella sala del no- stro palazzo municipale. (11) Il corpo di questo beato da s. Maria del Monte fu trasportato alla nostra cattedrale , ove con grande venerazione si conserva nell'altare dello stesso nome una volta di iuspadronato de' Gabrielli, ora della mia famiglia. (12) Loreto tip. di Federico Sartori. (13) Cesare Cantù , nella storia degli italiani voi. 5 pag. 214-, parlando delle genealogie di al- cune case, le quali dettero occasione di porre in luce nuovi rogiti, nomina Rinaldo Reposati fra co- loro che illustrarono la famiglia Sforza e dei duchi d' Urbino. (14-) Quest'opera venne ricuperata da monsig. Giacomo Ranghiasci in Roma, ed ora conservasi originalmente nel mio archivio con vari altri scritti del nostro autore. G.A.T.CL. 82 Sul valor probativo dei sintomi nella diagnosi del veneficio, ed in ispecie in quello della stricnina. Del prof. Carlo Maggiorani. JLieggendo gii ultimi annali di igiene e di nfiedicina legale stampati a Parigi mi bar goduto l'animo nel trovarvi una memoria del prof. Sardien sull'avve- lenamento colla stricnina, in cui questo autore, già ehiaro per altre pregiate scritture, promulga alta- mente il principio del sommo valore che spetta al criterio dei sintomi come segno diagnostico di quel venefìcio. Me ne ha goduto l'animo, non tanto per la conformità di tal principio a quel che io vado insegnando da molti anni nelle mie lezioni di tos- sicologia forense , e che ho pure espresso chiara- mente nei Prolegomeni allo studio della medicina politico-legale, ma soprattutto per la concepita spe- ranza che nomi illnstri , e pesanti autorità e fatti strepitosi giungano infine a sciogliere i vindici della giustizia dalla servitù che or gli avvince all' inse- gnamento di Plenek: unico segno certo del propi- nato veleno consistere nel ritrovamento della sostanza venefica. Questo principio scolastico sollevato alla potenza di assioma, e assunto indistintamente a guida di ogni giudizio criminale, ha spesse volte paraliz- zato il braccio della legge penale, e in mezzo a splendide prove è rimasto impunito il delitto. Im- porta adunque alla pubblica sicurezza che si spezzi questa catena, e che si conosca dai giusdicenti la 83 verità dell' altro effetto; potersi cioè in alcuni casi dimostrar pienantiente il venefìcio, senz' anche aver ritrovato il veleno. Il Tardieu ha espresso senza ambagi il pensier suo intorno a questa possibilità, a Gli è precisa- mente, egli scrive, nei casi ove sospettasi l'uso dei veleni organici così difficili , e troppo spesso im- possibili a ritrovarsi in mezzo agli scomposti tes- suti, che dovrebbe riporsi ogni cura a raccogliere ed analizzare tutti i segni offerti dallo studio dili- gente e circostanziato dai fenomeni morbosi. Im- perocché in molti casi questi segni, ove siano ben osservati e conosciuti, potranno essi soli illustrare le questioni medico legali , che si sollevano nel processo criminale di veneficio ». E poco dopo lo stesso autore soggiunge che' « ove fallisca la chi- mica, i lumi desunti dalla fisiologia e dalla pato- logia riprendono il primo posto: e se i precetti di queste scienze siano ben applicati, e interpretatine con prudenza i risultamenti, la causa della verità potrà essere utilmente servita, e grandemente aiu- tato il ministero del giudice , che sappia porli in bilancia insieme agli elementi morali ». La medesima dottrina era stata già promulgata dal Chrishson nel suo lodatissimo trattato dei ve- leni, ove esaminando a fondo il valore degli argo- menti capaci a dimostrare il seguito avvelenamento si esprime colle seguenti parole: « L'analisi chimica è giustamente considerata come la prova più deci- siva del venefìcio: ma alcuni tossicologi sono an- dati sì oltre da sostenere che senza il criterio chi- mico non si ottenga mai una compiuta dimostra- 84 zione deiravvelenamento. Io non posso affallo con- correre in tale opinione: ho accennato altra volta alla inesattezza di questa dottrina , e trattando dei veleni in ispecie mi cadrà in acconcio di mostrare le eccezioni a cui va soggetta: basti per ora V in- dicarla erronea rispetto a quelle accuse di avvele- namento, in cui i criteri medici non valgono a designare alcun veleno in ispecie e prendono solo di mira qualche classe di tali potenze. Anche in questo caso io stimo che possa esservi sufficiente prova nei sintomi e nelle apparenze morbose, senza alcun aiuto dell'analisi chimica ; in modo da ren- dere il veneficio così altamente probabile , che uni- teci le prove morali, niun uomo ragionevole abbia ad accogliere il più lieve dubbio sulle verità del fatto. » E poco dopo discendendo lo stesso A. all' e- same dei veleni in particolare , giunto agli acidi minerali dichiara che « gli acidi solforico e nitrico appartengono a quel novero , in cui può ricavarsi dai soli sintomi una prova convincente dell' avere operato sul corpo vivo. Fa\ infatti se subito dopo aver trangugiato un liquidò che cagiona senso di ardore nelle fauci, nell' esoftigo, nello stomaco, com- parisca un vomito sfrenato , e tanto piìi se il re- citiccio sia commisto a del sangue ; se la bocca spogliatasi del suo epitelio divenga bianchiccia o gialla, e le gote, il collo o le parli vicine mostrino vessichetle, ovvero macchie escoriate di color giallo 0 bruno ; se le vesti offrano macchie rosse e in que' punti siano disorganizzate: io non so vedere opposizione alcuna all'inferirne che è stato ingoiato 85 l'acido solforico o il nitrico. Mi sostiene in questa opinione la valevole autorità del D. Mertzdorff ». E scrivendo in seguito dell' acido ossalico lo riguarda come un veleno « della cui azione può talvolta ( benché non sempre ) trovarsi una prova distinta nei sintomi. Perocché se un individuo, dopo aver ingoiata la soluzione di un sale a forma cri- stallina , che sentiva schiettamente e fortemente l'acido, detto fatto sia assalito da senso di bruciore nella gola, e quindi nello stomaco , vomitando in ispece materie sanguigne , e intanto il polso fac- ciasi impercettibile, e cadano immantinente le forze, e la morte segua dopo lo spazio di una mezz'ora, od anche di venti quindici o dieci minuti , io non veggo sorgente d' inganno al concluderne che trat- tisi dì acido ossalico. Ninna malattia analoga co- mincia sì prestamente e finisce sì tosto: niun altro veleno a forma cristallina produce gli stessi ef- fetti ». Pari ammaestramenti ne porge 1' A. rispetto al sublimato, alla noce vomica ed altri veleni; ma non credo necessario di trattenere il lettore con ulte- riori allegazioni del testo, bastando il fin qui detto a mostrare come insigni scrittori adottino il prin- cipio del potersi enunciare un giudizio di avvele- namento, senz'anche la invenzion del veleno, e fon- dandosi unicamente sull'andamento e sulla qualità de' fenomeni morbosi. E bene a ragione: perocché la forma morbosa non é un fatto casuale e capric- cioso: e quando ne siano sceverati i sintomi, che possono prorompere dalla idiosincrasia dell' indivi- duo, da qualche morbo preesistente , dai risenti- 86 menti consensuali , dai rimedi adoperati , e dove distinguansi i fenomeni primitivi dai susseguenti e si tengano a conto le complicazioni derivate dal concorso dì altre cause; questa forma dovrà man- tenere, e palesare un rapporto colla potenza nociva. Come i contagi e i miasmi, così i veleni inducono turbamenti e determinano fenomeni che svelan la loro origine. Se l' apparizion de' medesimi riesce quasi sempre tumultuaria, mercecehè l'assalto è su- bitaneo e procede da potenza grandemente ostile air organismo, che non era gradualmente preparato a sostenerlo ; se la scena morbosa offresi talora vaga e indeterminata pel pronto insorgere di cento riverberi, e per la rapida successione delle evenien- ze patologiche; se la breve durata della malattia si oppone spesso alla ripetizion delle indagini e alla conferma dei fatti: tutto ciò non toglie che ove ai medico sia data copia di osservare l'avvelenato, e raccogliere gli opportuni schiarimenti sulla storia del male, ei non possa in molti casi fra '1 tumulto dei sintomi, in mezzo alla irruzione delle turbe sim- patiche, e nel giro di poche ore ravvisare il carat- tere indicativo della potenza venefica. Così p. e. neir avvelenamento per oppio col va- riar delle circostanze potranno mutarsi la espres- sione del volto che suol esser placida, lo stato della pupilla che suol esser contratta , la condizion del respiro che suol esser lento , il battito del polso che suol essere debole e irregolare , il modo delle escrezioni alvina e orinosa che sogliono sospendersi» e della traspirazione cutanea che suole accrescersi; ma l'aggravamento successivo del capo che finisce 87 in profondo sopore, con questo di speciale che l'in- fermo possa essere un tratto riscosso dall' applica- zione di stimoli, non fallirà mai alle ricerche dia- gnostiche del perito. Nel venefìcio per belladonna potranno mancare i tremori e le convulsioni, la sic- cità delle fauci e le difficoltà d' inghiottire, le mac- chie rubiconde al collo e alla faccia, fenomeni as- sai frequenti in tal contingenza; ma il delirio vago congiunto alla dilatazione della pupilla e al turba- mento della funzion visuale non verrà meno alla espettazione del medico esploratore come gruppo di segni distintivo di tal veneficio. Le nausee, i vo- miti, i capogiri, le veglie, la salivazione , i sudori profusi , le convulsioni , il fremito vibratorio dei polso ti lascerebbero tuttora incerto sulla qualità della potenza nociva; ma quando i battiti delle ar- terie si facciano deboli, irregolari, intermittenti di- scendendo anche fino ai 40 io mezzo alla general depressione delle forze , al turbamento della vista e all'aumento della secrezione orinaria, tu ravvisi allora 1' azione venefica della digitale. I vomiti sfre- nati, l'ardore alle fauci, la cardialgia, la colica, le deiezioni alvine sanguinolente, il volto acceso , la sete ardente con penosa deglutizione dei liquidi ed avversione ai medesimi, il delirio e le convulsioni non ti ammaestrano abbastanza sulla specie del ve- leno; ma se vi aggiungi il sapore acre e disaggra- devole della sostanza sospetta, il priapismo, la stran- guria e il tenesmo, non esiterai a riconoscere le cantaridi. Or fra i veleni, ai quali compete una forma morbosa particolare, e però capace a differenziarli, si annovera anche la stricnina, anzi vi occupa essa un posto distinto. Ed infatti la sola malattia che spiega apparenze consimili agli effetti di tal veleno, voglio dire il tetano spontaneo, ne dista pure a sì lungo intervallo da poterne, chi ben vi attende, di- sconoscere la origin diversa- Mano adunque alla diagnosi. E in prima si avverta come dovendosi qui pre- scindere dal traumatico, che ha cagion manifesta , il tetano da cause comuni non si presuma, poiché per consenso di tutti i pratici nei nostri climi è rarissimo ad avvenire. E dove non sia ragione ad escluderlo, converrà cercarne una causa adeguata ; un male sì formidabile non si genera certo per lievi cagioni» La causa poi più frequente del tetano spon- taneo consiste nel refrigerio del corpo per a/ion prolungata di fresca temperatura sull' uomo sudan- te , o almen riscaldato. 1 due esempi recati dal Sauvages, l'uno veduto da lui stesso, l'altro tolto alla storia peruviana, accennano a tale origine- « Vidi hortulanum adolescentem hac specie correplum (tetanus tonicus) postquam calente corpore puteum rotatorium descendisset , et frigus humidum ibi passus esset. » E dell'altro scrive: « Cacicus ex Cu- sco Limam accessit, ibi vero sudoribus diffluens ex lecto exsilivit , et pedibus nudis aeri frigidiusculo se exposuit, a quo ipsi incolae multum cavent, pe- ristromatis pavimento instructis utuntur, et non nisi post horae quadrantem a quo tempore e lecto sur- rexerunt, se aeri exponere audent; quibus cautelis neglectis Cacicus toto corpore obriguit etc. » A chi amasse di comparire erudito sarebbe facile di rac- 89 cogliere autorità di antichi medici e di recenti con- fermanti lo stesso fatto. « Dopo le ferite, dice l'A. dell' articolo Tetano nella Enciclopedia medica in- glese, la causa eccitante più frequente si è l'espo- sizione a freddo e umido. In fatti si hanno pochis- simi casi di vero tetano idiopatico riferibile ad al- cun altra causa eccitante marcata ». E S. Frank, minutissimo spigolatore di cause morbose, dopo aver esposto le mille occasioni di tetano per offese mec- caniche, procedendo alle igieniche pone in fronte a tutte il « refrigerium praecipue susceptum dor- miendo super solum humidum, flumen pervadendo, vel sub actu submersionis: » e racconta in nota di due fratelli « quorum nalu maior 17 annos , mi- nor 14 numerabat. Rustici hi lignis in aliena sylva caedendis et coUigendis intenti ac profuso sudore madidi, cum a custodibus nemorum deprehensi et prosecuti fuerint, fugam tentando ad rivulum per- ducti illud pervadere debuerant. Quo superato, cum cursum renovaverint, natu minor circiter quinqua- ginta adhuc passus, maior vero centum fere absol- vit, ad quam metam perducti veluti exanimes , et emprosthotono correpti humum prosternebantur ». Io stesso che scrivo queste pagine in ben trenl'anni di medico esercizio ho veduto tre soli casi di te- tano non traumatico, e tutti e tre avevano oiigine da prolungata azione del freddo umido sul corpo sudante. E per verità non ci è causa che più for- temente della predetta sia capace a far rinvertire le correnti nervose , e a stabilire una prepotenza delle forze centripete sulle centrifughe, in che ap- punto sembra consistere la morbosa condizione del 90 tetano. Quanto adunque al criterio etiologico, il sa- pere che la malattia in questione non è stata pre- ceduta da refrigerazione del corpo bagnato o estuante si avrà in conto di indizio negativo della origine sua da cause comuni. Un altro indizio differenziale si desume dal modo d' invasione e dall' andamento della malattia: impe- rocché quantunque Areteo ne insegnasse che il te- tano « omnes subito et alFatim corripit » tuttavia le ripetute osservazioni dei successori hanno mo- strato come fra l'impressinne della potenza nociva e la manifestazione solenne dello spasmo soglia de- correre quasi sempre uno stadio di prodromi con- sistente in ribrezzi, vertigini , senso di formicola- mento alla fronte, veglia e cefalagia. Ad ogni modo sianvi 0 no segni precursori , gli è però quasi co- stante che il tetano da cause comuni invada col trìsmo e colla rigidità del collo lo spasmo tonico degli altri muscoli volontari del tronco e delle mem- bra, manifestandosi poi successivamente. Per con- verso nel tetano da veleno l'attacco è sempre re- pentino pochi momenti dopo aver inghiottito cibo o bevanda , e testa e tronco sono assaliti ad un tempo , e rovesciati con gagliardìa all' indietro. A queste differenze, che indiziano 1' origin del male, si può aggiungere il dolor lancinante che dal fondo dello sterno si dirige alla spina; appena si fa sen- tire questo dolore, che gli spasmi di tutti i mu- scoli fannosì piij veementi: questo morboso feno- meno non suol manifestarsi nel tetano da veleno , ed è costante in quello da perfrigerazione del cor- po, come pur nel traumatico. 91 Fin qui si è parlato di indizi che per certo non basterebbero a cerzioiarne sulla vera origin del te- tano ; vi sono però dei segni che non patiscono eccezione, e sui quali può fondarsi sicuramente il giudizio diagnostico. Questi segni consistono nella forma e nella durata della malattia. E per verità nel tetano da cause comuni lo spasmo è perma- nente, e solo a quando a quando e per brevi istanti or per moleste impressioni, or per applicazione di stimoli od anche per interne cagioni, le contratture muscolari si fanno più intense e dolorose: l'anda- mento adunque del male è la continuità con brevi ed irregolari recrudescenze. Al contrario nel tetano da stricnina lo spasmo si manifesta ad accessi che hanno maggiore o minor durata , che si ripetono più spesso 0 più tardi, ma che sono sempre inter- vallati dà remissione e da calma: la forma adun- que di questo tetano speciale è a parosismi. Tale criterio però non è costantemente efficace che nei primi stadi della malattia, progredendo la quale Io spasmo può farsi permanente anche nel tetano da veleno; come se ne avrà esempio nel caso riferito qui appresso. Lo spasmo inoltre non solo si an- nunzia ad insulti, ma questi spiccano notabilmente dai periodi di calma per la loro veemenza: il corpo in fatti è come lanciato al di sopra del letto , ri- gide e convulse le membra , la loquela impedita , oppresso e quasi sospeso il respiro , i battiti del cuore irregolarissimi, turchiniccia o violacea la pelle, gli occhi fissi e protuberanti; il malato è nelle an- gustie di morte. 92 Un' altra prova, ed ò la più salda , si desume dalla durata diversa del male secondo la origin di- versa. Poiché non si vide mai tetano da perfrige- razione del corpo o da altra causa comune correre i suoi stadi verso la guarigione o la morte in men di tre giorni, e la durata media di esso si calcola dai cinque ai sette. Dall' altro canto il tetano da veleno può toglier la vita in un'ora, ed è assai raro che non la tronchi in poche altre. Al valor proba- tivo di tal criterio potrebbe opporsi la possibilità di imitare un tetano spontaneo con tenui ma rei- terate dosi di veleno. Credo che questo stile di avvelenare non sarebbe sempre facile a praticarsi , nò si nasconderebbe alle ricerche diagnostiche ove fosse messo in esecuzione. Ed in fatti o le piccole e ripetute dosi furono suffìcenti a produrre il ve- netìcio e non la morte , ed avremo una serie di brevi malattie staccate e distinte da periodi di cal- ma perfetta ; ciò che non avviene mai nel tetano spontaneo: ovveio le prese furono da principio si scarse da produrre disturbi multiformi, ma non for- me proprie di avvvelenamento , e questo in fine manifestavasi per maggior quantità propinata , ed allora si rientra negli avvenimenti comuni. E tale fu appunto il caso che motivò la nota condanna di Palmer, la cui vittima (Cook) fu per sei giorni bersaglio ai conati dell'avvelenatore : ma la forma tetanica non si manifestò in lui che nell' ultima sera, dopo aver inghiottite ben due pillole, ove con- tenevasi la quantità di stricnina capace ad uc- cidere. 93 Del resto ove pure una languida somiglianza fra il tetano spontaneo è la forma morbosa delTav- velenamonto ripetuto a piccole dosi involgesse nella fatti-specie tali dubbiezze, da giudicar probabile la origin del male da cause comuni, quando la è ve- ramente da criminose, Terrore, come ognun vede, sarebbe favorevole all'inquisito. Un reo sfuggirebbe alla pena meritata, ma non potrebbe mai temersi il sacrificio dell' innocente. Rimane pertanto il suo gran valore al criterio de' sintomi nel veneficio da stricnina; poiché o questi sono diligentemente rac- colti e avverati, e corrispondono appuntino agli ef- fetti che molteplici osservazioni, e ben condotte esperienze sugli animali han dimostrato prodursi costantemente da quel veleno, e non da altre cau- se , ed avremo una prova irrecusabile della sua azione: ovvero le circostanze del fatto sono dub- biose, la malattia prolungata , la forma indistinta , e il criterio dei fenomeni morbosi non verrà as- sunto a prova del fatto, e resterà nella sua incer- tezza. Ove non parlino gli altri argomenti, il brac- cio della giustizia sarà paralizzalo, ma non vibrerà ingiusti colpi. Non si biasimi adunque il contegno dei giudici inglesi che ritennero per dimostrata la generica del veneficio, per ciò solo che molti medici nella loro scienza e coscienza si chiamarono persuasi , che i sintomi offerti da Cook non potevano ragionevol- mente attribuirsi ad altra causa fuorché alla stri- cnina, e se non gli fu di alcun rallento a ricono- scere il delitto, e a pronunziar la reità il fallito ri- trovamento della sostanza venefica nelle viscere del 94 defunto. La convinzione morale acquistata a quei giurati dal modo onde Cook aveva perduto la vita rafforzavasi dalle altre circostanze del fatto, e uni- ficate le prove generiche alle specifiche risulta- vane la condanna di Palmer- Avvenimento forse grave anche nella storia criminale , ma degno per certo che vi attendano gli studiosi della medicina forense, provandosi loro da questo che il valore del criterio sintomatologico in alcuni casi di venefìcio non solo è stato giustamente apprezzato da più scrittori di medicina legale , ma ha saputo trovar grazia anche nei tribunali. Tanto più è necessario che i periti adoperino ogni cura a raccogliere di- ligentemente i più minuti fatti della storia del ve- neficio. E giacché il Tardieu , la cui memoria ha of- ferta occasione a questa breve scrittura , si lagna della povertà in che siamo di storie di avvelena- menti colla stricnina, e sollecita i medici a racco- glierle, io risponderò dal mio canto all' invito con due narrazioni di tal genere , facendole seguire da un egual numero di esempi di tetani spontanei da me osservati , acciò meglio ne comparisca la dif- ferenza. Avvelenamento colla stricnina. C- B. sessagenario , cui le crescenti traversie della vita avean fatto perdere il governo di se stesso, dispose di togliersela colla stricnina, e ne in- ghiottì sei grani in forma pillolare sei ore incirca dopo il pasto. Il veleno cominciò a manifestare la 95 sua azione un' oia dopo essere stato ingesto- Gli accessi tetanici offiivansi da principio lievi e se- guiti da perfetta calma ; in seguito la rigidità del corpo fu permanente, ma a quando a quando ripete- vansi delle contrazioni, durante le quali i membri inferiori sollevavansi notabilmente dal piano oriz- zontale del letto, e si tendevano i superiori spin- gendosi air innanzi, acquistando al corpo la forma di un arco. Toccare il polso , avvicinare il cuc- chiaio alla sua bocca, era lo stesso che determinare una di queste scosse, che seguivano anche più for- temente, ove si posasse la mano sul capillizio. La positura del malato, quattr' ore dopo inghiottito il veleno, era colla palma destra appoggiata all' occi- pite, e la sinistra al sacro- Chiedeva aiuto istante- mente, dicendo che sentiva afferrarsi la spina. Ad ogni insulto tetanico teneva dietro un profuso su- dore; durante l'insulto i polsi eran piccoli e la re- spirazione difficilissima con apparente dilatazione delle narici. Il volto era composto al patimento; ]' infermo non poteva cavar fuori la lingua, ma la loquela a voce bassa non era impedita. Le facoltà mentali si mantennero illese. Sul finir della breve malattia fuvvi un periodo di tanta calma, che un medico circostante ne trasse augurio di guarigione, e andava esigendo dall' infermo una solenne pro- messa che mai più non avrebbe attentato alla pro- pria, vita allorché un più fiero accesso lo estinse in un tratto. La morte avvenne sei ore dopo aver preso il veleno, e con tutte le apparenze dell' a§- fissia. Quattro grani di tartaro emetico non basta- rono a provocare il vomito: furono amministrati 96 1' olio di mandorle dolci e la tintura di lodo, ma senza alcun frutto. In tutto il tempo che durò lo spasmo il ventre fu chiuso, ed impedita la escre- zion delle orine. Segue l'apertura del cadavere. « Si è rimarcato esser la mascella inferiore strettamente chiusa contro la superiore , e che le dita delle mani sono così strette fra loro , e così piegate da esser impossibile di stenderle , i piedi sono piuttosto distesi, la pianta fortemente curvata verso il dorso, i tendini estensori delle dita estre- mamente tesi , le dita ripiegate verso il dorso del piede, per quanto le articolazioni possono permet- terlo. Aperta la cavità del cranio , notando che la figura in genere del med. non è molto regolare, il diametro antero-posteriore del medesimo essendo di poco pili lungo del trasverso. Molta sierosità trovasi raccolta nella pia madre, iniettatissimi sono i vasi sanguigni di questa membrana , iniettati , e con vescichette idatidose, i plessi coroidei, iniettati pur anche i vasi sanguigni del cervelletto. Moltis- simo sangue liquido cola dallo speco vertebrale. Aperta la cavità del petto, siero sanguinolento , e tanto sanguinolento da sembrare puro sangue, tro- vasi in qualche quantità nella cavità tanto destra che sinistra; i polmoni, molto flaccidi, possono nel resto dirsi in stato normale; il cuore perfettamente vuoto, ed estremamente flaccido, e bagnato da giu- sta dose di sierosità esistente nel pericardio. I grossi vasi venosi contengono sangue , ma non in gran co*|DÌa. Aperta la cavità del basso ventre, a primo aspetto nulla si scorge di innormale. Aperto lo stomaco vi si sono trovate delle materie liquide di 97 color rosso bruno, e la muccosa, specialmente dal lato del cardias, era sparsa di piccole macchie di color rosso vivo, disposte a forma di grappolo- 11 fegato nello stato normale, la vescichetta del fiele perfettamente vota, piena d'orina la vescica orina- rla, flaccida e voluminosa la milza , gli intestini quasi voti senza alcuna visibile alterazione. Aperto finalmente lo speco vertebrale si è trovato ripieno di sangue , niuna alterazione di consistenza si è potuta rimarcare nella midolla spinale. Presso le quali cose tutte i detti periti alle opportune inter- pellazioni hanno giudicato, che questo individuo sia morto in conseguenza dell' azione venefica della stricnina; e poiché trattasi di avvelenamento, è stato permesso di asportare una certa quantità di san- gue , le materie contenute nello stomaco ed inte- stini al sig. D. Ratti , che tutto ha collocato in un vaso di cristallo per praticarvi per sua parti- colare istruzione una analisi chimica, ec » Segue il risultato delle analisi ec. « La morte rapidamente avvenuta di ià. B., il non aver esso emesso alcuna materia, né por vomito, né per secesso dopo aver ingoiato il veleno , sem- bravano condizioni opportunissime per poter giun- gere coir analisi a separare una porzione della stricnina, che esso medesimo confessò aver preso, e che produsse quelP insieme di alterazioni pato- logiche che si trovano già registrate. Però le sup- posizioni non sono realtà: la stricnina è un veleno organico, e perciò alterabile, alcune ore pure erano passate fra l'ingurgitazione del veleno e la morte; era interessante perciò verificare, se si potesse, sia G.A. T. CL. 7 98 nella materia coolenuta Dello sloinaco e nel tubo In- testinale, sia nel saugue, t'invanire alcuna quantiià del veleno. Furono queste le ragioni, come V. S, lllma ben ricorderà, per le quali io medesimo m'in- dussi a pregarla di concedermi poter prendere certa quantità di sangue, non che le materie che si tro- vavano nello stomaco e nelle intestina dell' infelice C, B. Ricorderà pure che avendo io solo in vi- sta di rinvenire in quel cadavere la stricnina, posi in un sol vaso tutte le materie soprannominate. Ora giunto al laboratoio chimico dell'università, avendo votato il tutto in una capsula di porcellana, trovai ehe verso il fondo del vaso eransi raccolti 6 coi*' picciuoli rotondi, «;he sebbene alquanto corrosi pur manifestavano ancora benissimo la forma e la con- sistenza delle pillole. Dalla uguaglianza loro e dal modo con cui erano impastate le materie che le costituivano se ne poteva dedurre d'essere state fatte da mano perita, vale a dire da un farmacista. Se- parate queste pillole e nettatane alla meglio la su- perfìcie, le posi in una capsuletta di porcellana, e sminuzzate le feci bollire con 1' alcool per ben due volto. Chiarito l'alcool con filtramento , ed assag- giato, si trovò amaro: postone parte in due cristalli da orologi e fatte evaporare a secchezza, aggiunsi al residuo dell' evaporazione in un cristallo del bi- cromato di potassa 0 dell'acido solforico, e ne ebbi delle strie di color violetto : nell' altro dell' acido piombico, e dell' acido solforico con 7io circa di acido nitrico, e ne ebbi pur un color violetto, che passò poi al rossastro ed al giallo , caratteristiche della stricnina. 99 In quanto poi a tutte le altre materie, le feci bollire con acqua acidulata con acido nitrico, sepa- rando per mezzo di filtramento la parte liquida dalle materie aggrumate , tratto il liquido stesso colla magnesia: ed il precipitato dopo averlo separato e disseccato con alcool. Anche quest'alcool si mostrò amaro, e trattato nel modo sopraindicato ne ebbi la medesima reazione. Non ho assoggettato le ma- terie ad altre reazioni, persuaso per le premesse cose che, quando pure il €. B. non avesse parlato, quando pur fosse mancata la storia delle sue sof- ferenze, e delle alterazioni patologiche trovate nel suo cadavere, la stricnina rinvenuta avrebbe dimo- strato r accaduto avvelenamento ». Frangesco dott. Ra^tti Presunto avvelenamento con la noce vomica (1850). La conladina A. R. pressoché ottuagenaria, ma sana e robusta, pochi minuti dopo aver sorbito a digiuno un caffè, fu asssalita repentinamente da in- sulti convulsivi che in tre ore la trassero a morte. Il medico invitato a soccorrerla racconta il fatta nel modo seguente. « La trovai in letto in sufficiente stato* Richie- sta cosa si sentisse , rispose , che dopo preso un caffè, che 1' era sembrato molto amaro , era stata assalita da forti convulsioni: per il che il chirurgo sig. L. 1. le avea somministrato un calmante: il quale da me osservato, ed odorato, conobbi essere acqua di lauro ceraso allungato con acqua comune e si- 100 l'oppo , del quale avea preso un cucchiaio. Mi disse pure che vari mesi sono, avendo sorbito altro caffè, le erano prese delle convulsioni. Le tastai i polsi e li trovai leggermente convulsi : per lo che senza praticare altre indagini me ne partii. Circa un mezzo quarto dopo venne a trovarmi nuova- mente il dott- G. e mi disse, che presto accorressi, che alla di lui moglie erano riprese le convul- sioni. Mentre facea la strada in compagnia del me- desimo, ed eravamo in vicinanza di casa, ci venne incontro M, C. e disse al figlio, che presto corresse a chiamare un prete: per cui egli tornò indie- tro, ed io entrai in casa. Penetrato nella stanza la trovai che un insulto convulsivo l'avea privata dei sensi , ma che ritornava in se. Essa ritornata in sensi disse , che era così prostrata di forze che non poteva più reggere. Tastati i polsi , e inteso che erano vibrati, progettai di farle un salasso; ma mentre si andava preparando 1' occorrente fu assa- lita da un nuovo insulto convulsivo. I fenomeni che io osservai in questo terzo insulto furono i seguenti: forti contrazioni muscolari alle braccia, per cui chiedeva agli astanti che la tenessero per le mani, che l'andava ad alleviare da quel malore, un certo stringimento alla gola, difficoltà nel respiro , moti convulsi con la bocca, occhi immobili ed appannati, di color livido il viso, perdita dei polsi, smanie in- terne, sudore profuso, travaglio allo stomaco , il viso contraffatto e rimpiccolito per la contrazione dei muscoli. Cessato 1' insulto e ritornata in se , avendo nuovamente trovali i polsi vibrati, mi do- 101 terminai a farle il salasso progettato, che, sostenne benissimo: per cui io me ne partii ». Un testimonio allegato negli atti processuali riferisce così: « La rinvenni in letto assalita da forti tremori, o convulsioni che fossero, che la sco- tevano da capo a piedi, e da forti smanìe, quale con- vulsione poi dopo vari accessi la fecero cadere priva di sensi con la faccia nera, e gli occhi aperti im- mobili con la pupilla sollevata in alto. Dopo es- sere stata per qualche momento così tramortita, si riebbe, ed accusò di andare in gran sudore. Dopo essere stata in calma per qualche tempo, ebbe un altro assalto di tremori e convulsioni; e interrogata in questa seconda volta, come mai così all'improv- viso le fosse avvenuto quel male, rispose che dopo aver preso un goccio di caffè, che V avea trovato amaro come un veleno, per quanto zuccaro il suo marito vi avesse messo ». Visum reperlum. « Aperto il cranio si è rinve- nuto fluente di una quantità di sangue scorrevole del peso di circa tre once ; si è trovata la dura madre aderente specialmente nella parte destra, ove si è scorto un qualche ingorgo; 1' aracroide si os- serva pure iniettata di sangue , e una porzione di siero coagulato ad esso sottoposto; tanto la sostanza corticale , che la midollare, in stato sano; voti e senza sierosità i ventricoli , il resto in stato nor- male. Osservati i lobi del cervello nel sinistro, ci ; si vede un qualche ingorgo, e di colore oscuro; esaminato il cervelletto, presenta un ingorgo mag- giore in tutti e due i lobi, come pure la membrana rispettiva ». 102 « Esaurite su tale cavità tutte le osservazioni dell'arte , si è proceduto all' apertura della cavità del petto alla presenza sempre dei surriferiti testi- moni: e posti allo scoperto i visceri sottostanti , i nominati signori fisici, dietro le più accurate osser- vazioni, hanno riferito quanto appresso ». « Aperta la cavità toracica, sollevato perciò lo sterno, si è rinvenuto il polmone libero in tutte le parti e senza aderenze, in sede, ingorgato, e di co- lore piuttosto oscuro; quindi alzati i lobi anteriori, sì è veduto il pericardio che nella sua cavità era voto, senza linfa , ed il cuore in sede presentando esteriormente e posteriormente iniettati i vasi della coronaria; aperti i ventricoli, si sono osservati in $tato sano contenenti un fluido di circa un' oncia. Asportati e tagliati ì lobi del polmone, nella loro sostanza si sono trovati iniettati di sangue, nella parte posteriore più oscuri, e crepitanti al taglio ; t^nto la aorta, come la vena cava, in stato sano contenenti poco sangue ». « Procedutosi dopo ciò all' apertura della terza cavita , mediante i feni anatomici , e messi allo scoperto i visceri ip essa contenuti, essi signori fi- sici hanno riferito come siegue ». « Aperto l'addome si è trovato in sede il fegato in stato naturale, egualmente la milza e gì' inte- stini, e 30I0 la stessja milza pressata alcune granu- lazioni, è si è ritparcata flaccida nella sua sostanza; esercitate quindi due legature, l'una nella parte su- periore al cardias, e l'altra inferiormente al piloro, per due dita trasverse, e legato così il ventricolo, ed esportato, colla stessa precauzione aperto si è WS introdotta immediatamente la materia contenutavi, che si è trovata dalla quantità di quattr' once e di colore oscuro , entro una fiala di vetro apposta provveduta. Dopo di ciò aperto esso ventricolo , il quale nella parte esteriore non presentava altera- 2kme patologica , abbiamo rinvenuto nello spazio circolare di due pollici alterata la villosa, precisa- mente nella parte più vicina al piloro : nel centro di essa superficie sferica si presenta un' alterazione più distinta della lunghezza di. un pollice e mezzo^ larga mezzo pollice circa, rimarcandosi di un co- lore amaranto: e la villosa alterata visibilmente, quale alterazione è rimasta sempre eguale alla lavatura ripetuta coli' alcool a tale oggetto proceduto. ( A tutte le osservazioni suddescritte, e a quanto i no- minati signori Tamburlani ed Illuminati hanno ri- ferito, il nominato sig. D. Pietro Ferroni, a tutto ciò presente, nulla ha saputo che opporre e rimar- care , avendo con ciò fatto segno che quanto da essi si è operato, si è praticato colla massima di- ligenza ed esattezza) ». Quindi essi signori fisici Tamburlani ed lllumi* nati hanno dichiarato non farsi luogo^per ciò che dal fisco si pretende infcracciare, ad ulteriore disa- mina sul cadavere: solo per esser l'ora tarda, per esser trascorse già le ore 23, non potersi) eserci:- tare altre osservazioni allo stomaco, riservandosi- Delio indimani a meglio esaminarlo; e perciò hanno insistito, che lo stomacoi indicato si conservi entro un qualche vaso aspersodi alcool^ onde preservarlo da qualsisia putrefazione , come pure che sia con- servato con la stessa precauzione il fluido trovato allo stomaco e versato sulla fiala indicata ». ■■■<^- ■ 104 Il dì seguente procedevasi ad una più minuta investigazione dello stonfiaco: ed « aperta la legatura dell' esofago, esercitata più sei dita traverse supe- riormente al cardias, e quindi fatte da noi nuove indagini, si ò rinvenuto per la porzione esofagea dei punti rossacei nella superficie con qualche amntol- limento nella «nembraua: rosaceo egualmenle nel cardias , e via via si osservano delle macchie più o meno scure di poche linee che tapezzano fra fac- cia interna. Osservabile però in quella parte cirjo- lare vicino al piloro , il colorito più acceso , più soffuso di queste macchie rossastre , specialmente nel suo centro: in direzione quasi obliqua al piloro, |>er la lunghezza di un pollice e mezzo, larghezza mezzo pollice circa, una zona di un rosso amaranto con ammollimento di sostanza, e della quale alte- razione, ma di un colore più pallido, si osserva an- cora nella parte circolare del piloro. La porzione inferiore al piloro , ossia la porzione del duodono corrispondente, potrebbe dirsi nel suo stalo natu- rale, marcato da una linea circolare, che ne forma una linea di divisione ». « Essendo state per tal modo esaurite tutte le ulteriori osservazioni nel ventricolo della defonta ec. » Invitati quindi i periti fiscali a manifestare il loro giudizio sulla causa della morte di A. R., ri- sposero: « Considerando che V inferma A. R. stava bene in salute prima del caffè, e che appena preso svilupparono i fenomeni in discorso; « Che detti fenomeni non sono propri del caffè, né capaci di svilupparsi di quella natura in qua- lunque persona sensibile; 105 « Che essendo noi condotti da lungo tempo in questa città abbiamo considerata la A- R. di ro- busto temperamento, e di non aver mai inteso sof- frisse di convulsioni e d' incòmodi , o meglio ma- lattie croniche, benché fosse ottuagenaria , corri- spondendo a ciò l'autopsia cadaverica, che non ci presentò punto ne aderanze polmonari, né indura- menti di sostanze, né induramento de' vasi , cose ovvie nei cadaveri di quella età; « Che la fìsonomia del quadro sintomatico che precedette ed accompagnò la morte dell' infelice , o meglio quegli accessi nervosi , non s' incontrano nelle donne isteriche o convulsionarie; « Concludiamo che la bevanda caffeata presa dalla A. R. non era innocente , ma associata a qualche materia o agente inaffine alla fibra; e che calcolati alcuni sintomi , e posti a confronto con le lesioni trovate nel ventricolo, che sono scosse tetaniche , accessi spasmodici ad intervalli, comparsa di para- lisi specialmente alle estremità inferiori, ardore, an- goscia interna, sudori profusi ec, si può con molto fondamento sospettare appartenere questo agente inaffine in mistione alla classe dei veleni organici, o dinamici-acri , come alla noce vomica , ed alla fava di s. Ignazio, e suoi preparati, essendosi os- servato primeggiare nella storia i sintomi specifici di questi agenti; ciò peraltro con qualche riserva , mentre definitivamente potrà concludersi ad eva- sione della domanda , quando il tribunale ci avrà fatti istruiti dei risultati della mano chimica , che abbiamo in oggetto implorala ». 106 Segue la perizia chimica, che dopo la solita formula si esprime in questi termini: u Presosi ad osservare la pentola, si vide che la sua bocca era coperta con carta, cu^ sotto stava come coperchio una rotonda tavoletta, i di cui bardi erano fermati all'orifìcio del vaso per mezzo di cera lacca di co- lor rosso. Questa però era rammollita , e la carta sopradescritta trovossi bagnata da un liquido avente l'odore dell' alcool, che manifestava come nel tra- sporto la pentola era stata in posizione da favorire l'uscita al liquido contenutovi. Tratto quindi il co- perchio, fu estratto lo stomaco dal vaso, senza che in fondo ad esso fosse rimasta alcuna goccia di queir alcool, che ci fu affermato esservi stato po- sto per preservarlo dalla putrefazione. « Portando poscia sopra il medesimo le nostre indagini, lo trovammo raggruppato e raccolto so- pra se stesso, avendo preso quasi una forma sfe- rica. Spiegatolo intieramente, ci accorgemmo che la esterna sua superfìcie offriva un leggero colore lividastro, e chiaramente appalesava esser sotto un incipiente processo di putrida decomposizione, seb- bene r odore tutt' ora conservavasi alcoolico. Esa- minata in seguito la superficie interna dello sto- maco in tutta la sua estensione ed in ogni suo punto, ninna particolare organica alterazione po- temmo riconoscervi, e solo nella porzion eesofagea si notavano alcune piccole macchie lividastre: un colore più livido ancora osservossi attorno alle por- zioni cardiache e piloriche , e precisamente nelle parti rinvenute maggiormente arrossate dai periti fiscali di Nocera. Niun rammollimento, ninna esul- 107 cerazione ci offrì 1' interna membrana stomacale , la quale però, tanto nel basso fondo, quanto in ogni altro suo punto, offriva macchie alquanto livide. « Compiuta così l'ispezione dello stomaco , e essendosi dopo attento esame trovato aderente ad alcun punto delle sue membrane alcun solido fram- mento inaffine alla fibra , passammo ad esaminare il liquido contenuto nella fiala di vetro cilindrica , la quale fummo assicurati, null'altro contenere che i materiali raccolti nello stomaco , nella quantità di circa quattr' once, più quel poco di alcool, con cui fu lavato lo stomaco stesso , e che vi si ag- giunse per preservarlo dalla putrefazione. Dissigil^ lata perciò la fiala, trovossi tappato il suo orificio da un cono di carta a più doppi , e che trovossi inzuppato di liquido, ed imbrattato da qualche so- lido frammento della natura stessa dì quelli che sì trovarono in seguito nella fiala. U liquido poi con- tenutovi, che era del peso di poco più di quattr'on- ce, piuttosto denso , di colore grigiastro , avente r odore dell' alcool, fu versato in una bacinella di bianca maiolica; e bene esaminatolo per conoscere se contenesse dei frammenti solidi in sospensione, si vide che allorquando il detto liquido era con una spatola rimescolato , venivano recati alla su- perficie ed in buon numero dei corpicciuoli, che poi cadevano al fondo. Separati questi per decantazione del liquido soprastante, e lavati poscia con alcool, furono essi in tal quantità, che dopo il prosciuga- mento presentarono il peso di circa grani 26. « Avevano questi la grossezza circa dei frammenti della crusca: tolti che furono dal liquido , e lavati 108 con alcool, ci si mostrarono costituiti di un tessuto organifco , impregnato di liquido. Posti poscia fra due corpi duri, quali furono la spatola d' osso , e le pareli del calino , essi cedevano alla pressione: osservali quindi con occhio armato di buona lente, ci si addimostrarono per tante sottili lamine incur- vate ed attorcigliate, semidiafane, e simili a quelle che si ottengono con la raspa dalla fava di s. Igna- zio, 0 dalla noce vomica , alla prima delle quali avevano maggiore somiglianza pel pagliarino loro colore quando erano inzuppate di alcool , ed alla seconda in grazia di un colore più biancastro e pallido, quando furono asciutte. Sparso poi fra que- sti frammenti in piccolo numero, e sotto un volu- me molle volle più piccolo e poco dissimili dai pulviscoli del polverino, vi erano degli atomi ne- rastri, che sembravano appartenere a caffè torre- fatto e macinato, dei quali però, attesa la scarsis- sima dose, non si potè tener conto- « Un buon terzo dei nominati frammenti fu se- parato dal rimanente, e lavato con alcool per esa- minarlo quindi dopo il loro prosciugamento: gli al- tri due terzi si nunivano poi al resto dei mate- riali contenuti nello stomaco per assoggettarli a chimica analisi- Porzione poi di questo terzo di frammenti, che furono lavati ed asciugati, fu espo- sta sopra una Uimina di ferra al color rosso, pro- curato per l'azione della lampada: durante la quale i frammenti ci si dimostrarono appartenere al re- gno vegetale, e lasciarono in Puie un carboonioso residuo. 109 « E poiché nessun fianimento di sostanza mi- nerale si ti'ovò nei materiali dello stomaco, e ninna lesione in questo viscere , che mostrasse di aver subita l'azione di veleni inorganici irritanti, poiché tutti i sintomi che precedettero la morte portavano il sospetto di un veneficio prodotto per V azione della stricnina , e si erano già nello stomaco tro- vati dei frammenti , che sembravano appartenenti a quei frutti secchi che la contengono , così non esitammo a risolvere che le nostre indagini dove- vano esser dirette a riconoscere se o nei materiali trovati nello stomaco, o nelle stesse sue membrane, qualche traccia si trovasse di quella sostanza ve- getabile sommamente venefica. « Ad oggetto di conoscere se della soluzione o di qualche sale di stricnina, o della stricnina istessa, o degli estratti alcoolici della fava di s. Ignazio o della noce vomica si trovassero per avventura im- bevute le membrane dello stomaco , noi di esse togliemmo alcuni pezzi, e nei punti principalmente ove le livide chiazze apparivano; e questi ridotti in minuti frammenti, facemmo per venti minuti bol- lire in alcool a 34.» Filtrammo quindi per carta l'alcool ben caldo, lo facemmo poscia evaporare in capsula di porcellana fino a consistenza di una pol- tiglia; e dopo di avere a questo unito piccola dose di calce in polvere , il miscuglio fu fatto bollire per pochi minuti con alcool a 36." Là soluzione al- coolica fu filtrata, tinta a quasi sciropposa concen- trazione, e quindi riposta ancor calda in boccetta a tappo smerigliato per farvi in seguito le debite esplorazioni. no « Questa tintura di color giallognolo non presentò il minimo sapore amaro : ed esplorata con acido nitrico, e con l'ammoniaca, non ci dette alcun in- dizio di contenere stricnina, né alcun sedimento di cristallizzazione: né l'osservammo nemmeno dopo il riposo di due giorni, a cui la tintura fu abbandonata; e questi fatti ci portano a conchiudere, che le mem- brane dello stomaco nello stato loro attuale non si trovavano imbevute da quantità almeno sensibile né di stricnina, né di alcun suo preparato. (( Dopo l'analitica esplorazione delle membrane dello stomaco, all'esame chimico passammo del li- quido (frigio, che dalla fiala vitrea cilindrica fu verr salo nella bacinella di bianca maiolica, onde bene osservare i suoi fisici caratteri. E per tale oggetto dalla bacinella fu versato in una capsula di por- cellana , sulla quale si versò ancora una discreta quantità di acqua acidulata con un decimo del suo peso di acido solforico, il tutto bene rimescolando. La capsula si tenne esposta per una mezz'ora al- l'azione della lampada ad alcool : e così per oltre venti minuti il miscuglio subì 1' ebullizione, quindi si neutralizzò il liquido con del carbonato di ealce in polvere, e si filtrò per tela. Il liquore filtrato si fece evaporare in capsula di porcellana, finché preso la consistenza di una pasta , la quale si trattò a pili riprese con acqua bollente a 4-0% e le tinture alcooliche riunite si fecero evaporare sino a quasi siropposa consistenza. Con l'alcool poi, che avea la- vato i frammenti solidi trovati in fondo al liquido grigio contenuto nella bottiglia, si trattò a caldo la materia rimasta sul filtro di tela: si filtrò poscia ut ancor calda questa alcoolica soluzione, e sì tirò quasi a siccità, sempre più moderando verso la fine l'a" zione del calore. Il qual secco residuo fu anch'esso a più riprese trattato con alcool a 40», e bollente. Le tinture alcooliche riunite si fecero evaporare a siropposa consistenza: e ridotte circa al peso di un sesto d' oncia, presentarono un colore leggermento rossastro. tt Porzione dì questa tintura alcoolica siropposa cimentata con qualche goccia d' acido nitrico , fu veduta volgere ad un color rosso più cupo di quello che avea: altra porzione dette un leggero fioccoso intorbidamento trattata con l'ammoniaca ; ma ci-"- mentata altra piccola quantità con qualche goccia d'un miscuglio fatto d'acido solforico con un deci- mo d'acido nitrico, aggiungendovi poscia tenuìssìma dose di perossido di piombo, non cambiò sensibiU mente il suo colore in bleu come fanno ì liquidi che tengono in soluzione la stricnina giusta le re» centi osservazioni di Marchand. Inoltre un' altra por-» zione della detta siropposa tintura abbandonata per due giorni al riposo, non si vide sonoministrare rU' dimento alcuno di cristallizzazione. Finalmente que- sta tintura, la quale assaggiata anche dopo di es- sere stata ridotta mercè l'evaporazione ad un quinto del suo primitivo volume, non dette sensibili indizi di amarezza, presentò poi, dopo di essere stata por- tata a siropposa consistenza un sapore alla prima impressione sulle pupille della lingua dolciastro , che poi volse decisamente all'ainaro, e ad un amaro simile a quello che offre la tintura e 1' estratto al- coolico della noce vomica o della fava di s. Ignazio, 112 (( Finalmente passammo all'esame del liquido contenuto nella bottiglia di forma globosa, che ci si attestò essere il residuo dell'alcool che fu adope- rato dai periti di Nocera per lavare le interne pa- reti dello stomaco, e che saggiamente fu pure ag- giunto ai liquidi materiali che dallo stomaco furono tratti. Quindi dissigillata la fiala dopo la ricogni- zione dei sigilli, il liquido assaggiato mostrò di non contenere alcuna sostanza sapida in soluzione, non avendo altro sapore che quello di un alcool poco concentrato. Fatto evaporare in una capsula d' ar- gento, non lasciò alcun residuo: assoggettato alla combustione in un cucchiaio di rame , bruciò con fiamma leggermente bluastra propria dell' alcool puro, lasciando un semplice umidore sull' interna parete, e fu quindi riconosciuto per un alcool de- bole non adulterato da verun' estranea sostanzji. Il Quindi ben ponderando i risultali delle ese- guite analitiche indagini, noi conchiudiamo che il ri- trovamento fatto nel liquido tratto dallo stomaco d'u- na materia in frammenti, la quale sebbene alterata dalle forze digestive, e più dal prolungato suo con- tatto con i succhi gastrici , e con la poca massa chimacea che si contenea nello stomaco, pure al- l' occhio armato di lente presentava caratteri esterni ben somiglianti alla raspatura dei semi della Stry- chnos Ignatitty e della Slrychnos mix vomica ; e il sapore sulle prime dolciastro e poi decisamente ama- ro, presentatoci dalle tinture alcooliche sopraddette, simile a quello della tintura , o estratto delle so- prannominate due Slnjcnos , sono due forti dati, i quali rendono molto probabile che i frammenti in trovati ncHo stomaco sieno raspatura di noce vo- mica o di fava di s. Ignazio, e quindi che questa raspatura come dotata di venefiche proprietà sia stata la causa della mort« di A. R. « IL" La circostanza poi notata al § 8." che la tintura alcoolica, sebbene moltissimo concentrata , pure non presentava un deciso sapore amaro (a se- gno che la scoperta di questo importante carattere sarebbesi perduta, se non fossimo stati cauti a spin- gere pii^i oltre r evaporazione e portare la tintura a siropposa consistenza) ci fece avvertire che la tintura alcoolica suddetta, mentre abbiamo molti dati per credere che contenesse la stricnina, abbia- mo in pari tempo tutta la certezza d'altronde che non potesse contenerla che in tenuìssima quantità, giacché sappiamo che essa è valevole a conciliare un sapore amaro sensibile anche ad un liquido al- coolico che ne contenga una millesima parte e nulla più. E piccola quantità appunto potea sperarsi che si fosse potuta trarre dai sunnominati frammenti , dopo che sono stati alterati dalle forze digestive , e più dal prolungato contatto pei* molti giorni col caffè, con lo zuccaro, coi succhi gastrici e le mu- cosità dello stomaco. Quindi non potendo la stri- cnina esistere, che in piccola quantità nella tintura alcoolica , ed in questa esistendo ancora un poco di materia colorante, da cui non si potè sbarazzare per mezzo del cloro, come in altri casi suol farsi, perchè una corrente di cloro avrebbe insieme con la materia colorante tolto alla tintura alcoolica an- che la stricnina, se l'avesse contenuta , ne segue che e la tenuissima dose della stricnina esistente C.A.T. CL. 8 nel liquido , e la esisten/.a in esso della nialei'ia colorante, possono benissimo riguardarsi come duo cause, le quali abbiano ai reagenti impedito di pro- durre sulla tintura que' decisi caratteristici cambia- n)a di quelle che so- gliono procurare la nevrosi, e specialmente la for- ma convulsivaf che destossi nella A. R. e che tanto bene furono raccolte da molti pratici, e spe- cialmente definite dal celebr. Giuseppe Franck. Che se invece la malattia nervosa, che tolse di vita la A. R., si volesse ritenere come il prodotto di ma- lattie esistenti in altri visceri, e specialmente di quelle che sviluppanti nell'apparato digestivo, sic- come il colera morbus asiatico o sporadico, la ga- strite aciita> r ileo o colica nervosa, l'ileo sintoma- tiòo, l'ernia incarcerata, la peritonite ec, malattie che nate talora per cagioni comuni possano con- fondersi con un avvelenamento acuto; pure diremo che in queste affezioni, sebbene negli ultimi stadi» suscitano talvolta una forma nervosa; colla necro- 119 scopia peiò fanno affermare maggiori lesioni nel- r apparato digestivo , di quelle che furono rieono» sciute nel tubo digerente di A. R.; oltre che il morbo si affaccia sempre con disesti funzionali delle vie digerenti. Siamo pertanto condotti a stabilire che la forma nevrotica da essa sofferta non può ripetersi né da morbo de' visceri addominali termi- nante con nevrosi, nò da nevrosi primitiva per cause interne naturali. «Fu dunque la forma morbosa e la morte occa" sionata da qualche sostanza venefica ? E questa la seconda parte del primo quesito , a cui ci prepa- riamo di dare categorica spiegazione. La sezione cadaverica fece raccogliere nello stomaco della Cen- tini un fluido contenente in digestione dei fiammenti di sostanza vegetale, che nello stalo normale non dovrebbero esistere. Questo fluido non conteneva ajcun che di sostan7,a alimentizia: per cui ci è duopo convenire che trovavasi questa donna, quando preso il caffè, a stomaco digiuno, nò i suddetti frammenti avevano l'apparenza di cibo. Dobbiamo pertanto ri- tenere che questi avessero proprietà inatìini alla fi- bra, per le lesioni rinvenute nello stomaco, e pei' i sintomi nervosi che si offrirono in scena; e quindi siamo autorizzati a stabilire, che quella sostanza ap- parteneva ai veleni narcotici-acri. E consultando tanto ì trattatisti di medicina pratica , quanto i tossicologisti, noi impariamo da essi che tra i ve- leni narcotico-acri la noce vomica o la fava di s. Ignazio agendo sul vivente organismo, può essere addivenuta origine di tutti i moibosi sconcerti re- gistrati nel processo in discorso. — Difatti secondo 120 Trousscau e Pidoux la noce vomica e la fava eli s. Ignazio sviluppano una estpema aoìarezza nella eavità d^lla bocca , che difficilmente pu(V essere mascherata da qualche altra sostanza in associa- zione; di questa amarezza lagnossi fortemente A. R. dapo I"' ingestione do! caffè; e poco appresso fu as- salita da accessi convulsivi, composti di tutti quei fenomeni ehe suole produrre la noce vomicra e la fava di s. Ignazio , tanto precisamente dipinti dai sopracitatf autori, non che da Devergie, da Oifila , e dal nostro tossicologo italiano Taddei. Questi ac- cessi si ripeterono per tre o quattro volte , coiwe suole accadere nei casj di avvelenamento, per li detti veleni:^ quindi terminarono per asfissia con la morte , esilo fatale a cui conducono gli Stychnos. Né crediamo prendere errore credendo che Tavvele- namento di cui trattasi fosse proprio della fava di s. Ignazio, 0 della noce vomica : mentre gli altri veleni narcotico-acri , o diversificano per i carat- teri fisici , 0 per la forma morbosa, o per le le- sioni organiche , o per la difficoltà che si ha di possederli, perchè non posti in commercia. Dietro tutto ciò noi riteniamo che il passaggio rapido di A. R, da una condizione di sanità a quella di ma- lattia e di morte, non essendo originato da cause naturali , fu la fatale conseguenza di una sostanza acre-narcolica , che con ragione possiamo ritenere essere stata la noce vomica, o la fava di s. Ignazio ». « 2." Passando ora alla soluzione del secondo quesito, cioè ... Se il processo , per ciò che ri- guarda l'autopsia cadaverica e l'ispezione dello stomaco, somministri indizi di passaggio o dì prc- 121 senza nel ventricolo , e parti ad esso aderenti, di materie propinate ed ìnaffini alla fibra. » u Noi crediamo di sottoporre alla saggezza del tribunale inquirente, per sua norma e dilucidazione del fatto in questione, i seguenti pensamenti. « Ritenuto che la sollecita dipartita da questa vita di A. R. riconosca sua genesi dall' ingestione di una sostanza aere-narcotica inatfme alla fibra, e che moltissime circostanze fanno giudicare essere slata la fava di s. Ignazio, o la noce vomica, dob- biamo dire che tali sostanze appalesano coli' auto- psia un ingorgo sanguigno nei polmoni, nel cuore, e nei vasi per la venuta asfissia, 1' esistenza di un siero, 0 di un siero sanguinolento sotto Taracroide cerebrale e rachitica. Lo stomaco, che a sentimento di qualche tossiologo non offre segni né d'infiam- mazione, ne di esulcerazione, pure, dice Taddei , quando la noce vomica o la fava di s. Ignazio fu pi'opinata in quantità alquanto considerevole in al- lora produce arrossamenti nella membrana muccosa, e flogosi di queste parti, specialmente se trascorse molto tempo dall' ingestione del veleno alla cessa- zione della vita. Essendosi pertanto i soprannotati cambiamenti organici verificali nell' analisi della salma corporea di A. R., non solo crediamo che presenziasse nello stomaco un elemento eterogeneo 'AV organismo , ma che questo consistesse o nella noce vomica o nella fava di s. Ignazio. È nostro dovere peraltro di far conoscere che nella sezione del cadavere mancossi di segare la colonna verte- brale, e d' ispezionare il midollo spinale , il quale fra le sue membrane dovea contenere, come sotto la aracroide cerebrale, una quantità di fluido sieroso.» 122 « 3." Finalmente occupandoci del terzo quesito: Ritenuto, che la causa della morte fosf5e 0 la noce vomica o la fava di s Ignazio, se questa sia stata propinata in dose valevole a produrre la morte nel breve periodo di tre in quattr'ore, e con i sintomi che la precedettero, senza che potessero i soccorsi medici impedirne gli effetti letali; diremo: A porre in chiaro quest'ultimo quesito avendo consultato i trattatisti di materia medica, vi apprendemmo cho della noce vomica puossi amministrare nel córso d'una giornata e gradatamente crescendo da un grano sino a quindici grani. Una dose maggiore può, a seconda delle disposizioni individuali, procu- rare gravi sconcerti e pur' anco la morte. Ad as- serzione di Trousseau e Pidoux non è necessaria una gran quantità di noce vomica per estinguere la vita -d'un individuo, Murray riferisce esempi di avvelènartienti per dosi tenuissime di questa so- stanza, Taddei nella sullodata opera di tossicologia asserisce, bastare la quantità d'uno scrupolo ed an- cor meuo di noce vomica finamente raspata per pro- curare effetti di veneficio. La quantità della pol- vere pertanto raccolta nello stomaco della defonta^ e quindi disseccata a pesata, fu di grani 26, e per conseguenza può essa esseie stata bastevole a pro- curare la morte di quell' infelice. Però- dobbiamo candidamente confessare a lode del vero, che A, ft. non fu soccoi'sa con rimedi efficaci e radicali, ma piuttosto fu curala con rimedi palliativi; il che però deve ripetersi dalle difficoltà che incotitransi nel- r esercizio dell' arie nostra di stabilire irtìmediata^ 123 monte Ijì diagnosi d' una malattia nervosa, la quale può dipendere da infinite cagioni. L' arte medica intanto ed i tossicologisti insegnano che in tali evenienze il medico deve rimuovere immediatamente col mezzo degli emetici le sostanze introdotte nello stomaco, e poscia porre in opera tutti quegli aiuti che si oppongono all' asfissia. In tal caso non ten- tossi di provocare il vomito con alcun mezzo mec- canico, né con niun rimedio vomitativo. tt Per il che restiamo in molta dubbiez/a, che se si fosse cercato di evacuare lo stomaco dalla so- stanza venefica ingerita nel caffè, forse A.- R. a- vrebhc potuto scampare da morte. •'! <■»«'> i.s'loi'^l M Questo è quanto possiatno ec^ Sostituto Fiscale ». Il collegio medico-chirurgico di Roma, interpel- lato come periziore in questa causa, giudicò a plu- ralità di suffragi che il veneficio fosse sommamente probabile, ma non certo. Il voto dubitativo del col- legio indusse forse il tribunale a deliberare che non constava abbastanza del delitto. Esempio di telano da perfrigerazione del corpo. Un uomo quadragenario, di bassa statura, bruno di pelle, piuttosto magro, dì lodevole complessione, fornaio di mestiere, dopo essersi esposto col corpo 'Sudante all'aria fresca e umida della notte, provò il •Idi seguente (18 agosto) una molesta difficoltà in aprire la bocca. Tale incomodo si accrebbe nei giorni successivi fino al segno dì impedirgli la in- troduzione di qualunque solido cibo, e visiaggiun- 124 sero la rigidezza dei muscoli del collo e del ven- tre e i continui sudori. Entrò alP ospedale la inat^ lina del 24 presentando i fenomeni che seguono* Trismo completo , rigidità de' muscoli del collo , del dorso e del ventre e delle estremità inferiori , senso di dolore spasmodico all' epigastrio che cor* risponde al dorso , cute bagnata di sudore , polsi frequenti , calor naturale: seguono a quando a quando delle vive scosse tetaniche. Nel tratto della giornata furono praticati due salassi , il primo del quali offrì sangue cotennoso , naturale il secondo. Fu inoltre amministrato un bagno tepido, da cui r infermo provò sollievo : e nelle ore pomeridiane si incominciò l'uso dell'oppio unito alla chinina. La notte fu travagliosa, attese le frequenti scosse che lo destavano bruscamente. Il giorno appresso ai sintomi recitati di sopra si aggiunsero la ritenzione dell'orina e delle fecce, e un turbamento notabile del respiro , che si rese breve e affamìoso. Così pure il volto presentavasi più rubicondo , più fre- quente il polso e profuso il sudore. Si prescrisse una copiosa applicazione di sanguisughe lungo la spina, come pure le fomentazioni e i clisteri emol- lienti, continuando nell'uso dell' oppio a larghe do- si (I) e in forma di tintura alcoolica. La mattina del 26 l'infermo affermava sentirsi meglio: e a questa sua asserzione corrispondevano una maggior cojnpostezza nella espressione del volto, ed una minor frequenza nei polsi. Proscguivasi nel- (f) È Ja notarsi come nel tempo in che fu raccolta questa storia non conoscevasi il cloroformio; 125 r uso dell' opijio. Ma le apparenze Ji miglioramento eran di breve durata , poiché nelle ore meridiane si accrebbe la spastica tensione dei muscoli, i bat- tili del cuore si fecero irregolari , e il respiro di- venne sonoro. Applicato V orecchio alle pareti del petto, udivasi in ogni punto un rantolo crepitante. I sudori continuavano ad essere profusi. Morì alle 9 della sera senza precedente agonia , e mentre chiedeva di bere. Appena spirato, usciva molta spu- ma sottilissima dalla bocca, e poco dopo del sàn- gue dalle ferite operate dalle mignatte. La sezione fu praticata 28 ore dopo la morte. Eccone i trovati. Testa volta alP indietro , bocca aperta, articolazioni rigide tranne alle estremità superiori. Grandi macchie purpuree nella superfìcie posteriore del cadavere- Tessuto muscolare (spe- cialmente nei muscoli del dorso) molto ingorgato di sangue nero, e così ridotto come se avesse sop- portato un grado di cottura. Le meningi encefali- che e spinali solennemente iniettate di sangue ; i vasi cerebrali , in ispecie quelli che trovansi alla base del viscere , e gli altri che serpeggiano pei ventricoli, assai ingorgati; molto siero in esse ca- vità: molto tumidi e neri i plessi coroidei. La so- stanza del cervello , del cervelletto e del midollo spinale (in ispecie nella porzione lombare) piiì molle dell' ordinario ; rosseggianti quasi tutte le origini dei nervi che escono e dal cervello e dalla spina, il cui speco conteneva molto sangue stravasato. Antiche aderenze fra le pleure ; queste membrane, non altrimenti che il pericardio , sparse di rubori e d'iniezioni arboriformi. Polmoni piccoli, flaccidi, 126 neri, stivati di sangue atro, e cosi ammolliti che ove si comprimessero fra le dita sembravan piut- tosto gromme che visceri; tanto eran pronti a di- sfarsi; cuore rimpiccolito. II peritoneo macchiato qua e colà di rosso, specialmente sul tenue , sul colon trasverso e sulla vessica orinarla. Chiazze ru- biconde scorgevansi parimente nella mucosa del ventricolo e degli intestini; dei quali il primo of- frivasi assai contratto , e i secondi contenevano molte mucosità nel tenue, e molta aria nel crasso. Fegato nero e molle. I rami dell' arteria coronaria e molti delle mesenteriche notabilmente iniettali. L' omento ravvolto sopra se stesso non discendeva a ricoprir le intestina. Vessica piena di orina. Altro telano da eguale cagione. Un contadino che non oltrepassava di molto il trentesimo anno, di tempra linfatica ma di sana costituzione , dopo aver faticato l'intera giornata del 10 agosto in campo aperto, sudando continua- mente e continuamente provando 1' impressione di una brezza che sptravagli addosso , fu colto il dì seguente da mal essere nella persona, torpore delle membra e qualche stento nel parlare e nel masti- care, il dì 13 si manifestò il tetano con tutta la solennità sua; ma l'infermo non fu portato all'ospe- dale che nella mattina del 15, cioè nel quinto giorno dopo l'invasione del male, e vi perì sul tinire del settimo. In questo intervallo di tempo ci presentò una forma inoibosa (juasi sempre eguale: cioè tri- siuo, spasmo cinico , contrazioni spasmodiche dei muscoli che piegano il capo e il (ronco all' indie- tro, rigidezza tetanica dei muscoli delle braccia e del ventre , granchi dolorosissimi ai femori. Ogni insulto era costituito da una dolorosa contrazione diei muscoli del dorso e del collo , dallo spasmo cinico e da un molestissimo stringimento allo scro- bicolo del cuore. Polsi e calore febbrili , cute su- dante , ventre chiuso. Il respiro non si rese labo- rioso che verso il fine. Fu curato con due salassi, altrettanti bagni tepidi e generose dosi di laudano, l. 'apertura del cadavere, instituita 24 ore dopo la morte, manifestava le seguenti apparenze. Rigi- dezza delle articolazioni. Aracnoidea minutamente iniettala e alcune aderenze fra le sue lamine; tela e plessi coroidei molto infiltrati di sangue, e tale era pure la condizione dei vasi cerebrali e special- mente di quelli del cervelletto ; la sostanza della massa encefalica assai più molle dell' ordinario. Il midollo spinale, incominciando dalia quarta verte- bra cervicale fino alle ultime dorsali, mostrava sì molle la sua compage da ridursi in poltiglia alla più lieve pressione; la porzione lombare non era sì molle, ma i suoi vasi sottilmente penetrati dal san- gue. Le meningi spinali offrivano un bel color ro- seo che non iscompariva pei' lavande. 11 canale ra- chidico a metà ripieno di sangue, sul quale nuota- vano goccioline di grasso- I muscoli, ed in ispecie quelli del collo, del dorso e delle cosce , mostra- vano una tinta cupa, come se fossero inzuppati di sangue, e tramandavano un odore non dissimile dallo spermatico. Antiche aderenze fra le pleure di am- bedue i polmoni; i quali apparivano del tulio spie- 128 nificati; tagliati, gemevano in copia un sangue ile- rissimo. Cuore flaccido e voto, nome voti eran pure i grandi vasi- Fegato e milza ammolliti; cistifellea turgida di una bile sierosa. La mucosa enterica era sparsa di macchie di un rosso acceso; il tenue racchiudeva molti lombrici, ai quali serviva di nido un denso tnueo; il crasso conteneva qua e là am- massi di dure fecce- L' omento era ravvoltolalo sopra se slesso. Ho voluto qui trascrivere dai miei scartabelli giovanili questi due abbozzi di storie, acciò com- parandoli coi due primi racconti , si apprenda an- che meglio coll'esempio, che gran differenza inter- ceda fra la forma morbosa (potrebbe anche aggiun- gersi: e i trovati cadaverici) di un tetano da cause comuni e un veneficio colla stricnina. 129 La galleria di Ciampino presso Frascati aperta in servizio della strada ferrata. 1 .<• Natura del terreno , e descrizione della galleria e triìicea. a configurazione del colle Ciampino è di modica altezza e di ampia base. La galleria lo traversa a non molta profondità dal suolo campale. Tre prin- cipali qualità di materie diverse furono incontrate nella costruzione della seconda sezione di quel tra- foro o trincea; prima di tutto uno strato di terra vegetale, non molto tenace, ove piiì ove meno pro- fondo; esso è il risultato di vegetabili ed animali distrutti, cede facilmente alla zappa per la forma- zione dei sterri: quindi un banco di terra piiì tenace di color rossastro, che è una specie di argilla; è untuosa al tatto, ed in pari tempo è tenace e glu- tinosa, ha una certa forza di coesione o tenacità , per il che è restia ad essere tagliata con il zappone o badile. Di sotto a questo banco s'incontrò e proseguì, sino a tutto il taglio della galleria e trincea, quella pietra tusculana, altrimenti chiamata ^ilex, con che intendesi la lava basaltina prodotta dall' estinto vulcano, da cui si formò il celebre lago Regillo, ora chiamato della Colonna. Questa pietra è la materia predominante, incon- trata nei lavori del traforo e trincea, di qualità du- . rissima. Infatti Vitruvio, enumerando le pietre da G.A.T. CL. 9 130 costruzione, dice che alcune ve ne sono àure come le selci. Plinio avverte che il selce tuscidano getta fuoco: lo che è verissimo, come osservavasi di fre- quente nel taglio per la formazione della galleria ti trincea, Della qual pietra il Rondelet sperimentò la gra- vità specifica, che trovò di chilogrammi 2686, non- ché la resistenza allo schiacciamento, che rinvenne di chilogrammi 122 per ciascun centimetro qua- drato dell' area premuta. Il colore della pietra selce è costantemente ce- nerino cupo; ora è ondato di bigio rossigno sopra un fondo cenerino chiaro, ora ha il fondo cenerino bruno quasi coperto di punti biancastri , ed allora dai nostri scarpellini dicesi tecchiato ; sempre poi ha uniti alcuni cristalli o bianchi o giallognoli, che i naturalisti chiamano anfigeni, o neri che chiamano pirosseni. Questa dura pietra nelle nostre località della galleria e trincea si rinvenne in grandi massi, cia- scuno dei quali ha più facce di figura poligona ir- regolare: onde nell'insieme di essi risulta una spe- cie d'opera incerta non dissimile da quella delle cosi dette muraglie ciclopiche. La galleria è preceduta e susseguita da una trincea. L' asse di essa è lungo metri 266, 85. 11 piano della galleria si unisce in ambe le estremità ai due rettifili della via-ferrata con una dolce cur- vatura flessa e riflessa, simile a quella che si sta- bilisce per il congegno detto cangiamento di via , ove convenga provvedere un mezzo di passaggio , perchè i convogli possano trasferirsi d'uno in altro 131 binario senza interrompere il loro corso: talché l'asse della galleria, invece di essere una sola retta con gli assi dei due rettifili della strada , è para- lello a questi. La trincea verso Roma è lunga met. 150 00 La galleria » 266 85 e la trincea verso Frascati si distende. » 141 00 In tutto la lunghezza dei tagli e del traforo nella collina è di. . . . met. 557 85 Dei quali metri 166, 83 costituiscono la por- zione di galleria , e metri 141 Tattigna trincea verso F'rascati, appaltata al Modigliani: i rimanenti metri 250 formano 1' altra poi'zione di galleria e corri- spondente trincea verso Roma, appaltata ad altro intraprendente. Dalla parte verso Roma si entra nella galleria ad una profondità di metri 13, si esce dalla parte opposta alla profondità di metri 11, 70. Si entra nella galleria ascendendo verso Frascati con retti- filo inclinato del 10 per 1000: l'asse del piano del traforo è inclinato del 6 per 1000; finalmente si esce dalla galleria e si montano in rettifilo metri 100 con r inclinazione del 10 per 1000; quindi si prosegue ad ascendere col 13 per 1000. Le parti superiori delle fiancheggiature delle trincee, che sono composte di terra vegetale e di argilla, hanno una inclinazione a scarpa; quelle in- feriori, composte di pietra selce , sono presso che verticali. Esse furono lasciate rozzamente come ve- nivano dal taglio delle pietre eseguito con mine ; 132 in qualche punto, ove le scabrosità erano più ri- sentite, venivano ridotte in più regolar figura a colpi di mazza- La trincea verso Roma ha una sovrabbondante larghezza di metri 10, stantechè fu costruita all'og- getto di sistemare nella carreggiata della via-ferrata due binari. Ancora quella verso Frascati fu inco- minciata con r istesso divisamento sovra V istessa larghezza, come era prescritto nel relativo capitolato di appalto ; quindi cambiato consiglio si restrinse il taglio per la sola sistemazione di un binario ; però si ridusse a metri 5 di larghezza , ed in ap- presso per altro novello ordine quel taglio fu por- lato alla larghezza di metri 6, 20. Queste riduzioni in meno del taglio della trin- cea produssero una variazione in piìi nei relativi lavori elementari: imperocché le spese delle ope- razioni per costruire una trincea o una galleria sot- terranea, in pari circostanze, aumentano al restrin- gersi delle rispettive sezioni. Infatti nelle gallerie scavate entro banchi di rocce calcari per la co- struzione del canale di Marsiglia, l'ingegnere in capo signor Montrìcher riconobbe che il primo trafora- ramento di una galleria, per una sezione di 12 me- tri quadrati, aveva fatto ascendere a 18 franchi il prezzo d' estrazione d' ogni metro cubo di mate- riali: laddove per V ulteriore allargamento dell' i- stessa galleria , il prezzo d' estrazione del metro cubo si ridusse a franchi 6. Non abbiamo sperienze relativamente al taglio delle trincee, e traforamento delle gallerie, che ci diano qualche lume come cre- scono le spese per le rispettive operazioni di ta- m glio e di traforo al diminuire delle sezioni; ma si conosce facilmente che V effetto utile del lavoro diminuisce al diminuire di esse sezioni. Le facce delle fiancheggiature della galleria sono ancor esse lasciate rozze ed irregolari, quasi come venivano dallo-^pezzammento della lava ba- saltina, eseguito con mine. Ancor qui, ove le sca^ brosità eràn troppo risentite, si agguagliavano con la mazza, e in qualche punto ancora con mura- mento : la parte superiore però di essa galleria è tutta rivestita di muro a volta. li piano di quel traforo ha una larghezza di metri 4, 50; e una altezza di metri 5, 70 dal cul- mine della volta sino al piano superiore delle ro- taie. La generale curvatura della sua sezione, ese- guita da un piano normale all' asse della galleria, è a foggia di elisse tronca inferiormente dal piano stradale. Da questo spicca la volta, che consta di sette segmenti di circolo, descritti come appresso: 8, 4-0 di raggio, 24 gradi, 3 minuti 4, 38 detto 25 detti 5 detti 2, 50 detto 26 detti 36 detti 1, 30 detto 63 detti 23 detti Questa però non è che la sezione di modello , la quale a causa dell'irregolarità del taglio delle pie- tre si discosta dalle effettive costruite. Dalla volta della galleria colano bruttamente le acque di filtrazione in sulla carreggiata, e deterio- rano spranghe, pulvini , traverse e la carreggiata stessa, che attraversando lo strato dei frantumi di pietra si uniscono alle acque sorgive in una cu- 134 netta, dalla quale sono emesse fuori dall' imbocco di essa galleria verso Roma, scorrendo pel naturai pendio della medesima. Le due facciate costruite agli imbocchi della galleria sono identiche. Esse non in altro consistono che in un rozzo muro di pietrame , formato con sassi di pietra selce uniti con malta composta di calcina e pozzolana. Quello che forma facciata dalla parte di Frascati non è pur anco terminato. Sei pozzi di forma circolare furono sfondati per l'acceleramento del lavoro. Essi furono distinti con i numeri: 1. 2. 2bis. 3. 3his. 4- Conservansi aperti i soli numeri 2 e 3 : gli altri sono ostruiti. Il pozzo num. 2 insiste sull'asse della galleria: il num. 3 dista lateralmente: tutti e due sono su- periormente rivestiti con muramento laterizio , e in qualcuno sormonta il suolo naturale di campa- gna con collare di circa metri 2 di altezza, e sono coperti con inferiate. 2-° Metodo di costruzione, e accidentalità rinvenute. L' andamento della galleria fu picchettato sul colle Ciampino. N' erano così determinati gì' im- bocchi e le trincee. La direttrice stabilita sul colle con capisaldi era portata nel sotterraneo, e si pro- lungava neir interno di esso con 1' ufficio dei tra- guardi. I lavori della seconda sezione nella galleria , allorquando fu consegnata all' appaltatore signor 135 Modigliani , consistevano principalmente nel tratto di galleria preparatoria, che dalla parte verso Roma si protraeva verso Frascati per l'estensione di circa metri 107: ed altri lavori di minor entità, come è rappresentato nel tipo che dimostra lo stato dei lavori al gioi-no della consegna 21 giugno 1855; lavori eseguiti da altro appaltatore. 11 qual foro comprendeva la parte superiore della sezione normale all'asse della galleria. Perchè le terre non avessero franato ed ostruito il foro anzidetto, eia costruita una sbadacchiatura lungo quel foro, disposta ad intervalli eguali fra loro. CiOnsisteva in una trave orizzontale e perpen- dicolare all'asse della galleria. Le estremità di essa trave si fticevano posare su i piedi'itti della volta formati dalla pietra naturale selcio, e per maggiore consistenza si opponevano due saettoni presso quelli appoggi. Al di sopra delle prefate estremità della trave si ergevan due travicelli inclinati all' inden- tro, ed erano superiormente legati da una travcr.sa orizzontale , su della quale venivano posati de' grossi tavoloni, che legavano le sbadacchiature Tuna all'altra e sostenevano il terreno. Si dette opera alla costruzione della galleria a tutto taglio , nella rimanente sezione; la quale nella sua parte inferiore era formata di pietra selce fin presso V imposta della volta, l'altra superiore era composta di ar- gilla e di terra vegetale. In questa parte due o tre zappatori assestavano e conguagliavano il foramento del terreno che costituiva la galleria preparatoria. Le terre e gli altri materiali rimossi si ridu- cevano al piede del rispettivo pozzo, con 1' ufficio 136 di bigonze che erano trasportate con un piccoro" carretto. In ogni viaggio si trasportavano due bi- gonze. Quindi nella rimanente parte della sezione si disponevano num. 6 minatori disposti a scaglio- ni, acciò gli uomini senza bisogno di ponti o altro sostegno potessero comodamente forare i massi con quella direzione e profondità che giudicavano più opportuna a conseguire il maggiore effetto utile del lavoro. Caricate tutte le mine, si facevano sca- ricare contemporaneamente ; quei massi divelti e spezzati si trasportavano al piede del pozzo op- portuno, per quindi essere tratti fuori. Il pozzo num. 2.bis fu escavato in forma cir- colare: il terreno era sostenuto da un rivestimento di tavole, con intelaiatura ad ogni due o tre me- tri di profondità. Scavato ed armato in tal guisa il tratto di pozzo, s' incominciava al piede la costruzione del suo ri- vestimento laterizio circolare , che poggiava sopra una centina di legno sostenuta da mensoloni fitti di sotto con gran presa nel terreno. Costruito il primo anello, si riprendeva a sfondare il pozzo, che sì armava e sbadacchiava come il primo anello , e si rivestiva con muro laterizio ; si proseguiva così fino a che incontravasi il selcio. Sopra questa base elevavasi la muratura laterizia sino all' incontro di quella sovrastante, togliendovi di mano in mano ì travi di sostegno: quindi si proseguiva la costru- zione del pozzo con piccole mine in direzione dal- l'alto al basso, sino al piano della galleria. In tal guisa veniva compita la incamiciatura ed il perfo- ramento di tutto il pozzo. 137 S' intraprendeva la costruzione definitiva della galleria a tutta sezione col rispettivo muramento; appena il perforamento della medesima trovavasi un poco avanzato. Succedevano ai zappatori e mi- natori i muratori; quattro o cinque di essi, aiutati da sei o sette manuali, costruivano l'anello di mu- ratura. Preparavano V imposte della volta sulla pietra selce, che forma come il massiccio di muro d'im- basamento dei piedritti ; mettevano al suo posto r armatura di essa volta; incominciavano la costru- zione dal pulvini della volta, e proseguivano termi- nandola con la chiusura. In seguito al disarmamento della volta, la mu- ratura non si è mai spostata in maniera sensibile da poterne rimarcare gli spostamenti medesimi. La generale grossezza della volta è di metri 0,50; qualche tratto ha la grossezza di metri 0,63. La parte di essa presso l'estradosso è formata con sassi di pietra locale , lava basaltina , unite con malta composta di calcina e pozzolana: 1' altra parte di essa volta presso V introdosso è formata con .ma- teriali laterizi provenienti dalle fornaci di Frascati, ohe chiamano zoccoli^ combinati a due e a tre te- ste, legati fra loro con la medesima malta. Terminato l'anello di costruzione murale , su- bentravano di bel nuovo i zappatori e minatori , che riprendevano 1' escavazione della terra e del selcio per un anello successivo, per quindi dar luo- go alla costruzione murale dell' anello come il pre- cedente. 138 La volta della galleria era armata nell' atto della Costruzione. Quest' armatura si collocava vertical- mente presso l'estremità del tratto dì volta da co-' struirsi. Alcune sagome di tavole inchiodate all'ar- matura servivano di guida alla muratura della volta. Perchè il traforo progredisse con maggior ce- lerità, e per risparmio di tempo alle mule delle distinte squadre di operai zappatori , minatori e muratori, si stabilivano più attacchi simultanei. Si disegnarono due sezioni intermedie di partenza: si allargavano da prima per tutta la sezione della galleria, quindi scavavasi a dritta e a sinistra della medesima. Mediante questi attacchi intermedi si raddoppiò la celerità del lavoro, che in pieno esercizio pro- grediva per num. 6 attacchi, impiegandovi giornal- mente num. 54 minatori in tutte le distinte mute, num. 27 lavoranti terragliuoli , e num. 10 mura- tori, aiutati da num. 15 manuali. Abbiamo avvertito come le materie scavate en- tro la galleria si trasportavano nel fondo dei pozzi: quivi si facevano i trasporti verticali. Si collocava suir imboccatura di questi un argano ad asse oriz- zontale, mosso da cavalli ; quattro uomini stavano nel fondo del pozzo per caricare e scaricare le bigouze; quattro altri stavano all' imboccatura del pozzo destinati ad attacare a staccare le bigonze , e sbarazzare le materie che venivano fuori. I maneggi erano coperti da una capanna di le- gname. 139 Al di fuori del pozzo si scaricavano le materie entro un carretto, che veniva tratto da 5 o 6 uo- mini, su di un cammino ferrato, fatto colle guide ordinarie posate di fianco , e quindi si scaricava nella vallicella detta di s. Andrea. Tutti i lavoratori sommati con i manuali ad- detti alle diverse manovre, che occorrevano per la estrazione dei materiali dai pozzi e trasporto dei medesimi al punto di scarico , formavano circa num. 180 operai che giornalmente in pieno eser- cizio del lavoro ciano addetti sul cantiere, compresi i fabbri ferrai e loro relativi garzoni. La materiale costruzione della seconda sezione della galleria procedeva con alacrità ed in piena regola, come era descritto nel piano di esecuzione. In quel mentre V ingegnere in capo della società sig. cav. d' Harlingue , che era alla direzione di tutti i lavori, si avvide di alcune accidentalità nei traguardi che stabilivano V andamento della galle- ria, per le quali dubitò dello sviamento della di- rettrice dal prefisso andamento: quindi sentì il bi- sogno di acceitarsi. Per tale effetto die ordine al- l'esecutore dei lavori di attaccare i lavori di esca- vazione in altro punto presso il pozzo num. 4, che distava dall' imbocco verso Frascati di metri 30, per praticare una piccola galleria di ricognizione, per chiarirsi dello sviamento della prenotata diret- trice, e vedere se 1' asse della galleria formava una sola retta con quello della trincea, o ne divergeva. L' appaltatore si ricusava in sulle prime di eseguire gli ordini dell' ingegnere in capo, che do- minava i lavori a suo talento: imperocché esso ap- 140 paltatore sapeva che nel sito, ove il prenotato in- gegnere voleva escavare per praticare la piccola galleria di ricognizione , era racchiusa una gran quantità di acqua che fluiva ad un livello più alto di quello dei lavori: la quale non potendo scorrere per il naturai declivio della galleria , gli avrebbe potentemente contrastato i lavori, e però quel tratto di perforamento voleva lasciare per ultimo di esca- vazione; che essendo allora gli altri tratti anteriori della galleria ultimati, quell'acque avrebbero avuto corso pel naturale declivio della medesima , e in tal maniera non avrebbero contrariato i lavori in nessun punto del traforo. L' ingegnere in capo costrìnse finalmente 1' ap- paltatore a por mano ai lavori di escavazione nel di- segnato punto: le acque sorgive furono sprigionate per costruire la prenotata galleria di ricognizione; dalla quale il nuovo ordine all' appaltatore di am- pliare di metri 1, 20 la sezione della trincea: che con tal ripiego quell' ingegnere intendeva rimediare al riconosciuto sviamento della galleria dal prefisso andamento. Quelle acque, dal momento che furono sprigio- nate, ostarono gagliardamente la rimanente costru- zione di quell'opera d'arte; talmentechè, ad onta di una non mai interrotta espulsione , riuscivano ad allagare tutto il cantiere. Si ricorse da prima alle macchine idrauliche per estrar 1' acqua. Esse furono applicate ai pozzi num. 3, 3bis, e 4 che agivano giorno e notte, ma de esse non si ebbe 1' effetto che si desiderava ; perlochè si pensò all'applicazione di un gran sifone J41 di piombo. L' idea dell' applicazione del prenotato sifone in principio ebbe un felice successo; ma dopo alcuni giorni cessò quell'effetto, e l'acque non furono potute vincere in alcun modo, né coi mezzi che la stessa società disponeva per raggiungere il desiderato scopo, né con gli ulteriori sforzi dispen- diosissimi adoperati dall'appaltatore. Divenne quindi quasi impossibile ogni opera- zione : i lavori non poterero progredire come per Io innanzi, e 1' effetto delle mine si ridusse ed un minimum, stantechè in vece di lavorare a grandi banchi nell' intera sezione del traforo e progredire con l'escavazione orizzontalmente, di maniera che all' intrinseco effetto delle mine sì aggiungeva lo scatenamento dei massi, che a colpi di maglio po- tevansi infrangere e ridurli in piccoli pezzi; non si poteva invece che avanzare dal di sopra al di sotto nel senso verticale, che con piccole mine e di po- chissimo effetto utile: sia perchè il lavoro era sem- pre presso che sotto acqua, sia ancora per le ac- cresciute difficoltà a divellere quei massi per la cangiata direzione dell' andamento di escavazione. Queste accidentalità, causate dagli ordini del si- gnor ingegnere in capo della società per accertarsi della divergenza della direttrice, apportarono tante difficoltà air esecuzione dei lavori di escavazione e di trasporto delle materie, che per la formazione dei fori delle mine era indispensabile costruire una specie di piccole ture, per mezzo delle quali si ri- cingeva r area disegnata pel foramento; affinchè, estrattane l'acqua racchiusa, non avesse a penetrar- vene altra dai lati: si passava quindi ad eseguire U2 il foro della mina. Quello spazio si racchiudeva con manufatti in forma di piccoli argini, e la ma- teria che si adoprava era terra argillosa. Si venne ancora nella determinazione di costruire un nuovo pozzo num. 2bis, riconosciuto necessario dal mede- simo ingegnere' in capo per l' acceleramento dei troppo ritardati lavori: dappoiché le predette acque opponevansi con gravissimo danno al felice ed economico successo dei medesimi, sia per 1* intrin^ seca natura delle operazioni, sia ancora per la per- dita di tempo degli operai; i quali non di rado si dovevano restare da ogni operazione per V abbon- danza di quell'acque, che rendevano presso che im- possibile ogni lavoro. In fatti fu forza sospendere tutti i lavori ; ma dopo venti giorni , essendo stati rimossi gli osta- coli, furono ripresi. Ancora all' altra porzione di galleria verso Roma, appaltata ad altro appaltatore, quelle ac- que arrecarono per qualche tempo non poco di- sturbo ai lavori di perforamento- Ciò fu il mo- tivo perchè ^ingegnere in capo della società, presso la sezione che univa la prima alla seconda por- zione della galleria, fé costruire successivamente tre muri , sempre di maggiore altezza dell' altro anteriore, i quali attraversavano la galleria, a guisa di tre argini, perchè le acque, che allagavano il tratto di galleria verso Frascati, non andassero a mo- lestare i lavori dell' altro tratto di essa galleria verso Roma. Ma le acque erano in tanta copia ed in tale elevazione di livello , che quei ripari furono successivamente sormontati, e le acque nel- l'altro tratto di galleria si rovesciavano. 143 Simili accidentalità prodotte dall' acque si rin- vennero nella costruzione della galleria denomi- nata San Giorgio in Salici nella ferrovia che uni- sce Milano a Venezia, e precisamente nel tronco da Verona a Brescia, all'epoca del suo perfora-r mento 1846. Il progetto originario portava la lun- ghezza di questa galleria a circa metri 200; e già si erano scavati alcuni pozzi ed aperto il cu- nicolo preparatorio, quando si riscontrò una gran quantità d'acqua sorgiva. In vista delle straordinarie e dispendiose diffi- coltà, ch'era d'uopo superare, si sidussela lunghezza a soli metri 63, per sottopassare l'abitato di San Giorgio: e nel resto si proseguì il taglio aperto , che ora presenta una trincea incassata fino a me- tri 27. La predominante natura del terreno esca- vato fu argilla alternata con sottili strati di sabbia. Sopravvennero ancora, nella nostra seconda se- zione di galleria , frane ad interrompere il lavoro, oltre quei frequenti smottamenti contemporanei air esecuzione del lavoro medesimo; le quali ri- chiedevano spessi ripari, ed opere provvisorie , e quindi sempre maggiori dispendi. Roma 10 giugno 1857. Romolo Burri Ingegnere U4 Suir agricoltura ed iìidustria serica in Lugo. Juugo è dopo Ravenna la principale citlà della bassa Emilia, e alberga da dieci mila abitanti* Giace fra il Senio e il San terno, in ampia e fertile pia- nura divisa in piccoli campi , ciascuno de' quali ha casa, stalla e famiglia colonica che suole essere molto operosa in quel sistema di mezzadria. La coltivazione è buona e da qualche lustro progre- disce in meglio alacremente, sì per la sistemazione e costruzione degli scoli , che specialmente per opera de' consorzi hanno liberato quelle terre dalle acque morte e accresciuta la fertilità, e sì per la scuola sapientissima del barone Grud , il quale nel territorio di Massa Lombarda e in quel di Lugo ridusse a bellissimi campi molte terre in- colte e molti poderi boscosi o mal ridotti, e aprì la strada della buona agricoltura in que' paesi, dove ogni proprietario presiede ai suoi campi , ed è volenteroso di migliorarli e perfezionarli. E se agli esempi dati dal Grud, e dagli altri solerti colti- vatori che lo hanno imitato , si unissero colà le istruzioni di una scuola, vedremmo moltiplicarsi que' redditi che già da alcun tempo sono più che raddoppiate; tanta è la naturale fertilità di quelle terre e la intelligenza di que' coltivatori , guidati da antiche e ottime tradizioni, e da un amore in-' dicibile all'agricoltura, nella quale consiste ivi la principale occupazione delle flimiglie delle classi ricche e povere. U5 L' operosità dell' agricoltura romagnuola vierie specialmente in Lugo a fare la sua mostra più appariscente ; imperocché tutte le produzioni del territorio della bassa Romagna si portano settima- nalmente ogni mercoledì nelle grandi piazze di quella città a mercatarsi. I grani, le civaie, i fieni , le canape, le uve, i bestiami vi si radunano in tal co- pia maravigliosa, che un mercato o una fiera più ricca non si rinviene in verun altro paese dello stato pontificio. Quivi le Marche e l'alta Romagna, il Bolognese e la stessa Toscana vengono a fare grosse provvigioni, e i compratori e i venditori vi trovano la sicurtà e tolleranza della concorrenza e del libero commercio, favorito dalle tradizioni della città non che dalla sua topografica posizio-- ne; poiché non avendo mura, è aperta e accessibile da ogni parte, ed è unito con strade piane e brevi a otto 0 dieci fra città e paesi, che formano quasi a dire un solo corpo con questo centro. Anche il raccolto dei filugelli vi è ricchissimo; e sebbene nel territorio lughese non si coltivino con buon' arte , perchè né le case campestri si prestano, né gli agenti di campagna si adoprano bastevolmente ad apprendere le regole dettate dalla scienza; pure se ne aumenta ogni anno la produ- zione; sicché neir ultimo quinquennio si sono pe- sati sul pavaglione di Lugo da un milione di lib- bre di filugelli; essendosi avute nel solo anno 1856, 241490 libbre; e in questo anno scarsissimo, e fla- gellato dai morbi, non meno di 195mila libbre. Ma la filatura della seta veniva affatto trascu- rata, se eccettui un' antica e piccola filanda della G.A.T. CL. 10 146 casa Samuele di Graziadio Sinigallia: essendo colà abitudine vecchia di portare 1 filugelli nelle filan- de specialmente di Fossombrone. Certo la casa sul lodata ha fatto vedere come si possa anche in Lugo perfezionare questa indu- stria, ed emulare la fossombronese. Ora la nuova fi- landa non conta che trentacinque caldaie, e non ha ancora lavorato annualmente piiì di 25mila libbre di bozzoli. Ma i suoi fili non solo gareggiarono l'anno scorso sulla fiera di Senigallia coi migliori prodotti delle Marche, ma li superarono, avendoli pure con abile incrociatura e torcitura tersi dal pelame che suole lasciare il nostro bozzolo: onde furono venduti più di una lira oltre al prezzo mag- giore del mercato. Neil' anno presente ha filato buona parte del suo filo al titolo di 9 a 10. E se questa casa vorrà concorrere nell' esposizione di Roma, è luogo a sperare che ottenga alcun premio, che incoraggi lei ed altri intraprenditori ad ag- grandire una tale intrapresa assai acconcia a quel paese produttore così copioso di filugelli. Solo è d'avvisare se il commercio di Lugo so- stenuto dalla sua posizione topografica felicissima al presente, perchè si mostra qual' emporio centrale di tutti i prodotti della bassa Romagna, non perda le sue clientele colla costruzione della strada fer- rata pio-centrale, da cui la detta città rimarrebbe discosta per dieci miglia. Laonde sarebbe duopo che il coniune non istesse inerte, e si adoperasse ad unirsi al nuovo movimento dell'alta Emilia, che mi- naccia di lasciare abbandonata e deserta la bassa Romagna. Però giova annunciare che già sono esorditi due progetti; il primo di una strada ferrata a va- pore che da Ravenna per Lugo si congiunga colla pio-centrale a Faenza e a Castello; il secondo per una strada ferrata a cavalli, o ipposidera. La pri- ma sarebbe cosa piii perfetta, ma grande e costosa ne risulterebbe V intrapresa per quelle province , e darebbe luogo a temere che si perdessero in vano i desideri e le opere per rinvenire i capitali, già scarseggianti in simili grandi lavori. La seconda si ravviserebbe cosa più modesta, ma attuabile se i comuni lo vogliono; e porterebbe i medesimi frutti di una strada a vapore, e per piccoli tratti di qualche decina di chilometri offrirebbe una ra- pidità sufficiente e una grande sicurtà ancora al trasporto delle persone; potendo il cavallo percor- rere senza interruzione quindici chilometri all'ora, sulle rotaie di ferro che s'internano lungo le strade comuni. Noi ci auguriamo che si facciano studi su questo nuovo sistema di strade ferrate agevo- lissime a custodirsi, utilissime ausiliatrici alle vie ferrate a vapore, buone a riunire centri o province di secondaria importanza, a province e centri prin- cipali, che possono in pochi anni far percorrere tutta la bassa Romagna dalle rotaie di ferro, se non si negligenteranno gii studi e le proposte già ini- ziate. 148 Alcuni sermoni di Telesforo Bini — ed un ragiona^ mento inedito di Antonio Cesari. Lucca dalla ti- pografia di G. Giusti 1856. [Un voi in 8.° di pa- gine 162.) \ luesta libro sarà certo accolto con favore da tutti I quelli, i quali da tanto tempo lamentano il deca- dimento a cui è venuta la sacra eloquenza , che pure è il pili bel campo e il più ubertoso che possa offrirsi ad un oratore. Contiene undici ser- moni recitati da monsignor Telesforo Bini luc- chese nella sua patria : ne' quali oltre la soavità e mitezza dello spirito cristiano , è una sì piana , si dolce ed affettuosa eloquenza, che ti pare leg- gere nel Segneri, cui certo V autore si è proposto ad esempio. Nulla vi è di ampolloso, nulla di sco- lastico; procedono d' una vena naturale , com' un dire proprio, elegante , accalorato. 1 due primi — Della propagazion della fede, il terzo — Del Corpus Dominif benché trattino materie non agevoli, pure sono recati così bene all' intelligenza degli uditori, che non è chi non possa intenderli, o non deb- ba pienamente gustarli. Ne seguono tre — Del Volto Santo, belli essi pure, pieni di calore e di devozione: ancorché il secondo fosse quasi improv- 149 visato, e risenta un poco dell' estemporaneo. Quel- lo — Del Crocifisso de' Bianchi, e l'altro — Di san Paolino primo vescovo di Lucca , e quello — Del Purgatorio , non cedono ai primi, né per bellezza di dettato sempre chiaro e purgato , semplice ed adorno; ne per bontà di eloquenza. Gli ultimi due funebri , il primo de' quali letto — NeW esequie di Domenico Simi, il secondo NeW esequie di Lo- renzo Nottolini , hanno pur essi di molti pregi e bontà. Diremo solo che nel primo ci pare sover- chiamente prolungata la similitudine della vite, a cui è paragonato il povero , e delV olmo a cui viene comparato il ricco. E ciò ci fa manifesto che r illustre autore imitando sempre il gran Se- gneri, spezialmente la più beli' opera di lui, che è la Manna dell anima , non ha saputo talvolta guardarsi dai difetti che pur sono in quell' im- menso oratore. Noi desideriamo che questi ser- moni siano letti, spezialmente da que' giovani che vogliono darsi al pergamo, e siano gustati e presi ad esempio. Così potrà essere un poco ristorala la sacra eloquenza, e saranno con più frutto uditi i loro sermoni: verrà meno o cesserà il malvezzo de' più , cioè di mirare più a mostrarsi dotti e puliti ingegni , che di cercare profitto negli udi- tori. Di che mentre avrà vantaggio la religione , avranno essi merito; e gran lode verrà a mon- signor Bini dell' avere fra i primi dato si bel- r esempio. Ai sermoni segue un ragionamento ine- dito di Antonio Cesari, che è il decimo della vita di san Francesco di Assisi, e parla dell* indulgenza 150 della Porziuncula presso santa Maria degli An- geli , ottenuta dal santo patriarca. Di questo ci basterà aver detto che è cosa del Cesari: perchè in questo nome si contiene il più grande e ^^bel- lo encomio che possa darsi a scrittore. G. I. Montanari 151 Intorno al volgarizzamento delV arte della guerra di Vegezio , fatto da Bono Giamboni , osservazioni di Salvatore Betti. AL PKECLARISSIMO P. ANTONIO BRESCIANI PELLA COMPAGNIA DI GESu' E ccomi finalmente alle vacanze autunnali: sicché lasciati da canto i libri della cattedra e gli alti delfaccademia, come per un poco d' ozio torno a conversare con que' buoni vecchi italiani, i cui scritti d'oro mi sono stati sempre sì cari fino dalla giovinezza. Sì dico d'oro: di che se alcuno vorrà ridere, rida pure: e anch' io riderò (se il riso non sarà vinto dallo sdegno) del presuntuoso e barbaro vilipendio che si fa de' puri fonti, d' onde 1' uomo d' Italia trae ciò che primieramente lo dimostra figliuolo di questa patria. E voi, P. Antonio vene- ratissimo, riderete meco , ne sono certo: voi che anzi tutto da quell' oro avete tratto appunto il bellissimo stile, onde siete sì chiaro nella nazione. Uno di que' vecchi sarà pel mio conversare di questi giorni Bono Giamboni , vissuto nell' età di Brunetto, cioè negli anni della gioventù di Dante. Chi cerca in esso la quasi ultima gentilezza delle prose dell' Alighieri, di fra Bartolomeo, del Com- 152 pagni, del Cavalca , certo non la troverà: non es- sendo ancora in quel correre del dugento , come dice Giovanni Villani , che solo incominciali a di^ grossare i fiorentini e fatti scorti del bel parlare. Ma niuno pretenda vincerlo per nativa purezza e sicura proprietà di favella: niuno per evidenza e nerbo di dettato: che in ciò può slare co' maggiori padri, e appena cede al grande da San Concordio- Alquante opere si hanno di lui: ed anche gli ven- gono ascritte. E però fra le certe il volgarizzamento di Yegezio DeW arte della guerra. Giacque sì no- bile scritto, come ognun sa, per lungo tempo fra' manoscritti fiorentini, ignoto quasi a tutti, fuor*^ che ad alcuni spigolatori di letterarie notizie , ed ai primi accademici della crusca, i quali ne fecero tesoro nella compilazione del vocabolario; ne altro che nel 1815 l'accademico Francesco Fontani, bi-^ bliotecario riccardiano, lo pubblicò colle stampe. Certo non sarò mai severissimo a que' bene- meriti che si sobbarcano al lavoro di confrontare e trascrivere testi antichi per porli in luce: sapendo bene in qual ginepraio debbano spesso ravvolgersi per la bestialità di coloro eh' esercitavano il puro mestier meccanico di copisti, senza veruna cogni- zione di lettere, ne' secoli che precedettero 1' in- venzione mirabile del Guttembergo. De latims veroy scriveva Cicerone a Quinto fratello, quo me vertam nescio; ila mendose et scribuntur et veneunt: e san Girolamo accusava a Lucinio imperitiam notariorum^ librariorumque iticuriam , qui scribunt non qiiod in- vernimi, sed quod inlelligunt: et dum alieno^ errores emendare niluntur, ostendunl suos. Per taccie ciò che 153 ne grida il Petrarca ne' libri de' remedi della for- tuna: ed ampiamente ne insegna il maestro sommo Vincenzo Borghini nella Lettera intorno a' manO" scritti antichi. E nondimeno molti moderni danno mostra d' averne una quasi religiosa venerazione: e guai soprattutto a chi torcesse il viso da quella scempiala e spesso ridicola ortografia , degna ap- punto del parlar zotico di sì fattimanuali e idioti ! Fino a pressare il tribunal della crusca a non trascurare quel cimiterio nell' opera del suo voca- bolario : minacciandolo anche di scherno e peggio se noi facesse. Quanto a me, ho ben altra opinione: credo cioè che un libro antico, il quale voglia leg- gersi Oggi con ammaestramento e piacere , debba essere stampato coll'ortografia d' oggi medesimo, eh' è la ragionevole e perfetta della civiltà nazio- nale: consentendo in questo pienamente col soprac- citato insigne Borghini, il quale in un' altra lettera, eh' è la 127 della par. IV voi. IV delle prose fio- rentine, non dubita determinare , che da qualsiasi vecchio testo « come dalle rocce delle turchine, o d'altre pietre preziose , sia bene tor via in ogni modo quella scorza di sopra, e quella ruggine che Io cuopre, e rendergli la sua pura e naturai chia- rezza, e il suo vero colore che gli aveva dato la natura, e che era stato dalla straccurataggine dei copiatori offuscato e coperto, w Bello esempio ci porsero di ciò in questi anni il nostro Basilio Puoti, di sempre cara memoria , pubblicando il Sallustio volgarizzato ,da fra Bartolomeo da San Concovdio, e r ottimo Dalmazzo dandoci il volgarizzamento classico della prima deca di Livio- E credo altresì, 154 che nel pubblicar codici, là dove non si trovi senso che corra , o scorgasi qualche manifesto errore di locuzione o parola, debba il letterato assolutamente appellarsi alla ragione del maggiore di tutti i co- dici , diceva Vincenzo Monti , a quello cioè della critica. Ma la buona critica è dottrina di ben po- chi: perciò a certa baldanzosa mediocrità di edi- tori, meglio che usare tante dotte e pazienti cure, giova dar fuori senz' amore alcuno delle lettere o degli autori i testi antichi quali né più ne meno si hanno, dirò così, scarmigliati ed orridi per fatto de' vecchi trascrittori balordi: sicché non sia poi chi s' invogli, altro che alcuni pedanti , di spen- dervi intorno il pioprio tempo , o meglio d' avere lo sfinimento di farne lettura con pochissimo prò e suprenja noia. Oh se da que' nostri veri filologi de' secoli passati ci si fossero date le opere di Dante, di Gino, del Petrarca e di quegli altri au- rei, come, per esempio, ci si die ultimamente il poema dell' /«fe/^enza di Dino Compagni, o l'altro del Febusso e Breusso, chi n' avrebbe mai fatto le somme delizie , e come sarebbero state in ogni tempo sì fruttuose a quanti amano d' essere almeno italiani nelle parole ! Veramente gran delizia sa- rebbe oggi d'aver la lezione della Divina Commedia, secondo che trovasi in tanti e tanti fetidi vecchiumi di manoscritti, e principalmente nelle Chiose sopra Dante testo inedito pubblicato in Firenze nel 1846 ! Gienli varano chonocchi tardi e gravi di grande aultorita illor senbianti parlando rado con bocie soaviy 155 ed anche: E io alltii sinengnio norimangho mattu ellisse cìiesse siffatto bruito rispuose vedi che sono unche pianghoi anzi: J)issemi qui con piii dimille giacco quaentro e lo secondo federigho elchardinale edegli altri mitaccoi dove quel giacco e quel mitacco dovrebbero essere due fiori per la filologìa dell' editore e di certi che io conosco. E chi sa che trovando scritto ivi pure coll'usata scempiaggine: Enelvicharo suo cristo essere chatto che seghui alla sua dimanda ghorda la faccia tua chilagramiai giamorta ; ehi sn , dico, che non gridino: Presto, o crusca , con un' autorità sì nobile arricchisci la lingua delle voci vicaro^ gorda e lagramiare ! Ma la crusca , io spero, si riderà bene di questo e d'altro. Seguace de' veri filologi, non de' puri pedanti , cercò essere il Fontani per quanto le forze gli con- sentirono: affermandoci anche d'aver tenuto innanzi agli occhi nel suo lavoro (ciò che sì raramente o male si fa da chi pubblica traduzioni antiche) il testo latino di Vegezio: sicché m'auguro, egli scrive, d' aver potuto pubblicare questo antico volgarizzamento 156 secondo la vera e propria sua lezione. Oserò dire però che a me tanto non pare: anzi pare in parte il contrario: ed aggiungerò , che meglio confron- tando appunto il latino col volgarizzamento, e ta- lor anche non confrontandolo, e (che più è) senza niun aiuto di codice, può ancora in molti luoghi , che nella lezione del bibliotecario riccardiano sono evidentemente errati , restituirsi il testo a qualche certezza d' integrità. Lo credereste, P. Antonio egregio, eh' io sono venuto in tal presunzione ? La quale però mi sarà, spero, scusata se non per al- tro, almeno per la pietà eh' ho avuta di quel ve- nerando vecchio toscano, che m' è sembrato vedere ancor troppo lacero qua e là nell' opera sua. Ma presunzione o no che debba esser chiamata, io in- tendo ora dar fuori alcun saggio della mia propo- sta d' emendazioni: e a voi presentarlo per primo, a voi maestro valentissimo in queste cose , dalla cui autorità se ritrarrò sentenza d' esser caduto in fallo, ed io confesserò subito la mia colpa: se d' avere trovato il vero, non potrò eh' esserne lieto. Ma voi nel far ciò spogliatevi un poco di quella gentile benevolenza, con cui solete accoglier sem- pre tutte le cose mie: affinchè per avventura la bontà e l'amicizia non debbano farvi qualche velo al giudizio. Avvertasi però ch'io non presumo già d' aver sanato generalmente tutti i passi che si mostrano guasti neir edizione dataci dal Fontani. La cosa non sarebbe possibile non solo a me, ma né pure, mi attento dire , ad alcun altro assai di me più pratico: e ciò per la ragione che ne dà bonamente 157 il Giamboni stesso, il quale nel proemio ci fa sa- pere d'aver potuto trovare del libro di Vegezio uno solo esempio in lai modo per vizio di scrillori cor- rotto, che della letteratura (forse lettera) sua neuno intendimento se ne potea trarre. Diede egli opera ad emendarlo: ma è certo che non gli venne fatto di compiutamente riuscirvi. Sicché in alquanti luo- ghi si conosce pur troppo assai chiaro, che il buon fiorentino non intese affatto ciò eh' egli scriveva , volgarizzando solo materialmente le parole senza niun senso, le quali trovava nello sformato suo te- sto. E sì non gli giovò né pure l'appigliarsi al par- tito di largamente parafrasare, come si vede spesso aver fatto ! Non è però che non possano con qual- che certezza distinguersi le mende del volgarizza- tore da quelle del copista o dell' editore- LIBRO I. Gap. I. « Qualunque cosa o nella battaglia o nella schiera puote avvenire, appara d' innanzi per prove che prima facci ne' campi, cioè se difendere, i pigri cacciare. » Sembra fuor di dubbio che debba leggersi cioè te difendere. Ivi. « E perciò nel combattere delle battaglie i pochi bene usati piià sono acconci a vittoria ; e la rozza e non savia moltitudine sempre è esposta alla battaglia. )) Ghe sia errore questo esposta alla battaglia ? 11 latino dice ad caedem. Non sarebbe possibile che il Giamboni avesse tradotto al taglio, vocabolo che ha pure il significato di uccisione ? 158 Ovvero al tagliamento, com' è volgarizzata al cap. XX la voce excidmm ? Cap. Il, « Tutte le nazioni, che più si appros- simano al cielo, per troppo caldo disseccate dicesi che sono più savie, ma hanno meno di sangue. » Dee dire che più si approssimano al sole: così avendo il latino, così richiedendo la ragione, e così ripe- tendo alcune righe appresso il Giamboni: « E per contrarlo quegli della parte di settentrione, che sono popoli più dal sole rimossi, meno hanno di senno» ma abbondano in molto sangue. » Cap. lil. « Ed allotta per neuna voluttà o mor- bidezza si rompieno, e compresi di sudore per le prove che ne' campi faceano , venieno al Tevere , ed ivi notando i giovani si lavavano, e dacché erano lavati generazioni d'arme mutarono. » Dopo il dac^ che erano lavati il testo è mancante per negligenza, come sembrami, de' copisti: e sarebbe stato bene che il Fontani lo avesse avvertito. Ma col latino può rettamente supplirsi dicendo: e dacché erano lavaliy tal era il combattitore, tal era il lavoratore: soltanto le generazioni d'arme mutavano. Laonde il volgarizzatore seguita subito: » E tanto così facea- no , che Quinzio, che fu lavoratore, dittatore fu eletto, cioè della cavalleria capitano. » Quest'ultimo membro del periodo non è che una povera glossa del Giamboni: il quale col vocabolo cavalleria in- tese significare il latino militia, secondo che tro- vasi pure costantemente nel volgarizzamento della prima deca di Livio; e bene il Dalmazzo ne ha di- chiarato il perchè (tom. 1 cart. 32). 159 Nel primo membro però del soprafldetto pe- riodo il buon Giamboni l'ha fatta piuttosto grossa (e tutto suo vuol esser Terrore): che là dove dice il latino: Non inficiandiim est, post urbem conditam, romanos ex civitale profectos semper ad belliim: egli senza intendere il testo (forse ivi sommamente corrotto) tradusse: « E negare non si puote che posciachè la città si fece, i romani che dalla cit- tade andavano, sempre stavano in battaglia, w Ivi. « Di quejjjli delle ville si dee fortezza di gente pigliare, acciocché 1' oste sia verace. » Non verace^ ma feroce. Gap. V. « So bene che Mario consolo sempre volle cavalieri che fossero acerbi per aspetto. « Il la- tino ha procerilatem. Direi adunque alti per aspetto: che in questo capitolo Vegezio parla di statura^ non di acerbità o fierezza. Né di ciò il volgarizza- tore poteva prender fallo, dicendo alcune righe ap- presso; « Ma se la necessità richiede , non tanto alla statura , quanto alla forza del cavaliere si guardi. » Gap. VI. « Perchè non solamente negli uomini, ma ne' cavalli e ne'cani la virtiì per molti segni del corpo si mostra, secondo che molti savi n'am- maestrano. Ed ancora dall'api n' ammaestravano i poeti, ponendo che ne sono di due generazioni. » Qitod etiam in apibiiB, il lat« Direi perciò: « Ed an- cora nell'api n'ammaestrano i poeti. » Gap. VII. « Seguitasi che veggiamo di che arte il cavaliere si dee eleggere , e di quali schifare- » Farmi che dovrebbe meglio dire: Seguita sì che veggiamo. 160 Gap. Vili. « Dunque i meno possenti sono da schifare, e coloro che non la vogliono avere: ed in luogo di coloro debbono essere bontadosi posti, perchè in ogni battaglia non tanto la moltitudine, quanto la virtij , giova- » Quell' e coloro che non la vogliono avere credo essere una mala giunta de' copisti, non volendo, parmi, dir nulla, né trovan- dosi nel testo latino, che ha: Repudiandi enjo mi" nus utileSj et in locum eorum stremiissimi subrogandi sunt. Ivi. « Delle storie dunque e de' libri l' antica usanza ci conviene ripigliare- Ma quegli le cose fatte, e eh' erano già avvenute, scrissero ec » Non pure il latino, ma la ragione, richiede che si scri- va: Dalle storie dunque e da' libri. Ivi. « Quello che ne ammaestrò il diligentissimo Patrizio ne' libri che fece. » Sarà errore del testo sì corrotto, che usò il Giamboni, l'aversi qui Pd" trizio in vece di Paterno- Gap. IX. « Ed il più pieno grado , e che piiì avaccio sia da fare , ventiquattro mila passi nelle dette cinque ore ; e se più vi si aggiugne, non è grado, ma corso, il quale diffinire non si può, ed a fare corso i più giovani spezialmente si debbono adusare per queste cagioni. » Dice il latino: Cuius spatium non polest diffiniri. È chiaro dunque che dee scriversi: il quale spazio di/finire non si può. Ed a fare corso e e Ivi- « E combattea co' forti per avere vesti- menti. )) II povero volgarizzatore ha letto veste cer- tabant in vece di vecte certabant. I6i t^aj). X. « E non solamente a' pedoni, ma a'ea- valieri e cavalli di coloro che s'appellarono veliti, cioè che portavano i cappelli di acciaio , è utH cosa r apparare a notare. » Capricciosa ed errala tradazione: nna nondimeno è chiaro, che il cioè che portavano i cappelli d'acciaio è una glossa del Giam- boni: e che dee scriversi: « E non solamente a' pe- doni, ma a' cavalieri e cavalli di coloro che s'ap- pellano veliti (cioè che portavano i cappelli d' ac- ciaio) è util cosa l'apparare a notare. » Gap. XI. « E di neuno tempo né in arena, né in campo, fu neuno cavaliere approvato se non chi al palo buona prova facesse , e ciascheduno cava- liere il suo palo si ficcava, sicché muovere non si polca, ed era sopra terra sei piedi. )> Dice Vegezio: singnli pali defigebanlur in terram. Sicché par chiaro che debba dlie: e ciascheduno cavaliere il suo palo sì ficcava in lerra^ sicché muovere non si polca: ed era sopra terra sei piedi- Dopo di che pongasi punto, e non virgola. Gap. XII. « Mala fedita puntone si fìede stando il corpo coperto. » Dicasi si fiede. Gap. XIII. ({ Perchè è manifesto in tutte le battaglie che per questo modo di combattere, che si chiama armadura, meglio si combatte. » Emen- disi: Perchè è manifesto, che in tutte le battaglie , per questo modo di combattere che si chiama ar- madura, meglio si combalte. Gao. XVI. « E spesso interviene che la batta- glia si fa in luogo pietroso, e che o alcuno monte sia che difenda, o vero colle, ed a combaltei'e le ciltadi o le castella, con j>ictre in mano, o di fonda G.A.T.GL. Il 162 sono da cacciare i nemici. » Gran confusione di cose; la quale però sparirà, se col testo latino alla iiiano correggeremo: « E spesso interviene che la battaglia si fa in luogo pietroso : e che o alcuno monte ^ia da difendere o vero colle, o a combat-^ tere le cittadi o le castella, con pietre di mano o di fpnda sono da cacciare i nemici, » Cap, XVII. « Ed ancora si dice che due volte cinque marziobarbuli negli scudi asaro di portare^ » Picasi alcune volle. Gap, XVIII, (i Sopra questi i giovani in prima senza arme, tantoché apparavano un poco , e poi coir arme, vi saliano, n Correggasi sì saliano. Ivi. Cap. XXVIII. tt Quegli di Dazia, e Mereos, e Trazia. » Mi pare impossibile che il Giamboni non sapesse, esservi stato un paese chiamato Media , e che scrivesse cosi ignorantemente Mereos. LIBRO IL Cap. 1. «Ma '1 vostro riposo, o imperatore vittorioso, disidera de' libri antichi più alti consi- gli, che la mente degli uomini non può compren- dere. » Ex libris , dice Vegezio: e perciò dicasi da' libri. 164 Ivi. « M'.iravigliosainente , vogliendu ubbidire, sono fatto ardito quando penso d' esser tenuto più ardito , s'i' avessi negato di faro quelle cose alle quali il vostro cocnandamento m' ha inanimato: poiché il libro dello scegliere de' cavalieri rozzi, e di che si debbiano provare di buono die, che sic- come vostro subielto v' ho presentato, noi feci per- chè Golpato ne debbia essere: ed io pauroso co- minciai a fare l'opeia, la quale colpato senza pena fare potea. » Il guasto è qui grande: ed in parte Io reputo al volgarizzatore, il quale non ha bene inteso il testo- Consultando nondimeno il latino può darsi, se non altro , al periodo alcun che di meno irragionevole di ciò che gli ha dato, mi pare, il Fontani. Dice Vegezio: Miro ilaque timore in pa- rendo aiidax faclus sunif dum meluo videri audacior^ si negassem. Ad quam lemeritatem praecedens me indidgentiae vestrae perennilas animavil- Nam libel- lum de deleclu alqiie excrcitalione tyronum, dudnm tanquam famulus ohluli: nec lamen cidpatus ab- scessi. Nec formido iussum aggi-edi opus, quod spanta' neiim cessit impune. Ed il Giamboni alquanto alla turlurù avrà probabilmente tradotto, poco avver- tendo egli slesso ciò che si scrivesse: « Maravi- gliosamente, vogliendo ubbidire, sono fatto ardito, quando temo d' essere tenuto più ardito s' i' avessi negato di fare quelle cose, alle quali il vostro co- mandamento m' ha inanimato: perchè il libro dello scegliere de' cavalieri rozzi , e di che si debbano provare, di buono die , siccome vostro subietto , v' ho presentato: ne 'I feci perchè colpato ne deb- bia essere: né io pauroso (.'Otiiineiai a fare l'opera, la quale spontaneo scn/.a pena fare potea, « 1G5 Cap. II. « Air esemplo delle quali sonosi fritti cavalieri ordinali- » Dicasi i cavalieri ocreali. Gap, III. « Perchè setnpre quegli eh' et'ano in aiuto venuti, secondochè , i leggiermente armati , colle legioni si congiungevano in ischiera. » È certo che vuoisi dire, secondochè leggiermente armati. Gap. XV. « Ed in una turma cavalieri trenta- due. » Dice il latino: Et hahei una tiirma equites XXXIl. Dunque pongasi: « Ed ha una turma ca- valieri trenladue. » Gap. XX. « Ed ancora ne' brevi si scrivono le nomora di coloro che fanno i servigi per quelle persone a cui è data la licenza: e scrivevansi an- cora a cui è dato commiato , e quanto tempo. » Gredo che debba dirsi : e scrivesi ancora a eui è dato comminto, e quanto tempo. :'^u?f tifol Gap. XXII. « Il primìscrineo quando è fatto prefetto pretorio- )i II testo di Vegezio, nella tnia edizione di Golonia del 1580 , dice primicerius. & così leggevano pure il Gellitrio nell'opera de' bar- barismi e idiotismi della lingua latina, e il Por- cellini nel vocabolario. Ha però essa lingua nell'in- fima latinità anche la voce primiscrineits o primi- scriniiis , o sia primo degli scriniari : ufficio così militare, come civile. Gap. XXIII. « E quante volle si combatte, le trombe e' corni saranno insieme, e appellansi clas- sica. » Forse il Giamboni avrà detto classico. Gap- XXIV. (( E però i giovani e nuovi cava- lieri la njattina, e poi dipo' nona, ad ogni genera- zione d'arme si provano.» Exercchantnr , dice il 166 testo: e perciò il Giamboni avrà tradotto si pro- vavano. Ivi. « Ed ancora fare prova al palo e con la lancia è di grande utilitade , quando il Iato , o il piede, o vero il capo vuole appaiare a colpire , e puntone e tagliente apparavano di tagliare con la spada. Ed apparavano di fedire e saltare in una stagione. » Ha Vegezio: cum lalera, vel pedes, aut caput pelere punctim caesimque condiscunt. Saltus quoque et ictus facere pariter assuescant. Dee dun- que dirsi, e puntone e tagliente apparano di tagliare con la spada ; e poi , ed apparino di fedire ec. E così avverto di altri tempi parimente errati in que- sto capitolo, i quali possono facilmente emendarsi. Ivi. « Ed erano costretti continuamente di git- tare lance e piombate in tale modo , che se pio- vesse, e non avessero altro , si gittavano i tegoli che togliena da' portici e dalle case. » Forse la vera lezione potrebbe essere: che se pioveva^ e non avessero avuto altro, sì gittavano i tegoli ec. LIBRO ni. Gap. I. « E nel passare de' fiumi per Io costu- me di coloro che danno impedimento, che gì' in- gannano, e per la grande fatica che è ad avere Io strame di tanto bestiame, e la, vivanda di tanta gente, la quale si vuole bene rangolare che meno non potesse venire , perchè è cosa che in ogni oste si vuole schifare. » Qui non è senso: ma tutto verrà chiaro , se si scriverà: « E nel passare dei fiumi, per lo costume di coloro che danno impe- 167 dimento o che ingannano , e per la grande fatica che è ad avere Io strame di tanto bestiame, e la vivanda di tanta gente, l'annona {cosi il latino) si vuole bene rangolare che meno non potesse veni- re; perchè è cosa che in ogni oste si vuole schi^ fare. » Gap. II. « La quale cosa si fa considerando i luoghi, e l'acque, e tempo, e per cina di medici, e per affaticare la persona. » Il Giamboni avrà pro- babilmente scritto e '/ tempo- Ivi. « Gonsidoransi l'acque, che non bea 1' oste acque inferme, o vero di paduli , perche le male acque spezialmente a* cavalieri , che sono ventosi, se le beono , pistilenza generano. » Niuno riderà del povero Giamboni , quando questo passo , che veramente ci si porge (e non per opeia sua) in modo tanto ridicolo, si emendi certamente cosi, secondo il testo latino: « Gonsiderinsi le acque: che non bea Toste acque inferme, o vero di paduli: perchè le male acque (spezialmente a' cavalieri) che Sono venenose, se le beono, pistilonza generano, w Gap. HI. « Tutte le altre cose a temperarle si possono alare; ma la vivanda e 1' annona nella ne- cessità non ha rimedio, se non si provvede innanzi, e si ripone. » Non a temperarle , ma a temporale (cioè a tempo), deve assolutamente scriversi , di- cendo tempore il latino. Ivi. « E quasi parsimonia si può dire , quando vengono meno, accordarsi allotta di volerle serva- re. )) Sera parsimonia , dice l'autor latino: e pei-^ ciò scrivasi tarda parsimonia. 1G8 h\. « Sicché doppo' la necessiladc era loro po- scia dalla repubblica venduta. « Nel testo volgare si ha costantemente dopo o dipo' : sicché toglierei questo sì strano doppo\ Ivi- « Nel tempo del verno legne e vivanda, e la state malagevolezza d* acqua , è al postutto da s-chifare. » Assolutamente dee dirsi, secondo il te- sto latino e il buon senso: « Nel tempo del verno di legne e vivanda, e la state malagevolezza d'ac- qua, è al postutto da schifate. » Gap, IV. (( La qual cosa fanno spezialmente co- loro, che stando a casa vivono in riposo e dilica- tamenle, perchè sono offesi d' asprezza e di fatica non usata, come fa bisogno di sostenere nell'oste- » Dice il latino: nam asperi tale insoliti laboris offensi: e j)erciò la vera lezione del volgare sarà, offesi d' asprezza di fatica non usata. Gap. V. « Adunque cosa manifesta è che di se- gni sono tre generazioni, cioè di boce, e quasi di boce per orecchie si sanno, e le mute si conoscono coir occhio. » Qui non è senso , perchè il testo è mancante , certo per error de' copisti- Dice Vege- zio: Tria ilaque genera constai esse signorum , vo- calia, semivocalia, mula. Quorum vocalia et semivo- calia percipiuntur auribus: muta vero i^eferuntur ad oculos. Perciò il Giamboni deve aver tradotto: « Adunque cosa manifesta è che di segni sono tre generazioni, cioè di boce, e quasi di boce, e mute. Quelle di boce e quasi di boce per orecchie si sanno, e le mute si conoscono coli' occhio. » Ivi. « I quali tutti segni ed istando a casa , e ne' viaggi, ed in ogni operamento nell' oste tulti 169 i cavalieri usano di fare, che s'ausino bene di se- guitare. » Farmi doversi dire, tulli i cavalieri usino di fare e s' ausino bene di seguilare. Gap, VI. « In prima tutti i viaggi della con- Irada, ove è la guerra , pienissimamente apparì , e quanto spazio è dall' uno all'altro luogo, ed ap- parì ancora i passi de' fiumi. » Qui l'errore non ò del copista, ma sì chiaramente è del Fontani , il quale ci diede due volte apparì in luogo d' appari,, cioè impari. Ivi. {( E coloro, che di dietro rimangono ab- bandonati da' suoi, caggiono a mano da'. nemici. -» Dicasi de' nemici. Gap. VII. « Ma per più agevolezza è trovalo che .si fanno scafe d'assi molto sottili, o vero ca- vati legni per loro propria natura, ed essendo leg- gieri in sulle carrette le portano, » Col testo latino emenderemo; che per loro propria nalura essendo leggieri^ in sulle carrelle le parlano. Gap. Vili. (( E se non si trova rifiuto alcuno guernito, e forte castello, in ((uella via o vero luo- gora, facciavisi uno rifiuto rilevato e forte, ciicon- dato di grandi fossi. » Che sia voce legittima que- sto rifiuto (il latino ha muniiio) , come afferma il Fontani, il quale nell'elenco dello parole non regi- strate dal vocabolario lo dà sinonimo di ridallo , forse da lutti non vorrà credersi. Potrebbe darsi che la vera parola sia rifugio. Di che giudichino i più dotti di me in queste cose. Gap. IX. (( E decsi considerare chi è più ab- bondevole di vivando , peichò dentro combatte la 170 fame, e vince spesse volte senza ferro, e special- mente quando è da trattare se per necessità ci conviene prolungare, o vero avacciare la battaglia. » Pessimamente. Ecco come vuoisi correggere col- l'aiuto anche del testo latino: a E deesi conside- rare chi è piij abbondevole di vivande: perchè dentro combatte la fame, e vince spesse volte senza ferro. E specialmente qui è da trattare se per ne- cessità si conviene prolungare, o vero avacciare la battaglia. » Ivi. « Perchè i meno per novero , e di forza sottanì, per assalimento o per aguati, che si suole in quello stato fare , il buono doge spesse volte puote venire a vittoria. » Anche qui male: e dee dirsi, sotto il buon doge [sub ha il latino) spesse volte possono venire a vittoria. J) Gap. X. « Sappia ancora (che si può fare) sin- golarmente chi sia il conte, chi il tribuno ec. » Il latino ha si potest fieri , e perciò la vera lezione sarà se si può fare. Ivi. « A passare fiumi, a correre per dirupate, andare per spesse e folte selve ec. » Anche que- sto sustantivo dirupate si crede voce legittima dal Fontani in vece di dirupo. Ma considerando io i tanti guasti del codice, e gli esempi che nel trecen-^ to abbiamo del sustantivo dirupalo, mentre nessuno se ne conosce del sustantivo diriipata, stimo assai probabile che debba qui dirsi dirupati: e di diru- pata attendere più sicura autorità prima di farne registro nel vocabolario. Ivi. « Perchè coloro che dinanzi grande tempo, 0 vero per neuna stagione, avranno gli uomini ve- ni duto fedire o vero uccidere, quando gli guarderanno di nuovo , n' abbiano paura; e per paura confusi , della fuggita maggiormente pensino, che di volere combattere. » Secondo il testo latino , e secondo la ragione, deve dirsi n hanno paura , e della fug- gila magfiiormenie pensano. Ivi. « Ed ancora se gli avversari avranno cor- so, e dal viaggio saranno affaticati, gli assaliscano: e quegli di dietro o gli abbandonati soprappiglino: e coloro che di lungo saranno da' loro compagni o per predare, o per ragione di vivanda , subita- mente piglino. » Qui si parla del doge^ o capitano, e perciò vuol dirsi gli assalisca^ soprappigli, pi^li. Ivi. ({ Ad utilitade della sua difensione una cosa è a dicere dinanzi in questa opera, che neuno di- speri di potere fare quello che è fatto per altra stagione. » Questo per altra stagione è forse una glossa, 0 un'aggiunta del copista: dicendo solamente Vegezio: Ut nemo desperet fieri posse qiiae facta sunt. Ivi, « Appo gli antichi l'arte della cavalleria si dimenticò spesse volte, ma in prima da' libri è ri- coverata, e rapparala è poscia dall'autorità de'dogi, e confermata, e ripresa per usanza. » Pai-mi che la vera lezione debba esser questa: « Appo gli anti- chi l'arte della cavalleria si dimenticò spesse volte; ma in prima da' libri e ricovrata e rapparata è: poscia dall'autorità de' dogi è confermata e ripresa per usanza. » Il latino: Apud veteres res militaris in oblivionem saepius venii; sed a libris repetita esty postea ducum auclor itale firmala. 172 Ivi. « Il riniiincnte delle quali abbiendole tolte Gaio Mario, sì gli ammaestrò di scienza e virtù di combattere , che la moltitudine senza novero non solamente dì cimbri , ma di tedeschi e degli' um- broni e de'cimbri in grande battaglia recò a neente. » La ripetizione de' cimbri dopo gli iimbroni è merce visibile del copista. Parmi pure che il volgarizza- tore avendo scritto degli umbroni, avrà scritto an- che de" cimbri e de' tedeschi. Gap. XI. « Perchè venuto quando l'opera della battaglia si dee fare, tosto si viene alla vittoria. » Dicasi veduto in vece di venuto. Ivi. « E quando gli avversari cominceranno ad assalire coloro che iion credano che escano, e quan- do saranno convertiti a fare preda , o rivolti per andarsene , e gli animi della battaglia ritratti , e lordine della compagnia alquanto disfatto , allotta coloro che si maraviglieranno, e diventeranno stu- pidi, chetamente assaliscano, e strettamente sopra loro vengano. » Qui pure col testo latino può emen- darsi il gran guasto così: « E quando gli avver- sari cominceranno ad insultare [insultare coeperint) coloro che non credono che escano, o quando sa- ranno convertiti a fare preda, o rivolti per andar- sene gli animi dalla battaglia ritratti, e !' ordine delle compagnie alquanto disfatto , allotta coloro (che si maraviglieranno e diventeranno stupidi) che- tamente assaliscano, e strettamente sopra loro ven- gano. » Gap. XII. L'ultimo periodo è tale, ch'io, quanto A me, Io credo di lezione disperatissima: non es- sendovi ombra di traduzione del testo latino. 173 Cap. XIV. «Ma il savio doge e pei' innanzi si dee provvedere ec- « Quel!' e dopo doge è cerla- inente di più- ■ Ivi. « Ma vegnendo gli avversari ricevono , e stando combattendo con loro si difendono, e met- tongli in caccia. » Sembrami fuor di dubbio che debba dirsi: Ma vegnendo gli avversari, gli ricevono. Ivi. « E se i nemici possono mettere in caccia, questi co' cavalieri li cacciano; e se da' nemici fos- sero cacciati , reggono nella primaia e seconda schiera. » Non reggono, ma reddono , è la vera le- zione, dicendo il latino: Redeunt ad primam et se- cundam aciem. Cap. XVI. « Il doge dee sapere che i cavalie- ri, eletti che siano , fuori di schiera debba porre contra i cavalieri de' nemici. » Direi: « Il doge dee sapere che cavalieri. » Cap. XVIII. « Perchè questo è luogo , per lo quale tutta l'oste si governa, del quale dritto e li- bero corrimento in ogni parte si puote fare. » Non del quale, ma dal quale, avrà scritto il Giam- boni. ' Cap. -¥IX. Contro lo quale si propone 1' ordi- nanza. )) Dicasi si pone. Cap. XX. « Nel quale luogo è grande pericolo se non averai uomini di soperchio , e fuori di schiera, che corrano e 'I nemico sostengano. » Il fuoìi di schiera è un glossema del volgarizzatore : e perciò scrivasi: u Nel quale luogo è grande pe- ricolo, se non averai uomini di soperchio (o fuori di schiera) che corrano e '1 nemico sostengano. » E questi uomini di soperchio chiama Vcgezio super- numerarios. 174 Ivi. a In queste modo di combattere è da guar- dare che per le compagnie de' nemici , che sono fuori di schiera, la tua schiera dalla traversa rotta non sia. » Così Vegezio: In hoc genere cavendum esty ne inimicorum cuneis iransversa tua acies elida- liir. Dee dunque dirsi, la tua schiera traversa rolla non sia. Ivi. « Quando tu averai le schiere ordinate di- nanzi quaranta passi, o vero cinquanta prima che coi nemici venghi alle mani, non abbiendo te so- perchiato, subitamente ambedue le tue ali mutare li conviene: che dell'uno e l'altro corno prima che il nemico se n'avvegga il converta in fuga , e to- stamente abbie vittoria. » Col testo latino può , &'io non ftillo, emendarsi chiaramente così: « Quando tu averai le schiere ordinate, dinanzi quaranta passi o vero cinquanta prima che coi nemici venghi alle mani, non abbiendo te soperchiato , subitamente ambedue le tue ale incitare {indiare^ lat.) ti con- viene; che dall'uno e l'altro corno [ex utroque cornu)^ prima che il nemico se n' avvegga , il converta in fuga, e tostamente abbie citloria. » Ivi. « Ma questo modo di combattere , avve- gnaché tosto vinca, se usati e ferti averà seco me- nati ec. )i Ferti per forti sarà certo eri-ore di stampa. ivi. « Allotta sicuro a tuo arbitrio combatterai co' nemici, perchè 1* una parte aiuta la natura del luogo, dall' altra parte il doppio cavalieri e com- battilori si pongono. » Con Vegezio alla mano, che dice: Quia ab loia parte loci natura le munii: può sicuramente correggersi: perchè daWuna parte aiuta le la natura del luogo. 175 Gap. XXI. (t E quando non si ha alcuna spe- ranza, la paura piglia V arnie , e vuole volentieri morire col nemico, che sa senza dubbio che mo- rire dee- » Emendisi con sicurezza: e vuole voleri" tieri morire col nemico chi m senza dubbio che mo" Tire dee. Gap. XXII, « E sempre dipo' la schiera s' ag- giungono a coloro che prima aveano sceverati. » Il latino ha inngebant^ e però vuol dirsi s' aggnin- gevano. Gap. XXIV. « I carri con quattro ruote, che si appellano falcati, Diltabullo re d'Antiochia, e Mitri- date ebbero. » Questo re Dittabullo è tutto cosa del buon Giamboni , che nel suo corrottissimo testo latino non ha saputo dicifrare le parole in bello rex Antiochiis. Gap. XXV. « Ghe se alcuna non buona cosa gl'incontrerà per lo variamento delle battaglie , e della condizione dell'uomo, senza grave danno que- gli che sono presso di lui raccolga, e pigli alcuno colle di monte, se v' è presso, o vero di dietro da se vi avrà alcuna fortezza , o vero tutti gli altri fuggendo , certi uomini fortissimi contrasliano e facciano testa, e se ed i suoi difendano- » Gol te- sto latino alla mano non sarà difficile di togliere ogni imbroglio, così: « Ghè se alcuna non buona cosa gì' incontrerà per lo variamento delle batta- glie, o della condizione dell' uomo {vel conditionis umanae), senza grave danno quegli ohe sono presso di lui raccolga: e pigli alcuno colle di monte, se V* è presso, o vero di dietro , se v' avrà , alcuna fortezza, ove tutti gli altri fuggendo, certi uomini 176 foltissimi contrastiano e facciano tesla , e se ed i suoi difendano. » Ivi. « Ed allotta a queste nuove cose nuovi fatti si richieggiono, e questo maggiormente fa prò, trovato cagioni contra i detti vincitori, e per na- scosti aguati facendo assalimento, e nel detto modo l'ardimento si ripiglia. » Traduzione assai misera- bile ! Nondimeno scommetterei che il Giamboni int^e dire così: « Ed allotta a queste nuove cose nuovi ftitti si richieggiono: e (questo maggiormente fa prò) trovato cagioni contra i delti vincitori, per nascosti aguati si fa assalimento, e nel detto modo l'ardimento si ripiglia. » 11 latino: Et ( quod am- plius prodest) caplatis occasionibiis in ipsos victores per occultas insidias impelus faciendus est, ac sic audacia reparanda. Ivi. « Conciossiacosaché le menti degli uomini si tolgono a' superbi per alcuna felicitade. » E che sì il Giamboni lesse aiiferanlur in vece di effe- rantur che ha il testo latino ! Se pure non voglia dirsi che il copista gli regalò uno strafalcione ve- ramente madornale, e che il volgarizzatore scrives- se: « Consiossiacosachè le menti degli uomini s'e- stollono a superbia per alcuna felicitade. )> Gap. XXVI. « Ma conciossiacosaché questa pa- rola, che qui della cavalleria si contiene, sia ita in- nanzi e cresciuta per molta usanza, e generazione d' armi, e nobiltade de' cavalli, de'^ibri estimo che {)iij cogliere non se ne possa- » Dicasi da' libri. 177 LIBRO IV. Vroemio. « E però che passate tutti gF impe- radori di fedeltade, e di temperanza e castitade, di buono e esemplo, e di perdonare, veggiam noi, ed i beni dell' animo e del vostro regno. » Secondo il testo latino parmi che debbasi scriver così: « E però che passate tutti gì' imperadori di felicità , e di temperanza, e di castitade, e di buono esemplo di perdonare [indulgenliae exemplo), veggiam noi ed i beni deiranimo e del vostro regno [regìii animi- que ini bona cernimus). » Ivi. « Ma per lo disponimento della vostra pie- tade quanto prode abbia fatto il lavorio delle mura «he furono fatte a Roma, n' ammaestra che servò la salute de' cittadini il difendimento della batta- glia del Campidoglio, acciocché poscia possedesse la signoria dello imperio di tutto il mondo glo- riosa. » Ad emendar questo periodo, tanto imbro- gliato , veggasi prinia che cosa dice Vegezio: Sed disposilionilms veslrae clemenliae quanlum profecerk murorum elaborata constnicùo , Roma dociimenlum est, qitae salutem civinm capitolinae arda defensione servavil , ut gloriosius postea totius orbis possideret imperium. Sicché credo che il Giamboni abbia tra- dotto così: « Ma per lo disponimento della vostra pietade quanto prode abbia fatto il lavorio delle mura che furo fatte {elaborata construclio) , Roma n'ammaestra, che servò la salute de' cittadini col difendimento della bastita del Campidoglio [capi- tolinae arcis defensione), acciocché poscia possedesse G.A.T. CL. 12 178 la signoria dello imperio di tutto il mondo glo- riosa. » Gap. IV. « E sopra la porta si dee il muro ordinare, che di sopra si facciano forami , per li quali gittata 1' acqua s'arrunortifìchi il fuoco. » Di- casi , secondo anche il testo latino: « E sopra la porta s\ si dee il muro ordinare, che di sopra si facciano forami ec. m Gap- V. « Perchè in due modi in quella via sotterra si contradice. » Par certo che debba dirsi secondo il testo di Vegczio: « Perchè in due modi quella via sotterra si contradice. )> Gap. XI. (( E che sarà se il nemico attingere »on glie la lascia ? Perchè questo interviene, tolga l'arena che gitta fuori il mare quando tempesta per venti, e con dolce acqua la mescoli , e lieve- mente colandola, al sole se ne fa sale. »> Qui pure h grosso svarione, mi pare: e si può ben togliere confrontando il latino, che dice: Quod si hostls ab un" da prohibcat [nam hoc saepe accidil)^ arenas, quas exagilatum ventis mare superfnderat, aliquando col- ligunly et dulci aqiia eluunt, qnae sole siccata nihi- lominiis muialur in salem. Ed il Giamboni avrà tra- dotto: « E che sarà se il nemico attingere non glie la lascia ? {Perchè questo interviene). E' tolga l'a- rena che gitta fuori il mare quando tempesta per venti: e con dolce acqua la mescoli, e lievemente, seccandola al sole, se ne fa sale. » Gap, X!l. « Quando s' appaiecchia di combat- tere per forza cittade o castello, catuna parte met- tendosi a pericolo, ma maggiormente la parte di fuori coloro che desiderano le mura assalire {grande ap- 179 parecchiamento ordinato ai combattitori) grande paura generano a coloro che sono senza speranza d' arreddirnento. » Deve dirsi , secondo il testo la- tino; « Coloro che desiderano le lìiura assalire, con grande apparecchiamento ordinati i combattitori {terrifico apparata exposilis copis), grande paura ge- nerano ec. » Gap. XIV. « Questo gatto ha dentro una trave, ove si mette un ferro uncinato , il quale è falce chiamato, col quale, perocché piegato , del muro si traggono le pietre. » Direi perocché è piegato. Gap- XV. « Plutei sono detti , perchè a simi- litudine d' assi si tessono di vimi e di ciliccio. » Questo assi sarà forse una mala lezione del testo latino usato dal Giamboni: perchè la vera di Ve- gezio è absidis. Ivi. « 11 quale coloro che entro ci sono menano al muro , e difesi da lui dalle pietre, e lance , e quadrella tutti i difenditori della cittade turbano.» Dicasi con sicura lezione: e difesi da lui , con le pietre e lance e quadrella tutti i difenditori delta cittade turbano. Ivi. « E fassi ancora per quello di fuori dal plu- teo uno arginale di legni e di terra centra il mu- ro. » Sarà buona lezione dire per quelli di fuori dal pluteo. Gap. XIX. (( E quando la torre al muro si giu- gno, subitamente la torricella , che dentro hanno fatta, su la tirano con funi. « Il volgarizzatore non ha bene inteso il testo latino : ma nondimeno è certo che dee scriversi: E quando la torre al muro si (fiugne. 180 Gap. XXI. « Ma coloro che in sulle scale sal- gono , grande pericolo spesse volle ricevono ad esemplo di Capaneo, del quale si trova che questo modo di combattere fue di prima trovato. » Dicasi dal quale, avendosi a quo nel testo latino. Ivi. « Perchè, secondochè nella celerà sono cor* de, così nelle travi, che per lungo allato alla torre si pongono, sono funi, eh' il ponte dalla parte di sopra con trochei, cioè manovelle, fanno chinare , acciocché si scenda nel muro. » Tutto al contra- rio del latino che ha: ut ascendal ad murum. Né il passo è tale, che il Giamboni non possa averlo inteso , scrivendo forse acciocché sì ascenda nel muro. Dico nel muro: e sarà esso nella lingua un esempio più antico di quello del Petrarca, che nel canto I del Trionfo d' Amore disse: E così n ascendemmo in luogo aprico: e del Tasso , che pur disse nella Gerusalemme VI, 29. Pur cedette a Tancredi e 'n sella ascese: e XI, 56. Ed ascendendo in un leggier cavallo, Giunger non può che non sia visto al vallo. Ivi. « Esostra è detta il ponte , come aviamo detto di sopra, che della torre nel muro inconta- nente si mena. » Direi: Esostra è detto il ponte .... 181 che dalla torre nel muro incontanente sì mena: ben- ché il latino abbia, qui de turri in munim repente portenditur, il cui signitìcato dal volgarizzatore non è stato ben compreso. Cap. XXII. « Contra le dette cose usato è di difendere gli assediati co' balestri, e gli onagri , e gli scorpioni, ed arcobalestii, e mazzafrusti e rom- bole. » Ricorrasi a Vegezio, che dice: Adversum haec obsessos defendere consueverunl balistae, onagri, scor- piones ec. Potrebbe dunque il Giamboni aver tra- dotto: « Contra le dette cose usato è (che anche può dirsi in vece d' nsati sono) di difendere gli assediali e i balestri e gli onagri e gli scorpioni ec. » Gap. XXVUl. « E questa non solamente di vallo e di staccato, ma di bertesche guarniscono. » Ghe alcuno abbia mai detto staccato in vece di steccato^ non so. Gerto è che con questo unico esempio non gli darei luogo neppure nel cimiterio della lingua. Gap. XXXI. « Ma il popolo di Roma per la bellezza ed utilità della grandezza sua, non per ne- cessitade d' alcuno rubellamento, per temporali ap- parecchiava navilio. » D'\i'Q\ per temporale. Ex tem- pore ha il latino. Ivi. « E però appo Ravenna e Messina certe legioni con navilio faceva stare. » Potrebbe darsi che qui, ed anche in altri due luoghi , sia pecca del volgarizzatore l'aver cambiato Miseno in Mes- sina. Gap. XXII. « Il prefetto del navilio di Messina sorprastava a coloro che in campagna stavano. » Scrivasi in Campagna. 182 Ivi. « E ciascuna nave liburna avea certi mae- stri di nave, i quali tutti gli uffici delle navi am- maestravano a reggere i governatori e coloro de' remi, ed i cavalieri navicando spesso ammaestra- vano.» Secondo il testo latino dee scriversi; a i qua- li, tratti gli uffici delle navi [exceptis ceteris nauta- rum officìis), ammaestravano a reggere i governa- tori e coloro delle navi [cjubernanlibus alque remi- giòm). » Il restante è forse guasto del copista » non vi si scorgendo senso che corra. Gap. XXXV. « La detta arte l' usanza di luillì i maestri ha insegnata, e conoscienla per conside- ramento di quello magisterio, al quale per più ba- stare in quegli dì solamente piacque di tagliare. » Che imbroglio mai ! Ecco però il latino: Quod prae- lev omnÌMm architectomm doclrinam qnotidianus usus: edoeuiU st eentemplatione ipsius religionis agnosci^ mwsy quam prò aelernilate his tantum diebus placuit celebrare Ora io credo che il Giamboni non possa che avere tradotto a suo modo così: « La detta arte l'usanza dì tutti i maestri ha insegnata, e co- noscianla (cioè conosciamola) per consideramento di quella religione , la quale per più bastare 'm questi dì solamente piacque di celebrare. » Cap, XXXVIIl. « Qualunque uomo usato , ar- mate le navi, navica. I segni onde si turba il mare dee innanzi conoscere. )> Ecco pure il latino: Qui- cumque exercitum armatis classibus vehity turbinum signa debet ante praenoscere. Il Giamboni non ha saputo intendere il testo latino, e soprattutto quell' exercitum, com' è chiaro: ma credo nondi meno che abbia scritto: « Qualunque usato, armate le navi, 183 navica, i segni onde si turba il mar-e dee innanzi conoscere, w Ivi, « Nella quale parte con ogni studio è da avere rangola della naturale filosofìa, perchè natu- ralmente si coglie per la ragione del cielo. La tem- pesta de' venti , e secondochè il mare è acerbo » come coloro che sono accorti difende, così uccide i negligenti, e che senza rangola sono. » Qui pure il guasto 0 del copista o dell' editore è gravissi- mo. Ma non è già difficile di restituire il testo alla sua integrità, scrivendo: « Nella quale parte con ogni studio è da avere rangola alla naturale filosofia: perchè naturalmente si coglie per la ra- gione del cielo la tempesta de'venti: e secondochè il mare è acerbo , come coloro che sono accorti difende, così uccide i negligenti, e che senza ran- gola sono. » Ivi.tt Sicché i principali venti dichiarati, per quegli conosceremo quali sono quegli che da questi vengo- no, che a loro vanno d' intorno quando il vento si leva. 11 primaio è detto Sussolano, che è il principale dalla parte del levante. » Nuovo imbroglio della ma- tassa: ma tuttavia non difficile a trovarne il ban- dolo- Dice \egezio: ha ut, venlis principalibìis decta-' ralis, eos qui ipsis dexlra laevaqiie iiincli siinl indi- cemus. Sembra perciò che Bono abbia scritto: « Sic- ché i principali venti dichiarati, pertanto conosce- remo quali sono quegli che da destra e da manca a loro vanno d' intorno. Qiiando il vento si leva, il primaio è detto Sussolano ec- » Ivi. « E le genti del secolo hanno usato di stare nei desiderati porti, o vero di tornarvi quando sof- 184 fiano i detti venti, e se non ricevono grandissime tempestadi. » Per 1' Edipo che vorrà interpretare leaimma di questa sfìnge (giacche io non mi credo da tanto) reciterò qui il testo latino: Nam secundo spiramine optalos classis invenit poriiis: adverso, stare vel regrediy aut discrimen suslinere, compelìittir. Gap. XXXIX. « Seguitasi il trattato de' dì e de' mesi. » Dicasi, seguila sì. Gap. XL. « E ì dì de' termini che di tempe- stadi; sono pieni. » hilcrlimiorum aiUem dies iempe- statibm: plenos, dice Vegezio; ed il Giamboni avrà scritto certamente, e i di degV interluni. Gap. XLL « Spezialmente {la luna) quando averà il quarto, se sarà lucente, ed i corni suoi non sa- ranno turbati, o vera sarà piena d'omori tenebro- si. » Neque infuso fuerit humore fuscata , Vegezio- Sicché dicasi, o vero non sarà piena d'omori tene- brosi. Ivi. « Ed ancora nel sole nel suo nascimento , o vero quando si corica , è grande differenza se egli luce con iguali razzuoli, o vero si variano per alcuna nebbia che contrasta alla luce. » Gaudeat radiis, e varietur^ dice il latino: e Bono avrà volga- rizzato certamente luca e si varii: né altro dà il senso del periodo. Gap. XLIV. Ed ancora in tutte le navi liburne bertesche e torri si fanno, acciocché siccome d'uno muro delle piiì alte torri di legname pili agevol- mente feggano , ed uccidano i nemici. » Direi me- glio, se pur non fallo: « acciocché, siccome da uno muro, dalle piìi alte torri di legname piìi agevol- mente feggano ed uccidano i nemici. J85 Potrei notar pure altre cose: ma bastino que- ste a mosli'ai'e come non è già in tutto vero quello che il Fontani con troppa innocente fiducia intese affermare: d'averci dato cioè un testo tanto insigne di lingua italiana, quale a un dipresso uscì della penne di Bono Giamboni: e d' essersi anche assai consigliato col latino di Vegezio. Avverte egli ancora nella prefazione , che due manoscritti ric- cardiani del volgarizzamento recano nella dedica- toria all' imperatore le seguenti parole: « Del pri- maio imperadore Gaio Cesare , il secondo s.io fi- gliuolo adottivo Ottaviano imperadore, il quale fue poscia Augusto, cioè accrescitore nominato , tutti gli altri imperadori sono poscia appellati Cesari , ed Augusti, secondochè appo quegli d' Egitto Fa- raoni, e appo quegli di Siria Antiochi, e appo que- gli di Persia Arsadi, ed appo i filistei Abimelec ec. » E qui pure credo che trovisi errore: e che , oltre alla voce Arsadi in vece di Arsaci , il principio debba essere scritto così: « Dal primaio impera- dore Gaio Cesare, e dal secondo, suo figliuolo adot- tivo, Ottaviano imperadore, il quale fu poscia Au- gusto, cioè accrescitore, nominato , tutti gli altri imperadori sono poscia appellati Cesari ed Augu- sti- » Ma di tutto fo giudice voi, P. Bresciani dottis- simo: a cui in fine mi offro e raccomando di since- rissimo animo. Salvatore Betti 186 Specchio etnologico del secolo di Dante. 1200. JT^ontificato d' Innocenzo III che nel dì 8 gennaio 1198 era stato fatto papa dopo la morte di Celestino III nello stesso anno e quella d' Arrigo VI imperatore accaduta an- cora nell'anno 1198. Federigo //, successore d'Arrigo VI, fanciullo di due anni sotto la tutela della madre Co- stanza che sopravvisse al marito e si era data al partito del papa per averne l'appoggio. Di Costanza madi'e di Federigo, e di Manfredi fi- gliuolo illegitimo di Federigo e nipote di Co- stanza, parla Dante nel Purg. C. Io son Manfredi Nipote di Costanza imperatrice. 1201. Goffredo di Villehardonin, uno dei sei depu- tati della più alta nobiltà francese che ven- nero ad umiliarsi ai veneziani per chiedere il loro aiuto, lascia scritta in vecchio francese una relazione di questa ambasceria. Egli ter- mina la sua storia avanti il 1213. 1201. I crociati risolvono di passare in Palestina 0 in Egitto per la via di mare, e cercano di fare un trattato di sussidio e d' alleanza coi veneziani. 187 La prima crociata è quella di Goltifredo di Bouillon l'anno 1096. La seconda quella dell' imperator Corrado e di Luigi VII, il buono, l'anno 1148. La terza quella di Federigo Barbarossa, Fi- lippo Augusto, e Riccardo cuor di Leone l'an- no 1189. Ma di mezzo a queste grandi spe- dizioni ^ altre armate crociate passarono in oriente: per la qual cosa alcuni storici chia- mano la presente, cioè la prima da noi no- minala, la quinta crociata. 1203. Istituzione dell' inquisizione fatta da InnO' cenzo III (1). 1203. I crociati uniti ai veneti e ai francesi pren- dono Coslantinopoliy dove stabiliscono per im- peratore Baldovino conte di Fiandra, uno dei capi di tale spedizione , e vi si mantengono fino all'anno 1261, nel quale i greci ripren- dono Costantinopoli comandati da Michele Pa - leologo da loro eletto imperatore e vi restano fino alla caduta del greco impero del 1453, in cui Costantinopoli fu presa da Maometto II. S. Francesco e s. Domenico suoi cooperatori contro gli eretici. In quest' anno s. Domenico prende per pro- prio impulso a predicare contro gli albigesi. 1205.. Morte di Gualtieri conte dì Brienne, che aveva sposato la prima figlia di Tancredi ultimo re della razza normanna. 1206. In quest'anno è spedito dal papa nella Gal- lia Narbonese con ampie facoltà di promet- tere a tutti coloio che prenderebbero la croce, 188 per r esterminio degli eretici, tutte le indul- genze riservate fino allora ai soli liberatori di Terra santa. 1206. l tartari mongoUi invadono la Russia , la Polonia e parte dell' Ungheria. Genyis i-egnò dal 1206 sino al 1227. L' impero dei suc- cessori dì Gengìs , che comprendeva di già metà della China, la Persia e l'Asia minore, minacciava omai d' ingoiare tutta 1' Europa. L' anno 1235 un generale del figlio di Gengis intraprese la conquista del nord. 1207. Firenze rovinata affatto da Tolila re dei goti nella guerra che dovè sostenere contro i ge- nerali di Giustiniano , e poi rifabbricata da Carlo Magno (al che iiilude il poeta Sul cener che di Totila rimase, che secondo i migliori testi da me veduti cosi deve leggersi), in quest' anno fu gover- nata dai consoli scelti tra i migliori cittadini e da un senato di cento membri. Da quest' anno in poi, cioè dal 1207, i fio- rentini imitarono ciò che vedevano praticarsi da tutte le altre città, e chiamarono un po- destà straniero e gentiluomo, al quale affida- rono il carico di eseguire gli ordini del co- mune. Giialfredotto di Milano fu il primo podestà di Firenze. 1208. Sedizioni in Roma eccitate da Ottone IV. 189 1209. Simone di Moni fori ^ semiive in compagnia dei domenicani, entra nei dominii di Raimondo conte di Tolosa alia testa dei crocesignati (2). 1213. Le città toscane tutte, ad eccezione di Pisa, sono pili affezionate al partito delia chiesa che dell' impero : e quantunque nella I^om- bai'dia le più potenti repubbliche avessero abbracciala la causa d' Ottone, aveva la for- tuna favorito in modo le piìi deboli attac- cate alla chiesa , che i cremonesi disfecero interamente 1' armata milanese , tolsero loro il carroccio, e fecero prigionieri più migliaia di soldati. Ciò accadde nel giorno di Pente- coste di quest' anno. 1214. Ottone IV e Federigo II si disputano la co- rona imperiale. 1214. 27 luglio. Federigo II coronato re de' ro- mani in Aquisgrana dopo aver vinto il suo competitore Ottone presso Brisacco. 1215. Assemblea del quarto concilio ecumenico di Laterano nel mese di novembre, ove aduna- ronsi in Roma per deliberare intorno agli in- teressi della chiesa 71 metropolitani, 400 ve- scovi , più di 800 abati e priori di mona- steri sotto la presidenza d'Innocenzo III, e fu questo il più notabile avvenimento del suo pontificato (3). Innocenzo III si muove alla volta di To- scana a rappacificare i pisani e i genovesi , per valersi di loro nella difesa Ji Terrasanta. 1215. Morte di Aldobrandino maggior figliuolo d' Azzo d'Estc, e resta il secondo genito Azzo VII 190 marchese d' Este che a stento potè conser- vare il patrimonio dei suoi maggiori. Azzo VII dominò dal 1215 al I26i. 1215. La prima scissura in Firenze (4). Biiondelmonte Buondelmonli^ famiglia che primeggiava nella causa guelfa, dopo aver pro- messo di sposare una fanciulla degli Amidei , famiglia alleata degli liberti del partito ghi- bellino, sposa una fanciulla della famiglia dei Donali', il che fu la prima origine delle di- scordie di Firenze. Di ciò Dante: 0 Buondelmonte ec Gli Amidei non sanno prima, eh' egli man- cava alla convenzione fatta con loro, se non quando era gi<à sposo d' un' altra: e invitati subito tutti i parenti a riunirsi presso di loro, gli Uherli, i Fifanli, i Lamberti, ì Gan- galandi , espongono 1' affronto ricevuto e chiedono consiglio intorno alla vendetta. Mo- sca Lamberti osò dire il primo, che solo la morte poteva lavare una tanta offesa. La sua risposta fu il proverbio « cosa fatta capo ha » che diventò poi parola di sangue , la quale non poteva pronunziarsi senza far fremere i repubblicani di Firenze- Di ciò Dante (5). Ck)sa fatta capo ha ... Quindi ha orìgine la fazione dei Buondel- monli e di quarantatre famiglie principali del 191 partito guelfo con loro, di cui gli storici ci danno i nomi , e gli liberti ed altre venti- quattro famiglie associate per la causa dei ghibellini. Quindi per una particolare con- tesa di famiglia le sanguinose risse dei fio- rentini , die dopo essersi tenute vive senza deciso vantaggio dell' una o dell' altra parte trentatrè anni, ebbe fine coli' esilio dalla città d' un intero partito e coli' obbligare la repub- blica a figurare eminentemente nelle succes- sive guerre d' Italia. Buondelmonle la mattina di Pasqua, men- tre attraversava sopra un cavallo bianco Pon- tevecchio, fu assalito dai capi di queste fa- miglie, unite non solo per la recente ingiu- ria, ma per 1' affezione alla causa imperiale, ed ucciso presso alla statua di Marte protet- tore di Fiorenza pagana , che ancora rima- neva in piedi (6): E se non fosse ec. 1216. 16 luglio- Morte d' Innocenzo IH a Perugia. Succede Onorio 111 il 18 luglio dello stesso anno: governa 10 anni, 8 mesi, e muore ai 18 marzo 1227 (7). 1226- Onorio affretta Federigo a fare l'impresa di Terrasanla (8). Dopo avere Federigo ingrossata la sua armata col partito dei Montecchi diretto da Ezzelino., s'inoltra al di là dal Mincio. Le truppe di Cre- mona , Pavia , Modena e Reggio lo stanno 192 colà aspettando: o con sì ragguardevole aiuto entra nei distretti di Mantova e di Brescia , che pose a fuoco e a sangue. La città di Padova, la più potente delle repubbliche guelfe della inarca Trivigiana, di cui era Podestà Ramberlo Ghislieri di Bolo- gna, e la città di Vicenza, di cui era pode- stà il marchese d' Este, formano di concerto l'ardilo progetto d'attaccare il distretto di Verona, mentre Ezzelino trovavasi coli' impe- ratore (9). Federigo, avvertito dell'avvicinarsi della loro armata, si porta sopra Vicenza con tanta spe- ditezza, che giunge fino alle porte della città prima che il marchese d' Este e i padovani potessero darle soccorso (10). Conquista di Vicenza. 1237- Dopo questa conquista FederigOy affidando le truppe che lasciava in, Italia ad Ezzelino, vì- prende la strada dell' Alemagna , ove era chiamato dalla guerra che avea importantis- sima con Federigo duca d' Austria. Ezzelino profitta destramente dei successi ottenuti dal monarca; e mentre il 23 febbraio egli e gli imperiali si preparano a far l'assedio di Padova, Marino Badoero podestà alla testa delle milizie, con cui voleva respingerlo , è forzato a ritirarsi , ed Ezzelino entra in Pa- dova già destinata capitale de'suoi nuovi do- mini! (11). Fa in appresso ordinare dalle tre repubbli- che di Padova, di Vicenza e di Verona, che 193 per sicurezza del partito ghibellino prende- rebbero al loro soldo delle truppe dell' im- peratore , cioè cento tedeschi e trecento^ sa- raceni (12). Cerca di aggravare sempre piii il giogo ; onde stabilisce il suo potere (13)- Mentre Padova, una delle piiì potenti città dell' Italia settentrionale, cadeva sotto il gio- go d'un tiranno, quelle del centro della Lom- bardia preparavansi a far fronte all'invasione di Federigo IL Federigo II rientra in Italia in agosto di quest'anno alla testa di due mila uomini di cavalleria tedesca, ed è incontrato nelle vici- nanze di Verona da diecimila saraceni , che avea fatti venire dalla Puglia. Ingrossa la sua armata nel distretto di Mantova coli' u- nione di tutti i ghibellini lombardi; e Man- tova e il conte di s. Bonifazio gli si sotto- mettono (14). Federigo II entra nel distretto di Brescia e prende Montechiari e altri castelli di mi- nore importanza. I milanesi cogli ausiliari di Vercelli, d'A- lessandria e di Novara, si accampano presso Manerbio, e attaccati dall' imperatore sosten- gono coraggiosamente 1' impeto dei saraceni e dei tedeschi: e quantunque dopo una lunga resistenza il rimanente dell' armata fosse af- fatto sbaragliato, la compagnia detta dei farli, cui era affidata la custodia del carroccio, re- G.A.T. CL. 13 194 sta immobile nella sua posizione, finché viene la notte a separare i combattenti. Federigo II insegue i milanesi fuggitivi , prende il carroccio e lo fa trionfalmente con- durre a Cremona , come nobile testimonio della sua vittoria. Molli milanesi furono nella loro fuga im- prigionali o trucidati , ed altri in maggior numero sarebbero infallibilmente periti , so Pagano della Torre^ signore della Valsassina, non veniva incontro ai fuggiaschi e non gli accoglieva ne' suoi feudi facendoli passare per le gole del suo dominio. Poco dopo manda il carroccio al senato ed al popolo romano con sue lettere, che ci sono state conservate, nelle quali magnifica questo glorioso avvenimento : e il carroccio viene collocato in un recinto del Campidoglio, ove fino al 1227 veniva indicalo da un monu- mento in marmo (15). In questa perdita sofferta dai milanesi, Pie- tro Tiepolo figliolo del doge di Venezia e po- destà di Milano cade anch' egli in potere de- gli imperiali : e Federigo con una barbarie afììitto impolitica, dopo averlo fatto trascinare in diverse prigioni della Puglia, lo fa morire sopra un palco- La repubblica di Venezia non sa più perdonare all'imperatore questa cru- dele offesa, e dopo tale epoca si unisce alla lega lombarda, cui per addietro erasi rifiutata di prender parte. 195 1238. Federigo prende i suoi quartieri d' inverno a Cremona: ma non rimane ozioso lutto quel- r inverno. Visita Lodi e Pavia, che quantun- que sempre fedeli al partito imperiale , non avevano finora osato di prendere a suo fa- vore le armi per timore della soverchiante potenza dei milanesi. Passa da Pavia a Vercelli, e la riconduce alia sua ubbidienza; né è improbabile che in quel momento di terrore si staccassero dalla lega e abbracciassero almeno in apparenza le parti ghibelline anche Tortona, Alessandria, Novara, Asti, Torino, e Susa. La federazione lombarda trovasi ridotta a quattro sole città, Milano, Brescia, Piacenza e Bologna, le quali non mostransi aliene dal- l'entrare in trattati coil'imperatore: ma avendo questi dimandato che si sottomettessero senza condizioni all' autorità imperiale , i loro cit- tadini gli fanno rispondere che sperano di morire colle armi in mano piuttosto che co- prirsi di tanta infamia. Federigo circonda Biescia d' assedio colle truppe che avea raccolte in Germania: infe- lice esito dell'assedio di Brescia (17). I milanesi, trovandosi l'armata di Federigo intorno a Brescia, ne approfittano per battere a ritaglio i ghibellini di Pavia e di Lodi: e Federigo risolve di abbruciare le sue macchine e di ritirarsi a Cremona. Questa perdita, riguardata come una prova della debolezza del partito imperiale, ravviva 196 il coraggio delle città guelfe e procaccia loro nuove alleanze: il papa dichiarasi loro pro- lettore, e Venezia e Genova stipulano un trat- tato d' alleanza col papa e colle città della lega contro V imperatore. Nella marca Trivigiana si riaccende la guerra tra Ezzelino III e il marchese d' Esle , alla quale Federigo non prende parte; anzi dà se- gno di volerli riconciliare, facendo fare so- lenni nozze tra Rinaldo figlio del marchese ed Adelaide figliuola di Alberico da Romano. 1239- Mentre Federigo riceve in Padova prove non dubbie della divozione di quelli abitanti , ha notizia che Gregorio IX in pieno concistoro lo aveva scomunicato (18). Federigo vedendo di non potere impedire, che questa sentenza non venisse tra poco a notizia de' padovani, fa radunare tutti i cit- tadini nella sala de' consigli generali, ove era preparato il suo trono, sul quale ascese con tutto il fasto conveniente alla dignità reale: mentre Pietro delle Vigne, al di lui fianco , alzossi per arringare il popolo, e scegliendo per testo del sermone due versi d' Ovidio: Lenitor ex merito quicquid patiare ferendum est; Quae venit indigne poena, dolenda venit: dichiara in nome dell' imperatore, che s'egli si fosse meritata la sentenza di scomunica , non sarebbesi rifiutato di confessare il suo fallo avanti al popolo (-'■ sottomettersi al giù- 197 dizio dolla chiesa ; e passando in rivista le allegazioni, cui appoggiavasi la scomunica, si studia di provarne la falsità. 11 papa, dopo aver rimproverato a Federigo la sua empietà ed incredulità , entrando nei particolari, lo accusava d' aver suscitato in Roma ribellioni contro la santa Sede, d'a- vere oppresso il clero e perseguitati gli or- dini mendicanti de'suoi dominii, d'avere spo- gliate le mense vescovili delle loro entrate, e finalmente d' avere occupato terre e stati dipendenti dalla chiesa. Federigo^ non ignorando l'influenza di tali sentenze sul cuore de' guelfi , incomincia ad aver sospetti i due principali signori di que- sto partito, il marchese d' Este e il conte di 5. Bonifazio, eh' egli avea chiamati alla sua corte. Per assicurarsi di loro, chiede al primo di dargli in mano, come ostaggio, suo figlio Rinaldo colla consorte Adelaide. Questa inchiesta riesce più pregiudicevole a Federigo , di tutto quanto poteva temere dalla cattiva disposizione de' guelfi ; perchè Alberico da Rumano, forse già ingelosito del- l'ingrandimento del fratello Ezzelino, si chiama offeso vedendo condotta in Puglia come ostag- gio sua figlia : ed unitosi al signore da Ca- mino, di cui fino a tal tempo era stato ne- mico, si ritira con lui a Treviso e rivolta la città contro Federigo (19). 198 Gran pai-te della Marca si va inimicando air imperatore. Il marchese d' Este ricupera l'una dopo l'altra le tene toltegli da Ezzelino^ lì quale credendosi al fine talmente stabilito in Padova da poter gustare impunemente il piacere delle più atroci vendette , fa decapi- tare sulla pubblica piazza i piò potenti gen- tiluomini , e morire fra le tìamme o sopra un vergognoso palco gli infelici cittadini, che credeva attaccati alla causa della libertà (20). L' imperatore conduce la sua armata nel territorio di Bologna, ove consuma parecchi mesi neir assedio di alcune rocche: quindi si volge contro i milanesi senza ottenere alcun decisivo vantaggio. Fissa il suo soggiorno in Pisa , città che godendo tutta la libertà sotto la protezione imperiale, abbracciava caldamen-te tutti gli interessi della casa dì Svevia. Nuovi semi di discordia incominciano a dividere quegli abi- tanti , che air imperatore importava troppo di spegnere sul loro nascere ; perchè avea bisogno di opporre le flotte pisane a quelle delle repubbliche di Genova e di Venezia sue nuove nemiche. Il possesso della Sardegna era la cagione principale delle fresche di- scordie (21). Federigo^ morto Ubaldo Visconliy fa sposare la di lui vedova ad Enrico.^ o Enzio (22), uno dei suoi figli naturali , dandogli il titolo di re di Sardegna , senza pregiudizio però dei diritti, che aveva sull' isola la repubblica di 199 t*isa, e per quanto sembra, senza che Enzio visitasse mai il suo regno (23)- Invece di spe- dirlo in Sardegna, lo creò vicario imperiale in Lombardia, affidandogli il comando delle truppe alemanne e saracene per rinnovare la guerra contro i milanesi (24). Federigo, dopo avere pacificato Pisa, invade il dominio della chiesa e sì avvicina a Roma- Molte città dell' Umbria, tra le quali Fuli- gno e Viterbo , si dichiarano per il partito dell' imperatore, e inseguilo gli aprono le por- te Orta, Città Castellana, Sutri, e Montefia- scone. I romani sembrano proclivi ad abbracciare la causa di Federigo: quando Gregorio IX, av- visato del vicino suo pericolo dalle grida del popolo, in un sol giorno aduna sotto i suoi ordini un'armata abbastanza formidabile per non aver più timore di tutta la potenza di Federigo. Federigo, perduta ogni speranza di occu- par Roma, si ritira nella Puglia. I nemici di Federigo in Roma predicano la crociata pubblicando le stesse indulgenze, che prima non erano accordale che ai cro- ciati di Terra Santa: e in Lombardia un'ar- mata guelfa e crociata , condotta da un le- gato, assedia Ferrara , ove erasi chiuso Sa" linguerra, capo in questa città del partito ghi- bellino. Salinguerra, vecchio ottuagenario, che avea lungo tempo difesa la sua patria, viene im- 200 pi'igionato a tradimento in una conferenza, e mandato a Venezia , ove morì cinque anni dopo in carcere. La città di Ferrara, che da molti anni sacrificava la sua libertà allo spi- rito di partito, dopo avere ubbidito al capo dei ghibellini Salinguerra più come a prin- cipe che come a cittadino, accorda lo stesso potere al marchese d' Este capo della parte guelfa (25). Federigo tenta di far risguardare l'animo- sità di Gregorio IX contio di lui come una lite personale, che non dovea turbare il ri- poso della chiesa; e Gregorio IX per l'oppo- sto cerca di proscrivere Federigo agli occhi del mondo cristiano. A questo oggetto aduna un concilio a san Giovanni in Laterano per il giorno di Pasqua del susseguente anno; al quale chiama i ve- scovi francesi con lettera del mese d' ago- sto (26). Opposizioni di Federigo, che scrive a tutti i sovrani d'Europa , che non permettano la riunione di questo concilio e ordina a tutti i suoi partigiani di Lombardia di opporsi al viaggio dei [irelati. Essendo sicuro di quasi tutta la Toscana, perchè non rimanessero aperte le strade della Romagna, prende a fare l'assedio di Faenza, che ad istigazione dei bolognesi erasi ascritta alla lega lombarda. La città si difende osti- natamente tutto r inverno : ma Federigo se ne rende padrone sul cominciare di prima- vera. 201 1241. I prelati francesi recansi a Nizza, ove sono ricevuti da due cardinali legati del papa, il quale avea fatta allestire a Genova una flotta di ventisette galere per trasportarli fino alle foci del Tevere (27). Federigo fa armare in Sicilia tutti i basti- menti da guerra , sotto gli ordini di Enzio suo figliuolo, i quali si uniscono in Pisa alle galere della repubblica: e dopo lunga e acca- nita battaglia della flotta ghibellina colla flotta genovese, acccaduta il 3 di maggio tra la Meloria e T isola del Giglio , i ghibellini ri- portano la pili completa vittoria. Di 27 ga- lerejj genovesi tre colarono a fondo, e 19 furono presi, e restando prigionieri 400 genovesi, i due cardinali e i vescovi deputati al concilio (28). Il papa scrive ai sovrani del cristianesimo per interessarli a suo favore, come ai pielati prigionieri, per consolarli nel loro infortunio; e in pari tempo non trascura la difesa di Roma e del suo territorio contro un nuovo attacco di Federigo, che essendosi guadagnato nel sacro collegio Giovanni Golonna, cardinale di s. Prassede, aveva col suo mezzo fatti ri- bellare alla santa sede i feudi di Colonna , Lagosta, Preneste, Monticello, ec, mentre oc- cupava colle armi Tivoli, Alba, e Grottafer- rata. Il vecchio pontefice non potè pili soppor- tare tanti travagli, e morì in Roma il 21 ago- sto di quest'anno, tre mesi e mezzo dopo la fatale rotta della flotta de' suoi alleati (29). 202 1242. Dopo la morte di Gregorio la sede pontificia vaca quasi due anni: perchè appena può ri- sguardai'si come un interrompimenlo dell'in- terregno il pontificato di Celestino IV mila- nese, prima chiamato Goffredo da Castiglione^ il quale non sopravvisse che diciotto giorni air elezione. Federico cerca dei partigiani tra i cardinali per impedire ogni elezione che non fosse di suo gradimento: intavola negoziazioni per un trattalo di pace colla chiesa , ma senza ef- fetto. Quando conosce di non potersi rappaci- ficare colla chiesa, neppur quand' era senza capo, fa ricominciare le sospese ostilità nella campagna di Roma. Intanto più occupato del grande affare dell' elezione del nuovo papa , che della sommissione delia lega lombarda, la lascia molti anni in pace, o a dir meglio l'abbandona alle dissenzioni, di cui aveva in se medesima i semi (30). La discordia tra i patrizi e i plebei, ma- nifestatasi in Milano già dall'anno 1240, fasi che questi per sottrarsi ad un giogo che di- ventava ogni giorno sempre più insopporta- bile, risolvono di eleggere un protettore ; e Pagano della Torre signore della Valsassina , che aveva dopo la rotta di Cortenova sal- vata parte dell'armata milanese, parve l'uomo più degno di occupare questa carica (31). 1243. Dopo lunghe deliberazioni il conclave si ac- corda a collocare sulla cattedra di s. Pietro Siìiibaldo dal FiescOy uno dei conti di Lava- 203 gna, cardinale di s- Lorenzo in Lucina, che prende il nome d' Innocenzo IV. Benché non si sappia qual parte avesse Sinibaldo ne pubbh'ci affari prima d' essere eletto papa, raccontano tutti gli storici, ch'e- gli godeva dell' intima amicizia di Federigo, e che fino a tale epoca la casa de' Fieschi di Genova mostrossi attaccata ài partito ghibel- lino, è quindi probabile che andasse in parte debitore della sua elezione ai partigiani del- l'imperatore, i quali almeno festeggiarono pub- blicamente tale avvenimento (32). Federigo fa ogni sforzo per pacificarsi colla chiesa col mezzo di questo nuovo pontefice. Manda una solenne ambasciata composta dei più illustri personaggi de' suoi stati , il suo gran-cancelliere Pietro delle Vigne , il gran maestro dell'ordine teutonico, ed Ansaldo de'' Mari, grande ammiraglio di Sicilia, concitta- dino del papa e come lui appartenente a una casa ghibellina , per felicitare Innocenzo sul di lui innalzamento al trono pontifìcio. Gli fa proporre molte condizioni, e a un tempo stesso un glorioso parentado per la famiglia dal Fiesco, il matrimonio d'una ni- pote del papa per Cmrado suo figliuolo ed erede presuntivo; ma niente polendo ottenere dal papa di quanto gli avea chiesto, assedia Viterbo, ch'erasi di fresco ammutinato (33). 1244. Si riprendono le negoziazioni o continuano nel seguente anno: e sapendosi già ammessi tutti gli articoli piìi importanti, si spera vi- 204 cina la pace (34). Ma scoprendo il papa che Federigo dal suo* soggiorno di Pisa teneva pratiche coi Frangipani, perchè gli cedessero le fortificazioni, che aveano innalzate nel Co- losseo , ottenendo le quali diveniva padrone di una fortezza entro la stessa Roma, fugge in Sutri, e da Sutri a Civitavecchia. Entra trionfante in Genova in mezzo alle acclamazioni de'suoi concittadini, e attraver- sando parte della Lombardia si reca a Lio- ne (35). 1245. Intanto i vescovi d' Inghilterra, di Francia, di Spagna e alcuni altri d'Italia e di Germa- nia si adunano a Lione in numero di cento quaranta, e Innocenzo apie un concilio ecu- menico il 28 giugno di quest'anno per sot- tomettere al giudizio della chiesa la condotta di Federigo (36). Due deputati dell' imperatore , Taddeo di Suessa e Pietro delle VigtiCf d' ordine di Fe- derigo recansi al concilio per farne le difese; ma il secondo, che avea date in tante altre circostanze così luminose prove della sua ca- pacità , della sua facondia , e del suo zelo , tace nella presente e dà col suo silenzio a|j- parente ragione ai suoi emuli per metterlo in disgrazia del sovrano (37). Innocenzo, dopo aver confutata la protesta e l'appello di Federigo e del suo ministro, fa leggere la sentenza di scomunica , che avea scritta preventivamente (38). Ultimi anni del regno di Federigo- 205 Non si conoscono in questo tempo che tre classi di letterati: giureconsulti, grammatici e poeti: i quali tutti in fatto di religione ten- gono opinioni abbastanza liberali; e siccome erano da Federigo favoreggiati e protetti, ab- bracciavano quasi tutti la sua causa contro la s. Sede. Fra gli storici coetanei di questo principe o de' suoi figli, molti e forse i mi- gliori sono apertamente ghibellini. Riccardo di s. Germano^ Niccola di Tamsilla , Corrado abate di Ursperg, Nicola Speciale^ Barloìomeo di Neocaslro, Gherardo Maurisio, l'autore della cronaca di Ferrara ec. La santa Sede, entrando in così pericoloso conflitto, affidavasi principalmente alla nuova milizia di fresco creata che non l'abbandonò nei suoi bisogni, i due ordini de' francescani e de' domenicani. Il più importante servizio che le rendessero, fu quello di sottometterle completamente i vescovi e il clero regolare. Il secondo servizio reso alla santa Sede da- gli ordini mendicanti fu quello d' impedire tra il popolo il dilatamento dell' irreligione. Nella città di Parma, che fino al 1245 erasi mantenuta fedele all' impero e che riceveva ogni anno un podestà scelto dall'imperatore, tre delle più principali famiglie nobili, i Lupi, ì Rossi, i Correggeschi, parenti a dir vero di quella del papa, si dichiarano del partito guelfo e debbono abbandonar la città: e nel susse- guente anno altri guelfi, protestando di non potere in buona coscienza obbedire agli or- 206 dini dell' imperatore , si ritirano a Piacenza e a Milano, ove con Gregorio di Montelungo, legato del papa in Lombardia, ordiscono quella trama che diede ben tosto la loro patria alla parte guelfa- Un eguale abbandono del par- tito ghibellino ha luogo in Reggio , per cui dopo sanguinosa zuffa, vengono esiliate le fa- miglie guelfe dei Roberti , dei Fogliani , dei hupicini (39). 1 pugliesi e i siciliani sì ribellano a Fe- derigo (40. L' imperatore dà notizia di questo macchi- namento a tutti i re e principi dell' Europa con una lettera circolare, che foise fu 1' ul- tima che scrivesse Pietro delle Vigne (41). Ma la più dolorosa perdita di Federigo è quella del suo primo ministro, del suo inti- mo conlìdente , del suo amico , Pietro delle Vigne. Sia che quesl' uomo affatto straordi- nario si fosse macchiato d'un tradimento, sia che il principe reso diffidente dalle congiure, che ogni giorno si andavano scoprendo, desse troppo facile orecchio alle suggestioni degli invidiosi cortigiani , o giusta o ingiusta che si fosse la sentenza di Pietro , si dice che Federigo esclamasse più volle prima di pro- nunciarla: (( Me sciagurato, qnaV uomo io ga- stigo (42) )). Dante ponendolo tra i suicidi neir inferno, canto Xlll, gli tu dire: 207 L'animo mio per disdegnoso gusto, Credendo, col morir, fuggir disdegno, Ingiusto fece me contro me giusto (43), Quando Federigo ha notizia della scomu- nica pronunciata dal sinodo , non si lascia punto smuovere , e scrive a tutti i principi d'Europa per rappresentar loro, che il clero corrotto dalle ricchezze abusava del suo po- tere. Ma in breve oppresso da dispiaceri di ogni genere, tradito da'suoi più cari amici , abbandonato dai principi tedeschi, che avean- gli sostituito in qualità di re dei romani Enrico langravio della Turingia , il quale sconfiggeva suo figlio il re Corrado, ad altro più non pensa che a pacificarsi col papa , onde metter fine alla travagliata sua vita. A tale oggetto sottoscrive in presenza di molti prelati una professione di fede conforme af- fatto a quella della chiesa; ed in pari tempo chiede la mediazione di s. Luigi: ma tutto inutilmente (44). 1247. Nel susseguente anno non omette Federigo di rinnovare le sue calde istanze per rien- trare in seno della chiesa , sebbene avesse avuto notizia della totale disfatta e della morte del suo rivale Enrico di Turingia all' asse- dio di Ulma. Le condizioni da lui offerte nel presente anno; e nei due successivi con nuovi schiarimenti, pare che lo mostrino atterrito dalle censure della chiesa , e che a fronte della fierezza del suo carattere e del prospero 208 stato de' suoi affari, non avrebbe ricusato di sottoporsi alle più penose umiliazioni per rap- pacificarsi col clero- In questo tempo s. Lìiigi s'apparecchia a condurre in Egitto quell'armata di crociati , eh' ebbe così sventurato fine. Federigo pro- pone di unire tutte le sue forze a quelle del re francese, e di fare insieme l'impresa d'o- riente; e perchè tale offerta non era di piena soddisfazione del papa, aggiunge l'altra con- dizione di militare contro gl'infedeli oltre- mare, finché vivesse: acconsente inoltre alla divisione della sua eredità ; purché non ne fossero privati i suoi figliuoli: l'impero germa- nico non deve essere pili imito al regno di Puglia; ma il primo rimarrebbe a Corrado ed avrebbe il secondo Enrico^ figlio di Federigo e à'hahella sua terza moglie (45). Innocenzo IV rigettando la confessione di fede fatta avanti ai prelati per iscolparsi del delitto d'eresia, dichiara appartenere a se solo la disamina della coscienza del monarca , e eh' è disposto ad ascoltarlo, qualora si rechi personalmente alla corte pontificia. Federigo acconsente ancora a quest'ultima umiliazione, e si pone effettivamente in viaggio, attraver- sando la Lombardia con un treno affatto pa- cifico, e non toccando il territorio delle città nemiche, delle quali pareva volerne scordare le offese (46)- Federigo, giunto a Torino, ha avviso che i parenti del papa gli aveano ribellato la città 209 i\\ Paima: ed Enzio, ossia Enrico figliuolo di Federigo e re di Sardegna, che tiovavasi al- lora nel contado di Brescia air assedio di Quinzano , avuto avviso della rivoluzione di Parma , abbrucia le macchine guerresche e viene a grandi giornate (ino alle rive del Taro, sperando di sottomettere i ribelli con un colpo di mano. Federigo, informato a Torino dello stesso avvenimento , avvampa di collera contro il papa: e deposto il pensiero di andare a Lione per umiliarsi innanzi a quello , che si ope- rava contro di lui, riunisce tutti i suoi par- tigiani delle vicine città e fattane una pic- cola armata, raggiunge il figlio sulle rive del Taro, di dove si avanza a pochi passi dalla città. Assedio di Parma (47). Mentre era imminente 1' inverno, e tutto annunziava che V assedio non sarebbe così presto ridotto a termine, Federigo, che non voleva scostarsi dalla città ribelle, risolve , per assicurare alla sua armata piìi tollerabili quartieri d'inverno, di fabbricare una città , cui dà il nome di Vittoria, nella quale, poi- ché si sia impadronito di Parma , pensa di trapiantarne gli abitanti. Fondazione di Vittoria a duecento passi da Parma lungo la strada che conduce a Pia- cenza. 1248. Mentre Federigo allontanavasi dall' armala per cacciare col falcone , i parmigiani coi <;.A.T. L. 14 210 guelfi sussidiari attaccano improvvisamente la città di Villoria, e se ne rendono ben tosto padroni cacciandone gì' imperiali. Periscono in questo tatto molti saraceni e quel Taddeo di Suessa, che avea tanto caldamente difesa la causa di Frderigo innanzi al concilio di Lione. La nuova .città è incendiata in modo, che non resta pietia sopra pietra. Federigo di ri- torno dalla caccia incontra i fuggiaschi ed è con loro strascinato verso Cremona, inse- guito dai vittoriosi parmigiani fino alle rive del Taro (48). Non molto dopo questa disfatta Federigo ha avviso, che suo figlio Corrado, cui avea affi- data r amministrazione della Germania, era stato più volte battuto da Guglielmo conte d' Olanda, coronato dal partito guelfo quale successore del Langravio di Turingia, desti- nandolo alla dignità imperiale , lostochè ne fosse spogliato Federigo. L' imperatore, oppresso da tante calamità, chiede nuovamente la pace , interponendo i buoni uffici di s. Luigi, mentre questi stava per imbarcarsi con i crociati, e i genovesi gli somministravano parte dei vascelli pel pas- saggio del mare. Federigo, per avvicinarsi a lui, andò fino ad Asti, offerendo di nuovo la propria persona e le sue truppe per la difesa di Terra santa , a condizione solamente che gli fosse accordata l'assoluzione: ma il pon- tefice non volle perdere il frutto della sua vittoria, non credendo sincero l' imperatore. 211 Quantunque Federigo senta tutto il peso delle sue avversità, e desideri la pace, non omette di dare prove non dubbie del suo fer- mo carattere , allorché stabilisce il partito ghibellino nella repubblica di Firenza. Mentre trovavasi ancora all' assedio di Parma, Federigo, per acquistare maggiore in- fluenza su questa repubblica, nominò suo vi- cario in Toscana uno de'suoi tìglioli naturali, Federigo re d' Antiochia, cui diede il comando di mille seicento cavalli tedeschi. Nello stesso tempo scrisse alla famiglia degli liberti , la principale del partito ghibellino, per muoverla a fare un generoso sforzo in di lui favore , cacciando i loro antagonisti fuori di Fi- renze (49). 11 partito ghibellino era da lungo tempo preponderante in Toscana. Pisa, la più po- tente città, era affatto ligia dell'imperatore; Siena, fiorente città che contava in allora nel- l' interno delle sue mure 11800 famiglie, erasi fino dalla sua origine costantemente conser- vata fedele al partito; le meno potenti città di Pistoia e dj Volterra e quasi tutti i feu- datari trovavansi armati [»er la stessa causa, e le città ancora considerale guelfe erano piene di ghibellini e non esclusi dalle cariche pubbliche. Firenze è capo della lega guelfa, che com- prende Lucca , Montalcino , Montepulciano , Poggibon/i e un limitato numero di genti- luomini: ma quantunque Firenze faccia viva- 2t2 mente guerra agli abitanti di Siena , il loro odio vicendevole prodotto da gelosia e da pii- vate ingiurie è affatto indipendente dalla gran lite dell' impero; né i fiorentini si sono mai dichiarati contro 1' imperatore , riconoscendo anzi la repubblica loro subordinata sempre alla legitima, ma limitata autorità del mo- narca. 1248. Zuffe continue tra i guelfi e ? ghibellini, fìn- cliè i ghibellini vittoriosi rimasti padroni della città, atterrando tutte le fortezze, che fino allora aveano reso forte 1' opposto partito , ' pensarono di toglier loro ogni speranza di ri- cuj)erare il perduto potere (50). Cacciati i guelfi da Firenze, tutta la To- scana rimane a disposizione di Federigo: ma i suoi affari non procedono con ugual fortuna in Lombardia ed in Romagna, perchè i fuoru- sciti fiorentini riparatisi in Bologna e nelle città vicine combattono valorosameute contro il partito imperiale. Il papa spedisce suo legato ai bolognesi il cardinale Ottaviano degli Ubaldini , per isti- molarli a porro la Romagna sotto il dominio della santa Sede. Di lui Dante: E '1 cardinale e degli altri mi taccio. I bolognesi, non volendo togliere a Imola la libertà e l'indipendenza, chiedono soltanto che si unisca al partito della chiesa, promet- tendole fedeltà; e a tali condizioni i due pò- 213 desia segnano tia lo due je|jubbliche un trat- tato di pace il 6 maggio di quest'anno; che fu all' istante approvato dai due consigli ge- nerale e speciale , dai consoli dei mercanti , dagli anziani del pojìolo e dai maestri dei collegi delia rei)ubl)Iica bolognese (51). Dopo ciò l'annata bolognese marcia so[ira Faenza, Bagnacavallo, Foi-li-npopoli , Forlì e Cervia : le quali non essendo caldamente attaccate al partito ghibellino, lo abbandonano, giurando fedeltà alla chiesa e alla lega di Bologna. Ì249. Nel susseguente anno il cardinale Uimldini fa nuove istanze alla repubblica bolognese , perchè tratti con vigore la guerra contro gli imperiali, ora ridotti in basso stato, non aven- do Ejtao figliuolo naturale di Federigo, nomi- nato re di Sardegna e suo vicario in Lom- bardia, che poche forze sotto i suoi ordini ; talché non avea potuto impedire che molte castella di Modena e di Reggio, le sole città, alle quali doveva specialmente aver l'occhio, si dessero alla parte guelfa. Guerra tra i bolognesi capitanati dal pre- tore Filippo Ikioni e dal cardinale Ottaviano Uhaldiìiiy e tra i modenesi, capitanati da Enzo: in cui è fatto prigioniero Enzo medesimo, e Buoso da Duera, che già cominciava ad es- ser potente in Cremona (52). Per lo spazio di ventidue anni , che tanti ne sopravvisse alla sua disgrazia , Enzo V il- lustre piigioniero fu alloggiato in uno del più magnifici appartamenti del palazzo del pode- 2U sta, e i nobili boloirnesi lo visitarono ogni giorno , onde temperare in qualche nriodo i suoi mali, mantenendosi egualmente inacces- sibili alle offerte ed alle minacce di Fede- rigo (53). I modenesi ascoltano le oneste condizioni di pace che propongono i bolognesi, e il trat- tato si propone al pretorio di Modena il 7 dicembre di quest' anno; che poi nel 19 gen- naio del 1250 fu discusso in Bologna: e ot- tenuta r universale approvazione, tra le due nazioni, fu giurata la pace (54). Mentre i guelfi trionfano nella Romagna e nella Lombardia, la parte ghibellina ottiene non minori vantaggi nella marca trivigiana. Ezzellino ih Romano, dilatando il suo domi- nio, giustifica con ciò il titolo che avea preso di vicario imperiale in tutti i paesi posti tra le alpi trentine e 1' Ogiio: e facendo scor rei*e il sangue a torrenti in tutte le città a lui sottomesse, con una funesta esperienza in- segna agli italiani , quale deve essere un ti- ranno , che acquista signoria in un paese avvezzo alla libertà. Attacca le fortezze d' Agna e di Brenta , occupate dai fuorusciti padovani: e resosene padrone, fa perire tutti quelli individui delle il- lustri famiglie dei Carrara e degli Avogadri, eh' eransi colà riparati per sottrarsi alla sua crudeltà. Entra nel territorio del suo capital nemico il marchese d' Este, e nel periodo di dicci 215 anni conquista 1' una dopo Taltra tutte le sue fortezze, non escluse quelle di Monlagnana e di Este, che pure si credevano inespugnabili. Nel distretto di Verona si rende padrone del castello di s. Bonifacio, antico patrimonio d' un illustre famiglia da più anni rivale della sua. Toglie molte terre alla città di Treviso in allora governata da suo fratello Alberico da Romano, il quale pareva che avesse abbrac- ciato il partito guelfo. Occupa le piccole città di Feltre e di Bel- luno, che da molto tempo eransi poste sotto la protezione di Biachin da Camino , genti- luomo guelfo, che Ezzelino spoglia affatto dei suoi dominii. Dopo abbandonato l'assedio di Parma, fis- sata la sua residenza in Verona, aveva affidato il governo di Padova ad uno de' suoi nipoti, Ansidisio Guidetti , forse piiì crudele del suo signore (55). Federigo y dopo aver soggiogati i guelfi di Fiorenza, e rassodata la sua autorità in tutta la Toscana , dà voce di volere abbandonare l'Italia settentrionale a se medesima , onde raddolcire alquanto la collera del papa e farsi strada, se era possibile, a qualche riconoilia- mento. S. Luigi re di Francia avea svernato del 1248 — 1249 nell'isola di Cipro col potente esercito dei crociati che conduceva in Egitto: e perchè in primavera incominciava a man- 216 caie di vettovaglie, Federigo accorda ai vene- ziani, coi quali era in guerra, salvacondotti , onde possano recar soccorsi all'annata fran- cese , e spedisce egli stesso a s. Luigi un convoglio di vettovaglie , manifestandogli in una lettera l'ardente suo desiderio di raggiun- gere la crociata , e il rincrescimento d' es- serne impedito dalla guerra che gli faceva il papa (56). S. Luigi dall' isola di Cipro scrive di nuova ad Innocenzo IV. per determinarlo a far la pace col principe ch'avea di fresco salvata l'armata dei crociata da una spaventevole carestia (57). Bianca, regina di Francia , non s' interessa meno vivamente per lo stesso oggetto ; ma Innocenzo è inllessibile: e la totale disfatta di s. Luigi presso Damietta, la sua prigionia e la morte di Fer/e?7(/o, liberano il papa da ul- teriori istanze. 1250. 13 dicembre , morte di Federigo II a Fio- rentino in Capitanata nell' anno 56° dell' età sua, essendo slato trentuno anno imperatore, trentotto re de' romani, cinquantadue re delle due Sicilie: Prima che Federigo avesse briga. Federigo lascia cinque figli, due legittimi, Corrado coronato re di Germania mentre viveva il padre, ed Enrico figlio d'una prin- cipessa d' Inghilterra che Federigo surro- 217 gava a Corrado, ove <[uesti morisse senza fi- gliuoli; e Manfredi, figlinolo naturale, da lui sostituito a Corrado e ad Enrico, ({uale erede delle sue corone, se l'uno e l'altro morivano senza figliuoli. Figliuoli naturali erano ancora Federiijo ve o duca d' Antiochia, ed Enzo re di Sardegna: ebbe ancora un primogenito En- rico che gli si ribellò in Germania ; e nnori prin«a di lui. 1250. L' ultimo atto dell' amministrazione di Fe- derigo in Toscana esiliava da Fiorenza i guelfi e poneva l'assoluto potere della città tra le mani de' gentiluomini ghibellini, e la prima conseguenza della morte di Federigo fu la chiamata de' guelfi e lo stabilimento di un amministrazione , che lasciava alle inferiori classi della nazione la più estesa influenza Cosi da un governo assolutamente aristocra- tico, creato dai ghibellini sotto l'influenza di Federigo, dopo la di lui morte passarono ad una stato democratico (58). 1250. Il 20 di ottobre di qtiest' anno, prima che accadesse la morte di Federigo , tutti i più ricchi borghesi di Firenze si animarono a prendere le armi e 'si adunarono nella piazza di s. Croce avanti ad una chiesa che vide allora [ter la prima volta formarsi lo stato popolare di Firenze, avanti a quella chiesa , ove i sei)olcri de' grandi uomini fiorentini , ossia la repubblica degli estinti, trovansi adu- nati anche ai nostri giorni (59). 218 Costringono il podestà a rinunciare la sua carica, si dividono per quartiere in venti conn- pagnie, a ciascuna delle quali fu dato un capo ed uno stendardo , nominano un giudice in luogo del podestà, e questi è Uberto da Lucca, al quale danno il titolo di capitano del po- polo, formano il consiglio dei dodici anziani prendendone due per ogni quartiere della città: e questo consiglio, che si intitola si- gnoria, deve rinnovarsi ogni due mesi. Tale è la costituzione che si danno i fiorentini in mezzo al tumulto di una sedizione, sotto la quale operarono nel corso di dieci anni le pili grandi cose; e tali furono i principii della rivoluzione che si fece in Firenze , mentre ancora viveva Federigo (60). 1251. 7 gennaio. Pochi mesi dopo che si ebbe in Firenze la notizia della di lui morte si pone l'ultimo suggello airedifizio della libertà: sono • richiamati tutti i guelfi esiliati, costretti i no- bili delle due fazioni e segnare un trattato di pace, ed aggiunto al capitano del popolo un nuovo podestà scello in una famiglia guelfa di Milano (61). 1251. Colla morte di Federico II ha fine in Italia l'autorità degli imperatori; la quale , benché ne fossero controversi i limiti, era però con- fessala da tutte le repubbliche. La sola re- pubblica di Venezia, siccome quella che esi- steva avanti che si rinnovasse l' impero oc- cidentale, non si volle mai riconoiscere dipen- dente dagli imperatori francesi e tedeschi. 219 Di ciò ne furono principale cagione i prin- cipi di Germania , che prottassero ventitré anni l'elezione del nuovo re de' romani, e la debolezza di Rodolfo d' Absbiirgo eletto re di Germania dopo la morte di Federigo II, e de' suoi immediati successori Adolfo ed Al- berto, ì quali non avendo potuto scendere in Italia a ricevere in Roma la corona dell'im- pero, non ebbero il titolo d'imperatori. Dopo sessanta anni Enrico VI di Lussemburgo en- trò in Italia per farvi rivivere i dritti dell'im- peroj ma do{io la subita morte di questo monarca un secondo interregno lasciò i po- poli italiani in piena libertà di rassodare la loro indipendenza e di rompere tutti i lega- mi che gli univano alla Germania. La molte di Federigo II equivale ad una gran vittoria per il partito guelfo : e lìino- cenzo IV, per profittare di sì favorevoli cir- costanze, parte da Lione in sul cominciare della primavera alla volta d' Italia. Innocenzo IV forma il vasto progetto del- l' unione di tutto il bel regno di Napoli al patrimonio di S. Pietro (62). È ricevuto in Genova con istraordinario giubilo, e il suo viaggio in Lombardia è per lui un continuo trionfo (63). Suo solenne ingresso in Milano (64) Gloriosa e lunga guerra che i milanesi so- stengono per favorire Innocenzo IV (65). Uccisione di Reno de' Gozzadini (66). 220 Innocenzo parie da Milano. Perchè le due l'cpubbliche di Piacenza e di Cremona eran governate dalla fazione ghibellina, in vece di tenere la più breve strada per recarsi àgli stati della chiesa , Innocenzo è costretto di andare da Milano a Brescia, Mantova , Fer- rara e Bologna. Le quali città, essendo ad- dette alla parte guelfa, l'accolgono tutte con ogni maniera d'onoriticenza (67). Innocenzo, attraversata la Romagna, s'avanza fino a Perugia, ove rimane alcun tempo. Prima che il papa giunga a Roma , il re di Germania, suo rivale, scenda in Italia per porsi alla testa de' ghibellini. 1251. In ottobre Corrado [)arte di Germania alla testa d'una potente armata per venire a pren- dere possesso de' nuovi suoi stati. 1251. Corrado, dopo aver visitate alcune città ghi- belline della marca Trivigiana e ricevuto da Ezzelino un rinforzo di truppe cavate da Pa- dova, Verona, e Vicenza; non volendo inde- bolire la sua armata con drverse battaglie, nò volendo scontrarsi colle amiate guelfe, invita le flotte siciliane e pisane a portarsi sulle co- ste del Friuli, e girando intorno alle frontiere veneziane si reca ad aspettare le flotte a Porto Navone in fondo all' Adriatico (68). 1252. Colà s'imbarca in principio di quest'anno con un' armata composta di tedeschi e lom- bardi sopra una flotta di Irentadue galee, metà ' di Sicilia e metà di Pisa, e dopo una felice navigazione sbarca a diporto nella Capita- nata^ (69). 221 11 principe Manfredi, che nell' assenza di Corrado aveva amminislrato il regno, gli si fa incontro riponendo in sua mano i poteri, di cui era stato depositario (70). I napoletani dichiarano di più non voler vivere interdetti e scomunicati, né ubbidire ad un principe che mai non otterrebbe in- vestitura pontifìcia, né si pacificherebbe colla chiesa (71). Capun segue l'esempio di Napoli^ Andria, Foggia e Bari ribellatisi a[tertamente ed il partito de' ribelli armato in Anversa , tiene la vittoria sospesa. Manfredi, che non avea che diciotlo aruii, ricupera colla rapidità delle marce tutte le città , tranne Napoli e Ca^ piia (72). Corrado, in vece di seguire le orme del mi- nor fratello per impadronirsi di tutto il re- gno, comincia ad invidiare la riputazione che Manfredi erasi acquistata, e prende ad abbas- sare il fratello spogliandolo di parte de'feudi che gli avea dati il comun padre (73). I conti di Aquino, i cui feudi stendevansi dal Vulturno fino al Garigliano e che poteano perciò tenere una aperta comunicazione tra Capua e lo stato della chiesa, si uniscono ai ribelli. Corrado va subito ad attaccarli coi suoi tedeschi, e il fratello l'accompagna alla testa dei saraceni di Nocera. Aquino, Suessa, s. Ger- mano e tutte le fortezze che quei gentiluo- mini avevano sollevate , vengono in potere 222 del re; onde Napoli e Capua trovansi da ogni lato circondate dalle regie armate (74). Corrado entra in qualche trattativa col papa, mentre disponesi a ridurre queste due città, e manda una solenne ambasciata per dimandargli le due corone dell' impero e della Sicilia, e gli fa offerta di porre in suo arbi- trio le condizioni (75). Innocenzo che scopertamente dichiarava vo- lere unire le due Sicilie allo stato della chiesa, e togliere alla casa Sveva l'impero della Ger- mania, accoglie gentilmente i legati , ma li rimanda senza venire ad alcuna conchiu- sione (76). Capua bloccata, e fuori di speranza d' es- sere soccorsa, si dà in potere del re, il quale con tutte le sue foi'ze va il primo di dicem- bre a stringere l'assedio di Napoli (77). 1253. Questa città, dopo avere lungamente resistito e reso vano un assalto del nemico ucciden- dogli molta gente , si trova chiusa anche dalla banda del mare da una flotta siciliana, che si pone all'ingresso del porto: perchè in- cominqiando a sentire mancamento di vetto- vaglie, propone di capitolare (78). Corrado, che voleva vendicare la sua offesa dignità, non ascolta i di lei deputali; e quando nel seguente ottobre i napoletani gli si ar- resero a discrezione , ne fa perir molti sul palco e spianare le mura della città (79). La caduta di Napoli fa sentire al papa che avea tentato in vano di soccorrerla, e che la 223 chiesa non era tanto potente da far l'acqui- sto e conservare le due Sicilie: onde volendo pur togliere uno stato così vicino a Roma alla casa di Svesia, i cui partigiani erano in Roma tutti nemici della santa sede, progetta di dare questo regno, come feudo della chiesa, ad alcun altro principe, il quale lo conquisti per diventare vassallo dei papi e sempre loro creatura. Da questa politica d'Innocenzo IV riconosce la sua elevazione la famiglia (VAngiò^ ed hanno origine i funesti dritti dei francesi sul regno di Napoli (80). I predecessori d' Innocenzo /F avevano ac- quistato sopra r Inghilterra que' medesimi dritti, ch'egli pretendeva d'avere sulla Sici-^ lia. Perciò Innocenzo., per mezzo del suo se- gretario Alberto da Parma, offre la corona della Sicilia a Riccardo conte di Cornavaglia, fra- tello iV Enrico III, uomo debole ed impolitico come suo padre Giovanni, il quale governava allora l'Inghilterra, e che nelle frequenti guerre civili, che dovea sostenere, invocando la pro- tezione dei papi contro i suoi sudditi, avea reso frequenti ed intime le comunicazioni tra le due corti (81). Di Giovanili padre d' Enrico III fa menzione il poeta nel Inf. e. XXVIII. II principe inglese non accetta le offerte del papa, e motiva il suo rifiuto sulla insufficienza de' suoi tesori, sulla necessità d'avere in mano alcune fortezze che assicurassero la ritirata delle sue genti in caso di sinistro avvenimento, 224 e più di tutto sul parentado di sua famiglia con quella di Svevia: petciocchè T ultima mo- glie di Federigo II era sua sorella; ed Enrico, chiamato dopo Corrado alla corona, era suo nipote (82). Un funesto accidente non tarda a dissipare lo scrupolo prodotto dalla parentela: il gio- vane Enrico muore repentinamente, e corre voce che muoia di veleno (83). S' incolpa Corrado della morte del fratello: e benché tal delitto fosse poco verisimile , bastò il semplice sos{)etto a far che i reali (V Inghilterra accettino le offerte del ponte- fice. Onde Enrico III slimola egli stesso il papa ad accordare la corona di Sicilia, non al fratello , ma bensì al suo figliuolo Ed- mondo (84). In pari tempo Cario, eonte d' Angiò e di Provenza e fratello di s. Luigi, avendo avuto sentore di (piesto trattato ed essendo trava- gliato dalle istanze della consorte che desi- derava non essere da meno di sua sorella , regina di Francia , offre liberamente ad In- nocenzo sé ed i suoi tesori in servigio della chiesa. 1254-. Morte di Corrado: il quale, appena ristabilito l'ordine nel suo regno, fu sorpreso a Lavello nella primavera di quest'anno da mortai ma- lattia , che lo trae al sepolcro in età di 26 anni mentre si dispone a ripassare in Ger- mania (85). 225 Coiradino rimane in età fanciullesca presso della madre Elisabetta figlia d' Ottone duca di Baviera, sotto la tutela del marchese Ber- toldo d' Oemburgo generale delle truppe te- desche che lo avevano in grandissima sti- ma (86). Ai messi che recano la notizia al papa della morte di Corrado tengono dietro gli altri spediti dal marchese d' Oemburgo per racco- mandare alla clemenza del pontefice il fan- ciullo Corradino di tre anni. Ma Innocenzo, che pensa di ritenere nella sua immediata dipendenza la corona di Sicilia e ha sospeso ogni pratica cogli altri principi , ricusa an- cora di negoziare con Corradino (87). Innocenzo domanda truppe alle repubbliche guelfe della Lombardia, della Toscana, della marca d' Ancona , e aduna una potente ar- mata in Anagni per avanzarsi nel regno di Napoli. Sollevazione in Sicilia e in tutte le Pro- vincie del regno. Continui avvisi di nuove congiure giungono al marchese d' Oemburgo e a Manfredi: e il primo s'appiglia al partito di dimettersi dalla reggenza del regno per disporre Manfredi a prendere le redini del travagliato governo. Manfredi accetta la reggenza. Moltiplicandosi le sedizioni, e Tarmata del papa trovandosi già presso ai confini del re- gno, Manfredi risolve di andargli incontro egli G.A.T. CL. J5 226 stesso e di farsi api ire le porte di tutte le fortezze. Infatti si avanza fino a Ceperano, posto al confine dei due stati , e tiene egli stesso le briglie del cavallo del papa mentre passava jl Garigliano (88). 11 papa cita Manfredi a presentarsi al tri- bunale di uno de' suoi nipoti, per purgarsi , se ancor lo poteva, dell' omicidio di Corrado^ ond' era accusato (89). Manfredi fugge e chiudesi in Acerra , poi passa a Lucerla , poi si porta sopra Foggia, città non solo nemica, ma dove erano di già arrivati alcuni distaccanjenti di truppe pon- tificie per fermarlo, e la prende in due ore d' assalto (90). I generali guelfi colle scoraggiate loro truppe ripiegano sopra Napoli , ove appena giunti hanno avviso della sùbita morte d' Inno-^ cimzo (91). 1254. 7 decembre. Morte di Innocenzo IV. La morte di cosi intrepido pontefice è un colpo di ful- mine per il partito guelfo delle due Sicilie. I cardinali adunati a Napoli , sostituendogli uno dei conti di Signa, Ale?,sandrQ IV parente d' Innocenzo III e di Gregorio IX, non sanno dare al loro partito un capo così accorto , così ardito, come era stato l'ultimo papa. 12 decembre. Elezione d' Alessandro IV. 1255. Manfredi ricupera in due anni tutto il regno che gli avea tolto il pontefice: la terra di 227 Lavoro fa rultìma provincia eh' egli riconqui- stasse: Napoli e Capua gli aprirono sponta- neamente le porte (92). Stabilito il governo popolare a Firenze , que' cittadini animati dal sentimento della loro novella forza, cercano di tirare nel loro partito tutta la Toscana (93). Fanno guerra a Pistoia, Pisa, Siena, e Vol- terra e a tutti i gentiluomini che seguivano la contraria parte , tranne la sola città di Lucca, eh' erasi dichiarata pe' guelfi; e ne ri- portano vittoria (94). 1253. Quest'anno è celebre nei fasti di Firenze per la sommissione di Pistoia (95). 1254. Più glorioso ancora è il presente anno, chiamato l'anno delle vittorie. Sotto la condotta di (ìjwscardo di Pietra Santa, milane- se, cingono d' assedio Montereggione, .fortezza. dei senesi riguardata come la principal difesa del loro teiri torio. I senesi temendo di per- derla propongono condizioni di pace assai vantaggiose ai fiorentini e rinunciano alla loro alleanza coi ghibellini (96). Gli uomini più illustri per lettere e per impieghi civili, siccome nei bei tempi d'Atene e di Roma, militano anch' essi nelle armate della repubblica: e Brunello Latini , uno dei primi ristoratori delle lettere in Italia, autore d' un libro intitolato il Tesoro^ nel quale tro- vansi riuniti tutti i lumi di quel secolo, Bru- nello Latini , il prediletto maestro di Dante, milita nella guerra di Siena, ed è esso che. 228 essendo notaio, stende e firma il trattato di pace Ira le due repubbliche. Di lui parla Dante neli' Inf. XV: Risposi: Siete voi qui, ser Brunetto? L'armata fiorentina entra nel territorio di Volterra, e assoggettandola, l'obbliga a cac- ciare i capi della fazione ghibellina (97)- Prima che termini 1* anno l'armata vitto- riosa invade il territorio di Pisa, sparge ter- rore nella città, e quei cittadini dimandano la pace, e acconsentono a condizioni svan- taggiose (98). La città d' Arezzo non prende parte alle guerre della Toscana; i guelfi e i ghibellini vi sono ugualmente potenti, ed hanno pure egual parte nel governo; essi mantengono la città internamente tranquilla e sicura al di fuori col favor dei trattati fatti coi loro vicini ed in particolare colla repubblica di. Firenze (99). 1255. 1 fiorentini mandano sotto la condotta del eonte Gnidogiierra, gentiluomo guelfo indi- pendente, cinquecento cavalli agli abitanti di Orvieto per soccorrerli contro quelli di Vi- terbo (100). Per recarsi ad Orvieto devono passare il territorio d'Arezzo: e quando passano vicino alla città, gli aretini guelfi chiedono aiuto al conte Guido per cacciare dalla città loro i ghibellini : e per prezzo dell' ottenuto soc- corso gli danno, contro la fede de' trattati , 229 il possesso della loro fortezza. I fiorentini prendono tulli le armi e si portano sotto Arezzo per ristabilirvi i ghibellini: persuadono il conte Guido a sortire d'Arezzo: e gh" are- tini nominano loro podestà Tegqhiaio Aldo- brandi degli Adimari, uno dei più virtuosi cit- tadini di Firenze (101). È questo uno degli eroi ricercati da Dante e ritrovato nell'In- ferno e. IG. V. 41: L'altro che appresso me l'arena trita E' Tegghiaio Aldobrandi ...; Il regno d' Alessandro IV è un' epoca li- vore vole per la ftizione ghibellina. Manfredi, approfittando della debolezza di questo pontefice, stabilisce la sua autorità nel regno di Napoli. 1255. Crociata contro Ezzelino (102). I crociali sottomettono Padova (103). 1258. Brescia è sottomessa dalle forze riupite di Ezzelino, di Buoso di Dovara e del marchese Pelavicino capo della lega ghibellina in Lom- bardia (104), Buoso da Dovara e il marchese Pelavicino propongono al marchese d' Esie d'allearsi con lui e con Tarmata de' crociati contro Ezzelino a condizione che non siano costretti di ri- nunziare alP antica fedeltà verso la casa di Svevia (105). Il trattato ò stabilito per una parte tra il marchese Oberlo Pelavicino, Buoso d\ Dovara 230 e il comune
  • Inspira a me le voci tutte quante, Si ch'io fatto maggiore di me stesso, Possa- ridir le tue parole sante. Notte era, e ogni altro mio pensier dimesso. Fisa tenendo la mia mente a Dio, Entro i consigli eterni io mi fui messo. E sempre acceso di nuovo desio. Tale porgeami il ciel novello ardire Che di me stesso coscienza oblio. Ond'io qual fossi allor non potrei dire, Che se va sì sublime l'intelletto, Nostra memoria indietro non può ire (1). Così priachò il voler fosse concetto. Senza compagno, e per ignota via. Là venni ove ogni duol parca recetto. Io mi riscuoto allor: la mente mia Per la vista di cose all'uomo ignofe Torna ad avere i sensi in sua balia; E volge gli occhi intorno quanto puote; Con gran sospetto poi li drizza in loco. Donde più forte un suono la percuote. (1) Queste tre terzine mostrano come si passa dallo stalo na- turale all'et>tasi. 249 Parlili', gridar voll'io: ma era già roco. Perchè nulla vedea di coso umane Se non da lungi ardentissimo foco; E presso udia fragor di voci strane, Che qual pianger parca per pena dura, E qual parea latrar sì come cane. Tutto tremante per la gran paura, U'parea men disagio allor m'invio Per fuggir tosto la mia rea ventura. Ed ecco verso me venir vegg'io Uno che all'ali e al nobile sembiante Conobbi ch'era un angelo di Dio. Per presta riverenza a lui davante Caddi boccone, e tutto in me raccolto, Baciai piangendo le beate piante. Io bramava pregare e dicer moltoj Ma pel rattento di affannata lena Sol dissi in fioca voce e umile volto : 0 tu, cui sempre ottima voglia mena, 0 tu, cui dona il ciel di sua potenza, Causami per pietà da questa pena ! E quei, mostrando sua benevolenza, Per man mi prese, e con voce soave Mi disse: Lascia ornai la tua temenza. Quegli, che d'ostinata colpa è grave. Aver qui deve le sue guance smorte ; Ma chi viene compunto qui non pavé. Le tue preghiere, che furono porte Del nostro sire all'altissimo trono. T'hanno scampato dall'eterna morte. 250 lo venni a te per suo speziai dono, Perchè non si dismaghi tua fermezza Per questa vista e per l'orrendo suono. Tu dei veder fiaccata l'alterezza Di quei, che per l'ardito suo pensiero 0 in Dio non crede, o molto mal lo apprezza (1)y Che saprà tardi chi ha sovrano impero, Chi premia la virtù, chi danna il vizio, E chi chiaro discerne il falso e il vero. Pria di tua morte ad un grave giudizio Io ti conduco per voler supremo, Perchè la vista dell'altrui supplizio, E la vera dottrina, che udiremo, Ti tocchin sì, che pe' tuoi prischi errori Non sia di tua ragione il valor scemo (2}J E perchè quei parlari e quei niartori Tu narri al mondo qual verace scuola Che insegnando atterrisce i peccatori; E che non va qual Pindaro che vola, Ma come quei che la mente nutrica Con bassa, giusta e precisa parola (3). Indarno la mia mente s'affatica A dir come foss'io lieto e contento Al suon di voce angelica ed amica. Tema e viltà nel cuore io piiì non sento : E, reso grazie a Dio e al suo messaggio, (1) L'ardito pensiero ribadisce il primo verso: L'amor, lo sdegno ed il pensare ardito. (2) La vista delfaltrui supplizio tocca il cuore; e l'udita dot- trina illumina la mente. E questi sono i due effetti della grazia. (3) Questa dichiarazione giustifica quei passi che sembrano l'reddì a coloro, che non sono avvezzi a considerare i versi didascalici. 251 Presto attendeva il suo comandamento Per cominciare il salutar viaggio. Sono XXXIV questi canti: ne'quali ci è d' ogni maniera di spavento il supplizio eterno de'rei non solo di molte professioni ed arti, ma sì della mi- lizia, della nobiltà , e fino di alcuni rei pastori , a quali la santa chiesa aveva affidalo il suo gregge. 11 che fa il poeta con tanta gravità e dottrina sacra e civile, congiunta ad evidenza, ch'egli può ben com- piacersi della lode d'essere del numero pur troppo sì piccolo di coloro, che oggi rendono fruttuosa la poesia alla religione e alla morale. Tutto ne' suoi versi è ossequio cattolico, costumi di modestia pieni e sapienza. E, quel ch'è più, nel condannare il pec- cato , non si piace mai di nominare ad oltraggio le persone de' peccatori: solo in questo non avendo egli creduto di seguire 1' esempio del suo maestro Alighieri: secondo ciò che ne dice nel canto XXI : Ed io: Buon duce, il tuo paterno affetto Mi dà nel ragionar tale franchezza, Che di spiacerti non ho alcun sospetto. Perciò ti dico: chi a maggiore altezza Volò nel poetare, e fé palese Di nostra mente tutta la ricchezza, Quando laggiiì nello inferno discese Ravvisò molti: e, senza aver mercede Di lor, lor' chiara nominanza offese. Ei disse che necessità il richiede; Che chi tai cose ascolta non mai posa Senza lo esempio, e non ferma sua fede (1). (1) Dante, Paradiso e. XVII. 252 L'alma di Dante fu molto sdegnosa^ E calda in parteggiar, rispose il duce: E ciò sua fama fé più gloriosa A quei che l'occhio nel suo libro adduce Per far sovente risonar quei versi, In cui l'affetto caldo più riluce (1). Ed i tuoi detti, sì da' suoi diversi, Foran lodati ancor, se di nascosto Velen di parte fosser bene aspersi. Ma quel vano remore a questo costo Cercar non devi: ed io ti raffrenai. Perchè lo spirto umano è a ciò disposto. Intorno alla maniera con cui il cav. De Crol- lis riprende i vizi, giovi fra gli altri recare ad esem- pio questi versi del canto XXII, ne' quali san Tom- maso d'Aquino volgesi contra coloro che con male arti arricchirono : Ma voi non faticaste in caldo e in gelo Perchè la terra desse maggior frutto; Non trafficaste con diritto zelo; Non v'ingegnaste aver miglior costrutto Dall'arti oneste; né il sublime ingegno L'ali vi diede per salir di butto (2). Voi sempre la giustizia avendo a sdegno, Di spender poco, e di guadagnay molto Aveste innanzi agli occhi il doppio segno (3). (1) Lo spirito di parte più riluce. (2) Agricoltura, commercio, arti ed ingegno sono i principali mezzi, con cui si può onestamente migliorar condizione. (3) Il doppio scopo. 253 Perciò mostraste Tati ira lo volto A chi chiedea la giusta sua mercede. Ed il buon diritto fu da voi travolto; Perciò rompeste la promessa fede ; E il vostro cuore per l'altrui lamento Indizio alcuno di pietà non diede. Contra voi stessi oprando, il nutrimento, Che più convien, negaste al vostro ventre ; Poneste ai sensi il più forte rattento. E sì il faceste, che nel cuor non enlre Alcun desio che faccia venir meno Il ricchissimo vostro stagno, mentre Certi eravate che mai sempre pieno Era il perenne rio che più vi asseta, E mai non sazia il vostro ardente seno (I). Kicco guadagno mai non vi quieta; Sempre vi tira a se lucro maggiore. Benché vi meni alla più sozza meta. Per dare al male oprar maggior valore. Di chi perfettamente vi somiglia Ci uniste il forte ed infame vigore (2); Ed al possente e stolto, a cui si appiglia Meglio la frode, il vostro ardente preco Drizzaste in bassa voce e basse ciglia. Così salili in alto, l'occhio bieco Volgeste al savio che diede consiglio All'intelletto vostro in tutto cieco. Fuorché nel destramente dar di piglio Al ricco avere altrui con quella frode, (1) li perenne rio è giusta metafora del continuo guadagno. (2) Faceste società con i vostri pari. 254 Che scansa bene qualunque periglio (1). E mentre dovevate dargli lode Per ciò che disse e fece, il biasimaste Sol perchè a vostra voglia non fé prode (2). Voi per aver piìi possa alfin bramaste Ed otteneste le onorate insegne, Che furono per voi bruttate e guaste. Sì che alle case, che n'eran ben degne, Nobilita vien meno, ed in alcune La gentilizia sua virtù si spegne; Perchè tra pari diventa comune Spesso dell'uno il vizio. Se le viste Chiare si dan luce tra lor, le brune Se son vicine fansi ancor piià triste (3). Sommamente pura è, come ognn vede, la lingua e ritraente dagli scrittori del trecento: e con tale scrupolo, che avendo il poeta a carte 86 usato il verbo asserire, ne ha fatto scusa con questa nota : « Asserire non è usato da quelli della nostra buona scuola; ma io V ho volentieri usato, perchè non ho potuto rinvenire nei loro scritti un verbo che signi- fichi affermare senza prove. » Noi crediamo però eh' esso verbo, come di pretta derivazione latina, non fosse ignoto ne pure al trecento : e forse fu neir uso del popolo, benché non siasi ancora tro- vato scritto in alcuna opera antica : che già non (1) Qualunque pericolo di essere scoperlo, (2) Solo perchè non aveste quel guadagno che vi eravate pro- posto d'averne. (3) I riccl'i divenuti nobili guastano col cattivo esempio loro i nobili antichi. 255 possiamo affermare trovarsi tutta quanta la lingua registrata ne' libri che abbiamo. Quanta n' è an- cora dimenticala ne'codici, quanta n'è viva, benché trascurata, nel buon uso toscano ! Certo il Boccaccio nella Fiammetta ha l'avverbio asserlivamenle, recato anche dal vocabolario della crusca; e nel Comento alla Divina Commedia ha pure il sostantivo assertore (e la Crusca vorrà farne serbo), trovandosi a carte 58 del voi. I dell'edizione fiorentina del Fraticelli: Veg- gaììo se esso spessissime volle, quasi suoi assertori, in- duce Virgilio ed Orazio. Ed altresì ossei'veremo che la voce asserzione è più antica del Segnei'i, il cui solo esempio ci si dà dalla crusca: perchè l'usò il Galilei nel Saggiatore §. 31: Quando si ha da convincer Vav- versario, bisogna affrontarlo colle pili favorevoli, e 7ion colle pili pregiiidiciali asserzioni. Seguono quaranta epigrammi latini ad attestare che il cav. De Crollis non è di coloro che stimano potersi in Italia meritar degno nome di letterato ignorando o spregiando la gran lingua di Cicerone, di Virgilio, di Livio, anzi dell' alta sapienza de' no- stri avi. Ed anche di essa egli è buon maestro. R. 256 INDICE Mùggìoran'i, Sul raffreddamenlo de'' cadaveri, pag. 3 Maggiorani , Nuove osservazioni microscopiche sull'azione che V elettricità esercita suW al- bumina » 7 Pericolo delle stufe di ferro fuso . ...» 10 Statistica della popolazione di Roma e dello stato pontifìcio ...» 13 Montanari , Prose e poesie » 30 Notizia intorno alV oratorio e alla catacomba di S. Alessandro in Roma » 44 Ranghiasci Brancaleoni, Biografia di Rinaldo Re- posati » 62 Maggiorani, Sul valor probativo dei sintomi nella diagnosi del veneficio, e in specie in quello della stricnina- » 82 Burri , La galleria di Ciarnpino presso Fra- scali » 129 Agricoltura e industria di Liigo . . , . » 144 Bini, Alcuni sermoni » 148 Betti, Intorno al volgarizzamento deWarte della guerra di Vegezio , fatto da Bono Giam- boni » 151 Mercuri , Specchio cronologico del secolo di Dante «186 De-Crollis, Visione poetica » 245 -ìITmusI^ imprimatur "mJ|iX»rco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius PifW 1 IMPRIMATUR Xi:5^pv;i&H/ Ligi Archiep. Icon. Vicesgerens Nel giornale si dà il sun!o, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. 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